L'alba dell'ultima guerra

di Aledileo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo: Venti di guerra. ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo: Adunata di eroi ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo: La cripta ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto: Rinascita. ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto: Il signore delle tenebre ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto: Attacco a Karnak ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo: Il mondo sommerso. ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo: Confessioni. ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono: Fuga verso Themiskyra. ***
Capitolo 11: *** Capitolo decimo: L'ora più buia. ***
Capitolo 12: *** Capitolo undicesimo: La strega delle tempeste ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodicesimo: Atlante. ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredicesimo: Il popolo libero. ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordicesimo: La luce e il giorno. ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindicesimo: Inganno fratricida. ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedicesimo: Valico di sangue. ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassettesimo: Fuoco nel deserto. ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciottesimo: L'abisso oscuro. ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannovesimo: La marcia del titano. ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventesimo: Sacrifici. ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventunesimo: L'ombra tra i ghiacci. ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventiduesimo: Fuoco incrociato. ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventitreesimo: Le risorse di Atena. ***
Capitolo 25: *** Capitolo ventiquattresimo: Disperatamente amore. ***
Capitolo 26: *** Capitolo venticinquesimo: Livore profondo. ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventiseiesimo: Alle porte di Asgard. ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventisettesimo: L'angelo oscuro. ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventottesimo: L'urlo degli uomini. ***
Capitolo 30: *** Capitolo ventinovesimo: Gli allievi di Dohko. ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentesimo: Incursione. ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentunesimo: Pericolo dal mare. ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentaduesimo: Demoni di guerra. ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentatreesimo: Gli ultimi re dei mari. ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentaquattresimo: La grande balena. ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentacinquesimo: L'ultimo addio. ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentaseiesimo: Il tramonto degli eroi. ***
Capitolo 38: *** Capitolo trentasettesimo: La fine di un sogno. ***
Capitolo 39: *** Capitolo trentottesimo: Presagi. ***
Capitolo 40: *** Capitolo trentanovesimo: Tirando le fila. ***
Capitolo 41: *** Capitolo quarantesimo: I progenitori. ***
Capitolo 42: *** Epilogo (e Schede tecniche dei personaggi) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Liberamente ispirata a “I CAVALIERI DELLO ZODIACO”

 

ALEDILEO presenta:

 

I CAVALIERI DELLO ZODIACO

7

 

L’alba dell’ultima guerra

 

SAGA DI AVALON – Parte 3 di 4

 

 

A Pavone, per gli ottimi consigli e per avermi prestato i suoi Areoi.

Aledileo, 2013

 

 

 

That which we are, we are;

One equal temper of heroic hearts,

Made weak by time and fate, but strong in will

To strive, to seek, to find, and not to yield.

(Ulysses, Alfred Tennyson)

 

NOTA: Questa storia è ambientata dopo la Trilogia di Flegias, “L’avvento dell’inverno” e “Il varco tra i mondi”, la cui lettura è necessaria per meglio comprendere personaggi e situazioni in corso.

 

***

 

PROLOGO

 

L’improvvisa esplosione di luce fece scappare le tribù berbere che riposavano al fresco delle oasi. Quando il primo raggio luminoso le raggiunse, strabuzzarono gli occhi per la curiosità, ma non appena capirono da dove provenissero si scatenò un fuggi fuggi generale, una ridda di uomini, mantelli, cammelli e nubi di sabbia che animò l’albeggiante paesaggio nordafricano. Del resto, non capita tutti i giorni di assistere alla discesa di due Divinità dal cielo! Si disse Kama, nascondendosi dietro alcune rocce sporgenti delle propaggini del complesso montuoso.

 

Perché di due Divinità doveva trattarsi, di questo la Sacerdotessa era sicura. Percepiva la loro potenza cosmica irradiarsi sull’intera catena e sullo sconfinato deserto che subito si estendeva oltre i margini meridionali, facendone una barriera naturale contro i venti e le maree del Mediterraneo.

 

Questo, quantomeno, era ciò che i beduini e gli abitanti di quelle terre avevano a lungo creduto. Senza conoscere la verità sulla sua origine.

 

Le due figure di luce rilucevano diafane nell’albore, muovendosi con grazia ed eleganza, leggiadre come fossero composte di brezza, e con una sicurezza che solo chi conosceva il territorio, solo chi sapeva dove muoversi, tra i recessi sabbiosi del sistema montuoso, poteva dimostrare. Quanti giorni, in fondo, avevano trascorso nell’intermundi ad osservare il pianeta cui avevano dato la prima luce spegnersi poco a poco? Quell’ultimo gesto, quella guerra risolutiva, non avrebbe cambiato l’esito finale, il destino della stirpe umana che da sola si era condannata. Di questo, Etere e Emera erano sicuri.

 

Così avvolsero l’intera catena costiera nel riverbero del loro cosmo, penetrando in profondità, scavando nel suolo e nel tempo, fino a raggiungere i resti di chi là sotto aveva a lungo giaciuto, crollandovi esausto al termine del disastroso conflitto che aveva segnato il passaggio dalla seconda alla terza generazione divina. I resti di chi, a quel sistema montuoso, aveva dato nome.

 

Non appena il suolo tremò, scuotendo i rilievi e frantumando rocce, Kama comprese quel che sarebbe accaduto. E rabbrividì.

 

Regor glielo aveva detto anni addietro, condividendo il segreto che lo legava a quelle terre brulle e perigliose, e dopo la sua morte era stata lei a custodirlo, lei che adesso avrebbe dovuto avvisare la Dea della Guerra.

 

Corse fino ai margini meridionali della catena montuosa, mentre le alture si spaccavano e fenditure si aprivano ovunque, in cui rocce e sabbia sprofondavano ruggendo, con un gran boato di rivalsa. Un suono gutturale che aumentò non appena egli riemerse dalla prigionia dimenticata. Anche da una certa distanza, Kama notò quanto fosse immenso, almeno cinquanta piedi, e quando si sollevò eretto, allungando le braccia anchilosate, le parve quasi di vederlo afferrare il cielo, il cui peso ebbe a sopportare nel Mondo Antico, prima che il padre lo istigasse contro i nemici Olimpi.

 

Le due figure ammantate di luce si avvicinarono al gigante, recitando parole in greco antico di un rito che gli avrebbe consentito di recuperare in fretta le forze, prima di indicare un punto all’orizzonte, nell’alba del Mediterraneo. Kama non ebbe bisogno di vedere dove puntasse il loro sguardo, poiché già lo sapeva. La prima impresa del titano sarebbe stata quella di punire i carnefici di suo padre, usando la propria devastante forza bruta per distruggere l’Olimpo e Atene.

 

***

 

In quello stesso momento Zeus tremò.

 

Fu un brivido improvviso a scuoterlo, mentre stava discutendo con Demetra ed Ermes le modalità con cui avrebbero aiutato i Cavalieri dello Zodiaco, un brivido sufficiente per farlo vacillare e costringerlo a poggiare un ginocchio a terra, per non cadere lungo la scalinata di marmo della Sala del Trono.

 

“Mio Signore!!!” –Gridò subito il Messaggero Olimpico, correndo ad aiutarlo.

 

“Sto bene, Ermes, non preoccuparti! È stato solo un presentimento… un’ombra. L’ombra della fine di tutte le cose.” –Mormorò Zeus, prima di fissare entrambi gli Dei in faccia e spostare poi lo sguardo sul resto del salone. –“Era! Dov’è Era?! Dubito che sia già andata in Sicilia!”

 

A quelle parole Ermes trasalì, il volto una maschera di sudore. Qualunque cosa avesse in mente la Signora dell’Olimpo di certo non aveva intenzione di recare danni al consorte. Questo era ciò che si era ripetuto più volte, prima di consegnarle la lama deicida. Eppure… non aveva pensato… che forse Era non volesse colpire qualcun altro.

 

“Voglio solo rimediare a un vecchio errore!”

 

Le sue parole gli si piantarono nel cuore, instillandogli un così intenso dolore come mai l’aveva percepito prima, spingendolo a inginocchiarsi subito di fronte a Zeus, invocando il suo perdono. –“Mio re… la divina Era… io credo…

 

“Cos’è successo, Ermes? Perché quest’ansia immensa mi ha invaso?!” –Chiese il Nume supremo, mentre il suo cosmo stava scandagliando l’Olimpo, alla di lei ricerca. Ne trovò traccia sul sentiero che conduceva al mausoleo degli eroi caduti, ne percepì il respiro affannoso, il turbinare di mille pensieri e rimorsi e per un momento credette quasi di essere lì con lei, al suo fianco, ad osservarla mentre in lacrime si recideva i polsi con la daga dorata, lasciando che l’Ichor ruscellasse fuori, macchiando il pavimento di marmo e le statue che là riposavano.

 

“Era!!!” –Gridò Zeus a gran voce, aprendo uno squarcio nella parete orientale, dentro il quale si precipitò all’istante, inseguito da Ermes e da Demetra, che non capiva cosa stesse accadendo, chiedendo ripetutamente spiegazioni agli altri Numi. –“Non farlo, Era!!! Non voglio che tu lo faccia!!!”

 

Aveva compreso infine, il Celeste Signore, quel che la sua divina sposa aveva progettato, e l’affievolirsi rapido del suo cosmo gliene diede conferma, prima ancora di osservarne il corpo stanco e fiacco crollare addosso all’ultima statua rimasta, quella che ancora non aveva beneficiato del suo prezioso sangue.

 

“Non così!!! Non così!!!” –Tuonò il Dio del Fulmine, entrando con gran foga nella cripta sotterranea e precipitandosi dalla sua signora. –“Era, parlami! Parlami mia adorata! Perché l’hai fatto? Perché?!”

 

Ze… Zeus?!” –Balbettò la Regina dell’Olimpo, il volto emaciato e privo ormai di ogni lucentezza. Un volto su cui Ermes notò allungarsi un pallido sorriso. –“Sei qui, per me?!”

 

“Non dovevi farlo! Non tu!!!” –Singhiozzò il possente Nume, carezzando i lunghi capelli castani della Dea.

 

“Invece sì! Mio era il compito, come mia fu la colpa! Non crucciarti per me, ma sii felice, marito mio, presto potrai riabbracciare tuo figlio e insieme combatterete l’ultima battaglia!” –Aggiunse lei, sollevando a fatica il braccio fino ad afferrare una gamba della statua alla sua destra, imbrattandola con il suo Ichor e inondandola con le ultime stille del suo cosmo. –“Forse l’ombra della fine di tutto sta per scendere su tutti noi, ma che gran festa sarà se così non dovesse essere. Se tutta l’ansia e i timori che ti hanno divorato il cuore per secoli dovessero dissiparsi al sole e tu ancora potessi regnare per secoli e secoli! Oh che smacco per l’ombra sarebbe! Oh Zeus, mio amato Zeus, stringimi forte, stringimi a te! Stringimi come non hai mai fatto prima!”

 

Il Signore dell’Olimpo non disse alcunché, tenendo stretta la sorella e sposa mentre moriva. Ne assaporò per l’ultima volta il profumo, inebriandosi del ricordo del loro antico amore, quando si era mutato in cuculo per sedurla, dei giorni felici in cui credevano che, Dei e immortali, avrebbero vissuto per sempre. Prima dell’infedeltà, delle scappatelle di Zeus, della gelosia e dei litigi, prima di conoscere l’ombra.

 

A quello si aggrappò il Nume per dirle addio, certo che anch’ella vi stesse pensando, condividendo le memorie di un’esistenza ritenuta infinita. Quando trovò la forza per staccarsi da lei, depositandone il corpo straziato, prosciugato di energia vitale, sul bianco marmo, Era aveva già chiuso gli occhi, il viso rivolto verso la prima delle tredici statue che per tre secoli avevano giaciuto silenti e sole nel buio della cripta. E che adesso il suo cosmo aveva acceso della fiamma della vita.

 

Un sacrificio divino. Proprio come richiesto per rompere la maledizione.

 

Mio… Signore…” –Mormorò Ermes, dispiaciuto per l’accaduto, prima che uno scricchiolio sommesso li richiamasse tutti quanti.

 

Cosa… sta accadendo? E chi sono… costoro?” –Esclamò allora Demetra con voce spaventata, quasi sconvolta, dal rapido succedersi degli eventi, osservando i corpi atletici e rivestiti da armature da battaglia che riempivano il primo salone del mausoleo. Ne studiò le forme per qualche istante, mentre gli scricchiolii aumentavano di numero e intensità e sulle statue comparivano crepe sempre più ampie e profonde, rivelando un riverbero di luce che da pallida divenne vivida in pochi istanti, anticipando l’esplodere di una dozzina di cosmi. –“Non saranno…?!”

 

“Sono coloro che tornano a proteggere gli uomini!” –Commentò allora Zeus, narrando quel che era accaduto al termine dello scontro sostenuto da Era e Eracle trecento anni addietro. –“La maledizione è stata infine sciolta, come la profezia richiedeva! Soltanto il sacrificio di un cuore puro avrebbe potuto ridare loro la vita! E nessuno ha amato più di Era, la mia adorata Era, Dea del Matrimonio e della Famiglia, Dea Madre e Dea abbandonata! Dea infine che non ho mai compreso, che ho tradito, offeso e insultato e che troppo tardi ho ricordato come amare!”

 

“Sono sicura che in fondo lei lo sapeva!” –Intervenne la Signora delle Messi, avvicinandosi al Dio del Fulmine e ponendogli una mano su una spalla. –“E ti amava lo stesso, fratello mio! Questo atto ne è la dimostrazione!”

 

Zeus annuì, prima di voltarsi verso le tredici statue adesso rivestite da un abbagliante lucore e vederle muovere gli arti, stirare i muscoli irrigiditi, sbattere gli occhi più volte, per essere certi di vedere di nuovo, e infine parlare, stupefatti per quel prodigio.

 

“Padre!!!” –Esclamò una ruggente voce maschile, mentre la robusta sagoma di un uomo avvolto in pelli di leone si avvicinava. Il fisico scolpito, gli occhi neri e vispi, lo stesso filo di barba di quel giorno in cui si erano detti addio.

 

“Eracle!!!” –Lo chiamò allora Zeus, travolto da duplici emozioni. Il dolore per la perdita dell’amata e l’enorme piacere di poter riabbracciare il figlio che tenne alto il suo nome nel Mondo Antico. L’uomo che si era fatto Dio.

 

“Non credevo ci saremmo rivisti!” –Esordì Eracle, fermandosi di fronte alle tre Divinità, ma tenendo lo sguardo fisso sul padre.

 

“Neppure io, lo ammetto. Non in questa vita, almeno!” –E raccontò al Protettore degli Uomini quel che era avvenuto, sottolineando come la sua rinascita fosse una conseguenza del sacrificio di Era.

 

Quelle parole strapparono un sospiro di tristezza al figlio di Zeus e Alcmena che, sebbene in eterna rivalità con la matrigna, aveva più volte tentato di sanare i loro contrasti, senza mai riuscirci.

 

“Hai trovato infine come farti perdonare…” –Sussurrò, chinandosi sul corpo spento della Dea e posandole un bacio in fronte. –“Lo apprezzo! Addio, Regina dell’Olimpo! Addio, Dea Madre!”

 

Anche i suoi guerrieri, comprendendo quel che era accaduto, si inchinarono in segno di rispetto per un avversario che aveva saputo ammettere i propri errori. Fu solo ad un cenno di Zeus che si rimisero in piedi, mentre il Nume supremo li scrutava uno ad uno. Ricordava i nomi di tutti loro, i migliori compagni che Eracle avesse potuto desiderare, eroici, ardimentosi e soprattutto impavidi. Neppure il peccato di hybris li aveva mai spaventati, poiché l’unico Dio in cui credevano era uno di loro, un uomo asceso al cielo più elevato. Ed essi si ritenevano in grado di fare altrettanto.

 

“Siamo pronti alla guerra, mio Signore!” –Esclamò la giovane voce di uno di loro, rialzandosi e fissando Zeus negli occhi. –“Non è per questo che siamo stati risvegliati? Per essere la chiave di volta tra le benigne stelle e l’oscurità?!”

 

“È così, Nesso! È così!” –Annuì il Re dell’Olimpo, prima di pregare Ermes di condurre Eracle e la sua legione alla reggia e offrire loro ristoro e qualunque cosa necessitassero, soprattutto informazioni. Lui li avrebbe raggiunti a breve, dopo essersi concesso un ultimo momento per sé, per onorare colei che troppo tardi era riuscito ad amare.

 

Demetra rimase ad osservare i dodici Heroes della Legione dei Migliori uscire dalla cripta e tornare a rivedere il sole, dopo quasi tre secoli di oblio, chiedendosi quanto la loro presenza avrebbe potuto spostare gli equilibri della guerra in corso. E a favore di chi.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo primo: Venti di guerra. ***


CAPITOLO PRIMO: VENTI DI GUERRA.

 

Terminata l’assemblea dei delegati dei regni divini, ove tutti erano stati messi al corrente dagli Angeli della minaccia rappresentata dall’avvento di Caos, i vari gruppi di Divinità e Cavalieri loro fedeli rimasero a discutere nell’arena del Grande Tempio, cercando di concordare una comune strategia difensiva, certi che l’attacco degli Dei Antichi non sarebbe tardato ad arrivare. Su questo, il consenso era unanime.

 

Più difficile fu invece giungere ad un accordo riguardo alla dislocazione delle truppe della nascitura alleanza, ognuno temendo per la sorte del proprio regno e restio quindi a separarsi da combattenti utili per proteggerlo. Per quanto, come Avalon ebbe a ricordare più volte, nessun regno potesse dirsi al sicuro in quel momento, poiché il manto oscuro delle tenebre sarebbe sceso sulla Terra intera e pretendere di riuscire a difendersi da soli, contando soltanto sulle proprie forze, era pura utopia.

 

“Dobbiamo mettere da parte rivalità durate secoli, contese umane o divine e anche l’orgoglio, se non vogliamo soccombere all’ombra nascente! Umiltà e fiducia dovranno essere alla base di quest’alleanza!” –Rincarò la dose Alexer, spiegando di avere un gruppo di guerrieri, da lui personalmente istruiti alle arti dei ghiacci, pronto a combattere. Anche Andrei snocciolò numeri sulle forze addestrate presso il Lago Titicaca, i fedeli al culto di Inti che vedevano nel sole la fonte della vita e che avrebbero lottato con i denti contro chiunque avesse tentato di oscurarne lo splendore.

 

Nettuno, con voce calma, spiegò di non poter fornire alcun esercito, avendo perduto tutti i Generali e i Soldati degli Abissi nell’ultima guerra scatenata contro Atena, ma aggiunse di aver già contribuito a modo suo, per quanto i suoi impegni non fossero ancora terminati. Avalon annuì alle parole del Nume Olimpico, criptiche ai più, ben sapendo quel che Zeus stava progettando, e gli disse che lui stesso li avrebbe accompagnati in Sicilia entro poche ore.

 

Quelle parole strapparono un paio di domande incuriosite a Pegasus e ai Cavalieri dello Zodiaco, che pretesero notizie sul Padre di Tutti gli Dei, rimasti straniti e un po’ dispiaciuti dalla sua assenza al congresso.

 

“Il Sommo Zeus è al nostro fianco, non è così, Nikolaos?” –Chiesero al Luogotenente dell’Olimpo, che si limitò ad assentire, dopo aver scambiato un fugace sguardo con l’Imperatore dei Mari.

 

“Sapete bene, Cavalieri di Atena, che le decisioni del mio Signore sono di sovente imperscrutabili ma più volte egli ha offerto la sua disponibilità nel lottare insieme contro avversari comuni! Ares, Tifone e Flegias sono caduti anche grazie alle forze messe in campo dall’Olimpo! Conferirò con lui quando rientrerò, ma sono certo che, a modo suo, Zeus stia preparandosi all’ultima guerra! Anzi, da quel che Ganimede mi aveva riferito prima di scendere ad Atene, da alcuni giorni Efesto è impegnato in un alacre lavoro per conto del padre, che non è rimasto inoperoso ad attendere gli eventi!”

 

“Ne sono convinta anch’io, nobile Eridano!” –Gli sorrise allora Atena, prima che il Luogotenente accennasse un inchino, congedandosi dal gruppo e avviandosi verso gli spalti più elevati dell’arena, dove Euro lo stava attendendo, le variopinte ali della corazza già spalancate, per rientrare sull’Olimpo e conferire con il Signore degli Dei.

 

Fu allora che il Signore dell’Isola Sacra notò la Dea della Luna trattenere a fatica uno sbadiglio, mormorare qualcosa nell’orecchio al compagno, che si guardò attorno imbarazzato, prima di allontanarsi con lui. Anche Atena lo notò e si avviò dietro ai due amanti, presto seguita da Avalon, raggiungendoli all’uscita dell’anfiteatro.

 

“Divina Selene! Qualcosa vi turba?”

 

“Nient’affatto, Atena! Sono soltanto stanca!” –Si limitò a rispondere la Divinità, a braccetto con Endimione.

 

“Se desiderate riposarvi, le mie stanze sono a vostra disposizione! Posso farvi preparare un bagno caldo…

 

“Ti ringrazio per la premura, ma non è stanchezza fisica ad infastidirmi! Sono tutti questi discorsi, tutto questo parlare di guerra e guerrieri, combattenti e armate… Sembrate più degli strateghi che non Divinità immortali!”

 

“Forse è proprio questo che ci ha reso deboli e impreparati, l’erronea certezza di sentirci superiori e destinati a esistere per sempre! In tempi oscuri come questi, non possiamo fare altro che metterci a disposizione della causa! Non lo credete?”

 

“No, non lo credo! E non vedo nessuna causa che possa accomunarmi ad altre Divinità belliche! Con molte remore accettai la presenza di Sin degli Accadi nel mio circolo di Seleniti, ben conoscendo la sua indole bellicista, ma questa alleanza che state cercando di creare va ben oltre quanto io sia disposta a concedere! Non darò mai il beneplacito a operazioni di guerra aperta!”

 

“Un’alleanza che però ben ti è stata utile quando ha impedito ai Signori della Guerra di radere al suolo il tuo reame beato!” –Precisò Avalon, fissando la Dea negli occhi e strappandole un moto di disappunto.

 

“E di ciò vi sono grata! Ve l’ho già detto molte volte, non mi pesa ripeterlo! Ho apprezzato moltissimo l’aiuto che mi avete concesso, ma quella contesa ha cambiato tutto, ha segnato la fine del mio progetto per un regno ove poter vivere in serenità, senza affossare però i miei ideali! Io, in quel sogno di pace, continuo a credere!”

 

“Anch’io, Selene! Anch’io!” –Commentò Atena, avvicinandosi a lei e afferrandole le mani con le proprie. –“Proprio per questo dobbiamo stare uniti e combattere Caos con tutte le nostre forze!”

 

“Le mie forze già ve le ho date, credo di aver fatto abbastanza!” –Si svicolò subito la Dea, dando le spalle alla figlia di Zeus. Quindi, sfiorata dal lieve tocco della mano di Endimione, si girò di nuovo, stavolta con gli occhi bagnati di lacrime. –“Cos’altro vuoi da me, Atena? Cos’altro vuole il gran tessitore dell’isola nebbiosa? Vi ho dato tutto quel che potevo! I miei Seleniti, gli abitanti del mio regno, e mia figlia!!! La mia primogenita!!! Me l’hai strappata, facendone un soldato e portandola in guerra!!!”

 

“Quello era il suo destino!” –Chiosò Avalon, senza distogliere lo sguardo.

 

“O il destino che tu hai scelto per lei?!” –Singhiozzò Selene. –“L’ho persa, ormai! La vedo, la luce nei suoi occhi, l’eccitazione che precede la battaglia! L’ho vista in tanti guerrieri che sono caduti nel corso dei secoli, per cosa poi? Per gloria, onore o rendere grazie a una Divinità che di loro si serviva per espandere la propria sfera di influenza? Io non voglio dominare su niente e su nessuno, voglio solo un reame dove tutti possano vivere in serenità! E mi è stato portato via! Non mi è rimasto niente! Persino le mie figlie preferiscono rimanere qua, sulla Terra, circondate da Cavalieri che possono difenderle! Soltanto Endimione, l’amore del mio dolce Endimione mi è rimasto!” –Aggiunse, carezzando il volto dell’eterno giovane, da lei ammaliato millenni addietro.

 

“È un amore perverso, il tuo!” –Affermò allora Atena, strappando un sorriso al Signore dell’Isola Sacra.

 

“Come osi?!” –Avvampò Selene, alzando il tono della voce, attirando sguardi persino dal gruppo di Divinità e guerrieri che, al centro dell’arena, continuavano a discutere.

 

“Perverso e soffocante. Hai mai lasciato Endimione libero di scegliere, libero di vivere e morire nel modo che ritenesse giusto? Lo ami, e ciò è bello e nobile, ma il tuo amore non lo proteggerà, Selene! Quando l’ombra calerà su di voi, affogherete nel rimpianto di non aver lottato per altro che non fosse la vostra solitudine! E sarete soli!”

 

“Proprio tu parli?!” –Gridò Selene, spingendo indietro Atena con un’onda di cosmo. –“Tu, la Vergine Dea, la Dea che non è mai stata in grado di amare, che si è rifiutata di amare, per secoli, forse millenni, nutrendoti solo di sangue e battaglie! Come puoi parlarmi di qualcosa che non conosci e mai hai provato, perché per scelta te lo sei precluso? No, Atena, non accetto lezioni sull’amore da te! E ora lasciami tornare al mio regno lontano! Se lo scopo di Ares e Eris era prendere il Talismano custodito da Elanor, non ho motivo di temere che tornino, dal momento che mia figlia ha scelto la sua strada, ha scelto di rimanere qua, a lottare per gli uomini di questa Terra, una razza troppo infima da comprendere. Difatti, non la capisco, né capisco perché vi affanniate tanto contro un nemico che voi stessi avete definito imbattibile.”

 

“Nessuno vi difenderà, lo sai, vero, Selene?!” –Intervenne allora Avalon, mentre la Dea prendeva Endimione per mano e si incamminava fuori dall’arena. Non gli giunse risposta alcuna, soltanto il leggiadro strascicarsi dei suoi passi sul selciato e il sospiro sconsolato di Atena, che si chiese se non fosse il caso di farla desistere. –“Ha già scelto come morire!” –Chiosò il Signore dell’Isola Sacra, scuotendo la testa.

 

Poco dopo vennero raggiunti dagli Angeli suoi fratelli, dai Cavalieri dello Zodiaco e dai Seleniti guidati da Shen Gado dell’Ippogrifo, che Avalon mise al corrente della situazione. –“Selene se ne è andata! Voi cosa avete intenzione di fare? Combatterete assieme a noi o tornerete a rinchiudervi in quel pallido recinto lunare?!”

 

“Certo che lotteremo! Selene non era la nostra Dea, soltanto la nostra guida! Con lei abbiamo condiviso un sogno, la speranza di un mondo migliore!” –Esclamò deciso Mani, il Selenite di Saturno. –“Ma è in questo che dobbiamo vivere, l’unico rimasto dei nove mondi! Qua dimorano coloro che un tempo ci adoravano e che abbiamo permesso che ci dimenticassero, e qua, un giorno, sorgerà un nuovo Yggdrasill, un nuovo Albero Cosmico!”

 

“Inoltre anche noi abbiamo persone che amiamo, che vivono in questo meraviglioso mondo!” –Continuò l’anziana Avatea, strappando un vagito d’assenso anche a Igaluk e a Hubal.

 

“Il Selenite di Venere non è di molte parole!” –Mormorò Pegasus ai compagni, prima che Andromeda lo intimasse di fare silenzio.

 

“È muto!” –Gli rivelò.

 

“Una domanda sola, Signore dell’Isola Sacra!” –Intervenne il Custode del Cerchio di Marte, attirando lo sguardo dei presenti. –“Quell’Anhar di cui hai parlato… devo a lui la caduta di Nuova Babilonia, non è così? Umpf, lo sospettavo! Beh, cosa aspettiamo?! Se c’è una guerra da combattere Sin degli Accadi non si tirerà indietro! Anche perché, mi pare di capire che questa sia l’ultima, perciò o moriamo combattendo o moriamo aspettando! E la seconda scelta non l’ho mai contemplata!”

 

***

 

Dall’alto dell’Olimpo Eracle osservava il mondo, consapevole di quanto fosse cambiato in quei pochi secoli in cui aveva languito in un apparente stato di morte. Un periodo di tempo molto breve per una Divinità immortale, ma lungo agli occhi degli uomini. Ed egli, che un Dio non si era mai sentito, ora più che mai riusciva a vedere tramite gli occhi degli umani, riusciva a percepire la caducità della vita, il soffio delicato ma incessante dell’autunno che tutto ricopriva di polvere. Dei sogni e degli ideali che lo avevano mosso secoli addietro, quando aveva abbandonato l’Olimpo per rifondare Tirinto e un nuovo ordine di Eroi, non era rimasto niente. L’antica fortezza era stata abbattuta, le vite di coloro che avevano giurato di morire in suo nome erano state spezzate e le persone amate… erano state le prime a morire.

 

Del centinaio di Heroes che avevano animato un tempo la corte di Tirinto, ne erano rimasti soltanto dodici, tanti quanti quelli che aveva potuto salvare, che adesso riposavano nelle stanze che Zeus aveva assegnato loro, tornati a nuova temporanea vita solo per morire di nuovo. Perché era questo che attendeva tutti loro, Dei compresi. La fine del tempo cosmico.

 

Questo Eracle ben lo sapeva, riusciva a leggerlo nel vento, greve e pesante, nelle stelle, pallide e lontane, e in quell’oscura cappa che pareva opprimere l’intero pianeta espandendosi a spirale dalle desertiche regioni dell’Asia centrale. Persino là in alto, nelle beate terre ove un tempo imperava un’eterna primavera, la foschia era arrivata. Ma egli non la temeva, non l’aveva mai temuta, né quando, ancora giovane e vigoroso, aveva affrontato le Dodici Fatiche impostegli da Euristeo, per dimostrarsi degno del padre che lo aveva generato, né quando, millenni più tardi, aveva detto addio all’Olimpo per vivere tra gli uomini, e come gli uomini morire.

 

Già, addio. Una parola che aveva detto troppe volte, e a troppe persone.

 

All’amata Deianira, e ai figli da lei avuti, quando, travolto da venefica pazzia, si era dato fuoco sul Monte Eta. A suo padre, quando i contrasti tra loro erano divenuti insanabili. Alla cara Ebe, cui aveva spezzato, senza volerlo, il cuore, e ai figli che ancora gridavano vendetta. Infine agli Heroes, ai guardiani della pace che aveva condannato a una guerra eterna.

 

“È strano, non è vero?!” –La voce placida di Zeus lo raggiunse in quel momento, costringendolo a voltarsi verso la piana erbosa che si estendeva alle sue spalle.

 

Era seduto, da un paio d’ore ormai, sulla Bianca Torre del Fulmine, limite estremo del Monte Olimpo, proprio dove Crono e Flegias avevano imprigionato Atena mesi addietro, dando il via a una cruenta guerra intestina. Una delle tante che le Divinità greche non avevano imparato ad evitare nel corso dei secoli, e che anzi parevano smaniosamente cercare a cicli alterni, quasi fossero incapaci di vivere in pace.

 

“Essere di nuovo qua, a casa. Anche se forse tale non l’hai mai considerata.” –Continuò il Primo dei Dodici, sollevandosi e portandosi in cima alla costruzione, proprio accanto al figlio con cui non parlava da secoli. –“Temo che in parte sia stata anche colpa mia, del poco rispetto che ho avuto verso la vita e della mai confessata paura della fine di tutto, che mi ha portato a rifuggire quell’eventualità che non volevo accettare, pur sapendo benissimo quanto fosse reale. È stato questo che mi ha fatto vivere male troppo a lungo, incapace di comprendere quanto amore mi circondasse, quanto uomini e Dei tenessero a me e continuassero a farlo nonostante io li spingessi sempre più lontano. Tu, Eracle, sei tra coloro che ho allontanato. Non ti chiedo di perdonarmi, né posso adularti con false speranze per un futuro insieme, poiché temo che nessuno di noi conoscerà mai quel tempo. Posso solo chiederti di aiutarmi a sorreggere il mio braccio, per scoccare insieme l’ultima folgore sul nostro nemico! Lo farai, figlio mio?” –Concluse Zeus, posando una mano sulla spalla del nerboruto guerriero e fissandolo con i suoi profondi occhi blu.

 

Eracle non rispose alcunché, accennando un sorriso sentito a parole che troppo a lungo aveva desiderato udire. Si limitò a poggiare una mano sopra quella del padre e a stringerla forte, annuendo, prima di alzarsi e scendere a terra con lui.

 

“I tuoi compagni ti stanno aspettando!” –Spiegò il Nume dai biondi capelli, camminando assieme al figlio lungo il prato fiorito, diretto verso la reggia. –“Ermes e Demetra sono con loro, già sanno qual è il loro compito!”

 

“Ed io conosco il mio, padre!” –Assentì con vigore il Protettore degli Uomini. –“Nessuno vi disturberà fintantoché Efesto non avrà completato la sua opera!”

 

“Ciò è di vitale importanza! Non per noi, la cui esistenza volge ormai al tramonto, ma per gli uomini che popolano questo mondo che poche volte abbiamo davvero apprezzato. I Cavalieri dello Zodiaco, i cinque che hanno superato i confini stessi dell’esistenza, risvegliando lo stadio ultimo della conoscenza, sono il futuro! Sono tutto ciò che separa la Terra dalla distruzione totale! Noi possiamo solo aiutarli in questa disperata impresa, sorridendo e gloriandoci se dovessimo arrivare alla fine!”

 

“Ho sempre nutrito grande stima per Atena e i suoi paladini e, da ciò che mi hai raccontato, questi cinque ragazzi sono ancora più leggendari degli eroi del Mondo Antico! Sarà un onore assisterli nell’ultima guerra!”

 

“E noi saremo con voi, mio Signore! Fino alla morte!” –Esclamò allora un’acuta voce giovanile, proprio mentre Eracle e Zeus varcavano la soglia della Sala del Trono, trovando i dodici Heroes in loro fervente attesa. Tutti rivestiti delle Armature degli Eroi, che Druso di Anteus, fabbro di Tirinto, aveva creato per loro, servendosi di un frammento di Glory, la Veste Divina di Eracle, i superstiti delle antiche legioni aspettavano solo un ordine del Vindice dell’Onestà per scendere in guerra.

 

“Cos’è in fondo quel macabro confine? Niente più di un nuovo oblio che già abbiamo saputo affrontare! Se vivere in un regno di tenebra o morire affinché tale infausta prospettiva non si realizzi sono le due possibilità che questa rinnovata esistenza ci offre, noi sappiamo cosa scegliere!” –Disse un altro di loro, alto ed elegante nelle sue ben lucidate vesti.

 

“Parli bene, Marcantonio! Come sempre!” –Sorrise Eracle all’Hero dello Specchio, mentre anche gli altri fremevano alle sue spalle.

 

Solo gli ultimi Olimpi, inginocchiati di fronte alla scalinata che conduceva al trono, indugiavano, decisi di certo a combattere ma timorosi al tempo stesso nel doverlo fare. Come Dei, del resto, non avevano mai considerato la prospettiva della fine.

 

“Mio vecchio amico…” –Esclamò Zeus, carezzando la guancia di Ermes e facendogli cenno di alzarsi. Ugualmente fece Demetra al suo fianco, gli occhi lucidi per l’emozione ma al tempo stesso risoluti ad andare avanti. –“Ti chiedo un grande sacrificio, non dissimile dai tanti a cui ti ho obbligato in tutto questo tempo vissuto assieme! Ma non lo richiedo per me, bensì per i giovani che meritano di vedere un’altra alba!”

 

“Sono pronto!” –Commentò semplicemente il fidato Messaggero, prima che il Nume Supremo desse loro le ultime indicazioni.

 

“Dopo una breve sosta ad Atene, andrete in Sicilia, dove Efesto vi sta aspettando! Credo che Nettuno già sia in viaggio per l’isola italica ed io presto vi raggiungerò!”

 

“Non venite con noi, mio Signore?” –Mormorò Ermes stranito.

 

“Non adesso.” –Chiosò Zeus, per poi voltarsi verso il figlio. –“Eracle vi proteggerà! Non abbiate timore! Andate, adesso!”

 

A quelle parole, gli Heroes ruppero le fila, incamminandosi a passo fermo verso l’uscita della reggia, tutti tranne uno, i cui servigi erano stati richiesti direttamente dal Signore del Fulmine.

 

“Mio Re…” –Commentò Ermes, prima di allontanarsi, la voce incrinata dal dubbio per una conversazione che non sapeva come sostenere.


“Va tutto bene, amico mio. Non dolerti. Era ha fatto la sua scelta! Era ci ha ricordato quanto umani siamo in realtà, vittime di emozioni che solo in animi così profondi e dediti all’amore possono turbinare. Il suo sacrificio non è stato vano né un gesto folle, ma nato dal perdono che ha saputo palesare. Quello stesso perdono che adesso, infine, anch’io mostrerò.”

 

***

 

Una frenesia insolita aveva invaso il Santuario delle Origini, il luogo ove gli Dei ancestrali erano tornati a nuova vita. Una frenesia scaturita dall’inebriante e al tempo stesso terribile sensazione provocata dalla loro vicinanza, in particolare dalla Sua. Non vi era guerriero, Dio o creatura che non ne percepisse l’infinita potenza, così vasta al punto da saturare ogni cosa. Spazio, tempo e anima, tutto pareva perdersi, tutto pareva scomparire all’interno di quell’immenso vuoto cosmico celato nel tempio da lui stesso edificato millenni addietro, all’epoca della creazione del mondo. Tempio che, come Chimera ebbe modo di osservare in quel momento, entrando nel salone principale da uno degli innumerevoli corridoi laterali, andava ampliandosi sempre di più, con l’espandersi del cosmo di Caos. Nuove mura, torri e bastioni di roccia nera sorgevano ad ogni ora laddove prima vi era solo un’arida superficie. Scosse continue dilaniavano il deserto del Gobi, aprendo faglie che subito venivano colmate dal sollevarsi di imperiosi contrafforti, mentre una nube scura ne solleticava i confini, scivolando silente attorno all’enorme fortezza e fagocitando ogni forma di vita che ardisse anche solo avvicinarsi ad osservare.

 

Umpf! Un magro bottino! Osservò il guerriero della bestia dalle triplici fattezze, tirando un’occhiata, dal portone aperto sul cortile interno, alle carcasse di uccelli e artropodi che giacevano prosciugate di linfa vitale. Pochi uomini si aggirano in questa landa desolata! Pochi guerrieri! Per ora! Sogghignò, sbattendo un pugno dentro il palmo dell’altra mano e incamminandosi verso l’uomo che lo aveva cresciuto e addestrato per quel momento.

 

“Lord Comandante!” –Esclamò, inchinandosi di fronte a Polemos, che stava urlando le ultime istruzioni ai vari reparti dell’Armata delle Tenebre. –“Il mio veleno, le mie corna e le mie zanne voraci sono al tuo servizio! Prendili e usali per uccidere!”

 

“Di tanta solerzia non posso che compiacermi!” –Commentò il Demone della Guerra, spostandosi dietro le spalle i lunghi capelli rosacei. –“Dovresti meritare tu l’epiteto che mi fu assegnato nel Mondo Antico, Chimera, tu che più di ogni altro aneli scendere in battaglia! Del resto, come la bestia di cui riprendi le fattezze, triplice motivazione sostiene la tua furia, non è così?”

 

“Precisamente.” –Si limitò a commentare il guerriero dai capelli biondi, memore dell’umiliazione subita anni addietro, in un altro santuario. Molto meno oscuro.

 

Polemos sogghignò, prima di fargli cenno di alzarsi e seguirlo, per mostrargli come intendeva procedere. –“Con azioni rapide e mirate! Colpiremo subito, senza aspettare nemmeno un’ora! I nostri avversari languono e curano le loro ferite dopo la battaglia sul Reame della Luna Splendente, una battaglia che non posso che definire una completa disfatta per il glorioso esercito che sono stato chiamato a guidare! Se Ares avesse avuto anche solo un briciolo della mia strategia bellica, non ci saremmo esposti così tanto, perdendo in un solo colpo tutte le Makhai!”

 

“Compiangete vostra figlia, mio Lord?”

 

“Ah ah ah! Non sapevo tu fossi anche ironico, Vaughn! Oh, cos’è quell’espressione imbronciata? Non era il nome con cui venisti al mondo? Con cui tuo fratello ti chiamava da bambino? So bene che l’hai abbandonato da tempo, ma mi piace ricordarti così, come il giorno in cui ci incontrammo!”

 

“Il giorno in cui mi salvaste, decidendo di tenermi con voi e addestrarmi, maestro!” –Abbassò il capo Chimera, con voce per la prima volta incrinata da un doloroso ricordo. –“Non ve ne sarò mai grato abbastanza!”

 

Già…” –Rifletté Polemos per qualche istante, prima di sfiorare il mento del ragazzo, senza togliergli gli occhi di dosso. –“Abbiamo condiviso molte cose, Vaughn, ma ormai sono retaggi di un passato che non tornerà più! Adesso esiste solo il presente, un presente dove guiderò le vittoriose Armate delle Tenebre e dove tu sarai il mio Luogotenente! Perciò devo essere sicuro che obbedirai a ogni mio ordine, ponendo la missione al primo posto, sempre e comunque! Qualunque cosa accada, servire Lord Caos sarà sempre il nostro obiettivo! Il resto non conta più niente ormai, né rispetto, né gratitudine, né vendette personali! Tutto si perde ai cancelli delle tenebre!”

 

Io… Sì, Lord Comandante!” –Esclamò il guerriero, ergendosi fiero e battendo una mano sul cuore, mentre una goccia di sudore gli scivolava tra gli occhi, umettandogli le labbra. –“Per la guerra, suprema madre del mondo, e per il Caos, principio e fine!”

 

Polemos annuì compiaciuto, prima di illustrare al giovane come si sarebbero mossi, attaccando i principali centri di potere delle Divinità che ancora resistevano alla grande ombra. –“Non che ve ne siano molti, in verità! E sono tutte concentrate in soli quattro luoghi!” –Esclamò, indicando una mappa affissa al muro, che comprendeva oltre al continente europeo anche ampie porzioni del deserto nordafricano. –“Due in particolare potranno opporre resistenza, mentre una terza, da poco travolta dagli eventi di Ragnarök, sarà facile preda della nostra ambizione! Una volta conquistate le ultime roccaforti in grado di opporsi all’avvento dei Progenitori, caleremo sulle ignari popolazioni del mondo, avvolgendo le loro caduche esistenze in una notte senza fine. Cosa potranno fare, a quel punto, gli impauriti esseri umani, le cui materialistiche società li hanno infiacchiti al punto da non saper neppure riconoscere il cosmo dentro di sé? Strisceranno come vermi di fronte all’Armata delle Tenebre, invocheranno persino la nostra protezione pur di aver salva la vita!”

 

“E noi non gliela concederemo!” –Esclamò all’improvviso una voce profonda, che suonò quasi metallica ai due guerrieri. Si voltarono verso il corridoio che conduceva ai laboratori sotterranei e nell’oscurità che lo avvolgeva parvero notare due occhi rossi, simili a tizzoni ardenti, fissarli famelici.

 

“Voi?!” –Mormorò Polemos, senza nascondere un certo stupore.

 

“Checché ne pensino i nostri nemici, la mia ora non è ancora giunta! Il nostro signore e padrone, creatore e disfacitore di mondi, dall’alto della sua infinita bontà, ha accettato di disporre ancora dei miei servigi ed io sono stato ben lieto di mettere le mie arti e la mia oscura sapienza a sua disposizione!” –Parlò la voce, invitando i due guerrieri ad avvicinarsi e a seguirlo nei tetri antri del Primo Santuario, privi di una qualsiasi forma di luce. –“Non ho dimenticato gli insegnamenti del mio maestro, Athanor della Regina Nera! Così, per onorare la rinnovata fiducia dell’Unico verso di me, ho pensato di fargli un gradito dono, e di farlo anche a te, Lord Comandante, al qual tempo! Cosa ne pensi? Mira la potenza di antiche alchimie, ai più sconosciute, irrobustite dal sangue divino a Caos offerto in dono!”

 

Polemos e Chimera si fermarono sulla soglia di un’ampia sala, al centro della quale riposavano dodici corazze dalle abominevoli forme, che di primo acchito non riuscirono ad identificare, salvo poi, accostandosi e studiandole con maggior attenzione, abbinarle ai migliori guerrieri del loro esercito.

 

“I Nefari…” –Mormorò il biondo guerriero.

 

“Dodici armature per dodici segni mostruosi, il nuovo Zodiaco Nero che sorgerà in cielo! Che i popoli della Terra lo sappiano, che i popoli tremino di fronte all’Unico Dio! E quale modo migliore di toglier loro la speranza in un futuro che privarli di qualcosa che ha infuso sicurezza alle loro misere vite per millenni? La fissità di un cielo lontano in cui popoli e culture diverse hanno visto qualcosa, icona o simbolo della loro civiltà! Orbene quei simboli li distruggeremo, sostituendoli con questi e quando gli uomini avranno l’ardire di sollevare il capo al cielo non vedranno più l’impavido leone dal crine d’oro o i pesci in cui Afrodite ed Eros si mutarono per fuggire a Tifone! Oh no, loro vedranno il terrore! Ah ah ah!”

 

“Diabolico piano il vostro, Maestro di Ombre…” –Parlò Polemos, ma l’altro lo fermò, sollevando una mano.

 

“Non lo sono più, ormai! Adesso sono oltre!” –Ghignò, avvicinandosi e permettendo al Lord Comandante di osservarlo meglio, di osservare quel che rimaneva di lui. Un’oscura corazza integrale, dotata di un elmo a casco, che rendeva impossibile capire cosa fosse celato al suo interno. Ben sapendo quel che gli era accaduto mesi addietro, sull’Isola delle Ombre, Polemos rabbrividì, non desiderando conoscere gli oscuri artifizi che gli avevano permesso di essere ancora vivo.

 

Se una vita quella si può considerare! Commentò, staccandosi e avviandosi verso l’uscita, assieme a Chimera, prima che la voce dell’araldo dell’ombra li raggiungesse.

 

“Sono il Gran Maestro del Caos adesso, la Bocca di Caos! E come tale dovrete considerarmi! Ah ah ah!” –Sghignazzò, la voce filtrata dalla maschera metallica che portava sul volto e che la faceva rimbombare per i corridoi sotterranei. Quindi si voltò verso la parte profonda del suo laboratorio, ove un uomo attendeva in silenzio, celato nell’ombra di cui aveva nutrito il cuore per molti anni. –“Sei ancora qui?”

 

“Sto andando!” –Commentò il suo interlocutore, passandogli accanto. –“Avrei voluto anch’io un’armatura da voi forgiata! Di certo mi avrebbe dato maggiori soddisfazioni di questa, di cui non apprezzo il colore chiaro!”

 

“Oh, non puoi neanche immaginare quali!” –Ghignò il Maestro del Caos, sfregandosi i palmi soddisfatto.

 

“Posso intuirle…” –Fu quel che ottenne in risposta, prima che uno scintillio azzurro segnalasse la sua dipartita da quel santuario. Anche per l’allievo di Anhar era tempo di scendere in guerra.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo: Adunata di eroi ***


CAPITOLO SECONDO: ADUNATA DI EROI.

 

Gli Angeli, Atena e i loro più intimi alleati si riunirono per un consiglio ristretto alla Casa dell’Ariete, ove erano presenti anche i cinque Cavalieri dello Zodiaco, la Celebrante di Odino, il Dio egizio del Falco e l’Imperatore dei Mari, intento a riferire ad Avalon gli ultimi accadimenti sull’isola di Atlantide.

 

“È stata la scelta migliore!” –Mormorò il Signore dell’Isola Sacra. –“Anche se capisco quanto dolore ti abbia generato, dover assistere al suo nuovo inabissamento.”

 

“Ciò è stato necessario! Recuperato l’Oricalco, ho restituito le terre al mare e all’eterno silenzio di chi vi riposa.”

 

Avalon annuì gravemente alle parole del Nume, prima di avvicinarsi ad Andrei, Alexer e Asterios che avevano appena disteso su un tavolo una mappa dell’Eurasia. Una mappa su cui alcuni punti erano stati segnati. Un castello nero, disegnato al centro del deserto del Gobi, che tutti ben sapevano cosa indicasse, e altri quattro simboli, che dall’Africa salivano verso nord, ad indicare i più potenti regni divini in grado di impensierire gli Antichi.

 

“Dobbiamo agire in fretta, organizzare subito le nostre difese, onde evitare che la marea nera ci sommerga tutti!” –Incalzò Andrei, premendo per un’immediata azione. –“Adesso che la configurazione astrale è stata ricreata, e che le loro forze sono fresche, i Progenitori non tarderanno ad arrivare!”

 

“Lo credo anch’io, fratello!” –Confermò Alexer, cercando lo sguardo preoccupato di Flare, e di Cristal, a lei vicino.

 

“La prima cosa che faranno, ben lo immagino, sarà distruggere i regni divini, quei pochi rimasti la cui potenza, sopita o manifesta, possa impensierirli, e dato che tutti noi, e i nostri seguaci, abbiamo avuto modo di combattere contro di loro, stiamo tutti rischiando una violenta rappresaglia! Asgard, che non si è piegata all’inverno che Anhar avrebbe voluto scatenare per mezzo di Loki e che più volte è corsa in aiuto degli amici di Grecia. Avalon, ove l’Angelo Oscuro ha ricevuto il primo schiaffo della sua esistenza e che egli vorrà di certo annientare, sebbene ciò sia più un capriccio suo che non una strategica necessità. La Grecia, dove con tale nome intendo sia il Grande Tempio di Atene che l’Olimpo, ove dimorano i nemici per eccellenza della grande ombra, e infine un placido regno che si erge molto più a sud e che di recente ha dimostrato notevoli segnali di risveglio.” –Concluse Avalon, mentre Horus, di fronte a lui, corrucciava la fronte con preoccupazione. –“Caos e Nyx non dimenticheranno facilmente che le forze dell’Egitto hanno avuto l’ardire di penetrare nel loro Santuario, liberando due importanti prigionieri! No, giovane Falco, temo che su Karnak cadrà per prima la ritorsione degli Dei Antichi!”

 

“Per questo vi chiedo di perdonarmi se abbandonerò subito quest’assemblea, ma grande è la mia necessità di rientrare in Egitto! Al pari vostro, temo anch’io che saremo i primi su cui l’ondata di tenebre si abbatterà!” –Esclamò il figlio di Osiride, accennando un inchino e incamminandosi poi verso l’uscita della Casa dell’Ariete, salvo essere richiamato da Avalon poco dopo.

 

“Non da solo combatterai questa guerra, Falco d’Argento! Se le mie parole hanno avuto un senso, durante l’ultima assemblea, è ormai chiaro che un’alleanza deve nascere e nascerà quando guerrieri e Cavalieri di fedi diverse, di culti diversi, ma ugualmente mirati al mantenimento della pace e dell’equilibrio, lotteranno fianco a fianco, schiena contro schiena. E quel giorno è adesso!”

 

“Guiderò personalmente una forza in aiuto degli Dei d’Egitto!” –Intervenne allora Andrei. –“I soldati di Inti non rimarranno a guardare mentre un altro tempio viene saccheggiato e distrutto, come accadde a Isla del Sol anni addietro!”

 

Avalon, a quelle parole, sorrise rincuorato, mentre l’Angelo di Fuoco prendeva congedo, chiedendo a Horus di seguirlo nell’arena, dove avrebbero organizzato le truppe da lui scelte. Fu in quel momento che la delicata voce di Flare parlò.

 

“Dea Atena, amici di Grecia e di Avalon, al pari del Falco d’Argento, grande è la mia preoccupazione per le mie genti, assediate non solo dal freddo e dall’isolamento ma anche da quest’ombra che non vuole darci pace! Non posso offrirvi guerrieri, perché nessuno più resta a difendere la cittadella di Midgard, solo chiedervi il permesso, che non sia scortesia o mancanza di riconoscenza ai vostri occhi, di rientrare nella mia terra, e là rimanere, assieme al popolo di cui sono divenuta regina! Il popolo assieme al quale condividerò lo stesso destino, qualunque esso sia!”

 

“Nobile Flare…” –Commentò allora il Principe Alexer, avvicinandosi. –“Del vostro buon cuore ero certo, per questo le vostre parole non mi stupiscono! Non stupitevi quindi voi se già le mie legioni azzurre difendono la fortezza di Midgard! In accordo con Avalon, tornerò io stesso in Nord Europa al vostro fianco, per tentare di tamponare, quanto possibile, le ferite che gli Antichi ci infliggeranno! E immagino che anche il giovane Cigno sia dei nostri!”

 

“Certamente!” –Annuì Cristal con convinzione, salvo poi voltarsi verso Atena, a chiederle il permesso.

 

“Vai pure, Cavaliere!” –Lo rassicurò lei, prima che la voce di Asterios li richiamasse.

 

Era rimasto in silenzio a lungo, l’Angelo di Acqua, ad osservare la mappa del Mondo Antico, perdendosi con lo sguardo in terre che a lungo aveva rimirato dall’Occhio, chiedendosi come fosse vivere in mezzo a così tanta gente, anziché procrastinare un’eterna, ma solinga, esistenza su uno scoglio lunare, fuori dai confini del mondo,

 

“Che ne sarà degli altri regni?” –Pose infine la domanda che molti temevano. –“Che ne sarà dei piccoli centri di culto disseminati in India, tra le montagne himalaiane o nel Sud-Est Asiatico?”

 

“Non possiamo difenderli tutti!” –Precisò allora Alexer, trovando Avalon concorde. –“Abbiamo già evacuato molti di essi! Grazie all’aiuto delle Amazzoni, molti monaci e santoni indiani sono in marcia verso le rive del Mar Nero, da cui poi giungeranno in Grecia! Di più non possiamo fare; molto, in guerra, deve essere sacrificato, purtroppo!”

 

“E che mi dici del mondo sommerso?!”

 

“Uh?!” –Chiese allora Pegasus, che stava quasi per addormentarsi di fronte a tutti quei discorsi strategici. –“Quale mondo?!”

 

“Non sono solo Asgard, Avalon, Atene e l’Egitto gli unici regni divini ancora in forze, ve ne è un quinto, celato e sconosciuto ai più, ma che nel corso di lenti secoli è divenuto una vera e propria colonia. Anche alla luce di ciò che Nettuno ha riferito, riguardo alle ambizioni imperiali di Forco, sarebbe opportuno verificare.”

 

Avalon rimase in meditazione per qualche istante, consapevole che le parole del fratello fossero vere, oltre che dettate da sincera e personale preoccupazione per una costola della sua vita passata. D’altra parte, dividere ulteriormente le loro forze, proprio adesso che i Progenitori stavano per attaccare li avrebbe di certo indeboliti. Ma all’accorata richiesta di Asterios non seppe dire di no, tanto più che, in cuor suo, era convinto che l’eventualità da lui suggerita potesse davvero concretizzarsi.

 

“Molto bene, immagino che vorrai occupartene personalmente!” –Commentò, strappando un sorriso all’Angelo di Acqua. –“Porta Ascanio con te! Sarò più sicuro!”

 

“E noi, Signore dell’Isola Sacra?! Cosa faremo? Rimarremo qui ad attendere gli eventi?!” –Intervenne allora Pegasus, sostenuto dai compagni.

 

“No, ragazzi miei, finito è il tempo dell’attesa, adesso dobbiamo agire! Ma prima dovrete essere messi in condizione di combattere al meglio, e certo non potete farlo con quelle armature deteriorate da guerre continue! Per quanto Efesto le abbia riparate, mesi addietro, le battaglie che avete affrontato, contro Ares e i suoi figli, contro Anhar, Loki, Surtr e infine sulla Luna, le hanno danneggiate pesantemente! Urge un restauro appropriato, non credete?!” –Sorrise il Principe degli Angeli, trovando lo sguardo determinato dell’Imperatore dei Mari, prima di incamminarsi, assieme a tutti gli alleati, verso l’uscita del Primo Tempio. –“Tu e i tuoi quattro compagni verrete con me, prima di tutto, poi decideremo dove dislocarvi!”

 

“E dove andiamo?!” –Chiesero Pegasus e Andromeda.

 

“Sull’Etna!” –Rispose Avalon, chiudendo la discussione.

 

Fu in quel momento che una guizzante sagoma oscurò il sole, proiettando la sua ombra sull’ingresso della Casa dell’Ariete, suscitando immediate e allarmate reazioni da parte dei presenti. Timori che andarono aumentando quando tutti poterono percepire una decina di cosmi comparire, cosmi freschi, vigorosi e molto potenti, mentre sagome luminose piombavano dall’alto, quasi fossero comete di energia.

 

Che… cosa?!” –Mormorò Pegasus, sollevando le braccia per combattere, mentre già Cristal si poneva di fronte a Flare e Phoenix e Andromeda circondavano Lady Isabel per proteggerla. Ma fu proprio la stessa Atena a dire loro di rilassarsi, avendo riconosciuto l’impronta cosmica di uno dei nuovi arrivati, sebbene non avesse modo di incontrarlo da molto tempo.

 

Anche Nettuno lo identificò, sgranando gli occhi di fronte ad un evento che, complici le recenti parole di Zeus, giudicava impossibile. O forse, si disse con un mezzo sorriso, per lui l’impossibile non esiste? Del resto era un uomo che con le sue azioni si meritò il titolo di Dio. Che ci si senta o meno, di fatto lo è. Rifletté, osservando il gruppo di guerrieri appena comparso ai piedi della scalinata che conduceva al Palazzo dell’Ariete d’Oro.

 

Erano una dozzina, guidati da un uomo alto e robusto, dal viso scuro e virile, i corti capelli neri e ruvida barba incolta. Rivestito da un’armatura scura, che al sole emanava bagliori violacei, salì i gradini con passo fiero, mentre il lungo mantello di pelle ondeggiava al vento di Grecia.

 

“Non può essere…” –Mormorò Atena, stupefatta, avvicinandosi per guardarlo meglio. Anche a distanza di anni, di secoli in verità, era ancora lui, l’uomo dallo sguardo indomito che lottò per divenire un Dio, senza poi mai considerarsi tale.

 

“Conoscete costoro, milady?!” –Intervenne allora Pegasus incuriosito, affiancando la Dea, proprio mentre undici guerrieri in armatura si fermavano qualche passo più in basso, dietro al massiccio uomo che li guidava.

 

“Non riconosci il Sommo Eracle, ragazzo?!” –Parlò uno di loro, con voce spavalda. –“Figlio di Zeus e di Alcmena, Vincitore delle Dodici Fatiche impostegli da Euristeo, Attraversatore dell’Inferno, Dio della Forza e Vindice dell’Onestà, Protettore degli Uomini e Signore di Tirinto, nonché Comandante Supremo degli Heroes!”

 

“Basta così, Agamennone!” –Commentò allegro Eracle, prima di rivolgere un magnifico sorriso alla Vergine dai capelli viola, inchinandosi di fronte a lei e baciandole la mano. –“Troppo tempo è passato, ma non i nostri sentimenti! Non il senso di giustizia che ha guidato le tue, come le mie, imprese, Atena!”

 

“Lo so, Eracle! Ti ho ammirato, da lontano, ma mai avrei creduto di rivederti! Non in quest’era oscura che segnerà la fine del nostro tempo cosmico!”

 

Neanch’io lo avrei creduto, eppure è stato possibile, grazie al sacrificio di colei che così tanto mi aveva combattuto!” –Spiegò il figlio di Zeus, raccontando come Era aveva ceduto il proprio Ichor per ridare loro la vita. –“Di fronte a quest’ultima guerra, per la sopravvivenza non solo del genere umano, ma anche della Terra stessa e di tutti i suoi culti, di tutte le sue diversità, anche antiche contese divine passano in secondo piano. Contese che mai come adesso appaiono sciocche ai più!”

 

“Dici il vero, prode Eracle! E la mia presenza qua lo testimonia!” –Concordò Nettuno. –“Ricordo bene, e di certo lo ricorderai anche tu, i giorni della prima guerra sacra, da me scatenata per il dominio dell’Attica! Eravamo giovani, all’epoca. Sì, anche noi Dei lo siamo stati. Ed eravamo anche molto sciocchi, fermi in convinzioni che, dalla prospettiva di adesso, avevano solo valore di immediatezza, un palliativo ad un’eternità di noia, niente più!”

 

Avalon sorrise, annuendo compiaciuto all’autoanalisi del Cronide, il cui risveglio aveva a lungo paventato, prima di avvicinarsi ad Eracle, lieto di accogliere il coraggioso paladino nelle loro schiere.

 

“La tua presenza, e quella degli Heroes a te fedeli, è rassicurante! Ogni aiuto, sia pur minimo, è indispensabile per fronteggiare l’ombra e ben nota è l’abilità guerriera dei difensori di Tirinto! Possiate considerare la Terra come una grande Tirinto e proteggerla come proteggeste la vostra città secoli addietro!” –Precisò, mentre moti di simpatia e approvazione percorrevano la piccola folla di presenti.

 

“Come minimo?! Potremmo offenderci, sapete?! Siamo i migliori combattenti che il nostro Signore potesse desiderare!” –Esclamò allora una fresca voce maschile, quella di un uomo alto e snello, rivestito da una corazza dall’elmo leonino. –“Non per nulla siamo la Legione dei Migliori!”

 

“Atena, Nettuno, Angeli, questi sono gli Heroes al mio comando, i più potenti, i più abili, i più fedeli. I dodici che ho potuto salvare dall’oblio, destinandoli a una ben diversa fine. Una gloriosa morte in battaglia!” –Spiegò Eracle, presentando i compagni uno ad uno, iniziando da colui che aveva appena parlato. –“L’impavido Agamennone del Leone di Nemea! Affiancato da Marcantonio dello Specchio, da Nestore dell’Orso e da Adone dell’Uccello del Paradiso. Dietro di loro, le eleganti figure di Alcione della Piovra e di Pasifae del Cancro Celeste, assieme all’audace Nesso del Pesce Soldato. Il guerriero con le fruste è Gerione del Calamaro, mentre i due robusti combattenti ai suoi lati sono Iro di Orione e Chirone del Centauro. Chiude la fila il meditativo Tiresia dell’Altare Sacro. Il dodicesimo, Neottolemo del Vascello, è rimasto a bordo della Nave di Argo, avendo già ricevuto un compito dal Sommo Zeus!”

 

Solo allora, volgendo lo sguardo al cielo, i Cavalieri dello Zodiaco identificarono l’ombra che aveva oscurato la luce solare come un grande vascello volante, guidato da un uomo dai lunghi capelli azzurri che agitò placido una mano verso di loro, per poi roteare il timone e allontanarsi.

 

“Molto bene! Con Eracle e i suoi Heroes al nostro fianco saremo invincibili!” –Esclamò Pegasus, mentre Agamennone gli si avvicinava, battendogli una mano sulla schiena, con una forza tale da piegarlo in due.

 

“Dici il vero, ragazzo! Forza, scendiamo in guerra! Quante ardimentose imprese ci attendono?!” –Incalzò, prima che Avalon richiamasse la loro attenzione.

 

“Divino Eracle, la tua presenza sull’Etna è gradita e necessaria, per proteggere gli Dei durante quella delicata operazione! Mentre altri tuoi Heroes possono unirsi alle truppe guidate dai miei tre fratelli, già in partenza per i vari regni divini!”

 

“Le mie armate sono le vostre, Sommo Avalon!” –Concordò il figlio di Zeus, per poi rivolgersi ai suoi guerrieri. –“Tenetevi a disposizione degli Angeli! In mia assenza, risponderete direttamente ai loro comandi!”

 

“Siamo pronti, quindi! L’alba dell’ultima guerra è infine sorta!” –Concluse il Signore dell’Isola Sacra, sciogliendo infine l’assemblea e incamminandosi verso l’Arena, ove tutte le forze dell’alleanza erano radunate per partire.

 

“Ermes e Demetra devono essere già sull’Etna! Li raggiungerò all’istante!” –Chiosò Nettuno, subito seguito da Eracle e da quattro Heroes. Avalon annuì, invitando i Cavalieri dello Zodiaco a fare altrettanto.

 

Fu difficile per Cristal separarsi nuovamente da Flare, sebbene fosse certo che, con Alexer al suo fianco, non le sarebbe accaduto niente di male. Pur tuttavia, come ogni volta negli ultimi mesi, quando avevano dovuto salutarsi, una parte di sé tendeva a rimanere con lei, stretta all’ultimo scoglio che ancora gli restava, l’ultimo affetto che lo attendeva tra calde e sempiterne mura.

 

Anche Pegasus avrebbe voluto abbracciare Atena, al pari del compagno, ma entrambi sapevano che non avrebbero potuto farlo. Non adesso, non in pubblico, non con il soffio della grande ombra che alitava sul loro collo. Così si limitarono a guardarsi, un’ultima volta, e in quello sguardo misero tutto loro stessi, tutte le coscienze accumulatesi in secoli vissuti assieme, fin dagli albori dei tempi, e poi andarono ognuno per la sua strada. Lui, assieme a Sirio, Cristal, Andromeda e Phoenix, seguì Avalon in Sicilia, lei rimase al Grande Tempio, assieme ai Cavalieri di Bronzo, d’Argento e d’Oro, per organizzarne la difesa.

 

Quando tutti se ne furono andati, e l’arena rimase vuota, Atena sospirò, guardandosi attorno. Del centinaio di ospiti, presenti all’assemblea, non era rimasto nessuno. Tutti erano andati a combattere in qualche luogo del mondo, un modo edulcorato per dire che tutti erano andati a morire. Lei questo ben lo sapeva.

 

Se avesse potuto, si sarebbe gettata a terra, piangendo e lamentandosi, chiedendo a Dio, al Fato o a tutti i Numi del mondo, perché continuamente doveva soffrire, perché doveva essere piegata dall’ombra della perdita. Ma era Atena, Dea della Giustizia e della Guerra, e aveva fatto la sua scelta tempo addietro.

 

Combattere e combattere ancora, finché l’ultimo rimpianto non fosse stato cancellato.

 

Così afferrò saldamente lo scettro di Nike e si diresse verso gli alloggiamenti dei soldati semplici. Prima di rientrare alla Tredicesima Casa, dove Nicole la stava aspettando, doveva parlare con una persona, affidandogli un’ultima missione. Lo trovò nell’armeria, mentre si stava vestendo come uno dei soldati del Santuario, desideroso di combattere con loro, per loro, in nome della Dea adorata dall’uomo che l’aveva salvato quando era un bambino.

 

“Non serve.” –Si limitò a dirgli, sorprendendo il giovane, il cui corpo era ancora segnato dalle ferite subite dalle Makhai giorni addietro. –“Mi addolora ricorrere di nuovo ai tuoi servigi, ma è necessario che tu parta subito! Ti potrai avvalere di un jet della Fondazione e portare i due fratelli con te, ma non dovrai farne parola con nessuno!”

 

Di fronte a lei, Cliff O’Kents annuì.

 

***

 

Con un boato tremendo, udibile anche a parecchie leghe di distanza, la Diga di Assuan esplose.

 

Costruita per regolamentare le inondazioni del Nilo, l’enorme costruzione venne sventrata da un poderoso attacco energetico, che la dilaniò in profondità, scagliando in aria pezzi di cemento, metallo e brandelli degli uomini che vi stazionavano, in una tetra iridescenza di colori e getti d’acqua. L’enorme pressione dell’acqua fece il resto, generando una devastante piena che invase il corso del fiume, straboccando facilmente nelle terre attorno, per poi proseguire nella sua dirompente avanzata verso nord.

 

Niente rimase della vicina cittadina di Kom Ombo, e dei templi che ospitava, dedicati a Sobek, Dio Coccodrillo, e a Horus, travolti dalla furia improvvisa del Nilo, al pari dei sacerdoti e dei fedeli che vi stazionavano. Stesso macabro destino incontrarono la città di Edfu e il rinato tempio del Dio Falco, proprio dove i quattro figli di lui dimoravano, in attesa del suo ritorno dalla Grecia.

 

Impiegarono troppo tempo a capire cosa stesse accadendo, a realizzare di essere sotto un feroce attacco, nonostante la Dea Gatta li avesse avvisati di tenersi pronti. Ma forse non si sarebbero aspettati un così diretto assalto.

 

Uno dopo l’altro, Duamutef e i suoi fratelli abbandonarono il santuario dedicato a loro padre, ove si erano riuniti per rendere omaggio al defunto Osiride, per quanto niente del Nume potesse essere conservato nell’apposito vaso canopo che per lui avevano realizzato. Indossate le armature, spiegarono le ali e iniziarono a sorvolare il corso del Nilo, osservando sconvolti la devastazione imperare sovrana sulla loro amata terra, la violenza di una natura piegata ai dettami di una volontà superiore. Quella stessa volontà che li raggiunse, abbattendoli, all’istante.

 

Aaargh!!!” –Gridò Qebehsenuf, Dio preposto alla conservazione degli intestini, venendo colpito da un improvviso fascio di energia, che danneggiò la sua corazza alata, portandolo a tentare di atterrare quanto prima.

 

Imset e Hapi gli furono dietro, planando su sabbiose terre inondate e offrendosi come facile bersaglio a un determinato e preciso nemico, che li travolse, schiantandoli a terra, in una nube di terriccio, acqua e frammenti umani.

 

“Ah ah ah! Fin troppo facile sarà conquistare questo torrido paese!” –Rise una voce sguaiata, mentre, tra le rovine del Tempio del Falco, emergeva una figura dal fisico atletico, rivestita da un’armatura marrone dalle fattezze bestiali. –“Non che mi dispiaccia un po’ di sole in fondo, dopo gli ultimi giorni trascorsi nell’ombra! Cos’hai da guardarmi, tu, scimmione?” –Ringhiò, mentre uno dei figli di Horus, trascinandosi a fatica, gli aveva afferrato un piede, insozzandola con dita sanguinolente. –“Al tuo posto, sotto i miei zoccoli!!!” –Esclamò deciso, sollevando la gamba e calando poi il tacco sul volto sfigurato dell’indebolito avversario, sprofondandolo in un cratere che presto andò macchiandosi con il suo sangue divino. –“Ah ah ah! Come godo!”

 

“Il gioco è di tuo gradimento, Chimera?!” –Esclamò allora una ben più adulta voce, mentre un’elegante figura, avvolta in un cosmo amaranto, appariva accanto a lui, obbligandolo a chinare il capo all’improvviso.

 

“Sì, Lord Comandante! Stavo solo insegnando a questi insulsi protettori di budella smembrate qual è il posto che compete loro! Dentro quei vasi! Ma come cenere! Ah ah ah!” –Rispose il guerriero dai biondi capelli, torcendo le labbra in un ghigno divertito.

 

“Molto bene, procedi dunque!” –Concordò colui che guidava quell’assalto, mentre decine e decine di altri cosmi oscuri piovevano dal cielo, apparendo alle sue spalle e disponendosi in una precisa formazione triangolare, in cui la punta era rappresentata da lui, il Demone della Guerra a cui Caos aveva affidato il comando delle sue armate, l’Esercito delle Tenebre che attendeva un suo gesto. Voltandosi, guardò il mare di armature nere, violacee e rossicce, spaziando dai soldati semplici ai membri dello Zodiaco Nero, fino alle Divinità minori al suo servizio, gloriandosi di quel momento. Quello era l’esercito che aveva a lungo atteso di comandare, quella era l’armata che pendeva dalle sue labbra e che adesso avrebbe scatenato contro il regno di Amon Ra, per farlo suo. –“Distruggete ogni cosa! Radete al suolo il tempio di Horus! Che sia il primo a cadere degli Dei Egizi, in modo da ricongiungersi al padre che ha deciso di sfidare il fato! Chi siamo noi, in fondo, per privare un figlio di un così intenso desiderio?! Ah ah ah!”

 

Non riuscì neppure a terminare il suo discorso che già due sagome longilinee erano scattate dalle retrovie, dirette verso i figli di Horus che, storditi e feriti, tentavano di rimettersi in piedi. Piombarono su di loro, affondando nei corpi stanchi e inadatti alla lotta, spargendo ovunque il sangue divino, il cui ruscellare inebriò le demoniache figure intente a massacrarli. Uno dopo l’altro, gli Dei incaricati di proteggere gli organi interni dopo la mummificazione caddero sotto i colpi affilati dei due guerrieri dalle lunghe chiome fluttuanti, mentre, poco distante, Chimera sfoderava la sua frusta, divertendosi a colpire alcuni membri del suo stesso esercito.

 

“Avanzate, codardi! Obbedite! Non avete sentito gli ordini del Lord Comandante, braccio armato di Caos? Sua Eccellenza vuole che il tempio di Horus venga distrutto, non gli basta che un po’ d’acqua ne abbia allagato le fondamenta! Deve essere raso al suolo, non deve restarne traccia! Proprio come dei tuoi capelli, Oizys! Mi hai capito, testone spelacchiato?!” –Ringhiò il feroce guerriero, mulinando la lunga coda squamosa della sua corazza con cui sferzava ripetutamente le Astrazioni ancora in vita, Astrazioni che, dopo sua stessa richiesta, erano state assegnate da Nyx al loro diretto comando.

 

“Ahi ahi, ho capito! Che male però!” –Brontolò il Dio della Miseria, avanzando scalzo e con foga, affiancato da Apate, per quanto il mulinare della verga di Chimera lo facesse continuamente inciampare e cadere con la faccia a terra, di fronte alle risate sguaiate del suo torturatore. –“Come stavo bene in quel fresco santuario! E ora eccomi qua, a morire di caldo in questo postaccio! Che tragedia, che sventura! Santi numi!” –Borbottò, mentre di nuovo la frusta lo raggiungeva al volto, imbevendosi del suo antico sangue.

 

Alle spalle delle Astrazioni, senza che avessero bisogno di alcun incoraggiamento, gli altri membri dell’Armata delle Tenebre avanzavano, distruggendo tutto quel che incontravano sul loro cammino. Non ci volle molto perché il complesso templare dedicato al Dio Falco venisse abbattuto, crollando sotto poderose artigliate, folgori oscure e pugni devastanti, di fronte al compiaciuto sguardo del Lord Comandante.

 

“Quanto tempo dovremo attendere, secondo te, prima che posi il suo occhio su di noi?” –Domandò allora a Chimera.

 

“Spero ce ne dia a sufficienza! Non voglio certo perdermi il piacere di distruggere la sua bella terra! Come lui ha invaso la nostra, noi faremo altrettanto! Il tempio di Knhoum ci attende poco oltre! Sarebbe scortese non degnarlo di un’apposita visita!”

 

“Il tuo garbo mi lascia senza parole! Ah ah ah!” –Rise allora Polemos, sollevando allora il braccio destro, sul cui palmo concentrò una devastante quantità di energia, pari a quella con cui aveva sventrato la Diga di Assuan, liberandola all’istante, sotto forma di una sfera di energia rosacea, che saettò tra i presenti, conficcandosi nei profondi basamenti del Tempio di Horus.

 

Ci volle un attimo, giusto il tempo che Chimera ebbe per voltarsi, riparandosi gli occhi dall’onda d’urto, prima che esplodesse, scagliando in aria resti e rovine di quell’antico tempio, proprio mentre le due slanciate figure terminavano di massacrare i figli di Horus.

 

“Ora, Cailleach! Scatena i fulmini!” –Ordinò Polemos, splendido e raggiante. E una sagoma alle sue spalle obbedì, sollevando un bastone nodoso al cielo ed espandendo il proprio cosmo oscuro, evocando una tempesta di folgori e nubi.

 

Caillteanas de dheasca tuile anfa! Che tutto si perda, travolto dai flutti!” –Tuonò una rachitica voce di donna, mentre un turbine di vento scosse il già impetuoso corso del Nilo, generando alti cavalloni che si abbatterono sulle terre attorno, devastando case, villaggi e campi, mentre in mezzo a quei fulmini roteavano, quasi attratti dalle nubi stesse, i resti dei martoriati corpi di Duamutef, Hapi, Imset e Qebehsenuf. Un turbine che la figura chiamata Cailleach diresse verso nord, verso un vasto complesso templare che si ergeva in lontananza, riparato da un viale di sfingi e dal cosmo del suo protettore.

 

“Dio del Sole, che su queste assolate terre regni, sarai il primo a conoscere la forza dell’Armata delle Tenebre! Obiettivo ambizioso, e di certo non facile, sarai, ma la tua testa, il tuo trono, anzi il tuo occhio, saranno il gradito dono che offrirò ai Progenitori, ringraziandoli per avermi dato fiducia!” –Mormorò Polemos, rinnovando l’ordine di avanzare all’intero esercito.

 

Ares, stolto stratega, se ancora esisti in qualsivoglia forma, osservami e nota quanto poco meritasti il nome di Signore della Guerra, titolo che reclamo per me! Guardami adesso, dal limbo oscuro in cui sei sprofondato e in cui ancora per poco resisterai, e osserva i miei successi, le sontuose vesti di cui mi addobbo e che mai sporco! Già la Diga di Assuan è caduta, e con essa i templi di Horus e Sobek, e presto entrerò nella sala ove Amon Ra troppo a lungo si nascose! Presto entrerò a Karnak e siederò sul Trono del Sole, e là berrò alla tua salute!

 

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo: La cripta ***


CAPITOLO TERZO: LA CRIPTA.

 

“Mi avete mandato a chiamare, mio Signore?!” –Esclamò Nikolaos dell’Eridano Celeste, entrando nella Sala del Trono.

 

La parete occidentale era stata danneggiata e dallo squarcio nel muro passava una brezza leggera, rinfrescando l’aria stantia di un salone che tempi migliori, e ben più eroici, aveva vissuto. Alla pari del Nume che sedeva sull’alto scranno.

 

“Mio Signore?!” –Ripeté il Luogotenente dell’Olimpo, fermandosi in segno di rispetto ai piedi della scalinata che conduceva al trono, laddove Zeus sedeva silente.

 

Il volto stanco, il capo appoggiato a un braccio, i lunghi capelli biondi che gli solleticavano le dita, coprendo uno sguardo che trasudava un innegabile timore. Un timore celato per secoli, che il Dio aveva tentato di rimuovere, di cancellare, di sopraffare in molti modi diversi, salvo poi dover ammettere a se stesso di non poter far altro che fronteggiarlo.

 

“Come coloro che mi hanno preceduto e che in mio nome sono caduti!” –Commentò infine, sospirando e mettendosi in piedi.

 

“Come dite?!” –Balbettò Nikolaos, non comprendendo le sue parole. Ma Zeus gli fece cenno di lasciar perdere, camminando a passo lento lungo la gradinata fino a raggiungerlo e a invitarlo a seguirlo nel giardino sul retro.

 

Che fosse il peso dell’armatura, il dolore per la perdita di Era o la paura per l’ultima guerra, il Cavaliere Celeste non poté non notare quanto il Signore degli Dei apparisse vecchio e fiacco, come quando Flegias lo aveva fatto avvelenare da sua sorella. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, magari che capiva il suo dolore, che conosceva la spiacevole sensazione di perdere una persona amata, ma preferì rimanere in silenzio, preoccupato di offenderlo, continuando a tallonare il Dio nell’ampio parco sulla cima dell’Olimpo. Non dovettero camminare molto, solo il tempo di portarsi sotto un paio di alberi, dove due feretri di cristallo li attendevano. Prima ancora di avvicinarsi e di guardare al loro interno, il Luogotenente capì già che cosa contenessero. O, per meglio dire, chi.

 

Madre… padre…” –Mormorò, osservandone le salme mute e immobili.

 

“Demetra ha tentato di ricomporle, per quanto fosse possibile, in modo da poter tributare loro il giusto onore.” –Spiegò allora Zeus. –“So che questa guerra incipiente ci spinge a metter da parte tutto, strappandoci il tempo nella maniera più brutale, ma voglio che tu sappia che Elena e Deucalione riceveranno il rito che meritano!”

 

Non… è necessario…” –Mormorò Nikolaos, il volto segnato dalle lacrime. –“Voglio solo… Vorrei solo che fossero in pace adesso!”

 

“Sono certo che è così! Nella beatitudine riservata ai giusti e ai puri di cuore, ove le loro anime adesso riposano, ti osservano e ti ammirano assieme a tua sorella Teria. Finalmente riuniti, finalmente sereni e liberi dai fardelli di questo mondo di guerra!” –Declamò il Nume supremo, mentre un leggero fruscio alle loro spalle segnalava l’arrivo di un comune amico. –“Non posso offrirti altro se non una degna sepoltura! Nella cripta ove giacciono i campioni dell’Olimpo! Se vorrai farmi il piacere di accettare un così misero dono!”

 

Co… come, mio Signore?!” –Farfugliò Nikolaos, non capendo cosa intendesse.

 

Fu allora che Euro, Vento dell’Est, lo affiancò, sollevando uno dei due feretri, mentre Zeus si faceva carico dell’altro, invitando il Luogotenente e il figlio di Eos a seguirli lungo un sentiero che scendeva placido lungo il versante nascosto del Monte Sacro. Un sentiero di ricordi che negli ultimi giorni svariate volte aveva inaspettatamente percorso.

 

“Ci siamo!” –Disse il Signore dell’Olimpo, quando giunsero all’ingresso della cripta, ritagliato tra alberi di tasso e frassini. Il suo cosmo spalancò il portone all’improvviso, accendendo le fiaccole affisse ai muri, prima di varcarne la soglia e descriverne il contenuto ai suoi fedeli. 

 

“Non conoscevo questo luogo…” –Mormorò il Luogotenente, entrando e osservando il mausoleo scavato proprio nella roccia e nella terra dell’Olimpo. –“Non sapevo neppure che vi fosse una cripta sul Monte Sacro.”

 

“Nessuno ne era a conoscenza, fino a pochi giorni fa. Soltanto la mia Divina Sposa.” –Chiosò allora Zeus, permettendo a Nikolaos e a Euro di comprendere.

 

“Dunque è qua… che Eracle e gli Heroes giacevano? Immobili e silenti come statue, hanno aspettato a lungo di tornare a calcare il suolo di questo mondo prossimo alla fine?!” –Commentò l’ultimo figlio di Eos, strappando al Nume un cenno d’assenso.

 

“Proprio qua, al centro del salone d’ingresso, tredici statue si innalzavano, a ricordarmi il loro destino ogni volta in cui scendevo a pregare per l’anima di uno dei miei Cavalieri! Ogni volta in cui uno dei Cavalieri Celesti moriva!” –E, nel dir questo, accese anche le torce della parte più interna, quella situata proprio sotto la reggia di Zeus.

 

Un lungo corridoio scavato nella roccia, puntellato da colonne bianche, intervallate ad altari cerimoniali e a statue di marmo. Nikolaos passò tra gli arcaici pilastri, soffermandosi sui piccoli monumenti funebri e sulle figure scolpite, mentre il Signore degli Dei continuava a narrare.

 

“Qua riposano i campioni dell’Olimpo! Tutti quelli che mi hanno servito con amore, devozione e rispetto! Quel rispetto che io, ahimè, non ho avuto per loro, mandandoli a morire in una guerra che non ho saputo evitare! Quel che ho potuto fare, aiutato dal mio buon amico Ermes, è stato recuperare le loro spoglie dai campi di battaglia, dalle sorti ingrate cui erano precipitati, per tributare loro il giusto onore! La sepoltura degli eroi, priva di canti gloriosi e corone d’alloro, solo il sereno riposo!”

 

Giasone…” –Mormorò il Luogotenente dell’Olimpo, osservando una statua rappresentante il giovane che guidò la spedizione degli Argonauti, alla ricerca del Vello d’Oro, la spada sollevata e lo scudo rotondo pronto a difenderlo dagli attacchi nemici. Ne sfiorò il marmo, ricordando i giorni in cui si erano addestrati assieme, i loro scontri, le tattiche di combattimento che avevano studiato, e il momento in cui infine ebbero a metterle in pratica. Il giorno in cui i fulmini saettarono dall’Olimpo.

 

Castore… Polluce…” –Aggiunse Euro, in piedi di fronte a due giovani, rivestiti da armature speculari, uno con il pugno teso verso la battaglia, l’altro intento a reggere le briglie di un cavallo. –“Il pugile e il domatore.”

 

“E Oreste, Pelope, Narciso, Paride… tutti i Cavalieri Celesti caduti negli scontri voluti da Flegias, e altri ancora vissuti nel Mondo Antico. Tutti trovano spazio alla corte del Signore degli Dei, proprio come vorrei che anche i tuoi genitori, i genitori del mio Luogotenente, qui potessero riposare!”

 

“Sarebbe un onore, mio Signore! Mio re!” –Commentò Nikolaos, inginocchiandosi di fronte a Zeus, che gli rispose con un sorriso grato.

 

Euro sistemò con cura le salme in un angolo e, prima di allontanarsi, tirò un’occhiata agli spazi ancora vuoti. Ne erano rimasti quattro, tutti già ornati degli altari e dei loculi atti a contenere le ceneri o le spoglie dei caduti, in attesa che una statua e le lettere scolpite sul basamento indicassero il nome degli ultimi Cavalieri Celesti.


Nikolaos… Ganimede… probabilmente Shen Gado… e? Per chi è l’ultima tomba? Rifletté il figlio di Eos, per poi voltarsi verso Zeus, che lo stava osservando interessato, e arrossire. Il Nume parve intuire i suoi pensieri e accennò un sorriso, prima di invitare entrambi a uscire dalla cripta.

 

“Spero che questo viaggio tra i ricordi non ti abbia turbato, Cavaliere dell’Eridano Celeste!” –Commentò Zeus, richiudendo il portone e osservando gli occhi lucidi del Luogotenente. –“Volevo dare serenità al tuo animo, non dolore.”

 

“E ci siete riuscito, mio Signore! Davvero! Non solo per l’onore che avete tributato ai miei genitori, ma anche per avermi permesso di rivedere un’ultima volta i miei compagni, i Cavalieri di stirpe divina che mi hanno accolto tra loro anni addietro, senza mai farmi sentire diverso. Senza mai farmi sentire inferiore, per quanto non fossi figlio di un Dio o un eroe leggendario loro pari.”

 

“Pari ma non paria.” –Intervenne allora Euro, ricordando una citazione dell’intrepido Re di Iolco, e anche Zeus annuì, mettendo una mano sulla spalla del Luogotenente, mentre camminavano nel bosco di frassini, diretti verso la reggia.

 

“Per la verità, non sono stato onesto con te, Nikolaos. Non del tutto!”

 

“Cosa intendete, mio Signore?!”

 

“Per tutto questo tempo sei stato convinto di essere l’unico umano ad aver mai fatto parte della divina legione dei Cavalieri Celesti, ma in realtà non è così. C’è stato un altro, prima di te!”

 

“Non lo sapevo… io…

 

“È naturale! Ordinai a Giasone e agli altri tuoi compagni di non parlartene, perché per molto tempo non volevo neppure udirne il nome! Il nome di un uomo che mi ha deluso! E anche oggi, ammetto, pensare a quei giorni, pensare all’amarezza di quel passato bastardo mi irrita e infastidisce, per quanto ritenga necessario andare avanti. Andare oltre. Ed è merito tuo, Nikolaos, della tua umiltà, se ho ritrovato una parte di me che le sontuosità del presente mi avevano fatto perdere! Merito tuo di avermi ricordato quanto grandi possano essere gli uomini, in grado di sprigionare, se sorretti dalle giuste motivazioni, un potere vasto come un Dio, pur rimanendo sempre mortali!”

 

“Mio Signore?!” –Mormorò il Luogotenente, senza comprendere a pieno le parole del Nume Supremo.

 

“Prima di scendere in guerra, prima di unire le nostre forze a quelle di Atena, Asgard e Avalon, c’è una cosa che devo fare. E voi mi accompagnerete! Tu, giovane Euro, inciterai i venti a spingerci in fretta, permettendo al tuo Dio di conservare le energie, e tu, Luogotenente, conoscerai una nuova storia dell’Olimpo, una pagina buia che ho voluto cancellare ma che, come altre cose, ho invece dovuto imparare ad affrontare!” –Spiegò il Nume, mentre i tre giungevano al limitare del giardino sul retro della reggia, laddove un uomo alto, rivestito da un’armatura marrone li attendeva.

 

Nel vederli, il guerriero si inchinò, presentandosi.

 

Neottolemo del Vascello, Nocchiero di Eracle, al vostro servizio, possente Zeus!”

 

“Tutto è pronto?”


Neottolemo annuì, prima di rialzarsi e indicare lo strano oggetto che deturpava il terreno fiorito poco distante. Nikolaos la osservò per qualche secondo, prima di capire che era un’ancora enorme, cui era legata una lunga catena composta da robusti anelli metallici che dall’ormeggio saliva in alto verso il cielo, fino ad entrare nella fiancata di una bizzarra costruzione che li attendeva a vele spiegate.

 

“Una nave…” –Mormorò, mentre Euro sorridendo gli faceva cenno di allungare la mano.

 

Il Luogotenente esitò un istante, prima di rispondere al comando del figlio di Eos, stringendogli la mano, proprio mentre questi spalancava le ali della sua corazza, sollevandosi verso il vascello e portando Nikolaos con sé. Zeus li aveva già raggiunti e Neottolemo arrivò per ultimo, camminando sulla catena tesa con la leggerezza e la grazia di un’angelica creatura.

 

“Siamo pronti a partire!” –Esclamò, ritirando l’ormeggio, di fronte agli occhi stupefatti di Nikolaos.

 

“Molto bene! Mi compiaccio di questa solerzia!” –Precisò Zeus, prima di dare ordine a Euro di scatenare i venti su cui dominava, diretti verso oriente.

 

“Destinazione, mio Signore?!” –Chiese l’Hero del Vascello, mentre afferrava il timone della nave volante.

 

“Le vette del Caucaso.”

 

***

 

Nel silenzio degli abissi oceanici, Forco riposava tra le braccia della sua sposa antica, l’unica che avesse mai colmato d’amore la sua esistenza. Sapeva, dai messaggeri che talvolta giungevano dal mondo di superficie, che anche gli altri Dei, i giovani Dei cresciuti dopo la caduta di Crono e dei Titani, erano in grado di amare, ma non con la stessa devozione che aveva sempre caratterizzato il suo rapporto con lei. Lui, in fondo, non l’aveva mai tradita, né la sua compagna aveva fatto altrettanto, uniti per sempre da un patto suggellato nelle acque abissali. Un patto di cui le acque stesse erano state testimoni e officianti, e che mai era stato disonorato. Del resto, erano entrambi consapevoli che il tempo trascorresse, anche piuttosto in fretta per coloro che si affannavano ad agire fuori dalla sicurezza del loro regno. Ne avevano avuto prova quando avevano ricevuto notizia della morte di alcuni loro figli, giovani, anch’essi, e incapaci di dimorare troppo a lungo in quella profonda tranquillità che né Forco né la compagna avrebbero mai cambiato per nessun’altro regno.

 

Che Zeus si tenga il suo colle fiorito e Ade il suo lurido oltretomba! Amava ripetere l’atavico Signore dei Mari, cullato dal delicato abbraccio di colei cui si era unito tempo addietro e con cui aveva generato una numerosa prole. Le sorelle Gorgoni, le anziane Graie, la mostruosa Scilla e Ladone, il Custode del Giardino delle Esperidi, ne erano terrificante rappresentanza. Ma nessuno di loro, con suo grande rammarico, aveva recepito il così intenso amore dei genitori verso gli oceani, preferendo dirigersi in superficie a trascorrere la loro esistenza. Per questo motivo Forco aveva dovuto cercare altrove, per creare il proprio esercito, tra quegli uomini così corruttibili cui molte altre Divinità avevano guardato per farne strumenti di guerra nelle loro mani. Anche Zeus, Nettuno e persino il tenebroso Ade si servivano degli uomini, restii, forse impauriti, a sporcarsi le mani in prima persona; e anche se tra le loro fila figuravano figli di Divinità o uomini graziati di doni divini, la maggioranza delle loro schiere era composta da esseri mortali.

 

Mortali…” –Rifletté Forco in quel momento, prima che una voce adolescenziale lo distraesse.

 

Liberandosi di malavoglia dall’abbraccio della compagna, l’antico Dio scese dallo scoglio ove riposava, andando incontro al giovane dai capelli rossicci che era appena entrato nell’ampia caverna sottomarina.

 

“Chiedo venia, Imperatore! Ma è arrivato un dispiaccio urgente per voi!” –Esclamò un ragazzo che non dimostrava più di vent’anni. –“Il Lord Comandante delle Armate delle Tenebre vi invia le istruzioni per l’imminente attacco!” –Aggiunse, porgendogli un corno di conchiglia, dentro il quale era incassato un plico arrotolato. –“Vostra figlia, Steno, lo ha appena consegnato!”

 

Forco lo afferrò incuriosito, soffermandosi sul sigillo di ceralacca che lo teneva fermo, il simbolo del potere di Polemos.

 

“Ridicolo!” –Commentò con disprezzo, gettando addosso al ragazzo sia la conchiglia che la missiva. –“Queste patetiche manifestazioni del proprio ruolo suscitano in me un’ironia sconfinata, Kelpie! E mi sorprende e irrita al qual tempo che mia figlia si sia prestata alla causa! Pur nella sua deformità, pur nella sua orrida bellezza, ha chinato il capo al Demone della Guerra, mettendo a sua disposizione i propri servigi! Umpf, è assurdo!!!” –Tuonò, alzando la voce, mentre il giovane si rimetteva in piedi, pur senza permettersi di aprire bocca. –“Gli Dei dei Mari non si prostrano di fronte a nessuno! Dovrebbe averlo capito ormai! Compagni, non servi, è questo che siamo!”

 

Quindi, vedendo che il guerriero dai capelli rossicci non sapeva cosa fare di quel plico, sbuffò scocciato, dicendogli di aprirlo e leggerlo in sua vece, cosa che l’adepto si affrettò a fare in pochi secondi.

 

“Il Lord Comandante, suprema guida dell’Armata delle Tenebre, richiede l’intervento immediato dei Forcidi nella battaglia che sta per scatenarsi nel continente africano! Seguono le indicazioni esatte dei siti che saranno attaccati!”

 

Forco allungò un occhio sulla missiva, riconoscendo i luoghi ove la sua nuova vita era ricominciata, quando suo padre lo aveva risvegliato da una prigionia durata millenni. Torse le labbra in un ghigno serafico, intuendo le ragioni che muovevano Polemos in quell’assalto, e le comprese, avendo saputo quel che l’esercito egizio aveva realizzato nei giorni precedenti, meritandosi quindi quella subitanea ritorsione. Pur tuttavia non sembrò interessato, né diede a Kelpie alcun ordine riguardo ad un’eventuale risposta, pregandolo soltanto di congedarsi.

 

Obiettivo ben poco interessante! Rifletté, ricordando lo sconcerto che l’aveva invaso quando Ponto lo aveva liberato, permettendogli di rimirare, con occhi propri, le sconfinate distese dell’Africa desertica, interrotte da sporadiche oasi e da bizzarre costruzioni triangolari. Un regno così diverso dalla freschezza dei domini oceanici, un regno su cui mai avrebbe voluto imperare, destinandolo eventualmente solo ad essere una colonia penale, niente di più.

 

“Quali nuove dal mondo di sopra, mio amato?” –La soffice voce della compagna lo rubò ai suoi pensieri, mentre il suo sinuoso corpo lo raggiungeva, affusolandosi attorno al proprio, assieme al proprio, scambiandosi effusioni e carezze.

 

Il mondo di sopra. Così lo chiamava lei, con quella spontaneità che lo faceva sempre sorridere e che rimarcava di continuo la distanza tra la loro intimità e tutto quel che stava fuori.

 

Polemos ha mosso le sue truppe!” –Spiegò Forco, mettendo di proposito l'accento sull’aggettivo possessivo. –“Primo obiettivo è stato marciare contro l’Egitto con il duplice intento di vendicarsi dell’intervento di Amon Ra e anche di fagocitarne il potere! Di certo Osiride e quegli strambi Dei lunari saranno stati un antipasto prelibato, ma una splendente e ancestrale Divinità come il Pastore dell’Universo permetterebbe a Caos di divenire davvero potente!”

 

“È dunque vendetta ciò che anima il nuovo Comandante dell’Esercito delle Tenebre? Un sentimento così basso e barbaro?” –Rifletté la sua sposa, portando Forco a porsi la stessa domanda.

 

“Sentimento che, ahimè, conosco bene, poiché anch’io l’ho provata, e tuttora la provo, nei confronti di coloro che a torto, nel corso dei secoli, si sono vantati di essere i Dominatori dei Mari! Ciononostante la mia rivalsa sarà in grande stile e coinvolgerà anche te e coloro che ci sono fedeli, mia adorata!” –Declamò il Nume, fissando la consorte negli occhi. –“Se Polemos ha attaccato il più grande regno divino sulla Terra, noi colpiremo quello sotto il mare! Il regno sommerso nato dalle rovine della leggendaria Mu! Ordina ai Forcidi di muovere verso il Pacifico! Attaccheremo adesso e attaccheremo in massa, con tutte le nostre forze! Piegheremo quelle ridicole Conchiglie e i buffi abitanti che le abitano! Gli Avaiki degli Areoi saranno nostri!”

 

***

 

Toru guardava la Conchiglia Madre ammirato.

 

Non era la prima volta che veniva convocato e, sebbene preferisse gli ambienti esterni, meno affollati dell’immensa capitale, rimaneva ogni volta affascinato da quell’antica struttura, cuore pulsante del loro impero. Alta, cento metri e forse più, si innalzava tra silenti e quieti abissi, rifulgendo di chiari bagliori allo strusciare delle correnti marine. Era vasta e spaziosa quanto una città degli uomini, o almeno così gli avevano detto quando era bambino, poiché Toru una città di uomini non l’aveva mai vista. Lui conosceva solo l’Avaiki dedicato al grande Ukupanipo, Signore dei Pesci e protettore dei mari. Là era cresciuto, era stato addestrato ed aveva infine superato la prova, combattendo contro lo squalo bianco, a mani nude, e dimostrandosi degno della fiducia ricevuta dal Dio abissale.

 

Sorridendo a ricordi sereni, l’uomo dal fisico atletico e dai piccoli ma attenti occhi neri varcò il ponte che collegava la Conchiglia ove risiedeva con quella principale, percependo un’improvvisa vibrazione. Qualcosa di grosso, di molto grosso, si stava muovendo. Durò un attimo, quella sensazione spiacevole, poi scomparve e per quanto Toru scandagliasse il fondale oceanico con i suoi sensi acuti non riuscì a ritrovarla.

 

Scosse la testa, stranito, riprendendo a camminare per le strade interne dell’Avaiki, passando attraverso basse costruzioni di sabbia e corallo e spazi pubblici, ove numerosi bambini si allenavano nuotando nelle grandi vasche che sorgevano dal terreno, riempite direttamente da canali sotterranei che le collegavano al mare.

 

Anche lui era stato come loro, anche lui era stato un giovane polinesiano deciso ad apprendere i segreti del mare, trascorrendo giornate intere a nuotare, per stabilire un contatto con l’oceano circostante, per entrare in comunione con il mondo che lo attorniava, ben più ricco e profondo di quanto coloro che vivevano in superficie potevano immaginare. Strani mondi, quelli. Sempre in guerra tra di loro. Forse per questo i nostri antenati decisero di chiudere con loro ogni rapporto. Si disse Toru, raggiungendo infine il cuore della Conchiglia, ove sorgeva un palazzo di corallo, l’unico autorizzato ad elevarsi al di sopra delle altre costruzioni, piuttosto basse in verità, di modo che potesse essere visibile da ogni parte dell’Avaiki, anche dalle Conchiglie esterne.

 

Hina lo stava aspettando.

 

In piedi, al centro del salone principale del santuario di Ukupanipo, l’anziana donna, dal viso scavato dal tempo, stava ritta di fronte a una colonna di corallo alta circa un metro, sulla cui sommità riluceva una sfera di luce. Una perla azzurra, grande come un teschio umano, che emetteva bagliori in grado di rifulgere in tutto l’Avaiki.

 

“Qualcosa non va!” –Esclamò il muscoloso guerriero, varcando la soglia dell’ampia sala.

 

“Lo hai percepito anche tu, dunque!” –Si limitò a commentare la donna chiamata Hina, senza neppure voltarsi verso il nuovo arrivato, continuando ad osservare la sfera azzurra.

 

Toru annuì, ma non seppe spiegare cosa avesse sentito. Di certo niente di buono se persino la grande Hina del Lactoria, massima autorità nel culto del Signore dei Pesci, pareva inquieta, al punto da non staccare gli occhi dalla Perla dei Mari. Perché? Cosa potevano dirle, in fondo, i morti, che lei non fosse in grado di vedere da sola?

 

“Anche gli spiriti degli aumakuas sono inquieti! Osservali, si agitano come anguille, quasi volessero avvisarci di un pericolo imminente! Ma quale?!” –Si interrogò l’anziana Alii, carezzandosi il mento grinzoso con lunghe rachitiche dita.

 

“Temete uno tsunami, potente Hina? Per quale motivo il Signore dei Pesci dovrebbe essere adirato con noi, il popolo che da sempre lo venera e ringrazia per i pasti che ci concede! Lui sa bene che siamo gente di buon cuore, che amiamo e rispettiamo il mare in cui ci permette di risiedere, cacciando solo ciò di cui abbiamo bisogno per sopravvivere, senza abusare delle altre specie che popolano il mondo sommerso!”

 

“Non la collera di Ukupanipo temo. Ma un’ira ben più violenta e altrettanto arcaica.” –Sospirò la sacerdotessa. –“Ho avvertito poderose energie oscure divampare nel mondo superiore, sintomi inequivocabili dell’innalzarsi di un nuovo conflitto.”

 

Umpf! Come se fosse una novità! A cos’altro sono mai stati dediti gli uomini se non a farsi male tra loro? Incapaci di vivere in pace, sereni e paghi di quello che hanno, di quello che i loro Dei han concesso loro, hanno sempre desiderato altro, hanno sempre ambito ad andare oltre, conquistando regni che non erano loro, che non erano neppure pensabili per esserlo! La nostra antenata, la regina Antalya, compì un’ottima scelta quando decise di fondare il primo Avaiki, qua, nel grande oceano meridionale, isolandoci e lasciandoci fuori dai conflitti del mondo.”

 

“Non credere che sia stato l’amore per i posteri a determinare la sua scelta, Toru. Antalya era stanca. A lungo aveva combattuto, in vita, fronteggiando un’ombra primordiale come quella descritta nei primi dei canti di Kumulipo. Un’ombra che risponde ad un solo nome.” –Spiegò, voltandosi infine e fissando Toru con le cavità dei suoi occhi.

 

Pō!” –Convenne l’uomo. –“Oscurità!” –Aggiunse, rabbrividendo al sol pensiero e cercando al tempo stesso di non distogliere lo sguardo dalla deformità che segnava il volto di Hina. Anche con le palpebre chiuse, anche priva dei bulbi oculari, l’anziana Alii poteva comunque spaziare lontano, grazie alla forza del cosmo,

 

E fu quell’antica sapienza che le permise di avvertire per prima l’onda in arrivo.

 

Si schiantò contro la Conchiglia esposta a meridione, facendola vibrare per l’intera sua estensione, scuotendola nel profondo e strappando grida di paura a tutti i suoi abitanti. Per quanto abituati a sconvolgimenti oceanici, quali maremoti o scosse telluriche, era la prima volta che un maroso di così intensa potenza si abbatteva non previsto sull’Avaiki.

 

“Raduna gli Areoi! Siamo sotto attacco!” –Esclamò Hina, mentre Toru la guardava sorpreso, non capendo come potesse essere possibile. Aprì la bocca per porle una delle molte domande che gli riempivano la mente, ma lei lo prevenne, sollevando un dito e intimandolo di fare presto. –“Cercherò di rallentarli, mantenendoli all’esterno fin quando Kahōʻāliʻi non mi chiamerà a sé. Non so quando sarà, ma in quel momento non sarò triste, potendo riabbracciare coloro che ho perduto in questa lunga vita ricevuta in dono da mio padre! Ora va’, possente Toru, hai la benedizione di Ukupanipo e di tutti gli Dei del Mare! Che le fauci dello squalo bianco squarcino il petto di molti nemici! Che il magnifico predatore sappia difendere l’Avaiki che lo ha investito!”

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto: Rinascita. ***


CAPITOLO QUARTO: RINASCITA.

 

Quando Pegasus e i suoi amici raggiunsero l’Etna, scendendo nella profonda e calda fucina, trovarono Efesto intento a lavorare, proprio come la prima volta in cui gli avevano fatto visita, qualche mese addietro, affinché riparasse loro le corazze danneggiate dagli scontri sull’Olimpo. Chino sul tavolo da lavoro, il figlio di Zeus armeggiava con pinze e cesoie, mentre poco distante crepitava l’ardente fornace, collegata al cuore del vulcano tramite un complesso, nonché ingegnoso, sistema di cunicoli ideato dal Nume stesso. Per un momento, ripensando alla tragica fine dell’amata Afrodite, massacrata davanti ai suoi occhi, Andromeda pensò che forse il Dio della Metallurgia non facesse altro, se non dedicarsi con tutto se stesso al lavoro, alle magnifiche opere che, per necessità bellica o per diletto, era solito produrre per gli Dei di Grecia. Un modo per tenersi impegnato e non pensare. Rifletté il ragazzo, entrando nell’ampia caverna sotterranea attrezzata a laboratorio, assieme ai suoi compagni e al Signore dell’Isola Sacra.

 

Di lato, per non disturbare i movimenti dell’alacre fabbro, tre figure attendevano il loro arrivo. Ermes, il Messaggero degli Dei, che Cristal fu ben lieto di rivedere, Demetra, Dea delle Messi e delle Coltivazioni, che accolse tutti, soprattutto Andromeda, con un cordiale abbraccio, e infine Nettuno, la cui presenza accigliò non poco il Cavaliere di Pegasus.

 

“Smettila di essere sospettoso!” –Gli sussurrò Sirio. –“Quelle rughe d’ansia non si addicono alla nascitura alleanza di uomini e Dei che stiamo tentando di mettere in piedi. Tanto più che sarebbe follia, per un Dio rimasto solo, privo di un regno e di un esercito, lanciarsi in qualche proposito imperiale adesso, con la grande ombra che ci alita sul collo la fine del mondo!”

 

“Hai ragione!” –Convenne Pegasus, pur continuando a guardare di sottecchi l’antico rivale.

 

Fu allora che Efesto si voltò verso di loro, togliendosi una maschera dal viso, che utilizzava per ripararsi dai vapori e dagli effluvi intensi, che spesso emergevano durante la lavorazione di alcuni metalli. Effluvi acri che solo il delicato profumo di Afrodite, quell’essenza di eterna primavera che la sua stessa presenza portava seco, sapeva dissipare.

 

“Eccovi tutti, molto bene! Avvicinatevi, per favore! Sì, voi tre, disponiamoci in cerchio!” –Esclamò, senza perdersi in troppi convenevoli, rivolto alle Divinità presenti, invitandole a disporsi attorno a quattro scrigni dentro cui erano adagiati chiari pezzi di una lega metallica che riluceva d’azzurro e argento. Colori che fecero sorridere Nettuno, non appena intuì quel che contenessero. –“Ermes mi ha avvisato che Zeus è impegnato a risolvere un’antica questione, ma arriverà presto! Poco male, possiamo iniziare noi il rito della creazione!” –Così, prima ancora di aver terminato di parlare, aveva già sollevato le braccia, stendendo le dita della mano destra parallele all’arto e muovendole di scatto, tagliandosi i polsi dell’altro braccio.

 

Uno dopo l’altro, Ermes, Demetra e Nettuno fecero altrettanto, lasciando che le preziose gocce di Ichor ruscellassero sopra il materiale lavorato in precedenza da Efesto, mentre i loro cosmi crescevano, riempiendo la stanza e infondendosi, piano piano, anche ai prodotti della loro unione, di fronte allo sguardo attento di Pegasus e dei Cavalieri dello Zodiaco.

 

Cristal il Cigno!” –Esclamò dunque il Messaggero Olimpico, mentre il biondo allievo del Maestro dei Ghiacci si avvicinava. –“Ricordo quando varcasti la soglia del Tempio dei Mercanti, mesi addietro, fermo nelle tue convinzioni, deciso ad arrivare da Atena, alla Torre del Fulmine. Pianse il mio cuore, quel giorno, al pensiero di dover combattere con così ardenti e impetuosi cuori, sorretti da genuina fede di giustizia e da altrettanta passione, la stessa con cui ti sei fatto strada nelle gelide lande di Asgard, per portare loro un raggio di sole. Io, Ermes, il più celere degli Olimpi, il piede alato in grado di correre più veloce del vento stesso, dono il mio sangue per te, affinché il Cigno possa spalancare ancora le ali e volare sopra il tetto del mondo, portando ovunque quella stessa fede, quella stessa passione che covi nel cuore!” –E, mentre parlava, i pezzi dell’armatura riposti nello scrigno di fronte a lui si sollevarono, componendosi poco dopo nella scintillante sagoma di un magnifico Cigno di pura luce. Un Cigno che pareva essere stato scolpito nelle pareti della Montagna del Ghiaccio Eterno, tanto terso ma resistente appariva.

 

“Cavaliere di Andromeda!” –Parlò allora Demetra, la cui voce calma e pacata tradiva adesso un nervosismo maggiore, forse perché, da tempo ormai, non adoprava il cosmo per niente più che curare ferite o rinverdire i versanti dell’Olimpo. –“Ho sempre apprezzato la tua natura umana, la tua indole pacifica volta al perdono. Come te, anch’io, nel mio piccolo mondo, ho sempre cercato di proteggere, di conservare, di impedire che qualcosa sfiorisse, profonda sostenitrice di un’ideale di pace, serenità e quiete, ideale che ritrovo nei tuoi occhi, giovane Cavaliere dell’Isola di Andromeda! Per questo dono il mio Ichor, perché questa corazza possa preservare intatta la tua bellezza e la tua natura!” –Spiegò, mentre le varie parti dell’armatura del ragazzo si animavano, unendosi in una raffinata figura umana, interamente circondata da roteanti catene argentee, che parevano tagliare l’aria ad ogni movimento, sprigionando scintille e fulmini rosa.

 

“Sirio il Dragone!” –Fu adesso Nettuno a parlare, costringendo l’allievo di Libra a farsi più vicino, mentre il sangue del Re dei Mari ancora gocciolava sulla corazza verde smeraldo. –“Una cosa abbiamo in comune! L’elemento dominante! L’acqua! In cui così tanto a tuo agio ti trovi nel combattere, e in cui io a lungo ho riposato, dominato e vissuto! Ricordo quel che mi dicesti quel giorno, quel che dicesti a Julian quando entrasti nel tempio per proteggere Pegasus. “Per salvare un amico, oserei anche di più!”. Bene, dunque, che sia lo scorrere eterno dell’amicizia, un fiume che mai potrà andare in secca, a guidarti e a condurre questo ruggente drago alla vittoria, drago cui dono la forza e la sapienza degli abissi oceanici!” –Concluse, mentre una sagoma serpentiforme si sollevava dallo scrigno, scivolando in aria prima di avvolgersi attorno al corpo di Sirio, stringendolo in fatali ma ristoratrici spire.

 

“Ultimo, il Cavaliere di Phoenix, il Cavaliere della Regina Nera!” –Intervenne allora Efesto, strappando un moto di sorpresa al ragazzo dai capelli blu. –“Sì, conosco la tua storia, ma non devi vergognarti! Tutti abbiamo conosciuto il male, nessuno di noi può dirsi saggio abbastanza da non esserne mai caduto preda. Sei un cuore ardente, Phoenix, un uomo che non rimane, passivo, ad attendere che la vita gli passi davanti; per questo Zeus aveva scelto Era, una Divinità forte ma al tempo stesso vittima delle proprie passioni, per dare la vita alla tua nuova corazza! Ma, in sua assenza, darò io il mio sangue per te, del resto, nelle vene di entrambi ribolle la stessa fiamma, non è così, Fenice? Anche tu, al pari di me, hai visto morire la donna che amavi. O forse, dovrei dire le donne?” –Sorrise, per la prima volta, il Fabbro degli Olimpi, mentre un maestoso uccello di fiamme sgorgava fuori dallo scrigno di fronte a lui, sollevandosi in aria fino a portarsi davanti a Phoenix. –“Che questo mio Ichor ti guidi nella nostra vendetta!” –Sussurrò, espandendo al massimo il proprio cosmo.

 

Ermes, Demetra e Nettuno fecero altrettanto, mentre i quattro ragazzi entravano in sintonia con l’impronta cosmica delle corazze, che si scomposero, andando a ricoprire i loro atletici corpi. Uno dopo l’altro, Cristal, Andromeda, Sirio e Phoenix vennero rivestiti da nuove protezioni, simili, come fattura, alle precedenti Armature Divine, ma ancora più fresche, corroboranti e coprenti. Una sensazione di rinato vigore li investì, capace di cancellare anni di fatiche e battaglie, una sensazione che da tempo non avvertivano, forse dal giorno in cui, tra le rovine del Palazzo dei Tornei, Atena li aveva abbracciati per la prima volta con il tepore del suo cosmo.

 

“Incredibile! Sento pulsare un’energia inaudita dentro di me!” –Commentò Cristal, muovendo le braccia a spazzare, per testare la flessibilità della corazza, subito imitato da Sirio.

 

“Leggere e resistenti al tempo stesso! Efesto la tua maestria è indubbia! Quale arte hai usato questa volta, per farci dono di queste meraviglie?!”

 

“L’arte dell’amicizia!” –Chiosò il Fabbro, appoggiandosi stanco ad un tavolo da lavoro, prima che Ermes, vicino a lui, spiegasse come quelle armature fossero il frutto, o forse il motivo, dell’alleanza appena nata tra i regni divini.

 

“È stato il Sommo Avalon a donare il mithril per forgiare le vostre corazze! E Nettuno ha aggiunto l’oricalco conservato nei propri magazzini! Elementi sempre più rari in questo mondo, combinati in modo da rendere quelle vesti più resistenti di qualsiasi altra corazza abbiate mai indossato! Ormai non sono più Armature Divine, no, sono vere e proprie Vesti Divine, sebbene neppure le nostre siano interamente realizzate con mithril!”

 

“Vuoi dire che… Avalon, hai ceduto il mithril per noi?” –Esclamarono Andromeda e Sirio, prima che Cristal puntualizzasse un’ulteriore questione. –“Non sapevo ve ne fosse ancora, Efesto ci disse che era molto raro!”

 

“Ed infatti lo è, miei cari!” –Precisò il Signore dell’Isola Sacra. –“Dubito ve ne siano altre scorte al mondo, quello che il Fabbro Olimpico ha usato deriva da un meteorite precipitato sul pianeta quasi cento anni addietro, a Tunguska!”

 

“In Siberia!” –Affermò subito il Cavaliere del Cigno, ricevendo un cenno d’assenso dall’Angelo di Luce.

 

“Proprio così! A lungo ho atteso questo momento e mai avrei permesso che vi arrivassimo impreparati! Adesso avete tutto quel che vi serve per confrontarvi con gli Dei Antichi; la forza, la determinazione, la nobiltà d’animo già le avevate di per sé! Il Nono Senso lo avete risvegliato in anni di battaglie e migliorie! Le corazze, permettete agli Dei di offrirvele!”

 

“Grazie, Sommo Avalon!” –Esclamarono in coro i Cavalieri dello Zodiaco, prima che un rumore sordo, simile a un corpo che cade, li distraesse, facendoli voltare verso il tavolo da lavoro, accanto al quale il Dio della Metallurgia era appena crollato.

 

“Divino Efesto!” –Gridò Demetra, mentre Ermes corse verso l’amico, muovendosi comunque con una lentezza ben maggiore del solito, condizione che non sfuggì a Cristal e ai paladini di Atena.

 

“Cosa succede, Messaggero Olimpico? Perché state così male?!”

 

“Non dovete preoccuparvi, Cavalieri dello Zodiaco! Il rito con il quale abbiamo forgiato le vostre armature vi ha anche trasmesso parte del nostro cosmo, per renderle più solide, per garantirvi un ulteriore aiuto nei momenti di difficoltà! Così facendo, impregnandole di una massiccia dosa di Ichor, sarà come se aveste sempre uno di noi a fianco in battaglia!” –Spiegò il Messaggero Olimpico, mentre sorreggeva, assieme ad Avalon, Efesto nel rimettersi in piedi. –“Ciò comunque ci ha indebolito, motivo questo che ha reso necessaria la presenza di Eracle e degli Heroes qua fuori, come nostre guardie del corpo, finché non recupereremo le forze! Ma non temete, accadrà presto, e allora combatteremo davvero assieme contro l’ombra! E tu, Cavaliere di Pegasus, non avere timore, Zeus Tonante sarà qui quanto prima e allora anche la tua corazza sarà pronta!”

 

“Zeus?! Intendete dire che sarà il Padre degli Dei a donare l’Ichor per la mia armatura?!” –Esclamò sbalordito il Cavaliere di Atena, strappando un genuino sorriso al Dio dei Mercanti e dei Commerci.

 

“Questa è la sua decisione!”

 

“Te lo meriti, amico!” –Commentò Sirio, abbracciando il compagno di mille battaglie. Cristal, Andromeda e Phoenix fecero altrettanto, rimanendo per un momento tutti uniti assieme, a guardarsi, a ricordare il passato e a credere nel futuro. Avevano già deciso, nel breve tragitto da Atene alla Sicilia, che si sarebbero separati di nuovo, dirigendosi ognuno verso un diverso fronte di guerra, in modo da portare maggior contributo alla causa; pur tuttavia, adesso che davvero dovevano salutarsi, parevano restii ad abbandonare i fratelli con cui avevano diviso la vita. Fu ancora una volta Avalon a prendere in mano la situazione.

 

“È ora di andare adesso! Lasciamo gli Olimpi al loro meritato riposo!”

 

“Dove andremo, mio Signore?” –Chiese allora Dragone, mentre lo sguardo di Avalon pareva assorto in nebulosi pensieri, quasi fosse in grado di penetrare la parete di roccia che li circondava e vedere al di fuori, fin dove fosse necessario spingersi, oltre la linea di qualsiasi orizzonte. Fu in quel momento che le fiamme della fornace si levarono alte, fin quasi a raschiare il soffitto, stupendo tutti i presenti, soprattutto Demetra, che subito strillò, prima che Avalon li invitasse a mantenere la calma. Non vi era pericolo, del resto, nel vivere un mistero.

 

Rapide come erano sorte, le fiamme si acquietarono e il volto del Principe Supremo degli Angeli tornò a colorarsi del suo enigmatico sorriso, mentre rivelava ai Cavalieri dello Zodiaco quel che aveva appena scorto usando la Vista.

 

“Pare che i timori di Asterios fossero giustificati! C’è guerra nel mondo sommerso!” –Rivelò, suscitando l’immediata reazione di Nettuno, che incalzò per avere maggiori informazioni. –“Numerosi cosmi inquieti baluginano nelle profondità marine del Pacifico meridionale, laddove le cinque Conchiglie proteggono il popolo libero delle correnti dai predatori del mondo!”

 

“Presterò loro aiuto immediato! Una grande stima mi lega agli Avaiki oceanici, un rapporto di pacifica coesistenza mai stato violato!” –Esclamò fiero Nettuno, per quanto Avalon ebbe subito a fargli notare che, sebbene la sua aura cosmica fosse più vasta di quelle di Ermes o Efesto, anch’egli era stato indebolito dal rito. –“Non posso rimanere ad attendere gli eventi! Ho già visto, con questi stessi colpevoli occhi divini, un regno oceanico sprofondare negli abissi e non voglio che ciò accada di nuovo! Coloro che vivono dove Mu si adagiò avranno la mia protezione!”

 

“Ed anche la mia!” –Intervenne Sirio, strappando un cenno d’assenso al Principe degli Angeli, che vide in lui il più adatto a tale missione.

 

“Io scenderò in Egitto!” –Esclamò allora Phoenix, mentre anche Andromeda si offriva per accompagnarlo, non senza però che Avalon chiedesse loro di effettuare una piccola deviazione.

 

“Fermatevi sul Mar Nero, a Themyskira, per aiutare le Amazzoni a mettere in salvo i profughi dei regni divini minori su cui di certo l’ombra si è già abbattuta! Poi dirigetevi tutti verso sud, per prestare aiuto ad Amon Ra! Alexer aveva già contattato le donne guerriere, ma pare che la loro miglior combattente, questa Pentesilea, sia piuttosto restia a fidarsi o anche solo ad ascoltare gli uomini!”

 

“Lo so bene!” –Commentò il Cavaliere della Fenice, prima di incamminarsi verso l’esterno della fornace, seguito da Nettuno, Sirio, Cristal e Pegasus.

 

Soltanto Andromeda esitò un momento, quasi come volesse approfittare di quel momento per parlare di persona con Avalon. Efesto ed Ermes erano distanti qualche passo e il ragazzo fu certo che il Signore dell’Isola Sacra potesse benissimo trovare il modo di non farsi udire, se avesse voluto. Di cosa volesse discutere, neppure lui lo sapeva bene, magari delle poche parole captate della conversazione tra lui e Asterios o forse di come egli fosse in grado di comprendere lingue finora sconosciute. Ci pensò qualche istante, imbarazzato e colpevole, ma poi sospirò, incapace di affrontare qualsiasi discorso.

 

Fu Avalon a richiamarlo, afferrandolo per un braccio poco prima che infilasse il tortuoso corridoio che conduceva fuori dall’Etna, e a sorridergli, quasi come a cacciar via quell’imbarazzo tra loro. Ma bastò quel contatto, quel solo gesto, a piegare Andromeda a terra, costringendolo a portarsi le mani alla testa, travolta da così intense fitte da non permettergli neppure di respirare.

 

“Libera la mente!” –Gli disse allora Avalon, inginocchiandosi davanti a lui. –“Ascolta la mia voce e libera la mente!”

 

Inizialmente il ragazzo non parve capire quel che l’Angelo gli stesse dicendo, ma poi, piano piano, iniziò a sentire un cosmo caldo confortarlo e cacciar via le fitte di dolore, per quanto non riuscisse a vedere niente di ciò che aveva di fronte. Vide invece immagini di guerra turbinargli davanti agli occhi, immagini in cui lui stesso combatteva a fianco del fratello. No, contro il fratello! Com’era possibile? No! Non era possibile. Erano ricordi?  Tristi ricordi? E sopra di loro una tenebra immensa, una nube nera ostruiva il cielo, togliendo spazio alle stelle. E Avalon… lui era…

 

Il Cavaliere di Atena riaprì gli occhi di scatto, scuotendo la testa indolenzita, mentre il Signore dell’Isola Sacra lo aiutava a rimettersi in piedi. –“Tutto bene, Andromeda? Credo che la tua mente non sia ancora pronta ad usare la Vista!”

 

Co… come?!” –Balbettò questi, sgranando gli occhi.

 

Biliku, quel giorno nella caverna delle Andamane, ti ha fatto un grande dono, forse ha compreso la tua sofferenza, il desiderio di pace senza guerra, che albergava nel tuo animo e, consapevole che il suo tempo cosmico, al pari del nostro, stesse per giungere a conclusione, ha voluto affidare a te un patrimonio di utili conoscenze. E la conoscenza è potere, Andromeda. La conoscenza del passato, che si manifesta in ricordi, anche altrui, e permette di comprendere qualunque lingua, anche antica o in disuso; del presente, che ti permette di udire suoni, voci o invocazioni anche distanti, come ti è successo quando avvertisti il richiamo di Odino il giorno di Ragnarök; e infine del futuro, che si esplica tramite la Vista. Siamo in pochi, ormai, a possedere quel dono, uno dei più preziosi, ma anche dei più difficili da gestire. Siine consapevole, non abusarne mai e non cercare di forzarlo, potrebbe ucciderti!”

 

Andromeda rimase in silenzio per qualche istante, immagazzinando le informazioni ricevute dal misterioso e affascinante alleato, prima di ripensare a ciò a cui aveva assistito poc’anzi. Erano scene confuse, di guerra e d’azione, scene che forse poteva anche aver male interpretato. Ma di una cosa era certo, una cosa gli era parsa chiara fin dall’inizio.

 

Avrebbe voluto dirglielo, avrebbe voluto spiegargli il perché delle lacrime che improvvisamente gli riempirono gli occhi, ma qualcosa, nel comprensivo sguardo del Principe degli Angeli, gli fece capire che non ce n’era bisogno, poiché egli già lo sapeva. E le sue parole di poco dopo gli tolsero ogni dubbio.


“Tutti dobbiamo morire, Andromeda. Persino gli Dei. E se questo sarà il nostro destino, non ci tireremo indietro, bensì lo affronteremo.” –Gli sorrise Avalon, prima di fargli cenno di procedere lungo il sentiero che presto li condusse sulla sommità del vulcano italico, dove Sirio, Cristal, Pegasus, Phoenix e Nettuno li aspettavano.

 

Una fresca brezza soffiava da oriente, un vento che, tutti loro immaginarono, pareva accompagnare l’avanzata della marea d’ombra sull’intero pianeta. Scossero la testa per non pensarci, scambiandosi un’ultima occhiata, promettendosi di ritrovarsi a breve, nel bel mezzo di un campo di battaglia. Come nella loro migliore tradizione.

 

Andromeda e Phoenix sorrisero, prima di espandere i loro cosmi e scattare nel cielo verso la penisola balcanica, mentre Sirio e Nettuno facevano altrettanto, dirigendosi verso sud-est. Rimasero solo Cristal e Pegasus, il secondo decisamente smanioso di passare all’azione. Fu l’amico a mettergli una mano su una spalla, incitandolo a trattenere la sua foga e a liberarla solo per difendere la loro Dea, che da lui avrebbe ricevuto la miglior protezione possibile. Avalon affiancò il Cigno, prendendolo per mano, e sollevandosi in una cometa di luce argentata, che subito sfrecciò nel meriggio di quel giorno.

 

“Buona fortuna, amici!” –Mormorò Pegasus, conservando nella mente l’immagine unita dei cinque compagni, cinque dita della stretta mano tesa verso il futuro.

 

Quando rientrò nella fucina, per chiedere quando Zeus sarebbe giunto, notò che Efesto si era già rimesso a lavoro, preciso e taciturno, sebbene i suoi movimenti fossero più lenti del solito, incapace di lasciar passare anche solo un minuto senza fare qualcosa. Ermes, invece, sedeva poco distante, inspirando ad occhi chiusi, per rilassare il corpo e recuperare in fretta le forze. Demetra, al contrario, era scomparsa.

 

***

 

Quando Nyx udì quelle notizie esplose in una risata soddisfatta, che ai guerrieri riuniti attorno a lei parve più il latrato di una bestia affamata.

 

“Un’ottima scelta!” –Commentò, sorseggiando una coppa piena di liquido rossastro, assisa su un vetusto scranno nel Santuario delle Origini.

 

“Lo credi davvero, mia Signora e Padrona?!” –Le rispose una voce atona, parlando direttamente al suo cosmo.

 

“Dubiti di me?”

 

“Non mi permetterei! Intendo dire che… dei Cavalieri dello Zodiaco, Andromeda è il meno incline alla battaglia, colui che trattiene i pugni, sperando sempre di trovare un’altra via, che non preveda lo scontro o la morte dell’avversario. Forse sarebbe stato opportuno scegliere un altro dei cinque, magari il suo burbero fratello o il prode Pegasus, ben più dominati da istinti e passioni?”

 

“È proprio la sua indole che gioca a nostro favore!” –Ghignò Nyx. –“Immagina la sua anima, i tormenti che proverà quando capirà di stare servendo la nostra causa, senza potersi opporre! Una psicomachia completa avverrà dentro di lui, una battaglia per l’anima che lo porterà alla disperazione, alla pazzia e infine alla morte. Sarà lui stesso a togliersi la vita, invocando la fine della sua dannata esistenza, e prima di farlo, trascinerà i compagni nell’abisso con sé. Non sarebbero capaci, del resto, di lasciarlo affogare da solo!”

 

“E se fosse la parte buona e speranzosa a vincere? La parte che ha ardito persino contrastare il Dio che l’aveva posseduto?!” –Congetturò la voce atona, rivelando una punta di incertezza cui la Dea della Notte rispose con un ghigno, distruggendo la coppa che stringeva tra le mani e macchiandosi la veste con il sangue colà contenuto.

 

“In tal caso… abbiamo ancora un’arma dalla nostra parte! Non dimenticare di chi è stato il ricettacolo, quel giovane Cavaliere. Un’ombra che sarà lieta di schierarsi dalla parte giusta! Dalla parte dei vincitori! Ah ah ah!”

 

“Sì, Signora della Notte!” –Commentò la voce che stava parlando al suo cosmo, prima di svanire, lasciando Nyx ai suoi pensieri.

 

Era soddisfatta, la Prima Dea, di quanto l’ombra trovasse terreno facile per avanzare, germogliando persino nei cuori più puri. Del resto Anhar glielo aveva detto, quel giorno, quando l’aveva trovata nelle montagne della Morea; le aveva detto quel che sarebbe stato in grado di fare, qualcosa per cui non era necessario neppure spendere troppo tempo e risorse. Distruggere i regni divini. E lo avrebbe fatto nel modo più semplice, facendoli scontrare tra di loro, annientandone le forze d’attacco, livellando le loro difese e lasciandoli infine soli e nudi ad attendere la punizione finale, quella che li avrebbe colpiti il giorno del secondo avvento.

 

Pur con qualche insuccesso, l’Angelo Oscuro aveva avuto ragione. I Cavalieri di Atena e di Zeus erano stati decimati da guerre che non avevano idea del perché fossero combattute, ed eguale sorte avevano incontrato i seguaci di Odino, Nettuno e delle altre Divinità Olimpiche, i cui eserciti erano stati cancellati dalla storia. Persino Amon Ra era rimasto vittima dei suoi trucchi e proprio quando gli altri Dei lo avevano abbandonato, incapaci di comprendere quanto importante per lui fosse il figlio avuto da una Sacerdotessa greca, lui fu l’unico a consolarlo, a spingerlo ad andare avanti, a perseverare in quella politica di chiusura che lo avrebbe poi condannato a un volontario esilio.

 

Ed eccoli adesso! In quanti resistono ancora al vento nero che soffia dal Gobi? Ben pochi ormai! Enumerabili sulle dita di un Centimane! Ironizzò Nyx. Peccato che non ne esistano più! Caduti, anch’essi, sotto il fuoco letale di Tifone durante la Grande Guerra scatenata da Ares!

 

“Ridi e pasteggi senza coinvolgermi nel tuo piacere, madre e sposa?!” –La interruppe allora una tetra voce, mentre una figura di pura ombra le si avvicinava, camminando a passo deciso tra i silenziosi guerrieri inginocchiati di fronte al trono. Guerrieri che, Nyx ben lo sapeva, avrebbero combattuto, ucciso e massacrato ad un suo semplice gesto, ma che, in quel preciso momento, tremarono, scossi nel profondo dell’anima da un gelo mai percepito prima. Un soffio di morte che parve insinuarsi sotto le loro armature, scardinando cotte e difese, e solleticare le loro pallide schiene, ricordando loro di essere creature mortali. E, per tal motivo, spezzabili.

 

“Credevo tu stessi ancora riposando, Signore delle Tenebre! Gli Asura e i Jinn di cui Polemos ti ha fatto dono, nella sua sortita notturna, non erano alla tua altezza?!” –Commentò la Prima Dea, nient’affatto intimorita dalla sua presenza. Quindi, mentre questi raccoglieva un frammento del calice insanguinato, portandolo alla bocca ed assaporando il delizioso nettare divino, fece un cenno ai soldati rimasti, che si allontanarono rapidi e ben lieti. Per quanto fossero tutti devoti al loro creatore, accanto a Erebo non volevano, né potevano, restare, consapevoli dell’infausta sorte in cui incorreva chi a lungo la sua stessa aria respirava.

 

Ahr ahr ahr! Non è di riposo che ho bisogno, ma di colmare quest’immensa fame che mi porto dentro e ben poco giovamento ho potuto trarre da quegli ammuffiti Dei, così vecchi da sembrare uomini decrepiti! Ben altre voglie necessito di saziare!”

 

“Sarei ben lieta di condividere ogni piacere con te!” 

 

“Ci sarà tempo per questo! Ora dimmi, Nyx, quando potrò bere dal cranio reciso dei potenti, quanto sconsiderati, Dei che si dichiarano nostri avversari? Quando potrò ubriacarmi del prezioso icore di Zeus Tonante, Nettuno, Atena o di colui con cui ti sei confrontata sulla Luna? Di interessanti poteri, da quel che mi hai raccontato, ha fatto sfoggio! Interessanti e arcani!”

 

“Temo che dovrai sbrigarti a scendere in guerra, Tenebra Infernale, o ben pochi Dei rimarranno con cui divertirti!” –Ridacchiò Nyx, spostando indietro i suoi lunghi capelli viola. –“Il nuovo Lord Comandante delle Armate delle Tenebre marcia su Karnak, distruggendo templi e città in quella terra desertica che negli ultimi anni ha conosciuto una certa rinascenza. Poco più a nord, i nostri sfavillanti figli stanno conducendo il titano dormiente sulle rive del Mediterraneo a radere al suolo Atene e l’Olimpo. Pare che a noi siano rimasti i due regni più sguarniti!”

 

“Avalon e Asgard? Umpf, un’isola di sterpi e meleti, racchiusa in perenni nebbie, e una rocca a picco sul mare d’inverno? Buoni per stimolarmi a colazione, ma per pranzo gradirei un piatto ben più sostanzioso! Che ne è del Cronide? Si è rintanato sull’Olimpo assieme ai suoi tirapiedi? O di nuovo lo hanno abbandonato, rintanandosi in Africa, come quando Tifone marciò sul Monte Sacro?”

 

“Di Zeus non ho notizie. Al momento sembra scomparso.” –Commentò la Dea della Notte, incupendosi per un istante. –“O sta celando i suoi spostamenti o è già morto, ma dubito della seconda prospettiva! Gli altri Olimpi invece sono in Sicilia, ho percepito il radunarsi e l’innalzarsi dei loro cosmi poc’anzi, prima di averne conferma dalla Divinità nostra alleata!”

 

“Non mi fido per nulla! La sua stirpe è fallimentare!” –Precisò Erebo, fissando Nyx con occhi di brace, l’unica nota di colore in un volto completamente nero. E, sebbene lei non potesse esserne certa, parve alla Dea di vedere un ghigno perverso allungarsi sul viso del Progenitore. –“Non sono mai stato in Sicilia, sai? Se il Fabbro Olimpico ha creato nuove armature, sarebbe scortese, da parte mia, non fargli visita e aiutarlo a testare la validità dei suoi lavori! Oh sì, ne verificherò la resistenza quanto prima! Ti unisci a me, madre Notte?”

 

“La proposta mi aggrada, possente Erebo, ma un altro luogo richiede la mia attenzione!” –Sibilò lei, prima di assumere forma di uccello nero e volare via. –“Su un’altra Divinità cadrà la mia vendetta!”

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto: Il signore delle tenebre ***


CAPITOLO QUINTO: IL SIGNORE DELLE TENEBRE.

 

Agamennone del Leone di Nemea sbadigliava stanco.

 

Seduto su una roccia sporgente, sul versante orientale dell’Etna, osservava il mare incresparsi in lontananza, afflitto da un’inquietudine che pareva saturare cielo e terra. Di tutti gli Heroes risvegliati al servizio di Eracle, egli era quello che maggiormente smaniava di combattere, colui che, pregno di ardimento, ad un’avventura eroica mai avrebbe offerto le spalle. Per questo soffriva e sospirava sconsolato, nel rimanere inerte a proteggere gli Olimpi.

 

“Non siamo cani da guardia!” –Borbottò per la settima volta in pochi minuti. –“Ma leggendari Heroes di Eracle! Zeus se lo è forse dimenticato quando ci ha confinato su quest’isola? Si è dimenticato i nostri scontri con gli emissari della sua consorte?”

 

“Non parlare male di colei che ci ha riportato in vita, Agamennone! Sebbene astio abbia dominato i rapporti tra Era e il nostro Signore, il tempo e il perdono hanno vinto su quell’immotivato odio e rinverdirlo sarebbe inappropriato!” –Intervenne allora una voce pacata, facendo voltare il guerriero verso il pendio, ove l’elegante sagoma di un compagno era appena comparsa. –“Inoltre non credo tu abbia bisogno di dimostrare il tuo coraggio né la tua devozione alla causa, non essendo mai stata messa in discussione. Né da noi, né tantomeno dal Sommo Eracle!”

 

“Non ripetermi concetti già noti, Marcantonio! Sto solo dicendo che, dopo più di due secoli trascorsi in un limbo da cui non credevo saremmo mai usciti, fremo adesso al pensiero di passare all’azione! L’artiglio del Leone di Nemea, che il nostro Signore recise dalla ferina bestia, facendomene dono, necessita nemici da sbranare! È una furia, il seme di giustizia che in me alberga, che non può essere placata!”

 

“Sono certo che presto avrai la tua occasione, rampante leone! La avremo tutti!” –Commentò il compagno dai folti capelli corvini, poggiandogli una mano su una spalla, prima che un fischio li distraesse entrambi. –“Lo senti anche tu?!” –Avvampò all’istante, guardandosi attorno con circospezione.

 

“Cos’è questo stridore? Sembra… una moltitudine di fischi! Un suono che va aumentando di intensità!”

 

Ahu ahu ahu! Morite, stolti!” –Ringhiò una cupa voce, mentre migliaia di strali di nera energia piovevano sui due Heroes, costringendoli a spostarsi prontamente per evitare di essere trafitti. Ma per quanto celeri fossero nei movimenti, non poterono impedire a quel diluvio di dardi di raggiungerli, martoriando i loro corpi, ferendoli laddove le armature non li proteggevano, scheggiando e trapassando le stesse.

 

“Maledizione! Questa pioggia… è così intensa… che non riesco neppure a capire da dove provengono gli attacchi!” –Imprecò Agamennone, prostrato a terra da uno strale che l’aveva raggiunto alla caviglia destra.

 

“Cadono da ogni direzione, dall’alto e dai fianchi, percependo ogni nostro minimo spostamento!” –Aggiunse il compagno, raggiungendolo di corsa ed afferrandolo, in modo da tenerlo vicino a sé, mentre espandeva il proprio cosmo. –“Per cui, c’è solo un modo per ripararci! Specchio delle stelle!” –Esclamò, generando la muraglia di energia che, espandendosi su ogni lato, li circondò, assumendo la forma di un cubo. –“Adesso dovremmo essere al sicuro! Lo specchio è in grado di respingere ogni attacco e di reinvi…” –Ma le parole gli morirono in bocca quando si accorse che i neri dardi trapassavano, senza fatica, la sua difesa, conficcandosi nelle loro carni e facendoli sanguinare.

 

Aaargh!!!” –Gridò il fedele di Eracle, proprio mentre la frustrazione per lo stallo invadeva l’animo di Agamennone, portandolo a concentrare il cosmo attorno al braccio destro, liberando un attacco a raggiera. –“Artigli del Leone di Nemea!!!” –Gridò, roteando su se stesso e scatenando migliaia di fasci di energia azzurra che tentò di opporre al martellante diluvio di ebano. Riuscendovi solo in parte.

 

“Doppiamente stolti.” –Sibilò la voce cavernosa di chi li stava attaccando, mentre una sagoma di pura tenebra piombava su di loro, più veloce persino dei suoi stessi affondi, lasciando esplodere un’enorme sfera di energia nera e distruggendo il loro pallido tentativo di resistenza. Compiaciuto, l’appena giunto avversario si voltò per ammirare il frutto del proprio lavoro, i corpi ustionati di Marcantonio e Agamennone che giacevano a una ventina di metri di distanza, laddove la detonazione li aveva scagliati, con le belle armature già distrutte e i volti contratti da spasimi di dolore.

 

Fu allora che un’ombra si allungò sul terreno, portandolo a sollevare appena lo sguardo verso la vetta, laddove un nuovo guerriero, dall’armatura dotata di ali, si era appena lanciato su di lui, scagliandogli contro un laccio di pura energia. Incuriosito e divertito da quella stramba tecnica di lotta, il massacratore di eroi lo lasciò fare, osservandolo mentre planava di fronte a lui, con sguardo determinato e compiaciuto, e liberava una corrente energetica molto forte, che percorse l’intera lunghezza del lazo, solleticando il tenebroso corpo di colui che aveva attaccato l’Etna. Ma, a parte strappargli una smorfia di tediato disappunto, non ebbe altro effetto.

 

“Tutto qui?” –Commentò, mentre il suo venefico cosmo oscuro disgregava il cappio attorno al suo collo, e la sua mano destra ne afferrava la cima, lasciandovelo fluire, fino a prostrare a terra il fedele di Eracle, scosso da così intense convulsioni da impedirgli persino di respirare. Il nemico lo osservò ancora un istante, mentre vomitava sangue e liquidi interni, insozzando la sua stessa corazza, prima di muovere la testa con rincrescimento, scuotere il lazo e sollevarlo con un’onda di energia oscura, che lo travolse e schiantò molti metri più a valle. –“Tutta quella freddezza non si accompagna ad eguale forza!” –Analizzò, prima di voltarsi e trovarsi di fronte il quarto, ed ultimo, guerriero di Tirinto, la cui stazza, robustezza e possanza superavano quelle dei compagni.


Ruggito dell’Orso Bruno!!!” –Tuonò il muscoloso seguace di Eracle, investendo l’invasore con una devastante corrente di energia, simile alla zampata di un gigantesco plantigrado, che lo scaraventò in alto, senza impensierirlo minimamente. Con un agile colpo di reni, la sagoma tenebrosa si lasciò trascinare dalla tempesta, per poi atterrare stabile sulle proprie gambe, attorno alle quali già avvampavano strati di cosmo oscuro che, ad un comando del loro padrone, penetrarono nel terreno, scivolando verso l’indifeso guerriero.

 

“Addio.” –Si limitò a commentare la cupa figura, mentre il suolo esplodeva sotto i piedi di Nestore dell’Orso, scagliandolo in aria e martoriandone il corpo con migliaia di strali energetici, fino a precipitarlo a pochi metri dai compagni feriti. –“E ora… Ne manca solo uno!” –Rifletté, voltandosi verso la cima dell’Etna, contro cui si stagliava una ferma sagoma corazzata, con una clava in mano e lo sguardo fisso su di lui. –“Bentrovato figlio di Zeus! Sei risorto giusto in tempo per morire di nuovo! Sarà un onore confrontarmi con te, che così tante storie, leggende e canti hai ispirato! Sarò lieto di contribuire alla diffusione del mito, o forse dovrei dire alla demolizione dello stesso! Peccato che nessun aedo sopravvivrà per cantare le tue gesta!”

 

“Chi sei?” –Chiese soltanto il figlio di Zeus, che non riusciva a ritrovare in quell’orrida forma nessun aspetto degli Dei che aveva conosciuto tempo addietro.

 

“Mi hanno chiamato in molti modi, sebbene gli uomini preferissero non avere a che fare con me! A differenza degli Dei gemelli, io non sono mai stato portatore di luce!” –Chiosò la tetra figura, avanzando verso Eracle, mentre attorno a sé si espandeva il suo mortifero cosmo oscuro, simile ad un mantello che lesto si affrettò a ricoprire l’intero versante orientale del vulcano. –“Nacqui Nyx, prima figlia di Caos, che fu mia madre e consorte, con cui concepii Etera e Emere! Io sono l’Oscurità Primordiale, il buio profondo degli abissi infernali! Io sono il Primo Dio procreato, il Tenebroso Progenitore che risponde al nome di Erebo!” 

 

“Dovrei esserne impressionato?!” –Ironizzò Eracle, cercando di nascondere il nervosismo che invece, agli occhi di Erebo, appariva sempre più palese, tanto più si avvicinava a lui, tanto più l’alito nero pareva lambirlo. –“A cuccia, bestia!” –Tuonò, muovendo la clava di lato, generando al qual tempo un’onda di energia lucente che si abbatté su Erebo. O, quantomeno, così il figlio di Zeus avrebbe voluto.

 

Gli bastò sollevare un braccio, alla Tenebra Ancestrale, per parare l’affondo nemico, lasciando che si disperdesse sul palmo della propria mano, per poi chiuderla e stringere le dita, liberando al qual tempo un’esplosione di energia che sradicò Eracle dal terreno, scagliandolo in alto e facendogli persino perdere la presa sulla clava.

 

“Al pari dei tuoi guerrieri, barbari privi di raziocinio, sei stolto!” –Si limitò a commentare Erebo, sollevando il braccio destro al cielo, attorno al quale turbinava il proprio cosmo oscuro, che assunse presto forma di affilati strali di energia. –“E per primo morirai, Eracle! Danza di daghe!!!”

 

La pioggia di dardi oscuri si abbatté sul Protettore degli Uomini da ogni direzione e per quanto egli cercasse di evitarla, dimenandosi o contrattaccando con pugni di energia, venne comunque raggiunto e ferito, sia pur in quantità minore rispetto agli Heroes. Infuriato per la loro sorte, cui stava cercando di non pensare per non lasciarsi distrarre dai sentimenti, decise di rispondere all’offensiva di Erebo, con un attacco ad ampio raggio che potesse disperdere quel profluvio di daghe nere.

 

Fede negli uomini!!!” –Gridò, liberando il colpo che aveva insegnato ai Comandanti delle sue Legioni e che, a modo loro, sia Iro che Alcione, Marcantonio e Nestore avevano fatto proprio.

 

La tempesta energetica travolse quella miriade di strali oscuri, disperdendone alcuni, ma bastò un gesto di Erebo, un semplice movimento del suo braccio, affinché quegli stessi dardi si ponessero di fronte a sé, a formare una fitta muraglia di tenebra contro cui l’assalto di Eracle si esaurì, strappando una smorfia di disappunto al figlio di Zeus. Sogghignando, il Nume primordiale mosse di colpo l’arto destro, rinvigorendo la Danza di Daghe e scagliandola contro l’avversario in linea diretta.

 

“Maledetto!” –Ringhiò Eracle, spostandosi di lato, nel disperato tentativo di evitarla, ma venne comunque trafitto in più punti, perdendo l’equilibrio e ruzzolando sul pendio accidentato, di fronte allo sguardo divertito di Erebo, sempre più inebriato da quello scontro che, dall’odore di cosmi che poteva avvertire a breve distanza, si prospettava a dir poco grandioso.

 

Volgendo lo sguardo verso la vetta, il Nume Ancestrale notò un leggero filo di fumo uscire dalla bocca, e allora si ricordò che stavano combattendo sulle pendici di un vulcano ancora in attività. Torse le labbra nere in un ghigno mellifluo, dicendo a se stesso che avrebbe fatto il possibile per favorire l’ultima eruzione dell’Etna, la più spettacolare di tutte. Oh sì, doveva esserlo, in modo che persino Nyx avrebbe potuto ammirarla da lontano! Un tripudio di lava, terra e corpi smembrati dei suoi avversari! Sghignazzò fiero, prima di riportare lo sguardo sul figlio di Zeus e caricare ancora.

 

***

 

Non appena esplose il cosmo di Erebo, all’interno del vulcano Efesto ed Ermes trasalirono, scambiandosi un’occhiata allarmata. Anche Pegasus lo avvertì, come avvertì il rapido succedersi della battaglia, l’avvampare e lo spegnersi dei cosmi di coloro che avrebbero dovuto difenderli dall’avvento delle tenebre. Persino il Sommo Eracle, la cui vigorosa aura aveva ricordato a Pegasus quella di Zeus, quando l’aveva percepita per la prima volta alla Torre del Fulmine, pareva vacillare.

 

“Chi può tanto?!” –Si chiese il ragazzo, percependo quanta oscurità si ammassasse in quell’avversario appena giunto sull’Etna.

 

Fu il tocco gentile di Ermes a risvegliarlo dai suoi pensieri, tocco che anticipò una voce concitata. –“Vattene, Pegasus! Va’ via, ora!!!”

 

“Divino Ermes… ma… questo cosmo oscuro? È molto simile a quello di Nyx, ma, se possibile, ancora più tenebroso!”


Ermes annuì, mentre anche Efesto lo affiancava, consapevoli entrambi che soltanto un’entità poteva possedere un’aura così mortifera e cupa. Di ancestrale lignaggio, figlio della Notte e generatore dei fratelli di luce. Poteva essere soltanto lui, il cui nome col tempo era passato a indicare il Tartaro più profondo, ove nessuna forma di luce mai era giunta. Un luogo di pura oscurità.

 

“Erebo...” –Mormorò Ermes, inghiottendo a fatica, e il solo pronunciare quel nome gli costò una fitta al costato, che quasi lo fece vomitare sangue.

 

“Messaggero Olimpico…” –Tentò di intervenire Pegasus, mentre già la robusta mano di Efesto si posava sul pettorale della sua armatura divina, rinnovandogli l’invito ad andarsene.

 

“Egli non è nemico alla tua portata, Cavaliere! Né lo sarebbe se tu avessi la corazza forgiata col sangue di Zeus o di tutti gli Olimpi, poiché nessuna Divinità è in grado di tenergli testa!”

 

“A maggior ragione voglio restare e combattere al vostro fianco! Non potrei mai abbandonarvi in quest’ora buia! Già Avalon, sulla Luna, mi disse di andarmene, che avrebbe affrontato Nyx da solo! Ma io non lascerò mai un amico da solo!”

 

“Ciò ti fa onore, Cavaliere, ma non ha senso morire tutti qua!” –Lo rassicurò Ermes con ritrovata calma nella voce. –“Devi salvarti! Se la profezia di Avalon è corretta, e non ho motivo di paventare il contrario, sei la luce che illuminerà l’ora più buia della Terra! Sei la speranza di tutti noi, uomini e Dei!”

 

Proprio in quel momento una gigantesca esplosione scosse l’intera superficie del vulcano, aprendo uno squarcio sul versante orientale, da cui una tenue luce iniziò a filtrare poco dopo, rischiarando la fucina sotterranea. Ermes, Efesto e Pegasus, sbalzati a terra dalla detonazione improvvisa, si rialzarono giusto in tempo per osservare una sagoma avvicinarsi barcollando.

 

I rosacei capelli bruciati in più punti, il volto fiero ridotto ad una maschera di sangue, l’armatura e le sue stessi vesti ustionate, distrutte, martoriate fino alle ossa, che tetre sporgevano dal fisico atletico. Il glorioso Agamennone, che aveva un tempo lottato contro il Vento del Nord sulla cima di Larissa, pareva essere stato scuoiato da un branco di licaoni affamati.

 

Mi… dispiace…” –Mormorò, usando le ultime stille del proprio cosmo. –“Abbiamo provato a fermarlo. Abbiamo… fallito! Non siamo degni del titolo… di eroi…” –Pianse il fedele di Eracle, crollando sulle ginocchia, lo sguardo perso ormai in un passato di epici ricordi, cui si aggrappò mentre la vita lo abbandonava.

 

Pegasus si mosse per sorreggerlo, ma in quel momento una lama di cosmo nero spuntò dal ventre del guerriero, trapassato e poi sollevato con estrema facilità da una figura alta e snella, rivestita da un’aura venefica. 

 

“Di niente sei degno, gattino spelacchiato, solo di morire!” –Commentò con disprezzo il nuovo giunto, muovendo il braccio e scagliando il cadavere di Agamennone dentro la fornace accesa, ghignando compiaciuto quando prese fuoco. –“Ho sempre adorato l’odore di carne arrostita!”

 

“Lurido bastardooo!!!” –Avvampò Pegasus, mentre già una sfera di luce circondava il proprio pugno destro, ma prima che potesse scagliarsi contro di lui venne afferrato dall’algida presa di Ermes, che lo fissò negli occhi, intimandolo di non commettere sciocchezze.

 

“Rimani lucido!”

 

Ahu ahu ahu! Lascialo correre, buon vecchio Ermes! Lascia che il cavalluccio di Atena spalanchi le ali e si getti incontro alla morte! Sarò ben lieto di abbracciarlo!” –Rise il Nume ancestrale, permettendo a Pegasus, in quel momento di relativa calma, di osservarlo con attenzione, attratto e al tempo stesso disgustato da una figura mai incrociata prima.

 

Alto e agile, sembrava avere il fisico di un uomo atletico, sebbene ben poco di umano trasudasse dal suo corpo. Se avesse dovuto azzardare un’ipotesi, a Pegasus sembrò di trovarsi di fronte un’ombra, come quelle che avevano affrontato quando Flegias le aveva evocate tramite l’antica maestria, ma corazzata, rivestita di una lucida armatura nera, a tratti trasparente, dentro cui parevano muoversi sagome evanescenti. Era una protezione pressoché integrale, ma molto leggera a vedersi, che gli permetteva di flettere gli arti con naturalezza, quasi fosse cresciuta sulla sua stessa pelle. Di essa, Pegasus non seppe dire alcunché, in quanto non vi erano zone scoperte del suo corpo, neppure il volto, riparato da un elmo a maschera che lasciava libera solo una parte attorno agli occhi. Rossi, come quelli di Flegias e come le braci sopra cui ardeva il corpo lacerato di Agamennone. L’unica nota di colore in quella tenebra infinita.

 

“Ammiri i miei occhi, Cavaliere di Pegasus? Di ben raro colore sono, nevvero?” –Rise Erebo, spiegandone l’origine. –“Un vezzo che mi sono concesso! Ho giurato a me stesso che, fintantoché luce avesse continuato ad esistere e ad emettere calore di speranza, non sarei divenuto completamente nero, a ricordarmi il motivo per cui lottare ancora! Soltanto quando l’ultimo baluginio sarà stato spento, assurgerò ad essere ciò per cui sono nato, la più completa tenebra ancestrale!”

 

“Sei folle!!!” –Ringhiò Pegasus, cui il Nume rispose con una risata sprezzante.

 

“Tutt’altro! Ogni mio passo è mosso da un calcolo preciso, Cavaliere di Atena! Mai Erebo si muove se non per un fine inequivocabile! Per questo sono giunto fin qua, nella fucina degli Olimpi, per togliervi ogni possibilità di armarvi e difendervi! Oltre alla forza bruta, che di certo non mi manca, come Eracle e i suoi accoliti potrebbero testimoniare, se respirassero ancora, ci vuole anche strategia in guerra! Non credi?”

 

“Quello che credo è che devi sparire!” –Avvampò il paladino di Atena, scattando avanti e rivolgendogli il pugno teso, mentre migliaia di lampi celesti esplodevano di fronte a sé, saettando sul nemico alla velocità della luce. –“Fulmine di Pegasus!!!”

 

Yawn!!!” –Sbadigliò annoiato la Tenebra Infernale, limitandosi a spostarsi di lato, mentre i pugni del ragazzo sforacchiavano la parete alle sue spalle.

 

Che… cosa?! Si è mosso ad una velocità elevatissima! Neppure gli Olimpi o Odino si spostavano così rapidamente! Rifletté Pegasus, senza comunque scoraggiarsi. Non era certo il primo nemico che riusciva ad evitare il suo colpo segreto e che poi ne veniva sconfitto, con l’espandersi del suo cosmo. Si voltò per ritentare l’attacco, ma vide che Erebo, ignorandolo, era già andato oltre.

 

Con un balzo aveva raggiunto Ermes, colpendolo con un pugno in pieno stomaco e facendolo piegare sul suo braccio, mentre artigli di tenebra si allungavano dalla sua stessa corazza trapassandolo allo sterno e facendogli sputare sangue. Ancora non pago, Erebo lo scosse come fosse un cencio, sbattendolo a terra e calpestandolo con il tacco della sua corazza, mentre Efesto, poco distante, già bruciava il proprio cosmo.

 

Lava incandescente!!!” –Tuonò il figlio di Zeus, portando avanti le braccia e dirigendo contro di lui getti di magma ardente, che il Nume ancestrale fu lesto ad evitare, balzando indietro, poi in alto e ancora più in alto, dandosi slancio sulle sporgenze della caverna e sulle attrezzature della fucina, fino a ritrovarsi a camminare a testa in giù sul soffitto, rivolgendo al fabbro il più bastardo dei suoi ghigni.

 

“Crepa, gobbo!” –Lo derise, puntandogli contro l’indice destro, da cui un lampo nero scaturì all’istante, concretizzandosi in una selva di dardi che piovve contro di lui. Stanco e rallentato, il Nume Olimpico non riuscì a muoversi, poté solo sollevare una muraglia di lava a sua difesa, che venne crivellata all’istante.

 

Fu allora che Pegasus caricò di nuovo, infastidito perché Erebo pareva ignorarlo e concentrare sui due Dei i suoi attacchi. –“Fulmine di Pegasus!!!” –Gridò di nuovo, scattando avanti con il braccio destro teso. Ma bastò che la Prima Tenebra volgesse lo sguardo su di lui, fissandolo tenacemente con i suoi occhi rossi, che la sua corsa si infiacchisse ed egli crollasse a terra, travolto da un improvviso senso di nausea.

 

Che… diavolo succede? Che mi stai facendo, vigliacco?!”

 

“Niente! Ti sto solo mostrando quanto vasta e profonda sia l’oscurità su cui impero, Cavaliere! Se hai sempre creduto che il buio fosse soltanto quella parte della giornata successiva al tramonto, allora sarò lieto di demolire i tuoi sogni adolescenziali! Ahu ahu ahu! La vera tenebra è infinita!!!” –Gridò, piombando su di lui, le dita della mano allungate a guisa di lame oscure, piantandole nello schienale dell’armatura del Cavaliere, proprio dove erano affisse le ali celesti, e strappandogli un grido di dolore. –“È uno spazio abissale che si estende dove la luce fatica ad arrivare, un regno persino più oscuro e periglioso del Tartaro, un’agonia immensa di forme indistinte! Presto ti ci precipiterò, così mi ringrazierai per averti aperto le sue porte! E con te vi confinerò tutti coloro che ancora tentano di resistere all’avvento delle tenebre!”

 

Ma… Mai!!!” –Strinse i denti Pegasus, espandendo il proprio cosmo azzurro, che stupì persino Erebo da quanto fosse vasto per essere quello di un comune mortale. Spalancò di scatto le ali della corazza, liberandosi dalla presa del Nume, servendosene per sollevarsi eretto, già con il pugno ricolmo di energia cosmica. –“Assaggia la mia luce!!!”

 

“Divertente!” –Sibilò Erebo, aprendo il palmo della mano, su cui l’affondo di Pegasus impattò, così rimanendo per qualche istante, il primo avvolto nel suo tetro cosmo venefico, la cui sola vicinanza era fonte di spasimi e infiacchimento per il Cavaliere, che continuò comunque a rigettare tutta la propria energia in quel pugno, fino all’ultima stilla che fosse stato in grado di generare. –“Ma inutile!” –Commentò il compagno di Nyx, mentre la tenebrosa aura circondava il braccio del ragazzo, risalendo a spirale verso il suo volto, logorando le sue forze e le sue difese.

 

Con orrore, Pegasus vide l’armatura riparata da Efesto mesi addietro creparsi e poi andare in frantumi, mentre le schegge di oricalco venivano letteralmente vaporizzate da quell’alito mortifero. La sua stessa pelle bruciò, costringendolo ad urlare, mentre macchie nere iniziavano a costellargli il braccio, le unghie si sfaldavano e le ossa parevano cigolare, senza che egli potesse fare alcunché, bloccato sul posto dalla volontà di Erebo, deciso ormai a disintegrarlo del tutto.

 

Fu Ermes a spezzare la concentrazione del Nume ancestrale, evocando la magica bacchetta di cui era custode e puntandola contro di lui.

 

Caduceo!!!” –Gridò, liberando un raggio di energia celeste che investì Erebo su un fianco, senza provocargli danno alcuno, solo una sottile e sorpresa risata.

 

“Ancora vivo, Messaggero?! Beh, potrebbe non essere un male. Potrei inviarti sull’Olimpo, dal tuo padrone, zoppo e cieco e con una collana di teste decorative attorno al collo, in modo che anch’egli abbia chiaro quale sorte infausta attende chi la Tenebra Ancestrale decide di sfidare!” –Declamò, muovendo il braccio destro verso di lui, scatenando un’onda di pura energia. –“Perché contro l’ombra sorgente non vi è vittoria! Solo una notte infinita!!!”

 

Ermes fu svelto a balzare in alto, venendo soltanto sfiorato dall’assalto, proprio mentre colonne di magma ardente sorgevano attorno ai piedi di Erebo, allungandosi verso il soffitto e poi convergendo tutte su di lui, intrappolato in quell’improvvisa prigione che Efesto, apparso alle sue spalle, aveva appena sollevato. Fu con una gran risata che il Nume ancestrale fece esplodere il suo cosmo, disintegrando quell’effimera gabbia di magma e scaraventando Pegasus, Efesto e persino Ermes, ancora in volo, molti metri addietro, contro le pareti della caverna, mentre l’intero vulcano tremava, scosso in profondità, così vicino al nucleo.

 

Nonostante l’armatura danneggiata e le ferite aperte, il Messaggero di Zeus tentò di rimettersi in piedi, annaspando al suolo alla ricerca del Caduceo. Fu uno scricchiolio sinistro che gliene indicò la posizione, costringendolo a voltarsi proprio mentre Erebo, avvicinatosi, ne completava la distruzione, spezzandolo in due sotto il suo tacco. Con l’altra gamba, intanto, stava già per colpire Ermes in pieno volto, quando il Dio riuscì a sollevarsi, incrociando le braccia davanti a sé e parando in parte l’affondo.

 

“La legge sovrana di ogni cosa, mortale e immortale, guida facendola giusta l'azione più violenta con mano suprema!” –Commentò Erebo, citando un poeta greco. –“E mia è la mano suprema, mia l’azione più violenta!” –Aggiunse, scaraventando Ermes contro i tavoli da lavoro della fucina.

 

“Ehi, occhietti rossi!” –Lo chiamò allora Pegasus che, a fatica, si era rimesso in piedi, tenendosi l’arto massacrato con l’altro braccio.

 

“Cavaliere di Atena, ancora vivo? Tanta resistenza mi sorprende! Hai del potenziale! Peccato che non vivrai abbastanza per vedere quanto posso espandersi!” –Sghignazzò, sollevando il braccio destro, attorno al quale spirali di cosmo oscuro subito si agitarono, assumendo la forma di daghe nere. –“Danza di

 

“No!!!” –Tuonò allora una quarta voce, mentre una robusta figura compariva alle spalle di Erebo, chiudendogli le braccia in un’algida stretta avvolta dal suo cosmo incandescente.

 

“Eracle!!!” –Lo riconobbe Pegasus, sebbene del magnifico splendore sfoderato poche ore prima non avesse più niente.

 

L’armatura danneggiata, il volto livido e tumefatto, il peso sul cuore per la sorte dei suoi Heroes. Ciononostante il Vindice dell’Onestà aveva ancora la forza di lottare e di gridare al Cavaliere di Atena di mettersi in salvo.

 

“Molte volte la Dea della Guerra Giusta mi ha aiutato, in passato, anche due secoli fa! Permettimi di ricambiarle il favore! Vattene, ragazzo!!!”

 

“Una domanda soltanto, mio nerboruto amico!” –Ironizzò Erebo, iniziando a bruciare il proprio cosmo. –“In quale altro posto dovrebbe andare, quel moribondo Cavaliere, a parte il profondo Tartaro ove mi confinerò tutti? Quantomeno quel che rimarrà dei vostri sbriciolati corpi!!!” –Gridò, liberando una devastante onda di cosmo oscuro che travolse il figlio di Zeus, Pegasus e gli altri due Olimpi, scagliandoli di nuovo contro le pareti della fucina sotterranea. Ma quella volta, non contento, Erebo aumentò l’intensità dell’assalto, pressando sempre più i corpi degli sventurati nemici nella terra e nella roccia, sfondandola e scaraventandoli fuori dall’Etna, lungo quei devastati pendii ove già aveva massacrato gli Heroes. E dove adesso avrebbe strappato loro la vita. –“E tu, Cavaliere di Atena, sarai il primo a spegnerti!” –Sibilò, apparendo sopra Pegasus e calando la mano carica di cosmo su di lui.

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto: Attacco a Karnak ***


CAPITOLO SESTO: ATTACCO A KARNAK.

 

Nel deserto egiziano la temperatura era rovente. Non per il caldo dovuto al pallido sole di mezzogiorno, che faticava a farsi strada nella cappa oscura che stava avanzando da oriente, bensì per le fiamme di morte che alte si levavano dalle rovine della Diga di Assuan fino a nord, lungo il devastato corso del Nilo. Solo macerie restavano dei templi di Sobek e di Horus, e delle cittadine di Kom Ombo e Edfu, travolte dalla piena del fiume e soprattutto dalla marcia inarrestabile dell’Armata delle Tenebre, che aveva appena lasciato il segno nell’ultimo santuario incrociato durante il cammino. Il tempio di Khnoum, presso Esna, che ancora fumava alle loro spalle.

 

Soddisfatto il Lord Comandante fermò i propri seguaci su una duna, indicando loro una costruzione che sorgeva in lontananza, dopo una svolta del Nilo verso oriente, la meta ultima del loro cammino. –“Karnak!” –Declamò, dando mandato a Chimera di organizzare i reparti per l’assalto finale.


“Avete udito gli ordini del Lord Comandante? Avanzare, avanzare e distruggere!” –Vociò il suo secondo, mulinando la lunga frusta di squame metalliche e colpendo al volto, alle gambe, alla schiena i membri del suo esercito, in particolare quel trio di sfaticati che aveva posizionato deliberatamente in prima fila. –“Oizys! Marcia! Non vorrai deludere il nostro Signore?”

 

“Non ardirei mai a tale oltraggioso comportamento!” –Si prostrò l’esile Dio della Miseria. –“Pur tuttavia, se mi è concessa una piccola precisazione, infima e infelice come il sentimento che incarno, vorrei chiedere, a sua maestosa onnipotenza… perché non abbiamo attaccato direttamente Karnak? Perché questa scarpinata sotto il sole?”

 

“Vile! Come osi questionare?!” –Ringhiò Chimera, sferzando la coda e colpendo l’Astrazione così forte da spingerlo addosso ad Apate, facendoli cadere assieme nella sabbia. –“Rialzati e fronteggia il tuo giudizio!” –Lo ritirò su, sollevandolo di peso con la verga avvolta attorno al suo collo, mentre lungo la stessa scricchiolavano scariche di energia pronte a esplodere in una devastante fiammata.

