Il destino di una vita intera

di mattmary15
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La vita salvata da Seiya ***
Capitolo 3: *** La vita salvata da Shun ***
Capitolo 4: *** La vita salvata da Ikki ***
Capitolo 5: *** La vita salvata da Saga - parte prima ***
Capitolo 6: *** La vita salvata da Saga - parte seconda ***
Capitolo 7: *** La vita salvata da Poseidone - parte prima ***
Capitolo 8: *** La vita salvata da Poseidone - parte seconda ***
Capitolo 9: *** La vita salvata da Poseidone - parte terza ***
Capitolo 10: *** La vita salvata da Kanon - prima parte ***
Capitolo 11: *** La vita salvata da Kanon - seconda parte ***
Capitolo 12: *** La vita salvata da Hyoga - prima parte ***
Capitolo 13: *** La vita salvata da Hyoga - seconda parte ***
Capitolo 14: *** La vita salvata da Mur - parte prima ***
Capitolo 15: *** La vita salvata da Mur -seconda parte ***
Capitolo 16: *** La vita salvata da Mur - terza parte ***
Capitolo 17: *** La vita salvata da Eden - prima parte ***
Capitolo 18: *** La vita salvata da Eden - seconda parte ***
Capitolo 19: *** La vita salvata da Eden - terza parte ***
Capitolo 20: *** La vita salvata da Saori ***
Capitolo 21: *** La vita salvata da Kouga - prima parte ***
Capitolo 22: *** La vita salvata da Kouga - un salto nel passato - ***
Capitolo 23: *** La vita salvata da Kouga - seconda parte ***
Capitolo 24: *** La vita salvata da Kouga - Il destino di una vita intera - ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Le ali dorate scivolarono verso le spalle e si piegarono con gentilezza nonostante il peso. Con la mano scostò il velo bianco di seta e la fissò.

Lei era lì come tutte le notti. Aspettava vicino alla grande statua della dea.
Lui si avvicinò con rispetto e fece un cenno col capo. Spalancò gli occhi scuri non appena lei sorrise. Come faceva a sorprendersi ogni volta di quella dolcezza?
Lei allungò una mano e gli spostò una ciocca di capelli dal viso. Lui inspirò cercando di raccogliere il profumo della sua pelle, la guardò dritta negli occhi azzurri come il mare e disse solo poche parole. Sempre quelle.
“Saori, lo sai”
Le disse con un sospiro, come se una malinconia antica di mille anni volesse farsi largo improvvisamente.
Lei si portò entrambe le mani al petto e rispose in un sussurro.
“Sì, lo so. Anche io Seiya”
Il cavaliere si voltò, con un balzò, distese le sue belle ali dorate e volò via.

 

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Capitolo 2
*** La vita salvata da Seiya ***


Capitolo I : La vita salvata da Seiya

“E infine ci sono da decidere gli eventi di chiusura delle Panatenee” disse Saga chiudendo il grande libro che aveva tra le mani e guardando la donna che sedeva sull’erba. Lei non lo stava ascoltando. Sorrideva fissando un gruppo di ragazzini giocare urlando e correndo.

“Proporrei un sacrificio umano, fuori moda ma d’effetto. Opterei per un cavaliere d’oro, Scorpio forse o Ioria di Leo!”
Solo allora la donna si voltò a guardarlo e sorrise.
“Grande sacerdote, perdona la mia distrazione” disse tornando con lo sguardo ai ragazzi “non sono adorabili? Fanno pensare che questo posto sia stato sempre così allegro e pacifico!”
“Non dovete domandare scusa mia signora. I vostri doveri tuttavia devono essere adempiuti. I cittadini del Santuario aspettano i giochi con grande ansia. E’ motivo di grande festa. Credete che quest’anno i ragazzi abbiano l’età per partecipare? Soma me l’ha chiesto diverse volte.”
“Soma o suo padre?”
Saga sorrise.
“Ioria è impaziente di vedere suo figlio nell’arena. So che scommette già sulla sua vittoria finale!”
La personificazione della dea Atena tese una mano a Saga e lui l’aiutò a sollevarsi.
“Non dovrebbe desiderare di vedere suo figlio combattere.”
“Nella famiglia di Ioria si nasce già cavalieri, credo” disse il grande sacerdote seguendola dentro la tredicesima casa.
Saori sorrise pensando che Soma aveva come padre un cavaliere d’oro e come madre un cavaliere d’argento.
“Di certo ha un albero genealogico di tutto rispetto, eppure nella sua classe ci sono molti allievi dotati!”
“La sua classe ha un ottimo maestro!”
“Hyoga è molto severo, ma ha ottenuto splendidi risultati con i ragazzi!”
“Già, hanno già meritato tutti un’armatura di bronzo!”
Saori si fermò e Saga abbassò gli occhi.
“Quasi tutti ...”
“Non siate triste. A memoria l’armatura di Pegasus non è mai stata conquistata facilmente”
Mentre discutevano, udirono urla e baccano.
Un ragazzino li superò correndo veloce. Le urla di Shaina lo raggiunsero mentre cercava di guadagnare una porta.
“Kouga!!! Torna. Subito. Indietro.”
“Shaina, cosa ha combinato stavolta?” chiese il cavaliere di Gemini.
“Ha saltato la lezione di Hyoga! Di nuovo! E ha trascinato gli altri con lui!”
A quel punto il ragazzo tornò indietro e le si parò innanzi con una bruciante determinazione negli occhi.
“E’ stato Soma a dire di svignarcela!”
“Kouga!”
La voce di Saori risuonò decisa nell’aria. Il ragazzino si voltò a guardarla con il viso trafelato.
Saori pensò che era veramente un ragazzino grazioso. Bei lineamenti, una cascata di capelli rossi e un paio d’occhi chiari pieni di vita.
“Kouga, non devi scaricare le tue colpe sugli altri. Anche se Soma avesse deciso di saltare le lezioni, tu potevi andarci lo stesso. Poco fa vi guardavo giocare, se avessi saputo che dovevate essere a lezione, vi avrei richiamati io stessa!”
Kouga abbassò gli occhi e strinse i pugni.
“Ora andiamo. Hyoga ti darà la tua punizione!”
Kouga si divincolò.
“Io non vengo. E’ una perdita di tempo per me! Io non sono un cavaliere! Io non ho un’armatura come Soma! E soprattutto io non voglio essere come Soma!”
Così dicendo riprese a correre inseguito da Shaina,
“Che ragazzino insolente!” mormorò Saga “Ha preso tutto da suo padre!”
Saori non riuscì a sorridere. Pensò solo alle parole di Kouga e dimenticando ogni altra incombenza, decise di chiudersi nelle sue stanze private.

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Kouga era riuscito a sfuggire alla sua tutrice e ora gironzolava nei dintorni della nona casa. Di tutte le dimore dei cavalieri d’oro, quella rimaneva sempre chiusa. Per questo motivo era un ottimo rifugio per il ragazzo. Vi si intrufolò e si sedette in una delle grande aule. Passò le dite sui fregi degli scalini e si chiese perché.
Perché doveva stare al grande Tempio quando ea chiaro a tutti che non aveva alcun motivo per vivere lì? Perché doveva frequentare le lezioni del cavaliere del Cigno quando il suo cosmo era di proporzioni ridicole? Perché doveva allenarsi con Shaina quando era chiaro che non aveva speranza alcuna di impossessarsi dell’armatura di Pegasus? Perché doveva obbedienza ad una persona che, per quanto sapesse, lo aveva allontanato dai suoi genitori? Perché non poteva tornare da loro?
Kouga sospirò. Fu allora che udì il fruscio di un paio d’ali. Si nascose dietro due grandi colonne e lo vide.
Stava in piedi, occhi chiusi, fermo davanti ad una parete su cui era scritto qualcosa in greco. Si sporse per cercare di leggere.
“Vieni avanti, Kouga”
Il ragazzo si morse la lingua.
“So che sei lì. Vieni fuori.”
Kouga uscì allo scoperto e tirò fuori la solita impudenza.
“Cosa vuoi? Visto che la serpentona non è riuscita a trovarmi, la strega ha mandato te?”
Il cavaliere d’oro si voltò. Aprì i suoi grandi occhi scuri e li fissò in quelli di Kouga.
“Non parlare così. Saori si è sempre occupata di te come una madre. Le daresti un grande dolore se ti sentisse ora.”
“Quella non soffre. Non ride. Quella non prova niente!”
“Rimarresti sorpreso nello scoprire cosa prova se le dessi un’opportunità!”
“Non me ne importa niente! E’ colpa sua se mi trovo in questa prigione da cui non posso scappare! Io vorrei tornare dai miei genitori, invece lei è fissata con questa storia dell’armatura! Io non sono un cavaliere. Durante gli allenamenti non faccio che prenderle! E’ così che mi vuole bene? Quella si diverte a vedermi soffrire, te lo dico io!”
“Ti sbagli.”
“Davvero? Perché con te è più gentile? Tu sei un cavaliere d’oro come gli altri, però non puoi stare qui. Questa è la tua casa no? Invece te ne devi stare sempre lassù non so dove a fare che! E’ un’ingiustizia!”
Seiya sorrise.
“Questa non è la mia casa. Questa è la casa del cavaliere del Sagittario.”
“Davvero? E tu non sei il cavaliere del Sagittario?” chiese Kouga ironico.
“Io sono Seiya, cavaliere di Atena, vesto l’armatura di Sagitter poiché il suo legittimo custode me l’ha prestata per difenderla.”
“Certo che tu sei strano! Non sei stanco di servire quell’arpia?”
Seiya sorrise. Quando le aveva già sentite quelle parole? Gli sembrava di ricordare che le avesse pronunciate lui stesso tanto tempo prima.
“Io servo Atena perché è il dovere di ogni cavaliere. Sarà anche il tuo!”
“Io non ho nessuna voglia di diventare servo della dea e inoltre non ne avrei comunque la possibilità. Sono scarso..”
Seiya si concentrò e sentì fluire il cosmo di Kouga insieme al proprio. Come faceva quel ragazzino a non sentire quanto fosse possente il nucleo del proprio cosmo? Si inginocchiò davanti a lui e lo prese per le spalle.
“Conosci il settimo senso?”
“Il maestro Hyoga dice che non siamo ancora a quel livello. Dice che dobbiamo solo bruciare il cosmo.”
“Il maestro ha ragione, ma voglio che tu sappia una cosa. Ogni persona è dotata di cinque sensi: vista, olfatto, udito, tatto e gusto. Esiste poi il sesto senso. Per gli uomini è l’intuizione, per i cavalieri è la consapevolezza di possedere un cosmo. Tu non mi sembri convinto di averne uno.”
Kouga abbassò lo sguardo. Seiya proseguì.
“Non pensare al sesto senso come ad un punto di arrivo della tua ricerca. Pensa che sia un punto di partenza. Esiste il settimo senso.”
“Che cos’è il settimo senso?”
“La differenza fra me e te Kouga. E’ quello che ha fatto di me un cavaliere d’oro. Pensa, cos’è avere la consapevolezza appena percepita di un senso se sai che occorre uno sforzo ancora maggiore per espanderlo al suo massimo?”
Kouga alzò gli occhi e vide che Seiya brillava di una calda luce dorata.
“Com’è bella quest’armatura!”
“Non è l’armatura ad essere bella, è il cosmo. L’energia vitale di una persona. La forza di un cavaliere.”
“Il settimo senso è l’ultimo?”
Seiya scosse il capo.
“Ne esiste un ottavo, l’ultimo e il più elevato!”
“Uffa ma non finiscono mai!”
Seiya sorrise e si alzò.
“Torniamo alla tredicesima casa, ora.”
“Aspetta, vuol dire che è così che sei diventato un guerriero leggendario? Con l’ottavo senso?”
“Io non possiedo l’ottavo senso”
“Allora non ce l’ha nessuno? Dicono che tu sei il più forte dei cavalieri d’oro!”
“Tu hai la fortuna di vivere accanto a l’unica persona che può costringermi in ginocchio! Lei possiede il più elevato di tutti i sensi.”
“La signorina Saori?”
Seiya annuì e tese la mano a Kouga. Non appena questi la strinse, sentì lo stesso calore dolcissimo di prima avvolgerlo interamente. Seiya lo sollevò e, con un balzo, si librò in cielo. Qualche istante più tardi planava dinanzi alla statua di Atena.
“Ricorda quello che ti ho detto e cerca di fare il bravo. Ogni cosa andrà a posto.”
“Kouga!”
La voce di Saori li sorprese. Aveva dismesso il solito abito e indossava una tunica leggera a maniche lunghe che lasciava solo i piedi nudi scoperti. Il cavaliere del Sagittario si inginocchiò senza guardarla in viso.
“Eravate insieme dunque! Bene. Ora però saluta Seiya e va in casa. Shaina ti ha conservato la cena.”
Kouga fece un cenno del capo al cavaliere che non accennava ad alzarsi e fece finta di rientrare. La sua camera era confinante con quella della signorina Saori e spesso, la sera li vedeva scambiarsi un cenno di saluto. Era come se Seiya, nell’assolvimento dei compiti che Atena gli aveva assegnato, volesse rendersi conto che lei era li. Vederla e basta. Che senso avesse, lui non lo comprendeva. Shaina diceva che era perché era ancora un bambino. Tuttavia sapeva che quei due nascondevano qualcosa. Anche se non parlavano mai, si dicevano qualcosa con gli occhi.
“Grazie di aver riportato Kouga” disse ad un tratto lei.
“Di niente. L’ho fatto con piacere.”
Lei gli passò accanto e gli posò una mano sulla spalla dorata.
“Prenderai freddo a piedi nudi” disse lui alzandosi e improvvisamente la sovrastò. A Kouga sembrò che stesse per abbracciarla, invece rimase immobile.
“Torno dentro, buonanotte Seiya”
“Buonanotte Saori”
Lei gli passò di nuovo accanto, questa volta senza toccarlo.
“Saori, lo sai”
Lei si voltò e gli sorrise.
“Si, lo so. Anche io Seiya”
Le tende la coprirono alla vista di lui.
Kouga lo vide rimanere ancora qualche istante come se fosse indeciso sul da farsi poi, con un gesto fulmineo, si lanciò nella notte stellata dei cieli di Grecia.

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L’allenamento era iniziato come al solito. Stava prendendo un sacco di botte. Prima le aveva prese da Soma e ora si stava facendo ridicolizzare da Paride, l’allievo prediletto di Aphrodite.
“Certo che sei proprio scarso Kouga! Mi domando cosa la dea Atena abbia visto in te per portarti al grande tempio e prenderti sotto la sua ala protettrice!”
Kouga sputò sangue e si alzò.
“Lo sai Paride? Hai ragione. Tanto vale che continui da solo!” disse allontanandosi.
“Bravo sparisci! Per questo ti hanno candidato all’armatura di Pegasus, un’armatura fantasma come il suo proprietario! Dicono che sia il più forte dei cavalieri d’oro! Come no! Uno che ha smesso di combattere! Saresti il suo degno allievo!”
A quelle parole Kouga sentì il fuoco accendersi nelle sue vene. Non poteva dimenticare quello che Shaina gli aveva detto tempo prima. Le aveva raccontato che doveva la sua vita a Seiya. Che, quando era ancora in fasce, era stato esposto ad un pericolo mortale e che Seiya lo aveva salvato. Gli aveva salvato la vita. Si ricordò delle parole che gli aveva detto la sera prima. Improvvisamente sentì che qualcosa, come una rabbia, montava in lui. Non si accorse realmente di quello che accadde.
Vide soltanto i suoi compagni e il suo maestro che lo fissavano e Paride che giaceva riverso in terra.
Fu il maestro a scuoterlo.
“Kouga! Basta. Per oggi hai finito. Shaina, portalo a casa.”
Per tutto il tragitto non scambiarono una parola. Kouga ancora sentiva una strana forza scuotergli le membra. All’ingresso della tredicesima casa Shaina gli passò una mano fra i capelli. Un gesto dolce che la donna non gli riservava quasi mai.
“Non devi avere paura della tua forza. Oggi hai fatto un ottimo lavoro. Forse adesso smetterai di dire che possiedi un cosmo ridicolo. Vorrei solo sapere come hai fatto. Lezioni e lezioni senza lo straccio di un risultato poi, te ne stai un pomeriggio per conto tuo e improvvisamente tiri fuori un cosmo devastante. Certo che Paride se la ricorderà la lezione!” concluse Shaina ridendo.
Kouga non smetteva di fissare il pavimento.
“E’ stato Seiya. Lui mi ha detto di pensare che il sesto senso è solo una piccolissima parte del settimo.”
Shaina sospirò. Ormai Atena aveva abolito la regola per cui le donne erano costrette a portare una maschera per diventare cavaliere. In quel momento però avrebbe voluto averla sul viso per non mostrare a Kouga la propria espressione. Fece fatica a reprimere la tristezza che le si posava sul cuore ad ascoltare quelle parole.
“Ora vai a casa. Di a Saori che finalmente hai vinto uno scontro. Ne sarà felice. Non tutti possono vantare la preferenza della dea Atena!”
Kouga sollevò lo sguardo.
“Davvero?”
Shaina annuì.
“Ricorda tuttavia che Atena deve essere giusta ed imparziale! Per cui non prendertela se non mostrerà la sua gioia”
Kouga corse in casa e le  cose andarono esattamente come gli aveva predetto la sua maestra. Ricevette i complimenti di Saga e un sorriso da Saori. Nulla più.
La fanciulla si congedò presto quella sera e anche Kouga andò a dormire presto.
Si sentiva sfinito. Possibile che lanciare un solo colpo fosse stato così difficile e faticoso? Chiuse gli occhi e gli sembrò di sognare.
“Kouga è stato molto bravo oggi”
La voce dell’uomo era calda e gentile.
“E’ merito tuo. Tu sai come prenderlo...”
La donna sembrava stanca.
“Non dire così. Lui vuole diventare un cavaliere solo che ancora non lo sa... deve essere una tara di famiglia!”
I due sorrisero e Kouga sentì che c’era qualcosa di familiare in loro. La voce della donna se la ricordava bene. Era piccolo e lei cantava una nenia per farlo addormentare.
“Non scherzarci su. Deve crescere in fretta per proteggersi dai pericoli cui sarà naturalmente esposto. Io non posso farlo...”
Ora la voce della donna era molto triste.
“Lo proteggerò io per entrambi. Sono suo padre. E’ mio dovere. Anzi vi proteggerò io entrambi! Abbi fiducia in me. Non l’ho sempre fatto?”
Kouga era certo di avere sentito la voce di suo padre. Ordinò a se stesso di svegliarsi. Urlò.
“Papà!!!”
“Kouga, cosa c’è?”
Kouga si strofinò gli occhi. Accanto a lui c’era solo Saori. La donna gli sorrise.
“Hai fatto un brutto sogno?”
“Qui... c’era mio padre...”
“Qui, Kouga ci sono solo io, mi spiace. Hai sognato.”
“Ma io l’ho sentito! Ha detto che mi avrebbe protetto. Che avrebbe protetto me e la mamma!” disse Kouga agitandosi.
“Qui, Kouga, ci sono solo io.”
Il ragazzo senti le lacrime formarsi agli angoli degli occhi. Non voleva piangere, voleva essere forte.
Saori si sentì stringere il cuore in una morsa e fece una cosa che non si concedeva mai. Lo abbracciò. Kouga sussultò a contatto con il suo corpo e non riuscì più a trattenersi.
“Shh...non devi piangere... non ne hai motivo...sei al sicuro. Facciamo un patto Kouga. Se riuscirai a conquistare l’armatura di Pegasus, ti racconterò tutto quello che so sui tuoi genitori.”
Kouga sembrò dimenticare ogni cosa.
“Potrò andare a trovarli?”
“Con l’armatura potrai andare dove vorrai Kouga”
“Promesso?”
“Promesso. Ora dormi.”
Lui si adagiò tra le coperte e chiuse gli occhi umidi.
Lei usci dalla stanza e raggiunse a passo lento la statua di Atena. Allungò una mano per toccarla ma la testa cominciò a girare e non riuscì ad arrivare al marmo.
Un braccio forte la sostenne e la tirò a sé.
Lei sentì il freddo del metallo e intravide la luce dorata.
“State chiedendo troppo alle vostre condizioni. Vi porto a letto”
Il cavaliere la distese tra le lenzuola candide e si alzò. Sapeva che non aveva il diritto neppure di sfiorarla eppure desiderava toccarla più di qualunque altra cosa al mondo. Lei si lamentò e gettò il capo all’indietro. Mormorava qualcosa di incomprensibile.
“mmhh... iya...”
“Milady” disse il cavaliere accarezzandola sulla fronte anche se sapeva che era la spalla  a dolerle.
Stava per scostarle l’abito e controllare la ferita quando sentì un cosmo di proporzioni enormi avanzare nella stanza. Sorrise.
“Sono qui Saga. Puoi andare”
Il cavaliere di Gemini si voltò e lo fissò dritto negli occhi.
“Tempismo perfetto, Seiya di Sagitter!”
Seiya agganciò il suo sguardo senza cedere.
“Bene. Come grande sacerdote, ho fatto il mio dovere. Lascio Atena nelle mani del suo primo cavaliere.”
Quando Saga lo oltrepassò, gli occhi di Seiya caddero su Saori e da lì non si mossero più. La fanciulla sembrava soffrire molto. Si inginocchiò al suo fianco e le prese una mano.
“Saori...”
“Se...iya”
“Sono qui.”
“Non preoccuparti per me. Devi tornare all’altura delle stelle o la barriera si indebolirà...”
“Non stanotte. Resto qui.”
Saori si sforzò di sorridere.
“La tua forza, Seiya, devi metterla al servizio di tutti, non mio. La barriera è troppo importante. Se dovesse cedere saremmo esposti tutti di nuovo all’influsso di Marte e tu sai cosa accadrebbe. Abbiamo lottato così tanto..”
Il cavaliere non smise di stringere la mano della fanciulla.
“La barriera non si romperà. E’ una promessa. E se Marte dovesse tornare, lo combatterò di nuovo come quella notte di tredici anni fa. Non smetterò mai di proteggere te e ciò che tu ami. Questo è il mio compito. Io proteggo.”
La donna chiuse gli occhi e una lacrima scese sul suo viso.
“Saori, ti prego, non piangere. Mi ferisce.”
Lei li riaprì subito e cercò di sorridere.
“Cerca di riposare. Io sarò qui al tuo fianco.”
“Ho detto a Kouga che se conquista l’armatura di Pegasus, gli rivelerò ciò che so dei suoi genitori.”
Seiya ripensò immediatamente a quando Saori lo convinse a partecipare alla guerra galattica con la promessa che gli avrebbe rivelato informazioni importanti su sua sorella.
“Saori non dovresti alimentare le speranze di Kouga di ritrovare i suoi genitori. Lui deve accettare l’idea di essere orfano e che tutto ciò che può desiderare si trova qui.”
“A volte penso che abbiamo sbagliato” disse in un sussurro.
“Abbiamo avuto scelta?”
“Non ci siamo sempre trovati in situazioni che sembravano non avere via d’uscita? Come quella notte a Nuova Luxor..”
Seiya ritornò con la mente ad una notte stellata e ad un crepaccio profondo e minaccioso.
“Anche allora non abbiamo avuto scelta, Saori.”
La donna scosse il capo.
“Quella notte avresti dovuto batterti con un braccio rotto e lasciarmi nelle mani del nemico. Ma abbiamo trovato un altro modo.”
“Siamo stati dei pazzi e saresti potuta morire. Tentare una volta la sorte può andare bene, ma sfidarla due volte? Ora sono un cavaliere d’oro. Non posso più prendere decisioni avventate.”
Lo disse in modo leggero, per farla sorridere.
Lei sollevò una mano e gli sfiorò il viso. Lui chiuse gli occhi come ogni volta che riusciva ad avere un contatto con lei. Forse la paura di guardare l’universo dentro di lei o il desiderio di assorbire la sensazione di calore che lei gli provocava.
“Seiya”
“Dimmi”
“Tutte le scelte che ho fatto, tu le hai sempre accettate ma a volte io ho sbagliato e tu ne hai molto sofferto.”
“Ho sofferto solo quando mi hai allontanato da te. Finché mi vorrai, io starò bene. Credimi. E ora non parlare più di queste cose. Devi riposare e rimetterti. La spalla ti fa molto male?”
Lei scosse la testa, ma Seiya sapeva che mentiva. La macchia scura sulla spalla sembrava più grande dell’ultima volta che l’aveva vista. Abbassò lo sguardo e strinse i pugni.
“Non posso pensare che se fossi arrivato un istante prima, non ti sarebbe successo.”
“Se fossi arrivato un istante più tardi io e Kouga saremmo morti.”
Seiya si sentì rabbrividire e, per un momento, un momento soltanto, vide Saori senza vita distesa in terra stringere il corpicino freddo di Kouga.
Tuttavia tredici anni prima le cose non erano andate così. Nella battaglia finale al grande tempio fra le truppe del dio della guerra e quelle della dea Atena, il primo colpo lanciato da Marte aveva colpito Saori che si era protesa a difendere Kouga. Il secondo, il più forte, lo avevano parato con le sue possenti ali. Quando aveva visto partire l’attacco non si era chiesto se l’armatura d’oro avrebbe resistito o meno e neppure se il suo cosmo sarebbe stato abbastanza forte da contrastare l’oscuro potere di Marte. Aveva semplicemente protetto. Era quello che sapeva fare meglio. Aveva volato fino a lei e l’aveva abbracciata. Aveva stretto le sue braccia forti intorno a lei e al piccolo e aveva lasciato bruciare ogni singola particella del proprio cosmo. La luce immensa sprigionata da quella energia aveva impedito a chiunque di vedere al suo interno. Nessuno aveva visto le sue labbra posarsi sulla spalla ferita di Saori, né la sua mano distendersi sul capo del bambino. Il suo cosmo era entrato in risonanza con quello della dea e la luce aveva prevalso sull’oscurità. Ancora accecato da quella esplosione, Marte non aveva visto partire la freccia di Sagitter. Se la strega Medea non fosse giunta in suo soccorso, forse lui e Atena lo avrebbero sconfitto. Invece la vittoria era stata amara.
Marte era riuscito a battere in ritirata anche se gravemente ferito. Saori era rimasta vittima del suo marchio che continuava ad assorbire la sua energia vitale. L’unica cosa che poteva mantenerla in vita era il potere della fiamma della Nike che si trovava sull’altura delle stelle. La fiamma poteva essere alimentata solo dal cosmo di un cavaliere che le donava la propria anima. La fiamma produceva, inoltre, la cupola protettiva che si estendeva sul tempio e consentiva ai cavalieri di vivere in pace lontano dallo sguardo di Marte, Medea e di qualsiasi altra divinità. Seiya aveva stipulato il patto della fiamma e da allora doveva vivere esiliato sull’altura per alimentarla con il proprio cosmo. Oltre a Saori solo Saga, Mur, Shaina, Marine , Shun e Hyoga conoscevano la verità. Per tutti gli altri Seiya era in missione. Quale fosse la missione tanto importante che teneva il primo cavaliere di Atena lontano dal tempio, nessuno se lo chiedeva più. Col tempo, il cavaliere leggendario, così come era stato chiamato, era stato dimenticato. Nessuno lo nominava più. Questo non perché gli altri cavalieri d’oro lo avessero cancellato. Semplicemente erano infastiditi dall’idea che quello tra loro che maggiormente aveva brillato, aveva deciso di abbandonarli.
A ciò si aggiungevano altri fatti. Shun si era sposato e aveva abbandonato la via del cavaliere; Ikki non era tornato in Grecia per restare con Pandora e di rado visitava il fratello. Shiryu era partito per i cinque picchi con l’intento di restare con Shunrei; Hyoga era partito alla volta di Asgaard per poi tornare e assumere il ruolo di maestro degli allievi cavalieri. Aveva detto a Camus che non intendeva diventare cavaliere d’oro. Sembrava che i cinque prodigi che un tempo avevano messo a soqquadro il grande tempio, fossero svaniti per lasciare il posto a delle loro copie sbiadite. Per questo i cavalieri d’oro non desideravano più rivangare il passato. Il nome di Seiya divenne sempre più simile a quello degli eroi mitologici di un tempo che fu.
Tutti questi pensieri disegnarono sul viso di Seiya un’espressione di rassegnazione mista a malinconia. Davvero aveva creduto che le lotte che aveva affrontato con i suoi compagni li avrebbero condotti alla fine, nelle dodici case vestiti dell’oro delle armature che avevano meritato più e più volte. Shiryu con quella della bilancia, Hyoga con quella dell’acquario, Shun con quella dei pesci e Ikki con la tremenda armatura dei gemelli. Invece il destino aveva mischiato le carte. Dagli inferi i cavalieri d’oro erano tornati sani e salvi. Shun aveva mostrato subito un’insofferenza verso il santuario. Ikki addirittura non vi era tornato. Ancora ricordava lo stupore con cui aveva appreso del suo legame con Pandora. Tutti lo avevano attaccato. Soprattutto Shun, che aveva vissuto la scelta di Ikki come un tradimento. Forse solo Seiya sapeva davvero cosa significava provare qualcosa per una donna come Pandora, come Saori. La scelta di Ikki era stata la sua scelta e, Seiya credeva, anche quella di Hyoga. Questi però, dopo una breve permanenza ad Asgaard, era tornato e aveva detto che non avrebbe più messo piede nelle terre del nord. Shiryu infine aveva messo su famiglia con Shunrei. Niente di più prevedibile. In fondo però, Seiya invidiava il suo più caro amico. La normalità della sua vita ai cinque picchi e la semplicità con la quale gli aveva detto che Shunrei era incinta. Sapeva, il cavaliere di Sagitter, che anche se il legame con i cuoi compagni era fortissimo, qualcosa tra loro si era incrinato. I segreti non fanno bene a nessuno, pensò.
Saori sapeva esattamente a cosa stava pensando il cavaliere e gli strinse forte la mano.
“Ogni cosa ha un senso Seiya. Anche tutte quelle che abbiamo sacrificato. Ora vorresti fare una cosa per me?”
Seiya annuì.
“Va a vedere se Kouga riposa.”
“Voglio restare qui”
“Non mi succederà niente!”
“Hai detto così anche la notte dell’incendio..”
Saori sospirò e sentì il suo battito accelerare pensando alle fiamme nei dormitori, alle urla dei bambini dell’orfanotrofio e poi all’odore del fumo che la soffocava, delle mani che la stringevano prima e costringevano poi a terra, al rumore delle vesti che si strappavano e della risata di quell’uomo che l’aveva ingannata e rapita con l’intento di ferirla, umiliarla, usarle la peggiore violenza che una donna possa subire.
Seiya se ne accorse e le passò una mano sulla fronte.
Saori sentì quel tocco leggero, carico di amore e di rispetto che giunse a calmarla esattamente come quella notte. L’incendio era stato spento dalla pioggia che aveva contemporaneamente lavato via le lacrime della ragazza che tremava tra le braccia di Seiya. La sua mano anche quella notte, le aveva carezzato il viso. La sua voce le aveva sussurrato di stare tranquilla, che tutto era finito, che Marte non l’avrebbe toccata mai più. Lei si era lasciata cullare da quelle dolci parole e, tra le braccia di Seiya, aveva abbandonato ogni paura. Quella notte Seiya l’aveva sollevata e l’aveva condotta sull’altura delle stelle dove nessuno avrebbe visto la dea piangere per l’aggressione meschina subita, nessuno avrebbe visto i suoi lividi, nessuno avrebbe osato negarle di stare stretta al petto di Seiya, nessuno le avrebbe impedito di sostituire la violenza di Marte con l’amore di Pegasus.
Quella notte aveva cambiato tutto.
“Quella notte ha cambiato ogni cosa, Seiya.”
“Te ne sei mai pentita?”
“Mai”
L’aveva detto con la risolutezza di Saori. Non quella della dea bensì quella della ragazzina viziata che pretendeva di avere Seiya tutto per se come un giocattolo.
Il cavaliere sorrise e si alzò.
“Vado solo un minuto.”
Saori lo vide attraversare la porta che, dalla sua stanza, portava direttamente alla stanza del ragazzo. Poi sentì la spalla dolere e si disse che doveva davvero stringere i denti e dormire. Non voleva che Seiya si preoccupasse. Chiuse gli occhi. Seiya ci avrebbe messo più di qualche minuto poiché sapeva che si sarebbe fermato a parlare un po’ all’inconscio del suo protetto. Sorrise pensando che forse, il tempo avrebbe dato loro un’altra scelta. Quella giusta.

 

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Capitolo 3
*** La vita salvata da Shun ***


Capitolo II : La vita salvata da Shun
L’alba era la parte della giornata che Shun preferiva.
June e Yuna, a quell’ora, dormivano ancora e lui poteva godersi i colori del cielo e i suoni della natura. Entro un’ora le sue due principesse avrebbero riempito completamente la sua vita e Shun si sarebbe ritrovato a fare commissioni per la bella compagna e per la sua bambina. A volte si chiedeva come fosse possibile che fosse passato tutto quel tempo. Gli bastava dare un’occhiata a sua figlia per capire che il tempo non era passato solo nella sua testa. Yuna era diventata una ragazza bellissima e forte come sua madre anche se Hyoga non era d’accordo. Lui diceva che Yuna era tutto suo padre. Shun sorrise.
Un altro motivo per cui amava l’alba era che, a quell’ora, non c’era nessuno in giro. Nessuno tranne Hyoga. Da quando era finita la guerra contro Mars, Shun abitava in una modesta casetta ai margini del grande tempio, appena dentro la grande cupola di cosmo della fiamma di Nike. Shun sapeva chi faceva ardere la fiamma e aveva promesso di mantenere il segreto. All’alba usciva e camminava fino all’arena degli allenamenti. Lì trovava Hyoga. Nei primi tempi, il cavaliere del cigno aveva fatto finta di non vederlo e aveva continuato ad allenarsi imperterrito. Era tornato cambiato da Asgaard. Dopo la fine della guerra contro Marte, Hyoga era partito per il nord. Shun sapeva che avrebbe sposato Flare. Lui non l’avrebbe rivisto mai più. Se ne doleva ma voleva solo la felicità dell’amico. Anche se Ikki l’aveva abbandonato di nuovo e nel modo peggiore, non voleva pesare sul suo compagno come aveva sempre fatto. Lo salutò con un sorriso solo delle labbra perché i suoi occhi piangevano. Nei mesi che seguirono, senza Hyoga, con Ikki lontano, Seiya legato alla fiamma e Shiryu in Cina, Shun si era unito sempre più a June. Stare con lei era naturale e sapeva di famiglia. Qualche mese dopo la nascita di Yuna però Hyoga era tornato in Grecia. Da solo. Voleva stare da solo. Aveva detto solo questo. Così Shun aveva deciso che, con discrezione e rispetto, gli sarebbe stato vicino. Non lo avrebbe lasciato “solo”.
Ogni mattina si sedeva sui gradini dell’arena e restava in attesa che il suo vecchio compagno lo raggiungesse. Nei primi tempi, Hyoga non lo considerò affatto. Dopo gli allenamenti, rientrava in casa e sbatteva la porta. Shun ne soffriva ma non rinunciava. Una mattina di inverno pioveva e Hyoga era rientrato in casa dopo l’allenamento come al solito. Shun rimase seduto ancora un po’ sotto le gocce fredde e rotonde, poi si alzò e fece per scendere verso l’uscita. Scivolò sui gradini bagnati e ruzzolò giù per le scale fino all’arena. Quando aprì gli occhi una massa di capelli biondi lo sovrastava.
“Crystal..”
“Nessuno mi chiama più così, Shun. Ti sei fatto male?”
“No. Scusa..”
“Sei sempre il solito.. Per cosa ti stai scusando questa volta? Guarda che sei tu quello che si è fatto male!”
Gli occhi di Shun si riempirono di lacrime.
“E adesso perché piangi? Ti fa male da qualche parte?”
“No. Scusa..”
Solo allora Hyoga capì.  Guardando le lacrime di Shun, Hyoga capì il motivo per cui il ragazzo disteso per terra si stava scusando.
“La vita va avanti Shun, Flare non era la persona giusta per me, e anche se tu fossi venuto a trovarmi come ti avevo chiesto in quella lettera, le cose sarebbero finite ugualmente così. Io volevo tornare al santuario, lei voleva restare con sua sorella. Fine.”
Quel giorno Shun e Hyoga si erano ritrovati. Quel giorno Hyoga aveva scoperto la verità su Seiya e sul perché Shun non lo aveva potuto raggiungere ad Asgaard come lui gli aveva chiesto. Shun glielo aveva detto con uno dei suoi sorrisi sulle labbra.
“Inizialmente non volevo parlartene, pensavo che saresti rimasto con Flare. Ora però sei qui. Io non posso lasciare il santuario Crystal. Se lo facessi, le mie condizioni di salute peggiorerebbero drasticamente” disse sollevandosi una manica della maglia.
Tutto l’avambraccio destro era coperto da una macchia nera.
Hyoga riconobbe il marchio di Mars e in due passi fu addossò all’amico.
“Saori lo sa? Ha fatto niente? Mur ti ha dato un’occhiata? Perché non mi hai detto nulla?”
Shun rimase in silenzio. Guardava fisso negli occhi Crystal. Il cavaliere del cigno si bloccò come se il sacro Acquarius lo avesse investito. Le sue mani che tenevano Shun per le spalle lo avvolsero interamente e lo tirarono a sé.
“Andromeda” disse usando quel nome con riverenza e nostalgia “quello è il braccio che ti sei rotto per difendermi quella maledetta notte in cui Mars attaccò il santuario per uccidere Atena!”
“Non dire niente Crystal. Volevo solo che tu capissi.”
Da allora, l’alba era il loro momento. Chiacchieravano, ridevano, si confrontavano.
Quella mattina Shun aveva un disperato bisogno di parlare a Crystal. Stringeva una lettera e sapeva che poteva mostrarla solo a lui.
Lo trovò che ancora si allenava.
“Ma tu non dormi mai?” chiese ridendo.
“Avrò tempo di dormire nella tomba. E tu non potevi riposare un po’ di più oggi? Sembri uno straccio.”
Shun si sedette sul solito gradino e tirò fuori dalla tasca della giacca un foglio di carta spiegazzata.
“Cos’è?”
“Leggi”
Hyoga aprì il foglio piegato in due e i suoi occhi diedero una lettura veloce. Il suo sguardo si rabbuiò.
“E tu cos’hai risposto?”
“Che se vuole venire al santuario deve scrivere al grande sacerdote”
“Qui c’è scritto che vuole vedere te”
Shun si strinse nelle spalle.
“Non sei costretto a vederlo se non vuoi Andromeda”
A sentirsi chiamare in quel modo, Shun sorrise e a Hyoga sembrò di vedere la mistica nebulosa esplodere nei suoi occhi.
“Ikki non vuole che mi chiami in quel modo”
“Proprio per questo ti ho chiamato così. Per me conta solo quello che vuoi tu, non quello che dice Ikki. Lui ha fatto le sue scelte e tu hai diritto a fare le tue. Non farti condizionare da lui.”
“Non voglio farmi condizionare ma non posso impedirgli di venire al santuario. Tra l’altro dice di voler presentare Eden a Saori per fargli intraprendere la strada del cavaliere. La lettera dice che ha conquistato l’armatura di Orione. Non voglio che pensi che non m’importa di mio nipote.”
“Capisco. In tal caso spero che al suo arrivo, gli parlerai con franchezza e gli dirai come stanno le cose. Non sa che hai problemi di salute.”
Shun scosse il capo.
“Shun non essere stupido!”
“Ti prego Crystal! E’ per questo che sono venuto a palare con te. Voglio che mi prometti che non gli dirai nulla.”
“Non dovresti preoccuparti per lui. Lui dovrebbe preoccuparsi per te”
“Lo ha fatto per molto tempo”
“Lo ha fatto quando ha voluto, forse non quando tu ne avevi veramente bisogno.”
Shun si prese il viso tra le mani.
Hyoga gli fu vicino subito e gliele tirò via con decisione.
“Andromeda, non farlo. Non nasconderti. Ricordi? C’è stato un tempo in cui eri sempre un passo dietro a tutti noi. Poi hai dimostrato che, nonostante tutto e tutti, eri lì, tra i tuoi amici e il nemico, come uno scudo invisibile a proteggere le persone che amavi. La tua forza e la tua determinazione non sono da meno di quelle di Ikki. Stavolta devi affrontarlo e dirgli che la sua scelta, la scelta di sposare Pandora e vivere con lei ai margini del mondo, ti ha ferito. Devi dirglielo.”
“Non capirà”
“Glielo faremo capire. Non può venire qui a sconvolgerti la vita”
“E’ sempre mio fratello...”
“Potrebbe venire da solo con Eden. Che bisogno c’è di portare quella donna?”
Shun si fece pallido. Non voleva rivedere Pandora. Rivedere Pandora significava ricordare. Ricordare uno Shun diverso, dagli occhi neri e profondi come l’oscurità degli inferi.
Crystal gli passò una mano fra i capelli e si sedette accanto a lui. Lo tirò a sé come quando erano ancora Crystal il cigno e Andromeda della nebulosa. Il capo di Shun finì contro il petto del compagno e il battere del cuore di Hyoga sembrò cullarlo.
“Grazie Hyoga. Sarò forte. Tu devi promettermi che non dirai niente ad Ikki, né di me né di Seiya. Io ne ho bisogno, Saori ne ha bisogno. Abbiamo bisogno del gelo del tuo sguardo. Io sarò forte. Quella donna è solo la moglie di Ikki. Lui ha fatto la sua scelta e io ho fatto la mia.”
Crystal non disse niente. Continuò a stringere il suo migliore amico. Shun non poté vedere che il gelo calò davvero sugli occhi del cigno. Tuttavia nel suo animo si era animata la tempesta simile a quella del mare del nord quando libera il Kraken.
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Pandora guardava suo marito e suo figlio dormire sul lato opposto della carrozza. Entrambi con le spalle dritte, gli occhi socchiusi e le braccia incrociate sul petto, sembravano due gocce d’acqua. Eden la copia più giovane del padre. C’era stato un tempo in cui Ikki aveva avuto la stessa espressione innocente di Eden, ammesso che di innocente in Eden vi fosse qualcosa. Suo figlio era diventato cavaliere molto presto e, anche prima, aveva dimostrato di essere particolarmente precoce e smaliziato. Suo padre, del resto, non l’aveva mai risparmiato e lei gli aveva insegnato la divina arte della premonizione. Figlio della sorella mortale di Hades e di un cavaliere che rinasce dalle proprie ceneri, Eden era quasi più simile ad un semidio che ad un mortale.
Pandora sapeva che lo attendeva un grande destino. La divinazione tuttavia le aveva svelato che Eden aveva una nemesi. Il suo piccolo principe dell’oscurità, aveva tra le stelle, già un suo antagonista a contendergli lo scettro dell’uomo più forte della sua generazione. Quando Ikki aveva visto crescere il suo potere aveva rivelato a Pandora le sue preoccupazioni. Non voleva che Eden, già così naturalmente predisposto al potere, crescesse sotto l’influsso dell’arco di Cerbero. Lei non poteva biasimarlo. Aveva visto quali effetti il dio della morte aveva portato con sé. Aveva distrutto la sua famiglia di origine e non voleva che causasse sofferenza a quella che si era tanto faticosamente guadagnata insieme ad Ikki. Così aveva acconsentito al suo desiderio di condurlo in Grecia, al grande tempio, affinché Eden fosse addestrato non come un semplice cavaliere, ma come cavaliere di Atena. La notte seguente aveva però fatto uno strano sogno. Eden in qualche modo veniva coinvolto in un combattimento dal quale usciva sconfitto. Inizialmente credeva di aver riconosciuto nell’avversario di Eden, Seiya. Poi però, in qualche modo, aveva capito che non era lui, bensì una sua promanazione, una sorta di spirito derivante dal cavaliere di Pegasus. Il combattimento provocava la morte di Atena.
Non era certa di cosa significasse e ne aveva parlato a Ikki chiedendogli se fosse il caso che Eden fosse condotto in un luogo che poteva celare un qualche pericolo per lui. Ikki era stato irremovibile e lei aveva preteso di viaggiare con loro. Ikki non aveva risposto nulla. Aveva solo scritto a suo fratello che sarebbero arrivati presto in Grecia. Tutti e tre.
Pandora sapeva che Shun la odiava, ammesso che il piccolo Shun sapesse odiare. Prima aveva cercato di usare il suo corpo per farvi reincarnare il suo fratello divino e poi gli aveva rubato suo fratello. Sapeva che aveva ragione di odiarla. Ikki era stato l’unico appiglio di Shun nella vita e lei glielo aveva portato via. Come avrebbe potuto spiegargli che Ikki rappresentava la stessa cosa anche per lei?
“Perché non riposi anche tu come tuo figlio invece di perderti in cupi pensieri Pandora?”
“Penso a Shun”
“Non devi darti pena per lui. Gli parlerò io.”
“Sarà così facile?”
“Sa del nostro arrivo. Se non vuole vederci, non si farà trovare!”
Pandora sorrise.
“La fai sempre facile tu..”
“La scelta è di Shun, noi non possiamo farci niente.”
“E per l’altra faccenda?”
“Ti ho già detto che Seiya manca dal tempio da diversi anni. Pare che Saori sia stufa di averlo intorno. L’ha spedito in giro per il mondo a fare non so cosa.”
“Credevo che Lady Saori provasse qualcosa per Seiya”
“Anche io. Tuttavia credo di aver compreso col tempo le parole di Shaka. Atena è una creatura senza tempo né sentimenti. I cavalieri per lei sono armi. Frecce nella faretra dorata di Sagitter. Seiya l’ha imparato a sue spese.”
“E credi che durante la sua lontananza dal tempio, possa avere avuto il tempo di amare una donna?”
Ikki aprì gli occhi e si accertò che Eden li avesse ancora chiusi.
“Che intendi dire?”
“Ho continuato a pensare al mio sogno. Credo davvero fosse una premonizione. E se invece di uno spirito, se invece di vedere il cosmo di Seiya, io avessi visto qualcuno che gli somigli?”
Ikki puntò gli occhi nei suoi e la cicatrice sulla fronte si allungò.
“Se invece di vedere una forza proveniente da Seiya io avessi visto in sogno il figlio di Seiya?”
“Non mi risulta che Seiya abbia avuto dei figli.”
“E se non ne avesse parlato a nessuno?”
“Stiamo andando in Grecia. Se Seiya ha avuto un figlio coetaneo di Eden lo sapremo.”
Pandora guardò fuori dalla finestra e pensò che davvero il cuore di una madre è pronto ad ogni azione per proteggere il proprio figlio.
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“Al torneo potremo partecipare anche noi!!!”
Soma continuava a saltare stringendo la pergamena e sventolandola sotto il naso dei suoi compagni.
“Quando hanno pubblicato il bando?” chiese Haruto allievo del cavaliere di Capricorn e cavaliere di bronzo del lupo.
“Stamattina il maestro Hyoga l’ha affisso nell’arena! C’è la firma del grande sacerdote Saga!”
“Soma non darti tante arie! Sanno tutti che sono il migliore della classe! Vincerò io Paride della sfinge! Il mio maestro Aprhodite non verrà deluso!”
“Ma smettila buffone! Le prederai persino da me!” intervenne Sibilla cavaliere sacerdotessa allieva di Cancer.
“Il torneo è lungo. Non dovreste già fare a gara a chi vince. Bisognerà superare molte prove!” disse Ilio, il più piccolo della compagnia e allievo di Milo dello Scorpione.
“Adesso parlano anche le pulci!” lo schernì Paride spintonandolo.
Tra i due si frappose Kouga.
“Smettila Paride! O te le suono daccapo! Lascia in pace Ilio!”
“Ma guardate, è arrivato Kouga, Kouga il cavaliere di? Dimenticavo, lui un’armatura non ce l’ha!” rise Paride.
“Forse non ancora ma l’avrò presto e allora assaggerai di nuovo i miei pugni!”
“Ma bene e da quando sei diventato così combattivo Kouga?” chiese Soma che voleva bene all’amico ed era felice di sentirlo parlare finalmente da allievo cavaliere.
Kouga si voltò a guardarlo sorridendo.
“Ho uno scopo, ora. Per questo voglio l’armatura di Pegasus! E potrei anche vincere il torneo allora Soma!”
“Ehi vacci piano! E comunque non vincerai mai! Io sono il leoncino d’oro!”
“No tu sei il leone minore!”
“Smettetela, forse nessuno dei due vincerà!”
La voce apparteneva a Ryhuo. Al suo fianco c’era Yuna.
Ryhuo era il figlio di Shiryu precedente guerriero del dragone e viveva al tempio di Atena da due anni e cioè da quando aveva completato l’addestramento ai cinque picchi con suo padre ed era stato mandato da lui a diventare allievo del cavaliere di libra.
“Ryhuo, non vincerai mai tu!” replicò Soma.
“Non parlavo di me, vero Yuna?”
“E di chi?” chise Bant cavaliere dell’orso allievo di Aldebaran.
“Di mio cugino Eden! Sta arrivando al grande tempio. Mia madre dice che diverrà un allievo del sacro Shaka!”
“Impossibile. Shaka non prende allievi! Quello i bambini li mangia!” urlò Soma.
“Fate silenzio!”
La voce di Hyoga li rimise in riga.
“Sapete già del torneo. Chi vuole iscriversi potrà farlo stasera. Ora si comincia l’allenamento. Kouga, visti i tuoi miglioramenti, ti allenerai con me. Andiamo. Gli altri a coppie: Yuna contro Sibilla, Ilio contro Haruto, Ryho contro Bant e Soma contro Paride. Kiki controllali tu!”
L’allievo di Mur annuì col capo e Hyoga si avviò seguito da Kouga. Appena furono in disparte il maestro si fermò.
“Ti ho sentito dire che vuoi l’armatura di Pegasus adesso.”
Kouga annuì.
“Hai trovato una ragione per combattere, quindi.”
“Sì” disse il ragazzino fieramente “Ho le mie ragioni.”
“Posso conoscerle?”
Kouga parve esitare e guardò in terra. Strinse i pugni e parlò.
“Voglio ritrovare i miei genitori. Se avrò l’armatura potrò lasciare questo posto e andare a cercarli. Atena me l’ha promesso!”
Non fece in tempo a chiudere la frase che un cerchio di ghiaccio lo scaraventò in terra.
“Una motivazione meschina, Kouga! Le armature furono forgiate per difendere Atena e la giustizia e tu pensi di poterla conquistare per un tuo tornaconto personale? Sei un illuso. Chiedi a Death Mask o persino a Saga! Le armature abbandonano coloro che approfittano del loro potere! Non conquisterai mai Pegasus per una ragione simile!”
Kouga si rialzò.
“Io ce la farò! La forza che ho dentro me lo permetterà. Ora so di avere un cosmo e so perché voglio usarlo!”
“Allora battiti Kouga, ma assaggerai il ghiaccio della Siberia e ricordati che hai a che fare con un cavaliere che ha in sé latente il settimo senso!”
“Anche in me è latente il settimo senso! Forse ora non sono capace di usarlo ma Seiya dice che appartiene ad ogni cavaliere!”
“E tu ti definisci cavaliere? Tu che vuoi un’armatura per abbandonare Atena?”
Kouga accusò la frase come se avesse preso un colpo in pieno petto.
“Combatti presunto cavaliere! Diamond dust!”
Il potere che investì Kouga fu così forte che questi rovinò diversi metri più indietro. Kouga sentiva le membra intirizzite e doloranti e si chiese quanto ancora più forte di così potesse colpire il suo maestro.
“Alzati. Questo potere non è nulla. E’ così che vuoi partecipare al torneo? Farti battere dal primo venuto? Magari farti umiliare dal principe delle tenebre?”
Kouga si sollevò a forza.
“Il principe delle tenebre?”
“Il figlio di Ikki e Lady Pandora! Eden dell’Orione, il cavaliere che viene dalla porta degli inferi! Dicono che sia molto potente! Viene qui a dimostrare che tutti voi non siete alla sua altezza. Vuoi far sfigurare i cavalieri di Atena? Vuoi che Saori si vergogni di te?”
Kouga si rimise in piedi barcollando. Nei suoi occhi Hyoga rivide una luce che credeva non avrebbe visto mai più. Era stata la luce della pienezza del dragone, quella dell’ultimo cristallo di neve dell’aurora del nord, la luce profonda della nebulosa di Andromeda, la luce della freccia di sagitter scagliata sempre e solo per amore.
“La signorina Saori non si vergognerà di me e se stavi per parlare di Seiya, sappi che neanche lui si vergognerà di me. Io sarò Kouga di Pegasus. Le mie ragioni non contano. Quell’armatura sarà portata con rispetto se il suo legittimo proprietario deciderà di prestarmela!”
Hyoga sorrise di sfida.
“Tanti anni fa ho combattuto per avere il diritto di rivedere mia madre. Mi ha fatto essere debole per molto tempo Kouga. Almeno me l’hanno fatto credere. La verità è che la mia debolezza era anche la mia forza. L’amore per le persone care non è mai fonte di debolezza, ma di forza. Esse stanno al nostro fianco nelle battaglie e ci danno motivo per andare avanti. Sappi tuttavia che, arriverà un giorno in cui questo non basterà più. Allora dovrai accantonare le tue ragioni per abbracciare quelle più grandi che fanno di un uomo un cavaliere. Se davvero l’amore per i tuoi genitori è una causa giusta l’armatura verrà da te. Tu però dovrai dimostrare che sei forte abbastanza per riceverla e dovrai farlo adesso. Diamond dust!”
Kouga vide il suo maestro preparare il suo colpo e, all’inizio, temette di rimanerne schiacciato, poi pensò al calore che aveva provato quando aveva colpito Paride. Raccolse i suoi pensieri e cercò di ricordare cosa aveva scatenato il suo potere. La rabbia per le offese ricevute? No, Paride non aveva offeso lui ma Seiya. La rabbia per le offese fatte a Seiya? No, non la rabbia. Ormai la polvere gelida del suo maestro stava per avvolgerlo. Doveva capire in fretta. Non era stata la rabbia per le offese mosse a quel cavaliere che lui sapeva proteggere Saori più di chiunque altro; era stato il desiderio di far capire a Paride che stava mentendo, che le sue parole erano false, che le sue cattiverie su Seiya non erano altro che menzogne. Voleva difendere il cavaliere leggendario. Si, voleva difendere Seiya. Voleva proteggerlo. In quell’istante di consapevolezza udì come un calore forte nascergli nel petto e quel calore lo avvolse prima della polvere di diamanti del suo maestro. La brina si posò al terreno senza toccarlo. Aprì gli occhi. Il suo maestro era fermo davanti a lui.
Gli posò una mano sulla spalla.
“Puoi partecipare al torneo Kouga. Ti reputo ammesso. Sono certo che tu possa diventare Pegasus Kouga. Ricorda solo cosa genera la tua forza perché dovrai sempre tirarla fuori da lì. Io oggi sono vivo perché qualcuno mi ha salvato la vita sacrificando un po’ di se stesso. Tu sei vivo per lo stesso motivo. Ricordalo sempre. Per oggi sei congedato.”
“Maestro”
“Dimmi”
“Il principe delle tenebre...è pericoloso?”
“Non lo so, non credo. Tuttavia confido che il tuo cuore Kouga sappia distinguere il bene dal male.”
“Non so se ne sono capace.”
“Saori ha fiducia in te. Lei spera che tu possa camminare sempre nella luce.”
“Maestro non hai veramente usato il tuo colpo su di me!”
“Certo che no! Altrimenti ora saresti un ghiacciolo!” disse Hyoga allontanandosi. Il cavaliere tuttavia aveva mentito. Seppure al minimo della propria forza aveva comunque lanciato la polvere di diamanti e il cosmo di Kouga l’aveva sciolta come neve al sole. Era Pegasus Kouga, ma allora perché l’armatura non si manifestava? Possibile che fosse Seiya, che pur indossando Sagitter, continuava a trattenere l’armatura del cavallo alato presso di sé? Hyoga sperò che il legame tra Kouga e l’armatura nascesse prima del torneo o quel ragazzino si sarebbe fatto male davvero.
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Yuna corse fuori non appena sentì il rumore della carrozza. I suoi genitori la seguirono.
Ikki scese per primo. Shun sussultò. Il tempo era passato anche su Ikki o forse era solo l’abito elegante a far sembrare esageratamente maturo il fratello maggiore. Dietro di lui comparve Eden. Era diventato veramente un bel giovane. A Shun sembrò di rivedere Ikki da bambino. Solo gli occhi di Eden non appartenevano a Phoenix. Erano gli occhi di Pandora. Quando Ikki porse la mano per aiutarla a scendere dalla carrozza, Shun rabbrividì. Pandora era sempre uguale. I lunghi capelli neri, gli occhi scuri e sottili, la pelle diafana.
“Benvenuti!” esclamò Yuna “Che bello rivederti zio!”
“Sei diventata una signorinella Yuna!” disse Ikki in tono divertito.
“Grazie zio, ciao Eden!”
“Quello che vuole dire mio padre è che sei diventata una fanciulla stupenda!” esclamò Eden con fare galante. Yuna arrossì un po’,
“Benvenuta anche a te zia!”
“Grazie Yuna. Salve June.”
“Benvenuti, per stasera ho predisposto con Yuna delle camere al piano di sopra. La nostra casa è una dimora modesta. Domani mattina Yuna vi accompagnerà al santuario. Il grande sacerdote ha predisposto degli alloggi più adeguati.”
“La tua casa June non è affatto modesta. Andrà benissimo. Salve Shun sono lieta di rivederti.” Disse la sacerdotessa di Hades tendendo una mano verso Andromeda. Questi si ritrasse immediatamente.
“Salve Pandora” disse comunque con gentilezza.
Fu il turno di Eden di salutare e Shun e June lo abbracciarono.
“Ciao Shun”
“Ciao Ikki”
Non si dissero più nulla finché le donne ed i ragazzi non furono entrati in casa.
“Sembri malato” disse Ikki andando subito al punto “Stai bene?”
Shun, che per anni aveva imparato a nascondere la nebulosa dentro di sé, avrebbe voluto urlare che non doveva fargli domande stupide e che se davvero gli importava di lui non avrebbe dovuto stare lontano tutti quegli anni prima di chiedergli della sua salute. Finse come suo solito.
“Sembri invecchiato” disse sorridendo e guardando per terra “Stai bene?”
Ikki rise.
“Sono le responsabilità. Mi opprimono. Forse vale lo stesso anche per te. Volevo solo sapere se stai bene.”
“Sto bene fratello”
Il modo in cui pronunciò la parola ‘fratello’ fece sgranare gli occhi di Ikki. Era piena di affetto e nostalgia e allo stesso tempo suonava come un rimprovero, un segno rosso ad evidenziare tutte le sue mancanze.
“Sono contento che tu abbia voluto vedermi”
“Pensavi che, avvertendomi del tuo arrivo, sarei sparito per non incontrarti? Non ho niente contro di te fratello.”
“Non contro di me, certo. Ma non riesci ad accettare la presenza di Pandora.”
Shun strinse i pugni.
“Pandora non è malvagia. Lei è stata una vittima quanto te.”
Gli occhi di Shun fiammeggiarono. La nebulosa montava nel suo cuore.
“Se avessi potuto vedere la madre amorevole che è stata per Eden. A volte penso che avremmo dovuto superare le nostre divergenze molti anni fa. Magari quando è nata Yuna”
“Non avrei mai consentito a quella donna di avvicinarsi a mia figlia!”
Soffocare la nebulosa cominciava a diventare difficile per Shun.
“Perché tu vedi in lei la sacerdotessa di Hades. Ma lei è una donna. Semplicemente una donna. Colei che amo, Shun”
Le ultime parole furono troppo. Shun conosceva l’amore. Aveva sempre vissuto per amore. Per amore di suo fratello, per amore dei suoi amici, per amore del suo maestro, della sua isola, di Atena, di June e di Yuna. Ma ricevere amore per lui era stato difficile. Atena amava di un amore per la battaglia dal quale si veniva consumati, la sua isola, la sua patria lo aveva considerato per anni un traditore, i suoi amici, col tempo, avevano preso ognuno la propria strada allontanandosi da lui. Persino June adesso amava di un amore assoluto Yuna e lui di riflesso in quanto padre di sua figlia! Shun non la biasimava per questo, ma Ikki...
Sentirsi dire che Pandora era colei che lui amava era troppo. Si girò e fece per rientrare in casa. Ikki gli afferrò il polso.
“Shun, aspetta...”
Il minore dei fratelli si ritrasse e il suo gesto mandò su tutte le furie il maggiore che lo prese per le spalle e cominciò a scuoterlo.
“Perché fai così? Non sei cambiato affatto. Rifuggi sempre il terreno di scontro anche se stiamo solo parlando! Quando imparerai a crescere e a capire come va il mondo?”
Shun chiuse gli occhi ma, capì che non poteva più contenere l’esplosione della tempesta che si agitava dentro di lui. Fu allora che una brezza gelida li accarezzò.
Ikki mollò la presa.
“Vedo che non è cambiato proprio niente al santuario. Sarà meglio che continuiamo questa conversazione un’altra volta. Non siamo più soli” disse il cavaliere di Phoenix “puoi palesarti Hyoga. Lieto di rivederti!”
Crystal apparve dal nulla e camminò fino al fianco di Shun. Gli poggiò una mano sulla spalla.
“Stai bene Andromeda?”
Shun annuì.
“Mio fratello si chiama Shun! Andromeda è il nome della sua armatura ed è un nome da donna Hyoga!”
“Lascialo in pace Ikki”
“Altrimenti che farà? Correrà a piangere da te? Tutto come al solito. Gli anni passano ma alcune cose restano immutate. Pensavo che avessi trovato un tuo posto nel mondo! Che finalmente avessi una vita tua da portare avanti, uno scopo!”
“Io so esattamente qual è il mio posto nel mondo Ikki. Ed è qui tra te e Andromeda in questo momento. Contrariamente a qualcuno di mia conoscenza, io so attribuire valore alla vita e so a chi la devo!”
Un tocco leggero sul suo braccio fermò il cavaliere del cigno.
A Ikki non sfuggì la dolcezza con cui suo fratello aveva toccato il compagno. Sospirò e li superò aggiungendo solo poche parole.
“Mi aspettavo che dopo tutto questo tempo voi due aveste finalmente compreso. Ad ogni modo Hyoga non ho intenzione di fare del male a Shun e per questo ti ignorerò. Fa attenzione però alle tue belle parole! Shun ha già avuto molte delusioni in vita sua. Buona notte!”
Shun rimase interdetto, Hyoga strinse invece un pugno. Il tempo gli aveva fatto capire come stavano le cose. Lui aveva compreso. Tuttavia a cosa era servito? La realtà non si poteva cambiare. Lui poteva solo proteggere Shun. Shun che soffriva per il marchio di Marte che portava al posto suo. Shun che era la sua unica ragione di vita.

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Capitolo 4
*** La vita salvata da Ikki ***


Capitolo III : La vita salvata da Ikki
 

“Perché non li lasci in pace?”
Le parole di Pandora l’avevano colpito e affondato. Adottare la tecnica di Shun poteva servire?
“Non capisco di cosa parli.”
“Avanti Ikki, davvero vuoi fare questo gioco con me?” chiese lei sedendosi al suo fianco sul letto e passandogli una mano sotto il mento “Sai bene che mi riferisco al rapporto tra Shun e Hyoga”.
“La loro amicizia è sempre stata molto forte. Un po’ come quella tra Seiya e Shiryu. Hyoga ha avuto la sua opportunità di essere felice. Shun ha June e Yuna. Questo è quanto.”
Pandora si slacciò i fermagli dell’abito che scivolò lentamente seguendo le linee del suo corpo e fermandosi all’altezza del ventre. Ikki l’accarezzò e la baciò sulle labbra. Sapeva che non c’era modo migliore di concludere una conversazione con suo marito.
“Dov’è Eden?” chiese lui senza smettere di sfiorarle i seni.
“Di sotto con Yuna e sua madre.”
“Dunque siamo soli”
“Non puoi evitarlo vero?” chiese lei sorridendo e guidando la sua mano tra le sue cosce.
Ikki la spinse sul letto e in un attimo fu sopra di lei.
“Ti desidero”
“Nonostante sia passato tutto questo tempo dalla prima volta? Nonostante tu conosca ogni centimetro della mia pelle e io ti abbia dato anche un figlio?”
“Conosci la risposta Pandora”
Effettivamente Pandora conosceva la risposta.
Se Ikki non l’avesse strappata agli inferi, se il suo amore non l’avesse trascinata fuori da buio, Pandora sarebbe morta. Probabilmente, dopo la fine del suo fratello divino, avrebbe seguito il destino di tutta la sua famiglia e si sarebbe suicidata. L’amore di Ikki l’aveva salvata. L’amore di Ikki le aveva dato una ragione per vivere, la gioia di vivere e alla fine le aveva dato Eden, la gioia di sentirsi una madre.
Mentre Ikki si facevano spazio dentro di lei, soffocò i gemiti e pensò che, per quanto una persona possa fare per accrescere potere, gloria e ricchezza, nulla vale se non si riesce a farsi amare.
Lei aveva trovato Ikki. Per lui avrebbe fatto qualunque cosa. Per lui e per il loro bambino. Così mentre raggiungevano il piacere, Pandora ebbe di nuovo quella visione.
Rivide suo figlio battersi con il cavaliere di Pegasus ma stavolta sapeva che quello era il figlio di Seiya.
Spalancò gli occhi e vide la preoccupazione negli occhi del suo sposo.
“Pandora parlami!”
Ansimando lo tranquillizzò.
“Per un momento ho pensato di averti fatto del male. Di essere stato troppo violento”
Lei sorrise recuperando un respiro regolare.
“Ho avuto una visione”
“Di nuovo?”
Lei annuì e parlò piano.
“Il figlio di Seiya”
“Domattina andrò da Saori. Ora dormi.”
“Ikki”
“Sì?”
“Tuo fratello non ha mai avuto quello che abbiamo io e te. Forse però non è ancora troppo tardi.”
Ikki la strinse e si rifiutò, per l’ennesima volta, di pensare che se suo fratello non era felice la colpa era esclusivamente sua.

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La notte era fredda. Le Panatenee erano quasi finite. Rimaneva solo il grande torneo e la celebrazione di chiusura.
Il cosmo del grande sacerdote annunciò la sua presenza e Saori si voltò.
“In piena notte dovreste essere a letto.”
Lei indugiò ancora un po’ nei pressi della statua della Partenos.
“Stanotte non verrà. Ultimamente ha gironzolato un po’ troppo da queste parti. La fiamma deve essere alimentata o si estinguerà” aggiunse Saga.
Quando sentiva quelle parole Saori veniva assalita da una sensazione di nausea. La fiamma deve essere alimentata. Come se essa si nutrisse realmente del cavaliere che aveva stipulato il patto.
“Saori, stai bene?”
Quando Saga si rivolgeva a lei e non alla dea la sua voce era sempre più dolce e comprensiva, come se volesse farle capire che dalla donna non pretendeva la stessa manifestazione di forza che chiedeva ad Atena.
“La volontà della fiamma supera quindi la mia volontà?”
“Credo che si possa dire che la volontà di Seiya non sia facile da domare. Lo sappiamo bene entrambi.”
Saori sorrise e fece per rientrare in casa.
“Percepisco il cosmo di Pandora. Ikki alla fine è ritornato.”
“Vuole presentare suo figlio ad Atena. Ne vuol fare un cavaliere. Magari d’oro chissà!”
“E tu dissenti grande sacerdote?”
“Se tutti i figli sono uguali ai padri, non abbiamo niente da temere in alcun caso!”
Saori d’istinto guardò la camera di Kouga.
“Hyoga mi ha riferito che è pronto. Oggi ha sciolto la polvere di diamanti senza neppure rendersene conto. Ha detto che il suo cosmo in aura difensiva si attiva indipendentemente dal suo livello di attenzione. Dai miei studi mi risulta che solo un’aura di tipo divino agisce in questo modo. Forse non dovrebbe partecipare al torneo.”
“Non ha ancora conquistato l’armatura però. Ad ogni modo non spetta a me deciderlo.”
“Vi riferite al consenso paterno?”
“Se io sono la sua tutrice, tu sei il suo tutore Saga. Spetta a te” disse Saori con un’espressione triste.
Il cavaliere di Gemini pensò che in quel momento tutti i ragazzi riposavano sognando la gloria. L’indomani sarebbero corsi dal padre a chiedere il consenso. Agli allievi lontani da casa sarebbe toccato chiederlo al proprio maestro.
“Ne parlerò con Shaina, ma vorrei che adesso andaste a riposare milady”
“Buonanotte Saga.”
“Buonanotte”
Saga tuttavia non riusciva a prendere sonno e scoprì che di notte il tempio non riposava tranquillamente come credeva.
Alla dodicesima casa aveva sentito le risate di Aphrodite e Death Mask, all’undicesima Camus cercava di leggere un libro mentre Milo continuava a raccontargli i progressi del piccolo Ilio. Shura non era in casa. Percepiva il suo cosmo dalle parti della seconda casa. Arrivò a quella del Sagittario quasi in modo inconsapevole. Non era vuota.
“Che ci fai qui cavaliere dell’Ofiuco?”
Shaina non l’aveva sentito arrivare e di tutti coloro che si aspettava di vedere in quella casa, Gemini era l’ultimo della lista.
“E tu?”
“Cercavo risposte”
“A quali domande Saga?”
“Tocca davvero a me decidere se Kouga debba prendere parte al torneo domani?”
“Certo che no! Semmai tocca a Saori!”
“Saori dice che tocca a me in quanto tutore del piccolo.”
Shaina guardò verso lo scrigno vuoto di Sagitter.
“Sai bene a chi tocca decidere. Comunque c’è un solo modo per avere risposte.”
Saga guardò la donna con aria interrogativa.
“Fare le domande! Andiamo”
 “Dove?”
“All’altura!”
“Sciocca tu non puoi salirci!”
“Io no! Ma tu sì!”
Saga si senti richiamare indietro dentro ad un mare in tempesta di ricordi. Era stato proprio su quell’altura che aveva avuto inizio l’incubo. Non intendeva rimetterci piede.
“Avanti cavaliere d’oro, non vorrai mostrarti vigliacco!” disse lei intuendo la linea dei suoi pensieri.
“Non si dovrebbe fare mai due volte lo stesso errore mia cara!”
“Saori non è più una bambina indifesa, Seiya non è Sion e tu non sei più quell’uomo. Avanti o non avrai la risposta che cerchi!”
L’altura delle stelle. Si chiamava così perché, stando lassù, sembrava di fluttuare in mezzo ad un mare di stelle brillanti. Se ogni costellazione proteggeva un cavaliere, da lì era possibile vedere il destino di tutte le ottantotto costellazioni e dei loro protetti.
Saga pensava che non sarebbe stato piacevole ritrovare improvvisamente il proprio demone personale. Tuttavia per togliere quello sguardo triste dal volto di Saori, lo avrebbe fatto.
Quando stava per congedarsi da Shaina sentì un fruscio leggero e un cosmo potente avvicinarsi. Sorrise.
“Visto Shaina? A quanto pare qualcun altro è contrario a che io salga lassù!”
La figura del cavaliere di Sagitter si manifestò innanzi a loro.
“Che ci fate voi due qui? Perché avete lasciato entrambi Saori le è successo qualcosa?” chiese il cavaliere allarmato cercando di concentrare il suo cosmo sulla tredicesima casa.
“E’ accaduto qualcosa a Kouga?”
“Va tutto bene. Siamo qui in cerca di consiglio.”
Seiya fece un’espressione incredula. Ancora non si rassegnava al fatto che era diventato un punto di riferimento, un cavaliere leggendario. Non si riteneva in grado di dare consigli a nessuno.
“Secondo te Kouga deve partecipare al torneo di domani? Hyoga dice che ha fatto molti progressi, ma occorre il permesso e vuole che Atena lo presti. Atena tuttavia dice che spetta al suo tutore. Io vorrei il consiglio della sua maestra, ma la qui presente Shaina dice che dovresti dire la tua.”
I due sembravano molto tesi e per loro la questione sembrava davvero importante. Forse fu per questo che non capirono la reazione di Seiya quando questi scoppiò a ridere.
A ridere come Saga e Shaina non lo vedevano da tanto tempo. Forse dal tempo della vittoria alle dodici case.
“Che ti prende?”
“Fatemi capire, voi siete venuti fino a qui perché nessuno si vuole prendere la responsabilità di decidere una cosa del genere?” Seiya continuava a ridere “Caspita! E volete che lo faccia io così se Kouga si fa male, Saori se la prenda con me?”
Shaina sbuffò.
“Insomma Seiya è una cosa seria!”
Il cavaliere si guardò le mani e si fece serio, quasi cupo.
“Io non sono il suo maestro, né il suo tutore. Come vi ha detto saggiamente Saori, la scelta spetta a Saga.”
“Aspetta Seiya. Intendi liquidarci così?” urlò Shaina “Kouga potrebbe non avere ancora maturato il potere necessario o, al contrario, potrebbe disvelare troppo potere! Non è una scelta facile e coinvolge troppe persone!”
“Volete il mio consiglio? Chiedete a Kouga stesso. Sarà lui a dover scendere in campo. Ora mi dispiace, ma la fiamma attende.”
In un battito d’ali svanì.
“C’era da aspettarselo. Inconcludente! Il solito Seiya!”
“Tieni a freno la lingua sacerdotessa! Il tuo comandante in armi e il tuo sommo sacerdote sono d’accordo e tu non ti sei dimostrata di alcuna utilità. Va a dormire!”
Shaina sentì il proprio sangue ribollire nelle vene.
“Non intenderai davvero far scegliere al ragazzino? Sei pazzo Saga!”
Lo sguardo di Gemini la inchiodò dove si trovava.
“Bada cavaliere d’argento alle parole che usi e ringrazia Seiya che ancora ci osserva se non ti scaravento per aria. Se sono il tutore di Kouga spetta a me decidere e con questo è tutto. Sei congedata.”
Shaina sentì che poteva muoversi di nuovo e osservò Saga allontanarsi in direzione del tempio. Lei guardò di nuovo l’altura. Sospirò. Forse davvero quei due cavalieri che un tempo erano stati l’uno l’opposto dell’altro, erano ora capaci di essere simili. Lei conosceva la ragione di quella comunione di intenti. A furia di gravitare intorno a Saori, avevano imparato a desiderare le stesse cose. Erano entrambi un riflesso dei suoi occhi, come se sia Seiya che Saga non riuscissero più a guardare se stessi se non attraverso gli occhi di quella donna. Strinse i pugni. Da tempo aveva rinunciato a Seiya, ma che ora lui fosse così cambiato, che avesse sacrificato quella sua naturale allegria in seria compostezza per lei, la faceva arrabbiare.
Sorrise amaramente. In fondo proprio quella notte Seiya aveva dimostrato che sapeva ancora ridere. Mentiva Seiya e mentiva anche Shaina. Non avrebbe mai smesso di amare Seiya e Seiya non sarebbe più stato lo stesso ragazzo spensierato di un tempo. In cuor suo si chiedeva se non fosse sbagliato dare la colpa della loro infelicità proprio a Saori. No. Non era colpa sua. Anche Saori era infelice. Lei lo sapeva. Anche se da anni ormai era diventata la santa e giusta guida del santuario, lei sapeva. Lei conosceva il dolore dell’altra. Forse per questo, alla fine, erano diventate amiche. Al tempo in cui Seiya giaceva privo di conoscenza dopo la battaglia contro Hades. Avevano imparato a riconoscere una il dolore dell’altra e da quel riconoscimento era nato il rispetto e dal rispetto, amicizia. In nome di quell’amicizia era diventata la maestra di Kouga.
Kouga. Ora doveva pensare a lui. Decise che per quella notte i ricordi l’avevano tormentata abbastanza.

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“Vedrai Eden! L’arena è splendida e il mio maestro eccezionale!”
Yuna aveva preso l’energia e la vitalità della madre, questo pensava suo cugino camminando dietro di lei. Eppure sua madre non aveva fatto altro che parlargli dello zio Shun. Diceva che aveva un cosmo fortissimo, forse anche più forte di quello di suo padre. Gli aveva detto che forse Shun gli avrebbe parlato anche dell’altro suo zio, quello divino.
“Ecco l’arena!”
Effettivamente l’arena era bellissima. Sotto l’arco di Cerbero, non c’era nulla di simile.
La pietra di Grecia era stata lavorata in modo tale che la grande arena avesse dodici ingressi o uscite. Una per ogni segno dello zodiaco che era ricalcato sugli archi. Sull’ellisse più larga a sud c’era un palco con due scranni maggiori. Uno era per il grande sacerdote, l’altro per la incarnazione di Atena.
Eden si domandava se davvero sarebbe riuscita ad incontrarla e, soprattutto se sarebbe riuscito ad incontrare Seiya, il leggendario cavaliere d’oro in grado di battere un dio.
“Yuna”
La voce di Hyoga richiamo il cavaliere sacerdotessa.
“Maestro, ragazzi. Vieni Eden” disse tirando per un braccio il cugino “ti presento il maestro Hyoga e i miei compagni d’arme.”
“Salve Eden. Yuna ci ha molto parlato di te.”
“Mio padre mi ha raccontato molte cose sul vostro conto maestro Hyoga.”
“Parteciperai al torneo?” chiese subito Soma.
“Soma non essere maleducato! Questa è la mia classe. Soma il cavaliere del Leone Minore, Ryuho cavaliere del Dragone, Paride cavaliere della Lince, Haruto cavaliere del Lupo, Sibilla cavaliere sacerdotessa del Pesce Volante, Ilio aspirante cavaliere di Perseo, Bant cavaliere dell’Orso e Kouga aspirante cavaliere di Pegasus. Yuna la conosci già. L’anno scorso è diventata cavaliere sacerdotessa dell’Aquila.”
“Pegasus?” chiese Eden incuriosito e in un attimo fu occhi negli occhi con Kouga.
Kiki sopraggiunse di corsa.
“Hyoga devi correre subito da Mur.”
“Che succede?” chiese il cavaliere del cigno che però non ci mise un secondo di più a comprendere.
“Vigila tu sui ragazzi, io corro.”
Nel giro di qualche secondo Kiki si ritrovò a fare da balia ad un gruppo di ragazzini scatenati.
“Maestro ma è vero che il torneo comincia oggi?”
“Maestro ma gli accoppiamenti sono fatti a caso?”
“Io con una femmina non combatto!”
“Io con un maschio non combatto!”
Kiki cercava di fare ordine mentre Eden si avvicinò a Kouga.
“Tu sei l’allievo di Seiya?”
Kouga lo guardò cercando dietro lo sguardo di quel ragazzo il principe delle tenebre.
“La mia maestra è Shaina dell’Ofiuco”
“Pensavo che avessi come maestro un cavaliere d’oro! Io sono stato addestrato da mio padre che è un cavaliere leggendario. Anche Yuna dal suo e Ryuho allo stesso modo. Se sei candidato all’armatura di Pegasus perché non ti sei fatto allenare da Seiya?”
“Perché non sono suo figlio e ha altri incarichi da svolgere. Seiya è il generale dell’armata dei cavalieri di Atena!”
Paride si intromise malizioso.
“Lui non ha bisogno di farsi allenare da un cavaliere d’oro, è il figlioccio di Atena!”
“Smettila!” intervenne Soma che voleva bene a Kouga “Atena ama in egual modo tutti i suoi cavalieri, ha preso Kouga con se perché è rimasto coinvolto nella battaglia contro Marte! Ricordati che se Kouga da neonato è sopravvissuto all’attacco di un dio, allora battere te per lui sarà un gioco da ragazzi!”
“Ben detto Soma! Non dargli ascolto Kouga!” intervenne Ryuho.
Eden rimase a guardarli pensando che, quando suo padre aveva detto che voleva condurlo ad Atene perché voleva che non crescesse solo come un cavaliere ma come cavaliere fra i cavalieri di Atena, forse si riferiva proprio allo spirito di gruppo che aveva portato quei ragazzi a stringersi intorno a Kouga.
“Non prendertela Kouga” disse all’improvviso “figlioccio di Atena come nome non è tanto male, pensa che io sono chiamato principe delle tenebre!” concluse ridendo.
Tutti si ammutolirono. Kiki si avvicinò.
“Qui non ci sono tenebre Eden” disse mettendogli una mano su una spalla “se vorrai essere un principe dovrai essere un principe della luce”.
Eden sentì il cosmo buono e forte di quell’uomo e annuì con il capo.
“Bene e ora andate a prepararvi. Tra poco cominceranno le eliminatorie del torneo. Tra due ore questo posto sarà pieno di gente. Vedremo cosa saprete fare!”

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Il torace del ragazzo si alzava e abbassava. Mur gli posava tranquillamente una pezza gelata sulla fronte. Hyoga arrivò di corsa.
“Cos’è successo ad Andromeda?”
“Shh. Lo sveglierai. Sta riposando ora. Lo ha trovato Kiki mentre raccoglieva erbe medicinali al lungolago. Era svenuto e aveva la temperatura corporea molto alta.”
“Ora come sta?”
“Sto cercando di tenergli bassa la febbre ma non credo che stia funzionando. Inoltre c’è una cosa che devi vedere.”
Mur sollevò il lenzuolo che ricopriva il petto candido di Shun svelando che la macchia nera sul suo avambraccio sinistro si era allargata quasi fino alla spalla.
Hyoga strinse i pugni.
“Sta peggiorando. Mur devi fare qualcosa.”
“Non posso fare nulla Hyoga, mi dispiace. Ho chiamato Shaka. Si è già preso cura di Atena. Vediamo cosa ne pensa lui. Ma veniamo al motivo per cui ti ho chiamato.”
Hyoga non toglieva gli occhi dal corpo di Shun.
“Hyoga stai bene?”
“Mur, deve esserci qualcosa che si può fare! Non è giusto. Dovrei esserci io al suo posto. Ero io sulla traiettoria del colpo di Marte. Doveva colpire me!”
“Forse tu non saresti sopravvissuto.”
“Che intendi dire?”
“Il colpo di Marte prosciuga il cosmo. Se non si ha un autocontrollo molto forte, la maledizione è in grado di esaurire le forze vitali di un individuo in poco tempo. Shun ha un cosmo estremamente pacifico, questo gli consente di resistere meglio alla maledizione. Deve essere accaduto qualcosa che ha spinto Shun a bruciare il proprio cosmo. Eppure sotto la cupola non dovrebbero esserci nemici da cui difendersi. Forse Shun è stato attaccato da un animale.”
“Io so da chi si è difeso! Ad ogni modo ora dobbiamo pensare a Shun. Dimmi cosa posso fare per lui.”
“Tu non sei ferito. Puoi bruciare liberamente il tuo cosmo. Usa le energie fredde per raffreddare il corpo di Shun. Una volta Shun ha usato il suo calore per riscaldare te, ricordi? Credi di riuscire a eseguire quella tecnica al contrario?”
Crystal fu attraversato da un ricordo per lui dolcissimo.
“Lo farò. Lascialo nelle mie mani.”
“D’accordo. Io raggiungo Kiki all’arena e prenderò il tuo posto. Shaka tra breve sarà qui. Fai del tuo meglio.”
Hyoga si avvicinò al compagno e lo sollevò. La testa di Shun si rovesciò all’indietro. Il cavaliere del cigno la sistemò contro il suo petto.
“Coraggio Andromeda! Ora cerca di ascoltare la mia voce e torna in te. Non hai più nulla da temere. Sei tra le mie braccia.”
Una brina leggera invase la stanza e l’aria si raffreddò. La temperatura dei due corpi si abbassò drasticamente. Hyoga sorrise amaramente pensando che finalmente l’aver appreso lo zero assoluto dal suo maestro si stava rivelando utile a qualcosa.
Non seppe dire se il tempo era stato congelato dal suo cosmo oppure aveva resistito alla sua preghiera e aveva continuato a scorrere normalmente. I passi di Shaka lo riportarono alla realtà.
“Dovresti smettere. Questa stanza ora è decisamente troppo fredda!”
“Shaka, sei qui. Shun ha bisogno di te!”
“Sono qui. Ho portato la stessa medicina che ho dato periodicamente a lady Saori. Tuttavia voglio sgombrare il campo da fraintendimenti. La medicina non può curare nulla. Può solo alleviare il dolore. L’unico modo che esiste per non peggiorare, è non usare il cosmo.”
“Dammela lo stesso.”
Shaka gliela porse.
“Shaka”
“Dimmi”
“Parla con Ikki.”
“Non posso.”
“Perché?”
“Qualcosa mi dice che Shun non vorrebbe”
“Ikki non sa niente della sua malattia. E’ stata Pandora a far peggiorare Shun! Io lo so! Andromeda si è allontanato dalla sua casa perché lì c’è lei!”
Il cavaliere di Virgo aprì lentamente i suoi occhi e guardò Crystal.
“Tu hai un cosmo impetuoso. Sei molto simile ad Ikki. Parli per affezione nei confronti della persona che stringi al petto. Ne terrò debito conto. Ad ogni modo il destino di Shun è solo nelle sue mani. Tu comunque non ti sbagli. Il cosmo oscuro di Pandora ha certamente peggiorato le condizioni di Shun. Temo anche per Atena. La sto raggiungendo all’arena. Ha voluto essere presente al torneo.”
“Grazie.”
Mentre il cavaliere della vergine lasciava la prima casa, Hyoga riprese a stringere Shun.
“Avanti Andromeda, la tua nebulosa è un luogo troppo doloroso per restarci. Torna da me.”
“Cry..sta..l”
“Shun!”
“Fa freddo qui”
“Lo so!” esclamò il cigno sorridendo con gli occhi pieni di lacrime.
Shun gli passò una mano su una guancia.
“Andromeda mi hai fatto morire di paura!” disse stringendo il corpo emaciato di Shun.
Il cavaliere di Andromeda nascose la testa contro il petto dell’amico e gli passò le braccia intorno al collo.
“Shun...”
“Mi dispiace. Scusa...”
La voce del cigno si fece dolce.
“Quando smetterai di chiedere scusa? Sei uno stupido Shun! E’ normale che fossi in pena per te! Io ti voglio bene!”
Gli occhi di Shun si agganciarono in quelli azzurri di Hyoga. Pieni di lacrime che cominciarono a scorrergli sulle guance.
“Ho avuto paura Crystal! Stanotte non riuscivo a dormire. Sentivo uno strano formicolio in corpo. Ho cominciato a sentire come una voce, vedevo ombre muoversi contro le pareti. Sono corso fuori. Avevo bisogno di aria, sentivo caldo. Ho pensato che potevo venire da te, ma per la strada ho sentito un dolore fortissimo al petto e sono svenuto. Pensavo di morire. Ricordo di aver pensato che stavo morendo. Ho pensato che non sarei riuscito ad arrivare da te, a parlarti, a dirti addio!”
“Andromeda basta! Non devi neanche pensarle cose del genere! Non dovrai mai dirmi addio. Io sarò sempre al tuo fianco. Lo siamo stati nella battaglia, lo saremo nella vita e, un giorno, lo saremo nella morte. Noi due siamo Crystal e Andromeda. Senza di te io sono incompleto. Lontano da te non ho saputo vivere neanche pochi mesi! Quindi ora basta con le sciocchezze. Ora devi pensare a riposare.”
Shun strinse in un pugno un lembo della maglia sdrucita di Crystal. Questi gli accarezzò il capo e fece per staccarsi da lui. Fu allora che sentì tirarsi indietro. Guardò Shun e vide nei suoi occhi come un baleno. E in quel baleno le labbra di Shun azzerarono la distanza con le sue. Il bacio rivelò a Crystal quale fosse il sapore che aveva il compagno. Il sapore delle labbra di Andromeda. In quello stesso istante lo sentì ritirarsi. Non poteva permetterglielo. Così decise che era tempo di rischiare davvero il tutto per tutto. Hyoga lo afferrò per le braccia e rispose al bacio. Vide gli occhi di Shun sgranarsi per la sorpresa. Una lacrima gli scese sulle guance.
Si staccò da lui.
“Stai... stai bene?”
Shun annuì col capo.
“Sicuro? Perché piangi?”
“Perché se avessi avuto più forza e coraggio Crystal, ci saremmo dati questo bacio quindici anni fa!”
Hyoga senti una strana sensazione attraversarlo. Da un lato sentiva di avere trovato finalmente quella parte di sé che gli era sempre mancata, dall’altra nutriva la sensazione che quelle parole rappresentavano una sorta di rimpianto per qualcosa che avrebbe potuto essere e non sarebbe mai stato.
“Ora non aggiungere altro. Siamo tesi per gli avvenimenti di questi giorni. Tu devi riposare. Quello che è successo o non è successo non è dipeso esclusivamente a te. Voglio che tu smetta di piangere e ti concentri su te stesso. Quello che ti è accaduto è molto grave. La macchia sul tuo braccio si è estesa. Devi fare attenzione. Shaka dice che la malattia non è reversibile. Non farmi stare in ansia.”
Shun si allungò per afferrare la propria maglia. Se la infilò velocemente.
“Immagino che debba tornare a casa.”
“Non devi. Almeno fino a che c’è Pandora lì. Starai da me. Lo spiegheremo a June.”
“Yuna non capirà.”
“E’ tua figlia capirà. E poi sarà troppo presa dal torneo!”
“Il torneo! L’avevo scordato. Devo andare all’arena o Yuna non mi perdonerà mai!” esclamò Shun.
“Stai calmo! Ti ci porto io. Fa piano però!”
Shun sorrise.
“Grazie Crystal”
Il cavaliere del cigno finse per tutto il tragitto che la sua vicinanza gli fosse indifferente e cercò di cancellare l’immagine delle loro labbra unite. Le grida provenienti dall’arena rivelarono ai due che il torneo era iniziato anche senza di loro e mentre Shun pensò immediatamente alla sua Yuna, Hyoga si chiese se Kouga fosse già stato eliminato o se piuttosto, avesse ottenuto l’armatura di Pegasus.

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Il torneo era iniziato già da due ore.
Com’era prevedibile, gli allievi di Hyoga avevano superato tutti le selezioni.
Mentre però tutti si aspettavano di vedere nell’arena dopo le eliminatorie Paride della Lince o Ryuho del Dragone, nessuno si aspettava di vedere ancora in corsa per le finali Ilio e soprattutto Kouga.
Il grande sacerdote, agghindato a festa se la rideva da sotto il pomposo elmo e ogni tanto guardava di sottecchi Atena che era seduta al suo fianco fingendo indifferenza o eguale soddisfazione per ogni vincitore di duello.
Sugli spalti invece il tifo era infuocato.
I cavalieri d’oro, dismesse le armature, vantavano ognuno il proprio protetto.
Marine e June discutevano fra loro di come i propri figli fossero bellissimi nelle oro vestigia nuove di zecca.
“Mi dispiace per te June” intervenne Ioria “ma sappiamo tutti chi sarà il vincitore!”
“Non farti illusioni! Mia figlia ha sgraffignato l’armatura a tua moglie! Sarà un osso duro! Tu, meglio di chiunque altro dovresti sapere quanto siano tenaci i cavalieri dell’aquila!”
“Non datevi pena, Paride li batterà entrambi. Non vedete con quale eleganza sta facendo scempio di avversari? Quello è un cavaliere d’oro nato!” li canzonò Aphrodite.
“Quanta fretta! Le signore non vanno sottovalutate. Se Paride dovrà battersi con la mia Sibilla, non arriverà alla finale!” intervenne Death Mask.
“Quante storie che fate! Il torneo è ancora lungo. Io dico che ci saranno delle sorprese!” li fermò Milo.
“Si, spera pure, il tuo protetto non ha speranze senza un’armatura!” lo rimbeccò Shura.
“Non dire così, lo sai che è il cosmo che conta!” disse Camus per prendere le difese dell’amico “Anche Kouga ha dimostrato qualcosa. E poi state facendo i conti senza l’oste! Vi siete dimenticati che per ora il più forte sembra essere Eden!”
Il gelo di Camus raffreddò la platea.
“Il solito guastafeste!” fece Milo dandogli un colpetto nel fianco.
Tutti risero e uno squillo di tromba annunciò i nuovi accoppiamenti. La voce di Saga risuonò nell’aria.
“I guerrieri ancora in gara si scontreranno nel seguente ordine:
Paride della Lince contro Malis del Cratere
Kouga aspirante di Pegasus contro Bant dell’Orsa Minore
Shin di Berenice contro Haruto del Lupo
Sibilla del Pesce Volante contro Ilio aspirante di Perseo
Soma del Leone Minore contro Niha dello Scudo
Ryuho del Dragone contro Salem del Centauro
Rea della Lira contro Yuna dell’Aquila
Eden di Orione contro Toren del Triangolo.
Abbiate vittoria o cadete nel tentativo di ottenerla in nome di Atena!”
Terminata la presentazione di rito il grande sacerdote si accomodò e si levarono grida di esultazione da parte del pubblico.

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Shaka si inginocchiò alle spalle di Atena e disse solo poche parole.
“Mi scuso per il ritardo. Shun aveva bisogno del mio antidolorifico.”
Saori si voltò a guardarlo.
“Che è successo?”
“Credo che la vicinanza con lady Pandora abbia aggravato il suo stato. Le sue condizioni sono stabili ora. Vi invito tuttavia a ridurre al minimo i vostri contatti con la sorella mortale di Hades.”
“Dov’è Shun ora?”
“Con Hyoga.”
Saori sorrise.
“Allora sta bene.”
Saga, senza voltarsi e simulando interesse per il combattimento tra Paride e Malis, intervenne.
“Non fingete, mia signora, di non avere compreso il motivo per cui Shaka è qui. Vi ha chiesto di allontanarvi da lady Pandora.”
Saori si voltò di nuovo ad osservare lo scontro.
“Non intendo andarmene. La gente si aspetta di vedermi assegnare l’alloro al vincitore. Sto bene e non accetterò di essere contraddetta oggi.”
Lo disse con tale autorevolezza che Shaka prese posto negli scranni alle sue spalle e non proferì più parola. Saga, dal canto suo, continuò a fissare lo scontro. Non aggiunse altro. Sapeva infatti che, se avesse davvero voluto, avrebbe facilmente costretto Saori a tornare alla tredicesima casa. Sarebbe bastato fare arrivare a Seiya la notizia che Saori era in pericolo. Sagitter sarebbe volato fin lì in un baleno e l’avrebbe condotta al sicuro. Come sempre. Strinse un pugno e decretò la vittoria di Paride.

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Lo scontro successivo vide Kouga scendere in campo contro Bant. All’aspirante cavaliere di Pegasus sembrò che lo scontro stesse andando come, di solito, i suoi allenamenti. Le stava prendendo di brutto. Da non trascurare il fatto che Bant possedeva già un’armatura, che dagli ottavi in poi del torneo era lecito indossare, ed era più alto e robusto di lui. All’ennesimo colpo, Kouga si senti precipitare a terra.
Shaina, fino ad allora era stata zitta in un angolo. Si alzò d’improvviso e gli urlò contro.
“Kouga, razza di imbecille! Non farmi fare figuracce! Ricorda tutte le cose che ti ho insegnato su Pegasus. Ricorda Cassios!”
Kouga si rialzò a fatica e tornò con la mente alla storia del povero Cassios che pur essendo grande e grosso finì al tappeto contro Seiya.
“Già, non conta la forza, conta il cosmo. E’ una parola contro questo gigante!” disse tra se il ragazzo “Come faccio? Inoltre lui ha l’armatura. Possibile che con tutto l’impegno che ci sto mettendo io non me la meriti ancora?”
Vide partire di nuovo Bant all’attacco e con un balzo lo evitò.
“Se mi colpisce di nuovo non riuscirò più a rialzami. Coraggio Kouga. Pensa. Cosa dovresti fare ora? Cosa farebbe Seiya?”
“Tocca le tredici stelle. Una ad una. Toccale!”
La voce era nella sua testa? Oppure veniva dagli spalti?
Kouga girò la testa a destra e a sinistra e, per la distrazione, non vide Bant colpirlo e scaraventarlo lontano dal centro dell’arena.
“Tocca le tredici stelle!”
Di nuovo la voce.
“Ascolta tuo padre...”
Stavolta la voce era diversa, era di una donna. Ascoltare suo padre? Suo padre gli stava dicendo di toccare le tredici stelle di Pegaso. Kouga chiuse gli occhi e cominciò ad agitare le braccia.
Sugli spalti si levò un mormorio di insoddisfazione.
Shaina scattò in piedi. Possibile che Kouga volesse tentare quella tecnica? Una tecnica che lei ancora non gli aveva insegnato? O forse agitava le braccia a casaccio?
No. Toccava con le sue mani di ragazzino, ancora non troppo ruvide per gli allenamenti leggeri, le stelle della costellazione di Pegaso. Ne era certa.
Saori, strinse il proprio abito e pregò. Pregò che fosse vero. Che Kouga trovasse quella forza che lei sapeva scorrergli nelle vene dalla nascita. Il suo retaggio.
Aldebaran urlò al suo protetto di impedirgli di preparare il colpo. Kouga però era lontano e Bant era lento. Il ragazzo dai capelli rossi completò quel viaggio immaginario tra le stelle di Pegaso quando ancora Bant era lontano e sentì che il suo corpo stava bruciando. Bruciava ogni particella del suo essere. Era una sensazione mai provata eppure per Kouga aveva qualcosa di familiare. Come se appartenesse ad un ricordo lontano. Aprì gli  di scatto gli occhi e come se fosse guidato da uno spirito alieno lanciò un solo, potentissimo colpo.
“Pegasus Ryu Sei Ken!”
Tutti si alzarono in piedi nell’arena perché da molti anni nessuno sentiva quelle parole né vedeva risplendere la luce azzurra del fulmine di Pegasus. Inutile dire che Bant cadde a terra vinto. Saori non osò neppure sorridere mentre Saga diede ampio sfogo alla sua esultazione applaudendo e decretando il vincitore.
Shaina corse al centro dell’arena.
“Ora dimmi come hai lanciato quel colpo!”
“Io non lo so, me lo ha detto mio padre..” rispose Kouga guardandosi il pugno.
“Hai eseguito la tecnica in modo perfetto! Insomma mi congratulo! Con riguardo a chi te l’ha suggerita io non ne farei parola. I tuoi compagni ti considerano già bello strambo. Non vorrei che stavolta credessero che ti manca davvero qualche rotella!” lo canzonò la maestra per cambiare discorso.
“A dire il vero non so neanche come ho fatto. Non so se sono capace di rifarlo!”
“Per ora sei ai quarti. Conta solo questo. Ora leviamoci di qui. Ah dimenticavo. Saluta il grande sacerdote e Atena con un inchino. Non essere il solito maleducato!”
Kouga fece un inchino e si avviò verso i suoi compagni che erano pronti a festeggiarlo.
Ai quarti oltre a Paride e Kouga si qualificarono Haruto, Ilio con grande sorpresa del suo stesso maestro, Soma, Ryuho, Yuna ed Eden che lasciò tutti di stucco atterrando l’avversario con una sola mossa.
Il grande sacerdote decretò gli accoppiamenti per i quarti.
“I guerrieri ancora in gara si scontreranno nel seguente ordine:
Paride della Lince contro Kouga aspirante di Pegasus
Haruto del Lupo contro Ilio aspirante di Perseo
Soma del Leone Minore contro Ryuho del Dragone
Yuna dell’Aquila contro Eden di Orione
Abbiate vittoria o cadete nel tentativo di ottenerla in nome di Atena!”
Di nuovo partirono i commenti.
Il più disperato di tutti sembrava essere proprio Eden che non voleva battersi con la cugina che, al contrario sembrava elettrizzata all’idea.
“Non se ne può fare a meno, padre?”
“Credo proprio di no.”
“Avanti non fare quella faccia!” esclamò June “Mia figlia sa difendersi!”
Fu allora che Ikki vide sopraggiungere suo fratello e Hyoga. Sembrava che Shun fosse finito sotto un treno. June si allarmò.
“Shun che è successo?”
“Nulla di grave. Ho voluto provare ad esercitarmi un po’ con Hyoga ma sono decisamente fuori allenamento!” concluse sorridendo alla sua compagna e a sua figlia.
Non poté non notare che anche Pandora appariva realmente preoccupata. Doveva sembrare davvero uno straccio. Shun si rivolse alla figlia.
“Intendi lottare contro Eden?”
La ragazzina annuì.
“Bene. Ricorda quello che ti ho insegnato allora.”
“Zio, io non vorrei battermi con lei” intervenne Eden “Potrei ritirarmi se a te fa piacere. Non voglio essere fonte di contrasto tra te e mio padre.”
Shun e Hyoga guardarono quel ragazzo dagli occhi neri e sentirono che non c’era nulla di oscuro in lui. Era sincero. Shun scosse il capo.
“No. Devi combattere al tuo meglio Eden! E’ questo lo spirito del torneo, non è vero Crystal?”
Il cavaliere del cigno annuì.
“I cavalieri si battono tra loro ma si rispettano. Non temere. Combatti e mostraci di che pasta sei fatto Eden di Orione!”
Il ragazzo tornò da Ikki che contraccambiò la gentilezza che Hyoga aveva mostrato a suo figlio con un sorriso.
“June credo che sia il caso che accompagni Shun a sedersi sugli spalti un po’ più in alto così vedrete meglio il combattimento” disse indicando Pandora.
June afferrò al volo e accompagnò Shun a sedersi tra Mur e Aldebaran.
Ilio, sorprendendo tutti e inorgogliendo il suo maestro, sconfisse Haruto. Milo non la smetteva più di sghignazzare.
“Visto? Che vi avevo detto? Ilio è un talento naturale! Secondo me diventerà cavaliere d’oro del Cancro!”
“Scusa perché del Cancro?” intervenne Death Mask “E’ tuo allievo! Magari dello Scorpione!”
“Ho dei dubbi. Io sono ancora molto forte e mi mantengo bellissimo! Tu invece cominci a mostrare i segni del tempo mio caro!”
“Buffone! Tu bellissimo? Ma fammi il piacere! Certo se ogni sera ti fai congelare da Camus per forza che sembri più giovane!” lo punzicchiò il cavaliere del Cancro.
“Brutto microcefalo! Come osi? Sei geloso forse? E comunque parli così perché non puoi digerire che Ilio abbia sconfitto la tua piccola Sibilla! E per forza! Quella dolce creatura è stata sfortunata a ritrovarsi un maestro come te!”
“Adesso basta!” intervenne Camus “Comincia il combattimento tra Soma e Ryuho!”
Questo scontro andò per le lunghe perché i due ragazzi erano davvero dotati. Il grande sacerdote dovette decretare la vittoria di Soma che era più grande di Ryuho e si era mostrato fisicamente più forte.
“Visto? Mio figlio è il campione!” urlò uno Ioria esultante. Marine lo contenne.
“Zitto stanno scendendo in campo Kouga e Paride”
Lo scontro iniziò nel modo più ovvio. Kouga faccia nella polvere. Aveva provato a ripetere la tecnica acquisita nel precedente scontro, ma Paride gli impediva di completarla e lui non riusciva a trovare la concentrazione per lanciare il colpo.
Marine ogni tanto guardava verso il palco della dea per scrutare le reazioni di Saori.
All’ennesimo colpo che fece vomitare sangue a Kouga le parve che la fanciulla fosse stata trattenuta a stento dal grande sacerdote. Era proprio necessario che presenziasse?
Kouga si mise in ginocchio e si asciugò le labbra insanguinate.
“Cosa c’è Kouga? Non riesci a lanciare il tuo spettacolare colpo? Ma guardati, non hai un’armatura, non hai un colpo segreto. Mi domando quanto scarsi siano stati i tuoi avversari per essere arrivato fino ai quarti di finale! Ora però cedi il passo! L’alloro della dea mi aspetta! Avrò io l’onore di ricevere il bacio promesso al cavaliere vincitore da lady Saori!”
“Un bacio?”
“Già, ma tu che te ne fai? Non sei il suo figlioccio?”
“Maledetto Paride ti toglierò quel sorrisetto dal viso!”
Il cielo si stava facendo scuro e Kouga vide una stella brillare più forte delle altre.
“Avanti padre, se mi stai guardando dal cielo, questo è il momento di darmi qualche altro consiglio?”
“Parli da solo Kouga? Combatti!” urlò Paride lanciando il suo colpo.
La voce fu di nuovo nella sua testa.
“Non evitarlo. Paralo! Respingi il suo stesso colpo contro di lui!”
Quando Shaina capì che Kouga non intendeva eludere il colpo, urlò. Quel ragazzo aveva deciso di farla morire quel giorno.
“Kouga spostati!”
Saori si alzò di scatto e questa volta Saga non riuscì a fermarla. La sua reazione sfuggì a molti che osservavano il combattimento, ma non a Pandora.
Il colpo arrivò in pieno petto, ma il cosmo di Kouga si liberò in un’aura azzurra che lo imprigionò. Le mani di Kouga si strinsero intorno al globo di luce e lo lanciarono indietro. Per lo stupore, Paride non riuscì ad evitarlo e fu abbattuto dal suo stesso colpo segreto.
“Il vincitore è Kouga aspirante cavaliere di Pegasus!”
Soma esultò e gli corse incontro.
“Evvai Kouga! Siamo alle semifinali!”
Per tutta risposta Kouga lo abbracciò poi, si volto verso il palco di Atena e fece un inchino e un grande sorriso a Saga e a Saori.
La dea si era già riseduta e sentì qualcosa nel suo cuore cedere.
“Milady, dovete essere molto orgogliosa della prova di Kouga. Ha sconfitto due avversari molto abili dotati di armatura!”
Saori non disse nulla. Se avesse parlato le sarebbero usciti solo singhiozzi e lacrime.
Pandora non le tolse gli occhi di dosso fino a che non fu suo figlio a scendere in campo.
Hyoga era teso come una corda di violino. Cosa sarebbe accaduto se Yuna si fosse ferita gravemente? Cosa sarebbe accaduto a Shun?
Ikki si avvicinò a suo figlio.
“Non m’importa cosa ti ha detto Hyoga. Vacci piano. E’ sempre una donna. Cosa ti ho insegnato sulle donne Eden?”
“Che hanno l’anima di diamante e il corpo d cristallo padre.”
“Bravo.”
“Devo perdere?”
“Ti ho detto questo?”
“Allora non capisco”
“Vinci ma non colpirla duramente. Se le fai male ti stacco la testa io stesso! Non m’importa cosa dice tua madre!”
Eden sorrise.
Lo scontro durò quasi mezz’ora. Eden si limitava a parare i colpi della cugina. Lei perse la pazienza e si fermò al centro dell’arena.
“Ehi Eden, sei forse un vigliacco? Hai paura di me oppure cosa? Se tu non vuoi fare sul serio allora lo farò io! Ti mostrerò il colpo segreto dell’aquila e nel vortice che ti lancerò contro assaggerai un po’ della nebulosa di mio padre! Volo dell’Aquila reale!”
Il colpo raggiunse Eden in pieno viso dato che l’aura della sacerdotessa sembrava averlo paralizzato.
“Se non ti batti seriamente finirai sconfitto! Un tempo la tecnica dell’aquila aveva un punto debole ma mio padre l’ha perfezionata per me. Come vedi ti stai battendo contro un’avversaria allenata da due cavalieri leggendari Eden. Cosa credevi che fossi una bambola?”
Eden si risollevò e guardò i suoi genitori.
“Bene cugina. Anche io sono figlio di un cavaliere leggendario. Se mio padre rinasce dalle sue stesse ceneri cosa pensi sia in grado di fare io che per metà appartengo al regno degli Inferi? Speri di battermi così facilmente?”
“La nebulosa di bloccherà il tempo sufficiente ad atterrarti! Volo dell’aquila reale!”
“Mai usare due volte lo stesso colpo contro un cavaliere! Vortice del lago nero!”
Innanzi ad Eden comparve uno specchio nero che ingoiò la figura di Yuna.
Tutti si alzarono in piedi ma quando la nebbia nera scomparve Yuna giaceva semicosciente tra le braccia di Eden.
“Chiedo scusa cugina ma io devo vincere”
“Yuna!” gridarono June e Shun.
“Sto bene mamma. Solo un po’ stordita. Non capisco... non ho neanche un graffio. Ma cosa è successo?”
“Il lago nero assorbe il potere dei colpi nemici. E’ una tecnica difensiva. Mio padre mi ha insegnato che non bisogna mai fare del male ad una donna, anche se  pericolosa come te Yuna!”
“Mi dispiace di avere perso papà!”
“L’importante è che tu stia bene. Ti sei gettata nello scontro senza conoscere il tuo avversario. Spero che tu abbia imparato la lezione! In un vero combattimento avresti messo a repentaglio la tua vita e quella dei tuoi compagni! Tu sei stato molto bravo Eden”
“Grazie zio.”
Eden tornò dai suoi genitori e il grande sacerdote decretò il vincitore. In privato si rivolse a Shaka.
“Ikki vuole che sia tu il maestro di Eden. Lo trovo buffo. Lo sterminatore di spectre che diventa maestro del nipote mortale di Hades!”
“Non mi piace quel soprannome” rispose Virgo.
“Ti si addice!”
“Non credo”
“Smettetela voi due!” intervenne Saori.
“Nervosa milady?”
“Chi è il prossimo avversario di Kouga?”
“Soma” rispose Saga “E’ l’ultima possibilità che ha per non scontrarsi con Eden!”
“Speri che venga eliminato?”
“Spero che quei due non vengano alle mani. Ma credo che Ilio non sarà all’altezza di Eden, quindi se Kouga batte Soma, se la dovrà vedere con, come lo chiamano? Il principe delle tenebre!”
“Saga come mai tanta ironia oggi?”
“Tutta questa faccenda mi diverte molto milady. Sono curioso di vedere a chi cederanno prima i nervi!”
“Saga! Sei quanto meno irrispettoso!”
Saori sorrise.
“Lascialo stare Shaka. So dove vuole arrivare. Io da qui non me ne vado.”
“Kouga non ha l’armatura. Dovrebbe abbandonare adesso. Soma è davvero molto forte.”
“Vedremo.”
Saori rimase immobile come la statua della dea Atena alla tredicesima casa. Kouga non era solo. Forse solo lei sapeva quanto quel cucciolo di Pegaso fosse pronto a volare.



