Highschool

di seasonsoflove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mistletoe ***
Capitolo 2: *** Teen Idle ***
Capitolo 3: *** Charley's Girl ***
Capitolo 4: *** Slushie! ***
Capitolo 5: *** The heart of the truest believer ***
Capitolo 6: *** Wake up ***
Capitolo 7: *** The Curse and The Pirate ***
Capitolo 8: *** Blow me one last kiss! ***
Capitolo 9: *** I'm not gonna teach your boyfriend how to dance with you ***
Capitolo 10: *** Winter Prom ***
Capitolo 11: *** After prom ***
Capitolo 12: *** Games without frontiers ***
Capitolo 13: *** Big Parade ***
Capitolo 14: *** Something's coming ***
Capitolo 15: *** Love, love, love ***
Capitolo 16: *** Go your own way ***
Capitolo 17: *** Revolution ***
Capitolo 18: *** Valentine's day Pt.1 ***
Capitolo 19: *** Valentine's day Pt.2 ***
Capitolo 20: *** Feud (Everybody talks!) ***
Capitolo 21: *** Lies ***
Capitolo 22: *** What is this thing called love? ***
Capitolo 23: *** Tongue Tied ***
Capitolo 24: *** Don't despair ***
Capitolo 25: *** Coming of age ***
Capitolo 26: *** More than words. ***
Capitolo 27: *** Facts ***
Capitolo 28: *** Don't speak ***
Capitolo 29: *** It's too late ***
Capitolo 30: *** I'll never fall in love again ***
Capitolo 31: *** You Oughta Know ***
Capitolo 32: *** Feels Like We Only Go Backwards ***
Capitolo 33: *** Time after time ***
Capitolo 34: *** Perfectly Aligned ***
Capitolo 35: *** This time tomorrow ***
Capitolo 36: *** Riptide ***
Capitolo 37: *** Hiding ***



Capitolo 1
*** Mistletoe ***


AU – Alternative Universe
I personaggi di Once Upon a Time nei panni di normalissimi studenti ed insegnanti al Liceo di Storybrooke.
Inizialmente era iniziata come una raccolta di One-shot, poi si è evoluta in una long vera e propria! :)
Affronterò vari pairing (canon e crack):
Rumbelle (coppia principale e filo conduttore)
SwanQueen
HookedBell ( per delucidazioni: non sono Hook e Belle, ma Hook e Tinkerbell)
GoldenQueen
HookedQueen
Ed altri possibili...e...a sorpresa ;)
 
 
 
Rumbelle Xmas & Mistletoe
Popular!Rumplestiltskin & Nerd!Belle



 

Era quasi ora di pranzo alla Storybrooke High School, e Belle era seduta in classe insieme ai suoi compagni.
Belle era la tipica ragazza…atipica.
Graziosa ma di una bellezza antica, di classe. I lunghi capelli rosso scuro, leggermente mossi, la carnagione pallida ma le guance rosee, gli occhi di un azzurro irreale, il viso tondo, e il corpo minuto.
Seduta in prima fila, con gli occhiali sul naso e l’espressione diligente, seguiva con attenzione la lezione di storia e mitologia.
“Qualcuno mi sa dire dove nasce la simbologia del vischio e perché tutt’ora le coppie usano baciarsi sotto di esso?” chiese entusiasta la professoressa Blanchard.
Belle alzò la mano. Da dietro sentì le risatine dei compagni, e qualcuno sibilò a mezza voce “Secchiona”.
Lei arrossì ma parlò con voce sicura.
“E’ un’antica leggenda nordica. Si dice che Odino, Dio scandinavo, e sua moglie Freya, avessero due figli: Balder e Loki. L’uno amato per la sua dolcezza e onestà, e l’altro crudele ed invidioso. Odino e Freya fecero giurare a tutti gli elementi che mai avrebbero osato ferire Balder, ma dimenticarono il vischio. Così Loki lo scoprì e forgiò una freccia coi rami di vischio, e uccise suo fratello…ma…Freya ne fu così sconvolta che pianse tutte le lacrime che aveva in corpo e queste si cristallizzarono e divennero le bacche del vischio. E Balder tornò in vita. E così i suoi genitori benedirono il vischio e lo dichiararono pianta simbolo di felicità e amore” concluse emozionata.
“Esatto. Esauriente come sempre Belle!” le rispose la professoressa.
Suonata la campanella tutti uscirono.
La ragazza, soddisfatta del suo risultato si avviò per il corridoio, la borsa piena zeppa di libri e così le braccia, e un grosso sorriso stampato sul volto.
Era quasi Natale. Quel Natale l’avrebbe passato con suo padre Maurice e sua zia. Da quando sua madre era morta, lei aspettava il Natale solo per poter festeggiare riunita con la sua famiglia. Mancavano pochi giorni, doveva ancora comprare i regali. Avrebbe fatto l’albero quel pomeriggio, aveva comprato tutti gli addobbi nuovi e…SBAM.
Inciampò su qualcosa e rovinò a terra. Tutti i libri le scivolarono sul pavimento, e gli occhiali anche.
Sentì uno scroscio di fortissime risate intorno a lei.
Chiuse gli occhi.
Era una giornata così bella…le pareva strano.
“Poverina!” esclamò una voce odiata.
Alzò gli occhi e guardò con vergogna verso l’alto.
Regina Mills.
Bellissima, mora, atletica, alta, ricca e ovviamente capitano delle cheerleader, erano circa quattro anni che la bullizzava e le rendeva la vita impossibile.
Dal primo dannatissimo giorno in quella scuola, la sua vita era stata un inferno.
Ed evidentemente neanche quell’anno il Natale avrebbe cambiato le cose.
“Io…sono inciampata” bofonchiò Belle.
“E’ inciampata!” le fece il verso Katherine, la spalla di Regina e capitano della squadra di volley femminile.
Risate sguaiate, qualcuno che la additò dal fondo del corridoio.
Belle si rialzò raccogliendo le sue cose e sistemandosi la gonna e il colletto della camicetta, rossa in volto.
“Lasciatemi stare” sussurrò.
“Come? Non abbiamo sentito bene” la schernì Regina, piazzandosi davanti a lei con le mani sui fianchi.
La guardò con fare arrogante, e le ributtò i libri a terra.
“Ops” Ridacchiò Killian Jones, capitano della squadra di football.
Perfetto. C’era anche la squadra di football.
Belle vide parecchi volti conosciuti dei suoi compagni di classe. James Nolan, Graham…
“Ho detto di lasciarmi stare Regina!” disse più forte Belle, evitando il suo sguardo.
Regina proruppe in una risata cattiva. Poi la lanciò contro l’armadietto.
Belle cercò di difendersi.
“Ti sei divertita a fare la secchioncella in classe sì?” le ringhiò contro la cheerleader.
“Lasciami in pace! Non hai alcun diritto di trattarmi in questo modo!” le urlò quasi piangendo.
“Piccola leccaculo…”
“LASCIAMI STARE!”
“Scusami French, ho appena iniziato a divertirmi! Cosa stai leggendo?”
Le strappò di mano uno dei libri che ancora cercava di raccogliere da terra.
I suoi amati libri, buttati lì nel corridoio…
“Le Fiabe dei Grimm” lesse ad alta voce, poi scoppiò a ridere e continuò
“Ti piace sognare? Perché sai bene che non avrai mai niente di tutto questo. Principe Azzurro, felicità, lieto fine…Sei troppo brutta e i tuoi occhiali sono troppo spessi perché tu abbia una speranz-“
Belle la spinse con forza contro il muro.
“TI HO DETTO DI LASCIARMI STARE!” Urlò tremando di rabbia.
Regina si preparò a contrattaccare, quando improvvisamente venne interrotta.
“Sai, forse ha ragione…potresti lasciarla in pace”
 
Belle si immobilizzò e si sentì gelare dentro. Conosceva quella voce leggermente melliflua e sarcastica.
Robert Gold era Regina Mills al maschile.
Non a caso era il suo fidanzato.
Ricco, affascinante, capitano della squadra di Decathlon accademico, ambito e temuto da chiunque in quella scuola.
Lui e la sua amata cheerleader insieme governavano quella scuola con un gerarchico regime di terrore.
In quel momento Gold se ne stava appoggiato ad un muro, con fare indifferente, scrutandosi le unghie con apparente interesse.
“Robert” si ricompose Regina.
Killian gli si avvicinò e gli battè il pugno con fare fraterno.
“Non vi fa pena?” proseguì lui indicando Belle con un cenno della testa.
Regina ghignò, e Robert le si avvicinò.
Belle fissava in pavimento, con le guance rosse. Sentiva le risate, gli insulti delle cheerleader e della squadra di football.
Lui la guardò con un mezzo sorrisino, e le buttò a terra l’ultimo libro che aveva in mano.
“Passa un buon Natale French” le strizzò l’occhio.
Dopodichè posò il braccio sulla spalla di Regina.
La folla cominciò a diradarsi, mentre Belle scivolò a terra piangendo, accasciata contro l’armadietto.
Erano quattro anni.
Quattro anni di inferno.
Questo semplicemente perché era diversa.
Lei amava la tranquillità, il tè caldo, i libri, la cultura, i vecchi film.
Ma soprattutto era sola. E non era ricca. E non aveva la divisa da cheerleader.
E quindi aveva firmato la sua condanna a morte.
 
 
 
Erano le otto di sera, e Belle sedeva sola soletta in un angolo della biblioteca.
Si era nascosta il più lontano possibile dai tavoli principali, nel suo angolino di fiducia, con la sua minuscola lucina accesa e puntata sul fogli.
Era immersa in un'enorme pila di libri. Dopo quell’orrenda giornata, finalmente si sentiva a casa e al sicuro, tra le sue storie e le sue leggende preferite.
Ogni tanto sentiva il rumore della bibliotecaria Lucas, che leggeva il giornale.
Si alzò e si stiracchiò. Aveva bisogno del volume sulla mitologia nordica per approfondire la ricerca per la professoressa Blanchard.
Arrivata allo scaffale notò con disappunto che il libro era decisamente al di fuori della sua portata. Di almeno dieci centimetri. Si alzò sulle punte. Niente.
Sbuffò.
Riprovò invano.
“Serve una mano?”
Si girò di scatto.
Per la seconda volta in quel giorno Robert Gold se ne stava appoggiato ad osservarla con fare noncurante.
E per la seconda volta in quel giorno, lei si sentì gelare dentro.
Aveva creduto di essere al sicuro lassù, tra gli scaffali impolverati…
“No grazie” rispose lei freddamente. Ne aveva avuto abbastanza. Fece per andarsene, non voleva dargli modo di torturarla ancora.
“Eppure mi sembra che sia troppo alto per te” rispose lui.
“Preferisco che rimanga là in alto piuttosto che ricevere anche mezzo aiuto da te” gli sibilò contro.
“Come sei scontrosa French” sogghignò lui.
Si scostò dal muro, e le si avvicinò. Senza sforzo prese il libro e glielo porse.
Lei non si mosse.
“Ti ho detto che non voglio niente da te”
“Ti ho semplicemente aiutata”
“Dov’è la tua fidanzatina eh? E i vostri amici? E’…una specie di scherzo per distruggermi anche questa serata? Non vi siete divertiti abbastanza questa mattina!?” ringhiò lei.
La signora Lucas fece un sonoro “ssshhhh” e Gold ridacchiò.
“Attenta French, non vorrai farti riprendere”
Lei lo guardò con odio.
“Vattene”
“Non serve che mi guardi così. E’ un favore quello che ti ho fatto”
“Non ho bisogno dei tuoi favori.”
 “Sai” disse lui soppesando il libro “Anche a me interessa la mitologia nordica!”
“Immagino. Il tuo quoziente intellettivo ti permette di avere anche degli interessi al di là di…di…di scoparti Regina Mills e portare trofei alla scuola?”
Lui strinse gli occhi.
“Sei offensiva…”
“Sparisci.”
“Mi dispiace per oggi.”
“Per oggi? E per i quattro anni passati in cui non avete fatto altro che prendermi in giro, malmenarmi e…e…” sentì le lacrime che salivano di nuovo.
“Non è che mi diverta.”
“Allora smettila. Smettetela! Lasciatemi in pace una volta per tutte!”
“E’ così che funziona, lo sai.”
“Che funziona cosa?”
“La gerarchia scolastica.”
“Fottiti. Tu e la tua gerarchia.”
Lui le si avvicinò ancora un po’.  I grandi occhi quasi neri, i capelli castani sopra le spalle, quel mezzo sorrisetto perennemente stampato sul volto. La voce calma e la battuta sarcastica sempre pronta.
Lo odiava, eppure come tutte le ragazze, ne subiva il fascino. E odiava sé stessa per questo.
“Stammi lontano.” lo minacciò.
“In realtà...mi è piaciuto come hai raccontato la leggenda sul vischio oggi in classe” le disse lui, scrutandola attentamente.
“E’ per questo che poi mi avete pestata e mi avete rovinato i libri?”
“Mi dispiace, te l’ho detto!”
Belle lo guardò coi suoi occhi blu. Scosse la testa.
“Tornatene dalla tua fidanzata. Non voglio parlare con te.”
“Lei non è la mia fidanzata...non per davvero.”
La rossa inarcò le sopracciglia.
“Lo facciamo più che altro per convenienza e popolarità...”
“Beh, allora complimenti per la visione del mondo e dell’amore. Molto romantico.”
“Amore? Ma dai!”
“Solo perché non ci credi non significa che non esista. Solo perché non sei in grado neanche di capire che cosa sia…”
“E cos’è l’amore?”
Belle soppesò le sue parole.
“E’…un mistero. Un mistero da scoprire. Evidentemente però non è fatto per le persone superficiali come voi.”
“Io non sono affatto superficiale” sussurrò Robert.
“Sei cattivo. E superficiale…e…tutti voi credete che io faccia brutta figura quando rispondo alle domande, e che io sia una sfigata perché leggo e perché mi piace la tranquillità, ma non sapete niente di me, siete sol-”
“Hai dei bellissimi occhi lo sai? ” la interruppe.
Lei si zittì e arrossì. Poi si ricordò che probabilmente era solo l’ennesimo modo per prendersi gioco di lei.
“Sono più belli di quelli di Regina. I suoi sono neri e…freddi. I tuoi sono così…vivi.”
La biblioteca era quasi buia, e così silenziosa.
“Gold, vattene e lasciami in pace, è l’ultimo avvertimento.” gli sibilò lei.
Ma lui sembrava non darle ascolto. La guardava con uno sguardo strano, quasi nuovo. Pareva non vi fosse traccia della solita strafottenza. C’era curiosità nei suoi occhi, e forse…paura?
“E’ quasi Natale...”
“Lo so. Me l’hai ricordato dopo avermi umiliata e dopo aver gettato a terra  il mio libro questa mattina.”
“Lo passerai con…i tuoi?”
“Con mio padre. Mia madre è morta qualche anno fa.” Disse bruscamente.
“Non…non lo sapevo. Mi dispiace.”
"Ci sono moltissime cose che non sai. E nessuno di voi, e non vi prendete il disturbo di chiederle prima di ferire qualcuno, o prima di additarmi come pezzente solo perché mio padre non può permett-”
Belle venne nuovamente interrotta.
“Mi piacciono anche i tuoi capelli”
Rimase in silenzio, poi chiese.
 “Gold..che cosa vuoi da me esattamente?”
“Capirti…?”
“Tempo sprecato.”
“Sono solo curioso...”
“Di sapere cosa esattamente? Altre cose per cui prendermi in giro?”
“No. Te l'ho già detto, voglio solo conoscerti.”
“Sono io che non voglio conoscere te.”
 “Ti…ti ho difesa questa mattina”
 “Mi hai umiliata di più.”
“Era l’unico modo per fermare la cosa!”
“L’unico modo per fermare la cosa sarebbe quello di dire alla tua fidanzata di-“
“Ti ho detto che non è veramente la mia fidanzata! Non mi interessano le ragazze come lei!”
“E che ragazze ti interessebbero? Sentiamo.”
Lui stette in silenzio ad osservarla, con la testa leggermende inclinata.
Belle per la prima volta resse lo sguardo con determinazione.
Non voleva più avere paura di quegli occhi scuri. Non avrebbe chinato la testa un’altra volta.
“Avvicinati” le sussurrò.
“Come scusa?”
“Avvicinati!”
“Sicuro!”
“E’ buio! Non ti vedo! Non è educato parlare senza guardare l’interlocutore negli occhi.”
“Cerchi un’altra occasione per farti due risate?”
“Ma dai! Non ti faccio niente!”
Lo fissò  stranita. Poi si avvicinò con fare di sfida, guardandolo negli occhi, dal basso all’alto, mantenendo un cipiglio serio.
“Ecco. Cosa c’è?”
“Te l’ho detto. Volevo vederti meglio”
Le sfilò gli occhiali e le spostò una ciocca di capelli dal viso.
Belle rimase immobile.
 “Sei…sei bellissima.”
Lei deglutì, guardandolo negli occhi.
“Oggi Regina ha detto che sono troppo brutta per avere… un lieto fine.”
“Perché la ascolti? Sei stupenda.”
Lei socchiuse gli occhi. Respirò.
“Perfavore. Ti supplico. Stammi lontano.” soffiò.
Non voleva continuare quella farsa. Le faceva solo male.
 “Non voglio starti lontano.”
“Cosa?”
“Mi hai sentito. Non voglio starti lontano.”
“Perché?”
“Non …non lo so”
Le accarezzò appena una guancia con delicatezza.
I due si guardarono a lungo, quasi studiandosi con attenzione.
Gli occhi azzurro cielo di Belle dentro quelli scuri e grandi di Robert.
 “Sai…non c’è vischio qua in biblioteca. La Lucas si dimentica di appenderlo tutti gli anni. Io glielo dico sempre, ma lei non mi ascolta…io vengo sempre quassù, e mi piacerebbe che mettesse delle decorazioni natalizie…”
Robert la guardò e lentamente avvicinò il suo viso a quello della ragazza.
Poggiò la fronte contro la sua.
Lei sentì il cuore esploderle nel petto. Non aveva idea di cosa stesse succedendo. Probabilmente era un crudele scherzo, e l’indomani l’avrebbero saputo tutti, e avrebbero riso, e l’avrebbero presa in giro fino alla morte, ma in quel momento non le importava.
L’unica cosa che le importava era la sensazione del volto di Gold vicino al suo, della sua mano sul suo viso, e dell’altra che le aveva leggermente adagiato sul fianco.
“Fa lo stesso. Non mi serve un pretesto per baciarti.” le sussurrò.
Dopodichè poggiò lentamente le labbra sulle sue.
E Belle inesorabilmente si lasciò andare, appoggiandosi completamente al corpo di lui, intrecciando le mani intorno suo collo, giocando coi suoi capelli.
Sentì le sue braccia cingerle la vita mentre entrambi approfondivano il bacio. Stavano per perdere decisamente l’equilibrio, così il ragazzo si appoggiò ad uno scaffale e la abbracciò.
Non era una stretta possessiva, o passionale.
Le accarezzava semplicemente la schiena con le mani con dolcezza.
Belle gli si strinse addosso. Non voleva interrompere quel contatto. Avrebbe voluto rimanere così per tutta la vita, sospesa in quel meraviglioso sogno.
Le labbra di Gold sulle sue, le loro mani e i loro corpi intrecciati.
Lui era il ragazzo più popolare della scuola, e in quel momento aveva scelto lei. Lui stava con Regina Mills, ma in quel momento era la sua bocca che stava baciando. Tutto il resto non importava.
Quando si staccarono lui le poggiò le labbra sulla fronte, tenendola stretta.
“Dimmi solo…perché” Sussurrò Belle
“Era da un po’ che volevo farlo...”
“Hai uno… strano modo di dimostrarlo.”
“Ti chiedo scusa, davvero.”
Rimasero ancora un momento abbracciati.
Belle sentì il bisogno allontanarsi.
“Devo andare.”
“Okay.”
“Buon Natale.” Si staccò e si allontanò tremante, col cuore che esplodeva.
Non si guardò alle spalle per vedere se lui fosse ancora lì. Raccolse i suoi libri e camminò velocemente verso l’uscita.
Uscì dalla biblioteca scossa. Non aveva idea di cosa fosse successo.
Né come. Il gelo le sferzò il viso. Chiuse gli occhi e respirò profondamente.
C’era aria di neve.

In fondo aveva ancora due orette buone per addobbare l’albero di Natale.













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I'm back! Dopo due settimane di silenzio sono tornata a colpire. Diciamo che avevo in mente una cosa un po' più intelligente del solito delirio demente notturno. Volevo fare una cosa seria. Ovviamente con scarsi risultati.
Comunque questo è il primo capitolo, senza pretese, SOTTOLINEO, SENZA PRETESE!
Io Rumple al liceo me lo immagino come stronzetto ricco e popolare. Non riesco proprio ad immaginarlo come loser/freak alla Severus Piton...è troppo fighetto per fare l'emarginato. Stesso per Regina (qui Regina è proprio stronza, lo ammetto, ma la amo comunque).
E boh, spero vi sia piaciuta e vi interessi leggere il seguito!
Recensite, seguite, criticate...fate ciò che volete!
Stay tuned (& Stay Rumbelle)
Seasonsoflove
 


Piccolo postscriptum per le Rumbellers: Lo so che questi sono tempi molto difficili per noi e che dopo la 3x11 desiderate fortemente impiccarvi come la sottoscritta, ma non disperate. Loro si riuniranno di nuovo. E' così, ve lo posso assicurare! 

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Capitolo 2
*** Teen Idle ***


Popular!Rumplestiltskin - Cheerleader!Regina
GoldenQueen - Toxic!Relationship

 
 
Yeah, I wish I'd been, I wish I'd been, a teen, teen idle 
Wish I'd been a Prom Queen, fighting for the title 
Instead of being sixteen, I'm burning up a bible 
Feeling super! super! super! suicidal 

The wasted years 
The wasted youth 
The pretty lies 
The ugly truth 
And the day has come where I have died 
Only to find, I've come alive

(*)





 Un po' di tempo prima.
 
Regina si sistemò i capelli dietro le orecchie.
Si mise il rossetto, il rimmel, e indietreggiò brevemente scrutando lo specchio.
Sorrise e questo le restituì il suo smagliante, luminoso sorriso.
La ragazza pensò, fissando il suo riflesso, che non aveva mai visto nulla di più bello.
I capelli appena sotto il viso, morbidi e corvini. I grandi ed intensi occhi neri, la bocca carnosa, gli zigomi alti, il corpo perfetto.
Puntò gli occhi sulla cicatrice sul labbro superiore.
Il suo sorriso si spense.
L'unica imperfezione.
L'imperfezione che le ricordava che anche lei era umana. Anche lei era stata umana e debole, come tutti.
In fondo quella cicatrice le serviva.
Le ricordava tutto ciò che non voleva più essere, e che non sarebbe mai più stata.
Infilò la divisa da cheerleader. Lanciò un ultimo sguardo allo specchio, si voltò, ed uscì dallo spogliatoio.
 



La sensazione che più le piaceva era quella che provava ogni mattina, camminando per il corridoio prima dell'inizio delle lezioni.
Gli sguardi invidiosi delle sue rivali, quelli timorosi delle sue vittime, e quelli complici delle sue compagne. Li sguardi adoranti dei ragazzi.
Le sembrava di camminare a rallentatore, sorridendo, in mezzo ai suoi sudditi.
Si chiamava Regina non per un caso. Lei era nata per governare.
In quel momento era esattamente quello: una regina.
 

 


"Come ben sapete oggi pomeriggio si terranno le semifinali del Decathlon accademico. Alla nostra squadra è stato gentilmente chiesto di partecipare con il team della Storybrooke Highschool. Conto di vedervi presenti. Crediti scolastici in più per tutte. Regina, sii il capitano di cui abbiamo bisogno. Ho piena fiducia in te."
"Certo Coach"

Naturalmente la SB Highschool aveva trionfato nettamente.
Era stato lì che Robert e Regina si erano conosciuti.
Prima di allora Regina lo aveva sempre identificato come "Quello del Decathlon Accademico".
C'era stato un rapporto cordiale e professionale, come è usanza tra capitani.
Il capitano delle cheerleader, quello del decathlon, il quarterback della squadra di football, il leader del coro, il rappresentante d'istituto, i protagonisti del musical scolastico...i vertici delle gerarchie insomma.
 
Mentre la SB Highschool festeggiava la vittoria davanti ad un sontuoso buffet organizzato per l'occasione dal club di cucina, Regina osservò di sottecchi Robert Gold. Non era il classico bel faccino, ma aveva un qualcosa di magnetico che inesorabilmente sembrava attrarre tutte le ragazze presenti. Aveva un viso atipico, con la fronte ampia, il naso e il mento appuntiti, gli occhi grandi e scuri, le labbra sottili leggermente sorridenti, e i capelli lisci sopra le spalle.
Complice il fascino, complice l'atteggiamento, Regina si era rivista in lui.
 
"Ottimo match Gold" gli si avvicinò sorridendo.
Lui si voltò e sorrise di rimando.
"Anche il tuo Mills".
Rimasero un attimo in silenzio.
"Dovresti provare uno dei bagels(**)" le disse poi Robert.
"Vado matta per i bagels!"
 
 




Un anno dopo i due erano "ufficialmente fidanzati", e insieme avevano costruito il loro dominio, fatto di terrore, intimidamenti e prese in giro.
Loro erano come due pesi morti, come due incudini.
Si trascinavano insieme sempre più inesorabilmente verso il basso. Più una diventava perfida, più l'altro le somigliava. E viceversa, in modo tossico.
Se da soli si crogiolavano nelle loro debolezze, insieme diventavano una crudele macchina da guerra.
Ed era su questo che la loro relazione era fondata.
 
 
 


"Come pensi che mi stia?" chiese Regina facendo una piroetta su sè stessa.
Si era comprata il giorno prima quel meraviglioso vestito rosso. Voleva essere uno schianto per il Ballo d'Inverno.
Robert non alzò nemmeno gli occhi dal libro che stava leggendo (un volume sulla...mitologia greca). Era abbandonato sul suo letto.
"Ehi! Mi hai sentita!?"
"Eh?" chiese lui colto alla sprovvista.
Lei si avvicinò con fare minaccioso.
"Smettila di leggere quella merda. Ti ho chiesto come mi sta il vestito."
"Bene"
"Solo...bene?"
"Ti sta bene. E' bello. Tu sei bella. Perciò ti sta bene"
"Qual è il tuo problema?"
"Non c'è nessun problema"
"Mi chiedo cosa tu faccia ancora là sdraiato"
"Dove dovrei essere?"
"Qua accanto a me. Pensavo non vedessi l'ora di vedere più da vicino la scollatura"
"Niente che non abbia già visto"
Regina lo squadrò da capo a piedi.
"Sei strano"
"Non sono strano"
"Stai mentendo."
"Non sto mentendo. E' un bel vestito"
"Cosa mi nascondi?"
"Niente"
"Bugiardo"
Gold incrociò il suo sguardo e le lanciò un sorrisino.
"Davvero?"
Gli occhi di Regina vacillarono. Lui li conosceva bene. Conosceva i suoi punti deboli e soprattutto le sue insicurezze. Le conosceva perchè erano le stesse sue.
E quindi conosceva anche l'unica maniera per rassicurarla e per porre fine ad eventuali, estenuantissime discussioni che avrebbero potuto nascere.
La loro storia era agli sgoccioli,  ma questo non gli avrebbe impedito di divertirsi anche quel pomeriggio.
Si alzò rapidamente dal letto, e le si avvicinò. Senza dire una parola prese possesso della sua bocca ed iniziò a baciarla con passione.
Sentì le mani di lei avvinghiarsi al colletto della sua camicia.
Senza fare troppi complimenti la afferrò per i fianchi e la buttò sul letto, sdraiandosi sopra di lei e schiacciandola contro il materasso, facendo aderire perfettamente il corpo al suo.
Si chiese cosa avrebbe provato se a posto di Regina ci fosse stata Belle.
Se al posto dei corti capelli neri ci fossero stati quelli lunghi e rossi di Belle, e se invece dell'atletico, teso fisico di Regina ci fosse stato quello morbido e minuto di Belle.
Cercò di scacciare quei pensieri. Doveva esserci un modo!
Spostò le mani dai fianchi al seno di Regina, prima sopra il vestito, e poi senza chiedere il permesso facendosi strada sotto il leggero strato di seta. Le strappò un gemito. Bingo.
Iniziò a baciare il collo della mora lasciandole diversi segni rossi sotto il viso, fino alla clavicola, mentre lei gli graffiava la schiena con passione, e anche con un po' di rabbia e violenza.
Rabbia. Era la parola che avrebbe usato per descrivere Regina.
E per Belle? C'erano tante parole che avrebbe utilizzato. Dolcezza, purezza...ma forse avrebbe scelto luce. Perchè Belle era luminosa.
Prima togliere rapidamente il reggiseno alla sua ragazza pensò per l'ultima volta a quel bacio in biblioteca, e si sentì in colpa.
Non per Regina, ma per Belle.
Per i suoi occhi azzurri e per l'espressione che aveva quando la prendevano in giro. E per lo sguardo che gli aveva lanciato appena dopo averlo baciato.
Qualcosa interruppe il flusso dei suoi pensieri.
Le mani di Regina che fino a poco prima erano impegnate a sbottonargli la camicia o a lasciargli segni rossi sul resto del torso, si erano spostate rapidamente verso il basso.
Un ringhio sordo gli uscì dalla gola, e Belle uscì dalla sua mente.
Per un'oretta almeno.
 
 






           
 
 
 
 
 
 







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(*) Per rendere più "emozionante" (ma dai!) la lettura ad ogni capitolo darò una canzone da ascoltare inerente al personaggio/situazione/coppia.
Questa è "Teen Idle" di Marina & the Diamonds. 


(**) I bagels, per chi non lo sapesse e fosse interessato a saperlo, sono delle specie di ciambelle salate e marroni che mangiano in america, simili ai  Bretzel che si mangiano qui in Alto Adige (sto postaccio dove vivo io) e in Austria.

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a4/20090424_Bagels_009.JPG


Rieccomi qui!
Devo dire che pensavo che ci avrei messo molto di più...ma avevo voglia di inserire questo capitoletto.
Diciamo che serve per inquadrare il tipo di relazione che c'è tra Gold e Regina (aridaje, i miei GoldenQueen feelings, aiuto è la mia crackship preferita!)
Come avrete capito la FF non segue un filo prettamente cronologico. Cioè sì, ma ci saranno anche dei grossi salti temporali per spiegare un po' cosa c'è alla base della psicologia dei personaggi.
Spero che continui ad interessarvi, dal prossimo capitolo inserirò anche altri personaggi e affronterò un altro pairing!
Recensite, recensite, recensite, criticate, quello che volete!
 
RINGRAZIO tantissimo Euridice100, Magwumpiancospino e Historygirl93 per le recensioni, e poi Anya85, Euridice100, LadyAndromeda, NevilleLuna, pepper snixx heat, sabrybi1, strapelot e vook 20 per aver inserito questa storia tra le seguite. Spero che continuiate a leggerla!  
 
Stay tuned,
Seasonsoflove
 

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Capitolo 3
*** Charley's Girl ***


Everybody said that you'd better watch out
Man, she's gonna turn you in
And me, you know that I thought that I looked out
Now look at the trouble that I'm in
you know, you'd better -

Watch out for Charley's girl
Watch out for Charley's girl

(*)

 
Emma who!? Emma Swan! 
(Accenni Rumbelle & CaptainSwan)







"Sì...sì mamma. No. Sì sto bene! Stai tranquilla! Sì, andrà benissimo...no non sono agitata! O-okay. Va bene il pasticcio per cena! Ciao mamma, grazie e...crepi il lupo!"
Emma riattaccò il telefono sospirando.
I genitori più apprensivi del mondo ce li aveva lei.
Si fermò di fronte alla scuola.
Sorrise trionfante.
Ce l'aveva fatta.
 

Emma Swan e i suoi genitori David e Mary Swan erano una famiglia felice.
Certo, forse loro erano un po' appiccicosi, e si preoccupavano molto per l'incolumità della loro figliola, ma nel complesso lei era cresciuta contenta e soddisfatta.
Vivevano a Tallahassee, in Florida, fino a pochi mesi prima, quando Emma aveva improvvisamente ricevuto una chiamata di lavoro dall'altra parte dello Stato.
Le era stata offerta la cattedra come professoressa di psicologia al Liceo di Storybrooke.
Lei aveva acceso internet, e aveva guardato dove fosse Storybrooke.
Aveva preso un discreto colpo quando aveva scoperto che era nel Maine.
 A momenti neanche sapeva dove fosse il Maine.
Sicuramente in alto e al freddo. Vicino al Canada tipo.
Lo stipendio era buono per una neolaureata però, e così aveva accettato.
Dopo numerose discussioni aveva acconsentito ad accollarsi dietro pure i genitori, che a quanto pare aberravano l'idea di starle lontani per un anno.
E così erano partiti.
Avevano affittato una grazioso loft sulla via principale, e l'avevano arredato allegramente.
Emma avrebbe iniziato ad insegnare a metà di gennaio.
 


E così la giovane, bionda Emma, appena ventiseienne, varcò le porte della Storybrooke Highschool, e rimase un momento ferma sulla porta.
Osservò i ragazzi in corridoio prima dell'inizio delle lezioni.
Individuò subito i giocatori di football.
Poi c'erano quelli del club di chimica, facilmente individuabili per i camici bianchi, già pronti fuori dall'aula di scienze.
I nuotatori, e gli artisti del musical e del Glee Club. Le cheerleader.
Poco lontano da lei una bella ragazza mora con la divisa da cheerleader e la spilla da capitano stava discutendo animantamente con un ragazzo castano.
"Si può sapere che diavolo ti è saltato in testa!?"
Lui non rispose e si limitò a guardare per terra.
"Se ti metti a difendere ancora quella sfigata io-"
Emma sorrise.
I bei tempi del liceo. Anche lei litigava così con i suoi fidanzati all'epoca.
E pareva che quei litigi fossero la fine del mondo!
Passo vicina alla coppietta, e si avviò per il corridoio sorridendo.
Sarebbe stato un anno molto intenso!
 
 
 
Davanti alla porta della classe, Emma Swan si fermò e respirò profondamente.
Il suo primo giorno da insegnante l'avrebbe ricordato per il resto della sua vita.
Si lisciò i capelli, controllò di non avere la camicia fuoriposto, ed entrò nell'aula.
Il brusio si quietò immediatamente.
"Beh...buongiorno" iniziò titubante.
Si udi un indistinto buongiorno da parte degli studenti che la guardarono incuriositi.
In ultima fila intravide il ragazzo coi capelli lunghi e castani che aveva visto discutere con la fidanzata nel corridoio. Non vide però la sua ragazza.
Accanto a lui, leggermente oscurato dalle file davanti, c'era un bel ragazzone moro.
Emma si avvicinò alla lavagna e vi scrisse il suo nome sopra.
Dopodichè si voltò verso la classe e sorrise.
"Mi chiamo Emma Swan, e come sapete sarò la vostra supplente di psicologia per il resto dell'anno scolastico..."
"Che cos'ha il professore?" domandò una ragazza castana dalla seconda fila.
"Questo temo che dovrete chiederlo a lui!" rispose cordialmente Emma, poi continuò "Vorrei fare l'appello, ma sono certa che vi scambiereste i nomi com'è usanza fare il primo giorno di supplenza...quindi userò un approccio più pratico."
Tornò alla lavagna e scrisse "I complessi":
- Inferiorità
- Superiorità
- Edipo
- Elettra
"Benissimo" battè le mani entusiasta. Nessuno mosse un muscolo.
"Iniziamo con qualcosa di semplice e basilare. Il primi due.. Chi sa dirmi di cosa si tratta e quali sono i sintomi, e come cambiano le relazioni con gli altri."
Una ragazza coi capelli rossi in prima fila alzò subito la mano.
"Molto bene, tu ti chiami...?"
"Belle French"
"Perfetto Belle, dunque?"
"Inferiorità e superiorità sono due tipi di complessi che spesso derivano dall'educazione che è stata data al soggetto che ne è ... afflitto diciamo. Il...Il primo è l'incapacità di sentirsi uguali agli altri, di credere in se stessi e nella possibilità concreta di raggiungere gli obiettivi desiderati perchè...beh perchè tutte le altre persone sembrano più preparate, e più intelligenti, più meritevoli di avere successo...insomma...migliori".
"Perfetto Belle, bravissima! E il secondo?"
Il ragazzo castano dell'ultima fila alzò la mano.
"Ottimo, tu sei?"
"Robert Gold" Il ragazzo aveva una voce calma e bassa.
Per sentirlo meglio Emma si spostò verso il fondo della classe.
Si fermò accanto al vicino di banco di Robert, il giocatore di football moro.
Il suo sguardo venne attirato dai suoi occhi blu, così in netto contrasto con la pelle chiara, i capelli e la barba corvina. Lui la osservò per un lungo istante, e poi si voltò verso il compagno che parlava.
"E'...il contrario di quello di inferiorità. Può nascere da genitori che lodano in continuazione  il figlio e lo...lo portano a credere di essere infallibile. Questo può portare chi si crede superiore ad una sorta di...delirio di onnipotenza, che lo spinge a spadroneggiare su chiunque anche a costo di...beh...far sentire male gli altri. Questo però secondo me penalizza chi ne è affetto e gli crea una sensazione di oppressione, nel senso che lo porta a dover continuamente soddisfare le proprie aspettative e quelle degli altri, anche a discapito di altre cose importanti, come...relazioni, e amici...e altre persone in generale"
"Hai centrato il punto Robert...l'onnipotenza che si trasforma in oppressione e rischia di schiacciare l'individuo che ne è affetto."
Si incamminò verso la cattedra.
"Ora, secondo voi sono davvero l'uno l'opposto dell'altro?"
"Io credo di no...per lo meno non così tanto" iniziò Belle.
"Per me invece sì" era stato il compagno di Robert a parlare.
"Molto bene...tu sei?"
"Killian Jones...signorina Swan" le lanciò un sorriso smagliante.
Robert vicino a lui scosse la testa e ridacchiò.
"Bene. Le vostre opinioni?"
"Da uno può derivare l'altro" riprese Belle "Se una persona si sente perdente e non sa dove sbattere la testa può...costruirsi da sola una falsa sensazione di sicurezza e di arroganza"
"Non credo proprio" ribattè Killian. "Se una persona sa di valere è sicura. Se una persona fa schifo...fa schifo e basta"
"E' questo il tuo modo di vedere il mondo?" Belle si girò con fare bellicoso.
"Beh sì. E i fatti lo dimostrano"
"Scusa, quali fatti?"
La situazione cominciava a sfuggire di mano.
Emma si intromise velocemente.
"Un dialogo deve coinvolgere anche gli altri...ragazzi, cosa ne pensate di quello che stanno dicendo i vostri compagni?"
"Penso che stiano parlando per le loro esperienze dirette" si intromise una ragazza bionda e minuta, seduta poco lontano da Belle. Si fermò e poi riprese per evitare la domanda che ne sarebbe seguita:
"Comunque io sono Tink Glocke.(**)"
"Che razza di nome è Tink?" le chiese Killian
"Sono mezza tedesca. E ai miei piaceva" disse con un'alzata di spalle "E poi mia sorella si chiama Drizzle(***). Non mi lamento del mio nome"
"Va bene, discussioni sul nome a parte, cosa stavi dicendo Tink?"
"Lei non sa come vanno le cose qui...ma noi sì. Loro parlano dal loro punto di vista, e parlano per la loro situazione"
"Può anche essere" disse Belle "Ma forse abbiamo le idee più chiare proprio perchè ci siamo dentro fino al collo."
Emma iniziava a perdersi. Doveva farsi uno schema dei nomi e delle relazioni tra gli studenti. O non avrebbe resistito fino a giugno.
"Ma secondo Belle i due complessi sono correlati" riprese per fare il punto della situazione.
"Sì. . L'insicurezza può portare le persone a diventare dei... mostri. Questa scuola ne è la piena dimostrazione" rispose lei.
Ad Emma parve di cogliere una diretta frecciatina dentro quella frase.
Robert in fondo alla classe congiunse le mani, abbassò leggermente il volto e osservò la rossa di sottecchi, con sguardo indecifrabile.
"Stronzate!" proruppe Killian.
"Jones!" lo ammonì Emma "Non esiste una cosa simile! Un'altra parola del genere e sei fuori dal corso, oltre che finisci direttamente dal preside"
"E' la verità! Quella cerca di propinarci le sue cazzate perchè è depressa e-"
"Chiudi quella bocca" sibilò Belle
"La verità fa male tesoro?"
"Ti ho detto di chiudere quella bocca!"
"Ragazzi..."
"Ecco, ci risiamo" scosse la testa Tink.
Gli altri seguivano il dibattito come se fosse una partita di tennis, muovendo lo sguardo dalla prima fila all'ultima.
"Dicevo, quella là dice queste cose perchè nessuno se la fila, ovvio! Ma che superiorità ed inferiorità...Se una persona è sfigata, e pezzent-"
"Stai zitto! Non una parola di più" questa volta fu Robert a parlare, con tono fermo.
Killian si bloccò. Poi ghignò in modo cattivo, ed alzò le mani in segno di resa.
Suonò la campanella.
Emma era sconvolta. Ciononostante parlò con calma:
"La prossima volta mi aspetto un po' più di tranquillità. Siamo qui per imparare e studiare, non per scannarci a vicenda. Per giovedì inoltre voglio una relazione sui restanti complessi, Edipo ed Elettra. Le analizzeremo insieme. Buona giornata ragazzi!"
Belle raccattò le sue cose ed uscì in fretta fissando il pavimento, rossa in faccia.
Tink la seguì poco dopo, ma si fermò davanti alla cattedra e parlò alla professoressa, sorridendo brevemente:
"Intendevo questo prima... Qui tra complessi di superiorità, inferiorità e gerarchie...beh si prepari, perchè questo è solo l'inizio.  Penso che avrà capito come vanno le cose. Personalmente mi sono sempre tenuta fuori da queste sciocchezze, frequento solo i club che mi interessano e non mi importa della popolarità. Comunque...è stata una lezione interessantissima.  Mi annoiavo tantissimo durante quelle di prima...continui così professoressa Swan!" E se ne andò.
Robert Gold passò rapido con uno strano sguardo a metà tra il terrorizzato e l'omicida sul volto. Sembrava sul punto di prendere a calci qualcuno o qualcosa.
Per ultimo Killian Jones si avviò verso la porta.
Anche lui si fermò davanti alla cattedra.
Sorrise.
"Bella lezione miss Swan!"
"Ti ringrazio, ma la prossima volta che parli così in classe prenderò provvedimenti"
"Non vedo l'ora" le strizzò l'occhio.
Lei inarcò le sopracciglia.
"Come scusa?"
L'altro scoppiò a ridere. La guardò intensamente con i suoi occhi blu.
"Sono un tipo distratto...ogni tanto mi scappano fuori cose un po'...inappropiate"
"Lo vedo. Ci vediamo giovedì Jones"
"Anche prima se vuole" e così dicendo se ne andò con la sua camminata baldanzosa.
Emma scosse la testa.
Non era andata male. Certo non era una classe facile e calma, ma almeno sembrava motivata.
Forse però avrebbe dovuto trovare qualche argomento più tranquillo per la lezione dopo.
Forse sì, decisamente.
Si avviò verso l'area ristoro, camminando pensierosa tra i corridoi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
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Charley's Girl (Lou Reed)

**Tink Glocke. Dai seriamente non sapevo come chiamarla. Tra l'altro Glocke in tedesco significa campana, così ho deciso di fare una variatio sul nome inglese!
 
***Drizzle significa letteralmente "pioggerellina". Mi piaceva l'idea di due sorelle, Campanellino e Pioggerellina! Una kitschata vivente!
 
 
 
Badum-tssssh.
Here I am!
Ok, in questo capitolo non c'è un vero e proprio pairing (qualche accenno CaptainSwan e Rumbelle), diciamo che ho introdotto Emma e ho lanciato qualche imput per i prossimi capitoli, in cui faremo un salto indietro e capiremo meglio cos'è successo tra Gold (mi fa strano chiamarlo Robert, insomma, non è neanche il suo nome...però lui è Robert) , Belle e Regina dopo il fatidico bacio in biblioteca!
Ho voluto anche inquadrare brevemente Tinkerbell e Hook, che presto diventeranno dei "regular" nella FF.
Emma tra l'altro giocherà un ruolo molto importante andando avanti, perciò tenetela d'occhio.
Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, devo dire che sono sorpresa del successo della FF...non me l'aspettavo proprio :)
Ringrazio tantissimo, ma davvero tantissimissimo tutti coloro che l'hanno inserita tra le seguite, e i miei fedeli recensitori. Davvero, grazie, siete fantastici, mi motivate tantissimo, è grazie a voi che mi diverto così tanto ad aggiornare spesso! *^*
Ho finito per oggi.
Vi auguro un buon Natale e felici feste, tanti pandori e parenti, regali e chi più ne ha più ne metta!
Stay tuned, alla prossima.
Seasonsoflove

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Capitolo 4
*** Slushie! ***


Rumbelle!School'sBathroom
SLUSSSSSHIE!





SLUSHIE


Il giorno prima


Belle camminò svelta sul marciapiede per raggiungere più rapidamente possibile l'atrio della scuola.
Il gelo invernale di Storybrooke non risparmiava nessuno.
Specialmente in gennaio.
C'era da dire che avrebbe potuto vestirsi di più. Avrebbe potuto infilarsi un paio di comodi pantaloni felpati e un bel maglione ma...Ma no.
Suo padre le aveva regalato per natale una meravigliosa camicetta in seta, bianca con i pois blu scuri. Era una camicia davvero bellissima, e doveva essere costata un'occhio della testa. Non aveva idea di quanti mazzi di fiori avesse dovuto vendere Maurice French per potersi permettere un regalo simile per la figlia, ma sicuramente tanti.
Per questo Belle aveva deciso di sfoggiarla il primo giorno di scuola dopo le vacanze invernali.
Prima di uscire suo padre l'aveva guardata con orgoglio, e le aveva borbottato burbero (era pur sempre un uomo vecchio stampo) che la sua bambina era la più bella del mondo.
Belle aveva sorriso.
Al momento sorrideva un po' meno, nella sua gonna appena sopra il ginocchio, nel suo cappottino blu, nelle sue calze di lana e nei suoi mocassini. Più che altro si limitava a digrignare i denti e a saltellare per riscaldarsi.
Quando finalmente entrò a scuola tirò un sospiro di sollievo.
Si guardò rapidamente in uno specchietto. Le guance erano rossissime così come le labbra, e facevano un fortissimo contrasto col viso pallido e gli occhi azzurri.
Sbuffò.
Sembrava una dodicenne che ha appena finito di giocare a palle di neve.
Si diresse rapida verso il laboratorio di chimica, dove aveva la prima lezione della giornata.
Appena entrata in aula si bloccò.
Seduti nei banchi vicini al suo abituale, c'erano Robert e Regina.
Parevano immersi in una discussione poco amichevole. Regina gesticolava animatamente e Gold aveva un'espressione stanca ed indifferente.
Belle si guardò disperatamente intorno alla ricerca di altri posti liberi, o di un'altra strada per evitare la coppietta.
Niente da fare.
Sperando di passare inosservata si infilò tra i due banchi e sgusciò via rapida.
"Perchè così di fretta?"
Chiuse gli occhi. Respirò a fondo.
Si girò.
Robert fissava interessatissimo il suo banco, mentre Regina le rivolse un sorrisino di sufficienza.
"Ciao Regina. Felice anno nuovo anche a te. Col tuo permesso ora andrei a sedermi ed eviterei di incrociarti per il resto della giornata."
La mora socchiuse appena gli occhi in modo vagamente sinistro.
Belle si lasciò cadere irritata al suo posto e sbattè la borsa per terra.
Prese un libro e si mise a leggere.
Venne improvvisamente interrotta.
"Scusa...è libero? Tutti gli altri sono presi..."
Una ragazza bionda, con un viso da folletto e due grandi occhi verdi guardava in modo eloquente il posto accanto al suo.
"Sì è libero...siediti pure"
La biondina si sedette, e poi si girò verso di lei.
"Io sono Tink Glocke comunque, piacere"
"So chi sei...lavori al giornale scolastico vero?"
"Sì esatto"
"Mi è piaciuto molto il tuo articolo su Nelson Mandela"
"Davvero? Grazie" rispose l'altra compiaciuta. Poi le disse
"Mi sfugge il tuo nome"
"Sono Belle...Belle French"
"Oh! Sei la figlia del fioraio?"
Belle si sentì una nullità. Tutti la conoscevano come la figlia del fioraio. Poteva considerarlo il suo titolo. Belle Figlia del Fioraio French.
"Io...sì. E'...sì lui è mio padre"
Tink rimase un attimo in silenzio, poi batte le mani e disse
"Figata! Adoro quel negozio! Mia madre ci compra sempre i bouquet per la casa! E anche le coroncine di fiori per mia sorella...lei canta nel coro della chiesa sai, allora le servono sempre nuove corone. Non capisco perchè continui a rompere quelle vecchie... Beh, così andiamo ogni sabato in fioreria e c'è sempre un così buon profumo dentro, ci passerei le ore..."
"W-wow"
"Comunque mi piace tantissimo la tua camicia! Dove l'hai presa?"
"Me l'ha regalata mio padre per Natale!"
"Davvero carina! Ha buon gusto! Di cos'è fatta?"
"E' pura seta" rispose orgogliosa l'altra. Finamente qualcosa di cui vantarsi!
Entrò il professor August Booth trafelato, con la sua valigetta, e la lezione iniziò.
Belle era rimasta un po' stordita dalle chiacchere di Tink, ma la ragazza le stava simpatica. Sembrava una persona allegra e disponibile, e soprattutto, senza pregiudizi.
A metà lezione il professore ordinò loro di creare una tintura bluastra che teoricamente avrebbe dovuto fungere da inchiostro.
"Vado a prendere gli ingredienti okay?"
"Sì, ti aspetto qua, intanto preparo il pianale"
La rossa si alzò e si diresse verso l'armadietto.
Robert la vide con la coda dell'occhio.
"Regina vai a prendere gli ingredienti?"
"No, vacci tu."
"Okay."
Conosceva bene la sua ragazza. Se voleva fare una cosa il modo più semplice era chiederle di farla in modo che lei potesse subito scaricare l'incarico su di lui.
Si alzò e raggiunse Belle nel ripostiglio.
"Hey!"
Lei si girò e aprì la bocca senza emettere alcun suono.
Si toccò il collo imbarazzata.
"C-ciao!"
Calò un terribile silenzio.
"Tutto bene?"
"Sì grazie...te?"
"Non c'è male"
"Ti sei...divertita durante queste vacanze?"
"Mi sono rilassata"
Belle indicò la sua lista.
"Dovrei..."
"Sì anche io. Possiamo farlo insieme...se ti va"
"O-ok"
Così si misero a cercare gli ingredienti. Ogni qualvolta che uno dei due ne trovava uno avvisava l'altro, e viceversa.
Poco dopo li raggiunsero altre due ragazze.
Trovarono tutto ciò di cui avevano bisogno, e ritornarono ai loro posti.
Robert osservava Belle di nascosto, mentre Regina criticava qualcuno, o qualcosa, e si lamentava di qualcuno, o di qualcosa. Inutile dire che la loro tintura si rivelò un totale disastro e Regina passò il resto dell'ora ad incolpare il suo ragazzo per il fallimento.
Appena suonò la campanella tutti si precipitarono fuori dall'aula mentre il professor Booth assegnava con scarso successo i compiti.
Belle pranzò da sola, anzi, con i suoi libri.
Ci era abituata, ma non per questo era meno deprimente.
Finita l'ultima ora di lezione appoggiò le sue cose nell'armadietto, prese la borsa decisa ad andare a casa a riscaldarsi con una cioccolata bollente e pensò di essere stata molto fortunata ad aver evitato litigi per ben otto ore di fila.
Ovviamente si sbagliava.
Mentre usciva dal bagno, senza alcun preavviso si trovò davanti Regina e un ampio manipolo dei suoi più fedeli compagni, Gold compreso.
Belle strinse i denti. Forse poteva evitarli e riuscire ad uscire da scuola senza che le distruggessero quel pomeriggio...
"Dove credi di andare French?"
A metà tra l'esasperato e il rassegnato la rossa si girò.
"A casa mia, se non ti dispiace"
"In realtà mi dispiace molto. E poi questa mattina sei stata decisamente maleducata nei miei confronti."
Le si avvicinò e la squadrò dall'alto in basso. La superava di almeno dieci centimetri in altezza. Belle resse lo sguardo con immensa fatica, ben consapevole che tutti gli occhi erano puntati su di lei. Soprattutto quelli di Robert.
"Sei stata maleducata, ed esigo delle scuse"
"Altrimenti?"
"Non ti conviene scoprirlo..."
La rossa scoppiò a ridere amaramente.
"Cosa farai adesso Regina...? Mi picchierai? Mi lancerai contro l'armadietto? O mi sfotterai pubblicamente? Perchè non mi sembra una prospettiva così tragica sinceramente, tutte cose che ho già dovuto sopportare."
"E cos'altro devi sopportare...figlia del fioraio?"
Tutti risero. Con la coda dell'occhio Belle guardò Gold. Lui sorrise alla battuta. Ma c'era qualcosa di triste in fondo al suo sorriso.
Non sembrava per niente divertito, e questo le diede coraggio.
"Potrò anche essere la figlia del fioraio ma almeno non sento continuamente il bisogno di demolire gli altri."
"Ma io non demolisco gli altri. Non c'è niente da demolire in una persona che già di per sè...è una rovina!"
"Quanto devi essere insicura per dover trattare gli altri in questo modo?"
La mora ringhiò e fece per ribattere, ma Gold le si avvicinò.
"Regina...lasciala perdere...non avete nulla di cui parlare..." le disse piano.
"Hai ragione, visto che le cose stanno così, passerò direttamente ai fatti."
Così dicendo si fece passare da una cheerleader accanto a lei un bicchierone pieno di granita al lampone.
Belle fece rapidamente un passo indietro, ma si accorse troppo tardi che altre due ragazze le avevano bloccato la strada.
Regina si avvicinò. Gli occhi neri scintillavano di pura malvagità. Ghignò.
"Così sarei insicura?"
La rossa non rispose e si limitò a guardarla con crescente terrore.
"E' una bella camicia quella che hai addosso...sai French?"
Lei cercò di andarsene rapidamente, ma le venne impedito.
"Ti ho sentita questa mattina mentre parlavi con quella sfigata del giornalino scolastico...E' pura seta vero?"
Belle non rispose.
"Ti ho chiesto se è pura seta. Rispondi!"
"Sì. Lasciami andare."
"Sai quanto costa la seta...vero?"
"Sì. Perfavore lasciami andare a casa."
"Non così in fretta."
Si avvicinò col bicchiere in mano.
Robert le afferrò la spalla.
"Non ce n'è bisogno."
"Io credo di sì invece."
"Regina andiamo...davvero, non è necessario!"
"Lasciami andare, sennò lo farò fare a te. E sai che non scherzo."
Il ragazzo le mollò il braccio come se si fosse scottato.
Regina a quel punto stanca di giochetti si fermò davanti a Belle, mentre questa si divincolava dalla presa delle cheerleader.
La mora inclinò la testa brevemente da un lato scrutando la sua preda quasi con curiosità.
"Sei davvero troppo arrogante French. E' ora che tu metta la testa a posto."
Così dicendo le rovesciò addosso l'intero contenuto del bicchiere.
Poi fece un breve cenno agli altri e se ne andò senza dire una parola, preoccupandosi però di urtare la spalla della ragazza e lasciarle cadere il bicchiere vuoto sui piedi.
Belle rimase paralizzata dall'orrore e dalla vergogna e dalla tristezza e dal gelo della granita che lentamente le colava giù per la schiena, macchiando inesorabilmente tutta la camicetta.
 
 
 
"A che ora passi a prendermi questa sera?"
"Eh?"
"Questa sera! A che ora?"
"Ah...alle...alle otto..."
"Perfetto!"
Robert e Regina camminavano mano nella mano, fuori da scuola, diretti verso casa.
Regina sembrava particolarmente allegra e soddisfatta, mentre lui fissava il pavimento con sguardo vitreo.
Provava quasi disgusto nel sentire il contatto delle loro mani.
"Stai bene?"
"Io...ho dimenticato i libri in classe!"
"Cosa?"
"Ho dimenticato i lib...il libro di biologia in classe."
"Sei un imbecille."
"Vado a prenderlo. Torno subito!"
"Non ho voglia di aspettarti qua al freddo!"
"Okay. Vai a casa allora, ci vediamo questa sera."
"Non puoi fregartene per una volta?"
"Ho tutti gli appunti su quel libro, mi serve. Mio padre mi ammazza se non prendo almeno una A nel prossimo compito."
La mora lo scrutò intensamente, e lui resse lo sguardo.
Non aveva mai avuto problemi con le bugie.
"Va bene. A questa sera. Puntuale."
"Certo!"
Gli scoccò un rapido bacio e se ne andò.
Robert la guardò allontanarsi, poi si voltò e corse a perdifiato di nuovo dentro scuola, salì le scale.
Seguì le impronte rosse di granita e si fermò davanti ad una porta.
Bagno delle ragazze.
"Merda" mormorò. Pregando tutti i santi che non ci fosse nessuna sconosciuta dentro, aprì la porta ed entrò.
 

Trovò Belle davanti allo specchio che cercava di pulirsi. Aveva gli occhi rossi, non sapeva dire se fossero irritati per la granita o se avesse pianto. Lei si girò di scatto.
"No. Non esiste. Fuori di qua. SUBITO!" Urlò.
"Aspetta fammi spiegare! Calm- AHIA! MA CHE CAZZO!"
Belle gli aveva tirato uno sberlone fortissimo sulla guancia.
Gold arretrò tenendosi la faccia con la mano.
"Ma sei impazzita!?"
"Ti ho detto di sparire. Non voglio più vedere la tua faccia. Vattene! VATTENE!"
"Fammi parlare!"
"VAFFANCULO!"
"Non ho fatto niente io! Perfavore, lascia che ti spieghi..."
"Ne vuoi un altro di schiaffo?" disse minacciosamente.
"Perfavore! Belle, voglio solo spiegarmi!"
"Spiega a mio padre questo" urlò indicandosi la gigantesca macchia rossa che inesorabilmente si allargava su tutta la camicia.
"A tuo- eh?"
"Questa camicia me l'aveva regalata mio padre per Natale"
"Mi dispia-"
"Stai zitto. Smettila di dire che ti dispiace! Sai quanto guadagna mio padre al mese? Era seta. E lui aveva fatto questo sforzo, era così felice ed orgoglioso, e ora arriverò a casa e come faccio a dirglielo?" Gridava con voce rotta dal pianto, senza preoccuparsi della figura, o del fatto che chiunque potesse sentirli.
In effetti una spaurita ragazza uscì da un bagno chiuso a chiave, li guardò sconvolta, e scappò fuori velocemente.
"Non...C'è un modo per togliere la macchia?"
Belle scoppiò in una risata isterica, tra le lacrime.
"Quanto sei ingenuo. Credi che Regina non si sia assicurata che potesse essere un danno indelebile?"
"Io..."
"Per voi è solo una camicia. Ma...era un regalo. Era una cosa mia, ed ero felice, così tanto felice... e non potevate...lasciarmi essere felice per un giorno!"
Si appoggiò con le mani sul lavandino e soffocò i singhiozzi.
"E ora dovrò togliermela perchè...è gelata. E fuori fa freddo, e qui fa freddo, quella cazzo di granita era fredda! Vaffanculo!"
Robert si guardò intorno desolato.
Avrebbe solo voluto avvicinarsi e poterla consolare in qualunque modo. La cosa più frustrante era non poter fare nulla. Non c'era altro che odio, disprezzo e disperazione nello sguardo e nelle parole di Belle.
In quel momento la ragazza cercò disperatamente slacciarsi il colletto della camicia; ma aveva le mani scivolose e gelate, e riuscì solo ad arrabbiarsi di più. Tirò un calcio al lavandino.
"Aspetta, ti...ti aiuto"
"Non ti avvicinare."
"Ti prego. Perfavore... voglio solo aiutarti. Poi ...potrai anche picchiarmi se vorrai."
Lei chiuse gli occhi e si appoggiò al termosifone alla ricerca di un po' di calore.
Robert le si avvicinò (preparandosi psicologicamente ad un altro eventuale schiaffo) e si fermò di fronte a lei.
Poi con le mani tremanti riuscì a sbottonarle il colletto della camicia.
Lentamente slacciò tutti i bottoni, uno dopo l'altro, cercando di ignorare il brivido tutt'altro che fraterno e amichevole che lo percorreva ogni volta che scopriva un lembo della bianca pelle della ragazza.
"Hai...hai visto? Basta fare le cose con calma"
Belle non rispose e continuò a singhiozzare.
"Comunque...ora cosa ...vuoi fare?"
"Te l'ho detto. Devo togliermela. E' gelata."
"Ma...avrai freddo."
"Ho già freddo. Peggio di così non può andare."
Lui ci pensò un attimo su, poi si tolse la giacchetta blu e bianca della scuola.
Era il classico tipo di giacchetta sportiva che ogni ragazzo che faceva parte di qualche squadra era costretto ad indossare. La sua era quella del decathlon, col suo cognome ricamato sulla schiena e una grossa C di capitano appuntata sul petto.
Insomma, una cosa decisamente vistosa.
Gold non l'aveva mai detto a nessuno ma detestava quella giacca. Sotto di essa indossava sempre una seplice camicia nera, grigio, o blu scuro, con il gilet in tinta. Ogni tanto si permetteva anche la cravatta. Il risultato era disastrosamente ridicolo e contrastante, come più volte gli aveva fatto notare Regina, ma a lui piaceva. Gli permetteva di mantenere un po' di sè stesso sotto quelle apparenze.
"Tieni"
"Perchè?"
"Perchè avrai freddo!"
"Non la voglio."
"Ne hai bisogno. Non voglio una ragazza morta assiderata sulla coscienza."
Belle tirò su col naso. Faceva davvero freddo, e la seta gelata appiccicata alla pelle era la peggiore sensazione di sempre.
Senza più pensarci si tolse la camicia e rimase in reggiseno.
Robert sgranò gli occhi. Respirò a fondo cercando di controllarsi, e guardò altrove consegnandole la giacca.
Mosse nervoso le mani. Tamburellò col piede.
Aveva la bocca arida.
Cercò di distrarsi pensando a cose terribili tipo la fame nel mondo, e l'attentato alle torri gemelle, o i polli a cui suo nonno torceva il collo per farci lo stufato quando passavano tutti insieme le estati nella loro casa di campagna.
Doveva contenersi, o la cosa si sarebbe fatta piuttosto imbarazzante e...ingombrante.
Non servì a niente. Il suo sguardo cadde di nuovo su Belle, che si stava infilando le maniche.
Probabilmente quella visione l'avrebbe tormentato a lungo.
Il seno morbido dentro ad un reggiseno blu, le clavicole leggermente in rilievo. Quella pelle così bianca, quasi trasparente.
Non importava se ancora sparsi qua e là ci fossero svariati pezzi di granita.
Era semplicemente perfetta.
"Hai finito di guardare?"
"Okay, okay, scusa"
Robert si girò fissando la lampada sul soffitto.
"Fatto" disse Belle dopo quelli che parvero anni.
"Grande! Ti sta benissimo!"
Belle sorrise tristemente.
"Non è vero. Mi sta troppo grande, e tu hai le braccia troppo lunghe!"
"Sono proporzionate al resto del corpo!" esclamò indignato.
"No. Non sei così alto...sono troppo lunghe. E le spalle troppo larghe."
Gold sbuffò. Si sentì vagamente offeso per il "non sei così alto", ma decise di passarci sopra.
Stettero un attimo in silenzio, poi la rossa parlò.
"Scusa per lo schiaffo..."
"Me lo sono meritato."
"No, non è vero. Non è stata colpa tua questa volta. Anzi...sei stato carino a cercare di fermarla...scusami. Io credo...beh, credo di aver solo voluto sfogare la rabbia su qualcuno."
"Okay...la prossima volta però avvisami se vuoi sfogarla su di me. Così magari ti offro una delle mie troppo-lunghe-braccia da prendere a pugni!"
Belle rise. Poi lo sguardo le cadde sulla camicia, che in quel momento giaceva a terra e si sentì di nuovo a pezzi.
Gold si chinò e la prese, osservandola con sguardo critico.
"Sai, mia madre è davvero brava coi lavaggi. Magari potrebbe far sparire il rosso...conosce un sacco di vecchi trucchi di questo tipo!"
"Non credo che funzioneranno. Le macchie di lampone sono abbastanza indelebili..."
"In ogni caso posso tenerla? Voglio fare almeno un tentativo."
"Fai pure. Meglio che mio padre non la veda questa sera..."
"Cosa gli dirai?"
"Che ero distratta e mi sono rovesciata addosso una granita."
"Perchè non gli dici la verità?"
"Perchè è patetica la verità. E' una cosa deprimente. E perchè si sentirebbe male nel sapere...quello che...beh...succede qui. E in colpa nel sapere ...che Regina mi prende in giro per il suo lavoro. Non voglio scaricargli ancora peso sulle spalle. Da quando mia madre è morta...le cose sono già abbastanza difficili..."
Belle sentì di nuovo le lacrime salirle e il groppo in gola farsi pesante. Cercò di contenersi, con scarso successo.
"S-scusa" cercò di dire.
"Non fa niente. Se vuoi puoi sfogare la tristezza su di me."
"E come?"
"Potresti ad esempio appoggiare la testa su una delle mie spalle troppo larghe..."
Lei singhiozzò.
"Posso?" le chiese lui.
Ricevette un breve cenno di assenso, così le prese dolcemente le mani e se le portò dietro il collo. Dopodichè le cinse la vita con le braccia e la attirò a sè.
Forse Belle avrebbe voluto protestare  e mantenere ancora un po' di dignità, ma non ne ebbe la forza. Si fece abbracciare e poggiò tristemente la testa sul petto di Robert.
Inspirò a fondo il suo profumo. Cos'era?
Cannella...forse. Non ne era certa, ma le piaceva.
"Gold..."
"Mh"
"Perchè?"
"Cosa?"
"Quando siamo in pubblico mi ignori...e poi...insomma, non capisco cosa tu voglia da me..."
Lui non rispose. Invece le bacio dolcemente la fronte, poi gli zigomi, la guancia, fino a fermarsi a pochi centimetri dalla sua bocca. Belle rabbrividì e dovette lottare con tutte le sue forze disperatamente per non annullare le distanze tra loro.
Non desiderava altro che poterlo baciare di nuovo, e ci pensava da quella sera in biblioteca. Si vergognava ad ammetterlo, perchè lei non era quel tipo di ragazza, non si era mai considerata tale. Non le piaceva correre dietro ai ragazzi o pensare troppo a loro. Le piaceva pensare invece che quello giusto sarebbe arrivato perchè era destino. Nel frattempo, voleva godersi la vita e tutte le opportunità che questa le offriva. Lei era uno spirito libero ed intraprendente.
Ma purtroppo era anche una gran sognatrice, e tutti i libri che leggeva sicuramente non aiutavano.
"Gold, rispondimi."
"Solo se mi chiami Robert."
"Rispondimi." ripetè lei.
Non rispose, ma le prese il viso tra le mani e poggiò deciso le labbra sulle sue.
Belle chiuse gli occhi e rispose al bacio, arrendendosi velocemente.
Sentì un rumore provenire da fuori e si staccò precipitosamente.
"Se ci beccano qui siamo morti!"
"Chissenefrega" Robert riprese a baciarla e la fece sedere sul lavandino.
Mentre le loro labbra si scontravano ripetutamente, continuava a pensare a quella pelle bianca, e a quel seno perfetto, ed erano a pochi centimetri da lui, appena sotto la sua stessa felpa...
Senza rifletterci spostò le mani calde sui bottoni della giacchetta e iniziò a slacciarli.
Le infilò sotto la stoffa, poggiandole sui gelidi fianchi nudi. Sentì Belle rabbrividire a quel contatto, così iniziò a baciarle prima la mandibola, poi scese e poggiò le labbra sul collo. La rossa inarcò la schiena per il piacere, respirando forte.
Le mani dai fianchi iniziarono a risalire verso il seno quando...
"Gold"
"Mhm" mugugnò contro la sua pelle.
"Robert...no."
"Mh..."
"No!"
E improvvisamente finì tutto.
La rossa si scostò e si coprì coi lembi della felpa, con espressione corrucciata.
"Non provarci mai più!"
"Ho...fatto qualcosa che non va?"
"Sì! Non voglio!"
"Fare cosa?"
"Questo. Non così!"
"Ma non stiamo facendo niente di male!"
"Hai una ragazza. Perchè non sei con lei a fare ...queste cose?"
"Perchè..." Esitò. Non lo sapeva neanche lui con esattezza. "Io...non lo so."
"Con Regina le cose non vanno bene vero?"
"Non molto."
"Allora ripieghi su di me. E' così?"
"Cosa? Ma sei pazza?"
"Rispondimi. E' così?"
"No!" In realtà era Regina ad essere il ripiego, ma non lo disse ad alta voce.
"Non sono la seconda scelta di nessuno."
"Non l'ho mai pensato."
"E non sono neanche una facile."
"Non ho mai pensato neanche questo!"
"Allora...cos'era quella cosa di poco fa?"
Lui rimase in silenzio a fissarsi i piedi.
"Io...ho perso un attimo...il controllo."
"Ho visto."
"Scusami, sono un uomo. Non l'ho fatto apposta, mi sono lasciato andare, tutto qua...Ti chiedo davvero scusa se ti sei sentita offesa. Non succederà più."
Belle era stanca. Sospirò.
"E' meglio che vada."
"Belle ti prego...aspetta un attimo"
"No. Ti lavo la giacchetta questa sera e te la restituisco domani."
"Non è necessario..."
"Ci vediamo domani."
 
Gold rimase solo, immobile a fissare la porta.
Cercò di calmarsi.
Era colpa sua se aveva quei problemi.
Sua e di nessun altro.
Avrebbe potuto fregarsene della popolarità, cosa poteva valere? Era solo uno stupido liceo.
Avrebbe potuto mollare Regina e frequentare Belle.
Avrebbe perso tutto, certo. Gli amici, il ruolo nella gerarchia scolastica, il rispetto di suo padre...Suo padre.
Peter Gold l'avrebbe distrutto per una scelta simile. Lo avrebbe preso in giro fino alla tomba.
Robert era in bilico.
Lo era sempre stato, ma in qualche modo con Regina aveva trovato una sorta di apatico equilibrio e aveva sistemato molte cose.
Ma poi era arrivata Belle e aveva fatto a pezzi tutto.
E lui era felice di questo, perchè in fondo era da tanto che aspettava qualcosa che lo scuotesse.
Ma non riusciva a reagire.
Entrò in uno dei bagni, chiuse la porta e si guardò intorno respirando profondamente.
Prese a pugni il distributore delle salviettine finchè non gli si scorticarono tutte le nocche.
Appoggiò la testa alla parete mentre la mano bruciava disperatamente.
Non aveva idea di cosa fare.
Sentì il sangue scorrergli per le dita.
Sospirò ed uscì dal bagno.
 
 
 





"Cosa ti sei fatto alle mani?"
"Sono scivolato sul ghiaccio"
"Idiota."
"Come sempre Regina!"
 
 
 
 
 









-----------------------------------
 
TTTTADAAAAN
Eccomi qua!
Che dire...intanto spero che tutti voi abbiate passato delle splendide feste!
Poi noterete che ho cambiato la Fic da raccolta a storia normale...infatti inizialmente avevo l'intenzione di fare una semplice raccolta di One-Shot, poi però proseguendo mi sono affezionata ai personaggi e ho deciso di svilupparli e trasformare il tutto in una long!
Poi...beh, questo capitolo è stato una vera spina nel fianco.
Infatti non ne sono per nulla soddisfatta.
Però bene o male ne sono uscita in qualche modo...anche se ho sudato parecchio.
L'idea della granitata (in inglese letteralmente: Slushie) l'ho presa da Glee, e secondo me è una delle cose più umilianti e orribili che possano capitare a scuola.
Non ho molto altro da aggiungere...niente song-fic per questo capitolo (so sad, but yet, so true!).
Spero vi piaccia anche se appunto, non sono soddisfatta...e ringrazio come sempre i commentatori, quelli che hanno inserito la storia tra le seguite, e tutti i lettori silenziosi, a cui faccio un appello (disperatissimo!):
Recensiiiteeeeeee!
Vi ho convinti vero?
Stay tuned, tanto amore a tutti quanti (lol)
Seasonsoflove
 
 
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Capitolo 5
*** The heart of the truest believer ***



TinkerBelle!friendship
BlackQueen (mother&daughter)
Accenni GoldenHeart 











Più tardi quel pomeriggio

 
 
 
Regina rientrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle con pesantezza.
Lanciò la giacca sull'attaccapanni e si diresse verso le scale pronta per godersi la quiete di camera sua.
Era a metà del corridoio quando...
"Regina"
Si immobilizzò.
"Mamma"
"Vieni qua...non mi hai neanche salutata."
Lentamente ridiscese le scale con sguardo fisso, e andò in cucina, dove sua madre era intenta a soppesare un bicchiere di Chardonnay.
"Ciao mamma..."
"Tesoro!"
Sua madre sorrise, e Regina rabbrividì. Era il suo sorriso di circostanza, falso. E tirato. Non c'era niente di sincero o di amorevole in fondo a quegli occhi. Quei freddi occhi marroni, le labbra fine tirate, le guance tese.
Lo sapeva fin troppo bene perchè era il sorriso che lei stessa riservava alla maggior parte delle persone che conosceva.
"Com'è andata oggi?"
"Io- beh, molto bene!"
"Con Robert?"
"Meravigliosamente!"
"E a scuola?"
Regina esitò.
Esitò giusto due secondi di troppo. Non era molto, ma per sua madre fu abbastanza.
"Tutto alla grande!"
"Sei sicura?"
La mora deglutì.
"Sì mamma!"
Sua madre, Cora, si alzò dallo sgabello e le si avvicinò.
"Tuo padre ha ottenuto quella promozione"
"Ma è fantastico!"
"Sai cosa vuol dire questo?"
"Che...potrò permettermi la domanda a Yale!"
"Esatto. Ma non con questi voti scolastici che hai adesso."
A Regina si gelò il sangue nelle vene.
Dunque l'aveva intuito.
Forse poteva ancora salvarsi...
"Quali voti mamma? Sai che ho la med-"
"Non mentirmi, Regina, ti conosco..."
"Non sto mentendo mamma, la mia media è una delle più alte, mi imp-"
"Che voto hai preso di chimica oggi?"
"Co-cosa?" boccheggiò
"Ti ho chiesto che voto hai preso di chimica. Sei sorda?"
"Io...no, non sono sorda!"
"Allora rispondi..."
La ragazza respirò a fondo e si preparò al peggio.
"Una C"        
"Una C!"
"Sì...una C..."
Cora le lanciò un sorrisino di sufficienza, alzò le spalle, e si risedette, accarezzando il costoso bancone di marmo con le dita pensierose.
"Ora puoi andartene in camera tua."
"Mamma..."
"Puoi andare."
"Mamma perfavo-"
"Ho fatto male io ad aspettarmi troppo da te, sei una delusione continua. Conosci gli sforzi facciamo, che tuo padre fa quotidianamente, che IO ho fatto per tutta la vita, e nonostante questo...continui a non impegnarti. A non dare il massimo."
"Ma mamma non è così...è solo una C! La recupererò, te lo prometto! Nelle altre materie ho ottimi voti!"
"Non mi interessa. Ora te lo ripeto, vattene in camera, non ho più niente da dirti."
Regina fissò sua madre, e quella sua espressione compunta che temeva tanto. Pareva profondamente addolorata e delusa, ma si leggeva chiaramente sul suo volto una sorta di selvaggia soddisfazione nell'umiliare la figlia.
"Okay va-vado...posso comunque uscire con Robert questa sera?"
"Ma sì, certo. A volte mi viene da pensare che lui sia l'unica possibilità che hai per combinare qualcosa di buono nella vita...frequentare un uomo che valga e che sappia condurre bene la situazione. Non sono sicura che sarai mai in grado di badare a te stessa, perciò tienitelo stretto."
La ragazza sentì la gola chiudersi dolorosamente,ma cercò di contenersi, annuì brevemente e si avviò verso camera sua.
Una volta chiusa la porta scoppiò in lacrime, e si buttò sul letto, soffocando il resto dei singhiozzi nel cuscino dove sua madre non poteva nè sentirla, nè vederla.
 
 
Quando Robert entrò in casa Mills avvertì subito che l'atmosfera era tesa.
Cora gli aprì la porta con fare falsamente cordiale, invitandolo ad entrare.
"Buonasera signora Mills" La salutò.
"Carissimo Robert, è sempre un piacere vederti" rispose lei in tono affettato.
"La ringrazio, è lo stesso per me" sorrise brevemente.
Lei sorrise di rimando, ma gli occhi rimasero gelidi.
"Spero che tu e Regina vi divertiate questa sera. Dove andate?"
"Al cinema...Vado su a-"
"No. Sarà qui tra poco, si sta preparando."
"Ehm...ottimo."
Si guardò i piedi imbarazzato. Si sentiva sempre a disagio quando si trovava a passare del tempo da solo con Cora Mills.
Quella donna gli ricordava molto suo padre per certi versi, ambiziosa e talvolta spietata. Forse anche peggio di suo padre.
Questo decisamente non contribuiva a renderla più simpatica ai suoi occhi.
"Allora Robert, come stai?"
"Bene signora Mills, grazie."
"Il Decathlon?"
"Siamo primi nella classifica regionale!"
"Che meraviglia! E a scuola tutto prosegue bene?"
"Sì, certo..."
"I voti?"
"Non mi lamento..."
"Ho sentito che il professor Booth vi ha restituito i compiti di chimica..."
"Sì"
"Posso chiederti com'è andata o sembro indiscreta?"
"No...certo che no...è andata...bene."
"Bene?"
"Sì, bene!"
"Il compito era difficile?"
"Sì, abbastanza."
"Regina ha preso una C."
"Lo so..."
"Era così difficile da prendere una C?"
"Beh, dipende da persona a persona credo..."
"Tu cos'hai preso?"
"Una A- signora Mills"
"Capisco."
 
 
 
 
 
Belle rientrò a casa camminando mogia.
Suo padre non era ancora rientrato, così si prese uno yogurt, e si sedette alla scrivania, mangiando pensierosa.
Accese il pc ed entrò su Facebook.
Una richiesta d'amicizia.
"Tink Glocke - 26 amici in comune"
Accettò sorridendo.
Che ragazza carina!
Non fece in tempo ad andare a controllare la posta, che la bionda le scrisse in chat.
Stupita per tanta solerzia, aprì incuriosita il messaggio.
 
- Hey figlia dei fiori! :)
- Ciao! Haha, carino il nome!
- Come stai?
- Bene grazie! Tu?
- Anche direi...
 
Fissò interdetta lo schermo. Cosa poteva volere Tink Glocke da una come lei?
 
- Senti, so che ti piace molto leggere, così mi chiedevo se ti piacesse anche scrivere!
- In realtà non ci ho mai pensato...ma immagino di sì...
- E ad esempio...che ne so...scrivere per il giornalino della scuola?
- Non saprei
- E' divertente :)
- Non mi piace tanto espormi...
- Facciamo così. Tu vieni alla riunione alla biblioteca principale tra un'ora, e poi decidi!
- Tra un'ora? Ma sono appena arrivata a casa!
 - Scommetto che sei seduta alla scrivania con la schiena curva, qualcosa di deprimente da mangiare e gli occhiali per leggere che ti scendono sul naso. Tristeee!
 
Belle si tirò su indignata. Non aveva la schiena curva! E neanche gli occhiali...beh forse quelli sì.
 
-Ho indovinato?
-Forse
-Dai, raggiungici in biblioteca. Ti aspetto lì fra un'oretta, ti divertirai! Pinkie promise! Byebye xoxo a dopo! :)
 
Belle stava per scrivere che no, quel giorno non poteva, che doveva andare a prendere suo padre e che aveva impegni assolutamente improcrastinabili ma Tink era già sparita.
Il bollino verde della chat era diventato grigio.
"Maledizione" mormorò Belle.
Si buttò sul letto e sospirò.
Avrebbe tanto voluto godersi la tranquillità di camera sua dopo le montagne russe emotive di quel giorno...
Ripensò a Robert. Al suo mezzo ghigno irriverente, e a come questo si era trasformato in uno sguardo imbarazzato e curioso quando l'aveva vista in reggiseno, e a come aveva potuto notare un impercettibile rossore diffondersi sulle guance del ragazzo.
Le si incurvarono leggermente le labbra.
Anche lui era umano dopotutto.
Forse c'era davvero un ragazzo come tutti gli altri dietro la maschera da mostro.
Forse valeva la pena di provare e portare avanti quella folle situazione...
E poi la sensazione dei suoi capelli, così morbidi...era così difficile rinunciare a tutto quello...
Si tirò su di scatto.
Stava fantasticando su Robert, ancora.
Come una dodicenne.
Andò in bagno, si sciacquò la faccia con l'acqua fredda.
Forse era davvero ora di uscire e incontrare altre persone, o sarebbe impazzita.
Tornò in camera, si infilò un'altra camicetta, e soppesò la felpa di Gold.
Poteva indossarla.
Poteva presentarsi a quella strana, improvvisa riunione con quella giacchetta.
Così che tutti sapessero che lei e Robert avevano una sorta di connessione.
Che lui stava con Regina ma che aveva dato a lei la sua felpa del Decathlon.
Che era qualcuno, che non potevano trattarla come uno straccio perchè lei valeva qualcosa e perchè lei aveva quella dannata giacca ed era amica di uno dei ragazzi più popolari. L'avrebbero sicuramente rispettata...
Accarezzò il cognome "Gold" ricamato in oro sulla schiena. L'ironia della cosa...
Scosse la testa, e si infilò un cardigan rosso sopra una t-shirt grigia. Poi prese il cappotto ed uscì di casa.
 


 
 
"Figlia dei fiori!"
"Ciao Tink!"
La biondina era seduta su una panchina di fronte alla biblioteca.
Indossava una giacca verde prato, i jeans e degli stivaletti corti di cuoio marrone. I capelli raccolti, i grandi occhi verdi, il visetto a punta.
Se Belle avesse potuto descriverla con una parola avrebbe detto folletto. O forse fatina.
"Alla fine sei venuta! Visto? Lo sapevo! Siediti pure non farti problemi!"
"Aspettiamo qui gli altri?"
"Oh...ehm" Tink sembrò imbarazzata.
"Ho detto qualcosa che non va?"
"No, assolutamente. Sai cosa...? Entriamo. Qua fuori si gela!"
E così entrarono. Si sedettero ad un tavolo appartato per non disturbare i lettori.
Dopodichè Belle guardò perplessa la bionda, piena di aspettativa.
"Gli altri?"
"Okay sarò sincera e andrò dritta al punto. Non abbiamo più scrittori. Non c'è...quasi nessuno che ci invii articoli. E quei pochi che ce li inviano scrivono dei pezzi orribili e sgrammaticati e la cosa mi inquieta alquanto e po-"
"Frena un attimo. Non c'è...nessuno che scrive? Com'è possibile!? Ma ci sono articoli sul giornalino! Ne ho letti almeno quindici!"
"Quelli beh...ehm...sono tutti miei..."
"Ma ci sono i nomi di altre persone!"
"Sono inventati. Da me. Ho una grande fantasia per i nomi." Lo disse quasi con una punta d'orgoglio.
"E le vignette?"
"Le faccio io. O pago mio cugino per farle!"
"In pratica gestisci un intero giornale da sola pur di non lasciarlo andare?"
"Esatto."
"Sei pazza!"
"No! Sono ambiziosa e determinata!"
Belle la fissò esterrefatta.
"Mi hai fatta venire qui per niente! Mi hai ingannata! Non esiste nessuna riunione!"
"Ti contraddico: adesso esiste! Siamo in due! E da oggi ti nomino ufficialmente co-direttrice. Ecco. Questa è la spilla, guarda che carina, ne ho fatte stampare una ventina, c'è anche lo stemma della scuola! Tieni, appuntatela sulla maglia!"
La rossa era senza parole.
"Okay. Tutto questo è assolutamente folle. Come facciamo a dirigere qualcosa che non esiste!?"
"Ma esisterà! Io ho bisogno di te! Il giornalino ha bisogno di te! Ti ho osservata a scuola sai, e non hai amici, ma ti capisco, anche per me è così. Io e te siamo diverse, per questo adesso gli altri ci snobbano, ma le cose cambieranno! Io e te insieme renderemo questo giornale popolarissimo, e sarà come...come una fenice! Che rinasce dalle proprie ceneri!"
Un imbarazzante e incredibile silenzio seguì queste parole.
"Ascolta...Tink...senza offesa. Ma non credo che sia possibile. E' una causa persa, perchè...perchè non lasci perdere e basta?"
"Ecco! Vedi? E' questo il problema! Nessuno crede che sia possibile! Nessuno crede più a niente! E' per questo che il mondo va a rotoli! Ma tu puoi fare la differenza!"
"E perchè io dovrei poter cambiare le cose?"
"Perchè se ci credi puoi farlo!"
"Hai sbagliato persona..."
"Non credo prioprio. Io capisco bene le persone. Cerco qualcuno con un cuore ancora in grado di credere, e ti assicuro che quel qualcuno sei tu!"
Il cellulare di Belle vibrò.
Una notifica di Facebook. Robert Gold. Il suo cuore iniziò a battere circa quattro volte più forte del normale, e sperò che Tink  non se ne accorgesse.
"Se riesci vieni dieci minuti prima a scuola domani, così mi dai la giacca senza che ci vedano"
Rilesse il messaggio.
Le venne da piangere, ma ricacciò indietro le lacrime.
Si sentì improvvisamente ridicola, e disgustata.
E pensare che un'ora prima si era anche concessa il lusso di pensare a lui, di credere che magari potesse esserci un futuro...
"Va tutto bene?"
"Io...più o meno" mormorò con voce rotta.
"Scommetto che è per un ragazzo."
"Cosa?"
"Qualcuno che ti piace molto ti ha scritto qualcosa che ti piace un po' meno vero?"
"Può essere. Ma non ti riguarda."
"Chi è lui? No anzi fammi indovinare. Robert Gold."
"COSA?"
La bionda sorrise placidamente.
"Bingo!"
Belle avrebbe voluto negare ma la sua carnagione chiara non le permetteva di nascondere il rossore che si stava diffondendo sulle sue guance. Così evitò imbarazzanti scene e le chiese schiettamente:
"Come fai a saperlo?"
"Magia!" Ridacchiò l'altra con espressione furba.
Belle rimase in silenzio, poi digitò la risposta "Ok", la inviò a Robert, e spense il cellulare.
"Quindi? Che succede tra voi?"
"Non succede proprio niente."
"E perchè nell'aula di chimica sembravate così intimi e allo stesso tempo imbarazzati? E perchè oggi dopo scuola sei uscita dal bagno con la sua giacchetta? E poco dopo è uscito lui senza? Tra parentesi, è per tutte queste cose che ho immaginato che ci fosse qualcosa sotto...nessuna magia."
"Sai che è maleducazione spiare le persone!?"
"Voglio fare la giornalista da grande."
"A me più che altro sembri una paparazza..."
"Lui è un bel tipo. Affascinante direi, anche se non proprio il mio genere..."
"Già."
"Sta con Regina Mills vero?"
"Sì."
"Quanto è bastarda. Non la sopporto proprio."
Belle sospirò sollevata.
"Anche io la detesto. Mi rende la vita impossibile da secoli ormai..."
"Sai che ti dico? Ripassati per bene il suo ragazzo. Non si merita niente quella stronza."
"Non mi passo il suo ragazzo".
"Neanche un po'?"
Belle ci pensò su e sorrise.
"Forse un po' sì."
Le due scoppiarono a ridere insieme.
E Belle per la prima volta sentì di aver trovato una persona con cui condividere qualcosa.
Una persona che non solo non la giudicava, ma la ascoltava, rideva con lei e la coinvolgeva nei suoi progetti. Un'amica.
Batte le mani sul tavolo.
"Sai che c'è Tink? Al diavolo. Mi prendo la spilla. Da domani cominciamo a cercare nuovi adepti per il giornalino."
"DAVVERO?" Urlò l'altra.
Diverse persone le scrutarono con odio. Stavano facendo un baccano inaudito.
"Sì. Forse hai ragione tu, e le persone dovrebbero credere di più. Ma non nelle cose sbagliate. Voglio provare a credere nelle cose giuste."
"Io ti adoro! Conquisteremo il mondo!" Strillò l'altra super eccitata. Poi senza pensarci si alzò dalla sedia e la strinse forte.
Belle ricambiò l'abbraccio perplessa ma felice.
Si staccarono e Tink riprese a parlare, gli occhioni verdi spalancati e pieni di entusiasmo.
"Okay. Ho tantissime idee. Sto esplodendo. Aiuto. Adesso andiamo a prenderci una cioccolata e ti spiego tutto e tu mi racconti cosa sta succedendo con quel Gold!"
La prese sottobraccio e senza aggiungere altro la trascinò allegramente fuori dalla biblioteca.
Belle sorrise. In fondo quella poteva ancora essere una bella giornata.
 
 
 
 
 
 








 
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BUON ANNOOOOOOO!
Ok freno l'entusiasmo!
Ecco l'aggiornamento! Mi sono presa qualche meritato giorno di ferie in montagna con amici e ora mi sento ispirata per continuare!
E dunque. Questo è un po' un capitolo di passaggio, e affronta il rapporto madre-figlia tra Cora e Regina (quanta ansia mi mettono 'ste due!) e introduce l'amicizia TinkerBelle/BelleBell (LOL). So che nello show non sono realmente amiche, ma siccome sono due tra i miei personaggi favoriti ho deciso di renderle friendsss.
Poi più avanti penso che introdurrò anche Ariel per completare il trio!
E dunque, qui per Belle inizia una nuova avventura. Intanto appunto trova un'amica, poi si imbarca in qualcosa che, chi lo sa, forse la farà uscire dal guscio!
Staremo a vedere!
Andando avanti non so quanto riuscirò ad aggiornare frequentemente, perchè purtroppo la sessione invernale di esami ha raggiunto anche me, maledetto il giorno in cui mi sono iscritta all'univeristà, MA PERCHE' NON SONO ANDATA A FARE LA SPAZZINA.
Spero vi piaccia il chapter, ringrazio come sempre i commentatori, quelli che seguono la ff, e i lettori silenziosi!
Stay tuned
Seasonsoflove

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Capitolo 6
*** Wake up ***


Waking up!Characters
 



The morning after
 
 
 
"Sunlight comes creeping in
Illuminates our skin
We watched the day go by
Stories of what we did
It made me think of you
It made me think of you…" (1)

 
La mano di Belle cercò a tentoni la sveglia e la spense.
Si stiracchiò e sentì l’odore del thè che si diffondeva dalla cucina verso la sua camera. Sorrise teneramente al pensiero di suo padre che spadellava in cucina.
Dopodichè controllò velocemente lo schermo del cellulare.
 
3 minuti prima:
-Sveglia figlia dei fiori.
2 minuti prima:
-Sento che stai per svegliarti. 
1 minuto prima:
-Sta per suonare la tua sveglia ma io sono sveglia da un po’. Sono emozionatissima, ho già scritto due articoli.
 
In quel momento le arrivo un altro sms:
-BELLE! DRIN DRIN DRIN E’ IL GRANDE GIORNO. VESTITI CHE ABBIAMO UN SACCO DI COSE DA FARE OGGI A SCUOLA! CONQUISTEREMO L’UNIVERSO!
 
Belle sorrise.
Tink era assolutamente pazza, ma era divertente averla come amica.
Era quel genere di persona che entra nella tua vita e la sconvolge con mille idee e con tanto entusiasmo.
 
-Frena l’entusiasmo folletto, ci vediamo a scuola. xoxo
-YAY!
 
Definitivamete sveglia, Belle si alzò e si avviò in cucina. Prima però gettò uno sguardo alla felpa di Robert sul termosifone…avrebbe risolto anche quella questione.
“Devi essere fredda, fiera, austera e sdegnosa. Lui non è nessuno per te! Non ha nessun potere su di te!” le aveva detto Tink il giorno prima.
E così sarebbe stata.
Fredda, fiera ed austera e sdegnosa.
 
 
 
 
 
 
 
“All that glitter
And all that gold
Won’t buy you happy
When you’ve been bored and sore
Riding wild horses
You can’t control
With all your glitter
And all of your gold

Take care of your soul…” (2)
 
Robert infilò la testa sotto le coperte e prese a pugni il cuscino per dargli una forma più confortevole.
Gli pareva di essersi addormentato dieci minuti prima.
In effetti forse era così…era riuscito a prendere sonno solo molto tardi, quando ormai iniziava già ad albeggiare.
La sveglia del cellulare continuava a suonare.
Furibondo la spense con un gesto brusco, e si infilò di nuovo nel suo lettone matrimoniale, appallottolandosi sotto le coperte.
Era così caldo là sotto…dove nessuno gli faceva pressione, nessuno lo giudicava, nessuno lo costringeva ad essere qualcuno che non voleva, nessuna fidanzata pazza gli urlava contro perché aveva preso un voto migliore nel compito di chimica, e nessuna madre pazza della fidanzata pazza gli faceva domande sul suo voto di chimica…
Sentì il cellulare vibrare.
Chi diavolo…
-Dove vuoi che ci vediamo?
Era Belle.
Scattò a sedere.
-A lato del cancello principale
Poi ci ripensò. Non era un posto adatto.
-Dove preferisci tu :) Attenta a non prendere freddo
No, suonava idiota come messaggio.
-Vicino ai cassonetti dell’immondizia
Poteva risultare vagamente offensivo…
-Dove ti è più comodo?
Inviò e attese la risposta.
-Mi è indifferente
Gold fissò lo schermo. Intanto si alzò, si infilò i suoi calzini di lana preferiti, la vestaglia, e si avviò in cucina, dove iniziò a prepararsi il thè. Non amava particolarmente il caffè, anzi, gli dava fastidio persino l'odore, motivo per cui lui e Regina non facevano quasi mai colazione insieme.
Fissò criticamente il proprio riflesso nella costosa argenteria. I suoi capelli apparentemente avevano mal sopportato la nottata insonne, ed ora erano ridotti ad un ammasso spettinato e vaporoso. Sbuffò.
Mentre aspettava che l’acqua bollisse pensò ad una risposta. Prese tempo.
-Cosa mangi/bevi di buono a colazione?
Immaginò che Belle sarebbe rimasta interdetta di fronte ad un messaggio del genere e sorrise. Intanto suo padre gli urlò qualcosa dal bagno.
“Sì papà” rispose senza neanche sapere cosa gli avesse chiesto.
-Thè e biscotti
-Che carina…Anche io!
-Puoi dirmi dov’è che ci vediamo? Sono di fretta
Soppesò le sue parole. Era arrabbiata? Beh, in ogni caso l’avrebbe scoperto presto.
-Facciamo nel parcheggio vicino all’ingresso?
-Ok a dopo
-Copriti che fa freddo!
Non ottenne più risposta.
Sbuffò e finì di fare colazione.
 
 
 
 
 
 
 
“Oh baby baby it’s a wild world
It’s hard to get by just upon a smile
Oh baby baby it’s a wild world
I’ll always remember you like a child girl…” (3)
 
Emma aprì gli occhi e si alzò di scatto.
Era agitatissima, ed emozionatissima: le sembrava di aver inghiottito un intero sciame di farfalle, o di api forse.
Il suo primo giorno da insegnante.
Sua madre entrò in camera (senza bussare ovviamente) più agitata di lei blaterando senza sosta.
“Tesoro svegliati, oggi non puoi fare tardi assolutamente, ascolta, puoi prendere la macchina di tuo padre che è più comoda anche perché la strada è tutta ghiacciata. Ah, ti ho preparato il pranzo al sacco e anche i vestiti da indossare, guarda qui, dimmi quale ti piace di più tra questi outfit…”
“Mamma!” protestò Emma scandalizzata “Me li so scegliere i vestiti!”
“Ma certo! Lo so ben! E’ solo per darti qualche idea…sai…bisogna avere un look impeccabile il primo giorno! Ah, ecco che arriva tuo padre con la colazione”
E infatti il signor David Swan entrò in camera precipitosamente con un vassoio e si fermò di fronte al letto di Emma.
“Cosa preferisci? Ti ho preparato thè, caffè, pane col burro, pane con la marmellata, frutta, latte, uova e cereali. Dimmi tu”
Emma osservò i suoi genitori scioccata.
“Mamma…papà…”
“Emma” risposero in coro.
Sua madre coi vestiti in mano, e suo padre con la colazione.
Poi scoppiò a ridere, si alzò e si avviò verso il bagno, lasciando i genitori stupiti e perplessi dov’erano con le loro cose in mano.
 
 
 

 
 
“Running
For a hundred years
So drink into the drink
A plastic cup of drink
Drink with a couple
Of people
The plastic creating people
Pirate jet…” (4)
 
“VAFFANCULO” Sbraitò Killian alla sveglia.
Tirò un pugno sulla spalliera del letto facendo un male tremendo alla mano.
Imprecò.
Il cellulare suonava fortissimo, e lui aveva mal di testa, il mondo girava, gli occhi pulsavano, la gola bruciava, e lo stomaco era a pezzi.
A fatica si issò sui gomiti e riuscì a disattivare la sveglia.
Si ributtò a letto.
Dannato il momento in cui aveva deciso di bere la sera prima.
Ma insomma, avevano vinto la partita di football.
Tutti i suoi compagni avevano festeggiato.
Ma non tutti i suoi compagni avevano la prima lezione di psicologia quella mattina alle otto. E non tutti i suoi compagni avevano pessimi voti a scuola e un disperato bisogno di crediti.
Suo fratello Liam gli parlò da dietro la porta.
“Sbrigati fratellino, altrimenti col cavolo che ti accompagno a scuola”
 “Arrivo” mugugnò Killian.
Dopodichè si alzò, e si annusò perplesso la maglietta. C'era qualcosa di molto puzzolente in quella stanza, e aveva la vaga impressione di essere lui il qualcosa in questione.
Appena giunse in cucina l’odore del caffè gli diede il voltastomaco.
Suo fratello era seduto al tavolo e ne sorseggiava una tazza leggendo il giornale.
“Finalmente! Mamma e papà sono usciti, se ti muovi ti porto in macchina...ma… che hai?”
Killian aveva storto il naso, dopodichè si era fiondato in bagno dove prima aveva sbattuto il mignolo del piede sullo spigolo della porta, e poi lanciandosi in scivolata verso il water, aveva rimesso tutto l’alcool della sera prima non digerito.
Quando suo fratello entrò in bagno lo trovò con la faccia nel gabinetto e un colorito verdognolo. Sul volto gli apparve un’espressione di profonda comprensione e compatimento.
“Bevuto troppo?”
“Stai zitto” digrignò l’altro.
Quella giornata si preannunciava davvero disgustosa.
Il peggio venne in macchina, quando dopo aver bevuto un caffè e un po’ di acqua e limone fu costretto a sorbirsi un terribile viaggio fatto di slittamenti e brusche frenate a causa del ghiaccio.
Quando arrivò a scuola per sfogarsi un po’ intimorì qualche primino a caso che aveva fatto il grosso errore di incrociare il suo sguardo nel cortile; dopodichè entrò nella classe di psicologia si buttò su una sedia in fondo all’aula appoggiò la testa al banco e chiuse gli occhi.
 
 
 
 
 
 
 
“Everybody stands, as she goes by
Cause they can see the flame that’s in her eyes
Watch her when she’s lighting up the night
Nobody knows that she’s a lonely girl…” (5)

 
Regina era già in bagno da circa venti minuti quando dalla camera sentì la sveglia suonare.
Canticchiò sovrappensiero, mentre si scrutava allo specchio, e finiva il suo rituale mattutino.
Ogni mattina si alzava un po’ prima del suono della sveglia (con una puntualità impressionante) e per prima cosa sgattaiolava nel bagno adiacente alla sua camera. Si osservava a lungo allo specchio.
Controllava che non le fossero spuntati brufoli durante la notte. Controllava che i suoi denti fossero bianchi come la sera prima, e i suoi capelli perfetti come la sera prima. Se una mattina aveva le occhiaia piazzava una crisi isterica.
Poi beveva il suo caffè e mangiava un frutto, si infilava la divisa da cheerleader, la calda felpa da cheerleader e le calze sopra al ginocchio da cheerleader (se era inverno, sennò niente calze, e niente felpa).
Prima di uscire piantava puntualmente una scenata con suo padre Henry affinchè le lasciasse il Mercedes per andare a scuola, o la accompagnasse direttamente.
Scenata che vinceva ogni volta. Suo padre era un uomo debole seppur ricco, e amava molto sua moglie e sua figlia, e ne era totalmente, incondizionatamente succube.
Quel mattino però qualcosa era andato storto.
Henry Mills era uscito un’ora prima di casa per andare al lavoro, e Regina si era trovata senza macchina, e senza passaggio. E questo l’aveva indisposta alquanto.
Così mentre mangiava il suo frutto e beveva il suo caffè, scrisse rapidamente un sms a Robert.
-Mi passi a prendere? Mio padre non mi ha lasciato la macchina
-Scusami…oggi non posso proprio…ho da fare un’altra cosa, mi dispiace tanto! Dopo mi faccio perdonare :)
-Che cosa devi fare?
-Vedermi con Killian
-Rimanda!
-Non posso
-Allora fottiti
-Non puoi farla a piedi la strada?
-Fa freddo cazzo!
-Vestiti. A dopo meow!
Regina imprecò e digrignò i denti furibonda. La aspettava una lunga marcia nel gelo invernale. Dannazione.
 
