Il gioco del serraglio

di Teiresias
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** James ***
Capitolo 2: *** Angela/Eddie ***
Capitolo 3: *** Triade ***
Capitolo 4: *** Eddie/Angela ***
Capitolo 5: *** Mary Shepherd-Sunderland ***
Capitolo 6: *** Giudice ***



Capitolo 1
*** James ***


Il gioco del serraglio

IL GIOCO DEL SERRAGLIO ~ by teiresias

PREMESSA. La seguente storia partecipa al III Concorso (tema: Brainstorming) indetto dal sito I Criticoni: immagino che, fra questi, non molti conoscano la storia di Silent Hill (specialmente del secondo, uno dei capitoli più tortuosi), ma piuttosto che tentare di spiegare (male) la trama del gioco preferisco indirizzarli verso il sito http://www.silenthillfever.com (in inglese) o il forum italiano http://silenthillworld.forumfree.net, che contengono entrambi teorie e spiegazioni più che esaurienti.
La storia è lunga meno di 3700 parole, un insulto a me che soffro di diarrea verbale, e i capitoli sono necessariamente corti e suddivisi a seconda dei personaggi di cui si parla (ma và?): i titoli all’inizio non sono messi a caso, sono una serie di pezzi barocchi che ho da poco sentito in concerto e che mi hanno aiutato anche a scrivere il tutto insieme a tutti i prompt usati.
Altri commenti alla fine della storia.

Vivaldi – Concerto in Re Minore per violoncello RV407 n.23

Per la prima volta si guarda allo specchio, e quel che vede è quel che sente.
L’uomo si guarda, e comprende: c’è qualcosa nelle sue rughe accennate, nelle sue labbra secche e nei suoi occhi spenti che urla per uscire allo scoperto, un’increspatura che per lungo tempo è stata solo un pensiero e nulla più. Forse è l’aria, o forse la luce, o forse è solo dentro di lui, quel qualcosa a cui tutto questo cerca di appigliarsi per salire, perché forse è arrivata una nave che ha gettato un’ancora e si è resa conto di quello che succede.
E James Sunderland non sa cos’altro fare, se non quel gesto che per anni – tre lunghi anni – è stato il solo modo che conosceva per ricacciare quel naufrago sotto l’acqua salmastra, nella speranza che prima o poi avrebbe desistito e sarebbe finalmente affogato: chiudere gli occhi, sospirare, e far entrare quel vapore malato dentro il suo corpo sperando che fosse l’ultima volta, che anche lui sarebbe finalmente riuscito a catturare l’essenza di quel male che l'aveva uccisa.
Ma siamo nella città, nel nucleo di quel male, di quel tormento, e non accade come sempre.
Fuori è in pace.
Dentro, un tormento.

Ed è l’odore della carne, quello che per primo giunge alle sue narici.
Una sensazione che è più di un senso, e che si disperde nel suo corpo come una scarica elettrica pronta a distruggere più di un circuito: è un odore, un sapore, un rumore e una carezza che per breve tempo ha cercato in una donna che non poteva dargli nulla di tutto questo, che ha ritenuto solo un misero surrogato completo per metà.
Perché se non c’è il sesso, se due corpi non riescono a essere vicini e incastrati, non c’è pace.
Perché se l’unico amante che può avere tua moglie è una delirante, lenta e inesorabile malattia, l’unica che può sfiorarle le guance, lambirle le labbra, morsicarle il seno e scoparla fino allo sfinimento, tu non puoi fare altro che odiare quell’amante crudele che non risparmia nessuno e sogghigna vedendoti impotente.
Per James Sunderland il tempo passato a osservare sua moglie nelle braccia di un altro uomo più passionale e più possessivo di quanto lui possa essere stato nei mesi che gli sono stati concessi è stato lungo, ed è stato un compagno fin troppo indulgente nei suoi confronti. Un amico di venture che ha morso più di una volta il suo orecchio per distrarlo dalla gelosia e dalla convinzione che prima o poi quell’amante si sarebbe stancato di sua moglie, e allora l’avrebbe lasciata tornare fra le sue braccia: qualche volta ha perfino creduto che il suo sciocco amore l’avrebbe potuta strappare da lui perfino contro la loro stessa volontà.
Non è mai successo.
E davanti a un simulacro, a quella reliquia che più somigliava a sua moglie, quando era stato vicino a tenderle la mano e prendere lei fra le braccia, al posto di quella donna di malaffare che aveva preferito il fuoco passionale della malattia al gelo del talamo nuziale, non ha altro da fare se non richiamare a sé il suo amico di venture.
Anche lei ha preferito il calore dei lombi di un altro amante, un amante per cui solo respira, ride, ama e vive. E sola, in un letto che ancora è macchiato dalla loro unione, non ne resta che una piccola parte a cui può aspirare James.
Il suo amico di venture continua a seguirlo.
Come tre anni fa.