Note dell'autrice:
Salve a tutti! Stavolta ho deciso di lasciare delle note visto che siamo già al quarto capitolo e credo che la storia cominci un po' a delinearsi. Spero che i continui salti di ambientazione non diano sui nervi, ma li trovo comodi per portare avanti diverse storie parallele e, credetemi se vi dico che ne ho davvero troppe per le mani!!! Tra l'altro sta per prendere l'iniziativa il nostro Saga che è uno dei protagonisti principali della storia anche se non sono riuscita a segnalarlo nelle caratteristiche della fic!!! Mi scuso sin da subito per la descrizione dei combattimenti del torneo, non mi ci sento particolarmente portata ma volevo omaggiare la guerra galattica e mi serviva per far maturare il personaggio di Kouga!
Ringrazio Dagliasa3 che mi ha incoraggiata dal primo capitolo con recensioni e commenti. Se avete dubbi, se vi piace o non vi piace, non esitate a farmelo sapere... è la prima storia che pubblico e vorrei la vostra opinione.
Grazie per avere letto fino a qui e a presto.

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Capitolo 5
*** La vita salvata da Saga - parte prima ***


Note dell'autrice: Eccomi! Scusate per il ritardo nell'aggiornamento! Lavoro, lavoro, lavoro... Piccole note lo prometto.
Innanzitutto questo capitolo mi è venuto un po' lungo perciò ho deciso di dividerlo in due parti. Scusatemi perciò se non si capirà subito il senso del titolo. Saga farà il suo ingresso verso la fine di questa prima parte anche se devo ammettere che spunterà qui e là perchè io lo adoro ( non vedo l'ora di introdurre il suo gemello furfante).
Ringrazio chi legge e ancora di più chi lascerà un commento anche piccolo piccolo giusto per farmi capire se la piega che sta prendendo la storia vi piace. Vi lascio alla lettura, io corro in fumetteria!  
Baci baci!

 

Capitolo V : La vita salvata da Saga (parte prima)
 
L’incontro tra Eden e Ilio finì, come prevedibile, in un lampo a favore del primo.
Anche se Ilio si era mostrato tenace e coraggioso, Eden aveva avuto facilmente ragione del piccolo allievo di Milo. Quest’ultimo tuttavia, ne era rimasto talmente impressionato che aveva deciso di portarlo personalmente in infermeria.
“Sei stato molto bravo Ilio.”
“Maestro mi dispiace. Avrei voluto renderti orgoglioso...”
“Ma io sono orgoglioso, non è vero Camus?”
Il cavaliere dell’Acquario annuì.
“Il tuo maestro è rimasto estremamente sorpreso dei tuoi progressi.”
Ilio cercò di sorridere nonostante le ferite.
“Ora devi riposare. Vedrai che al prossimo torneo avrai l’armatura di Perseo e allora sarai tu il vincitore!”
Mentre Ilio veniva medicato, i successivi due sfidanti fecero il loro ingresso nell’arena.
Saori era nervosa. Saga aveva ragione. Soma era un avversario di ben altro livello rispetto a quelli che Kouga aveva affrontato fino a quel momento.
Ad ogni modo il ragazzo aveva fatto più progressi in un giorno solo che in un anno di allenamenti. Doveva almeno provarci.
La sera era calata e le fiaccole erano state accese lungo tutto il perimetro dell’arena.
I due ragazzi erano tesi.
“Kouga anche se siamo amici, io non ti farò sconti!”
“Non mi aspetto che tu me ne faccia Soma!”
Il combattimento cominciò per togliere i due dall’imbarazzo di inutili proclami.
Kouga si rese subito conto che affrontare Soma era ben altra cosa rispetto agli altri avversari. Aveva sconfitto Bant con la velocità del fulmine di Pegasus e Paride con la rabbia, come aveva fatto durante gli allenamenti. Con Soma la situazione era ben diversa. Lui gli voleva bene. Aveva timore a colpirlo e, allo stesso tempo, ne temeva l’armatura.
Dopo essere riuscito a piazzare due colpi ben assestati, il combattimento voltò facilmente a favore del cavaliere del leone minore.
Kouga cadeva e sempre si rialzava. Non voleva cedere anche se ogni volta diventava più difficile, più faticoso.
Anche Soma si rese conto che, mentre lui aveva facilmente superato gli altri combattimenti grazie all’armatura, Kouga aveva lividi e tagli dappertutto.
“Kouga forse stai chiedendo troppo a te stesso!” disse ad un certo punto “Non c’è disonore nel riconoscere la superiorità di un avversario!”
Kouga si rialzò per l’ennesima volta. Respirava a fatica e sentiva in bocca il sapore ferroso del sangue. Soma era davvero superiore? Guardò verso Saori e Saga. Non aveva forse promesso a Hyoga che sarebbero stati orgogliosi di lui? Ilio era nelle sue condizioni e non si era arreso. Si ritrovò a pensare che se avesse avuto la sua armatura, sarebbe di certo stato all’altezza.
Chiuse gli occhi.
“Io non mi arrendo. Se vuoi vincere dovrai abbattermi! Anche se non ho l’armatura Soma, io sono un cavaliere. Il mio cosmo brucia! Forse non è quello che voglio, ma ciò non toglie che è quello che sono.”
“Bene Kouga. Ti rispetto, ma io sono un cavaliere perché non solo è quello che sono ma è quello che voglio essere! Preparati dunque. Flame bolt!”
Saori vide il corpo di Kouga bruciare sotto i colpi di Soma. La mano di Saga strinse la sua.
“Se ritieni che sia troppo, decreto il vincitore.”
Saori vide Kouga rialzarsi e scosse il capo.
“La scelta spetta solo a lui”
Saga ritirò la mano pensando che erano le stesse parole pronunciate da Seiya la sera prima.
“Kouga basta! Per te non era così importante fino a ieri! Perché lo fai? Senza armatura ti farai male!”
Kouga sgranò gli occhi. Perché lo stava facendo? Aveva detto a se stesso che avrebbe partecipato per avere la possibilità di potere andare a cercare i suoi genitori. Durante gli scontri, tuttavia, gli era sembrato di udire la voce di suo padre. Aveva sconfitto Paride solo perché non voleva che vincesse il bacio di Saori? Perché nonostante i suoi sforzi non riusciva a conquistare l’armatura? Pensò alle parole di Seiya sull’armatura d’oro. Forse il legittimo proprietario di Pegasus non lo riteneva all’altezza e non intendeva concedergliela.
“Questa volta ti attaccherò con tutte le mie forze!”
“Kouga non devi pensare a cosa può fare l’armatura per te, ma cosa puoi fare tu per l’armatura!”
Di nuovo la voce. Che significava? Cosa avrebbe mai potuto fare per l’armatura? Gli tornarono alla mente le parole del maestro circa la volontà delle sacre vestigia dei cavalieri.
“Posso usarla per combattere! Dovrei usarla per combattere i nemici di Atena.”
Il colpo di Soma lo centrò mandandolo al tappeto. Si rialzò e Soma si rimise in posizione di attacco.
“Posso usarla per difendermi!”
Il colpo di Soma lo raggiunse di nuovo e d’istinto riuscì a deviarlo. L’energia del cavaliere del leone minore distrusse una lanterna.
Kouga la vide andare in pezzi e sgranò gli occhi.
“Posso usarla per proteggere! Devo usarla per proteggere. Io sono Pegasus Kouga e il mio compito è proteggere. Io proteggo!”
Soma lanciò un altro colpo ma una luce fortissima lo assorbi. Quando la luce si affievolì Kouga era ancora in piedi. Riluceva di un’aura azzurra avvolto nelle sacre vestigia di Pegasus.
Tutti gridarono. Gli occhi di Saori si riempirono di lacrime. L’armatura di Pegasus era di nuovo davanti a lei. Quanto tempo era passato? Quanti ricordi portava con sé? Quante volte era andata in pezzi? Eppure eccola, splendente più che mai addosso a quel cavaliere bambino che era diventato Kouga.
“Ora Soma combattiamo ad armi pari!”
“Non me lo faccio ripetere Kouga! Flame tornado!”
“Pegasus Ruy sei ken!”
La luce che produsse lo scontro fra i due colpi fu accecante. Quando si affievolì in piedi, nell’arena era rimasto un solo cavaliere.
La voce di Saga risuonò nell’arena e sugli spalti esplose l’entusiasmo.
“Il vincitore è Kouga di Pegasus!”
Shaina corse ad abbracciarlo.
“Shaina guarda! L’armatura!”
“Si la vedo. Bravo ragazzino!”
Saori si chiese se nell’abbraccio di Shaina, Kouga potesse sentire anche il suo. O magari quello di Seiya. Di certo Seiya lo stava abbracciando attraverso l’armatura.
Saga la guardò consapevole di quali pensieri la stessero attraversando.
“Saori, vuoi che si batta con Eden?”
“Te lo ripeto Saga, non spetta a me.”
Il grande sacerdote si alzò e con una mano mise a tacere la folla.
“Cominci dunque il duello finale tra Eden di Orione e Kouga di Pegasus!”
Pandora prese per un braccio il suo sposo.
“Non farlo combattere contro quel ragazzo.”
“Perché dovrebbe ritirarsi?”
“Ricorda il mio sogno!”
“Kouga ha solo l’armatura di Pegasus, non è Seiya e non è suo figlio. Eden è più forte di lui. Lo batterà come ha fatto con tutti gli altri.”
“Succederà qualcosa di brutto, Ikki!”
“No Pandora, si romperanno qualche osso. Staranno bene!”
Ikki augurò buona fortuna al figlio poi fu il turno di sua madre.
“Eden ascoltami.”
“Dimmi madre”
“Difenditi al massimo delle tue forze. Non abbassare mai la guardia!”
Eden capì che sua madre aveva bisogno di essere rassicurata.
“Stai tranquilla non mi batterà!” disse raggiungendo il centro del terreno di scontro.
Kouga si avvicinò a Hyoga.
“Kouga fa attenzione. Hai visto come combatte. Usa l’oscurità. Ricorda che il tuo cammino è nella luce e ricorda: anche lui ha visto cosa sai fare. Improvvisa. Con lui le tecniche non funzioneranno!”
“Ora ho l’armatura e mi sento più forte. Però, se tu maestro mi dici di non fare affidamento sul fulmine di Pegasus, che cosa potrò mai fare?”
“Sono certo che ti verrà in mente qualcosa durante lo scontro. Ora va a sciacquarti il viso e preparati.
Kouga corse verso i bagni dell’arena. Aveva bisogno di rifrescarsi prima di lanciarsi di nuovo nella battaglia. Di positivo c’era che l’armatura gli aveva donato nuove energie. Si sentiva rinato. Certo i dolori c’erano ancora, i tagli e le ferite pure, ma lui non si sentiva stanco. Il problema era un altro. Si sentiva demoralizzato per via delle parole del suo maestro. Ora che era in finale non voleva perdere proprio contro Eden. Tuttavia sapeva che essere arrivato in finale non era certo merito dell’impegno che aveva messo negli allenamenti.
Gettò la testa sotto l’acqua e poi si guardò allo specchio. Alle sue spalle si era materializzato il grande sacerdote.
“Saga!”
“Così siamo arrivati in finale!”
“Già...”
“Non ne sembri felice”
“No, non è questo!” si affrettò a dire il ragazzo “E’ che nessuno è convinto che io abbia delle speranze contro Eden!”
“Atena non è di questo parere.”
“Saori ha detto così?”
“Lo sai che Saori non parla quasi mai. Ma pochi istanti prima che tu conquistassi l’armatura di Pegasus io stavo per dichiararti sconfitto e lei non ha voluto. Crede in te.”
Kouga si guardò di nuovo allo specchio.
“Allora anche io devo crederci, non è così?”
“Ora non fare lo sbruffone, anche se mi rendo conto che è la natura di tutti i cavalieri di Pegasus! Sbruffoni e testardi! Ascoltami bene: non voglio che fai preoccupare Saori. Quindi, se pensi di non farcela, è sufficiente che mi guardi e io interromperò il combattimento.”
“Io non voglio arrendermi!”
“Appunto! Vedo che hai compreso!” esclamò Saga ironico “Che devo fare con te moccioso? Prenderti a testate per farti capire come stanno le cose? Se fai soffrire Saori, ti strangolo con le mie mani!”
“Ehi sono io quello che rischia la pelle! E tutti a preoccuparsi per lei!”
Saga lo prese per le spalle.
“Eden sarà un osso duro. Sono venuto solo ad avvisarti di stare in guardia e il sacerdote dovrebbe essere neutrale se non lo sai! Comunque se ti impegni penso che tu non sia spacciato!”
“Grazie Saga. Che bell’incoraggiamento! Qualche consiglio dal cavaliere di Gemini non si può avere?”
Saga guardò verso il soffitto con una mano a sfiorarsi il mento, poi parlò.
“Eden ha già visto il fulmine di Pegasus. Dovrai fare di meglio!”
“Meglio del fulmine?”
“Sei un novellino. Ecco il mio consiglio: che accadrebbe se invece di lanciare tanti colpi disordinati, li concentrassi in un unico pugno?”
Saga si voltò e ritornò da dove era venuto.
“Questo non è un consiglio. E’ una domanda! Grazie molte per l’aiuto!” gli urlò dietro Kouga prima di fare ritorno nell’arena.
----------------------------
“Dove sei stato Saga?”
La voce cristallina di Shaka lo raggiunse mentre il sacerdote si riaccomodava sullo scranno per dare l’avvio alla finale del torneo.
“Anche i grandi sacerdoti hanno delle necessità. Forse Shaka tu sei ‘troppo’ divino per comprenderlo!”
“Tra tutte le necessità di un grande sacerdote c’è anche quella di influenzare gli esiti dei tornei?”
A questa domanda Saori si voltò a guardare il cavaliere di Gemini che se la rideva sornione.
“Non ho influenzato proprio nulla. E’ stato puro caso incontrare Kouga. Non gli ho detto nulla che un cavaliere non dovrebbe già sapere. Ora concentriamoci sul combattimento” disse alzandosi “I guerrieri che si scontreranno per l’alloro della dea sono Kouga di Pegasus ed Eden di Orione. Abbiate vittoria o cadete nel tentativo di ottenerla in nome di Atena!”
Alle parole del grande sacerdote Pandora tremò. Ikki la prese per mano.
“Non farti influenzare dai tuoi sogni. Eden è in gamba e ne darà prova a tutti.”
“E’ così importante per te che Eden dimostri di essere il più forte?”
Ikki sorrise.
“No. Voglio che dimostri che la sua forza non è un pericolo per nessuno.”
“E se invece lo fosse? Che ne sarebbe di lui?”
Ikki la guardò con preoccupazione.
“Perché parli in questo modo?”
“Perché è pur sempre il principe delle tenebre!”
“No Pandora. Eden è mio figlio e ha imparato dai miei errori. Non li ripeterà.”
“Allora è per questo che siamo qui! Credi che possa diventare nemico di Atena?”
“No. Penso che possa sentire la solitudine che ho provato io alla sua età e che mi ha portato sulla strada sbagliata. Voglio che il suo migliore amico non sia un cane con tre teste!”
“Davvero? E’ per questo che hai fatto di tutto per separare Shun e Hyoga tredici anni fa?”
Ikki si rabbuiò. Sapeva bene che era vero. Conosceva il legame tra suo fratello e Crystal e non lo sopportava. Per questo aveva fatto in modo che Shun trovasse l’amico a letto con Flare. Che li vedesse con i suoi occhi perché capisse che Hyoga aveva un futuro con la principessa di Asgaard e che non c’erano dubbi sul fatto che per lui Shun fosse solo uno dei tanti compagni con cui aveva affrontato le battaglie.
Conosceva Shun e i suoi sentimenti, sapeva che l’affetto che provava per Hyoga andava oltre la semplice amicizia. Per questo aveva agito in quel modo. Perché capisse che anche a lui toccava trovare una brava ragazza e mettere su famiglia. Non si era sbagliato perché suo fratello ora aveva una famiglia.
Si girò a guardarlo poco più su tenere sulle ginocchia la figlia e stringere la mano di June. No. Non aveva sbagliato.
A propria volta Shun si sentiva osservato. Intuì che gli occhi che aveva addosso erano quelli di Ikki. Ricambiò per un istante lo sguardo per poi andare con gli occhi a cercare Hyoga.
Il cavaliere del cigno se ne stava, eretto, vicino alla postazione di Kouga. Shaina gli stava dicendo qualcosa gesticolando. Lui non l’ascoltava.  Stava ricambiano il suo sguardo. D’improvviso sorrise. Non di quei sorrisi grandi che Crystal faceva da ragazzo, ma di quelli tirati che aveva imparato a fare da adulto. Quei sorrisi che sapevano di nostalgia e di neve. Shun tremò e June gli chiese se stesse bene. Annuì ma, nel proprio cuore, sapeva di mentire perché non sarebbe più stato bene fino a che non si fosse stato di nuovo in quel gelido rifugio che erano le braccia di Crystal.
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L’incontro ebbe inizio con un poderoso scambio di colpi.
Il fulmine di Pegasus era stato assorbito dal lago nero di Eden e la lancia di Orione era stata deviata dall’armatura di Pegasus.
I due ragazzi diedero prova di grandi capacità durante lo scontro che non sembrava favorire nessuno.
Kouga era più affaticato. In quella giornata erano accadute troppe cose. Eden invece sembrava insofferente. Di certo aveva pensato che liberarsi di Pegasus sarebbe stato più semplice.
Gli tornarono alla mente le parole della madre che lo aveva esortato a difendersi con ogni mezzo.
“Bene Kouga. Hai dimostrato valore e grande resistenza ma ora è giunto il tempo per te di apprendere quale sia la differenza tra noi. Io non sono un novellino e non intendo trascinare questa disputa oltre. Preparati a ricevere il mio colpo migliore!”
Kouga assunse una posizione di difesa poi ci ripensò. Cominciò a toccare mentalmente e tredici stelle di Pegaso.
“Hai già eseguito svariate volte questa tecnica! Sei un illuso se credi che potrà funzionare ancora! Preparati ad essere colpito dalla Cintura di Orione!”
Kouga toccò l’ultima stella mentre l’avversario lanciava il proprio colpo. Vide tre luci partire dal suo pugno, tante quante le stelle della cintura di Orione. Poteva evitarne una, forse due, ma la terza? Non doveva evitarle si disse. Chiuse gli occhi per bruciare più intensamente il suo cosmo e provò a concentrare i suoi colpi in un pugno solo.
“Cometa di Pegasus!”
I colpi esplosero in un mare di luce illuminando a giorno l’arena. Quando la notte riprese il sopravvento, i due cavalieri erano ancora in piedi pugno contro pugno, i respiri affannati. Ognuno dei due saltò all’indietro.
“Alla fine ti ho sottovalutato Kouga di Pegasus! Ma non è finita! Preparati a ricevere il mio fantasma diabolico!”
La velocità di esecuzione del colpo fu tale che Kouga non poté evitarlo. Rimase in piedi tremante.
Saori, Shun e Hyoga saltarono in piedi urlando il nome di Kouga.
Saga afferrò la personificazione della dea e la portò oltre le tende del palco.
“Vado da lui!”
“No! Non dovete! Shaka trattienila!”
“No! Devo andare da lui! Lasciatemi!”
Mentre lontano da occhi indiscreti, continuava la lotta fra Atena e il suo sacerdote, nell’arena tutti tenevano il fiato sospeso.
Kouga era rimasto immobile ancora le braccia tese nel tentativo di difendersi.
Kouga non conosceva gli effetti di quel colpo per cui lui non capì che ciò che stava vedendo ora era solo nella sua mente.
Vide un uomo ed una donna di spalle che lo chiamavano. Si tenevano per mano.
“Kouga! Kouga! Vieni da noi. Ci manchi tanto!”
“Mamma, papà! Aspettate! Vi ho cercato tanto!”
“Lascia perdere il combattimento Kouga e vieni da noi!”
“Sì, però Saori crede in me. Se mollo adesso che penserà? Io non voglio deluderla!”
“Vieni da noi Kouga o non potrai più farlo!”
Kouga prese a camminare verso quelli che credeva i suoi genitori quando, alle sue spalle percepì una calda luce dorata.
“Kouga che fai? Ti lasci vincere dall’oscurità?”
Poi un’altra voce.
“Devi camminare nella luce”
Poi ancora un’altra.
“ Lui vuole diventare cavaliere, solo che ancora non lo sa. Deve essere una tara di famiglia...”
E ancora una.
“Io non potrò proteggerlo...”
E una ancora.
“Vi proteggerò io!”
La luce si fece calda e l’oscurità avvolse la figura dei suoi genitori.
“Mamma e papà vogliono che sia forte. Io devo combattere! Io devo proteggere! Io proteggo!”
Kouga urlò e Saori si divincolò da Shaka e corse giuù per le scale che portavano all’arena.
Sentiva battere il proprio cuore all’impazzata. Non aveva mai provato nulla di simile neppure di fronte alla morte, agli dei nemici. Neanche la paura di vedere morire i suoi guerrieri era minimamente paragonabile a quella sensazione di oppressione sul cuore.
Corse Saori e le sembrò che i corridoi e le scale non finissero più.
Quando spuntò nell’arena Kouga era li, splendente nella sua armatura, solo un rivolo di sangue sulla fronte.
“Io sono Pegasus Kouga. Non mi faccio vincere dall’oscurità!”
Un paio di ali bianche e traslucide completavano l’armatura. Kouga saltò e arrivò alle spalle di Eden e lo afferrò.
“Ora ti mostrerò la luce!” disse saltando “Spirale di Pegasus!”
La colonna di luce accecò molti dei presenti ma il colpo di Kouga non andò a segno e il ragazzo lasciò la presa.
“Io proteggo. Non è mia intenzione farti del male Eden.”
Saga, che aveva raggiunto Saori, si avvicinò al ragazzo e gli sollevò il braccio.
“Abbiamo il vincitore del torneo! Kouga di Pegasus!”
Le urla di gioia di Shaina, Hyoga e di tutti i compagni di Kouga si levarono nell’arena. Il ragazzo raggiunse Atena.
“Mi tocca ... un bacio... se non... sbaglio!”
Saori lo guardò negli occhi e una maschera di terrore le si dipinse sul viso. Kouga si stava accasciando tra le sue braccia e il suo corpo stava perdendo rapidamente colore.
“Kouga!” gridò “Kouga ti prego, parlami!”
“Non... preoccuparti... Saori... o Saga... mi torcerà il... collo...”
“Kouga, Kouga resta con me!” disse stringendolo al petto.
La folla era scesa tutta nell’arena. Pandora tirò Eden a sé.
“Kouga, ti prego, non tu!” continuò Saori senza più nascondere le lacrime e cullando il corpo del ragazzino “No Kougaaaaa!”
Nessuno si accorse di lui, né di come fosse arrivato. La mano forte di Seiya la staccò dal corpo di Kouga.
“Lasciami Seiya! Lasciami!”
Seiya la sollevò di forza lasciando Kouga tra le braccia di Crystal.
“Smettila Saori. Ci penso io.”
“No! No! No!”
“Saga portala via”
Lo sguardo di Seiya era vuoto come quando era stato trafitto dalla lama di Hades e Saori, guardandolo negli occhi, non ebbe più parole. Le lacrime si fecero silenziose e si lasciò condurre via da Saga.
Seiya tornò verso il piccolo corpo ancora disteso e lo sollevò. Tutti si fecero da parte e lo lasciarono passare. Il cavaliere di Sagitter diede un’occhiata a Mur ed entrambi sparirono dall’arena.
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“E’ tutta colpa tua! Insegnare un colpo del genere ad un ragazzino senza esperienza!” urlò Hyoga scagliandosi contro Ikki.
Milo e Camus si affrettarono a trattenerlo.
“Crystal no!”
“Lasciami Camus! Io lo ammazzo!”
“Ikki non ha fatto nulla!” intervenne Pandora “Il combattimento è stato leale e ad armi pari!”
“Pandora basta!” la voce di Ikki risuonò decisa “Vado da Seiya. Tu porta a casa Eden, ha bisogno di cure anche lui. In quanto a te, non intendo accettare consigli su cosa insegnare o meno a mio figlio! Ha lanciato un colpo senza alcun intento malvagio. Credimi, se avesse voluto usare le piene potenzialità del fantasma diabolico ve ne sareste accorti!”
“Che altro doveva fare? Sguainare la spada di Hades e conficcargliela nel cuore?” urlò il cavaliere del cigno.
“Hyoga ora basta!” urlò Shaina “Vieni via Ikki, ti accompagno io al santuario.”
“Non vedrà Seiya! Non si presenterà al suo cospetto!”
La mano delicata di Shun si posò su una delle sue spalle.
“Crystal te ne prego, basta. Andiamo a vedere come sta Saori, vuoi?”
In pochi istanti la folla si diradò.
Lady Pandora ed Eden fecero ritorno alla casa di Shun scortate da Aprhodite e Death Mask. June e Yuna andarono a dormire da Marine e Ioria. Shun e Hyoga raggiunsero la tredicesima casa. Shaka raggiunse Mur e Seiya al capezzale di Kouga.
Fuori dalla prima casa attendevano Shaina ed Ikki.
“Saori era sconvolta...” disse Phoenix.
“L’ha cresciuto lei quel bambino” tagliò corto Shaina.
“Insieme a Seiya?”
Shaina gli si parò innanzi.
“Ascoltami bene, non te lo ripeterò. Saori dopo la battaglia contro Marte non è stata più la stessa e Seiya, bhé per quanto riguarda Seiya, lui ha passato l’inferno. In tutti i modi in cui un uomo può attraversarlo. Quindi non azzardarti a fare facili ironie!”
“La mia era solo una domanda. Ad ogni modo mi hai dato più risposte di quante ne avessi chieste.”
Da una delle strade laterali del santuario apparve Kiki. Anche lui si era fatto adulto. Qualche cosa nel suo viso ricordava ancora il ragazzino che era stato. Forse quel modo di sorridere sempre e comunque. Per questo Shaina s’incupì quando lo vide arrivare scuro in volto.
“Come sta Kouga?”chiese la donna.
Kiki scosse il capo.
“Non si sveglia, non risponde a nessuno stimolo. Ora se ne sta occupando Shaka ma Mur non crede che basterà.”
“Che significa?” ripeté la donna “E Seiya che sta facendo?”
Gli occhi di Kiki si riempirono di lacrime.
“Seiya è rimasto fuori. Sta aspettando che mio fratello gli dica come stanno le cose. Mi ha mandato a chiedere notizie di Saori. Sto tornando ora dalla tredicesima casa.”
“Saori come sta?” chiese Ikki.
Alle sue parole lo sguardo di Kiki si fece duro.
“Atena sta bene.”
“Se vai da Seiya, digli che voglio parlargli”
“Con tutto il rispetto, credo che adesso Seiya abbia altro da fare”
“Seiya ha altro da fare da tredici anni Kiki. Con tutto il rispetto, digli che devo parlare con lui. Lo aspetto qui fuori.”
Kiki entrò nella prima casa. Seiya era appoggiato ad una delle alte colonne che davano nella stanza privata di Mur. Oltre il telo rosso si vedeva il corpo esile di Kouga steso nel letto.
“Seiya”
“Che notizie mi porti Kiki?”
“Saori riposa. Ha avuto un mancamento. Camus le ha portato un calmante. Si agita nel sonno e chiede di Kouga. Saga mi ha detto di riferirti che vuole che sia tua a portarle sue notizie perché non si fida di quello che le diciamo noi. Ti prega di raggiungerlo alla tredicesima casa. Dice che, seppure involontariamente, Atena sta bruciando il suo cosmo. Teme in un peggioramento delle sue condizioni.”
Seiya sospirò e con il dorso di una mano si asciugò una lacrima sfuggita ai suoi occhi spenti. Fece per entrare nella stanza quando Kiki lo fermò.
“Fuori c’è Ikki. Vuole parlarti. Non credo che se ne andrà.”
“Va a vedere come sta Ko-chan, io arrivo subito” disse prendendo l’uscita.
Kiki pensò che se Seiya aveva usato il nomignolo che aveva dato a Kouga quando ancora gattonava, il cuore di Seiya doveva essere al limite. Quanto dolore poteva sopportare il cuore di un uomo? Entrò nella stanza del fratello e pianse.
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“Shaina lasciaci”
La voce di Seiya risuonò triste ma sicura nell’aria.
“Sei sicuro?”
Seiya annuì.
“Sono qua intorno” disse allontanandosi.
“Dimmi cosa c’è Ikki”
“Ho chiesto di parlare con Seiya, non con il cavaliere di sagitter”
“Sono la stessa cosa”
“No. Seiya era mio amico. Il leader dei cavalieri d’oro non so chi sia. Non ti riconosco dietro a quell’armatura”
“Mi hai chiamato per parlare di questo?”
Ikki scosse la testa.
“Ti farò solo una domanda. Mi aspetto che mi risponda Seiya, non il cavaliere.”
“Dimmi”
“Kouga è tuo figlio?”
Seiya sentì il proprio cuore perdere un battito.
“Ho fatto una scelta diversa dalla tua Ikki. Io ho scelto la via del cavaliere. Ho abbracciato Sagitter, servo Atena.”
“Questo non significa che tu non abbia potuto amare una donna. Anche solo per una notte!”
Quelle parole si conficcarono nel petto di Seiya come pugnali.
Amare una donna. Anche solo per una notte? Che cosa ne sapeva Ikki di quanto amore fosse stato capace? Di quello che aveva passato per poter amare una donna. Amarla per una vita intera. Forse anche più di una! Per averla una notte sola?
Abbassò la testa.
“Kouga non è mio figlio. Se Kouga fosse mio figlio significherebbe per me aver commesso il più grande dei peccati mortali. Significherebbe che queste vestigia stavolta avrebbero davvero tradito il santuario. Vorrebbe dire che in quella stanza giace una creatura leggendaria appartenente ad un mondo che fu, di quelle di cui si leggono nei miti, che abitano l’Olimpo. Anzi l’Olimpo stesso si rivolterebbe contro di lui e contro colei che l’ha generato. Colei che amo e che non può essere amata. Dimmi Ikki si può avere un figlio da una donna che non si può toccare? Si può amare una dea? Avrei messo a repentaglio la vita di colei che amo pur di chiamare quel ragazzino figlio e per poter avere la mia felicità? La risposta è no. Kouga non è mio figlio.”
Ikki strinse i pugni e sentì un’amarezza che non provava da tanto tempo.
“Capisco. Ti chiedo scusa Seiya per avertelo chiesto. Tra tutti i tuoi compagni, io probabilmente avrei condiviso meglio i tuoi sentimenti. Ad ogni modo, anche se avrei voluto chiederti dove sei stato in tutti questi anni, ora credo che la domanda sia inutile. Perdona Eden. Lui non voleva fare del male a Kouga. Credo non immaginasse che quel colpo gli avrebbe provocato un danno simile.”
“Lo so. Eden non c’entra. Ad ogni modo. C’è una cosa che devo chiederti.”
“Dimmi pure.”
“Non adesso. Devo andare alla tredicesima casa. Sarò di ritorno a breve. Aspettami, te ne prego.”
Seiya spiccò un balzo e svanì alla vista di Ikki. Il cavaliere di Phoenix si disse che c’erano più segreti adesso al santuario, di quanti ce ne fossero all’epoca di Arles.
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Seiya aprì lentamente la porta.
Saori aveva lo sguardo fisso fuori dalla grande finestra. Percepì Seiya e si voltò a guardarlo. Gli occhi rossi e gonfi.
“Dimmi la verità” disse in un soffio “Non sento il cosmo di Kouga.”
“Non devi usare il tuo cosmo. Mostrami la spalla.”
Seiya parlava in modo fermo e si avvicinò a lei composto.
“Voglio notizie di Kouga. Lui è...”
Seiya le prese la mano e la strinse forte. Lei provò a ritirarla. Lui la tirò contro il suo petto e le sussurrò all’orecchio.
“E’ vivo, ma privo di conoscenza. Mur dice che il suo cosmo è entrato in risonanza con quello di Eden. Nel sangue di Eden scorre il potere di Hades e in quello di Kouga...”
“E’ colpa mia. Non dovevo lasciarlo combattere! Saga l’aveva detto!”
“Shh. Saori non è tua la colpa. Shaka dice che la sua coscienza si trova, come dire, sospesa tra il suo corpo e l’ ade. Lo riporterò indietro. Te lo prometto.”
Saori si fece seria e gli strinse la mano.
“Come?”
“Di questo non devi preoccuparti. Ti ho promesso che lo avrei protetto io per entrambi. Tu però devi giurarmi che smetterai di usare il tuo cosmo. Non posso alimentare la fiamma se devo badare a Kouga. Almeno tu, ti prego Saori, fa la brava!” concluse sforzandosi di sorridere.
“Voglio conoscere le tue intenzioni. Altrimenti non avrai il mio permesso!”
“Credi davvero che mi serva?”
Saori lo guardò con gli occhi della dea.
“D’accordo. Chiederò ad Ikki di colpirmi con il fantasma diabolico. Entrerò in sintonia con Kouga nel luogo in cui è ora e gli mostrerò la via per tornare. Semplice!”
“Semplice? No! Non lo farai. Io non te lo permetterò! Quello che ha colpito Kouga e lo ha condotto in questo stato, ti ucciderà!”
Seiya sorrise.
“Non mi ha ucciso un dio, credi possa uccidermi Ikki? E comunque conosci già la mia risposta. Sono certo che anche nella più profonda oscurità riuscirei sempre a trovare la tua luce calda e gentile. Tornerò sempre nel posto dove sei tu Saori e poi la mia vita non conta.”
Saori si scostò e pianse.
“Non voglio più sentirtelo dire! Non voglio più sentirti dire che la tua vita non conta!”
Seiya strinse il pugno.
“Lo devo fare. Lo sai che non sopporto vederti piangere ma non posso permettere che a pagare sia Kouga. Saori, lo sai” concluse alzandosi.
Arrivò alla porta e attese un istante che lei rispondesse.
“Non voglio scegliere tra te e Kouga!”
Seiya colpì lo stipite della porta e usci.
Saori si sentì sprofondare. Si alzò dal letto per corrergli dietro. Aprì la porta e si ritrovò davanti Saga con una brocca di acqua fresca che cadde a terra e andò in frantumi.
“Dovete tornare a letto.”
“Devo fermare Seiya. Sta per fare una sciocchezza!”
“Da che lo conosco quel ragazzo fa continuamente sciocchezze! Certo alcune più grandi di altre. Che ha in mente stavolta?”
“Vuole farsi colpire dal fantasma diabolico di Ikki per raggiungere lo spirito di Kouga e riportarlo indietro. Ma le cose non andranno così. Lui si perderà. Il cosmo di Seiya è debole per il legame con la fiamma e la maledizione di Hades l’ha già colpito una volta!”
“Non ha pensato alla fiamma? Se lui muore chi l’alimenterà?”
“Saga! Non dirlo neppure! Devo fermarlo!”
Gemini le sbarrò la strada.
“E’ anche vero che solo lui può riportare Kouga indietro. Il suo legame con il ragazzo è forte!”
“E’ un rischio che non possiamo correre. Andrò alla prima casa. Se il mio cosmo entra in risonanza con quello di Kouga forse...”
Saga la mise a sedere sul letto.
“C’è un altro modo.”
Saori lo guardò dritto negli occhi.
“C’è un’ altra persona che sa usare il fantasma diabolico.”
“Dimmi che importanza può avere”
“Questa persona sa controllarlo ad un livello di gran lungo superiore, milady.”
“E con questo?”
“Chiedetemelo”
“Cosa?”
“Chiedetemi di salvare la vita di Seiya” disse Saga inginocchiandosi di fronte a lei e spostandole una ciocca di capelli dal viso.
“Lo puoi salvare? Come?”
“Posso manipolare la mente di Seiya affinché, una volta trovato Kouga, trovi anche la via per tornare indietro indipendentemente dalla sua forza in quel momento o dalla sua volontà.”
“Certo. Tu conosci quel colpo perché lo hai perfezionato tu!”
“Allora? Me lo chiedete o no?”
Saori non capiva cosa stesse passando per la mente di Saga ma non aveva tempo da perdere.
“Salva Seiya, Saga!”
“Questo non è chiedere!”
“Vuoi salvare Seiya, Saga?”
“Ad una condizione”
“Quale?”
“Siete disposta a pagare un prezzo Saori?”
“Saga, ma cosa?”
“Non voglio nulla dalla dea, potete starne certa.”
“E da me cosa vuoi?”
“Non mi giudicherete? Vi prometto che la mia richiesta non si ripeterà”
“Dimmi”
“Voglio un bacio” disse avvicinando il proprio viso a quello della fanciulla.
Saori non indietreggiò. Rimase immobile. Se non poteva fare nulla come dea, poteva fare qualcosa come donna. Sentì le labbra carnose di Saga posarsi sulle proprie. La lingua dell’uomo le bagnò l’angolo della bocca e, al posto del gemito che usci dalle sue labbra, si infilò in essa. Pochi istanti e l’uomo si staccò da lei.
“Farò ciò che mi avete chiesto. Con permesso.”
Saori rimase sola e per la prima volta dopo tredici anni, smarrita.
 

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Capitolo 6
*** La vita salvata da Saga - parte seconda ***


Note dell'autrice:  Brevi note come al solito lo prometto. Ringrazio tutti coloro che seguono la storia e particolarmente chi mi ha lasciato una recensione. Mi date le energie per continuare. Nonostante i giorni di festa proverò ad aggiornare velocemente. In questi giorni c'è talmente tanto lavoro che vorrei essere lanciata da Saga in un'altra dimensione (anche il triangolo d'oro va bene!!!). Un abbraccio circolare e vi lascio alla seconda parte del V capitolo. Signore e signori a voi Saga, Seiya, Saori, Kouga e Shun in ....
 
Capitolo IV : La vita salvata da Saga (Parte seconda)

“Dovrei colpirti con il fantasma diabolico?”
Ikki era scettico.
“E’ una follia!” urlò Shaina.
Mur si allontanò da Kouga e si rivolse a Shaka.
“Cosa ne pensi?”
“Di certo Seiya verrebbe catapultato nello stesso luogo in cui giace lo spirito di Kouga. Ho dei dubbi però che poi da lì possa tornare. Al momento non è abbastanza forte. Scusami se lo dico apertamente Seiya ma è quello che penso.”
“Ho già calcolato i rischi.” Fece il cavaliere d’oro.
“Saori lo sa?” lo incalzò Shaina.
“Atena lo sa. L’ho informata io stesso.”
“Ovviamente non approva!”
“La scelta è mia Shaina. Kouga ha scelto di combattere. Forse non era pronto. Devo rimediare al mio errore.”
“La colpa non è tua!” fece la donna cercando di convincerlo.
“Seiya e per i tuoi compiti? Se ti accade qualcosa, che ne sarà della protezione del santuario?” chiese Mur.
“Kouga ha dimostrato di poter prendere il mio posto come cavaliere di Pegasus. E’ più giovane di me. Io porto ancora i segni dell’ultima battaglia. Lui diventerà più forte di quanto io lo sia mai stato.”
“Ma sì, condanniamo anche lui al tuo stesso destino! Bella soluzione!” esplose Shaina.
Seiya replicò.
“Shaina io non posso accettare che versi in questo stato. Devo fare qualcosa!”
“Mi dispiace Seiya ma io non posso farlo! Conosco le conseguenze.” disse fermamente Ikki.
“Lo farò io!”
La voce, decisa e suadente, anticipò la comparsa di Saga.
“Ti spedirò volentieri all’altro mondo Seiya!”
“Saga!” esclamò Mur frapponendosi fra Seiya e il cavaliere di Gemini.
“Non puoi farlo!” disse Ikki “Che ti salta in mente?”
“Vuole aiutarlo” disse pacatamente Shaka.
“Aiutarlo?” chiese Shaina che era sempre più perplessa.
Shaka, che leggeva l’animo del cavaliere di Gemini e i suoi intenti, annuì.
“Il colpo di cui stiamo parlando appartiene a lui. Lo sa utilizzare con una precisione che Ikki non possiede. Del resto” disse rivolgendosi al cavaliere di Phoenix “a te non l’ha forse insegnato un allievo del cavaliere d’oro dei Gemelli?”
Ikki annuì.
“Bene facciamolo!”
“No Seiya, Saori non sarebbe d’accordo!” aggiunse Kiki sempre più preoccupato.
“Sono qui su sua esplicita richiesta! Se qualcuno deve, meglio che sia il più bravo a farlo, non trovi Ikki?”
Il cavalieri di Phoenix non gli rispose.
Saga camminò fino a che non fu occhi negli occhi di Seiya.
“Facciamo in fretta...”
Seiya non riuscì a terminare la frase che il fantasma diabolico di Saga l’aveva già colpito. I suoi occhi si fecero vitrei mentre Saga gli sussurrò all’orecchio.
“Ricorda di seguire il nastro scarlatto. Conduce a Saori. Se non la raggiungi morirà o vivrà perdendosi per sempre tra le mie braccia. Sarò felice di prendere il tuo posto.”
Seiya fu attraversato da un brivido e cadde all’indietro tra le braccia di Mur.
Il cavaliere di ariete lo depose al fianco di Kouga e pregò che Seiya non avesse fatto la più grande sciocchezza da tredici anni a questa parte.
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Saori sentì svanire il cosmo di Seiya. Si contorse nel letto.
Shun, suo fianco, le accarezzò la fronte.
“Andrà tutto bene”
Hyoga entrò di corsa.
“Shun! Il cosmo di Seiya...”
Shun si affrettò a zittirlo indicando Saori.
“Vado alla prima casa!”
“No Hyoga! Ascoltami. Ora Seiya e Kouga sono soli. Devono ritrovarsi e fare ritorno a casa insieme. Piuttosto, faresti una cosa per me?”
Shun usò l’espressione più dolce del suo repertorio. Hyoga si sarebbe sciolto per molto meno.
“Cosa?”
“June e Yuna sono nella casa del leone. Non mi sono accertato che stessero bene, ma non voglio lasciare sola milady. Potresti andare a chiedere a Marine di fare un salto qui? Sono certo che in questo momento sia l’unica che possa davvero comprendere lo stato di Saori.”
Hyoga annuì. Fece per andare poi si voltò.
“Tu come stai?”
Shun sorrise e si avvicinò al compagno. Gli posò una mano sul petto senza farsi notare da Saori che sembrava assopita.
“Sto bene.”
“Non mentirmi. Hai bruciato il tuo cosmo per colpa di quella donna, io lo so. Di certo non stai bene.”
“Dopo tutto quello che è successo a Kouga, non intendo stare qui a parlare di me e Pandora. Sto bene, grazie a te. Ora va da Marine. Vuoi?”
Hyoga lasciò la tredicesima casa.
Shun tornò verso Saori. La fanciulla dormiva. Il cavaliere le rimboccò le coperte e lasciò anch’egli la stanza. Fuori era rimasto Shura. Quando il cavaliere del capricorno non aveva altri obblighi, restava spesso fuori dalla tredicesima casa in attesa di ordini o semplicemente per vigilarla.
“Shura ti affido Atena. Riposa. Tra poco sarà qui Marin.”
Il cavaliere annuì.
“Tu dove stai andando Shun?”
“Torno presto”
“Non è una risposta! Bada che di cavalieri leggendari nei guai ne abbiamo fin troppi.”
Shun sorrise e si allontanò. La sua meta era la sua stessa casa.
Quando ci arrivò, vide Death Mask e Aphrodite che se ne stavano fuori dalla porta come di guardia.
“Credevo li aveste accompagnati. Come mai siete ancora qui?”
“Saga ci ha ordinato di controllare che non lasciassero la casa” fece il cavaliere dei pesci.
“Sono prigionieri?” chiese Shun.
“Non esattamente...” riprese Aphrodite.
“Quante chiacchiere!” lo in interruppe Death Mask “Sei troppo delicato tu. La sostanza è che non possono lasciare questa casa. E, per precisione, tu non puoi entrare.”
“E’ casa mia!”
“Sarà, ma per il momento, tu non ci entri.”
“Credi di potere tenere lady Pandora lì contro la sua volontà?”
“Credo che lei non proverà ad uscire se ci tiene al suo bambino!”
“Death Mask! Sei sempre lo stesso. Non ti smentisci mai! Non minacciare mio nipote!”
“Dimmi sei qui per fare il buon samaritano oppure ti sei ricordato dell’altra tua famiglia?”
“Non sfidarmi, non ti conviene!”
I due stavano per venire alle mani quando Aphrodite s’intromise.
“Lascialo passare. E’ casa sua e non credo che abbia da temere entrandoci. Non è il caso che ce ne occupiamo noi. Sono affari di famiglia!”
“Va bene. Se Aphro si preoccupa per te, faccio un passo indietro.”
Shun entrò in casa e si chiuse la porta alle spalle.
“Veramente ero preoccupato per te. Tu non sai di cosa è capace Shun!” concluse il cavaliere di Phisces sorridendo.
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“Kouga”
Seiya si svegliò pronunciando il suo nome. Si trovava in un prato. C’era molta luce e fiori dappertutto. Avrebbe giurato che il profumo che sentiva era quello della pelle di Saori. Si guardò intorno cercando qualcosa di familiare che gli facesse capire dove si trovasse. Vide un albero. Una grande quercia. Nuova Luxor? Non doveva deconcentrarsi.
“Kouga? Se questo è il posto dov’è Kouga, dove si trova adesso? Qui non lo vedo. Kouga dove sei?” provò a chiamarlo.
Si alzò e fece qualche passo. Fiori e farfalle ovunque. Si accorse di avere schiacciato qualcosa. Spostò il piede e si chinò a raccogliere l’oggetto.
Un ciondolo a forma di stella con la scritta ‘Forever Yours”.
“Shun? Cosa c’entra Shun?”
Per quanti passi potesse fare, non si muoveva di un solo metro. Cominciò a credere che Saga gli avesse lanciato un brutto tiro. Perché poi pensava a Saga adesso? Non ricordava bene. Doveva cercare Kouga. Non ricordava altro e nient’altro contava.
“Forse questi sono i campi elisi. Ma non li ricordo così”
“Ridammi il ciondolo!”
Seiya si voltò di scatto ma non c’era nessun altro oltre a lui.
“Il ciondolo? Chi sei tu che vuoi il ciondolo di Shun?”
“Quel ciondolo non è di Shun. Quel ciondolo è mio!”
“Hades?”
“Hai una bella faccia tosta a ripresentarti qui tu!”
“Sono venuto a riprendermi Kouga!”
“Chi?”
“Kouga. Ridammelo.”
“Chiunque sia questo Kouga, non è qui. Qui ci sono solo io. Io e ora tu. Forse è destino che i nostri spiriti rimangano uniti cavaliere di Pegasus.”
“Il mio destino non sei tu. Ho ancora tante altre cose da fare, persone da proteggere prima di tornare da te.”
“Proteggere. Non sei cambiato Tenma! Hai sempre pensato solo e soltanto a Sasha!”
“Chi è Sasha?”
“Non crederai davvero che sarò io ad aiutarti vero Tenma? O dovrei chiamarti Perseo? Sin dall’antichità hai protetto Atena e lottato contro di me. Ma sembra che tu non ne sia cosciente!”
“Non so di cosa tu stia parlando. Io sono qui solo per cercare Kouga.”
“Tu non sai quali saranno le conseguenze delle tue azioni. Il ciclo dell’esistenza prevede morte e rinascita. Così deve essere. Lo spirito di Atena non può tramandarsi ad un’altra generazione. Il suo spirito deve reincarnarsi così com’è. E così pure la tua essenza e la mia. Senza questo continuo flusso l’universo è destinato ad estinguersi. Bada quindi a ciò che fai. Che tu lo voglia o no, la volontà degli dei prenderà il sopravvento. Una volta hai chiesto a cosa servono gli dei. Servono a garantire l’equilibrio dell’universo. Decidere chi vive e chi muore serve a dare un ordine. Non disdegnare il disegno divino o dovrai perderti nel caos!”
Seiya vide in lontananza un punto nero farsi sempre più grande. In pochi istanti ingoiò qualunque cosa compreso Seiya. Il cavaliere si ritrovò a fluttuare nel buio.
“Non sono abbastanza forte. Così dunque deve finire? Dopo tutte le battaglie per far valere il libero arbitrio degli esseri umani, devo essere vinto dall’oscurità di Hades in un luogo come questo? Kouga. Ho fallito!”
Fu allora che sentì la voce.
“Avanti padre, se mi stai guardando dal cielo, questo è il momento di darmi qualche altro consiglio?”
“Kouga? Dove sei?”
Intorno a lui era solo oscurità ma Seiya sapeva che doveva cercare con gli occhi del cuore. All’improvviso lo vide. Kouga correva per cercare di raggiungere de figure davanti a lui.
“Kouga! Aspetta! Non andare!”
Seiya si lanciò nella direzione in cui correva Kouga, ma sembrava non riuscire mai a raggiungerlo per quanto forte corresse.
“Kouga dannazione voltati!”
Kouga non sembrava riuscire a sentirlo, così Seiya radunò le forze e scagliò il fulmine di Pegasus contro le figure che il ragazzo tentava vanamente di raggiungere. Le figure si dissolsero e Kouga urlò.
“Mamma, papà! Maledetto sei stato tu!” urlò voltandosi verso Seiya.
“Kouga sono io. Quelli non sono i tuoi genitori. Sono ombre che Hades ha messo sul tuo cammino affinché ti perdessi.”
“Ridammi i miei genitori!” fece Kouga preparandosi a lanciare il filmine di Pegasus.
Seiya non lo evitò. Il colpo lo centrò in pieno petto e lui cadde sulle ginocchia ai piedi del ragazzo.
“Kouga, ti prego, devi tornare indietro. Devi tornare da Saori.”
“Chi è Saori? Io conosco solo i miei genitori!”
“Saori è colei che ti ha cresciuto sin da quando hai aperto per la prima volta i tuoi occhi di neonato” disse Seiya prendendogli un braccio.
“Lasciami!” urlò Kouga divincolandosi “Sono in questo posto orrendo. Rivoglio solo i miei genitori!”
“Lasci che ti mostri il luogo dal quale provieni. Lascia che tu lo veda come lo vedo io”
Improvvisamente una luce dorata si fece spazio nell’oscurità.
Kouga chiuse gli occhi e quando li riaprì era in un campo fiorito.
Davanti a lui c’era un laghetto e tante farfalle. In mezzo all’erba un bambino dai capelli rossi cercava di raggiungere una figura seduta sulla riva del lago. Sorrideva ed invitava il bambino a raggiungerla.
“Quello sono io?”
Seiya annuì.
“Quella è mia madre?”
“Quella è Saori.”
Il bambino si sporse sul bordo del lago e sarebbe di certo caduto se una mano forte non l’avesse afferrato e riconsegnato alle amorevoli mani della donna. Tutti e tre sorridevano.
“Quell’uomo... sei tu... sei Seiya...”
“Bravo il mio Kouga!”
“Seiya, Seiya, che ti è successo? Dove siamo?”
“In una dimensione oscura. Devi tornare a casa Kouga.”
“Come ci siamo finiti?”
“Il fantasma diabolico di Eden”
“Capisco” disse il ragazzo rabbuiandosi “ e tu?”
“Io sono venuto a prenderti. Adesso torna indietro!”
“Come? Come faccio?”
“Devi volerlo. Sei rimasto qui perché pensavi di aver ritrovato in questo posto i tuoi genitori. Ma era solo un’illusione. Trova un ricordo felice, un motivo per vivere e brucia il tuo cosmo. 
Kouga chiuse gli occhi e rivide il lago e Seiya e Saori che lo stringevano e sentì le lacrime pungergli gli occhi.
“Sono stato uno stupido. Io una famiglia l’ho sempre avuta.”
Mentre diceva a se stesso queste parole sentì il suo cosmo bruciare e la luce calda del cavaliere del sagittario sostenerlo. Aprì gli occhi.
“Seiya tu? Tu verrai con me? Torni con me?”
Il cavaliere sorrise.
“Te lo prometto”
Seiya lo sospinse verso l’alto mentre sentiva svanire il prato sotto i suoi piedi e udiva di nuovo la voce di Hades.
“Alla fine, sembra che resterai con me Seiya...”
“Ho promesso” disse vedendo le farfalle svanire. Vide Kouga splendere e scomparire nella luce e sorrise.
“Ho promesso” disse cercando ancora l’immagine della donna con il bambino in braccio. Stava svanendo anche lei, tuttavia gli sembrò che lei gli stesse sorridendo stringendo il piccolo al suo seno.
“Saori...” sussurrò chiudendo gli occhi e abbandonandosi all’oscurità.
-----------------------------
Mur se ne accorse per primo.
“Kouga!”
Shaka, Saga, Kiki, Shaina e Ikki furono intorno al giaciglio.
Il ragazzo aprì lentamente gli occhi.
“Kouga sei sveglio!” esclamò Shaina abbracciandolo.
“Shaina, Saga... Seiya è venuto a prendermi.”
“Sì, caro lo sappiamo. Andrà tutto bene!” fece la donna.
“Se va tutto bene perché Seiya non si sveglia?” chiese Mur.
Kouga allora si rese conto che il cavaliere era sdraiato accanto a lui. Si gettò sul suo petto.
“Seiya, Seiya. Hai promesso! Dovevi tornare con me!”
Saga si avvicinò.
“Stai tranquillo. Si risveglierà anche Seiya. Ora devi recuperare le energie. Vieni ti porto alla tredicesima casa” fece Saga prendendolo in braccio e incamminandosi verso l’uscita “Shaina tu puoi restare se lo desideri.”
“Aspetta!” urlò Phoenix.
“L’hai messo tu in questa situazione! Devi aiutarlo!”
“Non c’è più niente che possa fare per lui. Lasciami passare”
“Eh no! Mio caro. Vuoi prenderti il merito di riportare Kouga a Saori?”
Il ragazzo non ci capiva più nulla.
“Vaneggi. Saori sa bene ogni cosa. E comunque ho detto il vero. Ciò che potevo fare per Seiya, l’ho fatto!”
“Ikki lascialo andare” disse pacatamente Shaka.
“Aspettate! Saga dobbiamo aiutare Seiya! Hades voleva tenere Seiya in quella dimensione!”
“Ascoltami ragazzino. Quella dimensione non è l’Ade. La voce che hai sentito non era del dio degli inferi. Il fantasma diabolico non fa che creare incubi sulla base delle paure che le persone possiedono già. Sono certa che Seiya sarà in grado di fronteggiare la sua paura più grande e credimi, essa non è confrontarsi con Hades!”
Il cavaliere dei gemelli non disse più una parola fino alla tredicesima casa. Fece un cenno a Shura che si allontanò con uno sguardo di intesa e posò Kouga a terra.
“Voglio che entri in quella stanza e le corri incontro sulle tue gambe. L’hai fatta morire di paura. Abbracciala e inventa qualcosa di carino. Non so, dille che ti è mancata. In ogni caso non fare riferimento alle condizioni di Seiya!”
“Tu non vieni?”
Saga scosse il capo.
Kouga aprì lentamente la porta e il viso di Saori si illuminò. Era a letto e Kouga la vide pallida come non mai. Distese le braccia e lui vi si fiondò correndo.
In confronto al luogo tetro e gelido in cui era stato fino a qualche minuto prima, l’abbraccio di Saori sembrava quello di un caldo focolare domestico. Saori piangeva.
“Perdonami. Ora lo so.”
Atena mostrò un’espressione interrogativa.
“Cosa sai?”
“Di avere una famiglia. Tu e Seiya siete sempre stati la mia famiglia. Ho sbagliato a non apprezzarla. Mi lamentavo sempre di essere considerato il figlioccio di Atena, dello sguardo severo di Seiya, ma la verità è che voi mi avete cresciuto. Ho combinato solo guai e ora per colpa mia Seiya...”
Kouga si morse le labbra. Non doveva fare cenno alla condizione di Seiya.
Saori gli carezzò i capelli e gli sollevò il viso per guardarlo negli occhi. Kouga piangeva.
“Non devi piangere. Seiya mi ha promesso che sarebbe andato tutto bene e devi sapere che lui mantiene sempre le promesse. Sono così felice che tu stia bene. La colpa di quello che è accaduto non è tua. Tu sei stato molto bravo in tutta questa storia. Sai Kouga, a volte i bambini si dimostrano più maturi degli adulti. Tu ed Eden avete combattuto bene, mentre noi ci siamo solo preoccupati del nostro orgoglio e di rivangare vecchi rancori.”
“Saori”
“Dimmi”
“Saga dice che la dimensione in cui si viene spediti dal fantasma diabolico, è quella dei nostri incubi”
“E’ vero”
“Però Seiya laggiù mi ha mostrato un posto bellissimo. E’ grazie a quello che ho trovato la luce, invece lui è rimasto laggiù con Hades. Io vorrei fare qualcosa.”
“Kouga, sia tu che Seiya avete fatto la vostra parte. Ora tocca a me. Vuoi darmi una mano a salvare Seiya?”
Kouga annuì.
“Ascoltami dunque e fai esattamente come ti dirò. Adesso però fatti dare il bacio che spetta al vincitore del torneo” disse Saori stringendo Kouga forte al petto.
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In cucina c’era solo Eden. Se ne stava ad occhi chiusi seduto al tavolo.
“Eden”
“Zio, sei tu! Notizie di Kouga?”
Shun scosse il capo.
“Vengo dalla tredicesima casa. Posso dirti che Atena sta bene.”
“Almeno questo.”
“Dov’è tua madre?”
“Di sopra. Le ho chiesto di riposare. Sembrava scossa per l’accaduto.”
Shun rimase in silenzio.
“Sai zio, lei non è cattiva.”
“Me lo ha già detto tuo padre quale madre stupenda sia stata per te.”
“Tu non ti ricordi niente del periodo passato con lei? Lei mi ha raccontato che si è presa molta cura di te.”
“Non si è presa cura di me, ma di suo fratello.”
“Vedi zio, non credo che qualcuno possa biasimare la sua natura.”
Shun era sorpreso di sentire discorsi tanto maturi da un ragazzo della sua età e un po’ ne era intimorito.
“Anche io speravo che potessimo essere una famiglia. Confidavo che, come mio padre, avessi accettato la natura di mia madre. La mia natura.”
“Non ho sentito niente di malvagio in te Eden. Purtroppo non credo che supererò mai quello che mi ha fatto tua madre.”
“Questo mi dispiace. In fondo io speravo che almeno tu, potessi parlarmi dell’altro mio zio. Mio padre e mia madre si rifiutano di farlo.”
Shun rabbrividì.
“Se si rifiutano c’è un motivo.”
“Non sarebbe meglio conoscere che non sapere?”
“Non lo so Eden. E’ una scelta che spetta ai tuoi genitori”
“Ma loro, in fondo, cosa ne sanno? Tu invece, tu hai condiviso l’essenza con lui. Sei stato la sua incarnazione”
“Io sono Shun cavaliere di Andromeda. Niente altro. Mi dispiace che confidassi in me per queste cose”
“Vorrei solo sentire la mia famiglia intorno a me. Sono stanco di sentirmi solo ed incompleto.”
Gli occhi di Eden si fecero tristi e il nero delle iridi si sciolse.
Shun gli andò vicino e gli posò una mano sul capo.
“La tua famiglia è qui. Non sarai mai solo. Credimi, Hades non porterebbe che dolore nella tua vita”
“Non dire queste cose a mio figlio!”
La voce di Pandora risuonò nell’aria.
“Eden va di sopra!”
“Come desideri madre.”
Eden sparì su per le scale.
“Cosa vuoi Shun? Non ti basta aver rinnegato colui che dovevi essere? Ora vuoi che anche mio figlio segua il tuo esempio?”
“Pandora non sono venuto qui per questo.”
“Allora?”
“Se ti chiedessi una cosa, la faresti?”
Il tono di voce usato da Shun ricordò a Pandora quello dell’amato fratello.
“Cosa desideri?”
“Lascia qui Eden. Com’era nei progetti e torna con Ikki all’arco di Cerbero”
Pandora rise.
“Vuoi liberarti di me, fratello?”
“Non sono tuo fratello!”
“Avanti, non vorrai dirmi che una parte di te non sente ancora quel richiamo nel suo cuore?”
“Credimi Pandora, non più”
La donna esitò e poi reagì con rabbia.
“D’accordo. Vuoi liberarti di me. Ma che tu non voglia trattenere tuo fratello è disgustoso. Davvero hai cancellato i sentimenti che provavi per lui dal tuo cuore solo perché lui ha scelto me?”
“Se ti dicessi che invece voglio che tu lo porti via perché ancora lo amo come fratello? Se ti dicessi che te lo affido?”
Pandora sussultò.
Ti rivelerò il motivo della mia richiesta a condizione che tu non ne faccia parola con Ikki.
La donna annuì e Shun si sfilò lentamente la maglia.
La macchia nera saliva da metà avambraccio fino alla spalla destra.
Gli occhi di Pandora si riempirono di lacrime.
“La maledizione di Marte. Shun tu stai morendo!”
“Questa  la verità. Tutto si riduce a questo. Ikki non lo deve sapere. Durante il tuo soggiorno la ferita è peggiorata. L’oscurità alla quale mi esponi, mi costringe involontariamente a bruciare il cosmo. Il potere di Marte mi sta divorando. Ad ogni modo, io sono sereno. A me va bene così. Non voglio che mio fratello lo scopra. Si distruggerebbe per i sensi di colpa e, se come sostieni, lo ami, devi risparmiargli questo dolore.”
“Credi che non soffrirà per la tua morte?”
“Ikki è forte. Gli faranno sapere che sono morto in battaglia”
“Quale battaglia!” urlò Pandora.
“Quella che porterà Marte prima o poi. Lo sa anche Ikki. Allora il tuo compito sarà quello di tenerlo lontano dal campo di battaglia.”
“La sentirà. E’ nato per la guerra. Come mio figlio! Anche lui morirà in battaglia, e io sarò di nuovo sola!”
“Tu non sarai mai più sola perché hai conosciuto l’amore.”
Pandora tese una mano verso Shun poi, lentamente, la ritrasse.
“Ti ho fatto del male Shun, ma io amavo mio fratello. E, anche se tu non lo capisci o non lo accetti, per me tu sei il fratellino che avrei dovuto crescere e tenere al sicuro dai pericoli del mondo. Ti giuro che il tuo destino non sarà quello di Hades. Ora scusami, ma sento il bisogno di abbracciare mio figlio”.
Shun rimase solo. Si infilò la maglia e uscì. Salutò con un cenno del capo Cancer e Phisces e s’incamminò verso la casa del leone.
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“Saga!”
Kouga entrò nella stanza del grande sacerdote gridando.
“Devi venire Saga!”
“Che succede Kouga?”
“Shun è andato da lady Pandora! Saori ha detto che se non andrai tu a vedere che succede e a riportare Shun sano e salvo alla casa del leone, ci andrà lei stessa! Saga ti prego, lei sembra così pallida! Che faccio ci vado io mentre tu stai con lei?”
“Non dire idiozie moccioso! Proprio quello che ci si aspetterebbe da un Pegasus. Ho lasciato lì Cancer e Aphrodite proprio per tali eventualità!”
Kouga sussultò.
“No Saga!” disse appendendosi alla veste da grande sacerdote che l’uomo indossava “Ci devi andare tu. Saori ha detto che Shun è in pericolo!”
“Quei due buoni a nulla che avranno combinato? Tu resta qui e bada che Atena non usi il suo cosmo. Potrebbe ucciderla!”
Saga uscì e Kouga corse da Saori.
“Via libera.”
“Bene. Andiamo alla prima casa piccolo.”
La casa dell’ariete era silenziosa. Mur era salito con Shaka alla sesta casa per preparare un infuso per Seiya. Ikki era andato via non potendo sopportare la vista dell’amico privo di sensi. Shaina era seduta al suo fianco e gli teneva una mano. Giela lasciò subito non appena vide Saori e Kouga entrare.
“Grazie per essere rimasta con lui”
“Non è servito a nulla. Respira sempre più piano. Temo che...”
Saori mise una mano sulla spalla della guerriera e le sorrise.
“So cosa fare. Non lo perderemo.”
“Saori se bruci il tuo cosmo...” poi la donna si interruppe guardando Kouga. A sorpresa il ragazzino terminò la frase.
“...morirai, Saori.”
La donna si inginocchiò e lo prese per le spalle.
“Guardami Kouga. Chi sono io?”
“Atena”
“Credi che Atena non possa sconfiggere un incubo? Abbi fiducia in me. Seiya è laggiù da qualche parte. Gli serve solo che gli indichi la via. Tornerà da noi.”
“Vieni Kouga, lasciamoli soli. Saori siamo qui fuori” disse Shaina portando via Kouga.
Saori guardò Seiya e gli carezzò la fronte con una mano.
“Coraggio cavaliere, hai promesso.”
Si mise a sedere al suo fianco e fece in modo da posare la testa di Seiya sul suo grembo.
“Seiya hai detto che avresti trovato sempre il modo di tornare nel luogo in cui sono io. Io sono qui. Torna da me. Voglio sentire ancora la tua voce dirmi quelle poche ma importanti parole affinché io possa a mia volta dirti che lo so Seiya, che lo so, che lo sento in ogni fibra del mio essere, e che anche io provo le stesse cose. Forse adesso dovrei usare quella parola che non ci concediamo mai. So che servirebbe eppure ne ho paura. Ho paura che dicendola ad alta voce, me la porterebbero via. Che mi porterebbero via te. E io non potrei sopportarlo. Sai Seiya, io sono la dea, ma tu sei sempre stato più forte di me. Sei stato più forte quando ero dispettosa allo scopo di allontanare tutti dal mio mondo fatto di solitudine e sofferenza; lo sei stato quando la freccia mi ha trafitta e non c’erano speranze; lo sei stato nel profondo degli abissi quando, per la prima volta, un uomo voleva farmi sua; lo sei stato negli inferi quando ti sei frapposto fra me e il mio nemico atavico; lo sei stato quando Marte mi ha rapita; lo sei stato quando i mesi passavano e io non sapevo cosa fare. Io non ho mai davvero saputo cosa fare. Mai prima di guardare i tuoi occhi. Nei tuoi occhi io trovavo la forza di decidere e di andare avanti. Sempre e comunque. Sai Seiya, ho fatto una scoperta in tutti questi anni in cui tu hai vegliato su di me da lontano. Una cosa che avrei voluto dirti da tanto tempo. Sai perché non l’ho fatto? Perché tu mi avresti guardata e ti saresti messo a ridere. Sì Seiya a ridere, perché tu non credi nel destino. Non credi che le cose debbano andare per forza in un modo. Che faccia avresti fatto se ti avessi detto che siamo legati da un filo antico che attraversa le epoche di ciclo in ciclo? Avresti riso e mi avresti detto che mi davo arie da dea. Ti prego Seiya, apri gli occhi e prendimi in giro!”
Saori pianse e le lacrime caddero sul volto privo di sensi di Seiya. Se il piano di Saga non aveva funzionato, il potere di Atena avrebbe rimediato.
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Saga giunse di corsa alla casa di Shun.
“Voi due! Cosa avete combinato? Non avevo dato ordini chiari? Nessuno entra e nessuno esce!”
Cancer si alzò allarmato.
“Che cos’è questa storia? Siamo qui come ci hai ordinato!”
“Dov’è Shun? Lo avete fatto entrare?”li incalzò Saga.
“Bhe è casa sua!”
“Cancer!”
“Saga non è successo nulla! Shun è andato via pochi minuti fa. Stava bene. E quei due sono ancora lì dentro come ordinato!”
“Andato via?”
Saga strinse il pugno e comprese.
“Quel moccioso! Rimanete qui!” disse sparendo alla velocità della luce.
Death Mask e Aphrodite si guardarono incapaci di comprendere cosa fosse accaduto al grande sacerdote.
Saga nel frattempo raggiunse la prima casa e vi trovò Kouga e Shaina.
“Stupidi! Credete di avere fatto una cosa buona?”
Fece per entrare quando Kouga gli si parò innanzi.
“Lasciali stare! Lascia che Saori riporti indietro Seiya!”
“Non ne ha bisogno. Tra poco Seiya si risveglierà con le sue proprie forze! Per quale motivo credete che lo abbia colpito con il fantasma diabolico io stesso? Per il piacere di sprofondarlo nell’abisso? Levati moccioso! E ricordati. La vita di Atena è sacra! Viene prima di tutto! Se Seiya sapesse come ti sei comportato ne sarebbe molto deluso!” concluse spostandolo di lato ed entrando in casa.
Le luci delle candele illuminavano le stanze private di Mur. Saga la vide stringere il corpo inanimato di Seiya e senti stringere allo stesso modo il proprio cuore.
Un infarto avrebbe fatto meno male.
Si avvicinò e le posò una mano sulla spalla ferita.
“Non dovete farlo. Non avete forse fiducia in me?”
“Saga!” disse lei in un misto tra vergogna e sorpresa.
“Non vi ho forse detto che avrei manipolato la sua mente?”
“Io... io...”
Il viso di Saga si addolcì.
“Capisco. Non sono mai stato bravo ad ispirare fiducia! Ora però ascoltate. Visto che siete qui, c’è una cosa che potreste fare. Sussurrategli all’orecchio di seguire il filo scarlatto.”
“Solo questo?”
Saga annuì.
Saori gli toccò di nuovo la fronte e si chinò su di lui.
“Seiya, segui il filo scarlatto. Seguilo Seiya, il filo scarlatto.”
“E ora aspettiamo” disse il cavaliere di gemini rimanendo in piedi al fianco della dea come una delle colonne del tempio.
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“Se mi avessi lasciato portare qui Sasha, ora saremmo tutti e tre riuniti!”
Seiya continuava a sentire la voce di Hades.
Chiuse gli occhi. Kouga era salvo. Tese una mano verso l’alto. Continuava a sentirsi cadere.
“Invece ora saremo solo io e te. Per l’eternità!”
Seiya vide lentamente l’armatura d’oro staccarsi da lui. Sagitter lo stava rigettando? Non era più degno dunque. Si sentì più leggero. 
“Non rivedrò più Saori...”
“Segui il filo scarlatto!”
“Saga è la tua voce?”
No. Non era la voce di Saga.
“Seiya, il filo scarlatto!”
Seiya riaprì gli occhi e vide una scia rosso sangue. Tentò di afferrarla e vide che il suo braccio era di nuovo bardato dell’armatura d’oro.
“No, Tenma, devi restare qui!”
“Io non sono chi tu dici! Io sono Seiya! Ho promesso a Saori che sarei tornato da lei. Ho promesso a Kouga che sarei tornato da loro!”
Adesso entrambe le braccia e il petto erano adornate dall’armatura.
“Lei è Atena. Credi davvero che ci sia spazio per te nel suo cuore? Tu farai la fine di Perseo, di Tenma e di tutti i cavalieri di Pegasus! Anche il tuo Kouga si unirà alle schiere degli eroi morti per lei e dimenticati!”
“No! Saori non mi perderà mai di vista. In mezzo alle centinaia di schiere di cavaliere a lei fedeli, mi troverà sempre, il filo rosso che vedo è quello che ci unisce!”
L’armatura era tornata ad avvolgere tutto il suo corpo.
“Io sono Seiya di Sagitter e il mio posto è accanto a lei. Non la lascerò sola! Non la lascerò maiiiii!”
Aprì gli occhi e la vide. China su di lui, con gli occhi pieni di lacrime, bellissima come non la ricordava, con un sorriso infinito.
“Seiya!”
“Saori... ho sentito la tua voce! Sono tornato”
“Sì, Seiya. Lo hai fatto. Sei tornato da me ancora una volta!”
“Avevo promesso...”
“Si, lo hai fatto” disse lei stringendolo e baciandogli la fronte dove ancora c’era il segno del fantasma diabolico. Si girò a guardare Saga.
“Grazie Saga. Avevi ragione tu e io torto. Ti sono debitrice.”
“Avete già onorato il vostro debito. Ora torno alla tredicesima casa. Il vostro primo cavaliere è qui. Non correte alcun pericolo.”
Si girò e fece per uscire quando la voce di Seiya lo trattenne.
“Saga!”
“Sì?”
“Grazie.”
“L’ho fatto perché l’ha ordinato Atena.”
“Sì. Ne sono certo. Grazie lo stesso”
Saga uscì e Seiya si perse negli occhi di Saori.
 
 

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Capitolo 7
*** La vita salvata da Poseidone - parte prima ***


Note dell'autrice: Piccole note come al solito. La storia entra nel vivo con la comparsa di due personaggi che non mi sono molto simpatici ma ve li presento lo stesso. Ecco a voi: Nettuno e la principessa di Asgaard. Cosa combineranno con i nostri eroi? A voi la lettura. L'occasione è ghiotta per fare a tutti gli auguri di Buon Natale.
P.S. Un ringraziamento speciale per Korime che segue e fa il tifo! Kisses...
 
Capitolo V : La vita salvata da Poseidone - parte prima
 
Lo scacco matto ad Hades aveva cambiato l’esito delle sorti di Nettuno.
Da un regno in rovina e due cavalieri superstiti di cui uno traditore, Julian si era ritrovato con le schiere dei suoi di nuovo al completo e con Atlantide tirata a lucido. Certo tredici anni prima aveva fatto un errore. Aveva deciso di presentare Mars Kreutz a Saori Kido. Le sue intenzioni erano semplici. Mars era la reincarnazione di questa epoca di Marte. La vittoria di Atena contro Hades era stata schiacciante, tuttavia il consiglio degli dei già invocava vendetta contro colei che aveva consentito agli uomini di sfidare un dio. Indubbiamente Hades non era simpatico a nessuno e anche il suo vizio di nascondere la propria reale identità all’infinito, induceva i suoi pari a diffidare sempre di lui. Julian credeva di potersi proporre a Saori come leader di un’alleanza tra lui, Atena, Marte, Lady Pandora e Odino. Insieme avrebbero potuto ostacolare qualunque iniziativa di Artemide e Apollo che a loro volta potevano contare sull’appoggio di Eris. Certo Odino era un dio minore e Pandora non possedeva il potere del fratello. All’occorrenza però si sarebbero di certo dimostrati utili. Apollo era molto potente e poteva contare su una sorella spietata in grado di manipolare altre divinità. In questo schema entrava in gioco Marte. Il dio della guerra poteva assicurare che lo scontro si sbilanciasse a favore della sua fazione.
Idea stupida.
Marte non aveva mai amato i metodi di Atena. Guerra ordinata diceva lei? Caos rispondeva lui. Lo scontro era inevitabile. Non fosse stato che, durante la festa che aveva organizzato per riunire i due oppositori, Mars avesse visto Saori e se ne fosse invaghito. Da lì in poi era stato un crescendo di disastri.
Mars aveva deciso che Saori sarebbe stata sua in un modo o nell’altro. Sognava un erede divino. Julian aveva fatto buon viso a cattivo gioco, avendo lui stesso provato a conquistare la donna. Sapeva però che tra Saori e qualunque altro uomo c’era il cavaliere del sagittario. Seiya aveva accompagnato Saori quella sera ed era apparso alle spalle della sua dea a chiarire che Mars non poteva avvicinarla più di così.
Quest’ ultimo lo aveva odiato da primo momento. Aveva capito che quel ragazzo non era un semplice cavaliere fra le schiere dei santi di Atena. Di contro Seiya aveva capito che l’unione con Atena a cui ambiva Mars era di tipo carnale. Dopo quel primo incontro, prima Marte aveva provato a rapire Atena usando come diversivo l’incendio dell’orfanotrofio che Saori aveva finanziato ai piedi del Partenone, poi Seiya l’aveva sfidato riprendendosi Atena e infliggendogli una grande umiliazione. Infine, dopo mesi di estenuanti sortite e ritirate fra le due fazioni, Marte aveva invaso il Santuario senza arrivare neppure alla tredicesima casa. Se la strega Medea, non l’avesse soccorso, sarebbe stato sconfitto dai cavalieri d’oro. Di lui e della sua arroganza non s’era saputo più nulla.
Atena s’ era ritirata nel suo santuario e gli anni erano trascorsi. Sembrava che il grande tempio della dea si fosse separato dal mondo dopo la guerra contro Marte e che la dea avesse voluto lanciare un messaggio a tutti gli dei maggiori. Il santuario era un baluardo contro chiunque volesse soggiogare l’umanità eppure esso non intendeva sollevarsi contro alcuno. Pace.
Anche Julian non aveva più tentato alcun contatto con lei. In fondo aveva scatenato lui Mars. Non l’avrebbe più cercata. Non avrebbe più neppure pensato a Saori. Si sarebbe diviso per sempre tra il casato dei Solo e Atlantide. L’avrebbe fatto davvero se non avesse ricevuto quella lettera.
La lesse daccapo e la ripose sullo scrittorio. Aprì un cassetto e prese una chiave.
Forse era giunto il momento di giocare il tutto per tutto. Qualcosa ricominciava a muoversi nel ciclo della sfida eterna tra gli dei e forse Nettuno aveva ancora un ruolo da giocare.
Camminò lungo un largo spiazzo. Immaginare che la luce azzurra che filtrava dall’alto attraversava l’oceano che faceva da cielo a quel luogo, era irreale. Raggiunse l’alta colonna e salì le scale. Tanto tempo prima aveva fatto quella stessa scalinata  portando l’esile corpo di Saori per rinchiuderla nel luogo a lui più caro. A quel tempo aveva creduto che sarebbe stata sua per sempre. Ma Seiya si era trasformato in una freccia d’oro e aveva infranto i suoi sogni. Raggiunse la porta pesante e infilò la chiave.
La serratura scattò e la porta si aprì.
Julian scese le scale e raggiunse il centro dove, dal pavimento partivano due catene massicce e dorate.
“A cosa devo questo onore maestà?” disse il prigioniero.
“Nonostante gli anni di prigionia, non sei cambiato!”
“Voi avete tenuto prigioniero il mio corpo, ma insieme ad esso non avete imprigionato il mio spirito.”
“Ironico! Tu hai imprigionato il mio spirito e lasciato libero il mio corpo invece!”
“Non me ne sono mai pentito. Sto pagando il mio errore.”
“Non è per discutere i tuoi errori traditore che sono qui. Dopo tredici anni, alla fine ti rivelerai utile. Tu mi servirai questa volta e farai ciò che ti riesce meglio.”
“Io non sono un generale degli abissi.”
“Quando Atlantide è caduta, sei stato salvato insieme a me e a Syria”
“Non sei tu che mi hai salvato!”
“Sei salvo perché io ti ho dato salva la vita”
“Intendevi punirmi maggiormente. La morte sarebbe stata un atto di clemenza di cui non sei stato capace.”
“Sei vivo e sei un generale degli abissi. Sei Dragone del Mare e qualcosa mi dice che, per riavere la tua libertà e vedere ripristinato il tuo rango, accetterai qualunque compromesso.”
“Ti sbagli!”
“Tu dici? Era mia convinzione che far sapere a tuo fratello che sei ancora vivo fosse ciò che desideri di più al mondo!”
Il prigioniero strinse i pugni. In fondo che cosa gli stava chiedendo Nettuno? Di fare ciò che sapeva fare meglio? Allora l’avrebbe accontentato. Pur di rivedere suo fratello avrebbe mentito, manipolato, ucciso persino. Per rivedere Saga e sistemare le cose una volta per tutte. Sorrise dunque e Julian con un cenno della mano sciolse l’incantesimo del sigillo che lo teneva prigioniero da quattordici anni.
“Bene, sapevo ci saremmo intesi. Riprendi il tuo posto tra i generali e presto di dirò cosa dobbiamo fare.”
Dragone di Mare si inginocchiò e ricominciò la sua recita perfetta.
“Sono lieto che tu abbia finalmente compreso, Kanon!”disse Julian lasciando la colonna portante del suo regno.
“Ricominciamo daccapo” disse a se stesso il cavaliere “e stavolta cerchiamo di cambiare il finale Kanon di Gemini”.
Sorrise.
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Seiya si era ripreso velocemente e stava dimorando presso la nona casa. Kouga era tornato il solito discolo. Faceva impazzire Shaina e Saga, ma non saltava più gli allenamenti di Hyoga. Saori si sentiva sollevata. Decise che avrebbe presenziato all’udienza pubblica del grande sacerdote. Decine di persone si presentavano alle udienze per chiedere al sacerdote della dea di dirimere dispute, risolvere questioni di vicinato o ottenere asilo.
Saga aveva ascoltato quasi tutti e dato ottimi giudizi quando si presentò una donna con due bambini.
La donna si inginocchiò e parlò.
“Grande sacerdote, mio marito è morto in mare. Ho sei figli. Gli ultimi due sono Jona e Jose” disse facendo avanzare di due bambini “Purtroppo non ho di che sostentare i miei figli e non voglio che loro due patiscano la fame dato che sono troppo piccoli per qualsiasi lavoro. Vi prego di prenderli come allievi perché divengano cavalieri.”
La donna tratteneva a stento le lacrime ma stringeva i bambini come se non volesse che qualcuno glieli strappasse via.
Saga osservò i bambini e parlò.
“Sia dunque, lasciate i bambini nelle mani del cavaliere sacerdotessa e...”
Saga non terminò la frase poiché vide Saori avanzare e avvicinarsi alla donna. Lei non capì chi aveva di fronte e pensò che fosse giunta per portare via i bambini. Scoppiò in lacrime.
“Ditemi donna, quanti anni hanno i tuoi figli?”
“Quattro.”
“Ebbene sono troppo giovani per diventare allievi”
La donna fu presa dal terrore di un rifiuto e uno dei bambini si staccò da lei e con  voce esile ma decisa disse solo poche parole.
“Io e mio fratello siamo grandi!”
Saori gli sorrise.
“Fra quattro anni saranno pronti per iniziare l’addestramento, non prima. Fino ad allora avrete dal Santuario ciò che occorre al sostentamento dei vostri figli. Ioria” disse rivolgendosi al cavaliere del leone “ogni mese manderai Soma a portare ciò che serve a questa famiglia. Fra quattro anni tornerai qui e li consegnerai al cavaliere dei gemelli per l’addestramento poiché i tuoi figli sono nati sotto queste stelle. Così ho deciso.”
Solo allora la donna la riconobbe e le prese l’abito per baciarlo.
“Grazie mia signora! Ringraziate la dea Atena bambini!”
I due gemellini la guardarono a bocca aperta e, quello che aveva già parlato, attirò la sua attenzione.
“Non sei grande quanto la statua!”
Saori sorrise.
“No, non lo sono. Deluso?”
Il bambino scosse la testa.
“No. Sei più bella!”
Tutti risero e la donna si congedò con i suoi figli.
“Perdonami Saga se ho contraddetto il tuo giudizio”
“Non sono stato all’altezza! Comunque abbiamo finito.”
“C’è ancora la mia richiesta!”
I cavalieri d’oro e Saori si voltarono nell’udire la voce di Ikki.
“Sono anche io qui per chiedere udienza ad Atena.”
“Tu non hai bisogno dell’udienza pubblica, sei un cavaliere!” lo riprese Saga.
“Non riguarda me, ma mia moglie e mio figlio che sono tenuti prigionieri!”
Saori si voltò a guardare Saga negli occhi.
“E’ vero?” chiese.
“Certo che è vero! Non possono lasciare la casa di Shun!” concluse Ikki.
“E’ un tuo ordine?” chiese Saori al grande sacerdote “Ora mi spiego l’assenza dei cavalieri della quarta e dodicesima casa!”
“Solo una misura cautelare, milady”
“Ritirala! Pandora non è nostra prigioniera ed Eden è un cavaliere di Atena!”
“Come desiderate, vi ricordo tuttavia di rammentare le parole di Shaka”
A quelle parole, Ikki si voltò a guardare il cavaliere di Virgo.
“Tengo debito conto delle parole di Shaka. Ritirate comunque gli ordini dati a Death Mask e ad Aphrodite! Ikki porta le mie scuse a Pandora. Siete i benvenuti al santuario. Sono certa che Kouga ed Eden non nutrono alcun rancore l’uno verso l’altro. Questo è quanto!” concluse Saori senza dare la possibilità a nessuno di replicare.
Phoenix diede un’ultima occhiata a Virgo e poi lasciò la tredicesima casa. Era ansioso di rivedere la moglie e il figlio. Non solo. Aveva bisogno di sapere cosa pensava Pandora di tutto quello che era accaduto e, soprattutto se aveva avuto altri sogni premonitori.
Attraversò le dodici case vuote a passo svelto e raggiunse a casa di Shun. Cancer e Aphrodite erano ancora lì.
“Sparite! Avete avuto altri ordini.”
“Davvero?  Chi lo dice?” chiese sprezzante Death Mask.
“Lo dico io. Atena ha deciso così”
“Aphro dimmi com’era quella regola? Ah ora ricordo. I cavalieri d’oro non obbediscono a cavalieri di rango inferiore!” gli rispose il cavaliere del cancro alzandosi dal piccolo muro che circondava il giardino di Shun e facendo finta di voler dare battaglia.
“Lascia perdere Death, se ha ragione a breve lo sapremo e inoltre lui non è un cavaliere di rango inferiore. Non dovrei essere io a ricordartelo. Fallo entrare in casa e facciamola finita.”
“Il tuo amico ti ha dato un buon consiglio” continuò Ikki “Lasciami entrare. Voglio vedere la mia famiglia.”
Cancer sorrise di scherno e si fece da parte facendo un inchino.
Phoenix entrò in casa di Shun e trovò Pandora seduta alla tavola che si teneva la testa fra le mani. Ikki tremò.
“Pandora! Che è successo? Eden sta bene?”
La donna alzò il capo e  Ikki vide che il suo volto era rigato di lacrime. Si inginocchiò e le prese le mani.
“Parlami!”
“La visione è cambiata Ikki!”
Phoenix capì che si riferiva alla premonizione del duello tra Eden e quello che Pandora credeva fosse il figlio di Seiya. La incitò a continuare.
“Ci sono sempre Eden e l’erede di Pegasus. Il loro combattimento, in qualche modo, provoca la morte di Atena. Adesso però alle loro spalle appare una creatura mostruosa. Non sono riuscita a vederla bene ma era gigantesca e distruggeva ogni cosa. Ikki ho paura.”
Phoenix la abbracciò.
“Devi stare tranquilla. Non succederà niente di quello che hai visto.”
“Come puoi parlare così? La mia visione in parte si è già realizzata. Forse Kouga non è il figlio naturale di Seiya, ma di sicuro ne è l’erede.”
Ikki abbassò lo sguardo per non mostrare alla moglie ciò che provava.
“Atena ci ha confinati qui. La tregua tra la mia gente e la sua è già finita!” disse riprendendo a piangere.
Ikki scosse il capo.
“Sono qui a dimostrarti il contrario. Atena crede che ciò che è accaduto al torneo non sia colpa di Eden e ha detto che siamo beneaccetti al santuario. Mi ha mandato a prendervi. Vuole ribadire l’alleanza tra voi. Non devi temere. Saori non ti attribuisce alcuna responsabilità. I cavalieri d’oro saranno sempre diffidenti nei tuoi confronti. E’ il loro retaggio e noi non possiamo biasimarli per questo. Tuttavia capiscono che la pace deve prevalere e che il loro avversario di un tempo non c’è più. Hades è stato definitivamente sconfitto.”
Pandora a quelle ultime parole sentì qualcosa stringerle il cuore. Aveva desiderato profondamente liberarsi della maledizione di Hades ma, in una parte del suo cuore, era rimasto un legame atavico con il fratello divino. L’avrebbe mai spezzato completamente? O piuttosto, prima o poi, ne sarebbe di nuovo stata vittima pienamente?
Di certo, rispetto al passato, ora aveva  un figlio. Eden era la sua priorità e non l’avrebbe sacrificato neanche per il proprio fratello. Lasciò che Ikki la portasse di sopra e l’aiutasse a mettersi a letto. Ikki controllò che Eden dormisse e poi guardò dalla finestra. June e Yuna stavano rientrando mentre  i due cavalieri d’oro mandati da Gemini lasciavano la casa di Shun. Lui però non c’era. Ikki si chiese che fine avesse fatto suo fratello.
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Il freddo si era fatto più intenso eppure la finestra della sua stanza era rimasta spalancata. Una candela rossa bruciava sul davanzale. Un segnale che lei aspettava. Si strofinò le mani e se le portò alle labbra. Camminò fino alla specchiera e aprì un cassetto. L’anello era ancora lì. Il cristallo splendeva puro e inconsapevole che la promessa di cui era il simbolo era stata infranta.
Crystal se n’era andato. Quanto era durato il loro fidanzamento? Si guardò allo specchio. La cuffia che era solita portare per raccogliere i capelli non c’era più. Ora teneva i capelli legati con una coroncina dorata che glieli portava tutti dietro le orecchie. Niente più trecce da bambina. Ora si sentiva una donna. Una donna ferita dall’uomo che amava. Un uomo che, prima l’aveva strappata al suo universo, poi le aveva confessato che non poteva vivere con lei in un mondo ibrido che non era ne Asgaard né Atene.
Lui non era fatto per essere l’ambasciatore di Atena alla corte di Polaris. L’aveva detto con la freddezza che naturalmente gli scorreva nelle vene. Le aveva confessato di averci provato e che non ci riusciva. Che non era amore quello che provava per lei. Avrebbe dato la vita, certo, se lei glielo avesse chiesto, ma l’amore, la dolcezza vera,  la devozione, Flare non li avrebbe mai ottenuti da lui. Quello che sua sorella Hilda riceveva da Orion, lei sapeva non sarebbero stati mai dedicati a lei da Hyoga.
Flare aveva compreso che non possedeva il calore che avrebbe potuto sciogliere il ghiaccio del suo cuore. Aveva accettato di tenerlo al suo fianco anche così. Fino a quel giorno. Il giorno in cui l’aveva scoperto a piangere leggendo una lettera. Aveva aspettato che la gettasse nel camino e uscisse dalla loro camera per rientrare e raccoglierla prima che bruciasse.
Leggerla l’aveva distrutta.
“Mio adorato Crystal, ho ricevuto la tua lettera alcuni giorni fa. Ho aspettato prima di risponderti poiché sono stato molto combattuto. Credimi, raggiungerti ad Asgaard come mi hai chiesto, mi avrebbe reso l’uomo più felice della terra poiché mi manchi molto. Le nostre chiacchierate interminabili, così come egualmente i nostri silenzi, li custodisco come ricordi preziosi a cui aggrapparmi nelle notti in cui la tua assenza mi opprime. Non posso però lasciare Atene. Non posso lasciare June e la piccola Yuna. E’ giusto così o forse no. Tuttavia non posso venire. Il legame che mi unisce a te è ancora forte, tuttavia devo rifiutare la tua richiesta e pregare che ciò non lo spezzi nonostante la delusione che, so per certo, proverai. Credimi se ti dico che, come la nobile Andromeda che sacrificò se stessa per il bene di tutti, anche io sono incatenato a questo luogo e giorno dopo giorno non so se verrà la bestia a divorarmi o un eroe a salvarmi. Un tempo quell’eroe eri tu. Ora sei l’araldo di Asgaard. Io l’ho accettato. Ti auguro ogni bene con tutto il mio cuore. Shun di Andromeda.”
Hyoga aveva chiesto ad Andromeda di raggiungerlo ad Asgaard? Era questo quello di cui Crystal aveva bisogno? Lui piangeva perché Shun aveva rifiutato il suo invito? Flare capì che la dolcezza nello sguardo del suo promesso sposo quando parlava di lui non era semplice affetto. A Hyoga, Shun mancava fisicamente. Quel giorno capì che non avrebbe mai potuto sistemare la frattura che si stava creando lentamente tra loro come una delle crepe che si formano nel ghiaccio e che si allargano sempre di più, inevitabilmente fino a spaccarlo.
Due mesi dopo l’arrivo di quella lettera Hyoga se n’era andato. Era tornato ad Atene. Alcuni giorni dopo, al suo posto, alcuni cavalieri di Atena avevano riportato la spada Balmung. La mandava Seiya con poche righe scritte da Atena che in pratica pregavano Hilda di perdonare la decisione di Hyoga che rimetteva la propria carica di suo ambasciatore in Asgaard e, in cambio per rinsaldare l’alleanza, di accettare la spada di Odino che lei aveva chiesto al cavaliere che l’aveva estratta di conservare. Seiya la rimandava come dono di nozze da pari a pari a Orion perché era certo che lui l’avrebbe brandita con onore.
Hilda l’aveva accettata e così la storia era finita.
Per tutti tranne che per lei. Aveva urlato alla sorella che l’affronto che le aveva fatto neppure Odino l’avrebbe perdonato e da allora si era trasferita in un’ala del palazzo lontana da tutto e tutti. Col tempo nessuno l’aveva più cercata poiché le ancelle maligne sostenevano che avesse maledetto la sorella e che per questo Hilda non avesse messo al mondo dei figli. Tutti la evitavano. Tutti tranne Artax. L’uomo che l’aveva amata sin da bambina, l’aveva seguita anche nella disgrazia. Un giorno, più arrabbiata del solito, gli aveva urlato contro che era un’idiota a servirla in quel modo nonostante le umiliazioni che lei gli infliggeva continuamente. Artax le aveva risposto che stava espiando la sua colpa e che credeva che lei, prima o poi, si sarebbe ravveduta. Avrebbe fatto come Orion quando, amando incondizionatamente Hilda, aveva accettato di obbedire ad ogni ordine anche se ingiusto. Da allora l’aveva ignorato. Non si era accorta che Artax restava sempre lì. Era troppo impegnata a covare vendetta. Tredici lunghi anni erano passati in quella neve immutabile. Ora era giunto il momento.
Il riflesso nello specchio cambiò. Si voltò e lo vide.
“Il mio signore vi manda questa”
Flare prese la lettera dalle mani del cavaliere e la lesse. Sorrise.
“Di al tuo signore che lo aiuterò”
Il cavaliere si voltò e fece per uscire. Poi si fermò e le parlò.
“Posso domandarvi perché lo fate?”
“Certo!” disse lei sorridendo “ Rivoglio ciò che è mio!”
Il cavaliere sorrise di rimando.
“Credete che se ad un uomo strappate ciò che ha di più caro al mondo, questo possa dopo amarvi? Sul serio?”
“Se non amerà me, non gli resterà più nessuno da amare. Qual è il vostro nome cavaliere?”
“Kanon del Dragone del Mare”
“Bene, Kanon. Dite al vostro signore che sono stanca di aspettare!”
Kanon si voltò e lasciò la stanza.
Flare spense la candela rossa e chiuse le imposte. Sarebbe stata una notte molto fredda.
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Julian si versò da bere. Syria al suo fianco continuava a suonare il suo flauto.
Di colpo smise e Kanon fece il suo ingresso nella grande sala.
“E’ una lunga strada da Asgaard a qui. Credevo ci avresti messo più tempo” disse Nettuno sorseggiando il liquido scarlatto.
“Non poi così tanto. Porto la risposta di Flare di Polaris.” disse Kanon guardando di proposito Syria “La principessa attende con ansia di aiutarvi mio signore. Attendo nuovi ordini.”
“Sei congedato. Ti richiamerò a tempo debito.”
Kanon lasciò la stanza con un inchino.
“Non suoni più Syria?”
“Posso parlare liberamente mio signore?”
Julian era molto affezionato a quel cavaliere. Contrariamente a Kanon che lo aveva ingannato quando non ricordava la sua identità, Syria lo aveva protetto e aveva badato a lui.
“Parla”
“Perché lo state facendo? Non avete forse ottenuto ciò che volevate? Atlantide è di nuovo sotto il vostro pieno controllo. E’ tornata più splendente che all’epoca del mito. I vostri cavalieri sono tutti intorno a voi. Abbiamo bisogno di un’altra guerra?”
“Non è mia intenzione provocare una guerra. Devo rimediare ad un errore che ho fatto tredici anni fa.”
Syria capì che Julian parlava dell’incontro tra Marte e Atena che Nettuno aveva provocato.
“Quell’errore appartiene al passato. Sono certo che Atena, nel suo immenso amore, ha dimenticato le colpe.”
“Io no.”
“Volete sfidare Marte?”
“Marte è stato ferito a morte. Si nasconde da qualche parte grazie all’aiuto della strega Medea. Io lo troverò e lo finirò!”
“Altezza, credetemi, nessuno meglio di me conosce il vostro cuore, e per questo credo che il vostro desiderio non si riduca a questo. Seppure riusciste a distruggere un altro dio, non vincereste comunque il cuore di Atena.”
“Se un uomo è riuscito a sconfiggere una divinità, a maggior ragione un dio può farlo. Non dubitare.”
“Altezza, gli dei non hanno perdonato l’uomo che ha ucciso un dio. Gli dei non si uccidono fra loro. Per questo schierano i loro eserciti. Gli uomini muoiono nelle battaglie per la supremazia di un dio su un altro. Se levate la mano contro Marte, scatenerete altre divinità. La vendetta diventerebbe la ragione dello sterminio dell’intero Olimpo.”
Julian rise.
“Io non voglio uccidere Marte. Voglio finire Mars Kreutz, la sua incarnazione in questa epoca. Mi dispiace Syria ma non posso perdonare ciò che ha fatto. Ha tradito anche me.”
“Anche se fosse, non potete trovarlo. Medea lo nasconde da tredici anni. Credete che i cavalieri di Atena non lo abbiano cercato?”
“C’è un solo modo per trovarlo. Forse io sono l’unico che può farlo. Anche Atena mi ringrazierà.”
“E la sua gratitudine vi basterà?”
“Riprendi a suonare Syria”
Il cavaliere capì che il suo signore non era più in vena di chiacchiere. Il flauto emise di nuovo la dolce melodia che aveva interrotto prima mentre il cuore di Syria si gonfiava di tristezza.
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La notte era fresca ma senza vento.
Saori prese uno scialle e se lo posò sulle spalle facendo attenzione a coprire la macchia scura su quella sinistra. Dopo gli ultimi eventi si era allargata. Pensò che a breve forse le avrebbe raggiunto il collo e la guancia. Sarebbe sembrata un mostro. Avrebbe perso la bellezza che pensava di avere. Una stupida emozione la vanità.
Uscì dalla tredicesima casa con il favore dell’oscurità. Tutte le candele si erano consumate. Prese la piccola scala laterale che scendeva dal tempio fino al giardino della sesta casa. Seppure qualche nemico avesse conosciuto quel passaggio, non era la migliore cosa del mondo finire tra le braccia di Shaka come alternativa alle dodici case. Lei però all’altezza della nona casa, tagliò verso la dimora del sagittario.
Una candela accesa indicava che il suo custode ancora non dormiva.
Entrò senza annunciarsi. Contrariamente a quanto aveva pensato, Seiya dormiva appoggiato ad una colonna. Saori guardò nella camera da letto e vide che la stanza non era stata usata.
Si avvicinò, si tolse lo scialle e lo passò intorno al corpo di Seiya, si sedette accanto a lui e rimase a fissarlo.
“Seiya, io ti ...”
Ancora non riusciva a dirlo a voce alta. Aveva voglia di toccarlo. Di passargli una mano tra i capelli e sentire la sua pelle calda. Aveva ripreso colore anche se lei sapeva che era ancora debole. Quando era stanco, i suoi occhi si cerchiavano e gli conferivano un’aria più adulta. Avrebbe voluto prendergli una mano fra le sue. Quelle dita ruvide che si stringevano in un pugno indistruttibile. Quelle stesse dita che l’avevano accarezzata facendola sentire, per la prima volta, solo una donna. Nonostante quel desiderio, rimase ferma. Sapeva che se era rimasto lì e non aveva scelto il letto comodo della nona casa, era perché Seiya non si sentiva a suo agio lì. Tredici anni prima aveva scelto sagitter per dare a lei tempo. Per salvarla ancora una volta. Pianse. In silenzio per non svegliarlo. Pianse perché poteva salvare il mondo ma non quel piccolo uomo al suo fianco. Quello che più di tutti aveva fatto per lei. Che più di tutti l’aveva amata.
“Non piangere”
Saori sussultò. Lui aprì lentamente gli occhi e li mise nei suoi.
“Ti ho svegliato. Scusa”
“Ti ho sentita arrivare.”
Saori arrossì. Seyia distese gambe e braccia indolenzite.
“Dovresti usare il letto!” lo riprese lei.
“Anche tu!”
Saori sorrise.
“Non riuscivo a dormire. Credo di essere ancora scossa per tutto quello che è successo. Prima di venire qui sono stata da Kouga. Non riuscivo a smettere di guardare il suo petto alzarsi e abbassarsi. Ogni volta che lo faceva, avevo il timore che fosse l’ultima.”
“E’ andato tutto bene. Come avevo detto io! Donna di poca fede!”
Saori sorrise ancora, poi si fece seria ripensando al fatto che tutto era andato bene grazie a Gemini e al compromesso cui aveva dovuto cedere. Voleva togliersi quella sensazione di dosso. Guardò Seiya dritto negli occhi.
“Seiya se ti chiedessi di fare una cosa ora, la faresti senza chiedere spiegazioni?”
“Ti risulta che abbia mai disatteso una tua richiesta?” disse scoppiando a ridere, poi si fermò e riprese “Ok. Seriamente. Dimmi”
“Baciami. Con tutto te stesso. Come se fosse l’unica cosa che desideri al mondo.”
Seiya si sentì avvampare.
“Perché?” chiese.
“Avevo detto senza chiedere spiegazioni!” fece lei e per un attimo Seiya rivide la ragazzina di tredici anni che a Nuova Luxor gli ordinava di fare questo o quello e che lui puntualmente prendeva in giro per non confessare a se stesso che la trovava bellissima e che si stava innamorando di lei.
La prese per le spalle facendo attenzione a non stringere troppo la sinistra. Ricambiò il suo sguardo e si avvicinò a lei. Si fermò ad un soffio dalle sue labbra.
“Non come fosse la cosa che desidero più a mondo. E’ la cosa che desidero più al mondo Saori e ora te lo dimostrerò.”
Chiuse gli occhi e posò le sue labbra su quelle della donna che si schiusero a propria volta. Saori si sentì attraversata da un brivido lungo tutta la schiena mentre la lingua di Seyia si faceva spazio nella sua bocca. Il calore che cominciò a sentire nel petto contemporaneamente saliva verso la sua testa andando ad annebbiarle i sensi e scendeva verso il suo ventre provocando altri tremiti nel suo corpo. Le mani di Seiya si spostarono sulle sue guance come a volerla tenere ancora più vicino. Lei rimase immobile incapace di fare altro se non gemere sotto quel tocco.
I suoi nemici spesso la credevano indifesa. La verità tuttavia era che solo Seyia sapeva renderla indifesa. Solo tra le sue braccia lo era davvero. Pensò che se qualcuno aveva davvero modo di ucciderla, quello era Seiya. Anche solo smettendo di amarla. Ne sarebbe morta.
Trovò la forza di posare una mano su una delle sue e Seiya si staccò da lei.
“Saori...”gemette spingendola sui gradini della nona casa e finendole sopra riprendendo a baciarla sulla bocca, sul collo e sulla spalla ferita.
Lei si lasciò andare. Era indifesa e allo stesso tempo spingeva con le sue labbra quell’uomo a osare di più. Inarcò la schiena per consentire a Seiya di passarle una mano intorno al corpo e carezzarle la schiena.
Seiya sentì quel contatto e la strinse a sé. Saorì si perse gettando la testa all’indietro.
“Seyia, io...”
L’uomo si fermò come a voler interpretare quelle due parole. Doveva fermarsi? Aveva osato troppo? Le portò una mano dietro la nuca e la sollevò per guardarla negli occhi.
Quello che vide lo fece bruciare. Gli occhi di Saori erano languidi di desiderio. Era di nuovo solo la donna. Non c’era traccia di Atena in lei. Era la sua Saori. La baciò con fervore e lei gli strinse le braccia intorno al collo.
Lui la sollevò, come aveva fatto quando l’aveva strappata alla colonna di Nettuno, e avanzò verso la camera da letto della nona casa continuando a baciarla.
In pochi istanti furono nudi sotto le lenzuola candide. Lui la prese tra le braccia cercando di respirare l’odore della sua pelle il più possibile.
“Seiya”
“Non dire niente. Siamo condannati. Ma non stanotte, Saori. Stanotte tu non sei Atena e sei mia.”
Lei sorrise con dolcezza e gli passò entrambe le mani nei capelli.
“Sì è così” disse baciandolo intensamente e consentendogli di prenderla.
Seiya sentì la frustrazione e l’angoscia che sempre gli opprimevano il cuore abbandonarlo per un istante fino a che non percepì un rumore. Si staccò da lei e le mise un dito sulle labbra.
“C’è qualcuno la fuori.” Disse in silenzio.
Saori si tirò le coperte sul seno.
“Vado io. Tu rimani qui.”
“Seiya..”
“Dimmi.”
“Lo sai.”
Seiya si scompigliò i capelli. La frustrazione era tornata, ancora più intensa di prima.
“Lo so. Ma voglio anche sapere chi diavolo c’è la fuori!” concluse nervosamente infilandosi i pantaloni e uscendo dalla camera.
Raggiunse la sala principale e sorrise per la sua stupidità.
“Perdona la mia intrusione e scusa se ti ho sottratto al mondo dei sogni. Devo attraversare la tua casa. Ho il permesso?” disse l’uomo portandosi lo scialle che aveva raccolto dal pavimento al viso per sentirne l’odore.
“E perché devi attraversare le dodici case di notte, Saga?” rispose Seiya strappandogli lo scialle di mano.
“Fa parte dei doveri del grande sacerdote, verificare che non si commettano reati al tempio.”
“Davvero e quale reato si starebbe consumando?”
“Non costringermi Seiya!”
“Tu non costringermi Saga!”
I due furono occhi negli occhi e i loro cosmi si fronteggiarono.
Saga sentì che quello di Seiya era davvero cresciuto molto dopo la sconfitta di Hades. L’armatura divina aveva forse risvegliato in lui persino l’ottavo senso?
Seiya dal canto suo sapeva quanto pericoloso era l’avversario che si trovava di fronte.
“Te lo ripeto Saga. Se Saori lo desidera, io la terrò con me.”
“Tu non sai di che parli!”
“No tu non lo sai! Tu non sai che abbiamo passato in questi tredici anni. E anche prima. Non hai il diritto di giudicare!”
“Dove credi che sia stato negli ultimi tredici anni? Fammi il piacere! Sapevi che le cose sarebbero andate in questo modo. Hai giurato di proteggerla sacrificando te stesso!”
Seiya si sentì bruciare dalla rabbia.
“L’ho fatto!”
“No! Non lo fai tutte le volte che lasci la fiamma, tutte le volte che l’avvicini e la sfiori, ogni volta che la guardi persino! Rischi che qualcuno sospetti, che qualcuno capisca come stanno le cose, rischi la sua vita! Che cosa sarebbe accaduto se invece di me, avesse bussato Milo o Shura?” rise Gemini “I tuoi gemiti si sentono fino alla tredicesima casa!”
“Tu non sai...” provò a ribattere Seiya ma Saga non lo lasciò continuare.
“Se hai bisogno di accoppiarti, trovati una donna, al santuario ce ne sono a decine, Shaina stessa non ti rifiuterebbe!”
Un pugno lo centrò al viso mandandolo a tappeto. Gli occhi di Seiya fiammeggiavano.
“Che c’è la verità fa male? In quella stanza non c’è la tua donna, ma la mia dea! Che amore è il tuo? Che non riesce a soffocare i tuoi più bassi istinti?”
Seiya gli fu addosso e prese a colpirlo.
“Basta!”
I due si allontanarono e si rimisero in piedi.
Saori li raggiunse. Si chinò a prendere lo scialle e se lo rimise intorno alle spalle.
“Seiya perdonami, è colpa mia. Credevo che nessuno mi avesse seguita. Mi ero illusa di avere ancora un po’ di libertà. In quanto a te Saga, sappi che l’ho sedotto!”
A quelle parole il cavaliere sussultò e i suoi occhi furono attraversati da un lampo.
Saori lo guardava negli occhi e lo sfidava.
“Torna alla tredicesima casa. Io ti raggiungerò tra poco.”
Seiya abbassò gli occhi. Era di nuovo Atena e per lui non ci sarebbe più stato spazio quella notte.
“D’accordo. Ho fatto solo quello che dovevo” disse Gemini lasciando la nona casa.
“Seiya, mi dispiace.”
Seiya scosse il capo.
“Ho combinato tanti guai nella mia vita e ho inventato un sacco di scuse, ma non pensavo di poter mai dire “è colpa sua, mi ha sedotto!”
Saori sorrise e si avvicinò pericolosamente a Seiya.
“Ma io ti ho sedotto!” disse sorridendo.
“No! Tu mi hai provocato! Io ti ho sedotta!”
Seiya sorrise di quella sua risata allegra e cristallina e Saori si coprì la bocca con una mano.
“Saori, lo sai”
“Si lo so. Anche io Seiya” disse lei allontanandosi.
“Saori!”
“Sì?
“Aspetterò, dovesse accadere anche in un’altra vita!”
Saori sgranò gli occhi. Sentì che qualcosa si era mosso nel suo cuore. Quelle parole avevano un gusto amaro. Le aveva già udite tanto tempo prima. Erano il senso di una promessa appartenente al passato. Parlavano di un amore che trascende il tempo e le persone. Parlava di una devozione assoluta di due persone diventate ingranaggi di un meccanismo indistruttibile. Una di quelle due persone era lei.
“Vivrò per questo.”
Seiya la vide lasciare la casa e sentì di nuovo il freddo delle mura prenderlo alla gola. Invocò Sagitter e l’armatura lo vesti ubbidiente. Se lei non c’era, non aveva senso stare lì. Spiccò il volo e raggiunse l’altura. Aveva in corpo così tanto calore che la fiamma avrebbe brillato più forte quella notte.
 

