La Salvatrice

di asyouwishmilady
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ora ricordo tutto ***
Capitolo 2: *** «Tutto ciò che amate vi sarà portato via.» ***
Capitolo 3: *** Dov'è il mio uncino? ***
Capitolo 4: *** Vecchio amico ***
Capitolo 5: *** Noi due soli ***
Capitolo 6: *** A caccia di sirene ***
Capitolo 7: *** Scagnozzi ***
Capitolo 8: *** Una bella squadra ***
Capitolo 9: *** La Foresta Incantata ***
Capitolo 10: *** «Hai finalmente demolito quel muro» ***
Capitolo 11: *** Accordi ***
Capitolo 12: *** Il passato non si può cambiare ***
Capitolo 13: *** Pan non fallisce mai ***
Capitolo 14: *** Soltanto l'inzio ***



Capitolo 1
*** Ora ricordo tutto ***


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Non capivo dove mi trovavo. Sembrava una foresta, era buio. C’erano delle persone con me, ma non riuscivo a vederle in volto. Ora stavo scalando una pianta gigantesca. Non potevo fermarmi, non ero a capo delle mie azioni: ero solo una spettatrice. Poi, mi ritrovai seduta su un castello di legno, di quelli che ci sono nei parchi per i bambini. C’era odore di pesce e salsedine.
«Mamma» mi voltai: c’era un ragazzino seduto accanto a me. Mamma? Io non ho figli, non avevo mai visto quel ragazzino prima d’ora.
«Mamma! Sono Henry, devi salvarci» mi scosse un braccio, implorandomi con lo sguardo. Henry. Henry. Henry. Mary Margaret. David. Storybrooke. La mia famiglia. Adesso ricordo tutto. Devo salvarli.



Mi svegliai di soprassalto, completamente sudata ed ansimante. Ricordo tutto adesso, pensai. Quanto era passato? Un anno? Rabbrividì: chissà cosa era capitato agli abitanti di Storybrooke. A Henry. Dovevo sbrigarmi. Corsi in bagno e, velocemente, mi vestii. Prima d’infilarmi il cappotto, mi soffermai a fissare quello strano braccialetto, di cui avevo ignorato l’esistenza per un anno, e che giaceva sul mobile del bagno. Graham. Lo presi tra le mani e me lo infilai in fretta: avrei lottato anche per lui. Mi precipitai verso l’uscita, decisa più che mai a riprendermi la mia famiglia. Come avevo potuto dimenticare tutto? Il sortilegio di Pan, ricordai improvvisamente. E se gli altri non fossero più in questo mondo? Come li avrei raggiunti? Mi bloccai sul marciapiede di una ghiacciata Boston. Non potevo aver perso tutto di nuovo. Che senso aveva farmi assaggiare la felicità e poi togliermela per sempre? Certo, tutta la faccenda del sortilegio, della teca, della salvatrice, era assurda. Ma avevo trovato delle persone che mi amavano davvero, una famiglia. E poi c’era Uncino. Chissà che fine aveva fatto. Scacciai il pensiero e ripresi a camminare, quando mi scontrai con qualcuno.

«Scusa» mormorai distratta, senza alzare lo sguardo.

«Non scusarti, tesoro» quella voce. Era familiare. Ma dove l’avevo sentita? Dove? Non riuscii a trattenere la curiosità e mi voltai verso l’uomo misterioso.

No, non era possibile. Doveva essere un brutto scherzo della mia mente, per forza. Rimasi impassibile di fronte a quell’uomo che aveva tutta l’aria di essere Uncino.

«Killian…» biascicai involontariamente, nella disperata attesa di un cenno, di un segno da parte sua.

«No… Veramente sono Matt, e tu sei..?» fece sorridente. Quel sorriso. Me lo ricordavo come se non fosse trascorso nemmeno un giorno.

«Uncino» riuscii solo a dire, immobile di fronte a lui. La folla, nel frattempo, continuava a fiancheggiarci in fretta, ignorandoci del tutto. Se solo avessero saputo…

L’uomo mi sorrise sornione «Uncino. Nome interessante per una bella ragazza bionda». C’era ancora qualcosa di Killian in lui, a quanto pareva.

«Emma. Uncino sei tu» risposi asciutta, cercando di cacciare indietro le lacrime. Faceva troppo male sapere che non si ricordava di me, che non mi amava più.

«Hai notato la mia mano?» alzò la mano sinistra dove, al posto del suo vecchio familiare uncino, si trovava una protesi medica color carne.

«Posso capire l’analogia» continuò divertito «Mi offenderei, se solo tu non mi stessi guardando in quel modo»

«Quale modo?» domandai io, con voce quasi impercettibile. Torna in te, Killian, per favore.

Si avvicinò di un passo, guardandomi dritto negli occhi, con i suoi blu «Come posso aiutarti, Emma?»

Chiusi gli occhi per un istante: era così confortante sentirgli dire il mio nome. Come sulla pianta di fagioli dei Giganti, come sull’Isola che non c’è. Perché avevo opposto tanta resistenza a lui?

«Devo salvare la mia famiglia» esordii, con il mio solito tono di sfida «Se vuoi aiutarmi, devi promettermi di non fare domande»

Si strinse nelle spalle «Ok, mi piacciono le avventure. E poi sono a corto d’ispirazione per le mie canzoni»

Solo in quel momento, mi resi conto che Killian non era nella sua solita tenuta da pirata. Indossava, invece, un paio di jeans aderentissimi, una t-shirt nera dei Ramones ed una giacca di pelle nera. Non la solita, ma era comunque qualcosa.

«Andiamo» lo esortai bruscamente, come ero abituata a fare un anno prima.

«Direzione?» domandò divertito, mentre iniziavamo ad incamminarci verso la mia auto. L’auto che mi aveva portato a conoscere Neal. Accidenti, sospirai, fa’ che stia bene anche lui.

«Storybrooke» risposi d’un fiato, determinata più che mai a salvare la mia famiglia e i miei amici. Non ero la salvatrice dopotutto?



Salve! Spero che questo primo capitolo (o meglio, questa introduzione) vi sia piaciuto almeno un po'. L'idea per questa fanfic mi è venuta proprio da un sogno che ho fatto ieri notte e avevo voglia di metterla giù per vedere cosa ne usciva. Poi, è un modo per combattere l'attesa per la 3x12 (ç__________ç). Mi raccomando, fatemi sapere cose ne pensate: le critiche sono ben accette! Aggiornerò il più presto possibile. Bacioni.
Claudia

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Capitolo 2
*** «Tutto ciò che amate vi sarà portato via.» ***


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«Non vuoi uccidermi o qualcosa del genere?» mi chiese Uncino, lievemente allarmato dalla mia guida spericolata.

«No. Ti spiegherò quando saremo arrivati» risposi io, pacata e nervosa. Nel profondo avevo quella sensazione: sapevo che era molto probabile che il sortilegio avesse fatto sparire Storybrooke. Ma non riuscivo a crederci fino in fondo, non finché non l’avrei appurato di persona.

«Allora…» proseguì lui «Emma, cosa succede di tanto grave da chiedere aiuto ad un perfetto – e con perfetto, intendo dire veramente perfetto – sconosciuto?»

«Zitto, Uncino. Sto pensando» sbottai io, come ero solita a fare con lui.

«Ok» sollevò le mani in segno di resa «Ho capito che mi hai dato questo soprannome. E non ti biasimo, sai, posso capir…»

Colpii il volante con una mano «Accidenti. Non parlavi così tanto una volta. Un motivo in più per rompere questo maledetto sortilegio»

«Ci conosciamo?» domandò Killian, d’un tratto serioso.

Sospirai e strinsi la presa attorno al volante «Ti ho detto che ti spiegherò tutto quando saremo arrivati»

Lui annuì, e non fiatò per il resto del viaggio. Il mio Uncino mi avrebbe aiutato, mi avrebbe dato dei consigli. Questo Matt, invece, non faceva altro che parlare e parlare, senza dire niente di utile. Ma l’avrei salvato, avrei salvato tutti quanti.

Non facevo che pensare al mio Henry. Avrei dovuto impedirlo, avrei dovuto stare con lui. Adesso poteva essere ovunque, o poteva anche essere… No. Avrei fatto in modo che tornasse tutto come prima.

Deglutii a fatica quando cominciammo a percorrere la famigliare strada che portava a Storybrooke, quella che avevo percorso quella sera con Henry, quando ancora non credevo in lui, in me, in noi.

«Perché ti agiti?» mi domandò Uncino, d’un tratto, confuso.

«Non c’è» inchiodai e scesi dall’auto in fretta, ancora incredula. No. Mi ricordavo perfettamente dove si trovava, ma non c’era. Non c’era più niente: niente cartello “Benvenuti a Storybrooke”, niente Storybrooke.

Strinsi i pugni e avvertii le lacrime rigarmi il viso. Non potevo farcela. Come potevo andare da loro, ovunque fossero, senza la magia? Non li avrei rivisti mai più. Il mio Henry.

«Si può sapere cosa sta succedendo?» Uncino mi raggiunse, senza capire.
Non appena alzò lo sguardo sul mio viso, i suoi occhi si addolcirono «Emma… Va tutto bene?»

Scossi la testa «Aiutami» lo implorai, in lacrime.

«A fare cosa?» si avvicinò e mi posò una mano sulla spalla.

Sospirai: era il momento di dirglielo. Avevo solo paura che mi avrebbe preso per pazza e se ne sarebbe andato per sempre. Anche lui.

«So che è difficile da credere. Io stessa non ci ho mai creduto fino in fondo» esordii, asciugandomi le lacrime «La mia famiglia è in pericolo. Dopo un sortilegio, hanno perso la memoria e la città dove abitavano è scomparsa. Potrebbero essere tornati nel loro luogo di origine: un posto che si chiama Foresta Incantata. Lì c’è la magia. Loro sono personaggi delle favole. Io sono la figlia di Biancaneve e di Principe Azzurro: 29 anni fa, mi hanno messo in una teca magica, con la speranza che io li salvassi dalla maledizione della Regina Cattiva, e sono apparsa qui. E alla fine ho spezzato la maledizione, ma Peter Pan l’ha lanciata di nuovo e non sono sicura di farcela ancora»

Uncino mi fissava sconvolto, con un mezzo sorriso in volto «Storia interessante»

«Non mi credi. Non importa»

«No!» si affrettò a rispondere, guardandomi dritto negli occhi «Ti credo. Il tuo sguardo non mente, ma è tutto così assurdo. Non so come aiutarti, Emma»

«Devi cercare di ricordarti dove si trova la Jolly Roger» dissi d’un fiato, cosciente del fatto che non poteva ricordarsi, dal momento che non si ricordava nemmeno chi fosse.

Visto che mi fissava impassibile, feci quel che dovevo fare e glielo spiegai «”Uncino” non è un soprannome, anzi lo è. Ma non te l’ho dato io adesso»
Mi avvicinai a lui di un passo «Il tuo nome è Killian Jones, sei un pirata conosciuto da tutti come Capitan Uncino»

Lui scoppiò a ridere ed io cominciai a perdere ogni speranza «Scusa, Emma, ma è un po’ strano, no?»

«Come hai perso la mano?» sbottai, secca.

«In una rissa» rispose lui, sicuro.

Sorrisi e scossi la testa lentamente «Tremotino te l’ha tagliata per vendetta»

Corrugò la fronte.

«So che è difficile crederci ma, dai, pensi che mi sia inventata tutto? A che scopo?»

Ridacchiò e fece spallucce «Non so, forse per attaccare bottone con me»

Che idiota. Mi avviai verso l’auto e risalii, mentre lui mi raggiungeva in fretta.

«Non che mi dispiaccia» aggiunse, salendo in macchina «Adesso dove andiamo?»

«A cercare quella nave. Ah, e, Uncino, sei sicuro di non avermi mai vista prima?» domandai con la voce che mi tremava.

«Sì» rispose sereno, ed io mi sentii morire dentro.

Tutto ciò che amate, ciò a cui tutti voi siete legati, vi sarà portato via.

«Io ti amo» mormorai, arrossendo. Lui si voltò e mi guardò confuso.



Salve a tutti! Spero vi sia piaciuto il capitolo. Fatemelo sapere, mi raccomando! Come reagirà Matt/Killian al "ti amo" di Emma? Si ricorderà qualcosa o se ne andrà, prendendola per pazza? Aggiornerò il prima possibile. Intanto, grazie mille di aver letto!
Claudia

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Capitolo 3
*** Dov'è il mio uncino? ***


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«Sei una che si affeziona in fretta, vero?»  mi domandò Uncino, divertito e spaventato al contempo.

Stinsi la presa sul volante «Veramente no» biascicai io, portando alla mente tutte quelle volte che mi ero imposta di non lasciarmi andare, di non aprire troppo il mio cuore. Ma ora era diverso, pensai, dopo tutto quello che era successo con Henry, Mary Margaret, David.

«Tu sei davvero convinta che io sia Capitan Uncino?» si voltò verso di me, con espressione neutra in volto.

«Non lo credo. Lo so per certo» risposi fredda. Era come se quel Matt tenesse rinchiuso Killian e non gli desse la possibilità di tornare in sé. Lo detestavo, ma non potevo lasciarlo andare. Perché avrebbe significato lasciare andare anche Uncino, ed ogni possibilità di ritrovare la mia famiglia, mio figlio.

«Ma che differenza fa?» chiese lui, pigramente, agitandosi sul sedile dell’auto «Che ti importa se sono o meno Capitan Uncino?»

Sospirai «Era un amico. Un caro amico»

«Capisco» annuì lui, senza indagare ulteriormente.

Ormai, avevamo raggiunto quello che, una volta, era il porto di Storybrooke. Ora non c’era più niente, se non un ammasso di piante, erba e cespugli. Ero davvero sicura di non essermi inventata tutto? Forse ero stata in coma per molto molto tempo. Capivo quel Matt, in fondo. Come era possibile che una città fosse sparita nel nulla? Come era possibile credere di vivere in un mondo dove i personaggi delle favole scorrazzano tra una terra e l’altra, lanciando e spezzando sortilegi?

«Siamo arrivati» feci brusca, prima di scendere dall’auto. Uncino mi raggiunse velocemente, con quei suoi jeans attillatissimi.

«E adesso?» mi domandò lui, carico, in cerca d’avventura. In questo almeno non è cambiato, riflettei malinconica.

«Adesso devi dirmi dov’è la tua nave» feci spallucce e gli sorrisi debolmente, cercando di incoraggiarlo.

Si grattò il capo «Io non ho una nave, Emma. Ho solo una moto»

Chiusi gli occhi per un istante, in cerca della cosa giusta da fare «La mia famiglia è in pericolo, ehm, Matt. Ogni secondo è prezioso. Devi aiutarmi»

«Ma come faccio?» scalciò un sasso a terra, frustrato «Non so dov’è questa nave. Non sto capendo niente di quello che sta succedendo»

«Forse hai solo bisogno di un aiuto» feci io sottovoce, prima di avvicinarmi a lui, in cerca delle sue labbra.
Mi strinse a sé bruscamente. Ti prego, ricordati.