Sfrigola sulla graticola del rimpianto ciò che il suo amico di venture gli ha offerto fra quelle pareti di ricordi.
Mentre James è una muta reliquia a cui hanno tolto il suo sacerdote, il tuo tempio, la sua verità.
Ciò che aspetta e che finalmente arriva non è benvenuta come un tempo. Perché questa volta non vuole che sua moglie torni a casa come una povera amante tradita dall’ennesimo schiaffo del suo compagno geloso.
James si alza.
Saluta il suo compagno di venture che per tre anni gli ha sussurrato all’orecchio parole dolci per cullarlo nell’attesa di una redenzione.
E finalmente, James potrà mostrare a sua moglie che anche lui può essere crudele e possessivo come l’uomo per cui l’ha tradito. E forse, questa volta, lei sceglierà lui, e non il suo amante.

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Capitolo 2
*** Angela/Eddie ***


Il gioco del serraglio

IL GIOCO DEL SERRAGLIO ~ by teiresias

Vivaldi – Concerto in Do Maggiore per due trombe RV537

ANGEL-A

Meretrice
Il tuo nome scolpito
Nella carne come cibo
E soffia come se morisse
Dalle sue labbra cerulee
Come un tramonto sciolto nel fiume
Rugiada fra le anse
Se tu stessa puoi sentirti
Gridare
Tagliente come spina
Pulsante come un verme nella tana
Buio
Una porta sul letto
La luce è scesa
Iride cupa e morta
Ciò che aspetti non arriva
E la spinta che ti sostiene
È solo quella che ti ha dato
La radice che ti trattiene a terra
Il tuo nome da santa puttana.

LA CAMPANELLA

E luccica la fessura
Splende come argento alle sue parole
L’uguaglianza che tu cerchi
Tu ne sei un’eccezione
E se ricordi
Quando eravate insieme tutti
Al trillo che odiavi
Già allora tu eri solo
Non sei in altro luogo
Che in quello dove sei rimasto allora
Cibo contro di te
Testimone
Colano dalle pareti i ricordi marci
Ma la risata splende ancora
E trilla insistente sorretta da troppi fili
Tu sei deciso:
Li strapperai uno a uno
E le campane finalmente si fermeranno
E diverrà un dolce silenzio accondiscendente.

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Capitolo 3
*** Triade ***


Il gioco del serraglio

IL GIOCO DEL SERRAGLIO ~ by teiresias

Telemann – Concerto in Mi Maggiore per flauto, oboe d’amore, viola d’amore TWV53:e1

Tutto sembra così strano a Laura, mentre corre fra i corridoi dell’ospedale, finalmente fuori dal letto in cui è stata costretta: non riesce a non danzare felice mentre cerca la sua amica Mary come la sua sola ragione di vita.
Tutto il resto non le importa.
Sa che se la troverà, si sentirà finalmente completa, perché la sua amica è una custode.
E lei il segreto che andrà perduto senza di essa.