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Capitolo 8
*** La vita salvata da Poseidone - parte seconda ***


Ehilà! Salve a tutti! Com'è andato il Natale?
Vi posto questa seconda parte del capitolo V. Finalmente qualche retroscena su che cosa sta organizzando Julian Solo con quella monella di Flare! Nel frattempo saluto tutti coloro che, lasciando dei commenti, mi hanno fatto sorridere e sperare di fare un buon lavoro... discreto lavoro... decente lavoro... ok vi auguro buona lettura che è meglio!!!


La vita salvata da Poseidone (parte seconda)

Artax era rimasto in disparte. Questa era la definizione della sua vita. Non partecipava più agli eventi di corte, alle battute di caccia, alle feste. Era ai margini del suo mondo. Non era questo che lo faceva soffrire. A dargli pena era il destino di Flare. Lui l’amava. Da sempre e per sempre. L’aveva amata anche mentre lei si era rifugiata in un mondo che stava tutto tra le braccia di Crystal il cigno. Non poteva smettere perché per lui amarla era come respirare. L’aveva seguita anche nell’esilio volontario che aveva scelto dopo che lui se n’era andato. Era convinto che il suo amore l’avrebbe salvata. In effetti le era stato di conforto fino al punto che una notte avevano fatto l’amore. Artax era convinto che quella sarebbe stata la fine dei loro tormenti. Invece era stata semplicemente la fine. Lei gli aveva detto di sparire, che non lo voleva più, che in fondo gli aveva dato tutto quello che poteva dargli, il suo corpo. Artax era impazzito dal dolore ma era rimasto. Lei non gli aveva più rivolto la parola se non per insultarlo. Egli sapeva però che Flare un giorno si sarebbe risvegliata da quell’incubo e che sarebbe morta se non avesse trovato nessuno al suo fianco. Più volte aveva visto Orion per aggiornarlo sulle condizioni di Flare. Hilda era preoccupata. Col tempo, però era venuto sempre meno. Artax sapeva che era per vie delle cattiverie che le donne anziane dicevano. Raccontavano che Flare avesse lanciato una potente maledizione sulla sorella per la quale questa non poteva avere bambini.
In effetti Hilda era rimasta incinta due volte in due anni e aveva sempre perso il bambino con gravi conseguenze per la sua salute. I medici le avevano ordinato di desistere dall’idea di avere un figlio e Orion non aveva insistito per paura che potesse perderla.
Voleva bene ad Orion, come ad un fratello maggiore e, anche se sapeva che neppure l’odio di Flare, poteva fare del male ad Hilda, si era fatto da parte anche con lui per non farlo soffrire. Stavolta però, proprio in nome di quel rispetto e di quella fiducia che avevano condiviso, doveva parlargli.
Aveva raggiunto la casa d’armi dove si riunivano i guerrieri del nord. Sapeva che, a quell’ora poteva trovarci solo Orion e, al massimo, Mizar che aveva preso il suo posto nella gerarchia dei cavalieri di Odino. Pregò che fosse solo e le sue preghiere furono esaudite.
“Vieni avanti fratello” disse sinceramente Orion stringendolo a se “Perdonami se da lungo tempo non ti visito, ma Hilda non è stata bene recentemente”
Artax lo guardò negli occhi e Orion lo rassicurò subito.
“No. Tranquillo niente del genere, solo malanni di stagione! Flare come sta?”
“E’ per questo che sono qui”
“Sta male?”
“Fisicamente sta bene. Ma c’è una cosa che devi sapere. Ieri notte ha ricevuto una visita. Era buio ma sono certo di quello che ho visto. Devi sapere, io ho il dovere di dirtelo, sono un cavaliere di Asgaard e tu sei il mio comandante.”
“Cosa sono tutte queste giustificazioni? Siamo fratelli parla Artax, chi ha visto Flare?”
“Un generale degli abissi. L’armatura era quella del Dragone del mare” concluse Artax abbassando lo sguardo per non sostenere lo sguardo dell’amico.
“Un generale? L’araldo del dio Poseidone? Fu lui a stregare Hilda con l’anello del nibelungo! Come sta Flare? Le ha fatto del male?” chiese Orion sinceramente preoccupato scuotendo l’amico.
Orion andò ancora più in ansia quando vide gli occhi di Artax riempirsi di lacrime.
“Non hai compreso il senso delle mie parole Orion. Il generale degli abissi non ha fatto del male a Flare. Gli ha consegnato qualcosa ed è andato via. Stamattina ho parlato con lei. Ha negato tutto. Nasconde la verità e io non so più cosa fare!” concluse scoppiando a piangere.
Orion lo strinse e lo tranquillizzò.
“Pensi di riuscire a scoprire cosa quell’uomo a dato a Flare?”
Artax annuì.
“Allora vai. Io ne parlerò ad Hilda. Artax”
“Sì?” fece lui asciugandosi il volto con il braccio.
“Tu sei l’unico che possa impedire a Flare di perdersi. Forse parlando con me, l’hai salvata da se stessa!”
Artax sorrise amaramente e lasciò la stanza.
Orion usò un passaggio segreto per raggiungere le stanze della sua regina.
La trovò che lavorava a maglia.
Lei sorrise non appena lo vide e fece per alzarsi.
“No amore sta seduta!”
“Che succede Orion, sembri agitato!” disse posando la piccola maglia che stava facendo. Chiunque avrebbe capito che era per un bambino.
“Come ti senti oggi?”
“La mia nutrice dice che sto bene e che passato questo mese non avremo più da temere”
“Allora mi sento più in colpa a parlarti di questo”
Lei si fece cupa in volto e si tocco il ventre.
“Parla Orion, riguarda Flare?”
Orion la tenne seduta e le raccontò del suo incontro con Artax.
“Un generale degli abissi? Per Odino, che starà combinando? Come ha osato venire qui senza permesso?”
“Ha avuto il permesso da Flare a quanto pare!”
“Vado a parlarle!”
“No Hilda te ne prego. Non nelle tue condizioni. Aspettiamo di vedere se Artax scopre qualcosa. Lui la ama quanto noi. Ci aiuterà. Nelle tue condizioni devi stare a riposo!”
“E pensare, Orion, che volevo che fosse la prima a saperlo. Ho creduto che forse questo bambino avrebbe potuto fare un miracolo!”
Orion la strinse.
“Dovremmo avvertire Atena che Nettuno si è mosso.”
“Si hai ragione amore mio. Manderò Mizar ad Atene. Potrebbe parlare con Crystal. Forse lui può mettere fine a questa storia!” disse Orion.
“Non credo, ma dobbiamo comunque avvertirli. E sperare” concluse lei stringendosi al suo sposo.

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Shun si mosse nel letto.
Hyoga al suo fianco si alzò su un gomito e lo guardò. Diversi giorni erano passati da quando Shun si era trasferito da lui. Non aveva chiuso occhio quella notte. Sapere che Andromeda era seminudo al suo fianco lo agitava. Come faceva l’altro a dormire? Forse ci riusciva perché il suo animo non era agitato come quello del cigno. Hyoga aveva spiegato a June come stavano le cose. Pandora peggiorava le condizioni di Shun per cui per qualche giorno sarebbe rimasto a casa sua mentre lei sarebbe tornata a casa loro con Yuna e avrebbe aspettato che Ikki e la sua famiglia lasciassero l’abitazione. Allora Shun sarebbe tornato a casa sua.
Ciò che Hyoga non aveva detto era che sperava che Ikki si trattenesse ancora molto tempo consentendo a Shun di rimanere più a lungo possibile da lui. E non le aveva detto neanche perché lo sperava. Non le aveva detto che Shun lo aveva baciato e che lui aveva risposto al bacio. Aveva detto a Shun che non dovevano pensarci. Che era stato un momento di debolezza. Che dovevano pensare alla sua salute. Forse era per questo che Shun dormiva come un bambino. Sorrise. Sin da piccoli avevano sempre dormito insieme. Nonostante Shun fosse l’unico bambino dell’orfanotrofio ad avere un fratello. Poi erano partiti per l’addestramento e, i primi tempi, il freddo della Siberia era stato più forte proprio perché non poteva stringere quel corpicino ancora più piccolo del suo. Tornati da adulti a Luxor, le cose erano troppo cambiate perché potesse crearsi di nuovo quella confidenza. A ognuno di loro Saori aveva dato una stanza e la sua era proprio di fronte a quella di Shun. La mattina presto lo sentiva scendere per il solito giro intorno alla tenuta dei Kido.
Una volta lo aveva sorpreso mentre era ancora sotto la doccia. Shun non se ne era vergognato, invitandolo a restare se ne aveva bisogno, mentre lui aveva dovuto girare la testa dall’altra parte. Dopo l’arrivo di Ikki, Shun era stato molto scosso e lì era ricominciato qualcosa. Il loro legame era riaffiorato. Nello stesso istante in cui Hyoga lo aveva scoperto a piangere di nascosto, era diventato di nuovo il suo rifugio. Di nuovo, col ritorno di Phoenix dalla loro parte, si erano allontanati. Ikki non sopportava che Shun fosse debole e identificava la debolezza di Shun con Hyoga. Faceva di tutto per separarli. Dopo tutte le battaglie e persino l’ ade, c’era riuscito.
Prima aveva instillato in lui il seme della gelosia prospettando un presunto fidanzamento tra Shun e June, poi quando lui aveva ricevuto la visita di Flare al santuario e aveva ceduto alle sue avance, aveva spinto il fratello a trovarli a letto insieme. Risultato : Shun chiese davvero a June di vivere insieme e lui, roso dalla gelosia, lasciò Atene per Asgaard.
Ora eccoli lì. Nel suo letto. Hyoga sorrise. Come un ragazzino alla prima cotta che spia l’oggetto del desiderio nei bagni della scuola.
Shun aprì gli occhi e sorrise a sua volta.
“Buongiorno Crystal, cos’hai da sorridere?”
“Nulla. Ti guardo e mi viene da sorridere”
Shun si sollevò anche lui su un gomito.
“Ti faccio ridere?”
“Non è una cosa brutta Shun!”
“Secondo me si. Chiedi scusa!”
“Non intendo farlo, dovresti essere felice ti portare il buon umore!”
“Ma mi prendi in giro?”
Hyoga rise di gusto al punto che gli angoli degli occhi si fecero umidi. Shun, per la prima volta dopo anni sentì un’emozione che poteva definirsi felicità. La risata cristallina di Hyoga era il suono più bello che avesse mai udito. Finse di essere offeso.
“Sai che ti dico? Che me ne vado. Non voglio essere il buffone di corte!”
Il cigno si fece serio d’improvviso e trattenne l’altro che stava lasciando il letto.
“No Shun, dai ti prego, scherzavo, ti chiedo scusa! Non andartene!”
Lo voltò e vide che Shun a stento tratteneva le risa.
“Che faccia hai fatto Crystal! Impagabile!” e fu il suo turno dal ridere.
A Hyoga sembrò che il proprio cuore stesse per scoppiare. Come faceva ad essere così bello? Con i capelli arruffati e la bocca ancora impastata per il sonno.
“Ma bravo!”
“Dai Crystal, e poi chi di spada ferisce...”
“Te la do io la spada!” disse prendendo a fargli il solletico.
Shun gridò e prese a divincolarsi. Crystal lo sentiva ridere e si sentiva in pace col mondo.
D’improvviso avvertì una brezza fredda e il sorriso lo abbandonò.
“Vestiti Shun, copri il braccio e resta in casa.”
Hyoga si infilò una maglia e uscì.
“Vieni fuori cavaliere di Asgaard! Chiunque tu sia!”
“Salve Hyoga, così si saluta un alleato? Salve anche a te cavaliere di Andromeda!”
Crystal si voltò seccato e capì che Shun non gli aveva dato ascolto.
“Porto notizie da Asgaard. Devo comunicarle ad Atena, ma Orion vuole che prima le ascolti tu. Dice che potrebbero interessarti direttamente.”
“Vieni dentro” disse Hyoga indicando la casa.
I tre si sedettero a tavola e Mizar guardò Shun perplesso. Il ragazzo capì e si alzò.
“Forse è meglio che io vada. Porti notizie riservate a Crystal.”
“No Shun! Parla Mizar, non c’è niente che tu non possa rivelare anche alla presenza di Shun.”
Il cavaliere del nord si guardò le mani e parlò.
“D’accordo. Orion ha mandato me perché crede che sia il più diplomatico dei cavalieri di Odino, ma è inutile girarci attorno. Dannazione forse sarebbe stato più adatto Alcor!”
“Taglia corto, non siamo gente da girarci intorno!” disse Hyoga.
“Bene. Artax ha scoperto che Flare ha ricevuto la visita di un generale degli abissi!”
“Stai scherzando?” chiese Crystal incredulo.
“Ebbene sì. Flare non è più la dolce sorellina di Hilda. Il tempo l’ha cambiata. Tu l’hai cambiata. Sta tramando qualcosa. Non sappiamo bene. Artax la controlla di continuo.”
Crystal si sentì morire. L’aveva cambiata? L’aveva ferita così tanto lasciandola? Flare tramava? Artax la controllava? Il mondo era forse impazzito?
“Che c’è?” chiese d’un tratto Mizar intuendo la linea dei suoi pensieri “ Credevi davvero che non ci sarebbero state conseguenze?”
“Sono passati quattordici anni!”
“E allora?”
“Credevo che lei e Artax... che col tempo..”
“Bhé non ha funzionato!” concluse Mizar.
Crystal si prese il volto fra le mani.
Shun gli posò una mano sulla spalla.
Mizar parlò.
“Devo riferire ad Atena.”
“Ti accompagnerò e le chiederò il permesso di tornare ad Asgaard”
Shun senti il suo cuore smettere di battere.
“Non credo che il sia il caso. Orion vuole scoprire che sta succedendo. Se tornassi Flare si insospettirebbe. E poi non sappiamo quale sia l’obbiettivo di Flare.”
“L’obbiettivo? Diamine stiamo parlando di Flare! Non c’è mai stata malvagità in lei!”
Shun si sentiva mancare sempre più ad ogni frase di Crystal.
“E’ cambiata ti dico!”
“Dicevate la stessa cosa di Hilda e invece era succube di Nettuno! Se non fosse stato per Flare nessuno l’avrebbe mai capito e adesso la sua stessa sorella non le concede il beneficio del dubbio?” urlò Hyoga sbattendo un pugno sul tavolo.
Shun chiese scusa e corse fuori dalla casa. Hyoga gli corse dietro.
“Shun, che hai? Scusami se ho urlato.”
“Sarà meglio che io torni a casa mia. Tu hai altro a cui pensare.”
“Shun, ma che idiozie stai dicendo?”
“La verità. E la verità è che devi vestire di nuovo i panni dell’eroe e correre a salvare Flare. Devi lasciare Atene. Di nuovo. Di nuovo io sono solo un peso. Torno a casa mia Hyoga.”
“Shun” fece prendendogli il braccio malato con attenzione “Shun ho sempre sbagliato con chi mi ha amato. Ho sbagliato con te e poi ho sbagliato con Flare. E tutto per la mia incapacità di legarmi alle persone per paura di perderle. Ora però sono qui davanti a te. Io non voglio perderti... ancora. Questi pochi giorni trascorsi qui sono stati i più sereni della mia vita. Lasciami andare a parlare con Saori e tornerò da te. Io torno sempre da te Andromeda. Tu sei la mia metà perfetta, ma Flare... devo sapere.”
Il volto d Shun si addolcì.
“Si hai ragione. E’ che vorrei poterti aiutare e invece sono impotente!”
“No Andromeda, tu sei ferito. Per colpa mia. Devi riguardarti”
Shun annuì e gliela diede vinta. Rientrò in casa per riferire a Mizar che lo avrebbe accompagnato da Atena al grande Tempio.
Andromeda li vide allontanarsi e pensò che in fondo, c’era qualcosa che poteva ancora fare.

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“Vieni avanti Kanon!”
Julian se ne stava seduto sul trono dei sette mari con aria annoiata.
“Eccomi!”
Julian tese una mano e gli indicò di farsi avanti.
“Allora Kanon è giunto il momento per te di andare ad Atene.”
Il cavaliere sussultò. In cuor suo sperava di potersi avvicinare al grande tempio durante una delle sue incursioni da Atlantide, ma non credeva che il momento sarebbe arrivato così presto.
“Non farti illusioni sulla fiducia che nutro in te Kanon. So che se dipendesse solo dalla tua volontà, non mi saresti fedele!” disse Julian sorridendo.
“Maestà...”
“Niente storie Kanon! Ho preso delle precauzioni. Tu non hai fatto la stessa cosa nascondendo l’anfora di Atena nella colonna portante?”
A Kanon non sfuggì una risata e si sentì bruciare i polsi.
“Come vedi, se mi mancherai di rispetto saprò punirti!”
Kanon rise ancora e parlò.
“Maestà ho giurato di servirvi, ma se credete che questi segni che mi avete inciso sui polsi durante la mia prigionia possano servirvi a costringermi, forse non conoscete ancora la mia soglia di sopportazione del dolore!”
Julian rise di gusto.
“Mio caro, con quei segni potrei farti sanguinare e morire, ma so che non servirebbe a niente! Ti informerò tuttavia che sono il risultato di una antica maledizione in uso nel popolo del mare antico. Servono a creare un legame con un'altra persona in modo che tutto quello che prova una, lo provi anche l’altra. Il bruciore che hai provato tu pochi istanti fa, l’ha sentito anche l’altra persona a cui sei stato legato dalla maledizione. Prova ad indovinare chi è?”
Kanon perse il sorriso e Julian se ne rallegrò.
“Sei scaltro. Tuo fratello Saga morirà nell’istante stesso in cui deciderò di liberarmi di te! Quindi bada a non deludermi Kanon dragone del mare!”
Kanon si inginocchiò silenziosamente.
“Molto bene. La lettera che hai consegnato alla sorella di Hilda Polaris conteneva una proposta. In base a quello che mi hai riferito, l’ha accettata. Questo significa che accetta di consegnarci il Ragnarok, un antico artefatto in possesso della famiglia Polaris da generazioni.”
“Il Ragnarok?”
Nettuno annuì.
“La tua prossima missione è raggiungere Atene. Dovrai superare la barriera che Seiya ha elevato intorno al santuario. Nessuno straniero può attraversarla, ma tu sei in tutto identico al cavaliere di Gemini. La barriera non distinguerà il tuo cosmo da quello di tuo fratello”
Kanon cominciava a capire la propria utilità per il signore dei mari.
“Niente da dire in proposito?”
“Nulla signore.”
“Bene. Il tuo compito è trovare lady Pandora che al momento si trova laggiù. Dovrai riferirle che Nettuno è in possesso del Ragnarok e che è disposto a fare uno scambio con lei.”
“Niente altro?”
“Niente altro! Lei capirà.”
Kanon si alzò.
“Posso fare solo una domanda?”
“Certo, mi diverte che tu sia curioso. Voglio vedere fin dove arriva la tua capacità deduttiva Kanon.”
“Se intendete scambiare il Ragnarok con lady Pandora, significa che non siete interessato all’oggetto in se. Però pensate che Pandora lo sia e molto, al punto di allearsi con voi. Cosa però avete intenzione di scambiare con lady Flare? Cosa ha valore per lei?”
“Molto bravo!” disse Julian battendo le mani due volte “C’è solo una cosa che può avere valore per quella donnicciola. E quando a propria volta Pandora avrà ottenuto ciò che desidera, Flare non avrà nessuna difficoltà ad ottenerla! Ora va!”
“Un’ ultima cosa. Chi andrà a prendere il Ragnarok? Visto che io sarò in missione?”
“Questo non ti riguarda. Sei congedato!”
Kanon si inchinò e lasciò la sala del trono maledicendo la sua sorte. Doveva pensare e farlo in fretta o tutto il suo piano sarebbe andato a rotoli.

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Yuna ed Eden sembravano entusiasti all’idea e quando raggiunsero Soma e Kouga all’arena li trovarono a parlare della stessa cosa.
“Saori ha deciso che le Panatenee si chiuderanno con una grande festa!”
“Ma è una notizia sicura?” chiese Soma.
“Sì, sì, me lo ha confermato Saga, cioè il grande Sacerdote Saga!”
“Dicono che premieranno entrambi!” fece Eden rivolgendosi a Kouga.
Era la prima volta che i due ragazzi si ritrovavano dopo il duello.
Kouga sorrise tendendogli la mano e annuì.
Eden la afferrò con decisione e la strinse ricambiando il saluto.
“Mooolto bene!” esclamò Yuna “dimostrate di essere due bravi cavalieri di Atena! Niente rancori tra noi! Siamo una famiglia!”
Ryuho e Ilio li raggiunsero.
“Ragazzi abbiamo delle novità! Lady Saori ha ordinato che nessuno indosserà l’armatura. Vuole abiti eleganti e ci sarà un ballo!”
“Un ballo?” chiese Kouga “Dannazione io non so ballare?”
Soma si schiarì la gola e si inginocchiò davanti a Yuna.
“Madamigella mi farebbe l’onore di accompagnarla al ballo?”
Yuna si fece rossa come un peperone e tutti risero.
Lei gli mollò un calcio e si offese.
“Io andrò al ballo con Eden!”
Il cugino si portò una mano alla fronte.
“Lo sapevo che finiva così!” disse.
“E’ più carino di tutti voi messi insieme!”
“Fai come vuoi strega, lo chiederò a Rea. Lei si che è una femmina!”
“Maledetto!” gridò Yuna cominciando ad inseguire Soma per tutta l’arena.
I ragazzi risero per poi allinearsi tutti davanti a Kiki che stava arrivando a redarguirli.
“Allora cos’è questa confusione?”
“Si parlava della festa” disse Ryuho pensieroso.
“E allora è una cosa per cui essere felici, non litigare!”
“Si maestro, ma siamo preoccupati!”
Kiki guardò i volti dei suoi allievi e si domandò quale fosse il problema.
“Allora? Cosa c’è?”
“Maestro” disse allora Ryuho sempre più preoccupato “è un ballo!”
“Allora?” fece Kiki che stava perdendo la pazienza.
“Non ci sono abbastanza femmine! Dovremo ballare con dei maschi? Non è imbarazzante?”
Kiki scoppiò a ridere di gusto mentre i suoi allievi prendevano sempre più la cosa sul serio.
“Ragazzi siete incredibili giuro! State tranquilli, ci saranno ragazze per tutti! Fidatevi, i vostri maestri ci hanno già pensato!”
Ilio sorrise.
“Il mio maestro ne avrà trovata anche più di una!”
“Ora però agli allenamenti!”
Gli allievi presero posto ma nessuno notò che Kiki allontanò sapientemente Kouga ed Eden spedendoli agli opposti dell’arena.

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Saga diede gli ultimi ordini, si strofinò i polsi che da qualche giorno gli davano una sorta di prurito e sorrise soddisfatto. La festa era stata un’idea di Shaina. Certo la sacerdotessa aveva pensato ad una serata per soli adulti alla taverna della cittadella del santuario. Lui però non vedeva Saori da giorni, anzi dalla notte in cui l’aveva seguita alla nona casa. L’incarnazione di Atena si era chiusa nelle sue stanze senza rivolgergli più una parola. L’idea della festa gli era sembrata ottima. Se Saori voleva più spazio come donna, quale donna non avrebbe amato una festa. Soprattutto una festa in cui fosse proibito indossare armature e necessario l’abito scuro! Per una notte il santuario sarebbe stato come villa Kido. Saga era disposto anche ad invitare Seiya.
Così aveva ordinato ad Aprhodite di riempire di rose la tredicesima casa, a Shaka di allestire di drappeggi orientali le arcate del tempio, a Mur di ordinare un maestoso rinfresco. Aveva fatto scegliere i vini a Milo, i dolci a Death e il rinfresco a Camus. Ogni cosa era stata curata nei minimi dettagli. Marine era stata incaricata di scegliere un abito per Saori. Si era premunito di invitare anche lady Pandora. Sarebbe stato tutto perfetto.
Saori era talmente arrabbiata che si era accorta del trambusto quando quasi tutto era pronto. A dirglielo era stato Kouga. Saga lo aveva mandato a consegnarle l’abito chiuso in un grande pacco.
“Una festa?”
“Sì. Saga dice che io ed Eden siamo gli ospiti d’onore e che tu non puoi mancare. E poi ci sarà un ballo!”
“Un ballo?” chiese Atena perplessa “Un ballo al santuario?”
Kouga annuì.
Saori prese il pacco.
“Grazie Kouga, sono in meditazione. Di al grande sacerdote che ci penserò!”
La faccia di Kouga si fece triste e lei gli prese una mano.
“Verrò non temere, ma tu di a Saga che non ne sono sicura! Credo che abbia montato tutta questa storia perché sa che sono arrabbiata con lui!”
“E perché sei arrabbiata con lui?”
Saori arrossì.
“Tutto bene Saori?”
“Sì” si affrettò a dire lei “lo sai com’è fatto Saga. Mi sorveglia e la cosa non sempre è piacevole!”
“Non dirlo a me! Shaina mi fa venire l’angoscia!”
“Allora faremo fare loro coppia fissa alla festa! Così ci divertiremo un po’ alle loro spalle!”
Kouga rise e poi si fece serio.
“Mhh... non so se Shaina sa ballare!”
Saori rise di gusto, poi aggiunse.
“Forse , ma di sicuro saprà come far ballare Saga!”
Le risate di Kouga e Saori riempirono i corridoi del santuario ancora un po’ e, ad ascoltarle,  Saga sentì il proprio cuore un po’ più leggero.
Si voltò e prese la via per le sue stanze. Voleva cambiarsi ed arrivare per primo. Ripassò prima per il salone per accertarsi che anche gli ultimi ritocchi fossero terminati ma vide due figure che erano state fermate all’ingresso.
Riconobbe Hyoga ma non l’altro uomo.
Li raggiunse che ancora parlavano con il personale di servizio.
“Siamo spiacenti cavaliere del cigno ma stasera ci sarà una grande festa e Atena non può ricevere nessuno.”
“E’ importante!” fece Crystal ma si fermò nel vedere arrivare il grande sacerdote.
“Hyoga che succede. Chi è costui? Un cavaliere del nord che arriva non annunciato?” chiese avendone percepito subito il cosmo.
“E’ un cavaliere di Odino. Il suo nome è Mizar ed è giunto qui come messaggero.”
“Lieto di conoscere di persona un rappresentante di una così nobile casta. Tuttavia dovete perdonare i nostri modi. Siete giunto al santuario il giorno in cui festeggiamo la chiusura delle sacre Panatenee. Atena ha dato udienza qualche giorno fa e fino alla prossima luna nuova non riceverà più nessuno.”
“Saga si tratta di una cosa importante” riprese Crystal “Non saremmo qui, altrimenti. Non avrebbe fatto tanta strada in incognito.”
“Incognito?” chiese Saga il cui sguardo si era fatto preoccupato.
Mizar annuì e per la prima volta parlò.
“Il dio dei mari si è mosso”
Quelle poche parole tolsero a Saga tutto il buon umore che le risate di Saori e Kouga gli avevano conferito. In un istante tutta la sua mente prese a vorticare intorno a quelle parole e a ciò che comportavano.
Nettuno si era rifugiato ad Atlantide con tutti i suoi cavalieri durante la guerra tra Atena e Marte. Svanito sotto la coltre del mare. Adesso perché metteva di nuovo fuori il naso da lì? Prese un respiro e parlò.
“Nobile Mizar, se siete giunto in incognito, allora trovo più opportuno che incontriate Atena in modo riservato ma non ufficiale. Vi invito pertanto a partecipare alla festa di stasera. Troverò il modo per farvi comunicare ad Atena il vostro messaggio. Vi aspetto qui stasera. Ora andate.”
Crystal lo ringraziò con un cenno del capo e i tre si salutarono prendendo direzioni diverse.

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Syria sollevò lo sguardo.
Il castello di Asgaard troneggiava sulla scogliera. Il cavaliere si chiese se obbedire sempre e ciecamente fosse più disonorevole che disobbedire al proprio dio. Tuttavia il compito di un cavaliere che ha giurato fedeltà è quello di eseguire gli ordini, non giudicarli. Eppure aveva visto con i suoi occhi i cavalieri di Atena disobbedire al volere degli dei e combattere nel nome della giustizia soltanto. Aveva udito con le sue orecchie il canto di Atena, il suo cosmo gentile che non aveva bisogno di ordinare.
Un tempo anche la principessa Flare era stata una creatura gentile. Ora invece voleva solo vendetta e Nettuno era pronto a concedergliela.
Era certo che assecondare il desiderio della fanciulla non avrebbe portato di nuovo Julian nella direzione sbagliata? Stava di nuovo giudicando.
Raggiunse l’ala nord del castello e s’accorse subito di lui. Lo conosceva. Era Artax, la seconda stella dell’Orsa Maggiore.
Non indossava la sua armatura e sembrava passeggiare distrattamente nel giardino innevato. Syria sapeva bene però che vigilava sulla donna che amava. Azzerò il proprio cosmo e raggiunse le sale di Flare. La donna sedeva davanti al camino.
“Io ti conosco generale degli abissi. Tu sei Syria. Durante la guerra hai condotto alla pazzia Orion.”
“Con esattezza il nobile Orion ha sacrificato se stesso per vincermi, principessa.”
“Fa differenza? Alla fine vissero tutti felici e contenti. Tranne me.”
“Sono qui per il Ragnarok.”
“Bene. Seguimi.”
Flare si alzò e raggiunse una parete interamente coperta da un arazzo sulla quale era raffigurata una raggiante Valkyria. Flare sollevò di poco la tela e fece leva su un mattoncino. Oltrepassò l’arazzo infilandosi in uno stretto corridoio. Sirya la seguì. Il corridoio terminava in un’ampia sala circolare che al centro disponeva di una scala a chiocciola che sembrava scendere di parecchi piani. Flare fece attenzione che non ci fosse nessuno e indicò la via al generale degli abissi. In fondo alla scala una sala circolare gemella della prima ospitava un’alta e maestosa porta. Sulle due ante che si allungavano in un arco a tutto sesto, erano raffigurate le gesta di Odino poeta, mago, viaggiatore, musico e soprattutto guerriero. Dinanzi alla porta Flare pronunciò sottovoce una sorta di incantesimo e la porta scattò.
La donna entrò per prima e Syria rimase sconcertato dal colore dell’oro che riempiva la stanza. Non avrebbe mai creduto che il popolo di Asgaard possedesse tali innumerevoli ricchezze. Flare immaginò i suoi pensieri.
“Non devi meravigliarti di queste ricchezze anche se credo che tu ti stia domandando soprattutto perché un popolo tanto fortunato si accontenti di vivere in modo modesto. Ebbene sappi che è compito della sacerdotessa di Odino amministrare il tesoro del dio. Non può usarlo a proprio piacimento. Il popolo, nei freddi inverni muore di fame, ma Hilda non toccherebbe mai un solo gioiello di questo tesoro! Sostiene che il dio ci punirebbe!”
“Una saggia regina conosce il volere del proprio dio e mi chiedo come mai, se sai di queste storie, tu ora ti appresti a sottrarre un oggetto magico e potente rischiando che il tuo dio si incollerisca!”
Flare rise e, nella stanza, la sua risata amara prese un tono spettrale.
“Io non credo più in niente, generale! E di certo non temo la collera di Odino. Cosa potrebbe togliermi di cui non sia già stata privata? Forse pensi alla mia vita? Sarebbe meglio morire che vivere altri cento anni in questo modo!” concluse raggiungendo un altare su cui erano alcuni oggetti particolari.
Una corona, un corno di osso impreziosito da preziose gemme, un ciondolo e un globo di pietra colore dell’ambra.
La fanciulla prese il globo e se lo rigirò tra e mani.
“Questo oggetto è ciò che cerchi. Il Ragnarok. Sai cos’è il Ragnarok generale?”
Syria annuì.
“E’ il giorno della battaglia finale in cui gli eserciti degli dei si scontreranno e il mondo come è fatto, scomparirà per dare vita ad un nuovo corso.”
“Molto bravo! Ma ciò è già successo. Molte volte. Ogni volta che il mondo si azzera e rinasce, una parte della magia che si consuma finisce assorbita dal Ragnarok” disse sollevando la pietra “al punto che essa è in grado di conservare la memoria di tutti i mondi che furono. Si potrebbe dire che questa pietra conosce la storia degli universi. Ma ha un potere più grande. Alcuni spiriti sono talmente forti che sono destinati a reincarnarsi, come gli dei che scelgono un uomo per tornare nel tempo in cui sono destinati a farlo. Odino consegnò il Ragnarok alla sua Valkyria più fedele, Hnos la bella, la quale aveva il compito di ritrovare le reincarnazioni dei guerrieri più forti che avevano combattuto le battaglie dell’epoca del mito per ricondurli nel Valhalla al servizio di Odino. Triste era il destino dei prescelti in quanto essi erano destinati a perire in battaglia per poter ascendere alle aule del dio. A Hnos era sufficiente sussurrare il nome del guerriero al Ragnarok perché il suo destino si compisse” disse portandosi la sfera alle labbra.
“Fermatevi! E’ questo ciò che volete fare? Condannare un cavaliere a diventare un Berserker?”
“Io non sono Hnos. Hilda ha il potere di attivare il Ragnarok! Forse Nettuno può farlo. Non io. Io però posso sussurrare il nome! Così quando il globo verrà attivato da un potente incantesimo, io avrò la mia vendetta! Hyoga dimenticherà tutto ciò che gli è caro e tornerà qui. Ascolta questo nome Ragnarok e non dimenticarlo mai più: Hyoga della costellazione del Cigno!”
Syria chiuse gli occhi.
“Ora prendilo e sparisci!” disse mettendogli la sfera fra le mani e prendendo la strada per tornare nelle sue stanze.
Il cavaliere guardò la sfera. Non sembrava un potente artefatto. Ad ogni modo lo nascose sotto il mantello e uscì. Flare non gli rivolse più la parola. Lo accompagnò fino alla scogliera e poi tornò nelle sue stanze.
Syria sollevò il suo flauto per aprirsi una via per Atlantide lungo i flutti che si infrangevano contro la costa quando avverti un potente cosmo. Si voltò appena in tempo per evitare una sfera di ghiaccio e, subito dopo, una di fuoco.
“Restituiscimi quell’oggetto!”
La voce era quella di Artax.
“Davvero vuoi combattere con me, Artax di Sleipnir?”
“Non sarà necessario se restituirai ciò che hai sottratto a Flare!”
“Non ho rubato nulla alla principessa. Ciò che porto, mi è stato consegnato da lei.”
“Tu menti!”
“Sai che è la verità cavaliere! Tu, meglio di chiunque, altro lo sai!”
“Non ha importanza. Flare non sarà una traditrice! Non finché sarò vivo!”
“Allora sei destinato a morire poiché lei ha già tradito!”
Artax fu avvolto dal fuoco della sua stella. I suoi occhi erano vuoti e comunque bruciavano. Il cuore di Syria fu colto da un profondo senso di tristezza. Lui conosceva bene il sentimento che si porta dentro un uomo che ama senza essere ricambiato.
“Se mi attaccherai, ti colpirò Artax! Non ti restituirò il Ragnarok. Asgaard l’ha perduto. Come ha perduto l’innocenza della sua principessa. Se mi attacchi, ti colpirò. Le tue ferite saranno, se lo vorrai, la prova che è stata costretta ad obbedire ad un ordine perché ti fosse data salva la vita. Se una dolce bugia è in grado di alleviare il dolore che provoca la verità al tuo cuore e a quello di chi ama Flare, attaccami!”
Artax strinse i pugni sorridendo.
“Caldo soffio del meriggio!” urlò facendo esplodere il proprio cosmo.
“Dolce melodia di requiem” rispose Syria scatenando le sirene di Atlantide contro il cavaliere del nord.
Syria si fermò un attimo a guardare il corpo riverso nella neve che, lentamente, si colorava di rosso. Una lacrima gli cadde sul viso. I flutti si aprirono e discese negli abissi.

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Capitolo 9
*** La vita salvata da Poseidone - parte terza ***


Note dell'autrice: Perdono perdono perdono!!! La febbre mi ha tenuta lontano da pc e tablet!!!
Mal di testa allucinanti. Comunque con questa terza parte, questo lunghissimo capitolo è finito!!! Gloria.
Vi lascio alla lettura che è cosa buona e giusta e vi ringrazio per la pazienza nell'attesa. Signore e signori benvenuti alla festa!!!
 

La vita salvata da Poseidone (parte terza)
 
Saori si sistemò i capelli un’ultima volta. Era nervosa. Si guardò allo specchio. L’abito blu che Saga le aveva fatto portare era davvero bello e, per quanto avesse una scollatura davvero troppo profonda, la mantella che era nel pacco serviva al duplice scopo di nascondere quella e la ferita alla spalla.
Era bella. Che aveva da temere o sentirsi ansiosa?
Si sedette per infilare le scarpe quando cominciò la musica nella sala e le prime voci e risate riempirono l’aria.
Una voce la fece trasalire.
“Non sei ancora pronta?”
Saori si voltò e lo vide. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Seiya era in piedi appoggiato allo stipite dell’ampia finestra in marmo bianco. Mani in tasca, con il peso del corpo poggiato su un piede. Tipica postura da Seiya se non fosse stato che al posto dei jeans sdruciti e della maglietta rossa, portava un completo nero e una camicia bianchissima.
“Non guardarmi così. E’ quanto di meglio sia stato in grado di fare con la cravatta!” disse indicando il nodo leggermente sciolto della striscia di seta nera che portava al collo “Confesso: il nodo lo aveva fatto Saga, ma non lo sopportavo e l’ho allentato. Quel bottone alla gola era più fastidioso della spada di Hades nel cuore!”
L’espressione di Saori si fece scura. Lui capì all’istante e camminò verso di lei. Si inginocchiò, le prese uno dei piedi piccoli e sottili, e le infilò la scarpa color argento che era vicino al baldacchino del letto.
“Scusa, sono sempre inopportuno!”
Lei si lasciò infilare anche l’altra scarpa e gli prese le mani per alzarsi.
“Stai benissimo così! Lascia pure che Saga si stringa il nodo della sua cravatta quanto vuole!” disse con una punta di sarcasmo nella voce.
“Sei ancora arrabbiata vedo!”
“Tu no?”
“Ehi che vuoi da me? Io ho cercato di ammazzarlo in diverse occasioni e, in un paio di volte, ci sono anche riuscito! Tu però lo riporti sempre indietro!”
Saori rise e Seiya si perse nei suoi occhi.
“Andiamo Milady!” disse porgendogli il braccio.
Lei vi si appoggiò e senti il calore della sua pelle sotto la stoffa dei suoi abiti.
“Qualcosa non va Saori?”
“Al contrario!” disse lei “Mi sembra così strano stare così”
“Ringrazia Saga allora. Ha organizzato tutto lui! Compreso il mio invito e il mio abito!”
I due si incamminarono nel corridoio coperto da un infinito tappeto rosso che conduceva alla sala principale del tempio.
L’ampio salone riluceva a giorno. La musica dei violini invitava alle danze. Gli ospiti erano tutti elegantissimi. I calici di champagne venivano continuamente riempiti.
Saori riconobbe subito la chioma rossa di Kouga e strinse un po’ di più il braccio di Seiya che capì senza bisogno di parole cosa Saori volesse dirgli.
Kouga sorrideva allegro anche lui disinvolto nel suo abito nero. Al suo fianco Yuna, splendida in un abito verde acqua e Soma anch’egli in nero. Poco più in là c’erano Eden in abito blu e Ryhuo che indossava un abito cinese che Seiya avrebbe giurato aveva visto tanto tempo prima indosso a Shiryu. Sorrise.
Vicino ai ragazzi c’erano Ioria, Marin e Shaina che portava un abito davvero troppo stretto. Seiya pensò che era bellissima. In quello stesso istante senti il braccio di Saori lasciarlo.
“Saori, dove vai?”
“Io, non credo di voler entrare. Dovresti andare senza di me.”
“Ma cosa stai dicendo?”
“Davvero Seiya, io non me la sento”
“Si può sapere qual è il problema? Sono i nostri amici. Non c’è nessuno che tu non conosca. Che succede? Non ti senti bene?”
Saori si guardò le scarpe. Lui le prese una mano.
“Che c’è?”
“Niente!” fece lei alzando un po’ la voce e ritirando la mano. Se la stringeva con l’altra come per impedirle di tremare.
“D’accordo andiamo via” disse lui sospirando e riprendendo la via per la grande statua di Atena.
“Aspetta. Tu puoi andare lo stesso. Davvero”
Seiya si voltò di scatto.
“Credi che mi sia conciato in questo modo per loro? L’ho fatto perché per una sera speravo che avremmo potuto essere due persone normali che partecipano ad una festa! Volevo che fossimo due persone normali!”
“Lo so!” disse lei agitandosi “E’ per questo che ho paura!”
L’espressione di Seiya si addolcì.
“Paura di cosa?”
“Di essere normale. Guarda Seiya” disse indicando la sala “Nessuna di loro sembra ciò che è di solito. June, Marin, persino Shaina! Sono tutte bellissime. Io invece, se non sono Atena, cosa sono? Non sono come loro. Guarda i miei capelli! Stasera sembro insignificante! E questa maledetta ferita! Non posso neanche scoprire le spalle!”
Seiya la tirò oltre la porta perché nessuno li vedesse e l’abbracciò sussurrandole all’orecchio.
“Insignificante tu? Saori sei davvero incredibile? Se volevi che ti dicessi che sei bellissima bastava chiederlo!”
“Shaina è bellissima” disse lei sottovoce respirando l’odore del suo petto.
“Scorretta!” disse lui alludendo al suo potere di intuire i pensieri del cavaliere.
“Lo pensi”
“Sì lo penso”
Lei fece per ritrarsi, lui la strinse di più.
“Lei è bellissima, ma non è lei che sto cercando di convincere a ballare con me stasera, ammesso che sappia farlo.”
Saori lo guardò negli occhi.
“Prima o poi io non sarò che un mostro e allora tu...”
“Allora io ti dirò che sei bellissima. Ora non ne hai bisogno! Adesso, non farmi supplicare, andiamo. Ho una fame da lupi!”
Lei gli riprese il braccio e fecero il loro ingresso in sala.
Tutti si voltarono a guardarli. Saga in particolare. Aveva fatto in modo che avessero il loro momento di normalità. Eppure sentiva un senso di vuoto ogni volta che posava lo sguardo alle loro braccia unite. Ripensò al bacio che aveva dato a Saori e sentì, nel profondo del suo cuore, che il sentimento di cui aveva cercato di fare a meno da quando era diventato cavaliere, ora lo possedeva completamente.
Dimenticò quella sensazione e si avvicinò a loro.
“Posso avere l’onore di aprire le danze con voi mia signora?”
Saori annuì e Seiya la lasciò andare. La musica partì e presto altre coppie si unirono loro.
“Ho saputo che devo ringraziare te per tutto questo.”
Saga sorrise.
“Non sono bravo a chiedere scusa. Ho pensato che un gesto valesse più di mille parole.”
“Infatti. Comunque sono stata particolarmente dura in questi giorni con te. Ho sbagliato. Avrei dovuto comunque riceverti per gli adempimenti del santuario.”
“Preferisco che non l’abbiate fatto allora. Mi sarebbe dispiaciuto essere trattato con freddezza.”
“Saga, so che tieni a me.”
Saga avrebbe voluto dirle che non sapeva niente. Che non sapeva quanto si fosse innamorato di lei. Preferì cambiare completamente discorso.
“Mizar di Asgaard è qui stasera.”
“Mizar? Come mai? E’ successo qualcosa ad Hilda?”
“Continuate a ballare. Pare che Nettuno stia combinando qualcosa da quelle parti.”
Saori perse un passo. Saga la sostenne e riprese la danza.
Seiya, che continuava a fissare la coppia, se ne accorse e fece per raggiungerla. Una mano lo trattenne.
“Lascia a Saga il suo momento di gloria! E’ solo inciampata. Non riesci proprio a farne a meno, vero?”
La voce di Shaina lo raggiunse alle spalle. Si voltò. Era davvero bella in un abito stretto color glicine che le lasciava scoperta tutta la schiena.
“No, credo di no. E’ come se il mio corpo si muovesse da solo.”
La sacerdotessa sorrise poi, come per vendicarsi di quella frase tirata a bruciapelo parlò scherzando.
“Fanno una bella coppia comunque!”
Seiya si voltò a guardarli ballare.
“Capisco perché lo dici. Lui è elegante ed altero. Sta bene accanto a lei che è così raffinata giusto?”
Lei sorrise come a volergli chiedere come mai, se conosceva la verità, insisteva in quel gioco.
“Sì, sembrano fatti l’uno per l’altra! Tu sei un passionale, un distratto, un ragazzo di strada. Non potresti essere meno adatto a lei!”
“Io non so spiegare Shaina. Per anni ho finto di odiarla. Ma, nel profondo, so che sono nato per lei.”
“No, ti prego. Non attaccare questa solfa con me!” disse lasciandogli il flute di champagne in mano e raggiungendo Saga.
“Ti prego, concedimi il prossimo ballo o mi verrà voglia di uccidere qualcuno stasera!”
Saori gli lasciò la mano e sorrise a Shaina. Mentre la sacerdotessa allontanava il grande sacerdote, Saori sentì le mani di Seiya scivolarle sui fianchi.
“Allora questo ballo è mio!”
La musica parve scomparire e tutti, nella sala, non poterono fare a meno di notare che la coppia, anche non guardandosi negli occhi, si muoveva con una sincronia che non sembrava umana.
“Saga mi ha detto che insieme a Hyoga c’è Mizar” disse Saori.
“Come mai è qui?” chiese il cavaliere.
“Nettuno...”
L’espressione di Seiya si fece cupa.
“Non fare quella faccia. Aspettiamo di sentire ciò che Mizar ha da dire.”
Seiya la strinse un po’ di più e, ballando, la portò fuori dalla sala sotto le stelle.
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Kanon giunse all’Acropoli di Atene che era notte fonda. Non era da tutti sapere che, nascosta agli occhi dei turisti, in una sorta di landa incantata, un’altra acropoli, ben più importante ed imponente, viveva di vita propria come sospesa nel tempo.
Quando fu in prossimità della linea di confine tra l’acropoli e il santuario si fermò.
Sapeva che il cavaliere di Sagitter aveva protetto il tempio con una sorta di artefatto che impediva agli estranei di accedervi. Prese un respiro e sperò che, per una volta, Nettuno avesse ragione. Attraversò la barriera e percepì il cosmo di Seiya forte e impetuoso.
La barriera fortunatamente non restituì il favore e si ingannò sul suo conto. Pensò di trovarsi di fronte il cavaliere di Gemini e non il Dragone del mare.
Si era preparato una sorta di storia di come il cavaliere dei gemelli la notte se ne andasse da solo a zonzo se avesse incontrato qualcuno, ma le vie erano deserte. Solo le luci del santuario erano accese. Sembrava ci fosse una grande festa al palazzo. Ringraziò la dea fortuna e decise che era il momento era propizio per raggiungere la biblioteca del grande tempio. Magari in abito scuro! Lì forse avrebbe trovato le informazioni che cercava.
Si guardò i polsi e proseguì.
Come si aspettava, anche la biblioteca era deserta. Si diresse verso l’ala dei libri che narravano dell’epoca del mito.
Trovò subito quelli che gli servivano. Ne prese uno che si intitolava ‘Codex Regius’.
Accese una candela e andò alla pagina riguardante la fine del mondo.
“...verrà il giorno dell’ardente scontro degli dei ed esso sarà chiamato Ragnarok poiché sarà contemporaneamente la fine e l’inizio di tutte le cose... è detto l’occhio del mondo poiché ha veduto l’età dell’oro, quella d’argento, quella di bronzo e quella degli eroi... possiede diversi poteri tra cui quello di richiamare le anime dei guerrieri che hanno combattuto nella precedente battaglia finale affinché combattano al servizio degli dei nella prossima... esso può richiamare uno spirito da qualunque dimensione in questa consentendogli di possedere un corpo... ha il potere di trasformare un guerriero in un berserker...”
Kanon chiuse il libro. Si era fatto un idea del perché quell’oggetto poteva interessare a Pandora. Tuttavia perché Nettuno aveva bisogno che Pandora avesse quell’oggetto? Cosa Pandora avrebbe pagato per entrarne in possesso. Sentì un rumore e spense la candela.
Azzerò il suo cosmo prima di riconoscere proprio la donna che era venuta a cercare nel profilo della persona che era entrata nella biblioteca.
Aveva un fare circospetto e chiuse la porta subito dietro un’altra figura.
“Tra tutte le persone che mi sarei aspettata potessero chiedermi di parlar loro in privato, tu Shun sei l’ultimo.”
“Ti devo chiedere un altro favore Pandora e, se possibile, questo è più delicato dell’altro.”
La donna lo guardò fisso negli occhi.
“Di cosa hai bisogno?”
“Vorrei che tu vedessi nel futuro di Crystal”
Dal suo nascondiglio Kanon sgranò gli occhi. Possibile che i cavalieri di Atena sapessero già che Nettuno macchinava qualcosa o il cavaliere di Andromeda era semplicemente preoccupato della sorte del suo compagno?
“Nel futuro di Crystal? E perché?” chiese la donna.
“So che la divinazione ti stanca. Non te lo chiederei se non fosse importante.”
Pandora chiuse gli occhi e fece un respiro. Anche se odiava vedere il futuro, avrebbe assecondato volentieri ogni richiesta di Shun. Anche se sapeva che Ikki non tollerava quel legame speciale che c’era fra Shun e Hyoga, lei sapeva bene che l’amore a volte prende strane vie. Richiamò la visione e cercò di pensare a Crystal. Normalmente bastava questo. Pensare ad una persona, richiamare un ricordo per poi venire sbalzata nel suo futuro prossimo o remoto. Nel caso di Crystal cercò un ricordo che potesse collegarlo a Shun. La vista le si appannò e, al posto di un preoccupato Shun vide una bianca distesa di neve.
Si trattava di Asgaard perché sullo sfondo troneggiava la statua di Odino. Crystal combatteva contro un uomo da un occhio solo e poi tutto diventava confuso. L’uomo con un occhio solo spariva e al suo posto una bestia enorme ingoiava tutta la neve e veniva controllata da un paio di catene come fossero fili di una marionetta. La bestia sembrava avere la meglio su Crystal ma, all’improvviso, al posto del cavaliere del cigno c’era il cavaliere di Pegaso e al posto delle catene era Eden a controllare la bestia e lo scontro causava la morte di Atena.
Pandora barcollò paurosamente e Shun corse ad afferrarla perché non cadesse.
“Pandora! Cosa hai visto?”
“Un uomo con un occhio solo. Crystal si trovava ad Asgaard e doveva lottare contro una bestia gigantesca. Un pericolo, un pericolo mortale” disse respirando a fatica.
“Pandora stai bene?”
La donna annuì.
“Shun, perché mi hai chiesto di Crystal? Sta succedendo qualcosa?”
Shun scosse il capo.
“Non temere. Hai visto Mizar? Volevo solo capire se Hyoga dovrà essere coinvolto di nuovo negli affari di Asgaard. A quanto pare è così!”
“Le mie visioni sono instabili. Possono cambiare se un evento nella linea temporale cambia. Non è detto che Crystal sia realmente in pericolo!” disse tacendo la seconda parte della visione che in realtà lei aveva già visto in un contesto diverso.  
“Sì certo. Pandora” disse aiutandola a rialzarsi “Grazie. Ti ho trattata molto male da quando sei arrivata ad Atene ma tu hai rispettato il mio segreto e mi hai sempre assecondato.”
“Anche se la cosa ti sembrerà strana, per me tu sei importante. Sei il fratello di Ikki, lo zio di Eden e, nel mio cuore, sei mio fratello. Almeno quello che avrei voluto avere.”
Shun si sentì di nuovo a disagio e aprì la porta della sala.
“Torniamo alla festa. Ikki si starà chiedendo che fine hai fatto!” concluse cercando di sorridere.
Quando la porta si richiuse, Kanon uscì dal suo nascondiglio. Se Pandora aveva visto Crystal lottare ad Asgaard con una bestia cosa poteva significare? E l’uomo da un occhio solo chi poteva essere? Non c’erano orbi tra i cavalieri di Asgaard. Camminava verso l’uscita quando ebbe una folgorazione e tornò sui suoi passi.
Si avvicinò ai libri delle leggende sulla nascita delle civiltà greche e prese un libro dalla copertina rossa. Era un annale del grande tempio. Un libro molto antico.
“... quando la battaglia contro Crono fu vinta, Zeus e i suoi due fratelli Poseidone e Hades, decisero di spartirsi il mondo. Zeus, che desiderava ottenere il controllo dei cieli, convinse Poseidone a tessere un inganno ad Hades affinché a quest’ultimo toccassero in sorte gli inferi. Hades li scopri ma non potette vendicarsi del tranello poiché Zeus possedeva la folgore e non poteva essere sconfitto. Tuttavia ripagò Poseidone della stessa moneta e propose una scommessa al dio dei mari. Se avesse vinto gli avrebbe consegnato l’isola di Creta che il dio dei mari bramava ma che apparteneva ad Hades in quanto ricca di pietre preziose e fossili di cui il dio era padrone, se avesse perso Poseidone avrebbe dovuto cedergli il controllo di uno dei suoi più fedeli servitori, potente come nessuno in quanto titano. Poseidone era sicurò di sé ed accettò, perdendo miseramente la disputa truccata...”
Kanon chiuse il libro. Non doveva andare oltre. Cominciava a capirci qualcosa. Quello però di cui era certo, adesso, era che stavano per scatenarsi forze terribili e che doveva fare la sua parte al più presto.
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Syria entrò nella sala del trono e salutò il dio Nettuno.
“Ce l’hai?”
“Sì mio signore.”
“Bene. Non indugiare. Kanon ti attende ad Atene. A quest’ora avrà già trovato lady Pandora. Raggiungilo al Pireo. A te non è consentito accedere al grande tempio, ma Kanon ha libero accesso. Quando gli consegnerai il Ragnarok ricordagli i segni sui polsi!”
“Mio signore”
“Dimmi Syria”
“Lady Flare è stata arrestata. E’ accusata di alto tradimento.”
“La cosa non ci riguarda”
“Potrebbe portare una guerra tra Atlantide e Asgaard”
Julian rise.
“Mio caro Syria credi che la celebrante di Odino sia stupida? I suoi cavalieri non sono all’altezza dei generali di Nettuno. E poi sa che potrei spazzare via Asggard con un solo maremoto! Non essere ridicolo Syria!”
“Potrebbe chiedere aiuto ad Atena!”
“Davvero? Se Saori vuole chiedermi il perché io abbia accettato un dono dalla principessa Flare è libera di farlo!”
Il cavaliere fece un cenno del capo e lasciò la stanza. Si sentiva solo. Sapeva che nel suo cuore già si combatteva una battaglia da molto tempo. Da una parte l’amore per l’uomo, dall’altra l’obbedienza per il dio. Quella battaglia aveva già un vincitore. Syria avrebbe voluto che Atlantide non fosse mai rinata. Avrebbe passato il resto della sua vita ad accompagnare Julian Solo alle feste in giro per il mondo. Sospirò e prese la via per la sua colonna. Solo una breve pausa e poi avrebbe raggiunto Kanon.
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La stanza era immersa nel silenzio. Le gravi parole di Mizar avevano scosso tutti.
Saori, seduta su una poltrona, teneva le mani strette all’abito.
“Perdonami Mizar se te lo chiedo di nuovo. Stiamo parlando di Flare?”
Mizar annuì.
Seiya andava avanti ed indietro rendendo nervosi Saga e Hyoga che sbottò.
“Seiya ora basta!”
“Lo so, lo so, scusatemi. E’ che non riesco a credere che Flare possa essere in combutta con Nettuno!”
Saga aprì gli occhi.
“Quale cavaliere è stato mandato dal dio? L’avete riconosciuto?”
“Che importanza può avere?” sbottò Crystal.
“L’ha per me. Non potrebbe essere un semplice corteggiatore della principessa?”
“Se si tratta di corteggiamento, allora la corteggia il dio dei mari in persona! Il generale si è limitato sempre e solo a consegnare lettere!”
“Sciocchezze!” disse Seiya grattandosi la testa “Quello ha voluto sempre e solo una donna!”
Saori tossì.
“L’avete riconosciuto o no?” riprese Saga.
Mizar scosse il capo.
“Non ci siamo mai scontrati con loro e non li conosciamo. Di certo non era Syria, l’unico di cui Artax già sapeva per via dei racconti di Orion.”
“L’unico di cui Nettuno si fidi, strano!” disse Hyoga.
“Ad ogni modo Mizar, ringrazia Hilda per l’avviso e riferiscile che può contare sulla nostra alleanza. Se Nettuno attacca Asgaard, noi vi aiuteremo a difenderla.”
“In realtà, milady, Orion si chiedeva se Hyoga non potesse tornare per qualche tempo ad Asgaard per parlare con Flare. Forse lui potrebbe convincerla a dire la verità.”
“Se Hyoga lo desidera, non ho nulla da obiettare” rispose Saori.
“Certo che andrò!” aggiunse il cavaliere del cigno lasciando la stanza come in preda ad una rabbia che non poteva riversare contro i presenti.
Uscendo dalla sala da ballo urtò Shun che vi rientrava e quasi lo fece cadere.
“Andromeda!” esclamò afferrandolo per un braccio “Fa attenzione! Ti ho fatto male?”
Shun sorrise.
“No, sto bene. Ma tu dove stai andando la festa è appena iniziata!”
“Fa caldo lì dentro!” disse il cavaliere del cigno e solo allora si accorse del completo bianco che fasciava il corpo di Shun. La camicia verde acqua era sbottonata e priva di cravatta. Affascinato dalla delicata bellezza di Shun, per un attimo dimenticò tutto quello che era successo e non sentì il cavaliere di Andromeda parlare.
“Vuoi uscire?”
“Cosa?” chiese il cigno.
“Vuoi uscire? Vuoi andare a prendere un po’ d’aria?”
“Sì, grazie”
I due si incamminarono verso la scalinata che conduceva alla casa dei pesci. Ormai era sgombra dalle rose velenose di Aphrodite e alcuni fiori crescevano solo sui lati del percorso come volessero ricordare ai viandanti che il potere venefico del custode della dodicesima casa poteva sempre essere usato contro i nemici di Atena. Shun si passò una mano sul cuore.
“Pensa che queste rose sono tanto belle quanto mortali!” disse più per spezzare lo strano silenzio che s’era creato tra loro che per introdurre il vero argomento di discussione.
“Ogni cosa bella cela un lato oscuro. Per questo si dice che non c’è rosa senza spine!” rispose con ironia Hyoga pensando a Flare.
“Pensi a Flare?”
Hyoga annuì.
“Hai preso una decisione?”
“Sì”
“Partirai” disse Shun fermamente.
“Tornerò”
“Non è quello che ti ho chiesto!”
“Andromeda...”
“Non dire niente. Si tratta di Flare. Lo capisco.”
Hyoga stava mentalmente ripassando il suo discorso. Avrebbe voluto dirgli che era suo dovere, che aveva degli obblighi, che sarebbe presto tornato e che non lo avrebbe più lasciato. Poi lo guardò dritto negli occhi e capì. Solo parole. Per Shun sarebbero state solo parole come quelle che gli aveva ripetuto centinaia di volte suo fratello Ikki. Ripensò a quello che Phoenix gli aveva detto la prima sera che era tornato al santuario. Dopo tutti gli anni passati, ancora non aveva capito niente e avrebbe deluso di nuovo suo fratello. Un fremito di rabbia lo percorse. Parlò tutto d’un fiato.
“Non è vero. Tu non devi capire. Io sto sbagliando. Sto rincorrendo di nuovo dei fantasmi e sto lasciando di nuovo l’unica persona che mi abbia davvero amato incondizionatamente. Ho lasciato Flare perché non potevo vivere lontano da te e ora lascio te per scoprire cosa sta succedendo a Flare quando conosco perfettamente la verità. Flare mi odia. Odia se stessa e sua sorella perché non è felice. Ora dovrei solo accettare le conseguenze delle mie decisioni e andare avanti poiché ho scelto.”
Shun gli carezzò una guancia.
“Tu sei una persona buona. Non è mai stata tua intenzione fare soffrire alcuno. Hai provato ad amare Flare e non ci sei riuscito. Credi che se fossi rimasto con lei sarebbe cambiato qualcosa? Guarda me e June. Viviamo insieme perché ci vogliamo bene e siamo entrambi due sopravvissuti alla nostra isola. Il tempio è diventato la nostra casa. Ci siamo amati e da questo amore è nata Yuna. Siamo rimasti insieme per nostra figlia ma sappiamo entrambi che la nostra unione non potrà mai essere più forte di così. Lei sa che il mio cuore appartiene ad un’altra persona e lo ha accettato, ma non credere che non mi odi per questo. Sa che non sarà mai la prima per l’uomo che ama e questo la ferisce. Credi che non abbia pensato che forse sarebbe stato meglio che le nostre strade si separassero? Magari avrebbe potuto trovare l’amore vero se io l’avessi lasciata. Ad ogni modo ciò che è fatto è fatto. Non sono arrabbiato con te perché parti. Lo sono con me stesso poiché non posso seguirti.”
Hyoga lo tirò a sé e lo strinse.
“Non dire così Shun. Io sono vivo grazie a te. Vorrei che fare i conti con i miei sbagli non coinvolgesse anche te.”
“Ciò che siamo è frutto delle scelte che abbiamo fatto e se ora siamo qui insieme, non sono state così male non trovi?”
Hyoga annuì.
“Mi aspetterai?”
“Ad una condizione”
“Quale?”
“Stanotte resta con me”
La voce di Shun era decisa e profonda.
“Mille volte sì. Vieni con me.”
Le due figure tagliarono lungo la strada che conduceva ai giardini di Sala e sparirono nell’oscurità.
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Kouga guardava da lontano Soma e Yuna che ridevano e si spintonavano bonariamente. Sospirò. Lui si considerava espansivo ma non riusciva a tenere lo stesso atteggiamento di Soma con lei. In qualche modo Yuna lo inibiva anche se non ne capiva il motivo. La voce che udì sembrava provenire dal suo cuore ma non gli apparteneva.
“Lei ti piace vero?”
Kouga sussultò e sentì la mano di Seiya posarsi sulla sua spalla.
“Seiya!”
“Se ti piace devi dirglielo. Non pensare che siete ancora dei ragazzini e che ci sarà tanto tempo per esprimere i tuoi sentimenti. Il tempo passerà o verrà meno perché sei un cavaliere e i cavalieri non hanno mai vite semplici. Quindi diglielo. Qualunque cosa ti passi per la testa, diglielo. Le cose non saranno mai come te le aspetti ma neanche brutte come le temi.”
“A lei piace Soma!”
“Davvero?”
“Non vedi?”
“No, francamente io vedo due amici affiatati come lo siete tu e Ryuho. Dovresti farti coraggio e affrontare le tue paure. Se te la dovessero soffiare da sotto il naso, te ne pentiresti amaramente!”
“Come fai a dirlo?”
“Parlo per esperienza personale, credimi!”
“Ti riferisci a Saori?”
“Ragazzino ora non esagerare! Va da lei e parlale. Vedrai che non te ne pentirai!” concluse Seiya dandogli uno spintone più per consentire a se stesso di uscire da quella situazione che per incoraggiare Kouga ad andare da Yuna.
Ad ogni modo Kouga prese coraggio e, approfittando dell’interesse di Sibilla per Soma, riuscì a trascinare Yuna lontano dagli altri.
Ancora li guardava chiacchierare con il sorriso sulle labbra quando percepì la presenza di Saori al suo fianco.
“Non sapevo che gli facessi anche da consulente sentimentale!”
“Hai ascoltato la nostra conversazione?”
Saori annuì.
“Tuttavia credo che tu non sia la persona più adatta a dargli consigli in amore!”
“Davvero? E perché vostra grazia?”
“Perché alla sua età non ti sei comportato diversamente da lui!”
“Non sapevo che la mia vita avrebbe preso questa piega allora! A quel tempo pensavo che avrei sposato Miho e avremmo vissuto per sempre all’orfanotrofio!”
Saori spalancò la bocca e finse di offendersi.
“Miho? Davvero? Ho sbagliato tutto. Avrei dovuto scegliere Asher! Ho puntato sul cavallo sbagliato!” disse lei ridendo.
Seiya si sentì felice. Vederla così era splendido.
“Sentiamo milady che altro dovrei fare per dimostrare la mia devozione?”
Saori si avvicinò al suo viso e posò la bocca vicino al suo orecchio provocando una serie di brividi nel corpo del cavaliere.
“Attentato!” fece lei sottovoce “Sagitter ha violato le stanze private di Atena e l’ha rapita!”
Seiya si scostò e la guardò dritta negli occhi.
“Vuoi che ti rapisca?” disse tra il serio e l’ironico.
“Avanti Sagitter fa ciò che il grande sacerdote si aspetta da te!”
“Se ti portassi via stanotte Saga davvero mi ucciderebbe!”
“Ho capito, per questa volta sarà Atena a rapire Sagitter!” disse alzandosi e trascinandolo per un braccio.
Seiya avrebbe voluto opporsi, dire che era sconveniente, che qualcuno poteva vederli, il suo cuore però era felice e le sue gambe si mossero da sole.
La notte di Atene era stellata e ogni singola stella sembrava fare il tifo per loro illuminando una via stretta e scoscesa che Seiya non conosceva.
“Dove stiamo andando?”
“Lo scoprirai tra poco” disse lei continuando a trascinarlo per un braccio.
La piccola scarpinata meritava la fatica. Dietro al santuario, nascosta da un arco di rocce, stava una piccola radura con una grande quercia al centro e una piccola casa sul lato destro.
“Che posto è questo?” chiese Seiya stupito.
“Vieni, guarda...” disse lei portandolo sotto la quercia.
Dove il tronco dell’albero si biforcava c’erano due nomi incisi nel legno. La quercia sembrava antica, pluricentenaria. Seiya lesse.
“Sasha e Tenma. Tenma, questo nome l’ho già sentito!”
Saori annuì.
“Sai chi sono?” chiese lei.
Seiya scosse il capo e Saori proseguì.
“Ho trovato questo posto diverso tempo fa. Non ne ho parlato con nessuno perché lo considero una sorta di rifugio. Quella casa credo sia stato anche il loro rifugio. Il rifugio di Sasha e Tenma. Ho cercato negli annali del grande tempio e ho scoperto chi erano. Sasha è stata la incarnazione di Atena nella guerra santa di 243 anni fa. In quanto a Tenma, ecco Tenma era il cavaliere di Pegaso”.
Seiya la guardò dritta negli occhi e le prese le mani.
“Tu credi che ...”
“Io non credo niente Seiya. Loro sono morti nella battaglia per sconfiggere Hades. Noi siamo qui.”
“Si amavano?”
“Non lo so. Ho letto tutti gli annali. Ho letto storie bellissime su Sisifo del Sagittario, Regulus del Leone, Cardia di Scorpio, Alfabica dei Pesci. Ma negli annali non c’è posto per l’amore. In quella casa però ci sono segni di amore, affetto, vita familiare. Credo che si volessero molto bene”
Seiya ripensò alle parole che aveva sentito udire dall’Hades della dimensione oscura di Saga.
“Cos’hai Seiya?”
“Credi che sia un ciclo senza fine Saori? Che siamo destinati a morire in battaglia e a rinascere?”
“Hades non c’è più. Questo ciclo, se mai è esistito, si è infranto.”
Seiya ripensò di nuovo alla dimensione oscura e alla minaccia che Hades gli aveva fatto di non opporsi al ciclo della vita perché ne sarebbe venuto fuori il caos.
“Credi che sia stata la morte di Hades ad infrangere il ciclo oppure io e te?”
Saori capì in quel momento cosa Seiya stesse dicendo.
“Seiya tu hai fatto ciò che dovevi sempre e se io ho sbagliato, tu non c’entri.”
“Abbiamo sbagliato insieme!”
“Abbiamo ucciso un dio. Abbiamo rinnegato l’ordine di ingiuste divinità. Sono cose che lasciano il segno nella storia. Non possiamo torturarci per il passato. Anche se volessimo, ciò che è fatto è fatto.”
Seiya si sedette si piedi della quercia e la invitò vicino a lui. Saori si accomodò tra le sue braccia poggiando la testa alla sua spalla.
“Seiya mi dispiace per la scenata di prima.”
“Non dire sciocchezze. Io, piuttosto, ho alzato la voce.”
“E’ vero. Stasera hai perso la pazienza!”
“Mi scuso”
“Non è necessario. Per un istante mi sei sembrato il Seiya di tanti anni fa. Quello che mi detestava”
“Ma dai, sul serio? Mi sembra un’eternità fa!”
“Mi detestavi!”
Seiya la strinse forte.
“Tu mi detestavi!”
“Io mai ti ho detestato!” disse lei sollevandosi e guardandolo dritto negli occhi “Ho sempre solo avuto paura di te!”
“Di me?”
“Sì, della tua forza, della luce che emanavi, della tua volontà inarrestabile. Era come se nonostante fossimo come frutti acerbi, io avessi visto cosa saresti diventato. Sapevo sin dall’inizio che avresti sfidato gli dei, che nulla ti avrebbe mai spaventato. Io invece, che avrei dovuto sentirmi invincibile, provavo solo paura. A volte penso che lasciare la battaglia sempre a voi, a te e finire per essere salvata, sia stata la più grande prova di vigliaccheria da parte mia.”
“Bhe’ devo ammettere che sei sempre stata una ragazzina viziata!”
Saori gli tirò un pizzico sul braccio, poi si fece triste. Lui le sollevò il mento.
“Smetti di fare così! Non hai sempre combattuto al nostro fianco anche solo con il tuo smisurato cosmo? Le battaglie erano per noi. Lo abbiamo sempre saputo. Anche se la freccia di Betlegeuse non ti avesse colpita, credi che ti avrei lasciata combattere contro Saga o Ioria? Sii seria!” concluse lui abbracciandola.
Normalmente non se lo sarebbe permesso, ma in quel prato, sotto le fronde di quell’albero pluricentenario e quelle stelle, sentiva di poter provare liberamente i sentimenti che sempre custodiva nel cuore.
“Dovremmo rientrare” disse lei scostandosi lentamente.
“Sì, dovremmo. Io devo tornare all’altura e tu devi riposare.”
“Prima di andartene, vorresti dire due parole a Hyoga? Temo per la sua decisione di partire per Asgaard. Già una volta la sua relazione con Flare ha quasi minato l’alleanza con le terre del nord.”
“Non credo che dovrei impicciarmi!”
“Seiya!”
“Ascolta Saori. Per una volta almeno. Pare che tutti si aspettino saggi consigli dal cavaliere leggendario che ha colpito un dio. Lascia che per una volta a parlare sia il generale dei tuoi cavalieri d’oro. Hyoga deve fare la sua strada da solo. Di tutti noi è quello che è rimasto sempre in bilico. Non ha davvero ancora capito cosa vuole! E’ un testone, ma non comprometterà i rapporti con Asgaard. Garantisco io per lui.”
Saori lo guardò sempre negli occhi. Parlava lentamente, con decisione e affetto per il compagno. Era davvero cresciuto. Sospirò.
“D’accordo. Ti ascolterò.”
Seiya si alzò e a tirò a sé. Le posò un bacio fra i capelli e la condusse verso la tredicesima casa. La notte aveva mantenuto tutte le sue promesse. Si girò per un’ultima volta verso la quercia e sorrise.

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Capitolo 10
*** La vita salvata da Kanon - prima parte ***


Note dell'autrice: Rieccomi! Piccole note giuro. Arriva Kanon per cui non vi faccio aspettare. Devo confessarvi che non so chi scegliere tra i due santi di Gemini! E poi fanno tanto di quel casino! Mi scuso per la lunga attesa. Questa prima parte del capitolo è un po' di transizione e introspettiva. Spero non vi annoi...Ringrazio ancora una volta tutti coloro che seguono e ancora di più chi ha la pazienza di lasciare anche un commento. Grazie mille e kisses!!!

Capitolo VI : La vita salvata da Kanon (prima parte)
 
Shaina aveva bevuto troppo.
La considerazione si era fatta strada lentamente nella sua testa solo a notte fonda quando Marin si era proposta di accompagnarla a casa.
Aveva rifiutato.
Il tempio era bellissimo quella notte. Lei aveva delle stanze private vicino a quelle di Atena da quando era arrivato Kouga. Sarebbe rimasta a dormire li. Sollevò il bicchiere che era ancora mezzo pieno e lo trangugiò tutto d’un fiato.
“Alla tua salute Shaina! Com’era quella storia? Meglio soli che male accompagnati? Certo che sono proprio patetica se non sono riuscita a rimorchiare un uomo neppure stasera!” disse a voce alta.
Le parve di vedere una figura con la coda dell’occhio.
“Saga? Saga sei tu? Vieni fuori sottospecie di gran sacerdote! Dico a te!”
Prese a seguire la figura nel corridoio che portava alla biblioteca piccola. Quella grande, la biblioteca vera e propria era situata ai piedi del santuario. Non in molti però sapevano che la biblioteca piccola conteneva testi particolari degli annali del grande tempio. Se Saga sentiva il bisogno di leggere quella sera, evidentemente era rimasto solo anche lui. Del resto lei sapeva che se Seiya non era in giro, anche Saori mancava all’appello.
La figura scomparve dietro la porta che si richiuse subito.
“Non c’è niente di male se gli rompo le scatole stanotte!” pensò tra se e afferrò la maniglia. Improvvisamente la porta si aprì e Shaina, che aveva già afferrato la manopola, fu tirata in avanti finendo tra le braccia della persona che aveva aperto la porta. Questa ne fu stupita al punto che rimase immobile. Shaina invece, ubriaca e con un bisogno impellente di equilibrio, si strinse forte alla giacca scura dell’uomo cui era finita addosso saggiandone i pettorali scolpiti sotto i vestiti. Alzò lo sguardo lentamente. La chioma scura e gli occhi profondi colore del mare in tempesta le provocarono un ulteriore capogiro.
“Saga...”
“Sì?”
“Perché sei venuto in biblioteca? E mollami!”
“Veramente sei tu che mi stai stringendo!”
Shaina arrossì e si allontanò bruscamente rischiando di cadere. La mano dell’uomo la spinse di nuovo contro il suo petto evitandole la caduta.
“Sei ubriaca”
“Sono leggermente brilla! Non trattarmi da stupida!”
“Ma se non riesci neanche a capire con chi stai parlando!”
“Ascoltami Saga” disse prendendo le distanze e barcollando paurosamente “sei veramente noioso! Prima hai organizzato una festa così con champagne e caviale e poi, il massimo che sai fare per divertirti è rinchiuderti in una biblioteca? Patetico!”
“Io sarei il patetico?” disse l’uomo ironicamente dandole per la prima volta un’occhiata vera. Di certo era bellissima con quell’abito che lasciava veramente poco all’immaginazione e con quella massa di capelli mossi pieni di fissante, il viso rosso per l’alcol in circolo.
“Tu sei ubriaca. Punto. Prima di finire nei guai, dovresti andare a casa signorina!”
Shaina scoppiò a ridere.
“Mi hai davvero chiamata signorina? Che c’è sei ubriaco anche tu? E in che guai dovrei finire? Magari me li vorresti creare tu?” disse avvicinandosi di nuovo a lui lentamente. Gli passò un dito sulla camicia e lo fece salire fino al mento e gli soffiò vicino alle labbra.
“Di che genere di guai stai parlando? Magari sto proprio andando in cerca di quel tipo di guai!” disse la donna sottovoce scoppiando però un attimo dopo a ridere.
“Shh! O sveglierai tutto il santuario!”
“Qui non dorme proprio nessuno stanotte!” riprese lei giocano con i suoi capelli, la voce stridula tipica di chi ha alzato il gomito.
“Non si deve urlare nel santuario di Atena.”
“Noioso. Noiosoooo! NOIOSO!”
“Zitta!” disse lui tirandola a sé e soffocandola con un bacio.
Shaina si lasciò condurre in quel gioco di cui non era esperta. Lasciò che la lingua dell’altro le bagnasse le labbra e si unisse alla propria. Quando le bocche si separarono lei lo fissò dritto nelle iridi blu.
“Non avrei mai immaginato che sapessi baciare tanto bene!”
“Segreto di famiglia!”
Shaina lo guardò maliziosa.
“Vorresti dire che tuo fratello ti è gemello anche in questo?”
“Non così gemello!” rispose lui sorridendo.
Shaina non l’aveva mai visto sorridere così. Provò a ricordare se, in tutti quegli anni trascorsi al tempio, l’avesse visto sorridere in quel modo. No. E pensò che forse stava sorridendo in quel modo perché l’aveva appena baciata.
“C’è qualcos’altro che dovrei sapere sui tuoi segreti di famiglia?”
“Ho un sacco di segreti. Se ora andiamo via di qui e ti fai accompagnare a casa, te ne rivelo qualcun altro!”
“Io sarò pure ubriaca ma tu stanotte sei strano. Non devi accompagnarmi in nessun posto. Le mie stanze sono qua dietro...”
“Strano? Finiscila! Ti porto a letto”
“Ti prendo in parola!” disse lei sfilandosi le scarpe alte e tirandolo per un braccio lungo il corridoio.
“Guarda che mi doveva capitare stanotte! Dura la vita del grande sacerdote!” disse l’uomo prima di chiudersi alle spalle la porta della stanza di Shaina.
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Hyoga infilò l’ultimo maglione nello zaino e allacciò i bottoni. Shun dormiva ancora. La notte era volata e l’alba era arrivata a tradimento cercando di violare il loro rifugio. Lui aveva chiuso le tende per evitare che la luce ferisse gli occhi arrossati per il pianto di Shun. Non voleva lasciarlo partire. Anche se aveva giurato che sarebbe tornato presto, che si trattava solo di una missione di pochi giorni, Shun aveva pianto come se quella notte si stessero dicendo addio. Vano era stato anche il bacio leggero che gli aveva posato sulle labbra dopo avergli detto di contare sette notti. All’ottava sarebbe stato già a casa. Gli aveva detto che lui poteva restare lì. Sapere che lo aspettava nella sua casa e che non sarebbe tornato in quella dove era Pandora lo tranquillizzava. Quando lo aveva trascinato via dalla festa e lo aveva portato a casa si sentiva determinato a fare in modo che quella notte fosse speciale. In fondo non lo aveva letto negli occhi di Shun quel desiderio? Eppure una volta soli, al riparo tra quelle mura amiche, tutto ciò che era stato in grado di fare era stato abbracciarlo. Del resto Shun non aveva avanzato nessun’altra pretesa. Aveva ricambiato la stretta in un modo difficile da descrivere. Avevano passato la notte così. Stretti l’uno all’altro parlando sottovoce. Si erano detti tante cose, piccole verità che il tempo aveva nascosto e che la vita da cavaliere aveva impedito loro di dissotterrare. Parole che bisognerebbe sempre dirsi quando la vita è così incerta. Hyoga sorrise per quel pensiero. La vita, in fondo, è sempre incerta. Hyoga cercò di imprimere nella sua mente il volto di Shun. Guardò la piega delle sue labbra, il colore dell’incarnato, memorizzò la piega dei capelli sulla fronte candida, le piccole orecchie e il collo sinuoso. La camicia verde acqua quasi interamente sbottonata. Cercò di fissare quanti più particolari possibile. In fondo cosa ricordava delle persone che aveva perso e che amava? Non si riesce mai a ricordarsi l’ultima volta che si vede una persona. Forse perché non si pensa mai veramente che, staccandosi da una persona, non la si riveda mai più. Questo è il problema dell’“ultima volta”. Arriva a tradimento, come  un’auto a fari spenti nella notte. E’ lei e tu non la riconosci se non appena l’istante è passato. Era l’ultima volta che vedeva Shun? No. Aveva promesso che sarebbe stato fuori sette notti soltanto. Giusto il tempo per parlare con Hilda e Orion e, forse, con Flare. Doveva partire. Era letteralmente scappato da Asgaard dieci anni prima e ora doveva chiudere i conti. Per l’ultima volta.
Ebbe la tentazione di svegliarlo. Si avvicinò e gli sfiorò l’orecchio con le labbra.
“Dormi Shun, riposa. Tornerò presto. Te ne prego, mentre sono assente non fare cose stupide. Pensa solo a te stesso e sta lontano da Pandora. Io sarò di ritorno prima che tu possa sentire la mia mancanza. Allora ti dirò l’unica cosa che ancora non ti ho detto. Abbi cura di te.”
Il cavaliere del cigno si sollevò e raggiunse la porta. L’aprì lentamente per non fare rumore e uscì. Mizar era la.
“Sei pronto?”
Hyoga annuì.
“Bene allora, vieni accanto a me. Il Bifrost è calibrato sul mio cosmo.”
“Un modo carino per dire che tuo fratello mi lascerebbe volentieri fuori dalle mura di Asgaard?”
“Dopo che Artax ha lasciato il palazzo, solo io e mio fratello abbiamo la sintonia necessaria per attivare il Bifrost. Prima anche lui e Orion avevano il giusto equilibrio per farlo funzionare. Muoviamoci. Argor, portaci a casa.”
Hyoga sentì lo stesso gelo del giorno in cui Mizar era arrivato e poi vide svanire nel nulla la sua casa e le colonne del tempio di Atena.
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Saori aprì gli occhi. L’alba era spuntata da poco e la luce del primo mattino irradiava la camera. Sul cuscino di fianco al suo c’era una rosa e un biglietto.
“Io vado. Visto che non è andata così male? La rosa l’ho rubata dal salone. Non è di Aphrodite! Hai dormito così serenamente che penso che dovremo tornare presto a stenderci sotto quella quercia. Saori, lo sai. Seiya.”
“Sì, lo so. Anche io Seiya.”disse stringendo il biglietto e alzandosi. Si sentiva piena di energie come non le accadeva da molto tempo. Pensò immediatamente a Kouga. Si diresse verso la porta che conduceva direttamente nella sua stanza. L’aprì e vide il ragazzo che dormiva con ancora addosso il completo scuro della sera prima. Doveva essere stata una bella serata anche per lui perché sussurrava qualcosa nel sonno e sorrideva. Saori si avvicinò e gli passò una mano sulla fronte. Pensò che per una volta poteva preparargli la colazione dato che certamente tutti si sarebbero alzati più tardi e solo le anziane signore di Rodorio sarebbero state, ligie al loro dovere, nelle cucine del santuario a quell’ora. Uscì dalla camera di Kouga senza fare rumore e giunse nella zona del refettorio attraverso dei corridoi di servizio. Le sembrava incredibile come l’odore del pane fresco le desse un senso di allegria. Incrociò due donne che portavano delle ceste di viveri coperti da un sottile velo bianco e che si inginocchiarono non appena la riconobbero.
“Vi prego no! Alzatevi. Ditemi, dove posso trovare le cucine?”
“Se milady ha fame, le prepariamo subito qualcosa!” esclamò una delle donne.
“No. Stamattina vorrei preparare io la colazione per una persona.”
“Possiamo farlo noi per vostra grazia!” rispose l’altra.
“Vi ringrazio ma stamattina dormono ancora tutti e io vorrei davvero preparare la colazione per Kouga con le mie mani.”
“Ma milady a quest’ora la cucina è piena di inservienti che preparano la colazione per i cavalieri d’oro e il pasto per la mensa degli allievi! Non sta bene che vostra grazia entri nelle cucine!” disse la più anziana delle donne.
“Già a quest’ora?” fece Saori rabbuiandosi.
“C’è la cucina piccola!” disse la donna più giovane.
“Elena! Come ti permetti! Milady perdonatela.”
“Non hai detto nulla di male. Elena, dimmi dov’è questa cucina piccola?”
“E’ proprio in fondo a questa scala. La chiamano così perché è a disposizione del grande sacerdote e non la usa mai nessuno né per mangiare, né tantomeno per cucinare. Però c’è tutto quello che può servire per preparare la colazione ad un ragazzino goloso!”
“Elena! Per tutti gli dei dell’Olimpo!”
“Ditemi donna qual è il vostro nome?”
“Mi chiamo Lucina, mia signora. Sono la governante nonché capo cuoco del santuario. Elena è mia nipote.”
“Lucina non arrabbiarti con Elena. Mi ha reso un grande servigio. Se mai doveste avere bisogno di qualcosa, sappiate che sono in debito con voi per la vostra gentilezza.”
Lucina arrossì e per levarsi dall’imbarazzo sollevò il suo cesto e richiamò la fanciulla.
“Elena andiamo! Se la torta di mele non sarà fumante chi lo sente quel ragazzaccio di Milo!”
Le due donne sparirono dietro l’angolo parlottando e Saori scese la scala che le era stata indicata.
La cucina era accogliente e piena di ogni genere di leccornia. Spalancò una finestra, si mise un grembiule e tirò fuori dai cassetti farina, zucchero e, da una cesta, le uova. Sorrise e si sentì stupida. Lei non aveva mai cucinato nulla in vita sua. Che pensava di fare? Forse sarebbe stato meglio accettare subito l’aiuto di Lucina. La torta di mele che avrebbe fatto per Milo sarebbe stata certamente un capolavoro. Una voce la sorprese alle spalle e lei fece cadere l’uovo che aveva tra le mani. Prima di toccare terra e rompersi l’uovo scomparve e si materializzò tra le mani della persona che aveva parlato.
“Cosa ci ha portato stamattina il carro del divino Apollo? Niente meno che la figlia prediletta di Zeus in persona!”
“Saga che ci fai tu qui?”
“Tecnicamente queste sono le mie cucine!”
“Lucina dice che non le usa nessuno da anni!”
“Per questo sono le ‘mie’ cucine! Ci nascondo le migliori bottiglie di ouzo che arrivano al santuario! In passato anche armi sacre con le quali attentare alla vita di giovani reincarnazioni divine!”
Saori sorrise poi, rendendosi conto di dover apparire molto ridicola con quel grembiule addosso, si fece più seria e si mise le mani sui fianchi.
“D’accordo Saga, tu non rivelerai mai a nessuno di avermi vista qui e io terrò il segreto su dove fai sparire l’ouzo migliore. Comunque non dici sul serio... il gladio sacro non è mai stato in questa cucina vero?”
Saga fece passare l’uovo da una mano all’altra e le arrivò ad un passo.
“Non me lo ricordo più” disse sottovoce.
“Saga quanto hai bevuto?” chiese Saori sentendo l’odore di anice provenire dall’uomo.
“Dicono che con un bicchiere fai sparire un brutto pensiero. Io ne avevo parecchi di brutti pensieri stanotte!”
“Sei ubriaco?”
“No. Non credo. Forse. Ieri sera sei sparita Saori.”
La fanciulla sentì di nuovo quella sensazione di stretta familiarità che avvertiva ogni volta che Saga la chiamava per nome.
“Ero con Seiya.”
“Seiya, Seiya, Seiya. Non che non lo sapessi, ma vedo che non te ne fai remore a parlarne.”
“Con te, no. Dovrei?”
Saga avvertì un leggero sbandamento. Era il liquore? Sospirò.
“Io so tutto di te. Ti ho vista nascere ricordi?”
Saori sorrise.
“Bene bene. Cosa volevi combinare? Cucinare la colazione per Seiya?”
“Seiya è andato via. Volevo preparare la colazione per Kouga però in realtà non so cosa fare. Vedo che la mattina spesso mangia quel dolce con l’uvetta. Lo sceglie spesso ma non so come si prepara. A dire il vero ero convinta che i cornetti nascessero nel forno come gli uccellini sugli alberi!” disse ironicamente.
“Sono molto addolorato nel dovervi svelare che purtroppo è dalla fine dell’età dell’oro che i cornetti hanno smesso di riprodursi nei forni a gas! Ma non ci vorrà il cosmo della dea Atena per preparare la colazione di Kouga. Datemi un secondo” rispose Saga infilando la testa sotto l’acqua fredda del rubinetto “Questo era per la sbornia. Ora, in quello scaffale c’è della pasta sfoglia già pronta. Stiamo barando ma barare è la mia specialità quindi prendetela. Lasciate perdere la farina e prendete il burro. Niente di ciò che è veramente buono sulla faccia di questa terra si fa senza burro! Poi mandorle, uvetta e sì ci vuole la cannella!”
“Saga sai fare i dolci?”
Saga lasciò per un minuto la teglia con il burro e un velo di malinconia si posò sul suo sguardo.
“Nostra madre è morta che eravamo bambini. Troppo piccoli per non averne ancora bisogno. Io reagì soffocando il dolore. Mio fratello invece lo fece esplodere. C’era solo una cosa in grado di placare la sua rabbia da bambino ferito. Il profumo della baklava calda. Così osservai la governante preparale e, di nascosto, le cucinai per lui sapendo che non le avrebbe mai accettate da nessun altro. Funzionò. E’ una vita che non lo faccio. Del resto siamo cresciuti. Dubito che una baklava avrebbe potuto sistemare le cose tra noi da adulti.”
Saori gli posò una mano sulla spalla.
“Forse non è troppo tardi.”
“E’ morto. Nettuno ha preteso la sua vita in cambio del tradimento che ha compiuto a capo Sounion. Non dobbiamo parlare di questo ora. Succo d’arancia. Senza lo sciroppo non sarà buono!”
Saori s’affaccendò nel dargli una mano e alla fine un odore dolcemente intenso di miele e frutta secca si diffuse nell’aria.
“Che buon profumo!”
“E’ il profumo della baklava calda. E’ il profumo della famiglia. Portali a Kouga prima che si risvegli.”
“Grazie Saga.”
“Non ringraziarmi. Quando sono con te i miei spettri si allontanano.”
Saori gli prese una mano.
“Sarò sempre qui per questo anche se so che non cederai mai più alla tua parte oscura.”
Saga fece un piccolo inchino consegnando un cestino con i dolci alla ragazza. Saori lo raccolse con lo stesso inchino e lasciò la cucina. Il cavaliere di Gemini si guardò intorno. Non era mai stata tanto sporca e in disordine. Sorrise. Realmente il suo gemello malvagio non era più li con lui dato che non avrebbe davvero sorriso a quella violazione dell’ordine. Si girò e chiuse la porta della cucina. Un bagno veloce e sarebbe tornato a ricoprire il suo ruolo di grande sacerdote. Si portò entrambe le mani sul naso e bocca e inspirò l’odore della baklava. L’odore della famiglia.
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Shaina si stiracchiò come un gatto nell’ampio letto della sua camera. Era al santuario. Questo lo sapeva perché nel piccolo letto della sua casa nei pressi di Rodorio, muoversi così sarebbe stato impossibile. Si portò una mano alla testa. Cos’era quel dolore lancinante? Il giorno prima non c’era stata una festa? No. Molto più probabilmente c’era stato l’attacco di qualche nuova pseudo divinità e lei era stata colpita alla testa con qualcosa di molto, molto pesante.
Però la festa lei la ricordava. Dolore. Seiya che correva via con Saori. Dolore. Champagne. Dolore.
Provò a mettersi seduta e il lenzuolo candido le cadde sui fianchi lasciandole i prosperosi seni scoperti.
Shaina avvertì una fitta più forte delle altre. Era nuda. Completamente. Il letto era disfatto e il suo vestito era riverso sulla poltrona al lato opposto della camera. Si portò entrambe le mani alla bocca in un’improvvisa presa di consapevolezza. Le sue gote divennero sempre più rosse non appena il ricordo le riaffiorò alla mente. Le sue mani che spogliavano con ardore l’uomo e l’uomo che con altrettanto ardore la gettava sul letto e si spingeva dentro di lei fino a farla urlare di piacere. Dopo una sbornia non si dovrebbe essere incapaci di ricordare gli eventi? Allora perché lei ricordava tutto così intensamente? Le sue mani, la sua bocca, i suoi occhi profondi come il mare  i suoi capelli scuri. Aveva fatto l’amore con Saga. Amore? Si strofinò gli occhi. Aveva fatto sesso con lui. Forse non si poteva dire neanche così dato che quasi certamente entrambi erano ubriachi. Saga era ubriaco? Maledizione questo non se lo ricordava. Che cosa doveva fare adesso? Si fiondò sotto la doccia e cercò di riprendere il controllo. In fondo sia lei che Saga erano soli, adulti e in grado di capire che avevano agito per compensazione. Già, lei non aveva bevuto per colpa di Seiya? Saga un sostituto di Seiya? Scosse la testa e i suoi capelli lanciarono gocce come proiettili contro il vetro e il marmo.
Si asciugò velocemente, indossò la solita uniforme e decise di passare per la camera di Kouga, non voleva rischiare di ritrovarsi Saga proprio fuori dalla porta.
Nella stanza del ragazzo c’era però Saori seduta con lui sul letto. Sembrava un pic-nic.
“Shaina! Buongiorno! Saori ha preparato la colazione!”
“Davvero?”
“Incredibile, ma vero!” disse l’incarnazione di Atena “Shaina stai bene?”
“Sì certo.”
“Dai prendi una baklava anche tu. Saori è stata brava, sono buonissime! Ne voglio tenere una da parte per Seiya, e una per Yuna e una per...”
“Oi, di questo passo non ne resteranno più! Dammene una, ho proprio fame stamattina.” Fece Shaina addentando il dolcetto fatto di pasta sfoglia “Mmh! Sono davvero buoni! Tu che fai un dolce tipicamente greco? Insomma, sei Atena, ma che Atena sapesse anche fare i dolci non lo avrei mai detto!”
“Bhè non è tutto merito mio. Mi ha dato una mano Saga.”
A Shaina andò di traverso l’uvetta.
“Chi?”
“Sì, lo so che può sembrare strano, ma la ricetta me l’ha data lui.”
“Quando?” chiese Shaina a muso duro.
“Perché questa tua reazione Shaina?”
“Non ha importanza, dimmelo quando?”
“Stamattina. Mi ero alzata all’alba. Ci siamo incontrati in cucina. Perché?”
Shaina gettò quel che restava del dolcetto nel cestino e si voltò verso l’uscita dicendo solo poche parole uscendo dalla camera.
“Vi prego di perdonare i miei modi ma sono sempre molto scorbutica dopo una sbornia!”
Saori, che non riusciva a capire la reazione della donna, ci rimase male. Kouga le prese una mano.
“Lasciala stare. Lo sai com’è fatta! I dolci sono stupendi. Non importa se ti ha aiutata Saga, il pensiero l’hai avuto tu. E Shaina ieri ha bevuto troppo per apprezzarli! Ho un idea! Perché questi non li portiamo tutti a Seiya?”
“Non possiamo andare da lui a quest’ora. Potrebbero vederci. Gli altri cavalieri non sanno dov’è.”
“Potremmo sempre dire che eravamo in cerca di un posto dove fare colazione! E’ ancora così presto! E poi chi vuoi che ci sia in giro oggi! Saranno tutti a letto per via dei bagordi!”
“Kouga! E tu che ne sai?”
“Mi dispiace Saori! Più di quel che tu vorresti!”
“E va bene. Andiamo. Devi promettermi però che se qualcuno ci nota, prendiamo subito la strada per Rodorio e portiamo i dolci alla madre di Jona e Josa”
“E chi sono?”
“Due ragazzini più sfortunati di te a quanto pare!”
“Evviva!” urlò il ragazzino facendo una capriola e saltando giù dal letto.
Saori prese il cestino e lo seguì facendo attenzione che nessuno li vedesse.
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Shun aprì gli occhi. Di scatto. Il posto al su fianco era vuoto. Sentì le lacrime tornare a pungere ai lati degli occhi. Eppure la sua voce, il calore della sua pelle, esitavano ancora vicino alla sua guancia. Se la toccò con una mano. Aveva sognato? Si alzò e andò alla finestra. Gli sembrò che ci fosse qualcosa in terra nell’erba.
Corse fuori e raggiunse il punto che aveva attirato la sua attenzione. Qualcosa brillava nell’erba. Era un fiore. Completamente congelato. Shun lo staccò da terra e lo fissò.
“Sei partito alla fine. E io devo, ancora una volta, aspettare qui senza fare nulla. Ancora una volta incatenato come Andromeda. Questa volta però so che corri un grave pericolo Hyoga. Cosa ti aspetti da me? Cosa si aspetterebbe che facessi Atena? Dovrei parlare con lady Saori. Io stavolta devo agire. Mi hai chiesto sette giorni Crystal. Ebbene sia. Se al settimo giorno tu non sarai ritornato, io troverò il modo di raggiungerti. E salvarti.”
Shun tornò dentro casa e si sedette al tavolo con una mano alla fronte e con il fiore di cristallo nell’altra.
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Shaina entrò nella sala del trono decisa ad affrontarlo. D’accordo l’ubriacatura, passi la serata di festa, va bene i ruoli da rispettare, ma che dopo avere passato la notte con lei Saga se ne fosse andato ad impastare dolci con Saori, questo non riusciva a sopportarlo. La sala era vuota ma si udivano rumori di carte e libri provenire dallo studio del grande sacerdote.
“Perfetto! Dopo i dolci di prima mattina è già al lavoro!” esclamò entrando nello studio.
Indossava l’ampia tunica sacerdotale senza elmo e sembrava tutto preso da alcuni rotoli di pergamena. Decise di soffocare la rabbia. In un angolo della sua mente pensò che forse Saga fosse in imbarazzo quanto lei e volesse fingere indifferenza. Ci andò giù piano.
“Bene, bene. Passata la sbornia?”
L’uomo lasciò cadere le carte sullo scrittoio e s’illuminò in viso.
“Allora la tua è un’abitudine!”
“A cosa ti riferisci?” chiese lei sedendosi sullo scrittoio e curiosando tra le carte.
“Al fatto di entrare nelle stanze senza annunciarti!”
“Davvero? Dovevo farmi annunciare?” chiese Shaina giocando con il collo dell’abito del grande sacerdote.
“Non si entra così nelle stanze del grande sacerdote! O nella sua biblioteca!”
“Non mi è sembrato che la cosa ti sia dispiaciuta poi molto ieri sera!”
“Ammetto che è così, mia cara!”
“Mia cara? Sai Saga, non che mi fossi fatta illusioni su di te, ma credevo avessi imparato dai tuoi errori.”
Le dita di Shaina sfiorarono le sue labbra e l’uomo avvertì distintamente l’odore di miele ed uvetta.
“Baklava...”
“Già mi riferisco proprio a questo! Sei un idiota se credi che Saori possa trovare un po’ di posto per te nel suo cuore per quanti dolci tu possa cucinare per lei!”
L’uomo sorrise. Un posto nel cuore di Saori?
“Sai Shaina, sei talmente bella che non ci dovrebbe essere posto per l’insicurezza nei tuoi pensieri!”
Shaina impallidì e si scostò da lui.
“Io non sono insicura! Sei tu che sei senza speranza!” disse uscendo sulla veranda.
La voce di Lucina che rispondeva ad alcune domande rivelò la presenza di terzi nella sala del trono. La governante entrò e vide Shaina sul balcone.
“Mia signora cosa fate qui?”
Shaina rientrò e vide la donna al fianco di Saga che si affaccendava nel mettere ordine sullo scrittoio. Saga la guardò con freddezza e Shaina pensò che non volesse più parlare di quelle cose davanti alla donna.
“Che c’è Saga, ti rendo nervoso?”
“Non capisco a cosa ti riferisci Shaina. Se hai qualcosa da dirmi parla, altrimenti va via, ho un mal di testa tremendo!”
“Ma certo! Ti sarà venuto cucinando! Spero che piaceranno a Seiya!”
Saga l’afferrò per un braccio e disse a Lucina di lasciarli. La donna uscì chiudendo la porta.
“Tu che ne sai donna?”
“Io che ne so? Preferisci persino essere il suo sguattero che l’uomo di una qualsiasi altra donna non è vero?”
“Questi non sono affari tuoi!”
“Stanotte però lo sono stati, non credi?” urlò Shaina liberandosi dalla stretta di Saga.
“Non capisco di che parli!”
“Ma sì. Faremo a modo tuo Saga e non parliamone mai più!”
La donna tornò sulla veranda e saltò fuori correndo verso l’antica Acropoli. Aveva bisogno di frantumare qualche colonna.
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Syria sapeva della cupola. Per questo si era fermato, come un visitatore qualunque, sull’antica acropoli. Non poteva mettere piede a Rodorio o il nuovo cavaliere di Sagitter avrebbe percepito il cosmo di un generale degli abissi e tutti i piani di Nettuno sarebbero andati in fumo. Com’era quella storia? Eseguire gli ordini, non giudicarli. Si sedette su una roccia e prese il flauto dalla borsa. Intonò una melodia delicata. A quell’ora non c’era nessuno all’Acropoli. Il sito era ancora chiuso ai visitatori. Kanon era in ritardo. Poteva aver tradito? Lo aveva già fatto eppure stavolta in gioco c’era la vita di suo fratello. Questo lo avrebbe trattenuto? Syria non ne era convinto. In cuor suo sapeva che Kanon non si era fatto scrupoli ad usare Julian e, se avesse potuto, lo avrebbe rifatto. Un rumore sordo e una nuvola di polvere attirarono la sua attenzione. Si avvicinò con prudenza e vide una donna sferrare un colpo a mani nude contro una roccia. Doveva essere un cavaliere. Se Kanon fosse comparso in quel momento e un cavaliere di Atena l’avesse visto, tutta la missione sarebbe stata compromessa. Sollevò il flauto e iniziò una dolce melodia.
La donna inizialmente si guardò intorno come volesse capire da dove provenisse il suono, poi si mise sulla difensiva come se avesse compreso che la musica costituiva un pericolo. Troppo tardi, pensò Syria. Quando le vittime intuivano che la musica era fatale, il loro corpo era già preda del potere della melodia che uccideva la mente dei malcapitati prima del loro corpo. La donna vacillò e cadde, ma non in terra. Due braccia la sostennero e la sollevarono. In quello stesso istante Syria dovette evitare un colpo diretto contro di lui. Il generale degli abissi guardò chi lo aveva attaccato.
Kanon. O Saga? Da quella distanza non poteva stabilirlo con certezza. Doveva avvicinarsi e scoprirlo o defilarsi?
Scelse di non rischiare e, con il suo potere, si teletrasportò lontano.
La donna aprì gli occhi.
“Saga... cos’è stato?”
“Sai sciocchina non dovresti lasciare la cupola! Non ti ho dato il permesso. E’ pericoloso. Poteva essere un sottoposto di Marte!”
“Mi ha colpito a distanza... mettimi giù! Non credere che possa perdonarti per ciò che hai fatto! Anche se mi hai salvata.”
Il cavaliere le fece posare i piedi in terra e sorrise. A Shaina sembrò di rivedere il sorriso dell’uomo che aveva passato la notte con lei.
“Perché mi hai seguito?”
“Perché volevo scusarmi per il mio comportamento inappropriato di stamane. So che devo essere sembrato odioso. Scusami. Vorrei però che ciò che è accaduto stanotte rimanesse tra noi!”
“E’ chiaro, certo. Saori né sarebbe sconvolta se sapesse che uno dei suoi cavalieri non spasima per lei!”
Lui rise.
“Non è per questo. Diciamo che fino a che non avremo le idee chiare su cosa è accaduto esattamente preferirei tenere questa cosa per noi.”
“Te lo spiego io cosa è successo! Siamo stati a letto. Abbiamo fatto sesso. Ecco cosa abbiamo fatto!”
“Tutto qui?” chiese il cavaliere.
Shaina si bloccò come se fosse stata colpita dal sacro Acquarius di Camus. Lui le si avvicinò e le sfiorò una guancia con due dita. Poi parlò sottovoce.
“Forse è come dici tu o forse no. Dammi un po’ di tempo per decidere. Vuoi?”
Shaina fece solo un cenno del capo.
“Torna al santuario adesso. Io faccio un piccolo giro di perlustrazione e ti raggiungo.”
Normalmente Shaina si sarebbe opposta e avrebbe chiesto di restare a dare una mano. Le sue gambe però tremavano e preferì togliersi da quella situazione.
Il cosmo di Gemini si librò nell’aria e, un istante dopo, si azzerò del tutto. L’acropoli era di nuovo deserta e silenziosa.
 