 
 
 
Quando Gold vide Belle arrivare in lontananza avvertì qualcosa di strano all’altezza del cuore.
Saltellò sul posto, un po’ per il nervosismo, un po’ per riscaldarsi.
Il suo cappotto nero non era il massimo contro quel gelo.
Si appoggiò alla sua auto, e si scrutò dubbioso nello specchietto.
Si sistemò i capelli, detestava quando non riusciva a farli restare a posto. Erano lisci e fini, diventavano subito elettrici, e gli ricadevano spesso sulla faccia in grossi ciuffi, ostruendogli la visuale. Il risultato era ridicolo e disastroso, e la cosa peggiore era che non poteva farci nulla. Erano così…soffici, e sfuggevoli, e non stavano fermi in nessun modo. Regina gli diceva di continuo che doveva tagliarli. Anche suo padre glielo diceva, ma a lui piacevano così.
Quella mattina si era vestito con cura. Aveva scelto la camicia migliore, e il gilet migliore, e le scarpe più belle che avesse. Si era persino messo la cravatta.
Belle si avvicinò, la borsa straripante di libri in una mano, e un sacchetto nell’altra. Lui le andò in contro nervoso, mentre il gelo gli punse forte il viso bollente.
“Ciao…” la salutò
“Ciao” rispose lei. Se il clima era freddo…quello era niente in confronto al suo tono di voce.
“Eccoti la felpa. L’ho lavata” gli porse il sacchetto
“Non…non ce n’era bisogno”
Belle fece un breve cenno con la testa, poi lo congedò senza neanche guardarlo negli occhi.
“Vado in classe. Ci vediamo”
Robert rimase fermo immobile come un idiota. Lei se n’era andata, lasciandolo lì al freddo, da solo davanti alla sua macchina. Non lo aveva neanche guardato. Non aveva degnato di uno sguardo neanche le sue meravigliose nuovissime e lucidissime scarpe nere. Tutti i suoi mirabolanti piani di vedersi nel parcheggio e di poter passare un po’ di tempo insieme lontano da occhi indiscreti…finiti in fumo. Tutta l’emozione svanita nel giro di mezzo minuto.
“Belle!” le corse dietro. Lei si girò stupita.
“Cosa c’è? Non va bene il lavaggio? Ho fatto quello per capi delicati”
“No io…volevo chiederti…come stai!?”
“Ah. Tutto bene, grazie. Ora se vuoi scusarmi…”
“Aspetta. Io…” non sapeva cosa dire. L’impulso più forte era quello di baciarla e stringerla a sé, ma immaginava che probabilmente si sarebbe beccato uno sberlone memorabile.
“Tu?”
“Hai…psicologia questa mattina?”
“Sì. La prima lezione con la supplente”
“Forte! Anche io…ti va se ti accompagno in classe?”
“Perché dovresti farlo?”
“Per stare un po’ insieme”
“E da quando stare insieme è tuo desiderio?”
Gold rimase un momento interdetto, ma forse gli conveniva cercare di capire la situazione.
“Ho fatto qualcosa che non va?”
“No Gold. Non hai fatto qualcosa che non va. Tu non vai, tutto qua”
“Che-“
“Lascia stare, è meglio così. Ci vediamo in classe”
 
Poco dopo Belle era seduta in prima fila. Killian Jones era l’unico ad essere arrivato prima di lei. Al momento era abbandonato su un banco dell’ultima fila, in stato comatoso, con gli occhi chiusi e la bocca aperta.
Dling
Notifica.
Robert Gold.
Belle alzò gli occhi al cielo. Proprio non voleva lasciarla in pace.
- Mi sono perso qualcosa, cos’è successo prima?
- Quello che doveva succedere tempo fa
- Se mi spieghi cos’ho sbagliato magari posso rimediare
- Te l’ho detto, tu sei sbagliato
- Allora correggimi
- Ho di meglio da fare
- Mi ero vestito tanto bene per te…
- Non attacca
- Appena ti ho vista avrei voluto baciarti
- Non attacca
- Non ho fatto altro che pensare a te da ieri pomeriggio…
- Lalala, c’è Killian Jones qui in fondo all’aula, credo sia morto, e un po’ lo spero
- Sei bellissima con le guance rosse per il freddo :)

Belle sospirò. Le parole di Tink improvvisamente sembrarono molto lontane: fredda...austera...fiera...
 
- Sei carino quando i tuoi capelli diventano elettrici
- Me li vuole far tagliare...
- Chi?
- Regina…
 
La ragazza avvertì un piccolo fremito di odio. Chiuse il cellulare. Perché lo ascoltava ancora!? Era davvero stupida fino a quel punto!?
 
- Sei ancora lì?
 
Lei non rispose.
 
- In ogni caso ci vediamo tra poco in aula…io mi siedo in fondo, se ti va…
 
 
Belle soppesò l’idea di cambiare posto…
Due ragazze entrarono in classe, seguite da svariati altri studenti.
L’aula iniziava a riempirsi.
“BUH!” Urlò qualcuno alle sue spalle.
“TINK! NON FARLO MAI PIU’”
“Da quanto sei qua?” chiese lei prendendo posto poco lontano da lei.
“Da dieci minuti”
“Capito. Hai fatto quello che andava fatto?”
“Sì. Sono stata fredda, fiera austera e sdegnosa. Proprio come avevamo prestabilito”
Tralasciò la parte dello pseudo-flirt virtuale. 
“Ottimo. Così ora che ti sei levata il pensiero di quell’idiota ora puoi concentrarti su cose più importanti!”
“Tipo…?” chiese fingendosi dubbiosa Belle
“TIPO IL GIORNALINO!”
E iniziò ad investirla con una valanga di idee. Una manciata di minuti più tardi Belle vide con la coda dell'occhio Robert entrare in classe.
Aveva un’espressione tirata, tra l’arrabbiato e lo stanco; si domandò cosa gli avesse fatto cambiare umore così repentinamente, poi decise di chiederlo direttamente a lui. Senza farsi vedere da Tink scrisse un furtivo messaggio sotto il banco.
 
- Che faccia! Morto il gatto?
- Regina ha saputo della giacca. Non so né come, né da chi. Ne parliamo dopo
 
Le si chiuse lo stomaco.
Non ne avrebbero parlato dopo.
Perché probabilmente Regina avrebbe posto fine alla sua vita prima di poterne anche solo discutere.
"Tutto bene?" le chiese Tink
"No. Preparati a correre appena finita la lezione"
"Ma che-"
"Ti spiego poi" rispose precipitosamente.
La nuova professoressa era appena entrata in classe.
 
 
 
 
 
 


 
 
 
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Sccciao beli!
Contro ogni aspettativa ce l’ho fatta ad aggiornare presto! Non pensavo, ma evidentemente le ore di insonnia fruttano bene yay!
Tra un Giovane Werther e alcuni saggi sullo Sturm und Drang tedesco sono riuscita  a partorire questa COSA.
Mi rifiuto di chiamarlo capitolo, perché è proprio un inno alla routine mattutina, con tanto di momenti idioti per tutti!
E’ un mio guilty pleasure: quando mi alzo la mattina non posso fare a meno di pensare “che sveglia ha Rumple?” “Cosa canta Regina sotto la doccia?” “Che cosa mangia Emma a colazione?”.
Passiamo alle canzoni, per quelli che fossero interessati a sapere che cosa ho scelto per i protagonisti:
1) Belle: Wings – Birdy
2) Rumplerobert: Glitter and gold – Rebecca Ferguson
3) Emma: Wild World – Cat Stevens
4) Hook: Pirate Jet – Gorillaz
5) Regina: Girl on fire – Alica Keys
Sappiate che non le ho scelte a caso!
Poi piccolo appunto, per evitare fraitendimenti, questi ultimi due capitoli sono un “flashback” del capitolo su Emma, perciò qui in realtà ci ricongiungiamo al cap.4 (non si sa mai, è meglio specificare, OUAT ci ha abituati a delle linee temporali molto confusionarie!).
Quindi spero vi sia piaciuto questo capitoletto senza pretese, era per rallegrare un po' l'atmosfera in questi cupi giorni di gennaio! Ringrazio tutti come sempre, è bellissimo vedere che la FF ha successo :)
A presto spero, stay tuned
Seasonsoflove

 
 
 
 

 

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Capitolo 7
*** The Curse and The Pirate ***



GoldenQueen
HookedBell
Ovvi accenni Rumbelle







Belle si può sapere cos-“
“Muoviti Tink! Fidati di me, è meglio così!”
“Ma dove vuoi andare?”
“Andiamo in aula computer. La prossima lezione ce l’abbiamo alle dieci”
Una volta arrivate Belle si chiuse la porta alle spalle e si sedette nell’angolo più remoto della stanza.
“Belle French, ti ordino di dirmi immediatamente cosa succede!” Ansimò Tink tenendosi un fianco per lo sforzo della corsa.
“Sto per morire” disse Belle terrorizzata.
“Non dire scemate…non morirai per nessuna mano, se non la mia!”
“Regina Mills mi vuole morta. E se Regina vuole qualcosa, la ottiene”
“Parli come se fosse il padre eterno”
“Tink, ieri mi ha rovinato una camicia di seta perché non l’ho salutata! E’…capace di tutto. E ha scoperto che Gold mi ha prestato la sua giacca”
“COSA? Come diavolo ha fatto!?”
“Non ne ho idea”
“Ok…ok. Vediamo di calmarci. Sai cosa facciamo? La eviteremo sì. Se la vediamo ci stringiamo vicine e gonfiamo il petto per sembrare possenti, come fanno i giocatori di football, e cambiamo subito direzione…e poi pensiamo a qualcosa d’altro…”
 
 
 
 

 
Per Regina Mills era stato sorprendentemente facile scoprire l’inganno del suo fidanzato.
Era semplicemente accaduto.
Lei le cose le veniva sempre a sapere, in un modo o nell’altro, e riteneva che fosse giusto così. Una sorta di benedizione dal cielo.
Quella mattina, dopo la scarpinata al gelo, era arrivata a scuola relativamente presto, e di pessimo umore.
Aveva salito le scalinate, si era diretta verso il suo armadietto nel corridoio del primo piano, e aveva visto qualcosa che l’aveva turbata.
Killian Jones saliva le scale con un’espressione profondamente contrita ed esausta. Il viso pallido e teso, gli occhi blu segnati da profonde occhiaie.
Così Regina aveva atteso di vedere Robert arrivare, ma non era accaduto.
Jones era entrato in un’aula e non ne era più uscito.
Eppure…
La mora a quel punto aveva ricontrollato i messaggi.
“Mi vedo con Killian”
Non se l’era sognato.
Sentiva puzza di bugia. E a lei le bugie non piacevano.
Così era scesa al pian terreno, ed era uscita, pronta ad aspettare Robert e a dargli una bella strigliata per averla smollata a fare la strada da sola al gelo.
Quello che aveva visto però l’aveva scioccata completamente.
Robert immobile nel parcheggio delle auto, appoggiato alla sua macchina con espressione tesa.
Poco dopo era arrivata quella…quella French. La figlia del fioraio.
L’aveva riconosciuta da lontano, coi suoi capelli rosso scuro e il suo fisico minuto, il cappottino blu elettrico. La ragazza si era diretta verso Robert, e gli aveva consegnato un sacchetto. I due si erano scambiati qualche breve parola, poi lei se n’era andata e lui l’aveva rincorsa.
Era impossibile captare i loro dialoghi da lì, ma da quello che poteva vedere Regina, Robert sembrava piuttosto deluso e Belle piuttosto seccata.
E lo stupore iniziale aveva fatto posto ad una grande, incontrollabile rabbia.
Robert le aveva mentito. Si era preso gioco di lei, l’aveva lasciata al freddo per vedersi con quella pezzente. E lei…lurida piccola bambinetta…Aveva osato mettere gli occhi sul suo fidanzato. E che cosa c’era in quel sacchetto che gli aveva consegnato?
L’avrebbe scoperto presto, e Belle French non l’avrebbe passata liscia.
Per lei aveva in mente un piano molto particolare, e l’idea la deliziava a dir poco.
Evidentemente la lezione del giorno prima non era servita a nulla, ma l’avrebbe pagata molto cara.
Così Regina Mills era rientrata e si era appostata nell’ingresso.
Robert invece l’avrebbe pagata cara ora. Nessuno gli avrebbe tolto una bella scenata.
 
 
 
 
 
 
“Spiegati”
Robert non la degnò di uno sguardo e aprì il suo armadietto.
“Ti ho detto di spiegarti” ripetè Regina glaciale.
“Non ti devo spiegazioni. Non sono tuo servo” rispose voltandosi finalmente verso di lei.
“Sei il mio ragazzo. Se inizi a fartela con-“
“Non me la faccio con nessuno” mentì lui rapidamente.
A Regina non doveva venire neanche il minimo sospetto, o la situazione sarebbe peggiorata drasticamente.
“Allora spiegati”
“Le ho semplicemente prestato la mia giacca, e lei me l’ha restituita. Tutto qua”
“Le hai…sei impazzito?”
“Tu sei impazzita! L’avresti lasciata tornare a casa con quel gelo e con la camicia fradicia!?”
“Non era un problema mio”
“E infatti non lo è stato. Ci ho pensato io. Le ho solo prestato una felpa per evitare che morisse assiderata, chiudiamola qua”
Sbattè con forza l’anta del suo armadietto e si incamminò lungo il corridoio.
Regina lo raggiunse e gli si piazzò davanti coi pugni serrati.
“Se continui così perderemo credibilità”
“Smettila con questa storia, sta iniziando a diventare ridicola”
“Tu sei ridicolo se pensi di poter vivere senza la nostra popolarità”
“E tu sei ridicola se pensi che mi importi davvero”
“Però so quanto importerà a tuo padre sapere cosa sta succedendo qui a scuola”
 “Conosci solo le minacce per convincere le persone a fare quello che preferisci?
“No non solo, ma ammetto quelle sono particolarmente efficaci. Mi pare che in questo io e te siamo molto simili però…sbaglio?” concluse Regina con un trionfante sorrisetto.
Gold tacque improvvisamente.
“Ora rispondimi: si può sapere che diavolo ti è saltato in testa!?”
Lui continuò a non rispondere e fissò il pavimento con insistenza.
“Se ti metti a difendere ancora quella sfigata io-“
“Non puoi semplicemente lasciarla in pace?”
“Ma io la lascerò in pace. Sai, non ho più voglia, né tempo da dedicare a questa storia. Il problema è che lei non lo saprà!”
“Cos-“
“Sai, si aspetterà una mia vendetta, e ne sarà terrorizzata.  Non saprà né come, né quando. Le ragazze come lei sono estremamente facili da spaventare, basterà qualche parolina detta nel modo giusto. Passerà un ultimo anno da incubo, guardandosi continuamente le spalle…quasi come...come se fosse sotto una maledizione!” concluse scoppiando a ridere.
Robert la osservò a lungo.
“E’ curioso vedere quanto disprezzi tua madre e come in realtà tu sia esattamente uguale a lei. Oserei dire che sei quasi…una fotocopia. Mal riuscita aggiungerei”
Lei si alzò sulle punte e lo baciò lentamente.
Gold provò una forte sensazione di rabbia. Se solo avesse avuto il coraggio…l’avrebbe respinta. Là, in mezzo a tutti, umiliandola fino alla morte.
Ma lui non aveva coraggio, non ne aveva mai avuto. Suo padre glielo ricordava sempre, Regina glielo ricordava sempre. Era un codardo, ed era diventato dipendente dalla sensazione di potere che derivava dalla popolarità.
Subì passivamente la sensazione delle morbide labbra di Regina sulle sue, così diverse da quelle di Belle, così…sbagliate.
Lei si staccò e gli disse con un ampio sorriso.
“Ci vediamo dopo tesoro”
Robert avrebbe voluto correre in una classe vuota, o in uno spogliatoio e prendere a pugni qualcosa, ma aveva ancora la mano dolorante per lo sfogo del giorno prima.
Si incamminò verso l’aula di psicologia.
 
 
 
 
 
Killian era rimasto positivamente colpito da Tink Glocke del corso di psicologia.
Certo aveva un nome davvero imbarazzante, e sapeva che era identificata come “quella del giornalino scolastico”, ma lo aveva stuzzicato.
Era piccola ma fiera, camminava a testa alta per i corridoi e non degnava nessuno di uno sguardo, nonostante le prese in giro.
Sembrava senza paura.
Per il resto della giornata non aveva pensato ad altro. Doveva assolutamente rivederla.
Non aveva mai avuto occasioni di frequentare corsi con lei, o per lo meno non corsi con così pochi alunni. Doveva trovarla e conoscerla meglio, e doveva farlo al più presto.
 
In mensa si era seduto vicino a Robert.
Evidentemente l’amico ne aveva abbastanza dei suoi problemi a cui pensare, perché si limitò a mangiare la sua porzione di pasta fissando il piatto e infilzando i maccheroni con una violenza notevole.
Killian aveva il sospetto che c’entrasse Regina, e forse anche quella ragazza rossa, Belle French.
Non sapeva molto di lei.
In realtà non gli importava. Era una sfigata, e questo gli bastava per farsi due risate e prenderla in giro di tanto in tanto.
“Ehi amico”
Aveva comunque cercato di intavolare una discussione di quelle che lui chiamava “discussioni tra veri uomini”.
“Mh?” era stata la risposta di Robert.
“Ti eri mai accorto di quanto fosse gnocca quella Glocke del giornalino?”
“Mh…” ripetè l’altro fissando il piatto, assorto nei suoi pensieri.
“E’ uno schianto. Faccia da fatina, occhi grandi, bel fisico, tette da urlo…”
“Tett- che?”
“Lo sapevo che mi stavi ascoltando!” Killian fissò determinato l’amico, poi continuò “So di per certo che lavora in aula di informatica. Oggi farò un incursione là. Sarò lesto e rapace, come un pirata, non potrà resistermi!”
Poi riprese a mangiare la sua pizza con rinnovato entusiasmo.
Di tutto il discorso Robert aveva captato comunque solo la parola tette.
 
 
E così anche il primo pomeriggio era passato tra una lezione e l’altra.
Robert ormai era braccato a vista da Regina.
E anche quando lei non c’era aveva la vaga impressione di essere spiato da branchi di cheerleader sospettosamente appoggiate agli armadietti.

Killian invece dopo lezione si diresse subito in aula informatica.
E come previsto…vi trovò Tink. Sorprendentemente vicino a lei c’era anche Belle French.
Si tirò su le maniche e si avvicinò baldanzoso al loro tavolo.
“Donzelle” iniziò.
“Sparisci” rispose subito Tink.
Belle non lo degnò di uno sguardo.  Stava studiando.
“Che maniere!” esclamò fingendosi offeso.
“Le maniere giuste per uno come te!”
“Mi piacerebbe fare due chiacchere con te Glocke”
“A me no invece, che sfortuna”
“Andiamo tesoro…non mi sono ancora presentato di persona”
Tink lo squadrò da capo a piedi.
La t-shirt nera e il giubbotto di pelle, i pantaloni neri aderenti e gli anfibi. Capelli scuri arruffati, e orecchino. Sembrava una rock-star fallita degli anni ’70, e anche un po’…un pirata.
“Killian Jones” e si inchinò.
“Si può sapere cosa vuoi? Ti sei comportato come un cafone oggi a lezione di psicologia!”
“Le mie scuse milady. Desidero solo conoscerti…in tutti i sensi. Se capisci…cosa intendo” e le fece l’occhiolino.
Belle che osservava la scena di sottecchi soffocò una risata.
L’occhiolino? Ma dove credeva di essere? Neanche davanti al Rabbit Hole (il peggior pub di Storybrooke) le facevano l’occhiolino quando passava.
 “Seriamente Jones…credi che sia davvero così disperata?”
A quel punto Belle scoppiò a ridere senza ritegno.
Killian arrossì leggermente, aprì la bocca e poi la richiuse, poi si strinse nelle spalle.
“Peggio per te dolcezza, non sai cosa ti perdi”
Una volta andato Tink si girò verso Belle con un sorrisetto colpevole.
“Dici che sono stata troppo cattiva?”
“Ah, fammici pensare…no”
 
 
 
 
 
“Quella stronza” disse amaramente Killian.
Robert era seduto vicino a lui in aula studio, intento a ripassare storia.
“Chi si crede di essere…stupida suoretta!”
“Ce l’hai con lei solo perché non te l’ha data”
“Ovvio che ce l’ho con lei per questo motivo!”
“Cos’avrebbe dovuto fare?”
“Cadere ai miei piedi” rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Gold sorrise. 
“Se ne pentirà amaramente! Non le ricapiterà mai più un’occasione del genere!”
“Come ci si sente ad essere rifiutati?”
“Stai zitto”
“Ops”
Robert continuò a studiare. Regina era andata a casa poco prima, finalmente poteva stare un momento tranquillo.
Killian avrebbe dovuto ripassare anche lui diverse materie, ma continuava a borbottare frasi sconnesse e scarabocchiare distrattamente sul foglio.
“Poi c’era anche quella stronzetta della French che si è messa a ridere…”
“Cosa?”
Gold alzò la testa improvvisamente interessato.
“Te l’ho detto, c’era anche la French. A proposito, ora siete diventati amici tu e lei?”
“Che- no. Lavoriamo insieme ad un progetto di scienze tutto qua” inventò spudoratamente. Tanto non c’era pericolo che il suo amico sapesse qualcosa di progetti, o di materie scientifiche.
“Aaah capito.” Si zittì pensieroso e poi chiese: “Ma te la fai?”
“Ma chi!?”
“Chi!? Lei! La French!”
“No”
“Neanche un po’?”
“No”
“Ma ci pensi almeno?”
“Smettila”
“E’ carina anche se è un po’ una sfigata”
“Basta!”
“Ok ok, volevo solo sapere”
Calò un imbarazzato silenzio.
Gold riflettè. Tutti gli facevano la stessa domanda…era così evidente?
Inoltre Belle era in aula computer fino a mezz’oretta prima.
C’era una considerevole possibilità che fosse ancora lì…o…?
“Vado un attimo in bagno” E si alzò di scatto.
“Non dimenticarti i fazzoletti!” gli urlò dietro l’amico.
Robert si girò e lo guardò scandalizzato.
L’altro alzò le spalle come per dire  “non si sa mai nella vita
Scosse la testa esasperato e si diresse rapidamente verso il terzo piano.
Aveva bisogno di vedere Belle.
Aveva bisogno di parlarle. E in fretta anche.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Rumore di grilli che friniscono nella notte.
Eccomi qua…e voi penserete.
“Torna dopo una settimana di pausa con questo capitoletto…”
Ehm… * si fa piccina *
Vi giuro  che il prossimo sarà importante, molto molto molto. Sarà una vera svolta per il rapporto Rumbelle…vedremo se in meglio…o…in peggio.
Regina ha scagliato la sua maledizione e Belle sarà decisamente ansiosa per la cosa, ma lo vedremo meglio (ancora una volta) nel prossimo capitolo.
Robertrumple inizia a rendersi conto con chi ha a che fare...o sbaglio?
E poi abbiamo il nostro pirata preferito. Con Hook ho sempre avuto un rapporto di amore/odio. Ma mi piace utilizzarlo come ragazzone donnaiolo e APPARENTEMENTE superficiale.
Ma tranquilli…anche lui avrà il suo riscatto!  
E’ tutto anche per questa volta, ringrazio i recensitori, i seguitori e i lettori silenziosi, spero abbiate gradito! Continuate a recensire, mi rendete felice e mi fate sorridere :D
E il sorriso è cosa buona!
A presto
Stay tuned
Seasonsoflove

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Capitolo 8
*** Blow me one last kiss! ***


I think I’ve finally had enough,
I think I maybe think too much
I think this might be it for us

blow me one last kiss
You think I’m just too serious,

 I think you’re full of shit
My head is spinning so

blow me one last kiss
Just when it can’t get worse,

I had a shit day
You had a shit day,

we’ve had a shit day
I think that life’s too short for this
I’ll pack my ignorance and bliss
I think I’ve had enough of this,

 Blow me on last kiss.
(*)
 
 
 
 
Rumple's Empty Heart
 
 
 
 
 


I giorni di gennaio passavano lenti ed inesorabili, e mentre il sole iniziava a sciogliere il ghiaccio ai lati delle strade di Storybrooke, la vita di Robert Gold scorreva nella più assoluta apatia.
Da quel maledetto pomeriggio di due settimane prima, tutto aveva ricominciato a precipitare, lentamente ed inesorabilmente.
Magari le cose avrebbero potuto essere molto diverse, magari sarebbe bastato davvero poco.
Per quel piccolo, piccolissimo periodo in cui Belle aveva fatto parte della sua vita gli era parso di riuscire quasi toccare con mano cosa significasse essere felici.
Quei brevi momenti con Belle erano stati come poter respirare di nuovo dopo una vita di apnea.
Prima di lei non ne sentiva neanche veramente la mancanza, ma ora che aveva provato l’ebbrezza di quelle sensazioni, non riusciva più a conciliarsi con la quotidianità.
Era in trappola.
 
 

Regina di tutto questo non si era minimamente accorta.
Era sospettosa certo, e arguta, ma mai sarebbe arrivata a pensare che davvero Robert l’aveva tradita con Belle French.
Non si erano più verificati incidenti come quello della giacca, e tanto le bastava.
Ora aveva una campagna da sostenere. Una campagna elettorale.
Il Ballo d’Inverno era alle porte, e così le elezioni per la Reginetta Invernale. Regina deteneva quel titolo da due anni e di sicuro non l’avrebbe lasciato andare tanto facilmente.
Così da circa una settimana Robert (che tuttavia si era categoricamente rifiutato di candidarsi come Re) si era trovato costretto a distribuire spille e volantini a tutti i suoi poveri sventurati compagni di classe, e ad attaccare manifesti in tutta la scuola.
In realtà aveva accettato quell’infame compito solo per avere l’occasione di poter incontrare Belle nei i corridoi.
Gli incontri erano però piuttosto tristi e deludenti, e si concludevano generalmente con un freddo ed imbarazzato saluto.
Sempre meglio di niente, pensava lui. 
 
Regina, ignara di ciò e concentrata sulla sua campagna, aveva adottato una strategia semplice ma efficace.
Lecchina ed estremamente accomodante con i suoi pari (capitani delle altre squadre, rappresentanti d’istituto etc.), e intimidatoria con il resto della feccia (così lei chiamava gli studenti comuni).
Inutile dire che sapeva perfettamente di avere la corona in mano.
 
 
 
 
Killian ci aveva riflettuto a lungo ed era giunto ad una conclusione: doveva invitare Tink al ballo d’inverno.
Non si era ancora dimenticato della cocente batosta ricevuta in aula computer, e aveva intenzione di rimediare.
Poteva avere tutte le ragazze della scuola, ma voleva lei.
L’unica che aveva avuto il coraggio di rifiutarlo.
Così era riuscito a convincere Robert ad accompagnarlo nella folle impresa.
Un problema era sorto però quando si erano accorti che apparentemente Tink e Belle erano diventate amiche inseparabili, e che era impossibile parlare con una senza distrarre l’altra.
 
Un giorno Killian decise che era venuto il tempo di agire.
“Tu e la French siete amici no?”
“No”
“Beh potete diventare amici ora. Le parli cinque minuti mentre io mi lavoro quell’altra. Lo farai vero?”
Robert sospirò.
“Ho altra scelta?”
“GRANDE. Andiamo”
 
E così era successo.
Una mattina di fine gennaio i due ragazzi avevano avvistato Belle e Tink, sedute alla caffetteria della biblioteca.
Si erano appostati strategicamente fuori dal locale, nascosti dietro un furgoncino.
“Ok. Io adesso entro là, e la chiamo fuori. Tu entri e distrai la French”
“Ancora non capisco perché devo distrarla, non puoi semplicemente chiederlo e …e basta?”
“Perché non posso sconfiggerle se sono insieme!”
“Cosa?”
“L’ultima volta mi hanno umiliato. Ma erano in due. Se la Glocke sarà da sola…non potrà resistermi. Verrà al ballo con me, ma deve essere sola per accettare la proposta…sennò si farà trascinare da quell’altra, e rideranno di me.  Lo sento che è così. Il mio istinto non sbaglia mai. E poi è patetico invitare una ragazza al ballo davanti alla sua migliore amica!”
“Se lo dici tu…come farai a convincerla ad ascoltarti?”
“Vedrai. Ho un piano infallibile. Ora entro, tu preparati”
E si lanciò baldanzoso nella caffetteria.
Robert pestò i piedi agitato.
Da una parte era molto felice di avere una qualunque occasione per poter parlare con Belle, dall’altra invece avrebbe preferito sprofondare sotto terra e non uscirne mai più.
 
 
 
“Tink, avrei bisogno di parlarti”
“Non credo di voler sapere cos’hai da dirmi”
“Io credo di sì invece”
“Non mi interessa”
“Andiamo tesoro, ti chiedo solo due secondi qua fuori dalla caffetteria, è davvero importante!”
“Sparisci Jones”
In quel momento Robert entrò dalla porta principale, si diresse verso il bancone, finse di non essersi accorto di niente. Quando l’inserviente lo guardò sorridendo si accorse di non avere né sete, né fame.
In preda al panico ordinò comunque una cioccolata calda.
“Ehi Robert!” lo chiamò Killian.
L’altro sospirò profondamente. Era una cosa talmente ridicola, che anche il più idiota degli idioti avrebbe capito che era stata organizzata.
Ciònonostante si girò.
“Oh, ma guarda che sorpresa! Non avevo idea che fossi qui!” esclamò contrito.
Killian lo fulminò.
Intanto Tink passava lo sguardo da uno all’altro, mentre Belle era sprofondata nella lettura del giornale e aveva ignorato la cosa.
Le sue guance però erano diventate color peperone.
“Gold, che ne dici di sederti qui?”
“Scusa, non sapevo fosse un tavolo a quattro” disse Tink piccata.
“Infatti è da due. Gold siediti vicino a…com’è che ti chiami? Belle giusto? Potete fare amicizia! Sì insomma. Tink dobbiamo davvero parlare”
La situazione era vagamente demenziale, e totalmente senza senso.
“Riguardo a?”
“Il giornalino” rispose solennemente facendosi improvvisamente serio.
Tink gli prestò subito attenzione.
“Cosa c’è?”
“Vogliono chiuderlo”
“COSA?”
“Il Comitato degli Studenti Parsimoniosi di Storybrooke vuole chiudere il giornalino, dice che è uno spreco di soldi per la nostra scuola!”
“Esiste un Comitato degli Studenti Parsimoniosi?” chiese Gold.
Belle soffocò una risata.
Killian assunse un’espressione drammatica.
“Esiste. Io ne sono il segretario”
Tink strinse gli occhi.
“Ho l’impressione che tu sia un cretino che che questa cosa sia una bufala colossale. Ciònonostante ti dedicherò mezzo minuto della mia preziosa esistenza. Non sprecarlo.”
Si alzò sdegnosa ed uscì in strada, seguita da Killian che strizzò l’occhio a Robert.
Questi rimase in piedi davanti al tavolo, sentendosi un idiota.
Inoltre la tazza era bollente e la mano scottava.
Belle continuava a leggere il giornale.
“Posso..sedermi?”
“Sì certo” rispose lei noncurante.
Rimasero in silenzio.
Gold si chiese perché avesse preso una cioccolata. Neanche gli piaceva.
“Allora…ehm…come stai?” si sforzò.
“Alla grande, ti ringrazio! Tu?”
“Bene, bene”
Un altro silenzio imbarazzante.
“Vuoi…qualcosa da bere?”
“No grazie”
“Mi stavo chie-“
“Gold, non devi sforzarti di fare conversazione per essere educato. Va bene così, davvero. Tanto saranno di ritorno tra pochi minuti”
“Io avevo voglia di fare conversazione”
“Io no”
“Sai, Killian vuole invitare Tink al Ballo d’Inverno. Per questo ha inscenato questa…cosa”
“Buon per lui. Anche se ritengo che rimarrà a bocca asciutta”
“Come mai?”
“Credo proprio che lei abbia già un accompagnatore”
“Ah…capito”
Sorseggiò la cioccolata. Era dolcissima e nauseabonda.
Poi prese coraggio.
“E…tu?”
“Io cosa?”
“Ce l’hai un accompagnatore?”
“Non credo che questo ti riguardi”
“Era per fare conversazione”
“Ma io non voglio fare conversazione, ricordi?”
“Belle, mi manchi”
Belle respirò a fondo, poi si avvicinò a lui in modo da poter abbassare la voce.
“Smettila. Non hai il diritto di piombare qui e comportarti così”
“Vuoi un po’ di cioccolata calda? A me non piace”
“Sono seria. Ero seria quando ti ho detto di lasciarmi in pace. Non siamo fatti per questo tipo di cose, quindi ti sarei grata se…se la smettessi. E perfavore, basta fissarmi quando passo in corridoio, è...imbarazzante, e lo notano tutti!”
“Non ti fisso quando passi in corridoio!“
“L’ultimo manifesto che hai appeso per le elezioni della TUA ragazza” ed enfatizzò queste parole, si interruppe brevemente e poi riprese  “…era capovolto. Non te ne sei nemmeno accorto”
“Ero solo distrat-“
“Tink sta tornando. Sei libero di andare”
La biondina arrivò furibonda e si sedette al tavolo.
Killian invece non era rientrato.
“Quell’imbecille. Lo sapevo io! Mi voleva invitare al ballo!”
“E tu cosa gli hai detto?”
“Di no ovviamente! Ci vado già con Felix.  E tu cosa ci fai qui Gold?” Disse poi rivolgendosi al ragazzo.
Robert sgranò gli occhi. Lei proseguì sbrigativa:
“Smamma. A meno che tu non voglia scrivere qualcosa per il giornalino. In tal caso sei il benvenuto”
E così Gold si alzò senza nemmeno finire la sua cioccolata, e se ne andò.
Mentre usciva dalla porta provò la stessa sensazione di abbandono che aveva provato quel pomeriggio fuori da scuola, quando Belle gli aveva detto che non voleva avere più niente a che fare con lui.
 
 
 
 
 
 
Circa due settimane prima
 
 
 
Robert si avvicinò lentamente all’entrata dell’aula di informatica.
Sporse leggermente la testa e vi spiò dentro.
C’erano parecchi studenti, era quasi praticamente piena, ma individuò facilmente la chioma rossa che cercava.
Così cercando di non dare nell’occhio (era pur sempre spiato dalle mille orecchie e dai mille occhi di Regina) si avvicinò al tavolo dove Belle e Tink stavano chiaccherando sottovoce.
La bionda, che era voltata verso la sua parte, si zittì improvvisamente e gli puntò gli occhi addosso.
Belle si girò cercando con lo sguardo cos’avesse bloccato l’amica, ed arrossì.
Si alzò velocemente e raggiunse Robert scavalcando qualche zaino abbandonato a terra.
“Non dovresti essere qui” sussurrò concitata.
“Volevo vederti”
“Senti, sono già abbastanza nei guai per questa storia”
“Ma che-“
“Regina”
“Ti ha fatto qualcosa?” chiese subito lui.
“No, ma non credere che non lo farà. Non oso neanche pensare a cosa stia architettando. Quindi meno ci vede insieme, meglio è per tutti noi”
“Perfavore. Io ho…bisogno di parlarti”
“Non qui, e non ora”
“Okay…quando?”
Belle ci pensò un attimo poi bisbigliò
“Alle sei, porta sul retro”
“Va bene,a dopo”
 
 
 
Il vento soffiava forte e gelido e il cielo era scuro da un bel po’, quando Robert controllò ansioso l’orologio.
“Cazzo” Mormorò. Erano le sei e venti.
Nessuna traccia di Belle.
Gli aveva clamorosamente dato buca? Non sembrava il tipo.
Le era successo qualcosa? Era con Tink, lo riteneva improbabile.
Tirò un calcio al muretto lì vicino per il nervosismo e cercò di riscaldarsi pestolando un po’ in giro per il cortile.
Sentì dei passi e si girò.
Belle gli veniva in contro trafelata, con la borsa mezza aperta e due libroni in mano.
“Belle! Stai bene?” esclamò.
“Scusami, cavolo, io mi sono addormentata”
“Cosa?”
“Tink mi ha tenuta per due ore a parlare di…cose. Ero sfinita e stavo ripassando, mi sono addormentata”
“Io- non c’è problema”
Poi senza pensarci due volte si avvicinò a lei, le cinse i fianchi e la baciò.
Durò poco, poi sentì Belle irrigidirsi e staccarsi.
“Gold…”
“Scusa. E’ da questa mattina che volevo farlo. Ora possiamo parlare”
Belle fissò il pavimento, respirò profondamente, e puntò i suoi occhi azzurri addosso a lui. Sul naso aveva ancora il leggero segno che le avevano lasciato gli occhiali da vista.
“Robert voglio essere onesta con te. Tu… mi piaci. Ma non ho intenzione di continuare questa…cosa che abbiamo. Per nessuna ragione al mondo”
Lui non rispose, aprì la bocca e la richiuse incapace di produrre alcun suono.
Qualcosa all’altezza del cuore si era appena incrinato.
“Di …di cosa stai parlando”
“Non sono una facile. Non sono una seconda scelta, e non sono quel tipo di ragazza che ti costringe a tradire la tua fidanzata per lei”
“Non ho mai pensato niente di tutto questo”
“Ma ti sei comportato in modo tale”
“Ti sbagli”
“Stai con Regina”
“Andiamo! Belle! E’ una stronza! Lei se lo merita! Hai idea di come mi abbia trattato in questo anno in cui siamo stati insieme?”
“Nessuno merita di essere tradito”
“Quindi mi stai mollando perché…perché ti dispiace per Regina?”
“Non ti sto mollando, non siamo mai stati insieme. E non mi dispiace per Regina. Ma ho una certa etica. Non sono come lei, a me non piace ferire le persone”
Robert non l’aveva mai vista così determinata.
“Ascoltami solo un attimo io- merda“
“Tu cosa”
“Ci tengo a te. Davvero”
“Come fai ad affermare una cosa simile? Non mi conosci neanche! Renditi conto di quello che dici, voglio dire, riflettici davvero! Tutto…tutto quello che abbiamo condiviso…tutto quello che c’è stato tra di noi sono stati tre baci! Tre! Uno dei quali in uno…dei bagni della scuola! Non siamo mai usciti, non abbiamo mai parlato, non so neanche quand’è il tuo compleanno!”
“Il quattordici aprile (**)”
“Questo…questo non c’entra niente. Guarda i fatti. Mi baci e poi mi ignori, mi prendi in giro, non vuoi farti vedere dagli altri mentre parli con me e poi mi dici che …che ci tieni. In tutto questo tradisci Regina, fai il doppiogioco…è…è tutto così sbagliato…”
La voce di Belle si incrinò.
Robert chiuse gli occhi, e respirò profondamente.
“Belle, perfavore, io… posso sistemare le cose con Regina, credimi…”
“Non mi interessa. Non sono quel tipo di ragazza. Non mi farò rovinare la vita da Regina e dalla sua follia, o dalla tua instabilità, o da…qualunque altra cosa”
“Ho bisogno di te”
“No, non hai bisogno di me. E io non ho bisogno di te”
“Belle…”
“Ci vediamo in a scuola. Perfavore, d’ora in poi evitiamoci e basta”
 
Robert era rimasto immobile, incapace di muoversi:  da una parte orripilato per quanto appena accaduto, e dall’altra curiosamente meravigliato da quell’ondata di sensazioni così forti e così…nuove.
Aveva bisogno di lei per provare quelle emozioni.
Ma lei non c’era più.
Se n’era andata.
 
 
 
 
 
 
 
 
In caffetteria, circa due settimane dopo
 
 
 
“Belle…”
“Dimmi”
“Sei distratta”
“Non è vero”
“Cosa stavo dicendo?”
“Ehm…qualcosa…su…giornalismo?”
Tink inclinò la testa leggermente e poggiò una mano sul braccio di Belle.
“Lui ti piace ancora vero?”
Belle sospirò, giocando pensierosa con un tovagliolino di carta.
“Non so, credo di sì”
“Allora perché non-“
“Perché no, ne abbiamo già parlato. Io…non voglio essere la seconda scelta. Non voglio essere l’amante di nessuno, e non voglio che tradisca Regina per colpa mia”
“Regina è una stronza”
“Sì lo è. Ma non ha importanza. Io non lo sono, e voglio fare la cosa giusta”
“Tu gli piaci molto…lo sai?”
“Può essere”
“Si capisce da molte cose. Da come ti guarda, e dal fatto che si innervosisce e inizia a toccarsi i capelli o a tamburellare col piede quando ci sei tu vicino…lui è un ragazzo calmo in genere, e queste cose si notano”
“Lo so. E…credimi. Non sai che…violenza stia facendo su di me per non mollare tutto e lasciare che le cose vadano e basta. Ma…non voglio fare nulla di sbagliato”
“Se lui lasciasse Regina cosa faresti?”
“Non lo so onestamente, ma non credo che accadrà”
Tink sorrise brevemente.
 Poi ripresero a chiaccherare del più e del meno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 -----------------------------------
 
 
(*) Blow me one last kiss – P!nk
 
(**) Il quattordici aprile compie gli anni il nostro Bobby Carlyle. Fategli gli auguri quando sarà il momento, miraccomando, così sarà felice e sorriderà. E se Bobby sorride, sorridiamo tutti.
Lo amo, è stupendo (aspettate, lo amate anche voi, vero?), lui ha il musetto più bello del mondo e i capelli più soffici della galassia.
 
 
 
Toccata e fuga.
Nei prossimi giorni avrete il mio silenzio. Il mio esame di fonetica inglese è alle porte.
Ringrazio tutti quanti, amici che recensiscono (risponderò a tutte le vostre recensioni con calma, I PROMISE), amici che seguono, amici che leggono silenziosamente. E scusate se questo capitolo e' un po' Angst,ma abbiate fede. E' uno step necessario. Andrà tutto bene (spero)!
Mi avete fatto raggiungere le cinquanta recensioni in soli sette capitoli e mi sono emozionata. Quasi quasi ci scappava la lacrimuccia :°) Siete bellissimi!
Sciaobeli
Stay tuned
Seasonsoflove

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Capitolo 9
*** I'm not gonna teach your boyfriend how to dance with you ***



The word's on the streets and it's on the news 
I'm not gonna teach him how to dance with you. 
He's got two left feet and he bites my moves. 
I'm not gonna teach him how to dance, dance, dance, dance (*)
 


SwanQueen (the beginning)
Ready to dance!



 
 
 
Il Ballo d’Inverno era alle porte, e nei giorni che lo precedettero l’agitazione per i corridoi divenne palpabile.
Le ragazze si spostavano in branchi chiaccherando concitatamente tra loro e confrontando i vestiti per la grande serata, mentre i ragazzi discutevano animatamente di quale ragazza avrebbero invitato e come avrebbero passato il famigerato “doposerata”.
Era stato ampiamente chiarito che le bevande alcoliche sarebbero state severamente vietate, e chiunque trovato in possesso di esse altrettanto severamente punito.
Killian aveva così deciso che avrebbe movimentato un po’ l’atmosfera a modo suo.
Lui non era tipo da feste sobrie. Non gli piaceva ballare il valzer, indossare lo smoking e fare il damerino di classe. Per quelle cose ci sarebbe stato tempo.
E a lui non piacevano le regole.
Si era procurato una notevole scorta di alcool, e dopo attenti studi della planimetria dell’edificio scolastico era giunto alla conclusione che il bagno del primo piano era il luogo più adatto per tenervi il suo deposito.
Avrebbe fatto sbronzare Tink. Lui sarebbe stato elegantemente allegro, e lei ubriaca marcia, e implorando il suo perdono sarebbe caduta ai suoi piedi.
Killian era decisamente sovraeccitato per quel Ballo.
Robert al contrario era teso e facilmente irritabile.
Non aveva voglia di andare a quello stupido Ballo, non aveva voglia di indossare uno stupido vestito elegante, non aveva voglia di sorridere ai fotografi della scuola e soprattutto non aveva voglia di andarci con Regina.
Aveva accarezzato l’idea di dare forfait all’ultimo con una scusa banale, ma ci aveva rinunciato.
Non osava neanche immaginare la reazione della fidanzata.
Regina in quel periodo era infatti particolarmente intrattabile: il suo umore variava dall’euforico al furibondo, e aveva la capacità di cambiare in pochi secondi.
Una parola fuori luogo, una frase detta con un tono sbagliato e subito scattava, pronta ad insultare, minacciare e prendere in giro chiunque.
La sua campagna per le elezioni era quasi finita, e l’ansia iniziava a farsi sentire.
Robert di questo non aveva colpa, ma era costretto a subire ugualmente.
 
 
 
 
Due giorni prima del Ballo, Emma Swan stava camminando per i corridoi, osservando i vari manifesti per le elezioni.
Una bella ragazza mora, con profondi occhi quasi neri e una bocca molto carnosa la osservava con sguardo arrogante da ogni parete. Si avvicinò ad uno dei cartelloni e lesse:
Regina Mills.
Non aveva la più pallida idea di chi fosse, non frequentava il suo corso, ma era evidente che avrebbe vinto la coroncina del Ballo d’Inverno.
I suoi manifesti erano grandi, vistosi e plasticati, contro quelli miseri e stropicciatini delle altre.
Ad una certa Aurora, un’altra candidata, erano stati disegnati baffi alla Hitler su ogni fotografia.
Svoltando l’angolo giunse quasi di fronte all’aula di fantapolitica (**) quando vide Regina Mills in carne ed ossa, scarabocchiare un paio di corna su un altro manifesto.
Inarcò il sopracciglio.
“Ehm”
La ragazza si voltò, la squadrò da capo a piedi, fece un mezzo sorrisetto e riprese la sua opera indisturbata.
“Ti consiglio di smetterla”
“Altrimenti?” rispose l’altra sarcastica senza neanche degnarla di uno sguardo.
“Altrimenti potrei anche chiamare il preside”
Regina si girò e si avvicinò a lei.
Aveva un bel corpo tonico, messo in risalto dalla striminzita divisa da cheerleader. Le foto non le rendevano giustizia: era ancora più bella dal vivo.
“Sei seria? Davvero vuoi metterti contro di me?”
“Forse non ti è chiaro che stai parlando con una professoressa” disse Emma gelidamente.
La mora si zittì.
Dopodichè fece un passo indietro, e la osservò con attenzione. Probabilmente cercava tracce di bugia o debolezza sul suo volto. Emma resse lo sguardo senza difficoltà, nonostante quegli occhi neri fossero i più penetranti che avesse mai incontrato.
“Ah. E che cosa insegna?”
“Psicologia”
“Ho capito. Ma io non frequento quel corso”
“Lo so. Mi ricorderei di una studentessa così sfacciata se fosse nella mia classe”
“Mi scusi, non sapevo fosse un’insegnante”  rispose Regina ghignando leggermente. Non pareva neanche lontanamente dispiaciuta.
“Qual è il suo nome?”
“Sono la professoressa Swan”
“Sa, pensavo fosse una di quelle saputelle del club di lettere che mi danno sempre fastidio… Lei sembra molto giovane”
“Lo prenderò come un complimento”
“Lo era”
Emma rimase perplessa. L’altra rise brevemente, poi ripose il pennarello nella borsa. Dopodichè si avviò per il corridoio senza neanche salutare.
“Buona fortuna per le elezioni” le urlò dietro Emma.
Regina si girò e rispose con estrema naturalezza.
“Io non ho bisogno di fortuna professoressa Swan”
E sparì alla sua vista.
Emma scosse la testa.
“Immagino di no…” borbottò tra sé e sé.
 
 
Quello stesso pomeriggio Emma e sua madre Mary erano sedute al tavolo della cucina. L’insegnante in quel momento stava correggendo dei compiti.
Leggermente disgustata dalla relazione di Jones, gli scarabocchiò una decisa E sul foglio e passò a quello dopo.
“Tesoro, andrai al Ballo vero?”
“Sì mamma, te l’ho già detto. Mi hanno assegnato il turno di guardia tra le nove e le undici”
“Stavo pensando, sai, siccome non hai ancora scelto il vestito, che potremm-“
“No mamma. Me lo scelgo da sola”
“Ma mi piacerebbe tanto andare a vedere i modelli con te”
“Ogni volta cerchi di sceglierlo per me”
“Ma no…esprimo semplicemente la mia opinione”
“Beh, quest’anno lo sceglierò da sola. Poi verrò a casa DOPO averlo comprato, lo proverò e tu esprimerai la tua opinione”
Scrisse distrattamente una A+ sul compito di Belle French. Incredibile, quella ragazza riusciva ogni volta a stupirla.
Sua madre tacque un momento, poi chiese:
“Sono bravi questi ragazzi?”
“Dipende. Alcuni sì, altri no”
“Ti vedo stanca…lavori tutti il giorno, sei sicura di non essere troppo stressata?”
“Mi piace lavorare con loro. Ho una bella classe, molto motivata”
“Sono contenta allora” e sorrise dolcemente alla figlia.
Emme sorrise di rimando, e passò al compito di una certa Ariel, lo lesse, e le mise una B.
“Però penso che il rosa pallido potrebbe starti bene sai” ricominciò Mary.
“Mamma…”
“E’ solo un consiglio”
Emma sbuffò. Tanto sapeva che alla fine avrebbe scelto il rosa pallido
 
 
 
“Non ci posso credere”
Belle sobbalzò.
Tink l’aveva raggiunta in aula studio, era entrata camminando veloce e aveva sbattuto un plicco di fogli e teche sul tavolo facendo un baccano indecente.
“Ricordi cos’abbiamo stabilito insieme? Che non devi mai-“
“Sbattere le cose sul tavolo senza preavviso, sorprenderti alle spalle urlandoti nelle orecchie e mettermi a strillare per l’emozione nei luoghi pubblici”
“Esatto”
“Ma sono arrabbiata! Molto!” esclamò Tink contrita.
Si sedetta al tavolo. Belle si tolse gli occhiali, si stropicciò gli occhi e la guardò interrogativa.
“Dunque?”
“Dunque Felix mi ha dato buca. Gli è venuta l’influenza intestinale”
“Oh…che schifo”
“Già. Perciò sono senza accompagnatore. E inoltre ho parlato col preside. Ha detto che gli fa piacere che io sia riuscita a trovare una co-diretttrice, ma che se non trovo almeno altri cinque collaboratori sarà costretto a chiudere il giornalino”
“Cinque!? Dove li troviamo!? A malapena abbiamo trovato due persone disposte a scrivere!”
“Ho chiesto un po’ in giro. Fino ad ora ha accettato solo una certa Wendy Darling, ma ho dovuto praticamente costringerla, non mi sembrava particolarmente convinta”
“Beh, uno su cinque. Non male!”
“Già. Ma rimango comunque senza accompagnatore per il Ballo”
“Non dirlo a me” mormorò Belle.
Tink appoggiò la testa sui fogli e socchiuse gli occhi.
“Sai” riprese dopo un po’ “Potremmo andarci insieme”
“Dove?”
“Al Ballo”
La rossa aprì la bocca e poi la guardò perplessa.
“Insieme…intendi…io e te?”
“Sì! Perché no?”
“Non…penseranno che siamo due fidanzate lesbiche?”
“Beh, credo di no... A meno che non ci comportiamo come due fidanzate lesbiche”
“Giusto. Quindi sarà una specie di serata tra amiche…come fanno nei film!”
“Esatto. Poi non vedo perché dovremmo stare a casa, siamo bellissime ed intelligentissime. Io tra l’altro ho anche già preso il vestito”
“Di che colore?”
“Verde smeraldo. Tu invece?”
“Io…pensavo di indossarne uno blu”
“Ah sì. Il blu è decisamente il tuo colore. Che bouquet pensi di prendere?”
“Ehm…non lo so ancora”
La verità è che aveva già speso una fortuna per il vestito e le scarpe e di sicuro non le erano rimasti soldi per il boquet.
Avrebbe potuto chiedere a suo padre di farne uno, forse, ma non voleva sobbarcarlo di lavoro extra. Era già abbastanza nei guai con i debiti del negozio.
Il motivo principale era che trovava piuttosto triste l’idea di suo padre che le fabbriacava il bouquet: in genere sono gli accompagnatori a doverlo regalare alla ragazza.
Lei però un accompagnatore non ce l’aveva…
“Avrai un’idea!”
“In realtà pensavo di non prenderlo proprio”
“Ma tuo padre fa il fioraio!”
“Sì ma…ecco non mi piacciono i bouquet. Mi sanno di antiquato. Poi è una cosa triste, il bouquet dovrebbe essere un regalo”
“Già…ma all’occorrenza”
“Credo che ne farò a meno”
Tink alzò le spalle.
 Poi però le venne un’idea.
“Scusami, vado un momento al bagno”
 
 
 
Robert respirò a fondo ed entrò nel negozio.
Non era sicuro al cento per cento che l'idea di Tink fosse effettivamente una buona idea, ma tanto valeva provare. In fondo era solo un boquet.
Il Game of Thorns era un posto minuscolo ma grazioso, e decisamente profumato, forse un po’ troppo profumato.
Entrando Gold starnutì forte, e questo attirò l’attenzione del proprietario.
“Buongiorno!”
“B-b-buon-ETCHU”
“Attento ragazzo! Sei allergico a qualche fiore?”
“Non saprei, non penso…è…l’odore dei fiori credo, è forte, non me l’aspettavo”
Il signor Moe French uscì da dietro il bancone. Era un uomo tarchiato, con un viso molle.
Robert pensò che non somigliasse per niente a Belle, ma poi vide gli occhi azzurri della stessa tonalità di quelli della figlia e gli scappò un leggero sorriso per l’assurda situazione.
“Io…avrei bisogno di un consiglio per…dei bouquet”
Moe scoppiò a ridere.
“Dei bouquet?”
“Sì…mi scusi ma cosa c’è di tanto divertente?”
“In genere i ragazzi vengono a chiedermi consiglio per un bouquet. Quanti ne vuoi?”
“Io…due”
“Indeciso su quale ragazza invitare al ballo?”
“Più o meno”
French sorrise.
“Bene. Che cosa cercavi?”
“Beh…per…una vorrei un bouquet di rose. Rosse se possibile…il nastro anche rosso”
“Femme fatale?”
“Circa”
Il fioraio appuntò su un taccuino l’ordine.
“E l’altro bouquet…beh…sono indeciso”
“Su quale delle due ragazze vuoi fare più colpo?”
“Ehm…non saprei…”
“Spiegami brevemente la situazione, vediamo cosa posso fare”
“Ecco io…Non la conosco da molto tempo ma volevo fare qualcosa di carino” Robert scelse le parole con cura.
Non voleva che Moe French sospettasse minimamente che sua figlia era la destinataria di quelle attenzioni.
“Ci tengo a lei e voglio che sia una cosa simbolica e che la renda felice”
“Va bene…descrivimela fisicamente”
Gold parlò con la gola secca. Era vagamente agitato.
“Ehm…begli occhi azzurri…capelli…castani…rossi credo….”
“Conosco bene la tipologia! Anche mia figlia ha i capelli rossi e gli occhi azzurri”
“Ah…be-bene”
“Che tipo di ragazza è?”
Gold si guardò intorno disperato. Non immaginava che gli avrebbe fatto tante domande: era solo un cavolo di bouquet!
“E’ intelligente…gentile…ehm…quasi luminosa…insomma, una di quelle persone...piacevoli”
Moe inarcò un sopracciglio. Poi scrollò le spalle.
“Gardenie bianche e nastro azzurro potrebbero andare. Le gardenie significano purezza, e l’azzurro si intonerà con i suoi occhi”
“Perfetto, grazie, davvero! Passo a ritirarli domani sera?”
“Sì. Ah, mi serve il cognome”
“Gold”
Il signor French lo fissò con sguardo indecifrabile.
“Gold?”
“Sì”
“Sei figlio di Peter Gold?”
Robert si sentì morire dentro. Se quell’uomo aveva conti in sospeso con suo padre…
“S-sì”
"Chiaro”
Pagò l’anticipo, e fece per andarsene, quando il signor French parlò.
“La ragazza delle gardenie…”
Robert si bloccò e il cuore smise per un momento di battere. Che avesse compreso…
“Sembra una bella persona. E mi sembra di capire che ne sei più coinvolto. Pensaci bene”
 
 
 
 
 

 
The second I do, I know we're gonna be through. 
I'm not gonna teach him how to dance with you. 
He don't suspect a thing. I wish he'd get a clue. 
I'm not gonna teach him how to dance, dance, dance, dance 
 
 

 
Era la prima volta che Belle French andava ad un Ballo.
Era elettrizzata ed emozionatissima.
Tink sarebbe passata a prenderla, e insieme avrebbero raggiunto la scuola.
Il suo vestito blu, in pizzo e in seta, le piaceva molto.
Era stretto in vita e si allargava verso il fondo, rimanendo leggermente sopra il ginocchio.
Ci aveva speso una fortuna, era vero, ma ne era valsa la pena, anche se per un po’ non avrebbe potuto permettersi nient’altro.
Diede un’ultima sistemata ai boccoli, poi sentì il cellulare squillare.
Tink era arrivata.
Sorrise, salutò velocemente suo papà, afferrò il cappotto, la borsetta e scese.
La biondina la aspettava saltellando sul marciapiede.
Appena la vide emise uno strano suono a metà tra uno squittio e uno strillo.
“OH DIO BELLE, STAI BENISSIMO!”
“Grazie, anche tu!
“Quando Gold ti vedrà…”
“Non parliamo di lui oggi. Godiamoci la serata!”
Tink sorrise radiosa
“Hai ragione” Poi la prese a braccetto e insieme si diressero verso scuola.
 
 
 
 
Per Regina le cose non stavano andando come previsto.
Aveva litigato con sua madre per tutto il giorno, come sempre.
No, litigato non era la parola giusta.
Il pomeriggio era passato tra frecciatine, insinuazioni e frasi buttate a caso qua e là, in modo da farle salire l’ansia riguardo le imminenti elezioni.
Il suo umore era nero, benchè il suo vestito fosse rosso sangue, così come le sue labbra.
Sentì il cellulare squillare.
Robert era arrivato.
Uscì dalla sua camera, e incontrò Cora Mills per le scale. Questa la squadrò, e sorrise in modo tirato.
“Sei stupenda Regina, però trovo che quel vestito sia un po’ volgare”
“E’ solo un po’…lanciato”
“Beh, speriamo che tu riesca a conquistare la corona anche così. Buona fortuna tesoro, ne avrai bisogno”
Scendendo le scale, uscendo di casa e attraversando il sontuoso vialetto di marmo e ciottoli Regina si strinse nel suo cappotto, improvvisamente insicura.
Aveva bisogno di quel titolo, o sua madre l’avrebbe presa in giro a vita.
Robert era appoggiato alla sua macchina, leggeva pensieroso qualcosa sul cellulare.
“Ciao” disse lei avvicinandosi.
“Ciao!” Gold la baciò brevemente a stampo e si prese un momento per osservarla.
“Sei bellissima, il vestito ti sta d’incanto”
Regina sorrise felice. Dopo quell’orribile pomeriggio quelle parole erano state come balsamo sulle ferite.
“Davvero?”
Robert rimase un momento stupito. Non era abituato a vederla così vulnerabile.
“Sì, certo...avevi dubbi?”
“Io...beh..Grazie. Davvero” gli buttò le braccia al collo.
Non era una cosa che faceva spesso, anzi. In genere detestava abbracciarlo, detestava in genere abbracciare chiunque. Ma in quel momento ne aveva davvero bisogno, e Robert era molto carino nel suo smoking, ed era stato gentile. Ed era il suo ragazzo. Suo e di nessun altro, e la sosteneva.
“Andiamo? Non vorrai arrivare in ritardo per la tua premiazione” le sussurrò Gold all’orecchio.
“Andiamo” rispose Regina.
"Ah, questo è per te. Spero...vada bene" le porse il boquet.
Regina lo scartò felice, e se lo appuntò al polso.
"E' meraviglioso"
Robert intanto all'altezza del petto, nella tasca interna della giacca, teneva un'altra scatolina con il boquet di gardenie bianche.

 
 
Killian era già carico. Si era scolato tre bei bicchieroni di birra prima di arrivare a scuola.
Ora era davanti all’ingresso, e osservava con gioia l’edificio che gli si stagliava di fronte.
Prima di entrare bevve un sorso di whiskey dalla sua personale fiaschetta e mandò un sms a Robert:
- Comunicazione di servizio: qualora il punch facesse eccessivamente schifo (e sarà così), alcool a volontà nel bagno del primo piano, dentro il condotto di areazione
- Sembra interessante, farò un salto! ;)
- A dopo stallone
Killian si stiracchiò, si sgranchì le gambe, e si preparò ad entrare.
Sarebbe stata una serata memorabile.
 













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(*) I'm not gonna teach your boyfriend how to dance with you - Black kids
(**) Sì, la fantapolitica esiste, e sì, in America in alcune scuole la insegnano. Non so perchè ma la la cosa mi suscita ilarità.




Ssssalve...!
Ce l'ho fatta ad aggiornare finalmente!
Boh, questo capitolo è un po' così. Non vedo l'ora di scrivere il prossimo, il Ballo sarà decisamente emozionante...succederanno PARECCHIE COSE.
Oh giusto, ho introdotto la SwanQueen.
So che questa coppia è mooolto controversa, ma non posso farci niente, io quelle due insieme le amo, hanno una chimica pazzesca!
Inoltre in questo capitolo ho cercato di dare un pizzico di umanità a Regina, e alla GoldenQueen.
In fondo anche loro due sono umani e hanno dei sentimenti :)
E non so che altro dire, sessantuno recensioni, mi fate emmmòzionàrè.
Purtroppo non ho ancora finito gli esami, perciò sarò ancora latitante ma cercherò di postare presto il capitolo del Ballo perchè mi emoziona un sacco!
Sciaoooobeli, ringrazio tutti, siete davvero tanto gentili e mi motivate tantissimo, non sarei qui ad aggiornare se non fosse per voi (non scherzo) :)
A presto spero!
Staytuned
Seasonsoflove

 

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Capitolo 10
*** Winter Prom ***


Winter Prom




Robert guardava di sottecchi con espressione vagamente malinconica la sua adorata Belle dall'altra parte del salone.
La palestra era stata addobbata in modo impeccabile.
I festoni, le statue di ghiaccio, la luce soffusa e blu, le tende di seta che pendevano leggere, dando una sensazione di fiabesco al tutto.
Regina era poco distante, e chiacchierava animatamente con delle sue compagne cheerleader per accaparrarsi qualche voto dell'ultimo minuto.
Il suo raptus di dolcezza improvvisa era terminato non appena avevano varcato le porte della palestra. Aveva smollato Robert davanti al buffet e si era immediatamente diretta verso le sue amiche, con le quali aveva iniziato a confabulare in modo losco.
Il suo ragazzo sospirò e si appoggiò al muro con un bicchiere di punch (corretto) in mano, distogliendo infastidito lo sguardo da lei e volgendolo nuovamente lontano.
Belle...
Il suo vestito blu.
I suoi occhi blu.
I capelli rossi elegantemente raccolti, la carnagione così chiara, la pelle perfetta e quasi trasparente.
Robert buttò giù il bicchiere tutto d'un fiato.
Si toccò pensieroso il pacchettino quadrato nell'interno della tasca. Per poco Regina non l'aveva scoperto...
In mezzo alla pista Killian si esibiva in quello che evidentemente riteneva un ballo sensuale.
Robert sbuffò, e bevve di nascosto tutto il contenuto della sua fiaschetta.
Dopo poco tempo iniziò a sentire le gambe più pesanti ma la mente decisamente più leggera.
Camminò lentamente verso l'altra parte della sala, seguendo vagamente il ritmo della musica.
 
"I want some red roses, for a blue lady
Mister florist take my order please
We had a silly quarrel the other day
Hope these pretty flowers chase her blues away 
"(1)
 
Belle chiaccherava felice con Tink, anche lei meravigliosa nel suo vestito verde smeraldo.
Si fermò. Era brutto interromperle...?
Sentì la testa girare un pochino e il coraggio crescere esponenzialmente alla quantità di alcool in corpo, e così decise che era tempo di palesarsi.
Tink lo vide arrivare e gli sorrise, sussurrò qualcosa all'amica e si allontanò velocemente.
L'altra si girò e si trovò faccia a faccia con Robert.
"Ciao" le  lui disse sorridendo.
"Ciao..." Belle non alzò lo sguardo.
"Ti stai divertendo?"
"Molto"
"Il tuo accompagnatore dov'è?"
“Non ti riguarda”
Sorrise di sottecchi nel vedere l’espressione del ragazzo.
In fondo poteva anche essere più gentile con lui, quella era una bella serata e non voleva rovinarla a nessuno.
"Sono venuta con Tink. Serata tra ragazze"
"Capisco…"
"Tu invece non dovresti essere con la tua di ragazza? Fra poco eleggeranno la Reginetta d'Inverno, non vorrai perderti la sua premiazione..."
"Volevo stare un po’ con te "
"Oh beh, allora in tal caso..."
Belle gli sorrise, e prese due bicchieri di punch. Gliene porse uno.
"A questa serata?"
"A questa serata!"
I due sorseggiarono il loro bicchiere, guardandosi negli occhi.
"Sei meravigliosa"
"Ti ringrazio. Anche tu stai molto bene!"
"Sul serio...il blu ti sta d'incanto"
"Strano che non mi abbiate ancora rovinato l'abito in effetti..."
"Belle..."
"Gold"
"Ho anche un nome ti ricordo"
"Non prendiamoci tutta questa confidenza, suvvia!" disse ridacchiando.
Finirono di bere il punch, scambiandosi qualche frase di circostanza.
Poi Belle mosse i piedi a disagio e fece per andarsene.
"Se non c'è altro io-"
"Ti ho preso una cosa"
Lei si fermò stupita.
"Ehm..."
"E'...solo un pensiero"
"O-okay"
Robert tirò fuori il pacchettino dalla tasca e glielo porse.
"Lo apro qui? Sei sicuro...?"
"Perchè?"
"Magari non vuoi che gli altri vedano che mi hai fatto un regalo..."
"Smettila. Su dai, aprilo"
Lei gli lanciò un breve sorrisino timido e colpevole,  poi scartò il pacchettino con mani tremanti.
Dentro c'era un bouquet da polso.
Gardenie bianche con un bel nastro celeste.
"Non...non avevi il bouquet. Un vestito non è completo senza il bouquet al polso...e non sapevo che fiore scegliere sai, ma le gardenie significano purezza e nobiltà d’animo…e...beh..."
Belle deglutì e si rigirò il bouquet tra le mani. Non riusciva a dire niente.
Aveva un bouquet. Le aveva regalato un bouquet.
"E'...bellissimo. Grazie." disse con voce rotta
"Io...ecco...l'azzurro era per i tuoi occhi, spero che la lunghezza del nastro va-"
La rossa lo zittì poggiandogli un dito sul labbro, alzandosi sulle punte e baciandolo dolcemente sulla guancia, incurante delle persone intorno a loro, inspirando a fondo il suo profumo di cannella e menta, così particolare...così suo.  
Durò un momento, poi si allontanò e si sorrisero.
"Scusa" mormorò poi lei, rendendosi conto di ciò che aveva appena fatto.
"Di?"
"Siamo in una sala piena di gente, forse non era la mossa più furba da fare..."
"Forse sì, forse no!"
"Non prendermi in giro"
Rimasero un attimo in silenzio ad ascoltare la musica. Gold canticchiò sovrappensiero
 
"I'll hurry back to pick
 your best  white orchid for her wedding gown..."
 
"Conosci questa canzone?"
"Sì"
"Non ti facevo tipo da vecchia musica anni '50..."
"Non mi conosci bene allora"
Riprese a canticchiare.
"Ti va di aiutarmi a sistemare il bouquet?"
"Certo!"
Le legò con dolcezza il nastro, e le sistemò i fiori sopra, soffermandosi apposta con le dita sul polso sottile solo per potersi beare della sensazione di starle così vicino, di poterla toccare.
Le prese la mano.
"Gold..."
"Belle!"
"La tua ragazza è dall'altra parte della sala..." mormorò.
"Vero. Ma tu sei qua"
"Perchè fai così?"
"E' questo magnifico punch che mi da coraggio!"
"Non mi sembra che in genere ti manchi il coraggio"
"Vero anche questo..."
Le si avvicinò guardandola intensamente.
A Belle parve come di vivere in un déjà vu, e rabbrividì.
"Non farlo"
"Perchè?"
"Perchè sei fidanzato, perché non voglio e qui è pieno di persone"
"Allora andiamo di là..."
Belle ritirò la mano dalla sua.
"Gold...vai da Regina"
"Belle..."
"Goditi la serata. E grazie del bouquet. E' veramente stupendo, mi hai resa felice e sei stato davvero dolce"
Gli sorrise tristemente, e con un ultimo bacio sulla guancia si allontanò e sparì tra la folla.
Robert rimase immobile fissando la parete, col suo bicchiere di punch vuoto in mano.
 
 
 
 
“Ciao Tink”
La bionda sobbalzò mentre qualcuno le toccò le spalle dolcemente.
Killian Jones era proprio davanti a lei, con un sorrisetto sornione stampato sul volto, ed un’espressione divertita.
“Ciao Jones” rispose lei cauta.
“Sei uno schianto, fattelo dire”
“Dove hai lasciato la tua giacca e la cravatta?” chiese lei indicando vagamente i vestiti scarmigliati di Killian.
Il ragazzo infatti era piuttosto accaldato, così si era levato quegli “inutili orpelli” (come li chiamava lui) e li aveva abbandonati in un’aula vuota.
“Avevo…caldo” rispose vagamente.
“Strano”
“Senti…mi dispiace per come mi sono comportato. Sai, sono abituato ad essere un po’ sopra le righe. Non accadrà più”
Cercò di sembrare sincero e convincente.
“Dovrei crederti?”
“No. Dovrò conquistarmi la tua fiducia per poterti conoscere, ma per ora…mi piacerebbe almeno avere l’onore di questo brindisi” e teatralmente le pose un bicchiere di punch.
Lei inarcò le sopracciglia.
“Dai…è solo un brindisi. Dopodichè sparirò per il resto della serata”
“Sparirai?”
“Sì milady, se lo desideri”
Finalmente Tink sorrise.
“E brindisi sia”
Gustarono il punch in silenzio.
“Ha un sapore strano”
“Già…fa un po’ schifo. Ma è un classico, il punch del Ballo fa sempre schifo” rispose lui con un’alzata di spalle.
E mentre Tink ridacchiando finiva il suo bicchiere, Killian pensò felice che poco dopo ne avrebbe voluto sicuramente un altro. E dopo un altro ancora.
Aveva corretto il punch con la vodka.
 
 
 
Emma Swan osservava con attenzione gli studenti sorseggiando pensierosa il suo bicchiere di succo ai lamponi.
Le sarebbe piaciuto bere qualcosa di un po’ più forte quella sera, ma doveva dare il buon esempio.
Guardò pensierosa il proprio vestito.
Non era certa che il rosa pallido fosse proprio il suo colore.
Un po’ la sbatteva. La prossima volta avrebbe scelto un vestito rosso, o fucsia, al diavolo sua mamma.
 
 
 
Alle dieci e mezza le candidate al ruolo di reginetta d’Inverno salirono sul palco tra scrosci incredibili di applausi.
Regina camminò lentamente, godendosi la vista sulla folla e pregustandosi l’attesa. Sapeva perfettamente di avere vinto. Le parole di sua madre Cora in quel momento sembravano molto lontane.
Robert la osservò, scosse la testa e vide il pavimento muoversi pericolosamente.
Era la quarta fiaschetta che si scolava.
Killian lo raggiunse, anch’egli decisamente sbronzo.
“Eleggono la reginetta?”
“Sì”
“Pronto per fare la festa a Regina?”
“Passami la tua fiaschetta”
“Vai a riempirti la tua”
“Dai stronzo” cercò di strappargliela di mano ma rischiò di cadere a terra.
Regina con la coda dell’occhio vide la scena, ma ignorò la cosa.
Il preside George Kingsley si avvicinò al microfono, e sorrise brevemente alla folla.
“Carissimi studenti e carissime studentesse della Storybrooke High School. Innanzitutto sono felice di vedere che come ogni anno siamo riusciti ad onorare la tradizione del Ballo d’Inverno. Tante persone si impegnano duramente nella sua realizzazione. Dedicherei loro un caloroso applauso!”
Applauso di circostanza.
Il preside continuò.
“Ed è con sommo onore che sono pronto ad assegnare anche quest’anno, come la tradizione vuole, la corona di Re e Regina d’Inverno. Prima…le signore!”
La busta venne consegnata.
Qualcuno dalla folla urlò “NUDI!”
Robert con la coda dell’occhio vide Belle tra la gente.
Scrutava il palco con espressione rassegnata. Un’altra corona per Regina, altri mesi di maltrattamenti in arrivo.
“E la reginetta d’Inverno di quest’anno è…”
Rullo di tamburi.
“REGINA MILLS!”
La palestra esplose in un caloroso applauso; si udirono fischia, urla, qualcuno lanciò dei festoni sul palco.
Le cheerleader iniziarono a strillare in coro il nome di Regina.
Robert scosse la testa.
Accanto a lui Killian (al quale non importava assolutamente nulla dell’incoronazione, ma ogni motivo era buono per festeggiare) si era lanciato in una danza scatenata. Si era persino slacciato la camicia.
Emma, là vicino applaudiva educatamente.
Regina sorrise calorosamente, ringraziando tutti quanti per i voti, mentre il preside poggiava la coroncina sui suoi capelli neri…
                                                   
 
Primadonna girl
All I ever wanted was the world
I can’t help that I need it all
The primadonna life, the rise and fall (2)
 
Robert sentì due braccia cingergli la vita.
“Sei fiero di me?”
Si girò e si trovò faccia a faccia con la sua ragazza.
“Sì, certo” sorrise forzatamente.
“Anche questa è fatta. Se tu magari pensassi a candidarti Re per il Ballo di fine anno…”
“Ne abbiamo già parlato, non ne ho proprio voglia”
“Saresti carino con la corona”
“La corona ce l’hai già te, io sto bene così”
“Come preferisci”
Lei si appoggiò a lui, e bevve pensierosa un bicchiere di succo.
Aveva vinto. Ancora una volta.
Sarebbe tornata da sua madre, mano nella mano col suo splendido e ricco fidanzato, e con la corona in mano.
Cora Mills avrebbe capito di che stoffa era fatta finalmente. La terza vittoria consecutiva non è una cosa facilmente ignorabile.
Socchiuse gli occhi godendosi l’euforia.
“Pensi che il mio vestito sia troppo volgare?” chiese improvvisamente.
“No, penso che sia molto sexy”
“Dopo che mi avrai accompagnata a casa magari potrai togliermelo”
“Sembra divertente”
You say that I’m kinda difficult
But it’s always someone else’s fault
Got you wrapped around my finger, babe
You can count on me to misbehave

 
Robert aveva una strana voglia di rifugiarsi in bagno e ricaricarsi la fiaschetta.
Tutte quelle false moine gli davano la nausea.
I suoi pensieri vennero interrotti da Belle che in quel momento passò davanti a loro con uno sconosciuto che lui riconobbe come un certo Keith(*) della squadra di baseball.
Qualcosa di molto rabbioso iniziò ad agitarsi nel suo stomaco.
“Quella è la French?” chiese Regina.
Fantastico, ora la situazione era perfetta.
“Immagino di sì”
“Incredibile, ha trovato un accompagnatore”
“Già”
“C’è speranza per chiunque allora” disse con tono irrisorio.
Robert strinse i pugni.
Complice il whiskey che aveva tracannato, complice il vortice di emozioni in cui si trovava…temeva seriamente di non riuscire a trattenersi.
“Carino però il vestito. Ma mi sa che non potrà più permettersi neanche di mangiare per un po’ di tempo, dopo aver comprato una cosa così costosa” e scoppiò in una risata cattiva.
Gold si girò di scatto.
“Non potresti lasciarla stare almeno per questa sera?”
“E perché mai?”
“Perché non è carino quello che fai. Le persone soffrono”
“Questo non è un problema mio”
“Tu però ci rimani male quando tua madre ti dice cattiverie”
“Non c’entra nulla”
“Davvero, lasciala stare”
“Sai, quelle come la French non dovrebbero neanche venirci agli eventi come questo. Sfigurano e basta, e fanno sfigurare tutti noi. La cosa mi da molto fastidio. Avrà anche un bel vestito, ma si vede che ha speso tutti i soldi per quello. Il bouquet fa veramente schifo”
I know I’ve got a big ego
I really don’t know why it’s such a big deal, though
Robert si staccò da lei, con la testa che girava.
“Beh? Ora perché fai quella faccia?”
“Il bouquet non fa schifo” disse lui lentamente.
“Sì invece, sei cieco? Non la vedi la differenza con gli altri? Col mio? Ma poi che razza di fiore è quello?”
“Sono gardenie bianche Regina. Significano purezza d’animo”
Regina lo guardò sospettosa.
“E tu lo sai …perché?”
“Perché gliel’ho regalato io quel bouquet”
La ragazza rimase immobile.
“Come scusa?”
“Hai capito benissimo. Le ho regalato io quel bouquet. E l’ho preso dallo stesso fioraio da cui proviene il tuo. Che tra parentesi, è suo padre”
Regina aprì la bocca incapace di articolare una frase.
Le parve che la corona fosse diventata improvvisamente pesante.
“E perché di grazia le avresti regalato un bouquet?” disse tremante di rabbia.
“Perché non ce l’aveva. E se lo meritava perché lei è una…bella persona. A differenza tua”
“Io spero che tu stia scherzando”
Gold scosse la testa e la guardò inespressivo.
Non provava niente.
Rabbia, disprezzo, tristezza…niente.
“Vai al diavolo Regina”
Le voltò le spalle e se ne andò.
Going up, going down, down, down
Anything for the crown, crown, crown
When you give, I want more, more, more
I wanna be adored
 
 
 
 
“E mio fratello aveva ritagliato un teschio nella carta e l’aveva appoggiato sopra la lampada no? Mio padre l’ha accesa e questo teschio gigantesco è stato proiettato dritto sul muro. Ha iniziato ad urlare e poi si è incazzato moltissimo, l’ha rincorso per tutto il giardino, in mutande…”
Tink scoppiò a ridere fragorosamente, e Killian si unì a lei.
“Tuo fratello è quasi imbecille quanto te”
“Quasi però!”
E ripresero a ridere.
“Senti un po’ Jones”
“Dimmi splendore”
“Smettila di chiamarmi splendore” disse lei minacciosa, ma biascicando leggermente.
“Dimmi Tink”
“Che cavolo ci hai messo qua dentro nel bicchiere? Perché mi gira tutta la testa”
“Assolutamente niente” rispose lui innocente.
“Mpf” grugnì Tink.
Annusò meglio il drink. Come aveva potuto essere così stupida? Ad ogni modo la frittata era fatta.
A dire il vero si sentiva felice ed estremamente leggera, perciò non si alterò e non si dispiacque particolarmente di aver ceduto così facilmente.
Oh that boy's a slag
the best you ever had
Is just a memory and those dreams
Not as daft as they seem
My love whe you dream them up (3)
“Era whiskey o vodka?”
Killian sorrise.
“Vodka. Ma non robaccia. Vodka costosa. Scelgo solo liquori di lusso io, soprattutto se devo offrirli ad una donzella”
“E tu questo lo chiami offrire? Mi hai ingannata”
“Tranquilla! Offre la casa!”
E ripresero a ridere.
“Ne ho ancora se vuoi” disse lui con un ampio sorriso tentatore.
Tink riflettè rapidamente.
Poteva finirla lì, farsi passare quella leggera sbronza e tornare ad essere quella di sempre, finire la serata in tranquillità e tornare a casa presto come una brava ragazza.
Oppure poteva rischiare.
In fondo Killian non le dispiaceva. Non era il suo tipo, ma era molto simpatico ed era piacevole parlare con lui nonostante tutto.
“Cos’hai da offrirmi?”
“Vieni in bagno te lo mostro”
”Idiota”
“Non in quel senso! Sono serio…avvicinati”
Lei avvicinò il viso al suo, e lui sussurrò.
“Ho nascosto le provviste dell’alcool nel condotto dell’areazione”
“Provviste? Quanta roba hai preso?”
“Un po’”
“Ok, vengo con te”
 
 
 
 
Regina era incapace di reagire.
Le sue compagne festeggiavano intorno a lei, e lei subiva passivamente e sorrideva meccanicamente ad ogni complimento.
Robert l’aveva mandata al diavolo.
Non l’aveva lasciata…non poteva essere…
Sarebbe ritornato entro breve.
Ma i minuti passavano, e di lui nessuna traccia.
Aveva bisogno di aria fresca e di sciacquarsi il viso, così si avviò verso il bagno.
Lo trovò curiosamente occupato.
Tink Glocke e Killian Jones erano intenti a bere a turno da una bottiglia di whiskey.
“Guarda! Regina Mills!” Strillò la ragazza bionda.
Killian rise forte.
“La Regina…con la corona!”
“E con le corna!” aggiunse Tink sguaiatamente.
Regina si sentì gelare dentro dall’orrore e dal malessere.
“Che diavolo fate qua, e di cosa diavolo stai parlando Glocke” ringhiò.
Tink non disse nulla e per tutta risposta si alzò, le si avvicinò e le poggiò un dito sulle labbra.
“Ssssh” sussurrò.
Uscì dal bagno leggermente barcollante.
“Jones”
“Carissima”
“Quanto avete bevuto?”
“Un pochino…quel che basta!” indicò con un vago gesto due bottiglie finite e altre due ancora da aprire.
“Il regolamento lo vieta” ghignò lei cattiva “Mi toccherà fare rapporto”
“Beh, preparati a non vedere il tuo principino per un po’ allora”
“Di cosa parli?”
“Il tuo adorato Robert si è fatto fuori da solo mezza bottiglia di Gin! Denuncia anche lui se ne hai il coraggio!”
Regina si sentì male.
Robert aveva bevuto? Era per quello che l’aveva trattata così? E di cosa parlava quell’insolente biondina?
C’erano un sacco di cose che stavano succedendo, e lei non aveva il controllo su nessuna di esse.
“Non denuncerò nessuno”
“Grandiosa” biascicò Killian “Ora però potresti sposarti? Devo inseguire quell’incantevole fanciulla e andare a ballare con lei”
“Non ho finito. Non denuncerò nessuno, ma in cambio…voglio poter usufruire anche io della scorta”
Lui la guardò incredulo. Che le succedeva? Sembrava sfinita, e anche molto triste. In ogni caso non erano affari suoi.
“Ce n’è per tutti. Serviti pure”
Le strizzò l’occhio e se ne andò.
Regina rimase sola.
 
 

 
 Everything's in order in a black hole 
Nothing seems as pretty as the past though 
That Bloody Mary's lacking a Tabasco 
Remember when he used to be a rascal? 
“Reggi qua”
Killian smollò la fiaschetta in mano a Tink, che la tracannò tutta d’un sorso.
Lui sorrise. Chi l’avrebbe mai detto che quella graziosa fatina fosse una tale tigre?
Accertandosi di essere ben nascosto dalla folla si sfilò la bottiglia di vodka che aveva infilato per metà dentro i pantaloni, sotto la giacca (che aveva recuperato poco prima)
Svitò il tappo, e con un movimento rapido svuotò l’intero contenuto della bottiglia nella zuppiera gigante del punch.
“Fatto?” chiese la ragazza impaziente.
“Fatto milady” rispose lui teatralmente. Lasciò la bottiglia nascosta sotto il tavolo, e i due si allontanarono ridacchiando.
Entro poco tempo l’intero corpo studentesco avrebbe fatto scintille.
 
 
 You used to get it in your fishnets 
Now you only get it in your night dress 

Flicking through a little book of sex tips 
Remember when the boys were all electric? 

 
Belle ballava felice con Keith.
Lui era un bel ragazzone alto, con gli occhi azzurri e i capelli castani, giocava a Baseball ed era all’ultimo anno.
Si era avvicinato a lei, e dopo qualche breve convenevole le aveva confessato che era tutta la sera che la osservava.
E così lei si era ritrovata con un inaspettato accompagnatore, e la serata era decollata. Tink era sparita da un bel po’,  e Belle aveva ragione di sospettare che si fosse infrattata da qualche parte con Jones. Anche lui infatti era sparito.
Robert intanto la osservava da lontano.
Ballava con quel tizio, con quello sconosciuto.
E non poteva incolpare nessuno se non sé stesso se in quel momento Belle era abbracciata a qualcuno che non era lui.
Se solo avesse avuto da subito il coraggio di prendere la decisione giusta…
Finì la fiaschetta.
Non era giusto.
Non poteva finire così.
Quel Keith non aveva la minima idea di cosa ci fosse tra loro, ed era giusto che lo sapesse.
Si avvicinò alla coppia che proprio in quel momento aveva smesso di danzare, e si era appoggiata ad un tavolo del buffet lì vicino a chiacchierare.
Lei lo vide e sgranò gli occhi.
“Gold che ci fai qua!?
“Belle, ho bisogno di parlarti”
“Perfavore…no” esclamò decisa.
“Ho…una cosa importante da dirti”
“Non puoi aspettare?”
Keith guardò la scena a bocca aperta.
“Davvero, è urgente”
“Ma voi due siete venuti qua insieme? No…vero?” chiese lui dubbioso.
“No” rispose Belle precipitosamente.
“Sì invece” ribattè Robert.
“No, lui è venuto qui con la sua fidanzata Regina”
Keith sorrise.
“Wow, congratulazioni per le elezioni!”
“Non è la mia fidanzata, ed io e Belle siamo venuti qua insieme”
Keith aprì la bocca incerto.
“Senti perché non vai a farti un giro eh? Io parlo un attimo con Belle e poi magari vi rivedete, magari anche no. Grande partita di baseball l’altra sera, comunque” disse Gold secco.
“Keith rimani qua. Davvero” disse Belle decisa.
“Ma…”
“Io e Belle dobbiamo parlare” ribadì Robert minaccioso.
“Amico non sapevo che voi foste insieme”
“NON SIAMO INSIEME”
“Bene, ora lo sai. Sparisci”
“Io…certo. Non voglio guai…ci…ci sentiamo Belle”
Scosse la testa alquanto turbato se ne andò.
A nulla servì che Belle lo richiamasse più volte.
In fondo nessuno si metteva mai contro Robert Gold.
La ragazza si girò inviperita contro Robert.
“Sei proprio un pezzo di merda” sibilò.
“Belle scusami, ma-“
“Vai a rovinare la serata a qualcun altro”
“Devo parlarti, davvero”
Belle lo guardò inespressiva, e in quel preciso istante Gold comprese appieno cos’avesse provato Regina circa un’oretta prima.
“Vai al diavolo Robert”
Lei si voltò e lasciò la palestra.
 
 
 
 
Regina crollò esausta con la testa appoggiata al lavandino, dopo aver buttato fuori tutto l’alcool che aveva in corpo.
Si tolse la corona e la buttò a terra.
Non aveva più niente.
Aveva perso Robert. Aveva perso tutto. Calde lacrime iniziarono a scorrere sulle sue guance.
Improvvisamente la porta si aprì.
Sulla soglia Emma Swan rimase completamente esterrefatta di fronte al pietoso spettacolo.
“Ma che diamine…”
 “Se ne vada” mormorò la mora.
“Regina…”
“Se ne vada”
“Ma…che cosa…” osservò le bottiglie vuote accanto al corpo della ragazza e capì.
“ESCA DA QUESTO CAZZO DI BAGNO!” Urlò Regina.
“Stai zitta o si accorgeranno tutti che se qua dentro”
“Non mi importa niente”
“Sì che ti importa. Regina, chiunque porti alcool all’int-“
“NON ME NE FREGA UN ACCIDENTI!”
“Smettila di urlare! Se ti trovano in questo stato finisci dritta dal preside”
“Voglio…andarmene” sussurrò l’altra.
“Stai tranquilla un secondo e spiegami cosa succede. Cosa ci fa la tua corona a terra?”
“Non la voglio” biascicò.
Emma si avvicinò, e la raccolse.
“Cosa succede?” ripetè.
“Non sono affari suoi”
“Lo sono, dal momento che sono una professoressa e tu sei ubriaca quando era stato severamente vietato di bere. Rischi grosso per questa storia, sono seria”
“Mi sospenda”
“Non sono qui per quello. Sono qui per aiutarti, ma devi collaborare”
Regina sollevò la testa. Il trucco colato, le lacrime, il viso distrutto.
“Nessuno vuole aiutarmi. Io sono sola”
Emma inclinò la testa.
“Perché dici così?”
“Perché è la verità”
“Hai vinto le elezioni. Hanno votato tutti per te, ti adorano, hai sentito gli applausi!”
“Fanno così solo perché hanno paura, lo dice anche…anche Robert”
“E chi sarebbe?”
“Il mio…ex ragazzo credo”
“Perché credi?”
“Credo…credo mi abbia lasciata”
Senza più riuscire a controllarsi crollò a terra accasciandosi contro il muro, piangendo a dirotto.
Senza dire nulla, Emma si avvicinò, si sedette accanto a lei, le passò un braccio intorno alle spalle e la abbracciò dolcemente.
Regina si lasciò andare, appoggiò la testa sul suo petto e singhiozzò forte.
“Non pos-posso tornare a casa così”
“Sssh…non ci pensare adesso”
“Mia ma-mamma, se le dico che lui mi ha lasciata…”
“Di cosa parli?”
“Mia madre si-si arrabbierà un sacco…”
Regina continuava a biascicare frasi sconnesse, e a piangere, mentre Emma le accarezzava i capelli. Cos’altro poteva fare?
Provava una gran pena per quella ragazza. 
Pochi giorni prima quando l’aveva incontrata in corridoio mai avrebbe potuto immaginare una simile reazione.
Era così sicura, spavalda, determinata…ma non vi era traccia di quella ragazza adesso, c’era solo una spaventata, triste ed insicura ragazzina in lacrime.
“Sai, si dice che anche se hai perduto un grande di amore, di amori è tutta piena la città”(**)
“Non sono…triste per quello”
“E per cosa sei triste?”
“Io…non lo so”
“Sei innamorata, è normale…”
Regina tirò su il viso, e si trovò a pochi centimetri da quello dell’altra.
Guardò quegli occhi turchesi così belli e luminosi, e si sentì al sicuro. Non sapeva cosa fosse quella sensazione. Era ubriaca, assonnata, confusa, triste, la testa pesava e girava, non era neanche sicura dell’identità della persona davanti a lei. Emma…Swan…? Una professoressa? Forse, ma non una sua professoressa.
Emma fissò il viso della giovane di rimando, e il mondo si fermò per un istante.
Poi Regina parlò.
“Non sono innamorata di lui. Non lo sono mai stata…ma…lui mi serviva”
“Come puoi dire che una persona ti serve?”
“Ne avevo bisogno…lo status!” spiegò Regina. Le pareva che fosse importante farglielo capire.
“Tu non hai bisogno di uno status. E hai già la tua corona”
Emma afferrò la corona, e guardando Regina negli occhi gliela poggiò sulla testa.
“Vedi?”
La mora singhiozzò forte e riprese a piangere sulle spalle dell’altra.
“Non valgo niente senza di lui. La gente ci temeva perché…insieme…”
“Smettila con queste scemenze.  Le persone non devono temerti. Devono volerti bene. E tu vali molto di più del tuo status…”
“Se lasciassi andare quello…tutti…si prenderebbero gioco di me”
“Sciocchezze”
“Lui…io penso che mi abbia tradita”
“Come mai lo pensi?”
“Me l’ha…detto una ragazza…bionda…”
“Se l’ha fatto significa che non ti merita”
“Non sono riuscita a tenermi stretto neanche uno straccio di fidanzato…come farò a tenermi strette tutte le altre persone?
E riprese a piangere forte.
Emma stava per replicare quando improvvisamente si udì un frastuono infernale fuori in corridoio.
Emma scattò in piedi, mentre Regina presa da un altro conato di vomito si raggomitolò vicino al water.
“Rimani qui, vado a vedere cosa succede”
Aprì la porta ed uscì in corridoio.
“Hanno spaccato la vetrata!” Sentì qualcuno urlare.
La vetrata vicino all’ingresso infatti giaceva rotta in mille pezzi a terra.
“CHE DIAVOLO SUCCEDE!” Urlò Booth uscendo dalla palestra.
Regina barcollò fuori dal bagno, si aggrappò ad Emma e guardò il corridoio.
“Qualcuno ha corretto il punch, i ragazzi sono impazziti, metà del corpo studentesco è ubriaco!” disse un altro professore sulla soglia della palestra.
Tre uomini indicarono due figure in fondo al corridoio, e si misero a correre verso di loro. I due scapparono.
Il preside Kingsley parlava con la professoressa Blanchard.
“Controllate i ragazzi, perquisiteli. Avevo detto niente alcool, ero stato chiarissimo su questo punto!”
“Preside, hanno visto Jones e la Glocke dell’ultimo anno versare qualcosa dentro il punch…”
“Portateli immediatamente nel mio ufficio”
Emma guardò Regina angosciata.
Se il preside la vedeva in quello stato…
 


 
 
"Ti prego Belle...aspetta"
Lei continuò a camminare spedita per il corridoio, con le guance in fiamme e gli occhi lucidi per la rabbia.
“BELLE TI SUPPLICO! Mi…mi dispiace per come mi sono comportato là dentro”
"Sai dove te lo devi ficcare il tuo dispiacere?"
Belle era esasperata, quella storia la stava sfinendo.
Lui si bloccò e si strofinò le mani sui pantaloni con fare imbarazzato e terrorizzato.
"Tu mi interessi”
“Ne ho avuto una brillante dimostrazione poco fa. Sei stato carino a rovinarmi la serata, davvero gentile e soprattutto di classe”
“Non…non avrei dovuto. Ti supplico, mi dispiace, dopo andiamo a cercare Keith insieme se vuoi, ma io devo parlarti”
“ALLORA PARLA!” Urlò Belle.
Gold respirò a fondo.
“Tu mi piaci”
“Questo me l’hai detto un centinaio di volte”
“Nel senso che…mi piaci davvero. Mi piaci molto, e questa cosa…mi ha un po’ stordito. Non...ho saputo come reagire, non me l'aspettavo e non mi era mai successo prima”
Belle rimase in silenzio e deglutì, cercando di mantenere un poco di autocontrollo.
Non sapeva se scoppiare a piangere, prenderlo a pugni o baciarlo.
"Tu ehm...dovresti dire qualcosa adesso"
"Noi..ne abbiamo già parlato...non ci posso fare niente. Tu sei fidanzato, e sei uno dei ragazzi più popolari della scuola, mentre io sono una sfigata come i tuoi amici sono così gentili da ricordarmi più o meno ogni giorno"
"Non mi interessa quello che dicono loro"
"Sì che ti interessa, sennò le cose sarebbero diverse!"
"Lo saranno! Perfavore...non mi importa di tutte queste stronzate io voglio  avere una...possibilità con te, è l'unica cosa a cui tengo veramente"
"Senti, so bene a cosa andrei in contro dicendoti di sì, ci sono già passata, e non sono interessata a...stare male, e a passare il resto del mio ultimo anno a rimanerci di merda ogni volta che non mi presenti ai tuoi amici perchè ti vergogni di me, o chissà che altro"
"Non lo farei mai"
"Dici così ma sai che non potresti mantenere le tue promesse”
"Non riesco a pensare a nient'altro da quando ci siamo baciati in biblioteca…e in bagno…e…non riesco a pensare a nient’altro e basta"
Belle chiuse gli occhi e respirò profondamente.
"Mi piaci anche tu, lo sai, non ho intenzione di fingere. Ma lasciatelo dire…sei tossico. Come la tua ragazza. Siete due persone tossiche, voi fate del male a voi stessi, e a quelli che vi stanno intorno. Siete fatti per stare insie-"
"NON VOGLIO STARE CON LEI!"
"NON SONO AFFARI MIEI! LASCIALA ALLORA! FAI QUELLO CHE VUOI CON LA TUA VITA, MA LASCIAMI ANDARE AVANTI CON LA MIA!"
"L’ho già lasciata. Poco fa”
Un ragazzo uscì da un’aula là vicino, li guardo in modo interrogativo e chiese:
"Tutto bene? Mi sembrava di aver sentito urlare..."
"Sparisci. Fuori dalle palle. ORA" disse Gold minaccioso con tono che non ammetteva repliche.
Belle sbuffò:
"Era necessario rispondergli così?"
"Ne avevo voglia"
"E ti pare un buon motivo?"
"Abbastanza"
"Uno delle tante ragioni per cui non vorrei mai stare con te"
"Il fatto che risponda male alle persone?"
"Il fatto che tu pensi di poter fare quello che vuoi con chiunque. Delirio di onnipotenza"
"Non è così. Non mi conosci"
In corridoio si sentirono dei passi.
Un gruppetto di ragazzine ubriache uscì da un bagno e si lanciò in una classe.
"Scusa se ti ho urlato contro comunque"
"Ho urlato anche io, perciò siamo pari"
Belle esitò un attimo.
"Hai davvero lasciato Regina?"
Gold rimase zitto.
"Robert...l'hai lasciata?"
"Io…l’ho mandata a quel paese dopo che ha…detto che il tuo bouquet faceva schifo"
Belle rimase immobile.
In lontananza si sentì la musica dalla palestra.
 
I spend my whole life hiding
my heart
away (4)
 
“Belle…”
“No”
“Ho…appena lasciato Regina! Pensaci!”
“Appunto! L’hai appena lasciata e vieni da me e pretendi…non lo so…che cada ai tuoi piedi?”
“NON VOGLIO CHE TU CADA AI MIEI PIEDI! VOGLIO SOLO UNA DANNATA POSSIBILITA’! PERCHE’ NESSUNO CREDE MAI CHE IO POSSA ESSERE UNA PERSONA MIGLIORE?”
In preda alla rabbia prese la sua fiaschetta e senza pensarci la lanciò contro il muro.
Sbagliò completamente mira, e la fiaschetta finì dritta sulla vetrata dell’ingresso.
Accadde l’impensabile.
Il piccolo bolide colpì esattamente il centro della vetrata, che con un frastuono incredibile esplose in mille pezzi.
Belle arretrò spaventata, mentre il vetro crollò inesorabilmente a terra.
Un sonoro silenzio seguì il frastuono.
Un vento gelido entrò e scompigliò i capelli di Robert, che era rimasto immobile e a bocca aperta.
“Porta puttana. Sono morto” disse incredulo.
“Come hai potuto fare una cosa del genere” mormorò Belle.
“Io…ho sbagliato mira…”
“Sei proprio un coglione” disse lei fissando il disastro tra l’incantato e l’orripilato.
“Sì...Regina me lo diceva sempre”
E poi…
Voci nel corridoio. Voci concitate.
Belle e Gold si girarono di scatto, appena in tempo per vedere tre professori uscire dalla palestra e correre contro di loro.
“MERDA” Urlò Robert.
Belle non ci pensò due volte, gli prese la mano ed iniziò a correre.
“Prendete quei due!” sbraitò qualcuno dall’altra parte del corridoio.
“CORRI!” Strillò Belle.
Corsero più veloci del vento, senza pensare a niente, e riuscirono ad uscire dalla porta principale.
Il destino però è davvero crudele a volte e si prende gioco delle persone in modo perfido e subdolo.
Robert, considerevolmente sbronzo, inciampò e rovinò a terra con violenza sui detriti della vetrata.
“PORCA DI QUELLA MISERIA” Ululò.
“Gold!” Belle si chinò vicino a lui, che si teneva il ginocchio con una smorfia di dolore sul viso.
“Gold togli quella mano, fammi vedere”
“Belle vai, se ti beccano finisci nei casini” disse lui digrignando i denti per il male.
“Ci sono già nei casini” disse lei concitatamente  “Fammi vedere quel dannato ginocchio!”
Gli strappò con violenza le mani dalla gamba.
“Cazzo” mormorò.
Il pantalone era lacerato, e svariati pezzi di vetro (uno enorme in particolare) si era infilati appena sopra la rotula.
Sangue rosso vivo scorreva giù per la gamba.
“Non è niente, veramente, guarda è un taglietto”
“Stai zitto, ora ti tolgo quel pezzo di vetro grosso e ce ne andiamo da qui, andiamo in ospedale”
Le voci si facevano vicine.
“Ascoltami, non c’è tempo, vattene, mi prenderò una punizione per quello che ho fatto, non sarà niente di terribile”
Belle si alzò e vide il signor Booth e altri due professori correre loro incontro.
Guardò la strada.
Era buio, forse non l’avevano riconosciuta. Poteva ancora scappare ed evitare la ramanzina, la punizione, la sospensione e chissà quant’altro.
Poi guardò Robert che in quel momento cercava di togliersi il vetro dal ginocchio, con mani tremanti e piene di sangue.
La strada era davvero così vicina…poteva chiamare un taxi…
Gold le biascicò qualcosa che suonava tanto come un “muoviti stupida”.
Sospirando esasperata si inginocchiò vicino a lui e con un gesto deciso iniziò ad aiutarlo.
“Belle…”
“Stai zitto e non farmene pentire…” sussurrò decisa.
“NON MUOVETEVI. COL CAVOLO CHE CI SARA’ UN ALTRO BALLO PER VOI DUE! RAZZA DI PICCOLI DELINQUENTI…!” Urlò Booth.
“Belle, vai, ti supplico…”
Lei gli prese la mano, lo guardò dritto negli occhi con determinazione e disse:
“O insieme, o niente”
 
 
 
 
 
 



 
 
 
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(*) Keith è lo sceriffo di Nottingham. Per chi non se lo ricordasse, è quel mascalzone che si è pappato Lacey nella 2x19.
(**) E' una frase di David Bowie, non mia. Però mi piace molto, è un po' il mio motto!