C’è dolore e furore nel cuore di Maria.
Il sapere e il vedere è per lei motivo di orrore e disperazione.
E quando non può muoversi perché è solo un veicolo per qualcos’altro che deve accadere, e sa che quello che le sta accadendo è quello che un’altra ha già vissuto, quello che ha dentro si scatena con una rabbia che non ha eguali.
Ma lei è soltanto un feto che non ha ancora forma, un piccolo aborto che non ha motivo di esistere se non legata a una madre che nella sua pazzia vede perfettamente la fitta rete che comanda l’essere umano: e lei non sa come opporvisi, perché l’unico essere umano che conosce è un uomo schiavo del suo sesso, delle sue colpe e dei suoi istinti, e perché sa benissimo che altri esseri umani che vedrà non saranno per lei importanti.
Sdraiata su un lettino dell’ospedale, mentre fiuta nell’aria i pensieri furibondi di James che si mescolano ai suoi, Maria non riesce a fare altro che covare una speranza.
La speranza che sua madre voglia lasciarla libera di comprendere meglio la pazzia degli uomini.

Nell’ospedale silenzioso e in attesa, Mary ha avuto molto tempo per riflettere: fra i tanti divieti che gli erano stati imposti dal dottore, non c’era quello di non pensare fissando nel frattempo il soffitto macchiato, dove si può scorgere l’ipocrisia della purezza di quell’edificio. Dentro quelle macchie che spiccano sul bianco immacolato che la circonda, freddo e insignificante, Mary vede uno specchio di quello che accade e che nessuno le permette di sapere; forse il dottore non immagina che lei capisca perfettamente che manca poco e che questo tempo si restringe in maniera inversamente proporzionale rispetto alle medicine che deve prendere e alle visite di suo marito.
Quando è sola, la giovane e delicata Mary vede davvero che quello che la circonda in quel momento sarà lo specchio e il compagno che avrà accanto quando chiuderà gli occhi per sempre, e in quel momento si sente un po’ preveggente, anche se questo pensiero non le è d’aiuto specialmente quando è James a balzarle davanti agli occhi; sa perfettamente che lui non farà mai parte del suo futuro cieco.
Mary Stepherd ha paura della morte.
Ma più di tutto, Mary Stepherd ha paura perché sa che in quel momento sarà sola, e non ci sarà nessuno a ricordarsi di lei e del suo dolore.

Non è mai stata portata per l’attesa, forse perché non è un tratto che le è stato dato al momento della nascita: per questo Maria non si trova bene da sola, forse perché l’attesa porta ai pensieri, e a lei non piace particolarmente pensare. Forse perché non ha tanti pensieri per cui valga la pena riflettere.
Respira a pieni polmoni l’aria che la avvolge, chiudendo gli occhi e assaporando quella sensazione che sembra spogliarla, mentre attende finalmente un responso che le possa dire se è idonea a uscire finalmente da quel luogo che sembra risucchiarla in una pazzia partorita da qualcosa di fin troppo conosciuto.
Maria è gelosa di James, questo sì: gelosa di lui e dei suoi pensieri, gelosa dei suoi sentimenti e delle sue paure. Ama quel suo modo grezzo di porsi agli altri che forse nessun altro è stato capace di comprendere, neppure lui, ama quella sua ombra colpevole che sembra seguirlo dovunque, e ama quella sua passione infuocata e possessiva che invece Mary non ha amato.
Conosce James in ogni sua sfaccettatura.
Ed è disposta a diventare la sua amante, ad accettare la sua gelosia e la sua crudeltà, a non offrirsi a nessun altro uomo che la possa strappare via da quelle braccia che per lungo tempo non hanno avuto nulla da stringere se non aria e rimpianti.
Lei è disposta a sanguinare per lui, perché sa benissimo che nel suo corpo c’è abbastanza sangue per farlo, prima che possa marcire di nuovo.
Basta che lui dica sì.

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Capitolo 4
*** Eddie/Angela ***


Il gioco del serraglio

IL GIOCO DEL SERRAGLIO ~ by teiresias

Bach – Concerto in La Maggiore per oboe d’amore BWV1055

MORTE DEL CROCIATO

Corre sulla pelle il gelo che ti ha sempre accompagnato
E sul volto una smorfia come di un folletto dispettoso
Guardiano della pazzia
Finalmente la tua legge è stabilita
Finalmente il vecchio mondo è tramontato
E puoi stare nelle prime file
Perché presto partirai per la tua crociata
Ricco cavaliere
E il tuo primo avversario
Bambino
Perduto fra la carne del vecchio mondo
Gli occhi bianchi
E nient’altro
Lo specchio che mostra il crepuscolo
Adesso un amico
La tua morte sarà ricordata
Specchio gelido
Del tuo mondo di cadaveri.