«Allora? Ricordi qualcosa?» mi staccai in fretta, con le guance rosso fuoco e il cuore che mi palpitava nel petto. Non mi ero dimenticata quella sensazione: almeno qualcosa di lui mi sarebbe rimasto in ogni caso.

«No» scosse la testa dispiaciuto.

«Anzi, aspetta…» chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie con la mano buona «Ricordo… Una nave»
Spalancai la bocca, speranzosa. Ci stava riuscendo. Saremmo riusciti a salvare tutti.

«La Jolly Roger» mormorai con cautela, cercando di non distrarlo.

«No» riaprì gli occhi e li posò sull’oceano calmo «Non sembrava una nave dei pirati. Sembrava una nave normale. Bianca, pulita. Non riesco a capire il contesto. Io… Non sono mai salito su una nave»

Cosa stava dicendo? Strinsi i pugni, innervosita e scoraggiata «Lascia perdere. Faccio da sola»

Corrugò la fronte, cercando il mio sguardo «Ci sto provando»

«Lascia perdere» salii in fretta in auto e chiusi la portiera violentemente «Sbrigati, ti riporto a Boston»

«Ma…» protestò lui, affacciandosi al finestrino della macchina.

«Sbrigati, per favore» lo implorai, trattenendo le lacrime. Lui sospirò, abbattuto, ed obbedì.

«Come farai a salvare la tua famiglia?» chiese con voce fioca, visibilmente ferito dalla mia reazione.

«Da sola, come ho sempre fatto!» sbottai, con il groppo in gola che cresceva ogni secondo di più «Ma che ti importa? Tu non credi ad una parola che ho detto»

«Ok, ok» alzò le mani in segno di resa «Non ci credo, ma puoi biasimarmi? Mi stai dicendo che sono Capitan Uncino e che dobbiamo trovare una nave dei pirati in una città scomparsa nel nulla. Ma sai una cosa? Non mi importa, io ti avrei aiutato comunque»

«Perché?» domandai. Avevo bisogno di saperlo. Io ero stata nei suoi panni, un anno prima e non avevo creduto in Henry. Perché questo Matt avrebbe dovuto credere in me?

Sospirò ed appoggiò la testa al sedile consumato «Perché mi sei sembrata distrutta. Perché mi hai detto che la tua famiglia è in pericolo. Io non ho mai avuto una famiglia, ma penso farebbe schifo sapere che è in pericolo»

A quel punto, non riuscii più a trattenere le lacrime, per quanto ci provassi. Scoppiai in un pianto imbarazzantemente disperato. Uncino mi accarezzò il braccio, tentando di consolarmi. Ma niente mi avrebbe consolato, se non sapere che la mia famiglia stesse bene e che lui fosse ancora l’Uncino che ricordavo.

«Quando conquisterò il tuo cuore, non sarà grazie a qualche trucchetto, sarà perché tu lo vorrai» sussurrai a me stessa, ricordando quelle parole. Significavano così tanto, ora.
Ti ho sempre amato, fin dall’inizio, anche se mi impegnavo così tanto per dimostrare il contrario.

Mi voltai verso Uncino e mi resi conto che stava fissando un punto vuoto di fronte a sé. Sembrava perso. Sobbalzai e cercai di svegliarlo.
«Uncino!» gli scossi il braccio, ma non si mosse di un centimetro.
«Uncino!» slacciai la cintura di sicurezza e lo agitai dalle spalle, più forte che potevo. Cosa gli stava succedendo? Cosa dovevo fare?
 Finalmente abbassò lo sguardo. Respirava affannosamente, però, e sembrava dolorante.

«La mano» strinse la destra attorno al polso con la protesi «Ricordo come l’ho persa»

«Davvero?» sorrisi e gli posai la mano sul ginocchio «Cosa ti ricordi?»

«Un uomo con la pelle dorata. Sembrava un coccodrillo» rispose lui, incapace di rammentare altri dettagli.

«Ci sei quasi» lo incoraggiai.

«Dov’è il mio uncino?» domandò ad un tratto, lo sguardo non più perso ma duro e determinato.

«Non lo so» risposi soddisfatta, lo sguardo audace rivolto verso di lui «Ma so dov’è il mio Uncino»

«Emma» cercò i miei occhi e, dal modo in cui mi guardava, - come un bambino che ritrova la sua mamma dopo essersi perduto -, mi resi conto che era tornato.


Allora, cosa ne pensate? Fatemelo sapere con una recensione, o scrivetemi su twitter (sono @angelclauds). Adesso cosa accadrà? Uncino sarà d'aiuto? Riusciranno a trovare la Jolly Roger per raggiungere gli altri? State sintonizzati: aggiornerò presto! :) 

 

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Capitolo 4
*** Vecchio amico ***


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«Emma» sorrise Uncino, incredulo «Emma, sei tu»

«Era ora» feci io ironica, cercando di nascondere le lacrime di sollievo che mi stavano salendo agli occhi. Eccolo, il mio Uncino. Ce l’avevo fatta, ce l’avevamo fatta.

«Mi aspettavo un’accoglienza più, come dire, calda, Swan» ridacchiò lui, un po’ deluso dalla mia reazione. Immagino che gli sarebbe piaciuto se gli avessi buttato le braccia al collo, gridando il suo nome. Forse sarebbe piaciuto anche a me, riflettei, imbarazzata. Ma c’erano altre priorità adesso: mio figlio, la mia famiglia.

«Non importa» continuò lui, divertito «Ho già sentito abbastanza. Vecchio amico, eh? E quel “ti amo”?»

Non risposi. Era troppo imbarazzante. Ero solo felice che lui fosse di nuovo con me, e che potesse aiutarmi a salvare la mia famiglia.

«Allora, dov’è la nave?» domandai, secca.

«Circa nella zona in cui trovavamo prima, milady. Dove mi hai baciato, per intenderci» ribatté serio. Non appena avremmo salvato tutti, mi sarei occupata di lui: l’avrei chiuso in uno sgabuzzino, l’avrei ammanettato e l’avrei riempito di botte. E di baci. No, Emma, non ora.

Feci inversione e tornai indietro, premendo l’acceleratore così forte da farmi dolorare il piede. Perché non riuscivo a guardarlo in faccia, perché? I miei sentimenti erano così chiari fino a poco prima. Adesso, ero ancora travolta dalla solita lotta interiore: lasciarmi andare o allontanarlo? Ci avrei pensato quando sarebbe stato il momento.

«Eccola» disse Uncino, di punto in bianco, ed io accostai con una frenata brusca.

«Scommetto che sei più brava a guidare le navi, tesoro» commentò lui, ironico, mentre scendeva dall’auto.
Prese a camminare ed io lo seguii senza pensare. Non vedevo niente, se non la sua figura che si avviava velocemente verso la spiaggia. Era bello lasciarsi completamente andare, smettere di pensare e lasciare che fosse qualcun’altro a guidarmi, per una volta.

«Siamo arrivati» annunciò, indicando l’oceano alle sue spalle.

Corrugai la fronte, confusa «Io non vedo niente»
Non c’era nulla alle sue spalle, se non l’oceano scuro. Doveva essere impazzito: probabilmente era stato il trauma della perdita della memoria.

«Non c’è niente» sussurrai, a testa bassa.

«Ma… Com’è possibile? E’ proprio qui» Uncino indicò nuovamente l’oceano, ma io non vedevo nessuna nave.

«Sei sicuro di stare bene?» gli chiesi, pazientemente. Non escludevo il fatto che quel Matt avesse potuto infettare il suo corpo con chissà quali droghe.

«Emma, come pensi sia possibile questo, altrimenti?» si diresse in fretta verso l’oceano, finché l’acqua non gli raggiunse prima i piedi, poi la vita. Ad un tratto, si tuffò e prese a nuotare.

«Sei impazzito?!» strillai più forte che potevo, mentre i miei piedi, autonomamente, mi portavano verso di lui.

«Emma, Emma, Emma…» lo udii cantilenare da lontano, mentre nuotava in fretta «Non cambi mai, eh? Tu e la fiducia non andate molto d’accordo, se posso permettermi»

Quando avvertii l’acqua gelida raggiungermi la vita, mi bloccai. Cosa diamine stava facendo? Chiusi gli occhi, concentrandomi sull’odore di salsedine e sul rumore ritmico delle onde. Abbi fede, Emma. E’ quello che mi avrebbe detto anche la mia famiglia. Fallo per loro, almeno.

Non appena riaprii gli occhi, mi ritrovai di fronte a qualcosa di inspiegabile: Uncino stava fluttuando, a mezz’aria, sopra l’acqua.
«Ti vengo a prendere con una scialuppa, resta dove sei» lo sentii urlare ed, in quello stesso istante, la Jolly Roger apparve come per magia, imponente, davanti a me.

Strinsi i pugni. Un flashback mi colpii alla sprovvista: August. Quando mi aveva mostrato la sua gamba di legno, io non riuscivo a vederla perché non ci credevo. Troppe volte ero stata scettica, anche quando la verità era terribilmente evidente.

Senza dire una parola, mi lanciai in acqua e cominciai a nuotare verso la nave. Mentre scivolavo tra le onde, mi presi un minuto per pensare a me ed Uncino. Lo amavo, e lui lo sapeva: glielo avevo detto io stessa poco prima. E lui amava me, quindi qual’era il problema? Perché non riuscivo ad accettare la nostra relazione?

Riemersi per riprendere fiato e mi resi conto che avevo già raggiunto la nave. Alzai lo sguardo e scorsi Uncino che, dall’alto, mi lanciava una scala di corda. L’afferrai e lasciai che lui mi tirasse su.

«Se avessi aspettato qualche minuto ti avrei…» esordì lui, indicando i miei vestiti fradici.

«Ti amo» dissi d’un fiato. E fu come scrollarsi di dosso quel pesante masso che, ormai, ero abituata a portarmi dietro. Lui mi sorrideva, con i capelli neri bagnati che gli ricadevano disordinatamente sulla fronte. Ricambiai il sorriso perché ero felice, in quel momento, con lui. E perché finalmente avevo buttato fuori quello che mi tenevo dentro da troppo tempo.

«Ti amo anch’io» mormorò, commosso, con gli occhi azzurri arrossati dall’acqua dell’oceano.
Mi avvicinai a lui e lo strinsi più forte che potevo. Da quanto tempo desideravo farlo? Portò la mano buona sulla mia guancia e posò le sue labbra sulle mie, in un bacio così appassionato che persi completamente la cognizione dello spazio e del tempo.
Avremmo potuto continuare all’infinito, ma un pensiero negativo in un angolo della mia mentre mi risvegliò: Henry.

Mi staccai dolcemente da lui «Adesso andiamo a salvare la mia famiglia»

«Sei fradicia. Ti prenderai una polmonite se non ti metti degli abiti asciutti» arricciò attorno al dito una ciocca dei miei capelli gocciolanti..

«Non mi interessa, devo salvare mio figlio!» sbottai, spingendo via la sua mano.

«Odio dirtelo, ma non andremo da nessuna parte senza fagioli magici» si passò la mano tra i capelli bagnati, evitando il mio sguardo.
Sentii mancarmi la terra sotto i piedi. Non ci avevo pensato. Come avevo potuto non pensarci?

«E adesso?» domandai pacata, cercando di calmarmi. Non era colpa sua, non dovevo aggredirlo in quel modo.

«Adesso vai ad asciugarti» mi afferrò dalle spalle, guardandomi dritto negli occhi, con amore «Poi cercheremo una soluzione»

Annuii, impassibile e mi avviai verso l’interno della nave. Ricordavo quel posto come fosse ieri, quando ci eravamo imbarcati per salvare Henry. Ed eccoci di nuovo pronti per un’altra avventura.
Sarei mai riuscita a vivere tranquilla? Mi domandai pigramente. Ma, a quel punto, non mi interessava altro che mettere in salvo la mia famiglia, e passare del tempo con Henry. E con Uncino.

«Appendi i vestiti nella camera principale» lo sentì gridare, mentre entravo in quella confortevole stanza completamente in legno
«Mentre si asciugano, puoi indossare qualcosa di mio»

Sollevai un sopracciglio, percependo il suo tono divertito. Che idiota.
Non appena varcai la soglia, cominciai a strapparmi i vestiti di dosso, che si erano praticamente appiccicati alla mia pelle. Prima mi asciugo, pensai, prima andiamo da Henry. Faceva un freddo terribile: man mano che mi svestivo, avvertivo degli spifferi d’aria congelata penetrarmi nelle ossa.

Con la pelle d’oca, mi chinai a raccogliere gli abiti fradici per appenderli alla corda consumata che attraversava la stanza.
Tremavo: ero completamente nuda e un’infinità di gocce gelide mi scendevano, senza stop, lungo la schiena, dalle punte dei capelli fino al sedere.

Udii la porta schiudersi e, d’istinto, mi voltai di spalle «Uncino?»

«Ti ho portato qualcosa con cui…» le parole gli morirono in bocca. Sentivo il suo sguardo pesante sul mio corpo nudo.

«Non credevo ti fossi già…» fece lui, con voce strozzata e seriosa. Merda.

Incrociai le braccia al petto: avevo troppo freddo, avevo bisogno di asciugarmi. Mi voltai di scatto verso di lui e gli strappai con foga gli stracci di mano, mentre perlustrava con gli occhi ogni angolo del mio corpo.

Provai ad asciugarmi il più in fretta possibile, strofinando così forte da farmi bruciare la pelle. Uncino non accennava ad andarsene, né smetteva di fissarmi, con gli occhi che bruciavano di desiderio. E avrei voluto dannatamente sentire il bisogno di insultarlo e di cacciarlo. Ma non lo sentivo.

Quando si avvicinò e mi strinse con fervore a sé, avrei voluto sentire il bisogno di respingerlo. Ma non volevo farlo.

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Eccoci! Spero vi sia piaciuto questo capitolo: ho cercato di essere il più dettiagliata possibile e spero di essere risultata abbastanza chiara. Ed ora il dilemma. Descivere o non descrivere la scena spinta tra Emma ed Uncino? Ovvero, salto direttamente a quando tornano sul ponte della nave, o descrivo? Datemi un consiglio perché sono veramente combattuta... Fatemi sapere, vi prego çç 
Intanto, grazie di aver letto! Aspetto i vostri consigli :)
Claudia

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Capitolo 5
*** Noi due soli ***


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Mi sembrava di essere rinchiusa in una bolla di vetro: i suoni, gli odori, i movimenti della nave, erano attutiti dall’intensa sensazione che mi provocava quel contatto così intimo con lui.