 

“Buon vecchio Oizys!” –Intervenne allora Polemos, avvicinandosi al figlio di Nyx, aprendo le braccia in segno di pace e lasciando che i suoi raffinati abiti strusciassero sul sabbioso suolo. –“Credevo fosse ovvio! Ricordi cosa hanno fatto i fedeli di Amon Ra solo una manciata di ore fa? Quando sono penetrati nel nostro Santuario, mettendolo a ferro e fuoco e uccidendo alcuni dei nostri fratelli? Dei tuoi fratelli?!” –Gli disse, ponendogli un braccio sulle spalle, mentre Chimera ritirava la frusta. –“Orbene non credi che, prima di attaccare il cuore dell’impero, sia nostro diritto, nonché piacere, ripagare il Sommo Ra con la stessa moneta? Io voglio che veda il suo mondo bruciare! Voglio che senta le grida dei suoi fedeli, degli innocenti che popolano quest’afosa landa, che maledicono il suo nome per non averli protetti! Così, quando assaliremo Karnak, il suo spirito sarà prostrato dal dolore, afflitto dalla perdita e pronto per tuffarsi in un combattimento suicida! Comprendi?” –Ridacchiò, dandogli un buffetto sulla guancia. –“E adesso che hai capito, muovi quel tuo flaccido deretano, se non vuoi incorrere nello stesso trattamento!” –Aggiunse, stringendo un po’ troppo la pelle del Dio minore, arrossandola, e allontanandosi sghignazzando.

 

“Mio Lord, i golem sono pronti!” –Lo raggiunse allora Chimera. –“Apriranno la fila! Dopo di loro i soldati dell’Armata delle Tenebre, i Nefari dello Zodiaco Nero e infine gli Dei. Noi rimarremo in fondo, sulla cima di questa duna, ad osservare Karnak bruciare e ad ascoltare le urla di Amon Ra!”

 

“Un bel progetto, Vaughn! Un bel progetto! Ma hai dimenticato una cosa…” –Esclamò Polemos, fissando l’allievo negli occhi. –“Io non sto mai in fondo!” –Detto questo, espanse il proprio cosmo, avvolgendo l’intero esercito in un unico abbraccio, sollevandolo di peso e portandolo sull’altra sponda del fiume, agli inizi di quell’antico viale decorato di sfingi di pietra che conduceva alla residenza del Sole d’Egitto. –“Ora puoi mandare i tuoi soldatini avanti!” –Chiosò, mentre Chimera faceva cenno ad un uomo smilzo e dai radi capelli di avvicinarsi.

 

Jared del Golem di Sangue al vostro servizio, miei signori!” –Si presentò, inchinandosi, mentre da ambo i lati veniva sorpassato da centinaia di rozze figure, dall’altezza di almeno due metri, che passarono oltre, iniziando ad incamminarsi lungo il Viale delle Sfingi. Figure inespressive, composte interamente di sabbia, che Jared poteva creare e controllare grazie al proprio cosmo oscuro e che di certo, in quella terra desertica, avrebbe potuto generare in abbondanza. Motivo per il quale Polemos lo aveva scelto, oltre che per il suo essere sacrificabile.

 

Non riuscirono ad avanzare neppure di cento passi che le figure di sabbia vennero investite da una selva di raggi infuocati, disintegrandosi, liquefacendosi al suolo, per quanto Jared continuasse a plasmarne di nuove e a mandarle avanti, cercando con lo sguardo un ordine del Lord Comandante. Chimera, dietro di lui, lo incitò a proseguire nella sua opera, a generare centinaia di nuove sagome deformi, alcune soltanto abbozzate, che mandò lungo il Viale delle Sfingi, fin dove potevano giungere prima che i raggi di energia incandescente ponessero fine alla loro esistenza.

 

“Mio Signore… perdonatemi!” –Mormorò imbarazzato il Nefario del Golem. –“Quei raggi caloriferi sono nocivi per le mie creature! Io… non riesco a controllarle oltre.”

 

“Poco importa! Mi hai mostrato quel che volevo vedere! La posizione dei nostri nemici!” –Chiarì il Lord Comandante, poggiandogli una mano su una spalla, complimentandosi per il lavoro svolto. –“Adesso, Cailleach! Scatena la tempesta!”

 

Al suo comando, una donna dal viso butterato, rivestita da abiti cenciosi, sollevò al cielo un bastone nodoso, pronunciando alcune parole in gaelico antico. Come al Tempio di Horus, una tempesta d’aria e saette divampò all’istante, abbattendosi sul complesso templare di Karnak, scheggiando le piramidi e le sfingi, abbattendone alcune, mentre turbini feroci devastavano il paesaggio, sollevando sabbia e sradicando le costruzioni attorno, fino a rivelare quel che Polemos cercava.

 

Distrutti i loro nascondigli, divelte le protezioni, i Soldati del Sole d’Egitto emersero nella tempesta, le lunghe spade che rilucevano sotto la languida luce di mezzogiorno. Alcuni vennero sollevati dalla ferocia della tempesta scatenata dalla Cailleach, altri vennero fulminati dalle scariche che saturavano il cielo, morendo o venendo feriti gravemente, finché un gruppo di loro non riuscì a radunarsi, faticando nel resistere alla forza d’attrazione della tempesta, puntando le lame verso gli invasori.

 

“Siete nella terra del Sole d’Egitto! Andatevene o morirete!” –Esclamarono, mentre già le spade scintillavano di ardente energia cosmica.

 

“Potrei dirvi lo stesso!” –Commentò laconico il Demone della Guerra, sfiorando la spalla del guerriero del Golem di Sangue, che già aveva infuso il proprio cosmo al suolo di fronte a loro, ove alte si levarono le deformi sagome di sabbia, intrappolando, ingabbiando, fagocitando i Soldati del Sole. –“Fin troppo facile!” –Ridacchiò Polemos, ammirando comunque la tenacia con cui tentavano di opporsi al duplice attacco, portato sia dal suolo che dal cielo.

 

“Ridi adesso, invasore, poiché presto piangerai!” –Declamò allora una voce di donna, mentre una scattante figura correva a zigzag di fronte a loro, schivando la selva di fulmini e distruggendo i golem semplicemente sfiorandoli. –“E sarò io a farti piangere! Io, Bastet, la Dea gatta al servizio di Sekhmet!” –Aggiunse, balzando in aria, avvolta dal suo cosmo argentato, e piombando poi in picchiata, mirando al volto del Lord Comandante.

 

“Al tuo posto, gattina!” –Intervenne allora Chimera, srotolando la lunga coda serpentiforme e afferrando la Dea per un tallone, poco prima che raggiungesse Polemos, strattonandola via. Ma Bastet fu svelta a divincolarsi, compiendo un’agile capriola all’indietro e atterrando a gambe unite ad una certa distanza da entrambi.

 

“Ecco dunque le difese di Amon Ra! Uomini mortali… e una donna?!” –La canzonò il Demone della Guerra, osservando la figura appena giunta sul campo di battaglia.

 

Snella e ben fatta, Bastet sfoderava deliziose curve flessuose, rivestite da un’armatura marrone, solcata da striature nere, in grado di adattarsi sia ai combattimenti nel deserto che agli scontri notturni, in cui la Dea riusciva a dare il meglio di sé, molto più di altri guerrieri, meno dotati di sguardo attento. Il volto era protetto da una maschera felina, da cui sporgevano solo labbra carnose e un caschetto di capelli scuri, fermati all’indietro da una fascia metallica su cui erano affisse due orecchie da gatto. Uno stile inusuale per una Divinità greca, analizzò Polemos, ma di certo adatto ad una combattente scattante come la Gatta Sacra d’Egitto, che puntava più sulla velocità di un attacco, e la conseguente capacità di prendere di sorpresa l’avversario, che non sulla forza dello stesso.

 

“Se la compagnia di una donna non ti è sufficiente, oscuro invasore, eccone un’altra, di ben più coriacea fattura!” –Esclamò una nuova voce, ruggendo tutt’intorno all’esercito delle tenebre, i cui membri mossero lo sguardo in varie direzioni per individuarne la fonte, senza trovarla. Vennero però investiti tutti quanti, senza preavviso, da una corrente d’aria calda, che liquefece quel che restava dei golem di Jared, disperdendo persino le folgori della Cailleach. Una corrente che ben presto giunse a incendiare l’aria stessa, caricandola di fiamme che turbinarono attorno all’Armata delle Tenebre, cingendola in un imprevisto assedio.

 

“Che diavoleria è mai questa?!” –Latrò Chimera, mentre le fiamme crescevano ancora, assumendo forme di animali o strane creature che il guerriero non aveva mai visto e che puntavano alle loro gambe.

 

“Non il diavolo muove le mie azioni, ma la sincera fede verso il Sole d’Egitto, il cui occhio è posato su di voi, colpevoli invasori!” –Continuò la voce ruggente, che adesso Polemos e gli altri poterono identificare come femminile, sebbene molto più adulta di quella di Bastet. Identificazione a cui seguì la comparsa di colei che li aveva appena attaccati, la cui armatura permise al Demone della Guerra di riconoscerla.

 

“Sekhmet, la Dea Leonessa!” –Commentò, notando la massiccia donna farsi strada nel rovinato Viale delle Sfingi. Ampie spalle, portamento fiero, una corazza color ocra che copriva per intero il fisico robusto, il volto incorniciato da una selva di capelli castani, simili ad una folta criniera agitata dal vento che ancora turbinava attorno a lei, senza che ne fosse affatto impensierita. –“Colei che è potente!”


“E tale in effetti sono, demone invasore!” –Rispose decisa la Leonessa d’Egitto, prima di scattare avanti, il pugno rivolto verso l’esercito avversario. –“Alito di fuoco!!!” –Gridò, mentre l’immagine di un gigantesco leone di fiamme e cosmo riempiva lo spazio che li separava, terrorizzando alcuni membri dell’Armata delle Tenebre, Oizys in primis.

 

“Santi numi! Siamo spacciati! Ci mangerà in un sol boccone!!!” –Piagnucolò questi, prima che un colpo di coda di Chimera lo schiantasse a terra.

 

“Con le tue avvizzite carni avrebbe ben poco di cui cibarsi! Compiango la carogna che ti sbranerà!” –Lo derise il Lord Comandante, espandendo il proprio cosmo e generando una cupola di energia in cui inglobò tutte le truppe al suo comando, lasciando fuori le fiamme. –“Un epiteto più che appropriato, dolce leonessa! Ma che certo non genera in me sgomento o stupore, perché vedi, Dea di questo regno condannato al tramonto, io sono il Demone della Guerra e non vi è tecnica, di alcun tipo o potenza, che possa sopraffarmi!” –Precisò, muovendo il braccio verso destra, come per sistemarsi il lungo mantello rosso che ornava le sue vesti, e generando al qual tempo un’onda di energia che fagocitò l’ingresso del Viale delle Sfingi, e le sue belle sculture, obbligando Sekhmet a gettarsi di lato.

 

Rotolò lesta sul terreno sabbioso, l’abile leonessa, ma venne comunque lambita dal poderoso attacco di Polemos, che incrinò parte della sua corazza, spingendola a digrignare i denti, come una fiera pronta al balzo. Ruggì tre volte, come se quel ruggito potesse allarmare l’Armata delle Tenebre, ma fu solo quando mosse un passo avanti, oltrepassando l’ormai esauritosi cerchio di fuoco, che il Demone della Guerra comprese quel che stava accadendo.

 

Tutto intorno a loro, al segnale convenuto, sbucarono fuori centinaia di guerrieri armati, nascosti sotto la sabbia, celati alla loro vista e ai loro sensi dal calore di Ra. Con un rapido colpo d’occhio, Polemos notò che molti di questi erano Soldati del Sole d’Egitto, compagni di quelli che già aveva massacrato, ma altri indossavano invece uniforme diversa, corazze simili a quelle di Bastet e di Sekhmet, che li identificavano come guerrieri di ben maggiore risma. La guardia scelta da Amon per difendere Karnak.

 

“Faraoni delle Sabbie, attaccate!!!” –Gridò la Dea Leonessa, prima di scattare avanti. Bastet, dall’altro lato, fece altrettanto, anticipando l’assalto furioso dei soldati egiziani che piombarono sull’Armata delle Tenebre da ogni lato del triangolo in cui erano disposti, anche dalle retrovie.

 

“Oh, finalmente combattiamo!” –Ringhiò soddisfatto Chimera, voltandosi verso i suoi sottoposti. –“Colpite!!!” –A quelle parole l’esercito al suo comando si mosse, fronteggiando l’assalto e dando inizio ad una cruenta battaglia.

 

Subito le folgori della Cailleach batterono il campo, costellando il tetro cielo africano, mentre Jared, alle sue spalle, sfiorava il suolo con la mano, sollevando centinaia di creature di sabbia, che mandò contro i nemici. Dietro di loro, il grosso dell’Armata delle Tenebre aveva già sfoderato le armi, preparandosi ad un confronto fisico con i Soldati del Sole. Lame furono incoccate, frecce scagliate, asce e mannaie si sollevarono, calando sul nemico poco dopo, in una battaglia che presto divenne mischia. Il guerriero del Golem di Sangue tentava di tenere gli avversari a distanza, battendo il terreno e sollevando onde di sabbia con cui travolse molti Soldati di Ra, permettendo ai golem di piombare su di loro e stritolarli, soffocarli, affogarli nelle stesse sabbie che avevano giurato di proteggere.

 

Un gruppo di robuste figure, alte più del doppio dei normali soldati, si fece largo nella ressa, incuranti dei raggi di energia che piovvero loro addosso, protetti da resistenti cotte scure che ne coprivano per intero i corpi, senza lasciare spazi scoperti, neppure al collo, quasi fossero un’unica grande placca di metallo lavorato.

 

“Fa’ avanzare i Lestrigoni! Compatti a muraglia per proteggere il resto dell’esercito!” –Tuonò Polemos, ordinando a Chimera di liberare un fianco, in modo da evitare una dispersione delle forze armate. Ma non ebbe tempo di aggiungere altro che dovette fronteggiare l’affondo della Dea Leonessa, avvolta in un incandescente cosmo che la rivestiva quasi fosse la sua seconda pelle.

 

“Ammiri il calore del sole, demone invasore? Stai tranquillo, presto sentirai sulla tua pelle quando è penetrante!” –Esclamò Sekhmet, dirigendo un assalto contro il volto di Polemos, che si mosse di lato, evitandolo, prima di contrattaccare con un fascio di energia, che la Dea fu abile a schivare, balzando all’indietro.

 

Alle loro spalle già infuriava lo scontro tra Bastet e Chimera, per quanto la scaltra Dea gatta non fosse facile preda per la bestia dalle triplici fattezze. Appoggiando la schiena a quella del maestro, il biondo guerriero sogghignò.

 

“Una per una, mio mentore?”

 

“Una per una, Vaughn!” –Ironizzò Polemos, prima di lanciarsi sulla fedelissima di Amon Ra. –“Sei stata sfortunata, mia bella leonessa, ad incrociare il mio cammino! Non solo non sarò facile preda, per i tuoi affilati artigli di fuoco, ma prenderò la tua criniera e con essa avvolgerò la salma del tuo Dio, dopo che lo avrò stanato dalla sua roccaforte!”


“Come osi, barbaro aggressore?! Credi forse che la Grande e Potente Dea della Guerra, personificazione del potere mortale dell’astro solare, indietreggi di fronte a chicchessia? Sono colei che maggiormente rappresenta il calore del Nume a cui sono devota, colei che sempre gli è rimasta fedele, anche quando non ne condivideva le scelte! Non ti permetterò di violare i sacri confini di Karnak! Cadrai, travolto dall’Alito di Fuoco della Leonessa d’Egitto!!!” –Avvampò, mentre migliaia di fiere energetiche, dal crine e dagli artigli di fuoco, piombavano su Polemos, che per un momento ne fu davvero stupito.

 

Per un momento.

 

Sogghignando divertito, il Demone della Guerra roteò su se stesso, sventolando il lungo e raffinato mantello rosso, quasi avvolgendosi al suo interno, mentre le fiere incandescenti lo raggiungevano, affondando i loro artigli nella stoffa, dilaniandola e incendiandola. Quando le fiamme scemarono di intensità, la Dea egizia osservò le ceneri dell’abito sontuoso ardere tra le fiamme, ma di Polemos più non vi era traccia.

 

“Cerchi qualcuno?” –Sibilò una voce alle sue spalle, prima che una mano le sfiorasse il fianco destro, sprigionando un’onda di energia che la investì in pieno, scagliandola a molti metri di distanza.

 

“Sekhmet! Mia signora!!!” –Gridò allora Bastet, intenta a balzare da una sfinge all’altra per evitare i colpi di frusta di Chimera.

 

“Pensa per te, gattina! O ti farò il pelo, e non sarà piacevole!” –Ridacchiò questi, prima di colpirla in faccia, sbattendola a terra, con la maschera felina incrinata.

 

Come… hai fatto?!” –Rantolò nel frattempo Sekhmet, rimettendosi in piedi. –“Sei… scomparso?!”

 

“Non hai sentito quel che ti ho detto pochi minuti or sono? Sono il Demone della Guerra, conoscitore di ogni tecnica bellica fin dagli albori del tempo, ossia fin da quando la guerra ha imperversato su questo pianeta! Non vi è modo, per nessuno, di colpirmi! Tanto più che, al pari di altre Divinità che ho conosciuto e che mi hanno a lungo disgustato, tu sei espressione della guerra più violenta e selvaggia!” –Commentò nauseato il Lord Comandante. –“Priva di raziocinio, attacchi e continui ad attaccare, sperando prima o poi di trovare una falla nelle difese del tuo nemico! Eppure avresti dovuto capire che falle non ve ne sono, in questa nave diretta al porto del suo trionfo!” –Ghignò, mentre una forza invisibile schiacciava Sekhmet a terra, ficcandole la faccia nella sabbia. –“Quello è il tuo posto, prona e vinta! Da lì contemplerai la rovina di Karnak! Il tramonto del sole d’Egitto!” –Aggiunse, sollevando il braccio e volgendo il palmo verso la piramide che si ergeva alla fine del Viale delle Sfingi. Una sfera di energia lucente palpitò vivida sulla sua mano, mentre le labbra si stendevano in un sorriso divertito.

 

Nooo!!!” –Strillò la Dea Leonessa, tentando di liberarsi da quella presa che la schiacciava a terra. –“Non… farlo! Maledetto!!!”

 

“Come desideri!” –Commentò Polemos, facendo esplodere il globo di energia, ma anziché sfrecciare verso Karnak, l’onda investì lui stesso, lasciandolo indenne e passando oltre, travolgendo poi Sekhmet, sradicandola da terra e schiantandola molti metri addietro, proprio in mezzo ai combattenti dell’Armata delle Tenebre. –“Uccidetela!” –Sibilò, forzando tutti a voltarsi verso di lei, puntandole le armi contro. –“Smembratela e portatemi la sua criniera!”

 

Intontita dall’aver subito l’attacco di Polemos, la Dea non s’avvide all’inizio delle lame che le sfregiavano l’armatura, facendosi spazio negli interstizi e là dove la stessa era già stata crepata, strappandole grida di dolore. Due robusti guerrieri la afferrarono ciascuno per una gamba e un braccio, iniziando a strattonare da ambo i lati, mentre una creatura scheletrica, dal volto emaciato e dai lerci capelli grigi, si erse di fronte a lei, sfoderando artigli di pura energia e piantandoli poi nel suo basso ventre, proprio dove il Lord Comandante l’aveva ferita.

 

Aaahhh!!!” –Gridò la Dea Leonessa, espandendo il proprio cosmo e cercando di liberarsi da quella pericolosa presa. Ma una selva di folgori energetiche si abbatté su di lei, sfregiandole il volto, incendiandole la chioma e scheggiando ulteriormente la Veste Divina, mentre la rachitica figura della Cailleach compariva ghignando da dietro uno dei Lestrigoni.

 

“È tempo di dirci addio, bella leonessa! Trofeo della mia superiorità sei e tale rimarrai!” –Sibilò Polemos. –“Ad allungare una lista iniziata molto tempo addietro! Eh eh eh!” –E chiuse il pugno della mano, saturo di energia cosmica, davanti a sé, osservando compiaciuto l’armatura di Sekhemet andare in frantumi, tra le grida impotenti di lei e l’eccitazione bestiale dei membri dell’Armata delle Tenebre. Bastò un ulteriore ordine e il suo corpo venne smembrato, in due perfette metà.

 

Soltanto la testa rimase a distinguerle, ancora attaccata alla parte destra da sottili filamenti di carne. La Cailleach li incendiò all’istante, liberandola e chinandosi per recuperarla, in modo da farne dono al Lord Comandante. Ma fu uno dei Lestrigoni a raggiungerla per primo, scansando la vecchia con una spallata che la gettò a terra, tra maledizioni e improperi, mentre, poco distante, Oizys osservava tremebondo l’azzuffarsi famelico dei propri compagni.

 

Oimmè, quante ferite! Che lividor! Che sangue! Che fine orribile quella povera leonessa!” –Piagnucolò, prima di incrociare il severo sguardo di Polemos e sistemarsi le vesti in tutta fretta, ricominciando a fare quel che stava facendo poc’anzi. Ovverosia niente.

 

“Sekhmet!!!” –Gridò la Dea Gatta, che aveva assistito alla sua tragica esecuzione. –“Maledetti!!! Non vi perdonerò!!! Sacro Mau, attacca!!!”

 

“Né te lo abbiam chiesto!” –Commentò Chimera, strusciandosi il naso divertito alla vista delle centinaia di gatti di energia liberati da Bastet, gatti che sembrarono spuntare da ogni direzione. Sulle prime l’allievo di Polemos non se ne preoccupò troppo, muovendo la coda serpentiforme per scacciarli, ma non appena li sfiorò, i gatti esplosero liberando una gran quantità di energia, che andò aumentando man mano che gli animali venivano in contatto l’uno con l’altro, generando infine un’onda d’urto che scaraventò Chimera a terra.

 

“Bastarda!!! Ti strapperò le vibrisse una ad una e te le infilerò in gola!” –Ringhiò, rimettendosi in piedi, privo dell’elmo che gli era volato via. La Dea tentò di replicare l’assalto appena andato a segno, ma l’avversario la anticipò, sollevando il tacco e poi calandolo nel suolo, infondendogli tutto il suo cosmo.

 

Zoccolo della Capra Infernale!!!” –Tuonò, aprendo una faglia nel terreno, ove precipitarono i gatti della Dea, venendone risucchiati all’istante, richiudendola un attimo prima della detonazione.

 

Bastet venne sbilanciata dall’esplosione stessa e Chimera approfittò di quel momento per balzare su di lei, colpendola con una serie di frustate, fino a sbatterla contro i resti di una sfinge dalla testa mozzata, fermandone i movimenti con la lunga coda squamata, che si arrotolò attorno al suo collo.

 

“Quale ironia! Guarda in alto, la stessa sorte della Dea tua amica! Com’era quel vostro detto egiziano? Non si accarezza la gatta Bastet prima di aver affrontato la leonessa Sekhmet?! Beh, in questo caso allora posso dirmi pienamente autorizzato ad accarezzarti! Ih ih ih!” –La derise, facendola avvampare di rabbia. Ma per quanto tentasse di dimenarsi, la stretta di Chimera era tale da impedirle di muoversi, flagellandole il corpo con fastidiose scariche di energia. –“E ora, mia tenera gattina, la tua settima vita finisce così!” –Aggiunse, sollevando un braccio al cielo e caricando le unghie di energia cosmica.

 

Non riuscì però a ghermirla che venne raggiunto da un fascio di luce improvvisa, che lo sbilanciò all’indietro, allentando la presa sul collo di Bastet. Tentò subito di recuperare postura eretta, ma fu atterrato da un calcio in pieno viso, portato da una figura in armatura grigia che era appena piombata dal cielo su di lui. Una figura che pareva avesse le ali.

 

Scuotendo la testa, stupefatto e confuso, Chimera fece per rimettersi in piedi, osservando il guerriero appena planato in soccorso della Dea Gatta, una Dea del suo stesso pantheon.

 

“Divino Horus!” –Commentò lei, ancora dolorante ma felice di rivederlo.

 

“Horus?! Sei dunque tu il padre dei quattro che abbiamo massacrato presso Edfu?! Avresti dovuto sentire come piangevano, invocando il tuo nome, quegli smidollati!” –Rise il biondo guerriero, rialzatosi, pulendosi il sangue che gli colava dal naso.

 

Duamutef, Hapi, Imset e Qebehsenuf non erano smidollati, bensì divinità preposte alla protezione degli organi interni dopo la mummificazione, collaboratori di mio padre, il Sommo Osiride, e patroni dei vasi canopi! Non erano guerrieri, questo è vero, né selvagge bestie tue pari! Ma erano i miei figli e li vendicherò! Quando avrò finito con te, nessun vaso canopo ti attenderà, poiché sarai soltanto polvere!” –Esclamò deciso il Dio Falco, scattando all’attacco.

 

“Fatti avanti! Chimaira non teme nessuno!” –Ma, non appena ebbe pronunciato quelle parole, il guerriero fu costretto ad un passo indietro, accorgendosi solo allora della gran quantità di cosmi appena apparsi alle spalle del figlio di Osiride.

 

Aurora infuocataaa!!!”

 

Una bomba di fuoco esplose in mezzo all’Armata delle Tenebre, scagliando in alto una ventina di guerrieri, tra frammenti insanguinati di corazze e corpi divelti. Quelli che si salvarono vennero falcidiati da un reticolato di luce che lesto si chiuse su di loro, prima che un’imperiosa voce li raggiungesse, sfrecciando tra di loro.

 

Per il Sacro Leo!!!”

 

Sull’altro versante quattro figure ammantate di luce piombarono tra gli stupefatti guerrieri, sfoderando fasci e comete energetiche, sfere infuocate e marosi d’acqua, con cui li spinsero indietro, proprio nella direzione ove stazionavano i Soldati del Sole e i Faraoni delle Sabbie, esponendoli anche al loro attacco.

 

“Oh Santi Numi! Scappiamo, scappiamo! Lesti!!!” –Strillò Oizys, sollevando i lembi della tunica e iniziando a correre in mezzo al deserto, assieme ad Apate e alla figlia di Eris chiamata Disnomia. Non riuscirono a fare neppure dieci passi che una giovanile figura apparve davanti a loro, un ragazzo dai folti capelli blu che camminava a qualche metro da terra, le braccia incrociate davanti a sé, un ciglio sollevato in segno di disapprovazione.


“State andando da qualche parte?” –Esclamò, rivelando un cosmo fiammeggiante.

 

Oizys deglutì, voltandosi e cercando un’altra via di fuga, ma alle sue spalle Jared aveva già sollevato una muraglia di golem, dirigendoli verso il nuovo avversario, intrappolando il Dio della Miseria e forzandolo verso un’unica direzione.

 

Glom!” –Mormorò, prima che un’esplosione abbacinante di luce lo investisse.

 

È-kish-nu-gal!” –Tuonò una decisa voce, mentre i golem e le Divinità davanti ad essi venivano inceneriti da quell’ardente calore, che, quando calò d’intensità, rivelò il ragazzo dai capelli blu ancora sospeso in aria ad osservare il frutto del suo lavoro. –“Oh, che maleducato! Ho dimenticato di presentarmi! Sin degli Accadi per servirvi! O, per uccidervi!” –Sogghignò furbamente.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo settimo: Il mondo sommerso. ***


CAPITOLO SETTIMO: IL MONDO SOMMERSO.

 

La seconda ondata fu peggiore della prima, scuotendo l’intero Avaiki e gettando gli Areoi nel panico più completo. Toru vedeva chiaramente, mentre correva per le arterie della Conchiglia Madre, lo smarrimento del proprio popolo, che vagava senza una meta, guardando di continuo verso l’alto, oltre il guscio protettivo che li separava dal mare immenso. Quello stesso mare che adesso si stava rivoltando contro di loro.

 

Perché? Era la domanda che tutti i membri del popolo libero delle correnti si ponevano, senza darsi risposta. Perché Ukupanipo era in collera con loro? Non erano sempre stati dei buoni credenti, comportandosi con onestà e rispetto verso la natura, come il Kapu, loro antico sistema di leggi, prevedeva? O forse era Paka’a, il birichino, che sollevava le onde sopra di loro con i suoi venti, incurante dei danni che potesse provocare? Quale ne fosse il motivo, il guerriero polinesiano lo avrebbe scoperto presto, dirigendosi verso la Conchiglia più esposta a quella furia improvvisa.

 

“Comandante! Comandante Toru!!!” –Lo raggiunse un ragazzetto di quindici anni, magro e snello, con corti capelli scuri, dello stesso colore degli occhi.

 

“Non ho tempo per giocare adesso, Kohu!”

 

“Non voglio giocare, Comandante! Sono venuto a informarvi! Nemici! Attacco! Creature immonde sferzano il versante esterno della Conchiglia sud!”

 

“Come?!” –Si fermò infine Toru, chiedendo delucidazioni al giovane, notando solo in quel momento che aveva indossato la corazza dell’Istioforo: bianca con macchie scure, simili a squame, aveva una lunga pinna dorsale affissa sulla schiena e due singolari bracciali, adornati di una lunga e stretta spada, quello destro, e di una membrana retrattile che gli ricopriva l’intero arto sinistro.

 

“È così, è così! Sono delle bestie immense, più grandi degli squali bianchi! Hanno occhi cattivi e lunghi tentacoli che sbattono e scalciano contro la parete! Se non li fermiamo, la grande onda ci travolgerà!”

 

In un altro momento Toru avrebbe liquidato con un gesto, e con uno schiaffo, le farneticazioni del piccolo Kohu, che probabilmente aveva trascorso troppo tempo con la vecchia Tiotio, ad ascoltare storie di mostri marini e fantomatiche creature che, a sentir lei, abitavano negli abissi oceanici, sebbene nessun Areoi le avesse mai viste. Neppure Afa, l’esploratore leggendario, né i figli di lui, che a lungo avevano viaggiato lungo i fondali marini, scandagliandoli e permettendo infine alla colonia di espandersi in luoghi sicuri. Ma quel giorno Toru fu costretto a mettere in discussione tutte le sue credenze, quando, assieme a Kohu, raggiunse infine la Conchiglia Meridionale, restando impressionato dal disordine che vi regnava, ben stridendo con la sistematica organizzazione che la caratterizzava.

 

Uomini e donne correvano ovunque, affannando sul suolo che non smetteva di tremare, mentre i bambini strillavano e i vecchi invocavano la protezione di Dei che erano certi di non aver offeso, non al punto da scatenarne la collera e l’invio di tali mostruosi emissari. Fu in quel momento, guardando oltre le curve trasparenti della Conchiglia, che Toru vide oscure entità danzare nell’acqua circostante, riempirla completamente, ammorbandola e incutendo timore in coloro che dietro quella sottile barriera, retta dal cosmo di Hina, dimoravano. Vide una piovra gigantesca, di colore violaceo, sbattere i suoi lunghi tentacoli contro le pareti della colonia, lasciandoli strisciare per l’intera lunghezza delle stesse, conficcandoli nel suolo, quasi volesse sradicarla. Attorno a lei danzavano squali con tre code, una specie che il Comandante non aveva mai visto prima, accompagnati a un calamaro gigante e da strane creature prive di pinne, dotate invece di quelle che parevano quattro gambe robuste e una lunga pinna floscia. Non ebbe il tempo di chiedersi oltre che già la piovra aveva scatenato i suoi tentacoli, avvinghiandoli alla struttura con massicce ventose che parevano succhiarne via l’energia, riducendone il cristallino splendore. Qualunque cosa volesse fare, di certo non ne sarebbe venuto niente di buono per l’Avaiki.

 

“Dobbiamo fermarla!” –Esclamò allora, sbattendo il pugno della mano destra nel palmo della sinistra.

 

“Sono d’accordo, Comandante! Per questo mi sono permesso di agire!” –Intervenne allora una voce decisa, costringendo l’uomo a voltarsi e a incrociare lo sguardo di un giovane guerriero armato. La bianca corazza che indossava era inconfondibile, per il caratteristico elmo dalla lunga zanna eretta, e ancor più lo era il giavellotto di corallo che reggeva in mano, che spesso aveva tentato di togliergli nei loro continui allenamenti. Al suo fianco sorrideva una giovane dal viso delicato e lunghi capelli scuri, la cui mano stringeva forte quella del compagno e amante.

 

Maru del Narvalo!” –Lo salutò Toru, mentre l’altro lo affiancava, spiegando di aver già inviato una squadra di incursori all’esterno, col compito di allontanare quelle bestie. –“Armati dei nostri giavellotti energetici, non tarderanno ad averne ragione!”

 

Il Comandante dell’Avaiki annuì, per poi riportare lo sguardo sul fondale oceanico, al di là della Conchiglia, dove uno scontro era appena iniziato. Da quella distanza, gli Areoi apparivano come macchie biancastre in un oceano blu notte, ma il luccicare delle loro corazze li rendeva facilmente identificabili, al pari dello scintillare delle scariche energetiche emesse dalle armi che impugnavano. Sulle prime Toru credette che avrebbero cacciato con facilità quegli inquietanti invasori, ma dovette ricredersi quando vide gli squali a tre code evitare gli affondi dei suoi compagni, azzannandone le braccia e strappando via le lance e le mani che le reggevano, mentre i lunghi tentacoli della piovra stritolavano i loro corpi, sbattendoli poi con forza contro le pareti esterne della Conchiglia, tingendole presto di rosso.

 

“Non può essere!!! Mai nessun animale si è comportato così!” –Esclamò Maru del Narvalo, osservando stupefatto la scena. –“La potenza di quelle scariche di energia è in grado di stordire anche i predatori dei mari, come possono resistere?”

 

“Temo che ben più pericolosi predatori saremo costretti ad affrontare!” –Intervenne allora la donna che era con lui, l’Aeroi chiamato Tara di Diodon. –“Ordina la ritirata, amore mio, o perderemo l’intera squadra!”

 

Io…–Maru strinse i pugni, trattenendo a stento la collera e il dolore per il fallimento di quella sortita. Quindi annuì, prima di caricare il proprio giavellotto di energia, scagliandolo con forza contro la cupola protettiva, proprio nel punto in cui la piovra era avvinghiata. Al contatto con la barriera, l’arma rallentò la sua corsa, illuminandosi d’azzurro, salvo poi sbucare fuori sull’altro lato, conficcandosi nel cuore della bestia, che furiosa si agitò, dimenandosi e travolgendo tutti coloro che aveva attorno, fossero uomini o bestie.

 

In quella, Tara soffiò in un corno di conchiglia, emettendo un impulso udibile solo da coloro che erano nati e cresciuti nell’Avaiki di Ukupanipo, segnando la ritirata della squadra d’assalto, sebbene ben pochi membri fossero sopravvissuti. –“Una strage…” –Mormorò, avvicinandosi assieme ai compagni alla barriera protettiva che, quasi avesse percepito il cosmo dei suoi stessi abitanti, tremolò, lasciandoli passare e riportandoli all’interno della Conchiglia. Solamente in tre. 

 

“Non siate tristi al pensiero dei caduti!” –Parlò allora il possente Toru, ponendo una mano sulla spalla del Narvalo e del giovane Kohu dell’Istioforo, i cui occhi erano arrossati di fronte a tanta violenza. –“Le loro anime non sono perdute! Per sempre permarranno nella Perla dei Mari, assieme agli antenati che li hanno preceduti! E un giorno, quando Kahōʻāliʻi ci chiamerà, li abbracceremo di nuovo!”

 

“Possa quel giorno non tardare mai!” –Risposero in coro gli altri Areoi.

 

“Se così tanto invocate la morte, saremo costretti a darvela!” –Parlò allora una voce maschile, canzonando le antiche credenze del popolo subacqueo. –“Non che ci dispiaccia, in fondo! Non sarebbe una guerra se non vi fossero nemici da uccidere!”

 

“Non sei mai contento, Isonade?” –Lo redarguì una seconda voce, dal chiaro timbro femminile.

 

“No, se non c’è un po’ di violenza, mia deliziosa regina cefalopode!”

 

“Sciocco!!!” –Ridacchiò l’altra, la cui voce pareva espandersi per l’intera Conchiglia, rimbombando lungo le pareti esterne che, al percuotersi continuo dei tentacoli della piovra, tremavano come fossero sul punto di schiantarsi da un momento all’altro.

 

“Devo fare qualcosa!” –Commentò allora Tara di Diodon, bruciando il proprio cosmo e sollevandosi in aria, fino a portarsi alla sommità della barriera, sfiorandola con le mani e infondendole nuova energia. –“Devo aiutare Hina! Se la cupola dovesse cadere, sarebbe la fine per tutti coloro che qui dimorano!”

 

“Tara!!! Sii prudente!” –La chiamò Maru, impossibilitato ad aggiungere altro che una nuova scossa fece tremare l’intero Avaiki, gettando gli Areoi a terra. Quando si rimisero in piedi, videro che da uno dei laghetti che costellavano la superficie della colonia, tre figure azzurre stavano uscendo fuori. –“Ma… cosa?!”

 

“Ce n’è voluta, ma infine siamo riusciti a trovare la via!” –Commentò una di queste tre, un uomo alto e snello, il cui volto aveva tratti simili a quelli di Toru e Maru, con gli stessi piccoli ma indagatori occhi neri. –“Ricordavo esistesse un condotto sotterraneo che forniva acqua alle grandi vasche per l’addestramento!”

 

“Hai fatto un buon lavoro, Isonade, te lo riconosco! Ma ciò non basta ad ingraziarti ai miei occhi!” –Commentò la prominente figura al centro del terzetto. Una donna robusta, rivestita da una corazza azzurra le cui fattezze, in particolare i lunghi tentacoli affissi al polso destro, richiamavano quelle della grande bestia intenta a scatenarsi al di fuori della Conchiglia. –“Dovrai fare di più!”

 

“Uccidere questi Areoi per esempio?!” –Ghignò l’altro, incrociando lo sguardo con quello di Maru e permettendo al guerriero polinesiano di riconoscerlo.

 

“Ma tu sei… Moeava!!!”

 

Umpf, quel nome non lo uso più, sebbene nel suo significato ancora mi riconosca! Del resto, chi più dell’Isonade, il violento e sanguigno squalo dalle tre code, potrebbe incutere timore a chi incrocia il suo passaggio?!” –Declamò l’uomo dai lineamenti simili a quelli di Toru, la cui coprente corazza, azzurra come quella dei compagni, era ornata da pinne affilate sui bracciali, sulle ginocchia e persino sulla schiena.

 

“Conosci quest’invasore, Maru?” –Chiese allora Kohu.

 

“Purtroppo ne ho il dispiacere, e credo anche Toru lo ricordi! Ci allenammo assieme sotto l’attenta guida del maestro Ono dello Squalo Tigre, ma Moeava non è mai stato incline a rispettare gli ordini e le leggi! Sfrontato, violento, a tratti sadico nel ferire il suo rivale, faceva strage di animali solo per il gusto di vedere il sangue spruzzare, cacciando più di quanto avessimo bisogno. Per questo fu condannato, per aver violato il Kapu! Nessun predatore caccia infatti per piacere, atto che offende l’equilibrio del mare!”

Ono era uno stupido! Avrebbe dovuto vestire l’armatura della conchiglia, anziché dello Squalo Tigre, ben più adatta a un atteggiamento pauroso come il suo!” –Sghignazzò l’antico compagno di addestramento, suscitando la sdegnata reazione di Maru.

“Cambiare nome non ha cambiato la tua personalità, a quel che vedo! Sei ancora il solito monello irritante che amava gloriarsi della propria forza e che fu bandito da quest’Avaiki! Unico in secoli di storia a incorrere in tale infamante punizione!”

 

Non… parlarmi in questo modo!!!” –Tuonò allora Moeava dell’Isonade, portando avanti il braccio destro e liberando una sagoma di energia simile ad un gigantesco squalo grigio, dotato di ben tre code. Tre, come i movimenti guizzanti con cui abbatté Toru, Maru e Kohu, di fronte al compiaciuto sguardo della donna alta e robusta.

 

“Bastardo!!! Non solo ti sei macchiato di tradimento verso le nostre istituzioni, adesso sei tornato per vendicarti assieme alla tua banda di pirati?!” –Ruggì subito il bianco Comandante, rimettendosi in piedi.

 

“Non pirati siamo, bensì Forcidi!” –Intervenne allora la donna dalla corazza rappresentante una piovra. –“Fedeli servitori dell’Imperatore di tutti gli Oceani, il supremo Forco, Divinità primordiale che reclama per sé il trono dei mari!”

 

“Stolto lui e stolti voi! Il mare non appartiene a nessuno, né ha di certo un trono! E se lo avesse, esso apparterrebbe a tutti coloro che vi dimorano! Non di certo a bifolchi par vostro!” –Ringhiò Maru, brandendo il giavellotto e caricandolo di energia.

 

“Opinione interessante, che parzialmente condivido.” –Sogghignò la donna nemica, sbattendo a terra i sinuosi tentacoli dell’armatura e lasciando sfrigolare faville incandescenti. –“Parzialmente!” –Precisò, prima di muovere il braccio e allungare tali appendici, che avvolsero rapidi il corpo del Narvalo, piegandogli un braccio in modo da impedirgli di usare la sua arma. –“Bifolchi siamo, ma non deboli!”

 

Maru!!!” –Gridarono gli Areoi sopravvissuti all’incursione fuori dalla Conchiglia, scattando avanti, con le lance puntate verso la donna. Ma fu il terzo membro del gruppo di invasori a balzare su di loro, rapido e preciso, mentre tutto attorno a sé sorgevano cavalli di neri cosmo, che parvero sfrecciare su un letto d’acqua schiumosa.

 

Bäckahästen!” –Urlò, investendo i tre guerrieri con la carica di quelle giumente furiose.

 

“Bel lavoro, Settimo Forcide!” –Si complimentò la donna con l’armatura della piovra, mentre colui che aveva tradito gli Areoi si faceva avanti, avvolto nel proprio cosmo, in chiaro segno di sfida verso Toru.

 

“Canaglia! Se tempesta porti, tempesta riceverai! Non sia mai che Toru dello Squalo Bianco rifiuti un confronto, anche se qua, nella sacra terra del popolo libero!”

 

“Lo sarete ancora per poco! Ih ih ih!” –Rise l’uomo un tempo noto come Moeava. –“Quando lui sarà qui, ti passerà la voglia di combattere!”

 

“Lui?! E chi sarebbe?!”

 

“Il Primo Forcide, naturalmente! Il più fedele e potente servitore di Forco e della sua consorte, il cui cosmo è così ampio da generare oscuri abissi di terrore in chi vi viene risucchiato! E tu, misero guerriero di un regno di cui mai hai varcato i confini, scoprirai quanto vasto sia l’universo!” –Ghignò Isonade, caricando le braccia di energia cosmica e muovendole avanti. Ma prima di riuscire a liberare il proprio colpo segreto, la voce imperiosa della donna che lo comandava lo raggiunse.

 

“Basta così, Quarto Forcide! Mi occuperò io di questi reietti! Tu e gli altri tre occupate le Conchiglie mancanti! A lui lasceremo il nucleo centrale, dove una ben preziosa ricompensa lo attende!”

 

“Come comandi, Ozena!” –Dovette cedere l’uomo, scoccando un’ultima occhiata di sbieco al Comandante degli Areoi. Quindi, senz’altro aggiungere, fece qualche passo indietro, tuffandosi agile nel lago interno, seguito dal giovane che era con loro e che aveva atterrato la squadra di incursori. Tendendo i sensi acuti, Toru percepì altre due energie congiungersi a Moeava e al suo compagno, segno che i nemici stavano radunando le loro truppe, pronti a sferrare l’attacco finale. Al cuore del regno.

 

“Fermi!!!” –Gridò, muovendosi per inseguirli ma la donna subito gli si mise davanti, scagliandogli addosso il corpo imprigionato del suo fedele amico, la cui armatura era coperta di numerose crepe, da cui sangue aveva iniziato ad uscire. –“Maru… io…” –Esitò per un momento il vigoroso Comandante, gli occhi che mutavano colore, tingendosi di rosso fuoco, prima che la voce acuta di Kohu lo anticipasse, prendendo un braccio del compagno e mettendoselo dietro la schiena, aiutandolo a rialzarsi.

 

“Mi occuperò io di lui! Lo porterò dalla grande Hina! Lei lo guarirà!”

 

Grazie…” –Si limitò a commentare Toru, ritrovando la calma, per quanto l’immagine e l’odore del sangue di Maru permanessero nella sua mente, mentre Kohu si incamminava lungo la via principale per raggiungere il ponte che connetteva la Conchiglia Meridionale con quella Madre.

 

“Dove credi di andare, bambino? Vieni dalla mamma, coraggio!” –Ridacchiò la grossa donna, sfoderando i sinuosi tentacoli che sfrecciarono verso il giovane Areoi da ogni direzione. Fu svelto, quest’ultimo, a balzare di lato in lato, evitandone la maggioranza, e a contrattaccare con il proprio colpo segreto.


Taglio delle onde!!!” –Gridò, calando il braccio destro e generando un fendente di energia che scheggiò un paio di tentacoli, ma presto si ritrovò circondato, sopraffatto dalla loro superiorità numerica, e fu afferrato da uno di questi al tallone e buttato a terra, con Maru che ruzzolò sopra di lui.

 

“Ora!!! Fauci dello Squalo Bianco, dilaniatela!!!” –Tuonò la possente voce di Toru, che aveva atteso che l’avversaria si distraesse per scatenare la furia del predatore dei mari. Aveva usato Kohu come esca, era vero, ma la sconfitta della nemica lo avrebbe ripagato di quel sottile inganno. Pur tuttavia la donna fu lesta a gettarsi a terra di schiena, muovendo il braccio a spazzare e investendo l’attacco con una scudisciata dei suoi tentacoli, danneggiandoli in parte ma riuscendo a disperderlo.

 

“Resistente quella tua corazza, donna!” –Ammise allora Toru, mentre lei si rimetteva in piedi.

 

“Com’è giusto che sia! È una corazza di puro oricalco, forgiata dal mio signore Forco all’alba dei tempi, quando con queste stesse armature volle vestire l’esercito al suo servizio, quello con cui avrebbe voluto sconfiggere l’usurpatore e i suoi Generali degli Abissi! Sette Forcidi investì, per soppiantare i fedeli del fratello di Zeus! Sette Forcidi ispirati alle possenti creature che terrorizzavano gli uomini di superficie! Io sono Ozena, la Grande Piovra pestilenziale, lontana discendente del Secondo Forcide originario! A lungo la mia famiglia ha aspettato la chiamata del nostro re, certa che sarebbe arrivata! Per questo la mia stirpe è continuata, procreando donne su donne e abbandonando i maschi, che di certo non avrebbero potuto ambire al ruolo che fu della nostra gloriosa antenata, unica in mezzo a sei uomini!”

 

Umpf, dici che la tua dinastia è esistita in funzione di questo Forco, riproducendosi solo per dargli una guerriera? Ti commisero, donna, per aver così poco vissuto, allora, per aver così poco apprezzato lo splendore di una vita che, sia pur breve, tu non hai volto ad altro che ad aspettare questa chiamata!”

 

“Come osi, ottuso polinesiano?! Credi forse che fare la voce grossa ti salverà dalla mia furia? Sei solo un pesciolino che si dimena tra i miei tentacoli! Ti stringerò quella bocca così forte da frantumarti tutti i denti! Oplà!” –Esclamò Ozena, schioccando le lunghe appendici e scagliandole verso Toru, che dovette balzare indietro, su una costruzione poco distante, per evitarle. Ma queste continuarono a inseguirlo, allungandosi a dismisura e azzerando in fretta la distanza tra loro.

 

Infastidito, Toru capì di non poterle fuggire in eterno, obbligandosi a fronteggiarle; per questo caricò i pugni di energia cosmica, iniziando a muoverli uno dopo l’altro, colpendo tutte le fruste che miravano ad imprigionarlo. Non voleva fare la fine di Maru, non voleva provare la terribile sensazione di sentirsi schiacciare, per quanto un tempo l’avesse sperimentata, come tutti gli Areoi. Era la prova della maturità, in fondo, quella a cui venivano destinati tutti coloro che vivevano nelle Conchiglie sotto il Mar dei Coralli. La prova con cui Ukupanipo stabiliva se fossero degni o meno di dimorare nel suo regno azzurro.

 

A otto anni, tutti i bambini, indipendentemente dal sesso, venivano mandati fuori dalle porte della Conchiglia in cui erano nati e cresciuti, per entrare a contatto con il mare freddo e immenso che li attorniava. Se fossero stati forti abbastanza, se avessero potuto superare il freddo e la pressione che, a quella profondità, schiacciava molti di loro, allora sarebbero potuti rimanere, avrebbero potuto continuare ad addestrarsi per divenire Areoi, gli eroi del popolo delle correnti. Se avessero fallito, i loro corpi spezzati avrebbero costituito nutrimento per la fauna oceanica e le loro anime sarebbero ascese al cielo ove riposano gli aumakuas, i loro antenati.

 

Toru l’aveva superata indenne, così Maru, Tara e Kohu dopo di lui, e molti altri, permettendo loro di fregiarsi del titolo di figli del mare.

 

“Se ho sopportato quella pressione, cosa vuoi che siano questi ridicoli lacci?!” –Avvampò il vigoroso guerriero, le cui braccia ormai erano state avvinte dai tentacoli della piovra. Espanse il proprio cosmo, stupendo il Secondo Forcide per quanto fosse cristallino e vasto, e poi li distrusse, schiantandoli a terra, come i resti delle barche trasportati dal mare. –“E uguale relitto presto sarai tu!!! Fauci dello Squa” –Esclamò, scattando avanti, ma ritrovandosi a tossire di colpo, una dolorosa sequela di colpi di tosse, che lo piegò in un istante e lo portò a barcollare incerto. –“Che… cosa…?!” –Balbettò, prima di essere investito da un pugno in pieno viso, che lo spinse indietro, facendogli persino perdere l’elmo a forma di muso di squalo.

 

“Senza quel bel copricapo, non incuti poi così tanta paura! Certo, il fisico è notevole, lo ammiro e lo apprezzo! Ma spezzato quello, cosa ti resta?!” –Ridacchiò la donna, avvicinandosi a Toru e afferrandolo per le gambe con i suoi tentacoli.

 

“Spezzato?! Non credere di avermi già vinto solo perché mi hai colpito una volta!”

 

“Per la verità ti ho colpito numerose volte, ma non te ne sei accorto! Perché credi che il tuo compagno, il Narvalo dal corpo atletico, sia caduto a pochi passi da me? Non ti ho forse detto poc’anzi il mio nome? Ozena, la piovra pestilenziale, poiché pestilenziale è l’aura che mi circonda, il cosmo oscuro che avvelena chiunque mi sia vicino! E tu e Maru, che dai miei tentacoli siete stati cinti, avete ricevuto una ben massiccia dose di veleno, sufficiente per indebolire i vostri riflessi ed essere alla mia mercé! Eh eh eh! L’Isonade crede che in guerra vinca chi sparge più sangue, io ritengo invece che conti la vittoria, a qualunque costo, per compiacere il mio Signore Forco, per il quale siamo giunti fin qua! Per spazzar via questo regno che ha osato prosperare sui fondali oceanici, tenendosi fuori dalle antiche contese per il dominio delle acque, una neutralità che adesso pagherete, divenendo nostri schiavi!”

 

“Noi non saremo mai schiavi!!!” –Ringhiò Toru, sforzandosi di bruciare il cosmo, per quanto fiacco si sentisse e appannata fosse la sua vista. –“Siamo gli Areoi, il popolo libero delle correnti, e non pieghiamo il capo a nessun re, Dio o tiranno, solo al mare siamo fedeli! Il mare che ci ha dato la vita!”

 

“E nel mare morirete! Addio, bel polinesiano!” –Rise Ozena, sollevandolo di peso e poi sbattendolo al suolo. Una volta, due volte, dieci, fino a ricoprire di crepe la sua bella corazza bianca, mentre il veleno maleodorante penetrava nel suo corpo dalla ferite aperte. –“Porta i miei saluti ai tuoi antenati!” –E lo scagliò in aria, mentre già sul palmo della sua mano riluceva un globo di violacea energia. Lampeggiò un istante, prima che Ozena lo dirigesse contro Toru, in caduta libera di fronte a sé.

 

Ma non lo raggiunse.

 

Danza di draghi!!!” –Esclamò una voce all’improvviso, mentre due snelle figure balzavano sul Comandante degli Areoi, afferrandolo in tempo e portandolo fuori dalla traiettoria della sfera luminosa, che andò a schiantarsi lontano, sulla parete della Conchiglia alle sue spalle.

 

Giganteschi draghi di energia circondarono Ozena, incapace di credere a quel che stava vedendo. Mosse il braccio per colpirli con le lunghe fruste, ma questi ruggirono al sol contatto, spalancando immense fauci ove rilucevano voraci denti affilati. Bianchi e rossi erano i colori delle creature energetiche che in un attimo furono su di lei, affondando le zanne nei suoi fianchi e strappandole un grido di dolore.

 

“Bianco, come il latte materno, di cui tua madre ti ha nutrito, per un destino gramo lo ammetto, ma sempre con amorevole cura! Rosso, come il sangue che dal tuo corpo sgorga, che ti ricordi che sei umana e mortale e per quanto tu segua un Dio, fanatica nelle tue convinzioni, egli sarà sempre per te un mondo distante, in cui gli uomini esistono solo in virtù di quanto gli possano servire! E tu, quanto credi di potergli essere utile ancora, adesso che le nostre strade si sono incrociate?!”

 

Chi… sei tu?!” –Esclamò a fatica il Secondo Forcide, rimettendosi in piedi, con la corazza distrutta lungo i fianchi, e trovandosi davanti un uomo di trent’anni, con corti capelli neri e occhi scuri che risaltavano su un viso bronzeo, dai ruvidi lineamenti maschili. Addosso portava un’armatura luminosa e leggera, che appariva terribile in virtù delle teste di drago che ornavano i due coprispalle. Una bianca, una rossa. 

 

“Il mio nome è Ascanio Pendragon, Cavaliere della Natura! E questi sono i miei compagni!” –Si presentò, mentre sette cosmi sorgevano attorno a sé, circondando la robusta donna, che si guardò attorno stupita, riconoscendo vestigia di fatture diverse, come se quegli sconosciuti guerrieri appartenessero a gruppi differenti di combattenti. C’erano due donne agili e slanciate, che avevano appena salvato Toru dall’impatto con il suo colpo, e poi quattro guerrieri rivestiti di corazze dalle tonalità scure, una delle quali possedeva lunghi tentacoli simili ai suoi. Infine, un settimo uomo dall’armatura rossastra la osservava silente. –“Te li presenterei uno ad uno, se avessi tempo, ma temo che poco ne resti! Per cui perdona la mia scortesia, ma questioni più urgenti richiedono la mia attenzione!” –E le diede le spalle, iniziando a rivolgersi agli altri che lo circondavano, spiegando loro come disporsi. –“Prioritario è proteggere la Conchiglia Madre, dove Asterios e la Selenite della Terra si stanno dirigendo! Se crolla quella, sarà la fine dell’intero Avaiki!” –Le donne e gli altri guerrieri annuirono, prima di scattare in direzioni diverse, lasciando il Comandante Ascanio da solo con il Forcide della Piovra Puzzolente e il corpo di Toru, disteso poco distante.

 

“Quanta arroganza! Chi ti credi di essere?!” –Ringhiò la donna, bruciando il cosmo.

 

“Il figlio del drago!” –Si limitò a commentare l’allievo di Avalon, spingendola indietro con la sua aura battagliera, che presto assunse la forma di due maestosi dragoni di energia.


“Anche l’animale più grande può essere stritolato dai miei tentacoli!” –Tuonò Ozena, scatenando la fitta pioggia delle sue fruste, che saettarono su Ascanio da ogni direzione, per quanto egli rimanesse imperturbabile. Solo all’ultimo spalancò il palmo della mano, fermando di colpo l’avanzata delle sinuose appendici, che rimasero come paralizzate, incapaci di perforare quell’imprevista muraglia di cosmo. –“Co… come puoi fare ciò?!”

 

“È il drago bianco di Albion che mi difende, simbolo di vita e rinascita! Di colore ben diverso sarà invece la sacra bestia che ti azzannerà!” –Aggiunse, portando avanti il braccio destro e liberando la devastante potenza di un drago dalle squame rossastre. –“Attacco del Drago di Sangue!!!”

 

Le fauci di luce distrussero i tentacoli di Ozena, schiantandoli uno dopo l’altro, prima di abbattersi su di lei, dilaniando l’armatura di oricalco e il corpo al di sotto, gettandola molti metri addietro, fin dentro il laghetto da cui un’ora prima era apparsa assieme a Isonade e al Forcide del Cavallo Nero. Un gorgoglio agitato rivelò ad Ascanio che era ancora viva, ma dubitò fosse in condizioni di proseguire lo scontro. Prima ancora di muovere un passo verso la pozza d’acqua, la vide immergersi in profondità, lasciando dietro di sé un’ampia scia di sangue. Certo che non sarebbe andata lontano, il Comandante dei Cavalieri delle Stelle si incamminò verso Toru, per sincerarsi delle sue condizioni e per parlare con lui.

 

Lo trovò riverso su un fianco, il bel volto bronzeo adesso smunto e pallido, le narici che faticavano a respirare. Gli osservò le ferite e capì che il veleno di Ozena gli era entrato in circolo, causandogli febbre alta e perdita dei sensi, oltre che un profondo smarrimento di sé.

 

“Lascia che me ne occupi io!” –Esclamò allora una voce di donna, sorprendendo lo stesso Ascanio per il passo leggero che doveva aver avuto. Ma poi, quando la vide sospesa a mezz’aria, avvolta in un’aura sferica di colore rosaceo, ricordò di averla notata poc’anzi, intenta a solidificare la cupola protettiva dell’Avaiki con il cosmo.

 

“Tara di Diodon!” –La chiamò, stupendola.

 

“Come conosci il mio nome?”

 

“Un amico comune mi ha parlato di te, di tutti voi Areoi! Lo stesso amico che ci ha portato qua, riunendoci da terre diverse, per portarvi aiuto, poiché vedi, Areoi del Pesce Istrice, l’ultima guerra è iniziata e neppure il vostro regno può ritenersi al sicuro dai disordini del mondo! No, nessun regno lo è più da quanto Caos è tornato!”

 

***

 

Ozena raggiunse a fatica una caverna sottomarina dove, poche ore prima, si era riunita assieme ai cinque Forcidi al servizio dell’Imperatore dei Mari. Da lì, a pochi passi dalla Conchiglia più esterna, aveva ammirato lo splendore di un regno che troppo a lungo aveva prosperato, mentre Forco soffriva e smaniava di riconquistare gli oceani che gli appartenevano per diritto di nascita. Lì avrebbe potuto riposarsi un attimo, prima di tornare a combattere per il suo signore. Aveva commesso un grave errore, abbassando la guardia di fronte a quel giovane che padroneggiava i draghi di luce, ritenendolo innocuo al pari degli altri Areoi, e adesso ne pagava le conseguenze.

 

Non c’era osso del corpo che non le dolesse, non c’era arto in cui non avesse una ferita aperta. In alcuni punti, anche sulla guancia destra, gli artigli di Ascanio le avevano strappato via persino la pelle. Ma quello non le importava; Forco, in fondo, non l’aveva scelta per la sua bellezza, solo per la sua fede integerrima. La stessa che, a breve, l’avrebbe riportata in battaglia.

 

“Hai fallito!” –La raggiunse una voce all’improvviso, risuonando per l’intera caverna e facendo sussultare Ozena, che, appoggiata ad uno scoglio affiorante, si tirò subito su, guardandosi intorno impaurita. Per qualche istante non vide niente, per quanto fosse chiaro che una presenza oscura, immensa come vuoto cosmico, la stesse circondando, precipitandola, assieme alla caverna e alle sue rocce, verso abissi così profondi e oscuri che nessuna forma di vita vi era mai nata.

 

Io… pietà, Comandante! Pietà! Ho abbattuto molti Areoi, ma quell’Ascanio mi ha colpito alla sprovvista! È un vile!!! Perdonatemi!!!”

 

Ascanio?!” –Ripeté la voce, che a Ozena parve più vicina, nonostante continuasse a non vedere alcunché, solo un’enorme sagoma nera che la accerchiava.

 

“Sì, mio Signore, Ascanio Pendragon è il suo nome! Io posso… occuparmi di lui!”

 

“No, non puoi! Lui è affar mio! Ho un debito da riscuotere con il mio vecchio amico!” –Sogghignò la voce cavernosa, risuonando così forte da costringere Ozena a portarsi le mani alle orecchie, per tapparle, non desiderando udirla più. Poteva, in fondo, un uomo spaventarla tanto? Lei, una guerriera nata per servire Forco, per badare alle creature che popolavano l’Impero dei Mari, poteva provare timore verso il Primo tra i Forcidi?

 

I due occhi gialli che si aprirono di fronte a lei le strapparono un’imprevista conferma. Due occhi che rilucevano famelici in un mondo di tenebra assoluta. Due occhi che, poco dopo, le furono addosso, mentre il suo corpo precipitava in un abisso oscuro. Volle gridare, ma non ci riuscì; tentò di aggrapparsi a qualcosa, ma non trovò appigli, soltanto un’immensa voragine nera che la risucchiò, cancellando dalla storia ogni traccia della sua esistenza.

 

Il Primo Forcide sogghignò, godendo di tutte le anime che quel giorno avrebbe precipitato nell’abisso.

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo: Confessioni. ***


CAPITOLO OTTAVO: CONFESSIONI.

 

Il viaggio dall’Olimpo al Caucaso fu assai breve, ma in quei pochi minuti la mente di Zeus e del suo Luogotenente fu comunque invasa da molti pensieri. Non soltanto per quello che li avrebbe attesi una volta giunti a destinazione, ma anche per la nube nera che andava espandendosi alcune miglia alle spalle della catena montuosa. È ancora distante, ma si avvicina. A ritmo vertiginoso! Constatò il Signore degli Dei, la cui vista spaziava lontano, fino alle profondità del deserto del Gobi, da cui la grande ombra era sorta.

 

Aveva già sentito, grazie ai suoi sensi acuti, l’infiammarsi di lontane battaglie, sia nelle calde terre d’Egitto che in luoghi a lui più familiari, luoghi che lo toccavano direttamente, al punto da incitare Euro affinché aumentasse l’impeto dei propri venti. Dei vari focolai di guerra appena accesi, uno lo stranì, poiché era davvero lontano, pareva provenire dalle profondità oceaniche del Pacifico Meridionale, da abissi che mai aveva visitato e che presupponeva disabitati. Stava ancora riflettendo su quanto aveva percepito, quando la Nave di Argo iniziò a scivolare tra le nubi che circondavano la cima più alta della catena del Caucaso, nota agli uomini con il nome di Monte Elbrus.

 

“Stiamo per atterrare!” –Precisò Neottolemo, guidando il vascello con maestria tra cime impervie e innevate, fino ad atterrare su un costone roccioso sufficientemente ampio e sicuro, all’inizio della cappa di ghiaccio. Un rapido sguardo ai dintorni convinse il Nocchiero di Tirinto che, in caso di attacco, quella sarebbe stata una buona posizione per difendersi, e poi allontanarsi.

 

Zeus, compiaciuto per la prontezza dei suoi riflessi e l’acuta mente strategica, lo ringraziò per i suoi servigi, dandogli una paterna pacca su una spalla, prima che il fedele di Eracle si apprestasse ad approntare il ponte di legno per scendere a terra.

 

Strobilus…” –Mormorò allora Euro, osservandone la caratteristica doppia cima.

 

“Conosci questi luoghi, figlio di Eos?” –Gli domandò Zeus, mentre anche Nikolaos scendeva dalla Nave di Argo, lasciando il solo Neottolemo di guardia.

 

“Come potrebbero essermi ignoti, mio Re?! Non è forse qua, sulla gelida vetta di Strolibus che incatenaste il titano Prometeo, figlio di Giapeto, reo di avervi disobbedito, sfidando così la collera celeste?!”

 

“Una storia di così tanto tempo fa che mi stupisco che taluni la rimembrino ancora!” –Commentò il Nume Supremo, prima di fare cenno ad Euro e a Nikolaos di seguirlo, lungo un accidentato sentiero che saliva fino all’avallamento al centro dei picchi gemelli. –“Eppure è normale che sia così! Del resto, potremmo annoverarlo tra i gesti che diedero inizio alla contesa finale!”

 

Il figlio di Eos annuì, seguendo il Signore del Fulmine sull’irta mulattiera, sebbene, grazie alle ali della propria corazza, non avesse bisogno di sfiorarne l’eterna neve che la ricopriva, limitandosi a svolazzare alle sue spalle, senza mai avere l’ardire di superarlo. Nikolaos, al contrario, seguiva entrambi con sguardo silente, rivestito da una cotta di battaglia piuttosto comune, essendo la propria Armatura Celeste andata distrutta nello scontro con Cariddi. Osservandola, Euro la riconobbe; era la tunica protettiva che il giovane utilizzava durante gli allenamenti con Giasone, Castore e Polluce sull’Olimpo, i primi tempi successivi al suo arrivo. Frammenti di passato di cui Nikolaos aveva bisogno, in quel momento, per andare avanti, per continuare a vivere, unico sopravvissuto dei Cavalieri Celesti e ormai anche unico membro della sua famiglia.

 

“Ci siamo!” –Esclamò infine Zeus, fermandosi proprio ai piedi dell’ultima scoscesa salita che conduceva al picco occidentale, il più alto delle due cime di Elbrus e anche quello rivolto verso la Grecia.

 

Euro e Nikolaos sollevarono lo sguardo ma, sulle prime, non notarono alcunché se non una fitta nebbia che pareva avvolgere la sommità, in un abbraccio ottundente che ricordò a entrambi la foschia protettiva dell’Olimpo, il modo con cui Zeus aveva sempre celato le divine residenze agli occhi degli uomini.

 

“Mio Signore?!” –Mormorò il Luogotenente, aspettando che il Nume parlasse, con la stessa franchezza dimostrata nel colloquio avuto nella cripta.

 

“Non è cambiato niente… Tutto è identico a quel giorno! Tutto, del resto, è sempre identico al passato finché non compiamo una diversa scelta! Prometeo lo fece, scelse di tradirmi, o almeno così credetti all’epoca, scelse di disobbedire ad un precetto divino e andò incontro alla sua punizione! Lo incatenai nudo a questa cima, con catene forgiate da mio figlio Efesto, intrise di cosmo divino, proprio là, persino oltre le nuvole, di modo che ogni giorno potessi vederlo, dalla reggia sull’Olimpo, e lo condannai ad eterno supplizio! Un’aquila, personificazione della mia possanza e del mio impero sui cieli, ogni giorno avrebbe banchettato con le sue viscere, e la notte quelle stesse ferite sarebbero state rimarginate, per permettere all’aquila, implacabile, di ritornare il giorno seguente e proseguire l’eterna tortura! Una trovata degna di Ade!” –Sospirò il Nume, presto confortato da Euro.


“Erano tempi oscuri, mio re. I Titani cospiravano per riprendere il potere, l’evirazione di Crono non li aveva di certo meglio disposti ad accettare la fine dell’Età dell’Oro. Tutt’altro. Covavano così tanto rancore da attendere soltanto un pretesto per marciare sull’Olimpo e scatenare l’ultima guerra del Mondo Antico.”

 

“E io glielo diedi, imprigionando il figlio di uno dei più fanatici sostenitori di Crono, dando così inizio alla Titanomachia. La fine della seconda generazione cosmica.” –Annuì Zeus, tornando indietro a quell’era buia. –“E la notte dell’ultima profezia.”

 

***

 

Un boato fragoroso fece tremare l’intero Olimpo, squassando persino i pavimenti di marmo della Reggia di Zeus, ove il Nume riposava vigile, costringendosi a balzare in piedi, già rivestito della sua Divina Veste da battaglia. Un attimo dopo le alte porte si aprirono e un’anziana figura ne entrò, zoppicando vistosamente.

 

“Sono arrivati!” –Si limitò ad asserire, mentre già il cosmo di Zeus si espandeva, abbracciando l’intero Olimpo, ove assieme alla sua famiglia e ai suoi fedeli si era installato dopo l’evirazione del padre. Fu un’aurora improvvisa quella che abbagliò il Monte Sacro, un’aurora che rischiarò ogni anfratto, ogni sentiero, foresta o palude, raggiungendo tutte le Divinità e i guerrieri che attendevano la chiamata del loro Signore, del padre, fratello o amante per cui avevano scelto di lottare e morire, convinti che potesse dare loro un futuro.

 

Uno dopo l’altro, gli Dei risposero alla chiamata, scintillando nelle loro vestigia dai riflessi d’oro e avorio, che il Fabbro Celeste aveva appena creato. Per prima giunse Artemide, l’unica dei Dodici a non indossare armatura alcuna, preferendo cingere il suo corpo con ben più pratiche e leggeri pelli di daino.

 

“I miei Cacciatori già sono schierati!” –Commentò, inginocchiandosi, l’arco stretto in mano, la faretra colma di frecce argentate.

 

“Così pure i Berseker al mio diretto comando!” –Tuonò allora la voce di Ares, ruggendo tra le fiamme che lo attorniavano, con un’aria divertita sul volto, un’aria per cui il Consigliere di Zeus inorridì.

 

Dopo di loro arrivarono Nettuno e Ade, i fratelli del re, quindi Atena, con l’Egida saldamente al braccio, Apollo, splendido nella sua armatura finemente intarsiata, Dioniso, seguito da un profluvio di satiri, menadi e guerrieri caprini, e tutti gli altri Dei, uniti tutti dalla stessa convinzione. Debellare per sempre la minaccia dei Titani, coloro che marciavano verso la cima del Colle Sacro.

 

Le prime difese erano già scattate, ma i Giganti di Pietra ben poco poterono contro la furia di Atlante, i cui pugni li mandarono in frantumi, uno dopo l’altro, riuscendo soltanto a far guadagnare tempo agli Olimpi assediati, affinché potessero posizionarsi. Fu quando Zeus scagliò la prima onda di energia, investendo in pieno il fratello del colossale titano, che la guerra di fatto iniziò, e in breve fu mischia.

 

Scintillavano ovunque i cosmi dei giovani Dei, ruggivano affamate le fiamme di Ares, dentro cui si celavano le frecce di Artemide e gli strali luminosi di Apollo. Volava lesto, da una parte all’altra dell’immenso fronte di guerra, il Messaggero Alato, scatenando lampi dall’intrecciata bacchetta, mentre la spada di Ade e il tridente di Nettuno mietevano vittime nell’opposto schieramento. Dieci anni durò la guerra, dieci lunghi anni di sangue e dolore, di tradimenti e cambi di fronte, dieci anni durante i quali l’opinione di Vasteras non cambiò.

 

“Una guerra porta solo ad altre guerre. Credevo lo aveste capito.” –Gli disse anche quel giorno l’anziano consigliere, dopo che una figura rivestita da una scura armatura aveva appena lasciato la Sala del Trono. Una figura il cui gesto avrebbe presto mutato le sorti dell’intera battaglia.

 

“L’ho compreso, ma non ho scelta. Non ho iniziato io questa guerra e non voglio perderla! Ne va del futuro della mia stirpe!”

 

“Ma non capite, Grande Zeus? Siete giovane, bello e astuto, il fato vi ha arriso già una volta, evitandovi di finire nelle viscere di vostro padre! Eppure dovrebbe essere chiaro, soprattutto a voi che quel gesto avete compiuto, quanto tutto sia effimero, quanto breve sarà la storia della vostra generazione, anche se vinceste!”

 

“Parole oscure le tue, Vasteras! Spiegati meglio!” –Lo intimò il Nume, stringendo la folgore celeste.

 

“La vostra vita, al pari di quella degli esseri umani, non è eterna, solo parte di un ciclo. Le sorti di vostro padre e del di lui padre Urano dovrebbero esserne testimonianza valida per farvi comprendere! Vincerete questa guerra, grazie al fulmine che avete ottenuto, ma quanto durerà il vostro regno? Un batter di ciglia, niente più, lo stesso gesto con cui Egli vi spazzerà via quando ritornerà!”

 

Non… minacciarmi!!!” –Avvampò Zeus, generando un’onda di energia con cui schiantò il fido consigliere contro una parete, scusandosi subito dopo, imbarazzato, per quel gesto irato.

 

“Non vuote minacce sono le mie parole, bensì foriere di una verità che non potete dimenticare! Non dovete farlo, se volete sopravvivere! Ricordatelo, Zeus, ricordate come avete sconfitto Crono e come vincerete i Titani! Unendo tutte le vostre forze, quelle degli Dei amici, degli alleati, dei soldati che hanno fiducia in voi! In nessun’altro modo riuscirete altrimenti a contrastare l’ombra!” –Parlò così, per l’ultima volta, il saggio Vasteras, prima di spegnersi quella stessa notte, ucciso dalla lama del titano Crio. Eppure, per lunghi secoli, quelle parole erano cadute nel vuoto.

 

***

 

“Avevi ragione, amico mio!” –Sospirò Zeus, asciugandosi i celesti occhi lucidi. –“Troppo tardi l’ho capito! Troppo a lungo il mio animo è stato invaso dall’indolenza, un sentimento atto a nascondere la paura per la fine di tutto, l’avverarsi di una profezia a cui sapevo di non poter fuggire!”

 

Voi… sapevate, mio Signore?!” –Azzardò la domanda Nikolaos, affiancando Zeus nell’ultima parte della salita, quella che li avrebbe portati nel cuore della foschia sulla sommità di Elbrus. –“Del ritorno di Caos, voglio dire…

 

Il Nume annuì, spiegando di aver avuto uno dei Sette Saggi come Consigliere, molto tempo addietro, proprio come Nettuno, sebbene nessuno dei due Cronidi avesse dato loro debito ascolto.

 

“Ho errato e ne pago le colpe! Ed ho continuato a errare per molto tempo! I fatti sono noti e non li ripeterò! Dopo la sconfitta dei Titani, iniziò la nostra Età dell’Oro, l’era della Terza Generazione Cosmica, un’era di massimo splendore per la nostra civiltà e per gli uomini che ci adoravano! Templi sorgevano in ogni angolo del mondo conosciuto, offerte venivano raccolte in nostro onore, sacrifici venivano compiuti in nome di Dei i cui nomi erano invocati ogni giorno, in ogni momento della giornata di un uomo. Come poteva il mondo essere più bello di così? Come potevo credere che un giorno tutto sarebbe finito? No, giovani eroi, non sono mai riuscito ad ammetterlo, eppure l’ho temuto, per tutto questo tempo, tenendo nascoste le mie paure e sublimandole in ogni modo possibile, con atteggiamenti lascivi e poco consoni alla figura del Re accorto e scaltro che sarei dovuto essere! Un Re che del suo popolo ben poco si curava!” –Ammise Zeus. –“Per questo, quando ritenni che lui mi avesse tradito, che lui mi avesse disobbedito, come Prometeo millenni addietro, scelsi la strada della punizione, non della comprensione, vanificando i suoi passati meriti e decidendo di ricordarlo solo per il suo atto sacrilego! Ti ricordi di lui, Euro, o la foschia che ho gettato sull’Olimpo lo ha fatto dimenticare persino a te?” –Esclamò, giunti alla sommità occidentale di Elbrus, una ripida parete di roccia alla quale un uomo era incatenato, se uomo Euro e Nikolaos potevano definirlo, visto il fisico gracile, quasi ossuto, che si trovarono a rimirare. –“Vi presento il superbo Toma di Icaro, l’uomo che volle farsi Dio! Primo mortale ad essere investito del titolo di Cavaliere Celeste, e ultimo di una lunga schiera di amici che non sono stato in grado di considerare tali, che non sono mai stato in grado di capire!”

 

***

 

Kama non tornava al Grande Tempio da vent’anni, da quando Arles le aveva assegnato quella missione. E se anche da allora molte cose erano cambiate, per lei come per i compagni con cui era scesa in Africa, il Santuario della Dea era sempre lo stesso, come se in quella valle incassata tra le montagne dell’Attica, nascosta agli uomini comuni dal cosmo della Vergine Guerriera, il tempo si fosse fermato. Tuttavia, varcando il Cancello Principale, dopo essersi presentata alla garitta delle guardie, notò un notevole assembramento di forze, assente negli anni in cui aveva vissuto ad Atene e si era allenata per divenire Cavaliere di Bronzo sotto gli occhi attenti del suo insegnante.

 

Soldati riempivano il camminamento di ronda delle mura esterne, altri passavano marciando, berciando ordini o trasportando carri pieni di legname, rame e altri materiali di certo destinati alla creazione di armi. Non sembravano esserci semplici fedeli in giro, nessun uomo o donna, addirittura nessun bambino, era privo di una cotta da battaglia e tutti guardavano continuamente il cielo, quasi temessero di vederlo cadere su di loro. Sospirando, la Sacerdotessa Guerriero comprese che un vento di guerra stava già soffiando sull’intero Santuario di Atena e che le notizie che avrebbe presto riferito avrebbero contribuito ad aumentarne l’intensità.

 

“Kama?!” –Mormorò una delicata voce di fanciulla, costringendola a voltarsi, per trovarsi di fronte una sua pari, come l’inespressiva maschera che le copriva il viso testimoniava. –“Sono Yulij del Sestante, inviata dall’attendente di Atena, Nicole, ad accoglierti!”

 

“Nicole attendente? Ne ha fatta di strada! All’epoca era solo un ragazzino, allievo, come me, del grande Magellano della Mensa!”

 

“Potrai incontrarlo tra breve! Ha ricevuto il tuo messaggio e ti aspetta alla Tredicesima Casa, assieme ad Atena!” –Spiegò la Sacerdotessa del Sestante, invitando l’altra a seguirla.

 

Atena! Mormorò Kama. La Dea che aveva tanto servito, in terre lontane dalla Grecia, pur senza mai incontrarla, la Dea che le aveva riempito il cuore e permesso di andare avanti, anche dopo tutta la sofferenza che aveva incontrato in quel caldo continente, anche dopo che il dolore le aveva straziato il petto. La Dea che finalmente avrebbe conosciuto. La Dea che forse ho tradito?

 

Con quel pensiero in mente, e una certa ansia nel cuore, seguì Yulij lungo la strada principale che attraversava il vasto complesso templare, inerpicandosi poi per un’erta collina, passando attraverso Dodici Case. Quando era piccola, la maggior parte era disabitata e Kama le aveva visitate solo una volta, quando Arles aveva convocato lei, Regor e Magellano.

 

Nella prima trovò un uomo dai capelli viola intento a riparare alcune armature. Sembrava molto stanco e fece loro solo un cenno di saluto, forzando un sorriso e rimettendosi a lavoro, su quella che a Kama parve la corazza dell’Unicorno.

 

Deglutì a fatica, ricordando l’uomo cui era stata legata un tempo. Sospirò, cacciando via quei pensieri, e riprese a salire assieme a Yulij, fino a raggiungere l’ultimo tempio, dove Atena la stava aspettando. Entrando, fu sorpresa di trovare soltanto tre Cavalieri con lei: uno era di certo uno dei Custodi Dorati, come testimoniava l’armatura che aveva indosso, e sedeva tra le colonne laterali tenendo gli occhi chiusi; la seconda era una Sacerdotessa dai folti capelli rossicci, ma non seppe identificarne il grado, poiché vestiva una semplice tunica da allenamento, mentre il terzo, il giovane dalla fluente chioma castana, doveva essere Nicole, ritto e immobile accanto al trono della Dea. Sì, era decisamente cambiato dai giorni d’infanzia in cui seguivano le lezioni di botanica, mitologia, architettura e qualunque altra arte Magellano ritenesse opportuno che studiassero, per una preparazione più completa del loro ruolo. Non guerrieri, ma protettori. Così amava definirli il loro maestro.

 

“Benvenuta ad Atene!” –La salutò la Dea dallo sguardo scintillante, rivolgendole un cordiale sorriso, proprio mentre Kama si inginocchiava di fronte a lei, rimanendo per lunghi attimi in silenzio, sospesa tra passato e presente.

 

“Dea Atena… io… un semplice Cavaliere di Bronzo, sono onorata di essere ricevuta direttamente da voi!”

 

“Abbiamo passato attraverso tempi in cui il valore dei Cavalieri di Bronzo è stato ampiamente riscattato!” –Commentò allora Nicole, strappando un sorriso agli altri presenti, prima di pregare la Sacerdotessa di riferire quanto di sua conoscenza.

 

“Lo hanno risvegliato, mia Dea!” –Disse tutto d’un fiato, quindi, accorgendosi che nessuno sembrava comprendere, aggiunse. –“Il titano dormiente, colui che giaceva presso la catena montuosa che da lui prese nome!”

 

“Vuoi dire… Atlante?!” –Sgranò gli occhi Atena, ottenendo un cenno d’assenso col capo.

 

“Figlio del titano Giapeto, narrano le antiche cronache che avesse altezza esorbitante, trenta cubiti, forse più! Si schierò al fianco del padre, assieme al fratello Menezio, allo scoppio della Titanomachia, venendo sconfitto e condannato da Zeus a reggere la volta celeste. Liberato brevemente da Eracle durante l’Undicesima Fatica, rifiutò di riprendere il suo posto, finendo fulminato da Zeus e crollando lungo la costa nordafricana, sprofondando in un lento oblio. Leggenda vuole che tanto devastante fu l’impatto del suo corpo morente che spinse fuori le montagne dalle viscere della Terra. Dopodiché se ne perse traccia, per quanto ogni Grande Sacerdote di mente acuta abbia sempre inviato dei Cavalieri ad effettuare scrupolosi controlli.” –Spiegò allora Nicole, attirando l’attenzione degli altri.

 

“Come sai tutto questo?” –Le chiese incuriosita la Sacerdotessa dai capelli arancioni.

 

“L’ho letto! Negli Annali del Santuario! Proprio nel libro che il Cavaliere di Virgo qui presente aveva richiesto due giorni addietro, sebbene sappiamo che non fosse propriamente lui!” –Sorrise l’attendente, portando Atena a porre una nuova domanda.

 

“Quindi tu fosti inviata in Africa da Shin?”

 

“Per la verità fu l’allora Primo Ministro, Arles dell’Altare, a inviare Regor della Vela, un Cavaliere di Bronzo mio pari, che si insediò a Orano, poco distante dalla catena montuosa, per addestrare apprendisti e al tempo stesso controllare la situazione. A me fu assegnato un compito più delicato: in virtù dei miei poteri curativi e delle mie conoscenze botaniche, mi fu chiesto di accompagnare il mio maestro, il sapiente Magellano della Mensa, in un giro nel continente africano, per aiutare le varie tribù ad avere una vita migliore.”

 

“Una splendida iniziativa.” –Commentò Atena, con voce serena, prima di aggiungere, quasi potesse leggerle nel cuore. –“Non tutti i Cavalieri combattono in guerra, alcuni sono costretti a prove diverse, senza che questo sminuisca la purezza dei loro cuori o la loro devozione alla causa!”

 

Gra… grazie, mia Dea!”

 

A quel punto la donna in cotta da battaglia e il Cavaliere d’Oro dagli occhi chiusi si avvicinarono al trono, sottolineando la necessità di un’azione rapida.

 

“Se Atlante è stato risvegliato, di certo andrà a ingrossare le fila dei nostri nemici! Vorrà vendetta, possiamo starne sicuri, contro Zeus e gli Olimpi, rei di aver sterminato la sua stirpe!” –Parlò la Sacerdotessa, trovando il Custode Dorato concorde. –“Dea Atena, è necessario stare in massima allerta! Assieme all’Olimpo, questo è il posto più probabile dove egli colpirà!”

 

“Lo temo anch’io!” –Commentò Kama, prima che la Dea chiedesse notizie sullo stato delle loro difese.

 

Asher sta organizzando i vari reparti di soldati semplici, distribuendoli lungo l’intero perimetro del Grande Tempio, in particolare ai tre cancelli: orientale, meridionale e occidentale. Il primo sarà presieduto da Matthew ed Elanor, che hanno accettato di rimanere qua, su richiesta di Avalon, il secondo sarà difeso proprio dall’Unicorno e da Nemes mentre io mi recherò al varco occidentale, assieme a Reda e Salzius! Il Grande Mur sta terminando di riparare alcune armature e, quando avrà terminato, presidierà la Prima Casa, Virgo la sesta e Nicole e Yulij rimarranno qua, a vostra ultima difesa!” –Spiegò la voce decisa di Castalia.


“Resterò anch’io, se Atena lo permetterà! Minimo è l’aiuto che potrò darvi in battaglia ma non mi tirerò indietro!” –Intervenne allora Kama, ottenendo un cenno d’assenso da parte della Sacerdotessa dell’Aquila che le illustrò dove avrebbe potuto posizionarsi, prima che un rombo improvviso facesse tremare l’intero Santuario.

 

Nicole si mise subito di fronte ad Atena, assieme a Castalia e Yulij, mentre Virgo fendeva l’etere con i propri sensi attenti. Un secondo boato li riscosse, un rumore sordo che pareva provenire da lontano, ma così intenso da essere udito persino lassù. Sospettosi e intimoriti, i Cavalieri e la Dea uscirono nel piazzale antistante la Tredicesima Casa, guardando fissi in direzione del Golfo Saronico. Proprio da sud, con il sole pallido sopra di lui, un’immensa sagoma avanzava a passo strascicato. Per quanto fosse ancora distante, non ebbero bisogno di chiedersi chi fosse, già conoscendo la risposta.

 

“Nicole! Nel libro che hai letto, viene citato anche un modo con cui possiamo fermarlo? Esiste un modo per frenare l’avanzata di Atlante?” –Incalzò Castalia, mentre il compagno scuoteva la testa.

 

“A meno che qualcuno di voi non sia Zeus, possiamo soltanto combattere!”

 

***

 

“Toma di Icaro?!” –Borbottò Nikolaos, osservando il giovane imprigionato sul fianco della montagna, proprio come lo fu Prometeo millenni addietro, prima che Eracle lo liberasse. –“Non conosco questo nome.”

 

“È naturale! Diedi ordine a tutti i Cavalieri Celesti e alle Divinità che dimoravano sull’Olimpo di non nominarlo mai più, pena la morte! Non potevo sopportare di udirne ancora il nome, il cui suono mi avrebbe ricordato il tradimento in cui ero di nuovo incorso!”

 

“Quale tradimento, mio Signore? Cosa vi ha fatto quest’uomo?!”

 

“A me personalmente? Niente! Ma, come hai detto tu stesso, è un uomo e tale doveva restare. Invece Toma era arrogante, altero, sicuro delle proprie qualità, tronfio della sua indiscussa abilità nel maneggiare le armi e nell’espandere il suo cosmo! Era stato Ermes a notarlo per caso, portandolo alla mia attenzione, un giovane di talento che affannava al Santuario di Atena per divenire Cavaliere! Un destino che, con alterigia, ritenni sprecato per lui, così gli offrii la possibilità di entrare nella più regale guardia dei Dodici, i Cavalieri Celesti, ed egli si dimostrò degno dell’incarico, finché non cominciò a volere di più. Come Icaro, il simbolo della sua corazza, desiderò volare sempre più in alto, accrescendo i propri poteri, ambendo ad essere potente come un Dio, eterno come un Dio! E, immagino, crescere in un’accademia frequentata soltanto da figli di Divinità non fu di grande aiuto alla sua umiltà. Sconfisse Giasone in un torneo, facendosi vanto di essere il più forte, di essere il novello Eracle del suo tempo. Sulle prime non me ne interessai, ritenendoli puerili atteggiamenti di sfida tra maschi, ma quando iniziò a infastidire le ancelle delle Dee, credendosi degno di incontrarsi persino con una di loro, lo convocai nella Sala del Trono e lo cacciai.” –Quindi tacque per qualche istante, avvicinandosi al corpo emaciato del giovane, carezzandogli il volto un tempo bello e sollevandolo, mentre un torrente di cosmo fluiva dalle dita del Nume verso l’antico guerriero, risvegliandolo poco dopo.

 

Ze… Zeus…” –Mormorò, aprendo gli occhi a fatica. Il Nume annuì, prima di espandere ulteriormente il proprio cosmo, disintegrando le catene e liberandolo infine, aiutandolo ad adagiarsi a terra.

 

“Per anni non ebbi memoria di quel dialogo, complice l’ambrosia che aveva obnubilato la mia mente, non ricordai quel che ci dicemmo, dissi a tutti che mi aveva insultato e pertanto lo avevo punito. La verità tornò a galla solo pochi mesi fa, quando Avalon mi risvegliò, salvandomi in punto di morte, chiara come era sempre stata, per Toma ma non per me.” –Confessò, di fronte allo sguardo attento di Euro e Nikolaos, e a quello ancora frastornato di Icaro. –“Toma sapeva quel che sarebbe accaduto, quando il varco si sarebbe aperto! Gli avevo parlato, per errore, della profezia di Vasteras una notte in cui ero ubriaco e in cui mi aveva aiutato a raggiungere le mie stanze senza che Era se ne accorgesse. Sapeva e me lo ricordò quel giorno, dicendomi che voleva diventare più forte per me, per poter combattere al mio fianco, quasi alla pari, contro l’ombra nascente!”

 

Quale… follia…” –Mormorò infine il Cavaliere Celeste, il cui volto iniziava a colorirsi grazie al cosmo di Zeus. –“Pretendere di diventare un Dio.”

 

“Follia che cinque giovani in questi anni hanno compiuto, mio caro Toma! Sia pur con motivazioni diverse da quelle che mi rivelasti quella notte!” –Sorrise il Nume. –“Follia che forse non era realmente, per quanto tale mi apparve! Del resto, in quegli anni di pace e feste, non mi importava di niente, non volevo che mi importasse di niente! Sapevo della profezia di Vasteras, del ritorno della prima tenebra, la sentivo alitarmi sul collo ad ogni tramonto, e volevo nascondermi, come un coniglio in una buca nel terreno, celando la testa e i muscoli che mi avevano permesso di sedere sull’Olimpico Trono! Ho dato via Shen Gado come fosse un oggetto, barattandolo con una Dea disinteressata alle sorti del mondo; Shen Gado, l’abile guerriero, astuto stratega che mi era sempre stato fedele! Ho punito Toma perché non potevo o non sapevo punire me stesso. Ho assistito al tentato omicidio dell'infante Atena da parte del suo corrotto Sacerdote, senza muovere un dito, del resto la mia massima fatica è stata per decenni stringere una coppa d'ambrosia o i candidi seni delle ninfe! Ho lasciato ad Avalon e a dei ragazzini la difesa del pianeta! Ho permesso che Amon Ra si perdesse nelle nebbie del tempo, senza fare niente per impedirglielo, senza provare neppure a dissuaderlo, come se il destino dell'Egitto non mi importasse, come se il destino di quel regno lontano fosse ininfluente per l’equilibrio del mondo! Per tutto questo, per non essere stato il dorato re, giusto e accorto, io ti chiedo perdono, Toma di Icaro, e lo chiedo anche ai tuoi compagni, i valorosi guerrieri che in mio nome sono caduti. Bronte, Arge, Sterope, Giasone e voi tutti Cavalieri Celesti, possiate perdonarmi e sostenermi nell’ultima guerra!”

 

Nikolaos ed Euro annuirono, sorridendo paghi al Signore del Fulmine, prima di inginocchiarsi di fronte a lui, rinnovandogli il giuramento di fedeltà. Lo stesso fece Toma, facendo tintinnare al qual tempo un pendaglio che portava legato al polso, l’unico ricordo della sua vita precedente all’ascesa all’Olimpo.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo nono: Fuga verso Themiskyra. ***


CAPITOLO NONO: FUGA VERSO THEMISKYRA.

 

Le Amazzoni erano in rotta, ma Pentesilea non voleva cedere.

 

L’uomo rivestito di quell’elegante armatura azzurra, magnifica e temibile come ghiaccio, l’aveva avvisata qualche giorno addietro di tenersi pronte, ben temendo che quella missione di salvataggio non sarebbe stata semplice. Ma lei aveva minimizzato, sottolineando la preparazione bellica delle proprie combattenti, che di certo non avevano bisogno di lezioni di strategia militare da un elegante damerino venuto dal nord. Alexer aveva sorriso loro e se ne era andato.

 

Adesso Pentesilea rimpianse di essere stata così rude, così orgogliosa, così affrettata. Così me stessa! Si disse, mulinando l’ascia e mozzando un nuovo robusto tronco di pianta emerso dal sottosuolo.

 

Era inutile girarci intorno. Le stavano decimando, e quel che la faceva infuriare era la codardia dei loro nemici, la loro perversa tattica di sfiancamento con cui le stavano inseguendo da ore, da quando avevano abbandonato le rive del Gange, iniziando una lunga marcia sull’altopiano iranico, dirette verso le coste del Mar Nero, verso la loro ritrovata casa. Non c’era voluto molto, in realtà, prima che le compagne rimaste nella retroguardia la informassero che erano seguite, né la notizia l’aveva colta di sorpresa. Si trovavano, del resto, proprio sotto l’immensa cappa di nubi nere che dal deserto del Gobi orientale andava espandendosi sull’intero continente, così vicine alla fonte di tale tenebroso potere.

 

Solo per quello, per quella malefica vicinanza, alcune Amazzoni erano cadute. Le più giovani, le più gracili, quelle che più facilmente furono infettate dal morbo oscuro. Incalzate dalla carica dei nemici alle loro spalle e dall’opprimente cielo plumbeo, avevano dovuto persino abbandonarne i corpi, trattenendo le lacrime ma non la rabbia, giurando a loro stesse, e alle compagne perdute, che sarebbero tornate a tributare loro il giusto addio.

 

Così adesso stavano correndo, lungo le rive del Mar Caspio, dopo essersi riposate per una mezz’ora scarsa in una valle pianeggiante che ritenevano sicura. Non che il loro fisico non fosse abituato a lunghe maratone sotto il sole o la pioggia, ma l’apprensione continua per un attacco a sorpresa, il dolore per le perdite e infine il timore per le condizioni di coloro a cui stavano facendo da scorta avevano spinto Pentesilea a ordinare una pausa forzata. 

 

Quel che l’ardimentosa condottiera non poteva sapere era che i nemici erano già intorno a loro. Letteralmente.

 

All’improvviso, centinaia di robusti steli erano cresciuti dal terreno, sollevandosi minacciosi e torcendosi, spalancando le loro fauci dai denti affilati. Stupite da quello che parve loro un incantesimo di magia nera, le Amazzoni furono lente nel reagire, permettendo che quei fiori serpentiformi, o qualunque cosa fossero, compissero una strage nella carovana. Furiose e assassine, quelle strane piante sorgevano ovunque, accanto a loro, sotto di loro, stritolandole con robusti filamenti, avviluppandole grazie alle appiccicose secrezioni del fusto e infine fagocitandole con le loro stesse foglie.

 

Dopo un breve tentativo di combattimento, Pentesilea aveva dato ordine di ripiegare, decisa a raggiungere Themiskyra quanto prima e a chiudersi dietro le sue mura. Là, al sicuro nell’atavica dimora, ove generazioni di Amazzoni e di loro sovrane si erano succedute, nessun potere oscuro avrebbe potuto raggiungerle, protette dal cosmo che permeava quel luogo sacro. Questo, quantomeno, era quel che la snella comandante dai corti capelli verdi riteneva.

 

Più difficile fu raggiungere il Mar Nero, mantenendo compatta l’improvvisata carovana che ben presto si abbandonò ad una fuga scomposta.

 

“Serrate i ranghi!!!” –Stava urlando in quel momento Pentesilea, mentre altre Amazzoni tentavano di riportare ordine tra i profughi. Impresa resa difficile dagli assalti continui che venivano rivolti loro, assalti provenienti da svariate direzioni e che non riuscivano a controbattere. –“Maledizione!!! Venite fuori, codardi!!!” –Gridò infine la condottiera, la robusta ascia sollevata di fronte a sé. –“Finitela di nascondervi dietro i vostri fiorellini assassini e mostratevi in uno scontro frontale!”

 

In tutta risposta il cielo, già fosco, si riempì di nuvole del colore dell’ebano, nuvole che poco dopo scaricarono una devastante pioggia su di loro. Un acquazzone di certo non naturale, che contribuì ad appesantire il loro umore, rallentando il rientro a Themiskyra. Prima che Pentesilea potesse aggiungere alcunché, un nuovo filamento erboso sorse dal terreno sotto di lei, avviluppandosi lesto alle sue gambe, chiudendole insieme e gettandola a terra.

 

“Viscidi bastardi!!!” –Ringhiò la Regina delle Amazzoni, mentre il tronco della pianta cresceva ancora, fermandole anche le braccia e lasciando infine scoperta solo la testa, permettendole così di ammirare, in un crescendo di potenza e spettacolarità, la nascita della foglia madre, che si spalancò di fronte a sé, rivelando piccioli enormi, simili a denti aguzzi, e una gola rossa e sanguigna. –“Vogliamo… scherzare?!” –Avvampò Pentesilea, bruciando il proprio cosmo e riuscendo, con notevole sforzo, a incendiare la pianta che l’aveva imprigionata.

 

Ansimando, e chiedendosi il perché di quell’improvvisa fiacchezza, la comandante vacillò nel rimettersi in piedi, venendo però afferrata da due braccia robuste prima che cadesse a terra. Percependo il contatto con una dura armatura da guerra, Pentesilea levò lo sguardo, incrociando quello di Phoenix.

 

“Cosa ci fai qua?!” –Esclamò all’istante, recuperando postura eretta e liberandosi dalla sua stretta.

 

“Sono venuto a darvi una mano, ma vedo che te la cavi piuttosto bene anche da sola! Tutto sommato!” –Ironizzò lui, gettando una rapida occhiata al campo di battaglia.

 

“Il tuo sarcasmo è fuori luogo! Conosci bene il valore delle mie guerriere, avendolo provato sulla tua stessa pelle! Pur tuttavia questo nemico ci sta logorando! Da ore mette a dura prova il nostro morale con questi spregevoli attacchi, rivoltando la natura contro di noi!”

 

“Rivoltando o abusando della natura…” –Rifletté il Cavaliere, mentre tutto attorno le Amazzoni brandivano asce e spade, abbattendo quel giardino di piante carnivore che era sorto per fermarle, mentre continui scrosci d’acqua e turbini d’aria nera sbattevano loro in faccia. Persino gli anziani dalle tuniche arancioni, di cui erano la scorta, sembravano esterrefatti da quella violenza che la natura stava scatenando contro di loro, mormorando litanie in un linguaggio che Phoenix non conosceva, ma che gli parve hindi. –“Se a qualcuno piace il gioco sporco, così giocheremo!” –Avvampò il giovane, bruciando il cosmo e concentrandolo sul pugno destro, attorno a cui turbinò un vortice di fiamme, prima di sbatterlo con forza contro il suolo.

 

Pochi istanti più tardi centinaia di uccelli di fuoco sorsero dal terreno, distruggendo con rapidi roghi i robusti steli famelici che stavano impegnando le Amazzoni.

 

“Verdure troppo cresciute…” –Borbottò Pentesilea, dando un calcio ai resti carbonizzati di una di quelle piante, prima di ordinare alle compagne di radunare i monaci e organizzarli per l’ultima tappa del loro viaggio. Con preoccupato stupore, vide molte di loro faticare nel muoversi, barcollare e persino cadere a terra, travolte da quel senso di fiacchezza che aveva invaso anche lei. Guardandole meglio, notò che erano proprio le guerriere che erano state intrappolate tra le spire di quelle bizzarre piante a soffrire di più. –“Credo che…” –Ma non poté terminare la frase che un nuovo gigantesco filamento verde sbucò dal suolo tra lei e Phoenix, avventandosi sul Cavaliere di Atena e arrotolandosi attorno al suo corpo. In un attimo il ragazzo venne sbattuto a terra, con gli arti immobilizzati, mentre una vischiosa sostanza gli imbrattava la corazza e una bocca dai piccioli aguzzi si spalancava per chiudersi sul suo viso.

 

“Ah no!” –Commentò la donna, sfoderando l’ascia bipenne e muovendosi per mozzare la parte alta della foglia, ma questa parve percepire il pericolo, richiudendosi e sgusciando via, evitando l’affondo, per poi guizzare rapida avanti, spalancando le fauci e richiudendole sul braccio teso dell’Amazzone. –“Aaargh!!!” –Lamentò questa, tentando di liberare l’arma racchiusa nella bocca del gigantesco fiore. La strattonò con forza e cedette, proprio mentre un’aura incandescente, emanata dal corpo di Phoenix, incendiava il resto dello stelo, permettendo al giovane di liberarsi.

 

Ancora in ginocchio, prima di rimettersi in piedi, il Cavaliere di Atena vide che dal suolo sbucava ancora una parte dello stelo, una parte che andò crescendo in fretta, allungandosi e ricreando le perigliose foglie di fronte agli occhi sgranati dei due combattenti. Ma prima che potessero agire, uno scintillio argenteo sfrecciò loro davanti, mentre la pianta veniva intrappolata in una stretta da una lunga e decorata catena.

 

“Andromeda!!!” –Esclamò Phoenix, mentre il fratello lo raggiungeva, rivestito anch’egli della nuova Armatura Divina.

 

“Non distruggerla, Phoenix! Potrebbe portarci dal mandante di questi attacchi!” –Spiegò il giovane, suscitando l’interessata reazione di Pentesilea, che subito chiese come contava di riuscirci. –“Con la mia catena! Dimenticate forse le molteplici proprietà di cui è dotata?!” –Sorrise Andromeda, prima di allungare l’arma e conficcarla nel terreno, dandole ordine di seguire il lungo fusto della pianta fino alla sua origine.

 

Non ci volle molto prima che la guizzante catena tornasse indietro, accompagnata da un tremolio del suolo. Con un ultimo scatto, Andromeda strattonò fuori colui che aveva creato quelle piante da guerra, schiantandolo a terra con poca grazia, sempre tenendolo nella morsa della sua arma.

 

“Una donna…” –Mormorò Pentesilea, osservando la sagoma che si contorceva al suolo, tentando di liberarsi dalla fredda presa della catena.

 

Alta e ben fatta, con lunghi capelli arancioni, la guerriera era rivestita di una corazza nera e verde, con marcati spuntoni posizionati sui bracciali e sui copri spalle, simili agli aguzzi piccioli delle piante che li avevano assaliti fino ad allora.

 

“Chi sei?” –Incalzò subito l’Amazzone, gettandosi su di lei e afferrandola per i capelli. –“Come osi attaccarci? Paventi forse uno scontro diretto da ricorrere a simili mezzucci di guerriglia?!”

 

“Eh eh eh… L’oscura giardiniera niente teme!” –Sibilò la sconosciuta, fissandola negli occhi per qualche istante. Quindi si voltò rapida, muovendo le gambe con estrema agilità e colpendo Pentesilea con un calcio di traverso, nonostante fosse ancora stretta nella catena di Andromeda, che subito aumentò la presa. –“Via da questi giocattoli!” –E sgusciò fuori dalla gabbia, sorprendendo i Cavalieri di Atena, ben consapevoli di quanto fosse vigorosa la presa dell’arma. –“Ci vuol ben altro per tenermi a bada! La corazza che indosso, al pari delle piante che controllo, è rivestita da piccole ghiandole che possono secernere una mucillagine collosa o lubrificante, che mi permette di aderire alle superfici o di scivolarvi addosso con facilità!”


“Ecco cos’era quella roba appiccicosa!” –Esclamò Phoenix, la cui armatura era ancora sporca dai resti lasciati dall’ultima stretta.

 

“Il bacio della drosera lascia evidenti strascichi!” –Ridacchiò la donna, aggiungendo sardonica. –“Ma non durano mai a lungo, poiché alle vittime resta ben poco da vivere! Solo il tempo di udire il nome della loro carnefice! Artemisia della Dionea Assassina, Nefaria dello Zodiaco Nero al servizio del grande Polemos!”

 

Polemos?! Il Demone della Guerra di cui Sirio ci ha parlato?!” –Intervenne subito Andromeda. –“Pare che la sua forza sia immensa!”

 

“Non pare, è! Siete fortunati ad aver incontrato me, e non lui, o non sareste ancora vivi! Non che siate destinati a rimanerlo ancora per lungo! Ah ah ah!”

 

“Se sei forte quanto vigliacca, sarà un bello scontro!” –Esclamò Pentesilea, facendosi avanti, la lama rivolta verso Artemisia. –“Ho molte compagne da vendicare!”

 

“No, fermati!” –La chiamò allora Andromeda, portandosi avanti, di fronte agli occhi stupiti del fratello. –“Lascia a me quest’avversario! Tu hai ben altro di cui occuparti, questioni ben più urgenti!”

 

“Questa donna ha infangato il mio nome, ha massacrato le mie sorelle, avvelenandole o in qualunque altro losco modo, io devo vendicarle!!!”

 

“Lo farò io per te! Tu sei una regina, una guida per il tuo popolo, e hai una missione da portare a termine! Condurre al sicuro i monaci indiani e i santoni che avete salvato, dietro le mura di Themiskyra! Non puoi attardarti ancora, non qua!”

 

Pentesilea rimase un attimo ad osservare Andromeda, l’ascia in mano, lo sguardo astioso che andava da lui ad Artemisia, finché, con uno sbuffo frustrato e un rapido colpo di tacchi, non ripose l’arma, dandogli ragione e voltandosi.

 

“Oltre ad essere un maschio irritante, ti porti dietro un fratello saccente! La lista dei tuoi difetti aumenta, Ikki di Phoenix!” –Brontolò, allontanandosi e strappando un sorriso al Cavaliere della Fenice.

 

“Vai anche tu! Temo che lei non sia l’unica!” –Gli disse suo fratello, trovando Phoenix concorde con i suoi sospetti. Spalancando le ali dell’Armatura Divina, il giovane dai capelli blu scattò avanti, aiutando Pentesilea a riunire le truppe e i profughi e a correre lesti verso Themiskyra.

 

Vedendoli allontanarsi, Artemisia si mosse per seguirli, ma Andromeda le si parò di fronte, le braccia aperte, le catene che tintinnavano ai lati, pronte per scattare ad un suo semplice comando mentale.

 

“Fai sul serio, a quel che vedo! Orbene, lottiamo allora, Cavaliere di Atena!” –Sibilò la Nefaria, espandendo il proprio cosmo color verde palude.

 

“Come sai che ad Atena sono fedele?!”

 

Umpf! Le gesta di cinque amici sono ormai leggenda, cantate già nei regni divini! E il mio maestro, che mi ha donato quest’armatura, mi ha parlato molto di voi! Male, intendo! Eh eh eh! Voi, i bastardi che hanno assassinato mio fratello, i Cavalieri della Speranza che non si son fatti remore nell’uccidere un ragazzo di quindici anni!” –Gridò Artemisia, l’indice destro puntato contro di lui.

 

“Che stai dicendo? Chi era tuo fratello?!”

 

“Vedi, neppure lo ricordi! E sia dunque, te lo farò ricordare io, Andromeda!!! Dionea assassina, colpisci!!!” –Strillò, mentre dal suo braccio destro sorgeva una gigantesca pianta carnivora di puro cosmo, le cui foglie aperte parevano bocche affamate che presto si chiusero sull’avversario.

 

“Catena di Andromeda, poniti a mia difesa!!!” –Esclamò quest’ultimo, mentre l’arma iniziava a roteare attorno a lui, in infiniti cerchi concentrici, generando un mulinello contro cui l’assalto nemico si infranse, senza riuscire a superarlo.

 

“Se dall’alto non posso passare, posso sempre provare… dal basso!” –Sibilò Artemisia, volgendo i palmi delle mani verso il suolo e infondendogli il proprio cosmo assassino. In un attimo un verde stelo sorse tra i piedi di Andromeda, allungandosi e aggrovigliandosi attorno alle sue caviglie, stringendo e chiudendo le gambe del ragazzo, facendolo barcollare e cadere di lato.

 

Memore di come Phoenix era stato intrappolato poc’anzi, il giovane bruciò subito il proprio cosmo, liberando una scarica di energia con cui polverizzò il filamento erboso, prima che crescesse ancora, ma presto altri ne sorsero tutto attorno a lui, in un tripudio di verde e di rosso. Sogghignando compiaciuta, Artemisia si preparò per sollevare le proprie creature, intrappolando così Andromeda e nutrendosi della sua energia, ma, con stupore, vide che il Cavaliere pareva disinteressarsi di loro, rialzandosi e iniziando a correre verso di lei.

 

Che… cosa?!” –Gridò, sollevando una barriera di piante a sua difesa, che Andromeda sfondò con la punta della propria catena d’attacco, abbattendosi poi su Artemisia e scheggiandone l’armatura. Cadendo a terra, la Nefaria si arrabattò subito per reagire, ma le sinuose armi del Cavaliere di Atena la raggiunsero all’istante, moltiplicatesi in così numerose copie che la donna non riuscì a schivarle tutte, venendo infine afferrata ai polsi, ai calcagni e al collo e bloccata. –“Non… crederti… di aver vinto… Mi basterà espandere ancora il mio cosmo e secernere abbastanza liquido da…

 

“So bene quel che potresti fare!” –Commentò Andromeda con voce atona, sorprendendo l’immobilizzato nemico. –“Ma non te ne darò il tempo!” –Aggiunse, concentrando il cosmo sulla mano destra e aprendola poi verso di lei, sì da investirla in pieno con una scarica di folgori rosa. Una dopo l’altra, si abbatterono su Artemisia da ogni direzione, colpendola persino in pieno volto, sfregiandoglielo e insistendo ancora, finché la donna, indebolita e spossata, non si lasciò cadere sulle ginocchia, grondando sangue. Ma anche allora le Catene di Andromeda non la lasciarono.

 

Vedi… quel che sostenevo è vero. Vi definite Cavalieri della Speranza, portatori di pace e giustizia, ma siete solo brutali assassini!” –Rantolò, sollevando la testa e osservando il giovane in Armatura Divina avvicinarsi a passo lento, senza nemmeno degnarla di uno sguardo. Quindi, quasi sentisse il bisogno di giustificare alcune sue affermazioni precedenti, raccontò quel che era accaduto a suo fratello. –“Il suo nome era Menas ed era stato scelto dal mio maestro per essere uno dei suoi guerrieri, primi membri della futura Armata delle Tenebre che un giorno, a sentir lui, avrebbe imperato sul pianeta! Una prova, in vista dell’ultima guerra! Così ci disse quando venne alla nostra porta, a Kos, a prendere mio fratello! Io, nei suoi progetti, sarei venuta dopo! Fu l’ultima volta che vidi Menas, poiché neppure il corpo mi fu riportato! Quando il maestro tornò, in diverse e più abominevoli forme, mi disse che i Cavalieri di Atena lo avevano ucciso, decapitandolo, e che egli, per risparmiarmi ulteriore sofferenza, aveva bruciato i resti, onorandolo anche a nome mio! E che quegli stessi Cavalieri di Atena lo avevano ridotto in quel modo, costringendolo a vivere come un’ombra! Capisci, ora? Capisci il mio odio nei vostri confronti?!” –Strillò la donna, cercando un cenno da parte di Andromeda, di approvazione, di comprensione, di odio, qualcosa che non fosse l’impassibile sguardo che le stava rivolgendo. Ma il ragazzo non disse alcunché, limitandosi a portarsi rapido alle sue spalle e ad afferrare le due estremità della catena con cui le stava bloccando il collo.

 

Tremando impaurita, Artemisia aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma Andromeda subito tirò da entrambe le direzioni, strappandole un gemito sommesso, prima di chinarsi e sussurrarle all’orecchio. –“Tutto quel che hai detto è vero. Noi siamo assassini!” –E la strattonò con così brutale forza da soffocarla, lacerandole infine la pelle del collo e imbrattando la catena di sangue nemico.

 

Solo dopo che il corpo senza vita di Artemisia rovinò a terra e le catene ripresero a scorrere lentamente lungo le braccia del ragazzo, riportandosi in posizione difensiva, Andromeda parve notare il liquido vermiglio che ne chiazzava gli anelli. Lo sfiorò, incuriosito, chiedendosi a chi appartenesse, prima di crollare sulle ginocchia, sopraffatto dall’enormità di un gesto che andava contro tutto quello in cui credeva, tutto quello per cui aveva sempre combattuto.

 

Come… ho potuto?!” –Si chiese, singhiozzando. Ma quando tentò di pulirsi gli occhi, si macchiò il viso di ulteriore sangue, che pareva moltiplicarsi ogni volta in cui soltanto le mani lo sfioravano, grondando implacabile lungo la sua corazza, come le lacrime dell’antica regina offerta in sacrificio a Nettuno. –“Non è possibile… io non posso aver commesso un simile crimine… Perché?! Perché?!” –Strillò, battendo i pugni sul suolo, mentre ormai la pioggia sembrava cessare, lasciando ovunque grosse pozzanghere di fango.

 

In una di quelle, a pochi passi da lui, comparve l’immagine di una donna, vestita di raffinati abiti di seta. Una figura snella, dal volto curato, con lunghi capelli castani e occhi verdi. Gli scivolò accanto, senza che lui neppure se ne accorgesse, poggiandogli la mano su una spalla e guardandolo con espressione affranta, ma serena, nient’affatto sorpresa.

 

Voi… qui?! Perché?!”

 

“Sono qui per guidarti, Andromeda!” –Replicò la pacata voce femminile. –“Per guidarti ad essere ciò che sei! Un assassino!” –

 

***

 

Da dietro il vetro dell’Occhio, Selene osservava il mare.

 

La chiamavano così, gli scienziati terrestri, quella particolare configurazione geologica del suolo lunare, sebbene di acqua non ve ne fosse ed avesse un aspetto ben diverso dalle distese marittime tanto care ad altri Dei del suo stesso pantheon. Eppure, al pari dei mari terrestri, anch’esso generava calma e stimolava la mente a pensare, a viaggiare lontano, ad andare oltre.

 

Oltre cosa? Si chiese la figlia di Iperione e Tia. Era già andata oltre tutto ciò in cui aveva creduto. Fisicamente, aveva lasciato il pianeta su cui imperava Zeus e si era rifugiata in quell’ermo satellite verso cui persino gli uomini parevano aver perso interesse. Emotivamente, inoltre, aveva rinunciato a tutto ciò in cui credeva, a quel sogno di pace e serenità che l’aveva spinta a fondare il Reame Splendente secoli addietro, assieme ad altre dimenticate Divinità. Aveva dato via tutto ciò che considerava importante, a partire dalle sue figlie, incuriosite e attratte dalla vita sul pianeta, dai combattimenti dei Cavalieri, da esperienze che la cattività imposta dalla madre aveva loro precluso. Poi il suo regno, invaso e messo a ferro e fuoco dai Signori della Guerra, e i suoi Seleniti, amici con cui aveva creduto di condividere un cammino, ma che adesso erano morti o l’avevano abbandonata, ripudiando tutti quegli ideali di pace in cui dicevano di credere.

 

Da Sin degli Accadi non si era mai aspettata niente, ben conoscendo la sua indole focosa e guerrafondaia, ma aveva sperato che la lontananza dai tumulti del pianeta la assopisse, anche grazie alla vicinanza di ben più miti Divinità, come il saggio Tecciztecatl, o Thot lo studioso del cielo o Mani, custode dell’ultimo legno di Yggdrasill. Invece tutti loro l’avevano delusa, tutti avevano scelto di combattere, lasciandosi trascinare da Atena e da Avalon in una spaventosa guerra che si sarebbe conclusa soltanto con la distruzione di tutti loro. Cos’altro avrebbero potuto ottenere, del resto, affrontando le ridestate ombre dei Progenitori?

 

Selene sapeva, da tempo ormai, quel che riposava nell’intermundi. Era stato Avalon a parlargliene tempo addietro, quando le aveva chiesto di ospitare il fratello sulla Luna, per proteggere il regno da un eventuale attacco. In verità, e solo adesso lo aveva capito, il Signore dell’Isola Sacra voleva solo mettere le mani sullo Scettro di Luna, il Talismano che Elanor celava, e lei, stupida, lo aveva permesso! Lei, ingenua, gli aveva permesso di portarle via la primogenita!

 

Un’improvvisa rabbia la invase per un momento, spingendola a colpire con forza il vetro della grande sfera. Lo percosse per qualche minuto, singhiozzando, finché, troppo debole e insicura, non dovette cedere alla stanchezza, accasciandosi contro la parete interna dell’Occhio. Sola.

 

Era così strano esserlo, adesso. Per tutti quei secoli vissuti fuori dal mondo, e forse anche dal tempo, aveva sopportato gli schiamazzi delle sue cinquanta figlie, che amavano rincorrersi per le molteplici stanze del palazzo, i non troppo celati tentativi di Elanor di farsi addestrare ad essere un guerriero, le richieste di Sin di intervenire negli affari degli Dei terrestri o le chiacchiere degli altri Seleniti, quasi sempre reminescenze di tempi che furono, a cui guardavano con nostalgia. Ma adesso, che di quel periodo non era rimasto niente, soltanto mura abbattute di sabbia lunare, realizzò quanto fossero stati importanti, tutti loro, per riempire la sua vita, per trasformare quel solitario satellite in un regno e in una famiglia.

 

Che cosa mi resta? Si chiese.

 

Passi leggeri sul pavimento la distrassero, spingendola a sollevare lo sguardo proprio mentre un giovane dai lunghi capelli celesti entrava nella sala, portandole una tazza fumante di un infuso appena preparato. Con dolcezza, la aiutò a rialzarsi, invitandola a sedersi sul morbido velluto di una sedia imbottita, carezzandole i capelli e pettinandoli all’indietro, in modo da rivelare il bellissimo viso dalla candida pelle che amava sfiorare con le labbra nelle loro eterne notti insieme. Fin dalla prima, in quella caverna nell’Elide, dove era iniziato il loro amore.

 

“Riposati, mia amata!” –Le disse, baciandola sulla fronte e tenendola stretta per lunghi istanti. Senza aggiungere altro, ma comprendendo, come solo anime unite da secoli di amore potevano fare, Endimione la consolò, infondendole quella sicurezza di cui aveva bisogno, colmando quel senso di perdita e protezione che l’aveva invasa da quando avevano lasciato Atene e l’assemblea. –“Prenditi tutto il tempo che vuoi! Ti aspetto nelle nostre stanze!” –Le mormorò, carezzandole un’ultima volta il viso e allontanandosi.

 

Come sempre, il figlio di Zeus non aveva detto niente, neppure avanzato l’ipotesi di criticare la decisione della compagna, e Selene non poté fare a meno di chiedersi quanto davvero fosse concorde o quanto la forza del loro amore, di quell’amore che gli aveva soffiato in sonno, secoli addietro, obnubilasse il suo giudizio. Quale che ne fosse la causa, Endimione era ancora lì. Al suo fianco. E a quell’unica certezza la Dea della Luna si aggrappò per farsi forza.

 

Ecco cosa mi resta! L’amore!

 

Che Atena e Avalon giocassero pure con i loro soldatini! Che Shen Gado e gli altri Seleniti andassero pure a morire! Lei non aveva bisogno di loro, lei aveva Endimione ed egli era tutto quel che desiderava! Egli era la sua vita, tutto il resto sarebbe pure potuto svanire, divorato da un’ombra che nessun’alleanza avrebbe potuto contenere!

 

Fu allora che udì dei rumori provenire dal salone di ingresso, un suono sgraziato ben lontano dall’eleganza con cui l’amato era solito muoversi. Invasa da un inesprimibile affanno, Selene si alzò di scatto, lasciando cadere la tazza e la sedia e iniziando a correre lungo le vuote stanze del palazzo, fino all’atrio centrale. Scalza, quasi ruzzolò sui gelidi gradini, inorridendo di fronte alla scena palesatasi di fronte ai suoi occhi.

 

Sulle scale esterne, proprio dove aveva accolto Atena, Avalon e i suoi seguaci, a due passi dalle colonne ove Asterios era solito suonare la cetra, allietando le giornate del reame, giaceva il corpo senza vita di Endimione, dilaniato da un unico affondo che gli aveva squarciato il petto, insozzandone le bianche vesti e strappandogli persino il dono di Zeus.

 

In piedi, sopra di lui, una donna alta e snella, dai lunghi capelli viola, rivestita da una tunica scura, reggeva in mano il cuore di colui che aveva tanto amato. Lo stringeva avidamente, inebriandosi del sangue divino che ruscellava sul suo braccio, e, non appena la vide, la salutò con un perfido sorriso.

 

“Non c’eravamo ancora presentati ufficialmente! Permettimi di rimediare! Il mio nome è Nyx, che è Notte! E sono tornata per finire il lavoro iniziato giorni addietro e che Avalon mi ha costretto a lasciare a metà!” –Quindi, senz’altro aggiungere, avvicinò il cuore sanguinolento al proprio volto e vi affondò i canini, ingorda.

 

A quella visione, Selene perse ogni controllo di sé e urlò.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo decimo: L'ora più buia. ***


CAPITOLO DECIMO: L’ORA PIU’ BUIA.

 

Sul pendio crivellato dell’Etna uno scontro violento stava consumandosi, tra Erebo, Signore dell’Oscurità Infernale, e uno sparuto gruppo di massacrate Divinità, che ancora tentava di resistere all’avvento delle tenebre. Con un’esplosione devastante, il Dio ancestrale scaraventò Ermes, Efesto, Eracle e Pegasus a molti metri di distanza, danneggiando le loro corazze e piombando poi sul Cavaliere di Atena, che così tanto interesse aveva in lui suscitato, con quel cosmo di notevole potenza che non avrebbe invece dovuto possedere.

 

“Sentiti onorato, cavalluccio dei cieli, sarai il primo a cadere, per la gloria di Erebo!” –Sibilò il Nume, ergendosi dominante su di lui, con le dita della mano destra tese a guisa di spada e il braccio carico di energia oscura. Lo calò lesto sul ragazzo, ma questi fu ancora più rapido a rotolare di lato, sfruttando la declività del versante, e a portarsi ad una certa distanza, sebbene Pegasus fosse certo che nessuna distanza lo avrebbe messo al sicuro da lui. –“Esiti, Cavaliere?! Non vuoi abbracciare la mia tenebra? Forse credi non sia adatta a te, che così disperatamente aneli alla luce? Orbene ti sbagli, perché la luce che tanto ami ti è stata donata dagli Dei ancestrali, al pari delle tenebre stesse, è un dono nostro ed è giunto il momento di riprendercelo!”

 

“Di che vai cianciando?!” –Borbottò Pegasus, tenendosi il braccio destro dolorante. Non lo avrebbe di certo ammesso, ma gli doleva oltre ogni dire, ustionato fino alle ossa da quell’aura venefica che soltanto standogli vicino Erebo poteva emanare.

 

“Non conosci la storia della luce e dell’ombra? Dunque non sai neppure contro chi stai combattendo, Cavaliere di Atena! Una lacuna non da poco in una strategia bellica, non credi?!” –Rise Erebo con quella voce cavernosa, resa ancora più metallica dalla maschera che gli copriva il volto. –“E sia, te la racconterò in breve, come regalo per il cosmo che sei stato in grado di tirar fuori da quel corpo mortale! Agli albori del Mondo Antico, dopo che il nostro signore Caos ebbe generato la vita, nacquero i primi Dei, e Nyx, mia madre e sposa, che avete di recente incontrato, fu la prima ad essere generata. Ella è la Notte del mondo e dal suo grembo fui partorito io, Erebo, la Tenebra Infernale, due diversi gradi di oscurità, uno per il regno dei vivi e uno per quello dei morti. Ma Caos, munifico e misericordioso, comprese che gli uomini non potevano vivere nell’ombra, poiché nessuno avrebbe potuto ammirare il grandioso lavoro di creazione che aveva compiuto. Così Nyx ed io ci unimmo, generando gli Dei gemelli, Etere ed Emera, la luce del cielo ed il giorno, in modo da costituire un quartetto perfetto di Divinità ancestrali, concorrenti e complementari nei nostri poteri. Ma adesso, a giudicare dallo scempio che voi uomini avete fatto dei doni del cielo, è arrivato il momento di portarvi via tutto e ritornare a quel buio primordiale in cui la vita ha avuto origine, e dove finirà! Addio, Cavaliere di Pegasus!” –Declamò il Nume, puntandogli contro l’indice destro su cui il suo cosmo lampeggiò vivido.

 

“A terraaa!!!” –Gridò una ruvida voce maschile, afferrando il paladino di Atena e gettandolo contro il suolo, schiacciato da un robusto corpo che venne in parte raggiunto e ferito dal fulmineo attacco di Erebo.

 

So… Sommo Eracle!!!” –Lo riconobbe Pegasus, mentre il figlio di Zeus affannava nel rimettersi in piedi.

 

“Stai bene, ragazzo?!” –Ma Pegasus non ebbe il tempo di rispondergli che già Erebo era balzato in alto, dirigendo migliaia di strali di energia oscura contro di loro, che dovettero separarsi e correre in ogni direzione per evitarli, sebbene quella pioggia continua non accennasse a perderli di vista, seguendoli in ogni passo.

 

Ahu ahu ahu! Correte, sì, correte a nascondervi come topi! Ma non vi sono nascondigli in questo mondo ove le tenebre non possano arrivare!” –Rise l’ancestrale Nume.

 

Eracle, dopo una breve corsa, capì che le parole avversarie erano vere così si fermò e tentò di rispondere ai colpi di Erebo, espandendo il proprio cosmo e generando un’onda di energia su cui la pioggia nera si infranse.

 

“La tua fede negli uomini non basterà a salvarti, figlio bastardo di Zeus! Come puoi aver fede in una razza così debole e immatura? Ti perderai, per questo!” –Chiosò la Tenebra Ancestrale, aumentando l’intensità dell’assalto, ormai diretto per intero contro di lui, fino a piegarlo a terra, ancora con un braccio alzato, ancora con quell’onda di energia a sua difesa, sebbene molti fossero comunque gli strali oscuri che la stavano trapassando in più punti. –“Muori, Protettore degli Uomini! Che la tua morte sia da monito per l’umana stirpe!”

 

“No!!!” –Gridò Eracle, bruciando al massimo il proprio cosmo divino e trovando persino la forza per rimettersi in piedi, spingendo entrambe le braccia avanti, cariche di una così elevata quantità di energia che Pegasus poche volte aveva percepito.

 

Fu quel gesto, quella postura di sfida, di mancata rassegnazione, a spingerlo a reagire. Aveva corso lungo il versante devastato, osservando i corpi moribondi degli Heroes sparsi sul terreno, finché l’intensità della pioggia di daghe non era scemata, dirigendosi per intero contro il figlio di Zeus, un Dio che non aveva mai incontrato, non di persona almeno, per quanto qualcosa, nei suoi ricordi o forse nelle memorie di vite passate, gli fosse familiare. Infastidito da quei pensieri fuorvianti, Pegasus scosse la testa, avvampando nel proprio cosmo celeste e scattando verso il cielo, incurante del dolore al braccio destro, che portò avanti, liberando il suo massimo assalto.

 

Cometa di Pegasus!!!” –Gridò, mirando alla schiena del Nume, ancora intento a dirigere i suoi attacchi contro Eracle, e strappandogli un gemito di genuina sorpresa. Gemito che comunque non gli impedì di spostarsi di lato, mentre la luminosa sfera gli sfrecciava davanti andando proprio a cozzare contro l’enorme massa energetica radunata dall’eroe di Tirinto, lasciando che esplodessero al sol contatto.

 

“Bum!” –Sibilò divertito Erebo, balzando indietro con un’agile piroetta a mezz’aria e atterrando poco sopra i due avversari, separati adesso da un enorme cratere che aveva ulteriormente sfigurato la morfologia del rilievo. Ghignando divertito, il Tenebroso li osservò, stanchi e fiaccati, crollare uno dopo l’altro ai margini di quel buco enorme, proprio mentre un ronzare metallico richiamò la sua attenzione.

 

Voltandosi verso il cielo, Erebo vide due strani apparecchi volare sopra l’Etna, congegni a lui ignoti ma che di certo dovevano essere prodotti dall’ingegno umano. Due scatole di metallo sopra le quali delle lastre grigie dello stesso materiale roteavano all’impazzata, producendo quel rumore fastidioso.

 

“Abbiamo dei visitatori!” –Commentò, sollevandosi grazie al proprio cosmo e avvicinandosi per vedere meglio, osservando così lo stupore dipingersi sui volti degli uomini che effettivamente alloggiavano dentro quegli strani apparecchi volanti. Uno di loro impugnò quella che a Erebo parve un’arma e la puntò contro di lui, sparandogli contro una serie di pezzetti di metallo che andarono vaporizzandosi al solo contatto con l’aura mefitica che lo avvolgeva, stupendo ulteriormente quegli uomini. –“Patetici esseri umani!” –Sibilò, aprendo le braccia di lato e generando, da ciascun dito artigliato, un dardo di energia oscura che coprì in un lampo la breve distanza dagli elicotteri, raggiungendoli e facendoli esplodere.

 

In un tripudio di risa e lacrime di contentezza, Erebo atterrò di nuovo sul pendio dell’Etna, mentre le carcasse degli aeromobili e dei loro occupanti piovevano ovunque attorno a lui.

 

Sei… un folle omicida!” –La voce di Pegasus lo raggiunse poco dopo, mentre il ragazzo affannava nel rimettersi in piedi. Erebo lo osservò incuriosito, quasi affascinato da quella determinazione che non aveva mai trovato in alcun essere umano: aveva l’armatura danneggiata in più punti, addirittura distrutta attorno al braccio destro, numerose ferite aperte sul corpo e sul viso, eppure si alzava ancora, mentre Eracle e gli Dei dell’Olimpo giacevano riversi a terra.

 

“Perché?!” –Non poté fare a meno di chiedersi, avanzando a passo deciso verso di lui, deciso a studiarlo in profondità, a capire il mistero che la sua figura suscitava.

 

Vedendolo arrivare, Pegasus sollevò le difese, bruciando il proprio cosmo al massimo, come aveva fatto ogni volta in cui aveva dovuto lottare per la sua stessa vita, ultimo baluardo per la difesa delle genti del pianeta e di Atena.

 

Fulmine… di… –Rantolò, portando avanti il braccio destro. Ma prima ancora di riuscire a liberare la pioggia di stelle, capì che Erebo si era già portato dietro di lui e gli aveva afferrato il braccio, torcendoglielo in una posizione innaturale, strappandogli un grido disperato che saturò la caliginosa aria di quel giorno d’autunno. Un’ultima pressione e il rumore sordo di un osso che si spezzava. –“Aaahhh!!!” –Gridò il Cavaliere, crollando a terra e là rimanendo, il volto impastato di sangue, polvere e sconfitta. Non che fosse la prima ferita in una battaglia, ne aveva subite molteplici nel corso degli anni e vi era stato persino un tempo in cui, giovane ragazzino arrogante, aveva ritenuto che ogni ferita fosse una medaglia di cui un maschio avrebbe potuto gloriarsi, un segno di virilità e coraggio. Col tempo aveva abbandonato quei pensieri un po’ barbari, pur rimanendo convinto della necessità di rischiare sempre, di osare sempre, contro qualsiasi nemico, indipendentemente dal costo. Il calcolo del rischio era un gioco che non aveva mai praticato.

 

Eppure, in quel momento, con l’alito nero del Tenebroso che incombeva su di lui, schiacciandolo in una fossa che presto sarebbe divenuta la sua tomba, capì di essere inutile, di non poter fare niente contro una così potente e antica Divinità. Anche Eracle e gli altri Dei dovevano averlo capito, abbandonatisi tutti a quell’ultimo torpore che presto li avrebbe abbracciati in maniera definitiva.

 

“Che stai facendo? Rialzati, Pegasus!” –Esclamò una voce all’improvviso, catturando l’attenzione del Cavaliere. –“Da quando ti lasci andare? Da quando hai rinunciato a credere in te stesso?”

 

Pegasus mosse appena un occhio, mettendo a fuoco una luccicante immagine appena apparsa sul campo di battaglia. Gli bastò guardare l’armatura che aveva addosso per capire chi fosse, ricordando bene quel che Lady Isabel gli aveva raccontato sulla Luna. Giovane e bello, con mossi capelli neri e occhi scuri, Bellerofonte di Pegasus lo fissava con sguardo deluso.

 

“Sei il Cavaliere della Speranza! Per Atena e per gli uomini tutti! Non vuoi tenere fede al tuo nome?”

 

“Contro Erebo… non c’è speranza…” –Mormorò il ragazzo, strappando un sorriso al suo antico predecessore.

 

“Forse è così! Ma anche contro Gemini lo credesti, eppure quattro amici ti diedero la forza per arrampicarti, privo di sensi, su un’erta scalinata e recuperare l’Egida che salvò la nostra Dea? E contro Nettuno? Pur di fronte alla vanità dei tuoi tentativi, a quella maledetta freccia d’oro che continuava a tornare indietro e a ferire a morte i tuoi compagni, rischiasti tutto quello che avevi di caro? La tua vita e quella dei fratelli con cui hai condiviso il cammino. Di certo lo ricordi, non hai bisogno che uno sconosciuto te lo rammenti! Ma ciò che non puoi sapere è che questo sconosciuto che ti osserva da tempo, da quando indossasti per la prima volta l’armatura del destriero alato, crede in te, ultimo eroe di una lunga stirpe! L’ultimo anello di un’epopea iniziata molti secoli addietro! Su te ricade l’onore e l’onere di difendere Atena, la Dea di tutti noi Cavalieri! Se non lo farai tu, anch’ella scivolerà nell’ombra! E io non posso accettarlo, Pegasus! Non posso ammettere di aver atteso così tanto solo per vederla morire nell’infelicità e nel dolore della sconfitta! Per cui rialzati, Cavaliere, per tutti i motivi che sai giusti, per donare amore ad una Dea che scelse di privarsene secoli addietro e per combattere con lei, tutti assieme, contro l’ombra!”

 

Bellerofonte… io… lo farò!” –Rantolò Pegasus, chiudendo le dita a pugno, mentre Erebo, sopra di lui, calava di nuovo il tacco sulla sua schiena, spaccandogli un’altra placca dell’armatura. –“Brucia cosmo delle tredici stelle! Brucia come hai sempre bruciato fin dal Mondo Antico! Per Atena!!!” –Gridò, mentre tutto il cosmo accumulato, tutta la fede che aveva sempre provato nel lottare per l’umanità e la giustizia, esplodeva repentino, in un bagliore abbacinante che stupì lo stesso Erebo, scagliandolo molti metri addietro.

 

Co… cos’era quello?!” –Annaspò sorpreso, sollevando le braccia di fronte a sé. Per qualche istante rimase immobile, temendo un nuovo attacco del giovane, ma quando vide che era riverso al suolo, il braccio destro giù lungo disteso, inutile ormai, rilassò la propria postura, osservando i bracciali della corazza delle tenebre, che maggiormente erano stati esposti all’improvvisa vampata del cosmo avversario. Li tastò, stupefatto, trovandoli caldi, persino fusi in alcuni punti, e inorridì, conscio di quel che il Cavaliere avrebbe potuto fare se fosse stato al pieno delle sue forze.

 

Il Nono Senso. Mormorò, mentre un velo di preoccupazione calava sui suoi occhi rossi. No, che sciocco. Non può essere quello, i corpi riversi di Efesto, Ermes ed Eracle lo testimoniano. Pegasus è già oltre!

 

I suoi pensieri furono interrotti dalla lucida consapevolezza che lo spinse ad avanzare verso di lui, il cosmo oscuro che cresceva attorno al suo corpo. Aveva sottovalutato fin troppo quel ragazzino, credendo fosse solo un semplice essere umano, ma adesso avrebbe rimediato al suo errore, estirpando in toto la remota possibilità che qualcuno potesse tenergli testa.

 

“Addio, campione tra gli uomini!” –Gridò, sollevando il braccio e aizzando un’onda di energia oscura, che sfrecciò verso il corpo inerme di Pegasus. Fu solo all’ultimo che vide una figura schizzare davanti a lui, aprire le braccia di lato e gridare.

 

Specchio delle Stelle!!!” –E una muraglia trasparente, di puro cosmo, si interpose tra il suo assalto e la preda, una muraglia che il suo ideatore faticava a tenere in piedi e che un attimo dopo Erebo mandò in frantumi, semplicemente sbattendo le palpebre, scaraventando indietro l’impavido eroe che si era eretto a difesa del Cavaliere di Atena.

 

Prima ancora che potesse fare altro, il Nume si accorse di essere attorniato da una selva di piume rosacee, mentre una nenia riempiva l’aria, una nenia che uno dei guerrieri di Eracle aveva appena intonato.

 

Eterna danza di piume!” –Cantò Adone dell’Uccello del Paradiso, suscitando l’ilarità della Tenebra Ancestrale.

 

“Vorresti intrappolarmi in una gabbia di piume? Giovane eroe, sei quantomeno stupido da credere che una simile tecnica possa avere effetto su di me?!” –Avvampò, espandendo il proprio cosmo mortifero che fece appassire le piume e scivolò sinuoso verso il guerriero cipriota.

 

“Quel tanto che basta!” –Si limitò a commentare quest’ultimo, mentre veniva stritolato dalla spirale tenebrosa, che quasi gli mozzò il respiro. Fu allora che una voce ruggì alle spalle del Nume Primordiale, anticipando una devastante zampata di energia.

 

Ruggito dell’Orso Bruno!!!”

 

“Di nuovo?! Siete monotoni e privi di strategia!” –Rise Erebo, voltandosi e aprendo il palmo della mano di fronte a sé, su cui l’affondo energetico impattò, spingendolo indietro di qualche passo, scavando solchi nel terreno, prima di esaurirsi, di fronte allo sguardo attonito di Nestore dell’Orso. –“Sei morto, gigante!” –E glielo rimandò indietro, nella sua totalità, aggiungendovi anche una miriade di dardi di energia che crivellarono la corazza del guerriero, scaraventandolo molti metri a valle, in un lago di sangue. –“Pare che la festa sia finita!”

 

“Non ancora!” –Tuonarono alcune voci tutte assieme, portando Erebo a voltarsi e ad osservare tre Divinità rimettersi in piedi, pur con le armature danneggiate e i volti pesti e logori. –“Tre Divinità del defunto passato che l’ombroso vento del presente adesso spazzerà via!” –Ironizzò, lanciandosi alla carica.

 

Kerykeion!!!”

 

Ermes fu il primo ad attaccare, dal punto più alto in cui si trovava, liberando un rapido fascio di energia, simile ad una lunga asta attorno alla quale erano avviluppati due serpenti, che piombò su Erebo, costringendolo a scartare di lato, per evitarlo. Così facendo, il Nume venne investito dalla marea di lava ardente scatenata da Efesto che, con un ginocchio e una mano a terra, stava fondendo l’intero versante del vulcano, mutandolo in magma. Una grossa bolla esplose proprio di fronte al Tenebroso, distraendolo quel tanto di cui Eracle ebbe bisogno per balzare in alto e scatenare il più furente dei suoi attacchi, quello che comprendeva le vittorie e le stragi del suo passato.

 

Fiere del mito!!!” –Tuonò il Campione di Tirinto, mentre una tempesta energetica piombava su Erebo, una tempesta che aveva la forma delle bestie da lui affrontate nel Mondo Antico. Osservandola stranito, quasi affascinato, il Nume Ancestrale vide l’Idra di Lerna, il Leone di Nemea, gli Uccelli di Stinfalo, persino Ladone, spalancare le fauci e puntare verso di lui, dome e ormai schiave della forza del Protettore degli Uomini. Rise, per quella situazione stramba in cui, secondo i tre Olimpi, avrebbe dovuto essere vinto proprio da simili fiere infernali, progenie degli Dei Ancestrali, e fece per muoversi, accorgendosi solo allora che il magma ardente era solidificato attorno alle sue gambe, pietrificandolo sul posto. Poté solo lanciare a Efesto uno sguardo indemoniato prima che la tempesta di energia lo investisse in pieno.

 

“Incredibile!” –Mormorò Pegasus, una ventina di metri più in basso, osservando il devastante assalto raggiungere Erebo. Un potere così vasto e al tempo stesso fresco e vigoroso, nobile ed eroico, che sembrava tracimare dai confini del mito. Sorrise, per quanto gli facesse male persino tendere i muscoli facciali, rimettendosi in piedi a fatica e iniziando ad avanzare verso lo scontro in atto.

 

Erebo era imbestialito. L’attacco di Eracle lo aveva travolto in pieno petto, piegandolo all’indietro, ma essendo le sue gambe murate dentro il suolo aveva sentito anche dolore agli arti inferiori. Dolore. Qualcosa che mai aveva provato fino ad allora, neppure quando la Prima Guerra era terminata e la sua esistenza, e quella degli altri Progenitori, era giunta al termine. Almeno per quell’epoca.

 

Era stato un trapasso indolore, in fondo, un atto di misericordia per permettere al loro creatore di combattere quegli insulsi esseri umani che avevano ardito ribellarsi a lui, al genitore che aveva dato loro la vita. Con quel disprezzo nell’animo, aveva accettato di buon grado la richiesta di Caos ed era scomparso dall’esistenza. E adesso, a eoni di distanza, continuava a provare lo stesso disgusto per la razza umana e per quegli insulsi Dei minori, nati da una costola delle antiche entità, che claudicavano nel difenderli.

 

“Una folliaaa!!!” –Tuonò, avvampando nel proprio cosmo oscuro, che esplose attorno a sé, liberandolo da quella temporanea prigionia di roccia e magma e permettendogli di ergersi in tutto il suo terrificante splendore. –“E la follia va estirpata nell’unico modo possibile! Tagliandole la testa e cicatrizzandola con il fuoco dell’oblio, sì da non permetterle di rinascere! Lo sai bene, Eracle, poiché così tu vincesti l’Idra, nevvero?!” –Sghignazzò il Nume, lasciando scivolare la tenebrosa aura mefitica lungo l’intero pendio, assorbendo ogni forma di vita, svuotandola di ogni energia.

 

Appassirono erba e piante, si sgretolarono rocce e pietre, crollarono a terra tutti i guerrieri e gli Dei che attorniavano il Signore delle Tenebre, prostrati da conati di vomito, da fitte così profonde che avrebbero fatto rimettere loro persino l’anima. Soddisfatto dall’udire quei gemiti di sofferenza, Erebo volse lo sguardo attorno a sé, ad osservare coloro che avevano tentato di resistergli e che, dovette ammettere, l’avevano impegnato più di quanto avesse creduto inizialmente, specialmente uno, quel ragazzo dalla danneggiata armatura azzurra.

 

Solo perché ho voluto giocare con loro! Si disse il Nume, torcendo le labbra sotto la maschera terrificante e lasciando che gli occhi rossi lampeggiassero divertiti al pensiero della sua prossima mossa.

 

Mi… sento prosciugare…” –Mormorò Adone, che non riusciva a stare in piedi con le poche forze che gli restavano.

 

“È come… se ci stesse svuotando di ogni energia!” –Concordò Marcantonio dello Specchio, trascinandosi inerte lungo il pendio, desideroso di unirsi al Sommo Eracle e lottare con lui ma incapace anche solo di chiudere le dita a pugno. –“Presto del nostro corpo rimarrà solo un simulacro di paura e morte… niente più…

 

“No! No! Io non ci sto!!!” –Ringhiò Nestore dell’Orso, affannando nel disperato tentativo di rialzarsi, ma crollando ripetutamente al suolo. –“Abbiamo aspettato secoli per cosa? Per morire qua, alla prima occasione di lotta? Che ne è stato di tutti i nostri ideali, dei ricordi dei giorni lieti trascorsi assieme a Tirinto, dei compagni che abbiamo lasciato indietro? Dobbiamo… contrastare quest’ombra infinita!”

 

“Nestore ha ragione!” –Parlò allora il figlio di Zeus e Alcmena. –“Troppo dipende da noi, le sorti di un mondo intero che abbiamo giurato di proteggere! Vogliamo abiurare alla nostra stessa promessa?!”

 

Gli Heroes non risposero alcunché, limitandosi a bruciare quel che restava dei loro cosmi, contrastando con essi i venefici effetti dell’aura nociva di Erebo, e a rimettersi a fatica in piedi. Eracle aveva già fatto lo stesso, imitato da Ermes, Efesto e dal Cavaliere di Atena. Adesso erano tutti attorno al Nume Ancestrale, avvolti nei loro cosmi portati al parossismo, sette punte di un eptagono i cui colori traballavano pallidi, schiacciati dalla montante marea d’ombra.

 

“Grazie, Cavaliere di Pegasus!” –Gli disse Eracle. –“Vederti combattere, pur tra mille difficoltà e patimenti, ha ricordato a me e agli altri figli di Zeus per cosa lottiamo! Se un uomo è disposto a tanto, possono gli Dei essere da meno?!”

 

Ermes ed Efesto annuirono, preparandosi a liberare i propri colpi segreti, certi ormai di avere a disposizione solo un’ultima possibilità. E forse neppure quella.

 

Erebo sogghignò, sollevando ambo le braccia sopra la testa, mentre l’aura tenebrosa che lo attorniava si innalzava di conseguenza, divenendo un’altissima barriera che confluì in una spirale d’ombra proprio sopra di lui. Prima che potesse fare qualsiasi cosa, gli Heroes attaccarono dal basso.

 

Ruggito dell’Orso Bruno!!!” –Tuonò Nestore, subito affiancato da Adone e da una tempesta di fiori di energia, prima che la voce di Marcantonio sovrastasse entrambi, rilasciando un tripudio di colori. –“Cadi Erebo! Sotto il Glorioso Inno degli Eroi!”

 

Il triplice assalto sfrecciò verso il Nume alla velocità della luce, senza che ne fosse affatto turbato. Ghignò, socchiudendo gli occhi di brace, mentre l’energia nemica confluiva nella spirale d’ombra, venendone risucchiata, un attimo prima che il Nume abbassasse le braccia, rilasciando una devastante onda di tenebra che travolse gli Heroes, risucchiandoli in un vortice che maciullò le loro corazze e i loro corpi. 

 

“Scappate!!!” –Gridò loro Eracle, gettandosi poi all’assalto, il cosmo che riluceva lungo l’arto destro. –“Fiere del mito!!!” –Ermes ed Efesto colpirono all’unisono e dopo di loro fu Pegasus a caricare, servendosi del braccio sinistro, con cui scagliò la Cometa Lucente verso il comune nemico.

 

Ridendo sguaiatamente, Erebo mosse le braccia verso il basso, servendosi della corrente venefica per darsi lo slancio e balzare in alto, con una grazia che stupì gli Olimpi, prima di riportare gli arti sopra il capo, l’intero corpo avvolto da una spirale d’ombra e radunare il cosmo in un’unica gigantesca sfera nera.

 

“La fine che tanto paventavate è giunta! Addio, Dei moderni! Addio, uomini mortali! Questo è il giorno che dissolverà il mondo terreno in cenere, il risveglio del giudice severo, re di tremendo potere! Questo è il giorno dell’ira!!! Dies irae!!!”

 

La devastante sfera di energia fagocitò gli attacchi avversari, disperdendoli come fossero brezza, prima di abbattersi tra Pegasus e i figli di Zeus, sventrando il fianco del vulcano, ed esplodere in una tempesta energetica, mista ai lapilli e ai fiotti di lava che schizzavano ovunque. Per prima l’inarrestabile onda mirò a Eracle, la cui corazza già distrutta lo rendeva bersaglio facile, ma non riuscì a raggiungerlo completamente, frenata dall’agile balzo di una figura che colpì il Dio al petto col tacco dell’armatura, spingendolo fuori dal nucleo centrale dell’assalto.

 

Adoneee!!!” –Gridò il Campione di Tirinto, osservando il giovane Hero dell’Uccello del Paradiso venire completamente disintegrato dall’oscura bufera.

 

Anche Efesto e Ermes vennero investiti dalla tormenta di ombra e lava, ma il primo riuscì ad afferrare il Messaggero, offrendo la schiena all’assalto, sperando che la maggiore resistenza della sua corazza potesse offrir loro adeguata protezione. Infine fu Pegasus ad essere sbattuto a terra, le ali dell’armatura divina richiuse attorno a sé, sprofondando in una crepa nel terreno e precipitando in un lago di magma.

 

Quando Erebo atterrò di nuovo, sul devastato fianco dell’Etna si pulì le mani dalla polvere, guardandosi attorno ammirato: il pendio era ricoperto da uno strato di lava che aveva inglobato l’intero paesaggio, conferendogli un aspetto infernale e cancellando ogni traccia dei suoi avversari. Non c’era voluto molto, si disse, a sgominare le loro difese ed era stato persino divertente. Una guerra, in fondo, lo divertiva sempre, soprattutto quella, che sarebbe stata l’ultima, poiché dopo di essa gli Dei non sarebbero esistiti più. Sghignazzando, enumerò sulle dita coloro che ancora potevano opporsi a lui, cercandone traccia nelle battaglie che stavano infuriando sul pianeta in quel momento. Atlante ruggiva ad Atene, e gli Dei di Luce erano con lui, motivo più che sufficiente per ritenere che l’intera Grecia sarebbe stata cancellata, a breve, dalla carta geografica del nuovo mondo. Polemos e i suoi scagnozzi si stavano occupando del Sole d’Egitto, la cui luce era destinata a tramontare quanto prima. Sospirando, volse lo sguardo verso nord, realizzando che a lui era rimasta un’opzione sola, che per la verità ben poco lo aggradava. Sapeva infatti che, grazie agli inganni di Loki e Anhar, nessun Dio era rimasto ad Asgard.

 

Pazienza! Vorrà dire che mi sbrigherò molto velocemente! Ironizzò, prima di avvolgersi nel suo cosmo oscuro e sfrecciare nel cielo nero, diretto verso settentrione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo undicesimo: La strega delle tempeste ***


CAPITOLO UNDICESIMO: LA STREGA DELLE TEMPESTE.

 

Polemos non fu affatto sorpreso quando vide le forze alleate all’Egitto intervenire in aiuto di Amon Ra. Quel che lo colpì fu la moltitudine di guerrieri giunti, la diversità delle loro corazze e quindi della loro provenienza.

 

C’erano quattro Cavalieri che indossavano armature dalle forme aerodinamiche, due dei quali impugnavano una spada luminosa e un lungo scettro dorato, che il Lord Comandante etichettò subito come seguaci di Avalon, portatori dei Talismani. Dietro di loro un centinaio di soldati dalle uniformi simili tra loro, anche se non fu sicuro che fossero realmente soldati. A vederne i volti, la statura, l’aspetto fisico in generale, parevano più officianti, strenui fedeli di qualche divinità solare, come testimoniato dall’enorme sole dalle sembianze umane disegnato sulle loro vesti sgargianti, di colori caldi e luminosi. Polemos sorrise alla vista di quel simbolo, che pretendeva di dare volto umano ad una potente entità come il Signore del Sole, qualunque culto lo evocasse. Fu distratto da una serie di scontri in corso ai margini del rozzo cerchio ove l’Esercito delle Tenebre era ammassato, obbligato a sollevare lo sguardo e ad osservare un uomo atletico, rivestito da una corazza dorata, sfrecciare in mezzo ai suoi soldati e falciarne la vita con un reticolato di vivida luce, mentre, poco oltre, un ragazzetto dai capelli blu camminava a pochi passi dal suolo emettendo vampe di calore con cui incenerì una muraglia di golem.

 

Umpf! Quanta sfrontatezza! Si disse, incamminandosi in quella direzione, lasciando Chimera, alle sue spalle, a fronteggiare la Dea Gatta e il Dio Falco, appena giunto in suo aiuto. Non ebbe modo però di fare nemmeno tre passi che un muro di fuoco sorse di fronte a lui, espandendosi ai lati e divenendo presto una gabbia di vivide fiamme.

 

“Chi osa sbarrarmi il passo?” –Tuonò, muovendo il braccio destro per annientare quelle lingue di fuoco con un’onda di energia, ma accorgendosi di poterle piegare ma non spegnere completamente. –“Fiamme di puro cosmo! Di un livello ben superiore ai trucchetti della Leonessa d’Egitto!” –Rifletté, mentre, oltre la barriera infuocata, un’imperiosa figura apparve.

 

Alto, robusto, con corti capelli scuri e occhi neri, fissi su di lui, indossava una maestosa armatura di colore vermiglio e pareva che le fiamme stessero danzando attorno a lui, come cuccioli felici di vedere il loro padrone.

 

“E così devi considerarmi, il Signore del Fuoco!” –Esordì con voce maschile. –“Il mio nome è Andrei e sono il tuo avversario!”

 

“Credi di esserne in grado?!” –Sogghignò Polemos, nient’affatto turbato, mentre l’Angelo puntava un dito verso di lui, cingendolo d’assedio con vampe sempre più intense e alte, che giunsero a lambire le sue ricche vesti decorate, strappandogli un moto di stizza e di rabbia.

 

“Quale affronto!!!” –Abbaiò, liberando un’esplosione di energia che annientò le fiamme e la sabbia attorno, lasciandolo solo al centro di un piccolo cratere e obbligando persino Andrei ad incrociare le braccia davanti al volto per resistere alla pressione di quell’onda improvvisa. –“Piegati, sì, piegati a me!!! Quella è la posizione cui devono prostrarsi i guerrieri inferiori!” –Aggiunse, mentre un’enorme forza psichica premeva sulla schiena dell’Angelo di Fuoco, spingendolo al suolo.

 

Andrei tentò di resistere, di opporsi a quella morsa invisibile che tentava di torcergli le sue ginocchia, di renderlo gobbo e schiavo del Lord Comandante, ma capì presto quanta fatica ciò gli costasse. Ricordò allora un vecchio insegnamento di suo fratello, ai tempi in cui erano soliti allenarsi assieme, lui per imparare qualche trucco mentale, al cui studio poco tempo amava dedicare, l’altro per irrobustire il suo fisico, all’apparenza più gracile del muscoloso Angelo di Fuoco.

 

“Se non puoi vincere un potere, unisciti ad esso. Se non puoi contrastare l’impeto di un fiume, fatti trascinare dallo stesso.”

 

E aveva ragione. Si disse Andrei, abbandonando ogni difesa e lasciando che la morsa mentale lo piegasse a terra, sprofondandolo molti metri dentro la sabbia, di fronte allo sguardo soddisfatto e divertito del Demone della Guerra. Solo dopo qualche secondo di vanitosa compiacenza, quest’ultimo notò che il terreno attorno a sé stava iniziando a bollire, mentre volute di fumo parevano nascere dalla sabbia, e la stessa sabbia, constatò stranito, sembrava liquefarsi, fondendosi in una poltiglia incandescente simile a magma. E lui stava proprio al centro di quel lago di lava, ove grosse bolle gorgogliavano pigre, esplodendogli vicino e schizzando le sue regali vesti.

 

Concentrò i sensi, per trasferirsi poco oltre, ma si accorse di non riuscire a muoversi, inchiodato da quel campo di forza esteso quanto il lago di magma, una gabbia che gli permise di comprendere quel che era accaduto. Torse le labbra in un ghigno perverso, proprio mentre centinaia di sagome, lontanamente umane, parevano plasmarsi dalla massa lavica, avanzando verso di lui, con le braccia protese, pronte a stringerlo in un ardente e mortifero abbraccio.

 

“Andate via, spettri di fuoco!!! Non osate sfiorare le mie vesti!” –Strillò, più infastidito che allarmato, aprendo il palmo e scatenando onde di energia, annientando man mano le varie figure deformi, girando di continuo su se stesso, per fronteggiare l’attacco da ogni direzione.


“Ah ah ah! Ti preoccupi dei tuoi begli abiti, Lord Comandante, e non della tua vita? Hai una strana concezione di ciò che è importante!” –Commentò allora una voce maschile, che pareva provenire da una di quelle sagome, senza che Polemos riuscisse a comprendere da quale. –“Ma cosa dovevo aspettarmi, in fondo, da un Demone della Guerra, di certo non il rispetto per la vita, che continuamente calpesti con questo scalcinato esercito che ti segue! Più per terrore che non per fedeltà!”

 

“La fedeltà dell’Armata delle Tenebre agli Dei Ancestrali è indubbia!” –Rispose piccato Polemos, spaziando con lo sguardo tra le varie figure di magma, cercando di individuare il suo potente avversario.

 

“Un legame basato sul terrore non sarà mai forte quanto la fede di chi lotta per un ideale, per qualcosa in cui davvero crede e che sa apporterà felicità e giustizia a questo mondo malato!” –Spiegò la voce di Andrei, che il Demone sentì a pochi passi dal suo viso, un alito di fuoco in grado di solleticargli le vesti.

 

“Idiozie!!!” –Ringhiò questi, aprendo le braccia e generando una nuova detonazione di energia, con cui annientò tutte le sagome di magma e lo stesso lago che lo attorniava, osservandolo evaporare in una sola vampata. Quando il vapore si disperse, e Polemos poté tirare un sospiro di sollievo, vide che l’uomo dall’armatura vermiglia era di nuovo di fronte a sé, ove l’aveva schiacciato a terra la prima volta, ancora in forze e deciso a continuare il loro scontro.

 

***

 

La devastante esplosione del cosmo di Polemos attirò l’attenzione di Jonathan, intento, assieme a Reis, a combattere contro alcuni giganteschi guerrieri dall’armatura integrale, che la compagna etichettò come Lestrigoni.

 

“Non temere per il tuo istruttore! Saprà cavarsela certamente!” –Lo rassicurò quest’ultima, affondando la Spada di Luce nel ventre di uno dei giganti e infondendovi tutto il suo cosmo, fino a distruggerlo. –“Concentrati piuttosto su questo scontro! Resistente è la difesa di questi silenti ma rozzi combattenti!”

 

“Sono le loro armature ad esserlo! L’hai notato? Guarda il loro grado di lavorazione! Non hanno niente a che invidiare alle corazze dei Cavalieri di Atena o di Zeus!”

 

Reis annuì, evitando la carica di un paio di Lestrigoni e balzando indietro, mentre il ragazzo dai capelli biondi sfrecciava avanti, liberando lampi di luce dalla cima dello Scettro d’Oro. I giganti non parvero però impressionati, quasi l’elmo che copriva loro il volto per intero fosse in grado di schermarli anche dai riverberi di luce, continuando la loro carica e travolgendo Jonathan, sbattendolo a terra, facendogli persino perdere la presa sul Talismano.

 

Il Cavaliere di Luce fece per intervenire ma una pioggia di folgori cadde davanti a lei, fermandole il passo, mentre un vento uggioso la travolse, sollevandola di qualche metro e roteandola in aria, sì da mostrarle colei che l’aveva appena scelta come sua prossima avversaria. Una vecchia dal viso pustoloso, ricoperta di un logoro mantello grigio.

 

“Giovane e bella!” –Le disse, sputacchiando. –“Solo per questo morirai! Strega delle Tempeste!!!” –Aggiunse, puntandole contro il bastone nodoso che reggeva in mano. A quel gesto Reis iniziò a roteare sempre più velocemente, mentre nuove folgori si abbattevano su di lei, elettrizzando l’armatura e obbligandola a lasciar cadere la Spada di Luce, tra le grida selvagge che si trovò a emettere. Un secondo gesto e la ragazza venne spinta lontano, diretta verso una piramide che sorgeva poco distante. –“Quello sarà il tuo monumento funerario! Igh igh!” –Scaracchiò la vecchia, prima di notare un lampo dorato sfrecciare nel deserto di fronte a lei, coprendo in breve la distanza con la piramide e balzare in alto, giusto in tempo per afferrare Reis prima che si schiantasse contro la costruzione.

 

“Ouch…” –Mormorò la ragazza, frastornata. –“Ioria?!”

 

“Stai bene?” –Si preoccupò subito il Cavaliere d’Oro, ricevendo un confuso cenno d’assenso. Quindi la depositò a terra, dicendole di riposarsi qualche istante. –“Il tempo di occuparmi di quella megera!”

 

“Fa’attenzione!” –Gli disse lei, trattenendolo per un braccio. –“Ho un brutto presentimento! Credo che quest’armata abbia altre frecce al loro arco, non solo la quantità di guerrieri!”

 

“Terrò conto delle tue parole! Grazie!” –Aggiunse, sfrecciando via, diretto verso la sua nuova nemica, che intanto scalpitava sul terreno, lamentando l’ingerenza di quel Cavaliere.

 

“Non potevi lasciarla morire, eh? Dovevi per forza comportarti da Principe Azzurro?!” –Ringhiò, sfoderando pochi denti marci e bavosi. –“Sono gli uomini come te che rovinano il mondo, sempre pronti ad apparire splendidi e virtuosi di fronte alle loro donzelle! L’amore è il cancro del mondo!”

 

“Vuoi continuare a proferire idiozie o intendi batterti a duello, donna?”

 

“Non sono una donna, non soltanto, almeno!” –Tuonò subito lei, espandendo il proprio cosmo, che la avvolse come nubi tempestose, cariche di pioggia e lampi. –“Io sono Beira della Cailleach, Nefaria dello Zodiaco Oscuro e Regina dell’Inverno!”

 

“Ed io invece sono Ioria del Leone, Cavaliere d’Oro di Atena e Custode…”

 

“Cosa vuoi che mi importi chi sei? Sei il mio avversario e ciò mi basta!” –Lo interruppe bruscamente la donna, puntandogli contro il bastone nodoso e liberando la furia della tempesta. Un istante dopo Ioria si trovò investito da piogge torrenziali, sospinte da un furioso vento come poche volte aveva percepito, mentre ovunque attorno a sé schiantavano saette carbonizzanti. 

 

Il Cavaliere d’Oro, dai sensi attenti, subito si mosse, per non essere raggiunto da quegli artigli di folgore che parevano dilaniare il terreno in profondità, fulmini oscuri che gli ricordarono quelli di un vecchio nemico affrontato anni addietro. Un nemico che, alla fine, non si era rivelato tale.

 

Con quel pensiero nel cuore, e con la promessa che gli aveva fatto, Ioria scartò di lato, evitando la pioggia di fulmini e preparandosi a contrattaccare. Il pugno destro fu avvolto da dorata energia, una sfera attorniata da luminose saette, che il ragazzo lanciò subito verso l’avversaria.

 

Per il Sacro Leo!!!” –Tuonò, mentre il globo di luce sfrecciava nella tempesta, schivando folgori avverse e venti contrari, fino a piombare sulla Cailleach.

 

“Igh igh igh!” –Si limitò a sputacchiare quest’ultima, sollevando il bastone di legno e infilzando con esso la sfera dorata, lasciandola esplodere di fronte a sé.

 

Ioria fu costretto a sollevare un braccio, per ripararsi dall’onda di ritorno, che annientò la bufera attorno a lui, sollevando sabbia e scintille. Quando abbassò l’arto, vide che la vecchia era ancora al suo posto, sghignazzando divertita contro le scarse capacità del giovane che era stata costretta ad affrontare.

 

“Almeno il Lord Comandante e Chimera hanno tra le mani ben più succulente prede! A me cosa è toccato? Un gattino spelacchiato che non sa combattere?!”

 

“Come osi infangare in questo modo il nome dei combattenti di Atena, vecchia?!” –Esclamò fiero il Cavaliere di Leo, avanzando verso la nemica.

 

“Infango e rinfango!” –Sputacchiò. –“Io sarò anche vecchia ma tu sei un idiota! Come puoi pretendere di colpirmi con un attacco che si basa sul fulmine, quando è proprio quello l’elemento che io domino? Non hai ascoltato quel che t’ho detto poc’anzi, quella presentazione d’effetto che voi Cavalieri così tanto amate! Sono Beira della Cailleach, giovane ignorante, e sospetto tu non sappia chi erano né l’una né l’altra!”

 

“Co… come?!” –Mormorò Ioria, non comprendendo le parole di quell’anziana ma vigorosa combattente, che scosse la testa indispettita, limitandosi a puntargli contro il bastone nodoso, da cui una guizzante saetta scaturì all’istante, obbligando il giovane uomo a gettarsi di lato.

 

“Vedi?! Il fulmine è il mio elemento, il cielo in tempesta il mio spazio ideale, poiché, dei dodici membri dello Zodiaco Oscuro, io sono colei che controlla le forze della natura nel loro aspetto più puro e distruttivo! Come l’antica Cailleach, la grande Beira, di cui ho scelto il nome, al fine di onorarla, io sono la Strega delle Tempeste, sovrana dell’inverno! Comprendi, adesso, giovane atletico ma sciocco?”

 

“Chiariscimi una cosa, Cailleach! Hai fatto riferimento a uno Zodiaco Oscuro… Che cosa intendi?!”

 

“Umpf, cosa mai vorrà dire, secondo te? è lo Zodiaco che soppianterà quello attuale, dopo che Lord Caos avrà rifondato il mondo, ponendo fine a questo ridicolo ciclo cosmico! Dodici segni, come adesso, ma oscuri! Dodici segni che i pochi uomini che sopravvivranno all’avvento dell’ombra, quegli scaltri che agli Antichi Dei si prostreranno, vedranno nel cielo ogni volta in cui ardiranno alzar lo sguardo, rimanendone terrificati, poiché anziché lo splendore delle stelle attuali, anziché i bei segni che or ora ornano il firmamento, vedranno creature mostruose e abominevoli! La Cailleach, il Golem di Sangue, il Wendigo e molti altri soppianteranno i segni dello Zodiaco, destinati a cadere nell’oblio assieme ai Cavalieri che li rappresentano! E, da quel che so, tu sei uno dei tre rimasti! Uccidendoti, renderò onore al Maestro del Caos che questi dodici nuovi segni ha scelto personalmente!”

 

“Quale orrore!” –Commentò Ioria con disgusto. –“Privare i popoli del mondo di un antico retaggio culturale, per imporre un nuovo ordine che non terrà conto di tradizioni durate secoli, di speranza che gli uomini hanno trovato nel rimirar le stelle e nel leggerne il significato! Non posso permetterlo! Io ti fermerò, strega!” –Imperò il Cavaliere d’Oro, scattando avanti e muovendo il braccio destro in modo da generare un reticolato di luce così fitta che andò chiudendosi attorno all’avversaria.

 

Ceann na Cailleach!” –Si limitò a commentare quest’ultima, aprendo le braccia di lato, mentre un enorme volto spigoloso e maligno, composto di puro cosmo, appariva davanti a lei, sfrecciando rapido verso Ioria, spazzando via la gabbia di luce e abbattendosi con foga contro il Cavaliere. –“Immagino tu non sia mai stato in Irlanda, bel giovane atletico!” –Aggiunse, osservando Ioria schiantarsi al suolo poco lontano. –“Altrimenti conosceresti la leggenda sulle scogliere di Moher, altrimenti dette Scogliere della Rovina? La tua rovina! Igh igh igh! Le erte propaggini meridionali di queste falesie vengono chiamate Testa di Strega, per la somiglianza con il volto della Cailleach, che a queste terre era legata! Per compiere riti che di certo il tuo buonismo non comprenderebbe! Igh igh igh!” –Sputacchiò, liberando una nuova tempesta di saette oscure, che si abbatté sul già provato corpo del Cavaliere d’Oro.

 

Disteso al suolo, Ioria strinse i denti per il dolore, ancora stordito per la botta ricevuta in pieno petto. L’armatura d’oro lo aveva protetto, per fortuna, l’armatura che solo il giorno prima era stata quasi distrutta dalla violenza di Flegias, o Anhar, o qualunque altro nome avesse scelto per sé quel demone infernale. Ma poi un amico era intervenuto in suo aiuto.

 

“Mur…” –Mormorò il giovane, ricordando la sorpresa sul suo volto quando, quella mattina, mentre stava scendendo la scalinata del Grande Tempio per unirsi all’assemblea convocata da Atena, aveva raggiunto la Prima Casa, trovando il Cavaliere di Ariete al lavoro.