LA FENICE DALLALA SPEZZATA

La fenice è di nuovo rinata
L’inferno ha liberato la sua anima
Forse stavolta giungerà nel paradiso che ha sempre sognato
Forse resterà bloccato nel purgatorio
Non v’è traccia dei suoi compagni
Solo il giudizio che aleggia nell’aria
E il calore che si sprigiona dal suo uovo
E’ pronto ad accoglierla
Nessuno la ricorda
Un ricordo non voluto che continua a rinascere
Perché non v’è testimone disposto ad accompagnarla
Che possa sorreggere la sua anima morente
E vibra in aria
Spicca il volo
Verso il monte che ha sempre agognato
Finalmente libera dalle catene
E quella fenice addolorata
Finalmente potrà bruciare
Finalmente cenere

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Capitolo 5
*** Mary Shepherd-Sunderland ***


Il gioco del serraglio

IL GIOCO DEL SERRAGLIO ~ by teiresias

Locatelli – Concerto Grosso in Si Maggiore op.1 n.3

Aggrottando pensierosa le sopracciglia, Mary tolse il cappuccio alla penna e ne posò la punta sulla superficie bianca: una goccia di inchiostro cominciò ad allargarsi sul foglio, segno che stava esercitando troppa pressione, quindi la rialzò prima di fare una macchia troppo vistosa.
Evidentemente troppo nervosa per scrivere dopo tanto tempo, rifletté in silenzio; forse avrebbe combinato solo un pasticcio inutile nel fare quella sciocchezza…tormentare così suo marito non le sembrava la cosa giusta, ora che probabilmente le acque si erano calmate.
No.
Era lei la sciocca. Non era vero che le acque si erano calmate, lo sapeva bene. Sapeva perfettamente che con ogni probabilità la crepa che lei avrebbe scolpito avrebbe finalmente rotto qualcosa, anche se non sapeva dire esattamente cosa; non era per quello che aveva deciso di scrivergli una lettera? Per rendergli le cose più facili? Più semplici che se gli avesse parlato di persona?
Una ferita che ha reciso un importante vaso non si rimarginerà mai se non si agisce tempestivamente, e se succede troppo tardi continuerà a sanguinare finché ci sarà sangue da buttare. Facendo così stava soltanto perdendo tempo.
Coraggio, tesoro. Una volta eri brava a scrivere. Ti dicevano sempre che eri portata.
Stringendosi di più nel suo pigiama, buttò giù le prime parole.

“Nei miei sogni tormentati,
vedo quella città.

Silent Hill.”

Si accigliò. Non era così che aveva intenzione di cominciare quella lettera: le sapeva di troppo… troppo scontato, ecco.
D’altronde, aveva imparato negli ultimi tempi che i suoi pensieri tendevano ad avverarsi in maniera repentina, a dispetto di quanto li nascondesse, quindi doveva averlo pensato, in qualche modo.
Pazienza. Era piena di fogli, se proprio non la convinceva.
Scrollò le spalle.

“Avevi promesso che un giorno
mi ci avresti riportato.

Ma non l’hai mai fatto.”

Per colpa sua, ovvio. Non era una stupida. Sapeva benissimo che non si poteva muovere da quel maledetto letto, figurarsi poter viaggiare fino a una località di villeggiatura!
Ancora non capiva dove sarebbe andata a parare. Mordicchiò il cappuccio, pensando a come continuare.
Beh, tanto valeva fare due più due, a quel punto.

“Ora sono sola qui...
Nel nosto ‘posto speciale’”

Si guardò intorno: ormai non c’era più nulla di speciale in quel posto. Il senso dell’ironia non le era mai mancato.

“Ti aspetto...”