1) Red roses for a blue lady - Dean Martin
2) Primadonna Girl - Marina and the Diamonds
3) Fluorescent Adolescent - Arctic Monkeys
4) Hiding my heart away - Adele 
 
Dearies, eccomi qua.
Innanzitutto mi scuso se il capitolo è eccessivamente lungo, ero davvero indecisa se tagliarlo in due…ma non avrei saputo come/dove farlo, perciò ho deciso di tenerlo intero.
Poi ve lo dico, è stato un parto.
Non ho idea di come sia venuto, spero semplicemente che vada bene perché era davvero complesso gestire tutte le storyline in un solo capitolo.
Ho rischiato di impazzire, ma alla fine ce l’ho fatta.
Che dire…è un po’ una svolta, e ho lasciato in sospeso diversi cliffhanger…diciamo che qui si conclude la prima parte della mia FF e ne inizia una completamente nuova!
Le canzoni che ho assegnato sono quelle che ho ascoltato (in loop) scrivendo, perciò se avete voglia potete provare a leggere ascoltandole pure voi (leggete tra le righe: SIETE OBBLIGATI A SENTIRLE!), perché secondo me rendono molto (sì, sono una fanatica di questi dettagli pseudo-cinematografici da scena+musica)
E basta.
Spero vi sia piaciuto, ringrazio tutti quanti per recensioni, per aver inserito la storia nelle seguite…insomma, grazie!
Stay tuned
Seasonsoflove

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Capitolo 11
*** After prom ***


After prom!



 

Erano quasi le due di mattina quando Belle si abbandonò sfinita sulla poltroncina della sala d’attesa…e attese.
 
Circa un’ora e mezzo prima
 
“Portateli dal preside”
“Professor Mendell la prego, non può lasciarlo in queste condizioni, guardi la sua gamba”
“Non dirmi cosa devo fare ragazzina, sei già abbastanza nei pasticci!”
“Greg…la signorina French ha ragione, non possiamo lasciarlo in questo stato, la scuola non può prendersi una simile responsabilità” si inserì August Booth.
Robert era aggrappato a Belle nel disperato tentativo di reggersi in piedi. La gamba gli faceva un male terribile e gli mozzava il respiro ora che era in piedi e che i pezzi di vetro si conficcavano nella pelle e nella carne, sempre più in profondità.
“Non possono restare impuniti!” insistette Mendell.
“Non lo saranno. Ma questo ragazzo ha bisogno di essere portato all’ospedale, e subito anche”
“Io…Va bene. Chiamate un’ambulanza”
“Ci vuole un accompagnatore adulto”
“La professoressa Swan?”
In quel momento li raggiunse la professoressa Blanchard.
“La professoressa Swan è nell’ufficio del preside a sbrigare un’altra faccenda. Cos’è successo qui?”
“Questi due delinquenti” disse Mendell, indicando Belle e Robert “Hanno pensato bene di spaccare la vetrata d’ingresso per rallegrare l’atmosfera”
“Non è andata così” biascicò Robert.
“E com’è andata?” lo aggredì il professore.
“Qualcuno da fuori ha lanciato qualcosa addosso al vetro” spiegò Robert. Belle trattenne il respiro. Come faceva a dire una bugia così grande e così poco credibile in un momento del genere?
“E dovrei crederti?”
“Sì. Non ho visto cosa fosse, ma sembrava qualcosa di pesante, tipo di metallo. Ha cozzato contro il vetro ed è passato attraverso, e la vetrata è esplosa…io e Belle siamo corsi fuori per vedere chi fosse stato, ma io sono inciampato”
August Booth si mosse a disagio.
“Ed esattamente, che cosa ci facevate lì, tu e la signorina French? Perché di grazia non eravate in palestra come tutti gli altri?”
“Cercavamo un posto dove appartarci” si inserì Belle inventando spudoratamente “Sa, c’era un sacco di gente lì dentro e avevamo voglia di un po’ di…spazio per noi due da soli, se capisce cosa intendo”
Nessuno aprì bocca a parte Mendell che abbaiò:
“Sperate che vi creda!? Mi avete preso per stupido!?”
“Può crederci o no, ma finchè non trova una prova che dimostri il contrario…beh, mi dispiace ma potrà tenersi le sue idee per sé” Concluse Robert, sforzandosi di non crollare a terra per il dolore.
L’ambulanza arrivò dopo cinque minuti e Gold accompagnato da Belle e dalla professoressa Blanchard salì su di essa, lasciando il professor Greg Mendell in preda all’ira e August Booth in preda ai dubbi.
 
 
 
“Vediamo un po’…”
“AHIA!”
“Ah caspita. Questo è proprio entrato in profondità. Okay, credo che avremo bisogno di un’anestesia e di un antidolorifico. Vado a chiamare l’infermiera, saremo di ritorno tra pochissimo, tu stai qui calmo e tranquillo”
Così dicendo il dottor Whale, medico del Pronto Soccorso di Storybrooke, si alzò e lasciò velocemente la stanza.
Robert era abbandonato sul lettino, in preda alla disperazione più totale. La gamba pulsava, il dolore si era esteso fino al piede, ed ogni minimo movimento era un supplizio. Inoltre non gli era ancora passata la sbronza, perciò la testa gli girava e iniziava a fargli considerevolmente male.
Belle era seduta vicino a lui e si teneva il capo tra le mani.
“Mi dispiace” mormorò Robert.
Belle lo guardò e scosse la testa.
“Non fa niente”
“Ho incasinato tutto”
“Questo è vero”
“Davvero…questa…doveva essere una bella serata. Invece l’ho rovinata a te, a Regina, ad un sacco di gente…”
“L’importante è che ce la siamo cavata”
Lui sorrise.
“Cercavamo un posto dove appartarci eh?”
“Oh beh, era piuttosto plausibile” rispose lei con un’alzata di spalle.
“Posso farti una domanda?”
“Sì, basta che non ti agiti, il dottor Whale ti ha detto di stare tranquillo”
“Lo sono”
“Vai con la domanda”
“Perché sei…rimasta? Avresti potuto scappare comodamente”
 “Non saprei…eroismo? Spirito di sacrificio?”
 “Sono colpito!”
“Mi piacciono i gesti coraggiosi. Mi fanno sentire bene...e mi danno la sensazione di poter decidere il mio destino. E a volte fare scegliere la via più difficile è appagante” spiegò Belle.
Robert la osservò attentamente.
“Sei la persona più forte che io abbia mai incontrato”
“Grazie. Vorrei poter dire lo stesso di te”
Un sorriso amaro si formò sulla bocca del ragazzo.
Lui non era forte.
Lui sarebbe scappato per salvare sé stesso.


Il dottor Whale rientrò seguito da una graziosa infermiera la cui targhetta recitava il nome “Nova”.
Insieme portarono la barella nella corsia verso un’altra stanza dove poter operare.
Poi Gold vide cosa la giovane infermiera teneva in mano: una siringa. Sbiancò.
“Che diavolo è quella” sbraitò agitato indicandola.
“E’…una siringa. Per l’anestesia locale…non sentirai niente, non agitarti” disse tranquillo Whale camminando al suo fianco.
“No, aspettate un momento, non mi avevate detto che mi avreste fatto una puntura”
“E’ una cosa di routine, niente di cui preoccuparsi”
“No, io- lei non capisce. Ho paura degli aghi”
Il gruppetto si fermò di fronte ad una porta.
“Per favore lei non può…trovare un altro modo?”
“Non ci sono altri modi! In mezz’oretta avremo finito, ora entro, preparo quello che ci serve e poi leviamo quei pezzi di vetro”
“No la prego io-“
Il dottor Whale era entrato.
Gold si tirò su e si sedette in preda al panico.
Belle alzò le sopracciglia.
“Qual è il problema?”
“Ho terrore delle siringhe”
“Non succederà niente, hai sentito, non farà male”
“Ho una storia travagliata, un rapporto complicatissimo con gli aghi”
“E’ ora di risolverlo allora!”
“Non posso, non ora, non sono pronto”
“Robert…calmati” esclamò lei esterrefatta.
“No! Non mi calmo! Adesso mi alzo e me ne vado di qua”
“Robert…”
“Niente Robert! Aiutami ad alzarmi, non voglio quell’ago, non si deve avvicinare a me, deve stare lontano dalla mia vita” Blaterava agitatissimo.
Era pallido, coi capelli scompigliati e uno sguardo terrorizzato stampato sul volto.
Non c’era traccia del suo solito atteggiamento strafottente.
“Ok senti, ora calmati va bene? Andrà tutto bene, sarà una cosa velocissima e non sentirai niente! Anche io una volta ho fatto un’anestesia locale, è un dolore leggerissimo e passa subito”
“Belle devi aiutarmi! Devo scappare!”
“Smettila! Adesso vai lì, fai questa stupida estrazione e poi esci e ce ne andiamo tutti a casa a dormire”
“Morirò”
“Rob-“
“Te lo assicuro, morirò sul colpo”
“Andrà tutto bene, ok? Devi fidarti di me. Vedrai che non farà male, non sentirai nulla, ti si addormenterà subito la gamba”
“Sto per avere un infarto, mi fa male il cuore, lo sento, senti anche tu, batte troppo forte, giuro che mi fa male il cuore. Ora me ne vado a casa e mi tolgo queste cose dal ginocchio da solo con le pinze del cucito di mia madre, poi mi sterilizzo la ferita, mi metto su una benda e vedrai che-“
Il suo disperatissimo monologo venne bruscamente interrotto dal viso della ragazza che gli si avvicinò pericolosamente.
In un primo momento rimase totalmente paralizzato, mentre Belle poggiava con decisione le labbra sulle sue impedendogli di parlare, poi come per magia lentamente chiuse gli occhi ricambiando il bacio e l’ansia passò.
Un piacevole calore si diffuse partendo dal cuore e propagandosi per tutto il corpo. Gli parve addirittura che la ferita facesse meno male.
Quando Belle si staccò lentamente, Robert rimase immobile.
“Questo…cos’era?”
“Un incoraggiamento a rimanere in vita” rispose lei sorridendo.
Il dottor Whale uscì dalla stanza.
“Siamo pronti”
Belle si avvicinò e gli scoccò un altro rapido bacio a stampo, prima di allontanarsi e dirigersi verso la sala d’aspetto.
 
 
Suo padre Moe l’aveva raggiunta poco dopo, a metà tra il preoccupato e l’infuriato.
Una volta accertatosi che non era stata lei a farsi male ma un “suo amico” si era però decisamente tranquillizzato.
Si era inquietato nuovamente invece quando aveva visto che il “suo amico” era Robert Gold, e che Belle al polso aveva un certo bouquet di gardenie bianche con un nastro azzurro.
La faccia di Gold quando lo aveva visto però era stata memorabile.
Probabilmente avrebbe preferito sparire per sempre piuttosto che affrontare una situazione simile.
Moe French dentro di sé pensò che forse in qualche modo avrebbe potuto e dovuto aspettarselo.
In fondo quante ragazze rosse, gentili, intelligenti e con gli occhi azzurri c’erano a Storybrooke?
Di sicuro gentili ed intelligenti come la sua Belle… molto poche.
Ad ogni modo se n’erano andati tutti a casa dopo una serie di brevi convenevoli imbarazzati e dopo che il dottor Whale aveva detto ad un rassegnato Gold che molto probabilmente avrebbe zoppicato per un po’.
 
 
 
 
 
Decisamente più dura sarebbe stato affrontare il preside il giorno dopo.
George Kingsley era un uomo rigido e severo, indurito dagli anni e dalla crudeltà della vita che decisamente con lui non era stata gentile.
Quando la mattina dopo Robert, Belle, Regina, Tink e Killian si trovarono al cospetto del preside, la situazione non era delle migliori. Vicino a loro c’era anche Emma Swan, a fare da paciere.
Quattro di loro erano in pieno hangover, con volti segnati, occhiaie ed espressioni tese.
Tink era arrabbiata con Killian per averla fatta ubriacare e con sé stessa per aver ceduto come una cretina.
Regina era depressa e furiosa, ce l’aveva con Robert per averla mollata, con Belle per essere lì (cosa diavolo ci faceva quella stupida sempre attaccata a lui?), con Killian e Tink per averle permesso di bere, con sua madre per l’orribile trattamento che le aveva riservato e…con sé stessa per…qualunque cosa. Ah, anche con Emma Swan per non essere riuscita a farle evitare la punizione.
Gold era vagamente rimbambito dagli antidolorifici e dal dopo-sbronza.
Belle sentiva di non c’entrare niente in tutto quello (essendo l’unica a non aver effettivamente infranto il regolamento) ma le pareva brutto tradire i compagni e lasciarli da soli (per lo meno sentiva questo sentimento nei confronti di Tink e Robert).
Killian era l’unico allegro in tutta quella combriccola. Era un po’ provato fisicamente, certo, ma non poteva dire di non essersi divertito.
Poi a lui le punizioni non facevano certo paura.
“Dunque dunque dunque” iniziò Kingsley.
Regina alzò gli occhi al cielo.
“Dunque” ripeté.
Pareva quasi che godesse nel incutere loro paura.
“Jones e Glocke. Vi è parso divertente quello che avete fatto?”
 
 
“Svuota le tasche!” Urla il preside tenendo stretto Jones per la giacca.
“Nooo! Non mi avrete mai!” sbraita il ragazzo.
“Killian…svuota le tasche!” strilla Tink istericamente.
Sono stati colti in flagrante. Com’è possibile?
Qualcuno deve aver fatto la spia.
Intanto però il punch è finito e i ragazzi sono tutti notevolmente ubriachi.
Kingsley si muove verso l’uscita della palestra ma una ragazzina del secondo anno, completamente sbronza, gli vomita una strana melma rosso-giallognola sulla giacca.
Il preside inizia ad urlare mentre Killian ride incontrollabilmente e anche Tink…
 
 
Killian avrebbe tanto voluto rispondere di sì, ma si morse la lingua.
“Mills…da lei mi aspettavo molto di più. Una reginetta in carica che si ubriaca la sera stessa delle elezioni e dà un simile spettacolo in corridoio!? Ma dove credeva di essere?”
 
 
Luci sfocate. Urla nel corridoio, sensazione di nausea, Emma Swan che la tiene stretta per aiutarla a camminare.
Poi all’improvviso vede di spalle un ragazzo coi capelli lunghi castani.
“ROBERT!” urla.
Gli si butta addosso ed inizia a tempestarlo di schiaffi, mentre il povero innocente (un timido quanto sconosciuto nerd del terzo anno) non reagisce e si rannicchia su sé stesso.
“REGINA, FERMATI!”
“BRUTTO STRONZO DI MERDA!”
“REGINA BASTA! LUI NON E’ ROBERT!” strilla Emma, illuminandosi improvvisamente sull’identità dell’ex fidanzato di Regina. Gold!
Si ricorda anche di aver visto i due litigare in corridoio, durante il suo primo giorno di scuola…le sue riflessioni vengono interrotte. Deve fermare la ragazza prima che sia troppo tardi.
“MILLS!” Urla una voce profonda.
“Dannazione” sussurra Emma. Il preside è appena uscito dalla palestra, tenendo Killian Jones e Tink Glocke per la collottola.
 
 
Regina fissò il pavimento con interesse.
“Gold e French. Con voi la situazione non è ancora molto chiara. Quella vetrata…”
“Non siamo stati noi” disse precipitosamente Belle.
Robert annuì convinto.
“Questo è tutto da vedere” disse Kingsley stringendo gli occhi, poi ripeté “Tutto da vedere. Stiamo svolgendo delle indagini accurate”
Si alzò e prese a camminare in cerchio.
Emma tamburellò le dita nervosamente.
Regina non l’aveva degnata di uno sguardo per tutta la mattina.
 Era come se non fosse successo niente.
“Sarei tentato di sospendervi tutti e cinque per due settimane e finirla qui” riprese il preside.
“Ma…ma. La professoressa Swan ha suggerito una soluzione alternativa, e francamente l’ho trovata più…edificante dal punto di vista educativo”
Belle lanciò uno sguardo a Tink, che la guardò di rimando, spaventata.
“Una bella punizione è quello che ci vuole”
Killian sbuffò.
“Sbuffa Jones? Le sembra divertente? Le sembra che io non sia serio?”
“Nossignore”
“La vostra punizione sarà…esemplare. In modo che nessun altro pensi a replicare una cosa del genere in futuro”
“Può dirci cosa dobbiamo fare senza tante storie così ce ne andiamo da qui e basta?” sbottò Regina.
“Come comanda lei, maestà” scoppiò in una risatina cattiva.
“Siamo un po’ a corto di fondi ultimamente sapete…ho dovuto tagliare alcuni stipendi. Così ci siamo trovati con qualche bidello in meno…ma a quanto pare non tutti i mali vengono per nuocere”
Belle gemette. Se aveva capito bene…
“Pulirete e sistemerete la scuola. A partire da domani, per due settimane, vi occuperete di mantenere la scuola in perfetto ordine. Pulirete quel disgustoso disastro che avete lasciato in palestra, non voglio vedere un solo capello fuori posto. Dopodiché vi occuperete delle faccende quotidiane della scuola. Dev’essere tutto perfetto. Voglio che tutti vedano cosa succede a chi crede di poter infrangere il regolamento scolastico. Sarà una lunga, odiosa e noiosa punizione. La signora Swan si occuperà di farvi da sovrintendente per evitare che facciate ulteriori danni e che troviate un modo per svicolare la punizione” concluse trionfante.
Belle chiuse gli occhi. Aveva capito bene.
Robert alzò la mano titubante.
“Io ho un ginocchio fuori uso”
“Non c’è alcun problema. Signor Gold, lei si occuperà delle faccende meno pesanti dal punto di vista fisico, ma molto più…stimolanti…” e ridacchiò “dal punto di vista mentale. Riordinerà l’archivio. Le assicuro che avrà molto da fare, e il suo ginocchio non ne risentirà affatto”
Robert strinse le labbra e assunse un’espressione contrariata mentre Belle non poté fare a meno di ridacchiare. Regina la fulminò con lo sguardo.
“Se non c’è altro…” Killian fece per alzarsi.
“Vi dividerete in gruppi”
“NO!” Esclamò Tink.
“Oh sì. Due gruppi. Da una parte la nostra coppietta di –ci appartiamo- qui presente, signor Gold e signorina French”
I due si sentirono gelare. Regina si voltò verso Robert che però evitò il suo sguardo con cura.
“Dall’altra voi tre ubriaconi, Glocke, Jones e Mills”
“Preside la prego. Voglio riordinare anche io l’archivio! Non può lasciarmi con loro!” supplicò Tink.
“Perché tesoro? Credevo ci fossimo divertiti ieri sera!” intervenne Killian sornione.
“Io con questi due mi rifiuto di lavorarci”
“Perché non la smettete di brontolare? E’ stato deciso così. Dovreste ringraziarci di non venire sospesi e di evitare che tutto questo finisca nei fascicoli a fine anno” sbottò Emma.
“Precisamente” ribadì Kingsley. Poi si sedette, e indicò la porta ai cinque ragazzi.
“Potete andare”
Si alzarono contemporaneamente e lasciarono l’aula.
 
 
“Okay, perché io devo occuparmi dell’archivio!? Io odio lavorare in archivio! C’è polvere e io soffro di allergia! Tra l’altro non ho fatto niente di male, siete stati voi a correggere il punch e a dare spettacolo!” iniziò subito Gold.
“Tu farai quello che devi fare come tutti noi” sibilò Tink.
“Oh no, lui crede di essere speciale” disse Regina.
“Smettetela tutti!” Emma era uscita anch’ella dalla porta  “Ora andate a casa e godetevi la domenica. Non voglio più sentire storie. Riposatevi, domani sarà una giornata faticosa…iniziamo alle quattro, dopo la fine delle lezioni.”
 
 













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Ce l'ho fatta! Sono riuscita a finire il capitolo! 
Allora prima qualche comunicazione di servizio: innanzitutto mi scuso per il ritardo, ma sono stata letteralmente oberata dallo studio. Maaaa *rullo di tamburi* ho finito gli esami, perciò da ora niente più ritardi. Seconda comunicazione: sono lieta di presentarvi la mia Amica-Beta, dal suggestivo nome di ABCris (forse l'avrete notata nelle recensioni, è quella che in genere lascia qualche frase a caso perchè la obbligo) e niente, la ringrazio molto per sopportarmi e supportarmi e correggere questi deliri e volevo che il mondo sapesse che è anche grazie a lei se la FF continua a navigare (questa ragazza è una fucina di idee).
Fine comunicazioni di servizio. Niente song per questo capitolo, avevano tutti troppo mal di testa a causa del post-sbornia e mi hanno supplicata di non mettere nessuna canzone. 
Ed ora sono tutti in punizione! Cosa accadrà? Ne vedremo delle belle!
Ringrazio come sempre (inizio a diventare ripetitiva) tutti quanti, i commenti che mi lasciate sono sempre splendidi e pieni di incoraggiamento, perciò grazie, grazie e ancora grazie! :)
Stay tuned, a presto
Seasonsoflove

 
 

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Capitolo 12
*** Games without frontiers ***


Jeux sans frontieres (1)
 



Quel lunedì Robert Gold si svegliò stranamente di buon umore.
Era stato un week-end duro, doveva ammetterlo.
La gamba gli faceva spesso male ed era stato costretto ad imbottirsi di aspirine per non sentire il dolore.
Inoltre zoppicava leggermente.
Sua madre si era agitata tantissimo quando le aveva spiegato l’accaduto, e aveva insistito a voler far causa alla scuola. Inutile dire che Robert aveva dovuto sudare sette camicie per evitare il disastro.
Aveva scampato l’accusa per un pelo, e non intendeva riaprire la questione.
Suo padre lo considerava un benemerito imbecille, ma non era una novità.
Ciononostante quella mattina si alzò decisamente carico e pronto ad affrontare la giornata che lo aspettava.
Era la sua prima ufficiale settimana da single.
Si fermò davanti allo specchio e guardò il suo riflesso sorridergli soddisfatto.
Belle l’aveva baciato in ospedale. Poteva evitarlo, ignorarlo e disprezzarlo quanto voleva, ma l’aveva baciato.
Questo significava molto, e quel giorno avrebbe passato un intero pomeriggio con lei. E il giorno dopo uguale.
Così per le successive due settimane.
Forse non avrebbe dovuto essere felice, ma era estremamente soddisfatto di aver ottenuto quella punizione.
Quel Ballo si era rivelato un vero dono dal cielo.
Canticchiando sommessamente si vestì, cambiò le fasciature sul ginocchio e si preparò psicologicamente e fisicamente ad affrontare Regina.
Le avrebbe restituito alcune cose che aveva lasciato a casa sua, e le avrebbe fatto chiaramente capire che la voleva fuori dalla sua vita.
 
 

Regina si alzò col magone.
Erano due giorni che evitava sua madre. Non aveva ancora avuto il coraggio di dirle di Robert.
Le aveva accennato che avevano litigato e che c’erano stati dei problemi al ballo, e già quello l’aveva fatta arrabbiare.
Figuriamoci se le avesse raccontato il resto…
In ogni caso non era detta l’ultima parola.
Avrebbe sistemato le cose.
In qualche modo aveva intuito che la French era parte del motivo per cui Robert l’aveva mollata, e per questo non l’avrebbe passata liscia.
 
 

Belle gemette, fermandosi davanti a scuola.
Sarebbe uscita da quell’edificio solo a sera.
L’aveva detto a suo padre che aveva annuito tristemente.
Poi lui le aveva chiesto se sarebbe stata con Gold, e lei gli aveva risposto di sì.
Moe aveva borbottato qualcosa che somigliava ad un “ricordati che deve trattarti con rispetto” e Belle aveva sorriso.
Due settimane di punizione.
Per non avere fatto niente…
“Ciao” Tink le si affiancò e fissò a sua volta la scuola.
“Ciao!”
“Pronta per oggi?”
“Non me ne parlare”
“Mi devi ancora delle spiegazioni”
“Anche tu!”
“Abbiamo bisogno di aggiornarci. Thè a metà mattina?”
“Decisamente”
Stavano per entrare quando Belle notò Gold e Regina discutere animatamente nel parcheggio. Si immobilizzò e li guardò allarmata.
“Beh?” chiese Tink interrogativa.
“Oh” disse quando capì il motivo della curiosità di Belle.
“L’ennesima lite tra fidanzati…non se la passano bene quei due”
“Non sono più fidanzati” rispose Belle piano.
“COSA?”
“Te l’ho detto, dobbiamo aggiornarci”
Continuò a fissare i due. Robert diede qualcosa a Regina e le poggiò una mano sulla spalla.
“Andiamo?” Tink era impaziente “Ne ho abbastanza di stare a fissare quei due cretini”
Belle lanciò un ultimo sguardo alla coppia e disse:
“Sì andiamo”
 
 

 
“E qui…” il signor Leroy, custode della scuola, indicò lo sgabuzzino delle scope “Ci sono scope, aggeggi vari e i detersivi. Badate a quelli che scegliete. Non voglio macchie o scrostamenti” aggiunse minaccioso.
“Bene, è tutto. Spero di essere stato chiaro. Buon lavoro…penso che ne avrete per un bel po’” e sorrise sarcastico.
Regina lo guardò con odio mentre questo se ne andava.
“Stupido nano!”
“Regina!” disse Emma.
“E’ più basso persino della French, e ce ne vuole” disse la mora a mo’ di scusa.
Belle alzò le sopracciglia. Non aveva tutti i torti.
Killian era appoggiato al muro con fare indifferente. Ogni tanto scoccava un’occhiata di apprezzamento a Tink.
Robert invece era seduto su una vera e propria botte di detersivo.
“Va bene…sentite. So che non sarà piacevole, e sarà noioso, lungo ed estremamente tedioso come lavoro. Ma il preside Kingsley voleva sospendervi. E all’ultimo anno una sospensione può seriamente compromettere i risultati finali, e magari anche l’ammissione al college. So che alcuni di voi mirano a scuole prestigiose…” guardò speranzosa Regina, che però la ignorò totalmente.
“Non è il caso che queste scuole vedano una cosa del genere nel vostro fascicolo. Perciò anche se sarà faticoso…sappiate che è per il vostro bene” concluse Emma cercando di sembrare convinta.
Nessuno rispose.
“Okay ehm…allora…al lavoro. Robert, Belle…” esitò, evitando lo sguardo di Regina. Doveva essere orribile per lei osservare impotente gli altri due e sapere che avrebbero passato ogni pomeriggio insieme.
Ma gli ordini del preside…erano ordini.
“Robert, Belle, vi accompagno in archivio. Sarà piuttosto duro come lavoro, non sottovalutatelo. Il tuo ginocchio però dovrebbe stare al sicuro” disse indicando il ragazzo “Tink, Killian e Regina, come sapete voi pulirete la palestra. Se…se avete bisogno di qualcosa più tardi mi troverete nell’aula insegnanti. Buon…ehm…buon lavoro!”
Dieci minuti dopo i tre si erano cambiati ed avevano indossato le uniformi da bidelli, che consisteva in un’orrida camiciona azzurrina lunga fino alle ginocchia e guanti bianchi.
Regina era sconvolta senza la sua divisa da cheerleader.
 


 
“Ok, allora iniziamo con questo scatolone qua. Ci sono tutti i documenti dal 1950 al 1955. Li ordiniamo e li impiliamo e li inseriamo negli scompartimenti appositi. Tu li riordini e io poi li impilo secondo l’annata. E cerchiamo di essere precisi, hai sentito la Swan…chiaro?”
“Sissignora”
Belle aveva ricominciato ad ignorarlo e a comportarsi come i giorni prima del ballo. Evitava il suo sguardo ed evitava qualsiasi contatto con lui.
Lavorarono in silenzio. Dopo due ore erano in alto mare e nessuno dei due proferiva parola.
Gold aveva cercato di iniziare una conversazione, ma Belle pareva decisa ad ignorarlo.
Quelle su cui lavoravano erano un mucchio di scartoffie inutili, vecchie pagelle e vecchi moduli di iscrizione, tutta robaccia che avrebbe potuto tranquillamente finire nell’inceneritore almeno trent’anni prima…Robert sbuffò.
“Se ti fa schifo stare qua immagina a me che non ho fatto niente di male e sono finita lo stesso in questa situazione di merda” disse Belle con voce incolore, impilando una serie di fogli.
“Nessuno ti ha obbligata a rimanere lì con me. E’ inutile che fai l’eroina e poi ti lamenti, non funziona così” le rispose lui a tono.
Belle alzò gli occhi stupita.
Era la prima volta che le rispondeva male.
“Su di giri Gold?”
“Assolutamente no” ribadì lui.
“Mi sembra di sì”
“Sai” le disse improvvisamente guardandola  negli occhi.
“Sono stanco di essere…trattato così. Sono due ore che cerco di fare conversazione. Come un imbecille mi metto a parlare del tempo o del test di filosofia, che tra parentesi neanche frequento, solo per non starmene in silenzio e poter chiacchierare con te, e neanche ti prendi la briga di rispondere. Non sono…non mi merito di essere trattato così”
Belle strinse gli occhi.
“Finisci di impilare quella roba, io vado a prendere un'altra scatola intanto”
“Col cazzo!” esclamò Robert alzandosi.
“Come scusa?”
“Ho detto col cazzo!”
Belle gli si avvicinò.
“Se hai un problema con me vai a dirlo alla professoressa Swan. Magari ti cambia di gruppo così sei fortunato e finisci con Regina”
“Ma che-“
“Vi ho visti fuori da scuola. Pensi che sia scema? Meno male che l’avevi lasciata, direi che è stata una separazione molto breve”
“Belle non-“
“Ora mi dirai che ti dispiace, fammi indovinare”
“Non mi dispiace di nulla. Non ho fatto niente”
“Cosa ci facevi con lei allora?”
“Le ho ridato delle cose che aveva lasciato da me”
“Come no, tipo?”
“Scusami ma che te ne frega? Tipo il pigiama, bagnoschiuma, quella roba lì! Le ho dato quelle cose e lei mi ha chiesto di parlare, abbiamo parlato. Fine”
Belle si zittì.
Arrossì, improvvisamente conscia dell’immensa figuraccia appena fatta.
Non solo l’aveva accusato senza la minima prova, ma aveva anche recitato la parte della fidanzata gelosa.
“Vado a prendere gli altri scatoloni” borbottò fissando il pavimento.
“Sì è meglio”
Si allontanò evitando il suo sguardo e tornò trascinandosi dietro un enorme plico di pagelle degli ultimi anni ’50.
Il pomeriggio passava lentamente, tra occhiatacce e sguardi lanciati di sottecchi.
Ad un certo punto entrambi sobbalzarono.
Il cellulare di Gold suonò squarciando il totale silenzio dell’archivio.
 
  
It’s a knockout
If looks could kill they probably will
In games without frontiers
War without tears
 
 
“Mamma…sì sono ancora a scuola. Sì…torno per cena. No. No, non mi sono già rotto anche l’altro ginocchio. Ok passo a prendere il pane…va bene. Ciao”
Riattaccò mentre Belle lo guardava interrogativa.
“Era mia madre” disse lui a mo’ di scusa.
“Questo l’avevo intuito, dato che l’hai chiamata mamma”
“Che pignola”
“Ti piacciono i Genesis?”
Gold inarcò le sopracciglia.
“Sì…molto. A te?”
“Sì, anche se preferivo i tempi con Peter Gabriel…non sono mai stata una grande fan di Phil Collins”
“Io neanche”
Sorrisero entrambi e ripresero a lavorare in silenzio.
Dopo qualche minuto Robert si fece coraggio e riprese a parlare.
“Che altri…cantanti ti piacciono?”
“Siamo passati alle domande di conoscenza standard?”
“Tu rispondimi”
“Beh, molti…mi piace molto la musica degli anni ’70 e ‘80, però…ho un debole per le canzoni anni ’50 e per la musica classica”
“Anche a me piace la musica classica”
Belle scoppiò a ridere, mentre Gold la guardava sorridendo interrogativamente.
“Perché ridi?”
“Non ci credo che ti piace la musica classica, non sembri il tipo”
“Mettimi alla prova”
“E come?”
“Fammi una domanda!”
“Cosa compose Tchaikovsky ricordando l’arrivo di Napoleone in Russia e la successiva ritirata francese?”
“L’Overture 1812” (2)
“Da quante parti è composto il Flauto Magico?”
“Due atti e ventuno movimenti”
Belle rimase a bocca aperta.
A quanto pare Gold aveva davvero molti lati nascosti se era un esperto di musica classica.
Si chiese distrattamente quante cose non sapesse di lui, fece un breve calcolo e si rese conto di saperne davvero poche.
Il punto era un altro però: era incuriosita a saperne di più?
“Sorpresa cara?”
“Gradevolmente”
“Ti stupiresti nel sapere quante altre gradevoli sorprese riservo” disse lui impilando un plico di fogli in modo minuzioso.
“Del tipo?”
“Con calma. Ogni cosa ha il suo tempo” rispose in modo criptico.
“Se avrò tempo”
“E se avrai voglia” concluse Gold.
Belle sorrise.
 
 
Dressing up in costumes, playing silly games
Hiding out in tree-tops,
shouting out rude names
Whistling tunes we hide in the dunes by the seaside
 




 
In palestra le cose non andavano molto bene.
Dopo i primi dieci minuti in cui Killian aveva disperatamente tentato di approcciare Tink e parlare dell’accaduto della sera prima, nessuno aveva più fiatato.
Regina era schiumante di rabbia.
Inginocchiata su una chiazza di cibo e succo raffermo, con uno straccio in mano e un orrido camice azzurro da bidella, si sentì una nullità totale.
Pensò che tutta la sua scalata al potere, tutti i suoi forzi fossero finiti inesorabilmente in fumo.
La French e Robert in quel momento erano tre piani più sopra, a chiacchierare candidamente.
Robert l'aveva liquidata in un modo indegno quella mattina.
Le aveva addirittura restituito le cose che lasciava abitualmente da lui.
Buttò lo straccio nel secchio.
Aveva visto lo sguardo di quella bastardella. La French.
Lui aveva ceduto.
Non poteva crederci.
Riprese lo straccio e lo strizzò con forza, poi prese a strofinare il pavimento.
Killian in quel momento stava levando i festoni dalle pareti.
Regina lanciò letteralmente lo straccio contro il secchio e questo si ribaltò rovesciando tutta l’acqua sporca sul parquet della palestra.
“Vaffanculo!” sbraitò.
Tink poco più in là la osservò perplessa, dopodiché si alzò, prese altri due stracci ed iniziò ad asciugare la macchia per evitare danni irreparabili.
“Levati Glocke, so cosa devo fare”
“Ti sto solo dando una mano”
“Non ho bisogno del tuo aiuto, me la so cavare da sola!”
Tink sbuffò e la ignorò.
“Ti ho detto di spostarti” ripeté Regina con voce ferma.

 
It's a knockout
If looks could kill
they probably will

 
La bionda si alzò, puntò le mani ai fianchi e disse:
“Senti un po’ Mills, forse sei abituata a comandare ma qui tu non sei nessuno, ok? Vali quanto me, non sei una mia superiore. Se sei incazzata per gli affari tuoi tieni i tuoi problemi lontano da qui. Voglio finire questo lavoro e al più presto, perciò chiudi quella stupida bocca e lasciami finire. Se non ci muoviamo il parquet si gonfierà tutto”
Regina stava per ribattere a tono quando si avvicinò Killian.
“Signore…io ho finito coi festoni. Cosa devo fare ora?”
“Occupati di pulire il palco” disse Tink sbrigativa, riprendendo a strofinare il pavimento. Il fato volle che in quel momento fosse piegata in una posizione decisamente equivoca, e il ragazzo non perse tempo.
“Mi piaci in quella posizione sai?” disse sornione.
Regina fece un verso sprezzante: non sopportava gli uomini come lui, così espliciti e volgari.
“Sparisci Jones, torna a fare il tuo lavoro”
“Eddai, però l’altra sera eravamo tanto amici”
“L’unico motivo per cui eravamo amici è che io sono stata tanto cretina da lasciarmi andare e bere il drink che mi hai offerto. Rassegnati Jones, perché l’unica cosa che scoperai qui sarà il pavimento della palestra”
Ed incredibilmente a Regina scappò una risatina.
Tink se ne accorse e la guardò stralunata.
“Era una battuta divertente” disse la mora a mo’ di scusa.
L’altra la guardò perplessa, ma poi rispose con un breve sorriso.
Killian pulì grossolanamente il pavimento, infilando molti rifiuti negli angoli più remoti dove nessuno li avrebbe visti e osservando da lontano Tink, chiedendosi come conquistarla.
Se l’aveva fatto una volta, poteva farlo di nuovo.
 
 
Alle sette finì la punizione.
L’orologio di Storybrooke batté l’ora e Tink, Killian e Regina uscirono da scuola stanchi e coi muscoli indolenziti.
“Qualcuna di voi viene a farsi una birretta con me al Rabbit Hole?” propose Jones.
Ricevette in risposta due sguardi disgustati. Alzò le spalle e si strinse nella sua giacca di pelle.
“Ci vediamo domani bellezze”
 
Seguì un imbarazzantissimo momento in cui Tink Glocke e Regina Mills si accorsero di essere rimaste sole.
Regina meditò di andarsene senza salutare ed ignorare totalmente la cosa, ma le sembrò davvero fin troppo orribile anche per lei.
Così silenziosamente si incamminarono.
Arrivate fuori dal cancello Tink pestò i piedi per terra imbarazzata.
“Io vado di là” disse bruscamente indicando la direzione verso la biblioteca.
“Ehm…anche io”
“Ah…okay”
Ripresero a camminare.
La bionda rifletteva febbrilmente. Non sopportava Regina, era forse nella top ten delle persone che più detestava nell’universo, ma lei era una ragazza dinamica e non le piaceva stare in silenzio.
E siccome avevano ancora due settimane davanti da condividere, tanto valeva sforzarsi di fare conversazione.
Se non altro avrebbe avuto qualcosa da raccontare a Belle.
Inoltre Regina aveva riso alla sua battuta prima, magari non era proprio ostile come sembrava…
“Allora ehm…tu dove abiti?”
“Verso la zona residenziale…”
“Ah…anche io…dove?”
“Vuoi spiarmi?”
“Sicuro…”
“Mifflin Street”
“Io in J.M. Barrie Street(3)”
“Capito”
La conversazione iniziava a trascinarsi, ma Tink decise di non demordere, non era nel suo carattere.
“E ehm…vieni spesso a piedi a scuola?”
“No io…vado in macchina generalmente”
“Oh. Io non posso mai usare la macchina dei miei…perciò vengo a piedi”
“Ah”
Camminarono un altro po’ in silenzio, poi passarono davanti al Gretel’s Candy Shop. Esposta in vetrina c’era una moltitudine di tavolette di cioccolato, ciambelle e dolci.
Tink osservò inquieta i dolciumi in esposizione e il suo stomaco brontolò.
“Cosa non darei per una di quelle ciambelle…”
“Compratela…no?”
Tink scosse la testa.
“Sono a dieta”
Regina fece un sorrisetto triste.
“Ti capisco…non sei l’unica”
“Davvero? Tu a dieta? Ma dai, stai benissimo così”
“Io…grazie…ma…anche tu in realtà” la mora arrossì.
“Seriamente, dovremmo proprio prenderci una di quelle ciambelle” disse Tink pensierosa, fissando la vetrina.
Poi senza pensarci due volte entrò.
Regina fissò nervosa la sagoma della ragazza avviarsi alla cassa e parlare con la proprietaria del negozio.
Era una situazione nuova parlare con qualcuno che riteneva inferiore a lei, e soprattutto in termini amichevoli.
Tink tornò poco dopo tenendo una ciambella gigante in mano, dopodiché fece una cosa inaspettata (si stupì persino un po’ da sola). La spezzò in due, tese la mano e diede una metà a Regina che la guardò stralunata.
“Scusa?”
“La dividiamo! Ti piace il cioccolato?”
“Sì…”
“Ottimo, è ripiena di nutella!”
“Beh, se non altro ingrassiamo a metà” tentò la mora abbozzando un sorriso.
Tink ridacchiò con la bocca piena di crema.
Si avviarono verso casa.
“Gli allenamenti delle cheerleader sono molto duri?” chiese Tink.
“Sì. Per questo non mi concedo mai strappi alla regola”
“Tranne questo”
“Faccio un’eccezione solo per il cioccolato”
“Ne vale la pena eh?”
“Decisamente”
Masticarono entrambe golosamente la loro parte di ciambella, poi Regina frugò nella borsa e tirò fuori il portafogli.
“Quanto ti devo?”
“Per cosa?”
“Per la metà ciambella!”
“Sei matta?”
“Perché?”
“Non mi devi niente!”
“Non mi piace essere in debito con le persone”
“Senti, offro io. La prossima volta offrirai tu”
“La prossima volta?”
“Sì!”
Regina dubitava fortemente che ci sarebbe stata una prossima volta in cui avrebbe condiviso una ciambella con Tink Glocke, ma per cortesia evitò di dirlo.
In realtà stava facendo molte cortesie quella sera. Ripose il portafogli nella tracolla e si accorse di aver macchiato la borsa di nutella.
“Cazzo…mia madre mi ammazzerà” mormorò.
“Che succede?”
“Ho sporcato la borsa!”
“Può succedere…non dovrebbe prendersela troppo”
“Non conosci mia madre” disse Regina ridendo amaramente.
“E’ peggio di te?” le chiese Tink.
“Oh sì. Almeno dieci volte…perciò puoi immaginare la situazione”
“Sei nei casini mi sa”
Risero entrambe.
Dopo un attimo di silenzio Tink parlò.
“Sai, non credevo che tu fossi così”
“Di che cosa parli?”
“Così…gentile intendo. Voglio dire, hai la fama di essere davvero una stronza e ti atteggi come se fossi la padrona del mondo ma io vedo una ragazza come le altre…sei meglio quando sei così di...come sei a scuola”
Regina si bloccò.
 
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Non doveva succedere. Stava abbassando le difese.
“Tu sei superiore, gli altri sono pedine dei tuoi scacchi, carte del tuo gioco”
La voce di sua madre le rimbombò nella testa.
Cosa diavolo le era saltato in mente di dare corda a quella bamboccia?
Le si avvicinò e parlò freddamente.
“Senti un po’ Glocke, non pensare che io sia questa che vedi. Solo perché cerco di essere decentemente cordiale e di non indurti al suicidio perché mi servi per altre due settimane non significa che diventeremo amiche. O che condivideremo altre ciambelle. E se dici a qualcuno che sono a dieta la paghi cara”
Il sorriso di Tink si spense di fronte a quel drastico cambiamento.
Fino a pochi secondi prima Regina sembrava una ragazza come lei, con gli stessi problemi suoi, le stesse insicurezze e probabilmente la stessa dieta.
Ora era…Regina Mills. E sembrava almeno dieci anni più vecchia.
“Ho detto qualcosa che non va?”
“Non sono una tua amica. Smettila di trattarmi come tale. E quella che vedi a scuola…sono io. Sono esattamente così, non mi interessano le stronzate che pensi. Ora se permetti me ne andrei. Grazie della ciambella, spero che tu te la sia goduta, sarà l’ultima che prendiamo insieme”
Se ne andò il più rapidamente possibile, attraversò la strada e sparì dietro l’angolo.
Tink rimase in piedi immobile, completamente stupita dall’accaduto.
Una forte rabbia e sensazione di impotenza seguì lo stupore iniziale.
 
 














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(1) Games Without Frontiers – Peter Gabriel
(2) Se non la conoscete FILATE AD ASCOLTARLA SUBITO: http://www.youtube.com/watch?v=VbxgYlcNxE8
(3) J.M. Barrie Street è lo scrittore di Peter Pan, perciò ho pensato di chiamare così la via della nostra Tinkerbell! 

 
 
HELLO DEARIES!
Intanto sono felicissima di vedere che gli ultimi due capitoli abbiano riscontrato così successo, e vi assicuro che mi sto divertendo molto a scrivere…sono in arrivo mooolte cose interessanti.
Questo è il primo giorno di punizioni, poveri ciccini.
La parte Rumbelle è più piccolina per questa volta, ma suvvia, hanno appena iniziato a conoscersi. E’ già un passo avanti, e di sicuro non finisce qui :)
Ho voluto dedicare più spazio alla cosiddetta TinkerQueen, coppiata che AMO nel telefilm, e che ho intenzione assolutamente di riproporre anche qui.  
Spero che Regina e Tink non siano state troppo OCC, perché è stato difficile gestirle in questo capitolo…fatemi sapere!
La canzone che ho assegnato al capitolo mi sembra che sia abbastanza adatta ed ero gasatissima mentre la ascoltavo perciò vi consiglio di non skipparla e ascoltarla e sentirvi gasati come me!
Ringrazio tutti per tutto, ringrazio chi recensisce, chi segue, e i lettori silenziosi che ogni tanto mi fanno felice scrivendomi su twitter o su ask,  soprattutto ringrazio la mia Beta ABCris, senza la quale sarei persa!
E risponderò a tutte le recensioni appena possibile, don’t worry!
A presto, stay tuned
Seasonsoflove

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Capitolo 13
*** Big Parade ***


 
 
Rumbelle Hamburger!Date








Quella sera, dopo la punizione, Robert entrò in casa stranamente di buon umore.
Appoggiò il sacchettino del pane sul tavolo della cucina, e salì in camera, dove vide qualcosa che gli fece completamente passare ogni buon proposito.
La camicetta di Belle giaceva sul suo letto con un biglietto accanto:
 
Mi dispiace, ho provato di tutto ma questa macchia è indelebile! Né io né tua zia(*) siamo riuscite a lavarla via. Scusa!
Torno per le otto e mezzo, se vuoi c’è del riso in frigo.
Ti voglio bene Bobby
 
Era la calligrafia di sua madre. Fissò un momento il biglietto disperato, soffermandosi sul “Bobby”. Quanto odiava quel nomignolo. 
Abbassò lo sguardo sul letto: in mezzo alla camicia troneggiava l’enorme macchia rossa.
Ora era rosa, leggermente più sbiadita, ma era pur sempre lì.
Belle aveva avuto ragione, ancora una volta.
Regina si era assicurata che la granita al lampone fosse indelebile.
Sbuffò arrabbiato e lanciò la camicia sulla scrivania, dopodiché si tuffò nel letto infilando la testa nel cuscino e riflettendo sul pomeriggio appena trascorso.
Non era andata male.
Lui e Belle avevano persino chiacchierato civilmente dopo il disastroso inizio.
Certo, erano frasi di circostanza, le classiche domande che vengono poste quando si inizia a conoscere qualcuno.
“Dolce o salato” “Che tipo di film preferisci guardare” “Qual è il tuo libro preferito”.
Sempre meglio di nulla però.
Sbirciò il cellulare. Magari gli aveva scritto…no.
Non voleva andare da Belle e dirle che non era riuscito a sistemare le cose.
Non voleva vedere quel suo mezzo sorriso rassegnato e spento.
Non voleva vederlo mai più.
Si alzò e iniziò a camminare nervosamente intorno per la stanza.
Riprese in mano la camicia e la guardò.
“Avolnea Boutique” lesse sull’etichetta.
Gli pareva che fosse un negozio in centro, forse vicino alla Biblioteca, abbastanza chic e costoso.
E poi improvvisamente gli venne un’idea.
Chissà se era ancora in tempo…afferrò la giacca ed uscì di corsa, sentendo una leggera fitta al ginocchio.
 
 
 
“Mamma…sono a casa” disse Regina chiudendosi la porta alle spalle.
Non udì risposta; si fermò pensierosa nell’ingresso, e avanzò lentamente.
Lanciò uno sguardo alla macchietta di cioccolato sulla borsa…era quasi invisibile.
Vedendo che sua madre non si palesava col suo solito ghignetto, decise di salire in camera.
Entrò, tirò un sospiro di sollievo e si buttò sul letto.
Chiuse gli occhi, sfinita. Le ginocchia indolenzite per la punizione, il fastidioso odore di candeggina ancora nel naso…
Sentì una fitta di rabbia e dolore ripensando a quella mattina.
 
“Mi dispiace per come mi sono comportato l’altra sera”
“Posso passarci sopra”
 
Regina soffocò un singhiozzo nel cuscino.
 
“Non ha senso continuare”
“Hai bisogno di me”
“No, non è così. Lo pensavo ma non è così”
 
Digrignò i dento e strinse forte i pugni fino a farsi quasi sanguinare i palmi delle mani.
 
“E’ per la French?”
“Cosa diavolo c’entra lei adesso”
“Mi tradisci con lei, vero?”
“Lei è solo un’amica, non c’entra nulla. E’ una decisione che proviene da me”
 
L’aveva persino supplicato.
Regina aveva abbandonato ogni difesa e si era messa a piangere davanti a Robert Gold, dopo che lui le aveva consegnato le sue cose indietro.
 
“Mi dispiace che le cose siano andate così”
 
E le aveva dato una leggera pacca sulle spalle.
L’aveva lasciata.
Per la French, ne era sicura ora.
Regina non poteva neanche spiegare a parole la rabbia che aveva provato nel vederli dirigersi insieme verso l’archivio.
Lui e Belle French.
Dovevano pagargliela cara entrambi.
 
 
 
 
 
 
Era passata una settimana dall’inizio della punizione, e la situazione era rimasta circa invariata.
Regina lavorava di malavoglia con i suoi due compagni, e meditava crudeli vendette mentre raschiava via la sporcizia dagli angoli più remoti della scuola.
Tink passava interi pomeriggi insieme a scopa, detersivi e ai suoi auricolari.
Killian si era dato per malato il secondo giorno e non si era fatto più vedere a scuola: il piano avrebbe anche funzionato se non fosse stato scoperto da August Booth mentre ordinava, al Rabbit Hole, un bicchiere di prestigioso Jack Daniel’s. Alle dieci di mattina.
 
 
 
Tra Belle e Robert invece le cose andavano piuttosto bene, considerati i loro trascorsi.
 
 
La mattina del cinque febbraio Robert Gold si diresse spedito verso l’Avolnea Boutique, prima di andare a scuola. Si strinse la sciarpa intorno al collo.
Faceva decisamente freddo per essere febbraio.
Avrebbe voluto starsene al calduccio a casa sua ancora per una mezz’oretta, ma quella mattina aveva un compito molto importante da svolgere, e neanche il gelido vento di Storybrooke l’avrebbe fermato.
Uscì soddisfatto dal negozio circa dieci minuti dopo, con un morbido pacchettino nella borsa e il portafogli decisamente alleggerito.
 
 
 
“Che faccia Regina” commentò Tink, il pomeriggio di quel cinque febbraio, vedendo la mora entrare a passo spedito nello sgabuzzino, e con un’impressione infernale stampata sul volto.
L’altra non la degnò neanche di uno sguardo, si infilò la sua divisa senza fare troppe storie, afferrò il necessario per pulire e si dileguò.
Tink sbuffò, si armò di scopa e paletta, infilò gli auricolare ed iniziò a spazzare il corridoio.
Killian grazie al cielo era stato relegato al cortile.
Erano circa le quattro e mezza quando la biondina, finito il corridoio, passò davanti ad un’aula vuota, e sentì singhiozzare.
Si fermò bruscamente. Non era educato spiare qualcuno.
Ma il suo curioso animo da giornalista fremeva per saperne di più.
Lentamente, senza fare rumore, infilò la testa dentro l’aula e rimase sconvolta da ciò che vide.
Regina era seduta in fondo alla classe, con la testa appoggiata sul banco, e piangeva piano.
Tink trattenne il respiro.
Non l’aveva mai vista in quello stato.
Aveva un lato umano, certo, ma non immaginava umano fino a quel punto.
Sapeva poche cose su di lei: era a dieta, sua madre era una persona intransigente, le piaceva la cioccolata…e a quanto pare piangeva, come una qualunque adolescente.
Incuriosita si chiese quante cose le persone non sapevano sulla bella cheerleader. E si chiese se qualcuno si fosse mai preso la briga di provare a conoscerla.
Tutto sommato Tink era un animo buono e pieno di speranza nei confronti dell’universo.
Senza pensarci due volte si avviò verso il distributore delle bevande, inserì le monetine, e aspettò pazientemente che la cioccolata calda finisse di scendere nel bicchierino.
Dopodichè lo afferrò e si diresse decisa verso l’aula dove aveva visto Regina.
Bussò leggermente le nocche sulla porta prima di entrare, respirò profondamente e si palesò.
Lo sguardo di Regina incontrò quello della nuova arrivata, che rimase imbarazzata all’ingresso dell’aula dondolandosi da un piede all’altro.
“Ti ho preso una cioccolata calda” esordì bruscamente.
“Vattene” rispose Regina con asprezza, la voce ancora rotta dal pianto.
“Puoi anche fingere che vada tutto bene, ma con me non funziona”
“Non mi interessa nulla, vattene”
Tink appoggiò il bicchierino di cioccolata sulla cattedra, poi girò il volto e fissò Regina intensamente.
“Se vuoi berla è qui. E se hai voglia di parlare, sono nell’area ristoro”
Detto questo lasciò l’aula e Regina in preda alla confusione e alla rabbia.
 
 
 
 
 
 
Lovely girl won’t you stay
Won’t you stay
Stay with me
All my life I was blind
I was blind
Now I see
(1)
 
 
 
 
 
 
 
Mentre Belle camminava davanti a lui, appena finita la loro punizione giornaliera, la sera di quel cinque febbraio, Robert strinse convulsamente le mani intorno alla borsa.
Gli pareva che la camicetta pesasse come piombo.
Uscirono in cortile e si fermarono.
“Allora…ci vediamo domani” disse infine Belle.
“Aspetta, devo darti una cosa”
Aprì la borsa e le consegnò la camicia.
Lei trattenne il fiato, sorpresa, dopodiché la afferrò e la aprì.
“Non ci credo!” Esclamò.
“Credici!”
“E’ pulita! E’ …meravigliosa! E’ come nuova” strillò felice.
Gold sorrise soddisfatto.
Il suo piano aveva funzionato, e niente lo rendeva più contento di vedere Belle esultare.
“Come diavolo hai fatto!”
“Te l’ho detto, mia madre è un asso in queste cose!”
Belle saltellò sul posto, dopodiché buttò con slancio le braccia intorno al collo di Robert e gli scoccò un bacio sulla guancia.
Lui la sollevò leggermente e la fece dondolare sul posto, sentendo il cuore esplodere di una leggerezza e di una felicità indescrivibile.
Non aveva mai potuto farlo con Regina.
Non poteva abbracciare Regina, figuriamoci se avesse provato a sollevarla.
“Grazie” gli sussurrò Belle all’orecchio.
“E di cosa”
Si staccarono e la ragazza si sciolse in un sorrisone enorme.
“Sei stato carinissimo, davvero, grazie!”
“Smettila di ringraziarmi, era il minimo che potessi fare…dopo quello che ti ho fatto passare”
Belle guardò un attimo per terra, poi si avvicinò.
“C’è…qualcosa che posso fare per ricambiare il favore?”
Gold deglutì. La lista delle cose era piuttosto lunga, ma forse era meglio contenersi…
“Vieni a cena con me questa sera” le disse.
“Cosa?”
“E’ tardi, sono le sette…andiamo a mangiare qualcosa insieme, poi ti riaccompagno a casa in macchina”
Belle inclinò la testa e si morse il labbro.
“Non sono vestita da serata elegante” tentò.
“Non ce n’è bisogno, sei bellissima comunque”
“Ruffiano”
“Solo sincero”
“Dove mi porteresti?”
“Dove desideri”
Belle ci pensò su.
“Ho voglia di un hamburger” disse poi.
“E hamburger sia. Andiamo da Granny’s?”
“Perfetto”
“Sia chiaro” precisò lei minacciosa “Non è un appuntamento. Perciò niente mosse strane o impreviste”
“Ricevuto”
Granny’s era una graziosa tavola calda non troppo lontana dalla scuola.
Faceva i migliori hamburger della città, delle vere delizie.
Mentre camminavano vicini, Robert realizzò improvvisamente che era la prima volta che uscivano insieme.
Non era un’uscita ufficiale, non era un appuntamento, ma era la prima volta.
Resistette alla tentazione di prenderle la mano.
O forse poteva…? No, lei aveva specificato che si trattava di un’uscita amichevole. Avrebbe rispettato il suo desiderio, non avrebbe forzato le cose.
Belle rabbrividì e si strinse nel cappotto.
“Fa davvero freddo per essere febbraio”
Robert era sempre stato un tipo piuttosto sicuro di sé ma in quel momento si sentì un ragazzino alle prime armi.
Si armò di tutto il coraggio che aveva e passò dolcemente un braccio intorno alle spalle di Belle, cercando di non essere comunque invadente o inopportuno.
La ragazza si bloccò.
“Credevo non fosse un appuntamento”
“Non lo è”
“Quindi perché…”
“Sentivi freddo, ho solo… pensato di riscaldarti”
Lei ridacchiò e ripresero a camminare.
“Quindi ti piacciono gli hamburger” riprese lui.
“Sì. A volte vorrei che mi piacessero di meno”
“Come mai?”
Belle fece un gesto eloquente con le mani intorno alla pancia e Robert scoppiò a ridere.
“Non se ne parla neanche! Non iniziare anche tu con questa storia!”
“Anche?”
“Sì. Regina mi ha già tediato abbastanza in passato”
“Oh”
“Non farti questi problemi, non ne hai bisogno, sei perfetta così”
Lei sorrise. Era bello stare con Robert, aveva il raro dono di farla sentire sempre a suo agio e…stranamente bella. Sentendo il suo braccio leggermente appoggiato sulla sua spalla realizzò improvvisamente che era felice e serena, per la prima volta dopo molto tempo.
Qualcosa dentro di lei la incitava a girarsi verso di Robert, baciarlo, stringerlo e smetterla con quella farsa e con quel continuo fuggire.
Fuggiva perché aveva paura. E se improvvisamente si fosse ricordato del fatto che lui era popolare e lei era una sfigata? E se fosse tornato da un giorno all’altro con Regina? E se…
C’erano un po’ troppi “se” nel suo ragionamento.
I suoi pensieri vennero interrotti da Robert stesso che si fermò davanti a Granny’s.
“Prima le signore” disse ghignando leggermente e aprendole la porta.
Belle alzò gli occhi al cielo ed entrò nel locale.
Li fecero accomodare ad un tavolo vicino alla vetrata.
Belle si sedette nervosa e si lisciò la gonna. Tamburellò le mani sul tavolo.
“Nervosa?” chiese Robert, consultando pensieroso il menù.
“Un po’” ammise lei.
“Perché? Non è un appuntamento” accennò lui sorridendo.
“Mi innervosisce non essere vestita da sera”
“Neanche io sono vestito da sera”
“Hai una camicia”
“Io ho sempre una camicia”
“Perché indossi solo le camicie?”
“Perché mi piacciono. Sono un tipo classico” borbottò “Cosa prendi comunque?”
“L’hamburger piccolo”
“Patatine?”
“Tu le prendi?”
“Facciamo così: dividiamo una porzione grande di patatine”
Ordinarono.
Belle controllò il cellulare.
“Sei davvero nervosa” commentò Robert.
Belle sospirò.
“Non…sono nervosa. E’ solo strano per me, tutto qua”
“E’ strano uscire con un amico?”
“E’ strano uscire e basta”
“Sai, mi sono sempre chiesto perché tu fossi così…sola. Voglio dire, non c’è un motivo reale”
La ragazza spostò lo sguardò da Robert, al bancone (forse nella speranza di vedere i loro piatti arrivare e dover concludere così il discorso).
Dopo un po’ si decise a rispondere.
“Non è un problema per me stare da sola. Molte persone non mi piacciono, non mi fanno sentire a mio agio… e se una persona non mi piace faccio fatica ad aprirmi. Ma non per superbia”
“Non ho mai pensato fosse superbia”
“Sono felice così, capisci? Ora sto con Tink, e con lei mi trovo bene”
 “E con me?”
Belle sorrise e non rispose.
Finalmente vennero serviti. Per un po’ rimasero in silenzio divorando i rispettivi hamburger.
“Ketchup?” chiese Robert.
“Mh, sì dai”
Belle allungò la mano per prenderlo, e Robert allungò la mano per passarglielo.
Le loro mani si scontrarono brevemente, ed entrambi arrossirono.
“Scusa” si affrettò a dire Belle.
“Colpa mia”
“No, colpa mia. Dovrei farmi servire da un galantuomo come te”
Gold scoppiò a ridere.
Finirono di mangiare.
Dopo un po’ lo sguardo di Belle cadde su un opuscolino pubblicitario a lato del tavolo. Lo afferrò e lo aprì.
“E’ il cinema Odeon. Carino, ma un po’ fuori città” disse Gold.
“E tu lo conosci perché…?”
“Danno qualche buon vecchio film. Ogni tanto ci andavo”
“Con…Regina?” chiese lei esitante.
“Scherzi? Non aveva tempo per queste cose. No, ci andavo da solo”
“Triste come cosa” osservò Belle.
“Non credo”
“I tuoi amici lo sanno che vai al cinema da solo?”
“No”
“Quindi lo consideri triste”
“No, non credo che capirebbero, tutto qui”
“Ecco, questo è il motivo per cui spesso preferisco stare sola”
Gold alzò le spalle con fare rassegnato, e Belle sorrise.
C’era una cosa che la stupiva profondamente, e che aveva scoperto di recente negli ultimi giorni: lei e Robert erano in sintonia.
Non su ogni cosa, avevano anche molti pareri discordi, ma stavano bene insieme.
A Belle piaceva passare del tempo con Gold, al di là di tutto ciò che era accaduto e che sarebbe potuto accadere; le piaceva come persona, come ragazzo e anche come amico.
La affascinava.
In quel momento Robert sfogliava le varie locandine del cinema.
“Danno Full Monty (2) ” disse ad un certo punto.
La ragazza soffocò una risata.
 “L’hai visto?”
“Chi non l’ha visto?”
“Quindi immagino che non ti andrebbe di rivederlo”
Belle giocherellò distrattamente con un tovagliolo. Aveva capito dove voleva andare a parare.
“Dipende” disse a quel punto.
“Da?”
“Dalla compagnia”
“In che senso?”
“Non andrei a rivederlo da sola, come fai tu”
“A me andrebbe di rivederlo da solo. Io potrei andare lì, magari domenica pomeriggio alle cinque. Se vuoi puoi venire anche tu e in caso se ci incontriamo lo possiamo guardare insieme, o da soli però seduti vicini”
In quel momento la cameriera portò il conto.
Robert tirò fuori il portafogli e le consegnò un bigliettone da venti.
“Tenga pure il resto”
“No” disse Belle con voce incolore.
La cameriera la guardò stupita.
“Oh scusi, non dicevo  a lei” si affrettò a chiarire Belle. “Gold, per favore…paga solo per te”
“Non esiste”
La ragazza tirò fuori dal portafogli una banconota da dieci e la diede alla cameriera.
“Questo è per me, paghiamo separato”
“No!” esclamò Robert.
“Gold, non mettermi in imbarazzo, non voglio che paghi!”
“Belle, voglio offrire io”
“Non se ne parla! Non era un appuntamento, quindi non offri tu”
La poveretta che stava di fronte al loro tavolo seguiva la discussione guardando prima uno poi l’altra, come in una partita di tennis.
“Ascolti…M-meghan” Disse Robert leggendo la targhetta sulla camicia della cameriera “Tenga solo la mia banconota, okay?”
“Ehm…” iniziò.
“No!” protestò Belle alzando la voce. Iniziava a scaldarsi.
“Belle, facciamo così, ne parliamo fuori!”
“Ho detto che non devi offrirmi nulla, non mi farai cambiare idea. Ognuno paga per sé”
Smollò con violenza la banconota da dieci alla cameriera, dopodiché afferrò le sue cose e si alzò.
Gold rimase a fissare la scena allibito.
Meghan lo guardò incerta sul da farsi.
“Tenga comunque i venti” disse lui senza pensarci troppo, e seguì Belle fuori dalla tavola calda.
 
La trovò seduta fuori su un muretto, imbronciata, mentre scriveva qualcosa al telefono.
“Belle, si può sapere che diavolo era quello?” iniziò lui.
“No! La domanda te la faccio io!” protestò lei bellicosa.
“Ho solo cercato di fare una cosa carina! Perché devi sempre…rompermi le uova nel paniere?”
“Non si tratta di questo. Avevamo stabilito che era un’uscita amichevole ma tu sapevi che non era così!“
“Solo perché ti volevo offrire la cena!?”
“La offriresti a Jones?”
“Ma che razza di discorso è!?”
Belle respirò a fondo.
“Se cominci ad offrirmi cene, e cose simili…io inizio a sentirmi dipendente. Ma in senso negativo, nel senso che iniziò a sentirmi in colpa e cose simili. Poi magari ho paura di non darti abbastanza in cambio e-“
“Tu sei pazza! Darmi in cambio che cosa esattamente? Se ti offro la cena non pretendo niente in cambio!”
“Ma sono io che mi sento in debito. Per favore, ti chiedo solo di rispettare le mie decisioni”
Rimasero in silenzio per alcuni momenti.
Poi Belle riprese.
“Se l’invito al cinema è ancora valido…verrei volentieri”
Robert si passò una mano nei capelli, nervoso.
“Non vuoi più?”
“Sì io…certo che voglio”
“Cosa c’è adesso?”
“Niente”
“Bugiardo”
“Sono un bravo bugiardo”
“Per niente”
La scrutò torvo.
“Mi destabilizza un po’ questa situazione”
“Destabilizza anche me”
Si guardarono un momento, poi Robert propose di tornare alla macchina.
“Sempre che tu non ti senta in debito con me anche per questo”
Belle sbuffò annoiata.
Camminarono sul marciapiede quasi deserto. Era ora di cena, e gli abitanti di Storybrooke erano chiusi al caldo nelle loro case.
Non c’era anima viva all’aperto.
Gold strisciava i piedi mogio mogio. Aveva sperato di riuscire a passare una bella serata, senza discussioni e senza litigi…ma Belle era testarda. Poteva essere dolce, gentile e adorabile, ma era un muro quando ci si metteva.
Una cosa stupida come offrirle un Hamburger si era trasformato in una questione di stato e aveva rovinato la bella atmosfera.
Rimasero entrambi in silenzio per quasi tutto il viaggio.
“Dove abiti?”
“Via de Beaumont numero dodici” (3)
Giunsero con ma macchina di fronte alla casa di Belle. Robert la adocchiò senza farsi vedere. Era carina, modesta ma graziosa. Sorrise pensando che una di quelle stanze era la camera di Belle.
“Allora ehm…” iniziò lei “Grazie per il passaggio, e per la bella serata”
Gold sorrise amaramente.
“Bella serata”
“Sì, bella serata. A me è piaciuta” ribadì lei.
“Già. Ci vediamo”
“A domani”
La guardò saltellare verso casa con un senso di malinconia che lo pervadeva.
Non riusciva ad entrare nella sua vita.
Nonostante tutti gli sforzi ancora la porta era irrimediabilmente chiusa.
Stava per rimettere in moto il motore quando si accorse che Belle era tornata indietro e in quel momento si accingeva a bussare sul finestrino.
“Ho dimenticato una cosa” mimò con le labbra.
Entrò rapidamente in macchina.
“Hai dimenticato la sci-“
Venne interrotto dalle morbide labbra di Belle che si posarono decise sulle sue.
E proprio come quella notte all’ospedale, rimase stordito ed estasiato da quella sensazione. Sentì la mano di Belle sulla guancia e rabbrividì.
Quando si staccarono Belle sorrise dolcemente contro le sue labbra.
“E’ stata davvero una bella serata” mormorò.
“Wow…mi fa piacere”
Lei gli scoccò un ultimo bacio veloce, prima di uscire dall’auto e correre definitivamente dentro casa.
 
 













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1) Big Parade - Lumineers
2) Ehm Ehm. Full Monty...scusatemi, dovevo farlo. Spero che capirete
3) Jeanne-Marie Leprince de Beaumont, scrittrice de "La Bella e la Bestia" 
(*) La mamma e la zia di Robert sarebbero le due filatrici che l'hanno cresciuto (3x08)


Hello dearies!
Innanzitutto scusatemi: ci ho messo un pochino a pubblicare questo capitolo, ho avuto una vera e propria crisi mistica. Quel tipo di crisi in cui scrivi e ogni cosa che scrivi ti fa venire voglia di impiccarti. Spero sia normale.
Comunque eccoci qua :) Questo capitolo non mi ha entusiasmato particolarmente, ma l'hamburger date è l'hamburger date, come potevo tralasciarlo? Purtroppo però non sono proprio soddisfattissima del risultato ma...in ogni caso eccolo.
Nel prossimo capitolo vedremo cosa sta succedendo a Regina, come reagirà e...Beh, diciamo che una certa Salvatrice tornerà a colpire! 
Fatemi sapere come sta procedendo, i vostri pareri ora contano più che mai!
Quindi ringrazio di cuore tutti coloro che recensiscono (a cui risponderò a brevissimo), quelli che hanno inserito la storia tra le seguite, preferite o da ricordare; ringrazio anche i lettori silenziosi, e spero che il lavoro vi piaccia (ma vi invito ad esprimervi, cosicchè io possa sapere se c'è qualcosa che non quadra)! 

Alla prossima (quindi a presto, mi auguro), e grazie ancora per il sostegno che mi dimostrate!
Seasonsoflove

 

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Capitolo 14
*** Something's coming ***


Something's coming!
Could be! Who knows?








Quando la mattina seguente Belle si accinse ad indossare finalmente la sua camicetta, infilandola si accorse di qualcosa di curioso.
Le maniche le erano leggermente strette e terminavano poco prima del polso.
Si guardò accigliata allo specchio. Era ingrassata? Le si erano allungate le braccia?
Forse più semplicemente la camicia si era ristretta un poco lavandola. Non era un grosso problema in ogni caso.
Fece per infilarsi la giacca quando si accorse che la stoffa le stringeva e le fasciava decisamente troppo la schiena.
Belle inarcò le sopracciglia.
Si tolse velocemente la camicia e la osservò criticamente.
Sembrava essere la stessa di sempre.
Poi le cadde l’occhio sulla taglia.


“Si può sapere cosa ti è saltato in testa!? Come hai potuto farlo!?”
“Buongiorno anche a te Belle”
Erano le dieci di mattina e Robert stava infilando un pacco di libri nel suo armadietto, quando Belle, con espressione furiosa, gli si era letteralmente fiondata addosso. Gli aveva sbattuto la porta dell’armadietto e gli si era piazzata davanti, le mani sui fianchi.
“Non fare lo spiritoso con me, Gold” lo minacciò.
Robert la guardò lentamente. Il dolce ricordo del bacio della sera prima sembrava solo…un dolce ricordo.
“Se ti degni di dirmi quale sia il problema magari posso risolverlo”
“Questo è il problema!”
Gli sbatté sotto il naso la camicetta che il ragazzo le aveva restituito il giorno prima.
“Continuo a non vedere il problema”
“Questa mattina me la sono provata” continuò Belle rabbiosa “e mi sono accorta che mi era stranamente stretta. Così ho pensato che si fosse stiracchiata un po’ in lavatrice”
Robert non disse niente.
Aveva l’impressione che fosse in arrivo una brutta tempesta.
“Poi però mi stringeva, un po’ troppo direi. Così l’ho tolta”
“E’ come hai detto tu. Mi dispiace se si è stretta lavandola, ma almeno è pulita”
“Si è ristretta anche l’etichetta?”
Gliela schiaffò sotto il naso, e Gold si sentì mancare.
Non aveva controllato la taglia, come poteva essere stato così imbecille!? Come diavolo aveva fatto a non ricordarsi di vedere la taglia? 
“Non vedo il punto” disse ostinato. Ma non c’era via di scampo.
“Il punto è che la mia camicetta era una S. Ma questa qui è una XS”
“Si è ristretta in lavatrice…?”
Belle strinse gli occhi.
“Spiegati”
Il ragazzo si guardò disperatamente sia a destra che a sinistra.
“Possiamo parlarne dopo?”
“No, ne parliamo qui e adesso!”
“Ti supplico, non voglio discutere qua. Discutevo sempre con Regina nel corridoio e non voglio che tutti pensino che litigo sempre con le mie ragaz-“
Belle inarcò le sopracciglia e lui arrossì.
“Le tue ragazze?”
“Io non- non volevo dire questo. Cioè non…lo so che non sei la mia- ehm…ragazza anche se lo vorrei e…” 
La voce gli si spense. Stava infilando una figuraccia dietro l’altra.
Eppure a quanto pare frase quella frase fece calare in modo notevole la rabbia di Belle.
“Dimmi solo che cosa è successo” gli disse con voce calma.
“La macchia non andava via” rispose lui mogio. Tanto valeva essere sincero “Ci ho provato, cioè, non io…mia madre. E mia zia. Hanno provato di tutto! E non ha funzionato nulla e io non volevo vederti triste”
“Quindi…”
“Quindi ho…ho comprato una nuova camicia. Ma sono un idiota e ho dimenticato di controllare la taglia e ho rovinato tutto”
Nessuno dei due parlò.
“Mi dispiace, l’ho fatto in buona fede” tentò.
“Non dovevi farlo!”
“Lo so”
“Ora mi sento a disagio”
“Non esserlo”
“E mi sento enormemente in debito”
“Non lo sei”
Belle si guardò un attimo i piedi, poi afferrò la borsa dei libri che aveva lasciato cadere.
“Vado in classe”
“Aspetta, vengo con te, ti porto la borsa”
“Ce la faccio da sola. Ci vediamo dopo per la punizione”



In archivio vigeva il silenzio più totale.
Belle non sembrava arrabbiata, solo un po’ turbata e stanca.
Robert si perse ad osservarla.
“Dovresti smistare le pagelle” disse lei ad un certo punto.
“Io…lo sto facendo”
Riprese ad impilare i documenti, poi dopo un momento di silenzio chiese:
“Sei arrabbiata con me?”
“Non proprio”
“L’invito al cinema è ancora valido”
“Lo so. Ci devo pensare”
“Possiamo anche prendere un caffè insieme se il cinema è troppo…impegnativo per te”
“Tu smista le pagelle” ripetè la ragazza.
“Quando finiremo la punizione non ci vedremo più tutti i giorni” 
“Frequentiamo le stesse lezioni, è inevitabile vedersi, perciò non disperare”
“Sì ma…” Robert si fermò.
Pensò tristemente che avevano ancora solo una settimana di punizione davanti. Ed era davvero poco, mai avrebbe creduto di poter adorare così tanto una punizione tediosa come il lavoro che gli era stato assegnato.
E dopo?
Non aveva pensato al dopo. Non avrebbe più passato ogni pomeriggio al fianco di Belle, non avrebbe più avuto scuse per invitarla a cenare insieme o per offrirle gli Oreo sbriciolati della macchinetta delle merendine, o ancora per sostenerla se si sbilanciava a causa del peso di uno scatolone. 
“Ma?”
“Mi piacerebbe poterti vedere ancora una volta finita questa settimana”
“Beh, potresti trovare molti modi”
“Del tipo?”
“Iscriviti al giornalino ad esempio”
“Mi vuoi solo perché vi servono adepti altrimenti quello stronzo di Kingsley non vi lascia continuare”
“Come lo sai?”
Gold sorrise in modo enigmatico.
“Beh comun-“ La sua frase venne interrotta da delle urla concitate al piano di sopra.
Belle alzò gli occhi dubbiosa.
“Cosa succede?”
“Non saprei. Regina sta uccidendo qualcuno?”
L’aveva detto ironicamente, ma non era molto lontano dalla verità.





“Regina PER L’AMOR DEL CIELO LASCIALA ANDARE!”
“VIENI QUA SE NE HAI IL CORAGGIO”
“TI STRAPPO QUEGLI STUPIDI CAPELLI BIONDI CHE HAI IN TESTA”
“REGINA, BASTA!”
“DIVIDETELE!”
“ASPETTA CHE TI TROVI FUORI DA SCUOLA! TE E QUELLA TROIA DELLA FRENCH, ASPETTA CHE VI TROVI E VEDI COS-“
“TROIA A CHI!?”

 Era l’inferno.
Tink urlava, Regina era stata completamente imprigionata da Emma Swan che, stringendola da dietro con notevole forza, le impediva qualsiasi movimento.
Alcuni studenti erano usciti di corsa dall’aula di informatica per assistere alla rissa.
Killian guardava la scena annoiato, appoggiato ad una vecchia ramazza.
In piedi davanti a tutti loro, a braccia incrociate, c’era la professoressa Tamara,  Coach delle Cheerleader.
Guardava la scena esterrefatta.
“Regina de-vi cal-mar-ti” disse Emma trattenendola a fatica, rossa per lo sforzo. L’altra ringhiò.
“Quella stronza mi ha provocato!”
“Perché è una provocazione dirti la verità adesso?” le ribatté l’altra.
Si scatenò di nuovo un putiferio.
“Coach, mi aiuti!” disse Emma disperata.
Tamara non mosse un piede ma in compenso, con sguardo e tono di voce gelido disse:
“Regina, un mese di sospensione dalle cheerleader”





“Regina”
“Professoressa Swan” ribatté Regina con forza. Non aveva intenzione di chinare la testa di fronte a lei. Non di nuovo
Non dopo quello che era accaduto la sera del Ballo, non dopo la pietosa scena alla quale l’altra aveva assistito.
“Siediti, prego”
Emma le indicò uno dei banchi davanti alla cattedra.
Regina vi si sedette sopra, incrociò le gambe e la guardò con fare indifferente.
“Non puoi continuare a comportarti così” esordì bruscamente Emma.
“Di cosa parla?”
“Mi prendi in giro!? Ti sei appena scagliata contro Tink e ho sentito le cose che hai urlato riferendoti a Belle e-”
“Riguardo la French ho detto solo la verità“
“Il bullismo non è tollerato in questa scuola”
Regina sbuffò.
“Sono seria. Regina, il tuo comportamento è controproducente e alquanto autodistruttivo. Ti stai facendo solo del male in questo modo, devi smetterla”
“Cosa ne sa lei?” ringhiò improvvisamente la mora.
“Più di quanto pensi”
Si alzò, andò alla finestra e guardò fuori.
“Puoi anche fare finta che non sia successo niente ed ignorarmi, ma io ero sobria la sera del Ballo e mi ricordo ogni parola che hai detto”
Sentì gli occhi della studentessa su di lei, e capì di aver catturato finalmente la sua attenzione.
“Che cosa vuole da me” chiese lentamente Regina.
Emma si voltò.
“Non voglio niente! Perché pensi sempre che le persone vogliano qualcosa, o abbiano qualche malefico piano in mente?”
“Perché…” Regina esitò.
“Perché è quello che faresti tu!” completò Emma. Si interruppe, poi riprese “Io non sono tua nemica! Voglio solo che tu…capisca questo. So cosa significa sentirsi deboli o abband-“
“Non sono debole”
“Non ho detto che lo sei. Ho detto che so cosa significa sentirsi deboli, non esserlo”
Regina fissò il banco senza dire nulla.
“Non otterrai nulla in questa maniera”
“Non direi proprio” disse l’altra sprezzante “Ho sempre ottenuto tutto in questo modo!”
“E sei felice?”
Regina non rispose.
Emma le si avvicinò, prese una sedia e la posò davanti alla ragazza. Dopodiché vi si sedette e scrutò la mora con grande attenzione.
“Non accetterò più un comportamento simile da parte tua. Non solo è contro il regolamento scolastico e persino contro la legge, e quindi pertanto punibile, ma ti fa male. Ora faremo una cosa. Io non farò rapporto al preside su quanto accaduto oggi con Tink, e tu in cambio inizierai a seguire il mio corso e i recuperi pomeridiani”
“COSA?” Esclamò Regina furibonda.
“Hai capito perfettamente. E’ strano che tra tutti i corsi non frequenti proprio psicologia, no? Beh, considerati iscritta da oggi. I recuperi sono ogni martedì e ogni giovedì dalle 14 alle 16”
“Non può farlo. Ho allenamento con le cheerleader quei pomeriggi” disse Regina.
“Non hai sentito la Coach Tamara!? Sei fuori dalla squadra! Per un mese!”
“Non può buttarmi fuori, io servo alla squadra” ripeté Regina ostinata. Era l’unica certezza che aveva in quel momento.
“Lo ha appena fatto, in caso non te ne fossi accorta. Sei sospesa, Regina, e le cose non cambieranno”
“SONO IL CAPITANO DELLA SQUADRA, SENZA DI ME LORO NON ESISTONO!” sbraitò la mora sentendosi improvvisamente mancare il terreno sotto i piedi.
“Forse è ora che abbandoni il tuo ruolo da capitano e scendi tra i comuni mortali” commentò Emma aspramente. Poi proseguì  “Se non ti presenterai alle lezioni, ma soprattutto ai recuperi, lo dirò al preside Kingsley, che detto tra noi, non mi sembra esattamente una persona amorevole e ben disposta”
“Ha deciso di rovinarmi la vita? Non basta tutta la merda che mi viene buttata addosso di continuo? Quel posto tra le cheerleader è mio!” urlò Regina disperata.
“Non secondo la coach. Non sta a me decidere”
“Non potete farmi questo!”
Ormai sentiva lacrime di disperazione scorrerle sulle guance. 
Aveva perso Gold, ora perdeva il posto di capitano.
“Se segui i miei corsi probabilmente ti riammetterà in squadra più facilmente” osservò Emma. 
“Perderò il mio potere sulle altre, non mi vorranno più tra di loro”
“Ti rivorranno, sei un ottimo Capitano. Ma adesso hai bisogno di rimanere coi piedi per terra. Fidati di me Regina” 
Dopodiché afferrò il registro ed annotò l’iscrizione di Regina al suo corso e ai recuperi.
La mora la osservò impotente. 
“Perché lo sta facendo”
“Perché…” Emma esitò. “Perché ci tengo a te. Ho avuto anche io delle esperienze simili al liceo, so cosa significa. Ma tu non sei questa, Regina. Tu sei la ragazza che ho visto la sera del Ballo. Io voglio vedere quella ragazza, devi impegnarti, conoscere nuove persone, fare nuove esperienze”
“Quella ragazza è debole”
“No, è umana”
“E se non volessi essere umana?”
Emma finì di scrivere, poi guardò intensamente la giovane. 
Il suo bellissimo viso aveva un che di assolutamente disperato che la fece rabbrividire. Provò lo strano desiderio di abbracciare Regina e consolarla.
Invece si limitò a sorridere e a dire:
“Un mese è più breve di quello che credi”




Quella sera, nelle loro rispettive case, erano tutti immersi nei loro pensieri.
Emma, divorando avidamente un buonissimo arrosto e ascoltando a malapena i discorsi dei genitori, si chiedeva cosa avrebbe fatto Regina Mills l’indomani. L’avrebbe vista a lezione? Non ne era certa. La giovane non sembrava disposta ad arrendersi molto facilmente. 
Regina Mills in persona invece era nel bel mezzo di una discussione con sua madre, mentre suo padre Henry osservava impotente la scena. La mora aveva dichiarato solennemente di volersi prendere una pausa dalle cheerleader (non avrebbe mai detto la verità e avrebbe impedito che questa venisse a galla) per voler seguire un corso in più che le sarebbe valso crediti extra per il college.
Intanto Tink aveva passato una sfiancante serata in palestra, dove aveva sfogato la rabbia accumulata in quel giorno.
Killian invece aveva passato la serata a giocare a Dead Trigger con suo fratello.




Venne l’ultimo giorno di punizione per Robert e Belle.
Alle cinque di pomeriggio infilarono l’ultimo foglio nell’ultima teca, la inserirono al suo posto e contemplarono soddisfatti il loro operato.
“Beh, direi che abbiamo finito” disse Belle.
“In due settimane abbiamo fatto quello che la scuola non ha fatto in trent’anni” asserì Robert orgoglioso.
“Siamo una buona squadra”
“E’ vero”
Belle tirò su il pugno e glielo puntò contro.
“Beh?” gli chiese poi con sguardo pieno di aspettativa.
“Cosa dovrei fare?”
“Batti il pugno, è così che si fa quando si finisce un lavoro”
Il ragazzo si grattò la testa dubbioso, ma fece come gli era stato detto.
Dopodiché, raccolte le loro cose, i due uscirono dall’archivio in silenzio e si fermarono nel corridoio buio.
Le luci della palestra erano accese, ciò significava che Tink, Regina e Killian stavano ancora lavorando. 
Più che altro Tink e Regina stavano lavorando sotto l’attenta supervisione di Emma, mentre Killian probabilmente era riuscito a dileguarsi.
Belle pestò i piedi un po’ titubante.
“E ora?” chiese poi.
“Sono le cinque” iniziò Robert pensieroso.
“Lo so”
Lui esitò. Aveva un’idea ben precisa in mente, ma non voleva imbarazzare la ragazza.
“E’ presto insomma”
Belle lo guardò interrogativamente.
“Mi chiedevo se, ecco…ti andava di venire a casa mia. I miei non ci sono”
Lei aprì la bocca stupita ma non emise alcun suono.
“Non sei obbligata. Era una proposta”
“Io…non saprei”
“Il mio vicino è il dottor Hopper, ha un bel cane, possiamo giocarci”
Belle inarcò le sopracciglia.
“O magari non ti piacciono i cani ma…”
“E’ solo che mi sembra un po’ fuori luogo”
“Giocare col cane?”
“No, venire a casa tua. Adesso intendo, io…non so cosa tu voglia ma-“
“Non voglio niente. Sei mia…amica no?”
“Credo di sì”
“Vieni come amica”
“Come amica?”
“Sì”
Belle strinse gli occhi, poi gli puntò il dito contro.
“Niente strane mosse azzardate”
“Quindi…vieni?”
“Solo perché voglio giocare col cane”
“Grande”




La casa di Robert Gold era una delle ultime ville in fondo al quartiere residenziale di Storybrooke.
Era elegante, con ampie vetrate, alcune di esse colorate e sontuose. L’unica cosa che stonava era il colore dei muri –uno strano rosa salmone-(*) che più volte Killian aveva definito un “colore da checca isterica”. A Robert non importava, tanto quell’intonaco non l’aveva scelto lui. 
Davanti alla proprietà si estendeva un bel giardino curato, con alte siepi che impedivano la vista dell’interno.
“Wow” sussurrò Belle quando si trovò davanti al cancello “E’ gigantesca”
“E’ grande” le concesse Robert.
Aprì il cancello, ed insieme attraversarono il giardino.
“Quando viene la primavera è meglio” disse lui.
“E’ bello anche così”
Giunti davanti alla porta si fermarono, e il ragazzo trafficò velocemente con le chiavi, aprendo la porta.
Fece per entrare, ma vide che Belle si era fermata.
“Vieni?”
Lei guardò il giardino incantata. Era davvero bello anche in inverno.
“Sì, arrivo”














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E finalmente sono riuscita a pubblicare anche questo capitolo. Mi è servito un po' come passaggio, perciò non c'è una vera e propria canzone da ascoltare, e non c'è un punto focale.
Il prossimo capitolo invece sarà interamente Rumbelle (oh cielo!) e sarà anche mooolto fluff. Perciò siete avvisati.
E ci aspettano anche massicce dosi di SwanQueen! Cosa farà ora la nostra Regina senza divisa e senza fidanzato!? 
Non so che altro dire se non che sono felicissima di vedere che la FF ha sempre così successo (nonostante io aggiorni un po' meno spesso, ma prometto che mi impegnerò ad essere più veloce) e che vi ringrazio di cuore per le recensioni, i commenti, per averla inserita tra seguite e preferite.
A presto (questa volta davvero, il fluff Rumbelle è impaziente!)
Seasonsoflove!


(*) La casa di Gold e' effettivamente rosa anche nel telefilm. Non chiedetemi perché.

PS: Prestissimo anche gli aggiornamenti dell'altra long e della raccolta Rumbelle :)

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Capitolo 15
*** Love, love, love ***


And these fingertips
will never run through your skin
those bright blue eyes

'Cause you love, love, love
The way you held me so tight

'Cause you love, love, love







La casa di Robert era ancora più magnifica all’interno.
Belle rimase letteralmente a bocca aperta. I soffitti erano abbastanza alti e le ampie vetrate colorate. Sui lussuosi mobili d’antiquariato troneggiavano svariati oggetti costosi di tutti i tipi.
Il divano del soggiorno era grande ed interamente in pelle nera. Nell’angolo troneggiava una gigantesca libreria ben fornita. Alla vista di tutti quei libri Belle si mosse inquieta. In realtà era piuttosto intimidita da tutto. Nella sua mente si era formato un unico pensiero: "se mai Gold dovesse venire a casa mia morirò di vergogna".
“Hai una casa stupenda”
Lui sorrise e si tolse il cappotto, poi aiutò Belle a levarsi il suo e li appoggiò sugli attaccapanni nell’ingresso.
“Ti offro qualcosa? O preferisci dare un’occhiata in giro prima?”
“Io…” Belle esitò e guardò la libreria con desiderio.
Robert rise.
“Sei incredibile”
“Subisco il fascino della cultura”
“Facciamo una cosa: io ti preparo un thè e la merenda e tu intanto dai un’occhiata alla libreria”
“Mi sento in colpa a farti sbrigare tutto il lavoro”
“Ti senti sempre in colpa per qualcosa”
“Solo con te”
“Ci sono delle enciclopedie considerevolmente vecchie ed interessanti in quella libreria, che aspettano solo di essere sfogliate…”
Belle saltellò sul posto, poi si diresse spedita verso i suoi amati libri.
Robert la osservò per un momento sorridendo, mentre la ragazza inforcava gli occhiali per vederci meglio, dopodichè sparì in cucina.
 
Tornò dieci minuti dopo con tutto il necessario per la merenda, due tazze di thè fumante e i biscotti. Trovò Belle totalmente immersa in un libro di fiabe.
“Anche prima di Natale stavi leggendo un libro di favole, come mai?” chiese Gold.
“Ne subisco il fascino” rispose lei finendo velocemente di leggere un paragrafo.
“E perché?”
“Perché mi piace sperare in un lieto fine, e penso che sia una cosa estremamente importante” rispose lei pensierosa, riponendo il libro.
Si tolse gli occhiali e sorrise.
“Thè alla cannella!” esclamò poi felice “E’ il mio preferito!”
“Lo so”
“Non te l’ho mai detto”
“Non ce n’è bisogno”
La ragazza strinse gli occhi sospettosa.
“E’ solo che…ti osservo più di quanto sembri” rispose semplicemente Robert.
Bevettero il loro thè in silenzio.
“I tuoi che lavoro fanno?” chiese infine Belle. Aveva sentito qualche voce riguardo a Peter Gold, il padre di Robert.
Moe French a volte ne parlava a casa. Diceva che era un uomo potente, ricco e senza scrupoli, apparentemente amichevole ma profondamente egoista e cattivo.
“Mia madre è sarta, mio padre invece fa l’avvocato” rispose lui.
“E perché lo dici con quel tono?”
“Perché nel suo mondo avvocato spesso corrisponde a strozzino”
Belle inarcò le sopracciglia.
“Possiede alcune proprietà qui a Storybrooke” spiegò Robert “Fa cose tipo…riscattare l’affitto, alzarlo ogni mese con una scusa…” fece un vago gesto con la mano.
“Oh. Capisco. Non sembri molto…Non lo ammiri molto”
Lui sorrise amaramente.
“Dovrei?”
“E’ così terribile?”
“Sì”
Lasciarono cadere la conversazione.
Belle continuava a sbirciare intorno: quella casa la affascinava.
Non molto lontana da loro, all’inizio di un corridoio, c’era una porta chiusa.
“Cosa c’è là dietro?” chiese indicandola.
“Il deposito”
“Per cosa lo usate?”
“Mio padre ci tiene gli animali che ammazza e che poi scuoia”
Belle sgranò gli occhi e la tazza del thè le cadde dalle mani.
“Stavo scherzando” disse Robert ghignando.
Ma il danno era fatto.
La tazzina era caduta a terra.
Belle si chinò precipitosamente a raccoglierla.
“Cavolo” mormorò.
Sentì il mondo crollarle addosso. Non poteva essere stata così idiota. Ma lui era stato così credibile, era sembrato così serio mentre parlava e lei come una stupida si era spaventata e aveva fatto cadere la tazza…
“Beh?”
“E’…è sbeccata ma…s-si vede a malapena” balbettò imbarazzata.
Avrebbe voluto sprofondare.
Robert la fissò con uno sguardo indecifrabile.
“E’ solo una tazza” disse semplicemente, mentre gli angoli della bocca si piegavano in un impercettibile sorriso.
“Mi dispiace tantissimo, sono una scema io-“
“E’ colpa mia, ti ho spaventata”
“No è che sembravi così serio e-“
“Te l’ho detto che sono un bravo bugiardo” affermò lui sorridendo e appoggiandosi serenamente allo schienale del divano.
Belle sprofondò a sua volta nel divano, tutta rossa in viso.
“Mi dispiace” ripeté pigolando.
Robert si alzò e si strofinò le mani.
“Ora la lavo e la rimetto al suo posto. Nessuno si accorgerà di nulla, come dici tu si vede a malapena”
“Senti, se potessi ripag-“
“Vieni con me in cucina, dai” la interruppe Robert.
Le pose la mano per aiutarla a rialzarsi dalla posizione in cui si era raggomitolata, lei la afferrò e ancora mugolando scuse continue lo seguì in cucina. Per tutto il tragitto si tennero per mano.
 
 
 
 
 
Dopo l’incidente della tazza Belle si era fatta piuttosto taciturna, così Robert aveva deciso di portarla a fare un giro in giardino.
Con un po’ di fortuna avrebbero incontrato il dottor Hopper con il suo dalmata Pongo; magari Belle si sarebbe distratta giocando con il cane.
Fecero un giretto per il giardino, poi Gold si decise a suonare alla porta del suo vicino di casa.
“Perché vuoi suonare al tuo vicino di casa?”
“Così possiamo vedere il suo cane!”
“Allora eri serio prima”
“Certo, dovresti fidarti di me. Tranne quando parlo degli animali scuoiati di mio padre però”
Il dottor Archie Hopper era lo psicologo di Storybrooke, ed essendo l’unico in tutta la città, guadagnava piuttosto bene. Viveva quindi in una villa accanto alla loro.
Era un uomo sulla quarantina, leggermente stempiato, con capelli rossi e ricci e occhiali spessi. Era noto per il suo carattere gentile e comprensivo, ed era estremamente amato.
“Robert” esclamò quando aprì la porta “Che bella sorpresa! Come stai?”
“Tutto bene dottor Hopper, lei?”
“Anche grazie. Come mai sei qui?”
“Volevo salutarla e vedere come sta Pongo”
“E…” si fermò e lanciò uno sguardo a Belle “Chi è questa signorina?”
“Belle French” rispose lei sorridendo; si strinsero la mano.
“Tuo padre è il fioraio, giusto? Ha un bellissimo negozio, fagli i complimenti da parte mia” rispose lui calorosamente.
“Grazie mille, riferirò” disse Belle felice.
“Quindi volevate vedere Pongo?”
“Pensavo che magari potevamo portarlo a fare una passeggiata”
“Sai cosa ti dico” rispose pensieroso Archie “Dovevo giusto portarlo fuori io, ma se siete così gentili…”
E così cinque minuti dopo Belle e Robert camminavano saltellando e tenendo Pongo al guinzaglio. Era un bel dalmata, snello e con un temperamento amichevole.
“Dove lo portiamo?”
“Non lontano, c’è un parco subito qui dietro”
 
 
 
“QUI!” Strillò Belle agitando un bastoncino.
Lo lanciò e Pongo si lanciò all’inseguimento; poco dopo fu di ritorno, diligentemente, col bastone in bocca.
“Ci sai fare coi cani”
“Sono meglio degli esseri umani a volte” rispose lei scherzando.
Lanciò una pallina e lasciò che Pongo ci giocasse liberamente, scorrazzando per il parco.
Robert si dondolava pensieroso su un’altalena.
“I miei non tornano per cena”
“Quindi?”
“Quindi se hai voglia puoi fermarti”
“Ho promesso a mio padre che avrei cucinato io questa sera…facciamo una sera  a turno”
“Ho capito”
Belle si arrampicò sulle scalette dello scivolo e si sedette con le gambe a penzoloni, mentre Robert continuava a dondolarsi pensieroso.
“Smettila di dondolarti, mi fai venire il mal di mare!”
“Dondolarmi mi aiuta a dimenticare” disse lui con tono fintamente melodrammatico.
“A dimenticare cosa?”
“A quanto pare ha funzionato” rispose ironicamente.
Belle sorrise.
Pongo abbaiò forte.
“Forse è ora di tornare a casa” disse Robert, alzandosi dall’altalena.
“Arrivo”
La ragazza si diede una spinta per scendere, ma si sbilanciò e cadde di lato.
Se non ci fosse stato Gold sotto di lei le cose sarebbero potute finire molto male.
Invece, ignorando la fitta al ginocchio, la afferrò al volo.
Belle aveva chiuso gli occhi nella caduta, pronta ad affrontare l’urto col terreno e il conseguente dolore che ne sarebbe derivato.
Invece quando li riaprì si ritrovò curiosamente vicina al viso di Gold.
“Immagino che oggi non riuscirò a combinarne una di giusta vero?” disse imbarazzata.
“Immagino di no” rispose lui.
Si guardarono in silenzio. Erano così vicini, Robert sentì uno strano formicolio e avvicinò la sua bocca a quella di Belle.
“Grazie comunque” disse lei infine, staccandosi.
Robert rimase un attimo di stucco, poi la lasciò andare.
“Figurati!” disse minimizzando la cosa.
Sulla via del ritorno però Belle, si avvicinò a lui e poggiò la mano sulla sua.
Gold sorrise tra sé e sè, stringendo la mano della ragazza, e tenendo il guinzaglio nell’altra.
 
 
 
 
 
“Ti va di…vuoi vedere la mia camera?”
“Solo se c’è una libreria grande come quella del soggiorno”
Salirono le scale, mentre Belle guardava con tanto d’occhi tutte le sontuose decorazioni della casa. Giunsero in un ampio corridoio, con diverse porte chiuse.
“Sembra una scena di Shining” commentò Belle.
“Non è incoraggiante”
“Sto scherzando. Scommetto che camera tua è un tripudio di allegria”
“Stai scherzando anche ora?”
“Forse”
Sbuffò e si avviò verso la prima porta a destra.
 