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Capitolo 11
*** La vita salvata da Kanon - seconda parte ***


La vita salvata da Kanon (parte seconda)

Saori e Kouga passeggiavano tra risa e chiacchiere sulla serata precedente. Kouga sembrava non avere più neppure il ricordo dell’esperienza vissuta a causa del fantasma diabolico di Eden. Raggiunsero la base dell’altura delle stelle senza incontrare nessuno, proprio come Kouga aveva immaginato.
“Ora che si fa?” chiese Kouga guardando verso la cima dell’altura e proteggendosi gli occhi dalla luce del sole con una mano “Saliamo?”
“Sciocchino! Tu non puoi salire lassù.” Rispose Saori con tono bonario.
“E perché mai? Ce la posso fare!”
“Io non credo e comunque anche se potessi, sappi che è un luogo sacro a cui solo poche persone possono accedere!”
“Uffa! Allora come faremo a vedere Seiya?”
“Lui ha già visto noi Kouga. Vieni con me. Ci raggiungerà.” Concluse Saori prendendo Kouga per mano.
Camminarono solo un altro po’poi Kouga si ritrovò in un posto familiare. C’erano alberi e fiori colorati lungo tutto il bordo di un laghetto azzurro.
“Ma io questo posto lo conosco!”
Saori annuì.
“Ti abbiamo portato qui quando eri molto piccolo.”
La voce era quella di Seiya.
“Ma quando sei arrivato?” chiese Kouga sorpreso.
“Io sono sempre ad un passo da voi!” esclamò Seiya allegro “Ormai dovresti saperlo! E’ sufficiente che pensiate a me ed eccomi qui!”
“Ecco guarda che ti abbiamo portato!” disse Kouga mostrando un bel cestino dal quale spuntavano un panno rosso ed una manciata di tovaglioli di carta.
Seiya guardò incuriosito il cestino e annusò l’odore dolciastro che proveniva dal fagotto. Fece una faccia buffa che fece sorridere Saori tutta intenta a stendere il suo scialle sul prato.
“Non sembra l’odore dei mochi*!” disse Seiya incrociando le braccia con un espressione delusa sul viso.
“Dei che? Assaggia dai, li ha fatti Saori?”
Seiya scoppiò a ridere di gusto e si portò le mani al cuore simulando dolore.
“Voi non siete Kouga di Pegasus e Athena! Siete malvagi nemici del santuario travestiti dalle persone a me più care che giungono con potenti armi velenose!” disse prendendo a fare il solletico a Kouga e a rincorrerlo “Tutti sanno che Saori non sa cucinare neppure l’uovo sodo!”
In quel mentre passarono affianco alla fanciulla che gli mise lo sgambetto facendolo cadere con tutta l’armatura. Kouga scoppiò a ridere.
“Ben ti sta! I dolci di Saori sono buonissimi!”
Seiya si mise seduto a gambe incrociate.
“Dammene uno! Voglio proprio vedere!” disse Seiya afferrando un dolcetto. Lo morse e il miele e l’uvetta gli invasero il palato.
“E’dolce!” esclamò.
“E’ un dolce!” lo corresse Kouga.
Tutti risero. Il rumore dell’acqua del lago e degli uccelli rinfrancava lo spirito e Seiya si lasciò cadere nell’erba imitato subito dopo da Kouga.
Saori raccolse alcuni fiori dallo stelo lungo e cominciò ad intrecciarli tra loro.
“Che fai Saori?” chiese il novello cavaliere di Pegasus.
La ragazza si scosse come da un sogno e rispose.
“Nulla. Quando ero piccola mi piaceva fare coroncine e braccialetti con i fiori.”
“Davvero?” chiese Seiya rimettendosi seduto “Non ti ho mai visto farlo!”
“Eri lontano. Era il periodo dell’addestramento a cavaliere. Io ero a Luxor da sola.”
Seiya la guardò muovere le dita affusolate e si chiese quanto doveva aver provato la solitudine in quel periodo.
“Kouga dammi il polso” disse Saori.
Il ragazzo le porse quello polso destro.
“Per la forza, per il coraggio e per la buona sorte. Io prego per te ogni momento della mia vita” disse la fanciulla legando il braccialetto intorno al polso di Kouga.
“Si romperà non appena sferrerò un pugno!” disse il ragazzo con rammarico.
“Non si romperà!” intervenne Seiya “non è facile spezzare la volontà di Athena!”
Kouga guardò il bracciale e poi Saori. Gli occhi della donna erano luminosi e caldi. Si sentì sopraffare e distolse lo sguardo alzandosi e correndo verso il lago.
“Seiya vieni a vedere è pieno di pesci!”
Seiya si alzò per seguirlo ma prima si rivolse a Saori.
“Per me niente?”
Saori sorrise.
“Tu hai il mio cuore. Ti serve un bracciale?”
Seiya le sfiorò la spalla ferita nascosta sotto l’abito.
“Non mi serve niente di più e niente di meno” concluse raggiungendo Kouga.
“Questo posto è bellissimo” disse il ragazzo “è così tranquillo!”
“Lo è. Non dovevate venire però. Saga non ha detto niente?”
“No. Ha aiutato lui Saori a preparare la baklava!”
“Saga?”
Kouga annuì e Seiya perse il sorriso.
“Che c’è?”
“Nulla Kouga. Nulla. Ora dovete andare. Io devo tornare all’altura e Saori deve rientrare al santuario.”
“Saga è innamorato di Saori?”
La domanda di Kouga arrivò a bruciapelo e Seiya non seppe cosa dire. In realtà non aveva la risposta a quella domanda. Anche se lui la temeva da anni.
“Saga è il grande sacerdote. Non confondere le emozioni Kouga!”
“Non ho più avuto modo di parlarti di quello che è successo nel mio incubo. Ora che vedo questo posto mi è venuto in mente che non ne abbiamo più avuto modo.”
“C’è poco da dire.”
“Non è vero!” fece Kouga guardando negli occhi Seiya “Ci sono cose che io devo dirti.”
“Ora?”
“Sei stato tu a dirmi che non devo aspettare per manifestare le mie emozioni o potrebbe essere troppo tardi.”
Seiya sorrise.
“Avanti, parla!”
“Ho detto a Saori che ho sbagliato a desiderare l’armatura di Pegasus al solo scopo di usarla per andarmene dal santuario a cercare i miei genitori. Le ho detto che mi sono sentito un ingrato perché voi due siete stati la mia famiglia in tutti questi anni e io non ne sono stato degno. Però c’è una cosa che devi sapere Seiya. Io non ho rinunciato al desiderio di sapere chi sono i miei genitori. Nel mio incubo erano ombre. Io non voglio ritrovarmi sul campo di battaglia, magari durante quella decisiva per la mia vita e non sapere chi sono. Chi mi ha messo al mondo è parte di me. Io voglio conoscere i loro nomi e i loro volti.”
Seiya strinse un pugno e l’armatura di Sagitter reagì al sentimento di rabbia di Seiya rifulgendo per un istante.
“Ti capisco. Ora però sei un cavaliere. Guarda” disse voltando Kouga in direzione di Saori che li salutò con un cenno della mano e un sorriso “lei ha bisogno di protezione e di sostegno più che mai. Ogni giorno che passa, la sua ferita si aggrava. Ora il tuo compito è pensare a lei. Ti prometto che, quando lei sarà al sicuro, ti aiuterò a trovare i tuoi genitori.”
Kouga annuì e Seiya lasciò la presa sulla sua spalla.
“Corri ora e scortala al santuario!”
Kouga annuì e raggiunse Saori aiutandola ad alzarsi e scuotendo il suo scialle.
“Aspettami qui un momento Kouga” disse Saori raggiungendo Seiya.
“E’ ora di andare. E’ mattino inoltrato!” disse Seiya con un sorriso amaro sul volto.
“Mi dispiace che non fossero mochi. Non sono brava in cucina!”
“Hai chi ti aiuta però!” rispose un po’ seccato Seiya.
Saori sorrise abbassando lo sguardo.
“Scusa” disse lei voltandosi.
Lui le sfilò lo scialle dal braccio e glielo posò gentilmente sulle spalle. Lei si fermò come a voler indugiare in quella sorta di abbraccio.
“Non scusarti. Mi fai sentire meschino.”
Lei finse di prendere lo scialle ma posò la mano sulla sua e la strinse.
Lui si sentì in pace col mondo.
“Saori, lo sai.”
“Sì, lo so Seiya. Anche io.”
Lui la lasciò andare e lei raggiunse Kouga. Li vide lasciare quella valle pacifica mentre udiva il richiamo della fiamma. Chiuse gli occhi e spiccò un balzo. Sagitter lo portò in alto dove né Aiolos, né gli altri favoriti della dea, erano mai stati.
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Syria indugiava ancora tra le vie di Atene indeciso se risalire al Partenone o tornare alla sua colonna nel ventre rassicurante del proprio elemento. La voce di Kanon lo sorprese alle spalle.
“Invece di goderti il centro della città, dovresti attenerti al piano!”
“Kanon, che ci fai qui?”
“Dovevi venire tu a cercare me, non il contrario!”
“Io sono venuto a cercarti. Diciamo che c’è stato un contrattempo. Ma tu questo dovresti saperlo!”
Kanon rise.
“Allora eri tu! Perché ti sei intromesso e hai salvato quella donna dalla dolce melodia di requiem?”
“Punto primo, dovresti ammettere con te stesso che non c’è niente di dolce in quella tua dannata melodia! Punto secondo è stato Saga a salvare quel cavaliere. Io ho solo spiato. Ti sarei grato se, durante la missione, lasciassimo fuori i cavalieri di Atena. Ingaggiare battaglia con loro non fa parte del piano di Nettuno! Punto terzo, ho fatto la mia parte. Tu hai fatto la tua?”
“Non qui. Seguimi.”
Syria condusse Kanon fino al porto del Pireo e si fermò in un piccolo locale sul mare. Ordinò due limonate e sollevò una borsa posandola sul tavolino.
“Qui c’è quello che Nettuno vuole fare avere a lady Pandora. L’ha vista?”
Kanon annuì senza precisare che non aveva parlato affatto con la donna.
“E’ il Ragnarok?”
Syria annuì sospirando.
“Che c’è? Non mi sembri molto soddisfatto dei progressi del nostro dio dei mari!”
“Non dubitare della mia lealtà a Nettuno! Piuttosto Kanon, sappi che non mi fido di te!”
“Capirai! Quale buona nuova si affaccia all’orizzonte! Se Nettuno si fidasse di me, credi che mi avrebbe regalato questi?” disse mostrando i polsi.
Syria sgranò gli occhi.
“A chi ti ha legato?”
“A Saga. Crudele non trovi? Pare che non mi potrò mai liberare di quel mio splendido fratello!”
Syria si alzò.
“Ti compatisco. Ad ogni modo, ho fatto ciò che dovevo. Fa la tua parte e tuo fratello non dovrà rimpiangere di averti avuto come gemello.”
Syria si allontanò e Kanon si morse le labbra. Aprì la borsa e vide la sfera colore dell’ambra. Si alzò e tornò verso il Partenone. Riattraversare la barriera fu semplice e, per quanto il cosmo di Seiya sembrasse volerlo mettere in guardia dal compiere atti contrari alla volontà della sua dea, lo scambiò ancora una volta per Gemini. Si assicurò che Ikki ed Eden fossero all’arena per una sessione di allenamento e bussò alla porta della casa di Shun dicendo a June che il grande sacerdote voleva conferire con lady Pandora.
La donna uscì dopo pochi minuti e lo raggiunse al limitare del giardino.
“Lady Pandora, avrebbe la gentilezza di accompagnarmi per una breve passeggiata? Ho bisogno di parlarvi in privato!” disse sorridendo.
Pandora sussultò. Non era Saga. Pensò a quale specter avesse il potere di assumere le sembianze altrui. Quel cavaliere era morto e lei non aveva voluto risvegliarne alcuno. La verità la raggiunse come un temporale estivo.
“Tu sei Kanon di Gemini!”
“Non qui mia signora. Preferirei in un posto più appartato. Non dovete temere alcunché. Non sono più cavaliere di Gemini, ammesso che, per un piccolo frangente, lo sia stato. Con il ritorno alla vita di mio fratello, quella breve parentesi si è chiusa. Sono Kanon Dragone del Mare, mia signora.”
Pandora si avviò lungo un viottolo che conduceva nella foresta. Anche se era sorpresa, non temeva i generali degli abissi. Al suo confronto non erano poi così forti.
“Dunque sei qui su incarico di Nettuno. Come hai attraversato la barriera di Seiya?”
“A quanto pare Seiya non distingue il cosmo del gemello buono da quello del cattivo!” disse ridendo.
“Perché un cavaliere di Nettuno, usa un mezzuccio simile per parlare con me? Atena e Nettuno non sono in pace?”
“Diciamo che il mio signore desidera la pace con Atena, ma non ha molta voglia di rivedere il suo primo cavaliere!”
Pandora sorrise.
“A quanto pare neppure gli dei sono immuni alla gelosia!” disse fieramente.
“Il mio signore manda un dono alla sorella mortale di Hades” disse Kanon mostrando la sfera che aveva nascosto sotto l’abito cerimoniale da gran sacerdote.
“Ma quello è il potente Ragnarock! E’ un oggetto di grande magia! Appartiene al tesoro di Odino. E’ forse per questo che ieri un messaggero di Hilda è stato ricevuto in gran segreto da Atena?”
“Io questo non lo so, mia signora. Nettuno me lo ha consegnato affinché ve lo donassi.”
“Nettuno non è mai stato un dio generoso! Le terre bagnate dalle sue acque non generano frutto!”
Kanon sorrise sarcastico e continuò.
“Giusto! Dunque fate pure le vostre considerazioni.”
Pandora si rigirò l’oggetto tra le mani e guardò dritto negli occhi il generale degli abissi.
“Cosa vuole in cambio da me il re dei mari?”
“Nettuno ritiene che una sua parola basterà. Titanium.”
Pandora impallidì.
“Ti prendi gioco di me? Ciò che il tuo signore va cercando è scomparso per sempre. Era tra gli oggetti più cari ad Hades ed è andato perduto con lui” disse Pandora facendo appello alla memoria di alcune vite precedenti. Ricordava che suo fratello portava sempre al collo un gioiello. Una stella di titanio su cui erano state incise le parole “Forever Yours”. In tutte le sue incarnazioni, Hades non l’aveva mai tolto. Gli era caro sopra ogni altra cosa. Aveva sempre creduto che fosse il tramite per il quale il dio prendeva possesso di un corpo umano. Ma Hades le aveva rivelato, in uno degli infiniti giorni trascorsi a togliere ogni colore dal loro mondo, che era il simbolo della sua vendetta sugli dei dell’Olimpo. Le aveva narrato dei tempi dell’età dell’oro, quando ancora la prima guerra sacra non era stata concepita. Del modo in cui Zeus gli aveva assegnato il mondo dell’Oltretomba e di come lui fosse riuscito a sottrarre ad ognuno dei suoi fratelli qualcosa di prezioso. A Zeus aveva tolto Atena attaccando il mondo degli uomini che le era caro più del divino padre e spingendola a lasciare la sua destra per diventare il baluardo della pace nell’età degli eroi. A Nettuno aveva tolto il suo schiavo più potente. Quando lo diceva, si toccava il prezioso ciondolo e sorrideva. “Per sempre tuo” ripeteva, dicendole che non si sarebbe mai separato dal Titanium e dalla creatura che esso governava. Di incarnazione in incarnazione, Hades lo portava con sé. Quando era toccato a Shun personificare Hades, Pandora lo aveva messo al collo del neonato convincendo Ikki che fosse un ricordo della loro mamma defunta. Perché Kanon glielo chiedeva ora? E soprattutto perché il dio dei mari lo rivoleva? Credeva che la morte di suo fratello gli conferisse il diritto di riprenderselo? Parlò decisa.
“L’ultima volta che ho visto quell’oggetto, era al collo di Shun. Non so che fine abbia fatto dopo la morte di mio fratello. Tuttavia, se lo avessi io, mi sarebbe troppo caro per scambiarlo con un oggetto come questo. La morte di Hades non cambia nulla. Lui non vorrebbe che lo riavesse Nettuno!”
Kanon non diede a vedere l’irritazione che le parole di Pandora causarono in lui. Era certo che, provocando la donna nel modo giusto, ella avrebbe rivelato il motivo per cui Julian Solo lo aveva spedito ad Asgaard a corrompere una donna gelosa e tradita. Aveva creduto che gli avrebbe involontariamente fornito le informazioni che ancora gli mancavano per comprendere i veri piani di Nettuno. Invece quella donna sciocca, causa di tante tragedie, dava a vedere di non sapere nulla e frustrava persino le speranze del dio dei mari dimostrando di ignorare il valore del Ragnarok. Decise di fare un ultimo tentativo.
“Se non desiderate quell’oggetto, lo restituirò a Nettuno. Il mio signore confidava che ne avreste fatto un uso migliore e maggiormente proficuo della sacerdotessa di Asgaard.”
Le parole di Kanon si insinuarono nella mente di Pandora come il dubbio che assale improvvisamente e non libera fino a che non viene scacciato dalla verità. Conosceva molte arti oscure Pandora. Quale di queste avrebbe potuto amplificare il Ragnarok? Ripensò così alla visione che da mesi ormai l’attanagliava ed ebbe una sorta di illuminazione accompagnata da un brivido che non sfuggì a Kanon. Pandora cercò di mantenere la calma. Tutto era chiaro ora. Anche la visione su Hyoga che tanto aveva agitato Shun. Sorrise tra sé. Nettuno era davvero astuto. Evidentemente sapeva che il Titanium riappariva solo insieme all’anima di Hades, pertanto le aveva fatto avere il Ragnarok. La sua conoscenza in materia le faceva sapere che l’oggetto manteneva un frammento di ogni era del mondo e pertanto le era possibile richiamare da esso un briciolo dello spirito del signore degli Inferi. Egli avrebbe potuto attrarre il Titanium ovunque fosse nelle sue mani. Sapeva inoltre che, se lo avesse consegnato a Nettuno, il dio dei mari sarebbe stato in grado di rievocare la bestia che aveva visto nella sua visione. Il terribile e mostruoso Kraken. Rimaneva un punto cruciale. Contro chi Nettuno avrebbe scatenato il Kraken?
Kanon capì che Pandora aveva intuito qualcosa e tentò il tutto per tutto. Se si fosse sbagliato la donna avrebbe capito che aveva tirato ad indovinare e che non conosceva i piani del suo signore. Rischiò.
“Il Kraken appartiene al dio dei Mari e di certo Hades non può farsene più nulla ora!”
Pandora sgranò gli occhi. Era vero. Ormai Hades era morto. Seiya lo aveva ucciso nel suo vero corpo. Non ci sarebbe stata più alcuna guerra sacra. Un pensiero però le attraversò la mente agitata. Shun era stato il ricettacolo di Hades in questa epoca. Poteva ancora ospitare una briciola della sua essenza. Forse, se pervaso dal potere di Hades, il corpo di Shun poteva guarire dalla maledizione di Marte. Forse, dopo tutto il dolore e la sofferenza che gli aveva provocato, poteva fare una cosa buona per lui. Poteva salvargli la vita. In fondo una piccolissima parte dell’essenza di Hades avrebbe potuto cambiare la personalità di Shun che lo aveva respinto persino nel massimo del suo potere? Aveva tra le mani la possibilità di salvare colui che per lei era realmente suo fratello. Avrebbe potuto evitare di dovere spiegare un giorno ad Ikki perché suo fratello era morto quando lei aveva una possibilità di salvarlo. Si convinse, in un istante, che Ikki al suo posto avrebbe fatto la medesima scelta. Certo avrebbe consegnato a Nettuno un’arma potentissima scatenando eventi che, nella sua visione, portavano alla morte di Atena. Guardò Kanon negli occhi.
“Lo scatenerà contro Atena? Cerca una nuova guerra sacra?”
Kanon non distolse lo sguardo e aumentò la posta in palio.
“Nettuno desidera Atena. Il Kraken ha il potere di costringerla ad amarlo?”
Pandora rispose sovra pensiero ancora in balia dei suoi dubbi.
“Il Kraken è un predatore. Nell’era mitologica una volta che Nettuno lo sguinzagliava, non si fermava fino a che non trovava e uccideva la vittima designata. E’ questo che Nettuno vuole per lady Saori?”
Kanon scosse le spalle e si voltò.
“Sarò in giro ancora per un po’. Forse avete bisogno di un po’ di tempo mia signora. Sappiate però che se userete il Ragnarok e poi non mi darete ciò che Nettuno vi ha chiesto in cambio, io me la prenderò con il vostro piccolo Ikki. Somiglia davvero molto a suo padre. Com’è che si chiama, Eden?”
“Non oserai!” urlò Pandora.
“Sì che oserò se mi ingannerete, mia signora. Io sono il gemello cattivo e se considerate che il buono si è macchiato di efferati delitti, cosa vi aspettate da me?”
Kanon non attese risposta. Si allontanò nella foresta sorridendo di nuovo della sua fortuna. Un altro pezzetto del piano di Nettuno era stato svelato. Il dio dei mari voleva di nuovo controllare la sua bestiolina per lanciarla alla ricerca del suo nemico e qualcosa gli suggeriva che la vittima designata non era affatto Saori. Forse aveva davvero la possibilità di sistemare le cose con Saga. Si guardò i polsi e il sorriso svanì. Un altro piccolo sforzo. Doveva riuscire ad incontrarlo un’ultima volta per fargli sapere che era vivo. Che per tredici lunghi anni era stato rinchiuso nella colonna portante di Atlantide e che aveva resistito perché sapeva che aveva una cosa da fare prima della fine. Eppure si fermò. Nel mezzo della foresta. In piedi. Una strana sensazione lo avvolse. Anche se aveva mentito a Syria, era stato lui a salvare Shaina. Quando Saga l’aveva maltrattata nel suo studio, lui l’aveva inseguita. Si era detto che quella donna era solo la sua copertura al santuario. La notte passata insieme a lei un semplice passatempo. Aveva mentito di nuovo. L’aveva protetta da Syria perché lo voleva. Le aveva salvato la vita perché quella donna era forte e decisa come lui. Sorrise e poi sospirò. Quella donna non era stata con lui. Lei era andata a letto con Saga. Si scosse e uscì dalla foresta.
 
Note dell'autrice:
* I mochi sono dolci tradizionali giapponesi. I più semplici a preparare perche fatti con glassa e riso compattato. Si vedono in molti anime tra cui anche in Sant Seiya per questo l'h scelto come termine di paragone alla baklava greca che certo Seiya non può preferire. Spero vada bene...

Ecco la seconda parte del capitolo dedicato alla vita salvata da Kanon. Solo due cambi di scena che per me sono stati molto intensi. Spero, come al solito, che mi facciate sapere come vi sembra... Io vi abbraccio tutti tutti e vi ringrazio anticipatamente per il tempo che spendete dietro a questa storia... Vi lovo!!!

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Capitolo 12
*** La vita salvata da Hyoga - prima parte ***


 
Capitolo VII : La vita salvata da Hyoga
 
Asgaard non era cambiata. La città fortezza abbarbicata su quello spuntone di roccia innevata e sferzata dal gelidi venti non sembrava né migliore né peggiore di quella da cui era letteralmente fuggito dieci anni prima. Dimostrazione di forza della creazione dell’uomo. Immutabile vestigia di un dio muto e solitario.
Hyoga era stato accompagnato da Mizar al cospetto di Orion. A quanto pareva, la regina non poteva ricevere visite a seguito di una leggera influenza. Il cavaliere del cigno era stato ricevuto con tutti gli onori ma Hyoga, col cuore, udiva le parole non dette, i rimproveri di coloro che, per un breve lasso di tempo, aveva chiamato compagni. Ci aveva messo poco infatti a comprendere che non avrebbe potuto mai avere altri ‘compagni’ al di fuori di Seiya, Ikki, Shiryu e Shun. Ne avevano passate troppe assieme perché il loro legame potesse essere sostituito da quello nato con i cavalieri di Odino.
Hyoga notò che, oltre ad Hilda e ovviamente Flare, nella grande sala del trono era assente anche Artax. Lo scranno riservato al guerriero di Sleipnir era vuoto. I cavalieri del nord si congedarono tutti velocemente quella sera compreso Orion che, certamente, doveva tornare da Hilda. L’unico che dimostrò un cenno di comprensione per la situazione nel suo complesso fu Argor il quale, seduto sullo scranno di Mizar, gli lanciò una bottiglia di vodka.
“Bevi. Ne hai bisogno mi sembra” disse aprendone un’altra e trangugiando un lungo sorso.
Hyoga si attaccò alla bottiglia e lo imitò.
“Credevo che mi avrebbero lasciato alle calcagna Mizar. Se mi hanno affidato a te vuol dire che non sono più il benvenuto qui.”
Argor sorrise.
“E ti stupisci? Dopo il modo in cui hai lasciato Flare?”
Hyoga prese un altro lungo sorso di liquido trasparente e sospirò.
“Non mi giustificherò con te per quello che ho fatto. Ho agito in coerenza con i miei sentimenti allora e l’ho fatto anche oggi tornando. Visto che hai avuto la generosità di parlare con me, vorresti dirmi dove sono Flare e Artax?”
Argor posò la bottiglia in terra e poggiò i gomiti sulle ginocchia lasciandosi andare ad un gesto di sconforto.
“Io non ti giudico per le tue azioni di dieci anni fa. Siamo simili noi due. Io ritengo, come te, che la verità, per quanto terribile, sia meglio di qualunque bugia. Lo so per esperienza personale. Tuttavia hai gettato la disgrazia su Flare. Non si è mai ripresa dalla tua partenza. Le donne sono creature strane. Vivono di piccole cose. Un bacio, il ricordo di un’emozione provata, una promessa. Cose impalpabili che lo scorrere del tempo allenta e distrugge mentre la vita va avanti impietosa. A pensarci bene forse non solo le donne sono vittime, in tal senso, delle emozioni.” disse alzandosi e raggiungendo una finestra che dava sul profondo dirupo sotto la statua di Odino. Il freddo aveva gelato i vetri. Argor si attaccò ad una delle pesanti tende.
“Artax giace in un letto in fin di vita.”
Hyoga sobbalzò.
“Che gli è successo?”
“Ha affrontato, per così dire, il generale degli abissi a cui Flare ha consegnato uno degli oggetti del tesoro di Odino macchiandosi del reato di alto tradimento.”
“Tradimento? Flare? Ma è assurdo! Lei ama la sua gente, non la metterebbe mai in pericolo alleandosi con un nemico di Asgaard. Nettuno poi!”
“Ti dico che è così. Ha sottratto un potente artefatto da una delle camere del tesoro di Asgaard a cui hanno accesso solo lei ed Hilda. Artax è intervenuto per riprendere l’oggetto. L’ha trovato Mizar in fin di vita durante una perlustrazione.”
“E dov’è adesso Flare?”
“Nelle segrete di palazzo, sorvegliata a vista da Thor. Se vuoi vederla dovrai farlo domani poiché fra due giorni verrà giudicata dal consiglio degli anziani”
“Giudicata? Che succederà se la riterranno colpevole?”
“La pena per l’alto tradimento è la morte per decollazione.”
Hyoga chiuse gli occhi e strinse i pugni. Non poteva permettere che Flare morisse. Già una volta l’aveva fatta fuggire dalle prigioni di Asgaard, ma ora sarebbe stata la cosa giusta da fare?
“Cosa dovrebbe fare o dire per evitare la condanna a morte? Hilda non può concederle grazia?”
Argor si voltò e lo guardò negli occhi.
“Non c’è nulla che Hilda possa fare. Ha sottratto il Ragnarock un artefatto magico del tesoro di Odino che consente a chi ne ha il potere di evocare le anime. Quello che Nettuno potrebbe fare con un oggetto come quello è impossibile da stabilire con certezza. Se non dirà che è stata costretta o ingannata, non si salverà. Per aiutarla Artax, ferito a morte, ha sostenuto che il generale degli abissi l’ha minacciata. Ha chiesto ad Orion di tenere presente la sua versione dei fatti. E’ solo per questo che la principessa è ancora viva. Tuttavia nessuno crede alla versione di Artax. Sono anni che vive isolato da tutto e tutti per vegliare su Flare. Lui la ama.”
“Ha guadagnato tempo comunque. Fammi parlare con lei.”
Argor abbassò per un momento lo sguardo e parlò.
“Vieni con me. Tanto peggio di così non può andare!”
I due si incamminarono lungo i corridoi deserti del palazzo e si infilarono lungo una stretta scala che scendeva di diversi piani fino ad una spessa inferriata. Due guardie la sorvegliavano. Argor diede loro la bottiglia di vodka e uno dei due aprì la porta. Percorsero la piccola stanza fino ad una porta di legno spesso con battenti di ferro.
Argor bussò due volte e un altro soldato l’aprì. A destra e sinistra della stanza c’erano tante piccole celle vuote. In fondo se ne stava Thor di lato all’accesso ad una cella più grande oltre la quale stava seduta una donna.
Hyoga fece quasi fatica a riconoscerla. I lunghi capelli biondi erano mossi come una volta ma portati con la disinvoltura di una donna ormai adulta. L’abito, per quanto pesante, era profondamente scollato. Le bianche mani erano impegnate a lavorare ad un ricamo. Quando Argor e Hyoga si avvicinarono, non alzò il capo dal lavoro ma sorrise.
“Non dovevi portarlo qui!” disse Thor rivolgendosi ad Argor e coprendo alla vista di Flare la figura di Hyoga con la sua possente corporatura.
“Se ti è rimasto un po’ di affetto per lei” gli rispose il gemello di Mizar indicando con un cenno del capo la principessa “allora vieni a bere qualcosa con me.”
Thor sospirò e lasciò la stanza con il cavaliere ombra.
“Flare...”
La donna non si mosse. Hyoga si avvicinò alle sbarre e provò ad allungare una mano. Solo allora la principessa diede segno di avvertire la sua presenza.
“Non toccarmi” disse pacatamente tirandosi indietro “Non osare toccarmi.”
“Flare cos’è questa follia?”
“Me lo chiedi dopo dieci anni? Non ti sembra un po’ tardi?” chiese sorridendo.
“Flare ti prego...”
“Vattene.”
“Vuoi morire?” chiese lui con rabbia.
“Te ne importa?”
“E’ questo il punto? Vuoi sapere se m’importa di te?”
Lei rise come se fosse realmente divertita e per nulla preoccupata della propria sorte.
“La domanda a questa risposta la conosco da anni.”
“Allora perché ora? Perché allearti proprio con Nettuno che così tanto male ha fatto alla tua gente?”
“In realtà credo di avere dato alla mia gente molto più di quello che la mia gente abbia dato a me. Non ho fatto quello che ho fatto per danneggiare Asgaard. Nettuno non vuole attaccarla.”
“E’ questo che ti ha detto per convincerti? Mai avrei creduto che le sue parole avrebbero avuto presa su di te!”
Flare si risedette.
“Nettuno sa essere persuasivo!”
“Ma cosa dici!” urlò Hyoga “Sei preda di qualche sortilegio che ha lanciato su di te come fece con Hilda?”
“Sai Hyoga, è sempre stato questo il tuo problema. Tu ti fai un’idea delle persone e pensi che loro saranno sempre così. In questo modo hai idealizzato tua madre, il tuo maestro , il tuo migliore amico e i tuoi compagni. Hai idealizzato me e persino il tuo adorato Shun!”
“Cosa c’entra Shun ora?”
“Hai ragione. Shun non c’entra nulla ora. Sappi che non sono l’influsso di alcun incantesimo. Forse un giorno lo sarai tu però! Nel frattempo sparisci dalla mia vista. La mia vita , così com’è, non mi è affatto cara!”
Crystal rimase immobile. Si sentì improvvisamente carico di collera verso se stesso.
“Non pensi a coloro che ti amano, a tua sorella?”
“Lei non mi ama affatto! Non sapevi che sono la sua sventura? Dicono che sia colpa delle mie maledizioni se non riesce a dare un erede ad Asgaard! Io non ho nessuno. Sono sola da dieci anni. Non ci saranno lacrime alla mia decapitazione!” esclamò ridendo.
“Basta!” urlò Hyoga “Non t’importa neppure del dolore che hai causato ad Artax?”
Solo al nome di quest’ultimo la donna si scosse e fu come attraversata da un brivido.
“Si è impicciato in cose che non lo riguardavano.” disse con un’espressione improvvisamente triste.
“Si è sacrificato per te!” urlò ancora Hyoga “Perché lui ti ama! Lui ti ama!”
“Lui mi ama!” urlò allora anche lei attaccandosi alle sbarre e fronteggiando Hyoga occhi negli occhi “Lui mi ama! Lui, non tu!”
Crystal arretrò di qualche passo. I suoi occhi umidi di rabbiose lacrime gli lacerarono il cuore. Tirò un respiro profondo e parlò con la calma che Acquarius gli aveva insegnato.
“E’ il mio sangue che vuoi Flare? L’avrai. Scenderò negli abissi di Nettuno e riprenderò il Ragnarock così il consiglio degli anziani non avrà più motivo di condannarti a morte. Non posso cancellare il dolore che hai provato in questi anni, spero sarai soddisfatta del sangue che scorrerà dai miei pugni perché ti giuro Flare che qualunque cosa accada, tu non verrai giustiziata!”
“E’ troppo tardi. Tornatene al Santuario!”
“No Flare. Non è mai troppo tardi. Me l’ha insegnato una persona cara.” Disse Hyoga voltandosi e prendendo la via per uscire da quella stanza fredda. La risata di Flare lo colpì come un coltello nella schiena.
“Non avrai ciò che desideri, Crystal il cigno! Lasciami morire o vedrò la mia vendetta. Soffrirai come ho sofferto io! Ciò che ami scomparirà come neve al sole sotto ai tuoi occhi!”
Hyoga vide nella sua mente l’immagine di Shun che dormiva.
“Io ti ho lasciata Flare. Non era mia intenzione farti soffrire. L’ho fatto. Lo vedo con i miei occhi. Non posso rimediare, ma il cielo mi è testimone: se ti ho portata io a questo, io rimedierò.”
Crystal uscì dalla stanza e Flare pianse. Pianse di rabbia e di disperazione. Lo amava come il primo giorno. E lui provava per lei la stessa cosa di sempre. Un affetto infinito che lo avrebbe esposto ad un pericolo mortale. Pianse e, soffocando i gemiti, pensò a quanto sarebbe stato bello abbracciarlo e perdonargli ogni cosa. Sentirlo di nuovo vicino, riavere il suo abbraccio. Pianse e la voce di Kanon Dragone del Mare risuonarono nella sua mente.
“Credete che se ad un uomo strappate ciò che ha di più caro al mondo, questo possa dopo amarvi? Sul serio?”
Cadde sulle ginocchia e nascose il viso fra le mani.
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Kanon non credeva che, durante la sua missione, si sarebbe ritrovato senza nulla da fare. Aveva consegnato il Ragnarock a Pandora e ora doveva attendere il corso degli eventi. Certo, una donna di tale intelligenza avrebbe dovuto fiutare lontano un miglio l’inganno celato dietro i suoi modi di fare gentili. Quella donna però era Pandora, colei che aveva liberato tutti i mali del mondo all’epoca del mito e poi ancora e ancora e ancora nelle sue mille reincarnazioni. Puntare sulla sua sanità mentale era da imbecilli. Se avesse accettato lo scambio, si sarebbe ritrovato con il Titanium fra le mani. Il passo successivo? Consegnarlo o meno a Nettuno? Se lo avesse fatto, Julian avrebbe riavuto il suo giocattolo e risvegliato uno dei flagelli dell’umanità. Saga non ne sarebbe stato contento di sicuro. Di contro, Julian avrebbe attivato il sortilegio con cui l’aveva marchiato e ucciso Saga insieme a lui. Un bel dilemma.
C’era una sola persona al grande tempio che poteva sapere come sciogliere quella potente maledizione, tuttavia contattarla sarebbe stato molto pericoloso. Di certo impersonare Saga davanti ad un cavaliere d’oro non sarebbe stato facile come recitare con gli altri che aveva incontrato fino a quel momento. Si disse che tutti questi pensieri erano prematuri. Ora doveva solo aspettare in un posto tranquillo la decisione di Pandora. Si diresse involontariamente verso capo Sounion.
Quando si rese conto di dove il cuore lo avesse portato, sorrise tra sé. Stava per darsi dello stupido, ma la sagoma di una persona che si stagliava contro il profilo della scogliera lo colpì. Conosceva quel profilo a memoria poiché era il suo stesso. La figura che se ne stava in piedi, eretta contro lo sferzante vento che veniva dal mare, era quella di Saga. Kanon rimase nascosto dietro ad alcune rocce azzerando il proprio cosmo. Suo fratello portava i suoi abiti da allenamento e i capelli sciolti. Tra le mani aveva un singolo, grande giglio bianco. Con un gesto lento lo lasciò cadere nel vuoto e lo seguì con lo sguardo adagiarsi tra i flutti. Aveva un’espressione triste sul volto. Quando il giglio scomparve sotto le onde, strinse un pugno.
Kanon stava quasi per uscire dal proprio nascondiglio e prenderlo alle spalle per stringerlo e fargli sapere che in fondo a tutto quel tempo che avevano passato separati, lui aveva trovato l’affetto fraterno che aveva soffocato sotto la corazza di scaglie rubata a Nettuno, quando vide Shaina.
La donna se ne stava in piedi qualche metro più indietro. Doveva essere arrivata mentre era assorto nei suoi pensieri. Anche Saga la vide e si girò a guardarla.
“Perché sei qui Shaina?”
“Atena mi ha mandata a cercarti. Dice che ha percepito una minaccia e voleva parlartene. Si è stupita che non fossi al santuario. Credo fosse preoccupata per te. Stai bene?”
Saga la superò prendendo la via di casa senza risponderle. Quando le passò accanto Shaina gli parlò senza guardarlo in viso.
“Cassios per me non era niente. Fino a che non è morto. Allora avrei voluto avergli detto che era una persona straordinaria. Che amavo il modo in cui andava a comprare la frutta al mercato e me la faceva trovare sul tavolo senza che io la chiedessi. Mi sono accorta che la sua ombra alle mie spalle mi faceva sentire più sicura di me stessa solo quando è sparita. E’ morto per darmi una possibilità di essere felice. Sono certa che a tuo fratello farebbe piacere sapere che pensi ancora a lui. Quel giglio era per Kanon, vero?”
“Kanon diceva che era uno spreco recidere fiori per portarli sulle tombe dei morti. Adorava i gigli che coltivava nostra madre. A volte mi chiedo perché lui non sia al mio posto. Tra noi, ero io il fratello malvagio. Lui lo sapeva. Dovevo morire io.”
“Non dire così. Kanon, nella nostra lingua, significa ‘criterio’ mentre Saga vuol dire ‘leggenda’. Forse tua madre, quando vi ha dato questi nomi sapeva che il destino di un di voi era di essere la chiave del futuro dell’altro. Sta a te ora vivere la tua vita.”
Saga si voltò a guardarla negli occhi.
“Mi domando perché Atena abbia deciso di reincarnarsi in una fanciulla fragile ed indifesa invece che in una donna forte e decisa come te. In fondo è la dea della guerra!” disse sorridendo.
Shaina vide negli occhi di Saga l’universo e per togliersi quella sensazione di dosso, scosse le spalle e parlò guardando la scogliera che si tingeva del rosso del tramonto.
“Saori non è né indifesa, né fragile. Semplicemente si comporta così per essere vezzeggiata dai suoi cavalieri!”
Saga rise di gusto.
“Forse è come dici tu. Shaina, sei ancora innamorata di Seiya?”
La domanda arrivò a bruciapelo e Shaina arrossì. Tirò un respirò, riprese il suo colore e parlò.
“Prima di Seiya non avevo mai provato l’amore. Per me, lui è stata un’ossessione. Non ho mai avuto una possibilità con lui. Quello che provo non conta o vuoi saperlo per altri motivi?” concluse Shaina sorridendo.
“Nessun altro motivo. Sei sprecata per quel ronzino! Andiamo ora.”
Shaina avrebbe voluto approfondire quella conversazione, ma lo seguì in silenzio. A volte Saga si vestiva davvero di quell’autorevolezza da grande sacerdote e quello era uno di quei momenti. Si lasciarono la scogliera alle spalle e presero la via di casa.
A guardarli mentre si allontanavano, Kanon sentì le lacrime pungergli gli occhi. Saga era ancora molto legato a lui. Avrebbe voluto che fosse stato al suo posto tra i cavalieri di Atena. Soffocò il dolore. Doveva portare a termine i suoi propositi e non farsi distrarre da tutti quei nuovi sentimenti che stavano prendendo piede nel suo cuore.
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Pandora si era coricata dopo che Ikki si era già addormentato da un pezzo. Aveva passato le ultime due ore a guardare Eden dormire.
Se avesse riportato indietro una parte dello spirito di Hades, suo figlio ne avrebbe avuto qualche pregiudizio? La sua visione lo coinvolgeva in una battaglia, ma di Hades, in essa, non c’era traccia. Forse avrebbe potuto salvare la vita di Shun senza provocare alcun danno. Eppure il Titanium poteva risvegliare il Kraken dormiente nel fondo degli abissi e lei aveva visto un mostro attentare alla vita di Atena. Le sue visioni però erano mutevoli. In fondo quante volte aveva visto il trionfo dei piani degli dei gemelli e poi Hades era stato sconfitto dai santi di Atena? Si mosse nel letto e si sentì stringere.
“Pandora cosa c’è? Non riesci a dormire?”
Anche se Pandora sapeva di quale dolcezza fosse capace il cavaliere di Phoenix, rimaneva sempre stupita della tenerezza che sapeva esprimere quando si rivolgeva a lei.
“No, amor mio, non ci riesco. Penso sempre che sia in agguato un grande pericolo.”
“Non dire così. Non dopo tutto quello che è successo. I ragazzi stanno bene. La festa ha ridato a tutti calma e serenità.”
“Non a tutti. Tu non hai visto Mizar?”
Ikki sorrise e la strinse ancor di più.
“Sì, l’ho visto. Lascia ad Atena i suoi affari. Noi siamo venuti per Eden. Domani intendo portarlo al cospetto di Shaka. Se sarà degno di essere suo allievo, io e te avremo un po’ di tempo per noi. Potremmo perfino partire per un viaggio. Vorrei portarti a Luxor. Intendo chiedere a Hyoga di ospitare Eden.”
“A Hyoga? Non sarebbe meglio che rimanesse qui con la famiglia di Shun?”
“Scherzi? Non intendo lasciare Eden all’affetto sdolcinato di Shun. Meglio il rigore di Hyoga.”
“Non hai mai avuto buone parole per lui.”
“Solo perché ha un ossessione per Shun, ma come guerriero non si discute. E’ stato il maestro di Yuna e Kouga. Hai visto i loro progressi?”
“A proposito di Kouga. Hai parlato con Seiya alla fine?”
Ikki approfittò dell’oscurità della stanza e rispose solo con un verso.
“Vedo che non ne vuoi parlare. Sai quel che fai marito mio?”
“Ho mai dimostrato il contrario?”
“No.”
“Allora vorresti rilassarti e dormire? Perché. nel caso contrario, posso baciarti fino al mattino.”
Pandora sorrise e si lascò baciare. La sua mente però volò all’involto nascosto nel suo cassetto. C’era solo una cosa da fare. Parlare con Shun. La cosa migliore sarebbe stata fare decidere a Shun stesso. Sorrise per la sua decisione e strinse il suo compagno.
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Saori era seduta nella stanza del grande sacerdote. Si guardava le mani. Tremavano. Alzò la testa non appena la grande porta della sala si aprì.
Saga e Shaina entrarono camminando fianco a fianco. Il primo la guardò in viso. Era pallida. Accelerò il passo.
“Che succede Atena?”
“Grazie per essere venuto subito. La barriera ha tremato. Leggermente, ma lo ha fatto. Come se vi fosse penetrato qualcosa di oscuro.”
“Seiya cosa dice?” chiese Shaina.
“Non ha lasciato la fiamma. Non so se l’abbia avvertito anche lui.”
“Non sarebbe il caso di chiamarlo?” riprese la sacerdotessa.
“No” intervenne Saga deciso “se un pericolo realmente esiste, allora è meglio che Seiya rimanga di guardia alla fiamma. Shaina convoca Shaka.”
Il cavaliere dell’Ofiuco annuì e lasciò la stanza. Quando raggiunse la porta si voltò a guardare indietro. Saga era inginocchiato vicino al trono e teneva la mano a Saori. Sospirò e lasciò la stanza.
Quando Saga capì che erano rimasti soli, prese entrambe le mani di Saori e le strinse per farle smettere di tremare.
“Saori che accade? Cos’hai? Stai male?”
“Saga è come se una grande ombra si fosse posata sul santuario. Non è il cosmo di un nemico. Nulla che io abbia mai percepito fino ad ora.”
“Percepito?” chiese Saga “Saori stai usando il tuo cosmo?”
La donna abbassò lo sguardo.
“Saori non farlo. Piuttosto lascia che me ne occupi io. Se ti accade qualcosa non potrei perdonarmelo. Pensa anche a Kouga. Ha bisogno di te.”
La donna chiuse gli occhi e si lasciò andare ad un gesto di sconforto portandosi una delle mani alla fronte.
“E’ accaduto qualcosa. Forse non dovevamo abbassare la guardia. E’ come se il mio settimo senso mi stesse avertendo di un pericolo imminente! Tuttavia non è il cosmo di Marte o quello di Nettuno. E’ come se il mio scettro fosse entrato in risonanza con un’altra arma divina. Non so spiegare...” disse tremando.
“C’è un modo per capire. Lascia che me ne occupi io. Ora andresti a riposare? Quando arriva Shaka, lo accompagno da te.”
Saori sorrise e sollevò il busto.
“No Saga, mi fido di te e prometto di non usare il mio cosmo, ma se c’è davvero un pericolo, voglio mostrarmi forte. Sono la dea della guerra e non voglio più che debbano essere i miei cavalieri a fare tutto. Voglio combattere al vostro fianco. Ora più che mai. Inoltre sono preoccupata per Hyoga. Non abbiamo avuto notizie.”
“E’ partito solo da due giorni. Sono certo che sta bene. Se vuoi, potrei mandare un manipolo di cavalieri d’argento al nord o magari Acquarius. Sarebbe più adatto.”
“E’ una buona idea grande sacerdote. Ora però aspettiamo Shaka. Vediamo cosa ci dice a proposito di questa mia brutta sensazione.” concluse Saori sorridendo.
Saga si alzò, fece un inchino e sparì dietro le tende rosse e pesanti della sala del trono.
Saori si alzò e raggiunse uno dei grandi specchi della sala che un tempo avevano riflesso l’immagine del perfido Arles. Nonostante fosse trascorso molto tempo dalla prima volta in cui aveva messo piede al tempio di Atena e quelle stanze avessero assistito silenziose e protettive a tanti eventi della sua vita, la sua immagine non era molto cambiata. V’era una donna dove, un tempo, una fanciulla timidamente aveva imbracciato lo scettro della Nike. Un riflesso dorato luccicò nello specchio e Sagitter apparve al suo fianco nello specchio. Se non avesse sentito il calore del suo respiro sulla spalla, avrebbe pensato che davvero quella superficie riflettente aveva il potere di indurre la gente verso la propria nemesi e la follia. Allungò una mano e senti il freddo oro stringergliela. Nello specchio, le loro dita intrecciate sembravano appartenere ad una sola mano.
“Sei venuto...”
“Hai sentito quel tremito nella barriera? E’ come se qualcosa l’avesse scossa.”
“Sì. Tu stai bene?”
Seiya annuì e parlò.
“Non è stato come se fosse stata colpita dall’esterno. Mi è sembrato che qualcosa, nel santuario abbia come pulsato e la barriera ha trattenuto l’energia al suo interno vibrando.”
“E’ così. Ho temuto un attacco diretto.”
“E da chi? Io non ho percepito niente. La fiamma brucia normalmente.”
“Allora perché sei qui mio generale?” disse la donna lasciandosi finalmente andare ad un sorriso.
“Perché hai usato il tuo cosmo e avevi promesso di non farlo!” rispose lui serio.
Lei diede le spalle allo specchio senza lasciargli la mano.
“Ho voluto provare a cercare la fonte di quel potere. Non ci sono riuscita. E’ durato troppo poco.”
“Vale lo stesso per me.”
La porta del tempio si aprì e i due ritirarono contemporaneamente le mani. Shaka avanzò fino a Saori e fece un inchino col capo.
“Sono lieto che il primo cavaliere della dea sia al suo fianco. Abbiamo sentito tutti la tua assenza in questi anni Sagittarius no Seiya.”
Seiya sorrise amaramente notando che Shaka aveva sapientemente usato la parola ‘assenza’ e non ‘mancanza’. Dei cavalieri d’oro solo Saga e Mur conoscevano la verità sul suo compito e sulla fiamma. Gli altri lo credevano affaccendato in missioni sulla ricerca di Marte.
“Sono qui adesso, anche se non so per quanto.”
“Atena dovrebbe trattenerti al santuario per qualche tempo! Almeno fino a che non sapremo cosa ha penetrato la barriera che Atena ha alzato per proteggere il grande tempio.” Concluse Shaka con la sua solita pacatezza.
Saga riapparve da dietro le tende con uno scrigno in mano. Quando Seiya lo vide, si frappose d’istinto fra Saga e Saori. Shaka si avvicinò a Saga e lo prese per un braccio.
“Perché hai preso quello scrigno?” chiese.
“Calmatevi tutti. Atena sostiene che la forza che ha scosso la barriera non appartiene ad un cavaliere o ad un dio. Le è sembrato che appartenesse ad un’arma divina come quella che promana dal suo scettro. Proviamo a fare entrare in risonanza due armi sacre come la daga del grande sacerdote e lo scettro di Atena. Magari anche quella che ha fatto tremare la barriera si manifesterà.”
“Non sono d’accordo,” disse Seiya che non lasciava la posizione assunta “entrando in risonanza lo scettro potrebbe aggravare la condizione di milady.”
“Però Saga non ha torto” disse Shaka “potrebbe essere la soluzione.”
Seiya si voltò a guardare il volto di Saori. Era serena e fiduciosa. Si inginocchiò e parlò guardando l’orlo del suo abito.
“Atena concedimi ancora una volta il tuo scudo!”
La donna si inginocchiò di fronte a lui e gli prese entrambi gli avambracci.
“Seiya non devi preoccuparti, andrà tutto bene.”
“Ditemi di sì, Atena...”
Lei lo guardò, negli occhi la muta speranza che lui capisse che non voleva metterlo a repentaglio, che voleva tentare in prima persona. Sapeva però che Seiya non glielo avrebbe permesso. Cedette.
“Sì.”
In pochi istanti furono tutti sotto la grande statua di Atena. Seiya prese lo scudo e Saga sfoderò la daga. Atena stava vicina a Shaka.
“Sta pronto Seiya, colpirò forte!” esclamò Saga con un pizzico di ironia nella voce.
“Che c’è, ne vuoi ancora? Non ti è bastato prenderle tanti anni fa?” gli fece eco Seiya con un sorriso di determinazione “Colpisci, io sono pronto!”
Le armature d’oro di Gemini e Sagitter brillarono nella notte. Saga spiccò un balzo e si lanciò contro Seiya. Questi di contro sollevò lo scudo dorato e parò il colpo. L’eco del clangore dei metalli che si scontravano senza ferirsi a vicenda, fece tremare la barriera della fiamma della Nike.
Saori chiuse gli occhi e cercò di percepire in essa il riverbero di qualcos’altro. Seiya e Saga la raggiunsero speranzosi. Atena riaprì gli occhi senza parlare.
“Nulla.” Intervenne Shaka con voce decisa “Non è successo nulla. Qualunque cosa fosse nel tremolio di prima, ora è scomparsa. Non è servito a nulla.”
Seiya guardò lo scudo e il volto preoccupato di Saori. La donna guardava la stanza di Kouga ed era facile, per lui, immaginare i suoi pensieri.
“Ebbene Shaka, torna alla sesta casa. Abbiamo tentato. Domani mattina decideremo il da farsi. Per questa notte non abbiamo che da riposare.”
Il cavaliere di Gemini ripose la daga nello scrigno e fece un cenno a Saori.
“Torna anche tu alla tua casa Sagitter.”
Seiya fece cenno di annuire, ma attese comunque di rimanere un ultimo istante solo con Saori.
“Non temere per Kouga,” disse “la barriera è ancora intatta e lui è al sicuro.”
“Questa cosa è dentro la barriera Seiya.”
“Ci sono anche io dentro la barriera Saori” disse avvicinandosi a lei.
Saori sollevò lo sguardo al cielo. Le stelle di Pegasus brillavano nitide come a voler ancora risplendere sul capo di colui che le aveva accarezzate per anni.
“Perdonami Seiya, devo sembrare ridicola a preoccuparmi così!”
“No, sono preoccupato anche io, ma siamo qui tutti insieme. Non c’è nulla che non possiamo affrontare. Sii serena.”
“Non tutti. Hyoga non ha dato notizie.”
“Non temere anche per quell’orso polare. Sono certo che se la caverà e se avrà bisogno, ce lo farà sapere.”
Lei sorrise e appoggiò la guancia alla mano che lui aveva sollevato per spostarle una ciocca di capelli dagli occhi.
“Saori, lo sai.”
“Sì, lo so Seiya, anche io.”
Lui la lasciò rientrare nelle stanze di Atena e rimase vicino all’alta statua. Stanotte la fiamma avrebbe atteso invano. Sarebbe rimasto lì a vigilare che le due persone che amava di più al mondo, fossero al sicuro.
“Io proteggo” disse “a qualunque costo. Sappilo, chiunque tu sia a minacciarci!”
Nell’ombra Kanon si chiese se quel piccolo uomo, che aveva sconfitto gli dei, fosse davvero più meritevole dell’amore di Atena di quanto non lo fosse Saga.

Note dell'autrice: Rieccomi!!!
Inanzitutto due note tecnice ... Avete letto che Shaina dice a Saga che Kanon significa criterio e Saga vuol dire leggenda. Ebbene in effetti Kanon significa criterio, mentre Saga non vuol dire assolutamente leggenda. E' una forzatura letteraria e un'assonanza creata tra il nome del guerriero e la parola italiana saga.
In secondo luogo capo Sounion non è esattamente vicino a Rodorio e al grande tempio. Per comodità ho gestito la situazione come nell'anime. Chiedo venia.
Infine, non so se c'è un particolare periodo dell'anno in cui le stelle della costellazione di Pegaso brillano sull'acropoli di Atene, ma che cavolo... è Saint Seiya... se non brillano le stelle di Pegaso sul tempio, allora quali???
Veniamo ora ad un paio di commenti. Ringrazio tutti coloro che hanno recensito la storia o mi hanno mandato un messaggio in privato. Non sapete che gioia mi date, davvero! Siete stupendi perchè vi appassionate, fate il tifo, cercate di indovinare il seguito, vi adoro! Mi scuso per qualche errore, refuso e punteggiatura non a posto. Magari un giorno troverò il tempo di fare correzioni. Ora vi lascio... o le note diverranno più lunghe del capitolo. Grazie e alla prossima!

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Capitolo 13
*** La vita salvata da Hyoga - seconda parte ***


Capitolo VII : La vita salvata da Hyoga (seconda parte)


Pandora si levò presto la mattina seguente. Prese il Ragnarok facendo attenzione a non svegliare Ikki e uscì. Sorrise pensando che era la stessa abitudine di Shun di cui June le aveva parlato. Si diresse verso l’arena e la casa di Hyoga. Shun era ancora li. Anche se lei sapeva che il motivo per cui lui si era trasferito in quella casa non c’era più. Centinaia di spighe di grano la salutavano mentre percorreva la strada stretta che tagliava il campo che dall’arena arrivava fino alla casa del cavaliere del cigno. Erano spighe mature che parlavano fra loro di estate e del calore del sole. Spighe orgogliose che, come Icaro, tendevano al cielo. Spighe colore dell’oro. Pandora arrivò a destinazione pensando a quel colore e a come, anche dopo la dipartita di Hades, lei non lo avesse mai indossato. Si era concessa il rosso, il blu, il viola, l’argento e anche un tono chiaro di verde. Tornava sempre al nero. Un giorno però, le sarebbe piaciuto osare l’oro. Il colore che tanto piaceva ad Ikki. Lei non l’aveva mai portato perché sapeva che quello era il colore dell’infanzia di Ikki, il colore del suo primo amore. Così abbandonava l’idea di un confronto tanto crudele e tornava al nero.
La casa di Hyoga era spartana. La casa di un uomo solo. Sul davanzale però c’era un vaso di argilla con una piantina di Pieris japonica. I suoi fiori, campanelli dal colore rosa chiaro, si agitavano al vento come in una danza. Se fossero stati dei campanelli di metallo, avrebbero suonato come la catena di Andromeda quando si avvolge cauta intorno a coloro che vuole difendere.
Bussò alla porta con un tocco leggero. Shun aprì quasi subito. Aveva gli occhi stanchi. Sorrise comunque. Com’era dolce Shun. Sorrise anche lei.
Shun rimase sorpreso da quella espressione. Forse non l’aveva mai vista sorridere davvero. Era come se la luna stesse splendendo su un lago chiaro e tranquillo.
“Vuoi entrare?” chiese con gentilezza il cavaliere.
“Ti va di passeggiare? Fuori è una così bella giornata!” rispose lei.
Shun chiuse la porta alle sue spalle e si incamminò al suo fianco lungo le spighe.
“Sei stanco Shun. Il tuo braccio come va?”
“Non è il braccio che mi fa male, Pandora.”
“Sei in pena per Hyoga?”
Shun non rispose. Era sul suo viso la risposta. Pandora si fermò pungendosi una mano con le spighe.
“E’ partito solo da pochi giorni. Vuoi che veda dove si trova ora?”
Shun scosse il capo. “No, hai già visto il suo futuro. Spero che, come mi hai detto, esso prenda un altro corso. Del resto non posso fare altro.” Concluse con tristezza.
“E se avessi una scelta?” chiese Pandora finalmente disvelando l’involto che aveva nascosto nell’ampia manica dell’abito nero.
Shun la guardò con curiosità. Pandora sollevò la pesante stoffa marrone e mostrò il Ragnarok.
“Che cos’è?” chiese Shun.
“E’ il Ragnarok. Un oggetto dotato di molta magia.”
“Ma questo è l’oggetto che Mizar ha raccontato essere stato rubato da Flare! Secondo lui ha tradito Asgaard per consegnarlo a Nettuno. Perché ce l’hai tu?”
“Non ti mentirò Shun. Me lo ha consegnato un emissario di Nettuno. Vorrebbe in cambio una cosa a me molto cara. Prima di prendere una decisione, ho voluto mostrartelo.”
“A me? Perché?”
“ Perché quest’oggetto può liberarti dalla maledizione di Marte. Potrebbe consentirti di tornare ad essere il cavaliere che eri. Saresti di nuovo te stesso. Libero. Dopo potremmo consegnarlo ad Atena perché lo restituisca ai legittimi proprietari.”
“Ho affrontato troppe battaglie e ucciso troppi uomini ingannati dal desiderio di gloria, amore, ricchezza e potere per non sapere che una magia simile richiede il pagamento di un prezzo. Consegnalo ad Atena. Magari così Hyoga farà ritorno sano e salvo.”
“Oppure no. Sappi che se lo consegno ad Atena e non do a Nettuno ciò che vuole, né pagherà Eden le conseguenze e questo non lo posso permettere. Se non è utile a te, lo restituirò a chi me l’ha consegnato.”
Pandora abbassò il capo sulla sfera tinta di ambra ma non si mosse. Shun intuì che non riteneva ancora chiusa la questione. Tentò un altro argomento.
“Anche Atena soffre della mia stessa malattia. Non potremmo curare lei?”
“No.”
“Perché Pandora? Eden poi sarebbe al sicuro!”
“Questo oggetto non può salvare la vita di Saori, ma solo la tua.”
“Non capisco.”
“Parlerò chiaramente. Il Ragnarok è un contenitore. Ha assorbito tutte le ere del mondo. Ogni volta che l’universo collassa su se stesso e da se stesso rinasce, una parte del mondo perduto finisce assorbita nel Ragnarok. Lo chiamano l’occhio onniveggente. Ma il suo potere è maggiore. L’occhio può trovare l’anima di qualunque creatura che appartenga ai mondi perduti e restituirne una parte a questo mondo. Certo una piccolissima parte, ma pur sempre qualcosa.”
“Le anime dei morti?”
Pandora annuì e Shun cominciò a intuire il prezzo da pagare per il ritorno ad una vita normale.
“Le anime svanite nelle dimensioni che furono. Anime di uomini. Anime di dei. Certo, ogni divinità si risveglia più forte e più determinata di era in era, ma alcune sono perdute per sempre. Nettuno contava che avessi un forte desiderio di riportare indietro mio fratello.” Concluse lei.
Shun si sentì gelare il sangue nelle vene e il suo cosmo si attivò autonomamente, gettando subito il suo corpo in preda dei dolori tremendi che gli causava la ferita di Marte. Pandora poggiò in terra il Ragnarok e si avvicinò.
“No, Shun, non devi temere. Non voglio farti alcun male. Se non è questo ciò che desideri, io lo restituirò a Nettuno.”
Shun cercò di riacquistare il controllo e le rispose.
“Ad Atena. Devi consegnarlo ad Atena.”
“Non posso!” lo interruppe lei “In cambio di questo oggetto, Nettuno mi ha chiesto il Titanium. Te lo ricordi? Te lo misi al collo quando diventasti Hades.”
Shun corse con la mente al ciondolo di grigio metallo che raffigurava una stella a cinque punte con la scritta ‘Tuo per sempre’.
“Continuo a non capire Pandora. Nettuno, di punto in bianco, viene da te e ti chiede uno scambio. Un oggetto che appartiene a Odino e che è in grado di riportare indietro un frammento di Hades contro l’oggetto che collega lo spirito di Hades stesso con la sua incarnazione in questo mondo? Vuole o non vuole che Hades ritorni?”
“Hai ragione ad essere confuso. Ora ti spiegherò.” Disse lei sedendosi su una pietra e continuando con la mano a carezzare le spighe. Il sole, di tanto in tanto, si nascondeva dietro vaporose nuvole candide che facevano cambiare colore ai campi di Grecia. Shun la imitò e Pandora prese a narrare.
“Per molto tempo anche io ho creduto che il Titanium fosse il tramite per il quale Hades prendesse possesso dei corpi in cui sceglieva di risvegliarsi. Poi lui stesso mi raccontò che, l’abitudine di indossare il Titanium, non aveva nulla a che fare con ciò. Il Titanium gli era caro. Lo considerava il suo tesoro più grande. Mi disse che era il simbolo del suo trionfo su Poseidone. Ora che Hades è stato definitivamente sconfitto, il dio dei Mari mi ha proposto questo scambio in modo tale che io richiami un briciolo dello spirito di mio fratello. Hades, infatti, ha collegato il Titanium alla sua anima e solo lui è in grado di richiamare l’oggetto dal mondo dei morti dove il Titanium si perde ogni volta che Hades torna a dormire. Nettuno pensava che avrei provato piacere nel riavere, seppure in minima parte, l’anima di mio fratello.”
“Un’anima che tornerebbe nel mio corpo, perché Hades non ne ha più uno proprio.” Concluse Shun.
“Un’anima che rinvigorirebbe il tuo corpo straziato dalla maledizione di Marte!”
“E che cambierebbe di nuovo la mia personalità!” esclamò Shun alzandosi di scatto.
Pandora non era stata completamente sincera. Non aveva rivelato a Shun del Kraken. Sapeva che, se lo avesse fatto, Shun avrebbe collegato la bestia alla minaccia contro cui lottava Hyoga e di cui lei gli aveva parlato la sera della festa. Si morse le labbra. Shun meritava una possibilità di guarire. Ikki non meritava di perdere suo fratello.
“Non essere affrettato. Hai resistito contro lo spirito di Hades nel pieno del suo potere, credi che una briciola della sua essenza potrebbe piegarti? Non ho piacere nel restituire a Nettuno il Titanium, eppure vorrei davvero che tu guarissi. Se non vuoi essere generoso con te stesso, rifletti bene nell’interesse di coloro che ti amano e che soffrirebbero per la tua perdita!”
“Sussurri dolci parole al mio cuore desideroso di speranza, Pandora. Ma la parte più profonda di esso mi mette in guardia da una così semplice soluzione che viene per mano dei nemici di Atena.”
Pandora scattò in piedi con gli occhi ora furenti.
“Bravo Shun! Diffidi del Ragnarok eppure sembri appartenere ad uno dei suoi mondi perduti! Di quali nemici parli? Le guerre sono finite da anni! Hai una compagna e una figlia che è diventata a sua volta un guerriero! Tuo fratello ti ha dato un nipote della cui vita ti sei rifiutato di far parte poiché avevi paura dei tuoi propri fantasmi! Il tempo è trascorso e la vita si è consumata senza che tu ne diventassi padrone. Hai lasciato che i giorni si susseguissero tutti uguali poiché non avevi la forza di farli diventare migliori! Di farli diventare come volevi tu! Ha ragione Ikki. Sei debole, debole e vigliacco! Ti ho offerto un modo per tornare ad essere un cavaliere e correre a cambiare il destino di Hyoga. Tu preferisci pensare che non ne saresti in grado comunque. Se avessi voluto, avrei usato il Ragnarok su di te comunque! Non te ne saresti neppure accorto! Ho voluto invece lasciare scegliere te. E tu mi ripaghi chiamandomi nemica. Ti auguro una buona giornata Shun e spero davvero che il tuo sogno di riabbracciare Crystal si avveri. Sappi però che se sarai esaudito, sarà stato solo per la forza di Hyoga. Per l’ennesima volta, tu non avrai fatto nulla!”
Pandora si allontanò lasciando Shun in balia delle sue parole. Quanta verità c’era in esse. Il dolore si fece largo nell’animo del cavaliere di Andromeda e gonfiò i suoi occhi di calde lacrime.

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Kouga si stiracchiò nel letto sollevando entrambe le braccia verso l’alto. Era di buon umore. Si alzò e si rinfrescò il viso con l’acqua che Lucina era solita versargli la mattina molto presto nella conca vicino alla finestra. L’acqua gli bagnò i capelli rossi e lui si passò l’asciugamano sulla testa.
Tirò una tenda e guardò in direzione della statua di Atena come ogni mattina. Fino a qualche mese prima era solito indirizzarle qualche boccaccia o pronunciare frasi del tipo ‘dormito male? Ti vedo un po’ rigida!’. Quando era scoperto da Saga, si beccava un pugno sulla testa. Ora però la considerava diversamente. Aveva cominciato a nutrire nei confronti dell’effigie un certo rispetto.
Kouga la fissò e le sembrò che la statua fosse diversa dal solito.  Uscì e corse sotto l’alta raffigurazione della dea.
“Le hanno rubato lo scudo!” esclamò “Atena non ha più il suo scudo!”
Si voltò e corse verso le stanze di Saga. Il grande sacerdote non c’era. Si diresse verso la sala del trono. Fuori dalla porta, come spesso capitava, c’era Shura cavaliere del Capricorno.
Kouga non avrebbe saputo dire se, nei confronti di quel cavaliere d’oro, provasse soggezione o vera e propria paura. Shaina era una maestra severa e Ilio gli aveva raccontato che Milo sapeva essere veramente severo così come Sibilla raccontava che Death Mask spesso era addirittura crudele con i suoi allievi. I ragazzi che vivevano alla decima casa, invece, non raccontavano mai nulla del loro maestro. Aveva sentito dire che aveva una spada sacra in un braccio e, da piccolo, una notte, aveva segnato di essere tagliato da Shura in quattro pezzi. Saori però gli aveva spiegato che, fra tutti i cavalieri d’oro, Shura era da considerarsi il più affidabile di tutti. Gli aveva detto che nessuno gli aveva mai ordinato di stare di guardia fuori dalla sala del trono. Eppure, quando non era affaccendato altrimenti, Shura saliva alla tredicesima casa e si metteva di guardia. Kouga era affascinato dall’idea di una così grande forza di spirito e l’aveva spesso confrontata con quella di Seiya. Due persone così diverse eppure così devote ad Atena. Anche se Kouga non aveva ancora ben compreso il mistero di una dea che vive dentro il corpo di una donna, aveva orami compreso che la devozione di Seiya e quella di Shura erano diverse. Shura, con la sua spada nel braccio, difendeva la dea e le sue leggi, Seiya con il suo arco difendeva Saori e le persone. Una spada e un arco a disposizione di Atena. Un oggetto affilato e indistruttibile e un’ arma flessibile e capace di colpire anche da lontano. Lui un giorno sarebbe diventato più simile ad una spada o ad un arco? Scosse il capo e avanzò verso Shura pensando tra sé che era li per lo scudo invece.
“Salve a te Shura di Capricorn.”
Il cavaliere d’oro si sfilò l’elmo e lo guardò.
“Non dovresti essere agli allenamenti tu?”
“Il maestro Hyoga è partito in missione. Gli allenamenti sono spostati al primo pomeriggio. Li tiene il maestro Kiki.”
“Capisco. Perché sei qui?”
“Devo parlare con il grande sacerdote. Lo scudo di Atena è sparito!”
A Kouga sembrò che le sottili labbra del cavaliere del Capricorno si fossero allungate verso l’alto. Sorrideva di una cosa così grave?”
“Pegasus Kouga” esclamò rinfilandosi l’elmo dalle lunghe corna puntute “Atena fa del suo scudo ciò che vuole. Ora va nelle tue stanze o scendi all’arena ad allenarti come farebbe l’allievo che non mostri di essere!”
Kouga incrociò le braccia sbuffando. Lo faceva sempre con Saga. Questa volta fu gelato dallo sguardo di Shura che sembrò davvero volerlo fare a fettine. Girò i tacchi e prese la via per la grande scalinata.
Fece attenzione a non toccare nessuna delle rose che adornavano la scalinata e chiese il permesso per attraversare le varie case fino a quella dello Scorpione. Milo era allegro e canticchiava una canzone che faceva ridere le ancelle della sua casa. Si infilò nella stanza di Ilio.
Il ragazzino era assorto nella lettura di un libro insieme a Ryhuo. Kouga glielo sfilò da sotto il naso.
“Ehi Kouga! Quando sei arrivato?”
“Proprio ora! Che fate?”
“Studiamo! Il maestro dice che conoscere la storia mitologica delle armature, vale quanto un colpo segreto!” rispose Ilio.
“Lo dice anche Saga. Comunque è successa una cosa strana. Volevo parlane con voi e Soma. Che fate venite giù con me?”
“Che cosa è successo da essere tanto agitato?” chiese Ryhuo.
“Ve lo racconto alla casa del Leone andiamo?”
I tre ragazzi misero il naso fuori dalla porta e sgattaiolarono giù per le scale approfittando del buon umore del custode dell’ottava casa. Si stupirono di riuscire ad attraversare indenni la casa di Virgo e raggiunsero Soma.
Tanto per cambiare il ragazzo combatteva contro Yuna. Kouga fu un po’ infastidito di scoprire che i due si allenavano da soli.
Yuna li accolse con il sorriso di sempre.
“Salve ragazzi. Mia madre è venuta a trovare Marin e io ne ho approfittato per dare una lezione al leoncino!”
“Sì, ti piacerebbe vero?” la interruppe lui “Voi che fate da queste parti?”
“Kouga dice che è successa una cosa strana.” Disse Ilio.
Kouga tirò un profondo respiro e con un gesto plateale delle braccia parlò.
“Lo scudo di Atena è sparito! Stamattina mi sono alzato e la statua della dea, sotto la mano sinistra, non ha più il grande scudo!”
I ragazzi rimasero tutti a bocca aperta tranne Soma che scoppiò a ridere.
“Ma sei impazzito Kouga? Hai presente quanto è grosso quello scudo? Chi potrebbe mai staccarlo dalla statua e portarlo via in piena notte? Dai tempi di Fidia nessuno lo a mai spostato da li. Credimi. Hai bevuto forse?”
“Invece ti dico che stamattina sono uscito e non c’è. Se non mi credete perché non saliamo alla tredicesima casa?”
“Non possiamo salire lassù senza permesso o ragione!” disse severamente Ryhuo.
“Ryhuo ha preso tutto da tuo padre vero?” disse Yuna sorridendo “Andiamo, che sarà mai?”
“E tu non hai preso niente da tuo padre, vero?” rispose il ragazzo dagli occhi di smeraldo sorridendo bonariamente.
“Va bene, andiamo!” concluse Soma “Se ci beccano daremo la colpa a Kouga!”
“Tanto per cambiare!” gli rispose il rosso sorridendo e prendendo la via per risalire le scale.
Certo i cavalieri d’oro li videro attraversare le loro case, tuttavia non conoscendo il motivo di tanta fretta, mostrarono indulgenza non essendo ora di addestramento. Fare gruppo era anch’esso, in fondo, una sorta di allenamento.
I lunghi corridoi della tredicesima casa, un labirinto agli occhi dei ragazzi, non avevano segreti per Kouga che li condusse fino alla statua della dea Atena.
“Per tutti i fulmini di Zeus!” esclamò Soma mentre gli altri rimanevano a bocca aperta.
La grande statua di Atena era lì splendente sotto i raggi del sole con l’effigie della Nike nella mano sollevata e con l’altra protesa verso il vuoto. Come aveva detto Kouga, lo scudo non c’era più.
“Qualcuno lo ha rubato!” esclamò Yuna.
“Impossibile. Nessuno può profanare le stanze di Atena!” le fece eco Ryhuo.
“Allora l’ha preso qualcuno dei nostri!” intervenne Ilio.
“Shura ha detto che Atena fa del suo scudo ciò che vuole.” Riprese Kouga.
“Ma figuriamoci! Lady Saori che solleva un oggetto così pesante da sola?” disse Soma con un po’ di irriverenza che Yuna punì con un pugno dritto alla sua testa.
“Il suo cosmo è più grande di tutti quelli dei cavaliere messi insieme! E’ una dea!” disse la ragazza.
“Certo che è un mistero!” riprese Soma.
“Mio padre ha detto che la statua di Atena una volta è sparita.” Disse Ryuho.
“Come fa a sparire una cosa tanto gigantesca?” gli rispose ancora sarcastico Soma.
“Forse davvero ce l’ha Saori!” riprese Kouga che non riusciva a togliersi dalla mente le parole di Shura “Io vado a vedere.” Concluse correndo verso le stanze di Atena.
“Fermati Kouga non puoi entrare nelle stanze private di una signora!” esclamò Yuna correndo però insieme a lui.
In pochi istanti furono nella camera da letto di Saori e con enorme sorpresa videro che, vicino al suo letto, poggiato ad un triclinio rivestito di velluto rosso, stava un grande scudo dorato.
I ragazzi si avvicinarono carichi di eccitazione.
“Aveva ragione Capricorn! Atena fa del suo scudo ciò che vuole!” esclamò Ilio.
“No! Questo non è lo scudo di Atena!” lo contraddisse Soma “è d’oro, non di pietra!”
“E’ lo scudo di Atena non vedi? E’ identico a quello che la statua aveva fino a ieri!” gli rispose Yuna.
“Mi dispiace dare ragione a Soma” intervenne Ryuho toccandosi il mento con un dito “ma sia le dimensioni dello scudo che il materiale di cui è fatto, fanno ragionevolmente credere che non sia lo scudo della statua. Piuttosto sono indotto a credere che sia una sua fedele riproduzione, più piccola e in oro massiccio.”
“Grazie per la lezione professorino,” riprese Soma avvicinandosi allo scudo “ma sono stato io a prenderci stavolta” concluse toccando l’oggetto.
A quel tocco Soma si fece serio.
“Che succede Soma?” chiese Yuna preoccupata.  
“Nulla, mi da la stessa sensazione che provo quando sfioro l’armatura d’oro di mio padre.” fece il ragazzo pensoso.
Kouga, nel sentire quelle parole, fu colto dal profondo desiderio di toccare lo scudo. Si avvicinò e, lentamente, posò due dita sul bordo dello scudo, dove, si presume, si sarebbe dovuto fare pressione per sollevarlo. Per un attimo una sensazione di forte appartenenza lo colse e gli sembrò che, nonostante l’aspetto e la forza che l’oggetto promanava, fosse leggero. Poi una luce accecante lo avvolse e non vide più nulla.

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Erano passati due giorni dal suo arrivo ad Asgaard e Hyoga non aveva combinato nulla di utile. L’indomani Flare sarebbe stata condotta davanti al consiglio degli anziani e lui non aveva ancora ottenuto udienza da Hilda. Decise di tentare il tutto per tutto e seguì Orion lungo un oscuro passaggio nascosto dietro un arazzo.
Quanta maestosa bellezza era celata dentro le gelide mura di quel palazzo. Da sole quelle tele, che ricoprivano le pareti al duplice scopo di abbellirle e rendere meno fredde le stanze abitate, valevano più di mille tesori. Flare sarebbe dunque stata decapitata per aver sottratto uno dei tanti tesori di Asgaard?
Non si era sbagliato quando aveva deciso di seguire Orion. Certo, non avrebbe potuto farlo, se Argor non avesse fatto finta di non accorgersi che se la stava svignando dalla biblioteca in cui lo aveva confinato quella mattina. Per una qualche ragione, il cavaliere ombra si fidava di lui.
Orion e Flare rimasero stupiti nell’accorgersi che qualcun altro si era intrufolato nelle loro stanze private. Hyoga invece apprese, in quel momento, che Orion aveva ben ragione di voler tenere Hilda al sicuro. Anche se non di molti mesi, era evidente che la regina di Asgaard fosse incinta. Si inginocchiò al suo cospetto chiedendo perdono.
Hilda gli sorrise con benevolenza e gli chiese di alzarsi.
“Non devi inginocchiarti innanzi a me. So che sei qui per il bene di Flare e immagino il motivo per cui tu sia venuto a parlare direttamente con me. Immagino che tu voglia il mio permesso per fuggire con Flare.”
Hyoga sollevò per la prima volta lo sguardo su di lei e la osservò con attenzione. Era triste la regina di Asgaard. In pena per la sorella che amava.
“Non sono queste le mie intenzioni, Hilda” disse con voce atona “Se ora la conducessi via, non solo farei scoppiare una nuova guerra tra Asgaard ed Atene, ma metterei a repentaglio anche te. Non crederebbero che la principessa sia fuggita senza il tuo aiuto.”
Orion, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, parlò.
“E’ solo per questo motivo che non l’ho portata via io stesso. Avevo già preso accordi con la famiglia di Mime. E’ da sempre fedele a quella della sacerdotessa di Odino. Avrebbero tutti dato la vita per lei. Sono consapevole però che, tra gli anziani, molti aspettano un passo falso di Hilda. Anche se cavaliere di Odino, Megres semina ancora sospetto e malignità sperando che possa presto coglierne i frutti. Io devo difendere Hilda prima di ogni altra cosa.”
Hilda gli prese una mano e chiuse gli occhi. Una lacrima le cadde dal viso e andò ad infrangersi dove splendeva l’anello nuziale che aveva rimpiazzato il meno luminoso anello del Nibelungo.
“Ero venuto qui per un altro motivo. C’è un solo modo per dimostrare l’innocenza di Flare: recuperare il Ragnarok. A tale scopo ero venuto a chiedere il permesso di discendere negli abissi utilizzando il potere di Odino.”
Orion, istintivamente, strinse di più la mano di Hilda.
“Dimentichi due cose, cavaliere di Atena. La prima è che Flare non è innocente, per quanto Artax abbia cercato di dimostrarlo facendosi ferire a morte da un generale degli abissi. La seconda è che, per discendere in Atlantide, occorre aprire il passaggio nel mare.”
“Ho appena detto che sono venuto a chiedere di utilizzare il potere di Odino.” Rispose Crystal.
Orion si accese come una fiamma che nasce dalla carta secca.
“Solo Hilda può adoperare il potere di Odino! Nelle sue condizioni, ora non può farlo!”
Hyoga abbassò il capo e strinse i pugni.
“Non mi aspetto una grande accoglienza nel regno dei mari. Probabilmente vado incontro alla morte. Ho già affrontato Nettuno e so per certo che non posso batterlo. Ma andrò. Per Flare, per la sua vita. So che chiedo un grande sacrificio. Devo chiederlo però.”
Hilda si alzò e lo raggiunse. Quando fu occhi negli occhi con Hyoga, sorrise.
“Lo farò. Andiamo alla statua del dio. Se vuoi affrontare questo rischio, io ti aiuterò. Non posso lasciare che uccidano mia sorella.”
“Hilda, te ne prego, pensa alle tue condizioni.”
Lei si girò e tornò da suo marito. Lo abbracciò e gli parlò all’orecchio.
“Porto in grembo tuo figlio. Posso essere solo più forte di ieri, non più debole. Ad invocare Odino ci saranno la sua sacerdotessa e il figlio del drago.”
Orion la strinse e cedette.
“Anche se non sono degno di pregare il nostro dio, io ti sosterrò.”
“Come hai sempre fatto del resto!”
In quelle parole dette con una leggera malia, Orion rivide la regina di Asgaard di cui si era innamorato e con cui era cresciuto. La donna in grado di colpire l’unico posto del suo corpo non bagnato dal sangue del drago e vulnerabile.
Di nascosto, lasciarono le stanze e raggiunsero l’altare di Odino. Hilda impugnò la lancia sacra e aprì le braccia allargandole verso il cielo. Orion rimase di un passo dietro di lei.
“Dio Odino! Padre di Asgaard, ascoltami! Tu che sai leggere l’anima degli uomini e pesi i loro desideri e i loro sogni, tu che sai distinguere il giusto volere dalla malvagia bramosia, ascolta la mia preghiera! Apri il mare e lascia che possiamo raggiungere Atlantide. Consegnaci, ancora una volta, il tuo favore e taglia il mare col tuo potere. Per la prosperità della tua gente e la salvezza! Se ancora ti aggrada l’alleanza con la nobile Atena, dacci la prova della tua immensa forza!”
Per un momento nulla accadde e Orion pensò che forse sarebbe stato meglio così, poi però Hilda si tese come una corda d’arpa e una possente voce riempì l’aria.
“Il cavaliere di Atena ottiene, per intercessione di Polaris, quanto richiesto. Il passaggio per Atlantide verrà aperto. E per dare prova di quanto sia salda l’alleanza tra le nostre genti io farò un dono. Io consegno la sfera dell’Inverno senza fine.”
A quelle parole, il mare sotto la statua di Odino vorticò e una lunga scala di ghiaccio comparve lentamente. Sembrava discendere fino negli abissi più profondi. Inoltre una sfera di ghiaccio apparve di fronte al petto di Hilda e ondeggiò fino a depositarsi su uno dei palmi aperti di Crystal. Odino tornò a parlare per voce di Hilda.
“Va dunque e fa buon uso dei miei doni, cavaliere!”
Lo spirito del dio svanì e Hilda ricadde tra le braccia di Orion.
Crystal corse loro incontro.
“Hilda, come stai?”
“Bene, sta tranquillo. Riposerò e sarà tutto a posto.” Disse sorridendo.
“Va, Crystal, prima che si richiuda. Non sarà in grado di rifarlo.” Concluse stringendo amorevolmente la moglie. Hyoga si alzò e corse verso la scala di ghiaccio. Si voltò un istante a guardare la coppia che lo aveva aiutato e si lanciò verso gli abissi.
Come aveva detto Orion, il mare si richiuse dopo poco sulla sua testa. Discese la scala di ghiaccio fino all’ultimo gradino e si ritrovò in un giardino di coralli. Non ricordava di averne mai visto uno durante la sua prima discesa negli abissi.
Una voce di donna lo accolse.
“Benvenuto Crystal il cigno! Sono qui per condurti alla corte del mio signore.”
Hyoga la riconobbe. Era Tetis, la sirena.
“Non è stato cortese da parte tua entrare nel mio giardino senza invito. Ad ogni modo, poco importa. Nettuno, il mio signore, ha percepito l’aprirsi delle acque e mi ha mandato ad accogliere chiunque stesse arrivando. Amico o nemico. Tuttavia sono lieta che sia sopraggiunto un amico. C’è salda amicizia tra Nettuno, il mio signore e Atena. Giusto?”
Hyoga sorrise con sarcasmo.
“Salda amicizia, certo. In nome di questa amicizia mi porterai da Nettuno senza aver nulla da temere giusto?”
La sirena sorrise e s’incamminò. Hyoga la seguì. Durante la sua infanzia in Russia, sua madre Natassia gli aveva raccontato molte volte le favole del mondo sotto il mare. Gli aveva narrato delle sirene che incantavano gli uomini con la loro voce melodiosa per poi trascinarli negli abissi, delle navi che si incagliavano tra le braccia di mostri marini e di una città fortezza abitata solo da sagge creature che avevano donato agli uomini il sapere. Gli aveva raccontato che laggiù c’era un luogo pieno di libri con la storia del mondo. Il mare lo aveva affascinato ma, dopo la morte di sua madre, per lui aveva rappresentato solo un oscuro mausoleo.
Ora era sconcertato da tanta luce e meraviglia. I colori e, avrebbe detto profumi, di quel luogo erano meravigliosi. Quando raggiunsero il tempio di Nettuno, non lo riconobbe. Era fatto di colonne alte e chiare. Si accorse che un leggero filo d’acqua era ovunque eppure la temperatura del luogo era mite.
Tetis lo condusse nel tempio. Hyoga rivide se stesso con l’armatura di Acquarius e la sua mente corse a involontariamente a Shun. Strinse il pugno e percepì un gelo irreale nascere al suo interno. Si trattava certamente del potere dell’Inverno senza fine.
Nettuno era nel giardino interno del tempio. Da lì si poteva osservare la sua colonna, quella in cui aveva rinchiuso Saori. Nettuno era seduto ad un tavolo rettangolare simile ad un altare. Sorseggiava del vino.
“Da molto tempo non ricevo visite Crystal, cavaliere di Atena. Quali notizie mi porti dal mondo emerso?”
“Non vorrei offendere un dio, ma non sono qui per fare conversazione.”
Nettuno sorrise.
“Mi hai gelato con tanto entusiasmo!” gli disse poggiando il bicchiere di vino.
“Cos’è umorismo da dei?” gli rispose Hyoga.
“Può darsi. Allora dimmi, se non sei un messaggero e non sei in visita di cortesia, perché sei disceso nel mio regno?”
“Sono venuto a chiedere ad un dio che sostiene di essere alleato di Atena, la restituzione del Ragnarok.”
“Dovrei sapere di che si tratta?”
Hyoga sorrise di scherno.
“Avanti Nettuno, hai mandato un tuo generale a prenderlo ad Asgaard dalle mani della principessa Flare.”
Nettuno finse di ricordare e si alzò.
“Forse ho capito di cosa stai parlando. Una sfera color ambra che si dice contenga i frammenti dei mondi che furono. Un dono adorabile di una fanciulla adorabile anche se non da tutti apprezzata allo stesso modo, dico bene cavaliere?”
“Forse, se ad ogni modo tu ne parli così, non vorrai che venga giustiziata per averti consegnato, diciamo per errore, un oggetto di cui non poteva disporre.”
“Certo che no! Seguimi cavaliere. Se ci tieni, a dimostrazione della mia buona fede, ti ridarò il Ragnarok.”
Hyoga sentì la speranza rinascere nel suo cuore e seguì Nettuno. Si accorse troppo tardi che era stato condotto proprio nella colonna portante di Atlantide. Delle catene dorate gli legarono i polsi.
“Nettuno cosa fai?” urlò divincolandosi.
“Per qualche giorno te ne starai buono qui. Isaac ti farà compagnia, non è vero?” concluse invitando il generale degli abissi a palesarsi.
Hyoga lo vide apparire da dietro ad una colonna.
“Isaac liberami, tu sai cosa sta facendo? Fermalo! Una ragazza innocente morirà!”
A quelle parole Nettuno si voltò con un’espressione furente sul volto.
“Una ragazza innocente? Folle! Quella donna ha venduto il suo popolo pur di avere vendetta su di te! E ora tu sei qui in catene a subire quella vendetta. Sappi che il suo e tuo sacrificio non saranno vani. Grazie ad essi, Marte sarà sconfitto per sempre e Atena potrà liberarsi dall’esilio forzoso che ha scelto. Da oltre dieci anni infatti non ha più lasciato il santuario di Grecia. Io la libererò.”
“Tu sei pazzo! Ossessionato ancora da Saori. Credi che se anche uccidi Marte, lei ti amerà? Seiya ti strapperà il cuore dal petto come ha fatto con Hades!”
A quelle parole Nettuno materializzò il suo tridente e lo puntò contro Hyoga che però fu raggiunto dal colpo di Isaac e cadde a terra privo di sensi.
“Vostra maestà non deve sporcarsi le mani con una simile feccia” disse Isaac invitandolo, con un braccio teso verso l’uscita, a lasciare la colonna.
“Non andarci giù pesante, Isaac. Questo sciocco mi serve ancora!” gli rispose Nettuno lasciando la camera. Isaac si chinò su Crystal e gli gettò dell’acqua sul viso.
Hyoga riprese i sensi.
“Non provocarlo se non vuoi farti uccidere!” disse Isaac rialzandosi.
“Mi hai salvato di nuovo.”
“Non contarci. Nettuno sta per risvegliare il Kraken. Da quel momento nessuno sarà più al sicuro, neppure il tuo prezioso Seiya.”
“E’ questo il piano di Julian Solo?”
“Per ora so solo che vuole usare la bestia per trovare il luogo in cui si nasconde Marte. E, se me lo stai per chiedere, per ora non posso fare niente per te. Stattene buono.” Concluse lasciando la torre.
Hyoga urlò il suo nome molte volte ma Isaac non tornò indietro. Provò ad invocare l’Inverno senza fine nella sua mano, ma le catene di Nettuno non si sciolsero. Cadde in ginocchio. Se fosse rimasto lì più di un giorno, Flare sarebbe stata condannata e il suo sacrificio, sarebbe stato vano. Doveva trovare un modo. Un modo per mantenere la promessa fatta a Hilda, quella fatta a Flare e anche quella fatta a Shun.


Note dell'autrice:
Salve a tutti! Innanzitutto alcuni piccoli chiarimenti... la Pieris Japonica di cui si parla all'inizio del capitolo è una pianta capace di resistere alle basse temperature che produce fiori rosa a forma di campanelli. Il suo nome volgare è Andromeda. Per questo mi è sembrata idonea a stare sul davanzale della casa di Shun.
Insecondo luogo ho dedicato un piccolo cameo a Shura dato che ho riletto qualche giorno fà il capitol di Los Canvas extra su El Cid... adorabile!!
Infine realmente tra i tesori di Odino ci sono delle gemme potenti legate ai poteri elementali, ma il nome l'ho inventato su due piedi. Forse non è molto originale ma indica esattamente il suo potere e l'ho scritto di getto. Sorry.
In ultimo, ma non per ultimo, grazie  a tutti coloro che continuano dopo tutti questi capitoli, a seguire e recensire la storia. Siete splendidi, grazie mille! A presto!!

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Capitolo 14
*** La vita salvata da Mur - parte prima ***


Seiya sorvegliava la fiamma. Dopo gli ultimi avvenimenti era certo che un nuovo pericolo balenasse all’orizzonte. Ogni fibra del suo essere era concentrato su Saori mentre sedeva di fronte alla statua della Nike con le ali avvolte dalle fiamme. Quella era la personificazione dello scettro di Atena e bruciava il cosmo di Seiya. Saori non sapeva quanto avesse già consumato il suo cosmo, né avrebbe avuto modo di saperlo. Lui, di certo, non glielo avrebbe detto. Le forze, dopo tredici anni, cominciavano a venirgli meno. Se ora Marte o Nettuno si fossero ripresentati per dare battaglia, forse non sarebbe stato in grado di vincerli. La fiamma, come a leggergli i pensieri, tremò. Seiya cercò di tornare calmo e andò con la mente a Shiryu.
Era passato molto tempo dall’ultima volta che lo aveva visto. Più di quanto avesse mai preventivato di far passare tra una visita e l’altra. L’amico era ancora nelle gravi condizioni in cui la battaglia con Marte lo aveva gettato. In grado di preoccuparsi di sua moglie e suo figlio, magari del suo villaggio, di certo non di prendere parte ad una nuova guerra.
Era immerso in questi pensieri quando l’esplosione di un cosmo potentissimo lo scosse. Stavolta non era sconosciuto. Era simile a quello di Saori, non il suo tuttavia. Sgranò gli occhi intuendo la verità. Staccò il contatto mentale con la fiamma e spiccò un balzo giù dall’altura delle stelle. Raggiunse la tredicesima casa in un battere d’ali dorate e vi trovò Yuna, Soma, Ryhuo e Ilio in fila davanti a Saga con il capo chino. Nessuno dei ragazzi ebbe il coraggio di guardarlo in viso quando fu affianco al grande sacerdote.
“Che è successo?”
Saga sollevò una mano come a voler colpire Soma ma si trattenne e parlò a voce alta.
“Sono entrati nelle stanze private di Atena e, come se questo fatto non sia già punibile con la morte, hanno pensato bene di mettersi a giocare con lo scudo d’oro!”
Soma, il cui sangue ribolliva facilmente nelle vene come quello del padre, osò controbattere.
“Non volevamo giocare! Pensavamo che qualcuno avesse rubato lo scudo della dea! Kouga ci ha mostrato la statua!”
“Taci! Come osi parlare dopo quello che avete fatto! E se mai questo fatto valesse da giustificazione, e bada che non sto affatto dicendo che sia così, comunque questo non vi esenta dall’essere entrati nelle stanze private di Atena. Sarete puniti per questo! Ordinerò a Shura di darvi una punizione esemplare!”
Nessuno dei ragazzi parlò più. Seiya intervenne.
“Li punirò io. Più tardi. Ora dimmi dov’è Kouga.”
“Nella stanza di Atena. Sappi che ha usato il suo cosmo per separare lo scudo dal braccio di Kouga” disse sottovoce affiancando il cavaliere del Sagittario “e non sta bene. Punisci quel pestifero moccioso o lo farò io e non ci andrò giù leggero. Saori non ha già patito abbastanza l’irriverenza del cavaliere di Pegasus?”
Seiya non aspettò oltre e si infilò lungo il corridoio che conduceva alla stanza di Saori.
Quando vi entrò, Kouga era in piedi davanti alla poltrona su cui era seduta Saori e sul cui fianco era poggiato lo scudo d’oro.
Kouga si voltò e i suoi occhi sorrisero supponendo aiuto in arrivo. Lo sguardo duro di Seiya lo gelò subito. Il cavaliere gli arrivò davanti e, senza alcun preavviso, colpì con un sonoro ceffone il ragazzo che cadde in terra. Saori non mosse un muscolo, lo sguardo di pietra a fissare una colonna come se la scena non la riguardasse minimamente.
Kouga si portò una mano alla guancia dolorante e sentì gli occhi pungere per le lacrime.
“Questo per esserti comportato come l’ultimo dei soldati di un esercito nemico. Non sei degno dell’armatura che porti! Ho sempre guardato al tuo carattere irriverente con indulgenza, convinto che fosse un punto di forza del tuo modo di essere se modellato dal tempo e dall’esperienza. Invece sei solo un ragazzino senza giudizio! Troppo a lungo la dea Atena ti ha giudicato con benevolenza, lasciando che l’affetto per te offuscasse le tue mancanze. Da oggi non vivrai più alla tredicesima casa. Ti trasferirai alla decima casa. E non provare a dire una sola parola o punirò più severamente i tuoi compagni che hai coinvolto in una simile bravata!”
Kouga non disse nulla. Si alzò e rimase a capo chino. Vide Seiya inginocchiarsi davanti ad Atena e chiedere delle sue condizioni. In effetti sembrava stanca, tuttavia, era la sua espressione che lo faceva star male. Gli occhi di Saori, in genere sempre dolci, erano assenti.
Bussarono alla porta e Shura entrò facendo un cenno del capo. Raggiunse Kouga e gli mise una mano sulla spalla. Il ragazzo lo seguì fuori asciugandosi una lacrima con il dorso del braccio.
Appena furono soli, Saori guardò Seiya con un’espressione indecifrabile. Il cavaliere capì che era combattuta. Di certo da un lato nascondeva la tristezza per il modo in cui lui aveva appena trattato Kouga, dall’altro quella di avere compreso la gravità della situazione. Lei abbassò lo sguardo e parlò.
“Siamo al punto di non ritorno, vero Seiya?”
“Credo siamo andati oltre quel punto.”
Saori fece forza su uno dei braccioli della poltrona e si alzò. Raggiunse la grande porta finestra e guardò il cielo terso.
“Non so cosa fare. Ero certa che avessimo preso tutte le precauzioni possibili.”
Seiya la raggiunse e rimase alle sue spalle. Non aveva il coraggio di guardarla negli occhi. Parlò posandole una mano sulla spalla ferita.
“Kouga è cresciuto. L’incidente di oggi poteva capitare in qualunque momento. Sapevamo che era solo una questione di tempo. Credo che ci sia solo una cosa che possiamo fare. Devi prendere le distanze da lui.”
A quell’ultima frase Saori tremò. Seiya si sentì stringere il cuore ma continuò.
“E da me.”
Saori si voltò.
“Da te? Che significa?”
“Ultimamente abbiamo vissuto in pace. Si è creato un clima sereno al santuario. Abbiamo assaporato momenti di vita normale. Ora però qualcosa è cambiato e lo sai anche tu. Hyoga non ha ancora dato notizie dal nord. Qualcosa ha oltrepassato la barriera e la responsabilità è mia. Per non parlare del fatto che le tue condizioni sono peggiorate più negli ultimi tredici giorni che negli ultimi tredici anni!”
Seiya strinse il pugno.
“Questo non è dipeso da te. Hai fatto molto più di quello che prevede il dovere di cavaliere. La verità è che la responsabilità è mia. Anche se mi addolora, devo accettare l’idea che Kouga si allontani da me” disse voltandosi di nuovo verso la finestra “per la sua sicurezza. Riguardo a te, fa ciò che devi. Sei il primo cavaliere del santuario. Lascio a te ogni decisione sulla sua sicurezza. Raccordati su questo direttamente con Saga. Immagino che se ti pregassi di non lasciarmi sola sembrerei patetica.” concluse stringendo uno dei drappi bianchi che scendevano dalla colonna al suo fianco.
Seiya si inginocchiò e chinò il capo.
“Farò come ordini sulla sicurezza del santuario, dea Atena.”
Il cavaliere si alzò e raggiunse la porta. Il rumore dell’armatura copriva i pesanti respiri di Saori. Seiya posò una mano sulla lucida maniglia e esitò un istante. Appena il rumore della porta lasciò spazio al silenzio, Saori si abbandonò al pianto. Sentì le gambe cedere e, con una mano, cercò la poltrona che era troppo lontana per fungerle da appoggio. Fu allora che si rese conto che Seiya era ancora lì. In piedi, come una statua, con il volto rigato di mute lacrime.
“Seiya...”
“Saori, lo sai.”
Lei soffocò i singhiozzi e annuì.
“Sì, lo so Seiya, anche io.”
Stavolta il cavaliere non sparì in un battito d’ali dietro una porta. Rimase ancora fermo a fissarla.
“Saori, io ti amo.”
A quelle parole lei sentì il proprio cuore fermarsi. L’unica volta in cui lui le aveva usate, era la notte in cui l’aveva salvata da Marte. La notte in cui lei aveva pensato che morire sarebbe stato meglio che vivere prigioniera di Mars Kreutz. Lui l’aveva salvata per l’ennesima volta e per quell’unica volta le aveva confessato di amarla. Sentì una forza che non credeva più di possedere e lo raggiunse sulla porta. Con un dito sfiorò il suo petto all’altezza del cuore e, obbediente, l’armatura del Sagittario si staccò dal corpo dell’uomo. Poggiò entrambe le mani e la testa sul cuore di Seiya e chiuse gli occhi. Lui la circondò con le braccia, una mano a tenerle il capo.
“Seiya, dimmelo ora che non sei il cavaliere del Sagittario.”
Lui le sollevò il viso e la guardò dritta negli occhi.
“Io ti amo.”
“E io amo te, Seiya. Io ti amo. Qualunque cosa accada, ricordalo. Io ti amo.”
Seiya le sorrise.
“Devo impartire una giusta punizione a quei ragazzi o lo farà Saga.” Disse cercando di allentare la tensione di quel momento.
Lei si allontanò e l’armatura tornò a rivestirlo. Seiya lasciò la stanza. Questa volta per davvero. Poteva avere senso sentirsi felice in un momento in cui andava tutto male? Doveva sistemare la faccenda con i ragazzi, scoprire chi si era intrufolato nel tempio e mandare qualcuno ad Asgaard per avere notizie di Crystal e Nettuno. Fu allora che un forte dolore al petto lo costrinse in ginocchio. Chiuse gli occhi e respirò con la bocca per dare più aria ai polmoni. Il lungo corridoio prese a girare intorno a lui. Intravide una figura venirgli incontro ed ebbe solo la forza di dire il suo nome.
“Saga...” sussurrò dolorante prima di cadere privo di sensi.
L’uomo lo raggiunse e lo prese tra le braccia. Lo sollevò e lo condusse fino alla stanza di Shaina. Bussò e la donna gli aprì.
“Per tutti gli dei, che è successo? Chiamo subito Mur!”
“Aspetta!”
“Che cosa devo aspettare, Saga?”
“Mettigli una pezza bagnata sulla fronte e aspetta un attimo. Vuoi che i cavalieri d’oro sappiano che il primo cavaliere è in queste condizioni?”
Shaina convenne che Saga avesse ragione. Era sempre un passo avanti a tutti.
“Che gli è successo?”
“Non lo so. Era riverso a terra in un corridoio.”
“Sembra che respiri a fatica. Bisogna fare qualcosa. Forse dovremmo lo stesso chiamare Mur.”
L’uomo sospirò.
“Va bene, va. Resto io con lui.”
Non appena la sacerdotessa fu uscita, l’uomo raggiunse di nuovo il letto.
“Come sarebbe facile ora liberarmi di te!” disse piano “basterebbe una leggera pressione di due dita sul collo o spingere il tagliacarte che è sul tavolo una sola, precisa volta nel tuo petto. In fondo, tutta questa assurda storia gira intorno a te. Se tu sparissi la vita di moltissime persone cambierebbe. Se tu non fossi mai esistito, la vita di quelle stesse persone sarebbe stata diversa. Migliore? Potremmo scoprirlo!” concluse poggiando una mano sul collo di Seiya. Guardò la propria vittima e un pensiero attraversò la sua mente. Il suo gemello lo avrebbe fatto? Lasciò la presa e sentì alcuni passi nel corridoio. Si allontanò dal letto e diede le spalle alla porta mentre questa si apriva.
Shaina e Mur entrarono. Il cavaliere dell’Ariete fissò la figura di Saga di spalle e, per un istante, rimase fermo. L’uomo vicino alla finestra non si mosse ma parlò.
“Non startene lì impalato, Seiya ha avuto un malore!”
Ancora Mur non si mosse. Qualcosa nella voce di Saga era strana, diversa. Si disse che, per il momento non doveva pensarci e usò al meglio le sue abilità di guaritore. Scacciò qulla sensazione dalla mente e si concentrò. Il tempo per venire a capo di un dubbio che comunque gli si era insinuato nell'animo sarebbe giunto.
 

