Dream Clinic

di 7Morgana7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2. ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Dedicato alla mia amica Cherry
che mi ha dato il coraggio
per ricominciare a pubblicare.


 

1

Era drammaticamente arrivato quel momento della settimana in cui Paul non solo avrebbe dovuto pensare al passato, quello lo faceva sempre, ma si sarebbe dovuto sforzare di ricordare i dettagli e meditarci su.
Il Dottor Epstein lo accolse nello studio salutandolo in modo studiatamente cordiale che stonava con l’aria confidenziale che assumeva nel chiamarlo per nome. Lo fece accomodare.
-Dunque, Paul, dove siamo arrivati, l’ultima volta?- Un tono di voce calmo e un sorriso incoraggiante.
Dove erano arrivati? Era fin troppo difficile fissare dei punti di riferimento nel suo raccontare. Si era ripetuto all’infinito che tutto era accaduto troppo velocemente, ma di recente si era reso conto che non era così, tutto il contrario, in realtà.
Il susseguirsi dei fatti era avvenuto in modo così lento e doloroso che in quella strana corsa non erano riusciti ad arrivare a nessun tipo di traguardo prima dell’inesorabile fine del tempo disponibile per la gara.
Il loro rapporto era stato fondato su un’arrancare, un rimandare a un imprecisato momento di un futuro così lontano da sembrare impossibile.
“cosa ne sarebbe stato di loro?” era spaventoso e divertente provare a pensarci, ovviamente non se ne poteva parlare.
La leggera ma essenziale modifica che era stato necessario apportare a quella frase procurava al ragazzo un conato di vomito,
“cosa ne era stato di loro?”
-Se vuoi ricominciamo dall’inizio … - Riprovò il dottore.
Paul scosse la testa e allontanò un po’ dalla scrivania la sedia vuota accanto a lui. Doveva esserci sempre un posto vuoto accanto a lui. Questa semiconscia azione diede a Brian Epstein un nuovo spunto.
- Perché l’hai fatto?-
- Cosa …?-
- La sedia … - L’uomo la indicò con un cenno.
-Perché sono un atomo di idrogeno.-
Nel rispondere portò automaticamente una mano a proteggere la tasca dello zaino in cui aveva riposto le cuffie, preziose cuffie.
Il dottore si premette il pollice e l’indice sul ponte del naso e sospirò. Prima di parlare spostò le mani aperte sulla scrivania, nell’atto di prendere un respiro profondo.
- Paul … ascoltami ragazzo mio … - Si impegnò in quell’appellativo affettuoso mentre cercava di sopprimere quel groviglio di nervosismo e rassegnazione, chiamando a se ogni residuo della sua pazienza.
- Io sono qui per aiutarti … tuo padre mi paga per aiutarti … Potresti per favore smetterla di parlarmi ad enigmi?-
Paul taceva e lo guardava fisso. Leggeva l’esasperazione nei suoi occhi e provava pena per il suo dottore: doveva essere davvero tedioso avere a che fare con lui.
Mentre il dottor Epstein proseguiva imperterrito il suo monologo, con nello sguardo la pesante consapevolezza di non essere ascoltato, il ragazzo stava ripercorrendo nella sua testa tutto ciò che secondo il suo interlocutore avrebbe dovuto dire ad alta voce.
Nella speranza e nel timore di potersi in questo modo liberare di quei ricordi, aprì finalmente la bocca e lasciò che le immagini si convertissero in parole.