La camera di Robert Gold era perfettamente in tinta con il resto della casa. Il legno era scuro, le tende pesanti e rosse, la scrivania e la libreria in mogano.
Il letto era grande e sontuoso.
“Proprio un tripudio di allegria!” disse ridendo Belle.
“Cos’ha che non va?” rispose lui offeso.
“Non sembra la camera di un…ragazzo. Potrebbe viverci mio nonno qui dentro”
“Già…ma non li ho scelti io i mobili”
“E chi?”
“Mio padre. Ha una specie di gusto e di fissa per tutto ciò che è lussuoso e costoso”
“Non ti piacciono eh?”
“Per niente”
Senza pensarci due volte, Gold si lanciò di peso sul letto.
Era una cosa che era abituato a fare.
Belle scosse la testa divertita e, sì, si diresse verso la libreria.
“Non è possibile!”
“Lasciami solo dare un’occhiata!”
“Hai già visto quella di sotto”
“Due minuti”
Dieci minuti dopo teneva in mano un volume con tutte le opere di Dickens.
Robert alzò gli occhi al cielo.
“Ancora un minuto” supplicò Belle.
“Te lo presto se vuoi”
“DAVVERO?”
“Sì certo, io l’ho già letto”
Belle sorrise radiosamente e ripose il libro sul comodino. Dopodiché fece qualche passo intorno alla stanza, osservando pensierosa il panorama fuori dalla finestra.
“Che facciamo?” chiese poi.
Gold esitò.
“Ti va di vedere un film?”
"Dove?”
“Qui”
Belle si morse il labbro, poi si avviò verso la raccolta dei DVD per controllare i titoli dei film.
Dopo qualche minuto estrasse gioiosa il titolo che aveva cercato.
Robert alzò gli occhi al cielo e si preparò al peggio.
 
Via col Vento era il tipo di film che si guarda una volta sola nella vita. Quattro ore infinite di film, condite di scene strappalacrime e dialoghi commoventi.
“Siamo ancora in tempo per guardare il Signore degli Anelli” buttò lì Gold facendo partire il lettore dvd.
“Zitto” rispose Belle concentrata sullo schermo e seduta a gambe incrociate sul letto.
Il film iniziò.
 
Venti minuti dopo Robert iniziò a sentirsi nervoso.
Belle era sdraiata lì, a pochi centimetri e lui non aveva la più pallida idea sul da farsi.
 
Mezzora dopo le posizioni erano rimaste circa invariate.
Ogni tanto Belle lanciava un’occhiata a Gold e si chiedeva se si fosse addormentato, visto che non commentava nulla né accennava ad avvicinarsi.
Invece il ragazzo era sveglio, con gli occhi fissi sul televisore.
Lei non avrebbe fatto la prima mossa.
Per tutto l’oro del mondo.
 
Quaranta minuti dopo Robert si chiedeva perché diavolo avesse proposto di vedere un film. Sarebbero potuti andare al cinema a quel punto.
 
Un’ora dopo Belle iniziò a sentire la testa pesante. Era caldo in quella stanza, e il letto era così morbido e confortevole, e sentiva il leggero profumo di Gold nell’aria…Spinta da una forza invisibile si avvicinò al corpo del ragazzo, e strofinò il viso contro la sua spalla.
“Tutto bene?”
“Mh sì, sono un po’ stanca” mugugnò lei.
Robert sorrise e le cinse delicatamente le spalle, mentre Belle, sentendosi coraggiosa come non mai, appoggiò la testa sul suo petto.
Mentre lui la abbracciava con più sicurezza, stringendola a sè, Belle si accoccolò e cercò una posizione comoda dalla quale poter continuare a vedere il film, sentendo le mani del ragazzo accarezzarle i capelli e la schiena.
“Questo al cinema non l’avremmo potuto fare” mormorò lei sorridendo.
“Giusto”
 
Rossella O’Hara continuava a piangere sullo schermo, e fuori diventava  sempre più buio, e le mani di Robert erano così gentili e morbide e Belle amava essere coccolata in quel modo e il mondo era sempre più sfocato... Improvvisamente sentì un forte rumore provenire dal piano di sotto.
"Cazzo!" esclamò Robert.
"Che c'è?" disse Belle allarmata, tirandosi su di scatto.
"Mio padre" rispose lui.










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Song: Love, love, love (Of monsters and men)

Uhm. Beh, io vi avevo avvisati che era un capitolo solo Rumbelle. E uhm, forse ci aspettavamo tutti che quei due combinassero qualcosa di più, ma...no. Sono una fan delle storie sospirate e delle attese infinite. Scusatemi. Non odiatemi.
Questo capitolo è un po' lo "Skin Deep" di Highschool, ho cercato di riadattarlo come potevo ma non ho idea se abbia funzionato la cosa.
Voglio tanto bene ad Archie perciò non potevo non inserirlo.
E non saprei, per il resto ditemi voi, perchè sono tanto rispettosa e timorosa di scrivere dei miei Rumbelle, sopratutto se devo addentrarmi in questo fluff che in realtà non è veramente fluff perchè è una cosa molto soft e lieve. Fatemi sapere.
Nel prossimo capitolo riprenderemo un po' in mano la situazione degli altri, ma questo volevo dedicarlo a loro...MA.
Non sappiamo ancora come finisce la serata di Robert e Belle, huh, è vero...Potrà durare questa loro felicità?
Grazie a tutti quelli che recensiscono, che seguono e grazie anche ai lettori silenziosi che invito ad esprimersi :)
Stay tuned
Seasonsoflove

 

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Capitolo 16
*** Go your own way ***



Loving you 
Isn't the right thing to do 
How can I ever change things 
That I feel 
If I could 
Maybe I'd give you my world 
How can I 
When you won't take it from me







Il primo giorno di recupero per Regina Mills fu un vero disastro.
Anzi, il primo giorno di scuola dopo l’espulsione dalla squadra fu un disastro.
Quella mattina la ragazza rimase impalata di fronte all’armadio per circa venti minuti. Non aveva idea di cosa indossare, non si era mai posta quel problema: lei aveva la sua divisa da cheerleader e nulla al mondo le aveva mai separate.
Ora si trovava di fronte ad un problema basilare per molte donne e non aveva idea di come affrontare la situazione.
Indossò una camicia di seta grigia ed una gonna nera. Si guardò allo specchio disperata.
Uscendo di casa Cora Mills scosse la testa, mentre suo padre le disse raggiante che era splendida.
Il momento in cui Regina varcò l’entrata della scuola, l’intero corpo studentesco si fermò a guardarla.
Qualcuno sgranò gli occhi.
Qualcun altro la additò.
Regina cercò di ignorare sdegnosamente la cosa, si diresse verso il suo armadietto, afferrò i suoi libri e si diresse spedita a lezione, seguita da un incessante rumoreggiare di sussurri e bisbigli.
La sua vita era ufficialmente diventata un totale fallimento.
Ma non era tutto.
Quello che Emma Swan aveva in serbo per lei era a dir poco tremendo: aveva intenzione di farle recuperare l’intero programma di psicologia dell’anno.
Regina avrebbe dato forfait il primo giorno se la professoressa non le avesse accennato di aver parlato con la coach Tamara, che aveva ammesso di essere disposta a ritrattare la sua riammissione in squadra una volta terminata la punizione.
Alle due in punto Regina entrò titubante in aula di psicologia.
Emma era seduta e sfogliava tranquillamente alcuni compiti.
“Eccoti qua” disse salutandola allegramente.
L’altra non rispose, ma se uno sguardo avesse potuto uccidere…beh…il suo l’avrebbe fatto.
“Siediti pure davanti a me, ora ti darò delle fotocopie col programma e tu inizierai a studiare dal libro. Puoi farmi qualunque tipo di domanda e se hai voglia di parlare di…qualcosa, qualsiasi cosa…sono disponibile”
La mora annuì brevemente e si sedette, mentre Emma le appoggiava sul banco un plico di fotocopie.
“Tra parentesi, questo tuo nuovo look ti dona molto. Sei bella quanto lo eri con la divisa” concluse poi, sorridendo brevemente.
Regina si sentì un po’ sollevata.
 
 
 
 
La vita per Tink invece aveva ricominciato a scorrere normalmente.
Quella punizione le aveva insegnato due dure lezioni: la prima, non dare mai corda ad un ragazzo ubriaco. La seconda, non interessarsi alle persone non meritevoli e continuare per la propria strada senza curarsi degli altri. Forte di queste convinzioni, più determinata che mai, un lunedì di metà febbraio marciò spedita verso l’ufficio del preside Kingsley a chiedergli una proroga per la ricerca di nuovi membri per il giornalino.
 
 
 
“Si può sapere cosa succede?”
Poche ore dopo, Tink e Belle erano comodamente sedute in biblioteca a studiare matematica, quando la biondina sbuffò, buttò la penna nell’astuccio ed incrociò le braccia.
Belle inarcò le sopracciglia ma non alzò lo sguardo dal libro.
“Cosa dovrebbe succedere?”
“Sono giorni che sei giù di corda! Fai deprimere anche me”
“Sono solo stanca, non ho avuto modo di studiare durante la punizione e ho dovuto recuperare tutto in questi giorni”
“E con Gold?”
Belle non rispose.
“Belle?”
“Con Gold cosa?”
“Avete passato due settimane da soli in quell’archivio. Vuoi seriamente farmi credere che non sia successo nulla?”
“Non è successo nulla”
Tink sbuffò.
“A cosa servono le amiche se poi non racconti mai niente?”
“Non c’è niente da raccontare” rispose Belle irritata.
“E allora perché fai quella faccia?”
“Perché non c’è niente da raccontare!” ripeté con forza.
La biondina esitò.
“Belle ma-“
“Non c’è nulla da raccontare perché non...non va. Okay? Non è andata”
Così dicendo chiuse il libro di scatto, si alzò e se ne andò senza dire niente.
Tink la trovò un po’ di minuti dopo, tristemente appoggiata alla macchinetta delle bevande, mentre sorseggiava un thè.
“Se non vuoi dirmi cosa succede d’accordo, ma non aspettarti che possa prevedere i tuoi scatti d’ira. Non è carino fare così!” iniziò Tink.
“Scusa” borbottò Belle.
“Adesso però dimmi che diavolo è successo.”
Belle respirò a fondo.
“Siamo usciti una sera. Non una cosa ufficiale, abbiamo mangiato qualcosa insieme e…sono stata bene, così l’ho baciato”
“Tutto regolare” annuì l’altra.
“Sì. Poi il giorno dopo sono…beh, sono andata a casa sua.”
Tink la guardò a bocca aperta.
“OH MIO DIO, LO SAPEVO! L’avete fatto!” Strillò eccitatissima. Poi si bloccò e assunse un’espressione allarmata. “ODDIO NO, HO CAPITO! Sei incinta, è per questo che hai gli sbalzi d’umore, adesso cos-“
“Ma la vuoi smettere? Non ci siamo nemmeno baciati a casa sua.”
“Ah” disse l’altra leggermente delusa.
“Stava andando tutto bene e…stavamo guardando un film.”
“Allora l’avete fatto! Dai, dimmi, com’è stato?”
“Ma ho detto che stavamo guardando un film!” esclamò Belle disorientata.
“In genere guardare un film equivale a farlo.”
“Noi stavamo davvero guardando un film. Davvero, Tink.”
L’altra sbuffò.
“Comunque…è arrivato suo padre ad un certo punto.”
“Mentre lo facevate?”
“TINK!”
“Okay la smetto. Cosa…cos’ha detto suo padre?”
Belle esitò un momento, poi raccontò com’era andata.
 
 
You can go your own way 
Go your own way 
You an call it 
Another lonely day 
You can go your own way 
Go your own way


 

 
“Laddie(*)”
“Papà”
I due ragazzi uscirono dalla stanza, Robert tamburellava le dita nervoso. Sussurrò  velocemente a Belle di non fare caso a suo padre.
“E’ un bastardo”
“Smettila” rispose l’altra divertita.
“Oh, ma vedo che sei in dolce compagnia” esclamò sorridendo Peter Gold.
Era un uomo sulla cinquantina, coi capelli castano chiaro dello stesso colore di quello dei figlio, ma striati di grigio. Aveva la barba e gli occhi azzurri.
“Sì io…noi stavamo guardando un film” borbottò Robert stringendosi nelle spalle.
“Ah sì, anche io guardavo i film con le ragazze all’epoca” rispose l’altro ridendo.
Belle, che come minimo si aspettava un mostro senza cuore e invece aveva trovato un uomo gioviale e allegro, si rilassò.
“Posso sapere il nome della signorina?” continuò Peter.
“Belle French” rispose lei tendendo la mano.
Sicuramente non si sarebbe mai aspettata una reazione simile.
Peter Gold inarcò le sopracciglia, guardò Robert, strinse la mano alla ragazza e poi scoppiò a ridere.
“Papà?” Robert era visibilmente imbarazzato.
“Belle French!” ripeté l’altro ridendo.
Belle rimase immobile, sentendosi improvvisamente stupida.
“Dovete scusarmi” disse l’altro smettendo finalmente di ridacchiare. “Laddie, credevo fosse la tua nuova ragazza, pensavo avessi lasciato Regina!”
Nessuno dei due disse nulla.
“Comunque come sta Regina? E’ da un po’ che non la vedo in giro, salutamela e portala qui ogni tanto!”
“Sta…bene. La inviterò presto” disse Robert fissando il pavimento.
“Io…dovrei andare” mormorò Belle.
“Ma no, perché non ti fermi a cena? Come mai sei qui comunque? Fate qualcosa insieme per la scuola?”
“Lei…è solo un’amica, lavoriamo insieme ad un progetto di scienze” disse Robert.
“Regina è d’accordo che tu abbia queste amiche, laddie? ” Peter gli batté la spalla con fare giocoso.
“Mi dispiace non posso fermarmi, mio padre mi aspetta per la cena” ripeté Belle rossa in viso.
“Ah tuo padre, sì lo conosco bene. Portagli i miei saluti e chiedigli come va la sua bottega di giocattoli”
“Vende fiori” disse Belle guardandolo fisso.
“Sì, è vero, fiori. Beh, sempre belli e colorati sono, no?”
“Deve andare, la accompagno a casa” tagliò corto Robert.
“Va bene, va bene. Torna pure quando ti pare, Belle!”
 
Una volta nel vialetto Belle aveva iniziato a camminare velocemente, le guance rosse e il viso bollente per la rabbia e l’umiliazione.
“Belle aspetta”
“Torna a casa.”
“Aspetta! Ti accompagno!”
“Non oseresti!”
“Aspetta ti prego. Dai, te l’avevo detto che era un bastardo”
Belle si fermò.
“Tuo padre mi ha appena umiliata, mi ha fatta sentire la più schifosa nullità di questa terra, non…non mi ero mai sentita così di merda in tutta la mia vita!”
“Non…non è così grave dai!”
“Non è così grave? Non credeva neanche che potessi essere la tua…ragazza!”
“Ma non lo sei!”
“Ma che diavolo c’entra!? Quando ha saputo chi ero mi è scoppiato a ridere in faccia…come se non potessi frequentarti solo per il mio cognome, come se non fosse nemmeno possibile! Ha continuato a chiederti di Regina per tutto il tempo e-“
“Belle, non devi ascoltarlo!”
“Sai qual è la cosa peggiore!? La tua reazione!”
“Cos’avrei dovuto fare!?”
“Non gli hai neanche detto di aver lasciato Regina!”
“Non ne…ho avuto l’occasione”
“L’hai avuta questa sera!” urlò Belle.
“Cosa dovevo dirgli?”
“Che non stai più con lei!”
“Che differenza avrebbe fatto!?”
Belle riprese a camminare, mentre Gold le stava dietro ansimando per lo sforzo.
“Per favore Belle rallenta, mi fa male il ginocchio”
“Sono affari tuoi”
“NON HO COLPA DI QUELLO CHE E’ SUCCESSO POCO FA!”
“GLI HAI DETTO CHE SONO SOLO UN’AMICA!”
Robert scoppiò a ridere amaramente.
“Beh gli ho detto quello che mi dici sempre tu, no? O sbaglio? Ogni volta che provo ad avvicinarmi mi respingi o mi tratti come-“
“Non provare a rivoltare la frittata!”
I due si fermarono. Avevano camminato veloce ed erano quasi in centro. 
Gold si massaggiò il ginocchio con una smorfia di dolore.
“Gli hai detto che sono solo un’amica. Che lavoriamo insieme ad un progetto di scienze”
“Ma tu lo sai benissimo che non sei solo un’amica per me.”
“Non stando a quello che hai detto a tuo padre”
“Ma chissenefrega! Lo so io, lo sai tu, questo mi basta!”
“A ME NO!”
“COSA DIAVOLO DOVEVO DIRGLI!” sbraitò Robert.
“Che ci stiamo frequentando!” urlò lei di rimando.
Gold si zittì.
“Ci stiamo frequentando?” chiese poi sentendo il cuore battere il doppio più veloce.
Belle lo guardò un momento, scosse la testa e rispose sprezzante.
“No. Ci stavamo frequentando, ma non più. A quanto pare non hai neanche avuto le palle di dirlo a tuo padre.”
“Ascoltami un attimo, continuiamo questa…cosa, continuiamo a frequentarci, per favore, da amici come abbiamo fatto fino ad ora e-“
“Robert noi non siamo amici. Non lo siamo mai stati e mai lo saremo” 
“E’ solo mio padre, okay?” disse disperato. Poi le si avvicinò e le prese le mani, guardandola negli occhi “Chissenefrega! Non importa a me, non importa niente neanche a lui, parla tanto per parlare.”
“Okay. Allora digli che non sono solo un’amica. Digli che hai lasciato Regina. ”
Gold chiuse gli occhi respirando a fondo.
“Non…non ora. Ma lo farò, lo prometto”
Belle ritirò le mani dalle sue.
“Non ora?”
“Devo solo trovare il modo di dirglielo”
“Di dirgli che stai frequentando me? Perché? Non dovrebbe essere la cosa più naturale del mondo?”
“Lo è!” disse lui disperato.
“Allora perché hai bisogno di trovare il modo di dirglielo?”
Robert non rispose. Guardò per terra. Non riusciva a credere che fino a mezzora prima fossero sdraiati nel letto a coccolarsi e che ora fosse tutto finito. Tutti gli sforzi fatti per conquistarla, rovinati da sua vigliaccheria. E da suo padre. 
“Sei un codardo, Gold.”
Belle si voltò senza guardarlo e camminò spedita verso casa.
 
 
You can go your own way
Go your own way 



 
 
“Non sei stata un po’ troppo dura con lui?” chiese Tink una volta finito il racconto.
“Non credo. Cioè, non lo so, però…lui si è…vergognato di me”
“Non si è vergognato di te…era semplicemente intimorito da suo padre”
“Avresti dovuto vederlo in faccia mentre gli diceva che ero un’amica” borbottò Belle.
Stavano finendo i loro thè appoggiate alla macchinetta, immerse nei loro pensieri, quando da dietro un angolo sbucò una ragazza coi capelli rosso chiaro, un visetto simpatico, la mascella quadrata, il naso a punta e due grandi occhi verdi.
Si avvicinò a loro spedita con un foglio in mano.
“Ciao” esordì sorridendo ampiamente.
Tink la guardò sospettosa mentre Belle la salutò perplessa.
“Siete Tink Glocke e Belle French vero?”
“Sì. Tu chi sei?” chiese Tink con fare autoritario.
“Sono Ariel. Ariel Andersen. Mi sono trasferita da pochi mesi, stavo guardando la bacheca alla ricerca di qualche corso a cui iscrivermi e ho letto questo” mostrò uno dei fogli del reclutamento giornalino che Tink aveva appeso per tutta la scuola. La bionda cambiò improvvisamente atteggiamento e si avvicinò subito alla nuova arrivata. Belle ridacchiò.
“Dimmi tutto” disse poi Tink sorridendo amabilmente.
“Cercate dei nuovi iscritti per evitare la chiusura vero?”
“No, cerchiamo nuovi iscritti per mandare avanti un meraviglioso progetto che con tanta fatica io-“
“Sì Ariel, cerchiamo nuovi iscritti per evitare la chiusura” disse Belle spiccia interrompendo il monologo di Tink.
“Perfetto. Ne avete appena trovato uno. Io adoro scrivere.” rispose Ariel entusiasta.
 
 
Emma Swan camminava pensierosa per i corridoi della scuola, soffermandosi di tanto in tanto per leggere i vari volantini. Uno in particolare attirò la sua attenzione. Sopra vi erano due nomi molto familiari.
“Rivolgersi a Tink Glocke e a Belle French per informazioni più accurate”
Sorridendo leggermente lo strappò e se lo mise in tasca.
 
 
Belle e Robert non si erano più parlati dopo il triste incidente a casa Gold. Si salutavano nei corridoi e a lezione se non potevano fare a meno di incrociarsi, ogni tanto lui provava a sorriderle, ma Belle stava alla larga dal ragazzo. Di umiliazioni ne aveva subite molte nella sua vita, ma niente era stato come lo sguardo e le parole di Peter Gold.
 
 
 Tell me why 
Everything turned around 
Packing up 
Shacking up is all you wanna do 
If I could 
Baby I'd give you my world 
Open up 
Everything's waiting for you 



“E praticamente c’era questo tizio no? E continuava a provocarmi, a starmi col fiato sul collo, allora gli ho detto di farsi da parte e lui non ci stava. Io avevo puntato già gli occhi su quella tipa, così gli ho tirato un pugno, su due piedi. E ho risolto la faccenda.”
Concluse Killian estremamente fiero.
Gold stava a malapena ascoltando.
Era tutta la giornata che era di malumore.
Beh, a dire il vero era da tutta la settimana che provava un incessante flusso di odio, stanchezza e fastidio nei confronti del mondo.
Più o meno da quando lui e Belle avevano litigato.
Aveva creduto che le cose si sarebbero risolte, ma si sbagliava.
Belle non gli rivolgeva la parola da una settimana. Era finita. Ancora prima di iniziare.
Il suo umore era quindi precipitato esattamente come le settimane prima del ballo. L’unico miglioramento era la totale assenza di Regina dalla sua vita.
Killian non faceva che insistere sul fatto che fosse arrivato il tempo per loro di andare a caccia.
“Serate da pirati” le chiamava. Nelle sue fantasie erano mirabolanti avventure in meravigliosi locali alla moda, con stuoli di belle ragazze ai loro piedi.
In realtà significava sbronzarsi al Rabbit Hole e scoparsi la prima pollastra consenziente nel bagno del locale.
Robert non trovava l’idea particolarmente invitante.
“Amico, mi stai ascoltando?”
“Io…sì, certo. Figata” annuì Robert convinto.
Killian parve soddisfatto.
Entrarono in mensa, e si misero in coda con il loro vassoio.
“Che…palle” borbottò il moro scrutando le persone davanti a lui. “Ci saranno almeno trenta persone davanti”
“Già…” mormorò Gold.
I due aspettarono pazientemente che la fila scemasse.
“Hey” Killian diede una gomitata nelle costole dell’amico.
“Ahia! Idiota! Cosa c’è!”
“Ho trovato come possiamo divertirci e ingannare l’attesa.”
Gold lo guardò interrogativo. Jones indicò qualcuno poco più avanti nella fila.
Dei familiari capelli lunghi, rossi e mossi; un vestitino blu, in tinta con gli splendidi occhi color cielo…
“Hei French”
Belle si girò e vide Killian Jones affiancarsi a lei nella fila per i contorni.
Subito dietro di lui Robert era intento a scrutare il pane con immenso interesse.
“Jones”
“Chiamami Killian”
“Non penso proprio”
“Dovresti essere più gentile con chi ti è superiore nella gerarchia” disse lui ghignando.
Belle lo guardò con odio, gli voltò le spalle e riprese a servirsi abbondantemente il piatto.
 “Vaffanculo Jones”
Gold digrignò i denti mentre si prendeva le posate.
“Quanto sei maleducata!”
“Sai almeno cosa vuol dire maleducata? Perché coi tuoi voti scolastici mi sembra strano che tu sappia persino parlare” ringhiò Belle.
Killian fece un mezzo sorrisino.
Intanto le persone intorno a loro avevano iniziato ad osservarli con curiosità.
Belle si avviò verso il buffet dei secondi, seguita dal moro.
Gold intanto si serviva dei contorni guardando la scena di sottecchi.
Si sentiva male e non poteva farci niente…o forse…
“Beh French? Sempre così scontrosa?”
Belle imperterrita non rispose.
“Cosa ci fai qua in mensa comunque?”
“Cosa intendi dire?”
Killian sorrise ampiamente e parlò ad alta voce indicando la sala. Sembrava di stare ad un comizio, ed ora che aveva l’attenzione dei presenti godeva ancora di più nel disturbarla.
“Credevo che non potessi permetterti di mangiare con i comuni mortali”
Gold sbriciolò il pane che aveva in mano per impedirsi di reagire, mentre la rossa fissò il suo vassoio con le guance bollenti.
“Sai…” continuò Killian lanciandole un’occhiata malevola “Credevo che tu fossi abituata a mangiare direttamente dai bidoni della spazzatura, visti i guadagni di tuo padre…”
Il vassoio di Belle tremò, ma poi si udì un rumore forte che fece sobbalzare tutti i presenti.
Gold aveva spaccato il suo piatto contro il vassoio.
“Adesso basta” disse in tono fermo.
Jones si girò lentamente verso di lui.
“Come scusa?”
“Ho detto: adesso basta” ripeté fissandolo con determinazione, e avvicinandosi a lui.
I due arrivarono a fronteggiarsi senza distogliere un attimo lo sguardo l’uno dall’altro.
“Sennò?” mormorò il moro in tono di scherno.
Belle li guardò a bocca aperta, così come tutti gli altri.
Sembravano due leoni pronti a scannarsi, o due gladiatori nell’arena.
Gold si fermò a pochi centimetri dal viso dall’altro.
“Rivolgiti a lei in questo modo ancora una volta e giuro che ti spacco quella faccia da culo che ti ritrovi”
Subito dopo accaddero diverse cose in una rapida successione.
Killian spinse indietro Gold con forza. Il ragazzo preso alla sprovvista e col ginocchio ancora debole sbatté sul carrello delle posate, dopodiché si raddrizzò e si lanciò sull’amico, tirandogli un formidabile pugno in faccia.
La folla si spaccò in due. C’era chi urlava di smetterla (e i più perbenisti “chiamo il preside!”), chi invece incitava la lotta.
Il naso di Killian sanguinava pesantemente, ma il ragazzo non parve turbato, anzi, scoppiò a ridere, prese Robert per la camicia e gli si buttò contro. Entrambi rovinarono a terra in un polverone di pugni e calci.
Qualcuno urlò “RISSA RISSA RISSA!”
Qualcun altro invece “LOTTA COL CIBOOO!”
Fu il caos. Ad un certo punto Killian riuscì ad alzarsi. Gold si alzò anch’egli con un ringhio e lanciò con violenza l’altro sul tavolo.
Belle dopo un momento di iniziale stupore si buttò nella mischia e cercò di dividerli.
“SMETTETELA!”
Fu impossibile.
Non aveva mai visto Robert in quello stato, picchiava l’amico come se non ci fosse un domani. Aveva il labbro inferiore completamente spaccato, così come il naso, ma sembrava non accorgersene minimamente.
“ROBERT FERMATI”
“STAMMI LONTANA”
“GOLD CHE CAZZO FAI!” cercò di urlare Killian, ma un pugno lo zittì.
Belle venne spinta a terra. Intanto Killian invertì le parti e prese a tempestare l’altro di pugni.
A quel punto Gold afferrò un piatto rotto lì vicino, e colpì forte il ragazzo al polso.
Panico e strilla generali.
Killian crollò a terra urlando e tenendosi la mano.
“TI AMMAZZO!” sbraitò, piegato in due dal dolore.
“LA MANO, GUARDATE LA MANO” strillò istericamente qualcuno nella folla.
Belle sgranò gli occhi.
Appena sopra il polso, da un taglio profondo e netto, zampillava copiosamente un sangue rosso fuoco.
Killian si rialzò con uno sguardo omicida, prese una bottiglia e si girò verso l’altro pronto a ricambiargli il favore, quando due mani lo afferrarono da dietro.
“STAI FERMO!”
“LASCIAMI ANDARE”
“STAI FERMO!”
Robert venne anch’egli imprigionato, e iniziò a dimenarsi.
Killian era stato immobilizzato da August Booth, mentre Robert era stato afferrato contemporaneamente da Miss Blanchard e da Emma Swan. Le due donne riuscivano a stento a trattenerlo.
I due ragazzi urlavano ancora frasi sconnesse.
“CHIEDILE SCUSA!” sbraitava Gold.
“TI AMMAZZO, GIURO CHE TI AMMAZZO!”
“CHIEDILE SCUSA!”
“CALMATEVI!”
“VAFFANCULO, TU NON MI DICI DI CALMARMI!”
“CHIEDILE SCUSA, LURIDO STRONZO!
“ROBERT, DEVI CALMARTI!” urlò Emma, poi si rivolse ad August.
“August, porta Jones in infermeria! Subito!” Due ragazzi aiutarono il professore a trascinare via il moro, che ancora si dimenava cercando qualcuno da prendere a calci.
Quando finalmente non c’era più nessuno da picchiare, Emma e la Blanchard lasciarono andare Robert.
Belle era ancora seduta per terra e guardava la scena con suo sguardo vuoto e indecifrabile.
Gold respirò forte, tremando, e osservò la folla intorno. Si tirò su le maniche della camicia e si pulì il sangue che aveva iniziato a colargli verso il collo.
Erano tutti allibiti.
Dopodiché Emma lo afferrò per un braccio e lo trascinò via.
 
 
 
 
“CHE COSA DIAVOLO CREDEVI DI FARE EH!?”
“Mi lasci andare”
“RISPONDIMI”
“MI LASCI ANDARE!”
Emma lo spinse dentro a un’aula vuota e chiuse la porta.
“SPIEGAMI COS’ERA QUELLO”
“QUEL CAZZO CHE MI PARE”
“MODERA IL LINGUAGGIO”
“FACCIO QUEL CAZZO CHE MI PARE” urlò Gold.
Dopodiché afferrò un banco e lo lanciò contro il muro e prese a calci una sedia.
Emma non fece niente per fermarlo.
Si limitò a guardarlo. Era già abbastanza arrabbiato, e capì che urlare non sarebbe servito a nulla.
Il ragazzo si accasciò inerme su una sedia e buttò la testa all’indietro. Tossì: il sangue che gli colava dal naso lo soffocava.
“Rispondimi: cosa credevi di fare?”
“Quello che ho fatto. E lo rifarei mille volte.”
Emma rimase in silenzio per un po’, mentre l’altro si calmava e riprendeva a respirare regolarmente.
“Hai bisogno di essere medicato.”
“Sto bene.”
“Hai un labbro rotto, e non vedo bene neanche il tuo naso, e l’occhio destro.”
“Ho detto che sto bene.”
Lei lo scrutò, poi si alzò.
“Torno subito. Non ti muovere. Se quando torno non ti trovo puoi considerarti espulso”
Uscì dalla classe, lasciando Gold immerso nei suoi pensieri.
 
Tremava da capo a piedi.
Non gli era mai capitato di perdere il controllo, e soprattutto non in una maniera simile, così violentemente.
Se non lo avessero fermato…probabilmente avrebbe finito con l’ammazzare l’amico. O col farsi ammazzare.
Ora ripensandoci non gli era chiaro perché l’avesse fatto.
Sì, certo, aveva voluto dargli una lezione.
Ma per quello sarebbe bastato un pugno ben assestato.
No…quando aveva preso in mano quel piatto rotto sapeva che lo avrebbe ferito. Che gli avrebbe fatto molto male. Voleva ferirlo. Voleva fargli male.
La cosa peggiore è che aveva provato una selvaggia gioia nel massacrarlo di pugni e soprattutto nell’essere picchiato a sua volta.
Era stato come esorcizzare tutto il male, tutte le delusioni passate, l’odio, l’insicurezza…mentre Killian gli prendeva la faccia a pugni lui sentiva di meritarselo.
 
Emma rientrò in classe con una valigetta in mano.
“Ho preso in prestito questa roba dall’infermeria” spiegò sbrigativa.
“Non poteva semplicemente portarmi là?”
“C’era già Jones in infermeria. Inoltre voglio parlarti. In privato”
Gold sbuffò.
“Ora vieni qua subito. Non fare storie.”
“Non vorrà mica medicarmi lei?”
“Ho seguito un corso. So come si fa.”
Lui alzò le spalle. In fondo cosa gliene fregava, il dolore fisico era il meno. Ultimamente ne aveva passate abbastanza da essere anestetizzato a ferite, botte e lividi.
Si sedette di fronte alla cattedra e lei prese una grossa busta di ghiaccio dalla borsa, del cotone, delle garze e del disinfettante.
“Intanto metti questo sull’occhio” disse porgendogli il ghiaccio. “Ora stai fermo. Ti brucerà ma è necessario.”
Versò del disinfettante sul cotone, e prese a tamponargli la ferita sul labbro.
“AHIA CAZZO!”
“Che ti avevo detto?”
Lui strinse i denti. Non poteva mettersi a piagnucolare come una femminuccia.
Già in ospedale era andato nel panico per una siringa…
“Adesso parliamo. Perché l’hai fatto?”
“Se lo meritava!”
“Cos’ha fatto di così terribile?”
Gold rimase in silenzio.
“Allora?”
“Ha…insultato una persona.”
Emma inclinò leggermente la testa, strinse gli occhi e poi chiese:
“Cosa sta succedendo tra te e Belle French?”
“Eh?”
“Hai capito benissimo” il suo tono non ammetteva repliche.
“Io- AHIA!”
“Zitto un po’ e rispondi.”
“Ma fa male!”
“Parla con me che ti distrai. Allora?”
“Non sta succedendo niente tra me e Belle French.”
“E perché ogni volta che Jones la prende in giro tu ti scaldi? Non è la prima volta, era già successo in classe.”
“Non mi piacciono le persone che si approfittano dei più deboli”
“E il fatto che rimani incantato come un ebete ogni volta che lei parla non c’entra nulla? E per inciso, lei arrossisce ogni volta che tu la difendi.”
Gold non rispose.
Emma finì di disinfettare le ferite e lo squadrò.
“Robert, non c’è niente di male se provi qualcosa per lei. Ma quello che hai fatto oggi è inammissibile.”
“Qualche pugno? Ma dai!”
“Hai quasi staccato una mano a quel ragazzo!”
“Ma lui se lo meritava” ripeté ostinato.
“Ascoltami…la scuola potrebbe prendere provvedimenti seri per questo, lo sai?”
“Che lo faccia. Buttatemi fuori. Non me ne frega niente.”
“Non dire così”
“Lo è. Questo posto…” Robert indicò la classe intorno e proseguì disgustato.
“Questo posto fa schifo. Fa schifo la scuola, la gente, questa città fa schifo! Una città dove giudicano una persona in base a…al lavoro del padre! Sembra di essere nel Medioevo!”
“E’ così un po’ dappertutto. Io vengo da Tallahassee e le cose non sono molto diverse laggiù”
“Beh allora non voglio essere da nessuna parte!”
“Scommetto che se tu fossi con Belle French vorresti essere ovunque” sorrise Emma.
“Forse, ma non sono con lei…perciò non ha senso! Buttatemi fuori da questa merda di scuola!”
“Potresti avere anche guai con la polizia”
“NON ME NE FREGA NIENTE!”
“E poi, lascia che te lo dica, per quanto difendere una ragazza in questo modo possa sembrare cavalleresco…ci sono altri modi per conquistarla.”
“E-eh?” chiese Gold disorientato.
“Ci sono altri modi per conquistarla.”
“Lo so.”
“Ad esempio interessarti delle cose che piacciono a lei, aiutarla nei suoi progetti, sostenerla.”
“Dove vuole arrivare?”
Emma non rispose. Finì di medicargli le ferite in silenzio.
Dopodiché congiunse le mani e sorrise leggermente.
“Ti propongo…una sorta di patto”
“Non…non mi piacciono i patti”
“Sì che ti piacciono. Sei il tipo da patti…si vede!”
Robert guardò per terra.
“Sto ascoltando” disse poi.
“Io parlo con il preside. Gli dico che è stato un grosso malinteso e che per punirti ti assegnerò dei recuperi extra in psicologia. Sarà la tua pena, ed eviterai espulsione e sospensione. Inoltre calcherò la mano sul fatto che ti aiuterò durante questi recuperi, così da poter ‘calmare il tuo lato violento’ ” disse inserendo le ultime parole tra virgolette.
L’altro sbuffò.
“Non voglio fare recuperi extra. Non ne posso più di punizioni, ho ottimi voti e poi c’è già Regina che frequenta suoi recuperi. Non voglio saperne niente.”
“Lo so. Ma noi non faremo recuperi.”
“Ma lei ha det-“
“Non ho detto in cosa consisteranno i recuperi. Sono io l’insegnante, ragazzino, decido io e abbi un po’ di fede in me, suvvia.”
Gold la guardò sospettoso mentre lei tirava fuori un volantino spiegazzato dalla tasca e glielo porgeva.
“Questo l’avevo preso per Regina, per farla interessare a qualcosa di nuovo ma…penso che tu potresti averne più bisogno”
Robert lesse il contenuto e un leggero sorriso gli si aprì sul volto.
“Ti unirai al giornalino scolastico. Il preside ne sarà entusiasta. Sarà un ottimo modo per lavorare in comunità con altri ragazzi, imparare a collaborare” si interruppe poi continuò  “E diciamo che potresti trovare per un motivo o per l’altro…questo recupero più…piacevole del previsto.”












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(*) Laddie: per chi non se lo ricordasse o non seguisse la programmazione in inglese, laddie è il modo in cui Peter/Malcom chiamava Rumple. Letteralmente in italiano significa "ragazzo/giovanotto" ma non mi piaceva tradurlo, così l'ho tenuto all'inglese, spero non vi dia fastidio :O
Song: Go your own way - Fleetwood Mac  


Eccomi qua, in mostruoso ritardo.
Mi scuso ma d'ora in poi mi riuscirà difficile aggiornare spesso a causa impegni vari (Università e teatro, damn, ho uno spettacolo che si avvicina). 
Vi prometto che comunque una volta alla settimana troverete sempre un capitolo fresco che vi aspetta, salvo complicazioni impreviste :) By the way,  per ricompensare l'attesa cercherò di scrivere anche capitoli più lunghi e corposi.
La canzone per questo capitolo è stata difficile da trovare, ma dopo un'attenta consultazione con la mia BETA ABCRis ho deciso di inserire questa dei Fleetwood Mac di cui vi consiglio davvero l'ascolto (sì, siete obbligati, leggete tra le righe).
Povera Belle, povero Robert, quanto odio Peter Pan Peter Gold come preferite chiamarlo. Per fortuna che c'è Emma.
Cavolo, Killian quasi ci perdeva una mano oggi! Ma non sono così macabra, mi sono fermata prima.
Poi che dire, finalmente sono riuscita ad inserire Ariel. Amo quella ragazza, profondamente e avevo promesso che sarebbe arrivata perciò...eccola qui!
Non so che altro dire, spero che il capitolo vi piaccia, spero che continuiate a seguirmi in questo lungo viaggio delirantissimo che va avanti da oramai tre mesi :) Grazie di cuore a tutti coloro che mi recensiscono, che seguono, che leggono silenziosamente ed apprezzano.
Alla prossima, stay tuned :*
Seasonsoflove 





 
 

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Capitolo 17
*** Revolution ***


 
You say you want a revolution
Well you know
We all want to change the world! 






 

“Non ce l’ho con te” esordì Killian senza preavviso.
Robert continuò a scrivere. Da una parte si sentiva in colpa, non molto, ma almeno un po’sì. Dall’altra era tentato di tirare un altro pugno al ragazzo giusto per sfogarsi un altro po’.
“Mi hai sentito!?” disse il moro insistente.
“Sì”
“Bene. Però gradirei delle scuse.”
“Non le avrai.”
“Sai, ho riflettuto durante tutto ieri per trovare un modo per fartela pagare. Sei un dannato figlio di puttana, fattelo dire”
“Tu invece sei un grand’uomo a prendere in giro una ragazza solo perché suo padre non guadagna tanto come il tuo”
Killian non rispose, e si sedette.
“Potevi dirmelo che ti piaceva la French” borbottò poi.
“Cosa?” disse l’altro sconcertato.
“Potevi dirmelo che ti piaceva la French. Avrei evitato di sfotterla così se l’avessi saputo.”
“Non…non avresti dovuto farlo a prescindere”
“Io le cose non le faccio pensandoci, sai, la vita è troppo breve per essere seri e cazzate simili. Non l’ho fatto con cattiveria, non la odio...l’avrei fatto con chiunque. L’ho fatto solo perché ero annoiato.”
“Ok.”
“Però bastava un pugno in faccia.”
“La prossima volta cercherò di limitarmi.”
I due rimasero in silenzio per un po’, mentre Gold finiva i compiti di matematica.
“Quindi com’è che è nata questa storia con lei?”
“Lascia perdere”
“Lei ti piace!”
“Sì mi piace.”
“Ma avete scopato almeno?”
Robert alzò gli occhi al cielo.
“Sono queste le basi per gettare una relazione secondo te?”
“Beh, sono fattori importanti” rispose l’altro, giocando distrattamente con la benda che aveva sul polso.
“In realtà mi hai fatto un favore. Ora tutte le ragazze mi trovano ancora più attraente” riprese Killian.
"Perché mai?”
“Per via di questa” e sorrise mostrando la fasciatura “Fa molto uomo vissuto!”
Gold scosse la testa.
“Se andassimo al Rabbit Hole conciati così sono sicuro che tutte le ragazze ci salterebbero addosso! Sembriamo due pugili”
“Non mi interessano le ragazze del Rabbit Hole”
“Quindi suppongo che con la French la storia stia andando avanti.”
“Non proprio, ma conto di…sistemare le cose”
“E poi ci farai sesso?”
Robert non rispose.
“Dovrai dirmi i dettagli amico!”
“Sicuramente”
Rimasero in silenzio per un po’, poi Killian disse:
“In effetti è una bella novità. Prima stavi sempre a lamentarti di Regina ed eri tutto musone, ora invece sei tornato il galletto di un tempo”
“Il galletto di un tempo.”
“Sì. Inoltre ho pensato che finalmente potremo uscire a quattro. Io, te, la French e Tink”
“Cosa ti fa pensare che Belle voglia uscire anche con te?”
“Le porgerò le mie galanti scuse”
“Conoscendola non basterà”
“Ti ha dato del filo da torcere eh?” ghignò Killian.
Robert non rispose.
 
 
 
 
 
 
Il giorno dopo:
 
“E’ sicura che funzionerà?” Chiese Robert dubbioso, camminando spedito verso l’aula di informatica.
“Ma certo. Il preside si è dichiarato molto soddisfatto. Dice che se ti impegnerai a fondo in questo progetto potrà passare sopra alla tua lotta con Jones in mensa” rispose sbrigativa Emma.
Poi si fermò di fronte alla porta dell’aula, si guardò brevemente intorno e poi fissò Robert con i suoi occhi verdi.
“So che pensi che io ti abbia fatto un grosso favore facendo questo, e probabilmente è così ma…è comunque un impegno. Se vengo a sapere che non fai quello che devi fare giuro che ti assegno un debito in psicologia e ti faccio bocciare. Altro che Harvard l’anno prossimo!”
“Va bene professoressa Swan”
“E non chiamarmi professoressa Swan, mi fai sentire vecchia” disse l’altra pensierosa.
“Come dovrei chiamarla?”
“Non so. Non professoressa Swan. Abbrevia, mi fai sentire una vecchia zitella”
Robert sorrise.
 
 
 
“Dichiaro quindi ufficialmente aperta la nuova riunione del giornalino!”
Tink battè con un martello di plastica sul tavolo, mentre Belle ed Ariel la guardavano con un misto di simpatia e compatimento.
Era così lanciata ed entusiasta che era impossibile non scoppiare a ridere.
Ariel era loro amica stabile da un po’ di giorni.
Belle era piuttosto incredula, non aveva mai avuto molti amici fino a quel momento, e improvvisamente si era ritrovata con due uragani nella sua vita.
Sia Ariel che Tink erano decisamente due ragazze frizzanti, anche se in modo diverso. Tink era a volte sfiancante, parlava molto e si irritava facilmente.
Ariel invece era sempre allegra, entusiasta e di buon umore. Nonostante la conoscesse molto poco, Belle si era aperta abbastanza con lei.
 
Qualche giorno prima in biblioteca, Robert era entrato con le braccia cariche di libri e si era bloccato davanti al loro tavolo.
Belle era arrossita e l’aveva salutato cercando di non dare nell’occhio, mentre lui con sguardo triste l’aveva salutata di rimando e si era poi allontanato.
“Quello era Robert Gold” aveva detto Ariel con tanto d’occhi.
“Già”
“Lo conosci?”
“Ehm…sì”
“Wow! Mi sono sempre chiesta che tipo fosse! E’ simpatico?”
“Abbastanza!”
Inutile dire che Tink le aveva lanciato un’occhiataccia. A quel punto Belle aveva spiegato brevemente che lei e Robert erano usciti per un breve periodo e che il tutto si era miseramente concluso circa una settimana prima.
“Cavolo! Sei uscita con Gold! Ma come si è distrutto la faccia in quel modo?”
“Ha fatto a botte con Killian Jones. In mensa…L’ha fatto per difenderla” aveva detto Tink molto fiera.
Ariel si era emozionata all’idea che un uomo fosse stato così cavalleresco da picchiare il suo miglior amico per la ragazza a cui era interessato, ma Belle non aveva fatto altro che intristirsi di più; così la conversazione era caduta.
 
“Dunque cosa facciamo oggi?” Ariel era pronta a mettersi al lavoro.
“Stabiliamo semplicemente come reclutare due nuovi membri entro la fine della settimana, in modo da non dover chiudere!” rispose Tink.
“Perfetto. E come facciamo?” chiese Belle dubbiosa.
Un triste silenzio seguì questa frase. A nulla erano serviti i volantini che avevano appeso per tutta la scuola, né l’infervorato discorso di Tink all’assemblea d’istituto.
Il giornalino continuava ad essere invisibile ai più.
Ariel stava per dire qualcosa quando la porta si aprì improvvisamente e nell’aula computer entrò Emma Swan, seguita da Robert Gold.
 
 
 
Pochi attimi prima:
“Okay, allora andiamo. Sei pronto?”
“Sì, credo di sì”
“Bene. Non sottovalutare il potere di tre donne messe insieme ragazzino!”
“Certo che no!”
“Ottimo. Si va!”
Gold e la professoressa Swan aprirono la porta dell’aula computer ed entrarono.
 
 
 
 
Belle strabuzzò gli occhi e trattenne il respiro quando vide che la strana coppia si dirigeva spedita verso il loro tavolo.
Tink guardò la scena interrogativa mentre Ariel era già emozionata.
“Adesso succederà qualcosa di meraviglioso, lo sento! Pensa se si baciano qui davanti a noi!” sussurrò a Tink.
La professoressa Swan si fermò di fronte a loro e sorrise. Robert dietro di lei fece lo stesso, imbarazzato.
“Se non sbaglio questa è la riunione del giornalino, vero signorine?” chiese Emma amabilmente.
“Sì” rispose Tink. Poi le venne un tremendo dubbio “L’ha mandata il preside Kingsley? La prego non ci faccia chiudere, lo so che ci servono minimo cinque iscritti ma stiamo facendo il possibile per-“
“Mi ha mandata il preside, sì” la interruppe Emma “Ma non per il motivo che pensate. Semplicemente abbiamo accordato che in seguito a certi incidenti avvenuti di recente, il signor Gold qui presente sconterà la sua punizione aiutandovi a tempo pieno col il vostro progetto, e diventando a tutti gli effetti il quarto membro”
Un sonoro silenzio seguì queste parole.
Belle strinse gli occhi sospettosa e fissò Robert intensamente.
Lui studiò il pavimento con apparente interesse.
“Quindi lui è stato obbligato ad essere il quarto membro” affermò Tink incrociando le braccia “Così non vale. Dovrebbe essere felice di partecipare, non venire obbligato!”
“Sono felice” disse Robert piccato.
“Questo si vedrà!” continuò Tink.
“Bene, se non c’è altro io vi abbandonerei. Ho dei recuperi che mi aspettano oggi pomeriggio. Divertitevi e dateci dentro!” Emma concluse la frase cercando di sorridere, ed uscì rapidamente dall’aula computer.
Le tre ragazze fissarono contemporaneamente Robert.
Lui respirò profondamente: sarebbe stata una lunga giornata.
 
 
 
“Va bene. Quindi mi pare di capire che vi servono più membri”
“Sì. Redattori, impaginatori e articolisti”
“Wow, facile insomma!”
“Se sei qui per fare lo spiritoso puoi anche andartene.”
“Calma i bollenti spiriti Glocke. Sto solo cercando di capire come stanno le cose!”
La situazione era la seguente: Belle, Tink ed Ariel sedute vicine da una parte del lato, dall’altra, Robert.
Il tutto sembrava vagamente un’udienza del tribunale.
“Va bene. Cerchiamo…di fare un brainstorming ok?” cercò di dire Belle, evitando accuratamente lo sguardo del ragazzo. Sentiva che tutto ciò era stato architettato da qualche forza superiore: qualcuno voleva che lei e Gold si trovassero sempre irrimediabilmente assieme in qualunque situazione.
“Che cos’è un brainstorming?” chiese Ariel entusiasta battendo le mani.
Robert le scoccò un’occhiataccia.
“Sono idee. Ognuno dice un’idea, le scriviamo su un pezzo di carta e poi decidiamo”
“Come puoi scrivere per un giornalino se neanche sai cos’è un brainstorming?” chiese Gold.
“Tu stai zitto” rispose Belle secca.
“Agli ordini principessa”
“Senti adesso non cominciare a-“
“Se avete finito di fare la coppia sposata direi che possiamo iniziare” li interruppe Tink acida.
Ci fu un altro scambio di sguardi rabbiosi e tutti si zittirono.
“Bene, potremmo fare una campagna per trovare nuovi membri. Distribuire spille, magliette e cose così!” iniziò Ariel.
“Non abbiamo soldi per far stampare nulla.” Disse Gold.
“Annunci online?” Tink era concentrata.
“Nessuno li legge. Io salto tutti gli inviti su Facebook ed evito di visualizzare i messaggi che non mi interessano e che sono destinati a rimanere lì per mesi e mesi. Una cosa molto imbarazzante!” continuò lui.
“Allora potremmo semplicemente distribuire volantini invece che appiccicarli per tutta la scuola” tentò Belle.
“Se distribuisci volantini poi trovi gente come Regina che te li straccia davanti” la smorzò subito Gold.
“Allora perché non proponi un’idea invece che criticare e basta?”
“Non sto criticando!”
“Invece sì, te ne stai lì con la tua espressione strafottente e credi di sapere tutto mentre invece sei appena arrivato!”
“Ragazzi…” Ariel cercò di intervenire.
“Se non siete riuscite a combinare niente per mesi un motivo ci sarà! Dovete entrare nella testa delle persone per combinare qualcosa di sensato.”
“Ah tu sei molto bravo a capire le persone invece”
“Ragazzi!” Ariel tentò disperatamente di fermarli.
“Se stai tirando fuori questioni personali sul lavoro sappi che-“
“BASTA!” Strillò Tink sull’orlo di una crisi di nervi.
“Se vi sento dire ancora una parola sulla vostra stupida, sordida storiella ormonale durata una settimana e mezzo giuro che vi uccido!” continuò pestando il piede a terra.
“Va bene…Robert, volevi dire qualcosa? Sembrava interessante!” riprovò Ariel cercando di rallegrare l’atmosfera.
“Prima di essere ingiustamente interrotto” si beccò un’occhiataccia da Belle, la ignorò e poi riprese sdegnoso “Volevo dire che bisogna capire di cosa abbiamo bisogno. E per farlo dobbiamo entrare nella mente delle persone”
“Ti ascolto” disse Tink.
“Gli studenti normali, soprattutto quelli dei primi anni, non badano molto ai club scolastici. Si iscrivono semplicemente dove conviene”
“Quindi…”
“Quindi dove sanno di guadagnarci qualcosa”
“Quanto sei venale” sbottò Belle.
“E’ la verità. Il club dei musical fa schifo, eppure è pieno di iscritti. Sapete perché?”
“Perché c’è Lawrence Lumièr che lo gestisce” disse Tink lentamente.
“Esatto. E’ popolare e carino, e questo basta per attirare le ragazzine del primo anno”
“Quindi seguendo il tuo discorso noi abbiamo bisogno di qualcuno di popolare che attiri iscritti”
“Ce l’avete già!” concluse Gold sorridendo amabilmente.
Belle sbuffò.
“E se non basto io, scommetto che potremmo convincere altri studenti dell’ultimo anno ad iscriversi e ad attirare i più piccoli”
“Come?”
“Dando la cosa che più fa comodo agli studenti dell’ultimo anno: crediti scolastici”
Tink rimase zitta per un momento. Poi battè la mano sul tavolo, e si alzò iniziando a camminare freneticamente su e giù per l’aula parlando a bassa voce con sé stessa.
“Sta bene?” chiese Ariel perplessa indicandola.
“Sì, normale amministrazione” rispose Belle annuendo comprensiva.
“Va bene. Crediti scolatici sì! Poi arrivano quelli come te, belli, popolari e profumati. Sicuro anche quel cretino di Jones corre se sa che gli dai un modo per essere promosso. SI’! SI’! SI’! PERCHE’ NON CI HO PENSATO PRIMA” Tink iniziò a strillare felice. Dopodiché corse al tavolo, scompigliò i capelli di Robert, prese la sua borsa e fece per uscire.
“Vado subito a chiedere alla Swan cosa ne pensa. Poi andremo dal preside per chiedere i crediti. Poi stamperemo volantini. Tutti aderiranno e noi diventeremo popolarissimi. Gold  sei un genio. Belle rimettiti con lui, subito! Vado! A dopo! Auguratemi buona fortuna! Ciao!”
Uscì di corsa dall’aula, lasciando gli altri tre basiti al tavolo.
“Prendiamo un thè?” propose poi Ariel sorridendo.
 
 
 
Regina scriveva silenziosamente come le era stato detto, il programma di psicologia.
Ogni tanto si fermava per lanciare un’occhiata di traverso ad Emma.
Si lisciò la gonna a disagio. Ogni giorno la professoressa le faceva un complimento diverso.
Capiva che lo faceva per farla sentire a suo agio e per cambiare il suo modo di vedere le cose, ma il risultato era l’opposto: si sentiva una cretina.
“C’è qualcosa che non va?” la voce di Emma interruppe il suo flusso di pensieri.
“No” rispose l’altra inespressiva.
Riprese a scrivere.
“Lo sai vero che se hai voglia di parlare…sono qui.”
“Perché insiste con questa storia?”
“Non insisto” disse la bionda sorridendo “Semplicemente te lo ricordo”
Qualche minuto di silenzio.
“Tra parentesi, credo che per te il lavoro potrebbe risultare anche più leggero chiacchierando un pochino.”
“Non ho nulla di cui chiacchierare.”
“Com’è andata la tua giornata?”
“Male, come tutte le giornate da quando grazie a lei e alla coach non sono più la capo cheerleader”
“E’ colpa tua se non sei più una cheerleader.”
“Quella Glocke ha avuto solo quello che si meritava.”
“Non mi hai mai detto cos’aveva fatto di tanto grave!”
Regina non rispose e riprese a scrivere.
Ad Emma Swan piaceva fare la psicologa, le piaceva fare la crocerossina ed aiutare le persone…Beh, a lei non interessava quello.
L’unica cosa che le importava era la sua stramaledetta divisa da cheerleader e la sua spilla da capitano.
“Allora?”
“Sono qua per studiare, non per farmi interrogare sulla mia vita”
“Regina, voglio solo darti una mano.”
“Credevo ci fosse già il dottor Hopper per psicanalizzare le persone.”
“Non sono una psicoanalista.”
“Beh, si comporta come se lo fosse.”
“Perché?”
“Il suo atteggiamento da crocerossina non attacca con me. L’unico motivo per cui sono qui è che voglio tornare in squadra al più presto. Non mi interessa la sua finta gentilezza, crede che non mi accorga di cosa sta facendo!?”
Emma la fissò stupita.
“Si può sapere di cosa parli!?”
“Andiamo! – Come stai bene con questi vestiti Regina!- e –Ti vedo bene oggi, questo rossetto ti sta bene- o ancora –Sembri riposata, sono contenta-“
“Vuoi che la gente ti adori ma quando una persona ti dice sinceramente qualcosa di carino ti arrabbi!?”
“Lei dice quelle cose solo perché crede che mi facciano sentire meglio! Poteva anche essere così all’inizio, ma ora me ne sono resa conto!”
“Non lo faccio per quello. Le cose che dico le penso.”
“Beh allora direi che si è presa una bella cotta per me!” rispose Regina sprezzante.
Un momento di tremendo silenzio seguì quell’affermazione. Emma aprì la bocca senza dire nulla, mentre l’altra, rendendosi conto troppo tardi di ciò che aveva detto, arrossì furiosamente e si sentì terribilmente a disagio.
“Ti sarei grata se non dicessi mai più una cosa del genere. Hai oltrepassato il limite” disse infine la professoressa freddamente.
Regina, che mai in vita sua si era pentita così tanto di qualcosa, abbassò gli occhi sul quaderno.
“Mi dispiace, sono stata fuori luogo” mormorò.
“Torna a studiare il capitolo cinque. Tra un’ora sei libera.”
“Va bene professoressa Swan”
 
 
Appena scoccarono le cinque, Regina chiuse rapidamente il libro e salutando la professoressa con un leggerissimo “Arrivederci” uscì di corsa dalla classe.
Incontrò Tink per i corridoi che correva come una forsennata verso la classe di psicologia: non la degnò di uno sguardo.
Quando ebbe messo tra sé e l’aula almeno due piani tirò un sospiro di sollievo.
Quella frase…ma come le era venuto in mente di dire una cosa simile?
Non era mai stata una ragazza particolarmente delicata nelle parole, ma questo era stato troppo anche per lei. Pensò che forse avrebbe dovuto scusarsi con la professoressa con un minimo di convinzione in più.
Mentre camminava verso l’uscita realizzò improvvisamente che l’indomani sarebbe stato S.Valentino. Il San Valentino prima l’aveva festeggiato con Robert, a casa loro, sotto le coperte.
Le si contorse lo stomaco a quel ricordo e si ricordò di non aver ancora accennato a sua madre della rottura col ragazzo.
“Attenta a dove metti i piedi carina!”
Regina si bloccò bruscamente per non cadere addosso alla persona che aveva parlato.
“Potresti guardarti in giro anche tu sai!” ribattè piccata.
Di fronte a lei una ragazza la guardava con fare di superiorità: ricci capelli rossi e due penetranti occhi azzurri, i lineamenti decisi, squadrati ma fini, la pelle bianchissima e leggere lentiggini. Era alta, magra e indossava una divisa ad cheerleader.
“Io mi sono guardata in giro. Infatti ti ho vista, per questo abbiamo evitato di farci male!”
Regina strinse gli occhi. Non le pareva di aver mai visto quella ragazza nella sua squadra.
“Sei una cheerleader?”
“Naturalmente” rispose l’altra sorridendo.
“Non ti ho mai vista in squadra”
“Sono arrivata da poco in questa scuola, ho fatto i provini per entrare in squadra qualche giorno fa.”
“Io sono il Capitano.”
“Non lo sei. Ti hanno cacciata o…sbaglio?” disse l’altra innocentemente.
Regina spalancò gli occhi stupita. Che lingua lunga aveva quella ragazza.
“Mi sono presa una pausa per frequentare dei corsi in più.”
“Fantastico” rispose l’altra sorridendo.
“Come sai comunque che non sono più il capitano?”
“Ho chiesto in giro. Ero interessata a quel ruolo.”
“Spiacente, è già preso”
“Ne sono certa”
A Regina non piacque la sua espressione. Sorrideva, sì, ma non sembrava amichevole.
“Allora suppongo che ci rivedremo presto in squadra” riprese la rossa.
“Molto presto” rispose Regina.
“Non vedo l’ora”
Le lanciò un altro breve sorrisino e fece per andarsene. Poi si voltò e sempre sorridendo le pose la mano.
“Comunque sono Zelena. Zelena Greenie”
“Regina Mills”
 
 
Giunse a casa completamente sfinita e si buttò sul letto.
La sua vita era precipitata nel giro di poche settimane, e non l’aveva minimamente previsto.
Ripensò a Zelena, quella ragazza che al momento indossava una divisa da cheerleaders. Ripensò a sua madre e alle cattiverie che le aveva detto.
Tutte le cattiverie.
Non era giusto.
Non era una santa ma non meritava nemmeno questo, aveva lavorato sodo per arrivare dov’era arrivata, e in poco tempo tutto le scivolava via dalle mani.
E la gente continuava a giudicarla.
Di getto aprì il computer ed iniziò a scrivere.
 
 
 
 
 
Il giorno dopo Tink ed Ariel riuscirono ad ottenere il permesso del preside per stampare giusto qualche volantino da distribuire all’ingresso.
Insieme accordarono che avrebbe dovuto pensarci Gold.
Lui era quello popolare. Se avessero visto lui sicuramente se non altro si sarebbero fermati ad ascoltare.
Per qualche misterioso motivo il ragazzo venne incaricato di distribuire volantini proprio insieme a Belle (la quale era sempre più sospettosa delle forze che le spingevano inesorabilmente verso Robert).
Così in una fredda mattina di febbraio i due si incontrarono davanti a scuola armati di guanti e sciarpe, pronti a fare il loro lavoro.
“Sembra proprio che non possiamo fare a meno di ritrovarci sempre” disse Gold sorridendo leggermente e consegnando il primo foglietto in mano ad una ragazza del secondo anno che lo guardò ammirata ed entrò a scuola leggendo il contenuto insieme alle amiche.
“Già”
“Sei ancora arrabbiata?”
“Non sono arrabbiata!”
“Ma non mi parli”
Belle consegnò un plico di volantini ad una comitiva di ragazzi.
“Ho detto a mio padre di Regina” riprese Robert.
La ragazza si bloccò.
“Smettila” sussurrò poi guardandolo “Non ha più valore adesso”
“Ce l’ha invece”
“Potevi pensarci prima”
“Ho solo sbagliato”
“E’ una cosa che fai spesso”
“Ma chiedo sempre scusa! E poi trovo sempre un modo per riparare!”
“Non sempre ma…ogni tanto sì.” gli concesse lei.
Continuarono il loro lavoro per un po’, aspettando l’inizio delle lezioni.
In effetti vedendo Gold, gli studenti parevano interessati all’iniziativa. Leggevano il volantino e si consultavano a riguardo.
“Entro una settimana avremo così tanti iscritti che non sapremo più dove metterli” disse entusiasta.
“Sì, se anche un quarto di loro si iscrivesse saremmo più che a posto per il resto dell’anno”
“Sono contento di lavorare con te. Con tutte voi in realtà, ma soprattutto con te.”
Belle soffocò un sorrisino nella sciarpa, sentendo le guance diventare improvvisamente bollenti.
“Allora sorridi!” disse lui.
“Fai il tuo lavoro”
“Certo!”
“L’hai chiesto tu alla Swan di poter lavorare con noi?” chiese poi Belle cercando di fingersi indifferente.
“Sì. Le ho detto che sarebbe stata una punizione molto costruttiva!” mentì lui spudoratamente.
Finirono di distribuire i restanti volantini.
“Bene, per oggi direi che abbiamo fatto. Basta un iscritto e saremo tutti salvi almeno fino alla prossima settimana!”
“Vedrai, andrà tutto bene”
Rientrarono a scuola, camminando vicini in silenzio.
“Ti porto la borsa?” chiese ad un certo punto Robert.
“Ce la faccio da sola, ma grazie comunque”
“Okay”
Si bloccarono davanti ad una classe, guardandosi.
“Bene, io ho filosofia ora” iniziò Belle.
“Io matematica”
“Allora…ci vediamo più tardi”
“Sì”
Rimasero un momento immobili. Sembrava che il mondo intorno si fosse fermato.
Poi quasi simultaneamente si avvicinarono e Gold prese il viso di Belle tra le mani.
Lei chiuse gli occhi, fece appena in tempo a sentire le morbide labbra di Robert che sfioravano le sue quando improvvisamente il cellulare squillò fortissimo.
“SANTO DIO!” Esclamò Gold staccandosi.
“E’ Tink” disse lei precipitosamente.
C’era una sola parola scritta sullo schermo:
 
EMERGENZA.






 


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Song: Revulution - Beatles

Non sono lucida. Ho appena finito la diretta della 3x16 e sto un po' esplodendo.
Mi scuso per il ritardo ma è davvero un periodaccio, tra esami e teatro non sto più dietro a niente. Ma non mollo!
Behbeh, non so che altro dire, veramente, è l'1.54 e sono a pezzi ma sono "abbastanza soddisfatta" di questo capitolo, nel senso che pensavo sarebbe stato peggio, essendo un capitolo di passaggio.
Però boh, aspetto le vostre opinioni. Grazie come sempre per le recensioni, per seguire la storia, per tutto :)
Un bacione a tutti quanti, godetevi la 3x16 perchè è una puntata SPETTACOLARE.
Seasonsoflove

 

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Capitolo 18
*** Valentine's day Pt.1 ***


 
S.Valentine's day!











Era stata una vera pazzia da parte di Tink, organizzare una riunione il giorno di San Valentino, ma tutti ne avevano bisogno.
L’idea di Gold aveva funzionato. Come previsto Killian si era immediatamente iscritto quando aveva saputo che l’iniziativa gli avrebbe dato crediti extra.
Sorprendentemente però si erano trovati anche nuovi scrittori. Una volonterosa ragazza bionda del secondo anno, Ashley Cinder, un certo Jefferson Hatter, stravagante ragazzo dell’ultimo (già parte del Club di Pittura) e una coppia di fidanzati del terzo anno, Philip e Aurora.
Tink guardava con occhi famelici tutti i nuovi iscritti.
“Smettila, li spaventi” le sussurrò Belle.
“Cinque nuovi iscritti. Siamo in nove” disse l’altra con sguardo rapito.
Ariel chiacchierava amabilmente con tutti, intrattenendo quelle che potevano definirsi le pubbliche relazioni del giornalino.
Robert invece era appoggiato al muro ed osservava soddisfatto il suo operato.
Si era impegnato al massimo affinché il progetto funzionasse, e questo non era di sicuro passato inosservato agli occhi di Belle, che in quel momento si voltò verso di lui e gli sorrise radiosa.
“Sono tutti molto emozionati! Anche io lo sono!” strillò felice Ariel tornando da Belle e Tink.
“Ottimo. Questa riunione dovrà essere motivante al massimo!” esclamò Belle.
Tink si guardò un attimo intorno e poi disse:
“Non accenniamo ancora a nessuno della lettera anonima che abbiamo ricevuto, vero?”
“Direi di no. Ce la sbrighiamo tra noi redattori” sussurrò Belle.
“E come facciamo?”
Belle ci rifletté su.
“Direi che andiamo dalla professoressa Swan. Lei saprà sicuramente cosa fare”
“Bene, appena finita la riunione corriamo da lei. Ora, tu e Gold filate a fare le fotocopie del programma, poi tornate qui, le consegniamo e iniziamo la riunione”
E così fecero, dirigendosi verso la macchina fotocopiatrice in corridoio.
Belle era vagamente nervosa. Era ben consapevole che pochi giorni prima si erano quasi baciati in corridoio davanti a tutti.  Visto che i suoi sforzi per porre fine alla loro strana amicizia erano stati completamente vani, aveva deciso di lasciare semplicemente che le cose…andassero avanti. In qualunque direzione decidessero di andare.
Tanto, in ogni caso, ormai aveva accettato il fatto che qualunque forza in quella città sembrava spingerli l’una verso l’altro.
Ma nonostante tutto Belle era comunque nervosa.
Gold le lanciò un sorrisino ed accese la fotocopiatrice.
“Sai far funzionare quell’affare, vero?” chiese lei dubbiosa.
“Dubiti ancora delle mie capacità”
“Mi informavo semplicemente”
Il ragazzo infilò il volantino nella macchina e avviò il processo. Dopodiché si voltò verso di lei, le si avvicinò sfiorandole dolcemente le mani e sorrise placidamente.
Belle lo guardò di sottecchi.
“Smettila”
“Di fare cosa, cara?”
“Di guardarmi con quel sorrisino e quell’espressione” (*)
“Quale?”
“Quella”
Robert avvicinò il viso al suo.
“Quella quale?” le chiese poi.
Belle sorrise leggermente appoggiandogli le mani sulle spalle.
“Smettila e basta” disse poi scompigliandogli leggermente i capelli, afferrando le fotocopie e rientrando in aula.
“Abbiamo fatto” disse poi, rivolta verso Tink.
“Okay, perfetto” borbottò l’altra.  “ALLORA!” Richiamò l’attenzione della minuscola folla di studenti alzando la voce.
“Con sommo ed orgoglioso piacere dichiaro aperta la prima ufficiale riunione del giornalino scolastico della Storybrooke Highschool!”
Durò a lungo (anche troppo) e vennero affrontati diversi temi.
Tink osservava soddisfatta i suoi adepti. Il suo progetto era decollato. Belle accanto a lei enunciava le tematiche del giorno, mentre tutti ascoltavano attenti (a parte Killian che continuava a lanciare occhiatine ammiccanti a Tink e controllava regolarmente il cellulare)
Ma a ben voler vedere in quel momento il meno attento era Robert.
Era definitivamente troppo preso da Belle per riuscire a prestare attenzione alla riunione.
Nelle ultime settimane aveva imparato a conoscerla, ed era incredibile constatare quanto si fosse fatto incantare, giorno dopo giorno.
Ogni volta che poteva, lasciava che i suoi occhi indugiassero sul suo viso, così armonico e perfetto. Sulle sfumature rosse dei suoi capelli setosi, sugli occhi di quell’azzurro incredibile, sulle sue labbra, sulla la forma del naso o quella della mandibola.
Ogni cosa lo incantava, anche ogni minuscolo dettaglio.
E la cosa ancora più meravigliosa era il suo carattere.
Certo, poteva essere testarda quando ci si metteva, ma era così giusta, ed intelligente, e colta, e coraggiosa…
Arrivato a quel punto Robert Gold si era accorto di essere decisamente cotto di Belle French: non riusciva a pensare ad altro. Ripensava continuamente alle volte in cui si erano baciati, a quando erano usciti insieme, alla serata a casa sua e a come lei si era adagiata sul suo petto e aveva chiuso gli occhi…
 “E tu ti occuperai di parlare con quelli del Glee Club. Ok?”
Robert si destò improvvisamente rendendosi conto che Belle stava parlando con lui.
Annuì convinto non avendo la più pallida idea del da farsi.
 
 
 
 
“Hai piani per questa sera?”
“Mh…non credo, te?”
“Niente. Jones mi ha proposto una serata al Rabbit Hole ma credo che declinerò cortesemente”
Tink e Belle stavano riordinando alcuni documenti a fine riunione.
Ariel era corsa via prima borbottando qualche mezza scusa.
“Credi che Ariel stia uscendo con qualcuno?” chiese Belle.
“Secondo me sì. Sembrava molto di fretta. Beata lei però” si fermò un momento, poi riprese: “Certo che è squallido passare il San Valentino da sole” borbottò Tink.
“Ci sono abituata”
“Non dovrebbe essere così! Siamo belle, magre ed intelligenti…”
“Tu potresti uscire con Killian!”
“Non mi va”
Belle sistemò la fotocopiatrice, poi si voltò verso l’amica.
“Non ti piace neanche un po’?”
“Perché me lo chiedi?”
“E’ un bel ragazzo. Io lo detesto cortesemente ed è un imbecille ma a te non ha fatto niente…insomma non dovresti dargli una possibilità?”
Tink guardò per terra.
“Non è il mio tipo”
“Qual è il tuo tipo?”
“Non lo so bene neanche io”
“Allora prova ad uscirci. Se va male puoi sempre tornare a casa, non mi sembra uno che se la prende”
“Forse hai ragione…”
Belle sorrise.
“Ma tu rimarrai a casa da sola?”
“Io non ho problemi di solitudine! Mi farà compagnia il Giovane Werther”
“Questo è triste, sappilo”
“Sono una ragazza melanconica”
“E col gusto del melodramma?”
“Decisamente.”
 

 
 
Qualche settimana prima:
 
“Sai quale sarebbe il mio sogno?” disse improvvisamente Belle, sfogliando un’edizione illustrata di Alice nel Paese delle Meraviglie, finita per sbaglio tra le scartoffie dell’archivio.
“Vivere in una biblioteca con tantissimi gatti. E con me, ovviamente.” rispose Robert compilando un registro.
“Quasi” disse lei ridendo.
“Lo sapevo che facevo parte del tuo sogno!”
“Egocentrico”
“Seriamente, qual è?”
“Con la parte della biblioteca c’eri quasi. Mi piacerebbe passare una notte in biblioteca. Ci penso da quando ero bambina…sai, nel silenzio, poter sfogliare tutti i libri che voglio senza nessuno che mi faccia pressione, cercare le vecchie edizioni.”
“E pensare che le altre ragazze sognano una notte in un centro commerciale”
“Anche quella è ben accetta”
Gold sorrise.
“E la tua notte da sogno dove la passeresti?”
Lui non rispose subito. Aveva una certa risposta pronta sulla punta della lingua, ma forse era il caso di tenersela per sé.
“Penso in una gelateria” (**) disse infine.
“Sei serio?”
“Sì. Mi piace il gelato. Ne mangerei tanto fino a stare male, ma credo che sarei felice”
Belle scosse la testa ridacchiando e riprese a lavorare.
 
 
 
 
Dopo la riunione:

Belle camminava verso il cancello del cortile, ignara di essere spiata.
Robert, appostato e accovacciato strategicamente dietro una macchina (se qualcuno l’avesse visto da lontano sarebbe risultato decisamente ridicolo) controllava che fosse sola.
Sentì il cuore battere a mille.
Non aveva mai fatto una cosa simile.
Si alzò e camminò deciso verso la ragazza.
“Belle!”
Belle sobbalzò, non si aspettava di essere raggiunta così all’improvviso.
“Mi hai spaventata!”
“Oh…scusa, non volevo.”
“Ciao comunque!”
“Ciao!”
Si torse le mani.
Belle lo guardò interrogativamente.
“C’è…qualcosa che volevi dirmi?”
“Io…sì. Ehm…Buon San Valentino”
Seguì qualche secondo di imbarazzato silenzio.
“Gr-grazie! Anche a te”
“Ti ho preso una cosa”
Déjà Vu.
Belle aprì e chiuse la bocca, poi riuscì a parlare.
“Beh…riesci sempre a stupirmi con questa frase, non c’è che dire”
Gold sorrise nervoso.
“Questa volta niente bouquet. E niente camicetta nuova.”
“Oh beh peccato, iniziavo a farci l’abitudine”
Robert mise la mano in tasca ed estrasse una scatolina rossa di velluto.
Dopodichè la porse esitante a Belle, dimenticandosi quasi di respirare.
La ragazza rimase impietrita.
Che diavolo era quella scatolina?
Ne aveva viste un’infinità nelle commedie romantiche…e in genere contenevano una sola cosa. Ma non poteva essere. Non poteva essere così folle da averle preso un anello. E soprattutto non poteva essere così folle da pensare che lei lo avrebbe accettato. Cercò di immaginare qualche altra cosa, qualsiasi altra cosa che potesse essere contenuta in una scatolina di quelle dimensioni e di quel genere, ma le vennero in mente solo cose costose.
Tipo gioielli. Un anello. Orecchini. Una collana. Un braccialetto. Un anello. Un anello.
Aprì la bocca a vuoto due o tre volte.
Gold la fissava interrogativo con il braccio teso.
“Dovresti prenderla…e aprirla”
“Scusa la schiettezza ma…se è un anello la risposta è no”
“Tu aprilo e basta”
Belle afferrò con mani tremanti il minuscolo e lussuoso contenitore, e altrettanto tremante lo aprì.
Ciò che vide all’interno la fece da una parte rilassare, dall’altra la rese decisamente perplessa.
Un paio di chiavi.
Anche piuttosto rovinate.
“Oh…ehm…grazie. Sono…delle chiavi!” disse esitante.
Non sapeva esattamente come reagire.
Gold scoppiò a ridere.
“Volevo vedere la tua faccia prima di dirti cos’era, è stato divertente. Allora…ti avevo accennato che mio padre possiede…beh, qualche edificio qui a Storybrooke. Ma non ti ho detto che tra questi c’è anche la biblioteca” si interruppe brevemente e poi proseguì “E insomma, i proprietari hanno sempre un mazzo di chiavi. Così mi sono informato e …beh, sono riuscito a procurarmele. Non potrai tenerle per sempre, mi dispiace, se ne accorgerebbe e farebbe cambiare la serratura o chiamerebbe la polizia, ma diciamo che dovrebbero andare bene per una settimana…e…tu avevi accennato che ti sarebbe piaciuto passare una notte tra i libri della biblioteca senza nessuno in giro…e così ho pensato che magari potevi andare con Tink o Ariel. Basta che facciate piano per non attirare l’attenzione, non c’è nessun allarme se si entra con le chiavi. C’è anche la chiave dell’archivio –che non è schifoso come quello scolastico- dove ci sono i testi che non si trovano normalmente di sopra e…beh…ora potresti dire qualcosa…i-insomma…”
Iniziò a balbettare.
Improvvisamente gli sembrò l’idea più cretina del mondo.
Perché non le aveva preso delle rose o dei cioccolatini?
Belle rimase in silenzio a fissare le chiavi, rigirandosele tra le mani.
Non sapeva cosa rispondere.
Mai in vita sua avrebbe immaginato che un ragazzo le avrebbe regalato una biblioteca per San Valentino.
Ma Robert l’aveva fatto.
La conosceva e sapeva cosa amava più di ogni altra cosa al mondo, cioè i libri.
Immaginò quanto dovesse essere grande l’archivio, e quante edizioni vecchie neanche più in vendita dovessero esserci.
Deglutì.
“Grazie” mormorò.
“Oh…di niente!”
Il silenzio intorno a loro sembrò schiacciarli.
Belle ripensò a quelle ultime settimane. A come aveva imparato a conoscere Gold, a ciò che le aveva detto al Ballo, all’episodio della camicetta e a quello disastroso a casa sua, a come aveva picchiato Killian quando l’aveva insultata, al fatto che si era iscritto al giornalino per lei, a come si era impegnato per trovare nuovi adepti, al regalo.
“Spero…che sia stata una buona idea” riprese lui titubante “Non volevo prenderti il solito mazzo di rose o quelle cose sdolcinate e-“
“Ti va di venirci con me?”
Gold la fissò stupito.
“In biblioteca?”
“Sì. Hai detto che posso portare Tink o Ariel, ma vorrei andarci con te, se…se ti va.”
“Io…sì! Mi va eccome! Qu-quando?”
Belle sorrise felice.
“Questa sera”
“Ma è San Valentino”
“Lo so! Quindi?”
“Io- Beh, credevo che-“
“Ti va?”
“Sì! Certo, cavolo se mi va!”
“Mi passi a prendere alle otto?”
“Okay! Volentieri!”
“Bene…allora a questa sera”
E poi senza pensarci due volte, Belle si alzò in punta di piedi e gli scoccò un dolce bacio a stampo. Socchiuse gli occhi godendosi il momento, sentendo il venticello freddo soffiare leggero sulla propria pelle bollente.
Si staccò e a entrambi scappò un sorriso.
Dopodichè si girò senza dire niente e si incamminò allegra verso la fermata del bus, poi si girò ed esclamò.
“Ah, porta i soldi per la cena. Questa volta offri te!”
Gold ghignò.
“E’ un appuntamento quindi?”
“E’ un appuntamento!”
Robert annuì soddisfatto e si avviò verso la macchina quasi saltellando.
In tutta la sua vita non si era mai sentito così spensierato e felice.
 
 
 
 
 
Regina era comodamente sdraiata sul letto, e si godeva la quiete del fine settimana imminente.
Non era successo nulla di terribile in quegli ultimi giorni.
E si era sentita decisamente meglio dopo…dopo quello sfogo.
Non aveva idea se la lettera fosse arrivata a destinazione, ma il solo fatto di averla scritta la faceva sentire meglio.
Inoltre i suoi recuperi con la Swan stavano sicuramente andando bene. Aveva già sostenuto un’interrogazione su metà del programma e l’aveva passata a pieni voti.
Ancora qualche settimana e sarebbe tornata in squadra.
Aveva adocchiato quella Zelena per i corridoi e aveva decretato che non era assolutamente alla sua altezza.
Improvvisamente sentì la porta dell’ingresso aprirsi e due voci femminili chiacchierare in corridoio.
Riconobbe quella di sua madre Cora.
L’altra non riusciva ad identificarla.
Si alzò e si incamminò verso la porta d’ingresso.
Rimase completamente paralizzata.
Zelena.
Nell’ingresso, con sua madre. Chiacchieravano e scherzavano come se fossero grandi amiche.
“Ma-mamma?”
“Oh tesoro, scendi pure, devo presentarti una persona”
La mora mosse automaticamente i piedi, mentre Zelena le rivolse il suo miglior sorriso, bianco e smagliante.
“A quanto pare le nostre strade non possono fare a meno di incrociarsi, cugina” disse poi, enfatizzando la seconda parola.
Regina deglutì. Respirò a fondo.
Cugina. (***)
“Cugina?”
“Di secondo grado tecnicamente. Naturalmente non ne avevo idea quando ci siamo presentate a scuola l’altro giorno” continuò Zelena.
Bugiarda pensò Regina.
 “E’ figlia di Johnatan, te lo ricordi? E’ il figlio della sorella di tuo padre, l’hai incontrato una volta tanti anni fa. Loro vengono dal Kansas”
“Che…bello”
“Stavo pensando che Zelena potrebbe fermarsi a cena, non è vero?”
“Assolutamente, mi farebbe davvero piacere”
“Regina, immagino che tu sarai fuori a mangiare con Robert…”
Lei non rispose.
Zelena sgranò gli occhi “Chi?”
“E’ il suo ragazzo”
“Hai un fidanzato? Posso vedere una sua foto?” chiese subito l’altra.
Regina si sentì morire dentro.
Non aveva ancora detto a sua madre della disastrosa fine tra lei e Robert, e quello di sicuro non era il momento più adatto.
Non aveva neanche una sua foto, le aveva cancellate tutte dopo il Ballo.
“Allora?”
“Non ho…foto sue qui a portata di mano”
“Beh, a che ora passa a prenderti?” incalzò Cora.
“Non…non lo so, devo ancora sentirlo, non abbiamo deciso”
“Ma come non avete deciso!”
“Non sappiamo se usciamo questa sera”
“Ma è San Valentino” disse Zelena come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“Sì ma ecco, noi non amiamo molto questo tipo di feste”
“Che sciocchi” disse Cora sorridendo amabilmente “Beh, scommetto che avrete festeggiato a scuola. Ora se volete scusarmi, vi lascio sole un momento, devo assolutamente chiamare tuo padre, Regina”
“A scuola? E’ a scuola con noi? Lo conosco? Cognome?” chiese subito Zelena appena furono sole nell’ingresso.
Regina si guardò intorno disperata.
Non c’era via di scampo.
“Robert…Gold”
“Santo Cielo, davvero?”
“Sì…perché?” chiese sospettosa.
“E’ quello dell’ultimo anno coi capelli castani?”
“Sì” rispose Regina senza mostrare alcuna emozione.
“Strano” disse semplicemente l’altra.
“Perché?”
“Beh…” iniziò Zelena, sempre senza smettere di sorridere “Perché giurerei di averlo visto baciare una ragazza rossa nel cortile della scuola. ”
 
 


 
 
 
Tink era estremamente inquieta. Doveva ammetterlo.
Non era un grosso problema stare da sola: lei era una donna indipendente, aveva molte cose da fare e sapeva come occupare il tempo.
E’ che proprio l’idea di passare la giornata di San Valentino seduta davanti al computer...la deprimeva.
Senza pensarci afferrò il cellulare.
Uno squillo. Due squilli. Tre…
 
 
Belle era seduta sul letto e fissava il vuoto.
Il suo armadio era completamente aperto, i vestiti sparsi ovunque, due o tre riviste di moda erano state lanciate attraverso la stanza.
Non aveva idea di cosa indossare.
Si alzò in piedi, gironzolò nervosa per la stanza scavalcando una pila di pantaloni, maglioncini e t-shirt.
Le aveva provate tutte, ma ogni cosa che indossava le sembrava più orrida ed inappropriata della precedente.
Si guardò allo specchio.
Avrebbe dovuto mettersi a dieta prima.
O magari avrebbe dovuto risparmiare e non comprare la nuova edizione illustrata di Jane Eyre e comprarsi un nuovo vestito.
Robert non avrà di sicuro questi problemi pensò rabbiosa. Lui era un uomo, si infilava una delle sue quaranta camicie nere o blu o bordeaux, un gilet, i pantaloni, una delle sue costose cravatte…
Driiiin
Belle sobbalzò. Quasi sperava che fosse Gold che si scusava per dover disdire l’appuntamento. E invece…
“BELLE FRENCH!”
La ragazza allontanò precipitosamente il cellulare dall’orecchio.
“TINK! NON PUOI URLARE IN QUESTO MODO AL TELEFONO!”
“MA STAI URLANDO ANCHE TU!”
“Okay. Calma. Ma non urlare mai più in questa maniera!”
“Va bene, allora, cosa stai facendo?”
“Io…sto…leggendo” mentì rapidamente Belle.
“Allora non ti dispiacerà passare a casa mia! Passiamo un San Valentino tra ragazze! Ci ho pensato ma proprio non mi va di stare da sola! Che ne dici?”
Belle esitò. E ora cosa poteva dirle?
“Io…non sto bene. Ho un forte mal di testa!”
“Ma non facciamo qualcosa di stancante! Guardiamo un film, chiamo anche Ariel, ci infiliamo tutte sotto le coperte e piangiamo riguardandoci Espiazione!”
“Davvero Tink, verrei ma…” Non sapeva come proseguire.
“Va tutto bene?”
 Sentendo la voce preoccupata dell’altra Belle esplose.
“No. No. No per niente! Gold mi ha regalato la chiave della biblioteca- cioè, l’ha rubata a suo padre e me l’ha prestata ma insomma, il punto è che questa sera esco con lui. E per uscire intendo…uscire. E non so cosa indossare. Non so come comportarmi, mi sembra di essere ingrassata e sto impazzendo”
Un lungo silenzio seguì il suo monologo.
“Esci con Gold?”
“Sì”
“Un appuntamento ufficiale?”
“Sì”
“Hai casa libera?”
“Sì, mio padre sta lavorando, perché?”
“Okay, dieci minuti e arrivo”
“Ma-“
Tink aveva riattaccato.
 
 
“Troppo suora” disse Tink critica mentre Belle girava su sé stessa.
“Ma perché?”
“Perché sì. Oh, Ariel mi ha fatto uno squillo. Vado ad aprirle” rispose rapida l’altra, muovendosi tranquilla e autonomamente per la casa di Belle.
Le due ragazze entrarono nella camera di Belle poco dopo. Tink aveva un pacchetto di biscotti in mano.
“No ma tranquilla, fai come se fossi a casa tua!” protestò Belle.
“Grazie” replicò l’altra, buttandosi sul letto ed iniziando a sgranocchiare.
“Ma quanti vestiti” esclamò Ariel felice battendo le mani “Dobbiamo aiutarti a sceglierne uno? Non ho capito niente di quello che Tink mi ha detto al telefono perché parlava troppo veloce”
“Sì io…esco con Robert questa sera”
“OH MIO DIO” Strillò l’altra. Corse ad abbracciarla.
Tink intanto aveva preso un vestito giallo e lo guardava criticamente.
“Provati questo” disse poi lanciandoglielo.
“No! Mai il giallo ad un primo appuntamento!” esclamò Ariel.
“Ma…” iniziò Belle.
“Prova questa invece” continuò Ariel afferrando una gonna di pelle.
“No! La pelle al primo appuntamento! Sembrerà una facilona!” protestò Tink.
“Io verament-“
“Ma tanto loro due sono già usciti insieme, giusto Belle? Perciò non è il primo appuntamento”
“Tecnicamente è il primo appuntamento ufficiale”
“Okay, provati anche queste” Tink le ficcò in mano una pila di t-shirt
Belle si diresse disperata in bagno con le mani piene di vestiti e il cuore pesante.
 
 
Due ore e numerose crisi isteriche più tardi, Belle si guardava perplessa davanti allo specchio.
Ariel accanto a lei sorrideva radiosa e anche Tink sembrava soddisfatta.
Avevano infine optato per un vestitino blu, sopra il ginocchio e non troppo scollato.
“Sembro grassa?” chiese Belle.
“No” rispose Ariel.
“Sembro suora?”
“No” rispose Tink.
“Sembro una facile?”
“No!” risposero entrambe.
Belle si girò e guardò le amiche, poi le abbracciò entrambe contemporaneamente.
“Okay. Arriverà tra un’oretta. Vi voglio bene ragazze, grazie. Davvero, grazie per l’aiuto” disse sorridendo.
“Andrà una meraviglia, vedrai!” rispose Ariel contenta.
“Speriamo. Ora smammate, devo finire di prepararmi”
“Posso portarmi via il pacchetto dei biscotti?” chiese Tink.
“Sì…sì, certo. Tanto ormai è quasi finito”
“Ottimo!”
Belle le accompagnò alla porta.
Ariel si girò ed emettendo un altro strano squittio la abbracciò forte.
“Sono così emozionata per te! Mamma mia, poi dovrai raccontarmi tutto!”
“Già….mi sa che sei quasi più emozionata te di me” rispose Belle sorridendo.
“Ricorda. Non fare la finta casta, non fare la suora ma non fare neanche la facilona, non essere acida, indossa i tacchi e ricordagli che mi deve un articolo per giornalino sulla situazione in Medio Oriente” disse Tink con serietà.
“Io- certo”  Belle era un po’ destabilizzata ma annuì coscienziosamente.
Dopodiché salutò le amiche e si preparò psicologicamente alla serata.
 
 
 
 
 
 
 
Col cuore che ancora batteva forte per l’umiliazione, Regina uscì precipitosamente di casa, sbattendo la porta. Una volta percorso il vialetto d’ingresso si fermò in strada, respirando profondamente.
Aveva bisogno di fare un giro. Si sarebbe fermata da qualche parte, avrebbe preso un bel whiskey, come aveva fatto al Ballo, si sarebbe calmata…poi si ricordò che era San Valentino.
Qualcosa di sgradevole e gelido si mosse nella sua pancia.
Riprese a camminare.
San Valentino, la festa degli innamorati. L’anno prima aveva passato la giornata con Gold: erano i loro tempi d’oro, i tempi in cui avevano forse persino provato qualcosa l’uno per l’altra.
Ma quest’anno era sola, e non c’era niente di più orribile che una ragazza in giro per bar, a San Valentino, da sola.
Sua madre sapeva che era sola. Zelena lo sapeva.
A lei non importava più niente di Gold, poteva pure andare con quella sciacquetta della French, ma era tutto estremamente umiliante.
Sua madre l’aveva derisa, Zelena aveva cercato di mostrarsi comprensiva ma Regina lo sapeva, conosceva le stronzette come lei, si era divertita a rovinarle la giornata…
Senza rendersene conto era quasi arrivata in centro città.
E ora?
Avrebbe fatto un giro e sarebbe tornata a casa. O forse anche no, magari poteva chiamare…
Chi poteva chiamare? Non aveva amici da cui dormire. Non aveva un ragazzo. Non aveva nessuno.
Forse avrebbe potuto chiamare qualche sua ex compagna cheerleader, Katherine magari le avrebbe dato ospitalità per una notte…
Cozzò contro qualcosa di duro, udì un “AHIA! Attenta!” e rovinò a terra trascinandosi dietro qualcun altro.
“Dannazione!” imprecò Regina.
Riaprì gli occhi che aveva chiuso durante l’urto, e si trovò faccia a faccia con Emma Swan.
La bionda la guardò con tanto d’occhi.
“Regina!”
“Professoressa Swan.”
“Si può sapere perché non guardi la strada quando cammini? Puoi farti male sul serio!”
“Io…ero sovrappensiero! Mi scusi, non l’ho vista!”
Entrambe si rialzarono leggermente ammaccate, strofinandosi la testa.
“Hai la testa dura!” disse Emma sorridendo leggermente e massaggiandosi la fronte.
“Magari è lei che ha la testa dura!” ribatté Regina.
L’altra non rispose alla provocazione ma le sue labbra rimasero leggermente incurvate verso l’alto. La situazione sembrava divertirla vagamente.
“Cosa ci fai in giro questa sera comunque? E’ San Valentino!”
“Lei cosa ci fa in giro?”
“La domanda l’ho fatta prima io”
Regina la guardò torva.
“Facevo semplicemente una passeggiata”
“E cercavi ispirazione per una nuova lettera anonima per il giornalino?”
La mora si zittì e si immobilizzò.
Non poteva averlo scoperto. Come diavolo…
“Tranquilla. Nessuno sa che l’hai mandata tu. A parte me naturalmente”
“Non ho idea di cosa stia parlando”
Emma inarcò le sopracciglia.
“Tink, Ariel e Belle sono venute da me e mi hanno mostrato quella lettera. Vuoi dirmi che non l’hai scritta tu?”
“Non saprei” rispose l’altra evasiva.
Non le andava di imbarcarsi in certe situazioni con Emma Swan. Da tempo aveva imparato che era inutile discutere con la bionda professoressa.
“Lei però cosa fa fuori la sera di San Valentino…da sola? Non mi ha ancora risposto” disse poi Regina ricomponendosi.
Emma la guardò a lungo, poi disse:
“Facciamo una cosa. Andiamo a bere qualcosa insieme. Tu mi dici perché hai scritto quella lettera, e io ti dico cosa faccio da sola la sera di San Valentino”
Regina valutò le opzioni.
Bere un drink con la sua professoressa di psicologia, donna che aveva contribuito a rovinarle la vita…non era in cima alle sue aspirazioni.
L’altra possibilità però era quella di tornare a casa da sua madre.
“Vengo, ma decido io dove andiamo” disse infine.
“Come vuoi, in fondo non sono di qua, conosci te i posti migliori” rispose l’altra alzando le spalle.
 
 

 
 
 











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(*)...l'espressione di Robert:  tumblr_n4eelhbHIp1qet889o2_500.jpg questa, e questa tumblr_n4eelhbHIp1qet889o1_1280.jpg. Non potevo non inserirlo scusatemi, non sapevo come altro descrivere letteralmente quel mezzo sorrisino idiota che fa sempre quando flirta con una donna. 

(**) Gold ama i gelati, e il suo negozio è attaccato alla gelateria di Storybrooke. L'ha detto Bobby in un'intervista così l'ho scritto anche qui! :)

(***) Era inverosimile renderle sorelle. Però mi piaceva l'idea della parentela, quindi ho optato per una variato sul tema parenti. Spero non disturbi troppo!


Ciao *lancia cuori*
Sono qua *lancia altri cuori*
Allora un paio di cose.
Innanzitutto mi scuso per il ritardo, ma anche questa volta alla fine ce l'ho fatta a pubblicare!
Poi mi auguro che abbiate passato tutti delle ottime feste pasquali e che vi siate abbuffati per bene di cioccolato! :3
Dunque. Il capitolo di S.Valentino in origine doveva essere uno solo ma sarebbe venuto troppo lungo. Perciò ho deciso di spezzarlo in due e tenere il SUCCO della storia per il prossimo. Don't hate me, prometto che sarete ricompensati. *-* 
Abbiate ancora un po' di pazienza e di fede e tutto sarà rivelato, la lettera di Regina, i piani di Zelena, cosa accadrà ai nostri protagonisti, dove passeranno la serata Tink ed Ariel...cosa faranno Belle e Robert...e cosa faranno Emma e Regina...
That's all. Come sempre vi ringrazio per il sostegno che ricevo, siete a dir poco meravigliosi :)
E per i Rumbellers...non disperate. Pensavamo che si sarebbero riuniti in questa puntata, ma sarà la prossima. Ormai è questione di pochissimo tempo, e dagli spoiler che ho letto in giro avremo qualcosa di EPICO u.u
Perciò hold on e a presto!
#RumbelleHug
Seasonsoflove

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Capitolo 19
*** Valentine's day Pt.2 ***


Valentine's day, part two.







“Dimmi qualcosa che non so di te…qualcosa di sorprendente” disse Belle sbucando improvvisamente da dietro uno scaffale.
“Me la sono fatta addosso giocando a football quando avevo dieci anni”
“Ma dai, queste cose sono banali! Capitano a tutti!”
“A te è successo?”
“No perché non gioco a football! Dai, voglio sapere qualcosa di davvero…inaspettato!”
Lui sfogliò un libro in silenzio.
Erano in biblioteca da circa due ore; prima avevano cenato da Granny’s, cercando di non ridere di fronte alle orribili decorazioni di San Valentino sparse per tutta la tavola calda.
Una volta giunti all’edificio, erano entrati velocemente dalla porta sul retro, senza fare rumore; dopodiché si erano diretti verso l’archivio e lì…Belle si era data alla pazza gioia.
Robert l’aveva guardata felice, pensando che era stato lui a permettere che fosse così contenta, che lui le aveva fatto quel regalo e che quel loro appuntamento era la cosa più bella che gli fosse mai capitata.
“Allora?” insisté Belle.
“Allora cosa!? Sto leggendo!”
“Bugiardo! Smettila di ignorare la mia domanda e stupiscimi!” disse lei, accarezzando la copertina di un libro particolarmente vecchio.
Gold alzò gli occhi al cielo.
Lei sorrise sbattendo leggermente le ciglia.
Come faceva a deluderla se continuava a guardarlo con quei sui occhioni blu…
Ma cosa poteva raccontarle?
Poi l’illuminazione. Si sedette sul tavolo e sorridendo iniziò a slacciarsi i bottoni della camicia partendo dal colletto.
Belle sgranò gli occhi.
“Okay, quando ti ho detto di stupirmi non intendevo in questo senso! Non serve che ti spogli!”
“Aspetta di vedere.”
“Non se ne parla! Non si fanno queste cose al primo appuntamento!”
Robert scoppiò a ridere, mentre Belle lo guardò indignata.
Ma lui si fermò appena sotto il petto, afferrò il colletto e la parte superiore della camicia, la tirò fino a scoprire la spalla.
Lo sguardo di Belle mutò dall’indignato allo stupito e poi al divertito nel giro di pochi secondi.
“Oddio, questa sì che è una sorpresa!”
Sulla spalla, tatuata in nero, c’era una bella lucertola con tanto di coda e zampette. Insomma, una lucertola coi fiocchi! (*)
“E tu che credevi che mi sarei spogliato!”
“Non si sa mai con voi uomini.”
“Mi ritengo offeso!”
“Posso…?” Chiese Belle avvicinandosi ed allungando il braccio verso Gold.
“Sì, certo.”
Si avvicinò e lentamente gli appoggiò la mano sulla spalla.
Seguì il contorno del tatuaggio col dito (strappandogli un brivido che non passò di certo inosservato), e si fermò sulla testa dell’animale.
Robert deglutì, sentendo la pelle bollente dove la ragazza l’aveva appena toccato.
“Come mai?”
“Ero ubriaco.”
“Tanto per cambiare…”
“No, era una situazione speciale…era una delle mie prime sbronze. Avevo litigato con Regina ed ero andato al Rabbit Hole con Killian…E la mattina dopo mi sono svegliato con questo.”
“Se n’è fatto uno anche lui?”
“Sì. Un’ancora e il nome di una nave, Jolly Roger credo…sulla schiena.”
“Che cattivo gusto!”
“In effetti…”
“Non che il tuo sia meglio.”
Robert si coprì sdegnosamente la spalla e le lanciò un’occhiata di superiorità.
In quel momento Belle realizzò di essere pericolosamente vicina al viso del ragazzo, e il suo sguardo cadde inevitabilmente verso il basso vagando dal collo al petto. La camicia era ancora slacciata, quasi a regola d’arte.
Come ipnotizzata alzò nuovamente la mani e la poggiò sul petto di Gold. Voleva sentire di nuovo la sua pelle calda. Le era piaciuta la sensazione che aveva provato toccando la sua spalla.
Robert rimase immobile, trattenendo il respiro. Dopodichè avvicinò senza pensarci il viso a quello di Belle.
Le loro bocche si fermarono a pochi centimetri di distanza l’una dall’altra quando dall’ingresso, un piano più sopra, si udì il rumore di una porta cigolante.
“Merda” mormorò Robert.
“Cos’è stato!?” disse Belle staccandosi rapidamente e guardandosi intorno allarmata.
“Il custode!”
 