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Capitolo 15
*** La vita salvata da Mur -seconda parte ***


La vita salvata da Mur
Seconda parte

Come un tarlo rode il legno e lo scava dentro lasciando a chi lo guarda l’illusione che esso sia perfettamente integro, così le parole di Pandora continuavano a minare dolorosamente le certezze di Shun che aveva passato gli ultimi due giorni in una stagnante indifferenza per qualsiasi cosa. June, preoccupata per lui, aveva provato a coinvolgerlo in alcuni incarichi che aveva ricevuto dal grande sacerdote. Shun l’aveva seguita in ogni cosa ma senza partecipare realmente a nulla.
“Shun, cosa succede? Sei preoccupato per Hyoga?” Le aveva domandato alla fine June senza poter ulteriormente far finta di nulla.
“Lo sono, ma non è per questo che mi vedi assente. June, dimmi la verità. Se tu sapessi di poter aiutare una persona che ami ma al rischio di metterne in pericolo altre a cui vuoi bene, cosa faresti?”
Il cavaliere d’argento si fermò e si voltò verso di lui lasciando la busta di arance che aveva comprato per i ragazzi che si allenavano nell’arena.
“Shun, credo che ci sia una sola risposta a questa domanda.” Disse lei con fermezza e la sua determinazione colpì Shun. Davanti a lui adesso stava ritto il cavaliere del camaleonte. Davvero ad una domanda simile esisteva una sola, specifica, inconfutabile risposta? “La risposta è che non potrei mai mettere a repentaglio la vita di persone cui voglio bene per salvarne una sola. Cosa credi che potrei rispondere se mi chiedessero di scegliere tra la tua vita e quella di Yuna?”
Shun la guardò fisso negli occhi e si sentì sporco. Lui aveva sempre supposto che la risposta a quella domanda fosse Yuna. Non avrebbe forse preferito salvare il sangue del suo sangue? June, come avesse letto i suoi pensieri, abbassò lo sguardo e sorrise amaramente.
“Sai, Shun, c’è un motivo per cui tu pensi che sceglierei Yuna senza dubbio alcuno. Il motivo è che tu non ami me come io amo te.”
“June, ti prego. Se io non avessi la certezza che, in caso di pericolo, tu pensassi prima a Yuna, ti amerei di meno e non di più.” La donna addolcì la sua espressione e riprese a parlare.
“Qualunque sia il motivo della domanda che mi hai fatto, so per certo che Hyoga non ti lascerebbe mai mettere a repentaglio la vita di nessuno per salvare la sua. Soprattutto non vorrebbe che rischiassi la tua.” Disse riprendendo la busta di arance.
Shun la raggiunse e gliela prese dalle mani baciandole la fronte. Lei, come al solito, si era dimostrata la donna generosa e pratica che era stata dai tempi del loro addestramento sull’isola di Andromeda. Aveva centrato perfettamente il punto e quel punto era Hyoga.
“June, mi spiace di non essere mai stato abbastanza forte da essere io il tuo sostegno ma sappi che tu e Yuna siete la mia vita. Non farei mai nulla per mettervi in pericolo.”
“Shun, io questo lo so. Ma so altrettanto bene che è di Hyoga che stiamo parlando. Hai già messo a repentaglio la tua vita altre volte per lui. So di come lo hai salvato dall’ipotermia in cui era caduto a seguito del sacro Aquarius e so anche che sei marchiato dalla maledizione di Marte perché gli hai fatto scudo col tuo corpo. Io so.”
“June, lui avrebbe fatto lo stesso per me.”
“No!” urlò d’un tratto June “Lui è andato ad Asgaard a salvare la sua principessa. Anche adesso che sa della tua malattia è scappato di nuovo!”Shun abbassò il capo. Capiva la rabbia della sua compagna. A volte era la sua stessa rabbia. Come poteva spiegarle che una persona come Hyoga faceva fatica ad esprimere i suoi sentimenti in un modo che non fosse semplicemente una silenziosa presenza? Da quando era tornato al santuario e aveva scelto di vivere da solo, non aveva forse protetto la loro serenità familiare facendosi da parte?
“Hyoga non è scappato. Deve fare i conti con il suo passato. Nessuno di noi è esente da colpe. Abbiamo fatto parte della vita di tante altre persone. In qualcuna di quelle vite abbaiamo portato gioia, in altre dolore. Chi di noi non ha qualcuno verso cui fare ammenda? Io non ho fatto soffrire te?”
June si lanciò tra le sue braccia e la busta delle arance finì per rompersi. I frutti rotondi rotolarono giù lungo la strada per Rodorio.
“Tu hai portato solo gioia nella mia vita, Shun. Mi hai dato una figlia e io ti amerò per sempre. Promettimi che non farai sciocchezze. Promettimelo.”
June gli aveva chiesto una volta di non rischiare la vita combattendo contro i cavalieri d’oro e lui era stato risoluto. All’epoca però era incosciente. All’oscuro di tante cose. Forse troppo ingenuo. Ora che i dubbi lo tormentavano, capì che la risposta alla sua domanda era celata nel suo cuore sotto mille altre risposte tutte egualmente corrette.
“Guardami June” disse prendendola per le spalle “non sono stati forse gli attimi di maggiore sconsideratezza ad averci dato i momenti in cui ci siamo sentiti più vivi? Tu non sei venuta a Luxor a cercare di impedirmi di partire per la Grecia? Non è stato lanciare la nebulosa al massimo livello a darmi il potere di un cavaliere d’oro? Non è stato passare la notte sulla spiaggia a bere e a ridere che ci ha dato Yuna? Pensa anche a Seiya e Saori, a Ikki e Pandora. Loro non ci sono sembrati dei folli? Io ora devo fare una sciocchezza perché forse comportandomi saggiamente potrei sopravvivere a questa ferita che ho al braccio ma morirei lentamente dentro.” Lei lo guardò e sorrise mestamente.
“Cosa vuoi fare? Andare ad Asgaard?” Shun annuì.
“Capisco.”
“Baderai a Yuna finché non torno?” A June sfuggì un singhiozzo ma, con gli occhi pieni di lacrime e il sorriso sulle labbra, rispose.
“Sempre.”
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Saga era tormentato. Vedere Saori piangere per l’allontanamento di Kouga era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. L’incarnazione della dea giaceva nel suo letto, sfinita, sotto il suo sguardo preoccupato. Cosa poteva fare lui ora che Seiya aveva finalmente fatto la sua mossa? Certo, sapeva che, ora come ora, Kouga doveva allontanarsi dalla dea Atena. Sapeva anche che il ragazzo era nel giusto a dire che dovevano mettere anche distanza tra loro perché le sue condizioni di salute stavano peggiorando. Sapere però che Saori ne soffriva era intollerabile. Così com’era intollerabile che qualcosa si fosse insinuato nel santuario e stesse, in qualche modo, portando scompiglio. Lui era certo che avesse a che fare con quello che stava accadendo ad Asgaard e pertanto decise di convocare Camus.
Il cavaliere dei ghiacci giunse presto nelle sue stanze private.
“In cosa posso servire il grande sacerdote?” chiese portandosi i capelli dietro la spalle con un gesto elegante della mano.
“Ho bisogno che raggiungi Crystal il cigno. Non si hanno sue notizie da tempo ed ho, diciamo, un pessimo presentimento. Devi partire subito.”
“D’accordo.” Rispose Camus che fu interrotto dal bussare alla porta.
“Avanti.” Fece Gemini giocando nervosamente con un tagliacarte. La porta si aprì e Shun entrò facendo un cenno col capo.
“Perdonatemi l’intrusione. Non volevo interrompere. Mi hanno detto che Saori non può ricevere nessuno per questo sono venuto qui. Come sta Atena?”
“Atena deve riposare. Ha avuto un piccolo malore ma ora sta meglio. Ti serve qualcosa Shun?”Il ragazzo annuì.
“Il permesso di lasciare il santuario.” Saga si fece serio.
“Per andare dove?”
“Ad Asgaard.”
“Asgaard?” chiese Saga e Camus si fece attento. Shun annuì.
“Camus, puoi lasciarci?” Il francese annuì ed uscì dallo studio del grande sacerdote. Una volta soli, Saga parlò.
“Credevo che le tue condizioni ti impedissero di lasciare il grande tempio.”
“Qualunque siano le conseguenze, devo andare.”
“Non è necessario” rispose Saga poggiando i gomiti sulla scrivania e il mento sulle mani incrociate “Stavo appunto ordinando a Camus di raggiungere Crystal.”
“Devo andare io.” Fece Shun in modo risoluto e Saga si alzò.
“Saori ha fin troppe preoccupazioni ora. Se ti accadesse qualcosa, non me lo perdonerebbe mai.”
“Saori mi lascerebbe andare. Inoltre io credo di poter sistemare le cose laggiù.”
Gli occhi di Saga si ridussero a due fessure come se volessero assottigliarsi per infilarsi dentro la mente di Shun e leggere tra le righe della sua affermazione.
“Se hai notizie che possono aiutarci a capire gli scopi di Nettuno, hai il dovere di comunicarli al grande sacerdote. Se invece questa è una montatura creata al solo scopo di ottenere il permesso di ricongiungerti al tuo prezioso Hyoga, non la passerai liscia, intesi?”Shun sorrise.
“Non posso parlartene ora. Saori si fiderebbe di me. Però, Saga, se non dovessi tornare con Hyoga entro tre giorni, non mandare solo Camus a cercarci.”
Saga lo guardò incuriosito.
“Cavaliere di Andromeda, se fai qualche sciocchezza, verrò personalmente a cercarti!”
“Intesi.”
Shun lasciò la stanza di Saga e il grande sacerdote sentì prudere i polsi. Quel senso di angoscia non sembrava volerlo lasciare. Tornò allo scrittoio e notò solo in quel momento che le carte erano state tutte mischiate. Si alzò e raggiunse la libreria. Anche i libri sembravano essere stati toccati da qualcun altro. Si sfilò la tunica da sacerdote e raggiunse la stanza di Saori. La fanciulla dormiva. Usò i suoi poteri e si spostò attraverso l’altra dimensione per raggiungere immediatamente la persona che credeva più in pericolo in quel momento.
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Pandora cercava sempre il modo di restare sola. Anche in quel momento era riuscita a lasciare Eden ed Ikki a casa di Shun. I ragazzi, come li chiamava lei, si stavano allenando e lei aveva finto di annoiarsi e ne aveva approfittato per fare una passeggiata. Aveva scoperto una radura tranquilla in cui riusciva a raccogliere i suoi pensieri e ad evocare le visioni. Era ancora in pena per Eden anche se adesso ne sapeva di più. Cosa doveva fare ora? Aveva parlato con Shun e questi aveva rifiutato il suo aiuto. Costringerlo a riunirsi allo spirito di Hades era fuori discussione. Doveva dunque restituire il Ragnarock a Kanon? Nettuno avrebbe gradito? Per non parlare del fatto che, in ogni caso, aveva mentito ad Ikki. Si odiava per questo. Raccolse un pugno di terra e lo strinse tra le dita. La soluzione dei suoi problemi si materializzò alle spalle.
“Pandora.” La voce di Shun era calma ma decisa. Lei si alzò e si strofinò le mani per ripulirle dalla terra.
“Shun, che c’è? Se sei qui per convincermi a consegnare il Ragnarock ad Atena, sprechi il tuo tempo.”
“Non sono qui per questo.” rispose Shun avvicinandosi a lei e Pandora si fece attenta. “Voglio che tu lo faccia. Liberami dalla maledizione di Marte.”
“Shun, sei sicuro? Appena l’altra mattina eri disgustato all’idea che Hades potesse tornare a possedere il tuo corpo.”
“L’hai detto tu che se sono riuscito a respingere il suo spirito quando il dio era forte, sarà semplice controllarne una piccola parte ora. Però devi assicurarmi che sarò in grado di usare i suoi poteri.”
“Lo sarai, Shun. Dimmi, perché hai cambiato idea.”Shun abbassò il capo e sorrise mestamente.
“Avevi ragione tu. Stavo cercando di nascondermi. In fondo, sono già stato Hades. I suoi ricordi, le sue emozioni, sono ancora dentro di me. A volte mi ritrovo a pensare come lui anche se ho cercato di convincermi che mi fossi liberato per sempre della sua presenza. I poteri di Hades in questo momento possono solo servirmi. Ad aiutare Hyoga, a riportare il Ragnarock ad Asgaard, a fermare Nettuno. Chissà forse anche a sconfiggere Mars un giorno.”
“Sarai comunque sotto il suo influsso. Saprai restare te stesso?” chiese Pandora improvvisamente presa dalla sensazione che non fosse più una buona idea.
“Ne sono certo. Ci sono troppe persone che amo e che voglio proteggere. L’amore mi permetterà di ricordarmi chi sono.”
Pandora gli si avvicinò e gli accarezzò una guancia. Con l’altra mano materializzò il Ragnarock.
“Pandora, una volta fatto, quell’oggetto sarà mio.”
“D’accordo. Tu in cambio darai una cosa a me?”
“Cosa?” chiese Shun improvvisamente turbato.
“Una manciata di minuti con mio fratello.” Shun sorrise e annuì. Pandora gli prese una mano e chiuse i suoi occhi. Il Ragnarock si illuminò e le due figure furono avvolte da un’intensa luce.
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Hyoga provava da ore a liberarsi dalle catene di Nettuno ma neanche l’Inverno senza fine, il potere che gli aveva donato Odino, riusciva a scalfirle. I polsi sanguinavano ma il cavaliere del cigno non demordeva. Quanto era stato stupido a credere che Nettuno si sarebbe impietosito di fronte alla notizia che Flare sarebbe stata giustiziata!
Il pensiero che tra poche ore la fanciulla sarebbe stata decapitata lo convinse a tentare per l’ennesima volta di liberarsi e il dolore ai polsi si fece, se possibile, davvero insopportabile. Cos’altro poteva fare? Improvvisamente si rese conto che la soluzione era sempre stata a portata di mano. Tutto intorno a lui era acqua. Non doveva usare il potere dei ghiacci per cercare di spezzare le catene. Doveva espandere il proprio cosmo fino al settimo senso e raggiungere lo zero assoluto. Sarebbero state le colonne a cedere. O almeno così sperava. Si concentrò quando un dolore forte si irradiò dal petto fino agli arti. Si sforzò di spalancare gli occhi per cercare di capire se qualcosa o qualcuno lo avesse colpito. Dinanzi a lui, immobile, se ne stava la figura di Shun.
“Hyoga, non hai mantenuto la promessa. I giorni sono passati e tu non sei ritornato come avevi giurato.”
“Shun, come puoi essere qui? Come puoi essere tu?”
“Infatti non sono più io, Crystal! E neanche tu sarai più lo stesso! Avresti potuto avere la vita che avevi sempre desiderato invece hai dovuto seguire gli insegnamenti del tuo rigido maestro fino in fondo, non è vero?”
“Cosa stai dicendo, Shun! Che ti sta succedendo?” chiese Hyoga mentre vedeva gli occhi del compagno scurirsi in modo innaturale.
“Ciò che tu hai voluto che accadesse. Ora non potrai più ricongiungerti a Shun. Lui appartiene all’Elisio e tu al Valhalla!” rispose la figura sollevando una delle sue mani delicate.
“Tu non sei Shun!”
“E tu non sei più Hyoga! Hai perso ciò che ti rendeva tale.”
Crystal sentì il dolore al petto farsi più forte mentre vide l’immagine di Shun venire avvolta da una luce intensa e svanire.
“Shun!” urlò il cavaliere nell’istante stesso in cui comprese. Non era il suo corpo ad essere stato colpito. Il dolore era dentro il suo petto. Quello stesso gelo che lo aveva avvolto dolcemente sin da bambino, si stava trasformando in una barriera più invalicabile della bara in cui aveva cercato di rinchiuderlo Camus tanti anni prima.
Hyoga lottò. Come non aveva mai fatto fino a quel momento. Lottò contro quel freddo che si stava impossessando del suo cuore. Lottò per evitare che cancellasse il ricordo di sua madre che lo accarezzava mettendolo al riparo su una scialuppa di salvataggio, quello dei suoi compagni all’orfanotrofio della famiglia Kido, quello degli anni del suo addestramento a cavaliere del cigno, quello di Flare e quello delle infinite battaglie che aveva combattuto. Uno ad uno, tutti i ricordi furono avvolti da un’insidiosa nebbia e svanirono. Mano a mano che si perdevano, Hyoga sentiva dolorose fitte al torace come se il suo cuore stesse perdendo insieme ad essi, anche i battiti. Pianse. Involontariamente, urlando contro il fato avverso, pianse.
Il terrore che la figura che gli avesse fatto comprendere il suo destino finale fosse Hades e non Shun, gli riportò alla mente il suo ricordo più dolce, quello della notte prima della partenza per Asgaard. Un ultimo sorriso pieno d’amore, allora, superò tutte le lacrime e si disegnò sulle labbra di Hyoga. Rivide l’immagine di Shun che dormiva, la piega del collo, il profilo delle sue labbra, le lunghe ciglia. Quando anche l’ultima lacrima contenente il riflesso del dolce sorriso di Shun s’infranse sul marmo della colonna di Nettuno, nulla di Crystal il cigno esisteva più. L’uomo incatenato si rialzò e si guardò intorno. Nulla sapeva di quel luogo, né del perché vi fosse stato confinato. Vide improvvisamente la porta dell’ampia sala aprirsi e un uomo venirgli incontro con un vassoio e del cibo.
“Ti ho portato da mangiare. Ti sciolgo ma niente scherzi, Hyoga. Lo sai che non hai speranze contro Nettuno.” Fece Isaac sciogliendolo dalle catene che lo avevano costretto fino a quel momento. Il generale degli abissi non fece in tempo a voltarsi. La cieca furia del prigioniero lo colpì selvaggiamente alla testa lasciandolo privo di sensi.
“Io non sono Hyoga, il mio nome è Midgard, berserker della divina Hnos.”disse l’uomo al cavaliere che non poteva udirlo in quanto privo di sensi. Non s’accorse che un'altra figura esitava vicino alla porta e si palesò nell’udire il suo nome.
“Molto bene, berserker!” disse lentamente Nettuno avvicinandosi e battendo le mani.
“Tu sei un dio ma sappi che non esiterò a scagliarmi anche contro di te se m’impedisci di uscire di qui.” Fece Midgard.
“Non ti fermerò, anzi! E’ mia intenzione aiutarti a ricongiungerti alla tua adorata valkirya!”
“Tu sai dov’è?”
“Certamente. Tuttavia dovrai attendere che il mare si apra all’alba. La notte è sacra per il popolo del mare! Nel frattempo, sii il benvenuto ad Atlantide!” concluse Nettuno lasciando la sala. Finalmente, pensò il dio dei mari, il fato aveva deciso di dargli una mano.
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Fu Mur ad accorgersi per primo che era accaduto qualcosa. Le sue mani, imposte su Seiya, presero a bruciare nel medesimo istante in cui il cavaliere del Sagittario cominciò a contorcersi per il dolore.
“Che succede?” chiese Shaina sempre più preoccupata. Mur scosse il capo.
“Seiya sta reagendo a qualcosa. Non lo avete sentito?” chiese il cavaliere dell’Ariete rivolgendosi al grande sacerdote. L’uomo annuì e si diresse verso la porta.
“Vado a controllare.” Disse ma la voce di Mur lo fermò.
“Aspetta. Shaina va tu, per favore. Va a controllare che Lady Pandora sia ancora nella casa di Shun.”
“Lady Pandora?” fece la donna “Che c’entra lei adesso?”
“Andrò io.” Insistette il grande sacerdote.
“Per favore, rimani. Ho bisogno di te qui.” Lo rimbeccò Mur.
“D’accordo, vado io.” Fece Shaina ponendo fine alla discussione. La porta si chiuse e Mur rimase a fissare le spalle dell’uomo che non accennava a voltarsi.
“Saga, che ti sta succedendo?” chiese Mur con tono pacato. Da quando era entrato in quella stanza aveva percepito chiaramente che il cosmo di Gemini era agitato. Seppure fossero passati molti anni e tante cose erano accadute dalla notte degli inganni, Mur non poteva fingere che la persona davanti a lui avesse subito in passato un tragico quanto profondo sdoppiamento di personalità che aveva cambiato altrettanto tragicamente e radicalmente le loro vite.
“Nulla.” Rispose l’altro senza voltarsi.
“Nulla? Cos’è successo a Seiya?”
“Ne so quanto te.”
“Non lo credo possibile.”
“Invece ti dico che è così. L’ho trovato privo di sensi nel corridoio.”
“Pensi che la fiamma lo abbia spinto al limite o credi che l’arrivo di Pandora abbia peggiorato le sue condizioni come ha fatto con quelle di Atena e Shun?”chiese Mur cercando di costringere l’altro a voltarsi per rispondergli. Questi però sembrava non seguire il filo del suo ragionamento e rispose con una domanda.
“Tu che ne pensi, grande Mur?”
Il cavaliere dell’Ariete non rispose ma fece un passo indietro e usò il suo cosmo per alzare il crystal wall tra loro al fine di proteggere Seiya. Solo a quel punto l’uomo si voltò e lo guardò fisso negli occhi sorridendo.
“Sapevo che con te non avrebbe funzionato.” Disse solo mentre le sue mani si allargavano per aprire un varco attraverso l’altra dimensione. Nulla poté Mur. La figura svanì davanti ai suoi occhi diretta chissà dove. Il cavaliere d’oro tornò a guardare Seiya. Lasciarlo solo in quelle condizioni era pericoloso ma doveva provare ad inseguire Gemini. Fece l’unica cosa che poteva fare. In fondo nessuno degli altri cavalieri d’oro a parte lui e Saga sapevano quale fosse il grave compito di cui Seiya si era fatto carico. Raggiunse le stanze di Atena e vi entrò non visto. L’incarnazione della dea si accorse subito della sua presenza.
“Mur, cosa fai qui? E’ successo qualcosa?”
“Si tratta di Seiya.” A quelle parole Saori scattò in piedi.
“Cosa gli è successo? Il suo cosmo è debole.”
“Saga l’ha trovato privo di sensi nel corridoio. Forse la fiamma.”
“Vado da lui. Dov’è?”
“Nella stanza di Shaina.” Saori fece per uscire ma Mur la trattenne.
“Atena, aspettate. C’è un’altra cosa. Si tratta di Saga. Il suo cosmo è agitato. Forse Seiya soffre per qualcosa che potrebbe avergli causato il fantasma diabolico di Saga.”
Saori era sempre stata prudente con le parole ma non era stupida. Comprese bene quale sospetto si fosse annidato nella mente di Mur e scosse il capo con decisione.
“Saga ha eseguito un mio ordine. Lo ha fatto per me. Non farebbe mai del male a Seiya.”
“E se non fosse più lui? Se dopo tanto tempo fosse di nuovo cambiato?”
“No!” rispose lei fermamente anche se ritornò con la mente al bacio che lui le aveva chiesto.
“Vado a cercarlo allora. Restate con Seiya. Temo per le sue condizioni.” La ragazza fece un cenno del capo e lasciò la stanza mentre Mur si teletrasportava altrove.
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Shaina correva lungo la strada parallela al tragitto delle dodici case per raggiungere la casa di Shun. Se Pandora c’entrava qualcosa con quello che stava capitando a Seiya le avrebbe staccato volentieri la testa dal collo. Pace o non pace con la famiglia di Hades.
Improvvisamente vide uno squarcio di luce e oscurità aprirsi davanti a lei e una figura apparire dal nulla. La riconobbe subito.
“Saga! Che fi fai qui? Seiya sta bene?”
“Seiya, Seiya. Sempre a preoccuparti per lui.” Fece l’uomo camminando lentamente verso la donna. “Non sei stanca di aspettare un uomo che non avrai mai?”
“Come osi parlarmi così proprio tu? Lo sguattero di Saori!”
“Sai Shaina, tu sei davvero bella. E non solo. Hai coraggio e cuore da vendere. Mi dispiace che le cose debbano andare così!”
La donna si sentì come minacciata e assunse una posizione difensiva. Perché Saga le stava parlando in quel modo?
“Di che diavolo stai parlando?”
“Del fatto che, ora come ora, devi sparire. Solo per un po’. Mi serve un giorno forse o qualcuno di più. Nel frattempo te ne starai buona, buona a capo Sounion.”
Nell’udire quel nome Shaina rabbrividì. Saga voleva rinchiuderla nella prigione dei traditori del Santuario?
“Che avrei fatto per essere rinchiusa?” chiese prima di avere un’illuminazione. “O dovrei chiederti cosa hai fatto tu? Che c’è? Prima vieni a letto con me e poi vuoi sbarazzarti del corpo del reato?” L’uomo rise.
“Shaina, sei davvero incredibile! Qualunque uomo sarebbe fortunato ad averti. Ti prometto che avrai tutte le risposte. Ora però devi venire con me.”
“Non senza combattere!”
“Credi davvero di poterti battere con un cavaliere d’oro?”
“Scherzi? Ho sfidato persino Nettuno!”
“Già e ne hai ricavato una freccia nella schiena!” rispose lui che però in quel momento la colpì per poi svanire nel nulla. Shaina si ritrovò faccia nella polvere. Provò a rialzarsi quando sentì un paio di mani forti afferrarla e sollevarla. Saga la guardava con un’espressione afflitta.
“Saga, che tu sia maledetto!” disse divincolandosi.
“Chi ti ha ridotto così?” fece allora lui ancora più serio e scuro in volto.
“Ma allora sei davvero pazzo! Sono stufa di te! Un minuto prima mi corteggi e il secondo dopo mi colpisci!”
“Io ti avrei corteggiata?” fece l’uomo mettendosi le mani sui fianchi. Lei annuì e lui le fu di nuovo addosso. “E quando ti avrei corteggiata?”
“Ma forse Seiya ti ha colpito duro recentemente?” esclamò lei spazientita e lui la scosse per le spalle.
“Parla, donna! Quando?”
“Dopo la festa, ricordi? E l’altra mattina alla radura del vecchio tempio. E cinque minuti fa!”
“Cinque minuti fa...” fece Saga lasciandola andare e chiudendo gli occhi per attivare il suo cosmo. In quel momento apparve Mur che allontanò Shaina da Saga.
“Mur, che vuoi?” chiese Saga sempre più nervoso.
“Verrò dritto al punto. Sei stato tu a fare del male a Seiya?” Saga sorrise amaramente abbassando il capo.
“Dopo tutto questo tempo, Mur? Dopo anni a vegliare su Saori e sul tempio, tu osi dubitare di me?”
Il cavaliere dell’Ariete esitò. Il cosmo di Gemini era limpido e calmo ora.
“Poco fa il tuo cosmo era diverso. Tu mi sei sembrato diverso.”
“Come fossi un’altra persona?” chiese pensoso Gemini e Shaina intervenne.
“Voleva rinchiudermi a capo Sounion!”
“Te lo saresti meritato!” esclamò Saga, poi continuò “Mur, devi fidarti di me. So quel che faccio. Va a prendere Kouga e riportalo alla tredicesima casa. Prendi Aiolia e Marin e mettili di guardia insieme a Shura al tempio. Io devo verificare una cosa. E per la misericordia di Atena, tieni questa sciagurata al sicuro.” Disse riferendosi a Shaina. Mur sentì che non c’era malvagità in lui e afferrò la sacerdotessa perun braccio teletrasportandosi con lei verso la quinta casa.
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Quando la luce cessò, Pandora aprì gli occhi. Davanti a lei c’era Shun perfettamente guarito dalla maledizione di Marte. Il suo piano aveva funzionato. O no?
“Shun?”
“E’ questo il modo di rivolgerti a me, sorella?” Pandora impallidì e si gettò ai piedi del cavaliere di Andromeda.
“Hades, mio signore!”
“Sei cambiata, sorella, ma mi hai servito bene. Ancora una volta mi hai riportato in questo mondo.”
“L’ho fatto per salvare Shun.” Disse Pandora sinceramente.
“Lo so.” Fece lui carezzandole il capo con dolcezza “Ciò non toglie che sono qui.”
“Il tuo tempo è finito, fratello mio. Questo corpo appartiene a Shun.”
“Hai chiesto tu a Shun di parlare con me. Lui è davvero la persona più pura di questa epoca se è stato disposto a mettere la sua coscienza da parte per mantenere la parola data a te.”
“Ho bisogno del tuo aiuto per proteggere la mia famiglia. Ho bisogno del Titanium.”
“Quell’oggetto è pericoloso.” Fece Hades che però fu distratto da una figura che lo guardava da lontano. Pandora osservò nella sua stessa direzione e lo vide.
“Eden! Che ci fai tu qui?” chiese sua madre e Hades rispose al suo posto.
“Ha udito il mio richiamo. Il sangue chiama sangue. Avvicinati Eden, fatti guardare principe delle ombre.”
Il ragazzo si avvicinò lentamente ma con passo sicuro e quando fu davanti al dio, chinò il capo senza però inginocchiarsi.
“Vedi Pandora? Io non ho bisogno di prendere il corpo di Shun. Eden è già ciò che io sono stato e ciò che avrei potuto essere. Il ciclo è stato spezzato e questo è male. Un nuovo ciclo però è sorto e questo è bene.” Mentre diceva queste parole, tra le sue mani apparve il ciondolo con su scritto ‘Forever Yours’. “Vedi, sorella, questo ciondolo ora appartiene ad Eden.”
Il ciondolo svanì dalle sue mani per comparire al collo del ragazzo. Pandora si prostrò ancora di più e pianse.
“Ti prego, fratello, se mai ti sono stata cara, non prendere il corpo di Eden!”
Hades sorrise.
“Sciocca Pandora. Del resto sei solo una mortale! Eden è mio discendente e tanto basta. Il ciclo si è rotto, capisci? Eden” disse rivolgendosi al ragazzo “dà quel ciondolo a tua madre o ne morirà!”
Eden si sfilò la catenina e la consegnò a Pandora.
“Noi non ci rivedremo per un po’. E’ mia intenzione assecondare il desiderio di Shun di lasciare il santuario. Troppi cavalieri di Atena qui intorno per i miei gusti. Eden però verrò con me.”
“No!” urlò Pandora.
“Credi che potrai proteggerlo da quello che stai per scatenare, sorella?”
“Che dirà Ikki?”
“Vedrai che sarà contento di vedere suo fratello e suo figlio che combinano qualcosa di buono insieme. Stanno per soffiare venti di guerra su Atene!”
“Marte?” chiese Pandora e la figura di Shun annuì.
“Non era in fin di vita nascosto da qualche parte?”
“Nascosto ancora per poco. Ora Shun pretende di riavere il controllo del suo corpo. Andiamo Eden.” Un leggero vento soffiò e il colore degli occhi di Shun tornò verde.
“Zio, sei di nuovo tu?” chiese Eden. Shun annuì. “Mi lascerai venire con te?”
“No, Eden. Io non so quali pericoli mi aspettano e non intendo rischiare la tua vita. Resterai con i tuoi genitori.”
“Vuoi andare ad Asgaard?” chiese Pandora.
“Sì.”
“E’ un viaggio molto lungo.”
“Potrei usare il lago nero. Se mi lasciassi venire con te potrei portarti lì in un  nulla.” Disse Eden. Shun guardò Pandora e la donna sorrise.
“Con entrambi i suoi zii, non potrebbe essere più al sicuro.” Disse.
Eden indossò la sua armatura ed evocò il suo potere. Quando Shun fu avvolto dall’oscurità del lago nero di Eden, sentì il potere di Hades scorrergli nelle vene potente ed impetuoso.
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Saori si inginocchiò davanti al letto dove giaceva Seiya.
“Amor mio, siamo davvero allo stremo delle nostre forze?” chiese più a se stessa che a lui. Intinse un fazzoletto nel bacile che era poggiato accanto a lei e glielo passò sulla fronte e sul collo. Davvero stava precipitando ogni cosa? Prima la minaccia di Nettuno, poi la partenza di Hyoga uno dei pochi che sapeva tutta la verità, poi ancora il potere di Kouga che andava risvegliandosi velocemente e ora il crollo di Seiya. Da quanto tempo ormai donava il suo cosmo alla fiamma della Nike? Quello avrebbe dovuto essere compito suo. Non l’aveva forse alimentata Sasha nella sua incarnazione precedente? E prima di lei non l’avevano fatto sempre le fanciulle in cui Atena era rinata? Se era compito di una dea, come aveva potuto sopportarlo Seiya per tutto quel tempo. Calde lacrime le scesero dagli occhi di cielo. Lei conosceva la risposta.
Amore.
La splendida cupola dorata che proteggeva il santuario e Rodorio e che tutti credevano opera della divina Atena, nasceva dall’amore di un uomo per una donna. Dal desiderio di quell’uomo di proteggere un sogno.
Le parole le uscirono dalle labbra senza che se ne accorgesse. La melodia era antica quanto il mondo.
“L’amore verrà,
il cuore ti scalderà,
sarà il cuore mio a sostenere il tuo,
più forte ti stringerò
e mai più ti lascerò.
Per sempre potrai
Sentirmi accanto a te
Se notte calerà
Io luce mi farò
Le ali distenderò
E ti proteggerò.” (*)
La mano di Seiya si mosse d’improvviso nella sua.
“Sono qui, Saori.”
“Seiya..”
“Non devi usare il tuo cosmo.” Disse il cavaliere che non aveva ancora aperto gli occhi.
“Stà zitto, Seiya. Per una volta.” Disse lei passandogli una mano tra i capelli. Lui sorrise e aprì gli occhi.
“Quanto sei bella, Saori. E quanta forza mi da soltanto sentirti qui accanto.”
“Non è vero.” Rispose lei contrita “Sei allo stremo.”
“Sì,” fece lui sorridendo “è vero. Ma come cantavi poco fa, io continuerò comunque a distendere le mie ali e a proteggerti.” Anche Saori rise.
“Sempre testardo. Sai Seiya, la canzone parla di quando eravamo ancora dei ragazzini incapaci di comprendere il nostro ruolo nel mondo. Dov’è finito tutto quel tempo?”
“E lo chiedi a me? Io ricordo solo quello che ho passato a risalire burroni. E se non erano burroni erano scalinate e se non erano scalinate erano gradoni giganteschi!”
“Siamo stati anche felici, non è vero?”
“Scherzi?” rispose e Saori si guardò le mani. Lui si mise a sedere nel letto e gliele prese. “Immensamente felici. Per esempio ricordo il giorno in cui ho conquistato l’armatura di Pegasus. Saltellavo qui e là come un deficiente per la gioia. Il giorno in cui siamo tornati a Luxor dopo la battaglia delle dodici case e Shun ha preparato la cena, dico, te lo ricordi? E il primo giorno che sei venuta a casa mia? E poi il giorno delle nozze di Hilda e Orion? E il giorno in cui abbiamo sconfitto Nettuno? Quello della festa in cui lui cercava di corteggiarti e abbiamo ballato insieme per tutto il tempo? E poi il giorno del mio risveglio dopo la battaglia negli inferi? Ricordi quello dell’inaugurazione dell’orfanotrofio di Rodorio? Tu eri splendida. E poi il giorno della nascita di Kouga, il giorno che ha cominciato a camminare da solo. Quanti giorni potrei citarti in cui il mio povero cuore malandato, a volte, a rischiato di esplodere di felicità.”
“Seiya” fece Saori tirandolo a sé “io non voglio perderti.”
“Ho scommesso tutte le mie vite su di te, Saori.”
“Quel ciclo si è spezzato.” Fece lei triste.
“Lo so. Lo sento anche io. Questa sarà l’ultima volta che ci sfioreremo aldilà del tempo e dello spazio. E mi fa paura sapere che non avremo un’altra vita per riprovare a fare quello che non è andato stavolta. Però Saori, guardaci. Abbiamo vinto tutte le nostre battaglie e siamo ancora qui. Per quanto mi riguarda, io sono soddisfatto. Ho avuto la fortuna di avere ciò che non mi era mai stato concesso prima.”
“Hai ragione. E’ solo la paura.”
“Sarò comunque accanto a te fino all’ultimo.”
Saori si avvicinò e posò delicatamente le labbra sulle sue. Mentre sentiva Seiya stringerla più forte giurò a se stessa che, questa volta sarebbe stata lei a proteggerlo fino alla fine. Se era giunta al termine l’era degli dei e il mondo passava per sempre agli uomini, allora lei non avrebbe fatto eccezione e avrebbe onorato quel giuramento con la sua vita.



Note dell'autrice :
La nenia che Saori canta mentre Seiya dorme ha la musica del tema principale de 'Le porte del paradiso'. E' una musica dolcissima che però non è mia. Le parole invece mi sono venute fuori così. A presto!

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Capitolo 16
*** La vita salvata da Mur - terza parte ***


La vita salvata da Mur
Parte terza


Kanon l’aveva scampata per puro miracolo. Si era accorto appena in tempo dell’arrivo del gemello. Adesso però che Shaina gli era sfuggita, sapeva che Saga avrebbe scoperto che se n’era andato in giro per il santuario ad impersonare la sua parte.
Raggiunse Pandora e la trovò ancora nel luogo in cui aveva usato il potere del Ragnarock.
“Hai dunque fatto la tua scelta, Pandora?” disse avanzando verso di lei.
La donna gli lanciò il Titanium che Kanon afferrò al volo.
“Prendi, Kanon di Gemini. Spero che tu sappia quel che fai più di me.”
“Siamo solo pedine, Pandora. Non crucciarti!”
“Davvero?” rispose lei scatenando, per la prima volta dopo tanto tempo, il suo potere oscuro. Le sue vesti tremarono, la sua pelle si fece pallida e le sue labbra si tinsero dello stesso viola scuro dei suoi occhi. Il colore degli occhi di Hades. “E’ questa la scusa che hai trovato per te stesso? Questo dirai a tuo fratello quando saprà del tuo tradimento?”
“Tradimento? Io sono Kanon, dragone del mare. Servo Nettuno.”
“Nettuno era in pace con Atena. L’hai scatenato di nuovo contro di noi?”
“Il dio dei mari è volubile e io non posso esimermi dal servirlo.”
“Abbiamo sempre una scelta!”
“Questo dirai ad Ikki quando chiederà spiegazioni? Che potendo scegliere, hai deliberatamente sbagliato?”
“Non pretendo che tu capisca le motivazioni che stanno alla base delle mie scelte.”
“Starei ore a parlare con te di questo ma mio fratello sta venendo qui. Ti auguro di avere maggiore fortuna con lui!” disse Kanon sparendo nella dimensione oscura.
Come in un gioco di prestigio, apparve Saga.
“Pandora, cos’hai fatto?” chiese il grande sacerdote avvertendo il cosmo oscuro della sorella mortale di Hades.
“Ho difeso la mia famiglia.” Rispose la donna. Saga non poteva sapere che la donna si riferiva prevalentemente a Shun e urlò.
“Come hai potuto? Ora mi dirai, con le buone o con le cattive, cosa c’entri tu con Nettuno.”
“Non ti dirò proprio niente. Parlerò solo con Saori.”
“Sarò morto prima che ti conduca al suo cospetto.”
Saga allargò le braccia per concentrare il suo potere ma fu colpito dalle ali della fenice.
“Saga, come osi attaccare Pandora?” urlò Ikki mettendosi fra loro. Si voltò subito a guardare la donna “Stai bene? Ho percepito il tuo potere e sono corso qui.”
“Lei sta bene.” Fece Saga “ma Seiya e Shun no!” Lo sguardo di Ikki si fece preoccupato.
“Dov’è Shun?” le chiese cercando di rimanere calmo.
“Te lo dico io.” S’intromise Saga “E’ andato ad Asgaard!”
Ikki tornò a fissare il cavaliere dei gemelli.
“Cosa c’entra Pandora con questo? Di certo Shun è corso in aiuto di Hyoga!”
“Allora fatti dire quale strana coincidenza ha condotto da lei lo stesso emissario che Nettuno ha mandato da Flare!” Ikki era sempre più confuso.
“E’ vero che hai incontrato un generale degli abissi?” Pandora annuì.
“Ikki ha a che fare con le mie visioni. Posso spiegare. Devi fidarti di me. Ti prego.” In quel momento Pandora non era più la sorella di Hades. Il suo potere sembrava essere fluito fuori dal suo corpo. Ikki le si avvicinò e le posò le mani sulle spalle.
“Ti ascolterò” disse e poi si voltò verso Saga. “Lasciala alla mia custodia. Sono pur sempre un cavaliere di Atena! Me ne occuperò io e ti riferirò ciò che sa. Non le estorceresti comunque nulla con la forza!”
“Su questo ho i miei dubbi!” esclamò Saga che sembrava pervaso come un tempo dalla furia di Arles “ Tuttavia acconsento a patto che mi riveli il nome dell’emissario di Nettuno.”
“Kanon, dragone del mare.” Disse la donna.
Saga si voltò senza dare a nessuno di loro il modo di capire quale tempesta quel nome avesse scatenato nel suo cuore.
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Kanon si girava e rigirava il Titanium tra le mani. Sapeva che quell’oggetto serviva ad evocare il Kraken. L’unica domanda era: contro chi aveva intenzione di scatenare la bestia inarrestabile Nettuno? Atena? Improbabile. Kanon sapeva che Julian amava follemente Saori. Seiya? Possibile ma, una volta fuori gioco il ronzino, Saori lo avrebbe rimpiazzato così facilmente? Mai. Poteva permettere a Nettuno di mettere le mani su Saori ora che aveva scoperto che anche Saga ne era innamorato?
Nonostante tutti i suoi dubbi non poteva esimersi dal consegnargli il Titanium. Contrariamente avrebbe subito la collera di Nettuno e anche Saga ne avrebbe pagato lo scotto. Se solo fosse riuscito ad avere più tempo avrebbe potuto ottenere da Mur il modo per liberarsi di quei sigilli sui suoi polsi! Mur faceva parte del popolo antico. Di certo conosceva un modo per liberarsi di quei segni.
Camminava verso la colonna di Nettuno quando fu distratto da questi pensieri dalla vista di una persona che mai avrebbe immaginato di trovare ad Atlantide.
“Hyoga! Tu sei qui?” disse andando incontro al cavaliere biondo.
“Non ti conosco generale degli abissi” disse l’uomo “ma io mi chiamo Midgard.”
Kanon comprese che, nell’istante stesso in cui Pandora aveva usato il Ragnarock per riportare indietro l’anima di Hades, Hyoga si era perduto per sempre. Quella principessa tremendamente in collera con lui, lo aveva fatto sul serio.
“Bentornato, Kanon!” disse Nettuno comparendo alle sue spalle “Ti presento Midgard, nostro gradito ospite. Seguici, stiamo andando alla colonna dell’Oceano Artico.”
Julian camminava sorridendo affianco a Midgard. Kanon rimase indietro di qualche passo. Giunti alla colonna, Kanon scoprì che Isaac vi era stato incatenato, privo di sensi.
“Avevo pensato di usare Hyoga come ricettacolo del Kraken ma Midgard sarà molto più efficiente di Isaac come custode della bestia, non trovi Kanon? Per questo ho invertito i ruoli.”
“Vuoi sacrificare al Kraken uno dei tuoi generali?”
“Vuoi offrirti tu?” chiese Julian con fare malizioso toccandosi un polso. Kanon gli porse il Titanium.
“A chi darà la caccia il Kraken?” chiese Kanon.
Julian si vestì dell’autorità di Nettuno e impose il tridente contro la colonna.
“Avanti, Kraken che obbedisci al dio che possiede il metallo più prezioso, risorgi dalle profondità degli abissi e torna dal tuo antico padrone! Io ti richiamo dal tuo sonno bestia antica, figlia del Titano!”
In un primo momento non accadde nulla, al punto che Kanon sperò che qualcosa non fosse andato per il verso giusto. Invece una profonda scossa fece tremare il territorio intorno alla colonna. Le membra di Isaac cominciarono a deformarsi e a crescere a dismisura fino a che della figura umana che era stata del cavaliere non rimase traccia. Il tremendo Kraken si alzò innanzi a loro al massimo del suo potere. Fu allora che Midgard levò la mano in cui era stato sigillato il potere dell’Inverno senza fine e la bestia sembrò fermarsi.
“Visto?” esclamò Julian in direzione di Kanon “Pare che i due si riconoscano anche se non sanno più che cosa li ha legati in passato! Bene. Ora ascoltami Kraken. Sarai libero ma prima dovrai cacciare per me come nell’età degli dei. Trova Mars Kreutz ovunque quel maledetto si nasconda. Voglio la sua testa. Poi sarai liberato! E tu Midgard, potrai ricongiungerti alla tua Hnos nella morte! Distruggete Marte affinché io venga riconosciuto come l’unico in grado di salvare la dea Atena dal pericolo che da anni la costringe a rifugiarsi nel suo santuario!”
Kanon non sapeva se ridere o piangere della follia di Nettuno. Scagliare il Kraken contro Marte poteva migliorare o peggiorare tutta quella situazione? Se non altro la bestia non era stata lanciata contro Atene.
Decise che era giunto il momento di rischiare il tutto per tutto. Ora Saga doveva sapere. Ora che il piano di Nettuno era stato disvelato, doveva avvisare suo fratello.
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Shaina era in preda ad una rabbia incontenibile. Come aveva potuto Saga trattarla in quel modo e chiamarla addirittura ‘sciagurata’! Certo, aveva ordinato a Mur di proteggerla ma da chi e perché? Non credeva possibile che un attimo prima Saga volesse imprigionarla e un attimo dopo volesse proteggerla. Ora se ne stavano davanti alle porte della tredicesima casa agli ordini di Mur. Aveva visto Seiya in piedi e questo l’aveva rinfrancata ma aveva capito anche che qualcosa di grosso stava per capitare.
Marin era salita alla sala del grande sacerdote insieme ad Aiolia e a Soma e aveva lasciato che suo figlio facesse compagnia a Kouga che rimaneva chiuso in un doloroso mutismo. Comprese subito che qualcosa tormentava Shaina e la prese da parte.
“Cosa ti prende?”
“Sta succedendo qualcosa di brutto.”
“Lo so.” Le rispose l’ex cavaliere sacerdotessa “Aiolia dice che una forza oscura si è liberata nel santuario. Dobbiamo stare in guardia. C’è però qualcosa in te che non mi convince. Sei più agitata del solito.” Shaina la guardò dritta negli occhi.
“Marin, credo di essere diventata pazza. Ho fatto una cosa. Me ne sono pentita subito anche se a mia discolpa posso dire che ero ubriaca. Poi però ho creduto che non fosse così grave, che in fondo rimanere attaccata ad un sogno era inutile. Seiya ha fatto la sua scelta tanti anni fa. Adesso però credo di essermi sbagliata.”
“Shaina, ferma un secondo. Non ho capito nulla. Cos’è che hai fatto? Cosa c’entra Seiya?” fece Marin allarmata. L’altra stava per risponderle quando la porta s’aprì e Saga entrò di corsa.
“Sei qui tu!” esclamò afferrando per un braccio Shaina “Ora devi dirmi quand’è che avrei cominciato a comportarmi in modo strano!” Shaina si divincolò e guardò Marin che, d’istinto, si allontanò.
“Ti sembra il modo, grande sacerdote?”
“Niente storie! Parla!”
“Io non ho un bel niente da dirti! E smettila di comportarti così!”
Saga stava davvero per perdere la pazienza quando la porta s’aprì di nuovo. Mur entrò seguito da Saori e Seiya. Quest’ultimo sembrava dolorante ma parlò con fermezza.
“Saga, cosa sta succedendo? Mur ci ha riferito che hai ordinato di presidiare la tredicesima casa e hai fatto riportare qui Kouga.”
A quelle parole Saori guardò d’istinto verso il ragazzo che sedeva in un angolo con Soma.
“Devo parlare con tutti voi.” Rispose Saga con tono severo. “Però devo chiarire prima una cosa con Shaina e attendo Ikki.”
Seiya spostò lo sguardo sul cavaliere dell’Ofiuco e, oltrepassando Saori, la raggiunse prendendola da parte.
“Shaina, va tutto bene?” La donna guardò per terra.
“Seiya, io, sinceramente, non lo so. Credo di avere abbassato la guardia stavolta. Ti ho esposto ad un grande rischio. Se ti accade qualcosa per causa mia, io non me lo perdonerò mai.”
Seiya sollevò una mano e la posò su una delle sue spalle. Shaina sentì un cosmo immenso e caldo avvolgerla completamente. Tremò.
“E’ passato da tanto il tempo in cui hai provato ad uccidermi!” disse Seiya sorridendo “Tu, più di tutti sai che non è un’impresa facile da compiere. Stai tranquilla!”
Saga li guardò spazientito poi, come se avesse percepito qualcosa oscillare nell’aria, si voltò verso Saori. Lo sguardo della donna era tristemente puntato su Seiya e Shaina. Li raggiunse e spostò la mano del cavaliere del Sagittario dalla spalla della donna tirandola a sé.
“Fa il tuo dovere e proteggi Atena, primo cavaliere. Io devo discutere con lei di una faccenda importante.”
Per la prima volta nella sua vita, Shaina avvertì la sensazione di essere contesa tra due uomini e arrossì violentemente. Seiya si voltò e tornò sui propri passi. Accanto a Mur però, Saori non c’era più.
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“Devi dirmi tutto.” Furono queste le sole parole che Ikki disse a Pandora una volta rimasti soli. Tre parole che ebbero il potere di scuotere l’anima della donna dal profondo facendola tremare. Avrebbe voluto spiegargli ogni cosa cominciando dal principio, dalle sue visioni, dalla malattia di Shun, ma aveva promesso. Aveva giurato a Shun che suo fratello non lo avrebbe saputo. Era ancora legata a quella promessa ora che Shun era guarito? Avrebbe potuto cominciare con un ‘prometti che non ti arrabbierai’ sapendo che Ikki era l’uomo più iracondo che avesse conosciuto in mille vite? Decise che aveva una sola possibilità. Obbedire.
“Avevo giurato a Shun che non te ne avrei parlato per questo ho tenuto il segreto. Non voglio giustificarmi. Voglio solo che tu capisca perché ho fatto le mie scelte. E’ cominciato tutto con le mie visioni. Questa parte la conosci già. Quando Mizar di Asgaard è arrivato al santuario, la visione è cambiata. E’ stato Shun a provocarmela. Mi ha chiesto di vedere il futuro di Hyoga e io l’ho fatto. L’ho visto andare ad Asgaard. Laggiù si ritrovava a combattere con lo stesso mostro che era apparso nella visione in cui Eden provocava la morte di Atena. Il giorno dopo, quando ancora cercavo di dare un senso a tutto, è apparso il generale degli abissi. Mi ha portato un dono di Nettuno, il Ragnarock. In cambio ha chiesto un oggetto che apparteneva a mio fratello.”
Ikki indurì lo sguardo e la invitò a continuare.
“Inizialmente gli ho riferito che mi sarebbe stato impossibile accontentare la sua richiesta poiché si trattava di un oggetto che Hades portava sempre con sé. Poi ho capito. Il Ragnarock contiene i frammenti di tutti i mondi perduti. In esso era racchiuso anche un brandello dell’anima del signore degli Inferi.” Disse la donna strofinandosi nervosamente le mani e abbassando lo sguardo. Ikki le fu addosso e la prese per le spalle.
“Pandora, dimmi che non l’hai fatto! Dimmi che in questa storia non c’entra Shun!”
A quel punto la donna, con le lacrime agli occhi, sollevò lo sguardo e gridò.
“Invece l’ho fatto per Shun! Tu non sai come stanno le cose!”
“Allora dimmelo, maledizione!” la scosse di nuovo il cavaliere.
“Stava morendo! Tuo fratello stava morendo a causa della maledizione di Marte!”
Ikki mollò la presa facendo un passo indietro.
“Che significa ‘stava’ morendo?”
“Lo spirito di Hades a cui si è riunito lo ha guarito. Ora sta bene.” Ikki sentì qualcosa spezzarsi dentro.
“Guarito? Mi stai dicendo che dentro mio fratello ora c’è di nuovo lo spirito del tuo?”
“Non fare quella faccia inorridita! Non è così terribile e sappi che è stato Shun a sceglierlo. Non l’ho costretto. Lui voleva guarire. Voleva essere libero di lasciare il santuario. Se avesse lasciato la cupola con cui Atena protegge il santuario senza la protezione di Hades, ora sarebbe morto!” Ikki provò a scacciare quel pensiero per un momento e cercò ulteriori informazioni.
“Cos’hai dato in cambio a Nettuno?”
“Il Titanium, il ciondolo che Hades portava sempre con sé.” Il pensiero di Ikki tornò subito a Shun e a quando, da piccolo, giocherellava con quel medaglione che credeva un ricordo della loro mamma.
“Che se ne fa Nettuno di un gioiello?”
“Non è un gioiello. Quell’oggetto è in grado di evocare il Kraken.”
“Il Kraken? La bestia mitologica che si dice infesti i mari del nord?”
“Non è una bestia mitologica! E’ una creatura antica, generata dai Titani. E’ inarrestabile. Una volta scatenata, non si ferma fino a he non distrugge il suo obbiettivo. Hades l’addormentò nell’era degli eroi. Non ha mai osato svegliarla.”
“E tu hai consegnato a Nettuno l’oggetto che serve a scatenare una simile arma?”
“Dovevo salvare Shun! E se non avessi consegnato a Kanon il Titanium, lui avrebbe ucciso Eden!”
“Nessuno avrebbe fatto del male ad Eden! Sarebbe bastato che tu mi avessi detto la verità! Maledizione Pandora, come hai potuto?”
“Sapevo che tu non avresti approvato! Cosa sarebbe accaduto se tu avessi convinto Shun a non accettare lo spirito di Hades? Sarebbe partito per Asgaard indifeso e debole? Avrebbe bruciato il suo cosmo e quanto sarebbe sopravvissuto?”
“Non gli avrei permesso di lasciare Atene!” urlò Ikki e Pandora fu presa da una risata isterica.
“Tu credi di poter sempre fare fronte a tutto, vero Ikki? Credi che basti volerlo e le cose filano come vuoi tu? Shun sarebbe partito lo stesso e noi lo avremmo perso per sempre!”
“Non sarebbe partito, mi avrebbe ascoltato, sono suo fratello!”
“Sì, invece. Sarebbe partito perché lui ama Hyoga! E’ la persona più importante per lui!” Ikki si bloccò. Sapeva che quella era la verità. Shun amava Hyoga. Sopra ogni cosa, sopra la sua stessa vita. Ricordava la notte della battaglia contro Mars. Ognuno di loro aveva combattuto per difendere chi amava. Shun aveva difeso Hyoga. Solo Hyoga, sempre Hyoga.
“Adesso però Nettuno ha il Kraken. Contro chi lo scatenerà?” chiese Ikki. Un cosmo potente fece voltare contemporaneamente marito e moglie verso un punto preciso.
“Verso Marte.” Disse una voce decisa che apparteneva a colui che sembrava il grande sacerdote.
“Saga, ti ho detto che ci avrei pensato io!” esclamò Ikki.
“Non è Saga. E’ Kanon.” Disse Pandora e l’uomo rise.
“Già, sono Kanon e non ho molto tempo per cui saltiamo tutta la parte in cui tu, indignato per ciò che ho fatto, provi ad uccidermi. Arriviamo subito al punto. Devo vedere mio fratello. Ho delle informazioni che sono di vitale importanza per lui. Nessuno è più al sicuro. Non ho il tempo di battermi con tutti i cavalieri d’oro per arrivare alla tredicesima casa per cui tu devi farmi entrare nelle stanze di Atena, Ikki.”
“Credevo che fosse Saga il gemello pazzo!” esclamò Ikki ridendo.
“Infatti, io sono il bastardo! Ci muoviamo?”Ikki guardò Pandora e la donna gli prese una mano.
“Ti prego, Ikki. Saori deve sapere.”
“Figuriamoci! Non so davvero cosa accadrà adesso, Pandora. Stiamo per andare a dire a Saga che abbiamo contribuito a far tornare in vita Hades e un titano. Non credo che stavolta Atena ci perdonerà. Dov’è Eden?” Pandora gli lasciò la mano.
“Con Shun.” Rispose la donna e Ikki sospirò.
“Di bene in meglio. Andiamo. Kanon, niente scherzi.”
“Credimi Ikki, non è più tempo di inganni o beffe.”
I tre s’incamminarono verso il santuario col cuore pesante.
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Saori aveva camminato fino ai piedi della statua di Atena. La dea se ne stava, silente, priva del suo scudo che giaceva ancora riverso in terra nella stanza di Saori, testimone della tanto dolorosa quanto momentanea separazione tra Kouga e la donna.
Come la statua, Saori si sentiva indifesa. Seiya era il suo scudo e ora lui non c’era. Anche Saga, che di solito, le faceva da ombra era rimasto nell’ampia sala del trono tentando di riprendere il discorso con Shaina.
Un alito di vento le provocò un brivido. Seiya era preoccupato per Shaina. L’istinto l’aveva condotto da lei quando aveva visto Saga prenderla in malo modo per un braccio.
Sapeva che l’uomo l’aveva già difesa in altre circostanze, di cui tra l’altro lei era stata maledettamente gelosa. Sapeva anche che l’uomo amava solo lei ma, in quei rari momenti in cui Seiya mostrava interesse per altre persone, s’incupiva lo stesso.
Non era la gelosia però a renderla così triste. Si era ripromessa di proteggere Seiya da quella che sembrava una nuova minaccia. Avrebbe bruciato il suo cosmo e questo le sarebbe costato la vita. Sapeva anche che il ciclo del risveglio si era spezzato e, che una volta che si fosse addormentata, non si sarebbe più risvegliata. Avrebbe dovuto dire addio e non arrivederci. Avrebbe dovuto rinunciare a Seiya. Che ne avrebbe fatto lui del resto della sua vita? L’avrebbe passato con Shaina? Magari insieme anche a Kouga come una vera famiglia? Pianse e sentì freddo.
In quel momento un mantello fu posato sulle sue spalle.
“Prenderai freddo.” Lei chiuse gli occhi e una lacrima precipitò sulla mano di Seiya che era rimasta posata sul suo petto come a volerla tirare a sé. “Perché piangi, Saori?”
“Non è nulla, solo ansia.” Mentì lei. Allora si sentì davvero tirare indietro fino a che la sua schiena non toccò il petto dell’uomo e le sue labbra non premettero contro il suo orecchio.
“Ti proteggerò.”
“Lo so.”
“Ti proteggerò.”
“Lo so, davvero.”
“Non capisci, Saori. Non permetterò che ti succeda niente.” La donna si voltò e scoprì lo sguardo severo di Seiya. Non era quello del ragazzo che era diventato cavaliere di Pegasus e neppure quello che aveva conquistato Sagitter. Non era neanche quello dell’uomo che aveva sfidato gli dei e combattuto contro Mars. Era lo sguardo dell’uomo che sente la propria donna distante, che capisce che gli sta mentendo. E lei lo rifece. Mentì.
“Lo so. Va tutto bene.” Fece cercando di allontanarsi. Quella versione di Seiya, tanto adulta e forte, la metteva a disagio. Lui la trattenne, per la prima volta incurante della sua spalla ferita. Saori gemette e lui allentò un po’ la presa.
“Scusa. E’ che ero convinto che non ci sarebbero stati più guai al santuario e che saresti stata al sicuro. Tu, Kouga, tutti. Ho l’impressione che tu, stavolta, voglia fare a modo tuo. Posso tenere testa a qualunque divinità, tranne ad una!” fece Seiya cercando di sorridere “Fidati ancora una volta di me. Anche stavolta fa combattere me. Rimetti a posto il tuo scudo. Ci sono io fra te e i tuoi nemici. Non basto più?” fece con tono triste.
Lei lo abbracciò d’istinto. Anche se i loro sguardi non s’incrociavano, uno conosceva bene i sentimenti dell’altra. Seiya aveva capito che Saori intendeva affrontare personalmente il pericolo imminente perché lo aveva visto allo stremo delle forze. Saori sapeva che Seiya sarebbe morto prima di vederla scendere in battaglia. Si strinsero mentendosi a vicenda.
“Farò come vuoi tu, Seiya. Cercherò di non farmi rapire, trafiggere da una freccia  o rinchiudere in una colonna, va bene?” sorrise staccandosi e accarezzandogli una guancia.
“Molto bene. Io ti prometto che non mi farò trapassare il cuore da nessun’arma divina e che tornerò da te anche stavolta.” La strinse di nuovo assaporando però quel momento d’intimità come fosse l’ultimo.
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“La notte della festa!” esclamò Shaina e tutti si voltarono a guardare lei e Saga che, in un angolo della grande sala, ancora discutevano fittamente.
“Maledizione!” rispose l’uomo.
“Addirittura? Non mi sembrava che ti abbia fatto tanto schifo passare la notte con me!” Saga, per la prima volta dopo anni, si sentì avvampare.
“Tu hai fatto cosa?”
“Abbiamo fatto, caro!” rispose lei tagliente “Che c’è? Paura di farlo sapere a Saori?”
“Ma tu non eri innamorata di Seiya?”
“E me lo chiedi ora?”
“Shaina, ti sei innamorata di me?”
“Ma che domande sono!” cercò di replicare la donna senza alzare il tono di voce. Non voleva attirare l’attenzione degli altri più di quanto lei e Saga avessero già fatto.
“Lascia perdere. Perdonami. Mi rendo conto solo ora che devi avere passato delle giornate orribili ultimamente. Prometto di spiegarti. Ora però devo parlare con Saori.”
“Sempre la stessa storia vero? Corri da lei. Lei, però, non ti amerà mai.”
“Tu sì?” chiese Saga a bruciapelo. Shaina arrossì.
“Se fossi sempre l’uomo che è stato con me la notte della festa, potrei.”
Saga sorrise amaramente poi si voltò e s’incamminò verso la grande scalinata che portava fuori. Quando fu solo nel corridoio che dalla sala del trono portava alla statua di Atena, si poggiò per un attimo alla parete. Strinse un pugno e cercò di controllare la propria rabbia. Aveva desiderato con tutto il suo cuore che Kanon fosse vivo. Aveva sperato in tutti quegli anni di pace dopo la battaglia contro Mars di scoprire che suo fratello era scampato alla morte come lui. Lentamente aveva perso ogni speranza. Aveva dedicato tutta la sua vita ad Atena e al santuario. Inizialmente era stata una forma di espiazione per quel suo maledetto carattere che lo aveva condotto a compiere azioni orrende. Il tempo però gli aveva fatto scoprire di essere ancora in grado di amare. E di chi si era innamorato lui? Della bambina che ventisei anni prima aveva cercato di uccidere ancora nella culla. Una bambina diventata una donna bellissima. Una donna che non poteva avere perché dea, perché innamorata del suo peggior nemico. Aveva accettato ogni cosa per amore suo. Anche un altro bimbo in fasce nato tredici anni prima sotto le stelle della costellazione di Pegasus. Lo aveva accettato nonostante la sua carnagione ambrata e i suoi capelli ramati. Lo aveva accettato perché i suoi occhi erano azzurri come quelli di Saori e pieni delle stelle del cosmo di Atena. Il suo demone personale gli aveva sussurrato di odiarlo, di soffocarlo nella culla ma lui lo aveva preso tra le braccia e gli aveva fatto da padre. Insieme a lui, Shaina lo aveva cresciuto e, qualche volta, si era ritrovato a rimirare il coraggio e l’infinita pazienza di quella donna guerriera. Talvolta si era anche fermato a pensare che sarebbe stata una compagna di vita perfetta per lui. Ora, nel momento in cui gli veniva richiesta massima attenzione e lucidità, scopriva non solo che suo fratello era ancora in vita ma che aveva trovato la maniera di cospirare di nuovo contro di lui, di prendere il suo posto, non solo al santuario ma anche nel cuore di una delle persone a lui più vicine. Cosa avrebbe fatto una volta che se lo fosse ritrovato di fronte? Lo avrebbe ucciso con le sue mani? Riprese a camminare e raggiunse la statua di Atena. Fu li che li vide. Seiya e Saori abbracciati. Sentì di nuovo quel senso di rabbia crescere in lui e il suo cosmo ardere. Fu mentre immaginava di trafiggere Seiya con le sue mani che scosse la testa e rise. Non poteva permetterlo. Li lasciò soli e tornò indietro.
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Mur camminava avanti ed indietro fuori dalla sala del trono. Qualcosa non gli tornava. Tutto il comportamento di Saga degli ultimi giorni era stato strano. Atena sembrava sicura che non ci fossero stati cambiamenti nella sua personalità. Allora cosa stava succedendo? Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dal sopraggiungere di Ikki. Notò, poco più indietro, la figura di Pandora che esitava vicino a delle colonne. Un’altra persona era con lei ma non riusciva a vederne il viso.
“Mur, devo parlare con Atena.”
“Puoi entrare, Saga ti sta aspettando.” Disse continuando, però, a guardare Pandora.
“Deve entrare anche lei.”
“Questo lo escludo. La sua presenza peggiora le condizioni di salute di Atena. Shaka è stato chiaro sull’argomento.” Rispose il cavaliere d’Ariete. Pandora allora si avvicinò.
“Ikki, ciò che ti ho detto è quanto. Non c’è bisogno di me. Io ti aspetto qui.”
“Va bene, Pandora.” Fece il marito rivolgendosi di nuovo al cavaliere d’oro “lui però deve venire con me.” Concluse facendo cenno all’uomo dietro la colonna di uscire allo scoperto. Quello avanzò fino a stare esattamente di fronte a Mur.
Il cavaliere d’oro percepì di nuovo quel cosmo potente e agitato che aveva creduto appartenesse a Saga e gli fu tutto chiaro.
“Tu sei Kanon!” esclamò “Ho ingiustamente accusato tuo fratello! Atena aveva ragione.”
“Devo parlare con Saga.”
“Tuo fratello ti ucciderà nello stesso istante in cui gli comparirai di fronte.”
“Per questo tu devi aiutarmi” disse Kanon mostrandogli i polsi. Mur sgranò gli occhi. Non poteva sbagliarsi. Il vecchio Hakurei aveva scritto molte pergamene sulle maledizioni antiche e quelle sui polsi di Kanon erano le rune dello scambio. Qualunque cosa fosse capitata a Kanon, sarebbe accaduta anche alla persona maledetta dalle rune.
“A chi sei stato legato?”
“A mio fratello. Puoi liberarmene?” Mur scosse il capo.
“Solo chi ha creato il legame può scioglierlo, ma posso bloccarlo per un po’.” Disse imponendo le mani sui suoi polsi. “Sappi però che, per ogni ferita che subirai, soffrirai doppiamente.”
“Non importa. Mi lascerai vedere Saga?” Mur annuì.
“Se sei disposto ad arrivare a tanto, ti accompagnerò io stesso.” Concluse il cavaliere d’Ariete aprendo la porta.
Inizialmente nessuno fece caso a loro. Fu Shaina a rivolgergli per prima la parola.
“La tua dea ti ha assolto dai tuoi peccati?” chiese lei in tono sarcastico. Kanon rise pensando che lei lo aveva scambiato di nuovo per Saga.
“Atena mi ha sempre assolto! Tu, invece, immagino mi perseguiterai eternamente come una delle Erinni*!” disse facendole l’occhiolino e Shaina provò di nuovo quel calore al petto che la prendeva ormai quando l’uomo flirtava con lei.
“Shaina,” fece Mur “dove sono Saori e Saga?” A quell’ultimo nome la donna lo guardò con aria interrogativa.
“Sono qui, Mur!” La voce di Saga risuonò nell’aria gettando tutti nello sconcerto più totale. Shaina, confusa più degli altri, continuava ad andare con lo sguardo da uno all’altro gemello.
“Sorpresa!” esclamò, facendole un inchino, Kanon ma fu scaraventato in terra da un potentissimo colpo di Saga che gli fu addosso in un baleno.
“Maledetto! Credi di poter venire qui a prenderti gioco di noi?” poi, avvicinandosi al suo orecchio e stringendogli la gola sussurrò “Come hai osato toccare Shaina?”
Kanon conosceva la follia del fratello. Tanto tempo prima l’aveva scatenata lui stesso. Ora però la luce nei suoi occhi non era follia. Era rabbia. Cieca, furente. Il dolore provocato dal suo colpo era stato atroce come Mur aveva promesso.
“Non era mia intenzione offenderla. Che tu ci creda o no, l’ho amata sinceramente e l’ho difesa dagli altri generali di Nettuno. Sinceramente però credo che lei sia innamorata di te.” Concluse Kanon abbassando gli occhi. Saga lo allontanò da sé.
“Tu verrai giustiziato. Hai evidentemente violato la tregua tra Atena e Nettuno.”
“Non chiedo di meglio. Prima però ti conviene ascoltare quanto ho da dirti.”
“Niente di quello che dirai ti salverà!”
“Vuoi almeno ascoltarlo?” intervenne Mur con un tono concilianteche male si accoradav col suo sguardo fiero.
“No!”
“Invece devi farlo!” lo incalzò Ikki “Ha notizie su Nettuno e su quello che è successo ad Asgaard.”
Saga stava per colpire entrambi quando due cosmi di fortissima intensità annunciarono l’arrivo di Atena e del suo primo cavaliere.
“Se Kanon, dragone del mare ha notizie di ciò che è accaduto ad Asgaard, io voglio ascoltarlo.” Disse decisa Saori e Kanon la guardò senza timore negli occhi. Per un attimo il gemello di Saga si fermò ad osservare Seiya. Rimaneva al fianco della dea, leggermente indietro. Non gli sfuggì però che una delle mani del cavaliere era andata all’arco di Sagitter e l’altra si era involontariamente fermata a metà tra il suo corpo e quello della donna. Kanon si chiese se fossero gesti studiati o se il desiderio di proteggerla lo dominasse completamente. Anche Saga provava la stessa smania visto che si era posizionato all’altro lato della donna? Kanon parlò.
“Atena, Nettuno progetta da mesi un piano per liberarsi di Mars Kreutz.” Saori fu attraversata da un tremito ma lo invitò a continuare. “Così ha pensato bene di sfruttare il desiderio di vendetta che da tempo la principessa Flare di Asgaard nutre per Hyoga cavaliere del cigno. Per tredici lunghi anni sono stato prigioniero della colonna in cui Nettuno tentò di rinchiudere anche voi. Mi ha liberato perché sapeva che ero l’unico in grado di infiltrarmi nel santuario a causa del mio essere doppio di Saga. Ha chiesto ed ottenuto dalla principessa il Ragnarock, l’artefatto che contiene le anime perdute. Sapeva che Flare avrebbe accettato di consegnarglielo poiché il Ragnarock ha il potere di assoggettare gli uomini ad Odino e lei desiderava offrire Hyoga in sacrificio alla pietra trasformandolo in un berserker, un guerriero accecato solo dal desiderio di combattere e morire in battaglia. Nettuno pensava di affidare l’oggetto a Pandora affinché la sacerdotessa di Hades potesse riportare in questo mondo parte dello spirito del dio prigioniero nella sfera di Odino.”
A questo punto del racconto di Kanon, tutti si voltarono a guardare Ikki. Fu Seiya a chiedere a Kanon di continuare.
“Se Pandora avesse accettato il Ragnarock, avrebbe dovuto rendere a Nettuno il Titanium, un oggetto appartenuto ai tempi del mito al dio dei mari e poi passato nelle mani di Hades. Il Titanium può risvegliare il Kraken, una bestia che la leggenda vuole inarrestabile. Nettuno l’ha risvegliata e le ha ordinato di trovare ed uccidere Marte.”
Come si fosse liberato di tutte le sue colpe, Kanon si sentì infinitamente più leggero. Fu la voce di Saga a fargli precipitare addosso un nuovo macigno.
“Invece di scatenare nuovamente la sciagura su di noi, perché non ti sei lasciato semplicemente uccidere?” Quelle parole fecero a Kanon più male del colpo ricevuto prima e a Shaina sembrò di vederlo vacillare. Fu Mur però a rispondere per lui.
“Nettuno lo ha maledetto. Ciò che capiterà a Kanon, colpirà anche te.” Sentenziò Mur “Credo che, a suo modo, abbia cercato di proteggerti.”
Fu allora Atena ad avvicinarsi a Kanon e a parlare.
“Dimmi, Kanon, che ne è stato di Flare e Hyoga?” Kanon sentì le gambe cedere. Il cosmo di Saori lo aveva avvertito tanti anni prima nella prigione di capo Sounion. Allora lo aveva scambiato per quello di Nettuno e aveva giurato morte alla dea della guerra. Poi, dopo tanti anni, lo aveva riconosciuto nel canto che la fanciulla aveva intonato nella colonna portante di Atlantide. Ora lo avvertiva trepidare nella sua voce calda.
“Flare è stata condannata a morte. Hyoga ha perso se stesso nell’istante in cui Pandora ha attivato il Ragnarock.”
Seiya fu, in un attimo, faccia a faccia con Hyoga. Il cavaliere leggendario, come era stato chiamato per anni, non aveva mai dimenticato chi gli era rimasto affianco durante tutto quel tempo. Tra tutti i suoi compagni d’armi, Hyoga era stato quello con cui aveva condiviso meno battaglie eppure gli era stato sempre vicino. Anche quando Dragone se n’era andato, quando Shun aveva voltato le spalle alla vita da cavaliere, quando Ikki si era eclissato sotto l’arco di Cerbero. Hyoga era rimasto. Era diventato il severo maestro di Kouga, il confidente silenzioso cui affidare dolorosi segreti. Come aveva potuto Ikki permettere che si perdesse? Ikki abbassò lo sguardo.
“L’ho saputo troppo tardi. A discolpa di Pandora posso dire solo che ha agito nel tentativo estremo di salvare Shun. Io non sapevo neanche che mio fratello stesse soffrendo per la maledizione di Marte!”
Seiya strinse i pugni. In quel momento, il vecchio se stesso gli avrebbe urlato in faccia che se non avesse abbandonato il santuario, il posto che era suo, avrebbe conosciuto perfettamente ogni cosa, compreso il dolore di Shun. Seiya di Sagitter, invece, rimase in silenzio. Non solo aveva perso Hyoga, ma anche Shun era tornato ad essere Hades. Non doveva cercare i colpevoli tra le sue schiere. Il colpevole era Nettuno, ancora una volta Julian. Non gli era bastato aver portato Mars Kreutz nelle loro vite tredici anni prima? Si voltò verso Kanon e fece l’unica domanda che aveva senso.
“Il kraken sta già cercando Mars?” Kanon annuì “Allora dobbiamo prepararci.”
“Perché?” chiese Ikki.
“Perché Mars non se ne starà buono ad aspettare che la bestia lo trovi. Farà l’unica cosa che sa fare. Si batterà. Porterà la battaglia qui.”
“Tu credi?” chiese Saga.
“Io lo farei.” Rispose Seiya.
“Allora non c’è più molto da dire.” Concluse Saga “Dobbiamo prepararci a difendere il santuario.”
“Apettate!” intervenne Saori “Kanon, dimmi, c’è un modo di fermare il Kraken?”
“Il kraken è guidato da Hyoga. Ora però lui ha dimenticato chi era. Si scaglierà addosso ai bersagli che Nettuno gli darà fino alla morte.”
“Hai detto che il suo obiettivo è Marte!” lo incalzò Saga.
“Per adesso. Lui vuole Atena. Chiunque si frapporrà tra lui e Saori, diverrà l’obbiettivo del titano.”
Alle parole di Kanon, tutti i presenti si voltarono a guardare Seiya. Il ragazzo sorrise debolmente.
“Ci deve essere un modo.” Intervenne Ikki. “Forse Shun potrebbe riportare alla ragione Hyoga!”
“Allora faremo a questo modo. Manderò Camus ad Asgaard per riportare indietro Shun. Nel frattempo, Mur, torna alla prima casa. Che tutti i cavalieri d’oro proteggano le dodici case. Nessuno entra o esce dal santuario.” Fece Saga prendendo per un braccio Kanon. Poi si rivolse a Seiya. “Proteggi Atena e ordina ai cavalieri d’argento di presidiare il perimetro della cupola. Tieni qui con te i cavalieri di bronzo.”
“Dove vai, Saga?” chiese Saori.
“A sistemare lui.” Disse strattonando Kanon.
“Non devi fargli del male, Saga! E’ un ordine!” esclamò Saori.
“Capisco cosa cercate di fare, ma deve pagare!”
“Non finché sarà legato a te!” disse Saori con fermezza “Non voglio perdere il mio grande sacerdote.”
“Fidatevi di me.” Disse uscendo e trascinando via il fratello.



Note del l'autrice:
* Le Erinni sono delle figure mitologiche che servivano il signore degli Inferi. Perseguitavano le anime dei peccatori conducendole alla follia o alla disperazione ed infine alla morte. il paragone di Kanone è una piccola citazione al nome di Shaina nel doppiaggio italialiano. Nella versione italiana, Shaina diventa Tisifone che appunto è una delle Erinni, la più terribile a mio avviso!
Grazie a tutti per l'infinito affetto che mi dimostrate ad ogni capitolo! Kisses XD

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Capitolo 17
*** La vita salvata da Eden - prima parte ***


 
Brevissima premessa: Ringrazio tutti coloro che stanno leggendo, recensendo e facendomi sentire il loro affetto tramite messaggi privati.
Non immaginavo che condividere con voi questa storia mi avrebbe dato tanto....


La vita salvata da Eden
Prima parte


Una fioca luce illuminava il lago di sangue. Il corpo che galleggiava appena sotto il filo della pozza si muoveva appena.
La donna si inginocchiò sul bordo di pietra liscia e fece un leggero inchino con il capo.
“Mio signore, è giunto il momento. Molte vite sono state sacrificate affinché avessi sangue a sufficienza per guarire dalle tue ferite. Purtroppo non posso renderti appieno il tuo potere. La mia magia nulla può contro la volontà di Atena, tuttavia devi lasciare questo luogo. Siamo stati traditi.”
Il sangue nella pozza ribollì d’improvviso e la figura emerse lentamente. La donna non osò sollevare lo sguardo sul corpo cremisi del dio della guerra.
“Mi hai servito bene, Medea. Riconosco che solo grazie alla tua magia, questo mio corpo mortale non si è deteriorato. Ho già percepito il tradimento di Nettuno. Egli manda contro di me la discendenza dei Titani. Ha preferito dunque Atena, sua antica nemica.”
“Sua quanto tua, mio signore. Leggo la furia nei tuoi occhi,” fece Medea sollevando lo sguardo “tuttavia sappi che non solo Nettuno ha deciso di venire allo scoperto. Ho percepito una presenza, seppur flebile, dello spirito di Hades e, inoltre, ancora non vengo a capo di una cosa molto strana. Un cosmo potente almeno quanto quello di Atena proviene dal Grande Tempio di Grecia. L’ho percepito solo in poche occasioni, in tutti questi anni che ho passato a vegliarti, ma in modo intenso.”
“La mia furia si scaglierà su tutti i miei nemici. Non sono abbastanza potente, in questa forma ferita dalla freccia di Sagitter, per combattere contro Nettuno ed Hades però Atena è stata colpita dalla maledizione. Se si batterà contro di me, morirà.”
“Ha il suo cavaliere d’oro che si batte per lei!” fece Medea e gli occhi di fuoco di Marte saettarono.
“Stavolta lo schiaccerò come un verme. Uccisore di dei? Perirà per mia mano. Il suo cosmo è scemato, lo sento.”
“Lascia che me ne occupi io, mio amato. Farò soffrire quell’uomo come mai!”
“Ti lascio campo libero Medea. Porta il caos al tempio della dea della guerra ordinata. Voglio che muoiano tutti, cavalieri d’oro, d’argento e di bronzo. Voglio vedere spazzata via fino all’ultima colonna. Devono scorrere fiumi di sangue. Uccidili tutti, compresi donne e bambini! Io condurrò lì il Kraken affinché divori ciò rimane dopo il tuo passaggio.”
“Sì, mio signore.” Fece Medea sollevandosi e lasciando l’antro. Marte rimase solo a fissare l’oscurità. Sentì le mani fremere. Tredici anni prima l’aveva stretta tra quelle mani la bella Saori. Ne aveva toccato la pelle morbida, accarezzato i seni, preso le dolci labbra. Ancora qualche istante e l’avrebbe posseduta completamente. Avrebbe così ottenuto il suo scopo. Un degno erede, sangue del suo sangue. Il dio della perfezione. Tanto possente quanto astuto. Un simile dio avrebbe potuto persino rovesciare il divino Zeus!
Tutto era sfumato per colpa di quell’uomo. Il cavaliere di Pegaso, personificazione dello spirito del semidio Perseo figlio di Zeus. Maledetti semidei. Preferiti da suo padre persino rispetto ai suoi giusti figli! Aberrazioni della natura divina e, come tali, da distruggere per ripristinare il corretto stato dell’ordine naturale.
Avrebbe ucciso l’ultima essenza di Perseo. Avrebbe posto fine alla vita di Seiya di Pegasus. Concentrò il suo potere e l’armatura divina si dispose su di lui con la lunga lancia appuntita nella mano destra e l’alto scudo sul braccio sinistro.
“Vieni a me, Kraken. Scoprirai che questo dio sa ancora come si combatte.” Disse disponendosi in posizione di difesa e richiamando i suoi fidati Deimos e Phobos.
I due cavalieri comparvero dal nulla e si inginocchiarono al cospetto del loro dio.
“Ho un compito per voi. Esiste un solo modo per fermare la furia di un titano. Io solo conosco il sistema poiché mi è stato rivelato da mia madre Era. Dovete recarvi nel giardino delle Esperidi, figlie anch’esse dei Titani. Il giardino è situato in un luogo segreto in cima al monte Lu di Cina. Laggiù dovrete cogliere uno dei pomi d’oro difesi dal drago Ladone, il custode del giardino. Dite alle Esperidi che Marte, figlio prediletto di Era vi manda. Vi concederanno uno dei pomi.”
Il cavaliere dai capelli più corti e neri, Deimos, parlò per primo.
“Sappiamo quanto sia importante questo incarico, non vi deluderemo signore!”
Anche l’altro, dalla chioma fluente e dagli occhi di ghiaccio, annuì.
“Saremo di ritorno in un lampo.”
“Tornate con il pomo. Ora andate.” Ordinò Marte e lasciò che i cavalieri dalle nere armature bordate di rosso svanissero come erano arrivati.
-----------------------------
Shun guardò in basso. Dal dorso della montagna innevata lui ed Eden potevano osservare la triste scena che si stava consumando nella bianca corte del castello di Asgaard.
Un patibolo di legno scuro era stato montato al centro dello spiazzo. Sul lato destro era stato allestito un palco con una sedia finemente addobbata e due sedute ai lati. Hilda di Polaris stava seduta al centro col capo chino e una pesante pelliccia d’argento calata sulle spalle. Alla sua destra e alla sua sinistra Orion ed Artax erano immobili. Sul lato sinistro del patibolo invece era stato montato un altro palco su cui sedevano a semicerchio cinque anziane figure. Ai piedi di questo secondo palco stavano ritti i cavalieri di Odino restanti. Thor si allontanò dagli altri e si fece largo tra la folla. Raggiunse una piccola porta e l’aprì. Le persone, che fino ad un attimo prima, avevano reso chiassosa la piazza, si ammutolirono nel vedere la principessa di Asgaard avanzare fiera tra loro e raggiungere il patibolo. Thor la seguì in silenzio. Quando fu esattamente al centro, la principessa gettò per un attimo lo sguardo verso la sorella. Era in pena la bella Flare. Non per se stessa. Dopo il discorso con Hyoga aveva compreso molte cose. Si sentiva sconfitta, svuotata. Adesso sapeva che qualunque cosa avesse avuto modo di fare, non avrebbe mai riavuto Hyoga. Semplicemente perché non gli era mai appartenuto. Era in pena adesso per Hilda. Improvvisamente, in mezzo a quella gente che la guardava malevolmente, si ricordò che la corte non era la famiglia che, da bambina,  aveva creduto. Che la famiglia di Megres, desiderava da tempo di allungare le mani sul trono. Aveva, forse, contribuito ad aiutare il perfido Megres a detronizzare Hilda? Posò allora gli occhi su Orion. Sapeva che non avrebbe mai permesso che sua sorella soffrisse ma lo vedeva provato. Stanco. Fu tuttavia guardando Artax che intuì la verità. Erano spossati dal dolore per ciò che lei aveva fatto e per ciò che sarebbe accaduto ora.
Come ad aver intuito il corso dei suoi pensieri il più anziano dei venerabili, si alzò e parlò.
“Principessa Flare di Polaris, siete stata giudicata colpevole di alto tradimento dal consiglio dei saggi di Asgaard. Intendete dire qualcosa prima che la vostra condanna venga eseguita?” Flare sorrise.
“Non vedo saggi, qui! Volete ascoltare parole di pentimento? Da me che ho difeso Asgaard a costo della mia stessa vita quando tutti credevate che muovere guerra ad Atena fosse giusto? Non offendete la mia intelligenza e la mia dignità. Non ho mai tramato contro Asgaard. Ma quand’anche lo crediate, sappiate che la sacerdotessa di Odino mi ha condannata molto tempo fa!”
Hilda si sentì stringere il cuore. Davvero aveva condannato sua sorella? Davvero Flare lo credeva? O il suo era un tentativo estremo di allontanare i dubbi del consiglio da lei? La voce del vegliardo calò sulla regina come tanto tempo prima aveva fatto la lama di Odino.
“Se queste sono le vostre ultime parole, procediamo con l’esecuzione. A meno che la nostra sacerdotessa non abbia qualcosa da dire.”
Hilda strinse la lancia al punto che sentì le unghie conficcarsi nella propria carne ma non si mosse. Flare le impedì qualunque esitazione riprendendo a parlare.
“Nobile Artax, ti ringrazio d’avermi difesa per tutti questi anni. Che Odino ricompensi con una moneta migliore di quella che ti ho offerto io, la tua fedeltà.”
Artax tremò nel vedere Thor afferrare la pesante ascia. Flare s’inginocchiò e, in quello stesso istante, Orion concentrò il proprio potere. Artax lo seguì di riflesso. Non avrebbero permesso che Flare fosse uccisa. Avevano sperato in Hyoga ma del cavaliere si era persa ogni traccia. Dovevano agire subito. A costo di essere, a propria volta, considerati traditori. Quando Thor sollevò l’arma, Orion scattò ma un fulmine squarciò l’aria spaventando tutti i presenti.
La luce che aveva seguito il fulmine si affievolì e innanzi a Flare comparve la figura di un giovane guerriero che non fece fatica a disarmare Thor con grande disappunto dei saggi di Asgaard.
“Chi sei tu? Come osi?” urlò Megres.
“Folli! Come osate levare le mani contro la famiglia reale di Asgaard? Il mio nome è Eden, cavaliere di Orione.”
Orion sgranò gli occhi e strinse Hilda che era tornata a sperare.
“Chi ti manda? A quale divinità appartieni?” lo incalzò Megres tirando fuori la sua spada di ametista. Eden non fece in tempo a rispondere che una nebbia scura si diffuse lungo il terreno. Nessuno si mosse riconoscendo un cosmo di proporzioni enormi.
“Non chiedere ciò che temi di conoscere, cavaliere nato sotto una stella oscura. Egli è Eden, figlio della notte e cacciatore di anime. Vuoi offrigli la tua?”
“Shun.” Mormorò Flare esitando.
“Solo a volte, mia cara. Torna da tua sorella. Nessuno ti farà più del male. Questo per intercessione di mio nipote che è stato educato da suo padre a non levare neppure un dito su di una donna. Personalmente ti avrei spedita nel Cocito poiché la tua anima pesa di certo più della piuma! * Vano però sarebbe stato il sacrificio di Crystal il cigno. Ecco il Ragnarock che manca al tesoro di Odino. Il maltolto è stato reso. Non c’è più bisogno che tu muoia.” Concluse Shun lasciando rotolare il Ragnarock ai piedi degli anziani. A quelle parole Flare cadde sulle ginocchia e Artax le fu affianco per sostenerla.
“Hyoga è morto?” chiese la donna fra le lacrime.
“Non sei tu che l’hai condannato a perdere tutti i suoi ricordi e a desiderare solo la morte?” rispose Shun ammantato del potere di Hades.
“Shun, tu puoi salvarlo? Lui ti ama, si ricorderebbe di te, ne sono certa!” esclamò la donna. Shun sorrise amaramente.
“Neanche se morisse, verrebbe a me. Lo hai destinato al Valhalla.” Rispose mesta l’incarnazione di Hades.
“Aspettate, c’è una cosa che possiamo tentare!” intervenne Hilda “Tra i tesori di Odino c’è un corno magico. Il dio lo usava per richiamare i guerrieri alla battaglia. Forse potrebbe destare anche Hyoga!”Shun la guardò e si accorse che era incinta. I suoi occhi tornarono per un attimo due smeraldi poi il viola denso della tela divina di Hades tornò a dipingerli.
“Regina di Asgaard, ciò che porti in grembo crescerà in forza e potere. La mia lama non calerà su di lui fino a che non avrà ottenuto di vedere realizzato ogni desiderio del suo cuore. Questo è il dono di Hades alla sacerdotessa di Odino.” Disse Shun ed Eden rimase estasiato dalla delicatezza della sua voce. Sembrava quella di un fanciullo.
“Zio, torniamo dunque al santuario?”
“Così presto, Eden? Non ti va di vedere Atlantide?” Gli occhi di Eden s’illuminarono.
“Lascia che invochi la scala di ghiaccio che conduce là.” Disse Hilda mentre Orion, che era sceso a palazzo a prendere il corno, faceva ritorno.
“Non sarà necessario. Prendi il corno, Eden.” Disse Shun avviandosi verso l’uscita del castello.
“Shun!” urlò Flare. L’uomo si voltò e lei sostenne il suo sguardo. “Fammmi parlare con Shun.” Gli occhi di Shun tornarono verdi. “Shun, perdonami. Ho amato così tanto Hyoga da essere accecata da una folle gelosia. Perdonami.”
“Ho perdonato così tanto e tanto a lungo che non saprei fare diversamente. Sappi però, Flare, che Hyoga non lo meritava e che se non si salverà, non so quanto di Hades potrò trattenere.”
“Prendi la mia vita adesso ma salvalo.”
“Io incarno il dio della morte. Lui può salvare solo dalla vita.” Disse sorridendo “Ma puoi pregare. Mi sembra che tanto tempo fa, una fanciulla si è inginocchiata fra i ghiacci e ha sconfitto un dio malvagio solo con la preghiera.” Flare sorrise e sentì una mano sulla spalla. Era il cavaliere che l’aveva salvata.
“Mia madre mi ha raccontato che possedeva un vaso dove erano rimaste rinchiuse tante cose cattive. Per sbaglio lo scoperchiò e credette di avere commesso un errore tanto imperdonabile che tutta la terra sarebbe caduta nell’oblio. Scoprì però che in fondo al vaso era rimasto un uccellino azzurro che spiegò le ali e cantò. Era la speranza. Non abbandona mai gli uomini, principessa. Per questo tu non abbandonare la speranza.”
Shun sorrise e s’incamminò con Eden lasciandosi indietro i crucci della gente del nord.
“Davvero tua madre ti ha raccontato questa storia?” Eden sorrise e scosse il capo.
“Questa è la versione di mio padre.” Rispose il ragazzo “Radamanthys mi ha detto che il vaso era un’arma potente che lei scagliava contro i nemici degli spectre.”
“E tu a quale credi?” chiese Shun.
“Alla versione di mia madre.”
“E sarebbe?”
“Che non ha mai avuto scelta. I mali del mondo sono troppo grandi per poter essere contenuti nel palmo della mano di una donna.”Shun si fermò. Forse, dopo tanto tempo e grazie alle parole di suo nipote, un velo era caduto dai suoi occhi e aveva visto Pandora per ciò che era.
La costa era ormai vicina. Fece cenno ad Eden di fermarsi e sollevò una mano. Le acque del mare ribollirono come volessero fare resistenza nell’obbedire ad una divinità che non fosse Nettuno. Poi però, lentamente, si aprirono. Shun ed Eden discesero nei mari avvolti dal vapore in cui si mutava l’acqua dinanzi al potere del dio infero.
-----------------------------
Di nuovo capo Sounion. Kanon sorrise.
“Davvero, fratello?”
“Taci ed entra.” Ordinò Saga.
“Getterai la chiave anche stavolta?”
“Fatti salvare da Nettuno.”
“Se io muoio, muori anche tu, sciocco. Vuoi ancora espiare i tuoi peccati?”
“Grazie a te.”
“Ma falla finita, Saga. A me non puoi mentire e lo sai. Fingi di preoccuparti per l’onore di Shaina ma speri solo che qualcuno faccia secco Seiya per avere Saori tutta per te. Non credi sia un po’ morboso perdere la testa per colei che, nella culla, hai tentato di uccidere?” Saga lo tirò a sé da oltre le sbarre e lo strinse.
“E tu? Non avevi deciso di prendere il mio posto? Non avevi giurato fedeltà ad Atena?” Stavolta fu Kanon a strattonare contro le sbarre Saga.
“L’ho fatto, idiota!”
“Infiltrandoti nel suo santuario?”
“Ho dovuto.”
“Dovere? Tu non sai cosa sia.”
“Credi di essere solo tu a dover ottenere il perdono?”
“Il perdono di chi, Kanon?”
“Il tuo.” Alle parole di Kanon, Saga lasciò la presa “Lo so che non potrai mai perdonarmi.”
“Ti avevo già perdonato ogni cosa. Eppure eccoci qui al punto di partenza, perché Kanon?”
“Ti prego, Saga, per una volta, una volta sola. Fidati di me. Fammi uscire di qui. Posso aiutarti.”
“Kanon, vorrei ma non posso. Ci sono cose che non sai. Cose che mi impongono di comportarmi da Grande Sacerdote e non da fratello. Il mare non arriva più qui come un tempo. Verrò a liberarti quando sarà tutto finito. Inoltre, se rimani qui, io non rischierò di morire, giusto?” concluse ironicamente Saga allontanandosi e lasciando solo Kanon ai suoi pensieri.
Al tramonto fu Kiki a portargli da mangiare dato che, con la telecinesi, non aveva bisogno delle chiavi per accedere alla prigione. Il ragazzo aveva lasciato la cella già da qualche minuto che un rumore di sassi attirò l’attenzione del prigioniero.
“Meriteresti la morte ma tuo fratello ti rinchiude qui. Saga si è rammollito!” La voce squillante apparteneva a Shaina. La donna giocherellava con un cerchio di metallo cui era attaccata una chiave.
“Sei venuta a liberarmi, amore mio?” chiese ironicamente Kanon. Non fece in tempo a finire la frase che il cobra incantatore l’aveva già colpito. Kanon si scosse e si alzò. “Ti hanno mai detto che hai dei problemi di comunicazione?”
“E ti hanno mai detto che farsi passare per il proprio gemello è un gioco infantile?”
“Chi non vorrebbe passare per Saga?”
“Una sfilza di persone? Te le elenco?”
“Meglio Saga che me.” Shaina s’incupì.
“Sei sempre stato tu, vero? Dalla notte della festa fino a stamane quando mi hai portato Seiya.” Saga annuì.
“Mi dispiace. Immagino tu volessi Saga.” La donna si avvicinò alle sbarre facendo attenzione a non essere alla portata del prigioniero.
“Non lo so.”
“Davvero?” chiese Kanon facendosi attento.
“Non lo so.” Rispose Shaina.
“Però hai portato la chiave della cella.”
“Non mi piace essere presa in giro ma non mi piace neanche quello che sta succedendo al santuario. Davvero puoi aiutarci?”
“Se ti dicessi che so come fermare il Kraken, mi crederesti?”
“No, perché sei un bugiardo.” Kanon rise.
“E se ti dicessi che mi sono innamorato di te, Shaina, mi crederesti?” La donna rise nervosamente.
“Credo che mi amerai follemente finché avrò questa chiave tra le mani!”
“Allora facciamo in questo modo. Tu mi lasci marcire qui, io ti dico come si può fermare il Kraken ma tu concedi almeno un bacio.”
“Hai finito di prendermi in giro, Kanon.” Disse Shaina voltandosi per andare via. L’urlo di Kanon la trattenne.
“La Medusa!”
“Come dici?” fece la donna tornando sui suoi passi.
“Il mito vuole che i Titani abbiano generato molte creature mostruose. Tra esse c’era Medusa. Il suo sguardo aveva il potere di trasformare in pietra. Fu Perseo a tagliare la testa a Medusa con l’aiuto di Atena e il semidio donò il capo mozzato del mostro proprio alla dea. I testi antichi dicono che lo sguardo di Medusa può pietrificare qualsiasi creatura vivente, persino il Kraken.” **
“Hai appena detto che Medusa è morta.”
“Sì, l’ho detto, ma ho detto anche che la sua testa fu donata ad Atena che la pose su di uno scudo.” Shaina fu presa come da un’illuminazione.
“Mi ricordo il cavaliere della Medusa. Il suo scudo mutava in pietra i suoi avversari. Quello scudo però è andato distrutto!”
“Sbagliato!”
“Sbagliato?”
“Atena non mise la testa di Medusa su uno scudo qualsiasi. Lo fuse al proprio.” Shaina raggiunse la cella e l’aprì.
“Tuo fratello mi ucciderà!”
“Non lo permetterò.” Fece lui cercando di attirarla a sé.
“Smettila! Questo non significa nulla. Ti aiuto solo perché la tua versione è verosimile. Andiamo a parlare con Seiya.”
Improvvisamente qualcosa si mosse dietro di loro e Kanon riuscì, muovendosi alla velocità della luce, a bloccare dei colpi diretti a Shaina. Si materializzarono così alcuni soldati di Marte che i due cavalieri sistemarono in pochi minuti.
“E’ cominciato.” Disse Shaina preoccupata.
“Va tu da Seiya. Io mi fermerò qui a bloccare la marmaglia di Marte.”
“Da solo?” fece Shaina perplessa e Kanon sorrise.
“Non lascerò che facciano del male a Saga, tranquilla!” La donna s’allontanò poi, come pentita, tornò sui suoi passi. Strattono Kanon per farlo voltare verso di lei e gli piazzò un bacio sulle labbra.
“Non morire, Kanon.” Fece lei lanciandosi verso l’uscita. Lui la trattenne ancora per un momento e la strinse tra le braccia.
“Non scegliere me, Shaina. Sono il peggiore dei due.”
“Di certo sei il più stupido. E ora lasciami!”
Shaina corse via e Kanon sentì una flebile speranza rinascere nel suo cuore. Poteva tornare a vivere dopo tante menzogne e trame? Se lo meritava? Sperò che ancora una volta, in quella caverna, fosse la benevola Atena a giudicarlo e non l’iracondo Poseidone.
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La notte era calata sul grande tempio. I primi scontri tra i soldati di Marte e i cavalieri di Atena erano già cominciati ai confini del santuario. Saga aveva indetto un consiglio di guerra e Saori si era seduta sullo scranno centrale. I cavalieri d’oro avevano trovato pronte le sedute disposte in modo circolare secondo lo zodiaco. Fuori dalla grande sala stavano i cavalieri d’argento e di bronzo che conoscevano la gravità della situazione. Saga prese la parola per primo.
“Ci siamo. Ormai abbiamo la certezza che Marte sta portando nuovamente la guerra al grande tempio. Dobbiamo preparare le difese. Seiya di Sagitter è libero di disporre di voi come riterrà più opportuno. Io pretendo solo che rimangano a guardia di Atena i cavalieri di Aries, Virgo e Capricorn. Inoltre, come punizione per essersi introdotti nelle sale di Atena, rimarranno qui a difesa delle sale sacre i cavalieri di bronzo delle costellazioni dell’Aquila, del Leone Minore, del Dragone e di Pegasus.
A quelle parole i volti di Seiya e di Aiolia s’incupirono ma nessuno dei due parlò. Seiya però s’alzò.
“Bene. Per ora ogni cavaliere d’oro a mia disposizione ritorni alla propria casa e vi si trattenga fino a nuovo ordine. Intendo fare una perlustrazione per capire quale sia la forza schierata in campo da Marte. Non voglio abbassare troppo presto le difese del tempio.” Saga lo guardò fisso con uno sguardo carico di disapprovazione.
“Non dovremmo stroncare immediatamente qualsiasi tentativo di invasione?” chiese perplesso. Seiya scosse il capo.
“Non percepisco ancora il cosmo di Marte. A che pro giocare subito le nostre carte migliori? Se Atena approva, io sono del parere di aspettare.”
“Non abbiamo tempo!” disse Saga alzandosi in piedi e indicando al cavaliere del Sagittario lo scranno di Atena con gli occhi. Seiya comprese che Saga era in pena per la dea. Entrambi sapevano che più Marte si avvicinava ad Atena, più rischi c’erano che la sua malattia s’aggravasse. Lui, più di tutti, intendeva evitarlo ma doveva agire da solo per cui insistette con i suoi intendimenti.
“Anni fa, potete testimoniarlo tutti, mi sarei gettato nella battaglia senza neppure pensare. Ora però non posso agire in modo impulsivo. Devo conoscere le intenzioni del nemico. Un manipolo di soldati di Marte è una forza cui possono far fronte pochi cavalieri d’argento di una certa esperienza. Atena, dammi l’ordine e sistemeremo in un lampo gli intrusi.” Concluse Seiya guardando Saori dritto negli occhi.
Saori non mosse un muscolo. Conosceva fin troppo bene Seiya per sapere che, nonostante le sue parole, si sarebbe gettato nella mischia per primo. Dopo anni trascorsi sullo stesso campo di battaglia e secoli a rivivere le sorti di guerre sacre, Atena conosceva Sagitter meglio di qualunque altro cavaliere. Il suo dovere era proteggerla e l’avrebbe fatto fino al sacrificio estremo. In quel momento sapeva che non c’era spazio per Saori e Seiya. Come Saori avrebbe urlato che non poteva lasciarlo andare con un semplice manipolo di cavalieri d’argento, per quanto esperti. Come Atena comprese che non poteva rifiutare la soluzione militarmente più ragionevole. Presidiare le forze dei cavalieri d’oro era la cosa migliore da fare. Eppure, mentre Atena plaudiva alla soluzione migliore scelta dal primo cavaliere del tempio, Saori sapeva che c’era dell’altro. Seiya aveva una luce negli occhi che gli aveva visto solo poche volte. L’ultima delle quali aveva affondato la lama in grado di uccidere gli dei nel petto di Marte. Si alzò in piedi e afferrò stretto lo scettro della Nike.
“Ho totale fiducia in te, Sagitter. Tu e Saga avete il mio pieno appoggio. Con questo, la seduta è sciolta.” Disse chinando il capo. Poi, rialzando improvvisamente la testa, si rivolse a tutti i cavalieri. “Cavalieri d’oro, questo è solo l’inizio. Un grande male ci minaccia da vicino. Nel momento del maggior pericolo vorrei che ricordaste tutti una cosa. Ognuno di voi è uno di dodici. Voi non difendete il tempio per ciò che è. Voi difendete il tempio per ciò che rappresenta. Stanotte tuttavia, al riparo delle vostre case, pensate a ciò che il tempio è. Pensate alla casa vicina alla vostra. A chi la abita. A chi dorme sereno nella stanza vicino alla vostra sapendo che voi vi ergete a estrema difesa del santuario. Ricordate coloro che abitano tra queste mura, coloro che vi sia allenano da quando erano bambini. Ricordatelo e, nel momento del massimo pericolo, combattete di conseguenza. Non come gli splendidi cavalieri che siete, ma come uno dei dodici splendidi cavalieri che siete. Combattete per il cavaliere al vostro fianco senza temere per la vostra vita. Quella la proteggerò io. Vi chiedo, stanotte, di considerarmi una di voi.”
Una luce calda e intensa si sprigionò allora da tutte le armature d’oro lasciando i cavalieri in uno stato di totale contemplazione. Quando l’energia emanata da Atena si dissolse, ognuno di cavalieri d’oro aveva avuto una visione diversa. Tutti però sentivano le lacrime agli occhi per aver percepito il potere forte e delicato della dea che veneravano. Saori si voltò e lasciò la stanza seguita da Saga. Quando furono nelle stanze di Atena lui la rimproverò.
“Non dovevi usare il tuo cosmo, Saori.”
“Per questa volta, dovevo.” Disse sottovoce e Saga sentì che aveva ragione. Avevano bisogno di speranza. Avevano bisogno di sapere che, se ce ne fosse stato veramente bisogno, Atena avrebbe imbracciato le armi e avrebbe affrontato persino il Kraken.
“La macchia si sarà di nuovo estesa.” rimarcò comunque Saga preoccupato per la maledizione di Marte che l’affliggeva.
“Non importa più.” Disse Saori immobile e a Saga si fermò il cuore nel petto nell’udire la sua voce rotta dal pianto.
“Che significa questa sciocchezza?” disse avvicinandosi e osando metterle le mani sulle spalle. Lei scosse appena il capo ma lui capì che piangeva. “Saori, dimmi che hai.”
“Se ne sta andando.” Disse solo la donna e a Saga non servirono altre parole per comprendere. Come aveva fatto a non capire? Seiya non intendeva affatto andare in perlustrazione. Intendeva andare in cerca di Marte e Saori lo aveva capito. Tra lui e Saori c’era davvero un’intesa simile?
“Ordinami di fermarlo e lo farò.” Disse Saga inginocchiandosi alle sue spalle per farle capire che attendeva l’ordine da Atena. La donna si voltò e s’inginocchiò di fronte a lui. I suoi occhi erano pieni di lacrime ma il suo sguardo era duro. Gli prese il pugno che era mollemente poggiato sul suo ginocchio destro e gli posò l’altra mano sulla guancia.
“Credi che cambierei la sua vita con la tua? Credi che non mi si accorta, in tutti questi anni, dello smisurato affetto con cui hai vegliato su di me?” gli chiese mentre Saga fu attraversato da un brivido. Quale risposta si aspettava? Ai suoi occhi, lei amava Seiya. La vide chinare il capo e sorridere.
“Seiya ha scelto il suo destino. Non posso fermarlo. Non obbedirebbe. Non l’ha mai fatto del resto, vero?”
“Posso costringerlo io.”
“Nessuno dovrà costringerlo. Forse ai tuoi occhi io sono stata una sciocca ragazzina viziata, troppo spesso volubile nelle mie determinazioni. Forse è stato così. Mi sono concessa molti errori. Alcuni avrei voluto evitarli, altri li ho commessi in piena consapevolezza. Di questi ultimi non mi pento e tu lo sai. Tuttavia, sono Atena. E come Atena non posso fermare Seiya perché so che la sua intuizione è giusta. Marte verrà. E’ solo questione di tempo e trascinerà il Kraken con sé. Marte viene per avere la sua vendetta. E, oltre me, c’è una sola persona che desidera uccidere. Seiya è l’unico che può tenere Marte lontano dal santuario.”
“Sai che non può uscire vincitore da un simile scontro. Non stavolta. Neppure tutte le tue preghiere potranno salvarlo. La fiamma della Nike lo ha indebolito troppo.” Saori lo lasciò e si rialzò raggiungendo la finestra. Le stelle brillavano sul capo dell’effigie di Atena.
“Lo so. In quel caso toccherà a me. Sai, Saga, questi anni di pace trascorsi guardando la nuova generazione di cavalieri crescere, non sono passati inutilmente. Mi hanno insegnato che queste mura hanno visto tanto dolore ma anche tanta gioia. Il tempo non è passato invano. Ha forgiato uomini in grado di battersi per difendere ciò che Atena ha rappresentato per secoli. Atena ha difeso gli uomini da divinità che non riconoscevano il loro diritto di esistere. Quante di quelle divinità si sono eclissate dietro la volontà di uomini come te? Io sono orgogliosa di avere avuto al mio fianco tutti voi. Non concederò a Marte di prendere il tempio. Se il suo primo cavaliere fallirà, Atena si batterà. Ti confesso che avevo giurato sulla mia vita che lo avrei protetto, che stavolta non si sarebbe sacrificato per me. Ho capito però che non posso impedirglielo. Non me lo lascerebbe mai fare. Non sarebbe Seiya. Posso amarlo solo se lascio che lui mi ami. E lui lo farà nell’unico modo in cui ha potuto farlo finora. Proteggendomi.”
Saori si appoggiò ad una colonna. Saga la vedeva struggersi, piangere e sapeva che ogni singola parola era vera. Seiya non poteva essere fermato. Saori era pronta a perderlo. Si voltò e raggiunse la porta. C’era ancora una cosa che poteva fare.
Raggiunse velocemente le sue stanze. Seiya era fuori dalla porta come lui si aspettava.
“Sei venuto a chiedermi la daga?” disse mostrando indifferenza.
“Sì. Vorrei che non lo dicessi ad Atena.”
“Già, lo immaginavo!” disse Saga aprendo lo scrigno che conteneva la daga in grado di uccidere un dio “Si chiederebbe come mai ti serve un’arma sacra per fare una semplice perlustrazione!”
“Diciamo che è per sicurezza.”
“Smettila!” urlò Saga e, per un attimo, Seiya rivide negli occhi di Saga lo sguardo di Arles. Il grande sacerdote stringeva la lama talmente forte che il sangue cominciò a fluire copioso dalle sue dita. Seiya guardò la mano di Saga e poi i suoi occhi. Allora allungò una mano sulla daga e gliela sfilò lentamente poi gli porse un fazzoletto.
“Prendi.”
“Ti ho detto di smetterla” ripetette Saga stavolta sottovoce. Seiya lo guardò con il capo leggermente piegato di lato e a Saga sembrò di rivedere dapprima l’espressione del ragazzo che aveva scalato le dodici case in cerca dello scudo di Atena e poi quello di Kouga.
“Di fare cosa?”
“Di essere così.”
“Adesso non ti capisco.” disse Seiya nascondendo la daga sotto le possenti ali di Sagitter.
“Non capisci che la fai soffrire terribilmente?” fece Saga asciugandosi la ferita. Seiya perse l’espressione curiosa di un attimo prima e si rabbuiò.
“Devo farlo e tu lo sai.”
“Lo sa anche lei. Vuoi andartene senza neppure salutarla?”
“Non posso dirle addio.” Fece Seiya chinando il capo “Non riuscirei più a staccarmi da lei.”
“Allora non farlo. Da a me la daga, andrò io.” Seiya sgranò gli occhi poi sorrise.
“So che sei più forte di me in questo momento. Eppure solo io posso farlo.”
“Ma se hai appena detto che sono più forte di te!”
“Proprio per questo tu devi restare. Devi proteggere lei e Kouga al mio posto.”
“Idiozie!” urlò di nuovo Saga.
“Non è quello che vuoi?” chiese Seiya stavolta serio.
“Non è quello che vuole lei.” Gli rispose il cavaliere di Gemini. Seiya strinse i pugni.
“Non posso permettere a Marte di arrivare qui. Non deve posare neppure lo sguardo su di lei. Io so che cosa le ha fatto tredici anni fa. Io lo devo uccidere o perlomeno trattenerlo fino a che il Kraken non lo troverà.”
“Ti chiedo solo di dirle una parola prima di andare. Ne ha bisogno.” Seiya fece per lasciare la stanza.
“Grazie, Saga.”
“Tutti uguali voi Sagitter!” disse con le lacrime agli occhi Gemini. Seiya sorrise di uno dei suoi sorrisi audaci e sinceri e Saga si sforzò di convincersi che non era l’ultima volta che vedeva quello sfrontato ragazzo.
Quando la porta fu chiusa, Seiya si diresse alla statua di Atena. Se Saori fosse stata lì l’avrebbe abbracciata altrimenti sarebbe andato via senza vederla.
Lo spiazzo della statua era vuoto. La dea troneggiava silenziosa.
“Io vado.” Le disse “Tu resta qui, da brava, e aspettami. Io troverò sempre un modo di tornare da te. Stavolta però dovrai cercarmi negli occhi del nuovo cavaliere di Pegasus. Lui ti proteggerà al mio posto, vedrai. E’ testardo ma è in gamba. Ha preso molti difetto da suo padre ma ti ama. Lui ti ama anche se non lo sa. Neanche io lo sapevo la prima volta che ti ho vista. Poi ho capito. Dagli tempo e lo capirà anche lui. Perdonami se sono stato disobbediente. Perdonami per ogni cosa. Lo sai che ti amo.”
Si voltò e fece per andare via quando una folata di vento gli fece sentire un dolce profumo capace di ricordargli in un solo momento un giardino e le risate spensierate di un uomo, una donna e un bambino. Un bracciale di fiori volò fino ai suoi piedi. Lui lo raccolse e se lo mise al braccio con gli occhi pieni di lacrime.
“Grazie. Saori, lo sai.” Sussurrò allontanandosi.
Saori uscì dal suo nascondiglio soffocando nella gola tutte le parole che avrebbe voluto dirgli.
“Lo so. Anche io Seiya.”