 

Stanco, sudato, con le mani che a tratti tremavano per il nervosismo e l’incertezza per la sorte della madre rapita, Mur lo aveva comunque guardato con un sorriso, fiero del proprio lavoro.

 

“Ho pensato potesse esserti utile!” –Aveva esordito, mostrando al parigrado le vestigia del Leone, rimesse per l’ennesima volta a nuovo. Certo, la fretta e la stanchezza non avevano permesso al riparatore di armature di ottenere un risultato perfetto, come dieci anni addietro nello Jamir, rifletté amaramente, notando qualche scheggiatura che ne deturpava le piastre dorate, ma era ben più di quanto Ioria avesse potuto desiderare in quel momento.


“Ti ringrazio, Cavaliere!” –Gli aveva detto, espandendo il cosmo ed entrando in sintonia con la corazza, che subito ruggì, scomponendosi e aderendo al suo fisico perfetto. E permettendo a Ioria di comprendere quel che era davvero avvenuto, quel che dava forza al Leone d’Oro da anni ormai, senza che egli se ne fosse mai reso realmente conto. –“Mur ma… il tuo cosmo… posso sentirlo!”

 

“Come sai, Ioria, per riparare un’armatura è necessaria una gran quantità di sangue, tanto maggiore quanto i danni sono profondi, e la tua, amico mio, era messa proprio male! Cerca di stare attento, la prossima volta, perché potrei non essere in grado di…” –Aveva mormorato, prima di accasciarsi a terra, di fronte allo sguardo preoccupato del compagno, che lo aveva afferrato giusto in tempo, aiutandolo poi a stendersi su una branda poco distante.

 

“Non avresti dovuto rischiare tanto!” –Lo aveva rimproverato Ioria, commosso per quel rinnovato gesto di fiducia.

 

“Avresti fatto altrettanto per me!” –Aveva chiuso così la conversazione il Cavaliere d’Ariete.

 

Ed era vero. Ioria avrebbe dato la vita per lui, come per Virgo. Non solo erano i suoi parigrado, gli ultimi rappresentanti di una casta che era stata tradita, vilipesa e sterminata anzitempo, ma erano anche i suoi amici, al cui fianco aveva condiviso più di una sola esistenza. Loro erano i Cavalieri d’Oro, i massimi fedeli della Dea, coloro che da secoli, millenni addirittura, costituivano l’ultimo baluardo a protezione di colei che lottava per l’umanità. E lui era il fratello di Micene, il figlio del valoroso Agamennone del Leone, uno dei più grandi Custodi Dorati della generazione precedente, discendente di una stirpe che, dai tempi di Solone, aveva sempre servito Atene e la sua Dea. Come poteva lui essere da meno? Si disse, rialzandosi, rivestito di un’intensa aura dorata.

 

“Mur!!! Virgo!!! Fratello!!! Questo colpo è per voi!!! Per il Sacro Leo!!!” –Ruggì il Leone d’Oro, liberando una poderosa sfera di luce, che sfrecciò verso la Cailleach, incurante della tempesta che tentava inutilmente di frenarne l’avanzata.

 

Ma anche quella volta la Strega delle Tempeste sollevò il suo bastone nodoso, infilzando il globo dorato e ridacchiando mentre esso esplodeva, con un boato che attirò l’attenzione di altri contendenti.

 

Ioria… Mormorò Reis, costretta nel frattempo a fronteggiare nuovi avversari. Non morire. Abbiamo una vita da vivere assieme, quando tutto questo finirà. E la vivremo. In qualunque modo.

 

Quando la luce scemò di intensità, Ioria vide con orrore la sua nemica ancora in piedi, il mantello ormai bruciacchiato scivolare via nel vento, il volto terribilmente butterato e liso. Ma, sopra ogni altra cosa, vide finalmente la sua armatura, giungendo a capire come aveva potuto sopravvivere ogni volta ai suoi assalti, pur potenti che fossero.

 

Nera come la notte, percorsa da violacee striature che indicavano di certo i punti di congiunzione delle placche metalliche, la corazza aveva forme sgraziate e irregolari, simile, nel suo aspetto complessivo, ai cenci di uno straccione, quasi volesse costituire davvero la veste della vecchia. Ma proprio le striature viola erano percorse da scariche di energia dorata, che andavano estinguendosi sempre di più, fino a spegnersi di fronte allo sguardo attento del Cavaliere d’Oro.

 

“Ecco perché hai lasciato esplodere i miei fulmini! Ecco come li hai fatti tuoi! La tua corazza possiede il potere di assorbirli, come fosse un parafulmine!”

 

“Sono colpita, pensavo in quell’aitante corpo non vi fosse spazio per il cervello! Ammira le vesti di cui il Gran Maestro del Caos mi ha fatto dono, ispirandosi a quelle di un figlio bastardo di Ares, Cicno, il Brigante di Anime, in grado di assorbire l’energia cosmica degli avversari, nutrendosene! Uguale dono ha fatto a me, la copia vivente di Beira, sua antica alleata in una contesa che devastò i campi di Britannia! Igh igh igh!” –Ghignò la Cailleach, scatarrando copiosamente, prima di puntare di nuovo il bastone verso il ragazzo. –“Se adesso hai capito, saprai per certo che non puoi vincermi! Non ne hai modo, tu che possiedi attacchi basati soltanto sul fulmine! Per quanto tu possa provare, i tuoi colpi non mi feriranno mai! I miei, al contrario…” –Aggiunse, aprendo le braccia e ricreando quella rozza faccia di strega. –“Ceann na Cailleach!” –E nuovamente Ioria venne travolto dalla possanza delle scogliere di Moher, sbattuto a terra, perdendo persino l’elmo dorato.

 

Ha ragione! Mormorò, affannando nel rialzarsi. Non sono certo l’avversario più adatto a fronteggiarla! Ci vorrebbe qualcuno con poteri diversi! Ma chi? Ed espandendo i sensi percepì tutti gli altri scontri in atto nella piana che separava il Nilo dall’ingresso della piramide di Karnak. Jonathan stava affrontando i Lestrigoni, Reis era alle prese con altri guerrieri, la fiamma di Sin degli Accadi ardeva continua contro i Golem di Sangue, mentre Andrei teneva impegnato Polemos e Horus e la Dea Gatta facevano altrettanto con il temibile Chimera. Nessuno sarebbe potuto intervenire in suo aiuto. Né nessuno interverrà! Si disse, chiudendo le dita a pugno. Un Cavaliere d’Oro di Atena non ha bisogno di aiuto per affrontare una vecchia rachitica!

 

Rialzando lo sguardo, Ioria cercò la Cailleach, intenta a gloriarsi del suo successo, già convinta di meritarsi un posto nel nuovo cielo che avvolgerà il pianeta dopo la vittoria di Caos. Rabbioso per quella prospettiva, il Cavaliere piantò un pugno nel terreno, liberando le zanne dorate sotto forma di molteplici colonne di fulmini che si alzarono tutt’attorno alla nemica, la quale, per niente intimorita, si limitò a lasciarle strusciare contro la propria corazza, quasi nutrendosi della loro foga. Quindi, quando fu sazia, fissò Ioria con perfidia, liberando il proprio violento cosmo.

 

Strega delle tempeste!!!” –Sputacchiò, avvolta dalle intemperie, che presto si abbatterono sul Cavaliere d’Oro, per quanto questi tentasse di divincolarsi, raggiungendolo, sollevandolo, stritolandolo in folgori oscure, che bruciacchiarono la propria corazza, giungendo persino a scheggiarla in più punti, prima di schiantarlo al suolo, in un cratere di sabbia e sangue.

 

“Ouch!” –Rantolò il giovane, faticando nel muovere le dita della mano. –“Il suo fulmine è ben più distruttivo del mio!”

 

“Questo perché tu non a quello l’hai votato! Non alla distruzione!” –Parlò allora una voce al suo cosmo, stupendo lo stesso Ioria, che non la udiva da tempo. –“Bensì a proteggere gli altri, a questo è sempre servito il tuo fulmine! Mira questo regno per esempio, non è qua che combattesti la tua prima battaglia, giovane Leone, per difenderlo dall’ombra nascente?!”

 

“Sì! A fianco di mio fratello!” –Ricordò il Cavaliere, con gli occhi umidi al sol pensiero che quella strega potesse inquinare il luogo in cui Micene aveva combattuto e trionfato sul demoniaco Seth. Il luogo della loro prima e unica battaglia assieme.

 

“Come vincesti quel giorno, ugualmente vincerai quest’oggi, poiché non esiste sconfitta per il Leone dalle zanne d’oro, il Leone che cela nel cuore l’arma più potente di tutte!” –Continuò la voce, permettendo infine a Ioria di associarvi un volto, quello di un uomo alto e snello, dai morbidi capelli chiari e dal naso prospiciente.

 

“Tu sei… Ceo del Lampo Nero!”

 

“Nemici un tempo, ma così vicini! Come solo con mio fratello Iperione riuscii mai ad essere! Uniti dalla stessa fede, dallo stesso desiderio di dare un futuro al nostro popolo, desiderio che poi affidai a te, Cavaliere del Leone! Ricordalo, ricorda la promessa che ti strappammo quel giorno, nel Labirinto di Crono, e abbatti il tuo nemico, solo così potrai difendere chi hai davvero caro!”

 

“Io… Ceo… Voglio farlo! Ma non ho armi per ferirlo…”

 

“Non ti servono armi, soltanto le tue sfolgoranti zanne!” –Chiosò la voce del Titano, prima di scomparire.

 

Annaspando, Ioria mosse la testa nella sabbia, roteandola verso la mano destra, nel cui palmo un improvviso lucore lampeggiava, emanando scintille di vittoria. Sorrise, il Cavaliere di Leo, e anche pianse, memore del dono che Ceo gli aveva fatto un tempo, un dono che era venuto il momento di rinverdire.

 

Mettendo da parte il dolore, il giovane si rialzò, incamminandosi fuori dal cratere e trovandosi di nuovo faccia a faccia con Beira, che lo guardò per la prima volta stupita, convinta di aver già conquistato il suo spazio nel cielo.

 

“Sei duro a morire, ragazzo? Ti capisco, anche la Regina dell’Inverno lo fu! E altrettanto sarò io!” –Aggiunse, sibillina, prima di evocare nuovamente le intemperie del mondo.

 

“Fulmine!!!” –Gridò allora Ioria, bruciando il cosmo al massimo, in uno scintillio che accecò la stessa Cailleach e molti altri amici e nemici, intenti a lottare poco distante. –“Che ricevetti in dono da un antico virtuoso nemico, fai breccia nel suo cuore, per proteggere questa Terra che amo!!! Rifulgi, Keraunos!!!” –Tuonò, portando avanti il braccio destro, nel cui palmo risplendeva un’abbacinante sfera di luce, più fulgida di qualsiasi attacco scagliato prima. Una sfera attorniata da una corona di folgori d’oro che parevano danzare gloriose, mentre questa sfrecciava nella tempesta, piombando sulla strega.

 

Titubante, la Nefaria sollevò di nuovo il bastone nodoso, su cui il globo si infranse, esplodendo, ma quella detonazione così potente la investì in pieno, abbattendosi su di lei con una furia che neppure le Streghe delle Tempeste potevano evocare. La corazza nera andò in frantumi, dilaniata, squartata da quei fulmini dorati che parevano non stancarsi mai, non esaurirsi mai, infiniti come la speranza nel futuro di chi li dirigeva. E dopo la corazza le dilaniarono anche il corpo, vecchio e debole, lasciando solo un pallido scheletro.

 

“Co… come hai fatto?!” –Sputacchiò la megera, crollando esanime al suolo, il sangue che le imbrattava il corpo ossuto e le impastava la bocca. –“La mia armatura… creata appositamente per me, dal Gran Maestro del Caos… poteva assorbire i fulmini… perché?!”

 

“Aveva quel potere, te ne do atto, ma ogni manufatto ha un sigillo! Ogni incantesimo ha un limite! Dovresti ben saperlo, tu che ti vantavi di controllare le forze della natura, che la natura pretende equilibrio! Troppo hai sfruttato quel potere, troppo ne hai abusato, e di fronte alla sconfinata potenza del Keraunos originario la tua corazza non ha retto, andando in sovraccarico! Questo, il tuo adorato Maestro del Caos, non te lo aveva detto?”

 

A quelle parole, un’ombra passò sugli occhi stanchi della Cailleach, un’ombra che le inculcò il sospetto di essere stata ingannata, proprio come era accaduto alla prima Beira molti secoli addietro.

 

Con quella temibile consapevolezza, infine morì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo dodicesimo: Atlante. ***


CAPITOLO DODICESIMO: ATLANTE.

 

Mur era accasciato a terra, le mani che faticavano a stringere lo scalpello, la corazza di Asher ancora da riparare. Stanco e fiacco, respirava a fatica, sopraffatto dalle angosce degli ultimi giorni, e dal timore che tutto fosse prossimo alla fine. Non solo la guerra, che durava ormai da anni, da quando l’ombra aveva trovato valido aiuto per germogliare sul pianeta in attesa del suo ritorno, ma anche la sua vita, il mondo come gli era sempre apparso. Sua madre era stata rapita e per quanto tentasse non riusciva a localizzarla, non riusciva a capire se fosse viva o morta; la colonia dei suoi antenati era stata distrutta, e a fatica avrebbero dovuto ricostruire un sapere che temeva presto sarebbe andato perduto. Atena era di nuovo in pericolo e i suoi Cavalieri erano rimasti in pochi, provati dalle guerre continue; per quanto la fede fosse incrollabile, il loro corpo era umano e poteva essere spezzato. Come le morti di Scorpio e Libra testimoniavano.

 

Aveva visto Virgo come si trascinava, l’ombra del Cavaliere che era stato un tempo e che aveva frenato la corsa di tre presunti rinnegati suoi pari; aveva notato le rughe di preoccupazione tendersi sul volto di Ioria, la stanchezza del lanciarsi in continue massacranti battaglie. E infine aveva visto lo sguardo di Kiki tremolare per la prima volta incerto. Dell’aria sbarazzina di un tempo, quando si divertiva ad apparire e scomparire attorno agli amici Sirio e Pegasus, era rimasto ben poco, ma a quel ricordo doveva aggrapparsi se voleva garantirgli un futuro. E questo era ciò che più di ogni altra cosa gli premeva in quel momento. Questo era ciò che lo aveva fatto rientrare in fretta alla Prima Casa, terminata l’assemblea generale, per rimettersi all’opera.

 

Quella notte aveva riparato l’armatura del Leone, danneggiata dalle vampe demoniache di Anhar, ben sapendo quanto ardesse il compagno scendere in battaglia. Per quanto in grado di autorigenerarsi, anche dopo essere stata potenziata nelle fucine di Muspellheimr, era in così gravi condizioni da rendere necessaria una gran quantità di sangue, che il Cavaliere di Ariete aveva gentilmente offerto, all’insaputa di Ioria, per rigenerarla. Lo aveva fatto col cuore, pensando a quanti uomini quegli artigli di luce avrebbero ancora potuto difendere, allo spirito indomito che ne muoveva i passi, strappandogli a volte un gemito di invidia.

 

Poi era stato il turno delle corazze del Pastore e di Cassiopea, distrutte da Cariddi sull’isola leggendaria. Era stata Nemes, una loro compagna presso l’isola di Andromeda, a donare il sangue necessario, un gesto di affetto e di perdono, così lo aveva motivato. Infine era toccato alle corazze dell’Aquila e dell’Unicorno, che Mur aveva dovuto riparare da solo e, se la prima non era stata particolarmente impegnativa, adesso sentiva di non aver più forze per concludere l’opera. Del resto lo scontro con Horkos era stato un massacro a cui era scampato per un colpo di ventura.

 

Fu il pensiero della colonia di Mu, dei sopravvissuti che avevano resistito alla valanga finale unendo i propri cosmi, a spingerlo a rialzarsi, a risollevare lo sguardo sulla violacea corazza, oltre che il timore che Kiki potesse sorprenderlo di nuovo svenuto. Era già successo una volta, dopo che aveva riparato la corazza di Ioria, e si era ripromesso di non farlo accadere più.

 

“Cavaliere di Ariete?!” –Lo chiamò una timida voce di donna all’improvviso, forzandolo a sollevare lo sguardo verso il fondo del salone, in cui una figura ignota era appena comparsa. Guardandola meglio, mentre si avvicinava, riconobbe la Sacerdotessa che, un’ora prima, aveva seguito Yulij verso le Stanze di Atena, sebbene non ne conoscesse il nome. –“Sei tu il riparatore di armature?”

 

Mur annuì, alzandosi a fatica, mente la donna lo raggiungeva, presentandosi.

 

“Sono Kama della Poppa, Cavaliere di Bronzo di stanza a Bomihills, in Liberia!”

 

“Lieto di conoscerti, Sacerdotessa, anche se non ho molto tempo per conversare, al momento! Ho udito il fragore montante dell’ombra appressarsi su di noi e devo terminare al più presto la corazza per…” –Ma non riuscì a terminare la frase che l’intera stanza parve traballare davanti ai suoi occhi, obbligando Mur a tenersi la testa e Kama a fare un passo avanti, per afferrarlo prima che cadesse.

 

“Sei debilitato, Cavaliere! Riparare molte armature stanca! Lo so bene, il mio maestro me lo insegnò!”

 

“Devo terminare un lavoro! Poco importa quanto sia stanco!” –Sussurrò lui, divincolandosi, prima che la voce della donna lo richiamasse.

 

“È per questo che sono qua! Per aiutarti!” –Aggiunse, portando le braccia avanti e tagliandosi i polsi. –“Usa il mio sangue per riparare la corazza dell’Unicorno! Fallo, te ne prego!”

 

“Sacerdotessa! Quale generosità, offrire il tuo sangue per uno sconosciuto!”

 

“Siamo tutti fratelli a difesa di Atena!” –Chiarì Kama, sorridendo sotto la maschera. –“Inoltre un legame speciale mi univa all’uomo che addestrò il Cavaliere dell’Unicorno!” –Quindi, vedendo che Mur la osservava interessato, non capendo a pieno le sue parole, continuò. –“Regor della Vela, il maestro di Asher di stanza ad Orano, era il mio amante, l’uomo per amore del quale fui tentata di abbandonare la strada di Atena, mostrandogli il mio volto! E tu conosci le regole delle Sacerdotesse. Amore o morte. Io scelsi il primo, ma la morte scelse noi. Qualche mese fa, un suo vecchio allievo tornò con un’armatura nera, simile a quelle in uso ai Cavalieri dell’isola maledetta, e lo uccise, senza che io potessi fare niente per salvarlo. Inutile e debole, lo osservai morire, tenendogli la mano mentre gli promettevo di vegliare sull’Atlante e sul suo allievo. Una promessa che ho intenzione di mantenere.”

 

Mur sorrise, rinfrancato dalle parole della donna e dal suo spirito giusto, riprendendo in mano gli attrezzi da lavoro e mulinando il primo colpo alla corazza dell’Unicorno. Proprio in quel momento Asher apparve sull’ingresso della Prima Casa, chiedendo a gran voce la propria armatura. Atlante era arrivato!

 

***

 

Quando la Nave di Argo sbucò dalle nuvole, facendosi strada tra i cirri ombrosi del meriggio siciliano, Zeus inorridì, e ugualmente fecero Nikolaos ed Euro al suo fianco, osservando il devastato versante orientale dell’Etna. Pareva che il vulcano fosse stato sventrato, o che l’enorme pressione del magma fosse fuoriuscita anziché dalla bocca dai lati, ricoprendo il pendio fino a valle, fagocitando la sia pur rada vegetazione, le rocce e ogni forma di vita. Spaziando con lo sguardo e con i sensi sull’apocalittica visione, il Nume Olimpico tremò per un momento, stringendo con forza il corrimano della nave, fino a schiantarlo. Dei cosmi di Efesto e di Eracle, che avrebbe dovuto proteggerlo, non vi era traccia, né di alcun’altra impronta cosmica, amica o nemica.

 

Senza neanche attendere che Neottolemo completasse la discesa del vascello, il Sommo spalancò le angeliche ali della Veste Divina, balzando fuori e iniziando a percorrere l’intero versante, scrutando ogni anfratto con attenzione. Euro lo imitò, lasciando Nikolaos e Toma a bordo della nave volante. Il Luogotenente si voltò a guardare il liberato Cavaliere Celeste, seduto ai piedi dell’albero maestro, con una coperta sulle spalle e una tazza di infuso caldo in mano. Non riusciva a immaginare come si sentisse, dopo una prigionia durata quindici anni, dopo quindici anni trascorsi incatenato sulla gelida cima dell’Elbrus, senza compagnia alcuna se non quella dei ricordi. Pur tuttavia, grazie al cosmo di Zeus che ne aveva sanato le ferite, il ragazzo pareva riprendersi in fretta e già il suo viso aveva recuperato colore, sebbene le sue membra fossero ancora intorpidite per la lunga inattività. Non aveva posto domande, neppure chiesto perché Zeus avesse preso quella decisione o cosa fosse accaduto in quegli anni lontano dall’Olimpo. Aveva semplicemente chinato il capo, ringraziando il Nume supremo per la sua generosità, rinnovandogli il giuramento di servirlo fino alla morte; quindi si era chiuso in se stesso, trascorrendo il resto del viaggio a carezzare, quasi fosse una reliquia, lo strano pendaglio che portava legato al polso destro. Stava quasi per chiedergli cosa significasse, quando la Nave di Argo atterrò sul terreno accidentato, scuotendoli entrambi. Affacciandosi dal parapetto, Nikolaos notò che il terreno era ricoperto di un consistente strato di lava, fredda e compatta, ma di certo frutto di un’eruzione avvenuta in tempi recenti.

 

“Qui!!!” –La voce di Euro li richiamò tutti, costringendoli a scendere dal vascello e a raggiungere il Vento dell’Est a metà del versante, dove anche Zeus stava convergendo dall’alto, per osservare inorriditi i resti bruciati di un uomo il cui volto era ormai irriconoscibile.

 

“È uno dei guerrieri di mio figlio!” –Commentò il Sommo, sfiorandone il cadavere e scrutando con occhi attenti i pochi frammenti di armatura che aveva ancora addosso, stringendoli con rabbia fino a distruggerli nel suo palmo.

 

“Sono stati attaccati! Maledizione!!!” –Avvampò Nikolaos, guardandosi attorno d’istinto, sebbene niente turbasse la malinconica quiete di quel luogo. Soltanto sirene che, d’un tratto, parvero provenire dal fondovalle, rumori insistenti e fastidiosi che andavano aumentando di intensità. –“Credo che gli abitanti di queste terre stiano venendo a controllare, timorosi forse di una nuova eruzione dell’Etna!”

 

“Non ci disturberanno!” –Si limitò a commentare Zeus, socchiudendo gli occhi e alzando un braccio al cielo, mentre una scarica azzurra scuoteva il fianco del vulcano, una folgore attorno alla quale scivolarono strati caliginosi di nembi. –“La foschia che un tempo gettavo sugli umani impedirà loro di trovarci. Quel tempo di cui abbiamo bisogno per ritrovare i corpi degli altri!”

 

Fu allora che uno scricchiolio sommesso li raggiunse, un rumore che andò crescendo sotto i loro piedi, prodromo di un terremoto che scosse il versante centrale dell’Etna, spaccando la lava solidificata sotto di loro e sollevandola verso il cielo, quasi gli inferi stessi si aprissero e liberassero demoniache figure. E tali in effetti parvero i tre corpi che fuoriuscirono dalla terra: sporchi, sfregiati, ricoperti di sangue, polvere e magma rappreso, con le armature distrutte e i bei volti stanchi e tumefatti.

 

“Eracle, figlio mio!” –Esclamò il Nume, concedendosi un sorriso, che si allargò non appena vide, alle sue spalle, i corpi claudicanti di Ermes e di Efesto, quest’ultimo che reggeva un ragazzo tra le braccia, la cui armatura azzurra, dalle lunghe ali spezzate, gli permise di identificarlo come il Primo Cavaliere di Atena. –“Cos’è successo?!”

 

“Le tenebre sono scese su di noi, Padre! Le tenebre più oscure e antiche, quelle che solo colui che le gettò nel Tartaro più profondo poteva evocare!” –Commentò Eracle, tossendo, facendo rabbrividire i presenti.

 

“Vuoi forse dire?!”

 

“Non nominarlo, Padre! Non è necessario, poiché tutti ne conosciamo il nome! Dei quattro Progenitori, egli è il più temibile! Egli è davvero una tenebra infinita! Saremmo stati spazzati via se Efesto non avesse avuto la prontezza di sollevare il magma dell’Etna, usandolo per ricoprire tutti noi. Al di sotto di quella crosta protettiva, i nostri cosmi hanno perdurato a baluginare, sia pur deboli e fiacchi, dandoci tempo di riposare e di… ripensare ai nostri errori…

 

“Siamo stati vigliacchi!” –Commentò allora Ermes. –“Lo abbiamo lasciato fuggire, anziché combatterlo fino alla fine!”

 

“Abbiamo fatto ciò che era in nostro potere, Messaggero Olimpico! Non potevamo permettere che Pegasus cadesse! Non ancora!” –Precisò Efesto, cercando lo sguardo del Padre, che annuì, sospirando, prima di avvicinarsi all’abile fabbro, chiedendogli un ultimo sforzo, un’ultima fatica, prima della fine. –“Seguitemi!” –Si limitò a rispondere, incamminandosi verso le profondità dell’Etna, seguito da Zeus, Nikolaos, Euro e Toma.

 

Eracle ed Ermes rimasero all’esterno, poiché il primo desiderava cercare i corpi di Nestore e di Marcantonio, convinto che fossero ancora vivi, sepolti anch’essi dallo strato di lava sollevato da Efesto. Anche Neottolemo rimase con loro, sul volto un’improvvisa ansia per le sorti dei compagni.

 

“Mi dispiace!” –Gli disse il Vindice dell’Onestà. –“Siete appena tornati alla vita e già vi è stata portata via! Pare che la nostra amicizia sia marcata da questo, la gioia di un effimero incontro e poi il dolore di un’altra perdita! Così fu ai tempi delle gloriose legioni di Tirinto, così adesso, che di quelle legioni ne è rimasta soltanto una!”

 

“Non dovete crucciarvi, mio Signore! Possiamo solo esservi grati per averci concesso un’altra opportunità, un dono che a ben pochi uomini è stato elargito! Lieti siamo stati di combattere per voi a Tirinto, e lieti siamo di ripeterci quest’oggi!” –Rispose fiero il Nocchiero di Eracle, prima che la voce di Ermes li distraesse, portandoli ad avvicinarsi al Messaggero Olimpico, che stava liberando due corpi dagli strati di magma solidificato.

 

“Eccoli! Sono ancora vivi! Malconci ma vivi, sento il loro respiro!”

 

Eracle si chinò su di loro, ne tastò la fronte febbricitante e le braccia ferite e ustionate dai colpi di Erebo, ma convenne con Ermes che fossero ancora vivi. Con rabbia, li tirò fuori, depositandoli sul terreno dinnanzi a lui, afferrando poi le braccia di entrambi, per dare loro un po’ del suo cosmo.

 

“Perdonatemi! Perdonatemi tutti, anche voi, Agamennone e Adone, che più non siete con me! Ma non temete, non dovrete aspettarci molto! Quando questa guerra sarà finita, saremo di nuovo insieme, nella nostra bella Tirinto, in una Tirinto che nessun nemico, ombra o demonio violerà! Mai!” –Mormorò il figlio di Zeus, avvolto nel suo cosmo lucente. –“Ma solo quando questa guerra sarà finita, solo allora! Non prima!” –Aggiunse, mentre un tuono sovrastava i cieli sopra l’Etna.

 

***

 

Atlante era immenso.

 

Così alto, robusto e fiero che pareva innalzarsi davvero fino al cielo. Non a caso, si disse Asher, in piedi sulle mura di lato al Cancello Principale, il mito cantava la sua punizione, inflittagli da Zeus, a reggere la volta celeste. Come avrebbero potuto fermarlo purtroppo il mito non lo spiegava e non era affatto certo che le loro attuali difese avrebbero retto a quell’assalto. Pur tuttavia avrebbero tentato, come sempre, decisi a sfidare l’impossibile, in modo da renderlo possibile, come Pegasus e i suoi quattro amici, ai più adesso noti come Cavalieri Divini, avevano insegnato loro.

 

E se ce l’aveva fatta quello sbruffoncello dal ciuffo rampante, perché lui avrebbe dovuto essere da meno? Si disse, strusciandosi il naso impaziente, pervaso da una frenesia che lo invadeva ogni volta che doveva scendere in guerra. Una smania che per il momento doveva tenere a freno, almeno fino a quando Atlante non fosse entrato nel raggio d’azione dei suoi arcieri.

 

“State pronti!!!” –Strillò, volgendo un rapido sguardo verso il piazzale interno del Santuario, ove duecento uomini erano schierati in formazione, gli archi abbassati, ma le frecce già incoccate, in attesa di un suo cenno. Li guidava Patrizio, il più anziano dei soldati, un uomo che aveva visto molte nuvole annidarsi sul Tempio della Dea Guerriera, fin da quando Shin era Grande Sacerdote, sempre convinto che non a lungo vi avrebbero dimorato, che Atena sarebbe tornata, portando il calore di una nuova alba. Con quella fede, Patrizio era cresciuto, al pari di tutti coloro che avevano deciso di impugnare le armi e servire la Dea. –“Caricateee!!!” –La voce squillante dell’Unicorno lo raggiunse in quel momento, portandolo ad accendere la stoppa avvolta sulla punta della freccia e a prepararsi. –“Tendete l’arcooo!!! Ora, tirateee!!!”

 

Una selva di dardi infuocati solcò le mura meridionali del Grande Tempio, dirette verso l’altissima figura che ad esse si stagliava di fronte, e ancor prima che la raggiungessero gli arcieri stavano già ricaricando le loro armi, fermi e decisi nel loro agire. Non era la prima volta che il complesso templare veniva attaccato da così bestiali figure, Patrizio e i suoi compagni lo sapevano bene, ricordando l’infuocata figura di Orochi, il distruttivo drago che aveva seminato il panico mesi addietro. E, andando indietro con la mente, l’anziano soldato ricordò quando un gigantesco guerriero distrusse la porta settentrionale del Grande Tempio, mai più ricostruita, massacrando tutti i suoi compagni. Lui era stato l’unico a salvarsi quel giorno, grazie all’intervento della giovane Sacerdotessa dell’Aquila e del Cavaliere di Leo, che ebbero ragione del temibile nemico al soldo dei Titani.

 

Atlante era molto simile a quel gigante scarlatto, poiché anch’egli sembrava davvero un essere umano, uno come loro, sebbene avesse una stazza colossale e potesse schiacciarli soltanto sollevando un piede. Di sicuro, almeno una decina sarebbero morti sotto quell’ampia e robusta pianta.

 

Patrizio cercò di scacciare quel pensiero, limitandosi a scagliare una nuova freccia, condannata alla stessa sorte delle altre. Per quanto il corpo del titano fosse enorme, la cotta protettiva ne proteggeva solo una parte, lasciando spazi scoperti sulle gambe e sulle braccia, sul volto e persino sui fianchi, dove le piastre metalliche di quella grigia armatura non riuscivano a chiudersi bene. Eppure, nonostante la fitta pioggia di dardi infuocati, Atlante continuava ad avanzare, senza neppure sentirli, senza neppure degnarsi di sembrare ferito, infastidito o lontanamente impensierito.

 

“Attenti!!!” –Gridò Asher, balzando giù dalle mura, mentre il gigantesco guerriero le colpiva con un calcio, sfondandole e scagliando in aria pezzi di roccia e uomini armati. –“Maledizione!!! Non deve entrare, non deve entrare!!!” –Ripeté, scattando in piedi e balzando avanti, il cosmo che riluceva fresco attorno al suo braccio destro. –“Corno d’argento!!!” –Tuonò, dirigendo un lucente strale di energia verso il braccio del titano, che neppure se ne curò, limitandosi a deviarlo con un colpo di mano.

 

Frustrato, il Cavaliere dell’Unicorno iterò il proprio attacco, aumentandone l’intensità e obbligando questa volta Atlante a posare lo sguardo su di lui. Dovette davvero apparirgli simile ad una formica, per quanto pervasa da una strana aura violetta, quell’essere così piccolo, così insignificante, ma che insisteva nell’attirare la sua attenzione. Così lo soddisfò, calando la mano e chiudendo il pugno su di lui.

 

Aaargh!!!” –Gridò Asher, stritolato da quella devastante pressione.

 

“Tirate!!! Tirate adesso!!! Colpitelo!!!” –Tuonò allora la voce di Patrizio, mentre centinaia di arcieri, radunatisi attorno all’Unicorno, liberavano i loro strali infuocati, mirando all’arto teso del titano. Ma anche quella volta le frecce tornarono indietro, senza produrgli danno alcuno. Solo un fastidio di cui Atlante si sbarazzò, muovendo il braccio a spazzare e gettando a terra decine e decine di soldati.

 

“Ora, amico!!!” –Intervenne allora un’agile figura, rivestita da un’armatura blu, cui presto ne seguì un’altra, coperta da una corazza rossastra. –“Catena di Reda!!!” –Chiosò quest’ultimo, mentre anche il compagno scagliava la propria arma, avvolgendola attorno ad un dito del colosso, iniziando a strattonarlo.

 

“Che fate, stolti?!” –Bofonchiò Asher, stretto nella mano di Atlante, osservando i discepoli di Albione tentare di liberarlo con quelli che, dalla prospettiva con cui poteva vedere le cose, erano semplici fili per fermare i bottoni.

 

“Cerchiamo di salvarti, sei cieco e non lo vedi?!” –Esclamò Reda, il volto una maschera di sudore per il solo sforzo di trattenere la mano del titano. Sforzo destinato a concludersi all’istante, quando Atlante sollevò il braccio, trascinando il ragazzo e Salzius con sé. –“Aaahhh!!!” –Gridarono i due, mentre il gigante scuoteva la mano, liberandosi infine della loro fastidiosa presenza.

 

Fu una scattante figura, rivestita di argentei e turchini bagliori, ad afferrarli in volo, prima che si spiaccicassero al suolo, ove li depositò poco dopo, permettendo loro di ammirare la snella sagoma di Castalia dell’Aquila, appena giunta in loro soccorso.

 

“Inutile rimanere al muro occidentale, se l’attacco è qua! Date ordine di ripiegare a tutti i soldati verso il cuore del santuario! Dobbiamo impedirgli di raggiungere la Collina della Divinità, ove risiede Atena! Tutto il resto è sacrificabile, anche noi!” –Dispose la donna, ricevendo pronti gesti di assenso da coloro che la attorniavano. –“E adesso andiamo! Attacchiamo e attacchiamo ancora! Finché di noi non resterà che cenere!!! Meteora pungente!!!” –E scattò avanti, caricando il pugno destro di energia cosmica. Balzò sulle mura squassate, dandosi lo slancio per saltare ancora più in alto, e mirò al volto del titano, su cui si abbatté uno sciame di comete lucenti.

 

Asher, ancora stretto nella mano di Atlante, osservò quel centinaio di pugni di luce, così simili al colpo segreto di Pegasus, perdersi senza produrre alcun effetto. Ma… come? Borbottò, avendo creduto che, quantomeno al viso, Atlante avrebbe prestato attenzione. Eppure, come già in precedenza, l’attacco non lo aveva raggiunto. Com’è possibile? Rifletté il Cavaliere, pur nella scomoda situazione in cui si trovava. Le vesti dell’Unicorno, appena riparate da Mur, sopportavano a malapena l’estenuante pressione cui erano costrette, pur tuttavia il titano pareva non stringere troppo, forse dimentico del moscerino che teneva in pugno.

 

Orbene, ti farò tornare io la memoria, bisteccone! Sibilò il Cavaliere, espandendo il cosmo, come tante volte aveva imparato a fare di recente. Contro Sterope del Fulmine, Ossilo del Teschio Letale, persino contro Lukas, il suo antico compagno di addestramento presso il maestro Regor, infine contro Cariddi. A volte aveva perso, altre volte era riuscito a portare a termine il suo combattimento, imparando ogni volta qualcosa di più. Era tempo di mettere in pratica tutta quella conoscenza, era tempo di crescere ancora! Si disse il giovane Unicorno, mentre un’aura violetta, dalle argentee sfumature, lo avvolgeva, espandendosi tra le dita del titano e avviluppandogli il pugno come una nube.

 

Asher!!!” –Realizzò Castalia, ordinando a tutti i soldati un nuovo assalto, per aiutare il compagno a divincolarsi.

 

“Siamo con te!!!” –Intervennero Reda e Salzius, sebbene non avessero ben chiaro cosa fare e come. Fu il secondo ad avere un’intuizione, spiegandola in fretta all’amico e correndo con lui oltre le mura, portandosi tra i piedi di Atlante, che di certo non stava guardando in basso, quei due moscerini. –“Se non possiamo ferirlo, con le nostre catene, possiamo comunque rallentarlo!” –Spiegò il ragazzo dai capelli blu, srotolando per intero la sua arma e avvolgendola attorno ad un calcagno del gigante, prima di scagliarla in direzione dell’altra gamba. Reda fece altrettanto e in un attimo riuscirono a legare insieme i due arti inferiori di Atlante, che se ne accorse in quel momento, quando tentò di muoversi per avanzare oltre le mura.

 

Incespicò un istante, il gigantesco figlio di Giapeto, prima che le catene andassero in frantumi, di fronte agli sguardi angustiati dei discepoli di Albione.

 

“Siamo proprio inutili!” –Commentò Salzius, mentre Reda si buttava su di lui, impedendo ad un grosso masso delle mura in frantumi di cadergli addosso. Frustrati, osservarono impotenti Atlante varcare il confine del sacro regno di Atena, senza che nessuno di loro potesse fermarlo.

 

“In piedi!” –Una frusta colpì il suolo a pochi passi dai due, sollevando nuvole di polvere e detriti, anticipando la comparsa di una ragazza dai capelli biondi, rivestita da un’armatura che ben conoscevano.

 

Nemes!”

 

“Coraggio, compagni! La prova è perigliosa, ben più di quelle a cui il nostro maestro Albione ci costringeva, ma non rinunceremo solo per questo, non è vero?” –Li apostrofò la Sacerdotessa del Camaleonte, allungando poi una mano verso di loro.

 

Reda e Salzius si scambiarono un ultimo sguardo, annuendo con decisione, prima di afferrare la mano tesa di Nemes e rimettersi in piedi, rientrando nel Santuario da una breccia aperta nel muro e gettandosi all’inseguimento di Atlante.

 

“Punta verso le Dodici Case!!!” –Esclamò una voce, mentre ovunque volavano frecce infuocate e lance e giavellotti e mazze ferrate, senza che alcuna arma potesse recargli danno alcuno. –“Verso la residenza della Dea! Dobbiamo fermarlo!!!”

 

Volo dell’Aquila!!!” –Esclamò Castalia, balzando in alto, dal tetto di un edificio, e mirando al pugno chiuso di Atlante, dentro cui il cosmo di Asher bruciava ancora. Il titano la colpì in pieno volo, schiaffeggiandola con il dorso della mano ancora libera e schiantandola a terra, contro il tetto di una costruzione, dentro cui la donna precipitò, tra le grida di chi ancora vi dimorava.

 

Così… non può andare…” –Mormorò, mentre Atlante le lanciava contro anche Asher, che si schiantò a poca distanza da lei, perdendo l’elmo dell’armatura, con un vistoso ematoma in fronte.

 

“Pare che si fosse stancato di portarmi a spasso!” –Ironizzò il ragazzo, faticando nel rimettersi in piedi, ancora stordito dalla batosta. Castalia lo aiutò, proprio mentre Kiki appariva vicino a loro, affiancato da Kama e da Yulij, guardandosi attorno sconvolto.

 

“Atlante sta per arrivare alle Dodici Case! Tra poco incomberà su Atena!!!”

 

“Dobbiamo far sfollare immediatamente l’intera area degli alloggi! Yulji, Kama! Dovete evacuare tutti i presenti, gli apprendisti, gli inservienti, le ergantine, anche le aspiranti sacerdotesse! Non potrebbero nulla contro Atlante!” –Ordinò il Cavaliere dell’Aquila, prima di correre fuori dall’abbattuto edificio assieme ad Asher, diretti verso la Prima Casa dello Zodiaco. Nemes, Reda e Salzius li raggiunsero in quel momento, e anche Kiki infine si unì loro, stupendoli.

 

“Voglio combattere! Io posso combattere!” –Precisò, non ricevendo risposta se non un cenno col capo da Castalia e Asher.

 

Sfrecciando lungo la via principale, cercando di radunare quanti più soldati riuscirono a trovare, raggiunsero l’ampio spiazzo di fronte alla Casa di Ariete, pochi attimi prima che anche Atlante vi giungesse, demolendo, con i suoi enormi passi, le costruzioni vicine, riservate agli alloggi dei soldati e all’armeria.

 

“Quanta distruzione!” –Mormorò Nemes, ricordando lo sfacelo sull’Isola di Andromeda, quando Scorpio l’aveva devastata con una tempesta di energia. –“Avrà mai fine?!”

 

“È la nostra ultima freccia, Cavalieri! Bruciate tutto il vostro cosmo, bruciate la vostra vita!!! Per Atena!!!” –Gridò Asher a gran voce, avvolto nella sua aura violetta.

 

“Per Atena!!!” –Risposero gli altri combattenti, liberando la loro energia. Una dopo l’altra, cinque figure composte di stelle galopparono verso Atlante, raggiungendolo nell’interno coscia della gamba sinistra, dove mancava la protezione dell’armatura. Fu un attacco di media potenza, per cui poterono sentirsi soddisfatti, ma anch’esso non produsse danno alcuno, sebbene un’aura luminosa luccicasse ancora per qualche istante nel punto dell’impatto, prima di dissolversi, di fronte agli occhi sgranati di Asher, Castalia e dei discepoli di Albione.

 

L’unica conseguenza diretta fu che Atlante per la prima volta li notò, chinandosi infastidito su di loro e sbattendo il palmo della mano sul suolo, generando un’onda di pressione così devastante da crepare il terreno e sollevare polvere e rocce. Kiki aprì le braccia, cercando di proteggere gli amici con la tecnica che gli aveva insegnato Mur, sostenuto anche dal potere di Asher e Castalia, ma bastò che il titano battesse di nuovo il pugno sul terreno per scaraventarli tutti indietro, contro la parete rocciosa che costellava la rampa di scale che conduceva alla Prima Casa.

 

Abbiamo… fallito…” –Mormorò l’Unicorno, crollando sulle ginocchia, il sangue che gli colava da una ferita alla tempia. –“Isabel! Atena! No, nooo!!!” –Incapace di accettare quella prospettiva, Asher si rialzò, le gambe tremanti e il passo malfermo, muovendosi lungo la gradinata di marmo, per intercettare il titano prima che poggiasse il suo enorme piede sulla stessa.

 

Asher!!! Non farlo!!!” –Gridò Castalia, ancora a terra, assieme agli allievi di Cefeo.

 

“Devo! Atena deve essere protetta! Sempre!” –Aggiunse il ragazzo, tirandole un ultimo sguardo, prima di portare il proprio cosmo al parossismo e lanciarsi contro Atlante, un unicorno di vivida luce, con la punta rivolta verso il nemico.

 

Quella volta il titano lo vide e mosse subito il braccio nella sua direzione, per colpirlo con un poderoso manrovescio, ma inaspettatamente qualcosa lo frenò, interponendosi tra i due contendenti. Una cupola di energia dorata, sottile ma estesa, parve avvolgere l’intera Collina della Divinità, impedendo al figlio di Giapeto di avanzare oltre, prima che una sola parola echeggiasse tra le rupi scoscese.

 

Kaan!!!”

 

Castalia e i Cavalieri di Bronzo sollevarono lo sguardo al cielo, laddove una figura ammantata d’oro era appena apparsa. Il volto calmo, gli occhi chiusi, i lunghi capelli biondi che gli coprivano la schiena, un’enorme energia che brillava tra le sue mani. Il Cavaliere di Virgo era appena giunto sul campo di battaglia.

 

Anche Asher lo osservò ammirato, atterrando su un costone roccioso, proprio mentre una seconda figura rivestita d’oro usciva dal pronao della Prima Casa, affiancando il parigrado. –“Non da solo combatterai quest’ultima battaglia, Shaka di Virgo! Mur dell’Ariete è con te! E se cader dobbiamo, che sia per Atena!”

 

Il Custode della Porta Eterna annuì, accennando un breve ma sentito sorriso, mentre Atlante sollevava il braccio per calarlo di nuovo su di loro.

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo tredicesimo: Il popolo libero. ***


CAPITOLO TREDICESIMO: IL POPOLO LIBERO.

 

Toru ascoltava attento quel che il giovane dallo sguardo fiero gli stava raccontando, tirando di tanto in tanto un’occhiata di sbieco alle massicce teste di drago che ornavano i coprispalla della sua corazza. Belle, realizzate magnificamente, ma al tempo stesso inquietanti, parevano ricordargli i feroci animali che stavano martellando le pareti esterne delle Conchiglie in cui il suo popolo dimorava.

 

Eppure Tara diceva che di quel ragazzo dagli occhi neri potevano fidarsi. Mentre sospesa in cielo stava infondendo il proprio cosmo alla barriera, per aiutare la Alii a mantenere la protezione sull’intero Avaiki, lo aveva visto affrontare la terribile piovra che aveva avvelenato Maru e Toru e sconfiggerla. Ma altri nemici avevano invaso il regno sottomarino dove gli Areoi vivevano da secoli, troppo forti perché potessero sconfiggerli da soli.

 

“Ecco perché siamo giunti fin qua! Per prestarvi aiuto, Comandante Toru! Questa guerra non riguarda un regno soltanto ma l’intero equilibrio del mondo, che potrebbe mutare verso l’oscurità più totale qualora perdessimo!” –Stava spiegando in quel momento Ascanio, mentre Tara, poco distante, terminava di curare le ferite di Maru e di Kohu.

 

Aveva un metodo piuttosto bizzarro per medicare i compagni, analizzò il Cavaliere della Natura, utilizzando la propria armatura allo scopo. Era una corazza coprente ma interamente rivestita di spine erettili, di varie dimensioni; persino le mani erano artigliate e questo le permetteva di stringere il braccio di un compagno, trafiggendolo con tali aculei, sfruttandoli per assorbire le sostanze tossiche, che venivano trasferite all’interno della sua corazza.

 

“Tara…” –Mormorò Maru del Narvalo, riprendendo le forze e ringraziando l’amata per quell’ulteriore prova d’affetto, preoccupandosi al qual tempo per le sue condizioni. Ma lei si limitò a fargli un cenno di noncuranza, obbligando tutti a concentrarsi sul vero pericolo rappresentato dai Forcidi.

 

“Ce ne sono almeno quattro! Percepisco chiaramente le loro aure offensive!” –Esclamò Ascanio, volgendo lo sguardo verso la grande Conchiglia Madre, verso cui i cosmi ostili si stavano dirigendo. –“Troveranno i miei compagni a sbarrar loro il cammino! Non devono raggiungere la Perla dei Mari!”

 

“Tu… sai?!” –Toru lo guardò con occhi esterrefatti, non ritenendo possibile che qualcuno fosse a conoscenza di quel segreto, il cuore del loro regno sommerso.

 

Ascanio annuì, dicendo che un amico comune gliene aveva parlato.

 

“Chi?” –Chiesero subito gli Areoi.

 

“Qualcuno che ha molto a cuore la sorte della vostra terra e che ha contribuito a mantenerla isolata dai pericoli del mondo!” –Chiosò il glorioso Comandante dei Cavalieri delle Stelle, prima di incitare Toru e Maru a seguirlo.

 

Fu allora che gli attacchi delle bestie ripresero con maggior violenza, battendo e percuotendo l’enorme guscio protettivo, scuotendolo fino in profondità, come se fossero incitati da un’oscura presenza, invisibile, impalpabile ma reale. Anche Ascanio la percepì, guardandosi attorno con timore, mentre una gigantesca ombra nera pareva circondare la Conchiglia Meridionale, oscurando il blu cobalto del mare.

 

“Non mi piace!” –Mormorò Toru, che aveva sentito la stessa cosa. –“Nessun pesce o animale può muoversi così silenziosamente da non essere avvertito dai miei sensi acuti! Riesco a percepire un tonfo in acqua a miglia di distanza, eppure… quell’ombra… si sposta in silenzio, come se fosse mescolata con le correnti stesse…”

 

“Ce ne occuperemo dopo! Adesso dobbiamo pensare ai Forcidi!” –Lo incitò Ascanio, dirigendosi verso la parte settentrionale della Conchiglia, dove si trovava il ponte che la collegava alla Conchiglia Madre e dove già qualcuno stava combattendo.

 

***

 

Tisifone si era avvicinata troppo.

 

Incurante delle scariche energetiche che la Sacerdotessa di Atena gli aveva appena rivolto, il nemico l’aveva afferrata per un piede, roteandola a mezz’aria e sbattendola poi a terra, dove avrebbe voluto colpirla di nuovo, non fosse stato per l’intervento della compagna, che era scattata su di lui, raggiungendolo con un calcio al petto.

 

Il guerriero dalla corazza squamata non cadde, limitandosi a barcollare all’indietro, svelto a muovere una gamba per recuperare appoggio nel terreno, perdendo però la presa sul Cavaliere d’Argento.

 

“È un tipo poco loquace, ma a cui piace molto combattere, mi par di capire!” –Commentò Titis, atterrando accanto alla compagna.

 

Stavano dirigendosi verso la Conchiglia Madre quando, sul ponte di collegamento tra i due emisferi, avevano incrociato quel violento personaggio, intento a picchiare e a squarciare gli abitanti dell’Avaiki. Inorridite, le donne si erano subito lanciate alla carica, per fermarlo, ma finora non erano riuscite a portare a segno neanche un colpo.

 

Era strano, si disse Tisifone, osservando l’avversario. Il cosmo che emanava era molto ridotto, forse persino inferiore a quello di un Cavaliere d’Argento. Eppure la sua forza fisica era notevole, in grado di impegnarle entrambe in uno scontro diretto, e ancor più notevole era la sua resistenza, come se non avvertisse nemmeno le scariche energetiche che finora gli aveva rivolto contro.

 

Alto e robusto, ben piazzato su solide gambe, l’uomo indossava una corazza azzurra, formata da tante piastre sovrapposte in modo da ricreare una pelle squamata. Persino l’elmo era collegato al pettorale, da piastre flessibili che gli permettevano di roteare la testa, riparandola al tempo stesso, lasciando fuori solo due occhi di colore dorato. Quando gli avevano chiesto chi fosse, egli aveva borbottato solo una parola strana, che la donna non aveva compreso.

 

Afanc. O qualcosa di simile. Poi le aveva caricate, sbattendone una a terra con una spallata e muovendo il pugno verso il volto scoperto dell’altra.

 

“Dobbiamo trovare una breccia nelle sue difese! Gli attacchi a distanza non servono!” –Propose Tisifone, scattando avanti, le unghie affilate pronte per affondare nel nemico, il cosmo violetto che la attorniava, liberando guizzanti saette ad ogni movimento. Tentò un assalto diretto, mirando al viso del guerriero, ma questi spostò la testa di lato, afferrandole il braccio con presa robusta, ma lei, che si aspettava tale mossa, era già pronta per roteare di lato, colpendolo dietro la gamba destra con una raffica di calci. Così tanti che l’uomo dovette piegarla, trattenendo una smorfia di fastidio.

 

Tisifone approfittò di quel momento per sgusciare fuori dalla sua stretta, portandosi dietro di lui e calando l’artigliata mano destra sulla sua schiena.

 

Cobra incantatore!!!” –Gridò, spingendo a terra il nemico, sotto una raffica di scariche energetiche.

 

“Ce l’hai fatta!!!” –Esclamò Titis, alla vista dell’uomo prostrato. Ma non appena questi sollevò la testa, fissandola con sguardo bramoso, capì di essersi soltanto illusa. –“Attenta, Tisifone! Scappa!!!” –Le gridò, ma il guerriero fu più rapido, voltandosi di scatto e colpendola a gamba tesa al ventre, facendola piegare in avanti. Un secondo calcio la scaraventò indietro, contro il parapetto di roccia e sabbia del ponte, distruggendolo e facendola crollare a terra.

 

Sottile trama corallina!!!” –Gridò allora la fedelissima di Nettuno, sfiorando il suolo con una mano e ricoprendolo di un manto colorato, che andò espandendosi in direzione del nemico, intrappolandogli le gambe all’istante.

 

Osservando con curiosità quella strana tecnica, il nemico incrociò lo sguardo di Titis, prorompendo poi in una risata profonda.

 

“Vorresti fermarmi con dei coralli?” –Parlò infine. –“Credi che bastino per trattenere un afanc, terrore delle acque lacustri?! Ahr ahr ahr! Sei bionda e stupida, ragazza!” –La derise, iniziando a muovere le gambe, con foga sempre maggiore, distruggendo la gabbia colorata creata da Titis, senza neppure usare il proprio cosmo.

 

“Incredibile! La tua forza fisica è spaventosa!”

 

“E la presa delle mie braccia lo è altrettanto!” –Ghignarono i due occhi dorati, incamminandosi verso di lei, che subito cercò di divincolarsi, scattando di lato. Ma il Forcide la inseguì, bloccandola mentre balzava verso l’altro lato del ponte e sbattendola a terra, montando rapido su di lei e immobilizzandola con il suo corpo robusto. Una mano le afferrò il collo, torcendoglielo, mentre già nell’altra crescevano grezzi artigli pronti a squarciarla, come avevano dilaniato gli abitanti dell’Avaiki.

 

“Sei… un mostro!!!” –Gridò allora Titis, espandendo il proprio cosmo, come mai aveva fatto prima, e generando un’onda di energia che sollevò l’Afanc, scagliandolo in aria di qualche metro, prima che riuscisse a stabilizzarsi e ad atterrare al suolo a piedi uniti. Ansimando, la graziosa sirenetta si rialzò, mentre anche Tisifone, dall’altro lato del ponte, faceva altrettanto, entrambe avvolte nei loro cosmi caldi.

 

“Insieme, Titis!!!” –Scattò avanti la Sacerdotessa di Atena, liberando folgori di energia che saettarono verso l’uomo, sfregiandogli l’armatura, graffiandola in più punti, ma mai danneggiandola seriamente. Dei colpi portati a casaccio dalla bionda nemmeno se ne curò, dandole le spalle proprio mentre Tisifone balzava su di lui. La afferrò per entrambe le braccia, sbattendola a terra, mentre gli artigli si conficcavano nella sua gamba destra, strappandole un grido di rabbia dolorante.

 

“E adesso….”

 

“E adesso muori, invasore!!!” –Tuonò una massiccia voce maschile, mentre la spaventosa sagoma di un grosso pesce, dai denti affilati e sanguigni, si abbatteva su di lui, scagliandolo indietro. –“Fauci dello Squalo Bianco!!!”

 

Afanc venne travolto, schiantandosi a terra poco distante, le placche della corazza danneggiate, quasi sbranate, da quei precisi fendenti di energia. A fatica si rialzò, il sangue che colava lungo il proprio corpo, trovandosi di forte un uomo massiccio, dai lineamenti tipici delle isole della Polinesia, la cui corazza raffigurava uno squalo bianco.

 

Alla vista di tutto quel sangue, Toru deglutì a fatica, sforzandosi di rimanere concentrato sul nemico, proprio mentre questi gli si lanciava contro, tentando di abbatterlo con una spallata. L’Areoi scartò di lato, caricando il pugno destro di energia cosmica e portandolo avanti, colpendo ad un fianco l’avversario che stava intanto voltandosi verso di lui. Di nuovo le fauci del predatore dei mari si chiusero sulla sua pelle, strappandogliela in più punti, assieme ad organi interni, prostrandolo a terra, debole e ansante. Avrebbe voluto tentare un ultimo colpo, un ultimo affondo con gli artigli che così tante prede avevano squartato, ma non ebbe la forza neppure di alzare il braccio mentre il pugno di Toru gli sfondava il pettorale, strappandogli un gemito sommesso, prima di farlo cadere al suolo, morto.

 

“Toru!” –Esclamò allora Maru, raggiungendo il Comandante, il cui braccio era chiazzato di sangue nemico.

 

“Va tutto bene!” –Chiuse questi in fretta il discorso, dandogli le spalle e scuotendo la mano macchiata, mentre Ascanio passava oltre, avvicinandosi alle due donne ferite.

 

“State bene?” –Chiese loro, ricevendo un cenno affermativo da entrambe. –“Dove sono gli altri?”

 

“Ci siamo separati! Gli Heroes di Eracle si trovano a loro agio in questi fondali oceanici e hanno sfruttato gli stessi condotti subacquei per raggiungere le Conchiglie settentrionali. Il Selenite muto invece ha seguito Avatea nella Conchiglia Madre.”

 

“Avatea?!” –Intervenne allora il Comandante degli Areoi, affiancato da Maru e Kohu. –“La Dea della Luna? Ella dunque è tornata?”

 

Ascanio annuì, prima che un grido di donna riscuotesse tutti i presenti, portandoli a voltarsi verso la strada appena percorsa. In alto, vicino al punto più alto della volta della Conchiglia Meridionale, Tara di Diodon stava avvampando nel proprio cosmo rosaceo, brillando come una stella in procinto di esplodere. Da fuori giungevano percosse sempre più furiose e l’intera struttura difensiva tremava e tremolava, di fronte agli occhi intimoriti degli Areoi che temevano si schiantasse da un momento all’altro.

 

“Ho paura che quel momento sia arrivato!” –Commentò placido Ascanio, cui Toru rispose scuotendo la testa nervosamente.

 

“No! Mai! Non possiamo cedere così! Non possiamo rinunciare alle nostre terre…” –Stava dicendo, quando un nuovo schianto fece vibrare la cupola protettiva, spingendo persino Tara indietro.

 

“Ripiegate! Fate evacuare il vostro popolo verso la Conchiglia Madre! Sarà più facile per noi combattere in assenza di persone innocenti, che potrebbero rimanere coinvolte negli scontri, come testimoniano i cadaveri che questo Forcide ha lasciato dietro di sé! Al tempo stesso, la vostra Alii non dovrà più sforzarsi per difendere cinque gusci, potendo limitare le proprie forze alla protezione di uno soltanto!”

 

“Tu non capisci!!!” –Gli ringhiò contro Toru, avvicinandosi e fissandolo con sguardo duro, segnato dal dolore di quelle parole. –“Questa è la nostra terra, e dei nostri avi prima di noi! Non possiamo abbandonarla, sarebbe un’offesa per gli aumakuas che ci hanno preceduto!”

 

“Sono certo che anche i vostri antenati preferirebbero che salvaste voi stessi e le vostre famiglie, legami preziosi e insostituibili, piuttosto che edifici e luoghi sacri, che possono essere ricostruiti!”

 

Fu un nuovo tremendo schianto a porre fine a quello scambio di opinioni, un rumore secco cui seguì il fragore di un’onda immensa.

 

La barriera difensiva della Conchiglia Meridionale era andata in frantumi e le onde degli oceani stavano traboccando impetuose all’interno, sommergendo case, costruzioni e laghetti e tutti coloro che ancora si erano attardati, sperando in una rapida soluzione di quell’improvviso e inspiegabile conflitto.

 

“Ukupanipo, proteggici!!!” –Piagnucolò allora il giovane Kohu, mentre Toru gridava a tutti di correre via, di superare il ponte ed entrare nella Conchiglia Madre, e scrosci d’acqua si riversavano ovunque attorno a loro, rallentati solo dall’ultimo baluginare della cupola protettiva.

 

Un maroso interruppe la loro corsa, schiantandosi sul ponte e chiudendo loro ogni via di fuga, costringendoli a indietreggiare, mentre anche alle loro spalle la furia degli oceani si scatenava, imperversando sui resti della Conchiglia Meridionale. Fu una luce rosa a salvarli, anticipando il sorgere di una cupola di energia che avvolse i tre Areoi e i tre membri dell’alleanza divina, lasciando le acque al di fuori di quel ristretto spazio in cui a malapena potevano stare in piedi.

 

“Tara!!!” –Gridò Maru del Narvalo, osservando la compagna apparire in mezzo a loro, le braccia tese verso l’alto, nel disperato sforzo di sorreggere quell’ultima barriera a difesa dei compagni.

 

“Ci sono… ancora… Areoi…” –Mormorò la ragazza, mentre la calotta di energia si allungava verso le profondità ove fino a poco prima era esistita la Conchiglia Meridionale, rivelando una seconda cupola, da lei generata, ove erano riuniti una ventina di donne e bambini dai tratti somatici simili ai suoi. –“Dovete… portarli da Hina… Subito!!!”

 

Maru, Toru, Ascanio e Tisifone scattarono subito nel tunnel, incuranti dei continui smottamenti dello stesso, incuranti degli sguardi truci che le creature abissali continuavano a rivolgere loro, mentre sfogavano la loro rabbia con violenti colpi di coda e di tentacoli. Raggiunsero gli intimoriti abitanti, incitandoli a seguirli lungo la galleria, che Tara dovette restringere man mano che si avvicinavano al resto dei compagni, per consumare meno energia e mantenerne a sufficienza per lo sforzo finale: trasportare tutti loro il più vicino possibile alla Conchiglia Madre.

 

Inspirando con calma, pensando a tutto ciò di bello che aveva avuto nella vita, all’affetto di una famiglia che non le aveva fatto mancare niente, all’amore di Maru e al futuro che sognavano assieme, l’Areoi di Diodon bruciò ogni stilla del proprio cosmo, mentre le spine erettili della sua corazza si indurivano, rivelando la reale fattezza di tale armatura, simile al Pesce Istrice cui era ispirata. Il Narvalo sospirò, trattenendo le lacrime, mentre Toru gli metteva una mano su una spalla, conscio di ciò che comportasse l’uso di quell’estremo potere.

 

“Ci siamo!!! Guardate!!!” –Esclamò il piccolo Istioforo, mentre il tunnel di energia si faceva strada lungo il fondale oceanico, separando le acque e allungandosi fino a raggiungere la parete esterna della Conchiglia Madre, ove il cosmo di Hina perdurava, ristorando per un momento Tara da tale debilitante sforzo. –“Andiamo!!!” –Incalzò, iniziando a correre, subito seguito dagli altri abitanti dell’Avaiki, da Tisifone e Titis, da Toru e Ascanio.

 

Rimase soltanto Maru, a pochi passi dall’amata, osservandone il volto trasfigurato dal veleno che le era penetrato nel corpo.

 

“Va’!” –Gli disse Tara, tra le lacrime. –“Non… resisterò ancora per molto…”

 

“E allora moriremo insieme!” –Esclamò rabbioso il Narvalo, avvicinandosi e piantando nel terreno accanto a lei la propria lancia, generando all’impatto un cerchio concentrico di energia che si espanse attorno a loro, rischiarando per un momento quell’abissale profondità, accecando persino le creature fuori dalla barriera. Quindi, senza neppure attendere la risposta della compagna, le afferrò una mano, stringendola con così tanta forza da affondare gli aculei nella pelle, espandendo il proprio cosmo e usandolo per sottrarle parte del veleno, di modo che ella potesse rifiatare.

 

“Maru…” –Commentò Toru, ormai giunto alla fine del tunnel di energia cosmica, assieme al resto del gruppo, voltandosi a guardare indietro le due luci, rosa e dorata, che baluginavano in quelle tenebrose fosse. Ma, conscio del ruolo che rivestiva, dovette metter subito da parte ogni lacrima, concentrandosi sulla barriera che si apriva loro dinnanzi, sfiorandola con entrambe le mani e lasciando che il suo cosmo entrasse in risonanza con quello della Alii che la sorreggeva. Non ci vollero che pochi secondi prima che nella parete di energia azzurra si aprisse un buco, nello spazio tra le sue braccia, allargandosi a sufficienza da permettere al gruppetto di passarvi attraverso, di corsa, entrando nella Conchiglia Madre.

 

Toru fu l’ultimo ad oltrepassare la soglia, rimanendo con una gamba all’interno e una ancora nel tunnel di energia, che ormai ondeggiava pericolosamente alle proprie spalle. Se avesse potuto, avrebbe giurato di aver visto Maru sorridergli un’ultima volta, prima che le robuste mani di Ascanio lo tirassero all’interno della Conchiglia, permettendo al varco nella parete di richiudersi e alla galleria di scomparire, dissolvendosi nell’oscurità abissale. Vi fu un intenso lampo di luce e poi il buio più completo.

 

“Comandante…” –Mormorò la voce spezzata dell’Istioforo, alle sue spalle.

 

Ma Toru non voleva rispondergli, non ancora, incapace di guardarlo in faccia e dirgli che Tara e Maru erano scomparsi. Che anche Tara e Maru erano scomparsi, assieme a chissà quanti altri amici in quelle poche ore da cui era iniziato l’attacco.

 

“Comandante!!!” –Ripeté Kohu, quasi urlando, con una punta di festosità che mal si addiceva al lutto appena subito. Deciso a rimproverarlo, Toru si voltò, proprio mentre un alone di luce, appena apparso di fronte a loro, all’ingresso della Conchiglia Madre, scemava di intensità, rivelando due sagome ben note, prostrate a terra dalla fatica, ed una, ben più in forze, che invece il Comandante non conosceva.

 

“Maru! Tara!!! Ce l’avete fatta!!!” –Esclamò, andandogli incontro. Ma un cenno del Narvalo lo intimò a tenersi a distanza, portandolo così a rivolgersi verso l’ignoto guerriero che li aveva soccorsi. Una donna dalle scure vestigia che, al pari di Tisifone dell’Ofiuco, indossava una maschera eburnea sul volto.

 

“Il mio nome è Pasifae del Cancro Celeste, appartengo al gruppo di Heroes legati al Sommo Eracle! Ho percepito i cosmi dei tuoi compagni in difficoltà, così mi sono permessa di intervenire in loro aiuto!”

 

“Ti ringrazio, Pasifae del Cancro Celeste! Ti sono debitore!” –Si inchinò Toru, prima che Ascanio si facesse aventi, chiedendo alla donna dove fossero gli altri Heroes.

 

“Sono impegnati in battaglia sui ponti che collegano la Conchiglia Occidentale e Settentrionale alla grande madre! Pare che, sebbene fossero a conoscenza di passaggi sotterranei, tali varchi non permettano ai Forcidi di entrare direttamente qua, dove il cosmo che permea questo luogo sacro è di gran lunga superiore!”

 

“Dobbiamo raggiungerli e prestare loro aiuto immediatamente!” –Affermò lo Squalo Bianco, prevenendo qualsiasi obiezione Ascanio stesse per avanzare. –“So cosa vuoi dirmi, Cavaliere dei Due Draghi! Che dovremmo cedere le Conchiglie esterne e rifugiarci tutti qua, ove mai potrebbero giungere! Ma non siamo codardi, noi Areoi! È vero, non siamo guerrieri come voi, il nostro animo non è forgiato alla battaglia, né le nostre corazze resistenti quanto le vostre! Pur tuttavia questa è la nostra terra, la casa del nostro popolo, e lotteremo con i denti per difenderla da questi invasori! E la determinazione che ho visto oggi, nei gesti di Tara e Maru, di Kohu e degli altri incursori, ha spianato in me ogni dubbio!”

 

Il Cavaliere della Natura non rispose alcunché, limitandosi a chinare il capo, asserendo di essere venuto per dargli aiuto, non ordini, sempre rispettando le richieste del popolo delle correnti. Toru lo ringraziò, prima di fare cenno a Kohu di seguirlo verso il ponte che portava alla Conchiglia Settentrionale.

 

Ascanio si diresse invece verso la Conchiglia Occidentale, seguito da Pasifae del Cancro, lasciando Titis e Tisifone a sincerarsi delle condizioni di Tara e Maru. Ma fu proprio quest’ultimo a intimare le due ragazze di tenersi a distanza, per non essere infettate come lui. Non comprendendo le sue parole, la Sacerdotessa di Atena gli chiese di spiegarsi, e Maru lo fece.

 

“La corazza di Tara è in grado di trattenere i veleni al suo interno, una peculiarità che negli anni ci è stata molto utile, qua nell’Avaiki, per curare chiunque fosse stato ferito e infettato da un pesce pericoloso o da una qualche specie vegetale sconosciuta. Solo col tempo ci siamo accorti che, in virtù di questo, il suo cosmo andava facendosi sempre più venefico, trattenuto solo dall’armatura che indossa, al punto che potrebbe risultare mortale a chiunque le stesse troppo a lungo vicino!”

 

“Un grande dono associato a un enorme rischio.” –Commentò allora Titis, prima di notare con quanta cura Maru aiutava la donna a rimettersi in piedi, il bel viso deturpato da violacee cicatrici, ma ancora in grado di sorridere alle attenzioni del compagno. –“Eppure… tu, come puoi starle così vicino? Sei forse immune, Areoi del Narvalo, al suo veleno?”

 

“No, non lo sono!” –Si limitò a risponderle Maru, con gli occhi lucidi. –“Ma non faresti altrettanto, Sacerdotessa di Nettuno, pur di stare insieme a colui che ami?!”

 

Titis non riuscì a rispondergli alcunché, soltanto a sorridere al coraggioso giovane che per amore avrebbe donato tutto, persino se stesso. Un comportamento folle che in fondo ben riusciva a comprendere. Tisifone le poggiò una mano su una spalla, strappandola ai suoi ricordi, prima di indicarle il palazzo di corallo che si apriva di fronte a loro, al centro della Conchiglia Madre. Da là proveniva la pulsante energia che manteneva in piedi l’intero Avaiki, e là stavano adesso concentrandosi gli assalti delle mostruose bestie marine.

 

***

 

Con un solo attacco il Quarto Forcide aveva atterrato Alcione della Piovra e Gerione del Calamaro. Non che fossero due combattenti inesperti, ma l’uomo dalla corazza rappresentante un Isonade possedeva un modo subdolo di combattere, che ben si sposava con le tattiche dell’altro guerriero cui si accompagnava: un uomo alto e magro, dal viso scheletrico su cui risaltava un naso aquilino. Entrambi indossavano armature azzurre, di puro oricalco, rappresentanti bestie marine che avrebbero dovuto nuotare libere nei mari sotto il regno di Forco. L’Isonade, un mostro marino noto nella mitologia giapponese, simile ad uno squalo a tre code, e l’Iku-Turso, una creatura appartenente ai bestiari finlandesi.

 

“Anziché nasconderti, fatti vedere, codardo!!!” –Ringhiò Gerione, rimettendosi in piedi, tenendo una mano sul fianco destro, dove le zanne avverse lo avevano raggiunto, ferendolo. Non ottenne risposta, soltanto un incremento delle nebbiose correnti d’aria che li circondavano. –“Maledetto! Non credere però che rimarremo inermi ad attendere un secondo attacco!” –Aggiunse, avvampando nel proprio cosmo e lasciando schioccare le fruste che reggeva tra le mani. –“Fruste del tuono, trovate il nemico!!!” –Gridò, liberando le sfuggenti verghe, che si infiltrarono nella cortina fumosa, nonostante l’impetuoso soffio del vento ne ostacolasse i movimenti.

 

Zac!

 

Fu quel suono, prima ancora del tendersi della frusta stessa, a indicare a Gerione che le sue armi avevano trovato il proprio bersaglio, permettendogli di sorridere. Poco prima che un attacco furibondo scuotesse le nebbie alle sue spalle, da cui apparvero centinaia di buoi neri, dalle corna sprigionanti fiamme e lampi.

 

Tuonen härkä!” –Imperò una voce, anticipando l’apparire della sagoma del Quinto Forcide, dietro quell’improvvisa mandria di buoi scatenati, che miravano alla schiena del giovane eroe, ancora intento a stringere le fruste in mano.

 

“Non così in fretta!!!” –Intervenne allora Alcione, scattando a difesa del compagno, avvolta nel proprio cosmo azzurro, che turbinò attorno ai due fedeli di Eracle, assumendo la forma di maestose onde schiumose. –“Alti flutti spumeggianti, travolgete la mandria della morte!!!”

 

Lo scontro tra le due energie scagliò entrambi indietro, travolgendo anche Gerione, obbligato a ritirare le proprie fruste, e sbattendolo in malo modo nella terra bagnata. Lo rialzò un’improvvisa corrente d’aria, che lo fece roteare verso l’alta volta della Conchiglia Occidentale, costringendolo a srotolare di nuovo una frusta e a lanciarla verso terra, arrotolandola ad uno scoglio affiorante.

 

L’Isonade sogghignò, uscendo dalle nebbie e rivelandosi infine al giovane guerriero, mentre Alcione, poco distante, doveva fronteggiare la nuova carica dei Buoi della Morte, senza poter intervenire in suo aiuto.

 

“Finalmente ti mostri, spregevole canaglia!” –Avvampò Gerione, bruciando il proprio cosmo e utilizzandolo per stabilizzarsi all’interno del vortice d’aria, prima di scatenare una fitta pioggia di fruste energetiche. –“Tentacoli predatori!!!” –Gridò, mentre gli strali azzurri piombavano sul Quarto Forcide, obbligandolo a balzare indietro più volte, per non esserne investito, stupefatto da quanto veloci e guizzanti potessero essere nonostante la corrente contraria che ne frenava la corsa.

 

“Bastardo! Non mi farò sconfiggere ora!” –Ringhiò, pensando alle enormi possibilità che gli si erano aperte davanti. Aveva sentito, poco prima, scomparire il cosmo di Ozena, che di certo aveva commesso l’errore di sottovalutare Toru. Eppure l’avevo avvisata di fare attenzione ai denti del mio vecchio compagno d’addestramento! Sogghignò, senza essere dispiaciuto per la sua dipartita. Del resto, dopo Cariddi, Ozena era il secondo Forcide a cadere, ed entrambi erano a lui superiori nella scala gerarchica che ordinava i servitori di Forco. Non che avesse mai ambito ad essere il primo, posizione impossibile per chiunque da raggiungere, ma aver guidato l’incursione all’Avaiki di certo gli avrebbe fatto guadagnare simpatia agli occhi del futuro Imperatore dei Mari, che avrebbe potuto promuoverlo o affidargli incarichi sempre più importanti.

 

Immerso in quei pensieri ambiziosi, non s’avvide di un affondo di Gerione, la cui frusta lo aveva raggiunto al volto, aprendogli un taglio sulla guancia destra e facendogli persino perdere l’elmo azzurro.

 

“Umpf! Ferito da un calamaro gigante?! Solo nei sogni di un poveraccio! Non nei miei che a ben altro ambisco!!!” –Ringhiò l’uomo chiamato Moeava, mentre il guerriero di Eracle atterrava di fronte a lui. Nessuno ebbe il tempo di fare alcunché che l’intera struttura tremò, spaventando tutti i presenti e costringendoli a gettare uno sguardo verso le pareti esterne, ove un’ombra immensa era appena comparsa.

 

L’Isonade inghiottì a fatica l’amaro bottone della sconfitta. Avevano perso troppo tempo in quei canali sotterranei, orientandosi per trovare la via per la Conchiglia Madre, realizzando troppo tardi che i poteri della Alii dovevano probabilmente mutarne la conformazione, facendoli sbucare ogni volta in un lago diverso ma sempre in una delle Conchiglie esterne. Per questo avevano cambiato strategia, ripiegando su un assalto diretto al ponte di collegamento, dove erano però stati fermati dagli Heroes di Eracle e costretti ad uno scontro che troppo a lungo si era protratto.

 

Adesso che lui era arrivato, vi sarebbe rimasto ben misero bottino per loro, Forcidi di basso rango, misero come le speranze che restavano agli Areoi, poiché di certo all’Abisso Oscuro nessuno avrebbe potuto opporsi.

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo quattordicesimo: La luce e il giorno. ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO: LA LUCE E IL GIORNO.

 

Quando Pegasus riprese i sensi si accorse che faceva caldo, molto caldo. Tirandosi su, a fatica, vide braci ardere poco lontano, mentre un uomo alto e robusto, curvo su se stesso, levigava un pezzo di metallo celeste. Chiuse e riaprì gli occhi per capire dove si trovasse, per mettere insieme i ricordi, prima che una mano si posasse sulla sua spalla e una voce amica lo rincuorasse.

 

“Non temere, Cavaliere! Sei al sicuro!”

 

“Phantom?!” –Mormorò il ragazzo, identificando il Luogotenente Olimpico. Mettendosi a sedere e guardandosi attorno, riconobbe la fucina di Efesto, sebbene parte della caverna fosse crollata e regnasse un estremo disordine.

 

“Bentornato nel mondo dei vivi, Cavaliere di Pegasus!” –Lo chiamò allora una solida voce, mentre un uomo alto e bello, con mossi capelli biondi, gli si avvicinava. Indossava la regale Veste Divina, che gli aveva visto addosso una volta sola, durante lo scontro finale alla Torre del Fulmine e, sebbene fosse un fido alleato di Atena, Pegasus non poteva fare a meno di trovarsi in soggezione di fronte a lui. Di fronte al Padre degli Dei. –“Ti sei risvegliato giusto in tempo! La tua armatura è pronta!” –Disse, facendogli cenno di alzarsi e di raggiungerlo presso la fornace, ove Efesto stava terminando le ultime rifiniture, affiancato da Euro, Vento dell’Est, e da un uomo dai capelli fulvi che il Cavaliere di Atena non conosceva.

 

Il figlio di Eos subito gli sorrise, spiegandogli che il Sommo Zeus aveva offerto il proprio sangue per riparare e solidificare la corazza del cavallo alato, che appariva adesso più nuova che mai.

 

“Provala!” –Esclamò subito Efesto, mentre il ragazzo espandeva il proprio cosmo, entrando in risonanza con l’armatura, che sfrecciò nello spazio ristretto della caverna, scalpitando come un vero e proprio destriero di luce, prima di scomporsi in tanti pezzi che andarono a rivestire il fisico di Pegasus.

 

“È… straordinaria!” –Mormorò questi, osservandola. –“Percepisco una vitalità mai provata prima, neppure quando rinacque con il sangue di Atena o con il mithril!”

 

“È naturale! Il Signore dell’Olimpo discende direttamente da Crono ed è il supremo Dio della Terza Generazione Cosmica! Il suo cosmo combina forza, imperio e una sempiterna freschezza! Di tutte le armature che hai indossato, questa certamente è la più resistente, ma al tempo stesso leggera e diafana come una Divinità!”

 

“Grazie, Sommo Zeus! Grazie per questa corazza con cui lotterò per Atena e per le genti del mondo!”

 

“Non ringraziarmi, Cavaliere! Un dono tardivo è questo, per quanto efficace!”

 

“Grazie anche per… avermi curato il braccio?!” –Aggiunse il ragazzo, che sentiva una nuova vitalità anche nell’arto ustionato dalle tenebre di Erebo.

 

“Per quello… non ho potuto fare troppo, perdonami! Sono riuscito ad alleviare il tuo dolore, a rimetterlo in moto, ma l’oscurità che lo ha infettato è troppo grande adesso, persino per me!” –Confessò il Nume, scansando lo sguardo preoccupato di Pegasus e dei Cavalieri Celesti. –“Forse, quando tutto questo finirà e brinderemo vittoriosi alla fine dell’ombra, allora il tuo bracciò tornerà libero dal maleficio che lo ha colpito. Ma fino ad allora…”

 

“Fino ad allora combatterò lo stesso!” –Avvampò Pegasus, sollevando l’arto con il pugno chiuso, desideroso di confrontarsi quanto prima con Erebo e Nyx.

 

“Ed io vorrei essere al tuo fianco, Cavaliere!” –Intervenne Nikolaos. –“Anche se la mia corazza è stata distrutta da Cariddi, combatterò ugualmente fino all’ultima stilla di vita! I miei genitori, e mia sorella ingannata, chiedono giustizia!”

 

“E la avranno, mio fidato Luogotenente! Stai certo!” –Chiosò Zeus, prima di cercare lo sguardo di Euro. –“A tal riguardo, non credo tu debba guerreggiare disarmato!”

 

“Nessuno dovrebbe farlo, tantomeno tu che hai dimostrato coraggio, abnegazione, spirito di sacrificio e un acume che ti ha portato a scegliere per cosa lottare, chiedendoti sempre il perché di ogni azione, anche quando gli Dei a cui eri fedele sembravano aver tradito i loro stessi ideali! Per la tua gentilezza d’animo, io Euro, Vento dell’Est, donerò il mio ichor, affinché l’Eridano Celeste possa continuare a scorrere, ruscello di speranza per tutti i popoli, umani e divini!” –Commentò il figlio di Eos, tagliandosi i polsi e bagnando i resti dell’armatura di Nikolaos, che Zeus aveva portato con loro.

 

“Euro Argestes, amico mio! Non so come ringraziarti per questo gesto…” –Ammise commosso il Luogotenente.

 

“Lo farai in battaglia! Lo faremo insieme!”

 

Zeus sorrise compiaciuto, prima di voltarsi verso il taciturno fabbro, che portava sul volto e sul corpo ancora i segni dello scontro con Erebo. –“Perdonami figlio mio, devo abusare ancora una volta della tua maestria! Ma non temere, tutti i tuoi sforzi saranno presto ricompensati, tutti i tuoi desideri troveranno realizzazione, e tra non molto, invero tra un attimo del tempo cosmico, ritroverai la tua dolce Afrodite e allora potrete stare insieme per l’eternità!”

 

Efesto non disse niente, limitandosi a grugnire e a rimettersi a lavoro. Ben poche forze gli erano rimaste, di certo in battaglia non sarebbe stato utile, storpio e ferito com’era, ma l’abilità delle sue mani era un dono che nessun’ombra avrebbe potuto oscurare.

 

“E per me, mio Signore, c’è niente?” –Intervenne allora una sesta voce, appartenente all’uomo dai capelli fulvi che Pegasus non aveva mai visto fino ad allora. –“Perdonate il mio ardire, ma… potrò avere anch’io un’armatura con cui lottare?”

 

“Non un’armatura, Toma, bensì la tua armatura!” –Precisò Zeus, notando il volto dell’uomo tingersi di un’espressione di sorpresa, e poi di serenità. –“Non crederai che l’abbia ceduta a qualcun altro! Tu solo sei degno di indossare le vesti che furono di Icaro! Tu sei il nostro novello Icaro, sempre pronto a volare in alto, verso il sole, senza paura di scottarti!” –E, nel dir questo, il proprio cosmo avvampò nell’intera caverna, raggiungendo recessi noti soltanto al Nume e al di lui figlio, scuotendo il suolo e lasciando apparire una corazza di color azzurro e avorio.

 

Toma la riconobbe all’istante, nonostante fossero passati quindici anni dall’ultima volta in cui l’aveva indossata. Aveva la stessa forma di allora, che a Pegasus sembrò un angelo con le ali, o un putto, un cupido, non seppe distinguerla. Vide solo che anch’ella riconobbe il suo possessore, lampeggiando e scomponendosi, per rivestirlo poco dopo.

 

“Grazie, mio re!” –Esclamò commosso il Cavaliere di Icaro. –“Nient’altro ho desiderato, in questa lunga prigionia, se non tornare a servirvi.”

 

Zeus annuì, mentre Euro rimase qualche istante ad osservare il giovane, accennando un sorriso di compiacenza. Era vero, e lui lo sapeva bene, Toma voleva continuare a lottare; ne avevano parlato spesso, in quelle saltuarie occasioni in cui il figlio di Eos era andato a trovarlo, spingendosi in volo fino all’alta cima di Strobilus, sebbene non ne avesse mai fatto parola con nessuno, per non infrangere un divieto divino che impediva a chiunque, tranne che a Zeus, di fargli visita. Ma Euro provava pena per lui, vittima di un destino ingrato, il destino di un uomo che voleva andare oltre, che voleva sempre di più. Non poteva biasimarlo, in fondo non era poi così diverso dai suoi simili. Era la natura umana a spingere affinché tali limiti venissero superati.

 

Di una cosa però non era certo, che fosse tutto qui ciò che Toma desiderasse: impugnare di nuovo la sua lancia per Zeus. Il tintinnio di un pendaglio lo distrasse, ricordandogli una conversazione avuta con il prigioniero anni addietro, quando gli aveva detto il vero motivo per cui voleva diventare più forte. Proteggere i suoi cari, in particolare sua sorella.

 

“Quel pendaglio…” –Mormorò Pegasus, attirando l’attenzione del Cavaliere di Icaro. –“Mi è familiare… Ma non ricordo dove l’ho visto.”

 

“Ne dubito, Cavaliere. Ve ne sono solo due esemplari, costruiti a mano da mio padre, uno per me e uno per mia sorella.” –Chiosò l’altro. –“La sorella che ho abbandonato anni fa, che forse non si ricorderà più di me e che di certo ho perduto!”

 

***

 

Castalia venne atterrata di nuovo, piombando sul ruvido selciato accanto ad Asher e agli altri Cavalieri di Bronzo. Avevano tentato un nuovo attacco, unendo i loro colpi segreti contro Atlante, ma ancora una volta avevano fallito.

 

Il titano sembrava non avvertire alcunché, neppure una puntura, limitandosi a scacciarli, mulinando le sue robuste braccia. Tutta la sua attenzione, del resto, era dedicata a quella strana cupola di energia che aveva ricoperto la Collina della Divinità, impedendogli di andare avanti. Furioso, da parecchi minuti la stava tempestando di pugni, incurante dei dardi infuocati e dei colpi energetici che da basso i soldati e i Cavalieri di Atena gli stavano scagliando contro.

 

La Sacerdotessa dell’Aquila affannò nel rimettersi in piedi, sentendosi, al pari del giovane Unicorno al suo fianco, frustrata e impotente, e anche timorosa che la protezione eretta da Virgo e Mur non sarebbe durata a lungo contro un tale ancestrale potere. Timore che andò crescendo in lei quando vide due punti di luce apparire accanto alla testa di Atlante, due figure farsi sempre più vivide.

 

Non seppe dirsi da quanto erano lì, in piedi sulle spalliere corazzate del titano, ma la loro presenza le suscitò un’immediata e sconfinata paura. Silenziose, rivestite solo di candide vesti, di color panna e avorio, le due entità osservavano l’operato del figlio di Giapeto e la strenua difesa dei Cavalieri di Atena con attenzione e distacco. Fu solo dopo l’ennesimo pugno di Atlante, che obbligò i Cavalieri d’Oro a infondere maggiore energia alla barriera congiunta, che uno dei due abbandonò la sua posizione di osservatore e si fece avanti, muovendosi tranquillo nel cielo, quasi fosse una falena di luce.

 

Castalia lo osservò sgomenta avvicinarsi alla cupola di energia dorata, sfiorarla con il palmo aperto della mano e… passarvi attraverso, come se non esistesse. La seconda figura lo seguì all’istante, gettando un ultimo sguardo alla folla di soldati sotto di sé, prima di entrare anch’ella all’interno della protezione, dirigendosi decisi verso la sommità del colle, incuranti di tutto il resto.

 

Atena, che per tutta la durata dell’assalto era rimasta sul piazzale antistante la Tredicesima Casa, notò le due figure avvicinarsi, piccole ed esili se paragonate alla stazza del rabbioso gigante, ma pregne di una sconfinata potenza. Non ebbe bisogno di interrogarsi sulla loro identità, che già l’ebbe chiara e capì che quel giorno la sua vita sarebbe giunta a termine. Del resto, non aveva modo di opporsi a due Progenitori.

 

“Salute a te, Atena Parthenos!” –Esclamò uno di loro, fermandosi nel cielo proprio sopra l’ultimo tempio del Santuario. –“Etere e Emera ti porgono i loro omaggi!”

 

“Etere e Emera…” –Mormorò la fanciulla dai capelli viola, trovando conferma alle sue paure. –“I figli della Notte!”

 

“Etere son io, l’imperturbabile!” –Annuì l’uomo dai capelli avorio, prima di afferrare la mano della compagna e mostrarla ad Atena. –“E questa è mia sorella, Emera, la beata! Siamo i signori del giorno e della luce, quella più pura, che solo le creature più beate posson rimirare! E siamo qui, Atena, per esprimerti tutto il nostro disappunto!”

 

“Co… come?!”

 

“Non ti è chiaro, dolce fanciulla? Ti abbiamo osservato a lungo, dallo spazio tra i mondi in cui fummo confinati al pari del nostro creatore, il creatore di tutte le cose, e abbiamo compreso l’ipocrisia insita nel tuo agire!” –Spiegò Etere, con voce perfetta, priva di qualsivoglia accento o cadenza. –“Ti proclami Dea di pace, Atena, eppure sei sempre intenta a combattere guerre. Ti proclami Dea della giustizia, rivendicando un titolo non tuo, di fatto smentito dalle tue azioni. Infine ti proclami Dea della guerra giusta e saggia, ma spiegami, Atena Promachos, come può una guerra essere giusta e saggia? Come puoi dichiarare di amare i tuoi Cavalieri se tutto ciò che fai, tutto ciò che hai sempre fatto fin da quando nascesti, è stato mandarli a morire? Giovani, virtuosi, pieni di belle speranze, tu li hai uccisi tutti, uno dopo l’altro, in una lunga serie di guerre che voi Olimpi avete avuto la pretesa di definire sacre, come se qualcosa di sacro vi possa essere in uno scontro armato.”

 

“Cosa aspettarsi in fondo da una Dea che nacque già bardata di tutto punto e pronta per quella guerra? Non così nascesti dal cranio di Zeus parricida? Una barbara guerriera partorita dal sangue di una barbaria!” –Precisò l’inflessibile voce di Emera.

 

“Le vostre parole possono anche essere vere, divino Etere, ma come giustificate allora il vostro agire? Non avete voi invaso questo luogo sacro, portando Atlante e con sé la distruzione?! Non stanno forse i miei fedeli rischiando le loro vite solo a causa di un capriccio divino?! È forse a voi concesso di abiurare al vostro status divino per immischiarvi in puerili faccende umane?!”

 

“Entità ancestrali del nostro pari, Atena, non sono tenute a giustificare alcunché. Noi semplicemente agiamo. E di certo non dobbiamo motivare le nostre azioni con una ingenua Divinità minore!” –Sibilò la personificazione del cielo più puro, con una sfumatura di fastidio nella voce. –“O forse non ricordi qual è il tuo posto nell’ordine delle cose?” –Aggiunse, accennando un sorriso, mentre un’indicibile pressione schiacciava Atena a terra, facendole perdere la presa sullo Scettro di Nike, che cadde qualche gradino più in basso, lungo la scalinata che conduceva alla Dodicesima Casa. –“Così va meglio! Non trovi, divina sorella?”

 

Emera, al suo fianco, annuì, osservando la figlia di Zeus rimettersi in piedi a fatica, il bianco vestito strappato, le ginocchia sbucciate, il viso in evidente affanno.

 

“Vuoi sapere perché siamo qua, Atena? Perché domani nascerà un nuovo mondo, dalle rovine del vecchio, che uomini meschini e deboli Divinità corrotte hanno inquinato. E inizieremo la riedificazione del mondo proprio da questo Santuario, empio di colpa e vergogna a causa di una Divinità che si è sempre reputata protettrice degli uomini, eppure quanti ne ha uccisi nel corso di millenni? Quanti sono caduti in nome suo? In nome tuo?!” –Parlò la sorella di Etere. –“Non sei stata degna del tuo ruolo, non hai saputo comprendere che nessuna guerra poteva essere giusta, né che giusto poteva essere sfruttare degli adolescenti per risolvere futili contese di potere? Il dominio dell’Attica? Il dominio sulle terre emerse? Una baruffa per una zolla di terra oltre le colonne d’Ercole? Per questo hai condannato tutti quegli innocenti, Dea dell’ingiustizia?! Provo solo pena e disprezzo per il tradimento perpetuato ai danni del tuo ruolo!”

 

“Io… Anche io!” –Mormorò infine Atena, inginocchiandosi sul freddo marmo e stupendo gli stessi Dei di luce.

 

“Cosa vuoi dire? Ammetti dunque le tue colpe, fallace Atena? Ammetti dunque di meritare il castigo divino, al pari degli Olimpi tuoi congiunti?” –Incalzò Etere, mentre la fanciulla amata da Pegasus sollevava infine la testa, rivelando uno sguardo risoluto ma intriso di lacrime.

 

“Sì, lo ammetto! So per prima di aver fallito, di non essere stata degna del mio ruolo di Dea di pace, di garante dell’armonia! Ho fatto quel che potevo, quel che ritenevo giusto per salvaguardare l’equilibrio del mondo, per impedire che qualche oscuro potere prevalesse, che Nettuno, Ade o Ares estendessero il loro dominio sul regno degli uomini, rendendoli schiavi e privandoli del diritto alla libertà! Pur tuttavia… sono consapevole di aver fallito. Di non aver salvato questo mondo dalla rovina!”

 

“Giunge tardiva la tua confessione, ma apprezzata!” –Commentò Etere.

 

“Non di approvazione ho bisogno, solo di una promessa! E la chiedo a voi, che nel creato siete gli Dei più immacolati! Risparmiate i miei cavalieri, risparmiate gli uomini che già molto hanno sofferto, che hanno lottato in mio nome e nel nome di ideali cui hanno prestato fede! Permettete che vivano la loro vita, che concludano le loro esistenze, sia pur caduche di fronte all’eterno, in serenità e pace! Io… offro la mia vita in pegno, per la loro salvezza!”

 

“Che… cosa?!” –Esclamarono sorpresi gli Dei gemelli. –“Sei pronta a dare la tua vita? A rinunciare alla tua immortalità pur di salvare quella di questi mortali? Perché? A che giova una simile vana follia?”

 

“Non capisci, Etere, ed è naturale! Come potresti? Hai mai vissuto tra gli uomini? Ti sei mai sentito uno di loro? Sei mai stato in grado di pensare, amare, soffrire come loro, parte di un misterioso quanto meraviglioso mondo?” –Declamò fiera la Dea, avvolta nel suo cosmo luminoso, mentre lo scettro di Thule tornava nelle sue mani ed ella se ne serviva per rimettersi in piedi. –“Io sì! In questi lunghi secoli, fin da quando mio Padre Zeus e i suoi fratelli si divisero il mondo conosciuto, al termine della Titanomachia, ho vissuto sulla Terra durante ogni mia reincarnazione, nascendo ogni volta in un corpo mortale! I miei nemici l’hanno sempre giudicata una scelta di debolezza, un’immotivata rinuncia ad un maggior potere che di certo avrei ottenuto sfoderando il mio corpo divino! Ma non hanno mai capito che invece, vivere tra gli uomini, come uno di loro, è sempre stata la mia forza, il braccio in grado di sostenermi quando credevo di non riuscir più ad avanzare! Grazie a loro, e per mezzo di loro, ho vinto tutte le mie battaglie, quelle guerre che forse per voi non sono sacre ma per me lo sono state, perché in quelle guerre ho potuto difendere l’umanità e la sua libertà! E niente vi è di più sacro per me! Per cui, Etere e Emera, se siete venuti fin qua per giudicarmi in un sommario processo, come molti altri Dei hanno tentato di fare prima di voi, dovreste conoscere tutti i fatti, prima di emettere la sentenza finale, prima di condannarmi per azioni che non avete compreso!”

 

“Non dobbiamo emettere alcuna sentenza, Atena! Sei già stata giudicata!” –Replicò sprezzante il Dio della Luce superiore. –“In un processo durato millenni, in cui abbiamo potuto osservare la fallacia delle tue azioni! Non ultima la decisione di unirti ad un mortale, profanando la tua sacra illibatezza!”

 

“Ancora non capite, eppure è così semplice, la giusta conclusione di un processo di umanizzazione iniziato all’epoca della mia prima reincarnazione! Quello che definite follia, quello spirito di sacrificio con cui offro la mia vita in cambio della salvezza del genere umano, nasce da un sentimento profondo e nobile che risponde al nome di amore, il più potente sentimento umano, in grado di scuotere e ribaltare mondi! E quanti Dei, se volessero ammetterlo, potrebbero confermarlo! Basterebbero le lacrime che Eos versò per Titone, per perorare la causa della sua immortalità, o i delicati baci che Afrodite e Efesto si scambiavano nelle loro notti assieme, sulla cima dell’Etna, a dimostrarlo! Neppure mio padre fu indenne all’amore o l’orgogliosa Era, che divenne paladina della sacralità delle unioni! Persino Ares lo sperimentò, anche se forse egli amava se stesso più di ogni altra cosa! E quando ami qualcuno, sia esso uomo o Dio, sei in grado di compiere atti miracolosi!” –Ribatté fiera la figlia di Zeus, ricordando le parole di un’amica, parole che giorni addietro le avevano toccato il cuore.

 

“Non c’è niente di triste nell’adempiere al proprio destino! Dovresti saperlo meglio di chiunque altro! La nostra schiavitù è soltanto una facciata! In fondo dovremmo essere lieti di dare la vita per proteggere coloro che amiamo! Nient’altro potrebbe renderci più felici che non donare loro un futuro!” –Questo era quel che le aveva detto Ilda, e adesso, solo adesso, di fronte al giudizio finale, lo comprendeva davvero. Solo adesso ne era pienamente convinta.

 

Per Pegasus, per i Cavalieri a lei fedeli, che da tempi immemori combattevano in suo nome, Atena Promachos si sarebbe immolata!

 

“Belle parole, carenti di contenuto!” –Replicò Etere. –“La tua luce è destinata a spegnersi, Atena, come questo Santuario è destinato ad essere distrutto! Ben più intenso è il bagliore del nostro cosmo, quello degli Dei primordiali, gli Dei perfetti e puri, scevri da ogni macchia e da ogni errore! Quel tuo bel sentimento, di nome amore, noi non lo capiamo, è vero, e non capendolo ne siamo fuori, in grado di guardare ogni cosa con il dovuto distacco, anziché vittime di chissà quale torbida passione! E per quell’amore, che tanto declami, tu oggi cadrai!”

 

“Chissà che le cose non vadano diversamente, Divino Etere!” –Commentò Atena, espandendo il proprio cosmo. –“La tua sicurezza è indubbia, ma non sei il primo a rivolgermi parole simili! Lo credevano in molti, di essere perfetti, in quanto Divinità! Mio fratello Apollo e Ade, Nettuno e persino Zeus, tutti si sono arrogati di volta in volta il diritto di ritenersi superiori agli uomini, alle loro passioni, ai loro turbamenti. Eppure, così dicendo, così solo pensando, dimostravano di non esserne fuori, di essere coinvolti a loro volta, deboli e insicuri, bisognosi di sempre nuove certezze o del reiterarsi delle vecchie. Chi non capisce questa misera verità non è un vero Dio!”

 

“Orbene, figlia di Zeus, mostrami cosa significa essere un vero Dio!” –Rise Etere con voce sprezzante. In tutta risposta, Atena gli puntò contro lo Scettro di Nike, scagliando un raggio di energia verso lo stupefatto Nume del Cielo, a cui comunque bastò sbarrare gli occhi per fermare quel ridicolo fascio di luce, disperdendolo, senza che ciò disperdesse la sorpresa e l’ira dal suo volto.

 

“Provare passione e fede in qualcosa, e per questo combattere! Non per generare un nuovo mondo ma per dimostrare quanto può essere bello e pieno d’amore quello che già esiste!” –Avvampò la Dea della Guerra, prima che Etere le rivolgesse contro il palmo della mano, schiacciandola di nuovo a terra, facendola ruzzolare per parecchi metri, fino a schiantarla contro le colonne esterne della Tredicesima Casa.

 

Tutti, in quel momento, in ogni angolo del Grande Tempio, percepirono indebolirsi il cosmo di Atena, schiacciata da un’incredibile potenza, superiore a quella degli Dei incontrati fino ad allora.

 

“Questo cosmo… è immenso!” –Balbettò Castalia, osservando dal basso le due figure di luce sovrastare la Collina della Divinità. Così piccole, ma in grado di sprigionare una sfolgorante energia.

 

“Atena!!! Vengo da te!!!” –Gridò Asher, infilando a gran velocità nel pronao della Casa dell’Ariete, seguito dalla Sacerdotessa dell’Aquila, e gettandosi in una celere corsa lungo la scalinata di marmo. Ma bastò che Etere li notasse che un lampo scintillò dal suo dito indice, generando un’esplosione che devastò la gradinata, scagliando entrambi molti metri addietro, contro le colonne della facciata posteriore del Primo Tempio.

 

Mur e Virgo, che stavano riversando tutta la loro energia nella barriera protettiva, videro i compagni cadere, fremendo per non poter intervenire in loro soccorso, poiché Atlante, per quanto temporaneamente frenato, non aveva intenzione di desistere dai suoi propositi, continuando a tempestare la cupola di violenti pugni e calci.

 

“Maledizione!” –Strinse i denti l’allievo di Shin dell’Ariete, cercando un modo per uscire da quella situazione di stallo.

 

Proprio in quel momento Atena si rialzò, ferita e dolorante per l’attacco ricevuto, ma determinata a non arrendersi. –“Ti ho offerto la mia vita, per risparmiare quella dei miei cari, ma credo che tu non voglia preservare né l’una né l’altra! Ti definisci Dio immacolato e puro, Signore della Luce, ma nel tuo agire vedo solo l’ombra di tua madre!” –Esclamò, suscitando la sdegnata reazione di Etere, che si volse verso la sorella, pregandola di andare a sedersi da qualche parte e di lasciar fare a lui.

 

“Concluderò in fretta questa faccenda, mentre Atlante raderà al suolo quest’empio santuario! Nell’attesa, aspettami sorella! Non ci vorrà molto! Solo il tempo di mettere in riga un’indisciplinata fallace Divinità! Ti prego, non sporcarti le mani!” –Aggiunse, prima di riportare lo sguardo su Atena e inchiodarla a terra, sottoposta a un’irrefrenabile pressione. La figlia di Zeus cercò di resistere, pensando a quanto avevano sofferto i Cavalieri in suo nome, per tutti quei secoli di lotte armate, avvampando nel suo cosmo e reggendosi alla Nike, ma l’asta del bastone si schiantò di colpo, gettandola a terra, china e vinta, mentre Etere discendeva placido verso di lei. –“Osserva un’ultima volta il regno di cui a lungo sei stata immeritata regina, perché da domani non ci sarà più!” –Chiosò, puntandole contro un dito, sulla cui cima balenava un’eburnea scintilla.

 

Fu un attimo e il lampo esplose, ma non raggiunse Atena, riparata da un ampio e rotondo scudo dorato.

 

“E tu chi sei?!” –Esclamò subito Etere, osservando il giovane appena apparso a difendere la Dea. Indossava un’armatura argentea, dalle strane forme, con uno specchio rotondo sul pettorale, sebbene il fisico gracile non ne facesse all’apparenza un guerriero, né l’altezza, che non superava quella di Atena. Eppure, nei suoi occhi verdi, c’era la stessa determinazione, la stessa speranza, e forse anche una consapevolezza in più.

 

“Permettetemi di presentarmi!” –Parlò infine, abbassando l’Egida. –“Sono Nicole dell’Altare, Cavaliere d’Argento al servizio di Atena, nonché suo personale attendente!”

 

***

 

Anche Matthew ed Elanor percepirono lo scontro in atto in cima alle Dodici Case.

 

Dopo che Atlante aveva attaccato il Santuario, abbattendo parte del muro perimetrale, i due Cavalieri delle Stelle avevano dato ordine a tutti i soldati a loro affidati di convergere al Cancello Principale e alla via che conduceva alle Dodici Case, ben intuendo ove il titano si sarebbe diretto. Rimasero pochi minuti in più, al varco orientale, per verificare che effettivamente nessun nemico tentasse una seconda sortita, quindi lasciarono solo una piccola guarnigione prima di iniziare a correre verso la Casa dell’Ariete, per dare manforte ai Cavalieri di Atena.

 

Fu mentre passavano l’arena dei combattimenti che Elanor lo sentì, accasciandosi a terra, travolta da un’ambascia improvvisa.


“Ehi, cosa ti succede? Sei stata colpita?!” –Si sincerò subito Matthew, guardandosi attorno con circospezione alla ricerca di nascosti avversari.

 

“No… io… non riesco a respirare…” –Balbettò la ragazza, prostrata da una fitta di dolore. Il Cavaliere dell’Arcobaleno si chinò subito su di lei, prendendola per le spalle e forzandola a guardarlo in faccia, in quegli occhi verdi in cui aveva iniziato a specchiarsi giorni addietro, sulla Luna.

 

“Con calma! Respira con calma, fai come me!” –Le disse, avvolgendola nel proprio cosmo e lenendo i suoi affanni. –“Ecco, così! Brava! Ora dimmi, cosa succede?”

 

“Mia madre… è in pericolo! Lo sento! Io… percepisco la sua luce spegnersi…” –Mormorò la fanciulla, alzando lo sguardo e cercando l’immagine lontana della luna, sebbene non riuscisse a vederla completamente, oscurata da una cappa di nubi che andava annerendosi sempre più. Fu un attimo, ma ad Elanor parve di vederla tingersi di sangue e divenire una mezzaluna rossa. –“Aaah!!!” –Gridò, scuotendo la testa, mentre Matthew faticava per calmarla. –“Io… devo andare subito sulla Luna! Sento che mia madre ha bisogno di me!”

 

“D’accordo, ma come pensi di fare? Jonathan è lontano, è in Egitto ed egli è l’unico che possa aprire il varco tra i mondi!”


“Sul mio regno… c’è un portale… ricordi quando giungesti con Avalon? È scolpito sul pavimento della terrazza ed è là che mia madre mi portò, quando scendemmo sulla Terra, quando Shen Gado ci trovò…” –Mormorò confusa la ragazza, senza riuscire a ricordare dove fossero sbucate. –“Devo trovare un portale! Devo…” –Ma una nuova fitta la colpì al costato, piegandola in due e strappandole un grido di dolore.

 

“D’accordo! Vieni con me! Forse conosco un modo per raggiungere la Luna!” –Le disse il compagno, aiutandola ad alzarsi. –“Portali come quello di cui parli esistono in molti regni divini, so per certo ve ne erano ad Isla del Sol, ad Avalon e persino ad Asgard! Quindi perché non dovrebbe esservene uno qua?”


“Tu sai dove si trova?” –Elanor lo guardò speranzosa, tenendosi con forza al braccio del Cavaliere dell’Arcobaleno, che annuì silente, prima di farle cenno di seguirlo.

 

“C’è un solo posto, in tutto il Grande Tempio, dove potrebbe essere nascosto un artefatto simile! Un luogo sacro e inaccessibile ai più!” –Aggiunse, facendole cenno di seguirlo e iniziando a correre lungo l’antica via orientale.

 

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo quindicesimo: Inganno fratricida. ***


CAPITOLO QUINDICESIMO: INGANNO FRATRICIDA.

 

Dopo aver lasciato Andromeda alle prese con Artemisia della Dionea Assassina, Phoenix aveva aiutato Pentesilea a radunare le Amazzoni e il gruppo di profughi, dirigendosi in tutta fretta verso la piana di Themiskyra. Vi si era già recato una volta, dopo la conclusione della Grande Guerra contro Ares, per partecipare al rito funebre in onore di Ippolita, la più grande regina delle Amazzoni, che riposava adesso assieme alle matriarche che l’avevano preceduta, nella città ove le donne guerriere avevano a lungo dimorato nel Mondo Antico, prima che cadesse in rovina.

 

Troppo deboli per riconquistarla, era stato Ares a donarla loro di nuovo, sollevandola dalle macerie del tempo e ricostruendone le mura, in cambio della loro alleanza nel conflitto che avrebbe scatenato a breve per prendere possesso dell’Olimpo. All’epoca molte avevano accettato di buon grado il rinsaldarsi di un antico legame, avendo sempre apprezzato lo stile di vita del Dio della Guerra, focoso e battagliero, che aveva anche messo al mondo alcune di loro. La stessa Pentesilea era stata tra coloro che avevano esercitato pressione sull’allora regina affinché suggellasse l’accordo; del resto, la prospettiva di tornare a Themiskyra, ridandole l’antico splendore, era bastata a far dimenticare a molte Amazzoni le barbarie cui Ares era solito abbandonarsi in guerra.

 

Poi c’era stata la corsa attraverso i Templi dell’Ira, la caduta di molte compagne e la morte di Ippolita, il cui lascito pesava su tutte coloro che le erano sopravvissute. Esiste anche l’amore, non solo la guerra; quello era ciò che la fiera regina aveva voluto dire loro, un concetto che, ben sapeva, sarebbe stato accettato a fatica dal popolo di indomite guerriere. Ed ecco che di nuovo Phoenix tornava, l’uomo che aveva scardinato equilibri di secoli, aprendo una breccia nell’animo di una di loro, della loro sovrana per di più.

 

Ancora adesso, a mesi di distanza e con riprovate occasioni per dimostrare loro la sua fiducia, Pentesilea continuava a chiedersi se avesse fatto la scelta giusta, quel giorno, a permettergli di varcare le mura della capitale, per presenziare al rito funebre per Ippolita. Per quanto adesso fossero alleati, nella guerra contro l’ombra nascente, quel dissidio interiore in lei non si era placato.

 

“Scansati!!!” –Le gridò il Cavaliere di Atena in quel momento, rubando la donna ai suoi pensieri e costringendola a gettarsi di lato, rotolando nel terreno fangoso, per evitare la carica del suo nemico. Un nuovo bizzarro avversario che di forza bruta non faceva affatto difetto.

 

Convinti che il pericolo provenisse dalle loro spalle, Phoenix e le Amazzoni avevano corso fino alla piana del Termodonte, nel Ponto, vicino alla cui foce sorgeva la rinata Themiskyra. Ma per quanto la pioggia sferzante li avesse incalzati, rendendo più lenti i loro movimenti, nessuno li aveva attaccati. Il nemico, del resto, li stava aspettando fuori dalla loro città.

 

Alto e robusto, con ampie spalle larghe e braccia possenti, un uomo rivestito da una corazza rossa, striata di nero, si ergeva fiero di fronte al portone di ingresso. L’aura del suo cosmo era apparsa così vasta da opporsi come muraglia all’avanzata della compagnia, osteggiando un chiaro atteggiamento di sfida. Sfida che aveva dichiarato nel momento stesso in cui aveva portato entrambe le braccia avanti, liberando un improvviso attacco.

 

Migliaia di bufali di energia oscura avevano caricato le Amazzoni, piombando su di loro con le corna tese, furibondi, indemoniati, famelici, obbligando le donne guerriere a sfoderare gli archi e le asce bipenne per fronteggiarli. A nulla però erano valse tali armi, inutili contro quelle manifestazioni di cosmo, e quando già avevano imbracciato gli scudi per difendersi dall’onda d’urto, ecco che una barriera di energia psichica si era levata a loro difesa.

 

Kaan!!!” –Avevano gridato i santoni indiani da loro salvati, levitando a mezz’aria, avvolti da un sottile strato di bianco cosmo.

 

Phoenix aveva sgranato gli occhi nel sentir quella parola che un tempo gli era stata ostile, ma Pentesilea gli aveva tolto subito il dubbio, spiegando che quegli uomini erano stati addestrati da Pavit e Tirtha all’uso del cosmo. Dopo il loro rientro ad Angkor, mesi addietro, i discepoli di Virgo avevano preso l’abitudine di riunirsi assieme a santoni e ad asceti che costellavano le verdeggianti regioni del Sud-Est Asiatico per pregare assieme, trovando nella meditazione una via per espandere la loro energia interiore, ancora ben lontani dal padroneggiarla pienamente.

 

Poco dopo la furia della tempesta che li inseguiva era aumentata, con nuovi scrosci d’acqua improvvisi, che avevano infastidito il Cavaliere di Phoenix, portandolo a scrutare tra le nubi nere, alla ricerca della fonte di quella seccatura.

 

“Eccoti!” –Aveva mormorato, prima di portare il pugno destro avanti e liberare un globo di energia infuocata, che aveva incendiato il cielo per poi abbattersi su un nemico celato, precipitandolo a terra.

 

Con un ghigno sprezzante , il ragazzo si era avvicinato, trovandosi di fronte un’altra donna, come era destino in buona parte degli scontri sostenuti nell’ultimo anno. A differenza di Artemisia, questa era ben più orribile a vedersi, rivestita di una corazza di color celeste sporco, che si confondeva facilmente con le pozzanghere fangose che costellavano la riva del Termodonte. Le forme dell’armatura erano sgraziate, ornata in più punti di artigli e spuntoni, e di una lunga coda retrattile che partiva dal retro dell’elmo, che a Phoenix aveva ricordato quello dello Scorpione d’Oro.

 

Vritra del Serpente Malevolo!” –Si era presentata la donna, prima di schizzare avanti, il braccio destro teso e gli artigli volti al viso del ragazzo, dando inizio al loro scontro, che era durato ben poco, per la verità. I pochi minuti di cui Phoenix aveva avuto bisogno per aver ragione delle sue tecniche, basate sul controllo delle nubi d’acqua, e sbatterla a terra, avvolta in un turbinare di fiamme.

 

Come può un serpentello impensierire una fenice?” –L’aveva derisa, facendole perdere i sensi.

 

Proprio in quel momento il gigantesco uomo aveva caricato Pentesilea.

 

Stanca per la lunga marcia, fiaccata dalle strette delle drosere , la donna aveva evitato l’assalto solo all’ultimo, venendo comunque ferita di striscio ad una coscia. Prima ancora di riuscire a rimettersi in piedi, il nemico torreggiava già su di lei, stupendola per la velocità che stava dimostrando, nonostante la sua mole massiccia.

 

Aaargh!!!” –Rantolò la Regina delle Amazzoni, mentre le mani dell’uomo le stringevano il collo con forza, decise a spezzarglielo all’istante. Alcune guerriere si lanciarono contro di lui, con le asce in pugno, ma questi le respinse semplicemente muovendo un braccio e volgendo loro contro il palmo aperto della mano, da cui una carica di bufali energetici scaturì furiosa, travolgendo all’istante le donne e lasciandole agonizzanti a terra.

 

Altre, da lontano, incoccarono le frecce, sperando di avere maggior fortuna, ma tutti i dardi vennero annientanti da un’onda di energia che l’uomo aveva appena scatenato nella loro direzione.

 

Taciturno, rapido e potente. Tutte qualità che in un guerriero di sesso maschile Pentesilea avrebbe apprezzato. In un altro momento. Non adesso, che stava per perdere sensibilità al collo, e morire, per mano di un uomo di cui neppure conosceva il nome. Un uomo che la stava fissando con ardenti occhi di brace, fiero della crudezza delle sue azioni. Un uomo che, d’un tratto, dovette voltare lo sguardo e togliere una mano dal collo della donna, per controllare cosa lo avesse appena trafitto sul retro del suo elmo bicornuto.

 

“Uh?!” –Mormorò infine, ritrovandosi in mano una piuma metallica.

 

Anche Pentesilea la vide e comprese, radunando tutte le forze per piegarsi all’indietro e liberarsi, prima che la piuma, assieme a quelle rimaste conficcate nell’armatura del gigante, esplodesse. Nonostante la sorpresa e il dolore, nonostante il guanto della corazza e il relativo copricapo fossero andati in frantumi, ustionando anche la pelle e bruciando i capelli al di sotto, il colosso si ergeva ancora, più instabile di prima, ma in grado di mantenere la sua presa su Pentesilea, con un solo braccio. L’altro dovette usarlo per fronteggiare l’assalto del suo nuovo avversario, piombato su di lui con spalancate ali di fiamma.

 

Pugno infuocato!!!” –Gridò Phoenix, mirando al cuore dell’uomo, che fu lesto a parare l’affondo con il palmo della mano, realizzando troppo tardi l’errore.

 

Aaargh!!!” –Il fuoco della fenice divampò lungo tutto il suo arto, espandendosi dalla mano scoperta e ferita poc’anzi, distruggendo l’armatura in più punti e costringendolo infine a poggiare a terra un ginocchio. Ma non a cedere la preda, ancora stretta tra le dita della mano sana.

 

“Resistente!” –Ironizzò Phoenix, prima di colpirlo con un calcio dal basso, spingendolo indietro, obbligandolo infine ad abbandonare la presa.

 

Pentesilea subito rotolò di lato, portandosi a distanza di sicurezza, ansimando per il dolore e la mancanza di ossigeno. Mirina e altre Amazzoni la raggiunsero, aiutandola a rimettersi in piedi, mentre Phoenix vociava loro di ripiegare all’interno di Themiskyra. Nell’udire quella parola, il gigantesco guerriero si rialzò, bruciando il cosmo e portando di nuovo entrambe le braccia avanti, investendo da vicino il Cavaliere di Atena con una carica di bufali energetici.

 

Sballottato, pestato e persino con qualche graffio sull’Armatura Divina, Phoenix non poté intervenire quando sentì Mirina gridare alle sue spalle e il rumore di un nuovo scontro in atto, causato di certo da qualche compagno del corpulento nemico. Deciso a farla finita al più presto, il ragazzo si preparò ad eseguire il suo massimo attacco, ma fu sorpreso dalla reazione del gigante che, alla velocità della luce, lo caricò, a testa bassa, tentando di abbatterlo con una spallata.

 

Il Cavaliere fu lesto a balzare in alto, aiutato dalle ali della corazza, evitando il taglio del corno posto sul coprispalla e afferrando poi lo stesso sperone per roteare su se stesso, ancora in aria, e colpire il nemico alla schiena con una sventagliata di calci. L’ultimo gli spaccò in due la placca della rossastra armatura, gettandolo a terra vinto, con sangue e frammenti metallici sparsi sulla sua schiena.

 

Solo allora Phoenix poté concentrarsi su quel che stava accadendo alle porte di Themiskyra, osservando le Amazzoni cadere una dopo l’altra, travolte, forse trafitte, da quelli che parevano essere strali di energia argentea. Strizzando gli occhi, per vedere meglio, il giovane inorridì nel riconoscere le guizzanti catene di suo fratello massacrare le guerriere del Ponto, e Andromeda stesso ergersi poco distante, il braccio destro teso avanti a sé, a guidare la macabra danza delle sue armi.

 

Andromedaaa!!!” –Lo chiamò a gran voce, correndo verso di lui, che parve destarsi a quel suono così familiare. Di scatto si voltò verso Phoenix, fissandolo con sguardo vacuo, chiedendosi al qual tempo cosa stesse accadendo. –“Che stai facendo, fratello? Le Amazzoni sono nostre alleate!!!”

 

“Alleate?!” –Ripeté il Cavaliere dai capelli verdi, di fronte agli occhi straniti del congiunto.

 

“Proprio così! Possibile che non ricordi?! Che ti succede, Andromeda?!”

 

Questi non rispose, limitandosi a fissarlo in silenzio, salvo poi scattare su di lui e colpirlo allo sterno con un pugno di energia, che piegò Phoenix in due dal dolore.

 

A… Andromeda…” –Rantolò il Cavaliere della Regina Nera, prima che un calcio del fratello lo spingesse indietro. –“Che… stai facendo? Sei impazzito?!”

 

Io… io…” –Il ragazzo non seppe replicare, scuotendo la testa confuso, ma nel vedere Phoenix a terra, ferito, qualcosa dentro di sé scattò, portandolo a correre verso di lui, a chiedergli come stesse, ad aiutarlo a rimettersi in piedi, prendendogli le mani nelle proprie. –“Fratello, io… non capisco… io… stavo combattendo contro quella donna… Artemisia… e poi… poi lei è morta! Io l’ho uccisa! L’ho uccisa io???”

 

Vedendolo così in difficoltà a spiegarsi, così confuso nei pensieri, Phoenix comprese che qualcosa di oscuro doveva essere all’opera. Forse quella guerriera aveva avvelenato la mente di suo fratello con qualche venefica erba? Eppure, per quel che aveva percepito lottando brevemente con lei, non sembrava disporre di un cosmo così pericoloso da preoccuparlo. Pur tuttavia anche avversari con misera forza potevano essere insidiosi da affrontare. Era davvero successo questo a suo fratello? Era davvero stato ricondizionato dal veleno di un’ignota pianta? E, se così era, dove si nascondeva Artemisia? Ancora celata sotto il suolo? Concentrando i sensi, Phoenix fu costretto ad ammettere di non percepire più traccia di quella guerriera, che davvero sembrava essere morta come Andromeda affermava.

 

In tal caso chi…? Ma non riuscì a terminare i suoi pensieri che fu distratto da urla improvvise, che lo costrinsero a voltarsi verso Themiskyra, fuori dalle cui mura le Amazzoni si erano radunate, archi in pugno, agli ordini della loro regina.

 

“No! Pentesilea non farlo!!!” –Gridò, mentre le donne incoccavano le frecce.

 

“Mi dispiace, Phoenix, ma tuo fratello ci ha attaccato, ferendo molte di noi! E chi ci attacca è un nemico! A maggior ragione qua, alle porte della nostra città sacra! E come tale lo tratteremo!” –Incalzò, senza un alito di dubbio nella voce. –“Tirate!!!”

 

La selva di frecce riempì il cielo nero, piombando lesta su Andromeda, senza riuscire però a raggiungerlo, riparato dietro il vorticante mulinello della sua catena. Quindi, approfittando del tempo di cui ebbero bisogno per ricaricare gli archi, il giovane scatenò la furia della Catena d’Attacco.

 

“Andromeda, no!!!” –Urlò Phoenix, ma anche quella volta non poté fare niente. Solo assistere impotente al massacro delle Amazzoni, travolte, trafitte e stritolate dalla persona che più amava al mondo. L’uomo che anni addietro lo aveva liberato dall’ombra con le sue lacrime, il suo affetto e il suo spirito di pace. –“Cosa è rimasto di te?!” –Si chiese, prendendo infine la sua decisione. –“Perdonami, fratello! Qualunque cosa sia accaduta, qualunque demone ti stia divorando il cuore, devo fermarti!” –E scatenò la furia delle Ali della Fenice, investendo Andromeda da vicino, sollevandolo e scaraventandolo a venti metri di distanza, facendogli persino perdere l’elmo della corazza.

 

A passo greve gli si avvicinò, prima che il fratello riuscisse a rialzarsi, e lo inchiodò a terra, poggiando un tacco sopra il suo pettorale. Non aveva di proposito caricato troppo il suo attacco, allo scopo di stordirlo, non di ferirlo, sperando di aver fatto la cosa giusta. Per sé, e per le donne e gli uomini che avrebbe dovuto difendere.

 

“Cosa ti succede, Andromeda?” –Gli chiese di nuovo, con voce gentile.

 

“Fratello, io non lo so… io…” –Si agitò il ragazzo, scuotendo la testa e portandosi le mani nei capelli. –“Aiutami… ti prego, aiutami!!!”

 

Phoenix esitò per un momento, non sapendo più cosa pensare. Che fossero illusioni? Un trucco mentale che qualcuno stava giocando con lui, proprio con lui, che in tale pratica era maestro? Qualunque cosa stesse accadendo, doveva terminare quanto prima, sebbene non avesse affatto chiaro in che modo. A differenza del fratello.

 

Aaahhh!!!” –Gridò Andromeda, espandendo il proprio cosmo e sbalzando Phoenix indietro con un’onda di luce. Agile, il Cavaliere della Fenice atterrò a piedi uniti, a qualche metro di distanza, mentre la più nefasta probabilità andava avverandosi di fronte ai suoi occhi, la necessità di combattere contro suo fratello.

 

“Se non lo farai tu, lo farò io!” –Intervenne una voce di donna, mentre Phoenix, voltandosi, vide la condottiera delle Amazzoni avvicinarsi, l’armatura sporca di sangue e terriccio, l’ascia bipenne in mano. –“Sai che devo!” –Aggiunse, concedendosi un sospiro, prima di lanciarsi verso Andromeda.

 

Questi evitò l’affondo, scartando di lato, ma Pentesilea stava già roteando su se stessa, agile come una ballerina, mulinando l’arma in orizzontale, poi in diagonale, mirando al volto del ragazzo, la parte non protetta dell’armatura. Mentre calò di nuovo l’ascia, le catene scattarono a difesa del loro padrone, afferrando il braccio della Regina delle Amazzoni e strattonandolo con forza, facendole perdere la presa sull’arma.

 

Pentesilea urlò, al rumore secco del polso rotto, ma strinse i denti e non cedette, spingendo Andromeda indietro con un calcio al ventre, facendolo cadere a gambe all’aria. In un attimo gli fu dietro, il braccio ancora stretto nelle catene, afferrando le stesse e usandole per bloccare il collo del ragazzo, tenendolo contro di sé.


“Pentesilea, no!!! Lascia la presa!!!” –Le intimò subito Phoenix, precipitandosi avanti. Ma subito un gruppetto di Amazzoni gli sbarrò la strada, gli archi tesi e pronti a scoccare i loro dardi. –“Lasciala subito o sarà la fine!!! La tua fine!!!”

 

“Mi minacci, Phoenix?! Onori così la tua amata defunta regina? Minacciando la sua succeditrice e portando il fratello a far strage delle sue compagne?!”

 

“Ma non capisci! Molla la catena!!!” –La avvisò un’ultima volta, prima che una violenta scarica di energia scaturita dall’arma stessa la investisse, facendola tremare, schiantando parti della sua corazza, facendole persino schizzare fuori il sangue dalle ferite già aperte e infine gettandola a terra, lo sguardo vitreo, rivolto al cielo nero.

 

“Pentesilea!!! Regina!!!” –Gridarono le Amazzoni, voltandosi verso Andromeda, preparandosi a colpirlo. Ma la sua catena corse più in fretta, abbattendosi sulle donne, attorcigliandosi attorno alle loro caviglie e sollevandole all’istante, gettandole in aria, sbattendole a terra, scagliandole contro le mura di Themiskyra, finché non furono troppo deboli anche solo per accennare a rialzarsi.

 

“Dei dell’Olimpo!!!” –Rantolò Phoenix, mentre il fratello si rimetteva in piedi, le catene che di nuovo si ritraevano, tornando attorno alle sue braccia. Con sguardo confuso e innocente, Andromeda si guardò attorno, stentando persino a riconoscere la città delle Amazzoni, non capendo perché tutte quelle donne giacessero riverse al suolo, in pose innaturali e contorte. Quindi capì, invaso dall’improvvisa consapevolezza di averle ferite, forse uccise. E quella consapevolezza lo prostrò di nuovo a terra, mentre calde lacrime gli rigavano il volto.

 

Fratello…” –Lo chiamò Phoenix, avvicinandosi cauto. –“Va tutto bene!”

 

“No, non va bene!!! Ho ucciso delle persone!!! Io… come ho potuto?!” –Pianse Andromeda, sentendo la propria intimità violata, messa a nudo e arsa tra mille tormenti. –“Sono un mostro… Un assassino!”

 

“Non lo sei, ti conosco, da anni ormai, e so per certo chi sei! Di certo non un mostro, e se hai ucciso, è sempre stato per Atena, un gesto di violenza prima di tutto verso i tuoi ideali! Questo non sei tu, fratello! Credimi!”

 

A… aiutami…” –Singhiozzò, mentre Phoenix si chinava su di lui, abbracciandolo e annuendo alle sue suppliche accorate. Solo allora il Cavaliere della Fenice si ricordò dei monaci, dei santoni indiani e degli apprendisti che le Amazzoni avevano portato via dal bacino del Gange, sottraendoli alla furia dell’ombra. Voltò lo sguardo e li trovò riuniti ai piedi delle mura, stretti gli uni agli altri, incapaci di comprendere cosa stesse accadendo, cosa avesse potuto generare una carneficina come quella, scatenata tra coloro che avrebbero dovuto difenderli. Comprese il loro senso di smarrimento e si mosse per andare a parlare con loro, distraendosi quel tanto che gli fu fatale per non avvedersi dell’insinuarsi di una catena argentea tra le sue gambe. Vi fu un balenio di luce e il ragazzo si trovò a gambe all’aria, stretto in una morsa ferrea dalle armi del fratello.

 

“Andromeda!!! Ma che stai facendo?!” –Gridò, dimenandosi furioso, mentre l’altro, di fronte a lui, pareva non avere idea di ciò che le sue catene stessero facendo. –“Richiamale immediatamente!!!”

 

Io… non posso… non ci riesco, Phoenix!!! Le catene agiscono da sole!!!” –Strillò, mentre scariche di energia percorrevano l’intera lunghezza dell’arma, strappando guaiti doloranti al Cavaliere della Fenice.

 

Ri… chiamale!!!” –Ripeté il ragazzo, espandendo il proprio cosmo e preparandosi infine a fare ciò che aveva a lungo temuto. –“Ora!!!”

 

Andromeda non lo fece, obbligando Phoenix a liberare il fuoco di cui era custode, rendendo le catene incandescenti, deciso a spingersi oltre i suoi stessi limiti, anche a costo di danneggiare le vesti create per loro da Efesto. Anche a costo di ferire il suo stesso fratello, o l’ombra di colui che era stato un tempo.

 

Fu una donna però a venirgli in aiuto, una donna che, portatasi silenziosa alle spalle di Andromeda, lo afferrò per i capelli, torcendogli la testa all’indietro, puntandogli una lama alla gola.

 

“Pentesilea!!!” –La riconobbe Phoenix, sebbene della vanagloriosa regina ben poco vi fosse rimasto, sporca di sangue, terra e sconfitta.

 

“Le mie Amazzoni gridano vendetta!!!” –Sibilò, muovendo la lama per recidergli la giugulare ma ritrovandosi all’improvviso paralizzata. –“Che… su... cede?” –Balbettò, prima di perdere anche la facoltà di parlare.

 

In quella le catene di Andromeda allentarono la loro presa, permettendo a Phoenix di sgusciarne fuori ed osservare quel che stava accadendo. Una donna, avvolta in abiti bianchi e vermigli, con lunghi capelli marroni intrecciati in una ghirlanda di fiori freschi, stava avanzando verso di loro, con una mano tesa verso Pentesilea. La mosse ancora e la Regina delle Amazzoni venne scaraventata lontano, ruzzolando inerme al suolo e lì restando. Solo quando fu più vicina, Phoenix la riconobbe.


“Demetra! Cosa fate voi qua?!”

 

“Eh eh eh! Giungo ad istruire il mio allievo, il nuovo membro dello Zodiaco Nero, destinato ad una rapida e gloriosa ascesa e ad un importante ruolo nel futuro ordine del mondo!” –Parlò la Dea, affiancando Andromeda.

 

“Che state dicendo? Cos’è accaduto a mio fratello?! Cosa gli avete fatto?!”

 

“A lui personalmente niente, ma la sua armatura è stata infettata con il mio sangue divino, e come tale maledetta! Adesso Andromeda è un mio schiavo ed eseguirà compiaciuto ogni mio ordine, non potendo egli controllare la corazza che indossa!”

 

Io… vi sbagliate!” –Tentò di reagire il Cavaliere. –“Non sarò mai un assassino!!!”

 

“Oh, ma già lo sei! Da anni ormai, sebbene solo oggi tu abbia ricevuto l’investitura ufficiale! Eh eh eh!” –Rise la Divinità, bruciando il proprio cosmo che entrò subito in risonanza con quello emanato dall’armatura rosa che Andromeda indossava.

 

“Toglitela, Andromeda! Toglila subito!” –Propose Phoenix, venendo subito schernito dalla Dea.

 

“Impossibile! Non può farlo, l’armatura risponde solo ai miei comandi adesso e rimarrà sul suo corpo per sempre! Tra non molto, in verità, non ci sarà neppure più bisogno di controllarlo, poiché il suo corpo si sarà già assuefatto all’influsso demoniaco presente nella corazza! Tra poco egli sarà completamente succube, anche nell’anima, al maleficio da me generato!”

 

Io… no… non voglio!!!” –Gridò Andromeda, lanciandosi sulla Dea, ma bastò che lei schioccasse le dita per fermarlo sul posto, mentre il suo cosmo oscuro prorompeva dalla corazza, avvolgendo il Cavaliere, stordendolo, deciso a privarlo dell’ultimo barlume di coscienza.

 

“Resistere è inutile al potere dei Numi! Quel che gli Dei vogliono, gli Dei ottengono! Non l’hai ancora capito, ragazzo? Per cui accetta il fato e diventa quel che sei destinato a essere, il comandante supremo dello Zodiaco Nero, di ben più alta levatura rispetto a questi smidollati che Polemos ti ha mandato contro!” –Proferì la Divinità, tirando uno sguardo ai corpi feriti della donna e del gigante furioso. –“Vritra del Serpente Malevolo e Yama del Bufalo Nero! Una debole orfanella che voleva divenire Discepola di Virgo e un ammasso di muscoli che ha abiurato alla sua umanità per non soccombere alla solitudine! Certo, hanno avuto vittoria facile contro i vecchi Asura, Divinità non note per le loro capacità belliche, ma hanno fallito nell’eliminare le Amazzoni! Puah! Tu invece non fallirai, non deluderai la tua creatrice, radendo al suolo quest’empia città e le sue abitanti!” –Commentò, avvicinandosi ad Andromeda e carezzandogli il mento.

 

“Perché fate questo? Perché tradite Zeus e la vostra famiglia? Voi che così tanto amate questa verde Terra, in tutta la sua complessità, come potete prestarvi alla guerra distruttiva che Caos ha scatenato?!! Siete spregevole, non vi perdonerò!!!” –Ruggì Phoenix, scattando verso la Dea, il cosmo che sfrigolava focoso attorno al suo pugno destro.

 

“È strano che tu parli di perdono, Cavaliere di Phoenix, tu che hai ucciso mia madre, proprio adesso che, priva della prigionia della cometa Lepar, poteva riunirsi ai suoi figli! Di certo ben ricompensata sarò da Lord Caos per i miei preziosi servigi, che forse gli faranno dimenticare il fallimento dei miei fratelli e sorelle sulla Luna!” –Si limitò a rispondere la Divinità, fermando il volo della Fenice e muovendo il braccio a spazzare, scaraventando il ragazzo contro le mura esterne di Themiskyra, facendole crollare su di lui.

 

“Tua madre?! La cometa Lepar?! Dunque tu… non sei Demetra… ma allora chi sei?!” –Rifletté Phoenix, faticando nel rimettersi in piedi, tra le macerie.

 

“Una ben più spietata Dea!” –Sogghignò, mentre il suo viso mutava, al pari del cosmo, rivelando un volto scaltro e maligno, quello di una donna con maliziosi occhi viola e lunghi capelli rosa, che scivolavano lisci sulla sua schiena. –“Ate è il mio nome, Consigliera dell’Inganno!”


Ate!!! Ma certo, ora ricordo! Sei una delle figlie di Discordia, di cui lei stessa mi parlò nel nostro scontro sulla Luna! Dea dell’inganno, della rovina e della dissennatezza, la cui crudeltà è degna di tua madre! Strega!!!”

 

“E non sai ancora quanto!” –Sibilò lei, mentre l’aura cosmica da lei sprigionata investiva completamente Andromeda, lasciandolo per un momento in uno stato di trance. Quando si riscosse, il colore dei suoi capelli era cambiato, in un verde molto più scuro, e il suo sguardo timido e cortese aveva lasciato il posto ad un ghigno serafico, lo stesso che Phoenix gli aveva già visto una volta addosso. Quando Ade si era impossessato di lui. –“La storia si ripete, Cavaliere, ma stavolta non c’è Atena a riportare indietro tuo fratello dalla prigionia oscura cui l’ho destinato! Il suo corpo ormai è perduto, da quando ha indossato quella corazza ha assorbito lentamente il mio ichor, mutandosi in un assassino incosciente ma letale. E adesso, con la mia vicinanza, con il mio apporto diretto, la possessione sarà totale! Pochi attimi ancora, pochi secondi, e del fratello che amasti un tempo, sempre pronto a sacrificare la propria vita pur di non ferire gli altri, non rimarrà niente! Uccidilo, Andromeda! Uccidi il Cavaliere della Fenice!”

 

Il ragazzo non disse alcunché, limitandosi ad avanzare verso Phoenix, mentre le catene striavano d’argento il cielo plumbeo del Ponto. Una dopo l’altra, in un’infinita sequela, sfrecciarono verso il Cavaliere della Regina Nera, obbligandolo a spostarsi di continuo, in una corsa che presto divenne fuga, incalzato da una pioggia di perigliosi strali che infine lo raggiunsero ad un tallone, facendolo cadere a terra. Subito le catene di Andromeda si chiusero su di lui, stringendolo in un gelido abbraccio, mentre lampi di energia stridevano con forza sulla riforgiata armatura della Fenice, graffiandola, scalfendola, a tratti scheggiandola da tanta potenza Andromeda stava riversando sul fratello.


“Hai qualcosa da dire, Phoenix? Un ultimo discorso prima di abbandonare questo mondo terreno e raggiungere il profondo Tartaro ove precipiteremo tutti i giovani Dei e i loro paladini?!”

 

“Solo una cosa…” –Mormorò il ragazzo, prima di placare il proprio cosmo, di fronte allo sguardo stupito di Ate e a quello inespressivo di Andromeda. –“Fratello, guardami in faccia! Voglio vedere i tuoi occhi un’ultima volta! Ai tuoi occhi parlo, così puri da non essere degni neppure di varcare le porte dell’Inferno, e a loro avanzo la mia richiesta! Uccidimi, Andromeda! Uccidimi, se la mia morte può ridarti la pace!”

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo sedicesimo: Valico di sangue. ***


CAPITOLO SEDICESIMO: VALICO DI SANGUE.

 

Cristal dovette proprio ammetterlo. L’efficienza della macchina bellica messa in moto da Alexer era totale.

 

Nonostante fosse stato assente appena una giornata, per scendere in Grecia al concilio di tutti i regni divini, il Principe aveva preventivamente disposto lo sgombero di tutte le poche aree popolate dell’estremo nord europeo, invitando gli abitanti a rifugiarsi all’interno della fortezza di Asgard, in accordo con la Sacerdotessa di Odino. Aveva anche approvato la richiesta del Cavaliere del Cigno di inviare una squadra dei suoi migliori guerrieri per mettere in salvo coloro che vivevano nei radi villaggi della Siberia settentrionale, tra cui Kobotec, la cui salvezza al ragazzo stava molto a cuore, soprattutto quella di Jacob, Katia e dei loro familiari. Così tutti erano stati scortati in fretta dentro la cittadella sul Mare Artico, anche a costo di obbligarli ad una marcia forzosa e scomoda, sebbene tutti fossero abituati alle rigidità del clima.

 

Ma non erano solo i venti polari a preoccupare Alexer e Cristal, adesso riuniti sul camminamento esterno del castello del Principe, arroccato all’ingresso della Valle di Cristallo, ma ciò che quei venti stavano portando seco. Quell’immensa nube nera che, dall’Asia centrale, andava allargandosi sopra l’intero continente, finalizzata a togliere il sole all’ecumene intera.

 

“È opera sua, vero?” –Chiese il Cavaliere di Atena, rivestito della sua nuova Armatura Divina. –“Di Caos, intendo!”

 

Alexer annuì, senza togliere lo sguardo dalla cappa oscura che lentamente ma inesorabilmente avrebbe ricoperto il pianeta. E se gli uomini comuni, che vivevano comodi e sicuri nelle loro belle città, credevano si trattasse soltanto di passeggere nubi temporalesche, l’Angelo di Aria sapeva bene che non era così. Era soltanto il potere di Caos che cresceva, sempre più, e quando fosse riuscito a recuperare la sua intera forza primigenia avrebbe potuto rivestire la Terra tutta.

 

“Eventualità che dobbiamo scongiurare!” –Chiarì, spostando lo sguardo in basso, lungo le mura possenti della piazzaforte che chiudeva l’accesso a chiunque avesse desiderato prendere la via per Asgard. Oltre a loro, e alle legioni di Blue Warriors addestrati da Alexer, anche alcuni Seleniti attendevano pazienti. Il campo di forza messo in piedi dagli Angeli, dalla Regina di Polaris e dagli Asi sopravvissuti avrebbe impedito ai nemici di teletrasportarsi direttamente alla cittadella sul Mare Artico, obbligandoli ad un rigido percorso a piedi. –“Questo fintantoché i nostri cosmi rimarranno vividi e freschi!” –Aggiunse il Principe, ricevendo in cambio un sorriso tirato dal Cavaliere del Cigno.

 

Un guizzo d’ombra attirò l’attenzione dell’Angelo di Aria. Ed in effetti, gettando uno sguardo verso la bianca vallata che si apriva davanti al castello, Alexer e Cristal riuscirono a distinguere alcune sagome farsi sempre più nitide. Rivestite da nere corazze, erano facilmente individuabili in quell’oceano di neve e ghiaccio, sebbene ve ne fossero alcune che si differenziavano per colori più sgargianti. I probabili capitani di quell’avanzata, convenne il Cigno, continuando ad osservarli e iniziando al qual tempo a radunare il cosmo.

 

Il piano concordato con Alexer e con Flare era piuttosto semplice, in verità, sebbene la Regina di Asgard fosse stata restia ad accettarlo, temendo per il giovane Cavaliere di Atena, di nuovo esposto in prima linea al fuoco nemico. Pur tuttavia era per quello che lo amava, per il suo mettere sempre prima gli altri rispetto a se stesso, ed alla fine era stata costretta a capitolare, rimanendo al sicuro dietro le mura di Asgard assieme alla guarnigione difensiva e ai popoli del nord.

 

“Arrivano!” –Si limitò a giudicare Alexer, osservando le legioni oscure approssimarsi all’imboccatura della vallata. Ancora pochi passi e sarebbero stati dentro, alla loro mercé.

 

“Che il potere dei ghiacci eterni sia con me!” –Esclamò il Cavaliere del Cigno, espandendo il cosmo, vasto e glaciale, che invase in breve l’intera Valle di Cristallo, stupendo sia i Seleniti, che non lo avevano ancora percepito, sia tutti i guerrieri al servizio di Alexer. –“Madre, Abadir, Maestro dei Ghiacci, Acquarius! Che da sempre vegliate su di me, stelle tutelari della mia esistenza, assistetemi anche in quest’ultima prova!” –Invocò, liberando il proprio cosmo, che scosse i versanti delle montagne attorno, smuovendo rocce e neve e generando gigantesche slavine che piombarono feroci verso il fondo della valle, sospinte da un’improvvisa tempesta di ghiaccio.

 

L’armata nemica sembrò presa alla sprovvista da quell’assalto repentino, tentò di abbozzare una qualche forma di difesa, ma tutto fu vano, venendo travolta dalla furia delle valanghe e sommersa sotto strati di neve e pietrisco. Fu allora che il cosmo di Alexer si innalzò ruggente, squarciando il cielo con folgori azzurre, che lasciarono impietriti persino i guerrieri del ghiaccio a lui fedeli.

 

Fulmini siderali, straziate l’oscura legione!!!” –Tuonò, apparendo in cielo, magnifico nelle sue vesti azzurre, le ali angeliche spalancate alle sue spalle, mentre migliaia di folgori riempirono l’aria, abbattendosi con inusitata violenza contro il mucchio confuso di neve e guerrieri là sotto seppelliti. Alexer rimase in ascolto, per tutta la durata dell’assalto, percependo la neve sfrigolare e sciogliersi per il calore generato, la roccia spaccarsi, il suolo tuonare in risposta, ma neppure un lamento innalzarsi da quell’ammasso di guerrieri caduti. –“Piuttosto strano…” –Osservò, planando verso terra, per osservare meglio.

 

Anche Cristal, ritto sui camminamenti merlati del castello di Alexer, spalancò le ali della rinnovata Armatura Divina, per unirsi a lui nelle ricerche, ma non appena fece per tuffarsi, la voce dell’Angelo di Aria lo raggiunse.

 

“Non muovetevi!!! È una trappola!!!”

 

E quello fu l’ultimo suono che il Cigno udì, prima che una moltitudine di voci, perfide risate e clangore di armi sbattute lo raggiungesse, senza comprendere da dove potessero arrivare. Il cielo si riempì ulteriormente di nuvole, sospinte da un fetido vento oscuro, ove nere saette presero a danzare, e su quello sfondo infernale centinaia, forse migliaia, di sagome corazzate apparvero all’istante. Cristal sgranò gli occhi quando vide l’esercito nemico giungere all’assalto delle ultime difese di Asgard a cavallo di grifoni dalle ampie ali e dagli artigli pronti a ghermire.

 

“Uccideteli tutti!!!” –Ghignò una voce, proveniente da un guerriero smilzo che volava di fronte al resto dei suoi sottoposti, un uomo rivestito da una corazza vermiglia dotata di ali simili a quelle di un pipistrello.

 

Al tempo stesso la terra tremò sotto i piedi di Alexer, la neve si sciolse di colpo, anticipando l’emergere violento di terribili serpenti di fuoco, che obbligarono il Principe a balzare indietro all’improvviso. Un’orribile figura, che non seppe all’inizio identificare, comparve di fronte a lui, alta e minacciosa, tre metri e forse più, il corpo ricoperto di squame purpuree, la testa racchiusa in un vortice di capelli dalla forma di serpenti infuocati.

 

“Quale perigliosa minaccia è giunta ad Asgard dalle profondità della terra?!” –Mormorò Alexer, mentre la bizzarra creatura allungava il periglioso crine verso di lui, scagliandogli contro strali incandescenti dalle fauci aperte.

 

Il Principe espanse subito il suo cosmo azzurro, congelandoli prima che lo raggiungessero, ma dovette comunque spostarsi di lato in lato per evitare le incessanti raffiche che la creatura gli stava dirigendo contro. Aiutandosi con le ali della corazza, sollevò una tempesta di ghiaccio, con cui spinse il mostro indietro, facendolo accasciare di lato e permettendogli di osservarlo meglio. Fu in quel momento che le grida dei Blue Warriors lo raggiunsero, portandolo a sollevare lo sguardo verso la roccaforte, messa sotto assedio da una moltitudine di guerrieri a cavallo di spietati grifoni. E Cristal che, in alto sulle torri merlate, li teneva distanti con tempeste di ghiaccio.

 

“Devo andare ad aiutarlo!” –Rifletté, prima di concentrare i sensi e percepire qualcosa, oltre al fetido cosmo della creatura da lui appena abbattuta. –“C’è qualcun’altro!” –Aggiunse, prima di scandagliare i dintorni nevosi con i suoi sensi acuti e individuare nuove presenze al limitare del sentiero, proprio all’interno della foresta. Qualcuno stava cercando di passare, non visto, approfittando del disordine in cui versavano le guarnigioni di Asgard. –“Mostratevi!!!” –Gridò, generando una scarica di energia azzurra che rischiarò le propaggini del bosco, permettendogli di vedere una moltitudine di sagome armate. Ma prima che potesse fare alcunché, guizzanti figure si scagliarono contro di lui da molteplici direzioni, con una velocità che non aveva niente di umano.

 

Solo quando fu sbattuto a terra e portò avanti le mani per proteggersi, riconobbe che quelle figure erano dei grossi lupi dal pelo grigio, rivestiti di corazze ornate di macabri spuntoni.  –“Lupi da guerra?!” –Mormorò, comprendendo chi lo aveva appena attaccato e gettando via la bestia dallo sguardo famelico. Ma per ognuna che respingeva, un’altra lo caricava, costringendo infine il Principe a tenerle a distanza con un’impetuosa emanazione cosmica, che dilaniò molti lupi, sebbene altri furono abbastanza svelti da evitare l’onda energetica.

 

“Non con il freddo vincerete i Warg!” –Esclamò allora una ruvida voce maschile, mentre un uomo ben piazzato si faceva strada dal limitare della foresta, in groppa a uno di quei grossi felini, circondato da altri guerrieri. –“I Lupi di Járnviðr al rigido clima sono ben temprati, fin troppo, al punto da averli resi spietati e affamati! Non esiteranno davanti a niente pur di ottenere il bramato cibo che troppo a lungo è stato loro negato!”

 

“Lupi della Foresta di Ferro?! Credevo che i miei Blue Warriors li avessero sterminati!”

 

“E così han fatto! Ma erano troppi per scovare tutti i loro nascondigli e molti di loro già si erano uniti a me, prostrandosi al servizio del Gran Maestro del Caos e dei Progenitori! Come ho fatto io, Reidar, per avere la mia vendetta!” –Parlò l’uomo, dal chiaro aspetto nordico, con lunghi e poco curati capelli biondi e occhi grigi. –“Credevi che non sapessimo che ci stavate aspettando? Ah ah ah! L’occhio dell’unico Dio giunge ovunque, Principe Alexer! Potete impedirci di teletrasportarci ad Asgard ma non potete impedirci di avanzare! E, in tutta onestà, non mi dispiace affatto! Che guerra sarebbe senza battaglie? Che vendetta sarebbe se non ruscellasse del sangue? Ah ah ah! Armata delle Tenebre, all’attacco!!!” –E, prima ancora che terminasse la frase, altri cosmi si erano aggiunti al suo, anticipando il palesarsi di guizzanti figure dotate di potenti artigli di energia cosmica, che piombarono su Alexer, obbligandolo a balzare indietro per non essere affettato.

 

“Mi prendi per un incauto ragazzino?!” –Tuonò il Principe, espandendo il proprio cosmo glaciale e respingendo gli assalti di quelle veloci sagome guerriere.

 

“Tutt’altro! Vi prendo come un valido combattente, ma, come ognuno di noi, non può difendersi contemporaneamente da troppi avversari, no?” –Ridacchiò sornione l’uomo chiamato Reidar, mentre tutto attorno, dalla neve smossa, si sollevavano decine e decine di creature simili alla prima che aveva abbattuto. Persino i Warg parvero ritirarsi di fronte all’orrore di quei crani ricoperti di serpenti infuocati, radunandosi attorno al loro comandante che diede la carica per andare avanti.

 

“Dove credete di andare?!” –Esclamò Alexer, ma non poté seguirli che una pioggia di serpi incandescenti gli sbarrò il passo, costringendolo a creare un muro di ghiaccio per pararle. Quindi, espandendo il gelido cosmo, roteò su se stesso, dando vita ad un mulinello d’aria fredda con cui spense tutti i mostruosi proiettili infuocati che le bizzarre creature gli rivolgevano contro, aumentandone l’estensione in poco tempo e investendo i nemici, sollevandoli di peso e scaraventandoli molti metri più a valle.

 

Solo allora, tirando un sospiro di sollievo, poté voltare lo sguardo verso Reidar e i suoi compagni, che già galoppavano in lontananza sul dorso dei Warg, battendo sicuri le vie delle foreste, come se avessero chiaro il percorso. Alexer fece per lanciarsi alla loro caccia, quando un repentino frusciare lo fece girare, giusto in tempo per notare una guizzante frusta attorcigliarsi attorno al suo calcagno, sollevarlo di peso e sbatterlo a terra, venendo trascinato in basso, verso una torreggiante figura mostruosa che si era appena rimessa in piedi. Solo in quel momento il Principe notò le fattezze femminili di quel rozzo corpo, evidenti nonostante fosse rivestito di scaglie; persino il volto, incorniciato da quella moltitudine di rettili infuocati, era di una donna. Di una donna triste, si disse, osservandone lo sguardo, le pupille vuote, spente. E rimanendo così, bloccato, a guardarla in faccia, incapace di capire perché all’improvviso avesse perso sensibilità alle gambe, alle braccia, al resto del corpo. Cos’era successo, quale oscura magia poteva averlo ammaliato al punto da fargli perdere l’uso dei cinque sensi, proprio lui che era uno delle creature immortali per eccellenza? Con orrore, osservando l’alta figura mostruosa che incombeva su di lui, comprese chi fosse infine la sua avversaria e come avesse potuto vincerlo. Non uccidendolo, non essendone di certo in grado, bensì pietrificandolo.

 

***

 

Cristal sentì avvampare il cosmo di Alexer, poi lo sentì quietarsi e infine agitarsi un’ultima volta, fino a rimanere bloccato in una strana vibrazione. Non si era troppo premunito di correre in suo aiuto, all’inizio, ben conoscendo la sua potenza d’attacco e le sue abilità in battaglia, preferendo rimanere in cima al baluardo, per incitare i Blue Warriors nello scontro con le armate oscure. Aveva abbattuto molti nemici, travolgendoli con tempeste di gelo e vento e osservandoli mentre, ridotti ormai a rozzi blocchi di ghiaccio, precipitavano, schiantandosi a terra. Aveva anche dato vita ad un breve scontro con un guerriero dall’armatura rossastra e dai folti capelli viola, di grado superiore alla moltitudine dell’esercito che conduceva. Lo aveva incuriosito il modo distratto, a tratti diabolico, con cui svolazzava sul castello di Alexer, sostenuto dalle ali da pipistrello della sua corazza, scagliando ovunque saette oscure e spingendo indietro i soldati azzurri con turbini di vento, chinandosi a volte su di loro, afferrandone alcuni e gettandoli di sotto dai torrioni.

 

Gli aveva diretto contro uno dei suoi colpi migliori, ma l’uomo, anziché evitarlo, si era avvolto in un mucchio di nubi piovigginose, che avevano attutito l’attacco di Cristal, limitandosi a farsi trascinare via, quasi fosse più leggero dell’aria. Avrebbe voluto inseguirlo, oltre il bastione sul retro del castello, ma in quel momento aveva sentito svanire il cosmo di Alexer.

 

No! Si disse il biondo Cavaliere di Atena, affacciandosi e guardando in basso, nel sentiero in cui avrebbe dovuto trovarsi il Principe, dove avevano inizialmente pensato che l’Armata delle Tenebre sarebbe passata. Non è sparito! È come se fosse… fermo? Cristal non capì, ma poi vide quell’enorme creatura, dal corpo avvolto da mortifere fiamme, ergersi sull’Angelo di Aria, e allora prese la sua decisione, spalancando le ali del Cigno Divino e gettandosi in picchiata. Falciò alcuni guerrieri con il suo cosmo glaciale, fino a planare vicino ad Alexer, sopra di lui, colpendo la mostruosa sagoma di fuoco con un calcio in pieno volto e spingendola indietro, impedendogli di infierire ulteriormente sul corpo del suo mentore. Corpo che, avvicinandosi e osservandolo con attenzione, notò era stato pietrificato.

 

“Ma… che cosa?!” –Esclamò esterrefatto. Si chinò su di lui, sfiorandolo e trovando conferma ai suoi pensieri. La corazza, il volto, l’intero corpo di Alexer era divenuto pietra, paralizzato in un movimento che il Principe stava compiendo, di certo per difendersi dalla bestia. –“Già… la bestia…” –Ricordò Cristal, voltandosi proprio mentre la bizzarra creatura si rimetteva in piedi e i serpenti infuocati sul suo capo si drizzavano famelici, al pensiero di aver trovato un nuovo obiettivo.

 

Fu mentre studiava la migliore strategia per vincerla in fretta, in modo da poter tornare ad aiutare i Blue Warriors, che una voce lo raggiunse, parlando direttamente alla sua anima.

 

“Sono stato incauto.”

 

“Co… come?!” –Rantolò Cristal, riconoscendo il suono della voce di Alexer e subito voltandosi per osservarne il rigido corpo.

 

“È una Gorgone!” –Aggiunse questi, e allora il Cigno capì quel che era accaduto.

 

“Ma certo! Figlie di Ceto e di Forco, erano tre sorelle divine, che abitavano, si narra, alle bocche degli Inferi! Erano donne bellissime ma pericolose, in grado di mutare in pietra chiunque le guardasse negli occhi! Ecco cosa è accaduto ad Alexer!”

 

Quasi avesse intuito i suoi ragionamenti, la Gorgone scattò alla carica, tenendo il viso rivolto avanti, verso il Cavaliere del Cigno, e liberando proiettili di fuoco dal capo.

 

“Che orrore!!!” –Esclamò Cristal, portando avanti il braccio destro, sul cui indice già balenava il gelido cosmo. –“Anelli di ghiaccio!” –E congelò tutti i serpenti infuocati, mandandoli in frantumi, avendo cura di tenere lo sguardo di lato, in parte rivolto verso Alexer, a memento mori di quel che poteva accadere a guardarla in faccia, in parte verso il terreno, su cui la sagoma della Gorgone si allungava minacciosa.

 

Un nuovo assalto lo obbligò a balzare indietro, dietro al corpo pietrificato di Alexer, portandolo a sollevare un braccio e a generare una barriera di ghiaccio contro cui i serpenti di fuoco si infransero, cadendo al suolo e liquefacendo il terreno stesso. Ma l’emanazione cosmica del Cavaliere di Atena bastò a congelarlo all’istante, permettendogli di rifiatare un momento, afferrare il rozzo corpo del Principe e portarlo indietro, al riparo dietro alcuni alberi. Avesse avuto più tempo, avrebbe provveduto a chiuderlo in un feretro di ghiaccio, ma l’alito infuocato della Gorgone già incombeva su di lui, incessante e inquieto, come se a nient’altro anelasse se non ad uno scontro con lui.

 

“È piuttosto naturale, se ben ci pensi!” –Gli parlò Alexer, mentre Cristal danzava sul ghiaccio, schivando i rettili arroventati. –“Non conosci la storia delle tre Gorgoni e di come Steno sia rimasta sola?”

 

“Steno?! Si tratta dunque di lei?!”

 

“Ne sono sicuro! Come sono sicuro che ti odia! Percepisco il suo rancore; l’astio che ti rivolge in quanto Cavaliere di Atena fa ribollire il suo sangue divino, incendiando i serpenti che, da tanto odio, le sono cresciuti sul capo, deformando il suo aspetto in una bellezza mostruosa!”

 

“Perché tanta ostilità verso i Cavalieri di Atena?!” –Chiese allora Cristal, sollevando un muro di ghiaccio e fermando il nuovo assalto di Steno. Quindi, notando uno strisciare lesto sul suolo, fu svelto ad evitare la lunga coda squamata della Gorgone, balzando in alto e afferrandola poi mentre sgusciava via, strattonandola con forza e infondendovi il suo cosmo glaciante.

 

Steno strillò, spalancando la gola, mentre i serpenti di fuoco turbinarono sul suo capo, saettando in direzione del Cigno, che fu lesto a contrastarli con una tempesta di ghiaccio, congelandoli uno dopo l’altro. Ma la Gorgone non arrestò l’attacco, liberando migliaia di dardi roventi, in uno scontro incessante tra fuoco e ghiaccio che saturò l’aria di vapore e strida.

 

“Per la solitudine in cui l’avete confinata, condannandola ad un’esistenza solinga e raminga!” –Tornò a parlare Alexer. –“Delle tre sorelle, due furono uccise proprio da Cavalieri di Atena! Non ricordi l’impresa di Perseo, nel Mondo Antico, che tagliò la testa di Medusa, usandola poi per ornare lo scudo dell’Armatura d’Argento da lui indossata? E, forse non sai, ma è storia recente, Euriale, seconda sorella di Steno, cadde una decina d’anni fa, uccisa da due Cavalieri di Atena in una foresta cinese, dove aveva trovato rifugio, cibandosi di esseri umani, almeno quelli che non aveva pietrificato.”

 

“Se di tali macabri azioni si era macchiata, non mi stupisce che i Cavalieri di Atena l’abbiano combattuta! Sono mostri, in fondo!”

 

“Certo. Ma sono soli. E quindi arrabbiati! Stai attento, Cristal! Delle tre sorelle, Steno è la più forte, come indica il nome stesso! Non guardarla mai in volto!”

 

Il Cigno annuì, continuando a riversare il cosmo nella coda che reggeva in mano e nella tempesta di ghiaccio che, al qual tempo, aveva sollevato per impedire ai serpenti infuocati di raggiungerlo. Ma quello stallo non poteva durare, né gli avrebbe dato la vittoria. Fu il grido rabbioso della Gorgone a scuoterlo, mentre la coda squamosa andava in frantumi, dilaniata da un freddo così intenso che neppure la sua fiamma divina seppe contrastare. Colma di dolore e ira, Steno spalancò le rozze e corte ali che le ornavano la schiena, sollevandosi e dirigendosi verso il Cavaliere di Atena, i lunghi serpi infuocati tesi avanti, come lance pronte a intingersi nel sangue nemico.

 

“Non ti avvicinare, bestia immonda!!! Polvere di Diamanti!!!” –Tuonò allora il giovane di origini russe, scagliando il proprio assalto verso la Gorgone, che, anziché ritirarsi, continuò ad avanzare verso di lui, sfidando la tempesta di ghiaccio. –“Maledizione!!!” –Ringhiò Cristal, accorgendosi di non poter dirigere al meglio i suoi attacchi se impossibilitato a guardare il suo nemico. Poi, pensando ad Alexer, che lo attendeva poco distante, e allo scontro sostenuto da Sirio anni addietro, contro il Cavaliere che utilizzava quel potere micidiale, si infervorò, deciso a non lasciarsi abbattere dallo sconforto né dalla prospettiva di una sconfitta. Così roteò il braccio sinistro, posizionando lo scudo in modo da servirsene per individuare la posizione della Gorgone, evitandone al qual tempo lo sguardo.

 

Ma Steno, quasi avesse subodorato il pericolo, fu lesta a scattare di lato, velocissima, tempestando il Cigno dal fianco scoperto. Raggiunto dal morso di un serpente di fuoco ad una coscia, Cristal fece esplodere il proprio cosmo, generando un devastante tifone di gelo che lo avvolse, inglobando in fretta il suolo attorno a sé e anche la stessa Gorgone, che non ebbe tempo di sottrarsene. Il confuso turbine di neve, terriccio e combattenti si placò dopo un mezzo minuto, rivelando una devastata distesa dove non vi era più traccia né di Cristal né di Steno.

 

Fu la Gorgone la prima a ricomparire, sollevandosi da sotto un cumulo di neve e pietrisco, mugghiando furiosa e lasciando sibilare i serpi infuocati, volgendo rapida lo sguardo attorno a sé, alla ricerca del proprio avversario. Sopra di lei, nel castello di Alexer, gli scontri tra l’Armata delle Tenebre e i Blue Warriors erano ancora in corso, ma Steno non aveva interesse né verso la prima né verso i secondi, solo verso il Cavaliere di Atena. Solo per quel motivo, per la presenza di almeno uno di loro, aveva accettato gli ordini del Lord Comandante di unirsi a quell’impresa. E adesso pretendeva quel che le spettava.

 

La destò un rapido movimento alla sua destra, al limitare della foresta, uno scintillio bianco che ricollegò subito all’Armatura Divina del Cigno. Spalancando le ali si precipitò in quella direzione, riconoscendo il Cavaliere dello Zodiaco che correva verso i boschi, di certo per trovarvi riparo. Eccitata, lo bersagliò di strali incendiari, che si staccavano rabbiosi dal suo cranio per affondare nel corpo del giovane, che continuava a correre e a sfuggirle, infilandosi nella scura boscaglia. Non le ci volle molto, comunque, per ritrovarlo e piombare su di lui, che si ergeva impavido, o stolto, con le braccia unite sopra la testa e le dita intrecciate tra loro. Atterrò davanti a lui, a nemmeno un metro di distanza, e chinò il capo avanti, spalancando gli occhi vitrei e sfoderando tutto il suo potere. Ma Cristal non si mosse, né si mutò in pietra, bensì sembrò scomparire in una nube di vapore.

 

Non capendo quel che fosse successo, Steno vide l’immagine del Cigno liquefarsi e scivolare via, giù lungo un invisibile muro di ghiaccio che si ergeva di fronte a lei. Solo allora capì l’inganno di cui era caduta vittima, proprio mentre il suo corpo cigolava sinistramente, divenendo sempre più pesante. Con un ultimo massacrante sforzo, torse il cranio per osservare le sue squame divenire sempre più scure, mutandosi in pietra, vittime della sua stessa malia.

 

“Perdonami, Steno, la forte! Hai tenuto fede al tuo nome, ma non posso lasciarti vivere ancora! Non è volontà sanguinaria a guidare la mia mano, bensì desiderio di difendere coloro che ho caro e che tu potresti ferire! Per cui, riposa in pace nei silenti ghiacci! Addio, ultima delle Gorgoni!!! Scorrete, divine acque!!!” –Esclamò una voce alle sue spalle, liberando un fiume di energia glaciante che investì la creatura, ricoprendola interamente di un solido strato azzurro. –“Spada di ghiaccio!!!” –Tuonò Cristal, piombando su di lei, con il braccio destro circondato di energia cosmica, e calandolo con rapidità, in modo da distruggere la rozza scultura e debellare per sempre la minaccia delle Gorgoni.

 

Ansimando per il duro e veloce scontro, il Cigno placò il proprio cosmo, voltandosi per tornare fuori dalla boscaglia e sincerarsi delle condizioni di Alexer. Non ebbe bisogno di camminare molto per ritrovare il Principe in piedi, in sua attesa, il volto sorridente e grato per averlo liberato da quella scomoda situazione.

 

“Un’ottima strategia, me ne compiaccio! Attirare la Gorgone nella foresta, dove la luminosità è minima, e paralizzarla con il suo stesso sguardo riflesso in un muro di ghiaccio! Un colpo di genio! Dovresti darmi tu qualche lezione di tattica…” –Commentò l’Angelo di Aria, dando una pacca sulla spalla del Cavaliere.

 

“Non ho dubbi che vi sareste liberato anche da solo.”

 

“Forse. Ma ci sarebbe voluto del tempo, che noi non abbiamo! Una cosa sola non capisco! Perché ho visto così tante Gorgoni quando quel guerriero di nome Reidar mi ha attaccato? Ero convinto di essere circondato e invece ve ne era solo una!”

 

“Dunque, tra coloro che sono passati, vi è qualcuno dai poteri mentali così grandi da riuscire ad alterare persino la vostra percezione della realtà? Un maestro di illusioni e inganni!”

 

“Non è certo il primo che ci troviamo ad affrontar…” –Ma la voce di Alexer si incrinò di colpo, percependo un’improvvisa energia oscura avvicinarsi rapida. Così oscura come mai l’aveva incontrata prima. Persino Cristal ne fu sopraffatto, crollando sulle ginocchia, il respiro affannoso, chiedendo al Principe cosa stesse accadendo.

 

“A chi appartiene questo cosmo così mortifero?”

 

La risposta la ebbe sollevando lo sguardo, osservando l’arco dipinto nel cielo plumbeo da una cometa ancora più nera, che sfrecciò sopra le nordiche terre, scendendo in picchiata verso il castello di Alexer.

 

“I Blue Warriors!!!” –Esclamò quest’ultimo, spalancando le ali della corazza e fiondandosi verso la fortezza, per avvisarli o riuscire in qualche modo a evitare l’impatto, incurante delle grida di terrore di Cristal alle sue spalle.

 

Rimasto paralizzato da quella repentina comparsa di oscuro potere, il Cigno non poté far altro che rimanere a guardare mentre la cometa di tenebra si schiantava sulla montagna, generando un’immensa esplosione, udita in tutta la Valle di Cristallo ed anche ad Asgard. Inorridito, il ragazzo vide la roccaforte saltare in aria, le torri merlate, i bastioni e le mura esplodere, dilaniate da un devastante potere, tra le urla di coloro che ancora là combattevano, amici o nemici. Niente fu risparmiato dalla fulminea apocalisse, persino Alexer venne investito dal crollo della montagna, che precipitò su di lui, generando un’immensa slavina che inghiottì la vallata e tutti i suoi alberi, deturpandone con violenza il paesaggio.