 
 

 
 
So don't go breaking my heart
I won't go breaking your heart
Oh yeah
Don't go breaking my heart
 
“Che razza di posto…” borbottò Emma guardandosi intorno.
Regina l’aveva trascinata in quello che pareva essere il bar più alla moda di Storybrooke. Per un momento aveva sperato che avrebbero semplicemente bevuto e mangiato qualcosa da Granny’s (era lì da pochi mesi ma Granny’s era già il suo posto preferito), ma in effetti, conoscendo Regina, non c’era speranza di finire a mangiare patatine fritte in una tavola calda.
“Non le piace?” chiese Regina indifferente, individuando un tavolo un po’ appartato rispetto agli altri e dirigendosi verso quello.
“No…è che…è molto chic.”
“Cosa si aspettava?”
“Va bene, è solo che non ci sono abituata” disse Emma a disagio, sedendosi.
“E a che bar è abituata?” chiese Regina inarcando le sopracciglia.
“Caffetterie credo. E pub!” borbottò l’altra.
Rimasero un momento in silenzio.
Regina si lisciò la gonna, accavallò le gambe e iniziò a guardarsi intorno con curiosità, per vedere se individuava volti conosciuti.
Non la faceva impazzire l’idea di farsi vedere in giro la sera di San Valentino con la sua professoressa di psicologia, per questo aveva scelto un tavolo meno in vista che comunque le potesse offrire una visuale sulla clientela.
Arrivò il cameriere e chiese le ordinazioni.
Emma fissò Regina imbarazzata. Che diavolo si beveva in quei posti? Lei era abituata a qualche birretta con gli amici…
“Un martini, grazie.” Disse la mora sorridendo.
“Per me lo stesso” rispose Emma.
“Posso vedere un documento d’identità signorine?” disse il cameriere.
Emma sgranò gli occhi e Regina sogghignò, tirando fuori un tesserino dalla borsa.
“Lana Parrilla?” chiese il ragazzo dubbioso, guardandola in faccia.
“Sono di origine ispaniche” rispose Regina come se fosse la cosa più naturale dell’universo.
Emma porse anche lei il suo tesserino.
Il cameriere sparì e ritornò poco dopo con i drink.
“Lana Parrilla.”
“Tutti hanno un documento falso qui a Storybrooke.”
“Lo so, cosa credi? Anche io ne avevo uno all’epoca.”
Brindarono.
Appena Emma assaggiò il drink, le sfuggì una smorfia disgustata.
“Non le piace?”
“Me…me l’aspettavo diverso.”
“Non aveva mai assaggiato un martini?”
“La cosa ti stupisce?”
“Beh sì. Credevo che nel posto da cui proviene lei la vita fosse più…emozionante. Sa, le grandi città…”
“Era così infatti. Ma non tutti hanno gli stessi mezzi. Io non ho avuto tempo per girare nei locali alla moda…ho dovuto laurearmi in fretta.”
Regina fece un mezzo sorrisino ironico.
“Sei una ragazza fortunata, Regina, più di quanto credi.”
“Se sapesse come stanno davvero le cose non lo penserebbe.”
“Come stanno le cose? Ho letto quella lettera.”
“Allora dovrebbe aver capito.”
“L’unica cosa che vedo è una normalissima ragazza di diciotto anni, molto bella, che ha una miriade di opportunità davanti a lei e si lascia condizionare e immobilizzare continuamente dalle persone sbagliate, dai pregiudizi e…cazzate varie” concluse facendo un vago gesto con la mano.
 
So don't misunderstand me
You put the light in my life
Oh you put the sparks to the flame
I've got your heart in my sights
 

“Quindi sono permesse le parolacce?”
“Siamo in un’ambiente informale.” Tacque un momento e poi riprese “Comunque in effetti è meglio evitare.”
Regina annuì leggermente.
“Dunque” disse Emma. “Sto ancora aspettando una spiegazione per la lettera.”
“Come sa che l’ho scritta io?”
“Non parli molto, ma mi sono fatta un’idea su quello che potrebbe essere il tuo stile.”
“Poniamo che l’abbia scritta io. Che guai potrebbe portarmi?”
Emma la fissò stupita.
“Guai?”
Regina non rispose e la guardò diffidente.
“Sì, guai.”
“Non capisco che guai dovrebbe portarti. E’ un bene che tu abbia trovato un modo così produttivo per sfogarti.”
La mora inarcò le sopracciglia, poi alzò le mani.
“Allora tutto bene, se lo dice lei!” disse poi.
“Tra le altre cose, scrivi molto bene. Hai mai pensato ad unirti al giornalino scolastico?”
“Con la French? E la Glocke? E Gold!? Sicuro!” disse l’altra sarcasticamente.
“Immagino di no…” mormorò Emma.
 
Don’t go breaking my heart
I won’t go breaking your heart
Don’t go breaking my heart
 
Nobody knows it
When I was down
I was your clown!
 
 
“Dio, che schifo di canzone” disse Regina con sguardo annoiato.
“Come?”
“La canzone. Non la sopporto” ripetè l’altra, finendo il suo martini.
“Perché? E’ una bella canzone, anche se ha fatto il suo tempo.”
“Ma le ha ascoltate le parole?”
Emma finì il suo drink lentamente.
“Sono belle parole.
“Sono stronzate.”
“Hai vissuto abbastanza da poterlo dire con sicurezza?”
Regina incrociò le braccia e le lanciò uno sguardo torvo.
“Mi piacerebbe farti cambiare idea, sai” disse la bionda sorridendo.
“Sulla canzone o sul concetto che c’è dietro?”
“Su entrambe.” Rispose l’altra.
“Non vedo come questo sia possibile.”
“Troverò il modo!” rispose Emma.
 
Don’t go breaking my heart
I won’t go breaking your heart
 
 
 
 

 
Tink ed Ariel chiacchieravano allegramente al miglior ristorante cinese di Storybrooke, Mushus’ Cave.
Avevano infine deciso di mangiare qualcosa insieme per poi dirigersi a prendere qualcosa da bere e magari fare qualche incontro interessante.
 “Quindi tu non ti vedi con nessuno?”  chiese Tink curiosa mentre addentava uno dei suoi involtini primavera.
“Purtroppo no.” Rispose Ariel mogia.
“Ma…c’è qualcuno che ti piace?”
“Più tardi, dopo aver bevuto qualcosa, te lo dico.”
“Oddio, allora la risposta è sì! E’ qualcuno della scuola?”
“Forse…” disse Ariel enigmatica.
Tink borbottò qualcosa infastidita sul fatto che non le piaceva aspettare.
“Dai!” riprese poi incalzante.
“Non se ne parla neanche! Mi vergogno a dirlo!” ridacchiò Ariel.
“Allora è qualcuno di imbarazzante.”
“Non proprio…”
“Lo conosco?”
“Certamente sì!”
Improvvisamente il cellulare di Tink squillò.
 
Killian Jones
 
“Ma che cosa…”
 “Beh? Non rispondi?”
Tink rispose.
Sentì un rumore infernale, musica, tintinnio di bicchieri e urla sguaiate.
“Pronto?” disse, cercando di rimanere calma ed educata.
“GLOCKE!” Urlò la voce di Killian dall’altra parte del telefono.
“Jones.”
Ariel sgranò gli occhi.
“Ciao, senti. C’è una festa…qui…siamo qui” blaterava cose insensate, mentre i suoi amici urlavano in sottofondo.
“Buon per te. Perché mi hai chiamata?”
Ariel le fece segno di continuare la conversazione.
“Sì siamo qui…Rabbit Hole! Allora vieni, vero? Perché tutti mi chiedono di te…” Continuava a parlare e metà delle parole si perdeva nel frastuono.
Tink allontanò il cellulare dall’orecchio, disgustata.
“Beh?” sussurrò Ariel.
“E’ Killian Jones. Mi ha chiesto se voglio andare ad una festa al Rabbit Hole!”
“Oh mio dio!” strillò l’altra eccitata.
“SEI SOLA?” Urlò Jones dal telefoono.
“No io…sono con un’amica” rispose Tink.
“Benissimo. Porta anche lei. Vi aspetto qui eh, chiamami quando siete all’entrata.”
Riattaccò.
Tink ed Ariel si guardarono al di sopra dei loro piatti vuoti.
“Andiamo!” disse la rossa con gli occhi luminosi.
“Stai scherzando…vuoi davvero andare a quella festa?”
“Quando ti ho detto che mi piaceva qualcuno a scuola…” iniziò Ariel alzandosi, prendendo la borsa e il portafogli “Intendevo lui.” Concluse sorridendo ed indicando il cellulare.
 
 
 
 
 
 
Hey heart, on the road again, moving on, forward
See the stars, won’t break the bones
They’re in the car, on the highway
 
“Non ci credo, ce l’abbiamo fatta!” esclamò Belle sollevata, sedendosi su una panchina.
“E continui a dubitare di me” rispose Gold scrutandosi le unghie.
“Faccio bene! Avevi detto che non c’erano allarmi e per poco non siamo finiti dritti alla centrale di polizia!”
“Non ci sono allarmi infatti! Era il custode, non l’allarme…e non saremmo finiti in centrale!” ribatté lui piccato.
Rimasero un momento in silenzio.
“Che facciamo ora?” chiese poi Robert.
Non voleva che il loro appuntamento finisse, e soprattutto non così.
“Mio padre non è in casa” rispose Belle semplicemente.
“Oh…bene…sta…lavorando?”
“Sì, a San Valentino ha sempre molto da fare e a fine giornata deve riordinare tutto” spiegò lei.
“Okay…”
“Quindi…potremmo andare a casa mia” proseguì Belle esitante.
 
It’s so magical, feeling, that no one’s got a hold
 
“Okay. A fare…?”
Belle si lisciò la gonna, si alzò dalla panchina, gli si avvicinò lentamente, e lo afferrò per la cravatta attirandolo a sé.
“Quello che abbiamo lasciato in sospeso poco fa…?”
 
 
Your heart can list the all, happiness you know
 
Gold deglutì.
“O-Okay!”
 

 
 
This is your heart, it’s alive
It’s pumping blood
It’s your heart, it’s alive
It’s pumping blood
And the whole wide world is whistling
 
 
 
Tornando dal bancone con l’ennesima birra in mano, Tink rimase immobile di fronte allo spettacolo che le si parava davanti.
Ariel, appoggiata al tavolo da biliardo, baciava Killian Jones senza il minimo pudore.
Entrambi erano considerevolmente alticci, ma questo non impediva loro di dare spettacolo.
E in quel momento Tink provò una strana, vellutata rabbia e una sensazione mai provata prima di allora: gelosia.
Non era forte.
Non era un sentimento travolgente. Era fastidioso, tutto qui.
La infastidiva pensare che nonostante Jones ci avesse ripetutamente provato con lei, fosse pronto a dimenticarla per la prima ragazza disponibile.
Tink non era una ragazza facile, le piaceva essere corteggiata e conquistata, e nonostante tutto le attenzioni del ragazzo le avevano quasi fatto piacere.
Ci aveva fatto l’abitudine ormai.
Ora più che mai però, era chiaro che lui non era interessato a lei. Non particolarmente.
Era interessato al genere femminile.
Non poteva di sicuro prendersela con Ariel, a lei Killian piaceva, gliel’aveva detto.
Con la birra in mano uscì spedita dal locale, e dopo aver fatto qualche metro si sedette sul gradino del marciapiede.
“Hey bellezza, ci facciamo un giro?”
Era stato un tipo sulla trentina a parlare. Barba scura, capelli lunghi neri, occhi blu.
“E tu chi saresti?”
“Barbanera!” biascicò un suo amico ridendo ed indicandolo, scatenando altre risate generali.
Tink fece una smorfia di disgusto e si allontanò spedita.
Svoltò l’angolo.
“Biondina!”
“Ascolta bello, non ho intenzione di-“
Si bloccò bruscamente ritrovandosi di fronte a Killian.
“Oh. Scusa. Credevo fosse uno di quei tizi che mi hanno importunata prima.”
“Ti hanno importunata? Vuoi che dia loro una lezione?” disse subito l’altro.
“Ehm…no.”
Gli diede le spalle e riprese a camminare intorno al locale.
Lui la seguì.
 
 


 
Hey heart, on the road again, driving stand, forward
 
 “Un altro drink?” chiese Emma.
“E lei sarebbe una professoressa di psicologia? E’ il terzo!” chiese Regina incredula, cominciando definitivamente a sentire gli effetti dell’alcool.
Emma sbuffò e scosse la testa.
“Ogni volta che mi chiamate – professoressa – mi sento una vecchia zitella cinquantenne.”
“Zitella?”
“Sì. Sono single, perciò…vedi? Capisco perfettamente come ti senti!”
“Ha anche una madre frustrata che sfoga su di lei tutti i problemi della sua vita? E che continua a ricordarle che enorme fallimento lei sia, nonostante si impegni per renderla orgogliosa?”
Emma tacque un momento.
“No. Però ho una madre e un padre iperprotettivi che mi portano la colazione a letto.”
“Beh, quello non è male!”
“A ventotto anni lo è.”
“Perché non si trasferisce?”
“L’ho fatto. Mi hanno seguita.”
Regina ridacchiò mentre Emma la guardò torva.
“Mi scusi” disse poi, chiamando il cameriere che passava vicino al loro tavolo “Altri due di quei…quei…martini.”
“No!” esclamò Regina “Prendiamo un vodka lemon questa volta!”
“Oh. Va bene. Due vodka lemon!”
Dopo un po’ Regina disse.
“Non potrebbe mai sembrare una zitella cinquantenne comunque”
“Ah no?”
“No. Lei è troppo carina per rimanere zitella.”
Emma sorrise, stranamente e piacevolmente sorpresa da quel complimento.
I drink arrivarono e le due brindarono allegramente.
 
 See the stars, won’t take his course
Got the band and…
 
 

 
 
“Hai visto che bel San Valentino? Non puoi certo dire che io non sappia organizzare una bella serata!” disse allegramente Killian, interrompendo il silenzio.
Lui e Tink erano in strada, svogliatamente appoggiati al muro.
“Un San Valentino da ricordare!” esclamò lei sarcastica.
“Sicuramente migliore di quello che avresti passato a casa da sola.”
Lei alzò gli occhi al cielo, sapendo in cuor suo che il ragazzo aveva tragicamente ragione.
Killian infilò le mani in tasca e si guardò intorno.
“Quella è Regina!?” esclamò poi all’improvviso.
“Mh?” rispose Tink distratta. Al momento stava trafficando con un pacchetto di sigarette che aveva rubato ad un tizio del Rabbit Hole.
“Regina!”
“Boh, sì, sarà lei” rispose l’altra disinteressata.
“Non è sola però” borbottò lui scrutando l’orizzonte.
“Si sarà trovata un nuovo fidanzato. Era anche ora, cominciava ad essere patetica con quello sguardo da frustrata…”
“Non credo abbia un nuovo fidanzato” rispose Killian lentamente.
“Perché?”
“Vieni a vedere tu stessa.”
Tink si avvicinò a lui e guardò la strada. Dall’altra parte del marciapiede, in fondo alla via, Regina ed un’altra donna camminavano affiancate. Una donna bionda.
“Ma che diavolo…” disse lei stringendo gli occhi.
“Regina si scopa la Swan. Non ci credo!” esclamò poi Killian battendo le mani.
“Ma sei impazzito!?” gli sibilò Tink  “Intanto parla piano. Poi non dire certe cose, neanche per scherzo.”
“Dio, cosa non darei per vederle a letto insieme.” Mormorò lui incantato.
“Smettila e fammi vedere cosa succede!”
“Cosa vuoi che succeda!? Svegliati biondina, se due donne escono insieme la sera di San Valentino può succedere una sola cosa. Ed è una cosa che pagherei oro per vedere!”
Tink sbuffò. Jones era un idiota. Era chiaro che le due erano in atteggiamento assolutamente professionale. Camminavano vicine ma non eccessivamente, chiacchieravano tranquillamente, sorridendo, come due amiche non troppo intime.
Ma in ogni caso, quella storia la incuriosiva molto. Più del dovuto.
Doveva saperne di più, appena arrivata a casa avrebbe scritto a Belle per chiederle il suo parere.
“Secondo te chi è l’attiva e chi la passiva?”
Lei non rispose.
“Per me Regina è attiva. Però anche la Swan, con quelle belle braccia muscolose…” continuava a blaterare Jones emozionato.
Tink le fissò finchè non sparirono dietro l’angolo, dopodichè Killian perse interesse.
“Senti un po’ stai bene, vero? Torniamo dentro. Fa freddo qua, e dentro ci si diverte di più” riprese lui vuotando il suo bicchiere (di plastica) di whiskey.
“Tu ti stai divertendo con Ariel. Io non molto.”
“Allora ci hai visti!”
“Era un po’ difficile non vedervi, non vi stavate esattamente nascondendo.”
“Sei gelosa!” esclamò Killian ridendo.
“Idiota.”
 
It’s the best of world’s feeling, like nothing can go wrong
Hear the sirens, the world, you catching on
 
“Quindi fammi capire, io ti piaccio.” Disse lui amabilmente.
“Quando avrei detto questo?”
“Sei gelosa della tua amica rossa di cui ho già dimenticato il nome, questo mi fa capire che sei chiaramente cotta di me.”
“Ma smettila” sbuffò lei.
“A me tu piaci molto” continuò lui “Ma sei un po’ fredda, e anche acida a volte.”
Tink si bloccò.
Lei non era acida.
Proprio per niente.
 
This is your heart, it’s alive
It’s pumping blood
It’s your heart, it’s alive
It’s pumping blood
And the whole wide world is whistling!
 
Si girò di scatto, afferrò Killian per il bavero della giacca di pelle e lo baciò.
Sentì prontamente le mani del ragazzo afferrarla per i fianchi e attirarla a sé.
La sua bocca sapeva di whiskey ma non era male.
Anche se poco prima aveva baciato Ariel, non era male.
Sentì la barba del ragazzo pungerle leggermente le guance e infilò le mani nei suoi capelli corvini.
Non era per niente male.
 
 
It’s your heart, it’s alive
It’s pumping blood
 
 
 
 
Belle aprì la porta di casa ed entrò, ma vedendo che Robert non la seguiva si fermò bruscamente.
“Non vieni?”
“Io…sì”
Appoggiarono le loro cose nell’ingresso, dopodiché i strofinarono entrambi le mani leggermente imbarazzati.
“Beh…non è un granché, ma è casa*!” disse Belle.
Si avviarono in soggiorno.
La casa non era grande, ma era accogliente.
Il legno chiaro dava un che di caldo e famigliare alle stanze. C’era un leggero odore di fiori, e in effetti, c’erano mazzi di fiori un po’ ovunque.
Sul tavolino del soggiorno e su quello della cucina, sul davanzale, nel sottoscala…
“Mio padre li porta a casa dal lavoro…sai…non riesce sempre a venderli tutti…” borbottò Belle a mo’ di scusa.
“Mi piacciono. Sono colorati e hanno un buon profumo” le rispose Gold sorridendo. Poi le sfiorò il braccio dolcemente, e le accarezzò la mano.
“Scusa io…non ti ho ancora chiesto se vuoi qualcosa. Ho thè, succo, caffè…”
“Non bevo caffè”
“Oh! Bene, neanche io, ma-”
“Lo so che non bevi caffè. Me lo ripeti circa ogni volta che usciamo” disse Robert.
Entrambi sorrisero imbarazzati.
“Comunque un thè andrebbe benissimo, grazie”
La cucina era piccina ma ben fornita. Sugli scaffali erano esposti in bella vista moltissimi libri di ricette e gli strumenti più curiosi.
“Ti piace cucinare?”
“Mi piace fare dolci” rispose Belle indaffarata col bollitore.
“Aspetta, ti aiut-“
“No! Non serve. Dai sii buono, lasciami fare la padrona di casa! L’altra volta l’hai fatto tu!” lo guardò con sguardo supplicante.
“Come vuole lei signorina French” e si inchinò ironicamente.
La ragazza sembrava parecchio nervosa. Continuava a schizzare da una parte all’altra della cucina, prendendo un sacco di cose e dimenticandole un po’ ovunque.
“Zucchero…thè…ma non mi hai detto a che gusto lo vuoi! Ho cannella, cioccolato, frutti di bosco, vaniglia, pesca, thè rosso, thè nero…vuoi anche i biscotti? Ci sono quelli al cioccolato e poi-“
“Belle…”
“Stanno bene con il thè alla cannella, però a casa tua avevamo bevuto thè alla cannella, magari preferisci qualcosa d’altro“
“Belle”
“Però in realtà per me è uguale, cioè devi dirm-“
“Belle!”
Mentre la ragazza trafficava con bollitore e tazze senti due braccia cingerle dolcemente la vita.
Robert le diede un rapido bacio sul collo, facendola rabbrividire, e poi appoggiò la guancia alla sua.
“Stai tranquilla”
“E’ solo che…voglio fare una cosa…bella”
“Tu sei bella. Stare con te, qui in casa tua…è bello. Fare qualunque cosa con te è bello” le sussurrò dolcemente.
Belle si girò e si trovò a pochi centimetri dalle sue labbra; lui avvicinò il viso ma la ragazza lo fermò poggiandogli un dito sulla bocca.
Sorrise.
“Dopo il thè!”
Belle versò il contenuto del bollitore in due tazze. Alla fine aveva scelto il thè alla cannella.
“Okay, ora fila in soggiorno!”
“Cosa?”
“Mi hai sentita! Voglio portarti un bel vassoio!”
“In realtà mi piacerebbe vedere la tua camera. Posso?”
“Ah…ma certo! E’ la porta sulla destra nel corridoio!”
 
Mentre Belle spadellava in cucina, Robert dopo un breve giro di ricognizione in soggiorno, entrò nella sua camera.
Era piccola, ben arredata ed estremamente profumata.
Rabbrividì sentendo nell’aria il profumo della ragazza.
Il lettone era grande e sembrava decisamente soffice; gli scappò un sorriso pensando a Belle addormentata lì, o magari mentre piangeva per il finale di un libro strappalacrime.
In effetti c’erano libri un po’ ovunque.
La libreria era gigantesca, occupava da sola metà camera.
Poi vi erano una bella scrivania di legno e una finestra con un divanetto incassato nel davanzale.
Robert si avvicinò ad una mensola, attratto dalle foto.
Ve n’erano un paio recenti di Belle e suo padre al mare e alcune molto vecchie di lei da piccolina (era già così rossa a due anni, e i suoi occhi erano già così azzurri).
Il suo sguardo venne catturato da una foto che ritraeva la giovane con una bella donna, rossa anche lei, sulla quarantina.
La foto era inserita in una cornice a cuore, e sul retro vi era una scritta.
“Ti voglio bene bambina mia e te ne vorrò sempre. Mamma!”
La foto risaliva a circa cinque anni prima.
Sentì qualcosa di gelido bloccarsi sullo stomaco, ed uno strano groppo salirgli in gola.
Cinque anni prima.
Sapeva che la mamma di Belle era morta, la ragazza gliel’aveva accennato, ma spesso lo dimenticava. Ora vedendo quella foto la verità gli appariva più chiara che mai. Immaginava quanto avesse sofferto. E probabilmente soffriva ancora, ed ogni volta che Regina o lui stesso le avevano riso in faccia per i più svariati motivi lei non poteva ribattere e aveva quel peso sul cuore…
“Ecco qua!”
Si girò di scatto spaventato, e Belle ridacchiò.
“Non me l’aspettavo!”
“Mi fa piacere riuscire a sorprenderti!”
Si avvicinò con un bel vassoio. Sopra troneggiavano due tazze di thè , zucchero e svariati biscotti.
“Sembra delizioso.”
“Lo è!”
Mentre Belle lo guardava da vicino, appoggiando la merenda sul comodino, le parve che avesse un'aria triste.
“Tutto bene?”
“Sì io- sì.”
“Hai una faccia strana…”
“No sono- sono un po’ stanco.”
“Non lo eri fino a poco fa!”
Gold fissò il viso della ragazza.
Ripensò alla dedica della madre.
“Sei sicuro di stare bene?”
Senza dire nulla la strinse forte.
Lei, un po’ perplessa, ma comunque felice, ricambiò l’abbraccio.
Robert si staccò leggermente e appoggiò la fronte a quella di Belle.
“Ti voglio bene” le sussurrò.
Lei sorrise.
Era una frase così semplice e così sincera e le scaldò il cuore.
Non era un complimento, non era una grande dichiarazione piena di belle parole svenevoli ma era…così carina.
Senza più riflettere appoggiò dolcemente le labbra sulle sue e lo baciò, stringendosi a lui.
“Ti voglio bene anch’io” disse poi, sorridendo contro la sua bocca.
Dopodiché Robert si impossessò di nuovo delle sue labbra, questa volta con decisione.
Quasi inconsapevolmente entrambi si diressero verso il lettone, e Belle vi si adagiò sopra trascinandosi dietro il ragazzo. Affondò le mani nei suoi capelli, erano così soffici e lisci, e il suo profumo la faceva impazzire…
Il thè fumava dimenticato in un angolo.
Mentre le loro labbra si scontravano, Gold considerò che era davvero la prima volta che si trovavano in una situazione simile. Era tutto così meraviglioso che avrebbe voluto farlo durare in eterno.
Poi Belle si staccò e si sedette sopra di lui. Robert deglutì: una parte di lui avrebbe voluto levarle il vestitino, e magari anche le calze e molte altre cose…ma sapeva che lei non avrebbe apprezzato.  Eppure il corpo della ragazza sopra il suo gli faceva girare la testa e il battito del suo cuore era decisamente troppo veloce.
Belle rimase un momento immobile, poi lentamente, guardandolo quasi con curiosità e perdendosi nei suoi occhi scuri, inclinò la testa da un lato e delicatamente appoggiò le labbra sulla guancia del ragazzo. Scese verso la mandibola, baciandolo, e poi sul collo. Le mani avevano iniziato a trafficare con la cravatta e il colletto della camicia.
Sentì le mani di Gold stringerle convulsamente i fianchi e sorrise, rallentando il processo.
Voleva prendersi il tempo per assaporare ogni momento.
Non avrebbe mai immaginato di essere in grado di fare una cosa simile, soprattutto non con uno come Robert Gold, ma invece era così, e non c’era niente di più bello e naturale.
“Voglio rivedere il tatuaggio” sussurrò poi.
Lui mugugnò qualcosa in approvazione mentre lei, una volta slacciata la parte superiore della camicia, riprese a baciargli il collo, scendendo poi sul petto.
Sentendo le labbra morbide della ragazza muoversi sul suo corpo, Gold si irrigidì.
La situazione iniziava a farsi decisamente fuori controllo.
Si era ripromesso di non essere inopportuno, soprattutto al primo appuntamento ma…la bocca di Belle sul suo collo, il suo profumo, i suoi capelli così morbidi…
Cercò di mantenere un po’ di autocontrollo.
La sua buona volontà venne completamente gettata alle ortiche quando sentì le piccole mani della ragazza intrufolarsi sotto la camicia e graffiargli leggermente la pancia. Si lasciò sfuggire un respiro e cercò quasi famelico le labbra di Belle.
Ne aveva bisogno.
Senza pensarci fece scendere le mani dalla schiena…verso il basso, soffermandosi sui glutei, accarezzandole le gambe e il fondoschiena, stringendolo leggermente.
Belle ridacchiò contro le sue labbra.
“Scusa” mugolò lui.
“Sembri piuttosto preso.”
“E’ colpa tua.”
“Tu però stai diventando rosso!”
“Non è vero!”
“Ma dai, non ci credo! Sei imbarazzato!”
“No, non è vero!” ripeté lui ostinatamente, sentendo il viso bollente tradirlo.
Belle scoppiò a ridere.
Erano in una posizione decisamente compromettente e Robert iniziava ad agitarsi, soprattutto viste le risatine incontrollabili di Belle.
Si sentiva vagamente preso in giro.
“Non c’è niente da ridere!” sentenziò offeso.
Belle sorrise e si impossessò nuovamente della sua bocca, avvinghiandosi a lui.
“Mi stai provocando!?” borbottò Gold.
“Forse…”
“Non ti conviene.”
Lei ghignò, passando le mani sul petto del ragazzo.
“E’ divertente!”
“Non per me” mugugnò Robert.
“Perché mai?”
“Perché è frustrante.”
“Davvero?”
Lui strinse gli occhi e la fece sdraiare nuovamente, invertendo le posizioni, facendo combaciare i loro corpi alla perfezione.
“Davvero.”
Belle gli scostò una ciocca di capelli dal viso.
“E’ frustrante anche per me”
“Beh…Se lo è per entrambi rendiamolo un po’ meno frustrante”
Calò un silenzio curiosamente imbarazzato, e Belle realizzò in quel momento quanta intimità si fosse effettivamente creata tra loro.
Era una bella sensazione.
Veramente bella.
Si era semplicemente lasciata andare ed era stato tutto naturale.
Ma se le cose si facevano serie forse era giunto il momento di dire a Robert il pensiero che la torturava.
“Ho capito cosa intendi…”
“Sei un genietto.”
Belle sbuffò.
“Fai poco lo sbruffone!”
Lui sorrise e le scoccò un veloce bacio.
“Dunque…” disse poi guardandola negli occhi.
Poggiò la mano sul fianco della ragazza e prese a farla lentamente risalire verso il seno.
“Io ne…ne avrei voglia. Ma…voglio aspettare perché…perché non l’ho mai fatto.” concluse lei evitando il suo sguardo.
Robert si bloccò.
Belle doveva fidarsi davvero di lui per avergli detto la verità, soprattutto a giudicare dal colorito che la faccia della ragazza stava lentamente assumendo.
Non avrebbe tradito la sua fiducia, e non avrebbe forzato le cose.
In fondo poteva aspettare. Più o meno.
“Okay, ho capito” disse infine Gold.
“Mi…mi dispiace.”
“Perché?”
Lei si guardò intorno imbarazzata.
“E’ un problema?”
“No! Perché dovrebbe esserlo!?” chiese lui stupito.
“Magari pensi che sia una cosa da sfigata.”
Robert sorrise.
“Non lo è.”
“Okay.” Rispose lei timidamente, scoccandogli un altro bacio.
“L’unica cosa che mi preoccupa” disse poi pensandoci un po’ su  “E’ poterti rendere felice, quando…se…beh…insomma, se e quando succederà.”
“Sarà così” disse lei.
A quel punto Gold si spostò, e si sdraiò comodamente nel letto. Guardò la ragazza e le fece segno di avvicinarsi e di appoggiare la testa su di lui.
Avevano ancora il thè da bere.
 
 
 
 
Regina entrò di soppiatto in casa, cercando di non svegliare nessuno, anche per evitare scomode domande.
“Dove sei stata?”
Dannazione. Cora era sveglia.
“In giro, mamma” rispose Regina freddamente.
“Questo l’avevo intuito.” La voce di sua madre era ancora più glaciale.
“Bene. Ora col tuo permesso me ne andrei a dormire.”
“Spero che troverai al più presto un modo di sistemare le cose con Robert.” Proseguì sua madre, sorridendo lentamente.
Regina respirò a fondo, e la guardò negli occhi.
“Io spero di no. Sto bene da sola.”
“Hai passato la serata da sola?”
“No. L’ho passata con un’amica. Una persona che mi vuole bene, e che tiene a me.”
“Non ne dubito.” Rispose Cora, sempre con quel mezzo sorriso sul volto.
“Fai bene a non dubitarne. Vado a dormire, buonanotte, mamma.”
E così dicendo salì le scale, senza più degnare Cora di uno sguardo.
 
 
 
 
Belle decise che sarebbe stato decisamente meglio e più prudente per il momento, non farsi trovare da sola in casa con Robert al ritorno di suo padre.
Motivo per cui i due si fermarono sull’uscio di casa a salutarsi, guardandosi leggermente imbarazzati.
“Allora…ehm…” iniziò lui.
“Spero che tu ti sia divertito questa sera” disse Belle titubante.
“Dovrei essere io a chiedertelo - ma sì - mi sono divertito” ammise Robert arrossendo leggermente e ripensando ai momenti vissuti fino a poco prima.
Difficilmente si sarebbe dimenticato la sensazione del corpo di Belle così stretto al suo e del suo profumo di fiori.
“Tu…ti sei divertita?” le chiese poi.
“Sì, molto!”
“Bene!”
Ci fu un momento di silenzio, dopodichè Gold si avvicinò a Belle e la baciò delicatamente.
Staccarsi fu ancora più difficile.
Più volte si sorrisero imbarazzati, cercando di salutarsi, ma per un motivo o per l’altro si ritrovavano sempre l’uno contro le labbra dell’altra.
Fu solo quando Belle sentì il rumore dell’auto di suo padre che si infilava nel garage, che decise di staccarsi definitivamente.
“Allora ciao!” disse poi ridendo.
“Ciao!” rispose lui allegro. Fece per uscire, poi ci ripensò e la guardò negli occhi, leggermente esitante.
“Senti…mi chiedevo se…insomma, mi chiedevo come stessero le cose ora.”
“Mio padre sta arrivando e tu devi scappare prima che ti uccida!”
“Lo so ma intend-“
“Lo so cosa intendevi” disse lei sorridendo.
“Quindi…io e te…cioè, mi piacerebbe – ecco – poter fare cose tipo…” si fermò imbarazzato “Baciarti in pubblico, o tenerti per mano. Insomma, se per te va bene.”
Lei si avvicinò e gli scoccò un veloce bacio sulla bocca.
“Mettiamola così. Sono stata molto bene questa sera, davvero tanto. Quindi, se per te va bene, mi piacerebbe che ci fossero altre serate come questa.”
“Altri…appuntamenti?”
“Sì.”
Lui sorrise contento.
“Okay.”
“Per il resto” aggiunse lei “Vedremo.”
Lui annuì brevemente, le accarezzò la mano un’ultima volta, dopodichè sgattaiolò fuori dalla casa il più silenziosamente possibile, mentre Belle chiudeva la porta sorridendo, felice come non lo era mai stata.
 
 
 
 
Quando, verso le tre di notte, Tink entrò barcollando in stanza, decretò, svestendosi e buttandosi sul letto, che era stata una serata estremamente curiosa.
Aveva baciato Killian Jones.
Sentiva ancora il sapore del whiskey e delle sigarette.
E poi c’erano state Regina…Emma…
Ed Ariel…
Quante persone che aveva visto quella sera!
L’indomani avrebbe riflettuto con calma.
Chiuse gli occhi sentendo la testa girare, e ringraziando Dio di non avere scuola il giorno dopo.






------------------------------
Ciao C:
Come state? Io bene, dai. Insomma, sono passate due settimane dall'ultimo aggiornamento.
Ma eccomi qua.
Dunque dunque dunque, questo per me è stato un capitolone impossibile, una vera spina nel fianco, così come quello del ballo. Gestire tre storyline diverse inizia a diventare difficile. Non so cosa ne sia uscito, fatemi sapere.
Ho sparso qua e là omaggi gratis. 
1) "Non è un granchè, ma è casa" ...la Tana. Omaggio ad Harry Potter!
2) L'ID falso di Regina...Ops. Ah già, per chi non lo sapesse, in USA è obbligatorio avere 21 anni per bere, perciò la maggior parte dei ragazzi si procura documenti falsi per ordinare i drink. Trovo la cosa assurda e divertente.
3) Mushu's Cave...Un ristorante cinese...Mushu...Quanto amavo quel draghetto!
E niente, mi scuso anche per il ritardo con cui rispondo alle recensioni.
Funziona così: Le leggo, mi emoziono e penso "rispondo domani". Il giorno dopo le rileggo, mi ri-emoziono e penso "domani rispondo a tutte!". Poi mi dimentico. Qualche giorno prima di pubblicare il nuovo capitolo mi ricordo che devo rispondere.
Abbiate pietà, nun gliela fo.
Grazie come al solito a tutti quanti per il sostegno e per l'affetto che dimostrate, per le recensioni, per preferitiseguitiamatidaricordare. Siete fantastici.
Alla prossima, e a voi i commenti :)
Seasonsoflove




Ps: Ascoltate le mie belle canzoni.
1) Don't go breaking my heart di Elton John
2) Pumpin' blood dei NONONO.

(*) Per chi non lo sapesse...Bobby ha una lucertola tatuata sul braccio :3 Ho sfruttato questo espediente, mi sembrava carino! http://i1226.photobucket.com/albums/ee413/the_Mina/robcarl.jpg
 

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Capitolo 20
*** Feud (Everybody talks!) ***


I found out that 
Everybody talks, everybody talks
Everybody talks, too much
Oh my my
Everybody talks, everybody talks
Everybody talks, too much




“Ne sei sicura?”
“Assolutamente. L’ho letta e riletta, quella lettera l’ha scritta Regina.”
Erano le undici di mattina di domenica quindici febbraio, e Belle e Tink erano sedute in caffetteria, con una cioccolata calda a far loro compagnia.
Tink si era alzata alle sette, dopo solo quattro ore di sonno, con la testa in fiamme e la gola secca.
Era rabbiosa e dolorante.
Non valeva la pena di passare l’inferno solo per qualche serata di misero ed effimero divertimento. Ma a quanto pare Killian Jones sapeva sempre come convincerla…Killian…dannazione!
Così, dopo aver bevuto due tazze di caffè, aveva deciso di mettersi all’opera: aveva acceso il pc e aveva fatto qualche ricerca.
Nella via dalla quale provenivano Emma Swan e Regina c’era solo un bar, il Black Heart’s bar. Sembrava un posto da snob, per questo Tink non ci era mai andata.
Ma a quanto pare la Swan e Regina ci avevano passato insieme la serata. Sembravano amichevoli, abbastanza in confidenza e Tink poteva capirlo, Regina frequentava i suoi recuperi quindi…
La lampadina era scattata.
La ragazza aveva aperto in fretta e in furia un certo documento word e l’aveva riletto.
Poi aveva ripensato all’espressione indecifrabile di Emma Swan quando gliel’aveva mostrato, il modo evasivo in cui aveva risposto.
 
 
….Persone pronte a giudicare altre persone in base alle loro azioni, senza preoccuparsi di capirne prima il perché.
Il male non nasce tale, viene creato.
 
 
Tink aveva sorriso trionfante e aveva afferrato il cellulare.
“Belle!”
“TINK! SONO LE OTTO! E’ DOMENICA, COME HAI OSATO SVE-“
“Muoviti, vestiti e raggiungimi tra mezz’ora alla caffetteria di fronte alla biblioteca.”
“Tu sei pazza. Ti odio! Lasciami morire.”
Belle aveva buttato giù. Tink l’aveva richiamato più volte ma era risultata irraggiungibile. Solo due ore dopo l’altra le aveva mandato un seccatissimo sms in cui le diceva che la odiava e che non aveva più preso sonno per colpa sua, e che l’avrebbe incontrata alle undici in caffetteria solo per poterla prendere a sberle.
 
“Il male non nasce tale, viene creato” ripeté Belle.
“Esatto.”
“E secondo te Regina Mills invierebbe una lettera anonima al giornalino in cui parla dei suoi traumi perché…?”
“Magari è una silenziosa richiesta di aiuto! Magari…qualcuno l’ha provocata!”
Belle rilesse velocemente la lettera stampata.
 
Voi siete i “buoni”? Perché dovreste essere voi? Perché non io? Chi l’ha stabilito che la mia è cattiveria?
 
“Non saprei” disse poi, sorseggiando la sua cioccolata calda.
“Io invece lo so. E non è tutto. Ieri sera ero fuori con Killian e-“
“COSA?” Strillò Belle.
“NON URLARE!”
“Ma tu urli sempre!”
“Zitta. Ero fuori e ho visto la professoressa Swan farsi un giretto in compagnia la sera di San Valentino.”
Belle inarcò le sopracciglia.
“E perché la cosa dovrebbe stupirmi? Raccontami piuttosto di te e Jones che-“
“No! Non ti ho detto chi era la compagnia della Swan.”
Si fermò, creando la giusta atmosfera silenziosa che precede normalmente una grande rivelazione.
“Dunque…?” chiese Belle perplessa.
“Regina.” Disse infine l’alta, pregustandosi l’effetto sorpresa.
“Regina…Mills?”
“Quante Regina conosciamo?”
“Regina Mills ed Emma Swan?”
“Capisci perché la Swan ha ignorato la faccenda della lettera? Tutto torna!” esclamò la biondina trionfante.
“No, non torna! Cosa diavolo ci facevano Regina e la Swan in giro la sera di San Valentino?”
“Sono sicura che siano diventate amiche durante i recuperi. E magari è stata proprio la Swan a dirle di mandare quella lettera! Magari vuole che si unisca al nostro team!”
Belle non rispose. Tink era già partita in un lunghissimo ed infervorato discorso su quanto le persone meritassero una seconda chance nonostante i loro sbagli nel passato, e su quanto lei fosse curiosa di saperne di più e per questo motivo sarebbe andata lei stessa a cercare Regina e ad offrire nuovamente la sua amicizia.
La testa di Belle invece era altrove, più precisamente era completamente focalizzata su certi eventi della serata precedente. Improvvisamente sentì un piacevole calore diffondersi sulle guance.
“Mi stai ascoltando?”
“Sì!”
“Cosa stavo dicendo?”
Belle tacque.
“Pensavo a ieri sera” ammise poi leggermente imbarazzata.
“OH CIELO! E’ vero. Mi devi raccontare assolutamente. Prima di tutto: l’avete fatto?”
“No.”
“Okay, allora adesso puoi raccontarmi il resto con calma.”
“E tu con Jones?”
“Prima tu!”
“No!”
“Invece sì!”
“E VA BENE” Esclamò Belle.
Poi sorrise, alzò gli occhi al cielo ed iniziò a raccontare.
 
Regina si alzò stranamente rilassata e di buon umore.
Si stiracchiò serena, ascoltando il leggero soffiare del vento fuori dalla finestra, godendosi la quiete della casa che significava una cosa sola: sua madre era uscita.
Si alzò e si contemplò allo specchio, soddisfatta.
Realizzò che c’era una persona da ringraziare se in quel momento era così felice.
Accese il computer e inviò un’email.
 
Grazie. Sono stata davvero bene e mi sento molto meglio! Mi piacerebbe poter uscire ancora qualche volta con lei.
 Regina
 
 
 



“Guarda qua!”
Tink sobbalzò mentre Killian Jones le si parò davanti sorridendo amabilmente.
In mano aveva due biglietti piuttosto stropicciati e rovinati.
Era lunedì mattina e la biondina aveva ignorato tutti gli sms del ragazzo per tutta la domenica.
“Cosa dovrei guardare?” chiese perplessa.
“Biglietti per il Rock in Ring! Il festival che fanno tutti gli anni qui a Storybrooke.
Ne ho trovati due dopo diverse fatiche, così possiamo andarci insieme.”
Tink non rispose e si avviò verso il suo armadietto, seguita da Killian.
“Allora?” chiese lui amabilmente.
“Allora cosa?”
“Prendi uno dei due biglietti!”
“Prima di tutto, mi sembrano sporchi e pieni di germi. Dove li hai trovati?”
“Me li sono procurati da un amico” rispose l’altro vagamente.
“Immagino. E seconda cosa, non voglio venirci al Rock in Ring. Quel festival è terribile e suonano solo musica inascoltabile.”
“Tesoro, suonano rock!”
Tink sistemò alcuni libri nell’armadietto cercando di ignorare gli occhi azzurri del ragazzo che la guardavano e il suo mezzo sorrisetto.
“E’ inutile che cerchi di resistermi, sai? Ormai ho capito come sei fatta!” disse poi lui.
Lei sbuffò.
“Okay. Appurato il fatto che riesci a rimorchiare solo ragazze ubriache, a me quel festival non piace e non ci verrò. Inoltre non è il posto adatto per portare una vera signora come me. E come ultima cosa, quella maglietta che hai addosso è tremenda e tu hai troppi peli. Ora se non ti dispiace, me ne andrei in classe. Ci vediamo al giornalino.”
 
 



“Quindi non l’avete fatto!”
“No! E’ la quarta volta che te lo dico!”
Killian sbuffò arrabbiato e afferrò le sue cose, iniziando a buttarle alla rinfusa nello zaino.
Lui e Robert erano seduti in aula studio.
“Perché sei così irrimediabilmente gay!?” disse poi in tono melodrammatico.
“Sono solo rispettoso.”
“Scommetto che se tu ti fossi slacciato i pantaloni e avessi fatto il tuo dovere lei non si sarebbe certo tirata indietro!”
Gold scosse la testa.
“Comunque prendo in prestito questa” disse Killian afferrando la sciarpa di Robert e dirigendosi verso l’uscita dell’aula studio.
“Perché?” chiese l’altro vagamente perplesso.
“Mi serve. Devo coprire i miei peli del petto, a Tink non piacciono. La riavrai, forse.”
Varcò la soglia e sparì.
 
 
 


Passarono due settimane nelle quali Robert e Belle si limitarono a lasciare che le cose proseguissero con calma. Avevano entrambi i loro impegni, Belle doveva star dietro alla scuola, al giornalino e doveva aiutare suo padre col negozio, mentre Gold cercava disperatamente di guadagnarsi un posto in qualche prestigiosa università, istigato da suo padre.
Eppure quando si incrociavano nei corridoi non potevano fare a meno di sorridersi, a volte si fermavano a chiacchierare davanti ai loro armadietti, si prendevano qualche minuto insieme la mattina prima di entrare a scuola scambiandosi qualche rapido bacio nel parcheggio e durante gli incontri pomeridiani del giornalino sedevano sempre vicini e mentre nessuno guarda, sotto il tavolo, si sfioravano le mani.
Belle era felice, e anche Robert. Poco importava se dopo l’appuntamento di San Valentino non erano più usciti ufficialmente (avevano comunque bevuto insieme diversi thè nella caffetteria della scuola), entrambi sapevano che le cose andavano bene. Molto bene.
 
 
 
Un pomeriggio di inizio marzo, Belle era comodamente seduta in biblioteca a ripassare per una verifica di filosofia, quando improvvisamente sentì due mani posarsi appena sotto il collo.
“Ciao!” disse sorridendo.
Sapeva benissimo chi era e non aveva bisogno di voltarsi.
“Ciao.” rispose Robert. Lo sentì chinarsi su di lei e avvolgerle dolcemente le spalle.
“Sei qui da tanto?”
“No. Ma mi sono preso comunque il mio tempo per osservarti.”
Belle ridacchiò, dopodiché appoggiò la testa indietro sul suo petto, trovandosi con la guancia attaccata alla sua.
“Cosa sarebbe tutta questa confidenza?” le sussurrò lui.
“E’ da un po’ che non abbiamo modo di…” si interruppe, poi proseguì “coccolarci.”
“E’ per questo che sono qui.”
Le scoccò un rapido bacio sulla guancia.
Belle lanciò una rapida occhiata intorno: non c’era nessuno e questo garantiva loro la riservatezza che cercavano.
Così girò la testa e si trovò a pochi centimetri dalle labbra del ragazzo. Senza perdere troppo tempo annullò le distanze tra loro.
Nella quiete della biblioteca sembrava che l’universo fosse fatto per loro.
Quando si staccarono, Robert sorrise.
“Ho casa libera questa sera. Mi chiedevo se…ti andasse di venire da me.”
Belle si morse il labbro.
Stava per dire sì, certo che voleva andare a casa sua e passare una meravigliosa serata con lui nel suo letto, a guardare un film o a chiacchierare o…a fare qualsiasi altra cosa. Ma quella sera lei doveva lavorare.
Non le andava di renderlo pubblico, provava una sorta di vergogna all’idea di fare l’aiutante da suo padre (e qualche volta anche nella libreria del quartiere) per guadagnare qualche spicciolo e sostenere Moe French nelle spese finanziarie. Soprattutto, non voleva che Gold lo sapesse.
“Mi piacerebbe molto.”
“Ma?”
“Ma…ho già un altro impegno.” Rispose tristemente.
Robert aggrottò la fronte.
“Oh, beh…okay.”
“Un’altra volta va bene? Quando possiamo…di nuovo?”
“Non lo so, dipende dai miei genitori.”
“Spero che ti lascino casa libera molto presto allora.”
“Già.”
Robert si raddrizzò e si stiracchiò, e Belle fece lo stesso alzandosi dalla sedia.
Gli cinse le spalle con le braccia e si strinse a lui.
“Mi dispiace.”
“Non fa niente!”
Rimasero un momento in silenzio, poi lui chiese:
“Che…che tipo di impegno hai?”
Belle esitò.
“E’…non è niente di importante, è solo che è una cosa che avevo promesso di fare tempo fa, capisci?”
“Sì…sì certo.”
Il ragazzo ebbe la spiacevole sensazione che Belle non gli stesse dicendo tutta la verità.
Non che non si fidasse di lei, non aveva mai visto degli occhi più sinceri dei suoi, ma Belle aveva la tendenza a fare le cose di testa sua, e quando qualcosa la faceva sentire a disagio o la faceva vergognare…la ometteva semplicemente dal discorso.
“Stai bene?” chiese lei timidamente, interrompendo i suoi pensieri.
“Sì” rispose lui sorridendo e cingendole i fianchi.
“Comunque” riprese Belle “Dopo che sei stato così gentile ad occuparti della mia camicetta, del bouquet e della biblioteca…ho pensato di fare una cosa carina per te.”
“Avevamo stabilito che non ti saresti sentita in colpa e non avresti cercato di sdebitarti, ricordi?”
“Certo. Ma non l’ho fatto per sdebitarmi. L’ho fatto semplicemente perché volevo farlo.” Rispose lei prontamente.
Dopodiché afferrò la sua borsa e ne estrasse  un pacchettino rivestito di una bella carta colorata.
Lo pose a Robert carica di aspettativa.
“Ma-“ iniziò lui.
“Hai fatto tante belle cose per me. Voglio solo fare qualcosa di bello anche io.”
“Beh in tal caso…”
Gold afferrò il pacchetto e lo scartò.
Ne estrasse una bella sciarpa gialla di lana grossa.
Belle scoppiò a ridere.
“Santo cielo, mi sembrava più carina quando l’ho incartata. Comunque, visto che Jones non ti ha più ridato la tua di sciarpa ho pensato di…fartene avere un’altra!”
Robert sorrise felice.
“L’hai fatta tu?”
“Sì, è troppo brutta per essere comprata. La tua era beige ma non ho trovato lana di quel colore…”
“E’ stupenda.”
“E’ orribile”
“Per niente. Inoltre sa di fiori!”
“Tutto ciò che mi appartiene sa di fiori.”
“Lo so, per questo mi piace ancora di più. E mi piace anche questo giallo, più del colore di prima. E’ più luminoso!”
Belle sorrise e fece segno di chinare la testa, dopodiché gli mise la sciarpa al collo.
“Stupendo come sempre!” disse infine sorridendo.
 
  
Poco dopo Robert si incamminò per i corridoi, verso il parcheggio. Continuava a rivivere nella sua mente ogni piccolo minuto passato con Belle. Anche se avevano poco tempo da passare insieme, valeva la pena di aspettare; non era mai stato così felice in vita sua.
“Scusami, questa è l’aula di cucina?” chiese improvvisamente una voce.
Gold si voltò verso destra e si trovò faccia a faccia con una bella ragazza dai capelli rossi e con due grandi occhi azzurri.
Non la conosceva e la cosa gli parve strana: portava la divisa delle cheerleader, doveva per forza conoscerla. Ricordava con estremo dolore tutte le gare di cheerleading a cui aveva dovuto fare il tifo quando stava con Regina, e ricordava le facce (e non solo le facce, in fondo era pur sempre un bello spettacolo al quale assistere) di tutte le sue compagne di squadra. Ma quella ragazza era decisamente nuova.
E quella ragazza stava indicando l’aula di ceramica.
“No. Credo sia l’aula di ceramica, visto che c’è scritto aula di ceramica.” Rispose semplicemente.
Lei si girò verso la porta e fissò la targhetta, dopodiché scoppiò in una risata cristallina.
“Sono proprio distratta.”
Robert sorrise a disagio.
“Beh, già che ci sei, potresti dirmi dov’è l’aula di cucina?”
“E’ al piano di sotto. Ti accompagno se vuoi!”
“Volentieri, grazie.”
“Carina la sciarpa” disse poi la giovane, mentre camminavano verso le scale.
“Grazie! Me l’ha fatta la mia...ragazza.”
“Deve essere davvero innamorata.”
“Lo spero!”
“Comunque piacere, Zelena.” Disse infine lei, fermandosi davanti alla fatidica aula di cucina.
“Nome interessante…io sono Rob-”
“Lo so chi sei.” Disse lei sorridendo.
“Davvero?”
“La tua fama ti precede!”
Gold non sapeva se sentirsi lusingato o inquietato. Nel dubbio scelse una via di mezzo.
“Da dove vieni? Non ti ho mai vista in città!” le chiese infine.
“Kansas!”
“Ah…è…caldo là?”
“Molto di più, rispetto al Maine. Mi sento un po’ sperduta qui a scuola…” sorrise timidamente.
“Ti ci abituerai. In ogni caso se hai bisogno di una mano per trovare le aule, chiamami pure!”
“E come faccio a chiamarti?”
“Puoi farmi un fischio. Arriverò.” Disse Robert sorridendo.
“Posso davvero?”
“Certo!”
“Fai anche i tour della scuola?”
“Solo se pagato a dovere.”
“E cosa dovrei fare per ottenere uno di questi fatidici tour?”
“Chiedere!”
Lei rise di gusto.
Dopodiché Robert le fece un cenno e si incamminò verso l’uscita della scuola.
Zelena lo guardò allontanarsi con uno strano ghigno sul volto. Chiunque l’avesse vista avrebbe capito che aveva in mente qualcosa di poco piacevole.
 
 



Se c’erano delle lezioni che Belle French aveva sempre odiato in vita sua, erano quelle di ginnastica.
Non che non si impegnasse eh. E’ che proprio non le riusciva. Era veloce nella corsa e abbastanza atletica, il problema nasceva durante i vari giochi di squadra. Per qualche oscuro motivo veniva sempre scelta per ultima da tutte le squadre (l’oscuro motivo: lei era Belle French e gli altri…erano gli altri) e durante le partite accadevano solitamente due cose: o veniva totalmente ignorata e messa in panchina dopo cinque minuti scarsi di gioco, o veniva presa di mira, insultata e incitata a fare di meglio.
Ora era amica di Tink e Ariel, era vero, ma nessuna delle due frequentava ginnastica con lei. Tink si era fatta esonerare con un’intelligentissima scusa di mal di schiena cronico, mentre Ariel aveva scelto di frequentare il corso di nuoto invece che le classiche discipline da terra.
Così Belle si era ritrovata da sola, in un angolo dello spogliatoio, ad infilarsi tristemente le sue scarpe da corsa vecchie e rovinate.
Un po’ lontano da lei, seduta su una panca, anche Regina, curiosamente sola e pensierosa, si sistemava la tuta da ginnastica.
Belle si alzò, la superò senza degnarla di uno sguardo e fece per uscire in palestra.
“Ecco la signorina Gold!”
Si bloccò.
A parlare era stata una ragazza coi capelli mossi e rossi, e con uno splendido sorriso smagliante.
“Parli con me?” le disse Belle.
“E chi altro dovrebbe essere la signorina Gold?”
Belle non rispose.
Regina poco più in là lanciò uno rapido sguardo alla situazione, scosse la testa e riprese a fare le sue cose.
“Mi chiamo Belle French.” Si presentò lentamente, porgendo la mano.
“Zelena, il piacere è tutto mio.”
“Okay Zelena, puoi chiamarmi Belle.”
“Certamente.”
Le due ragazze entrarono in palestra.
“Comunque ho conosciuto il tuo ragazzo, tornando sul discorso. E’ solo per quello che ti ho salutata in spogliatoio…mi ha parlato di te.”
“Non è il mio ragazzo, comunque come l’hai conosciuto?” Belle era sempre più perplessa.
“Mi ha fatto un tour guidato della scuola. E’ davvero un ragazzo…d’oro.”
“Sì, lo è.” Non sapeva cos’altro dire. Zelena le parlava sorridendo come se la conoscesse da molto, conosceva Robert, sembrava che lo conoscesse davvero bene. Il tutto era vagamente inquietante.
“Carina la sciarpa che gli hai fatto” proseguì poi Zelena.
A Belle non sembrò un complimento sincero, ma cercò di essere educata.
“Ti ringrazio, ci ho messo un bel po’ a farla!”
“Si vede che sei proprio innamorata di lui. Devo ancora incontrare una ragazza che si mette a fare una sciarpa per il proprio fidanzatino”
Belle stava per risponderle ma vennero interrotte dalla coach Tamara che le fece scattare tutte in campo.
Regina passò vicino alla rossa e le lanciò uno strano sguardo.
Comprensione?
“Ti conviene starle alla larga, French” disse semplicemente.
Poi si allontanò, lasciando Belle sempre più confusa.
 
Zelena scelse Belle come primo componente della sua squadra.
Quest’ultima ebbe la sgradevole sensazione che la ragazza stesse architettando qualcosa ma non poté fare nulla per opporsi. Regina osservò la scena, indecisa se intervenire, ma in fondo, non erano affari suoi ciò che succedeva nelle loro vite.
Non le era mai importato di quella sciacquetta della French, non vedeva perché iniziare ora ad essere altruista. Certo, voleva farla pagare a sua cugina, ma non era questo il modo.
La partita iniziò, presto fu chiaro perché Zelena avesse scelto Belle.
Le due ore seguenti furono le più umilianti della sua vita.
 
 
“French, sei stata al limite del patetico.” Urlò Zelena nello spogliatoio.
Belle non rispose, impacchettando velocemente i suoi vestiti nella borsa e preparandosi ad uscire. Pensò a Tink che la aspettava con la bistecca e le crocchette di patate in mensa. Pensò a Robert che sicuramente avrebbe tenuto loro compagnia. Pensò che avrebbero chiacchierato e si sarebbero divertiti e Robert l’avrebbe abbracciata come faceva sempre e lei avrebbe potuto seppellire il viso nella sua camicia profumata.
Era stato orribile. Zelena le aveva urlato cattiverie per tutta la partita. Belle era bassa, era minuta e non era forte, mentre l’altra ragazza la superava di venti centimetri buoni, era veloce ed agile.
L’aveva umiliata fino a farle venire voglia di seppellirsi viva.
“Gold deve avere un pessimo gusto in fatto di donne se è passato da mia cugina a te!”
Regina chiuse di scatto lo zaino, ed uscì dallo spogliatoio senza dire nulla.
“Tua cugina?” chiese Belle.
Zelena le si avvicinò, mentre le altre ragazze lasciavano lo spogliatoio evitando di inserirsi nella discussione. Era chiaro che Zelena era la nuova leader di quella scuola, la sua divisa da cheerleader parlava chiaro, le sue abilità atletiche e il suo atteggiamento anche.
“Regina.”
“E’ tua-“
“Sì. Credevo che fossi molto meglio di lei se Gold ti aveva scelta. Pensavo di non avere speranze con lui.”
Belle non rispose e si voltò dandole le spalle.
“Evidentemente credi di essere alla sua altezza.”
“Che cosa cazzo vuoi?” ringhiò infine l’altra, fronteggiandola.
“Sono semplicemente costernata!”
“La tua costernazione tienitela per te. Se sto con Gold sono affari miei, hai capito?! Non so cosa io ti abbia fatto di male ma lasciami in pace!”
“Non mi hai fatto niente di male e ammetto che siete quasi teneri insieme, ma perché non diciamo le cose come stanno? Lui è troppo per te e quella specie di progetto del giornalino che portate avanti insieme è un orrore, come la faccia da criceto grasso di una di noi due, e non è certo la mia. Sai cosa? Non devo arrabbiarmi con te, hai ragione. Entro fine anno sarò la capo cheerleader, sarò la reginetta del ballo e avrò il tuo ragazzo, tu invece avrai un grembiule del Granny’s dinner e la tua faccia da criceto grasso.”
Ciò che accadde dopo rimase per molto sulla bocca dell’intera Storybrooke Highschool.
La mano di Belle scattò rapida, prima che qualcuno potesse fare qualcosa, verso la guancia dell’altra.
Ne aveva subite abbastanza ma neanche Regina era arrivata a dirle simili cattiverie.
Le due ragazze si azzuffarono brevemente, dopodichè vennero divise e trascinate nell’ufficio della Coach Tamara.
 
 
“Si può sapere cos’è successo!?” Esclamò Robert entrando di corsa nell’ufficio del preside.
“Signor Gold, non mi pareva che lei fosse stato invitato a questo colloquio. O mi sbaglio?” disse gelidamente il preside Kingsley.
Belle gli fece segno di andarsene.
“No!” disse lui.
“Gold, esca subito da quest’ufficio prima che chiami la segretaria e la faccia sbattere fuori!” ringhiò l’uomo.
Robert guardò impotente la scena, poi uscì e si sedette rabbioso su una sedia appena fuori dalla stanza.
 
Quando Belle uscì, circa venti minuti dopo, lui era ancora lì, e si torceva nervoso le mani.
“Belle!” disse andandole incontro e abbracciandola.
“Cosa ti è saltato in mente di irrompere in quel modo!?” esclamò adirata staccandosi da lui.
“Cos- mi hanno detto che ti eri fatta male!”
“Eh?”
“Non lo so, parlavano di una rissa in palestra!”
Belle lo guardò sconcertata. Le voci giravano velocemente in quella scuola.
“Nessuna rissa. Noi donne siamo più civili di voi ragazzi.”
“E allora cos’è successo?” insisté lui.
“Niente. Ho avuto da dire con una ragazza che…che mi ha insultata.”
“Da dire?”
“Sì. Niente di grave, come vedi sto benissimo. Il preside voleva dei chiarimenti e mi ha assegnato dei pomeriggi extra come punizione per una settimana, nulla di irrimediabile!”
“Hai detto che ti ha insultata…”
Belle non rispose.
“Belle…?”
“Sì?”
“Vuoi parlarne?”
“No.”

"Non sei...arrabbiata con me?”
“No, anche se sei un imbecille che crede di poter irrompere nell’ufficio del preside senza venire annunciato dalla segretaria.”
Lui tirò un sospiro di sollievo e la strinse di nuovo. Sorrise sentendo le braccia e le mani della ragazza cingergli la schiena e stringerlo con altrettanta forza.
“Senti” disse poi Belle, la voce che giungeva da qualche punto impreciso del suo petto, le mani ancora strette intorno a lui “Non è che non te lo voglio dire…è che voglio sbrigarmela. Posso gestire questa cosa. Ho…solo bisogno di capire come, e ora ho bisogno di andare a casa a calmarmi e stare un po’ da sola.”
“Va bene. Per qualsiasi cosa-“
“Tu ci sei. Lo so.”
Rimasero ancora per un momento, abbracciati.
“Ti piace davvero la mia sciarpa?” sussurrò Belle lentamente.
“Certo, perché?”
“Non lo so. Magari era un brutto colore.”
Gold non rispose.
Si limitò ad afferrarle il volto e a poggiare con decisione le proprie labbra su quelle della ragazza.
“Non fai parte del comitato di benvenuto della scuola, vero?” chiese ancora lei.
“Cosa?”
“Non…accompagni gli studenti nuovi a fare il tour della scuola. Non ti occupi di questo genere di cose…giusto?”
“No, perché?”
“Chiedevo solo.”
“Belle c’è qualcosa che-“
“Devo andare” disse semplicemente lei, staccandosi.
 
 
Tink nel frattempo decise che era venuto il momento di agire.
Doveva trovare Regina.












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Everybody Talks - Neon Trees



Ciao a tutti carissimi.
Intanto non mi è ben chiaro se ho risposto a tutte le recensioni, sono più confusa che mai. Poi sono un po' in ritardo, lo ammetto. 
E' periodo di esami purtroppo, il che mi rende sempre più instabile.
Dunque, questo capitolo è stato molto difficile perchè dopo San Valentino avevo ancora voglia di fluff ma non potevo mettere troppo fluff, dovevo inserire un po' di azione. Ma non sono per niente convinta della sua riuscita, sono proprio inquieta. Fatemi sapere voi se tutto questo ha un senso oppure no.
In ogni caso grazie, siete così in tanti che mi seguite e che mi recensite e mi fate trovare anche dei bei messaggi e delle belle parole su twitter perciò vorrei fare un ringraziamento generale a tutti quanti,  perchè siete MARAVIGLIOSI e quando ho iniziato a scrivere questo delirio non avevo idea che sarebbe andata così...bene!
Perciò ci sentiamo tra un po' (non molto spero), e mi scuso in anticipo per una possibile assenza, ma come dicevo prima, esami alle porte ed inoltre ho prove in teatro ogni giorno ormai fino a sabato prossimo (sono molto emozionata per la prima del mio spettacolo <--- cose di cui non ve ne frega niente ma ve lo dico per "giustificare" il ritardo di questi giorni).
Un bacione e un abbraccione a tutti quanti!
Seasonsoflove


PS: A brevissimo l'aggiornamento delle altre fanfiction! :)

 

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Capitolo 21
*** Lies ***


Brings up suspicions 
And alibies 
But I can see blue 
Tear-blinded eyes 
Lies, lies, lies





Quando Belle arrivò a casa, ancora piuttosto arrabbiata con l’universo, si tolse la giacca, la lanciò sul letto e si guardò allo specchio.
Le parole di Zelena le risuonavano ancora nelle orecchie, rimbombavano per la sua testa riempendola di dubbi.
Era davvero troppo per Gold? Lui si meritava qualcosa di meglio?
Osservandosi attentamente si chiese in effetti cosa Robert ci trovasse in una come lei. Non era alta, non era ricca, non si vedeva particolarmente bella…
Un momento dopo si vergognò di sé stessa.
Sua madre non l’aveva cresciuta così. Poteva non essere ricca, poteva non essere alta e poteva vedersi non particolarmente bella, certo.
Ma se Robert aveva scelto lei, un motivo c’era. Ed era semplicemente così e nessuno aveva il diritto di mettere in dubbio ciò che c’era tra loro.
Neanche la bella, alta e benestante Zelena Greenie.
 
 
Nello stesso preciso istante, dall’altra parte della città, Tink ed Ariel erano acquattate dietro uno scaffale della biblioteca, e controllavano la loro preda.
Regina Mills studiava e sembrava molto concentrata: la fronte leggermente corrugata, le mani alle tempie, la bocca contratta.
Questo suo stato garantiva a Tink di poterla raggiungere passando relativamente inosservata dietro i vari scaffali di libri.
“Sembra proprio che abbia perso la sua corona!” disse Ariel “Guardala, due mesi fa non l’avrei riconosciuta!”
“La leonessa ha ancora gli artigli però…(*)” mormorò Tink pensierosa.
“Eh?” chiese l’altra spaesata.
“Non guardi Game Of Thrones?”
Ariel la guardò disorientata.
“Che cos’è?”
“Lascia perdere” disse Tink scuotendo la testa.
“Perché non la possiamo semplicemente lasciare in pace?” domandò Ariel per quella che a Tink risultò essere la quinta volta in quel pomeriggio.
“Te l’ho detto. Può tornarci utile. Poi guardala, è sola, ha bisogno di nuovi amici. E noi abbiamo bisogno di lei. Ora vado. Aspettami qui. Ricorda, se-“
“Se ti sento urlare devo correre e chiamare la polizia, sì.”
“Bene.”
Tink si alzò, e si diresse quatta quatta verso Regina.
 
Ariel non sentì urlare, ma le due ragazze ci andarono molto vicine.
La scena si concluse con Regina che camminava svelta verso l’uscita della biblioteca con un’espressione a dir poco infernale stampata in faccia.
 
“Regina” la salutò allegramente Emma Swan.
“Come ha potuto dirlo!?” ringhiò l’altra entrando in classe.
La bionda la fissò costernata.
“Innanzitutto modera i toni, stai parlando con una professoressa. E seconda cosa, ti sarei grata se mi dessi una spiegazione.”
“Le avevo chiesto di non dirlo a nessuno!” continuò l’altra rabbiosamente, sbattendo la borsa sul banco.
“Di cosa stai parlando!?”
“Della lettera!” esplose Regina. “Le avevo chiesto espressamente di non dire a nessuno che era opera mia, e di tenersi ciò che sapeva per sé. Ma a quanto pare la segretezza è qualcosa che in questa cittadina nessuno conosce!”
Emma continuò a guardarla estremamente perplessa.
“Non ti seguo.”
“E’ venuta da me quella cretina del giornalino, Tink e-“
“Non chiamare ‘cretina’ una tua compagna.”
“Sa quanto me ne importa? Beh, a quanto pare ha capito perfettamente che la lettera è la mia. Ha detto che lo sa da un po’ ma aspettava il momento giusto per dirmelo. Quando le ho chiesto da quanto lo sapesse, ha detto qualche settimana. Lei l’ha scoperto qualche settimana fa!”
“E quindi pensi che io gliel’abbia detto!?”
“Chi altro potrebbe averlo fatto? Nessuno lo sapeva! Nessuno a parte lei.”
Si sedette, aprì la borsa, afferrò i libri e l’astuccio e guardò la professoressa con disgusto.
“Mi fidavo di lei. Ma è esattamente come tutti gli altri.”
Dopodiché iniziò a ricopiare gli appunti.
“Non l’ho detto io a Tink Glocke.” Disse poi Emma, lentamente.
Regina sbuffò incredula e scoppiò in una risata amara.
“Certo che no.”
“Non hai pensato che magari potrebbe esserci arrivata da sola?”
“Non è così intelligente. Come avrebbe fatto!?”
“La sottovaluti. Ma perché non glielo chiedi direttamente?”
“Cosa crede che abbia fatto?!” sbottò furiosamente “
“E lei cosa ti ha risposto?”
“Che non importa come lo ha saputo, l’importante è che lo sappia.”
“E ne deduci che…?”
“Che lei ha vuotato il sacco!” concluse Regina.
“Non l’ho fatto. Non ho detto niente a Tink. Mi ferisce pensare che tu creda possibile una cosa del genere. Non solo tradirei la tua fiducia, ma anche la professionalità del mio lavoro.” disse semplicemente Emma.
Regina continuò a guardarla, arrabbiata.
Una parte di lei voleva crederle. Ma l’altra parte, quella con cui era abituata ad avere a che fare, quella diffidente e spietata, le diceva di non darle retta.
“Davvero, Regina. Non le ho detto assolutamente niente.”
La mora scosse infine la testa, senza sapere cosa pensare.
“Vuole che mi unisca al giornalino, comunque” disse poi.
“E’ una buona idea.”
“No, non lo è. Ma non ho scelta.”
“Perché…?”
“Perché sennò mostrerà a tutti quella stupida lettera.”
“Te l’ha detto lei?”
“Sì. Le persone non perdono mai l’occasione di ferire e vendicarsi.”
“Non molto gentile da parte sua devo dire. Quindi?”
“Quindi scriverò per quel suo stupido giornalino.”
Ci fu qualche minuto di silenzio.
“Credo che potrebbe farti bene, sai. E’ una nuova esperienza. Hai bisogno di fare nuove esperienze, di lasciarti andare e conoscere nuove persone.”
Regina non rispose.
“Potresti trovarti sorprendentemente bene!”
“Io sto già bene. Adesso sto bene.” disse con forza la mora.
“Adesso?”
“Adesso che ho iniziato a…fare le cose per conto mio. E a concentrarmi su me stessa invece che sui giudizi degli altri e adesso che ho lei che-“
Si interruppe imbarazzata rendendosi conto di aver parlato troppo.
“Che…?”
“Che mi aiuta con… l’ammissione a Yale.” concluse rossa in viso.
Emma le sorrise calorosamente.
Adesso che ho lei che mi aiuta e mi è amica.
Regina non lo disse ad alta voce ma entrambe sapevano che era così.
 
 
 
Nei giorni che seguirono l’incidente in palestra, Belle fece attenzione a non incrociare Zelena nei corridoi.
Aveva optato per una strategia da fuggitiva. Non le andava di finire di nuovo nei guai, non le andava di beccarsi altre punizioni, non le andava di farsi prendere in giro né di attaccare briga.
Purtroppo Belle French non era una ragazza fortunata. O forse era Zelena ad essere molto fortunata.
Pareva che il destino le facesse incrociare di continuo.
Difficilmente, se la incontrava, Belle riusciva a togliersi il suo sguardo di dosso.
Zelena non era come sua cugina; era meno diretta, forse meno fastidiosa sotto un certo punto di vista. Ma era più cattiva.
Il modo in cui la guardava, il modo in cui la faceva sentire sempre fuori luogo, in cui scoppiava a ridere ogni volta che la incontrava nei corridoi.
Non la minacciava, non la prendeva in giro apertamente. Si limitava a ridere di lei con le sue compagne.
 
“Vuoi che le tiri io uno schiaffone?” disse Tink un giorno, osservandola con odio dal tavolo dell’aula studio sul quale lei e Belle si erano appollaiate.
“Lascia perdere.”
“Uno schiaffone bello forte. Sulla faccia.” mormorò la bionda.
In quel momento entrò Killian Jones.
“Oh no…” gemette Tink.
“Scappa, ti coprirò. Gli dirò che sei dovuta correre in bagno a causa di un improvviso malore. Gli dirò che è colpa delle crocchette di patate della mensa.”
“Non servirebbe a niente. Mi aspetterebbe qui.”
Il ragazzo le individuò, e si avvicinò al loro tavolo con fare baldanzoso.
Zelena distolse lo sguardo.
“Signore.” esordì Killian.
Belle riprese a ricopiare i suoi appunti ed ignorò completamente il nuovo arrivato. Ancora non gli aveva perdonato le cattiverie dette in mensa.
Tink lo scrutò attentamente.
“Posso sedermi?” Continuò lui, sorridendo allegramente.
“Con che coraggio chiedi se puoi sederti con noi?” sbottò Tink.
“Tesoro, non essere così astiosa, ti ricordo che abbiamo un passato romantico insieme io e te. Cosa succede?”
“Passato romantico!?”
“Devo ricordarti come mi hai trattata l’ultima volta che mi hai rivolto la parola?” si inserì Belle.
Lui aggottò le sopracciglia.
“Non ricordo.”
“Mi hai chiesto se mangiavo dai bidoni della spazzatura.” Disse Belle acidamente.
“Davvero? Beh, saranno state delle circostanze estreme.”
“E mi hai dato della pezzente. E hai insultato mio padre.”
“Oh. Beh, scusa.” Disse lui, senza mai perdere il sorriso.
“Molto sentite come scuse” commentò Tink.
Senza più attendere, Killian si sedette.
“Stavo pensando” cominciò di nuovo “Ora che siamo tutti amici, potremmo uscire a quattro. Tu e Gold” indicò Belle. “E io e…te” finì guardando amabilmente verso Tink.
Non ottenne risposta.
“Dai ragazze, è per fare qualcosa di emozionante!” provò di nuovo.
“Ha ripreso a guardarci” disse Tink poi, rivolgendosi a Belle e indicando Zelena.
“Chi?” si intromise Killian.
“Ma vuoi farti gli affari tuoi?”
“Sono solo curioso!”
“Quella tizia là. Rossa di capelli, con la divisa.”
“Ah. Sì, è quella che si scarrozza in giro Gold.”
“Cosa intendi?” chiese subito Belle.
“Le fa da tutor, da quello che ho capito. Le fa vedere le aule, la aiuta coi compiti, cose del genere.”
Qualcosa nello stomaco di Belle si agitò follemente.
Rabbia. Odio. Gelosia.
Ma soprattutto paura.
Robert le aveva detto che non aiutava i nuovi studenti. Le aveva detto che non faceva parte del comitato di accoglienza della scuola. Eppure…
A quanto pare Zelena era entrata nelle sue grazie.
La ragazza cercò di restare indifferente e di ignorare la voglia di alzarsi e prendere a pugni la cheerleader.
“A me comunque sta sulle palle.” Riprese Jones. “Se volete mi alzo e le dico di smetterla di fissarci.”
“Che galanteria” commentò Tink.
“Sono sempre pronto a difendere delle principesse.”
“E da quando?”
“Da quanto conosco delle princ-“
“Scusate, esco un attimo.” Disse improvvisamente Belle.
Voleva trovare Robert, voleva parlargli, e voleva farlo subito.
Inoltre non sopportava di trovarsi in mezzo a quei due con Zelena che la guardava con le sue amiche e ridacchiava di continuo.
“Sicuro! Torna presto!” esclamò Killian.
“Belle…tutto bene?” chiese Tink.
“Io…sì. Sto bene. A dopo!”
Ed uscì dalla biblioteca.

 
Trovare Robert fu relativamente facile.
Quello che Belle non si aspettava, dopo avergli mandato un freddo messaggio in cui gli chiedeva di vedersi, era di vederlo arrivare con due thè alla pesca incastrati alla meglio tra le braccia, e due coni gelato, in equilibrio precario, in mano.
“Eccomi, scusa, c’era fila.” Disse ansimante.
Belle lo guardò interrogativamente.
“Perché?” chiese indicando le provviste.
“Comincia a fare caldo” disse lui allegro “Ho pensato che potevamo fare merenda insieme. Hanno aperto il baracchino dei gelati vicino al negozio dei pegni!” (**)
“Oh” esclamò lei semplicemente.
Questo non l’aveva messo in conto quando aveva pensato di discutere con lui.
“Però non su quei gradini. Vieni, cerchiamo una panchina. Se mi dai una mano poi evito di far cadere tutto!”
Si sedettero non poco lontani da lì, ed iniziarono a divorare il loro gelato.
“Magari da grande farò il gelataio.” Disse lui scrutando pensieroso verso la torre dell’orologio di Storybrooke.
Belle osservava silenziosa il profilo di Robert.
Si chiese come sarebbe diventato da vecchio. Probabilmente sarebbe stato affascinante come da giovane, con quei suoi grandi occhi, il naso lungo ed appuntito, la fronte ampia, i capelli lisci e morbidi che lentamente sarebbero passati dal castano chiaro al grigio e poi al bianco. Chissà quale donna avrebbe avuto l’onore di invecchiare accanto a lui. A lei non sarebbe dispiaciuto invecchiare accanto a lui, pensò fugacemente.
Mentre continuava a guardarlo, notò che sole gli illuminava gli occhi e li faceva apparire quasi ambrati; si rese conto che più che un pensiero fugace, era una speranza. Se qualcuna doveva appartenergli, perché non lei?
“Stai bene?”
Belle interruppe il flusso dei suoi pensieri e si voltò dalla sua parte.
“Sì, sto bene” mentì lei.
“No, non è vero. Mi sembri pensierosa.”
“Sto bene” ripeté. Poi senza aggiungere nient’altro, gli si avvicinò e lo baciò lentamente, godendosi quella sensazione di improvvisa felicità e speranza.
Era vero, stava bene. Perché doveva soffrire inutilmente e sospettare di lui?
Zelena la odiava, era appurato. Ma di questo Robert non aveva colpa.
Se le dava una mano ad integrarsi sicuramente c’era qualche motivo, e non stava a lei giudicare. Voleva credere che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi, e così fece.
Si staccarono, e Robert sorrise felice.
“Sicura di stare bene?”
“Sicura!” affermò decisa.
Gold appoggiò la mano sulla sua, le scoccò un altro rapido bacio, ed insieme continuarono a gustarsi la loro merenda nel tiepido sole di marzo.
 
 
 
Lentamente passò anche marzo. Ormai la primavera si faceva prepotentemente sentire.
Abbandonati i cappotti e le sciarpe, l’umore generale era decisamente più alto, anche se iniziavano tutti a sentire la pressione degli esami finali e delle fatidiche ammissioni nei college. Belle evitava di pensarci. I soldi non le sarebbero mai bastati per andare al college, o per lo meno, in uno dei college che avrebbe voluto. Poteva sempre provare a vincere una borsa di studio, ma lei era una, e i candidati erano tanti, veramente tanti.
Si era rassegnata all’idea che molto probabilmente avrebbe semplicemente continuato a vendere fiori a Storybrooke per il resto della sua vita. Una prospettiva non molto allettante, ma almeno evitava di farsi illusioni.
Diverso era il discorso per Tink, che, infervorata come non mai, aveva preso il suo giornalino scolastico come il suo vero punto di forza per essere ammessa alla facoltà di comunicazione e giornalismo della Boston University.
Per questo motivo, la giovane stacanovista, continuava a tampinare Regina nei corridoi, ogni volta che poteva. Era fermamente convinta che lei fosse la chiave del suo successo.
“Devi mandarmi ancora un articolo!” si lamentò un giorno.
“Ancora uno!? Te ne ho inviati tre questa settimana!” esclamò Regina furibonda, sbattendo l’anta dell’armadietto.
“Devi inviarmene un quarto!”
“Ma cosa te ne fai di tutti quegli articoli!”
“Devo entrare alla Boston University. Per entrare ho bisogno di un buon curriculum. E per averlo ho bisogno di avere un progetto valido e consolidato alle spalle e di buone referenze. Sono già rappresentante d’istituto e faccio parte del comitato degli studenti del Maine. ”
“E a me cosa dovrebbe importare?”
“Penso che questo progetto potrebbe darmi credito se voglio entrare al college. E penso che potrebbe dare credito anche a te. E’ un lavoro per la comunità, le università hanno un occhio di riguardo per questo genere di cose.”
Regina sbuffò.
“Non è vero. Alle università interessa quanto puoi pagare e qual è la tua media.”
“Alla mia interessano anche i progetti extrascolastici”
“Ma non puoi rompere le scatole a qualcun altro?”
“Tu scrivi meglio degli altri” disse semplicemente Tink.
“Cazzate!”
Regina prese a camminare spedita per il corridoio con un mucchio di appunti in mano.
“Tu dove hai fatto domanda?” le chiese poi la biondina, cercando di tenere il passo.
“A Yale”
“Wow. Sei ambiziosa. Pensi che ti prenderanno?”
“Mi auguro di sì. Magari se tu la smettessi di ricattarmi potrei lavorare alla mia ammissione invece che ai tuoi inutili articoli.”
“Beh, se posso darti una mano sono felice di farlo.”
 Regina si bloccò incredula.
“Vorresti darmi una mano? E in cosa?”
“So che ci sono già la Swan e la Blanchard ad aiutare quelli dell’ultimo anno con questo tipo di questioni, ma se ti va…ecco insomma, potremmo lavorare insieme alle nostre lettere di ammissione, dovrebbe essere divertente e costruttivo!”
Tutto quello che Regina riuscì a dire fu:
“Perché?”
“Perché mi sembra che tu non abbia molti amici da quando sei uscita dalla squadra delle cheerleader. E perché nonostante tutto…credo che tu sia una persona migliore di ciò che vuoi mostrare. E mi sembri intelligente. E io sono intelligente. E trovo che il tuo senso dell’umorismo non sia male, anche se a volte sei un po’ scorbutica e leggermente perfida. Perciò credo che potremmo lavorarci su.”
Le tese la mano.
“Vuoi…intendi diventare mia amica?”
“L’idea è quella.”
“Sono settimane che mi ricatti con quella schifosissima lettera!” sibilò Regina. avvicinandosi “E ora osi chiedermi di essere amiche?”
“Quanto la fai tragica…è per il bene superiore che ti ricatto.”
“Il ben- il bene superiore!?” esclamò furibonda la mora.
“Senti. Io oggi pomeriggio studio in biblioteca. Belle non c’è, so che hai paura di affrontarla e di chiederle scusa, anche se prima o poi dovrai farlo.” Si interruppe un momento mentre Regina la guardava costernata. “Sono sola, ecco. Se ti va puoi venire; anche perché ho qualche novità interessante e mi piacerebbe condividerla con te.”
 
 
Ciò che Tink aveva in mente, o meglio, la sua novità che non vedeva l’ora di divulgare, era il fatto che i suoi genitori sarebbero partiti quel venerdì e sarebbero rimasti fuori città per tutto il week-end.
La folle idea le era balenata in testa mentre chiacchierava con Belle, Ariel ed Aurora, la vignettista del giornalino.
E pian pianino quest’idea le era parsa sempre meno folle e sempre più interessante.
Tink Glocke avrebbe dato un party.
Non un party qualunque.
Un party enorme. Avrebbe invitato tutti i suoi amici, i colleghi del giornalino, i ragazzi del consiglio studentesco.
Aveva una bella casa a due piani con un giardino enorme e un grande gazebo.
Prima di allora non aveva mai avuto abbastanza amici da organizzare una festa come si deve, ma ora era arrivato il momento.
Purtroppo nessuno della squadra di football sembrava interessato all’evento.
E quindi neanche la squadra di basket o quella di nuoto. E nemmeno il club delle belle arti.
“Qual è il problema!” aveva esclamato Tink furibonda.
“Sempre lo stesso” aveva replicato Belle. “Noi siamo noi, e delle nostre feste non importa nulla a nessuno.”
Ma Tink Glocke sarebbe scesa a patti col diavolo pur di fare quella dannata festa.
Aveva la sua dannatissima e grandissima casa tutta libera, i suoi dannati genitori erano fuori città e nulla l’avrebbe fermata.
Così, piena di determinazione, il mercoledì prima della fatidica festa, chiamò Killian Jones per comunicargli le sue intenzioni.
“Tesoro, che bella sorpresa!”
“Non chiamarmi tesoro!” Forse era meglio essere gentili però. In fondo aveva bisogno di lui “Non ancora per lo meno” aggiunse.
“A cosa devo l’onore?”
“I miei genitori sono fuori casa per il week-end”
Silenzio.
“Ho capito cosa vuoi fare…”
“Vorrei organizzare una festa.”
“Io e te?”
“E molti altri”
Killian parve un po’ deluso.
“Ma io e te siamo la festa, giusto?”
“Ovviamente. Senti, puoi portare un po’ di gente e un po’ di alcool?”
Ancora silenzio. Sembrava che Jones stesse facendo un rapido calcolo.
“Sì.” Disse infine. “Posso farti una discreta pubblicità e occuparmi delle provviste.”
“Ma…?”
“Ma voglio qualcosa in cambio.”
Tink strinse i denti e si preparò a contrattare.

Una volta convinto Killian, toccava a Robert. E dopo Robert…Regina.
Poteva non essere più la capo-cheerleader, ma era ancora qualcuno.
E una volta convinti loro, il resto della scuola li avrebbe seguiti e si sarebbe semplicemente presentata di fronte alla porta di casa Glocke.
 
 
 
“E quindi è come se i miei genitori mi avessero chiamata con lo stesso nome e cognome!” (***)
Robert scoppiò a ridere, e Zelena lo seguì, con la sua risata cristallina.
“Non è stato molto carino da parte loro.” Disse poi, tornando serio.
“No, non molto, ma trovo che sia una cosa divertente.”
“Lo è.” replicò lui sorridendo.
Era venerdì pomeriggio, il fatidico venerdì della festa, e i due erano placidamente appoggiati al muro vicino all’aula studio.
“Scusami per questo pomeriggio inutile” proseguì poi Zelena, sorridendo colpevole. “Sono una frana in matematica e tu sei molto gentile, non ho mai incontrato un ragazzo così…non dovrei approfittarne.”
“Non dovresti.” Confermò Robert sorseggiando il suo thè “Ma quel che è fatto è fatto” concluse poi sorridendo.
“Comunque mi diverto a darti ripetizioni.”
“Ti diverti eh? E cosa ci sarebbe di divertente?”  disse lei fingendosi offesa.
“Un mucchio di cose.”
Accadde in un lampo.
Qualcuno, osservando la scena, potrebbe sostenere che forse non fu del tutto casuale; un movimento brusco da parte di Zelena e il contenuto del suo bicchiere di thè si riversò sulla camicia di Robert Gold.
“Cazzo, mi dispiace, ti giuro che non volevo io-“
“Zelena…”
“Cristo santo che figuraccia. Aspetta che prendo un fazzoletto. Ti prego, scusami.“
“Calma!” esclamò Robert. La ragazza continuava a farfugliare cercando qualcosa nella borsa.
“Davvero! E’ thè! Non si vede neanche, la mia camicia è nera! Ora vado un attimo in bagno, la sciacquo e-”
“No, aspetta, ti aiuto, insisto” continuò lei. Prese il pacchettino di fazzoletti dalla borsa, né estrasse uno e si avvicinò a Robert.
Fu un momento, un momento nel quale ad entrambi parve che il mondo si fosse fermato.
La ragazza appoggiò le mani sul petto di Gold e cercò di asciugare il thè gocciolante col fazzoletto. Alzò lo sguardo.
Robert valutò che la distanza tra i loro visi era molto poca. Davvero molto poca.
Sentì le gambe molli mentre i loro occhi si incontravano.
Il corridoio era vuoto e silenzioso.
La distanza era così poca, e le mani di Zelena avevano smesso di muoversi, ora erano delicatamente appoggiate sul suo petto.  Si avvicinò, le loro fronti si sfiorarono appena. La ragazza aveva dei bei capelli rosso chiaro, e delle belle labbra e dei bellissimi occhi azzurri…
Fu come uno schiaffo in faccia.
C’erano già degli occhi azzurri che lui amava e voleva, e li aveva. E non erano quelli.
Si allontanò bruscamente, deglutendo, mentre Zelena lo fissava a bocca aperta.
“Io…penso che ora dovrei andare.” Disse poi semplicemente, fissando il pavimento imbarazzato.
“Da-davvero? E’ presto…insomma…”
“Lo so. E’ che…devo…c’è una festa questa sera. A casa di Tink Glocke. Devo passare a casa e fare…delle cose.”
“Una festa?”
“Sì. Ma è solo per quelli del giornalino.” Mentì spudoratamente.
“Ah” concluse lei. Sembrava pensierosa, quasi triste e delusa “Ci vai da solo?” chiese poi.
“No. Con la mia…con Belle.” Concluse. “Bene, allora ci vediamo la settimana prossima.”
La salutò velocemente. Camminò svelto verso l’uscita di scuola e si mise a correre. Si fermò solo quando ebbe messo due isolati buoni tra sé e l’edificio.
Non si era mai sentito così male in vita sua.
Aveva…quasi baciato Zelena. Non l’aveva fatto. Ma ci aveva pensato, più che pensato: per un breve istante era stato intenzionato a baciarla.
Solo per il fatto che lei era una bella ragazza e che era lì, davanti a lui, a pochi centimetri dalla sua bocca. Ci aveva pensato e Belle di questo non sapeva niente, la sua Belle, la sua Belle con cui sarebbe andato alla festa e che non vedeva l’ora di poter tenere per mano davanti a tutti.
La sua Belle con cui trascorreva tutti i momenti liberi, la sua Belle con cui mangiava i migliori gelati della città, la sua Belle con cui passava ore disteso a letto a baciarla o semplicemente abbracciato a lei.
Non era successo niente. Respirò di sollievo e smise di tremare. Non aveva fatto nulla di sbagliato. Ma si sentiva male, e poteva fare due cose.
Dire la verità a Belle ed essere onesto, o rimuovere semplicemente l’accaduto.
Una persona coraggiosa avrebbe scelto la prima opzione, ma lui non era coraggioso.
Robert Gold non era mai stato coraggioso.
 
 
Aveva continuato a pensarci. Ci aveva pensato per tutto il pomeriggio.
Voleva davvero dirglielo e fare la cosa giusta, per evitare che magari lo venisse a scoprire da qualcun altro, per evitare qualsiasi bugia.
Ma quanto Robert vide Belle uscire da casa sua, nel suo vestitino bordeaux, entrò totalmente nel panico. Era così bella, così radiosa e poteva solo immaginare lo sguardo ferito e deluso che avrebbe avuto se le avesse raccontato la verità.
E poi cosa poteva dirle?
“Ciao Belle, scusami ma oggi ho quasi baciato un’altra. Mi dispiace davvero, io voglio solo te, sei bellissima e perfetta per me, non riaccadrà più che io quasi-baci un’altra.”
Era stupido. Non era successo niente. Non doveva dirle niente.
Eppure…
“Ciao!” esclamò lei contenta.
“Ciao!”
“Tuo…padre è in casa?”
“Sì.”
“Okay. Pensi ci stia spiando dalla finestra con un fucile puntato sulla mia testa?”
“Lo ritengo probabile.”
“Suppongo che dovrò salutarti in macchina per prudenza.”
“Supponi bene!” rispose Belle con una mezza risata.
Una volta in macchina si voltarono l’uno verso l’altra simultaneamente e le loro labbra si incontrarono in un rapido bacio.
“Sei stupenda.”
“Grazie. Anche tu stai molto bene. Mi piace questo tuo modo di vestire, è diverso dalla solita camicia nera e dal gilet.”
Robert sbuffò mentre Belle lo guardava con un mezzo sorrisino.
“Andiamo?” disse poi lei.
“Andiamo!”
 
Davanti a casa Glocke, dopo aver parcheggiato poco lontano dietro alcuni alberi nella via, videro come prima cosa Ariel con un copricapo da indiana in testa e una coda da sirena attaccata al sedere, che di fronte al vialetto nel giardino, indicava agli ospiti dove andare.
“Ma…perché?” chiese dubbioso Robert guardandola.
“Non saprei. E’ un po’ eccentrica.”
In quel momento due ragazzi del terzo anno si lanciarono giù dalla finestra del primo piano ed atterrarono sul gazebo.
“Ma non dovevano esserci solo ‘pochi invitati del giornalino’?”
“Dovevano” mormorò Belle osservando il tutto con perplessità.
“Senti, potremmo ancora andare al cinema. O a casa mia. O al parco. Insomma, potremmo ancora evitare questa specie di orrida festa che-”
“Smettila di essere così negativo! Io penso…penso che ci divertiremo.”
“Non posso bere, ricordi?” disse lui facendo un gesto eloquente indicando il volante.
“E quindi?”
“E quindi come dovrei divertirmi ad una festa simile?”
“Ci sono io.” Rispose Belle come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Ma tu starai con Tink. E con Ariel.”
“E con te! Credi che ti lascerò da solo con Jones?”
“Lo farai. E io dovrò tenergli la testa mentre vomita, come sempre! ” Disse amaramente Gold, fissando con disperazione crescente la casa.
“Con un po’ di fortuna riusciremo ad accoppiare Tink e Jones almeno per questa sera. Quando beve tende ad essere più aperta nei suoi confronti. Così sarà lei a tenergli la testa, e io potrò stare con te.”
“Ma io odio le feste. Mi piace stare a casa, mi piace la tranquillità, i vecchi film e vorrei stare da solo con te.”
Belle sorrise e senza trovare un’adeguata risposta, si limitò a catturare le labbra del ragazzo e a baciarlo.
In fondo erano ancora in macchina e nessuno li poteva vedere o disturbare.
Robert sospirò e le passò una mano dietro alla schiena, attirandola a sé, mentre lei, lasciandosi andare contro le sue labbra, si avvinghiava ai suoi capelli morbidi, stringendosi a lui.
“Vedi” disse lui staccandosi brevemente “Queste cose non possiamo farle alla festa.”
Belle scoppiò a ridere.
“Scusami? Non sono un’esperta ma credo che alle feste la gente non si faccia problemi per questo genere di cose!”
Si issò quindi sulle braccia e si sedette a cavalcioni sopra il ragazzo, fissandolo.
Gold aprì la bocca a vuoto, dopodiché la strinse semplicemente a sé, baciandola.
Le mani di Belle gli graffiarono la schiena, audaci, e si intrufolarono sotto la camicia per andare a posarsi sulla pelle calda.
Forse in effetti avrebbero potuto andare al cinema…o da qualche altra parte. Magari anche rimanere lì, da soli, pensava Belle mentre sentiva la bocca di Robert sul suo collo e gemeva leggermente.
“Vuoi ancora andare alla festa?” disse Gold, soffiando contro le sue spalle lasciate nude dal vestitino rosso.
“Magari…magari tra un po’” sussurrò lei in estasi.
Improvvisamente si udì un forte bussare contro il vetro ed entrambi sobbalzarono, staccandosi immediatamente.
La faccia barbuta e i grandi occhi azzurri di Killian Jones li guardavano dall’altra parte del vetro. Un ampio sorriso gli si aprì sul volto.
Fece un gesto molto eloquente, facilmente interpretabile e molto poco signorile con le mani, picchiò ancora sulla macchina, fece l’occhiolino e sparì verso casa di Tink, trascinandosi dietro una cassa di birra.
“Uomo di merda” ringhiò Gold pieno di odio.
Belle scoppiò a ridere.

 
Regina era davvero arrabbiata.
“Che si fotta Tink. Che si fotta la Swan.” Pensò furente.
Chi mai gliel’aveva fatto fare di decidere di andare a quella stupida festa?
Mentre davanti allo specchio si sistemava il trucco, continuava a borbottare tra sé e sé, sempre più infastidita.
Senza contare che non aveva la più pallida idea di cosa indossare.
Tink le aveva semplicemente accennato che i suoi erano fuori città e che quindi dava un party occasionale per festeggiare il definitivo decollo del suo progetto.
E a Regina cosa importava? Nulla.
Ma poi la Swan le aveva detto di andare.
Le aveva consigliato di andare, che in caso se le faceva proprio orrore la festa, poteva tornarsene a casa dopo dieci minuti. Le aveva detto che quelle feste in genere sono davvero divertenti e poi ti ritrovi a ventotto anni a ricordarle con estrema nostalgia.
Emma Swan continuava a sconvolgerle l’esistenza con le sue parole, la sua fiducia, la sua gentilezza.
La ragazza si guardò perplessa allo specchio. Forse un vestito nero era troppo per l’occasione…prese in mano il cellulare senza pensarci.
 
Cosa devo indossare per la tua stupida festa.
 
Aspettò un qualche, intanto gironzolò nervosa per la camera.
 
Qualcosa di comodo per ballare.
 
Regina sentì un brivido d’orrore lungo la schiena.
Probabilmente quella sarebbe stata una di quelle tipiche feste tra diciottenni ubriachi, dove tutti si agitano forsennati, sudati e puzzolenti in mezzo ad un giardino o ad un soggiorno e il tutto finisce con l’arrivo della polizia e una fuga nei boschi in mutande o peggio.
Non ci voleva andare, pensò Regina disperata. Non ci voleva proprio andare.
Ma la voce della Swan ancora parlò nella sua mente.
Doveva fare nuove esperienze, conoscere nuove persone e divertirsi.
Rabbiosa aprì l’armadio, afferrò un paio di jeans che non indossava da circa tre anni e li guardò con perplessità, poi li indossò decisa.
In fondo poteva sempre andarsene dopo dieci minuti.

 











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(*) Riferimento a Game of Thrones *coff coff non sono drogata coff coff*, in particolare a questa canzone (la consiglio a tutti, anche a chi non segue la serie!) https://www.youtube.com/watch?v=kmRWVZ5ny0I 
"The lion still has claws"
(**) Non ricordo se l'avevo già accennato, ma Bobby Carlyle ha detto che il banchetto dei gelati di Storybrooke è proprio vicino al negozio dei pegni (ha detto inoltre che Gold non fa altro che mangiare gelati, continua ad uscire dal negozio apposta); il banchetto dei gelati c'è per davvero e, secondo le testimonianze degli abitanti di Steveston (la città che ospita il set di Storybrooke), molto spesso Bobby compra gelati per i fan che vanno a trovarlo sul set. 

(***) Zelena significa verde in bosniaco. Huh.


Dunque. Conscia del mio IMMONDO ritardo nel pubblicare questo capitolo mi accingo a ...pubblicarlo.
Come avevo accennato, questo è un periodo intenZo per me. Ora finalmente ho trovato il tempo e l'ispirazione per continuare questa totale follia. Mi erano mancati. 
Mi sieeete mancati. Spero di esservi mancata!
Mi dispiace davvero per questo hiatus di un mese, ma ne avevo bisogno. Ora conto di tornare a pubblicare molto più spesso :) 
Perciò vi ringrazio per aver atteso il mio ritorno, ringrazio le persone che mi hanno mandato messaggi su EFP / tweet e si sono assicurati che la storia stesse proseguendo, ringrazio chi ha recensito, chi segue, chi legge silenziosamente, insomma. RINGRAZIO.
Alla prossima dearies!
Un bacione a tutti
Seasonsoflove

 

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Capitolo 22
*** What is this thing called love? ***


We built this city, now we tear it to the ground. 
This fight is over, hear the bell ringing out, it's the end of the final round. 

You knock me down, 
Cut me with a stare, 
You patch me up, 
Now it's my turn. 

What is this thing called love that you speak? 