Note dell'autrice disperata:
* L'allusione di Shun/Hades è riferita al mito del giudizio degli inferi. Le anime erano costrette a confrontare il proprio peso con quello di una piuma. Se la bilancia pendeva da quello dell'anima, essa era condannata. Il giudizio infernale appare anche nel capitolo di Hades. Io lo trovo un modo splendido per separare l'immagine dell'Ade da quella dell'Inferno dantesco.
**La versione di Kanon per cui lo sguardo della Medusa può fermare il Kraken è presa dalla trama del film "Scontro fra Titani". H adorato la scena in cui il Kraken viene pietrificato. L'ho rubata per amore di quella sceneggiatura. Sorry about that!!!
 

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Capitolo 18
*** La vita salvata da Eden - seconda parte ***



Piccole note:
Questo capitolo è lunghissimo. Chiedo venia ma non controllo più gli eventi. La storia ha deciso davvero di volgere al termine. Non mancano molti capitoli anche se tante cose devono ancora accadere. Ringrazio tutti coloro che leggono e soprattutto quelli che commentano e mi scrivono in privato. sto ricevendo tantissimi commenti. cerco di rispondere a tutti. Anche se qualcosa non vi piace, ditemelo lo stesso. Grazie di cuore.
Vi lascio alla seconda parte del capitolo. Qualcosa che si conclude c'è... disperata vi lascio alla lettura.
 

La vita salvata da Eden
Seconda parte



Eden non riusciva a credere ai propri occhi. Il regno del dio del mare era meraviglioso. Il cielo era costituito da un’incredibile massa d’acqua trasparente che lasciava filtrare una luce calda ed intensa. Non avrebbe saputo dire che profumo fosse quello che si diffondeva nell’aria ma si sentiva inebriato. Stringeva ancora il corno che suo zio gli aveva affidato, quello che secondo la regina di Asgaard avrebbe potuto destare Hyoga dall’incantesimo del Ragnarock. Il suono di un flauto lo fece voltare.
Un uomo dai capelli chiari e dall’armatura dorata suonava appoggiato ad una colonna. Shun gli posò una mano sulla spalla.
“Se lo ascolti con troppa attenzione, finirai con lo strisciare ai suoi piedi. Il suo flauto ha il medesimo effetto del canto delle sirene.” Il suono cessò.
“Il mio nome è Sirya e anche se percepisco un’energia spaventosa provenire da voi, non vi lascerò girare indisturbati nel regno del mio signore Poseidone.”
“Deponi ogni bellicosa intenzione, Sirya. Non intendo battermi con te. Non l’ho fatto quando ce n’era motivo, non lo farò ora. Siamo venuti a chiedere udienza al re dei mari. Giungiamo da Asgaard dove abbiamo fatto cadere tutte le accuse di tradimento contro la principessa Flare. Abbiamo restituito il Ragnarock al tesoro di Odino.” Disse Shun.
“E in cambio avete preso il suo leggendario corno?” chiese Sirya indicando con il capo l’oggetto tra le mani di Eden.
“Ho chiesto con gentilezza di vedere Nettuno, Sirya. Il resto non ti riguarda.” Gli rispose Shun.
“Mi dispiace cavaliere di Andromeda. Sono al corrente del fatto che ti sei riunito allo spirito di Hades. Non posso condurti innanzi a Nettuno. Sono disposto a battermi per impedirti di arrecare danno al mio signore.”
“Vedi, Eden, il valore di un cavaliere equivalente a quelli d’oro del grande tempio? Un’estrema fedeltà lega questo generale al suo signore. Un simile sentimento nasce dall’amore, non dalla paura o dal rispetto. Non è vero, Sirya?”
Eden fissò il suo sguardo sul generale che si affrettò ad imbracciare di nuovo il suo flauto.
“Non avverto alcuna malvagità in lui, zio.” Fece Eden posando una mano sull’avambraccio destro di Shun. Ormai aveva imparato ad avvertire il momento in cui suo zio Shun lasciava il posto a suo zio Hades. Temette per la vita di quel cavaliere dall’anima gentile.
“Avevo chiesto gentilmente, Sirya.” Disse il cavaliere di Andromeda mentre l’aura chiara della nebulosa si andava piano piano scurendo “Probabilmente le mie parole non sono state abbastanza chiare. Sono venuto qui per vedere mio fratello. Non c’è negoziazione in questo. A te la scelta. Puoi condurmi a lui senza arrecare danno ad alcuno o posso inaridire questo luogo senza che per secoli la vita torni a manifestarsi qui. Tu sarai il primo a morire.”
“Ti prego di rivedere la tua disposizione d’animo, sommo Hades.” Disse Sirya inginocchiandosi e chinando il capo “Puoi uccidermi se vuoi, ma ritirati. Non c’è nulla di cui voi e il mio signore potete discutere senza combattere.”
“Ora ti stai immischiando in affari che non ti riguardano, cavaliere!” urlò Hades sollevando una mano ma il suo potere non si sprigionò. Il cosmo dorato di Nettuno aveva già avvolto Sirya.
“Mio signore!” esclamò il generale degli abissi.
“Sirya, mio fratello ha ragione. Ti stai immischiando in cose che non ti riguardano. Dietro di me. Ora!” urlò Julian e Shun rise.
“Pensi di proteggerlo da me?” gli domandò.
“Proteggerlo? Non capisco di che parli. Lo punisco e basta.”
“Come credi. Non sono qui per prendere la vita di Sirya.”
“Sei qui per me?”
“Sono qui per il Titanium. Rendimelo.”
“Apparteneva a me e ora è tornato nelle mie mani.” Fece Julian con tono sicuro.
“Non avresti dovuto adoperarlo. Il Kraken è figlio dei Titani. I Titani sono dei antichi che odiano la nostra discendenza. Hai scatenato un flagello degli dei.”
“Può essere fermato e tu lo sai. Lo abbiamo fatto in passato, possiamo farlo ancora.”
“La folgore di Zeus lo fermò. Né io, ne te abbiamo questo potere.”
“Atena ce l’ha! Sul suo scudo non dorme lo sguardo della Medusa che tutto può imprigionare nella pietra?”
Hades guardò verso il cielo e proruppe in una fragorosa risata.
“Il tuo piano non era liberarti di Marte! Non solo. Hai preventivato questo fin dal principio, non è così?”
“Voglio solo chiudere questa vicenda una volta per tutte. Marte non avrebbe dovuto risvegliarsi in quest’epoca. L’ho ridestato io.”
“Ma non sarai tu ad affrontarlo! Seiya si batterà per Atena!”
“Come ha sempre fatto!” ironizzò Nettuno.
“Ed è su questo che tu hai puntato tutto, sì?”
“Ora sei tu ad immischiarti in affari non tuoi. Da quando ti preme la vita del cavaliere che ti ha privato del tuo vero corpo? Guardati, un’eco lontana di ciò che eri!” esclamò Nettuno mettendo però tra quella eco e se stesso il suo poderoso tridente. L’iraconda reazione che Julian aveva temuto però non giunse. La voce del signore degli Inferi era calma e decisa.
“I tuoi piani si sfalderanno sotto i tuoi stessi occhi. In questo momento Marte marcia su Atene. Porterà il Kraken contro il tempio ed esso devasterà ogni cosa. Atena non ha sufficiente forza per imbracciare il suo scudo. Ordinerai ai tuoi generali di unirsi ai cavalieri d’oro per difendere il santuario.”
“Tu osi darmi ordini?”
“Io suggerisco il modo più ragionevole per te di agire. Diversamente incorrerai nell’ira di Atena e nella mia.”
“Tu, dalla parte di Atena?”
“Lo hai detto tu. Io sono l’eco di un tempo che giunge al termine. Eden custodisce il futuro del mio retaggio. Egli abbraccia la luce dorata dell’olimpo di Atena e il baluginio della luna infera. Non ho più ragione ad aggrapparmi ad una guerra senza senso.” Disse Hades lasciando il corpo di Shun. Gli occhi del cavaliere tornarono chiari.
“Come mi minaccerai ora, cavaliere di Andromeda?” chiese Nettuno abbassando il tridente.
“Non ho più bisogno di minacciarti. Ora sai che Saori rischia la vita. La lascerai alla mercé di Mars?”
“Andrò in aiuto di Saori. Sirya, prepara i generali. Andrete a difendere i confini del santuario. Raggiungerete Kanon. L’ultima volta che si è recato al tempio, lo ha fatto senza il mio permesso. Ora non ha più importanza. Questa è la mia scelta.” Concluse Julian. Il suo cosmo ora si agitava forte e fiero e Shun ne rimase affascinato.
“Andiamo Eden, ora possiamo tornare al santuario.”
“Zio, posso farti una domanda?”
“Dimmi.”
“Hades ti ha controllato finora o sei stato tu ad usare il suo potere fino ad adesso?”Shun sorrise mestamente.
“Sei un degno figlio di Ikki e Pandora. Non esiste una risposta a questa domanda. Anche se non mi piace ammetterlo, siamo una cosa sola ormai.”
“Avete molto da parlare voi due?” chiese Nettuno sollevando il suo scettro e facendo scuotere la volta del cielo marino. Il mare prese a vorticare e, dal centro verso il bordo del vortice, il mare si ritirò lasciando libero un passaggio. “Andiamo, ora. Atena aspetta!”
Nettuno avanzò per prima nel passaggio aperto e Shun ed Eden si affrettarono a seguirlo.

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Seiya aveva detto addio ad Atena ma non poteva lasciare il santuario senza aver fatto un’ultima cosa.
Aprì lentamente la porta della stanza riservata alle guardie della tredicesima casa e li vide.
Kouga dormiva fra Ryhuo e Soma. Più in là riposava Yuna. Sembravano sereni.
Si chinò sui loro corpi e scostò una ciocca di capelli dal viso di Kouga. Erano mai sembrati così lui, Shun, Hyoga e Shiryu? Indifesi? Innocenti?
“Ti avevo promesso che ti avrei aiutato a ritrovare i tuoi genitori. Scusami ragazzo mio ma devo fare questa cosa. Sono certo che diventerai più grande e più forte di tuo padre, Ko-chan. Supera la tristezza che ti porti nel cuore.” Con il rovescio di una delle mani gli carezzò una guancia. “Sii forte. Sii forte e proteggi tua madre.”
Seiya si alzò e raggiunse la porta. Un dolore al petto lo colpì come gli era accaduto la mattina prima e cerco di prendere un respiro più profondo. Fu per questo che non si accorse di lui.
“Seiya.”
“Kouga, ti ho svegliato?”
“Dove stai andando?” chiese il ragazzo strofinandosi gli occhi con una mano.
“Torna a dormire. Domani sarà una lunga giornata.”
“E tu?”
“Io devo andare adesso.” Kouga sgranò gli occhi come se il suo sesto senso si fosse improvvisamente svegliato.
“No! Aspetta! Fammi venire con te! Voglio combattere anche io!”Seiya si inginocchiò e gli prese le spalle.
“Ti ho detto non adesso. Domani il grande sacerdote ti dirà quali compiti ti aspettano.”
“Credi che non sia all’altezza? Fammi provare!” Seiya scosse il capo e sorrise dolcemente.
“Io credo in te. Più che in qualunque altro cavaliere di Atena, più che in me stesso. Io so che tu sarai molto più forte di quanto io lo sia mai stato, Kouga. Però questa è la mia battaglia. Devi lasciare che l’affronti io.” Kouga sentì il proprio cosmo entrare in risonanza con quello di Seiya e i suoi occhi si gonfiarono di lacrime.
“Tornerai?”
“Non lo so. Sinceramente.” Rispose il cavaliere d’oro abbassando il capo senza smettere di sorridere.
“Come faremo tutti senza di te? Tu sei il cavaliere leggendario!”
“Come avete fatto negli ultimi tredici anni!” esclamò Seiya ridendo “Non mi sembra che in molti abbiano sentito la mia mancanza!”
“Saori l’ha sentita. Ti ha sempre aspettato. E anche io, quando volavi via, aspettavo sempre il momento di rivederti. Come faremo se non dovessi tornare?”
“Andrete avanti perché sarete insieme e anche se mi dovesse accadere qualcosa, il mio spirito sarà sempre con voi. Anzi devi promettermi che se non fossi in grado di tornare, tu proteggerai Saori a costo della tua stessa vita!”
“Ha mille cavalieri più valorosi di me!” disse Kouga divincolandosi dalla stretta di Seiya che scosse il capo.
“Tu hai ereditato Pegasus. Pegasus protegge Atena dall’epoca del mito. Se ti dovessi smarrire, se dovessi perdere il tuo coraggio e la tua forza, affidati a lui. Tocca le tredici stelle di Pegasus.” Sussurrò Seiya e una lacrima gli cadde dagli occhi profondi “Ricordatelo Kouga, capito?”
Kouga sentì qualcosa spezzarsi nel petto. Come quando l’ultimo anello di una catena si rompe e qualche cosa di potente viene liberato, Kouga sentì fluire ricordi sopiti. Ricordò il tocco di mani forti e gentili che lo sostenevano nel muovere i primi passi. Ricordò il calore di braccia che lo stringevano durante le febbri alte dei primi anni di vita. Ricordò la voce che gli chiedeva di fidarsi delle tredici stelle di Pegasus durante il torneo che chiudeva le Panatenee. Ricordò e non riuscì più ad arginare sentimenti e lacrime. Si lanciò tra le braccia di Seiya e pianse singhiozzando.
“Non lasciarmi ora.” disse stringendosi spasmodicamente a Seiya.
“Io non ti lascerò mai. Mi sono unito a quelle tredici stelle tanto tempo fa. Tra esse tu mi troverai sempre. Sono il nostro retaggio, Kouga. Nel loro nome io ho combattuto e ho protetto il tuo futuro. Ora tocca a te. Proteggerai Saori?”
Kouga si staccò, un’ardente determinazione negli occhi.
“Te lo prometto. La proteggerò io, sta tranquillo. Noi proteggiamo, non è così?”
“Bravo, il mio ragazzo! Sono orgoglioso di te, non lo scordare, va bene?”Kouga annuì. Seiya si alzò e si voltò. Doveva andarsene subito. Improvvisamente si rese conto di essere bloccato. Le braccia di Kouga lo circondavano, il suo viso attaccato alla schiena.
“Se avessi potuto scegliere tra tutti i cavalieri un padre, io senza sapere, avrei scelto te!” disse il ragazzo sottovoce.
“Se avessi potuto crescere un figlio, avrei voluto avere la possibilità di crescere te. Avrei detto a tutti con orgoglio quanto amore provo per mio figlio.”
Kouga aveva in animo tanti sentimenti contrastanti ma le parole uscirono sicure. Ora ne conosceva il vero significato.
“Seiya, lo sai.” Il cuore di Seiya perse un battito poi il cavaliere sorrise.
“Lo so, Kouga. Anche io.”
Il ragazzo lasciò la presa e il cavaliere corse via nella notte. Neppure il cielo avrebbe potuto contenere l’esplosione dentro al suo cuore.
Kouga rimase in piedi a guardare il corridoio che, come un buco nero, s’era mangiato una delle due persone più importanti della sua vita poi s’incamminò per raggiungere l’altra.

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Shaina corse a perdifiato abbattendo nemici fino alla casa dell’Ariete. Lì il cavaliere d’oro non c’era ma Kiki presidiava la casa in sua vece.
“Shaina, che ci fai fuori dal tempio? Seiya ha ordinato il coprifuoco. Mur è rimasto a vegliare su Atena.”
“Devo vedere Seiya. E’ alla tredicesima casa?” chiese il cavaliere d’argento.
Kiki annuì.
“Posso passare?” chiese Shaina che sapeva quanto Mur tenesse in considerazione il ragazzo. Probabilmente sarebbe stato il suo successore.
“Non sono il custode della casa. Ad ogni modo, puoi passare a condizione che tu mi dica perché hai liberato Kanon.”Shaina sussultò.
“Non ti mentirò Kiki anche se non so come tu faccia a sapere sempre tutto, dannato ragazzo! Ad ogni modo, credo in lui. Non chiedermi perché. Ho i miei motivi.”
“Quando sono stato nella sua cella, non ho percepito malvagità in lui. Ti sei messa contro il grane sacerdote però. Sarai punita.”
“Kanon dice che c’è un modo di fermare il Kraken. Devo parlarne a Seiya.”
“Fa in fretta allora. C’è stato un consiglio di guerra. Se i cavalieri d’oro si muovono, Seiya di certo li guiderà.”
“Corro allora. Grazie, Kiki.”
Il ragazzo la vide sparire oltre l’ampio colonnato della casa dell’Ariete. Quante cose avevano visto quelle colonne di pietra. Possibile che fosse passato così tanto tempo da quando, bambino, si teletrasportava qui e là per il santuario facendo ammattire tutti? Ora che era cresciuto, somigliava a Mur molto più di quanto non volesse ammettere con se stesso. Agli altri diceva sempre che tutti gli eredi delle terre perdute si somigliavano. Il saggio Hakurei, il sommo Sage, l’indomito Shion, la bella Yuzuriha, il grande Mur e persino quella bimbetta che Saori aveva accolto nell’orfanotrofio di Rodorio, la piccola Raki. Kiki sorrise pensando che in quella lunga lista di nobili cavalieri lui non aveva trovato ancora un collocamento. Mur non aveva voluto che si battesse per un’armatura. Diceva che il suo destino era l’armatura dell’Ariete. Kiki, tuttavia, non si sentiva neppure lontanamente all’altezza di un simile destino e non era il confronto con Mur a spaventarlo. Era il confronto con Seiya. Quando lo aveva incontrato la prima volta, Seiya era un ragazzino impertinente e spavaldo come lui. Gli anni erano passati e quel ragazzino era diventato un uomo, una leggenda. Lui, invece, cos’era diventato?
Un boato tremendo squarciò l’aria e Kiki corse fuori. L’immagine che vide fu terrificante. Un manipolo di cavalieri di bronzo e d’argento giaceva in terra senza vita. Una donna vestita di rosso e avorio riluceva di un sinistro cosmo.
“Chi sei tu?” chiese Kiki con un tono calmo e deciso che non avrebbe saputo attribuirsi.
“Il mio nome è Medea, sacerdotessa di Marte.”
“Hai oltrepassato la barriera divina di Atena che ha fermato tutti i soldati del dio della guerra. Come hai potuto farlo?”
I capelli neri della donna ondeggiavano insieme alle sue vesti. I suoi piedi non toccavano terra. Nella mano destra impugnava un asta acuminata ad entrambe le estremità.
“Io sono una strega. Posso molte cose che gli esseri umani non immaginano neppure!”
Kiki innalzò senza fare un gesto il muro di cristallo come gli aveva insegnato Mur. La donna sorrise.
“Credi che quella sfoglia di vetro possa fermarmi?”
“Non ne ho idea, ma proverò con tutto il mio cosmo a fermarti, Medea. Non sottovalutarmi perché non indosso un’armatura. La mia volontà è forte.” Fece Kiki assumendo una posizione di difesa.
“Non basterà la tua volontà a fermarmi. Io vi evoco pietre della pioggia! Lapis Manalis!”gridò Medea sollevando la lancia e un tuono simile al boato che Kiki aveva udito poco prima riempì di nuovo l’aria. Una pioggia di quarzo precipitò dal cielo infrangendo il crystal wall e colpendo Kiki.
“Non credere che ti risparmierò! Anche se sei un ragazzino. Il mio signore mi ha ordinato di uccidere tutti! Lapis Manalis!” 
Kiki svanì dalla sua vista e fermò alcuni cristalli a mezz’aria con la sua telecinesi.
“Non sono un ragazzino, Medea. E non puoi pensare di sorprendere due volte un cavaliere con lo stesso colpo!”
“E tu saresti un cavaliere?” gridò la strega lanciando altri colpi contro di lui.
Kiki cadde più volte sotto i colpi di Medea ma tutte le volte si rialzò e difese l’ingresso alle dodici case.
“Te lo riconosco, sei determinato! Eppure non posso trattenermi con te.” Disse ridendo Medea e concentrò il suo potere sulla punta della sua lancia “Ti lascerò in compagnia dei miei adorati figli. Tessalo, Alcimene, Tisandro, venite a me!”
Kiki vide tre spiriti apparire alle spalle della donna.
“Non ti lascerò comunque passare, Medea!”
“Vedi ragazzo, i miei figli non hanno più un corpo. Erano i tre generali dell’esercito del mio signore. Li ho sacrificati affinché le loro carni e il loro sangue rigenerassero il corpo mortale di Marte, affinché le loro armature riparassero lo squarcio fatto dalla freccia di Sagitter nell’armatura divina del mio signore! Coraggio, figli miei! Prendetevi le carni di questo giovane!”
Gli spettri tremarono alle spalle della strega e poi si fiondarono su Kiki. Medea ne approfittò per superare la casa dell’Ariete. Kiki invece rimase a terra mentre gli spettri lo torturavano. Fu allora, mentre odiava se stesso per essere stato incapace di proteggere la casa di Mur, che udì la dolce voce di Saori.
“Kiki, non arrenderti. I cavalieri di Atena non cedono mai allo sconforto. Non lasciarti vincere dall’angoscia di questi spiriti. La luce che porti dentro di te è più forte del loro dolore.”
“Io non sono un cavaliere, non lo sono mai diventato. Non sono all’altezza. In tutto questo tempo non ho mai combinato nulla di buono!”
“Kiki, non è così. Chi ha vegliato su di me quando la freccia di Arles mi ha colpita? Chi ha pregato con me perché i ghiacci di Asgaard non si sciogliessero? Chi ha portato ai cavalieri le armi per abbattere le colonne di Nettuno? Chi ha scoperto che l’incendio nell’orfanotrofio di Rodorio era una trappola di Marte? Chi ha salvato la piccola Raki? Chi ha portato per tutti questi anni notizie del piccolo Kouga a Seiya? Chi sta difendendo ora la prima casa del santuario dai miei nemici? Così come tu sei sempre giunto in mio soccorso, ora io vengo nel tuo. Alzati cavaliere e indossa l’armatura del cavaliere più vicino alla dea Atena!”
La voce di Saori svanì e una luce immensa si sprigionò sulla testa di Kiki. Gli spettri indietreggiarono davanti ad una splendente armatura d’argento.
“Saori, davvero? Grazie Atena. Proteggerò il santuario dai tuoi nemici usando tutto il potere che ho e questa sacra armatura dell’Altare!” urlò Kiki sprigionando il suo cosmo. L’armatura che un tempo era appartenuta al suo antenato Hakuerei, si dispose dal corpo di Kiki e tra le sue mani di materializzò la spada di Atena.
“Sparite, ombre! Onda degli spiriti!” gridò il cavaliere senza sapere come avesse fatto ad evocare un colpo segreto che nessuno gli aveva insegnato e le anime dei generali di Marte sacrificati da Medea furono assorbiti dall’armatura dell’Altare. Un silenzio irreale riempì la casa dell’Ariete e Kiki si guardò le mani prima di vedere l’immagine trasparente del suo antenato che tremolava di fronte a lui.
“Grazie, maestro Hakurei per questo dono.” Disse e l’uomo sorrise.
“Non dire grazie, figlio di Mu. Tu sarai ciò che sono stato. Usa la sacra Altare fino a che non ti sarà chiesto, come fu chiesto a me, di scambiarla con un’armatura d’oro.” Kiki lo guardò perplesso. Hakurei si congedò. “Tu sei nato sotto le stelle dell’Ariete. Cresci in potere e forza perché dovrai prendere il posto di un uomo destinato ad indossare maschera di gloria in tempo di pace.”
Kiki si chiese cosa significassero quelle parole poi però vide apparire un manipolo di soldati di Marte.
“Non vi lascerò passare! Se non vi ritirerete, perirete ai piedi dell’Altare!” disse il cavaliere e il cosmo contenuto dentro ad una rivoluzione stellare spazzò via i nemici di Atena.

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Saga strinse il corpo di Saori mentre questo si svuotava dal cosmo che l’aveva riempito fino ad un attimo prima. Aveva levato il suo sigillo dalla sacra armatura dell’Altare per mandarla a Kiki che si trovava in difficoltà alla prima casa. La macchia sulla spalla dovuta alla maledizione di Marte si era ormai estesa fino al petto e al collo e aveva raggiunto il polso sinistro. Il grande sacerdote la sollevò e la condusse sul letto.
“Come posso restare qui a guardarti lentamente morire?” disse sottovoce convinto che l’incarnazione di Atena fosse svenuta.
“Non ricordavo questa sensazione.” Disse lei aprendo piano gli occhi.
“Quale?” chiese Saga tremando per il timore della risposta.
“Questo senso di abbandono. Mi sento come se lentamente, i rumori, gli odori, ogni cosa si allontanasse da me. E il freddo. Comincio a sentire freddo.” Saga le prese istintivamente le mani.
“Abbiamo ancora bisogno di Atena.” Disse cercando l’unico appiglio che credeva l’avrebbe tenuta attaccata alla vita. Lei scosse il capo e sorrise.
“Oggi ho visto dodici cavalieri determinati a difendere le loro case. Non intendo le case dello zodiaco ma quelle dove vivono le persone che amano. Mur vuole proteggere Kiki e Raki, Aldebaran i suoi allievi, Death Mask ha Sybilla e Aphrodite, Aioria vuole proteggere Marin e Soma, Shaka ha a cuore i poveri di Rodorio, Milo tiene ad Ilio, Lucina ed Elena, Shura ha nel cuore i soldati della tredicesima casa che ha addestrato e che ogni giorno lo accompagnano, Camus intende difendere Hyoga e i suoi allievi e Aphrodite vuole evitare che Death Mask si sacrifichi per lui. Poi ci sei tu. Tu che hai così tanta determinazione nel voler proteggere tutti. Soprattutto me. Sono certa che sapreste bastarvi a vicenda. L’eufonia dei vostri cosmi potrebbe fare miracoli. Probabilmente non avete più bisogno di me.”
“Questo non è vero!” esclamò Saga “Noi non siamo niente senza di te. Viviamo per te!”
“Non arrabbiarti, Saga. E’ che sento il cosmo di Medea avvicinarsi e io non sono abbastanza forte.”
“Ci sono io. Ci sono altri dieci cavalieri d’oro a difesa del tempio, lo hai detto tu stessa. E non dimenticare che hai da badare a quel marmocchio. Non pensare neppure lontanamente di affidarlo a me! Non ho alcuna voglia di avere in giro un altro cavaliere di Pegasus. O intendi farmi morire tra i più atroci tormenti?” ironizzò Gemini e ottenne di farla sorridere.
Bussarono alla porta e Shura si affacciò timidamente nella stanza. Il cavaliere di Capricorn aveva sempre servito fedelmente. Al punto da aver attaccato Aiolos su ordine di Saga nascosto dietro la maschera del gran sacerdote. Per lunghi anni, dopo la battaglia contro Marte e nonostante avesse accettato la scelta di Atena di fare di Saga un vero gran sacerdote, Shura si era limitato a concedergli solo il suo silenzio. Per anni, tutte le volte che aveva obbedito ad un suo ordine, gli aveva velocemente voltato le spalle. Poi però aveva visto il modo in cui Saga aveva preso a soffrire per quella fragile dea, per le sue condizioni di salute. I cavalieri d’oro non ne parlavano ma, dopo l’attacco di Marte al santuario il giorno che il dio aveva dato fuoco all’orfanotrofio di Rodorio e Atena aveva corso un pericolo mortale, era trascorso un periodo triste e silenzioso. L’incarnazione di Atena aveva passato mesi chiusa nelle sue stanze. Solo poche persone erano ammesse alla sua presenza. Saga non se ne allontanava mai. In quei mesi lui aveva temuto che il cavaliere dei Gemelli stesse di nuovo macchinando qualcosa. Per questo rimaneva di guardia alle porte della tredicesima casa. Non voleva rischiare di nuovo di fare la scelta sbagliata, lui il braccio armato della dea. In quei mesi però aveva scoperto che Saga non avrebbe mai più potuto levare un dito contro Saori Kido poiché se ne era innamorato e ne ebbe compassione. Compassione poiché Atena gli aveva già concesso tutto ciò che poteva offrirgli. Beffardo destino! Quando aveva ottenuto ciò per cui aveva ingannato, tradito e assassinato, lui ne era rimasto impigliato come un insetto nella tela di un ragno. Quella maschera che aveva strappato a Shion per il potere ora nascondeva il volto dell’uomo che era alla donna che amava. Ne aveva compassione poiché la donna che amava, quant’anche avesse deciso di abbandonarsi al calore di un uomo, avrebbe scelto Sagitter, l’odiato Sagitter. Davvero destino beffardo! Prima Aiolos e poi Seiya lo avevano relegato al ruolo di comparsa. Shura non aveva mai amato una donna così e in nome di quel sentimento aveva deciso di rispettarlo. Parlò piano senza alzare lo sguardo su di loro, senza violare quel loro spazio.
“Shaka chiede il permesso di Atena di affrontare la strega Medea.” Disse. Saori si mise a sedere sul letto e il suo viso fu attraversato da una smorfia di dolore. 
“No. Adesso tocca a me.” Fece la fanciulla.
“Non siamo ancora a quel punto.” Disse Saga alzandosi in piedi. “Shura, di a Mur di venire qui. Vegliate Atena insieme. Se la sacerdotessa di Marte attacca Atena sarà il sacerdote di Atena a respingerla!”Saori s’incupì.
“Va, Shura.” Ordinò Saori. Il cavaliere d’oro si accomiatò con un leggero cenno del capo e Saga fece per seguirlo. Saori lo trattenne per un braccio. “Saga, fa attenzione, te ne prego. Ora che Seiya si è allontanato, non sappiamo cosa ne sarà della barriera.”
“E’ per questo che vado. Le impedirò di colpirla ancora. La barriera non difende solo il santuario. Nasconde a chiunque il potere che si cela all’interno del santuario. Con Marte in arrivo ci manca solo che gli dei scoprano ciò che stiamo nascondendo.” Saori si guardò il grembo e poi sollevò lo sguardo su Saga.
“Io devo fare qualcosa.”
“Tu devi vivere.” disse Saga inginocchiandosi davanti a lei. “Seiya lo vuole con tutte le sue forze, io te lo chiedo disperatamente. Vivi per coloro che ti amano. Vivi per Kouga che ha ancora bisogno di te.” Saori si chinò su di lui e lo tirò a sé.
“Saga, io voglio vivere ma sono stanca di vedere cavalieri morire nel mio nome. Questa battaglia contro Mars non è nata per uno scontro di ideali tra Atena e il suo antico avversario. E’ nata dal folle desiderio di Mars Kreutz, dalla gelosia di Julian, dai miei sentimenti per un uomo che non avrei dovuto neppure guardare. Ora come posso accettare di restare qui e vederti andare in battaglia sapendo che rischi la vita per cose simili? E come te, Shura, Shaka, Kiki. Come posso?” Lui le strinse i fianchi senza sollevare lo sguardo, il viso nascosto nella sua veste.
“Accettalo e basta. Accetta noi piccoli uomini che siamo disposti a morire per amore. Vale di meno questo sacrificio perché non viene durante una guerra sacra? Oggi tutti noi vogliamo difendere coloro che amiamo. Io voglio difendere te.” Concluse alzandosi. Saori si sentì sovrastata e comprese perché quell’uomo era stato venerato come un dio. Il suo cosmo doppio era immenso e forte. Non era caldo come quello di Seiya ma sfavillava di potere.
“Lo accetto. Con tutto il cuore.” Disse stringendogli una mano. Saga si staccò da lei e raggiunse la porta. Si voltò a guardarla un’ultima volta e sorrise di sfida.
“Non so cosa tu abbia visto in quel maledetto ronzino ma sono felice di aver vegliato su di voi fino ad ora. Spero che, almeno in questo, non ti abbia mai deluso.” Disse uscendo e Saori pianse. Ora che anche Saga andava verso la battaglia, perché lei, dea della guerra, veniva costretta a rimanerne ai margini?
Alla porta bussarono di nuovo. Si aspettava che fosse Mur ma apparve Pandora.
“Ti chiedo scusa. Ho bisogno di parlarti solo per un momento.” Saori si strofinò gli occhi e la invitò ad entrare.
“Dimmi pure.”
“Medea è giunta.” Fece la sorella mortale di Hades.
“Lo so.” rispose Saori dandole le spalle e guardando la grande statua di Atena.
“Non è avversario da sottovalutare. L’ho incontrata molto tempo fa. E’ temibile e possiede molta magia oscura.”
“So anche questo. Saga intende affrontarla. Gli ho dato il mio permesso di combattere.” Pandora le si avvicinò.
“Siamo state nemiche io e te. Dall’epoca del mito. Ho sempre nutrito molta gelosia nei tuoi confronti poiché sapevo che, per quanto Hades bramasse ucciderti, mio fratello era affascinato dall’amore che gli uomini provano per te. Ho dovuto conoscere anche io quell’amore per capire. Per questo sono qui. E’ giunto il tempo che faccia qualcosa per fare ammenda. Lasciami combattere contro Medea. So che il mio potere potrebbe aggravare le tue condizioni, ma posso sconfiggere Medea e se Medea muore, il potere di Marte diminuirà.” Saori la guardò negli occhi.
“Abbiamo avuto molte dispute. Ti ho lasciato Ikki ma tu hai dovuto riportare Hades nel corpo di Shun. Non posso perdonartelo. Usando il Ragnarock hai condannato Hyoga. Eden ha quasi ucciso Kouga. Ogni volta che provo a darti un’altra possibilità, quella mi si ritorce contro.”
“Lo so. E’ dall’età dell’oro che porto sciagure tra gli uomini che tu proteggi.” Disse sorridendo “Stavolta però combatterò per difendere proprio quegli uomini. Non  fallirò.”
Pandora prese le mani di Saori nelle proprie e la guardò dritto negli occhi. La dea ricambiò lo sguardo e sorrise dolcemente.
“E sia. Fa ciò che a quanto pare i miei cavalieri non voglio che io faccia. Combatti. Stringo un’alleanza con te anche se questo significherà inimicarmi Ikki. Lui non accetterà che tu ti batta.”
“Lo so. Si batterà con me. L’ho accettato tanto tempo fa. La sua volontà ha superato anche quella di Hypnos e Thanatos. Per questo non mi accadrà nulla.”
La donna vestita di nero si allontanò verso l’uscita.
“Pandora!” La richiamò Saori “Hai perduto la tua lancia. Come ti batterai?”
“Sono ancora la sacerdotessa di Hades! Non sottovalutarmi, Atena!” le ripose la donna sorridendo minacciosa e uscendo lasciò entrare Shaina.
“Saori! Dov’è Seiya?” chiese la guerriera trafelata. Saori avrebbe voluto nasconderle la verità ma Shaina non lo meritava. Si era battuta molte volte per salvare Seiya e se desiderava ancora rischiare la vita per lui come a lei era proibito, come poteva impedirglielo?
“Ha lasciato il tempio all’alba per intercettare Marte e tenerlo lontano dal santuario.” Disse risoluta.
“Da solo?”
“Sì.” Solo una parola secca. La verità.
“Come hai potuto mandarlo incontro a Marte da solo nelle sue condizioni? Regge ancora il peso della fiamma che regge la barriera!”
“Lo so.” Ancora solo due parole pronunciate quasi con indifferenza.
“Vuoi che muoia?” urlò Shaina furiosa.
“No.” Di nuovo indifferenza.
“Non te ne importa niente? Quell’uomo morirà nel tentativo di proteggerti ancora una volta e tu? Tu che hai da dire? Niente! T’importa forse solo di tenere al sicuro Kouga?”
“No.” Silenzio.
“T’importa solo di Kouga adesso?” la incalzò sempre più arrabbiata Shaina.
“No.” Dolore.
Shaina le fu addosso e la prese per le spalle. Quella ferita pulsò dolorosamente ma il volto di Saori non cambiò espressione.
“Tu devi fare qualcosa! Non può farcela da solo stavolta!”
“Devo vivere.” Silenzio.
“Cosa? Te lo ricordi ora che sei una dea? In tutti questi anni in cui ti sei divertita a crescere Kouga giocando alla famiglia perfetta, dov’era questa integrità?” gridò ancora Shaina scuotendola. “E Saga? Anche lui è una pedina sacrificabile?”
“No.” Dolore.
“Maledizione! Che ti prende?”
“Lasciala stare!” L’urlò arrivò dalla finestra che dava sulla statua della dea. Shaina percepì un cosmo caldo e avvolgente e credette di vedere Seiya. La figura slanciata nell’armatura, i capelli scuri e la voce profonda, un cosmo forte di tredici luminose stelle che gli ricordavano un abbraccio di tanto tempo prima.
Quando la tenda di velo bianco si scostò, Shaina mollò la presa.
“Kouga!”
“Lasciala stare. Le fai male. Non permetterò a nessuno di farle male. Neppure a te!”
Saori sentì il cuore esploderle nel petto e una lacrima le cadde dagli occhi. Kouga camminò fino a mettersi al centro tra le due donne che lo avevano cresciuto. Shaina lo osservò. Era identico a Seiya tranne che per quei due occhi chiari che aveva rubato a sua madre.
“Hai cominciato presto, moccioso! Non credi di essere ancora un po’ troppo piccolo per queste sceneggiate?”
Kouga sostenne lo sguardo della sua maestra e sorrise. Quel sorriso tagliò Shaina in due. La donna sanguinò senza essere ferita.
“La difenderò da chiunque a qualunque costo.” Disse il ragazzo.
“Non dirlo!” urlò Shaina “Non anche tu! Non anche tu questa follia!”
“Soprattutto io!” gridò il ragazzo ancora di più “E’ parte di ciò che sono!”
A quelle parole Shaina indietreggiò e Saori sgranò gli occhi. La sacerdotessa strinse i pugni.
“Che avete tutti, dannazione? Seiya si sacrifica, Kanon si sacrifica, Saga si sacrifica e adesso anche tu! Si deve lottare non morire! Esiste un modo per fermare il Kraken! Non vogliamo provarci invece di lasciare che le persone che amiamo muoiano?”
“Shaina!” esclamò Saori “Ora basta! Ritirati.”
“Ma!”
“Niente ma! Vai.” Shaina lasciò la stanza sbattendo la porta. Kouga, che non aveva osato ancora guardare Saori in volto, sollevò lo sguardo sulla donna.
“Hai me. Io sono qui.” Disse piano. Saori sollevò le mani fino a portarle all’altezza del suo viso senza toccarlo. Gli occhi di Kouga si fecero liquidi ma non pianse. Voleva essere cavaliere poiché non era pronto per nient’altro. Lei glielo lesse negli occhi e non lo abbracciò.
“Sei davvero Kouga di Pegasus. Lo vedo nei tuoi occhi. Grazie, Kouga per avere capito.”
“E’ il mio retaggio. Io proteggo.”
Saori si voltò di scatto. Non poteva crollare di fronte alla determinazione di quel ragazzino.
“Va’ ora, Kouga, devo organizzare la difesa del tempio.”
Pegasus uscì da dove era entrato e tornò nella sua stanza. Saori invece uscì e guardò verso il cielo. Ora sapeva cosa doveva fare. Tutti si stavano disponendo al loro posto nel disegno del destino. Ora lei avrebbe assunto il proprio. Si ferì un palmo e toccò la statua che raffigurava la sua essenza. La statua svanì e lei si sentì invincibile e sfinita allo stesso tempo. Si diresse verso le stanze di Shaina.
“Cosa vuoi adesso?” le chiese la guerriera in malo modo vedendola sull’uscio.
“Combattere.” Rispose Atena e gli occhi di Shaina brillarono come quelli del cobra incantatore.

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Marte raggiunse la grande cupola della barriera di Atena e preparò la lancia per colpirla. Finalmente avrebbe ottenuto ciò che voleva. In più Medea gli stava preparando il cammino e Deimos e Phobos sarebbero giunti presto con il pomo delle Esperidi.
Sollevò l’arma e la lanciò contro la barriera. Una luce accecante riempì il cielo e la lancia deviò dalla sua traiettoria intercettata da una freccia d’oro.
“Non così in fretta, Mars!” fece Seiya forte delle sue ali dorate volando contro il dio e atterrando di fronte a lui.
“Seiya! Sei prevedibile! Immagino tu sia giunto fino a qui dal tempio di Atena con l’intento di impedirmi di giungere al cospetto di Saori!”
“Prevedibile, come dici. Non andrai oltre questo punto. Non poserai neppure lo sguardo
su Saori.”
“Ho fatto ben altro prima che tu ti mettessi di mezzo tredici anni fa!” Seiya strinse i pugni e Mars sorrise “Non vedo l’ora di stringere di nuovo il suo corpo caldo!”
Seiya si sforzò di rimanere concentrato. Non doveva cedere alle provocazioni. Finché Marte parlava, perdeva tempo prezioso e il Kraken si avvicinava. Seiya sapeva di non avere la forza di battere il dio. Poteva però trattenerlo fino all’arrivo del Kraken. Allora il mostro li avrebbe divorati entrambi e avrebbe perlomeno contribuito a tenere al sicuro la sua gente dal dio della guerra.
“Non dici niente, Seiya? Ti batterai e basta? Sei sempre stato così noioso! Proteggere, proteggere e ancora proteggere! Se avessi voluto, avresti potuto prendere quella donna mille volte!”
“Tu non sai ciò che dici!” gridò Seiya.
“Invece lo so benissimo. A quest’ora, se tu non ti fossi messo in mezzo, sarei stato il signore dell’Olimpo. Atena avrebbe partorito un degno erede del mio potere. Immagini un dio generato da simili progenitori? Ora sarebbe stato adulto! Dinanzi ad una simile divinità persino Zeus, si sarebbe fatto da parte!”
“Tu sei pazzo! E comunque ti ho fermato allora e ti fermerò adesso!”
“Sì è vero!” riconobbe Mars “All’epoca mi hai fermato. Ora però non ne hai più la forza. Cancellerò persino il tuo ricordo con il potere che Medea ha infuso in me! Ha sacrificato i suoi figli, i miei generali per donarmi nuova linfa vitale!”
“E tu osi immaginarti padre?” chiese Seiya sdegnato “Un padre antepone la vita di suo figlio a qualunque altra cosa! Non accetterebbe mai di vedere morire il proprio figlio pur di salvarsi! Sei un mostro, non un dio. Non sei migliore del Kraken dal quale cerchi di fuggire!”
“Quindi sarebbe questo il tuo piano? Intrattenermi fino all’arrivo del Kraken?”
Seiya ritrovò un sorriso sfacciato che aveva conservato dentro di sé quasi vent’anni prima. Marte richiamò tra le proprie mani la sua lancia e attaccò. Sagitter fronteggiò l’assalto incrociando gli avambracci. Il clangore dell’arma divina contro la sacra armatura d’oro fu assordante.
“Non hai speranze, Seiya!”
“Ti sbagli, Mars. Tra tutte le cose che ho perduto, di certo non c’è la speranza! Essa è sempre con me. Non mi ha mai abbandonato, neppure per un istante!”
“Sei uno stupido! Sei solo un piccolo uomo pieno di paure!”
“Sono sempre stato solo un uomo ma questo non è un limite per me. Lo proverò ancora una volta. Non mi fai paura.”
“Invece sei terrorizzato. Hai paura altrimenti non avresti lasciato il santuario per venirmi incontro. Hai paura di perdere e vedere Saori tra le mie braccia!”
I due si allontanarono non potendo sostenere oltre l’attacco e Seiya si rimise in posizione per lanciare il suo colpo.
“Ti sbagli, Mars. Ti ho intercettato qui perché voglio difendere la mia gente. Anche se dovessi morire ora, tu non avrai ciò che vuoi. Ci sono amici fidati, cavalieri devoti che proteggeranno Saori dopo di me. C’è Pegasus che brilla di una nuova luce proprio al suo fianco. La mia eredità è il mio coraggio. Tu non hai mai conosciuto l’amore. Non puoi sapere quanto vale. Ora preparati alla battaglia poiché non sono pronto ancora a cedere il passo! Pegasus Sui sei ken!”
I mille pugni di Seiya si concentrarono in un solo, splendente colpo. Mars sollevò lo scudo e sorrise. La battaglia sarebbe finita presto. Molto presto.

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Shun avvertì il cosmo di Seiya e quello di Mars scontrarsi e invitò Eden a muoversi più velocemente. Ormai sentiva chiaramente il gelo del cosmo di Hyoga avvicinarsi. Ciò significava che anche il Kraken era vicino. Guardò dentro il suo cuore e sentì che Hades lo invitava ad essere deciso. Nessuna debolezza o il Kraken lo avrebbe divorato per primo. Possibile che non si potesse fare nulla per risvegliare Hyoga? Eden impugnava ancora il corno di Odino però Shun sapeva che se lo avesse usato sul suo compagno questo si sarebbe addormentato per sempre. Doveva fermarlo ma era pronto a fargli del male? Shun cercò di ricordare il calore che gli aveva dato l’abbraccio di Crystal l’ultima notte che avevano dormito insieme. Non gli riuscì. In lui lo spirito di Hades era ormai troppo forte e Hades conosceva solo il freddo della morte tanto diverso da quello trasmesso dalle braccia del cavaliere del cigno.
“Zio, guarda!” esclamò improvvisamente Eden indicando la spiaggia.
Un’onda scura si sollevò gigantesca e, dalle profondità del mare, si levò una creatura mostruosa. Il Kraken si allungò fuori dalle acque e annunciò la sua  presenza con un verso straziante. Con il colpo di uno degli arti distrusse alcune case che facevano da capanno per le barche da pesca. Shun si voltò a guardare Julian Solo.
“Difendi Rodorio e raggiungi Atena. Io proverò a far ragionare Hyoga.”
“Mi dispiace ammetterlo, ma credo sia rimasto poco da fare per lui.” Fece Nettuno senza guardare il cavaliere di Andromeda in viso “Comunque se il Kraken è qui, anche Mars lo è. Ti prometto che riuscirò a farmi perdonare da Saori. Syria, prendi gli altri e difendi il villaggio ai piedi della cupola. Lascio a te il comando.”
Il cavaliere della Sirena si allontanò con i generali degli abissi e Julian prese la direzione del tempio lasciando Shun ed Eden davanti al Kraken.
“Zio, che intenzioni hai? Credi davvero di poter risvegliare Hyoga?”
Shun scosse il capo e chiuse gli occhi. Quando li riaprì erano di nuovo scuri.
“Eden, ascoltami bene. Le nostre strade si dividono qui.”
“Zio, ti prego lasciami combattere insieme a te!”
“Tu combatterai ma non qui con me. Tieni, prendi questa.” Disse Shun aprendo il palmo della mano destra. Un tridente nero apparve nel suo pugno. “Questa è l’arma della divina Pandora. La falce di luna. L’ho tolta a tua madre quando lei mi ha tradita per favorire tuo padre. Riportagliela. Ora gli spetta di nuovo. Dille che suo fratello l’ha perdonata e vuole che torni ad usarla. Raggiungila in fretta poiché la troverai a combattere contro Medea, la sacerdotessa di Marte. Medea nutre molto rancore nei suoi confronti poiché dai tempi del mito tua madre fu sempre in grado di sconfiggerla. Io però l’ho privata della sua armatura e di molti dei suoi poteri. Se si batte in queste condizioni con Medea, morirà. Va da lei.”
“Ti rivedrò zio?” chiese Eden impugnando il tridente. Ikki gli aveva trasmesso il suo senso pratico delle cose e sapeva che un inutile tentativo di convincere Shun o Hades a desistere dai propri propositi, avrebbe solo fatto perdere tempo prezioso.
“Eden, ogni essere vivente, umano o divino, ha un proprio tempo e spazio del mondo. Non so se quello di Shun è ormai passato. Il mio lo è di certo. Ho accettato che non camminerò più nel mondo degli uomini. Essi si ricorderanno di me nei loro incubi.
Io raggiungerò Olimpo, l’unico luogo che rimane a noi numi di un tempo che fu. Fummo splendenti allora. Per diventarlo, scalzammo divinità terribili. Ora tocca agli uomini. Ricorda però che tu non sei solo un uomo. In te scorre anche il sangue di un dio. I semidei sono sempre stati odiati dagli dei. Rappresentano per noi, ciò che noi fummo per i Titani. Per questo li temiamo. Quando sarà il momento, sarai chiamato a scegliere.”
“Scegliere cosa?”
“Se vivere come un uomo o come un dio. Ricorda: è una scelta dalla quale non si torna indietro. In un mondo di uomini essere un semidio, comporterà una vita di fatiche. Scegli bene. Ti lascio questo.” Concluse Hades.
“Cos’è?” chiese Eden afferrando quello che sembrava un medaglione con al centro un grosso rubino.
“Lo scoprirai quando farai la tua scelta. Ricordati che sei figlio di Hades in qualche modo. Sii sempre orgoglioso di ciò che sei, cacciatore di anime che porti il nome del mio regno. Ora va!”
Eden osservò per l’ultima volta quegli occhi scuri e liquidi e sentì un senso di angoscia montare nel suo animo. Vide l’Elisio in quegli occhi. Vide una tela in cui tutto il creato era dipinto come un luogo privo di guerre e odio. Vide un bracciale di fiori che rappresentava una promessa. Vide una bambina dallo sguardo vivace e dagli occhi grandi che giocava a rincorrere due dei gemelli. Vide se stesso. Si voltò e corse via. I suoi genitori avevano bisogno di lui. Sperò solo di rivedere almeno uno dei suoi adorati zii.
Shun, contemporaneamente, si destò sbattendo le palpebre. Bruciò il suo cosmo e dispose la catena come una ragnatela intorno al Kraken. Doveva almeno tentare di salvare Hyoga.
“Togliti di mezzo!” urlò il cavaliere del cigno comparendo alle spalle del Kraken.
“Hyoga, te ne supplico, torna in te. Non puoi davvero desiderare che questa creatura distrugga il santuario!”
“Non so chi tu sia, ma non sei il mio bersaglio. Io cerco il dio della guerra. Lui è nemico della Valkirya che servo e devo ucciderlo! Te lo ripeto, levati di mezzo.”
Mentre Kraken si divincolava dalle catene, Shun comprese che non avrebbe potuto trattenere a lungo la sua furia.
“Ti prego, Hyoga!”
“Il mio nome è Midgard!”
“No! Il tuo nome è Hyoga, cavaliere del Cigno! Tu sei un cavaliere di Atena. Ti prego!”
L’uomo non reagì. Si preparò a colpirlo con il suo pugno di ghiaccio. Shun non si difese e cadde sulla spiaggia. Si mise in ginocchio e lo scongiurò ancora.
“Crystal, sono io, Andromeda! Possibile che davvero tu non ricordi più nulla? Non senti il calore della mia nebulosa? Una volta mi hai detto che era l’unica energia in grado di contrastare il gelo del tuo cosmo!”
Hyoga ascoltava le parole di quello sconosciuto senza realmente capire. Perché quell’uomo sembrava darsi tanta pena? Perché l’ostacolava? Unì i pugni sopra la sua testa e lanciò uno dei suoi colpi più potenti. Vide l’altro colpito in pieno e le catene si sciolsero lasciando libero il Kraken. Quando credeva di avere vinto però, vide una strana nebbia avvolgergli le caviglie. Proveniva dal corpo disteso e si allargava e ritraeva da lui. Il cavaliere si rimise faticosamente in piedi.
“Hyoga, ti prego, non voglio combattere. Non contro di te.”
“Sei tenace, almeno questo te lo riconosco. Io però non ho tempo da perdere con te. Devo trovare Marte. Preparati ad essere colpito dallo zero assoluto che si espande dal mio pugno. Inverno senza fine!” Le schegge di ghiaccio imprigionarono Shun e Midgard si avvicinò all’ammasso di ghiaccio. Il volto di quel ragazzo lo aveva turbato sin dalla prima volta che lo aveva visto ma non avrebbe saputo dire perché. Fu osservandolo per capire meglio che si accorse che il ghiaccio si stava crepando.
“Come può essere? Nessuno può sopravvivere allo zero assoluto!”
L’energia della nebulosa si allargò nuovamente avvolgendo sia Shun che Hyoga. Quest’ultimo non riuscì più a muoversi.
“Che diavoleria è questa?” chiese Midgard osservando Shun che camminava lentamente verso di lui. Il cavaliere gli giunse di fronte e gli posò una mano sulla guancia.
“Ti prego, Cystal, ricorda! Svegliati da questo incantesimo! Mi hai detto che saresti tornato da me. Vogliamo tornare a casa insieme?” La voce di Shun sembrava una carezza e Hyoga sentì le ginocchia cedere. Chi era quel ragazzo così dolce, incantevole persino più della divina Hnos? Lottò con tutte le sue forze per liberarsi e allontanarsi da lui. Shun gli si avvicinò fino a che le sue labbra non si posarono su quelle dell’altro.
Midgard fu scosso da un tremito e, dentro di lui, un ricordo tornò ad affacciarsi nella sua mente. C’era un tempio dedicato a chissà quale divinità e lui, come adesso, sentiva freddo. Poi, improvvisamente, un paio di morbide labbra sussurravano al suo orecchio parole gentili, che dicevano di non temere, che parlavano d’amore.
Midgard lottò. Quel ricordo faceva male. Allontanò il ragazzo da lui e lo colpì. Lo colpì ancora e ancora fino a che non sanguinò da quelle stesse labbra che lo avevano baciato.
“Hyoga, ti prego, ricorda.”
“Io non mi chiamo così! Il mio nome è Midgard e non so niente di te. Non sei niente per me! Kraken, va e distruggi ogni cosa!”
Shun pianse. Capì che non c’era ritorno dal luogo in cui Crystal era finito. Capì che aveva ragione suo fratello. Non basta volere che le cose vadano in un certo modo perché ciò accada. Non tutte le storie hanno un lieto fine. L’amore non vince sempre. Afferrò il corno di Odino e lo sollevò. Il vento vi passò attraverso e generò un suono gentile, quasi impercettibile. Hyoga però lo udì bene perché si portò entrambe le mani alle orecchie come avesse udito gridare il diavolo in persona e cadde in ginocchio. Shun gli fu addosso e lo afferrò prima che rovinasse a terra.
“Hyoga, Hyoga, perdonami. Io non volevo. Perdonami!” disse Shun stringendo a sé il corpo del compagno. Fu allora che una delle mani di Crystal si sollevò fino a asciugargli una lacrima.
“Tu mi ricordi la bella Hnos. Gentile e forte. Sono felice di morire tra le tue braccia.” Le lacrime di Shun caddero sul viso di Hyoga.
“Non voglio che tu muoia, Hyoga. Io ti amo.” A quelle parole gli occhi di Hyoga tornarono per un attimo a brillare di quell’azzurro del cielo di Siberia.
“Shun.” Sussurrò e Andromeda sorrise.
“Sì, Hyoga. Sei tornato.”
“Portami a casa, Shun.” Disse solo mentre i suoi occhi si chiudevano, l’inverno senza fine spariva dalla sua mano e il sonno eterno calava su di lui. Shun lo sollevò senza aggiungere un’altra parola. Hades, nel suo cuore, giurò vendetta.

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Capitolo 19
*** La vita salvata da Eden - terza parte ***


La vita salvata da Eden
Terza parte


Saga alzò lo sguardo oltre la statua di Atena e la vide. La strega Medea bellissima e terribile che usava la sua magia per abbattere la cupola d’oro del Sagittario.
Aveva detestato Seiya dal primo momento in cui aveva posato il suo sguardo più malvagio su di lui. In cuor suo, aveva saputo fin dall’inizio, che quel ragazzo lo avrebbe condotto a morte. L’immagine di lui che sollevava lo scudo della dea mandando in frantumi la sua brama di gloria, riaffiorò per un istante. Non poteva però permettere che gli sforzi di Seiya crollassero insieme alla barriera. Raccolse la sua energia e lanciò uno dei suoi colpi contro la strega.
“Finalmente un avversario temibile!” urlò lei fronteggiandolo.
“Non ne hai idea!” rispose lui fiero.
“Gran sacerdote, giusto? Fammi vedere di che sei capace. Forse se uccido te, Seiya mi concederà l’onore di uscire allo scoperto!” gli rispose la donna.
“Dovrai accontentarti di me, strega, ma cercherò di essere divertente!” fece Saga e il colore dei suoi capelli mutò dal blu scuro al grigio argento “Non credere di essere la sola a conoscere qualche trucchetto!”
“Da lungo tempo attendevo un cavaliere capace di abbracciare anche il lato oscuro del cosmo. Sei tu quel cavaliere?”
“Il cosmo di Gemini è doppio. Credo che per fronteggiare una strega dovrò far ricorso alla parte peggiore di me!”
“Atena te lo permetterà?”
“Basta chiacchiere! Precipita nella dimensione oscura!”
La realtà si distorse e per un attimo sembrò che Medea fosse risucchiata dall’altra dimensione aperta da Saga. Invece la strega posizionò la lancia in modo orizzontale e infranse i cardini che tenevano aperta la dimensione di Saga.
“Non credere che sia così facile liberarsi di me!”
“Non l’ho mai creduto! Ti strapperò il cuore con le mie mani!”
“Quanto astio! Sembra una faccenda personale cavaliere dei Gemelli!”
“Non lo immagini neppure!” Medea rise.
“Bene. Vuoi o non vuoi questa barriera cadrà e tu morirai.” Saga sorrise di sfida.
“Evidentemente non conosci il destino del cavaliere di Gemini! Quando muore, il suo gemello ne prende il posto! Da vivo o da morto, io ti fermerò!” gridò prima di lanciarsi contro la donna. Scoprì a caro prezzo però che la lancia di Medea poteva attraversare persino la corazza dorata che indossava. Una profonda ferita gli si aprì in un fianco.
“Te l’ho già detto. Morirai!” lo incalzò Medea.
“Vorrà dire che ti porterò all’inferno con me!” gli fece eco Saga “Esplosione galattica!”
Una moltitudine di sfere di energia si radunarono sopra la testa del cavaliere d’oro e precipitarono addosso a Medea. L’esplosione che ne seguì fu tremenda. Saga osò sperare ma dovette ricredersi subito. La strega era ancora in piedi come se non avesse ricevuto in pieno petto il colpo più potente del cavaliere d’oro più forte del santuario. Rise Medea e Saga sentì la ferita al fianco dolere di più. Se neanche l’esplosione galattica aveva funzionato, cos’altro poteva tentare?
“Ti spazzerò via insieme all’effigie della tua adorata Atena, cavaliere di Gemini! Lapis Manalis!” urlò la donna e Saga parò ogni colpo lanciato dalla strega con il proprio corpo. Non avrebbe permesso che ferisse nessun altro. Cadde in ginocchio, la bocca piena del suo sangue. Pensò a Seiya che in quel momento probabilmente stava combattendo contro Marte e si rimise in piedi. Non doveva cedere.
“Non hai compreso, Medea. Non andrai oltre questo punto.” Disse respirando a fatica.
“Ma se a malapena ti reggi in piedi. Muori adesso!” gridò lanciando la sua arma. Saga si preparò mentalmente all’impatto ma non fu trafitto. Davanti a lui, stava ritto Phoenix.
“Scusa per il ritardo, Saga.”
“E di che? Ricordo bene quanto ti piacciano le entrate trionfali, Ikki!”
“Già!” lo schernì il cavaliere dell’ eterna fenice.
“Comunque nessuno aveva chiesto il tuo intervento!” commentò Saga.
“Non sono qui per aiutare te. Sono qui per difendere lei.” Disse indicando Pandora.
La donna si ergeva tra loro e Medea.
“Così persino tu sei passata dalla parte di Atena?” chiese Medea rivolgendosi a lei.
Pandora era bellissima e fiera nel suo abito che odorava di morte e oscurità e Saga, si rese conto che stava usando tutto il potere di Hades che ancora possedeva.
“Io sono qui per il solo gusto di umiliarti ancora!” fece lei e Medea si contrariò.
“Non puoi fermarmi. Non ne hai più il potere.”
“Non sai di cosa sono capace e non sottovalutarmi, matricida!”
“Ma io non ti sottovaluto affatto! Sono certa che non sei più la stessa. Le tue recenti frequentazioni ti hanno rammollita!” disse Medea indicando Ikki.
“Vedremo!” gridò Pandora e dal suo corpo si levò un vento fortissimo che generò una sorta di tornado oscuro che si abbatté contro Medea.
“Tutto qui? Un po’ di vento? Sei ridicola Pandora!” fece la strega lanciando le sue pietre di quarzo acuminato. Ikki usò le ali della fenice per distruggerle.
“Grazie Ikki!” gridò Pandora. La sacerdotessa di Hades aveva combattuto migliaia di volte ma non aveva mai sentito quel calore, quella comunione che provava quando faceva qualcosa, qualsiasi cosa con Ikki. Sorrise e Medea strinse un pugno.
Aveva sempre odiato Pandora. Ne aveva odiato quella presunzione e fierezza che lei aveva sempre mostrato durante le guerre sacre e ora ne odiava la volontà di combattere nonostante la sua attuale fragilità. La odiava soprattutto perché tutti la vedevano per ciò che era: una donna.
Lei non aveva mai avuto un simile privilegio. Era stata molte cose Medea. Una strega, un’assassina, una madre, una sacerdotessa, ma mai soltanto una donna. Sembrava che tutti coloro che posassero lo sguardo su di lei vedessero ogni cosa tranne la sua essenza. Medea avrebbe voluto, in cuor suo, essere solo una donna. Sentì il rancore nei confronti di Pandora montare insieme a quello per Saori e per quello delle decine di creature femminili che avevano condiviso il letto di Marte.
“Pandora, ora vedrai quale differenza c’è tra noi ormai! Muori! Tempesta di fiamme!” gridò facendo roteare la lancia. Ikki s lanciò tra il fuoco e la donna che amava ma il colpo non lo raggiunse. Ancora una volta qualcuno si era intromesso tra Medea e il suo bersaglio.
“Eden!” gridò Pandora correndo dal figlio.
“Madre, scusa il ritardo.” Fece il ragazzo voltandosi verso di lei.
“Eden, dov’è Shun?” chiese lei.
“E’ rimasto a cercare di fermare il Kraken. Lo zio però mi ha mandato a dirti che ti ha perdonata e ti manda questa.” Disse porgendo alla donna il tridente nero. Gli occhi di Pandora si illuminarono ma la sua mano, che pure s’era mossa verso l’oggetto, non l’afferrò. Pandora ebbe paura. Che sarebbe accaduto una volta che si fosse riunita alla sua surplice? Ikki lo avrebbe accettato? Guardò verso il marito e lo vide ricambiare un sguardo d’intesa. Quell’attimo d’indecisione costò caro. Medea concentrò il suo potere sulla punta della lancia e la lanciò contro la barriera.
Saga fece da scudo alla cupola con il suo stesso corpo ma non fu sufficiente. La barriera si fece in mille schegge colore dell’oro che riempirono l’aria. Medea rise.
“E’ finita! La barriera è caduta e ora il mio signore porterà la disperazione nel tempio di Atena!”
Saga si rialzò e, usando il suo potere scomparve e ricomparve alle sue spalle.
“Non godrai di questa vittoria, ti porterò con me all’inferno!” gridò Saga pronto a sacrificarsi per ucciderla. Un potere immenso però lo fermò. Il cavaliere capì che proveniva da Pandora. La donna aveva impugnato il tridente e ora riluceva di una sinistra luce.
“Saga, lasciala a me.” Disse con un tono di voce calmo e terrificante. Il cavaliere di Gemini lasciò la presa.
“Folli! Ora vi distruggerò!” gridò lanciandosi contro Pandora. Quando fu però ad un passo da lei, le vesti di Pandora ondeggiarono e la sua surplice comparve. I coprispalle della sorella mortale di Hades si disposero come i lati di una coppa da cui comparvero tre bestie orrende. Pandora sollevò entrambe le braccia e il grifone nero si dispose sulla sua testa, garuda l’uccello immortale alla sua sinistra e la viverna oscura alla sua destra. Le bestie colpirono Medea che ricadde a terra, ferita. La strega si trovò sovrastata da Pandora, il viso livido per aver realizzato la fine.
“Abbandona questo mondo, Medea. Non avrò alcuna pietà per te! Hai osato levare la mano contro mio figlio. Muori per mano di Hades che stabilisce chi ha diritto di vita e di morte!” fece Pandora abbassando il tridente sulla sua vittima. Dal corpo della strega non uscì neanche un rivolo di sangue. Solo un fumo nero come la sua anima venduta a dei malvagi. Di lei non rimase nulla.
“Madre, hai vinto!” urlò Eden mentre Ikki la avvolgeva tra le sue braccia. Lui sapeva che a Pandora non aveva fatto bene impugnare la Falce di Luna. Quanti orribili ricordi aveva risvegliato in lei? Non aveva importanza. Lui l’avrebbe stretta e l’avrebbe salvata ancora una volta dai suoi spettri.
“Mi dispiace, Saga, non sono riuscita ad impedire che la barriera cadesse.” Disse Pandora staccandosi da Ikki e cercando di capire se la ferita del grande sacerdote fosse grave.
“Prima o poi doveva accadere. Spero solo che non sia troppo tardi per alzarne un’altra.”
“Non servirà.” Disse Eden “Zio Shun ha scoperto che solo la Medusa sullo scudo di Atena può fermare il Kraken. Nettuno comunque sta venendo qui in aiuto. Zio l’ha convinto a schierarsi dalla parte di Atena.”
“Non mi sembrano buone notizie.” Commentò Saga “Preferisco combattere da solo che con simili alleati!”
“Con noi non è andata così male!” esclamò Ikki.
“Julian Solo non è il benvenuto al santuario finché io ne sarò gran sacerdote!”
“Ogni aiuto dovrebbe essere benvenuto!” esclamò Pandora ma fu Ikki a dire le cose come stavano.
“Nessuno che levi lo sguardo su Saori sarà benvenuto al santuario, non è così Saga?” L’uomo sorrise in modo inquietante.
“Tu non eri quello che sparisce appena non è più necessario menare le mani? Levati di torno dunque e risparmiami la tua ironia.” Fu Eden a riportare tutti alla realtà.
“Che si fa ora che la barriera è caduta?”
“Io torno da Saori. Se lo scudo di Atena può fermare il Kraken, allora me lo farò consegnare.”
“Noi raggiungiamo Shun.” Fece Ikki e Pandora ed Eden annuirono.
Saga li guardò e, per un momento, l’immagine di loro tre uniti si sovrappose a quella di un'altra famiglia. La ferita al costato gli procurò una fitta più forte delle altre.
“Saga, tu sei ferito gravemente.” Fece notare Pandora.
“Non è niente. Andate ma fate attenzione. Il santuario non è più sicuro ora.” Concluse prendendo la via per la tredicesima casa.
Ikki lo vide allontanarsi a fatica e ringraziò gli dei per avere dalla loro parte un uomo simile. Strinse Pandora e andò con la mente a Shun. Pregò che stesse bene. Si sentì in colpa per non essere corso in suo aiuto anche questa volta ma sapeva che le cose erano cambiate. Non sarebbe stato sufficiente aiutarlo in un momento di difficoltà per colmare quel vuoto che si era creato fra loro nel tempo. Si concentrò e un brivido gli attraversò la schiena. Non sentiva più ne il cosmo di Hyoga né quello di Shun. Si sforzò di sorridere alla moglie che cercava di attirare la sua attenzione ma un velo di dolore ammantò il suo cuore.
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“Cosa vuoi adesso?” chiese Shaina rivolgendosi in malo modo a Saori che stava ritta davanti a lei. L’aveva raggiunta poco dopo il loro duro confronto e sembrava diversa. Per un momento temette di averla offesa. Non la donna, certo. Esitò.
“Combattere.” Rispose Saori e Shaina capì che in lei ardeva la dea. I suoi occhi brillarono come quelli del cobra incantatore e sorrise.
“Hai di nuovo cambiato idea?”
“No.” Rispose Saori “Era già deciso. Inoltre non rimarrò indietro stavolta!”
“Indietro?” chiese Shaina piegando leggermente la testa di lato con fare interrogativo.
“Avanti Shaina, non offendere la mia intelligenza. Non lascerò che sia nessun altro a battersi con Mars.”Shaina comprese e il suo sorriso si fece sornione.
“Atena soffre di gelosia?” chiese col suo solito modo di fare sfacciato.
“Non più come un tempo! Fino a qualche era fa ti avrei mutato in un ragno, una lucertola forse!”
“La maschera che portavo non è stata una punizione sufficiente?”Saori la guardò dritta negli occhi. Le aveva consentito lei di portare la discussione su quel livello, non poteva risentirsene e poi aveva bisogno di Shaina.
“Per questo non la porti più. Né tu, né tutte le altre sacerdotesse.”
“Vinci sempre tu, vero?” chiese Shaina stavolta bonariamente.
“Sono Athena. E’ la mia natura. Hai parlato di un modo per fermare il Kraken ma non volevo che lo facessi davanti a Kouga. Vuoi parlarmene ora?”Shaina annuì.
“Lo scudo di Atena può pietrificare il Kraken.”
“Bene, allora tu mi scorterai da lui. Potremmo incontrare dei nemici e io non so quante forze mi rimangano. Mi scorterai cavaliere d’argento?”
“Scorterò Athena dal Kraken solo se mi giurerai che Saori verrà con noi.” Disse la donna ricambiando lo sguardo della dea con una volontà di ferro e fu Saori stavolta ad assumere un’espressione interrogativa. Shaina non parlò. Era certa che Saori avrebbe capito e così fu.
“Ti prometto che non accadrà nulla a coloro che amiamo.” Rispose.
“A nessuno di loro.” Aggiunse lei porgendole una mano.
Saori la strinse con una delle sue. La macchia nera evidente sul dorso. In quel momento l’incarnazione di Atena tremò. La barriera era caduta e lei lo aveva avvertito chiaramente. Shaina la sostenne. Una muta domanda sulle labbra.
“Non cambia niente, Shaina. Andiamo.” Fece Saori ed entrambe lasciarono la tredicesima casa.
Lungo la scalinata verso la prima casa, Saori si chiese più volte se seguire le sue emozioni e agire avrebbero portato ad una conclusione migliore o perlomeno diversa rispetto a quella ottenuta tutte le volte che aveva lasciato l’azione nelle mani di Seiya. Fu mentre deviavano verso la spiaggia che trovò la risposta dentro di sé. Non avrebbe fatto differenza. Ormai lei e Seiya agivano guidati dallo stesso desiderio. Da una tale comunione di intenti poteva nascere solo un miracolo o la peggiore delle sventure. Un cosmo potentissimo giunse ad interrompere la loro corsa e Saori si chiese se non fosse la sventura cui aveva pensato un attimo prima.
Dinanzi a lei e Shaina, splendente nell’armatura di scaglie d’oro, stava Nettuno.
Da quanto tempo non lo vedeva? Tredici anni o poco più? Non era molto cambiato. Il suo viso era ancora bello come l’ultima volta che l’aveva visto. L’espressione gentile sul suo viso non era cambiata così come quella punta di crudeltà nel suo sguardo che le aveva sempre impedito di apprezzare la sua natura. Tutto sommato sembrava che gli anni su di lui non fossero passati. In confronto Seiya sembrava cambiato molto di più. Si chiese se quel paragone spontaneo non venisse dall’ansia che covava di rivedere Seiya piuttosto che dal senso di colpa che da sempre provava per aver trasformato un ragazzo solare e generoso in un uomo serio e malinconico.
“Saori.” Disse Julian con un’espressione triste sul viso. Doveva apparire veramente orribile se lui aveva voltato lo sguardo altrove dopo aver fissato la macchia nera sul suo collo e sul braccio.
“Lasciaci passare, Nettuno!” gridò Shaina proteggendo Saori dallo sguardo di Julian.
“Non sono qui per farvi del male. Voglio aiutare Saori.” A quelle parole Shaina rise assumendo la posizione di lancio del cobra incantatore. Nettuno assunse un’espressione più dura. “E’ la verità.”
“Allora mi porterai da Mars.” Disse Saori avanzando e fronteggiando il suo antico nemico.
“Chiedimi qualunque cosa ma non questo.”
“Solo questo.”
Julian la osservò e la vide diversa anche se in quel momento non capì in cosa. Era bellissima nonostante la macchia nera che si stava divorando la sua pelle di pesca. E il suo cosmo brillava anche se sembrava meno forte di un tempo. Gli occhi, poi, bruciavano di un coraggio che non le aveva riconosciuto neanche mentre le acque della colonna la avvolgevano completamente. Era come se la ragazza rinchiusa nella colonna portante di Atlantide fosse stata il bozzolo in cui era fiorita la donna che aveva davanti. Cosa l’aveva resa così luminosa? L’amore di Seiya? Il suo cuore pompò più velocemente il sangue nelle vene e lo portò a sollevare una mano verso di lei. Fu allora che avvertì un cosmo portentoso e si allontanò da Atena. Gli occhi azzurri di Saori furono sostituiti da un altro paio di occhi blu.
“Non osare levare le mani su di lei!”
“Saga!” gridò Saori ma s’accorse subito dell’errore “Tu sei Kanon!”
Il cavaliere guardò verso Shaina e sorrise. Julian gli rivolse la parola.
“Sapevo fin dall’inizio che non potevo fidarmi di te. Tuttavia hai fatto la tua parte, lo riconosco. Ora però fatti da parte. Sai che non puoi nulla contro di me.”
 “Credi che abbia sopportato tutto quello che mi è toccato finora senza un motivo? Quattordici anni rinchiuso in una colonna, ai ceppi, senza uno scopo a tenermi in vita?”
“Se sei un generale degli abissi, spostati. Se sei un cavaliere di Atena, fa altrettanto. Nel primo caso non ti ucciderò.”
“Julian! Vuoi aiutarmi, dici? E lo fai uccidendo un uomo che hai maledetto legandolo al mio gran sacerdote, custode del mio tempio?” Urlò Saori.
“Giusto.” fece Julian facendo scintillare il tridente “Da questo momento, non sei più legato a tuo fratello!” concluse puntandolo contro Kanon. Il cavaliere incrociò le mani davanti alla faccia per ripararsi dal colpo ma sentì solo le grida di Atena.
“Shaina!”
Aprì gli occhi e la vide. La donna era in piedi davanti a lui. Poteva vedere la schiena sinuosa della donna che lo aveva difeso. La figura tremò come una foglia d’autunno che si stacca dall’albero al primo vento dell’inverno e ricadde all’indietro. Allargò le braccia e l’afferrò.
“Shaina, cos’hai fatto? Saga non era più legato a me. Non gli sarebbe accaduto nulla!”
“Stupido! Io volevo proteggere te!” disse lei dolorante.
“Non ti avevo detto che sono un caso perso io?”
“Non lo sapevi che lo sono anche io?” fece lei cercando di trovare la forza per rialzarsi.
“Siete commoventi. Davvero! E tu donna hai proprio deciso di morire per mano mia?”
“Non mi ha uccisa la freccia di Sagitter, credi potrà farlo il tuo tridente?” rispose Shaina sfrontata.
“Non sfidare la sorte due volte di seguito contro un dio!”
“Non lo farà!” s’intromise Saori “Sono io il tuo avversario, Julian.”
Julian abbassò il capo e sospirò.
“Non voglio combattere contro di te, Saori. Ti accompagnerò dove vorrai. Ad ogni modo il Kraken sta arrivando. Non resta molto tempo.”
“Andiamo.” Fece Saori.
“Noi veniamo con te!” fece Shaina sostenendosi a Kanon. Lui la strinse e gli sembrò di ritrovare le forze perdute fino a quel momento. Forse quando avrebbero incontrato Saga quella sensazione di completezza sarebbe svanita di nuovo e lui sarebbe tornato ad essere l’ombra che si era sempre sentito. Fino a quel momento però sarebbe stato per Shaina il cavaliere che lei avrebbe voluto avere al fianco in una vita di battaglie.
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Saga corse nonostante il dolore al fianco. Risalì la scalinata tra la dodicesima e la tredicesima casa che un tempo era stata ricoperta delle rose velenose del cavaliere dei Pesci. Più in basso il clangore delle armature che si scontravano e le urla dei cavalieri sconfitti davano ad intendere che la battaglia tra i difensori delle dodici case e i soldati di Marte proseguiva senza sosta. La barriera, del resto, era caduta lasciando il tempio alla mercé del nemico. Per un attimo il suo pensiero andò a Kanon. Aveva percepito nitidamente il suo cosmo per cui sapeva che non era più rinchiuso a Capo Sounion. Non si levavano neppure fumi da Rodorio. La cittadina, a rigor di logica, doveva essere al sicuro. Quando stava per accedere alla tredicesima casa, il cosmo di Mur lo fermò sulla soglia.
“Atena non è più nelle sue stanze.” Disse il cavaliere della prima casa con una voce che diceva molto più delle parole pronunciate. Saga sentì il dolore al costato acuirsi. Si voltò e guardò le dodici case incastonate sul dorso della collina. Immaginare di doverle riattraversare per raggiungere la dea, per un momento, gli diede un capogiro. La vista gli si annebbiò. La mano di Mur si posò su uno dei suoi avambracci.
“Non starai chiedendo un po’ troppo a te stesso adesso, gran sacerdote?”
Gli occhi blu di Saga, quegli stessi occhi che quindici anni prima si erano tinti del rosso del sangue dei suoi compagni, gli si conficcarono nella mente e Mur fu attraversato da un tremito. La volontà di Saga superava la sua. Superava quella di qualsiasi cavaliere che aveva conosciuto fino a quel momento. O forse no. Quella stessa determinazione l’aveva vista negli occhi del sommo Shion la notte che Ades aveva mandato i suoi sicari a prendere la testa di Atena. Era quello dunque lo sguardo di un grande sacerdote della dea? O quello era semplicemente lo sguardo di un uomo la cui forza poteva essere paragonata a quella di un dio? Non gli aveva forse raccontato Shion che Saga era solito provocare quella sensazione di stupore e timore reverenziale quando passeggiava tra i portici di Rodorio? Saga gli rispose.
“Mur, Atena ha preso la sua armatura. Non posso lasciarla affrontare Marte a viso aperto. Non senza tentare qualche altra cosa prima. Medea è morta. Ciò significa che i suoi incantesimi ora sono meno efficaci. E’ compito del gran sacerdote adoperare tutti i mezzi per evitare che la dea debba scendere in campo personalmente. E’ buffo che, dopo tutti questi anni, mi ritrovi davvero ad impersonare il ruolo che avrebbe dovuto essere del tuo maestro. Non hai mai nutrito risentimento nei miei confronti per essermi macchiato le mani del suo sangue?”Mur scosse il capo.
“Che senso avrebbe avuto? Atena ha disposto di noi in molti modi. Ha trovato anche in te uno strumento di suo gradimento.” Saga sorrise.
“E’ questo che mi piace di voi eredi di Mu. Vedete sempre il disegno più grande e non vi crucciate del piccolo difetto nella trama.” Disse allontanandosi di qualche passo dal cavaliere dell’Ariete come se il cosmo pacifico di quest’ultimo lo ferisse. “Oh, io sono stato un difetto ben più che piccolo! Uno di quei odiosi errori nel disegno che ti fanno dire ‘che peccato, poteva essere un capolavoro’. Tu però non hai mai provato per me il rancore di Aiolia o l’indifferenza di Shura. Non hai mai manifestato il biasimo silenzioso di Shaka o la rabbia rumorosa di Milo. Non ti sei limitato a restare come il laborioso Aldebaran o il silenzioso Camus. Non avevi i motivi per essermi amico come quel manigoldo di Death o quel vanesio di Aprho che la dea li benedica! Tu ti sei fidato. Perché?”
“Perché io ho visto.” Disse solo Mur chiuendo gli occhi. Con la sua telepatia entrò nella mente di Saga e gli trasmise le immagini di una ragazza che si copre il viso con le mani. Di un cavaliere vestito d’oro che mandava in mille pezzi una colonna piangendo. Di un neonato tra le braccia di Shaina che dormiva placidamente sotto il suo sguardo. Di due cavalieri d’oro in piedi, eretti, uno accanto all’altro nel sole morente di Grecia che vegliano le preghiere di Atena. Le ali possenti del Sagittario che si specchiano in una delle due facce di Gemini.
Saga scosse il capo come a voler allontanare quelle immagini e Mur gli fu accanto, una mano sulla spalla.
“Io ho visto il modo in cui hai onorato il tuo ruolo. Hai difeso Atena da tutto e tutti, persino da se stessa e dai suoi più vicini difensori. Senza di te, si sarebbe macchiata le mani del sangue di un innocente e non si sarebbe mai più perdonata diventando una dea crudele e indifferente alla vita umana. Tu hai tutto il mio rispetto. Hai preso una decisione difficile in un modo che né il combattivo Sage, né il saggio Shion avrebbero potuto prendere. Io ti rispetto.”
Gli occhi di Saga brillarono ancora e sul suo viso si dipinse un sorriso sincero.
“Nessuno a parte te mi onorerà per quella decisione. Solo un pazzo avrebbe potuto prenderla! Forse sono stato davvero l’uomo giusto nel momento giusto! Ad ogni modo quel tempo è passato. Ora al tempio servirà una persona più equilibrata. Io cedo il passo ora.” Disse guardandosi le mani sporche del suo stesso sangue “Non posso andare in battaglia con questo peso.”
“Saga nonostante quello che pensi, tu sei il grande sacerdote per tutti noi.”
“No. Da oggi tu sei il grande sacerdote. Conosco molto bene il mio ruolo e so che sulla scelta del mio successore ho libertà assoluta. Neppure Atena può opporre il suo veto.” Mur sgranò gli occhi.
“Saga, io non sono il mio maestro. Non fare l’errore di credere che la sua saggezza possa essere la mia.” Saga sorrise e chiuse gli occhi.
“Mi ricordo di un giorno in cui giunsero ad Atene quattro ragazzini. Erano molto diversi tra loro. Uno era un furfantello in grado di sgraffignarti qualunque sotto il naso e faceva un sacco di baccano, un altro era un ragazzetto silenzioso con un libro sotto al braccio. Al suo fianco se ne stava un altro che si guardava in giro senza battere ciglio. L’ultimo della fila aveva gli abiti più semplici che avessi mai visto ad un novizio e m’incuriosì il suo viso così simile a quello del grande sacerdote.
Ricordo che Milo, impertinente sin da bambino, fece rotolare una cesta piena di serpenti a ridosso del bambino italiano. Si fece una gran confusione ma improvvisamente i serpenti si quietarono tutti ai piedi del ragazzino vestito di canapa. E fu sempre quel ragazzino a convincere Aiolos a non punire Milo. Ricordo bene che, nonostante fossi indifferente a quel genere di eventi allora, rimasi colpito dalla vastità di quel cosmo generoso. Mur tu sei rimasto come allora. Generoso. Ma sei cresciuto. Potente. Il grande Mur. Non conosco nessuno tra i dodici più degno di te. Lo so. Ti faccio torto poiché il tuo animo è mite e ti porterebbe ad allontanarti dal potere più che ad avvicinarti ad esso, ma è di un uomo così che io mi fiderei. Ed è di un uomo così che ho bisogno adesso. Da questo momento in poi, le decisioni sul santuario sono affidate a te.” Concluse Saga porgendogli una mano.
Mur l’afferrò e la strinse saldamente cercando di trasmettergli il rispetto, la gratitudine, la vicinanza di tutti gli anni trascorsi insieme.
“Che farai?” chiese Aries.
“Correrò da lei.” Disse guardando la scalinata “Quel poco che mi rimane da offrire, è suo.”
“Saga, un sacrificio non necessario non è un atto d’amore.” Disse solo.
“Scusa Mur ma non credo che tu sia esperto in questo genere di affari. Tu piuttosto, che farai ora?”
“Intendo mandare Kiki con Ryuho a Goro ho. Se devo prendere decisioni importanti, voglio il consiglio del vecchio Doko.”
“Vedi? Sei già più bravo di me!” esclamò Saga lanciandosi nella lunga discesa delle dodici case.


Note dell'autrice influenzata:
Rieccomi... come vedete gli eventi scorrono e anche Medea se n'è andata!
Ora manca solo Marte.... sotto a chi tocca!
Certo, per strada abbiamo perso il povero Hyoga e Saga e Seiya se la stanno vedendo brutta. Tuttavia abbiate fede... il nostro Saga ha sempre un asso nella manica.
Presto inoltre verrà svelato il mistero sulla decisione di cui Mur ha parlato in questo capitolo e sulla notte dell'incendio a Rodorio. Spero di non avervi annoiato e che seguirete con me il gran finale...
Kisses.