Sospirò rumorosamente; se ci fosse stato qualcuno nelle vicinanze, forse si sarebbe avvicinato preoccupato chiedendole come stava. Ma per fortuna era sola. Completamente sola.
Però la lettera non le piaceva granché fino a quel momento.
Si chiese come poteva recuperare quella vaga nota di patetismo che trapelava dalle righe.

“Aspetto che tu
venga per vedermi.

Ma non lo fai mai.”

Forse perché l’ultima volta sono stata io a cacciarti, pensò lei.
Lo sapeva che James non poteva sopportare di vederla in quelle condizioni: doveva essere duro per lui immaginare il suo corpo ormai macilento e in decomposizione, quando aveva passato tanto tempo a lodarlo in passato, quando ancora era profumato e sensuale.
Come doveva essere amare un cadavere?

“E allora io aspetto, intrappolata nel mio
bozzolo di dolore e solitudine.”

Un bozzolo che ho contribuito a crearmi.
Ricacciò indietro le lacrime tirando su con il naso, mentre guardava all’esterno e l’occhio le ricadeva sul disegno che aveva ricevuto in regalo un mese prima: ah sì, doveva anche lasciare qualcosa alla sua amica Laura. Quella bambina si era talmente affezionata a lei, che si sarebbe sentita perduta senza più la sua amica al fianco.
Si ripromise di scrivere qualcos’altro.

“So che sono stata una cosa
terribile per te. Qualcosa per cui tu
non potrai mai perdonarmi.

Vorrei poter cambiare tutto questo,
ma non posso.”

Sarebbe stato meglio lasciarlo solo, in effetti. Senza dover far tornare a galla vecchi rimorsi e dolori…
Si zittì da sola.

“Mi sento così patetica e brutta
sdraiata qui, ad aspettarti...”

Alzò nuovamente gli occhi verso il soffitto: l’intonaco stava cedendo.

“Ogni giorno sto a fissare le crepe
nel soffitto e tutto ciò che penso
è quanto ingiusto sia tutto questo...”

Basta tergiversare. Adesso era venuto il momento di arrivare al punto. Coraggio Mary, tira fuori un po’ di coraggio.

“Oggi è venuto il dottore.
Mi ha detto che potrei andare
a casa per qualche tempo.

Non è che mi sento meglio.
E' solo che questa potrebbe essere
la mia ultima occasione...

Credo tu sappia cosa voglio dire...

Anche così, sono felice di
tornare a casa. Mi sei mancato terribilmente.”

Si accorse in quel momento che una lacrima aveva imbrattato il foglio in un angolo; quando portò una mano alle sue guance, si rese conto che erano rigate di lacrime. Si pulì appena, facendone finire qualcuna sulle labbra e sentendone il sapore salmastro, imponendosi autocontrollo.
Autocontrollo, Mary.
Hai fatto tanti progressi in questi ultimi tempi, che non vale la pena cedere per così poco.

“Ma mi dispiace James.
Mi dispiace che tu non voglia
davvero che io torni a casa.

Ogni volta che vieni a vedermi,
posso dire quanto sia difficile questo per te...”

Riusciva sempre a scorgere nei suoi occhi il rimpianto di tanti anni che avrebbero potuto passare insieme. Tutte le volte che sarebbero potuti stare sotto le coperte, dopo aver fatto l’amore durante la notte. I figli che avrebbero potuto avere insieme. Il tempo che avrebbero potuto passare da soli, a perdersi l’uno nei pensieri dell’altro, a isolarsi da tutto quel mondo impazzito che sembrava dettato da regole fin troppo bislacche per essere comprese.

“Non so se tu
mi odi o mi compatisci...
O forse ti disgusto soltanto...”

Forse tutte insieme.

“Mi dispiace per questo.”

Davvero. Credimi quando dico che ti amo, James. Su questo non mento.

“Quando ho saputo per la prima volta
che sarei morta, non volevo
proprio accettarlo.

Ero così arrabbiata per tutto il tempo e
mi sfogavo con chiunque io amassi molto.
Specialmente te, James.

Ecco perché capisco
se tu mi odi.”

Ormai le lacrime che le sgorgavano dagli occhi erano fin troppo copiose da fermare.
E comunque non voleva smettere di scrivere.