-Mio padre mi ha ripetuto per un mese, mi ha chiesto ogni giorno come fosse dannatamente possibile che su cinquanta e oltre alunni del professor Lennon io sia l’unico in questa condizione. Secondo lei è normale che non capisca?- 
-Io non sono qui per dare opinioni e non conosco a fondo tuo padre, ma se dovessi magari … Indovinare cosa possa pensare in proposito … magari lui crede, come verrebbe da pensare anche a me in fondo, che potrebbe trattarsi del tuo precedente rapporto con la morte … -
-Io- calmò la voce - non sono qui per parlare di mia madre- gli fece il coro - e gradirei che restasse fuori dalla conversazione-
L’uomo annuì impercettibilmente.
-Allora facciamo così- Brian si appoggiò allo schienale della sedia, accavallando le gambe.
-Cosa pensi che tuo padre non capisca? In cosa non ti senti compreso?- 
-Lui non c’era. Non c’era a scuola, in auto, i pomeriggi a casa o nel parco, lui non c’era, mio padre non c’è mai  stato. Ma anche se ci fosse stato, lui non avrebbe capito. Non solo perché, grazie a Dio, non può vedere nella mia testa, ma perché lui è quel tipo di persona che non c’è nemmeno quando è presente. -
- … Capisco-
-Sul serio?-
-É il mio lavoro-
Ci fu un momento di silenzio, un unico, piccolo istante in cui Paul si sentì compreso.
Stava abbassando la guardia?
- Cos’era … Cos’era lui per te?-
-Mio padre?-
- John Lennon- lo corresse il dottore.
-Era il mio professore.- Si raddrizzò sulla sedia, familiarità e confidenza si erano dissolte prima che potesse rendersene conto, ed era a disagio, di nuovo. Stava fottutamente temporeggiando, voleva davvero stare bene, voleva che quelle cazzo di sedute facessero effetto, ma ogni volta che entrava in quello studio non vedeva l’ora di poter uscire, che tutto quell’essere costretto a esporsi finisse.
-Sì, Paul, tuo e di altri 60 studenti, ma tu sei l’unico a presentarsi qui settimanalmente. Sai cosa voglio dire con questo, vero?-
-Sì- 
- Cos’era John Lennon per te?-
Sembrava davvero che ripetere le domande fosse la sua arma migliore.
-Io lo amavo-
Cosa cazzo…? Riprendere al volo quelle parole e costringersi a ingoiarle sarebbe stata l’esatta mossa da fare. Sì, se fosse stato possibile.
Paul sembrava decisamente più sorpreso e sbigottito dalle proprie parole di quanto non lo fosse il suo interlocutore che, calmo e silenzioso giunse le mani, se le premette contro le labbra e ripeté -Capisco.-
Paul attese un rimprovero, una correzione.
- Suppongo sia molto umano che tenessi a lui in questo modo-
Un altro lampo di comprensione trafisse Paul in modo quasi piacevole.
Se era in questo che consisteva il lavoro di Brian Epstein, bisognava ammettere che ci sapeva fare.
-Come sta andando la scuola, Paul?-
Non serviva mentire, questo tipo di dottore ama fare domande di cui già conosce la risposta, Paul lo sapeva.
-Non lo so. Sto pensando di trovarmi un lavoro, sa, non anneghiamo nell’oro-
-Sono d’accordo con questo.- L’uomo annuì, solenne.
Di nuovo, qualcosa che il ragazzo non si aspettava.
-Sembra molto nobile come decisione … - Oh, ecco che arriva il “ma”… 
-Ma- Eccolo! - Non credo troveresti un lavoro a tempo pieno alla tua età… Potresti proseguire gli studi in parallelo.- 
L’altro sbuffò, poco convinto -Certo…-
Che si aspettava? Nessuno lo avrebbe capito. 