Mi teneva stretta a sé con forza, con la mano destra premuta contro la mia schiena nuda. Lo desideravo, come se la mia intera esistenza dipendesse unicamente da quello.

«Aspetto questo momento da molto tempo, Emma» mormorò Uncino con un filo di voce, prima di posarmi un delicato bacio sulla spalla, facendomi rabbrividire dall’eccitazione. Potevo sentire il suo respiro affannoso infrangersi contro la mia pelle.

Anche io aspetto questo momento da molto tempo, avrei voluto dire: avrei voluto dire molte cose, chiedergli come fosse possibile che lui non fosse tornato nella Foresta Incantata con gli altri, discutere su come saremmo riusciti a creare un portale, ma l’unica cosa che riuscivo a fare era fissarlo con la bocca semi aperta, pregando che non si fermasse.

Le sue labbra si andarono a deporre voracemente sulle mie, attenuando ulteriormente il mio contatto con il mondo esterno.
Senza rendermene conto mi aggrappai letteralmente a lui, affondando le mani nei suoi capelli scuri ancora bagnati, con così tanta foga da farlo sobbalzare.

«Sei così…» esordì lui, osservandomi divertito ed eccitato, ma io lo interruppi immediatamente con un altro bacio, costringendolo a lasciare la frase in sospeso.

«Zitto» mormorai con voce quasi impercettibile, mentre gli strappavo di dosso prima la giacca di pelle, poi la t-shirt.
Mi fermai un secondo a fissare il suo corpo semi nudo: era perfetto, come me l’ero sempre immaginato. Ogni angolo di lui, raccontava la sua storia: le braccia muscolose di chi aveva lottato, insieme ad un timone, contro un mare in tempesta, le cicatrici sul petto di chi aveva rischiato infinite volte di morire, le spalle larghe di chi trovava in una spada il suo pane quotidiano.

Senza riuscire a resistergli un minuto di più, lo spinsi violentemente contro la parete in legno della stanza, facendo aderire i nostri corpi nudi. Quella sensazione così terribilmente inebriante, mi fece perdere del tutto il controllo. Inarcai la schiena, mentre lui spingeva con foga il suo bacino contro i miei fianchi.

Nel frattempo che lui si sfilava faticosamente quei maledetti jeans aderentissimi, io presi a lasciargli una scia di fugaci baci sul petto, senza quasi prendere fiato tra uno e l’altro.
Liberatosi da quella prigione di tessuto, Uncino sollevò la mia gamba con l’avambraccio sinistro e la poggiò sul suo fianco.

«Ti amo, Emma» mormorò dolcemente, accarezzandomi la guancia arrossata. Io gli sorrisi e, mi resi conto, ero felice, a mio agio con lui.
Facemmo l’amore per un tempo indefinito, senza badare per un po’ al mondo esterno, alla magia, alla logica, al buon senso.

Quando il debole sole invernale lasciò posto al buio della sera, crollammo sul letto della stanza, esausti come dopo un duello.
Noi due soli, senza problemi, senza preoccupazioni.
Ero completamente fuori controllo. Ero pazzamente innamorata, come non lo ero mai stata.

***

Quanto tempo era passato? Cosa stavo facendo? Balzai giù dal letto, con il cuore che mi martellava dolorosamente nel petto.
Avevo perso del tempo prezioso. Dovevo salvare gli altri. Henry. Che idiota incosciente ero stata, come avevo potuto essere così egoista?

«Emma» mi chiamò Uncino da sotto le coperte, con la voce assonnata «Cosa stai facendo?»

«Vorrei saperlo anch’io» sbottai nervosa, mentre camminavo, stizzosa, su e giù per la stanza «Dove sono i miei vestiti?»

«Ma che ti prende?» domandò lui, mettendosi lentamente a sedere, tra uno sbadiglio e l’altro. Come poteva essere così tranquillo? Come?

«Dobbiamo salvare la mia famiglia, ricordi?» feci io sarcastica, come se stessi parlando ad un bambino di quattro anni.

«D’accordo» si mise in piedi, ed io restai un istante ad osservare il suo corpo nudo, ricordando quello che era successo il giorno prima.
Cercai con tutte le mie forze di trattenermi dal sorridere come un’idiota ma, mio malgrado, non ci riuscii. Sfortunatamente, lui se ne accorse all'istante e ricambiò sereno. Era così bello, lui era… No, Emma, non ora.

«Come sai» iniziò, mentre si infilava i suoi soliti pantaloni di pelle nera «Solo un tipo di creatura può viaggiare tra i mondi»

«Le sirene» mormorai, ricordando tutto quello era successo sull’Isola che non c’è, con Pan, Tremotino e il vaso di Pandora.

«Esatto, tesoro» annuì lui, soddisfatto della mia risposta, intanto che si allacciava in vita la vistosa cintura d’argento «Dobbiamo solamente trovarne una e convincerla a portarci dei fagioli magici. Il che non è propriamente semplice, ma…»

«Perfetto, direi. Quando inizia la ricerca?» domandai, di nuovo speranzosa. Non importava come, ma ce l’avremmo fatta anche questa volta.

«Quando desideri tu, milady. Ma prima dovresti metterti qualcosa addosso» si avvicinò di qualche passo e mi sfiorò il mento con la mano buona «Non sono sicuro di riuscire a concentrarmi, altrimenti»

Scossi la testa, fingendomi seccata.
«Dammi uno di quei cosi» feci poi, seria, indicando con un cenno l’armadio da cui Uncino aveva preso i suoi abiti. 
Mentre mi infilavo i vestiti da pirata di Uncino, notai che stava mettendo completamente sottosopra la stanza.

«Cosa stai cercando? Dobbiamo sbrigarci» lo esortai, brusca.

«Il mio uncino, non posso andare là fuori senza. Non ho idea di dove sia finito con il sortilegio» rispose, preoccupato, senza smettere di cercare.

Incrocia le braccia al petto «Non puoi prenderne uno nuovo? Oppure» sorrisi tra me e me, e mi lasciai cadere sul letto disfatto «Oppure puoi tenere quella mano finta, che è sicuramente meno inquietante»

«Mh…» si bloccò e prese ad accarezzare il suo mento coperto di barba scura.

«Era solo una battuta» aggiunsi io: sapevo che non si sarebbe mai separato da quel coso, faceva parte di lui e della sua storia, ormai.

«Potrei momentaneamente tenere la mano finta, ma ci sarà un prezzo da pagare» posò su di me i suoi occhi scaltri.

«Ci risiamo» sbuffai, appoggiando la testa alla parete dietro al letto «Nessuno ti sta costringendo a fare niente, Uncino, era solo una batt…»

«Chiamami Killian, d’ora in poi» biascicò timidamente a testa bassa, grattandosi il capo «Non ha senso chiamarmi Uncino, se non ho il mio uncino, no?»

«Killian» ripetei io, perplessa, mentre mi precipitavo verso il ponte della nave «Lo terrò in considerazione. Ora sbrighiamoci».


Salve! Inzio col dire che ho riscritto questo capitolo qualcosa come cinque volte, perché cercavo la sfumatura giusta di passione, senza scadere nel volgare. Spero di esserci riuscita e spero che vi sia piaciuto almeno un po'. Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate. Adesso cosa accadrà? Riusciranno a trovare una sirena (che sappiano non essere esattamente collaborative) e convincerla ad aiutarli a raggiungere gli altri nella Foresta Incantata? Emma riuscirà ad accettare completamente la sua relazione con Uncino, chiamandolo anche con il suo vero nome? Posterò il prima possibile. :)

PS: Mi è stato chiesto come mai Henry non fosse con Emma (avete ragione, non sono stata molto chiara nella trama, effettivamente...). Quando ho inziato a scrivere la storia, non avevo ancora visto la 3x11, ed ho immaginato cosa sarebbe potuto succedere dopo il sortilegio di Pan. I resto dei dettagli li scoprirete presto! 
Claudia

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Capitolo 6
*** A caccia di sirene ***


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«Sei sicuro che funzionerà?» biascicai, con gli occhi che minacciavano di chiudersi da un momento all’altro. Stava cominciando ad albeggiare e di sirene nemmeno l’ombra.

«Fidati di me, ci vorrà solo un po’ di tempo» rispose Uncino, sicuro, mentre srotolava il suo cannocchiale con i denti.

«Quanto tempo? Non c’è un modo più veloce?» domandai, rendendomi immediatamente conto di quanto il sonno mi stesse rendendo lagnosa.

«Questo è l’unico modo. Se non funziona, beh, cercheremo un’altra via»

Mentre ascoltavo distrattamente le sue parole, realizzai che stava fissando con insistenza un punto lontano nell’oceano, attraverso il cannocchiale.
Ti prego.

«Vedi qualcosa?» domandai, apprensiva.

Lui, fingendosi scocciato, allontanò lo strumento dal viso e mi lanciò un’occhiataccia «La pazienza non è il tuo forte, Swan?»

Swan? Davvero? Scossi la testa, irritata «Perché mai dovrei fare lo sforzo di chiamarti con il tuo vero nome, quando tu mi chiami sempre Swan? E comunque, cosa ne vuoi sapere tu di pazienza»

Uncino posò il cannocchiale e, preoccupato di avermi offesa, cercò il mio sguardo tra il buio del mattino «Non volevo infastidirti. E’ solo che mi piace “Swan”»

«A me piace “Uncino”, e quindi?» sbottai io ma, prima che lui potesse controbattere ulteriormente, il silenzio fu stroncato da un rumore assordante.

Entrambi ci portammo le mani sulle orecchie per proteggerci. Sirene, pensai vittoriosa: mi ricordavo bene quel suono insopportabile.
Adesso, il problema era convincere quelle carogne ad aiutarci, e a non sparire con i nostri fagioli.
Fattibile, direi. Abbi fiducia, ricorda le parole di Mary Margaret.

«Ci siamo, Emma» strillò Uncino, cercando di sovrastare quel suono così fastidiosamente penetrante, mentre sorrideva soddisfatto.

Scomparse finalmente le urla delle sirene, una dolce voce femminile fece capolino «Emma!»

Come sapeva il mio nome? Mi affacciai sul ponte per vedere meglio, ma Uncino mi bloccò con fare protettivo «Ci penso io. Le sirene sanno essere piuttosto spiacevoli»

«Apprezzo il gesto, Killian, ma non sono la sprovveduta che credi» feci io, ironica, mentre mi avviavo velocemente verso la sponda della nave.

«Emma! Stai bene?» abbassai lo sguardo, e mi ritrovai di fronte ad una graziosa ragazza dai capelli rossi, che sembrava conoscermi bene, a quanto pareva.

«Chi sei?» domandai, diffidente. Uncino, pochi passi dietro di me, stava estraendo la sua spada. Era sicuramente un trucchetto, o qualcosa del genere.

«Sono Ariel, una vecchia amica di tua madre. E’ preoccupatissima per te, Emma. Lo sono tutti» ammise, a sguardo basso.

«Loro… Stanno bene? Henry come sta?» domandai, con le mani che mi tremavano. Volevo saperlo davvero? Potevo fidarmi di lei?

«Il regno è in pericolo. Pan sta seminando il terrore: nemmeno Tremotino e Regina uniti riescono a tenergli testa. Tu sei l’unica che può salvarci, Emma»

Strinsi i pugni, fino a conficcare le unghie nel palmo. La mia famiglia.
«Henry…» biascicai, con le lacrime che mi stavano salendo agli occhi. Lo avevo abbandonato, di nuovo. Era tutta colpa di Gold. Se solo non mi avesse spinto al di là del confine, sarei rimasta con mio figlio, nel bene e nel male.

«Baelfire e gli altri lo proteggono: gli manchi tanto, Emma, però si fida di te. Sono venuta a cercarti ogni giorno, ma non sono mai riuscita a trovarti…» abbassò la testa e la sua voce andò scemando.

Contrassi la mascella e cercai lo sguardo di Uncino che, immediatamente, si avvicinò alla sponda della nave.
«Puoi portarci dei fagioli magici? Ci servono per raggiungere la Foresta Incantata» chiese sbrigativo.

Ariel ignorò le sue parole «Emma, perché sei con lui?» domandò poi, sdegnata.

Io sorrisi, incontrando involontariamente gli occhi di Killian «E’ un amico, può aiutarci»

Lei fece spallucce, ancora perplessa «Se lo dici tu. Vi porterò dei fagioli magici. Cercherò di fare il più in fretta possibile. Ma tu tieni d’occhio il pirata»
Detto questo, si voltò e prese a nuotare velocemente, finché non sparì dall’orizzonte.

«Grazie!» urlai, più forte che potevo. Ce l’avremmo fatta.

«Li salveremo, Emma» aggiunse Uncino, avvolgendomi le spalle con il braccio.

«E’ quello che spero» feci io, in tono volutamente neutro, mentre mi liberavo dalla sua stretta e mi avviavo all’interno della nave.
Una volta che mi fui chiusa la porta alle spalle, sorrisi, grata di averlo con me. Non appena avrei messo tutti in salvo, mi sarei potuta finalmente godere la mia famiglia. E Uncino.
Henry sarà felicissimo di averlo attorno, pensai. David e Mary Margaret un po’ meno, ma lo avrebbero sicuramente accettato. Del resto, se David era sopravvissuto sull’Isola che non c’è, era merito di…

«Ma ciao, Salvatrice» udii una voce femminile ignota alle mie spalle. Afferrai d’istinto una delle spade che Uncino teneva di fianco allo scrittoio, e mi voltai verso la sconosciuta.

«E tu chi sei?» ringhiai, minacciandola con la spada. Era alta poco più di un metro e mezzo, aveva i capelli rossi e unti. Mi ricordava un bulldog rabbioso.

«Importa?» allontanò la spada dal viso con un gesto rilassato «Tanto, quando avrò finito con te e con il tuo fidanzatino, non ricorderete più niente»

Cosa? No, non di nuovo. Dovevo fare qualcosa.
«Ucino!» strillai, con tutto il fiato che avevo in corpo, mentre puntavo la spada alla gola della donna bulldog.

«Uccidere me non cambierà le cose» ridacchiò lei, con la schiena attaccata alla parete. Chi diamine era? Cosa voleva? Come sapeva della storia della salvatrice?

«Uncino!» urlai nuovamente. Ma dov’era? Era praticamente impossibile che non mi avesse sentito.

Ad un tratto, la porta si schiuse violentemente ed apparve un uomo dal volto coperto, che teneva legato Uncino con una spessa corda.
Rimasi immobile per un istante. Cosa diamine stava accadendo?

«Chi siete?» domandai, senza allontanare la punta della spada dalla gola della ragazza.

L’uomo mi ignorò e spinse bruscamente Uncino a terra. Digrignai i denti.
Dovevo fermarli. Ma non potevo ucciderli. Mary Margaret e David non me l’avrebbero mai perdonato.