 

La cometa nera, che si era piantata nel fianco della montagna, sventrandolo, riemerse poco dopo, contemplando soddisfatta il proprio operato, ma mentre si preparava per dirigersi verso la fortezza di Asgard, venne attratta dal bagliore di un cosmo che riluceva cristallino a fondo valle, verso cui si diresse all’istante.

 

Cristal, il volto umido di sudore freddo e lacrime per i compagni caduti in quella devastazione, poté così ammirare colui che tanta distruzione aveva portato. Un uomo solo, rivestito da una corazza interamente nera, così scura da non riuscire neppure a notarne le placche che la componevano e i punti in cui si congiungevano. Ad eccezione per le forme affilate dei bracciali, dei gambali e dei coprispalle, pareva non avere alcun segno particolare, solo una scritta dipinta sul pettorale, poco sopra la posizione del cuore. Una scritta in rosso, che sembrava vergata col sangue di coloro che aveva appena ucciso.

 

Ερεβος

 

“Dunque tu…” –Inorridì il Cavaliere di Atena, ricordando le parole di Avalon sugli Dei Ancestrali risorti con il risveglio di Caos.

 

“Guarda chi abbiamo qua! Un bel biondino in Armatura Divina! Dalla stessa mano forgiata di quella che ha creato l’armatura del Cavaliere di Pegasus, suppongo, sebbene la sua fosse in ben più misere condizioni! Non che, in fondo, averla nuova o usata possa cambiare qualcosa! Ahu ahu ahu!” –Sghignazzò l’uomo dal volto celato dietro una maschera nera, da cui trasparivano soltanto due occhi rossi.

 

“Hai combattuto contro Pegasus, Cavaliere?!”

 

“Purtroppo per lui ha avuto la sfortuna di incontrarmi, proprio come te! E non sono un Cavaliere, bensì un Dio, il Dio! Io sono la Prima Tenebra! Io sono morte, il distruttore di mondi! E te lo dimostrerò adesso, uccidendoti e radendo al suolo la fortezza di Asgard, come ho ucciso coloro che si ergevano sul Monte Etna, fossero uomini o insulse Divinità minori, poiché vedi, Cavaliere di Atena, tutti gli Dei sono inferiori a me, Erebo, Tenebra Ancestrale, e se i cadaveri di Efesto, Ermes ed Eracle potessero parlare te ne darebbero conferma! Ahu ahu ahu! Sei pronto a ricongiungerti con il tuo amico?”

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo diciassettesimo: Fuoco nel deserto. ***


CAPITOLO DICIASSETTESIMO: FUOCO NEL DESERTO.

 

Le rive del Nilo erano in fiamme.

 

Il viale delle Sfingi che conduceva a Karnak era il teatro di scontri violenti che da ore andavano susseguendosi, in particolare da quando Andrei aveva guidato le forze dell’alleanza divina in aiuto dei Faraoni delle Sabbie, iniziando un combattimento contro il Comandante dell’Armata delle Tenebre. Aveva già sentito parlare di lui, sebbene le antiche cronache fossero avare di giudizi. Tutti i testi avevano sempre parlato della sua capacità di infiammare gli animi in guerra, del suo ruolo di guida degli eserciti in battaglia, del suo costituire l’essenza stessa della Guerra, il demone furioso che inneggiava al conflitto, ma nessun testo aveva posto l’accento sulla sua effettiva potenza, tale da far impallidire persino l’Angelo di Fuoco.

 

“Ti arrendi, Andrei?” –Lo derise Polemos, spingendolo indietro con un’onda di energia e godendo di fronte al suo sempre maggior impegno, mentre egli, al contrario, pareva fresco e riposato, come se si fosse appena risvegliato.

 

“Stai scherzando, spero? O temi forse la mia ira?!” –Ribatté l’altro, espandendo la propria aura cosmica e generando un ampio cerchio di fuoco, che circondò i due combattenti, isolandoli dal resto delle battaglie in atto.

 

“Se credi che le tue fiamme possano impensierirmi, allora sei male informato!” –Rise il Demone della Guerra, avanzando verso Andrei nelle sue sontuose vesti. Ma bastò che muovesse un piede che subito le vampe di fuoco presero vita, strisciando sul terreno sabbioso e allungandosi ratte verso le gambe del servitore di Caos, per quanto l’emanazione del suo cosmo fosse sufficiente per tenerle a distanza. –“Non penserai di trattenermi ancora a lungo con questo trucchetto? Hai visto che è inutile!”

 

“Non propriamente…” –Si limitò a commentare l’Angelo di Fuoco, concedendosi un sorriso, prima di infondere ulteriore energia alle lingue rossastre che si chiusero attorno al corpo di Polemos in una spirale di acceso colore, obbligando il Nume a liberare una violenta esplosione di energia per togliersele di torno.

 

“Ah no?!” –Tuonò, aprendo le braccia e osservando, infastidito, le bruciature comparse a deturpare i suoi eleganti abiti. –“Questi stessi strappi, con cui hai rovinato le vesti che avevo scelto per entrare a Karnak, te li procurerò nel cuore!” –Aggiunse, chiudendo le braccia di colpo e sbattendo le mani, generando al qual tempo un’onda di energia cosmica che sollevò Andrei di scatto, scaraventandolo in alto ed esponendolo ad un secondo attacco da parte di Polemos. –“Muori!!!” –Gridò, investendolo con un globo di energia.

 

L’assalto sbatté l’Angelo di Fuoco a terra, facendolo ruzzolare sulle dune per una trentina di metri, e quando si rimise in piedi, scuotendo la sabbia dall’armatura, Polemos notò che, a denti stretti, stava ridacchiando. Stupito, gli chiese se non avesse perso il senno, in quell’ultimo capitombolo, oltre all’elmo dell’armatura.

 

“Tutt’altro! Il senno mio è assai attento e questo assalto non ha fatto altro che fugare un dubbio che mi aveva invaso fin dall’inizio di questo scontro! Un dubbio che, in realtà, mi portavo dietro da un po’, da quando Avalon mi disse che il tuo nome sarebbe stato tra i demoni antichi che il ritorno di Caos avrebbe di certo risvegliato!”

 

“Che dubbio?!” –Mormorò Polemos, facendosi attento, mentre Andrei si incamminava nella sua direzione.

 

“Come combatte un Signore della Guerra? Come combatte colui che, più di qualunque altro Dio o soldato, alla guerra è massimamente devoto, al punto da farne il perno della sua intera esistenza? Le tecniche e le strategie di Ares mi sono ben note, fin dal Mondo Antico, e non mi hanno mai entusiasmato! Un ariete che carica a testa bassa, niente di più! Al pari di quelle infoiate delle Makhai, tutte urla selvagge e furia battagliera, ma ben poca sostanza! Tu, invece, hai attirato il mio interesse, perché vedi, Polemos, dei Cinque Arconti garanti dell’equilibrio io sono quello che ha sempre cercato di modificarlo, quest’equilibrio. Io sono colui che si è trovato stretto in questi panni, desideroso di intervenire e scendere in campo, per modificare l’esito di battaglie che la mia abilità, la mia strategia e la mia potenza d’attacco avrebbero potuto ribaltare!”

 

“A modo tuo sei un Signore della Guerra, dunque!” –Precisò l’avversario, ascoltando interessato.

 

“No, non la guerra cerco, ma il confronto, l’azione, l’intervento! Io aborro rimanere ad osservare gli eventi, come mio fratello ha fatto per millenni! Ma è chiaro che, in un conflitto di proporzioni grandiose come questo, intervenire significa combattere e quindi sì, scendere in guerra!” –Ammise Andrei. –“E adesso che ti ho di fronte e ammiro la tua straordinaria potenza, non posso fare a meno di notare che tu, che della guerra sei il demone, sembri non amarla affatto!”


Co… cosa?!” –Balbettò Polemos, preso alla sprovvista da quella dichiarazione.


“Puoi nasconderlo quanto vuoi, dietro i begli abiti di cui ti orni, dietro la noncuranza con cui abbatti e uccidi gli avversari, quasi tu stessi schiacciando fastidiosi insetti, ma la verità è una soltanto! Tu non ami combattere perché hai paura di perdere! E se questa prospettiva sussiste, significa che esiste un modo per vincerti!”

 

“Ah ah ah! Di tutte le idiozie viste e sentite su un campo di battaglia, questa è la migliore! Complimenti, Andrei! Sei quasi riuscito a distrarmi con le tue chiacchiere! Adesso possiamo riprendere a combattere, anzi a non combatterci!” –Sghignazzò il fedele di Caos, prima di spingere l’avversario indietro con un’onda di energia, cui Andrei tentò di opporsi incrociando le braccia davanti al viso, avvolto da una solida aura fiammeggiante che gli impedì di cadere.

 

“Vedi? Non fai che darmi ragione! Come puoi pretendere di vincermi senza usare una tecnica segreta? Non ti basteranno certo semplici emanazioni di energia! Possono andar bene per sconfiggere guerrieri di basso rango ma non un Angelo mio pari! Non l’Arconte che porta nel cuore il fuoco della vittoria, che mi attende alla fine di questo scontro!!! Cadi, Polemos! Flame of Victory!!!” –Tuonò Andrei, muovendo il braccio destro e liberando una turbinante spirale di fuoco che piombò sul Demone della Guerra, obbligandolo a balzare in alto, mentre il suolo sotto di lui esplodeva.

 

Non fu lesto però a portarsi fuori dal raggio d’azione dell’assalto, venendo raggiunto ai piedi e alle caviglie dalle lingue di fuoco scatenate da Andrei, che lo sbatterono a terra, faccia nella sabbia, avanzando poi verso di lui, arrotolandosi attorno al suo corpo e imprigionandolo in una gabbia fiammeggiante.

 

“Ti sei… spinto… oltre…” –Sibilò Polemos, espandendo il cosmo all’improvviso e liberandosi da quell’effimera prigione, distruggendo le fiamme stesse e la duna sabbiosa su cui si trovava, spianandola fin quasi al livello del terreno.

 

“Anche tu, a quanto pare!” –Rispose Andrei di rimando, osservando il corpo del Lord Comandante, ormai nudo di fronte a sé, con gli ultimi brandelli di stoffa appiccicati, quasi fusi alla sua pelle.

 

“Tutt’altro! Io sono appena agli inizi!” –Chiosò questi, sollevando un braccio al cielo, avvolto nella sua aura amaranto, e urlando un nome. –“Arma!!!” 

 

Andrei levò d’istinto le sue difese, lasciando che fiamme ardenti crepitassero sui palmi delle sue mani, ma nessun attacco lo investì, anzi Polemos pareva non degnarsi più di lui, concentrato a rimirare quel che era apparso sopra la sua testa. Un enorme globo di luce amaranto dentro cui andava delineandosi una forma ben precisa.

 

Una biga?! Rifletté l’Angelo di Fuoco, non comprendendo. Anzi no, è un carro. Ma certo! Un carro da guerra! Intuì, mentre il cosmo del Nume entrava in risonanza con quello emanato dall’oggetto, che brillò di un ancor più intensa luce prima di esplodere e dividersi in una ventina di pezzi, che andarono a disporsi sopra il corpo ben curato di Polemos, rivestendolo interamente.

 

“Sorpreso?! Dovresti esserlo, in verità! È la prima volta, da quando sono stato concepito, che utilizzo la mia armatura! L’arma suprema di cui possa disporre! L’Arma! E cosa poteva rappresentare la corazza del Signore della Guerra se non quella di un carro atto allo scopo?!” –Sogghignò, avanzando verso Andrei. –“L’ho creata io stesso, sai? Molto tempo fa, agli albori di quello che la gente di questo pianeta chiama Mondo Antico, amavo passeggiare per le piane di una penisola oggi nota come Italia. Paesaggi bellissimi, lo ammetto, vaste distese d’erba e fiori solcate da fiumi e una gran varietà di coste, ambienti nettamente superiori a quest’isterilito giardino in cui ci troviamo a combattere. Fu proprio là, in un’area paludosa, presso le rive di un fiume, che combattei una delle mie prime battaglie, una di quelle imprese per cui, se fossi stato un eroe, se fossi stato Eracle, sarei stato cantato a lungo dagli aedi! Ma l’indole dell’eroe non l’ho mai avuta, sebbene in comune con Eracle abbia una discreta forza!”

 

“Perché mi stai raccontando tutto questo? Non mi interessano le tue gesta passate!”

 

“Ah no?! Credevo tu volessi conoscere la mia vera natura! Poc’anzi mi hai detto che credi che a me la guerra non piaccia poiché non uso colpi segreti, ma è una bugia e te lo proverò, anzi te l’ho già provato indossando quest’armatura, fortificata dal sangue degli Dei massacrati in quella battaglia!”

 

“Quali Dei?!” –Avvampò Andrei.

 

“Quelli che popolavano quelle coste. I loro adoratori, quel popolo sempliciotto che andò a chiudersi nelle loro casette di roccia e pietra, li chiamavano… Uhm, com’è che li chiamavano? Ah sì, Tina o Tinia, Uni e Menrva! Nomi caduti nell’oblio, come gran parte della cultura di quel popolo! Perché vedi, Andrei, io quei villaggi… li rasi al suolo…” –Sogghignò Polemos, sbattendo l’Angelo di Fuoco a terra con la sola emanazione del cosmo, schiacciandolo nella sabbia a gambe e braccia aperte. –“I loro Dei li divorai come spuntino e poiché erano troppo deboli per saziarmi del tutto mi cibai anche dei loro sacerdoti, stillandone il sangue per generare quest’armatura, forgiata sulle mie vittorie!”

 

Sei… un folle! Un folle assassino!!!” –Ringhiò il fratello di Avalon.

 

Ouh, su questo hai ragione, mio buon amico! Hai proprio ragione!” –Ridacchiò Polemos, aumentando la stretta e godendo del vibrare della corazza di Andrei, sottoposta ad una pressione violentissima. –“Ti sei lamentato poc’anzi perché non uso colpi segreti? Hai ragione, la verità è che non ne possiedo alcuno! Non potrei possederne poiché non esiste tecnica senza che esista anche la possibilità di neutralizzarla! Non esiste attacco che non possa essere parato, schivato o vanificato, né difesa che non possa essere superata! Lo so bene, io, che conosco tutte le tecniche di guerra e che, di conseguenza, so come annullarle! Quello che non sai è che conoscendole sono in grado di farle mie, come sono in grado di catturare le essenze dei miei avversari! Eccotene la dimostrazione!” –Sogghignò, espandendo il proprio cosmo amaranto e avvolgendo Andrei in una torbida foschia dentro la quale alcune sagome iniziarono a stagliarsi poco dopo. Sagome mostruose, di creature demoniache che Polemos aveva evocato. –“Ti presento Culsu! La conosci? Non credo! Nessuno conosce i demoni degli etruschi, un popolo che io stesso ho contribuito a cancellare dalla storia, come molte altre piccole civiltà sviluppatesi nella penisola italica in quel lontano passato! Era un demone, una furia bifronte, per l’esattezza! E come tutti i demoni vigila all’ingresso dell’oltretomba! Guardalo bene, osservane le fattezze, sarà l’ultimo ricordo che ti porterai con te! Addio, valoroso guerriero! Addio Arconte di Fuoco!” –Aggiunse il Lord Comandante, voltando le spalle ad Andrei.

 

Nella nube di cosmo che lo attorniava, il maestro di Jonathan vide la mostruosa figura di Culsu avvicinarsi. Il volto era indecifrabile, coperto da quella strana foschia che contribuiva a fargli perdere i sensi, a indebolire i suoi riflessi, come il vento che soffia dalle porte infere, come i lamenti funebri che ti cullano e ti attraggono a sé. Ma quel che riuscì a vedere bene, mentre la sagoma si chinava su di lui, furono le braccia rachitiche, che sorreggevano una torcia accesa, ove riluceva una sinistra fiamma blu, forse un fuoco fatuo, e un paio di enormi forbici.

 

Andrei si mosse, rotolando su un lato, per quanto quel semplice movimento gli costasse fatica, i muscoli che parevano strapparsi da un momento all’altro, la nebbia amaranto divenuta simile a un muro di pietra. Fu comunque svelto ad evitare il chiudersi di quelle cesoie che molte vite dovevano aver reciso in passato, vite di cui ancora credeva di udire il grido di morte, l’ultimo strillo prima di precipitare nel nulla. Non capì perché, ma mentre Culsu calava di nuovo su di lui, per mietere anche quella vita, ad Andrei parve di udire la voce di Juana, la donna cui si era unito anni addietro, sulle sponde del lago Titicaca.

 

Bastò quella voce a distrarlo, quel tanto di cui il demone etrusco abbisognò per chiudere le sue tenaglie sulla sua mano destra, scheggiando l’armatura rossastra ma non raggiungendo la carne al di sotto. Poco importò, in realtà, poiché il potere di quell’arma pareva trapassare ogni difesa materiale, strappando un sussulto all’impetuoso combattente, a cui sembrò che una stilla di vita fosse appena stata portata via. Fu allora, mentre Culsu si rialzava, pronto a colpire di nuovo, che Andrei guardò la torcia con più attenzione, comprendendo perché credeva di udire quelle voci, quei lamenti. La fiamma azzurra che baluginava in cima al bastone di legno era davvero un fuoco fatuo, un insieme di fuochi simili a spiriti, dai volti tremendamente umani. E tra quei volti, tra quegli spiriti destinati ad eterno tormento, l’Angelo vide il volto di Juana. O quantomeno le sembrò di vederlo, prima che Culsu si avventasse su di lui, mirando quella volta a lacerargli il collo.

 

“Spiacente!” –Sibilò Andrei, espandendo il cosmo e sollevando le gambe, fino a chiuderle contro il ventre e poi allungandole di scatto, colpendo il demone e facendogli perdere la presa su torcia e forbici. –“Ho altri progetti per il futuro! Se pensavi che la vista di Juana, condannata a chissà quale penitenza eterna, dovesse prostrarmi, ti sei sbagliato! Anzi, mi ha ricordato come è morta e la promessa che le feci quella notte. Parole che mi hanno accompagnato ogni giorno di questi ultimi vent’anni.”

“Promettimelo, Andrei. Proteggi nostro figlio. Egli nasconde la luce che illuminerà il mondo.” –Gli aveva detto la donna morendo tra le sue braccia. E l’Angelo lo aveva fatto, addestrandolo ad essere il Portatore di uno dei Talismani.

“Promessa mantenuta, Juana!” –Mormorò, prima di lasciar esplodere il suo cosmo, incenerendo Culsu e la nebbia che Polemos aveva calato su di lui, disperdendoli in un turbine di sabbia. Quando la nube polverosa si diradò, Andrei vide che il Comandante dell’Armata delle Tenebre era ancora davanti a lui, intento ad osservarlo con sguardo interessato. Ai suoi piedi giacevano i cadaveri di due soldati di Amon Ra, i corpi sgozzati e il sangue che ancora zampillava fuori dalle ferite.

“Non sei stato svelto abbastanza, a quanto pare!” –Commentò Polemos, divertito, puntandogli contro l’indice destro. –“Presta ascolto alle mie parole, Andrei, e non a quelle della donna cui ti unisti un tempo! Per ogni minuto di troppo che impiegherai nel vincere i demoni al mio servizio, io ucciderò qualcuno su questo campo di battaglia! Stavolta è toccata a due Faraoni delle Sabbie… Chissà, la prossima volta potrebbe essere il turno di… tuo figlio!”

“Lurido vigliacco!!!” –Ringhiò Andrei, scattando avanti. Ma già le labbra di Polemos si erano schiuse, pronunciando due nuove parole. L’Angelo non le aveva udite ma notò le sagome di pura energia avvampare attorno a lui, altri due demoni etruschi che aveva sottratto al loro ruolo, facendone armi al suo servizio.

“Ti presento Vanth, alla tua destra, colui che tiene in mano il rotolo del destino, ove è scritto tutto quel che accadrà ad un uomo, e Tuchulcha, alla tua sinistra, il più possente e furibondo demone infero!” –Suggerì Polemos, osservando divertito le due figure di energia lanciarsi all’attacco, in perfetta sincronia, obbligando Andrei ad uno sforzo estremo per difendersi da entrambi.

 

Co… come puoi controllarli?! È un potere che ti ha donato Caos, questo di attingere alle antiche culture?!” –Rantolò l’Angelo di Fuoco, cercando di tenere a distanza gli artigli di Tuchulca.

 

Tut tut! Nient’affatto! È una prerogativa che mi sono guadagnato nel corso del tempo, mio buon amico, grazie ad un arguto spirito di osservazione che mi ha reso quello che sono! Polemos! La guerra! Non certo un nome scelto a caso, ma che te lo dico a fare, avrai già capito che le parole sono importanti!” –Rise il Comandante, godendo di fronte alle ferite che Vanth e Tuchulcha stavano infliggendo ad Andrei. –“Dici che non uso colpi segreti, che non invoco a gran voce il nome delle mie tecniche, come è divenuta consuetudine in molti eserciti divini! Bah, una bizzarria tesa a nascondere la debolezza delle stesse! Puoi urlarlo con tutto il fiato che hai in corpo, puoi scegliere il nome più altisonante, ma se la tua tecnica è fallace e la tua forza misera, il tuo attacco non avrà efficacia alcuna sul tuo nemico! Io ritengo invece che ogni parola sia importantissima, che non debba essere scelta a caso, proprio come lo ritenevano i popoli antichi! Anche a Isla del Sol, immagino, la parola aveva un grande valore; la parola è creatrice, di miti e di tutto ciò che è sacro! La parola è il mezzo con cui si crea e perpetua il mito, con cui si dà vita a pensieri, consuetudini e leggende, suscitando in chi la ode sentimenti di devozione, ammirazione e timore! La parola non deve essere casuale, ma scelta e, a volte, ne basta una sola! Una soltanto!”

 

Andrei non prestò molta attenzione alle farneticazioni del Signore della Guerra, troppo occupato a difendersi dagli affondi dei due demoni che aveva evocato. Vanth non sembrava molto forte, aveva il fisico di una donna dai lunghi capelli serpentiformi, ma era rapida e precisa nel colpire, con quelle sudice unghie grondanti veleno. Tuchulcha, al contrario, era la forza bruta fatta persona e l’Angelo temeva che un suo pugno avrebbe potuto persino crepargli la corazza. Deciso a non permettere a quel pensiero di trovare conferma, bruciò il proprio cosmo, sperando che le fiamme li tenessero lontani, ma inorridì nel vederli oltrepassare il muro di fuoco senza esserne per niente toccati.


“Stolto! Fermare due demoni infernali con delle fiamme?! Neppure le sentono! Dove credi che abbiano dimorato per tutti questi secoli?” –Rise Polemos, scuotendo la testa, prima di voltarsi e guardare quel che succedeva attorno a sé. –“Il minuto a tua disposizione è passato, Andrei! Andrò a far visita a tuo figlio… Oh, perdonami, lui non sa che sei suo padre! Posso dirglielo?! Ih ih ih?!”

 

Stai… lontano… da lui!!!” –Tuonò l’Angelo di Fuoco, sollevando un cerchio di fiamme attorno a sé, sempre più alte e guizzanti, un cerchio che caricò di tutto il suo cosmo, tutte le sue passioni, tutta la vita che aveva vissuto fino ad allora, lasciandolo divampare poco dopo. Di quelle fiamme, così cariche di antica energia, persino Vanth e Tuchulcha ebbero paura, della loro luce così intensa, in grado di rischiarare la tenebra di qualunque inferno. –“Ecco il cuore del mio potere, la vampa di vittoria che non può essere spenta! Aurora… infuocata!!!” –Imperò, concentrando il cosmo in un unico grande globo rossastro che lo avvolse assieme ai demoni, esplodendo poco dopo verso il cielo.

 

“Incredibile!” –Mormorò Polemos, impressionato dal potere liberato. –“Un potere in grado di vincere persino i guardiani degli inferi! Sei proprio l’Arconte di Fuoco!”

 

“E ora a noi, Lord della Guerra! Ti restituisco le parole che mi hai rivolto poco fa! Hai detto che non esiste tecnica che tu non conosca e che quindi tu non possa vanificare, ma al tempo stesso, io che sono Signore del Fuoco ti dico che non esiste corpo che non possa essere bruciato dalla mia fiamma!!! Flame of victory!!!”

 

L’immane ondata di calore si abbatté su Polemos, incendiando l’aria e la sabbia attorno, i corpi straziati dei servitori di Ra e giungendo infine a lambire la suprema Arma del Demone della Guerra, ustionandola in più punti, obbligandolo a portare entrambe le braccia avanti per contenere quel devastante potere. Di certo, se non avesse indossato l’armatura, il suo corpo avrebbe riportato seri danni; questo fu costretto ad ammetterlo. Solo questo, soggiunse, trattenendo un ghigno di trionfo, conscio che ormai Andrei non avrebbe potuto vincerlo.

 

“No! Nessuno può vincermi!” –Gridò, respingendo la marea infuocata contro il suo stesso creatore. –“Nessuno mai potrà sconfiggere la guerra! Soprattutto con un simile potere!” –Aggiunse, sibillino, prima di espandere il proprio cosmo, che strisciò lungo la costa orientale del Nilo fino a raggiungerne le acque, penetrando in profondità e sollevandole poco dopo. –“Mira, Andrei, la fine delle tue fatiche! Il fuoco che mi hai rivolto contro sarà spento all’istante! È nella natura stessa del fuoco essere destinato all’estinzione!” –Chiosò, mentre un gigantesco maroso d’acqua melmosa sorgeva dietro di lui, abbattendosi poco dopo sull’Angelo di Fuoco, spegnendo tutte le sue fiamme e risucchiandolo in un vortice che sconquassò la riva sinistra del Nilo, travolgendo anche numerosi soldati di Inti e dell’Armata delle Tenebre.

 

Quando la furia del gorgo si esaurì, Polemos si concesse un sorriso soddisfatto per come stava procedendo la campagna bellica da lui scatenata. I difensori di Karnak sarebbero stati piegati entro breve e anche quell’alleanza che i regni divini superstiti avevano messo in piedi alla bell’e meglio non avrebbe intaccato i suoi propositi, come la sconfitta di Andrei dimostrava. Un unico pensiero lo turbava, un quesito a cui non sapeva dare risposta.

 

Dov’è finito Forco? Avrebbe già dovuto essere qua, a chiudere all’alleanza ogni via di fuga! Che non trovi la strada? Eppure le indicazioni che aveva ricevuto erano chiare. Dalla loro base subacquea i Forcidi avrebbero dovuto raggiungere il Mar Rosso, spuntando dall’altro versante di Karnak e cingendola in un definitivo assedio. Ma delle loro corazze azzurrognole ancora nessuna traccia! Socchiudendo gli occhi, espanse il proprio cosmo, lasciandolo correre in cielo, sfruttando la nube nera che si stava espandendo sul pianeta come uno specchio per guardare in basso, alla ricerca di Forco e dei suoi accoliti, percependone infine traccia, una debole traccia, molto lontano da lì.

 

Cosa diavolo ci fanno al largo delle coste australiane? Si chiese, riaprendo gli occhi e riflettendo che in quel luogo, nel bel mezzo dell’oceano, non avrebbe dovuto esserci nulla. Di certo non una battaglia da vincere!

 

L’apparire di un cosmo oscuro alle sue spalle lo fece sussultare, spingendolo a voltarsi giusto in tempo per specchiarsi nell’elmo nero di un uomo che apprezzava e disprezzava al tempo stesso. Sebbene uomo ormai non possa definirsi più!

 

“Gran Maestro del Caos, voi qua?!” –Mormorò, stupefatto, mentre la figura rivestita di nero si avvicinava, poggiandogli una mano sulla spalla destra e spaziando con lo sguardo sull’intero campo di battaglia.

 

“Volevo vedere come te la cavavi sul campo! Sai bene quanto io ammiri i Signori della Guerra, suprema madre del mondo! Non male, Caos ne sarà impressionato! Hai un modo tutto tuo per farti strada, molto diretto e penetrante! Io, a mio tempo, avevo preferito sottili giochi politici, intrighi che mi hanno permesso di rimanere nell’ombra, in posizione defilata, ad osservare uomini e Dei scontrarsi contro vecchi amici o rinverdire contrasti con antichi nemici! Ah ah ah!” –Commentò, prima di girarsi verso Karnak, fissarla e rimanere in silenzio. Quindi, prima ancora che Polemos potesse aggiungere qualcos’altro, il Gran Maestro scomparve, guizzando come un’ombra verso il complesso templare.

 

Il Lord Comandante avrebbe voluto fermarlo, dirgli di aspettare, di concedere a lui, che aveva permesso alle gloriose Armate delle Tenebre di arrivare fin là, l’onore di abbattere i portoni del tempio e sfidare Amon Ra. Ma scontrarsi con lui a cosa sarebbe servito? Sotto che luce lo avrebbe messo agli di occhi di Caos?

 

Stringendo i pugni, Polemos berciò ordini a Chimera, ma proprio allora un cerchio di fuoco piovve dal cielo, circondandolo e costringendolo a sollevare un braccio davanti al volto, per evitare che quelle lunghe lingue rossastre gli ustionassero il volto.

 

“Non così in fretta! Abbiamo uno scontro da terminare!” –Esclamò una ben nota voce, prima che la robusta sagoma di Andrei comparisse davanti a lui. Il corpo bagnato, l’armatura segnata da qualche scheggiatura e chiazzata di melma e sabbia, una vivida luce di determinazione negli occhi. Persino maggiore che in precedenza.

 

“E sia!” –Sbuffò allora Polemos, per quanto, per la prima volta in vita sua, di quello scontro, in quel momento, avrebbe davvero fatto a meno. Solo allora, prima che Andrei si lanciasse contro di lui in un turbinar di fiamme, notò che anche Keres e Lissa erano sparite dal campo di battaglia.

 

Tirando uno sguardo al Viale delle Sfingi, alla distesa di corpi che costellava l’ingresso a Karnak, capì dove erano andate e sospirò, dovendo ammettere infine che la più ambita preda di quel giorno gli era stata portata via. In nessun modo, rifletté, Amon Ra uscirà vivo da lì. E riprese a combattere contro Andrei.

 

***

 

Da tempo non tornava a Karnak, da quando Micene di Sagitter era riuscito a convincere Amon Ra ad abbandonare il suo volontario isolamento, rientrando nel mondo, ma ricordava ancora bene la pianta semplice dell’edificio. Per cui, una volta superato il Viale delle Sfingi criocefale, svoltò verso sinistra, aggirando i piloni esterni, di certo sorvegliati dai Soldati del Sole Nero e da qualche probabile Faraone delle Sabbie, convergendo verso l’ingresso monumentale che si apriva a nord, da cui avrebbe ben più facilmente raggiunto il cuore del tempio di Amon.

 

Con un’esplosione di immane potenza fece saltare in aria mura e piloni, penetrando nel grande cortile porticato, presidiato da una guarnigione di Soldati del Sole, che il Maestro del Caos non degnò neppure di uno sguardo. Fece un cenno alle due figure alte e snelle che lo accompagnavano, che furono ben liete di sfogare la loro rabbia sui guerrieri, sfrecciando leste nella miriade di fasci incandescenti diretti verso di loro, abbattendoli uno ad uno. Anzi no, notò l’araldo del Caos, prima di strisciare oltre, in un divertito silenzio: massacrandoli uno ad uno, puntualizzò, tra le grida dei fedeli di Amon, il cui sangue e i cui organi interni andarono a imbrattare le decorate mura esterne della grande sala, aggiungendo nuove scene di battaglia a quelle già illustrate nei bassorilievi. Sapeva, il Gran Maestro, quel che avrebbe trovato varcando la soglia del cortile interno, l’immenso ipostilo che conduceva al vero e proprio tempio di Amon.

 

“Lei la troverete vicino ai propilei o presso il lago sacro ad Amon, dove di solito si adagia per pregare!” –Aggiunse, prima di entrare nella grandiosa sala ipostila e iniziare a camminare tra le centinaia di colonne che ne reggevano l’ampia volta, diretto verso l’altro versante della stessa.

 

“Fermo dove sei!” –Esclamò una voce all’improvviso, mentre un plotone di guardie armate si faceva avanti, le scintillanti Spade del Sole già rivolte verso di lui. –“Qua si entra nel tempio del Sommo Amon e tu non sei stato invitato! Per cui torna sui tuoi passi o morirai!”

 

“L’ombra non ha bisogno di inviti! L’ombra arriva ovunque desideri!” –Sogghignò il Gran Maestro del Caos, spalancando le braccia e lasciando che nere evanescenze sorgessero dalle sue mani, scivolando tetre nell’aria e fiondandosi sui Soldati del Sole. I raggi di energia ardente schizzarono in ogni direzione, senza riuscire a frenare l’avanzata di quelle fatue tenebre, generando un infinito timore nei difensori del tempio di Ra.

 

Fu una luce improvvisa a salvarli dall’annientamento, una luce che sorse impetuosa alle loro spalle, espandendosi a macchia d’olio tra le colonne e disintegrando la selva di ombre che il Gran Maestro del Caos aveva evocato. Una luce che, quando scemò d’intensità, permise all’invasore di ammirare colui che l’aveva generata.

 

Alto e nobile, dal portamento fiero e lo sguardo deciso, il Sommo Amon, Pastore dell’Universo, era uscito dalle proprie stanze, stringendo in mano una lunga asta dorata ornata dall’ankh, simbolo di vita e del sorgere del sole. Fece un breve cenno ai soldati di ritirarsi alle sue spalle e avanzò verso l’avversario, ben sapendo chi si nascondeva dietro quell’armatura tenebrosa.

 

“Puoi occultare le tue fattezze, mutarle e modificarle a tuo piacimento, se sei stanco del tuo vecchio aspetto, ma l’aura nefanda del tuo cosmo mai cambierà! Perciò togliti quella maschera, Ingannatore di Dei, e mostrati a me! Rivela il tuo volto, Anhar!!!” –Tuonò il Nume Supremo del Sole, bloccando i movimenti del Maestro del Caos, inchiodandolo sul posto con la sola forza del pensiero, mentre onde di energia dorata stridevano contro la tetra corazza da battaglia che indossava.

 

“Cos’è un volto, in fondo? Solo la temporanea manifestazione dell’ombra! E io, adesso, sono andato oltre! Io sono divenuto l’ombra!” –Chiosò l’araldo del Caos, togliendosi l’elmo e rivelando una nube di cosmo nero su cui lampeggiavano due braci ardenti, quel che di vagamente umano rimaneva di lui, un’entità ormai priva di un corpo. –“Io sono Anhar, l’Angelo Oscuro, e sono giunto fin qua per spegnere la tua luce!”

 

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo diciottesimo: L'abisso oscuro. ***


CAPITOLO DICIOTTESIMO: L’ABISSO OSCURO.

 

Tuonen härkä!” –Gridò il Quinto Forcide, scatenando la furia dei Buoi neri della Morte, cui Alcione rispose con il suo massimo attacco.

 

Esplosione dei Silenti Abissi!!!”

 

Le due energie, detonando, scavarono un ampio cratere nel suolo sabbioso dell’Avaiki, scaraventando entrambi indietro, l’uomo contro un edificio adibito a infermeria, la donna contro la parete interna della Conchiglia Occidentale, dove stavano combattendo da una ventina di minuti. Per quanto gli attacchi del guerriero noto come Iku-Turso non fossero della stessa potenza dei suoi, la fedelissima di Eracle non poté fare a meno di notare, con preoccupazione, quanto riuscisse comunque a tenerle testa, quanto riuscisse a fiaccarla in uno scontro che avrebbe già dovuto concludersi da tempo.

 

Eppure il Quinto Forcide era ancora in piedi, mentre Alcione ogni volta si rialzava sempre più affaticata, sempre più debole, adesso persino con la vista che pareva giocarle qualche scherzo, dovendo sbattere le palpebre più volte per mettere a fuoco la sagoma smilza del guerriero di fronte a lei, che la osservava con ghigno divertito.

 

“Mi chiedevo quando avresti iniziato a risentirne!” –Commentò spavaldo.

 

“A risentire di cosa?!”

 

“Degli effetti del mio colpo segreto che credi di aver disperso con i tuoi attacchi roboanti! Eppure, a dispetto dei nomi altisonanti che da quasi mezz’ora urli, non sono stati difesa sufficiente per impedire alle corna dei Buoi della Morte di ferirti, raggiungendo le numerose parti del tuo corpo non protette dalla ridicola corazza che indossi, e affondando dentro di esse. Piccole ferite, forse appena dei fori, ma sufficienti per infettarti con il veleno racchiuso nelle corna! Cos’è, non sapevi dunque che l’Iku-Turso è il padre delle nove malattie? Eh eh eh! Non so quale ti abbia colpito, ma posso dirti per certo che sono tutte mortali!” –Ghignò. –“Un vero peccato non poter ammirare la tua espressione, di certo attonita e dolorante, sotto quella ridicola maschera che porti sul volto! Anzi no, perché privarmi di questo piacere? Te la toglierò e ti guarderò in faccia mentre muori! Che ne pensi, donna?!”

 

“Penso che sei folle e ti vincerò!” –Declamò Alcione, lanciandosi avanti, mentre tutto attorno a sé sorgevano alti cavalloni di energia acquatica. Ma non appena portò le braccia in alto, per dirigerne l’avanzata, le sembrò di vacillare, stordita, quasi sul punto di perdere i sensi. Tentò di reagire, stringendo i denti, ma i marosi energetici ne risentirono, sfuggendole di mano, e l’attacco risultò inefficace, strappando un nuovo ghigno al Quinto Forcide.

 

“Mai promettere più di quel che puoi mantenere!” –Ridacchiò, aprendo di nuovo le braccia di lato, avvolto nel suo cosmo scuro, mentre centinaia di sagome di armenti furiosi apparivano di fronte a lui.

 

In quel momento le pareti esterne della Conchiglia Occidentale vibrarono di nuovo, così profondamente che tutti coloro che ancora vi dimoravano, nascosti negli edifici o riparati dietro mura di scogli e roccia, si abbandonarono a grida e pianti isterici. Persino l’Isonade però, impegnato contro Gerione del Calamaro poco distante, strinse i pugni, concedendosi una smorfia di disappunto, e l’Iku-Turso capì subito perché.

 

Aveva percepito anch’egli l’immensa sagoma oscura che aveva invaso le acque attorno all’Avaiki. E non era una bestia come quelle che avevano scatenato contro la Conchiglia Meridionale, di certo orribili a vedersi ma comunque feribili, a incutere loro così tanto terrore, ma una persona sola, di cui non osavano neppure pronunciare il nome, timorosi che potesse porre lo sguardo su di loro e confinarli in tenebrosi abissi da cui mai avrebbero potuto risalire.

 

Placando la furia del suo cosmo, il Quinto Forcide si guardò attorno, mentre l’ombra scivolava lungo la barriera energetica, avvinghiandosi poi ad essa, fino ad aderirvi completamente. Vi fu un tremito, più intenso di tutti gli altri, che scosse l’Avaiki, facendo oscillare la volta lucente, prima che un buco nero si aprisse nella parete vicino a loro, ingrandendosi a poco a poco, fino a mutarsi in una sagoma di tenebra che varcò la soglia della Conchiglia Meridionale, richiudendo la parete dietro di sé.

 

Stupefatti e sconvolti da quel prodigio, Gerione e Alcione si riunirono tra loro per osservare la figura avvolta di nero che aveva appena vanificato gli sforzi della grande Alii di quel regno, e di colui che la stava sostenendo.

 

“Non… è possibile!!! Come ha fatto? Come ha potuto oltrepassare la parete esterna?”

 

“Imparerai a tue spese che non esiste niente, in questo mondo come in quello superiore, che io non possa fare!” –Parlò allora la sagoma tenebrosa, avanzando verso il ponte di sabbia e rocce, assumendo, a ogni passo, ben più definite sembianze umane.

 

“Signore!” –Strepitarono l’Isonade e l’Iku-Turso, correndogli incontro e inginocchiandosi, uno ad ogni lato. –“Stavamo terminando le operazioni di conquista, per aprirvi la strada alla Conchiglia Madre!”


“Un modo piuttosto edulcorato per dire che non siete ancora stati in grado di prendere la Perla dei Mari!” –Precisò il nuovo arrivato, ascoltando compiaciuto l’inghiottire imbarazzato dei suoi sottoposti. –“Potrei saperne il motivo? Forse la causa di Forco, che vi ha investito del titolo di suoi servitori, donandovi quelle armature azzurre, non è per voi degna di massimo sforzo e impegno?!”

 

“Sì, signore! Noi serviamo e adoriamo l’unico Imperatore dei Mari!” –Si affrettarono a chiarire i due Forcidi, con un atteggiamento che stupì Alcione e Gerione per quanto servile fosse, portandoli ad osservare con maggior attenzione colui verso cui provavano così deferente timore.

 

Era un uomo alto, rivestito da una corazza di oricalco, al pari dei suoi subalterni, sebbene fosse di un azzurro ben più scuro, che in alcuni tratti sfumava in un intenso blu notte, quasi volesse ricreare la profondità degli abissi oceanici. Non seppero dire cosa rappresentava, non sembrando legata ad un animale o ad un simbolo specifico, era coprente, essenziale ed elegante, ma priva di orpelli inutili in battaglia. Neppure il volto dell’uomo poterono ammirare, riparato dall’ombra di un elmo che a entrambi ricordò quello di Chirone del Centauro. Solo le labbra erano visibili, torte in un ghigno freddo e serafico.

 

“Allora correte al Palazzo di Corallo e recuperate la Perla dei Mari, uccidendo chiunque tenti di ostacolarvi! O sarò io stesso a uccidervi per il vostro fallimento!”

 

“Sì, Signore! Subito!” –Esclamarono i due Forcidi, rialzandosi e girando i tacchi all’improvviso, lanciandosi in una folle corsa lungo il ponte, nonostante Alcione e Gerione sbarrassero loro la strada.


“Dove credete di andare?!” –Esclamò il secondo, lasciando schioccare le due fruste, prima di muovere le braccia e lanciarle avanti. Ma bastò che l’uomo al comando dell’attacco schioccasse le dita che una sottile massa di energia oscura, simile a un buco nero, apparve di fronte al suo petto, attirando a sé i tentacoli del Calamaro, che rimase attonito ad osservarli sparire all’interno di quell’indistinta massa buia.

 

“Pensa per te, piuttosto!!!” –Lo schernirono i due guerrieri, atterrandolo con i loro attacchi, prima di superarlo e dirigersi verso l’altra estremità del ponte. Neppure Alcione riuscì a fermarli, trattenuta, quasi inchiodata sul posto, dall’aura cosmica del guerriero giunto per ultimo, ben più potente dei suoi sottoposti, un guerriero che identificarono infine come il Primo Forcide.

 

“In… credibile…” –Rantolò Gerione, rialzandosi e sputando sangue. –“Il suo cosmo è… immenso… sterminato… simile a quello del Sommo Eracle!”

 

“No, è ben diverso, sia pure di uguale potenza! Quest’aura ricorda… un abisso infinito, un baratro senza fondo, un vuoto cosmico in grado di attrarre a sé ogni cosa, persona o essere vivente, senza restituirla.”

 

“E tale infatti è il mio potere! Il potere sconfinato dell’abisso, proprio della Dea primordiale, generatrice della vita, di cui ho preso il nome!” –Precisò l’uomo, permettendo a entrambi di tornare a muoversi. –“Io sono il Primo Forcide, servitore dell’unico Nume Ancestrale da cui la vita discende sul pianeta! E voi, stolti mortali, siete stati sfortunati ad incontrarmi!”

 

“Parli tanto ma agisci poco!” –Esclamò Gerione, espandendo il proprio cosmo. –“Anche senza le mie fruste, posso ancora combattere! Tentacoli predatori!!!” –Aggiunse, scattando avanti, nonostante le grida di Alcione, mentre migliaia di strali energetici saettavano di fronte a sé, diretti verso il Comandante dei Forcidi.

 

“Tutt’altro! Puoi solo sparire!” –Commentò questi, aumentando la forza d’attrazione del buco nero che risucchiò per intero l’assalto del fedele di Eracle, prima di attirare a sé anche l’incauto uomo.


“Gerione!!!” –Strillò Alcione, srotolando i tentacoli della piovra e afferrando un polso del ragazzo, ancorandosi al suolo con le gambe. Ma per quanta forza potesse riversare in quella presa, la donna capì ben presto che non sarebbe riuscita a vincere quella del buco nero, non ottenendo altro risultato che stiracchiare il corpo dell’amico, la cui armatura stava andando in frantumi, sottoposta a tale devastante pressione, e forse anche le ossa al di sotto.

 

“A… Alcione… Lasciami andare…” –Mormorò, osservando negli occhi il suo antico Comandante, la donna al cui fianco aveva a lungo combattuto per la liberazione di Creta dai Turchi Ottomani, in giorni così lontani di cui pochi avevano memoria.


“No… io… non posso perderti… di nuovo!” –Pianse l’eroina della Piovra, mentre il buco nero si espandeva lungo il corpo di Gerione, risucchiandogli le gambe per intero e iniziando a fagocitargli il bacino.

 

“Non mi perderai. Mai!” –Affermò lui, sollevando un braccio e caricandolo di quel che restava della sua aura cosmica. –“A un’altra vita, Alcione!” –Quindi, senza aggiungere altro, lo calò sul tentacolo arrotolato attorno al suo polso, mandandolo in frantumi e permettendo infine alla forza d’attrazione scatenata dal Forcide di risucchiarlo al suo interno. Ci volle un attimo e poi scomparve, di fronte agli occhi sconvolti di Alcione, che crollò a terra in lacrime. Ma non poté neppure piangerlo, che subito si sentì sollevare dalla stessa forza che aveva inglobato Gerione, la cui fame ancora non si era placata.

 

“Spregevole essere oscuro! Pagherai per ciò che hai fatto al mio amico d’infanzia!” –Tuonò la combattente, espandendo il proprio cosmo azzurro, incurante del dolore per le ferite e dello stordimento provocatogli dalle malattie con cui l’Iku-Turso l’aveva infettata. Per quello, per quelle sciocchezze materiali, ci sarebbe stato tempo. Adesso voleva solo la vendetta. –“Alti flutti spumeggianti!!!” –Gridò, scatenando poderosi marosi di energia, che riempirono all’istante lo spazio tra i due contendenti, senza provocare reazione alcuna nel Primo Forcide, solo l’allungarsi di un ghigno sul suo volto celato. Gli bastò roteare la mano davanti a sé per espandere la macchia nera, in modo da generare un muro contro cui l’attacco si schiantò, scomparendo al suo interno poco dopo, precipitando in un vuoto di cui Alcione non riusciva a vedere, né intuire, la fine. –“Ma… come puoi farlo?”

 

“Posso perché è nei miei poteri, in quelli della Dea Madre che esisteva agli albori del mondo, e che io ho ricevuto in dono dal mio Signore!”

 

“Chi sei? Chi sei, davvero?!”

 

“Vuoi conoscere il mio nome, fanciulla dalle belle gambe? Orbene te lo dirò, che ti faccia da compagnia nel lungo viaggio verso l’eterno oblio! Io sono l’Abisso Oscuro, il vuoto cosmico che impera al di fuori del tempo e dello spazio! Il Leviatano dell’antica Mesopotamia! Io sono Tiamat!!!”

 

***

 

Quando Asterios raggiunse il Palazzo di Corallo trovò una donna anziana prostrata a terra, a pochi passi dal sostegno che sorreggeva la Perla dei Mari. Bassa ed esile, così magra che le si potevano intravedere persino le ossa sotto pelle, con radi capelli grigi che le cadevano in ogni direzione, la Alii dell’Avaiki era appena stata sopraffatta da un oscuro potere che aveva vinto le sue difese, distruggendo la barriera che sormontava la Conchiglia Meridionale.

 

“Ti ho lasciato da sola a sostenere un grande peso!” –Commentò l’Angelo di Acqua, avvicinandosi a passo lento e sfiorandole le spalle con mano amica.

 

“Non è mai stato tale, né mai lo sarà. Dovresti ben saperlo, tu che l’hai retto prima di me!” –Rispose la donna, rialzandosi a fatica.

 

Asterios ne osservò il volto, deturpato dal tempo e dalle privazioni cui si era costretta, destinando per quasi due secoli tutto il suo cosmo alla protezione dell’Avaiki sotto il Mar dei Coralli. Quello, del resto, era il compito della grande Alii, la madre spirituale del popolo degli Aeroi, questo era il motivo per cui venivano procreate. Per reggere i destini di un mondo, nel bene e nel male.

 

“Adesso lo è diventato! Adesso che l’ombra ha allungato il proprio manto persino sugli isolati fondali oceanici, non contenta di aver già inquinato parte del mondo di superficie.”

 

“Sopra o sotto, che differenza fa? Non sono tutti i mondi forse uno solo? I confini tra loro ormai sono scomparsi!” –Bofonchiò la vecchia, scuotendo la testa. –“L’ho sentito, cosa credi, il crollo dell’Albero Cosmico, l’avvizzirsi di un tempo giunto al tramonto! Per cui faremo la nostra parte, anche noi Areoi, sebbene misere siano le nostre forze militari, essendo sempre stati dediti ad altre attività che non la guerra!”

 

“Lo so bene, figlia mia!” –Le sorrise Asterios, fissandola a lungo e allungando una mano, per sfiorarle la rugosa pelle del piccolo viso, soffermandosi sulle cavità che un tempo ospitavano i suoi bulbi oculari.

 

“Non sono bella da vedersi, eh? Immagino che sulla Luna tu abbia goduto di ben più piacevoli compagnie! Eh eh eh!” –Ridacchiò Hina, abbandonandosi ad un colpo di tosse. –“Ma non rimpiango niente di quanto ho fatto finora, neppure le rinunce che mi sono costate! Nemmeno gli occhi, che ho offerto in dono a Ukupanipo, affinché li disperdesse nelle acque, permettendomi così di vedere in tutto il mare grazie al cosmo! Nemmeno Odino o Zeus potevano permettersi tanto dall’alto dei loro troni celesti!”

 

“Non avrei dovuto lasciarti da sola… Eppure…” –Asterios fece per confessarle qualcosa ma l’anziana Alii lo bloccò.

 

“Ognuno ha un compito nell’universo, me lo spiegasti secoli fa, o l’hai forse dimenticato, padre? Tu hai avuto il tuo, io il mio, e solo il tempo dirà se lo abbiamo adempiuto nel migliore dei modi! Sono stanca, lo ammetto, e non sopravvivrò a questa guerra… e forse non mi dispiace neppure tanto! Ho vissuto così a lungo che non ricordo nemmeno quanti amici ho visto morire, a quanti affetti ho dovuto dire addio. Puoi capirmi vero? Per te, per Avalon, per tutti voi, la vita è stato qualcosa di simile, osservare le persone morire e voi perdurare. Mi consola il pensiero che presto li rivedrò tutti e allora nuoteremo assieme, spiriti finalmente liberi nella Perla dei Mari, guscio ove riposano le anime degli Aeroi!”

 

“Spero che sia così.”

 

“Cosa intendi dire?” –Si rabbuiò subito la donna.

 

“È solo un’impressione, ma non posso fare a meno di interrogarmi sul perché Caos abbia deciso di attaccare gli Avaiki! Per dominare su un regno dimenticato e privo di ricchezze? O forse… per carpire l’unico vero tesoro di questa terra?!”

 

“Intendi dire… la Perla dei Mari?!”

 

“Pensaci! Un contenitore di anime! Considerando quanto egli ami nutrirsi di energia cosmica, degli Dei caduti in particolare, di certo otterrebbe nuovo vigore, che è ciò di cui disperatamente ha bisogno! Non terre da dominare o schiavi, potendo, per quello, disporre dell’intero pianeta!”

 

“Se quel che dici è vero, il mio impegno nell’impedire un simile crimine, un simile scempio, sarà totale!” –Esclamò Hina, con ritrovato vigore, prima di avvicinarsi alla sfera di luce azzurra ed entrare in sintonia con essa tramite il cosmo. Asterios sorrise, ponendosi di fronte a lei, sull’altro lato del basamento, sfiorandole le mani rugose ed espandendo il cosmo a sua volta. Bastò quel lieve contatto, quello sfiorarsi tra le loro potenti energie, a generare una luce celestiale che avvampò per l’intero Avaiki, rischiarando le profondità oceaniche. Una luce che diede speranza a tutti coloro che combattevano, arrancavano e pregavano Ukupanipo sotto le volte delle Conchiglie ancora in piedi e che annientò le bestie mostruose che stavano tentando di abbattere le pareti esterne.

 

Asterios non permise loro neppure di gridare, distruggendole e liberando gli abissi da quella minaccia. Pur tuttavia, lo percepì chiaramente, altre provenivano dall’interno ed una in particolare era ben più oscura di quanto temesse.

 

“Che meraviglia!” –Commentò allora la voce soffice di Avatea, rimasta sulla soglia della grande sala al centro del Palazzo di Corallo, assieme al Selenite che l’aveva accompagnata. –“Avevo dimenticato lo splendore di questo regno, la tranquillità e la bellezza di un fondale marino così ricco di vita e colori!”

 

Hubal, al suo fianco, la guardò in silenzio, annuendo alle sue parole, prima che la donna si abbandonasse ad un sospiro. Volsero lo sguardo verso l’esterno, verso le quattro strade che conducevano alle altre colonie, chiedendosi da dove sarebbe giunta la prima minaccia. Entrambi percepivano gli scontri in atto: uno nella Conchiglia Settentrionale, tra due combattenti di discreta forza, uno sul ponte che dalla Conchiglia Occidentale conduceva al cuore del regno, dove un’armata di Areoi stava cercando di frenare l’avanzata di due Forcidi, e infine uno all’interno di quell’ultima colonia. E fu quello che maggiormente spaventò entrambi, poiché l’energia cosmica che da là proveniva rivaleggiava con quella di un Dio antico.

 

***

 

L’onda di energia oscura abbatté Alcione della Piovra, scagliandola contro un mucchio di costruzioni di roccia e sabbia, con l’armatura distrutta in più punti e la maschera ormai frantumata, permettendo al nemico di guardarla negli occhi. Cosa che lei invece non era ancora riuscita a fare, incapace di avvicinarsi a sufficienza per poter osservare il volto celato dalle placche laterali dell’elmo di Tiamat.

 

“Incredibile…” –Mormorò la donna, rialzandosi nuovamente, tenendosi un braccio indolenzito. –“Il suo cosmo è pari, se non superiore, a quello del Sommo Eracle… Quale artificio sostiene i poteri di quest’uomo, perché tale in fondo è? Quale patto ha stretto per poter disporre di una simile incomparabile energia che a nessun mortale fu mai data in dono?”

 

“Questionare su problematiche che non ti riguardano non ti salverà dalla fine, Alcione dalle belle gambe!” –Sogghignò il Primo Forcide, avvicinandosi con passo fiero. –“Tanto più che adesso stai per morire, dedica questi ultimi attimi della tua fallimentare esistenza a pregare per coloro che rimangono, i prossimi a scivolare nell’abisso!”

 

“Taci, ombra!!! Esplosione dei silenti abissi!!!” –Tuonò la donna, portando avanti il braccio destro e scatenando il colpo segreto che le aveva insegnato il suo maestro, il grande Linceo della Piovra. Ma, tremando inorridita, osservò come anche quella volta il suo attacco risultò inefficace, perdendosi interamente all’interno della chiazza di cosmo nero che stazionava di fronte a Tiamat. Un muro che le aveva impedito di portare un colpo solo a segno. –“Anzi no, non un muro, bensì un imbuto dentro cui sono confluite tutte le mie energie, le mie speranze…” –Crollò esausta a terra, stringendo i pugni per la frustrazione.

 

Proprio in quel momento sentì esplodere un’energia a lei nota. Il cosmo di Nesso del Pesce Soldato, fedele amico e impavido guerriero che in passato aveva salvato Eracle e Tirinto da violenti nemici. E, al pari di lui, anche altri stavano lottando, per tentare di rallentare l’avanzata dei fedeli di Forco. Come poteva lei, un tempo Comandante di una delle Legioni di Eracle, vittoriosa persino sulla Regina Didone, abbandonarsi così facilmente? Lei, che più volte era stata protetta da Gerione, che più volte aveva sacrificato la vita come un fratello maggiore, per permetterle di andare avanti. No, non lo farò! Non mi arrenderò mai! Realizzò, rialzandosi decisa, con il cosmo azzurro che scrosciava attorno a lei, sotto forma di maestose onde cristalline.

 

“Qualunque cosa tu voglia fare, deponi le armi e forse ti risparmierò la vita! Avrò bisogno, in fondo, di qualche concubina nel nuovo mondo che il mio Signore vuole creare!” –La stuzzicò il Primo Forcide, non ottenendo altra risposta che il sollevarsi impetuoso di marosi di energia, che Alcione scagliò contro di lui, riuscendo persino a stupirlo dalla potenza che dimostrò. Potenza che comunque a niente servì.

 

“Hai avuto la tua occasione! Ora riposa, per sempre, nell’abisso oscuro!” –Sibilò Tiamat, mentre il buco nero di fronte alla propria corazza cresceva, inglobando l’intero assalto della guerriera e attirandola a sé, nonostante i tentativi della donna di resistergli. A niente valse ancorarsi al suolo con i tentacoli che le rimanevano, uno dopo l’altro vennero distrutti e persino le ossa degli arti parvero schiantarsi con loro. Con un ultimo grido, Alcione vide le proprie gambe confluire in quella macchia oscura senza fondo, e scomparirvi, senza provare alcunché. Neppure dolore. Solo il vuoto, comprese, la attendeva al di là della soglia.

 

Fu una luce a salvarla all’improvviso. Una luce blu che la avvolse, di fronte allo sguardo sorpreso dello stesso Forcide, che vide la donna smaterializzarsi e apparire a un centinaio di metri di distanza, sostenuta da una seconda figura dal volto ricoperto da una candida maschera.

 

“Pasifae…” –Mormorò stanca Alcione, abbandonandosi tra le braccia dell’esile compagna.

 

Tiamat si mosse verso di loro, ma non appena spostò un piede attorno a sé sorsero centinaia di draghi dalle zanne acuminate, che lo intrappolarono in una solida stretta, stritolandolo tra squame bianche e rosse, prima che una nota voce lo raggiungesse.

 

Danza di draghi!!!”

 

Una voce che non udiva da quindici anni.

 

L’attacco improvviso lo sollevò da terra, scaraventandolo contro una parete interna della Conchiglia Occidentale, ma Tiamat riuscì comunque ad atterrare a piedi uniti, senza riportare danno alcuno alla sua resistente corazza, di certo la migliore tra le sette, irrobustita dal cosmo dell’oscuro Dio cui era devoto. Quando alzò lo sguardo, vide l’uomo di fronte a sé, ancora avvolto dall’aura intensa con cui l’aveva investito.

 

Eccolo lì, si disse, con un moto di stizza, finalmente arrivato. Fiero nel portamento, gagliardo nel combattere, sprezzante del pericolo, con quello sguardo sicuro che gli vidi l’ultima volta in faccia. Quella fiducia in se stesso che adesso gli porterò via.

 

“Ascanio Pendragon…” –Mormorò, digrignando i denti.

 

“Come conosci il mio nome?!” –Rispose il Comandante dei Cavalieri delle Stelle.

 

“Non sono così vecchio da essermelo dimenticato! Tutt’altro, me lo sono tenuto bene impresso, per tutti questi anni, sperando di incontrarti di nuovo. E ucciderti!”

 

“Eh? Che stai dicendo? Ci siamo già scontrati in passato?!”

 

“Scontrati?! Possiamo metterla così, se vuoi…” –Ghignò Tiamat, espandendo il proprio cosmo oscuro e ricreando il buco nero davanti al suo petto, la cui forza d’attrazione iniziò a richiamare Ascanio verso di sé.

 

“Aaargh!!!” –Ringhiò quest’ultimo, puntando i piedi per resistere.

 

“Allontanati!!!” –Gridò Alcione, dall’altro lato dello spiazzo, ben sapendo quel che stava per accadere. Ci volle poco, infatti, affinché il Cavaliere della Natura venisse trascinato avanti, scavando con i piedi corazzati lunghi solchi nel terreno, ma per quanta energia profondesse allo scopo non riuscì a vincere tale poderosa attrazione.

 

Fu di nuovo la luce azzurra a salvarlo, la stessa che aveva impedito ad Alcione di esserne risucchiata. Veloce e silente, Pasifae apparve, afferrò Ascanio e lo portò alle spalle del Primo Forcide, fuori dalla portata del buco nero.

 

“Grazie…” –Ebbe solo il tempo di mormorare il Cavaliere delle Stelle, che già Tiamat si era voltato rabbioso, travolgendo la paladina di Eracle con un attacco deciso, che la scagliò molti metri addietro, la corazza sfondata all’altezza del petto da un pugno di energia nera che ancora sfrigolava sopra di lei.

 

“Mi sono stancato delle tue interferenze, donna!” –Sbraitò il Forcide, rivolto anche ad Alcione. –“E ora che nessuno ci interrompa! Ascanio Pendragon è mio!!!”

 

“Se così tanto reclami la mia compagnia, servo di Forco, te la darò! Eccomi, sto arrivando!!!” –Ringhiò il giovane uomo, portando avanti il braccio destro e liberando la maestosa figura di un drago rosso, i cui artigli parvero mirare al cuore di Tiamat.

 

“Ti piacerebbe…” –Commentò questi, aprendo il palmo della mano di fronte a sé e ricreando il buco nero dentro cui l’attacco confluì, perdendosi, di fronte allo sguardo sbigottito di Ascanio. –“Cosa c’è? Sorpreso che esista qualcuno più potente di te? è così dura da ammettere, non essere il primo in qualcosa?! O forse sei semplicemente affascinato dalla Bocca dell’Abisso, suprema tecnica di Tiamat, in grado di combinare attacco e difesa, senza offrire scampo alcuno all’avversario?!”

 

“Voglio sapere cos’è tutto quest’odio che provi verso me, che neppure ti conosco?!”

 

Il Primo Forcide strinse i pugni al suono di quelle parole, muovendo poi il braccio e scagliandogli contro un attacco di pura energia, come quello che aveva steso Pasifae poco prima, ma ancora più potente. Per fronteggiarlo, Ascanio dovette incrociare le braccia davanti al volto, concentrandovi tutto il suo cosmo, ma neppure ciò gli impedì di essere spinto indietro, con i bracciali della corazza danneggiati e fumanti dall’intensa pressione scaricata da Tiamat.

 

Che sia davvero lui? La Divinità primordiale che ha dato origine alla Terra? Che Caos sia riuscito anche in questo, a risvegliare antichi progenitori di pantheon diversi? Perché stupirsi, in fondo? Se tutti gli Dei sono un unico Dio, egli può, dall’alto della sua posizione di creatore, manovrarli tutti! Immerso in quei pensieri, il Comandante di Avalon si avvide troppo tardi che Tiamat era scomparso, diluendosi in una sagoma nera, che in breve lo avvolse, quasi navigasse nell’aria attorno a sé, volteggiandogli intorno, osservandolo e al tempo stesso incutendogli timore.

 

“Rivelati, pavido!!!” –Gridò infine Ascanio, lanciandosi avanti, verso la fluttuante sagoma oscura, con il pugno chiuso e carico di energia, ma ritrovandosi solo a colpire l’aria, mentre già la nera evanescenza si ricomponeva dietro di lui.

 

“Attento!!!” –Strillò allora Alcione, affannando nel rimettersi in piedi, per correre in suo aiuto. Ma non fu lesta abbastanza da impedire a Tiamat di afferrare il giovane per il collo, ricomparendo alle sue spalle, e sbatterlo contro la parete interna della Conchiglia Occidentale, avvolto in lunghi filamenti di tenebra che si avvoltolarono attorno al suo corpo, insinuandosi nelle aperture tra le placche della sua corazza e raggiungendo la pelle al di sotto, azzannandola con bramosia.

 

“Sei… meschino…” –Rantolò Ascanio, il volto una maschera di sudore. –“Meschino e codardo… forse non sei in grado di affrontare uno scontro diretto?!”

 

“Giudica tu quel che sono stato in grado di fare, dove sono stato in grado di giungere, da quando mi abbandonasti sotto il sole di Grecia!” –Ringhiò l’altro, avvicinando il volto a quello del Cavaliere, che ancora non riusciva a vedere altro che tenebra sormontargli le labbra.


“Che… stai dicendo?!”

 

“La verità. Sei tu meschino e codardo, Ascanio. Su una bugia e su un tradimento hai costruito la tua fortuna, abbandonando un amico, attratto dal potere e dalla gloria, la stessa che avevi sempre cercato! Lo ricordo bene, il tuo sguardo che si illuminava dopo una vittoria, ogni volta in cui mi sbattevi a terra, cercando compiacimento nelle parole del maestro, negli sguardi dei presenti, che potevano ammirare il grande Ascanio all’opera! Ti sei preso tutto, affetti, gloria e trionfi, e non mi hai lasciato niente! Vuoi sapere quanto ti odio? Vuoi vedere realmente quanto odio provo per te? Allora toglimi l’elmo!!!”

 

“Che… cosa?!” –Rantolò il Cavaliere della Natura, sbattuto con forza contro la parete retrostante e quasi soffocato dall’algida presa di Tiamat sul suo collo.

 

“Fallo!!!” –Gli gridò questi di nuovo, costringendolo ad obbedire, ad allungare la mano verso la sua testa e ad afferrargli l’elmo protettivo, alzandoglielo di colpo.

 

E rimanendo esterrefatto.

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo diciannovesimo: La marcia del titano. ***


CAPITOLO DICIANNOVESIMO: LA MARCIA DEL TITANO.

 

Seduta sopra la Meridiana dello Zodiaco, Emera osservava il Grande Tempio di Atene scivolare verso quella che riteneva la sua ultima sera.

 

Il cuore del santuario era interamente occupato dalla smisurata figura di Atlante, che lei e suo fratello avevano riportato in vita, su suggerimento del Gran Maestro del Caos, in virtù delle abilità di cui il titano era dotato. Una brutale forza fisica, nonché attitudine guerriera, accompagnata ad agilità, intelletto e notevole potere cosmico, sebbene quest’ultimo fosse inferiore a quello sfoderato ai tempi della Titanomachia, essendo stato barbaramente condannato da Zeus ad una lunghissima massacrante dimenticanza sotto le sabbie del deserto. Pur tuttavia il figlio di Giapeto si stava comportando egregiamente, avendo già sconquassato una parte del complesso templare, abbattendo mura e edifici e schiacciando sotto il suo corazzato tallone chiunque avesse avuto l’ardire di avvicinarsi troppo a lui.

 

Come quegli stupidi Cavalieri di Atena! E quella massa ignorante di anonimi soldati! Li derise la Dea del Giorno, osservando con quanta costanza continuassero a scoccar frecce infuocate contro il titano; con quanta fastidiosa ostinazione persistessero nel dirigergli contro attacchi energetici di ogni sorta, non avendo ancora compreso di non possedere arma atta a ferirlo.

 

Spostando lo sguardo sul versante del monte rivolto a sud, Emera vide una figura volteggiare a mezz’aria, avvolta in un luccichio dorato. Uno dei due Cavalieri d’Oro che avevano issato quella barriera protettiva sull’intero santuario, una difesa che sia lei che il fratello avevano oltrepassato senza percepire alcun prurito sui loro corpi perfetti e che avrebbe potuto abbattere in qualsiasi momento. Ma non lo fece, né aveva voluto farlo Etere, preferendo osservare quanto ancora avrebbero resistito quei due fanatici difensori di Atena, quanto a lungo credevano di poter trattenere la furia smisurata di Atlante, ignorando di certo il desiderio di vendetta che questi covava dentro e il potere che lo sorreggeva.

 

Infine Emera posò lo sguardo sulla vetta della collina (che Atena, con vanaglorioso coraggio aveva definito della Divinità, come se fosse degna di essere considerata tale, quell’ipocrita Dea minore!), un ampio spazio pavimentato di marmo dove la figlia di Zeus si opponeva a suo fratello, la Luce del Cielo, affiancata da un giovane uomo di nome Nicole, che le aveva appena portato un oggetto di piccole dimensioni ma carico di una potente energia. Un oggetto che si rivelò essere la gloriosa armatura di Atena.

 

“Orbene, cosa pensi di fare con quella campana dorata indosso? Di certo non ti aiuterà nei movimenti! Come potrai dunque evitare i miei attacchi?” –La derise Etere.

 

“Vorrei che tu deponessi le armi, Signore della Luce, e ti unissi a me, a mio Padre, a tutti gli Dei e gli uomini che combattono per impedire che la Terra scivoli in una seconda oscurità, seconda solo a quella primordiale!” –Perorò Atena, con voce sincera, strappando una nuova espressione sorpresa al Nume ancestrale.

 

“Ribellarmi a Caos?! Abbandonare il progetto di riedificazione del cosmo?! Perché mai dovrei farlo, Atena? Ti confermi una sciocca e ingenua sentimentalista se pensi che potrei anche solo pensare di abiurare alla mia essenza! Io sono Etere, il Portatore di Luce, e questo è il mio compito: abbagliare il pianeta, dandogli un nuovo inizio!”

 

“Come puoi convivere con la Notte? I vostri progetti, i vostri stili di vita, non sono opposti, Etere?! Tu sogni un mondo dominato dalla luce, lei dalle tenebre infinite! Come potete conciliare le vostre visioni?!”

 

“Non hai capito, Atena, il progetto di Caos! Egli non desidera il dominio sul pianeta, come Ade e altri nemici che hai affrontato in passato! Egli desidera rifondare il mondo, ricominciare da zero, tramite un nuovo processo di creazione! Ed io lo aiuterò, portando la luce nel mondo nuovo, come mio padre Erebo porterà la tenebra, come mia sorella darà vita al Giorno e Nyx alla Notte, in un equilibrio perfetto!”

 

“E il fatto che questo nuovo mondo, che aspirate a creare, debba nascere sulle macerie del vecchio non ti fa rabbrividire? Non inorridisci al pensiero di condannare milioni, anzi miliardi, di esseri umani alla morte? Assieme agli animali, le piante e a tutte le forme di vita del pianeta?!”

 

“Gli esseri umani si sono condannati da soli alla morte, ad essa anelano ogni giorno, scatenando conflitti e guerre, ad ogni livello della loro esistenza! Rivalità, invidie, segreti, insulti e macchinazioni sono solo il prodromo degli scontri fisici, tra individui o società organizzate! Li ho osservati a lungo, dall’intermundi, e ho compreso che la natura umana è incline al conflitto, e quindi all’estinzione! Lord Caos ha sbagliato, creandoli, li ha resi imperfetti, ma nel nuovo mondo non ci sarà spazio per creature di questo tipo! Nel nuovo mondo vivranno solo entità perfette e immacolate!”

 

“Gli Dei…” –Comprese Atena, sgranando gli occhi inorridita.

 

“Non tutti! Solo quelli che ne saranno degni!” –Concluse Etere. –“E tu, fallace Dea, non sei tra questi!” –E le puntò contro l’indice destro, liberando un raggio di luce, a cui Atena tentò di opporsi muovendo lesta l’Egida di fronte a sé, ma venendo comunque spinta indietro, fino a sbattere contro una colonna dell’ultimo tempio.

 

Nicole, al suo fianco, corse subito ad aiutarla, ma ad Etere bastò porre lo sguardo su di lui per fermarne l’avanzata, paralizzandolo a mezz’aria, come una statua di Fidia.

 

“Lascialo!” –Ordinò Atena, rimettendosi in piedi. –“È me che vuoi, lo hai detto chiaramente! O forse ti impensierisce ciò che un Cavaliere potrebbe fare?!”

 

A quelle parole il Nume supremo della Luce rise, con una voce cristallina che quasi fece dimenticare ad Atena il loro breve scambio di opinioni. Rise così tanto che gli lacrimarono gli occhi, cercando la sorella con lo sguardo, per sincerarsi che anch’ella avesse udito le parole della figlia di Zeus.

 

“Deliziosa fanciulla, troppo tempo hai trascorso tra gli uomini al punto da obnubilare il tuo giudizio! Se ritieni possa esistere, in questo santuario prossimo alla distruzione, una sola persona, un solo Cavaliere, come li definisci, che possa impensierirmi, hai del tutto perso il senno! E se non credi alle mie parole, osserva dunque l’impotenza dei tuoi paladini, osserva quanto lentamente ma inesorabilmente si avvicinano alla fine di tutto, anche delle loro sofferenze!” –Parlò Etere, liberando Nicole dalla sua presa mentale e volgendo lo sguardo verso la parte bassa del Grande Tempio, dove lo scontro con Atlante era in pieno svolgimento.

 

***

 

“Attenti!!!” –Gridò Nemes, balzando indietro per evitare che un pezzo di roccia la investisse in pieno. Altri, alle sue spalle, non furono così fortunati, finendo schiacciati da uno dei tanti massi scagliati da Atlante. Reda ruzzolò di sotto dalla scalinata di marmo, perdendo l’elmo della corazza, ma venendo subito aiutato dal compagno a rimettersi in piedi.

 

Da quando Mur e Virgo avevano innalzato la loro cupola protettiva, per impedirgli di avanzare lungo la Collina della Divinità, il titano la stava bombardando con qualunque materiale trovasse a disposizione, sradicando interi edifici dal suolo e schiantandoli con forza erculea contro di essa. Più e più volte i soldati del Grande Tempio lo avevano tempestato di frecce, non ottenendo altro risultato che correre per evitare il rinculo delle stesse. Ma adesso la furia del figlio di Giapeto sembrava aumentata, al punto che i Cavalieri d’Oro compresero che continuare a frenarlo non sarebbe servito a niente. No, dovevano abbatterlo, come Zeus aveva fatto nel Mondo Antico, per proteggere il Santuario di Atena e coloro che vi dimoravano.

 

Abbandono dell’Oriente!!!” –Esclamò Virgo, spalancando gli occhi e rilasciando l’energia accumulata in quei minuti di meditazione. –“Onda di luce stellare!!!” –Gli fece eco Mur dal basso, dirigendo l’assalto, al pari del compagno, verso un fianco del titano, dove entrambi avevano notato un’apertura nella rozza corazza. Ma, per quanto congiunto e ben mirato, l’assalto non produsse alcun risultato, soltanto un baluginio sul massiccio corpo di Atlante, che attirò la loro attenzione prima che si spegnesse.

 

“Incredibile!!!” –Rifletté il protettore della Casa dell’Ariete. –“Avevo finora creduto che gli attacchi dei soldati e dei Cavalieri di Bronzo fossero per lui misera cosa, ma questo colpo congiunto avrebbe dovuto quantomeno indispettirlo, se non ferirlo!”

 

“Grande Mur! Cosa possiamo fare?!” –Esclamarono Castalia e Asher, ricomparendo accanto all’uomo, malconci e storditi per essere stati travolti da Etere. –“Siamo stretti tra due fuochi! Dovremmo riuscire a spegnerne almeno uno!”

 

“Non dovremmo! Dobbiamo!” –Precisò Virgo, liberando un nuovo ventaglio di energia dorata, mirando quella volta al volto del titano, agli occhi in particolare, che non erano protetti dall’elmo a casco. Atlante finalmente reagì, ma fu solo per ripararsi dall’improvviso lucore, alzando un braccio di fronte a sé, non per il dolore che l’esposizione a tale intensa luce avrebbe dovuto accompagnare.

 

Non ebbe il tempo il Cavaliere della Vergine di riflettere ulteriormente che la carica furiosa del titano lo investì. Qualcosa lo aveva eccitato, portandolo a tempestare di pugni la cupola dorata, uno dopo l’altro, finché alla fine essa non cedette. Con uno schianto improvviso, il Custode della Porta Eterna venne spinto indietro, precipitando con poca grazia sul tetto della Casa dell’Ariete, mentre anche il suolo tremava ovunque e molti soldati e Cavalieri cadevano a terra.

 

“No!!!” –Gridò Asher, osservando l’espressione di giubilo sorta sul volto del titano, consapevole adesso di non avere più ostacoli sul suo cammino. –“Fate qualcosa! Fermatelo!!! Non so come ma dobbiamo fermarlo!!!” –Strillò, scagliandogli contro un pugno energetico, subito imitato da Mur, Castalia e dagli altri Cavalieri di Atena. Ma, come in precedenza, Atlante non prestò loro caso, lasciando che quelle irrilevanti onde si schiantassero sullo scoglio rappresentato dal suo corpo, sollevando una gamba e muovendosi per avanzare, schiacciando, abbattendo, quasi livellando, la parte bassa della Collina della Divinità.

 

Furono tre parole e un’onda di energia a pararsi di fronte a lui, accecandolo all’improvviso. –“Abbandono dell’Oriente!!!” –Esclamò una voce, mentre una serie di flash luminosi lo stordiva, impedendogli di completare il movimento della gamba, che rimase per un momento a mezz’altezza.

 

“Adesso!!! Tiratelo giù, adesso!!!” –Ordinò Mur, mentre i soldati lanciavano arpioni e corde uncinate contro la schiena del gigante, subito imitati da Reda e Salzius, che allungarono le loro catene, arrotolandole attorno al suo calcagno destro, strattonando a più non posso. Anche Nemes li affiancò, aiutando Salzius nel tirare, mentre Asher, Castalia e Mur colpivano dal davanti con i loro attacchi energetici, per spingerlo indietro.

 

“Sciocchi illusi!” –Commentò allora una voce di donna, prima che un’esplosione di luce gettasse tutti all’indietro, a gambe all’aria. Un’esplosione prorotta proprio dal gigantesco corpo di Atlante, che riuscì a recuperare la propria postura eretta, con gran sgomento dei fedeli di Atena.

 

Fu allora che Mur si accorse che l’uomo sospeso in cielo, in posizione meditativa, non era Virgo, che era ancora sul tetto della Casa di Ariete, intento a tenersi la testa dolorante, bensì un guerriero dai lunghi capelli neri, rivestito da una corazza violacea. Quasi avesse capito di essere osservato, l’uomo distese le gambe, scivolando placido nell’aria, fino a portarsi davanti ai combattenti di Atena.

 

“Il mio nome è Tiresia dell’Altare Sacro e sono uno dei dodici Heroes della Legione dei Migliori! Se permettete, vorrei unirmi a voi, Cavalieri di Atena!” –Esclamò con voce garbata. –“Sono stato addestrato da un Cavaliere d’Oro, del segno della Vergine, e assieme, nelle nostre lunghe meditazioni, tentavamo di comprendere quale fosse il senso della vita, tentavamo di dirimere una così semplice risposta. Troppo tardi entrambi lo abbiamo compreso e poiché adesso mi è stata data una seconda opportunità, posso anelare a ricominciare da dove ero rimasto!”

 

“La tua presenza è ben gradita e corroborante, nobile guerriero di Eracle!” –Rispose allora Mur, prima che anche Virgo li raggiungesse, scambiando un sorriso con l’allievo di un suo predecessore. –“In particolare apprezzeremmo suggerimenti su come frenarne l’avanzata!”

 

“Credo di aver notato una cosa! Quel lampo di luce residua che permane sul suo corpo dopo aver subito un attacco! Lo avrete certamente visto anche voi, non è così?!” –Parlò Tiresia, cui Mur, Virgo e Castalia annuirono, sebbene nessuno di loro avesse ancora capito cosa fosse. –“Temo sia una barriera di cosmo che lo cinge, una barriera che al pari del Kaan o del Muro di Cristallo impedisce a qualsiasi attacco o anche solo oggetto di raggiungerlo! Una seconda pelle di pura energia che lo rende intoccabile, inavvicinabile e invincibile!”

 

“Una barriera di questo tipo deve essere dispendiosa da elevare! E finora Atlante non ha dimostrato di possedere alcun tipo di cosmo, eccezion fatta per quest’ultima esplosione di luce!” –Precisò Mur, per poi aggiungere pensoso. –“E per quella voce di donna che ho udito! Che abbiamo tutti udito! Direttamente nella mente!”

 

“Donna?!” –Rifletté Tiresia, volgendo lo sguardo oltre i compagni, oltre la parete rocciosa che chiudeva a destra il Tempio dell’Ariete, alzandolo fino alla cima della Meridiana dello Zodiaco, dove una figura di bianco vestita aspettava, osservando lo svolgersi dei combattimenti. –“È lei! Lei che lo protegge e lo ha reso invincibile!”

 

“Una delle due Divinità che hanno attaccato Atena!” –Commentò Mur.

 

“Per la verità… è stata lei ad attaccare noi!” –Esclamò all’improvviso una voce di donna, sorprendendo tutti i presenti, che di nuovo volsero lo sguardo verso l’orologio a fiaccole, sulla cui cima ancora la bianca figura sedeva. La stessa figura che, al qual tempo, apparve dinanzi a loro, permettendo ai presenti di osservarla in volto.

 

Era una donna di corporatura esile, un viso delicato e sereno, contornato da una cornice di riccioli d’oro. Indossava soltanto semplici abiti bianchi, stretti in vita, ornati da decorazioni dorate: un sole e una scritta in greco che ne indicava il nome.

 

Ἡμερα

 

Emera…” –Ripeté Mur, arretrando istintivamente di un passo, al pari di Asher, Castalia e Tiresia. Solo Virgo rimase impassibile, scrutandola con magnetici occhi azzurri.

 

“Dunque siete voi la Dea del Giorno, colei che nel Mondo Antico si alternava assieme a Nyx per strutturare la vita degli uomini, donando loro ore di luce, per il lavoro, e di notte, per il riposo!”

 

“Questo è il mio ruolo!” –Confermò l’ancestrale Nume. –“E quella che state ammirando, là in alto sulla meridiana, è solo la mia immagine residua! In verità è da qualche minuto che vi osservo, ammirata dal vostro disperato ma imperterrito agire, e mi chiedo: perché? A che giova tutta questa fatica contro un avversario al di là delle vostre possibilità? Poiché lo sapete, ne sono certa, che Atlante non è nemico che possa essere vinto da qualcuno di voi, nemmeno da voi tutti assieme. Di certo sarete a conoscenza del fatto che persino Zeus dovette faticare per piegarlo e vi riuscì solo al termine di un sanguinoso conflitto! Volete dunque paragonarvi al Cronide?”


“Non è nostra intenzione una simile blasfemia, Signora del Giorno!” –Parlò Virgo con voce pacata. –“Tuttavia è nostro dovere di Cavalieri, e prima ancora di uomini, combattere con tutte le forze di cui disponiamo per la Dea a cui siamo devoti, la Dea di cui condividiamo gli ideali, affinché ella possa guidarci ancora e aiutarci a salvare gli uomini nostri fratelli!”

 

“Parole simili a quelle che Atena mi ha rivolto poc’anzi! Parole che non comprendo! Forse voi Cavalieri non vi accorgete dei difetti della vostra razza? Dei delitti, delle sopraffazioni dei popoli che ogni giorno hanno luogo? È quella la razza che volete difendere, apocrifa, malvagia, irrispettosa verso gli Dei e verso il prossimo suo? Combattete battaglie perse in partenza, giovani uomini!” –Sospirò Emera, scostando lo sguardo. –“Avete comunque visto bene, Atlante è cinto da una sottile barriera energetica, da me innalzata, per permettergli di recuperare le forze! Ma poiché ritengo che adesso possa essersi sufficientemente ristorato, la toglierò! Non so dirvi se sia meglio o peggio per voi, perché adesso affronterete la furia del leggendario titano, colui che avanzò verso la cima dell’Olimpo scagliando massi e sradicando alberi e templi! Continuate pure a lottare, se è questo che volete! Continuate pure a sprecare forze e vita, in fondo il destino di tutti voi è già scritto! Atlante vi annienterà e io assisterò alla caduta vostra e degli ideali che con poca forza vi sostengono!” –Concluse Emera, scivolando di nuovo nell’imbrunire e tornando a sedersi in cima alla Meridiana dello Zodiaco. Se ne avesse conosciuto la storia, magari avrebbe riacceso le dodici fiaccole, per scandire il tempo che, a suo avviso, ancora mancava alla scomparsa dell’umanità. Il tempo che separava tutti loro dall’avvento del caos.

 

I Cavalieri di Atena e Tiresia rimasero interdetti da quella figura, nei cui occhi non pareva esservi traccia di malvagità o odio, come invece avevano rimirato in nemici affrontati in precedenza. Tutt’altro, Emera parlava con spontaneità, come se la fine del mondo e del genere umano non suscitassero in lei alcuna reazione, alcun sentimento, come se fossero ineluttabili. Non ebbero tempo di riflettere ulteriormente, né di scambiare altre parole con l’ermetica Dea, che già Atlante tornò a ruggire, rimasto silente e remissivo in quei brevi minuti di dialogo con Emera.

 

Adesso tutti poterono vedere chiaramente la violacea aura cosmica che lo rivestiva. Un’aura che concentrò ratto attorno al pugno destro, prima di calarlo con violenza contro un picco sporgente, disintegrandolo e scagliando ovunque frammenti di roccia. Molti soldati vennero travolti e altri che affannavano nel fuggire furono raggiunti dall’onda di pressione energetica che diresse loro contro, semplicemente aprendo il palmo della mano e schiacciandoli a terra, proni e vinti.

 

“Dobbiamo intervenire, o li annienterà!” –Incalzò Asher, volgendosi verso Mur e Virgo, quasi invocando un loro divino intervento.

 

“Adesso che è privo della barriera che lo attorniava, dovremmo essere in grado di colpirlo!” –Commentò il primo. –“Sebbene il suo ridestato cosmo ci terrà a distanza!”

 

“Pensate a un modo per colpirlo, un colpo unico ed efficace! Io vi offrirò quella possibilità!” –Spiegò allora Virgo, prima di sollevarsi in aria con i suoi poteri, avvolgendosi nel suo cosmo dorato.

 

“Cavaliere!!! Non gettare via la vita! Ricorda il Muro del Pianto! Vincemmo perché eravamo uniti, non martiri solitari cui la vita ben poco caleva!” –Lo richiamò Mur a gran voce, ottenendo in risposta solo un placido sorriso.

 

“Tutto è per Atena!”

 

Asher, intanto, era corso ai piedi della scalinata che conduceva al Primo Tempio, vociando a Reda, Salzius, Nemes e Patrizio di radunare quanti più soldati riuscissero, in modo da formare un’unica legione pronta a scoccare le sue frecce infuocate. Fu in quel momento che Atlante si chinò su di loro, spalancando il palmo della mano e pressandoli al suolo. Anche l’Unicorno venne raggiunto da quell’onda di energia e non fosse stato per un’agile figura, balzata svelta su di lui, sarebbe stato disintegrato al pari di altri soldati.

 

“Stai bene, Asher?” –Mormorò una donna dai capelli rosa, depositandolo a distanza di sicurezza.


Uh… sì, grazie!” –Rispose confuso lui, osservando la maschera inespressiva che le copriva il volto e l’armatura che indossava, di cui non riconosceva il simbolo. Poi ricordò quel che Castalia gli aveva riferito poche ore prima e convenne che doveva trattarsi della Sacerdotessa della Poppa. –“Kama, vero?!”

 

La donna annuì, rimettendosi in piedi, proprio mentre Patrizio ordinava ai soldati attorno di incoccare nuove frecce incendiarie e Mur, Tiresia e Castalia scagliavano i loro colpi segreti dal piazzale della Prima Casa.

 

“Così non funziona!” –Analizzò il ragazzo, attirando l’attenzione del Cavaliere della Poppa. –“Le nostre tecniche intendo! Non sono ben concentrati! Sia Mur che Castalia scagliano attacchi ad ampio raggio, uguale fa Tiresia, che pare avere colpi simili a quelli di Virgo! Avremmo bisogno di un colpo unico, come la freccia di Sagitter, in grado di catalizzare tutte le nostre energie, anziché disperderle! Sarebbe più facile ferirlo!”

 

“Una disamina attenta! Complimenti!” –Confermò lei. –“Regor ti ha ben addestrato!”

 

“Conoscevi il mio maestro?!”

 

“Molto bene. E aveva una grande stima di te!” –Gli disse con voce vellutata, prima di incitarlo a raggiungere gli altri e a proporre loro il suo piano d’attacco.

 

“È una follia!” –Esclamò Castalia, temendo per il ragazzo.

 

“Non più di quando Pegasus si lanciò contro la Colonna Portante!” –Rispose Asher, cercando l’approvazione del Grande Mur, che esitò ancora un istante prima di annuire, dando ragione all’Unicorno, riconoscendo quanto fosse maturato nell’ultimo anno. Certo, era sempre stato un fedele sostenitore di Atena, anche prima di scoprirne la natura divina, ma col tempo aveva acquisito una maggior consapevolezza di sé.

 

“Potrebbe essere la nostra unica occasione! Sei pronto, ragazzo? Ne sei davvero sicuro?”

 

“Come sicuri si può essere quando si affronta un Dio!”

 

Mur accennò un sorriso, avvisando telepaticamente Virgo del loro progetto, prima di radunare tutti i Cavalieri superstiti, chiedendo loro il massimo contributo possibile. –“Anche la più piccola stilla di energia farà la differenza!”

 

Reda, Salzius, Nemes, Kama, Asher, Castalia, Tiresia annuirono, per poi bruciare i loro cosmi, portandoli a vette cui mai erano giunti prima, in un arcobaleno di colori che rischiarò il pomeriggio di Atene, stupendo persino la stessa Emera. Per primi attaccarono i soldati, sotto gli ordini dell’alacre Patrizio, che investirono Atlante da ogni direzione, cercando sempre di tenersi a distanza di sicurezza. Subito dopo fu il turno del Cavaliere di Virgo che, in aria di fronte al titano, liberò un ventaglio di energia dorata diretto verso il volto nemico, per accecarlo e distrarlo. Quindi, non pago, il Custode della Sesta Casa moltiplicò la propria immagine in numerose copie che apparvero attorno alla testa di Atlante, luccicando e lampeggiando, stordendolo a sufficienza da non rendersi conto di quel che stava accadendo sotto di lui.

 

“Ora, Cavalieri!!! Uniamo i nostri cosmi, fino all’ultimo afflato di vita! Per Atena!!!” –Imperò il Grande Mur, la cui aura cosmica prese la forma di uno splendente ariete dorato, a cui subito si unirono l’Aquila, la Poppa, il Camaleonte, il Pastore, Cassiopea e l’Altare sacro a Eracle. Davanti a tutti, trascinato da quella iridescente corrente di energia, stava ritto Asher, con le braccia unite sopra la testa, tese verso il fianco dell’avversario, avvolto in uno sfavillio di luci che assunse la forma di un punteruolo argenteo. –“Fa’ attenzione, ragazzo!” –Pregò il difensore della Prima Casa, mentre il Cavaliere di Bronzo, sospinto dai cosmi amici, superava le difese del titano, piantandosi in un fianco scoperto, dove le placche dell’armatura non lo proteggevano.

 

Atlante emise all’istante un urlo agghiacciante e gutturale simile a strida infernali, agitandosi furioso, muovendo le braccia in ogni direzione, alzando e abbassando le robuste gambe, distruggendo ogni cosa o persona attorno a lui. Persino Virgo venne raggiunto da un’onda energetica e spinto indietro, costringendosi a planare sul tetto della Prima Casa per recuperare energie. Asher venne afferrato in malo modo, stretto nel pugno, stritolato e poi scagliato a terra, contro la calca di soldati che correvano ovunque, disperdendosi per evitare gli affondi energetici della progenie di Giapeto.

 

“Riuniamoci!!!” –Gridò allora Mur, richiamando tutti i Cavalieri e i guerrieri che riuscì a radunare in fretta, mentre sforzava oltremodo il cosmo per generare un muro difensivo. Tiresia si unì subito a lui, unendo le dita delle mani e creando una cupola di energia, a cui andò a sommarsi il potere di Virgo, che li raggiunse poco dopo. Castalia fece appena in tempo ad afferrare Reda e Salzius e a portarli dietro la barriera che l’onda di Atlante si abbatté sulla scalinata del Grande Tempio, con una foga mai scatenata prima. L’antico marmo andò in frantumi, le pareti di roccia crollarono, persino numerose colonne e architravi della Prima Casa si spezzarono, ma i Cavalieri parvero resistere, concentrati nell’infondere alla cupola protettiva ogni stilla del loro cosmo.

 

“Ora basta!” –Risuonò allora una voce maschile, soave ma ferma al tempo stesso. Fu un attimo e la barriera andò in frantumi e gli ultimi difensori del Grande Tempio vennero scagliati contro le rocce circostanti, schiantandosi e mescolandosi assieme ai detriti di un mondo prossimo al tramonto.

 

Così Etere aveva deciso.

 

***

 

L’Altura delle Stelle sorgeva a pochi chilometri di distanza dalle Dodici Case, isolata dal resto del Grande Tempio dalla sua particolare conformazione fisica. Un unico erto pinnacolo che si innalzava verso il cielo, in cima al quale gli antichi Grandi Sacerdoti avevano costruito un osservatorio per la lettura degli astri. Matthew ne aveva sentito parlare spesso, quando era un apprendista e si allenava sotto l’attento, e mai soddisfatto, sguardo del Cavaliere di Gemini, sebbene mai vi si fosse recato, essendo un luogo riservato all’Oracolo della Dea.

 

“Se ad Atene vi è un portale dimensionale, quello di certo è qua, nell’abaton del Grande Tempio!” –Spiegò il Cavaliere dell’Arcobaleno, raggiungendone la base assieme ad Elanor. –“Da quel che Avalon mi spiegò, riguardo a questi varchi, furono creati dagli antichi saggi, proprio i sette che forgiarono i nostri talismani, uno in ogni luogo di culto ove dimorarono, per portare il loro messaggio di pace e di fratellanza!”

 

“Dunque ritieni che il primo oracolo di Atena fosse uno dei Sette?” –Sgranò gli occhi la ragazza, mentre il compagno scrollava le spalle, non sapendo darle una risposta.


“Questa era una delle tante teorie di Avalon a cui non ha mai saputo dare risposta! Ma il mio maestro, il maestro di noi tutti Cavalieri delle Stelle, amava porsi continue domande, mettendo sempre in gioco ogni certezza!” –Rispose Matthew, tirando uno sguardo verso la cima dell’alto colle, cercando di non prestare orecchio agli scontri che stavano avendo luogo presso il cuore del Santuario, scontri a cui avrebbero dovuto partecipare. –“Vuoi ancora farlo?”

 

Io… devo farlo! Non posso abbandonare mia madre! Devo sapere che sta bene, che quest’ansia che mi ha invaso, prostrandomi a terra, è solo suggestione per l’ultima guerra, niente di più! Io… glielo devo!”

 

Matthew annuì, comprendendo le sue motivazioni, così bruciò il cosmo, lasciando che i sette cristalli della sua cintura scintillassero, generando un tappeto di energia colorata su cui montò all’istante, prendendo Elanor per mano e portandola con sé. In un attimo la scia energetica avvolse l’Altura delle Stelle, turbinando attorno ad essa in una spirale di colori, fino a raggiungere la sommità, ove scomparve, depositando i due Cavalieri delle Stelle di fronte all’ingresso dell’antico tempio.

 

“Non ci vorrà molto per esplorarlo, come vedi è molto piccolo, destinato solamente ad ospitare l’officiante di Atena quando doveva scrutare le stelle!”

 

“Scrutare le stelle…” –Rifletté la ragazza, seguendo Matthew all’interno del tempietto. –“Perché? Forse per controllare i moti degli astri, il loro allineamento, il ricrearsi di una determinata configurazione astrale?”

 

“È possibile! Le stelle hanno dominato la vita degli uomini per molto tempo! Ad esse popoli di credi diversi si sono affidati, per cercare affanno dai turbamenti della vita, per implorare gli Dei che inviassero un cenno tangibile della loro esistenza o anche solo per guardare oltre, verso altri mondi!” –Commentò il biondino, iniziando a controllare i muri, i pavimenti, i pochi arredi dell’antico osservatorio, alla ricerca di un indizio sulla presenza del portale. –“Secondo le Cronache redatte da Avalon, e che ho sommariamente sfogliato, o forse dovrei dire fiaccamente, dopo la sconfitta di Caos i Sette si divisero, decisi a diffondere in ogni angolo del mondo le loro conoscenze, per aiutare l’umanità a progredire, diversificandosi ma al tempo stesso rimanendo unita, nella prospettiva di un ritorno dell’oscurità. Vasteras divenne Consigliere di Zeus, Elmas lo fu di Nettuno, ma entrambi incorsero in un tragico destino, morendo il primo durante la Titanomachia, il secondo durante l’affondamento di Atlantide. Menara morì per le ferite riportate nello scontro con Caos, Tegel si fermò nell’isola che poi divenne Avalon, mentre Galen raggiunse l’Egitto, ove fondò, curò e difese fino alla morte la Biblioteca di Alessandria! Antalya diede vita alla Colonia di Mu, magnifica e prospera isola nel Pacifico, ma di Kloten si persero le tracce. Per molto tempo l’Antico credette che, bisognoso di riposo, avesse cercato un posto dove morire, come il compagno Menara, ma Avalon non lo credeva. E sospetto avesse ragione!” –Chiosò, muovendo il piede sul pavimento, per spazzar via strati di polvere e mostrare ad Elanor quel che aveva intravisto.

 

Al centro del tempietto, scolpiti nel vetusto marmo, vi erano dei segni che entrambi riconobbero all’istante. Un cerchio perfetto, dentro il quale erano scolpiti due bracci incrociati tra loro, a formare una croce, il cui centro era lo stesso del cerchio.

 

“Una croce celtica.” –La riconobbe Elanor. –“Lo stesso disegno inciso sul mio scudo!!!”

 

“Un simbolo antico e molto potente! Avalon mi raccontò che i druidi lo ritenevano un tramite tra il mondo terreno e quello celeste. Quale che sia la verità sulla sua origine, di certo ha per noi un significato pratico, sempre che riusciamo a farlo funzionare!”

 

“Non sarà difficile! Io… ce la farò!” –Mormorò la ragazza, radunando il proprio cosmo. Socchiuse gli occhi, inspirando ritmicamente, mentre un vento improvviso si sollevò, scuotendo polvere ferma da millenni e facendola danzare davanti agli occhi stupefatti di Matthew, che vide, dopo pochi attimi, una flebile luce accendersi nelle scanalature del marmo. Una luce che presto percorse l’intera superficie del portale.

 

“Elanor!!! Aspetta!!! Come farai a muoverti? Jonathan una volta mi disse che varcare la soglia dello spaziotempo è come fare un salto nel buio! Puoi rischiare di perderti, non vedendo la strada, e smarrirti nel nulla, e in tal caso nessuno potrebbe riportarti indietro poiché nessuno saprebbe dove sei!”

 

“Il cosmo di mia madre mi guiderà! Lo sento!”

 

“In tal caso, io sarò il tuo faro per tornare!” –Esclamò lui, raggiungendola al centro della croce e strappandole un sorriso. –“Non ti lascerò da sola!” –Portarono i loro cosmi in sincronia, prendendosi per mano, e poi scomparvero.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo ventesimo: Sacrifici. ***


CAPITOLO VENTESIMO: SACRIFICI.

 

Ate era stupita, sinceramente stupita, dalla richiesta di Phoenix. Cosa voleva ottenere, suicidandosi? Credeva forse che vedendo il corpo massacrato del fratello, Andromeda sarebbe stato libero dal suo influsso? Impossibile, poiché ormai l’ombra doveva avergli divorato l’anima, espandendosi maligna sul corpo che da ore era a stretto contatto con l’armatura da lei infettata. Sogghignò, ripensando alla perfezione di un piano geniale, concordato con Nyx e il Gran Maestro del Caos giorni addietro.

 

Proprio questi aveva suggerito alla Dea dell’Inganno di sostituirsi a Demetra, un’operazione semplicissima, a detta sua, in virtù della somiglianza delle due donne, che avrebbe permesso a Ate di usare una minima dose di cosmo per modificare i propri lineamenti, e dell’ingenuità della Signora delle Messi. Era stato facile infatti, per la figlia di Discordia, attirarla fuori dai confini dell’Olimpo, dove l’ormai stanco occhio di Zeus non giungeva più; era bastato, in fondo, massacrare i genitori di Nikolaos, cui la Dea era molto legata. Sopraffatta dal dolore e dal senso di colpa dovuto alla propria impotenza, Demetra era stata vinta rapidamente da Nyx e da Ate, che aveva preso il suo posto agli occhi di tutti, persino di Zeus. Un inganno che il Maestro del Caos non ebbe pudicizia di definire magistrale.

 

Forse, un tempo, quando il mondo era giovane ed egli del pari, il Signore del Fulmine avrebbe subodorato la trappola ma adesso, provato dai lutti e sopraffatto dal timore dell’ultima guerra, era soltanto un re troppo cieco da non vedere più in là della propria corona, da non vedere il regno su cui imperava scomparire nell’ombra.

 

“Uccidimi, fratello!” –Ripeté la voce di Phoenix, suonando alle orecchie della Dea come un’accorata richiesta, quasi una supplica.

 

“A che gioco perverso stai giocando, Fenice?!” –Domandò, avvicinandosi al ragazzo intrappolato.

 

“Sto solo restituendo un vecchio favore a mio fratello!” –Commentò questi, senza togliere lo sguardo dagli occhi di Andromeda, deciso a penetrare nel suo animo. Era, in fondo, quello che faceva con tutti i suoi nemici, sfruttando le loro debolezze e distorcendole in paure, ma in cui adesso avrebbe dovuto riuscire senza ricorrere al Fantasma Diabolico. –“Andromeda, mi senti? So che ci sei ancora, dietro quella maschera di odio che Ate ti ha versato addosso! Ricordi quando venisti alla Roccia del Leone? Ricordi la prima battaglia contro i Cavalieri Neri? Ti inginocchiasti e mi offristi la tua vita, per mettere fine a quello scontro fratricida e salvare così i tuoi amici! Ricordi, Andromeda, quant’era puro e generoso il tuo cuore?”

 

“Fiato sprecato, Cavaliere di Atena! La notte è calata sui ricordi di tuo fratello, cancellandoli completamente, assieme ai suoi sogni, alle sue speranze, ai suoi ideali. Egli adesso è una creatura delle tenebre e nel glorioso esercito di Caos combatterà!” –Sibilò Ate, mentre Andromeda aumentava la stretta mortale sulla catena, ormai interamente rivestita di scariche di energia. –“Uccidilo, coraggio! Poni fine alla sua misera vita! Che mia madre e i miei fratelli e sorelle siano vendicati!!!”

 

“Puoi spezzarmi, puoi ferirmi, puoi umiliarmi, Ate. Ma mai, neanche per un istante, mi vincerai!” –Ringhiò Phoenix, il volto lacerato dalle scintille sprigionate dall’arma che lo avvolgeva. Quindi, lottando strenuamente, riuscì a mettersi di lato, levando la testa verso il fratello e continuando a rivolgersi a lui. –“Ricorda i giorni dell’odio, Andromeda, quando ero posseduto dalla rabbia, divorato dal rimorso per aver causato la morte di Esmeralda, ignaro delle trame che Issione aveva costruito per me, per mano del mio maestro! Ero un mostro, non poi così diverso da come Ate vorrebbe che tu adesso divenissi, pur tuttavia continuasti a credere in me, convinto che dietro quello strato di tenebra che mi lordava il volto e l’anima esistesse ancora il fratello che amavi, il generoso fratello che si era sacrificato al posto tuo, scegliendo l’inferno della Regina Nera anziché quello dell’isola di Andromeda! Credesti in me e ti immolasti per salvarmi, per purificare la mia anima! Io non ho paura di fare altrettanto! Ti sono debitore, Andromeda, per il ragazzo che hai risvegliato, per l’uomo che sono diventato! Perciò uccidimi fratello, se ciò servirà a darti pace e a liberarti dal tormento che Ate ti ha imposto!”

 

“Se così tanto invochi la morte Phoenix, Andromeda te la darà! Sì, morirai ora!!!” –Avvampò Ate, il cui cosmo ormai si era fuso con quello del Cavaliere di Atena, mescolandosi assieme, due ombre dalla stessa fragranza.

 

“Resisti!!!” –Gridò allora una voce femminile, costringendo Phoenix a gettare uno sguardo verso Themiskyra, fuori dalle cui mura Pentesilea si ergeva, debole e ferita. –“Combatti, come l’uomo di cui Ippolita si innamorò!!!”

 

Il ragazzo avrebbe voluto ringraziarla per l’incitamento e la fiducia che riponeva in lui, ma rimase in silenzio, a resistere alle folgori del fratello. Non paga, l’ardimentosa condottiera afferrò una freccia dalla propria faretra, incoccandola e puntandola verso Andromeda, caricandola di tutto il cosmo che fu capace di generare. Ate, accanto al Cavaliere di Atena, rise di quel patetico tentativo, senza neppure curarsi di abbatterla. La lasciò fare, lasciò che tendesse l’arco, godendo del dolore che Andromeda stava infliggendo al fratello, il cui volto ormai era rovinato da profonde ustioni. Ghignando soddisfatta, pensò che alla fine di quel trattamento neppure Atena l’avrebbe riconosciuto più. Pentesilea scoccò il dardo, ma il cosmo di Ate lo deviò ed esso finì per ferire Phoenix di striscio, facendo schizzar fuori qualche goccia di sangue dalla guancia destra. Gocce che colpirono Andromeda in faccia, infiammandolo.

 

Fra… tello…” –Mormorò Phoenix, ormai prossimo a perdere i sensi.

 

Fratello. Una parola che risuonò nell’ormai vuoto animo del Cavaliere di Andromeda, echeggiando in spaziosi androni destinati ad essere colmati dall’odio, dall’oscurità e dalla violenza cui presto si sarebbe abbandonato in nome di Ate e di Nyx. Fratello. Eppure, quel suono lontano, quelle poche lettere scandite a fatica dovevano pur significare qualcosa, se continuavano a rimbalzargli dentro, girando attorno al cuore, senza riuscire a sfiorarlo mai.

 

Com… batti…” –Aggiunse il Cavaliere della Fenice, prima di crollare esanime al suolo, di fronte al trionfante ghigno della Dea dell’Inganno, che ordinò ad Andromeda di finirlo con un gladio che lei stessa le porse. La lama che aveva squartato pochi giorni addietro i fragili corpi di Elena e Deucalione.

 

“Ora!!! Offrimi la sua testa, Andromeda! Offrila in dono al tuo nuovo signore e padrone! Lord Caos!!!”

 

Il Cavaliere dai capelli verdi si chinò sul fratello, agonizzante ai suoi piedi, impugnando l’arma con la mano destra, mentre con la sinistra gli teneva fermo il viso, intingendo le dita nel suo sangue. Fu un attimo, più rapido di qualsiasi pensiero che Phoenix potesse aver avuto, e la lama calò.

 

A… aaahhh…” –Mormorò quest’ultimo, osservando lo squarcio aperto nell’interno coscia, laddove l’armatura non giungeva a proteggerlo. Uno spazio minimo che solo chi indossava la corazza poteva conoscere per raggiungere quella specifica posizione. –“An… dromeda…” –Rantolò, mentre il fratello lasciava cadere la lama, la mano ancora tremante per la violenza del gesto.

 

Non aveva dovuto pensarci troppo, anzi non c’aveva pensato affatto, perché se lo avesse fatto il suo corpo non avrebbe obbedito. Aveva semplicemente agito.

 

Ma… cosa?!” –Balbettò Ate, vedendo il corpo di Andromeda accendersi di un’aura rosata, un’aura che andò espandendosi sempre più, decisa a contrastare l’influenza che la opprimeva. –“Perché?!” –Si chiese, realizzando quel che era appena successo.

 

“Avevo bisogno… di sentire dolore… di sentirmi vivo!” –Affannò il ragazzo, toccando la ferita che si era inflitto, di fronte allo sguardo stupito del fratello. –“Era l’unico modo per poterti combattere, Ate!”

 

Umpf, che sia ingenuità o sfrontatezza a farti parlare, parlerai più per poco ancora!” –Commentò la Dea, avvolta nel proprio cosmo oscuro, avanzando verso Andromeda, per spegnere l’ultimo barlume della sua luce. Con rabbia, prostrò il ragazzo a terra, accanto al fratello, torreggiando su entrambi, certa della propria vittoria.

 

Combatti…” –Mormorò Andromeda, ricordando le parole di Phoenix di poco prima, le parole che gli avevano permesso di risvegliare il proprio spirito assopito. –“Sì, combatto!!!” –Avvampò, portando il cosmo al parossismo, forte di quegli ideali di pace che gli avevano sempre indicato la via.

 

“No, tu perdi!” –Disse Ate, stringendo la presa attorno ai corpi dei Cavalieri di Atena, pur indispettita dal fatto che, per quanta oscurità liberasse, la lucentezza dei loro cosmi pareva non esserne del tutto intaccata. È mai possibile che degli uomini possano tanto? Che siano in grado di opporsi a così antiche tenebre?!

 

Il dubbio glielo tolse il ricordo della conversazione avuta con Nyx, quando la Notte aveva precisato la possibilità di un’arma estrema, messa a loro disposizione da secoli di ostilità tra gli Olimpi. Un astio rinverdito dalla Guerra Sacra conclusasi lo scorso anno, con la sua nuova sconfitta.

 

Ghignando divertita, Ate levò una mano al cielo, quasi ad afferrare un fumoso strato di nubi nere, osservandolo contorcersi attorno al suo braccio, prima di allontanarsi e mutare forma, assumendo sembianze che sia Andromeda che Phoenix riconobbero all’istante, quelle del più potente e pericoloso nemico fronteggiato fino ad allora.

 

“Ma quello è…?!”

 

“Ade!!!” –Rabbrividì Andromeda, di fronte alla sagoma del Dio che aveva preso possesso del suo corpo, e di fronte alla prospettiva che ciò accadesse di nuovo.

 

“Dove sono? Chi mi ha risvegliato?!” –Parlò la fumosa figura oscura, volteggiando attorno ai tre contendenti, prima che l’imperiosa voce di Ate la forzasse a fissarlo.

 

“Divino Ade, comprendo il vostro stupore! Di certo non vi aspettavate di essere richiamato così presto dal limbo cui Atena vi precipitò! È questo uno dei poteri di Caos, Creatore e Distruttore di Mondi e di tutti coloro che vi dimorano!”

 

“Caos?! è dunque sua quest’ombra che sento espandersi sulla Terra intera? Un’oscurità primordiale che neppure ai tempi della Titanomachia percepii!”

 

“Precisamente! Un’oscurità che presto sarà totale, non come la debole eclissi che tentaste di imporre con il vostro cosmo!” –Precisò Ate, concedendosi un ghigno ironico. –“Pur tuttavia Caos è misericordioso e, avendo sempre apprezzato i vostri metodi, ha deciso di offrirvi una nuova possibilità! Eccola, sta di fronte a voi, nel giovane dai capelli verdi di cui già vi serviste!”

 

“Andromeda?!” –Mormorò Ade, fluttuando attorno al Cavaliere di Atena, percependone stupito l’aura ombrosa di cui era intriso. –“Quale delizioso aroma!”

 

“È vostro!” –Spiegò Ate. –“Grazie al mio ichor presente nell’armatura, il corpo di Andromeda è stato distrutto, infettato fin nel profondo! Rimane soltanto lo spirito, vostro compito sarà spezzarlo e allora avrete il ricettacolo che tanto bramaste! Cosa ne dite, Sire Ade? Accettate l’offerta di servire gli Dei Ancestrali?!”

 

“Le tue parole sono tentatrici, Ate, malaugurata consigliera!” –Ridacchiò la voce cavernosa del Signore degli Inferi. –“Sai bene che il mio vero corpo è spezzato, per cui adesso e ad ogni mia eventuale incarnazione dovrei servirmi di un ospite umano pena il vagare per sempre sotto forma di spirito! Forma che, ammetto, non mi è congeniale!”

 

“Lo comprendo, Divino Ade, così come Caos lo ha compreso, offrendovi quest’unica opportunità! Accettatela e il corpo di Andromeda sarà vostro per l’eternità! Il vostro nuovo corpo!”

 

Mmm! L’ho desiderato così tanto!” –Mormorò il Nume, avvolgendosi al Cavaliere di Atena, solleticandogli la pelle, carezzandogli il volto e soffermandosi infine sui suoi occhi, quegli stessi occhi che, a detta di tutti, erano belli e profondi come i suoi.

 

“Lascialo stare, bastardo!!! Lascia stare mio fratello!!!” –Ringhiò Phoenix, tentando di rialzarsi ma venendo sbattuto a terra dall’emanazione cosmica di Ate.

 

I suoi occhi… Rifletté il fratello di Zeus e Nettuno. Sono così pieni di vita, così puri, quasi immacolati, come fossero gli occhi di un angelo! Che cosa mi ricordano? Cosa mi fa rammentare questa luce improvvisa? Ah sì, ora rammento! Le parole di Atena, le parole che la mia eterna nemica mi rivolse nell’Elisio, china e piangente sul corpo di Pegasus, sul corpo di quel dannato mortale.

 

“Tu sai cos’è l’amore, Ade?!” –Le aveva detto quel giorno la figlia di Zeus. Ma lui non aveva risposto. Aveva ascoltato in silenzio quelli che aveva ritenuto i deliri di una fin troppo umanizzata Divinità, che aveva abiurato al suo status e a tutta la forza che da esso derivava, finendo per prostrarsi alle stesse turbinose passioni degli esseri mortali. Ma la verità era un’altra, sebbene non l’avrebbe mai ammessa, soprattutto a lei. Ed era più semplice e sciocca, al punto da infastidirlo solo pensandoci.

 

La verità era che non conosceva l’amore perché mai nessuno l’aveva amato.

 

Gli Spectre e gli Dei Gemelli lo servivano perché dovevano, perché quello era il loro destino, il destino che lui aveva scelto per loro quando aveva creato le costellazioni demoniache, con cui sostituire quelle di Atena qualora fosse riuscito a sconfiggerla. Persefone, che nel Mondo Antico era stata la sua compagna, aveva dovuto obbligarla, poiché solo così avrebbe potuto condividere con lei il trono degli Inferi. Chi mai, del resto, avrebbe voluto soggiornarvi per sua scelta? Nessuno, neppure gli Spectre che di continuo anelavano a missioni nel mondo superiore, all’apparenza per compiacere il loro Signore, in verità per uscire da quel fetido e tenebroso mondo. Su questo si era retto il suo regno, sulla paura della morte che il suo sguardo poteva comminare, e non su una fedeltà sentita e appassionata come quella che legava i Cavalieri di Atena alla loro Dea, una fedeltà che poteva diventare rispetto, cameratismo, affetto, amicizia e infine amore.

 

Un sentimento che non ho mai conosciuto, perché non lo meritavo. Si disse il Nume, concedendosi un sospiro, prima di staccarsi da Andromeda e sollevarsi nel cielo plumbeo, in quella forma evanescente che Phoenix e Pegasus avevano affrontato nell’Elisio. Fino ad oggi.

 

Non disse alcunché l’Olimpico Nume, lanciandosi su Ate e inglobandola nel suo cosmo divino, incurante delle grida e della sorpresa della Dea.

 

“Proposta interessante ma offensiva, figlia di Eris! Hai dimenticato a chi stai parlando? Io sono Ade, Signore dell’Oltretomba, uno dei Cronidi, non un garzone di stalla a cui puoi dare ordini, e non permetto a nessuno di manovrarmi come un burattino, non permetto a nessun Dio antico o moderno di servirsi di me!” –Esclamò maestoso, mentre le loro aure cosmiche si scontravano, aggrovigliandosi furiose, decise entrambe ad annientare la rivale. –“Ora ti mostrerò, misera Dea dell’Inganno, quanto profondo e oscuro è l’inferno di cui sono signore! Fammi sapere poi se tale oscurità, che tanto il tuo padrone propugna, è di tuo gradimento!”

 

Ma… maledetto, Ade!!!” –Avvampò Ate, circondata dal cosmo del Nume, avvolta in spire così strette da impedirle persino di respirare. I suoi arti cedettero, le ossa si schiantarono, le sue grida riempirono il cielo del Ponto, facendo rabbrividire Phoenix e Andromeda, che osservavano interdetti la scena. Fu Ade a richiamarli alla realtà, intimandoli di allontanarsi.

 

“Addio Cavalieri di Atena! Non pensiate che lo faccia per voi, tutt’altro! Lo faccio per me! Dopo ripetute sconfitte, in tante luride Guerre Sacre, oggi ho la mia vittoria! Oggi potrò dire ad Atena, ovunque ella sia, di aver meritato un po’ d’amore!” –Esclamò il Dio, portando il cosmo al parossismo e lasciandosi esplodere assieme all’Ingannatrice.

 

***

 

Shen Gado combatteva con una foga che Igaluk non gli aveva mai visto negli anni in cui avevano dimorato nel Reame della Luna Splendente. Certo, aveva sempre saputo che era un Cavaliere Celeste, e come tale abile in battaglia, ma la pacifica esistenza del regno di Selene gli aveva fatto dimenticare cosa significasse combattere davvero. Combattere per la propria sopravvivenza. Eppure avrebbe dovuto saperlo, ricordando la realtà da cui proveniva, le fredde terre dell’Artico canadese, che, al pari di quelle in cui si trovava adesso a lottare, da pochi raggi di sole venivano lambite.

 

Piccolo e tozzo, con i lineamenti tipici delle popolazioni Inuit, il Selenite di Mercurio aveva deciso di seguire l’Ippogrifo nella difesa della piazzaforte all’ingresso alla Valle di Cristallo, deciso a dare il proprio contributo alla causa. Durante l’assalto di Ares e delle Makhai era rimasto ai margini della battaglia, timoroso di non essere all’altezza. Aveva sentito spegnersi i cosmi di Chandra e Tecciztecatl e mormorato preghiere in lingua inuktitut per le loro anime, ma non aveva trovato la forza per farsi avanti, nascondendosi dietro la necessità di presidiare il cerchio più interno. Una scusa, nient’altro che una scusa. Convenne, sollevando il braccio e lasciando che il fascio di energia nemica si schiantasse su uno degli scudi della sua corazza. La verità era che sentiva la propria inferiorità rispetto agli avversari che si era ritrovato ad affrontare. Divinità ancestrali, Signori della Guerra e delle Tenebre, persino mostruose creature ridestate da un sonno durato eoni. Era tutto troppo grande per lui, semplice depositario della sapienza delle popolazioni che vivevano nelle isole del Canada Settentrionale. A volte credeva di dormire, vittima dell’incantesimo di uno sciamano, che gli aveva strappato l’anima e l’aveva portata indietro nel tempo, ai giorni del taimmani, il passato indefinito ove erano avvenuti i miti e le leggende popolari note come unipkaaq.

 

E invece sono qua! Si ripeté, chinandosi per evitare un affondo nemico e poi abbagliandolo con il riflesso di luce generato dallo scudo. Per quanto le sue capacità offensive fossero limitate, le difese offerte dalla propria corazza invece erano sufficienti per impedire all’Armata delle Tenebre di avanzare troppo rapidamente, respingendoli il tempo necessario a Shen Gado per trafiggerli con strali lucenti.

 

“Stai bene?” –Gli disse il compagno, abbattendo un altro paio di guerrieri che stavano per piombare su di lui, dilaniando anche le loro mostruose cavalcature.

 

Igaluk annuì, ansimando per la stanchezza dello scontro incessante, una fatica a cui non era abituato. Ma, ogni volta in cui la fiacchezza pareva invaderlo, si guardava attorno, osservando uomini comuni, per giunta mortali, lottare fino allo stremo, rialzandosi ogni volta in cui cadevano a terra, senza esitare a lanciarsi l’uno in aiuto dell’altro. Proprio come il Cavaliere del Cigno aveva fatto per aiutare il Principe Alexer. La guerra, come la morte, pareva essere il grande unificatore, in grado di azzerare ogni diversità e rendere fratelli tutti coloro che lottavano sotto il cielo, affinché quel cielo, terso e cristallino, potessero continuare ad ammirarlo.

 

Ungh…” –Mormorò all’improvviso Shen Gado, accasciandosi, una mano cinta sul ventre, il volto pallido e sofferente.

 

“Comandante, state bene?!” –Si preoccupò subito Igaluk, chinandosi su di lui e tenendo al tempo stesso a distanza alcuni guerrieri oscuri, accecandoli con il bagliore del proprio cosmo, limpido come il ghiaccio.

 

Non… sono più il tuo comandante!” –Chiosò l’altro, rialzandosi a fatica. –“Sono solo un compagno d’armi! Shen Gado dell’Ippogrifo! E così devi considerarmi!”

 

Igaluk annuì, prima di percepire anch’egli quel che aveva prostrato il Cavaliere a terra, un’oscurità così intensa da penetrargli nel cuore. Per un momento credette di morire, incapace di muoversi, di respirare, persino di pensare. Poi trovò la forza per torcere il collo, notando la scia di una cometa di puro cosmo, dal colore dell’ebano, dilaniare il cielo nero e piombare su di loro. Non riuscì ad avvisare nessuno, neppure a gridare, poté solo chiudere gli occhi mentre quell’enorme sfera di energia sfondava le mura della roccaforte, distruggendola dall’interno. E poi tutto finì, in un’immensa onda bianca che parve sommergere ogni cosa.

 

Il Selenite di Mercurio volò in alto, il corpo bersagliato da oggetti di ogni tipo e dimensione, scontrandosi con altri corpi, privi, al pari suo, della volontà o capacità di reagire, infine cadde nel vuoto, sbattendo su qualcosa di duro e freddo, ruzzolando, rotolando su se stesso e continuando a cadere. Non seppe dirsi quanto tempo fu sballottato e dove, capì solo di essere arrivato quando il suo corpo venne ricoperto da un ammasso indistinto di neve, terriccio e detriti. E forse anche resti umani.

 

Inorridito da quella distruzione, che andava al di là di ogni più fosco pensiero, Igaluk fu tentato di lasciarsi andare, così forse il suo spirito avrebbe raggiunto quello degli altri membri del suo popolo, lassù tra le luci del cielo. Ma poi, pensando al cielo, ricordò l’opprimente nube nera che stava ammantando la Terra e realizzò che, se non l’avessero sconfitta, nessuna luce avrebbe più danzato in cielo, nessun’aurora boreale avrebbe potuto essere ammirata dalle splendide isole del Mare Artico. Così reagì, espandendo il proprio cosmo e recuperando sensibilità al corpo, iniziando a muoversi, a scavare, a farsi largo in quel mucchio di neve in cui era abituato a muoversi. Tirò fuori la testa, alla ricerca d’aria, dopo un tempo che gli parve interminabile, riuscendo infine a liberarsi del tutto. Approfittò di quel momento per rifiatare e guardarsi addosso e attorno: la bianca corazza, ricavata dal ghiaccio eterno di Qikiqtaaluk, era scheggiata in più punti, persino alcuni scudi erano in frantumi, ma i danni erano nulla se paragonati al fianco della montagna dove aveva combattuto fino a quel momento. Senza parole per esprimere alcunché, Igaluk notò che l’altura stessa non esisteva più, sventrata in profondità e crollata, sfaldandosi e sommergendo l’accesso alla vallata. Chi ne fosse il responsabile, il Selenite lo scoprì presto, notando la cometa d’ebano vorticare in cielo fino ad andare a posarsi sul fondo valle, dove il biondo Cavaliere di Atena ancora stava in piedi.

 

Tariaksuq! Mormorò, facendo un gesto di scongiuro, di fronte a quella creatura umanoide composta di pura oscurità, in grado di fondersi con le ombre stesse.

 

Annaspando, avrebbe voluto correre da Cristal per avvisarlo o anche per aiutarlo, ma solo allora si accorse di avere una gamba rotta, rimasta schiacciata nel crollo, e di potersi muovere con gran difficoltà. Pur tuttavia se l’era cavata meglio di altri Blue Warriors e soldati dell’Armata delle Tenebre, i cui corpi smembrati costellavano i resti della montagna crollata, assieme ai cadaveri delle loro mostruose cavalcature. Quel che un tempo era stato l’alto Picco di Cristallo era adesso ridotto a un’immensa pattumiera umana di colore bianco, rosso e marrone. Neve, sangue e terra, mescolati in un amalgama che odorava di morte.

 

Stringendo i denti per il dolore, Igaluk si rialzò, zoppicando tra le rovine, mentre anche altri guerrieri facevano altrettanto, guardandosi attorno alla ricerca di superstiti o di armi per combattere ancora. Solo allora vide l’ala smerigliata d’oro emergere dalla neve, incrinata e tinta di vermiglio, arrabattandosi in quella direzione e gettandosi subito a terra, per liberare il compagno da quella prigione di ghiaccio. Quando riuscì a tirarlo fuori, Shen Gado era gelido come marmo e a malapena respirava. Gli tenne la mano, donandogli un po’ del suo cosmo, per quanto un’esigua quantità gliene restasse, schiaffeggiandolo affinché si riavesse. Fu quel gesto a fargli capire di essere diventato sordo, incapace di udire anche il più minimo rumore, come se tutto fosse distante e ovattato. Probabile effetto dell’esplosione, si disse, prima di voltarsi di scatto verso il margine della foresta, il sesto senso stimolato da una fitta acuta che gli permise di conservare la testa attaccata al collo, sollevando lesto il braccio e parando con lo scudo l’artigliata che calò su di lui.

 

Cadendo indietro, sopra il ferito Cavaliere Celeste, Igaluk ebbe modo di notare un gruppetto di guerrieri, ben più forti dei semplici scagnozzi affrontati fino ad allora, farsi strada tra i cadaveri, aggiungendone altri alla schiera. Uno, in particolare, gli incusse timore indefinibile, a causa dell’armatura bianca che indossava che gli ricordava un mostro tanto temuto nelle terre ove era cresciuto.

 

Grendel. Fremé, rabbrividendo, alla vista dell’uomo alto e imponente, con radi capelli biondi e corti, che camminava sprezzante tra i feriti, ponendo fine alla loro agonia con un rapido movimento dell’artigliato braccio destro. Lo spettro bianco. Terrore dei bambini, doloroso ricordo degli adulti, prova degli eroi. Lui, che un eroe non si era mai sentito, avrebbe voluto nascondersi sotto la neve, sfruttando le proprietà mimetiche della corazza, ma il pensiero che potessero fare del male a Shen Gado o ad altri a causa della sua viltà lo riscosse, portandolo a lanciarsi contro il guerriero in integrale armatura bianca, tentando di abbatterlo con una spallata.

 

Non fece che tre passi prima che l’uomo ne fermasse la corsa, mulinando il grosso guanto artigliato che gli rivestiva il pugno destro, piantandone le propaggini nel bracciale di Igaluk, distruggendo lo scudo e affondando fin dentro la carne. Quindi il guerriero estrasse gli artigli, spingendo indietro il Selenite con un calcio allo sterno, facendolo ruzzolare a terra, poco distante da Shen Gado.

 

“Non perdere tempo con lui, Grendel!” –Disse allora una voce, appartenente ad un uomo basso e barbuto, dalla corazza color verde marcio. –“È ormai un morto vivente! La furia del Tenebroso non perdona! E, quand’anche dovesse pensare di resistere, le piaghe di cui l’ho infettato lo vinceranno!”

 

Corb ha ragione! Passiamo oltre! Reidar e Duppy sono già lontani, in groppa a quei maledetti lupi!” –Lo affiancò un giovane smilzo dai folti capelli viola.

 

L’uomo chiamato Grendel non rispose, grugnendo parole oscene con cui si liberò da ogni vincolo riguardo ai due compagni, lanciandosi all’assalto. Igaluk fece appena in tempo a sollevare il braccio destro che già le cinque aguzze dita del guanto artigliato erano su di lui, spingendolo indietro, travolto da un reticolo di precisi fasci di energia.

 

Non devo stargli troppo vicino! Mormorò, intuendo la pericolosità di quegli artigli, in grado, come quelli del mitico Grendel, di squartare un essere umano con un colpo solo. E niente faceva presagire, a Igaluk, che quel guerriero non ne fosse capace. Pur tuttavia, così facendo, giocando solo in difesa, come avrebbe potuto vincerlo? Come avrebbe potuto difendere Shen Gado?

 

Un gemito alle sue spalle indicò il risvegliarsi dell’Ippogrifo, strappando un sorriso al Selenite di Mercurio, il cui volto rivelò per la prima volta uno sguardo sicuro. Chiamò alcuni Blue Warriors sopravvissuti, dando loro ordini di scortare ad Asgard il ferito, ripiegando nella fortezza principale. Non abbiamo più niente da fare qui, rifletté, osservando lo sfacelo attorno a sé e percependo il violento infuriare dello scontro a fondo valle tra entità che andavano oltre le loro possibilità.

 

Shen Gado, udite le parole del compagno, fece per ribattere ma, troppo debole persino per camminare, crollò dopo pochi passi, obbligando alcuni fedeli di Alexer a sollevarlo di peso, per tenerlo in piedi. Grendel caricò di nuovo, sfoderando una griglia di artigli di energia bianca che dilaniarono il terreno attorno, falciando via alcuni Blue Warriors e costringendo Igaluk a intervenire di nuovo, portandosi di fronte al gruppo con lo scudo ancora integro e caricandolo di energia cosmica.

 

“Andate via! Ora!!!” –Imperò, affannando nel resistere ai feroci assalti di Grendel.

 

Non… ti lascerò qua a morire, solo per aver salva la pelle! Non sarebbe onorevole per un Cavaliere Celeste!” –Rantolò Shen Gado.

 

Malikitt!!!” –Gli ordinò il compagno, ripetendo la richiesta in modo che l’Ippogrifo potesse comprenderla. –“Seguili!” –E si lanciò avanti, avvolto nel suo cosmo celestino, caricando l’uomo dall’armatura simile al leggendario Grendel e strappandogli persino un moto di sorpresa per quella repentina azione d’attacco.

 

Shen Gado annuì, consapevole che Igaluk non lo stava solo proteggendo, ma stava proteggendo anche il futuro di Asgard, affidandogli il compito di seguire le tracce di coloro che erano già passati, fermandoli prima di giungere a palazzo. Stringendo i pugni, l’Ippogrifo voltò le spalle allo scontro in atto, iniziando a correre verso la foresta assieme ai Blue Warriors.

 

“Ih ih ih! Dove credete di andare?” –Strepitò l’uomo dai capelli viola, sollevandosi in aria con le ampie ali della sua corazza e generando una tempesta di nubi e grandine.

 

“A proteggere Asgard!!!” –Tuonò allora Igaluk, interponendosi tra lui e Shen Gado, espandendo il proprio cosmo e generando un’immensa cupola di energia celeste, simile alle abitazioni che costellavano le terre artiche, al cui interno racchiuse se stesso e i tre membri dell’Armata delle Tenebre.

 

“Cosa pensi di fare con questo igloo di cosmo? Tenerci qui dentro vita natural durante? Ih ih ih! Sei uno sciocco se credi che quest’effimera prigione possa tenere a bada le tempeste che il demoniaco Alu domina!”

 

“Senza contare che il tuo corpo è già debilitato. Le piaghe che le onde del mio cosmo ti stanno instillando non possono che aumentare in questo spazio chiuso!” –Intervenne il secondo guerriero, quello con l’armatura verde.

 

“Poco importa! Durassi un’ora o un giorno, sarà tutto tempo che i difensori di Asgard avran guadagnato!” –Chiarì fiero il Selenite di Mercurio. –“Adesso ho capito quel che ci promettemmo davvero quel giorno, quando accettammo di vivere sulla Luna! Essere non guerrieri, bensì protettori! Di tutte le genti!”

 

Grendel non lo fece finire di parlare, piombando su di lui e infilzando il braccio destro con i suoi enormi gelidi artigli, che gli strapparono un grido di dolore, mentre Alu lo tempestava di saette e pioggia sferzante. Igaluk dovette poggiare un ginocchio a terra, ma non invocò pietà, continuo a bruciare il proprio cosmo, fino all’ultima stilla, mentre le pareti celesti dell’igloo tremolavano, tingendosi di nuovi colori, in una danza che smosse l’intera struttura, facendole assumere la forma di un tendaggio.

 

“Qualunque mossa tu voglia fare, sei morto! Siamo in tre e tu sei uno solo, e per di più malato!” –Lo sbeffeggiò il guerriero dall’armatura verde, mentre Alu lo sorpassava, planando su di lui con la mano colma di saette oscure.

 

“Siate tre o trecento, non fa differenza! Lo splendore delle luci del nord vi abbaglierà, e sarà così intenso che tutti, in ogni angolo delle terre artiche lo vedranno, ricordandosi che il cielo non è sempre oscuro! Tutt’altro! Il cielo rifulge di mille bagliori! A voi, creature oscure, il massimo potere di Igaluk! Risplendi Aurora Borealis! Risplendi Aksarnerk!!!”

 

Lo sfavillio di luci esplose come un’onda, sollevandosi impetuosa verso il cielo, in un arcobaleno di colori che per un momento rischiarò quella notte che stava calando su Asgard. I tre membri dell’Armata delle Tenebre vennero travolti e spinti indietro, le corazze danneggiate, i volti abbagliati da quell’improvviso lucore che tutti, a quelle latitudini, poterono rimirare, venendone confortati. Con quell’ultimo pensiero in mente, pago per aver rinfocolato la speranza nei cuori dei compagni, Igaluk crollò nella neve.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo ventunesimo: L'ombra tra i ghiacci. ***


CAPITOLO VENTUNESIMO: L’OMBRA TRA I GHIACCI.

 

“Dunque sei un compagno del Cavaliere di Pegasus, l’irriducibile destriero che non voleva esser domato?!” –Esclamò Erebo, sospeso a mezz’aria, avvolto nel suo nero cosmo, così oscuro che Cristal aveva difficoltà ad osservarne la sagoma stagliarsi di fronte a lui. –“Una giumenta in calore si è rivelata infine, niente più!”

 

“Misura le parole, Signore delle Tenebre! Non ti permetto di schernire i miei amici fraterni, per altro validi combattenti!”

 

“Amici defunti, vorrai dire! Ahu ahu ahu! L’invincibile guerriero di cui canti le lodi ha incontrato lo stesso gramo destino di Eracle e degli altri Olimpi che han tentato di resistermi! Non te ne eri accorto, Cigno? Avevo pensato di far saltare in aria il vulcano, di modo che chiunque, in qualunque parte del mondo, lo sentisse e capisse che a niente giova combattere, perché l’ombra vince sempre e comunque! Ma ormai è tardi, non disquisiamo del passato, che tale è, bensì del presente! Mostrami cosa sai fare, bel biondino! Avanti!” –Lo incitò il Dio ancestrale, incrociando le braccia al petto e sogghignando perfidamente.

 

Se avesse ascoltato l’istinto, Cristal avrebbe caricato a testa bassa, liberando una devastante tormenta di gelo, ma gli insegnamenti dei suoi maestri gli avevano consigliato che non sempre la prima reazione era la migliore, in termini di efficacia di risultato. Pertanto strinse i pugni, bruciando il cosmo e iniziando a camminare attorno a Erebo, che lo osservò divertito, con i suoi intensi occhi rossi.

 

“Beh? Se non prendi in mano la situazione, lo farò io!” –Esclamò subito, sciogliendo le braccia e puntandogli contro l’indice destro, da cui scaturì un lampo di energia nera che investì in pieno il Cavaliere di Atena, per quanto questi avesse sollevato lesto lo scudo a sua difesa. Ruzzolando indietro di qualche metro, tra le sghignazzate di Erebo, Cristal fu lesto a rimettersi in piedi, solo per osservare, inorridito, una chiazza nera marchiare vivida l’armatura, laddove il Nume lo aveva colpito. Per quanto fosse stato solo un assaggio del suo potere, un semplice fascio di energia, era riuscito a scalfire una corazza rinata con sangue divino.

 

Ermes! Strinse i pugni il Cigno, rialzandosi e ricordando il loro primo incontro al Tempio dei Mercanti, quando aveva raggiunto Pegasus e i suoi compagni dopo aver salvato i Cavalieri d’Oro dalla prigionia di Hel. Quanta strada aveva fatto da allora, girovagando e lottando per i mondi più disparati, ma, al tempo stesso, riuscendo sempre a trovare la via di casa. La via che lo riportava lì, alla terra dove il suo cuore apparteneva. Ad Asgard.

 

Il pensiero che quella terra e la sua amata regina potessero adesso essere inquinate da quell’ancestrale entità gli fece ribollire il sangue, portandolo ad espandere il proprio cosmo e a scagliare pugni verso il cielo, di fronte allo sguardo interessato di Erebo che vide una ragnatela di luci e ghiaccio scivolare sopra di loro, mentre una gelida corrente iniziava a soffiare.

 

“Vuoi combattere, Erebo? Combattiamo allora! Permettimi di aprire le danze! Vortice fulminante dell’aurora!!!” –L’assalto sfrecciò verso il Nume ancestrale, che neppure si mosse, desiderando verificare di persona quanto potere possedessero quei famigerati Cavalieri Divini, o Cavalieri dello Zodiaco, come il Gran Maestro del Caos li aveva definiti, sebbene Erebo non capisse tali titoli. Ma in fondo, per il Signore delle Tenebre nessun titolo aveva reale valore e tutti quegli Dei inferiori e i loro schiavizzati uomini erano solo mere comparse in uno spettacolo che presto si sarebbe concluso e avrebbe visto un solo protagonista trionfare. A qualunque Divinità, simbolo o ammasso stellare dovessero i loro poteri, il Cigno, Pegasus e i loro degni compari erano solo uomini, i primi che sarebbero caduti sotto il nuovo cielo privo di stelle che stava sorgendo.

 

Con quel pensiero in testa, Erebo sollevò un braccio al cielo, mentre la tempesta di ghiaccio ancora imperversava, generando un vortice di energia oscura che sormontò la furia dell’aurora, risucchiandola al proprio interno e facendola roteare attorno al suo arto. Prima ancora che Cristal potesse rendersi conto di quel che stava accadendo, il Signore delle Tenebre calò il braccio, rimandandogli contro il suo stesso attacco, sospinto e potenziato da una mortifera corrente d’aria nera, la stessa che stava saturando il cielo del continente euroasiatico.

 

“Non è possibile!!!” –Rantolò il Cavaliere di Atena, rimettendosi in piedi, dopo essere stato scagliato contro un mucchio di alberi. –“Non solo non ha minimamente risentito del mio assalto ma lo ha fatto proprio! Eppure era un gelo pungente, allo Zero Assoluto!”

 

“Alle leggi che regolano il mondo degli uomini mortali, di qualunque natura siano, noi Dei non siamo soggetti, tanto più noi Progenitori! Potrebbe la tua sciocca scienza spiegare questo?” –Lo schernì Erebo, capovolgendosi a mezz’aria ed eseguendo altre bizzarre piroette, lasciando ovunque si spostasse una scia di tenebra. –“O questo!” –Aggiunse, balzando su di lui e colpendolo sul pettorale con il tacco del piede corazzato, sbattendo il Cavaliere contro un mucchio di rocce, distruggendole e facendogli perdere persino l’elmo della corazza, che tintinnò fino a rotolare davanti al Nume. –“Cosa abbiamo qua? Un lavoro di fattura pregiata, lo ammetto, che tuttavia è misera difesa contro le mie armi!” –Sogghignò, lasciando levitare l’elmo in aria, avvolgendolo in una torbida cortina di tenebra, che ne opacizzò subito i colori, divorandone famelica ogni stilla di luce.

 

“Lascialo!!!” –Urlò Cristal, rialzandosi e scattando avanti, il pugno pregno di energia cosmica, liberando una subitanea tempesta di ghiaccio. –“Polvere di diamanti!!!”

 

Erebo, senza neppure curarsi delle sue parole, si limitò a volgere il palmo della mano sinistra su di lui, su cui l’assalto evaporò all’istante, mentre con la destra continuava ad inquinare il copricapo del ragazzo, distruggendone il cimiero a forma di cigno e godendo dello scricchiolare macabro delle ali, che si sbriciolarono in pochi istanti, mentre i frammenti gli cadevano tra le mani.

 

“Ecco cosa rimarrà di voi e della vostra civiltà!” –Sintetizzò il Nume, chiudendo il pugno. –“Pulviscoli.” –Aggiunse, riportando lo sguardo su Cristal e scaraventandolo indietro, travolto da un’improvvisa vampa di tenebra che abbatté l’intera foresta alle sue spalle. Sfruttando la stessa onda offensiva, il Cavaliere di Atena spalancò le ali dell’Armatura Divina, librandosi in alto e portandosi sopra il raggio d’azione dell’attacco, tentando poi l’offensiva dal cielo.

 

“Sopra o sotto, fa poca differenza! Io regno ovunque!” –Chiosò Erebo, spostandosi di lato, mentre il pugno di Cristal, colmo di energia glaciale, gli passava accanto, senza raggiungerlo, e allungando al qual tempo le dita della mano destra per generare daghe di pura tenebra. –“Tu invece torna alla terra che t’ha partorito!” –E gliele piantò nella schiena, dove le ali erano affisse alla corazza, prostrando il ragazzo al suolo. Ma questi fu abile a sbattere le stesse ali, sbalzando indietro il Nume assassino, prima di girarsi di scatto e portarsi a una certa distanza da lui, conscio di dover riuscire a mantenerla. Non solo per la potenza dei suoi attacchi, ma anche per l’aura mortifera che lo avvolgeva, un’aura in grado di debilitarlo, di oscurargli i sensi, persino di danneggiargli la respirazione se ne rimaneva troppo in contatto.

 

“Mi dispiace ammetterlo, ma Pegasus era ben più interessante avversario! Tu sei troppo freddo, troppo razionale nel tuo combattere! Mi hai già stancato!” –Sibilò la Tenebra Ancestrale, dando le spalle all’allibito Cavaliere di Atena e portando lo sguardo verso i resti della fortezza abbattuta, da cui un’improvvisa corona di luce si era levata, a rischiarare il cielo.

 

“Ma quella…” –La riconobbe subito Cristal, che tante volte l’aveva ammirata, assieme al Maestro dei Ghiacci e al compagno Abadir. –“È l’Aurora Boreale! Sono le luci del nord!” –E allora capì quel che doveva esser accaduto. –“Igaluk!”

 

“Pare che un altro dei tuoi compagni ci abbia lasciato!” –Chiosò Erebo, mentre le luci colorate scemavano di intensità e il cielo tornava plumbeo. –“Chissà che tra quelle rovine non vi siano altri da massacrare! Dovrei andare a verificare, in effetti, tanto più che la tua compagnia non mi è gradita!” –Aggiunse, sornione, espandendo la propria aura cosmica e concentrandola attorno al braccio destro.

 

“Non ci provare, bastardo!!!” –Gridò Cristal, scattando avanti, mentre già una tempesta di ghiaccio imperversava dietro di sé.

 

“Sciocco!” –Sibilò l’avversario, le labbra torte in un gelido sorriso compiaciuto. –“Danza di daghe!!!” –Tuonò, voltandosi di scatto e travolgendo il Cavaliere con una pioggia di strali neri, che fendettero la tormenta di neve, senza esserne neppure rallentati. Uno dopo l’altro, gli oscuri dardi raggiunsero Cristal, mitragliandone la corazza, scheggiandola, graffiandola, trovando infine uno spiraglio in quella quasi completa protezione e affondando nel braccio destro, poco sotto l’ascella.

 

Il biondo paladino di Atena strillò, prima che altre daghe energetiche lo raggiungessero, costringendosi a rimanere calmo e concentrato e sollevando un rozzo muro di ghiaccio a sua difesa. Non ci volle molto a Erebo a disintegrarlo, gli bastò scagliare un’unica devastante daga, che lo mandò in frantumi, scaraventando il Cigno nella neve sporca e avviandosi poi verso di lui. Gli inquietanti occhi rossi si tinsero di un ghigno divertito, spingendo Cristal a chiedersi chi o cosa dimorasse davvero dietro quella maschera orribile, quale forma potesse avere una così potente e perversa entità. Immaginarla un corpo umano, come quello di Atena o di Zeus, o persino di Loki, era impossibile. No, si disse il ragazzo, scuotendo la testa, Erebo non poteva avere un corpo umano, doveva essere per forza un mostro!

 

“E i mostri, in tutte le leggende, cadono vinti dagli eroi!!!” –Esclamò, concentrando il cosmo sulla mano destra, sommersa sotto un mucchio di neve, e infondendolo al suolo sotto di lui, portandolo a sollevarsi all’improvviso. Muraglie di ghiaccio sorsero ovunque attorno a Erebo, chiudendosi su di lui come fauci di creature composte di gelo, investendolo con tutta la loro potenza, mentre, all’interno di quel blocco di ghiaccio, la temperatura precipitò istantaneamente, paralizzando il Nume in una posizione sorpresa.

 

Affannando per lo sforzo, Cristal si rialzò, tenendosi il braccio dolorante, ma imponendosi di continuare a lottare. Sollevò entrambi gli arti al cielo, deciso a debellare una volta per tutte quella minaccia, come aveva fatto poc’anzi con Steno, quando notò un luccichio vermiglio dall’interno della rozza scultura di ghiaccio. Per quanto fosse impossibile ammetterlo, Erebo stava sogghignando!

 

“No!!!” –Gridò il ragazzo, sbattendo i pugni uniti di fronte a sé, più e più volte, e liberando l’impetuoso scorrere delle acque dell’aurora, che investirono l’ammasso di gelo proprio mentre questo andava disfacendosi.

 

Kaboom!!!

 

Una violenta esplosione, assordante come quella che aveva abbattuto la roccaforte di Alexer, scaraventò Cristal indietro, mentre una mortifera nube oscura si innalzava di fronte a lui, laddove avrebbe dovuto trovarsi il Nume congelato. Rabbrividendo, il giovane vide Erebo di nuovo di fronte a sé, senza neppure un graffio alla sua corazza o un cenno di stanchezza o sofferenza. Semplicemente rideva, divertito, ringraziando il Cavaliere per quell’improvvisa doccia fredda.

 

“Dopo eoni trascorsi nell’intermundi, ne sentivo proprio la necessità! Permettimi di ricambiare la tua generosità!” –Ghignò, chiudendo le dita della mano destra a metà, quasi stessero stringendo qualcosa di intangibile, che rivelò essersi una fumosa cortina di tenebra che andò circondando in fretta il paladino di Atena, prostrandolo a terra, fiacco e madido di sudore. –“Oh, non apprezzi il mio dono? Forse le tenebre infernali di cui sono signore non sono di tuo gradimento? Dovresti imparare ad apprezzarli, poiché questo sarà il mondo in cui i tuoi simili vivranno dopo aver giurato fedeltà a Lord Caos! Questo sarà l’unico cielo che rimireranno, l’unica aria che respireranno!”

 

Sei… folle!!!” –Ringhiò Cristal, rimettendosi in piedi, sia pur barcollante ma ancora avvolto nel suo scintillante cosmo bianco.

 

“Mi hanno definito in molti modi, Cavaliere del Cigno! Signore dell’Oscurità, Padre delle Tenebre, Primo Nato, Tenebra Ancestrale, e altri epiteti che ti risparmio, sebbene uno credo mi calzi alla perfezione! Il Tenebroso! Non trovi sia efficace? Semplice, concreto, reale!” –Sibilò, chiudendo infine le dita del pugno mentre le ombre che danzavano attorno a Cristal si serrarono su di lui, avvolgendolo in un indistinto ammasso dal colore dell’ebano, che subito esplose, scagliandolo verso l’alto. –“Addio Cigno! Questo è il tuo ultimo volo! Danza di daghe!!!” –E mosse il braccio destro a spazzare, dirigendo contro il ragazzo migliaia e migliaia di strali di nera energia.

 

Cristal, sballottato dalla tempesta d’ombra, intontito dall’aura demoniaca del Nume, non riuscì ad evitare quell’ulteriore attacco, che lo investì con violenza, scavalcando le sue difese. Sentì le lame di energia trafiggerlo agli arti, al costato, persino sul volto, ma non poté far niente per difendersi. Solo precipitare a terra, rivolgendo, in quel disperato momento, l’ultimo pensiero a colei che amava.

 

***

 

Flare era inquieta.

 

Ritta sulle mura della fortezza di Asgard, osservava le nubi nere scivolare verso nord, il cielo fosco incrinato di tanto in tanto da fulmini e vampe di colore che indicavano gli scontri in atto nella Valle di Cristallo. Non che avesse bisogno di vederli, per capire quel che stava accadendo, le era piuttosto chiaro dall’incendiarsi continuo di aure cosmiche che ben conosceva. Aure che adesso, stringendo tra le mani le pietre del massiccio torrione, percepiva deboli e fiacche.

 

Per primo aveva sentito avvampare il cosmo di Cristal, subito seguito da quello del Principe Alexer, poi si era stupita nel sentir svanire quello di Shen Gado e di Igaluk, dopo che un meraviglioso gioco di luci aveva abbagliato l’intera vallata, recando conforto alla gente comune che era stata ospitata dentro le mura di Asgard. Infine, poc’anzi, aveva di nuovo percepito accendersi l’aura del suo compagno, intento a fronteggiare un cosmo pregno di un’infinita oscurità.

 

Mai, neppure nei grandi nemici che avevano flagellato i Nove Mondi, aveva incontrato una tenebra così profonda. Neppure nel Niflheimr, dove era stata imprigionata. E questo la fece rabbrividire.

 

“Tornerà! Abbiate fiducia in lui!” –La gioviale voce di Bard la rubò ai suoi pensieri, portandola a voltarsi verso il Capitano della Guardia che, con indosso l’uniforme di servizio, stava vigile accanto a lei sul camminamento di ronda. –“So che siete angustiata, lo siamo tutti! Ma Cristal è un abile guerriero, di indubbio valore! Ricordo ancora quando affrontammo il Leviatano assieme, nelle acque della baia, e poi le truppe di Loki, giorni addietro!”

 

“Il ragazzo parla con saggezza, Signora di Asgard!” –Intervenne allora un uomo che aveva conosciuto da poche ore, ma che pareva sapere molto su di lei e sulla storia del casato di Polaris, avendone seguito le gesta da lontano. –“Pur non avendo mai visto il Cavaliere del Cigno in azione, ho combattuto con i suoi compagni, Pegasus, Andromeda e Fenice, sulla Luna, percependo in loro una vitalità, una freschezza, una caparbietà che può essere sostenuta solo da una fede profonda, e da un ancor più profondo amore verso il futuro!”

 

“Ti ringrazio, nobile Mani!” –Gli sorrise la Celebrante, prima che una raffica di vento freddo la portasse a chiudersi la sciarpa attorno al collo, avvolgendosi nella pelliccia e incamminandosi giù dalle scale di pietra, seguita dal Capitano della Guardia. Per quanto Cristal e Alexer tenessero a bada l’Armata delle Tenebre a fondo valle, vi era la possibilità concreta di un’ulteriore offensiva, motivo per cui Bard non si fidava a lasciare Flare da sola, sorvegliandola a vista. Per questo il Principe aveva lasciato i due uomini, dal fisico robusto e dai ruvidi tratti maschili, a difesa della fortezza.

 

“Regina di Asgard, possiamo disturbarvi un momento?” –Chiese uno dei due guerrieri, che, al pari del compagno, attendeva spazientito nel cortile principale, rivestito della propria scura armatura, ornata di spuntoni minacciosi.

 

Flare annuì, fermandosi a rispettosa distanza. Per quanto fossero due alleati, inviati da Eracle in aiuto ai guerrieri del nord, la ragazza non poteva fare a meno di provare un certo timore in loro presenza, forse per l’aspetto rude o per i loro modi di fare, improntati ad uno stile prettamente bellico, che non comprendeva del tutto.

 

“Quando potremo combattere anche noi? L’ombra dell’ultima guerra avanza su Asgard, la percepiamo nitidamente!”

 

“Siete ansiosi di combattere, Heroes di Eracle!” –Giudicò la Celebrante di Odino, abbandonandosi ad un sospiro. –“Non avete già visto troppe guerre nella vostra lunga e valorosa esistenza? Così tanto bramate di viverne un’altra?”

 

“Siamo guerrieri, Regina di Asgard, e il nostro compito è combattere, come il vostro è invocare la benedizione e la clemenza degli antichi e saggi Numi affinché ci assistano in battaglia!” –Continuò l’uomo che aveva appena parlato, prima che la cavernosa voce del secondo si sovrapponesse alla sua.

 

“Vogliamo combattere! Sì! Non per voi, né per il popolo, ma per noi! Perché questo è ciò che sappiamo fare, ciò a cui abbiamo consacrato la nostra esistenza!”

 

“Avrete di sicuro la vostra occasione!” –Chiosò Flare, accennando un inchino e allontanandosi a passo svelto, scuotendo la testa. Il suo amato stava rischiando la vita, affrontando una qualche oscura Divinità decisa a distruggere Asgard e a sterminare le sue genti, e quei due non anelavano altro che a scendere in guerra? Non capiva, a volte, come gli uomini ragionassero, e questo la turbò. Se ci fosse stata Ilda, se lei fosse ancora viva, avrebbe saputo cosa dire loro, come gestire tutto questo!

 

Ma Ilda non c’era più, naufragata, assieme a Loki e a Surtr, in un oceano di memorie destinate a rimanere sepolte per l’eternità, finché un nuovo vento non avesse spento la fiamma del Distruttore, permettendo alla sorella e al Fabbro di Inganni di trovare meritata pace. Fu la voce del suo fedele consigliere a richiamarla, mentre varcava la soglia del Salone del Fuoco.

 

“Il vostro ospite desidera conferire con voi!” –La informò Enji, indicandole una porta che conduceva ai piani superiori della fortezza. –“Vi attende nella Torre della Solitudine!”

 

La Torre della Solitudine, ripeté Flare. Il luogo dove la sorella aveva trascorso gli ultimi giorni, le ultime settimane della sua esistenza, leggendo e studiando antichi tomi della biblioteca di famiglia, alla ricerca di un modo per impedire la conflagrazione universale scatenata da Surtr. Un luogo in cui, da allora, Flare non aveva più messo piede, ma che Avalon aveva gradito visitare. Fu lì che lo trovò, alla scrivania di legno a cui anche Ilda amava trascorrere le serate, a sfogliare vecchi volumi alla tiepida luce di una candela.

 

“Salute a voi, Flare di Polaris!” –La salutò, non appena entrò nella piccola stanza in cima alla più alta torre della cittadella.

 

“Sommo Avalon, come posso assistervi?!” –Si inchinò prodiga la fanciulla, mentre il Principe Supremo degli Angeli le si avvicinava, aiutandola a rialzarsi e pregandola di mettere da parte l’etichetta.

 

“Stavo ammirando il lavoro di vostra sorella, la meticolosità con cui ha riunito preziosi documenti, conservandoli in maniera eccellente!”

 

“Ilda ha sempre avuto a cuore la storia e la cultura del suo regno, conoscendola in maniera molto più approfondita di me!” –Confessò la fanciulla dai capelli biondi.

 

“Non crucciatevi! Siamo tutti diversi al mondo ma ognuno offre il proprio contributo, in base alle proprie capacità! Ilda era una valchiria, l’erede vivente di Brunilde, una donna straordinaria in grado di conciliare le funzioni di saggia celebrante con quelle di valorosa condottiera! Voi, dal canto vostro, siete uno spirito colmo d’amore, che riversate ogni giorno in coloro che vi circondano, siano questi il vostro popolo, che vi guarda con ammirazione e occhi colmi di speranza, o il vostro compagno.”

 

“Sommo Avalon, io…–Flare arrossì per un momento, non sapendo cosa rispondere, ma il Signore dell’Isola Sacra le carezzò il volto niveo, sussurrandole di essere forte, di attingere al ricordo della sorella e nutrirsi della sua risolutezza, prima di scostarsi e strusciarsi il mento meditabondo, lanciando un’ultima occhiata fuori dalla finestra. Le nubi tenebrose stavano ormai per lambire la fortezza di Asgard, l’ultimo avamposto umano prima del Mare Artico, gravando l’animo di tutti coloro che dimoravano al suo interno.

 

“Temo che i nostri pericoli non si esauriscano qua!” –Commentò infine.

 

“Cosa intendete dire?!” –Si rabbuiò all’istante la Celebrante di Odino.

 

“Che altri stanno arrivando!” –Parlò allora una terza voce, prendendo Flare alla sprovvista e facendola voltare di scatto. Seduto su una poltrona, abbigliato di vesti comuni, probabilmente appartenute un tempo al padre delle sorelle Polaris, un uomo dal volto austero e dai lunghi capelli castani aveva ascoltato pensieroso i dubbi di Avalon, dovendo infine dargli ragione.

 

“Qualcosa di terribile sta per accadere! È strano, troppo strano, che il nemico si attardi così tanto, perdendo tempo nella Valle di Cristallo!”

 

“Sospettate qualcosa?” –Domandò allora Flare.


“Dell’ombra sospetto sempre.” –Chiosò Avalon.

 

Flare, a quelle parole, sospirò, prima che l’esplodere improvviso del cosmo di Cristal attirasse nuovamente la sua attenzione. Torna! Fremé, chiudendo le mani a preghiera. Me lo hai promesso, Cavaliere! Hai promesso di regnare al mio fianco, proteggendo questo popolo che ti ama! Come io amo te! Torna, Cristal!

 

***

 

Quella preghiera dovette raggiungere il Cavaliere di Atena, stretto, in quel momento, in un’algida morsa dalle tenebre di Erebo, con cui il Nume lo stava tenendo fermo contro un tronco d’albero, fissandolo con eccitati occhi rossastri.

 

“Mostrami il tuo potere!” –Sibilò, muovendo appena le labbra. –“Mostrami il potere di cui il Gran Maestro del Caos mi ha parlato! Concedimi un assaggio di ciò che a tal punto l’ha impensierito!”

 

Non… so cosa tu stia farneticando…” –Rantolò il Cigno, bruciando il proprio cosmo. –“Ma se vuoi combattere, non mi tirerò indietro!” –E sollevò una mano, chiudendola ad afferrare un bracciale dell’armatura di Erebo. Ma bastò quel contatto, quel lieve tocco, per ustionare il guanto protettivo di Cristal, costretto ad allontanarlo all’istante, mentre una tossica nube nera si spandeva da esso.

 

Ahu ahu ahu! Ancora insisti con i tuoi trucchi, Cavaliere? Dovresti aver capito che la magia dei ghiacci non ha effetto su di me. Come mai potrebbe? Credi forse che non abbia provato, negli eoni trascorsi nell’intermundi, il gelo dentro? Un gelo profondo, che ha colmato l’anima di tutti noi Progenitori di solitudine, smarrimento e disperazione. Un gelo di cui quello che mi rivolgi contro è un pallido surrogato!!!” –Gridò Erebo, gettando in aria il ragazzo, travolto da un turbine di tenebra. –“E ora muori, con la consapevolezza di aver fallito! Muori, con il rimpianto di non aver difeso questa città! Addio, Cigno! Danza di daghe!!!”

 

Un semplice movimento del braccio del Nume generò una raffica di strali neri, che saettarono verso l’alto, tempestando il corpo indebolito del Cavaliere di Atena, stretto in una ferrea morsa dal vortice tenebroso di Erebo. Fece per muoversi, ma il solo tentarvi gli strappò un gemito di dolore, eppure doveva tentare. Doveva farlo per Flare, che attendeva trepidante il suo ritorno a casa, per le genti del nord, che lo avevano eretto a faro di speranza, per Alexer, che giaceva inerme sotto cumuli di rovine, per i suoi compagni e per Atena, che combattevano contro la stessa ombra. 

 

No!!! Si disse, avvampando nel proprio cosmo bianco. Le ali del Cigno non sono ancora spezzate! Io posso ancora volare!!! E bruciò la propria energia interiore, liberandola come un uccello dal bianco piumaggio, che spalancò le ali, dilaniando il turbine di tenebra e balzando in alto.

 

Erebooo!!!” –Lo chiamò Cristal, splendido, attorniato da una lucente aura glaciale. –“Vengo da teee!!!” –E si lanciò in picchiata, con i pugni uniti sopra la testa, roteando su se stesso come una cometa di pura energia.

 

Il Nume Ancestrale sogghignò, divertito da quella nuova sfida, limitandosi a volgergli contro il palmo della mano, su cui concentrò l’oscura materia di cui era padrone, alzandola come scudo su cui si infranse l’assalto di Cristal. Ma questi, anziché allontanarsi, anziché fuggire sconfitto, continuò a insistere, a roteare vorticosamente su se stesso, infondendo nei pugni tutto il suo cosmo glaciale.

 

“Incredibile!!!” –Fu costretto ad ammettere il Signore delle Tenebre, osservando l’equivalersi delle due forze in atto: l’ombra, così forte e mortifera, in grado di far evaporare il ghiaccio all’istante, disperdendolo in torbide nubi nere, e il ghiaccio stesso, che riusciva a ricrearsi di continuo, inserendosi come barriera sottile ma continua in grado di proteggere il Cavaliere dal venefico cosmo di Erebo. –“Pfui!!!” –Tuonò infine il Nume, liberando un’onda di energia oscura che travolse il Cigno, scaraventandolo molti metri addietro, tra fango, neve sporca e pietrisco, imbrattando e graffiando ulteriormente l’Armatura Divina. –“I miei complimenti, mi hai indotto a impegnarmi di più! Ma se tutto lo sforzo che vi hai infuso è servito solo a farmi usare la mano, al posto di un dito, cosa farai quando userò il mio cosmo per intero?” –Ghignò, espandendo la propria aura mortifera, che si innalzò come una muraglia d’ombra, allargandosi ai lati e infettando il suolo e la foresta vicina.

 

In un attimo la neve cambiò colore, dando addio al candore incontaminato di secoli e tingendosi di un putrido nero fangoso; gli alberi appassirono, la terra tremò e vomitò pece nera, e quel che un tempo era stata la Valle di Cristallo adesso pareva una propaggine infernale del regno di Hel.

 

No, rifletté il Cavaliere. Neppure il mondo della figlia di Loki era così tenebroso e nocivo! Ma non ebbe il tempo di pensare altro che già Erebo aveva sollevato un braccio al cielo, generando una spirale oscura da cui presto spuntarono aguzzi pungiglioni di energia.

 

“Il tuo cosmo è notevole, come lo era quello del Cavaliere di Pegasus, uomini sempre pronti a rialzarsi pur con il corpo a pezzi!” –Ammise il Nume tenebroso, più parlando a se stesso che a Cristal, che faticava a stare in piedi. –“Pur tuttavia siete soltanto uomini, di cosa mai dovrei aver paura? Non capisco perché il Gran Maestro del Caos mi abbia messo in guardia da voi! Cosa può un uomo di fronte a un Dio Ancestrale?” –Scosse la testa, turbato da quegli stupidi pensieri che non riteneva degni di lui, e liberò la pioggia di strali cosmici, solo per percepire lo schiantarsi furioso di un fulmine azzurro a pochi passi da lui.

 

Fu un attimo, ma sufficiente per balzare indietro, evitando la scintillante folgore, che rischiarò l’armatura azzurra di un uomo apparso davanti a lui. Alto e bello, con un filo di barba macchiata dal sangue di una ferita aperta sotto l’occhio, il Principe Alexer teneva lo sguardo inchiodato su di lui, deciso a vendicare i Blue Warriors caduti per mano sua.

 

Cristal, permettimi di combattere assieme a te!”

 

Il ragazzo annuì ed un nuovo scontro stava per avere inizio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo ventiduesimo: Fuoco incrociato. ***


CAPITOLO VENTIDUESIMO: FUOCO INCROCIATO.

 

Iside era inginocchiata vicino al lago sacro ad Amon, nel cuore del complesso di Karnak, poco distante dalle sale riservate al Signore del Sole d’Egitto. Di fronte a lei svettava imponente una statua, di recente ristrutturata dopo secoli di esposizione sconsiderata alle intemperie e al languire nel tempo, dedicata a Kepri, lo scarabeo sacro, rappresentante il sole sorgente. E lei proprio a quello si stava aggrappando nelle sue preghiere, sperando che l’umanità potesse conoscere una nuova alba. Eppure quel fosco tramonto che da ore imperava sull’intero Egitto minava in lei ogni fiducia, al pari dei violenti scontri di cosmi in atto attorno a lei, scontri che, lo percepiva chiaramente, avevano coinvolto anche suo figlio Horus e la sua progenie.

 

Sospirando, la Dea della Maternità si rimise in piedi, rivolgendo un ultimo pensiero all’amato scomparso, certa che non troppo a lungo sarebbero stati separati. Aveva ceduto il tiet a Febo, usando il proprio sangue divino per curare le ferite sue, di Marins e di Horus, riparando al qual tempo le loro armature. Il suo compito lo considerava esaurito, perciò che venissero pure ad ucciderla.

 

“Mia signora?!” –Mormorò una voce alle sue spalle. –“Dovremmo rientrare! Non è prudente restare qua allo scoperto!”

 

Iside sorrise al giovane Faraone delle Sabbie che Amon le aveva assegnato come scorta, assieme a una ventina dei suoi migliori Soldati del Sole, per quanto la Dea avesse più volte insistito di non aver bisogno di assistenza.

 

“Ti ringrazio, Ermanubi!” –Si limitò a commentare, incamminandosi verso le stanze a lei dedicate, prima che un’esplosione distraesse entrambi, costringendoli a voltarsi verso il Cortile del Nascondiglio, che si apriva sul lato sinistro della Sala Ipostila. I piloni laterali vennero ridotti in polvere, che un vento sanguigno sparse contro di loro, inquinando la pozza sacra ad Amon, e prima ancora che i soldati potessero reagire due snelle sagome erano già balzate su di loro, sventrandoli uno dopo l’altro.


“Fermatevi!!!” –Gridò allora il Faraone delle Sabbie, avanzando verso gli aggressori, avvolto in un cosmo verdastro.

 

Le due atletiche figure fissarono per un attimo l’impavido guerriero in armatura rossiccia, scoppiando poi in una risata selvaggia, che alle orecchie di Ermanubi suonò come un’irriverente sghignazzata, prima di ricominciare a massacrare le guardie del corpo di Iside, senza degnarlo di ulteriore attenzione.

 

“Vi ho detto di fermarvi!!!” –Ripeté allora il giovane infastidito, espandendo il cosmo e scattando avanti, a testa bassa, in una posa che ai due invasori ricordò quella di un cane del deserto. –“Ringhio furioso dello sciacallo!!!” –Tuonò, piombando su una delle due figure, che fu svelta però a balzare indietro, posizionando di fronte a sé il corpo del soldato che stava massacrando, lasciando che fosse il suo stesso compagno a terminare il lavoro. –“Maledizione, siete delle spregevoli carogne!!!” –Avvampò Ermanubi, concludendo l’attacco e cercando di non guardare il cadavere del ragazzo che aveva appena dilaniato con le sue zanne.

 

“Carogne?! Noi?! Ah ah ah! Tutt’altro, mio caro, noi non ci avventiamo sui resti di una battaglia! Noi la battaglia la causiamo, aprendo le fila! Non restiamo pavide nelle retrovie ad attendere gli eventi!” –Chiarì una delle due figure, che adesso il Faraone delle Sabbie poté riconoscere come una donna, al pari di colei che l’accompagnava.