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Capitolo 2
*** 2. ***


2.


Simon alzò la mano.
-Secondo me non è così, signora, sa: ho letto un libro che…-
Formula fissa, non passava giornata senza che all’interno dell’edificio scolastico si sentisse pronunciare un discorso che iniziasse così.
Fosse per smentire o rinforzare l’opinione di qualcun altro (di solito smentire), Simon tirava fuori questo fantomatico libro che, guarda caso, trattava proprio quell’argomento.
-Lo finirai quel fottuto libro PW?-
Gli chiese Paul alla fine dell’ora, soffiando fuori il fumo dalle narici e sedendosi sul muretto del cortile della scuola.
L’altro lo guardò, con il solito sorriso ammiccante e stralunato, in silenzio, lasciando intendere a modo suo la totalità della sua risposta che,ovviamente, Paul afferrò. Era abituato.
-Se hai una dannata opinione tua, non c’è bisogno che qualche libro scritto da vecchi studiosi te lo confermi. Perché la tua idea dovrebbe valere tanto meno di certi schifosi con gli occhiali spessi e i capelli unti che dopo essersi ammazzati di seghe durante tutta la loro adolescenza hanno magicamente acquisito una buona capacità di espressione?-
-Ce lo vedi Hemingway? O Edgar Allan Poe?- Rise Simon, interrompendolo. A volte sembrava che quel ragazzo non stesse mai ad ascoltare, che fosse stupido o svogliato e sentisse solo qualche parola di un intero discorso. Paul era suo amico da anni, sapeva che non era così, per questo lo assecondava nel suo comico sviare discorsi seri: non serviva insistere, quando ne avrebbe avuto voglia, Simon avrebbe riesumato il discorso.
-A che cazzo pensava Poe masturbandosi, secondo te?- Si accese una sigaretta mentre Paul rideva, ipotizzando mentalmente quali sarebbero potute essere le fantasie sessuali di un uomo tanto spaventoso.
-Paul?- era serio, adesso, ma sorrideva.
-Sì?-
-So benissimo di non aver bisogno della voce di grandi nomi per far sentire la mia. Lo so perfettamente, io sono uno di loro, Paul, sono il migliore di tutti loro-
L’amico sorride per l’arroganza appena dimostrata con così brevi, concise, sentenze.
-E allora perché…?- Iniziò, ma per Simon quella era una domanda così scontata che non era neppure necessario concludere di pronunciarla.
-Perché io lo so, Paul, ma temo di non poter dire lo stesso per quanto riguarda i professori o comunque chi mi ascolta. Sia chiaro, non mi sto lamentando: chiunque renderebbe a dar più retta all’ipotesi di uno Shakespeare o uno Wilde piuttosto che quella di un ragazzino ‘comesichiama’ che non fa che interrompere.-
E aveva di nuovo ragione, ma il discorso si concluse così perche gli altri ragazzi si stavano avvicinando e per quanto fossero tutti amici… Non erano amici con cui si parla di questo.
-Paul! PW!- Ridacchiò un ragazzo dalle spalle larghe concludendo un bacio infantile dato ad una ragazza antiesteticamente più alta di lui. Raggiunse i due, accanto al muretto.
-Dan. Qual buon vento.- sibilò Simon. Perché così scontroso? Oh Emily, comprese Paul come in un flash. Emily dagli occhi verdi, Emily dalla quale il suo amico aveva distolto malinconicamente il suo sguardo di poeta così tante volte… La stessa Emily che, separatasi dalle labbra di Daniel gli aveva sorriso recandosi verso il gruppo di ragazze, al lato opposto del cortile; e lui l’aveva lasciata allontanarsi con uno sguardo intenerito, come quando si toglie il guinzaglio al proprio cucciolo una volta raggiunto il parco. Paul rabbrividì di disgusto e vide negli occhi di Simon lo stesso susseguirsi di pensieri.
Il brivido fu interrotto da una pacca sulla schiena da parte dell’ultimo arrivato.
-E tu quando te la trovi una ragazza, Paulie? Sembri piuttosto solo ultimamente, guarda che occhiaie!- rise.
-Ah, non lo so! Non saprei su chi concentrarmi, ecco!-