«…mma» mugolò Uncino, con la corda in bocca che gli impediva di parlare chiaramente.
L’uomo estrasse, rapidamente, una pistola dalla tasca dei pantaloni, e la puntò verso la fronte di Uncino.

No.

D’impeto, lasciai perdere la donna bulldog e puntai la spada verso le spalle dell’uomo incappucciato.

«Uccidila» lo sentii mormorare e, pochi istanti dopo, avvertii il freddo metallo di una pistola contro la tempia.
Ci ero cascata in pieno.



Rieccoci. Immagino che sarete un po' scioccati. Spero, però, che il capitolo vi sia piaciuto: non sono molto afferrata nel descrivere le parti d'azione... Fatemi sapere cosa ne pensate! Adesso cosa accadrà? Chi sono questi due sconosciuti? Emma e Uncino riusciranno a salvarsi? Ce la faranno a raggiungere gli altri nella Foresta Incantata
? Posterò il prima possibile. Grazie di aver letto.
Claudia 

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Capitolo 7
*** Scagnozzi ***


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Uncino si dimenava, intrappolato dalla corda, mentre gemeva insistentemente qualcosa che non riuscivo a comprendere.

 «U..a….mmm…gia» tentò nuovamente di esprimersi, continuando ad agitarsi come un ossesso contro la parete di legno della nave.

«Cosa?» gli domandai, disperata, senza osare muovermi di un millimetro.

«Mmm...gia» ripeté lui. Lo guardavo dritto negli occhi azzurri disperati, ma non capivo. La pistola premeva sempre più forte contro la mia testa. Chiusi gli occhi, in attesa che la donna premesse il grilletto.

Sentivo le gambe tremare, instabili sotto di me, come se non fossi più in grado di controllarle. Il cuore mi batteva all’impazzata, così forte da farmi dolorare il petto. Respirare si faceva sempre più difficoltoso, come se avessi corso ininterrottamente per ore ed ore.

Mi domandai distrattamente come fosse la morte. Spero pacifica, pensai. Ma non era la morte in sé a spaventarmi: era il destino che sarebbe spettato alla mia famiglia.

Avrei dovuto salvarli, non avrei dovuto abbassare la guardia, avrei…

«La magia, Emma! Usala!» improvvisamente, la voce di Uncino, squarciò il silenzio.

La magia? Presi a torturarmi il labbro con i denti. Non potevo usarla, non c’era magia in questo mondo. Non potevo farcela, non da sola.
L’uomo incappucciato bofonchiò qualcosa, ed incominciò furiosamente a prendere a calci Uncino, che era riuscito a spostare la corda dalla bocca.

«Emma! Usala!» strillò con voce strozzata, preso dal dolore causato dai continui calci alle costole. L’uomo continuava a colpirlo, sempre più in fretta, sempre più forte.

Se non mi sarei data una mossa, l’avrebbe ucciso. Non potevo permettermi di esitare, non questa volta. Dovevo provarci ad ogni costo.

“Abbi fede, Emma” la voce confortante di Mary Margaret, mi affiorò alla mente, così reale che mi sembrò di averla accanto.

Chiusi gli occhi e provai a ricordare le parole di Gold “Smettila di pensare! Usare la magia non è uno sforzo intellettuale. E’ emozione. Devi chiedere a te stessa: perché lo sto facendo? Chi sto proteggendo? Sentila”.

Devo sopravvivere per salvare la mia famiglia. Devo farlo per loro. Non posso permettere che Uncino muoia, e che Pan distrugga per sempre la felicità delle persone che amo.

Provai, con tutta me stessa, ad immaginare di trovarmi accanto alla porta della stanza, lontana da quella fredda pistola. Per Henry. Per i miei genitori. Per Killian.

Un istante dopo, mi resi conto che non avvertivo più la pressione della pistola contro la tempia. Ero accanto alla porta. Sorrisi. Ce l’avevo fatta. C’era ancora speranza.

Cercai lo sguardo di approvazione di Uncino ma, tutto quello che riuscii a scorgere, fu l’uomo incappucciato che continuava, incessantemente, a prenderlo a calci. Ovunque: allo stomaco, sulle costole, in faccia. Uncino, impotente, stava perdendo conoscenza: dovevo sbrigarmi.

Alzai la mano destra, provando a ricordare i suggerimenti che mi aveva dato Regina sull’Isola che non c’è. Potevo riuscirci, dovevo solo pensare intensamente a quello che volevo. Per Henry, mi ripetei.

Quando abbassai lo sguardo sulla mia mano, realizzai che una palla di fuoco stava fluttuando sul palmo. Sobbalzai per il bagliore che emanava.

Sospirai, osservando le fiamme ondeggianti: era sbagliato.

“C’è sempre un altro modo. Ho ucciso Cora perché era facile”.

“E’ solo che so quanto sia facile cedere all’oscurità”.


Scossi la testa. Volevo bene a Mary Margaret, ma ero diversa da lei. I suoi insegnamenti erano apprezzabili, ma quelli più importanti, quelli nei quali credevo sul serio, li avevo acquisiti dall’esperienza, dalla mia vita da orfana. Non si può pretendere di fare sempre la cosa giusta.

Sollevai la mano sopra la testa, pronta a colpire l’uomo ma, quando realizzai che la donna bulldog era di fronte a me, pronta a spararmi, dirottai verso di lei. E la colpii.

«Mostro!»

Un urlo strozzato attraversò la stanza. Mi sentii morire dentro. Ma non c’era tempo per i sentimenti.

Spostai lo sguardo verso l’uomo incappucciato, che non accennava a smettere di colpire un Uncino ormai completamente inerme. Gli sanguinava il labbro, la testa gli pendeva sulla spalla, gli occhi erano cerchiati di viola.

Bastardo. Strinsi i pugni e lanciai, senza quasi rendermene conto, un’altra palla di fuoco.
Una luce intensissima illuminò la stanza per un secondo, poi calò il silenzio più totale.

Evitai, accuratamente, di guardare i corpi senza vita di quei due sconosciuti. Cosa avevo fatto?
Uncino mosse lentamente un braccio, attirando la mia attenzione.

«Uncino» mi precipitai ad aiutarlo, chinandomi su di lui «Stai bene?»

«Tu mi hai salvato» mi sorrise, dolorante, cercando di confortarmi.

Con le lacrime prepotenti che mi salivano agli occhi, presi con foga ad allentare i nodi della corda che lo teneva legato, fino a liberarlo.

«Sei stata grandiosa» fece, con voce fievole, mentre cercava il mio sguardo.

«Grandiosa?!» sbottai, senza più riuscire a trattenere i singhiozzi «Sono un’assassina»

Crollai a terra. Avevo appena ucciso due persone. Io dovevo essere la salvatrice, non la malvagia. La mia famiglia non mi avrebbe mai perdonata per questo.

«Emma» Uncino, sofferente, mi si avvicinò, sistemandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio «Non avevi scelta»

“C’è sempre un altro modo”
Non risposi.

«Se ci avessero uccisi, come avremmo potuto salvare la tua famiglia?» mi afferrò per il mento e sollevò il mio viso, facendo incontrare i nostri occhi «Non sei un’assassina, Emma. Gli assassini erano loro.»
Serrò la mascella, e spostò lo sguardo verso un punto indefinito alle mie spalle «Li avrei uccisi volentieri io, se ne avessi avuto l’opportunità»

Forse aveva ragione lui. A volte, il fine giustifica i mezzi. La mia famiglia sarebbe stata condannata all’infelicità. Rabbrividii, provando, inconsapevolmente, ad immaginare cosa ne sarebbe stato di loro, per sempre sotto il controllo di Pan. Avrei abbandonato mio figlio, di nuovo.

Sorrisi debolmente e mi avvicinai con cautela a Uncino, per posargli un delicato bacio sulle labbra insanguinate.

Grazie di essere con me, pensai, ma non ebbi il coraggio di dirlo ad alta voce.

«Hai idea di chi fossero?» mi schiarii la voce, cercando di ricompormi.

Uncino sogghignò, nervoso, e lasciò cadere la testa contro la parete «Pan ha scagnozzi in tutti i mondi, sai, Emma. Non è nemmeno la prima volta che rischiamo la vita per questo»

Serrai i denti. Chi altri se non Pan? Lo avrei distrutto con le mie stesse mani, non appena saremmo arrivati nella Foresta Incantata «Dobbiamo sbrigarci. Sai cosa devo fare esattamente per salvare gli altri?»

Si leccò la ferita sulla bocca, ed abbassò lo sguardo «Non lo so, ma lo scoprirai presto. E riguardo al “dobbiamo”…Credo proprio che dovrai andare senza di me»

«Cosa?!» sbottai, mettendomi in piedi di scatto. Non poteva abbandonarmi. Avevo bisogno di lui. Non conoscevo abbastanza la Foresta Incantata, non ero in grado di fare tutto da sola. Non sapevo nemmeno come fosse possibile che la magia avesse funzionato.

Cercò, con fatica, di mettersi a sedere «Sono ferito, splendore. Sai che ti accompagnerei volentieri ma, in questo stato, ti sarei solo d’impiccio»

Gli lanciai un’occhiataccia, ed alzai la mano destra verso di lui.

«Emma, cosa stai facendo?» sgranò gli occhi stanchi, spaventato «Emma?!»


                                                         

Salve. Spero che vi sia piaciuto il capitolo e spero di aver risposto ad alcune delle vostre domande (il resto lo scoprirete presto!). Adesso cosa succederà? Emma riuscirà ad usare la magia, stando lontana dall'oscurità? Come reagirà all'improvvisa "ritirata" di Uncino? Come riuscirà a liberarsi di Pan? Prossimamente avrete tutte le risposte. Fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie di aver letto!
Claudia

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Capitolo 8
*** Una bella squadra ***


Image and video hosting by TinyPic  «Chiudi il becco» ringhiai, cercando di concentrarmi. Lui doveva  venire con me, non poteva lasciarmi sola in un mondo che  conoscevo a malapena. E io non potevo lasciare solo lui, anche se  sapevo che se la sarebbe cavata benissimo. Volevo stare con lui,  perché mi distraeva con le sue battutine da pirata e con quel suo  sorriso diabolicamente contagioso.

 Avvicinai con cautela la mano alla sua fronte, ed osservai, con  meraviglia, una scintillante luce azzurra fuoriuscire dal mio palmo.

 Uncino mi sorrise debolmente, prima di serrare gli occhi,  irrigidendosi «Pensi che farà male?»

 «Lo scopriremo presto» ridacchiai, prendendolo in giro. Mi faceva  tenerezza, dolorante, con gli occhi stanchi, e il labbro insanguinato.

 Lo avrei aiutato comunque, anche se non sarebbe venuto con me.
 
Perché era la cosa giusta da fare. E perché lo amavo.

 Lentamente, spostai la mano verso il basso, insistendo sulla zona  del torace, fino a raggiungere i piedi. Entrambi increduli,  assistemmo all’inspiegabile guarigione delle sue ferite: le occhiaie  sparirono, insieme alla taglio sul labbro e all’intenso dolore alle  costole.

 Dal modo in cui mi osservava mentre lo guarivo, così  intensamente, così dolcemente, mi rendevo conto di quanto mi  amasse. Io temevo solo che non sarei mai stata in grado di  restituirgli tutto quell’amore.

 «Fantastico» mormorai, ancora sorpresa, mentre mi rimettevo in  piedi.

 «E’ incredibile, Emma, tu hai un dono» sorrise Uncino, entusiasta,  rialzandosi «Sto benissimo, anche meglio di prima»
 
 Feci schioccare la lingua e scossi la testa «Spero non te ne  approfitterai troppo»

Il suo volto andò a scurirsi, ma non gli diedi il tempo di ribattere.
«Com’è stato possibile? Come sapevi che avrebbe funzionato?» domandai d’un fiato, ancora perplessa: avevo sempre creduto che in questo mondo non ci fosse magia.

Lui si strinse nelle spalle e, divertito, cercò il mio sguardo «Non lo sapevo. Ho solo sperato che, visto che sei la salvatrice, i tuoi poteri fossero così potenti da costituire un’eccezione»

«E se non avesse funzionato?» domandai più a me stessa, che a lui.

Sorrise e si voltò di spalle, senza rispondere. Ma io sapevo che non avrebbe mai lasciato che io morissi, sapevo che avrebbe escogitato un qualche piano B. Era un pirata del resto, pensai, affettuosamente.

«Quanto credi che ci metterà Ariel?» gli chiesi, in tono neutro. Dovevamo sbrigarci: ogni minuto era prezioso.

«Se Pan non si dovesse intromettere, un paio d’ore. Altrimenti, chi può dirlo? Giorni, settimane, forse mesi. Magari non tornerà mai»

Cosa? Non poteva dire sul serio.

Incrociai le braccia al petto «Sei positivo, vedo» commentai, poi, sarcasticamente.

Ridacchiò e mi accarezzò bramosamente la guancia «Conosco Pan, dolcezza. Nel frattempo, noi due potremmo divertirci un po’»

Ignorandolo, scostai la sua mano e mi voltai. Mi rifiutavo di credere alla sue parole.
Non potevo permetterlo. La mia famiglia era, ogni giorno che passava, sempre più vicina alla fine. Non avrei perso la speranza, non a quel punto.

«Lei tornerà» sussurrai, stringendo i pugni «E, a quel punto, distruggerò quello stupido ragazzino»

***

Ero appoggiata a quella sponda da un tempo indefinito, in attesa di quella sirena. Avevo visto il sole sorgere e tramontare almeno un milione di volte, ma di Ariel nemmeno l’ombra. Avevo pensato e ripensato alle parole di Uncino.

“Chi può dirlo? Giorni, settimane, forse mesi. Magari non tornerà mai”. Mi resi conto, solo allora, che non mi stava prendendo in giro, che quello non era solo un trucchetto per distrarmi.

E se Pan l’avesse uccisa? Non li avremmo mai raggiunti.

Serrai la mascella. Non dovevo perdere la speranza. Dovevo credere che sarebbe tornata, proprio come Mary Margaret e David avevano creduto in me.

Se fosse servito a qualcosa, sarei stata appoggiata a quella sponda per anni ed anni. Non avevo paura di aspettare, avevo solo paura di perdere ancora la mia famiglia. Mio figlio.

Tirai un calcio alla nave. Questa non era la migliore possibilità che potevo dare a Henry, questa era una condanna.

«Non prendertela con la Jolly Roger, Swan» udii la voce di Uncino alle mie spalle.

«Lasciami sola» ringhiai, stringendo la presa sulla sponda consumata.
Sapevo di essere inavvicinabile in quei giorni, ed ero davvero dispiaciuta per come lo ignoravo, ma come potevo fare altrimenti, sapendo che la mia famiglia era in pericolo? Ero completamente impotente.