 

Alte e slanciate, con un fisico impeccabile, risultato di un costante addestramento, entrambe le guerriere indossavano scure corazze dai riflessi violacei, piuttosto semplici in verità. Solo una delle due presentava una caratteristica singolare agli occhi di Ermanubi, che non poté staccarvi lo sguardo. Sul pettorale della donna finora rimasta in silenzio era stato disegnato un volto umano nell’atto di gridare di follia, gli occhi sgranati, quasi allucinati, iniettati di un rosso ardente e male auspicante.

 

“Ammiri la mia opera, giovane egizio?” –Ridacchiò infine questa donna, muovendosi avanti e spostandosi i lunghi capelli biondi dietro la schiena. –“Vivendo qua, in queste aride terre, di certo non avrai mai avuto il piacere di incontrarlo, ma quest’uomo che vedi qua ritratto è il figlio di Zeus Olimpio, ritratto il giorno in cui gli feci perdere la ragione! È una storia che immagino tu non conosca e con cui non voglio tediarti, mi limiterò solo a raccontarti il finale!” –Aggiunse, portandosi a pochi passi dal Faraone delle Sabbie, che non riusciva a muoversi, inchiodato a terra da un enorme potere psichico. –“Egli impazzì!” –Sibilò la donna, prima di abbandonarsi a una sonora sghignazzata, piegando il ragazzo a terra, che si portò le mani alla testa, scuotendola disperato.

 

“Ermanubi!!!” –Intervenne allora Iside, muovendosi verso di lui, cinta dall’ultimo plotone di Soldati del Sole che resisteva a sua difesa.

 

“Dunque questo è il tuo nome, Ermanubi dello Sciacallo?!” –Le disse la donna dal biondo crine, chinandosi su di lui e sfiorandogli il mento, sì da sollevargli la testa e permetterle di ammirarne compiaciuta lo sguardo. –“Quale coincidenza! Perché proprio uno sciacallo sei adesso diventato e quelle alle tue spalle sono carogne su cui devi avventarti! Divorale! Sbranale! Squartale in pezzi così piccoli da renderli irriconoscibili! Ah ah ah!” –Rise infervorata la guerriera, mentre il giovane si rimetteva in piedi, voltandosi verso Iside e i suoi compagni e fissandoli con occhi vitrei, che parvero loro spiritati. Non disse niente, limitandosi a scattare avanti, le mani artigliate ricolme di energia cosmica, scagliandosi sulle guardie a protezione di Iside, massacrandole una dopo l’altra.

 

“Ermanubi, fermati!!!” –Gridò la madre di Horus, affranta, prima che le due nemiche balzassero su di lei, afferrandola per le braccia e immobilizzandola in una spirale di cosmi oscuri, che presto piegò l’indebolita Divinità a terra.

 

“Nutriti, Ermanubi, nutriti di questa bella carcassa!” –Ringhiò colei che aveva preso possesso della mente del giovane, invitandolo ad avvicinarsi e a sfoderare le zanne.

 

Iside lo fissò per un’ultima volta, notandone lo sguardo indemoniato, e capì che la sua ora era giunta. Riuscì soltanto a pensare a Osiride, che presto avrebbe abbracciato di nuovo, e a Horus e Febo, augurandosi che potessero vivere a lungo, prima che il braccio teso di Ermanubi dello Sciacallo le trapassasse lo sterno, facendole vomitare sangue.

 

***

 

“Madre!!!” –Mormorò Febo, tendendo d’istinto i sensi e voltandosi verso le mura di Karnak, dal cui interno percepiva scontri in atto.


“Attento, Febo!!!” –Gridò il compagno, balzando su di lui e afferrandolo un attimo prima che il potente pugno del gigantesco nemico lo schiacciasse nel suolo sabbioso. –“Che stai facendo? Non distrarti!” –Lo redarguì Marins, rimettendosi al qual tempo in piedi e bruciando il proprio cosmo lucente. –“Maremoto dei mari azzurri!!!” –Urlò, liberando un gorgo di energia che si abbatté su un gruppetto di Lestrigoni che li aveva presi di mira, scagliandoli lontano, contro il resto del loro esercito.

 

“Ho percepito qualcosa… Un’ombra ha varcato la soglia di Karnak! Più d’una, in verità! E mia madre… Iside… lei sta languendo!” –Mormorò il biondo Cavaliere del Sole, gli occhi umettati di lacrime. –“Devo andare da lei! Devo salvarla!”

 

Marins rimase per un istante ad osservare il compagno, riflettendo sul da farsi. Andrei stava ancora fronteggiando il terribile Demone della Guerra, in uno scontro destinato a procrastinarsi fino alla distruzione di uno dei contendenti; Horus e la Dea Gatta, poco distanti, stavano tenendo impegnata l’agile Chimera e Sin degli Accadi stava guidando i Soldati del Sole in uno scontro frontale con l’Armata delle Tenebre. Loro avevano i Lestrigoni di cui occuparsi, quei grossi guerrieri coperti di placche resistenti in grado di deviare la maggior parte degli attacchi comuni. Come potevano abbandonare i compagni? Pur tuttavia Marins comprese le esigenze dell’amico, il bisogno di salvare una persona che per lui significava tutto, per lui era la madre.

 

“Io non ho parenti in vita!” –Commentò il Cavaliere dei Mari Azzurri. –“Soltanto una lontana zia, che ormai si sarà dimenticata di me! Cara zia Susy, chissà come sta, se ha trovato uno spicchio di felicità che solo i libri parevano offrirle! Non ho felici ricordi di famiglia cui aggrapparmi, ma ti aiuterò per proteggere la tua, amico mio!”

 

Febo sorrise all’ennesima dimostrazione d’affetto che li legava, prima di voltarsi entrambi verso una coppia di Lestrigoni che torreggiava alle loro spalle, le braccia già sollevate per pestarli. Non dovettero neppure liberare i loro colpi segreti che dorate scariche energetiche avvolsero i due colossi, aprendo crepe nelle loro corazze e facendo schizzar fuori sangue e materiale organico. Marins approfittò del momento per trafiggerli entrambi al costato con il Talismano da lui custodito, osservandone poi i robusti corpi crollare nella sabbia e rivelando la figura ammantata di luce che era giunta in loro aiuto.

 

“Ho udito anch’io il lamento che si leva dalle mura di Karnak! Andate, Cavalieri di Avalon, e proteggete chi avete caro! Ioria del Leone vi guarderà le spalle!”

 

“Ti ringrazio, Cavaliere di Leo! La stessa nobiltà che intravidi quel giorno nel cuore di tuo fratello regna in te!” –Commentò il figlio di Amon Ra, prima di scambiarsi un ultimo cenno d’assenso con Marins e sfrecciare via, lungo il Viale delle Sfingi di Karnak, attorno al quale violenti scontri erano in corso.

 

***

 

Non appena ebbero varcato la soglia monumentale che si apriva sul grande cortile porticato, Febo e Marins impallidirono di fronte alla carneficina appena consumatasi. Un centinaio di Soldati del Sole giacevano a terra, in posizioni scomposte, le vesti stracciate, i corpi smembrati, il sangue che macchiava il suolo e le mura esterne della Sala Ipostila. Là dove un tempo i fedeli e i visitatori che giungevano a Karnak potevano ammirare magnifici bassorilievi che illustravano scene di battaglia, i trionfi dello splendente Amon sull’oscuro Apopi, adesso baluginavano macabri i resti di coloro che per il Dio del Sole avevano dato la vita.

 

Marins deglutì a fatica, nauseato da quell’orrore, da tutta quella violenza gratuita che non aveva ragione d’essere; fece per dire qualcosa, per consolare Febo al suo fianco, ma questi, chiudendo le mani a pugno, stava già avanzando, nel mucchio di cadaveri, sincerandosi con un rapido sguardo se vi fosse qualche superstite. Quindi, drizzando i sensi, percepì due violenti scontri in atto, uno all’interno della Sala Ipostila e uno all’esterno, vicino alla pozza sacra ad Amon, dove sua madre era solita pregare.

 

Costretto ad una scelta, Febo decise di fidarsi di suo padre, ben sapendo che pochi avversari sarebbero stati in grado di impensierirlo; ma quando si mosse verso il Cortile del Nascondiglio, il tocco apprensivo della mano di Marins lo sfiorò, dando voce ai suoi pensieri.

 

“Ricordi le parole di Avalon durante l’assemblea dell’alleanza? Nessuno può uccidere un Angelo. Sarà vero?

 

Febo non rispose alcunché, avendo percepito anch’egli l’oscurità che si annidava tra i colonnati della Sala Ipostila. Un cosmo terribilmente oscuro, striato di sangue, che temettero entrambi di conoscere.

 

Un grido di donna mise fine alle loro esitazioni, portandoli a scattare attraverso il Cortile del Nascondiglio, raggiungendo infine il cuore di Karnak, il lago sacro ad Amon Ra, benedetto dalle luci del sole sorgente. Là, sulle sponde ormai macchiate di sangue, giaceva la Dea che aveva cresciuto Febo, prendendosi cura di lui come una madre, massacrata dalla violenza di un uomo in armatura rossa e da due donne rivestite di scure corazze. Inorridendo, il Cavaliere del Sole riconobbe nel carnefice di Iside uno dei guerrieri di suo padre, mentre Marins, rimasto pochi passi alle sue spalle, scrutava guardingo le snelle sagome di coloro che stavano riempiendo di calci il deturpato corpo di Iside, cercando di non notare i cadaveri massacrati dei Soldati del Sole che costellavano il cortile.

 

“Come osate?!” –Tuonò Febo, espandendo all’istante il proprio cosmo.

 

“Oh bene, sorella! Sembra che finalmente avremo modo di divertirci, con due giovani che non sono affatto male! Cosa ne pensi?!” –Sghignazzò una delle due, con mossi capelli rossicci, che parevano tinti col sangue delle sue vittime.

 

“Sai bene che ho un debole per i biondi!” –Ridacchiò l’altra. –“Rimpiango che il Maestro del Caos non ci abbia fatto partecipare al Ragnarök! Chissà quanti biondi vichinghi avremmo potuto conoscere!”

 

“Tacete, demoni della peggior specie!!!” –Ruggì il Cavaliere del Sole, sollevando un braccio al cielo, sul cui palmo aperto una sfera di ruggente energia rossastra apparve all’istante, prima che il ragazzo la dirigesse verso le due guerriere.

 

Svelte furono entrambe a scattare di lato, lasciando che il globo incandescente esplodesse nella pozza alle loro spalle, ma Febo non diede loro tempo di rifiatare, scattando avanti, già con una nuova sfera di energia in mano. La donna dai capelli biondi, su cui il figlio di Amon si avventò, reagì con un’identica sfera energetica, lasciando che le due detonassero violentemente, spingendo entrambi indietro. Non riuscì, la compagna dalla chioma sanguigna, ad accorrere in suo aiuto, bloccata sul posto dalla carica di Marins, che la colpì con una spallata, schiantandola contro la statua dedicata allo Scarabeo Sacro. Se non fosse stata lesta di riflessi, la donna vi sarebbe rimasta conficcata, trapassata dal luminoso tridente che il Cavaliere dei Mari Azzurri subito scagliò su di lei, costringendola a muoversi ancora.

 

“Pare che ben più combattive prede abbiamo infine trovato!” –Commentò allora. –“Ero stufa di quegli insulsi soldati, ai miei occhi carne da macello, niente più!”

 

“Non denigrare coloro che con devozione e coraggio hanno combattuto per difendere il tempio sacro a mio padre, donna! Non hai rispetto per la vita?” –Declamò Febo.

 

“Tuo padre?! Dunque sei tu il famoso Febo, il bastardo che Amon ebbe da una donna greca, suscitando le ire di Apollo?! Ti sei ben conservato per avere… quanti? Mille anni?!”

 

“La tua ironia è fuori luogo! Prepara le difese, invece!” –Rispose il Cavaliere del Sole, presto affiancato dal compagno, mentre anche le due donne si radunavano tra loro e una delle due sbraitava qualche ordine al guerriero in armatura rossa, rimasto immobile accanto al corpo massacrato di Iside. –“Ma quello… Ermanubi dello Sciacallo?! Cosa fai con loro? Perché combatti dalla loro parte?!”

 

Il Faraone delle Sabbie non disse alcunché, limitandosi a scattare avanti, le braccia artigliate pronte per ghermire il biondo figlio di Amon, che esitò un momento, non desiderando colpire colui che, fino a quel momento, aveva sempre considerato un fedele servitore di suo padre. Fu Marins a intervenire a sua difesa, posizionandosi di fronte all’amico e investendo Ermanubi con un vorticante globo di energia azzurra, che lo travolse in pieno, sradicandolo da terra e schiantandolo poi dentro la pozza sacra ad Amon, con l’armatura distrutta in più punti.

 

Perdonami…” –Mormorò quindi, rilassando le braccia e ottenendo al qual tempo un gesto di stanco assenso da parte del compagno.

 

“Ben fatto, Cavaliere azzurro! Adesso siamo rimasti in quattro, numero perfetto per uno scontro incrociato! Chissà potremmo anche divertirci a scambiarci gli avversari, pratica a cui mia sorella ed io siamo solite abbandonarci quando gli uomini ci stufano! Ah ah ah!” –Rise sguaiata la guerriera dai capelli vermigli, che parvero agitarsi, mossi da un vento oscuro, quasi fossero la chioma di una Gorgone. –“Da quale preferisci iniziare sorella? Dal bastardo o dal marinaio?”

 

“Chi siete?!” –Tuonò infine Febo.

 

“Che sbadate, non ci siamo presentate! Permettetemi di rimediare a quest’increscioso errore prima di scatenarci in una mortale quadriglia!” –Sibilò allora la donna bionda, avanzando verso i due Cavalieri, che subito alzarono le braccia in posizione di guardia. –“Il mio nome è Lissa, Dea della Rabbia e del Furore cieco! E la mia deliziosa sorella è Keres, meglio nota come morte violenta! Siamo le più potenti delle Astrazioni, figlie di Nyx, Signora della Notte e Prima Dea! E ora che conoscete il nostro nome, potete morire!” –Ringhiò, scattando avanti, i pugni chiusi e sfrigolanti una potente energia cosmica, obbligando Febo e Marins a scartare di lato.

 

Subito il Cavaliere dei Mari Azzurri evocò un globo di energia celeste, che turbinò di fronte a sé prima di scagliarlo contro la Dea della Rabbia, che neppure si mosse, spalancando le braccia di lato e investendo l’attacco con un’onda di energia, che lo disperse e scaraventò persino il ragazzo indietro.

 

No! Analizzò, rialzandosi all’istante. Non è stata un’onda di energia, è stata un’onda sonica! Un urlo quasi, che non è uscito dalle sue labbra, bensì… dalla sua armatura?! Sgranò gli occhi, osservando lo sguardo inebriato di follia dipinto sul pettorale della nemica, uno sguardo che apparteneva ad un uomo che credeva di aver già visto, senza ricordare quando e dove. Solo allora si accorse che Febo era stato intrappolato, avvinto da lunghi filamenti rossastri e sbattuto a terra, sotto il tacco divertito della Dea chiamata Keres.

 

“Smettila di dimenarti, bel biondino! Il tocco dei miei capelli non ti aggrada, forse?! Non sono delicati come la chioma della regina Berenice ma di certo sanno come catturare l’attenzione degli uomini! Eh eh eh!” –Ridacchiò questa, continuando ad avvolgere il corpo del Cavaliere del Sole nella sua folta capigliatura, che si era animata e allungata, come sinuosi serpenti, fino a stritolarlo nella sua morsa, lasciando libero soltanto il volto, e neppure tutto. Solo una sottile striscia che attorniava gli occhi, permettendo a Febo di continuare a vedere. E quello che vide fu l’abominevole dipinto di un uomo dallo sguardo indemoniato che si avvicinava minaccioso, mentre Lissa sghignazzava, avvolta nel suo cosmo oscuro.

 

Keres, sorella, forse il bastardo di Karnak preferisce il tocco delle mie labbra! Lasciami verificare!” –Frusciò, chinandosi sul giovane e posandogli un bacio in mezzo agli occhi, saturo di tutta la sua tenebrosa potenza. Bastò quel contatto a far esplodere il cosmo di Febo, che avvampò come astro nascente incendiando la rossiccia chioma che lo imprigionava e forzando le Astrazioni a balzare indietro, per non essere ustionate dall’impetuosa corona di fuoco che l’aveva avvolto. Respirando a fatica, il Cavaliere di Avalon fece per rialzarsi, quando percepì un improvviso peso sul cuore, che lo piegò di nuovo, costringendolo a poggiare un ginocchio a terra.


Febo!!!” –Lo chiamò allora Marins, avanzando verso di lui, prima che l’agile salto di Keres gli chiudesse ogni accesso al compagno. –“Stammi lontana, strega!!!” –Avvampò, mulinando il Tridente dei Mari Azzurri e mirando al cuore della Dea, che, bruciando il proprio cosmo oscuro, ne frenò l’impatto, afferrandone le punte con le mani, incurante dello stridore di quell’arcaico metallo sulle dita e del ruscellare del proprio sangue divino.

 

“Spiacente, ragazzo, ma dovresti aver capito che io non possiedo un cuore!” –Sghignazzò, spingendo lontano il Talismano, di cui Marins perse la presa, e gettandolo in acqua, prima di avventarsi sul ragazzo e tempestarlo di artigli di energia incandescente. Un destro dietro l’altro permise a Keres di scaraventarlo contro la statua di Kepri, abbattendola all’impatto, e là inchiodandocelo, trafitto al costato da potenti unghioni energetici.

 

Keres! No!!!” –Urlò allora Lissa, richiamando la sorella. –“Trattieni la tua furia! Lascia che sia il bastardo a sbarazzarsi dell’amico del cuore! Lascia che sia il responsabile della fine di Amon e di Karnak ad affossare definitivamente il regno di suo padre!”

 

A quelle parole Keres ridacchiò, voltandosi verso la Dea della Rabbia, in piedi accanto al corpo sofferente di Febo. Anche Marins levò lo sguardo, senza capire cosa stesse davvero guardando, senza capire come poteva quell’infingarda Divinità aver prostrato il compagno, spegnendo in lui ogni fiamma vitale, ogni desiderio di lotta in difesa della propria famiglia, della propria terra. Con orrore, il giovane americano vide Febo alzarsi infine in piedi, lo sguardo privo di ogni raziocinio, gli occhi sgranati e sofferenti, intrisi di una follia che non gli era propria. La stessa follia che Marins aveva rimirato poco prima in Ermanubi dello Sciacallo e nella testa pitturata sulla corazza di Lissa. E allora capì quel che era accaduto.

 

Lissa… Dea del Furore Cieco! Ora mi ricordo di te!” –Mormorò, sputando sangue sul braccio di Keres, che ancora lo teneva bloccato contro il basamento della statua di Kepri. –“Sei la Divinità che conduce al delirio, alla rabbia, alla perdita di sé, uomini e animali! Fosti tu ad aizzare i cani contro Atteone, reo di aver visto l’adorata Artemide nuda? E ugualmente tu instillasti la pazzia nel Sommo Eracle, portandolo ad uccidere i suoi stessi figli! Adesso riconosco il volto che porti, con ignominioso onore, dipinto sul petto! Il volto di Eracle impazzito e furioso!”

 

“Il volto del mio più grande successo!!!” –Sghignazzò la Dea, carezzando i capelli del biondo Cavaliere di Avalon. –“Riuscire a piegare persino la mente di un coriaceo semidio quale Eracle era a quel tempo! Al confronto, piegare la psiche di questo ragazzo è stato un gioco, poiché essa era già malata!”

 

Cosa… vuoi dire?!” –Rantolò Marins, spostando lo sguardo sull’amico.

 

“Quel che ho detto! Ben poco ho dovuto fare in verità, poiché il bastardo già si riteneva colpevole della caduta in miseria del padre! Ma di certo, tu che gli sei amico, lo saprai! Saprai che, a causa della sua nascita vi furono spaccature nel pantheon egizio e molti Dei, fino ad allora alleati di Amon Ra, lo abbandonarono, andando per la loro strada e contribuendo al degrado culturale e religioso di queste terre, degrado che divenne abbandono quando il Nume del Sole prese la netta decisione di uscire dal tempo! E sempre a causa sua sofferenza e morte sono tornate a regnare a Karnak, portando Osiride e la sua sposa amata alla morte! Ah ah ah! In un animo tormentato come quello dell’amico cui così tanto sei devoto, la scintilla della pazzia era già presente, attendeva solo di essere accesa! Divampa, adesso, follia!!!” –Strillò Lissa, espandendo il proprio cosmo oscuro, che avvolse il corpo del Cavaliere del Sole, sopraffacendone la luce.

 

Nnn… Nooo!!!” –Gridò allora Marins, liberandosi dalla morsa di Keres con un vortice di energia acquatica, che sorse ratto attorno a sé, sollevando la Dea e spingendola indietro, mentre il Tridente dei Mari Azzurri sfrecciava di nuovo nelle sue mani.

 

“Non a me devi mirare, baldo giovane, bensì all’amico tuo!” –Sogghignò Lissa, mentre Febo, dallo sguardo spiritato, avanzava a passo malfermo, fino a portarsi di fronte a Marins.

 

Febo…” –Mormorò quest’ultimo, incapace di affondare l’arma nel petto del compagno.

 

“Devi ucciderlo o lui ucciderà te!” –Sibilò compiaciuta la Dea del Furore Cieco.

 

“Ti sbagli! Non accadrà!” –Rispose Marins, lasciando cadere a terra il Talismano e stringendo forte una mano di Febo, infondendogli il suo cristallino cosmo azzurro. –“Né ora né mai leverò la mano su un amico, tanto più contro il migliore che ho! Febo, risvegliati, so che puoi sentirmi! L’ombra di Lissa è una nube che il tuo cosmo luminoso può dissolvere in un battito di ciglia! Sei il figlio del sole d’Egitto e soprattutto sei un amico, da sempre dedito a combattere per nobili cause e difendere coloro che hai cari! Non incolparti della morte di Osiride, né di Iside, ma pensa a quelli che possiamo ancora salvare! Pensa a tuo padre, che affronta l’ombra nella Sala Ipostila, a tuo fratello Horus che ancora affanna contro l’Esercito delle Tenebre, e a me, che ti sono amico! Pensa alla tua famiglia e lotta per questo!”

 

“Sprechi il fiato, ragazzo…” –Ringhiò allora Keres, balzando sul Cavaliere dei Mari Azzurri. –“In quanto a me, sono stanca di aspettare, stanca dei tuoi trucchi, Lissa! Io sono qui per uccidere e trucidare! E ora… muori!!!” –Avvampò, mentre Marins si dimenava sotto di lei, allungando il braccio destro per recuperare il Tridente dei Mari, ma venendo inchiodato al suolo dagli artigli incandescenti della Dea.

 

“Muori tu, invece!!!” –Esclamò una voce tirando su di peso Keres dal corpo del ragazzo e scagliandola in aria, prima che una sfera di ardente energia la raggiungesse, distruggendo la sua corazza e facendola precipitare al centro della pozza sacra. –“La lascio a te, Marins! Io ho un conto in sospeso con Lissa…” –Aggiunse Febo, il cui cosmo riluceva adesso di una vivida fiamma di speranza.

 

“Lieto di riaverti tra noi!” –Sorrise il compagno, rimettendosi in piedi, con il Tridente dei Mari Azzurri saldo nella mano destra.

 

“Merito tuo!” –Rispose Febo, prima di voltarsi verso Lissa e piantarle uno sguardo fiammeggiante addosso. Uno sguardo di una potenza tale da schiantarla contro i resti del colonnato abbattuto del Cortile del Nascondiglio, mentre alte fiamme si levarono subito attorno a lei. –“La tua visione delle cose, il modo in cui contorci la realtà, è solo un punto di vista, e come tale è opinabile! Qualcuno ritiene che gli Dei, per la loro superiorità rispetto alle cose umane, rappresentino l’immutabilità, la fissità rispetto al cambiamento; eppure io, che di un Dio sono figlio, ho sempre ammirato il coraggio che mio padre ha avuto di cambiare, di reinventare se stesso, gettandosi alle spalle un funesto passato! Per quel coraggio, per quel mutamento intervenuto in lui, allo scopo di dare un futuro a me e alle genti di Karnak, io combatto! Sono il figlio del Sole d’Egitto, e tu, miserabile Astrazione che godi dei tormenti altrui, sarai la prima ad ammirare la mia luce!!! Ammira lo splendore dell’Occhio di Ra!!!” –Declamò, sollevandosi a mezz’aria, con entrambe le braccia alzate al cielo, quasi a reggere una figura di puro cosmo simile ad un occhio spalancato, da cui sorsero vivide lingue di fuoco, abbattendosi su Lissa, che ancora claudicava nel rialzarsi, e incenerendola all’istante.

 

Con un grido atroce, nient’affatto dissimile da quello cui le sue vittime si abbandonavano quando ritrovavano la lucidità, consapevoli del male commesso mentre erano stati travolti dalla pazzia, la Dea del Furore Cieco arse, consumandosi in un’unica fiammata, lasciando di sé soltanto resti carbonizzati dell’armatura, su cui il volto di Eracle ormai non strillava più.

 

“Io non sono un bastardo!” –Commentò Febo, planando a terra, fiero di aver avuto ragione anche di quell’epiteto che a lungo aveva marchiato la sua esistenza. soprattutto in giovane età.

 

“Vermi infami, siate maledetti!!!” –Rantolò allora Keres, con la corazza danneggiata, cercando di uscire dal lago di Amon.

 

“Resta lì! Lascia che siano le acque della pozza sacra, che hai inquinato con la tua sola presenza, a occuparsi di te!” –Parlò Marins, ergendosi di fronte a lei, avvolto nel proprio cosmo azzurro. Socchiuse gli occhi, mentre immense colonne di energia acquatica si sollevavano attorno alla Dea, che si guardò attorno per la prima volta con sguardo smarrito, incapace di trovare una via di fuga in quella muraglia azzurra che la circondò all’istante, precipitando su di lei e schiacciandola in imperiose spire. –“Maremoto dei mari azzurri!!!” –Tuonò il Cavaliere di Avalon, gettandola di nuovo in alto, travolta da potenti marosi che la stramazzarono contro le mura esterne del tempio di Amon, facendole crollare su di lei.

 

Madre…” –Udì allora Febo mormorare, voltandosi e trovando l’amico chino sul corpo spezzato della Signora della Maternità. –“Sono arrivato tardi, perdonatemi…” –Singhiozzò il ragazzo, carezzando il volto spento della Dea. –“Voi mi avete sempre sorretto, difeso, cullato quando ero bambino, e io vi ho ricambiato conducendo voi e il vostro sposo alla morte!”

 

Febo…” –Sussurrò la fioca voce di Iside, stupendo il ragazzo che non credeva fosse ancora viva. –“Sbagli… In verità, sei arrivato in tempo.” –Aggiunse, sorridendogli, prima di spegnersi tra le sue braccia.

 

Il Cavaliere del Sole, in lacrime, la chiamò più e più volte, ma la Dea ormai se ne era andata, abbandonando quelle spoglie mortali e scendendo in Amenti, ove avrebbe ritrovato il suo sposo e con lui sarebbe rimasta, a proteggere Febo e Horus da lontano. Convinto di quella certezza, Marins affiancò l’amico, sfiorandogli la spalla con una mano e portandolo a voltarsi verso di lui, accennandogli un sorriso stanco ma sentito.

 

Proprio allora un boato gigantesco anticipò l’esplodere del soffitto della Sala Ipostila, ove, entrambi lo percepirono chiaramente, un devastante scontro di cosmi era ancora in atto. Uno scontro tra l’ombra e la luce.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo ventitreesimo: Le risorse di Atena. ***


CAPITOLO VENTITREESIMO: LE RISORSE DI ATENA.

 

Il modo in cui i Cavalieri di Atena avevano ferito Atlante aveva stupito la Dea del Giorno, non ritenendo possibile un simile atto di sacrificio, quasi di pazzia. Assisa sulla Meridiana dello Zodiaco, si era persino alzata in piedi quando il corno d’argento aveva perforato il fianco del gigante, facendolo latrare di disperazione, ed aveva strabuzzato gli occhi quando i difensori del tempio avevano unito i cosmi in un’unica barriera difensiva, uno sforzo titanico a cui suo fratello aveva posto fine con un semplice schioccar di dita.

 

Ma anche adesso non si arrendevano, ancora affannavano nel rialzarsi, decisi a fare l’impossibile pur di impedire ad Atlante di avanzare. Incuriosita, Emera continuò ad osservarli, senza capirli, senza capire cosa li facesse agire, quegli stupidi, patetici esseri umani. Fu allora che vide un bambino dai ricci capelli castani farsi strada tra le macerie, usando limitati poteri di telecinesi per fermare il crollo di rocce e mura sui soldati, spostandoli poi al sicuro, aiutato da una ragazza con il volto coperto da una maschera. Un’altra probabile Sacerdotessa, la cui corazza era segnata dalle ferite riportate nello scontro con il titano, stava incitando il resto dei soldati ad andarsene, usando quel poco che restava del suo misero cosmo per lenire le loro ferite, strappando un sorriso o smorzando un gemito a quelle deboli creature. Eppure, per quanto deboli e insignificanti, quegli esseri si stavano rialzando, per lottare ancora.

 

I due Cavalieri d’Oro, dalle corazze ormai offuscate dalla polvere, dal sangue e dalla lotta furiosa, stavano radunando le forze, assieme ad un uomo smilzo dai lunghi capelli neri, mentre alle loro spalle una donna dai capelli amaranto faticava nel tirar fuori dalla macerie dei ragazzi più giovani di lei. Il tutto con l’ombra di Atlante incombente su di loro.

 

Emera avrebbe quasi voluto gridare loro di scappare, di fuggire via da quell’inferno in cui loro stessi avevano voluto precipitare. Soprattutto alla donna dai capelli fulvi, che tanto si affannava per liberare quei ragazzetti feriti, mentre la mano del titano stava per calare su di lei. In un tripudio di luce, i tre Cavalieri più potenti ne rallentarono la corsa, proteggendo la sacerdotessa con una cupola di energia e poi sollevandosi in aria e dirigendo nuovi attacchi luminosi verso il volto del titano.

 

La Dea sospirò, prima di udire, nel silenzio soffocato della sua anima, delle voci parlarle.

 

“Volevi sapere cos’era l’amore? Il più potente sentimento umano? Volevi capire perché gli uomini si affannassero tanto a vivere, si intestardissero per godere di quei pochi attimi di felicità concessi loro di fronte all’eternità del tempo cosmico? Allora osservali, madre, penetra a fondo la loro natura e ne comprenderai il mistero!”

 

Emera si guardò intorno, cercando di capire chi avesse parlato, ma non percepì alcuna presenza. Solo il rinnovarsi dello scontro tra Atena e Etere alla Tredicesima Casa.

 

***

 

Nicole dell’Altare era senza fiato.

 

Era bastato che il Nume gli rivolgesse uno sguardo per inchiodarlo a terra, e che socchiudesse appena le palpebre per aumentare la pressione energetica su di lui, schiantando l’armatura d’argento in più punti e prostrandolo in ginocchio. Sospirando sconsolato, l’attendente di Atena guardò i frammenti della corazza sparsi attorno a lui, dispiacendosi per non essere un guerriero energico e abile come Pegasus e i suoi compagni, ma alla lotta armata aveva sempre preferito lo studio, convinto propugnatore della superiorità dell’intelletto sulla forza bruta.

 

Quando Arles aveva affidato a Magellano la missione in Africa, Nicole aveva preferito restare ad Atene, separandosi così dai compagni Regor e Kama. Ma il precedente Cavaliere dell’Altare, ormai troppo vecchio e impegnato a prendersi cura del Sacerdote, non poteva assumersi l’onere di addestrare un allievo, limitandosi a iniziarlo ai segreti della Biblioteca. Così Nicole era cresciuto da solo, negli archivi del Grande Tempio, nutrendosi di quella conoscenza che a pochi interessava, persino al Grande Sacerdote, che solo in seguito avrebbe appreso essere Gemini. E adesso doveva usare quella conoscenza acquisita per sconfiggere Etere o, quantomeno, per permettere ad Atena di andarsene. Sì, quella era la sua missione, la missione del Cavaliere dell’Altare, proteggere il massimo officiante della Dea o la Dea stessa, dando la vita per la causa.

 

“Contempla, figlia di Zeus, la fine del Santuario da te eretto secoli or sono!” –Declamò allora Etere, librandosi alto nel cielo pomeridiano. –“I tuoi Cavalieri stanno cadendo, uno ad uno, percepisco la loro energia affievolirsi sempre più, e gli uomini su cui facevi affidamento certo non potranno aver ragione della progenie di Giapeto! Troppo in alto hanno mirato, stolti! Sarebbero potuti fuggire, non vi sarebbe stata viltà, poiché non prendere la loro vita ci preme, bensì radere al suolo questo luogo di culto decaduto! Perché combattere dunque?”

 

Fu Nicole a rispondere, ergendosi a fatica a fianco della Dea. –“Per un ideale!” –Affermò, espandendo il cosmo argenteo. –“Fiat lux!!!” –Gridò, il palmo della mano destra aperto verso il cielo.

 

In quel momento le costellazioni dello zodiaco presero a brillare intensamente, così intensamente da scalfire la cappa cinerea che rivestiva la Terra, tornando a proiettare la loro dorata sagoma nel cielo nero, donando nuovo coraggio e vigore a tutti coloro che ancora lottavano sul pianeta. Dalla stella principale di ogni costellazione scaturì un raggio di energia, che piombò su Etere, trapassandolo e inchiodandolo sul posto, mentre anche dalle Dodici Case, da ciascuna di esse, un nuovo fascio di luce si sollevava, unendosi ai precedenti e bloccando il Nume in quell’inconsueta prigione.

 

Cosa… accade?!” –Balbettò, per la prima volta sorpreso, non riuscendo a muoversi.

 

“La difesa ultima del Santuario, istituita dai primi Grandi Sacerdoti per proteggere il regno anche in assenza della Dea!” –Spiegò il Cavaliere dell’Altare. –“Può attivarsi solo dopo la morte dei dodici Cavalieri d’Oro o al comando dell’officiante supremo, colui che ne conosce il rito!”

 

“E saresti tu, miserabile essere umano? Come osi offendere il Portatore di Luce?!” 

 

“Già una volta, mesi addietro, lo attivai, quando Eos e i Quattro Venti invasero il Grande Tempio per ordine del falso Zeus! Nascosto nella Biblioteca, mi costò un grande sforzo e riuscii solo a ferire la Dea dell’Aurora, crollando al termine della prova, consapevole di dover accrescere il mio cosmo, di dover migliorare ancora per essere in grado di padroneggiare al meglio questa ancestrale tecnica! Ma contro un Nume del vostro calibro, non posso esitare! Darò tutto me stesso!”

 

Nicole…” –Mormorò Atena, osservandone preoccupata il volto madido di sudore e percependo la tensione nel suo cosmo. –“Non rischiare… non…

 

“Andate via, Atena! Andatevene ora! Raggiungete vostro padre e Pegasus, loro vi proteggeranno!!!” –La incitò il Cavaliere dell’Altare, mentre in cielo Etere ruggiva furioso per essere stato ingannato da quel semplice mortale, costretto a bruciare per la prima volta il proprio cosmo divino.

 

Io… non posso abbandonarti! Non posso abbandonare i miei Cavalieri!!!”

 

“Fuggite, Atena! Non potrò trattenerlo ancora per molto!!! È uno dei Progenitori! Persino questa tecnica è misera cosa per lui!”

 

“Dici il vero!” –Commentò allora una delicata voce di donna, mentre una bianca figura si avvicinò al fratello, avendo cura di tenersi a debita distanza da quei raggi incandescenti. –“Mira, officiante di Atena, la follia del tuo gesto ultimo! Mira la fine del regno che eri preposto a presiedere!” –Così dicendo, Emera generò un’enorme sfera di energia biancastra, che scagliò contro la ripida scalinata che dalla Tredicesima Casa scendeva verso la Dodicesima, fagocitandola all’istante.

 

Nicole e Atena poterono solo osservare l’immenso globo di energia sradicare roccia e gradini di marmo, spezzandoli, frantumandoli e lasciando soltanto un profondo cratere, prima di abbattersi sulla Casa dei Pesci e disintegrarla totalmente. In quel momento il Cavaliere dell’Altare percepì una stretta al cuore e sentì che il controllo della tecnica ancestrale si faceva sempre più blando, e infatti Etere iniziò a muovere le braccia. Quando poi l’ammasso di energia avvolse anche il tempio circolare, residenza di Acquarius, inglobandolo e riducendolo in schegge, l’attendente di Atena capì di aver perso.

 

Crollò sul freddo marmo, il cuore che gli batteva all’impazzata, proprio mentre i restanti raggi di energia vacillavano, disperdendosi poco dopo.

 

“Senza solide fondamenta, anche il potere più grande è destinato a svanire!” –Sentenziò Emera, lasciando esplodere il globo di energia, che abbagliò l’intero Grande Tempio, obbligando tutti i contendenti a pararsi gli occhi come potevano. Quando la luce si diradò, Atena poté rimirare sconvolta la devastazione portata dalla Dea del Giorno. Sporgendosi cauta dal piazzale di fronte alla Tredicesima Casa vide un crepaccio immenso separare l’ultima struttura dagli altri Templi dello Zodiaco, un vuoto paragonabile solo a quello che le riempì il cuore in quel momento, umettandole gli occhi di calde lacrime.

 

“Non avete dunque rispetto?!” –Esclamò allora Nicole, rimettendosi in piedi a fatica. –“Devastare questo luogo sacro, calpestando la memoria di coloro che hanno dato la vita affinché rimanesse integro e inviolato, non piegherà la nostra determinazione, né quella di Atena! Ci farete soffrire, ci farete odiare, ma non ci farete mai cedere! Fiat…” –Ma prima ancora che il Cavaliere potesse terminare di parlare, già Etere lo aveva colpito, trapassandolo al costato con un sottile raggio di energia. –“Lux!” –Aggiunse, cadendo sulle ginocchia, un rivolo di sangue che gli colava dalla bocca, la forza vitale che pareva abbandonarlo.

 

“Nicole!!! Oh, no!!!” –Pianse la Dea, cingendolo in un tenero abbraccio.

 

Non… piangete, Atena! Ricordate le vostre parole, quelle che avete pronunciato alla venuta di Etere? Come voi siete sempre stata disposta ad offrire la vita per coloro che amate, ugualmente noi, vostri Cavalieri, faremo altrettanto! Amicizia, giustizia e vittoria sono i valori che condividiamo… valori che fanno capo a voi, Atena! Valori che le Dee, le vostre amiche, vi hanno lasciato. Ricordate?!” –Balbettò il Cavaliere d’Argento, sputando sangue, prima di accasciarsi tra le braccia della Dea. –“Non siete… sola!”

 

Atena rimase qualche istante china sul corpo senza vita del giovane, singhiozzando infelice e colpevole per non essere riuscita a proteggerlo, prima che la voce degli Dei di Luce la richiamasse, forzandola ad alzare lo sguardo su di loro, sguardo che, sembrò ai due fratelli, brillava adesso di una nuova determinazione.

 

“Ammirevole ma vano il gesto del tuo officiante, progenie di Zeus, poiché adesso lo raggiungerai e allora potrete abbracciarvi di nuovo! Per poco però, poiché presto, molto presto, quando Caos creerà un nuovo mondo persino l’eternità smetterà di esistere e esisterà un solo presente, il tempo degli Dei immacolati!” –Parlò Etere con voce distante. –“Pur tuttavia, l’audacia e la risolutezza di quell’uomo meritano di essere omaggiate! Così farò, Atena! Ti onorerò del mio colpo segreto, facendoti dono della beatitudine eterna! Pranava sabda!!!”

 

Un’onda di luce investì Atena, per quanto ella tentasse riparo dietro l’Egida, ma anziché essere spinta indietro o schiacciata a terra da quello che temeva essere un devastante attacco fisico, la Dea venne immersa in un oceano di candore, ove tutto riluceva puro e niveo. Si guardò attorno, ma non vide niente, come se il Santuario, Atene e i Cavalieri in battaglia non esistessero più. Li chiamò, li cercò con i sensi, ma non trovò altro che una calma infinita. Lento, ma costante, un suono le raggiunse il cuore, un suono che pareva racchiuderli tutti. Un suono di serenità, che la invitava a rinunciare a ogni difesa, abbandonandosi a quell’eterna pace, da lei a lungo cercata.

 

“Rinuncia ad ogni velleità bellica, figlia di Zeus, dimostra di essere davvero saggia e avveduta! Abbraccia la beatitudine infinita, accogli la quiete eterna dentro te!” –Cantilenarono voci angeliche, parlando direttamente al suo animo affranto. –“Lasciati cullare dal suono primordiale della creazione, lascia che rimuova ogni affanno, ogni macchia, ogni timore dal tuo cuore, ricreandoti nuova e perfetta, finalmente completa! Finalmente Dea!”

 

Io…” –Atena esitò, cercando di resistere a quell’armoniosa melodia che sapeva come cullarla, cercando di ricordare i motivi che la spingevano a lottare, che l’avevano spinta a secoli di lotte armate. Ma la potenza di quel suono, l’ancestrale solennità di quella beatitudine, le apparvero davvero ciò che aveva a lungo cercato, la fine del suo viaggio.

 

“Vi è una parola per indicare la condizione di serenità a cui sei giunta, Atena! Atarassia!” –Sorrise Etere, osservando la Dea crollare all’indietro, su una soffice nube di bianco cosmo, ninnata, cantilenata, baciata dalla perfezione del momento. Emera, al suo fianco, annuì compiaciuta, prima di afferrare la mano che il fratello le porgeva, pronti per sistemare l’ultima faccenda rimasta in sospeso. Cancellare il Grande Tempio della defunta Dea e coloro che ancora in nome suo lottavano.

 

“Atena! Destati, Atena!”

 

“Svegliati, amica mia! Non cedere adesso! Non ascoltare le lusinghe di Etere!”

 

Voci.

 

Voci note, voci lontane, voci distorte dal suono della creazione. Voci di donne che le sussurravano all’orecchio, voci che la incitavano a reagire, a rialzarsi, a resistere.

 

“L’atarassia che ti offre è solo una rinuncia, niente più! E tu non sei mai stata una rinunciataria!”

 

“Ti abbiamo osservato! Ti abbiamo protetto! Ti abbiamo consolato nelle notti senza stelle, quando credevi che solo morte lasciasse il tuo cammino dietro di te! E mai, nemmeno una volta, ti abbiamo visto desistere da un’impresa, pur disperata che fosse!”

 

“Non farlo adesso! Non ora… che siamo con te!”

 

D’un tratto Atena riaprì gli occhi, sollevandosi di scatto, quasi fosse appena uscita da un incubo. Volse lo sguardo attorno a sé, nella coltre di bianca beatitudine che ancora la avvolgeva, e la vide per la prima volta tingersi di grigio. Leggere, impalpabili ma reali sfumature di grigio che le roteavano attorno, affusolandosi attorno al suo corpo, carezzandola, alleviando le sue ferite, solleticandola a recuperare il controllo di sé e dei suoi obiettivi. Dovette scuotere la testa più volte per capire che quelle nubi fumose erano spiriti. Spiriti di Divinità.

 

“Ma voi…” –Mormorò Atena, iniziando a comprendere. Si fece strada tra le candide nebbie, guardandosi attorno ed espandendo il proprio cosmo, che diradò la fitta cortina in cui era immersa, permettendole di rivedere il pavimento marmoreo che conosceva bene. A tastoni, trovò il corpo di Nicole, disteso con la faccia a terra, e lo girò, scoprendo le ferite sul pettorale. Il grande cerchio di oricalco era stato distrutto, infranto dall’attacco di Etere, e proprio da lì fuoriuscivano quelle fumose essenze che l’avevano risvegliata. –“L’armatura dell’Altare… i sigilli degli Dei…

 

“Adesso comprendi, amica mia?!” –Parlò una delle tre voci, attorniando Atena, a cui parve quasi di vederne il volto, limpido e gentile, come era sempre stata con lei. Come era, in fondo, nella sua natura.

 

“Ancora viva?!” –Fu Etere questa volta a parlare, distratto dal riaccendersi del cosmo della figlia di Zeus. –“Ancora ti affanni, testarda e bellicosa, anziché capitolare all’oblio? Ipocrita e anche irriconoscente, avresti dovuto accettare il dono che ti ho offerto, sarebbe stata una morte lenta ma indolore! Cosa dovrò fare di te adesso?!”

 

“Fai la tua scelta, Etere! Io so quello che farò! Combattere per amore degli uomini!” –Esclamò la Vergine dai capelli viola, espandendo il cosmo e dissipando del tutto il bianco candore in cui era immersa, rivelando le tre sagome evanescenti che le fluttuavano attorno, sagome che né Etere né Emera parvero riconoscere all’inizio, sebbene ne percepissero l’essenza divina.

 

“Amicizia, giustizia e vittoria! Le tre Dee amiche di Atena, al cui fianco l’ombra han fronteggiato un tempo, sono infine libere dai sigilli che si erano imposte, per non cadere nelle mani dell’oscurità e per rimanere a fianco dell’unica Dea che ha sempre lottato per la libertà degli uomini!” –Declamò a gran voce una grigia evanescenza, assumendo la forma di una donna alta e snella, con angeliche ali affisse alla schiena e una lancia nella mano destra.

 

Che… cosa?!” –Esclamarono stupefatti gli Dei di Luce. –“Ma voi siete…?!”

 

“Nike, che è Vittoria!” –Affermò fiera colei che aveva appena parlato, allungando l’arma immateriale verso Atena, la quale, non appena afferratala, vide il proprio Scettro di Thule rialzarsi da terra, allungarsi e mutare forma, divenendo una vera e propria lancia, con la punta decorata da ali dorate.

 

Philotes, Personificazione dell’Amicizia!” –La affiancò subito il secondo spirito, dalle sembianze di una donna adulta, dal viso rubicondo e gaio, che afferrò Atena per mano, strappandole un sorriso, mentre il proprio cosmo la avvolgeva al braccio sinistro, curandone le ferite.

 

“E infine Dike, figlia di Zeus e Dea della Giustizia!” –Concluse allora l’ultima figura fatua, un’alta donna dal portamento severo, che pareva reggere in mano una bilancia, su uno dei cui piatti comparve una palma d’alloro, che prontamente depose sul capo di Atena, colorandone il volto di ritrovato vigore.

 

“Noi siamo le amiche di Atena, le Dee che da secoli combattono al suo fianco, con lei e in lei!!!” –Chiosarono i tre spiriti, permettendo alla fanciulla dai capelli viola di ricordare ogni cosa. La guerra, quella lontana guerra in cui avevano combattuto assieme. La fine del mondo per come lo conoscevano all’epoca, e la speranza di rivedersi in un futuro migliore. –“Fu l’antico Cavaliere dell’Altare a sigillare i nostri cosmi, su nostra stessa richiesta, all’interno della sua armatura, certo che nessuno mai avrebbe potuto disturbarci, non essendo egli una figura da battaglia! Così, per tutti questi secoli, siamo rimaste in silenzio a fianco di Atena, sostenendola in ogni battaglia e donandole quell’amore e quella forza che le hanno permesso di sopraffare ogni nemico della Terra e dell’uomo!”

 

“Adesso comprendo!” –Commentò Etere con sagacia. –“Sospettavano in molti che Nike fosse complice di Atena, che si celasse nell’ombra, scagliando la sua lancia sui nemici già fiaccati, per dare loro il colpo di grazia! E Nyx, soltanto ieri, espresse disappunto per l’assenza dell’ultima Astrazione, la personificazione dell’Amicizia, interrogandosi sul destino cui poteva essere incorsa. La realtà, a quel che vedo, era ben peggiore di ogni aspettativa! Una quadruplice alleanza di ingannevoli Dee, che si servono di un manipolo di adolescenti per realizzare i loro fatui ideali! È così che avete agito, vero? Nascoste e protette dall’Armatura dell’Altare, avete emanato la vostra influenza nel corso di questi secoli?”

 

Dike annuì con decisione, ergendosi fiera come una statua, con quel volto freddo e impassibile con cui aveva esercitato la giustizia per secoli. Lei, la conciliatrice; lei, la protettrice di saggi amministratori, aveva infine deciso di cedere il proprio ruolo ad Atena, l’unica, tra gli Olimpi, che avesse a cuore la sorte dell’umanità, l’unica ad aver sempre anteposto il loro futuro alla sua stessa felicità.

 

“Per questo, per il tuo spirito generoso, per il coraggio che hai sempre dimostrato nel lottare anche in cause perse a priori, ti ho sempre sostenuto Atena, aiutandoti a discernere con giudizio, portandoti ad usare intelletto e strategie, anziché a gettarti in sanguinarie guerre per puro spirito di conquista o rivalsa!” –Disse all’amica, prima di scagliare la bilancia di cosmo nel cielo sopra di sé, di fronte agli occhi esterrefatti di Etere e Emera, che la videro ingrandirsi e piombare su di loro, catapultando ciascuno di loro sopra uno dei due piatti. Quindi fu il turno di Philotes ad avvicinarsi ad Atena, sfiorandole le mani e guardandola con quei suoi occhi grandi e così colmi di vita e speranza, sempre convinta, anche nei momenti più bui, che continuasse a esserci il sole oltre le nuvole.

 

“E sarà così se ci crederai, Atena. Sarà così se, come hai fatto finora, continuerai a cercare l’armonia, il dialogo, la concertazione di tutte le forze divine per un unico obiettivo! Potrai farlo, assieme ai tuoi Cavalieri, uniti dal sacro vincolo dell’amicizia, un legame che mai hanno disatteso, ma che sempre hanno tenuto alto, come bandiera di vita e speranza in questo mondo che sprofonda sempre più nel caos!” –Le disse sorridendo. –“Non servile cameratismo, non freddi legami di obbedienza, fedeltà o timore uniscono i cinque che lottano per il futuro, bensì la vera amicizia, che solo amici fraterni che hanno condiviso la vita e l’amore per la stessa possono provare!”

 

Atena annuì, ritrovandosi nelle parole della figlia di Nyx, forse l’unica mosca bianca della sua genia, prima che la stessa bruciasse il cosmo, imprigionando gli Dei di Luce sui piatti della bilancia di Dike, con braccia di energia che parvero chiudersi sui due fratelli, tenendoli stretti. Poi si fece di lato e lasciò spazio alla Dea alata, colei che sempre aveva portato la gloria in battaglia a coloro da lei benedetti.

 

“E io benedico te, amica mia! Da secoli sono al tuo fianco! Sul palmo della tua mano, sulla punta del tuo scettro, sul pugno lucente del tuo massimo combattente! Enumerare non riesco tutte le nostre vittorie, sui campi di Britannia, nelle desolate lande dell’Oltretomba o sotto i cieli di Grecia! Non può esistere sconfitta per la Dea che combatte con amicizia e spirito di giustizia!” –Concordò, incoccando una lunga asta di cosmo e scagliandola in alto, osservandola dividersi in due bastoni e mirare agli Dei Primordiali. –“È ora di andare, adesso!” –Sospirò, voltandosi per cercare lo sguardo delle due amiche.

 

“Dove andate? No, vi prego, restate! Adesso che finalmente ci siamo ritrovate!” –Esclamò Atena, mentre i tre spiriti la attorniavano e Nike riprendeva a parlare.

 

“Atena, ascoltaci bene, poiché abbiamo poco tempo prima che gli Dei di Luce ci attacchino! La nostra rinascita è incompleta, in quanto non abbiamo corpo atto a contenerci in quest’epoca!”

 

“Né, come ben sai, vogliamo carpire quello di un mortale, violandone l’intimità, pratica a cui siamo sempre state contrarie!” –Precisò Dike, l’incorrotta.

 

“Per cui vivremo dentro di te, amica mia, proteggendoti come abbiamo fatto finora! Anzi, faremo molto di più, ti daremo la nostra completa essenza! Il nostro cosmo!” –Le sorrise Philotes. –“Saremo per te elmo, lancia e scudo in quest’ultima guerra!”

 

Dike… Nike… Philotes…” –Mormorò commossa l’Olimpica Dea. –“Non so come ringraziarvi, io non posso accettare un simile dono…

 

“Puoi e lo farai, perché noi vogliamo vincere questa guerra, Atena!” –Affermò decisa Nike. –“Questa guerra giusta e sacra, come sacra è la libertà!” –Continuò Dike. –“E l’amicizia, soprattutto quella che lega i tuoi Cavalieri!” –Concluse Philotes, mentre le tre Dee attorniavano Atena, girandole attorno in una spirale di voci ed energia, che si fecero sempre più tenui, fino a scomparire. In quel momento la figlia di Zeus le sentì dentro di sé, donatrici felici di una nuova energia.

 

Persino la Veste Divina parve cambiare aspetto, fortificandosi ma rimanendo sempre leggera al tatto, come se adesso fossero in quattro a sopportare il peso di tutte quelle piastre di materiale. Le ali snellirono, l’elmo ricomparve a protezione della sua testa, con una corona d’alloro come cimiero.

 

“Ammiri quegli inutili orpelli di cui ti han fatto dono? A ben poco ti serviranno, Atena! A ben poco ti servirà questo testardo insistere e persistere! Il mondo come lo conoscevi domani sparirà!” –Chiosò allora Etere, che nel frattempo aveva espanso il cosmo, disintegrando il trucchetto con cui le tre Dee lo avevano bloccato; fece per travolgere la figlia di Zeus con un’onda di immane potenza, ma all’ultimo istante la sorella lo fermò, afferrandogli il braccio. –“Uh? Qualcosa ti turba, divina Emera?”

 

La Dea del Giorno parve esitare un momento, prima di scuotere il capo e parlare con voce atona. –“Lascia ad Atlante la distruzione e tieni fede al tuo nome, fratello! Sei la luce del cielo, non un barbaro bellico, e Atena è comunque figlia del più potente figlio di Crono! Falle dono della beatitudine! A modo suo, la merita!”

 

“Hai ragione, sorella! Mi sono lasciato prendere dalla foga, comportandomi come uno sciocco ragazzino infuriato! Quale vergogna!” –Commentò Etere, ritrovando compostezza nella posa e nel tono della voce.

 

O forse come un umano? Pensò Emera, riflettendo su quanto aveva visto finora, sullo spirito di sacrificio e follia che albergava nel cuore di quegli strani esseri umani. Non poté indugiare oltre che già il fratello aveva espanso il proprio cosmo, avvolgendo l’intera cima della Collina della Divinità con una nube di candore, rischiarando quella che ormai sarebbe stata l’ultima sera del Santuario di Atena.

 

Pranava sabda!” –Risuonò la sua voce, mentre di nuovo la figlia di Zeus tentava di opporsi. Fu più agguerrita quella volta, poiché già conosceva gli effetti di quel colpo, i desiderabili appetiti di pace su cui voleva far leva, e perché nel cuore sentiva il compito che le tre Dee le avevano affidato. Vegliare sul genere umano, con equità, risolutezza e fratellanza.

 

“E in nome vostro lo farò!!!” –Avvampò Atena, alzando l’Egida e muovendo rapida lo Scettro di Vittoria, a fendere l’aria con la sua punta dorata, mentre tutto attorno a sé si innalzava il suo cosmo divino, sostenuto da quello di Nike, Philotes e Dike.

 

“Osi resistere? Osi rifiutare la luce più pura?” –Mormorò Etere, esterrefatto, mentre Atena continuava a bruciare il proprio cosmo, mulinando la lancia in ogni direzione, aprendo continui squarci nella sua nube di beatitudine. Nel farlo, nel farsi spazio tra le nebbie della pace eterna, la Dea intravide il corpo di Nicole a terra, i morbidi capelli castani sparsi sotto il viso spento.

 

“Tu lo sapevi, vero, buon servitore? Di tua sponte hai scelto di fronteggiare Etere! Per questo sei voluto morire, per ricordarmi l’amicizia delle tre Dee!” –Pianse Atena, assaporando ciascuna di quelle lacrime, tante quanti coloro che per lei avevano scelto di lottare. –“Per te, per tutti voi, miei Cavalieri, Atena combatte! Lancia di Nike!!!” –Esclamò, scagliando l’arma in alto, oltre la cortina di quiete, diretta verso un incredulo Etere, che non ebbe comunque difficoltà nello spostarsi di lato, afferrandone l’asta con la mano. Fece per spezzarla, ma si accorse che il bastone non accennava a incrinarsi, intriso del cosmo di quattro entità divine.

 

“Che tu sia una o siate in quattro, Atena, ben poco cambia! Il tuo tempo è scaduto!” –Precisò, aprendo il palmo della mano e scagliandole contro una devastante sfera di luce, cui la Dea tentò di opporsi innalzando l’Egida avanti a sé, su cui il globo impattò, spingendola indietro, con una forza tale da scheggiare il pavimento di marmo. Ma Atena Atritonia non crollò, resistette, impavida e instancabile, come l’epiteto che le diedero nel Mondo Antico, con lo scudo levato a sua difesa, avvolta nell’iridescenza di un cosmo che ormai non avrebbe più sopito. Sentiva, alla Prima Casa, tremolare le auree dei suoi fedeli, sentiva la responsabilità di difendere anche loro.

 

Atena…” –Mormorò in quel momento il Grande Mur, intento a sollevare il Muro di Cristallo, di fronte al Tempio dell’Ariete, affiancato da Kiki e Castalia. Quindi, preoccupato, cercò l’attenzione di Virgo, in piedi sul tetto dell’edificio assieme a Tiresia, concentrati nel profondere ogni stilla di energia nel prossimo attacco.

 

“Lo sento, Ariete! Sento fremere il suo cosmo!” –Precisò il Custode della Porta Eterna. –“Pur tuttavia non possiamo muoverci, o quest’effimera barriera che abbiamo eretto a difesa del Santuario crollerà e tutti coloro che dimorano sotto il cielo di Atene sarebbero spazzati via, privi di difese con cui fronteggiare la furia di Atlante!”

 

Mur non rispose, travolto da un dubbio atroce. Ripensò alle parole di Asher di poche ore prima e convenne che era vero. Erano ancora stretti tra due fuochi, Atlante e i due potentissimi Dei, che minacciavano di ardere il Santuario e Atena. Cosa avrebbero dovuto sacrificare? Fu Virgo a confortarlo nuovamente, con una semplice risposta.

 

“La missione di Atena reincarnata è difendere gli uomini, questo è sempre stato il suo ideale, lo scopo per cui tante volte si è sacrificata! Questo vorrebbe che facessimo, che dessimo anche la vita per proteggerli. Coraggio, Cavalieri! Fino alla fine!”

 

Sì. Strinse i pugni Mur, scagliando una nuova Onda di Luce Stellare. Fino alla fine!

 

Aaahhh!!!” –In quella, Atena perse la presa sull’Egida, che rotolò rumorosamente sul piazzale, mentre lei crollava a terra, sopraffatta dal potere del Portatore di Luce.

 

Con sguardo imperturbabile, Etere le volse contro il palmo della mano, pronto per dirle addio, quando un’ombra improvvisa sbucò fuori dalla notte stessa, abbattendosi sui due Dei e separandoli di scatto. –“Ma… cosa? Cos’è, quella?!”

 

Una grande nave volante era apparsa nel cielo, piombando su di loro, proprio mentre tre comete di luce ne sfrecciavano fuori, investendoli con fasci di energia scintillante.

 

“Non posso lasciarti un attimo da sola, che già vai a metterti nei guai!” –Esclamò la voce squillante del Primo Cavaliere di Atena, aiutando la Dea a rialzarsi.

 

Pegasus…” –Sorrise lei, felice di rivederlo.

 

“Credo che questo ti appartenga, Atena!” –Aggiunse una seconda figura, dal fisico massiccio, porgendole l’Egida. –“Gran bello scudo!” –E le strizzò un occhio, prima di voltarsi verso il cielo, su cui ancora si stagliavano le bianche sagome di Etere e Emera.

 

“Non sarà una battaglia facile!” –Commentò allora il terzo giunto, rivestito da una celeste armatura, mentre, poco distante, ai piedi del Santuario, un fulmine color avorio squassava la notte, seguito da una voce imperiosa.

 

Folgore suprema!!!”

 

Atena riconobbe il suo cosmo e sorrise, rincuorata, ben sapendo quel che sarebbe avvenuto. Il rinnovarsi di un antico scontro.

 

 

 

 

 

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Capitolo 25
*** Capitolo ventiquattresimo: Disperatamente amore. ***


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO: DISPERATAMENTE AMORE.

 

Non fu facile per Elanor trovare la via di casa.

 

Aveva creduto che il cosmo di sua madre l’avrebbe aiutata, indicandole il cammino, ma quando provò a cercarlo si accorse che era ridotto al lumicino, l’ombra dell’aura divina che aveva generato un reame beato semplicemente desiderandolo. Non fosse stato per Matthew, non fosse stato per la mano di lui stretta alla sua, per le dita di entrambi, intrecciate e tremanti, il Cavaliere della Luna avrebbe davvero smarrito la via, in quell’immenso vuoto cosmico che l’accolse dopo aver attivato il portale.

 

Facendosi forza, sorretta dal cosmo del compagno, Elanor naufragò tra stelle lontane e galassie perdute, travolta da una sensazione di smarrimento, di perdita di sé e dei propri sensi, finché non sentì di nuovo qualcosa di solido sotto i piedi. Aprendo lentamente gli occhi, quasi avesse timore di essere ancora all’Altura delle Stelle, riconobbe il glifo intarsiato sulla terrazza panoramica dietro al Palazzo della Luna, proprio dove Atena e Avalon erano apparsi giorni addietro.

 

“Ce l’hai fatta!” –La riscosse Matthew. –“Ci sei riuscita!!!”

 

“Ci siamo riusciti!” –Precisò lei, riconoscendo il contributo del compagno, prima che una nuova fitta al cuore la prostrasse a terra.

 

Lì, nel Reame della Luna Splendente, dove Selene aveva a lungo dimorato, impregnando ogni granello di sabbia con il suo cosmo divino, Elanor poté percepire a pieno la disperazione che aveva investito sua madre, le grida di terrore del suo cuore martoriato. Un urlo, come mai l’aveva sentito prima, la dilaniò, portandola a rimettersi in piedi di colpo e a lanciarsi in una folle corsa giù per la scalinata e poi lungo il percorso che conduceva alla residenza della Dea della Luna.

 

Matthew le fu subito accanto, entrambi rivestiti delle loro Armature delle Stelle, ultimi barlumi di luce in quel reame che ormai pareva non aver più niente di beato. Tirando un’occhiata in lontananza, oltre le mura del Primo Cerchio, l’allievo di Gemini inorridì nel vedere che non c’era più niente. Delle nove cinte murarie un tempo difese dai Seleniti, non era rimasto niente, disfattesi una dopo l’altra e ritornate ad essere semplice sabbia lunare. Deglutendo a fatica, il ragazzo capì che, qualunque cosa stesse accadendo all’interno del palazzo, Selene stava morendo.

 

“Sangue!!!” –Esclamò Elanor, osservando macchie vermiglie punteggiare la breve scalinata di ingresso. –“Oh per gli Dei! Endimione!!!” –Aggiunse, gettandosi sul corpo massacrato dell’uomo, che giaceva scomposto e abbandonato a se stesso. –“Padre, rispondimi! Padre!!!” –Lo scosse, lo schiaffeggiò, gli toccò il bel volto giovanile, sfiorandogli la mezzaluna tatuata sulla fronte, ma egli non si riebbe. Un buco all’altezza del cuore, gli eleganti abiti imbrattati di sangue e materia organica, i preziosi monili con cui era solito adornarsi sparsi attorno a sé, e quello sguardo di terrore negli occhi le tolsero ogni speranza, facendola quasi rimettere.

 

Fu Matthew a scuoterla, incitandola a rialzarsi e indicandole le scale che conducevano alla parte superiore del tempio. Reprimendo i singhiozzi, Elanor lo seguì, incamminandosi lungo i gradini macchiati di ichor fino ad entrare nell’Occhio e là, al centro dello stesso, dove poche ore prima aveva conversato con Avalon e Atena, pregandoli di salvare il suo mondo perfetto, la Dea della Luna li aspettava.

 

Appesa al centro della sala circolare, su un nero tridente che le aveva trapassato una spalla, Selene giaceva immobile, in silente agonia, le candide vesti lacere e macchiate di sangue e violenza. I bei capelli azzurri, che Endimione tanto amava pettinarle nelle loro lunghe nottate trascorse a rimirare la volta stellata, strappati e scarmigliati, a coprirle il volto livido e striato dai segni del martirio.

 

Ma… Madre!!!” –Strillò Elanor, correndo verso di lei, incurante delle urla di Matthew, che stava annusando l’aria sospettoso.

 

“Non siamo soli!” –Ebbe solo il tempo di dirle, prima che una figura di pura tenebra sgusciasse fuori dal retro dell’improvvisata forca, scivolando attorno ad Elanor e cingendola in soffocanti spire nere.

 

Matthew si mosse per intervenire, ma fu subito atterrato dall’indefinita ombra, che lo piantò al suolo, trapassandogli i bicipiti con lame di tenebra e godendosi i suoi strilli di dolore. –“Tu… demone mostruoso… riconosco il tuo cosmo…” –Trovò la forza per parlare il ragazzo, sputandole in faccia il suo disprezzo, prima che la torbida ombra si ritraesse, compattandosi e assumendo forma umana. Quella di una donna alta e snella, con un fisico impeccabile e lunghi capelli violacei che le ricadevano sulla schiena. Era vestita con un semplice abito nero, fermato in vita da un corpetto ornato da gemme di ematite, che rilucevano sinistre alla debole luce che giungeva dal sole. –“Tu sei…

 

Nyx è il mio nome, Sovrana della Notte e Prima Dea nata dal Caos!”

 

“La Notte… che già affrontammo proprio qua!” –Annaspò Matthew, rimettendosi in piedi a fatica, mentre Elanor, crollata a terra di fronte a sua madre, non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, travolta da mille domande, ricordi e rimorsi.

 

Madre… Che sia troppo tardi? Troppo tardi per tutto? Per le scuse e le incomprensioni che hanno marcato il nostro rapporto?!”

 

“Oh no!” –Intervenne subito Nyx, parlando con voce gaia. –“Non è affatto tardi, mia bella bambina! Tua madre è ancora viva! Non crederai che volessi ucciderla senza prima avervi fatto ritrovare? Sarebbe stato un gesto davvero scortese da parte mia! Ah ah ah! Chiamala, su dai, abbracciala, stringiti a lei! Così, da brava!” –Le disse, mentre Elanor si risollevava, avvicinandosi a Selene e sfiorandole le mani, ben più fredde di quanto ricordasse.

 

Bastò quel tocco, quel lieve sfioramento, a far sussultare la Dea della Luna, che a malapena mosse il capo, faticando a mettere a fuoco l’immagine davanti ai suoi occhi. Era davvero Elanor, la sua bambina, la primogenita ribelle che così tanto amava disobbedire ai suoi ordini, mentre tutte le altre figlie erano sempre così ligie e perfette? Era davvero lei, dietro quegli occhi verdi, quell’elmo a diadema che le incorniciava il bel volto preso da suo padre, rivestita di quell’armatura luminosa a cui così tanto aveva ambito?

 

“Sono io, madre… sono qui per salvarti!” –Le disse, prima di voltarsi verso Matthew e chiedergli di aiutarla a tirarla giù.

 

Ahr ahr!” –Rise Nyx, sollevando una mano e muovendo un indice divertita da destra a manca. –“Non così in fretta, dolce bambina! Non crederai che vi permetta di vanificare il frutto del mio lavoro?!”

 

“Cosa vuoi dire, Nyx? Cosa vuoi da mia madre? Lei non combatte!!!” –Tuonò Elanor.

 

“Oh lo so bene! Stanca dei problemi del mondo, ha ben pensato di rinchiudersi in questo regnuccio con un paio di servitori, delegando ad altri ben più dirimenti questioni, eppure non ha esitato a coinvolgere i Cavalieri di Atena e Avalon quando le abbiamo mosso guerra! Sai quanto mi è costata la sua bella trovata? Tante Divinità che adesso potrei usare per fiaccare altri regni divini! Merito una vendetta, non trovi? Anzi, merito un premio!” –Aggiunse, scivolando lesta accanto ad Elanor, attorno ad Elanor, muovendosi come fosse un serpente di pura tenebra, avvoltolandosi al suo corpo, spostandole i capelli all’indietro e carezzandole il collo, facendola rabbrividire al solo contatto.

 

“Stammi lontana!!!” –Gridò la ragazza, bruciando il cosmo, ma non ottenendo altro che una risata di Nyx, che spalancò grandi ali da pipistrello, librandosi verso la cima dell’Occhio, evitando l’affondo, salvo poi gettarsi di nuovo in picchiata su di lei.

 

“Tutt’altro! È ben vicina a te che voglio stare, a te e al segreto che custodisci!” –Le disse, mentre il suo cosmo oscuro attorniava lo Scudo di Luna, affisso al suo bracciale destro. –“E vedo che sei stata così gentile da portarmi anche la Cintura dell’Arcobaleno! Due talismani al prezzo di uno!”

 

“È per questo che l’hai fatta venire, vero? Per questo hai tenuto in vita Selene fino ad ora? Per attirare Elanor, brutta strega!” –Avvampò allora Matthew, avvolto in un arcobaleno di colori. –“Ma non ti permetterò di farle del male! Sta’ alla larga da lei!!! Arcobaleno incandescente!!!”

 

“Quanto giovanile ardore!!!” –Ridacchiò Nyx, mentre l’attacco luminescente si perdeva nell’oscurità di cui era attorniata, come un velo protettivo, senza bisogno che la Dea facesse altro. Solo travolgere il giovane con un’onda di energia nera, scaraventandolo indietro. –“Un vero peccato che sia così sprecato!”

 

“Matt!!!” –Gridò Elanor, osservando il compagno ruzzolare giù dalle scale che conducevano all’Occhio, prima di voltarsi e fissare la Notte con astio. –“Falce di Luna calante!!!” –Esclamò, abbassando poi il braccio su di lei. Ma bastò che Nyx si muovesse di lato per evitare l’attacco, afferrandole poi l’arto con gelidi unghioni di tenebra e torcendoglielo con forza, godendo del rumore di ossa scricchiolanti.

 

“L’armatura che indossi è  ben valida protezione! Sapevano bene i Sette come forgiare manufatti resistenti, all’usura della guerra e del tempo! Ne percepisco l’ancestrale potenza, la forza della natura insita dentro tali vesti! Pur tuttavia cederà, come cedono tutte le cose! In un certo qual modo, tutta questa resistenza va a tuo discapito, servirà solo a farti soffrire di più! Ahr ahr ahr!” –E le torse ulteriormente il braccio, spezzandole anche un paio di dita, strappandole un nuovo grido di dolore.

 

Fu quello o l’avvampare del cosmo di sua figlia a così breve distanza, nel cuore di quella che un tempo era stata la sua casa, la dimora di tutti i suoi affetti, a ridestare Selene, a farle alzare il capo quel tanto che le bastò per vedere l’espressione sofferente sul volto della primogenita, segnata al qual tempo dalla determinazione di salvare qualcuno che amava.

 

Elanor Mormorò la Dea della Luna. Come quel giorno, tanti anni fa, quando tentasti di salvarmi dai Giganti di Ebdera, ergendoti sola e impavida di fronte a quegli abomini. Anche oggi vuoi proteggermi? Anche oggi vuoi salvare tua madre? Quel pensiero la riscosse, toccando silenti equilibri rimasti a lungo celati nel suo cuore. Una figlia non dovrebbe lottare per difendere i propri genitori! Che madre sono, che donna sono, se non riesco a difendere la mia progenie?! Si disse Selene, facendo appello a tutte le sue forze. Elanor! Resisti! Ti salverò!!! E, nel pensar questo, lasciò esplodere il proprio cosmo divino, generando una bolla di energia che crebbe rapida attorno a sé, stupendo sia la figlia che Nyx, per poi esplodere poco dopo.

 

La Notte venne spinta indietro da quell’improvvisa vampata energetica, schiantandosi contro quel che restava delle pareti dell’Occhio, salvo poi spalancare le sue immonde ali di tenebra e librarsi in volo, proprio mentre Selene si accasciava esausta, ma infine libera. Da prigioni in cui nemmeno lei era consapevole di essere precipitata.

 

“Madre!!!” –Elanor fu subito su di lei, aiutandola a rimettersi in piedi. Ne osservò il corpo ferito, la trafitta spalla sanguinante, pregandola di non preoccuparsi. –“Avalon ti curerà, ne sono certa! Lui conosce ogni rimedio!”

 

La Dea della Luna sorrise di fronte al genuino affetto della figlia, ripensò in fretta al Signore dell’Isola Sacra, all’ultima conversazione avuta con lui e con Atena, a come aveva risposto male ad entrambi, rifiutando la proposta di un’ultima alleanza. A quanto era stata sciocca, egoista e disinteressata, convinta di poter vivere in pace fuori dal mondo. E pensò anche che, nonostante tutto, sia Avalon che Atena l’avrebbero accolta a braccia aperte, felici di averla di nuovo tra loro, perché è questo che gli amici fanno.

 

Amici. Già. Peccato non averne mai avuto uno. Peccato non aver mai avuto altro che Endimione e la tranquilla serenità della loro vita di coppia. Un amore fuori dai confini del mondo, così una volta glielo aveva cantato il suo sposo, pizzicando le corde dell’arpa di Asterios e sedendo con lei sulla grande terrazza sul retro del palazzo, osservando il pianeta poco distante, lieti entrambi di esserne fuggiti.

 

Ma dalla guerra non si fugge. Realizzò amara Selene, rimettendosi in piedi, proprio mentre Nyx piombava di nuovo su di loro, ridendo sguaiatamente.

 

Corona di luce!!!” –Urlò una voce all’improvviso, mentre una lesta figura si fiondava di fronte a loro, sollevando entrambe le braccia e creando una cupola a difesa delle due donne, una cupola su cui smerigliavano i sette colori dell’arcobaleno.

 

“Matt!!!” –Esclamò Elanor, felice di rivederlo, il volto sanguinante e pieno di lividi, ma lo spirito ancora fermo nel lottare al suo fianco.

 

Dobbiamo… raggiungere il portale…” –Mormorò fiacco il ragazzo, infondendo tutto il suo cosmo a quell’effimera barriera. Elanor annuì, cercando l’approvazione della madre, quando vide che il suo sguardo ormai era perduto. Vagava lontano, tra memorie di una vita lunga e felice, dissoltasi come castelli di sabbia.

 

Fece per dirle qualcosa ma in quel momento Nyx intensificò il proprio assalto, allungando artigli di tenebra che penetrarono la Corona di Luce, conficcandosi nelle loro carni, superando persino le protezioni che avevano indosso, e prostrandoli infine a terra.

 

“Cosa credevi di fare, bel giovane? Non hai visto la fine che ha fatto il grazioso reuccio di questo regno? Devo ammettere che il suo ichor era delizioso! Di certo, il tuo nettare non sarà all’altezza ma non sia mai che rifiuti una così attraente preda!” –Ridacchiò Nyx, atterrando di fronte al trio e recuperando forma umana, mentre il tridente riluceva sinistro e famelico nella sua mano.

 

Matt, di fronte alle due donne, faticò nel rimettersi in piedi, il sangue che scorreva copioso dalle ferite aperte, imbrattandogli la corazza. Non fece in tempo ad abbozzare alcuna difesa, che già Nyx lo aveva colpito alla gamba destra, conficcando il tridente tra due placche della corazza, forzandolo di nuovo in ginocchio. Dopo che ebbe ritirato l’arma, la torbida Dea ne scorse la punta con le dita, inumidendole con il sangue del Cavaliere dell’Arcobaleno, mentre un perfido ghigno le tingeva il volto.

 

“Noi non siamo la preda di nessuno!” –Vociò allora Elanor, ostentando una sicurezza che di fatto non possedeva, mentre il cosmo cresceva attorno a lei. –“Tanto meno di una bestia come te!!! Croci di luna!!!” –E le puntò contro l’indice destro, liberando quattro fasci di energia, che Nyx neutralizzò semplicemente roteando il tridente. Oltre che inquietante e potente, era anche abile e lesta nello scontro fisico, dovette ammettere la Principessa della Luna.

 

“Questo non è un gioco per ragazzini inesperti!” –Sibilò l’ancestrale Dea. –“Non che mi aspettassi molto, in fondo, dalla figlia di una rinunciataria e dallo svogliato apprendista che troppi maestri non son stati in grado di addestrare! Ma è stato un incontro piacevole, sì, seppur non troppo soddisfacente! Incontro che adesso giunge a conclusione!” –Aggiunse, impugnando il tridente e puntandolo contro l’affaticato trio. Ma prima che riuscisse a fare alcunché fu sollevata da terra e spinta indietro da un’improvvisa corrente che aveva iniziato a spazzare la superficie dell’Occhio, divenendo sempre più vigorosa, al punto da mandare in frantumi le poche vetrate ancora integre, vorticando all’impazzata attorno agli sbalorditi Cavalieri delle Stelle.

 

Fu Elanor ad accorgersi che tale intensa corrente proveniva da Selene, che lentamente si era rimessa in piedi, avvolta, per la prima volta, da una possente aura divina. –“Madre!!!”

 

Nyx ha ragione!” –Parlò allora la Sovrana della Luna. –“Siete giovani, in fondo! Non è giusto che il peso di questa guerra ricada su di voi! Non soltanto su di voi, se non altro! Non qua, nel regno che ho fondato e che dovrei saper difendere! Non qua, di fronte a mia figlia, che ho messo al mondo per darle un futuro e non per osservarne la morte, né di fronte a un ragazzo disposto a dare tutto se stesso per proteggere chi ha caro! Mi hai sentito, Nyx?!”

 

“Ti ho udito, divina Selene! Ti ho udito!” –Ridacchiò l’ancestrale Dea, che, dopo la sorpresa iniziale, aveva spalancato le ali oscure, lasciandosi trascinare dal turbinio di aria e cosmo, senza opporre resistenza. Fu con un gesto improvviso, sbattendo con forza le ali di tenebra, che ne interruppe il flusso, discendendo di nuovo verso il centro del salone. –“Ma parlare non basta per vincere una guerra!”

 

“Lo so!” –Affermò allora Selene, bruciando ancora il proprio cosmo, che le turbinò attorno, in uno scintillio di oro e avorio, che, quando calò di intensità, permise ad Elanor, Matthew e Nyx di vedere che la Dea aveva indossato la propria Veste Divina.

 

Molto più semplice delle attrezzate armature degli Olimpi, quella di Selene aveva carattere prevalentemente ornamentale, ma era del pari ben curata, con raffinati intarsi che parevano riprodurre il ciclo lunare. Riluceva di un bagliore celeste, lenendo in parte le proprie ferite, quantomeno quelle fisiche su cui ancora poteva intervenire.

 

Ahr ahr ahr! E cosa vorresti fare con quella?!” –La derise la Signora della Notte, sghignazzando divertita.

 

“Combattere!!!” –Tuonò allora Selene, espandendo il proprio cosmo, che avvolse rapido l’intera superficie lunare, mentre alle sue spalle brillava una mezzaluna azzurra bagnata di rugiada. O forse delle lacrime che non voleva mostrare a Nyx. –“E avere giustizia!”

 

“Stai solo ritardando l’inevitabile! Non amavi così tanto Endimione? Credevo tu volessi rivederlo!”

 

“Non parlare di Endimione, tu che non sai cos’è l’amore! Egli mi attende, su una luna lontana, e presto saremo di nuovo insieme! Ma non prima di avergli tributato il giusto onore!”

 

“Spiacente di deluderti, ma a volte l’amore non basta!” –Chiosò Nyx, scattando avanti e puntando il tridente verso il cuore di Selene. Matthew ed Elanor tentarono di deviarlo, ma vennero spinti di lato dall’emanazione cosmica della Notte, che li sbatté al suolo, inchiodandoli con grinfie di tenebra, mentre la punta sanguigna gridava affamata, abbattendosi sulla Veste Divina della Dea… e fermandosi a un soffio da essa. –“Che… cosa?!” –Alzò lo sguardo Nyx, osservando il tenue ma duraturo strato di cosmo che pareva avvolgere la sposa di Endimione, uno strato che avvampò all’istante, incendiando il breve spazio che le separava e scagliando la Notte indietro, facendole persino perdere la presa sul suo tridente.

 

“Non è possibile! Dove nascondevi tutta questa potenza?!” –Esclamò sorpresa, al pari di Elanor, che osservava la madre sotto una nuova luce.

 

“Hai dimenticato chi hai di fronte? Non uno dei giovani Olimpi, ma un Dio della seconda generazione cosmica! Il mio nome è Selene e sono la figlia dei Titani Iperione e Tia, in me scorre la fiamma di forza che fu di mio padre!” –Declamò fiera la Dea, mentre una torrida tempesta investiva la Signora della Notte. –“Al pari di mia sorella Eos, Regina dell’Aurora, e di mio fratello Helios, sua stessa progenie, ne possiedo i poteri! Subisci adesso il soffio del vento solare! Helios Vortex!!!” –Gridò, travolgendo la Prima Dea con un’ondata di calore improvviso, che la spinse indietro, bruciandone in parte le vesti e i capelli.

 

In… credibile…” –Mormorò Elanor, che non aveva mai visto sua madre liberare tutto quel potere. Anche Matthew era assorto in identici pensieri, sebbene il ricordo di insegnamenti avuti ad Avalon lo stesse facendo riflettere sull’origine di quell’energia. E le parole che Selene gli rivolse poco dopo, parlando direttamente al suo cosmo, gliene diedero conferma.

 

“Prendi Elanor e vattene!”

 

Co… Come?!” –Balbettò il ragazzo, rimettendosi in piedi, incurante del dolore ad una gamba.

 

“Non dovreste essere qua, è troppo pericoloso! Per voi e per i Talismani che custodite! Gli uomini della Terra ne hanno bisogno, lo sai meglio di me, Matthew!” –Gli spiegò la Dea, continuando a riversare il vento solare contro Nyx, che, superato l’iniziale sbigottimento, aveva sollevato una cinta di tenebre a sua difesa, contro cui la tempesta di calore pareva infrangersi. –“Sei un bravo ragazzo, per quel che ho potuto vedere, e tieni molto ad Elanor! So che la proteggerai! Anche per me! Ora ascolta la mia richiesta: ti ordino, anzi ti imploro, di portare mia figlia via da qui! Dovete andare via e dovete farlo adesso che ancora potete!”

 

Io…” –Il ragazzo esitò per un momento, non sapendo cosa risponderle. Aveva già lasciato andare troppe persone importanti nella vita, convinto di poterle rivedere e perdendole per sempre. Aveva già abbandonato troppe volte il sentiero maestro, eppure sentiva che la Dea aveva ragione. Non potevano morire tutti sulla Luna, non con le responsabilità che gravavano su di loro. E Nyx era nemico al di sopra della loro portata. Per cui dovevano andarsene, e dovevano farlo prima che fosse troppo tardi.

 

Annuendo mestamente, il Cavaliere dell’Arcobaleno si rimise in piedi, tirando un’occhiata oltre le crollate pareti della stanza e perdendosi nel vasto vuoto cosmico che stava al di là. Pareva che il Reame della Luna Splendente non fosse mai esistito.

 

Capì e corse da Elanor, scuotendola dallo stordimento e incitandola a rialzarsi. –“Dobbiamo andare!” –Si limitò a dirle, mettendole un braccio dietro la schiena e issandola a sé.

 

“Come?! Che stai dicendo?!” –Brontolò lei all’istante, torcendo lo sguardo verso sua madre, ancora intenta a profondere ogni stilla di cosmo in quel turbine di vento solare da cui ormai Nyx pareva non essere più impensierita. Solo scocciata. –“Devo aiutare mia madre! Devo combattere con lei!”

 

“Non c’è tempo, Elanor! Dobbiamo andare!” –Ripeté Matthew, a capo chino, muovendosi verso l’uscita dell’Occhio. Quindi, vedendo che la ragazza non accennava a muoversi, la afferrò per le spalle e la scosse, urlandole in faccia la verità. –“Tra pochi istanti di questo regno non rimarrà niente e resteremo bloccati qua, alla mercé della Notte!”

 

Io… non posso abbandonare mia madre…

 

“Va’, Elanor!” –Parlò allora Selene, accennando un sorriso. Non poté aggiungere altro che un violento attacco la travolse, prostrandola a terra, con la Veste Divina che andava in frantumi in più punti, laddove la marea d’ombra, dalla Notte scatenata, l’aveva raggiunta. –“Ti ho detto va’ via!!!” –Avvampò, rialzandosi ed aprendo le braccia di lato, liberando tutta l’energia che covava dentro, quella che mai aveva riversato su un campo di battaglia.

 

“Nessuno se ne andrà invece! Morirete tutti qua!!!” –Ringhiò Nyx, che aveva compreso quel che Selene voleva fare, allungando un artiglio d’ombra verso i due Cavalieri di Avalon, che furono svelti a balzare in alto, evitandolo, e a contrattaccare con la luce dei loro Talismani.

 

La Cintura dell’Arcobaleno e lo Scudo di Luna brillarono intensi, quel tempo sufficiente affinché Selene si portasse di fronte a loro, venendo trafitta al loro posto, il corpo ormai avvolto in un bagliore amaranto, il cosmo elevato al parossismo.

 

“Come ogni Titano, anch’io possiedo il controllo di un pianeta! La Luna di Pace, nel mio caso! Il reame che mi sono illusa di creare e di cui adesso mi servirò per difendere colei che amo! Vattene, Elanor! Il futuro ti attende!”

 

Ma… madre…” –Pianse la ragazza, comprendendo quel che sarebbe accaduto. –“Vieni via con me!”

 

“Troppo tardi mi hai ricordato chi sono! Non una Divinità impaurita e sonnacchiosa, ma la figlia del più potente dei Titani! Mio padre non sarebbe mai fuggito, avrebbe lottato, fino all’ultima stilla di energia, per difendere chi aveva caro! Che fosse un congiunto, un amico, il popolo che in lui credeva! Mio padre era il re che questo mondo non ha mai avuto, e io sono stata regina di un mondo mai esistito, se non nelle mie fantasie! E proprio in quelle fantasie, nei voli pindarici cui a volte ci abbandoniamo, voglio che mi ricordi, Elanor! Ricordami così, mentre affronto il fato avverso e spira il vento solare!!! Helios Vortex!!!” –Strillò Selene, scaricando un turbine di fiamme che divampò ratto su quel che restava dell’Occhio.

 

Marea d’ombra!!! Saziatene!!!” –Ringhiò Nyx, mentre onde di tenebra nascevano dal suo corpo, travolgendo, ricoprendo, fagocitando ogni fuoco, ogni colore, ogni luce.

 

“La affido a te!” –Commentò la Dea della Luna, facendo un cenno a Matthew, che afferrò Elanor, strattonandola via dalla sala in rovina, diretto all’ultimo luogo di quel regno che ancora resisteva. La piattaforma che celava il portale.

 

“Creato dal cosmo di Selene, che con placida calma aveva lavorato e levigato la sabbia lunare, assieme all’amato Endimione, plasmandola sì da creare il reame in cui avrebbe voluto vivere per l’eternità, adesso che la Dea ha attinto a tutte le sue riserve di energia, lo stesso regno sta svanendo, disfacendosi e ritornando quel che era all’inizio. Sabbia, e niente più.” –Rifletté il biondo Cavaliere, mentre raggiungeva la terrazza con il glifo intarsiato. Strinse la mano di Elanor, forzandola a guardarlo, a riportare lo sguardo su di lui e non sull’immensa bolla di tenebra che aveva ormai inglobato l’intero spazio ove fino a poco prima svettava il Palazzo Lunare.

 

Fu in quel momento che la raggiunse l’ultimo saluto di sua madre, portato da uno sbuffo di calore che le solleticò la guancia, scuotendole il caschetto di capelli castani, prima di svanire.

 

“Addio Elanor! Vivi!”

 

La ragazza crollò a terra, mentre la piattaforma stessa iniziava a tremare, sfaldandosi in più punti, e Matthew la esortava a concentrarsi, per non rendere vano il sacrificio di Selene.

 

“Dobbiamo tornare ad Atene! Dobbiamo portare a compimento gli ordini ricevuti da Avalon ed eseguire l’ultima richiesta di tua madre, la più importante! Coraggio, Elanor, insieme ce la faremo!” –Le disse il Cavaliere dell’Arcobaleno, avvolgendola con il tepore del suo cosmo.

 

La fanciulla non rispose alcunché, gridando il nome di sua madre, mentre il cosmo esplodeva attorno a lei. Vi fu un ultimo lampo di luce ed entrambi scomparvero.

 

***

 

Ombra.

 

Per un momento giudicato interminabile entrambi videro soltanto ombra. Poi, inspirando a fatica, aprirono gli occhi, rischiarati da una leggera luminescenza che le scanalature nel marmo emanavano ancora. Erano vivi, ed erano tornati ad Atene, all’Altura delle Stelle. Ma quel che avevano lasciato indietro, quel che avevano perduto, non sarebbe più ritornato.

 

“Mia madre…” –Mormorò Elanor, alzandosi stanca e allontanandosi. –“Mio padre… Thot… gli altri Seleniti… il regno dove mi sono sempre sentita incompleta e in cui adesso non potrò più tornare… casa mia…” –Aggiunse, uscendo dal piccolo tempio e fermandosi fuori, a rimirare il cielo buio di quella notte.

 

“Casa è dove vorrai che sia. Dove troverai amore.” –Si limitò a commentare il ragazzo, avvicinandosi e stringendole una mano nella propria.

 

Elanor non seppe cosa rispondere, troppo stanca, triste e confusa. Poté soltanto ricordare le ultime parole di sua madre.

 

“Vivi!”

 

Ricambiò la stretta di Matthew e tra le lacrime gli sorrise.

 

Lo avrebbe fatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 26
*** Capitolo venticinquesimo: Livore profondo. ***


CAPITOLO VENTICINQUESIMO: LIVORE PROFONDO.

 

Sul ponte che collegava la Conchiglia Settentrionale con quella ove risiedeva Hina un violento scontro era in atto, iniziato quando Nesso del Pesce Soldato aveva avvistato un ragazzetto in armatura azzurra avanzare celato tra le costruzioni dell’Avaiki. All’apparenza sembrava avere la sua età, o quanto meno l’età che aveva quando era morto, e, oltre ad avere lo stesso fisico atletico, era ben allenato nella corsa, rapido nei movimenti e ugualmente silenzioso. Se fosse stato uno degli Heroes, sarebbe potuto essere un incursore suo pari.

 

Ed invece era un Forcide, il settimo nella gerarchia interna, come ebbe a presentarsi lui stesso.

 

Kelpie è il mio nome, come il demone acquatico dalla forma di cavalli neri che infesta i laghi della Scozia e dell’Irlanda del Nord! E tu, giovane malcapitato, sarai presto travolto dalla mia mandria! Bäckahästen!!!” –Gridò, portando avanti entrambe le braccia e liberando il suo assalto sotto forma di centinaia di cavalli di cosmo, dal manto nero e dagli occhi di brace, che sfrecciarono lesti di fronte a lui, scivolando su un letto d’acqua spumeggiante.

 

“Non mi piace la carne di cavallo!” –Commentò Nesso, divertito, espandendo il proprio cosmo e alzando di scatto il braccio destro, sollevando un’impetuosa corrente d’aria. –“Sospiro nel vento!!!” –Gridò, mentre la tempesta, levandosi dal basso, scagliava verso l’alto la mandria di cavalli di Kelpie, che storse le labbra infastidito. Ma prima che potesse abbozzare una nuova strategia fu costretto a scattare di lato, per evitare gli affondi che il fedele di Eracle gli stava rivolgendo contro. –“Frecce del mare, colpite!!!”

 

I dardi di luce azzurra martellarono la corazza di oricalco, scheggiandola in più punti, per quanto Kelpie cercasse di portarsi a distanza di sicurezza, avvolgendosi nella bruma schiumosa del suo attacco. Ma proprio mentre saltava sul cornicione del ponte di sabbia, venne afferrato per un calcagno e sbattuto a terra, perdendo l’elmo nell’impatto. Dimenandosi, realizzò che era stato agguantato da una fune arpionata che Nesso gli aveva scagliato contro, estraendola dal bracciale destro della sua corazza, una delle più dotate di accessori da battaglia.

 

“Stai fermo un momento! Voglio parlare!” –Gli disse, iniziando ad arrotolare la fune e trascinando il ragazzo a sé.

 

“Perché dovrei farlo? Il mio compito è avanzare verso la Conchiglia Madre, non perdermi in chiacchiere!” –Gli sputò questi in faccia, prima di portare avanti le braccia e liberare, da vicino, il proprio colpo segreto. I cavalli di nero cosmo sorsero dal suolo attorno a Nesso, sollevandolo di peso verso l’alto, spezzando la corda che imprigionava Kelpie.

 

Il giovane eroe del Pesce Soldato tentò di aggrapparsi alle pareti interne dell’Avaiki, tirando fuori gli arpioni dentati dal bracciale destro della corazza, ma essendo una cupola di puro cosmo non riuscì ad aderirvi, precipitando verso terra. Ebbe l’arguta idea, poco prima di schiantarsi contro il suolo, di sollevare la propria corrente d’aria, provando su se stesso il colpo segreto, che gli permise di attenuare l’impatto, fino a depositarlo a terra con solo qualche graffio sulla corazza.

 

Kelpie strinse i denti seccato per la prontezza di spirito di quel ragazzo, che rischiava di fargli perdere tempo. Aveva già sentito il cosmo del Primo Forcide varcare i confini dell’Avaiki, e di certo l’Isonade e l’Iku-Turso stavano già dando prova del loro servilismo, mentre lui non era ancora riuscito ad entrare nella Conchiglia Madre. Chiudendo il pugno con rabbia, lasciò che il cosmo schiumeggiasse attorno a sé, prima di lanciarsi di nuovo all’attacco. Nesso fece altrettanto e i loro colpi si scontrarono a mezz’aria, ma solo uno ebbe la meglio.

 

***

 

Ascanio non poteva credere ai suoi occhi, convinto di essere vittima di un inganno, di un potente incantesimo in grado di distorcere la realtà. Perché, se così non fosse stato, avrebbe dovuto ammettere che l’uomo che aveva di fronte, il possente Tiamat dell’Abisso Oscuro che era stato in grado di mettere in difficoltà gli Heroes e persino il glorioso Comandante dei Cavalieri delle Stelle, era un uomo che credeva morto.

 

Il suo vecchio compagno di addestramento ai Cinque Picchi.

 

Non… è possibile… Tebaldo…

 

“Vedo che infine ricordi… non hai dunque rimosso il ricordo della tua vergogna?!” –Ringhiò questi, stringendo con maggior forza attorno al collo dell’uomo, gli occhi che lampeggiavano d’ira.

 

“Ma tu… moristi, quel giorno, ad Atene…” –Rantolò il fedele di Avalon. –“Durante le Panatenee, durante l’attacco dei soldati del Sole Nero… il corpo spezzato, sommerso da cumuli di macerie…

 

“Mi vedesti e non facesti niente!!! Mi lasciasti lì, ad esalare l’ultimo respiro, sotto un sole straniero!!! Anziché prenderti cura di me, come io avevo fatto con te, quando febbricitante e delirante giungesti nelle terre di Cina per inseguire chissà quale stupido sogno infantile! Così mi ripagasti? E ora guarda il frutto delle tue azioni sconsiderate, osserva il mio volto! Eh no, non distogliere lo sguardo… ammira come sono diventato!”

 

Con riluttanza, Ascanio fu costretto a guardarlo in faccia, trattenendo un gemito di disgusto per il viso deturpato dell’antico compagno. Dei suoi lunghi capelli castani non rimaneva niente, solo radi ciuffi che costellavano un cranio deformato, addirittura schiacciato in alcuni punti. Il viso, un tempo limpido e solare, era segnato da cicatrici, una delle quali gli tagliava a metà l’occhio destro, facendolo apparire storto a chi lo osservasse, e il colore grigio, quasi argenteo, che aveva apprezzato da ragazzo nelle sue pupille era scomparso, sommerso da un giallo smunto, simile agli occhi di un serpente.

 

“Ti piaccio, eh?! Sono proprio bello! Certo, non come te, che sei perfetto in tutto, ma io mi accontento, perché al posto di questo viso sfregiato potrei essere morto e allora meglio questo che la fine di tutto!” –Sibilò colui che anni addietro era stato Tebaldo.

 

“Com’è possibile?! Come puoi essere vivo?! Eri morto! Morto!!!”

 

“Oh sì, lo ero davvero, per quanto tu non ti preoccupasti nemmeno di sincerartene! No, tu scegliesti la tua strada, fregandotene degli altri, anche di chi ti aveva salvato la vita! Andasti sull’Olimpo e diventasti un Cavaliere Celeste e poi un galoppino di Avalon e di me ti dimenticasti! Che fossi morto o vivo, che cosa importava in fondo? Ero solo uno stupido apprendista, uno dei tanti che quel vecchio prugna viola aveva avuto nel corso di duecento sprecati anni di vita!!!”

 

Non… parlare così del nostro maestro!!!”

 

“Ah no?! Perché non dovrei? Anche lui, al tuo pari, mi ha abbandonato! Avrebbe potuto alzare le sue rachitiche chiappe putride e venirmi a salvare, anziché lasciarmi marcire sotto torridi detriti! Oooh, quanto ho goduto, quando Anhar mi ha portato notizia della sua morte! Quando Anhar mi ha portato le dita che gli aveva mozzato in combattimento!!!”

 

Che… cosa?! Conosci Anhar? In che rapporto sei con lui?!”

 

“Intimi, tanto quelli che ti legano al Gran Tessitore dell’Isola Sacra!” –Sussurrò il Primo Forcide. –“E adesso te lo dimostrerò!” –Aggiunse, avvolgendo il corpo di Ascanio in una nube nera e scaraventandolo in alto. –“Ora ti mostrerò il potere dell’Abisso Oscuro, la furia di Tiamat!!! Muori, Ascanio!!! Apocalisse oscura!!!”

 

La devastante tempesta di energia nera travolse il Comandante dei Cavalieri delle Stelle, intrappolato nel maglio di tenebra da cui non riusciva a liberarsi, scaraventandolo molti metri addietro, nell’interno della Conchiglia Occidentale, di fronte agli occhi terrorizzati di Alcione e Pasifae. Ruzzolò, Ascanio, stringendo i denti all’impatto, l’armatura scheggiata in più punti, i magnifici coprispalla a forma di drago danneggiati, ma più di questo fu il dolore per le parole di Tebaldo, che cancellavano qualunque gioia potesse provare per saperlo vivo.

 

Io… non riesco a capire…” –Mormorò, rialzandosi. –“Cosa accadde davvero quel giorno? Come sei riuscito a sopravvivere?”

 

“Fui scelto. Come lo fosti tu.”

 

“Da chi?!” –Esclamò Ascanio, cogliendo un guizzo d’orgoglio nella voce dell’antico compagno. –“Da Anhar?!”

 

“Precisamente. Ricordo ancora, come fosse oggi, la prima volta in cui lo vidi. Giaceva il mio corpo spezzato su un carro di legno, dove gli alacri servitori della Vergine Dea mi avevano messo, assieme ai cadaveri di tutti coloro, soldati o semplici fedeli, che erano caduti quel giorno d’estate. Sentivo il sole sulla mia pelle, sentivo le grida e i pianti del popolo in lutto e, su tutto, sentivo l’odore acre della morte, che stava venendo a prendermi. Il mio corpo, probabilmente, già se lo era preso, non essendo in grado di muovere alcun muscolo, ma l’anima ancora permaneva, esitando ad abbandonare le spoglie che l’avevano ospitata fino ad allora, in quei tredici miseri anni. Fu quando accesero il fuoco, alle pire su cui ci avevano posizionato, per tributarci l’ultimo saluto, che lo sentii. Se avessi avuto ancora gli occhi, li avrei aperti e lo avrei visto lì, immobile sopra di me, intento a scrutarmi incuriosito, a leggermi nel cuore, a inebriarsi dei turbamenti che mi agitavano l’animo. Era un immenso angelo nero, con ali di tenebra, che io credetti fosse la morte. Come fu strano, se ancora ci ripenso, non esserne stato per niente spaventato, tutt’altro. Quel che provavo, quel che davvero sentivo, era il dolore per essere stato abbandonato, per non essere stato un amico, un affetto, un compagno così importante da non meritare neppure di essere salvato da te! Ti odiavo, Ascanio! Stavo morendo, la morte mi avrebbe condotto alla Bocca di Ade, eppure tutto quello che riuscivo a pensare era soltanto che ti odiavo!!!”

 

Tebaldo, mi dispiace…” –Mormorò il Cavaliere delle Stelle, ricevendo in risposta solo un’onda di energia nera che lo spinse indietro, schiacciandolo contro il muro di una costruzione e prostrandolo poi a terra.

 

“Lo credevo anch’io, all’inizio! E per tutto quel tempo, mentre la pira ardeva e l’ultima stilla di vita si esauriva in me, credetti che ti avrei sentito arrivare, gridare con rabbia, ruggire per salvarmi, ardimentoso come sempre avevi lottato, anche durante la prova di pancrazio! Ma poi ricordai quel che Koroibos mi aveva detto quel pomeriggio, sul tuo destino. Era altrove. Ed era vero, di certo non era con me! Con quel pensiero nel cuore, con quell’odio mi apprestai a morire, quando sentii un freddo improvviso attorno a me. Capii allora di essere morto, di aver varcato i cancelli di Ade, ma sorprendentemente potei aprire gli occhi. A fatica, non riuscendo a schiudere le palpebre del tutto, ma a sufficienza per ammirare il volto tetro e dannato di colui che mi aveva salvato. L’angelo oscuro chiamato Anhar, impressionato da quanto odio fossi in grado di provare, una stilla rispetto a quello che egli covava nel cuore, ma pur sempre un inizio, secondo lui. Mi prese con sé e mi curò con una fiamma nera che mai avevo visto in vita mia, una fiamma che attingeva ad un’oscura sorgente, al momento quietata, ma che presto, mi disse, sarebbe tornata a ricoprire il mondo! Una fiamma in grado di creare, plasmare e alterare la materia e con la quale Anhar riattivò il mio corpo spezzato. Ma non il volto, quello no, non volli che lo sistemasse. Quello sarebbe dovuto rimanere per sempre così, a memoria imperitura di quel che mi avevi fatto quel giorno, abbandonandomi! E per mostrarti, adesso che infine ci siamo ritrovati, cosa farò a te, come sarà il tuo bel viso quando avrò finito!”

 

Tebaldo, ascolta, Anhar ti ha imbrogliato, ti ha adescato con le sue parole, come sempre ha fatto con tutti!” –Ma il Primo Forcide non gli diede tempo di aggiungere altro, balzando rapido su di lui, un guizzo d’ombra dalle mani artigliate, sollevandolo di peso e sbattendolo contro il muro alle sue spalle.

 

Anhar ha fatto molto di più! Mi ha ridato uno scopo per cui vivere, incanalando il mio odio in un più grandioso progetto! Io, Ascanio, sono l’allievo di Anhar, l’allievo del Maestro di Ombre! Il figlio dell’Angelo Oscuro! Io sono Tiamat!!! Così devi chiamarmi, con questo nome dovrai implorarmi!!!” –Aggiunse, rabbioso, colpendolo con un destro al petto e scagliandolo in alto. Quindi, anziché rimanere inerte ad aspettare che ricadesse al suolo, il Primo Forcide balzò in alto, avvolto nel suo cosmo oscuro, tempestando il corpo del Cavaliere delle Stelle di migliaia di pugni, affondi e lampi di energia, fino a schiantarlo al suolo, in un ampio cratere che andò chiazzandosi di sangue e lucenti frammenti di armatura.

 

In… credibile…” –Rantolò il Comandante Ascanio, che solo il giorno prima aveva fronteggiato Anhar nel corpo del Cavaliere della Vergine. –“Pare persino essergli superiore… Il suo cosmo, di sfumature divine, sia pur oscure, è ornato.”

 

“Non riesci ad accettare la realtà, Ascanio? Non riesci a credere che possa esistere qualcuno in grado non solo di tenerti testa ma anche di sconfiggerti? Ipotesi che nel corso della tua lunga e vittoriosa vita non ti è mai balenata nel cervello, immagino!”

 

“No! Mai!!!” –Avvampò il discepolo di Avalon, rialzandosi ed espandendo il proprio cosmo. –“E che mai troverà ragion d’essere!” –Aggiunse, portando avanti il braccio destro e liberando il suo colpo segreto. –“Attacco del drago di sangue!!!”

 

“È inutile!!!” –Chiosò Tiamat, sul cui palmo aperto era già comparso il buco nero difensivo, che inghiottì la vermiglia sagoma del dragone di Britannia, facendola scomparire. –“Conosco i tuoi attacchi! Ti ho osservato crescere, addestrarti a Glastonbury, con i Cavalieri dell’Ultima Legione, ti ho visto diventare l’allievo di Avalon e infine sfoderare il Talismano là custodito! E so come contrastare ciascuno dei tuoi assalti, mentre tu, di me, non sai niente!”

 

“Se mi hai tenuto d’occhio per tutto questo tempo, allora saprai anche che non ti ho mai dimenticato, Tebaldo!”

 

Non… chiamarmi… così!!!” –Ringhiò, liberando un’onda di energia, che quella volta Ascanio evitò, saltando in alto, sopra la stessa e atterrando proprio davanti al Primo Forcide.

 

“Quello è il tuo nome! Il nome dell’amico con cui trascorrevo le giornate ad allenarmi, ai piedi della Cascata del Drago, di fronte all’occhio attento di un maestro che amava entrambi, come ha amato tutti i suoi allievi! Puoi disquisire quanto vuoi, infangare il nostro nome, ma non potrai mai alterare i ricordi, perché quelli tali sono! E se la verità ti fa male, allora io te la mostrerò!” –Esclamò il giovane, allungando la mano verso il volto di Tiamat e afferrandogli la fronte, lasciando che i loro cosmi entrassero in contatto. –“Trasmigrazione dell’anima!!!”

 

Il Primo Forcide fece per travolgerlo di nuovo, quando percepì un mancamento improvviso, come se l’anima gli fosse stata strappata via dal corpo. Istupidito, si ritrovò a fluttuare nel vento, fuori dall’Avaiki, fuori dal mare, trasportato in un cielo di immagini note e meno note, che il cosmo di Ascanio stava riordinando. Per prima, si rivide bambino, un orfano abbandonato da una famiglia povera di un cantone cinese, solo e in lacrime ai piedi di un albero. E vide per la prima volta quando Dohko lo trovò, attratto dai vagiti e dal cosmo che percepiva latente dentro di lui. Vide come lo riscaldò, donandogli il tepore di un abbraccio e di una famiglia, e come lo crebbe, pur senza mai venir meno al suo compito primario, aiutandolo a prendere coscienza dell’energia che possedeva. Un’energia pura, immacolata, speranzosa, come quella di un giovane che amava la vita, la natura e la placida esistenza ai Cinque Picchi.

 

Poi le immagini cambiarono e il sole cedette il posto ad una notte di pioggia. Il Forcide tremò, ricordandola in prima persona, poiché era la notte in cui aveva trovato Ascanio, ai margini di un campo di bambù. Da allora era diventato il suo compagno di addestramenti, il primo amico che avesse mai avuto in quella solitaria vallata nel cuore della Cina, condividendo con lui sogni e ideali, pur provando la spiacevole sensazione di essergli sempre inferiore. Nonostante fossero meno anni che si allenava, Ascanio era più lesto ad apprendere, più forte nel combattimento, più scaltro nell’atterrarlo, come Koroibos ebbe a confermare osservandolo lottare nella gara di pancrazio. Infine, a quelle immagini ne seguirono altre, che entrambi ben conoscevano, i ricordi delle Panatenee, l’attacco dei Soldati del Sole Nero e il crollo di alcuni edifici sopra di loro. Quello che Tebaldo non aveva mai visto, ma che Anhar poi gli aveva raccontato, fu la comparsa di Ermes, scintillante e etereo, quasi danzasse in quel caos che imperversava in tutto il Santuario. Ne ascoltò le parole, osservando l’espressione attonita sul volto di Ascanio e ugualmente affranta. Vide, in lui, per la prima volta, una traccia di esitazione, che però subito scomparve quando afferrò la mano del Messaggero Olimpico, dicendo addio alla sua vita precedente.

 

“Facesti la tua scelta, quel giorno, Ascanio, ed io ho fatto la mia!” –Tuonò il Primo Forcide, tentando di sottrarsi a quel viaggio tra i ricordi. Ma il potere del Comandante di Avalon lo teneva avvinto a sé, forzandolo a condividere frammenti di passato, due anime in un solo corpo.

 

“Non hai ancora visto tutto.” –Si limitò a commentare il Cavaliere della Natura, mentre le immagini mutavano ancora, rivelando adesso una verde campagna, un prato fiorito, un colle terrazzato con un’alta torre diroccata sulla sommità.

 

Glastonbury…” –Riconobbe Tiamat, osservando il giovane Ascanio crescere e diventare un adulto, indossare l’Armatura Celeste e venire iniziato ai misteri. Tutte cose che già sapeva, che Anhar gli aveva raccontato dopo averle scoperte, e che lo irritarono al punto da portarlo ad espandere il proprio cosmo oscuro, obbligando l’antico compagno ad uno sforzo ulteriore per mantenere salda la visione. Così il Primo Forcide fu costretto ad osservare ancora, scoprendo un ricordo che non conosceva, estrapolato da un giorno in cui Ascanio aveva disertato, abbandonando Avalon e la Britannia stessa, per recarsi da solo e in incognito ad Atene.

 

Non lo aveva mai saputo, né ritenuto possibile, eppure eccolo là, avvolto in mantelli di stracci per nascondere le sue erculee fattezze, mentre si aggirava tra le abitazioni del Grande Tempio, diretto verso il lato nascosto della Collina della Divinità, dove si trovava il cimitero degli eroi morti in nome di Atena. Tra la miriade di tombe che ne costellavano il campo, molte anonime e ricoperte di polvere e rampicanti, Ascanio si sedette di fronte ad una, che commemorava tutti coloro che erano caduti il giorno delle Panatenee. E lì pianse.

 

Rimasero così per lunghi istanti, l’Ascanio di allora, in ginocchio nella polvere dei ricordi e dei rimorsi, e l’Ascanio di adesso, con una mano ancora sulla fronte di Tebaldo, per mostrargli quel che non sapeva. Durò poco, ma diede tempo a entrambi di riflettere e di reagire.

 

“Idiozie!!!” –Ringhiò il Primo Forcide, avvampando nel proprio cosmo oscuro e scaraventando il Cavaliere di Avalon molti metri addietro, per quanto questi, aspettandosi un tale attacco, fosse stato abbastanza abile da incrociare subito le braccia davanti a sé, riparandosi in parte. –“Cosa volevi mostrarmi, Ascanio? Che almeno una volta mi hai pensato? Ben poca, rispetto alle volte in cui ti ho pensato e maledetto io, ricordandoti mentre mi allenavo, mentre irrobustivo il mio fisico, fortificando i miei poteri e il mio cosmo grazie all’ombra di cui il mio maestro mi fece dono, l’ombra di un antico potere che presto tornerà a ricoprire la Terra!”

 

“Volevo soltanto che tu sapessi che né io, né Dohko, ti abbiamo mai dimenticato! Sei rimasto nei nostri cuori, come l’amico e l’allievo perduto di un tempo, e che, se avessimo potuto, avremmo voluto che le cose fossero andate diversamente!”

 

“Ma voi avreste potuto!!! E invece avete compiuto una scelta diversa, avete scelto di non scegliere, abbandonandomi e proseguendo per la vostra strada!!!” –Gridò furioso Tiamat, cui Ascanio rispose con un sospiro sconsolato.

 

“Così era il nostro destino!” –Chiosò, sollevando infine le braccia in posizione d’attacco. –“Ma se le mie parole non bastano per cacciar via il dolore dal tuo cuore, lo faranno le mie azioni, quelle con cui combatterò l’uomo malvagio che sei diventato! Non posso avere remore, Tebaldo, neppure con te! Se davvero sei allievo di Anhar e con lui hai condiviso i progetti per la fine del mondo, la nostra amicizia finisce qua, confinata in un ricordo che nessuno potrà più sfiorare, per quanto sangue, dolore e morte possano scaturire quest’oggi tra noi!”

 

“Combattimi, sì, Ascanio! Ma non credere di potermi vincere! Non hai la forza per resistere all’ombra!!!” –Avvampò Tiamat, mentre il Cavaliere delle Stelle si lanciava verso di lui, avvolto nel suo divampante cosmo bianco e rosso. Un buco nero si interpose immediatamente tra i due contendenti, risucchiando l’assalto di Ascanio, che subito scartò di lato, tentando l’affondo da una diversa posizione, ma la macchia di tenebra si spostò con lui, sempre posizionandosi di fronte al Primo Forcide, senza neppure che egli muovesse le dita. Inorridendo, il Comandante dei Cavalieri di Avalon vide anche il secondo ed il terzo attacco andare a vuoto, assorbiti da quella scura chiazza che pareva fosse viva. E forse, temette il giovane, ricordando i pericolosi esperimenti di Anhar e dei suoi accoliti, lo era davvero.

 

“La maestria di ombre…

 

“Un’antica ed efficace pratica di cui il mio maestro mi ha reso partecipe e che mi ha impressionato al punto da farla mia, come vedi, Ascanio! Questo è il potere di Tiamat dell’Abisso Oscuro, questo il potere dell’angelo oscuro! Piegare le ombre al proprio volere e servirsene! Ho imparato bene, che te ne pare?” –Ghignò, muovendo il braccio destro e liberando una moltitudine di fatue evanescenze dal colore dell’ebano che dal buco nero si allungarono verso Ascanio, per quanto egli balzasse di lato in lato per evitarle. –“Rapsodia di ombre!!!”

 

In un attimo il glorioso Comandante venne afferrato e gettato a terra, mentre sinuosi tentacoli oscuri si avvinghiavano al suo corpo, stritolandolo, piegandogli gli arti in pose innaturali, torcendogli persino il collo in modo da potergli sempre mostrare il volto deformato che stava ordinando quella tortura. Il volto che ormai aveva smesso di conoscere, non trovandovi più niente del vecchio amico. Solo un nuovo pericolo.

 

Eppure…” –Rantolò Ascanio, deluso dal fallimento della sua tecnica mentale.

 

Aveva sperato, usandola, di poter risvegliare in Tebaldo il ricordo dei giorni lieti trascorsi in Cina, i sogni di servire Atena e la giustizia, proprio lui che a quegli ideali, anche solo per onorare il maestro che era più di un padre per entrambi, amava dedicarsi anima e corpo. Ma l’ombra di Anhar ormai gli aveva nutrito il cuore e di quel ragazzo non era rimasto niente. Era vero, allora, quel che Tebaldo o Tiamat gli aveva detto all’inizio del loro scontro. Il legame tra lui e Anhar era lo stesso che univa Ascanio e Avalon.

 

Avalon…” –Mormorò, mentre tentava di resistere e liberarsi da quei tentacoli di tenebra. Lui sapeva. Doveva sapere, che Tebaldo era ancora vivo. Avrebbe dovuto vederlo nel Pozzo Sacro, avrebbe dovuto dirglielo, ben sapendo quanto Ascanio gli fosse affezionato. Eppure aveva taciuto e lo aveva persino spinto in guerra, spinto a seguire Asterios in Oceania.

 

“Va’ con lui, Ascanio! Non c’è bisogno di te ad Asgard!” –Gli aveva detto, congedandolo al termine del concilio di tutti i regni divini. E Ascanio aveva obbedito, come sempre, credendo che fosse la cosa migliore per l’equilibrio delle forze in campo. Eppure, adesso, di fronte alla scioccante rivelazione, non poté fare a meno di pensare che Avalon avesse deciso di inviarlo nell’Avaiki per scoprire la verità e fronteggiarne le conseguenze. Sì, si disse, stringendo i pugni. Avalon doveva aver visto quel che avrei incontrato qua sotto! E forse ha fatto bene a non dirmi niente, per mettermi di fronte alla cruda verità e alla necessità di una scelta.

 

“La mia scelta è una soltanto!” –Affermò deciso, chiudendo i pugni ed espandendo il proprio cosmo in un’alba di luce argentea che sfaldò la coperta d’ombra in cui era avvolto, traforandola e infine disintegrandola. –“Combattere! Questo è ciò che so fare, ciò per cui sono nato e che era destino facessi! Combattere e guidare alla vittoria coloro che credono in me, come i miei avi nei tempi antichi! Trema Tiamat, di fronte alla furia dei draghi di Albion! Se per un momento ho messo da parte me stesso, travolto dal ricordo della nostra fanciullezza e dell’amicizia che ci legava, adesso ho ricordato chi sono, ed è stata proprio la tua violenza a farmi rinvenire! Io sono l’erede di Avalon, discendente di Uther e Arthur, della gloriosa stirpe del Pendragon che rese grande, unita e forte la Britannia! In me scorre il sangue del Vecchio Popolo, che risiedeva in Britannia prima dei romani e dei celti! In me permane la forza e la sapienza delle antiche Tribù e nel mio cosmo ruggiscono i draghi di Albion, sovrani dell’equilibrio!!!” –Esclamò, rialzandosi e portando avanti entrambe le braccia, mentre due enormi sagome di scaglie di luce bianca e rossa gli sfrecciavano accanto, fauci aperte, dirette verso Tiamat.

 

Il Primo Forcide comunque non fu troppo impressionato, né dalle parole di Ascanio né dal suo attacco, limitandosi a volgergli di nuovo contro il palmo della mano destra e a lasciare che i draghi rossi e bianchi venissero risucchiati all’interno del buco nero. Ma il Cavaliere delle Stelle, che si aspettava quella mossa, era già balzato in alto, anticipando persino la foga dei due draghi, liberando un nuovo assalto, mirando al volto di Tiamat.

 

“Non illuderti!” –Si limitò a rispondere questi, mentre un secondo buco nero sorgeva di fronte a sé, per inglobare anche il rinnovato attacco del Comandante di Avalon.

 

Dobbiamo… aiutarlo!!!” –Incespicò Alcione, scattando ai lati di Tiamat assieme a Pasifae e liberando i propri colpi segreti. –“Alti flutti spumeggianti!!!”

 

Sinfonia degli abissi!!!” –Le andò dietro la compagna, mirando al fianco opposto, sperando così di cogliere almeno una falla nella sua difesa. Ma anche quei due attacchi incontrarono la stessa fine, venendo risucchiati da una macchia nera che apparve all’improvviso davanti al Forcide.

 

“Se credevate che potessi generare una sola Bocca dell’Abisso, vi sbagliavate in pieno! Tante bocche può avere l’abisso, tante quante io decido che ne abbia! Ma prima di sprofondarvi in quel sempiterno oblio, maciullerò per bene i vostri corpi di modo che neppure i vostri simili, che nell’oscurità ritroverete, possano riconoscervi! Morite, deboli esseri umani! Apocalisse Oscura!!!” –Tuonò, sollevando entrambe le braccia, avvolte in un turbine di tenebra che scagliò in alto Ascanio e i due Heroes di Eracle, gettandoli a terra con le corazze danneggiate e nuove ferite aperte sul corpo.

 

“Questo colpo… te lo ha insegnato Anhar… è il suo stesso attacco…” –Realizzò il Comandante dei Cavalieri delle Stelle.

 

Sogghignando, Tiamat si incamminò verso di lui, trovandolo che boccheggiava fiacco, con lo sguardo rivolto verso la Conchiglia Madre, ove avrebbe voluto essere, a proteggere la Perla dei Mari. Sospirando, il Cavaliere della Natura per un momento dubitò che vi sarebbe mai giunto, stremato da un così ostico avversario.

 

“Primo tra i fedeli di Avalon a cadere per mia mano! Addio Ascanio Pendragon! Vattene dai tuoi padri!!!” –Ghignò Tiamat, preparandosi per liberare di nuovo la tempesta di oscura energia, quando dovette balzare indietro, per evitare un piano di energia che saettò lesto di fronte a lui. –“Ma cosa?! Chi osa disturbarmi? Chi osa sfidare Tiamat dell’Abisso Oscuro?!”

 

“Io oso!” –Esclamò una decisa voce maschile, mentre un uomo dai corti capelli neri, rivestito da una lucente armatura verde e avorio camminava verso i due contendenti, il braccio destro ancora avvolto dal proprio cosmo ardente. –“Non permetterti di levare di nuovo la mano su uno degli allievi del mio maestro o la prossima volta te la mozzerò!”

 

Si… Sirio…” –Lo riconobbe Ascanio, concedendosi un sorriso, mentre affannava nel rimettersi in piedi. Il Cavaliere del Dragone lo aiutò a tirarsi su, ma non vi fu tempo di scambiarsi ulteriori commenti che le aspre parole di Tiamat li raggiunsero.

 

“Un altro allievo di Dohko? Molto bene, sarà uno scontro interessante per dirimere un’antica, quanto retorica, questione. Chi è il più forte tra i suoi discepoli?!”

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo ventiseiesimo: Alle porte di Asgard. ***


CAPITOLO VENTISEIESIMO: ALLE PORTE DI ASGARD.

 

“Sbranateli tutti!!!”

 

L’urlo di Reidar echeggiò nella foresta di Asgard, incitando i lupi al suo comando ad avventarsi contro i coraggiosi esploratori e gli arcieri che si nascondevano sui rami più alti dei giganteschi alberi secolari. Molte bestie caddero trafitte da dardi infuocati, scagliati con maestria dai cacciatori che Bard aveva addestrato personalmente, alcuni dei quali suoi vecchi compagni nelle scorribande nella foresta. Ma altre, più svelte e feroci, evitarono la pioggia di frecce, arrampicandosi poi sui tronchi, avvantaggiate dai robusti artigli, simili a rostri di ferro, che permettevano loro di salire anche le cime più scoscese.

 

“E voi cosa state aspettando? Scattate avanti!!!” –Gridò, rivolto ai soldati che lo accompagnavano, che subito ripresero a marciare, cercando di tenersi alla giusta distanza dai grossi felini corazzati, non desiderando cadere nelle loro grinfie.

 

La cittadella era vicina. Questo il Nefario lo sapeva bene, ricordando il percorso tra gli alberi, che permetteva di giungere ad Asgard evitando la, di sicuro presidiata, via principale. Reidar ricordava anche le teche d’ametista disseminate nel sottobosco, tingendolo di un colore vivace, stridente con il bianco e il grigio di quei paesaggi immutabili. Per quanto non avesse mai avuto simpatia verso il casato di Megrez, dovette ammettere che quelle bizzarre sculture emanavano un perverso fascino. Purtroppo, adesso, di quelle bare violacee non era rimasto niente, neppure gli scheletri dentro contenuti, che Ilda aveva fatto rimuovere al termine della Guerra dell’Anello, ma l’aria di quel luogo era ancora satura di magia oscura, segno che i Megrez per molto tempo vi si erano allenati.

 

“Come lo fu per i nemici di quel nobile casato, uguale cimitero sarà per voi se osate sfidare Reidar dei Warg!”

 

“Facile prendersela con semplici arcieri!” –Commentò allora una voce, risuonando tra gli alberi millenari. –“Forse con un guerriero dotato di cosmo ti risulterebbe più difficile, non credi?”

 

“Perché non proviamo?!” –Aggiunse un’altra voce, rivelando un cosmo caldo, quasi bollente, che invase la parte di foresta dove i lupi stavano combattendo, giungendo persino a sciogliere la neve, mutandola in un pantano fangoso che lesto si incendiò.

 

Ma… cosa?!” –Brontolò Reidar, osservando le proprie gambe sprofondare in un oceano di lava ardente. –“Chi sei? Vieni fuori, codardo!!!”

 

“Un modo piuttosto sgarbato per rivolgerti al tuo carnefice!” –Ottenne come risposta, prima che due figure, alte e robuste, apparissero da dietro un albero, avanzando a passo deciso verso di lui. Subito i lupi, che si erano allontanati impauriti di fronte a quel torrente di magma, iniziarono a ringhiare e qualcuno tentò persino di lanciarsi su di loro, ma bastò il gesto di un guerriero, che liberò un’onda di energia devastante, per dilaniarli, gettandone le carcasse nella lava, che le divorò famelica.

 

Urgh! Non credevo che Asgard disponesse di guerrieri abili con il fuoco, adesso che Artax è caduto!”

 

“Non so chi sia questo Artax di cui parli! Ma è stato il mio compagno, Chirone del Centauro, a generare quest’oceano di magma!” –Esclamò un uomo rivestito da una corazza viola, con rigidi spuntoni sui bracciali, sui coprispalle e persino sull’elmo. –“In quanto a me, se vuoi apprendere il mio nome, avvicinati, così potrai udirlo meglio!”

 

Reidar non si mosse, le braccia sollevate e pronte all’attacco. Furono i soldati al suo fianco a lanciarsi avanti, sfoderando spade e scagliando lance verso i due guerrieri, prima ancora che il Nefario dei Warg potesse urlare loro di stare indietro.

 

“Troppo tardi!” –Sorrise compiaciuto l’uomo dall’armatura viola. –“Tuono del Cacciatore!!! –E travolse quella moltitudine di soldati con un unico devastante attacco, avendo cura di scagliare i corpi proprio davanti a Reidar, disposti in una grossolana linea di confine. –“Scegli! Te ne do la possibilità perché mi sembri sveglio! Vattene, torna sui tuoi passi, o varca la linea! E, a quel punto, muori!”

 

“A chi devo questa gentile offerta?!” –Ghignò il Nefario.


“A Iro di Orione, il primo degli Heroes!” –Si presentò infine l’uomo, incrociando lo sguardo con quello del nemico e rimanendo così, ad osservarsi, per qualche secondo che parve a Reidar interminabile.

 

Proprio quando il servitore di Polemos si decise a farsi avanti, il vento mugghiò all’improvviso, scuotendo le fronde degli enormi alberi che li attorniavano, attirando subito l’attenzione dei Warg, che levarono il capo, iniziando ad annusare l’aria. Una dopo l’altra, sagome deformi sorsero dal terreno, sagome che avevano la forma di scheletri umani. Rachitici, composti di sole ossa, presero ad avanzare da ogni direzione, convergendo su Iro e Chirone, che in breve vennero accerchiati da quella moltitudine di carcasse ambulanti.

 

Umpf! E questo mucchio d’ossa dovrebbe impensierirmi?” –Avvampò subito il robusto guerriero del Centauro. –“Morirò il giorno in cui indietreggerò di fronte a uno scheletro! Magma ardente, spazzali via!!!” –Aggiunse, liberando un’onda di pura lava, che si abbatté su un mucchio di creature, senza danneggiarle minimamente.

 

Tuono del Cacciatore!!!” –Echeggiò Iro, accanto a lui, investendo altri scheletri, che non vennero però neppure smossi da quell’assalto. –“Che stregoneria è questa?!”

 

“Io non credo nella stregoneria, Orione! Dovresti ben sapere che sono un tipo piuttosto… pratico!!!” –Esclamò Chirone, piantando un pugno nel terreno e infondendovi il suo caldo cosmo, che scaturì poco dopo sotto forma di getti di lava, da sotto ciascun scheletro che li attorniava. Ma anche quella tecnica non produsse risultati, non riuscendo a fermare l’avanzata di quell’orrido esercito, che ormai li aveva completamente circondati, al punto da togliere loro ogni visuale che non fosse quel cumulo confuso di ossa e teschi grigiastri. –“Grrr!!!” –Si infuriò il guerriero del Centauro, lanciandosi avanti, deciso ad abbatterli con una robusta spallata, e trovandosi infine a passare in mezzo a loro, senza neppure sfiorarli. Anche Iro tentò la stessa tattica, scoprendo infine l’inganno di cui erano stati vittima.

 

“Sono illusioni!” –Convennero, cercando oltre quella fumosa trappola in cui erano caduti il vero mandante dell’assalto. Gli ci volle un po’, disturbati dalle spettrali figure che, sia pur innocue, continuavano a cingerli d’assedio, strusciando le dita rugose sui loro visi, ma infine ne individuarono l’aura, scalciando frustrati. Chiunque li avesse raggirati era ormai alle porte di Asgard.

 

***

 

Cristal! Combatteremo insieme!” –Esordì Alexer, espandendo il proprio cosmo azzurro. Aveva perso l’elmo, durante il crollo della roccaforte, e la splendida corazza era rigata in più punti, ma il volto dell’Angelo d’Aria trasudava la stessa sicurezza della prima volta in cui il Cavaliere di Atena lo aveva incontrato, mesi addietro, in Siberia, quando era intervenuto per aiutarlo contro Enio.

 

A dire la verità, rifletté Cristal, sollevando le braccia in posizione di guardia, Alexer è sempre intervenuto in mio aiuto, nei momenti di massimo bisogno. Prima contro la Dea della Distruzione, poi contro il Capitano dell’Ombra al servizio di Flegias. E adesso contro Erebo. Sempre vegliando su di lui come un nume tutelare o un vero angelo guardiano. Non seppe spiegarsi il motivo ma d’un tratto giunse addirittura a pensare che, se non fosse intervenuto Abadir, quel giorno in Siberia, Alexer si sarebbe tuffato per salvarlo dalle correnti oceaniche.

 

Perché? Cosa mi rende speciale e così meritevole delle sue attenzioni? Si chiese all’improvviso. Lo fa solo per generosità d’animo? Solo per obbedire agli ordini di Avalon, che forse aveva già previsto l’importanza di noi Cavalieri dello Zodiaco nella guerra contro Caos? No, scosse la testa, accennando un sorriso, Alexer non agisce sotto ordine di nessuno, quello che fa lo fa perché lo sente davvero! Percepisco distintamente il suo affetto!

 

Le sue riflessioni furono interrotte da un sibilo nell’aria che anticipò una raffica di nere daghe di energia che Erebo aveva appena scagliato contro di loro, costringendoli a balzare indietro e a sollevare al qual tempo un muro di ghiaccio, su cui i dardi oscuri si infransero, mandandolo in frantumi all’istante. Cristal valutò anche di ripetere il trucco con cui aveva vinto la Gorgone, ma comprese fin da subito che con Erebo sarebbe stato vano; nessuno specchio di ghiaccio sarebbe stato così resistente da riflettere il suo potentissimo cosmo. E qualcosa in fondo al cuore (forse l’esperienza accumulata in anni di battaglie o la fredda saggezza che i suoi maestri avevano tentato di instillare in lui) gli faceva persino temere che Erebo non avesse ancora tirato fuori il suo vero potenziale, limitandosi, fino ad allora, a giocare con lui, proprio come un gatto si diverte con canarini e lucertole prima di sbranarli.

 

Quel momento non deve presentarsi! Si disse, stringendo i denti ed espandendo il proprio cosmo, che rilucette bianco tra la neve smossa e infettata, sollevandola in un turbine d’aria fredda, che presto si colorò di iridescenti sfumature.

 

“Puoi contrastare le sue daghe da solo?” –Chiese al Principe, che aveva compreso quel che volesse fare, annuendo deciso e incrementando lo strato difensivo del muro di ghiaccio. Con la coda dell’occhio, osservò Cristal alzare le braccia al cielo, a pugni uniti, e poi calarle di colpo, mentre tutto attorno a sé esplodeva il proprio cosmo glaciale, riversandosi in un turbine di gelo. –“Scorrete, acque dell’Aurora!!!”

 

Eccolo! Commentò Alexer, il colpo segreto dei guerrieri del ghiaccio, la stessa tecnica che aveva insegnato ad Acquarius anni addietro, quando era ancora un ragazzo dell’età di Cristal, sebbene mai l’allievo avesse sfoderato una simile potenza d’attacco. Avalon aveva ragione! Cristal e i suoi compagni hanno ormai raggiunto il Nono Senso! Dobbiamo aiutarli a sfruttarlo al meglio, per la nostra comune causa! Realizzò, abbassando il muro di ghiaccio e permettendo all’assalto del ragazzo di sfrecciare verso Erebo, investendo la pioggia di daghe nere e congelandole all’istante.

 

Se non avesse avuto la tetra maschera a coprirgli il volto, i due combattenti avrebbero potuto notare l’ombra della sorpresa scivolare sul viso del Nume Ancestrale, il cui attacco era appena stato vanificato dal vento freddo scatenato dal Cigno.

 

“Non che questo basti a piegarmi!” –Ironizzò, mentre la tormenta lo investiva e lui rimaneva immobile, con il braccio destro sollevato e la venefica aura oscura che lo attorniava. –“Una boccata d’aria fresca è l’ideale per stimolare l’appetito prima di un combattimento! Oh, quanto l’ho rimpianta nei giorni solitari nell’intermundi, dove neppure un filo di vento scuoteva i miei famelici pensieri!” –Lo schernì, osservando i pallidi tentativi dell’attacco di Cristal di rivestire la sua oscura corazza con cristalli di gelo che subito andavano squagliandosi, al solo contatto con il suo tetro cosmo.

 

Quel che dovette temere fu in realtà il rapido movimento di Alexer, con cui evocò una miriade di folgori azzurre, attingendo alla forza profonda dell’universo. In un istante il cielo plumbeo fu striato da una danza di fulmini che si schiantò sul Signore delle Tenebre, strappandogli un grido di fastidio. Sì, puro fastidio per quelli che, per lui, erano solo violenti pizzicotti, niente più.

 

“E le persone che mi infastidiscono tendo a sopprimerle!!!” –Ghignò, spalancando le braccia e liberando un enorme globo di energia oscura, che crebbe, fagocitando e distruggendo il paesaggio attorno, prima di sfrecciare verso Cristal e Alexer.

 

Quest’ultimo fu lesto ad afferrare il Cavaliere di Atena e a gettarlo a terra, innalzando al tempo stesso uno strato di ghiaccio su di loro, dalla forma inclinata, in modo da permettere alla devastante bolla energetica di scivolarci sopra, sollevandosi ed esplodendo poi nel cielo. Quando i due si rimisero in piedi, Erebo già li stava aspettando.

 

“Ora inizio a divertirmi!” –Sogghignò, scattando avanti.

 

Anelli di ghiaccio!!!” –Gridò allora Cristal, puntandogli contro l’indice destro, su cui lampeggiò un’aura biancastra.

 

“Ridicolo!” –Commentò il Nume, continuando ad avanzare, pur con il corpo cinto da cerchi concentrici di energia glaciale che non riuscivano comunque ad attecchire, che non riuscivano neppure a fermarlo sul posto per un momento. Troppo veloce, troppo potente e soprattutto avvolto da un cosmo troppo venefico.

 

“Ora basta!!!” –Tuonò Alexer, bombardandolo di fulmini azzurri, così tanti come mai ne aveva generati fino ad allora, dando fondo ad un’energia accumulata nel corso di millenni d’attesa. Proprio in vista di quel momento. –“Se un fulmine non è sufficiente per rischiarare l’ombra in cui sei nato, eccotene una manciata! Eccoti una tempesta!” –Aggiunse, mentre il suo cosmo limpido cresceva in maniera esponenziale, di fronte agli occhi stupiti e ammirati di Cristal, a cui parve di vedere il mondo intero tingersi d’azzurro. –“Hai detto che nell’intermundi non soffiava un filo d’aria, orbene ti mostrerò io allora, che ne sono il custode, l’essenza primordiale, cos’è una vera bufera! Assapora il massimo attacco dell’Arconte di Aria! Tempesta siderale, infuria!!!”

 

Il gelido turbine si abbatté su Erebo, sradicandolo da terra e sollevandolo in alto, prima che nuove correnti si unissero alla stessa, provenendo da direzioni diverse, tutte convergendo sulla nera sagoma del Nume, bersagliandola con incessanti folgori azzurre. Per un breve istante Cristal si convinse che quell’attacco sarebbe davvero stato risolutivo, ritenendo impossibile che qualcuno sarebbe potuto sopravvivergli.

 

Qualcuno tranne il Primo Nato.

 

Con un boato poderoso, il consorte di Nyx fece esplodere il cosmo oscuro, dilaniando dall’interno la tempesta siderale e disperdendola tutto intorno, ridendo sguaiatamente mentre la stessa sferzava la già devastata vallata, contribuendo a deturparla ulteriormente. Rabbrividirono, Alexer e Cristal, quando videro che la bufera di fulmini stava per abbattersi su un mucchio di Blue Warriors feriti, che a stento si mantenevano in piedi, arrancando tra le rovine del castello.

 

“Maledizione!!!” –Strinse i denti il Principe, spinto indietro, al pari del Cavaliere di Atena, dal suo stesso assalto. Rimase sorpreso però nel vedere che la tempesta non travolse i guerrieri da lui addestrati, passando oltre e lasciandoli indenni, riparati da un velo sottile che alla piena luce del sole forse non avrebbe neppure notato ma che, in quel fosco pomeriggio, indicava una chiara impronta cosmica. –“Chi è giunto in nostro soccorso?!” –Mormorò, atterrando a piedi uniti al suolo, poco distante da Cristal, che si interrogava anch’egli su quanto accaduto. Poi percepì l’aura divina di colei che era intervenuta, sorridendo e ringraziandola, prima di riportare lo sguardo sul Progenitore.

 

“Pare che altri abbiano deciso di unirsi alla nostra festicciola privata! Meglio così, più siamo più ci divertiamo!” –Ghignò questi. –“Sapete una cosa?! Non solo l’aria mi è mancata a volte, nell’intermundi! Anche la compagnia! Sebbene io ami le tinte unite e uniformi, come il nero, ne apprezzo anche le sfumature, perché il nero non è sempre uguale! A volte può essere più scuro, altre volte può macchiarsi di sangue! Come il bianco, come la neve!” –Sibilò, puntando lo sguardo verso un’esile figura che si aggirava tra i Blue Warriors sopravvissuti.

 

Anche da quella distanza, anche se indossava solo grigi mantelli che ne coprivano le fattezze, con cui forse sperava di passare inosservata, Erebo ne percepì l’aura divina e ciò bastò per farlo scattare in quella direzione, famelico ed eccitato.


“Fermati bastardo!!!” –Esclamò Cristal, correndogli dietro, subito seguito da Alexer, che lo invitò ad affiancare il Nume da un lato, anziché stargli in coda, per non incappare nella letale scia che il suo cosmo lasciava ovunque egli passasse, anche solo sfiorando il suolo. Tutto, alle sue spalle, pareva infatti sfiorire, precipitando in una tenebra infernale, persino l’aria.

 

“Ah ah ah! Vieni a prendermi, Cignetto! Spalanca le tue ali e corri da me!” –Rise il Nume, giungendo in fretta tra le macerie dell’abbattuto castello, dirigendosi verso il gruppo dei superstiti. Ne vide la paura sul volto, ne percepì l’ansia e la frustrazione per non potersi difendere, e infine scorse la figura ammantata scattare tra loro, urlando di avvicinarsi a lei quanto possibile, prima di chinarsi e sfiorare il suolo con una mano.

 

Hlif!!!” –Gridò una voce di donna, generando una cupola di energia che la inglobò, assieme ai Blue Warriors che la circondavano, tenendo Erebo e la sua aura oscura a distanza.

 

“Per quanto, però?!” –Ghignò questi, sollevando il braccio destro, avvolto nel suo cosmo corvino, e calandolo di colpo, liberando un fendente di energia che si abbatté sulla cupola, facendola tremare con forza e obbligando ad uno sforzo immane colei che l’aveva innalzata.

 

Odino… Aiutami!!!” –Implorò, crollando a terra, i palmi rivolti verso il cielo, infondendo a quella barriera tutta la propria energia cosmica, pur consapevole che non sarebbe mai bastata. Non contro il Tenebroso.

 

“Allontanati!!!” –Esclamò Cristal, piombando su Erebo, il pugno carico di gelo, e costringendolo a balzare indietro, gustandosi la scia di cristalli di ghiaccio liberati dall’assalto del ragazzo. Scia che evaporò all’istante al contatto con l’aura metifica del Nume Ancestrale, attorno al cui braccio già turbinava il cosmo oscuro.

 

Danza di” –Ma non riuscì a scatenare il suo attacco che venne afferrato proprio per quel braccio da una sagoma portatasi in silenziosa fretta alle sue spalle. –“Alexer!!!” –Ringhiò, mentre l’Arconte azzurro liberava una miriade di fulmini che percorsero il corpo di Erebo per intero, facendolo sussultare e tremare per qualche secondo, prima che questi recuperasse il controllo di sé e lo sbalzasse indietro con un’onda di energia oscura.

 

L’Angelo d’Aria venne scaraventato contro quel che restava degli smussati rilievi ove un tempo sorgeva il suo castello, sommerso poco dopo da una frana di rocce e neve, che lo coprì alla visuale di Cristal.

 

“Quella sarà la sua tomba! Il male nero che l’ha infettato, toccandomi il braccio, lo divorerà in breve tempo tra atroci tormenti! Presto ne sentiremo le grida! Oh, che siano già queste?!” –Sghignazzò Erebo, tendendo l’orecchio destro, mentre già una daga di cosmo nero appariva nel palmo della mano sinistra. Fu un attimo e la scagliò contro la cupola protettiva, mandandola in frantumi e gettando tutti i suoi occupanti a terra. Un secondo strale era già pronto nell’opposta mano, ma fu costretto a deviarne la traiettoria poiché il Cavaliere di Atena si era appena lanciato verso di lui.

 

Polvere di diamanti!!!” –Tuonò Cristal, scatenando la furia delle nevi siberiane, cui Erebo oppose il suo colpo segreto, lasciando che si neutralizzassero a vicenda, spingendo il biondino indietro. Stava per ritentare l’assalto quando vide che il Nume aveva già evocato una nuova lama di cosmo, pronto per scagliarla contro colei che aveva protetto i Blue Warriors, una Dea che alla cura dei bisognosi aveva consacrato la propria esistenza.

 

Sorrise, ripensando alle cure attente con cui aveva riscaldato i corpi assiderati dei Cavalieri d’Oro dopo che lui li aveva liberati dalle prigioni di Hel e con cui aveva guarito le infezioni di Pegasus, intossicato dal veleno di Jormungandr. Chissà quanti altri Einherjar, Asi, Vani o abitanti dei Nove Mondi sono passati per le sue amorevoli mani! E quanti altri avranno bisogno dei suoi trattamenti rinvigorenti quando questa guerra sarà finita! Si disse, bruciando il proprio gelido cosmo. Perché finirà! Oh sì, finirà!!! Ruggì, muovendo lesto il braccio e generando un piano di energia verticale che sfrecciò a lato di Erebo e su cui la daga nera impattò, esplodendo, ricordando al Nume chi fosse il suo avversario.

 

Sforzandosi di rimanere lucido, il Cavaliere di Atena tenne fisso lo sguardo su Erebo, mettendo da parte tutte le sue preoccupazioni. Alexer, i Blue Warriors, la Asinna che li aveva salvati, l’armata delle tenebre che marciava su Asgard, gli scontri che sentiva infuriare vicino al castello e una nuova oscura presenza che si stava avvicinando alla fortezza. Flare. Tutto doveva restare fuori dalla sottile linea di pochi passi che lo connetteva al Progenitore. Lui e il Tenebroso, a nessun’altro doveva pensare.

 

Ce l’avrebbe fatta?

 

***

 

Con un grido rabbioso, Chirone del Centauro fece strage di tutti gli scheletri che li circondavano, distruggendo l’incanto di cui lui e Iro di Orione erano stati vittima. Troppo concentrati su Reidar e sui Warg, troppo fieri e paghi di poter essere di nuovo in guerra, non si erano accorti della nebbia che qualcuno aveva fatto calare su di loro, permettendo alle prede di allontanarsi, lasciando solo i cadaveri delle bestie e dei soldati caduti. Stavano per voltarsi e rientrare alla cittadella, quando percepirono l’avanzare affannoso di un gruppo di uomini che correvano nella boscaglia, incuranti delle tracce lasciate dietro di sé. Non fecero in tempo a chiedersi chi fossero quegli incauti combattenti che videro un uomo, rivestito da una corazza di colore indaco e avorio, sbucare da dietro un albero, sorretto e scortato da una decina di soldati in armatura azzurra, che sapevano essere i Blue Warriors del Principe Alexer.

 

Shen Gado dell’Ippogrifo! Sei tu?” –Parlò allora Iro, mentre il Cavaliere Celeste si avvicinava loro, tenendosi un fianco dolorante.

 

“Lieto di vedervi, valorosi Heroes di Eracle! Cosa fate fuori dal castello? Già l’ombra è giunta a minacciare la sicurezza di chi vi dimora?”

 

“Non ancora, ma giungerà presto!” –Chiosò Chirone. –“Eravamo stufi di rimanere chiusi dietro quelle mura, a sprecare il tempo aspettando quando qua fuori c’era la vera battaglia, così ci siamo presi la libertà di andarcene! E questo è il risultato!” –Aggiunse, aprendo un braccio di lato e indicando la distesa di corpi e lupi che avevano sconfitto.

 

“Mi compiaccio della vostra forza, guerrieri di Eracle, pur tuttavia non avevate ricevuto ordine dal vostro Signore di restare a disposizione di Alexer? E questi non vi aveva ordinato di proteggere Asgard?”

 

“È quello che stiamo facendo!” –Rispose ambiguo Iro di Orione, strusciandosi sotto il naso, prima di avanzare, dando una pacca su una spalla dell’Ippogrifo. –“Torna al castello! La Regina di Asgard avrà bisogno dei tuoi servigi! Ci sono almeno due guerrieri oscuri che stanno per violarne i confini! Noi ci occuperemo del terzetto che ti sta alle calcagna!”

 

“Come?! Chi?!” –Fece per ribattere Shen Gado, prima che tre figure comparissero all’estremità meridionale della foresta, avanzando a passo deciso verso di loro. –“Resterò con voi!”

 

“Non se ne parla!” –Chiarì Chirone, portandosi di fronte a lui e fissandolo con sguardo severo. –“Non sei nelle condizioni di esserci d’aiuto, anzi ci saresti solo d’intralcio! E ora va’, non siamo qui per badare ai feriti ma per combattere!” –Aggiunse, passandogli poi accanto e andando incontro ai tre guerrieri assieme a Iro.

 

Shen Gado rimase ad osservarli per qualche istante, prima di convenire che forse il rude colosso aveva ragione. Era ferito, debole e poco utile in battaglia e avrebbe dovuto informare la Celebrante del pericolo che stava per correre. Così, aiutato dai Blue Warriors, se ne andò, lasciando agli Heroes la battaglia.

 

“Guardalo come corre! Deve aver paura di noi! Ih ih ih!” –Ridacchiò uno dei Nefari dello Zodiaco Nero, il più smilzo dei tre.

 

“Non certo di te, Alu, né di quel vestitino sgargiante che indossi!” –Lo derise un altro, più basso e tarchiato, rivestito da un’armatura verde.

 

“Cerchi rogne, Corb?” –Lo trafisse il primo con uno sguardo feroce, prima che il grugnito del terzo membro del trio li interrompesse, avanzando fiero tra i due e portandosi davanti a Iro e Chirone, che ne osservarono le fattezze.

 

Alto, robusto, tanto quanto il guerriero del Centauro, indossava un’armatura integrale totalmente bianca, che avrebbe potuto confondersi con la neve circostante non fosse stato per il guanto artigliato che gli rivestiva la mano destra, su cui spiccavano cinque grossi unghioni metallici, le cui cime colavano ancora sangue fresco. Senza proferire parola, il Nefario li caricò, fiondandosi tra i due e obbligandoli a scartare di lato, in direzioni opposte, prima di voltarsi verso Iro e sollevare di scatto il braccio destro, generando un reticolato di energia grigiastra che falciò ogni cosa tra di loro.

 

“Di poche parole costoro, ma di tanti fatti!” –Giudicò il guerriero di Orione, evitando i fasci di luce, mentre Chirone, a poca distanza, evocava il magma di cui era padrone.

 

“Ti dispiace? A me no!!! Pioggia di lava!!!” –Esclamò, sollevando un braccio al cielo da cui fiotti di magma iniziarono a cadere dopo poco.

 

“Non così in fretta, bestione! Se le potenze del cielo vuoi evocare, allora me dovrai affrontare!” –Intervenne il guerriero dall’armatura rossastra, librandosi in aria con le ali della propria corazza. –“Alu della Tempesta è il mio nome, Demone assiro portatore di morte e distruzione!”

 

“Ma fammi il piacere!” –Ghignò Chirone, dirigendogli contro il proprio assalto infuocato, cui Alu rispose con un turbine di nubi cariche di pioggia scrosciante, grandine e venti sferzanti, che dispersero i lapilli di lava, annullandosi a vicenda.

 

“Pare che i nostri poteri siano opposti ed equivalenti, guerriero!” –Analizzò il Nefario assiro, svolazzando sopra l’avversario.

 

“Non dire idiozie! Chirone del Centauro non ha equivalenti in battaglia!” –Ruggì il fedele di Eracle, spiccando un salto, sorprendendo lo stesso Alu da quanto agile e svelto quel massiccio guerriero potesse essere. Tentò di evitarlo, ma non fu del pari lesto, venendo afferrato per un braccio da Chirone, mentre già con l’altro gli tempestava la faccia di pugni, spaccandogli l’elmo e un paio di denti.

 

“Lasciami andare stupido bestione o ci schianteremo!” –Ringhiò Alu, che aveva ormai perso il controllo del volo.

 

“No, tu ti schianterai! A terra, dov’è il tuo posto, rettile!” –Tuonò Chirone, usando il corpo del Nefario per darsi la spinta e portarsi sopra di lui, per poi colpirlo con un pugno secco sulla schiena, spingendolo bruscamente al suolo.

 

Aaargh!!! Maledetto…” –Rantolò il demone, faticando a rialzarsi, l’armatura danneggiata e alcune scapole incrinate.

 

“Resta a terra, mi occuperò io di lui!” –Intervenne allora il terzo guerriero, quello con l’armatura verde, superando il compagno sconfitto.

 

“Non intrometterti, Corb! So vincere i miei avversari!”

 

“Ne dubito!” –Sogghignò questi, espandendo il proprio cosmo. –“E non ho certo voglia o tempo di aspettare i tuoi comodi!” –Aggiunse, fissando il guerriero di Eracle, che fece per corrergli incontro, divertito dal dover affrontare un avversario di così bassa statura. Ma non appena fece qualche passo, Chirone crollò a terra, la forza nelle gambe che pareva essere venuta meno, un senso di nausea opprimente che lo portò a tenersi lo stomaco, poi la bocca, senza però impedirsi di vomitare all’istante.

 

“Cos… cosa mi hai fatto?!” –Tossì, incredulo.

 

Persino Alu non proferì parola, stupito dal potere di quell’uomo che molti scansavano come la peste. E ora ne capiva il motivo. Corb dei Fomori era davvero portatore di peste.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 28
*** Capitolo ventisettesimo: L'angelo oscuro. ***


CAPITOLO VENTISETTESIMO: L’ANGELO OSCURO.

 

“Come osi presentarti alla mia corte, subdolo traditore?!” –Ringhiò il possente Amon Ra, fermo, al centro della Grande Sala Ipostila del complesso templare di Karnak, rivestito della sua splendida Veste Divina arancione e dorata, con le dita della mano destra chiuse sulla lunga asta ornata dall’Ankh.

 

“Non mi definirei un traditore, in fondo ho sempre perseguito i miei interessi, restando fedele ai miei ideali!” –Ridacchiò il Gran Maestro del Caos, che aveva appena reindossato l’elmo della sua corazza, una veste nera e scarlatta che lui stesso aveva progettato e costruito, grazie all’oscura sapienza degli alchimisti della Regina Nera, con cui in passato aveva avuto rapporti. Una veste in grado di ospitare, e contenere, il suo turbolento spirito inquieto, dandogli una parvenza di umanità.

 

Umpf, e guarda dove ti hanno portato quegli ideali di guerra? A perdere il tuo stesso corpo, condannato a vivere come un’ombra! Non provi disgusto per le tue nefandezze?”

 

“Uhm, fammi pensare!” –Sibilò l’oscuro avversario, strusciandosi il mento con la mano destra. –“No!!!” –Tuonò, scattando infine avanti, rapido come un fulmine, e portandosi su un fianco del Nume, verso cui diresse un pugno di energia nera.

 

Fu lesto Amon a muovere l’Ankh, facendolo scontrare con l’affondo avversario e respingendolo, ma già quest’ultimo era balzato alle sue spalle, sollevando il braccio destro e allungando artigli di tenebra.

 

“Cadi, Sole d’Egitto! Questo è il tuo tramonto definitivo!!!” –Ringhiò, mirando al cranio del Nume. Ma anche quella volta Amon Ra riuscì ad evitare l’attacco, voltandosi e al tempo stesso gettandosi a terra di schiena, rotolando verso destra proprio mentre gli artigli energetici si piantavano nel pavimento della Sala Larga, distruggendolo.

 

“Mai il Sole d’Egitto tramonterà! Lunghe battaglie ho sostenuto in passato, contro tutti coloro che temevano la mia luce e volevano spegnerla! Dovresti ben saperlo, tu, viscido rettile, che ti servisti persino di Seth e del mio nemico Apopi, l’oscuro serpe del mondo tenebroso, per sbarazzarti di me, fallendo! Come hai sempre fallito nei tuoi miserabili piani, Anhar! E il fatto che tu sia qui, che tu sia intervenuto in prima persona, non fa che confermare la mia teoria!”

 

“Per la verità…” –Ghignò il Maestro del Caos. –“Sono qui per un altro motivo! E presto lo scoprirai! Anzi, lo sentirai sulla tua pelle! Ah ah ah! Nell’attesa, muori! Apocalisse divina!!!” –Imperò, sollevando le braccia al cielo e lasciando partire una bufera di energia oscura, che si scatenò tra le colonne della Grande Sala, frantumando molte di esse, prima di abbattersi sul massimo Nume d’Egitto. –“Vana è ogni resistenza, cedi, Amon Ra, lascia che le tenebre ti cingano nel loro silente abbraccio!”

 

“Mai!!!” –Tuonò il Sovrano di Karnak, espandendo il proprio cosmo lucente, che dal disco dorato collocato al centro delle corna del suo elmo, invase l’intera Sala Ipostila, irradiandosi tutt’attorno, raggiungendo persino gli anfratti lontani dal corridoio centrale dove i due stavano combattendo. –“Demone che di Apopi potresti essere il figlio, lascia che ti mostri, io, la brillantezza del Sole d’Egitto! Lascia che ti faccia dono della mia luce, grande, bella e splendente!!! Disco del Sole, rifulgi!!!”

 

Un ventaglio di vivida luce, dagli aurei riflessi, crebbe dal corpo di Amon Ra, espandendosi ai lati e frenando la furia dell’oscura bufera, prima di insinuarsi, come un deciso cuneo di energia, nella stessa corrente, dirigendosi verso Anhar, per la prima volta preso alla sprovvista da un così diretto attacco. Non poté, l’Angelo Oscuro, evitare l’impatto, che lo raggiunse al ventre, scagliandolo indietro, contro i portoni che conducevano al tempio di Amon.

 

“Quale ironia…” –Ridacchiò il Maestro del Caos, rimettendosi in piedi, senza alcun danno apparente, solo alcune macchie di calore sul pettorale dell’armatura nera. –“Dietro queste stesse porte per secoli ti sei celato, disinteressato agli eventi del mondo! E adesso, dopo che quell’insulso ragazzino ti ha implorato di dargli considerazione, ti ergi impavido e fiero a difensore del pianeta! Domandati dunque chi, tra noi, è il traditore? Chi ha tradito gli ideali che incarnava? Tu, che hai negato la protezione del sole alla tua gente, lasciandoli in balia degli invasori, delle intemperie, delle carestie e dei piccoli tiranni come Seth, o io, che sono sempre stato coerente nelle mie azioni, finalizzate al risveglio dell’Unico Dio che possa dominarci tutti?!”

 

“Ho messo da parte i rimpianti tempo addietro!” –Commentò calmo Amon Ra, cercando di non farsi trascinare dai deliri dell’infido avversario. –“E questa mia nuova vita, che ritengo aver iniziato quindici anni fa, l’ho dedicata a servire una ben più nobile causa che non il dominio!”

 

Ooh, sono impressionato! E dimmi, Dio del Sole, come sta andando la tua campagna bellica? Perché, in verità, non mi sembra tu abbia riscosso grandi successi, al momento! Ah ah ah! Non hai sentito esplodere i templi a sud, lungo il corso del Nilo, e le grida del tuo popolo sommerso dai torbidi flussi? Oh, e correggimi se sbaglio, ma un re non dovrebbe avere una guardia scelta? Un gruppo di guerrieri con qualche nome altisonante, come i Cavalieri Celesti di Zeus? O gli Einherjar di Odino? Tu cos’hai, i Beduini del Deserto?!”


“Faraoni delle Sabbie!” –Precisò Amon Ra, fissando Anhar con astio. –“Guerrieri di indubbio valore che tu conosci bene, avendone massacrati a decine pochi mesi or sono, quando inviasti quei mostri ad assalire Karnak! Non ho dimenticato i cadaveri di Tolomeo delle Piramidi e di Mithra dell’Ibis Eremita massacrati e gettati ai coccodrilli del Nilo!!!”

 

“Uh, ti riferisci al licantropo e al suo branco di ragazzacci?! Mi ricordo di loro! Dei tipi irruenti e difficili da gestire! Ahr ahr ahr! Ma non hanno fatto un buon lavoro, a quanto pare, poiché qualche Faraone ancora resiste! Non che contro Polemos e Chimera abbiano possibilità di sopravvivere, ma qualora ciò accadesse mi premunirò personalmente di porre fine alla loro patetica e servile esistenza! Del resto, tra poco il Sole d’Egitto non sorgerà più, per cui quella stessa casta cesserà di avere un senso!”

 

“Taci, spergiuro!!!” –Tuonò il Signore di Karnak, puntando lo Scettro del Sole avanti e liberando un potente raggio di energia, che Anhar fu svelto ad evitare, lasciando che distruggesse il portone alle sue spalle. Divertito, il Maestro del Caos iniziò a sfrecciare in mezzo al centinaio di colonne della Grande Sala, fluttuando a qualche metro da terra, come fosse una velenosa nube oscura, mentre Amon era costretto a voltarsi in ogni direzione, puntando e muovendo la lunga asta dorata nel tentativo di colpirlo, senza riuscirvi.

 

“Mira scadente, Sommo Ra! È stato facile aver ragione di Apopi, del resto era un nemico ben evidente! Ma quando il tuo avversario è un’ombra immensa, una nube di cosmo oscuro che satura il cielo, fagocitando le stelle e la luce buona del sole, come puoi colpirlo? Come puoi anche solo sperare di fronteggiarlo?! La tua… è follia!!!” –Latrò Anhar, la cui voce pareva provenire da ogni angolo dell’ampio stanzone, amplificata dall’eco e divenendo una lamentosa cacofonia che aumentò la collera sul volto del Dio del Sole. –“Quando ero il tuo consigliere, e potevo girare a mio piacimento in questo vetusto palazzo in rovina, ebbi modo di sfogliare antichi papiri e un inno mi rimase in mente, un inno che i fedeli rivolgevano al sole, come se questi volesse ascoltarli, perso e chiuso nei suoi pensieri e nei suoi dispiaceri! Ah ah ah! Lo ricordi, Amon? Ricordi quel che diceva la gente di te? Quando riposi la terra è nell'oscurità, come se fosse morta. Tutti i leoni escono dalla loro tana, tutti i serpenti mordono! Mi piacque, perché trovo che sia vero!!!” –Sibilò, mentre all’improvviso l’intera cortina di energia oscura che attorniava il Nume si chiuse su di lui, da ogni direzione, decisa a soffocarlo, a togliergli anche il più piccolo spiraglio d’aria e di luce, chiudendolo in un mortale abbraccio oscuro. –“Ed io sono il più velenoso di tutti i serpenti, persino più velenoso di Apopi, che nient’altro era se non una biscia da giardino! Io sono l’Angelo Oscuro, araldo dell’Ombra e Gran Maestro del Caos! Come puoi tu, un semplice Dio di un regno perso tra le sabbie del tempo, opporti a me, opporti a Neter, il Dio?! Ah ah ah!!!” –Sghignazzò, mentre la nube oscura aveva ormai sommerso l’alta figura del Nume egizio, di cui solo la punta delle corna dorate era rimasta fuori, prima che Anhar lo notasse e avvolgesse anch’esse nel suo tetro cosmo. –“Buon viaggio, Amon! La notte cala adesso sull’Egitto!!!”

 

“No!!!” –Tuonò allora una voce, scuotendo l’intero tempio di Karnak e facendo crollare persino alcune colonne della Sala Ipostila, prima che un bagliore dorato sorgesse dal cuore della cortina di tenebra, un lucore che andò ingigantendosi a poco a poco, lacerando dall’interno l’oscura bruma. –“Ho ascoltato fin troppo le tue eresie, Anhar! Blateri solo perché hai la bocca! Mi chiedo se la tua attuale condizione di spirito presuppone che tu abbia una lingua, perché se così fosse… te la taglierò con piacere!” –Ironizzò il Nume, irradiando un’onda di pura energia che distrusse gran parte del cosmo di tenebra che lo teneva prigioniero, permettendo all’alta sagoma di Amon di ricominciare a muoversi, di ergersi ancora, maestoso e splendente, a difesa del suo regno.

 

“Maledetto!!!” –Sibilò Anhar, la cui voce pareva provenire dalla cortina d’ombra che, seppur ridotta di consistenza, continuava ad avvolgere il Dio, fluttuando attorno a lui ad una certa distanza di sicurezza. –“Tanta sicumera da parte di un Nume che solitario s’erge a difesa di un regno che sta cadendo, momento dopo momento, travolto dai demoni della guerra, non ha ragione d’essere! Ed io ti strapperò quel senso di sicurezza! Io ti pugnalerò al cuore!!!” –Ringhiò, mentre dalla nube oscura sorgevano strali di tenebra, simili a lame di pura ombra, che ratte sfrecciarono verso Amon, colpendolo da ogni lato.

 

Per la maggior parte, i dardi energetici non furono capaci di intaccare la gloriosa protezione offerta dalla Veste Divina, ma qualcuno riuscì a farsi strada tra le giunture che univano le varie parti della stessa, affondando nel corpo del Nume e portandogli via un gemito di fastidio e dolore. Al qual tempo Amon Ra agitava furioso lo Scettro del Sole in ogni direzione, parando e deviando gli strali oscuri e disintegrandone altri con raggi di luce, salvo poi rendersi conto che quella situazione avrebbe potuto durare per sempre. Doveva, in qualche modo, rompere l’assedio in cui la nube nera l’aveva cinto e, per farlo, doveva individuarne il creatore.

 

“Disco solare, illumina la via! Che i tuoi raggi circondino la terra fino al limite di tutto ciò che hai creato!” –Declamò, sollevando lo scettro in alto, oltre la coltre di tenebra, e lasciando che la sua luce abbagliasse l’intera Sala Larga. Una raggiera dorata si liberò dalla cima dello scettro, annientando l’assalto nemico e dilaniando la stessa nube oscura, permettendo al Nume di guardare al suo interno. Come aveva previsto, conoscendo le subdole tattiche dell’Angelo decaduto, era il suo ennesimo trucco. –“Hai perso, Anhar!!!” –Avvampò, notando, in quella torbida bruma, una sagoma persino più scura, celata e protetta dal suo stesso cosmo.

 

In quella direzione Amon si mosse, puntando lo scettro sul nemico, caricandolo di tutto il suo cosmo lucente… e non ottenendo altro risultato che tagliare in due la coltre di tenebra, che parve ritirarsi ai suoi lati.

 

“Ah ah ah! Stolto d’un re caduto!” –Sibilò la voce dell’Angelo Oscuro, che sembrava provenire da un imprecisato punto alle spalle del Nume. –“Devi ritenermi proprio uno stupido se credevi che non fossi in grado di celar…” –Ma non riuscì a terminare la frase che all’improvviso sentì una mano chiudersi algida attorno al suo collo, sfondando ogni protezione offerta dalla nebbia e della sua tetra corazza, che andò in frantumi al solo contatto con il poderoso cosmo di Amon, ormai al parossismo. –“Co… come hai fatto a individuarmi?!”

 

“Ora sei tu che mi sottovaluti, Anhar!” –Commentò il Dio egizio, sbattendo a terra l’Angelo Oscuro, avvolto in una vampa di luci amaranto. –“Il primo affondo è stato solo una finta, per snidarti, serpe infame!!!” –E lo sbatté di nuovo nel pavimento, schiantandocelo, godendosi lo scricchiolare della sua tetra corazza al solo contatto con il suo ardente cosmo divino. Una volta, due volte, tre, tante quanto il suo desiderio di vendetta, per essere stato ingannato e mal servito, richiedeva.

 

“Stai attento, Amon Ra…” –Sibilò Anhar, gli occhi rossi che lampeggiavano braci. –“Una serpe così perigliosa può sempre sfuggirti di mano!” –Aggiunse, sollevando di scatto il braccio destro, le dita della mano distese e cariche del suo cosmo oscuro. Con un rantolo soffocato, sfondò la Veste Divina del Nume all’altezza del fianco sinistro, facendogli sputare sangue, prima di spingerlo verso l’alto con tutta la forza di cui disponesse.

 

Ghignando, l’Angelo Oscuro osservò il corpo dorato di Amon schiantarsi contro il soffitto della Sala Ipostila e compiere una rozza parabola verso terra, dove prontamente si fece trovare, avvolto in una coltre oscura sormontata da lunghe lame d’ebano. –“Apocalisse divina!!!” –Tuonò, scatenando la devastante tempesta di vampe oscure ed energia, che investì in pieno il Dio egizio, sospingendolo di nuovo in alto, distruggendo la volta del salone, fino a schiantarlo a terra, molti metri avanti, in un nugolo di polvere e pietre frantumate, come la sua stessa esistenza.

 

“Hai combattuto bene, lo ammetto! Per essere un Dio che alla guerra non ha mai guardato con interesse, delegando tale compito ai tuoi sottoposti! Una Dea Leonessa e la sua tenera gattina, le cui vite ormai Polemos avrà preso! Ah ah ah!” –Ridacchiò Anhar, avanzando verso il corpo riverso al suolo di Amon, il cui magnifico copricapo era stato scheggiato dalla bufera di energia. –“Ma anche tu hai dei limiti, possente Ra, ed il più grande di questi è un limite cui tu stesso ti sei condannato! La tua solitudine!” –Ringhiò, colpendogli il cranio con forza e scaraventandolo contro un paio di colonne, abbattendole. Nell’impatto, il Nume egizio perse addirittura l’elmo protettivo, che ruzzolò per qualche metro, rimbalzando contro una colonna e rotolando fino ai piedi dell’Angelo Oscuro, che lo osservò divertito, prima di farlo sollevare da un’oscura evanescenza e stringerlo in mano. –“Sei come queste corna, Amon! Spezzato! E il sole che dovevi essere, la luce che dovevi infondere ai tuoi fedeli, non lo sei mai stato!”