“Non sono ancora sicuro di volerlo fare” gemette Robert, mentre Ariel gli sorrideva felice e indicava loro il gazebo nel giardino dove potevano servirsi.
Killian intanto, poco lontano da lì, sistemava varie bottiglie. Si girò e strizzò l’occhio ad Ariel, che ricambiò contenta.
“Credevo che volessi sistemarlo con Tink…” disse Robert.
“L’importante è sistemarlo.” Rispose Belle.
Lei prese una birra mentre Gold afferrò tristemente una bottiglia di succo all’arancia.
“Cin cin!” disse lui cupamente.
“Ci divertiremo, te lo prometto.” Belle abbozzò un sorriso.
La festa era già iniziata ma gli invitati non erano ancora tutti arrivati.
Vicino a loro c’era Jefferson, vignettista del giornalino, che parlava con diverse ragazzine del secondo anno. C’erano anche altri iscritti del giornalino che vagavano qua e là alcuni già ubriachi.
Uno di loro, un certo Felix, alto ragazzo biondo, si lanciò sul tavolo dei superalcolici e finì a testa in giù.
“Ti prego! Non posso sopportare una cosa simile da sobrio!” Robert ricominciò a lamentarsi.
“Senti, adesso andiamo a cerc-“ Belle si interruppe.
Regina Mills aveva appena varcato la soglia di casa Glocke.
Quello era decisamente un imprevisto, Tink non gliel’aveva minimamente accennato.
“Che succede?” chiese lui intuendo che qualcosa doveva averla bloccata. La ragazza indicò il vialetto dell’ingresso.
“Oh bene. Adesso la serata è veramente completa. Basta, me ne vado, ma come puoi pensare che stia qui anche solo un minuto di più!”
Senza rispondergli, Belle lo prese per mano, cercando di ignorare la nuova arrivata, e lo trascinò in un angolo del giardino, lontano da occhi indiscreti.
“Senti.” Iniziò guardandolo negli occhi “So che…non è il massimo. E che queste feste fanno…un po’ schifo a volte, soprattutto magari a quelli come te, che sono abituati ad eventi migliori. Ma io non sono mai stata ad una festa...di nessun genere.”
Robert non disse niente.
“E’ la mia prima festa in casa, non ho mai avuto molti amici…ma ora sto bene, e vorrei godermela. Puoi…cercare di divertirti almeno un pochino…per me?”
Lui ci pensò un po’ su e si fissò le scarpe, sentendosi improvvisamente un cretino.
Perché continuava a lamentarsi? Era lì con Belle, era felice, stavano insieme e pochi minuti prima in macchina aveva avuto un assaggio di ciò che avrebbe potuto avere quella sera.
“Hai ragione…” disse poi lentamente “Scusami. E’ che odio queste feste perché…ho sempre partecipato e non mi sono mai divertito.”
“Sarà diverso, te lo prometto.”
Robert alzò gli occhi su di lei “Mi dispiace. Davvero.” aggiunse poi, abbozzando un sorriso.
Belle scoppiò a ridere.
“Dai cane bastonato, vieni qui.”
Gli passò le braccia intorno al collo e si strinse a lui. Dopodiché lo baciò velocemente sulle labbra, e sul naso.
“Perché?” chiese Robert perplesso.
“Perché hai un naso carino e particolare. E non è un bacio normale quello che ti ho dato. E’ un bacio portafortuna.”
“Non sapevo che i tuoi baci avessero questo tipo di proprietà”
“Non ce l’hanno, generalmente. Ma ora sì. Vale solo per questa serata.”
“Spero funzioni.”
“Lo farà.”
Rimasero un momento in silenzio, e Robert sentì improvvisamente una certezza che mai si era fatta largo nel suo cuore con così tanta prepotenza.
Guardò Belle incerto sul da farsi.
Era così meravigliosa quella sera, con i capelli sciolti più lisci del solito, le guance leggermente arrossate e le labbra carnose.
Sentì ancora una fitta odiosa allo stomaco ripensando a Zelena.
Come aveva anche solo potuto pensarci…
Lui aveva Belle e non c’era niente di meglio al mondo.
“Mi dispiace.” Disse Gold improvvisamente.
“Va tutto bene.” Rispose Belle allegra. “Basta che non fai più il musone.”
“No, non per quello…Cioè anche, ma non solo.”
“Oh. Ehm…per cosa?”
Robert esitò.
“Niente. Ripensavo a…come ti ho trattata. Sai, prima di…tutto questo.” Fece un gesto con la mano indicando loro due.
Belle scoppiò a ridere.
“Ancora ci pensi?”
“A volte…mi sento abbastanza male. Tu non ci pensi mai?”
“No. Penso che facciamo tutti degli errori. E penso che sono la ragazza più felice del mondo in questo momento…perciò credo che tu abbia imparato dagli errori del passato.”
Robert la guardò incredulo.
“La ragazza più felice del mondo? Addirittura!?”
“Addirittura!”
Entrambi sorrisero.
E di nuovo Gold avvertì la stessa certezza che l’aveva sconvolto poco prima.
C’era qualcosa che voleva dire a Belle.
Che aveva realizzato solo in quel momento ma che sentiva da un po’ di tempo.
Cingendole i fianchi, la guardò ancora.
Era davvero stupenda.
“Belle”
“Sì?”
Era una cosa davvero importante da dirle.
Aprì la bocca a vuoto.
“Ti-“
Gli si incrinò la voce.
“Stai bene?” chiese lei dubbiosa.
“Ti voglio bene.”
Un nanosecondo dopo si prese a schiaffi mentalmente.
“Volevo dire…ti voglio…tanto bene. Veramente tanto. Ecco.” Riprovò. Ancora peggio. Nella sua testa la frase suonava nettamente diversa.
Belle lo fissò a metà tra il divertito e il perplesso.
“Anche io!” disse poi con un mezzo sorriso.
“Ottimo. Sono davvero contento. Ora credo che andrò a prendermi un altro succo  perché questa sera voglio davvero sballarmi.” Concluse Robert strofinandosi imbarazzato le mani sui pantaloni.
“Io vado a cercare Tink. Ci vediamo tra poco, okay?”
“Okay”.
Lei gli lasciò un ultimo bacio veloce e si avviò verso la cucina, passando dalla porta a vetri sul retro che dava sul giardino.
Robert la guardò sparire dentro casa, sentendosi strano e impaurito.
Era innamorato di Belle.
 
 
 
 
 
“Ehi! Ciao!”
Killian si girò di scatto, interrompendo il suo lavoro di barman, e vide Ariel venirgli in contro.
Si stampò sul viso il miglior sorriso che avesse e allargò le braccia.
“Ma che splendore!”
Lei sorrise calorosamente.
“Stai facendo davvero un ottimo lavoro!” disse poi indicando le bottiglie.
“Sì beh…è una cosa di cui mi intendo. Una delle tante.” rispose lui strizzandole l’occhio.
Ariel si avvicinò alle varie brocche.
“Questo cos’è?” chiese poi, indicando un liquido marrone/rossastro.
“Whiskey e cola tesoro!”
“Oh! E quello?” proseguì indicando un’altra brocca contenente una mistura curiosamente solida.
“Zabov!”
“Cosa mi consigli?”
Killian le si avvicinò, inarcando le sopracciglia.
“Ti piacciono le cose forti?”
Lei lo guardò estasiata.
“Sì.”
“Allora il whiskey. Per te lo faccio doppio però.” concluse il ragazzo, ammiccando.
 
 
 
 
“Ma quanta roba avete preso!?”
Belle e Tink avevano appena finito di sistemare quella che pareva essere la decima cassa di birra.
Dal giardino provenivano schiamazzi sempre più forti.
“Quella che serviva.”
“Hai invitato mezza scuola” osservò Belle, servendosi poi di una delle birre appena sistemate e sedendosi sul bancone della cucina.
“Sì.” Rispose Tink, sorseggiando la sua “volevo fare una cosa in grande stile. Così ho chiesto a Jones di portare gente, e alcool.”
“Non è che i vicini chiameranno la polizia?”
“Non saprei. In ogni caso ho deciso che darò la colpa a lui. Anche se lui questo non lo sa.”
Improvvisamente la porta che dava sul giardino si spalancò e Regina apparve sulla soglia.
Belle si irrigidì, mentre Tink per poco non si strozzò.
“Ciao!” disse poi, sputacchiando birra.
“Ciao.” Borbottò Regina. Si guardò intorno a disagio.
“Vuoi…” iniziò Tink.
“Cercavo una birra. Jones serve solo roba pesante e io ho chiuso con l’alcool pesante.” Disse semplicemente la mora, evitando accuratamente lo sguardo di Belle.
Rimasero un attimo in silenzio.
“Beh, serviti pure!” disse Tink, cercando di sorridere e indicando le casse intorno a lei.
Regina non si mosse.
Belle si fissò le unghie con crescente interesse.
“Ma che due scatole!” esclamò Tink contrita. Si alzò, afferrò una bottiglia dalla cassa, si avvicinò a Regina e gliela piazzò in mano senta troppi complimenti.
“Quanto voi due sarete abbastanza mature da parlare come due persone adulte fatemi un fischio!” disse poi acidamente.
Regina alzò gli occhi al cielo e lasciò la cucina.
 
 
 
Poco dopo, Tink decise di uscire in giardino e godersi finalmente la serata.
Peccato che ci fosse già qualcuno pronto a rovinargliela.
Killian ed Ariel si erano appartati in un angolo e ridacchiavano, abbracciati, mentre lui continuava a servirle da bere.
Tink respirò profondamente.
Sempre la stessa storia.
Girò sui tacchi e andò in soggiorno, dove c’erano un discreto numero di persone che iniziavano ad essere inquiete.
“La musica?” chiese una ragazza rossa di capelli, con due trecce, di nome Anna.
“Posso occuparmene io?”  disse Jefferson.
Tink lo guardò distrattamente.
“Sì…sì certo.”
Belle la raggiunse.
“C’è un mucchio di gente in giardino, pare che sia venuta davvero mezza scuola! Un successone!” esclamò felice.
“Già.” Disse Tink piatta, appoggiandosi ad un muro.
“Che succede?”
“Niente in particolare.”
Tink non sapeva cosa fare.
Ammettere che le dava fastidio vedere Killian ed Ariel insieme corrispondeva ad ammettere che in qualche modo era interessata al ragazzo.
E non era così.
Non proprio.
Solo un pochino.
Non poteva neanche prendersela con Ariel, dato che le due non avevano più parlato di Jones.
Non poteva essere gelosa perché non c’era niente tra lei e Killian.
A parte un appuntamento in sospeso, prezzo da pagare per i suoi costosi servigi, e parte dell’accordo stipulato pochi giorni prima per telefono.
Un dannatissimo appuntamento in sospeso.
“E’ per Jones ed Ariel?” chiese Belle improvvisamente.
“EH?”
“Li…li ho intravisti fuori.”
Tink non rispose, e l’amica le prese la mano.
“Senti. Questa sera ci divertiamo, okay? Niente ragazzi o ex ragazze dei nostri ragazzi, niente traumi o preoccupazioni. Adesso andiamo di là e beviamo due birre di fila. E’ la nostra serata!”
Le due si guardarono e la bionda annuì.
Era la sua serata e niente e nessuno le avrebbe impedito di divertirsi.
 
 
 
Dopo circa mezz’oretta dall’inizio della festa, l'atmosfera a casa di Tink era completamente decollata.
Lo stereo era stato collegato, Ariel si era levata la coda da sirena, Belle si era già bevuta tre birre e Tink stessa girava per casa continuando a farsi riempire il bicchiere di vino rosso urlando “ANCORA VINO!”
 
 
 
In tutto questo, Regina si stava seriamente domandando che diamine ci facesse a quella stupida festa.
Perché aveva accettato?
La voce della professoressa Swan le rimbombò in testa.
“Devi fare nuove esperienze, conoscere nuove persone, imparare a voler loro bene e a farti voler bene!”
In quel momento però, appoggiata al muro a braccia incrociate, vestita con un semplice top, un blazer, un paio di jeans e le converse si sentiva tragicamente sola ed inadeguata.
Ariel si era scatenata in mezzo alla pista. Ballava con la French, Jones, dei ragazzi della squadra di football e basket, e un gruppo enorme di persone.
Robert era apparentemente sparito da un po’.
Regina sobbalzò quando sentì una mano picchiettarle dolcemente sulla spalla.
“Ti stai divertendo?”
Era Tink. In mano teneva due drink, uno dei quali rosso sangue.
“Sì…molto” mentì Regina sorridendo a disagio.
Tink scoppiò a ridere.
“Non è vero. Hai la faccia di una a cui è morto il gatto.”
“No sono…solo stanca.”
“Perciò ti ho portato questo” e le pose il bicchiere contenente il liquido rosso.
Regina inarcò le sopracciglia.
“Per me?”
“Sì”
“Che cos’è?”
“Bloody Mary”
“Quanti gradi ha esattamente?”
“Devo risponderti?”
“Sei gentile, ma…diciamo che non tocco niente di forte dalla sera del ballo”
“Il momento giusto per ricominciare!”
“Hai visto cos’è successo l’ultima volta che ho bevuto?”
“Sì. Ma non c’ero io a tenerti controllata quella volta!”
La mora si zittì stupita.
Tink si stava preoccupando per lei.
Era la seconda persona a farlo, ma l’effetto era comunque sorprendente.
“Andiamo, è un dannato bloody mary. E’ rosso, e il rosso è decisamente il tuo colore!”
“Tu…pensi che il rosso sia il mio colore?”
“Certo. Anche il nero, ma preferisco il rosso. Quel blazer è rosso e ti sta benissimo! Perciò ora bevi il tuo drink rosso e non fare storie!”
Regina sorrise debolmente, prese il bicchiere e assaggiò la bevanda con circospezione. Era buona.
“Non male.”
“Visto? Ora vieni, andiamo a ballare.”
“Cos-“
Non ebbe neanche il tempo di protestare che sentì la mano dell’altra afferrare la sua e trascinarla in mezzo alla pista.
Era totalmente spaesata. Non era più Regina Mills là in mezzo, era solo Regina.
E cosa faceva Regina in mezzo ai suoi coetanei?
Doveva ballare?
La risposta evidentemente era sì, perché Tink le passò un braccio intorno al collo ed iniziò ad agitarsi come una forsennata a ritmo di musica.
Si sentiva a disagio.
“Devi fare nuove esperienze, conoscere nuove persone, imparare a voler loro bene e a farti voler bene!”
Cos’avrebbe fatto una persona normale?
Strinse decisa il braccio intorno alla vita di Tink ed iniziò a seguire le mosse dell’altra, prima rigidamente, poi sempre più con tranquillità.
Dopo dieci minuti le due ragazze scuotevano la testa a tempo di musica senza più pensare a niente. I loro drink erano finiti, la biondina era andata a prendere una bottiglia di vino tutta per loro e Regina sorrideva.
 
 
Un’ora e mezzo dopo, Robert, stanco, di malumore ed estremamente svogliato, mangiava una ciambella appoggiato al muro.
Con lo sguardo cercò Belle.
La individuò in mezzo ad un gruppo di gente, che rideva e scherzava con le sue amiche e qualche ragazzo.
Sentì il suo stomaco agitarsi.
Da una parte era bello vederla così contenta e serena, dopo tanto tempo, dall’altra lo faceva sentire un po’ inquieto. Certamente voleva che fosse felice, ma gli sarebbe piaciuto essere un po’ incluso in quella felicità.
Gli pareva di non averla mai vista sorridere così vicino a lui.
Improvvisamente un ragazzo, che riconobbe vagamente come Gaston Prince, capitano del team di basket, le appoggiò la mano sulla spalla.
Belle parve non farci caso e non si scansò. Vicino a lei Ariel batteva le mani per qualcosa, e Tink chiacchierava con Regina, mentre le due bevevano a turno da una bottiglia.
Robert si staccò dal muro, a disagio. Si avvicinò.
“Belle” la chiamò.
Evidentemente non lo sentì, perché continuò a chiacchierare con Gaston.
“Belle!” riprovò.
Funzionò.
“Gold!” esclamò lei felice. Lo abbracciò forte.
“Ti va di fare un giro?” le disse lui. Poi istintivamente si avvicinò per baciarla.
Ma Belle si scostò leggermente e incontrò il suo viso, stampandogli un semplice bacio sulla guancia, lasciandolo di stucco.
Gaston rise, e Robert si staccò lentamente da Belle, fulminandolo.
“C’è qualcosa che non va?” chiese poi, gelido.
“Ci hai provato amico!” esclamò l’altro.
La ragazza non sembrava capire la situazione e si limitò ad appoggiare la testa alla spalla di Gold.
“Provato a fare cosa esattamente?” la voce di Robert era una lama.
Gaston gli si avvicinò sorridendo, indicò Belle che in quel momento fissava il pavimento e ridacchiava e disse:
“Qualcuno si infilerà sotto il suo vestitino questa sera, ma non sarai tu.”
L’altro rimase immobile.
Poteva tirargli un pugno e spaccargli la faccia solo per aver osato pensare una cosa del genere, ma qualcosa lo trattenne.
Belle non gli stava chiedendo di essere difesa. Era semplicemente appoggiata a lui e beveva il suo drink, ignorando la situazione.
Lei non aveva voluto baciarlo in pubblico e non era infastidita dalla battuta di Gaston, non se n’era neanche accorta.
“Andiamo un momento fuori?” provò di nuovo, dedicandosi a lei e accarezzandole la guancia.
“Mi piace stare qui. Dai Gold…” mugugnò lei sorridendo.
Sentendo gli occhi di Gaston puntati su di lui, lasciò semplicemente andare la presa, si voltò dall’altra parte e se ne andò.
 
 
 
 
Alla fine di una canzone particolarmente ritmata, Regina respirò profondamente e lasciò un momento il soggiorno.
“Dove vaaai?” le urlò dietro Tink.
“Solo un momento fuori, prendo una boccata d’aria!” rispose.
“Eh?” La voce non riusciva a superare il frastuono.
Regina indicò il giardino e fece segno di aspettarla lì.
Appena uscita si sedette su una sedia e lasciò che l’aria fresca di aprile le accarezzasse il viso.
Si sentiva abbastanza serena, così decise che avrebbe chiamato la Swan per ringraziarla.
Ma il suo cellulare le riservava già una sorpresa: sei chiamate perse, di sua madre.
 
 
 
 
“Ti stai divertendo?”
Robert sentì due braccia circondarlo e  la voce di Belle parlare da qualche parte imprecisa della sua schiena.
“Da morire” commentò sarcastico.
Era davvero arrabbiato ora.
Aveva passato la serata da solo come un imbecille, mentre Belle si scolava un bicchiere dietro l’altro, divertendosi e ballando con le sue amiche e con un mucchio di nuovi amici. Con Gaston.
“Cosa ti prende?”
“Niente.”
Si girò verso di lei mentre lei gli passò le braccia intorno al collo.
“Sei arrabbiato?” chiese perplessa.
“No.” Rispose secco.
Lei lo strinse forte. Era palesemente alticcia perché gli aprì i primi bottoni della camicia e poggiò le labbra appena sotto il collo.
“Adesso improvvisamente esisto?” disse poi Robert.
Si sentiva davvero inutile, e terribilmente fuori luogo.
Era tutta la sera che non faceva altro che pensare a lei, guardarla mentre lo ignorava totalmente.
Si era innamorato di lei.
Lo aveva capito quella sera e cercava disperatamente un modo e un momento adatto per dirglielo, mentre lei di tutto ciò non sospettava nulla.
E improvvisamente Robert aveva realizzato che magari tutto quello stava accadendo solo nella sua testa, e soprattutto, solo nel suo cuore.
Era lui che si era accorto di amarla.
E se per lei non fosse stato lo stesso?
E minuto dopo minuto, si era convinto che effettivamente era così. Aveva pensato di dirglielo dando per scontato che la cosa fosse ricambiata. Ma non pareva proprio che le cose stessero in quel modo.
“Gold?” la voce di Belle lo richiamò al presente.
“Cosa c’è!? E non chiamarmi Gold! Ho un cazzo di nome!” ribatté con forza.
“Stai tranquillo!” esclamò lei basita.
“Mi hai lasciato da solo per due ore!”
“Robert…sono qua.”
“Sì. Ora sei qua, dopo che mi hai ignorato per tutta la sera. E…e hai ballato con…altri ragazzi, con Gaston. E io sono stato qui come un idiota ad aspettarti e…io vorrei che tutti sapessero che stai con me, invece sembra che tu eviti di dirlo a chiunque e che non ti importi niente. E sembra che eviti ogni contatto con me, io volevo solo…baciarti, e tu mi hai completamente ignorato. Mi sento una merda, ecco.”
Belle lo guardò costernata.
“Tu sei matto.”
“No!” esclamò lui arrabbiato e agitato “Non sono matto! Non sono stupido! E non mi sto divertendo per niente, mentre avevi detto che saremo stati insieme e…capisco che tu voglia goderti la festa e sono felice che tu ti stia divertendo, ma ecco, pensavo che ce la saremmo goduti insieme come coppia.” Concluse sentendo la gola chiudersi.
Si sentiva debole, spaventato e insicuro.
“Robert, cosa succede?” Belle sembrava preoccupata benché lo sguardo non fosse esattamente lucido.
Lui respirò a fondo.
Non poteva mettersi ad urlare o a piangere o esplodere in ogni caso.
Non gli era mai capitata una cosa simile.
“Niente. Vado a prendere una boccata d’aria. Scusami, è che sono davvero stanco.” Disse piattamente.
 
 
 
 
 
 
Belle ritornò dalle amiche completamente frastornata.
Non capiva cosa fosse successo, tutti intorno a lei urlavano ma lei aveva l’impressione che fosse accaduto qualcosa di brutto e grave.
“BELLE!” Strillò Tink “HAI VISTO REGINA?!”
“Perché dovrei?”
“Aveva detto che sarebbe tornata in pochi minuti!”
Belle inarcò le sopracciglia.
“VIENI QUA CHE BALLIAMO!” Ricominciò ad urlare la bionda.
“No io devo-“
“SIIIIII” L’amica l’aveva abbracciata e si agitava come una forsennata.
“TINK! Devo uscire un momento. Credo…credo che Robert sia arrabbiato!” biascicò confusa.
“Lascialo perdere!” urlò Tink, completamente andata, al di sopra della musica.
“No!” esclamò Belle, cercando di evitare le manate della gente che ballava.
“Sì invece! E’ la nostra serata! Ricordi?! Me l’hai detto tu! Niente ragazzi! Niente preoccupazioni!”
“Vado un momento a cercarlo. Sarò qui tra poco, te lo prometto!”
“Non se ne parla! Anche Regina ha detto che sarebbe stata qui tra poco! Ed è sparita! Rimani qua!” Tink la afferrò per il braccio.
“Per favore! Lasciami andare!” esclamò Belle. Si staccò decisa.
Camminò in mezzo alle persone. Vedeva tutto come a rallentatore, e sentiva le guance molto calde.
Doveva uscire da quello stupido soggiorno o sarebbe morta soffocata.
Finalmente sbucò fuori in giardino, dove erano rimaste poche coppie.
Una di queste era composta da Killian Jones ed Ariel.
Belle non voleva interromperli ma non sapeva a chi chiedere.
“Scusate…” disse mentre i due si baciavano “Scusate! Avete visto Robert?”
Killian finalmente si staccò, mentre Ariel ridacchiava contro la sua guancia.
“Non di recente, tesoro. Prova ad andare alla macchina, prima o poi dovrà prenderla!”
Belle si guardò intorno disperata.
Uscì dal giardino ed arrivo in strada.
L’aria di aprile era leggermente fresca e profumava di fiori.
“Gold!” provò a chiamare.
Nessuno rispose.
Non aveva idea di dove cercarlo ma Killian aveva ragione.
Prima o poi sarebbe tornato alla macchina, così attraversò la strada e si avviò verso lo spiazzo erboso nel quale avevano parcheggiato.
L’auto era ancora lì e Belle sospirò di sollievo. Non se n’era andato.
Raggiunse il veicolo e si appoggiò ad esso, dopodichè afferrò il cellulare e pensò a cosa scrivergli.
Vide con stupore che un messaggio già la aspettava.
 
-Vieni dove abbiamo parcheggiato, anche solo cinque minuti per parlare un momento…

-Sono qui
 
 
 
Ci mise poco ad arrivare.
Belle lo vide camminare, arrivava dalla parte opposta rispetto alla casa.
Avrebbe riconosciuto la sua camminata tra mille.
Sentì il cuore stringersi, pensando che era vero, non lo aveva nemmeno guardato per due ore e lui l’aveva cercata, mentre lei semplicemente lo aveva liquidato…non ricordava bene perché lui si fosse arrabbiato, ma dentro di sé sentiva di essersi comportata male. Ma era tutto molto confuso.
Gli andò in contro e senza dire nulla cercò le sue labbra.
Sperò con tutta sé stessa che non fosse così arrabbiato da respingerla.
Invece sentì le braccia cingerle la schiena, avvolgerla, e la bocca rispondere con entusiasmo al bacio.
“Scusa. Non ho capito bene cosa sia successo ma mi dispiace tanto!” biascicò triste, staccandosi.
“No. Scusami te. E’ che è un momento strano, sono un po’ confuso.” Sussurrò lui.
Belle lo guardò.
“Cosa intendi?”
Robert si schiarì la gola e guardò un punto impreciso in fondo alla via.
“Vieni.”
Scavalcarono rapidamente un muretto e si ritrovarono in un prato nella campagna appena fuori Storybrooke.
“Puoi parlare? Mi sa che sono un po’ brilla e mi fai agitare così.” Tentò Belle.
Quel silenzio la turbava.
“Okay.” Disse lui, fermandosi finalmente.
La guardò negli occhi.
“Prima ti …ti ho detto una cosa.” Iniziò titubante.
“Quale? Ne hai dette tante…e molte di quelle non erano neanche cose carine!” sentenziò lei indicandolo minacciosamente con il dito.
“Ho…detto che ti voglio bene.” Continuò, ma questa volta distolse lo sguardo.
“Oh! Sì.” Disse Belle.
Il cuore prese a battere leggermente più forte del normale.
Non capiva dove voleva andare a parare ma intuiva l’importanza del discorso e del momento.
“Ed è così.”
La ragazza lo fissò.  Aveva fatto tutto quel mistero per dirle di nuovo che le voleva bene? E le aveva fatto quella piazzata per quel motivo?
 “Ma…” cercò di dire lui, ignorando la musica altissima che proveniva dalla casa di Tink. “È…”
Si bloccò.
“È?”
“Di più.” Riuscì a dire con estrema fatica.
Belle non rispose. O i drink che aveva bevuto le avevano giocato un brutto tiro o…cercò la sua mano e la accarezzò, poi la strinse.
“Cosa intendi?”
“Che –“
Si udì un rumore assordante, proveniente da casa Glocke.
“CHE DIAVOLO ERA!” Esclamò Belle sobbalzando.
Robert fissò la casa con tanto d’occhi, dopodiché dal tetto esplose quella che sembrava un’intera cassa di fuochi d’artificio e petardi.
Belle rise felice e batté le mani.
“I vicini chiameranno la polizia…”mormorò Gold.
“Chissenefrega!” mormorò Belle incantata.
Robert sospirò e la abbracciò mentre urla, musica e botti si mescolavano.
“Credevo che queste cose si facessero solo a Capodanno” disse poi Belle.
“Se c’è Killian si fanno ogni giorno” rispose lui appoggiando le labbra contro la sua fronte.
Belle sorrise e seppellì il viso nella sua giacca, inspirando il suo profumo.
“Cosa volevi dirmi comunque?” chiese infine.
Robert deglutì e respirò profondamente, stringendola forte.

 
 
 

 
 



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Canzone: What is this thing called love - Editors

ECCHIME. 
Questa volta ce l'hooo fatta! #Proudseasonsoflove.
Ebbene, questi giorni di estate stanno fruttando abbastanza bene, devo dire che mi sono sentita ispirata prima di questo capitolo.
Il party sarà strutturato in due, o addirittura tre capitoli perchè...perchè sì. 
Miao. Non so bene come mi sia venuto questo capitolo, ho un po' di timore che i personaggi stiano andando nell'OOC, perciò ho bisogno della vostra opinione C:
E niente. Spero vi piaccia il capitolo, spero che non rimarrete troppo con l'amaro in bocca per il finale che non è un finale.
Il prossimo aggiornamento spero de core e de CORA di riuscire a pubblicarlo prima di partire per le vacanze (me ne vado tra i monti, al fresco), ma dovrei farcela. 
Grazie come sempre per tutte le bellissime recensioni, me ne avete lasciate davvero tante e vi siete superati :) pensavo che dopo un mese di assenza come minimo mi avreste tirato un bicchiere di VINO in piena faccia! 
Grazie a coloro che hanno inserito la storia nelle seguite, ricordate, etc. etc. 
Grazie anche ai lettori silenziosi che invito come sempre ad esprimersi.
Cuore, core e Cora per tutti voi!
Un bacione :**
seasonsoflove

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Capitolo 23
*** Tongue Tied ***


Take me to your best friend's house 
Normally we're making out 
Oh yeah 
Take me to your best friend's house 
I loved you then and I love you now 



“Sono…”
Innamorato di te.
Innamorato di te.
Belle, ancora stretta a lui, strofinò il naso contro il suo collo.
Sono innamorato di te.
Non riusciva a dirlo.
Non aveva mai detto una cosa simile a nessun’altra, soprattutto a nessuna ragazza che significasse tanto quanto significava Belle per lui.
I fuochi d’artificio e i petardi andarono esaurendosi.
Belle biascicò qualcosa sul freddo.
“Hai freddo?”
“Un po’.”
Robert si tolse la giacca e gliela appoggiò sulle spalle mentre lei sorrideva e chiudeva gli occhi, appoggiandosi di nuovo a lui.
“Belle?”
“Dimmi Bobby.”
“Non chiamarmi Bobby!”
“E’ un soprannome carino!”
“E’ orrendo, sembra il nome di un cane.”
La ragazza ridacchiò e lo guardò con aspettativa.
“Devi ancora finire la frase di prima. Avanti!”
“Io…volevo dirti che…sono molto felice di stare con te. Io…ti voglio davvero tanto bene e te ne voglio…sempre di più, ecco.”
Fu la frase migliore che riuscì a partorire. La disse tutta d’un fiato con espressione estremamente concentrata e la voce gli si incrinò.
Lei scoppiò a ridere.
“Cosa c’è adesso!?” esclamò il ragazzo sentendosi estremamente offeso.
“Niente, è che hai una faccia ridicola. Sembra che tu abbia mal di pancia e sembri sul punto di esplodere!”
“Non c’è niente da ridere! Ti ho detto una cosa carina!”
“Me l’hai detto in modo estremamente ridicolo però!”
“Va bene! Allora me ne torno alla macchina! Buona serata.” disse piccato Robert.
Già era difficile esprimersi, in più lei gli scoppiava a ridere in faccia.
“Torna quaaa! Dai!” urlò lei ridendo forte.
Gold camminò spedito verso la strada. Ne aveva abbastanza. Tanto l’indomani lei avrebbe avuto un mal di testa terribile e l’avrebbe chiamato per delucidazioni sul da farsi e allora lui avrebbe avuto la sua vendetta e le avrebbe rinfacciato tutte le angherie subite.
Sentì una mano afferrargli il braccio e si voltò, piazzandosi di fronte alla ragazza.
“Lasciami andare.”
“Ma smettila!”
“Smettila tu!”
“Sei una piaga questa sera!”
“E tu sei una piccola merda!”
Belle rise, mentre lui la guardava corrucciato.
Sentendosi straordinariamente coraggiosa, prese possesso delle sue labbra senza troppi complimenti.
Era l’alcool, era l’allegria della serata e ne aveva voglia: lui era così carino con la sua camicia nera e la sua giacca marrone che le aveva subito prestato, e i suoi pantaloni neri e le scarpe scamosciate. Era proprio carino.
Lo baciò a lungo, passandogli una mano intorno al collo e infilandola nei suoi morbidi capelli, mentre lui le cingeva i fianchi, attirandola a sé ed appoggiandosi ad un muretto lì accanto per non perdere l’equilibrio.
Quando si staccarono Belle si rese conto che il cuore le stava battendo più forte del normale. Per dissimulare la cosa rise ancora un po’.
“Questa sera sei proprio molesta e fastidiosa.” Dichiarò lui.
Ma anche il suo cuore batteva leggermente più forte del normale.
Belle si limitò a guardarlo a lungo.
Da casa di Tink continuava a provenire la musica a volume sempre più alto.
“Belle?”
“Posso baciarti ancora o sei troppo arrabbiato?”
Robert chiuse gli occhi e i due annullarono nuovamente le distanze.
Si staccarono e si osservarono di nuovo un momento.
Belle aprì la bocca a vuoto per dire qualcosa.
“Sì?” le chiese lui amabilmente.
“Niente. Stai zitto adesso. Hai parlato anche troppo.”
Poi Belle si abbandonò letteralmente all’istinto e premendo sulle sue spalle, lo fece sedere per terra, baciandolo e perdendosi nelle sue labbra.
Si godettero ogni istante, abbandonandosi a terra, nell’erba profumata di aprile.
Belle si issò lentamente su di lui, facendo combaciare alla perfezione i loro corpi.
“Non mi hai mai baciato così” disse Gold, separandosi un momento per riprendere fiato, accarezzandole la schiena.
“Ma sì che l’ho fatto,”
“No.”
“Beh, allora sarà la prima volta!” rispose lei sorridendo beata.
Le loro labbra si incontrarono di nuovo, impossibili da dividere.
Mentre Belle si lasciava completamente andare contro la sua bocca, mordendogli leggermente le labbra, allentandogli poi la cravatta, slacciando i primi bottoni del colletto e aggrappandosi alle sue spalle e alla camicia, assaporando ogni secondo del loro bacio, si sentì viva come non mai. I loro respiri si fecero più affannati.
Entrambi erano talmente presi da non accorgersi del fatto di essere ancora all’aperto, vicini ad una strada e a molte case.
Senza pensarci, sentendo le labbra di Belle sul collo, Robert chiuse gli occhi e infilò la mano sotto il vestito della ragazza, accarezzandole le gambe, gemendo mentre lei gli baciava il collo e scendeva con la bocca verso il petto.
Belle si bloccò.
“Scusami, è stato inappropriato.” disse lui velocemente, ritirando la mano e arrossendo.
 La ragazza lo fissò intensamente, poi avvicinò le labbra al suo orecchio e sussurrò, facendolo rabbrividire “Continua pure.”
 “Ti…piace?”
“Sì” mormorò lei mordendogli leggermente l’orecchio.
Robert sentì la bocca arida e lentamente, fece risalire la mano, lungo le cosce. 
“Hai le mani fredde.” Osservò Belle.
“Sai com’è, qualcuno mi ha rubato la giacca.”
Rimasero immobili per qualche istante, guardandosi, mentre entrambi sorridevano leggermente.
“Andiamo dentro?” disse Robert improvvisamente.
“Mi piace stare qui fuori.”
“Fa un po’ freddino…”
“E’ primavera.”
“Sì ma…”
Faceva freddo per fare le cose che avrebbe voluto fare.
Ad esempio toglierle il vestito e togliersi la camicia. E altro magari.
Questo però non lo disse ad alta voce, decise saggiamente che era meglio tenerselo per sè.
“Cosa vuoi fare in casa?” chiese Belle improvvisamente.
Era ancora sdraiata sopra di lui e lo guardava quasi con curiosità, mentre Robert rifletteva, sentendo il vento accarezzare i loro visi.
Le sue mani iniziarono a spostarsi verso l’interno della coscia, quasi inconsapevolmente.
“Non…non saprei... Puoi…tu puoi ballare se ti va.”
“Balli con me?" Mormorò lei, avvicinandosi alle sue labbra e sfiorandole.
“Non sono un grande ballerino ma va bene.”
“Andiamo allora.”
Si rialzarono mentre Robert si guardava intorno stordito e accaldato. 
Non faceva davvero freddo.
Belle lo prese per mano e, camminando traballante, lo condusse dentro casa.
 
 
 
 
 
“DOVE DIAVOLO ERAVATE FINITI!” Urlò Tink afferrando Gold per il colletto della camicia e strattonandolo. Erano appena rientrati in soggiorno.
“CALMATI!” Esclamò Belle.
“Vi ho cercati per mezz’ora. Non rientravate più. Belle mi hai abbandonata! E tu stupido ammasso di merda di un uomo!” Tink indicò Robert che la fissava sconcertato. Proseguì strillando istericamente “Qui è tutto fuori controllo. Dov’eravate!? Eh!?”
La folla in casa si era lasciata andare agli istinti più selvaggi.
“Siamo andati a prendere una boccata d’aria!” disse Gold cercando di allontanarsi dalla sua furia omicida.
“Ecco. Mentre voi SCOPAVATE chissà dove qualcuno nel frattempo ha fatto esplodere una cassa di petardi sul tetto!”
“Sì, l’abbiamo sentito” mormorò confusa Belle.
“E NON SIETE RIENTRATI!?”
“Eravamo occupat-“
“STAVATE FACENDO SESSO! DITELO!” Ululò. “VOI VI DAVATE ALLA PAZZA GIOIA E QUALCUNO HA VOMITATO NEL MIO GIARDINO E CI SONO BOTTIGLIE ROTTE OVUNQUE! E REGINA E’ SPARITA!”
Poi si scaricò completamente e si lasciò cadere sul divano mentre intorno a lei regnava il caos più totale.
Belle scosse la testa mentre il mondo girava vorticosamente.
Come avrebbe voluto stare sola con Robert e continuare a fare le cose che stavano facendo prima…
“Cerca di calmarti. Domani metteremo tutto a posto! Ci stiamo divertendo ricordi!?” disse poi, cercando di mantenere la calma.
Tink iniziò a piagnucolare.
“Killian è sparito con Ariel e tu sei sparita con quello lì e…Regina è sparita e basta!”
“Siamo qua ora!” disse Belle.
Robert fissava la scena perplesso.
“Regina…” disse Tink “E’ sparita. Non mi piace questa cosa.”
In quel momento arrivò un’Ariel piuttosto scarmigliata, accompagnata ovviamente da Killian Jones.
Tink li fulminò con lo sguardo ma Ariel non si accorse di nulla.
“Pensavamo di far esplodere un altro di quei mortaretti” disse Killian felice, tenendo in mano una bottiglia di spumante aperta e pericolosamente inclinata.
Tink vide le gocce cadere sul parquet e sentì la vena sul collo pulsare. Si riempì di odio.
Una goccia, due gocce, tre gocce.
“Ti spacco quella bottiglia in testa se non la chiudi immediatamente” sibilò poi con astio infinito.
Killian fece una faccia sconcertata, guardò Robert che scosse la testa e alzò le spalle.
Appoggiò la bottiglia su un tavolino.
“E i mortaretti te li ficchi nel-“
“Bene, credo che abbiamo bevuto abbastanza per questa sera eh? Che ne dite? Potremmo concludere la festa. Oppure facciamo qualcosa di calmo, una partita a scarabeo ad esempio!” Esclamò a quel punto Gold battendo le mani con finto entusiasmo.
“Io penso che andrò in bagno” disse Jones guardando ancora Tink con stupore.
Non l’aveva mai vista così arrabbiata.
Mentre tutto il mondo festeggiava e Killian se ne andava, loro quattro si guardarono imbarazzati.
Belle si appoggiò discretamente a Robert mentre Tink evitava lo sguardo di Ariel.
“Vado a cercare Regina” disse poi, alzandosi in piedi e cercando la giacca.
“Io l’ho vista prima!” esclamò Ariel improvvisamente, fissandola con tanto d’occhi.
“E perché non l’hai detto subito?” ribatté acidamente la bionda.
“Perché non me l’hai chiesto!”
“E dov’era?”
“E’ uscita dal giardino. Aveva in mano il cellulare, è uscita in strada e non l’ho più vista tornare. Aveva una faccia strana…”
Tink si girò verso Robert.
“Dov’è?”
“Perché dovrei saperlo?”
“Perché eri il suo ragazzo e dovresti conoscerla.”
“Sarà andata a casa no!?”
“Beh allora vai a prenderla!”
Robert scoppiò a ridere.
“Sicuramente. Scusami ma se ha voluto lasciare la festa sono affari suoi.”
“Se ha voluto lasciare la festa è perché qualcosa gliel’ha fatta lasciare! Si stava divertendo, mi ha detto che si stava veramente divertendo per la prima volta in vita sua! Non se ne sarebbe mai andata di sua spontanea volontà!” esclamò Tink adirata.
“Sono comunque affari suoi!”
“Quanto cazzo sei egoista!”
“Ma perché non vi calmate.” si lamentò Belle. Le girava la testa e voleva bere ancora. Acqua però. O forse spumante.
“Dì al tuo ragazzo di alzare quel culo molle che si ritrova e di andare a vedere se Regina sta bene.”
Belle la guardò.
“Scusa Tink, ma non credo siano affari nostri se Regina se n’è andata dalla festa perché qualcuno l’ha chiamata o che altro.”
“Potrebbe essersi sentita male. E’ così difficile fare una cosa per…fare del bene a qualcuno!?”
“E’ la ragazza che ha reso la mia vita un inferno per quattro anni, torturandomi psicologicamente e pestandomi!”
“Anche lui l’ha fatto! Però a lui glielo hai perdonato perché ci vai a letto no!? Beh, forse potresti essere meno stronza e provare a perdonare anche lei!”
“Tink!” esclamò Ariel indignata.
Belle si alzò di scatto dal divano.
“Alzati” Disse a Gold.
“Cosa?” esclamò lui disorientato.
“Ho detto alzati. Hai il numero di Regina?”
“Io…sì ma che-”
“Dammi il cellulare.”
Belle compose il numero velocemente e diede il telefono a Tink.
Nessuno rispose.
Il telefono squillò a vuoto e Tink fissò Belle.
Le restituì il cellulare.
“Bene. Cosa pensi di fare ora?” le disse con tono di sfida.
“Dove abita Regina?” chiese lentamente Belle, rivolta verso Robert, senza però staccare gli occhi dall’amica.
“Non molto lontano da qua.”
“Ci si arriva in macchina?”
“Belle…”
“Ti ho fatto una domanda.”
Sentiva ancora gli effetti dell’alcool ma era proprio questo a renderla così determinata. Se doveva fare la cosa giusta, allora l’avrebbe fatta.
Tink le aveva detto una cosa cattiva e l'aveva fatta davvero arrabbiare.
Soprattutto perchè era una cosa vera.
Robert l'aveva torturata come Regina, se non di più. L'aveva umiliata fino a farla sentire malissimo, eppure ora lei era lì con lui.
“Sì, ci si arriva in macchina.”
“Prendi la giacca.” Disse semplicemente.
Tink sorrise e stava per dire qualcosa, quando si udì un botto tremendo provenire dal tetto.
“CAZZO!” Urlò.
Dopodiché si precipitò al piano di sopra. A quanto pare Killian non era andato in bagno.
 
 
 
 
 
Il cellulare di Regina squillò.
“Ma chi…”
 
Robert
 
Fissò due volte il nome sul display.
Cosa diavolo voleva Robert da lei? Non era alla festa con quella cretina della sua ragazza? La sua ragazza che aveva preferito a lei?
Non rispose.
Si sedette confusa su un muretto, mentre le parole di sua madre rimbombavano nella sua testa; la voce di sua madre al telefono.
 
“Dov’eri”
“Ad una festa. Perché diavolo mi hai chiamata! Sei volte!”
“Torna a casa e smettila di fare la stupida in giro.”
“Faccio quello che mi pare!”
“Smettila di perdere tempo con queste cose, non ti abbiamo educata in questo modo. Non ho fatto tutti questi sacrifici per allevare una ragazzina viziata che se ne va alle feste con gentaglia a caso.”
“Lasciami in pace.”
“Se non torni immediatamente ti avviso di trovarti un posto dove dormire. Per il resto della settimana.”
"Perchè non puoi lasciarmi semplicemente essere felice almeno per questa sera!? E' così difficile!?"
"La felicità momentanea non porta altro che dolori, credimi.  Ci sono altre cose a cui devi badare.
Torna a casa Regina, e forse ti spiegherò come va il mondo."

 
 
Regina chiuse gli occhi, poi gli riaprì.
E adesso? Dove poteva andare? Se n’era andata da casa sua.
Non riusciva a capire sua madre, sembrava che semplicemente chiudesse il suo cuore a qualsiasi tipo di divertimendo e di emozione positiva.
Sembrava che chiudesse il suo cuore a qualsiasi cosa e basta, sembrava quasi che non avesse un cuore.
E ora? Poteva richiamare Robert. O poteva chiamare Emma Swan.
Sospirò.
Sì, doveva chiamare Emma Swan. Lei avrebbe saputo cosa fare e come reagire.
 
 
 
 
“Robert, per favore.”
“Non ci penso nemmeno.”
“Ascolta, io non posso guidare in queste condizioni ma tu non hai bevuto niente.”
“Non mi importa nulla!”
“DEVE IMPORTARTI!”
Robert si fermò e si voltò verso Belle, fronteggiandola. Erano in strada, solo loro due.
“Ascoltami bene: questa serata ha fatto schifo. Volevo che fosse una bella serata per noi due ma non lo è stata, pazienza. Ora voglio andarmene a casa. Sono stanco, ho mal di testa,  non ho voglia di girare con la macchina e cercare la mia ex-fidanzata pazza perché la mia nuova fidanzata pazza improvvisam-“
Belle gli tirò uno spintone che per poco non lo mandò a sbattere contro la portiera dell’auto.
“Non sono la tua nuova fidanzata pazza.”
“Non sei neanche la mia fidanzata a quanto pare!” ribatté Gold adirato.
Belle si bloccò spaventata.
“Cosa vuol dire?”
“Niente. Che…che non lo so…Non volevo dire questo…” Robert parve a disagio.
“Mi stai lasciando?”
“Non stiamo insieme! Come faccio a lasciarti?!”
“Stiamo insieme.”
“Allora perché non possiamo semplicemente…fare le cose che fanno normalmente due fidanzati?” chiese lui
Belle deglutì e gli si avvicinò.
“Le facciamo le cose che fanno i fidanzati.”
“Lo so” Sospirò lui triste “Ascolta…mi sento male questa sera, tutto qua. Non è colpa tua, è che vorrei dirti una cosa e non ci riesco e…e reagisco male perché sono un codardo. E continuo a reagire male. Ma non voglio andare da Regina. Vorrei stare con te e dirti una cosa importante.”
La ragazza gli afferrò la mano. 
“Lo so cosa vuoi dirmi. Sono un po’ ubriaca…magari un po’ tanto ecco, ma non sono stupida…” disse guardandolo negli occhi. “Ed è lo stesso per me. Anche io ti voglio…tanto bene, ed è una cosa che diventa sempre più forte di giorno in giorno. Non serve che cerchi un modo per dirmelo, va bene? Certe cose…si sanno e basta. Va bene così.”
Robert rimase immobile per un minuto buono, guardando il cemento sotto le sue scarpe.
“Vuoi andare a cercare Regina?” chiese infine a bassa voce.
“No, non voglio. Ma Tink ha ragione. Non saremmo qui insieme se non ti avessi perdonato e non ti avessi dato una seconda opportunità.”
“Allora…andiamo.” Rispose lui.
Poi improvvisamente le accarezzò il viso e la baciò dolcemente.
“Grazie di aver capito. E' un po' difficile per me, ecco tutto.”  Le disse sorridendo tristemente.
Belle lo strinse forte.
Poco i dopo i due salirono in macchina.
Stavano per uscire dallo spiazzo quando Ariel venne loro incontro correndo e agitando le braccia.
Gold abbassò il finestrino.
“Vengo anche io! E’ successo un disastro coi petardi e Tink sta strillando  e mi sembra che mi odi. Non voglio stare lì. Posso venire con voi, vero?”
Belle sorrise.
“Sali!” rispose Robert.
 
 
 
 
Regina era ancora seduta sul vialetto con la testa immersa tra le mani quando una luce forte la abbagliò.
Fanali di un auto.
Si coprì il volto con una mano.
“Oddio, è lei!” sentì una voce.
“Io non la tiro su. Quella mi vomita in macchina.”
“Guarda che non mi sembra messa malaccio…”
“Non ti pare messa malaccio? E’ accasciata a terra con la testa tra le mani!”
Voci.
Due voci femminili ed una di un ragazzo.
Le conosceva…erano…
“Gold!” esclamò.
“Ecco, vedete, ci riconosce sta benone!” esclamò l’unica voce che conosceva poco.
“Dai, vieni.”
Udì il rumore di una portiera che sbatte, dei passi e qualcuno si accucciò di fronte a lei.
“Stai bene? Riesci ad alzarti?”
“Ma chi sei?” mormorò confusa.
“Belle. Belle French.”
“Oh no!” gemette.
Era venuta l’ora della resa dei conti.
Il suo contrappasso.
Avrebbe pagato per tutte le cattiverie che aveva fatto, era arrivato il momento.
“Dai prendila e portala dentro.”
Sentì due mani afferrarle le braccia e cercare di alzarla.
“Fai piano!” mugugnò.
“Se collabori magari…”
“Aspetta, ti aiuto.”
Regina vide che l’altra ragazza era Ariel Andersen, una delle amiche di Tink.
“Ce la faccio…” Disse poi.
“Sicura?”
“Sì io…non sono tanto ubriaca, credo. Sono solo stanca e...stanca.”
Le due ragazze aprirono la portiera e la fecero entrare.
“Bene. Torniamo da Tink.”
“Da…sì, da Tink…No, no a casa!”
Si accorse di essere nella macchina di Robert. Vicino a lei sedeva Ariel che la guardava con un misto di curiosità ed ansia, mentre davanti Belle fissava il finestrino e Gold guardava davanti a sè.
“A casa o da Tink?” le chiese quindi poi, senza realmente rivolgersi a lei.
“Io…non so.”
Belle si girò.
“E’ successo qualcosa?”
“Non so…non credo. Forse mi hanno cacciata di casa.” Mormorò confusa.
“Quindi?” chiese Belle.
“Non so…non so.” Ripeté Regina.
“Cosa faccio?” chiese Robert sottovoce a Belle.
“Regina, ci devi dire dove dobbiamo andare. Vuoi tornare a casa tua?” 
“No! Non voglio vedere mia madre! Me ne sono andata, ho chiuso! Ho chiuso!”
“Riportiamola da Tink.” Suggerì Ariel.
“In quel casino?”
“Avrà sbaraccato tutto dopo i petardi…”
“Petardi?” chiese Regina.
“Andiamo da Tink okay? Una volta lì vedremo cosa fare.” decise Belle.
Gold mise in moto l’auto e partì.
“Vedrai che andrà tutto bene” disse Ariel guardando Regina e sorridendole incoraggiante.
“Certo…come no.”
“Sono convinta di sì! Anche mia madre una volta ha minacciato di cacciarmi di casa. Avevo dieci anni e continuavo ad entrare nelle pozzanghere e a sporcarle il pavimento. Lei dice che ho sempre avuto una fissa per l'acqua!"
"E' una cosa un po' diversa dalla mia"
Belle ascoltava la conversazione a disagio.
Non sapeva cosa fare. Da una parte voleva chiedere a Regina se aveva bisogno di sfogarsi, dall’altra…ripensava a tutte le cattiverie che la ragazza le aveva rifilato fin da quando avevano quattordici anni.
Qualcosa le impediva di parlare. Non riusciva a non essere arrabbiata.
“Cos’è successo dopo che me ne sono andata?” chiese la mora ad Ariel.
“Oh niente di che. L’unica cosa carina sono stati i fuochi d’artificio sul tetto.”
“Carina si fa per dire” disse Gold a bassa voce.
“Perché? A me sono piaciuti moltissimo!” ribatté Ariel entusiasta.
“A me no. Eravamo fuori e sono esplosi all’improvviso, tutto il vicinato li ha visti e qualcuno avrà chiamato la polizia.”
“Eravate fuori dove?”
“Circa in campagna, poco lontano dalla strada.”
Si interruppe e calò il silenzio.
“Cosa ci facevate in campagna?” chiese Ariel curiosa.
“Niente, una boccata d’aria fresca.” Concluse velocemente Belle.
“Una scopata all’aria fresca vorrai dire…” disse Regina molto piano.
“Come scusa?” ribattè l’altra piccata.
“Ho solo detto la verità!”
“Ma che ne sai!”
“Come se fossi stupida. Vuoi dirmi che stando con quello lì” e indicò Robert “tu sei ancora una timida verginella?”
Belle arrossì e ringraziò che fosse buio.
Ariel seguiva il battibecco come una partita di ping-pong.
“Cosa intendi con ‘quello lì’?” chiese Robert rabbioso, guidando e controllando la strada.
“Intendo che non sei certo uno che perde tempo!”
“Beh comunque sia non sono affari tuoi!” esclamò Belle punta sul vivo.
Regina ridacchiò. Improvvisamente si sentì più allegra. Aveva ancora voglia di divertirsi e la notte era giovane.
“Lo sai cos’ha fatto durante la nostra prima volta?” disse poi rivolta a Belle. 
“NON CI INTERESSA, GRAZIE” Ringhiò Robert.
Belle fissò lui, poi guardò Regina.
Da una parte non voleva stare al suo gioco.
Dall’altra…
“Cos’ha fatto?” chiese Ariel curiosa, che a quanto pare non era minimamente imbarazzata dall’assurda situazione.
Regina sorrise e poi si strofinò le mani, come una che si pregusta una storia succosa.
“Era il nostro terzo mesiversario e-“
“Regina non ti azzardare.” Sibilò Gold.
“Ma stai zitto tu. Lei ha il diritto di sapere a cosa va incontro. Soprattutto se è ancora vergine, come mi pare di capire dal suo sguardo ebete.”
Belle inarcò le sopracciglia e guardò Robert.
Fissava la strada davanti a lui con sguardo omicida, le labbra ridotte ad una fessura.
“Praticamente l’abbiamo fatto a casa mia…” biascicò felice.
“Chiudi quella bocca di merda o ti faccio uscire immediatamente!” La voce di Gold era una lama.
“…ed era la sua prima volta. E sembrava un coniglietto impaurito, tremava tutto.“
“Vaffanculo!” sbraitò il ragazzo.
A Belle scappò una mezza risata.
“Belle!” esclamò Robert esterrefatto.
“Scusa. E’ l’alcool.”
“E poi?” Ariel continuava ad incalzare.
“Quando si è tolto i boxer, anzi, quando io glieli ho tolti perché lui si vergognava…“
“Regina ancora una parola e giuro che-“
“Si è coperto con le mani, si è messo le mani lì davanti, poverino!”
La macchina frenò bruscamente in mezzo alla strada.
“ROBERT!” Urlò Belle terrorizzata aggrappandosi al sedile.
Gold si girò furioso verso Regina.
“Sì, mi sono coperto, brutta stronza che non sei altro. Avevo sedici anni e mezzo, ero un ragazzino e non sapevo cosa fare e…insomma, ero molto pudico. Ma ti ricordo che tu mi hai fatto chiudere le persiane perché ti vergognavi di farlo alla luce del giorno. Perciò smettila di fare tanto la vanesia!” finì la frase rabbioso. Dopodiché tirò una pacca al volante, suonò il clacson con rabbia e ripartì.
Belle non si trattenne più e scoppiò a ridere mentre Regina ed Ariel si univano a lei.
 
 
 
 
Arrivati a casa di Tink trovarono un disastro.
Il soggiorno e il giardino erano irriconoscibili, c'era puzza di bruciato e di vino, i mobili erano rovinati e il pavimento lurido.
Molta gente se n'era andata, altra invece continuava a festeggiare imperterrita. 
Tink in persona arrivo con un'espressione sconvolta sul volto. Era rossa in viso e sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
"Tutto bene!" disse Ariel allegramente "L'abbiamo trovata e l'abbiamo riportata qui! Sua madre l'ha cacciata di casa!"
"Sua madr- eh? Ma di chi parli?"
Regina entrò traballante.
"Oh!" esclamò Tink. 
"Stai bene?" chiese Belle.
L'amica sembrava profondamente scossa.
"Io - sì. Ho fatto andare via un po' di persone che stavano facendo troppo casino. E ho buttato via tutti i petardi."
"Anche Killian?" chiese Ariel.
Tink la guardò senza rispondere mentre Robert rientrava anche lui, con le chiavi della macchina in mano e uno sguardo abbattuto.
"Eccoti la tua amica. Sana e salva. E perfida come sempre. Stava benissimo, tanto per cambiare." disse lui indicando Regina con un gesto brusco. 
"Cos'era successo?" chiese Tink rivolta alla mora.
"Una lunga storia."
"Dai vieni, andiamo a bere qualcosa."
Prese Regina per mano e se la trascinò in cucina.

 
Mentre Tink e Regina si allontanavano insieme, Robert e Belle rimasero a fissarle.
Ariel li abbandonò e camminò verso il giardino.
“Che serata di merda. Non solo il danno, ma pure la beffa.” Commentò Robert amaramente.
“Basta fare il musone.”
“Non faccio il musone. Ma...insomma, certe cose non volevo che le sapessi.”
Belle rise di nuovo, con la sua voce cristallina.
“Vieni” disse infine.
Lo prese per mano e salì le scale, trascinandoselo dietro.
“Un po’ di animo!” commentò.
“Mi sento umiliato!” ribatté lui triste.
Arrivati sul pianerottolo, Belle gli scoccò un bacio a stampo veloce.
“Smettila di fare il musone.” Ripeté poi. Aprì una porta e vi entrarono.
Era la stanza dei genitori di Tink.
“Sei arrabbiato?” chiese Belle, chiudendosi la porta alle spalle e avvicinandosi al ragazzo.
“No.” Disse lui lentamente “Sono un po’ turbato. Credo.”
Belle lo guardò e gli prese il viso tra le mani, baciandolo con dolcezza.
“Sono fiera di te.” Disse poi guardandolo “Sei stato molto carino questa sera.”
“Non mi sembra.” Ribatté lui mogio.
“Invece sei stato carino, e gentile. Sei venuto e hai aiutato Regina.”
“Non l’avrei fatto se non ci fossi stata tu…è merito tuo. Io non ho fatto nulla.”
Belle lo baciò di nuovo, brevemente.
“Sono fiera che tu sia il ragazzo di cui mi sto innamorando.”
Nessuno dei due disse nulla.
Robert sentì il battito del suo cuore aumentare a dismisura.
Non riusciva a credere a ciò che aveva appena sentito.
Fissò il pavimento sentendosi improvvisamente felice.
Poi istintivamente entrambi si avvicinarono e annullarono le distanze.
Non c’era più tempo per parlare, e nessuno dei due aveva più nulla da dire.
Belle lo afferrò per la camicia e spingerlo lentamente verso il letto. Lui cadde tra le lenzuola profumate, trascinandosi sopra la ragazza.
“Carine le lenzuola con le fatine” commentò lui guardandosi intorno, sorridendo.
“Sssh” sussurrò lei.
Non aveva voglia di perdere tempo, improvvisamente sentiva di non poterne avere abbastanza.
Poggiò le labbra sulle sue con decisione, catturandole in quello che inizialmente era un bacio dolce e lento, e che via via si fece più passionale.
Robert s’issò sui gomiti e invertì le posizioni, trovandosi così sopra la ragazza.
Sentì le mani di Belle curiosamente audaci graffiargli piano la schiena.
Lentamente si spostarono sulla camicia e proseguirono nello slacciargli i bottoni, accarezzandogli la pelle bollente.
Sospirò.
Contegno. Ci voleva contegno. Non poteva fare brutte figure e perdere il controllo, soprattutto dopo ciò che Regina aveva detto a Belle: aveva diciotto anni, non più sedici e mezzo. 
Lentamente dalla bocca passò a baciarle la mandibola, scendendo sul collo, poi più in basso, soffermandosi sulle clavicole e scendendo sul seno ancora coperto dal vestitino.
Infilò le mani sotto la gonna, posandole sulle gambe.
Che meravigliosa sensazione…il respiro di Belle,  il battito del suo cuore, il profumo dei suoi capelli…stava accadendo davvero?
Aveva quasi paura di svegliarsi e scoprire che era stato tutto solo un bellissimo sogno.
La ragazza lo interruppe, gli appoggiò le mani sulle spalle, lo fece sedere, gli sfilò la camicia e poi ridacchiò sommessamente.
“Cosa c’è!?” chiese lui contrito. Si sentiva vagamente esposto e preso in giro.
“Ti facevo più palestrato”
“Sono capitano del decathlon, non della squadra di football."
“Si vede che ti piace mangiar gelati!"
“La smetti!?” 
“Hai davvero le spalle larghe però” disse pensierosa, appoggiandoci nuovamente sopra le mani.
Ne approfittò del momento di distrazione per spingerlo di nuovo sul letto ed issarsi sopra di lui.
Robert aveva ancora in mente di protestare per le profonde offese recategli poco prima, quando Belle iniziò a muovere leggermente il bacino facendolo combaciare col suo.
Qualsiasi pensiero venne spazzato via.
Le tolse il vestito, quasi strappandolo via, lasciandola prima in reggiseno, poi levando tremante anche quello e scoprendo il fisico esile ma curiosamente soffice, non ossuto e duro come quello di Regina a cui era stato abituato.
La strinse forte a sé e le baciò la tempia chiudendo gli occhi.
La sensazione dei loro corpi così caldi e vicini, del morbido seno di Belle leggermente schiacciato contro il suo petto, rischiava di farlo impazzire.
Dal canto suo anche Belle non sembrava meno rapita dalla situazione.
Il suo respiro era irregolare, variava seconda del tocco di Robert e di dove si posava la sua bocca.
 Le mani della ragazza vagavano dalla schiena alle spalle, poi alla pancia…improvvisamente si spostarono verso il basso, e presero ad armeggiare con la cintura dei pantaloni.
“Belle…”
“S-sì?”
“Ehm…”
La ragazza si fermò.
“Ho fatto qualcosa che non va?” chiese timorosa.
“No, cioè, anzi…ma…”
“Dimmi!”
“Sei sicura?”
“Penso proprio di sì…”
“Non sei costretta a farlo.”
“Ne ho...davvero voglia. E’…da prima che ci penso. Da quando…eravamo fuori nel prato.”
“Oh!”
“Non…hai voglia anche te?”
“Sì… molta.”
“E quindi…?”
“E… quindi.”
 
 
 
 
Un’ora dopo giacevano entrambi nudi, sfiniti ma felici sul letto, mentre la musica dal piano di sotto continuava a suonare a volume improponibile.
Belle respirò profondamente, poi si avvicinò a Robert, appoggiò la testa sul suo petto e lo abbracciò; lui la cinse con le braccia e la strinse forte.
“Stai bene? Sei…insomma…è andata bene?” le soffiò imbarazzato contro la fronte.
“Sì” mormorò lei.
“Sicura?”
“Decisamente sì.”
Lui sorrise e le baciò la fronte e il volto.
“Tu stai bene? E’ andata bene?” chiese Belle alzando il viso e portandolo all’altezza di quello del ragazzo.
“Direi di sì.” Disse lui.
Si fermò un momento, si guardò intorno. Vestiti ovunque, lenzuola appallottolate in fondo al letto…
“Abbiamo fatto un macello però.” Continuò pensieroso.
“Tanto le lenzuola sono quelle dei genitori di Tink”
“Povere fatine!”
Belle rise di gusto.
“Non gioire troppo presto, dovrai rispondere tu alle domande di Tink! ” le rispose severamente.
Per tutta risposta Belle si impossessò delle sue labbra, baciandolo con passione.
Poi poggiò la testa nell’incavo del collo e socchiuse gli occhi.
“Grazie” sussurrò.
“Per?”
“Per la migliore prima volta che potessi desiderare. Sotto tutti i punti di vista. E’ stato bellissimo, perciò grazie. Sei stato perfetto e…sono davvero contenta di stare con te. E scusami per come mi sono comportata prima, sono...non mi ero mai ubriacata e credo di essere un po’ esplosa."
"Esplosa è dir poco! Non sembravi neanche tu!"
"Era il mio alter ego!" rispose Belle ridacchiando.
"E qual è il nome del tuo alter ego?"
Lei ci pensò un po' su.
"Lacey." disse infine.
"Carino! Me ne ricorderò se avrò di nuovo a che fare con lei e non con te." rispose lui sorridendo.
Belle lo baciò velocemente e riprese:
"Tu mi hai resa felice questa sera, e il punto è che…mi rendi sempre felice, in ogni momento. Volevo solo che…” Si interruppe, guardandolo con i suoi occhi azzurri spalancati  “Che sapessi quanto davvero vali e quanto...tu sia diverso da come credi. Sei davvero un bravo ragazzo e hai un buon cuore, ma…mi sembra che a volte te ne dimentichi e… che ti preoccupi per nulla, e ti fai prendere dal panico e da altri sentimenti negativi. Sei meraviglioso e sei il mio ragazzo e voglio che tutti sappiano che stiamo insieme."
Gold deglutì a stento, stringendo forte Belle tra le sue braccia.
Aveva la risposta sulla punta della lingua.
Non vedeva l’ora di poterglielo dire e non c’era momento migliore.
Ora lo sapeva. Era corrisposto.
“Belle…”
“Sì?”
Ti amo
“Io-“
Io ti amo. Sei il mio lieto fine.
“Sono felice di averti resa felice. Era molto importante per me, era la cosa più importante. Vorrei che tu fossi sempre così felice con me…e…io…non ho mai provato nulla di simile per nessuno. Per quello prima ho reagito male. Perché…insomma, mi sono sentito messo da parte e ho avuto paura. Non voglio perderti...e...grazie per quello che hai detto. Ha un grande valore per me.”
Belle sorrise e gli scoccò un bacio sulla bocca, prima di accoccolarsi sul suo petto.
Ti amo








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I DID IT.
Allllora. Questo è un capitolo a cui tengo tantissimo e credo si capisca perchè, era veramente un punto focale della storia (infatti l'avevo scritto mesi e mesi fa). 
Io...non so. Ditemi voi. Non ho dimestichezza con le scene fluff-mlmlmlml perciò sono sempre un po' imbarazzata nello scriverle e non so mai come mi escono.
Aspetto le vostre opinioni. 
Il prossimo capitolo sarò l'ultimo della festa e vedremo come stanno le cose anche con gli altri personaggi, ho lasciato di proposito le loro situazioni in sospeso per dedicarmi un momento ai miei amati Rumbelle.
Insomma che dire, ringrazio come sempre tutti coloro che mi sostengono e mi seguono: senza di voi questa storia non esisterebbe. Perciò grazie davvero.
Sono in partenza e la mia beta è al mare (ABCris ti odio), spero che non ci siano agghiaccianti errori di battitura (sono famosa per scrivere cose tipo CAZO o AZZURO quando non rileggo) o incongruenze, in caso fatemele pure notare :)
Mi scuso in anticipo se non riuscirò a rispondere alle recensioni ma sarò dal cellulare e non so quanto prenda la rete su tra i monti dell'Alto Adige!
Un bacione a tutti voi, spero che l'aggiornamento vi sia piaciuto :)
:**
seasonsoflove


 

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Capitolo 24
*** Don't despair ***


 
 
Don't despair, you've always been there
You were there through my wasted years
Through all my lonely fears, no tears
Run through my fingers, tears
They're stinging my eyes, no tears
If it's all in my head there's nothing to fear
Nothing to fear inside




“Vuoi dirmi cos’è successo?”
Regina si sedette sul bancone della cucina guardando lontano, oltre la finestra.
Tink la fissava piena di aspettativa.
“Allora?!”
“Non mi va semplicemente di parlarne.” Troncò Regina, stizzita.
L’altra scosse la testa sbuffando e si procurò una nuova bottiglia. La analizzò, annusò il contenuto e si ritenne soddisfatta. Prese due bicchieri.
“E’ così difficile cercare di essere felici?” chiese poi volgendo lo sguardo verso la mora.
“Eh?”
“Intendo: ogni volta che hai la possibilità per stare meglio, sembra che tu faccia di tutto per evitarlo! Perché? Non è un’accusa. E’ semplicemente una domanda.”
Regina non rispose subito. Si prese del tempo per riflettere.
“Ho imparato come funziona il mondo e l’ho fatto a mie spese. Arrivi ad un certo punto in cui la rabbia è tutto ciò che rimane. Ed essere felici significherebbe perderla, e perdere anche il motore che ti spinge ad andare avanti.” spiegò infine.
Tink la fissò incredula.
“E’ un discorso orribile.”
“E’ quello che mi ha insegnato mia madre. Quando avevo quattordici anni frequentavo un ragazzino della mia classe, si chiamava Daniel. Mia madre scoprì che suo padre faceva il contadino, gli disse di sparire e non farsi mai più vedere intorno a me. Ero molto giovane ma ci rimasi male.”
L’altra non disse nulla per qualche minuto, riflettendo.
Molte cose iniziavano ad avere senso.
“Quindi…tua madre c’entra con quello che è successo questa sera?”
Regina sorrise tristemente, alzando il bicchiere in modo ironico.
“Un brindisi a lei! Eccome. Mi ha chiamata e…e non lo so. Voleva che andassi a casa, non sopporta il fatto che io mi diverta, soprattutto da quando io e Robert ci siamo lasciati. Considera tutto ciò che faccio una perdita di tempo.”
“E voleva che tu tornassi a casa!”
“Sì. Ma alla fine non l’ho fatto. Così lei ha detto di non presentarmi più davanti alla sua porta.”
Entrambe bevvero il bicchiere tutto d’un fiato.
“Che si fotta.” Disse poi Tink “Questa sera dormi qua e festeggiamo.”
“E poi? Come farò a tornare a casa?”
“Ci penseremo domani.”
 
 
Si spostarono in soggiorno e Regina vide il corpo dell’amica irrigidirsi.
Killian Jones camminò davanti a loro, a testa bassa, scrutandole di sottecchi.
A Regina non sfuggì lo sguardo tra i due, rapido e pieno di rancore.
“Beh?” chiese poi guardando Tink con perplessità.
“Cosa? Non c’è più vino?” l’altra pareva allarmata.
“No, è a metà la bottiglia. Perché hai guardato Jones in quel modo?”
“In quale modo?”
“In quello.”
Tink  non aveva voglia di rivangare lo spiacevole episodio di poco prima; ciononostante decise di essere sincera con Regina.
 
“Tesoro” Killian fece un inchino ironico e la guardò sorridente.
Tink non ci trovava nulla di divertente in quella situazione. 
“Metti immediatamente giù quella cesta di petardi.” Si limitò a dire minacciosa.
“Dai, è l’ultima, guarda. Ancora questi e poi basta!”
“Mettili giù.”
Il ragazzo sbuffò annoiato.
“Sei davvero acida e monotona.” Disse poi.
“E con questo cosa vorresti dire?”
“Che non rendi nulla interessante.” Rispose l’altro, fissandosi le unghie.
“Immagino che sia per questo che ti ripassi Ariel come se niente fosse!” esclamò Tink sprezzante.
“Non ti seguo.”
“Lei rende le cose interessanti.”
“Beh, è una bella peperina.”
“Ed è l’unica cosa che ti interessa in una ragazza. Non se è intelligente, colta, se ha ambizioni o le piace studiare. Ti basta che sbavi per ogni cazzata che fai e ti dia sempre corda.”
L’aveva detto con tutto il disprezzo di cui era capace.
Killian alzò lentamente lo sguardo e sorrise.
“Ancora con questa gelosia.” Disse sornione.
“Non la chiamerei gelosia. La chiamerei correttezza!”
“Di nuovo, non ti seguo.”

“Mi hai chiesto di uscire con te ed ho accettato. Credevo che…che almeno avremmo gettato le basi per uno straccio di appuntamento!” esclamò Tink che cominciava ad essere davvero agitata.
La situazione le sfuggiva dalle mani, non le piaceva Killian Jones (o almeno era ciò che sosteneva fermamente da mesi), eppure era arrabbiata per il suo comportamento, per come la ignorava, per la mancanza di rispetto.
Il tutto era contornato dal fatto che era notevolmente ubriaca, Regina era sparita, Belle e Robert erano ormai persi nel loro mondo ed Ariel si era rivelata più una rivale che un’amica. O almeno questo nella mente di Tink.
“E sono intenzionato ad uscire con te!” rispose il ragazzo, guardandola come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Sono io che non voglio più.”
“Abbiamo fatto un patto!”
“Non me ne frega nulla! Non ci esco con te dopo che ti sei passato tutte le ragazze di Storybrooke!” urlò lei improvvisamente furibonda.

“Senti un po’ biondina. Ti ho fatto il filo per mesi, ci siamo persino baciati a San Valentino, il giorno dopo mi sono presentato da te con due biglietti per un concerto e tu mi hai miseramente rifiutato. Mi tratti come una pezza, sei cattiva nei miei confronti, e cosa pretendi!?”
“Tu mi hai chiesto di uscire e ho accettato! Non hai scuse!”

“Che certezze ho con te? Potresti benissimo darmi buca! Ti sei mai fermata a pensare anche solo un secondo a come tu tratti le persone?”
Non c’era più traccia di un sorriso sul volto di Killian.
“Non sono un tipo a cui piace aspettare per niente, non sono quella checca isterica di Gold che vuole la ragazza dei suoi sogni e sta a stecchetto per mesi pur di poter stare con lei. Sono libero. E tu, sembri tanto una bella fatina ma sei proprio una gran stronza, fattelo dire . Se non mi fossi fatto la tua amica non mi avresti degnato di uno sguardo questa ser, perché tu fai sempre così!”
“NON PUOI SAPERLO!” Urlò Tink sull’orlo delle lacrime.
“Ah no?”
Improvvisamente Killian fece un passo avanti e afferrò il viso della ragazza tra le mani, annullando la distanza che li separava.
Tink rimase immobile, le labbra premute contro quelle dell’altro. Esitò un momento, sentendo una serie di emozioni susseguirsi una dopo l’altra.
Rabbia, euforia, fastidio, desiderio. Infine ricambiò il bacio.
Si staccarono lentamente, fissandosi.
“Era così difficile?” mormorò Tink.
“Se ti avessi baciata in qualunque momento mi avresti tirato uno schiaffone.”
“Invece così mi hai fatta stare male. E non avrai comunque quello che volevi.”
Killian fece un vago segno con la mano come dire 'cose che capitano' .
“Beh, ora posso farti stare bene, se me ne dai l’occasione.” riprese poi, sorridendo nuovamente e attraendola a sé, cingendole i fianchi con le mani.
Tink non si mosse.
“Non sono il tuo giocattolo.”
“Lo so.”
“Sono libera anche io, come te.”
“Ovviamente.”
Lentamente la ragazza si staccò.
“Se sento ancora un petardo finisci male.”
 
 
Finito il racconto, Tink si accasciò sul divano con una bottiglia di vino ben stretta nella mano sinistra.
Respirò profondamente mentre la musica suonava forte.
Accanto a lei si lasciò cadere anche Regina, appoggiando la testa allo schienale. Socchiuse gli occhi.
“Non ci pensare” disse poi.
Tink annuì, guardandosi intorno. Molte persone ancora ballavano in mezzo al soggiorno, altre si erano spostate in giardino, altre ancora si erano lasciate cadere sul pavimento o sulle poltrone.
“Santo cielo…” mormorò devastata.
“Dovrò darti una mano a pulire domani mattina, vero?” borbottò Regina, indicando le bottiglie vuote, il cibo schiacciato e le macchie sul pavimento.
“Sì. Ma tanto siamo abituate a lavorare insieme. La punizione, ricordi?” disse l’altra.
Regina ridacchiò.
Anche Tink si appoggiò allo schienale e bevve un gran sorso dalla bottiglia che teneva in mano.
Di nuovo Killian Jones passò vicino a loro. Sembrava farlo apposta.
Tink strinse i pugni e bevette un altro sorso.
Intanto Regina si era girata verso di lei e cercava di afferrarle la bottiglia.
“Passamela, dai!” esclamò scontrosa.
L’altra vide con la coda dell’occhio, Ariel andare incontro a Killian, ignara del loro litigio. Lui le disse qualcosa all’orecchio ma non la baciò.
“Allora!? E smettila di guardare quei due! Dammi qua!” esclamò Regina indicando la bottiglia.
Qualcosa scattò in Tink. Lei non era il tipo di ragazza che restava con le mani in mano e trovava sempre una soluzione.
Avvicinò il suo viso a quello di Regina e senza pensarci due volte, appoggiò la bocca sulla sua.
Sentì l’altra irrigidirsi improvvisamente ma non se ne preoccupò.
Poteva solo immaginare la faccia di Killian Jones mentre si accorgeva che Tink Glocke e Regina Mills si stavano baciando a pochi metri da lui, e lui non poteva partecipare.
Sorrise sentendo l’amica rimanere completamente immobile e le sussurrò:
“Stai al gioco.”
E Regina, sentendo le labbra dell’altra muoversi decise sulle sue, stette al gioco.
Stava al gioco da un bel po’ di minuti, quando sentì il cellulare suonare con insistenza nella tasca dei pantaloni.
 
 
 
Tink credeva di aver scongiurato il pericolo dei petardi, ma si sbagliava di grosso.
Killian aveva preso la loro discussione molto sul personale e intendeva dimostrare il suo coraggio e la sua ribellione a tutto il vicinato, e soprattutto a lei.
Intendeva dimostrarle che era davvero un uomo libero.
Così, animato da un forte sentimento rancoroso, sentendosi come uno dei rivoluzionari francesi di fine settecento, uscì dall’abbaino della soffitta e si issò sul tetto. Preparò l’ultima cassa in modo che regalasse a tutti un’ultima plateale esplosione.
Poi afferrò l’accendino.
Si lanciò letteralmente giù dal tetto e ricadde sul pavimento della soffitta.
Sopra di lui il mondo si preparò ad esplodere.
 
 
 
Robert e Belle, ancora accoccolati in camera da letto, sentirono un ultimo, grande, infernale baccano provenire da sopra le loro teste.
Robert sobbalzò e colpì con la fronte la lampada sopra il letto.
“Ahia!” esclamò massaggiandosi la testa.
“Stai bene?” chiese Belle preoccupata, tenendosi le orecchie ben tappate per scacciare il frastuono.
Lui annuì dolorante.
I botti andarono esaurendosi.
“Credevo che Tink avesse preso delle precauzioni!” si lamentò poi Robert.
“Evidentemente non erano sufficienti. Conosci Jones meglio di me…”
Gold si ributtò a letto, sentendo ancora la fronte pulsare.
Belle si rifugiò tra le sue braccia e seppellì il viso nell’incavo tra il suo collo e la spalla.
“Che ore sono?” chiese poi lei, soffiando contro la pelle nuda.
“L’una e mezza circa.” Rispose Robert guardando l’orologio.
Belle mugolò qualcosa.
“Come?”
“Devo andare…” disse piano.
Lui la strinse.
“Potremmo…dormire qua.” Iniziò poi esitante.
“Ho detto a mio padre che torno a casa…”
“Potresti chiamarlo.”
Belle tirò su il viso e lo guardò.
“E’ piuttosto severo su questa cosa. Dormire fuori, rientrare tardi... Soprattutto se sa che sono con te.”
“Mi odia, lo sapevo.” Sospirò Robert con tono melodrammatico.
“No. Ma sai, sei un ragazzo.”
“Siete perspicaci in famiglia.”
Belle sbuffò e improvvisamente si alzò, lasciandosi scivolare addosso il lenzuolo.
“Non puoi camminare nuda per la stanza! E’ scorretto nei miei confronti!” protestò Gold.
“Sto cercando i miei vestiti! Un momento!”
Robert era ancora sotto le coperte, e la guardava a metà tra l’imbarazzato, il divertito e il compiaciuto.
Decisamente non gli faceva bene osservarla in quello stato, ma era anche una bella visione.
Era combattuto tra il chiudere gli occhi e l'alzarsi e trascinarla a letto di nuovo.
“Se hai finito di fissarmi e ti rivesti…” disse Belle, guardandolo e sorridendo candidamente.
Lui sbuffò e, ben avvolto nel lenzuolo, iniziò a raccogliere i suoi indumenti.
“Quanto sei puritano.” commentò Belle.
“A differenza tua!” esclamò lui indignato.
Belle rise e gli si avvicinò, passandogli le braccia intorno al collo e baciandolo.
“Sei nuda! Vestiti!” mugugnò lui contro le sue labbra.
“Lo so. Ma mi sembrava che tu apprezzassi” Rispose lei ghignante.
Robert la guardò corrucciato e si staccò, lanciandole il suo vestitino.
“Ho creato un mostro” disse poi, mentre lei rideva allegramente.
 
 
 
Il fatto che Emma Swan avesse chiamato Regina, aveva inizialmente confuso profondamente la ragazza. Cosa poteva mai volere da lei la sua professoressa di psicologia a quell’ora?
Poi aveva ricordato. Ci aveva messo qualche secondo, colpa dell’alcool, ma alla fine ce l’aveva fatta.
 
 
“Regina!? Mi hai chiamata? Cosa succede, dove sei?”
“Chi parla?”

“Come chi parla! Sono Emma Swan!”
“Emma…Swan?”
“La tua professoressa…”
 
La voce di Emma era suonata incerta.
 
“So…so chi è! Solo che…perché mi chiama?”
“Mi hai chiamata tu Regina! Ho visto poco fa la chiamata! Sono qui, dove mi avevi detto di venire.”

 
Così Regina aveva cercato di riconnettere gli eventi di quella serata.
E infatti…
 
“Oh mio dio. mi scusi io…sì, è vero, l’ho chiamata.”
“Dove sei?”
“Sono…a casa di un’amica.”

 
Silenzio.
 
“Perché mi hai chiamata?”
“Io…avevo un problema, ma credo di averlo risolto.”
“Regina, mi hai fatto seriamente preoccupare. Non puoi chiamare le persone in quel modo e poi sparire!”
“Io…dove si trova? Posso spiegarle!”
“Dove mi hai detto di venire! Incrocio Casterly Rock Street e Mifflin Street.”
“La prego, aspetti, arrivo subito.”
 
 
 
E così ora camminava spedita verso la meta.
All’incrocio trovò Emma Swan in persona, piuttosto scocciata e preoccupata.
“Dunque!?” esordì andandole incontro.
“Buonasera!” tentò Regina, con un sorriso che credeva spontaneo ma evidentemente risultò solo idiota.
“Hai bevuto.” Osservò Emma.
“Sì. Ma...sto bene. Davvero.” Asserì la mora decisa.
“Certo che sì. Ora mi…spieghi perché mi hai chiamata e cos’è successo?”
Regina si guardò intorno.
“Siamo troppo vicine a casa mia.” Disse poi, osservando l’inizio di Mifflin Street, la via dove abitava. La sua villa era in fondo a quel viale, e così sua madre. Provò una strana stretta al cuore.
“Bene. Allora camminiamo.”
Emma era vestita con un semplice paio di jeans, un giubbotto di pelle rossa e sotto di esso, una camicia bianca.
Non sembrava neanche una professoressa.
Continuò a guardarla corrucciata.
“Mi dispiace se l’ho fatta preoccupare.” Esclamò Regina poi, imbarazzata.
“Puoi dirlo forte.”
“Non era davvero mia intenzione.”
“Cos’è successo?”
Le due camminarono per un po’ in silenzio.
“Ho litigato con mia madre. Lei è molto…severa su alcune cose. E io…a volte mi piacerebbe solo essere felice e potermi godere le occasioni che la vita mi offre.”
Emma non disse nulla.
“Mi ha cacciata di casa, credo.” Continuò Regina.
“E perché l’ha fatto?”
“Perché sono andata a quella festa…che le dicevo. Quella di Tink Glocke.”
“E a tua madre…non va la cosa?”
“Non le piace che io sia serena. A me piacerebbe essere serena, ma ogni volta che ci provo lei rovina tutto…sembra che per me non sia proprio possibile un momento di pace!” concluse infine Regina, sorridendo con amarezza.
Sì, al momento era felice, avrebbe dormito da Tink…ma l’indomani avrebbe dovuto affrontare le conseguenze dei suoi gesti.
Sua madre l’avrebbe riaccolta in casa?
Doveva farlo.
Inoltre c’era anche suo padre, Henry, lui aveva il cuore buono e un animo generoso.
Le cose si sarebbero messe apposto, doveva essere così.
Si fermarono. Non erano troppo lontane da casa di Tink, Regina sentiva la musica abbastanza chiara alle loro orecchie.
“Quindi…mi hai chiamato per questo? Solo per questo?” chiese Emma, con espressione indecifrabile.
Regina si sentì improvvisamente stupida.
“Mi dispiace io -era una cosa da…da niente, avrei dovuto capirlo…mi sentivo solo persa perché non sapevo dove andare. Credevo che…” Le si spense la voce.
Quanto era stata ingenua. Ragionando ora a sangue freddo era ovvio che avrebbe trovato una soluzione. Ma prima, al buio, ubriaca, dopo le parole crudeli di sua madre il mondo sembrava così ostile e lei si era sentita così sola…
Emma le posò una mano sulla spalla.
“Sono contenta che sia solo questo il problema perché mi sembra alla mia portata. Se vuoi che qualcuno parli con tua madre, posso farlo io. Anche ora, oppure domani. Quando preferisci” Disse poi semplicemente.
Regina aprì la bocca a vuoto.
Poi spinta da qualche misteriosa forza si avvicinò semplicemente alla professoressa e la strinse in un abbraccio.
Sentì le mani di Emma appoggiarsi sulla schiena e le braccia ricambiare il gesto con spontaneità.
Infine, con un incredibile e teatrale botto, dal tetto di casa Glocke esplose quella che doveva essere l’ultima preziosa scorta di mortaretti di Killian Jones.
Si liberarono per aria, alcuni invece scoppiarono direttamente sul tetto, facendo un enorme baccano.
“Santo Cielo!” esclamò Emma.
Si scostò leggermente da Regina, cingendola ancora, quasi inconsapevolmente, con le braccia.
“E’ la terza volta che li fanno esplodere.” Commentò Regina scuotendo la testa.
Emma sorrise perplessa.
“Lo fate spesso qui nel Maine? Da noi si usa solo a Capodanno.”
“Non saprei. Jones evidentemente lo fa spesso.”
La professoressa si voltò verso Regina.
Le luci della strada le illuminavano il viso e i grandi occhi neri, facendoli sembrare curiosamente iridescenti. Il viso pallido, gli zigomi alti, i capelli scuri e le labbra così rosse si fondevano in un’unica armonia di colori e forme.
Emma rimase stupita e si rese conto per la prima volta di quanto effettivamente fosse bella Regina. L’aveva sempre saputo, ma vederla così da vicino era sorprendente.
Si chiese se ne fosse realmente consapevole.
Con fatica spostò il pensiero altrove.
“E’ Jones quindi il responsabile.”
“Potrei scommetterci qualunque cosa!” replicò l’altra.
Regina notò velocemente che i loro visi erano relativamente vicini e che i loro corpi ancora non si erano staccati. Sorrise contenta di quell’improvvisa confidenza. Si sentiva bene.
 “Ariel e Belle hanno ragione. E’ davvero un bello spettacolo.” Pensò poi volgendo nuovamente lo sguardo al tetto di casa Glocke.
Senza pensarci si strinse leggermente ad Emma e guardò felice gli ultime fontane scintillanti esplodere e svanire.
“Ricordami di prendere in giro Jones lunedì a scuola.” Mormorò Emma.
Regina sorrise. Era leggermente più bassa della professoressa, questo le permise di appoggiare la testa sulla spalla della donna.
Rimasero così ancora qualche minuto, finchè non si esaurirono completamente tutte le scintille.
 
 
Quando tornò in casa Glocke, trovò il delirio e il degrado più assoluto.
Tink stava urlando contro un mucchio di ragazzi del terzo anno e stava buttando fuori casa la maggior parte delle persone.
Killian doveva essersi già dileguato, Ariel cercava di trattenerla con effetti ancora più disastrosi.
Dalle scale scesero Robert e Belle, con espressioni piuttosto confuse.
“Datemi una mano a cacciare tutti!” ululò Tink furibonda.
E così fecero.
Dopo venti minuti la padrona di casa, che era salita al piano di sopra per scovare gli ultimi invitati ancora presenti, tornò in soggiorno letteralmente schiumante di rabbia.
“QUALCUNO HA FATTO SESSO NEL LETTO DEI MIEI GENITORI!” Strillò.
Robert concentrò tutte le sue attenzioni sulla scopa che teneva in mano in quel momento e prese a spazzare con vigore il pavimento della cucina.
Belle invece fu presa da un violento attacco di tosse.
“Scusa ma da cosa lo capisci?” chiese infine, riprendendosi.
Tink strinse gli occhi e la fissò con sguardo folle.
“C’è odore di sesso. Lo percepisco. Le lenzuola ne sono pregne!”
Belle non osò ribattere e Regina represse un sorriso mentre Robert la fulminava con lo sguardo.
 

 

Regina continuava a pensare.
Si rigirava, cercando di non fare troppo rumore, nel letto che condivideva con Tink (non quello genitori: Tink l'aveva sterilizzato e aveva messo tutte le lenzuona in lavatrice, imprecando contro le coppie e l'amore in generale).
L’amica pareva essersi addormentata dopo la serata estremamente movimentata. Vedeva la schiena alzarsi ed abbassarsi a ritmo regolare.
L’effetto dell’alcool si faceva ancora sentire e Regina vedeva tutte le pareti della stanza girare.
Ma era felice.
Aveva litigato con sua madre, certo.
Ma i suoi nuovi amici erano venuti a prenderla. Tink li aveva mandati.
Robert, Belle ed Ariel, nonostante i rancori del passato, erano venuti a prenderla. L’avevano aiutata, avevano riso con lei. Anche Belle aveva riso con lei.
Doveva chiederle scusa, pensò Regina. Le aveva reso la vita un inferno per anni, senza un vero motivo, per il gusto di farlo. Ma Belle non era una ragazza cattiva, era stata gentile, e lei e Robert erano davvero innamorati, era palese…
E poi c’era stata Emma. Quell’abbraccio che avevano condiviso era stato così reale, così bello e spontaneo. Lei odiava abbracciare le persone ma non si era mai sentita bene come quella sera, tra le braccia di Emma.
Anche Emma Swan era sua amica, ora ne era sempre più convinta.
Ripensandoci, era tutto meraviglioso, soprattutto Emma. Emma era meravigliosa.
C’era solo una cosa a cui continuava a pensare e che non tornava.
Girò la testa verso Tink.
Il ricordo del bacio che si erano scambiate poco prima in soggiorno era ancora vivido.
Le era piaciuto.
Era ubriaca e quel bacio sapeva di libertà, di fare una cosa completamente nuova, di lasciarsi andare, di dare fastidio a sua madre.
Regina era rimasta troppo a lungo negli schemi e nella vita che la sua famiglia aveva voluto per lei.
Forse era arrivato il momento di rompere quegli schemi.
“Tink” mormorò.
Non ottenne risposta.
“Tink!” disse leggermente più forte.
“Mh…” mormorò l’altra.
“Stai dormendo?” sussurrò Regina.
“Non proprio…gira tutto…e sono ancora arrabbiata…” biascicò Tink.
Regina fissò la sagoma della sua schiena.
“Tu dormi?” le chiese poi la bionda.
“No, gira tutto anche a me!”
Ridacchiarono entrambe.
“Grazie.”  mormorò ad un certo punto Regina.
“Per cosa?”
“Per esserti preoccupata di me questa sera… e per avermi invitata. Mi sono divertita. E’ raro che qualcuno faccia qualcosa per me.”
“Ma io non lo faccio per te!” rispose Tink.
Dopodiché si girò, trovandosi faccia a faccia con la mora.
“Lo faccio perché così ora ti sentirai sempre più oppressa da me e in dovere di partecipare a tutti i miei progetti!”
Regina sbuffò.
"Comunque...volevo dirti che mi dispiace per come vi ho trattati. Tutti quanti intendo." disse poi evitando lo sguardo di Tink e sentendosi stranamente in soggezione. Era la prima volta che si scusava con sincerità per qualche cosa.
"Non fa niente. A me dispiace per quella volta che ti ho urlato contro durante la punizione...non avrei dovuto dirti così di Robert e Belle. E non avrei dovuto chiamarti cornuta."
"E non avresti dovuto dirmi che al posto della corona avevo un'impalcatura di corna!" rincarò la dose Regina.
"Sono stata un po' troppo cattiva." ammise Tink.
Poi entrambe sorrisero.
La casa era immersa nel silenzio, così in contrasto con il rumore di poco prima.
Sembrava che il mondo si fosse fermato.
Regina esitò ancora un momento, poi prese coraggio e fece ciò che aveva in mente di fare da qualche minuto.
Tink stava per dire qualcosa, quando improvvisamente sentì le labbra dell’amica sulle proprie.
Rimase immobile un momento, profondamente stupita ed indecisa sul da farsi, ma in fondo sentiva ancora il sapore della vodka bruciante e gli effetti che aveva sul suo corpo, li sentiva abbastanza da non pensare minimamente alle conseguenze dei loro gesti.
Regina la strinse a sé e Tink approfondì il bacio, infilando la mano nei morbidi capelli corvini dell’altra, intrecciando le gambe nelle sue.
Regina rabbrividì.
Le mani della bionda si spostarono poi  dal viso e dai capelli, alle spalle, scesero per la schiena, si fermarono sui fianchi e si intrufolarono istintivamente sotto la maglietta.
“Cosa stai facendo?” chiese Regina, sentendo le guance tingersi di rosso. Ringraziò l’oscurità della camera.
Nessuno l’aveva mai vista arrossire e non aveva intenzione che accadesse in quel momento.
Tink ridacchiò sommessamente, si levò la maglietta con una rapidità incredibile, , e le si lanciò addosso.
“Festeggio! Alla faccia di quello stronzo di Killian Jones!” disse poi, riprendendo a baciarla.
Regina non aveva idea di cosa fare, e non le era mai capitata una cosa simile.
Ci pensò Tink.
Le afferrò i lembi della maglietta e nel giro di pochi secondi la lasciò in reggiseno. Regina incrociò imbarazzata le braccia davanti al seno.
La scena le parve tragicamente familiare.
Aveva riso giusto poche ore prima di Gold che si copriva…
“Ma smettila!” esclamò Tink. “Siamo tra donne! Non sei mica diversa da me!”
“Ma-“ non le fu permesso di ribattere. Bocca contro bocca, mentre i loro corpi caldi si avvolgevano, Regina si rilassò lentamente.
“Se…se qualcuno entra…” mormorò poi, pensando ad Ariel che dormiva in soggiorno, mentre Tink le baciava il collo.
“Se qualcuno entra...scommetto che sarà felice di unirsi!” mormorò lei ammiccando.
Non era quello che Regina aveva in mente, ma in fondo cosa le importava. Aveva diciotto anni.
Non ci aveva mai pensato, ma aveva solo diciotto anni.
L’avrebbe ricordato a suo madre l’indomani, gliel'avrebbe rinfacciato.
Chiuse gli occhi e si lasciò andare.
 
 
 
 
“Quindi buonanotte” disse Belle solennemente.
“Buonanotte” rispose Robert.
Rimasero un momento immobili, nel silenzio notturno, guardando la via illuminata dai lampioni e la sagoma della casa di Belle di fronte a loro, immersa nel buio.
“Posso baciarti o tuo padre esce fuori e mi spara?”
Belle rise e passò le braccia intorno alle spalle del ragazzo, stringendosi a lui.
“Oh, a proposito…” disse Belle dopo un po’, staccandosi.
“Sì?”
“Ricordi la domanda che mi avevi fatto la sera di San Valentino?”
“Quando ti ho chiesto se te l’eri mai fatta addosso sul campo da football?”
“Un momento di serietà con te è impossibile averlo vero?”
“Sì.”
Belle lo scrutò imbronciata.
“Intendevo quella che mi hai fatto poco prima di uscire da casa mia.”
“Rinfrescami la memoria” disse Gold amabilmente.
Lei sorrise. Sapeva che aveva capito, ma stette al suo gioco.
“Quando mi hai chiesto se potevi baciarmi in pubblico. E tenermi per mano in pubblico! E io ti dissi che saremmo usciti di nuovo…” disse quindi.
“Oh. Sì, ricordo.”
“Beh…se ti va, ora puoi baciarmi in pubblico. E tenermi per mano davanti a tutti. Ecco, volevo dirtelo ufficialmente, anche se era già implicito. Per fare una cosa ufficiale. In grande stile.”
Robert la guardò estasiato.
Non solo avevano appena avuto la miglior prima volta che si potesse desiderare.
Era stato tutto perfetto, lei era perfetta e non si era mai sentito così bene, e ora gli diceva che tutto quello non era semplicemente un sogno o una cosa tra loro due, o, come aveva temuto, una cosa solo sua, ma che potevano condividerla col mondo.
“Mi piacerebbe molto.”
“Perfetto” rispose lei felice.
Ti amo
Quando avrebbe voluto dirlo.
Non aveva certezza più forte di quella.
Guardando quei meravigliosi occhi azzurri, le labbra rosee, i capelli rosso scuro che le incorniciavano il volto pallido, così piccola eppure così forte, si sentiva completamente mancare il terreno da sotto i piedi.
“Quindi…sei la mia ragazza. Ufficialmente.” disse poi titubante.
“Se vuoi essere il mio ragazzo…ufficialmente…sì.”
Ti amo
Dillo, codardo di un verme
“Ti-“
Si bloccò.                 
“Sì?”
Sono innamorato di te
“Stai bene?”
Gold respirò a fondo.
“Sto cercando di dire una cosa molto complicata. Aspetta.”
“Ehm…Ancora con questa storia…? Non ne abbiamo già parlato?"
"Lasciami fare. Aspetta."
"O-Okay…” rispose lei vagamente perplessa.
Ti amo
“Sono molto felice in questo momento, sto cercando delle parole per potertelo dire senza arrossire come un imbecille. Quello che provo per te…aumenta.  Sempre di più. Lievita, ecco. Come una pizza. Ed è già ad un livello molto alto. Come se la pizza fosse già lievitata.”
La ragazza lo fissò turbata mentre Robert cercò di sorridere incoraggiante.
Doveva migliorare le sue abilità di comunicazione, decisamente.
“Questa sera sei davvero inquietante. Sicuro di stare bene?”
“Okay. Anche io sto innamorando di te. Ed è una cosa molto…forte. L’hai detto anche tu prima ma…insomma, volevo dirtelo anche io, mi sembrava importante. Avrei voluto dirtelo io per primo, mi dispiace per questo. Ed è tutta la sera che ci penso. Tutto qua.”
Sei un bugiardo, non ti stai innamorando di lei. La ami già e non hai il coraggio di dirlo.
Belle sgranò gli occhi, poi sorrise radiosa.
“Ottimo allora! E’ bello sentirtelo dire!”
“Fantastico!” 
I due si guardarono per un lungo istante poi Robert sogghignò.
“Comunque…hai visto, le cattiverie che ha detto Regina non erano vere.”
Belle alzò gli occhi al cielo.
“Non ho intenzione di discutere con te di questa cosa.”
Dopodiché gli gettò le braccia al collo e spingendolo contro la macchina lo baciò appassionatamente, avvinghiandosi a lui.
Andarono avanti per qualche minuto, poi Gold sentì di non potercela fare.
“O ti fermi adesso, oppure non ti fermi più.” Disse staccandosi da lei, accaldato e con il petto che si abbassava e si alzava velocemente.
“E chi vuole fermarsi.”
Riprese a baciarlo.
“Sono serio.” Tentò lui “E’…troppo per me. Cioè, ora come ora.”
Belle lo guardò perplessa.
“Cosa intendi?”
“Hai capito, dai.  Dopo quello che abbiamo fatto prima, io sono un po’ sensibile, ecco.”
Iniziò a sentire la faccia bollente mentre la ragazza scoppiò a ridere.
Lo baciò ancora.
“Mi stai almeno a sentire!?” protestò lui contro le sue labbra.
“No.” Sussurrò lei baciandogli la mandibola.
“Basta!” mormorò lui, stringendola a sé con maggior forza.
“Potremmo farlo di nuovo.”  Disse infine Belle, staccandosi e respirando forte contro il suo collo.
Robert sgranò gli occhi.
“Non che abbia qualcosa in contrario ma…dove?”
Belle si guardò intorno.
“In macchina?” suggerì, sorridendo leggermente.
Gold picchiettò nervoso le dita contro il finestrino, guardando la via deserta.
Erano le due di notte passate in fondo…
“In macchina.”









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Despair - Yeah Yeah Yeahs

Badum-tschh.
Ecchime qua. Dunque, qualche cosetta sul capitolo. L'ho trovato molto, molto difficile perchè è la prima volta che descrivo qualche scena femslash e non avendo per niente dimestichezza con questo genere di fanfiction, ho paura di aver fatto un disastro. Mi affido a chi il femslash lo conosce meglio di me! 
Poi, ho dovuto un po' tralasciare i miei adorati Rumbellini, ma ho ritenuto che fosse giusto dare spazio anche agli altri personaggi e all'evoluzione della loro storia. Temo di essere andata un po' OOC. Ditemi voi.
POI.
...