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Capitolo 20
*** La vita salvata da Saori ***



La vita salvata da Saori


Mur si fermò davanti alla sala del trono. Posò una mano sul dorso intarsiato delle porte e applicò una leggera pressione. Le due ante si aprirono docili rivelando il lungo salone su cui il tappeto rosso indicava la via per lo scranno più alto.
Mur si sentì invadere da sentimenti contrastanti. Davvero era suo diritto sedere la in fondo? Avanzò piano, un piede davanti all’altro, il mantello e i lunghi capelli raccolti con un nastro bianco ad ondeggiare per la lenta andatura.
Quando fu ad un passo dal trono voltò lo sguardo a sinistra e fissò la propria immagine nel grande specchio che copriva parte della parete. Saga in quello specchio osservava l’altro se stesso, quello che desiderava il trono più di qualsiasi altra cosa. Lui cosa vedeva? Improvvisamente nello specchio vide riflesso un cavaliere con un armatura d’argento. Si voltò e vide Kiki.
“Mi era stato detto.” Fece il ragazzo dai capelli ramati.
“Cosa?” chiese Mur per nulla stupito che il suo allievo portasse l’armatura d’argento più simile a quelle d’oro per poteri e grado.
“Che saresti stato elevato al grado più alto di sacerdote della dea.” Il viso di Mur assunse un’espressione curiosa.
“Allora è vero che tu sai sempre tutto, Kiki!” Il ragazzo si passò un dito sotto il naso come aveva l’abitudine di fare da bambino e gli fece un occhiolino.
“Come posso servire il grande sacerdote?”
“Va a Goro ho. Porta il piccolo Ryhuo. Voglio il consiglio di Doko su quanto sta accadendo al santuario e il cavaliere di Libra a difendere il tempio.”
Kiki sentì un’aura potentissima e mite allungarsi da Mur. Non era il cosmo che era abituato a conoscere. Qualcosa era scattato in colui che chiamava fratello.
“Obbedisco.” Disse chinando il capo, poi prima di andare, gli rivolse una domanda affettuosa “Fratellone, stai bene?”
Mur sorrise ma abbassò gli occhi.
“Non sai sempre tutto?” chiese con un tono carico d’amarezza “Sono triste, Kiki. Non volevo che andasse così. Saga meritava di più. Seiya meritava di più. Ognuno di noi avrebbe meritato niente di meno che la felicità. Invece un dio iracondo è venuto a scaricare la sua frustrazione su di noi che niente chiedevamo se non la pace. E ora tu. Tu indossi l’armatura dell’Altare, quella che ricorda ad ogni cavaliere quale sia il suo destino. Sacrificarsi alla dea. E la porti proprio tu. Colui che più di ogni altro al mondo avrei voluto riparare dalla battaglia.”
Kiki tornò indietro e gli mise una mano sulla spalla. Mur alzò lo sguardo e se lo ritrovò di fronte, occhi negli occhi.
“Quando sei diventato così alto?” chiese sorridendo bonariamente.
“Tanto tempo fa, ma te l’ho tenuto nascosto!” esclamò Kiki “Mur, ti voglio bene anche io.”  
Le gote di Mur si caricarono di colore e il cavaliere dell’Ariete lo strinse a sé.
“Grazie, Kiki. Per esserci sempre stato.”
“Sei il mio fratellone! Ora però mollami perché non sono più un ragazzino!” fece il più piccolo per divincolarsi. Mur lo vide lasciare la sala e lui tornò a specchiarsi. Il tempo della pace era trascorso. Ora era tempo di combattere ma quel tempo sarebbe tornato e l’avrebbe trovato lì pronto a fare ciò che era necessario per preservarlo ancora una volta.
Kiki invece, lasciata la stanza, non potette trattenere le lacrime. Era orgoglioso. Alla fine anche lui poteva, con onore, allinearsi ai suoi antenati nelle schiere di coloro che avevano trovato posto tra i guerrieri di Atena.
Si asciugò il viso e raggiunse la camera di Kouga. Sapeva che i ragazzi erano lì.
Quando entrò nella stanza, Kouga era pensieroso. Seduto sul letto teneva gli avambracci sulle ginocchia. Si avvicinò a Soma e lo prese da parte.
“Cosa succede a Kouga?”
“Non lo sappiamo, Kiki. Non parla. Yuna e Ryhuo provano da un po’ a tirargli fuori il rospo ma lui risponde solo che non può dirci niente.”
Kouga, alla vista di Kiki, si alzò e lo raggiunse.
“Kiki, hai notizie di Seiya?”
“Combatte contro Mars.” Rispose il neo cavaliere dell’Altare.
“E Saga? Non doveva venire a dirci cosa fare? Io voglio combattere! E poi Saori non è più nelle sue stanze. Sono preoccupato.” Kiki sorrise. Possibile che, davvero nel momento del pericolo, tutti, compresi quei ragazzini di bronzo, fossero diventati consapevoli e responsabili?
“Saga è in prima linea. Ha lasciato il comando del santuario a Mur dell’Ariete. Io sono qui su suo ordine. Ryuho, il grande sacerdote Mur chiede al cavaliere del dragone di venire con me a Goro ho. Il santuario ha bisogno del cavaliere di Libra.” Gli occhi di Ryuho s’illuminarono.
“Agli ordini!” esclamò.
“Bene. Vieni allora, partiremo subito. Ci teletrasporteremo lì. Voi rimanete al santuario. Per il momento, Atena non necessita del vostro aiuto. State pronti però.” Concluse Kiki svanendo con Ryuho in una luce splendente.
Kouga rimase a bocca aperta. Non c’era bisogno di lui? Con Seiya a combattere al fronte da solo, non c’era bisogno di lui? E cos’era quella novità che Saga non era più il grande sacerdote? Strinse i pugni per la rabbia e Yuna gli prese una mano.
“Non fare così, Kouga, arriverà anche il nostro momento.” Disse, ma fu Soma a sbraitare.
“Perché non ora? Eden sta combattendo, Ryuho sta combattendo e noi? Qui a fare da balia a cosa? Un colonnato? Non sappiamo neanche dove abbiano portato Atena!”
“I cavalieri devono obbedienza!” fece Yuna arrabbiandosi.
“Ma così siamo inutili. Mio padre si sta battendo! E non sento più il cosmo del nostro maestro. Io così non ce la faccio!” disse Soma rompendo un vaso.
“Yuna, Soma ha ragione! Io vado!” esplose Kouga.
“Dove Kouga? Ragiona!” lo incalzò Yuna.
“Dove si trova Saori. Io la devo proteggere. L’ho promesso a Seiya! Voi venite con me o restate qui?”
“Io vengo con te!” esclamò Soma. Yuna sospirò e si mise le mani sui fianchi.
“Vengo anche io! Senza di me vi farete ammazzare!”
Kouga richiamò l’armatura di Pegasus e , in un attimo, anche Soma e Yuna furono bardati con le armature del Leone Minore e dell’Aquila.
“Andiamo!” fece il cavaliere di Pegasus.
“Come fai a sapere dov’è Atena?” chiese Yuna.
“La sento.” Disse Kouga e, di nascosto, lasciarono il santuario.
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Quando Seiya credette di essere allo stremo e che le cose non sarebbero potute andare peggio di così, la barriera cedette e una polvere d’oro li raggiunse in un baleno.
Mars rise fragorosamente.
“E’ finita, Seiya! La tua preziosa barriera è caduta! Ora Saori sarà mia! Il tuo cosmo è allo stremo e senza la barriera a proteggere il santuario, i miei miliziani invaderanno il tempio in breve tempo. Non hai abbastanza uomini!”
Seiya strinse i pugni. Sapeva che era vero. Anche se ogni cavaliere d’oro avesse sacrificato se stesso e avesse portato con sé un centinaio di nemici, non sarebbe stato abbastanza. Le sue preoccupazioni maggiori, però, erano altre. Per prima cosa Saori era rimasta indifesa dall’influsso di Marte. Si sarebbe aggravata ancora? Sperò che Saga la tenesse al sicuro. In secondo luogo, ora che la barriera non c’era più, tutti avrebbero potuto percepire il cosmo al momento più potente che si trovava al santuario. Lui che altro poteva fare?
L’urlo straziante del Kraken, invece che incutergli timore, gli diede speranza. Quella sensazione gli fece ricordare che non doveva arrendersi. Doveva resistere e lottare. Ancora per poco.
“Brucia mio cosmo ed elevati ancora una volta fino ai limiti dell’universo. Dammi la forza per un ultimo colpo.” Disse sottovoce mentre Marte si preparava ad usare contro di lui la sua lancia.
“Ultimo? Ringrazio il padre degli dei! Poniamo fine dunque a questa pantomima. Muori cavaliere di Pegasus!” urlò Marte sollevando la lancia.
“Io sono Seiya, cavaliere d’oro di Sagitter. Scoprirai, Mars, quanto farà male questo mio ultimo colpo! Fulmine d’oro!*” gridò Seiya lanciandosi contro il suo nemico.
Le ali spiegate del Sagittario emanarono una luce accecante e il fulmine si dipanò nell’aria alla velocità della luce in mille scie dorate. Ogni singolo colpo andò a segno. Mars e Seiya si ritrovarono avvinghiati l’uno all’altro.
La lancia del primo nel petto di Seiya, la daga sacra del secondo nel petto di Mars.
“Ammetto che non ho mai incontrato un combattente come te. Lo fai per lei, vero? Non t’importa nulla del destino del mondo. Non vuoi che sia mia.” Fece Mars spingendo ancora un po’ la lancia nel corpo di Seiya. Il cavaliere sorrise.
“Ti sbagli. Lo faccio per lei. Ma lo faccio soprattutto per coloro che lei ama. Non la vedrò mai più soffrire. Io la proteggerò sempre.” Rispose Seiya facendo forza sulla daga.
“Sempre? Ti rimane una manciata di respiri.”
“Credi che ti rimanga molto di più?”
“Io sono immortale!”
“La tua anima lo è. Ma questo corpo resterà qui, stretto al mio finché il Kraken non ci divorerà.” Disse Seiya mentre un rivolo di sangue gli scivolava da un angolo delle labbra.
Fu allora che Mars provò a sfilare la lancia dal corpo di Seiya senza riuscire a muoversi di un solo millimetro.
“E’ inutile, Mars. La daga che può uccidere un dio è conficcata nella tua carne. Forse la barriera è caduta ma anche la tua Medea è morta. La sua magia ti ha abbandonato. Rassegnati, il nostro ruolo in questa storia è finito. Cala il sipario su di noi. Io ho detto addio e non ho alcun rimpianto.”
“Lasciami, Seiya! Possiamo ancora salvarci! Io conosco un modo per fermare il Kraken!”
“Hai paura Mars, non sei tu quello immortale?”
“Marte lo è, ma io morirò qui se tu non mi lasci andare!” fece Mars Kreutz con gli occhi carichi di rancore.
Un’ombra scura li raggiunse e Mars, bloccato tra le braccia di Seiya, vide l’immagine del Kraken riflessa nell’armatura del suo avversario.
“Lasciami ho detto, maledetto!” gridò Marte e fece ricorso a tutte le energie che gli rimanevano per divincolarsi.
Seiya strinse ancora e, mentre uno degli arti del Kraken sprofondava nella sabbia a qualche metro da loro, andò con la mente alle ultime parole che aveva detto a Saori.
“Cercami negli occhi del nuovo cavaliere di Pegasus. Anche se quegli occhi sono i tuoi, ciò che brucia lì dietro è il fuoco che ci ho messo io.”
Il colpo li raggiunse violento e li scagliò lontano di alcune decine di metri. La creatura li aveva sbalzati via muovendosi e ora si preparava a divorarli aprendo le mostruose fauci.
Un groviglio di catene lo raggiunse imbrigliandolo e il cavaliere d’oro percepì il cosmo di Hades.
“Vattene Seiya!” la voce che urlò però era quella di Shun. Seiya avrebbe voluto ma sapeva di essere ferito gravemente e che qualsiasi movimento sarebbe stato oltre le sue possibilità.
“No, Shun, lascia andare il Kraken. Lasciagli uccidere Mars!” gridò notando che anche Mars stava sfruttando il momento per tentare una reazione.
“No! Ho già perso Hyoga! Non permetterò che il Kraken prenda anche te! A costo di perdere completamente il controllo e lasciare questo corpo ad Hades!” urlò Shun, il viso rigato di lacrime nere. I suoi occhi avevano assunto la gradazione del colore di Hades e avevano perso la pietà che da sempre contraddistingueva lo sguardo di Shun.
Forse per questo le catene dell’armatura di Andromeda erano diventate di titanio splendente e riuscivano a trattenere persino la forza della creatura degli abissi.
Marte ne approfittò e, spogliandosi dell’armatura ormai devastata dai colpi di Sagitter, sollevò di nuovo scudo e lancia.
“Volete salvare Seiya? Nessuno lo salverà!” urlò trovando la forza di lanciare per l’ennesima volta la propria arma contro Seiya. Shun non poteva abbandonare la presa sul Kraken e Seiya non aveva più forze. Chiuse gli occhi ma il colpo non arrivò.
Il tridente di Nettuno brillava infilzato nella sabbia. Tra i suoi denti stava imbrigliata la lancia di Marte.
“Non anche tu a difendere questo mortale!” esclamò Marte sollevando lo sguardo su Julian. Il dio si stagliava fiero a qualche metro da lui. Fu in quel momento che Marte la vide. Leggermente dietro al dio dei mari, Atena lo guardava dritto negli occhi.
“Credimi Mars se ti dico che non mi sarei mai aspettato che avrei levato il mio tridente in difesa di Seiya. Tuttavia non lascerò che tu lo uccida davanti a lei.” Gridò Julian.
Seiya tentò di capire cercando di alzarsi e, in un istante, Shaina gli fu affianco.
“Seiya, cielo Seiya, è una ferita tremenda. Devo portarti via da qui! Kanon, dammi una mano!” gridò la donna e Kanon la raggiunse per aiutarla a sollevarlo.
“Lei.” Sussurrò il cavaliere ferito facendo forza sui suoi compagni “Lei è qui.”
“Non è il momento adesso.” lo interruppe Shaina, decisa più che mai a salvargli la vita. Seiya fece resistenza e, sapendo che con la donna non l’avrebbe mai avuta vinta, si rivolse a Kanon.
“Lei è qui?” Il gemello di Saga annuì. “Dovete portarla via. Portatela via. Dov’è Saga? Lui doveva tenerla al sicuro.” Disse piano vomitando sangue.
“E’ al sicuro.” Tento di dire Kanon mentre gli occhi di Shaina si riempirono di lacrime.
“Ora tu mi ascolterai. Lei è Atena. Non una bambola di porcellana. Starà bene. Ti ha lasciato combattere perché sa che non avresti mai accettato di vederla battersi al posto tuo ma ora basta. Lei vuole che ti ritiri. Obbedisci alla tua dea!”
Seiya le asciugò una lacrima dal viso con un gesto carico di tenerezza.
“Tu non ti arrendi mai con me, vero? Anche adesso che una delle tue mani è stretta in quella di quest’uomo?” disse indicando l’altra mano di Shaina che rimaneva chiusa involontariamente in una di quelle di Kanon. “Fino all’ultimo battito. Mi sembra di avertelo già detto una notte di tredici anni fa, Shaina. Il mio cosmo brucia per Atena, il mio cuore per Saori. Fino all’ultimo battito.”
Shaina si sentì sprofondare. Da anni aveva accettato la verità. Aveva imparato a soffrire in silenzio per quella assurda situazione che si era venuta a creare al santuario e, all’improvviso, si rese conto che l’aveva accettata solo per via del bambino. Se Kouga non fosse venuto al mondo, lei forse non si sarebbe mai piegata alla decisione di Seiya di accettare Sagitter e di vivere solo attraverso il riflesso degli occhi di Saori. Il tempo le aveva dato sollievo. Il tempo le aveva dato la compagnia di Saga che soffriva del suo stesso male. Poi, in una sera di festa, sotto mille stelle danzanti completamente fuori posto al santuario, era arrivato Kanon. Aveva sentito qualcosa scricchiolare nel suo cuore di pietra. Tuttavia davanti a Seiya morente, ogni certezza, tutto il calore che le aveva saputo dare Kanon in un’unica notte d’amore, sembrò svanire.
“Morirai. Non pensi a Kouga?” tentò Shaina vigliaccamente facendo leva sull’affetto che Seiya nutriva per il ragazzo.
“Lui si aspetta che io mi alzi e combatta. Ed è quello che farò.” Disse Seiya prima di venire avvolto dal calore più dolce e amorevole che avesse mai sentito.
“Non più.” Le parole di Saori suonarono come una sentenza irrevocabile nonostante la pacatezza con cui furono pronunciate. La fanciulla uscì allo scoperto e camminò fino al punto in cui Shaina e Kanon sorreggevano il cavaliere. Si chinò su di lui e con una mano gli asciugò il sangue dalle labbra.
“Molto tempo fa giurasti di proteggermi. Da allora non sei mai venuto meno a quel giuramento, nella vita e nella morte. Ci sono state volte in cui hai combattuto da solo, altre in cui i tuoi più fidati compagni si sono uniti a te nello scontro decisivo, altre ancora in cui io stessa ti ho spalleggiato. In nome di queste ultime volte, Seiya di Sagitter, vorresti ora guardarmi le spalle mentre mi batto?”
Seiya vide in lei la dea che aveva imparato a temere a ad amare e chinò il capo in segno di assenso. Lei posò una mano sul suo petto e, lentamente, la ferita mortale andò riassorbendosi apparendo così meno grave. Mars la vide stendere le sue mani delicate sul petto del suo primo cavaliere e ne fu geloso.
“Di dunque addio a Seiya cui tieni tanto, Atena, perché morirai. Ricordi che non puoi bruciare il tuo cosmo se non sacrificando la tua vita?”
Saori si alzò e si voltò verso di lui. Lo sguardo della figlia di Zeus lampeggiava negli occhi della donna. Distese il braccio sinistro, quello ferito e lo scudo di Atena comparve sul suo avambraccio. In una luce abbagliante, tutti pezzi dell’armatura di Atena si disposero sul corpo di Saori.
“Credi che non sia disposta a dare la vita per gli uomini che ho difeso dai tempi del mito? Credi che non sia disposta a pagare il prezzo più caro anche solo per uno di loro? Credi che poiché sono debole, io abbia paura di te? Se non fosse stato per la violenza nel cuore di un dio, non avrei mai scoperto l’amore che può provare il cuore di un uomo. Hades” disse poi rivolgendosi a Shun “lascia andare il Kraken. Nessuno ne patirà le conseguenze a parte Mars.”
Hades la guardò negli occhi e comprese. Richiamò la catena di Andromeda e il Kraken si scagliò con tutta la furia di cui era capace contro Mars. Il dio della guerra lottò, si dimenò, urlò e maledì persino il pare di tutti gli dei. Fu divorato dalla bestia senza che potesse fare nulla. Atena sollevò lo scudo e l’onda d’urto creata dal mostro fu respinta dall’egida della dea.
Saori percepì la potenza del titano e si ritrovò in ginocchio. Non poteva cedere. La vita di coloro che amava dipendeva da lei. Lo aveva promesso a Shaina, a Saga, a Shun, a Seiya. Non avrebbe ceduto.
Seiya era stato trascinato da Shaina e Kanon dietro alcune rocce e raggiunto da Shun. La bestia si agitava e avanzava verso Atena che non cedeva neppure di un passo.
D’un tratto Seiya la vide cadere. Un uomo giunse però a sostenerla. Il pensiero che quell’uomo non fosse lui gli fece ribollire il sangue nelle vene. Fu solo un momento però, poiché capì subito di chi si trattasse. Saga era giunto per Saori. Lo vedeva tenerla per le spalle mentre la dea reggeva alto lo scudo. Capì che non poteva restare a guardare. Si alzò nonostante le resistenze di Shaina. Fu Kanon tuttavia a parlare.
“Dobbiamo farlo. Atena ha bisogno di noi.”
“Kanon, è una follia! Lo hai detto tu, solo lo scudo di Atena può distruggere il Kraken!”
“Evidentemente non è così. Cosa dovrei fare secondo te? Stare qui a guardare mio fratello che si immola al posto mio?”
“Saga vorrebbe che tu vivessi.” Disse la donna.
“E’ così.” Confermò Seiya “Saga avrebbe voluto vivere con te, non morire con te. E poi Shaina ha già sofferto così tanto per colpa mia. Tu potresti renderle un po’ di quella felicità che merita. Io devo andare.”
Seiya avanzò fino a che non fu alle spalle di Saori e Saga nonostante il potere che il Kraken emanava respingesse ogni cosa. Kanon lo osservò bruciare il suo cosmo e si voltò a guardare Shaina.
“Non guardarmi con quella faccia, testona! Lo hai amato anche per questo suo modo di fare, vero?”
“No.” disse Shaina tirandoselo contro “L’ho odiato per questo. Tu non eri un generale degli abissi?” Gli chiese stringendo un pugno “ Va’ ma sappi che conto sulla tua capacità di farla franca sempre.”Kanon sorrise, bruciò il proprio cosmo e raggiunse Seiya.
“Che ci fate voi qui?” chiese Saga voltandosi appena senza smettere di sostenere Saori. Seiya sfilò l’arco di Sagitter e incoccò una freccia.
“Credi di poterla lanciare?” fece Saga.
“Fa spostare Saori. Questa freccia non mi ha mai tradito!”Saori si lasciò spingere indietro e guardò Seiya tendere l’arco. Unì le mani e pregò.
Il titano spalancò di nuovo le fauci mentre Seiya preparava il colpo. Il cavaliere concentrò tutta la sua forza nel pensiero che se avesse fallito, Saori avrebbe fatto la fine di Mars e chiuse gli occhi. Improvvisamente sentì un’energia spaventosa entrargli in corpo. Aprì gli occhi e si accorse che Saga e Kanon si erano disposti ai suoi fianchi mettendogli entrambi una mano sulle spalle.
“Usa la nostra forza, Seiya.” Disse Kanon.
“Usala bene, non ce ne resta molta.” Lo rimbeccò Saga.
Seiya guardò la bestia e concentrò tutta quella forza nella punta della freccia.
Poco lontano, Shaina, Julian e Shun osarono sperare nell’ennesimo miracolo di quel piccolo uomo capace di abbattere gli dei.
La freccia si staccò dall’arco come una stella cadente che percorre il suo cammino a ritroso e fu vista da Ikki , Pandora ed Eden che cercavano di raggiungere Shun. Fu vista nelle dodici case in cui i cavalieri d’oro si stavano sbarazzando dell’ultima resistenza dei guerrieri di Marte. Fu vista lungo le vie di Rodorio attraversate da tre giovani cavalieri di bronzo che cercavano Atena.
Il dardo raggiunse la bestia e si conficcò nella sua fronte. La creatura gemette orribilmente e si accasciò all’indietro provocando la frana del crinale di una collina.
Seiya ricadde tra le braccia di Kanon mentre Saga, sfinito, crollava in ginocchio. Saori gli fu accanto e si accorse allora della tremenda ferita che sanguinava dallo squarcio nell’armatura di Gemini.
“Saga, cos’hai fatto?”
“Mi hai costretto tu. Non ti avevo forse dato ad intendere che non ti avrei consentito di sacrificarti?”
Saori sapeva che tra loro esisteva un legame fortissimo nato la notte stessa in cui era venuta al mondo. Era come quel filo rosso cui Saga aveva appeso l’anima di Seiya il giorno che lo aveva colpito con il fantasma diabolico. Un filo rosso fatto di parole non dette, di emozioni soffocate dietro una maschera. Quella del grande sacerdote per lui, quella della dea per lei. Era pronta a lasciarlo andare?
“Non voglio perdere il mio sacerdote.” Disse piano e si sentì egoista.
“Avrai sempre il tuo sacerdote, Atena. Mur siede sullo scranno più alto del tempio.”Saori sgranò gli occhi.
“Non voglio perdere te.” Ammise quindi. Ed era la verità. Saga era stato il custode di tutti i suoi segreti, delle sue debolezze. Si era addossato il suo peccato più grande senza battere ciglio.
“Saori, perdona te stessa.” Disse Saga accasciandosi tra le sue braccia. “Prima che Atena chiedesse il sacrificio di tutti noi, non ha forse destinato se stessa ad una vita di battaglie? Chi ha deciso che non potessi godere anche tu, mia signora, di un po’ di pace, di felicità? Vivi ti ho detto ma tu non hai capito. Vivi per coloro che ti amano. Apri il tuo cuore. Dalla solitudine e dal potere non viene che disperazione. Sii dea di uomini, per gli uomini, tra gli uomini. Seiya non ti ha forse insegnato che noi non sappiamo che farcene di dei che trattano gli uomini come burattini?”
Saori lo strinse. La macchia sul suo braccio non era sparita. La morte di Ares, dio della guerra, non l’aveva liberata. Le rimaneva poca forza ma provò lo stesso. Unì le mani intorno al corpo morente di Saga e pregò. La ferita di Saga smise di sanguinare mentre la macchia si estese lungo il corpo della dea fino all’anca.
Seiya, che fremeva al pensiero che Saori stesse usando le sue ultime forze, non si mosse. Quanto doveva a quel suo eterno nemico? Lasciò che lei gli salvasse la vita.
“Kanon, porta via tuo fratello. Si salverà.” Disse Atena alzandosi in piedi facendo leva sul suo scudo. Kanon scambiò un cenno d’intesa con Seiya, prese tra le braccia Saga e fece per tornare verso Shaina.
“Ci siamo, Saori.” Disse Seiya una volta che furono rimasti soli.
“Lo so. Quella bestia si rialzerà. Devo usare la testa della Medusa incastonata sullo scudo. Posso farlo solo io.” Disse lei.
“Già.” Fece Seiya portandosi una mano dietro la testa come faceva quando era ancora un ragazzino insolente “ma Atena non può scendere in battaglia senza l’asta della Nike.” Disse facendosi serio e inginocchiandosi davanti a lei. In quell’istante Saori lo vide. Sovrapposta all’immagine di Seiya in ginocchio c’era quella del suo scettro.
Il patto della fiamma stava proprio in questo. Atena donava ad un cavaliere il potere della Nike. Da quel patto non ci si poteva tirare indietro. La Nike avrebbe consumato il cosmo del cavaliere fino all’ultimo atomo oppure, se la dea l’avesse richiesta indietro, il cavaliere divenuto l’arma della dea sarebbe morto.
Saori sollevò una mano verso di lui e aprì le dita come a voler afferrare l’asta.
Il Kraken dietro di lei emise di nuovo il suo orrendo lamento e prese a rialzarsi.
“Saori, fa in fretta, non c’è più tempo.” Disse Seiya senza smettere di guardarle l’orlo dell’abito.
“Posso farlo senza la Nike.” Oppose resistenza lei.
“Non puoi e lo sai. Dobbiamo difendere le persone che amiamo. Dobbiamo proteggere Kouga.”Saori fece un passo e la sua mano si sovrappose all’immagine dello scettro.
“Avrei solo voluto avere più tempo.” Disse lei mentre una lacrima le scendeva solitaria dagli occhi.
“Il tempo è sempre troppo breve per chi ne ha bisogno, ma per chi ama dura per sempre**.” Disse lui sollevando lo sguardo. Se doveva morire voleva andarsene perdendosi nei suoi occhi un’ultima volta. “Saori, lo sai.”
Un grido fece alzare lo sguardo di Saori verso le rupi dietro cui avevano trovato rifugio Shun e gli altri.
“Seiya!”
La voce era di Kouga. Il ragazzo brillava di una luce azzurra e oro. Saori sembrò ritrovare parte della sua antica forza.
“Sì, lo so Seiya. Anche io.” Disse ma la sua mano non sfilò lo scettro della Nike dal corpo di Seiya. Gli accarezzo semplicemente il capo. Poi si voltò e sollevò il braccio sinistro ricoperto dallo scudo. “Per un momento stavo dimenticando la cosa più importante, Seiya. Il potere di Atena viene dal cuore degli uomini. Quale forza potrei trarre dalla tua morte?” disse lasciando che la mano destra che avrebbe dovuto impugnare l’asta della vittoria le ricadesse al fianco libera.
Seiya gliela prese e si lasciò avvolgere dal cosmo della dea.
“Seiya!” esclamò lei mentre gli occhi della Medusa andavano lentamente aprendosi sul dorso dello scudo.
“Te l’ho già detto. Non puoi andare in battaglia disarmata. E se non vuoi reclamare il tuo scettro, allora usa me.” Disse Seiya sorridendole e ponendo l’altra mano sull’avambraccio di Saori che sosteneva lo scudo.
A quel contatto l’armatura di Sagitter brillò e cambiò aspetto. Mille intarsi comparvero sull’armatura facendola rifulgere ancora di più e le ali d’oro si fecero leggere e lunghissime.
Il Kraken, incrociato lo sguardo della Medusa, si contorse e cominciò a pietrificare. Prima le possenti zampe e gli artigli superiori poi, mano a mano che il potere di Atena amplificava quello dello sguardo della Medusa, anche il corpo ed infine la testa e le orrende fauci.
Kouga, Yuna, Soma, Shun, Nettuno, Kanon e Shaina rimasero increduli per il miracolo che avevano appena visto compiersi. Anche Ikki, Pandora ed Eden che erano stati condotti sulla spiaggia dalla luce della freccia di Sagitter, rimasero a bocca aperta.
Sopraffatta dallo sforzo, Saori lasciò andare lo scudo e questo svanì insieme alla sua armatura lasciando la donna inerme. Seiya la strinse per impedirle di cadere. Anche l’armatura di Sagitter era tornata ad essere quella di sempre.
“Seiya.” Sussurrò lei.
“Sì, sono qui.”
“Seiya, sono stanca.”
“Lo so.” Fece lui stringendola. Ormai anche una parte del suo bel viso era ricoperto dalla macchia nera. “Saori, se ci fosse un  modo, un qualunque modo per liberarti da questa cosa io” non riuscì a finire la frase. La mano della donna gli accarezzò il viso.
“Ricordi quella notte di tanti anni fa in cui c’era solo un burrone davanti a noi?” Seiya annuì “Mi stringeresti come quella notte?”
Lui la sollevò e se la portò al petto. Lei gli passò una mano intorno al collo. A quel gesto Seiya fu colto da una tremendo senso di paura. Quando quel braccio sarebbe scivolato giù e il suo cosmo si fosse addormentato per sempre, lui cosa avrebbe fatto? Cosa sarebbe stato? Pianse e le lacrime caddero su volto di lei.
“Non piangere. Se potessi resterei con te per sempre. Ma la dea che è in me ha esaurito tutte le sue energie. Avrei dovuto addormentarmi e tornare fra duecentocinquanta anni ma abbiamo spezzato quel ciclo. Non so cosa mi succederà. E ho paura. Io, Seiya, ho paura. E’ questa la mia punizione per aver voluto vivere come una donna?”
“No, amore mio. Hai fatto tutto ciò che andava fatto. Sempre. Riposa serena. Questa sera mi coricherò affianco a te. Te lo prometto.”
“Grazie, Seiya. Per ogni cosa.” Disse Saori mentre la sua mano scivolava dal collo del cavaliere e ricadeva nella sabbia dorata dei lidi di Grecia. Seiya la strinse come a volerla cullare. Il calore amorevole che aveva sempre sentito provenire da lei, stava svanendo. Il dolore che aveva sentito al petto la mattina precedente si fece intenso. Seiya comprese in quel momento che quel dolore non lo avrebbe più lasciato.
“Fino all’ultimo battito, Saori. Te lo prometto.”
Il sole scomparve dietro nuvole scure e una pioggia scrosciante nascose i suoi singhiozzi. Il cavaliere si levò e prese tra le braccia colei che amava più di se stesso.
Un altro grido di Kouga gli gelò il sangue nelle vene. Il Kraken si stava sgretolando a causa di una luce rossastra che lo stava erodendo dall’interno. Spiccò un balzo evitando pezzi di pietra che precipitavano dall’alto e si rifugiò dov’erano gli altri. Finché il cuore di Saori batteva, doveva tenerla al sicuro. Guardò verso le macerie e stentò a credere ai propri occhi. In piedi, dove fino ad un attimo prima c’era il Kraken, nell’armatura di scaglie dorata stava ritto in piedi Isaac generale degli abissi.


Note dell'autrice:
* Bene, allora da dove arriva il Fulmine d'oro? Seiya usa per quasi tutto il tempo il Fulmine di Pegasus (Pegasus Ryu Sei Ken), la Meteora di Pegasus (Pegasus Sui Sei Ken) e la Spirale di Pegasus (Ma va? E cioé Pegasus Rolling Crash). Ma in Omega, per la prima volta, utilizza la tecnica di Aiolos (Davvero l'aveva? Presumo di sì perchè 'Per il sacro Sagitter' proprio non si può sentire anche se ci sono affezionata) che viene chiamata Atomic Thunderbolt. Ho pensato che Fulmine d'oro fosse più aulico di Fulmine Atomico (più in linea con le tecniche di Koji Kabuto!).
**La frase che pronuncia Seiya appartiene alla sceneggiatura di Dracula Untold. Personalmente non cito mai frasi che non siano dell'anime ma quando ho visto questo film, al sentire questa frase ho avuto i brividi. Infine vi trattengo un ultimo secondo. Vi ringrazio per le centinaia di accessi, le recensioni, i messaggi privati che hanno accompagnato la pubblicazione della storia fin qui. Grazie di cuore. siete tutti preziosi. Anche per questa volta, alla prossima! Kisses. 

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Capitolo 21
*** La vita salvata da Kouga - prima parte ***


La vita salvata da Kouga
Prima parte


Ryuho non vedeva Goro ho da molti mesi. L’aria di casa gli fece prendere un respiro a pieni polmoni. Fu però la voce di sua madre ad emozionarlo.
“Ryuho, bambino mio! E tu Kiki, hai un’armatura! Ma sei malconcio! Stai bene? Venite, vi preparo qualcosa da mangiare.” Fece Shunrei abbracciando suo figlio e sommergendolo di affetto e parole.
“Shunrei, purtroppo non siamo qui in visita. Abbiamo ordini di Atena da eseguire.”
La donna si rabbuiò pensando che se c’era un motivo per cui Atena aveva scelto Ryuho per una missione a Goro ho, quel motivo era Shiryu.
“Mamma, dobbiamo parlare con il maestro Dohko e con papà.” Fece Ryuho confermando i suoi dubbi. Shunrei si fece triste. Shiryu era stato gravemente ferito nella battaglia contro Marte tredici anni prima come Shun e la stessa Atena. Da allora era stata lei a prendersi cura di Shiryu e Dohko. Il primo doveva stare continuamente a riposo poiché bruciare il suo cosmo lo indeboliva, il secondo passava lunghi mesi in meditazione alla cascata dei cento draghi. Shunrei guardò suo figlio e rivide in lui il ragazzo di cui si era innamorata molti anni prima. Che sarebbe accaduto ora? Atena glielo avrebbe portato via nuovamente? Si accorse di essere ridicola a fare sempre gli stessi pensieri.
“Venite con me. Sono alla cascata.” Disse prendendo per mano suo figlio. Kiki li lasciò camminare avanti di qualche passo. Lui, che non aveva mai avuto nessun altro a parte Mur, sapeva meglio di chiunque altro quanto potesse essere doloroso essere allontanato dalla propria famiglia. Li sentì sorridere per qualcosa che aveva a che fare con una famiglia di panda e la sua mente volò al Jamir. Forse non era un luogo che si potrebbe definire accogliente, ma quella torre senza porte era la cosa più vicina alla definizione di casa che lui conoscesse. La sua attenzione fu attirata dal forte rumore di acqua scrosciante che proveniva dietro ad alcune piante di bambù.
Fece per scostarle ma Ryhuo gli fece cenno di fare piano e gli indicò due figure che stavano in piedi su una roccia sporgente a diversi metri di altezza sulla cascata.
Le figure si muovevano in modo sincronico ripetendo gesti lenti e misurati con il corpo. Kiki riconobbe Shiryu e Dohko che ripetevano alcuni esercizi di wing chu.
Fu Shiryu a fermarsi per primo avendo percepito il cosmo di Ryhuo. Quest’ultimo fece un balzo e corse ad abbracciarlo.
“Ryuho, cosa è successo ad Atene?” chiese mentre Dohko sollevava il ragazzino per stringerselo come fosse un cucciolo della foresta.
“Padre, c’è Kiki con me. Mur è diventato Grande Sacerdote e vuole il consiglio del maestro Dohko. Mars ha attaccato il tempio.” Dohko lasciò andare il ragazzo e si fece serio.
“Alla fine è accaduto. Marte ha trovato la forza per attaccare di nuovo il santuario!” disse.
“Non solo.” Intervenne Kiki “Il santuario è minacciato dal Kraken che Nettuno ha risvegliato.”
“Il Kraken?” chiese Shryriu e Kiki annuì “Non mi piace questa storia.” Concluse guardando Shunrei che fingeva d’interessarsi ad alcuni fiori che crescevano copiosi nella radura.
“E ti piacerà ancora meno quando saprai che la barriera di Atena è caduta.” Aggiunse il neo cavaliere dell’Altare. Lo sguardo di Shyriu s’indurì.
“E Seiya? Il cavaliere d’oro del Sagittario non è corso in difesa della dea? E’ ancora non si sa dove a non si sa fare cosa?” chiese l’uomo mostrando un certo astio nella voce. Kiki sapeva che, tredici prima, Pegasus e Dragone avevano avuto una furiosa lite che era culminata nell’allontanamento del secondo dal tempio. Seiya si era poi presentato alle sue nozze con Shunrei con un dono ma il rapporto tra loro era rimasto freddo e formale. Fu Ryhuo a rispondere.
“Seiya sta combattendo contro Marte. Padre, manchi solo tu!”
“Ryuho!” intervenne Shunrei con voce decisa “Non parlare con quel tono a tuo padre!” esclamò la donna che, nel frattempo, si era avvicinata risalendo il crinale della collina. L’atmosfera si caricò di tensione. Ryuho abbasò lo sguardo e Dohko alleggerì il momento con una risata.
“E’ un giovanotto pieno d’entusiasmo, non è vero Shyriu?” fece ma, con la coda dell’occhio, vide Kiki voltarsi di scatto. Il cavaliere d’argento allargò le mani ed elevò il crystal wall un attimo prima che delle sfere di poderosa energia colpissero tutti loro. Ryuho si mise in posizione di difesa affianco a Kiki.
Due cavalieri con armature rosse come il fuoco con ali di piume nere come quelle dei corvi apparvero dinanzi a loro.
“Chi siete?” urlò Ryuho “Questo è un luogo sacro ad Atena e il vostro cosmo non appartiene alla dea!”
Il cavaliere che aveva occhi e capelli scuri come la notte più nera rise ma fu l’altro a parlare.
“Noi siamo Phobos e Deimos. Siamo gli araldi di Marte. Questo non è un luogo sacro ad Atena. Questo è l’accesso al giardino delle Esperidi. Voi umani non avete il diritto di calpestare un luogo tanto divino.” Disse lanciando un nuovo colpo sotto il quale il crystal wall cadde in frantumi. Dohko avanzò e li fronteggiò entrambi.
“Se sapete questo,” disse il cavaliere d’oro “sapete anche che a difesa del giardino è posto un custode!”
Shyriu si chiese se, dopo tutti quegli anni, ci fosse ancora qualcosa che non sapeva del suo maestro.
Deimos, che sembrava più impaziente dell’altro cavaliere, lanciò un altro colpo. Dohko si preparò a bloccarlo ma fu Ryuho ad intercettarlo con lo scudo del Dragone.
“Maestro! Lasciali a me. Sono giunto fino qui perché voglio prendere parte anche io alla battaglia che è cominciata al santuario. Gli anni che ho passato in Grecia mi hanno insegnato che sono parte di una grande famiglia. Qui ci siete voi, certo! Ma ad Atene ho lasciato Yuna, Soma, Kouga che sono come fratelli per me. Se questi due sono qui e non ad Atene dove infiamma la battaglia, allora vuol dire che c’è qualcosa che interessa a Marte da queste parti. Io, Ryuho del Dragone, li combatterò perché è mio compito di cavaliere difendere Atena ma è mio desiderio di uomo proteggere i miei fratelli!”
Shyriu sentì qualcosa tirare dentro al cuore. Quell’ardore, quella ferrea volontà di proteggere i propri compagni, quando l’aveva persa? Quando aveva consentito all’amarezza di soffocare l’amicizia che provava per Seiya, Shun, Hyoga ed Ikki?
La vita li aveva allontanati ma lui non aveva fatto nulla per impedirlo crogiolandosi nell’amore di Shunrei e nell’orgoglio della paternità. Orgoglio. Orgoglio per un figlio così in gamba. Mise una mano sulla spalla di Dohko e questi si voltò verso di lui. Il maestro guardò negli occhi del suo eterno allievo e comprese immediatamente.
“Non chiedermelo. E’ tua da anni ormai.” Disse raggiungendo Shunrei che nascose il volto contro il suo petto. “Dietro la cascata dei cento draghi si nasconde l’accesso al giardino delle Esperidi. Si tratta di un luogo sacro alla dea Hera. Nessuno vi ha mai messo piede. Molti, molti anni fa, mi sono battuto contro il cavaliere che custodiva il suo ingresso. Ladone morì riconoscendo il mio valore e mi affidò il compito di proteggere il giardino da eventuali intrusi. Con il permesso di Atena, accettai. Ladone era un uomo di valore anche se apparteneva ad un altro olimpo.” Shyriu annuì poi si rivolse a Shunrei.
“Non avercela con me. Voglio combattere con Ryuho.” Shunrei sollevò il volto e Shyriu pensò che non era mai stata tanto bella. I suoi occhi, pieni di lacrime, erano carichi di orgoglio e determinazione.
“Proteggi nostro figlio, amore mio.” Disse solo e Shyriu chiuse gli occhi. Una luce dorata l’avvolse e l’armatura di Libra si dispose su di lui mentre la macchia nera della maledizione di Marte sul suo torace si allargava lentamente.
“Coraggio Ryuho, facciamo vedere a questi due di che pasta sono fatti i draghi del Monte Lu!” Il ragazzo annuì ma Deimos e Phobos, unendo i loro poteri, colpirono la cascata rivelando l’accesso al giardino.
“Andiamo Deimos, non abbiamo tempo da perdere.” Fece Phobos violando il giardino. Ryuho e Shyriu si lanciarono al loro inseguimento.
Una volta dentro il giardino delle Esperidi, i due cavalieri di Atena rimasero sconcertati dalla straordinaria bellezza di quel luogo. Shyriu aveva visto l’Elisio ma non aveva percepito la sensazione che provava ora. Era come se la natura del luogo fosse mille volte più rigogliosa di quella che cresceva nel territorio di Goro ho. Piante di un verde smeraldo brillanti crescevano a perdita d’occhio e i fiori erano tinti di mille colori sgargianti. Una tiepida brezza accarezzava le foglie degli alberi che sembravano emettere un suono come di campanelli. Shyriu vide che i cavalieri di Marte si erano diretti velocemente in uno spiazzo in cui campeggiavano alcuni alberi rigogliosi. Il cavaliere riconobbe subito i pomi dorati e incitò il figlio a raggiungere i loro avversari.
“Fermi!” gridò Libra “Allontanatevi da quegli alberi!”
“Sciocchi. Questi alberi appartengono a colei che è la genitrice del nostro signore. Coglieremo uno dei frutti come ci ha ordinato e voi non ci fermerete!” Gridò Deimos lanciandosi contro Shyriu. Ryuho provò ad aiutare suo padre ma venne bloccato da Phobos.
“Cosa credi di fare, moccioso? Tu perirai prima di lui. Nero Timore!” fece Phobos lanciando contro il giovane cavaliere del Dragone il suo colpo migliore. Ryuho cadde in terra ferito ad una spalla. Suo padre, con Deimos, non ebbe migliore fortuna. I due araldi di Marte sembravano superiori e si accingevano a combinare il loro potere per finirli.
“Vieni Phobos, spazziamo via questi vermi! Urlo di Terrore!” gridò Deimos.
“Non avete più scampo, non potete battere delle divinità. Nero Timore!” si unì Phobos.
Shyriu trovò però la forza di rialzarsi e usò entrambi gli scudi della Bilancia per difendere Ryuho.
“Non vi lascerò uccidere mio figlio a costo di usare la pienezza del Dragone e perdere la mia vita. Il mio maestro mi ha riconosciuto degno della sua armatura. Difenderò il giardino delle Esperidi in sua vece. Colpo dei cento draghi!”
“Sei solo un mortale! Cosa pensi di fare?” esclamò Deimos.
“Ho avuto l’onore di combattere al fianco di un uomo che ha trovato in sé la forza di uccidere un dio. Per lungo tempo ho voluto dimenticare il suo ardore ed il suo coraggio. Non più. Mio figlio mi ha dato una dura lezione oggi. Non si lascia indietro la fratellanza. Mai!” disse concentrando tutta la sua energia.
“Allora lascia che quel figlio ti dia tutto l’aiuto che può!” disse Ryuho alzandosi e mettendosi al suo fianco.
“Phobos, lasciali a me e prendi una delle mele d’oro!” Il cavaliere dagli occhi di ghiaccio era sicuro del suo compagno e lasciò la presa sul colpo che stavano lanciando per cogliere uno dei frutti. Fu allora che Ryuho unì la sua energia a quella del padre e i cento draghi lanciati dal pugno di Shiryu divennero candidi come la neve e luminosi abbattendosi tutti insieme su Deimos. L’araldo di Marte fu colpito e ricadde all’indietro.
“Phobos, fuggi.” Disse spirando ma questi si ritrovò nella stretta tra Ryuho e Shiryu.
“Non andrai da nessuna parte.” Disse Libra “Consegna quel frutto.”
“Mai!” urlò cercando di colpire Ryuho che gli sembrava meno forte dell’altro avversario. Si sbagliava. Ryuho si disfò della sua armatura e lo fronteggiò a mani nude.
“Imparerai a tue spese e sulla tua pelle la forza di un cavaliere di Atena!” fece il ragazzo lanciando la Pienezza del Dragone. Phobos rovinò in terra e il suo corpo, insieme a quello del fratello , assunse la forma di un corvo. La mela rotolò fino ai piedi di Shiryu.
“Erano solo spiriti. Ora che li abbiamo sconfitti hanno assunto la loro vera forma. Usciamo da qui. Non è posto che gli uomini possono calpestare impunemente.” Disse il più anziano.
“Padre, se Marte voleva la mela, forse può decidere le sorti della battaglia.” Disse Ryuho.
“Hai ragione. Portiamola con noi. Ryuho, è stato un onore battermi insieme a te.” Il ragazzo abbassò il capo arrossendo.
“Sognavo questo momento da una vita. Mi hai dato la forza per vincere. Grazie papà.”
“Ora andiamo ad aiutare Seiya. Vuoi?” chiese Shiryu. Ryuho annuì e insieme uscirono dal giardino divino. Appena furono fuori, Dohko usò il proprio cosmo per sigillarlo di nuovo e far scorrere di nuovo la cascata giù per il Monte Lu.
Si abbracciarono sorridendo per l’impresa quando il silenzio calò e tutti guardarono Kiki. Il ragazzo strinse i pugni.
“Atena si è addormentata.” Disse solo il cavaliere dell’Altare “Io devo tornare.”
“Veniamo con te.” Disse Shiryu prima di voltarsi verso Shunrei.
“Non dire niente, Shiryu.” Disse lei, dolcemente.
“Ti amo. E non ho fatto mai nulla per essere amato da te. Hai sofferto molto per causa mia, Shunrei. Prega un’ultima volta per me.” Lei gli si gettò tra le braccia e lo strinse.
“Ho sempre pregato per te. Confido che qualcuno ascolti sempre le mie preghiere. Per una volta non vorresti lasciarmi sperare che le ascolterai tu stesso?” Shiryu sorrise.
“Non ti ho mai fatto promesse e non comincerò ora. Ma devi sapere che gli anni passati con te sono stati i più belli della mia vita e che farò ogni cosa è in mio potere per tornare da te.”Shunrei lo lasciò andare e poi strinse suo figlio.
“Bada a tuo padre.” Disse baciandolo prima che la luce del teletrasporto di Kiki li portasse tutti via lasciandola nuovamente sola. Raggiunse lo spuntone di roccia che dava sulla cascata e s’inginocchiò.
“Atena, se puoi ascoltare ancora le mie preghiere, proteggi Shiryu e Ryuho. Proteggili tutti.”
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Seiya strinse Saori al petto mentre fissava Isaac rilucere nella sua armatura di scaglie. Il cavaliere sorrideva ma non diceva una parola. Julian camminò fino ad affiancare Seiya e parlò.
“Isaac, raggiungi gli altri generali degli abissi.” Disse il dio con tono deciso.
“Julian, sta indietro.” Fece però Seiya tirandolo per un braccio in un inconsueto gesto di confidenza. Lui ne fu colpito e si voltò a guardarlo. Seiya scosse il capo. L’incarnazione del dio Nettuno si fermò per un secondo a guardarlo. Il suo eterno rivale sembrava sfinito.
Isaac sollevò improvvisamente il braccio e la lancia di Marte, che era stata sbalzata tra le dune durante il combattimento contro il Kraken, volò nella sua mano.
“Isaac, cosa fai!” tuonò Julian ma il generale, invece di obbedire, rise. In quel momento fu chiaro a tutti che quello non era Isaac.
“Poveri illusi! Avete cantato vittoria troppo presto! Non vi avevo forse avvertiti che la magia di Medea è potente? Grazie al suo incantesimo, il mio spirito può prendere il controllo di qualunque corpo. Potete uccidere il mio corpo dieci, cento, mille volte! Non serve a nulla! Atena si è sacrificata per niente!” concluse Marte ridendo.
Julian richiamò allora il tridente e lo puntò contro Isaac. L’armatura di scaglie ricadde in terra in pezzi.
“Credi che ti lascerò usare i miei doni per proseguire in questa follia?” disse il dio.
“Non ho bisogno di un’armatura tanto debole per schiacciarvi tutti. Apocalisse di sangue!” gridò Marte e un’onda rossa di luce si dipanò dal suo corpo.
Seiya diede le spalle al dio e circondò con le ali di Sagitter il corpo di Saori. Julian tuttavia impedì a quel potere di toccarli. La sua corona volò via mentre un rivolo di sangue gli corse giù lungo la fronte.
“Seiya porta Saori al sicuro. Mi batterò io con lui. Forse ora non serve più a niente ma io ho cominciato tutto tredici anni fa e io vi metterò la parola fine.” Disse il dio.
“Tu non metterai fine proprio a nulla!” esclamò Marte “Avete rovinato i miei piani. Tutti e due. E vi ucciderò!” rispose Marte.
Seiya richiamò con lo sguardo Kanon e gli affidò Saori. Il generale si stupì della delicatezza con cui gliela posò fra le braccia. Per Seiya, evidentemente, Saori non era morta. Il cavaliere del Sagittario le posò un bacio sulla fronte e si rialzò.
Kouga lo vide prendere posizione al fianco di Nettuno. Lui non aveva mai accettato la vita del cavaliere. Aveva scelto di combattere per l’armatura al solo scopo di avere il consenso per andare a cercare i suoi genitori. Eppure ora capiva. Capiva cosa significava scegliere di vivere una vita intera al servizio di un ideale. Era quello il destino di Seiya? Morire combattendo in nome di Atena? I suoi occhi si spostarono dalle spalle dorate dell’uomo alle esili braccia di Saori. Era morta? Morta senza che lui potesse dirle la cosa più importante? Era stato quello il destino di Atena? L’immagine del mattino al lago con Saori e Seiya tornò prepotente nella sua mente. Sollevò il polso e vide che il bracciale di fiori che la donna gli aveva messo al polso era sempre lì. Rigoglioso nonostante gli scontri e i colpi lanciati e ricevuti. Sollevò di nuovo lo sguardo sulla schiena di Seiya e un’altra immagine gli si materializzò davanti agli occhi. Un cielo scuro pieno di stelle luminose. Una manina che cercava di toccarle. Due braccia forti che lo sollevavano e se lo issavano su una spalla e una voce.

Adesso sono così vicine che le puoi toccare, vuoi prenderne una? Scegli bene, figlio mio.

Perché l’aveva scordato? Perché aveva dimenticato la sua manina indicare la costellazione di Pegaso? Perché?
Ora capiva che significava non avere paura del proprio futuro perché si conosce il proprio destino. Seiya conosceva il suo. Lo aveva abbracciato tante di quelle volte da sapere esattamente dove fosse la sua stella in quel cielo sconfinato. Yuna una volta gli aveva detto che ogni cavaliere è una stella del cielo e che grazie al loro movimento si può conoscerne il futuro. Yuna. Si voltò per un momento a guardarla. Era fremente per la battaglia, ansiosa per le sorti di suo padre. Si voltò allora a guardare Soma. Anche lui era desideroso di combattere. Il rumore dei colpi dello scontro che vedeva opporsi Marte da un lato e Nettuno e Seiya dall’altro, lo scosse dai suoi pensieri.
“Non capite? Ora non solo ho i miei poteri ma anche la forza del Kraken che questo corpo ha assorbito!” urlò il dio della guerra respingendo i loro colpi e ferendoli “Sono il dio della guerra! Nessuno può sconfiggermi!”
La lancia di Marte s’illuminò di nuovo di una sinistra luce porpora. Julian fece un passo indietro e gridò.
“Seiya, spostati! Se usa il suo potere unito a quello del titano, nessuno potrà fermarlo!” Seiya rimase immobile.
“Mi hai mai visto cedere? Non comincerò nell’ultimo dei miei giorni. Io resterò in piedi anche dopo questo colpo. Lo devo ad Aiolos, lo devo a Saga, lo devo a Hyoga, lo devo persino ad Hades. Lo devo a Saori. Qualunque cosa accada, questo è il mio destino. Il destino di una vita intera.”
La furia di Marte fece vorticare l’aria che si concentrò sulla punta della sua lancia. Il dio la scagliò addosso a Seiya. Una luce abbagliante ferì gli occhi dei presenti. Quando Seiya, insieme a tutti gli altri, li riaprì la lancia era ad un palmo dal suo viso. Immobile. Saldamente stretta nel pugno di un ragazzo che imbracciava uno scudo d’oro. Gli occhi di Seiya e quelli di Marte fissi su di lui. Kouga splendeva di un cosmo caldo e protettivo.
“Kouga.” A Seiya uscì appena un filo di voce.
“Sono qui. Ora lascia che mi batta io. Ti prego.” Rispose il ragazzo che, con un gesto deciso, rilanciò l’arma che aveva in mano al suo legittimo proprietario.
Marte la prese e con un gesto altrettanto deciso la infilzò nel terreno sollevando poi entrambe le mani.
“E perché dovrei battermi con te?” esclamò il dio. Kouga abbassò di poco lo scudo che si era saldato al suo braccio non appena aveva desiderato che apparisse, come era accaduto il giorno in cui lo aveva a malapena sfiorato nelle stanze di Atena.
“Se pensi che non sia alla tua altezza, ti sbagli!” urlò il ragazzo. Marte rise malignamente.
“Al contrario! Temo il mio avversario che ferma la lancia di Marte e imbraccia lo scudo di Atena!” disse allargando le braccia.
“Combatti allora!” lo incalzò Kouga.
“E perché dovrei combattere contro di te? Tu sei ciò che ho cercato per tutti questi anni. E’ chiaro che sei stato tenuto all’oscuro di tutto!”Kouga, nell’udire quelle parole, sussultò.
In quel momento Kouga si sentì chiamare dai suoi compagni e si accorse che, a ridosso di Seiya e a Nettuno che ancora stavano appena dietro a lui, Saga si era ripreso e aveva sollevato Saori per portarla tra i cavalieri d’oro che erano tutti accorsi al suo capezzale. Insieme a loro c’erano Kanon, Shaina e la famiglia di Eden insieme a Shun che stringeva il corpo di Hyoga.
Vide Mur scuotere il capo indicando Saori e Saga alzarsi e correre verso di loro. Quando fu vicino a Seiya e Julian, si rivolse a lui.
“Kouga, getta lo scudo e vieni qui per l’amor del cielo!”
“Io voglio combattere. Voglio salvare Seiya!”
“Io non ho bisogno di essere salvato,” s’intromise Seiya “Vieni dietro a me, Kouga.”
“Non ascoltarli, ragazzo!” fece Marte “Noi due abbiamo un paio di cose di cui discutere.”
Julian, che si era impietrito di fronte alla prova data da Kouga, prese la parola.
“Cavaliere di Pegasus, dovresti obbedire a due cavalieri d’oro. Sono faccende più grandi di te. Fatti da parte.” Disse avanzando e cercando di portare Kouga dietro la linea creata dai suoi alleati. Marte se ne accorse e lo colpi con una potente sfera di energia.
“Stupido! Quel ragazzino mi appartiene!” gridò Marte.
“Io non ti appartengo affatto! Sono un cavaliere di Atena!” replicò Kouga. Marte guardò dritto negli occhi Seiya e batté le mani.
“Siete stati bravi a mantenere il segreto per tutti questi anni! A questo serviva la barriera. Ad impedirmi di percepire il suo cosmo. Il cosmo del figlio di Atena!” disse indicando Kouga. Seiya e Saga strinsero contemporaneamente i pugni mentre Julian continuava a fissare il ragazzo chiedendosi come avesse fatto a non accorgersene subito. Pandora strinse forte Eden ed Ikki si girò a guardare Shun realizzando subito che suo fratello sapeva già ogni cosa.
I cavalieri d’oro guardarono insieme Saga. Forse ancora una volta Gemini li aveva gabbati tutti? Shaka aprì i suoi occhi e li fissò in quelli di Mur. Anche lui sapeva.
Si alzò un vocio tra i presenti e l’atmosfera si fece pesante. Fu Kouga a parlare.
“Io so tutto! E non mi farò più da parte! Proteggerò i miei genitori!” esclamò il ragazzo.
“Allora deponi le armi, Kouga, poiché se Atena è tua madre, io sono tuo padre!”
Kouga si sentì sprofondare. Cosa voleva dire quella frase? Lui credeva di avere compreso la verità. Seiya non gliela aveva fatta capire la notte prima? Esplose.
“No! Io non sono tuo figlio!”
“Da chi credi di avere preso questo coraggio e questa forza?”Kouga si voltò d’istinto a guardare Seiya ma Marte non aveva finito “Davvero credi che lui possa darti una risposta? Coraggio Seiya di Sagitter, confessa! Confessa che hai miseramente fallito tredici anni fa nella tua missione di proteggere Atena! Di a tutti che ho posseduto la divina Atena e che lui è il frutto di quella unione!”Kouga si fiondò addosso a Seiya e lo scosse.
“Seiya, Seiya, dimmi che non è vero!” Il cavaliere non aprì bocca. Lo sguardo puntato a terra. Il vocio si spense in un silenzio irreale e forse fu per questo che la voce di Saga risuonò imperiosa.
“E’ vero. Ma Atena ti ha amato come se non fossi il figlio di quella violenza.”
A quelle parole gli occhi di Seiya si sollevarono e si piantarono in quelli di Gemini come due lame. Kouga prese il gesto come la conferma a tutti quei dubbi e si allontanò di qualche passo. Marte ne approfittò.
“Dunque, figlio mio, vieni a me!” disse aprendo di nuovo le braccia “Se ti schiererai dalla mia parte, potrei addirittura decidere di ridare a tua madre l’energia vitale di cui l’ho privata in questi anni! In fondo ha fatto esattamente ciò che volevo da lei.” Kouga guardò Saori e poi Marte.
“Puoi davvero riportarla in vita?” chiese il ragazzo.
“Non è morta. Ha solo perso il suo cosmo. Posso renderglielo se vuoi riabbracciare tua madre. Però dovrai venire con me. Senza resistenze!”Kouga abbassò lo sguardo sullo scudo e lo lasciò andare.
“Se la riporti in vita io farò ciò che tu vuoi.” Disse Kouga con la voce rotta dalla tristezza e mosse un passo verso Marte.
Fu allora che sentì la mano di Seiya posarsi sulla sua spalla. Contemporaneamente, ricambiando quel gesto di inconsueta confidenza, Julian prese il braccio di Seiya.
“Non farlo. Ne va della tua vita, Seiya. Un nuovo dio può essere tollerato, un semidio non può essere accettato dagli dei. E colui che l’ha generato non può essere lasciato in vita. Seiya chiuse gli occhi e prese un respiro. Quando li riaprì Julian vide la determinazione del ragazzo che si era scagliato contro la colonna portante di Atlantide. Non c’era più stanchezza sul suo viso. Gli occhi fiammeggiavano di potere.
“Io non posso permetterlo.” Disse divincolandosi “Kouga, non farlo. Tua madre non vorrebbe.”
“Io voglio salvarla! Non ho avuto neppure il modo di dirle che le voglio bene!” gridò Kouga disperato.
“Lo so.” Disse Seiya ma Kouga lo interruppe.
“No! Tu non sai niente. Tu le hai sempre fatto capire che le volevi bene! E lei ne voleva a te! Non ho mai neanche potuto parlarle come ad una madre! Se Marte può restituirmela, allora farò ciò che vuole. Non l’hai detto tu che dovevo proteggerla?” gridò ancora con la voce rotta dal pianto poi strinse i pugni e scostò la mano di Seiya da sopra la sua spalla. “In fondo devo solo obbedire a mio padre.”
Seiya guardò Marte che sorrideva poi si voltò verso Saga che lo fissava con disapprovazione. Passò in rassegna con gli occhi Shun che annuì stringendo più forte il corpo di Crystal, Ikki che si premette addosso Eden, Mur che scosse il capo mostrando lo stesso dissenso di Saga, Aiolia e tutti gli altri cavalieri d’oro. Infine raggiunse il corpo di Saori. Indugiò con lo sguardo sul suo viso e poi ritornò a fissare Marte.
“Kouga, non devi. Perché tua madre non lo accetterebbe e perché tuo padre te lo impedirà.” Concluse tirandolo a sé e nascondendolo alla vista di Marte con le sue possenti ali dorate. Il dio cambiò espressione passando dal sarcasmo e dall’alterigia che aveva mostrato fino ad un attimo prima alla rabbia più nera. Lanciò un urlo e un muro di fiamme avvolse il cavaliere di Sagitter.
 

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Capitolo 22
*** La vita salvata da Kouga - un salto nel passato - ***


 
Avvertenze per i lettori:
Questo capitolo è particolarmente delicato per le tematiche trattate. Vi prego di leggerlo tenendolo ben presente. Vi ringrazio per l'affetto che state dimostrando alla storia. Arigatou...


La vita salvata da Kouga
- un salto nel passato -


Il muro di fiamme davanti a Seiya avviluppava gli stipiti delle finestre dell’orfanotrofio. I bambini erano stati portati tutti al sicuro da Kiki che lo aveva avvertito dell’incendio. Lui però non era lì per i bambini. Saori era accorsa in loro aiuto e non era più uscita dallo stabile. Seiya si lanciò all’interno del palazzo che bruciava e cominciò a chiamare il suo nome. Ogni volta che un muro cedeva e il rumore del crollo attirava la sua attenzione, temeva di trovare Saori sotto un cumulo di macerie fumanti. Non sentiva più il suo cosmo e questo lo terrorizzava. Strinse i pugni e riprese a cercare. Un altro crollo lo costrinse ad arretrare ma in quel momento percepì il cosmo di Mars.
Raggiunse quello che fino alla notte prima era stato il dormitorio delle bambine e li vide. Seiya non avrebbe più dimenticato quella scena. Saori era distesa, il volto tumefatto, sul pavimento. I suoi abiti erano stati strappati e le sue guance erano rigate di lacrime. Mars le teneva polsi fermi sopra la testa e cercava di forzarla mordendole avidamente il collo.
Seiya registrò il suo dolore in un angolo della sua mente per cancellare, un istante dopo, fino all’ultima briciola di umanità.
Si scaraventò addosso a Mars Kreutz con tutta la forza di cui disponeva e lo sollevò per le spalle spingendolo lontano dalla donna che rimase immobile sul pavimento.
Mars, che evidentemente non si aspettava di essere interrotto, reagì con una frazione di ritardo consentendo a Seiya di schiacciarlo contro la parete della stanza che ancora non era stata divorata dalle fiamme.
“Avrei dovuto immaginarlo, non è vero Seiya?” disse Mars ridendo senza divincolarsi dalla presa dell’altro, limitandosi a mostrare un sadico ghigno.
“Avresti dovuto immaginarlo, sì.”
“E’ troppo tardi per lei. E' mia, mi appartiene!” Seiya spinse più forte il braccio destro contro la sua gola digrignando i denti “Tu non puoi opporti alla volontà di un dio!” Gridò spintonandolo.
Seiya arretrò di qualche passo e si preparò a sferrare un altro pugno. Mars lo schivò e, a propria volta, colpì Seiya al volto. Mars si chinò su di lui e lo prese per il bavero della maglia tirandolo su fino a che i loro visi furono vicini.
“Cosa può fare un misero mortale come te? Lei è una dea. Tu non sei degno!” disse il dio della guerra, feroce nel portare colpi allo spirito del guerriero prima che al suo corpo. Sorrise ma la sua espressione mutò in una smorfia di dolore. Lasciò andare Seiya che barcollò senza cadere. Si portò una mano all’addome e un liquido caldo gliela riempì. Guardò Seiya che stringeva una daga sporca di sangue.
“Ecco cosa può fare un misero mortale come me.” Disse ansimando Seiya.
“La daga in grado di uccidere un dio, un’arma sacra dell’epoca mitologica. Come puoi averla tu?” disse Mars cominciando a tremare.
“Atena l’aveva sigillata nel suo tempio perché è un’arma proibita, un’arma deicida.” Rispose Seiya.
“Tu sei un umano! Non puoi usarla!”
“Non ho paura delle conseguenze! Se servirà ad annientarti, la userò ancora!” replicò Seiya lanciandosi contro Mars. Una nube nera però avviluppò Marte che si abbandonò ad essa. Medea apparve dal nulla e strinse il suo signore.
“Hai vinto la battaglia Seiya, ma pagherai questo affronto!” gridò la strega scomparendo con il dio della guerra all’interno della nube.
Solo quando i due svanirono Seiya realizzò che Saori era ancora lì. Si voltò e la raggiunse. Era stata picchiata selvaggiamente. Si morse le labbra e osò dire il suo nome.
“Saori.”
La donna non rispose né si mosse. Seiya allungò una mano e lei si tirò le mani sul viso come a volerselo difendere. Il cuore di Seiya si spezzò. Come aveva potuto permettere una cosa simile?
“Saori, sono io.” Lei ritirò le mani ma non mosse il capo. Le lacrime avevano smesso di cadere. Seiya si inginocchiò al suo fianco e le passò una mano sotto le spalle. La tirò su lentamente poggiandosela al petto. Con l’altra mano le spostò una ciocca di capelli sporca di sangue dal viso. “Saori, ti porto via da qui.” Una delle mani di Saori strinse la stoffa rossa della maglietta del ragazzo.
“Hai usato la daga deicida. Non ne avevi il permesso.” La voce di Saori era priva di qualsiasi emozione. Incerta per il dolore al viso oggetto di violenza.
“Saori.” Disse di nuovo sottovoce Seiya “Ti porto via.”
L’uomo le passò l’altro braccia sotto le ginocchia ferite e la prese in braccio. Le fiamme avevano reso l’aria irrespirabile. Cercò l’uscita più agevole e raggiunse l’aria aperta. Il fumo che si era alzato dall’edificio, ormai mutato in una pira, aveva coperto le stelle. Seiya percepì il cosmo di Mur e di Camus che probabilmente accorrevano in aiuto suo e di Atena e si allontanò in fretta.
Non avrebbe consentito a nessuno di vedere Saori in quello stato. C’era un solo posto dove poteva portare l’incarnazione della dea Atena senza timore di essere seguito né trovato. Nulla importava violare un’altra delle regole fondamentali del grande tempio. Non aveva forse preso la daga deicida senza il permesso né di Atena, né del grande sacerdote in preda alla determinazione di uccidere Mars Kreutz?
S’incamminò fino alle pendici dell’Altura delle Stelle. Quando Saori, che aveva chiuso gli occhi e chinato il capo senza più proferire parola, percepì il potere del luogo, mosse appena la testa. Seiya accolse il suo silenzio come un permesso di proseguire e scalò l’altura. Raggiunse la cima con un forte senso d’ansia ad avviluppargli il cuore. Non immaginava di trovarsi di fronte un simile spettacolo.
L’Altura delle Stelle era un picco che culminava in uno spiazzo grande poco più di quello in cui era stata posta la statua di Atena alle spalle della tredicesima casa.
Sul lato opposto a quello a cui giungeva la scalinata d’accesso, c’era un minuto e modesto altare su cui stava un piccolo braciere. Era spento. Sul lato destro dell’altare di marmo era cresciuta una pianta piena di minuscoli fiori rosa. L’unica nota di colore del luogo. Ancora più a destra un tempietto in stile dorico.
Una goccia di pioggia cadde su una delle spalle di Saori e, nel cielo, un baleno diede ad intendere che un temporale era in arrivo.
Seiya si affrettò a trovare riparo nel piccolo tempio scoprendo così che non lo era.
Era come una delle dodici case. Un rifugio forse riservato al grande sacerdote per la preghiera. All’interno c’erano solo un tappeto e alcuni cuscini e un vassoio posato sulla nuda pietra che ospitava un’anfora piena d’acqua.
La pioggia cominciò a cadere con fruscii mano a mano più violenti. Seiya depose Saori sui cuscini. Lei si tirò ciò che restava del chitone sulle spalle. Seiya si guardò intorno cercando qualcosa che potesse usare come una coperta ma trovò solo un lungo telo che veniva usato per coprire l’altare nei giorni assolati. Ne strappò un pezzo con un gesto deciso che fece sussultare la donna poi lo ripiegò in due e glielo lasciò scivolare intorno al corpo. Usò la stoffa che aveva strappato per intingerla nell’acqua dell’anfora. Si inginocchiò davanti a lei e prese a bagnarle piano piedi e caviglie. Lei rimase ferma e lo lasciò fare mentre lavava via il sangue che cominciava a rapprendersi intorno alle ferite. Aveva lottato Saori. Lo dimostravano le ginocchia abrase, i lividi sulle anche e sui polsi, le guance gonfie e le labbra spaccate. Seiya le lavò ogni graffio e ogni taglio, cercò di capire se in corrispondenza dei lividi ci fossero ferite più gravi. Saori si ritrasse solo quando provò a guadarla negli occhi. Voltò la testa di lato fissando le gocce gonfie di pioggia che si infrangevano sulle scale del tempietto.
“Saori, guardami.” Disse piano, pregando. Nessuna risposta.“Saori, voglio che mi guardi.” L’incarnazione di Atena strinse più forte il telo che l’avvolgeva.
“Non sono più degna.” Disse senza scostare lo sguardo dalla pioggia. Seiya le mise due dita sotto al mento e fece forza. Lei cedette quasi subito. Allora due occhi carichi di disperazione gli si piantarono nel cuore annientando le ultime difese di Seiya.
“Smettila! Che sciocchezze vai dicendo? Non essere stupida!” gridò prendendola per le spalle. Anche i nervi di Saori cedettero.
“La verità!” gridò “Cosa resta delle virtù di Atena in me ora? Guardami! Guardami Seiya! Non c’è riparo ormai! Dovrei morire! Io dovrei gettarmi giù da quest’altura e rendere il potere che è in me al cosmo!” disse improvvisamente alzandosi e correndo fuori dal tempio.
Seiya la raggiunse e la tirò a sé. Lei si dimenò ma lui non la lasciò andare fino a che lo scroscio della pioggia non fu l’unico rumore a riempire l’aria.
“Saori, te ne prego, piangi.” Disse allora Seiya senza aggiungere altro. Dapprima lui avvertì solo la presa di lei sul petto farsi più intensa poi, lentamente, i singhiozzi si fecero sempre più forti e Atena pianse. Per la vergogna, l’umiliazione, il dolore. Seiya le mise una mano sulla nuca e non la lasciò andare.
Quando l’ultima lacrima fu versata e l’ultima goccia di pioggia caduta, Saori osò alzare il viso verso quello dell’uomo che le aveva offerto sostegno. Seiya guardava il cielo. Ora era limpido e pieno di stelle. Il suo profilo si stagliava lungo le stelle della costellazione di Orione e Saori si fermò a contemplare quello spettacolo. La voce di Seiya giunse calma e sicura.
“Ha smesso. E’ passato.”
“Non è vero.” Disse lei. Seiya abbassò lo sguardo e le sorrise. Uno di quei sorrisi che Saori gli aveva visto riservare a Shiryu, Shun e a Kiki, magari. Uno di quei sorrisi che Seiya faceva quando non indossava l’armatura di Pegasus. Uno di quei sorrisi che di solito non erano per lei.
“Hai pianto abbastanza. Ora basta.” Disse.
“Non è abbastanza per lavare via la vergogna.” Disse Saori chinando il capo.
“Ma quale vergogna? Non devi pensare una cosa tanto orribile dopo quello che ti è capitato.” Saori si toccò il viso ferito.
“Fa male.” Disse piano. Lui le prese la mano e se la portò alle labbra.
“Guarirà. Te lo prometto.” Lei piantò i suoi occhi azzurri in quelli scuri di Seiya e tutta la sicurezza che l’uomo aveva mostrato sembrò vacillare.
“Se tu non fossi arrivato, io, io mi ero arresa.”
“Sono arrivato. Non smettere mai di contare su di me, Saori.”
“Anche adesso?” fece lei insicura.
“Soprattutto adesso. Non smettere di aggrapparti a me.”
Saori sentì il cosmo di Seiya avvolgerla completamente e le sembrò di ricordare di aver già provato una sensazione simile. Prese il viso dell’uomo tra le mani e si sollevò sulla punta dei piedi nudi. Il telo che l’avvolgeva ricadde in terra. Le sue labbra si posarono su quelle di Seiya e lui la prese per la vita per spingerla ancora di più sulla sua bocca. Fu un bacio infinito che era stato concepito mille giorni prima e che attendeva di essere dato. Seiya le accarezzò i capelli bagnati e intrecciò una mano alla sua. La sollevò e la portò di nuovo all’interno del tempietto.
Ogni sguardo di entrambi che avrebbe dovuto dire ‘è troppo’ diceva invece ‘ancora’. Ogni gemito che avrebbe dovuto affermare ‘è sbagliato’ urlava invece ‘così dev’essere’. Ogni carezza che avrebbe dovuto significare ‘fermati’ diceva piuttosto ‘continua’.
Le stelle tramontarono una ad una in una notte che segnava il destino di due vite mutandole in una. La notte aveva lavato via il dolore e la paura e l’alba accettava nuove consapevolezze.
Seiya la tirò più vicino tra i cuscini e le baciò una spalla nuda. Saori si lasciò avvolgere e gli passò un braccio intorno alla vita.
“Nonostante tutto, io devo fare ritorno al grande tempio. Devo affrontare comunque il mio destino. Marte tornerà.” Disse lei. Seiya sorrise.
“Lo so. Torneremo insieme e sistemeremo ogni cosa. Finche vorrai, io resterò al tuo fianco.” Lei si sollevò e lo guardò negli occhi.
“Resterai davvero al mio fianco?”
“Ti ho chiesto di restare aggrappata a me, stanotte. Come pensi che all’alba possa lasciarti andare?”
“Seiya, le guerre sacre, le battaglie, i cavalieri d’oro, come potremo superare tutto questo?”
“Tu sei Atena! E io non ho forse meritato l’armatura sacra di Sagitter?” fece Seiya con il suo solito tono canzonatorio.
“Abbracceresti Sagitter?” chiese lei con una punta d’orgoglio nella voce.
“Se è l’unico modo per starti accanto, lo farò.”
“Non avremo che attimi. Non hai sempre rifuggito l’idea di una vita come questa?” Lui abbassò lo sguardo e per un istante lei credette che avesse cambiato idea.
“Anche un solo istante che mi ricordi questa notte, vale più di mille giorni di una vita che la cancelli. Sei stata mia ed è più di quanto ho mai osato sperare. Non chiedermelo ancora. Sarò Sagitter e ti resterò affianco per sempre. Tu, Saori, mi avrai sempre. Solo ti prego di guardare ogni tanto dietro l’armatura d’oro che indosserò da oggi in poi.”
“Lo farò. Te lo prometto.”Seiya si alzò e si inginocchiò innanzi a lei.
“Saori, lo sai che ti amo?” Lei gli prese il capo fra le mani e si chinò a porgervi un bacio sopra.
“Sì, lo so Seiya, anche io ti amo.”
Il primo raggio di sole del nuovo giorno illuminò l’altare e l’ombra di due giovani che si erano fatti una promessa antica e sacra come il luogo in cui avevano accettato il loro futuro.
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Marte comprese rapidamente quale fosse la beffa che gli era stata riservata. Una rabbia incontenibile lo colse e lanciò un urlo di quelli che terrorizzavano i soldati sui campi di battaglia all’epoca del mito. Un muro di fiamme avvolse il cavaliere di Sagitter e il ragazzo che lui proteggeva.
Saga li vide scomparire nel rogo. Alla fine quell’idiota di Seiya l’aveva fatto. Si era esposto completamente. Aveva sputato la verità che si era tenuto dentro per quattordici anni. Lo aveva fatto per protegger Kouga o per affermare alla fine se stesso? Se Marte disponeva ancora di tutto quel potere, se davvero poteva usare qualunque corpo gli capitasse a tiro, cosa potevano fare ora? Avere impersonato Sion per tredici anni gli aveva consentito di conoscere i segreti più profondi del santuario e con la mente andò subito ad un oggetto che poteva dare loro la possibilità di sbarazzarsi di quel maledetto dio per sempre. Saori gli aveva dato una chance togliendo i sigilli all’armatura dell’Altare e risvegliandola. Quella era la chiave anche se adesso era a centinaia di miglia di distanza e aveva un problema più grosso: salvare Seiya e Kouga. Non aveva fatto tutto quello che aveva fatto, tredici anni prima, per vederlo bruciare in quel modo.
“Mur!” urlò “Dobbiamo fare qualcosa.” Il cavaliere di Ariete si girò verso i suoi compagni e li raccolse.
“Saga ha ragione. Non possiamo lasciare che Marte uccida Seiya e Kouga.” Disse guardando Shaka.
“Seiya è un traditore. Ha profanato il tempio della dea.” Disse il cavaliere con tristezza.
“Dobbiamo fare qualcosa!” intervenne Aiolia “Non possiamo lasciar vincere Marte!”
“Atena è morta. Ormai è indifferente quello che ha fatto Seiya!” fece Milo passionale come sempre.
“Non è così semplice! Nessuno può toccare l’incarnazione della dea!” Gridò Shura palesemente indignato.
“Stronzate!” gridò Death Mask spintonando Camus e Shaka “State dicendo solo stronzate! Svegliatevi imbecilli! Quello sta facendo arrosto uno di noi.” Disse il cavaliere di Cancer indicando Marte “ Quando li avrà ammazzati, toccherà a noi! Io non me ne starò qui a vedere quei due bruciare. Siamo o non siamo i fottuti cavalieri d’oro di Atena? Anche se è morta, cosa cambia? Dobbiamo combattere e basta! Siete delle mammolette!”
Aphrodite gli mise una mano sulla spalla e lo tirò indietro mentre una luce apparve sul campo di battaglia. Una tromba d’acqua si abbatté sul fuoco sacro di Marte e lo spense rivelando Seiya che proteggeva Kouga nel suo abbraccio dorato.
“Seiya, siamo qui!” gridò Shiryu splendendo nelle vestigia di Libra e frapponendosi tra il suo vecchio compagno e Marte.
“Un altro rompiscatole! Farai la fine dei tuoi compagni!” esclamò Marte puntando la lancia contro il cavaliere sopraggiunto.
“Shiryu, allontanati!” gridò Seiya “Questa è la mia battaglia!” L’amico si voltò verso di lui e sorrise.
“Sai, Seiya, sono stato ingiusto con te. Ho lasciato che le incomprensioni ci allontanassero proprio quando tu avresti avuto bisogno del tuo migliore amico. Ti ho giudicato con la severità che mi avevano insegnato a praticare come virtù e ho abbandonato il sentiero giusto. Forse dovevo sentire mio figlio parlare di fratellanza e amicizia per capire i miei errori. Se vorrai, mi spiegherai. Ora ciò che desiderò è combattere al tuo fianco come un tempo, come quando essere noi contro il mondo era il modo di vivere più bello che esistesse.”
Shun, nel sentire quelle parole, adagiò Crystal tra le braccia di Yuna e avanzò fino al fianco di Seiya.
“Sono con voi.”
“Anche io.” Disse Ikki posando una mano sulla spalla di Shun “E sono certo che anche Hyoga lo è. Perdonami Shun. Avrei dovuto avere il coraggio di affrontare i tuoi veri sentimenti tanto tempo fa.”
“Nessuno di voi malconci imbecilli si batterà!” gridò Death Mask spostando Shun indietro. Shaka tirò Ikki per un braccio e Mur si avvicinò a Shiryu.
“Di te abbiamo bisogno, cavaliere!” disse sorridendo “Preparatevi cavalieri d’oro di Atena ad evocare la sacra Eufonia dello Zodiaco!” fece Mur assumendo la posizione d’attacco. “Stardust Revolution!”*
Una polvere d’oro si liberò dai suoi pugni e si alzò verso il cielo. Al suo fianco si dispose Aldebaran.
“Mostreremo a Marte come combattono dei veri guerrieri, Great Horn!”
“Seiya, dovrai colpire come Aiolos.” Disse Saga allargando le braccia “Galaxian Expolsion!”
“Smettila di fare da balia a quello stupido e concentrati Saga! Onda Infernale dello Tsei She Ke!”
“E tu smetti di insultare chi ti capita a tiro, Mask! Lightning Plasma!” fece Aiolia sorridendo unendosi ai suoi compagni.
“Concentratevi. Tenbu Horin!”
“Indegnamente userò il colpo che il mio maestro mi ha concesso per onorare l’armatura di Libra: Rozanhyakuryuha!”
“Sempre eccessivamente modesto, Shiryu! Mostriamo a Marte la forza dei dodici d’oro. Scarlett Needle, Antares!”
“Parlate tutti troppo per i miei gusti. Excalibur!”
“Qualcuno almeno che mantiene la calma. Aurora Execution!”
“Ricorda Camus che non c’è alcun disonore nel perdere il controllo a volte! C’è così tanta bellezza in questa comunione di cosmi furiosi. Bloody Rose!”
Seiya li vide splendere in semicerchio carichi del loro cosmo elevato al massimo livello. Raggiunse il posto lasciato libero tra Milo e Shura e chiuse gli occhi. I suoi pugni brillarono come carichi di saette.
“Aiolos, mi affidasti Atena. Eccomi ora ad onorare ancora quella promessa. E tu Marte, guarda! Il potere di Atena non è sconfitto. Brilla nel cosmo dei cavalieri che la servono. Atomic Thunderbolt!”
Il potere dei dodici cavalieri d’oro si elevò su nel cielo e precipitò addosso al corpo di Isaac.
I cavalieri d’oro guardarono tutti il corpo di Isaac cadere in terra. Faccia nella polvere e Milo azzardò addirittura un’esclamazione. Fu allora però che il dio, lentamente si rialzò. Il corpo che possedeva era ferito gravemente ma lui riusciva ancora a dipingere sul volto martoriato di Isaac un ghigno.
Seiya allora incoccò una freccia. Doveva farla finita. Doveva. Saori si era addormentata e probabilmente non si sarebbe svegliata mai più. Toccava a lui difendere Kouga.
“Ancora con quella freccia, Seiya?” gridò Mars.
“L’ultima volta ci ha consentito di liberarci di te per tredici anni. Solo Medea impedì la tua morte allora. Lei però è morta ora!”
“Come la tua preziosa Saori! Perché sai che non si risveglierà più. Ha esaurito il suo potere. Anche se il suo cuore batte ancora, la dea in lei si è addormentata. E non tornerà fra duecentocinquanta anni. Hai spezzato quel ciclo uccidendo Hades nel suo vero corpo!” fece Marte guardando per un attimo Shun. Le mani di Seiya tremarono nel tendere l’arco. Era la verità. Quel ciclo di amore, morte e rinascita era finito.
Forse Marte poteva renderle il cosmo di cui l’aveva privata? Quello che aveva detto a Kouga era vero? Poteva fare qualcosa per ottenere un altro miracolo, il più importante? Forse in cambio della sua vita, Marte poteva restituire ad Atena quel cosmo rubato?
“Abbi fiducia in lei.” La voce alle spalle di Seiya era quella di Saga. Il cavaliere di Gemini si dispose al suo fianco.
“Lei è morta, Saga, io non sono riuscito a proteggerla.”
“Sapevamo che questo momento sarebbe arrivato. Era solo questione di tempo. Lo sai tu, lo so io e lo sapeva anche lei. Nell’attimo stesso in cui abbiamo peccato. Ora non è più tempo di rimorsi.” Disse il cavaliere guardando Marte.
Seiya si specchiò nella faccia maligna dell’armatura. Sorrideva incurante del loro dolore. Nascondeva l’altra che si rattristava di una simile durezza. Sembrava che entrambe non avessero pace.
Sembrava che una chiedesse all’altra ‘Tu che ne sai?”
Così la malevola domandava ‘Che ne sai del coraggio che ci vuole per uccidere un neonato?’ e la benevola rispondeva ‘Che ne sai della forza che ci vuole per perdonare una colpa?’
‘Che ne sai della determinazione necessaria per sovvertire una legge?’ chiedeva l’avversa e le faceva d’eco la bonaria ‘ Che ne sai della fatica che comporta l’obbedienza?’
Saga viveva quella dicotomia ogni giorno eppure, di quanto avuto negli ultimi tredici anni, Seiya gli doveva tutto. Gli doveva la vita stessa.
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La vita del grande tempio, dopo pochi giorni dall’incendio dell’orfanotrofio di Rodorio, era tornata quella di sempre. Saori, ancora convalescente, aveva comunque ripreso ad officiare i riti della dea.
Saga la sorvegliava continuamente poiché non voleva più vivere l’esperienza terrificante di vederla nello stato in cui Seiya l’aveva riportata la mattina dopo l’incendio. Anche se la donna sosteneva di star bene, lui sapeva che la violenza subita doveva essere stata tremenda. Seiya non aveva potuto tacergliela. Nessun altro era stato messo al corrente, neppure Mur che di solito si prendeva cura delle ferite dei cavalieri oltre che di quelle delle armature.
Saori, nonostante i dolori, sembrava serena. Non altrettanto invece era Seiya.
Saga era stato informato da Atena che Pegasus avrebbe ricevuto l’ufficiale investitura a cavaliere d’oro di Sagitter. Inizialmente Saga credette che la preoccupazione del ragazzo fosse legata a questa nuova responsabilità. Nel profondo aveva sperato che gli facesse talmente paura l’idea di dover diventare il primo dei cavalieri d’oro che il senso d’inadeguatezza lo portasse a rinunciare. Non erano mai andati troppo d’accordo. Seiya, all’inizio, non aveva avuto problemi a dichiarare apertamente che non avrebbe mai lasciato Saori nella stessa stanza sola con lui. Lui, d’altro canto, aveva sempre ostentato la sua superiorità affermando che, senza l’aiuto dei suoi compagni, non sarebbe mai stato nulla di più di un cavaliere di bronzo.
Capì però che Seiya desiderava diventare Sagitter con tutte le sue forze e lo scoprì assistendo, non visto, ad una furibonda lite tra lui e il suo compagno d’una vita. Il colonnato della tredicesima casa non era un luogo abbastanza discreto del resto per discutere faccende private. Così li sentì.
“E’ una follia, Seiya. Tu non sei fatto per una vita simile!”
“Shiryu, potrà sembrarti strano ma sento che non c’è un altro posto in tutto il mondo dove andare oltre al tempio per me.”
“Sciocchezze! Perché poi? Hai sentito Hyoga? Presto partirà per Asgaard. Si rifarà una vita normale.” Disse il Dragone.
“E Shun allora? Lui rimane qui.” Rispose Seiya col tono di un bambino che tenta di giustificarsi per non aver studiato.
“Shun non rimane qui. Ha detto chiaramente che si stabilirà con June. Non indosserà più l’armatura. Dice che vuole dedicarsi alla medicina.”
“Shiryu perché sei così arrabbiato? Verrò a trovarti, promesso!”
“Seiya cos’è? Sei diventato come Jabu? Non sei più in grado di staccarti da lei? Quello che è successo a Saori non è stata colpa tua!” disse il cavaliere e Seiya perse quell’espressione infantile e mite stringendo i pugni.
“Non osare parlare così!” rispose a denti stretti e Shiryu ne ebbe quasi paura “Avrei dovuto proteggerla. Aiolos me l’ha affidata!”
“Non essere ridicolo! Aiolos l’ha affidata a tutti noi quando i cavalieri d’oro le si erano rivoltati contro ma ora le sono di nuovo fedeli. Che male c’è a vivere una vita normale?”
“Perché è quello che vuoi tu per poter stare con Shunrei! Vuoi che tutti facciamo ciò che intendi fare tu perché così ti sentirai meno in colpa nell’abbandonarla!” gridò Seiya. Shiryu fece un passo indietro ferito nell’orgoglio e si ammutolì. Seiya comprese di aver detto una parola di troppo ma non disse nulla.
“Credevo che tu volessi riprendere una vita normale con tua sorella. Non era lei il motivo per cui ti sei battuto per tanto tempo? Vuoi davvero diventare il custode di Atena per sempre?”
“Shiryu, come vorrei che tu capissi. Non c’è altro modo per me.” Fece Seiya cercando di spiegare ma il suo migliore amico sollevò una mano per zittirlo.
“Non c’è bisogno che tu aggiunga altro. Ognuno di noi ha fatto la sua scelta. Mi dispiace, Seiya, perché resterai solo.” Disse passandogli accanto e lasciandolo, poi, indietro.
Saga comprese invece. Non c’era altro modo per Seiya per stare accanto a Saori. Non era preoccupato o triste di abbracciare Sagitter, era semplicemente consapevole che da quel momento avrebbe sempre e solo servito la dea e non più protetto la donna.
In quel momento comprese il significato di ogni singolo gesto di quell’uomo e ne ebbe compassione. Un sentimento che avrebbe perso qualche settimana dopo.
Saori, dopo l’investitura di Seiya a cavaliere di Sagitter, si era riempita come di nuova forza. Era sempre pronta a sostenere chiunque chiedesse il suo intervento. Aveva preso perfino a tollerare i battibecchi di Milo e Death Mask e ridere delle notizie che Shaka gli riferiva come gravi e che riguardavano un’infamante tresca tra una delle sacerdotesse di cui il cavaliere di Virgo era responsabile e un cavaliere che abitava dalle parti della quinta casa. Decise di abolire l’obbligo per i cavalieri sacerdotessa di portare una maschera. Passava molto tempo a prendersi cura degli orfani di Rodorio. Passava molto tempo con Seiya.
Lui li controllava, sì controllare era la parola giusta, da lontano. Si dice che da lontano si veda meglio il quadro d’insieme e da lontano se ne accorse. Saori perdeva colore ed entusiasmo. Cominciò ad uscire raramente dalle sue stanze e ad incontrare meno gente possibile. Allontanò Seiya.
Questo mise in allarme Saga che aveva già compreso che, dietro lo scudo e la Nike, la donna amava quel cavaliere. Seiya, dal canto proprio, soffriva in silenzio relegato al ruolo di comandante supremo del grande tempio. Compiva il suo dovere senza sorridere più. Decise di intervenire.
Saori era uscita nei giardini dietro la grande statua e aveva allontanato Seiya. Di nuovo. E davvero in malo modo per giunta.
“Milady non dovrebbe stare sola in giardino.” Disse cogliendola volutamente di sorpresa.
“Saga! Mi hai spaventata.”
“Chiedo scusa. Credo che Milady dovrebbe riconsiderare il modo in cui dispone dei cavalieri d’oro al suo servizio.” Disse in modo volutamente ironico. Saori non fece una piega e decise di capire dove volesse andare a parare il suo grande sacerdote.
“Non è compito del grande sacerdote, guidare l’incarnazione di Atena nell’utilizzo delle risorse del tempio?”
“Non credo che si possa definire Sagitter una ‘risorsa’ del tempio.” Fece Saga passeggiando fino al fianco di Saori che stava seduta su una delle pietre che circondavano il giardino. Sopra l’abito bianco portava uno scialle che le avvolgeva il busto.
“Non lo ritieni all’altezza?” ipotizzò Saori.
“Al contrario!” esclamò Saga “Ritengo Sagitter una spanna sopra tutti i dodici nella volontà di proteggere Atena.”
“Quindi?” chiese lei sfiorando le margherite che spuntavano dal terreno numerose.
“Quindi non merita di essere scacciato come Milady ha fatto poc’anzi.” Saori strappò uno dei fiori e si alzò.
“Sono fatti privati.” Disse allontanandosi ma Saga le fu di fronte in un baleno tagliandole la strada.
“Atena non discute fatti privati col suo primo cavaliere!” disse con fermezza. Saori si fece pallida.
“Se è per questo, neppure con il grande sacerdote!” disse rivestendosi dell’autorità della dea. Saga si sentì immobilizzare ma durò un solo istante perché la donna si svestì subito di quel potere.
“Perdona, Saga, la mia alterigia. Ti chiedo scusa.” Disse superandolo e infilando il corridoio che portava alle sue stanze. Lui la seguì e s’accorse che s’era accasciata lungo una parete. La raggiunse di corsa e la sollevò. Fu quando le mise una mano intorno alla vita che se ne accorse. Anche se lievemente, il suo ventre s’era dolcemente arrotondato. Lei non osò sollevare lo sguardo. Lui la sollevò e la condusse nelle sue stanze. Non pronunciò una parola e la lasciò nel silenzio di tutti i dubbi che la donna gli aveva trasmesso con lo sguardo.
Quando fu fuori dalla porta delle sue stanze però una cieca furia lo colse e raggiunse di gran lena la nona casa. Piombò addosso a Seiya senza che questo se ne accorgesse.
“Ora dimmi la verità!” sputò in faccia all’altro che lo guardava sbigottito.
“Saga, ma che diavolo! Che ti prende?”
“Non osare! Non osare mentire. Non osare mentire a me!” disse schiacciandolo alla parete.
“Non so di che parli!” fece Seiya che cominciava a non riuscire più a respirare.
“E’ stato Marte?” chiese carico di un’indignazione che stava cercando di risvegliare il demone che aveva nel cuore.
“A fare cosa?” chiese Seiya che cominciò a reagire “Si tratta di Saori? Che cosa è successo? A malapena mi parla!” escalmò il neo cavaliere d’oro e Saga realizzò di avere commesso un errore. Un errore madornale e ora era troppo tardi per porvi rimedio. Seiya non sapeva nulla.
“Saga, che sta succedendo? Saori ti ha parlato di qualcosa? Ho fatto qualcosa che l’ha infastidita?” Saga si voltò. Poteva andarsene facendo finta di nulla? Mosse un passo e fu Seiya ad afferrarlo per il bavero dell’abito sacerdotale e a spingerlo contro la parete.
“Dimmelo tu.” Disse allora.
“Dirti cosa?”
“Dimmi, hai motivi per incorrere nella rabbia del grande sacerdote di Atena? Hai infranto il sacro giuramento che impone ai cavalieri della dea di difenderla?”
“Morirei piuttosto e lo sai!” gridò Seiya e Saga lo afferrò per un braccio e lo condusse nelle segrete della nona casa.
“Vieni con me. Sai che la casa di Sagitter è l’unica ad avere un sotterraneo? Scoprirai perché.” Seiya seguì Saga fino ad una specie di caverna. Il sacerdote indicò una lastra di pietra lunga due metri e larga uno. Saga la fece scivolare e rivelò una piccola scala. Accese una delle due torce infilate in anelli di ferro arrugginito appesi alle pareti e precedette Seiya giù per una scala umida.
Essa dava in una stanza quadrata. A terra, in un angolo stava un giaciglio di paglia e sul lato opposto solo un tavolino con una lampada ad olio. Saga parlò piano.
“La fanciulla può scegliere. Quando la pietra viene sigillata può restare al buio o accendere la lampada ad olio così l’aria presente nella stanza si consuma più in fretta e l’agonia dura di meno.”
“E’ una stanza di tortura?” chiese Seiya indignato che la casa del sagittario contenesse un simile orrore. Saga scosse il capo.
“E’ la punizione per le fanciulle che non si dedicano anima e corpo alla dea. Che rifiutano il loro destino.” Seiya fece un passo indietro sbattendo contro il primo scalino di quella discesa all’inferno. Saga continuò. “E sai perché è sotto la casa del Sagittario? Perché spetta al primo cavaliere della dea eseguire la pena.”
Seiya fu preso da un conato di vomito e corse al piano superiore. Saga lo trovò in ginocchio che respirava a fatica. Saga lo tirò su e lo riportò, trascinandolo, fuori dai sotterranei. Una volta fuori gli buttò in faccia un bacile d’acqua.
“Saori è incinta.” Le parole di Saga si infilzarono come lame nel petto di Seiya.
“E’ tua responsabilità?”
Responsabilità. Quella parola suonò così dolce alle orecchie del cavaliere nonostante l’immagine di quella camera di pietra non svanisse dalla sua mente. Si alzò e fronteggiò Saga.
“Sì, lo è. E non permetterò che le venga fatto alcun male. Io la proteggerò!”
Un colpo in faccia lo scaraventò in terra. Ora gli occhi di Saga fiammeggiavano.
“Tu non capisci! Se avessi detto che era frutto della violenza subita da Marte, io avrei potuto, sì io avrei potuto fare qualcosa. Ma adesso! Adesso è perduta! Come hai osato toccarla?” gridò affondando le unghie nella carne degli avambracci di Seiya.
“Io la amo!” urlò il ragazzo. “Era sconvolta! Dovevo stringerla!”
“Pazzo!” lo scaraventò lontano Saga. “La legge è la legge!”
“Tu che parli di legge? Proprio tu? Tu che hai tentato di ucciderla che era ancora in fasce?”
Stavolta fu Saga a tentennare e Seiya ne approfittò per scalare le tre case fino alla tredicesima e piombare nelle stanze private di Atena.
“Seiya! Che fai qui?” fece Saori tirandosi addosso lo scialle e avvolgendoselo intorno al corpo. Seiya aveva gli occhi lucidi e sembrava molto scosso. Saori gli parlò con più dolcezza “Seiya, che succede?”
“Perché non me lo hai detto invece di allontanarmi?” disse lui allungando una mano sulla stola e sfilandogliela dalle mani. La stoffa seguì, docile, il corpo della fanciulla rivelando le sue forme. Lei si portò entrambe le mani alla pancia mentre lui cadde sulle ginocchia e poggiò il volto sul ventre di lei.
“Non posso avere un figlio.” Disse solo lasciando che una delle sue mani si infilasse tra i suoi capelli bruni. A quelle parole Seiya scattò in piedi e la prese per le spalle.
“Lasciamo il santuario. Io ti porterò via! Nessuno ti farà del male.”
“Io non posso scappare da nessuna parte. I miei cavalieri saprebbero sempre dove sono. E a lui non pensi?” disse toccandosi di nuovo il ventre “Lui verrebbe perseguitato da tutte le divinità dell’Olimpo. Il divino Zeus, molte ere fa, ha ordinato che non vengano più concepite creature per metà divine!”
“E allora cosa dovremmo fare?” chiese Seiya con il terrore negli occhi.
“Il bambino deve morire.” La voce di Saga che era entrato e aveva chiuso la porta accecò Seiya di rabbia.
“Dovrai passare sul mio cadavere prima che tu possa fare una cosa del genere!”
“Scegli dunque, o il bambino o la madre. Una volta che l’avrà messo al mondo, lui verrà consegnato ad una famiglia di gradimento del santuario che ne controlli i poteri e lei verrà giustiziata. Sta tranquillo, comunque. Per quel giorno tu sarai già morto!” esclamò Saga.
“Smettila Saga!” urlò Saori che sembrava tornata in sé “La decisione non spetta a Seiya. Spetta a me.”
Seiya si voltò a guardarla pronto a riprendere il discorso dove l’aveva lasciato prima che Saga facesse irruzione nella camera ma le parole gli morirono in gola. Saori sorrideva mentre calde lacrime le scendevano, copiose, dagli occhi. Non riuscì a dire più nulla. Si voltò e raggiunse la porta. L’aprì.
“Non avrei dovuto sottovalutare che rimani una dea anche se ti sei lasciata amare come una donna. Io rimango qui. Se hai bisogno, sono fuori dalla tua porta.” Concluse uscendo e chiudendosi la porta alle spalle.
Saori si coprì il viso con le mani e pianse. Seiya sfogò tutta la sua frustrazione contro una colonna che aveva la sola colpa di trovarsi sul suo cammino.
Saga invece rimase muto. Quanta forza c’era in quella esile figura che si teneva le mani sul viso per nascondere la sua disperazione. Non c’era nulla da dire. Aveva preso la decisione migliore. Aveva rinnegato quell’unico momento di follia per evitare di privare il santuario della sua santa guida. Il riflesso del sole morente sullo specchio delle stanze di Atena lo fece voltare. La figura riflessa nella parete di vetro lacrimava e lo guardava con astio.
“Davvero un infanticidio è la scelta giusta? Vuoi macchiarti le mani del sangue di Atena? Perché è questo che è! Hai nascosto l’anima del demone dietro il viso d’angelo millantando sentimenti per quella donna e ora vuoi uccidere il suo bambino?”
“Il bambino di Seiya!” disse Saga ad alta voce e Saori allontanò le mani dal viso.
“Che hai detto, Saga?” La voce di Saori riportò Saga alla realtà. Camminò fino a che non le fu affiancò.
“Se uso l’altra dimensione solo sul feto, scomparirà come se non ci fosse mai stato.” Disse mettendo una mano sull’addome di Saori e un’altra sulla sua schiena. Tra le sue mani, sembrava un oggettino così piccolo.
Lei ebbe un tremito e poi annuì.
“Fa in fretta.” Disse mettendosi ritta e guardando di fronte a lei la porta. Saga avrebbe scommesso che cercava con gli occhi e col cuore la figura di Seiya che aveva promesso di restare lì fuori. Lui concentrò il suo potere e dalle sue mani si irradiò una debole luce. Una delle lacrime di Saori sfuggì ai suoi occhi determinati e cadde sulla mano che il sacerdote aveva posto sul ventre. Allora entrambi sentirono un cosmo che non apparteneva a nessuno di loro e che somigliava a quello di lei. Saga staccò le mani e la fronteggiò.
“Io, Saga di Gemini, giuro sulla mia vita che nessuno saprà di questo bambino. Verrà alla luce e lo proteggerò fino all’ultimo giorno della mia vita.”
“Saga, ma come?” chiese lei debolmente.
“Nessuno saprà, oltre me, Seiya e qualcuno di fidato che non farà obiezioni. Vi faremo ammalare di una qualche malattia divina. Nessuno farà domande. Richiamo Seiya.” Disse Saga allontanandosi per un momento.
Seiya rientrò con la morte negli occhi ma Saga non gli diede tempo per fare domande.
“Questo bambino vivrà.” Il viso di Seiya riprese colore “Non esultare. Quando nascerà, lo affiderete a me per qualche tempo.”
“A te?” fece Seiya dubbioso. Una delle mani di Saori si posò sul suo braccio bardato d’oro.
“Sì, a me. Ve lo riporterò quando sarà credibile che Atena si sia ripresa e voglia prendersi cura personalmente di uno degli orfani di Rodorio.”
“Mi sembra ragionevole.” Disse Saori “Chi altri dovrà saperlo?”
“Mur almeno, ci serve qualcuno che sappia far partorire una donna. Tra lui e Shaka preferisco non avere il santone intorno. E una donna. Forse Marin.”
“Shaina.” Disse Seiya guardando Saori “Marin non saprebbe tenere il segreto con Aiolia. Shaina è la persona di cui mi fido di più e poi lo scoprirebbe lo stesso la prima volta che vedrebbe il bambino. Fidatevi.”
“Va bene.” Disse Saori.
“Va bene anche se quella donna pianterà un mucchio di grane!” disse Saga e Saori sorrise alleviando le pene nel cuore dei due uomini.
Fu così che i mesi passarono veloci e leggeri. Saga e Seiya usavano trascorrere intere giornate a vigilare le condizioni di Saori mentre il ventre di lei si arrotondava giorno dopo giorno.
Fu una fredda giornata di dicembre che il primo vagito del neonato che non avrebbe mai dovuto vedere la luce, risuonò nelle aule deserte del tempio.
Seiya, costretto a rimanere fuori dalla camera in cui giaceva Saori perché troppo agitato, fu trattenuto a stento da Shun.
“Aspetta che ci facciano entrare!” disse il ragazzo sorridendo con gli occhi lucidi per l’emozione. Shaina aprì la porta e gli fece un cenno. 
“Ora puoi entrare, fa piano però che appena lo tocchi strilla!” disse con la voce più dolce e protettiva che Seiya gli avesse mai sentito fare. Entrò e guardò subito Mur e Saga. Il primo gli sorrise il secondo gli andò incontro.
“Non voglio vedere mai più partorire una donna! Sono stato chiaro? E comunque ha la fortuna di assomigliare a sua madre. Muoviti e va a vedere tuo figlio.”
Quelle parole gli tolsero tutto il coraggio che aveva maturato nelle ore di travaglio. Si avvicinò titubante e si inginocchiò. Saori aveva la fronte madida di sudore e sembrava sfinita. Sotto il braccio destro, avvolto come un fagotto, stava una creaturina minuscola con i capelli rossi che sonnecchiava.
“Saori è, è bellissimo. Dorme? Perché piangeva così forte? Avrà fame? Ti sembra normale che non apra gli occhi?” Saori rise. Non ricordava più la faccia buffa che Seiya aveva la prima volta che l’aveva incontrato. Avevano poco più di otto anni allora.
“Seiya.” Disse piano.
“Sì?”
“Prendi in braccio tuo figlio.”
Seiya sussultò e tese le mani per afferrare il bambino. Al tocco del padre, la creaturina aprì gli occhi e Seiya rimase sconvolto da due spicchi di cielo del colore identico a quello di Saori. Il bambino mosse una manina minuscola verso il volto di Seiya.
“Devi dargli un nome.” Disse Mur “Spetta a te.”
“Kouga, si chiamerà Kouga. Diventerà forte e luminoso. Si chiamerà Kouga.”
“Kouga.” Ripeté Saori.
“Bene allora!” fece Saga “Consegnatemi Kouga, ne avremo cura io e Shaina per qualche giorno.”Seiya avvicinò il bambino a Saori che gli diede un bacio sulla fronte.
“Kouga, non avrai una vita facile, ma avrai due genitori che ti proteggeranno sempre.” Il cavaliere adagiò il bambino tra le braccia di Shaina.
“Grazie, Shaina.” Disse Seiya.
“Non lo faccio per te. E neppure per lei. Lo faccio perché questo bambino è meraviglioso e perché non sopporto la petulanza di Saga!” disse la donna “Vi avviso, però, non ci so fare con i marmocchi!”
“Grazie, Shaina. Non l’affiderei a nessun altro.” Disse Saori.
“Andiamo allora.” Fece Mur “Saori deve riposare.” Shun annuì e Shaina uscì con il bambino. Seiya s’inginocchiò un altro momento accanto a Saori e le passò una mano fra i capelli. Saga parlò.
“C’è quell’altra questione.” Disse il sacerdote di nuovo serio e Seiya annuì rialzandosi.
“La barriera che nascerà dal patto con la fiamma della Nike impedirà a chi sta fuori dalla cupola di percepire la presenza di Kouga e bolccherà il manifestarsi del suo cosmo per qualche anno.” Saori si rabbuiò  e Seiya continuò “Atena dammi il potere di proteggere, oltre a te, Kouga.” Saori allungò una mano verso lo scettro della Nike che giaceva sempre accanto a lei e lo avvicinò a Seiya. Una luce si separò dallo scettro e svanì nel petto del cavaliere. Saga li lasciò soli.
“Comincia la recita.” Disse lei.
“Non sarà mai una recita per me.” Rispose lui.
“Arriverà il momento in cui la barriera cadrà.” Fece allora lei.
“E’ lontano quel giorno.”
“Il tempo passa inesorabile, Seiya.”
“E ci troverà uniti anche quel giorno.” Lei sorrise e gli carezzò il viso. “Ho la benedizione della dea?” chiese.
“Sì.”
“E l’amore della donna?”
“Sempre.”
Lasciò che quelle parole gli risuonassero nella testa mentre lasciava la tredicesima casa. Da lontano, Saga, gli fece un cenno col capo. Lo ricambiò per ringraziare colui a cui doveva la sua vita, quella di Saori e quella del piccolo Kouga.


Note dell'autrice commossa:
* Solo per dirvi che da Stardust revolution in poi, sono elencati i colpi dei cavalieri d'oro presenti nel manga.
Ci sono molte cose che vorrei dirvi a proposito di questo capitolo ma lascerò prima la parola a voi....
A presto.