 

“È stata tutta colpa tua!” –Rantolò infine il Nume, affannando nel rimettersi in piedi, ferito dalla tormenta energetica e dalle parole del demoniaco consigliere.

 

“Oh no! Non scaricare le tue colpe su altri! Non hai bisogno di me per rimanere solo! Il tuo animo era già predisposto all’isolamento, io non ho fatto altro che accelerare i tempi! Ah ah ah! Guardati adesso, in ginocchio di fronte all’ombra, con il sangue divino che ti cola sul volto e ti ricorda quanto ti sei indebolito! Sei la vergogna dei tuoi avi, l’ultimo dell’Enneade e il più indegno! Hai condannato Karnak e l’Egitto solo per strappar via le vesti alla Sacerdotessa di Apollo! Per il figlio da lei avuto, per quel bastardo greco, gli Dei a te fedeli ti hanno abbandonato, gli amici a te cari sono morti! Il coraggioso Osiride, la cara dolce Iside, i figli di Horus e… oh, non è forse il cosmo del Dio Falco questo che geme, implorando pietà? È così debole che quasi non lo percepisco più, e tu?!” –Sghignazzò l’Angelo Oscuro. –“Cosa ti resta? Certo non queste mura ingiallite dal tempo, che presto l’Armata delle Tenebre raderà al suolo! Oh, dimenticavo, quel figlio bastardo causa della tua rovina! Mi chiedo, allora, ne è valsa la pena, poco possente Amon? Ne è valsa la pena perdere tutto per tenersi quel biondino dal volto chiazzato di efelidi?”

 

A quella domanda, il Signore di Karnak si alzò in piedi, sollevandosi nel suo cosmo dorato, apparendo persino più alto di quanto non fosse in realtà. Mosse a malapena le labbra, fissando Anhar negli occhi e rispondendogli con decisione.

 

“Sì!” –Dichiarò a gran voce, liberando una devastante esplosione di energia che investì in pieno il Maestro del Caos, scagliandolo molti metri addietro, contro le porte danneggiate del tempio di Amon, che crollarono su di lui, assieme a parte delle mura attorno.

 

“Volevi una risposta, Anhar?! Adesso l’avrai!” –Esclamò fiero il Sovrano d’Egitto, il cui corpo pareva avvolto da una seconda corazza, una veste di pura vivida luce, così intensa da obbligare l’Angelo Oscuro a distogliere lo sguardo, incapace di sopportare tale meraviglioso lucore. –“Tu non puoi vederli, poiché tu vedi soltanto ombra e morte, ma io non sono solo! Attorno a me ci sono le luci dei cosmi di coloro che in me hanno creduto! Osiride e la sua sposa, per primi, finalmente ritrovatisi oltre il desolato grigiore di Amenti, i figli di Horus, i Faraoni delle Sabbie, i miei guerrieri! Persino un Cavaliere della Dea Atena, tale Micene di Sagitter, mi fa visita e mi incita nei momenti di sconforto, come mi incitò quel giorno, quando decisi di abbandonare i rimpianti! E tu non potrai vincerci, non potrai vincere chi lotta perché crede! Tu, Angelo decaduto, che in niente credi, soltanto nell’ombroso vuoto che sta al di là dei mondi, in quello stesso vuoto ti perderai!!! Disco del Sole, rifulgi!!!” –E spalancò le braccia, concentrando il cosmo sul simbolo dipinto sul pettorale della propria corazza, un cerchio con un punto nel mezzo.

 

L’occhio di Ra, in grado di vedere in ogni direzione, anche nella tenebra più fitta.

 

L’esplosione di energia investì Anhar in pieno, distruggendo gran parte della sua corazza e strappandogli grida di puro terrore. Per quanto fosse privo di un corpo, quel lucore intenso parve penetrargli dentro, lacerando in profondità la coltre di tenebra che ormai costituiva la sua vera essenza.

 

Aaargh!!! Dannato Amon!!! Dannata tu e la tua stirpe che così tanto dolore mi provocate!!!” –Ringhiò la sagoma di vampe oscure, che si sollevò da quel che restava della tetra armatura del Maestro del Caos.

 

“Quale mostruosità!” –Commentò il Signore di Karnak che, sebbene da Avalon fosse stato informato sulle reali fattezze dell’Angelo Oscuro, non riuscì a trattenere un moto di disgusto di fronte a quell’abominio. –“Persino peggiore di Seth e Apopi! Un’ombra, e niente più. Questo quel che rimane di te. Ti rigiro la domanda, Anhar: ne è valsa la pena? Ne è davvero valsa la pena, donare tutto, anche te stesso, al Caos? Gettare via la tua esistenza per concluderla in forma di spirito, sostenuto soltanto dal volere dell’Unico Dio?!”

 

“Non puoi vincermi! Lo sai!” –Sibilò Anhar, mentre dalla parte inferiore dell’oscura sagoma si allungavano lingue di fuoco nero, che in breve riempirono l’intera sala del trono di Amon, incendiandone il misero mobilio e ustionando le pareti.

 

“Lo so bene, ma posso comunque farti male! Tanto male!” –Rispose fiero il Sole d’Egitto, sollevando lo scettro e liberando un unico potentissimo raggio di energia che trapassò la fluttuante figura oscura laddove, fosse stato un uomo, avrebbe dovuto esserci il cuore.

 

“Non quanto te ne farò io! Ho deciso, prenderò il tuo corpo! Lo reclamo per me! Lord Caos, mio Signore, fammene dono, ti prego! Onora il tuo più fedele servitore con il corpo del Sole d’Egitto! Oh, quale soddisfazione sarebbe oscurarne lo splendore con la tua tenebra infinita!” –Ghignò l’Angelo Oscuro, avventandosi su Amon Ra, che, impallidendo a quella temibile prospettiva, mulinò l’asta dorata, liberando migliaia di strali lucenti che fendettero, trapassarono, falciarono l’oscura aria, senza fermarne però l’avanzata.

 

Fu un riflesso dorato a interporsi tra i due avversari, un riflesso che presto assunse la forma dello stesso Maestro del Caos, costretto a frenare la sua corsa e ad osservarsi in quello che infine riconobbe come uno specchio finemente lavorato.

 

Specchio del Sole!!!” –Tuonò allora una voce giovanile, mentre un ventaglio di energia si apriva dal vetro stesso, chiudendo l’Angelo Oscuro in un serrato abbraccio di luce, dentro cui, poco dopo, mentre cercava di fuggire, una torva di folgori azzurre iniziò a danzare. –“Tridente dei Mari Azzurri!!!” –Intimò una seconda voce, apparendo a fianco di colui che aveva appena parlato.


Febo! Marins!!!” –Li riconobbe Amon Ra all’istante, osservando i Cavalieri delle Stelle disporsi attorno al Maestro del Caos, in modo da creare, assieme ad Amon stesso le punte di un triangolo di luce.

 

“Padre, state bene?!” –Si preoccupò subito il ragazzo dai capelli biondi e dal volto stanco, cui il Nume rispose con un sorriso sincero, prima di voltarsi verso il compagno che, dall’altro lato della Sala di Amon, roteava il Talismano da lui custodito sopra la testa.

 

“Vedo che ti trovi a tuo agio con quella mano artificiale, giovane Marins!”

 

“Non potrei chiederei di meglio, lucente Sovrano!” –Rispose il Cavaliere dei Mari Azzurri, tenendo i sensi concentrati sulla figura di pura ombra al centro del triangolo, attorniata dalle folgori scatenate dalla sua arma. –“Il mio mentore, il Principe Supremo degli Angeli, la cui stirpe quest’orrida creatura ha disonorato, mi disse, curandomela, che anche un antico guerriero, cantato nelle leggende celtiche, aveva subito una sorte simile! Nuada, re dei Túatha Dé Dánann, era il suo nome e anch’egli perse una mano in battaglia; ma Dían Cécht, medico e guaritore, gliene creò una d’argento, con le dita mobili, con cui poté tornare a combattere, guadagnandosi il soprannome di Aircetlam, Mano d’Argento! Ed io potrei esserne l’erede, Marins Aircetlam, non trovate che suoni bene?!”

 

Marins lo storpio ti chiameranno quando avrò finito con voi, irritanti ragazzini!” –Sibilò l’Angelo Oscuro, avvampando nel proprio cosmo fiammeggiante e dirigendo tetre lingue di fuoco verso i due Cavalieri delle Stelle. –“Avrei dovuto finirvi quel giorno a Creta, me sciagurato e di buon cuore! Pazienza, sono ancora in tempo per rimediare!”

 

“No, non lo sei!!!” –Imperò Febo, espandendo al massimo la propria aura cosmica, che subito entrò in sintonia con quella del padre, con cui solo una volta, quindici anni addietro, aveva combattuto. Marins, dall’altro lato del salone, sorrise ammirato, percependone le sfumature divine, quella solenne aura luminosa che fino a quel giorno Febo non aveva mai ostentato, riconoscendo infine chi aveva di fronte. Il suo migliore amico, ma anche il figlio di un Dio. –“Io sono il figlio del Sole e ti bandisco da queste guerre, Angelo Oscuro!!! Che la luce di Amon ti purifichi, immonda creatura!!! Specchio del Sole!!!” –Esclamò a gran voce, stringendo il Talismano con entrambe le mani e immobilizzando Anhar all’interno del cono di luce dallo stesso generato, un cono che divenne in breve una prigione carica di una poderosa forza di attrazione, in grado di attirare il fiammeggiante spirito oscuro verso di sé.

 

Onde evitare che potesse sfuggire al suo destino, Marins roteò il Tridente dei Mari Azzurri, caricandolo di tutto il suo cosmo, e lo piantò infine nel pavimento, liberando una danza di lucenti saette azzurre, che chiuse ad Anhar ogni via di fuga. Una selva di folgori che in breve si riunirono tra loro, in un unico poderoso globo di energia azzurra, attorno al quale parvero schiumare le acque di tutti gli oceani.

 

Maremoto dei mari azzurri!!!” –Esclamò il giovane americano, investendo l’Angelo Oscuro con il suo attacco e spingendolo sempre più verso Febo, verso lo Specchio del Sole che avrebbe incenerito anche quell’ultima orribile versione di sé.

 

Aaargh!!!” –Ringhiò furioso l’araldo dell’ombra, dimenandosi all’impazzata, alla ricerca di una possibile via di fuga, stretto nella lucente morsa dei Talismani che tanto aveva temuto. Non ebbe tempo di riflettere a lungo, solo di invocare l’aiuto dell’Unico Dio cui era devoto, che già Amon Ra aveva espanso il proprio cosmo e l’occhio del sole d’Egitto si era posato su di lui, investendolo con un’ondata di calore abbacinante, che obbligò persino i Cavalieri delle Stelle a ripararsi gli occhi.

 

Quando la luce scemò di intensità, e i tre tornarono a vedere, notarono che niente più era rimasto di Anhar, soltanto miseri frammenti della sua veste oscura. Nel silenzio che segue una battaglia, si guardarono attorno, scambiandosi uno sguardo carico di mille domande.

 

“Dov’è andato?” –Trovò infine la forza per parlare Marins.


“Dal suo padrone!” –Si limitò a rispondere Amon Ra, certo che quell’ombra funesta avrebbe ancora tormentato le loro esistenze, fin quando l’ultima fonte di luce non fosse stata estinta.

 

“Padre! Siete ferito!” –Esclamò allora Febo, avvicinandosi al Nume, che lo pregò di non preoccuparsi, pensando piuttosto alle proprie lesioni, che deturpavano il volto perfetto del ragazzo. –“Padre… La Dea Iside, mia madre adottiva… io… sono arrivato tardi! Lei è morta a causa mia! Come farò a dirlo a Horus?!”

 

“Credo che già lo sappia, figlio mio! Ma non parlare così! Non tua è stata la mano che le ha reciso la vita e neppure di Anhar, per quanto mi secchi ammetterlo!”

 

“Cosa intendete dire, possente Amon?!” –Domandò allora Marins, avviandosi dietro al Nume e a Febo verso il cortile interno di Karnak.

 

“C’è solo un responsabile per tutte queste guerre, queste stragi che da anni macchiano la nostra terra, e tutti ne conosciamo il nome!” –Spiegò allora Amon Ra, fermandosi sulla soglia del tempio e osservando lo sfacelo che attorniava la pozza a lui sacra, ove corpi massacrati di Soldati del Sole, Faraoni e Dei giacevano scomposti. –“Il suo nome è Neter o Amut e, come Anhar mi ha ricordato, egli è il Dio originario! Egli è il Caos, unico Dio creatore e dispensatore di vita e di morte! Noi, in fondo, siamo tutti suoi derivati, figli suoi, figli dell’Unico, la cui essenza permea ogni organismo! Può darsi che anche il nostro animo ne sia corrotto, può darsi che sia per questo motivo che a volte compiamo il male, che a volte lasciamo che le tenebre guidino i nostri passi! Mi dispiace, Febo, non so dare una risposta ai dubbi che attanagliano il tuo cuore, perché sono gli stessi che dimorano nel mio! Solo una cosa so per certa, che non avremo pace, nessuno di noi l’avrà, sia esso uomo o Dio, finché Caos non sarà sconfitto! Fino ad allora, continueremo ad essere burattini nelle sue mani, proprio come Anhar!” –Chiosò il Nume, abbandonandosi ad un sospiro. –“È tempo di prendere una decisione!”

 

***

 

“Al tuo posto, ragazzino!!!” –Ringhiò Polemos, spingendo indietro Jonathan con un’onda di energia, che lo schiantò addosso a Reis, facendoli ruzzolare entrambi giù dalla duna di sabbia. Fece per inseguirli ma già un muro di fuoco si era sollevato davanti a lui, impedendogli di proseguire; un muro a fianco del quale l’imperiosa sagoma di Andrei avanzò poco dopo, avvolta in un’aura rossastra.

 

Per quanto fossero già alcune ore che stavano combattendo, Polemos pareva non avvertire ancora la stanchezza, né la noia che solitamente lo invadeva durante lo scontro con un qualsiasi essere che reputava inferiore. Ossia tutti i nemici affrontati, e vinti, fino a quel giorno.

 

Doveva ammetterlo, Andrei era un vero Signore della Guerra, molto più di quanto Ares si fosse proclamato. Nonostante la sua indole focosa e bellicosa, sapeva aspettare, sapeva osservare, scrutando l’avversario e il suo modo di combattere, e, di questo il Lord Comandante fu certo, avrebbe persino saputo come controbattere qualsiasi tecnica, dopo averla osservata una sola volta.

 

L’unico problema, per lui s’intende, è che il Demone della Guerra, personificazione dell’energia vitale del pianeta, che nello scontro raggiunge il culmine della sua furia, non possiede tecnica alcuna, non ne ha bisogno! Perché, se volesse, potrebbe averle tutte! Tutte quelle dei nemici che ha affrontato, studiato e vinto, tutte quelle degli Dei che ha massacrato, estirpando il loro puerile culto, come accaduto alle Divinità Etrusche, Umbre, Picene e di altre popolazioni italiche che nessuno, neppure gli attuali abitanti di quei luoghi, ricordano più! Sogghignò Polemos, mentre Andrei generava una sfera di fuoco sul palmo della propria mano, scagliandogliela contro un attimo dopo. Anzi, prima ancora di un attimo. La sua velocità è stupefacente! Commentò il Dio ancestrale, evitandola e lasciando che esplodesse alle sue spalle, nel mucchio di guerrieri a lui fedeli intenti a fronteggiare i seguaci del Dio Inti.

 

“Maestro!!! Siamo con voi!” –Esclamò allora una gioviale voce maschile, mentre due sagome d’oro lucente balzavano a fianco di Andrei. I due giovani che Polemos aveva spinto via un minuto prima, rei di aver interrotto uno scontro ai massimi livelli che solo Andrei avrebbe potuto dargli, tra tutti quegli scalcagnati che lo avevano accompagnato a Karnak.

 

“State indietro! Polemos è nemico ben superiore alle vostre possibilità!” –Parlò l’Arconte rosso con voce decisa, intimando i due Cavalieri delle Stelle di allontanarsi. –“Portate aiuto a Horus e Bastet! Sento i loro cosmi in difficoltà contro la triplice furia della Chimera!”

 

“Come desideri, maestro mio!” –Annuì Jonathan, prima di scattare via assieme a Reis, senza che Polemos tentasse di ostacolarli. Con gran sorpresa di Andrei, il Nume bellico si limitò ad osservarli, sebbene fosse certo che i suoi occhi fossero solo per Jonathan.

 

“Non ti somiglia affatto!” –Commentò infine, sorprendendo l’Angelo di Fuoco. –“Fisicamente, intendo! Sebbene la calda aura cosmica che lo avvolge sia simile alla tua, sorretta dalla stessa incandescente passione!”

 

“Mi sorprende che tu non gli abbia detto niente! Non mi avevi minacciato a tal riguardo, poco prima?!”

 

“Ah ah ah! Non sei uomo ilare, Andrei! Il mio era solo un tentativo di distrarti, niente più! Cosa vuoi che mi importi dei tuoi drammi familiari?!” –Ridacchiò Polemos, godendosi l’espressione contrita apparsa sul volto dell’avversario. –“Solo una domanda, prima di guerreggiare ancora! Perché non gliel’hai detto?”

 

“Dubito che tu comprenda, né mi interessa che tu lo faccia in verità! Ma poiché il tuo silenzio è stato per me un garbo ti risponderò! Per proteggerlo, solo per questo!”

 

“Capisco!” –Annuì il Lord Comandante, con una serietà nello sguardo a cui Andrei parve quasi credere per un momento.

 

Per un momento.

 

“A te, Signore del Fuoco, il rotolo di Vanth! Affinché tu possa leggervi un destino che ben sai che accadrà! Morirai senza avergli detto niente, con questo rimpianto nel cuore!” –Declamò Polemos, travolgendo l’Arconte rosso con un’onda di energia, in cima alla quale pareva ergersi il demone etrusco custode degli inferi, gli avidi occhi fissi su di lui. Ma proprio mentre il potente maroso si chiudeva su Andrei, una fiamma ancor più vivida lampeggiò in quel turbinio, una fiamma che incenerì Vanth e il suo lungo rotolo di colpe, verità e fati amari. Una fiamma che assunse presto la forma di un maestoso uccello infuocato che si sollevò in volo diretto verso Polemos. –“Che trovata è mai questa?!” –Chiese quest’ultimo, prima di percepire un secondo cosmo, giunto in aiuto di Andrei.

 

“Non una trovata, bensì la fenice immortale, in grado di rinascere dalle proprie ceneri!” –Parlò una decisa voce maschile. –“Ho ascoltato il tuo sermone sui rimpianti e posso dirti che io non ne ho nemmeno uno! Cancellati sul nascere dalle mie azioni sono stati i pochi che ho provato!”

 

“Chi sei, uomo?!”

 

Ikki di Phoenix. Di Atena Cavaliere!” –Si presentò il nuovo arrivato, il cui cosmo ardente prometteva l’accendersi di un nuovo incendiario scontro.

 

 

 

 

 

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Capitolo 29
*** Capitolo ventottesimo: L'urlo degli uomini. ***


CAPITOLO VENTOTTESIMO: L’URLO DEGLI UOMINI.

 

Con un solo colpo Zeus aveva scheggiato la cotta protettiva di Atlante, lacerandone la pelle al di sotto e strappandogli un grido di dolore, la prima reale sensazione che era tornato a provare dopo secoli trascorsi nell’oblio delle sabbie desertiche. Adesso il Nume Olimpico sostava a mezz’aria, le grandi ali della Veste Divina spalancate, il cosmo color avorio che risplendeva vivido attorno a sé, rischiarando il tardo pomeriggio ateniese e infondendo nuova speranza nell’animo di coloro che a fatica stavano resistendo.

 

C’è ancora luce! Mormorarono Asher e gli altri Cavalieri di Atena, riuniti alla Prima Casa, allo stremo delle forze, osservando l’eleganza con cui il Nume Supremo degli Olimpi si muoveva. Reda, Salzius, Nemes, i soldati semplici del Grande Tempio rimasero ammutoliti di fronte all’intenso lucore del suo cosmo, che mai avevano percepito. Anche Mur, Virgo,Tiresia e Castalia, che pure lo avevano incontrato in passato, ne furono comunque rinfrancati. Fu quest’ultima a notare un guizzo di energia violacea scattare tra le gambe del titano, un lampo simile ad una lunga e sottile lancia che andò conficcandosi nel polpaccio destro di Atlante, in un punto non protetto dall’armatura.

 

A quel gesto seguì un urlo furioso del figlio di Giapeto, che iniziò a scalciare con violenza, distruggendo tutto quel che si ergeva attorno a sé, rocce, edifici o persone.

 

“Presto! Salite a bordo! Non c’è tempo da perdere!” –Esclamò allora una voce maschile, mentre una sagoma scura planava sui devastati gradini che conducevano alla Casa di Ariete.

 

“Ma tu sei…” –Mormorò Tiresia, riconoscendo il compagno dal lungo crine azzurro. –“Neottolemo del Vascello! Sei dunque tornato?”

 

Il Nocchiero di Tirinto annuì, prima di rinnovare l’invito ai Cavalieri di Atena e ai vari soldati di montare a bordo, in modo da allontanarli dall’incontrollata furia di Atlante.

 

“Fate salire prima i feriti e coloro che necessitano di assistenza!” –Esclamò allora Mur, e anche Virgo, al suo fianco, gli dette ragione, mentre Asher e Nemes si prodigavano per aiutare i vari soldati a issarsi a bordo della Nave di Argo. Quindi anche i due Cavalieri raggiunsero Neottolemo, seguiti da Reda, Salzius e Kama, che scambiò qualche parola con il fedele di Eracle, indicandogli un punto, non lontano, dove Kiki e il Cavaliere del Sestante erano andati poco prima, per radunare le sacerdotesse e gli apprendisti.

 

“Dobbiamo recuperarli in fretta!” –Spiegò, cercando lo sguardo dei Cavalieri d’Oro, che annuirono concordi, prima di incitare il Nocchiero di Tirinto a gonfiare le vele e andarsene.

 

“Noi restiamo!” –Precisò Mur, di fronte agli sguardi preoccupati e affranti degli altri Cavalieri di Atena. –“Presidiare le Dodici Case e difenderle da qualunque nemico è il compito dei Custodi Dorati e non verremo meno al nostro onore adesso! Ti preghiamo, nobile Timoniere di Eracle, di condurre i nostri compagni in salvo! Li affidiamo a te!”

 

Neottolemo del Vascello rispose con un cenno del capo, prima di espandere il suo cosmo e iniziare a far sollevare la nave, allontanandola dallo scontro in atto, che era ripreso con violenza.

 

Un lampo di luce adamantina aveva appena squassato il tramonto di Atene, anticipando il nuovo assalto del Sommo Zeus, che stava dirigendo le proprie folgori contro il volto di Atlante, sia per ferirlo che per stordirlo con continui e casuali lampi di luce. Al tempo stesso, dal basso, un’agile figura, avvolta in un cosmo violetto, balzellava da una gamba all’altra, piantando una lunga asta di energia nei punti non coperti dall’armatura. Di certo, per il titano, erano punture d’insetto, ma generarono in lui un fastidio crescente, soprattutto perché quello scattante combattente sembrava sapere dove colpire, laddove passavano i tendini dei muscoli.

 

Fu proprio quel nuovo arrivato ad attirare l’attenzione di Castalia, rimasta alla Prima Casa assieme a Tiresia e ai due Cavalieri d’Oro. Facendo attenzione a non essere colpita dallo scalciare furioso della progenie di Giapeto, la Sacerdotessa dell’Aquila si avvicinò circospetta, osservando colui che lievi ma prolungate sofferenze stava infliggendo al gigantesco avversario, stupendosi nello scoprire che si trattava di un uomo. Un Cavaliere Celeste, a giudicare dall’armatura che indossava.

 

Simile alle corazze di Nikolaos e degli altri difensori dell’Olimpo, aveva decorazioni color indaco ed era meno coprente di quelle dei suoi defunti compagni, dando un’idea di leggiadria, velocità e freschezza. Il guerriero sconosciuto aveva un fisico snello, all’apparenza non troppo allenato, e un folto ciuffo di capelli castani, tendenti al rossiccio, ma il viso, quello Castalia non poté vederlo, riparato da una maschera che contornava i suoi occhi. Stranita, la donna si chiese chi fosse quell’ardimentoso personaggio, che mai aveva incontrato finora, non ritenendo che vi fossero altri Cavalieri Celesti sopravvissuti, oltre all’Eridano e alla Coppa Celesti.

 

Quasi avesse sentito il suo sguardo su di lui, il giovane seguace di Zeus si voltò, notandola subito dietro una roccia, ma non ebbe alcuna reazione, se non quella di caricare di nuovo la lunga lancia energetica nel braccio destro e lanciarsi di nuovo all’assalto. Quella donna dal volto ricoperto da un’argentea maschera integrale per lui non significava niente.

 

***

 

“Nuovi rinforzi, fallace Atena? Soltanto ulteriori ritardi nel porre fine alla tua infausta e rovinosa esistenza!” –Esclamò Etere, osservando i tre appena giunti in aiuto della Dea di Grecia. Un uomo nerboruto, dalla danneggiata corazza scura, un giovane snello ed elegante, rivestito da una celeste armatura dalle aggraziate forme, ed un terzo ragazzo, dai mossi capelli scuri e dall’acceso sguardo, che subito si era posto a difesa di Atena, il pugno ricolmo di un’energia sfavillante che, il Nume Ancestrale dovette ammettere, ribolliva come ben poche. Uno sfavillio di certo superiore a quello dei cosmi che avevano fino a quel momento tentato di frenare l’avanzata di Atlante. Chi era quel giovane dal così lucente cosmo? Lucente e intenso, persino superiore a quello della Dea che ardiva a difendere. Possibile?

 

Fu la delicata mano della sorella a porre fine ai suoi dubbi, sfiorandogli una guancia e sorridendogli, ricordandogli chi erano loro. La luce più alta, il cielo più elevato, negati agli umani che di nient’altro erano degni se non di sprofondare nella tenebra stessa che, con le loro azioni sconsiderate, avevano creato. Incapaci di rifuggirla completamente, avevano lasciato che divorasse i loro cuori, non meritando quindi alcuna pietà. Su questo, Etere ed Emera erano concordi, sulla necessità di un nuovo inizio, per il pianeta e per coloro che lo abitavano.

 

“La vostra razza impura e imperfetta cesserà di esistere quest’oggi! Voi sarete i primi, ardimentosi giovani, se lo desiderate!”

 

“Ma chi si crede di essere questo?!” –Bofonchiò Pegasus, prima che Atena gli intimasse di fare attenzione.

 

“Il suo nome è Etere ed è uno dei figli di Nyx, Divinità la cui potenza ben ricorderai, Cavaliere, non è così?!” –Mormorò allarmata, strappando un moto di sorpresa, e forse recondita paura, al suo paladino, prima che questi riacquistasse la sua solita apparenza spavalda.

 

“Bene, pare che oggi sia destinato a incontrare tutti i parenti della Dea della Notte! Prima il suo compagno, adesso i suoi figli! Ha anche dei nipoti da presentarci?!” –Ironizzò, avanzando, il cosmo azzurro che sfolgorava attorno a sé.

 

“Dubito che ti piacerebbe conoscerli, Cavaliere! Per cui, accontentati della nostra presenza! Sarà transitoria, comunque!” –Rispose Etere, prima che Pegasus, sorprendendo lo stesso Nume, balzasse in alto, aiutandosi con le ali della sua ricostruita corazza, e si lanciasse su di lui.

 

Fulmine di Pegasus!!! Iaiii!!!”

 

La miriade di meteore luminose riempì lesta l’aria, rubando al Dio Ancestrale un’espressione di puro stupore, pur senza raggiungerlo, riparato da un’invisibile barriera che frenò, parò e infine rimandò indietro tutti i colpi del ragazzo.

 

“Attento, Pegasus!!!” –Si preoccupò subito Atena, dal basso, ricevendo in cambio un sorriso dal suo Cavaliere, che, aspettandosi quella mossa, tipica di tutti gli Dei affrontati fino ad allora, si era già spostato, con un ulteriore colpo d’ali, portandosi al di sopra dell’onda di ritorno del suo attacco. Quindi, senza indugiare ulteriormente, aveva radunato il cosmo sui pugni, chiudendo le braccia sopra di sé e poi calandole in avanti, liberando un unico devastante attacco.

 

Cometa lucenteee!!!” –Gridò, piombando su Etere. Ma anche quell’assalto fu vano, venendo fermato dal cosmo del Nume che, portato un braccio avanti, lo aveva concentrato sul palmo aperto della mano destra, lo stesso che adesso mosse verso il basso, travolgendo il Cavaliere di Atena con un’onda luminosa e scagliandolo a terra, contro il frontone della Tredicesima Casa.

 

“La sua aura cosmica è spaventosa, pari a quella del Tenebroso che ci ha massacrato sull’Olimpo!” –Analizzò allora Eracle, mentre Nikolaos dell’Eridano Celeste, al suo fianco, annuiva. –“E quella della sorella è vasta altrettanto! Eppure… non percepisco in loro traccia alcuna di oscurità! Privi sono i loro cosmi di qualsivoglia sfumatura violenta o desiderio di morte, quasi come non provassero niente!”

 

“E così è, figlio di Zeus!” –Intervenne il Signore della Luce del Cielo, planando verso di lui. –“Noi siamo gli Dei perfetti, privi di macchia! Come potremmo covare l’ombra dentro noi? Come Nyx e Erebo rappresentano le tenebre primordiali, del mondo degli uomini e degli Inferi, noi per contrapposizione siamo le prime luci, sorte durante l’alba della Terra!”

 

“Se avete contribuito a diffondere la luce, perché adesso volete toglierla agli uomini?! Perché combattete con Erebo?!”

 

“Gli uomini… Umpf! Razza meschina ed errata! Grave dispiacere riempì l’animo dell’Unico quando fu chiaro a tutti, lui per primo, quali nefandezze gli esseri umani erano in grado di compiere! Incapaci di discernere tra bene e male, tra luce e ombra, hanno claudicato per millenni, nutrendosi dell’uno e dell’altra, avvelenandosi il cuore con entrambe le emozioni, senza riuscire a controllarle, privi di equilibrio e raziocinio, quasi fossero bestie! Spettacolo infimo hanno offerto a noi, che sedevamo dall’altra parte del varco, logorandoci senza poter intervenire, senza poter scendere sulla Terra e gridare loro: Non la volete la luce? Non ne siete degni allora! Per tanto ve la toglieremo! Ed è quello che faremo oggi, estirpando una stirpe non degna di esistere e creandone poi una nuova, totalmente bianca! Nel mondo che sorgerà domani non esisteranno più razze imperfette, ma solo esseri puri, totalmente candidi o totalmente oscuri! Le vie di mezzo, quegli strani ibridi che gli umani son divenuti, saranno estirpate!”

 

“La tua concezione del mondo è una follia, Etere!” –Parlò allora Pegasus, rimettendosi in piedi e avvicinandosi ad Atena e ad Eracle. –“Un mondo come lo concepisci tu, perfetto e immacolato, può esistere solo nei sogni, anzi nei deliri, di una Divinità che non ha mai vissuto!”

 

“Come osi, infame mortale?!” –Avvampò il Nume, espandendo il proprio cosmo. Ma prima ancora che potesse muovere un braccio, il ragazzo era già scattato avanti, avvolto nello sfavillio di un cosmo forte del Nono Senso, con il braccio teso e il pugno carico di energia. Un pugno che, sebbene non riuscì a crepare le difese del Nume, fu abbastanza forte da spingerlo indietro, oltre i margini del piazzale, lasciandolo sospeso sul baratro generato dalla sorella un’ora addietro.

 

“Proprio perché sono un mortale capisco com’è bello questo mondo! Un mondo dove tu non hai mai vissuto, Etere! Un mondo che tu non hai mai conosciuto!” –Continuò Pegasus. –“Perché se tu lo avessi fatto, anche solo per un giorno, se tu avessi camminato tra gli uomini che tanto disprezzi per la loro natura arbitraria, ne avresti percepito la forza, la profonda convinzione che li sorregge, l’ansia di vivere ogni attimo dell’esistenza, fieri e consapevoli di disporre di una vita soltanto e di voler, pertanto, goderne appieno, sperimentando ogni piacere, ogni dolore, ogni momento in grado di farli sentire vivi! Luce e ombra, bene e male, in una commistione che non è mancanza di equilibrio bensì la ricerca di una conciliazione personale, interiore, cui ognuno risponde a modo proprio!”


“La tua risposta, Cavaliere di Pegasus, è ben misera, allora!” –Chiosò il Nume, sollevandosi di nuovo in cielo, una bianca e diafana figura contro un cielo plumbeo.

 

“La mia risposta non l’hai ancora udita!” –Si limitò a commentare il ragazzo, bruciando il proprio cosmo, prima di voltarsi verso Atena e gli improvvisati compagni, quasi a chieder loro se fossero con lui. –“Eccola, Etere! Eccoti il Fulmine di Pegasus, il lampo del destriero alato!!!”

 

“E solo non sei, mio buon amico!” –Intervenne allora il Luogotenente dell’Olimpo, aprendo le braccia e lasciando che un fiume di celeste energia fluttuasse attorno a sé, prima di avvicinare le mani e radunare il cosmo in un'unica fulgida sfera di luce. –“Gorgo dell’Eridano!!!”

 

“Eracle è con voi! Un Dio degli uomini e per gli uomini! Fiere del mito, ruggite!!!” –Aggiunse il figlio di Zeus, liberando la foga delle bestie da lui vinte del Mondo Antico, cui presto andò a sommarsi la sfavillante energia generata da Atena, che puntò la Lancia di Nike verso il cielo, passando attraverso i tre attacchi distinti e mirando, al pari di loro, al cuore di Etere.

 

“Uomini stolti e ignoranti!” –Commentò questi, abbassando gli occhi, quasi un velo di tristezza ne avesse opacizzato l’etereo splendore. Ma bastò quel gesto a fermare il poderoso attacco, che si schiantò di fronte a lui, contro un velo sottile ma resistente, un velo le cui propaggini esterne presto si richiusero, come fossero petali di un fiore, racchiudendo dentro sé la devastante potenza liberata dai quattro compagni. Quella stessa potenza che, semplicemente riaprendo gli occhi, Etere diresse contro di loro.

 

Fu un boato terribile, che distrasse persino Zeus, intento a lottare con Atlante, quasi permettendo al titano di colpirlo col braccio destro. Alla Prima Casa, Mur e Virgo levarono lo sguardo verso la cima della collina, avvolta in un’improvvisa alba, che esplose poco dopo, scuotendo l’intero rilievo. Faglie si aprirono ovunque, la bianca gradinata andò in frantumi in più punti, mentre lastre di marmo sparivano nelle fenditure del terreno, che accolsero anche molte colonne e architravi di templi costretti ad abiurare al loro antico splendore. La Tredicesima Casa esplose in una miriade di schegge bianche e grigie, assieme al mobilio, agli specchi, ai tendaggi color porpora e allo stesso trono su cui i Grandi Sacerdoti, e Atena stessa, avevano a lungo seduto. La già provata pavimentazione di fronte all’ultimo tempio si sollevò come un’onda di marmo, sbalzando Pegasus, Nikolaos, Atena ed Eracle in cielo, fino a schiantarli tra le macerie pochi interminabili istanti dopo. Pochi istanti in cui il loro mondo, soprattutto quello della Dea della Guerra, era del tutto cambiato.

 

Rialzandosi a fatica, aiutandosi con lo Scettro di Nike, la fanciulla dai capelli viola si guardò intorno con scoramento, mentre la brezza della sera smuoveva i resti del suo palazzo, ormai in rovine. Solo una statua rimaneva, una soltanto rimase impassibile al proprio posto, triste e silente come a Pegasus era sempre apparsa, stoica nel suo permanere a difesa degli uomini. Fu a lei che diresse lo sguardo il Cavaliere Divino quando si rimise in piedi, alla statua d’oro di Atena che ornava la terrazza sul retro della Tredicesima Casa, ove l’onda di energia non era giunta. A testimoniare che, pur in quel mondo destinato a perdersi nel caos primordiale, qualcuno ancora resisteva.

 

“Noi ancora resistiamo!” –Mormorò il ragazzo, stringendo i pugni, le lacrime che gli rigavano il viso, e voltandosi con rabbia verso Etere. –“Ti professi Dio di luce, ma vedo in te la stessa indole distruttrice di tuo padre, il Tenebroso! In che altro modo giustificheresti quest’immotivata devastazione? Con quali pallide scuse giustifichi il massacro e la morte da te scatenati quest’oggi ad Atene?”

 

“Non con te devo giustificarmi, essere umano!” –Precisò il Nume, al che Pegasus scosse la testa.

 

“No, infatti! Devi farlo con te stesso!” –Aggiunse, bruciando ancora il proprio cosmo.

 

Atena, Eracle e Nikolaos lo avevano attorniato, ma egli era l’unico la cui fiamma rilucesse così intensa da rischiarare il cielo, al pari del cosmo di Zeus ai piedi della Collina della Divinità. Forse era grazie all’ichor del Signore del Fulmine, che pulsava in lui tramite la ricostruita corazza, forse era l’impeto della gioventù, la completa padronanza del Nono Senso, la volontà, quasi la smania, di difendere coloro che amava e dimostrare l’ inspiegabile capacità del genere umano di risollevarsi sempre dalle proprie rovine. Quale che fosse il motivo, il destriero alato galoppò di nuovo verso Etere, spalancando le bianche ali, sorretto dai cosmi di Atena, Eracle e Nikolaos, che gli diedero lo slancio per balzare sempre più in alto, di fronte a uno stupefatto Signore della Luce.

 

“Non sarà primordiale come la tua, Etere, ma questa è la luce di Pegasus! La luce della speranza! Fulmine di Pegasus!!!”

 

Nuovamente l’attacco luminoso si schiantò contro la barriera posta a difesa del Nume, la barriera che Etere non doveva neppure evocare, semplicemente esisteva a proteggerlo da tutto ciò che era infimo e inferiore al mondo, tutto ciò che, a differenza di lui e della sorella, era imperfetto. E nuovamente Pegasus fu spinto indietro, schiantandosi tra le rovine, a pochi metri dalla testa mozzata di un pesce di marmo che ancora zampillava acqua.

 

Il Luogotenente dell’Olimpo si avvicinò per aiutarlo a rialzarsi, ma venne investito da un’onda di smisurata potenza, che lo sollevò e lo scaraventò distante, ai piedi della statua di Atena, stordendolo.

 

“Giunge infine il tramonto per gli Dei di Grecia! La terza generazione cosmica, e la progenie da essa generata, è destinata a cadere! Ora!” –Commentò Etere, volgendo il palmo della mano su Eracle e Atena.

 

“Preparati, sorella!” –Esclamò il primo, rifulgendo nel proprio cosmo. –“Sono con te, fratello mio! Per gli uomini e con gli uomini!” –Aggiunse la Dea, citando le parole pronunciate poc’anzi dal Signore di Tirinto. –“Grazie!” –Fu la risposta di Eracle, prima che liberasse una tempesta di energia. –“Fede negli uomini!!!”.

 

Atena unì il proprio cosmo a quello del Vindice dell’Onestà, osservando la grazia con cui Etere parò l’attacco, deviandolo con un solo movimento del braccio, sebbene adesso la sua espressione fosse mutata. Non più il placido candore di un’entità eterea, bensì tratti induriti dal fastidio crescente per uno scontro ancora non conclusosi, per una resistenza che non avrebbe immaginato, per un continuo rialzare il capo da parte di creature che reputava inferiori.

 

“Dobbiamo riprovare, unendo tutte le nostre forze!” –Esclamò allora Pegasus, avvicinandosi alle due Divinità nate da Zeus. Aveva perso l’elmo della corazza e una ferita gli trinciava a metà la guancia destra, ma di certo non aveva perso la determinazione che gli era propria. Sorridendo, Atena pensò che per lui, più che per ogni altro amico, Nike dovesse avere una simpatia particolare. E non era l’unica, in fondo.

 

Si sorprese però nell’udire la proposta del ragazzo, non tanto per il timore dell’infamia che aveva colpito chi, in passato, aveva utilizzato tale tecnica, quanto perché il fatto che fosse un Cavaliere ad unire il proprio cosmo a quello di due Dei rimarcava quanto fosse cresciuto, sia lui che l’energia cosmica che portava dentro.

 

“Non abbiamo scelta!” –Continuò, trovando Eracle d’accordo con lui. Sospirando, anche Atena accettò, consapevole che quell’attacco combinato avrebbe avuto una sola sicura conseguenza. La fine del mondo di pace cui a lungo aveva agognato. La fine di un ordine che lei stessa aveva imposto a chi viveva nel suo regno. Se persino la Dea che l’aveva vietato, si costringeva ad usare il colpo proibito, il tempo era davvero finito. –“E sia!” –Ammise infine, inchinandosi tra i due uomini, che si disposero di lato a lei, entrambi con le braccia rivolte in avanti, ricreando la Postura della Triade e la sincronia necessaria per fondere i loro cosmi in uno soltanto.

 

Così sarebbe stato il loro assalto, forte e vigoroso come il campione di Tirinto era stato nel Mondo Antico, vincendo molteplici fatiche; lucente come una cometa, sostenuto dallo sfavillio delle tredici stelle del destriero alato, destinato, fin dalla nascita, ad andare oltre, a volare sempre più in alto; infine retto e giusto, dovuto alla necessità di salvaguardare coloro che erano preposti a difendere, gli uomini, di cui erano i tre massimi protettori.

 

“Per loro!!! Per gli uomini!!!” –Gridò Pegasus, espandendo il proprio cosmo ancora di più, in uno scintillio che sormontò la Collina della Divinità, quasi fosse un’aurora improvvisa. Ma prima che potesse gridare il nome della tecnica proibita, Atena lo interruppe, precisando che ormai non era più il suo colpo. Ormai quel colpo non era più niente, solo un retaggio del passato, e non a quello dovevano guardare.

 

“Bensì al futuro di questo splendido pianeta che abbiamo imparato ad amare! Insieme, compagni! Urlo degli uomini!!!” –Esclamò la Dea, liberando l’energia cosmica raccolta in quei brevi minuti.

 

Urlo degli uomini!!!” –Le fecero eco Pegasus ed Eracle, sommando il loro cosmo a quello di Atena e dirigendolo, come un maestoso uccello dalle ali bianche, verso il Nume Ancestrale.

 

“Quale potenza!” –Commentò quest’ultimo, sentendosi per un momento paralizzato, persino incredulo di fronte a tale devastante potere. Certo, si disse, per ritrovar coraggio, se anche lo avesse investito in pieno, senza difesa alcuna, non sarebbe bastato a vincerlo, ma di certo lo avrebbe strapazzato, facendogli rimpiangere l’immobilità cui era stato costretto nell’intermundi. Eventualità che Etere non voleva neppure prospettare.

 

Luce del cielo!!!” –Imperò, spalancando le braccia di lato e contrastando l’assalto congiunto con un accecante bagliore biancastro, di un bianco così nitido come doveva essere all’alba dei tempi, prima che i colori venissero creati. Un chiarore che si scontrò con l’Urlo degli Uomini, generando presto un’enorme massa di energia che andò aumentando sempre più, in maniera esponenziale, di fronte agli occhi terrorizzati di tutti coloro che ancora restavano nel Santuario.

 

Persino Neottolemo, Kama e gli altri Cavalieri di Bronzo, che si erano allontanati fino a portarsi in cima ad un promontorio, da cui avrebbero potuto facilmente prendere il mare, rimasero atterriti di fronte a quel sole improvviso che pareva squarciare la sera ateniese. Un sole i cui raggi parevano pronti a ghermire e distruggere tutto ciò che stava loro attorno.

 

“Resistete!!!” –Gridò Pegasus, mentre la pressione generata spingeva i tre compagni indietro, facendo scavar loro solchi nel devastato piazzale. –“Non possiamo cedere ora!!!” –Li rincuorò Eracle. –“Tutta quest’energia o investirà Etere o noi, e con noi sarà spazzato via l’intero Grande Tempio!”

 

Quella nefasta prospettiva diede a Pegasus l’impeto per bruciare tutto quel che restava della sua vita, dei suoi ideali e dei suoi sogni per il futuro, riuscendo a stabilizzare di nuovo la grande sfera energetica, stupendo lo stesso Signore del Cielo per la tenacia con cui contrastavano il loro volere. Deciso a spazzarli via, Etere portò allora entrambe le braccia avanti, sfiorando l’enorme massa di energia, pronto per scaraventarla contro gli avversari, quando percepì una variazione nell’armonia.

 

Qualcuno aveva spezzato l’equilibrio di forze in campo.

 

Emera!” –Mormorò, riconoscendo il tocco familiare della sorella, che gli aveva appena afferrato un braccio. Guardandola in volto, Etere ne fu turbato perché per un momento le parve di non riconoscerla, di non capire quel che la gemella provava.

 

Dal canto suo la taciturna Dea del Giorno si limitò a scuotere la testa, prima di espandere la propria aura, avvolgere l’enorme massa energetica e spingerla verso l’alto.

 

Ma… cosa?!” –Balbettò Etere, non comprendendo le sue intenzioni.

 

Con un ultimo gesto, Emera spinse via tutta quell’energia, lasciando che detonasse nell’alto cielo sopra Atene, un’esplosione così potente da spazzar via tutte le nuvole e rivelare, sia pure per poco, un pezzo di cielo libero, immerso nella silenziosa ma naturale oscurità della sera.

 

“Sorella, perché?!”

 

Emera non disse niente, come non aveva parlato per tutta la durata dello scontro tra il fratello e i protettori degli uomini, limitandosi ad osservare, allo stesso modo in cui aveva osservato i pallidi tentativi dei soldati di Atena e dei suoi Cavalieri di opporsi alla progenie di Giapeto. Aveva visto molte cose, alcune che ben si aspettava, un atteggiamento di bellica resistenza innato nell’animo umano; ma aveva visto anche altro, gesti che l’avevano stupita. Solidarietà, fratellanza, generosità d’animo, una luce che non credeva gli umani possedessero. E una voce che aleggiava parlando al suo animo, una voce che, a chiunque appartenesse, pareva avere ragione.

 

Solo poco prima, quando aveva espanso il cosmo per intervenire in aiuto di Etere, quelle parole avevano lasciato il segno.

 

“Non farlo, madre! So che non vuoi farlo!”

 

Madre Mormorò, prima di mettere da parte quei pensieri e rivolgersi al fratello, che la osservava stranito.

 

“Sei sporco!” –Si limitò a dirgli, indicandogli la veste inzaccherata dalla polvere. –“Non è da te. E cos’è questo volto tirato? Emerge ansia in te, fratello mio. Sei tutto scarmigliato, il tuo volto è imperlato di sudore e la tua chioma, oh, rideresti da quant’è buffa se tu potessi vederla!” –Gli sorrise, carezzandogli i capelli color avorio, salvo poi tornare seria poco dopo. –“Che ne è della nostra perfezione? Percepisco rabbia nel tuo cuore mentre il dubbio alberga in me, incertezze che desidero condividere con te, l’unico che possa comprenderli. Perciò ti prego, Etere, fratello mio, andiamocene! Ci penserà Atlante a distruggere quel che resta di questo devastato santuario. Non sporchiamoci ulteriormente le mani! Non diventiamo come loro!”

 

Etere soppesò le parole della sorella per qualche istante, spostando lo sguardo da lei ai tre che affannavano ai suoi piedi, crollati sulle ginocchia, feriti e sudati per il prolungato sforzo. A guardarli, il Nume capì che non voleva essere così, non voleva apparire come loro e il solo pensarlo lo infastidì.

 

“Hai ragione!” –Esclamò infine, rilassando il volto e quietando il proprio cosmo. Quindi afferrò la mano di Emera, sorridendole dolcemente e incamminandosi verso l’alto cielo, quasi stessero passeggiando su un sentiero di stelle. Non udirono altro, neppure la voce di Pegasus che gli stava chiedendo dove stessero andando.

 

 

 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo ventinovesimo: Gli allievi di Dohko. ***


CAPITOLO VENTINOVESIMO: GLI ALLIEVI DI DOHKO.

 

Sirio non si fece ingannare. Aveva già affrontato avversari del genere, i cui modi sprezzanti e offensivi miravano a ferire i suoi sentimenti, distogliendo l’attenzione dallo scontro in atto, quindi, per quanto fastidio gli dessero gli insulti rivolte al suo Vecchio Maestro, si sforzò di restare calmo e non farsi prendere dall’ira. Del resto, dovette ammettere, l’aura cosmica di quel nemico era enorme quanto oscura, intrisa di un così profondo senso di tenebra che solo una volta aveva già percepito in un avversario. Un potente avversario che aveva impegnato duramente sia lui che i suoi quattro compagni.

 

Flegias. Il Maestro di Ombre. Strinse i pugni il Cavaliere del Dragone, bruciando il proprio cosmo. Di cui questo Tiamat si proclama discepolo! Di certo il fanatismo non gli manca! Né la potenza d’attacco! Aggiunse, con preoccupazione, osservando i danni subiti dalla corazza di Ascanio. Per quel che ne sapeva lui, mai nessuno era riuscito ad atterrare il glorioso Comandante dei Cavalieri delle Stelle e questo lo spinse alla massima prudenza.

 

“Hai paura, Sirio Dragone? Paura che l’ombra possa divorarti? Dovresti essere felice, in fondo! Potresti riabbracciare il tuo vecchio maestro a cui così tanto eri legato!” –Rise il Primo Forcide, ergendosi baldanzoso nel suo cosmo tetro. –“Quale ironia! Come il mio mentore ha ucciso il Cavaliere di Libra, ugualmente io quest’oggi sterminerò voi, rimanendo quindi l’ultimo allievo di Dohko! Nonché il migliore, titolo che spetta al più forte di tutti! A colui che sopravvive! Ed io, come Anhar mi ha insegnato, trovo sempre il modo di sopravvivere! Ascanio può confermarlo!”

 

“Libra quest’oggi sarà vendicato! I crimini tuoi e del tuo spregevole maestro saranno infine giudicati!” –Esclamò Sirio, con voce determinata.

 

“Oh davvero?! E da chi?! Da voi? O dal supremo giudice di tutte le cose, il quale, si dà il caso, sostiene e incita il nostro operato?! Eh eh eh! Siete sconfitti!!!” –Avvampò Tiamat, scagliando una sfera di energia nera contro i due compagni, obbligandoli a gettarsi di lato, in direzioni opposte, e a contrattaccare con le loro tecniche.

 

Colpo segreto del Drago Nascente!!!” –Tuonò Sirio, mentre dall’altro lato Ascanio liberava le fauci dei draghi di Albion. Ma entrambi gli assalti, per quanto potenti, vennero risucchiati da due macchie nere apparse prontamente a difesa del Primo Forcide, stupendo lo stesso Cavaliere di Atena, sia per la prontezza che per la capacità della sua difesa di neutralizzare un così poderoso attacco.

 

L’ultimo discepolo di Dohko aveva ascoltato attentamente la lezione di Avalon sul Nono Senso ed era consapevole ormai di averlo raggiunto, al pari di Pegasus e degli altri amici, complici le numerose battaglie che negli ultimi mesi avevano sostenuto. Per ironia della sorte, si disse, concedendosi un sorriso, era stato proprio Anhar, o Flegias, a permettere loro di arrivare così in alto, scatenando una guerra dopo l’altra e obbligandoli a migliorarsi continuamente, per non essere sopraffatti.

 

E adesso è il momento di dimostrare quanto abbiamo davvero appreso, sconfiggendo un nemico che dispone di altrettanto potere! Eppure, rifletté Dragone, con i sensi all’erta, c’era qualcosa di strano nell’impronta cosmica di Tiamat, qualcosa di oscuro e terribile, di divino quasi, che per il momento il ragazzo non riuscì a definire.

 

“L’hai notato anche tu?” –Gli chiese Ascanio, affiancandolo.

 

“Quel cosmo tenebroso che lo sorregge… non sembra il suo.”

 

“No, non lo è!” –Chiarì il Comandante dei Cavalieri delle Stelle. –“Qualunque oscura entità guidi il suo operato gli ha fatto dono di un potere che non gli appartiene! A differenza tua e dei Cavalieri dello Zodiaco, Tebaldo non ha risvegliato il Nono Senso, gli è stato offerto in dono!”

 

“Perché?!” –Si chiese Sirio.

 

“Per ringraziarmi dei miei servigi!” –Chiarì il Primo Forcide, che aveva udito il breve scambio di battute. –“Ma non crediate che senza il cosmo di tenebra che mi sostiene, io non possa battervi! Tutt’altro, sono molto migliorato dai tempi in cui mi allenavo su quel costone roccioso! Del resto, voi per primi conoscete bene quanto abile e spietato in battaglia sia il mio mentore, avendovi spesso messo in difficoltà!”

 

“Mentore che, se ben ricordo, abbiamo sconfitto, spezzandone il corpo e riducendolo a mero spirito!” –Puntualizzò Sirio, prima che Ascanio intervenisse. –“E, non fosse stato per l’intervento di Caos, anche lo spirito sarebbe scomparso da questa terra!”

 

“Lo credi davvero?!” –Sogghignò Tiamat. –“Il corpo è solo un guscio, un contenitore vuoto che un’anima potente può riempire e fare propria in qualsiasi momento! E l’anima di un’ombra è immortale!”

 

Sirio e Ascanio si scambiarono uno sguardo perplesso, prima che una devastante esplosione cosmica li distraesse, costringendoli a volgere lo sguardo verso la Conchiglia Madre, la cui luce parve tremolare per un momento.

 

Cosa… sta succedendo?!” –Si chiesero, pensando ai compagni che ancora lottavano al suo interno. –“Nettuno, che qui con me è giunto, sta combattendo… ma a chi appartiene questo cosmo così vasto? Questo cosmo… divino?!” –Mormorò Sirio.

 

“A quanto pare Forco è sceso in campo! Immaginavo che non avrebbe sopportato di starsene in disparte ancora a lungo! A differenza dei giovani Dei a cui tanto siete legati, l’Imperatore originario dei Mari è un vero guerriero, pronto a combattere in prima linea le proprie battaglie e non ad affidarle ai suoi sottoposti!”

 

“Eppure voi siete qua!” –Lo schernì Ascanio, cui Tiamat rispose facendo avvampare il proprio cosmo.

 

“Anche tu! Ma ancora per poco!” –Aggiunse, scagliando un violento globo di energia nera verso il Comandante di Avalon, che venne subito superato da Sirio, che si pose di fronte a lui, sollevando lo scudo, su cui l’assalto si infranse.

 

Efesto ha compiuto uno splendido lavoro!” –Commentò il ragazzo, la cui corazza, che pure aveva vibrato all’impatto, aveva ben resistito. –“Ma non possiamo restare passivi! Dobbiamo trovare una breccia nella sua difesa! Deve esserci!”

 

Ascanio annuì, bruciando il proprio cosmo e preparandosi per attaccare di nuovo, prima che Sirio gli si rivolgesse con tono preoccupato.

 

“Non rischiare più del dovuto! Sei stanco e ferito, lascia provare me!” –Ma il Cavaliere della Natura, sorridendo, gli disse di non preoccuparsi.

 

“Il tuo occhio è ben più attento del mio! Anche Dohko avrebbe scelto così!” –Esclamò, scattando avanti, mentre tutto attorno a sé danzavano gigantesche sagome ricoperte da squame di luce vermiglia. –“Attacco del Drago di Sangue!!!”

 

“Stolto e cieco! Il tanto affanno a che ti giova? Morir comunque dovrai! Addio, Ascanio Pendragon! Bocca dell’Abisso, spalancati!!!” –Rispose Tiamat, evocando un nuovo buco nero, che risucchiò i dragoni di Britannia, iniziando ad attirare anche il giovane a sé.

 

Il Comandante fu lesto a scattare di lato, tenendosi a distanza dalla chiazza nera, ma la forza d’attrazione della stessa era tremenda, al punto che anche solo rimanere in piedi gli costava un notevole sforzo. Fu Sirio a venire di nuovo in suo aiuto, sfrecciando di fronte alla Bocca dell’Abisso, con il braccio sollevato e intriso di cosmo.

 

Excalibur!!!” –Gridò, liberando un devastante fendente di energia, che impattò poco dopo con il buco nero, deformandone l’aspetto ma senza comunque riuscire a distruggerlo. –“Incredibile!!! Dispone di una potenza mai vista! Neppure Flegias aveva difese così solide!” –Rifletté sconcertato, ricordando lo Scudo di Ares, solida tecnica protettiva del Maestro di Ombre, che però gli sforzi congiunti dei Cavalieri dello Zodiaco erano riusciti ad abbattere.

 

“A lui devo tutto! Al mio mentore! Ogni tecnica di cui dispongo è un tributo alla sua memoria, alla nuova vita che mi ha donato quando ha riacceso in me la fiamma di un’esistenza che, per colpa dell’abbandono di Ascanio, credevo giunta a termine!” –Illustrò il Primo Forcide, spalancando le braccia ed espandendo sempre più il suo cosmo oscuro. –“Da allora l’ho seguito, in ogni sua impresa, addestrandomi e aumentando il mio potere, per poter avere un giorno la mia vendetta! E non l’avrò come Tebaldo, l’ingenuo ragazzino speranzoso morto quel giorno ad Atene, ma come Tiamat, l’Abisso Oscuro, il Tartaro profondo ove il sole mai è giunto! Perché io odio il sole, lo aborro con tutto me stesso! Il solo pensiero mi ricorda la tragica fine cui fui destinato e da cui Anhar mi ha salvato!”

 

“Se sei stato sempre al fianco di Flegias, perché non sei mai intervenuto prima? Perché nasconderti tutto questo tempo nell’ombra? Non ti sentivi pronto per affrontarmi?!” –Lo provocò Ascanio, per quanto persino muovere le labbra per parlare gli strappasse gemiti di dolore, tanta forte era l’attrazione che il buco nero continuava ad esercitare su entrambi.

 

“Alla fine di questa giornata la tua vanagloria sprofonderà nell’abisso con te, maledetto!” –Ringhiò Tiamat, prima di aggiungere, sibillino. –“In accordo con il mio maestro, abbiamo seguito strade diverse per favorire il ritorno dell’Oscuro Signore cui siamo fedeli! Mentre egli cercava i Talismani e portava i regni divini alla fame e alla guerra tra di loro, io aiutavo Forco a ricostituire il proprio potere, riunendo i Sette Forcidi e ritrovando le perdute armature di oricalco! È stato un lavoro lento ma costante, di silente e segreto impegno, per non essere individuati dagli occhi attenti degli Dei a voi cari! Ma, alla fine, ammetto di aver ottenuto un discreto successo, essendo riuscito a ricostruire le legioni di Forco senza che Amon Ra, Odino, Zeus e neppure Avalon se ne accorgessero!”

 

“Viscido e spregiudicato come Anhar sei diventato!”

 

“Ed ancor più… potente!!!” –Ghignò il Primo Forcide, espandendo al massimo il proprio cosmo, mentre Sirio e Ascanio venivano trascinati verso la Bocca dell’Abisso, scavando profondi solchi nel terreno sabbioso, senza riuscire in alcun modo ad arrestare la loro avanzata.

 

Fu una luce improvvisa a interporsi tra i due Cavalieri e il buco nero, una luce che avvolse la figura di Tiamat, irradiandosi a cupola attorno a lui. Prima ancora di capire quel che fosse successo, il Primo Forcide venne scagliato in aria dall’onda d’urto generata dallo scontro tra la Bocca dell’Abisso e quella campana protettiva, che andò in frantumi all’istante.

 

Anche Sirio e Ascanio furono spinti indietro, riuscendo però a mantenersi in posizione eretta, e quando la luce diminuì videro una figura, distesa a terra, a pochi passi da Tiamat, con il palmo della mano ancora impregnato di energia. Il Comandante di Avalon riconobbe Pasifae del Cancro, fedele servitrice di Eracle, e capì che la donna li aveva salvati con un’ottima intuizione, generando una barriera non attorno a loro bensì per imprigionare il Primo Forcide.


“Ancora tu!!!” –Ringhiò questi, rimettendosi in piedi, il volto orribilmente deformato dall’ira. –“Se così tanto ti periti per attirare la mia attenzione, la avrai!” –Aggiunse, scattando avanti. Ma anche Sirio e Ascanio corsero verso di lui, attaccandolo ognuno da un fianco, con i draghi di Britannia e di Cina che fagocitarono in fretta il terreno tra loro, abbattendosi su Tiamat. E venendo fermati da due buchi neri subito apparsi alle spalle del Forcide, che nemmeno si curò di loro, gettando un’occhiata carica di rancore alla donna riversa a terra, che ormai, dopo quei continui salvataggi, aveva quasi esaurito le sue forze.

 

Pa… sifae…” –Mormorò Alcione, rimettendosi in piedi, poco lontano. Ma bastò che Tiamat la guardasse per schiantarla a terra con un’onda di energia oscura, distruggendo quel che restava delle sue vestigia.

 

“Hai combattuto con onore, Pasifae del Cancro Celeste, ma è tempo di dirci addio! È tempo che tu cada nell’abisso!” –Sibilò il Forcide, calando la mano sulla donna, da cui subito una macchia nera si espanse, risucchiando il suo corpo all’interno, di fronte agli occhi sgranati dal terrore di Alcione, Ascanio e Sirio. –“Forco non doveva neppure scomodarsi! Basto io a far fuori le effimere forze di quest’alleanza che avete imbastito in fretta e furia! Chi vuol essere il prossimo a cadere?”

 

“Tu!!!” –Ruggì allora Sirio, il cui cosmo riluceva di vivida luce verde smeraldo. –“Sei la vergogna e il disonore degli allievi di Libra! Incapace di apprezzare la bellezza degli insegnamenti ricevuti, hai scelto la via avversa, più facile e scevra di sofferenze, ma non per questo migliore! Pagherai per aver infangato il nome del mio maestro!!! Assaggia, vile traditore, le zanne dei Cento Draghi di Cina!!!” –Aggiunse, aprendo i palmi delle mani avanti a sé e liberando un fiume scintillante di dragoni di luce, che parevano composti dalle acque adamatine di una cascata.

 

“Li spazzerò via!!! Apocalisse oscura!!!” –Imperò Tiamat, sollevando un braccio e scatenando la tempesta d’ombra e vampe nere che Anhar gli aveva passato.

 

Il contraccolpo tra i due poteri fu così violento da generare un’enorme sfera di energia che pareva espandersi sempre più, impressionando persino Alcione e Ascanio, che si affrettò a suggerire alla paladina di Eracle di cercare un posto dove ripararsi al più presto, conscio che la situazione sarebbe degenerata entro breve.

 

Io… non posso ritirarmi…” –Tentennò la donna. –“Lo devo al mio Signore, e all’uomo che vi ha addestrato! Ho udito il suo nome! Si tratta di Dohko di Libra, non è così?” –Ascanio annuì distrattamente, prima che Alcione riprendesse a raccontare. –“Ci siamo incontrati tempo addietro. Un bel po’ di tempo addietro. E mi sorprende udire che ha vissuto così tanto tempo!” –Sorrise lei, sfiorando un braccio del ragazzo. –“Non mi sorprende invece che abbia addestrato due valorosi e generosi guerrieri, ricreando quel che era stato anch’egli un tempo. Un Cavaliere d’onore accanto al quale valeva la pena combattere e morire! Voi valete altrettanto!”

 

La struttura della Conchiglia Occidentale tremò all’improvviso, ponendo fine alla loro conversazione. La luce che la ricopriva sembrò spegnersi per un istante e la landa subacquea fu illuminata solo dal risplendere dei cosmi coinvolti, finché l’enorme massa energetica non esplose, scaraventando indietro i tre allievi di Dohko. Sirio, Ascanio e Alcione furono scagliati contro le pareti interne dell’Avaiki, che resistettero all’impatto poiché sostenute da un vasto cosmo che era giunto a fortificarle, cosmo che il Cavaliere della Natura riconobbe così simile a quello di Avalon. Tiamat invece venne scaraventato lontano, schiantandosi su un edificio di sabbia e rocce e venendo sommerso dai polverosi detriti.

 

Subito il Primo Forcide si dimenò per liberarsi, memore di quel giorno di quindici anni prima, in cui sotto diverse macerie aveva rischiato di perdere la vita. Una fobia che, per tutto quel tempo, mai lo aveva abbandonato, portandolo a prediligere scontri in spazi ampi, e non edifici chiusi. Si rialzò, toccando la corazza graffiata e in alcuni punti scheggiata, ma convenne di non avere ferite ulteriori, se non quelle che, osservandosi nel riflesso della parete interna della Conchiglia, la vista del suo volto gli risvegliò. Rabbioso, lasciò esplodere il cosmo, che vorticò attorno a sé come una tempesta di vampe nere, disintegrando ogni oggetto, muro o roccia che gli sbarrasse la strada, prima di incamminarsi verso i suoi avversari.

 

Dei tre, Ascanio fu il primo a rimettersi in piedi, tirando uno sguardo preoccupato a Sirio, disteso vicino a lui, la fronte segnata da una ruga di sangue che ruscellava da una ferita apertasi all’impatto. Era stato grazie al suo tempismo e al suo spirito di sacrificio, che lo aveva spinto a porsi davanti al compagno, con lo scudo del Dragone innalzato di fronte a entrambi, che Ascanio era stato raggiunto solo di striscio dall’immensa onda d’urto. Alcione era stata invece scaraventata più distante e adesso giaceva in uno stato di semicoscienza.

 

Ascanio comprese che doveva agire e doveva farlo in fretta, prima che Tiamat aprisse uno di quei maledetti buchi neri a cui non erano in grado di opporre alcuna difesa. Per un istante il giovane soppesò anche la possibilità di utilizzare il Talismano da lui custodito, ma subito la scartò, temendo non soltanto che il Calderone dei Misteri potesse essere risucchiato nell’abisso ma anche certo che non sortisse alcun effetto. A differenza di Virgo, infatti, Tebaldo non era stato posseduto da Anhar né da alcun’altra entità oscura, ma aveva deliberatamente scelto il proprio cammino. Con mestizia, il Comandante dei Cavalieri delle Stelle chiuse le dita a pugno, lasciando avvampare il proprio cosmo lucente, consapevole di quanta responsabilità ricadesse sulle proprie spalle, da non potersi permettere ulteriori esitazioni.

 

“A te, miserabile che hai scelto consapevolmente la via dell’odio, i draghi di Albion daranno solo morte!” –Tuonò, mentre i serpenti tatuati sulle sue braccia si illuminavano, danzando attorno a sé, in un gioco di luci bianche e rosse. –“Double Dragon Attack!!!” –Gridò, dirigendo contro Tiamat due potenti sagome energetiche.

 

“Cambia il nome, cambia la forma, ma il risultato è sempre lo stesso! Bocca dell’Abisso, spalancati!!!” –Rispose questi, risucchiando l’assalto di Ascanio dentro una macchia di nero cosmo che subito si aprì davanti a lui, attirando a sé anche il glorioso condottiero.

 

Stanco dal prolungato scontro, privo di appigli a cui aggrapparsi, il ragazzo dai corti capelli scuri venne tirato avanti, fin quasi a ritrovarsi di fronte al buco nero, la cui forza d’attrazione aumentava avvicinandosi ad esso. Per un momento, ad Ascanio sembrò che persino l’anima gli venisse strappata via, tanto intensa era quell’oscura gravità. Tentò di resistere, bruciando il proprio cosmo, ma si ritrovò comunque a un passo dall’abisso, di fronte a quella tetra bocca spalancata che dava sul niente. Ruggendo di dolore e rabbia, il Cavaliere della Natura si aggrappò ai bordi del buco nero, la cui materia ombrosa, al solo contatto, avvampò, avvolgendosi attorno alle sue braccia, allo scopo di distruggerle assieme alla corazza che già scricchiolava per l’enorme pressione, e così rimase per qualche interminabile secondo.

 

Tiamat, sul retro della macchia oscura, osservava Ascanio, pochi passi più avanti, lottare con tutta la sua forza, con ogni stilla di energia, per non essere risucchiato dalla Bocca dell’Abisso, per non porre fine alla sua vita. Che fosse perché davvero voleva continuare a vivere e a lottare, o solo per non dargliela vinta neppure una volta, il Primo Forcide rimase impressionato dalla tenacia del giovane, sulla cui armatura si stavano aprendo crepe sempre più profonde.

 

“Abbandona ogni resistenza, Ascanio, e accetta l’oblio cui sei destinato!!!”

 

Io… a ben altro sono destinato!!!” –Ruggì il Cavaliere delle Stelle. –“E se hai seguito le mie gesta, studiando la mia vita, lo saprai bene anche tu!!! I miei avi lottarono per dare speranza al popolo di Britannia, all’epoca invaso dai sassoni e dagli juti; i miei compagni combattono con vigore in Egitto, in Grecia e ad Asgard, in quest’ultima guerra per cui a lungo il mio maestro mi ha addestrato, con la benedizione di Zeus e dei druidi di Avalon! Potrei rinunciare così facilmente?”

 

“E allora muori, maledetto testardo!!!” –Chiosò Tiamat, portando al massimo la forza d’attrazione del buco nero e strappando un gemito ad Ascanio, le cui braccia parvero torcersi all’interno, piegate da un così devastante potere.

 

“Muori tu, invece!!!” –Intervenne una terza voce, costringendo il Forcide a guardare alle spalle dell’antico compagno, osservando Sirio, ripresosi, inginocchiato a terra, il pugno carico di lucente energia. Con rabbia, il Cavaliere di Atena lo sbatté nel suolo, infondendovi il suo caldo cosmo, che subito sbucò ai piedi di Tiamat, sollevandolo in cielo, travolto dalla carica di un drago dalle squame verdastre. 

 

L’impatto fu devastante, danneggiando in più punti la corazza azzurra e liberando al qual tempo Ascanio da quel massacrante impegno, facendolo crollare sulle ginocchia, respirando a fatica.

 

“Tutto bene?” –Si premurò subito Sirio, correndo da lui e ricevendo un timido segno d’assenso, proprio mentre Tiamat si schiantava a qualche metro di distanza.

 

“Ho capito come possiamo vincerlo…” –Mormorò Ascanio a bassa voce. –“Superandolo in potenza. Su questo si basa tutto il suo addestramento, sul disperato tentativo di essere il più forte di tutti, per riscattare l’onta del passato e vedermi ai suoi piedi! Dobbiamo distruggere la Bocca dell’Abisso saturandola di energia!”

 

Sirio annuì alle parole del compagno, pur consapevole di quanto pericolosa fosse quell’impresa, non solo per l’oro ma anche per l’intero Avaiki, che avrebbe potuto essere annientato dalla deflagrazione dei loro cosmi portati al parossismo. Pur tuttavia, convenne, era l’unica strada percorribile, per non lasciare Tiamat libero di portare ulteriore distruzione.

 

“Sono con te!” –Si limitò a chiarire, mentre il Primo Forcide si rialzava, sputando sangue e denti rotti, maledicendo i due allievi di Libra per la loro caparbietà.

 

“Fin troppo a lungo sono stato clemente con voi! Chissà, forse c’è rimasto un po’ d’affetto in questo mio cuore colmo di livore! Eh eh eh! Ma ora è tempo di mettere da parte anche quest’ultima reminescenza di passato e sfoderare il vero potere dell’Abisso Oscuro!” –Ringhiò, espandendo al massimo la propria aura cosmica, che lo avvolse completamente, permettendo a Sirio e ad Ascanio di vedere solo una sagoma indistinta, su cui lampeggiavano pallidi occhi giallognoli. –“Apocalisse oscura, spazzali via!!! In nome tuo, Anhar!!!”

 

La tempesta di energia distrusse tutto quel che incontrò, dirigendosi verso i due Cavalieri, i cui cosmi rischiaravano le profondità abissali da tanto erano lucenti.

 

“Dietro di me!!!” –Gridò Sirio, sollevando il braccio destro e concentrando sullo scudo tutta la propria energia. Ascanio fece altrettanto, riparandosi alle spalle del compagno e osservando la bufera nera impattare contro la loro difesa, scivolandole addosso e perdendosi ai lati, pur continuando a mugghiare furiosa.

 

Era uno scontro di cosmi di potenza smisurata e persino Asterios, al centro del Palazzo di Corallo, faticò nel mantenere solida la cupola protettiva sulla Conchiglia Occidentale, sottoposta a una pressione mai sopportata prima. Se fosse stata sola, Hina sarebbe di certo caduta.

 

“Abbandonate ogni speranza, incauti eroi, e abbracciate l’oblio dell’abisso!!!” –Imperò Tiamat, continuando a riversare il proprio cosmo di tenebra su Sirio e Ascanio, che ugualmente avvampavano nei loro cosmi, in un tripudio di verde, bianco e rosso.

 

“Mai!!!” –Risposero insieme i due allievi di Dohko. Per quanto fosse la prima volta che combattevamo assieme, fianco a fianco, parve loro di essere uniti da una vita, complici gli stessi insegnamenti, la stessa morale che avevano condiviso in gioventù. Fu strano, per un momento, immaginare un tocco familiare sulle loro spalle, la mano di Libra che, sorridendo fiero accanto a loro, li incitava a lottare ancora.

 

“E non sei solo, Sirio!!!” –Parlò una voce all’improvviso, risuonando nell’animo del Cavaliere di Atena, prima che una luminescenza argentina apparisse vicino a lui, assumendo le forme di un vecchio amico, circondato da altre sagome evanescenti che Dragone non conosceva.


Demetrios!!!” –Lo riconobbe il ragazzo, con gli occhi umidi al suo ricordo.

 

“Proprio io, il ragazzo così colmo di rabbia da riversarla, al pari di Tiamat, verso tutti coloro che lo circondavano, anche e soprattutto verso coloro che lo amavano! Ma quando la rabbia e l’odio sono passati, è rimasto il vuoto e un’assenza infinita!” –Sospirò Demetrios, prima di sorridere all’antico compagno di addestramento. –“Permettimi di combattere con te! è solo una stilla, lo so bene, il mio cosmo, in un oceano ben più grande che è il tuo, ma a volte una goccia può far traboccare un vaso. Vendica il nostro maestro, Sirio! Fallo per tutti noi, gli allievi di Dohko!”

 

Demetrios, io… sarà un onore averti al nostro fianco!” –Pianse Sirio, mentre le forme dell’amico si dissolvevano, scivolando in aria e posandosi su di lui, dando nuovo vigore alle zanne dei Draghi di Cina, che parvero accompagnarsi al ruggito di una tigre.

 

“L’onore di combattere tutti assieme! Noi, gli allievi di Dohko!!!” –Esclamarono le altre sagome, i cui nomi Sirio aveva soltanto udito nei ricordi di Libra. Tenma, Xi Yan, Zong Wu dell’Auriga ed altri Cavalieri vissuti e caduti in nome di Atena.

 

Ascanio bruciò al massimo il proprio cosmo, mentre migliaia di draghi bianchi e rossi danzavano attorno a loro, stupendo persino Tiamat dal maestoso splendore delle energie da loro prodotte. –“Ruggite, draghi di Albion!!! In nome dei Pendragon e dei miei avi che vi elessero a loro simbolo! Un simbolo in grado di riunire tutte le genti di Britannia!”

 

“Affiancateli, draghi di Cina! Che le vostre zanne possano dilaniare quella cortina di male che vuole scendere sulla Terra!!!” –Si unì a lui Sirio.

 

“Non mi avrete!!!” –Comandò Tiamat, mentre la moltitudine di draghi risaliva l’avversa corrente oscura, piombando su di lui, costringendolo ad evocare il buco nero. –“Bocca dell’Abisso, inghiottili!!!”

 

Uno dopo l’altro, i draghi verdi, bianchi e rossi vennero risucchiati dall’oscura macchia, ma erano così tanti, così grandi e potenti che dovettero accalcarsi di fronte all’ingresso nell’abisso, sbattendo l’uno sull’altro, contorcendosi, annodandosi, mentre sempre nuovi ne arrivavano alle loro spalle, in una ridda che Tiamat presto capì di non riuscire ad assorbire completamente. Fu allora che Ascanio e Sirio si scambiarono un’ultima occhiata, prima che il primo annuisse, mettendo tutto se stesso in quell’attacco, la gloria e la potenza dell’antico casato da cui discendeva, mentre il secondo balzava in aria, sopra di lui, con il braccio destro teso al cielo e saturo di energia cosmica.

 

“Maestro, questo colpo è per voi! Con l’amore di tutti i vostri allievi!!!” –Esclamò Sirio, calando l’arma in grado di recidere ogni male. –“Excalibur, rifulgi!!!”

 

Il devastante fendente energetico sfrecciò nella selva di draghi, falciandone alcuni e abbattendosi infine sul buco nero, proprio al centro di esso. Ci volle un attimo, uno soltanto, prima che Tiamat si rendesse conto che la Bocca dell’Abisso era stata divisa in due, da una sottile linea di sfavillante energia che andò espandendosi sempre di più, annientando la sua difesa ed esponendolo all’assalto della torma di draghi.

 

Aaarghhh!!!” –Gridò il Primo Forcide, scaraventato indietro, con una profonda ferita aperta sulla spalla destra, da cui sangue schizzò copioso, e numerosi tagli e morsi laddove le fauci delle sacre bestie di Albion e di Cina lo avevano raggiunto.

 

Ricadde a terra in un lago di sangue, l’armatura azzurra danneggiata e ormai tinta di rosso. Annaspò per qualche istante, respirando a fatica, la cassa toracica contusa, un polmone perforato dalla zanna di un drago, finché non riuscì a mettersi in piedi di nuovo, barcollando e strillando contro i due avversari.

 

“Come avete fatto?! Come avete potuto sconfiggermi?! Io sono il più forte! Io sono l’Abisso Oscuro, da cui nessuno è mai fuggito!!!”

 

“C’è sempre una prima volta, a quanto pare!” –Commentò Ascanio, accasciato a terra, fiacco ma soddisfatto.

 

“Abbiamo avuto un buon maestro!” –Lo affiancò Sirio, dandogli una pacca su una spalla. –“Ma non tutti ne hanno saputo trarre i migliori insegnamenti!”

 

“Per te è finita, Tiamat! Dato che sei stato allievo di Anhar, forse potrai svelarci qualche segreto su di lui!” –Esclamò il Comandante dei Cavalieri delle Stelle, rialzandosi a fatica e iniziando ad avanzare verso di lui.

 

“L’unico segreto che posso dirti è che morirete tutti! Da Anhar ho capito molte cose, ho imparato a servirmi degli altri, chiunque essi fossero, congiunti, amici o semplici servitori, poiché a nient’altro servono gli esseri umani se non a prostrarsi di fronte ai loro padroni. È insito, nella razza umana, essere servili. Eh eh eh!” –Rise, sputando sangue, mentre Ascanio incombeva su di lui. –“Che Forco vinca o cada, che Caos vinca o cada, io resisterò, come Anhar prima di me. C’è sempre, in fondo, un altro Signore Oscuro a cui offrire i miei servigi!” –Si liberò svelto della presa dell’antico compagno, avvolgendosi nel suo cosmo tenebroso e correndo verso una pozza d’acqua interna della Conchiglia. Ascanio non riuscì a raggiungerlo in tempo che già Tiamat vi si era gettato dentro, scomparendo poco dopo negli abissi oceanici.

 

“Non andrà lontano, in quelle condizioni!” –Commentò Sirio, cercando di rincuorare il compagno.


“Forse!” –Annuì Ascanio. Ma non ne era affatto convinto.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 31
*** Capitolo trentesimo: Incursione. ***


CAPITOLO TRENTESIMO: INCURSIONE.

 

Zeus stava tempestando Atlante di folgori.

 

Una dopo l’altra, senza dargli tregua, cadevano sul figlio di Giapeto, scheggiandogli l’armatura, lacerandogli la coriacea pelle e lasciando ruscellare il prezioso ichor lungo il suo muscoloso fisico. Per quanto rivestito da uno strato di cosmo che gli aveva permesso di resistere agli assalti dei Cavalieri di Atena, niente poté contro la luminescenza dell’arma deicida di cui il Cronide disponeva, la stessa che uno dei suoi antichi avversari, durante la Titanomachia, aveva generato, prima di rimuoverla dalla propria memoria.

 

Il keraunos, la divina folgore sterminatrice, in grado di piegare persino gli Dei della Seconda Generazione Cosmica.

 

E proprio una tempesta di fulmini stava martoriando il gigantesco corpo di Atlante, spingendolo indietro, in una rozza e scoordinata fuga che Zeus si preoccupò bene di guidare, nel tentativo di condurre il titano nell’unico luogo del Grande Tempio ampio a sufficienza per accogliere la sua carcassa. Tiresia, Virgo e Mur, comprese le intenzioni del Nume, intervennero in suo aiuto, materializzandosi, i primi due, in cielo, davanti agli occhi di Atlante, abbagliandolo con continui lampi di luce, mentre il secondo, dal basso, gli crivellava le gambe con una pioggia di stelle, affiancato da un Cavaliere Celeste che non aveva mai visto.

 

Lancia di Icaro!” –Tuonò questi, scatenando, con un rapido movimento del braccio destro, una selva di lunghe aste energetiche che andarono a conficcarsi in una gamba del titano, scaricandovi un profluvio di scariche elettriche. Quindi, vedendo che Zeus era infine riuscito a portarlo a pochi passi dall’ampio anfiteatro, l’uomo concentrò tutto il proprio cosmo in un unico giavellotto di energia che scagliò, balzando più in alto che poté, da una parte all’altra delle gambe di Atlante, trapassandogli i tendini e strappandogli un atroce grido di dolore e rabbia.

 

In quel momento il Signore dell’Olimpo bersagliò la sua schiena con una sventagliata di folgori, riuscendo infine a prostrare l’antico rivale a terra, osservandolo crollare con le ginocchia al centro dell’Arena dei Tornei, il massiccio busto che barcollava stanco, puntellandosi con le braccia al suolo. Osservandolo con una punta di dispiacere, Zeus fluttuò in aria, fino a portarsi di fronte a lui, invitandolo ad alzare il capo e a guardarlo negli occhi, a mostrargli tutto l’odio accumulato in secoli di solitudine e apatia. Niente di diverso, ricordò, da quel che aveva sorretto l’avanzare furioso di Tifone verso la vetta del Monte Sacro, intrisi entrambi di un viscerale rancore verso gli Olimpi, la generazione che aveva soppiantato quella dei loro padri. Un rancore che tali padri avevano fomentato.

 

“Non sei poi così differente, in fondo!” –Rifletté il Nume, alla cui mente tornò la tristezza che l’aveva invaso al termine della Grande Guerra, quando aveva ordinato a Ermes e a Efesto di bruciare il corpo di Tifone, fine ben più degna di una nuova eterna prigionia. –“Che debba succedere anche stavolta? Che solo la morte, la fine di tutto, possa darti pace, Atlante? Perché la tua genia ha riversato così tanto odio nei nostri confronti? Il mondo è vasto abbastanza per viverci tutti, in armonia, non credi?”

 

Atlante non parlò, limitandosi a fissare Zeus con quelle enormi pupille grigie, che al Dio parvero senza tempo, sollevando infine una mano, trascinandola a stento verso di lui, le sanguinanti dita alzate al cielo, quasi a implorare la sua pace, quasi a cercare un cenno d’affetto. Il Signore dell’Olimpo vide un bagliore in fondo a quello sguardo spento e ritenne fosse speranza, così si accostò all’enorme mano, sfiorandola con la propria e lasciando che le loro energie venissero a contatto. Non riconobbe invece il lampo di vendetta che guizzò negli occhi di Atlante, proprio mentre questi stringeva Zeus all’interno del pugno, stritolandone il corpo e l’armatura.

 

Un grido rabbioso proruppe dalla gola del titano, prima di iniziare a sbattere la mano contro le gradinate dell’arena dei tornei, distruggendole, deciso a distruggere al qual tempo anche il figlio di Crono, causa principale della sua millenaria sofferenza.

 

“Resistete mio Re! Siamo con voi!” –Esclamò allora una candida voce mentre una figura scintillante piombava su Atlante, avvolta in una fresca corrente d’aria. –“Spira, Vento di Levante!!!” –Imperò Euro, dirigendo l’assalto verso il volto del colosso, accecandolo. Al tempo stesso una raffica di globi di energia acquatica lo investiva al collo, alla bocca, persino alle narici, liberati da Nikolaos che saltava da un gradone all’altro dell’anfiteatro, seguito da Toma di Icaro che, sfruttando gli stessi venti di Euro, balzò in alto, con la lancia energetica stretta in pugno, mirando ad un occhio di Atlante.

 

Se ne avvide troppo tardi, il gigantesco guerriero, riuscendo soltanto a chiudere l’enorme palpebra, che venne trafitta dall’asta di energia, strappandogli un violento ringhio. Furioso, Atlante mulinò le braccia di fronte a sé, alla cieca, colpendo Toma ancora in volo e schiantandolo a terra; anche Euro venne travolto, sbattuto contro il Luogotenente dell’Olimpo e ruzzolando assieme a lui lungo gli spalti dell’arena, fino a piombare di fronte al tozzo corpo del titano, che, sia pur ferito, stava tentando di sollevarsi.

 

“No!!!” –Esclamò allora una cavernosa voce maschile, mentre una cometa di energia si abbatteva sulla spalla del gigante, facendolo barcollare in avanti e distruggendo quel che restava della sua cotta protettiva. Una cometa che presto assunse la forma di un robusto uomo, dal fisico massiccio, che balzò a terra, afferrando Nikolaos e Euro un attimo prima che il movimento a spazzare delle braccia di Atlante li investisse, portandoli in salvo.

 

“Grazie, divino Eracle!” –Commentò il figlio di Eos, ancora stordito.

 

Il Signore di Tirinto non disse alcunché, limitandosi a tornare di nuovo alla carica, proprio mentre due nuove comete lucenti si schiantavano sull’altra spalla, anticipando l’arrivo anche di Pegasus e di Atena. Ora, di nuovo riuniti, sugli spalti devastati dell’anfiteatro, i figli di Zeus e i di lui Cavalieri elaborarono un veloce piano d’attacco, su suggerimento del paladino di Atena.

 

“Useremo la vostra lancia, Milady, catalizzandola con tutti i nostri cosmi!”


Eracle annuì, iniziando ad avvolgere lo Scettro di Nike della propria aura cosmica. Toma, Nikolaos e Pegasus fecero altrettanto, mentre Atena scagliava la lancia verso l’alto, sospinta dagli impetuosi venti di Euro.

 

Dike, Philotes, Nike! Mai come adesso invoco il vostro sostegno, amiche mie!!!” –Mormorò la Dea.

 

La repentinità dell’assalto e l’unione di così potenti cosmi fu tale da impedire ad Atlante di abbozzare qualsiasi difesa, reso anche cieco dal sangue che gli colava dalla palpebra ferita. Troppo tardi notò la lunga asta dorata conficcarsi nella sua ruvida pelle, proprio all’altezza della gola, causandogli un gorgoglio sommesso.

 

Fu allora che, percependo l’allentare della stretta, Zeus fece esplodere il suo cosmo, con una detonazione che strappò via frammenti del guanto e pelle delle dita di Atlante, permettendo al Nume di issarsi nuovamente in cielo, ferito e con danni vistosi alla corazza, ma più che mai deciso a debellare per sempre tale minaccia.

 

“Non mi lasci scelta, discendente di Giapeto!” –Mormorò il Signore della Folgore, aprendo le mani al cielo, su cui fulmini argentei iniziarono a danzare, accumulandosi presto in un unico devastante colpo. –“Cadi, colossale Atlante, sotto l’arma deicida che proprio uno dei fratelli di tuo padre creò! Cadi sotto la Folgore Suprema!!!”

 

Il fulmine schizzò lesto dalle mani di Zeus, raggiungendo lo Scettro di Nike e usandolo per penetrare dentro il corpo del titano, facendolo avvampare, gridare di dolore e lacerandogli infine gli organi interni e la coriacea pelle. Fu con un ultimo schizzo di sangue, con cui la stessa Lancia di Vittoria venne espulsa, che Atlante morì, crollando giù disteso su un fianco e abbattendo quel che restava dell’Arena dei Combattimenti.

 

Toma di Icaro, che si era attardato ad osservare il crollo di quel gigante, fratello di colui che aveva subito la sua stessa punizione per mano di Zeus, fu distratto da quei pensieri e, non fosse stato per il rapido balzo di una figura dai capelli rossicci, sarebbe stato travolto dal marmo delle distrutte gradinate.

 

“Grazie!” –Mormorò il Cavaliere Celeste, osservando colei che, con agilità, era scattata in suo soccorso, portandolo fuori pericolo, sull’altro lato del piazzale. Era una donna dal fisico atletico, una Sacerdotessa di Atena a giudicare dalla maschera inespressiva che le copriva il volto, sebbene non sapesse indicarne l’età, non potendo vederla in faccia.

 

“Mai distrarsi in battaglia!” –Commentò Castalia, prima di allontanarsi, diretta verso Atena e gli altri che si erano riuniti poco distante, di fronte allo sguardo attento di Toma.

 

“Padre, come ti senti?” –Si premurò subito la Dea della Guerra.

 

“Stanco, come se il peso dei millenni vissuti fosse appena comparso sulle mie spalle! Ma non fiacco né arrendevole!” –Precisò Zeus, mentre Eracle gli si avvicinava, abbracciandolo, felice di vederlo sano e salvo.

 

“So cosa hai fatto per Pegasus! Ti ringrazio!” –Continuò Atena, indicando la nuova armatura del suo Primo Cavaliere, ancora più lucente e coprente della versione precedente.

 

“Non ringraziarmi, Atena! Vorrei aver fatto di più, quando ancora ce n’era occasione! Ormai il tempo gioca contro di noi! Crono, nostro antico rivale, sembra tornato a burlarsi di noi, uomini e Dei, saturando le nostre orecchie con l’oscuro tintinnio di lancette che nessuno può fermare!”

 

“Questo è vero! Pur tuttavia possiamo combattere e distruggere l’infausto orologio che marca la fine del mondo!” –Esclamò Eracle deciso, sbattendo un pugno nel palmo aperto dell’altra mano, strappando grida di assenso da parte di Nikolaos, Toma, Pegasus e persino dal sempre pacato Euro.

 

Fu in quel momento che la Nave di Argo ricomparve, ammarrando a breve distanza, prima che Neottolemo ne balzasse fuori, presto raggiunto anche da Mur, Virgo e Tiresia, lieti di sapere i compagni ancora vivi.


“Che ne è dei soldati e dei feriti, Neottolemo?” –Domandò Eracle.

 

“Sono al sicuro! Al promontorio della Prigione di Urano. Vi sono molte grotte naturali ove i fedeli di Atena hanno trovato rifugio, per curare le loro lesioni!”

 

“E ora cosa facciamo? Sento aure cosmiche espandersi continuamente, in luoghi lontani da qui! Cristal, Sirio, Phoenix e Andromeda hanno bisogno di me!” –Interloquì Pegasus, trovando Virgo concorde.

 

“Percepisco scontri ancora in atto ad Asgard, in Egitto e… in un regno lontano, in abissi oceanici! Nel primo di questi, in particolare, l’oscurità è forte! Molto forte!”

 

“Allora è là che mi recherò, a difendere la cittadella di Asgard! Milady, volete venire con me?” –Dichiarò il Cavaliere dello Zodiaco, cui Atena rispose con un sorriso sentito, prima di afferrargli la mano e lasciare che i loro cosmi entrassero in sincronia.

 

“Verrò con voi!” –Si unì a loro Eracle, subito sostenuto dal Signore dell’Olimpo.

 

“Noi invece porteremo aiuto ai combattenti egizi!” –Precisò Nikolaos, ricevendo uno sguardo di assenso da parte di Euro. Quindi, mentre tutti si preparavano per le loro nuove destinazioni, si avvicinò a Castalia, scambiando qualche parola con la donna che amava, la donna che sentiva di amare da secoli, quasi avessero vissuto già un’altra vita in passato. –“Come ti senti? Non affaticarti! Aspettami, quando l’ombra finirà, quando questa giornata sarà passata, ci siederemo ai piedi dell’Olimpo, sotto l’albero dove i miei genitori si dichiararono amore eterno, osservando sorgere il sole, la prima alba del nuovo mondo!”

 

La Sacerdotessa di Atena annuì, sorridendo sotto la maschera, prima di ricambiare l’abbraccio del Cavaliere Celeste. Nel farlo, nel sollevare le braccia attorno alle sue spalle, qualcosa tintinnò, uno strano pendaglio che portava legato al polso. Nessuno, tranne Toma di Icaro, lo notò.

 

***

 

Il diversivo ha funzionato alla perfezione, si disse Reidar, osservando gli arcieri di Asgard incoccare e tirare nuove frecce verso la boscaglia che si apriva di fronte alle mura esterne della cittadella. Soldati in armature oscure, armati di lance in grado di sprigionare raggi di energia, in groppa a feroci lupi, grossi come bisonti, e per di più corazzati, avevano subito attirato l’attenzione delle guardie, portandole a concentrare sulla via principale il grosso delle loro difese. Il Nefario dei Warg era stato chiaro con i sottoposti: dovevano logorare il nemico, fargli credere di essere in procinto di assaltare in massa il Cancello dei Grifoni, lasciandosi individuare di tanto in tanto e approfittandone per sferrare limitate offensive alle mura. In questo modo lui avrebbe avuto tutto il tempo per entrare dentro la cittadella e fare quel che doveva.

 

“Non mi hai ancora detto perché vuoi così disperatamente raggiungere la sala del trono!” –Commentò una voce atona, distraendo Reidar dai suoi pensieri.

 

Sschh! Fai silenzio, stupido! Vuoi farci scoprire? Non sappiamo se vi sono altri guerrieri dotati di cosmo all’interno della fortezza!”

 

“Le mie nebbie potrebbero distrarre i loro sensi il tempo sufficiente per farci entrare, in tal caso!” –Precisò l’altro, continuando a seguire il parigrado sul limitare della foresta, giungendo in fretta al versante occidentale della roccaforte, in parte rivolto sul mare ghiacciato. Là, come notarono, la sorveglianza era più scarsa, ulteriormente ridotta dal diversivo messo in atto, e poterono raggiungere non visti la sporgenza rocciosa sotto il canale di scolo, di cui, Reidar ben lo sapeva, potevano servirsi per entrare all’interno della cittadella. 

 

Glielo aveva detto fin dall’inizio, a Duppy, qual era il suo piano, che non prevedeva morire in massa di fronte alle porte di una cittadella che, senza l’aiuto dei Progenitori, di certo non sarebbero riusciti ad espugnare. E l’altro aveva annuito, intrigato dall’intraprendenza del Nefario dei Warg, che sapeva muoversi in quelle terre con la sicurezza di chi a lungo vi aveva vissuto. Fino al giorno della vergogna! Ringhiò, tenendo a freno l’ira, issandosi su fino alla grande grata che chiudeva il canale di scolo, strattonandola poi con forza e spingendola dentro, in modo da poter entrare nel passaggio segreto. Duppy fu subito dietro di lui, seguendolo nel tortuoso labirinto sotterraneo della fortezza, fino ad un ampio cortile interno, non distante, da quel che Reidar ricordava, dagli ambienti destinati agli inservienti. Contrariamente a quanto si aspettasse, però, le cucine e i locali di servizio erano affollate di gente, sia servitori della famiglia reale che gente comune, che offriva la propria arte in cambio di un pasto caldo. Stupido! Si disse il Warg. Avrei dovuto pensarci che tutto il popolo sarebbe stato riunito a palazzo! Vabeh, meglio così, saranno in molti ad assistere alla decapitazione della loro regina e poi inzupperò la sua chioma bionda nella loro sbobba, forzandoli a mangiare! Sì, anche quei bastardi che mi hanno dimenticato in fretta, soppiantandomi con altri idoli, pagheranno!

 

Duppy gli batté sulla spalla, annunciandogli la propria idea, sorprendendo di nuovo Reidar per l’astuzia che quel Nefario stava dimostrando. Non solo aveva ingannato i due guerrieri nella foresta dei Megres, con quelle illusioni, ma era riuscito persino a disorientare il Principe Alexer. Così, avvolti nelle sue nebbie, entrarono nei locali di servizio, mascherandosi alle altre persone, che in loro videro soltanto due vecchi stanchi, dalla pelle rugosa, infagottati in abiti logori. Sogghignando, Reidar fece strada verso la parte alta del palazzo dove sapeva trovarsi il Salone del Fuoco. È fatta! Flare di Polaris, vengo a prendere la tua testa!

 

***

 

Castalia sedeva sulla gradinata distrutta dell’arena dei combattimenti, nello stesso posto in cui, quella mattina, aveva ascoltato gli Angeli parlare dell’ultima ombra. Quell’ombra che già aveva inghiottito il Santuario di Atena.

 

Sospirando sconsolata, fece per rialzarsi, per tornare ad aiutare Yulij e Kama con i feriti. Esitò un momento, lasciando che la brezza della sera le rinfrescasse il volto stanco, chiudendo gli occhi e pensando a Nikolaos, a Pegasus, ad Atena, ai compagni che erano andati ad Asgard a combattere. Se ne erano andati quasi tutti, a parte i malridotti Cavalieri di Bronzo, in quel frangente di ben poca utilità; anche Tisifone era lontana, a guerreggiare in un regno di cui l’Aquila aveva sentito parlare solo in lontane leggende. Chiudendo la mano destra a pugno, mormorò una preghiera per tutti i Cavalieri di Atena, e non solo, sperando di rivederli quanto prima, quindi si mosse, recuperando la maschera appoggiata sul gradone e incamminandosi verso l’infermeria, fermandosi all’improvviso.

 

Un uomo era appena apparso davanti a lei. O forse la stava osservando già da qualche minuto?

 

D’istinto, la Sacerdotessa di Atena fece un balzo indietro, spostando la testa di lato, di modo che i capelli le nascondessero il volto. Per quanto la Dea avesse abrogato quella vetusta regola di scelta tra amore e morte, in lei il senso dell’onore albergava intenso e non intendeva venir meno al giuramento pronunciato al momento dell’investitura.

 

“Che fai qua?!” –Esclamò subito, fissando di sbieco l’uomo in armatura turchese, il Cavaliere Celeste che non aveva mai visto finora. –“Credevo tu avessi seguito Zeus ad Asgard!”

 

“Stavo per andarmene… ma prima volevo parlare con te!” –Commentò questi, avvicinandosi. –“C’è una cosa che credo di aver visto, una cosa che appartiene a qualcuno che ho caro!”

 

“Stai lontano, ti prego! Non avvicinarti!” –Disse Castalia, ma ormai l’uomo le era di fronte e le aveva già afferrato il braccio destro, con cui stava tentando di rimettersi la maschera in fretta e furia. Glielo torse delicatamente, lasciando cadere tale protezione e strappandole un tintinnio ben noto.

 

Sorrise, il Cavaliere di Zeus, osservando il pendaglio legato al polso della donna.

 

“Chi te lo ha dato? È tuo?”

 

Castalia sulle prime non capì, avendo ancora il viso rivolto in tutt’altra direzione, quindi, vedendo che l’uomo non accennava ad allontanarsi, spostò lentamente lo sguardo, fino ad incrociare il suo. Fu un attimo, ma bastò alla Sacerdotessa per recuperare consapevolezza di sé, divincolandosi dalla sua presa e saltando alle sue spalle, mettendogli un braccio attorno al collo.

 

“Perché vuoi saperlo? Chi sei tu? Come mai non ti ho mai visto sull’Olimpo?!”

 

“Eh eh eh…” –Rise l’uomo, colpito dalla prontezza del Cavaliere di Atena, che lo strattonò ancora per qualche istante, finché non sollevò il braccio destro a sua volta, rivelando quel che portava in un incavo dell’armatura. 

 

Un ciondolo identico a quello di Castalia.

 

Ma… come?!”

 

“Lo riconosci?!” –A quella domanda la Sacerdotessa lasciò la presa, rimanendo con lo sguardo vacuo per qualche istante, mentre Toma si voltava e le metteva le mani sulle spalle, costringendola a guardarlo in faccia. –“Se così è, allora devi riconoscere anche me, sorella!”

 

Castalia non rispose, imbarazzata e tormentata da quell’uomo che fino a poco prima non conosceva nemmeno e che adesso pretendeva di essere suo fratello. Il fratello che aveva perduto anni addietro.

 

“Menti!!!” –Gridò, recuperando la maschera e allontanandosi di corsa. –“Mio fratello è morto! Non osare giocare con i miei ricordi, non permetterti di infangare il suo nome! Mio fratello è caduto in Egitto, in missione per il Grande Sacerdote!”

 

“È questo che ti hanno raccontato? È questo che il Santuario ha inventato per giustificare la mia assenza?!” –Mormorò il Cavaliere Celeste, spostandosi alla velocità della luce e riapparendo di fronte a Castalia. –“Umpf, forse una scusa che Arles trovò per nascondere la verità! Per impedire che altri seguissero la mia strada, la strada dell’ambizione, desiderando sempre qualcosa di più alto, di più grande, di migliore! Non sono morto, Castalia, semplicemente abbandonai l’addestramento per diventare un Cavaliere di Zeus! Perché servire Atena quando mi si prospettava la possibilità di servire il Re degli Olimpi?! Eh eh eh!”

 

Quella risata cristallina scosse la Sacerdotessa, portandola ad avvicinarsi all’uomo, a sfiorargli il volto e a guardarlo fissa negli occhi, in quelle iridi turchesi in cui così a lungo aveva sperato di specchiarsi di nuovo.

 

Toma…” –Mormorò infine, sforzandosi di trattenere le lacrime. –“Sei davvero tu?”

 

“Sì, sorella! Sono io e sono felice di rivederti!”

 

“Anch’io!” –Commentò Castalia. –“Anch’io!” –Aggiunse, prima di colpirlo con un veloce schiaffo sulla guancia destra. –“Adesso ho importanti faccende di cui occuparmi, ma prima di morire in questa guerra sono curiosa di ascoltare le tue scuse!” –Gli disse, allontanandosi nella sera ateniese.

 

***

 

Flare era assisa sul trono che fu di sua sorella, e prima ancora di suo padre, fissando le fiamme ardere nell’enorme braciere al centro del salone. Narravano, le antiche cronache della famiglia, che qualche loro antenato fosse stato in grado di vedere il futuro in quelle fiamme, di vedere lontano. Ma, per quel che ne sapeva, né Ilda né tantomeno lei avevano mai dimostrato simile potere, sebbene in quel momento avrebbe dato tutto, anche la sua stessa corona, pur di conoscere la sorte in cui sarebbe incorsa. Dopo Orion, Artax e Ilda, avrebbe dovuto perdere anche Cristal?

 

Quel pensiero le fu intollerabile, spingendola ad alzarsi all’improvviso e a camminare fino alle grandi vetrate rivolte verso sud, da cui poteva intravedere le mura esterne di Asgard, su cui regnava grande agitazione, da quando, così Enji le aveva riferito, un gruppetto di guerrieri oscuri aveva tentato una sortita contro il cancello principale. Anche da quella distanza, Flare riuscì a scorgere l’imponente sagoma di Mani, Ase della Luna, dare ordine ai soldati e proteggerli con il cosmo dagli assalti che giungevano sporadici dal basso. Fece per chiamare Enji, per avere informazioni sull’assedio in corso, quando la porta laterale si aprì di colpo, stupendola, essendo un passaggio diretto verso le sue stanze. Rimase ancora più stupita quando vide sua sorella uscir fuori dall’oscurità, vestita come l’ultima volta in cui l’aveva salutata, in tenuta da battaglia. Sporca, ferita, con i capelli scarmigliati, ma con lo sguardo colmo di felicità nel rivederla.

 

Flare! Sorella mia!!!” –Esclamò subito, correndole incontro.

 

“Ilda!!! Ma come?!” –La ragazza quasi non riusciva a parlare, tanto contenta e confusa al tempo stesso nel ritrovare colei che credeva perduta tra i flutti dell’Artico. –“Com’è possibile? Io credevo che tu… Loki…

 

“Sono salva, Flare! Sono ancora viva! È un segno del cielo, non credi?!” –Le disse la sorella, asciugandole le lacrime con un dito e poi stringendola a sé, in un deciso abbraccio.  Ma fu quel contatto a farle percepire che qualcosa non andava, quel gelo che d’improvviso le si insinuò nel corpo, spingendola a irrigidirsi e a muovere un passo indietro, per quanto ancora Ilda la tenesse a sé.

 

Flare, sorella mia! Cosa ti succede? Non sei felice di rivedermi?”

 

Ilda… io…” –Balbettò la fanciulla, non sapendo cosa dire o fare, sconcertata da quel ritorno che aveva dell’incredibile. Certo, sapeva bene che più volte Cristal e i suoi compagni si erano trovati a un passo dalla morte, giungendo persino a indugiare sulla Bocca di Ade, ma mai aveva visto una persona tornare a nuova vita. Fu una giovane voce a toglierla da ogni indugio, mentre un’agile figura scattava avanti, avventandosi su Ilda con la lama sfoderata.

 

“Stai indietro, demone!!!” –Gridò Bard, comparendo davanti a Flare, che venne spinta via dalla sorella, cadendo a terra. –“State bene, Regina?”

 

Io… sì, grazie Bard! Ma cosa succede?!”

 

“Come cosa succede?! Non vedete il guerriero davanti a voi, Flare?! L’uomo dalle vesti grigie il cui sguardo spiritato vi fissa come fosse posseduto da un demonio?!” –Esclamò il Capitano della Guardia, la spada ancora rivolta verso colui che la Regina di Asgard vedeva come Ilda.

 

“Bard, io… vedo… mia sorella!!!”

 

Co… come?!” –Balbettò il ragazzo, non comprendendo le parole della Celebrante, interrotte da continui singhiozzi. Fu quell’esitazione, che lo portò ad abbassare la lama per un istante, a costargli cara, venendo travolto dalla carica dell’avversario che lo spinse di lato con un manrovescio, facendogli perdere la presa sull’arma, prima di sbatterlo a terra e bloccarlo sotto il suo tacco.

 

“Ilda, ma cosa stai facendo?!” –Gridò Flare, correndo verso di lei e afferrandole un braccio. Ma questa subito si scosse, gettando la Regina di Asgard a terra, a poca distanza dal braciere, le cui scintille le bruciacchiarono persino il vestito.

 

Flare!!!” –Ringhiò subito Bard, dimenandosi sotto il peso del nemico e riuscendo ad afferrare un pugnale che portava alla cintura, conficcandoglielo in una gamba. Lo spessore dell’armatura impedì alla lama di scendere in profondità, limitandosi ad una scheggiatura, ma fu sufficiente per permettere al giovane Capitano della Guardia di rotolare di lato, recuperare la spada e rialzarsi. –“Rivelati, mostro! Che inganno è mai questo? Come potete vedere vostra sorella in quest’uomo, mia Regina?”

 

“A questa domanda posso rispondere io!” –Esclamò allora una quarta voce, attirando l’attenzione dei presenti verso la porta laterale da cui un uomo, rivestito da una scura armatura, era appena apparso, reggendo per il colletto della veste il consigliere reale. –“A cuccia con la tua padrona, Enji!” –Ringhiò, gettandolo vicino al braciere, la cui luce permise a Flare di osservarne il volto tumefatto e sanguinolento. –“E non ci riprovare!”

 

“Ma tu… sei… Reidar?!” –Sgranò gli occhi la Regina di Asgard, rimettendosi infine in piedi, mentre la figura che aveva creduto sua sorella si allontanava, prendendo posizione a fianco dell’uomo, che Bard e Flare scrutarono intensamente.

 

Alto e ben piazzato, possedeva i lineamenti tipici dei popoli del nord Europa, con lunghi capelli biondi, sfilacciati, che incorniciavano un viso maschile e due vividi occhi grigi. Ma fu l’armatura che indossava a catalizzare la loro attenzione, così simile ad una delle sette corazze dell’Orsa Maggiore.

 

“Precisamente! Questa è la corazza che avrei dovuto vestire o, per meglio dire, la sua copia oscura, ben più resistente dell’originaria, forgiata su mia richiesta dal Gran Maestro del Caos!”


“Reidar, che stai facendo? Tu sei uno di noi, un abitante di Asgard! Come puoi sevire Caos?!” –Esclamò Flare, sconcertata.

 

“Uno di voi?! Ah, adesso lo sono, dunque? Ma quando si è trattato di investire i migliori Cavalieri del reame vi eravate forse scordati di me?!”

 

Bard parve non capire le parole dell’uomo, così Flare gli spiegò brevemente che Reidar, al pari di Orion e Artax, era un membro della Guardia della Cittadella, cresciuto e addestrato assieme a loro.

 

“Vicini ma non così troppo, alla fine!” –Sibilò il Nefario. –“In fondo, quando vostra sorella nominò i Cavalieri di Asgard, scelse Orion e Artax, ma non me! E la corazza che avrei dovuto vestire, quella per cui mi ero così duramente allenato, dando tutto me stesso, andò a Luxor! A uno scombinato orfano che aveva passato la vita nella foresta, bruciandosi il cervello abitando con i lupi!!! Quale onta mi riservaste! Perché?! Perché?!” –Tuonò, avvampando nel proprio cosmo violaceo. –“Non ero forse meritevole di un’armatura, non ero forse degno di essere elevato allo stesso rango dei miei compagni? O forse Orion e Artax, favoriti dalle dame di corte, avevano ben altri modi per compiacere la regina e sua sorella?!”

 

“Reidar, è stato solo un malinteso! Io… non so cosa pensasse Ilda in quel momento, non era neppure in sé, prigioniera dell’Anello del Nibelungo!!!”

 

“Idiozie! Avrebbe dovuto scegliere me, non quel barbaro sudicio! E tu, che da bambina avevi giocato con me e Artax, non muovesti un dito, neppure accennando una mia eventuale candidatura! Non ero nelle grazie delle sorelle di Polaris? Pfui!!!” –Sputò Reidar rabbioso. –“Io le sgozzo le sorelle di Polaris!!!”

 

“Provaci e ti ammazzo!!!” –Gli si parò subito davanti Bard, con la lama puntata verso di lui.

 

“Togliti dai piedi ragazzino!” –In un attimo, Reidar gli fu accanto, torcendogli il braccio e facendogli cadere l’arma, quindi, incurante delle sue grida di dolore, lo colpì con un calcio al basso ventre, facendolo accasciare, per poi scagliarlo contro il trono. –“E ora a noi due!”

 

“A noi tre!” –Precisò una voce, mentre un rumore metallico fece voltare Reidar giusto in tempo per vedere Enji che, afferrata la caduta spada del Capitano, la stava brandendo contro di lui, avendogliela appena sbattuta contro l’elmo. –“Ti sei già dimenticato di me? Atteggiamento strano per un bambino viziato che frigna per essere stato messo da parte! Vuoi sapere la verità, Reidar? Pur sotto la prigionia dell’Anello del Nibelungo, Ilda non ti scelse perché non eri degno! Non eri meritevole di un’Armatura del Nord, e il fatto che tu ne fossi così ossessionato da riempirti il cuore di odio e spingerti a ricreare un surrogato della corazza che non sei stato in grado di conquistare la dice lunga sulle tue debolezze mentali! Non sei degno di portare il titolo di Cavaliere del Nord!”

 

“Tu invece sei degno di morire per mia mano, Enji!” –Ringhiò il Nefario, piombando sul fedele consigliere e sventrandolo con gli artigli di cui erano dotati i bracciali dell’armatura. Schizzi di sangue piovvero addosso a Flare, che strillò impaurita, mentre la spada cadeva dalle mani di Enji e il suo corpo squartato veniva gettato con una spallata dentro il braciere del salone. –“Allora, chi vuol essere il prossimo? Tu, giovane soldatino, o la bella Regina di Polaris? Ah ah ah!” –Sghignazzò Reidar dei Warg.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 32
*** Capitolo trentunesimo: Pericolo dal mare. ***


CAPITOLO TRENTUNESIMO: PERICOLO DAL MARE.

 

Mani era in piedi sulle mura di Asgard, dando ordini ai soldati del nord per controbattere l’offensiva nemica. Shen Gado era rientrato da poco, aiutato da alcuni Blue Warriors sopravvissuti, e l’aveva informato che la piazzaforte di Alexer era perduta e che l’Armata delle Tenebre sarebbe giunta a breve. Non aveva ancora terminato il proprio resoconto che già la prima ondata di frecce nere si era abbattuta sulle mura merlate, obbligando il Selenite di Saturno a intervenire personalmente.

 

Pur tuttavia c’era qualcosa di strano nell’agire dei loro nemici. Parevano esitare, per quanto Mani non capisse perché. Sentiva chiaramente l’immensa energia oscura provenire da fondo valle, intenta a battagliare con il Cigno e con l’Angelo di Aria, come sentiva gli altri scontri in corso nella foresta di Asgard. Cosa stavano dunque aspettando questi guerrieri? Perché si limitavano a sporadiche incursioni e non sferravano l’assalto definitivo? Di certo non era paura a frenarli, non poteva essere con quell’ombra che saturava il cielo, sostenendo il loro operato e gettando terrore nel cuore dei difensori della cittadella.

 

E allora cosa? Si chiese l’Ase della Luna.

 

La risposta lo raggiunse a breve, sotto forma di una scossa violenta che fece tremare l’intera fortezza, gettando molti soldati di sotto dalle mura. Una seconda, ancora più volte, abbatté persino una torretta di guardia, che Mani vide sgretolarsi in una nube di polvere, resti umani e caos, che subito serpeggiò tra gli uomini.

 

“Non cedete!” –Gridò loro, rimettendosi in piedi e cercando di rincuorare il morale delle guardie. –“Non date al nemico questa soddisfazione! Vuole vederci sconfitti! Vuole vederci piegati! Vuole vederci impauriti! Ma noi non lo saremo!”

 

In cuor suo non sapeva quanto crederci, ma doveva farlo se voleva tenere alto il morale dei soldati. Quella fortezza a picco sul mare, che Asi e Vani avevano a lungo chiamato Midgard, era tutto quel che restava di Asgard, della vera Asgard, e lui era uno degli ultimi della sua stirpe, aveva il dovere morale di difenderla, anche per coloro che non c’erano più. In quel momento, mentre il suolo tremava una terza volta e l’Armata delle Tenebre ne approfittava per lanciarsi in massa contro il Cancello dei Grifoni, per sfondarlo e penetrare nella cittadella, Mani si ritrovò a pensare a Odino, a Balder, a Heimdall. Avrebbe voluto avere la loro forza, la loro lucentezza, la loro perseveranza. Avrebbe voluto impugnare Gjallarhorn e soffiare nel corno d’oro, per chiamare tutti gli Asi e Vani a raccolta, e con loro i popoli dei nove mondi, per vedere la lancia di Odino insinuarsi tra i nemici e falcidiarli, per ammirare la grazia di Balder e Freyr, avvolti nella luce del sole, e per combattere assieme a Tyr, che di certo sarebbe stato in prima linea contro qualunque creatura demoniaca.

 

Ma erano tutti caduti, scomparsi durante il Ragnarök che, dovette ammettere, non era ancora finito. Non per gli uomini e per i pochi Dei che ancora resistevano.

 

Proprio uno di loro attrasse la sua attenzione, il silente figlio di Odino di cui percepì il cosmo nel piazzale retrostante, mentre si allontanava dalla cittadella e si dirigeva verso il versante che scendeva a strapiombo sul mare. Che cosa vuole fare? Non poté evitare di chiedersi Mani, evitando una freccia nemica. Perché muoversi in quella direzione? Non c’è niente là, solo il mare. Che pericolo potrebbe mai venire dal…?

 

Solo allora lo sentì. Un cosmo potente, antico, oscuro. Un cosmo rimasto celato fino a quel momento, da una maestria che pochi potevano possedere, di certo un Dio. Digrignando i denti frustrato, il Selenite si ritrovò a pensare che avrebbe davvero voluto essere Heimdall. Lui non si sarebbe mai fatto passare un nemico sotto il naso.

 

***

 

Vidharr l’aveva sentito avvicinarsi, quel cosmo oscuro e silente. Era strisciato nelle gelide acque del Mare Artico, confondendosi con le zolle di ghiaccio che ne ricoprivano la superficie, sebbene di bianco non avesse niente. Tutt’altro. Era un’ombra, come quelle che avevano marciato su Bifrost poco tempo addietro, quanto non seppe dirlo neppure lui, incapace di misurare il tempo da quando Yggdrasill era crollato e i mondi si erano ribaltati. Come aveva potuto sopravvivere era un mistero anche per lui, che spesso aveva accompagnato il padre alla fonte di Mimir o a conversare con le Norne, alla ricerca di un più profondo senso che andasse al di là del fenomenico. Ma pur con tutta la sua sapienza, pur con tutta la sua dottrina, non riusciva a darsi una risposta, non sapeva spiegare come fosse stato in grado di sopravvivere al crollo dei mondi, a differenza dei ben più coriacei Odino e Tyr o del più meritevole Balder.

 

Li ricordava ancora con affetto, sebbene i ricordi tendessero a svanire, facendosi fumose immagini di una vita passata che quasi non sembrava più sua. Ricordava i sorrisi dello splendente figlio di Odino, in grado di dare sollievo persino ai morti di Hel con la sua sola presenza. Ricordava l’abilità guerriera di Tyr, che non aveva esitato a mettere una mano in bocca a Fenrir, come pegno di fede. E ovviamente ricordava il Padre di Tutti. Allfǫðr, così lo chiamavano i popoli dei nove mondi, ritenendo che tutti discendessero da lui.

 

Per lui era semplicemente il padre, con i suoi pregi e difetti. Ma alla fine era stato un buon padre, pronto a combattere in prima linea per difendere la sua terra e la sua famiglia! Rifletté Vidharr, camminando a piedi nudi sul freddo piazzale sul retro della cittadella di Asgard. E lui? Lui era degno di essere suo figlio?

 

Se l’era chiesto spesso, nel tempo trascorso alla corte di Odino, se fosse davvero meritevole di esserlo. Sugli altri non aveva mai avuto il minimo dubbio. A dispetto del suo carattere burbero, Tyr era un abile guerriero, forse il più forte in battaglia, secondo solo a Odino, ed era altrettanto coraggioso. Su Balder poi non poteva spendere che buone parole. Balder era l’eroe di cui Asgard aveva bisogno, il sole che sorgeva ogni volta che l’ombra pareva minacciarne i confini. Balder era giusto, misericordioso, caritatevole, dispensatore di sorrisi e gesti accorti. Balder era l’amore nella sua forma più pura e concreta. E Vidharr? Cos’era Vidharr, che i popoli di Asgard chiamavano il Silente? Non doveva poi essere granché, agli occhi dei fedeli, se gli avevano dato quell’appellativo, di certo non in segno di encomio.

 

In confronto agli epiteti che decantavano la gloria di Odino, lo splendore di Balder o di Freyr, il suo era davvero un nomignolo. Ma, del resto, come avrebbero dovuto chiamarlo? Per quale impresa avrebbero dovuto ricordarlo? Non aveva mai fatto alcunché, se non sedere ai piedi del trono, limitandosi ad ascoltare il padre e ad annuire. Non aveva partecipato a guerre o a cerche, non aveva passeggiato per i Nove Mondi dispensando gioia e sorrisi. Non aveva mai neppure scoccato una freccia, addirittura vietando che nei boscosi terreni ove risiedeva fossero cacciati animali, togliendo divertimento a Tyr, Ullr e a molti altri Dei avventurosi. Insomma, motivi per amarlo e ispirare gli scaldi a cantarne le lodi non ce n’erano. Tutto ciò per cui era noto erano le sue grosse scarpe, delle belle scarpe in verità, che Frigg gli aveva preparato con l’aiuto di Idunn dopo essersi lamentata che nessun calzolaio di Asgard avesse calzature adeguate al piede del figlio. Per una macabra ironia, convenne Vidharr osservandosi le dita imbrattate di neve e fanghiglia, adesso aveva deciso di girare scalzo, sentendosi molto più a suo agio nel toccare il gelido suolo, nel percepirne l’aspra durezza ma anche la resistenza, un freddo che non sapeva di morte bensì di speranza, un freddo che contribuiva a mantenerlo vivo.

 

“Per quanto ancora?” –Parlò infine una voce, sorprendendo il figlio di Odino, che si voltò giusto in tempo per ritrovarsi proprio suo padre di fronte.

 

“Allfǫðr?!” –Mormorò, sgranando gli occhi.

 

“È forse il massimo movimento che ho visto compiere al tuo volto, figlio mio!” –Commentò schietto il Signore degli Asi. –“Imperturbabile maschera hai offerto al mondo, per troppo lunghi anni, al punto da non destare emozione alcuna ai popoli su cui abbiamo imperato. La stessa mancanza di emozioni che ti ha colmato il cuore, spingendoti a chiuderti in te stesso.”

 

“È stata una forma di difesa, padre! Lo sapete bene!” –Si limitò a spiegare Vidharr, avanzando verso il genitore ritenuto perduto, il quale, a quelle parole, annuì.

 

“Certo, certo! Io lo so! Ma il mondo non ha mai capito! Il mondo ti ha sempre considerato lontano, rifuggendoti, come tu hai lo hai rifuggito!”

 

“Io non…” –Tentò di replicare Vidharr, ma Odino lo interruppe alzando una mano.

 

“Tu cosa? Non ti sei forse costruito una dimora nella parte più isolata del regno, una buia casa di legno al centro di una foresta così fitta da rendere difficoltoso persino ai raggi di sole penetrare al suo interno? Una foresta in cui neppure Huginn e Muginn amavano svolazzare, percependone il disagio, l’inquietudine. La solitudine. Una via triste hai scelto di percorrere, figlio mio, proprio tu, con le tue possibilità! Perché? Perché questa chiusura? Non c’era dunque amore nella solarità di Balder? Non c’era passione nelle azioni di Tyr, o solennità nell’epica di Bragi? Gli Dei tuoi fratelli, tuoi compagni, hanno sempre offerto molto ad Asgard, hanno reso grande la nostra civiltà. Tu, Vidharr, cosa hai fatto?”

 

Per qualche secondo il Nume non rispose, limitandosi a fissare il padre con sguardo inespressivo, dimentico di tutto. Della guerra in corso, delle scosse che aveva percepito poc’anzi e che lo avevano spinto a scendere dalla Torre della Solitudine per controllare, persino del cadavere di Odino che i Cavalieri dello Zodiaco avevano riportato a Midgard, e che lui stesso aveva cremato, in silenzio, di nascosto da tutti. Già, questa era la sua natura. Una natura solitaria, introversa, riservata. Un animo che persino a suo padre aveva faticato a mostrare.

 

“Perdonami se ti ho deluso! Forse avresti voluto che fossi morto ad Asgard e che Tyr o Balder fossero qua, adesso!” –Disse infine, sospirando, strappando un sorriso al vecchio dalla barba grigia che gli stava di fronte.

 

“Caro ragazzo…” –Gli parlò il Dio con voce soave, avvicinandosi. –“Non avrei potuto desiderare di meglio. Ti ho osservato, da lontano, consapevole delle tue capacità e dei tuoi limiti, e proprio questi mi hanno permesso di essere qui!”

 

“Ma… come puoi essere qua, padre? Credevo che, con l’avvento di Caos, tutti gli Dei caduti fossero destinati a… scomparire per sempre…”

 

“E così è, infatti! Così è, Vidharr!” –Chiosò Odino, fissando il figlio con sguardo deciso.

 

Solo allora Vidharr si accorse che il padre aveva entrambi gli occhi.

 

***

 

L’inquietudine non gli si addiceva, eppure era un sentimento che Avalon stava provando in quel momento, come in poche occasioni passate. La prima volta che ne era stato invaso, quindici anni prima ormai, era la notte in cui Micene era morto, la seconda, nonché l’ultima, quando Nyx era riapparsa e il varco tra i mondi si era aperto. In quel momento aveva capito che tutto quello che aveva fatto fino ad allora stava per essere messo alla prova e che, in nessun caso, avrebbe potuto tornare indietro. Solo vittoria o sconfitta potevano esistere, per sé e per la Terra.

 

Con quel pensiero in mente aveva abbandonato la Biblioteca dei Polaris, uscendo sul retro della fortezza di Asgard, proprio dove Vidharr si era diretto poco prima.

 

“Vado a controllare!” –Aveva esordito il figlio di Odino, rompendo il silenzio che lo caratterizzava. Un silenzio che ad Avalon, comunque, non dispiaceva. Da allora erano trascorsi dodici minuti e Vidharr non aveva fatto ritorno.

 

Certo, anche le scosse che avevano gettato la roccaforte nel panico erano terminate e forse il Silente ne aveva davvero rimosso la causa, pur tuttavia Avalon sentiva ancora un’aura maligna infestare Asgard, un’aura di provenienza ben più vicina che non la fosca nube che saturava il cielo. Inoltre, per quanto provasse, non riusciva a mettersi in contatto con il figlio di Odino, nonostante ne avvertisse ancora la presenza.

 

C’è qualcosa di strano nel suo cosmo! Osservò, camminando nell’ampio piazzale dove Ilda era solita radunare il popolo per rendere omaggio a Odino. Voltando lo sguardo verso destra, Avalon vide i resti della statua dell’Ase giacere poco lontano, circondati da una palizzata di legno dentro cui gli uomini di Alexer avevano lavorato per risistemarla e poter tornare ad innalzarla un giorno non lontano. Una prospettiva che aveva animato molti di loro, anche i più pessimisti verso il futuro, e a cui dovevano continuare a guardare se volevano sopravvivere.

 

Sopravvivere. Una parola che adesso gli suonava così lontana. Adesso che l’ombra era arrivata.

 

“Cos’è che temi davvero?” –Gli disse una voce all’improvviso, rubandolo ai suoi pensieri, come se i suoi stessi pensieri avessero trovato forma davanti a sé, in un’anziana sagoma dagli occhi grigi che il tempo pareva non aver ingobbito.

 

“Tegel…” –Mormorò Avalon, riconoscendo il Primo Saggio.

 

“Questo era il mio nome, sebbene non l’abbia usato per molto tempo.” –Sospirò questi, carezzandosi la folta barba bianca. –“Chi avrebbe dovuto chiamarmi così, in fondo? Gli amici con cui combattei un tempo contro la Prima Ombra? Raminghi nel mondo, ci dividemmo e perdemmo, uno dopo l’altro, cadendo in guerre che non ci appartenevano. Guerre che avevamo fatto di tutto per scongiurare ma in cui gli Dei moderni, i figli della Prima Generazione Cosmica, precipitarono il pianeta. Umpf, che ironia, vero? Sopravvivere al Caos per morire a causa dei suoi figli!”

 

“Maestro, nessuna morte è stata vana, nessuna di quelle dei Sette Saggi! Voi siete il nostro esempio, faro a cui guardare ogni volta in cui crediamo di smarrire la via!”

 

“Davvero?!” –Soppesò l’Antico, rabbuiandosi per un momento. –“Allora cosa fai qua? Perché non sei a compiere il tuo dovere? Il tuo vero dovere…”

 

Avalon non rispose, distogliendo per un momento lo sguardo. Ci aveva pensato a lungo, a quel che avrebbe dovuto fare, in quella lunga giornata trascorsa a meditare nella Torre della Solitudine, a espandere la sua aura sull’intera Asgard in modo da impedire all’Armata delle Tenebre di avanzare. Ma, alla fine, aveva davvero senso quel suo agire? Quel loro stare in difesa? Quel loro attendere sempre che gli eventi si verificassero? Come garante dell’equilibrio, aveva la risposta che necessitava. Pur tuttavia l’equilibrio si era rotto nel momento in cui il varco tra i mondi si era aperto e Caos era tornato. Adesso anche lui avrebbe dovuto scegliere dove stare.

 

Fu con quella consapevolezza che guardò di nuovo il Primo Saggio, proprio mentre un urlo terribile squarciava le tenebre. Un urlo di donna proveniente dall’interno del palazzo di Asgard.

 

Flare! Mormorò d’istinto il Principe Supremo degli Angeli, riconoscendone il cosmo e muovendo subito un passo in direzione della fortezza.

 

Tegel gli si parò davanti ma Avalon capì che non era lui, non poteva essere lui. Poiché l’Antico non avrebbe mai questionato al riguardo.

 

“L’Antico avrebbe capito!” –Rifletté, espandendo il proprio cosmo e spingendo l’anziana sagoma indietro, rischiarando l’intero piazzale con la propria aura argentea.

 

“Cosa fai, Avalon, levi la mano sul tuo maestro?” –Parlò il vecchio, con una voce che all’Angelo suonò ben diversa, strappandogli un sorriso compiaciuto.

 

“Pare che il tuo incanto sia finito! Chiunque tu sia palesati!” –Precisò, volgendogli contro il palmo della mano su cui un globo di energia era appena apparso. –“Ora!”

 

Una risata sottile scaturì dalle avvizzite labbra del Primo Saggio, che si allungarono divenendo una bocca sanguigna, sormontata da avidi occhi di donna, mentre il suo corpo si rivelava infine per quello che era. Una donna sì, ma non così aggraziata come Nyx o come Atena. Era grossa, e neppure tanto alta, e non portava armatura alcuna, soltanto una strana copertura di scaglie azzurrognole, di qualche animale marino che Avalon non seppe riconoscere. I capelli, lunghi e mossi, erano di un blu scuro ed erano avvolti al suo corpo, per nasconderne in parte le forme, per quanto non sembrasse turbata da quella sua apparente nudità.

 

“Perché dovrei?!” –Disse infine, rispondendo alla silenziosa domanda del Signore dell’Isola Sacra. –“I vestiti servono a nascondere le imperfezioni, a celare qualcosa che non vogliamo mostrare, ma io, che sono in pace con me stessa, che ho avuto tutto quel che potessi desiderare dalla vita, non ho niente da nascondere. Io sono così. Sono la Grande Balena, sorella e sposa del Sommo Forco, Imperatore dei Mari!”

 

“Ceto, la Possente!” –Mormorò Avalon, ben conoscendo la sua storia. –“Cosa fai qua? Sento il cosmo del tuo consorte esplodere molto distante da qui, in un regno ai più sconosciuto!”

 

“Sconosciuto agli abitanti del mondo di superficie, non a chi ha sempre vissuto negli oceani! L’ignoranza su ciò che vive e prospera nei mari non è ammessa alla corte del mio Signore, né sarebbe ammissibile dalla sua eterna compagna!” –Sorrise Ceto. –“Comunque dici il vero, Signore dell’Isola Sacra! Il mio posto è a fianco del mio consorte, ma non potevamo disobbedire entrambi! Gli ordini del Lord Comandante dell’Armata delle Tenebre erano precisi e ad essi a modo nostro ci siamo attenuti! Forco ed io conquisteremo due regni, ai poli opposti del mondo, uno sotto l’acqua e uno sopra! Ritengo che basteranno per far dimenticare la nostra assenza in Egitto, non credi?”

 

“Quello che credo è che non conquisterai alcun regno, possente Ceto!” –Si limitò a risponderle Avalon, puntandole contro l’indice della mano destra e liberando un raggio di energia che esplose ai piedi della donna, costringendola a balzare indietro. A dispetto della sua stazza, era agile e scattante, e l’aura che emanava era satura di oscurità, per quanto fosse un’oscurità diversa da quella di Nyx. Un’oscurità abissale, che solo chi a lungo aveva vissuto in luoghi dove a fatica la luce del sole era giunta poteva sprigionare. Inoltre, ponderò l’Angelo concentrando i propri sensi, vi era qualcos’altro in lei, qualcosa in grado di tingere quell’ombrosa aura cosmica con una sfumatura originale. Ma cosa?!

 

L’attacco di Ceto arrivò repentino, forzando il Signore dell’Isola Sacra a sollevare una barriera di energia a sua difesa, su cui l’assalto avversario impattò, spingendolo di qualche passo indietro. Qualche passo che gli permise di notare, nella neve ammassata ai margini del piazzale, due corpi abbandonati, che prima non aveva visto. Uno era quello del figlio di Odino, i capelli color nocciola scarmigliati e bagnati di neve, l’altro era quello di una donna adulta, che Avalon aveva incrociato nei corridoi della fortezza. Una delle tre Divinità nordiche sopravvissute al Ragnarök.

 

“Altre prede cadute nella tua trappola, immagino!”

 

Ceto annuì compiaciuta, spiegando che con loro era stato molto più semplice, dotati di minori barriere mentali. –“Non c’è voluto molto per piegarli e convincerli della veridicità di quanto stava accadendo!”

 

“Cosa stanno vedendo?!” –Chiese Avalon, avvicinandosi ai due e notando come avessero ancora gli occhi aperti, intenti ad osservare qualcosa, persi nel cielo cupo di quel tramonto. –“E perché non si svegliano, adesso che stai combattendo con me?!”

 

“Non so quale immagine sia apparsa loro di fronte! I miei poteri si limitano a risvegliare le paure recondite in ogni individuo, dando loro forma concreta, imprigionando le vittime in un mondo fittizio da cui potranno uscire solo se sapranno vincerle!”

 

“Ma certo! Ceto, la perigliosa, la personificazione delle intemperie, dei pericoli nascosti nel mare e, per estensione, dentro ognuno di noi!”

 

La compagna di Forco sorrise, prima di espandere il proprio cosmo e scattare all’attacco. Quell’Avalon non le piaceva. Nemmeno un po’. Non era avversario da poco se era riuscito a vincere la sua tecnica con facilità, anzi la Dea aveva persino avuto timore di non essere nemmeno riuscita a raggiungerlo, di non essere riuscita a scalfire la corazza di integrità che lo ricopriva, consapevole nel profondo del proprio ruolo. Possibile? Si chiese, abbattendosi con foga contro la barriera del Signore dell’Isola Sacra. Possibile che esista un uomo senza paure nascoste? Che uomo sarebbe? Anzi, che Dio sarebbe, perché di un Dio dovrebbe trattarsi?

 

La risposta a quella domanda Ceto l’avrebbe avuta a breve, pagando cara la sua curiosità.

 

***

 

Un pugno allo stomaco mise fine al patetico tentativo di Bard di proteggere Flare, prostrando il ragazzo in ginocchio, con il sangue che gli imbrattava la bella uniforme della Guardia Reale. Non contento, Reidar lo afferrò per il collo, tirandolo su e strattonandolo, di fronte allo sguardo terrorizzato e lacrimoso della Regina di Asgard, che stava implorando il Nefario di lasciarlo stare.

 

“È solo un ragazzo! Smettila!!!” –Pianse la fanciulla, avvicinandosi, ma bastò che Reidar la fissasse con sguardo truce per arrestare i suoi passi. Bard tentò di approfittare di quel momento per pugnalarlo, ma l’uomo, che si aspettava quella mossa, aumentò la presa sul suo collo, fino a mozzargli il fiato, osservandone il volto colorarsi di rosso, l’espressione sconvolta, quasi stravolta, prima di gettarlo a terra e calciarlo via. –“Bard!!!”

 

“Non preoccuparti della sua vita, Flare di Polaris, è la tua che voglio!”

 

“Bene, dunque…” –Mormorò lei, cercando di calmarsi, per quanto la vista del cadavere di Enji che bruciava nel braciere e del corpo massacrato di Bard stesse per farla vomitare. –“Se è me che vuoi, vieni a prendermi, Reidar! Se pensi che uccidendomi potrai cancellare il passato e le scelte di Ilda, fai pure, ma non diverrai mai Cavaliere di Asgard! Enji ha detto il vero e le tue azioni lo dimostrano! Tu non sei degno di niente! Neppure di vedermi piangere!”

 

“Piccola impertinente!!!” –Sibilò il Nefario, avventandosi su di lei ma venendo spinto indietro da un’improvvisa esplosione di luce. Quando si rimise in piedi e levò lo sguardo, Reidar vide Flare avvolta da un’iridescente aura cosmica, che le ricopriva la pelle, solleticandole il viso e elettrizzandole i capelli. Nella mano destra, notò, era spuntata la lancia a tre punte che Ilda utilizzava in battaglia e che adesso aveva donato alla sorella.

 

“Grazie!” –Si limitò a commentare quest’ultima, capendo che Ilda continuava a vegliare su di lei e sull’intera Asgard, e lo avrebbe fatto fino alla fine dei tempi.

 

“Non ti servirà!!!” –Ringhiò Reidar, scattando avanti. Ma bastò che Flare torcesse il tridente per liberare un raggio di energia che il Nefario dovette scansare, gettandosi di lato, sull’altro lato del braciere. Un secondo raggio distrusse il pavimento di pietra tra i suoi piedi, obbligandolo a contrattaccare all’istante. –“Artigli del…”

 

“Non ce n’è bisogno!!!” –Li interruppe una voce all’improvviso, costringendo entrambi a voltarsi verso il trono, vicino al quale una limpida figura era appena comparsa. Stanco e ferito, ma con la stessa luce di speranza negli occhi che lei vi aveva visto la prima volta in cui si erano incontrati, nelle segrete del palazzo, Cristal il Cigno indossava la sua Armatura Divina e si stava avvicinando a Flare a braccia aperte. –“Mia adorata…”

 

“Cr… Cristal?!” –Balbettò lei, stordita. –“Come puoi essere qui?!” –La stessa domanda lampò nella mente di Reidar, che fu però più lesto a reagire, guardando oltre la bianca figura e non trovando più nessuno. –“No! Stai indietro!!! Non puoi essere tu!!!” –Si riprese la Regina di Asgard, puntandogli contro la lancia, per quanto solo quel gesto le costasse in termini di subbuglio interiore.

 

“E in effetti non è lui!” –Ghignò allora Reidar, balzato alle spalle della donna, torcendole il braccio e facendole cadere l’arma, prima di sbatterla contro la parete a vetri, schiacciandole la faccia contro la finestra. –“È il mio amico Duppy! Tu sai cos’è un Duppy, vero, Flare? Come, la vostra fornitissima biblioteca, in cui tu e capelli d’oro-Artax vi rinchiudevate nei momenti di intimità non te lo ha spiegato? Nel folklore della lontana Giamaica è uno spirito malevolo. Per me è un buon alleato, in grado di generare illusioni nelle menti nei nemici, mostrando loro persone o oggetti fasulli! È così che mi ha fatto arrivare fin qua! A buon rendere, amico!” –Ghignò il Nefario dei Warg, spostando i capelli di Flare all’indietro, carezzandole il collo con gli artigli disposti sul bracciale della propria corazza e aprendole un taglio. –“Che delusione! Credevo tu avessi sangue blu! Pazienza, mi accontenterò di questo banalissimo rosso! Addio, Regina di Asgard dalla corta vita!” –Aggiunse, muovendo il braccio per squartarle in ventre, ma bastò che Flare urlasse per spingerlo indietro.

 

Fu un urlo terribile, carico di tutta l’angoscia provata fino ad allora, del dolore per la perdita dei propri cari, del timore per chi ancora avrebbe dovuto proteggere, della colpa per non sentirsi in grado, ma soprattutto fu un urlo carico d’amore per il prossimo, un sentimento che Reidar non conosceva e da cui venne sopraffatto, gettato a terra, travolto da un’improvvisa onda di cosmo. Tutti nella fortezza di Asgard sentirono esplodere il cosmo di Flare, e anche più in basso, tra le rovine del Palazzo di Alexer, Cristal sollevò il capo, percependo una fitta al cuore.

 

I vetri del Salone del Fuoco andarono in frantumi, travolgendo Reidar e ferendogli il volto, mentre le fiamme del braciere si innalzarono alte, avvolgendosi a spirale attorno al falso Cavaliere del Cigno, obbligandolo ad allontanarsi, recuperando al qual tempo il suo vero aspetto. Durò solo un minuto e alla fine Flare si accasciò esausta contro la parete, respirando a fatica, prima di guardarsi attorno inorridita da quel che aveva fatto, da un potere che non aveva mai esercitato.

 

Fu Duppy il primo a rialzarsi, tenendosi la testa stordito, incapace di avvertire bene i suoni. Forse fu per quello che, mentre si incamminava verso Flare, non udì il lieve passo di Bard, portatosi alle sue spalle, né il sibilo della lama che si piantava nel suo collo, fuoriuscendo dal gargarozzo. Un ultimo gorgoglio di sangue e il demone si accasciò a terra, privo di vita.

 

“Flare!!! State bene?!” –Esclamò il ragazzo, precipitandosi su di lei, ancora stordita e sconvolta da quanto appena successo. La aiutò a rialzarsi, dicendole di non preoccuparsi, dicendole che sarebbe andato tutto bene, quindi la guidò verso l’uscita del salone, da cui avrebbero potuto ricongiungersi a Mani e al resto delle guardie. Ma non appena raggiunsero il portone, afferrandone la robusta maniglia, un sibilo li fece voltare, giusto in tempo per evitare che la lancia dei Polaris si piantasse nella testa di uno dei due, conficcandosi invece nel legno della porta.

 

“Dove credete di andare?!” –Ruggì Reidar, rimessosi in piedi. Il volto era deturpato dalle schegge di vetro, l’armatura un po’ affumicata dalle fiamme, ma lo spirito di vendetta che l’aveva guidato ad Asgard non si era ancora sopito. In un attimo fu su di loro, gettando a terra il ragazzo e tempestandolo di pugni. Un ultimo, con gli artigli bene in vista, gli sfondò la cassa toracica, facendogli vomitare sangue.

 

“Bard!!!” –Strillò Flare in lacrime, prima di ricordarsi del tridente scagliato da Reidar. Lo svelse dal portone, impugnandolo, ma l’uomo fu svelto a strapparglielo di mano, sbattendola a terra e piantandoglielo proprio tra le gambe, affondando in un pezzo di pelliccia.

 

“Muoviti ancora e ti sgozzo come un maiale!” –Le ordinò, fissandola con occhi ricolmi di odio. Ma quando fece per svellere l’arma, si accorse che una mano la stava trattenendo, una mano macchiata di sangue. –“Ragazzo, ancora vivo?” –Lo schernì, osservando il Capitano della Guardia, dall’ormai vitreo sguardo, ancorarsi al tridente dei Polaris. E non lasciarlo andare. –“E mollalo, idiota!!!”

 

Reidar si chinò su di lui, per staccargli il braccio, ma in quel momento, raccolte tutte le forze che aveva in corpo, fino all’ultima stilla, Bard si sollevò, colpendolo al mento con un destro diretto, che spinse l’uomo indietro, facendogli sputare sangue, denti rotti e persino un pezzo di lingua. Meravigliato, e ormai fuori di sé dall’ira, il Nefario concentrò il cosmo sul braccio destro, per strappar via la vita da quel fastidioso moccioso, che già aveva impugnato la lancia di Ilda, puntandola verso di lui.

 

“In nome del grande Orion!!!” –Tuonò, scattando avanti, il corpo rivestito di uno strato di luce bianca, che sorprese la stessa Flare. Ma ancor più la sorprese vedere il tridente sfondare l’armatura del nemico, trafiggerlo al ventre e sbucare fuori dalla schiena.

 

Un rivolo di sangue scivolò dalla bocca aperta di Reidar, gli occhi grigi sgranati per l’incredulità, prima che il suo corpo senza vita crollasse di lato, con l’arma ancora conficcata nello stomaco. Anche Bard cadde poco dopo, le lacrime che gli riempivano gli occhi. Lacrime di felicità per aver tenuto alto il nome del suo maestro.

 

Piangendo e gridando, Flare fu subito su di lui, girandolo sulla schiena e tenendogli in alto la testa, sforzandosi di non impazzire. Lo cullò, gli tenne la mano, gli bagnò il viso di lacrime e alla fine lo lasciò morire, certa che, qualunque mondo lo avesse accolto, gli avrebbe tributato i giusti onori.


“Addio, allievo di Orion! Addio, amico mio!” –Pianse l’ormai sola Regina di Asgard.

 

 

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Capitolo 33
*** Capitolo trentaduesimo: Demoni di guerra. ***


CAPITOLO TRENTADUEESIMO: DEMONI DI GUERRA.

 

“Ikki di Phoenix… Sei dunque arrivato!” –Mormorò Polemos, osservando l’atletico ragazzo dai capelli blu, appena uscito dalle fiamme che attorniavano lui e Andrei.

 

“Mi conosci? Quale onore!” –Rise il giovane, con voce sprezzante.

 

“Conosco tutti voi, Cavalieri dello Zodiaco, e le vostre tecniche e già ti dico che non hai possibilità di vittoria! Dei cinque amici, che tanti Dei han vinto in questi anni, sei il meno adatto ad affrontarmi! Tu e il cavallino rampante dall’incandescente cosmo non avete speranza alcuna! Pessima scelta di fronte la tua! Avresti fatto meglio a restare ad Atene, chissà che i tuoi muscoli non potessero sostenere il poderoso tacco di Atlante! Ah ah ah!”

 

“Vedremo se sarai tu in grado di resistere all’uccello infuocato!” –Esclamò Phoenix, scattando avanti, il pugno già avvolto di ardente energia.

 

“Oh, io gli uccelli li caccio e li mangio allo spiedo!” –Ironizzò Polemos, spostandosi alla destra del Cavaliere, mentre questi piombava su di lui, lasciando che affondasse nella sua immagine residua. –“Se Vaughn fosse qua, e non fosse intento a massacrare i Cavalieri delle Stelle, potrebbe confermartelo! Siamo andati a caccia talvolta! Nel Massiccio Centrale, sulle alture del Giura e sulle Ardenne! Oh sì, abbiamo girato un po’, dopo aver lasciato i Pirenei, braccando deliziosa selvaggina! Ma devo ammettere che le prede migliori si trovano solo sul campo di battaglia!” –Aggiunse, con un ghigno serafico, prima che Phoenix si voltasse, lanciandosi di nuovo alla carica.

 

Ma anche quella volta Polemos fu più rapido, scivolandogli accanto e venendo soltanto lambito dal suo cosmo infuocato. In un attimo, girandosi, il Cavaliere notò la sagoma del Lord Comandante moltiplicarsi e circondarlo in fretta, mentre anche Andrei, poco distante, osservava attento la nuova strategia del loro avversario.

 

“Questo gioco di specchi non basterà per sfuggirmi!” –Avvampò Phoenix, muovendo il braccio destro di lato e scagliando piume metalliche verso ciascuna immagine, roteando completamente su se stesso.

 

“Chi ha mai parlato di sfuggirti?!” –Rise Polemos, mentre tutte le sagome afferravano le piume con la mano destra, stringendole e lasciando che detonassero, senza esserne minimamente toccate. –“Tutt’altro! Il mio desiderio è di farmi molto vicino a te! Tanto quanto tu me lo permetterai!” –Continuò, mentre le immagini del Lord Comandante si incamminavano verso di lui, muovendosi all’unisono.

 

“Attento, Phoenix!!! Non farlo avvicinare!!!” –Ringhiò Andrei, scattando avanti, diretto verso alcune di quelle sagome, ma non ottenendo altro risultato se non smuovere l’aria e deformarle.

 

“Sta’ tranquillo!” –Commentò il Cavaliere di Atena, avvampando nel suo cosmo infuocato, prima di darsi lo slancio e balzare in alto, sbattendo le ali e scatenando un turbine furibondo di fiamme. –“Ali della Fenice!!!” –Tuonò, portando i pugni avanti, mentre il vortice ardente devastava ogni cosa, coprendolo persino alla visuale dell’Angelo.

 

Quando la furia dell’assalto si placò, Andrei poté vedere il ragazzo di nuovo in piedi, a pochi passi da lui, il volto madido di sudore, il respiro affannato, che si guardava attorno alla ricerca del loro avversario.

 

“Dove sei carogna?!” –Sibilò Phoenix, a denti stretti, prima che una voce alle sue spalle lo riscuotesse.

 

“Davvero un bel colpo segreto! Molto scenografico! Spettacolare, direi!” –Rise Polemos, di fronte al tentativo del Cavaliere di voltarsi, solo per scoprire di non poter muovere neppure un muscolo, paralizzato da un potere così forte da impedirgli persino di chiudere le palpebre.

 

“Phoenix!!!” –Gridò Andrei, lanciandosi verso di lui. Ma bastò che il Lord Comandante lo fissasse per scaraventarlo addietro, di sotto da una duna di sabbia, sbellicandosi nell’osservarlo ruzzolare come un masso.

 

“Così stupidi! Siete proprio… stupidi!” –Disse, scuotendo la testa, prima di passare accanto al fedele di Atena e fermarsi davanti a lui, di modo che potesse vederlo in volto. –“Credevo che Dragone ti avesse avvisato, che ti avesse messo in guardia sullo strapotere con cui l’ho schiacciato, anzi seppellito sotto una montagna intera! Aveva proprio la tua stessa espressione, sai? Attonita e frustrata! L’espressione di chi si erge su un confine! Perché vedi, Cavaliere di Phoenix, questi pochi passi che ci separano, questa torrida aria che ti alito in faccia, rappresenta il confine tra la tua vita e la morte! La distanza giusta per mantenerti in vita, se te ne andrai, o per morire, se deciderai di accorciarla! A te la scelta, ma sii furbo, ragazzo! Sii furbo!” –Concluse, dandogli un buffetto su una guancia, prima di volgergli le spalle e allontanarsi ridacchiando.

 

Non riuscì a fare neppure dieci passi che già sentì una maestosa aria infuocata sollevarsi dietro di lui, un cosmo che esplose all’istante, annientando la prigionia mentale e schizzando ovunque nubi di sabbia. Senza trattenere un ghigno nient’affatto sorpreso, Polemos si voltò di nuovo, mentre Phoenix già scattava avanti.

 

Pugno…”

 

“Infuocato! Lo so, lo so!” –Esclamò, sollevando le braccia, i palmi aperti verso di lui, gli stessi palmi su cui il globo di energia rovente si schiantò, senza sfiorarli, di fronte agli occhi sorpresi del Cavaliere di Atena, che rimase ad osservare la propria sfera incandescente roteare su se stessa per qualche secondo, prima che lo sguardo di Polemos le indicasse la nuova traiettoria.

 

Fu svelto, Phoenix, a balzare in alto, evitandola, lasciando che bruciacchiasse solo qualche piuma delle code dell’armatura, prima di compiere un’agile capriola all’indietro e portarsi a una decina di metri di distanza da quel nemico temibile e al tempo stesso calmo. Un nemico così diverso da tutti quelli affrontati fino ad allora. Anche i più potenti, soprattutto loro, erano violenti, iracondi, agguerriti. Erano dei distruttori, come Surtr, Ares, Discordia, Thanatos. Polemos no, lui era diverso. O forse non lo era davvero, considerando come era arrivato fin lì, annientando templi e città, senza rispetto o pietà per nessuno. Forse voleva soltanto apparire diverso, forse quella maschera serafica che portava sul volto serviva solo a mascherare l’orrore del suo cosmo. Un orrore che a Phoenix non parve troppo dissimile da quello che aveva  già provato una volta, mesi addietro, durante lo scontro alla Sesta Casa.

 

Nel quarto mondo di Ade. Il mondo dei violenti.

 

Ricordava ancora le parole di Virgo, le parole che avevano accompagnato il suo veloce viaggio attraverso la perdizione.

 

“Il quarto mondo è popolato dalle anime dei violenti. La loro pena è quella di combattere per l'eternità. Nessuno ne uscirà mai vincitore, come nessuno è mai uscito vincitore da alcuna guerra.”

 

È vero! Rifletté il ragazzo, chiudendo le dita della mano a pugno. Nessuno potrà mai vincere alcuna guerra, poiché sempre un’altra ve ne sarà dopo. E il fatto che siamo qua, a combattere contro coloro che edificarono il mondo, ne è la dimostrazione. Fine e inizio non esistono, non come valori assoluti. Sono solo concetti che servono a rimarcare un periodo del tempo cosmico. Uno dei tanti. Ma non l’ultimo.

 

Non l’ultimo! Ripeté, trovando la forza, in quelle poche parole, per combattere ancora.

 

Pugno infuocatooo!!!” –Gridò, muovendo rapido il braccio e scagliando un assalto diretto al viso di Polemos, che non ebbe problema a pararlo con il palmo della mano. Ad esso ne seguì un secondo, poi un terzo e un quarto, una lunga serie di globi di energia infuocata che Phoenix scagliò contro il suo avversario alternando le braccia, pur senza mai avvicinarsi, quasi come stesse lottando contro un manichino invisibile.

 

“Ti faccio così paura, Cavaliere? Così tanta da ridurre questo scontro ad una pura e semplice scazzottata?!” –Ironizzò il Lord Comandante. –“Non che mi dispiaccia, in fondo! Da molto tempo non mi diverto in quel modo! Dai giorni nelle Ardenne direi!” –Parlò, quasi con se stesso, ricordando le stagioni di caccia con Chimera nelle foreste europee. –“Sono mancati i nemici, del resto, per questo tipo di addestramento! Non tutti sono come Vaughn!”

 

In quel momento, muovendo lesto il braccio destro, Polemos parò l’ennesima sfera infuocata, preparandosi a fare altrettanto con il sinistro, quando notò il movimento diverso nelle mani di Phoenix. Non… un pugno di fuoco… Rifletté, comprendendo quel che stava per fare. Ma prima che potesse agire, due robuste braccia si chiusero attorno al suo corpo, stringendogli gli arti e impedendogli di muoversi.


“Andrei!!!” –Ringhiò, riconoscendo il cosmo dell’Arconte di Fuoco avvampare attorno a entrambi, sollevando lingue di energia così incandescenti da scaldare persino l’Arma.

 

“Ora, Phoenix!!!” –Disse Andrei, che aveva compreso quel che il Cavaliere voleva fare. Annuendo, quest’ultimo scagliò il proprio colpo segreto.

 

Fantasma diabolico!”

 

La stilettata arrivò comunque, per quanto Polemos se la aspettasse, per quanto conoscesse quella tecnica e sapesse come proteggersi, potente a sufficienza da sollevare blocchi mentali per impedire a chiunque di carpire i segreti del suo animo. Pur tuttavia fece male, solo per un secondo ma fece male. Una fitta improvvisa, una scossa che fece vacillare certezze di secoli. E lo fece imbestialire.

 

Il suo cosmo esplose repentino, scagliando Andrei indietro, scheggiando la sua corazza in più punti, crepandola persino, tanto violenta fu quella detonazione ravvicinata. Anche Phoenix ne venne investito, riuscendo comunque a rimanere in piedi, incrociando le braccia davanti al viso e riparandosi quanto poté.

 

Quando l’onda di energia scemò, il ragazzo sollevò lo sguardo e vide che Polemos, ancora davanti a lui, fissava il suolo. A parte quella stranezza, sembrava lo stesso di poco prima, l’Arma ancora intonsa, rivestita di quell’accesa luce amaranto corroborata dal sangue di tutti gli Dei che aveva massacrato. Avvicinandosi con circospezione, i pugni pronti a scattare a una sua minima reazione, Phoenix credette di sentirlo parlare, quasi stesse mormorando una litania che non riusciva a comprendere per quanto le parole fossero sempre le stesse.

 

Quando fu abbastanza vicino, il braccio destro avvolto dal suo incandescente cosmo, il Cavaliere notò infine cos’è che Polemos stava fissando intensamente. Una goccia di sangue, un’unica solitaria goccia di sangue imbrattava la sabbia davanti ai suoi piedi.

 

“Stolto!” –Gli disse il Lord Comandante, sollevando un braccio di scatto e fermandolo a mezz’aria, mentre lo stava caricando. –“Non avresti dovuto esitare!” –Giudicò, chiudendo le dita della mano e godendo dello scricchiolare sinistro delle giunture metalliche dell’Armatura Divina e delle ossa che proteggevano. –“Un errore che ti costerà la vita! L’ultima vita della fenice! Ah ah ah!”

 

“Co… com’è possibile che il Fantasma Diabolico…” –Rantolò Phoenix, faticando a metter insieme le parole.

 

“Non abbia avuto effetto? Beh, l’ha avuto, in parte!” –Spiegò Polemos, avvicinandosi, sempre tenendo un braccio avanti, con cui manteneva l’avversario immobilizzato. –“L’avrai visto anche tu! Mi hai ferito! Complimenti, ragazzo! Sei il primo a riuscirci, da molto tempo! Certo, non fosse stato per l’intervento di quel fastidioso Angelo di Fuoco avresti fallito, ma così è andata! E ora dimmi, la tua ultima richiesta, immagino tu voglia sapere cos’è che stavo mormorando, non è così? Credevi stessi farneticando in preda a chissà quale delirio scatenato dal tuo colpo?! Ah ah ah! Dovresti aver chiaro ormai che non esiste tecnica in grado di ferirmi, sia essa fisica o mentale! Che Demone della Guerra sarei se lasciassi aperta anche solo una porta alla sconfitta? Se permettessi che esistesse anche solo una chiave per far crollare l’impenetrabile muraglia che mi circonda?! Tut tut, sei stato stolto a pensarlo! Stolto come Sirio, Andrei e tutti gli avversari che ho affrontato, perché vedi, Cavaliere di Phoenix, quella cantilena che ripetevo poc’anzi è quella che ho ripetuto ogni volta prima di coricarmi in ogni giorno di quest’interminabile esistenza di cui Caos mi ha fatto dono! È l’elenco di tutti coloro che ho sconfitto! Un elenco lungo quanto la mia stessa vita, che ho imparato a ricordare canticchiandolo ogni notte, nel timore di dimenticarmi qualcuno. Sono così tanti, del resto, coloro che ho vinto, uomini e Dei, creature di ogni tipo, persino animali la cui bruttezza farebbe inorridire la Chimera! Senza offesa per Vaughn, s’intende! Ah ah ah!”

 

“Sei… pazzo…” –Sibilò Phoenix, mentre la morsa mentale di Polemos si chiudeva sempre di più, per quanto stesse tentando in tutti i modi di opporsi, bruciando il proprio cosmo, deciso a non lasciarsi andare.

 

“Non sarei un genio, sennò. Non credi?!” –Rise il Lord Comandante. –“E sai perché ho ripetuto quella lista poco fa? Per aggiungere il tuo nome alla fine di essa! Spiacente ma ti avevo avvertito, hai varcato il confine e adesso non puoi più tornare indietro!”

 

“Io non voglio farlo! Non voglio tornare indietro!” –Esclamò il Cavaliere, rilucendo nel proprio cosmo infuocato. –“E quel confine di cui parli, umpf, se tu mi conoscessi bene sapresti quante volte l’ho varcato! Con le ali della fenice a sorreggermi!”

 

“Già, ma cosa ne sarà di te quando ti avrò mozzato le ali? Cosa ne sarà di te quando avrò spento la tua fiamma, spennato la bestia da cui trai forza e ucciso tutti coloro che ti ostini a difendere? Perché è questo che farò, Phoenix! È proprio questo!” –Sogghignò Polemos, sbattendolo con la faccia a terra, più e più volte, fino a riempirgli la bocca di sabbia. Quindi, non pago, posò un piede sulla sua schiena, là dove erano affisse le ali metalliche dell’armatura. –“Dì addio alla tua capacità di volare, Cavaliere! Da oggi striscerai, ultima fenice!!!” –Aggiunse, sollevando il tacco e calandolo di colpo, schiantando Phoenix al suolo.

 

Il seguace di Atena cercò di reagire, di opporsi a quell’immenso potere che premeva sulla sua schiena, ma non ci riuscì. D’un tratto si sentì piccolo e insignificante, sovrastato da un cosmo che traeva forza in secoli, millenni persino, di storia. Un cosmo che pareva attingere alle sorgenti dell’umanità. Se quel che Sirio gli aveva detto era vero, se Polemos dalla guerra prendeva il suo potere, Phoenix capì di non poterlo vincere. Non con la forza, non come aveva sempre sconfitto tutti i suoi avversari, anche quelli più potenti e insidiosi, perché la guerra era una condizione alla quale non poteva opporsi, essendone anch’egli parte. Poteva essere giusta, poteva essere necessaria, una scelta forzata a volte, come lo era stata per suo fratello, ma per loro, che di Atena erano Cavalieri e che stavano combattendo per salvare l’umanità, era l’unica strada in quel momento. L’unica via percorribile se non volevano arrendersi alle tenebre. Che cosa quindi poteva fare? Quali alternative aveva? Si chiese, mentre il Lord Comandante lo sbatteva di nuovo a terra, scheggiandogli la splendida armatura e saturando i suoi orecchi con quella fastidiosa cantilena di morte. Quella lista di Divinità ed eroi di tempi lontani a cui il Demone della Guerra aveva strappato la vita. Una lista che a Phoenix parve infinita.

 

“Ancaria, Sanco, Angizia, Cerfum, Cupra, Hondo, Fufluns, Horta, Semia, Aponus, Ibla, Marica, Pico, Feronia, Reitia, Mavors, Vofione, Tages, Soranus, Norax, Sardus Pater, Ausone, Camilla, Sucellos, Furrina, Umbrone, Arghippo, Nantosuelta, Tinia, Uni, Menrva, Charun, Culsu, Maimone, Mere…”

 

Rabbrividì quando udì nomi egizi, forse quelli dei soldati e dei fedeli di Amon che Polemos aveva massacrato poco prima. E lui cosa voleva fare? Farsi aggiungere alla lista? Divenire l’ennesimo trofeo di caccia di un Dio che a nient’altro anelava se non allo scontro?

 

No! Ringhiò, avvampando nel proprio cosmo rossastro. Phoenix non permetterà che nessun’altro si serva di lui! Ci hanno già provato in passato! Il suo maestro, Issione, Gemini, l’odio che aveva provato per se stesso dopo la morte di Esmeralda! Persino Ade aveva giocato con lui, godendo nel vederlo affrontare suo fratello! Un abominio che la Dea Ate aveva poche ore addietro rinnovato!

 

Fu allora che gli venne un’intuizione. Ripensò ai suoi scontri recenti, con Hrmyr ed Eris, al modo in cui il Fantasma Diabolico aveva agito, in grado persino di superare le loro antiche difese divine. Che abbia fatto altrettanto anche stavolta?

 

“Furrina, Umbrone, Arghippo, Nantosuelta, Tinia, Uni, Menrva, Charun, Culsu, Maimone, Mere, Fiso Sancio, Hondo, Horio, Poemonio, Cornelius, Vesuna, Valetudo, Tefro, Torsa Giovia, Makeris, Janas, Panas, Shardaf, Devel, Dundra, Urmen, Thalna, Thesan…”

 

Quei nomi, quella perversa litania mormorata da Polemos non era solo una macabra lista di morte. Erano voci rivolte a lui, voci che lo stavano supplicando. Voci che agognavano la salvezza.

 

Spalancando le ali dell’armatura, spinse Polemos indietro, sollevandosi di scatto, avvolto in un turbine di fiamme cosmiche, proprio mentre Andrei lo affiancava di nuovo. Scottati entrambi ma non ancora arsi dal fuoco della sconfitta.

 

“Volete ritentare? Siete coraggiosi o stolti a non aver capito che nessuna vostra tecnica può sconfiggermi!” –Li intimò il Demone della Guerra. –“Pazienza, aggiungerò i vostri nomi agli antichi Dei sconfitti, con cui passerete il resto della vostra breve e misera vita a discutere i vostri errori di strategia! Addi…” –Ma prima che riuscisse a terminare la frase già Phoenix aveva portato avanti il pugno, liberando di nuovo il proprio colpo segreto, diretto non verso il volto del Nume bensì verso il ventre, in un punto indefinito della sua corazza. –“Uh?” –Mormorò Polemos, senza percepire alcunché. –“Un po’ misero quel raggio di energia per scalfire la prima Ars Magna della storia, non trovi? Eh eh eh!”

 

“Per la verità, no! Non lo credo affatto!” –Si limitò a rispondere Phoenix, avanzando di qualche passo, di fronte agli occhi incuriositi del Lord Comandante e di Andrei. Quindi, senz’altro aggiungere, si lasciò cadere con le ginocchia al suolo, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente, mentre il cosmo si espandeva attorno a sé.


“Che… fai, Phoenix?!” –Rantolò l’Angelo di Fuoco, non comprendendo. –“Non vorrai… arrenderti?!”

 

“Lascialo fare, Andrei! Non vedi com’è intelligente!” –Rise Polemos. –“Ha capito quel che Dragone non riusciva ad accettare! La mia indiscussa superiorità e l’assoluta assenza di armi atte a ferirmi! Molto bene, Phoenix! Accetto la tua resa!”

 

Il Cavaliere di Atena non parlò, continuando a rilassare le proprie membra, lasciando il cosmo libero di fluire attorno a sé, come una silenziosa marea di fuoco e luce che ormai aveva invaso l’intero campo di battaglia. La sentirono tutti, amici e nemici, inebriandosi di quell’energia ardente e carica di vita o temendone la collera, il sollevarsi impetuoso, terrorizzati all’idea di esserne travolti. La sentirono Jonathan e Reis, che pure l’avevano già assaporata in altre occasioni, la sentirono Bastet e Horus, consapevoli che sarebbe potuta appartenere a un Dio del loro pantheon. Una moderna Enneade di cui Phoenix avrebbe potuto far parte, assieme a Pegasus, Andromeda, Sirio e Cristal. La sentì Ioria, mentre affrontava i Lestrigoni, e anche Sin, strappandogli un sorriso compiaciuto. E infine la sentì Amon Ra, che aveva appena sconfitto l’Angelo Oscuro aiutato da suo figlio e da Marins. La sentirono, e capirono. Tutti quanti.

 

“È una follia…” –Mormorò Jonathan, commentando le intenzioni del ragazzo. Ma Reis, al suo fianco, gli disse che potevano fidarsi. Dovevano fidarsi. –“Phoenix non rischierebbe la vita di nessuno senza un motivo.”

 

Anche Ioria gli diede ragione e così fecero i seguaci di Inti, persino Sin, planando a terra e placando il proprio cosmo offensivo. Uno dopo l’altro, i membri dell’alleanza divina si lasciarono cadere al suolo, abbandonando i combattimenti in corso, limitandosi ad espandere i loro cosmi alla ricerca di una sensazione che da tempo non provavano, una sensazione ai più ignota in quel mondo di guerre continue.

 

Pace. Mormorò Andrei, capendo quel che Phoenix aveva in mente e inginocchiandosi a sua volta, come il resto dei suoi compagni.

 

“Sì, pace!” –Ripeté il ragazzo, cercando di svuotare sempre più la mente, l’animo e la propria aura cosmica di qualsivoglia desiderio bellico, di qualsivoglia istinto di agire, intervenire, combattere o modificare il destino.

 

“Che diavolo state facendo, idioti?!” –Esclamò Chimera, vedendo che i suoi avversari parevano aver tutti deposto le armi. Spostò lo sguardo da Karnak alla riva del Nilo e laddove prima erano in corso scontri cruenti adesso vi erano solo Cavalieri e soldati inginocchiati, intenti a meditare, e nemici attoniti che li guardavano esitando. –“Che aspettate voialtri? Hanno scelto di morire e dategli la morte allora!!!” –Ringhiò, muovendo la lunga coda squamata e colpendo sul viso la Dea Gatta.