LO SO. Magari alcuni di voi penseranno "TINK E REGINA!? WTF!?" e vi dico...è...necessario. #nospoilers
Comprendo che magari la scelta vi lascerà perplessi, ma insomma, fatemi comunque sapere cosa ne pensate.
Mi scuso per non aver risposto alle recensioni, ma come avevo anticipato, mi sono presa un bel po' di giorni di riposo in montagna. Ringrazio davvero tanto tutti quelli che hanno lasciato recensioni, siete splendidi come sempre aww.
E ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite, chi tra le preferite o ricordate.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo se vi va, lasciate commenti, insulti, pomodori...insomma, fatevi sentire e mi farete felice <3
Dunque alla prossima.
Besos
Seasonsoflove

 

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Capitolo 25
*** Coming of age ***


You know I try to live without regrets
I'm always moving forward and not looking back
But I tend to leave a trail of dead,
while I'm moving ahead

So I'm stepping away
'Cause I got nothing to say


 



Regina camminò svelta fuori da casa di Tink, scavalcando un tavolo rovesciato in mezzo al giardino e un ammasso di cocci di vetro sparpagliati sul vialetto.
Strinse i denti e si fece largo tra i vari detriti, sentendosi notevolmente in colpa.
Aveva promesso che avrebbe aiuto l’amica l’indomani, a pulire e a sistemare l’immane disastro.
Eppure se la stava svignando.
Si mise a correre appena uscita dal vialetto d’ingresso e corse fino a quando non svoltò l’angolo.
Avrebbe voluto aiutare Tink a pulire.
Avrebbe voluto fare colazione con lei e con Ariel, che dormiva placidamente stesa sul divano, coperta dalla coda da sirena che aveva indossato la sera precedente.
Ma non ci era riuscita.
Non appena Regina aveva aperto gli occhi e si era trovata abbracciata a Tink, completamente nuda e a pochi centimetri dal suo viso, era entrata nel panico.
Si era alzata senza fare rumore, si era infilata i vestiti (il blazer era pieno di macchie e puzzava di vino) ed era sgattaiolata fuori dalla stanza.
Stralci della serata le tornavano in mente, il litigio con sua madre, Robert, Belle ed Ariel che erano venuti a prenderla, Emma e l’abbraccio, i fuochi d’artificio, il bacio con Tink e poi…
Si sedette su un muretto e respirò forte per calmarsi.
Era successo.
Era andata a letto con Tink, non serviva a nulla negarlo.
Il perché l’aveva fatto, restava un mistero.
Ricordava di aver confusamente pensato di voler fare qualcosa di trasgressivo e che facesse arrabbiare sua madre, qualcosa che la facesse sentire giovane. Alla luce del giorno le appariva chiaro che più che orgoglio e senso di ribellione, provava solo vergogna ed imbarazzo.
Inoltre doveva ancora sistemare le cose con Cora Mills.
Pensò fugacemente di richiamare Emma e chiederle una mano, ma scartò l’opzione. Era sabato mattina e di sicuro la professoressa si stava godendo un po’ di meritato riposo.
Di tutto il disastro della sera prima, Emma Swan era l’unica cosa che Regina ricordava con felicità.
Sospirò e si rialzò, avviandosi verso casa.
Una volta all’inizio di Mifflin Street, notò che alcuni dei suoi vicini, persone che incontrava abitualmente ogni mattina, la squadravano stralunati.
Immaginò di avere un aspetto tremendo, spettinata, struccata e coi vestiti sporchi. Camminò rapida senza incrociare lo sguardo di nessuno e si fermò di fronte alla porta di casa sua.
Respirò profondamente e suonò il campanello.
Le aprì suo padre, dopo pochi secondi.
“Regina!” esclamò.
“Papà…” disse lei fissando i gradini.
“Dio mio, dove sei stata? E…stai bene? Come sei ridotta!? Dai, entra!”
Regina lo guardò con estrema gratitudine.
Suo padre, Henry Mills, era sempre stato un uomo profondamente buono e gentile, seppur debole; venerava sua figlia, le voleva un bene infinito e questo traspariva da ogni gesto.
“Papà, mi dispiace.” Iniziò una volta nell’ingresso “Io…non avrei dovuto. Ho dormito da un’amica, so che mamma è arrabbiata ma volevo solo divertirmi un po’ e stare con…con i miei amici.”
Suo padre la squadrò da capo a piedi.
“Tua madre non c’è” disse poi lentamente. “E’ partita questa mattina.”
Regina spalancò gli occhi.
“Dov’è andata?”
“A Boston, a trovare suo padre…in clinica.”
Il nonno di Regina era un uomo anziano, distrutto dall’alcool e dalle droghe, ora ricoverato in un centro lungodegenti, a Boston.
“Ma…lei ieri sera mi ha detto che-”
“Facciamo così…vai a farti una doccia e a darti una ripulita. Io preparo qualcosa per colazione e parliamo, va bene?” provò Henry incoraggiante.
Regina sorrise, sentendosi vagamente meglio.
“Va bene. E…grazie papà.”
 
Più turbolento fu il risveglio di Tink.
Lei della serata ricordava veramente gran poco e risvegliarsi nuda nel suo letto non rese la cosa più facile.
Cercò di ricollegare gli avvenimenti della sera prima, indossò qualcosa e scese in soggiorno dove per poco non si mise a piangere di fronte al disastro.
Ci mise tutta la giornata a risistemare la casa e a renderla presentabile, con l’aiuto di Ariel, e Belle, che le raggiunse dopo pranzo.
Mandò diversi sms a Regina, ma non ottenne risposta.
 
 
Lunedì mattina, appena udì il suono della sveglia, Robert scattò in piedi con un sorriso ebete stampato sul volto.
Non vedeva l’ora di andare a scuola.
Perché scuola significava solo una cosa: lei.
Non vedeva l’ora di poter abbracciare e baciare Belle davanti a tutti, poterla tenere per mano nei corridoi, poter pranzare con lei.
Mentre si preparava allegramente la colazione, ripensò al giorno precedente.
Si erano visti un’oretta in caffetteria, per chiacchierare. Gli era parso di vivere in una nuvola di indefinita felicità per tutto il tempo in cui aveva potuto bearsi della sua presenza. Una cosa semplice come un thè coi biscotti si trasformava in qualcosa di meraviglioso: bastava che Belle fosse presente.
Dunque Robert Gold si considerava la persona più contenta dell’universo in quel momento.
E col cuore leggero si avviò verso la scuola, quasi saltellando.
 
Ma c’era qualcosa, o meglio, qualcuno, con cui Robert non aveva fatto i conti.
Quel qualcuno si presentò a, lui durante primo intervallo.
“Ciao!” disse Zelena, sorridendo radiosa.
Robert avvertì una sgradevole sensazione in fondo allo stomaco ma evitò di pensarci. Avrebbe solo peggiorato le cose.
La salutò cordialmente e iniziò a riporre libri nel suo armadietto, simulando una gran concentrazione.
“Allora…la festa? Com’era?” chiese lei, guardandolo con aspettativa.
“Oh…giusto! La festa! Ehm…niente di che. Una cosa abbastanza tranquilla tra noi del giornalino…” rispose Gold vago, evitando il suo sguardo.
“Davvero? C’è un sacco gente a scuola che dice che sia stata una festa incredibile!”
“Beh, ecco, alcuni si sono imbucati e hanno fatto un po’ di…baccano diciamo. Ma nulla di speciale.” Continuò lui a disagio.
“Spero di essere invitata alla prossima festa allora! Sennò…dovrò imbucarmi anche io!”
“Già. Ma non credo ce ne sarà un’altra. Tink ha detto che non replicherà.”
“Oh. Peccato!”
Non trovando più nulla da fare per fingersi impegnato, Robert si voltò infine verso di lei e chiuse l’anta del suo armadietto.
Pregò intensamente che Belle non li vedesse. Non voleva farla allarmare per nulla.
“Comunque, stavo pensando” ricominciò Zelena entusiasta “Che mi piacerebbe moltissimo andare alla fiera di Storybrooke. Ne parlano tutti ma siccome non conosco nessuno, pensavo che potessi…accompagnarmi, ecco.”
Gold aprì la bocca a vuoto.
La fiera della città. L’aveva completamente dimenticata.
Era uno dei pochi eventi di Storybrooke in grado di mobilitare l’intera cittadina. Ci andavano i commercianti, ci andavano i professori, ci andavano le suore, ci andavano i ragazzi…ci andava chiunque.
Sicuramente Belle ci sarebbe andata e lui l’avrebbe accompagnata.
Inoltre la situazione con Zelena iniziava ad essere fuori controllo. Evidentemente la ragazza aveva frainteso il loro rapporto, e forse era venuto il momento di riprendere le redini del loro rapporto.
“Ascolta Zelena…io…” cercò le parole adatte per non ferirla “Tu sei molto simpatica. Però io ho - ecco – una ragazza. Tu la conosci, giusto? Belle…Ed ecco, credo che andrò alla fiera con lei. E insomma, non credo che sarebbe contenta di sapere che esco con…con altre ragazze. Da solo intendo.”
Zelena parve sorpresa.
“Io intendevo come amici!”
“Certo, lo so, è solo che-“
E’ solo che non sono stupido e mi sono reso conto di come mi guardi.
E so anche cosa stava per succedere venerdì pomeriggio e non mi sembravi tanto amichevole.
“E’ solo che preferisci non far preoccupare Belle, ho capito.” Finì per lui Zelena, tornando a sorridere.
Sembrava che il sorriso fosse parte di lei, era una cosa che faceva di continuo. Se all’inizio poteva sembrare gradevole, ora risultava stucchevole e leggermente fastidioso.
Robert si strinse nelle spalle imbarazzato e annuì.
“Mi dispiace!”
“Non c’è problema! Io...Troverò qualcuno con cui andarci…magari ci vediamo là tutti insieme nel tardo pomeriggio. Prima ho allenamento con le cheerleader.”
“Sì…sì, certo, ci vedremo sicuramente!”
Rimasero un momento in silenzio poi Gold afferrò la borsa e si schiarì la voce.
“Allora vado, ho lezione di chimica e biologia.”
 
 
“Ehi!”
Robert sentì due braccia cingerli dolcemente il petto e avvertì il meraviglioso calore del corpo di Belle premuto contro il suo.
“Ciao! Ti stavo aspettando!”
Si girò e la fronteggiò, sogghignando leggermente, guardandola dall’alto al basso e scostandole una ciocca di capelli rossi dal viso.
“Cos’hai da ridere?” chiese Belle sospettosa.
“Nulla. Sto solo sorridendo perché sei davvero piccola.”
“Non è che tu sia particolarmente alto.”
“Sono comunque venti centimetri più alto di te!”
“Nulla di onorevole parlando di una ragazza bassa come me.”
La porta dell’aula di chimica si aprì e il professor Booth fece segno di entrare. Tink arrivò di corsa con un plico di fogli in mano e raggiunse la coppia.
“Quindi ora state insieme ufficialmente?” iniziò senza preavviso e parlando molto forte.
“Noi-“
“No, non rispondete, in effetti non mi interessa niente, basta che continuiate a scrivere articoli e non diventiate una di quelle coppie mielose che si baciano a risucchio e si palpeggiano davanti agli altri. Ora vi saluto, credo che raggiungerò Regina.”
E schizzò avanti nella fila.
“Cos’è appena successo?” chiese Robert dubbioso.
“Si dev’essere svegliata con la luna storta” asserì Belle saggiamente, entrando in classe e prendendo posto in prima fila, accanto al banco su cui si era seduta Tink.
Robert rimase in piedi guardando incerto il posto accanto a lei.
“Puoi sederti, sai.” Disse la ragazza.
“Vicino a te?”
“C’è qualche problema?”
Lui appoggiò la borsa a terra e si appollaiò sul banco.
“Credevo volessi tenere un po’ le distanze…in classe, intendo.”
Belle sorrise.
“Non nelle lezioni in cui tu sei più bravo di me.”
Robert strinse gli occhi e scosse la testa.
“Opportunista.”
“Adesso vi sedete anche vicini? Tra un po’ inizierete ad andare in bagno insieme, vero?” chiese Tink accanto a loro, guardandoli con scetticismo.
“Guarda che sei tu che sei sparita a cercare Regina!” esclamò Belle.
“Ma lei non c’è.” Ribattè l’altra.
Robert si guardò intorno.
Effettivamente…
“Avete idea di dove sia?”
“Perché lo chiedi sempre a noi? E perché hai sempre tanta urgenza di vederla, soprattutto.”
“Perché io- Niente, come non detto, eccola.”
Regina entrò in classe spedita, proprio mentre il professor Booth intimava i ragazzi al silenzio.
Si guardò intorno in cerca di un posto libero, mentre Tink agitava le braccia nella sua direzione.
Inizialmente la mora continuò ad osservare le varie bancate, poi, appurato che l’ultimo posto libero era proprio quello in prima fila, si avviò verso di esso e vi si lasciò cadere sopra.
“Alla buon’ora!” sussurrò Tink.
Regina le lanciò un’occhiata glaciale.
“Beh? E’ questo il modo di trattare un’amica!?”
L’altra non rispose, tenendo imperterrita lo sguardo fisso davanti a sé.
“Senti.” Riprese Tink “E’ da sabato mattina che mi eviti. Quindi ora parliamo.”
Regina continuò ad ignorarla, ma strinse le labbra contrariata.
Tink le agitò la mano davanti alla faccia nel tentativo di smuoverla.
“Ti ricordo che mi avevi promesso che mi avresti aiutata a sistemare quel disastro e invece mi hai smollata da sola come una stupida!” rincarò la dose, sperando infine di farla sentire in colpa.
“A me non va di parlarne ok? Non so cosa tu ti sia messa in testa ma-“
“Signorina Mills, se lei desidera chiacchierare con la sua compagna di banco, potete tranquillamente accomodarvi fuori dalla porta e proseguire il vostro salottino privato altrove. ” Le interruppe il professor Booth, squadrandole severamente.
Regina alzò gli occhi al cielo e cercò di concentrarsi sulla lezione.
“Dunque” riprese Booth “Avete due ore di tempo per creare un ambiente favorevole alla proliferazione dei batteri. Qua avete terriccio, piante, alcuni campioni e tutto ciò che può servirvi.  L’elenco di ciò che dovete trovare è alla lavagna… Ah, per motivarvi un po’ di più…ho pensato di allegare un premio finale, insieme chiaramente ad un buon voto, alla coppia che farà il lavoro migliore. Come sapete, ogni anno la scuola regala dei biglietti per la fiera di Storybrooke. I due migliori studenti se li aggiudicheranno. Buona fortuna!”
Tutti si alzarono simultaneamente dalle sedie e si precipitarono nel ripostiglio a cercare il necessario.
 
“Penso che quei biglietti potremmo anche comprarceli.” Mugugnò Robert arrabbiato, tenendo stretta una matita tra i denti e reggendo in mano due provette piene di un liquido verdastro e cercando di non rovesciare il tutto durante un travaso.
“Non esiste. Non se posso averli gratis.” Disse Belle concentrata, preparando il microscopio.
“Te ne compro venti di biglietti se è quello il problema.”
“Voglio vincere questa gara!”
Gold finì di travasare l’ultima goccia in un grande becker trasparente e storse il naso.
“Questo spirito competitivo ti ucciderà prima o poi.”
“Quasi dimenticavo: chi vincerà la sfida, non avrà compiti per la prossima lezione.” Esclamò improvvisamente Booth.
Robert aprì la bocca a vuoto e la richiuse.
“Dobbiamo vincere.” Disse poi scioccato.
“Come mai quest’improvvisa convinzione?”
“Hai sentito? Niente compiti per domani!”
“Sì.”
“Questo vuol dire pomeriggio libero.”
Belle inserì il vetrino nel microscopio, inclinando la testa e corrugando la fronte.
“Quindi?” chiese poi distrattamente, concentrata sul suo obbiettivo.
“Ho casa libera per tutto il pomeriggio.” Disse infine Robert con tono casuale, inserendo un po’ di terra nella miscela.
Belle si girò lentamente verso di lui.
“Tutto il pomeriggio?”
“Sì.”
“E potrei venire da te?”
“Sì.”
“E passare tutto il pomeriggio da te?”
“Esatto.”
"A guardare un film?"
"Certo. O a fare anche altre cose."
"Altre cose?"
"Sì."
Con una determinazione mai vista i due si rimisero al lavoro.
 
Nel banco accanto al loro invece si stava consumando un altro tipo di dramma.
“Reggi qua.” Disse Tink infilando una provetta in mano a Regina.
“Perché non ti arrangi? Sto lavorando ai campioni di terra!” esclamò l’altra contrariata.
“Se non collaboriamo non vinceremo mai!”
“Non voglio vincere quei biglietti, non mi interessa e non voglio andare alla fiera con te.”
Tink la guardò con rabbia.
“Io invece voglio proprio vincerli. Sto risparmiando per comprarmi un nuovo laptop e mi farebbero comodo venti dollari in più. Perciò se non ti dispiace, mettiti d’impegno e lavora come si deve. Non mi interessa se provi disagio a stare con me o se ti vergogni di quello che è successo tra noi ma-“
“Non è successo nulla tra noi!” esclamò furibonda Regina, rovesciando un po’ di terra sul banco.
“ATTENTA!” Strillò Tink.
“E’ solo terra!”
“Stai attenta lo stesso!”
“Calmati!”
“Calmati tu!”
Le due si fissarono in cagnesco e ripresero a lavorare.
“Comunque puoi fare finta di nulla, ma qualcosa è successo. Questo non significa che-“
“Non c’è nulla tra noi. Okay? Quello che è accaduto è stato un errore di una volta. Non si ripeterà.” Disse Regina con forza.
“Questo non significa che ci sia qualcosa tra noi.” Tink finì la frase precedente e afferrò uno dei becker guardando Regina con serietà.
Lei si voltò improvvisamente scioccata.
“Non…ti aspetti niente da me?” chiese poi esitante.
“Ma cosa credevi!? Che mi aspettassi di vederti apparire davanti alla mia porta coi bagagli e un anello di fidanzamento?” esclamò l’altra rabbiosa.
“Io pensavo che-“
“Pensavi male. E’ un’esperienza che può capitare tra due amiche.  Ma questo non significa che sia importante dal punto di vista sentimentale. E per inciso, a me piacciono i ragazzi. Perciò puoi smetterla di evitarmi e pensare che ti salterò addosso o cercherò di baciarti o…cose del genere.”
Riprese a sistemare le provette in fila e si voltò senza più degnare Regina di uno sguardo.
“Le amiche lo fanno?”  chiese la mora esitante.
“Ogni tanto, credo. L’ho visto in qualche serie tv. In Glee lo fanno ad esempio.”
“Tu e Belle…?”
Tink la guardò scandalizzata.
“NO!”
“Scusa. Chiedevo, sai com’è, visto che tra amiche si fa!” ribattè l’altra scrollando le spalle seccata.
“Belle è troppo casta e vergine per fare certe cose.”
Regina evitò accuratamente di dirle che secondo lei Belle era tutto fuorché casta e vergine, soprattutto dopo la festa del venerdì precedente.
Ed evitò di menzionare il fatto che probabilmente Belle aveva smesso di esserlo proprio nel letto dei genitori di Tink.
“Quindi…questa cosa…questo…” cercò di dire Regina torcendosi le mani “Questo tipo di esperienza…è normale?”
“Assolutamente.” Affermò Tink.
“Quindi…possiamo essere amiche anche dopo una cosa del genere?”
“Secondo me è un’esperienza che rafforzerà la nostra amicizia. Voglio dire, non abbiamo più segreti ormai. So anche che forma ha la tua vag-“
“Va bene, va bene. Allora smetterò di trattarti come un’appestata.”
“Grazie.”
Mescolarono le loro misture in silenzio per un po’.
“Allora, vogliamo vincere la gara? O vuoi farla vincere a quei due imbecilli?” sbottò Regina infine, indicando Robert e Belle che si erano messi a lavorare sodo.
Tink li scrutò attentamente.
“La vinciamo noi. Te lo dico io.”

 
Non avevano fatto i conti col fatto che sia Robert che Belle erano due studenti modello, e che Gold era decisamente un asso in tutto ciò che riguardava la chimica.
Era un vero mago delle pozioni.
Due ore dopo, Tink e Regina uscirono rabbiose e sudate dall’aula, mentre Belle osservava compiaciuta i biglietti appena vinti e ne consegnava uno a Robert, con la prospettiva di un pomeriggio decisamente piacevole davanti.
 
Pranzarono tutti insieme.
Non fu una cosa premeditata, accadde e basta. Robert si sedette vicino a Killian (che aveva fatto esplodere per sbaglio una cartuccia di inchiostro nel suo barattolo di batteri guadagnandosi una bella E in chimica), Belle vicina a Robert, Tink vicina a Belle, e Regina, dopo un momento di esitazione, prese posto accanto a Tink.
Poco dopo li raggiunse anche Ariel.
Non era quello che si poteva definire un gruppo di amici uniti, ma erano pur sempre un gruppo.
Nel primo pomeriggio si separarono.
Robert e Belle si avviarono mano nella mano, mentre Tink storceva il naso, verso casa Gold.
Regina invece aveva ancora i suoi recuperi pomeridiani da frequentare.
Killian venne trattenuto in punizione per aver picchiato un primino in palestra.
 
Prima di entrare in classe, Regina provò uno strano senso di piacevole tepore dalle parti dello stomaco. O del cuore.
Non ci fece particolarmente caso, in realtà era ancora un po’ nervosa per tutta la faccenda di Tink e di sua madre, e per quella ridicola sfida di chimica che avevano perso contro quei due stupidi…ma l’idea che Emma Swan la stesse aspettando dentro quell’aula, rese improvvisamente tutto più allegro.
Abbassò la maniglia e camminò felice verso la cattedra.
Emma era lì.
Era una cosa che piaceva a Regina. Con Emma non c’erano imprevisti spiacevoli, non capitava che improvvisamente sparisse, che non fosse presente, che non fosse disponibile. Emma c’era ed era…era sicurezza.
“Buongiorno professoressa Swan!” la salutò allegramente.
“Buongiorno Regina!” le disse di rimando l’altra, regalandole un grande sorriso.
“Ti vedo di buon umore. Hai risolto con tua madre?”
Regina lasciò la borsa vicino al banco e si sedette pensierosa.
“No, non direi. Non è a casa da un po’ di giorni.”
“Oh…come mai?”
 “Questioni di famiglia.” Disse semplicemente Regina.
Emma non indagò oltre.
Quando alle cinque in punto, suonò l’ultima campanella del pomeriggio, entrambe si stiracchiarono, sapendo che era arrivata l’ora di andare a casa.
“Direi che abbiamo finito.”
“Giovedì alla stessa ora?”
Emma sorrise.
“No. Direi che abbiamo finito.” Ripeté poi.
Regina si zittì di colpo.
“Intende dire che-“
“Sì!” confermò Emma.
Afferrò un foglio dalla cattedra e glielo consegnò.
“E’ tutto scritto qui. Hai recuperato il programma e frequentato ben più lezioni di quante non avresti dovuto. Ti sei comportata bene, pertanto io ti assegnerò dei crediti extra e la coach è ben decisa a riammetterti in squadra.”
Regina la fissò a bocca aperta.
“Non fare quella faccia, prima o poi sarebbe successo!” esclamò la professoressa ridendo.
“Io…sì. Non pensavo…non pensavo adesso.” Rispose Regina stordita.
Una serie di emozioni la travolsero.
Euforia, soddisfazione, senso di liberazione…cos’altro?
“Non sembri del tutto contenta.” Osservò Emma.
“Sì! No io- sì, sono solo molto stupita.”
Ma non era solo stupita.
Il senso di sicurezza che la avvolgeva in presenza di Emma era appena svanito.
Anche lei se ne stava andando.
“Sei sicura che vada tutto bene?”
Regina scrollò le spalle.
“Sì. Insomma, non me l’aspettavo. Non pensavo che sarei ritornata alla mia vecchia vita, ecco tutto.”
“Beh, non sei costretta. La punizione è finita ma penso che tu abbia imparato molto negli ultimi mesi perciò…”
Continuò a sorridere, poi improvvisamente le strinse leggermente il braccio, quasi con affetto.
“Mi mancherai un po’. ”
La mora si perse un momento in quei begli occhi verdi che aveva imparato a conoscere.
Sì, anche a lei sarebbe mancata.
Non voleva che Emma uscisse dalla sua vita.
“Posso continuare a frequentare il suo corso? Nonostante tutto…mi piace.”
Emma la guardò stupita.
“Credevo odiassi psicologia.”
“Si può cambiare idea.”
“L’hai fatto?”
“Credo di sì.”
“Allora sei la benvenuta!”
Entrambe afferrarono le loro cose e si diressero verso l’uscita dell’aula.
“Lei mi aveva promesso che avrei cambiato idea anche riguardo all’amore” disse improvvisamente Regina, quasi casualmente.
Emma si voltò verso di lei, camminando.
“Non è ancora detta l’ultima parola! Sei una malfidente.”
“Sono realista. Non ce la farà mai.”
“Lo vedremo.”
 Arrivate di fronte alle scale, Emma si voltò e la fronteggiò.
“Devo passare dal preside per firmare alcuni documenti.”
“Allora arrivederci.”
“Ci vediamo a lezione!” la salutò dandole una leggera pacca sul braccio e prese a salire le scale, mentre Regina la guardava allontanarsi con uno strano, triste, senso di abbandono nel cuore.
“Anche lei mi mancherà!” esclamò all’improvviso.
Emma si voltò e sorrise.
 
 
Robert fissava il soffitto di camera sua, mentre accarezzava dolcemente i capelli di Belle, appoggiata sul suo petto nudo.
“Dovremmo comunque farei i compiti di storia.” Disse poi la ragazza, tenendo gli occhi socchiusi e godendosi il contatto dei loro corpi così stretti.
“Li facciamo. Tra un pochino.” Mormorò Robert, ancora in estasi.
“Questa sera mangiamo qualcosa insieme?”  chiese Belle.
Lui ci pensò un attimo.
“Devo fare una cosa in realtà.”
“Cioè?”
“Dovrei…scrivere una lettera per il college.”
Belle non disse nulla, sentendo qualcosa di sgradevole agitarsi nello stomaco.
Quanto avrebbe potuto condividere quell’esperienza con lui…
“Aspetta” disse immediatamente Robert abbracciandola, mal interpretando il suo silenzio “Se vuoi posso comunque passare da te dopo cena, verso le nove. La lettera in realtà è già quasi pronta, devo solo mandarla.”
Belle sorrise leggermente, lasciandogli un rapido bacio appena sotto il collo.
“Non ti preoccupare! Ero silenziosa perché stavo pensando.”
“Passo comunque volentieri da te.” Replicò Gold, facendola improvvisamente spostare e issandosi sopra di lei piuttosto agilmente, puntellandosi sui gomiti.
“Sono confusa da questo improvviso cambio di posizioni.” Disse Belle sogghignando leggermente.
“A cosa stavi pensando?” le chiese Robert, guardandola negli occhi. Aveva paura che ci fosse qualcosa di irrisolto. Ormai aveva imparato che quando Belle rimaneva silenziosa, stava pensando a qualcosa che la rendeva triste o arrabbiata.
“Ai compiti che dovremmo fare. E che non si faranno da soli se tu continui a rimanere qui sopra di me.”
“Li facciamo…dopo?” propose Robert sorridendo.
“E ora cosa facciamo?”
“Ora parliamo.”
“Ho un’idea migliore.” Disse semplicemente Belle, baciandolo e cingendogli la schiena, intrecciando le gambe con le sue.
Robert pensò che in fondo avrebbero potuto parlare anche più tardi. Magari mentre facevano i compiti.
 
 
Il resto della settimana passò senza gravi incidenti.
Zelena non si era più fatta viva, Cora aveva prolungato la sua gita a Boston e Regina si godeva la sua libertà. La sera cenava chiacchierando felice con suo padre, il pomeriggio studiava con Tink e qualche volta anche Ariel, Belle e Gold.
In qualche curioso, folle ed incredibile modo, stavano diventando amici.
Belle continuava a trattarla con freddezza e Regina lo sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe dovuto chiederle sinceramente scusa per tutto quello che le aveva fatto.
Ma non era ancora quello il momento. Non si sentiva pronta.
Inoltre era andata a parlare con la Coach delle cheerleader e avrebbe avuto il primo allenamento dopo due mesi di pausa proprio quel sabato.
Killian non aveva più parlato a Tink dalla sera della festa.
I due si evitavano completamente.
I giorni passarono in una discreta serenità.
 
 
Emma Swan ci aveva pensato parecchio.
Teneva quei due biglietti per la Fiera di Storybrooke nel cassetto da un bel po’ di giorni, la scuola li aveva distribuiti gratuitamente a tutti gli insegnanti.
Alcuni avevano deciso di regalarli agli studenti più meritevoli, altri se li erano tenuti…ma Emma era molto indecisa.
Poteva andarci lei, con sua madre.
Mary Swan si era dichiarata entusiasta all’idea. Anche David Swan era entusiasta. Lui le avrebbe accompagnate e si sarebbe pagato il suo di biglietto e loro si sarebbero goduti una meravigliosa giornata in famiglia.
Ma c’era qualcun altro con cui Emma voleva andare alla fiera, anche se faceva fatica a connettere le idee.
Regina le stava davvero simpatica. Era un po’ scontrosa a volte e decisamente perfida quando ci si metteva, l’aveva sentita fare delle battute atroci su alcuni compagni più sfortunati, ma aveva un suo senso dell’umorismo alquanto pungente che la faceva ridere.
E più la conosceva e più le sarebbe piaciuto conoscerla.
Emma faceva fatica a spiegarsi questa specie di attaccamento: lo collegava al fatto che comunque aveva visto Regina per ciò che realmente era, una ragazza triste e sola, spaventata da sua madre, ossessionata dall’apparire e dalla superficialità degli stereotipi imposti.
La verità è che Emma si rivedeva in lei.
Non che avessero un carattere simile o ambizioni simili, ma in qualche modo erano…spiriti affini.
Emma si sentiva persa da quando viveva a Storybrooke.
Era una professoressa ma aveva solo ventotto anni, dieci appena in più di Regina. Era giovane e i suoi amici erano rimasti a Tallahassee, lì non aveva nessuno, a parte i suoi genitori. I suoi genitori che continuavano a chiederle se ci fosse qualcuno nella sua vita: lei avrebbe voluto qualcuno nella sua vita ma era una persona riservata e faceva fatica a trovare…quel qualcuno.
Le continue domande dei genitori la facevano solo sentire inadeguata e persa.
Ed era considerevolmente stufa di vivere con loro.
Se ne rese conto un venerdì mattina, il venerdì prima della fiera.
“Allora io e tuo padre abbiamo pensato che domani potremmo pranzare insieme sul molo e poi andare a vedere le bancarelle tutti insieme, come ai vecchi tempi.”
Emma, che stava facendo colazione, alzò lo sguardo dalla sua tazza di caffè e inarcò le sopracciglia.
“Mamma, non so ancora se ci vado.”
“Dai Emma, ci andiamo tutti insieme. Mi mancano i tempi in cui facevamo cose in famiglia.”
Emma si mosse a disagio.
“E’ che io ci…ci vorrei andare con qualcun’altro.”
Persino David Swan distolse lo sguardo dal giornale che stava leggendo e fissò sua figlia.
“Emma…stai uscendo con qualcuno?” esclamò felice.
“No. No, no, veramente!” esclamò precipitosamente Emma. “Volevo andarci con un’amica.”
Mary parve delusa, ma si riprese immediatamente.
“Andiamo tutti insieme! Puoi presentarcela…se non sbaglio è la tua prima amica qui a Storybrooke, giusto?”
“Beh non proprio ma insomma, ecco-“
“Come si chiama? Dove lavora?” incalzò David.
Emma deglutì. Non poteva certo dire che la sua “amica” era una sua studentessa.
“Regina. Regina Mills.” Rispose semplicemente.
“Bellissimo nome!”
“Dov’è che lavora?”
“A…a scuola.”
“Aaah, è una tua collega!”
“Circa.”
Mary inarcò le sopracciglia.
“Cosa intendi con circa?”
“Intendo che non è una professoressa, se è quello che mi stai chiedendo, ma l’ho incontrata a scuola ed è…nell’ambiente.”
“Oh…cosa fa?”
Emma non era mai stata brava a mentire.
Era un asso se si trattava di scoprire se qualcun altro mentiva, lo considerava il suo superpotere, ma mentire…no, non ne era capace.
“Lavora…con gli altri studenti.”
“Psicologa!” disse subito David, riprendendo a leggere il giornale.
“Davvero? Ha fatto i tuoi stessi studi? Dove?” riprese Mary.
Emma bevve il suo caffè senza rispondere.
“Emma?” insistette sua madre.
“Mamma!?”
“Allora?”
“E’ una studentessa.” Borbottò infine Emma, fissando il tavolo di legno laccato e grattando via una macchia con l’unghia, evitando lo sguardo dei genitori.
“Una…studentessa?”
“Sì. Dell’ultimo anno.” Aggiunse, come se il fatto che fosse all’ultimo anno rendesse meno umiliante e strana la situazione.
Mary la guardò inquieta.
“Ascolta, tesoro, so che ti senti sola, ma non credo che sia il caso. Insomma, diventare amica di una studentessa…sono solo ragazzine. Inoltre non mi pare appropriato...voglio dire, io sono contenta se ti trovi bene con lei, sai che non ho pregiudizi…ma le altre persone potrebbero pensare male.”
“Ha diciotto anni, non tredici. Ho dieci anni in più di lei, mi ricordo perfettamente cosa significhi avere quell’età! Non mi importa cosa dicono gli altri.” esclamò Emma punta sul vivo.
“Ma certo, ma certo! Però ecco, forse dovresti cercare qualcuno di più consono e-“
“E chi lo decide chi è più consono? Voi!?” disse adirata.
“Emma!” esclamò David.
“No! Sono stufa. Sono sola da mesi qui, sono un essere umano anche  io e…sono giovane! I biglietti sono miei e li userò con chi voglio!” si alzò sbattendo la sedia e si allontanò velocemente, lasciando i genitori costernati.
Si diresse spedita verso la scuola, decisa come non mai a fare la sua proposta a Regina.
Passando davanti ad un edificio in centro, le cadde l’occhio su un cartello.
“AFFITTASI APPARTAMENTO MONOLOCALE, ARREDATO. PER INFORMAZIONI, CONTATTARE GOLD”
Emma strinse gli occhi.
Gold...sicuramente era il padre di Robert. Ancora meglio, magari le avrebbe fatto lo sconto.
Forse era davvero venuto il momento di un’azione decisiva.

Regina stava sistemando le ultime cose nell’armadietto quando vide improvvisamente Emma Swan, apparire in fondo al corridoio.
La salutò con la mano ma curiosamente la professoressa le fece segno di avvicinarsi e di seguirla dentro un’aula.
Perplessa ma incuriosita, Regina fece come le era stato detto.
“Chiudi la porta.” Disse Emma, sedendosi sulla cattedra.
Regina obbedì, ansiosa. Aveva fatto qualcosa che non andava…?
“Questa cosa potrà sembrarti strana e…sei libera di dire di no. La mia è solo una proposta. Ho due biglietti per la fiera che tutti qui a Storybrooke dicono essere meravigliosa e assolutamente imperdibile…ma non so con chi andarci. Perciò pensavo che siccome il professor Booth mi ha detto che i suoi biglietti li vinti Gold e la French, allora tu…potevi avere questo. Il mio. E magari potevamo vederci là.”
Terminò la frase e deglutì attendendo una risposta.
Regina aprì la bocca senza dire nulla.
“Sì!” esclamò poi all’improvviso.
Emma esitò.
“Sì?”
“Sì!” ripetè Regina. “Sì, ci vengo molto volentieri!” disse convinta.
Poi si sciolse in un grande sorriso che venne ricambiato da uno ancora più grande da parte di Emma.
“Bene! Direi che possiamo vederci domani pomeriggio al…al molo, okay?”
“Al molo?” disse confusa, l’altra.
“Non so dove sia il posto ma mi hanno detto che è lì vicino.”
“Oh! E’ vero! Non c’è problema, allora al molo.” ripetè Regina.
“Ottimo! A che ora?”
“Alle tre?”
“Perfetto! A domani allora.”
Stava per andarsene quando Regina si voltò e la guardò con espressione di sfida.
“Deve ancora farmi cambiare idea sull’amore.”
Emma annuì.
“Troveremo un modo.”
 
Arrivata a casa, Regina si maledisse mentalmente.
L’indomani avrebbe ripreso gli allenamenti per rientrare in squadra.
Come aveva potuto dimenticarli.
Erano alle dieci di mattina, ma sapeva bene che tendevano a protrarsi per tutta la giornata.
Sperò comunque di aver finito entro le tre.
Non chiamò Emma per disdire la loro uscita: era ben determinata a farcela.



Il giorno dopo:
Le due in punto.

Regina guardò nervosa l’orologio.
Sperò che entro mezz’ora avessero finito.
 
Alle due e venti chiese il permesso per andare in bagno.
Si guardò bene allo specchio, consapevole che si stava comportando da idiota.
La Coach Tamara la richiamò in palestra e riprese ad allenarsi.
 
Due e trenta:
“Perché continui a fissare l’orologio?” chiese Zelena stupita.
“Non sono affari tuoi” ringhiò Regina di rimando.
 
Due e quaranta:
Sarebbe arrivata un po’ in ritardo.
Bastava inviare un sms.
“Ritardo dieci minuti.”
“AVANTI RAGAZZE! DAI CON QUEI PIEGAMENTI!”
 
Due e cinquanta:
Non sarebbe arrivata un po’ in ritardo.
Sarebbe arrivata con un mostruoso ritardo.
Sudata, arrabbiata, con la divisa, ma sarebbe arrivata.
Regina continuava a ripeterselo.
 
Tre:
Lo scoccare dell’ora fu come una martellata nello stomaco.
Emma era al molo in quel momento, o stava per arrivare.
La stava aspettnado.
“Regina! Non sei per niente presente!” continuava ad urlare la coach.
“Mi scusi.” Bofonchiò di rimando lei.
 
Tre e cinque:
“REGINA SMETTILA DI GUARDARE L’OROLOGIO!” Ringhiò Tamara.
Regina alzò lo sguardo attonita mentre tutte le compagne la fissavano.
Doveva salire in cima alla piramide e invece era ancora a terra.
Zelena scuoteva la testa.
 
Tre e sette:
“Coach, io ho un impegno!” disse infine disperata, Regina.
“Quando?”
“Ora…?”
“Rimandalo. Sapevi di questi allenamenti da martedì. Sei stata due mesi senza muoverti, quindi vedi di fare poche storie e metterti sotto.”
La ragazza rimase a bocca aperta.
 
Tre e dieci:
Regina non riusciva a non pensare ad Emma. Emma che in quel momento era sicuramente seduta su una panchina, cercandola con lo sguardo e non trovandola...
“Coach, la prego. Lunedì ci metterò il doppio dell’impegno.”
“Lascia che ti dica una cosa. Qui non ci sono compromessi. O ci sei, o sei fuori.”
 
Tre e undici:
Regina guardò un’ultima volta l’orologio.
La differenza tra scegliere ciò che è giusto e ciò che è facile.
“Io…io non posso farlo.” Esclamò semplicemente.
 
Dieci minuti dopo usciva dagli spogliatoi di corsa, coi capelli completamente fradici, tracce di sapone ancora un po' ovunque, i vestiti puliti addosso e la divisa nello zaino.
Sarebbe andata a quella dannata fiera, anche se le sarebbe costato caro.
Aveva chiuso con la squadra delle cheerleader.
 
Quando arrivò al molo, alle tre e quarantaquattro minuti, constatò che non c’era nessuno ad aspettarla.
Si fermò con una fitta tremenda alla pancia. Aveva guidato ai limiti dell’illegale e aveva corso fino a non avere più fiato.
Ma non c’era nessuno ad aspettarla.
“Merda.” Mormorò, accasciandosi su una panchina.
Davanti a lei il mare si stendeva sereno e imperturbabile e il sole picchiava caldo sulle travi della banchina. Nell'aria sentiva chiaramente l'odore dello zucchero filato e delle frittelle.
Non le procurò alcuna gioia.
Emma se n’era andata.
Doveva aspettarselo.
Quarantaquattro minuti di ritardo…
Le aveva mandato un messaggio ma non era bastato.
E aveva perso l’unica vera amica che avesse mai trovato.
Emma l’aveva aspettata e lei non era arrivata e l’idea la faceva stare così male che sentì la gola chiudersi.
“Ma alla buon’ora!” esclamò una voce seccata.
Regina si girò di scatto e rimase a bocca aperta.
“Dove diavolo eri! Mi sono preoccupata, pensavo ti fosse esplosa la macchina o qualcosa del genere!” Disse Emma camminando spedita verso di lei. Indossava un leggero vestito a fantasia, e sopra un cardigan.
E’ la prima volta che la vedo senza i jeans pensò distrattamente Regina.
Si alzò dalla panchina, incredula e felice come non lo era mai stata.
“Ma dov’era lei!? Sono arrivata e non c'era nessuno...Credevo che se ne fosse andata!”
“No. Ho ricevuto il tuo messaggio e ho immaginato che ci avresti messo un po’.”
“Ma poteva dirlo che non se n’era andata, mandarmi anche lei un messaggio. Io…ci sono rimasta male! Mi sono sentita in colpa.”
“E hai fatto bene a sentirti in colpa! Neanche io ero così ritardataria quando avevo la tua età, ed è tutto dire.” borbottò Emma aprendo la borsa e frugandoci dentro.
Regina continuava a guardarla costernata.
Era lì.
L’aveva aspettata.
“Ecco.” Disse poi Emma, tirando fuori un fagotto incartato “Questo è per te.” E glielo pose.
Ci fu un momento di silenzio nel quale Regina fissò il pacchettino assolutamente senza dire niente.
Non riusciva a formulare un pensiero.
“Cos’è?” chiese poi titubante.
“Aprilo ” disse Emma indicandolo. “Non è nulla di che, ma credo ti piacerà.”
E Regina lo aprì.
Scoppiò in una risata.
“Mele caramellate!”
Emma sorrise.
“Sono molto buone, ne ho presa una confezione anche per me, c’è il banchetto alla fine del molo.”
Regina la guardò felice.
“E’ il mio frutto preferito.”
“Lo so. Ti ho vista, le mangi spesso a merenda. Hai fame?”
“Da morire!” esclamò la mora, che dopo gli allenamenti e l’ansia e la corsa finale era letteralmente a pezzi.
Addentò il frutto e annuì.
“Quasi meglio di quelle del mio giardino.” Decretò.
Emma inarcò le sopracciglia.
“Sono così buone le mele del tuo giardino?”
“Un giorno gliele farò provare.”
“Ci conto.” Disse la bionda decisa.
Poi, per la seconda volta in pochi giorni, ma questa volta senza l’influsso dell’alcool, Regina la strinse in un abbraccio.
“Grazie.” Mormorò.
“Ti avevo detto che ti avrei fatto cambiare idea!” disse Emma, picchiettandole le spalle con la mano.
Regina rimase un momento immobile, cercando di capire cosa effettivamente implicasse quella frase.
Istintivamente si strinse di più a lei.
“Sull’amore?” chiese infine perplessa.
“In questo caso sull’amicizia.” Rispose Emma.
Regina riprese a respirare normalmente e si staccò, sorridendo.
“Allora andiamo?”
“Andiamo. Spero che questa fiera sia all’altezza della sua reputazione.”
 
 
Robert si stiracchiò indolenzito, e si adagiò meglio sulla panchina.
Belle, la testa sulle sue gambe e il resto del corpo spaparanzato sul legno, protestò lievemente: doveva avvisare prima di muoversi o rischiava di farla scivolare. Dopodiché riprese a leggere il suo nuovo acquisto. Aveva trovato una vecchia edizione del Maestro e Margherita che non vedeva l'ora di scartare.
“Non mi sono mai piaciuti gli autori russi. E' interessante?”
“Devo dire, sì.”
Davanti a loro la gente passeggiava con tranquillità, godendosi la primavera e l'atmosfera della fiera.
Il banchetto delle candele delle suore, poco lontano da lì, emanava un buon profumo di fiori e spezie.
Il sole era caldo ma non torrido e soffiava un leggero venticello.
Nel complesso, non avrebbero potuto chiedere una giornata migliore.
“Per la cronaca, è da circa dieci minuti che continua a vibrarti il cellulare.” Riprese Belle, la testa appoggiata sulle gambe di Robert.
“Lo so. Sto cercando di ignorarlo e godermi il pomeriggio.”
“Mi vibra la testa però.”
Lui sorrise lievemente e sfilò l’incriminato oggetto dalla tasca.
“Dunque?”
“E’ mia madre.”
“Tutto bene?”
“Sì io- lei vuole sapere cosa ho risposto a Yale.”
Belle spalancò gli occhi e si tirò su immediatamente.
“Ehi!” protestò Robert. “Torna qui!”
“Ti hanno scritto da Yale!?”
“Sì .”
“Quando?”
“Questa mattina.”
“E cosa ti hanno scritto!?”
“Che hanno letto la mia presentazione e…che sono interessati a me.” Disse semplicemente Gold, osservandosi le mani.
Belle aprì la bocca a vuoto e poi sorrise calorosamente.
“Ma è fantastico!”
“Immagino di sì!”
Lo osservò un momento.
“Non sembri felice.”
“Lo sono…beh, non ho ancora risposto ma lo farò. Mio padre pensava ad Harvard ma Yale è altrettanto buona ecco, perciò…immagino che andrò lì. Devo ancora fare il colloquio però, da quello dipende la loro decisione finale.”
Belle continuò a sorridere e gli afferrò la mano.
“C’è qualcosa che non va?” chiese poi, vedendo che non sembrava particolarmente entusiasta.
“No.” Mentì rapidamente Robert.
Un po’ troppo rapidamente.
“Lo sai che puoi-“
“Sì lo so.”
Non aggiunse più nulla e le fece segno di appoggiarsi nuovamente a lui. Gli piaceva averla vicina e poterla stringere o coccolare. Era il modo migliore che conosceva per farla sentire amata senza incespicarsi in discorsi al di fuori della sua portata.
“Tu cosa pensi di fare?” chiese Robert dopo qualche minuto di silenzio, guardando lontano, verso il molo.
“In che senso?”
“Nel senso…dopo il liceo.”
Belle puntò su di lui i suoi occhi azzurro cielo e si adagiò meglio sulle sue gambe.
“E’ questo il problema?”
“Cosa intendi?”
“Che…che non sai cosa farò io?”
“Sei proprio una piccola egocentrica se pensi di essere tu il problema!” la rimbeccò lui, gli angoli della bocca leggermente ricurvi.
“Conosco il mio valore!” asserì Belle pavoneggiandosi.
Si concessero una mezza risata.
“Allora, cosa farai?”
Belle girò la testa inquieta, osservando il passeggio. Dopodiché si rialzò nuovamente e si lasciò cadere contro lo schienale.
“Non lo so.” Mormorò poi.
“In che senso?”
“Nel senso che…non credo di avere i fondi necessari per potermi permettere di pagare la retta dell’università.” Ammise tristemente, sempre mantenendo lo sguardo ben lontano.
“Lo sai che lo Stato offre le borse di studio…”
“Ne offre poche e io sono una sola.”
“Potresti tentare. Ci sono un sacco di università buone che pagherebbero oro per avere qualcuno come te.”
Belle sorrise.
“Tipo? Che università?”
“Tipo…non lo so, la New Haven University.”
“E’…vicina a Yale?”
“Sì. E’ nella stessa città.”
Vi erano molte cose implicite in quella frase ed entrambi ne erano ben consapevoli.
Belle cercava di non pensare al fatto che entro due, o al massimo tre mesi, avrebbe salutato Robert. Che le loro strade si sarebbero divise, che lei sarebbe rimasta a Storybrooke a fare a fioraia e lui sarebbe diventato un avvocato, o un giornalista, un chimico o qualsiasi cosa volesse diventare.
Cercava di non pensare al fatto che probabilmente i loro futuri erano destinati a non incontrarsi più.
Belle voleva godersi il presente, le emozioni che provava in quel momento, senza preoccuparsi di cosa sarebbe accaduto.
Ma in quello che Robert le aveva appena detto c’era più che un semplice incoraggiamento: c’era una proposta di provare a condividere il loro futuro.
Di lasciare le loro strade libere di proseguire affiancate.
“Io- non volevo dire che devi pensare a New Heaven perché ci sono io.” Disse rapidamente Robert intuendo dove stava andando a parare il discorso. Si interruppe e poi riprese “Insomma, se vuoi andare in California o…o a Vancouver a me va bene. Cioè, non molto però…è una tua scelta. Solo che non vorrei vederti bloccata qui perché credo che tu abbia delle grandi possibilità. E non lo dico perché stiamo insieme ma perché sei…studiosa, ti impegni e sei intelligente; in genere queste cose si trovano raramente ed è ancora più raro trovarle tutte insieme nella stessa persona, non credi?”
Finalmente Belle si girò verso di lui. Senza dire nulla cercò istintivamente le sue labbra.
“New Haven è vicina a New York?” chiese poi, staccandosi lentamente.
“Neanche due ore in macchina.”
“Potrei davvero pensarci allora. Sembra una grande opportunità. Mi piacerebbe studiare vicino a New York.” Concluse lei.
“Davvero?” esclamò Robert felice.
“Sì. Insomma, io vorrei davvero andare all’università, ma…ho persino paura di parlarne a mio padre. Non voglio vederlo demoralizzato…e non voglio che sia costretto a dirmi di no…”
“Non dovrà farlo.” Disse precipitosamente Gold “Lunedì andiamo in segreteria a chiedere per le borse di studio. E mandiamo subito una lettera all’università con il tuo curriculum.”
A Belle non sfuggì il fatto che Robert avesse parlato al plurale.
Contenta come non lo era mai stata e piena di ottimismo, gli scoccò un ultimo bacio prima di accoccolarsi nuovamente sopra di lui.
 
 

 




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Song: Coming of Age - Foster the people

Salve dearies! 
E' con estrema fatica che finalmente riesco a pubblicare questo capitolone. Vi chiedo scusa per l'enormità ma c'erano un po' di cose da risolvere e non mi piaceva l'idea di spezzettare la cosa in due capitoli :)
Qualche nota:
Il padre di Cora...ho pensato di voler dare un'umanità a questo personaggio. Io personalmente l'ho sempre amata durante i vari episodi (un po' meno quando ha cercato di uccidere Rumple - DETTAGLI -), e avrei tanto voluto vedere un suo riscatto con Regina. Quindi penso di esplorare il suo personaggio prossimamente e il modo migliore mi pareva quello di darle una famiglia e...un passato. Vedremo come :3
La New Haven University esiste davvero ed è appunto, a New Haven, la cittadina dove si trova anche Yale (che dista esattamente un'ora e cinquantun minuti da New York in macchina). Devo ringraziare Glee per queste nozioni geografiche!
Ultima cosa, piccolissimo appunto, il Maestro e Margherita è un romanzo di Michail Bulgakov. L'ho appena finito e mi sento di consigliarlo a chiunque. Io in genere non amo gli scrittori russi, molto bravi ma un po' troppo micragnosi, ma questo è uno spettacolo di libro. Se vi manca, leggetelo!

PASSIAMO ALLE COSE FRIVOLE!
Finalmente ho finito la sessione e ho trovato il tempo di aggiornare Y A Y!
E che dire? I Rumbelle sono leggermente messi in disparte ma le SwanQueen avevano bisogno di un po' di spazio per loro. Ovviamente la fiera non è finita qui...ne sapremo qualcosa di più nel prossimo capitolo.
E niente eccome qua.
Ringrazio come sempre chi ha recensito e inserito la storia nelle varie categorie.
Ve amo.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolone, se ci sono parti OOC, se non va bene, se è troppo lungo o se ci sono troppi pochi dettagli del Rumbelle Sex (nda: sì, ci stanno dando dentro come coniglietti e sì, mi piacerebbe scrivere smut ma NON ACCADRA' MAI).
Un bacio a tutti quanti!
:)
Seasonsoflove

PS: In aggiornamento anche le altre FF al più presto :D 

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Capitolo 26
*** More than words. ***


How easy it would be to show me how you feel
More than words is all you have to do to make it real
Then you wouldn't have to say that you love me
Cos I'd already know


Quando Regina rincasò la sera, spensierata come non lo era da mesi, come primissima cosa decise di scrivere a Tink.
Salutò suo padre che stava spadellando in cucina e salì i gradini delle scale che portavano alla sua camera.
Non aveva idea di cosa scrivere all’amica, ma sentiva in qualche modo di doverle dare delle spiegazioni.
Il problema era che le due ragazze si erano viste alla fiera.
Tink era con Ariel e lei, Regina, con Emma.
Le due avevano sgranato gli occhi mentre la professoressa le aveva salutate con nonchalance. Regina sapeva come andavano le cose a Storybrooke, gli abitanti erano pochi ma le chiacchiere molte: era meglio mettere le mani avanti.
Accese il computer. Poi ci ripensò ed afferrò il cellulare.
 
Il cellulare di Tink squillò esattamente mentre lei stava strillando con sua sorella per un paio di calzini spariti nel nulla.
“Non finisce qui! Lo so che li hai presi te!” sbraitò contro il muro.
Dopodiché afferrò il cellulare con rabbia e rispose.
“Chi è?”
“Tink?”
La ragazza non disse niente per un secondo, cercando di ricollegare quella voce alla relativa proprietaria.
“Regina?”
“Sì.”
“Oh! Ciao!”
“Ciao…tutto bene?”
“Sì io…scusa se ho risposto male, litigavo con mia sorella.”
Regina tacque un momento, pensierosa.
Tink ruppe il silenzio: “Allora com’è andata oggi alla fiera?”
“Tutto bene! E te? Sai, ti ho chiamata per sapere se…hai chiarito con Ariel. Sai…dato che quando ci siamo viste mi hai accennato che avevate avuto qualche problema…” Mentì velocemente.
“Oh! Beh…sì, circa. Insomma…”
“Sì?”
Tink esitò, ripensando al pomeriggio appena passato.
 
“Quindi sono andata dalla Blanchard a chiedere per le borse di studio. E lei mi ha mandato dalla Swan, che però mi ha detto di non avere i moduli e mi ha rimandato dalla Blanchard. Sono abbastanza disgustata per l'organizzazione della nostra scuola.”
Concluse Tink sdegnosa.
All’improvviso, Ariel scoppiò a ridere.
“Beh?” chiese l’altra stupita.
“Scusami” disse rapidamente Ariel, mettendo via il cellulare. “Giuro che ti stavo ascoltando, parlavi delle borse di studio.”
Tink inarcò le sopracciglia.
“E’ che Killian mi ha mandato una foto.” Ammise la rossa, sorridendo colpevole.
L’amica si bloccò improvvisamente, mordendosi la lingua per evitare di ribattere qualcosa di pungente.
“Vuoi vederla?” domandò Ariel con un’espressione impaziente.
“Se proprio devo…”
E così prese il cellulare.
“Dimmi che stai scherzando.” Esclamò Tink osservando lo schermo.
“Beh…non è male, vero?”
La bionda fissò ancora un momento lo schermo, poi il suo sguardo si posò sull’amica.
“E’ di un cattivo gusto allucinante!” dichiarò infine, scioccata.
Ariel ridacchiò.
“Ma no! E’ uno scherzo…”
“Ti ha mandato una sua foto in mutande! E’…semplicemente orribile!”
“Ma me l’ha mandata per ridere!”
“Non c’è nulla da ridere!” abbaiò Tink “E’ cattivo gusto ed è anche irrispettosa!”
Ariel sgranò gli occhi e arretrò.
“Tink, sei arrabbiata?”
“No! Sono costernata dal fatto che tu ti lasci fregare in questo modo!”
“Fregare?”

“Jones vuole solo portarti a letto! E usa questi…queste cose che lui chiama scherzi, li usa come pretesto! E’ un atteggiamento profondamente maschilista! Non gliene frega niente di te. Credimi. Fa così ma…mira ad altre cose. E non è sincero, io…io so che lui esce con altre ragazze. O per lo meno, gli interessano anche altre ragazze.” disse Tink tutto d’un fiato, non riuscendo a trattenersi.
Continuava a ripensare alla sera a casa sua. Non si erano più parlati da allora ma a quanto pare, Killian aveva semplicemente proseguito per la sua strada.
“Beh, lo so. Ma io e lui non abbiamo una relazione esclusiva. Insomma, non è una vera relazione e non voglio neanche spingermi tanto in là con lui…voglio solo godermi la vita. ” Spiegò Ariel, cercando di tranquillizzarla.
“Beh, invece dovresti pensarci bene! Questa cosa che fate…che lui fa…è dannosa!”
“Tink, calma! E’ solo una foto!”
“No! E’ una mancanza di rispetto! Nei tuoi confronti e nei confronti della altre ragazze con cui si vede!” esclamò lei arrabbiata.
“Ma insomma! Se a loro sta bene e-“
“A loro non sta bene.” Troncò Tink.
Ariel rimase immobile a fissarla, in una mano il cellulare, nell’altra il gelato che stavano mangiando prima, ormai quasi sciolto.
“Tink…?”
“Lascia stare. E’ una giornataccia per me. Scusa se ho sbottato.” Tagliò corto l’altra.
 
“Bene…mi…mi fa piacere che abbiate parlato!” disse Regina.
Sembrava a disagio per qualcosa.
“Già…”
Tink rimase in silenzio per qualche secondo.
“Tu…insomma…come mai sei andata alla fiera con la Swan?”
“No, non sono andata con lei…ero lì con mio padre e ho beccato la Swan. Allora abbiamo chiacchierato, le ho chiesto un po’ di cose sulle università…sai niente di che.”
La biondina tacque, fissando lo schermo del suo pc, pensierosa.
Avrebbe anche potuto crederci se non le avesse già viste insieme a San Valentino.
“Ho capito.” Disse infine. Pensò che forse era il caso di non fare troppe domande invadenti.
“Sì, comunque avevo chiamato per questo.” Spiegò Regina “Tra le varie cose, la Swan mi ha detto che la settimana prossima potrebbe fare un test a sorpresa. Insomma, non dovrei dirtelo ma…mi sembrava corretto visto che sei stata gentile con me.”
“Davvero?”
“Sì…quindi…stai attenta!”
La conversazione si concluse. Appena spento il cellulare, Tink si buttò sul letto e rifletté sulla giornata.
 
Non troppo lontano da casa sua, Regina era anch’ella sdraiata e fissava il soffitto.
Aveva fatto bene a mentire a Tink, pensò.
Insomma, non che ci fosse nulla di male nell’uscire con una professoressa, ma non le piaceva che la gente parlasse e soprattutto non le piaceva la gente.
Non voleva semplicemente che iniziassero a girare strane voci sul loro conto. Soprattutto non voleva che qualcuno pensasse che i suoi buoni voti in psicologia erano frutto della sua amicizia con Emma.
Sospirò e abbracciò il cuscino, affondandoci dentro la testa.
Sorrise ripensando a quel pomeriggio.
Emma era stata davvero gentile con lei, le due si erano divertite molto, senza contare che la professoressa aveva anche vinto un pesce rosso ad uno di quegli stupidi giochi a premi.
 
“Me lo porterò nella mia nuova casa.” aveva asserito pensierosa, fissando la creaturina dibattersi nel sacchettino pieno d’acqua.
“Nuova casa?”
“Sì…ho pensato che vorrei prendermi un appartamento mio. Senza i miei genitori, sai.”
“Buona idea. Piacerebbe anche a me.”

 
E poi avevano parlato del più e del meno.
Regina le aveva raccontato alcune cose di Storybrooke, alcune curiosità sui luoghi della città, sulle persone…
Era stato decisamente un magnifico pomeriggio.
Il punto è che ogni cosa con Emma Swan diventava meravigliosa. Non in un modo eclatante ma con estrema semplicità.
E più ci pensava, più Regina si rendeva conto di avere bisogno di Emma nella sua vita.
“Non la lascerò andare. Non la ferirò come faccio sempre con tutte le persone.” Mormorò sottovoce, fissando il soffitto.
Si sarebbe impegnata a mantenere vivo il loro rapporto, a qualunque costo.
 

“Allora…ci vediamo lunedì.” Concluse Robert, sorridendo felice.
Lui e Belle erano appoggiati ad un grande albero, poco lontano da casa French. Si erano goduti la fiera, avevano la pancia piena e le tasche decisamente più vuote, ma erano di ottimo umore.
Belle non si ricordava di aver mai passato in vita sua, un pomeriggio così piacevole.
Se fosse dipeso da lei avrebbe passato anche il resto della serata insieme a Robert, ma un seccatissimo messaggio di suo padre le aveva ricordato che aveva promesso di tornare a casa per le sette, così da poter cenare insieme e dedicarsi al fatidico sabato sera in famiglia (che consisteva nel vedere un film insieme, una tradizione che si protraeva da anni ed anni, da prima che la mamma di Belle morisse).
“Ci vediamo lunedì!” rispose semplicemente Belle.
Gli passò le braccia intorno al collo e lo baciò con slancio.
Quando si staccarono rimasero un momento immobili, fronte contro fronte, ad occhi chiusi.
“Questa sera ti mando quei file per il college, va bene?” disse infine Robert.
“Okay. Ci sentiamo dopo.” Gli scoccò un ultimo bacio e velocemente si avviò verso casa. Si girò ad un certo punto e lo salutò allegramente con la mano mentre lui camminava verso il centro della città.  
A quel punto, Belle entrò in casa chiudendosi la porta alle spalle, cercando di fare il meno rumore possibile.
Fu inutile.
Suo padre si materializzò nell’ingresso con le braccia incrociate ed un’espressione vagamente truce.
“Ciao papà.”
“Buonasera signorina.” La salutò solennemente.
“So che avrei dovuto chiamare perché ho ritardato ma-“
“Ma eri fuori con Gold.” Concluse Moe per lei.
Belle alzò gli occhi al cielo, appoggiò la borsa, la giacca e si avviò in soggiorno.
“E’ inutile che fai il burbero, Robert ti sta simpatico.” Disse poi, sistemando alcuni mazzi di fiori appassiti.
“Non lo conosco. Ma mi sembra che ti renda felice.” Ammise Moe borbottando.
Belle si girò e sorrise.
“E’ così!”
“Però non mi piacciono questi ritardi!” esclamò l’uomo severamente.
“Lo so. Non succederà più.”
Passarono alcuni minuti in silenzio, poi…
“Tu e lui sembrate piuttosto uniti.” Ricominciò il signor French, apparecchiando la tavola.
La ragazza ridacchiò.
“Più o meno…”
Sembrava che Moe volesse dire qualcosa ma non trovasse le parole. Si guardava intorno a disagio e si torceva le mani.
“Papà?” chiese Belle perplessa.
“Va bene. Cercavo un modo migliore per dirlo, ma non c’è. Insomma…avrei voluto…Colette avrebbe saputo cosa fare, ecco.” Concluse fissando il pavimento.
Belle non disse nulla. Di rado suo padre nominava sua madre e succedeva solo in casi molto gravi.
“Papà, cosa succede?”
“No, niente di grave. Ma insomma, è una cosa che avrei preferito non fare…ecco…io…spero che tu sappia quello che fai. Con lui, intendo.” Disse, sempre evitando lo sguardo della figlia, concentrandosi su una pila di piatti.
Belle si sentì gelare.
Aveva una vaghissima idea di dove potesse andare a parare il discorso.
“Sì papà. Insomma, so che non devo perdere di vista gli obiettivi come lo studio e il lavoro, non diventerò una di quelle ragazzine innamorate che pensano solo al loro fidanzato e non diventerò mai come Bella Swan di Twilight.” Disse infine. Forse poteva ancora sviare il discorso.
Suo padre la guardò con orgoglio.
“Lo so. Non dubiterei mai di te.”
Belle tirò un sospiro di sollievo. Forse…
“Ma…c’è un’altra cosa.”
Il suo cuore perse un battito.
“Senti Belle, immagino che tu sia abbastanza cresciuta da sapere cosa succede tra…tra due persone quando si vogliono bene. E volevo solo dirti che devi essere molto cauta perché-“
“Papà.”
Belle lo fissava con gli occhi sgranati e la faccia bollente.
“Lo so, lo so, ma insomma, è anche mia responsabilità e questi ragazzi di oggi…ecco…non posso sapere se lui sa come si fanno queste cose. E credimi, queste cose vanno fatte come si deve, inoltre ho letto su internet, in un forum di genitori, che esistono alcune precauzioni che-“
“Papà.” Ripeté Belle.
“Belle!” esclamò lui impotente, allargando le braccia disperato.
Nessuno disse niente e i due si limitarono a fissarsi.
“Non ascolterò questo discorso. Non lo farò. E’ troppo imbarazzante. Non se ne parla neanche.”
“Ma…”
“No!”
Belle si tappò le orecchie ed iniziò a cantare forte.
Vide suo padre che apriva la bocca a vuoto e le fece una gran tenerezza. Così disse:
“Ho diciotto anni. So…cosa devo fare. Okay? Per favore, non preoccuparti, sono seria. Davvero…io…apprezzo lo sforzo ma…no.”
Suo padre sorrise debolmente.
“Allora…mi fido?”
“Fidati.”
Dopo qualche minuto di silenzio nel quale finirono di apparecchiare, entrambi scoppiarono in una risata liberatoria.
 

I giorni seguenti, a scuola, Belle ebbe modo di notare che Tink ed Ariel sembravano in qualche modo…distanti.
Non era palese, era solo una sensazione di freddezza generale, soprattutto da parte della biondina.
Fu chiaro un giovedì pomeriggio, mentre Belle, Tink, Ariel e Regina erano sedute in biblioteca a ripassare letteratura.
Ariel si alzò all’improvviso, tenendo ben stretto il cellulare ed annunciò che aveva voglia di prendere una boccata d’aria.
Tink alzò gli occhi al cielo mentre l’amica lasciava la stanza.
Belle osservò la scena in silenzio, ben conscia che anche Regina era perplessa.
“Vado a prendermi qualcosa da bere.” Annunciò poco dopo Tink.
Così Belle e Regina rimasero sole, imbarazzate per la situazione e per i loro trascorsi.
La biblioteca era silenziosa, a parte il rumore delle loro penne che grattavano contro la superficie ruvida della carta.
Regina ripensò brevemente al sabato pomeriggio.
 
“Toglimi una curiosità, tu e Belle siete amiche, ora?”
“Non proprio.”
Emma aggrottò la fronte.
“Non le hai ancora chiesto scusa!?”
Regina le lanciò un breve sguardo di sbieco, dopodiché riprese a mangiare la sua mela caramellata, ignorando la domanda.
“Allora?” Emma non si dava per vinta.
“Non ufficialmente.” Ammise Regina, fissando una bancarella lì vicino, ipnotizzata dalle luci colorate.
“E cosa aspetti?”
“Sa, in realtà…io non credo di doverle delle scuse. Insomma, anche lei spesso è stata poco carina nei miei confronti e mi ha rubato il ragazzo quindi secondo me siamo pari…”
Emma inarcò le sopracciglia e le parole di Regina svanirono nel nulla.
“Va bene, le chiederò scusa.” Sbottò infine.
 
“Belle?” iniziò Regina titubante.
La ragazza alzò lo sguardo dai suoi fogli, stupita.
“Sì?”
L’altra rimase in silenzio. Non aveva idea di come fare. Né da dove cominciare.
“Come va con…Robert?” chiese infine.
Belle la fissò costernata.
“Perché me lo chiedi?”
“Ma no, niente…” arrossì leggermente, capendo di aver iniziato con la frase sbagliata.
Belle continuava a guardarla con i suoi occhi celesti. La sua espressione era indecifrabile.
“Senti Belle, mi dispiace. Davvero. Okay? Per…tutto quanto. Non avrei dovuto trattarti così. Perciò…scusa.” borbottò infine Regina, non riuscendo più a sostenere il peso di quello sguardo.
Vide Belle mordicchiarsi le labbra e rimanere immobile. Sembrava sul punto di ribattere qualcosa.
Infine scrollò le spalle e annuì brevemente.
“Tra me e Robert va tutto bene.” Disse poi.
Regina sorrise debolmente.
Dopo qualche minuto…
“Cosa…credi che stia succedendo tra Ariel e Tink?” domandò improvvisamente Belle.
Regina si guardò intorno con circospezione, per assicurarsi che non ci fossero orecchie indiscrete intorno a loro.
“Credo che sia per via di Jones…”
E così le raccontò cos’era successo tra Tink e Killian a casa Glocke, durante la festa di due settimane prima.
 
“Sento che mi stai nascondendo qualcosa.” Iniziò Tink senza preavviso, sbattendo come al solito una pila di libri sul tavolo e facendo sobbalzare Belle.
Erano quasi le sei e Regina se n’era andata da circa mezz’oretta.
“Quando ti ho chiesto di non farmi spaventare all'improvviso e-“
“Cosa mi nascondi?”
Belle la guardò esterrefatta.
“Cosa vuoi che ti nasconda?”
“Non lo so. Ma percepisco qualcosa di diverso in te.”
“Ho smesso di mettere gli occhiali da vista se è questo che intendi…ora indosso le lenti!”
Tink la squadrò da capo a piedi.
“No. Non è quello.”
L’altra alzò le spalle in segno di resa e riprese a sottolineare le pagine di un enorme volume di storia.
“Allora?” riprese Tink.
“Non so cosa vuoi sentirti dire!”
“Tu e Gold sembrate molto uniti.”
Belle si fermò e provo uno strano senso di orrore: aveva la chiara sensazione che stesse per arrivare un altro discorso memorabile, dopo quello con suo padre.
La frase iniziale era esattamente la stessa, sembrava che i due si fossero messi d’accordo.
“Stiamo insieme.”
“Questo l’avevo intuito…da circa due mesi.” Replicò la biondina sorridendo.
“Bene! Quindi non c’è nulla di segreto!” disse Belle, fingendo una noncuranza che veniva tradita però dallo sguardo sfuggevole. Riprese a fissare il libro.
Seguì un momento di silenzio.
“Io penso che tu e Robert facciate sesso. Il mio sessometro quando vi vedo è alle stelle.” Dichiarò poi solennemente Tink.
“Scusa se te lo chiedo, ma cos’è un sessometro?”
“E’ il mio infallibile intuito quando vedo due persone e capisco o meno se vanno a letto insieme. Allora? Ho indovinato? Comunque anche Ariel lo pensa.”
Belle respirò a fondo. Proprio come temeva.
“Dunque tu ed Ariel siete tornate amiche!?”
“Non è questo il punto del discorso.”
“Invece sì, se avete tutto questo tempo per parlare della mia vita ses-“
“Allora?” incalzò Tink.
L’altra non rispose. Poi chiuse il libro di scatto e guardò nervosamente l’amica.
“Può essere.”
“A-HA! LO SAPEVO CHE C’ERA ARIA DI SESSO!” Urlò l’altra trionfante, battendo il pugno sul tavolo.
“SSSSSH” Le sussurrò Belle furiosa.
“Ma dai! E quando è successo la prima volta? Lo sai che devi raccontarmi tutto adesso, vero? Nei minimi dettagli!”
“Non ti racconterò niente, non sono affari che-“
“Oh piantala, non fare la bigotta. Allora, dimmi: quando?”
Belle represse l’istinto di strozzarla. Era così entusiasta, la fissava sorridendo con gli occhi spalancati, sembrava che non percepisse minimamente il suo disagio.
Al diavolo pensò infine.
“La settimana scorsa.” Disse infine. Decise di rimanere sul vago.
“Dove?”
“A casa sua.” Mentì precipitosamente Belle.
“E?”
“E cosa?”
“Com’è stato?”
“Ma perché ti interessa tanto!?”
“Rispondimi!”
“No!”
“Allora è stata una vera schifezza.” Concluse Tink perfidamente.
“Fottiti!” esclamò Belle rabbiosa “Se vuoi proprio saperlo, è stato fantastico. Lui e tutto quanto.”
La biondina spalancò la bocca, rimase immobile un momento e poi esultò.
“Ci sa fare!?” chiese poi riprendendo tamburellare le dita sul tavolo.
“Cosa ti importa!?”
“Allora?!”
“Io non- sì, immagino di sì. Mi è piaciuto. Non so se secondo i tuoi canoni ci sappia fare ma-“
“Quanto è dotato?”
“SEI SENZA PUDORE.”
“Dammi un’indicazione, dai un indizio, il fatto è che non è molto alto, però ha i piedi grandi, perciò non so cosa pensare…Allora? Com’è messo?”
“Basta!”
“Allora non è messo bene.”
“Spiegami perché, se decido giustamente di non rispondere, pensi subito al peggio!?”
“Perché è così. Allora, rispondimi.”
“Senti, io non lo so, dai! Non…non ho termini di paragone. Normale immagino, ecco, mi sembrava che andasse bene e…” la sua voce si spense in un balbettio incomprensibile.
“Non gli hai chiesto i centimetri esatti?”
Belle sgranò gli occhi. Dopodiché afferrò la sua borsa e fece per alzarsi mentre l’altra ancora la supplicava di avere altri dettagli.
“Non starò al tuo perverso gioco un momento di più!” esclamò poi indignata.
“Ancora una cosa, dimmi solo questo, cosa avete fatto?”
Belle rimase immobile, non credendo alle proprie orecchie.
“Cosa diavolo intendi!?”
“Cos’avete fatto, sai…insomma…” fece un gesto eloquente.
“Quello che una normale coppia fa a letto, suppongo.” Rispose scocciata.
“No, tu non capisci, io ho bisogno dei dettagli! Non puoi lasciarmi così sulle spine!”
“Tu l’hai mai fatto?” le chiese Belle a bruciapelo.
La domanda lasciò l’altra completamente spiazzata.
“Cosa c’entra ora?”
“Tu rispondimi. L’hai mai fatto?”
Tink esitò.
“Con un ragazzo intendi?”
Belle inarcò le sopracciglia.
“Con chi altro dovresti averlo fatto?”
“No, nessuno, insomma, non sono domande da fare!” esclamò precipitosamente Tink, pensando fugacemente alla nottata con Regina.
“Dunque?”
“Dunque ti risponderò se tu mi darai qualche dettaglio.”
Belle strinse gli occhi con sospetto: quello sembrava proprio un ricatto. Valutò e soppesò le sue opzioni.
“No, niente da fare. Tieniti i tuoi segreti. Vado a prendermi un tè.” Disse infine. Si alzò ed uscì teatralmente dall’aula studio, lasciando l’amica piuttosto imbarazzata e a bocca asciutta.
 
La settimana passò in una relativa tranquillità.
Le cose tra Belle e Regina non si erano completamente sistemate ma almeno le due ragazze erano ora in grado di salutarsi senza irrigidirsi ed iniziare a guardare altrove. Il rapporto tra Ariel e Tink era statico.
Robert e Belle passavano degli interessanti quanto produttivi pomeriggi a casa di uno o dell’altra, a seconda della disponibilità.
Emma aveva chiamato Peter Gold e si era informata riguardo all’appartamento in centro: avevano fissato un incontro. Ora doveva solo trovare un modo di comunicarlo ai suoi genitori.
In tutto ciò, Killian era riuscito a prendere un’altra E in matematica e in letteratura.
 
Venerdì mattina, Belle si alzò.
Suo padre era già uscito (non senza lasciarle il tè già pronto nel bollitore). Così, mentre faceva colazione, la ragazza approfittò della calma regnante in casa sua per controllare le email.
Il suo cuore fece un triplo salto mortale quando vide che l’ultima email, appena arrivata, era stata inviata da una certa New Haven University.


“Belle!”
La voce di Robert le giunse forte e chiara, facendo fare al suo cuore una tripla capriola.
Si girò sorridente mentre il ragazzo le correva incontro, leggermente spettinato ma molto contento.
La strinse forte e le baciò la fronte.
“Ciao.” Mormorò Belle contro la sua spalla.
“Come stai?” chiese poi lui, staccandosi e prendendole le mani.
Belle gli scoccò un bacio veloce.
“Bene!” rispose. Poi ripensò alla lettera, a quella stupida, dannatissima email e si sentì male.
“Sì?”
“Sì.”
“Hai ricevuto notizie dall’università? Aspetta, andiamo verso l’aula e intanto raccontami.”
I due si incamminarono insieme, mentre Robert le cingeva dolcemente le spalle.
“Io…non ho ancora ricevuto niente.” Mentì infine Belle.
“Oh.” Robert parve un attimo deluso ma si riprese immediatamente “Ci vorrà un po’. Molte università ci mettono del tempo a rispondere a tutte le richieste!”
“Sì.” Confermò Belle, leggermente a disagio.
Non le piaceva mentire.
Non le piaceva per niente.
Ma la verità è che la sua email era arrivata. E la risposta era positiva.
L’unico problema era la cifra, stampata nero su bianco, su quel pezzo di carta.
Una cifra esageratamente alta.

“Mi è arrivata la risposta da New Haven” esordì Belle senza preamboli.
Tink alzò gli occhi dai suoi libri e aprì la bocca.
“Oddio. Veramente?”
Belle confermò.
“E…?” chiese la biondina titubante.
L’amica esitò. Si guardò intorno. Ognuno sembrava impegnato in qualche occupazione prima dell’inizio delle lezioni.
Si sedette.
“Sono interessati a me.” Rispose infine Belle.
Tink battè le mani e strinse i pugni in aria.
“Lo sapevo!”
Belle sorrise tristemente.
“Già.”
“Aspetta. Però non ti vedo contenta. C’è qualcosa che non va?”
L’altra non rispose.
“L’hai detto a Robert?”
L’unica risposta che ricevette fu il brusio di sottofondo nell’aula.
"Cosa c'è?"
“Io…faccio prima a mostrartelo.” Dichiarò poi Belle tenendo lo sguardo ben basso.
Aprì la borsa e afferrò la lettera stampata, dopodichè la consegnò a Tink che la aprì con estrema malagrazia ed impazienza.
“Beh?” disse dopo un po’ “Io qui leggo solo buone notizie! Tra parentesi, non è vero che hai fatto nuoto! Hai aggiunto attività extracurricolari false! Ti ho vista in piscina, sembri un cane paralitico in acqua!” protestò Tink.
“Ho fatto due anni di nuoto alle elementari ma non è questo il punto. Leggi…leggi cosa c’è scritto nelle informazioni.”
“Continuo a non capire.”
Belle sospirò. Già era umiliante, in più doveva anche farlo notare…
“La tassa d’iscrizione.”
La biondina lesse il numero stampato e capì.
Appoggiò la lettera sul banco e incrociò le braccia.
“Non puoi farti già buttare giù. Ci sono ancora le borse di studio in ballo!” esclamò poi.
Belle alzò le spalle.
“Sono una. Le borse di studio sono pochissime…non vincerò mai.”
“No di certo, se inizi così! Dov’è finita la Belle combattiva che conosco?”
Lei non rispose ma si limitò ad appoggiare la testa sul banco.
“E’ andata in vacanza.”
Tink appoggiò anch’ella la testa sul banco e la guardò di sbieco.
“Ce la farai. Tu non sei una che si arrende facilmente.”
“Lo so…è che mi sento davvero demoralizzata.” Ammise Belle, sotterrando il viso tra le braccia.
“Andrà tutto bene!”
In quel momento entrò la professoressa di filosofia.
“Non dire niente a Robert, per favore. Lui ancora non lo sa.” Sussurrò Belle, prima di concentrarsi sulla lezione.
Tink annuì.
 
“Tink mi ha detto che ti è arrivata la risposta!” esclamò Robert, raggiungendola, mentre camminava spedita appena fuori da scuola.
Belle si girò e lo guardò esasperata.
“Ma è possibile che in questa città nessuno sappia tenere la bocca chiusa!?”
“Allora!? E’ così!? Perché non me l’hai detto!?”
“Calmati!” disse Belle appoggiandogli una mano sulla spalla.
“Sono perfettamente calmo!” ribatté lui.
“Non è vero. Ti conosco e so che quando sei arrabbiato…allarghi le narici e hai quell’espressione tirata.”
“Quale espressione tirata!?”
“Quella che hai adesso!”
Lui si grattò la testa perplesso e batté le palpebre un paio di volte.
“Sì, forse sono un po’ agitato.” Ammise. “Ma tu non mi hai detto nulla!” riprese poi con enfasi “E insomma, sai quanto ci tengo e-“
“Mi hanno presa. Cioè, hanno detto che sono interessati a me.” Disse Belle con voce piatta.
Robert spalancò la bocca a vuoto, dopodiché la abbracciò forte e le scoccò un bacio sulla guancia.
“Lo sapevo!”
Lei ricambiò l’abbraccio con un velo di tristezza.
“Beh? Sei contenta?”
Belle non rispose.
Il ragazzo si staccò e le prese le mani, osservandola.
“C’è qualcosa che non va?”
“No…io…sono felice.” Mentì lei senza convinzione.
“Belle…?”
“Va tutto bene.” Ripeté con forza, togliendo le mani dalle sue e portandole alla borsa.
Robert fece per dire qualcosa ma Belle lo interruppe.
“Possiamo lasciare perdere il discorso, almeno per oggi?”
“No!” esclamò Robert costernato “Cosa succede? Dovresti essere felicissima e invece-“
“Non voglio parlarne. Sai come sono fatta e se non ho voglia di parlarne dovresti rispettarmi.” Esclamò secca Belle che iniziava a scaldarsi.
“Invece ne parliamo! Belle, è una cosa importante! Non puoi semplicemente lasciami così senza spiegazioni!”
La ragazza respirò a fondo, dopodiché afferrò il foglio che aveva stampato e glielo ficcò in mano con malagrazia.
“Leggi.”
Robert annuì e lesse.
“Non capisco dove sia il problema.” Dichiarò infine. “Dicono chiaramente che sono interessati a te e-“
“Hai letto le informazioni sull’università?”
Lui tacque.
“In particolare alla rata.”
“Beh no, ma insomma, ho dato un’occhiata di sfuggita e-“
“Giusto. Tu ai soldi dai un’occhiata di sfuggita, tanto ne hai quanti bastano.” Sentenziò Belle ironica.
Gold cercò di rispondere ma lei fu più rapida.
“Beh, la tassa d’iscrizione è di duemila dollari. La quota annuale è ancora più alta. Io quei soldi non ce li ho.”
Robert la fissò con tanto d’occhi.
“Le borse di studio! Ricordi!?” disse poi.
Lei scoppiò a ridere.
“A volte mi stupisco della tua ingenuità. Quante possibilità ho di vincere una borsa di studio!? Sai quanti studenti ci saranno che fanno richiesta!?”
“Belle ma devi almeno provare, ne va del tuo futuro!” esclamò il ragazzo.
Non riusciva a credere alle proprie orecchie.
Non aveva mai visto Belle tanto disillusa e demoralizzata.
“Non ho voglia di prendere una batosta!”
“Avevamo detto che ci avresti provato!”
“Ti interessa tanto che io venga presa, come mai?” chiese lei con tono di voce pungente.
“Cosa intendi dire? Ovvio che mi interessa, sei la mia ragazza!”
Iniziava a scaldarsi e la situazione era leggermente fuori controllo.
“Per questo vuoi che venga a New Heaven. Così potremo stare insieme, no?”
“Sì, anche ma-“
“Beh non funziona così!” concluse Belle rabbiosa “Non posso…fare miracoli solo perché così tu sarai tranquillo di avermi vicina a te! E’ molto egoista da parte tua!”
Robert rimase immobile.
“Io…voglio solo che tu abbia una possibilità.” Mormorò infine.
“E io non voglio prosciugare i conti di mio padre per questa storia!” ribatté lei concitata.
“Belle, almeno…proviamoci!”
Cercò di prenderle la mano ma lei si tirò indietro.
“Lasciami in pace, Robert, ti prego. Almeno…per oggi. Ho bisogno di stare un po’ da sola.” Sussurrò Belle, evitando il suo sguardo.
Gold ebbe l’impressione che le venisse da piangere. Si sentì improvvisamente impotente ed inutile. Avrebbe solo voluto abbracciarla e dirle che avrebbe pagato tutte le rate di tutte le università del mondo per lei, ma sapeva bene che avrebbe solo peggiorato la situazione.
Così annuì brevemente e rimase fermo in mezzo al cortile della scuola, guardando la sua ragazza che si allontanava con le spalle curve e la testa bassa.
 
Regina era seduta nella caffetteria della scuola.
Leggeva pensierosa un messaggio appena arrivatole da suo padre: sua madre era appena tornata a Storybrooke e quella sera avrebbero cenato tutti insieme.
“Che muso lungo!” Una voce improvvisamente la richiamò alla realtà.
Lei sorrise.
“Professoressa Swan.”
Emma era in piedi di fronte a lei, in mano un grosso bicchierone di caffè.
“Lo beve tutto?” chiese poi Regina, leggermente perplessa.
“Sì…io…non sto dormendo molto in questi giorni.” Asserì l’altra.
Dopodiché prese posto di fronte alla studentessa.
“Come mai?”
“Mi sto organizzando per il trasloco e…c’è un po’ di movimento in casa. Soprattutto coi miei genitori.”
Regina annuì brevemente.
“Capisco. Mia madre è tornata comunque. Ho ricevuto un messaggio ora…”
Emma ghignò.
“Ci aspettano delle belle giornate eh?”
“Proprio. Non vedo l’ora. Almeno lei però si trasferisce…”
“Le cose potrebbero rivelarsi più complicate del previsto.”
Regina aggrottò le sopracciglia.
“Come mai?”
“Peter Gold mi affitta l’appartamento…non è un uomo facile.” Disse semplicemente Emma.
La verità era che stavano ancora contrattando per quel dannato prezzo.
“Ah. Già, ho presente il tipo.”
“Davvero?”
“Sa com’è…stavo col figlio.”
Emma sorrise amaramente.
“Giusto.”
Finirono i loro caffè.
“Bene, matematica mi aspetta.” Dichiarò poi Regina solennemente, alzandosi.
“Oh. Anche io vado al secondo piano.”
Una volta di fronte all’aula, le due si guardarono, poi Regina si illuminò.
“Quasi dimenticavo…ho parlato con Belle!” esclamò.
“A-ha! Lo sapevo! E?”
La mora sorrise leggermente e alzò le spalle soddisfatta.
“Tutto a posto.”
“Bene. Sono felice.”
Regina esitò, dopodiché incrociò le braccia e chiese:
“Posso sapere perché…perché si interessa tanto di come sto?”
Emma rimase un momento in silenzio.
Quella era una domanda molto interessante.
Una domanda che si era posta a lungo e alla quale aveva rinunciato a trovare una risposta. Aveva dedotto che evidentemente nella vita si incontrano delle persone a cui ci si lega inspiegabilmente e senza un motivo logico.
“Tu…mi stai simpatica.” Rispose semplicemente, gli angoli della bocca leggermente incurvati verso l’alto.
Regina aggrottò le sopracciglia.
“Tutto qua?”
“Non credo che servano altre ragioni.”
“Insomma…” disse Regina, non guardandola negli occhi ma vagando lontano con lo sguardo, quasi intimorita da quel discorso “E’ per questo.”
Emma annuì.
“Mi scusi. E’ che…non riesco proprio abituarmi all’idea di poter essere simpatica a qualcuno. So che alle spalle mi chiamavano stronza e so di per certo che nel bagno del terzo piano c’è una mia caricatura con delle corna e dei baffi da Hitler.” Spiegò Regina, rompendo l’imbarazzo con un mezzo sorriso.
La bionda scoppiò a ridere.
“Davvero?!”
“Sì! Spero che chi l'ha fatta sia stato investito da un’autom-“
“Regina!” la interruppe Emma indignata.
L’altra alzò le mani come per scusarsi ma l’espressione sul suo viso era poco convinta.
“Bene, devi andare. Farai tardi a lezione.” Dichiarò Emma dopo un momento di silenzio.
“Giusto. Allora…arrivederci!”
Emma ci pensò un attimo poi non resistette.
“E tu? Credevo che una come te mi avrebbe mandata a quel paese non appena finita la punizione…perché hai deciso di restare?”
Regina si morse le labbra dubbiosa.
Il fatto era che nemmeno lei sapeva perché si fosse affezionata così alla professoressa. Forse perché era stata l’unica a non voltarle le spalle in quel periodo così strano e difficile, forse perché era stata sempre disponibile, forse perché era l’opposto di lei in qualsiasi cosa e proprio per quello…la completava.
“Perché mi sta simpatica.” Disse infine.
Emma sorrise.
“Tutto qua?”
“No” pensò Regina, “C’è dell’altro.”
Ma non lo disse ad alta voce.
“Tutto qua.”
 
Robert rientrò tristemente a scuola.
Non era il litigio a turbarlo, non era il fatto che Belle fosse estremamente suscettibile su certi argomenti e tendesse a rispondergli male.
La amava anche per quello, perché gli teneva testa in un modo totalmente diverse dalle continue provocazioni e dalla prevaricazione di Regina.
Belle era testarda sulle cose che le stavano a cuore e non scendeva a compromessi. Certo, questo suo lato del carattere spesso sfociava in un atteggiamento solitario e silenzioso, ma si fidava di lei e sapeva che se aveva bisogno di stare per conto proprio, era sicuramente per un buon motivo.
Sapeva che non lo faceva apposta: era semplicemente un modo di difendersi.
La cosa che lo torturava, era il fatto di non poterla aiutare in nessun modo.
Non poteva insistere o rischiava di farla arrabbiare, non poteva offrirle alcun tipo di aiuto finanziario, sapeva che non avrebbe mai accettato.
Si dirigeva pensieroso verso l’aula studio quando batté contro qualcosa di duro.
“Ahia!” esclamò.
“Amico, stai attento!”
Killian stava di fronte a lui, tenendosi la fronte. I due avevano cozzato l’uno contro l’altro.
“Scusa, ero sovrappensiero.” Disse poi Robert.
L’altro sorrise.
“Anche io in realtà. Guarda qui…” e gli mostrò il cellulare.
Troneggiava sullo schermo una sua foto, in mutande e con uno sguardo che evidentemente riteneva sexy.
“Affascinante.” Sentenziò Gold, inarcando le sopracciglia.
“Lo so. Voglio provare a mandarla a Tink. Abbiamo litigato alla festa a casa sua…questa sarebbe una provocazione niente male, no?”
Robert lo fissò vagamente disgustato.
“Funzionerà sicuramente. ” Dichiarò poi, cercando di non ridere.
“Lo so. Si incazzerà tantissimo e verrà a cercarmi…e a quel punto io…”
Fece un gesto eloquente con le mani.
Robert scosse la testa e fece per andarsene.
“Aspetta amico, ti vedo giù. Tutto bene?”
“Io…sì.”
Non se la sentiva di parlare con qualcuno di quel problema.
Soprattutto non con Killian Jones.
“Con la French tutto okay?”
“Sì. Circa. Insomma, sì. Abbiamo discusso di università.” Tagliò corto Robert.
Killian annuì.
“Anche io ci ho pensato di recente. Sono andato dalla Swan a chiederle un consiglio…anche perché non so se hai notato ma quella lì…indossa dei jeans aderenti che mettono in risalto tutti i punti giusti, ha proprio un bel sedere, quindi ne ho approfittato e le ho chiesto una mano per-“
“La Swan?” lo interruppe Robert, finalmente interessato al discorso.
“Sì. Lei si occupa dell’orientamento.”
Gold si illuminò improvvisamente. Come aveva fatto a dimenticarsene?!
“Grazie” disse poi.
L’altro lo guardò stupito.
“Per…?” domandò.
“Lascia perdere. Per una volta nella tua vita ti sei reso effettivamente utile. Ci vediamo in giro.”
Lo lasciò con una pacca sulla spalla e camminò spedito verso l’ufficio della Swan, pregando con tutte le sue forze di trovarla ancora lì.
L’altro rimase immobile, leggermente deluso per non aver potuto finire il suo racconto.
“Io sono sempre utile!” urlò poi in mezzo al corridoio.
Nessuno rispose.
 
Era ormai ora di cena quando Robert, leggermente nervoso, si fermò di fronte a casa French.
Le luci della cucina erano illuminate, così come quelle della camera di Belle.
Sia lei che suo padre erano evidentemente in casa.
Si fece coraggio e suonò.
Come previsto, Moe French aprì la porta, una padella in mano e lo strofinaccio nell’altra.
“Buonasera signor French, mi scusi se la disturbo.” Iniziò Robert agitato.
Si strofinò le mani sulla camicia e aspettò un minimo segno di vita da parte dell’uomo.
“Buonasera.” Rispose lui, scrutandolo attentamente.
Robert si preparò a presentarsi e tese la mano.
“Io sono-“
“Sì, mi ricordo molto bene di te.”
Gold tacque un momento, ripensando a quando si erano brevemente incontrati all’ospedale, rimanendo con la mano tesa a mezz’aria.
“O-Okay. Io ehm…Belle è in casa?” domandò titubante, ritirando lentamente la mano.
“Sì, è di sopra. Vuoi parlarle?”
Robert si chiese se il suo tono fosse vagamente minaccioso.
Il suo sguardo saettò dalla padella agli occhi dell’uomo.
Valutò che avrebbe avuto pochissimi secondi per schivare un’eventuale padellata in testa.
“Sì…sì, dovrei consegnarle una cosa di scuola. Dei documenti.”
Moe lo squadro da capo a piedi mentre l’altro cercò di sorridere e sembrare amichevole.
Evidentemente il signor French lo reputò idoneo, dato che annuì brevemente e disse:
“Molto bene…te la chiamo. Vuoi entrare nel frattempo?”
“Oh non c’è problema! Io…aspetto fuori, così non disturbo!”
“Ma no…nessun disturbo, nessun disturbo. Entra, te la chiamo.” Borbottò Moe salendo su per le scale.
Robert respirò profondamente.
Il primo ostacolo e a dire il vero, anche quello che più temeva, l’aveva superato egregiamente.
Pestolò a disagio nell’ingresso finché Belle non apparve sulle scale con espressione perplessa.
Lui la salutò con la mano e le fece un sorriso incoraggiante.
“Vieni un momento fuori?”
Belle annuì.
Si chiusero la porta alle spalle e si avviarono per il vialetto acciottolato verso la strada. Camminarono in silenzio lungo il marciapiede. Gli alberi fioriti accanto a loro allietavano i loro passi con l’odore dei fiori e il leggero frusciare delle foglie.
Era davvero una bellissima serata e nell’aria si sentiva l’estate sempre più vicina.
Una volta lontani dalle finestre (e nella mente di Robert, lontani da Moe French che li spiava con un binocolo per assicurarsi che non accadesse niente di strano), si fermarono.
“Ciao.” Mormorò Belle, guardandolo dal basso verso l’alto.
“Ciao!” disse lui allegramente.
Rimasero un secondo in silenzio, dopodiché, lentamente, la ragazza lo abbracciò ed appoggiò la testa sul suo petto.
“Mi dispiace.” Mugugnò, strofinando il naso sulla sua camicia ed inspirando il suo profumo.
“Non ti preoccupare…è colpa mia, non avrei dovuto insistere così.”
“Non sei stato insistente…Ti stavi solo preoccupando! E io ti ho trattato male. Mi dispiace…” ripeté lei, triste. Poi proseguì. “Mi sono lasciata un po’ andare. Ma voglio ancora provare a vincere quella borsa di studio. Mio padre è d’accordo e ha detto che anche…anche mia madre lo vorrebbe.”
Robert sorrise e le accarezzò il viso. Raramente nominava sua madre ma quando lo faceva, era sempre in situazioni importanti o delicate.
“Bene. Perché penso che tu possa farcela. E a tal proposito…” aprì la borsa e sfilò una teca con un plico di fogli all’interno.
“Che cos’è?”
“Mi sono un po’ informato sulle varie borse di studio e…ho scoperto che ne esistono di vari tipi. Lo stato ne offre alcune ma anche la scuola. E le università stesse.”
Belle sorrise e afferrò la teca che lui le stava porgendo.
“Dove hai trovato tutta questa roba?” chiese dubbiosa, sfogliando i vari moduli.
“Ho…fatto alcune domande alle persone giuste. A nome mio ovviamente.” Aggiunse precipitoso.
Sapeva che Belle si vergognava molto a causa della mancanza di fondi della sua famiglia ed era più che sicuro che si sarebbe sentita umiliata nel sapere che Emma Swan sapeva tutto della sua situazione.
“A nome tuo?” chiese lei, ghignando leggermente.
“Sì. Certo. Mio e solo mio.” Confermò nervoso.
Belle sospirò e strinse la teca al petto.
“Grazie. Davvero.” Mormorò poi sorridendo.
“E di che.”
Robert si guardò intorno pensieroso dopodiché riprese a parlare.
“Non lo faccio solo perché tu venga a New Haven con me.”
“Lo so. Scusami se prima ti ho accusato, davvero, è che…insomma, sai come reagisco a questo genere di cose. Prima di…di lottare…ho bisogno di sfogarmi.”
Il ragazzo rise.
“Ho notato che sono spesso io il bersaglio dei tuoi sfoghi.”
“Sei il mio ragazzo per una ragione, no?”
“Porto ancora i segni della tua aggressione nel bagno del primo piano a gennaio.”
Belle sgranò gli occhi.
“Ti avevo a malapena sfiorato!” esclamò indignata.
“Mi avevi tirato uno schiaffo tremendo.” Protestò Robert.
Lei strinse gli occhi.
“Non ho ricordi di questo.” Disse ostinatamente.
I due si guardarono di sottecchi per un momento, dopodiché scoppiarono a ridere.
 
Quando Robert la riaccompagnò a casa era quasi buio.
Erano rimasi fuori un’oretta e probabilmente Belle sarebbe stata accolta in casa da un isterico Moe French.
“Una sera di queste potresti venire a cena.” Disse lei pensierosa, appoggiandosi alla porta, prima di salutarlo.
“Se…se tuo padre vuole…mi fa piacere.”
Belle sorrise.
“Certo che vuole! E anche io lo voglio!”
Dopodiché gli fece segno di avvicinarsi e senza più dire nulla, lo strinse forte.
Sentì le sue braccia cingerle la schiena con decisione.
Tra tutte le cose meravigliose di quei momenti passati insieme, i loro abbracci erano la cosa che Belle amava di più.
Robert aveva un modo tutto suo di stringerla, forte ma mai invadente e in un curioso modo, anche delicato.
Si sentiva davvero amata.
“Non voglio stare senza di te a Yale…Non ce la farei mai. A…a sapere di poterti vedere due volte all’anno…tipo a Natale e così. Non potrei farcela. Non voglio neanche pensare ad un futuro senza di te.” mormorò lui ad un certo punto.
Belle si staccò, sentendo il cuore pesante.
Quanto avrebbe voluto vincere quella borsa di studio…
“Ce la farai. E’ così e basta.” Affermò Robert convinto, spostandole una ciocca di capelli dal viso.
Lei non disse nulla e si avvicinò nuovamente al suo viso.
“Ti amo.” Sussurrò poi contro le sue labbra.
Fu come lanciarsi nel vuoto da un qualche ponte o da una scogliera altissima, ed atterrare nell’acqua gelida.
Le parole semplicemente le uscirono dalla bocca prima che potesse anche pensarci, prima che potesse formulare la frase o decidere se fosse più prudente tacere.
Robert la guardò frastornato.
Aprì la bocca a vuoto una o due volte, come per dire qualcosa, infine appoggiò le proprie labbra su quelle di Belle.
“Wow.” Mormorò lei ridacchiando, dopo qualche minuto.
“Cosa?” chiese Gold sottovoce, contro la sua fronte.
“Se mio padre ha visto come mi hai baciata…”
Robert in tutta risposta la baciò di nuovo. Continuò a baciarla, perché non aveva idea di come rispondere, o meglio, non aveva idea di come far fluire dalla sua bocca quelle due stupide parole che si erano fermate nel suo cervello e vi rimbombavano dentro, amplificate.
Anche io.


Dall'altra parte della città, Regina deglutì e aprì la porta di casa, pronta ad affrontare sua madre.







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TADAN
Sono in ritardo...sì!
La prossima volta sarò più puntuale...sì!
Avevo scritto un bellissimo commento lunghissimo ma poi è iniziata la diretta di OUAT e mi è saltato lo streaming così ho dovuto riavviare internet e il commento è SPARITO.
NON POTETE CAPIRE L'ODIO E IL DISAGIO.
Anyway...spero che il capitolo sia di vostro gradimento.
Sono molto dubbiosa ma ieri sera ho finito la stesura della trama e...vi comunico ufficialmente che il finale è stato già scritto. Non so se vi rincuori o vi faccia venire l'ernia.
Ditemi voi.
Vi ringrazio come sempre per la vostra estrema gentilezza e per la passione con cui mi seguite :) Siete BBBBELLI.
SCAPPO A VEDERE ONCE UPON A TIME.
...Alla prossima. Presto.


seasonsoflove.


 

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Capitolo 27
*** Facts ***


Facts.