 

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Capitolo 23
*** La vita salvata da Kouga - seconda parte ***


La vita salvata da Kouga
Seconda parte


“Ora non è più tempo di rimorsi.” Disse Saga “Esiste un solo modo di fermare quel maledetto. Kiki, vieni qui.” Il cavaliere dell’Altare li raggiunse e affiancò Seiya.
“Dimmi cosa posso fare.” Disse il ragazzo.
“Se neanche il potere dei cavalieri d’oro può annientarlo, allora possiamo solo confidare in Atena. Quando ha liberato l’armatura che porti dai suoi sigilli ci ha consentito di usare lo scrigno che è custodito in essa. Si tratta del cofanetto in cui Sage riuscì a sigillare Thanatos. Il dio fu liberato successivamente quindi è a nostra disposizione.” Nettuno intervenne con decisione giacché Marte stava espandendo il proprio cosmo usando il potere del Kraken ancora in parte legato al corpo di Isaac.
“Sei un fine stratega, Saga, tuttavia non abbiamo alcuna possibilità di avvicinarci a Marte quel tanto che basta a riuscire nell’impresa.”
“La freccia di Seiya può riuscirci” rispose Saga “ma dobbiamo tentare il tutto per tutto in fretta. Tra poco sarà troppo tardi.”
“Noi non possiamo starcene qui a guardare!” esclamò Soma e gli fecero subito da eco Yuna e Ryuho.
“Ce ne occuperemo noi, figlio mio!” esclamò Aiolia.
“No!” La voce che zittì la discussione apparteneva ad Eden. “Nessun uomo è in grado di farlo. Nettuno non hai intenzione di batterti, vero?” disse il giovane cavaliere con un tono di voce che sua madre riconobbe appartenere all’olimpo di Hades.
Pandora si rese conto che alla cintura del figlio era appeso un oggetto che lei conosceva bene. Comprese che le sue visioni le avevano detto il vero sin dal principio ma il suo amore materno l’aveva fuorviata. Non era mai stata la visione di Eden che combatteva contro il figlio di Pegasus. Non era il loro scontro a provocare la morte di Atena. L’ombra che aveva veduto non rappresentava il Kraken ma Marte. Eden non si sarebbe battuto contro Kouga. Un presagio orribile la colse e si chiese se fosse per questo che agli dei era stato proibito di mettere al mondo altri figli. Si poteva sopportare per l’eternità il dolore della perdita di un figlio? Pregò che Nettuno intervenisse ma il dio deluse tutte le sue speranze.
“Sono venuto per impedire la morte di Atena, non per schierarmi nella lotta per il controllo dell’Olimpo. Io posso solo appoggiarvi ma non leverò la mano contro Marte ora che Kreutz è morto.”
“Allora Saga, mi batterò io.” Disse Eden sicuro.
“Non dire sciocchezze!” esclamò Ikki “Battersi contro altri cavalieri è un conto, per quanto forti essi siano, ma scontrarsi con un dio è ben altra storia. Seiya può dartene prova!”
“Ikki!” intervenne Pandora “Lascialo fare. Ha fatto la sua scelta!” disse la donna con gli occhi pieni di lacrime. Ikki guardò il figlio e poi la propria sposa. Sapeva a cosa si riferiva Pandora. Anche se aveva preferito ignorarlo per tutti gli anni in cui avevano vissuto come una famiglia normale, Ikki sapeva che l’influsso dell’arco di Cerbero controllava Eden e che in qualche modo, lo spirito semidivino di Pandora ne tratteggiava i lineamenti del cosmo. Gli sorrise con sarcasmo.
“Non avere alcuna pietà allora.” Disse abbracciando Pandora. Eden guardò Saga e Seiya e li rassicurò.
“Sta raccogliendo il suo potere per un ultimo attacco. Sa che non avrà un’altra possibilità. La freccia lo ucciderà e il suo spirito verrà risucchiato nello scrigno ma avete bisogno di un diversivo. Mi lancerò contro di lui con un attacco decisivo.”
“Eden,” intervenne Seiya “Non devi farlo. Io non posso accettarlo. Hai l’età di Kouga. Credi che te lo permetteremmo? Io e gli altri cavalieri d’oro sappiamo qual è il nostro compito. Il tuo sacrificio non è necessario.” Disse mettendogli una mano su una delle spalle con un gesto carico di fiducia e affetto.
“Mi è stato chiesto di scegliere. Vivere come uomo o come semidio in un mondo di uomini. Benché abbia imparato in questi pochi giorni al santuario la bellezza della vita umana, sebbene abbia compreso quale affetto abbia condotto mio padre a mostrarmi come vive un cavaliere di Atena, io sono figlio della notte. Il mio cosmo è ctonio. Il potere del divino Hades scorre nelle mie vene e mi richiama all’arco di Cerbero per reggerne la volta. Mi è stato detto che qui non ci sono principi delle tenebre ma solo della luce. Io sono il cacciatore di anime e scelgo di essere il semidio che vi serve per sconfiggere un dio sovversivo e crudele. Ho fatto la mia scelta.”
Un’ombra rossastra si allargò dal corpo di Isaac mentre la voce folle del dio riempiva l’aria.
“Non consentirò la sopravvivenza di nemmeno uno di voi bastardi abomini! Vi distruggerò grazie al potere che mia madre ha instillato in me al momento della mia creazione. Assorbirò il potere stesso della terra e la scaglierò contro voi miserabili esseri inferiori!” gridò espandendo ancora l’alone di morte che generava con il proprio cosmo.
“Non abbiamo più tempo!” esclamò Saga.
“Non ce ne serve più!” intervenne Kouga. Tutti si voltarono a guardarlo. I suoi pugni brillavano di una luce azzurra e oro. “Se Eden ha scelto di seguire le tracce di suo zio, io seguirò la via segnata da mia madre. Una volta mi ha chiesto di camminare nella luce. Io vivrò alla luce del sole senza più nascondermi. E combatterò perché questo mi ha insegnato mio padre. Sappi Eden che non ti lascerò tutta la gloria!” fece il ragazzo richiamando lo scudo di Atena che si dispose obbediente al suo braccio.
Eden sorrise e afferrò il ciondolo a forma di rubino. Un istante dopo, nella sua mano, faceva bella mostra di sé una spada di titanio purissimo con antiche rune incise sulla lama.
“Mi lascerai combattere, padre?” disse Kouga a Seiya con lo sguardo carico di determinazione. Seiya guardò per un solo momento Saga poi si perse in quel paio di occhi blu. Sembravano, no erano, gli occhi di Saori.
“Sarò dietro di te. Un solo colpo poi scansatevi.” Disse rivolgendosi ai due ragazzi “Tutti e due.”
Eden e Kouga annuirono. I cavalieri d’oro concentrarono il loro cosmo per fare, per quanto possibile, da scudo ai due giovani.
“Sei pronto, figlio di Atena?” fece Eden puntando la spada contro Marte. Il suo corpo fu rivestito della surplice di Hades. L’unica cosa che sembrava essere ancora umana di Eden erano gli occhi che aveva ereditato da Ikki e Pandora ebbe la certezza che la visione non parlava di Eden e Kouga che si battevano l’uno contro l’altro ma che si battevano insieme.
“La metti su questo piano, principe delle tenebre?” chiese Kouga espandendo il suo cosmo. Si concentrò e gli sembrò di risentire la voce di Seiya che gli spiegava l’origine del settimo senso. Che gli diceva chi era l’unica creatura a possedere l’ottavo senso. Strinse talmente i pugni che le unghie si conficcarono nella sua stessa carne, sanguinando. A contatto con lo scudo, la sua stessa linfa vitale prese a brillare e il suo corpo fu rivestito di una kamui alata.
“Incredibile!” esclamo Mur “Quella è una kamui. Solo pochi cavalieri hanno avuto l’onore di vederne una! E’ la Kamui* della Nike, una delle quattro armature misteriose di cui non si sa assolutamente nulla!”
Marte alla vista di quello splendore perse completamente la ragione.
“Perirete tutti! Furia che scuote la terra!” urlò liberando il suo cosmo possente. Nettuno lanciò il suo tridente a Kouga.
“Prendi semidio. Ricorda che l’equilibrio dell’Olimpo non può essere spezzato. Tuttavia non posso lasciare che tu ti batta disarmato!” disse serio. Toccando il tridente Kouga sentì un potere enorme diramarsi dalla sua mano.
“Ora Eden!” urlò al compagno.
“Sacra Spada Infernale!” gridò Eden lasciando che il cosmo ctonio di Hades lo avvolgesse completamente.
“E’ giunto il momento, madre. Guardami. Jupiter Victor**!” esclamò senza neanche sapere in quale angolo della propria coscienza aveva ritrovato quel colpo.
La spada di Hades e il tridente di Nettuno entrarono in risonanza assordando il corpo posseduto da Marte. La creatura che un tempo era stata Isaac gridò e cadde in ginocchio ma non cedeva. Stringeva scudo e lancia e resisteva al potere dei due semidei.
Fu allora che la voce di Seiya e Saga risuonò come una sola nell’aria.
“Spostatevi!” fece Sagitter “Vai freccia d’oro e abbatti il tuo nemico per sempre!” disse scoccando il dardo dorato. Per l’immenso sforzo il cavaliere cadde in ginocchio ma, alle sue spalle, Saga scoperchiò lo scrigno di Sage. La freccia si conficcò nel petto di Isaac mentre l’anima del dio Marte lentamente veniva attirata verso lo scrigno.
Saga strinse i denti anche se lo sforzo appariva oltre le sue possibilità. Non poteva cedere. Era l’ultima possibilità che rimaneva.
“Non sei solo fratello!” gridò Kanon sostenendolo con il suo cosmo. L’armatura di scaglie si dispose su Kanon e i poteri dei due gemelli furono uno solo. Fu così che l’anima di Marte fu inesorabilmente confinata nello scrigno dell’Altare. Il corpo di Isaac cadde sulla sabbia e Nettuno lo raggiunse per usare il suo potere divino su di lui. Se poteva fare ammenda anche nei suoi confronti, non ne avrebbe perso la possibilità.
Nel frattempo lo scrigno riluceva in un alone porpora. Pandora si avvicinò e tese le mani.
“Dallo a me affinché lo sigilli. Sono l’unica che può farlo in questo momento.”
A quelle parole Saga si rese realmente conto che era finita. La battaglia contro Marte durata quattordici anni era finita. Amaramente. Porse lo scrigno a Pandora e si voltò verso Saori. Giaceva ancora in terra protetta da Shaina, Marin, Shun e i cavalieri di bronzo. Vide Kouga avvicinarsi a lei.
Il ragazzo si inginocchiò. La kamui della Nike era sparita. Piangeva.
“Saori, Saori, svegliati. Svegliati, ti prego. Mur, se il suo cuore batte perché non si sveglia? Le macchie sono sparite, non vedi?”
Povero Kouga. Come poteva capire? Come si poteva spiegare ad un ragazzo che cercava il modo di salvare sua madre che era troppo tardi? Se solo lui avesse scoperto prima il segreto dell’incantesimo di Medea, non avrebbe potuto salvarla? Vide Shaka sollevarlo dal corpo della dea.
“Vieni, Kouga, ora dobbiamo riportarla al tempio. Tu devi venire con me.” Disse il cavaliere di Virgo.
“No! Voglio stare con mia madre!” gridò il ragazzo e nessuno osò parlare. Fu Mur ad interrompere quell’imbarazzante silenzio.
“Kiki, porta Kouga, Yuna, Soma e Ryuho alla casa di Virgo. Marin verrà insieme a June per medicarli.” Kiki annuì senza battere ciglio e, spinto da lui, Kouga si lasciò condurre via.
Saga pensò che non era da Seiya lasciare che separassero Kouga da Saori in quel modo. Si voltò per rimproverarlo almeno con lo sguardo ma fu spiazzato dal motivo per cui il cavaliere non aveva proferito parola. Seiya giaceva in terra, faccia nella sabbia, immobile.
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Shun depose Hyoga nel letto. Andò alla finestra e l’aprì facendo entrare l’aria del mattino. Fuori dalla stanza che odorava di chiuso, l’alba faceva capolino timidamente. Il momento che da sempre Shun aveva condiviso con Hyoga. I fiorellini della pieris japonica dondolarono sul davanzale della finestra. Shun li accarezzò. Rimase a fissarli rifiutandosi di tornare a guardare il corpo di Hyoga. Sembrava dormisse profondamente.
La voce di Ikki lo raggiunse alle spalle.
“Non è morto. Pandora dice che ci deve essere un modo per svegliarlo.”
“L’ho gettato io in questo stato.”
Shun, con la voce rotta dal pianto, non riuscì a proseguire. Ikki si avvicinò e il suo sguardo cadde sulla pianta. Sul suo viso si dipinse un riso amaro. Quella pianta veniva comunemente chiamata Andromeda. Mise una mano sulla spalla di Shun e lo costrinse a voltarsi.
“Tu non hai mai perso la speranza, non è vero Shun? Credi che se le cose fossero andate in modo diverso e ci fossi stato tu in quel letto, Hyoga si sarebbe arreso?”
Gli occhi di Shun si fecero, se possibile, più grandi e profondi.
“No, lui non si sarebbe mai rassegnato.”
“Ho commesso molti errori Shun. Di questi, tanti sono imperdonabili. Il peggiore di tutti non è stato isolarmi e lasciare la Grecia. E’ stato impedirti di sentirti libero di manifestare i tuoi sentimenti.”
“Ho amato June e ho avuto Yuna.” Disse Shun chinando il capo.
“Ma hai perso lui.” Rispose Ikki puntando un dito dritto al volto del ragazzo che giaceva nel letto.
“Il passato è passato.”
“Non è così semplice, Shun. Non ci si libera mai del passato. Ho bisogno che tu ci creda. Devi credere che Hyoga abbia una possibilità di risvegliarsi o io dovrò convivere con la vergogna di non potergli chiedere scusa. In tutti questi anni lui ha avuto cura di te. La cura che avrei dovuto avere io. Io che ti ho abbandonato. Non l’ho fatto per amore di Pandora, credimi. Lei avrebbe accettato di restare ai margini del santuario. Semplicemente non sapevo vivere al tuo fianco. Quando vivevamo in mezzo alle battaglie, sapevo sempre cosa fare. Avrei combattuto fino alla morte per proteggerti. In tempo di pace ero inutile. Cosa avrei dovuto fare per farti sentire che ti voglio bene?”
“Avresti semplicemente dovuto dirmelo. Avresti semplicemente dovuto abbracciarmi.”
Ikki fece un passo in avanti e allargò un poco le braccia. Shun si lasciò stringere e senti le lacrime cadere dagli occhi. Dopo una vita intera, sentiva il battito del cuore di suo fratello. Unì le mani dietro la schiena di Ikki e si lasciò andare a profondi singhiozzi.
Pandora corse sull’uscio della stanza, preoccupata. Nel vedere i due fratelli abbracciati si portò una mano sulle labbra per trattenere un’esclamazione. Si sentì di troppo e fece per uscire. La voce di Shun la richiamò.
“Pandora, ti prego, non andartene.”
La donna avanzò lentamente e, quando fu ad un passo da Shun, questi le prese le mani.
“Ti ho odiata, Pandora, e ti ho fatto torto. Non lo meritavi. E’ stato Eden a farmelo capire. Hai cresciuto un figlio splendido e le parole di Ikki escono dalle sue labbra ma partono dal tuo cuore. Grazie.”
Pandora provò un’emozione che neppure il giorno che Eden era venuto al mondo aveva sentito. Si sentì libera. Si sentì di nuovo una bambina. Quella bambina che aveva una bella casa, una bella famiglia, dei bei giocattoli, una bella schiera di servitori, due splendidi genitori e un adorabile fratellino. Una risata le sfuggì dalle labbra rosee. Rise, Pandora, con il cuore leggero perché in quel tocco di Shun aveva ritrovato finalmente la sua identità. Era come se una delle mani che stringevano le sue appartenesse a Shun e l’altra fosse quella di Hades ed entrambe le comunicassero affetto, appartenenza.
“Ti giuro, Shun, che se esiste un modo per risvegliare Hyoga, io lo troverò. Ho già mandato un messaggio a Radhamantys di cercare nella biblioteca di Minosse. Ci sono testi ancora più antichi di quelli che si trovano al santuario.” Shun lasciò le sue mani e raggiunse il letto. Si inginocchiò e parlò dritto all’orecchio di Hyoga.
“Io sono qui. Ti aspetto. Sono sicuro che tornerai. Me l’hai promesso, ricordi? Sta tranquillo. Qualunque sarà il giorno che sceglierai per svegliarti, mi troverai al tuo fianco. Siamo a casa, Hyoga.”
Ikki strinse Pandora e si ritrovò a pensare che questa volta non avrebbe voltato le spalle alle persone che amava. Avrebbe fatto la cosa più coraggiosa che un uomo può fare. Sarebbe rimasto. Immutabile sostegno di ciò che desiderava maggiormente proteggere. La sua famiglia. Tutta la sua famiglia. Pandora, Eden, Shun, Yuna, June e, infine, Hyoga.
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Seiya aprì gli occhi e la luce dell’alba che filtrava dalla finestra glieli ferì. Si mise a sedere portandosi una mano alla testa. Doleva. Le sue ferite erano state medicate. Una fasciatura stretta gli circondava il torace. Il sangue non aveva smesso di macchiarla. La voce di lei lo fece sussultare.
“Credevo che questa volta non ti saresti svegliato. Forse sarebbe stato meglio!” Il sarcasmo nella voce di Shaina lo svegliò del tutto.
“Dov’è.” fece lui guadandosi intorno ma Shaina lo interruppe.
“E’ morta.  Lei è morta. Fine dei giochi Seiya!” Il cavaliere fissò le vestigia di Sagitter che si erano ricomposte in un angolo della stanza.
“Lo so. Volevo chiederti dov’è Kouga.”
“E’ sotto la custodia di Saga. Shaka ha provato a convincere Mur che andava condotto nelle stanze di Atena e lasciato alla protezione di Shura ma conosci Saga. Anche se non è più il grande sacerdote ha saputo essere molto persuasivo circa il fatto che la sua idea fosse quella da appoggiare. Sono entrambi alla terza casa. Kouga non faceva che urlare e lui ha preferito allontanarlo da lei.”
Seiya strinse un pugno e la fasciatura sul petto si imporporò ancora di più. Scese dal letto e fece per raggiungere la porta. Shaina gli si parò innanzi.
“Dove credi di andare?”
“Da mio figlio.”
“Non è possibile.” Seiya sorrise.
“Tu vuoi fermarmi?”
“Il grande sacerdote ha ordinato che tu rimanga agli arresti fino a che il consiglio dei cavalieri d’oro non decida la tua sorte.”
“Stai scherzando, Shaina?”
“Affatto.” Disse lei seria. Seiya comprese immediatamente che, anche se Saori si era addormentata, il fatto che lui aveva dichiarato apertamente di essere il padre di Kouga, avrebbe avuto altre conseguenze.
“Voglio vedere Kouga.”
“A tempo debito. Ora devi restare qui. Vado ad avvertire il grande sacerdote che ti sei svegliato. Ah Seiya!” Fece aprendo la porta “Non è che non mi fidi del tuo caratteraccio impulsivo ma ci sono Shura e Aldebaran di guardia fuori e sappi che sono molto in collera con te!”
“Shaina.” Disse lui richiamandola “Qualunque cosa decidano, io devo vederla.”
“E’ morta. Fattene una ragione e se fossi in te, troverei il modo di sopravvivere a questa giornata!” disse la sacerdotessa sbattendo la porta.
Seiya andò verso la finestra e guardò fuori. La statua di Atena splendeva di nuovo sulla cima delle tredici case. Sembrava sorridere bonariamente come volesse comunicare che la tempesta era finita. Seiya guardò il pugno destro che era rimasto chiuso per tutto il tempo e provò a distendere le dita. Un tremito leggero ma continuo le attraversava. Chiuse gli occhi per un momento e si concentrò. Il battito del cuore di Saori era lento. Una scintilla di cosmo ancora ardeva, insufficiente comunque a destarla. Avrebbe riposato per sempre nella tredicesima casa sotto lo sguardo severo della maschera del grande sacerdote della dea, protetta dai cavalieri d’oro.
Si girò verso Sagitter e si avvicinò. La toccò e l’armatura scintillò emettendo, per un istante, un suono acuto.
“Non sono più degno?” chiese senza sapere se la domanda era rivolta a se stesso, all’armatura o al suo precedente possessore. Come in attesa di una risposta, rimase fermo. D’un tratto l’arco di Sagitter si tese preparando il colpo e Seiya chiuse gli occhi. Forse questa volta l’armatura avrebbe davvero servito la dea e chiuso quel ridicolo teatrino inscenato per quattordici anni. Invece non accadde nulla. L’armatura rimase immobile. La freccia incoccata senza muoversi dall’arco.
“Una volta mi hai quasi ucciso per farmi avere un messaggio, se stavolta mi risparmi significa che non hai niente da dirmi?” L’elmo dell’armatura sembrò vibrare. “Hai fatto la tua scelta.” In quel momento un rumore lo fece voltare di scatto. Seduto sul davanzale della finestra, Death Mask rideva di lui.
“Se parli con l’armatura sei davvero messo male!”
“Tu che ci fai qui?” chiese Seiya. Death Mask fece un balzo e lo raggiunse.
“Tra poco verrai giudicato. Ti verrà fatta una domanda sola. Saga ti manda a dire di mentire.” Disse voltandosi e tornando verso la finestra.
“Solo questo?” chiese Seiya.
“Solo questo.” Concluse il cavaliere di Cancer saltando di nuovo sul davanzale.
“Fai sempre il lavoro sporco del cavaliere di Gemini?” chiese Seiya ridendo malinconicamente. Cancer fece spallucce.
“Io sono più leale di quanto pensi. E mi piace scommettere. Ci vado giù pesante. Tanto tempo fa ho scommesso su Saga.”
“E hai perso.” Disse Seiya.
“Ne sei sicuro?” lo rimbeccò Death Mask “Tutte queste storie morali a me non interessano. Non sono mai interessate. Atena è Atena. Che abbia figli con chi vuole! Se ordina di difendere, io difendo. Se ordina di uccidere, io uccido. Il disegno è troppo grande perché la vista di un uomo possa inquadrarlo tutto. Certo, ci sono uomini che hanno una vista migliore. Allora ti devi fidare. Saga è sempre stato bravo in questo. Se Shion avesse avuto una vista migliore, avrebbe capito che Aiolos non era all’altezza di prendere il suo posto come lo era Saga e non sarebbe accaduto nulla. Saga ha scelto di proteggere te e Saori. Ha visto qualcosa di più grande. Forse il moccioso o forse qualcos’altro. Ti devi fidare.”
“Di a Saga che non so mentire. Io sono come Aiolos. Uno che appartiene alla schiera di quelli che guardano troppo lontano per vedere il disegno più grande.” Death Mask rise.
“Ha detto che l’avresti detto. E mi ha detto di riferirti di mentire lo stesso. A volte non c’è bisogno di essere convincenti. A volte le persone vogliono disperatamente essere imbrogliate. Ci vediamo, Seiya di Sagitter.”
Sparì come era venuto lasciando Seiya solo con i suoi propositi.
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Julian entrò nella grande vasca da bagno piena di acqua calda del santuario. Il vapore riempiva la sala di marmo bianco nascondendo le sagome dei suoi sei generali che lo sorvegliavano a distanza. Il grande sacerdote lo aveva ringraziato per l’aiuto prestato a Rodorio durante l’attacco dei guerrieri di Mars e lo aveva invitato a restare fino alla funzione per la deposizione del corpo di Saori.
Una fitta allo stomaco lo fece piegare. Syria gli fu affianco subito.
“Mio signore.”
“Sto bene, Syria. Piuttosto, quali sono le condizioni di Isaac?”
“Lo abbiamo lasciato alle cure del suo maestro Camus. Dice che forse potrà guarire il suo corpo ma dubita che tornerà più lo stesso.”
“Questo lo so.” Disse Nettuno e Syria s’accorse dall’increspatura dell’acqua che si era innervosito “Nessuno di noi tornerà più lo stesso.”
“Mi duole, mio sire, di non poter alleviare la vostra pena.”
“Non doveva andare così. Tu mi avevi avvertito. Avrei dovuto darti ascolto, Syria.”
“Ciò che affliggeva Atena non dipendeva da voi, mio signore.” Disse il cavaliere alludendo al figlio che aveva nascosto a tutti.
“Già, credi che dovremmo intervenire in qualche modo?” chiese Julian “Difendere il semidio?”
“Credo che dovremmo lasciare al grande sacerdote il compito di applicare le leggi del tempio. Non credo dovremmo interferire.”
“Quel ragazzo ha un grande potere. Sua madre avrebbe potuto proteggerlo e guidarlo. Insegnargli ad usarlo. Ora, senza una guida, che ne sarà di lui?” chiese di nuovo. Una terza voce rispose.
“Gli dei non lo vogliono. Non ha bisogno di una guida divina. Gli serve un uomo. Un uomo che gli insegni a vivere tra gli uomini. La voce apparteneva a Kanon.
“Fatti avanti Kanon.” Il ragazzo arrivò davanti al dio e si inginocchiò “Ti ho tenuto prigioniero per tredici anni nella colonna portante. Ti ho costretto ad obbedire ai miei ordini sotto la minaccia di uccidere tuo fratello. Non è servito ad insegnarti il timore per gli dei.” Kanon sorrise ma non alzò il capo.
“Credo di essere simpatico a qualcuno lassù sull’Olimpo.”
“Lo credo anche io. Stavolta ti sciolgo da ogni catena, generale.” Kanon sollevò il capo e agganciò i suoi occhi blu in quelli di Nettuno “Non è un inganno. Sei libero, Kanon. Alla fine ci siamo intesi io e te. Le tue stelle appartengono ad Atena. Sappi però che se un giorno vorrai tornare ad Atlantide, l’armatura del Dragone del Mare sarà lì ad aspettare. Non troverà, in quest’epoca, un cavaliere più degno.”
Kanon rimase senza parole e Syria sorrise.
“Siete riuscito a spiazzare quest’uomo, mio re!”
“Strani figuri riempiono le file dei cavalieri di Atena, Syria. Uccisori e ingannatori di dei!” Kanon si alzò.
“Uomini che non accettano il proprio destino, mio signore, ma che sanno ricordare un gesto di misericordia.” Disse voltandosi e lasciando la stanza.
“Siete certo di volerlo lasciare andare? Conosce molti segreti di Atlantide.” Fece Syria.
“E a chi li svelerà? Saori è morta.” Disse scivolando completamente nell’acqua.
Syria fece un passo indietro. Fino alla fine dei suoi giorni, ripensando a quel momento, si chiese se il bel volto di Julian era umido per il vapore del bagno o per le calde lacrime versate per la donna amata.
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“Ora basta Kouga!” gridò Saga scuotendo il ragazzo per le spalle.
Kouga continuava a gridare di voler vedere sua madre e suo padre. Aveva rotto diverse anfore e persino un paio di statue di raffiguranti delle ninfe che adornavano la terza casa incapace di controllare il suo cosmo. L’urlo di Saga ebbe l’effetto di ammutolire Kouga che scivolò a terra piagnucolando.
“Sei tale e quale tuo padre! Incapace di ragionare quando serve di più! Piagnucola pure ma non è quello che ci serve ora.”
A quelle parole il ragazzo alzò la testa e si asciugò il viso con la manica della maglia.
“E cosa ci serve allora?” chiese timidamente. Saga sorrise e si inginocchiò di fronte a lui.
“Ci serve che tuo padre si dimentichi per un po’ di essere il preferito di Atena e che tu ti dia una calmata. Ora io devo salire alla tredicesima casa. Ci sarà un importante consesso in cui saranno decise molte cose.”
“Anche che ne sarà di me?” chiese Kouga con due grandi occhi blu. Alla vista di quegli occhi, il cuore di Saga si fermò. Erano gli occhi di Saori.
“A te non accadrà nulla di male. Te lo prometto. Ti riporterò da tuo padre. Però dovrai promettermi che resterai qui buono con Shaina!”A quelle parole la donna si palesò.
“Mi occuperò io di lui.” Il ragazzo le corse incontro e si fermò davanti a lei incerto se abbracciarla o meno. Lei gli passò un braccio intorno alle spalle e lo tirò a sé.
“Shaina, come sta Seiya?” chiese il ragazzo che non riusciva ancora a chiamarlo ‘papà’.
“Sta meglio. Si è svegliato. Voleva vederti ma adesso non può. Ti manda a dire di fare il bravo.” Concluse facendo l’occhiolino a Saga “Va a prendermi un bicchiere d’acqua comincio ad essere vecchia per tutte queste scale!” Kouga si allontanò e il viso di lei s’incupì.
“Come sta davvero?” le chiese Saga.
“La sua ferita non smette di sanguinare. Non capisco. Atena lo aveva guarito!”
“E’ il patto della Nike. Ora che Atena si è addormentata, la Nike va perdendo il suo potere. Presto si esaurirà. Seiya non ha molto tempo. Dovremmo condurlo rapidamente alla fonte di Atena. E’ l’unica possibilità. In più Kouga ha risvegliato la kamui della Nike e questo ha spezzato il legame della fiamma. E’ come se Atena avesse reclamato indietro il suo scettro.”
“Sta zitto! Vuoi che Kouga scopra che ha condannato a morte suo padre? Non sarà facile far uscire Seiya dal santuario. La maggior parte dei cavalieri d’oro pensa che vada applicata la legge. Durante la votazione li avrai tutti contro.”
“Non hai abbastanza fiducia nei miei mezzi, Shaina.”
“Tu non capisci.” Tentò lei.
“No, tu non capisci. Io non permetterò che uccidano Seiya e seppelliscano Saori in quella cripta!” Gli occhi di Saga si fecero rossi e i suoi capelli si schiarirono diventando simili ad uno spettro.
“Saga, calmati fratello!” la voce di Kanon risuonò decisa nell’aria riportando Saga al suo aspetto originario.
“Tu che ci fai qui?” chiese Gemini.
“Nettuno mi ha perdonato. Sono libero.” A quelle parole, Shaina sorrise.
“Buon per te.” Disse Saga.
“So che abbiamo combattuto insieme contro Marte, ma non mi hai ancora concesso il tuo di perdono.” Disse Kanon arrivando subito al punto.
Saga lo guardò dritto negli occhi. In un istante gli ripassarono davanti agli occhi le immagini di loro due che si battevano al fianco di Seiya, di loro due che si parlavano attraverso l’armatura di Gemini nell’Ade, quelle del giorno in cui lo aveva imprigionato a capo Sounion e del giorno in cui avevano litigato la prima volta. Gli balenarono nella mente le immagini di loro due che si allenavano insieme, quelle dei pomeriggi distesi sull’erba sotto il sole di Grecia, quelle delle sere in cui, due bambini dormivano nello stesso letto per la paura del buio.
Camminò fino ad averlo ad un palmo. Era come guardarsi allo specchio. Era come guardarsi dentro.
“Una volta hai detto che avevo il cuore di un demone nascosto sotto un viso d’angelo. Tu eri l’angelo che voleva farsi passare per demone. Non hai mai avuto colpe, Kanon. I miei errori li ho commessi da solo.” Kanon tremò. Chiuse gli occhi e sorrise.
“Eravamo due ragazzi incapaci di accettarsi l’un l’altro.” Stavolta fu Saga a sorridere.
“Vedi quella donna?” disse indicando Saga “ Se fossi un bravo fratello, ti direi di evitarla giacché è più mortifera della peste! Ma siccome non ti amo, fratello, e ti auguro ogni male, ti prego di prendertene cura come fosse il più delicato dei fiori di serra. Non dimenticarti delle spine ma ricorda che niente di veramente prezioso si trova senza sacrificio.” Shaina si limitò ad abbassare il capo.
“Che farai ora?”
“Lo sai.”
“Intendo dire ora che lei è morta.”
“E’ questo il tuo problema, Kanon. Non hai mai saputo vedere che Atena è sempre qui.” Disse indicando il suo cuore. “Abbi cura di mio fratello, Shaina. Sono certa che te la caverai. Sei brava ad addomesticare i muli!” Concluse allontanandosi.
“Saga!” lo richiamò Shaina.
“Si?” fece lui voltandosi appena.
“Non è un addio, vero?”
“Non vi libererete mai veramente di me!” disse indicando l’armatura di Gemini ricomposta al lato della stanza “Proteggete Kouga.”
Saga si allontanò e Shaina si diresse verso la cucina.
“L’ho mandato a prendere un bicchiere d’acqua. Dov’è finito quel benedetto ragazzo?” si chiese ad alta voce. Kanon la tirò per un braccio e le indicò un punto del pavimento del corridoio.
A terra, in una piccola pozza d’acqua, i frammenti di un bicchiere di vetro brillavano sotto un fascio di luce che filtrava da colonnato.



Note dell'autrice:
* Kamui è il nome delle vestigia dei dodici dei dell' Olimpo. Sono diverse dalle armature divine anche se spesso vengono definite così. In questo caso Mur parla di 4 kamui misteriose di cui una è quella della Nike giunta in difesa di Kouga. Un mistero che riguarderebbe le 88 armature dell'olimpo di Atena esiste davvero (finora Kurumada ne ha presentate solo 84) ma che una di queste sia l'armatura della Nike è pura fantasia della sottoscritta. Forse un giorno vi presenterò le altre 3!!!
** Jupiter Victor è il nome del colpo che Kouga riesce a lanciare come semidio conindosso la kamui della Nike. In realtà è uno degli attributi che venivano usati per definire la dea della vittoria, Nike appunto. 
Grazie per l'affetto, le recensioni, le parolacce, i complimenti, le mail, le lacrimucce, i sorrisi... quasi vi vedo dietro i pc mentre leggete la storia...
Vi aspetto per l'ultimo capitolo.
Poi magari ci faremo gli auguri di Natale con l'epilogo...
Un abbraccio circolare...

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Capitolo 24
*** La vita salvata da Kouga - Il destino di una vita intera - ***


 

La vita salvata da Kouga
-Il destino di una vita intera-



Il sole era alto quando Mur entrò nella grande sala del trono con indosso l’abito talare. Gli scrigni d’oro dello zodiaco erano stati posti in modo circolare e dietro ognuno di essi era stato predisposto uno scranno.
Aveva deciso di non indossare l’elmo cerimoniale. Gli era sembrato totalmente inappropriato. La luce faceva brillare i dodici involucri d’oro e lui si soffermò a guardare quello del Sagittario. In mezzo a quelle colonne bianche, l’oro degli scrigni sembrava ancor più ricco. Il tappeto rosso era stato rimosso e dei teli bianchi calavano dagli alti timpani del tempio in segno di lutto.
Il primo a raggiugere la stanza fu Saga. Mur ebbe la sensazione che, passandogli la carica di gran sacerdote, gli avesse anche passato una ventina dei suoi anni.
“Sacerdote, ti saluto. Mi auguro che tu abbia stemperato i bollenti spiriti dei miei pari durante la mattinata.” Disse Saga con tono autoritario.
“Non credevo che saremmo arrivati a questo Saga. Passarmi la carica di gran sacerdote e rimettere, contemporaneamente, la vita di Seiya nelle mie mani non è stato molto corretto da parte tua ma diciamo che avrei dovuto aspettarmi un qualche secondo fine nel tuo gesto.” Saga rise di scherno.
“Diciamo che, con quell’abito addosso, non mi sentivo libero di muovermi a mio piacimento, Mur.”
Il grande sacerdote stava per domandare cosa significasse quell’affermazione ma la porta della grande sala si aprì e i cavalieri entrarono due alla volta. Prima Milo e Camus. Il cavaliere dello Scorpione avanzava con un cipiglio cattivo sul volto. Era stato l’unico, nella discussione ufficiosa che si era tenuta all’alba in quella stessa stanza a parteggiare per Seiya. Aveva persino discusso con Camus che la pensava in modo diametralmente opposto. Quest’ultimo camminava al suo fianco più freddo del solito se possibile e guardava dalla parte opposta a quella di Milo.
Dietro di loro avanzavano Aphrodite e Death Mask. Durante il duro confronto della mattinata Aphrodite era rimasto muto tutto il tempo rigirandosi una rosa rossa tra le dita. Cancer, da parte sua, aveva litigato con tutti senza spendere né una parola a favore né una contro Seiya e risultando, di fatto, inutile a tutti.
Aiolia fece il suo ingresso al fianco di Shyriu. Il cavaliere di Libra aveva provato a portare qualcuno dei dorati dalla parte del suo migliore amico senza contrariare apertamente la fazione dei cavalieri d’oro che volevano vedere applicata la legge e consideravano Seiya resposnsabile delle condizioni di Atena. Aveva cominciato dove pensava di trovare minore resistenza e cioè da Aiolia ma quest’ultimo si era chiuso in un doloroso mutismo. Il ricordo di essere stato marchiato per anni come il fratello di un traditore era ancora troppo vivido.
Shura enrò al fianco di Shaka. Se la vita di Seiya fosse stata appesa alla sola volontà di questi due cavalieri, seppure per motivazioni diverse, sarebbe stata recisa in un istante. Troppo legato al senso dell’onore Capricorn, quanto al senso delle norme morali Virgo.
Tutti i cavalieri presero posto. Mur fece cenno a due ancelle di aprire la porta per l’ultima volta e uscire. Dietro la porta stavano, immobili, Aldebaran e Kiki ai fianchi di Seiya. Al cenno di Mur entrarono e la porta fu richiusa.
Il volto di Aldebaran era inflessibile, quello di Kiki una maschera di dolore. I cavalieri presenti si stupirono di vedere quest’ultimo con indosso l’armatura dell’Ariete.
Seiya avanzò tra loro e gli fu ordinato di fermarsi al centro della sala. Mur parlò.
“Innanzitutto vi devo una spiegazione. Atena aveva nominato Kiki cavaliere dell’Altare in una situazione di emergenza. Egli si è dimostrato in grado di adoperare persino la spada di Atena. Poiché non ritengo di essere in grado di rivestire contemporaneamnete il ruolo di grande sacerdote e quello di difensore della prima casa, ho deciso di affidare il secondo compito a Kiki. Accoglietelo tra i pari d’oro.”
Tutti i cavalieri fecero un cenno del capo e Seiya sorrise riempiendo d’orgoglio il cuore del ragazzo. Se aveva raggiunto quel risultato, il merito era di Seiya. Il suo esempio lo aveva fatto crescere e desiderare di essere un vero cavaliere di Atena e non solo un eterno apprendista.
“Ma veniamo al grave motivo per cui siamo qui. Seiya di Sagitter, sei stato accusato di aver commesso il più grave crimine di cui un cavaliere tuo pari possa macchiarsi. Hai recato offesa alla dea Atena. Sin dalle prime luci dell’alba i tuoi pari hanno discusso la questione. La pena per una simile colpa è la morte. Non saresti privato solo della vita, cavaliere, il tuo nome sarebbe cancellato dagli annali del santuario. Poiché si tratta della pena suprema e i cavalieri non sono stati unanimi nella sentenza, si è deciso di darti facoltà di difenderti. Ti verrà fatta una sola domanda dalla cui risposta dipenderà il tuo destino.” Mur si fermò e tirò il fiato. Kiki avrebbe giurato che stesse tremando. I cavalieri d’oro guardavano in undici direzioni diverse. Solo Saga fissava negli occhi Seiya. Sembrava volergli suggerire la risposta e lo sfidava con gli occhi. Mur riprese.
“Seiya di Sagitter, Kouga, generato da Saori Kido incarnazione della dea Atena, è tuo figlio?”Un silenzio irreale cadde nella sala. Gli uccellini cinguettavano come in una qualsiasi giornata soleggiata ignorando l’invidia che generavano nel cuore dei  presenti nella stanza del trono.
Shaka aprì i suoi occhi percependo il cosmo di Seiya espandersi con orgoglio. In pochi istanti avvolse tutti.
“Seiya di Sagitter, hai ben compreso cosa ti ho domandato?” chiese di nuovo Mur “Kouga è tuo figlio o hai tentato di difenderlo dalla verità e cioè che è stato generato da Marte durante l’aggessione ai danni della nostra dea?”
Se avesse potuto, Mur avrebbe usato la sua telepatia ma gli altri cavalieri d’oro se ne sarebbero senz’altro accorti.
“Di la verità, Seiya!” fece in modo aggressivo Saga.
Il cosmo di Seiya, come avesse raggiunto il suo obiettivo, si placò. Così era in effetti. Seiya lo aveva esteso fino a raggiungere Saori distesa nelle sue stanze. Quando aveva percepito che quella piccola scintilla ancora presente nel corpo della donna non aveva reagito alla sua presenza, si era ritirato.
“Mur, cavalieri d’oro, grazie. A tutti. Per avermi dato la possibilità di parlare. Lasciate che vi dica che anche se per tutti questi anni passati perlopiù sull’Altura delle Stelle non siamo stati fisicamente uniti, io vi ho considerati più che amici. Vi ho considerati maestri. Vi ho considerati fratelli. Alcuni di voi mi conoscono meglio, altri sanno solo che sono stato bravo a combinare un mucchio di guai. Io però vi ho conosciuto tutti nel profondo perché vi ho visti attraverso gli occhi di Atena.
Non sono bravo con le parole. Vi chiedo solo di proteggere Kouga. Saori ha dato la sua vita per proteggere il santuario. A tutti voi tocca, a questo punto, proteggere il figlio di Atena. Aiolos lasciò a dei semplici cavalieri di bronzo la difesa della dea. Io non sapevo nulla di Saori, nulla di Aiolos. Qualcuno mi ha detto che se capisci che un uomo ha visto il disegno più grande meglio di te, tu ti devi fidare. Io mi sono fidato ciecamente di Aiolos e lui era uno di voi. Ora io vi chiedo di fidarvi ciecamente di me. Proteggere Kouga, proteggete mio figlio.”
“Dannazione Seiya!” urlò Aiolia.
“Siamo tutti cavalieri di Atena!” grido Milo.
“Questo non è ammissibile!” gli fece eco Shura.
“Non puoi sovvertire le leggi Seiya, le leggi sono la volontà della dea stessa!” fece Shaka.
Tutti facevano una tremenda confusione. Seiya si sentì mancare e Saga gli fu affianco per sostenerlo.
“Silenzio!” gridò Saga “Non capite che vuole proteggere il ragazzino? Non vuole che scopra le sue vere origini!” fece rivolgendosi a Mur con occhi furenti. Tutti tacquero e guardarono il sacerdote. Mur sentì lo sguardo penetrante di Shaka trafiggergli la mente. Sentì su di sé la responsabilità del  verdetto e si sedette sul trono per la prima volta poggiando le mani sui braccioli.
“Complimenti Seiya, splendida interpretazione! Sei fiero di te? Non potevi ascoltarmi per una volta?” disse sottovoce Saga.
“Non ha più importanza, Saga.” Disse Seiya.
“Sciocco!” disse il più grande fra i denti “Lei è morta ma quel bambino ha bisogno di te.”
“Quel bambino ha bisogno di sapere che suo padre e sua madre lo hanno desiderato, hanno lottato per averlo e lo hanno amato sopra ogni cosa. Anche la vita. Saori ha dato la sua, io le ho promesso che stanotte sarei stato al suo fianco.”
Saga sgranò gli occhi e Mur in quel momento si alzò.
“Seiya. Ti è stata data la possibilità di difenderti. Hai confessato la tua colpa. La pena per un simile reato è la morte. Il tuo nome verrà cancellato dagli annali del Santuario. Non sarà riportato che vestì la sacra armatura di Sagitter un uomo di nome Seiya. Non sarà riportato il tuo nome tra i cavalieri di Pegasus. Non c’è mai stato alcun santo di Atena con questo nome. Questo decide il grande sacerdote della dea.”
Seiya cercò di rimanere in piedi ma le sue gambe cedettero nel momento in cui sentì che avrebbe perso anche il titolo di cavaliere di Pegasus.
“Mur!” gridò Saga e Death Mask gli fu al fianco per trattenerlo.
“Saga, il compito di un grande sacerdote della dea è difendere Atena, non le sue incarnazioni. Ho la morte nel cuore, credimi, ma hai voluto tu che lo facessi.”Saga tornò calmo e scansò Cancer.
“Hai ragione, grande sacerdote. Ti chiedo, come ammenda per il mio imperdonabile comportamento, di affidarmi il compito di eseguire la sentenza sempre che qualcun altro non voglia farlo al posto mio!” esclamò guardando prima Shura e poi Shaka.
Shaka chiuse i suoi occhi, Shura abbassò il capo. Saga lo aveva detto con la consapevolezza che nessuno dei cavalieri d’oro avrebbe preteso quell’incarico. Strattonò Seiya e fece per condurlo fuori. Camus gli sbarrò la strada.
“Atena è morta. Mur è grande sacerdote. Ora posso dire apertamente quello che penso. Non mi fido di te. Hai avuto la tua occasione di servire fedelmente la dea e hai mentito. Tu hai sempre saputo che il ragazzo era figlio di Atena. Hai consentito che fosse violato uno dei dettami più sacri del grande tempio. Non sei meno colpevole di Seiya.” Saga sorrise.
“Davvero? Il grande sacerdote non ha formulato alcuna accusa contro di me. Nessuno, a parte Seiya e Saori sapeva. Io ero all’oscuro come tutti voi. Mi è stato detto di tollerare la presenza di quell’orfano alla tredicesima casa e io ho obbedito. Se hai prove che dimostrino il contrario, allora tirale fuori ora oppure taci.” Camus strinse i pugni.
“Allora pretendo che Seiya venga affidato a me e Milo fino alla sua esecuzione. Questo, Mur, non puoi rifiutarmelo.” Disse l’Acquario rivolgendosi al grande sacerdote ma Mur fece un cenno col capo.
“Smettetela! Kiki e Aldebaran si occuperanno di Seiya fino a domattina. All’alba, prima della celebrazione del rito del trapasso in onore di Atena, Seiya sarà giustiziato.” Concluse voltandosi e lasciando la sala. Saga lo raggiunse nel corridoio.
“Mur.” Disse richiamandolo.
“Non dire nulla. Non potevo fare diversamente.” Disse Mur col capo chino “Io devo essere giusto. Devo applicare la legge.”
“Mur, grazie.” Disse Saga tendendogli una mano.
“Che significa?”
“Io non avrei mai potuto fare quello che hai fatto tu. Avrei sconfessato tutte le regole e mostrato la mia vera natura. Tu hai salvato il santuario facendo quello che hai fatto, hai tenuto uniti i cavalieri d’oro. E’ stato un onore essere uno di dodici insieme a te.”
“E’ stato? Che significa? Che hai intenzione di fare, Saga?”
“Non devi saperlo. Anche se forse lo immagini se hai deciso di affidare Seiya a Kiki e Aldebaran.” Mur sorrise e strinse la mano di Saga.
“Se avessi detto che lo sapevi, avrei detto che lo sapevo anch’io.” Disse Mur.
“Lo so.” Rispose Saga ridendo “Per questo ho mentito!”
“Addio Saga.”
“Addio Mur.”Il cavaliere di Gemini fece per andarsene ma esitò per chiedere un’ultima cosa al suo compagno. “Mur.”
“Dimmi.”
“Dato che ho l’impressione che dovrai cancellare anche il mio nome dagli annali del grande tempio, mi faresti un favore?”
“Parla.”
“Assegna Gemini a Kanon. Forse avrebbe dovuto indossarla lui fin dall’inizio.”
Mur infilò una mano nella tasca dell’ampio abito e tirò fuori una pergamena arrotolata. La porse a Saga.
“Avrei voluto darla a Seiya perché capisse i miei sentimenti ma credo che vada bene se la prendi tu.”
Saga la srotolò e la lesse. Era l’annuario dell’ultimo decennio dove erano indicati i nomi dei cavalieri d’oro, d’argento e di bronzo. Sotto il grado di cavaliere d’oro di Sagitter era scritto il nome di Seiya e sotto quello del cavaliere di Pegasus c’era quello di Kouga. Corse con lo sguardo al grado di cavaliere di Gemini e il suo nome era scritto in rosso segno che signficava che quel cavaliere era stato il grande sacerdote della dea. I suoi occhi si riempirono di lacrime quando lesse il nome di Saori in cima a tutto l’organigramma.
“La conserverò con cura, Mur.”Concluse allontanandosi nel buio del corridoio. Mur pregò Atena che nessuno dovesse più soffrire non per la battaglia o la giustizia ma per amore.

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Shyriu, terminato il consiglio, corse a casa di Hyoga. Sapeva di trovare lì Shun e Ikki. Bussò violentemente e ripetutamente alla porta.
“Shiryu, ti stavamo aspettando. Cosa avete deciso?” chiese Shun seduto sul letto accanto a Hyoga.
“E’ stato condannato a morte.” Disse il cavaliere tutto d’un fiato.
“Cosa? Shyriu siete impazziti?” gridò Ikki.
“Credetemi, non lo capisco neanche io. Ritengono che la legge venga prima della persona. Dicono che l’offesa è troppo grande.”
“Dicono? Chi lo dice?” esclamò Shun scattando in piedi.
“Shura, Shaka, Camus, persino Aiolia!”
“Aiolia?” intervenne Ikki “E tu non hai detto niente?”
“Solo io e Milo lo abbiamo difeso apertamente.” Rispose Shyriu.
“E Mur?” chiese incredulo Shun.
“Non ha potuto esprimersi, è il grande sacerdote.”
“E Saga?” provò Ikki.
“Ogni tanto ha provato a provocare Shaka ma nient’altro.”
“E impossibile!” gridò ancora Shun.
“Dobbiamo fare qualcosa.” Disse allora Ikki guardando Pandora. La donna azzardò un’idea.
“Dove lo tengono? Prendiamo lui e Kouga e portiamoli via. Ci rifugeremo all’arco di Cerbero. Lì non oseranno venire a reclamarli.”
“Seiya e Kouga alla bocca dell’Ade? Credi che sia una buona idea?” chiese Shun.
“Meglio di niente.” Fece Ikki “Dobbiamo muoverci subito. Pandora avverti Radhamantys, io, Shun e Shyriu andiamo a prendere i ragazzi.”
“Aspetta!” fece Shun “Di sicuro li sorvegliano. Non vorrai batterti con i cavalieri d’oro? E non possiamo abbandonare Hyoga!”
“Non l’ho mai pensato. Porteremo Hyoga con noi. In quanto a battersi con i cavalieri d’oro, bhè che ci provino a fermarci. Non lascerò che uccidano Seiya perché ha amato Saori. Che ha fatto di male?” Pandora si avvicinò e gli prese una mano. Ikki si calmò e lei prese la parola.
“E Saori? Non volete lasciarla qui, vero? Anche se Atena si è addormentata, non è morta. Forse si rende persino conto di tutto quello che accade.”
“Tu pensi?” chiese Shun
“Non lo so, davvero. Ma io preferirei stare con la mia famiglia anche da morta.”
“Pensiamo a salvare Seiya. Per quanto triste, il destino di Saori è segnato.” Disse Ikki drasticamente.
“Resto io con Hyoga. Andate.” Fece Pandora per cambiare discorso e abbandonare il doloroso argomento.
I tre ragazzi lasciarono l’abitazione di Hyoga e corsero alla nona casa dove Kiki e Aldebaran avevano ricevuto l’ordine di condurre Seiya e sorvegliarlo fino alla mattina seguente.
Il sole stava calando e i tre tagliarono per la via traversa che spuntava sul tracciato delle dodici case subito dopo i giardini degli alberi di Sala. Mentre correvano per le scale tra la settima e l’ottava casa, i ricordi della battaglia contro Arles invasero i loro cuori. L’ottava casa si parò loro innanzi, maestosa, quasi all’improvviso. Milo stava in piedi splendente nella sua armatura.
“Milo!” esclamò Shyriu “Abbiamo bisogno del tuo permesso per passare.”
“Il grande sacerdote ha ordinato che nessuno passi per le dodici case fino a domattina. Ti prego Libra, ritirati con i tuoi compagni. La giornata mi è stata particolarmente nefasta e non voglio peggiorarla ulteriormente.”
“Stronzate!” esclamò Ikki “Facci passare con le buone o passeremo con le cattive!”
Milo era davvero di pessimo umore perché una serie di scariche scarlatte si dipanavano dalla sua armatura. Chi avrebbe potuto dargli addosso per questo? Aveva litigato sin dal mattino con Camus e lui odiava farlo. In più la bella atmosfera creata da Saori al tempio negli ultimi anni piena di gioia e risate, in cui Milo si trovava particolarmente a suo agio, sembrava di colpo svanita insieme al cosmo della donna. A peggiorare il tutto Ilio, il suo allievo prediletto, gli aveva urlato contro perché intendeva lasciare che il padre di Kouga venisse giustiziato. Il padre di Kouga. L’aveva detto in modo talmente semplice, come fosse una cosa banale. Perché per i bambini era così facile accettare la realtà, perché era così semplice vedere il mondo per quello che era? Perché forse non sapevano portare rancore?
Probabilmente era per questo che aveva litigato con Camus. Camus era adulto almeno quanto lui era bambino. Perché non poteva semplicemente accettare lo stato di fatto? Perché Camus, Shura, Shaka ritenevano così importante che Seiya fosse punito?
Strinse un pugno. Poi scoppiò in una fragorosa risata.
“Sapete che vi dico? Fate come vi pare.” Disse sfilandosi l’elmo. I suoi occhi erano lucidi. “Ricordatevi però che già una volta vi ho lasciato passare indenni per la mia casa e non ne sono venute fuori cose buone.”
I tre ragazzi gli passarono accanto e lo superarono. Solo Shun si fermò per dirgli una parola.
“Sono certo che non ci sarà bisogno di battersi con nessuno perché nessuno vuole davvero il sangue di Seiya.”
Milo rimase in silenzio e anche Shun si allontanò. Solo una volta rimasto solo Milo pianse.
“Povero Shun! Quanto sei ingenuo. Tutti vogliono il suo sangue. Solo non hanno il coraggio di prenderlo. Non hanno fatto la stessa cosa con Aiolos?”
Il cielo, che per un attimo si era fatto del un rosso intenso del tramonto, si oscurò insieme all’animo del cavaliere dello Scorpione.
Col favore dell’oscurità invece Shyriu, Ikki e Shun giunsero rapidamennte alla nona casa e riuscirono ad entrare non visti.
“Qui non c’è nessuno.” Disse Ikki perplesso.
“Sono nei sotterranei.” Fece Shyriu.
“Io percepisco qualcosa.” Disse improvvisamente Shun e un rumore di passi li sorprese alle spalle.
“Andatevene di qui.” Disse la figura che si palesò poco dopo.
“Saga!” esclamò Ikki sorridendo sornione “Sei venuto anche tu!”
“Non capisco a cosa ti riferisci. Io sto tornando alla terza casa. Voi non avete il permesso di stare qui.”
“Avanti, non vorrai farci credere che lascerai che eseguano la sentenza di Seiya!” lo imbeccò Shun. Saga rise.
“Ho sempre odiato Seiya. Dal profondo di entrambe le mie anime. Lo odio. Mi auguro che questa notte voli così da vederlo morire con questi miei occhi. Se il sacerdote me lo concederà, avrò io stesso il piacere di trafiggere il suo cuore. Vederlo esalare l’ultimo respiro sarà per me una liberazione! Se siete venuti qui con l’intenzione di aiutarlo, non avrò pietà di voi. Per quanto mi riguarda vi ho sempre considerati inservibili. Ora che Saori è morta, non ci sarà nessuno a piangere le vostre inutili vite!”
“Saga, ma cosa dici?” tentò Shyriu.
“E’ un’altra messa in scena?” chiese Ikki “Diversamente combatteremo!”
“Combattere? Non siete in grado neppure di ingaggiare un combattimento con me. Sparite dalla mia vista!” disse il cavaliere di Gemini allargando le braccia.
Shun comprese per primo cosa stava per accadere ma senza armatura non potè fare nulla. L’altra dimensione li abbracciò avvolgendoli completamente e spedendoli lontano dalla nona casa. Il silenzio che seguì fu violato dalla voce di Aldebaran.
“Non mi sono sbagliato, dunque, nel percepire il tuo cosmo. C’era qualcun altro qui?”Saga scosse il capo “Libra forse?”
“Ti ho detto di no.”
“E tu che ci fai qui?”
“Mur vuole che ti dia il cambio. Più tardi manderà qualcun altro a sostituire Kiki.”Aldebaran lo guardò con occhi miti. 
“Il cambio?”
“Sì.” Disse sicuro Saga.
“E immagino che io debba tornare subito alla seconda casa senza fare rapporto al grande sacerdote sul mio turno.”
“Immagini bene.” Fece Saga senza smettere di guardarlo negli occhi.
“E se io volessi restare? Non sono poi così stanco.”
“Vuoi restare, Aldebaran del Toro? Vuoi essere l’ultimo cavaliere che Seiya vedrà prima di essere condotto al patibolo?” Il Toro chiuse gli occhi incrociando le braccia sul petto. Saga si preparò a ricevere il suo colpo segreto ma Aldebaran sbuffò solamente come fanno i tori nell’arena quando il loro avversario non si decide a tirare fuori la picca.
“Preferisco passare questa notte infame nel mio letto.”Disse sopravanzandolo e imboccando la via d’uscita “Addio, Saga.”
Saga sorrise e prese la via per il sotterraneo. Kiki era seduto su una pietra appena fuori la cella in cui avevano rinchiuso Seiya. Un mucchio di bende sporche di sangue era stato abbandonato poco lontano dalle sbarre.
“Aries.” Fece Saga per annunciarsi. Kiki non si mosse.
“Non arriverà a domattina. Continuo a medicargli la ferita ma ha perso troppo sangue. Non riesce quasi più a stare seduto. Si è arreso.”Gli occhi di Saga furono attraversati da un baleno.
“Fammi un piacere, Kiki. Ho spedito Shun, Ikki e Shyriu slla prima casa perché avevano violato l’ordine di Mur di non attraversare le dodici case stanotte. Vorresti andare a vedere se stanno bene? Sorveglierò io Seiya.” Disse e Kiki si mise in piedi.
“Che fine ha fatto Aldebaran?”
“Non lo so, sono appena arrivato.” Fece Saga muovendo leggermente il capo di lato in un modo che Kiki trovò quantomeno sospetto. Il ragazzo sospirò e si voltò verso Seiya.
“Credo che questa sia l’ultima volta che ci vediamo, Seiya. Perdonami se non ho potuto fare di più.” Disse con gli occhi pieni di lacrime. Seiya non riuscì a parlare ma sorrise bonariamente e tentò di sollevare una mano.
Kiki si voltò e raggiunse Saga. Gli fece scivolare in una mano la chiave della cella.
“Non lasciare che soffra. Se non vuoi farlo per lui, fallo per lei.”
“L’ho sempre fatto per lei.” Gli rispose secco Saga.
Kiki scomparve lungo la scalinata che dava al piano superiore e Saga si avvicinò alla cella. Infilò la chiave arruginita e la fece girare nella serratura.
Lo scatto secco rimbombo nell’aria e Saga aprì la porta cigolante. Con la rabbia che aveva in corpo avrebbe potuto polverizzarla ma si limitò a farla scorrere verso l’interno. In due passi fu addosso a Seiya.
“Guarda come sei messo! Neanche durante il nostro confronto ti sei ridotto così. Avanti alzati.” Fece il cavaliere cercando di sollevarlo. La mano di Seiya si posò sulla sua con una forza che non immaginava lui potesse ancora avere.
“Lasciami stare. Ti ho detto che ormai è inutile. Credi che Kiki non mi abbia proposto di fuggire non appena Aldebaran si è allontanato?”
“Sei sempre stato limitato, Seiya. Fosse per me, marciresti qui dentro fino alla morte, ma ho promesso a Kouga che ti avrei riportato da lui e ho promesso a Saori che avrei protetto Kouga a costo della mia vita quando quel moccioso era ancora nel suo grembo. Quindi ora alzati.”
“Non capisci. Se esco di qui, tu sarai condannato per tradimento come me.”
“Me lo merito. Io sono un traditore, ricordi? E’ cominciato tutto perché volevo assassinare la bambina.” Seiya sorrise e un rivolo di sangue gli sfuggì dalle labbra.
“Lo sai che non posso sopravvivere. E’ il patto della Nike. Non sprecare la tua vita in questo modo. Tu hai giurato di proteggere Kouga. Lui ha un grande potere. Ha bisogno che qualcuno lo aiuti a scoprirlo e Saori pensava che quella persona dovessi essere tu se a noi fosse capitato qualcosa.” Saga digrignò i denti.
“Vuoi essere messo alla berlina? Vuoi accettare il disonore in questo modo? Vuoi che Kouga cresca con la consapevolezza che suo padre è stato giudicato e non ha fatto nulla per opporsi?”
“Non c’è disonore nell’accettare il destino di una vita intera. Non te l’ho forse detto? Il mio corpo appartiene ad Atena. Non c’è nessuna condanna che possa cambiare questo. Kouga è in buone mani. Lo sa Saori e lo so anche io.” Saga s’infuriò.
“Alzati cavaliere! Tu non morirai qui sotto! Hai fatto una promessa a Saori. Le hai promesso che ti saresti coricato al suo fianco stanotte. Vuoi deluderla?”
Gli occhi di Seiya fiammeggiarono e fece forza sulle braccia per alzarsi. Saga trattenne a stento le lacrime. Seiya si mise in piedi e lui fu al suo fianco per sorreggerlo. Lo trascinò fuori dalla nona casa e gli diede da parlare per tutto la scalinata fino alla casa di Capricorn.
“Non ci lascerà passare.” Accennò Seiya.
“Passeremo.” Disse Saga ghignando. Fu allora che una fitta nebbia li avvolse. Solo dopo qualche istante Seiya si accorse che non era nebbia. Erano spiriti.
“Andate. Shura potrà fendere l’aria quanto vuole, gli spiriti non si fanno a fette!” esclamò Death Mask. Saga gli fece un cenno del capo e lo lasciò indietro.
“Ti è rimasto sempre fedele.” Disse Seiya zoppicando e tenendosi al cavaliere di Gemini.
“Death Mask è come la morte. Puoi sempre contare su di lui. Presto o tardi arriva sempre.”
Un’aria gelida preannunciò però presto la comparsa di Camus e l’undicesima casa.
“Stavolta che t’inventerai?” chiese Seiya realmente convinto che Saga avesse esaurito le sue risorse. L’aria però si scaldò improvvisamente e fu pervasa da un dolce profumo che Seiya ricordava bene.
Tutta la scalinata e il colonnato dell’undicesima casa furono invasi di rose nere e Camus rimase immobile.
“Aphrodite?” chiese Seiya “Davvero?”
“Non è l’inutile cavaliere che credete. Il suo è un destino triste che ha imparato a condividere solo con le sue vittime. Conosce le pene d’amore anche meglio di noi e comnque non lascerà mai solo Cancer nella battaglia. Death Mask è il suo unico amico. Vedrai che Camus non combatterà. Il suo desiderio di vedere applicata la legge non contempla l’assassinio dei suoi compagni.”
Quando Seiya intravide la tredicesima casa, si rilassò e le gambe gli cedettero. Il tempio era deserto.
“Possibile che non ci sia nessuno?” chiese Seiya.
“Ho mandato via tutti.” La voce era quella di Mur. “Credevo che il tuo piano prevedesse di far fuggire Seiya e Kouga, non portare lui qui.” Disse indicando Seiya.
“Le sue condizioni sono estremamente gravi.” Disse Saga “Intendo comunque portare via Kouga. E’ alla terza casa con Shaina e Kanon.”
“Venite con me allora.”
Mur camminò fino alle stanze di Atena. Quando aprì la porta sia Seiya che Saga non riuscirono oltre a trattenere le lacrime. Saori era stata deposta sul letto con un lungo chitone bianco che le lasciava entrambe le spalle scoperte. Il drappeggio dell’abito le si stringeva sotto il seno e poi sui fianchi. Le mani le erano state incrociate sullo sterno che si alzava e abbassava lentamente. Gli occhi chiusi in un incarnato roseo. I capelli abbandonati sul cuscino.
Tutto intorno al suo corpo le rose bianche di Aphrodite la proteggevano da chiunque volesse toccarla. La stanza era stata riempita di centinaia di fiori rossi e di incensi votivi. Ai suoi piedi stava il rosario di Shaka con tutti i cento otto grani neri. Alla sua destra lo scettro della Nike era stato issato affinchè la luce, del sole di giorno e della luna di notte, che filtrava dalla finestra si riflettesse sul suo corpo.
Saga avanzò,spostò alcuni fiori dal letto e lasciò scivolare il corpo di Seiya accanto a lei. Si allontanò subito quasi non riuscisse a sopportare quella vista.
“Andiamo Mur.” Disse solo.
“Tu sei l’unico a non essere venuto a dirle addio, Saga.” Disse allora Mur “Tutti gli altri cavalieri sono già passati.”
“Io non ho motivi per dirle addio.” Disse gelidamente dando le spalle al letto.
Saga non riusciva a fermare le lacrime. Sapeva che Mur non avrebbe capito. Sapeva che avrebbe pensato che non voleva accettare la realtà. Non sapeva che lui aveva accettato la realtà quattordici anni prima quando aveva promesso di difendere Kouga. Kouga che aveva il cosmo di Atena in sé. Kouga che aveva gli occhi di Saori. Non doveva dirle addio. Ogni giorno, guardando quegli occhi, l’avrebbe trovata al suo fianco.
Aveva fallito con Seiya. Lo aveva deluso e Kouga ne avrebbe sofferto. Ma il destino è così. Puoi lottare quanto vuoi. Se Saori e Seiya erano destinati a rinascere insieme, forse erano destinati a morire comunque e sempre insieme. Forse un giorno Kouga lo avrebbe capito.
Lasciò la stanza e sospirò. Le lacrime dovevano essere dimenticate. La missione non era ancora finita.

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Kouga corse più forte che poté per allontanarsi da quel posto. Aveva capito bene? In qualche modo aveva condannato a morte Seiya? Cos’erano tutti quei discorsi?
Doveva parlarne con qualcuno. Yuna o Soma. Quando però raggiunse la casa del Leone, vide Soma che litigava con i suoi genitori mentre cercava di difenderlo. Dal suo nascondiglio non riusciva a sentire bene da cosa lo stesse difendendo ma Soma urlava contro suo padre. Stava per palesarsi quando vide Aiolia afferrarlo e stringerlo. Soma dapprima fece resistenza poi, lentamente abbracciò suo padre e sua madre li raggiunse stringendoli entrambi.
Scappò via. Come poteva parlare con Soma? Lui non poteva capire. E neppure Yuna o Ryuho o Eden. Loro avevano tutti una famiglia. Lui invece non era stato capace di salvare sua madre e aveva condannato a morte suo padre.
Raggiunse Rodorio e si sedette ad un incrocio poco frequentato. Fu allora che un bimbetto di cinque o sei anni gli si parò innanzi e si mise a fissarlo. Kouga si fece distrarre dai suoi pensieri.
“Hai bisogno di qualcosa? Posso aiutarti, piccolo?” disse sforzanosi di sorridere. Il bambino che aveva boccoli biondi e occhi azzurri come il cielo saltellò e si sedette al suo fianco su un gradino di marmo rotto che apparteneva ad uno di quei tempietti votivi che adornavano le strade di campagna di Grecia.
“Io, forse, posso aiutare te.”
“Tu? Vorresti aiutarmi? Credimi, i miei problemi non sono quelli che potrebbe risolvere un bambino.” Disse Kouga sconsolato.
“Ma io ho preso le forme di un bambino solo per non spaventarti Athena Yios. Il mio nome è Hermes e sono il messaggero degli dei.”
Kouga fece un balzo all’indietro. In effetti il bambino pareva emanare un’aura strana ma faceva fatica a credere che fosse un dio. Aveva percepito il cosmo di Poseidone e quello di Hades e non sentiva alcuna affinità tra i loro e quello del bambino al suo fianco.
“Dubiti delle mie parole?”Kouga non rispose. “Ad ogni modo io sono qui solo per portare un messaggio.”
“Un messaggio di chi?”
“Del padre degli dei. Del signore dell’Olimpo. Del divino Zeus.” Il bambino vide gli occhi di Kouga riempirsi di stupore e continuò. “Il mio signore ti manda a dire di salvare Atena.” Kouga scattò in piedi. Adesso anche l’Olimpo aveva deciso di infierire su di lui?
“Atena è morta!”
“Non è morta. Dorme.”
“Lo so! Ma non puo’più essere svegliata.” Aggiunse con tristezza.
Il bambino si alzò e, saltellando, giròintorno al tempietto sparendo dietro la parete. Dall’altro lato spuntò fuori un giovane uomo con indosso un abito bianco simile a quello che i cavalieri usavano in addestramento. La pelle ambrata e i boccoli d’oro erano rimasti ma i suoi occhi erano diventati di un blu intenso e il fisico era quello di un atleta agile e forte.
“Zeus ama sua figlia Atena sopra tutti gli altri suoi figli e non vuole che rimanga in questo stato. Il suo compito non è ancora finito.”
“Se la ama così tanto perché non fa lui qualcosa per salvarla?” sbottò Kouga.
“Tutti uguali voi cavalieri di Pegasus!” escalmò Hermes “Sai perché è Atena a difendere il genere umano?” Kouga scosse il capo. “Un tempo Zeus generò molti figli ma essi, perfetti in tutto, si allontanarono da lui in cerca ognuno del proprio spazio e compito. Zeus allora diede vita a creature che riempissero la Terra e che avessero bisogno del suo aiuto, che avessero bisogno di essere guidate, creature imperfette che aspirassero alla perfezione. Il padre degli dei li trovò talmente affascinanti da dedicare a loro la maggior parte del tempo e delle sue energie. Solo allora i suoi figli, gelosi di quelle attenzioni, pretesero di venire posti al di sopra degli uomini, pretesero equità. Come non poteva ascoltare una sì giusta richiesta? Inoltre gli uomini spesso si macchiavano di reati efferati controle divinità che avrebbero dovuto onorare. Allora il padre degli dei, si ritirò sull’Olimpo. Non poteva però lasciare gli uomini ai capricci dei suoi figli, così lasciò ad Atena, la più saggia tra loro, il compito di guidarli. Diede a lei il privilego che non potè tenere per sé. Vivere libera in mezzo agli uomini. Atena ha sempre servito bene suo padre e per questo merita, diciamo, uno strappo alla regola.”
“Non mi hai detto come posso salvarla però!”
“Io sono solo un messaggero.”
“Che razza di aiuto è?” gridò Kouga e un lampo attraversò gli occhi di Hermes.
“Tu non sei un semplice ragazzino. Tu sei un semidio. Usa il potere che scorre nelle tue vene per tutti gli dei dell’Olimpo!” Kouga ci pensò un attimo poi sospirò.
“Mio padre non vorrebbe. Lui l’avrebbe salvata con la forza dell’uomo. L’ha sempre fatto. E io l’ho condannato.” Hermes si toccò il mento come se si stesse grattando una barba invisibile.
“Allora salvala come avrebbe fatto lui. Da cavaliere di Atena.”
“Credi che si possa?”
“A tuo padre non piacevano i miracoli? Può darsi che se hai abbastanza coraggio da capire il tuo destino, ragazzo, tu possa trovare il favore di un dio magnanimo che te ne conceda uno.”
“Darei la mia vita per salvare quella dei miei genitori.” Disse Kouga.
“E’ un inizio. Sono parole da eroe. Ricordati ragazzo che la scintilla divina che arde in te non è poca cosa e non si esaurirà in una sola vita. Le porte dell’Olimpo si aprono per coloro che hanno sangue di un dio nelle vene.” Fece Hermes facendo un inchino e prendendo la via che si allontanava dalla città.
“Aspetta!” fece Kouga e il dio si fermò “Tu non sei Hermes, vero?”
Il giovane dio rimase immobile.
“Dubiti ancora di me?” Kouga scosse il capo.
“Il tuo cosmo mi ricorda quello di mia madre.” Il dio scoppiò in una fragorosa risata. Una nuvola di polvere si sollevò dal terreno e al posto del giovane, apparve una grossa aquila che si librò nell’aria.
Kouga comprese e corse verso la nona casa. Doveva vedere suo padre prima che fosse troppo tardi. La raggiunse con il favore del buio ma la trovò deserta. Si diresse nella camera da letto e anche lì non c’era nessuno. Un rumore lo fece voltare. L’armatura di Sagitter puntava la sua freccia contro di lui. Kouga si guardò intorno. Non c’era nessun altro. Davvero l’armatura ce l’aveva con lui? Neanche il tempo di riflettere che la freccia si staccò dall’arco saettando nella sua direzione. Kouga rimase immobile e chiuse gli occhi. La freccia passò accanto alla sua tempia destra e si conficcò in qualcosa alle sue spalle. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo e si voltò d’istinto a cercare la freccia. Si era infilzata in un sacco che si era afflosciato sotto il suo peso. Kouga lo prese e lo aprì. Al suo interno stava una mela d’oro e un biglietto. Lesse il biglietto.
“Speravo che potesse utile a salvare Saori, ma sono arrivato tardi. Seiya perdonami per tutto. Voglio che la tenga tu. Una di queste mele assorbì quasi tutto il como di Atena nelle mani di una dea malvagia. Te lo ricordi? Forse nelle mani di un uomo capace di provare amore come lo hai provato tu, potrebbe fare un miracolo. Shyriu.”
Kouga si voltò a guardare l’armatura di Sagitter.
“Grazie.” disse. Non aveva ben chiaro cosa doveva fare ma forse Seiya era alla tredicesima casa e lui doveva raggiungerlo. Approfittò della confusione alla decima e undicesima casa per arrivare alle stanze di Atena. Sulla soglia però fu intercettato dall’ultima persona che credeva di incontrare lassù.
“E’ un oggetto molto pericoloso quello che porti nel sacchetto.” Disse Julian Solo bloccandogli il passaggio.
“Lasciami passare Nettuno! Devo raggiungere mio padre. Posso ancora salvare Saori.”
“Non essere sciocco. Gli adulti fanno scelte difficili che spesso i ragazzi non possono comprendere. I tuoi genitori hanno fatto delle scelte che ti sembrano incomprensibili ma le hanno fatte per proteggerti. Là fuori ci sono pericoli che neppure immagini. Ricorda le mie parole, Kouga. Gli dei combattono da secoli una battaglia senza fine per il dominio dell’Olimpo. L’equilibrio è essenziale per evitare il Caos. Per questo gli dei si combattono attraverso i cavalieri. Il patto era che non dovessero farsi mai reciprocamente del male. Ogni divinità schierava il suo esercito di uomini. Il vincitore trionfava, il perdente si addormentava per risvegliarsi a tempo debito. Per questo le guerre sacre erano destinate a ripetersi. I tuoi genitori hanno sovvertito l’ordine delle cose. Tu hai sovvertito l’ordine semplicemente esistendo. Loro hanno scelto di morire perché tu avessi una vita. Per affermare il diritto della tua esistenza. Non sprecare ogni cosa usando quella mela.”
“Anche io ho fatto la mia scelta. Non sono un bambino. Sono un cavaliere di Atena. Qualunque sia il prezzo che devo pagare, io tenterò.”
“Non capisci ragazzo. Qualcosa di superiore agisce qui. Sovverte lentamente l’ordine delle cose. Lo sento. Saori mi era cara ed è per questo che ti metto in guardia. Quella mela non ti servirà. E’ nata per sodisfare le brame di una divinità nemica di Atena. Se la userai, quale prezzo dovrai pagare per risvegliare Saori?”Kouga scosse il capo.
“Non lo so ma forse non importa. Credo che tu abbia ragione quando dici che una forza più grande è all’opera, ma è così che succede quando si cerca di fare un miracolo.” Julian sorrise.
“Immagino ti abbiano detto in molti che somigli a tuo padre.”Kouga sorrise fiero e annuì. “Bene allora. Io sto lasciando questo luogo. Non intendo prendere parte alle esquie di Saori e, forse, non ce ne sarà bisogno.”
“Nettuno,” disse Kouga guardandolo allontanarsi “grazie per avermi lasciato usare il tuo tridente.”
“Non avrai altri favori da me.”
“Non me ne aspetto altri.”
“Ti auguro di riuscire a risvegliare tua madre.” Concluse il dio lasciando la sala. Solo allora Kouga si accorse che sei uomini erano rimasti in disparte e ora si allontanavano con lui. Disse mentalmente addio ai generali degli abissi che, per una volta, avevano combattuto al fianco dei Santi di Atena e riprese la sua strada.
Solo quando furono alla spiaggia, prima di aprire di nuovo un varco tra le onde, Julian diede un’ultima rapida occhiata alla collina che ospitava il tempio della dea Atena. Syria gli toccò un braccio e allora i flutti si sollevarono obbedienti al signore dei mari dando un gioioso saluto a lui e ai suoi difensori.

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Mur chiuse delicatamente la porta lasciandoli soli. Seiya, in un primo momento, non osò toccarla e pianse tutte le lacrime che aveva ancora. Era bella. Era dannatamente bella. Come non lo era stata da quando era stata colpita dalla maledizione di Marte. Ogni macchia era sparita dal suo corpo. Le spalle erano entrambe candide. Si asciugò gli occhi e sorrise.
“Eccomi, Saori, sono qui. Lo so, ce ne ho messo di tempo. Ho avuto un po’ di problemi. Sai, i tuoi cavalieri d’oro sono sempre restii a violare le regole. Dei, quanto sei bella. Ricordi quel giorno alla festa in cui avevi così timore di non essere all’altezza delle altre? Dovresti vederti ora! Bando alle ciance. Kouga è al sicuro. Saga lo porterà via stanotte. Starà bene. Non potrebbe avere un maestro migliore, non credi? Saga mi ha promesso che, quando sarà passato un po’ di tempo e si sentirà al sicuro, chiamerà Shun, Ikki e Shyriu. Voglio che Kouga diventi uomo in mezzo a buoni amici, come è successo a me. So che sei d’accordo. Ti ho già detto che sei bella? Sì, scusa, mi ero perso a guardarti. Allora Shun è guarito dalla maledizione di Marte e ora si prenderà cura di Hyoga, Ikki resterà con loro. Questa volta ha promesso. Ah, Kiki è diventato cavaliere d’oro, ci avresti mai creduto? Bhè, tu sì. Tu lo sapevi da tempo, vero? Non ti si può nascondere niente. Ah, una cosa che ti renderà felice! Shaina si è innamorata di Kanon. Povero Kanon! No, dai, non rimproverarmi. Era una battutaccia lo so. Sono felice per lei. Non era ora? Come fai ad essere così bella? Purtroppo non ho potuto dire addio a Marin. Mi mancherà.” A quelle parole si lasciò cadere con la testa sul cuscino e toccò con la fronte la nuca di Saori.
“Non come mi sei mancata tu, comunque. Saori, ti amo. Ormai conta solo questo.”
Forse fu solo la sua impressione ma il battito del cuore di Saori gli sembrò accellerare per un momento. Si sollevò di nuovo e le posò un bacio sulle labbra. Quando si ritirò s’accorse che la ferita sul suo petto aveva sporcato il vestito della donna.
“Non cambierò mai, Saori, combino solo guai. Non ho saputo proteggerti questa volta. Solo non so che altro avrei potuto fare. Perdonami. Perdonami Atena per non essere stato all’altezza. Perdonami Saori per aver fatto tardi. Ora però sono qui. Posso restare al tuo fianco?”
Seiya se la tirò addosso come la notte in cui avevano dormito sull’Altura delle Stelle, come la notte alla quercia di Sasha e Tenma che non avevano più potuto tornare a visitare. Le baciò i capelli profumati e chiuse gli occhi. Sorridendo.

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Saga aveva addosso un pessimo presentimento entrando nella terza casa e vedere contemporaneamente Shaina e Kanon abbassare lo sguardo al suo ingresso peggiorò solo la situazione. Non ci girò intorno.
“Dov’è Kouga?” chiese sbottando.
“E’ sparito.” Disse Shaina nervosa.
“Che significa ‘sparito’?” Kanon andò in soccorso della donna che amava.
“Deve essere sgattaiolato fuori mentre discutevamo. L’ho cercato in lungo e in largo da queste parti. Sono arrivato alla quinta casa dato che la quarta era deserta e non voglio sapere perché e sono sceso fino alla prima e, in questo caso, vorrei sapere perché Ikki, Shun e Shyriu sono stati spediti laggiù con l’altra dimensione. Mi hanno scambiato per te e ci stavo rimettendo le penne!”
“Siete degli incapaci! Dovevate cercarlo ancora!” Shaina lanciò un urlo raccapriciante degno di un’arpia e i gemelli si zittirono.
“Smettetela. Saga lo sai che è inutile. Sai bene che è andato a cercare suo padre.”
“A maggior ragione dovevate fermarlo. Kouga non deve vederli!”
“Che significa?” chiese Shaina improvvisamente tremando.
“Lo sai bene.” Disse Saga abbassando lo sguardo. Shaina fece un passo indietro e cadde su una sedia.
“Allora è finita. Davvero.”
“Aspettavi ancora un colpo di scena? E’ finita. Vado a riprendere Kouga. Kanon aiutami a raggiungere con l’altra dimensione le stanze di Atena.”
“Andremo tutti.” Disse Shaina “E non accetto un no come risposta.”
Si disposero in un tringolo e una luce dorata li avvolse.

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Kouga raggiunse la stanza di Saori ed entrò. Il fatto che non fosse sorvegliata lo impensierì per questo aprì poco solo una delle due ante e si infilò nella stanza richiudendola piano. Quando si voltò il sacco con la mela d’oro gli cadde di mano.
Dapprima Kouga sorrise e corse verso il letto. Sembrava che dormissero abbracciati e lui fu tentato di saltare sul letto e buttarsi in mezzo ai suoi genitori. Solo quando fu più vicino e vide il rosario e le macchie di sangue comprese e cadde in ginocchio. Singhiozzò, si lamento, tirò su col naso poi, come avesse deciso che era abbastanza, si rialzò.
“Posso chiamarti papà?” disse rivolgendosi a Seiya “Credo che se faccio questa cosa tu sarai fiero di me. Forse salverò Atena come tu hai fatto tante volte e forse Atena riuscirà a salvare anche te. Papà, grazie per avermi difeso fino alla fine. Forse farei bene a dire fin dal principio.” Sollevò una mano e toccò la fronte di Seiya. Gli sistemò i capelli e gli diede un bacio sulla guancia. Tornò indietro e raccolse il sacchetto. Raggiunse di nuovo il letto e sfilò la mela d’oro dal suo involucro.
“Mamma, credo di aver conosciuto il nonno. Aveva la forma di una grossa aquila. Lui ti vuole bene, sai? E anche io te ne voglio. Sono stato cattivo con te ma non sapevo. Potevi dirmelo, sai? Non arrabbiarti quando ti sveglierai. Voglio solo che tu apri gli occhi. Sto chiedendo un miracolo? Io non so come si usa questa cosa.” Disse sollevando la mela d’oro “Ho l’impressione che farà tutto da sola.” Disse prendendo una delle mani di Saori e posandola sul pomo.
Una luce fortissima si sprigionò dalla mela e Kouga sentì un dolore fortissimo al petto. Era come se la sua anima volesse staccarsi a forza dal suo corpo attratta dalla mela. Allo stesso tempo un’energia dorata fluiva dalla mela a Saori. Kouga sorrise mentre le lacrime gli rigavano il viso.
“Non arrabbiarti per questo mamma. Anche se sono tuo figlio, io sono un cavaliere di Atena. E’ questo il mio destino. Io sono Pegasus Kouga. Io proteggo.” Kouga cominciò a sentir venire meno le forze e gli sembrò che gli occhi di Saori si muovessero un poco. Kouga non poteva saperlo e neppure accorgersene ma stava funzionando. Il suo cosmo stava entrando in risonanza con quello di Atena e la donna stava, lentamente, riacquisendo conoscenza.
Fu in quel momento però che gli eventi precipitarono. Mur, che aveva percepito il suo cosmo, spalancò la porta e gli urlò di fermarsi. Un’altra luce s’irradiò nella stanza e apparvero Saga, Kanon e Shaina. Quest’ultima gridò.
“Kouga, stupido! Cosa fai?”
Mentre gli altri urlavano, Saga agì. Afferrò il braccio del ragazzò e provò a staccarlo dalla mela.
“Kouga, basta! Morirai!”
“Io devo farlo!”
“Non è vero! Tua madre non vuole questo!”
“Lei è Atena, la sua vita vale più della mia!”
“Basta! Te lo ordino Kouga. Quest’oggetto è divino. Non deve essere usato in questo luogo! Sotto il santuario riposa una divinità nefasta che reagisce a questa forza. Devi smetterla!”
“Guarda Saga, Saori sta aprendo gli occhi!” gridò Kouga e Saga non riuscì a non guardare. La donna stava sbattendo le palpebre.
“Basta Kouga! Ora basta! Non volevo arrivare a tanto Kouga ma mi hai costretto tu. Ho promesso di proteggerti.” Gridò Saga espandendo il proprio cosmo.
“Saga, cosa fai? Usare il nostro potere qui e ora è follia!” urlò Kanon che aveva capito immediatamente le intenzioni del suo gemello.
“Kanon, portali fuori di qui. Userò l’altra dimensione. Porterò via Kouga nel momento in cui quasi tutto il suo cosmo sarà stato assorbito dal pomo. Qui al santuario giace la cicatrice del tempo di Crono. Se uso la sua energia io e Kouga verremo proiettati abbastanza lontano da sottrarre lui alla forza del pomo. Forse potrò salvarlo.”
“A quale prezzo? Verrà distorto lo spazio e forse anche il tempo di cui Crono è signore. E’ un gesto estremo. Non sai quale saranno le conseguenze!” gridò Kanon.
“Invece lo so.Ci dimenticherete.” Disse Saga piano “Sarà come se per voi Kouga non sia mai esistito. Persino Atena ne perderà memoria. Ho studiato questo fenomeno su Aiolia quando era bambino. Fu generata allora la cicatrice del tempo in una guerra sacra contro i titani. E’ un prezzo ragionevole da pagare.”
“Saga, lasciami toccare mia madre!” gridò Kouga allo stremo delle forze.
“Dille addio, Kouga. Di addio a coloro che ami.” Fece il cavaliere lanciando la dimensione oscura e colpendo poi il pomo con il suo colpo più potente facendolo rimbalzare nel punto esatto in cui era la barriera che sigillava Crono.
Kanon afferrò Shaina che urlava disperata e Mur e li portò fuori dalla stanza. Mentre lo squarcio spazio temporale si apriva, Saga giurò a se stesso che Saori li stesse guardando.
“Addio Saori, addio amore mio. Ti giuro che avrò cura di lui.”
Un’esplosione fortissima avvolse le stanze di Atena mentre Saga e Kouga, ormai privo di sensi, venivano risucchiati dentro ad un buco nero e sparivano inghiottiti dal nulla.
Saori aprì gli occhi mentre l’alba faceva capolino sui colli delle dodici case. Si mise a sedere sul letto e vide Seiya al suo fianco. Cos’era accaduto? Si guardò le mani. Le macchie della maledizione di Marte erano svanite. C’era stata una grande battaglia sulla spiaggia. Nettuno, Marte, il Kraken, la freccia d’oro.
Passò una mano sugli occhi del cavaliere di Sagitter e lui li aprì.
“Saori, cosa è successo?” chiese Seiya toccandosi il petto su cui una piccola cicatrice rosa raccontava di una ferita recente. La donna si alzò e raggiunse il colonnato. Il sole sorgeva e la luce era ancora incerta. Eppure le sembrava di aver visto una luce fortissima poco prima avvolgere due figure che chiamavano il suo nome. Era stato un sogno? Seiya la raggiunse alla finestra. Il suo cosmo era forte e caldo e allontanò una sensazione di gelo che per un momento l’aveva avvolta.
“La guerra è finita.” Disse solo e puntò i suoi occhi azzurri oltre la linea dell’orizzonte.

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Nelle settimane che seguirono, il santuario fu interamente ripulito dai segni delle battaglie contro i soldati di Marte. L’estate era finita e tutti avevano tentato, per quanto possibile , di riprendere una vita normale. Una strana confusione aleggiava ovunque. Era come se nessuno fosse d’accordo su quello che era accaduto nei momenti decisivi della battaglia contro Mars. Qualcuno giurava che fosse stato Seiya ad uccidere il dio, altri dicevano che era stato Saga, la versione più accreditata era che fosse stata Atena stessa a sbriciolarlo una volta divorato dal Kraken.
Ad ogni modo la vita del santuario doveva ricominciare a scorrere. Dopo l’incidente occorso a Hyoga nella battaglia contro il Kraken, era stato deciso che l’addestramento dei giovani cavalieri passasse a Shaina. Kiki infatti continuava ad essere impegnato nella riparazione delle armature e aveva rifiutato l’incarico. Nella classe, oltre a Yuna, Ryuho, Soma, Sybilla e Eden che avevano già conquistato un’armatura, c’erano Ilio e nuovi allievi tra cui figuravano due gemelli più piccoli di nome Jona e Josa e una bimba di nome Raki.
Shaina strillava tutto il tempo che li odiava mentre era con loro, poi a sera, parlando con Kanon non faceva che dire quanto fossero bravi, soprattutto i piccoli Jona e Josa.
Ikki e Pandora si erano trasferiti per sei mesi all’anno nella casa di Shun mentre durante gli altri sei mesi vivevano all’arco di Cerbero. Shun, Yuna e June invece si erano stabiliti a casa di Hyoga confidando che prima o poi il cavaliere si sarebbe svegliato. A fine settembre erano giunti da Asgaard Flare e Artax in visita. Avevano annunciato la nascita della bambina di Hilda e Orion invitando Saori nel regno del Nord. Atena aveva mandato dei doni posticipando la visita alla prossima primavera.
Anche Nettuno aveva mandato doni ai signori di Asgaard e una lettera a Saori in cui le rinnovava l’allenza tra Atene e Atlantide.
Mur sedeva sul trono del grande sacerdote e nessuno aveva da ridire delle sue decisioni. Aldebaran soleva spesso prenderlo in giro per questo.
Aiolia conduceva una vita tranquilla con Marin nonostante Shaka si lamentasse comunque delle loro pubbliche effusioni. Milo e Camus avevano ottenuto il permesso di lasciare il santuario per qualche tempo per recarsi in Siberia ma erano tornati senza alcuna novità circa un modo per svegliare il cavaliere del cigno. Shura invece non aveva mai lasciato il santuario. Continuava a fare la guardia alla tredicesima casa senza che nessuno ne avesse fatto richiesta.
Aprhodite passava la maggior parte del tempo alla quarta casa dato che Death Mask si era isolato da tutti. Il cavaliere aveva fatto fatica ad accettare la morte di Saga. Saori, dopo un periodo di lutto, aveva infine nominato Kanon cavaliere di Gemini.
Un mese esatto dopo quella mattina silenziosa in cui Atena si era destata completamente guarita dalla maledizione di Marte, era stata stabilita la celebrazione di una funzione.
Mur camminò lungo il corridoio che dalla sala del trono portava alla statua di Atena. Si fermò a metà strada e guardò indietro. Aveva visto lì Saga per l’ultima volta. Oppure no? Tra tutti i cavalieri che si erano battuti nello scontro sulla spiaggia, era l’unico ad aver perso la vita. Si era sacrificato come avevano fatto i grandi sacerdoti della dea che lo avevano preceduto. Uscito alla luce del sole, chiuse un attimo gli occhi. Saori era lì che pregava.
“Atena, siamo pronti.”
Lei si alzò e Seiya le porse una mano. Sagitter non lasciava mai il suo fianco. Saori l’afferrò e prese a camminare. Atena e il suo primo cavaliere. Entrambi avevano uno sguardo triste. Rientrarono alla tredicesima casa e poi attraversarono, scendendo, tutte le altre dodici case. Tutti segni dello zodiaco erano stati coperti con dei teli bianchi che dall’alto cadevano fino a terra.
Raggiunsero il cimitero dei cavalieri e videro che molta gente si era radunata intorno al monumento. Era una semplice blocco di pietra bianca alto e massiccio su cui era incisa una sola frase:
“Kata ton daimona eautou”*
“Al divino spirito che è con lui”
Quando i presenti videro l’incarnazione di Atena avanzare, si allontanarono.
Saori aveva intrecciato una corona di fiori e la depose ai piedi del blocco di pietra. Seiya s’inginocchiò e tutti lo imitarono. Saori allora unì le mani davanti al petto e intonò un lamento. Il canto era malinconico ma non triste. Sembrava una ninna nanna.
“Chiudi gli occhi, puoi ricordare questa vita come un volo,
e quando esso finisce puoi tranquillamente sorridere
se il tuo spirito è custodito nel cuore dei tuoi compagni.
Non posso dirti addio, non posso dirtelo ancora,
cerca di ricordare le mie parole.
Abbiamo superato una prova che sembrava impossibile,
anche se adesso ci separiamo un giorno ci incontreremo di nuovo
in un luogo che custodisco gelosamente nel mio cuore.
Non riesco a dire addio, amico mio, non posso dirtelo ancora,
cerca di ricordare le mie parole.
Non posso dirti addio, non più, amico mio.” **
La nenia terminò e Saori posò una mano sulla pietra fredda e liscia e rimase immobile. Seiya si alzò allora e fece lo stesso. Lentamente tutti i cavalieri d’oro, Shaina e Marin fecero altrettanto. Tutti sapevano che non c’era un corpo su cui pregare o piangere ma ognuno di loro aveva bisogno di sapere che la persona in onore della quale avevano elevato quel monolite era, in qualche modo, ancora lì.
Death Mask fu il primo ad allontanarsi. Aphrodite, come suo solito, lo seguì.
Milo e Camus si congedarono senza troppa voglia di parlare. Shaka accese degli incensi e si sedette in disparte attendendo che Mur ringraziasse i presenti per risalire con lui alle dodici case. Aldebaran versò del vino e salutò tutti trascinando Shura che non voleva lasciare Athena senza scorta nonostante Kiki gli avesse fatto osservare che Seiya sarebbe comunque rimasto con lei.Fu Shyriu alla fine a convincerlo a risalire alla casa del Capricorno. Aolia e Marin sparirono senza dare nell’occhio.
Seiya guardava Saori. Provava una profonda pena per il suo dolore. Sapeva che lei si sentiva in colpa per non essere riuscita a salvare proprio lui.
“Saori, Mur sta aspettando.”
“Sì.”
“Se vuoi restare ancora, gli dico di avviarsi.” Disse Seiya e Saori si voltò a guardarlo. Come faceva a sapere sempre ciò che lei desiderava di più? Guardò i profondi occhi scuri del cavaliere e le sembrò di vedere un altro volto sovrapporsi al suo.
“Seiya, Saga è morto.” Lui le posò una mano sulla spalla e gliela strinse appena.
“Sembra impossibile anche a me.” Disse l’uomo.
“Possiamo davvero andare avanti come se nulla fosse?” chiese lei “Mi sento come se questa battaglia si fosse portata via un pezzo di me.” Seiya guardò la scritta in greco antico.
“Non si può andare avanti come se nulla fosse. Si può solo andare avanti. Un passo per volta. Me lo ha insegnato lui anche se adesso non riesco a ricordare in che modo.” Fece sorridendo “Però mi ricordo benissimo che un giorno di tanti anni fa eravamo insieme alla tredicesima casa e lui me lo ha detto. Con quel suo modo saccente da persona che ne ha viste molte più di te. Non credevo che lo avrei mai detto ma penso che mi mancherà.” Saori lasciò che la mano posata sulla pietra andasse a poggiarsi su quella di Seiya.
“Ad un certo punto mi ha detto che non ci saremmo mai veramente liberati di lui. Aveva ragione. Manca tremendamente a tutti!” intervenne Shaina. Saori si voltò a gurdarla e vide Kanon un passo dietro a lei. Che ironia! Nella battaglia contro Marte, Kanon si era fatto passare per Saga. Lei però non avrebbe mai potuto confonderli. Forse era per questo che Kanon non ci aveva provato. Ora lui era lì e Saga non c’era più.
Come se il nuovo cavaliere di Gemini avesse compreso i suoi pensieri, fece un passo avanti e parlò.
“Avrei scambiato volentieri la mia vita con la sua. In realtà credo di essere venuto ad Atene solo con questo scopo. Non so come sia potuto accadere. Posso solo pensare che mio fratello è sempre riuscito ad ottenere ciò che voleva anche quando questo è significato morire.” Disse chinando il capo. Saori si avvicinò e gli prese le mani.
“Non dire così. Sono certa che Saga non volesse perdere la vita. Voleva solo compiere il suo dovere e tra questi ricomprendeva principalmente salvaguardare te, suo fratello.”
“Lui era il migliore fra noi due.”
“Sarai degno di lui. Ne sono certa.” Kanon si sforzò di sorridere mentre Shaina gli mise una mano sulla spalla. Saori la guardò dritta negli occhi non più coperti dalla maschera. “Grazie anche a te, Shaina. Ho come l’impressione di aver dimenticato alcune cose ma non di certo che mi hai aiutata a raggiungere il campo di battaglia proteggendomi lungo il cammino. Se posso sdebitarmi in qualche modo, parla pure liberamente.” Shaina ci pensò un attimo poi parlò.
“Mi è stata affidata la classe dei nuovi cavalieri di bronzo. Voglio essere la maestra del futuro cavaliere di Pegasus. Mi lascerai scegliere tra gli aspiranti cavalieri nati sotto questa costellazione il prescelto?”
Saori si sentì come se una freccia le si fosse piantata in petto. Perché l’idea di un ragazzino che indossava l’armatura di Pegasus le faceva ardere il cuore? Si voltò a guardare Seiya. Anche lui sembrava interdetto. Poi, d’improvviso, il cavaliere sorrise.
“Concesso.” Disse Atena “Ma scegli bene, Shaina. L’ultimo cavaliere di Pegasus ha portato scompiglio persino sull’Olimpo!”
“L’aiuterò io a scegliere. Ho l’impressione che le starò tra i piedi parecchio!” fece Kanon e a Saori sembrò, per un istante, di vedere una delle espressioni di Saga farsi largo sul volto del gemello.
“Non sperarci troppo!” disse la donna voltandosi e incamminandosi per la collina. Kanon fece un inchino, posò una mano chiusa a pugno contro la pietra bianca e la seguì.
“Atena, rientriamo?” si fece avanti Mur.
“Sì, grande sacerdote. E’ tempo di rincasare.” Rispose lei seguendo l’uomo che aveva preso a camminare affianco a Shaka. Improvvisamente si fermò e Seiya, che chiudeva la fila, le finì quasi addosso. Lei attese che Mur e Shaka sparissero dentro il colonnato della prima casa e parlò guardando oltre Seiya dato che si trovava due gradini più in alto.
“Sai Seiya, sono un po’ confusa in questi giorni. Ci sono ricordi della battaglia contro il Kraken che ricordo perfettamente e altri momenti degli ultimi mesi che mi sembrano come avvolti in una fitta nebbia. Ti ricordi della festa al tempio organizzata da Saga?”
Seiya aveva un piede su un gradino e l’altro su quello più in basso. Guardava i piedi di Saori nei sandali bianchi.
“Sì, mi ricordo la festa.”
Lei si portò le mani dietro la schiena e incrociò le dita.
“Ricordi che ti ho mostrato una casetta dietro le vecchie rovine del tempio?”
“Sì, mi ricordo la casa.” Rispose Seiya senza sollevare lo sguardo.
“Credi che sarebbe disdicevole se passassi qualche giorno lì? Mi sento triste a restare alla tredicesima casa ma non voglio allontanarmi dal santuario come in passato. Sento che il mio posto è qui.” Lui sollevò lo sguardo e fissò i suoi occhi in quelli azzurri di Saori.
“Parli di un paio d’anni, vero? Credo che sarebbe disdicevole se ti allontanassi per un paio d’anni!” disse lui ridendo. Una risata vera che Saori non ricordava di vedere da secoli. Di riflesso scoppiò a ridere anche lei e Seiya pensò che era la risata cristallina di Saori che si disperdeva nell’aria in quel momento. Non quella composta della dea. La risata della giovane donna che aveva imparato ad amare.
“Chi potrebbe biasimarti per un paio di mesi?” aggiunse.
“Io, per la verità, avevo pensato ad un paio di settimane. Poi vedremo.”
“Vedremo?” chiese lui un po’ interdetto.
“Sì.” disse lei scendendo due gradini e lasciandosi sovrastare dall’altezza di Seiya “Ricordi che mi hai promesso di tornare sotto quella quercia con me?” Lui si fece serio.
“Sì, ricordo la quercia.”
“Non ricordi nient’altro?” chiese lei piegando la testa di lato in un modo che Seiya trovò irresistibile.
“Saori,” disse posandole le mani sulle spalle “lo sai che io.” Lei non gli fece terminare la frase e gli posò un dito sulle labbra sorridendogli e facendogli capire che non erano soli.
“Sì, lo so. Anche io, Seiya.” Disse lei voltandosi e riprendendo a salire le scale. La sua figura leggera sembrava quella di una ninfa dei campi elisi. Nulla di meno bello e perfetto.
Non potè vedere quanto quella frase avesse colpito il cavaliere del Sagittario. Percepì una sensazione di calore al cuore e gli sembrò che, in un angolo della sua mente, un dolce ricordo volesse affacciarsi senza riuscirci. Scosse il capo e guardò verso il cielo. Il sole era alto. Le stelle erano punti lontani e invisibili. Lui sollevò una mano e toccò le tredici stelle della costellazione di Pegasus.
Quelle stelle erano il suo retaggio. Attraverso esse era diventato uomo, aveva trovato amici, compagni di viaggio, maestri, fratelli e sorelle, l’amore, la sua ragione di vita. Mancava qualcosa ancora. Qualcosa che doveva ancora essere, qualcosa che s’era perso per strada. Forse qualcosa di splendido o piuttosto qualcosa di terribile, qualcosa che era meglio perdere e qualcosa che doveva essere ritrovato. Seiya sorrise vedendo in quelle stelle riflesso il cosmo di Saori. Il blu del cielo si mischiava a quello dei suoi occhi. Non aveva nulla da temere. Lei era lì, come sempre. Non gli bastava sapere altro. Vicini o lontani, il loro legame era scritto in quelle stelle. Molte vite erano state marchiate con quelle stelle. Alcune erano sue, altre erano  di qualcun altro a cui sarebbe stato legato. Comunque, perché questo fa un retaggio. Crea appartenenza. Si sentì felice, Seiya. Sentì di nuovo i legami fra tutti i singoli atomi del suo corpo. Sentì il legame con Saori, antico come il mondo e rinnovato nella promessa di un giorno da trascorrere distesi insieme su di un prato. Quello con Shyriu, Shun, Hyoga e Ikki. Non erano più lontani. Avvertì persino la presenza di un filo rosso che lo univa ad un futuro non troppo lontano. Un filo stretto, legato alle sue stelle. Alle stelle di Pegasus.
In quelle stelle, Seiya sapeva, era scritto il suo destino. Un destino di cui non avere alcuna paura.
Il destino di una vita intera.
Spiegò le ali di Sagitter e raggiunse Atena.


Note dell'autrice che tenta di essere seria:
* Si tratta della frase scritta sulla lapide di Jim Morrison. Mi è piaciuta perchè oltre a significare  " Allo spirito divino dentro di sè" significa anche "Provocò i suoi stessi demoni" e mi è sembrata giusta per Saga.
**La canzone cantata da Saori come lamento per Saga è liberamente ispirata al testo "Goodbye my friend" della OST di Saint Seiya.
Per i più deliranti tra voi, il finale è stato scritto ascoltando in modalità loop una canzone dell'LP del 1996 song collection Saint Seiya. Si tratta del brano Sayonara Warriors.
Io non vi dico però ancora Sayonara. Anche se questo capitolo è conclusivo, è rimasto un piccolo epilogo. Poi verrà inserito il flag storia completa.
Per l'ultima volta, alla prossima...

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Capitolo 25
*** Epilogo ***


 

Epilogo

 

L’autunno era appassito in un gelido inverno, più gelido di quello che Atene si aspettasse. Rodorio non conosceva la neve ma un vento pungente aveva percosso i rami degli ulivi per tutta la stagione e i suoi abitanti avevano preferito restare più spesso al caldo dei propri focolari che recarsi al santuario per le udienze concesse dal celebrante di Atena Polis.
Improvvisamente, però, la primavera era sbocciata sui prati scaldando i cuori delle persone e le coste della Grecia erano tornate a specchiarsi in un mare cristallino e luminoso.
La donna portava una camicetta bianca a maniche corte leggermente arrotolate sulle spalle e una gonna che le scendeva appena sotto alle ginocchia. Le ballerine che calzava, azzurre come la cintura legata in vita, dovevano essere comode poiché camminava sin dal mattino senza risentirne.
Il molo era un via vai di persone che facevano un gran baccano. Bambini si rincorrevano contendendosi dei palloncini. Alcuni turisti scattavano foto e chiedevano informazioni a chiunque sembrasse del posto.
L’uomo camminava qualche passo dietro di lei con le mani nelle tasche dei jeans. La guardava tenersi il cappello dalla falda ampia che rischiava di volare via ad ogni folata di vento. La vide fermarsi vicino al cartello dei traghetti e controllare gli orari e poi voltarsi in cerca di lui. La raggiunse e le porse un sacchetto in cui c’erano tramezzini e olive. Lei sorrise e indicò sul tabellone il nome di un’isola.
Il traghetto per Skyros era in partenza e lei si mise a correre senza smettere di tenersi il cappello. Lui la rincorse ridendo. Quando la ressa dei turisti cominciò a spingere, lui le passò un braccio intorno alla vita e la tenne al sicuro fra le sue braccia suscitando l’invidia di un gruppo di ragazzine che rimasero affascinate dalla cavalleria del ragazzo.
Il fischio del traghetto fu accolto da gridolini e risate di chi era a bordo.
“Non sporgerti troppo.” Disse lui tirandosi il collo della maglia rossa fin sopra il naso. L’odore della salsedine non gli piaceva particolarmente. La barca ci mise un po’ prima di allontanarsi dalla banchina e prendere il largo.
“Vieni a dare un’occhiata.” Disse lei porgendogli una delle bianche mani affusolate.
Lui la raggiunse sul bordo del ponte e si appoggiò con entrambi gli avambracci sul legno della paratia. Il profondo blu del mare si arrendeva alle coste dorate del Pireo.
Era uno spettacolo bellissimo e persino lui dovette convenire che valeva la pena soffrire un po’ di mal di mare per vederlo.
“Non senti freddo?” chiese lui e lei scosse il capo.
“Non preoccuparti sempre così tanto, non doveva essere un giorno di vacanza?” gli domandò lei avvicinandosi e appoggiandosi, come lui, alla paratia.
“Davvero? Mi hai comandato a bacchetta tutto il giorno!” fece lui con una smorfia.
“Per due tramezzini e quattro passi qua e là. Quante storie!”
“E i negozi?”
“Non ho comperato nulla!”
“Perché siamo scappati dal santuario senza una moneta in tasca!”
“Non siamo scappati. Abbiamo seguito la strada dietro la casa di Sasha per vedere dove portava!” esclamò lei fingendo di arrabbiarsi.
“Certo!” fece lui assecondandola “Per questo ti sei messa quel cappello e mi hai fatto correre come non facevo da anni.” Una signora anziana con un fazzoletto a quadri legato intorno alla testa si alzò da una panca e gli diede una borsettata sul braccio.
“Non dovresti parlare così alla signorina, giovanotto!” disse lei raggiunta da un anziano signore che portava due aranciate in mano.
“Per l’amor di Dio, Agnes, cosa fai? Non importunare i signori!”
“Petro, questo giovanotto non conosce le buone maniere!” esclamò lei mentre suo marito poggiava le aranciate sulla panca.
“Come ti chiami, giovanotto?”chiese il vecchio signore.
“Asterios.” Rispose il ragazzo infilando di nuovo le mani nelle tasche dei jeans.
“Perdona mia moglie, Asterios, siamo sposati da trentadue anni, una volta l’anno prendiamo questo traghetto per tornare nel posto dove ci siamo conosciuti e non ha ancora imparato a non dare fastidio ai poveretti che le capitano vicino.”Disse lui sconsolato e la donna diede una borsettata anche a lui.
“Trentadue anni?” chiese Asterios meravigliato “E’ un sacco di tempo.”
“Già, ci vuole molta pazienza!” fece Petro sorridendo “Voi due da quanto vi conoscete? Come si chiama, mia bella signorina?”
“Isabel.” Disse la donna “ Ci conosciamo da quando eravamo bambini. Lui aveva sei anni la prima volta che l’ho visto.”
“Cielo! Un colpo di fulmine!” esclamò l’anziana donna battendo le mani.
“Neanche per sogno, signora!” sbottò Asterios “La odiavo, forse la detesto ancora!” Isabel sorrise e la donna lo guardò con occhi maliziosi.
“Sentito Petro? Ho fatto bene a picchiarlo?” Il marito rise di gusto.
“Suvvia, Asterios, è una così bella ragazza. Scommetto che è corteggiatissima!” Isabel si portò una mano alle labbra per nascondere una risata.
“Sì, come no! In realtà vorrebbero farle tutti la pelle. E’ insopportabile!”
Agnes stava per alzare di nuovo la borsetta ma suo marito la fermò.
“Calma cara. Sono certo che in realtà scenderebbe all’inferno per lei!” esclamò Petro.
“Già fatto!” rispose Asterios facendo l’occhiolino ai due vecchietti.
La voce del primo ufficiale del traghetto attirò l’attenzione di tutti.
“Skyros, porto di Skyros!” gridò annunciando la fermata.
“Noi scendiamo qui.” Disse Agnes “Finchè vivremo abbiamo promesso che una volta l’anno torneremo nel posto dove ci siamo conosciuti. L’amore va coltivato. Al giorno d’oggi i giovani la fanno facile ma bisogna averne cura!”
“Anche noi scendiamo qui.” Disse Isabel “C’è una casa sull’altro versante di quest’isola che apparteneva a mio nonno. Non ci vengo da molto tempo. Solo una scampagnata. Dove viviamo c’è sempre molta gente e confusione. Sentivamo il bisogno di un po’ di pace.”
“Cielo! Hai sentito Petro? Una fuga d’amore!” esclamò Agnes e Isabel e Asterios arrossirono.
“Non c’è bisogno di arrossire alla vostra età!” fece Petro dando ad Asterios una pacca sulla spalla.
La gente cominciò a scendere dal traghetto e i vecchietti si misero in fila. Agnes aprì la borsa, prese un filo di perline e lo porse a Isabel.
“Mettilo al polso. Quando tornate, gettalo in mare. Anticamente le donne del Peloponneso lo facevano per dimostrare che tenevano alle persone che amavano più che a  qualsiasi altro bene. Io lo faccio tutti gli anni. Non è bellissimo il mio Petro a quasi settantacinque anni?”Isabel sorrise e prese il braccialetto.
“Se lo da a me, cosa getterà in mare quest’anno?”
“Voi siete giovani e avete bisogno di molta più fortuna di noi vecchietti.”
Isabel infilò una mano in tasca e prese un braccialetto di fiori. Lo legò al polso di Agnes e le sorrise con benevolenza.
“Non lo getti via, signora. Vi proteggerà. Io non prego il vostro Dio ma pregherò per voi.”disse Isabel mentre Asterios le prendeva la mano e se la portava via lungo il molo.
“Sentito Petro? Pregherà per noi. Non è una così bella fanciulla? Non credo siano di qui.”
“Non lo so Agnes, ma sembrano davvero due bravi ragazzi. Sono certo che si sposeranno e faranno un sacco di bambini come abbiamo fatto noi due!” disse Petro abbracciando la donna.
“Amen.” Disse la donna seguendo con lo sguardo i due giovani che correvano sul molo.
Isabel e Asterios raggiunsero la piazzetta dove erano fermi dei taxi e Asterios cercò di convicere uno degli uomini a portarli dall’altro lato dell’isola per quei pochi spiccioli che gli erano rimasti in tasca.
Una folata di vento più forte delle altre fece volare via il cappello di Isabel.
La mano della ragazza scivolò fuori da quella di Asterios e lei si mise a correre all’inseguimento del cappello. Superò alcuni baretti che vendevano bibite fresche e scese in spiaggia dove i turisti, approfittando della bella giornata, si sfilavano scarpe e calzini per provare a mettere almeno i piedi nell’acqua ancora fredda.
Il vento stava per portare il cappello oltre la battigia quando un ragazzino con i capelli rossi saltò e lo afferrò al volo.
“Questo è tuo, vero?” disse rivolgendosi ad Isabel.
“Sì, grazie.” Fece lei prendendolo dall’altro lato della falda e sentendo più forte l’affanno della corsa.
“Stava per andare in acqua. E’ un così bel cappello!” disse il ragazzo.
“Già. Non ho neppure una moneta per offrirti una limonata come ringraziamento, ragazzo.”
“Il mio nome è Niketas. Non fa niente, a buon rendere. Si dice così, vero? Il mio mestro dice che se è possibile fare qualcosa per qualcuno che non ci comporta alcun danno, conviene sempre farlo. Non si sa mai che quel qualcuno, debba poi sdebitarsi!” disse lui ridendo e passandosi una mano dietro la nuca. Isabel provò una profonda tenerezza per quel bambino.
“Il tuo maestro dev’essere un tipo molto in gamba.”
“Lo è.” Disse Niketas “C’è qualcuno che si sbraccia per attirare la tua attenzione laggiù.” Concluse indicando Asterios che era riuscito a convincere il tassista.
“Allora grazie, Niketas, e a buon rendere. Se mai verrai sulla terraferma e avessi bisogno di qualsiasi cosa, io abito a Rodorio. E’ un piccolo villaggio. Chiedi a chiunque di Isabel, anzi no. Chiedi di Saori.” Disse lei correndo nella direzione opposta a quella da cui era venuta. Raggiunse Asterios e salì in macchina con lui.
“Tutto bene?” chiese lui e lei annuì.
“Ho visto un ragazzino che somigliava a te quando eri bambino.”
“Davvero?”
“Sì, ti somigliava tremendamente ma aveva gli occhi azzurri.”
“Come i tuoi?”
“Più belli.” Disse lei.
“Impossibile.” Rispose lui.
Il sole splendeva e faceva scintillare il mare.
“Isabel, lo sai.”
“Sì lo so, Asterios, anche io.”
“Non mi abituerò mai a questi nomi!” esclamò lui ridendo e indicandole dei gabbiani simili a quelli che volavano in cerchio sul tetto di una casa in giappone che ricordavano benissimo entrambi.
Il taxi si perse tra le strette vie dell’isoletta lasciando il molo e la sua confusione alle spalle.
Altri traghetti avrebbero attraccato, decine di turisti si sarebbero riversati sulla spiaggia e nelle strade. Un’altra comunissima giornata sarebbe giunta al termine.
Niketas avrebbe continuato a giocare con gli altri ragazzi sulla spiaggia fino all’ora di cena, fino all’ora di tornare a casa. Una casetta dall’altra parte dell’isola immersa nel verde e un po’ isolata rispetto a tutto il resto delle abitazioni di Skyros. Non prima del tramonto però. Fino a quell’ora aveva tempo per divertirsi con i suoi amici in mezzo ai turisti e alla confusione.
In quel via vai di persone, nessuno poteva far caso ad un uomo seduto ad uno dei tavolini all’aperto di un baretto del porto. Si godeva il sole e l’aria del mare. Occhiali dal sole sul naso e capelli sciolti fin sulle spalle. Una baklava nel piattino aspettava di essere addentata. Lui aveva spiato, gambe accavallate e giornale davanti al viso, l’incontro tra Niketas e la bella turista. Bevve un sorso di limonata e posò il bicchiere sul tavolinetto smalatato di bianco.Il ghiaccio nel bicchiere tintinnò. Lui guardò un ultima volta Niketas e si alzò.
“La ruota del destino non è fatta per fermarsi.” Disse sottovoce lasciando scivolare qualche moneta sul tavolo e prendendo il dolcetto. “Un giorno forse ma non oggi.”
Guardò Niketas, immaginò il futuro di quel ragazzo e sorrise.

終わり

 

Questa volta è davvero finita. Saori e Seiya, o Isabel e Asterios, vi salutano così lasciandovi ad immaginarli come preferite. Per l’epilogo si sono presi una vacanza dal santuario. Hanno assunto, come si conviene agli abitanti del grande tempio che devono proteggere il segreto dell’esistenza dei cavalieri di Atena, identità fittizie e si sono concessi un giorno normale. La ruota del destino però non si ferma mai. Così basta una folata di vento per fare incrociare i fili del loro fato con quello di un ragazzo dai capelli rossi e gli occhi azzurri.
E c’è anche qualcuno che se la ride! Immaginate chi è, non è vero?
Nel frattempo io mi rifugio per un po’ a Skyros con loro.
Tranquilli, non è un addio. Vi dico, invece, a presto come al solito. Nel frattempo vi ringrazio e faccio un profondo inchino a chi ha letto, recensito la storia, a chi mi ha mandato mail e messaggi privati. Ringrazio per ogni singola parola scritta e per il tempo speso a farlo. Soprattutto per il tempo. Quando ho cominciato a pubblicare la storia non immaginavo che sarei stata oggetto di tanto affetto.
Grazie di tutto e, come sempre, alla prossima!

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