“Ma voglio che tu
sappia questo, James.

Io ti amerò sempre.”

Il vetro della finestra le rimandò un pallido riflesso del suo volto piangente, colpito dai raggi del sole che entravano dall’esterno e si rifrangevano per le pareti della stanza.
C’era il sole anche il giorno in cui si erano conosciuti, ricorda improvvisamente: si erano incontrati una domenica assolata, in un parco pieno di gente, nella città in cui entrambi avevano vissuto per anni prima di incontrarsi. Una curiosa coincidenza che sembrava essere un ritornello ricorrente nella sua vita.
Tutte coincidenze. Più simili a una mano di gioco nel pocker.

“Anche se la nostra vita insieme dovrà
finire così, non la cambierei per nulla
al mondo. Abbiamo passato degli
splendidi anni insieme.”

Chissà se anche lui ricordava la volta in cui avevano riso fino all’alba, bloccati con una barca in mezzo al lago di Toluca perché avevano perso un remo, ed erano riusciti a tornare a riva solo il giorno dopo grazie al riflusso dell’acqua e al faro dell’hotel.

“Questa lettera sta diventando
troppo lunga, quindi ti saluto.

Ho detto all'infermiera di dartela
dopo che me ne sarò andata.

Questo significa che mentre la leggi,
io sono già morta.”

Non poteva essere più secca di così nel ricordarsi da sola che non stava guardando un album fotografico, ma il suo stesso testamento spirituale. Poteva già immaginare suo marito mentre la apriva e la leggeva, e le sue espressioni che mutavano a ogni singola parola.
Cercò di smorzare un po’ i toni.

“Non posso dirti di ricordarmi,
ma non posso sopportare che tu
possa dimenticarmi.”

Una volta sua madre le aveva parlato dell’amicizia: le aveva detto che morire senza un amico a farti da testimone voleva dire morire senza che nessuno avesse sentito il tonfo che avresti fatto cadendo a terra.
Allora aveva dieci anni, e probabilmente sua madre non aveva avuto idea che sarebbe finita così.
Però adesso capiva quella frase, visto che ci era finita dentro.

“Questi ultimi anni da quando mi
sono ammalata... mi dispiace tanto per
quello che ti ho fatto, che ho fatto a noi...

Mi hai dato così tanto e
non sono stata capace di restituire
neanche una cosa.

Ecco perché voglio che tu viva
per te stesso ora.
Fai ciò che è meglio per te, James.”

Posò la matita. La mano le tremava per lo sforzo, e si sentiva davvero stanca, come se qualcuno l’avesse svuotata con un cucchiaino alla maniera di un melone: forse sotto il letto avrebbe trovato tutto quello che aveva riversato fuori in quegli ultimi venti minuti. Si chiese che forma dovessero avere.
Non si sentiva neanche le forze sufficienti per piangere in maniera migliore. Tutto quello che voleva fare era sdraiarsi e chiudere gli occhi, dentro cui stavano vorticando fin troppe immagini passate.

“James...

Mi hai reso felice.”

Le sembrò quasi di vedere suo marito accanto a lei, mentre le teneva la mano e la guardava come un uomo che sta per perdere tutto quello per cui ha vissuto fino a quel momento.
All’esterno, si era alzata la nebbia.