«Emma…» esordii lui, ma io lo interruppi immediatamente. Non avevo voglia di sentire le sue chiacchiere e le sue smancerie, non ora. Ci sarebbe stato tempo per quello, una volta messa in salvo la mia famiglia.

«Quanto tempo è passato?» domandai, fredda, senza voltarmi verso di lui.

«Un mese, splendore» rispose allegramente, mentre si posizionava accanto a me. Come poteva essere tanto di buonumore?

Mi voltai di scatto verso di lui, e mi trattenni a fatica dal prenderlo a pugni «Non c’è niente da ridere, idiota che non sei altro»

Corrugò la fronte, divertito, e si avvicinò di un passo «Oh, veramente sì»

Che cosa stava dicendo? Lo avrei buttato in mare, se non l’avesse piantata con quel suo stupido humour da pirata alcolizzato.

Alzò la mano buona a mezz’aria, a pochi centimetri dal mio viso e, quando l’aprì, lo vidi. Il motivo per sorridere. La nostra salvezza. Chiaro, splendente. Un fagiolo magico.

Glielo strappai di mano e lo strinsi avidamente «Dove l’hai trovato?»

«L’ho trovato sotto il letto. Qualcuno deve averlo messo lì prima del sortilegio» fece, in tono serio «Qualcuno che sapeva quello che sarebbe successo»

«Tremotino» biascicai, fissando l’oceano.
Effettivamente, era nel suo stile. Come quando mi aveva fatto trovare la pergamena con l’inchiostro magico, nella sua vecchia cella. Lui sapeva ogni cosa, sapeva che avrei trovato Uncino, che avrebbe ritrovato la memoria, e che mi avrebbe portata sulla Jolly Roger.
Esattamente come sapeva che sarei arrivata a Strorybrooke per spezzare il sortilegio di Regina. Ora toccava a me.

«Sbrighiamoci» lanciai il fagiolo ad Uncino che, nel frattempo, si era diretto al timone.

«Comincia ad ammainare le vele, Swan. Sei sola e ci metterai più tempo» ordinò, ed io eseguii senza pensarci. Normalmente lo avrei mandato al diavolo, riflettei, ma in quel momento non mi importava altro che attraversare il portale e raggiungere mio figlio.

Presi a tirare le corde consumate della nave, con tutta la forza che avevo in corpo.
Henry, sto arrivando.
Finito un lato, corsi dall’altro, facendo lo stesso. Le braccia mi facevano male, ma non m’importava: dovevo salvare la mia famiglia, loro credevano in me e io non li avrei delusi.
Una volta terminato il mio lavoro, mi chinai, cercando di riprendere fiato.

«Ottimo lavoro, Swan. Saresti un pirata perfetto» mi urlò Uncino dal timone «Adesso vieni ad aiutarmi qui»

Con le gambe che mi tremavano dalla fatica, lo raggiunsi, domandandomi d’un tratto perché lui non fosse tornato nella Foresta Incantata con gli altri. Non poteva essere un caso: ci doveva essere un motivo per cui Tremotino aveva fatto in modo che ciò accadesse. Senza Uncino non avrei trovato né la nave, né il fagiolo magico. Ma perché? Tremotino ed Uncino non andavano esattamente d’accordo.

«Avrai tutto il tempo per mangiarmi con gli occhi, bellezza» sorrise Uncino, compiaciuto, rendendosi conto che lo stavo fissando.
«Adesso, concentrati» si fece improvvisamente serio, prima di lanciare il fagiolo nell’oceano.

Nel punto esatto dove era atterrato il fagiolo, andò a formarsi un’enorme voragine scura, che girava violentemente su sé stessa. Il portale, il passaggio che mi avrebbe condotto dalla mia famiglia.

Uncino prese a girare il timone, finché la nave non andò a sistemarsi nella direzione esatta che ci avrebbe diretti alla voragine.
Io, con il vento che mi soffiava tra i capelli, non potevo smettere di sorridere. E, quando posai gli occhi su Uncino, mi resi conto che lui provava lo stesso.

Non sapevo perché era così determinato ad aiutarmi, ma gli ero davvero riconoscente. Attraversata da un incomprensibile moto d’affetto, mi avvicinai a lui e lo cinsi da dietro, mentre continuava a controllare il timone.

Arrossii perché era una delle cose più imbarazzanti che avessi mai fatto, e perché mi faceva sentire la sciocca adolescente che ero stata, ma con una differenza: ora non ero più sola.

Quando mi staccai, mi resi conto che Uncino stava sorridendo, sereno. Ero sollevata che non avesse commentato quel mio stupido gesto, ed ero certa che gli avesse fatto piacere.

«Non vorrei sconvolgerti troppo, principessa» gridò per sovrastare il forte rumore delle onde, mentre ci avvicinavamo sempre di più al portale «Ma credo proprio che noi due formiamo una bella squadra»

«L’hai già detto» gli diedi una gomitata, fingendomi seccata.

«Ah, allora ti ricordi»

La nave si inclinò verso il basso ed attraversammo il portale, ignari di quello che ci avrebbe aspettato dall’altra parte.


Oh! Ce l'abbiamo fatta! Premetto che mi scuso se a volte sono un po' sbrigativa, ma non vorrei che la storia diventasse troppo lunga... Comunque spero che il capitolo vi sia piaciuto! Spero anche che abbiate notato un cambiamento nel comportamento e nei pensieri di Emma... Non aggiungo altro per ora. Cosa accadrà quando arriveranno nella Foresta Incantata? Gli altri staranno bene? Come farà Emma a spezzare il sortilegio ed a liberarsi di Pan? Aggiornerò il prima possibile :) Grazie di aver letto!
Claudia

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Capitolo 9
*** La Foresta Incantata ***


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La Jolly Roger atterrò con un enorme tonfo, nel mare cristallino della Foresta Incantata. Fummo entrambi sballottati per diversi istanti, prima che la nave si assestasse. Forse fu proprio questo il motivo per cui fui colpita da un intenso e lungo capogiro, che rischiò di farmi perdere l’equilibrio e cadere a terra. Uncino mi afferrò, appena in tempo, per un braccio.

«Sei fuori allenamento, Swan?» ridacchiò, tornando a guidare il timone.

Mi appoggiai alla sponda della nave, cercando di ricompormi «Un anno che non faccio la salvatrice, e non so più nemmeno stare in pie…»
Quando alzai lo sguardo, mi ritrovai di fronte allo spettacolo più meraviglioso a cui avessi mai assistito: la vera Foresta Incantata, questa volta viva, abitata.

Nonostante il suolo e gli alberi fossero ricoperti da uno spesso strato di neve bianchissima, il cielo era di un azzurro incredibilmente forte, e gli uccellini canticchiavano, indisturbati, i loro motivetti allegri.
Un enorme castello in pietra dominava l’orizzonte, collegato al bosco da un lungo ponte, anch’esso innevato.

Quello che vedevo non aveva niente a che fare con la desolata Foresta Incantata che avevo conosciuto.

«Beh, che ne pensi?» mi domandò Uncino, distrattamente, mentre ci avvicinavamo alla riva.

«Non sembra un posto pericoloso» riflettei, senza staccare gli occhi dal paesaggio.

Fece spallucce e mi sorrise «Sì, questo è tipico di Pan, in effetti»

«Dove possiamo trovare Henry e gli altri?» chiesi, con gli occhi puntati sul castello che mi trovavo di fronte.

Quello era il palazzo dove ero nata. Ci ero stata con Mary Margaret, una volta, ma ora sembrava completamente diverso. Sembrava pulito, felice, magico.
Chiusi gli occhi e pregai che la mia famiglia stesse bene. Li avrei riabbracciati presto, e poi avrei distrutto quel ragazzino.

«Difficile a dirsi… Ma direi di provare a cercarli al castello: prima abitavano lì. Possiamo solo sperare che Pan non li stia tenendo prigionieri»

Pan, quel piccolo bastardo. Il solo pensiero delle sue luride mani di nuovo su Henry, mi causò un conato di vomito.

«Soffri il mal di mare, dolcezza?» domandò Uncino, preoccupato, voltandosi verso di me «Siamo quasi arrivati»
Pochi minuti dopo, la nave attraccò, e scendemmo velocemente nella fitta foresta.

Mi chiesi distrattamente come avremmo fatto ad orientarci: ogni angolo sembrava uguale, e la neve non aiutava.
Continuai, senza pensarci, a seguire Uncino, che teneva in mano una vecchia bussola: sembrava deciso sulla direzione da prendere. E io mi fidavo di lui.

Non scambiammo una parola per tutto il tragitto, anche perché stare in piedi era già abbastanza difficoltoso, con tutta quella neve per terra.

Nel bosco regnava un silenzio pacifico ed angosciante al contempo. Era normale che non ci fosse un’anima viva?
Distratta dai miei pensieri, urtai Uncino, che nel frattempo si era fermato.

«Tesoro, anch’io ho trascorso un anno senza essere un pirata, ma non inciampo ogni tre metri» si voltò verso di me e, mi sollevò il mento con due dita «Siamo arrivati»

«Fantastico, direi» un gigantesco sorriso, andò a disegnarsi sul mio volto. Henry.
Mi diressi velocemente verso quel ponte di pietra che, fino a qualche ora prima, mi era sembrato lontano anni luce, proprio come la mia famiglia.

Dietro di me, potevo sentire gli stivali di Uncino affondare nella neve candida. Dovevo ancora capire perché lui fosse con me. Non che mi dispiacesse, ma sapevo che non poteva essere un semplice caso. Tremotino non avrebbe lasciato nulla al caso.

Giungemmo alla porta del castello, pattugliata da due guardie vestite in modo piuttosto eccentrico. Favole.

«E voi chi siete?» domandarono minacciosi, puntandoci contro le loro spade appuntite.
E se fosse stato un trucchetto? E se lavorassero per Pan?

«Chi siete?» ringhiò quello di sinistra, di nuovo.

Strinsi i pugni. Ne avevo abbastanza: se avessi dovuto affrontare Pan immediatamente, lo avrei fatto senza esitare.
«Mi chiamo Emma Swan. Sono qui per salvare la famiglia. E…» mi voltai verso Uncino, che stava in piedi accanto a me «Lui è Killian Jones. E’… E’ con me»

Lo udii ridacchiare e gli tirai una gomitata alle costole. Mondi diversi, solito idiota.
Le due guardie si scambiarono un’occhiata incredula e si sfilarono gli elmetti, inchinandosi di fronte a noi.

«Benvenuti, signori. Vi prego, seguiteci» spalancarono il grande portone d’ingresso e ci fecero strada all’interno del castello.

«Ci aspettavano?» mormorai, cercando di non farmi sentire dalle guardie.

«Non lo so, ma è strano. Non hanno nemmeno minacciato di uccidermi: insomma… Sono pur sempre un pirata» fece Uncino, guardandosi attorno.

Il castello era incredibilmente sfarzoso, con la gigantesca scala dorata che accerchiava il salone d’ingresso. Prima che potessi analizzare altri dettagli, fui distratta da una voce.

«Loro sono qui, signori» mormorò la guardia, in tono solenne.

E poi la udii, quella voce tanto familiare, la squillante voce di mia madre «Davvero?!»
«Emma!» la vidi corrermi incontro, in lacrime, per poi stringermi in quell’atteso abbraccio, così sospirato da sembrare irreale.

Mi staccai da lei, per guardarla negli occhi: aveva i capelli lunghi, qui, ed indossava un vaporoso abito bianco. Era stupenda, una
principessa.
Continuammo ad osservarci, incredule, piangendo e ridendo contemporaneamente.

«Emma» sentii la voce di mio padre, e corsi a salutare anche lui, che mi posò immediatamente un affettuoso bacio sulla fronte. Sembrava passato un secolo dall’ultima volta che li avevo abbracciati. Ora sapevo di non essere sola, non più.

«Dov’è Henry?» domandai, asciugandomi le lacrime. Avvertii la mano di Uncino accarezzarmi la schiena, e notai che David non batté ciglio a riguardo. Strano.

Mia madre mi prese per mano «In un posto sicuro. Regina e Tremotino lo proteggono e, ah, c’è anche Bae… Ehm, Neal»
Neal. Ero felice che fosse con Henry. Almeno, sapevo che non era stato solo ed abbandonato per tutto il tempo.

«E’ piuttosto risentito» aggiunse mio padre, da dietro di noi. Risentito? Perché?

Mary Margaret, notando la mia espressione, rispose alla mia domanda tacita «Sai, Emma, per tutta questa storia di te e Uncino. Non è facile per lui»

Cosa? Come diavolo facevano a sapere che io ed Uncino, insomma, ci stavamo frequentando?

«Ah, e ciao, Uncino» mia madre si girò verso di lui e gli sorrise affettuosamente.

Killian le fece un cenno ed andò a cercare lo sguardo di David che, però, teneva la testa bassa.

«Ed eccoci arrivati» sussurrò Mary Margaret, prima di bussare ad un’enorme porta di ferro «Regina! Sono arrivati!»

Pochi istanti dopo, la porta si spalancò magicamente e mi trovai di fronte a mio figlio.
Le mie gambe mi portarono automaticamente da lui, e lo strinsi più forte che potevo.
Stava succedendo davvero. Ero lì, con lui. Non lo avrei lasciato mai più. Mai più.

«Mamma» lo sentii mormorare. Io, tra le lacrime, presi il suo volto e lo guardai dritto nei suoi occhi castani.

«Sono venuta a salvarti. Non ci separeremo mai più, te lo prometto»
Mi sorrise, fiducioso, e mi strinse ancora una volta. Ero in paradiso. La mia famiglia era finalmente unita.

Mi asciugai le lacrime con il dorso della mano ed alzai lo sguardo. Sobbalzai quando scorsi Regina, Tremotino e Neal.
Regina indossava un appariscente abito nero con il colletto alto, ed aveva i lunghi capelli neri raccolti una coda sopra la testa. Regina cattiva. Non così cattiva. Le sorrisi e lei ricambiò immediatamente.

Spostai lo sguardo su Tremotino e sussultai quando mi accorsi di quanto fosse diverso. Non assomigliava nemmeno lontanamente al Signor Gold.
La pelle era scura, e sembrava fatta di squame. Gli occhi erano grandi e strabuzzati. I capelli erano spettinati, i denti erano storti ed ingialliti.

«Cosa c’è, cara? Mi trovi diverso?» domandò, ad un tratto, ridacchiando. Aveva uno strano modo di parlare. Ma adesso le priorità erano altre. Evitai lo sguardo di Neal che, notai, era rimasto praticamente identico all’ultima volta che l’avevo visto, abiti a parte.

«Cosa devo fare?» domandai, con la mascella contratta.