-Mi dirai, povero te, la miglior scelta ormai è esaurita- Daniel accarezzò con lo sguardo la figura lontana di Emily che ormai si era rivelata essere per certo la sua nuova ragazza. Non un gran che, pensò Paul guardandola. Quegli occhi verdi di cui tanto si parlava erano piccoli e piuttosto distanti a guardarli bene e aveva un collo così lungo e sottile che sembrava doversi spezzare da un momento all’altro sotto il peso dei quella testa castana. Simon ancora taceva, era la prima ragazza per cui il suo amico sembrava così perso eppure… Davvero non era un gran che! Certo, si diceva che fosse molto intelligente, ma il fatto che ora avesse deciso di fare coppia fissa con il buon vecchio Dan smentiva anche quest’ultima ipotesi.
Disse solo -Eh già!- Sforzandosi, gentilmente di assecondare l’ego dell’amico neofidanzato.
-Ma qualcuno ancora si trova per te! Che ne pensi di Megan, ad esempio?- E la indicò. Sembrava stessero sfogliando un dannato catalogo e si notava: Paul colse il secondo brivido d’orrore di Simon.
-… Non saprei, Dan… è carina e tutto quello che vuoi, ma non la conosco… E poi è una nuotatrice! Con tutto il rispetto per il suo carattere e il sue essere sportiva, non mi sentirei a mio agio a passeggiare per mano a una ragazza con le spalle più larghe delle mie- Risero entrambi, scioccamente, ma andava bene così.
-Oh, andiamo, non fare il difficile, ci sarà pure qualcuna che può andarti bene!-
-Non pensi vagamente che il nostro Paul, qui, debba innamorarsi prima di trovarsi qualcuna?-
Ed ecco che arrivava Simon, dal suo regno di inchiostro, sul suo cavallo bianco, a salvare Paul come una dama in pericolo da una situazione da cui il ragazzo non aveva nessuna necessità di essere salvato. E questo perché quella era una conversazione normale fra ragazzi normali della loro età e così doveva essere.
Ingoiava troppi rospi, Paul si rendeva conto di quanto quella fottuta normalità stesse logorando il suo spirito dall’interno. Non era giusto, non era giusto che tutto fosse così facile, semplice e concreto. Non lo sopportava. Cercò di non pensarci, si concentrò e provò di nuovo a essere quel ragazzo normale e Giusto che doveva essere.
Alla fine la sua scelta ricadde su Grace. Bionda, minuta, di un anno più piccola di lui, ma con la fama di una ragazza che non si fa troppi problemi intorno all’età sua e dei ragazzi che le ronzano intorno. Parlò con lei qualche volta, senza conoscerla davvero e la baciò un sabato sera, al cinema e da quel momento sapeva, con l’amaro in fondo alla gola, che tutto sarebbe andato liscio fra loro due.
Avrebbe voluto piangere e urlare e arrabbiarsi e rompere qualche naso per lei, ma non ce n’era ragione, non ce n’era bisogno, era stato così semplice ottenerla, di colpo non sembrava più neppure bella, non era altro che una ragazza Giusta, adatta ad un ragazzo Giusto che le avrebbe prestato la minima attenzione.
Paul si rese conto di non essere quel ragazzo Giusto e di non sentire il bisogno di una ragazza, per quanto qualcosa di caldo e morbido da tenere stretto al cinema non guastasse, ma di avere qualcosa per cui impegnarsi.
Per sua sfortuna nulla richiedeva uno sforzo del genere perché tutto arrivava già montato, il cucchiaino che entra nella bocca di un bimbo, guidato da una madre che, per renderlo più appetibile, lo muta in aeroplano. Ma Paul lo sapeva, Paul lo vedeva che quello non era altro che il solito futtuto cucchiaio per cui non c’era nessuna ragione di aprire la bocca se non la pura e semplice e nauseante sopravvivenza.
Fu così, però, che la settimana dopo fu il turno di Paul di vantarsi per la nuova conquista e lui lo fece, di malavoglia, ma lo fece: era tradizione.
Quel giorno Simon era assente, probabilmente era stato sveglio tutta la notte prima a scrivere una delle sue novelle e questa fu una fortuna per Paul. Si sarebbe vergognato davvero troppo a mostrarsi così irrealmente Giusto agli occhi del suo amico PW, la persona più meravigliosamente sabgliata che avesse avuto la fortuna di incontrare lungo il suo cammino.
Una vecchia auto blu si mosse sul vialetto e Paul sorrise. La sua via di uscita, la strada per la fuga che gli si apriva sotto gli occhi.
-Ti fai di nuovo accompagnare a casa da quel frocio del prof di biologia?-
-Sì- disse solo, soprappensiero, e si allontanò dal gruppo, senza neppure salutare, muovendosi di un passo allegro verso la macchina.  

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