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Capitolo 6
*** Giudice ***


Il gioco del serraglio

IL GIOCO DEL SERRAGLIO ~ by teiresias

Sammartini – Sinfonia in La Maggiore

Tese il suo corpo in ascolto, in attesa.
Sa che non ci vorrà molto, prima che gli giunga qualche grido di aiuto che solo lui può sentire e a cui può porre rimedio: l’animo umano è talmente tumultuoso da essere secondo solo al moto del destino come rumore. E lui, ad ascoltare, è più che abituato.
Interpretare, ormai, gli è automatico. Il grande gioco della pazzia ormai ha svelato tutte le sue regole, ed egli non è che un baro al tavolo delle scommesse, al di sopra di ogni statistica e di ogni giocatore; fra le sue mani le carte scorrono veloci come un prestigio, e le sue fiches si accumulano, mentre le vince e le perde.
L’umanità è un bel diversivo, quando non si ha altro modo per occupare il tempo libero.
E se anche ci fossero altri piaceri, questi non riescono ad interessarlo quanto l’assurdità di qualcuno che non sa nulla di ciò che vuole e si mostra per ciò che desidera: è bello rompere specchi e sgretolare certezze, lasciando solo orribili presagi di sventura.
Nel suo piccolo, egli sogna.
E attende un nuovo giocatore che voglia sfidarlo, qualcuno che dal capolinea guarda l’orizzonte in attesa di un nuovo treno per partire; anche lui ci è già passato, e sa cosa voglia dire osservare da lontano senza potersi divertire, senza poter evitare lo scorrere del tempo che scivola impetuoso fra le sue dita.
Lo sa perché ci vive, in mezzo all’onniscienza.
E sa che dall’alto della sua stazione al capolinea non vedrà mai altro che tramonti, nulla di più.
Che noia.
Chiuso dentro uno spazio angusto per la sua voglia di ampiezza e il suo fastidio per l’onniscienza, preda di un sogno che è compagno di pazzie, compagno di altri che a lui chiedono consigli, egli giudica.
Attende il tramonto anche dell’ultimo condannato.

xXxXxXxXxXxXxXxXxXxXx

NOTE DELL’AUTORE. Bum! Finita. Riconosco che è piuttosto cortina, considerando che i capitoli effettivi sono soltanto tre (escludiamo le poesie…), però sono riuscito a infilarci tutti i prompt, ovvero i temi di ispirazione che bisognava usare per il concorso.
1) Ain’t Talking about Love (Van Halen) - El Tango de Roxanne (Police): Le canzoni. Entrambe parlano di amori passionali e masochistici, direi, legati al sesso, alla malattia, alla solitudine e alla gelosia. Il primo è una vera summa delle varie storie d’amore (James/Mary, James/Maria, Angela); il secondo, più specificatamente, considera la morte come un’amante impetuoso e impossibile da lasciare, che si può solo osservare all’opera (sì, lo sfigato che osserva è James).
2) Immagini 32 (specchio sul mare) e 42 (terra che tramonta): Le immagini. Lo specchio è citato più di una volta come strumento per guardare dentro se stessi e creare finzioni e altre personalità; la terra che tramonta come simbolo di decadenza.
3) Le citazioni.
(Erasmo) La vita umana nel suo insieme, non è che un gioco, il gioco della pazzia. Gli uomini e i ragionamenti assurdi che provocano i sentimenti e la pazzia (sì, Eddie). La vita vista come un gioco da tavolo con le sue regole e i suoi trucchi (visti da Valtier, cioè il Baro).
(Benge) Life without a friend is death without a witness. Laura e la sua necessità di trovare Mary: un’interpretazione molto convincente che lessi tempo fa dice che sia Laura che Maria sono entrambe manifestazioni di Mary, e che tutte e tre istintivamente si cercano per compensare le proprie mancanze. Direi che rientra a dovere. Ah, si può considerare anche Eddie e la sua incapacità a socializzare che lo ha portato a diventare un killer e che lo farà crepare solo come un cane.
(Platone) Solo i morti hanno visto la fine della guerra. Beh, onniscienza e simili. Mary e la sua capacità di intuire le azioni di James, Maria e la sua conoscenza di cosa succederà una volta finito tutto (sapendo che Maria è Mary, e quindi morirà come lei), James che potrebbe essere morto senza saperlo, Angela che praticamente non vede l’ora di crepare per poter trovare un po’ di pace…direi che ce l’hanno tutti quanti questo piccolo problemino.
E sono sette. Io ho provato a spiegare un po’ a cosa mi sono servite, ma bisogna considerare che tutti questi temi appaiono e scompaiono un po’ ovunque, come gli pare e piace.
Il titolo della storia si spiega se consideriamo tutta Silent Hill come un gigantesco zoo (o serraglio) dove si aggirano i vari personaggi in cerca di qualcosa, mentre Valtier dall'altro li osserva divertito, giocando con le loro paure.
Adesso posso anche andare a dare zuccate contro una porta.

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