«Ma quanta premura, signorina Swan!» sogghignò

«Sì, ho premura, e allora?» bofonchiai «Non sono venuta qui per prendere un the»

Si avvicinò a me, e mi accarezzò la guancia con le sue mani ruvide. Scorsi Uncino irrigidirsi alle mie spalle.
«Che ti piaccia, oppure no» Tremotino gesticolò ampiamente «Dovrai aspettare ancora»

«Dimmi di più. Cosa dovrò fare per liberarmi di Pan?»

Si strinse nelle spalle e si avvicinò al mio viso, ridacchiando «Soltanto il bacio del vero amore può rompere il sortilegio»

«Devo baciare Henry?» domandai, ricordando quello era successo a Storybrooke.

«No, mia cara. Quello era il vecchio sortilegio. Vecchio sortilegio… Vecchia soluzione! Nuovo sortilegio… Nuova soluzione!»

«E quale sarebbe?» digrignai i denti.

«Tu eri la Salvatrice per quel sortilegio. Serve una nuova salvatrice. Per spezzare il nuovo sortilegio!» cantilenò, camminando per la stanza.

«E allora perché sono qui?» domandai, scoraggiata.

Tremotino si avvicinò e mi posò una mano sul volto «Perché tieni in grembo la nuova salvatrice, mia cara»

Cosa? No.

«Non sono incinta!» sbottai, arrossendo. Era imbarazzante parlarne di fronte a mio figlio e ai miei genitori.

«Certo che sì!» poggiò delicatamente le dita ruvide sul mio addome «Il prodotto del vero amore. Posso sentirlo. Tutto quello che dovrai fare sarà baciare la piccola, appena sarà nata»

No, non poteva essere. Non ero pronta per questo. Mi voltai, disperata, verso Uncino: sembrava sbigottito, ma continuava a sorridermi, rassicurante. Quindi lui era il mio vero amore?

«Perché avrei lasciato che il pirata ti seguisse al di là del confine, altrimenti, signorina Swan?»

Presa da un nuovo capogiro, mi aggrappai a Mary Margaret.

Non ero pronta per tutto questo.


Ta daaan. Sconvolti? Spero in senso positivo. Il capitolo è un po' più lungo del solito perché c'erano molte cose da dire. Spero di aver descritto bene la location e i personaggi. Siamo quasi giunti alla fine della storia: mancheranno due o tre capitoli al massimo. Quindi la salvezza è la figlia di Emma e Uncino? Emma, però, non sembra pronta ad avere un altro figlio, e Pan starà davvero a guardare senza fare nulla? Lo scoprirete presto!
Claudia

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Capitolo 10
*** «Hai finalmente demolito quel muro» ***


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«Emma? Ti senti bene?» mi domandò Mary Margaret, preoccupata. Mi rimisi in piedi, cercando di evitare gli sguardi degli altri, soprattutto quello di Henry.

«No!» sbottai, trascinando mia madre in un angolo «Non posso farlo, lo capisci?»

Mi sorrise, e notai che aveva gli occhi lucidi «Fidati di me, Emma. Non c’è nessuno al mondo che ti capisca meglio di me. Quando… Quando ti ho messa nella teca, credevo che sarei morta senza di te. Ma ora tu sei qui, e siamo una famiglia»

Strinsi i pugni. Non avevo mai accettato completamente che mi avessero abbandonata. D’accordo, ora avevo una famiglia, ma durante i precedenti 28 anni, ero stata sola e disperata. Un’orfana. Ma non volevo litigare con lei, non in quel momento, così tacqui.

«Tu non capisci, Mary Margaret. Riesco a malapena ad occuparmi di un figlio, come pensi che farò con due?» biasciai, con le lacrime che mi offuscavano la vista.

«Lo so che sei spaventata ora, ma non sei sola» mi prese dolcemente le mani.

«Di chi stai parlando? Di Uncino?» domandai, fredda.

«Anche. Tutti noi saremo disposti ad aiutarti» mi sorrise, rassicurante.

Abbassai lo sguardo. Forse aveva ragione. Non potevo essere così egoista da negare la libertà al regno. Solo che era tutto così diverso da come me l’ero immaginato. Una battaglia a sangue freddo sarebbe stata sicuramente più semplice. Ma un altro figlio…

«Lo apprezzo. Ma mi sento comunque presa in giro» biasciai, lasciando le mani di mia madre.

«Perché?» chiese, preoccupata, sistemandomi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.

«Perché?» serrai la mascella, e mi guardai attorno «Perché tutti voi sapevate che il mio vero amore è lui, che lo avrei rincontrato e che avremmo avuto un figlio. Mi sento… Derubata della mia vita»

«Emma, tesoro, il fatto che Tremotino lo avesse previsto, non significa che sia stato lui a farlo accadere. Era destino. Riconosco lo sguardo di chi ha trovato il vero amore» disse, in tono divertito, facendomi l’occhiolino.

«Sono stupidamente innamorata, ma non pensavo che la cosa avrebbe compreso una neonata-salvatrice» mi coprii il volto con le mani. Ammettere di amare Uncino era stato già abbastanza difficile: l’idea di avere un figlio con lui mi spaventava troppo.

«Dovresti essere contenta. Hai finalmente demolito il muro creato dal tuo dolore! Ora sei libera di essere felice per sempre, con le persone che ami» mi accarezzò la guancia bagnata dalle lacrime, che non mi ero nemmeno accorta di aver versato.

«Scusatemi» udii la familiare voce roca di Uncino, alle mie spalle. Non volevo affrontarlo.

Mi aggrappai al braccio di mia madre che, però, non sembrava intenzionata a salvarmi. «E’ tutta tua. Aveva solo bisogno di una parola di conforto» sorrise, prima di staccarsi da me, lasciandomi sola con lui.

«Emma…» esordì, fissandomi con i suoi occhi azzurri preoccupati «Volevo solamente farti sapere che, non importa cosa accadrà, io non vi lascerò mai sole. Non permetterò mai nostra figlia si senta sola, come mi sono sentito io»

Sorrisi debolmente e mi avvicinai per stringerlo. Non mi aveva mai parlato del suo passato e della sua infanzia, ma sembrava avessimo molto in comune. Vero amore.

«Grazie» mormorai sulla sua spalla «Immagino che per un pirata non sia facile»

Lo sentii ridacchiare «In realtà, l’idea di avere un bambino con te non mi sembra tanto brutta. E poi, significa che ti potrò avere ogni volta che vorrò. Potremmo insegnare ad Henry e alla piccola a navigare e…»

«Henry» ripetei. Forse avrei dovuto parlargliene. Non doveva essere facile accettare l’idea che tua madre stesse per avere un figlio con Capitan Uncino «Dici che lui lo sa?»

Sorrise, sornione, e sciolse l’abbraccio «Da quanto ho capito. Tutto il regno ne è al corrente, Pan compreso. Ma… Chissà che ne è stato di quella sirenetta»

Corrugai la fronte «Ariel? Possiamo andare a cercarla immediatamente. Non escludo che Pan l’abbia intrappolata da qualche parte»

Feci per dirigermi verso l’uscita, ma Regina mi bloccò per un braccio «Sei impazzita?»

«Sto andando a cercare Ariel» protestai, liberandomi dalla sua presa.

«Emma» intervenne mio padre «Porti in grembo colei che spezzerà il sortilegio di Pan. Non pensi sia un po’ azzardato…?»

«Aspettate… Quindi io dovrei stare qui dentro finché non sarà nata la bambina?»

Non se ne parlava: dovevo trovare Ariel, Ruby e tutti gli altri. A malapena riuscivo ad accettare che avrei avuto un altro figlio, figuriamoci se avrei acconsentito a trascorrere i prossimi nove mesi rinchiusa in quel castello.
Gli altri continuavano ad osservarmi, preoccupati. Capivo il loro punto di vista, ma non avevo nessuna intenzione di ascoltarli.

Mi voltai di scatto, e mi avvicinai ad Uncino «Mi aiuterai, vero? Killian?» mormorai, poi, assicurandomi che gli altri non ci sentissero.

Uncino sollevò le sopracciglia e si strinse nelle spalle «Oh, Swan. Tirare fuori il trucchetto del nome proprio adesso».

Avvicinò lentamente il suo viso al mio, mentre mi fissava, beffardo «Non sono nato ieri. E sappiamo entrambi che hanno ragione. Poi… Pan, farebbe di tutto per liberarsi di te. E, conoscendolo, non fallirebbe, quindi…»

Prima che potesse terminare la frase, lo afferrai bruscamente per il colletto della giacca «Che ti piaccia o no, io uscirò da questo maledetto castello, ed andrò a cercare i miei amici. Se vuoi seguirmi, sei libero di farlo, se non vuoi…» mollai il suo colletto, lasciando la frase in sospeso.

Sospirò e si sistemò la giacca, scoraggiato «D’accordo. Ma gli altri non lo devono sapere. Non sono esattamente il benvenuto in famiglia, se poi dovessero scoprire che ti ho coperta, tuo padre mi prenderebbe a calci in faccia»

«Affare fatto» sussurrai, con espressione neutra in volto, mentre controllavo il comportamento degli altri.

«Mamma» un istante dopo, mi resi conto che Henry mi aveva raggiunto, e mi fissava con un’espressione indecifrabile. E se mi sarebbe davvero accaduto qualcosa? Lo avrei lasciato solo, di nuovo.

«Hey» gli sorrisi, rassicurante «Tutto ok?»

Scosse la testa ed incrociò le braccia, in segno di rimprovero «Non puoi rischiare che lui ti prenda, o la Foresta Incantata vivrà per sempre nella paura»

«Henry, io…» non volevo mentirgli ancora.

«Per favore. Devi ascoltarmi» mi pregò «L’ultima volta che non l’hai fatto, è successo un disastro»

Trattenni il respiro per qualche istante. Quante delusioni gli avevo dato? L’abbandono, il fatto che lo avessi partorito in prigione, la bugia su suo padre.

«Mi hai convinta» gli accarezzai i capelli castani.

«Fantastico» sorrise, entusiasta e, improvvisamente, l’idea di avere quella bambina, non mi sembrava più tanto tragica.

Mi schiarii la voce ed alzai il tono, in modo che tutti potessero sentirmi «Non andrò da nessuna parte, ma voglio che qualcuno vada a cercare Ariel. Lei ha rischiato la vita per noi»

«Vado io» propose Uncino, allegro «Tanto il mio lavoro l’ho già fatto»

Mi fece l’occhiolino, ma io restai immobile a fissare il vuoto. Non volevo che andasse da solo. Se gli fosse successo qualcosa…

«Posso andare io» fece Neal, lasciando tutti a bocca aperta «Così non starai in pensiero per il tuo ragazzo»

Strinsi i pugni e lo fulminai con lo sguardo. Era giunto il momento di affrontarlo.

Mi diressi a grandi passi verso di lui, finché non fui così vicina da sentire il suo respiro «Smettila di fare la vittima, Neal. Ti ricordo che sei tu quello che mi ha abbandonata per primo. Hai tradito la mia fiducia, e… Non mi interessa se l’hai fatto per il mio bene, o scemenze simili. Adesso ho la possibilità di essere felice con la famiglia e, sì, anche con Uncino. Capisco che tu sia risentito, ma non lasciare che sia nostro figlio a pagarne le conseguenze»

Rimase a bocca aperta, ad osservarmi. Mi voltai e mi avviai velocemente verso Uncino.

«Il piano vale ancora».

Saremmo tornati sani e salvi o, almeno, era quello che speravo.



Ciao! Scusate il ritardo nel postare, ma è ricominciata la scuola e io sono in quinta (çç). Comunque, non preoccupatevi: continuerò ad aggiornare il più spesso possibile. Allora... Cosa ne pensate? So che è un capitolo un po' noioso, di praticamente soli dialoghi, ma era importante chiarire i vari punti di vista dei personaggi. Neal mollerà prima o poi? E Tremotino non cadrà alla tentazione di usare i suoi poteri per aiutare il figlio? E Belle, dov'è?
Emma e Uncino si sono accordati per fuggire insieme, alla ricerca di Ariel e gli altri. Ma ce la faranno? Sappiamo che Pan ha occhi ovunque, quindi non escluderei nulla... ;) non vi dico altro. Spero di non avervi annoiati. Grazie di aver letto!
Claudia

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Capitolo 11
*** Accordi ***


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«Uncino» mormorai, scuotendolo dalla spalla. Era sdraiato accanto a me, completamente vestito, nell’enorme letto matrimoniale a baldacchino, in quella che avrebbe dovuto essere la mia stanza: la più sicura del palazzo.

«Svegliati!» gli ordinai nuovamente, a pochi centimetri dal suo orecchio. Perché diamine doveva sempre avere il sonno così pesante?
Finalmente mugolò qualcosa e, pian pianino, spalancò gli occhi assonnati.

Alla buon’ora. Se mi avesse rallentato, sarei andata da sola. Non avevo bisogno di essere scortata da nessuno.
Ma mi avrebbe fatto piacere averlo con me…

«Cosa c’è, splendore?» fece, con la voce resa flebile dal sonno, mentre alzava le braccia in aria per stiracchiarsi.

«Ariel!» gli ricordai, alzando il tono. Forse avrei davvero fatto meglio ad andare da sola. Non solo perché, in quel momento, Uncino era meno reattivo di una scarpa, ma perché volevo proteggerlo. Non volevo rischiare che gli accadesse qualcosa, solo perché io ero un’inguaribile testarda.

«Oh, giusto» rammentò, passandosi, pensieroso, una mano tra i capelli scuri.

«Adesso ti proporrò una cosa» esordì, sorridendomi, malizioso «Visto che ormai siamo svegli, potremmo intrattenerci in un altro modo, se capisci cosa intendo»

No, ti prego, non ora.

Scivolò sul materasso, finché le nostre gambe non andarono a toccarsi.

«So che lo vuoi» sussurrò, sfiorandomi orecchio con le labbra. Un’ondata di eccitazione m’investii, ma feci di tutto per ricacciarla indietro.

Dovevo trovare Ariel. E poi c’erano Ruby, Geppetto.
«Smettila» poggiai una mano sul suo petto, e lo spinsi via in malo modo «So perché lo stai facendo»

«Ah, sì?» ridacchiò, divertito, alzandosi dal letto «Quindi, sai che lo faccio perché averti in un letto accanto a me, senza avere la possibilità di toccarti, è incredibilmente frustrante»

«No» risposi, fredda, alzandomi a mia volta. Sembrava proprio che non sarei andata a cercare Ariel da sola «Stavi cercando di persuadermi a non andare là fuori. Sai una cosa?»

Afferrai uno stivale, e me lo infilai con un gesto stizzoso, mentre lui mi fissava confuso «Sono stufa di avere sulle spalle tutta la responsabilità del regno. Come se essere la Salvatrice non fosse già abbastanza, adesso dovrò anche avere un figlio. E non ce la faccio più ad essere una pedina sulla scacchiera di Tremotino e Pan»

Sentii le lacrime scendere veloci lungo il mio viso. L’espressione di Uncino andò ad addolcirsi, mentre mi si avvicinava per asciugarmi le guance.