 

Una volta, due volte, tre, tante quanti gli squarci che le aprì sulla pelle, godendo del sangue che ne ruscellava fuori. I Lestrigoni, i Nefari, tutti i guerrieri dell’Armata delle Tenebre fecero altrettanto, dirigendo i loro attacchi contro il nemico vicino, l’inerme avversario che non reagiva più, pur non capendo il perché di tale scelta. Fu una barriera dorata a proteggere i membri dell’alleanza, impedendo alle forze di Caos di infierire su di loro, una barriera pregna di una luminosa energia che aveva in Karnak il fulcro della sua estensione.

 

“Amon Ra!!!” –Sibilò Chimera, stringendo i pugni. Quindi si voltò verso Polemos, per chiedergli come dovessero comportarsi adesso, notando solo allora lo sguardo incredulo comparso sul volto del Lord Comandante.

 

Da un paio minuti infatti, da quando quella sensazione di pace aveva invaso le sabbiose terre a est del Nilo, il Demone della Guerra pareva essere stato fiaccato. Forse era solo la stanchezza per il procrastinarsi dello scontro, eppure per un momento Polemos aveva percepito qualcosa abbandonarlo. Un attimo dopo la stessa sensazione si era presentata di nuovo, seguita da un terzo spasimo, dandogli la certezza di non essere solo un’impressione. Bensì verità. Una verità crudele che gli si rivelò quando la sua splendida armatura, mai sporcata in battaglia, lo abbandonò.

 

Di fronte ai suoi occhi stupefatti, la prima Ars Magna, creata e forgiata nelle fucine italiche all’epoca delle campagne condotte per lo sterminio degli antichi Dei minori di quei luoghi, si sfaldò, cadendo nella sabbia, un pezzo dopo l’altro, senza che il Nume potesse in alcun modo impedirlo. Provò a recuperare gli schinieri, i bracciali, i coprispalla, a rimetterseli addosso, ma capì che non esisteva modo per tenerli a sé. Avevano smesso di essere parti di un’armatura, parti di un tutto più grande e maestoso, divenendo infine solo dei volgari pezzi di metallo, niente più.

 

“Non… è possibile!!!” –Esclamò inorridito, muovendo per la prima volta un passo indietro.

 

“E invece è possibile! Adesso sì!” –Parlò Phoenix, rialzandosi e fissando Polemos negli occhi. –“Hai perso! E non perché io sono più forte o più esperto, ma perché io non voglio combatterti!”

 

“Co… come?!”

 

“La tua forza, la tua potenza, le tue molteplici vittorie dipendono da ciò che sei, la personificazione degli istinti primordiali dell’uomo, del suo istinto allo scontro che lo ha animato fin dalla nascita! E non sarebbe potuto essere diversamente, considerando che, appena creato, già la sua esistenza fu macchiata dal sangue versato nella Prima Guerra, quella contro il suo stesso creatore! Caos! Una razza bastarda la nostra, forse è vero, una razza maledetta, improntata al conflitto, che di nient’altro è stata capace per secoli, se non di scontrarsi con i propri simili, dando vita a guerre continue che hanno insanguinato il pianeta, portandolo ad oggi e donandoti tutta questa forza! L’armatura che indossavi era come te, forgiata nella guerra. è bastato colpirla, entrare in sintonia con le anime degli Dei e degli eroi che la impregnavano, spingendoli alla libertà, a rinunciare ai loro propositi di vendetta e di guerra, per eliminare quel che la teneva unita!”

 

“Ma certo! Adesso capisco!” –Intervenne Andrei, affiancando Phoenix. –“Non con la guerra poteva essere vinto il Demone che la rappresentava! Non con colpi segreti, strategie o armi, poiché tutte le conosceva, a tutte avrebbe potuto opporsi. Bensì con qualcosa che in guerra non è mai stato usato, qualcosa che è l’esatto opposto della guerra! La pace!”

 

“Esatto! Per questo motivo Polemos, all’inizio del nostro scontro, hai detto che io e Pegasus eravamo i meno adatti ad affrontarti! Forse è così! Forse mio fratello avrebbe capito subito come vincerti, provando una repulsione profonda verso il conflitto!”

 

“Umpf! Ora ti sopravvaluti, Phoenix! Avrei massacrato Andromeda nello stesso modo in cui massacrerò te!” –Esclamò il Lord Comandante, volgendogli contro il palmo della mano destra e liberando un’onda di energia, che si infranse sulla barriera che Amon aveva eretto a difesa di Phoenix e Andrei. –“Non sarà un ridicolo velo a impedirmi di colpirti!”

 

“E invece sì! Lo sarà! Perché non hai tecniche adatte! L’ho sospettato fin dall’inizio, notando che attaccavi con semplici sfere e onde di energia, mai con una tecnica! Ti ho chiesto perché ma hai svicolato la domanda, la cui risposta adesso è chiara! Non hai posseduto un colpo segreto, perché hai sempre temuto che qualcuno avrebbe potuto trovare il modo per evitarlo o vanificarlo! Come Signore della Guerra non avresti potuto sopportare una simile umiliazione!” –Spiegò Andrei, suscitando l’incollerita reazione di Polemos.

 

“Grrr!!! Hai l’occhio attento, Arconte di Fuoco! Te li strapperò entrambi!”

 

“No! Tu non farai più niente ormai!” –Intervenne Phoenix, il cui cosmo sfavillava imponente attorno a sé, concentrandosi in un turbine di fuoco. –“Sei mio! Ali della Fenice!!! Sbattete in nome di colei che, anni addietro, mi insegnò ad aver fede, a guardare la bontà di un mondo in pace e non il perverso fascino della guerra violenta!”

 

Aurora infuocata!!!” –Gli andò dietro Andrei, unendo la propria energia a quella del ragazzo e generando un vortice incandescente che risucchiò Polemos al suo interno, strattonandolo, bruciando le sue vesti e la sua pelle, dilaniandolo con artigli di fiamma, tra le grida disperate del Lord Comandante. Solo quando la furia del turbine scemò, l’Armata delle Tenebre poté vedere la carcassa smembrata di colui che li aveva condotti in Egitto, scaraventata a metri di distanza, sulle rive del Nilo, le cui acque presto la travolsero, portandola verso la foce.

 

“C’è una macabra ironia in tutto questo.” –Commentò l’Angelo di Fuoco. –“Quello stesso fiume, le cui terre Polemos aveva violentato, devastato e distrutto, si nutre adesso dei suoi avanzi. Non c’è nessuna gloria in guerra, ragazzo!”

 

Phoenix, al suo fianco, annuì.

 

 

 

 

 

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Capitolo 34
*** Capitolo trentatreesimo: Gli ultimi re dei mari. ***


CAPITOLO TRENTATREESIMO: GLI ULTIMI RE DEI MARI.

 

Toru non sapeva cosa fare, perché di fatto c’erano troppe cose di cui avrebbe dovuto occuparsi. Combattere, in primis, contro gli invasori che ancora tentavano di avanzare verso la Conchiglia Madre, ma anche infondere speranze e certezze a un popolo che pareva averle smarrite. Lo guardavano tutti, mentre correva, stanco, ferito e con la bianca corazza macchiata di sangue, per le vie dell’Avaiki, cercando nei suoi occhi un cenno di sicurezza, che li confortasse dell’angoscia che li aveva invasi da quando era iniziato l’attacco. Ma il Comandante degli Areoi non era mai stato un abile oratore, sempre sfuggendo la retorica e preferendo la concretezza delle azioni, così non disse niente, mostrando loro il pugno chiuso e sforzandosi di sorridere, mentre superava il centro abitato, dirigendosi verso il ponte che conduceva alla Conchiglia Settentrionale, dove uno scontro era in atto.

 

Non riuscì a raggiungerlo che venne sbattuto a terra da un improvviso smottamento, cui seguirono grida e lamenti provenienti dall’intero Avaiki. La grande cupola azzurra resistette, e Toru comprese che un secondo cosmo si era unito a quello di Hina, un cosmo vasto, potente e al tempo stesso così legato a quello dell’Areoi del Lactoria. Chiunque fosse colui che li stava aiutando di certo non era un estraneo, si disse, rimettendosi in piedi, prima che un secondo smottamento, accompagnato ad una deflagrazione energetica lo facesse barcollare di nuovo.

 

“Comandante! Laggiù, guardate!!! Lampi di luce!” –Esclamò il giovane Istioforo, indicando un punto in lontananza, dove la via maestra portava alla Conchiglia Occidentale.

 

“È dove il giovane Ascanio combatte!” –Rifletté Toru, valutando l’ipotesi di unirsi a lui. –“Ma non è solo! Qualcun altro è intervenuto in suo soccorso!” –Aggiunse, percependo un secondo, giovane e fresco cosmo sorreggerlo e coadiuvarlo. –“Se la caveranno!” –Chiosò, mentre la terra tremava di nuovo. –“Noi dobbiamo occuparci di questo… Scoprire le cause di questi smottamenti e porvi fine!”

 

“Se è solo questo che vuoi sapere, Comandante Toru, allora risposta avrai! Ah ah ah!” –Esclamò una voce all’improvviso, risuonando per l’intero Avaiki, costringendo Toru e Kohu a guardarsi attorno per capire da chi provenisse. Non videro nessuno, ma ne percepirono la potenza, ne percepirono il vasto cosmo che pareva provenire dal mare stesso che attorniava la casa del popolo libero. Un cosmo profondo e vasto, ben diverso da quelli dei Forcidi affrontati fino a quel momento. Un cosmo di una tale ampiezza, rifletté l’Areoi dello Squalo Bianco, può appartenere solo a un Dio!

 

Il suolo tremò di nuovo e ugualmente fecero le Conchiglie ancora in piedi, forzando Hina e Asterios a un impegno maggiore per mantenerle integre, mentre ovunque, tra gli Areoi, dilagava il panico, spingendoli a correre in ogni direzione, affannandosi alla ricerca di un luogo sicuro.

 

“Fermi! Aspettate! Dobbiamo restare uniti!” –Urlò il giovane Istioforo, correndo dietro ad alcuni compagni spaventati, non ottenendo altro che sguardi colmi di terrore. –“Comandante, io…

 

“Non è colpa tua, Kohu! Solo mia!” –Chiosò questi, stringendo i pugni. –“Mia è della mia avventatezza o forse della mia superbia, sentimento che mi ha spinto a credere che il nostro regno fosse al sicuro, al di fuori dalle guerre del mondo, riducendo le difese e le nostre armate! Una politica di cui adesso tutti pagano le conseguenze!”

 

“Non crucciatevi!” –Lo rincuorò il ragazzo, fissandolo con grandi occhi neri. –“Siamo ancora qui, insieme, e insieme ne usciremo vivi!”

 

“Questo è tutto da dimostrare!” –Riprese allora la voce che poc’anzi aveva parlato, invadendo con il suo cosmo tutte le Conchiglie, sia all’esterno che all’interno, finché tutta quell’energia non andò concentrandosi in un unico luogo, oltre il quale non riuscì ad andare.

 

“Il Palazzo di Corallo!!!” –Gridò Toru, percependo l’ammassarsi di una potentissima energia a pochi passi dalla Perla dei Mari. –“Devo tornare indietro! Tu raduna tutti gli Areoi che trovi, cerca di calmarli e impedisci che si abbandonino a gesti estremi! Ho fiducia in te, Kohu!” –Intimò il Comandante, prima di scattare verso il cuore dell’Avaiki.

 

Proprio di fronte al Palazzo di Corallo una sagoma di puro cosmo era appena apparsa, stupendo Avatea e Hubal che stazionavano di fronte all’ingresso. Una sagoma che aveva presto assunto chiare connotazioni umane, quelle di un uomo adulto, dal fisico corpulento, rivestito di un’armatura di oricalco ornata da una corona e da uno scettro con l’impugnatura a conchiglia. Il Selenite della Terra non ebbe bisogno di chiedergli chi fosse perché ne riconobbe il volto, avendolo già incontrato secoli addietro.

 

“Ci rivediamo, Forco!” –Parlò l’anziana Dea, con voce quasi dispiaciuta.


Avatea! Dunque sei scampata alle vampe di Ares? Me ne rallegro, così potrò essere io a porre fine alla tua inutile esistenza, vendicando l’oltraggio di cui ti macchiasti! Quante volte te lo chiesi, di unirti a me? Quante volte implorai l’appoggio tuo e del regno che Antalya aveva fondato? Avresti avuto protezione e il tuo popolo avrebbe conosciuto lo splendore di un’Età dell’Oro che l’oblio in questi fondali non vi ha mai permesso di raggiungere!!!”

 

Umpf, le tue parole non dicono il vero, figlio di Ponto! Non oltraggio ti offrii, bensì un rifiuto! Il rifiuto di unirmi a te in quella futile contesa per il dominio degli oceani che scatenasti contro Nettuno! Il rifiuto di usare il mio popolo, il popolo libero delle correnti, per scopi bellici, piegandolo alla volontà di un tiranno che del mare non ha mai compreso la volontà!”

 

“Oh, e quale sarebbe questa volontà, Avatea?!” –Ringhiò Forco, sollevando lo scettro e dirigendo un raggio di energia contro la donna, sbattendola contro le mura esterne del Palazzo di Corallo. –“Credevo fosse quella del più forte! Colui che trova sempre il modo di sopravvivere, nonostante tutto, come gli affascinanti organismi che popolano i fondali oceanici riescono a vivere pur in assenza della luce del sole!”

 

“Il tuo fanatismo ti perderà, Forco!” –Rantolò il Selenite, cercando di rialzarsi. Ma fu il suo compagno a porsi davanti a lei, facendole cenno di stare indietro, prima di fissare il Dio invasore con occhi decisi ed espandere il proprio cosmo.

 

Divertito, Forco fece altrettanto, degnandosi infine di osservare il nuovo avversario. Un Dio della Luna di certo, proprio come Avatea, per qualche dimenticato popolo mesopotamico, dall’aspetto di un uomo in età avanzata, rivestito da una semplice armatura rossastra, attrezzata con un arco, che già aveva impugnato, caricandolo di una freccia di energia.

 

“Fatti avanti dunque! Chiunque tu sia!” –Lo derise, mentre questi scagliava il dardo, che lampeggiò verso il Nume dei Mari, venendo deviato da quest’ultimo con una semplice rotazione dello scettro.

 

“Il suo nome è Hubal!” –Intervenne allora Avatea. –“Antico Dio della Luna dei popoli della penisola arabica! E, per quanto tu possa rivolgergli domande, egli non ti risponderà, avendo fatto voto di silenzio!”

 

“Un muto? Sarà uno scontro assai noioso, allora!” –Sghignazzò Forco. –“Sarà meglio porvi fine all’istante!” –Aggiunse, liberando un nuovo fascio di luce dallo scettro, che però Hubal evitò scartando di lato e scagliando lesto una seconda freccia, seguito da una terza e da altre, in una successione così rapida da obbligare il Dio greco ad un impegno continuo per non essere raggiunto. –“Parli poco ma hai buona mira! Peccato tu difetti in potenza! Questi ridicoli fasci di luce di certo non bastano per piegare me, il Signore dei Mari!” –E lo atterrò con un’onda di energia, che schiantò Hubal contro la gradinata esterna del Palazzo di Corallo, poco distante da Avatea. –“Ecco, rimanete così, di modo che possa travolgervi con un colpo solo!”

 

“Folle e blasfemo! Non sarai mai re dei mari, né sovrano di alcun regno che non sia fondato sulla violenza! Osi spargere sangue qui, alle porte del tempio ove riposano i nostri antenati? Un tale atto non può rimanere impunito!” –Esclamò la Selenite della Terra, congiungendo i palmi delle mani e generando un abbagliante maroso di fresca energia acquatica, che passò sopra di lei, abbattendosi poi su Forco.

 

O questo, quantomeno, era quel che Avatea pensava.

 

Al Nume bastò volgergli contro il palmo di una mano, su cui lampeggiava intensa la sua aura battagliera, per fermarne l’avanzata, osservandola divertito scemare ed esaurirsi nel piazzale antistante la reggia della Alii. Quindi, di fronte agli occhi spaventati di Avatea e di Hubal, che nel frattanto l’aveva affiancata, la marea stessa si sollevò di nuovo, ad un gesto di Forco, turbinando attorno al Dio e ribollendo furiosa, prima che questi muovesse il braccio verso i due Seleniti, scatenandone l’impeto.

 

Kata thalassa!!!” –Tuonò, investendo le due anziane Divinità con un attacco così potente da scagliarle contro il Palazzo di Corallo, abbattendo le pareti esterne e facendo persino dilagare l’acqua al suo interno. Si concesse un sorriso, colui che si proclamava Re di tutti gli Oceani, quando intravide una ben nota figura dalla breccia apertasi nelle mura, una figura stanca e fiaccata dall’uso prolungato del proprio cosmo, a pochi passi dal motivo per cui Forco era giunto fin là.

 

Hina del Lactoria… Sto venendo da te!” –Momorò soddisfatto, incamminandosi verso l’ingresso del cuore dell’Avaiki, salvo doversi poi voltare di scatto, distratto da un ronzio improvviso, che anticipò lo sfrecciare di una lunga asta rossastra che andò a piantarsi proprio di fronte a lui, sprigionando un nugolo di scariche energetiche. –“Ma cosa?!” –Brontolò il Nume, balzando indietro, proprio mentre due agili figure si lanciavano su di lui.

 

Cobra incantatore!!!” –Esclamò una delle due, avvolta in un nugolo di scintille violacee. –“Incanto delle sirene!” –Le andò dietro l’altra, unendo il proprio cosmo a quello della compagna. Ma entrambe furono respinte, sbattute a terra dalla sola aura cosmica di Forco, che poté infine guardare in faccia i suoi nuovi avversari.

 

Due li conosceva già, avendo difeso Nettuno il giorno prima, e due dovevano essere Areoi, a giudicare dalle loro bianche armature.

 

“Ancora vive, fanciulle? Dovete provare un vero disprezzo per la vita se fate di tutto per gettarla via!” –Le derise il Nume.

 

“Combattere in difesa di un popolo invaso non è fonte di disprezzo, bensì di rispetto!” –Parlò allora l’unico uomo del quartetto, i cui tratti somatici rivelavano la sua provenienza da isole del Pacifico centrale. Quindi, senz’attendere risposta alcuna, sollevò il braccio destro, richiamando a sé il giavellotto di corallo che aveva scagliato poc’anzi contro Forco. –“Quel punto che ho indicato nel terreno, a pochi passi dal primo gradino che conduce dentro il Palazzo di Corallo, marca il limite che non ti è concesso oltrepassare, la soglia che non ti permetteremo di varcare! Parola di Maru del Narvalo!”

 

“E di Tara di Diodon!” –Continuò la donna al suo fianco, rivestita da una bizzarra armatura dotata di spuntoni simili a quelli di un istrice.

 

“Devo prendervi in parola?!” –Ghignò Forco, muovendo il braccio a spazzare e generando un’onda di energia che investì in pieno i quattro guerrieri.

 

Tara tentò di sollevare una cupola protettiva, ma la fretta e la maggior potenza dell’attacco nemico la mandarono in frantumi all’istante, gettando tutti loro a terra, con le armature danneggiate.

 

“Posso andare adesso?!” –Ironizzò il Nume, per poi voltarsi verso il Palazzo di Cristallo.

 

“L’unico posto in cui puoi andare è a far compagnia a Kahōʻāliʻi, nell’oltretomba!” –Ruggì allora una voce maschile, mentre la gigantesca sagoma di uno squalo bianco piombava su di lui, le fauci aperte e gli affilati denti pronti a ghermire.

 

Forco dovette la salvezza ai suoi riflessi e al suo status divino che gli permisero di innalzare una rapida barriera di cosmo, su cui l’assalto si infranse, spingendolo comunque indietro, facendogli persino perdere la presa sullo Scettro dei Mari. Stupito da una simile foga, sollevò lo sguardo per incrociare quello di chi l’aveva appena assalito, riconoscendo il Comandante degli Areoi, che poco prima aveva schernito per la sua inesperienza bellica.

 

“Alla tattica sostituisci la potenza d’attacco, Toru dello Squalo Bianco!”

 

“Come conosci il mio nome?” –Esclamò questi, mentre anche Tara e Maru si rimettevano in piedi, affiancando l’amico.

 

“Te lo leggo in faccia! Sei il discendente di Afa, primo Squalo Bianco, il leggendario esploratore capo di questa colonia, che si rifiutò di vivere sotto il mio dominio! Un personaggio che la vostra malridotta Avatea, qui presente, conosce bene, in quanto a lui si unì per generare la prole che poi avrebbe guidato questo Avaiki! Al pari di lei, sarà un piacere prendere la tua vita e punire quell’immeritato oltraggio!”

 

“Oltraggio?! Quale oltraggio fece dunque Afa quando scelse la libertà per il suo popolo, quando scelse di essere devoto solo al mare e alle sue limpide correnti, ove gli Areoi potevano nuotare e crescere liberi, privi di ogni costrizione a cui tu e i supposti Dei del Mare li avreste invece piegati?!”

 

“Non vi sono altri Dei del Mare!!!” –Ringhiò Forco, recuperando lo scettro e liberando un violento raggio di energia contro Toru, che questi parò incrociando le braccia davanti al volto. –“Io solo sono il Signore di tutti gli Oceani! L’ultimo Re dei Mari! Gli altri erano solo una pallida imitazione della mia potenza!”

 

“Parole interessanti le tue, Forco! Sia pur non supportate da fatti concreti!” –Esclamò allora una nuova voce, risuonando nell’ampio spazio di fronte al Palazzo dei Mari. Una voce che Titis e Tisifone riconobbero all’istante, così come fece il figlio di Ponto e Gea.

 

“Ancora tu?!” –Avvampò, mentre una sagoma avvolta in un’aura celeste appariva di fronte a lui, a pochi passi dagli stanchi Areoi, che la osservarono interessati, percependone il potente cosmo. Una sagoma che apparteneva ad un uomo adulto, con una folta barba grigia, rivestito da un’armatura di scaglie dorate e arancioni e armato di un tridente d’oro. –“Nettuno!!! Vuoi dunque procrastinare il nostro scontro?”

 

“Sarà così fintantoché non rinuncerai al tuo progetto di conquista, Forco! Non posso restare a guardare mentre invadi le terre di amici lontani, la cui sopravvivenza molto mi sta a cuore! E non solo a me, anche ad altri che in queste profondità oceaniche sono giunti, per ricordare agli Areoi che non sono soli! Nessuno di noi lo è in questa lotta contro l’ombra nascente!”

 

“Amici lontani?! Da quando hai rapporti con gli Avaiki del Mar dei Coralli, Nettuno? Non mi risulta che alcun Generale degli Abissi vi sia mai stato addestrato!” –Tuonò Forco, mentre il rivale scuoteva la testa.

 

“Non capisci, ed è naturale, perché sullo scontro armato hai incentrato tutta la tua esistenza, e anch’io l’ho fatto per lungo tempo, prima di capire che la vita è qualcos’altro! È lo splendore di un mondo ricco e pieno di felicità, come l’Atlantide su cui regnavo un tempo e che, accecato dalla cupidigia e dal desiderio di possesso, ho permesso che sprofondasse!” –Parlò Nettuno, cercando lo sguardo di Titis, che si limitò a sorridere al suo Dio. –“Sapevo da tempo dell’esistenza di questo regno, con cui fitti rapporti commerciali ho intessuto secoli addietro, finché scelte diverse non ci hanno reso lontani. Scelte di guerra, le mie, scelte di pace e isolamento le loro. Scelte che comunque mai mi hanno portato ad attaccare questo popolo che di sua sponte aveva deciso di restare fuori dai conflitti del mondo, cercando un approccio diverso alla serenità. Un approccio che ho loro molto invidiato. Per questo sono qua, oggi! Per lottare al loro fianco, rinverdendo un’antica alleanza di pacifica convivenza che nessuna bieca tirannia potrà piegare!”

 

“Sentirti parlare di pace mi deprime, Nettuno, e al tempo stesso genera in me ilarità! Proprio tu che hai mandato a morire tutti i tuoi Generali in guerre continue e fallimentari contro Atena e gli altri Olimpi! Ah ah ah! Sei uno spasso!” –E lo travolse con un’onda di energia, cui il Cronide tentò di opporsi con la propria aura cosmica, sia pur fiaccata dal rito cui aveva partecipato poche ore addietro. Forco lo percepì, sogghignando e reiterando l’attacco. –“Scettro dei Mari! Impala l’avversario!” –Tuonò, puntando l’arma verso Nettuno, che rispose con la propria lancia dorata.

 

Tridente del Re Pescatore!!!” –Esclamò, lasciando che le due aste si scontrassero, emettendo scariche di energia che spinsero indietro tutti coloro che li attorniavano.

 

“Sei debole, Nettuno! Lo sento chiaramente! Ti sono sempre stato superiore, e pure ieri ti avrei sconfitto se non fosse stato per quell’attacco portato a tradimento! E oggi dirimeremo per sempre una controversa questione, chiarendo a chi spetti il dominio sui mari! Oggi non c’è più nessuno a salvarti, a meno che il tuo adorato Kevines non sia nascosto in qualche anfratto di quest’Avaiki attendendo il momento buono per colpirmi alle spalle!”

 

Non… ho bisogno di Julian…” –Mormorò il Dio greco, affannando nel resistere al cosmo di Forco, che pareva essersi ristabilito completamente dalle ferite subite.

 

“Ah no?! A me pare proprio di sì! Sei solo, Nettuno! Come il Re Pescatore delle leggende che tanto ami! Ma tu non vivrai abbastanza per vedere una nuova era!”

 

“Ti sbagli!!!” –Tuonò allora una voce maschile, affiancando il fratello di Zeus nella lotta. –“Egli non è solo! Nessuno che lotta per il popolo libero può esserlo, poiché tutti siamo fratelli nelle correnti dei mari!” –Esclamò Toru, avvolto nel proprio bianco cosmo. Anche Tara e Maru si avvicinarono, unendo le loro aure a quella del Comandante e lasciando che si scontrassero con il cosmo di Forco.

 

“Siete solo degli illusi!” –Chiosò quest’ultimo, socchiudendo gli occhi e poi riaprendoli di scatto, scaraventando tutti indietro con un’onda di energia. –“E non c’è posto per gli illusi e gli sconfitti nel nuovo mondo! Solo per chi mi giurerà fedeltà!”

 

“Ti giurerà fedeltà?! Cosa sei diventato, il nuovo governatore del pianeta per conto di Caos?!” –Rantolò Nettuno, rimettendosi in piedi a fatica, aiutandosi con il tridente.

 

Umpf, che mi importa di Caos! Che faccia quel che crede, se davvero crede di poter fare qualcosa!” –Rispose Forco, stupendo lo stesso Dio greco. –“Non fare quella faccia, Nettuno! Davvero pensavi che avrei messo le armate dei mari al servizio di appena ridestatisi Dei Ancestrali? La loro forza è indubbia, questo non lo nego, ma cosa hanno di nuovo da offrire? Solo l’ennesima guerra che isterilirà il mondo emerso, procrastinandosi finché l’ultimo seguace dell’ultimo regno divino della Terra non sarà piegato. Un tempo piuttosto lungo, non trovi? Un tempo in cui il mio impero marino potrà prosperare, restaurando antichi fasti che Dei indegni del loro nome hanno dimenticato.”

 

“È questo che vuoi? Regnare in eterno su tutti gli oceani? E credi che Caos te lo permetterà?!”

 

“Oh, credo di sì, perché gli offrirò un dono che sono certo accetterà! Sai bene, come me, ciò di cui il Generatore di Mondi è ghiotto!”

 

Energia…” –Realizzò Nettuno infine, prima di spiegare anche agli altri combattenti. –“La Perla dei Mari!”

 

“Precisamente! Non è solo un centro di ritrovo per fantasmi, ma un potentissimo contenitore di energia cosmica, di cui le anime di coloro che hanno lottato e vissuto negli Avaiki sono ancora intrise! Pensa agli Dei che si sono succeduti, venerati nelle remote isole del Pacifico? Così tanti che non riusciremmo neppure ad enumerarli tutti! Le loro aure, e quelle di coloro che li hanno serviti, riposano placide nella Perla dei Mari ed io le offrirò a Caos, affinché possa nutrirsi della loro energia, come ha fatto con quella di Dioniso, Ebe, Estia e di tutti gli altri Dei caduti finora!”

 

“Quale orrore!!!” –Mormorò il Cronide, trovando gli Areoi concordi.

 

“Non ti permetteremo di violare in alcun modo il nostro santuario!” –Ruggì Toru, stringendo i pugni ed espandendo il proprio cosmo.

 

“Oh, ma io l’ho già fatto! Ah ah ah!” –Rise Forco, mentre nelle menti di tutti era vivido il ricordo degli scontri sostenuti fino ad allora contro i Forcidi e la consapevolezza di quelli ancora in atto. –“E ora, morite!!! Kata Thalassa!!!” –Tuonò il Nume, sollevando un maroso di energia acquatica che avanzò imperioso verso i sei combattenti.

 

Nettuno intimò alle due guerriere e agli Areoi di riunirsi dietro di lui, il cui cosmo acceso tentò di frenare l’assalto nemico, venendo però sconfitto dopo poco. Riuscì solo a crollare sulle ginocchia, tenendo le braccia alzate, sui cui palmi un corno di conchiglia dorata brillò all’improvviso. Riconoscendolo, Titis sorride.

 

Corno di Tritone, difendici!!!” –Esclamò il Dio, mentre buona parte dell’onda di Forco veniva risucchiata all’interno del manufatto.

 

Umpf, Tritone! Uno dei tuoi degni compari!” –Commentò il compagno di Ceto, ricordando uno dei più celebri Generali degli Abissi. –“Figlio bastardo che ti diede una ninfa marina, possedeva un corno di conchiglia il cui suono placava le acque in tempesta! Fu musico, combattente ma anche artigiano, poiché fu lui a forgiare le armature di oricalco, lui che più di ogni altro ascoltava i consigli di Elmas, anziché ignorarli!”

 

Nettuno, quasi senza fiato, rimase in ginocchio senza proferir parola, mentre gli ultimi spruzzi di energia acquatica si esaurivano attorno al mucchio di combattenti, di fronte al compiaciuto sguardo di Forco, che adesso sentiva di aver capito tutto.

 

“Ora so cosa ti ha spinto a tanto! Debole, infiacchito da un rito che ti ha portato via metà del tuo sangue divino, e il cosmo in esso contenuto, avresti potuto attendere sull’Olimpo o nascosto in qualche anfratto in cui sei sempre stato solito rifugiarti, invece hai scelto di scendere in guerra, proprio qua, negli abissi del Mar dei Coralli! Per espiare le tue colpe, non è vero, Nettuno Ennosigaeum? Per questo sei qua! Non per aiutare gli Areoi, non per vincermi, ma per morire!”

 

Il fratello di Zeus non rispose, rimettendosi in piedi a fatica, incurante degli sguardi di Toru e degli altri su di sé. Che pensassero quel che volevano, sia loro che Forco, ormai non gli importava più niente. Voleva solo rimediare ad antichi torti, da lui stesso causati in tempi così antichi che nessuno ne aveva più memoria, nessuno che non possedesse una memoria divina. Non era stato solo Elmas a morire quella volta, durante il crollo di Atlantide. Non erano stati solo i Sette Generali guidati da Arel Kevines, ma tutta la sua vita era stata spazzata via quel giorno, quando l’isola felice si era inabissata, portando con sé la ninfa marina cui si era unito e il figlio che gli aveva dato.

 

Perdonami, Tritone! Mormorò Nettuno, gli occhi pieni di lacrime. Un altro fallimento della mia austera carriera di Divinità!

 

Fu un tocco lieve a distrarlo da tristi reminescenze, la mano di Titis della Sirena che si chiuse sulla propria, infondendogli una stilla del suo misero cosmo e della sua solida determinazione. Una stretta che lo riscosse, ricordandogli che tutti, in fondo, avevano perso qualcosa o qualcuno, ma che non esisteva errore senza che non esistesse anche la possibilità di correggerlo. O di impedire che accadesse di nuovo.

 

Nettuno ricambiò il sorriso della sua fedele sostenitrice, voltandosi poi verso Forco, che era scattato avanti, sollevando lo Scettro dei Mari e calandolo lesto sul Dio greco, che lo afferrò con entrambe le mani, riuscendo a fermarlo poco prima che impattasse sul suo volto. Così, vicini l’uno all’altro, con i cosmi accesi attorno a loro, gli ultimi Re dei Mari si guardarono con astio, percependo ognuno quel che s’agitava nell’animo del rivale. Smania, brama di possesso e voglia di vittoria saturavano il cuore di Forco, mentre quello di Nettuno era invaso da molti pensieri, soprattutto tristi, per quanto su tutti brillasse una decisa luce di speranza e di riscatto.

 

Riscatto, sì! Avvampò, spingendo indietro il Nume ancestrale e risollevandosi fino a recuperare postura eretta. Il tridente d’oro tornò nelle sue mani e Nettuno si affrettò a puntarlo verso Forco, liberando una scarica di energia, ma questi non ebbe difficoltà a pararla torcendo lo Scettro dei Mari e rimandandogliela indietro, abbattendolo. Quindi, non pago, piantò l’arma nel terreno, scuotendolo in profondità, come aveva fatto poco prima, generando una nuova ondata di paura in tutti coloro che dimoravano nell’Avaiki.

 

“Maledetto!!! Dobbiamo togliergli lo scettro!!!” –Esclamò Toru, scattando avanti, subito affiancato da Maru e Tara. –“Ci penso io!” –Convenne quest’ultima. –“Voi datemi solo l’occasione!”

 

Il Narvalo annuì, impugnando il giavellotto con algida presa e puntandolo verso il Dio nemico, liberando guizzanti scariche di energia, che vennero anch’esse parate da una rapida rotazione dello Scettro dei Mari. Alle Fauci dello Squalo Bianco però Forco non poté opporre la sua asta, dovendo contrastarle con l’emanazione del suo cosmo che generò una barriera di energia acquatica contro cui centinaia di predatori possenti andarono a schiantarsi, uno dopo l’altro, per quanta foga e impegno Toru riversasse nei propri attacchi. Maru, dal canto suo, tentò di trovare una breccia nella sua difesa, liberando continui affondi del giavellotto di corallo, che traforarono la barriera di Forco, pur senza riuscire ad abbatterla.

 

“Arma interessante la tua!” –Ghignò infine il figlio di Ponto, afferrandola e notando come fosse costituita da un unico ramo di corallo, cresciuto in forma lineare, anziché storta, carico di una particolare forma di elettricità.

 

“Una creazione di Tawhiri, antico Areoi della Torpedine, che diede vita ad una coltivazione di coralli in un lago dove vivevano quei pesci! Ed ecco il risultato!” –Precisò Maru, ritirando a sé la lunga asta rossa, caricandola del suo cosmo ardente. –“Ma se vuoi conoscerla da vicino, te ne darò la possibilità! Lancia del Narvalo!!!” –Esclamò, scattando avanti, con l’asta rivolta verso la barriera di energia acquatica, sfondandola e piombando all’interno, a pochi passi da Forco.

 

Maru!!!” –Gridò Toru, sconvolto dalla temerarietà del compagno. E anche Tara, che era rimasta in silenzio alle sue spalle, osservando attenta le mosse di Forco per trovarvi una falla, strinse i denti, comprendendo che l’Areoi lo aveva fatto per lei, per non vederla lottare più.

 

“Questo è per il popolo libero delle correnti!!!” –Tuonò Maru, caricando con il giavellotto in pugno, cui Forco rispose puntando avanti lo Scettro dei Mari.

 

Le armi si strusciarono, sfrigolando, mentre la corsa dei due proseguiva, finché le punte delle due aste non impattarono contro le corazze avversarie, liberando la loro energia. Accadde tutto in un attimo, più veloce della luce, e forse solo Nettuno fu in grado di ricostruire i movimenti di entrambi, prima di essere spinto indietro dal contraccolpo scaturito dallo scontro dei loro cosmi. La barriera di energia acquatica esplose, scaraventando lontano Toru e tutti i suoi attacchi, così come Titis e Tisifone. Anche il fratello di Zeus fu sbattuto a terra, ma riuscì a resistere, piantando il tridente al suolo e ancorandosi ad esso, lasciando che l’onda luminosa scemasse.

 

Quando tornò a vedere, Nettuno osservò Forco premere una mano contro un foro aperto sulla sua Veste Divina, poco sotto il cuore, da cui sangue zampillava fuori. Non molto, in verità, ma sufficiente per generare un ghigno furibondo sul viso del Nume.

 

A terra, poco distante, giaceva invece il corpo di Maru del Narvalo, trafitto dallo Scettro dei Mari che gli aveva sfondato la cassa toracica, spuntando dalla schiena. Gli occhi, ormai spenti, erano rivolti nella direzione in cui sapeva trovarsi la donna che aveva a lungo amato.

 

Sospirando, Nettuno cercò la sagoma di Tara di Diodon, stupendosi di non trovarla laddove Maru stava ancora guardando. Roteò il cranio più volte, spaziando nel piazzale antistante al Palazzo di Corallo, senza individuarla, finché non notò una nebbiolina rosacea attorniare il figlio di Ponto. Una nube satura di cosmo che presto cinse Forco d’assedio, strappandogli un colpo di tosse.

 

“Uh?!” –Mormorò il Nume, ritrovandosi completamente avvolto da quella strana aura cosmica. –“Tattica bizzarra ma insufficiente! Non ho bisogno di vedere il mio avversario per scovarlo! Sono un Dio, ragazza, l’hai dimenticato?!” –Avvampò, scandagliando l’aria attorno per individuarla, abbandonandosi ad un ghigno divertito quando la trovò. –“Sei mia!!!” –Le disse, volgendole contro il palmo della mano e scatenando un’onda di energia, che si limitò a fagocitare l’aria, esaurendosi poi in lontananza, senza raggiungere nessuno. –“Come?!” –Ma non ebbe modo di chiedersi altro che Forco sentì due braccia chiudersi attorno al suo corpo, cingendolo in un abbraccio improvviso. Due braccia che appartenevano a Tara di Diodon.

 

“Tara!!!” –Esclamò Toru, osservando la scena da una certa distanza e comprendendo quel che l’amica voleva fare. Anche Titis e Tisifone capirono, sospirando rattristate, mentre il cosmo dell’Areoi di Diodon bruciava fino al parossismo.

 

Le spine retrattili presenti sull’armatura di Tara si erano ormai tutte sollevate, strusciando con forza contro la corazza divina, senza riuscire a scalfirla. Ma quelle che si trovavano dove Maru aveva colpito poco prima affondarono dentro il corpo di Forco, catalizzando il cosmo dell’Areoi e liberandolo tutto assieme, in un’unica nociva puntura che rilasciò il veleno accumulato nel corso degli anni.

 

Aaargh!!!” –Gridò il Signore dei Forcidi, lasciando esplodere il proprio cosmo e annientando Tara di Diodon, scagliandone i resti vicino a quelli del compagno.

 

Toru chinò il capo, commosso da tale sacrificio e conscio che le loro anime già vagavano assieme a quelle degli altri aumakuas nella Perla dei Mari. Un motivo in più per continuare a lottare e a proteggerla.

 

 

 

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Capitolo 35
*** Capitolo trentaquattresimo: La grande balena. ***


CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO: LA GRANDE BALENA.

 

La strategia di Ceto non stava funzionando. Aveva vinto, in un breve lasso di tempo, il figlio di Odino e l’altra Asinna sopravvissuta al crollo dei mondi, rinchiudendoli in una prigione mentale. Sebbene, dovette ammettere, i due Dei si siano vinti da soli, sopraffatti da paure recondite che non sono stati in grado di affrontare.

 

Poi era arrivato Avalon, e il gioco era finito.

 

Aveva provato lo stesso trucco rivelatosi vittorioso con Vidharr, ma il Signore dell’Isola Sacra l’aveva scoperto subito, dimostrando di non aver timore di niente. Era questa la cosa che la infastidiva e al tempo stesso impensieriva di più, il fatto che per tutta la durata del breve incanto con cui l’aveva travolto non avesse mai percepito la benché minima paura in lui. Com’era possibile? Persino gli Dei, in quell’ora più buia, così prossima alla fine, tremavano terrorizzati di fronte alla perdita della loro immortalità, della loro eterna giovinezza! Persino i verdi campi dell’Olimpo, che da secoli vivevano in un’infinita primavera, si stavano isterilendo, al pari delle Divinità che vi avevano a lungo dimorato tra i fasti e i lussi sfrenati! Come poteva quell’uomo non avere paura della fine?

 

E poi, in tutta franchezza, si chiese, venendo spinta indietro dall’ennesima onda di energia, chi diavolo è costui? Si definiva il Signore dell’Isola Sacra, sebbene l’isola su cui regnasse fosse solo una zolla di terra in una regione paludosa della Britannia occidentale, ove un tempo il mare giungeva ad invadere i campi, lo stesso mare che le aveva portato informazioni al riguardo, le poche che era riuscita a carpire. Perché c’era poco da dire, poco da scoprire su un uomo le cui origini parevano cinte da aloni di nebbia così fitti come quelli che celavano Avalon al mondo. Era un Angelo, al pari dell’oscura entità che aveva servito Caos negli ultimi secoli, anticipandone la venuta, ma chi e quando li avesse generati nessuno sapeva dirlo. Neppure Anhar lo sapeva, limitandosi a sostenere di essersi risvegliato un giorno, in quel corpo, con quella stessa coscienza. Ma cosa ci fosse stato prima era un mistero che nessuno aveva ancora svelato.

 

Nessuno tranne due persone.

 

Cometa di Avalon!!!” –Esclamò l’Angelo di Luce, generando un globo di energia che schizzò verso Ceto, obbligandola a portare avanti le braccia, i palmi rivolti verso il nemico, per contenerne l’impatto. Ci riuscì a stento, barcollando all’indietro, impacciata dalla mole del suo stesso corpo che non la favoriva in uno scontro diretto.

 

Non sulla terraferma, quantomeno. Rifletté, iniziando a pensare ad un modo per raggiungere il mare, dove avrebbe potuto recuperare il suo vero aspetto, quello della Grande Balena, con cui aveva tempestato le coste di Asgard con forti colpi di coda, per farla cadere e per spaventarne i difensori. Ma non doveva distrarsi troppo, non doveva cercare, neppure con gli occhi, una via per tornare al mare, perché Avalon l’avrebbe compreso, troppo intelligente per non sospettare un nuovo trucco. A volte, pensava Ceto, era convinta che quegli occhi argentei fossero in grado di guardarle dentro e di scoprire ciò che stava pensando.

 

“Così è, infatti!” –Commentò il Signore dell’Isola Sacra, strappando un gemito di sorpresa alla Dea oceanica. –“Non che ci voglia molto, in verità! L’hai detto tu stessa, di non aver niente da nascondere! Ed infatti lo percepisco chiaramente! Il tuo cuore è aperto, limpido, pieno di vita, intriso di un amore che ne ha segnato il passare del tempo, un amore per un’unica sola persona, il Dio che combatte negli abissi del Pacifico per restaurare il suo antico nome!”

 

“Parli bene, Avalon! Tutta la mia esistenza l’ho vissuta in nome di Forco e del nostro amore! Ma dubito che un tipo solitario come te, annebbiato dalla foschia di quell’isola paludosa, possa comprendere cosa significhi vivere per qualcuno!”

 

“Non per qualcuno ho vissuto, ma per qualcosa! Per uno scopo! E la tua sconfitta lo testimonierà!” –Disse Avalon, sibillino, prima di espandere il proprio cosmo e generare un’onda di energia che sbatté Ceto a terra, schiantandola nel pavimento ghiacciato, a vari metri di profondità. –“Ti offro una possibilità, Dea dal cuore pieno d’amore! Vattene! Torna nei mari in cui a lungo hai dimorato, aspettando il ritorno di colui cui sei devota, e là resta, là vivi, assieme a Forco! Nessuno vi verrà a stanare, nessuno verrà in cerca di una sanguinosa vendetta!”


Stai… scherzando?!” –Rantolò Ceto, rialzandosi.

 

“Non è mia abitudine!” –Chiosò Avalon, fermandosi sul margine del cratere che il corpo della Grande Balena aveva creato. –“Pensaci! È un’offerta molto più generosa di quella che Caos vi porrebbe davanti dopo aver contravvenuto ai suoi ordini!”

 

“Non dire eresie! Il mio Signore combatte dall’altra parte del globo per portare avanti un piano ordito nel corso di lunghi anni! Come potrei io, sua devota sposa, abbandonarlo? No, Avalon, non voglio la tua pietà né la tua grazia! Voglio solo la vittoria che darà lustro al nome di Forco, che renderà giustizia ai disprezzati popoli dei mari e porrà le basi del nostro nuovo regno!”

 

“Così tanto desideri regnare? Allora non è forse l’amore il sentimento che guida i tuoi passi…

 

“Sbagli! È per amore che combatto, per amore di Forco!” –Sibilò Ceto, espandendo il proprio cosmo, che scaturì dal terreno sotto i piedi di Avalon, scaraventandolo in aria. Ma il Signore dell’Isola Sacra fu lesto a roteare su se stesso, con un’agile capriola, atterrando qualche metro indietro, perdendo il lungo mantello argentato che lo rivestiva e rivelando infine la propria lucente corazza. –“Assieme abbiamo immaginato il nuovo mondo! Assieme abbiamo aspettato l’avvento di Caos, per ridare lustro ai mari dimenticati! Non cederò adesso, neppure davanti a te, Avalon! Cosa sei, in fondo? Che tu sia uomo o Dio, sarai piegato! Neppure tu puoi resistere alla furia degli oceani!” –Avvampò la Dea, mentre il cosmo turbinava attorno a sé, prendendo la forma di un gigantesco capodoglio. –“Grande Balena Bianca!!!” –Tuonò, portando avanti le braccia e scatenando l’impeto del suo assalto.

 

Avalon dovette bruciare la propria aura cosmica, concentrandola su una barriera che eresse in fretta davanti a sé, venendo comunque spinto indietro. Inoltre, per quanto tentasse di respingerne la foga, l’immenso cetaceo di energia pareva non placarsi, continuando a sbattere furiosamente contro il muro difensivo, fino a incrinarlo.

 

“Solo non sei, Signore dell’Isola Sacra!” –Esclamò allora una voce, mentre un cosmo divino si aggiungeva al proprio, solidificando la barriera e impedendo al capodoglio di distruggerla.

 

“Ci siamo anche noi!” –Intervenne una seconda voce, appartenente a una donna, mentre una figura gli passava accanto, balzando poi in aria e liberando piccole sfere di energia dorata. –“Gli Dei di Asgard vivono ancora! Non sono tutti caduti nel Ragnarök!” –Chiarì, bombardando Ceto con un attacco a raffica, obbligando la sposa di Forco a sollevare le proprie difese, rinunciando quindi all’assalto.

 

“Vidharr! Lieto di vedere che sei salvo!” –Commentò Avalon, riconoscendo il figlio di Odino, il quale, sia pur in notevole affanno, non pareva avere ferite aperte sul corpo. Stessa cosa poté dire dell’Asinna che atterrò poco dopo al suo fianco, con cui aveva scambiato due parole nel palazzo di Asgard, pur senza conoscerla bene.

 

Idunn è il mio nome!” –Disse la Dea. –“Sposa di Bragi, Dio della Poesia, e custode delle mele della giovinezza!”

 

“Ti ringraziamo per averci difeso, Signore dell’Isola Sacra, ma concedici adesso di combattere al tuo fianco! Non che guerreggiare sia il nostro desiderio, ma difendere quel che rimane della nostra terra, la roccaforte eretta in onore a mio Padre, millenni addietro, quando ancora si aggirava vagabondo per il Recinto di Mezzo!”

 

“Midgard è l’ultimo avamposto della nostra civiltà! Se cade, anche noi cadremo con essa!” –Chiarì Idunn.

 

“E allora preparatevi a cadere, stolte Divinità! Avresti fatto bene a fingere di dormire ancora, così avreste avuto salva la vita!” –Ringhiò Ceto, rialzatasi, le squame protettive affumicate dall’assalto della compagna di Bragi.

 

“Ci prendi per vigliacchi? Aggettivo che ben denota la tua personalità, Signora dei Mari! Subdolo è stato il modo in cui ci hai attaccato, risvegliando le nostre paure recondite! Su tutte, il mio timore di non essere all’altezza dei miei fratelli!”

 

“E il dolore per la perdita del mio compagno!” –Commentò Idunn, abbassando per un momento gli occhi, prima di tornare a fissare Ceto con rabbia. –“Proprio tu, che decanti lo splendore dell’amore, come osi infangare il mio? Pagherai quest’affronto!” –Avvampò, avanzando verso di lei.

 

Fu Avalon a fermarla, afferrandole un esile braccio e costringendola a voltarsi verso di lui, che stava scuotendo la testa.

 

“Come?!”

 

“Non sottovalutatela! La sua forza non ha niente a che invidiare a quella di Forco! Sono alti rappresentanti della Prima Generazione Cosmica, quella cui appartenevano anche i vostri antenati! Ymir, lo ricordate? Il gigante nato dal ghiaccio e dal fuoco agli albori dei tempi. La sua forza potrebbe essere simile!”

 

“Avalon dice il vero! Prudenza, Idunn!” –Intervenne Vidharr, ottenendo un cenno di scocciato assenso da parte della Dea, che tornò ad affiancare i due, senza perdersi il ghigno divertito comparso sulle labbra di Ceto.

 

“Bene, pare che dovrò essere io a prendere l’iniziativa! Di nuovo!” –Sibilò, bruciando il cosmo, che si palesò sotto forma di un guizzante colpo di coda con cui travolse i tre avversari, gettandoli a terra, stupiti da quel rapido movimento.

 

Co… cos’è successo?!” –Balbettò Vidharr, rimettendosi a fatica in piedi. –“Come ci ha colpiti? Con una verga?!”

 

Avalon non rispose, atterrato anch’egli da quell’attacco repentino, che gli era parso simile ad una grande frusta, sebbene la Dea non impugnasse arma alcuna. Stufa di giocare in difesa, Idunn si rialzò di scatto, infiammando il proprio cosmo e lanciandosi avanti.

 

“Brutta strega! Pagherai per aver infangato il ricordo di Bragi!” –Gridò, saltando in aria e aprendo il braccio di lato, scagliando contro Ceto una pioggia di piccole sfere di energia. –“Mele d’oro! Esplodete!!!”

 

La Dea dei Mari fu svelta a sollevare una rozza difesa circolare, che la attorniò senza lasciare possibilità all’attacco di Idunn di travolgerla. Una difesa che ad Avalon sembrò composta dai musi di tanti animali marini, accatastati l’uno accanto all’altro, in un tributo agli oceani su cui Ceto e Forco volevano imperare.

 

Sentinelle del Mare!!!” –Esclamò la figlia di Ponto e Gea, mentre tutte le teste di animale si illuminavano di una luce bluastra, quasi si risvegliassero da un profondo sonno.


Idunn, attenta!!!” –Gridò Avalon. Ma la Asinna non fu lesta abbastanza.

 

I musi delle bestie oceaniche sfrecciarono avanti, aprendosi a raggiera attorno a Ceto e investendo, fagocitando, schiacciando tutto quel che incontrarono sul loro cammino. La Custode delle Mele venne travolta e schiantata a terra, a molti metri di distanza, con la Veste Divina danneggiata. Vidharr si portò rapido accanto ad Avalon, unendo le forze per sollevare una barriera su cui l’impeto delle Sentinelle del Mare si schiantò, limitandosi a spingerli indietro, fin quasi a sbatterli contro quel che restava dell’abbattuta montagna che si ergeva alle spalle di Midgard.

 

“Che attacco… devastante!!!” –Commentò il figlio di Odino, con il fiatone. –“Se tu non ne avessi compreso il funzionamento, saremmo stati sbaragliati!”

 

Avalon gli diede ragione, ritenendo che quel colpo racchiudesse tutta la foga, e al tempo stesso la frustata disperazione, di creature obliate e perse negli abissi oceanici, creature su cui Ceto dominava. Lei, la Perigliosa, la possente Balena Bianca, colei che scatenava i pericoli del mare.

 

“Volete riprovare?” –Sogghignò la Dea, richiamando a sé i musi animaleschi, che tornarono a chiudersi attorno al suo tozzo corpo, una cintura che solo un attacco potente e mirato avrebbe potuto sfondare. –“O forse no?” –E mentre Avalon e Vidharr riflettevano sul da farsi, un nuovo rapido e violento colpo di coda li travolse, gettandoli di nuovo a terra. Ma quella volta, mentre si rimetteva in piedi, il Signore dell’Isola Sacra vide una sinuosa prominenza scivolare all’interno della cintura difensiva di Ceto, capendo infine quel che era accaduto.

 

“Le sue forme…” –Rifletté, aiutando Vidharr a rialzarsi. –“Le scaglie che credevo indossasse come rustica corazza… sono davvero la sua pelle… la protezione che la sua pelle assume in questa forma umana.”

 

Forma… umana?! Intendi dire che… è davvero un pesce?”

 

“Un pesce, una balena, un qualche mostro marino! Non ha importanza in realtà. Quel che è importante è evitare quel lesto colpo di coda, la sua coda!”

 

“Hai capito, allora! L’acume non ti manca, Signore dell’Isola Sacra!” –Rise Ceto, avvolta nel suo cosmo blu mare. –“Dici il vero, tra tutti gli Dei antichi io sono colei che maggiormente si è adattata alla vita nei mari, persino più del mio compagno! Io sono la prima Dea ad aver mutato la propria forma, rifuggendo da quella sempre ricercata bellezza che da Nyx in poi tutti hanno bramato! Pensate a Zeus, quel biondino dal fisico atletico, o alle Divinità Olimpiche di cui si è circondato, tutte giovani, belle ed eleganti! Sempre desiderose di far sfoggio di una bellezza esteriore, di cui a me poco è importato! Quel che volevo era sentirmi a mio agio, nei mari dove sono nata e in cui sono cresciuta, e solo in quella forma potevo sentirmi realizzata! Io sono il primo metamorfo, una consuetudine che a stento si è diffusa in altre culture ma che invece ha prosperato nei mari, ambiente ideale e più ricettivo!”

 

“Vidharr!” –Gli parlò Avalon, tramite il cosmo. –“Ho bisogno di te! Posso sfondare la sua barriera, ma riuscirai a contrastare la furia delle Sentinelle del Mare da solo?”

 

Il figlio di Odino annuì, iniziando a radunare tutte le proprie forze, prima che un cosmo amico si unisse a lui.

 

“Non solo è!” –Commentò Idunn, avvicinandosi all’Ase.

 

Avalon annuì, espandendo la propria energia e concentrandola sull’indice destro da cui scaturì una selva di raggi lucenti.

 

“Ah ah ah! Vorresti penetrare la mia barriera con quegli strali sottili? Le troppe nebbie ti hanno affumicato il cervello, Avalon!” –Rise Ceto, osservando i fasci di luce schiantarsi sui musi animaleschi, che parvero quasi sogghignare con lei. Quindi, con estrema velocità, la Dea ricreò la propria coda squamata, muovendola ratta verso i tre compagni, per atterrarli di nuovo.

 

“Ora!!!” –Gridò Avalon, saltando ed evitando il colpo di coda. Vidharr e Idunn fecero altrettanto, strappando un moto di fastidio alla sposa di Forco, ma, indeboliti dalle ferite precedenti, dovettero planare subito dopo a terra.

 

Sentinelle del Mare!!!” –Imperò allora Ceto, scatenando la furia delle bestie oceaniche, che di nuovo si abbatterono sui compagni, obbligandoli ad un estremo sforzo per contrastarle. Vidharr fu piegato dalla foga, costretto a poggiare un ginocchio a terra mentre teneva le braccia avanti a sé, unite e con i palmi volti all’avversaria, cingendo lui e Idunn di un velo difensivo, sostenuto anche dal cosmo dell’Asinna. Per un breve istante Ceto non vide alcunché, la visuale limitata dallo scontro di energie in atto, dal turbinare furioso dei cetacei e delle altre creature mostruose che aveva liberato e dallo splendore dorato della difesa degli Asgardiani.

 

Fu quando la luce parve scemare d’intensità, e il suo attacco disperdersi, che si accorse che dietro il velo di Vidharr c’erano solo due figure. Di Avalon nessuna traccia.

 

Terrorizzata, si guardò attorno, notando solo allora la cortina di nebbia che era sorta attorno a lei, quella stessa foschia che tanto aveva deriso in precedenza.

 

Su tutto una voce sorse.


Cometa di Avalon!”

 

Una scintillante sfera di energia argentata squarciò il cielo, piombando ad incredibile velocità su Ceto, così rapida che persino la Dea faticò ad individuarla fino a che non sfondò la sua cintura protettiva, abbattendosi sul suo fianco destro e facendola urlare di dolore. Mai, in tutta la sua lunga vita, la sposa di Forco aveva provato un calore così rovente. Lei, da sempre nascosta negli anfratti oceanici, da sempre schiva e disinteressata ai raggi del sole, che a stento giungevano in così profonde immensità, aveva per la prima volta provato cosa fosse l’abbagliante luce di un cosmo ardente.

 

Stringendo i denti per il dolore, gli occhi arrossati di lacrime e rabbia, la Grande Balena crollò sulle ginocchia, tastandosi il fianco ferito, osservando con orrore le squame annerite, carbonizzate, morte ormai. Se la cometa di energia non fosse stata rallentata dalla barriera che la attorniava, di certo sarebbe morta.

 

“Maledetto!!!” –Ghignò, rimettendosi in piedi e fissando Avalon con astio. Avalon il nemico, Avalon che gli impediva di portare a termine il progetto cui lei e Forco avevano lavorato a lungo. Avalon senza il quale Asgard sarebbe già caduta, assediata dall’esterno e attaccata dall’interno. Come avrebbero potuto resistere i pochi sparuti difensori alla furia della Signora dei Cetacei? –“Sì, sono la Grande Balena, non una Deuccia qualsiasi! E non tollero simili affronti!!!” –Avvampò, il volto deformato da una collera improvvisa.

 

“Ecco dunque la tua vera natura! Non Dea d’amore, ma Dea di guerra!” –Chiosò Avalon, non ottenendo altro che farla infuriare ancora di più. Avvolta nel suo cosmo bluastro, Ceto si lanciò avanti, piombando in mezzo ai tre alleati e obbligandoli a scattare ognuno in una direzione diversa, proprio come voleva. Solo quando videro i volti delle creature bestiali lampeggiare attorno alla Dea, Vidharr comprese l’errore che avevano commesso, esponendosi ad un attacco diretto.

 

Sentinelle del Mare!!!” –Tuonò infatti Ceto, liberando il suo colpo a raggiera e investendo i tre avversari, scagliandoli a terra. Quindi, fiaccata da quel prolungato sforzo sulla terraferma, si accasciò, tenendosi il fianco ferito. Claudicando, raggiunse un cumulo di neve, poco distante dal corpo svenuto di Avalon, e lo scavò con le mani, riempiendosele e portandole poi alla bocca, succhiando avidamente quell’acqua di cui così tanto aveva bisogno.

 

Non posso restare ancora qui! Realizzò, ammettendo che quello scontro era durato molto più di quanto avesse pensato all’inizio, incamminandosi infine verso il sentiero che conduceva alla costa estrema di Asgard, quella che si affacciava sul Mare Artico, da cui ore prima era giunta. Doveva tornare in acqua, recuperare la sua vera forma e permettere così alla ferita di rimarginarsi. Non ci sarebbe voluto molto, solo qualche minuto a mollo nella fonte della vita, qualche minuto di beatitudine.

 

Avanzando verso la scogliera, non poté fare a meno di pensare a Forco, il cui cosmo sentiva espandersi in abissali profondità. Lo sentiva chiaramente, come se fosse lì, a combattere vicino a lei, perché il mare gliene parlava, il mare le raccontava ogni cosa, a lei che sapeva ascoltarlo. Il suo amato stava lottando, per prendere la Perla dei Mari e sedere sul trono di corallo dell’Avaiki, la loro nuova casa. Dopo tanto peregrinare di anfratto in anfratto, sfuggendo gli occhi stanchi degli Dei moderni, che ormai ben di rado poggiavano lo sguardo sugli abissi oceanici, avevano convenuto entrambi di doversi sistemare, di volersi sistemare, signori di un regno che avevano conquistato assieme. Con quel pensiero nel cuore, Ceto arrivò sul bordo della scogliera e si lanciò di sotto, a braccia aperte, pregustando già il contatto con la gelida acqua dell’Artico, la bellissima sensazione di tornare a casa e abbracciare i figli rimasti in trepidante attesa. Non quelli che aveva realmente partorito, che strade diverse avevano scelto, strade che avevano condannato molti di loro all’oblio, bensì il mare e le sue creature, di cui si sentiva la madre.

 

E adesso la madre sta tornando! Sorrise, continuando a precipitare. A precipitare. A precipitare.

 

Senza raggiungere l’acqua.

 

Com’era possibile?! Spalancò gli occhi all’improvviso. Il mare era lì, calmo e gelido, sotto di lei, con le azzurre acque tinte di bianco e lei ci stava piombando dentro, eppure… non riusciva a raggiungerlo. Più cadeva, più sembrava sprofondarvi dentro, e più il mare stesso si allontanava, più la superficie marmorea dell’Artico pareva sprofondare con lei, in una discesa infinita, senza che lei vi si potesse abbeverare.

 

Cosa sta succedendo?! Si disse incredula, travolta da un terrore inatteso. Provò persino ad allungare le braccia, annaspando, quasi nuotando nel vuoto che seguiva il balzo, ma non trovò niente davanti a sé. Soltanto un ulteriore vuoto. Il mare non l’avrebbe raggiunto più.

 

“No!!! No!!! Non è possibile!!!” –Gridò, sconvolta da tale infausta prospettiva.

 

Proprio in quel momento il suo tozzo corpo si schiantò su una dura superficie, sprofondando per qualche metro tra lastre di pietra distrutte, terriccio smosso e neve. A fatica, cercando di ignorare il dolore delle ossa spezzate dentro di sé, Ceto affannò nel rialzarsi, nel ritornare alla superficie, stordita da quella concatenazione di eventi che non aveva senso. Le bastò tirarsi su e osservare il retro del palazzo di Asgard per capire che era ancora lì, nel piazzale dove aveva combattuto e dove era stata abbattuta una seconda volta.

 

Avalon apparve in quel momento nel suo campo visivo, fissandola in silenzio, con quello sguardo inespressivo che pareva nascondere un’infinita inspiegabile malinconia. E allora la Dea dei Mari capì cos’era accaduto.

 

“Mi hai imbrogliato!”

 

“Credevi che non fossi in grado di ricreare un trucchetto come il tuo? Non è stato poi difficile entrare nella tua mente e scoprire cosa volevi davvero, cosa disperatamente bramavi, per usarlo contro di te, come non ti sei peritata di fare con le paure inconsce di Vidharr e Idunn!” –Precisò il Signore dell’Isola Sacra. –“Hai ammesso tu stessa di essere un libro aperto; io ho solo sfogliato le tue pagine e dietro l’amore per Forco e la speranza di un futuro assieme ho trovato anche una recondita paura all’idea di vivere in un mondo senza acqua, all’idea di vivere fuori dagli oceani! Ecco perché volevi tornare al mare, per recuperare forza e scagliarti di nuovo contro Asgard! Ma ti dirò una cosa, che forse hai dimenticato! Mesi addietro già un’altra bestia ha provato ad abbattere le mura della cittadella, un Leviatano al servizio di Anhar, terminando la sua sofferente esistenza in una baia poco distante! Esattamente, cosa ti ha fatto credere di poter raggiungere un risultato migliore?!”

 

Ceto non rispose, avvampando nel proprio cosmo bluastro, ma prima che potesse lanciarsi avanti si ritrovò prigioniera di una morsa psichica, che Vidharr aveva appena stretto su di lei. Lo sguardo dispiaciuto, come sempre di fronte a una battaglia e alla morte, il figlio di Odino pareva comunque risoluto a non permetterle di agire più, a non permetterle ulteriori devastazioni.

 

“Ma fammi il piacere! Vorresti imbrigliare la furia della Grande Balena con questi ridicoli cerchi di energia?!” –Ringhiò la Dea, espandendo il proprio cosmo e alzando le braccia di scatto, liberandosi e spingendo i tre alleati indietro di qualche passo, mentre dalle ferite aperte tra le sue scaglie grondava sangue divino. Ferite che ormai non era più in grado di nascondere né di curare, fintantoché non avesse raggiunto il mare.

 

“E tu non lo raggiungerai!” –Chiosò Avalon, puntandole contro l’indice destro e crivellandola con migliaia di fasci di luce.

 

Raughrrr!!!” –Ceto ringhiò, la bocca deformata in fauci animalesche, mentre l’ichor che scorreva nascondeva il cambiamento in atto nel suo corpo, un cambiamento che non riusciva più a controllare. Volente o nolente, avrebbe presto recuperato la sua forma animalesca, quella con cui si era adattata a vivere negli oceani. –“Lasciatemi… passare! Voglio tornare… al mare!!!”

 

“No!” –Esclamò Avalon. –“Ti ho offerto un’opportunità di salvezza e l’hai rifiutata! Ora affronta la fine di tutto, la stessa fine cui tu e il tuo sposo avete destinato il popolo libero dell’Avaiki!” –Aggiunse, espandendo il proprio cosmo e sollevando un’impetuosa corrente di energia simile ad un fiume di stelle.

 

“E sia! Che queste parole valgano anche per te, Gran Tessitore! Che questo sia il tuo ultimo scontro!!! Cadi! Grande Balena Bianca!!!” –Tuonò Ceto, portando entrambe le braccia avanti e generando un enorme capodoglio di energia, che si scosse davanti a sé, impennandosi e gettandosi di muso all’interno della torrenziale corrente liberata da Avalon.

 

Nebulosa delle stelle!!!” –Imperò questi, aumentandone la furia e riuscendo infine a frenare l’avanzata dell’enorme cetaceo, spingendolo via, disperdendolo, mentre il fiume di energia stellare si abbatteva su Ceto, scaraventandola in alto.

 

“Ora!!!” –Intervenne Vidharr, scagliando un’onda di energia contro la Dea, esposta anche al contemporaneo assalto di Idunn, che la stava bombardando con migliaia di mele dorate, distruggendone le ultime scaglie, tra grida di atroce tormento.

 

Ricadde a terra, la non più perigliosa Ceto, e lì rimase, per minuti che le parvero interminabili, in un cratere nel devastato piazzale, traboccante del sangue e dei tessuti umani che aveva perduto, colpita, squarciata, quasi sventrata, in una forma che non era in grado di controllare a pieno. Se solo fosse riuscita ad arrivare al mare, se solo avesse potuto guarire… Rantolò, nell’estremo tentativo di muovere gli arti. Faticò ad arrivare alla cima dell’avallamento, la vista appannata dal sangue che le colava da una ferita sulla fronte. Ma anche priva di occhi, poté sentire gli sguardi dei tre alleati su di lei, sguardi che si soffermavano sul suo tozzo corpo deforme, che stava tentando di recuperare l’altra forma, la sua vera forma, quella nascosta sotto squame che ormai erano state scheggiate e divelte. E poté sentire anche il cosmo di Avalon espandersi di nuovo, davanti a lei, a sbarrarle il passo.

 

“Qui tutto finisce!” –Commentò questi.

 

E Ceto dovette dargli ragione.

 

Con tutte le ultime forze, mulinò la propria grossa coda, scagliando indietro sia l’Angelo che gli Dei di Asgard, giusto di qualche metro, una distanza sufficiente per permetterle di scattare avanti, di correre via, raggiungere la scogliera e gettarsi di sotto, finalmente nel mare. Avalon e Vidharr la inseguirono all’istante, osservandone la tozza sagoma sanguinante sprofondare in abissi da cui, erano certi, non sarebbe emersa mai più.

 

***

 

Tra le rovine del castello di Alexer, all’imbocco della Valle di Cristallo, il Cavaliere del Cigno stava tentando di opporsi all’avvento delle tenebre di cui si attorniava il Progenitore che gli stava davanti. Un Dio la cui immensità pareva essere più vasta di qualunque spazio la mente potesse concepire. Un’oscurità primordiale, la definì Cristal, muovendosi a passo rapido nella pioggia di strali neri che Erebo gli stava dirigendo contro.

 

Aveva sentito, poco prima, esplodere il cosmo di Flare e quello di Avalon, chiedendosi con ansia cosa stesse accadendo ad Asgard, quale nemico avesse potuto giungervi senza che lui ed Alexer lo notassero. Pur tuttavia dovette scacciare quei pensieri, sforzandosi di aver fiducia nel Principe degli Angeli, che di certo avrebbe fatto il possibile per difendere l’ultima Sacerdotessa di Odino. Non fu facile accantonare quei timori, che continuavano imperterriti a ronzargli il testa, a distrarre la sua mente, ma doveva farlo. Doveva resistere, dando tutto se stesso, per proteggere coloro che credevano in lui e che a lui si affidavano. Alexer, ancora sepolto sotto cumuli di roccia e neve, i Blue Warriors feriti, uomini che comunque non erano arretrati di fronte al pericolo, Flare e gli abitanti di Asgard, per cui rappresentava l’ultima barriera. E infine per Eir, la Asinna della Medicina intervenuta in suo aiuto, usando il cosmo per tenere Erebo a distanza, in modo da impedire alla sua tossica aura di lambirgli il corpo e piegarlo.

 

“Ah ah ah! Danzi bene, Cigno bianco! Mi allieta vedere che le mie daghe riescono a farti tenere il ritmo!” –Sghignazzò il Dio primordiale. –“Ma cosa accadrebbe se aumentassi l’andatura? Se la musica… salisse di intensità!!!” –Rise, incrementando il profluvio di strali oscuri e obbligando Cristal ad uno sforzo maggiore per schivarli tutti.

 

Non ci riuscì e fu trafitto ad una gamba, perdendo velocità ed esponendosi alla carica delle migliaia e migliaia di altre daghe nere che non aspettavano altro che trafiggerlo. Con un ultimo titanico sforzo, sollevò un muro di ghiaccio, ben sapendo quanto poco sarebbe durato, solo il tempo di un respiro.

 

“No!!!” –Fu un’acuta voce giovanile a riscuoterlo, costringendolo a rialzare la testa e ad ammirare un lucore azzurro ergersi a sua difesa, mentre sciami di comete energetiche saturavano lo spazio che lo separava da Erebo, contrastando i tenebrosi fasci del Nume. –“Non farai del male al mio amico!!!”

 

“Che cosa?!” –Esclamò questi, per la prima volta sorpresa nel riconoscere il nuovo arrivato. Un vecchio avversario.

 

Pegasus…” –Mormorò Cristal, accasciandosi dietro al compagno, felice di vederlo.

 

“Stai bene, amico mio? Riposati, quel tanto di cui avrai bisogno per recuperare le forze! Mi occuperò io di questo spiritello fastidioso!”

 

“Moccioso impertinente! Sei ancora vivo?!” –Tuonò Erebo, sollevandosi in aria davanti a lui, avvolto nella propria aura oscura.

 

“Ci rivediamo, occhietti rossi! E ho pure una nuova armatura, adesso!” –Disse Pegasus, prima di scattare avanti, liberando il proprio colpo segreto, che sfrecciò verso il Nume primordiale, strappandogli un sorriso divertito.

 

“Tanto giovanile ardore… Peccato sia destinato a perdersi…” –Chiosò, parando ogni singola sfera di energia azzurra, prima di avvolgerle in una spirale d’ombra e radunarle tutte sopra di sé, con un semplice movimento del braccio destro.

 

Ma proprio in quel momento tre attacchi lo raggiunsero simultaneamente, tempestandogli la schiena e facendo fumare persino la sua tetra corazza tanto acceso era il cosmo di coloro che lo avevano investito. Voltandosi rabbioso, Erebo notò che Alexer si era liberato dalla frana ed aveva appena liberato le sue folgori. Al suo fianco, una fanciulla dai capelli viola, rivestita da un’armatura dorata e d’avorio simile ad una campana stilizzata, e un giovane dai capelli biondi, la cui Veste Divina rischiarava la sera di Asgard ad ogni minimo movimento.

 

Non ebbe bisogno di chiedere loro chi fossero, che già Zeus e Atena lo attaccarono.

 

 

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Capitolo 36
*** Capitolo trentacinquesimo: L'ultimo addio. ***


CAPITOLO TRENTACINQUESIMO: L’ULTIMO ADDIO.

 

Mur era rimasto ad Atene.

 

A differenza di Virgo, che aveva seguito Euro e Nikolaos in Egitto, il Cavaliere di Ariete aveva scelto di restare. Non solo per la stanchezza che lo dominava, fisica e mentale; non solo perché la sua presenza era necessaria per prendersi cura dei feriti e riparare le loro armature, come Kiki già stava facendo, da solo, alla Prima Casa. Ma anche per sincerarsi di un dubbio che lo aveva invaso nelle ultime fasi del combattimento contro Atlante.

 

“Dove vai, Mur?” –Gli aveva chiesto Virgo, prima di partire.

 

“Ci rivedremo presto, amico mio!” –Aveva chiosato il Custode del Primo Tempio, allontanandosi a passo deciso verso la parte orientale del Santuario, una zona poco frequentata, tagliata da una mulattiera accidentata che portava al cimitero dei Cavalieri e, andando oltre, alla Collina delle Stelle. Proprio là, al Cancello Orientale, avrebbero dovuto stazionare i Cavalieri delle Stelle che Avalon aveva affidato ad Atene, eppure, per tutta la durata dello scontro, non erano intervenuti.

 

Perché? Cos’era successo di così grave da impedire loro di prestare aiuto? Temeva Mur che qualche nemico avesse tentato un’incursione da est, sfruttando il terreno impervio per nascondersi alle vedette, e il cosmo oscuro che aveva percepito poc’anzi sembrava provenire proprio da quell’area. Un cosmo che credeva di aver già affrontato in precedenza.

 

E se ho ragione, sono l’unico che può fermarlo! A qualunque costo! Si disse, raggiungendo infine le mura orientali, che chiudevano il Grande Tempio di Atena, confluendo in un rozzo portone, molto meno decorato di quello principale. Un ingresso di solito riservato alle truppe o al Sacerdote diretto all’altura sacra, che non ai fedeli o ai visitatori, che tendevano a passare dalle porte occidentali e centrali.

 

Proprio là, in quella ristretta piazza, Mur vide i corpi delle guardie gettati a terra, dilaniati da affondi decisi che avevano raggiunto subito i loro cuori, con precisione estrema. Chinandosi su un soldato, ne tastò la ferita, notando che il sangue era ancora fresco. Poteva dunque salvarlo? C’era ancora speranza?

 

No! Fu costretto ad ammettere quando percepì l’incombere di un’ombra alle sue spalle. Fece appena in tempo a voltarsi che una lama di energia violacea si abbatté su di lui, che la evitò con il teletrasporto, trinciando in due macabre metà il corpo della guardia ferita.

 

“Ancora vivo?!” –Esclamò il Cavaliere d’Oro, che ormai poteva vedere il viso butterato dell’avversario, il massiccio corpo illuminato dalla misera luce proiettata dalle torce affisse alle mura e disseminate lungo il sentiero.

 

“Potrei dire lo stesso di te, Ariete! Non che mi dispiaccia! In fondo sono venuto solo per te!” –Ghignò l’altro.

 

“Cosa vuoi dire?!”

 

“Sei la cagione della mia caduta e del disprezzo che la Dea Notte mi ha mostrato, incolpando me e tutti i figli di Eris del fallimento della missione sul Dhaulagiri!” –Spiegò il guerriero, avanzando verso Mur. –“A causa del tempo perso ad affrontare te e il Drago, le Amphilogie sono state sconfitte e Polemos e Chimera hanno potuto completare la missione che mi era stata affidata, venendo glorificati al posto mio! È un’ironia bastarda quella che mi ha condannato, Ariete! Un’ironia per cui Nyx mi ha accusato di essere venuto meno al giuramento che le avevo fatto, quando le avevo promesso la distruzione della colonia di Mu e un prezioso ostaggio! Capisci?! Io, Horkos, punitore di coloro che violano un giuramento, condannato proprio per tale infamante accusa!!! Non so dove sia quel damerino del Dragone, ma dato che tu sei qua, inizierò con te!”

 

“Non aspettavo altro! Non è mia abitudine lasciare questioni in sospeso, tanto più con i miei nemici!” –Rispose il Cavaliere d’Oro, espandendo la propria aura cosmica, ben inferiore rispetto a quella che aveva ostentato dentro le profondità del Dhaulagiri.

 

Anche Horkos parve accorgersene, allungando le labbra in un perfido sogghigno, prima di scattare avanti, il braccio destro intriso di energia violacea, che diresse lesto verso il cuore di Mur sotto forma di una rozza mannaia.

 

Sturmjan!!!” –Tuonò il figlio di Eris.

 

Il Cavaliere di nuovo evitò l’affondo spostandosi a destra del guerriero, la mano già levata in alto, carica di energia cosmica pronta a detonare. –“Rivoluzione di stelle!!!” –Esclamò, liberando il colpo segreto appreso da Shin.

 

“Ridicolo!!! Una pioggerellina di luce dovrebbe intimorirmi, forse?!” –Ringhiò Horkos, lanciandosi in mezzo a quella miriade di stelle cadenti, incurante dei danni che producevano alla sua già danneggiata Veste Divina o al suo corpo, ustionandolo in vari punti, compresa la testa. –“Ferite ben più consistenti ho sopportato! E tu, che hai ammirato il mio viso da vicino, puoi testimoniarlo, Ariete! Ora fammi un favore, muori!!!” –Di nuovo caricò con il braccio destro teso avanti a sé, l’enorme mannaia di energia violacea che rilucette tetra nella sera di Atene. Di nuovo Mur evitò tale affondo teletrasportandosi alle sue spalle, osservando con orrore, e con il respiro affannato, il Dio schiantarsi contro il muro di confine e danneggiarlo, prima di voltarsi e fissarlo con rabbia.

 

“Non puoi scappare per sempre, bel montone! Prima o poi ti mozzerò le corna!”

 

Dice il vero! Rifletté il Cavaliere di Ariete, già provato per gli scontri precedenti e per aver riparato le armature di Ioria e degli altri. Tentò di elaborare una strategia, nei pochi attimi che Horkos gli concedeva tra una carica e l’altra, ammettendo di non avere strumenti con cui contrastarlo. Aveva già provato con la psicocinesi, fallendo miseramente, e anche i suoi colpi segreti sembravano inefficaci. Forse l’Onda di Luce Stellare avrebbe potuto spazzarlo via, ma da quella distanza il figlio di Eris l’avrebbe evitata prima che lo raggiungesse. Era un Dio, in fondo, questo Mur non doveva dimenticarlo se voleva vincere.

 

Vincere? Prospettiva che mai come in quel momento gli apparve lontana anni luce, ben più dell’intermundi in cui Caos aveva dimorato in famelica attesa.

 

Sturmjan!!!” –Gridò Horkos di nuovo, piombando su di lui, costringendo Mur a un gesto disperato.

 

Muro di Cristallo!!!”

 

“È inutile, Ariete!” –Ringhiò il Dio, distruggendo l’effimera protezione con un paio di decisi affondi. –“L’efficacia e la resistenza della tua tecnica di difesa dipendono dal tuo cosmo, e con un cosmo ridotto al lumicino cosa pretendi di fare? Di certo non puoi trattenere la tempesta insita nel mio attacco!!!”

 

Ha… ragione… Mormorò il Cavaliere di Atena, venendo spinto indietro, tra i frammenti di luce del suo stesso muro, fino a schiantarsi contro un mucchio di rocce alle sue spalle, con l’armatura scheggiata in più punti. L’unica armatura, tra tutte quelle cui aveva lavorato, che non era riuscito a riparare, per essersi prima dedicato agli altri.

 

“Muori, caprone!!!” –Avvampò Horkos, calando il braccio rivestito di energia cosmica su Mur, che tentò di rallentarne la corsa con i suoi poteri mentali. Per un momento il Dio parve risentirne e il suo arto rimase bloccato a mezz’aria, un infimo lasso di tempo di cui Horkos ebbe bisogno per spezzare la concentrazione del Cavaliere e tornare a muoverlo, distruggendo il muro di roccia, davanti al quale Mur non c’era già più.

 

Lesto, si era gettato di lato, ruzzolando per qualche metro sul selciato, per poi tirarsi su, lasciando una mano a sfiorare il suolo, infondendovi ogni stilla del suo cosmo.

 

“Resta lì, da bravo, non muoverti!” –Ghignò il figlio di Eris, voltandosi verso di lui. Ma non riuscì a fare due passi che sentì qualcosa strattonargli il braccio, una vischiosa sostanza che notò provenire dalla parete di roccia appena abbattuta, scivolando su di lui sotto forma di bianchi filamenti che andavano a congiungersi proprio ai piedi di Mur, dove ancora il suo cosmo brillava. –“Una ragnatela di energia?! Mi hai forse scambiato per una mosca?! Ben più combattiva sono, un’ape al massimo! Un’ape dal sanguigno pungiglione! Ih ih ih!” –Ringhiò, bruciando il proprio cosmo in un’unica vampata di energia che incenerì l’intelaiatura con cui il Cavaliere aveva tentato di fermarlo, allungandosi famelica verso di lui. –“Sturm und Drang!!!” –Esclamò, mulinando il braccio come fosse una lama e creando un poderoso fendente di energia che si sommò alle vampe violacee, sfrecciando verso Mur.

 

Cuneo di cristallo!!!” –Commentò questi, che aveva approfittato di quel momento per radunare le ultime forze, concentrandole in un’abbozzata tecnica in grado di combinare difesa con attacco. Un cuneo di energia che si aprì di fronte a sé, come due muri di cristallo uniti in un angolo acuto, tenendo le vampe energetiche a distanza e deviando persino l’assalto di Horkos, abbattendosi infine su di lui e scagliandolo indietro, con una vistosa crepa sul pettorale della Veste Divina.

 

“Maledetto, montone! Tagliarti le corna non sarà sufficiente!!!” –Ringhiò furioso il Dio punitore. –“Te le pianterò nel cuore, usandole per sventrarti e infilzare ogni singolo organo interno, portandoli poi in dono a tua madre e facendoglieli mangiare!”

 

“Le tue parole sono blasfeme! Sei un demone immondo!”

 

“Tutt’altro! Le mie parole sono una promessa, Ariete! La giusta pena in cui colei che ti ha messo al mondo incorrerà presto! Giusto il tempo di ricordarti il tuo posto nell’ordine delle cose!” –Ghignò Horkos, muovendo rapido il braccio e liberando un fendente di energia che scavò nel suolo tra i due contendenti, sollevando un’onda di terriccio e polvere che si abbatté su Mur, distraendolo e coprendogli la visuale.

 

Il figlio di Eris approfittò di quel momento per scattare avanti, al pari del suo stesso assalto, piombando sul Cavaliere d’Oro e ferendolo al bracciale sinistro con un secco affondo, che gli schiantò l’armatura. Un secondo colpo di mannaia e anche dal ventre schizzò fuori del sangue. Mur tentò allora di spingere il nemico indietro con i suoi poteri psichici ma, a parte un breve solletico, non strappò altro al Dio. Nemmeno riuscì a frenarne il movimento del braccio, quando lo sollevò davanti a lui, tanto debole e privo di forze si sentiva ormai. Poté soltanto afferrargli il polso con entrambe le mani, venendo prostrato a terra dall’impatto, ma riuscendo comunque a tenerlo a distanza dal suo viso.

 

“Ritardare l’inevitabile mi renderà solo più affamato, Ariete! E quando avrò finito con te andrò a sgozzare tutti i sopravvissuti alla furia di Atlante! Nessuno, in questo Santuario in rovina, vedrà una nuova alba!”

 

A quelle parole Mur avvampò, bruciando ogni goccia del proprio cosmo, più di quanto avesse mai fatto prima. Ricordò le battaglie sostenute nei quindici anni trascorsi dalla sua investitura, lo scontro con il terribile Giapeto e l’Ecatonchiro al suo servizio, gli intrighi di Arles e i timori di Libra. Ricordò l’attacco degli Spectre al Grande Tempio, la morte che Radamante credeva di aver loro inflitto, quindi la rinascita dal gelido inferno e le battaglie sull’Olimpo, contro Eros, Tifone e Ampelo del Vendemmiatore. Tutte combattute in nome di Atena, per tenere fede al suo ruolo.

 

Ma adesso Atena se ne era andata, il Santuario era stato distrutto, persino le Dodici Case erano crollate, devastate da poteri superiori a qualunque Divinità avesse fino ad allora tentato di occuparle. C’erano rimasti solo i soldati, i Cavalieri di Bronzo e coloro che nelle Dea credevano, e tra questi c’era suo fratello. Per lui avrebbe combattuto, per dargli un futuro. Per impedire a quell’orco demoniaco di levare la mano su di lui, preservandone l’innocenza.

 

Kiki…” –Mormorò Mur, avvolto nella sua dorata aura cosmica, prima di spingere il Dio indietro, schiantandolo a terra, trafitto da una pioggia di stelle.

 

Per un paio di interminabili minuti il Cavaliere credette davvero di aver vinto, i sensi ormai offuscati dalla stanchezza e dalla debolezza di un corpo che aveva violentato oltre ogni possibilità. Barcollò, sforzandosi di rimanere cosciente, fino ad avvicinarsi alla parete di roccia e appoggiarsi ad essa, respirando a fatica. Un bagliore attirò la sua attenzione, un luccichio che parve provenire da un’altura distante, che in quel momento non riuscì a identificare, ben sapendo cosa rappresentasse. Il luogo dove il suo maestro era stato ucciso.

 

Furono quei pensieri a impedirgli di udire il rantolo rabbioso del figlio di Eris, che si era appena rimesso in piedi, l’inveire furibondo contro un avversario tempestato di epiteti dispregiativi e infine la carica verso di lui, il braccio avvolto in una vampa di energia violacea a ricreare una rozza lama. Non udì niente di tutto questo, il discepolo di Shin, soltanto lo schiantarsi dell’armatura d’oro e l’affondare di Horkos nella sua gabbia toracica. Quasi come il corpo non gli appartenesse più, incapace persino di provare dolore, Mur abbassò lo sguardo per un momento, ad osservare l’arto del Dio inzuppato del suo sangue, prima di concedersi un ampio sorriso, così raggiante che persino Horkos lo notò, non comprendendolo.

 

“Cos’hai da sorridere, stupido? La perdita della vita ti ha reso pazzo?”

 

“Mai stato più lucido!” –Si limitò a commentare il Custode della Prima Casa. –“Da tempo cercavo un modo per avvicinarmi a te e questo tuo attacco me ne ha offerto l’occasione! Dovrei ringraziarti…

 

Che… stai dicendo?!” –Ringhiò il Dio punitore, tentando di estrarre il braccio e accorgendosi, con stupore, di non riuscire a muoverlo. Neanche esercitando una forza maggiore. –“Ma che pensi di ottenere? Mollalo, idiota!!!”

 

“Non sono un idiota, figlio di Eris, ma un Cavaliere d’Oro! Sono Mur dell’Ariete, allievo del grande Shin, discendente del popolo di Mu, e questa è la mia luce!!!” –Gridò l’uomo, espandendo al massimo il proprio cosmo, concentrandolo sul palmo della mano destra che premette contro il cuore del nemico. –“Onda di luce stellare!!!”

 

La straordinaria esplosione di energia scagliò entrambi in aria, in un arcobaleno di bagliori, sangue e cocci di armature, fino a lasciarli ricadere al suolo, nel devastato spiazzo antistante al Cancello Orientale, proprio mentre una piccola sagoma si avvicinava, correndo a perdifiato lungo la mulattiera.

 

Mur!!!” –Gridò, raggiungendo il Cavaliere di Atena e chinandosi su di lui, osservando con orrore l’ampia ferita al costato. –“Lascia che ti aiuti! Ti prego!” –Ansimò, poggiandovi la mani sopra e sprigionando un caldo tepore. –“Posso curarti… io… posso curarti, fratello!”

 

“Non importa, Kiki…” –Mormorò Mur a fatica. –“Va bene così…” –Quindi, voltato lo sguardo verso il cadavere di Horkos, si concesse un ultimo sorriso di fronte al suo corpo crivellato, certo che la sua arma non avrebbe potuto commettere ulteriori stragi per quella notte. –“Ho avuto quel che volevo… Vorrei solo… aver fatto di più… essere riuscito a salvare nostra madre…

 

“La salveremo insieme, Mur! Andremo insieme a liberarla!!!” –Pianse il fratellino. –“Coraggio, Mur!!! Devi resistere! Tu devi…” –Ma il Cavaliere d’Oro mosse a malapena un braccio, afferrandogli la mano e guardandolo negli occhi.

 

“Sii forte! La guerra non è finita e Atena avrà bisogno anche di te! Un giorno, quando questo tempo cosmico sarà giunto alla fine, tu sarai il Cavaliere d’Ariete e allora difenderai il Palazzo del Montone Bianco meglio di me. Addio, fratello mio! Addio, piccolo Kiki!” –Mormorò l’allievo di Shin, prima di spirare.

 

Mur!!!” –Gridò il bambino, scuotendo il corpo senza vita del fratello, picchiandolo, prendendolo a schiaffi e infine accasciandosi in lacrime su di lui, incurante del sangue che gli imbrattava il volto. Rimase così, chino su quel che restava della sua famiglia, per qualche minuto, finché un rumore di passi non lo distrasse, portandolo a sollevare lo sguardo verso il sentiero da cui era poc’anzi giunto, dove le figure di Asher, Kama e Castalia erano appena apparse.

 

In silenzio, osservarono la scena, rispettando il dolore di Kiki, e condividendolo con lui, soprattutto Asher, che fu il primo a farsi avanti. L’armatura danneggiata, il volto tumefatto, un labbro sfregiato, e adesso anche gli occhi lucidi. Si inginocchiò accanto al bambino, senza dirgli niente, limitandosi ad abbracciarlo e a lasciare che continuasse a piangere, che si sfogasse con lui, su di lui, fino ad accasciarsi esausto tra le sue braccia. L’Unicorno gli carezzò i capelli fulvi, prima di sollevarlo e dire qualcosa a Castalia riguardo alle esequie di Mur, ma non ebbe modo di aggiungere altro che un grido di Kama lo raggiunse, mentre la Sacerdotessa lo gettava a terra, schiacciandosi su di lui.

 

Ma… cosa?!” –Rantolò Asher, aiutato dalla stessa Kama a rimettersi in piedi, assieme a un frastornato Kiki, spostando poi lo sguardo verso il Cancello Orientale, che era appena stato abbattuto da una trentina di guerrieri armati.

 

Per quanto le luci delle torce emanassero una lieve luce, questa bastò per permettere ai Cavalieri di Atena di riconoscere forme femminili sotto quelle truci corazze. E le voci che risposero loro poco dopo chiarirono ogni dubbio.

 

“Fermatevi!” –Le intimò Castalia, facendosi avanti. –“Questo è il Santuario della Dea Atena! Non vi è consentito l’ingresso!”

 

“Le Amphilogie non abbisognano permessi di alcun genere! Siamo le Dee della Disputa e del Contenzioso e ne abbiamo uno aperto con voi seguaci di Atena!”

 

Amphilogie?!” –Rifletté Asher. –“Non sono quelle che hanno attaccato la colonia di Mu? Credevo fossero morte sotto il crollo della Montagna Bianca!”

 

“Evidentemente qualcuna è sopravvissuta e ha ben pensato di seguire Horkos in questa scorribanda, sperando di approfittare del disordine che il figlio di Eris avrebbe creato! Infide e scorrette, come i loro fratelli e sorelle!”

 

“Al pari di Horkos, anche noi abbiamo ricevuto il disprezzo della Dea Notte e del Lord Comandante, che non ci ha neppure consentito di partecipare alle operazioni belliche in Egitto! Per questo siamo qua, per recuperare prestigio, e lo faremo conquistando il Santuario e uccidendo voi che ancora resistete! All’attacco sorelle, non fate prigionieri!” –Gridò una di loro, sfoderando la spada che portava con sé e lanciandosi avanti.

 

“Non credere che la strada verso il Santuario sia sgombra! I Cavalieri di Atena la presiedono!” –Esclamò allora Castalia, bruciando il cosmo e scatenando la Meteora Pungente. Ma le donne guerriere non ebbero problemi ad evitare quei pugni portati alla velocità del suono, avventandosi poi sulla Sacerdotessa con le lame spiegate.

 

Corno d’argento!!!” –Tuonò allora Asher, sfrecciando tra loro e spingendone un paio indietro, senza comunque scalfire le loro protezioni. –“Maledizioni! Sono tante e noi siamo stanchi!”

 

Asher, attento!!!” –Intervenne Kama, scattando a difesa del ragazzo, mentre una delle Amphilogie mulinava la spada, mirando al suo collo, e finendo per scheggiare l’armatura della Poppa. –“Indietro, indietro! Dobbiamo ripiegare!!!”

 

“No!!!” –Esclamò allora una voce, stupendo i tre Cavalieri di Atena che, mentre affannavano per tenere lontane le figlie di Eris, scoprirono provenire da Kiki.

 

Si era infatti rimesso in piedi, il fratello di Mur, e adesso stringeva i pugni, avvolto in una bianca aura di cosmo, fissando con occhi rossi, iniettati di sangue, rabbia e dolore, i nuovi nemici che avevano invaso il Santuario. Il Santuario che suo fratello era morto per proteggere. In nessun caso avrebbero dovuto permettere loro di avanzare, o la morte di Mur sarebbe stata vana.

 

“No!!!” –Gridò a squarciagola, rompendo le tenebre con un urlo che si accompagnò ad un’improvvisa onda di energia psichica, così potente da spingere indietro la prima linea delle Amphilogie, gettandone alcune a terra, con le corazze scheggiate e le lame spezzate a metà.

 

Asher e Castalia approfittarono lesti di quel momento, piombando tra le file nemiche e colpendo molte figlie di Eris con i loro colpi segreti. Kama, alle loro spalle, aveva intanto soccorso Kiki che, dopo quell’unico grido, era crollato a terra, in preda a violente convulsioni. Per un istante, per un solo istante, ai Cavalieri di Atena era parso di vedere un maestoso Ariete d’Oro ergersi di fronte a quel ragazzino, lo stesso animale che si era fatto largo tra le Amphilogie, abbattendone una dozzina. Che fosse il suo passato o il suo futuro a difenderlo, aveva permesso loro di rifiatare e di radunarsi, spalla contro spalla.

 

“Sono comunque troppe!!!” –Esclamò Asher, evitando l’affondo di una spada, a cui Castalia dovette dar ragione, balzando di lato in lato per non essere trafitta allo sterno e venendo comunque colpita lo stesso. –“Atena, proteggici!!!”

 

Fu un arcobaleno di energia a porsi a difesa dei due Cavalieri, un tappeto di luce colorata che scintillò in mezzo al mucchio di Amphilogie, sollevandone alcune e spingendone altre indietro, prima che sottili fori si aprissero sulle loro corazze, tra grida improvvise di dolore.

 

“Altri Cavalieri di Atena?!” –Esclamò una delle figlie di Eris, osservando i due nuovi arrivati. Un ragazzo snello dai capelli biondi e dal carnato chiaro e una giovane donna dagli occhi verdi, entrambi rivestiti da luminescenti corazze dalle forme slanciate.  

 

“Non ad Atena siamo devoti, ma al fianco dei suoi paladini combattiamo!” –Parlò la ragazza, espandendo il suo cosmo. –“Elanor, figlia di Selene, Dea della Luna, è il mio nome! E proprio da quel solitario reame discendo per punirvi, ombre maledette!!! Falce di luna calante!!!” –Gridò, liberando un fendente di energia che sfrecciò tra le Amphilogie, abbattendone alcune e gettandone altre a terra, con le corazze danneggiate e sanguinolenti.

 

“E io sono Matthew, Cavaliere dell’Arcobaleno! Ma che ve lo dico a fare? Proverete adesso il potere dell’iride! La danza dei sette colori! Arcobaleno incandescente!!!” –La seguì l’altro, portando entrambe le braccia avanti e generando un tappeto di energia colorata che travolse in pieno le guerriere a lui di fronte,

 

“Matthew! Elanor! Lieti di rivedervi! Ma dov’eravate finiti?!” –Disse Asher, liberandosi di alcune Amphilogie, distratte dal rapido attacco dei seguaci di Avalon.

 

“È una lunga e sfortunata storia, Cavalieri di Atena! Nyx, la torbida e crudele, ha attaccato il Reame della Luna Splendente e siamo corsi ad aiutare Selene e Endimione!” –Rispose Matthew, senz’aggiungere altro. Ma il suo rammaricato sguardo fece capire all’Unicorno che tale missione non dovesse essersi conclusa con successo.

 

“Abbiamo fallito una volta. Non accadrà di nuovo.” –Chiosò Elanor, il cui sguardo deciso nascondeva ferite aperte ancora troppo fresche.

 

“Uccideteli tutti!!!” –Gridarono le Amphilogie, radunandosi e disponendosi a riccio, le lame rivolte verso l’esterno, come gli aculei dell’animale, in modo da coprire ogni possibile fronte d’attacco. Sia quello interno, verso il Santuario, dove Castalia e Asher si erano ricongiunti con Kiki e Kama, sia quello esterno, di fronte alle mura, dove Matthew ed Elanor erano da poco comparsi.

 

“Andate!” –Mormorò il Cavaliere dell’Arcobaleno. –“Ci occuperemo noi di loro! Così facendo, ci hanno facilitato il lavoro, in realtà!” –Aggiunse, sorridendo, prima che il suo corpo venisse rivestito di un alone di luce abbagliante, che, quando scemò, permise alle figlie di Eris di vedere che il ragazzo si era replicato in ben sette copie, che andarono circondando il mucchio di nemiche. –“Moltiplicazione!!!”

 

Prima ancora che le donne potessero comprendere la natura illusoria di quella tecnica, Elanor era già scattata avanti, l’indice destro carico di energia cosmica. –“Croci di luna!!!” –Gridò, liberando sottili raggi che trapassarono la gola di molte Amphilogie, balzando poi sui loro cadaveri e dandosi la spinta per saltare in alto, sopra il mucchio di avversarie.

 

“Ora!!!” –Esclamò ognuna delle sette copie di Matthew, portando avanti le braccia e liberando un arcobaleno di pura energia, che travolse le figlie di Eris, disorientandole ed esponendole all’assalto aereo di Elanor, che ne trafisse altre con i suoi raggi di energia. Atterrando nel mucchio, la primogenita di Selene sollevò lo Scudo di Luna, per difendersi dai colpi di lama mulinati dalle Amphilogie, prima di abbagliarle con un’onda di vivida luce scaturita dal Talismano. Accecate, non s’avvidero di una danza di colori di fronte a loro, una danza che era appena scaturita dalla cintura che ornava l’armatura di Matthew.

 

“Di sette minuti abbiam avuto bisogno per aver di voi ragione, cagne! Sette come i colori del mio arcobaleno!” –Disse il ragazzo, avvampando nel proprio cosmo. –“E qualora ve li foste dimenticati, eccovi un promemoria! Rosso, come il fuoco!” –Aggiunse, mentre il cristallo del rispettivo colore si accendeva sulla cinta della sua corazza e dal suo pugno divampava una fiamma ardente, in cui bruciarono un paio di Amphilogie, prima che una seconda pietra scintillasse. –“Blu, come il cielo profondo e sconfinato!” –Commentò, sollevando il braccio destro e portando con sé altre figlie di Eris, spinte all’improvviso verso l’alto, esposte al preciso taglio dei raggi di energia di Elanor. –“Giallo come…

 

“Non credo ce ne sia bisogno!” –Parlò allora la ragazza, avvicinandosi e chetando il proprio cosmo, permettendo a Matt di accorgersi che ormai tutte le Dee della Disputa erano state sconfitte. Ne era rimasta solo una, esposta all’incrociato attacco di Asher e Castalia, che la colpirono il primo al ventre, con il suo corno d’argento, e la seconda al volto, spingendola indietro, tra i cadaveri delle compagne. E allora tornò il silenzio, rotto solo dal respirare affannoso dei Cavalieri di Atena e di Avalon.

 

Kiki…” –Mormorò Elanor, avvicinandosi a passo lento.

 

Trovò il bambino crollato tra le braccia di Kama, che lottava per non perdere i sensi, sopraffatto da così tante emozioni da non riuscire a distinguerle. La figlia di Selene si inginocchiò accanto alla donna, mettendo una mano tra gli scombinati capelli del fratello di Mur, sforzandosi di trattenere le lacrime, poiché troppe ne aveva versate quel giorno. Tutti lo avevano fatto, e forse, si disse, era stato anche per colpa sua.

 

Se avesse obbedito agli ordini di Ascanio e di Avalon, se fosse rimasta al suo posto, al Cancello Orientale, anziché fuggire sulla Luna, nel disperato tentativo di salvare una madre che aveva scelto di voltare le spalle all’alleanza, forse Mur non sarebbe morto. Forse lei e Matthew, che aveva trascinato in quella sconsiderata impresa, avrebbero sconfitto Horkos, senza bisogno che altri morissero, senza bisogno che Kiki rimanesse senza un fratello. Sapeva, da ciò che Matt le aveva brevemente raccontato dei Cavalieri di Atena, che aveva appena perso la madre, rapita e di certo già uccisa dai servitori di Caos, per cui ben capiva come si sentisse.

 

“Mi dispiace…” –Singhiozzò. –“Se fossi rimasta…

 

“Se fossimo rimasti…” –Mormorò Matthew, concordando con i dubbi dell’amica.

 

“Potrai mai perdonarmi?!” –Disse Elanor, stringendo forte la mano del piccolo Kiki e donandogli un po’ del suo cosmo, un po’ del suo tepore, quello stesso calore umano di cui anch’ella aveva bisogno in quel momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 37
*** Capitolo trentaseiesimo: Il tramonto degli eroi. ***


CAPITOLO TRENTASEIESIMO: IL TRAMONTO DEGLI EROI.

 

Chirone del Centauro aveva appena vomitato per la terza volta.

 

Piegato in due, appoggiato al tronco di un albero nella vecchia foresta di Asgard, non riusciva a controllare gli spasimi che lo avevano travolto, mozzandogli il respiro, tanto violenti e continui erano stati quei colpi di tosse, e portandolo infine a rimettere. La vista offuscata, l’udito ovattato, la bocca impastata dai liquidi interni che premevano per uscire fuori, forzandolo a chinarsi di nuovo, maledicendo le proprie viscere in subbuglio. Una maledizione che invece avrebbe voluto dirigere contro il responsabile dei suoi patimenti improvvisi, il Nefario dello Zodiaco Nero che lo aveva appena infettato con una delle sue piaghe.

 

“Giornata splendida, non è vero, guerriero di Eracle? Per morire, intendo!” –Commentò sprezzante, avvicinandosi al corpulento combattente.

 

Chirone neppure gli rispose, faticando persino ad individuarne la sagoma davanti a lui. Basso, un po’ tarchiato, era rivestito di un’armatura color verde scuro, ben adatta per mimetizzarsi nei prati e nelle rigogliose terre da cui proveniva, ma che nelle lande asgardiane risaltava anche agli occhi stanchi del Centauro. Alle sue spalle, il demone che Chirone aveva atterrato poco prima, osservava incuriosito la scena, e anche un po’ intimorito dai poteri di cui Corb si stava servendo.

 

Corb dei Fomori. Corb il maledetto! Rifletté Alu, notando l’allungarsi di un ghigno sul volto del Nefario irlandese. Un volto puntellato di lentiggini e incorniciato da una folta chioma di capelli rossicci, dello stesso colore della barba incolta che spesso si divertiva ad arricciarsi. Al demone assiro non era mai piaciuto, fin da quando erano stati convocati dal Gran Maestro del Caos, e non solo per il suo odore nauseabondo, come se fosse stato immerso in una fetida palude, ma per il suo atteggiamento subdolo e nascosto, rivelato solo da quegli occhi avidi con cui scrutava i compari. Più che un uomo, ad Alu ricordava un folletto, uno di quei dispettosi ladruncoli di tante leggende celtiche a cui avrebbe volentieri tirato il collo. Ma le ferite che Chirone gli aveva inflitto erano ancora aperte e la sua corazza danneggiata, rendendogli difficile sollevarsi di nuovo in volo, così poté solo appoggiarsi con la schiena a un tronco millenario e godersi lo scontro in atto, certo che si sarebbe concluso presto.

 

“Sei un lurido vigliacco!” –Ringhiò Chirone, sputandogli in faccia tutto il suo disprezzo. –“È così che combatti? Colpendo a tradimento e sporcandoti poi le mani solo per il colpo di grazia? Miserabile guerriero da poco sei in verità!”

 

“In verità…” –Rise Corb, ormai piantato di fronte all’indebolito nemico. –“Non sono un guerriero! Non lo sono mai stato, né mi interessa esserlo! Ho avuto un ben diverso addestramento, non militare, non come il tuo, di certo! Ma come vedi ho saputo trarre vantaggio anche dalla mia diversità, da quella che qualcuno potrebbe etichettare come debolezza!” –Aggiunse, tirando un rapido sguardo verso Alu, che, di fronte a quei metifici occhi giallognoli, si ritrasse ancora di più dietro la corteccia dell’albero.

 

“Il tuo modo di lottare è da pavidi!” –Esclamò il fedele di Eracle, muovendo lesto un braccio e tentando di colpire il Nefario con un pugno in faccia. Ma questi si spostò alla sua destra, lasciando che Chirone fendesse l’aria, prima di colpirlo con un calcio alla schiena e gettarlo a terra, schiacciandolo poco dopo. Godette, Corb, di quei brevi attimi in cui vide l’avversario sguazzare tra il fango e il suo stesso vomito che chiazzavano la neve della millenaria foresta, incapace di rialzarsi e al tempo stesso scosso da nuovi conati che non riusciva a soddisfare.

 

“Bravo, resta a terra! Mi faciliti il compito di mandarti nei síde, ove terminano la loro esistenza tutti gli sconfitti come te! Ah ah ah!”

 

A quelle parole Chirone reagì. Poteva sopportare tutto, da soldato addestrato qual’era: il caldo, il freddo, la fatica, il dolore, persino l’idea di sguazzare tra i propri liquidi corporei. Ma non avrebbe mai accettato che qualcuno lo considerasse un vinto. La sola idea gli faceva accapponare la pelle, portandogli all’orecchio le risate di scherno di suo fratello e di suo padre, assieme ai quali aveva prestato servizio in numerose compagnie di ventura. Che cosa avrebbero pensato di lui, che si era fatto vincere da un folletto foruncoloso? Il Cavaliere del Conato Furioso, così lo avrebbero deriso, da qualunque mondo riposassero. E lui non voleva dare loro quella soddisfazione.

 

“No…” –Ringhiò, avvampando nel proprio cosmo infuocato. –“Non gliela darò mai! Soprattutto a mio padre, che non riteneva possibile che un giorno avrei guidato una compagnia tutta mia, una legione di cui sarei stato insignito comandante! E invece così è accaduto! Ribolli, mio cosmo! Ribolli, magma ardente!” –Esclamò, penetrando il suolo con la sua incandescente aura, che sciolse tutta la neve attorno, incendiando il terreno stesso e gli alberi che vi dimoravano, obbligando persino Alu ad allontanarsi.


“Ti consiglio di fare altrettanto, Corb!!!” –Guaì il demone assiro, senza pensarci due volte, ricevendo solo uno sguardo ostile di rimando.

 

“Stolto! Il tuo cosmo è ormai ridotto al lumicino, infettato dalle piaghe che comando! Le Piaghe degli Invasori!” –Sibilò il Nefario, ancora con il piede destro intento a schiacciare la schiena del guerriero di Eracle, da cui una violenta fiammata di energia proruppe all’istante, scagliandolo indietro. Fu agile, Corb dei Fomori, ad atterrare a piedi uniti al suolo, ma il suolo stesso si aprì poco dopo, sciogliendosi e sprofondando le sue gambe in un ammasso fuso di neve e magma, da cui tentò di divincolarsi, senza riuscirci, e anzi dovendo lottare per non sbilanciarsi e cadere a braccia tese nel ribollente stagno di cosmo.

 

“Forse è così… Forse il mio cosmo è davvero l’ombra della magnificenza di un tempo, quando comandavo la Sesta Legione degli Heroes, che in virtù del suo ardore in battaglia fu chiamata la Legione Furiosa! Ma non credere che basti un mal di stomaco per placare la mia furia, folletto! Parola mia, non basta affatto!!!” –Ruggì Chirone del Centauro, rialzandosi e portando avanti le braccia. –“Magma ardente, esplodi!!!”

 

Una devastante onda di pura lava si sollevò dietro di lui, sorpassandolo e avanzando impetuosa verso Corb, il volto deformato da un’improvvisa paura. Incapace di muoversi, le gambe ormai bloccate dal magma solidificatosi attorno ad esse, poté soltanto strillare disperato prima di essere sommerso e spazzato via.

 

Fiaccato ma soddisfatto di se stesso, Chirone crollò infine sulle ginocchia, respirando a fatica, prima di spostare lo sguardo sull’altro scontro in atto, a poca distanza da lui.

 

***

 

Nel cuore della foresta di Asgard, dove il casato dei Megres si era a lungo esercitato, Iro di Orione stava fronteggiando la carica cieca e selvaggia del Nefario che gli si era lanciato addosso non appena avevano incrociato il suo cammino. Non sapeva niente di lui, neppure il nome, non avendogli questi rivolto parola alcuna fin da quando avevano iniziato a battagliare.

 

Era alto, biondo, di chiara provenienza nordica, forse di quelle stesse terre in cui Eracle li aveva inviati per difenderle, ma soprattutto era rapido e preciso nel colpire. Letale, come un assassino provetto. Evidenziò, schivando l’assalto del nemico balzando di lato e contrattaccando all’istante, con tre raggi di energia che scaturirono dal suo indice. Tre raggi diretti al volto dell’avversario, che questi fu lesto a deviare muovendo il braccio destro, il cui pugno era ricoperto da un grosso guantone di una qualche lega metallica da cui spuntavano cinque lunghi e affilati artigli. L’unico tocco di colore, ironizzò Iro, in quel deserto di mutismo rappresentato dalla sua bianca armatura e dal silenzioso ma letale guerriero che la veste.

 

“A Chirone non è andata meglio, però!” –Osservò il Primo Comandante degli Heroes, avendo sentito l’indebolirsi del suo cosmo, prostrato da una strana infezione che di certo era stata scaturita da uno dei due Nefari che stava fronteggiando.

 

Il pensiero per le sorti del compagno lo spinse a reagire, cercando una strategia con cui aver ragione del suo nemico. Questo era, del resto, quel che ci si aspettava da lui, il campione di Tirinto. Il primo tra tutti gli Heroes, e non soltanto cronologicamente.

 

Così espanse il proprio cosmo, mentre il Nefario bianco si lanciava di nuovo alla carica, con gli aguzzi rostri rivolti al suo cuore, circondandosi da un intenso luccicare di stelle, così vivido da rischiarare la fioca visibilità del bosco. Un luccicare su cui si schiantò, stridendo, il guanto corazzato del servitore del Caos.

 

“Sorpreso, eh?” –Commentò Iro, incrociando lo sguardo dell’avversario. Occhi azzurri, gelidi come l’inverno, che non lasciavano trasparire emozione alcuna, tranne quella furia che gli faceva muovere i passi. –“La barriera che vedi a mia difesa nessuna mano umana potrà scalfirla! È una cinta che mi protegge da ogni pericolo, una cinta sorretta da tre stelle principali! Alnitak, la cintura! Alnilam, la fila di perle, e Mintak… aaa!!!” –Iro non riuscì a terminare la frase che venne spinto indietro, ferito da un rapido movimento del braccio del Nefario, il cui guanto aveva trapassato la barriera, lasciando spuntare i pericolosi artigli al suo interno. –“Co… come è possibile?! Mai nessuno, neppure gli antichi nemici del Vindice dell’Onestà, sono riusciti ad aver ragione della mia difesa! La cintura di Orione! Come puoi tu, silente ombra, essere riuscito a tanto?!”

 

Il nemico non rispose, osservando soddisfatto il proprio giocattolo e ripulendone le punte aguzze dalle schegge dell’armatura di Orione che aveva poc’anzi scalfito. Quindi, sogghignando divertito, scattò di nuovo all’attacco, mulinando il braccio in modo da generare continui reticolati di fasci di energia che si abbatterono su Iro da ogni direzione, falciando tutto quel che incontravano sul loro cammino.

 

Fu svelto, il Primo degli Heroes, a correre tra gli alberi, evitando di essere raggiunto da quegli aguzzi raggi, che distrussero rami e tronchi, pietre e mucchi di neve. Corsero per qualche minuto, girando intorno, tornando indietro e poi cambiando di nuovo direzione, decisi entrambi a stancare l’avversario, senza che nessuno dei due ne parve affatto turbato. Fu Iro, infine, ad interrompere lo stallo, sfruttando il gigantesco tronco di un albero caduto, usandolo per darsi la spinta e balzare in alto, fin quasi in cima alle fronde secolari, lasciando esplodere il proprio cosmo.

 

“Ascolta, sgherro di Caos, il rimbombo che scuote ogni cuore, anche il più malvagio! Odi il Tuono del Cacciatore!!!” –Esclamò fiero, scagliando l’assalto dall’alto verso il basso, ove il Nefario era rimasto.

 

Il violento attacco distrusse un po’ di rami sporgenti, prima di abbattersi su di lui, che mosse lesto il braccio destro, generando incessanti reticolati di energia, per smorzarne la furia. Quindi, proprio mentre Iro piombava su di lui, il pugno teso e carico di energia cosmica, il silenzioso membro dello Zodiaco Nero rimase immobile, limitandosi a drizzare l’arto al cielo, con gli artigli rivolti verso il guerriero di Eracle.

 

L’impatto fu devastante, ben peggiore di quanto Iro si fosse immaginato. Non solo la sua massima tecnica non aveva piegato il Nefario, ma il rostro metallico gli aveva persino squarciato la corazza di Orione su un fianco, raggiungendo la carne e ferendolo, mentre lui era riuscito solo a crepare la sua armatura, distruggendogli l’elmo. Così, vicini l’uno all’altro, i due avversarsi poterono scrutarsi meglio, ma niente di ciò che vide nel volto austero del nemico rassicurò il Primo tra gli Heroes, spingendolo ad allontanarsi all’istante.

 

Non fu però svelto a sufficienza, venendo intercettato, nel balzo all’indietro, dal rapido movimento dell’arto del Nefario, che calò ratto sul piede di Iro, inchiodandolo a terra, trafitto da un paio di artigli del suo guanto micidiale, strappandogli un grido di dolore. Ghignando eccitato, il guerriero del Caos levò lo sguardo su di lui, sfoderando un sorriso perfetto e limpido, come il bianco immutabile della sua corazza, un biancore che contrastava con la sua furia sanguinaria.

 

Una bestia, nient’altro che una bestia pericolosa! Convenne il fedele di Eracle, poggiandogli la mano sul petto e sprigionando un’onda di energia che lo spinse indietro, un’onda che il Nefario sfruttò per darsi lo slancio e compiere un’agile capriola a mezz’aria per atterrare di nuovo a piedi uniti. Incredibile! Non ho mai visto un uomo così preparato atleticamente! Una vera e propria macchina da guerra!

 

“Non considerarlo un uomo! Ormai non lo è più!” –Una voce ruppe il silenzio della foresta, portando Iro a guardarsi attorno con attenzione, temendo un secondo attacco. Fu accanto ad un albero poco distante che individuò una sagoma in armatura rossastra, che avanzava caracollando, ferita e sanguinante, riconoscendola all’istante. Era uno dei demoni che aveva lasciato a combattere con Chirone.


“Che ne è del mio compagno?” –Subito gli chiese.

 

“Non della sua già segnata sorte dovresti preoccuparti! Ma della tua! Le piaghe dei Fomori non lasciano speranza, motivo per cui mi sono allontanato, per non esserne infettato del pari! Ma contro Grendel anche tu poco puoi fare, solo sperare che ti finisca in fretta, senza torturarti, senza giocare con i tuoi organi interni, come è solito fare dopo aver vinto qualcuno!”

 

“Grendel? È questo il suo nome?!” –Chiese Iro, riportando l’attenzione sul biondo guerriero dalla corazza bianca, intento ad osservare compiaciuto il centellinare del sangue nemico sulle lame del suo guanto. –“Non era una bestia mitologica?!”

 

“Non lo siamo forse tutti?! Ih ih ih! Spiriti maligni, anime colme d’odio, demoni e creature infernali! Il Gran Maestro del Caos ci ha richiamato per servirlo, facendoci dono di queste corazze! Ma per Grendel ha mostrato una simpatia particolare, ornando la sua armatura di un particolare ornamento, come avrai notato! Unico, tra i dodici, a disporre di un guanto di mithril!”

 

“Che… cosa?!” –Esclamò Iro, rabbuiandosi. –“E dove l’ha trovato? È materiale rarissimo quanto pregiato! Persino il Sommo Efesto di ben poco ne disponeva e il Fabbro di Tirinto, il coraggioso Leandro, non ha mai avuto l’onore di lavorarlo!”

 

“Non so cosa dirti, guerriero di Eracle! So solo che il Maestro del Caos disponeva di un frammento di mithril, trovato o rubato chissà dove e chissà quando! A Grendel ne ha fatto dono, a Grendel che ha cullato, allevato e cresciuto personalmente nel corso di questi ultimi anni, da quando lo trovò, quasi morto per ipotermia, in uno dei suoi viaggi nel nord del mondo! In uno dei suoi pellegrinaggi alla ricerca di fantomatici talismani! Lo trovò e ne fu attratto, ammirando la tenacia con cui quel ragazzetto biondo, tutto ossa, fosse riuscito a rimanere in vita nonostante il freddo, nonostante i pochi stracci che aveva addosso! Convinto che avrebbe potuto farne un guerriero letale, lo portò con sé, addestrandolo e facendolo divenire quel che adesso è! Un sicario perfetto, freddo come il ghiaccio e silenzioso come la neve! Desisti, Iro di Orione, ti risparmierai una fine dolorosa!” –Concluse Alu, lasciandosi cadere con la schiena contro un albero, stanco e ferito.

 

“Mai! Che guerriero sarei, se rinunciassi alla lotta! Come potrei essere il Primo tra gli Heroes? Il primo tra i fuggitivi sarei, in tal caso!”

 

“Come credi…” –Mormorò il demone assiro, mentre Grendel, che si era trastullato abbastanza, rimirando il gingillo di cui il suo maestro gli aveva fatto dono, riportò lo sguardo su Iro, espandendo il proprio cosmo. Senz’altro attendere, il Nefario bianco scattò avanti, generando nuovi affilati fendenti energetici, che il fedele di Eracle fu svelto a contrastare con la sua barriera, sollevata qualche metro avanti a sé, per non ripetere il precedente errore.

 

Uno dopo l’altro, i reticolati di energia del Grendel vi si schiantarono, senza riuscire a superarla, obbligando il guerriero a lanciarvisi contro, il guanto teso avanti a sé e pronto per dilaniarla. Fu allora che il cosmo di Iro esplose, concentrandosi in tre stelle che brillarono vivide nella cintura difensiva.

 

“Alnitak! Alnilam! Mintaka! Esplodete!!!” –I tre astri rilucettero come grani d’oro, abbagliando Grendel, che, accecato, non riuscì a scalfire la barriera di Iro, prima di spingerlo indietro, danneggiando la sua corazza alle gambe e al ventre. Costretto ad arretrare, il biondo guerriero fissò il rivale con astio, imprecando sconosciute parole contro la Cintura di Orione, prima che un’idea guizzasse nella sua mente. Ghignando, piantò il rostro di mithril nel suolo, scavando in profondità, prima di fare forza e sollevare l’intera zolla di terra davanti a sé, su cui anche Iro si ergeva, scagliandola in aria. Preso alla sprovvista da quell’inusuale strategia, il fedele di Eracle barcollò, mentre Grendel si lanciava in alto, mirando al suo cuore con i gelidi artigli.

 

I riflessi del Primo Comandante gli permisero di evitare l’affondo, proprio mentre la gravità li faceva cadere verso terra, assieme a mucchi di terriccio e neve. Ma anche in quel momento Grendel tentò di trafiggere l’avversario, spostando il braccio verso di lui, che però si aspettava quella mossa e aveva già unito gli arti per bloccare il pericoloso guanto, afferrando il Nefario per il polso e fermandolo.

 

Caddero a terra così, Iro intento a tenere a distanza quel rostro maledetto e Grendel che ululava, ringhiava, emetteva versi osceni nel tentativo di riprendere possesso del suo arto. Con il braccio sinistro, colpì il guerriero di Tirinto al volto, al mento, sul naso, massacrandolo di pugni, mentre già le gambe studiavano la postura più adeguata per bilanciare il peso e strappar via il manufatto che Iro stava trattenendo.

 

Fu però ancora una volta il Primo tra gli Heroes a sorprenderlo, torcendogli il polso all’improvviso e gettando il Nefario schiena a terra, assieme alla consapevolezza di non poter più muovere la mano, priva ormai di sensibilità. Con un calcio violento, Iro allontanò il nemico da sé, schiantandolo contro un albero e sommergendolo sotto un cumulo di neve che crollò su di lui, strappando una risata ad Alu che, seduto poco lontano, osservava divertito lo scontro. Non passò che un attimo che già il cosmo biancastro del Grendel annientava neve e albero, mentre il guerriero si rimetteva in piedi a fatica, tenendosi il polso rotto con la mano opposta.

 

“Tempo di scrivere la parola fine sulla tua nefasta esistenza! Sento cosmi inquieti esplodere all’interno delle mura di Asgard e dubito che quel damerino di Shen Gado e l’Ase della Luna riescano ad occuparsi di tutti loro! La mia presenza è necessaria altrove, Grendel! Cedi il passo!”

 

Il Nefario mosse impercettibilmente la bocca e Iro capì che non l’avrebbe fatto. Anche senza più l’artiglio su cui tanto faceva affidamento, avrebbe continuato a combattere. Per cosa poi? Si chiese il fedele di Eracle, bruciando il cosmo fino al parossismo, abbagliando persino Alu da quanto intensa era la sua aura.

 

Tuono del Cacciatore!!!” –Imperò Iro, liberando il devastante assalto appreso da Eracle secoli addietro. Grendel tentò di opporvisi, muovendo il braccio destro con l’ausilio del sinistro, ma i fendenti che riuscì a scatenare, ben più deboli dei precedenti, non poterono frenare l’urlo di Orione, che lo investì in pieno, distruggendo la sua armatura e la pelle al di sotto, fino a schiantarlo a terra, in una pozza di sangue. Rossa, come un colore che non aveva mai segnato la sua vita, dominata soltanto dal bianco.

 

Stanco per il violento scontro e con ferite aperte a un fianco e a un piede, Iro si appoggiò ad un albero, per regolarizzare il respiro. Sapeva che non era ancora finita. Alu lo attendeva pochi passi più in là ma il demone, stranamente, non sembrava avere fretta alcuna, intento ad osservare l’aria attorno, ad annusarla quasi, prima di riportare lo sguardo su di lui. Uno sguardo che, Iro lo notò, era di terrore puro.

 

***

 

La sconfitta di Polemos prese Chimera alla sprovvista, strappandogli un vagito di sorpresa, fastidio e dolore. Un crogiuolo di sentimenti diversi, sospinti dal vento dei ricordi, che sfociò in un urlo gravido di collera, un urlo che anticipò l’esplodere del proprio cosmo. In un attimo si sbarazzò di Reis e Jonathan, scaraventandoli lontano, scheggiando le loro armature dorate, prima di lanciarsi verso la riva del Nilo.

 

Furono Bastet e Horus a sbarrargli il passo, indeboliti ma mai proni. La prima scattò al suo fianco, cercando di colpirlo con una miriade di fasci di energia, il secondo planò dall’alto, sostenuto dalle ali argentee della Veste Divina, deciso a sbatterlo a terra con un calcio volante. Ma entrambi fallirono, forzando il biondo guerriero a fermarsi e ad occuparsi di loro, non più per gioco o divertimento bensì per ucciderli.

 

Con un solo colpo di coda afferrò un piede del Dio Falco, prima che lo raggiungesse alla nuca, strattonandolo e lanciandolo contro l’allieva di Sekhmet, facendoli ruzzolare a terra. Non pago, caricò la gamba destra di energia cosmica, calandola al suolo e godendo di fronte all’improvvisa vampa che scaturì dal terreno sotto i suoi nemici, che li scagliò molti metri in alto, travolti e dilaniati da zanne energetiche simili a quelle di una fiera sanguigna.

 

“E ora… l’ultimo colpo!” –Sibilò, balzando in alto, il pugno carico di cosmo violaceo. –“Morite, Dei d’Egitto! Fauci delle tre bestie!!!”

 

Il poderoso assalto investì Horus e Bastet, ferendoli in più punti, non solo dove le corazze non coprivano i loro corpi ma anche dove fino ad allora non avevano subito danni, esposti ad una furia che pareva essere persino aumentata, nonostante la lunghezza dello scontro. Fece il possibile, il figlio di Osiride, per proteggere se stesso e la Dea Gatta, afferrandola e tirandola a sé, prima di aprire le ali e offrire la schiena all’attacco avverso, sperando così di limitare i danni. Fu mentre precipitavano a terra, prima di schiantarsi e perdere i sensi, che Horus realizzò che il potere del guerriero oscuro era triplice, come la bestia del mito. E forse, si disse, ricordando il mito di Chimaira, non solo la sua forza è tale. Ma anche la sua natura.

 

Sbarazzatosi degli ultimi Dei egizi, Chimera poté raggiungere infine le devastate rive del Nilo, vagando con lo sguardo alla ricerca del corpo del suo mentore, senza riuscire a individuarlo. Frustrato, scagliò un violento pugno di energia contro l’acqua, sollevandola e finendo persino per schizzarsi.

 

“Non lo troverai più!” –Disse allora una voce, costringendo il biondo soldato a voltarsi verso colui che aveva appena parlato. Un uomo alto dai capelli verdi, rivestito da una corazza arancione, di certo un membro della guardia scelta da Amon Ra per difendere Karnak. –“La corrente deve averlo già portato oltre! Chissà magari è già oltre i templi di Abydos o magari si è arenato presso Qeda!”

 

“Osorkon dice il vero! Il Nilo non perdona! Il Nilo sa cosa avete fatto quest’oggi, come avete rovinato le sue terre, e non ti permetterà di riunirti al demone che ha scatenato quest’inferno!” –Aggiunse un altro guerriero, dai lunghi capelli violetti, affiancando il compagno, rivestito di un’armatura di simile fattura.

 

“Quel demone…” –Strinse i pugni Chimera, parlando a denti stretti. –“Era il mio mentore, il mio maestro! Colui che mi ha addestrato e mi ha permesso di scoprire la mia vera natura! E voi, che ardite starmi di fronte, presto conoscerete la furia delle tre bestie!”

 

“Le bestie come te sono destinate solo al macello! Carne per carogne sarai!” –Gridò l’uomo chiamato Osorkon, spalancando le ali della corazza e spiccando un balzo. –“Sei con me, Tutmosis?”

 

“Come sempre!” –Si limitò a rispondere l’altro, espandendo il proprio cosmo. Ma prima ancora di liberare un qualunque colpo segreto, Chimera era già sfrecciato verso di lui, evitando i miseri affondi del Faraone del Falco Sacro e afferrando il compagno per il collo.

 

“Tutmosis!!!” –Gridò Osorkon, muovendosi per tornare indietro, in suo aiuto, prima che la serpentiforme coda di Chimera lo afferrasse per le gambe, chiudendogliele e sbattendolo a terra, con la faccia sulla sabbia ai guerrieri egizi tanto sacra.

 

“Taci! Non voglio più udire la vostra ridicola voce! Non voglio più sentirvi respirare! È inammissibile che vermi come voi, i primi che dovrebbero cadere in una battuta di caccia, siano ancora in piedi e il mio mentore, Nume Supremo della Guerra, sia stato vinto! Io… non lo accetto!!!” –Ringhiò il biondo seguace di Caos, liberando il suo cosmo ardente, che percosse l’intero corpo di Tutmosis, facendolo ballare, folgorato da migliaia di scariche energetiche potenti al punto da distruggere la corazza del Faraone delle Sabbie e impedirgli qualsiasi contromossa. Non riuscì neppure a parlare, il fedele di Amon, neppure per rivolgere un’ultima preghiera al Dio per cui sarebbe morto. Poté solo rimirare gli occhi rossastri di Chimera, saturi di un odio che non aveva mai visto in nessun essere umano. E quella fu l’ultima immagine che vide, prima che il suo corpo si schiantasse e la sua anima scivolasse verso Amenti.

 

“Ma… maledetto!!!” –Avvampò Osorkon del Falco Sacro, che intanto smaniava, nel disperato tentativo di liberarsi dalla coda di Chimera.

 

“Non t’agitare troppo, ragazzetto! Non crederai che voglia ucciderti così, mentre ti dibatti come la selvaggina afferrata da una tagliola? Oh no, ti lascerò correre, scappare, piangere tutte le lacrime che vuoi, e intanto ti darò la caccia, ti stanerò e infine ti sgozzerò, gettando il tuo cuore ai coccodrilli del Nilo!” –Rise il guerriero dai capelli biondi, la cui aura cosmica stava schiacciando Osorkon a terra.

 

Proprio in quel momento una gigantesca fiammata spazzò via gli ultimi golem creati da Jared, gettando il Nefario a terra, con la corazza danneggiata e la pelle ustionata in più punti. Sin degli Accadi, a poca distanza, lo intimava a rialzarsi, per dargli il colpo di grazia, non amando infierire su inermi avversari. Dall’altro lato del campo di battaglia, quello rivolto verso Karnak, Andrei e Phoenix avevano appena sollevato un muro di fuoco, uno sbarramento atto a chiudere all’Armata delle Tenebre qualsiasi via verso il tempio di Amon. Ringhiando furioso, il discepolo di Polemos vide che il muro di fiamme si stava espandendo anche ai lati, assumendo in fretta la struttura di un rettangolo aperto solo su un lato, quello rivolto verso di lui. Verso il Nilo.

 

“Fuoco o acqua.” –Rifletté, sondando con il cosmo l’intera area, alla ricerca dei potenti compagni giunti con lui in Egitto. –“Due modi diversi per morire, entrambi non gratificanti per l’armata che avrebbe dovuto radere al suolo questo vetusto tempio, facendone la prima base per la successiva avanzata verso nord.”

 

Dei cosmi di Keres e Lissa non trovò traccia, neppure all’interno di Karnak. Apate e Disnomia erano cadute, e probabilmente anche Oizys, per quanto di quelle infide Astrazioni non gliene fregasse niente. I Lestrigoni erano stati quasi tutti abbattuti, eccezion fatta per un’ultima decina, riuniti al centro del perimetro fiammeggiante con i Nefari sopravvissuti. Ben pochi per riuscire ad abbattere l’Angelo di Fuoco, il Cavaliere Divino e Amon Ra! Senza contare i quattro seguaci di Avalon ancora vivi, e il Cavaliere d’Oro che ha vinto Beira! Dovette ammettere Chimera, volgendo lo sguardo verso est, oltre Karnak. Oltre l’Egitto.

 

Là, presso il porto di Ghalib, dove Forco e i suoi sottoposti sarebbero dovuti arrivare, marciando poi sul tempio dal lato opposto, cingendolo in un massiccio assedio. Dove diavolo è finito quell’idiota? E che ne è dei guerrieri dei mari che si vantava di aver restaurato? Maledetto lui e tutta la sua genie mostruosa! Spero abbia una spiegazione soddisfacente per la sua defezione! Quindi, comprendendo di non poter fare altro, vociò ai Nefari e al resto dell’Armata delle Tenebre di ritirarsi.

 

“Mio Signore, non ce lo permetteranno! Non ci lasceranno andare via!” –Lamentò Jared, il volto per metà ustionato dalle fiamme del Selenite di Marte.

 

“Ci penseranno i Lestrigoni ad offrirci una possibilità di fuga! Mi avete sentito? Voi, grossi giganti deformi, dimostrate che il Lord Comandante non aveva sbagliato a volervi in squadra! Avanzate, coraggio! Marciate compatti verso i nostri nemici! Marciate verso la fine di tutto!!!” –Imperò, spingendo i robusti soldati avanti con la propria aura cosmica, permettendo al resto dell’esercito e ai tre Nefari sopravvissuti di ricongiungersi a lui.

 

“Do… dove credete di andare?!” –Rantolò il Faraone delle Sabbie, disteso sotto di lui.

 

“Torniamo a casa, idiota! E tu verrai con noi! Misera preda, ma meglio di niente!” –Chiosò Chimera, stordendolo con un pugno in testa. Quindi diede ordine al Wendigo di metterselo in spalla, prima di avvolgere il resto delle truppe nel suo cosmo e invocare l’aiuto dell’ancestrale Divinità cui erano fedeli. Lui li avrebbe protetti. Lui li avrebbe ricondotti al Santuario delle Origini, dando loro una seconda possibilità.

 

Non riuscì a trattenere un gemito di dolore, che mutò presto in uno strillo disperato, quando l’ombra di Caos si allungò su di loro, sovrastandoli e inglobandoli in una nube oscura, dentro la quale, uno dopo l’altro, vennero massacrati.

 

“Pietà! Pietà, mio Signore!!!” –Gridò Chimera, mentre artigli di tenebra dilaniavano i soldati che fino a poco prima avevano lottato in suo nome. –“Non è stata colpa nostra! Forco ci ha abbandonato! Lui è il colpevole… luiii!!!” –Strepitò, al pari dei Nefari, sentendo il sangue ribollire nelle vene, le corazze schiantarsi, le ossa scricchiolare, sul punto di esplodere. Quindi, quando temette che sarebbe davvero stata la fine, la nube nera svanì, evaporando all’istante, come non fosse mai esistita.

 

Guardandosi attorno, l’allievo di Polemos vide che erano di nuovo nel deserto del Taklamakan, di fronte alla Porta della Notte. Allora, e solo allora, si concesse di cadere in ginocchio sull’arido suolo, vomitando sangue e chissà quale liquido interno, prima di voltarsi verso coloro che erano rimasti, i pochi fortunati a sopravvivere ad una collera così oscura. Jared, Eogan, il Wendigo, e la carcassa di Osorkon del Falco, ultimo Faraone delle Sabbie a morire per Amon Ra. Del resto dell’Armata delle Tenebre non erano rimaste neppure le ceneri.

 

“Forco, tu sia dannato per l’eternità!!!” –Ringhiò Chimera.

 

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Capitolo 38
*** Capitolo trentasettesimo: La fine di un sogno. ***


CAPITOLO TRENTASETTESIMO: LA FINE DI UN SOGNO.

 

Toru osservava sconvolto i cadaveri di Maru e Tara, gli amici al cui fianco era cresciuto e diventato uomo. Lui, con il costato sventrato dallo scettro di Forco, lei, con quel che restava del corpo segnato da violacee ustioni, dovute al veleno contenuto nella sua corazza che aveva infine liberato. Quello stesso veleno che aveva prostrato Forco a terra, costringendolo ad un dispendio di forze che mai si sarebbe aspettato di sostenere.

 

È stata brava, rifletté il figlio di Ponto e Gea, l’Areoi di Diodon ad affondare gli aculei laddove il Narvalo aveva poc’anzi colpito, trovando terreno facile alla diffusione del suo potere. Pur tuttavia l’ingenua ragazza non aveva considerato chi aveva di fronte. Un Dio, anzi il Dio. L’unico Signore dei Mari, l’unico che adesso possa fregiarsi di tale titolo! Si disse, fiero di sé, rialzandosi e osservando il devastato piazzale di fronte al Palazzo di Corallo, dove pochi ancora resistevano al suo progetto di dominio.

 

Fiaccato dalle perdite recenti, il Comandante degli Areoi lo fissava con rabbia e presto avrebbe scatenato di nuovo le sue fauci. Al contrario, Nettuno era ancora a terra, il cosmo ormai l’ombra di quel che era stato un tempo. Delle due guerriere ben poco se ne caleva, così come dei Seleniti già feriti, ma di Toru avrebbe dovuto occuparsi, e avrebbe dovuto farlo subito, prima di varcare la soglia del Palazzo di Corallo e prendere quel che voleva. Così, senza dire alcunché, concentrò il cosmo sul palmo della mano, volgendola poi verso il discendente di Afa, schiacciandolo a terra e schiantando la sua bianca corazza in più punti. Rise, Forco, vedendo con quanta foga, con quanta ostinata foga, il giovane tentava di resistere, di rialzarsi, di contrastare quella pressione che di certo doveva ricordargli quella che chiunque provava nuotando a tali perigliose profondità. Per quanto vi fosse abituato, quel peso era troppo per essere sostenuto da solo, anche per Toru.

 

Fu una voce amica a venirgli in aiuto, mentre un fendente di energia cosmica squarciava il suolo di fronte al tempio, spezzando la concentrazione di Forco.

 

Taglio delle Onde!!!” –Esclamò una giovane figura, portandosi davanti al suo Comandante, il braccio destro carico di cosmo, il sinistro invece piegato davanti a sé.

 

Kohu…” –Balbettò Toru, affannando nel rialzarsi. –“Che fai qui? Vattene via, è pericoloso!”

 

“Non più di rimanere inerme ad aspettare gli eventi, ad aspettare che questi mostri ci portino via la nostra casa, Comandante! La nostra terra!” –Spiegò l’Areoi dell’Istioforo. –“Inoltre, non sono venuto da solo!” –Aggiunse, prima che una figura avvolta nel suo cosmo bluastro scattasse dietro di lui, liberando il suo colpo segreto.

 

Frecce del Mare!!!” –Gridò Nesso del Pesce Soldato, scagliando un nugolo di dardi di energia acquatica verso Forco, che non ebbe problema a spostarsi ad una velocità maggiore, evitandoli tutti. Quindi, quando l’attacco scemò d’intensità, mosse il braccio, generando un’onda di energia cosmica che ruggì furiosa verso il ragazzo, strappando un grido a Kohu e Toru, dietro di lui. Ma Nesso non si fece prendere dal panico, sparando un arpione contro una guglia del Palazzo di Cristallo e lasciandosi tirar su dal cavo proprio mentre il maroso scrosciava sotto di lui.

 

Sorprendendo Forco, con quell’agile mossa, il fedele di Eracle si lasciò cadere sul nemico, attaccando dall’alto con una selva di frecce di energia.

 

“Quel ragazzo non ha paura di niente, nemmeno della morte! Mi ricorda Pegasus!” –Giudicò Tisifone, osservando sbalordita la scena. –“Ma vi incorrerà presto se non lo aiutiamo!” –Le fece eco Titis, correndo avanti e sfiorando il suolo. –“Sottile trama corallina!!!” –Disse, evocando un colorato strato di coralli che andò sorgendo attorno ai piedi di Forco, intrappolandolo quel breve attimo che fu sufficiente a distrarlo dall’attacco di Nesso.

 

Tisifone, Kohu e Toru approfittarono proprio di quell’attimo per scagliare i loro colpi segreti, ognuno da una direzione diversa. Il Cobra Incantatore, il Taglio delle Onde e le Fauci dello Squalo Bianco coprirono in un lampo la distanza dal Nume, abbattendosi su di lui in un turbine di scariche e fendenti energetici.

 

Graurrr!!!” –L’urlo di Forco non tardò ad arrivare, anticipando il sollevarsi di un’onda di colore blu notte, che si espanse attorno a lui, investendo tutti i combattenti e trascinandoli molti metri addietro, con le corazze danneggiate. –“Come osate? Pagherete cara la vostra avventatezza!!!” –Gridò, osservando le scheggiature che costellavano la sua Veste Divina, solo una minima parte del fastidio che essere sfiorato da luride mani umane generava in lui. Mani di Heroes e di Areoi, mani di Cavalieri di Atena, mani che, a modo loro, credevano di appartenere a chissà quale eroe leggendario. Ma lui, che negli eroi non credeva, poiché tutti quelli considerati tali avevano sempre sconfitto e piegato le potenze e gli abitanti dei mari, un simile vilipendio non poteva accettarlo e adesso lo avrebbe estirpato.

 

“Si fermi, mio Signore! Non si sporchi le mani! Lasci a me costoro, provvederò a spazzarli via con un colpo solo! Anzi, con un corno solo!” –Esclamò allora una voce maschile, mentre un guerriero in armatura azzurra avanzava verso il Palazzo di Corallo, camminando a passo tranquillo lungo la via che proveniva dalla Conchiglia Occidentale.

 

Meritursas, sei tu?!” –Lo riconobbe Forco. –“Meglio tardi che mai! Che ne è degli altri?”

 

Il Quinto Forcide scrollò le spalle, prima di appuntare la sua attenzione sugli avversari che nel frattempo si stavano rialzando. Con un agile balzo fu su Kohu, colpendolo con un calcio al mento e sbattendolo a terra, facendogli sputare sangue e qualche dente rotto, poi calò il pugno destro su di lui, ma trovò un’improvvisa singolare protezione a sua difesa.

 

Vela bianca!!!” –Esclamò il ragazzo, che aveva mosso il braccio sinistro in fretta, espandendo la materia cartilaginosa di cui era dotato, creando un’ampia vela triangolare che usava come scudo.

 

“Ridicolo!” –Lo schernì l’Iku-Turso, tempestandola di pugni.

 

“Ehi, pesciolino!” –Lo chiamò allora una gioviale voce, fischiando il suo nome. –“Fatti mettere in gabbia!” –Aggiunse Nesso, tenendosi il braccio destro col sinistro, ritto davanti a sé, e sparando dalla protezione dell’armatura un arpione che andò a piantarsi in una coscia del Forcide, strappandogli un grido di dolore. –“Oplà!!!” –Esclamò il guerriero di Eracle, strattonando il cavo e gettando l’Iku-Turso a terra.

 

“Quando hai finito di giocare, sai dove trovarmi, Quinto Forcide! Mi aspetto che tu venga presto a rendermi omaggio!” –Parlò Forco, scuotendo la testa e iniziando a salire i gradini che conducevano all’interno del Palazzo di Corallo, da cui una strana nebbia pareva fuoriuscire, una bruma oceanica che prima non aveva notato.

 

Forco!!! Torna indietro!!!” –Ringhiò Toru, scattando avanti. Ma l’Iku-Turso, che nel frattempo si era tolto l’arpione di Nesso dalla gamba, aveva appena afferrato il cavo, strattonandolo e tirando il ragazzo avanti, scaraventandolo proprio contro l’Areoi dello Squalo Bianco.

 

“Avete sentito il mio Signore? Mi aspetta nel suo nuovo palazzo, ai piedi del trono dei mari! Non fatemi perdere tempo, bambocci!” –Esclamò il Quinto Forcide, espandendo il cosmo e portando avanti entrambe le braccia, mentre una mandria di buoi di schiumosa energia cosmica caricava i tre guerrieri. –“Tuonen härkä!!!”

 

“Dietro di me!!!” –Gridò allora Kohu, ponendosi di fronte a Nesso e a Toru, con la bianca vela sollevata per proteggerli. Non resse molto, quella misera protezione, dilaniata dagli affilati corni dei Buoi della Morte, ma permise loro di subire l’assalto soltanto di striscio, sfruttando quel tempo per rifiatare.

 

Tuhatsarvi!!!” –Imperò allora l’Iku-Turso, poggiando una mano al suolo e infondendovi il proprio cosmo, che si palesò sotto forma di mille corna di oscura energia che spuntarono dal suolo sotto i piedi dei tre combattenti, aggirando la Vela Bianca di Kohu. –“Epiteto veritiero, questo che fu dato alla bestia che rappresento! Possiede davvero mille corna velenose! Oh, non l’avevate notato? Sentirete presto gli effetti di quelle ferite, si propagheranno nei vostri corpi malati fino a consumarvi!”

 

“Che una viscida carogna tuo pari possa sconfiggere il predatore dei mari è un’eresia!” –Esclamò Toru, rialzandosi a fatica, trattenendo i conati allo stomaco e scuotendo la testa di continuo, per mettere a fuoco l’immagine del suo avversario che appariva sempre più sfuocata. –“Che sia cieco o sordo, poco importa! Non tapperai le Fauci dello Squalo Bianco!!!” –Avvampò, portando avanti il braccio e scagliando il suo colpo segreto, cui il Forcide rispose con la carica dei Buoi della Morte, lasciando scontrare i due attacchi e balzando poi indietro, evitando l’onda di ritorno, a differenza dell’indebolito Toru, che venne travolto e sbattuto a terra.

 

“Ormai lo squalo è diventato un pesce rosso, a giudicare dal sangue che fuoriesce dalle ferite aperte! Poche in verità! Quante sono? Neppure un centinaio! Lascia che le aumenti! Lascia che diventino mille, come le corna del Padre delle Nove Malattie! Tuhat...” –Ma l’Iku-Turso non riuscì a terminare la frase che il suo braccio venne strattonato con forza, da un robusto tentacolo metallico che glielo torse all’indietro, costringendolo a guardare in faccia la sua nuova avversaria.

 

“Alcione!!!” –Esclamò Nesso, felice di rivederla. –“Sei viva!!!”

 

Dietro di lei arrivarono Sirio e Ascanio, avvolti nelle loro aure cosmiche, i corpi segnati dalle fatiche sostenute; in particolare il Cavaliere di Avalon appariva ben più malridotto di quando Toru, Tisifone e Titis lo avevano visto l’ultima volta.


“Ancora per poco!!!” –Ringhiò il Forcide, che già aveva affrontato la donna qualche ora addietro. Strinse il tentacolo con l’altra mano, mandandolo in frantumi, prima di evocare la mandria di Buoi della Morte, che lo attorniò da ogni lato, le lunghe corna aguzze pronte a immergersi nei corpi dei suoi nemici. –“I buoi di Tuoni, Signore dell’Oltretomba presso i popoli finnici! Che vi portino tutti a Tuonela! Che vi portino all’inferno!!! Tuonen härkä!!!”

 

L’attacco devastate si irradiò verso ogni direzione, piombando alla stessa velocità sia su Toru, Nesso e Kohu, ancora intenti a difendersi dietro quel che restava della Vela Bianca, sia su Sirio, Ascanio e Alcione che su Titis e Tisifone, cercando ognuno di proteggersi alla meno peggio. I discepoli di Dohko scatenarono la furia dei draghi di Albion e Cina, che dispersero gran parte degli armenti energetici, permettendo anche alla fedele di Eracle di ripararsi dietro di loro. La sirenetta sollevò una barriera di coralli, ma venne subito distrutta dall’impeto dei Buoi della Morte, che si abbatté sulle due guerriere, ferendole in più punti. Fu però un cosmo ben noto, assopitosi negli ultimi minuti, a salvarle da morte certa, ergendosi di fronte a loro, le mani alzate sopra la testa, a reggere un dorato manufatto.

 

Un corno di conchiglia.

 

Mio… Signore…” –Mormorò Titis, prima di perdere i sensi tra le braccia di Tisifone, riconoscendo colui che le aveva protette.

 

Corno di Tritone!!!” –Esclamò Nettuno a gran voce, risucchiando dentro la conchiglia la mandria di armenti di Tuoni.

 

“Come osi, spregevole Dio minore, opporti a un emissario del grande Forco?!” –Ringhiò l’Iku-Turso, espandendo il proprio cosmo e avanzando verso il Cronide.

 

“Come osi tu, uomo, pensare di rivaleggiare con me?!” –Ironizzò quest’ultimo, prima di rivolgersi a Sirio e ad Ascanio. –“Forco è all’interno! Dovete fermarlo prima che prenda la Perla dei Mari!” –I due compagni annuirono, prima di scattare verso l’ingresso del Palazzo di Corallo, seguiti da uno zoppicante Toru.

 

“Dove credete di andare? La morte è qui per voi ed ha il volto di Tuoni!” –Vociò il Quinto Forcide, evocando un nuovo gregge di Buoi Neri.

 

“No, Iku-Turso! Solo per te!” –Sentenziò Nettuno, puntandogli contro il Tridente del Re Pescatore e liberando una violenta scarica di energia, così potente da schiantarlo contro un edificio, tra i frammenti insanguinati della propria corazza. Respirando a fatica, il Dio crollò infine sulle ginocchia, sorreggendosi alla sua arma, voltando poi lo sguardo verso il cuore dell’Avaiki, dentro il quale un violento scontro era in atto.

 

***

 

“Va’ a controllare!” –Gli aveva detto Hina, quando aveva sentito scontrarsi le energie di Forco e di Nettuno, proprio fuori dal palazzo ove a lungo aveva dimorato, ultima di una stirpe di guardiane che risaliva ai tempi di Antalya.

 

Asterios aveva esitato un momento, combattuto tra la ragione e il cuore, una sensazione che non aveva mai provato fino a quel giorno. Del resto, perché mai avrebbe dovuto provarla prima? In quale occasione? Forse nei secoli trascorsi sulla Luna, a strimpellare una cetra per allietare cinquanta belle fanciulle che non poteva nemmeno sfiorare? O ad osservare Endimione e Selene amarsi, baciarsi e vivere quella vita felice che solo due innamorati potevano sognare? Eppure anche lui, un tempo, si era unito a una donna, a una mortale, e da quell’unione era nata Hina. Certo, come gli aveva detto suo fratello, era stata una necessità di servizio, dettata dal dover mantenere una Alii alla guida dell’Avaiki.

 

“E quale migliore Alii della figlia di uno degli Angeli?” –Gli aveva sorriso Avalon, complimentandosi per il buon lavoro svolto.

 

Un lavoro sì, in fondo non era stato altro, e così doveva essere. Avalon aveva ragione, loro non dovevano immischiarsi nelle faccende umane, non dovevano legarsi, non aveva alcun senso farlo. Erano immortali, destinati a vivere migliaia di anni, fino all’avvento dell’ultima ombra, e destinati a veder morire tutti coloro che avrebbero amato. Perché, quindi, rovinarsi così? Andrei aveva fatto un errore simile e l’aveva pagato caro. E Alexer? Anche lui forse non era stato sul punto di…?

 

“Va’! Sono in grado di reggere la barriera da sola!” –Continuò Hina. –“Adesso che tutti i nostri nemici sono dentro l’Avaiki, non ho più niente da temere dagli abissi oceanici!”

 

Sua figlia aveva ragione. Aveva sentito anche lui l’esplodere dei cosmi di Sirio e Ascanio, nella Conchiglia Occidentale, e dallo squarcio nel muro poteva vedere persino la tozza figura di Forco battagliare con Nettuno con un’agilità che quel fisico non sembrava dover permettere. Ma Forco era un Dio, un Nume ancestrale, e avrebbe sfoderato la stessa forza anche se avesse avuto l’aspetto di un vecchio decrepito. Non era forse anche il suo caso? Non erano anche loro Quattro (o Cinque, in verità) degli Dei? Creature partorite all’alba dei tempi e destinate a durare fino alla fine del ciclo cosmico. Quanti altri esseri senzienti avevano goduto dello stesso destino? Asterios sorrise, ritenendo di poterli enumerare sulle dita delle mani, prima che una nuova detonazione lo portasse ad accelerare il passo verso l’uscita dal Palazzo di Corallo.

 

Fu allora che notò la nebbia, che lo circondava già da qualche istante. Una grigia cortina così fitta come mai l’aveva vista fino ad allora. Non dovette pensarci due volte per capire che non era naturale, bensì sorretta da un cosmo nemico che di certo era vicino a loro. A chi può appartenere? Si chiese. Di certo non a Forco, che sta ancora lottando con Nettuno! E poi non è il suo stile! Sarà opera di uno dei suoi scagnozzi, qualcuno così codardo e debole da dover ricorrere a questi mezzucci per mettere in difficoltà il proprio avversario.

 

Non che io lo sia, in fondo! Ironizzò, concentrando i sensi e individuando tre macchie scure nella nebbia. Tre veloci macchie che guizzarono verso di lui, costringendolo a bruciare il cosmo e a frenarne l’avanzata con un solo gesto della mano. Rimase però stupito nel constatare che non vi era niente davanti a lui, solo un’ombra. La stessa che un attimo dopo apparve alla sua destra, replicandosi in due nuove copie che di nuovo parvero convergere sull’Angelo, pur senza raggiungerlo mai.

 

“Hai un modo piuttosto subdolo di combattere!” –Parlò infine Asterios. –“Ma forse sei troppo debole per uno scontro aperto, non è così? Beh, ti dirò una cosa, hai sbagliato avversario! La nebbia, forse non lo sai, ma è formata da gocce d’acqua sospese in aria ed io, tra i Quattro, sono colui che domina l’elemento acqua!” –Chiosò, espandendo il proprio cosmo che si irradiò attorno a lui sotto forma di lunghe lance che fendettero la fitta nebbia, brillandovi per un breve istante prima di ritirarsi, e portare con sé tutte le gocce d’acqua, liberando la sala da quella foschia.

 

Aaahhh!!!” –Gridò in quel momento Hina, ruzzolando ai piedi della colonna ove era poggiata la Perla dei Mari.

 

Asterios si voltò giusto in tempo per vedere un uomo rivestito da una corazza azzurra ergersi dietro il basamento, lo stesso uomo che le aveva appena sventrato un fianco con un singolo colpo di mano. –“Maledetto! Come osi?!” –Avvampò l’Angelo di Acqua, inorridendo nel vedere l’anziana figlia distesa a terra, in una pozza di sangue.

 

“Oserò molto di più se ti avvicini!” –Sibilò l’avversario, chinandosi sulla donna e intingendo il braccio nello squarcio aperto, facendola sussultare dal dolore. –“Perciò sta’ fermo lì! Voglio solo prendere una cosa e poi me ne andrò!”

 

“Una cosa?! La Perla dei Mari?!”

 

L’uomo non rispose, limitandosi ad alzarsi, tirando Hina con sé, e ad avvicinarsi alla sfera di luce, dentro cui vorticavano fatue evanescenze. Nonostante l’avesse vista svariate volte, in occasione delle visite che tutti gli Areoi compivano alla grande Alii, era la prima volta che poteva rimirarla da vicino. La prima volta che poteva toccarla.

 

“Non ti permettere, bestia!!! Tieni lontane le luride zampe!!!” –Esclamò Asterios, puntando una mano verso di lui, sul cui indice lampeggiava già una smeraldina energia. Ma l’uomo fu svelto a porre Hina davanti a sé, offrendola come scudo a chiunque avesse osato colpirlo.

 

“Beh? Non volevi attaccarmi?!” –Ghignò, fissando l’Angelo di Acqua negli occhi e godendo della collera mista alla frustrazione che nuotavano nelle sue iridi. –“Avanti, fallo! Che aspetti? Se vuoi impedirmi di prendere la Perla dei Mari dovrai uccidermi e lei morirà con me! Non è la tua missione questa?”

 

Fu la voce di Hina a rompere il silenzio che seguì a quelle parole, la debole voce di una donna che aveva vissuto abbastanza da saper riconoscere la fine.

 

“Fallo!” –Si limitò a dirgli. Ma Asterios ancora non riusciva a decidersi, forzando il nemico ad affondare ancora di più nel fianco della vecchia, strappandole un sussulto di dolore, senza che fosse però accompagnato da alcun lamento. –“Credi davvero che non sia pronta alla morte? Solo chi ha vissuto male la teme davvero! Solo chi sa di aver sprecato l’unica esistenza che gli è stata concessa! Puoi anche aver cambiato nome, Moeava, ma non pensare che non abbia riconosciuto il tuo cosmo oscuro, non pensare di essere cambiato! Sei ancora il solito discolo malvagio, consapevole di non valere alcunché, di non essere degno di diventare un Areoi!”

 

“Zitta, strega!!!” –Le gridò in faccia l’uomo chiamato Moeava. –“È tutta colpa tua, tua e di quel bastardo di Toru se non ho mai avuto l’investitura che mi spettava! Ma ora avrò la gloria, quella eterna! Un vero peccato che tu non possa vedermi adesso, mentre ti strappo quel che hai di più caro!” –Ringhiò, trapassandole del tutto il ventre con il braccio e gettandola poi a terra, scagliandola lontano con un calcio.

 

Asterios corse subito da lei, sollevandole la testa e afferrandole un braccio, sentendo la forza vitale abbandonarla. Avrebbe voluto dirle qualcosa, forse che era colpa sua, che l’aveva messa al mondo confinandola a una vita di privazioni e stenti, e a una morte atroce, ma lei gli parlò con il cosmo, lenendo i suoi affanni e ringraziandolo.

 

“Non avrei potuto desiderare vita migliore!” –Gli disse, sorridendo. –“Servire come Grande Madre di questo Avaiki è stato un onore. E adesso, finalmente, dopo tutti questi anni, ritroverò coloro che ho amato, coloro che il tempo mi ha portato via. Non vorresti, un giorno, godere anche tu di questo dono, padre mio?” –Non aggiunse altro e spirò, mentre la sua anima già riluceva diafana nella Perla dei Mari.

 

“È mia!” –Parlò allora Moeava, fissando il globo azzurro con sguardo estasiato, quasi spiritato. Rimase un attimo ad osservarla, rapito dai giochi di luce che provenivano dal suo interno, affascinato dalle sottili figure che parevano nuotare in un mare immenso, prima di afferrarla con entrambe le mani, sollevandola.

 

Nooo!!!” –Gridò Asterios, scattando avanti.

 

Ma era troppo tardi. Troppo tardi per tutto.

 

Una fitta intensa scosse il Quarto Forcide, facendo vibrare tutto il suo corpo, rimasto lì, in piedi di fronte al pilastro sacro, lo sguardo fisso sulla Perla dei Mari che riluceva tra le sue mani. La bocca aperta, quasi nell’atto di urlare al mondo il suo dolore, le palpebre sollevate, le iridi che andarono schiarendosi sempre più, fino a divenire bianche, al pari dei capelli. Quando ciò accadde, quando la vita lo abbandonò, crollò di lato, a terra, rigido come una statua, mentre la sfera azzurra rotolava via dalle sue mani, fermandosi al centro del Palazzo di Corallo, proprio di fronte ad Asterios. Brillò per l’ultima volta, poi si spense, apparendo infine come una sfera di roccia e niente più.

 

“Incredibile!!!” –Mormorò una voce alle spalle dell’Angelo di Acqua, che, voltatosi, trovò Forco in piedi davanti a lui, ad osservare la scena con un misto di incredulità e orrore negli occhi. –“Il potere di quel manufatto è tale da poter dare vita o morte a chiunque lo sfiori! L’Isonade è stato uno stupido a non valutare il rischio!”

 

“La brama di potere acceca la mente anche dei più scaltri, dovresti saperlo, Dio che tanto hai atteso nell’ombra il giorno del riscatto solo per macchiarti delle stesse colpe dei tuoi predecessori!” –Giudicò Asterios, fissando Forco con sguardo deciso.

 

“La morale rivolgila a qualcun altro! Sono qui per un motivo e porterò a termine il mio piano, offrendo a Caos la Perla dei Mari! Lui non correrà pericolo alcuno, lui saprà tenere a bada le anime che vi dimorano, cibandosi della loro forza!”

 

“E come credi di prenderla? Come credi di superare l’Arconte di Acqua che ti si pone davanti?!” –Ironizzò Asterios, espandendo il proprio cosmo, che iniziò a brillare di mille luci verdastre attorno a sé.

 

“Vincendolo, come ho vinto tutti coloro che mi si sono parati davanti, uomini e Dei!” –Avvampò l’altro, scattando avanti, di fronte allo sguardo divertito dell’avversario, che indicò un nugolo di lucciole celesti che danzavano attorno a lui. –“Che sono questi insetti luminescenti?!”

 

“Falene d’acqua! Lasciati guidare dalla loro luce, lascia che ti portino via!” –Cantò l’Angelo, nelle cui mani era apparsa una cetra d’avorio, sfiorando le corde dello strumento e generando un motivetto che parve animare le falene, dirigendone il volo verso Forco, che si ritrovò circondato e ricoperto da migliaia di insetti di luce.

 

“Ridicolo!!! Hai idea di chi hai di fronte? Sono il figlio di Ponto e di Gea, ultimo Signore dei Mari, colui che guiderà il più grande regno del pianeta dopo che i Progenitori avranno annientato la razza umana! Non sono uno che puoi sconfiggere con questi trucchetti?!” –Esclamò rabbioso il Nume, lasciando esplodere il proprio cosmo, con cui annientò tutte le falene che lo avevano attorniato.

 

Ad Asterios bastò pizzicare la cetra per sollevare una bolla di energia dentro cui si riparò, per difendersi dall’attacco, senza mostrare il benché minimo cenno di stupore. Continuò a solleticare le corde dello strumento finché la furia di Forco non parve placarsi e il Nume crollò sulle ginocchia, respirando a fatica, chiedendosi il perché di quella stanchezza improvvisa. Solo allora, osservando la propria Veste Divina, notò che era costellata di piccole chiazze nere, proprio dove le falene si erano posate.

 

“Mi hai...”

 

“Succhiato via l’energia vitale?!” –Annuì Asterios, smettendo di suonare la cetra e avanzando verso l’indebolito Dio. –“La natura vuole equilibrio, Forco, e tu l’hai violentato, assalendo un regno che non aveva mai preso parte ad alcuna operazione bellica sul pianeta, un regno che aveva scelto di vivere in pace! Non hai dimostrato rispetto per coloro che dimorano nel mare, perché dovrei averne io per te, colui che ordinato questa strage? Colui per colpa del quale mia figlia è morta?!”

 

Forco non disse niente, limitandosi a spostare lo sguardo sul cadavere della Alii, che stava rinsecchendo in fretta, mentre un’espressione di dubbio gli comparve sul volto.

 

“Com’è possibile? Come può quella vecchia essere tua figlia? Avrà almeno cento anni!!!”

 

“Duecentosedici, per l’esattezza!” –Precisò Asterios. –“Duecentosedici anni trascorsi al servizio di una comunità che tu hai distrutto!” –E in quel momento l’ombra di un dubbio lo invase, portandolo a voltarsi di scatto verso la cima del palazzo e guardando oltre, fino alla cupola che proteggeva l’Avaiki.

 

Forco approfittò di quel suo momento di distrazione per lanciarsi su di lui, gettandolo a terra con una spallata e colpendolo al volto con un pugno. Rotolarono per qualche metro al centro dell’ampio salone, prima che una scossa improvvisa riscuotesse entrambi, portando Asterios a reagire d’istinto. I suoi occhi lampeggiarono, sbalzando il Dio nemico indietro e distruggendo parte della sua corazza; quindi, vedendo che questi non accennava ad arrendersi, sollevando le braccia per evocare la grande onda al suo comando, lo anticipò, aprendo le dita della mano davanti a sé.

 

Lance di acqua!” –Tuonò, trapassando Forco allo sterno con cinque lunghe aste di energia, fino a inchiodarlo alla parete alle sue spalle, mentre una nuova scossa faceva tremare il Palazzo di Corallo e l’intero Avaiki.

 

“Cosa succede?! Che sta succedendo, Asterios?!” –Sirio e Ascanio entrarono in quel momento nel salone, osservando la morte regnarvi sovrana e rivolgendosi all’unico che, sia pur ferito, ancora si ergeva.

 

“Quello che temevo! Senza il cosmo della Alii a sostenerla, la barriera che sorregge l’Avaiki sta cedendo! Tra poco tutte le Conchiglie saranno invase dall’acqua che, senza difesa, piomberà su questo regno, annegando chiunque vi si trovi!”

 

“Maledizione!!!” –Strinse i pugni il Cavaliere della Natura. –“Come possiamo impedirlo?!”

 

“Non possiamo! Solo la Alii può sobbarcarsene il peso, motivo questo della sua esistenza!” –Chiosò l’Angelo di Acqua, frustrato.

 

“Posso offrirmi io per sostenere la barriera!” –Si fece allora avanti Sirio, ma Asterios lo frenò subito.

 

“No! Il tuo destino è lottare contro Caos assieme ai tuoi compagni, non trascorrere il resto della vita isolato nelle profondità oceaniche!”

 

“Eh eh eh…” –Un gorgoglio sommesso li raggiunse in quel momento, portandoli a voltarsi verso Forco, dalla cui bocca stava uscendo un rivolo di sangue. –“Pare che alla fine avrò la mia vittoria! Il popolo che mi fece il gran rifiuto sarà condannato ad essere rifiutato dal mare stesso!”

 

“Questo non accadrà!” –Esclamò deciso Asterios, prima di rivolgersi a Sirio e Ascanio. –“Evacuate immediatamente l’Avaiki! Fatevi aiutare da Nettuno e dagli Heroes! Portate in salvo quanti più Areoi potete! Io ve ne darò il tempo!”

 

“Mio Signore…” –Mormorò Ascanio, comprendendo quel che l’Angelo voleva fare. –“Non vorrete rimanere qua sotto?”

 

“Se mia figlia ci ha vissuto in solitudine per duecento anni, posso trattenermi anch’io quel tempo che ancora resta alla Terra prima di sprofondare nell’ombra, non credi, Ascanio Pendragon?” –Gli sorrise Asterios, prima di incitarli ad agire. Subito.

 

Nooo!!! Maledetti!!! Ve lo impedirò!!!” –Ringhiò allora Forco, facendo esplodere il proprio cosmo e liberandosi dalle lance di energia acquatica. Fece per avventarsi sui discepoli di Dohko, ma un muro di falene azzurre gli si parò davanti, una barriera così fitta su cui andò a schiantarsi, mentre quelle migliaia di insetti di luce gli ricoprivano il corpo, il volto, entrandogli persino in bocca, nel naso, nelle cavità auricolari, per succhiargli via fino all’ultima stilla di energia.

 

“Che fine orribile!” –Mormorò Sirio, distogliendo lo sguardo. –“Se la merita!” –Chiosò Ascanio, mettendogli una mano su una spalla e correndo fuori, mentre il suolo tremava ovunque attorno a loro e le volte delle Conchiglie parevano schiantarsi da un momento all’altro.

 

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Capitolo 39
*** Capitolo trentottesimo: Presagi. ***


CAPITOLO TRENTOTTESIMO: PRESAGI.

 

Erebo era sorpreso di vedere Pegasus davanti a lui, in discreta forma fisica e vestito di una nuova armatura, ancora più lucente della precedente. Un’armatura intrisa di ichor al punto che poteva essere considerata una vera e propria Veste Divina. Non ebbe bisogno di domandare come l’avesse ottenuta, gli bastò spostare gli occhi su Zeus, percepire la fiacchezza della sua aura cosmica e comprendere. Accanto al Nume c’era Atena, la Vergine dallo sguardo scintillante, bardata di tutto punto, persino di Egida e Lancia di Nike. E poco distante l’Arconte di Aria si era liberato del nevoso terriccio precipitato su di lui, aiutato anche da Eir, che gli stava curando il braccio infettato dall’ombra.

 

Muovendo lo sguardo su tutti loro, il Tenebroso capì di essere circondato. Capì che i nuovi arrivati non si erano disposti a caso, bensì in modo da formare un triangolo con Alexer ed Eir nella punta settentrionale, Pegasus e Cristal nell’angolo rivolto a ovest e Atena e Zeus in quello orientale. Un triangolo di cui Erebo rappresentava il centro.