«Da quando hai saputo della bambina, non fai altro che lamentarti di non essere che una pedina. Hai mai provato a guardare oltre ai fatti concreti? Ti sei mai fermata a pensare perché abbiamo concepito quella creatura?»

«Serviva per salvare il regno» mormorai, testarda, nonostante sapessi perfettamente che non era esattamente così.
Uncino sospirò, rassegnato, ed abbassò lo sguardo «Perché ci amiamo. O, almeno… Io ti amo»

Aveva ragione. Detestavo ammettere che ci amavamo ma, inspiegabilmente, mi piaceva da morire sentirlo dire da lui.

«Ti amo anch’io, lo sai, te l’ho già detto» biasciai, accennando un debole sorriso.

Lui ricambiò il sorriso e, stringendomi dai fianchi, mi attirò a sé «Mi piacerebbe se tu me lo ricordassi più spesso»
Posò le labbra sulle mie, in un bacio dolce e bisognoso. Avrei voluto ricordarglielo più spesso, come avrei voluto vivere senza imbarazzo la mia vita con lui, ma era tutto nuovo per me. Io non ero Biancaneve, tantomeno una principessa. Ero un’orfana.

Prima che il mio corpo cominciasse a chiedermi più di un bacio, lo allontanai dolcemente «Adesso andiamo a cercare quella sirena».

«Credevate di prendermi in giro?» la voce di mio padre rimbombò, severa, nella stanza. Merda. Ci voltammo di scatto, scambiandoci uno sguardo preoccupato. Come diavolo era entrato?

«David» feci, in tono colpevole, avvicinandomi a lui. Era completamente vestito, e aveva un espressione indecifrabile. Non lo avevo mai visto così. Doveva essere davvero molto arrabbiato.

«”David” è un bel nome, ma io preferisco “Peter” o “Pan”» esclamò, divertito, avvicinandosi di due passi. No. Non poteva essere. Regina e Tremotino sorvegliavano la stanza.

Pochi istanti dopo, la figura di mio padre si dissolse, lasciando spazio alle vere sembianze di Pan. Deglutii a fatica, e strinsi il braccio di Uncino. Dovevamo chiamare gli altri. Se mi avesse ucciso, e se avesse ucciso la creatura che avevo in grembo, non ci sarebbe più stato un lieto fine. Per nessuno.

«Stai lontano da lei» ringhiò Uncino, andandosi a posizionare davanti a me, a mo’ di barriera. Cosa diamine stava facendo? Io, con la magia e tutto il resto, ero molto più potente di lui.
Se solo Pan l’avesse sfiorato con un dito…

«Rilassati, Capitano. E, ah, dove il tuo Uncino?» domandò il ragazzino, retoricamente.
Uncino contrasse la mascella e si voltò verso di me, incrociando il mio sguardo «Sono cambiato»

«Oh, giusto» Pan si diede un leggero colpetto sulla fronte liscia «Per il bene della bambina! Quindi non vedi l’ora di diventare papà?» il suo tono era ironico e minaccioso, ma io non avevo paura. Non che mi sentissi particolarmente coraggiosa: era solo che mi sentivo passiva, impotente, rassegnata. Pregavo solo che non facesse del male alla mia famiglia. E ad Uncino.

«Forse hai ragione, Pan» ribatté Killian, sorridendo, altrettanto ironico.

«Io, però, sono qui per uno scambio» fece Pan, sporgendosi oltre Uncino per guardarmi.

«Ho un patto da proporti, Emma» sentivo la sua voce pacata e sinistra, ma non lo potevo vedere: Uncino, determinato a proteggermi, era ancora tra me e lui.

«So che non sei pronta a prenderti cura di questa bambina» esordii, e aveva ragione da vendere.

«So che non te la senti di mettere al mondo una creatura alla quale non puoi assicurare la sua possibilità migliore. E so che temi che Henry si possa sentire invidioso, in secondo piano, dimenticato»

Non potevo permettere che Henry si sentisse dimenticato. Dovevo almeno stare a sentire cosa mi proponeva Pan. Magari non sarebbe stato poi tanto male.

«Uncino, spostati» gli posai dolcemente una mano sulla spalla e, dopo un istante di esitazione, lui si mise al mio fianco.

«Non ascoltarlo» sussurrò, senza staccare gli occhi da Pan.

Lo ignorai «Continua»

«Io ti propongo uno scambio favorevole ad entrambi: tu mi dai la bambina, ed io lascerò la Foresta Incantata per sempre, e non interferirò mai più nelle vostre vite»

Non era una cattiva idea. Sarebbe stato circa come spezzare il sortilegio, ma senza portarsi il fardello di una nuova vita.

«Pensaci, Emma» disse Pan, cercando di decifrare la mia espressione.

Non ero pronta per un altro figlio. Henry ne avrebbe sofferto. Io ne avrei sofferto. Ero sul punto di accettare, quando avvertii la mano
fredda di Uncino prendere la mia.

«Non farlo, Emma» mi supplicò, con gli occhi azzurri che minacciavano di riempirsi di lacrime «E’ nostra figlia»

Strinsi forte la sua mano «Non posso essere una madre» singhiozzai poi, mordendomi il labbro inferiore. Non potevo. Sapevo di non essere capace. Sapevo amare a malapena.

«Con lui non sarà felice. Te ne sei già pentita una volta» proseguì Uncino, accarezzandomi la mano con il pollice «Non sei sola, questa volta. Ci sono io. Ti ho già detto che non vi lascerò mai sole»

Ritrassi di scatto la mano, irritata «E’ solo il sortilegio quello che conta. Per tutti»

«Ti sbagli, Emma» cercò i miei occhi, mentre mi asciugava le lacrime col dorso della mano «A me importa solo di voi due. Amo questa creatura dal primo istante che ho saputo della sua esistenza. Ed imparerai ad amarla anche tu»

«Io la amo già» biascicai, commossa dalle sue parole. Era sincero. E mi amava. Forse ne sarebbe nato davvero qualcosa di buono. Forse sarei stata felice con lui, con la nostra piccola.

«Regina! Tremotino!» strillai con tutto il fiato che avevo in gola.

Pan si avvicinò alla finestra, allarmato «Se non darai a me quella bambina, non la vedrai nemmeno nascere»

Detto questo, scomparve. E, a quel punto, iniziavo ad avere paura. Avrebbe fatto del male alla bambina? L’avrei persa? Sfinita, mi lasciai cadere sul letto a baldacchino, con le gambe che mi tremavano.

Quando Tremotino e Regina giunsero da noi, intuii dalle loro espressioni che spezzare il sortilegio non sarebbe stato così semplice come pensavamo.



Argh. So che mi odiate. Spero vi sia piaciuta la svolta che ha preso la storia. Credo che abbiate notato i continui cambiamenti d'idea di Emma. Nascondersi o amare? Mi dispiace che non ci siano stati aggiornamenti su Ariel e gli altri, ma (forse forse) arriveranno presto. Fatemi sapere che ne pensate.
Cosa farà Pan adesso? Perché vuole proprio quella bambina? Emma riuscirà ad accettare tutti questi nuovi cambiamenti? Stay tuned. Aggiornerò presto. Bacione.
Claudia

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Capitolo 12
*** Il passato non si può cambiare ***


Image and video hosting by TinyPic Serrai la mascella, esausta della mia interminabile prigionia. Dopo la comparsa di Pan nella mia stanza, i miei genitori e gli altri avevano insistito perché Tremotino e Regina creassero un incantesimo di protezione appositamente per me.

Non vedevo la luce del giorno da mesi, confinata com’ero nelle segrete del palazzo reale.
L’unico modo che avevo per controllare il passare del tempo, era osservare il mio ventre crescere sempre più.

Quel nano, Dotto, mi aveva assicurato che la piccola stava bene, e mi aveva informato che non mancava poi molto al parto.

A quel punto, non ero più tanto spaventata. Non dopo le interminabili giornate passate a parlare con Mary Margaret e David di quanto fossero stati terrorizzati, quando avevano scoperto che mi avrebbero dovuta lasciare andare.

Non dopo tutte le chiacchierate buffe con Henry, sul fatto che avrebbe voluto che la sorellina somigliasse a lui.

Non dopo tutti baci e le promesse che mi ero scambiata con Killian: avremmo cresciuto la bambina con tutto l’amore che potevamo dare, e non avremmo mai, mai permesso che lei si sentisse come ci eravamo sentiti noi due. Abbandonati. Soli. Distrutti dal dolore.

Ogni sera, prima che mi addormentassi, lui si sedeva ai piedi del letto, ed accarezzava e parlava al pancione.
Raccontava le sue avventure e disavventure in mare, divertenti aneddoti della sua vita da pirata, storie che sfioravano l’incredibile.

Qualche volta, aveva anche accennato a qualche episodio più triste, come l’abbandono del padre, la morte del fratello Liam, e di quella del suo primo amore, Milah.

Io ascoltavo, fingendo di dormire e fingendo di non sapere che stesse parlando proprio con me.

La notte in cui raccontò la storia dell’abbandono da parte del padre, non chiusi occhio. Era un orfano, proprio come lo ero io.
Ogni volta che provavo ad addormentarmi, un bambino dagli occhi azzurri e dai capelli scuri, mi si materializzava davanti, terrorizzato.

Da quella notte, cessai di vedere il pirata, e cominciai a vedere l’uomo distrutto e sofferente che ci stava dietro.
Killian Jones. Un uomo d’onore. Il mio vero amore. Il padre di mia figlia.

«Emma» la dolce voce di mia madre mi risvegliò, entusiasta, dai miei pensieri «Lui è tornato»
Sobbalzai e tentai, intralciata dal pancione, di mettermi in piedi.

Non avevo trascorso un giorno senza pensare a dove si fosse cacciato, se stesse bene.

Neal era scomparso la stessa notte della visita di Pan.

Inizialmente, credevo che lo avesse preso proprio lui, poi compresi che se n’era andato volontariamente. Forse per il dolore che gli causava il mio amore per Killian, forse per le mie dure parole.

L’unica certezza era la sua scomparsa, tra la preoccupazione dei miei genitori – e, sorprendentemente di Killian -, e la disperazione di Tremotino.

Ma ora Neal era tornato, sano e salvo. E ne ebbi la certezza, non appena varcò la soglia della mia fredda stanza.

«Dove sei stato?» gli domandai, senza troppi fronzoli, avvicinandomi.

«A cercare Ariel e gli altri. Stanno bene, per tua informazione» si grattò il capo, evitando di abbassare lo sguardo sul mio ventre «Pan aveva trascinato Ariel sulla terraferma, quando aveva saputo del vostro accordo, e lei era rimasta bloccata. Ruby e Granny proteggono il villaggio, sai, grazie alla storia del lupo. Geppetto, Pinocchio e Archi sono nella loro casa nel bosco. Tink e le altre fate sorvegliano la zona. Belle… E’ nel vecchio castello: mio padre l’ha allontanata per proteggerla. Quando il sortilegio verrà spezzato, Belle spezzerà anche quello che rende mio padre il Signore Oscuro. Con il bacio del vero amore»

Si appoggiò pigramente alla parete, e tirò su con il naso «Se ho dimenticato qualcuno, tornerò indietro»

Incrociai le braccia al petto, in qualche modo sollevata che tutti stessero bene, ma comunque confusa del gesto di Neal «Perché l’hai fatto?»

Si strinse nelle spalle, abbassando il capo «Volevo farmi perdonare per, sai, quello che è successo tra noi. Volevo rimediare»

«Neal… Il passato non si può cambiare, ma si può accettare. E’ andata come è andata, la priorità è Henry, adesso» sorrisi debolmente, incrociando i suoi occhi «Ad ogni modo, grazie»

«Poi» proseguì lui, con espressione grave in volto «Non volevo che la tua famiglia andasse distrutta. Come la mia»
Annuii, iniziando a capire. Forse ero stata un tantino insensibile con lui.

«Capisco. E mi dispiace. Non dev’essere facile vedermi con l’uomo che ha praticamente distrutto la tua famiglia» mormorai, con lo stomaco che si contorceva al solo pensiero di Killian che scappava con la madre di Neal.

«Non è stata colpa sua» fece, sbrigativo, prima di voltarsi verso l’uscita «E’ stata colpa dei miei genitori».

Mentre se ne andava, mi soffermai ad immaginare cosa sarebbe accaduto se Neal non mi avesse incastrata, quella volta.


***

«Pan sta tornando» fece Killian, serio e preoccupato, mentre mi porgeva un altro cuscino a cui appoggiarmi: ero diventata davvero enorme, riuscivo a malapena a camminare.

«Tornando?» domandai, allarmata.

Era venuto a prendere la bambina, mi aveva avvertita.

Posai delicatamente una mano sul pancione, avvertendo la creaturina muoversi. Non era possibile esprimere a parole quello che provavo per lei.

Killian si strinse nelle spalle e mi scostò una ciocca di capelli dal viso «Non si dà tregua: è la terza volta in una settimana»

Cosa? Credevo che, quello della visita di Pan, fosse un caso isolato. Nessuno me ne aveva parlato. Perché nessuno me ne aveva parlato? Ci risiamo.

«Stai scherzando? Perché io non ne sapevo niente?» sbottai, cercando, senza successo di mettermi dritta.

«Volevano proteggerti. I tuoi genitori. Pensavano che, in questo modo, avresti avuto una preoccupazione in meno» mi afferrò dalle braccia per aiutarmi.

«E tu hai permesso che mi mentissero?» domandai, nervosa. Come al solito, venivo trattata come un giocattolino. Strinsi i pugni così forte da farmi male ai palmi.

«Te lo sto dicendo ora, Emma, e non mi sembra che tu stia reagendo bene» disse d’un fiato, preoccupato dal mio atteggiamento.

«Come pensavi avrei reagito?!» strillai, liberandomi d’impeto dalla sua presa «Pan è là fuori che vuole portarmi via mia figlia, e io sono chiusa in una schifosa cella, all’oscuro di tutto!»

Gli altri mi avrebbero sentita. La prossima volta, ci avrebbero pensato bene prima di prendermi in giro. Come se la storia della teca non fosse bastata. Io gli avrei…

Un suono sordo, proveniente dal mio ventre, seguito da un intenso dolore, mi riportò alla realtà. Il letto era completamente bagnato. No.

«Killian» cercai la sua mano, in preda al panico. Non poteva nascere ora, proprio mentre Pan stava cercando di entrare «La bambina»


Ci siamo. Forse Emma avrebbe dovuto evitare di agitarsi così... ahah. Lo so, vi ho lasciato in un momento leggermente critico. Non mi odiate, l'ho fatto perché altrimenti il capitolo sarebbe stato troppo troppo lungo. Comunque, spero vi sia piaciuto. Fatemi sapere che ne pensate! Certo che Pan ha sempre un tempismo ottimo. Regina e Tremotino riusciranno a tenerlo fuori dal castello? Prenderà la bambina? Il parto andrà come sperato? Aggiornerò il più presto possibile! Bacio!
Claudia

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Capitolo 13
*** Pan non fallisce mai ***


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«La bambina cosa?» domandò Killian, con la mano che gli tremava. Uomini.

Sangue freddo di fronte ad un Tremotino infuriato, terrorizzato di fronte ad una nascita.

«Sta per nascere, idiota. Va’ a chiamare Dotto» gli ordinai, reggendomi ai bordi del letto, in preda ad una nuova contrazione.
Il dolore mi offuscava la vista. E mi ritrovai ad osservare, sfocato come in un sogno, Killian mentre si allontanava.

E se Pan avesse preso la bambina? L’avrei mai più rivista? Non volevo commettere lo stesso errore che avevo commesso con Henry. Non l’avrei mai abbandonata. Anche se avrei dovuto rimetterci la vita. L’adrenalina e la paura mi scorrevano, fluide, nelle vene.

Respiravo affannosamente. Quanto tempo stava passando? Dov’era Killian? Dotto? E gli altri? Mia madre avrebbe dovuto essere al mio fianco, in un momento del genere. Perché non si sbrigavano?

E Pan?

Dopo quella che mi parse un’eternità, Killian, i miei genitori, Dotto ed altri nani, apparvero nella stanza.
Era complicato comprendere quanto tempo stesse trascorrendo. Sentivo solo dolore alla parte bassa del corpo, un senso di nausea e le lacrime che mi scendevano ininterrottamente sulle guance.

Non sentivo quel dolore dalla nascita di Henry.
Sarebbe stato diverso, questa volta, mi dissi.

La mano di Killian era stretta attorno alla mia. Potevo udire le mie stesse urla, lontane, come se appartenessero a qualcun altro.

Ma non ero sola.

«Respira» mi ordinò una voce.

«Andrà tutto bene, Emma» riconobbi mia madre.

«Ti amo» sentii dire a Killian, mentre mi posava un leggero bacio sulla mano.

Anch’io.

«Ora spingi» fece una voce, pacata.

Ci provai ma, tutto quello che sentii, fu un intenso dolore. Stavo facendo tutto correttamente? Forse in ospedale sarebbe stato meglio.
Ma non ci sono ospedali nella Foresta Incantata, rammentai.

«Forza, Emma. Ci sei quasi» distinsi la voce di mio padre, che faceva, entusiasta, il tifo per me.

«Ancora un pochino»

«Vedo la testa»

«E’ quasi fuori»

«Ci siamo!»

Un dolce pianto attraversò la stanza. Stava bene. Ce l’avevo fatta. Il dolore era terminato.
Finalmente, dopo tutto quel tempo, l’avrei potuta abbracciare. La nostra piccola.

Killian lasciò delicatamente la mia mano, dopo avermi posato un bacio sulla fronte sudata.

Un istante dopo, riapparve, sorridente, con la bambina in braccio. E fu, assolutamente, la scena più meravigliosa a cui avessi mai assistito.

«Ha decisamente i miei capelli» ridacchiò Killian, felice, e non potei fare a meno di ricambiare il sorriso.
Era bellissima e, quando me l’appoggiò sul petto, lo potei vedere ancora meglio. Era così piccola e indifesa. Non l’avrei mai lasciata, mai.

Killian le accarezzò la testolina coperta da sottili capelli scuri.
«E’ stupenda» mormorò, con la voce rotta dalla commozione.

Lo osservai: era così sereno, innamorato della nostra piccola.
L’atmosfera si era fatta gioiosa e spensierata. Anche l’idea che Pan fosse là fuori, sembrava meno spaventoso, con quella meravigliosa creatura tra le braccia.

«Si chiama Milah» alzai lo sguardo sul viso di Killian. Era da un po’ che ci pensavo: sapevo che gli avrebbe fatto piacere. E poi, era un bel nome.

D’ora in poi, il tatuaggio che Killian aveva sul polso, non avrebbe più significato morte: avrebbe significato vita.
E non avrebbe mai più dovuto sentirsi solo. Non l’avrei permesso.

Prima che lui potesse rispondere, le porte della stanza si spalancarono con un forte tonfo, e Pan apparve a pochi passi da me.

No. No. No.

Ero sfinita, non riuscivo nemmeno a tenere gli occhi aperti. Come avrei difeso la piccola?

«Sta’ lontano da loro» urlò Killian, posizionandosi, come gli altri, di fronte a me e alla bambina.

Sentivo il suo odore. L’odore umido e penetrante dell’Isola che non c’è.
Mi ritrovai a tremare, con le mani debolmente strette attorno alla bambina.
Ero impotente.

«Sono venuto a prendere ciò che mi appartiene» fece Pan, tranquillo, mentre si avvicinava sempre più.

Ero immobile. Non riuscivo a muovere un muscolo.
Potevo udire i suoi passi risuonare nella stanza.

Pan non fallisce mai.

Forse era destino. Forse non ero destinata ad essere una madre.
Posai lo sguardo sulla piccola: avrei ricordato per sempre quel momento, esattamente come ricordavo perfettamente l’aspra sensazione di vuoto, che mi aveva colpito dopo avere dato via Henry.

«Emma, bacia la bambina!» strillò mio padre, disperato, con la voce strozzata.

Io, con le ultime forze che mi rimanevano, avvicinai la testolina di Milah alle labbra, posandoci sopra un leggero bacio.
Poi, il buio.



Ma ciao. Siamo quasi alla fine. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero abbiate notato il cambiamento mentale di Emma. 
L'idea di chiamare la bambina Milah, in realtà, mi è nata per caso. Anche se in realtà io ho detestato Milah come personaggio.
Emma l'ha fatto per Killian, questo simboleggia anche il suo cambiamento.
Ma Emma avrà spezzato davvero il sortilegio? Cosa succederà tra Tremotino e Belle? Lui riuscirà a fare a meno dei poteri del signore oscuro? 
Manca esattamente un capitolo (çç).
Vorrei scrivere un epilogo, sottoforma di one shot. Grazie di aver letto. Bacio.
Claudia

PS: a proposito di one shot. Se vi va, ne ho scritta una rating rosso su Emma e Uncino, la trovate sul mio account. 
 

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Capitolo 14
*** Soltanto l'inzio ***


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Mi svegliai di soprassalto, disturbata da un vocio che non accennava ad interrompersi.

Dove mi trovavo? Cosa stava succedendo?

Poi, d’un tratto, ricordai: il sortilegio, Pan, la bambina.

Rapida, mi misi a sedere, e mi resi conto di essere nel grande letto a baldacchino della mia stanza, a palazzo.
Aveva funzionato? Scalciai le morbide coperte, e cercai di mettermi in piedi. La parte bassa del corpo mi faceva ancora male: sentivo un fastidioso bruciore al livello dell’inguine, e la pelle tirava come fosse stata di carta.

«Killian?» urlai, avviandomi, a piedi nudi, verso la sala principale «Mary Margaret?»
Man mano che mi avvicinavo al soggiorno, il chiacchierio aumentava. Potevo persino distinguere alcune voci: quella di David, di Regina, di… Gold?

«Mamma!» senza nemmeno accorgermi ,mi ritrovai stretta in un abbraccio di Henry.
Gli scompigliai i capelli, in un gesto affettuoso «Ragazzino, sai per caso cosa sta succedendo di là?»

Fa che abbia funzionato. Fa che Pan se ne sia andato per sempre.

«C’è una festa. Hai spezzato il sortilegio, di nuovo! Sapevo ce l’avresti fatta!» saltellò, sorridente, con gli occhi marroni pieni d’entusiasmo.

«D-dici sul serio?» domandai, giusto per esserne sicura. Era troppo bello per essere vero.

«Certo!» mi afferrò per un braccio, cercando di trascinarmi verso il salone «Vieni, ti aspettano tutti»

«Un momento» mi liberai delicatamente dalla sua presa, per poi chinarmi alla sua altezza.

«Voglio parlarti di una cosa» mormorai, fissandolo negli occhi.

«Avanti, spara» fece lui, incrociando le braccia al petto.

«Sei felice?» cercai di leggere la sua espressione.

Henry, confuso, corrugò la fronte un istante, per poi sorridermi nuovamente «Sì, perché me lo chiedi?»

«Non lo so. E’ che la situazione si è un po’ complicata, con Uncino, Milah…» mormorai, arrossendo lievemente. Non avevo previsto tutto questo. E non volevo che Henry ne soffrisse. Sapevo perfettamente quanto lui desiderasse avere una vera famiglia. Una tradizionale. Mamma, papà e bambino. Ma purtroppo era infattibile.

«Pensi che io sia geloso della sorellina?» chiese, quasi incredulo, strizzando gli occhi «Andiamo, non sono più un bambino. E comunque so di essere il tuo preferito»

Sorrisi: era incredibile quanto mi ricordasse il lato di Neal che più amavo.
«Hai ragione» ammisi, avvolgendogli le spalle con il braccio.

«E…» proseguì lui, trascinandomi verso la sala principale «Quando sarà grande abbastanza, le racconteremo dell’Operazione Cobra»

Mi lasciai scappare una risata: quanto tempo era passato dalla notte in cui ero arrivata a Storybrooke?

Prima che potessi rispondere ad Henry, mia madre mi rapì, letteralmente.

«Emma? Stai bene? Tutti vogliono parlare con te» fece, entusiasta, indicando la moltitudine di persone – e non solo – che si trovavano dietro a me.

«Parlare?» domandai, corrugando la fronte, mentre mi voltavo verso tutti quei fantastici individui che avevo imparato a chiamare amici.

Belle sollevò la mano, entusiasta, per salutarmi, mentre Gold le cingeva la vita. Mi resi conto, con stupore, che era tornato alle sue solite sembianze.
Sorrisi. Aveva finalmente rinunciato al potere, per Belle. E per Neal che, realizzai, stava in piedi accanto a lui, l’espressione del viso lievemente corrucciata, ma felice.

Uno sciame di colorati e vivaci puntini, attirò la mia attenzione: le fate. Riconobbi Tink e Nova. Svolazzavano nel salone, ridendo e chiacchierando. La madre superiora – o, meglio, la Fata Turchina -, invece, controllava che tutto fosse al proprio posto.

Spostai lo sguardo verso la sfarzosa scala che portava al piano di sopra, dove riconobbi Geppetto - con il piccolo Pinocchio e con Archie, nelle sembianze di un grillo -, Granny, e Ruby, che indossava i cappuccio rosso di cui avevo tanto sentito parlare.

Un gruppetto particolarmente chiassoso mi distrasse: i nani. Stavano cantando una delle loro allegre canzoni, mentre stringevano i loro boccali traboccanti.

C’erano tutti: Mulan, Aurora, Filippo, Ariel – con le sue gambe nuove di zecca - e il suo principe, e tanti altri amici che non conoscevo ancora.

Poco più in là, scorsi Regina e – con mia grande sorpresa – stava sorridendo, serena, poggiando la testa alla spalla di un uomo accanto a lei. Sembrava serena, non l’avevo mai vista così. Non indossava gli abiti appariscenti che ero solita vederle addosso: portava un abito azzurro corallo, che la faceva sembrare una principessa.
Solo Regina, pensai, non la Regina Cattiva.

La squillante risata di mia madre attirò la mia attenzione, costringendomi a voltarmi. Era abbracciata a mio padre, e dondolavano in quello che sembrava il loro ballo personale, innamorati come il primo giorno. Non era di certo così che li avevo immaginati, durante tutto quel tempo. E non avrei immaginavo nemmeno quello che il destino aveva in serbo per me, che ero la Salvatrice, la figlia di Biancaneve e del Principe Azzuro.

Chissà, magari anch’io, un giorno, mi sarei sentita così, come una principessa.

«Swan?» alle mie spalle, udii la familiare voce di Killian. Feci per voltarmi, ma lui mi bloccò, cingendomi con le braccia, e posando il mento sulla mia spalla.

Per ora, mi sarei limitata a godermi la mia nuova famiglia, ed a fare il pieno di tutto quell’amore che mi era stato sottratto per ventotto
anni.


«Ti stavo aspettando. Come ti senti?» biascicò, vicino al mio orecchio, facendomi venire la pelle d’oca lungo la schiena. I vestiti, nella Foresta Incantata, era sicuramente molto belli, ma non erano esattamente caldi.

«Sto bene. Dov’è Milah?» domandai, serena, posando amorevolmente le mani sulla sua.

«Sta dormendo. Sono appena stato da lei. E’ un tipetto tosto, e pare che le piaccia il mio uncino» ridacchiò, sollevando la mano sinistra dove, magicamente, era tornato il suo vecchio cimelio.

Mi divincolai, d’impeto, dalla sua presa, prima di pungolarlo minacciosamente al petto. «Cos’hai fatto?! Tieni lontano quel coso da mia figlia!» sbottai, con una punta d’ironia, per poi incrociare le braccia al petto «E poi, credevo che avessi deciso di lasciarlo. Sai che adesso tornerò a chiamarti Uncino, vero?»

Mentivo. In realtà, mi trattenevo a malapena dal chiamarlo con qualche nomignolo smielato.

Killian sollevò le sopracciglia, e si strinse nelle spalle «Chiamami come preferisci, splendore. L’uncino mi serve: senza non posso proteggere la mia famiglia»

Inclinai la testa, accennando un sorriso. Quanto lo amavo? Quanto li amavo?

Lui, come se mi avesse letto nel pensiero, si avvicinò per baciarmi teneramente.

«Alla fine avevo ragione io, Swan» sussurrò sulle mie labbra, lasciandomi completamente inerme.

«Siamo una bella squadra» ridacchiò, beffardo.

«Chiudi il becco» feci, sbrigativa, per poi riprendere a baciarlo, lasciandolo a malapena respirare.

E, lo sapevo, quello non era il mio lieto fine: era soltanto l’inizio.
L’inizio della mia nuova, felice, serena vita. 



Siamo arrivati alla fine. Mi mancherà questa fanfiction. Spero di non avervi delusi, né con questo capitolo, né con tutti gli altri. Ho cercat di almeno nominare tutti i personaggi principali della storia. Per i cari sostenitori dei Rumbelle e dei Swan Queen, ho approfondito un po', soprattutto per sottolineare il cambiamento di Regina e Tremotino.
A proposito di cambiamenti, spero abbiate notato che anche Emma è cambiata, che non allontana più le persone e che non ha più paura dei sentimenti.
Fatemi sapere che ne pensate!
E' possibile che scriverò una os come epilogo della storia.
Grazie mille di aver letto!
Alla prossima! Bacione.
Claudia

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