 

“Dunque è finita? Mi avete cinto d’assedio?!” –Mormorò. –“Dovrei implorare pietà? Pregarvi di non colpirmi tutti assieme? Dovrei tremare atterrito come un coniglio in mezzo a un branco di lupi? È questo che vorreste, vero Pegasus?!”

 

“Di sicuro sarebbe un inizio, canaglia!” –Rispose questi, il cui pugno sollevato lampeggiava ancora di azzurra energia, strappando una risata alla genie di Nyx.

 

“Ebbene, te lo concedo! Un premio per la tua ricomparsa dagli inferi! Un brivido di terrore corruga la fronte dell’impaurito Erebo! Uuh, sto tremando!” –Sghignazzò il Nume, contorcendosi su se stesso. –“Ed in effetti è vero! Ma dal ridere! Eh eh eh!” –Aggiunse, lasciando esplodere il proprio cosmo, che si espanse come un gigantesco globo di energia oscura tutto attorno a sé, inghiottendo il devastato ingresso alla Valle di Cristallo e abbattendosi poi sui membri dell’alleanza.

 

Cristal tirò Pegasus a terra, sollevando un piano di ghiaccio su cui l’attacco scivolò, come già fatto in precedenza, passando sopra di loro e limitandosi a scuoterli con piccole scariche di energia. Eir e Alexer si appiattirono contro quel che restava della montagna, unendo i cosmi per generare un muro a ripararli dalla detonazione imminente, come pure Atena e Zeus, curvi dietro lo scudo della Dea, che scricchiolò nelle sue mani, come fosse sul punto di schiantarsi da un momento all’altro.

 

“Boom!” –Rise divertito il Tenebroso, sollevando le braccia al cielo e lasciando che tutta l’energia accumulata esplodesse, travolgendo i vari combattenti e scagliandoli in alto, facendosi beffa delle loro difese. –“E ora che siete alla mia mercé, teneri e succosi coniglietti, ecco le zanne del lupo cattivo! Ecco le mie daghe d’ebano!” –Ringhiò, roteando su stesso, con il braccio destro teso avanti a sé, e bombardando tutti loro con una pioggia di oscuri strali.

 

“Bastardo!!!” –Strinse i denti Pegasus, cercando di recuperare una postura corretta, aiutandosi con le ali dell’armatura, e di contrastare quel diluvio nero con il suo cosmo scintillante. –“Cristal, aiutami!” –Ma il ragazzo, indebolito dal prolungato scontro, era stato raggiunto in più punti del corpo dalle daghe di Erebo e adesso stava precipitando a terra, gemendo di dolore. –“Maledizione! Resisti, amico mio!”

 

Fu uno scintillare argenteo ad afferrare il Cavaliere del Cigno, tirandolo fuori dal raggio d’azione dell’assalto di Erebo e facendolo finire proprio tra le braccia di un vecchio compagno.

 

“Andromeda!!!” –Esclamò Pegasus, felice di rivederlo.

 

“Giusto in tempo, a quanto pare!” –Sorrise il ragazzo dai capelli verdi, depositando Cristal a terra.

 

“Perché ci hai messo tanto ad arrivare? E dov’è Phoenix?”

 

“Mio fratello è in Egitto! Siamo reduci da una lunga storia, che vi racconterò non appena avremo un momento per noi. Se mai lo avremo.” –Chiarì l’allievo di Albione.

 

“Dubito che ciò accadrà, Andromeda! Il tempo sta esaurendosi, per tutti voi! Ma non crucciarti per il tuo ritardo, sei giunto in tempo per danzare con me!” –Ghignò allora una voce cavernosa, sfrecciando fuori dalla nube nera e avventandosi su di lui. –“Non abbiamo ancora avuto il piacere di conoscerci! Io sono Erebo, Signore dell’Oscurità Infernale, e massacratore di uomini e Dei, senza distinzione alcuna! Non vorrei certo apparire scortese!” –Ridacchiò, mentre le dita della mano destra si caricavano di nera energia che subito diresse sul Cavaliere di Atena. –“Danza di daghe!!!”

 

Fu svelto, Andromeda, a sollevare la catena di difesa, generando una muraglia così fitta che persino Erebo ebbe difficoltà a identificare il ragazzo al suo interno.

 

“Che carino questo gioco! Davvero divertente! Ma dimmi, Andromeda, credi davvero che quel vorticare isterico di catene possa impedire ai miei strali di raggiungerti? Ai miei strali così… sottili?!” –Rise il Nume, riducendo lo spessore dei singoli dardi di energia oscura, che adesso sembravano degli spilli. Spilli dalla punta velenosa in grado di insinuarsi tra gli anelli della catena e colpire chi si ergeva dietro di essi.


Aaargh!!!” –Gridò Andromeda, raggiunto da un paio di strali. Tentò di resistere, ma ormai ad Erebo, che aveva compreso il trucco per superare le sue difese, bastò aumentare la quantità e l’intensità del suo assalto per spingere il ragazzo indietro, la corazza annerita in più punti, laddove i dardi neri l’avevano raggiunta.

 

Andromedaaa!!!” –Urlò Pegasus, espandendo il cosmo e preparandosi a caricare il nemico, mentre anche Cristal, in posizione opposta alla sua, faceva altrettanto. In un lampo la pioggia di stelle azzurre e una bufera di gelo riempirono l’aria, piombando su Erebo da ambo i lati, mentre il Nume sgusciava via, lasciando che i due attacchi si colpissero tra loro e i due Cavalieri finissero entrambi a gambe all’aria.

 

Sghignazzando soddisfatto, il Tenebroso ricomparve a mezz’aria, osservando lo sfacelo che, in così poco tempo, aveva generato. Sfacelo che era andato aumentando da quando il numero dei partecipanti a quello scontro era raddoppiato.

 

“Sembra che Cristal se la cavasse meglio senza di voi! Pur tuttavia ero stanco di giocare solo con lui! In gruppo è molto più divertente! Inoltre, sono incuriosito da alcuni di voi!” –Commentò Erebo, girando attorno ai vari combattenti, sempre sospeso a mezz’aria, e strusciandosi il mento con fare assorto. –“Oh no, non tu, Zeus! Ormai hai ben poco da offrire a questo ciclo del tempo cosmico! La tua folgore si è spenta, l’Olimpo è un colle d’erta brulla, la nidiata di figli bastardi che hai messo al mondo è già caduta nell’oblio! Ben pochi te ne restano, sebbene una, la qui presente Atena, sia molto affascinante in questa fanciullesca incarnazione!” –Le disse, avvicinandosi e allungando una mano, per sfiorarle una guancia. Ma Pegasus balzò subito davanti alla Dea, il cosmo sfrigolante attorno al pugno destro.


“Stalle lontano, carogna!!!” –Gridò, bersagliando il Nume Ancestrale con una raffica di sfere di luce, che Erebo si divertì ad afferrare, una dopo l’altra, roteando su se stesso, come fosse in una giostra.

 

“Al tuo posto, bamboccio!” –Intimò infine, rilanciandogli contro il suo stesso attacco, che spinse Pegasus indietro, salvato da Atena che si pose davanti a lui, con l’Egida rivolta al nemico. –“Ti è andata bene una volta, ma non sarà così una seconda!!!”

 

“No, non lo sarà!” –Tuonò allora Zeus, espandendo il proprio cosmo e scambiando una rapida occhiata con tutti i presenti, soprattutto con il Principe Alexer. –“A nessuno sarà data una seconda occasione! Questa… è la nostra unica possibilità per salvare il pianeta dall’ultima ombra! Perciò combattiamo, compagni! Combattiamo, uomini e Dei!” –Avvampò, mentre stuoli di folgori celesti danzavano attorno a lui, prima che questi puntasse l’indice su Erebo. –“Folgore Suprema!!!”

 

Fulmini siderali, vi invoco!” –Gli andò subito dietro l’Angelo di Aria, sommando il proprio assalto a quello del Cronide.

 

Ahu ahu ahu!” –Rise il Tenebroso, mitragliato da raffiche insistenti di saette. –“Dovrete invocare ben più di queste scintille cosmiche per aver di Erebo ragione! Anche se dubito vi siano Dei, più in alto di me, che possano rispondervi! Ma non preoccupatevi, presto tutti gli Dei saranno un unico Dio! Anzi, saranno in un unico Dio!” –Aggiunse, mentre la sua oscura aura cresceva attorno a sé, divenendo un globo che iniziò ad attrarre tutti i fulmini di Zeus e Alexer, accalappiandoli quasi fosse un magnete. Quindi, con un fluido movimento di braccia, sfiorò il bordo dell’immensa sfera con i palmi delle mani, dividendola e indirizzando ciascuna metà verso un avversario.

 

Il Cronide inorridì nel vedere il poderoso attacco, caricato delle sue stesse folgori, precipitargli addosso, divorando lo spazio rapido e famelico. Quasi non s’avvide che Atena, portatasi a lui di fronte, aveva appena sollevato l’Egida, gridando al divino genitore di unire i loro cosmi. A nulla valsero tali sforzi, poiché il Progenitore li sbaragliò in un istante, scaraventandoli molti metri a valle, i volti macchiati di sangue e sconfitta, le corazze scheggiate in più punti.

 

Peggiore sorte incontrarono Alexer, Eir e i Blue Warriors che in loro confidarono. Furono proprio questi ultimi i primi ad essere spazzati via dall’enorme sfera di energia, scagliati in alto e smembrati in tanti pezzi che piovvero sull’Angelo d’Aria, il cui cosmo, unito a quello dell’Asinna, fu appena in grado di contenere la furia del Nume, che li scagliò dentro la livellata montagna.

 

Quando tutto fu finito, ed Erebo poté sfregarsi le mani soddisfatto, c’erano rimasti solo Pegasus, Cristal e Andromeda in piedi davanti a lui, e di certo, convennero i tre, non era avvenuto per caso.

 

“Finalmente possiamo parlare! Senza che nessuno ci disturbi! Odio essere interrotto!” –Spiegò, fluttuando di fronte ai Cavalieri dello Zodiaco, su un tappeto di vapori neri da cui i tre amici tentarono di stare a distanza.

 

“Perché?! Volevi parlare con noi?!” –Sgranò gli occhi Pegasus, sospettoso.

 

“Solo uno scambio di battute, prima di cancellarvi dalla storia!” –Ghignò il Nume, sorridendo sotto la maschera terrificante che gli copriva la faccia. –“Sono incuriosito, lo ammetto, da voi! Da tutti voi, anche dai due che non sono qui adesso e che tentano, vanamente, di opporsi all’avvento dell’ultima ombra! Il Gran Maestro del Caos mi ha detto di guardarmi dai Cavalieri dello Zodiaco, mi ha detto che lo avete ostacolato più volte nel suo grandioso progetto di preparazione all’avvento e mi sarei fatto una grossa risata a queste parole se non fosse per un solo motivo!” –Esclamò, fermandosi e scendendo a terra, liquefacendo la neve su cui poggiò i piedi e annerendo il suolo attorno al solo contatto. Passò lo sguardo sui tre compagni, osservandone i tratti impensieriti, le fronti madide di sudore, gli occhi attenti e pronti a scattare al minimo segno di attacco, e annuì, quasi stesse cercando una conferma interiore. –“Ho visto come l’avete ridotto! Quel poveraccio ormai è un’ombra, destinata a vagare come tale fino alla fine dei tempi o finché Caos non lo riterrà meritevole di un dono, magari di un nuovo corpo! Non che gli ci voglia molto, a lui, a creare corpi, è il suo mestiere del resto! Ahu ahu ahu!” –Sghignazzò, tornando poi subito serio. –“Ma il corpo preposto ad ospitare un Angelo, sia pur oscuro, non può essere uno qualsiasi, non può appartenere a un comune essere umano, deve essere un ricettacolo sufficiente ad accogliere la sua coscienza e tutta la sua energia interiore! Per questo Anhar si era servito del Cavaliere di Virgo, il più potente tra i Custodi Dorati ancora in vita! E credere che a questo mondo possano esistere dei mortali in grado di ridurre un Angelo a quello stato… ebbene mi incuriosisce! Ma, intendiamoci, prima che vi facciate un’idea sbagliata, prima che la vostra umana mente cominci ad arrampicarsi su veroni di false speranze, c’è un abisso tra un Angelo, qualunque creatura sia, e un Progenitore! Potreste ucciderli tutti, per quel che mi riguarda, ed essermi comunque inferiori!”

 

“Questo lo vedremo subito!” –Avvampò Pegasus, scattando avanti, nonostante le grida di avvertimento di Cristal e Andromeda. –“Cometa lucente!!!”

 

L’abbagliante sfera di energia venne facilmente parata da Erebo, che si limitò ad aprire il palmo della mano destra, prendendone il controllo poco dopo, avvolgendola in una spirale nera, ma quando mosse il braccio per rimandargliela contro si accorse che il ragazzo non era più al suo posto. Con un colpo d’ali, era schizzato alla sua destra, il pugno già carico di energia lucente.

 

Fulmine di Pegasus!!!” –Tuonò, piombando sul Progenitore e forzandolo ad alzare anche il braccio sinistro, per parare quel secondo attacco. Di quel momento approfittò Andromeda, slegando la sua arma e lanciandola all’attacco, moltiplicandola in infinite copie, tutte dirette alle braccia del Nume, mentre Cristal, poco distante, aveva già iniziato a imprigionargli le gambe nel ghiaccio, il cosmo espanso fino al culmine.

 

“Una tecnica incrociata…” –Analizzò Erebo, guardandosi attorno. –“Interessante! Non dovrei stupirmi, considerando tutte le battaglie che avete combattuto assieme! Di certo vi conoscerete come fratelli, e come fratelli saprete cosa passa sempre per la mente dell’altro! Ma vedete… c’è una cosa che ho imparato sui fratelli… Hanno sempre il brutto vizio di preoccuparsi troppo l’uno dell’altro!” –Ridacchiò, bruciando la propria aura venefica, che respinse in un sol colpo le catene di Andromeda e la pioggia di stelle lucenti, dissolvendo lo strato di ghiaccio attorno alle gambe. –“Vediamo se è così anche per voi! Generosi o egoisti?” –Aggiunse, scattando avanti, mentre ancora Andromeda riordinava le catene, troppo veloce perché le stesse potessero scattare di nuovo a sua difesa. –“Altruisti o individualisti?” –Disse, poggiandogli una mano sul ventre e lasciando detonare il proprio cosmo, che scagliò il ragazzo molti metri addietro. –“Stolti o furbi?” –Terminò, voltandosi verso Cristal, che stava sollevando le braccia sopra la testa e falciandogli i polsi con una raffica di daghe nere, che gli strapparono un grido di dolore prima di lanciarlo a terra. –“Soli o insieme? Come volete morire?”

 

A quel punto c’era solo Pegasus ancora in piedi, la nuova corazza che fumava in più punti, il celeste splendore dell’opera di Efesto già affumicata da quell’aura venefica. Dovette ringraziare il Signore dell’Olimpo per essere ancora in vita, poiché la vecchia corazza, danneggiata ad Asgard e sulla Luna, di certo non avrebbe retto a tutta quella tenebra. Chiudendo le dita a pugno, e cercando di non pensare a quel maledetto formicolio che gli stava pervadendo il braccio infettato da Erebo sull’Etna, il ragazzo espanse il proprio cosmo, preparandosi per colpire di nuovo.

 

Era l’unica cosa che poteva fare, l’unica cosa che sapeva fare. Rialzarsi e rialzarsi ancora, finché la vita non l’avesse lasciato. Solo allora avrebbe avuto pace.

 

Iaiii!!!” –Gridò, sfrecciando verso il Nume, avvolto in uno sfavillio di luce che ben poco aveva da invidiare all’Aurora Boreale liberata ore prima da Igaluk. –“Cadi, tenebra malefica!!!”

 

“Ah ah ah! Perdonami ragazzo, ma non ne ho proprio l’intenzione!” –Sghignazzò Erebo, schivando l’affondo e portandosi alle sue spalle. Ma subito Pegasus roteò su se stesso, ripartendo alla carica, per quanto il Dio riuscisse ad evitare anche quell’assalto. –“Ti sei divertito anche troppo! Ora riposati! Per sempre! Dies

 

Tempesta di folgori!!!” –Intervenne allora una voce possente, mentre una raffica di fulmini celesti si abbatté su Erebo, piegandogli una spalla e strappandogli un moto di fastidio. Ciò permise a Pegasus di balzare indietro, mentre anche Andromeda e Cristal si rimettevano in piedi e due figure nelle loro Vesti Divine li affiancavano.


“Ragazzi, state tutti bene?” –Esclamò Atena, con il fiato corto.

 

“Ancora per poco!” –Li anticipò Erebo, sbucando fuori dal nugolo di folgori e fissandoli con quei suoi accesi occhi di brace.

 

“Incredibile! La divina arma sterminatrice, in grado di piegare persino il re dei Titani, pare solo fargli il solletico!” –Rifletté Zeus, alle spalle dei Cavalieri dello Zodiaco.

 

“Per la verità, figlio di Crono, la tua arma mi ha recato offesa!” –Sibilò il Progenitore, indicando la maschera che gli copriva il volto, la cui estremità era adesso scheggiata. Ne sfiorò l’orlo, ancora fumante per la scarica energetica che l’aveva raggiunto, e poi ruggì, sollevando la mano e caricando ciascun dito di oscura energia.

 

“Un misero risultato, padre! Dobbiamo impegnarci di più!” –Esclamò allora Atena, mulinando la lancia dorata e allungandola per infilzare il palmo di Erebo.

 

“Prudenza, figlia mia! Prudenza!” –Commentò Zeus, osservando il Nume evitare l’affondo e portarsi a destra dell’arma stessa, impugnandola con la mano e avvolgendola nelle sue tenebre.

 

“Ascolta il paparino, Atena!” –Parlò, a denti stretti, mentre lo splendore della lunga asta pareva svanire, risucchiato in un’oscurità senza fine. Vi fu un secco clangore e l’arma si spezzò, disintegrandosi in più punti, spingendo persino Atena indietro, la protezione per le dita danneggiata dall’onda oscura.

 

Non… è possibile! La Lancia di Vittoria! Dono di Nike! Nemmeno Etere era riuscito a piegarla!”

 

Umpf, non paragonarmi a quei due damerini che credono di essere perfetti!” –Sibilò Erebo, mentre Cristal e Andromeda aiutavano la loro Dea a rimettersi in piedi. –“Io sono a loro superiore! Io sono superiore a tutti!”

 

“Anche a Nyx?!” –Domandò allora Pegasus, attirando lo sguardo del Nume su di sé.

 

“Uh? Perché lo chiedi? Certo, anche a lei! Io sono l’Oscurità degli Abissi Infernali, che cosa può esservi di più tenebroso?!”

 

“Eppure Nyx ti ha generato da sola, senza bisogno di unirsi con nessun altro Dio! Lei è la Prima Dea! Lei è la Prima Nata dal Caos! Tu, Erebo, per quanto ti vanti tanto, sei solo il numero due!” –Esclamò il Cavaliere di Atena, avanzando verso il Nume. –“Eh sì, occhietti rossi, sei al secondo posto!”

 

“Come... osi?!” –Ruggì Erebo, per la prima volta travolto da un’irrefrenabile collera. Balzò su Pegasus, con il braccio destro già pronto per trafiggergli il cuore, ma all’ultimo istante questi spalancò le ali dell’armatura, sollevandosi in aria, lasciando il Nume a perforare il nulla.

 

“Ora!!!” –Intervenne Andromeda, scatenando la fedele catena nella più versatile configurazione. –“Melodia scintillante di Andromeda!!!” –E con essa gli afferrò i polsi e i calcagni, strattonando con forza, mentre già Cristal al suo fianco lo investiva con le glaciali correnti dell’aurora. –“Folgore Tonante!!!” –Concluse Zeus, colpendo il Nume in pieno petto.

 

Voi… Osate sfidare a tal punto la collera del Tenebroso?!” –Ringhiò Erebo, gonfiando i muscoli e aprendo le braccia di lato, lasciando che il suo cosmo esplodesse in tutta la sua sterminata ampiezza. Così vasto e terribile come mai lo aveva esibito fino ad allora, impressionando persino gli Dei.

 

Le catene di Andromeda andarono in frantumi, gli anelli d’avorio scintillarono di fronte agli occhi attoniti del Cavaliere, prima che venisse spinto indietro da un’onda di pura tenebra. Stessa sorte incontrò Cristal, il ghiaccio annerito, liquefatto, evaporato in una tossica nube che lo investì, prostrandolo a terra tra tosse e conati di vomito. Pegasus, che si mosse in aiuto dell’amico, venne afferrato per un piede, mentre ancora era in volo, e sbattuto a terra, così forte da aprire una fossa che presto si tinse di sangue.

 

“Pegasus!!!” –Gridò Atena, lanciandosi avanti assieme a Zeus, l’Egida sollevata e carica del suo caldo cosmo. Ma non fecero che tre passi prima che un maroso di energia nera li investisse, scheggiando le loro corazze, schiantando le ali della Veste Divina di Zeus e aprendo persino crepe lungo lo scudo di Atena, che sarebbe andato in frantumi se Erebo non fosse stato distratto da un insistente martellare di fulmini azzurri sulla sua schiena.

 

Voltandosi, dopo aver gettato gli Olimpi a terra, fulminò Alexer con uno sguardo ebbro di follia e rabbia, arrestando la sua corsa in soccorso degli Dei di Grecia e scaraventandolo indietro, fino a schiantarlo all’interno del massacrato rilievo ove fino a poche ore prima si ergeva il suo castello. Eir, che tentò di aiutarlo, andò incontro allo stesso destino, crollando nella torbida neve, con numerose ferite aperte sul corpo e un cosmo ormai troppo debole persino per rigenerarle.

 

Quando tutto fu finito, il Tenebroso placò il suo cosmo, rilassando le braccia lungo i fianchi e tirando un ultimo sguardo al cielo, ormai dello stesso colore della sua armatura e dell’aura che lo attorniava. Ebano.

 

Stanco per quell’esplosione imprevista, si lasciò cadere al suolo, stringendo cumuli di terriccio e neve tra le mani, osservandoli tingersi di una macabra tonalità di nero. Ripensando a quanto accaduto, sfiorò la maschera sul volto, toccando la parte scheggiata e guaendo, in un tono sommesso che, se qualcuno fosse stato sveglio per udirlo, avrebbe scambiato per un lamento. Forse un pianto.

 

Stringendo i pugni, ricordò a se stesso, e a tutti coloro che ardivano sfidarlo, che egli non era secondo a nessuno. Soltanto a Caos, a cui non era possibile non essere secondi. Quindi si rialzò, tirando un’occhiata verso nord: in lontananza, dove doveva ergersi il Palazzo di Midgard, fiamme rossicce rischiaravano il cielo e capì che l’assedio della cittadella era ancora in corso. L’Armata delle Tenebre e lo Zodiaco Nero scelti da Anhar e da Polemos parevano non essere in grado di vincere neppure un’infima battaglia. Aveva aperto loro la strada, eliminando tutti i principali ostacoli, e ancora non erano riusciti a prendere la fortezza? Inutili esseri inferiori! Li etichettò con disprezzo, sollevandosi nella sua aura tenebrosa e giurando a se stesso di farli fuori tutti prima che la notte giungesse a termine. Nessuno di loro, assediato o assediante, avrebbe visto l’ultima alba del mondo.

 

Con quel pensiero in mente si mosse verso la cittadella, quando una sagoma lucente gli sbarrò il cammino. Una sagoma ferita e sanguinante, dall’armatura celeste graffiata, annerita e scheggiata, ma decisa a non farlo andare oltre.

 

“Non abbiamo finito!” –Esclamò Pegasus.

 

“Così pare.” –Si limitò a rispondere Erebo, senza dare a vedere il proprio stupore per la perseveranza e la resistenza di quell’uomo.

 

“Finirà solo quando uno di noi sarà morto!” –Chiosò il ragazzo, espandendo il proprio cosmo. Il Nume fece altrettanto, ma prima ancora di muovere il braccio in avanti si accorse che altri due bagliori si erano appena accesi ai suoi lati. Una luce bianca e una luce rosa.

 

“Questa è la mia terra, adesso!” –Intervenne Cristal, affiancando l’amico a passo lento. –“Se morire devo, che sia per amore di coloro che voglio proteggere!”

 

“Come potrei lasciarvi da soli, a fronteggiare il destino avverso che, pur ferendoci e mettendo continuamente alla prova il nostro spirito, ci ha anche graziato dell’amicizia dei nostri fratelli? I compagni con cui abbiamo diviso la vita?” –Parlò Andromeda, avvicinandosi ai due. –“Se morire dobbiamo, sarà insieme, amici miei!”

 

“E sia, dunque!” –Disse Erebo. –“Fino alla fine!”

 

“Fino alla fine!” –Ripeterono i Cavalieri dello Zodiaco, bruciando i cosmi al massimo, unendo le loro fiamme vitali in una sola aura. Il Cigno, Pegasus e la Regina Andromeda apparvero nel cielo sopra di loro, in un tripudio di luci e stelle, mentre i tre compagni si posizionavano nella Postura della Triade, esclamando a gran voce. –“Urlo di Atena!!!”

 

Dies irae!!!” –Tuonò il Progenitore, liberando un’immensa massa energetica intrisa di tutta la sua rabbia, tutta la solitudine provata in millenni trascorsi nell’intermundi, da quando Caos aveva posto fine alla sua esistenza. Quel giorno, che gli Angeli avevano tanto paventato e che i Protogonoi avevano invece atteso, lui l’aveva atteso più degli altri, perché finalmente avrebbe potuto dare sfogo a tutta l’ira accumulata. All’ira che aveva accompagnato il suo cammino fin dalla creazione.

 

Lo scontro tra i due poteri fu devastante, una collisione di energie che saturò la fredda aria del nord, sfociando in una detonazione che squassò l’intera vallata, aprendo ovunque faglie e voragini. Persino le mura di Asgard, a miglia di distanza, tremarono, al pari degli strenui difensori che ancora vi combattevano. Persino Mani ed Eracle, che su quelle mura lottavano per cacciar indietro i nemici, rabbrividirono al pensiero che qualcuno potesse esserne entrato in contatto. La stessa Nave di Tirinto, sospesa in cielo sopra la cittadella, ove da poco era giunta, venne investita dall’onda d’urto, obbligando Neottolemo ad un’agile manovra d’atterraggio nel cortile interno, mentre travi e vele si schiantavano.

 

La poderosa esplosione scaraventò Pegasus, Andromeda e Cristal indietro, i corpi percossi da violente scariche di energia oscura, le corazze che si crepavano in più punti, le ali che venivano spezzate, le decorazioni oscurate dall’ombra della fine.

 

Abbiamo… fallito…” –Mormorò il Primo Cavaliere della Dea Atena, la faccia a terra, in un mucchio di sangue e fanghiglia, osservando l’atletica figura, d’ombra rivestita, che stava camminando nella loro direzione.

 

Erebo, Signore delle Tenebre, pareva non aver subito danni e, quand’anche fosse rimasto impressionato da tale potenziale energetico, non ne fece cenno, limitandosi a fissare Pegasus con i suoi occhi rossastri, sollevando poi un braccio al cielo.

 

Non… c’è rimasto nulla…” –Rifletté il ragazzo, cercando il cosmo dei compagni, sparsi attorno a sé in quel valico tinto di sangue.

 

Pegasus… Perdonami…” –Rantolò angosciata Atena, mezza sepolta da qualche parte, troppo debole per rimettersi in piedi.

 

Isabel…” –Disse il Cavaliere. –“Avessimo almeno un’arma con cui colpirlo…

 

“Hai già dimenticato il dono che ti feci, ragazzo?” –Parlò allora una voce al cuore di Pegasus, o forse fu solo il vento della sera a risvegliare sopiti ricordi. –“Di corta memoria sei, allora! Eh eh eh!”

 

“Questa voce… questo cosmo… gelido come il diamante ma antico e sapiente…

 

“Se hai ricordato, ricorderai anche il nostro battagliare imperterrito, fuori da Fensalir, e l’arma che ti donai! Un’arma da impugnare in nome di tutti gli Asi! E quale occasione migliore di questa, se non difendere quel che resta della nostra civiltà? A te, Cavaliere di Pegasus, l’onore e l’onere di combattere per Asgard! Alzati, dunque, e impugna la spada Balmung!” –Declamò la voce, prima di scomparire.

 

Odino…” –Mormorò Pegasus, rimettendosi in piedi, avvolto nella propria aura azzurra, stupendo Erebo che quasi non credeva a quel che stava vedendo. –“Odinooo!!!” –Gridò, il cosmo che ruscellava attorno a sé come fosse una cascata di vivida luce, al centro della quale una luminosa spada apparve poco dopo, limpida come fosse composta di ghiaccio. –“Balmung impugno, in nome tuo e di tutti gli Asi e gli Einherjar che mi hanno onorato della loro amicizia!” –E la strinse, inebriandosi della sua forza, prima di torcerla e volgere la lama verso il Progenitore.

 

Frigg ed Eir, le cui amorevoli cure mi salvarono dal veleno di Jormungandr!” –Esclamò, scattando avanti e mulinando un fendente che Erebo fu lesto ad evitare. –“Balder, che mi donò lo splendore della sua luce, il cuore più colmo d’amore di tutta Asgard!” –Continuò, voltandosi di scatto e caricando di nuovo il Nume. –“Orion e i Cavalieri caduti nella Guerra dell’Anello, ingannati da un demone figlio del Caos!” –E ancora mosse la spada abbagliante. –“Odino e Loki, due facce della stessa medaglia, ciascuno nemesi dell’altro, ciascuno incompleto, a modo suo! Come tu, Erebo, sei incompleto senza la luce a bilanciarti! Assaggia, adesso, la luce del mio cosmo!!!” –Nient’altro aggiunse, alzando la lama verso il cielo e obbligando il Nume ad un balzo all’indietro, per non essere investito dall’incandescente fendente che da essa scaturì.

 

“O tu l’ombra del mio!” –Ghignò il Dio, abbattendo Pegasus con un’onda di energia oscura, che lo costrinse sulle ginocchia, per quanto ancora si reggesse a Balmung. –“E adesso…” –Ma proprio mentre si incamminava verso di lui, deciso a dargli il colpo di grazia, percepì un calore improvviso, un fuoco provenire dal fianco sinistro della sua corazza. Sfiorandola, la trovò bollente, così tanto al punto da sbriciolarsi tra le sue mani, in una nube di polvere nera. E, al di sotto di essa, al di sotto della tunica nera che indossava, pulsava una ferita aperta. Un taglio appena, che sui corpi stanchi e devastati dei Cavalieri dello Zodiaco in quel momento nessuno avrebbe notato. Ma sul suo… –“Co… Come hai fatto?!” –Sussurrò, osservando le dita tingersi di rosso.

 

“Pegasus!!!” –Lo chiamò Andromeda. –“Ci sei riuscito!!!”

 

“Hai ferito Erebo!!!” –Sorrise Cristal, aiutando il compagno a rimettersi in piedi.

 

“Cavaliere!!!” –Commentò fiera Atena, prima che le forti braccia di Zeus la sollevassero da terra.

 

“Brucia, non è vero, Erebo?” –Esclamò allora Pegasus, tentando una risata ma non ottenendo altro che un secco colpo di tosse. –“Brucia non essere invincibili?”

 

“Tu... Ucciderti non sarà sufficiente per punirti! No, ti terrò in vita… ti lascerò vivere, sì. Menomato, ferito, ridotto ad una larva, ma ti permetterò di assistere alla fine del mondo che con passione ti periti di difendere e delle persone… che ami!” –Sibilò, scattando avanti, il braccio carico di energia oscura, diretto verso Atena, che a fatica riuscì a sollevare la danneggiata Egida di fronte a sé.

 

Folgore tonante!!!” –Intervenne Zeus, presto affiancato da Alexer. –“Fulmini siderali!!!” –Ma i due assalti furono dispersi da un maroso di tenebra che scaraventò indietro le due potenti entità, abbattendosi poi sullo scudo della Dea, costringendola a riporvi tutto il proprio cosmo divino, tutta la sua essenza e quella delle amiche che la sostenevano.

 

Ma neppure ciò bastò.

 

Con un rumore sordo, l’Egida si spaccò in due, gettando Atena a terra, mentre la marea d’ombra la investiva, schiacciandola, premendo su di lei, soffocandola, di fronte allo sguardo non più divertito di Erebo, bensì arrabbiato oltre ogni dire. Prima che potesse calare però sulla Dea, una voce lo raggiunse, parlando al suo cosmo.

 

“Basta così! Rientra subito al Santuario!”

 

“Cosa?!” –Ripeté il Nume, fermandosi e guardandosi attorno, senza che i Cavalieri e gli altri Dei potessero capire cosa stesse facendo.

 

“Hai sentito quel che ti ho detto! La tua presenza è richiesta immediatamente al Santuario delle Origini!”

 

Nyx non aggiunse altro e svanì, lasciando Erebo a riflettere sulle sue parole. Di certo doveva esserci un motivo valido se la Notte gli intimava di mettere da parte i suoi propositi di distruzione, un motivo che aveva forse a che fare con l’andamento delle altre campagne belliche? Non ci aveva pensato fino a quel momento, troppo preso da scontri che, anche se non l’avrebbe mai ammesso, lo avevano coinvolto, ma adesso a mente fredda era evidente che qualcosa non era andato come avevano concordato. Che ne era di Polemos? E di Etere e Emera? Perché non l’avevano raggiunto a nord, con Atlante e il resto dell’Armata delle Tenebre?

 

Forse, analizzò il Progenitore, osservando i Cavalieri dello Zodiaco sorreggersi l’un l’altro, ancora avvolti nello splendore fiacco del loro cosmo, questo mondo è destinato a durare un altro giorno! Sghignazzò, sollevandosi nel cielo, in una spirale dal colore dell’ebano, e tirando un ultimo sguardo a coloro che l’avevano impegnato più di quanto avesse previsto. A coloro che lo avevano fatto pensare a quelle maledette parole che Anhar gli aveva rivolto ore addietro.

 

“Chi mai verrà dopo il Signore della Folgore?!”

 

Era davvero possibile? Che fossero davvero loro?

 

Non volle rispondersi, non in quel momento. Concentrò un’enorme sfera di energia sul palmo della mano e poi la scagliò contro Pegasus e i suoi compagni, prima di schizzar via nella plumbea sera nordica, lasciando dietro di sé una scia di sadiche risate e tanta distruzione.

 

“Attenti!!!” –Gridò allora Zeus, alla vista dell’oscuro globo che stava per abbattersi su di loro. Fece per colpirlo ma venne anticipato da una cupola dagli argentei bagliori che si sollevò a loro difesa, estendendosi fino a riparare anche Eir e Alexer. Una cupola su cui l’assalto di Erebo si schiantò, esplodendo, scuotendo ancora un po’ il paesaggio e poi esaurendosi, rivelando colui che li aveva protetti.

 

“Mio Signore…” –Mormorò Pegasus, riconoscendo Avalon davanti a sé.

 

Alexer lo raggiunse poco dopo, arrancando nella neve, sostenendo una stanca e logora Eir.

 

Fratello… stai bene?”

 

L’Arconte Supremo annuì, voltandosi poi ad osservare le condizioni in cui versavano tutti coloro che avevano affrontato Erebo.

 

“Ammetto che i Progenitori possano essere un problema!” –Chiosò.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 40
*** Capitolo trentanovesimo: Tirando le fila. ***


CAPITOLO TRENTANOVESIMO: TIRANDO LE FILA.

 

Toru non voleva abbandonare il proprio regno, dove era nato e cresciuto, dove il suo popolo aveva a lungo vissuto, e anche il piccolo Kohu, alle parole di Ascanio, iniziò a piangere, impreparato a quella sconfitta. Anche se erano ancora vivi, anche se fossero riusciti a ricostruire l’Avaiki, avrebbero comunque perso la terra dei loro avi.

 

“Non abbiamo alternative, Comandante! Le Conchiglie stanno per schiantarsi e dobbiamo portare tutti gli Areoi in salvo!”

 

“Il Pendragon ha ragione, Toru dello Squalo Bianco! Non vi è viltà nell’abbandonare il campo di battaglia quando ciò permette la salvezza del proprio popolo!” –Intervenne allora Nettuno. –“Vorrei averlo capito prima, anziché insistere nel guerreggiare fino alla fine! Forse, così facendo, avrei potuto salvare qualcuno che avevo caro… la Ninfa mia compagna, mio figlio Tritone, Arel Kevines e i miei Generali… A volte non riusciamo a capire quando è il momento di dire basta!”

 

“Io… è tutta colpa mia!” –Confessò infine lo Squalo Bianco, distogliendo lo sguardo dai compagni. –“Sapevo che negli ultimi anni c’erano state guerre nel Mediterraneo! Notizie erano giunte fin qua, attraverso i nostri esploratori. Ma, d’accordo con Hina, avevo optato per una politica di non interventismo, credendo che, se anche i regni terrestri, umani o divini, si fossero scontrati tra loro, noi saremmo stati in pace, noi avremmo continuato a prosperare, nei mari incontaminati dove nessuna ombra è mai scesa! Credevo di agire per il bene del mio popolo e invece ho sbagliato e adesso gli Areoi tutti pagano il mio sbaglio!”

 

“Non è mai tardi per rimediare!” –Gli disse allora Titis, avvicinandosi a Nettuno, che le sorrise, prima che Ascanio li incitasse ad agire all’istante. Non avevano molto tempo, solo quello che Asterios sarebbe riuscito a dare loro, prima che le quattro strutture rimaste collassassero, permettendo alla marea di sommergere l’Avaiki. Già ne vedevano i bordi oscillare, sorrette ormai solo da quel che rimaneva del cosmo della Alii, prossimo a scomparire.

 

Toru ordinò a Kohu, Titis e Tisifone di radunare tutti gli Areoi della Conchiglia Settentrionale, mentre gli Heroes si sarebbero occupati di quella Occidentale. Sirio e Ascanio avrebbero messo in salvo gli abitanti della Conchiglia Orientale e lui sarebbe rimasto lì, assieme a Nettuno, a proteggere coloro che dimoravano nella terra madre.

 

Proprio mentre i membri dell’alleanza scattavano in direzioni diverse, il Palazzo di Corallo esplose, crollando su se stesso, divelto da un poderoso scontro tra energie cosmiche che infuriava al suo interno. Forco aveva infatti liberato tutto il suo cosmo divino, annientando le Falene d’Acqua che lo avevano attorniato e rimettendosi in piedi, pur con il corpo chiazzato di sangue e la corazza in frantumi. Ma, sopra ogni cosa, la consapevolezza della morte di Ceto lo aveva invaso.

 

L’aveva sentita poc’anzi, spegnersi in acque lontane, molto più a nord dell’Avaiki. Ne aveva udito le ultime parole, il lamento d’amore che gli aveva rivolto mentre precipitava nel Mare Artico, per non rialzarsi più. Per non nuotare più.

 

Incredulo e inorridito, Forco aveva fissato Asterios, bruciando il proprio cosmo divino. A quel punto niente aveva più senso, nemmeno la conquista del tanto bramato Trono dei Mari. Cos’era, in fondo? Solo uno sgabello su cui avrebbe dovuto sedere da solo, senza poterlo condividere con colei che aveva dato un senso alla sua intera esistenza, colei alla quale si era unito millenni addietro, in un amore unico e intrecciato, come i loro destini gli erano sempre apparsi. Ma se quell’amore gli era stato portato via, da quei bastardi dell’alleanza che combattevano contro l’ombra, egli sarebbe almeno morto uccidendo uno di loro, il damerino dagli occhi verdi che aveva mandato a monte il suo piano. Lo avrebbe portato con sé, nel vuoto cosmico che stava oltre la vita da quando Caos era ricomparso, a qualunque costo.

 

Kata thalassa!!!” –Tuonò il Nume, sollevando una devastante onda di energia acquatica, che abbatté le mura del Palazzo di Corallo, rovesciandosi all’esterno, correndo verso Asterios, il quale, impressionato dalla forza che Forco riusciva ancora a dimostrare, poté soltanto aprire il palmo della mano destra, concentrandovi tutto il suo cosmo. L’enorme marea gli passò ai lati, infrangendosi contro quello scoglio che non fu in grado di piegare, soltanto di spingerlo indietro, impegnando l’Angelo ad uno sforzo massimo, reso ancora più difficoltoso dalla necessità di dover mantenere la barriera sopra le quattro Conchiglie dell’Avaiki.

 

“Non c’è più tempo…” –Rifletté Asterios, sondando con il cosmo il regno sommerso, al fine di individuare tutti coloro che dovevano essere portati in salvo. Troppi.

 

“Occupati di Forco, Arconte di Acqua, e lascia a me la salvezza del popolo libero delle correnti!” –Parlò allora una voce al suo cosmo. Una voce gentile e cristallina, che Asterios mai aveva udito e che sembrava appartenere ad una ninfa dei mari.

 

Non seppe dirsi perché, ma l’Angelo le credette, percependo nel suo tono una dolcezza in grado di lenire qualsiasi affanno, radunando tutte le sue forze e lasciando che fosse questa nuova alleata ad occuparsi di evacuare gli Areoi, potendo quindi dedicarsi solo allo scontro con Forco.

 

“No, no, no!!!” –Gridò inviperito il Nume, avendo compreso che anche il suo piano di distruzione, dopo quello di conquista, sembrava fallire. –“Non mi porterete via almeno la soddisfazione di vedervi morire!!! Kata…”

 

“Misera motivazione per restare in vita, Forco! Davvero misera di fronte a chi, come me, ha trascorso millenni solo per uno scopo di pace ed equilibrio! Lance di acqua!!!” –L’attacco di Asterios trafisse il Dio di sbieco, raggiungendolo a una gamba, al petto e al collo, straziando ogni ulteriore tentativo di lotta e gettandolo a terra, proprio mentre la cupola della Conchiglia Madre andava in frantumi.

 

Onde immerse scrosciarono all’interno dell’Avaiki, fagocitando e distruggendo tutto quel che incontrarono lungo il cammino, di fronte allo sguardo atterrito del fratello di Avalon. Fu una mano di donna a sfiorargli una spalla, costringendolo a voltarsi verso Avatea, che gli sorrise, invitandolo a prenderle la mano. Hubal, al suo fianco, aveva già fatto altrettanto e i tre furono avvolti da una bolla di energia acquatica, poco prima che lo scrosciare della marea li raggiungesse, limitandosi a sballottarli. Guardandosi attorno, Asterios vide centinaia, forse migliaia, di quelle bolle azzurre, sollevarsi placide dal fondale, mentre quel che restava dell’Avaiki veniva restituito alle acque. Era stato troppo pretendere di violare la sacralità di un luogo così antico con un insediamento umano? A quella domanda l’Angelo non seppe rispondere, limitandosi a sospirare, prima di cercare con lo sguardo i compagni sopravvissuti.

 

C’erano tutti, sia pure malconci. Ascanio, Sirio, Nettuno, Nesso e Alcione, Titis, Tisifone e tutti gli Areoi superstiti, oltre ad Avatea e a Hubal. Guardò Toru, in una bolla poco distante, che stava fissando il regno che avrebbe dovuto difendere scomparire per sempre tra le sabbie smosse, assieme ai corpi di chi aveva dovuto lasciare indietro, corpi che sarebbero stati restituiti al mare che li aveva generati.

 

“Addio Maru! Addio Tara! Addio amici miei!” –Recitò il Comandante degli Areoi, mentre anche il piccolo Istioforo, in ginocchio di fronte a lui, pregava gli aumakuas di accogliere le anime dei compagni caduti.

 

“Dove andremo, adesso?” –Chiese infine Kohu. –“Cosa ne sarà di noi?”

 

Toru non rispose, incapace di ammettere di non sapere cosa sarebbe accaduto, incapace di ammettere che non avevano più una casa, una terra dove vivere. Fu in quel momento che una voce li raggiunse tutti, una voce di donna, la stessa che aveva parlato poco prima ad Asterios e che adesso pareva riempire il mare con il suo cosmo, di chiara sfumatura divina.


“Popolo degli Areoi, che così tanto avete amato il mare, al punto da rinunciare ad una vita nel mondo emerso per costruire una colonia che potesse prosperare in pace e felicità, senza guerre né malattie, permettete di venirvi in aiuto! Il mio nome è Euribia e sarò lieta di ospitarvi nel mio palazzo marino, in attesa che troviate una nuova landa dove vivere o che prendiate comunque una decisione!”

 

“Euribia…” –Mormorò Asterios, ricordando chi fosse, proprio mentre le bolle mutavano direzione, allontanandosi dal Mar dei Coralli e dirigendosi verso oriente. Passarono per i fondali dell’Oceano Indiano e dei mari arabici, fino a raggiungere un’insenatura sotterranea, dentro cui era incastrato un magnifico palazzo rischiarato da mille luci, attorno al quale danzavano tante piccole figure luminose, che Nettuno e Asterios subito riconobbero.

 

Erano fanciulle, quasi tutte nude, le lunghe chiome intrecciate con perle e coralli, e cavalcavano delfini, cavallucci e altri animali marini, salutando gli ospiti con grandi sorrisi. Toru e gli Areoi rimasero meravigliati da quel mondo che, nelle loro numerose perlustrazioni, non avevano mai scoperto, mentre le bolle planavano all’interno di un’ampia corte di fronte al palazzo sottomarino, dove esplosero poco dopo, liberando tutti i fuggiaschi e permettendo loro di atterrare su soffice sabbia.

 

“È incredibile!” –Mormorò Nesso, guardandosi attorno, abbagliato dalla magnificenza di quell’edificio e dallo splendore delle ragazze che li circondavano, lanciando stelle marine su di loro.

 

“È come nell’Avaiki e nel Regno di Nettuno! Possiamo respirare senza problemi!” –Commentò Sirio, trovando Ascanio subito concorde. –“Ciò è dovuto al cosmo che permea questo luogo sacro, un cosmo chiaramente divino e di origini antiche.” –Aggiunse il seguace di Avalon, volgendo lo sguardo verso la scalinata di accesso al palazzo, da cui un’esile figura di donna era appena apparsa.

 

Sorridente, rivestita di una candida veste decorata di coralli e stelle marine, Euribia si fece loro incontro, aprendo le braccia in segno di pace.

 

“Siate i benvenuti, popolo delle correnti!” –Esclamò, fermandosi infine davanti a Toru. –“So che molto avete sofferto! Tutti abbiamo sofferto in questi ultimi anni! Non so per quanto ancora ci sarà concesso di vivere, e provare così dolori e gioie, ma fintantoché potremo farlo, allora sarò lieta di ospitarvi!”

 

“La vostra generosità sarà ripagata, un giorno! Ve lo assicuro, Dama dei Mari!” –Disse fiero lo Squalo Bianco, inginocchiandosi di fronte alla donna, e così fecero Kohu e tutti gli Areoi, ringraziando la loro salvatrice, che subito dispensò ordini alle ninfe degli oceani affinché provvedessero a curare i feriti e dare loro tutto ciò di cui avevano bisogno.

 

Fu allora che Nettuno, Asterios, Sirio e Ascanio le si avvicinarono, desiderando porle molte domande, soprattutto il Cronide, che ben sapeva chi fosse.

 

“Figlia di Ponto e sorella di Forco e Ceto, perché siete giunta in nostro soccorso, tradendo la vostra stessa genia?”

 

“La mia progenie mi è stata strappata tempo addietro, divino Nettuno! Tutto quel che volevo, tutto quel che avrebbe potuto rendermi felice, era vivere assieme a colui che amavo, caduto in una Titanomachia riaccesasi per pochi sprazzi una decina di anni fa! Da allora ho rifiutato ogni contatto con mio padre e tutti gli altri autoproclamatosi Signori dei Mari, non fidandomi di nessuno di loro, soprattutto di Ponto, che con i suoi progetti imperiali a nient’altro mi aveva condannato se non ad un’eterna infelicità! Potete capirmi, non è vero, voi che perdeste come me qualcuno che avevate caro? Ho visto come il vostro guardo spaziava tra le Nereidi al mio servizio. Forse speravate di trovare traccia di colei con cui generaste Tritone?!” –Esclamò Euribia, chinando lo sguardo. –“Mi dispiace, ella non è qui. Ella è caduta.”

 

Nettuno, a quelle parole, sospirò. La speranza che l’aveva invaso per un momento, quando le bolle di energia acquatica avevano varcato i confini del palazzo di Euribia, era già svanita. Quel che gli restava adesso era solo la guerra, l’ultima guerra, che presto sarebbe giunta al suo apice.

 

***

 

“Per quale motivo mi hai ordinato di tornare?” –La cavernosa voce di Erebo risuonò negli oscuri androni del Primo Santuario, abbattendosi su Nyx, seduta su un rozzo trono di pietra a sorseggiare sangue da una coppa d’oro.

 

“Parli come se ti dispiacesse.” –Ironizzò lei, senza scomporsi troppo.

 

“È così, infatti! Li avevo in pugno! Tutti quanti! Zeus, Atena, i Cavalieri dello Zodiaco, persino Avalon era ad Asgard! Avrei potuto schiacciarli tutti quanti!”

 

“Perché non l’hai fatto, quindi?”

 

“Non… permetterti… questo tono con me…” –Sibilò il Tenebroso, espandendo il proprio cosmo e scaraventando Nyx contro il muro retrostante, gettando a terra coppa e trono e scalfendo la parete, cui la Notte si trovò inchiodata da daghe di tenebra.

 

Imperturbabile, la Prima Dea riportò lo sguardo sul compagno, osservandone il corpo rivestito dalla corazza nera, la scritta rossastra vergata col sangue e… una crepa? Sì, era una crepa quella che riluceva poco più in basso della scritta stessa. Una crepa da cui un leggero alone di cosmo lucente filtrava ancora.

 

Sogghignando, Nyx bruciò la propria aura, annientando le daghe d’ebano e liberandosi da quell’effimera prigione, avanzando verso Erebo e fissandolo dritto negli occhi rossi, prima di afferrargli il collo con una mano.

 

“Tu… non permetterti questo tono con chi ti ha generato!” –Esclamò, mentre i loro potenti cosmi oscuri si fronteggiavano, uno di fronte all’altro, saturando l’intero salone del Primo Santuario, che quasi parve urlare di fronte a una tale possibile apocalisse.

 

Fu Erebo infine a rompere lo stallo, abbandonandosi ad una risatina isterica.

 

“Eh eh eh… Anche la Prima Dea ha degli artigli, dunque!”

 

“E, come Selene potrebbe testimoniare, possono far male!” –Ironizzò lei, rilassandosi infine e lasciando Erebo libero dalla sua stretta.


“Oh sì, ho sentito della tua impresa! La più riuscita tra le offensive scatenate quest’oggi! Appartiene forse alla Dea della Luna il prelibato ichor di cui ti stavi nutrendo?”

 

“Certo che no! Selene era la figlia dei Titani Iperione e Tia, il suo sangue divino era di rara e preziosa qualità! L’ho offerto direttamente a Lord Caos!”

 

“Dunque ti accontenti dei resti degli Asura che Polemos ha massacrato ieri notte, assieme a quei nefasti dell’Armata della Tenebre? Sei una donna di poche pretese, Nyx, mi stupisci!”

 

“Nefari!” –Precisò lei, raddrizzando il trono con i suoi poteri psichici e mettendosi di nuovo a sedere.

 

“Nefari, nefasti, nefandi! Che differenza vuoi che faccia? Sono uomini, sono scarti di cui ci serviamo per dare loro l’impressione che ci importi qualcosa degli abitanti di questo pianeta! Un palliativo di cui persino noi Dei abbiamo bisogno per vincere una solitudine di millenni!” –Chiosò Erebo. –“Inoltre, sai bene che odio i nomi, servono per distinguere le cose! Ma chi è unico come me, e te, non ne ha bisogno!”

 

“Di cosa hai bisogno allora, Nume ancestrale?”

 

“Di risposte! Perché, Nyx, mi hai chiesto di rientrare?”

 

“Non sono stato io a chiedertelo, in verità!” –Sogghignò lei, umettandosi le labbra. –“Pare che si sia stancato di stare a guardare! Se ne occuperà direttamente lui!”

 

Erebo ascoltò con sorpresa, non credendo che sarebbe sceso in guerra fin da subito, anche se in fondo lo capiva, ne capiva la frenesia di agire, dopo millenni trascorsi nell’intermundi. Sogghignò, allungando le braccia e incrociandole poi dietro al collo, affermando che ormai il loro operato era finito.

 

“Come il tempo che questo mondo ha a disposizione. Mi rimangio quel che ho detto a Pegasus, pare che la Terra non vedrà un’altra alba!”

 

Nyx gli diede ragione, prima di congedarsi dal Signore delle Tenebre, dovendo andare a parlare con Chimera, che aveva chiesto immediata udienza ai Progenitori.

 

“So già cosa vorrà dirmi! L’ho sentito strillare fin da quando è rientrato dall’Egitto, con quella sua vocina isterica! Odia Forco e lo vuole morto per non essere intervenuto a coprire le spalle all’Armata delle Tenebre! Non posso dargli torto comunque; sai cosa ha combinato il supposto Sovrano dei Mari? Ha guidato una sua personale crociata per conquistare un regno sottomarino dimenticato da chiunque?! La sua bravata c’è costata cara, oltre che la testa di Polemos!”

 

“Non era poi migliore di Ares, che tanto aveva criticato. Entrambi hanno fallito!” –Chiarì Erebo. –“Come Signori della Guerra non valgono niente!”

 

“Colpa nostra che ci siamo illusi che questi insulsi Dei minori soddisfacessero le nostre aspettative! In quanto a Forco, mi sono premunita di mandargli un messaggio speciale, con i miei migliori omaggi!” –Ghignò la Notte, allontanandosi.

 

Rimasto solo, Erebo rilassò le braccia, senza per questo quietare l’ansia che l’aveva invaso da quando aveva lasciato Asgard, ansia che le parole della Notte non avevano affatto attenuato. Si tolse la maschera terrificante, gettandola a terra, e infine sedette sullo scranno, ricordando lo splendore emanato da Balmung, quando Pegasus l’aveva impugnata e puntata verso di lui.

 

Cos’era quella luce? Di certo non la luce di un uomo o di un mondo prossimo alla distruzione. Il cosmo di Pegasus e dei suoi amici non ha niente di decadente, anzi non ha eguali nella storia! Neppure Eracle, campione di Uomini e Dei, era mai riuscito ad elevarsi a vette di tale sovrastante lucore! Cosa nascondono ancora i Cavalieri dello Zodiaco? Oltre ad aver raggiunto il Nono Senso, trascendendo i limiti stessi dell’esistenza e divenendo pari agli Dei, possono crescere ancora? Possono andare oltre, se non vi è niente oltre? Oltre l’essere un Dio, cosa c’è?

 

Ripensò alle parole che Anhar gli aveva rivolto ore addietro, dopo la sua rinascita, mentre riposava nelle stanze a lui dedicate. Strofe di un’antica litania diffusa fin dai tempi successivi alla Titanomachia.

 

“Urano fu soppiantato da Crono, Crono lo fu da Zeus. E chi mai verrà dopo il Signore della Folgore?”

 

Per Erebo la risposta era nessuno. Non potevano esserci ancora Dei dopo la morte di tutti quegli attuali; del resto la condizione stessa di Divinità era cessata di esistere nel momento in cui il varco si era aperto e Caos aveva fatto ritorno, unico Dio da cui tutti gli Dei, di tutti i culti e le culture, discendevano.

 

Eppure… Quelle parole gli rimbalzavano in testa, marchiate nella luce del cosmo di Pegasus, la luce che aveva quasi temuto lo incenerisse quando aveva puntato Balmung verso di lui.

 

E se venissero loro? Pegasus e i suoi amici? Gli umani? In un mondo senza più Dei, forse gli uomini stessi potrebbero innalzarsi e divenire tali?

 

Avrebbe potuto condividere con Nyx le sue preoccupazioni, e forse avrebbe dovuto, per trovare una spiegazione razionale, conforto e anche quelle certezze che lo scontro con i Cavalieri dello Zodiaco avevano scalfito. Ma non poteva mostrarsi debole e insicuro, non lui, il Tenebroso, il cui solo nome bastava a turbare gli animi dei suoi stessi guerrieri. Come poteva giustificare l’essere impensierito da un gruppo di adolescenti? Non lo avrebbe fatto, perché quegli adolescenti, quegli stupidi ragazzi che giocavano con poteri più grandi di loro, non sarebbero stati un problema. Né per lui né per i Progenitori.

 

Adesso che Caos ha deciso di agire, tutto il resto non conta più niente! Tutto il resto diventa niente! Sghignazzò a gran voce, prima che un rumore di passi lo distraesse, portandolo a voltarsi verso l’ingresso della sala dove un guerriero dal volto per metà ustionato era appena apparso.

 

“Mi… Mio Signore… siete davvero voi?!” –Balbettò imbarazzato il Nefario, incrociando lo sguardo di Erebo e accorgendosi che non indossava la maschera. Arretrò di un passo quando vide il suo volto, spalancando gli occhi dallo stupore.

 

“Cosa vuoi?” –Ghignò il Nume, avventandosi su di lui e sbattendolo contro il muro, trafitto alle scapole da daghe di tenebra. –“Avevo dato ordine di non essere disturbato, come hai osato mancarmi di rispetto?”

 

“Per… donatemi mio Signore… non era mia intenzione… io… Sua Eccellenza ha richiesto la presenza di tutti i Progenitori…” –Tentò di scusarsi il guerriero, incapace di distogliere lo sguardo da quel viso che non aveva mai creduto gli appartenesse.

 

Il volto di Erebo era davvero quello?

 

A quella domanda Jared del Golem di Sangue non ebbe mai risposta, il cranio schiacciato dalla mano destra del Tenebroso, mentre strali di energia gli maciullavano il corpo, smembrandolo e macchiando la parete con i suoi amabili resti.

 

“Messaggio ricevuto!” –Sogghignò Erebo, recuperando la maschera e tornando ad indossarla, tornando a ricreare se stesso.

 

***

 

Forco riemerse al largo delle coste australiane, annaspando e respirando a fatica in quella stessa acqua di cui a lungo aveva voluto essere signore. Le ferite subite nell’Avaiki lo avevano fiaccato, ma ancor più la consapevolezza di aver perso.

 

Tutto quanto.

 

I suoi guerrieri erano caduti in un’impresa che, in origine, era sembrata una bazzecola, un banco di prova per il ricreato esercito dei Forcidi. Del regno su cui avrebbe voluto imperare, dimostrando di saper arrivare ovunque, non era rimasto niente, travolto da maree così furibonde e letali da aver di certo annientato ogni forma di vita. Dubitava che persino gli Areoi e i loro alleati fossero sopravvissuti. Ma in verità non gli importava niente. Tutto quel che avrebbe voluto era tornare da Ceto, l’unica che avrebbe potuto consolarlo, cullarlo in un morbido e amorevole abbraccio. Con lei avrebbe deciso cosa fare, come comportarsi adesso, soprattutto nei confronti dei Progenitori, le cui direttive non avevano rispettato. Certo, avrebbe potuto inventare qualcosa, una bugia qualsiasi per giustificare il suo mancato intervento in aiuto dell’Armata delle Tenebre, ma non dubitava che Nyx non l’avrebbe presa bene.

 

No, non poteva andare nel Gobi. Non adesso, in quello stato confusionario e ferito. Doveva riposarsi prima e cercare Ceto. Aveva bisogno di lei, di sentirla lì, tra le sue braccia, di sentirle il cuore non battere più, di piangere sul suo cadavere. L’avrebbe trovata, anche a costo di trascorrere quel che gli rimaneva da vivere nuotando per gli oceani di tutto il pianeta, e l’avrebbe riportata a casa, nella grotta in fondo al mare dove a lungo avevano dimorato, amandosi in abissali silenzi. Gli stessi silenzi che li separavano adesso, impossibilitati a ritrovarsi mai più.

 

Con quel pensiero angosciante nel cuore, Forco si affidò alle correnti, lasciandosi trasportare a riva, poco lontano da quella che gli uomini del posto chiamavano Grande Barriera Corallina. Era ancora notte, ma presto i primi raggi del sole sarebbero apparsi ad oriente, riflettendosi sullo spettacolare paesaggio che lo attorniava, un ecosistema che, in altri momenti, avrebbe di certo apprezzato. Ma adesso voleva solo riposare, curare in fretta le proprie ferite, quel tanto che gli avrebbe consentito di rimettersi in cammino alla ricerca di colei che amava.

 

Non seppe quanto tempo rimase disteso sulla riva, né vide l’alta figura avvicinarsi. Ne percepì il respiro solo quando giunse a pochi passi dal suo imbolsito corpo fiacco, gettandogli accanto quel che reggeva tra le mani. Quel che a prima vista sembrava la carcassa di un grosso animale marino, un cetaceo forse, a giudicare dalla pelle corazzata.

 

“Ce… Ceto…” –Mormorò Forco, voltandosi e specchiandosi negli occhi spenti della compagna. –“Sei dunque tu?!” –Senz’altro aggiungere, l’antico Re dei Mari la abbracciò, assaporando il dolore di quel momento fino all’ultima stilla, sentendosi in parte colpevole per la sua dipartita.

 

Era stata lei, quella mattina, dopo che avevano ricevuto il dispaccio da Steno, a dire allo sposo che sarebbe andata ad Asgard, come Polemos richiedeva. La soluzione migliore, a suo dire, per evitare di compromettersi troppo e inimicarsi potenti alleati.

 

“Tu mi raggiungerai presto, lo so!” –Gli aveva detto, baciandolo, prima di tuffarsi nella pozza d’acqua al centro dell’anfratto oceanico e iniziare a nuotare verso nord, in quella forma terribile che a molti ricordava il Leviatano.

 

“Sì, ti raggiungerò, mia adorata!” –Le aveva urlato dietro, prima di ordinare a Ozena di radunare i Forcidi e prepararsi ad attaccare l’Avaiki.

 

Adesso quella promessa gli parve quasi una condanna a morte.

 

“Perdonami!” –Le disse, carezzandole la pelle ruvida. –“Non l’ho mantenuta! Non sono stato in grado di tener fede alla mia parola!”

 

“A questo possiamo porre rimedio, mio Signore!” –Parlò allora l’aspra voce di colui che gli aveva portato il corpo di Ceto, risvegliando il Nume e forzandolo ad alzare lo sguardo su di lui, quasi si fosse dimenticato della sua presenza.

 

Sulle prime non lo riconobbe, avendolo visto di rado in volto, ben sapendo quanto odiasse che gli altri lo fissassero, soffermandosi a commentare le sue deformità. Fu la corazza di oricalco ad indicargli chi fosse, per quanto numerosi danni avesse subito, ancora chiazzata del sangue che il taglio di Excalibur aveva gettato fuori.

 

“Cosa vuoi dire, Primo Forcide? E dove hai trovato la mia sposa?”

 

“Non vi ponete le domande giuste, mio Signore! Quel che è stato è stato e ormai non potrà più essere! Dove l’ho trovata, gli oceani che ha solcato con le sue ultime forze, invocando disperatamente il nome di colui che, con questa stupida crociata personale, l’ha condannata a morte, non ha importanza! Presto per voi niente avrà più importanza, poiché presto sarete di nuovo insieme, in un silenzioso nido abissale dove potrete restare per l’eternità!” –Sibilò, portandosi lesto alle spalle del Dio.

 

“Che stai dicendo e toglimi le tue viscide mani dal collo?!” –Rantolò Forco, mentre la presa del Primo Forcide si faceva sempre più possente, sempre più serrata, accompagnandosi ad una risata divertita. L’ultima cosa che vide, l’ultima cosa che Forco notò, prima di spirare, furono gli occhi giallognoli di colui a cui aveva affidato il comando delle sue armate, l’allievo che Anhar aveva saputo addestrare al meglio.

 

“Addio, Re dei Mari!” –Sussurrò Tiamat, stringendo fino a schiantare i muscoli del collo del Nume, dilaniando la pelle  e frantumando persino le ossa della colonna vertebrale. Quando risollevò le mani, il Primo Forcide godette alla vista del sangue e della materia organica che da esse colava, i resti di un Dio indegno di essere tale.

 

Con un ultimo colpo di mano, gli sventrò la cassa toracica, estraendone il cuore e mettendolo in una sacca che portava legata ad un fianco. A far compagnia a quello di Ceto e ad altri che aveva prelevato dagli Dei massacrati nelle isole del Pacifico. Apakura, Ika Tere, Ira Waru, la maggioranza degli Aitu, Divinità che nessuno avrebbe onorato né ricordato più. Una dopo l’altra, nelle esplorazioni condotte per conto di Forco, Tiamat le aveva sterminate tutte, meritandosi l’appellativo con cui l’anziano Dio Pesce polinesiano l’aveva chiamato morendo.

 

“Auraka…”

 

Il divoratore di tutto.

 

“Proprio io!” –Aveva sorriso, strappandogli il cuore, per farne dono all’oscuro signore di cui era al servizio.

 

“Oh Anhar, mi hai insegnato proprio bene! Sei stato davvero un ottimo maestro!” –Rise, nell’alba che gli solleticava il viso sfregiato. –“Ed io, che sono stato attento e diligente allievo, metterò in pratica i tuoi insegnamenti! Meglio di quanto tu non sia riuscito a fare!”

 

 

 

 

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Capitolo 41
*** Capitolo quarantesimo: I progenitori. ***


CAPITOLO QUARANTESIMO: I PROGENITORI.

 

Avalon attendeva in cima all’isola sacra, a pochi passi dal pozzo alle cui fresche acque si era rivolto quando aveva necessità di sapere. Quella sera vi avrebbe attinto per un altro motivo.

 

Sospirò, mentre la brezza notturna gli solleticava le vesti argentee, fischiando tra gli antichi megaliti che ornavano la superficie del più alto colle di Avalon, inebriandolo di un’energia che solo in quel luogo poteva trovare. Un’energia che adesso avrebbe condiviso con coloro che potevano salvare la Terra. Aveva lasciato Asgard e gli altri membri dell’alleanza neppure un’ora prima, si era tolto l’armatura ed era tornato a vestire i suoi soliti abiti, quelli che avevano accompagnato il suo cammino e la continua ricerca di sempre maggiore conoscenza, prima come novizio poi come druido, sotto l’attento sguardo dell’Antico. Era stata una vita lunga, durata migliaia di anni, in vista dell’obiettivo finale; una vita in cui la fiducia nel genere umano era stata progressivamente erosa, al punto da far dubitare, a qualcuno dei suoi fratelli, sulle loro reali possibilità di successo. Pur tuttavia, di una cosa Avalon era stato sicuro, una certezza non l’aveva mai lasciato. La speranza di un futuro. Quella che il Primo Saggio un giorno aveva definito come fede.

 

Ricordava ancora una conversazione avuta con il suo mentore poco prima che il varco tra i mondi si aprisse e Anhar lo ferisse a morte. Erano seduti proprio lì, al centro del nemeton, i volti rischiarati dalla luce della luna, che quella notte aveva brillato vivida come mai. Forse l’ultimo bagliore prima di spegnersi? Sospirò Avalon, che aveva percepito, poche ore prima, la scomparsa del cosmo di Selene.

 

“Cos’è la fede?” –Gli aveva chiesto l’Antico quella notte. –“Cos’è, davvero, se non il desiderio di credere? Il desiderio di sperare che esista qualcosa che vada oltre! Oltre le nostre vite, oltre le nostre realtà quotidiane, oltre la materialistica e presuntuosa concezione di un qui e ora! Qualcosa destinato a durare per sempre e che ha animato lo spirito di milioni di persone, forse miliardi, nel corso di millenni, le ha portate ad innalzarsi a livelli gloriosi o a inabissarsi in comportamenti meschini, le ha spinte ad agire, a lottare, a farsi la guerra tra di loro per una striscia di terra, la reliquia di un santo o per accaparrarsi una miniera d’oro e infine le ha portate a ricercare dentro sé una spiegazione per tutti quei turbamenti che avevano divorato il loro animo. Quel qualcosa è la fede, la stessa che anima i cuori puri di chi combatte, come noi, la stessa che ha spinto cinque orfani a ribellarsi al destino di solitudine e sofferenza che avrebbe dovuto dominare le loro vite e a lottare per un mondo migliore, uniti da un vincolo che mai hanno disonorato. L’amicizia. Un vincolo che mai come adesso sarà messo a dura prova! Lo so bene, poiché anch’io, un tempo lontano, avevo degli amici e con loro ho vissuto, lottato e poi li ho visti morire, uno ad uno. Non rimpiangerò affatto il momento in cui li ritroverò.”

 

Il suono leggero di passi che frusciavano sull’erba rubò Avalon ai ricordi, facendolo voltare giusto in tempo per vedere coloro che attendeva entrare all’interno del cerchio di pietre, mentre la fioca luce delle torce che aveva acceso rischiarava i loro visi stanchi dalle battaglie sostenute in quell’interminabile giornata.

 

“Siate i benvenuti, Cavalieri di Atena! Possa questo nemeton essere per voi fonte di serenità e le mie parole un lenitivo ai vostri affanni!” –Esclamò, rivolto ai cinque compagni che si erano infine riuniti, su sua specifica richiesta.

 

Nemeton?!” –Domandò Pegasus, cui subito rispose la voce di Andromeda, che aveva riconosciuto l’origine di quel termine.

 

“Deriva dal gaelico, Nemed, e significa sacro!”

 

A quelle parole Avalon annuì compiaciuto, invitando i Cavalieri dello Zodiaco a mettersi comodi, sedendo sull’erba e togliendosi le armature, di modo che potesse curare le loro ferite. Osservò i loro volti, cresciuti e ben diversi dai ragazzetti che, solo un paio d’anni prima, si erano presi a pugni su un ring, contendendosi uno scrigno d’oro. Vide le loro ferite, le rughe di ansia e stanchezza, ma anche la luce di fermezza che brillava al centro dei loro occhi, nel profondo del cuore.

 

Pegasus, in ansia per Atena e per sua sorella, era stato infettato al braccio destro dal cosmo oscuro di Erebo, per cui avrebbe necessitato di attenzioni maggiori, per quanto il Signore dell’Isola Sacra fosse certo che, quand’anche ne avesse perso l’uso, avrebbe continuato a combattere, con l’altro braccio, con le gambe, anche solo con un dito. Sorrise, infondendogli la luce degli Angeli, prima di passare ai suoi compagni.

 

Sirio, appena rientrato dall’Avaiki del Mar dei Coralli, aveva affrontato Tiamat, un servitore di Forco il cui cosmo, da quel che stava raccontando, pareva potenziato da una qualche oscura entità cui aveva giurato fedeltà. Riflettendo preoccupato, Avalon si chiese perché Caos lo avesse irrorato di una simile potenza, di certo non soltanto per vendicarsi di Ascanio. O sperava, così facendo, di arrivare a lui? Non seppe rispondersi, dedicandosi poi alle ferite di Cristal.

 

Il Cigno aveva lottato strenuamente, all’ingresso della Valle di Cristallo, per impedire a Erebo di raggiungere la fortezza di Asgard e raderla al suolo, possibilità di fatto concreta, dato che neppure Alexer era riuscito a tenerne a bada la furia. E, da quel che il fratello gli aveva spiegato, era persino plausibile che il Tenebroso non si fosse sforzato troppo, non ritenendo necessario mettere in campo tutte le proprie energie per aver ragione di Dei minori e dei loro Cavalieri.

 

Per ultimi Avalon curò Andromeda e Phoenix, che raccontarono agli amici quel che era avvenuto a Themyskira, l’inganno di Ate e l’imprevisto aiuto ricevuto dal Signore dell’Oltretomba, che fece strabuzzare gli occhi a Pegasus, essendo ancora nitido il tocco gelido della sua spada nera. D’istinto il ragazzo si toccò il petto, proprio sotto il cuore, dove Ade lo aveva infilzato nell’Elisio, sentendosi nudo e inerme al solo peso di quel ricordo. Ricordo che gli era tornato alla mente sulla Luna, quando aveva per la prima volta percepito l’oscurità della Notte.

 

“Non hai niente da temere dalle ombre, Cavaliere di Pegasus!” –Lo rincuorò allora Avalon. –“Per quel che so, per quel che ho visto di te, le hai sempre affrontate a testa alta, cacciandole indietro, nel vuoto in cui meritano di perdersi! Quante volte in fondo hai varcato il confine tra la vita e la morte? Quante volte hai respirato l’aria fetida della Bocca di Ade, che avrebbe voluto accoglierti nelle sue profondità? Oh, avresti dovuto vederti, come scalciavi quel giorno, dopo che la spada del Signore degli Inferi ti aveva colpito, scalciavi e invocavi il nome di Atena e dei tuoi amici, ancore di salvezza a cui ti aggrappasti per non precipitare in un oceano di disperazione!”

 

Voi… sapete?!” –Mormorò Pegasus, che di quel momento non aveva più ricordi. In base a ciò che Atena gli aveva raccontato, quando erano rientrati dall’Elisio la Dea lo aveva alloggiato nelle sue stanze, curando la ferita con il proprio cosmo e rimanendo per giorni al suo capezzale, senza mai allontanarsi, senza bere o mangiare, consumando la sua energia divina per salvare colui che aveva dato tutto per proteggere gli uomini. Poi, una mattina, il ragazzo si era svegliato, con la ferita rimarginata e lo sguardo pieno di vita che aveva sempre ritrovato nei suoi occhi, lamentando un gran mal di testa e una fame da lupi. Tutti avevano riso, persino Phoenix, aiutando l’amico a rimettersi in piedi e portandolo fuori, per fargli respirare un po’ d’aria fresca. Era stato allora, vedendoli felici e finalmente liberi da ogni obbligo di lottare, che Atena aveva deciso di non farli più combattere, offrendo loro la Pozione della Dimenticanza e la possibilità di avere una vita.

 

Siete… stato voi?!” –Comprese infine Pegasus, prima ancora dei compagni. –“Voi mi avete salvato? Io… ricordo questo posto…” –Esclamò, alzandosi in piedi di scatto e guardandosi attorno, la mente travolta da indistinti lampi di ricordi. –“L’erba sotto i piedi, il vento mugghiare… e questi enormi pezzi di roccia… io… ci sono già stato?!”

 

Avalon annuì, accennando un sorriso, prima di confessare la verità.

 

“Il cosmo di Atena, per quanto puro e pieno d’amore, era fiaccato dalla prigionia nel Vaso di Hypnos e dallo scontro con Ade e una ferita di quel genere, ad opera di un manufatto divino, era troppo anche per lei! Saresti morto o sarebbe morta lei per salvarti. Così abbandonai l’Isola Sacra, apparendo alla Tredicesima Casa, avvolgendola in nebbie così fitte da celare la mia presenza e da precipitare tutti i presenti in un sonno profondo. Ti sollevai e ti portai qua, ai piedi del Pozzo Sacro, con le cui acque ti curai, cacciando via la maledizione della Spada di Ade. Ti curai, come non ebbi modo di fare con il mio allievo, come scelsi di non fare con il mio allievo, rispettando la sua decisione di morire al termine di una vita intensamente vissuta. Ma non potevo ripetere lo stesso errore, non potevo sacrificare la vita di chi avrebbe potuto guidare gli uomini verso la loro salvezza, non con l’apertura del varco tra i mondi così prossima. Perché a questo sei destinato, tu che sei l’erede del mio discepolo, a questo siete destinati tutti voi, Cavalieri dello Zodiaco!”

 

Avalon… io… Non ho parole per ringraziarvi…” –Esclamò il paladino di Atena, commosso e imbarazzato, ma l’Arconte Supremo lo pregò di mettere da parte la gratitudine e tornare a sedersi, che ancora doveva terminare di curarli. Con placida calma passò in mezzo a loro, le lunghe vesti che parevano non sfiorare neppure l’erba tanto leggeri e aggraziati erano i suoi movimenti, applicando impacchi di foglie sulle ferite aperte, accarezzando le fronti ancora calde e donando loro momentaneo ristoro. Quindi, quando giudicò terminate le cure esteriori, offrì loro un mestolo colmo d’acqua, che aveva appena riempito nel Pozzo Sacro, il cuore di Avalon.

 

“Ci onori di un grande dono, Signore dell’Isola Sacra!” –Commentò Andromeda, sorseggiando quel liquido dal retrogusto ferruginoso.

 

“Un onore che avete meritato, Cavalieri della Speranza!” –Sorrise Avalon. –“Bevete, vi prego! Nutritevi delle acque del Pozzo Sacro! In nessun’altro luogo della Terra troverete una sorgente dotata di tali mirabolanti poteri! Ciò è dovuto alla posizione dell’Isola Sacra, situata lungo una delle principali Ley Lines che solcano il pianeta, una linea di potenza in grado di catalizzare le energie naturali che la percorrono, permettendo ai fedeli di trovarvi eterno ristoro. Le acque di questo pozzo, costruito all’epoca dei primi insediamenti druidici, provengono da un complesso sistema idrotermale che scorre dentro la collina, estendendosi per molte miglia sotto il Tor e la vicina Glastonbury, sgorgando in una pozza che i cristiani chiamarono Chalice Well! Là i membri della Legione Nascosta di Zeus erano soliti recarsi, per rinvigorire le forze e conservarsi così per la guerra in cui il Signore dell’Olimpo li avrebbe chiamati a combattere! Anche Ascanio vi si immergeva spesso, restandovi per ore, assaporando quell’energia così potente, così antica, in grado di stimolare la mente più fervida e aiutarla a raggiungere il Formhothú!”

 

Formhothú?!” –Ripeté Cristal.

 

“È quel che ricerca un iniziato ad Avalon! Una sensazione ulteriore che va oltre l’esistenza, una percezione oltre i limiti del corpo e della mente. Qualcosa che anche voi avete ricercato, scoprendolo per gradi nel corso della vostra vita, delle battaglie e delle esperienze maturate in questi anni! Prima è venuta la scoperta del cosmo, l’ampliamento dei sensi naturali, il Settimo Senso, elementi che distinguono un Cavaliere in battaglia! Poi siete andati oltre, scendendo vivi all’Inferno e adesso elevandovi al rango di Divinità! È questo che maggiormente temono i Progenitori! L’ho sentita, la vibrazione di dubbio nel cosmo di Erebo, ad Asgard! Egli sa quel che potrebbe accadere; certo, non lo ammetterà mai ma la possibilità che ciò avvenga è reale!”


“Avvenga che cosa?!”

 

“La loro sconfitta.”

 

“È possibile? È davvero possibile vincere Erebo, Nyx e…?!”

 

“I gemelli lucenti. Etere e Emera!” –Completò Pegasus, l’unico, tra i cinque amici, ad averli incontrati tutti.

 

“Proprio loro.” –Chiarì Avalon, raccontandone la storia. –“Essi sono i Primi Nati, i prōtógonoi, da cui tutti gli Dei discendono! Rappresentano la Prima Generazione cosmica, nata dal Caos agli albori del Mondo Antico, un’epoca così lontana che nessuno riesce a immaginarla! Si narra, in cronache antiche, che Caos generò la Notte, sotto forma di uccello nero, ed ella, da sola, per partenogenesi, generò Erebo, a cui si unì per dare vita a Etere e Emera Léohtbora, i Portatori di Luce. Dei quattro, Erebo è quello che maggiormente dovete temere, il più spietato, violento e furioso, e anche il più frustrato! A differenza di Nyx, la Notte del mondo, egli racchiude in sé l’oscurità degli inferi, la tetra desolazione che sta dopo la fine di tutto, e che adesso vuole riversare sulla Terra, donando agli uomini un assaggio dello sconfinato abisso di tenebra che li accoglierà dopo aver detto addio alla vita! Etere, al contrario, è ben più controllato ma non per questo meno temibile, è la parte più alta del cielo, la luce più pura, per gli uomini un miraggio lontano, un sogno fatuo, mentre la sorella Emera rappresenta la luce del giorno. Loro furono i primi dominatori del mondo, coloro che al mondo regalarono la luce e l’ombra, il giorno e la notte. Loro fondarono l’equilibrio su cui millenni di storia si sono retti, in una perfetta alternanza tra l’uno e l’altra. E furono i primi a cadere quando i Sette Saggi si ribellarono al loro creatore, che ne assorbì le energie, venendo confinati anch’essi nell’intermundi.”

 

“Se Caos li ha sacrificati, perché sono tornati per aiutarlo? Perché non schierarsi contro di lui?” –Domandò allora Cristal, cui l’Angelo rispose con un sorriso stanco.

 

“Perché tu non conosci i poteri di Caos, la sua infinita potenza! Lui ha generato il mondo, creando gli Dei ed essi, in quanto figli suoi, sono tenuti a rispondergli, è nella loro natura! Se anche volessero rivoltarsi contro di lui, e sarebbe un’idea inconcepibile, non riuscirebbero mai a farlo. Dopo millenni trascorsi assieme, avvolti nella stessa oscurità primordiale, i Progenitori sono intrisi dell’ancestrale potere di Caos, sono gocce dello stesso Caos! Così come in ogni essere vivente vi è una parte dei genitori, qualcosa che lo contraddistingue e lo rende loro figlio, a maggior ragione quel legame esiste tra coloro che edificarono il mondo!”

 

“Eppure è strano…” –Commentò Pegasus. –“Ho percepito i cosmi di Emera e Etere, ad Atene. Erano infiniti, certamente, un bagliore universale che nessun tramonto avrebbe mai potuto avvilire, eppure non erano… non so come spiegarlo… cattivi. Di certo non ostili quanto quelli di Nyx e di Erebo!”

 

“Non hai prestato ascolto alle mie parole durante l’assemblea nell’arena, Cavaliere?” –Spiegò Avalon. –“La luce e l’ombra sono due lati della stessa medaglia, due parti dello stesso tutto, completandosi a vicenda di modo che nessuna delle due possa esistere senza l’altra! Anzi, nessuna delle due può essere definita in assenza dell’altra! Questo regge l’equilibrio del mondo, il cui funzionamento è garantito dalla loro alternanza. Pensate alle Guerre Sacre: in una misura molto più ridotta, sono dominate dallo stesso principio ciclico. L’ombra non può essere sconfitta per sempre, ma a tempi alterni ritorna per cercare di dominare la luce. Così è sempre avvenuto, in tutte le culture, così avviene adesso, con una sostanziale ma radicale differenza. Che questa guerra che stiamo combattendo non è condotta per dominare, bensì per ricreare. Questo è lo scopo dei prōtógonoi: ricreare il mondo, sulle ceneri di questo che reputano vecchio e logoro!”

 

“Dobbiamo impedirglielo! Non possono decidere il destino di miliardi di persone!” –Si agitò Pegasus, trovando anche gli amici concordi.

 

“Possono, e lo faranno, perché a loro non interessa l’umanità. Sono Dei, anzi forse neppure tali si reputano, loro sono entità. Avrete di certo notato l’enorme differenza tra uno di loro quattro e gli Dei che siete abituati a conoscere!”

 

Pegasus annuì, ricordando la strage operata da Erebo sull’Etna, il modo in cui si era sbarazzato di Eracle, Efesto, Ermes, e quanto avevano dovuto sudare persino Alexer e Zeus per tenerlo a sufficiente distanza dalla città di Asgard. Solo lui, alla fine, era riuscito a mandare un colpo a segno, grazie all’aiuto di Balmung e di tutti gli Asi. Cristal parve intuire i suoi pensieri, ponendogli una mano su una spalla, con un sorriso greve, mentre anche Andromeda e Phoenix sospiravano, ben consapevoli della disparità di forze in campo.

 

“Una domanda, Sommo Avalon!” –Parlò allora Sirio, rimasto meditabondo per tutto il tempo. –“Avete detto che Caos ha generato i Progenitori, non è così? E che quindi in loro giace una stilla di Caos?”

 

“Proprio così!”

 

“Ma se dai Progenitori hanno avuto origine le stirpi divine, passando per i Titani, gli Ecatonchiri, i Giganti, giungendo fino a Zeus e agli Olimpi, questo significa che…

 

A quelle parole Avalon assentì, lodando l’acuta mente del Cavaliere del Dragone.

 

“Tutti gli Dei sono figli di Caos, del resto cos’altro sono gli Dei se non ciò che gli uomini vedono in loro, si aspettano da loro, temono da loro? Sono solo parte di un tutto infinito, ove non vi è più distinzione tra umano e divino. Non dimenticate, in fondo, che anche gli uomini sono figli del Caos! Tutti noi lo siamo e ciò spiega la nostra natura ambigua! In ogni essere vivente vi è un frammento di oscurità, un lato oscuro, che serve per apprezzare la luce, per capirne appieno l’importanza!”

 

“E come la vinciamo, quest’oscurità? Come possiamo spegnerla in modo definitivo?”

 

“Non so se dovremmo usare quella parola!” –Commentò Avalon, con un sospiro. –“Pur tuttavia io ci credo, ho sempre creduto che sia possibile, e per quel che mi è dato sapere esiste un manufatto in grado di aiutarci, un manufatto forgiato dai Sette Saggi durante la Prima Guerra.”

 

“La Coppa di Luce…” –Mormorò Andromeda, quasi senza volerlo, ricordando di aver intravisto quel pensiero nella mente del Principe Supremo degli Angeli, durante la visione di quella mattina.

 

“Precisamente.” –Rispose questi.

 

“Cos’è la Coppa di Luce?” –Chiese Cristal.

 

“L’arma per sconfiggere Caos ed impedire un terzo avvento!” –Affermò Avalon con sguardo serio. –“Saprete di certo che nell’universo tutto è in continua trasformazione e non mi riferisco soltanto alla materia, bensì agli Dei. Pensate alla vostra Dea o ai vostri antichi rivali, Ade, Ares o Nettuno, a quello che avveniva ai loro spiriti dopo la sconfitta sul campo di battaglia! Morivano, questo almeno era quel che sembrava ai più, però dopo qualche secolo ritornavano e le guerre ricominciavano! Questo perché nessuno degli Dei è mai morto per davvero, lo stesso concetto di morte è stato sempre sconosciuto a tutte le Divinità moderne, quelle appartenenti alla Terza Generazione Cosmica, istallatasi sul trono di Grecia dopo la caduta di Crono! Sconfitto in battaglia, perso il proprio corpo o il simulacro usato in quell’epoca, lo spirito di un Dio vagava in un limbo ultraterreno ove era confinato a rimanere per un certo periodo di tempo, la cui lunghezza variava in base al sigillo che lo bloccava! Ricorderete certamente i sigilli di Atena imposti al Tridente di Nettuno o allo stesso vaso che ospitò l’anima del Signore dei Mari?! Orbene, immaginate che questo limbo non esista più, immaginate che non sussista più la possibilità di ritornare, per gli Dei, come non è mai esistita per gli umani! Ciò li renderebbe de facto mortali! A questo abbiamo consacrato la nostra esistenza, a questo abbiamo lavorato per secoli i miei fratelli ed io! A vincere Caos una volta per tutte, a cancellarlo dall’esistenza, senza possibilità di ritorno! La Coppa di Luce ce lo permetterà!”

 

“È davvero possibile?!” –Incalzò Pegasus, con gli occhi lucidi.

 

Avalon annuì, spostando lo sguardo su tutti loro, indugiando su Andromeda per un istante di troppo, un istante che permise al ragazzo di ricordarsi una conversazione avuta con lui ore addietro.

 

Quale che sia il costo!

 

Proprio quelle parole gli tornarono in mente mentre un vento improvviso iniziò a mugghiare, increspando le cime degli alberi di mele, solleticando il manto erboso ed agitando le acque del Pozzo Sacro. Avalon si voltò verso oriente, osservando il cielo caricarsi di nuvole nere, strati di nubi più nere della notte in grado di oscurare anche il lontano baluginio delle stelle. Per un interminabile istante vi fu silenzio sull’alto colle dell’isola sacra, prima che una danza di fulmini neri iniziasse a lacerare il cielo, schiantandosi ovunque attorno a loro, accompagnata da un vorticare furioso di tenebre.

 

I megaliti di pietra andarono in frantumi, le capanne e gli alloggi delle sacerdotesse e dei novizi vennero travolti da trombe d’aria tetra, il molo e gli approdi dell’isola furono risucchiati in un sempre più vasto vortice che parve inglobare l’intera Avalon, quasi volesse sradicarla dalle fondamenta.

 

Non… è possibile!!!” –Esclamò l’Arconte Supremo, fissando il cielo in burrasca con sguardo allucinato. –“Non può essere…

 

Co… cosa succede?!” –Gridò Pegasus, accucciandosi sul terreno, assieme ai compagni, indossando prontamente le armature e cercando di non essere risucchiati da quell’uragano devastante.

 

“Non può essere venuto fin qua!!!” –Ripeté il Principe degli Angeli, gli occhi sbarrati di fronte a quell’immensa nube nera che pareva fagocitare ogni cosa, facendosi sempre più vicina al gruppetto sulla sommità dell’isola. –“Non ora!!!”

 

“Avalon!!! Che sta succedendo?” –Continuò Pegasus, prima che l’uomo si voltasse e lo afferrasse per le spalle, obbligandolo a fissarlo.

 

“Va’ via!!!!” –Disse semplicemente. –“E porta i tuoi amici con te!”

 

Ma… Avalon?!”

 

“Fa’ come ti ho detto, Pegasus! Almeno stavolta obbedisci!” –Gli urlò l’altro, mentre l’immensa nube nera calava sulla cima del colle, vomitando loro contro migliaia di deformi sagome nere, agitate da un vento in tempesta disseminato di folgori d’ebano.

 

Nemeton, dammi il tuo potere!!! Forbærne!!!” –Gridò il Signore dell’Isola Sacra, sollevando un braccio al cielo, sul cui palmo aperto un lampo di luce esplose, rischiarando per un momento l’immensità di quella tenebra e obbligando i Cavalieri dello Zodiaco a chiudere gli occhi, accecati da tale improvviso lucore.

 

Quando li riaprirono, videro che l’intera sommità dell’isola era stata protetta da una cupola luminosa, il cui baricentro era qualche piede al di sopra delle loro teste, proprio dove Avalon si era retto fino a qualche istante addietro. Prima che l’ombra immensa piombasse sulla barriera stessa, scuotendola in profondità e prostrando a terra il suo creatore.

 

“Avalon!!!” –Lo chiamò Pegasus, correndo verso l’Angelo di Luce, inginocchiato a terra, con un braccio ancora rivolto verso il cielo, lungo cui sangue stava ruscellando copioso. Lo stesso sangue che gli imbrattava il viso, calando da tagli aperti sulla fronte e sotto gli occhi. –“Mio Signore!!!” –Esclamò angosciato il paladino di Atena, non avendo mai visto l’Arconte Supremo così ferito.

 

“Non mi avete sentito, Cavalieri? Non avete sentito quel che vi ho detto finora? Andate via!!!” –Tuonò, rimettendosi in piedi, mentre già la nube nera tentava un nuovo assalto alla barriera di luce, avvolgendola per intero, stritolandola, percuotendola, assorbendola lentamente fino a prosciugarla, e infine mandandola in frantumi, come fosse nient’altro che un misero vetro.

 

L’onda d’urto spinse Avalon e i cinque Cavalieri dello Zodiaco a terra e quando quest’ultimi si rialzarono videro che l’Arconte di Luce si era già rimesso in piedi, ergendosi di fronte a loro, a braccia aperte, con il cosmo portato al parossismo.

 

“Non passerai!” –Si limitò a dire, recitando una preghiera in gaelico antico, che soltanto Andromeda sul momento riuscì a comprendere. E, nel farlo, pianse.

 

Perché era un canto d’addio.

 

L’immensa nube nera piombò sul Principe Supremo degli Angeli, investendolo con la sua smisurata tenebra ma egli non cedette, non arretrò di un passo, rivestito da una luce così vivida in grado di contrastare per un momento quell’abisso primordiale.

 

“Mio Signore! Siamo con voi!!!” –Avvampò allora Pegasus, caricando il pugno destro di energia cosmica, ma bastò che muovesse un passo avanti che un’onda d’energia mentale lo spinse indietro. –“Ma… Mio Signore… perché?!”

 

Fu allora che Avalon si voltò, mentre l’ombra ormai era su di lui, attorno a lui, avvinghiando il suo corpo da ogni direzione, pur incapace di proseguire oltre quella barriera rappresentata dal suo corpo, come se quel misero corpo mortale potesse a lungo opporsi al Generatore di Mondi.

 

“Andate via, Cavalieri di Atena! Vi prego! Se moriste voi, morirebbe la speranza! Voi siete il futuro per le genti libere di tutto il mondo! Voi siete coloro che tutti attendono, quando pregano qualunque Dio possa salvarli e dare un senso alle loro esistenze! Voi siete il domani! Addio, giovani Cavalieri, e grazie per avermi regalato un sogno per cui vivere!” –Sorrise loro il Signore dell’Isola Sacra, prima di lasciar esplodere tutto il suo cosmo in una nebulosa di luce.

 

La detonazione improvvisa non fermò l’avanzata del Caos, che di quella luce si nutrì, fagocitandola e svuotando poi l’involucro terrestre che l’aveva contenuta per così lungo tempo. Inorridendo, Pegasus vide le tenebre strisciare attorno al corpo di Avalon, prima di entrargli dentro, dalla bocca, dalle narici, dagli orecchi, sfaldandolo, disgregandolo, riducendolo a mera polvere.

 

Nooo!!!” –Gridò il Cavaliere di Atena, tra le lacrime, lanciandosi avanti e liberando una devastante cometa di energia, cui subito andarono a sommarsi un dragone d’acqua, una fenice di fuoco, un cigno di ghiaccio e una tempesta di energia. Ma a niente servì quel loro assalto, venendo inglobato al pari del corpo di Avalon, disintegrandosi come pulviscolo nel vento. Un’esplosione subitanea li spinse indietro, oltre il bordo della radura, facendoli ruzzolare di sotto, lungo il terreno distrutto ove un tempo sorgevano meleti e capanne di legno. Caddero fino alla spiaggia paludosa, rialzando subito lo sguardo verso la sommità, ove l’immensa nube di Caos li sovrastava, risucchiando un intero mondo nelle sue viscere oscure.

 

Dobbiamo… ritentare!” –Mormorò Pegasus, chiudendo le dita a pugno e cercando l’assenso dei compagni. Ma Andromeda lo bloccò, afferrandogli un braccio e scuotendo la testa, di fronte agli sguardi attoniti degli amici. Non ebbe tempo di aggiungere altro che una tempesta di fulmini azzurri rischiarò il cielo, abbattendosi attorno a loro, in modo da generare un cerchio protettivo che le tenebre non poterono oltrepassare.

 

In mezzo a quella pioggia di folgori apparve una sagoma che Cristal ben conosceva, un uomo in armatura azzurra che in silenzio si limitò ad agguantarli tutti, tenendoli vicino a sé mentre il suo cosmo li circondava e li teletrasportava via, lontano da Avalon e dalla morte.

 

In un lampo di luce Pegasus, Andromeda, Cristal, Sirio e Phoenix apparvero nel piazzale sul retro della fortezza di Asgard. Lo riconobbero subito, per quanto fosse notte inoltrata, come identificarono le tre sagome in impaziente attesa, rischiarate dalla luce di una torcia che Atena stringeva in mano.

 

Flare…” –Mormorò Cristal.

 

Proprio la Celebrante di Odino era stata fino ad allora intenta a parlare con Mani e con Alexer, quando quest’ultimo aveva percepito l’immensa tenebra lambire i confini dell’isola sacra e iniziare ad assorbire l’energia del fratello. Così era intervenuto, facendo quello che andava fatto, quello che Avalon avrebbe voluto facesse.

 

Dobbiamo… tornare indietro!!!” –Esclamò subito Pegasus, ancora scosso. –“Avalon ha bisogno di noi!”

 

Pegasus…” –La voce calma di Andromeda era incrinata dalle lacrime.

 

“Dobbiamo andare! Possiamo ancora salvarlo! Possiamo combattere!!!” –Ripeté il Primo Cavaliere di Atena, supplicando i compagni con sguardo stravolto. Quindi, vedendo che nessuno accennava a rispondergli, che nessuno sembrava pronto a seguirlo in quell’impresa, si voltò verso l’uomo dall’armatura azzurra che li aveva teletrasportati tutti ad Asgard. –“Principe Alexer, perché ci avete trascinato via?”

 

“Per salvarvi!” –Commentò questi, rialzandosi e inspirando a fatica. –“E per onorare la memoria di mio fratello che così tanto ha creduto in voi, che a lungo ha atteso il vostro arrivo! E dall’impeto che riversi in guerra, Cavaliere di Pegasus, credo che egli avesse visto giusto! Voi siete la speranza!” –Gli disse, con voce più calma, prima di poggiargli una mano sulla spalla destra e guardarlo in faccia. Solo allora, mentre il suo cuore accennava finalmente a calmarsi, Pegasus notò le lacrime rigare il volto dell’Angelo di Aria. –“Lui è morto e gettarsi allo sbaraglio non lo riporterà indietro! Tornare ad Avalon adesso significa farsi uccidere da Caos!”

 

“Lui è morto…” –Ripeté il paladino di Atena, quasi come quelle parole per la prima volta gli mostrassero la realtà. –“Aaargh!!!” –Gridò, scagliando un pugno verso il lastricato, mandandolo in frantumi, e accasciandosi poi per la sopraggiunta stanchezza. –“Non può essere vero! È solo un incubo! Atena, non può essere! È un’illusione creata dai nostri nemici, nient’altro, vero?!”

 

La Dea gli si avvicinò, aiutandolo a rialzarsi e prendendogli le mani tra le proprie, fissandolo con tenerezza, senza riuscire a nascondere le lacrime.

 

“Ha inseguito un sogno di pace per tutta la vita e quel sogno, quell’ideale di salvezza per l’umanità, l’ha visto in noi!” –Parlò allora Andromeda, lentamente, trattenendo i singhiozzi per una fine che pure avrebbe dovuto aspettarsi, avendola già vista. –“Sapeva che sarebbe morto, ma si è eretto comunque davanti a noi! Per difenderci! Per darci un’opportunità!”

 

“Non lo deluderemo!” –Intervenne Cristal, affiancando l’amico. –“Potete esserne certo, Principe Alexer! Noi non tradiremo mai gli ideali di Avalon, ideali che vostro fratello ci ha affidato, sacrificando la propria vita per la nostra!”

 

“Noi combatteremo!” –Chiosò Sirio. –“Contro Caos, contro i Progenitori! Contro chiunque ancora verrà a minacciare questa nostra bella Terra così colma d’amore!”

 

“Per Avalon! Per Atena! Per gli uomini!” –Concluse Phoenix, prima che la stessa esclamazione fosse ripetuta dai suoi compagni. Dai suoi amici.

 

“Per gli uomini!!!”

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 42
*** Epilogo (e Schede tecniche dei personaggi) ***


EPILOGO

 

La scomparsa del cosmo di Avalon fu avvertita in tutto il mondo, gettando i membri dell’alleanza divina in uno stato di profondo sconforto.

 

Andrei, ancora in Egitto a discutere con Amon Ra sui riti funebri con cui avrebbero onorato i caduti nel deserto africano, eruppe in un grido di rabbia, crollando con le ginocchia nella sabbia, mentre attorno a sé esplodeva un immenso rogo di fiamme.

 

Sei dunque stato tu il primo a cadere tra noi, amico mio? Pianse il Sole d’Egitto, affiancato dai feriti Horus e Bastet. Se persino tu, che così tanto avevi studiato l’ombra, attendendo la sua venuta e radunando le speranze di popoli diversi, ne sei rimasto sopraffatto, che speranze avremo noi, semplici Dei?

 

Reis, Jonathan, Febo e Marins, da lui poco distanti, rimasero sconcertati di fronte ad un’eventualità che mai avevano preso in considerazione. In quel turbinio cosmico che era il mondo, Avalon era sempre stato un punto fermo per loro, la Stella Polare in grado di orientare il loro cammino.

 

Reis lasciò cadere la Spada di Luce, gli occhi increduli e colmi di lacrime, ricordando il giorno in cui era arrivata sull’isola sacra. Per la verità, all’epoca era soltanto una bambina scampata ad un’alluvione, ma quel ricordo Avalon lo aveva risvegliato nella sua coscienza tramite anni di lunghe meditazioni. Era stato lui ad insegnarle a navigare nella memoria, mostrandole quel che era accaduto quel giorno, mostrandole quanto amore i suoi genitori le avevano dato, in quel poco tempo che avevano potuto trascorrere insieme. Quello stesso amore che anch’egli, a modo suo, gli aveva donato, ospitandola nella sua casa e dando un fine alla sua esistenza, prima dei Sette Cavalieri delle Stelle ad essere insignita del titolo.

 

Jonathan, al suo fianco, piantò con rabbia lo Scettro d’Oro al suolo, frustrato e impotente, come il giorno in cui Anhar aveva assaltato il santuario di Isla del Sol, portandogli via sua madre. In ambo i casi aveva potuto soltanto restare a guardare. Il tocco di una mano amica lo fece voltare, trovando il suo maestro accanto a sé, gli occhi lucidi, la stessa tristezza di quel giorno nel cuore.

 

Analogo sentimento stava divorando il cuore di Marins e di Febo, soprattutto del primo, che più tempo aveva trascorso con il Signore dell’Isola Sacra. Sorrise, tra le lacrime, mentre il vento agitava la sabbia davanti ai suoi occhi, mentre il dolore gli permise di vedere in quella stessa polvere agitare ricordi lontani, ricordi di una partita giocata al William Shea Stadium, in una vita passata. Si chinò, raccolse un po’ di sabbia e la modellò, facendone una rozza palla da baseball che tirò lontano, osservandola dissolversi nel vento, certo che Avalon non l’avrebbe afferrata.

 

Nel palazzo di Euribia, nei fondali oceanici, dove gli Areoi stavano riposando e curando le loro ferite, Asterios tremò, e non per il freddo che avrebbe dovuto provare a così tanti metri di profondità. Ma per la certezza di non aver potuto dire addio a un fratello con cui poco tempo aveva trascorso. Anch’egli, del resto, aveva commesso lo stesso errore di Zeus e di molti altri Dei, convinto di essere immortale, di cavalcare l’onda perfetta, convinto di poter rimandare a domani quel che invece poteva essere fatto soltanto oggi.

 

L’anziana mano di Avatea gli afferrò la propria, facendolo voltare verso di lei, che gli indicò la grande sfera di madreperla posizionata su un basamento poco distante. La Selenite della Terra l’aveva recuperata prima di lasciare il distrutto Avaiki, decisa a portare avanti una tradizione per cui molti Areoi erano morti. Adesso che Hina era morta, qualcuno avrebbe dovuto custodire la Perla dei Mari, custodendo le anime degli aumakuas. Asterios comprese quel che la Dea della Luna volesse intendere e le diede ragione: Avalon di certo non sarebbe stato solo. Non a lungo, almeno.

 

Il pugno di Ascanio distrusse uno scoglio a mani nude, abbattendosi poi su altri affioramenti rocciosi che lo circondavano. Uno dopo l’altro, in una manciata di secondi, li sbriciolò rabbioso, travolto da una furia che non aveva mai provato in vita. Una furia che rispondeva al nome di colpevolezza.

 

Aveva ripensato spesso, in quella trasferta oceanica, alle parole che Anhar, nel corpo di Virgo, gli aveva rivolto nel Giardino dei Salici Gemelli e aveva dovuto ammettere che, sia pur lontana, una punta di verità poteva esserci. Era davvero possibile, si era chiesto più volte, che Avalon non volesse la morte dell’Angelo Oscuro? Se così fosse, perché? Avrebbe voluto parlarne con lui, ma il poco tempo a disposizione glielo aveva impedito. O forse era stato il timore, qualora gli avesse confessato i propri dubbi, di una sua reazione? Una possibile delusione da parte di colui che vedeva nel Comandante dei Cavalieri delle Stelle il suo erede, destinato a succedergli alla guida dell’Isola Sacra?

 

Bella guida sono stato! Avvampò, gli occhi neri invasi da un’acredine imprevista. Ho lasciato morire il mio mentore, anziché essere con lui, a battermi al suo fianco! Egli ha dato un senso alla mia esistenza, richiamando alla mia memoria i ricordi delle mie vite passate, dalle origini della mia dinastia, ed io non sono stato in grado di dissipare il velo di inganni che il Maestro di Ombre aveva tessuto nella mia mente?! Avalon voleva sconfiggere Caos, a qualunque costo. A questo ha dedicato la vita e non sarebbe mai sceso ad alcun compromesso! Sono stato un idiota solo ad aver messo in dubbio il suo credo! Si disse, affondando il pugno nella parete di roccia e osservando la mano livida e sanguinante. Ma quando fece per caricare di nuovo, venne fermato da un’altra mano, che gliela bloccò, tenendola stretta nella propria e infondendogli il tepore di un cosmo amico. Una parte di quel calore che Ascanio e le forze dell’alleanza avevano portato quel giorno negli abissi oceanici, combattendo e morendo per proteggere uomini e guerrieri che neppure conoscevano. Di quello, Toru dello Squalo Bianco sarebbe sempre stato loro riconoscente.

 

Fuori da Asgard, lungo la strada principale che correva fino al Cancello dei Grifoni, due figure passeggiavano, osservando lo sfacelo di quel giorno di guerra. Uno sfacelo che avrebbe potuto essere maggiore. Sollevando lo sguardo verso le mura della cittadella, danneggiate dagli attacchi dell’Armata delle Tenebre, Eracle vide le numerose torce accese, una per ciascun guerriero del nord caduto, una per ognuno dei Blue Warriors. Era stato Mani, poc’anzi, a proporre quel rito silenzioso, che di certo non sarebbe bastato ad onorare la loro forza d’animo, la determinazione e il cuore impavido che li aveva resi fermi in battaglia, pronti a morire pur di difendere coloro che amavano. La loro terra, la loro regina, le loro famiglie.

 

Sospirando, Zeus e Eracle si scambiarono uno sguardo triste, sebbene a nessuno dei due quelle stragi fossero inusuali. Quante morti avevano infatti causato con le guerre che avevano scatenato o a cui avevano comunque preso parte? Così tante che neppure i numeri bastavano più ad enumerarle. Eppure erano ancora lì, mentre gli uomini mortali morivano e adesso persino gli Dei.

 

Morfeo, Eros, Ebe, Dioniso, Eos, Asclepio, Artemide, Odino, Balder, Freyr, Osiride, Iside, gli Asura indiani, Era. E infine anche Avalon.

 

È tempo di suonare una diversa musica! Si disse il Nume Supremo dell’Olimpo, varcando la soglia della cittadella ed entrando ad Asgard.

 

***

 

“Avremmo dovuto essere con lui!” –Esordì così l’Arconte di Fuoco, non appena apparve nel salone della reggia di Asgard ove gli Angeli e i Cavalieri dello Zodiaco si erano rifugiati e da cui avevano inviato messaggi a tutti i loro alleati, affinché li raggiungessero per decidere un nuovo piano d’azione. Al momento erano presenti, oltre a loro, sei Cavalieri delle Stelle, Flare, gli Asi e gli Olimpi maggiori.

 

“Quietati, Andrei!” –Cercò di calmarlo il Principe della devastata Valle di Cristallo, non ottenendo altro che uno sguardo irato.


“Sai che ho ragione! Avremmo dovuto essere con lui! Cosa diavolo gli è venuto in mente di andarsene a giro per il mondo da solo?!”

 

“Avalon aveva le sue necessità, che a volte potevamo non comprendere, ma di certo sapeva quel che stava facendo!” –Intervenne allora una terza voce, facendo voltare Andrei verso una parete del Salone del Fuoco, laddove Asterios era appoggiato, le dita intente a pizzicare la cetra che teneva sotto braccio, lo sguardo assente.

 

“Sapeva anche che si sarebbe fatto uccidere?!”

 

“Sì! Lo sapeva!” –A parlare non fu uno degli Angeli bensì Andromeda, che stupì tutti i presenti, non solo i suoi amici e Atena. –“Lui… sapeva che l’ombra sarebbe giunta, in quel momento! La Vista lo aveva avvisato e anch’io ne ero consapevole! Ma lui… ha scelto comunque di affrontare il suo destino, ergendosi solo di fronte all’ombra! Ha voluto mandare un messaggio, a Caos e ai Progenitori, chiaro ed inequivocabile! Il mondo non è vostro, non ancora, non finché ci saranno uomini e Dei pronti a lottare e a morire per difenderlo!”

 

“Un gesto suicida!” –Ringhiò allora Andrei, agitando la mano davanti al viso. –“E quanto ancora potremo difenderlo, adesso che lui è caduto? Adesso che le nostre forze sono state piegate da questa prima giornata di combattimenti? E sottolineo prima! Guardate come ci ha ridotto una sola giornata?! Siate realisti, siate sinceri! Quanto ancora potremo resistere? Quanto potranno combattere ancora i vostri uomini, i vostri fedeli, i vostri Cavalieri?!”

 

Per qualche istante nessuno rispose, tutti consapevoli delle difficoltà incontrate in quella giornata parsa infinita. Erano stati vittoriosi su molti fronti, questo era vero, avevano impedito che Asgard e Karnak venissero distrutte, ma tutti i regni divini avevano subito danni ingenti, soprattutto il Santuario di Atena, la cui delicata architettura ormai era irriconoscibile. L’Avaiki oceanico era stato spazzato via, al pari del Reame della Luna Splendente e di molti complessi templari egizi, ed eguale sorte avevano incontrato i regni dell’Asia centrale. Da quel che Phoenix aveva riferito, Themyskira era in rovina, come pure i templi indiani e del Sud-Est asiatico. Quanto ci sarebbe voluto prima che anche Asgard o l’Olimpo subissero tale sorte?

 

“Resisteremo finché le gambe non ci reggeranno più!” –Disse allora Pegasus, attirando su di sé gli sguardi di tutti i presenti. Pieno d’amore quello di Atena, di ammirazione quelli di Zeus e di Eracle, di stupore quello degli Angeli. –“Finché il nostro cosmo brillerà, fino all’ultima stilla di vita, noi combatteremo per difendere ciò che abbiamo di più caro! Lo abbiamo promesso ad Avalon e prima ancora a noi stessi!”

 

“La tua determinazione ti fa onore, giovane Cavaliere di Pegasus, ed io combatterò con te, questo è certo!” –Annuì Andrei in tono greve. –“Purtroppo non è sentimento che ci permetta di rigenerare in fretta le nostre ferite, soprattutto le vostre e quelle degli uomini mortali che vi seguono! Avete visto tutti la nube nera che sta sommergendo il mondo? Ovunque passa, ovunque essa proietti la sua ombra, oscura il futuro degli uomini, privandoli di ogni forma di luce. Presto, prima anche solo di riuscire a ipotizzare quando, la Terra sarà sommersa da una sì fitta foschia che in confronto l’unione dei nostri cosmi sarà un baluginare stanco! Caos sa che le nostre forze sono in crisi, che le nostre speranze si assottigliano ogni giorno di più! È furbo, più di quanto credessi, e lo ha dimostrato non scendendo apertamente in guerra, affidandosi ai suoi accoliti, che ancora dobbiamo sconfiggere! Ma adesso, avendo fatto fuori il suo principale avversario, sta mettendo da parte la prudenza, preparandosi a sferrare il più poderoso attacco che questa Terra abbia mai conosciuto! La civiltà degli uomini volge al tramonto, amici miei!”

 

“La sua fretta e la sua convinzione di una facile vittoria saranno la causa della sua sconfitta!” –Interloquì allora Pegasus, battendo un pugno dentro il palmo dell’altra mano. –“Lui non sa che abbiamo un’arma per batterlo, giusto? Cioè avete un’arma! Avalon ce ne ha parlato! La Coppa di Luce! Ed era certo che servisse allo scopo, eliminare la minaccia di Caos una volta per tutte!”

 

“Oh, la Coppa di Luce! Già!” –Mormorò Andrei, scambiando uno sguardo inquieto con Alexer, prima di abbandonarsi ad una risata irrequieta.

 

“Trovarla e usarla contro Caos è stato lo scopo della nostra esistenza. è un manufatto antico che può essere evocato unendo i Talismani delle Stelle!” –Spiegò l’Arconte di Aria. –“Nella sua forma più comune è, o meglio riteniamo che sia, in quanto nessuno di noi l’ha mai vista, un contenitore, diciamo un vaso atto a contenere l’arma definitiva nella guerra contro l’ombra! Essa infatti cela al suo interno la gloriosa armatura della Leggenda, la prima corazza forgiata dagli alchimisti che in seguito si sarebbero sparsi per il mondo, dando vita alle civiltà di Mu, Atlantide ed altre ancora. Una corazza interamente di mithril, resistente come nessun’altra corazza al mondo, poiché mai usata prima, rimasta per secoli e secoli allo stato iniziale di creazione, ed intrisa del cosmo dei Sette Saggi antichi.”

 

“Un’armatura del genere… supera qualsiasi difesa possiamo creare!” –Mormorò Zeus, affascinato, mentre anche Nettuno ed Eracle, al suo fianco, sgranavano gli occhi esterrefatti da simili rivelazioni.

 

“Per questo è stata creata, per vestire il Cavaliere della Leggenda, l’uomo che si innalzerà dal mucchio di umane genti e il cui cosmo supererà il Nono Senso, entrando in contatto con l’essenza stessa della creazione. Un potere ultimo che nessuno di noi è in grado neppure di immaginare.”

 

“Superare il Nono Senso?! Ma… è possibile?! Persino Avalon ci disse che era il livello massimo raggiungibile per un uomo, l’ultimo livello della conoscenza!” –Affermò Phoenix, subito seguito dal fratello. –“Cosa può esserci oltre? Cosa può essere più in alto di un Dio?!”

 

“Essere il Dio!” –Precisò Alexer. –“Essere energia pura, fonte di creazione e distruzione al tempo stesso.”

 

“Non ho mai sentito parlare di un’arma simile, ma se esiste, e le vostre parole mi infondono certezza, allora forse abbiamo una qualche speranza di vincere questa guerra!” –Parlò allora Vidharr, il quieto figlio di Odino, suscitando reazioni simili anche negli Dei di Grecia e nei Cavalieri dello Zodiaco. Reazioni che Alexer non tardò a smorzare.

 

“Temo purtroppo che non sarà possibile usare la Coppa di Luce!”

 

“Cosa?! E perché mai?!” –Chiese subito Pegasus.

 

“Perché Avalon era l’unico che sapesse come evocarla, l’unico che conoscesse il rito per aprire le porte tra i mondi e farla apparire!”

 

“No!!! Non è possibile!” –Esclamarono i Cavalieri dello Zodiaco, sconvolti da quell’infausta rivelazione.

 

“Ci dispiace!” –Commentò Alexer, mentre Andrei, vicino a lui, scuoteva la testa, il volto visibilmente colmo di rabbia.

 

“Adesso capite cosa intendevo poc’anzi! Avalon si è soltanto fatto ammazzare, privandoci della possibilità di evocare la Coppa di Luce!”

 

“Avalon non sapeva che Caos sarebbe giunto fin là! Neppure io immaginavo che si sarebbe mosso fino a quando i suoi emissari non avessero annientato ogni possibile minaccia alla sua esistenza!” –Cercò di giustificarsi l’Angelo di Aria.

 

“Non è possibile reperire questo rito? Avalon avrà lasciato indicazioni? Qualche appunto? Magari era per questo che era tornato sull’isola stanotte!” –Avanzò l’ipotesi Pegasus, mentre Alexer scuoteva la testa, spiegando che il fratello non avrebbe certo messo su carta una simile preziosa informazione, preferendo conservarla nella memoria. –“Potremmo comunque tornare ad Avalon a controllare? Possiamo andare anche noi, se volete!”

 

“Non trovereste niente, soltanto rovine e morte!” –Parlò allora una nuova voce, mentre le porte del Salone del Fuoco si aprivano ed un uomo rivestito da una danneggiata armatura verde e marrone ne entrava a passo deciso. Alto e robusto, il viso bruno segnato dalle battaglie sostenute, teneva l’elmo rotondo sottobraccio mentre nell’altra mano stringeva un pezzo di pietra grigia, che gettò in mezzo ai presenti. –“Ecco quel che rimane dell’Isola Sacra! Quel che resta degli imponenti megaliti che ne ornavano la sommità! Il nemeton degli antichi druidi di Albion è adesso una devastata palude ove alto permane l’odore di morte e di caducità!”

 

“Comandante…” –Mormorarono Jonathan e Reis, avvicinandosi al giovane dal fisico atletico scelto da Avalon per guidare l’ordine dei Cavalieri delle Stelle.

 

“Le tue parole sono vere, Ascanio Pendragon!” –Annuì Alexer, chinando il capo, uniti dalla stessa sofferenza, dallo stesso senso di perdita.

 

“Coppa o non coppa, la guerra continua e dobbiamo organizzare le nostre difese!” –Riprese Asterios a parlare. –“Forco è caduto e credo che soltanto lui desiderasse occupare gli Avaiki degli Areoi. Ciò non toglie che, anche senza dover difendere le Conchiglie del Popolo Libero, le nostre forze siano poche! Addirittura inferiori rispetto al precedente consiglio!”

 

“Molti Heroes di Eracle sono caduti, al pari di numerosi Guerrieri di Inti, Soldati del Sole e Blue Warriors. Persino le Amazzoni sono state decimate, così pure i santoni indiani. E dall’Africa non verrà nessuno, non esistendo più alcun membro dei Savanas in attività! Dovremo cavarcela con quello che abbiamo!” –Convenne Alexer, prima che Andrei illustrasse come si sarebbero distribuiti.

 

“Uno di noi per ciascuno dei tre grandi regni rimasti! Asgard, Atene e l’Egitto! Tutto il resto ormai è impossibile da proteggere!”

 

“E questi regni, quanto credi che riusciremo a difenderli dall’avanzata della marea d’ombra?!” –Azzardò allora Zeus, abbandonandosi ad un sospiro.

 

“Cos’altro dovremmo fare? Asserragliarci tutti sull’Olimpo?!” –Chiese Alexer, prima che una nuova fiammeggiante voce rispondesse a tutti loro.

 

“Combattere! Combattere e combattere ancora! Finché l’ombra non sarà tramontata o la nostra luce si sia spenta nel tentativo!”

 

Un bagliore improvviso invase il Salone del Fuoco, obbligando i presenti a tapparsi gli occhi con le braccia. Quando la calda luce calò d’intensità, tutti poterono ammirare un uomo alto e possente, rivestito da un’armatura dorata, striata di arancione, caratterizzata da un immenso occhio aperto, con un punto nel mezzo, dipinto sul pettorale della stessa. Un uomo che uomo non era, come a tutti fu subito chiaro, anche a chi non l’aveva mai incontrato di persona.

 

“Padre…” –Esclamò Febo, felice di rivederlo.

 

“Possente Amon!” –Si inchinò Andrei, mentre il Sole d’Egitto lo pregava di lasciar da parte quei ridicoli formalismi di cui in quel momento dovevano fare a meno.

 

“Perdonatemi tutti, amici di vecchia e nuova data, per questa mia improvvisa apparizione! Soprattutto voi, Celebrante di Odino, perdonate la mia rudezza! Ma i tempi sono maturi, tardi oserei definirli, e perderli confabulando in un’erta fortezza lontana dai campi di battaglia non è opportuno!”

 

“Cosa intendete dire, Sommo Amon? Anche Asgard è stata assediata quest’oggi, al pari della vostra Karnak!” –Precisò subito l’Angelo di Aria, ricevendo un cenno d’immediato assenso da parte del Nume egiziano.

 

“Lo so bene, Principe Alexer, come so che domani ciò accadrà di nuovo, e il giorno dopo ancora, finché le mura di questa roccaforte, al pari di quelle della piramide di Karnak e delle Dodici Case dello Zodiaco non saranno macerie! Se sottostiamo ancora alle loro condizioni, se continuiamo a giocare secondo le regole dei Progenitori, finiremo per perdere questa guerra, nel peggiore dei modi!”

 

“Cos’altro potremmo fare, mio Signore? Non vorrete certo rinunciare?!”

 

“Solo puntualizzare una verità che molti non vedono! Finora abbiamo giocato in difesa e abbiamo sempre perso, non solo oggi, ma negli ultimi anni, negli ultimi secoli, da quando l’ombra ha inviato il suo araldo per intaccare l’equilibrio cosmico! I nostri regni divini sono stati attaccati, invasi, distrutti, ciò che avevamo costruito e preservato per secoli è svanito, la pace, l’armonia, la nostra sicurezza. L’unica vittoria che siamo stati in grado di riportare, l’unica occasione in cui abbiamo avuto ragione di celebrare alcunché, è stato quando il mio fido Osiride ha assalito a sorpresa il Santuario delle Origini per liberare mio figlio e il suo compagno. Allo stesso modo dobbiamo agire anche noi! Dobbiamo colpire al cuore!”

 

“Proponete dunque di attaccare il Santuario delle Origini? Ove Caos e i Progenitori dimorano? È una follia!” –Sgranò gli occhi Alexer, al pari di Atena e di Vidharr.

 

“Ma necessaria!” –Concluse Amon Ra, lasciando che una cappa di silenzio scendesse per qualche minuto sulla ristretta assemblea.

 

“Il Pastore dell’Universo ha ragione!” –Intervenne infine Zeus, concentrando gli sguardi su di sé. –“Basta con i timori e le paure, se la fine di tutto è giunta, non la accetteremo apatici ma la contrasteremo fino all’ultimo! Pensateci, amici e alleati, se aspettiamo ancora, daremo tempo a Caos di generare o risvegliare chissà quale oscura creatura, avendo egli un potere pressoché illimitato, mentre noi non abbiamo modo di integrare le nostre armate. Dobbiamo attaccare e dobbiamo farlo adesso!”

 

“Mio padre dice il vero! Continuare a difendere i nostri regni non risolverà il problema, non debellerà la minaccia, ma finirà solo per sterminare tutte le nostre forze, fisiche e morali!” –Gli diede ragione Eracle, prima di trovare anche l’appoggio di Nettuno, dei Cavalieri delle Stelle, che non vedevano l’ora di vendicare il loro maestro, e dei Cavalieri dello Zodiaco.

 

“Senza la Coppa di Luce, sarà un massacro!” –Commentò Alexer, cercando lo sguardo dei fratelli. Già una nuova vivida luce si era accesa negli occhi di Andrei, al pensiero di sferrare per primi il prossimo attacco, una luce che lo aveva ringiovanito di qualche anno. E anche Asterios, seppure con minor foga, riconobbe che era l’unica alternativa possibile.

 

Ultimi furono Vidharr il silente, Flare e Atena ad annuire, tra sospiri e dispiaceri, non per loro ma per gli uomini che avrebbero mandato a morire in quel deserto d’ombra. Ma non sarebbero stati soli, nessuno lo sarebbe stato più. Tutti i regni divini, a qualunque culto fossero devoti, avrebbero unito i loro eserciti, le loro forze, la loro strenua volontà di combattere per il futuro, in un’unica grande armata che avrebbe marciato contro il Santuario delle Origini per raderlo al suolo.

 

O, al massimo, per morire nel tentativo.

 

 

L’ALBA DELL’ULTIMA GUERRA – FINE

 

© Aledileo per tutti i personaggi inediti.

 

 

***

 

COMING SOON:

 

ALEDILEO presenta:

I CAVALIERI DELLO ZODIACO

8

SAGA DI AVALON

parte 4 di 4

La gloria e l’addio

 

***

 

Schede dei personaggi:

 

ATENE

 

CAVALIERI DIVINI:

 

PEGASUS:

         Il Primo Cavaliere della Dea Atena, cui è unito da un legame che trascende il tempo, dall’epoca del primo Cavaliere di Pegasus. Combatte contro Erebo sull’Etna e ad Asgard, affrontando anche gli Dei di Luce ad Atene. La sua armatura viene riforgiata da Efesto utilizzando l’Ichor di Zeus, che la rende così molto resistente. Ma sarà sufficiente per affrontare l’ultima ombra? A volte, Pegasus teme di no.

         (Colpi segreti: Fulmine di Pegasus, Cometa lucente)

 

ANDROMEDA:

         Grazie ad Avalon, scopre finalmente cosa Biliku gli ha lasciato, la Vista, la capacità di vedere il passato, il presente e a volte anche il futuro. La sua corazza viene irrorata col sangue di Ate, che la maledice e se ne serve per portare Andromeda al lato oscuro, spingendolo a compiere atti nefandi, tra cui affrontare Phoenix. Sarà l’amore fraterno e l’intervento di un vecchio nemico a risvegliare il suo cosmo lucente e il suo animo nobile.

         (Colpi segreti: Catena di Andromeda, Onde del Tuono, Melodia scintillante di Andromeda, Nebulosa di Andromeda)

 

SIRIO IL DRAGONE:

         Dopo che la sua armatura viene bagnata dal sangue di Nettuno, Sirio segue il Dio dei Mari nel Pacifico Meridionale, in un regno di cui non conosceva l’esistenza. Là, nell’Avaiki degli Areoi, affronta un temibile nemico, discepolo del suo stesso maestro. In quel duro scontro, affiancato da Ascanio, è sostenuto dal ricordo degli allievi di Dohko.

         (Colpi segreti: Colpo segreto del drago nascente, Excalibur, Colpo dei cento draghi)

 

CRISTAL IL CIGNO:

         Compagno di Flare, paladino di Asgard, il Cigno combatte all’ingresso della Valle di Cristallo per impedire all’Armata delle Tenebre di raggiungere la cittadella sul Mare Artico. Sconfigge l’ultima Gorgone, ma viene impegnato duramente da Erebo, in uno scontro massacrante e sanguinario. Può contare sull’aiuto di Alexer, suo angelo guardiano, sempre pronto a guardargli le spalle. Come un amico o come un padre.

         (Colpi segreti: Polvere di diamanti, Vortice scintillante dell’aurora, Anelli di ghiaccio, Per il sacro Acquarius)

 

PHOENIX:

         Dopo che Efesto ha riparato la sua armatura, il Cavaliere dell’Araba Fenice raggiunge le sponde del Mar Nero, per portare aiuto alle Amazzoni, intente ad affrontare le legioni oscure del Caos. Costretto ad affrontare Andromeda, fa appello al buon cuore del fratello, certo che possa risvegliare la sua vera natura sepolta dietro la maschera d’odio che Ate gli ha calato addosso, prima di dirigersi verso l’Egitto e affrontare il più temibile nemico mai fronteggiato fino ad allora.

         (Colpi segreti: Fantasma diabolico, Pugno infuocato, Ali della Fenice)

 

CAVALIERI DI BRONZO:

 

ASHER DELL’UNICORNO:

         Battagliero, determinato, testardo, Asher guida la resistenza delle ultime forze di Atena a difesa del Grande Tempio, contro Atlante, in uno scontro perso in partenza. Non per questo ha mai dubbi né medita la fuga. Anela soltanto a combattere per Atena.

 

YULIJ DEL SESTANTE:

         Sacerdotessa di recente investita, dopo essere stata addestrata da Tisifone e Castalia. Combatte assieme ai compagni di Bronzo e Argento per difendere il Santuario della Dea Guerriera.

 

KAMA DELLA POPPA:

         Uno dei Cavalieri di Atena più anziani. Allieva di Magellano della Mensa, assieme a Regor e Nicol, scese in Africa con il maestro e il compagno, per portare aiuto alle popolazioni del continente nero. Si unì a Regor, rimanendo al suo fianco fino alla morte ed ereditando il suo compito: vegliare sull’Atlante e sul titano dimenticato.

 

REDA e SALZIUS:

         I discepoli di Albione combattono a fianco di Asher e Castalia contro Atlante, per riscattarsi agli occhi della Dea che avevano disonorato in passato con i loro atteggiamenti.

 

NEMES DEL CAMALEONTE:

         La Sacerdotessa amata da Andromeda ha lasciato l’isola etiope per portare il proprio aiuto ai Cavalieri di Atena, nella difesa del Grande Tempio.

 

CAVALIERI D’ARGENTO:

 

CASTALIA DELL’AQUILA:

         La maestra di Pegasus combatte strenuamente a difesa del Santuario, sia contro Atlante che contro le Amphilogie. Ha anche modo di scambiare alcune parole con un Cavaliere Celeste mai incontrato prima, che scopre essere una persona che riteneva perduta.

         (Colpi segreti: Meteora pungente)

 

TISIFONE DEL SERPENTARIO:

         Energica e combattiva, la Sacerdotessa dell’Ofiuco segue Asterios e Ascanio nel lontano Avaiki, affrontando Afanc assieme a Titis.

         (Colpi segreti: Cobra incantatore)

 

NICOLE DELL’ALTARE:

         Attendente personale di Atena, Nicole è l’ultimo custode di una sapienza antica, di cui lui stesso si è nutrito negli anni in cui è stato bibliotecario. Non avendo mai amato combattere, ha preferito mettere le proprie conoscenze e capacità al servizio di Atena in un altro modo, conservando un segreto che ha permesso alla Dea di ritrovare tre amiche perdute.

         (Colpi segreti: Nicole può evocare il Fiat Lux, la suprema tecnica difensiva del Santuario, riservata ai massimi officianti della Dea).

 

CAVALIERI D’ORO:

 

MUR DELL’ARIETE:

         Stanco e fiacco, per le guerre continue e la perdita di sua madre, Mur ripara comunque le armature dei compagni, ben sapendo quanto ne abbiano bisogno nella guerra in corso. Indebolito, si erge comunque a difesa delle Dodici Case, affrontando Atlante assieme a Virgo e Tiresia, e recandosi poi al Cancello Orientale per regolare i conti con Horkos una volta per tutte.

         (Colpi segreti: Onda di luce stellare, Muro di cristallo, Cuneo di cristallo, Rivoluzione di stelle).

 

IORIA DEL LEONE:

         Il Cavaliere di Leo, dopo che Mur ha riparato la sua armatura, con il proprio sangue, scende in Egitto con le forze dell’alleanza, ingaggiando battaglia contro Beira della Cailleach, nelle stesse terre dove, anni addietro, aveva conosciuto Reis.

         (Colpi segreti: Per il sacro Leo, Zanne del Leone/Lightning Fang, Keraunos)

 

VIRGO:

         Il Custode della Porta Eterna tenta di frenare l’avanzata di Atlante assieme a Mur e agli altri Cavalieri d’Atena, deciso a dare tutto se stesso nell’impresa.

         (Colpi segreti: Kaan, Abbandono dell’Oriente)

 

ALTRI PERSONAGGI:

 

KIKI:

         Il fratellino di Mur ha imparato a riparare le armature, dopo aver affiancato tante volte il fratello. Aiuta Kama a evacuare il Grande Tempio durante l’assalto di Atlante.

 

CLIFF O’KENTS:

         Marinaio di origini scozzesi, è uno dei collaboratori della Fondazione Thule, cui Isabel affida spesso imprese segrete e delicate.

 

PATRIZIO:

         Capo dei soldati semplici del Grande Tempio, ha servito Atena dai tempi di Shin, deciso a combattere in suo nome contro l’ombra nascente.

 

AVALON

 

CAVALIERI DELLE STELLE:

 

JONATHAN, Cavaliere dei Sogni:

         Segue il maestro nella campagna d’Egitto, ignaro sulle sue origini.

 

REIS di Lighthouse, Cavaliere di Luce:

         Affianca Jonathan in Egitto, proprio dove, quindici anni addietro, aveva incontrato Ioria per la prima volta.

 

FEBO, Cavaliere del Sole:

         Non ha dubbi sul fronte in cui lottare, né sullo scopo: proteggere coloro che ama, la famiglia che lo ha cresciuto, donandogli amore.

 

MARINS, Cavaliere dei Mari Azzurri:

         Fedele amico di Febo, dedica tutto se stesso ad aiutarlo.

         (Colpi segreti: Maremoto dei mari azzurri)

 

MATTHEW, Cavaliere dell’Arcobaleno:

         Messi da parte i tentennamenti di un’adolescenza inquieta, Matt ha adesso preso coscienza del suo ruolo, e come tale cerca di agire.

         (Colpi segreti: Arcobaleno incandescente, Moltiplicazione)

 

Elanor, Cavaliere della Luna:

         Ultima dei sette ad aver risvegliato il proprio talismano, è restia ad accettare gli ordini che le vengono imposti.

         (Colpi segreti: Croci di luna, Falce di luna calante)

 

Ascanio Pendragon, Cavaliere della Natura:

         Il Comandante dei Cavalieri delle Stelle affronta la più grande sfida della sua vita, contro i ricordi distorti di un passato perduto.

         (Colpi segreti: Metempsicosi/Trasmigrazione dell’anima, Attacco del drago di sangue, Double dragon attack, Danza di draghi)

 

ANGELI:

 

AVALON, Angelo di Luce, Principe Supremo degli Angeli:

         Arconte supremo, depositario di una conoscenza che, per timore di nuovi tradimenti, ha scelto di non condividere con nessuno dei suoi fratelli.

         (Colpi segreti: Nebulosa delle stelle, Cometa di Avalon)

 

ANDREI, Angelo di Fuoco:

         L’arconte rosso dal cosmo incandescente dovrà decidersi, prima o poi, a confessare a Jonathan la verità. Nell’attesa combatte.

         (Colpi segreti: Aurora infuocata, Fiamma di vittoria)

 

ALEXER, Angelo di Aria:

         L’arconte azzurro da sempre veglia su Cristal, sostenendolo e lottando assieme a lui, per tener fede a una lontana promessa.

         (Colpi segreti: Fulmini siderali, Tempesta siderale)

 

ASTERIOS, Angelo di Acqua:

         Arconte verde. È il padre di Hina e protettore dell’Avaiki. Dei Cinque Angeli, è il più taciturno e il meno propenso alla battaglia.

         (Colpi segreti: Falene acquatiche, Lance di acqua)

 

ANHAR, Angelo decaduto:

         Un tempo era l’Angelo della Terra, l’Arconte Marrone. Oggi è divenuto Gran Maestro del Caos e Arconte Nero.

         (Colpi segreti: Apocalisse divina)

 

SETTE SAGGI:

 

ANTALYA, primo Custode della Spada di Luce:

         Fondatrice di Mu e, dopo la sua distruzione, del primo Avaiki.

 

ELMAS, primo custode del Tridente dei Mari Azzurri:

         Consigliere di Nettuno, perito nel crollo di Atlantide.

 

GALEN, primo custode dello Specchio del Sole:

 

TEGEL, primo custode del Calderone dei Misteri:

         Maestro di Avalon, unico a conoscere la verità sugli Angeli.

 

VASTERAS, primo custode della Cintura Arcobaleno:

         Consigliere di Zeus, profetizzò la decadenza degli Olimpi.

 

MENARA, primo custode dello Scettro d’Oro:

 

KLOTEN, primo custode dello Scudo di Luna:

         Primo Grande Sacerdote di Atena, fece costruire la Collina delle Stelle per osservare il moto degli astri e vi nascose un portale.

 

ASGARD

 

ASGARD:

 

FLARE DI POLARIS:

         Regina di Asgard, fatica a prendere confidenza col suo ruolo.

 

BARD:

         Capitano della Guardia, dal cuore ardimentoso. È allievo di Orion.

 

ENJI:

         Consigliere di Flare, fedelissimo al casato di Polaris da decenni.

 

ALEXER, Principe della Valle di Cristallo:

        

BLUE WARRIORS:

         Guerrieri addestrati da Alexer per proteggere Asgard e servire gli Angeli. Indossano armature azzurre e controllano acqua, vento e gelo.

 

VIDHARR, l’Ase silente:

         Ultimo figlio di Odino ancora vivo, si interroga sul perché sia sopravvissuto, a differenza dei ben più forti e importanti fratelli.

 

EIR, Dea della Medicina:

         Più che una combattente, una guaritrice, sempre dedita a curare gli altri con il tepore di un cosmo in grado di lenire ferite e affanni di vita.

         (Colpi segreti: Hlif (=scudo, in norreno), tecnica difensiva)

 

IDUNN:

         Sposa di Bragi, chiede vendetta per la sorte del marito la cui morte non è riuscita ancora a superare.

         (Colpi segreti: Mele d’oro)

 

OLIMPO

 

DIVINITA’ OLIMPICHE:

 

ZEUS, Signore del Fulmine:

         Fronteggia i fantasmi del passato, con spirito critico e umiltà, prima di scendere in guerra, guidando gli Olimpi contro Atlante e Erebo.

         (Colpi segreti: Folgore suprema, Tempesta di folgori)

 

ERA, Regina dell’Olimpo e Dea del Matrimonio:

         Per emendare antiche colpe e mai gelate gelosie, Era sceglie la via del sacrificio, convinta che il marito abbia bisogno di ogni aiuto possibile.

 

ERMES, Messaggero degli Dei:

         Complice involontario del sacrificio di Era, dona il proprio ichor per la corazza di Cristal, lottando fino allo stremo contro l’ombra antica.

         (Colpi segreti: Caduceo, Kerkeyon)

 

NETTUNO, Signore dei Mari:

         Nonostante i dubbi iniziali di Pegasus, è un fedele sostenitore dell’alleanza, deciso a difendere l’Avaiki cui è legato da antica amicizia.

         (Colpi segreti: Tridente del Re Pescatore, Corno di Tritone)

 

EFESTO, Fabbro olimpico:

         Lavoratore alacre, attende di ricongiungersi con l’amata Afrodite.

         (Colpi segreti: Lava incandescente)

 

DEMETRA, Signora delle Messi e delle Coltivazioni:

         Assalita da Nyx e Ate, langue nei sotterranei del Primo Santuario.

 

EURO, Vento dell’Est:

         Ultimo figlio di Eos ancora vivo, spirito nobile e generoso, affianca l’amico Nikolaos nell’ultima guerra.

         (Colpi segreti: Vento di Levante)

 

ATENA, Dea della Guerra Giusta:

         Dopo aver risvegliato l’antica memoria di sé, Atena ha ripreso possesso del suo ruolo, conducendo con decisione la guerra contro l’ombra.

         (Colpi segreti: Lancia di Nike)

 

ERACLE, Protettore degli Uomini e Vindice dell’Onestà:

         Come predetto duecento anni addietro, un sacrificio di sangue ha segnato il suo ritorno, per permettergli di lottare a fianco del padre.

         (Colpi segreti: Fede negli uomini, Fiere del Mito).

 

CAVALIERI CELESTI:

 

NIKOLAOS DELL’ERIDANO CELESTE, Luogotenente dell’Olimpo:

         Nobile d’animo, chiede giustizia per la sorella e i genitori perduti.

         (Colpi segreti: Gorgo dell’Eridano)

 

GANIMEDE DELLA COPPA CELESTE, Coppiere dell’Olimpo:

 

SHEN GADO DELL’IPPOGRIFO, ex Capitano dei Seleniti:

 

TOMA DI ICARO:

         Risvegliato da una prigionia di vent’anni, ha due obiettivi: onorare Zeus e proteggere una persona a lui cara. Per farlo, deve divenire più forte.

         (Colpi segreti: Lancia di Icaro)

 

LEGIONE DEI MIGLIORI:

 

ALCIONE DELLA PIOVRA:

         Combatte nell’Avaiki a fianco degli allievi di Dohko.

         (Colpi segreti: Alti flutti spumeggianti, Esplosione dei Silenti Abissi)

 

GERIONE DEL CALAMARO:

         Affronta Tiamat, deciso a proteggere l’amica di tutta una vita, non esitando a dare la vita allo scopo.

         (Colpi segreti: Tentacoli predatori, Fruste del tuono)

 

NESSO DEL PESCE SOLDATO:

         Agile e svelto, in battaglia non teme alcunché. Nemmeno la morte.

         (Colpi segreti: Sospiro nel vento, Frecce del mare. La sua armatura possiede accessori interessanti, come arpioni, ganci e rampini)

 

PASIFAE DEL CANCRO CELESTE:

         D’animo generoso, aiuta Ascanio e gli Areoi contro i Forcidi.

 

CHIRONE DEL CENTAURO:

         Discende da una famiglia di mercenari, che ha sempre visto nella guerra una fonte di guadagno e l’occasione per essere uomo.

         (Colpi segreti: Magma ardente, Pioggia di lava)

 

IRO DI ORIONE:

         Primo tra gli Heroes, fiero del proprio ruolo e a tratti superbo, vuole riscattare l’onta dell’infamia che si abbatté sulla Primissima Legione.

         (Colpi segreti: Tuono del Cacciatore, Cintura di Orione)

 

NEOTTOLEMO DEL VASCELLO:

         Nocchiero di Tirinto, guida la nave volante per salvare Atene.

 

MARCANTONIO DELLO SPECCHIO:

         Di nobili origini, preferisce proteggere gli amici che attaccare.

         (Colpi segreti: Specchio delle Stelle, Glorioso Canto degli Eroi)

 

NESTORE DELL’ORSO BRUNO:

         Rozzo e potente, non arretra di un passo davanti al nemico.

         (Colpi segreti: Ruggito dell’Orso Bruno)

 

AGAMENNONE DEL LEONE DI NEMEA:

         Primo tra i redivivi Heroes a cadere, per mano di Erebo. Impavido si erge a difesa di Pegasus e degli Olimpi, come Eracle aveva ordinato.

         (Colpi segreti: Artigli del Leone di Nemea).

 

ADONE DELL’UCCELLO DEL PARADISO:

         Di poche parole, il giovane cipriota preferisce agire, mostrando così la sua fedeltà ad Eracle.

         (Colpi segreti: Eterna danza di piume)

 

TIRESIA DELL’ALTARE SACRO:

         Allievo di Asmita della Vergine, ritiene che la forza stia nell’unirsi agli altri, condividendo un obiettivo comune.

         (Colpi segreti: Kaan, Abbandono dell’Oriente)

 

ALTRI PERSONAGGI:

TITIS DELLA SIRENA:

         Ultimo Cavaliere Sirena, ha stabilito solida amicizia con Tisifone. Segue Nettuno, cui sarà fedele fino alla fine, nell’Avaiki del Mar dei Coralli.

          (Colpi segreti: Sottile trama corallina, Incanto delle sirene)

 

AMAZZONI:

         Guerriere del Ponto, alcune figlie di Ares, guidate da Pentesilea.

PENTESILEA, Regina delle Amazzoni:

EURIBIA, figlia di Ponto.

         Sposa del Titano Crio, vive in un palazzo sul fondo del mare. Ostile a qualsiasi guerra, ha sviluppato sereni rapporti con gli Areoi.

EGITTO

DIVINITA’ EGIZIE:

 

AMON RA, Dio del Sole, Signore di Karnak:

         Dopo aver abbandonato i rimpianti, il Sole d’Egitto è pronto a bruciare il suo cosmo, per incendiare l’ombra con la luce dell’amore.

         (Colpi segreti: Disco del Sole)

 

ISIDE, Dea della Maternità e della Fertilità:

         A lungo ha pregato per rivedere l’amato Osiride, cui presto potrà unirsi per l’eternità, proteggendo Horus e Febo da lontano. I suoi figli.

 

HORUS, Dio Falco, detto “il lontano”:

        

DUAMUTEF, HAPI, IMSET, QEBENSUF, figli di Horus:

 

SEKHMET, Dea Leonessa:

         Comandante dell’esercito di Amon, dal cuore impetuoso, combatte in prima fila, per dare l’esempio e la spinta ai suoi soldati.

         (Colpi segreti: Alito di fuoco)

 

BASTET, Dea Gatta:

         Fedelissima di Sekhmet, è un’agile e scaltra combattente.

         (Colpi segreti: Sacro Mau)

 

FARAONI DELLE SABBIE:

         Guardia scelta da Amon Ra a difesa di Karnak e del popolo egizio. Molti guerrieri furono uccisi mesi addietro dai licantropi inviati da Anhar.

 

ERMANUBI DELLO SCIACALLO:

         Guardia privata di Iside.

         (Colpi segreti: Ringhio furioso dello sciacallo)

 

OSORKON DEL FALCO:

         Allievo di Horus e suo grande ammiratore.

 

TUTMOSIS DELL’IBIS REALE.

 

LUNA

REGNO DELLA LUNA SPLENDENTE:

 

SELENE, Dea della Luna:

         Rifiuta la guerra, rifiuta persino di accettare quel che è palese agli occhi di tutti, chiudendosi in un volontario quanto deleterio isolamento.

         (Colpi segreti: Helios Vortex)

 

ENDIMIONE, figlio di Zeus:

         Sposo di Selene, è la sua ancora nel presente.

 

ELANOR, figlia primogenita di Selene e Endimione, Cavaliere della Luna:

 

IGALUK, Selenite di Mercurio:

         Non ama combattere ma è pronto a dare tutto se stesso per i popoli della Terra, credendo che mai debbano smettere di credere nei loro sogni.

         (Colpi segreti: Aksarnerk = aurora boreale)

 

HUBAL, Selenite di Venere:

         Ha fatto voto di silenzio. È un abile arciere.

 

AVATEA, Selenite della Terra:

         Un tempo dimorava nell’Avaiki nel Mar dei Coralli.

 

SIN, Selenite di Marte:

         Giovane e potente guerriero dal cosmo fiammeggiante.

         (Colpi segreti: é-kish-nu-gal =casa della gran luce)

 

MANI, Selenite di Saturno:

         Possiede un ramo di Yggdrasill, deciso a sopravvivere all’ultima guerra in modo da piantarlo a Midgard e permettere che il frassino rinasca.

 

AVAIKI

AREOI DEL MAR DEI CORALLI: (su gentile concessione di Pavone)

 

TORU, lo Squalo Bianco:

         Comandante degli Areoi, si colpevolizza per non aver preparato il popolo libero all’ultima guerra. Il sangue è la sua debolezza.

         (Colpi segreti: Fauci dello Squalo Bianco)

 

MARU, del Narvalo:

         Eroico guerriero e ardente innamorato, è disposto a tutto pur di stare con colei che ama. Impugna una lancia di corallo carica di elettricità.

         (Colpi segreti: Lancia del Narvalo)

 

TARA di Diodon:

         Compagna di Maru, trova nell’amore la forza con cui lottare.

 

HINA del Lactoria, Alii dell’Avaiki:

         Figlia di Asterios, madre spirituale dell’Avaiki, custodisce la Perla dei Mari, affrontando serena il proprio destino, non avendo rimpianti.

        

KOHU dell’Istioforo:

         Il più giovane degli Areoi, non per questo meno determinato di altri a lottare per la salvezza del proprio popolo. Adora il grande Toru.

         (Colpi segreti: Taglio delle onde, Vela Bianca)

 

ARMATA DELLE TENEBRE

PROGENITORI:

LORD CAOS:

         L’essenza della creazione. Il nemico di cui Avalon e i suoi fratelli hanno atteso l’avvento per secoli. Definito anche l’Oscuro Signore, l’Unico Dio o semplicemente l’Unico, creatore del cosmo e della Terra, è l’entità da cui tutti gli Dei e gli uomini discendono.

NYX, Dea della Notte:

         La Prima Dea nata dal Caos, può assumere qualunque forma, prediligendo quella di un enorme uccello nero, dagli artigli di pura tenebra. All’apparenza calma, è crudele e vendicativa, non ama assegnare compiti ai suoi sottoposti, preferendo agire in prima persona. Dei Quattro Progenitori, è la prima a rinascere, in una caverna della Grecia, venendo cullata dall’odio dei giganti mostruosi che popolavano quella regione e che l’avevano chiamata Ebdera.

         Si reca sulla Luna per uccidere Selene e Endimione, sperando di attirarvi Elanor, la più fresca e inesperta tra i Cavalieri delle Stelle, per carpirle il Talismano.

         (Colpi segreti: Marea d’ombra)

EREBO, Signore delle Tenebre Infernali:

         Di aspetto sconosciuto, nascosto da un’armatura integrale di colore nero, Erebo è il Primo Dio nato dalla Notte per partenogenesi. Definito con molti nomi che mettono l’accento sulla sua oscurità, è agguerrito, voglioso di scendere in guerra e coprire il pianeta con la sua ombra infernale. Al tempo stesso sfodera un lato riflessivo, turbato dalle parole del Gran Maestro del Caos riguardo ai cinque Cavalieri dello Zodiaco. È questo il motivo per cui decide di affrontare Pegasus, Cristal e poi Andromeda, per tastare le loro abilità e convincersi che i timori di Anhar siano infondati.

         (Colpi segreti: Danza di daghe, Dies Irae)

EMERA, Dea del Giorno:

         Elegante e leggera, è una dei due gemelli di Luce partoriti dalle tenebre per contrapposizione. Rappresenta la personificazione del Giorno.

         Silenziosa, non amante del chiasso e del frastuono, Emera accompagna Etere al Grande Tempio, dopo aver risvegliato Atlante, sedendo sulla Meridiana dello Zodiaco e osservando la fine di un mondo che, a sentir lei e il fratello, merita di scomparire, reo di non essere perfetto come l’Unico l’aveva creato. Pur tuttavia, a differenza di Etere, percepisce qualcosa, un richiamo, forse una voce, che le si rivolge spesso chiamandola “madre” e stranendola.

ETERE, Signore della Luce:

         L’imperturbabile fratello di Emera, è il giudice supremo che condanna Atena per la fallacia delle sue azioni e l’umanità per la sua claudicante imperfezione, vedendo con disprezzo l’alternarsi di luce e ombra nell’animo del genere umano.

         Attacca il Grande Tempio per annientarlo, deciso a rifondare un nuovo mondo privo di esseri imperfetti, un mondo dove le macchie non esistano e i contorni siano netti. Per quanto accorate siano le difese di Atena e di Pegasus, Etere non sembra prestare ascolto alle loro parole, cieco e sordo nelle proprie convinzioni.

         (Colpi segreti: Luce del Cielo; Pranava Sabda: suono primordiale (sanscrito), il suono della creazione, che racchiude tutti gli altri suoni. Una beatitudine dotata di forza dirompente.)

ARMATA DELLE TENEBRE:

POLEMOS, Demone della Guerra:

         Lord Comandante dell’Armata delle Tenebre, maestro di Chimera, guida l’esercito di Caos nell’attacco contro Karnak. È la personificazione della guerra, l’istinto naturale dell’uomo allo scontro, ed esiste fin dagli albori dell’umanità. La sua potenza è immensa, per quanto non utilizzi colpi segreti o tecniche specifiche, egli le conosce tutte, sapendo anche come difendersi. Dopo aver sconfitto Sirio in Asia, fronteggia Andrei e Phoenix fuori da Karnak, sfoderando la sua armatura: l’Arma, a forma di carro da guerra.

CHIMERA:

         Il suo vero nome è Vaughn ed è l’allievo di Polemos. Hanno girovagato assieme per l’Europa, spostandosi dai Pirenei verso oriente, trascorrendo periodi di caccia nelle regioni montuose o nella Foresta Nera, crescendo assieme e conoscendosi meglio. La sua furia in battaglia è indubbia, così come la sua devozione alla causa di Polemos, per cui darebbe la vita. Segue il Lord Comandante in Egitto, incitando l’Armata delle Tenebre a dare il meglio di sé, o a morire nel tentativo, ingaggiando rapidi e cruenti scontri con Bastet, Horus, Reis, Jonathan e alcuni Faraoni delle Sabbie.

         (Colpi segreti: Zoccolo della capra infernale, Fauci delle tre Bestie).

ATLANTE:

         Figlio del Titano Giapeto, fu abbattuto dalle folgori di Zeus, sprofondando nel suolo lungo la costa africana nordoccidentale, generando la catena montuosa che da lui ha avuto nome. Viene risvegliato da Etere e Emera, che risvegliano al qual tempo la sua sete di vendetta verso gli Olimpi. Invade il Santuario di Atena, radendolo al suolo e impegnando Mur, Virgo e tutti i Cavalieri della Dea Guerriera ad un duro sforzo, che sarebbe stato vanificato se Zeus non fosse intervenuto.

LESTRIGONI:

         Grossi guerrieri, alti e robusti, rivestiti di biancastre armature integrali. Combattono in gruppo, spesso riuniti a schiera, in modo da presentarsi come muro compatto contro cui impattano gli assalti avversari. Impegnano duramente Marins e gli altri Cavalieri delle Stelle, in Egitto. 

WARG:

         Selvaggi lupi da guerra, cresciuti nelle tenebre della Foresta di Ferro, in Nord Europa. Molti vennero cacciati e uccisi dai Blue Warriors di Alexer, ma alcuni riuscirono a salvarsi, allevati e nutriti da Reidar e da Anhar per scopi bellici. Adesso cavalcano verso Asgard, bardati di corazze appuntite che li rendono ancora più demoniaci. Reidar ne cavalca uno.

I NEFARI DELLO ZODIACO OSCURO:

JARED del Golem di sangue:

         Giovane arabo di vent’anni, crea con il cosmo delle statue di sabbia che si nutrono del sangue dei nemici, divenendo sempre più potenti e grosse. Le sue abilità gli consentono di mimetizzarsi con il terreno, ingannando l’avversario. È particolarmente a suo agio nel combattere nei terreni aridi, desertici. Vulnerabile al fuoco e al vento che lo erode, non è troppo forte fisicamente, contando più sulle sue statue di sabbia e sull’astuzia.

BEIRA della Cailleach:

         Nacque da un druido anni addietro durante le Nozze Sacre, ai fuochi di Beltane. Sentiva di avere grande potere ma Avalon non la ammise all’ordine delle sacerdotesse perché presagiva qualcosa di oscuro in lei. Ha appreso le arti magiche da Anhar, studiando antichi testi di Beira, la più grande Cailleach, il cui nome ha scelto per onorarla e per combattere in suo nome.

         (Colpi segreti: Strega delle tempeste, Cenn na Cailleach)

REIDAR dei Warg:

         Di aspetto nordico, è originario infatti di Midgard, si è addestrato con Artax e Orion per divenire Cavaliere di Asgard, ma Ilda ha nominato Luxor al suo posto e lui non l’ha presa bene. Neppure Orion e Artax hanno interceduto per lui e per anni lui ha rimuginato sulle parole rivoltegli da Orion, il giorno dell’investitura: “Forse Ilda ha percepito violenza nel tuo animo!”

         La sua armatura è identica a quella di Luxor ma è nera con riflessi violacei ed è dotata di artigli che gli coprono le mani. L’ha fatta creare apposta dal Gran Maestro del Caos a forma di lupo, così adesso può indossare la corazza che gli spettava.

         È sanguigno, gli piace nutrirsi di sangue. Veloce, scattante, ha udito e odorato fine, sente gli odori e i suoni anche più lontani. Possiede braccia molto forti, in grado di strangolare un orso.

         (Colpi segreti: Artigli del Lupo di Sangue)

GRENDEL, lo Spettro Bianco:

         Di Grendel poco è noto, neppure il nome. Di lui si sa solo che parla poco e combatte molto, senza conoscere pietà. Il bracciale destro dell’armatura è un enorme guanto artigliato, in puro mithril, dotato di cinque dita appuntite in grado di squartare un essere umano con un solo colpo. Anhar gliene ha fatto dono affinché porti ovunque il segno della loro efferata potenza.

DUPPY:

         Fantasma dell’isola di Giamaica, possiede la capacità di assumere qualsiasi forma agli occhi di chi lo guarda. Fisicamente non è molto forte, ma grazie ai suoi poteri mentali riesce a prevalere anche su avversari ben più potenti di lui. Grazie al suo aiuto, Reidar rientra a penetrare all’interno della cittadella di Asgard, raggiungendo il Salone del Fuoco.

ALU della Tempesta:

         Demone assiro, malvagio e vendicativo. Il suo nome deriva dal sumero “gallu”, tempesta. Dal fisico snello e smilzo, ha occhi grandi e neri, capelli viola spettinati e

Un’armatura rossa vermiglia, dotata di ampie ali, simili a quelle di un pipistrello, con cui vola sul campo, rilasciando vento e tempesta.

CORB dei Fomori:

         Uomo basso e barbuto,  dai folti capelli rossicci e aspetto simile ad un folletto. Originario di Cork (Irlanda). In gioventù è stato un apprendista druido presso Avalon, ma poi se ne era andato, non interessato all’uso del potere che veniva fatto nell’Isola Sacra. Il mondo moriva e i druidi cosa facevano? Rimanevano chiusi in cima al cerchio di pietre a pregare. Corb ha sempre criticato Avalon per non essere un interventista, bensì un garante dell’equilibrio, finendo poi per mettere i suoi poteri al servizio di chi ha preferito agire, per porre fine all’agonia del mondo.

         (Colpi segreti: Piaghe dei fomori)

YAMA del Bufalo Nero:

         Il suo nome riprende il nome di Yama, Deva della Morte, presso la religione induista. La sua armatura è rossastra, la pelle olivastra, gli occhi di fuoco e cavalca un bufalo nero. Attacca Themiskyra, uccidendo alcune Amazzoni, prima di essere fermato da Pentesilea e Phoenix.

VRITRA del Serpente Malevolo:

         Vritra significa “l’avviluppante”. Prende il nome da un asura: nella mitologia indiana, un enorme dragone o serpente, il cui simbolo sono le nuvole, che il Nefario controlla per far piovere. Sequestra le acque e porta i popoli alla fame tramite la siccità.

ARTEMISIA della Dionea Assassina:

         Sorella di Menas della Rosa, che cerca di vendicare uccidendo i Cavalieri di Atena, responsabili (in base a ciò che Anhar le ha detto) della morte del fratello. Possiede il potere di controllare il regno vegetale, creando piante, soprattutto carnivore, con cui stritola e soffoca i nemici.

ALTRE DIVINITA’:

OIZYS, Dio della Miseria e della Sventura:

         Astrazione, figlio di Nyx, ha una voce stridula e stordente. Non ama, non vuole e non sa combattere, solo profetizzare sciagura e rovina per chiunque. Viene portato in Egitto da Chimera, che si diverte a frustarlo e a torturarlo, nutrendosi dei suoi spasimi di dolore.

APATE, Dea dell’Inganno:

         Astrazione, figlia di Nyx. Al pari di Oizys, questa divinità minore viene portata in Egitto e forzata da Chimera ad avanzare verso Karnak, dove è costretta ad affrontare le forze dell’alleanza, in particolare le incandescenti fiamme di Sin degli Accadi, trovandovi la morte.

KERES, la morte violenta:

         Alta e snella con lunghi capelli rossicci, è una donna spietata e sanguinaria. Si diverte in compagnia di Lissa, a cui spesso si accompagna nelle scorribande belliche. Al suo fianco invade Karnak, contribuendo alla morte di Iside e fronteggiando poi Febo e Marins.

LISSA, Dea della rabbia e del furore cieco:

         Una donna alta e bella, con lunghi capelli biondi e sguardo magnetico. Indossa un’armatura con un viso dipinto sul pettorale, il viso del suo più grande successo. Come Dea della Rabbia, possiede il potere di condurre uomini (e Dei) alla pazzia, proprio come accadde a Eracle, secoli addietro. A Karnak, tenta di piegare Febo al suo volere, facendo forza sulla sofferenza celata nell’animo del bastardo, ma finendo lei stessa piegata dalla tempra fiammeggiante del sole d’Egitto.

HORKOS, figlio di Eris:

         Rappresenta la maledizione inflitta a coloro che tradiscano un giuramento. Sopravvissuto al crollo di Dhaulagiri, subisce la collera di Nyx, accusato di non aver portato a termine la missione. Horkos cerca quindi vendetta al Grande Tempio, uccidendo Mur ma venendo disintegrato a sua volta dall’Onda di Luce Stellare.

         (Colpi segreti: Sturmjan, Sturm und drang)

AMPHILOGIE, figlie di Eris:

         Al pari di Horkos, alcune di loro sono sopravvissute al crollo della Montagna Bianca, decidendo di seguire il fratello nell’attacco a sorpresa al Grande Tempio. La loro avanzata viene però interrotta da Kiki, Asher, Castalia e Kama e soprattutto da Matthew ed Elanor, che sconfiggono l’esercito nemico.

ATE, Dea della rovina, dell’inganno, della dissennatezza:

         Su consiglio di Anhar, la figlia di Eris si sostituisce a Demetra, attirandola fuori dall’Olimpo, presso l’abitazione dei genitori di Nikolaos. In questo modo Ate, nelle vesti di Demetra, può attingere ai segreti di Zeus e, soprattutto, può bagnare con il proprio sangue l’armatura di Andromeda, infettandola e servendosene per oscurare il suo cosmo. Non soddisfatta del risultato, e notando che la coscienza del Cavaliere continua a perdurare, la Dea invoca persino Ade, invitandolo a prendere definitivo possesso del simulacro da lui scelto un tempo, non avendo però fatto i conti con l’orgoglio del Signore dell’Oltretomba e con quel sentimento che Atena lo aveva accusato di non aver mai provato. L’amore.

DISNOMIA, figlia di Eris:

         Assieme a Oizys e Apate, segue Polemos in Egitto, per quanto refrattaria allo scontro armato. Viene frustata spesso da Chimera e, quando le forze dell’alleanza attaccano, inizia a correre per fuggire, venendo però disintegrata dalle fiamme di Sin degli Accadi.

FORCIDI

FORCO, Antica Divinità dei Mari:

         Primo Imperatore dei Mari, non ha mai rinunciato al dominio sugli oceani, confrontandosi contro tutte le supposte Divinità che hanno ardito definirsi tali. Su due certezze si è basata la sua intera esistenza: Ceto, la compagna che mai lo ha abbandonato, e la smania di possedere il trono dei mari, certo di essere l’unico degno di sedervisi. Per questo scatena i Forcidi contro l’Avaiki, per dominare l’ultimo regno sottomarino esistente e consolidare il proprio dominio.

         (Colpi segreti: Kata thalassa)

CETO, Sposa di Forco:

         Nota come “la perigliosa”, Ceto è la sposa di Forco, al cui fianco è sempre rimasta durante le millenarie contese per il dominio sugli oceani. Non ha mai avuto un dubbio su quale fosse la sua posizione, alla destra di colui che aveva scelto come compagno per la vita, unendosi in un amore che era perdurato per secoli.

         Le sue capacità le permettono di carpire le paure celate nell’animo di ogni avversario, ritorcendole contro di lui.

         (Colpi segreti: Grande balena bianca, Sentinelle del mare)

TIAMAT, l’Abisso Oscuro, Primo Forcide:

         Il Comandante dei Forcidi, la cui potenza supera quella dei suoi sottoposti uniti assieme, rivaleggiando persino con quella di Forco o di Ceto. Quale ne sia il motivo, al momento a tutti ignoti, tranne che a Tiamat stesso, il cui cosmo è intriso di oscurità, che ha saturato ogni lucentezza o bontà avesse mai vissuto nell’animo. Un tempo era stato un uomo di nome Tebaldo, compagno di addestramento di Ascanio ai Cinque Picchi.

         Dopo la sua morte apparente ad Atene, durante l’attacco dei soldati egizi, il ragazzo era stato salvato da Anhar, impressionato dalla sua tenacia, dalla sua determinazione a non morire, nonostante avesse il corpo a pezzi. Per quel motivo, e per una punta di oscurità che aveva suscitato il suo interesse, Anhar lo aveva preso con sé, facendone il suo allievo e affidandogli scomode missioni nell’ombra, tra cui radunare i Forcidi e fornire un esercito sottomarino ai Progenitori. E Tebaldo era presto divenuto Tiamat, una persona completamente nuova, come Ascanio ha modo di verificare.

         Nello scontro che scuote la Conchiglia Occidentale, Tiamat esce sconfitto, ma l’energia oscura che lo corregge gli permette di curare le proprie ferite in fretta, al punto da portarlo ad uccidere Forco poco dopo, mozzandogli la testa e riunendola assieme a quella di altre Divinità oceaniche da lui stesso massacrate, per offrirle in dono al suo signore. Ma a chi?

         (Colpi segreti: Abisso oscuro, Apocalisse oscura, Rapsodia di ombre)

OZENA, la Piovra Puzzolente:

         Secondo Forcide, nonché unica donna tra i sette servitori di Forco. Proviene da una famiglia dove la discendenza, sempre in linea femminile, è stata finalizzata a creare una fedele combattente e sostenitrice di Forco, in attesa che il vero Imperatore dei Mari la chiamasse a sé. Viene ferita da Ascanio nell’Avaiki ma trova inaspettata morte per mano di colui a cui aveva giurato fedeltà.

ISONADE: Quarto Forcide.

         In origine era Moeava, uno degli Aeroi, addestrato da Ono dello Squalo Tigre, assieme a Toru e Maru, ma non molto incline a rispettare le leggi. A differenza dei compagni, Moeava amava cacciare per il gusto di farlo, uccidendo animali anche quando non necessario alla sopravvivenza. Per questo Ono lo cacciò, per aver violato il kapu, e adesso è tornato per avere la sua vendetta su Hina e gli altri Areoi.

IKU-TURSO: Quinto Forcide.

         Il suo nome è Meritursas ed è originario della Lapponia, dove è cresciuto, abbeverandosi di mitologia finnica. Proprio per la sua provenienza, Forco gli ha donato la corazza dell’Iku-Turso. Violento e sanguigno, non rifiuta mai una bella scazzottata, da cui conta di uscire vittorioso grazie al potere che gli è proprio, quello di infettare, debilitando, l’avversario.

         (Colpi segreti: Tuonen härkä: Buoi della morte. Sono grossi buoi neri, che caricano con corna sprigionanti fiamme e lampi. Una loro ferita è mortale, in quanto Iku-Turso è considerato padre delle Nove Malattie. Tuhatsarvi)

AFANC, Sesto Forcide.

         Tanto silenzioso, quanto letale. Il nome del Sesto Forcide è ignoto, persino ai suoi stessi compagni. È semplicemente comparso un giorno, nella caverna subacquea, rispondendo al richiamo del suo Signore, inchinandosi e giurando fedeltà. Tiamat lo definiva “il sicario perfetto”, perché mai avrebbe discusso gli ordini del suo superiore. E così si è comportato, fino allo scontro con Titis e Tisifone nell’Avaiki, in cui stava per avere la meglio, non fosse stato travolto dalle fauci dello squalo bianco scatenate da Toru.

         Non sono noti colpi segreti, preferendo il Sesto Forcide lo scontro diretto, corpo a corpo. Di certo la sua forza fisica era impressionante, in grado di stritolare un uomo, spezzandone le ossa in pochi secondi. Il suo simbolo è l’afanc, un mostro lacustre della mitologia gallese, responsabile delle inondazioni. Voci non confermate, su cui Avalon avrebbe voluto indagare, lo indicano come responsabile della grande inondazione avvenuta in Galles trent’anni addietro, quella in cui morirono i genitori di Reis. Che lo spirito del Sesto Forcide si fosse risvegliato in quel momento?

KELPIE, Settimo Forcide:

         Nato a Aberdeen, da una famiglia con forti radici in quella zona, il ragazzo risveglia la coscienza del Settimo Forcide all’età di quindici anni. Fisicamente è il meno forte dei sette fedeli di Forco, per la corporatura non troppo atletica, ma è molto agile e compensa con scaltrezza e velocità.

         Affronta Nesso del Pesce Soldato nell’Avaiki nel Mar dei Coralli. Il suo simbolo è un demone in grado di assumere la forma di un cavallo nero, tipico del folklore celtico, e diffuso nei laghi e nei corsi d’acqua di Scozia e Irlanda.

(Colpi segreti: Bäckahästen, un cavallo di fiume tipico del folklore scandivano)

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