“Mi dispiace.” Mormorò Emma.
Regina non rispose.
Dispiaceva anche a lei.
Le dispiaceva perché una parte di lei capiva che sua madre era decisamente umana: aveva le sue debolezze, i suoi brutti ricordi, di suoi dolori, le sue paure, le sue aspettative.
Dall’altra non capiva come potesse reagire in quel modo e soprattutto pretendere che lei, Regina, reagisse allo stesso modo.
“Dispiace anche a me. Se…se lei mi lasciasse…mi lasciasse aiutarla, magari insieme potremmo risolvere le cose!” disse la ragazza amareggiata.
Emma chinò la testa.
“E’ possibile che una persona si dimentichi come si fa ad amare?” chiese poi Regina.
“Cosa?”
“Sembra che a volte…mia madre si dimentichi di avere un cuore. Dice di volere il meglio per me ma non sono sicura che sappia…davvero cos’è meglio per me. O per lei, o per le persone in generale.”
La professoressa sedeva di fronte a lei con lo sguardo perso nel vuoto. La sua espressione era indecifrabile.
“Se ami davvero una persona non rinunci a lei.” Sussurrò dopo quelle che parvero ore.
Regina sorrise tristemente.
“Ne sa qualcosa?”
“Sì.”  Emma tacque, poi le prese la mano “Io non ho mai rinunciato a te.”
Alzò finalmente gli occhi e incontrò quelli neri di Regina, che rimase immobile,  cercando di realizzare cosa effettivamente significassero quelle parole.
La mano della donna era ancora posata sulla sua.
Accadde in un momento.
Emma avvicinò il suo viso a quello di Regina, fermandosi a pochi millimetri dalle sue labbra.
“Non rinuncerò mai a te.” Soffiò.
Dopodiché le loro bocche si incontrarono, nel silenzio dell’aula di psicologia.
Improvvisamente il pavimento sprofondò e Regina iniziò a precipitare, sempre più in basso, sempre più veloce…
 
 
Erano le due di notte passate quando Regina si svegliò di soprassalto nel suo letto, le mani sudate e la gola secca.
Si mise a sedere di scatto e fissò la luce dei lampioni filtrare attraverso le tende della sua stanza.
Respirò a fondo e cercò di calmarsi.
Quel sogno era dannatamente vivido e reale. Così vivido da non sembrare neanche un sogno. La ragazza rimase immobile mentre immagini, parole ed emozioni si susseguivano nella sua testa.
La voce di Emma, il suo profumo, la sensazione delle sue labbra…e quel enorme baratro nero, quel precipizio senza fine…più che un sogno, sembrava essere un ricordo. Un ricordo di una vita precedente o di una vita mai vissuta. Era stato così forte che a stento riusciva a riordinare i pensieri.
Perché diavolo aveva sognato di baciare Emma Swan?
Ripensò alla nottata con Tink, al pomeriggio passato con Emma, a tutte le ore passate con Emma e improvvisamente si sentì male. Si sentì cadere, esattamente come nel sogno. Non poteva essere.
Doveva tranquillizzarsi e riflettere con calma.
Seppellì il viso tra le mani e pian pianino il respiro tornò regolare, così come il battito del cuore.
Era solo un sogno.
Un sogno idiota.
Come quando aveva sognato di baciare il bidello della scuola, Leroy, quell’orrendo nano barbuto.  Aveva lo stesso valore e la stessa utilità. Non significava assolutamente nulla.
Inoltre la notte passata da Tink era stata un avvenimento sporadico. L’aveva detto anche l’amica, era una cosa che poteva capitare.
Regina si alzò finalmente dal letto e il più silenziosamente possibile, zampettò verso il bagno. Si sciacquò la faccia e bevve un sorso d’acqua.
Dopodiché si guardò allo specchio.
Era tranquilla.
Certo, quel sogno le aveva lasciato una strana sensazione ma in fondo, era solo un sogno. Sorrise leggermente.
Come aveva potuto lasciarsi prendere dal panico per una sciocchezza simile?  Era stato vivido e realistico, si era svegliata di soprassalto e nel buio della sua camera tutte le sue paure e i suoi pensieri erano pericolosamente amplificati…ma in ogni caso, erano solo pensieri. Pura astrazione.
Decise di tornare a letto, così uscì dal bagno. Si fermò davanti alla camera dei suoi, sentendo sua madre respirare leggermente nel sonno e ripensò con un leggero magone, alla discussione della sera prima.
Discussione che tra l’altro, si era fatta viva nel sogno.
Sì, era tutto collegato.
Emma era la sua ancora di salvezza, l’unica che l’aveva ascoltata quando ne aveva avuto bisogno. Così quando si era trovata in difficoltà con sua madre e la professoressa non era presente…l’aveva semplicemente sognata. Sì, il sogno era stato leggermente diverso da quello che avrebbe potuto considerarsi un sogno normale…ma era tutto frutto delle forti emozioni provate la sera prima.
Tornò in camera e si infilò sotto le coperte.
Le parole di sua madre la tennero sveglia per altri quindici minuti buoni, dopodichè finalmente si riaddormentò.
 
 
“Mamma.” Esordì Regina.
Sua madre era seduta su uno dei lussuosi sgabelli della cucina e fissava il pianale lucido davanti a sé. Sembrava immersa nei suoi pensieri.
“Mamma…?” riprovò.
“Siediti qui.” Disse semplicemente Cora, indicando lo sgabello accanto al suo.
Regina esitò, dopodiché entrò in cucina e si sedette vicino a sua madre.
“E’ andata bene dal nonno?” chiese titubante.
Cora finalmente la guardò.
Il suo sguardo era freddo come al solito ma in fondo agli occhi traspariva qualcosa di più. Tristezza forse.
“E’ andata.”
Regina cercò di sorridere.
“Mamma…” disse dopo qualche secondo, tornando seria “Mi dispiace per quello che è successo la sera in cui sono andata alla festa.”
Cora la fissò.
“Sai, quando avevo la tua età mi sarebbe piaciuto andare alle feste con i miei compagni. Ma non potevo: non avevo soldi e non avevo tempo. Dovevo stare dietro a tuo nonno e…al suo essere perennemente ubriaco.” Disse infine.
Si alzò, afferrò un bicchiere e lo poggiò sul tavolo. Dopodiché rovisto nella dispensa lì vicino e ne tirò fuori una vecchia bottiglia di vino rosso.
“Mamma?” domandò Regina perplessa.
“Non avevamo niente.” Mormorò la donna, versando il contenuto della bottiglia nel bicchiere. “Giusto un tugurio di casa in affitto.  Affitto che diventava sempre più impossibile da pagare.”
Regina non disse nulla, chiedendosi in cuor suo dove volesse arrivare.
“Sono andata a lavorare, sai?”
“Me…me lo hai accennato una volta.” Rispose cautamente la figlia.
“Ho fatto un sacco di lavori, anche i più umili. Tutto per potermi permettere di tirare avanti. Ma sono felice di averlo fatto perché sono stata premiata.”
“Mamma cos-“
“Non sono arrabbiata con te perché sei andata ad una festa. Sono preoccupata perché tengo a te. E voglio per te un futuro radioso come quello che mi sono costruita io. Ma per raggiungerlo devi seguire il percorso che ho seguito io. E a volte questo percorso include dei sacrifici.” Concluse Cora, sorseggiando il vino.
“E se il futuro che vuoi tu per me non fosse ciò che voglio io?” Chiese Regina a bruciapelo.
“Cosa vorresti tu dalla vita?”
“Voglio essere felice. Più di ogni altra cosa.” Disse la ragazza con semplicità.
“La felicità la raggiungi solo dopo numerosi sforzi. E dopo tanti compromessi.”
“E se non fosse così?”
“Lo è.”
Regina tacque pensierosa.
Sua madre finì il bicchiere e la fisso con sguardò indecifrabile.
“Vai pure ora, so che hai un compito di storia, me l’ha detto tuo padre…meglio che studi.”
La ragazza annuì. Dopodiché si voltò e camminò fuori dalla cucina.
 

 
“Ho detto ti amo a Robert.” Disse Belle piattamente, lasciandosi cadere su una sedia della caffetteria.
Tink, che stava sorseggiando comodamente il suo caffè, per poco non si strozzò.
“COSA?” Esclamò poi.
“Mi hai sentita.”
“Gli hai detto-“
“Gli ho detto che lo amo.”
La biondina rimase paralizzata con gli occhi sgranati.
“Cavolo” mormorò poi. “E…è vero? Insomma, lo pensi davvero?”
Belle annuì.
“E lui cosa ti ha detto?”
L’altra non rispose.
“Belle?”
“Non mi ha detto niente.”
Tink tacque.
Si guardò intorno e poi avvicinò il viso al suo per poterle parlare sottovoce.
“Non…ti ha risposto?”
“No.” Tagliò corto Belle.
Ci aveva pensato per tutto il week-end.
Non riusciva a darsi una spiegazione sul perché lui non le avesse risposto.
Insomma, era dalla festa di casa Glocke che quelle due magiche paroline erano nell’aria e improvvisamente, nel momento critico, lui si era tirato indietro.
Certo, c’era quella sgradevole, orribile vocina nella sua testa che non faceva altro che ripeterle la stessa cosa dal venerdì precedente: Non te l’ha detto perché non ne è sicuro.
Ma la parte razionale di sé era più forte. Robert le aveva sempre dimostrato il suo amore in ogni piccola cosa, si era impegnato tanto per la questione dell’università, si dedicava a lei ed era sempre pronto a sostenerla e ad aiutarla.
Dunque Belle non sapeva spiegarsi la cosa.
Non si pentiva di averglielo detto, era la verità e presto o tardi sarebbe venuta fuori. No, era contenta di averglielo detto.
Certo sarebbe stata più felice se lui le avesse risposto ma…
“Perché non ti ha risposto!?” chiese Tink esterrefatta.
Belle alzò le spalle infastidita.
“Non…non ha detto proprio niente?”
“No…però mi ha baciata.”
“E basta?”
“E basta.”
Tink si appoggiò allo schienale della sedie e si mise a giocherellare con le bustine dello zucchero.
“Beh, se ti ha baciata significa che era felice.”
“Lo era. Insomma, mi sembrava che fosse palese.”
“Ottimo! Quindi nessun problema!” esclamò Tink battendo le mani.
“Già…”
“Voi…era la prima volta che parlavate di questa cosa?”
“No. Noi…ne avevamo già parlato alla festa a casa tua. Mi…mi aveva detto che si stava innamorando di me.” Spiegò Belle.
L’amica cercò di sorridere.
“Allora è così!”
“Ma io sono già innamorata di lui.”
“Scommetto che anche lui è innamorato di te. Si vede, quando ti guarda è completamente perso!”
Belle guardò fuori dalla finestra, pensierosa. Intorno a loro gli studenti chiacchieravano allegramente.
“Ehi!” disse Tink, afferrandole gentilmente la mano “Fidati. E’ innamorato. Solo che gli uomini sono un po’ cretini e ogni tanto fanno fatica a dire certe cose. Tutto qua.”
L’altra sorrise debolmente.
“Sì…speriamo.”
“Ricordati che a volte i fatti sono più importanti delle parole.” Aggiunse la biondina.
Belle decise che l’avrebbe tenuto a mente.
 
 
Quando Robert uscì di casa quel lunedì mattina, era piuttosto nervoso.
Aveva una vera e propria missione da compiere.
Gliel’aveva consegnata personalmente Archie Hopper, il suo vicino di casa.
Lo aveva incontrato il giorno prima, mentre entrambi si dirigevano in panetteria per acquistare qualche panino e dei bagels.
 
“Buongiorno dottor Hopper.” Lo salutò Robert, dirigendosi verso la panetteria nella strada parallela alla loro.
“Buongiorno Robert!” esclamò Hopper gioviale.
Pongo, il cane di Archie, si avventò con entusiasmo sul ragazzo cercando di leccargli la faccia.
“Devi scusarlo! Questa mattina è un po’ agitato!” disse Archie sorridendo e cercando di trascinare via il dalmata.
“Non è l’unico!” borbottò Gold.
“Come scusa?”
“Ho detto che non è l’unico ad essere agitato.” Ripeté, accarezzando Pongo sulla testa.
“Va tutto bene?” gli chiese Archie gentilmente.
Robert esitò. Certo, il dottor Hopper era solo il suo vicino di casa, ma era anche uno psichiatra…magari ne sapeva qualcosa più di lui.
“Lei conosce…beh…insomma, esiste un modo per migliorare la propria capacità di esprimere i sentimenti?” domandò infine.
Il dottor Hopper sorrise.
“L’unico modo è proprio esprimere i propri sentimenti. Si inizia dalle piccole cose e si prosegue gradualmente.”
Robert guardò distrattamente il cane che continuava a gironzolargli intorno tutto felice.
“E se avessi bisogno di dover esprimere ora un grande sentimento? Se…non avessi tempo di iniziare dalle piccole cose? Insomma, se avessi poco tempo per esprimere una cosa grande?”
“Allora ti devi buttare.”
Gold annuì. Proprio come pensava.
“Ma…se posso permettermi, a volte certe emozioni si possono esprimere meglio coi fatti invece che con le parole.”
Pongo abbaiò quasi come in segno di approvazione.
“Coi…fatti?”
“Sì. Piccoli e grandi gesti che dimostrano alle persone che amiamo quanto effettivamente teniamo a loro.” Concluse Archie.
Robert sorrise improvvisamente ispirato.
“Grazie dottor Hopper.” Disse poi.
 
Con le parole poteva non essere bravo ad esprimere le proprie emozioni, ma poteva dimostrare il suo amore a Belle in mille altri modi.
Si trattava solo di capire come.
 
 
Regina si fermò di fronte alla porta della classe di psicologia.
Improvvisamente le immagini del sogno della notte precedente le si ripresentarono davanti agli occhi.
Rimase immobile a fissare i compagni che prendevano posto, sentendo lo stomaco agitarsi.
Cosa diavolo le succedeva?
Per uno stupido sogno non riusciva neanche più a pensare lucidamente.
Respirò a fondo e fece un altro passo verso l’aula.
“Dai, entra!” una voce alle spalle, la voce di Tink più precisamente, la risvegliò dal suo torpore.
“La Swan oggi c’è?” chiese distrattamente Regina.
“Certo, perché non dovrebbe?”
Regina alzò le spalle ed entrò in classe.
Si sedette in seconda fila, di fronte alla biondina, che a sua volta si adagiò sulla sedia, distese le gambe e si stiracchiò.
“Odio il lunedì. Ho già preso due caffè questa mattina e sono ancora addormentata.”
“Belle dov’è?”
“Boh. Eravamo in caffetteria prima, ora sarà con Gold. Com’è andato il week-end?”
“Tutto bene!”
“Sicura? Ti vedo un po’ abbacchiata…”
L’altra non rispose.
Era molto, molto agitata. Continuava a lanciare occhiate nervose alla porta.
Non riusciva a spiegarsi perché si comportasse così. Forse una parte di lei aveva paura che inconsciamente Emma avesse percepito e condiviso il suo stesso sogno ed ora la stesse evitando.
O forse era lei a volere evitare la professoressa.
Sta di fatto che appena vide la folta chioma di capelli biondi apparire sulla soglia della porta, lo stomaco di Regina fece un triplo salto mortale.
Scattò in piedi, afferrò la borsa e si diresse verso l’uscita.
“Regina?” le chiese Emma dubbiosa.
L’altra non la guardò nemmeno e borbottò la classica scusa per uscire alla quale nessun insegnante osava mai controbattere: “Infermeria..”
 
 
“Mi hanno detto che Regina ha la diarrea.” Esordì Killian, entrando in biblioteca.
Robert non alzò neanche lo sguardo dal libro.
“Mi hai sentito?”
“Sì, ma non vedo perché la cosa dovrebbe riguardarmi o suscitarmi un qualsiasi tipo di emozione se non un leggero disgusto.”
“Mi sembrava divertente. L’hai vista che è uscita subito questa mattina a psicologia, vero? Ecco, mi hanno detto che è uscita perché ha la diarrea.”
L’altro scosse la testa.
“Io e Belle siamo entrati in ritardo. Non l’abbiamo vista uscire presto e sinceramente è l’ultimo dei miei problemi.”
Era davvero l’ultimo dei suoi problemi. Quella mattina si era ripromesso di riuscire a parlare con Belle ma aveva fallito miseramente.
“Non vorrei che ci fosse un virus in giro.” Mormorò Killian, scrutando il proprio riflesso nello schermo del cellulare.
Robert continuò a leggere e a pensare, mentre l’amico borbottava frasi sconnesse quali “Oggi sono proprio bello. I miei occhi sono azzurrissimi” e “Chiederò a mia madre se posso vaccinarmi contro l’influenza intestinale.”
Poi Gold parlò:
“Tu come dimostreresti ad una ragazza che sei innamorato di lei?”
Killian lo fissò attentamente.
“Sei innamorato della French?”
L’altro esitò.
Certo che lo era. Ma a che pro dirlo a Jones? Così che potesse sfotterlo? Meglio evitare.
“Tu rispondi alla mia domanda.”
Killian ci pensò un po’ su, grattandosi dubbioso il mento barbuto, dopodichè rispose con semplicità: “Glielo direi.”
“Cioè?”
“Le direi che sono innamorato di lei. Che la amo, molto schiettamente. E poi la scoperei con tutto l’amore del mondo.”
Robert non disse nulla.
Persino Killian Jones, quell’idiota di Killian Jones non aveva problemi a parlare. Lui avrebbe semplicemente detto che cose come stavano e poi ci avrebbe riso su.
“Sennò la presenterei ai miei. Una cosa ufficiale, di quelle che piacciono alle ragazze. E la riempirei di attenzioni.”
L’amico lo guardò folgorato.
Come aveva fatto a non pensarci prima?
“Sai, ti consideravo molto stupido ma nel giro di pochi giorni mi hai dato gli unici due consigli effettivamente utili tra tutti quelli che mi sono stati propinati.”
Killian sorrise beato. Si lasciò andare sullo schienale della sedia e portò le braccia dietro alla testa.
“Io ho molto da offrire. Se solo voi sapeste…” sussurrò poi placidamente.
“Preferisco non sapere, ma ti ringrazio ugualmente.”     
 
 
 
 
 
“Regina!”
Regina sbuffò.
“Ecco che ci siamo di nuovo.” Mormorò tra sé e sé a denti stretti.
Erano ore che tutta la scuola la prendeva in giro per una cosa assolutamente falsa. Qualche idiota doveva averla sentita borbottare “Infermeria” alla Swan e a quanto pare la notizia aveva fatto il giro di tutte le classi; ognuno ci aveva ricamato su e tutti avevano passato la giornata ad evitarla come un’appestata e a ridere di lei.
Si girò pronta ad affrontare la nuova arrivata, ma scoprì con sollievo che non era una sciocca primina che voleva prenderla in giro.
Emma Swan in persona le stava andando in contro agitando la mano per attirare la sua attenzione, nel bel mezzo del cortile della scuola.
“Regina.” Ripeté quando fu vicino a lei. Si piegò su sé stessa e respirò a fondo, riprendendo fiato.
“Sta bene?” chiese perplessa l’altra.
“Sì io- ho fatto una corsa per raggiungerti. Ti ho visto dalla finestra della presidenza.”
Regina non disse nulla. Dentro di sé ripensò fugacemente agli stralci del sogno fatto poche notti prima, stralci che ancora le procuravano una strana sensazione di vuoto allo stomaco.
“Tu piuttosto, stai bene?” domandò infine Emma, rialzandosi e tirandosi su le maniche della camicia.
La mora sbuffò.
“Sì, assolutamente. E no, non è vero quello che ha sentito in giro per la scuola. Non ho la…non sono stata male. Questa mattina avevo un po’ di mal di testa e sono andata a stendermi in infermeria…mi…mi hanno detto che era un calo di zuccheri.” Inventò spudoratamente.
Emma rise.
“Meglio così.”
Regina cercò di sorridere ma la bocca le si piegò a fatica. Non era per niente serena e sentiva il cuore battere più forte del normale.
“Bene…se non c’è altro, io andrei a casa!” disse infine.
Emma annuì, poi, d’impulso le afferrò la mano.
“Com’è andata con tua madre?” le chiese guardandola negli occhi.
La mora rimase immobile a fissare la mano della professoressa che in quel momento era ancora fissa sulla sua.
Aprì la bocca a vuoto.
“Beh?”
Regina alzò lo sguardo e scosse la testa, cercando di riordinare i pensieri.
“Tutto bene.” Dichiarò.
Ritirò la mano e fece un passo indietro, lentamente.
Poi con un sorriso tirato disse: “Adesso può…smetterla di preoccuparsi per me. Insomma, non…non è che mi dispiaccia però ecco, sto bene.”
Emma inarcò le sopracciglia.
“Lo so. Non sono preoccupata per te…mi informo e basta…insomma, è questo che fanno le amiche, giusto?”
Regina deglutì.
“Sì, certo.” Disse poi. “Le amiche fanno così.”
 
 
Robert camminava pensieroso mentre Belle, accanto a lui, parlava entusiasta di alcune idee che aveva per presentare un buon curriculum alla commissione che avrebbe analizzato i candidati alle borse di studio.
Con un orecchio ascoltava il monologo infervorato della ragazza (e annuiva coscienziosamente), con l’altro rifletteva febbrilmente.
Non era riuscito a combinare nulla neanche quel giorno. Ogni volta che aveva provato a far fluire le parole fuori dalla sua bocca, qualcosa si era bloccato.
Si era bloccato quando davanti agli armadietti lei lo aveva abbracciato e gli aveva detto che gli era mancato durante il week-end.
Si era bloccato dopo pranzo, quando lei gli aveva scompigliato i capelli solo perché – “così sei più carino” -.
Si era bloccato anche quando lei gli aveva detto che suo padre aveva acconsentito ad invitarlo a cena da loro e che non vedeva l’ora di cucinare qualcosa di speciale per lui.
Quindi era venuto il momento di agire e l’unico modo appropriato era quello suggerito da Killian e persino da Archie Hopper.
Fatti, non parole.
“Belle…stavo pensando una cosa.” La interruppe mentre lei prendeva fiato.
Lei lo guardò con gli occhi sgranati e poi si bloccò.
“Ho parlato troppo vero?” disse a mo’ di scusa.
“No…no, non preoccuparti! Mi piace ascoltarti, ero solo un po’ sovrappensiero.” Minimizzò Robert sorridendo. Poi prese coraggio e ricominciò: “So che mi hai invitato a cena a casa tua ma e non vedo l’ora di cenare da te ma…io ho già incontrato tuo padre mentre tu non hai ancora conosciuto ufficialmente i miei…”
“Tecnicamente tuo padre l’ho incontrato anche io.” Lo corresse Belle.
Robert fece una smorfia. Sì, ricordava molto bene il loro primo disastroso incontro.
“E’ vero.” Le concesse “Ma non mia madre. E non ti ho ancora presentato ufficialmente a loro come la mia ragazza.” Concluse guardandola di sottecchi.
Belle si sciolse in un grande sorriso.
“Vorresti farlo?”
“Certo! Perché no?”
Lei alzò le spalle.
“Non so. Magari non ti sentivi pronto. Capita di non essere pronti per…certe cose.”
Il ragazzo si morse la lingua per non ribattere. Gli pareva che fosse una frecciatina che sottintendeva molto altro ma forse era solo la sua immaginazione.
“Insomma…come sai sabato è il-“
“Tuo compleanno.”
Lui annuì mentre Belle rideva.
“Cosa c’è da ridere?”
“E’ solo che mi sei sempre sembrato una di quelle persone che odiano i compleanni, le feste e tutto quel genere di cose. Sei una specie di Scrooge.”
“Un po’ è così.” Borbottò Robert.
Non amava festeggiare. Un po’ perché non aveva ricordi particolarmente piacevoli delle feste in famiglia, un po’ perché non aveva mai avuto nessuno con cui festeggiare e a cui tenesse davvero.
Belle gli prese improvvisamente la mano e la strinse.
“Cosa vuoi fare per il tuo compleanno?” gli chiese incoraggiante.
“Tutto quello che vorrei è…invitarti a cena e presentarti ufficialmente alla mia famiglia…insomma…se per te va bene. Sarebbe davvero importante per me.” Rispose lui guardandosi le scarpe.
Sentì il morbido corpo di Belle appoggiarsi al suo e le sue braccia stringergli la schiena. Sorrise e si lasciò andare.
“Mi farebbe davvero piacere.” Gli sussurrò lei all’orecchio di rimando.
“Allora è fatta!” concluse Gold felice, sciogliendo l’abbraccio.
“Oh sì. Anche se…insomma, spero che l’incontro vada meglio dell’ultimo…” disse Belle pensierosa.
“Andrà benissimo, vedrai. Tu sarai perfetta e io…mi occuperò di mio padre prima che possa aprire bocca e dire una delle sue stronzate. Comunque questo week-end ci sarà…anche mia zia…viene ogni anno per il mio compleanno. Perciò insomma, sarà bello. Credo.” Esclamò tutto d’un fiato.
In realtà non ne era convinto. Ma doveva autoconvincersi lui prima di convincere gli altri.
Voleva farlo a tutti i costi.
“Anche mia zia viene spesso da noi per le grandi occasioni!” disse Belle sorridendo.
“Sì, me l’avevi accennato a Natale…come si chiama?”
“Ruby.” Rispose la ragazza.
Poi improvvisamente aprì il portafogli e tirò fuori una foto di lei e una bellissima donna, piuttosto giovane, magra, con due grandi occhi magnetici e verdi e i lunghi capelli rosso scuro.
“Oh. Beh, wow! Verrà qui presto? Insomma, mi piacerebbe molto conoscerla, mi sembra davvero una bella persona, molto simpatica e cordiale e-“
“Guai a te se fai battute. O se farai il cascamorto quando la conoscerai.” Lo minacciò Belle.
Sapeva che effetto faceva Ruby ai maschi. Era la sorella minore di sua mamma ed era molto affezionata a Belle. Le era stata accanto nei momenti più difficili e la cosa era sempre stata reciproca. Anche Moe French era affezionato a lei. Era parte della famiglia, Belle era cresciuta con lei, era come una seconda madre. Peccato che abitasse lontana da loro.
“Giuro che non ho pensato a niente del genere. Non capisco da dove ti venga un’idea simile.” Esclamò Robert fingendosi indignato.
Belle gli scompigliò i capelli e gli diede una leggera pacca sulla testa.
“Tua zia come si chiama?”
“Ingrid. Ma non è gnoc-“
“Cosa ti avevo detto?”
“Va bene, va bene.” Concluse precipitosamente Gold.
La ragazza scoppiò a ridere e lo prese per mano.
Dopodiché iniziò a trotterellare allegramente al suo fianco, riprendendo serenamente a parlare del più e del meno.
Robert sorrise tra sé e sé.
Aveva appena guadagnato la sua piccola personale vittoria.
Per quel giorno poteva considerarsi soddisfatto.
 
 
Martedì pomeriggio procedeva tutto serenamente e Tink Glocke si godeva la quiete della biblioteca. Improvvisamente qualcosa disturbò il suo pomeriggio.
Rimase immobile a fissare il suo cellulare per quelle che le parvero ore.
Stava ripassando una complicatissima formula di matematica, quando sullo schermo era apparso l’avviso di un nuovo messaggio e lei incautamente l’aveva aperto.
Di fronte ai suoi occhi si era palesata una foto a dir poco immonda, una foto che ritraeva Killian Jones in boxer, senza maglietta, che ammiccava dentro il suo schermo.
Nessun messaggio, non una parola.
E per Tink questo era una chiaro segnale: era guerra aperta.
 
“Non ho idea di cosa regalare a Robert.”
Sbuffò Belle, sedendosi accanto alla biondina.
L’altra non reagì, continuava a guardare il cellulare.
“Beh? Perché non stai strillando e urlando come al tuo solito?” chiese Belle dubbiosa.
Tink le mostrò ciò che le era arrivato poco prima.
Belle aggrottò la fronte e si rigirò il cellulare tra le mani.
“Wow. Molto carino, di classe soprattutto. Te l’ha mandata lui?”
“Evidentemente…”
“Non credevo che l’avrebbe fatto davvero.”
La biondina inarcò le sopracciglia?
“Sapevi che l’avrebbe fatto?”
“Me l’aveva accennato Robert…” rispose vagamente l’altra.
“E tu non me l’hai detto!”
Belle sbuffò e tirò fuori un foglio dalla sua borsa. Lo mostrò a Tink.
“Aiutami con questo piuttosto. Sabato è il compleanno di Robert e non ho idea di cosa regalargli. Inoltre mi ha invitata a cena coi suoi perciò non so neanche cosa indossare. E non so come acconciarmi i capelli. Qui c’è una lista dei regali a cui avevo pensato…”
Tink prese a scorrere la lista con gli occhi.
“Te, nuda, solo con un fiocco rosso, sdraiata su un tavolo con del sushi intorno?” chiese poi turbata.
Belle alzò le spalle.
“L’ho visto fare in Sex And The City.”
L’altra storse il naso.
“Una foto incorniciata, un libro, un cuscino…una camicia nera!?” mormorò Tink.
“E’ banale ma andrei sul sicuro, no?”
La biondina le appoggiò una mano sul braccio.
“Non hai proprio idee, vero?” disse poi comprensiva.     
Belle appoggiò la testa sul banco e disse disperata:
“Non so cosa prendergli. Mi sembra che sia tutto inutile e…e non lo so.”
Tink rilesse la lista poi si appoggiò pensierosa allo schienale della sedia.
“Male che vada puoi davvero presentarti nuda con un fiocco addosso.”
“Non sei per niente d’aiuto!”
Prima che Tink potesse ribattere, una ragazza coi capelli rossi e le trecce apparì da dietro uno scaffale.
“Ciao.” Esclamò trattenendo il fiato.
Belle la guardò perplessa, poi sorrise, immaginando che fosse una nuova aspirante giornalista.
“Ciao!”
“Io…non so bene come cominciare e da dove…perciò insomma, inizierei dall’inizio e andrei dritta al punto. Non sono una che in genere ascolta i discorsi. Beh, ogni tanto capita. Ma non sempre. Insomma, non volevo fare niente di male, ve lo assicuro, ma sta di fatto che ero seduta al tavolo là dietro ed ero sola e…beh, ho sentito quello che stavate dicendo. Non ho cattive intenzioni però.” Disse tutto d’un fiato, cercando di sorridere ed apparire tranquilla.
In realtà sembrava piuttosto nervosa.
Belle era piuttosto perplessa.
“Beh ecco, so che non avete chiesto il mio parere e so che probabilmente ora starete pensando ‘chi è questa pazza e cosa vuole da noi’, ma volevo dire che la cosa più carina da regalare ad una persona, secondo me, oltre ovviamente all’amore è…un animale!”
Nessuno disse nulla.
Anna sorrise incoraggiante.
“Tipo…una renna?” chiese Tink sarcastica.
 “Beh, no. Insomma, non che sia un brutto animale, io adoro le renne…ma pensavo ad una cosa più carina come...un cucciolo di cane. O un gattino. O un coniglietto…una cosa simile…” terminò la frase annuendo, come alla ricerca di un consenso.
Belle aggrottò la fronte.
“Dovrei regalare un…cane al mio ragazzo?”
Anna si avvicinò al tavolo, prese una sedia con un movimento leggermente scattoso e si sedette.
Sembrava davvero che avesse delle buone intenzioni, nonostante sembrasse anche incerta.
“Io ho regalato un cane al mio ragazzo. Lui è più grande, non studia più qui a scuola. Ora fa il falegname.”
Lo sguardo di Tink passò da Belle ad Anna.
“Si chiama Sven.”
Belle inclinò la testa perplessa.
“Il cane. Non il mio ragazzo.” Aggiunse Anna precipitosamente. “Lui si chiama Kristoff.”
Tink fece una smorfia.
“E’ svedese.” Si giustificò Anna.
Silenzio.
“Non il cane. Il mio ragazzo è svedese. Il cane è un cane normale.”
Tink incrociò le braccia.
“Scusa la schiettezza, ma perché ci stai dicendo tutto questo? E soprattutto…ti conosciamo?”
“Non proprio…beh, ecco…io ero alla tua festa.” Rispose titubante e indicando Tink.
“Non ricordo.” Replicò l’altra scrutandola attentamente.
“Sono Anna...la sorella di Elsa. Lei…lei scrive per voi, giusto?”
Belle spalancò la bocca e poi annuì sorridendo.
“La ragazza bionda?”
“Tecnicamente è biondo platino!” precisò Anna.
“Sì, lei.”
Tink continuò a fissare la nuova arrivata.
“Hey, non…non ho cattive intenzioni! Davvero! Insomma, sono al primo anno e Elsa, mia sorella, mi ha parlato bene di voi e vi ho sentite chiacchierare così pensavo di…provare a…diventare amiche. E quale modo migliore se non provare a dare un consiglio?” provò continuando a sorridere.
Belle annuì.
“Io…apprezzo la tua idea Anna, ma non sono sicura che sia…quello che cerco, ecco.”
“Beh, puoi sempre chiederglielo. Puoi chiedergli se gli piacerebbe avere un animale! No?”
“Immagino di sì ma-“
In quel momento le raggiunse Ariel.
Arrivò trafelata e si sedette vicino a Tink, che la ignorò sdegnosamente dopo averla salutata con freddezza.
“Eccomi! Belle, mi hai detto che avevi bisogno di un consiglio, ho fatto più in fretta che potevo ma ero fuori e-“
“Eri con Killian, fammi indovinare.” Disse Tink evitando qualsiasi contatto visivo con Ariel.
L’altra la guardò stupita.
“No.” Disse poi irritata “Veramente ero con un mio amico. Si chiama Eric.”
“Eric della squadra di nuoto?” chiese subito Anna.
Ariel la guardò perplessa.
“Lei è Anna. E’…è una…una compagna di studio. Nuova. Appena arrivata. Circa cinque minuti fa.” Dichiarò solennemente Belle.
Dopo un primo momento di sgomento, Ariel sorrise calorosamente.
“Sì, è lui!” esclamò poi. “Nuotiamo insieme da circa tre anni ma non avevamo mai parlato…è simpatico.”
“Quindi con Killian è finita?” si informò Tink, scrutandosi le unghie.
“Di questo parlerete dopo.” Troncò Belle. Non voleva ricominciare con quella storia.
Ariel le guardò tutte, e poi chiese:
“Dunque l’emergenza?”
“Beh, sabato è il compleanno di Robert e io volevo fargli un regalo ma ero in dubbio e-“
“Devi regalargli te stessa. Nuda e infiocchettata! E’ la cosa migliore da fare!” disse subito Ariel entusiasta.
Tink buttò la testa all’indietro e Belle chiuse gli occhi, sfinita da quella conversazione.
Anna sorrise.
“Io continuo a votare per un cucciolo!” disse poi.
 
 
Sono aperte le pre-candidature per il titolo di reginetta del ballo di fine anno.
Regina fissò quel foglio che era appena stato distribuito tra i banchi.
Sorrise tra sé e sé, ripensando al fatto che nonostante tutto, lei era la reginetta in carica da tre anni. Reginetta d’inverno, e reginetta di fine anno.
Quell’anno si sarebbe portata a casa entrambe le corone, avrebbe dimostrato a tutti di che stoffa era fatta e infine avrebbe chiuso per sempre con quel capitolo della sua vita.
Faceva questi pensieri mentre camminava per il corridoio, dirigendosi verso l’aula della Blanchard, che si occupava delle candidature.
Una sgraditissima sorpresa l’aspettava, appena fuori dalla porta della classe.
Zelena era seduta lì davanti, la divisa indosso e uno sguardo leggermente inquietante sul volto.
Regina sentì la rabbia ribollirle nelle viscere ma decise di ignorarla ed entrare direttamente nell’ufficio.
“Ci sono altre due ragazze dentro.” Disse Zelena semplicemente, sorridendo.
“Aspetterò.” Rispose Regina. Si sedette dalla parte opposta e fissò con attenzione le piante del corridoio.
“Quindi ti candidi?” le chiese Zelena.
Lei annuì rigidamente.
“Sarà una sfida interessante.”
“Puoi scommetterci.”
Seguì un lungo silenzio nel quale Regina aprì la borsa, afferrò un libro ed iniziò a leggere. Voleva tenersi la mente occupata.
Quella bastarda di sua cugina voleva guerra e guerra avrebbe avuto. Ma non ora.
Doveva semplicemente aspettare il momento giusto per colpirla.
“La tua ragazza farà il tifo per te?”
Regina si girò di scatto e fissò quell’odiato volto che già una volta l’aveva messa in una situazione orrenda con sua madre.
“Di cosa stai parlando?” chiese pungente, cercando di ignorare il tremore che si stava diffondendo attraverso il suo corpo.
L’altra aggrottò la fronte.
“Dev’essere comodo avere una fidanzatina tra i professori. Pensi che ti assicurerà la vittoria, no?” disse poi con noncuranza.
Regina rimase immobile mentre il cuore esplodeva nelle sue orecchie. Batteva così forte da farle male.
“Ti ho chiesto di cosa stai parlando.” Ripeté gelida.
“Non serve che ti arrabbi. Non c’è niente di male! Non ho certo pregiudizi!” Esclamò l’altra sorpresa.
“Non sono arrabbiata.” Mentì Regina. Dentro di sé, la voglia di scappare o la voglia di distruggere una volta per tutte Zelena la stava divorando. “Non capisco semplicemente di cosa parli. Inoltre odio perdere tempo e tu me ne stai facendo perdere parecchio. ”
“Niente, ho visto te e la Swan che vi tenevate per mano l’altro giorno nel cortile. Così ho immaginato…sai…” lasciò la frase in sospeso.
Regina deglutì.
Si sentiva male, si sentiva umiliata, tradita e soprattutto presa in giro. Ma non poteva far trapelare nulla di tutto questo.
“La Swan ed io siamo amiche. Da molto tempo.” Rispose semplicemente, tenendo fisso lo sguardo sugli occhi azzurri della cugina.
“Oh. Ops. Mia zia lo sa che hai una professoressa come amica?” rispose l’altra mettendo una particolare enfasi sull’ultima parola.
La porta dell’aula si aprì e ne uscirono due cheerleader.
La voce della Blanchard si udì forte e chiara nel corridoio “La prossima”.
Regina si alzò di scatto e lanciò uno sguardo pieno d’odio a Zelena, che rispose con un grande sorriso.
La guerra era ufficialmente iniziata.
 
 
Venerdì mattina la situazione era critica per tutti.
Regina viveva nel terrore che Zelena potesse azzardare qualche mossa e mettere in giro qualche diceria falsa sul suo conto. Dal canto suo, la ragazza aveva iniziato ad evitare qualsiasi contatto con la professoressa.
Robert era agitatissimo per la cena del giorno seguente, continuava a ripassare il programma che aveva creato appositamente per regalare a Belle una giornata splendida. Nella sua mente era tutto perfetto ma non riusciva a liberarsi dalla sgradevole sensazione che qualcosa avrebbe distrutto il suo piano e mandato in frantumi ciò che aveva costruito.
Belle era entrata nel panico. Non aveva ancora trovato il regalo per Robert.
E più i giorni passavano, più l’idea di Anna sembrava meno folle e più appetibile.
Tink era furiosa con Killian per la foto ed era giunta alla conclusione che avrebbe affrontato il ragazzo una volta per tutte e gliene avrebbe cantate quattro.
 
 
“Ciao.”
Robert chiuse l’anta dell’armadietto e fissò con tanto d’occhi la ragazza, rossa di capelli e con le trecce, che ora lo guardava dal basso e con aspettativa. Aveva un visetto simpatico e un’espressione gentile.
Si guardò intorno dubbioso.
“Ciao…?” rispose.
“Non mi conosci ma io ti conosco. Sei Robert, vero?” chiese lei.
Lui non rispose e continuò a fissarla.
Fece un passo indietro per precauzione. Non voleva incontrare un’altra Zelena.
“Non preoccuparti, non sono qui per litigare!” esclamò lei precipitosamente “Volevo solo sapere se ti piacciono gli animali.”
Robert inarcò le sopracciglia.
“Io…non ti conosco. Scusami, sono un po’ confuso.” Ammise infine.
“Lo so! Lo immaginavo. Per questo mi voglio presentare: sono Anna, piacere.” Tese la mano.
Lui non la strinse.
“Tu sei un po’ scorbutico eh?” si fermò cercando di sorridere. Robert la fissò immobile. Allora Anna riprese “Okay…Non importa! Io non mi faccio intimidire anche se fai il duro con me! Andiamo al punto: insomma, ti piacciono gli animali?”
“Io- perché me lo chiedi?”
“Oh. Giusto. Lavoro ad un progetto di scienze. Sto…facendo domande di questo tipo per un sondaggio…insomma…senza cattive intenzioni…”
“O secondi fini?”
“Senza secondi fini!”
Gold si rilassò leggermente.
“Sì, immagino che mi piacciano.”
“Bene” esclamò Anna felice. “Qual è il tuo animale preferito?”
“Non…non lo so.” Rispose lui confuso, tirando su la borsa da terra e infilandoci dentro due libri.
“Beh, pensaci. Cane magari? Gatto? Coniglio?”
“No io- non saprei. Mi hanno sempre affascinato i rettili.”
“Oh.” Anna si bloccò e si guardò intorno mordendosi le labbra. “Tipo?”
“I coccodrilli…serpenti…lucertole.”
Anna parve delusa.
“E di…animali più carini? E pelosi?”
Robert la fissò sconcertato.
“I serpenti…non sono carini?”
“No!” esclamò lei concitata “Per niente! Non sono neanche inclusi nel mio progetto di scienze! Allora? Cane, gatto, coniglio…?”
Lui scosse la testa sempre più scioccato.
“Ma non lo so, ma che razza di sondaggio è se non posso rispondere quello che voglio!? A me piacciono i rettili!”
“E i gatti?”
“Sì anche ma-“
“I cani?”
“Sì.”
“Preferisci cani o gatti?”
“Non ne ho idea ma che-”
“Allora?”
“Cani credo.”
“Perfetto. Basta così. Grazie e ciao!”
E se ne andò, lasciandolo in preda alla confusione.
 
Anna si fece due piani di scale a piedi finché non trovò Belle.
Quasi le andò a sbattere contro nella foga, dopodiché le prese le mani e iniziò a parlare concitatamente.
“Gli piacciono i cani!”
“Cosa?” chiese l’altra sconcertata.
“Mi sono informata. Lui è un po’ scorbutico, davvero, ma gli piacciono i cani!”
“O-okay.” Rispose Belle.
“Puoi prendergli un cane!”
“Immagino che-“
“cane!” ripetè Anna annuendo.
Belle la fissò e poi annuì anche lei cercando di sembrare convinta.
“Cane…”
 
E così quel pomeriggio, disperata e senza idee, si mise d’accordo con Anna Arendelle (aveva scoperto che quello era il cognome della folle ragazza) e si mise in viaggio verso il canile più vicino.
 
Venne anche il sabato e Belle si alzò in uno stato di grande agitazione. Si vestì, fece colazione, dopodichè si preparò psicologicamente ad affrontare la giornata e la cena.
Tink evitò il cellulare per tutto il sabato mattina. Si trovò le occupazioni più disparate. Fece pulizia, studiò, lavò addirittura i piatti.
Alle dodici in punto decise che era ora di agire.
Inviò un brevissimo e lapidario messaggio a Killian Jones.
 
Dobbiamo parlare.

 
Robert si strofinò le mani sui pantaloni in preda all’agitazione più totale e si guardò intorno. Si era alzato alle sette in punto e si era davvero impegnato: era ora di fare ordine nella sua camera e nella sua vita. Quello era un gran giorno. Doveva essere tutto perfetto. A spegnere le candeline ci avrebbe pensato quella sera, tra le braccia di Belle, dopo averle detto quanto la amava e quanto era felice di poter trascorrere il suo compleanno con lei.
L’avrebbe presentata ufficialmente come la sua ragazza alla sua famiglia. Non osava neanche immaginare i commenti fuori luogo che suo padre avrebbe fatto a cena, ma Belle era stata avvisata, inoltre la ragazza aveva già avuto a che fare con Peter Gold.
Come seconda cosa, Killian gli aveva detto che talvolta i gesti erano più importanti delle parole.
E Robert aveva tenuto a mente quelle parole.
Così, pieno di buoni propositi, quando il campanello suonò, quel sabato pomeriggio, andò alla porta ed aprì sorridendo.
Un mucchio di palloncini colorati entrò in casa senza preavviso andandogli addosso e facendolo sobbalzare. Belle li seguì titubante.
“Mi sembravano carini.” si scusò mentre entrava e Robert cercava di allontanare un palloncino blu dalla sua faccia.
“Lo sono!” rispose sorridendo.
“Buon compleanno splendore!” esclamò poi Belle buttandogli le braccia al collo.
“Grazie.” Mormorò lui di rimando, seppellendo il viso nei suoi capelli profumati.
“Allora” disse poi, allontanandola leggermente e appoggiandole le mani sulle spalle. “Cosa vuoi fare? Possiamo mangiare qualcosa, ho fatto i tuoi biscotti preferiti e poi vedere un film. Mi va bene anche rivedere Via col Vento. Inoltre-“
“E’ il tuo compleanno” disse la ragazza, guardandolo stupita “Non il mio.”
“Lo so.” Dichiarò Robert. “Ma…beh, voglio che sia una giornata speciale anche per te! Perché tu sei importante per me. Molto importante!”
Belle sorrise e appoggiò le labbra sulle sue.
“Pensavo volessi scartare il tuo regalo.” Sussurrò poi stringendosi a lui.
“Oh...sì io…certo.” Balbettò mentre la bocca di Belle si posava sul suo collo.
“I biscotti li mangiamo dopo, va bene?” boccheggiò infine mentre sentiva piccole mani della ragazza intrufolarsi sotto la camicia e slacciargliela, graffiandogli leggermente la pelle.
“Perfetto.” Mormorò Belle.
Senza dire nient’altro Robert la prese in braccio e la portò in camera.









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Gnauf. Unf unf unf.
Ecchimi qua come al solito in uno splendente ritardo.
Dunque, un paio di cose.
1) Anna: io non sto amando particolarmente Frozen o le scelte stilistiche che ne sono derivate, ma i personaggi presi singolarmente li trovo adorabili. Anna su tutti. Mi sono sentita in dovere di inserirla. Magari è OOC, ma a me è parsa così...con tutto quel suo parlare, chiacchierare con gli estranei, fare amicizia facilmente...insomma, un tripudio di idee e di allegria. Probabilmente diventerà una recurring del gruppo Belle-Tink-Ariel + bonus: Regina.
2) Cora. Vi aspettavate un litigio epocale...? E invece no. Ho deciso che intraprenderò una via diversa per Cora. Lei è sempre stata una stronza, questo sì...ma voglio ridarle una dignità, e voglio ridarle un cuore. Voglio darle la possibilità della vita che in OUAT le è stata negata (senza farla diventare uno zuccherino di madre, eh.) Vedremo dove mi porterà questa mia scelta. Fatemi sapere cosa ne pensate.
3) IL CANE. Allora. La scelta del regalo di Bobby si è svolta nel seguente modo:
- Seasonsoflove: "ABCris, fedele compagna di orrore e mia migliore amica, cosa regala Belle a Bobby?"
- ABCris: "Dunque...collegati ad OUAT...mi vengono in mente solo pugnali, chipped cups e scatolette di Pandora."
 -S: "Ma dai, non può regalargli un pugnale!"
-A: "Allora gli regala un animaletto! Un gatto!"
-S: "NO! MA COME MA PERCHE' HUSAHDUAHDUHEUDHIHAHHDFGS"
-A: "SIII DIAFJADUEAIHFEFCEAHVES"
Alla fine ho optato per il cane. Vedrete perchè. Inoltre, bonus, Rumple aveva un cane...lo dice nella 2x10. E *spoiler* visto che nella 4x11 vedremo Belle con un dalmata e nella 4x12 arriverà Crudelia...chissà :3 Insomma, vabbeh. Ho scelto così.
4) Zelena is back. MUAHAHA.
Bene, è tutto credo.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, le persone che seguono la storia...davvero, avete una pazienza d'oro, non finirò mai di ringraziare il pubblico di questa fanfiction che mi fa compagnia da almeno un anno (e andrà avanti per altrettanto, a giudicare dal ritmo con cui scrivo). Insomma, grazie davvero. 
Un bacione a tutti voi, fatemi sapere cosa ve n'è parso di questo assurdo capitolo, se vi va :)
seasonsoflove

 

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Capitolo 28
*** Don't speak ***


 
 

You and me
We used to be together
Everyday together always
I really feel
That I'm losing my best friend
I can't believe
This could be the end






“I tuoi palloncini mi hanno fatto diventare tutti i capelli elettrici.”  Borbottò Robert rabbioso, cercando inutilmente di pettinarsi.
Finì di passare il pettine e i capelli ripresero a fluttuare indisturbati.
“Ma perché non stanno fermi in nessun modo!? Sono-così-lisci-e-fini.” Continuò scandendo le parole con fastidio, appoggiando il pettine sulla scrivania.
Belle lo osservò nello specchio con aria critica.
“Dovresti provare con la lacca. E poi non dovresti pettinarli. Così peggiori la situazione. Prova con le mani!”
Lui aggrottò le sopracciglia incerto.
Riprovò a sistemarli, questa volta con le mani.
Finalmente rimasero immobili.
Sorrise soddisfatto.
Belle si avvicinò allo specchio e al ragazzo e si sistemò gli orecchini, quasi casualmente, dopodiché con un gesto improvviso gli scompigliò di nuovo i capelli ridendo candidamente.
“Sei una stronza! Guarda cos’hai fatto, sono di nuovo tutti elettrici!” protestò Robert indignato.
Ricevette un’altra manata in testa come risposta.
 
 
Tink camminò spedita verso il molo.
Killian era già lì ad aspettarla, appoggiato alla ringhiera, le mani in tasca e lo sguardo momentaneamente perso.
Quando la vide allargò le braccia e sorrise allegramente.
Tink invece aveva solo voglia di urlare e saltargli al collo.
Aveva vinto lui. Pur di porre fine a quell’esasperante tira e molla e a quella sorta di limbo nel quale era finita la sua amicizia con Ariel, aveva acconsentito a vedere il ragazzo per chiarire la situazione.
“Tesoro! Ce n’è voluta per convincerti ad uscire ma alla fine-“
“Non è un appuntamento.” Dichiarò Tink ostile, mentre si fermava di fronte a lui.
Il sorriso svanì dalle sue labbra per un momento, giusto per qualche secondo.
“Ma tu nel messaggio hai detto che dobbiamo parlare…“
“Appunto. Mi sembrava abbastanza chiaro che non fosse un appuntamento.”
Killian spalancò la bocca e poi rise.
“Sei sempre la solita stronzetta eh? Mi piace. Vieni, andiamo a fare un giro.”
 Tink non mosse un muscolo. Non aveva la minima intenzione di dargli corda, la infastidiva ogni cosa di quella situazione.
Il fatto che lui sembrasse interessato a lei quanto ad ogni altra ragazza della scuola, il fatto che avesse creato una faida tra lei ed Ariel, il fatto che le avesse inviato una foto di quel genere solo per attirare l’attenzione…
“Non ho voglia di camminare e non sono qui per passare il pomeriggio con te.” Esordì.
Killian la guardò sorpreso.
“Non ti è piaciuta la foto che ti ho inviato?”
“Per niente, ma credo che tu questo già lo sappia.”
“Può essere. Ma almeno ho attirato la tua attenzione. E’ sempre piacevole impressionare qualcuno!”
Lei sbuffò e si sistemò la coda di capelli biondi con fare altezzoso.
“Non è certo così che si attira l’attenzione di una donna.”
“Però tu ora sei uscita con me” osservò Killian.
“Sai bene perché.”
“Perché sono diabolicamente affascinante?” tentò lui.
“Sono seria adesso. Devi smetterla.” Disse Tink guardandolo negli occhi. “Soprattutto non devi prendere in giro Ariel. Le voglio bene, è mia amica…Io e lei…abbiamo litigato per questa cosa. Noi abbiamo scherzato ma se coinvolgi anche una mia amica, la cosa non mi va più bene. Quindi o tu la smetti, o tornerò ad ignorarti per il resto della mia esistenza e dirò che la stessa foto che hai inviato a lei, l’hai inviata anche a me. E che mi hai baciata quella sera a casa mia.” Concluse decisa la ragazza. Annuì per farsi coraggio.
Bisognava essere determinati nella vita.
“Ho capito.” Disse semplicemente lui.
“Davvero?”
“Sì. Ma non ti chiederò scusa.”
“Non voglio che tu mi chieda scusa…voglio solo che tu sia corretto.”
“Aye.”
Tink non disse nulla mentre un grande sorriso si allargava sul volto di Jones.
“So che non è un appuntamento. Ma...vuoi vedere cos’avrei preparato per questo pomeriggio?” chiese infine il ragazzo, infilando le mani in tasca e appoggiandosi alla ringhiera del molo.
Tink si guardò intorno.
Ora che aveva portato a termine la sua missione con serietà, proprio come i suoi genitori le avevano insegnato, poteva anche concedersi un po’ di svago.
Forse. 
“Non sono sicura…dipende.”
“Non è niente di inappropriato.” Le assicurò Killian.
Lei inarcò le sopracciglia.
“Va bene. Solo perchè sono curiosa di vedere cosa sei stato capace di inventarti. Ma non posso rimanere tanto, devo finire di studiare per la verifica di martedì.”
“E’ sabato. Non dovresti studiare.” Osservò lui.
“Io studio sempre. Anche la domenica sera. Non provocarmi.” Dichiarò Tink leggermente isterica. Nessuno doveva farle pressione su quel genere di argomenti.
Jones rimase un momento immobile, dopodichè alzò le spalle e le fece segno di seguirla.
 

 
Improvvisamente il campanello di casa Gold suonò.
Robert alzò la testa contrariato. Era così felice, stretto a Belle mentre la baciava steso sul letto, che quasi si era dimenticato dell’esistenza del mondo intorno a loro.
Belle spalancò gli occhi e lo guardò.
“E’ il tuo campanello!”
“Lo sento.” Borbottò Gold infastidito.
Dopodiché riprese a baciarla e si issò sopra di lei e le sue mani presero a vagare indisturbate verso il basso.
Ma gli scampanellii si susseguivano incessantemente.
“Senti, mi piace davvero quello che stiamo facendo ma questo suono inizia a distrarmi. Non riesco a concentrarmi su quello che dovrei fare io, e su quello che tu stai facendo a me.” Disse infine Belle, staccandosi da lui.
Robert si scansò e con un balzo scese dal letto, rabbioso e scontroso.
“Aspettami pure qui, tanto saranno quelli del corriere che hanno portato alcuni libri per mio padre…”
Scese le scale cercando di rendersi presentabile. Si allacciò la cintura, i bottoni della camicia e si controllò criticamente allo specchio.
Pareva tutto in regola.
“Arrivo” urlò all’ennesimo trillo.
Quando aprì la porta però non vide nessuno.
Si guardò intorno perplesso.
Nulla, non si muoveva una foglia.
Sicuramente erano stati i bambini che abitavano nella casa di fronte.
Pieno di odio per il mondo e per chiunque avesse interrotto un momento così meraviglioso con la sua Belle, si preparò a chiudere la porta sbattendola teatralmente, quando venne attratto da uno strano guaito all’altezza del pavimento.
Abbassò lo sguardo.
Ciò che vide lo lasciò letteralmente di stucco.
Un dalmata, un piccolo dalmata con gli occhi azzurri lo guardava con altrettanto stupore e gemeva leggermente.
“Ciao piccolino!” esclamò Robert sorridendo improvvisamente. “Ti sei perso?” continuò poi.
Si chinò fino a raggiungere il cagnolino. Gli accarezzò la testa e il cane parve gradire. Fu allora che gli cadde l’occhio su un fiocco dorato, leggermente stretto intorno al collo del cane a mo’ di collare.
“Ma che diavolo…”
Sentì i passi rapidi di Belle sulle scale e la ragazza apparve titubante nell’ingresso.
Lo guardava con una strana espressione colpevole.
Robert la fissò di rimando.
Poi tornò a guardare il cane.
“Io…”
Iniziò Belle incerta.
Non sapeva cosa dire.
Era stata decisamente l’idea più stupida che avesse mai avuto. Certo, non era stata unicamente una sua idea, anzi, era stata un’idea di Anna, ma lei aveva accettato, era stata complice di quella follia. Ed ora doveva pagare.
“Io non sapevo cosa regalarti e-“
Si interruppe.
Robert aveva raccolto in cucciolo da terra e l’aveva sollevato, stringendolo goffamente e cercando di non farlo cadere. Il cane aveva iniziato a scodinzolare e ora guaiva di gioia, si dimenava tra le sue braccia cercando di leccare qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Ci riuscì, colpendo Robert in piena faccia.
Belle deglutì ma il ragazzo si voltò verso di lei sorridendo.
“Posso chiamarlo Adam?”
Lei rimase immobile.
Dopodiché scoppiò in una risata liberatoria.
“Avevo pensato che avresti potuto chiamarlo Bobik!”
Gold fissò il dalmata perplesso.
“Bobik? E perché?”
“L’ho letto ne ‘Le Tre Sorelle’ di Cechov. Mi sembrava un nome carino considerato che il suo padrone si chiama Bobby…”
Il cane leccò nuovamente Robert, che cercò di scansarsi inutilmente.
“No, niente Bobik. Si chiamerà Adam Gold. Adam e Robert Gold. Saremo una bella squadra.” Dichiarò solennemente il ragazzo, tenendosi a distanza dal muso del cane.
Belle sospirò profondamente.
In fondo il cane non era suo…
“Di sopra nella borsa ho il resto del regalo!” disse infine.
Lui la guardò stupito.
“I documenti di Bobi- Adam, il guinzaglio, collare…quelle cose lì.” Spiegò.
“Hai pensato proprio a tutto!”
Belle sorrise.
“Beh, allora…buon compleanno!” esclamò poi felice.
Robert scoppiò in una risata.
“Grazie!”
 
 
Tink osservò perplessa l’imbarcazione mentre Killian si sfregava le mani soddisfatto.
“Non male eh?”
“Non è mica…tua…vero?”
Lui sorrise candidamente.
“Diciamo…circa.”
“In che senso circa?”
“Nel senso che non è proprio mia. E’ di mio fratello.”
La ragazza spalancò gli occhi.
“Quindi voi avete una barca e tu non me l’hai mai detto?”
“Tu non hai mai voluto sentire nulla di me!” protestò Jones.
Lei incrociò le braccia.
“Se tu ti fossi comportato seriamente…”
“Tesoro, sono solo un ragazzo. Non puoi essere così severa! E poi ora sto cercando di rimediare.”
Tink lo squadrò. Dopodiché rivolse di nuovo lo sguardo alla barca.
Era una bella barca, piccola ma elegante, di legno scuro, con la vela e il motore.
“La sai far andare?”
“Ovviamente. Mio fratello mi ha spiegato tutto e mi ha prestato le chiavi. Perché credi che ti abbia portata qui, altrimenti?”
“E la patente nautica?”
Killian esitò.
“Quella…quella non serve. E’ una barca piccola.”
Così dicendo, si issò oltre la ringhiera del molo. Dopodiché fece un rapido balzo ed entrò nell’imbarcazione.
Aveva mentito ovviamente.
Certo, la barca era di suo fratello. Ma le chiavi Killian gliele aveva rubate dal cassetto. Inoltre la barca necessitava di patente nautica ma lui di sicuro non ce l’aveva. Sperò solo che andasse tutto liscio. Il piano era semplice: avrebbe portato Tink Glocke a fare un memorabile giro in mare, insomma, un primo appuntamento da urlo. Lei sarebbe caduta ai suoi piedi e finalmente lui avrebbe avuto tutta per sé quella bionda fatina su cui aveva puntato gli occhi mesi prima.
Nessuna donna resisteva al fascino di un uomo di mare.
“Signora, mi segua pure!” disse con fare galante.
Tink si guardò intorno perplessa.
“Non dovrebbe esserci…una specie di ponte?”
Killian rifletté velocemente. Sì, forse sì. Ma non aveva tempo per mettersi a cercarlo.
“Salta a bordo, è più bello. E’ più…avventuroso.”
Dopo averci riflettuto brevemente, Tink sorrise e fece come le era stato detto.
“Bene, benissimo!” esclamò Jones strofinandosi le mani. “Ora vediamo di far funzionare la barca, sì? L’ho provata poche volte…sai, sono il fratello minore. Ma scommetto che…”
Cercò di ricordare come funzionasse quell’aggeggio infernale.
“Ah sì.” Borbottò. Prese le chiavi e le squadrò. Dopodiché diede una controllatina al motore e scrutò le vele.
“Sì.” Ripeté.
Si strinse nelle spalle.
“Faccio una chiamata bellezza, aspetta un secondo.” Disse poi.
Tink rimase immobile, inarcando le sopracciglia.
Killian con un balzo fu di nuovo sul pontile, afferrò il cellulare e sparì.
Tornò cinque minuti dopo.
Inserì le chiavi e fece partire il motore. Diede specifici ordini a Tink e la aiutò a mollare gli ormeggi.
Dopodiché, con una manovra un po’ traballante, riuscì a far partire la barca (non senza averla fatta strisciare, con relativi insulti, contro la barca vicina) e si allontanò dal porto.
 
 
“Okay.” Sussurrò Belle nervosa, lisciandosi il vestito e controllando di avere ancora entrambi gli orecchini al loro posto.
“Hey.” Mormorò Robert stringendole la mano. Si bloccò davanti a lei e la guardò dritta negli occhi. “Andrà tutto bene. Durerà poco e poi potremo stare ancora insieme. E porteremo Adam a spasso più tardi, sarà fantastico! Ce la faremo, te lo prometto...sarai perfetta. Lo so, sarà così.”
La ragazza sorrise debolmente e annuì cercando di sembrare convinta.
“Oh, e non farti intimidire se…qualcuno dirà qualcosa di…inappropriato. Conosci mio padre…insomma…è uno senza peli sulla lingua.”
“Lo so.”
“E anche mia zia. Lei…è…beh, è tranquilla. Insomma, sembra tranquilla. Però è un po’…beh, ho sempre l’impressione che sia un po’ strana. Anche se la vedo poche volte all’anno.”
Belle inarcò le sopracciglia.
“In che senso?”
“Dice delle cose strane. E ad un primo impatto può fare paura. Non so, a volte mi mette i brividi, sembra che ti legga nella mente. Comunque deve aver avuto dei problemi da giovane anche se mio padre non ne parla mai.”
La ragazza spalancò gli occhi.
Si chiese se ci fosse qualcuno di normale in quella famiglia.
Robert guardò giù, verso il corridoio, con ansia. Sentì l’auto nel vialetto di casa e deglutì.
“Ho qualcosa fuori posto?” disse poi Belle interrompendo il flusso dei suoi pensieri e cercando di controllarsi i capelli nel riflesso di un grande quadro lì accanto.
Lui si voltò verso di lei e la squadrò.
“Tutto perfetto. Sei bellissima!”
“Addirittura…”
 “Ce la faremo.” Ripeté riprendendo a controllare l’ingresso, parlando più a sé stesso che a Belle. Dopodiché ghignò leggermente “Con la forza del nostro amore!” disse infine con una mezza risata.
Lo disse per sdrammatizzare la situazione, ma in realtà ci credeva veramente.
Belle sorrise.
“E’ amore quindi?”
Robert rimase un momento immobile, immerso nei suoi pensieri, dopodiché annuì convinto.
“E’ amore! Vero amore!” dichiarò quasi solennemente.
Lei gli scoccò un ultimo bacio e lo strinse brevemente, felice, perché quella piccola parola, anche se detta quasi scherzando, valeva più di tutte le dichiarazioni del mondo.
Poteva non trovare il coraggio di dirle che la amava, ma era davvero amore quello che provavano e lui l’aveva appena confermato.
Sarebbe andato tutto bene.
La voce di Peter Gold si levò chiara nell’ingresso, col suo tono gioviale e allegro.
“Vieni giù piccola canaglia e porta con te la tua donzella! Vogliamo vedervi!”
 
Belle scese le scale col cuore in gola, pregando mentalmente tutte le divinità che conosceva di essere assolutamente perfetta quella sera.
Poggiò i piedi sull’ultimo gradino, dopodiché Robert le sorrise ed insieme giunsero nell’ingresso.
Peter Gold stava chiacchierando allegramente con una bella donna bionda sulla quarantina che Belle immaginò essere Ingrid, la zia di Robert. E in fondo, vicina alla porta, un’altra donna coi capelli color cenere stava sistemando dei sacchetti.
“Ah eccoli qui!” esclamò Peter allargando le braccia e sorridendo.
I due ragazzi avanzarono e sorrisero a loro volta.
Belle si fece coraggio, forte degli insegnamenti di sua madre e fece un passo in avanti.
“Sono Belle French, molto piacere.”
Si ricordò che forse non avrebbe dovuto dire 'piacere', il nuovo galateo era molto severo a riguardo, ma ormai era troppo tardi. Deglutì e rimase in attesa. Peter le diede una pacca amichevole sulla spalla e borbottò qualcosa come “noi ci siamo già conosciuti” mentre la madre di Robert le strinse la mano con un sorriso gentile. L’ultima a presentarsi fu Ingrid.
Le strinse la mano lentamente.
“Felice di conoscerti.” Disse piano.
La fissò con uno strano sguardo e un sorriso che però non si estese fino agli occhi che rimasero letteralmente di ghiaccio. Robert aveva ragione, quella donna era ad una prima vista, inquietante. Belle rabbrividì impercettibilmente.
“Bene, bene.” Esclamò Peter strofinandosi le mani “Ho sentito che laddie voleva cenare in casa ma alla fine abbiamo pensato che poteva essere più…pratico, ecco, andare al ristorante. Belle, tu sei d’accordo?”
La ragazza distolse lo sguardo da Ingrid che ancora la guardava immobile.
“Oh! Ma certo!” esclamò sorpresa.
Robert le cinse la vita.
“Tranquilla, andrà tutto bene, ci sono io!” le sussurrò velocemente approfittando del rumore nell’ingresso.
Belle si girò verso di lui.
“Sono tranquilla. Tu piuttosto, stai tranquillo.” Disse infine.
E realizzò che era vero. Non c’era nulla da temere. La famiglia Gold era una famiglia come tutte le altre. Una famiglia con i suoi problemi, proprio come tutte le famiglie.
Robert afferrò la sua giacca e quella di Belle e gliela porse.
“Com’era quella frase sulle famiglie di Tolstoj?” chiese lei pensierosa.
Il ragazzo la guardò perplesso.
“Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro…” iniziò Belle mormorando.
“Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.” Completò Robert capendo a cosa si riferiva.
“Già.”
 
 
Il vento fresco della sera scompigliava i capelli di Tink e la ragazza si godeva la sensazione di libertà che stava provando in quel momento, una sensazione che in vita sua non le era mai parso di sentire tanto chiaramente.
“Tutto bene?”
La voce di Killian le giunse forte e chiara.
Dopo qualche esitazione con la barca, con i vari meccanismi e con le vele, il pomeriggio era decollato. Ma era ora di cena e quindi era giunto il momento di tornare a casa.
Tink rifletté.
Non si sarebbe mai aspettata una giornata del genere, specialmente non da un ragazzo come Killian Jones.
Forse aveva fatto male a giudicarlo così in fretta.
“Tutto bene.”
La barca veleggiava indisturbata verso il porto. Non si erano spinti tanto a largo ma quanto bastava per avere la sensazione di essere…lontani.
 
 
Robert sparì di sopra e tornò poco dopo con in braccio il piccolo dalmata.
“Ehm…papà, mamma?” disse poi.
Tutti si girarono.
Dopo un momento di stupore generale il ragazzo parlò.
“Lui…lui è Adam. E’ il mio cane.” Dichiarò.
Belle assunse un espressione colpevole e sentì le mani iniziare a sudare. Non aveva fatto minimamente i conti col fatto che non regalava il cane solo a Robert ma a tutta la sua famiglia…
“Beh questa è una sorpresa. Conti di prendertene cura tu?” chiese sua madre.
Robert annuì incoraggiante mentre il piccolo Adam guaiva.
Peter si strinse nelle spalle.
“Finché non inizi a chiedermi di portarlo fuori la mattina alle sette…per me va bene. Non sapevo che volessi un cane ma se ci tieni tanto…tienilo pure!” Asserì.
“E’ una bella responsabilità avere un cane.” Osservò Ingrid.
C’era qualcosa nella sua voce perfettamente calma che faceva accapponare la pelle di Belle.
“Lo so.”
“Beh, se Belle te l’ha regalato significa che ti ritiene pronto.” Continuò lei.
 “Oh, gliel’hai regalato tu? Credevo l’avesse trovato in giro!” esclamò Peter rivolgendosi a Belle.
“Sì…sì, gliel’ho regalato io!”
“Ah. Come mai?”
 “Io ho…ho pensato di…” si guardò intorno disperata in cerca di ispirazione.  Cosa poteva dire? Che non aveva idea di che regalo fargli e allora una pazza ragazzina di nome Anna l’aveva convinta a prendergli un cane? Che non aveva molti soldi per potersi permettere un regalo come si deve così aveva optato per…un animale perché al canile erano gratis?
“Ho pensato di dare una vera responsabilità a Robert. Perché è un bambinone.” Dichiarò infine.
Robert la guardò stralunato mentre Peter Gold scoppiò a ridere, insieme a sua moglie.
“Allora hai fatto bene. Non è l’unico in famiglia comunque…mia moglie continua a definirmi un Peter Pan, nonostante i cinquant’anni suonati.”
Belle sorrise e si rilassò. Anche quella era andata. Anche Robert le sorrise, dopo l’iniziale perplessità.
 
 
Quando attraccarono (ovviamente strisciando nuovamente sulla barca vicina, ma Killian decretò che il danno “si vedeva a malapena”), Tink rimase ancora immobile mentre il ragazzo la raggiunse.
“Allora.” Iniziò lui.
Lei si girò e lo squadrò.
“Che vuoi?” chiese.
Jones sorrise candidamente e si appoggiò vicino a lei, guardando i riflessi delle luci del porto sull’acqua.
“Smettila di fare la sostenuta.”
“Non faccio la sostenuta!”
“Sì invece.”
Tink non rispose. Non aveva intenzione di raccogliere la provocazione.
“Spero tu ti sia divertita.” Disse infine Killian.
Qualcosa nel suo tono di voce, forse una leggera esitazione, spinse Tink a girarsi nuovamente verso di lui.
“Sì. Non mi aspettavo un pomeriggio simile.”
“Ho fatto del mio meglio, modestamente.”
Lei annuì.
Dopo un po’ decise che era giunto il momento di togliersi un sassolino dalle scarpe.
“Tuo fratello non sa che hai preso la sua barca, vero?”
Jones scoppiò a ridere.
“Non ti sfugge niente vero?”
“Niente di niente.”
Alla risata di Killian si unì anche quella della ragazza.
“Eh, non si può avere tutto dalla vita.” Esclamò poi lui con fare melodrammatico.
“Apprezzo comunque lo sforzo che hai fatto.”
“Anche mio fratello lo apprezzerà.”
Tink tamburellò col piede.
“Che tipo è?”
“E’ il miglior fratello del mondo. Sai, vedo sempre tutti che si lamentano dei loro fratelli e delle loro sorelle” si interruppe un momento, scosse la testa e riprese “Io no. Liam è un grande. E’ il mio migliore amico. Lui è la mia famiglia. Se…se gli succedesse qualcosa io sarei pronto ad andare in capo al mondo per salvarlo.”
Improvvisamente mentre parlava, si accorse che la minuscola mano di Tink aveva lentamente incontrato la sua.
Si interruppe e la fissò.
“A cosa devo l’onore?” chiese, inarcando le sopracciglia e indicando le loro mani con un cenno della testa.
“Non farmene pentire.” Replicò Tink acidamente.
Dopo qualche minuto di silenzio in cui fu possibile udire il chiacchiericcio delle persone sul molo, Killian si schiarì la gola.
“Deduco che sarebbe possibile chiederti un altro appuntamento.”
“Non saprei. Mi aspetta qualcosa di altrettanto interessante?” domandò Tink con un mezzo sorriso.
“Anche di più, tesoro.”
La biondina annuì.
“Vada per un altro appuntamento allora.”
 
 
Belle si sedette felice sulla panca nell’ingresso di casa Gold. Robert era andato di sopra per prendere il piccolo Adam e portarlo a fare la sua prima passeggiata serale. Poi tutti insieme sarebbero andati a casa di Belle.
La ragazza sorrise fra sé e sé.
Dal soggiorno sentiva Peter Gold che chiacchierava animatamente con sua moglie: parlavano del nome del cane e si chiedevano perché Robert l’avesse scelto.
Belle rifletté: in effetti non ne aveva idea. Si appuntò di chiederglielo.
Andava tutto bene. Davvero bene.
Poteva non essere particolarmente ricca o ambiziosa, ma aveva saputo come affrontare le varie discussioni. Aveva aggirato gli ostacoli con abilità e si era difesa. Alla fine aveva visto una nuova luce negli occhi di Peter Gold. La guardava con un nuovo rispetto.
Evidentemente si aspettava qualcuno di completamente diverso.
Le aveva persino detto che secondo lui avrebbe sbaragliato la concorrenza per la borsa di studio!
In quel momento Belle French era davvero fiera di sé stessa. E dentro di sè era convinta che anche Robert fosse fiero di lei. Lo aveva visto così nervoso ad inizio serata e poi, man mano che lei chiacchierava con la sua famiglia, si era rilassato...era stata una dura prova ma l'aveva superata.
All’improvviso sentì del passi felpati nel corridoio vicino alla cucina.
Ingrid apparve sulla soglia, col suo strano sguardo vacuo, e le sorrise.
Belle fece altrettanto.
“Allora, ti sei divertita?” chiese la donna.
“Molto. Sono…sono stata davvero bene!”
Era vero.
Ed era anche vero che della famiglia Gold, Ingrid era la persona che meno aveva inquadrato e che più la lasciava perplessa.
La mamma di Robert era una donna buona e gentile, suo padre poteva essere egoista e superficiale quando voleva, probabilmente anche spietato, ma era comunque sempre allegro e con la battuta pronta.
Ingrid invece…non parlava quasi mai. E quando lo faceva, lo faceva con estrema cautela, quasi sottovoce.
“Dev’essere stata dura.” Riprese Ingrud.
Belle cercò di sembrare cordiale.
“No…davvero, è stato divertente.”
 “Hai fatto colpo su quel ragazzo, sai. Non l’ho mai visto così preso da nessuna. Anzi, da nessuno in generale, neanche dai membri della sua famiglia.”
La rossa sorrise a disagio. Non sapeva cosa rispondere.
Senza preavviso, Ingrid si sedette accanto a lei e le appoggiò la mano sulla sua.
Belle rimase immobile, imbarazzata.
“Stai comunque attenta.” Disse la donna con serietà, guardandola con i suoi grandi occhi azzurri spalancati.
“Oh…a- a cosa?” chiese perplessa l’altra.
“A Robert.”
Nessuno disse nulla.
Dal soggiorno giungeva rumore di bicchieri, evidentemente Peter Gold si stava concedendo un goccetto.
“Io non…non capisco cosa intende.” Disse semplicemente Belle.
“Lo so. Stai pensando ‘chi è questa pazza e cosa vuole’…voglio solo avvisarti. Robert è un…ragazzo debole.”
Belle si voltò verso Ingrid.
“Io non-“
“Non prendere come oro quello che dico, magari non è così. Ma attenta. Sai, ho visto come si comporta, cerca di tenerti sopra un piedestallo e ti tratta come se fossi…come lui. Debole ed impaurita. Ma tu non lo sei, giusto?”
La ragazza non rispose. Non capiva dove volesse arrivare.
“Mi sembri una persona forte. Ma lui…lui ti considera debole. E temo che sia questo il motivo per cui ti ha scelta. Potrei sbagliarmi ovviamente. So che è brutto ma…voglio avvisarti, in caso che tu ti accorga qualcosa di strano. Sai…a volte lui mi ricorda tanto suo padre.”
“Io…io penso che siano molto diversi.”
Ingrid sorrise tristemente.
“Vorrei pensarlo anche io. Ma…li conosco bene entrambi. Ricorda questo: Robert cercherà sempre una persona che ritiene debole che gli stia accanto, sarà disposto a tutto…anche a mentirti e a scavalcare gli altri pur di non perderti. Perché lui ha bisogno di te.”
Belle deglutì.
“Perché mi sta dicendo tutto questo? Io…io non credo che lui sia così.”
“Peter è mio fratello, non ha segreti per me. E credimi…Robert è uguale a lui. In fondo…credo che tu lo sappia. Hai avuto modo di vederlo. Robert ha paura che tu non riesca ad ottenere quella borsa di studio vero? E ha paura dell’opinione che gli altri potrebbero avere di te. Perché lui ti ritiene debole. Ma è proprio per quello che ti ha scelta...in fondo, gli fa comodo.”
La ragazza allontanò di scatto la mano e alzò.
“Non è così.”
Ingrid continuò a guardarla con quel suo strano sguardo malinconico.
“Lo spero davvero per te. Spero che non ti troverai mai a soffrire come…come è successo a me.”  Concluse, sempre fissandola con serietà e parlando con quel suo tono di voce basso, quasi melodioso.
“Adam!”
La voce di Robert giunse forte e chiara.
Il piccolo dalmata stava scendendo le scale a balzi. Sembrava estremamente felice.
“Vieni qui, piccolo stronzetto!”
Gold scese le scale di corsa e raggiunse Adam con il guinzaglio in mano.
“Belle! Mi dai una mano? Non riesco ad infilargli – questo – dannato – coso - nel collare.”
Lei annuì lentamente, lieta però di avere un pretesto per allontanarsi dalla zia di Gold.
Si alzò mentre Robert combatteva contro un esagitato e scodinzolante Adam.
Ingrid li guardò sorridendo leggermente.
“Vi lascio alla vostra missione allora! Il piccolo sembra piuttosto restio”
 
 
“Buonanotte quindi.” Disse Killian, fermandosi di fronte al giardino della ragazza.
Sorrise ripensando a quando aveva fatto esplodere la casa di petardi sul tetto della casa.
“Perché ridi?”
“Perché ripensavo ai fuochi d’artificio.”
“Non c’è stato nulla di divertente. Mi odiano tutti nel vicinato adesso!” disse Tink indignata.
Jones annuì.
“Lo immagino. Io però non ti odio. Anzi.”
E così dicendo, si avvicinò al viso di Tink e si fermò a pochi centimetri dalle sue labbra. Sorrise candidamente e le lasciò un bacio sulla guancia.
“Davvero.” Esclamò lei incredula quando lui allontanò il suo viso “Tutto qui!?”
“Sì. Il resto…venerdì prossimo...forse!"
La ragazza inclinò la testa perplessa.
“E’ il giorno del nostro prossimo appuntamento.”
“Oh. Hai già deciso!?”
“Sì. Gli altri giorni ho i pomeriggi pieni di…recuperi scolastici…e quelle cose là.” Fece un vago segno con la mano.
Tink sorrise leggermente.
“Allora venerdì.”
“Venerdì.”
 
 
 
Robert camminava felice godendosi la tranquillità della serata. Era andato tutto bene. Suo padre non aveva fatto, o detto, nulla di eccessivamente imbarazzante. Sua madre era stata gentile come sempre.
Dopo un ovvio iniziale imbarazzo, la conversazione era decollata. Guardò Belle che camminava vicino a lui silenziosa.
Era felice di stare con lei.
Era sempre più felice ed era orgoglioso. Era la sua ragazza, la amava, lei lo amava e insieme stavano costruendo un possibile futuro.
Le prese la mano mentre con l’altra teneva il guinzaglio.
Davanti a loro, Adam trotterellava impaziente con le sue piccole zampette.
Robert lo guardò con gioia.
Non aveva mai pensato a prendersi un cane ma era stata un’ottima idea. L’indomani avrebbe potuto fargli conoscere Pongo, erano due dalmata, sarebbero sicuramente andati d’accordo…
“Sono davvero contento.” Dichiarò poi.
Belle si girò verso di lui.
“Sì?”
“Sì. E anche un po’ sollevato sinceramente.”
Lei non disse nulla.
“Tu stai bene?” le chiese con dolcezza.
“Sì. Sto alla grande!”
“Hai visto? E’ andata bene!”
Belle sorrise.
Qualcosa però la disturbò.
Robert era sollevato, Robert era contento che fosse andata bene.
Ripensò a com’era agitato prima della cena, a come continuava a ripeterle che sarebbe andato tutto liscio. Improvvisamente realizzò che tutta l’ansia che aveva provato prima di conoscere la sua famiglia, non veniva da lei.
Veniva da lui.
Era come se fosse lui stesso ad avere paura che…che le cose andassero male. Che in qualche modo fosse convinto che la sua famiglia…non l’avrebbe apprezzata.
E le parole di Ingrid rimbombarono nella testa di Belle.
E’ debole, ha scelto te perché ti ritiene debole.
“Credeva che mi avrebbero visto come una ragazza debole” pensò.
“Beh, non ero io ad avere paura che non andasse bene.” Disse improvvisamente Belle.
Forse il tono di voce le uscì più aspro del previsto, perché Robert si voltò verso di lei stupito.
“Non avevo paura che non andasse bene. Insomma sì, però…però era solo agitazione. Niente di che.”
La ragazza annuì.
Agitazione.
Paura.
Non faceva molta differenza.
Pensò alla borsa di studio. Come avrebbe reagito Robert se lei non l’avesse vinta? Cos’avrebbe detto a lei? E a suo padre?
Forse si sarebbe vergognato. O si sarebbe comportato esattamente come prima della cena, assicurandole che sarebbe andato tutto bene. Assicurandolo a sé stesso, più che altro.
“Posso chiederti una cosa?” domandò infine Belle.
Cercò di sembrare il più tranquilla possibile.
“Certo!” rispose Robert sorridendole.
“Cosa…cosa succederebbe se io non vincessi la borsa di studio?”
Il ragazzo si bloccò in mezzo alla strada.
“Perché non dovresti vincerla?” chiese infine, lentamente.
“Non lo so. Insomma, io spero davvero di vincerla. Ma…se dovesse succedere?”
Gold non disse nulla.
Dopodiché si avvicinò a lei, fino a sfiorarle la fronte con le labbra.
“Andrà tutto bene. Vedrai...ce la farai!”
Belle fece un passo indietro.
“Perché continui a ripeterlo?”
“A ripetere cosa?”
“Che andrà tutto bene. E’…è tutta la sera che continui a dirlo!”
Lui la guardò stupito.
“Perché cerco di convincermi che sarà così! Insomma, volere è potere, giusto? Cerco di essere positivo!”
“Beh, invece è snervante. E’ come se non ci credessi nemmeno tu e cercassi di autoconvincerti! E’ una cosa insopportabile!” finì con enfasi.
Dopodiché si bloccò.
Robert la stava fissando con tanto d’occhi, immobile e letteralmente basito.
“Scusami” disse infine, la voce quasi incrinata. “Io…non mi ero accorto che ti desse fastidio.”
Belle respirò a fondo. L’aveva deliberatamente preso a male parole senza un vero motivo. Tutto quello che cercava di fare era incoraggiarla e incoraggiare sé stesso, e lei lo aveva semplicemente aggredito.
“Non sono debole ma mi sto comportando come se lo fossi. Due parole di una perfetta sconosciuta bastano a mettermi in crisi? Sono davvero questa persona?”
“Belle?” provò Robert.
Aveva uno sguardo strano e impaurito. Guardandolo, Belle capì quanto realmente lo avesse ferito.
“Mi dispiace.” Mormorò lei. “Mi dispiace davvero, non volevo…”
Fece un passo verso di lui e lo strinse forte.
Sentì le braccia del ragazzo cingerle piano la schiena e accarezzarle i capelli.
“Mi dispiace.” Ripeté “Scusa, sono solo stanca e tanto agitata per questa storia.” Alzò la testa e si trovò a pochi centimetri dal suo viso “Tu sei sempre così carino con me…scusami, ho perso la testa ma…è solo l’ansia. Ti prometto che andrà meglio”
Robert sorrise debolmente e le accarezzò il viso.
“Non fa niente. Non è successo niente, davvero!”
Belle appoggiò delicatamente le labbra alle sue, sentendo il bisogno di mostrargli effettivamente quanto gli fosse grata e quanto fosse innamorata di lui.
“Ti amo.” Sussurrò poi staccandosi.
Proprio come la prima volta, pronunciare quelle due parole era meraviglioso e distruttivo al tempo stesso.
Gold la guardò, tenendola stretta a sé.
Forse sarebbe anche riuscito a risponderle perché davvero, quella era la situazione perfetta e lui non aveva certezza più grande del suo amore per Belle.
Ma Adam scelse proprio quel momento per dare uno strattone al guinzaglio e farsi una corsetta, libero, per il marciapiede del centro di Storybrooke.
Dopo numerose imprecazioni lo raggiunsero e il piccolo dalmata ricevette una sgridata epocale, la prima della sua vita e la prima di una lunga serie.
Robert, furioso col mondo, con sé stesso e con il cane, riaccompagnò a casa una sconcertata Belle.
 
Due ore più tardi, Robert, rigirandosi nel suo letto, mentre il cagnolino dormiva beato al suo fianco (aveva rinunciato al dominio sul letto dopo che un “Adam, cuccia” non aveva portato a nessun risultato),  scrisse un messaggio.
 
Non riesco a dormire ma c’è Adam qui nel letto con me. Abbiamo fatto pace anche se è uno stronzetto. Prima l’ho lavato un pochino e gli ho strofinato le zampine, così non mi sporca le lenzuola. Abbiamo fatto un disastro in bagno con tutta la schiuma !
Comunque volevo dirti che sono innamorato di te.
Te lo dirò anche a voce, te lo prometto. Ma ti amo anche io e volevo che tu lo sapessi. Ti amo veramente tanto, sei splendida.
Buonanotte amore mio, non vedo l’ora di vederti lunedì, grazie di tutto.

Cercò di inviarlo, ma invano.
La sua compagnia telefonica lo avvisò che aveva finito il credito e che doveva rinnovare la sua promozione mensile.
Maledisse tutto il mondo con odio smisurato, si girò dall’altra parte e si addormentò, col messaggio ancora aperto sul cellulare.
 
 
Il lunedì, nella ridente cittadina di Storybrooke, due persone si alzarono con una brutta sensazione addosso.
Quelle due persone erano Robert Gold e Regina Mills.
Entrambi si avviarono verso scuola con un ambivalente sensazione di paura e speranza.
 
Robert non vedeva l’ora di trovare Belle e poterla abbracciare. Era successo qualcosa sabato sera, qualcosa che era sfuggito alla sua comprensione in quanto uomo, ma era certo che qualcosa avesse destabilizzato la sua ragazza. Sembrava che si fosse tornato tutto normale, certo, ma per averne la prova doveva vedere come si sarebbe comportata Belle quel giorno. Lui le aveva lasciato i suoi spazi.
Aveva avuto tutta la domenica per stare tranquilla: era certo che avesse risolto qualsiasi cosa le fosse accaduta.
Ma Robert non trovò Belle nel cortile, e neanche all’ingresso, e nemmeno al suo armadietto.
Così si diresse mogio verso l’aula di matematica. Avrebbe visto Belle a pranzo.
Ma non la vide neanche a pranzo.
Così si avvicinò a Tink e si sedette accanto a lei.
“Hai visto Belle?”
“In realtà no. Credo che non sia venuta a scuola!” Rispose l’altra sbrigativa.
Robert la guardò stupito.
“Cosa?”
“Non era a lezione!” rispose Tink.
“E non le hai chiesto dov’era? Non le hai scritto?” chiese Gold sempre più basito.
“E tu non gliel’hai chiesto? Sbaglio o sei tu il suo ragazzo?” esclamò Tink bellicosa.
Robert ricordò qualcosa che gli aveva detto Belle riguardo alla biondina e ai suoi sbalzi d’umore. Afferrò le sue cose e la lasciò sola.
Vagò come un’anima in pena per tutto il resto della giornata mentre Killian gli parlava di cose assolutamente irrilevanti.
Arrivato a casa la sera pensò che forse era giunto il momento di contattare Belle.
Venne liquidato con poche semplici parole.
 
Mi sono presa un giorno di pausa perché sto studiando per la borsa di studio, scusami, sono tanto incasinata! Abbi pazienza. Un bacio!
 
Regina invece era inquieta dopo ciò che era accaduto con Zelena. Aveva la netta sensazione che i problemi non fossero finiti, anzi.
E che sarebbe successo qualcosa di brutto.
E più ci pensava, più le appariva chiara la verità: doveva intervenire e anche presto.
Doveva cambiare le carte in tavola.
Doveva far sì che sua madre vedesse sempre la stessa Regina che aveva cresciuto, l’ubbidiente, spietata e seria ragazza della famiglia Mills.
Però c’era Emma.
Ed era Emma il vero problema.
Zelena e la sua battuta avevano letteralmente messo Regina sul chi vive.
Ma non era solo quella la ragione: c’era sempre quel dannato sogno.
Continuava a tormentarla, continuava a pensarci.
Ogni volta che vedeva Emma Swan nei corridoi, col suo bel viso luminoso, i suoi occhi verdi e quei lunghi capelli biondi, qualcosa nel cervello di Regina si bloccava. Sentiva il cuore perdere qualche battito, in particolare se la bionda le riservava quel sorriso amichevole che a quanto pare, riservava solo a lei.
Se Regina avesse avuto una qualunque amica di cui si fidava veramente, gliene avrebbe parlato. Le avrebbe…chiesto cosa potesse significare tutto quello.
Ma Regina non aveva amiche. Non amiche che ritenesse completamente affidabili. L’unica con cui poteva parlare era Tink, ma con lei c’era un’altra questione: la notte a casa sua. E il sogno di Emma sommato a quel ricordo, avrebbe potuto creare nella giovane amica una sorta di…sensazione errata. Sarebbe potuta saltare a conclusioni affrettate, e Regina questo non poteva permetterlo.
Soprattutto perché lei stessa stava iniziando a saltare a conclusioni affrettate.
E aveva bisogno di qualcuno che la riportasse sulla retta via.
E quel qualcuno era sé stessa. Beh, sé stessa, la Coach Tamara e la squadra delle cheerleader.
 
Il lunedì pomeriggio Regina Mills uscì dall’ufficio della Coach con la sua divisa di nuovo addosso, il sorriso stampato in faccia e un gran peso sul cuore.
 
Belle dal canto suo, era completamente immersa nello studio. Non usciva di camera neanche per i pasti. Suo padre le portava i rifornimenti, guardandola con un misto di preoccupazione ed orgoglio.
La ragazza ce la stava mettendo tutta. Non poteva permettersi di essere debole, né di sbagliare. Non questa volta. Lei era forte e avrebbe vinto quella borsa di studio. La sua media scolastica era ottima ma mancava ancora qualche punto per potersi assicurare la vittoria: e quei punti li avrebbe ottenuti, anche a costo di non dormire per giorni interi.
Robert poteva aspettare, doveva aspettare.
Bastava avere pazienza: poi le cose sarebbero andate a posto.
Una volta vinta la borsa di studio, sarebbe stato tutto in discesa. E avrebbe provato di che pasta era fatta, per davvero.
 
 
La situazione per Robert non migliorò durante la settimana.
Dopo quel breve messaggio, Belle sparì nuovamente nel nulla.
Ma lui doveva essere pazienze. Belle gli aveva detto che doveva studiare per la borsa di studio e che in quel momento era davvero impegnata. Lui l’avrebbe rispettata, era importante per entrambi, non avrebbe insistito.
Certo sarebbe stato più facile se almeno si fossero sentiti.
Ma a quanto pare Belle non sentiva l’urgenza di contattarlo.
Così l’inquietudine cresceva, e con lei anche quell’orribile sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato ed irrimediabilmente fuori posto.
 
Regina aveva ripreso gli allenamenti.
Era valsa la pena di tornare nella squadra solo per vedere la faccia livida di Zelena quando si era trovata a fianco a lei nella piramide.
Era ora che Regina ponesse dei paletti ben precisi con diverse persone nella sua vita.
Tra quelle persone c’era anche Emma Swan.
Così Regina iniziò ad evitarla.
 
 
“Senti amico, che succede?” Esordì Killian.
Robert alzò lo sguardo dal suo piatto per concentrarsi su di lui. Erano in mensa e di Belle nessuna traccia.
“Niente, perché?”
“Perché non vedo Belle con te. Non la vedo da giorni. E ultimamente eravate sempre appiccicati perciò mi sto preoccupando.”
Senza aggiungere altro, si sedette ed addentò famelico il suo panino.
Robert lo fissò leggermente disgustato mentre un po’ di salsa gli colava sulla barba e lui la puliva via con la mano.
“Dunque?”
Gold non disse niente e infilzò un maccherone con particolare demoralizzazione.
“Non…non c’è nulla che non vada.”
“State ancora insieme quindi?”
“Sì.”
“Ah okay. Ero in ansia.”
Ovviamente non lo era. Robert conosceva bene Killian e sapeva che quel tipo di problemi non toccavano minimamente il suo cervello.
Apprezzò però lo sforzo che il ragazzo aveva fatto per informarsi.
“Però...non stiamo tanto insieme in questi giorni.” Aggiunse tristemente.
Jones lo guardò inarcando le sopracciglia.
“In che senso?”
“Nel senso che…che a scuola la vedo solo a lezione e poi…poi scappa via dicendo che deve assolutamente studiare. Mi ha detto che è per la borsa di studio.”
“Beh allora tutto bene. Voi secchioni fate questo tipo di cose.”
“Già.” Mormorò Robert.
Stette in silenzio per qualche minuto, masticando e riflettendo.
“Non mi scrive nemmeno.” Disse poi.
Killian sospirò.
“Starà studiando.”
“E non ha tempo neanche per…per scrivermi? E per…rassicurarmi un momento?”
L’altro finì il suo panino, dopodichè incrociò le braccia.
“E’ successo qualcosa che potrebbe averla…fatta incazzare?”
Robert ci pensò un attimo su. Non si era mai soffermato sul fatto che potesse essere arrabbiata per qualcosa. Certo aveva avuto quell’inspiegabile scatto d’ira sabato sera, dopo la cena…ma si era scusata immediatamente. Si erano baciati e lei gli aveva detto ti amo…
Improvvisamente qualcosa nel cervello di Robert si illuminò.
“Sì. Sì io credo di aver capito perché fa così.”
“Ah bene! Occhio però, se inizia a dirti che ha bisogno di tempo…sei spacciato. Ti conviene iniziare a guardarti intorno non appena senti quella frase.” Fece un gesto eloquente con la mano, come a dire ‘fuggi a gambe levate’.
Gold annuì.
Ma aveva capito qual era il problema.
E poteva risolverlo.
 
Il pomeriggio fece un salto da Mida’s, il gioiellieri di Storybrooke. Non cercava una cosa particolarmente vistosa o spettacolare.
Cercava solo qualcosa dove potesse…lasciare il suo messaggio.
Un messaggio estremamente importante.
Lo trovò dopo attente consultazioni col proprietario del negozio.
 
 
Giovedì mattina, in palestra, la Storybrooke High era in gran fermento.
La Coach Tamara aveva annunciato che come ogni anno si sarebbero tenuti i campionati interni della scuola di Dodgeball.
Le squadre vincenti avrebbero sfidato le altre scuole della contea al campionato regionale.
A nessuno importava particolarmente dei campionati e a nessuno piaceva davvero il Dodgeball: era uno sport crudele e violento, dove chi era più lento o più sfortunato degli altri, veniva costantemente preso in giro. Ciononostante, tutti amavano perdere ore di lezione. Perciò tutti erano costretti ad amare il Dodgeball.
Così un numero esorbitante di persone si presentò in palestra il venerdì mattina per ascoltare l’infervorato discorso della Coach che spiegava loro come funzionava il gioco e come dovevano fare per iscriversi ai tornei interni.
Regina era di nuovo in prima fila tra le cheerleader.
Sapeva che molti la stavano guardando e in un perverso modo, se ne compiacque. Era bello essere di nuovo sulla bocca di tutti.
Vide con la coda dell’occhio anche Emma Swan, in fondo alla palestra, che sovrintendeva il tutto e si accertava che nessuno si facesse prendere troppo dall’entusiasmo.
Una parte di Regina si chiese quasi inconsapevolmente se Emma in realtà non fosse lì per lei.
Distolse a fatica il pensiero dalla bionda professoressa e lo diresse alla coach.
Tink aveva insistito per trascinarsi dietro Belle (la quale però aveva già giurato che mai si sarebbe iscritta al torneo). Ariel era con loro e anche Anna, la ragazzina rossa con le trecce.
Quando Robert entrò in palestra, insieme a Killian, individuò subito il gruppetto e si avvicinò a loro.
“Ciao.” Disse felice.
Finalmente aveva un momento per stare con Belle.
Le ragazze lo salutarono.
Dopo una serie di imbarazzanti convenevoli ai quali si unì Jones con delle battute atroci, Robert riuscì ad avvicinarsi a Belle.
“Posso parlarti un momento?”
La ragazza annuì e fece un debole sorriso.
Vedendola da vicino, notò che aveva gli occhi segnati da profonde occhiaie e il viso molto pallido.
“Come stai?” le chiese infine Gold.
Voleva abbracciarla e prenderla per mano ma qualcosa lo trattenne. Forse il fatto che c’erano molte persone intorno, o forse lo sguardo assente e stanco sul volto di Belle.
“Sono…abbastanza a pezzi.” Dichiarò la ragazza. “Ma per il resto…tutto bene, circa.”
Robert annuì.
Improvvisamente si rese conto che non aveva idea di cosa fare.
Era come se Belle fosse diventata un’estranea.
Fino a pochi giorni prima avrebbero iniziato a scherzare, si sarebbero seduti in qualche angolo della palestra e avrebbero preso in giro tutti i primini che si iscrivevano felicemente al torneo, pensando che fosse davvero una bella iniziativa. Ma ora…non riusciva neanche a stringerla.
“Ascolta...lo so che è un brutto momento per te, lo capisco, davvero, ma mi stavo chiedendo se…beh, potremmo passare un po’ di tempo insieme. Magari domani pomeriggio…” provò Robert.
Belle non disse nulla. Sembrava che stesse facendo mentalmente dei calcoli.
“Sì, credo si possa fare!” disse infine.
Gold sorrise.
“Grande!” La abbracciò goffamente e sentì le braccia della ragazza stringerlo debolmente.
La Coach Tamara tossì leggermente al microfono per attirare l’attenzione, si schiarì la voce ed iniziò a parlare.
 
 
Belle cercò Robert tra la folla.
Lo individuò, schiacciato tra un gruppo di cheerleader e Killian che evidentemente le stava intrattenendo.
Lo raggiunse con un notevole sforzo, facendosi largo tra diversi gruppi di persone.
“Robert!” chiamò.
Il ragazzo si girò e un sorriso gli illuminò il volto.
Dentro di sé Belle si sentiva immensamente in colpa per ciò che stava per dirgli…ma sapeva anche che ne andava del suo futuro. Del loro futuro.
Quella borsa di studio veniva prima di qualunque altra cosa.
 “Robert ascolta…mi è venuto in mente che domani pomeriggio non posso! E’…è un impegno che avevo preso tempo fa. ”
Lui spalancò la bocca a vuoto.
“Proprio domani!?”
Belle annuì.
“Ma…non hai neanche un’oretta libera?”
“Non lo so.” Ammise lei “Dipende! Forse verso sera ma non ne sono certa!”
Gold le si avvicinò.
“Belle, è tutto a posto tra di noi?”
Lei annuì vagamente stupita.
“Perché non dovrebbe?”
“Perché mi sembra strano che tu non trovi neanche un’ora per stare insieme o…un minuto per scrivermi che stai bene.” Dichiarò con voce piatta Robert.
La ragazza respirò a fondo.
“Te l’ho detto. E’ una settimana dura. Sto studiando.” Disse, cercando di rimanere calma.
“Ho capito. Ignorarmi e trattarmi di merda è una conseguenza direttamente proporzionale alla mole di studio?”
Non intendeva dirlo. Non in quel modo.  Ma le parole gli erano uscite di bocca prima che potesse fermarle. Si maledisse un secondo dopo quando vide Belle irrigidirsi e la sua bocca farsi più sottile.
“Scusami.” Mormorò subito dopo. “Non volevo. Mi…mi è uscita male.”
Belle si guardò intorno.
“Devo andare ora. Io…ho solo bisogno di un po’ di tempo per me stessa. Cerca di lasciarmelo, tutto qua. ”
E così dicendo, lo salutò con una leggera carezza sul braccio e se ne andò.
 
 
“Ho bisogno di un po’ di tempo.”
Quella frase stava rodendo il cervello di Robert come un tarlo.
Si stava nutrendo di lui.
Non sapeva se fosse colpa di Killian che lo aveva messo in guarda, o se fosse colpa del tono di Belle, un tono di voce stanco che sembrava stanco della situazione e stanco anche di lui.
Robert era seduto in palestra e fissava il vuoto.
Avrebbe dovuto andare a pranzo ma non aveva fame.
“Io ho solo bisogno di un po’ di tempo per me stessa.”
Di quanto tempo aveva bisogno?
Se lo avesse amato veramente non gli avrebbe semplicemente detto…che lo amava ancora e che doveva solo stare tranquillo?
Invece che quella frase?
Sentì lo stomaco contorcersi.
Improvvisamente provò ad immaginare una possibile conclusione a tutto quello.
Una parte di lui si rifiutava di concepirlo. Gli aveva detto che lo amava pochi giorni prima.
Cosa poteva essere cambiato da allora?
Tutto.
Basta un minuto per disinnamorarsi di una persona.
“Lei non mi ama più.”
Non lo amava più.
Era così.
“Robert?”
Il ragazzo si girò.
Per un debole, folle istante aveva sperato che fosse Belle. Che fosse venuta a cercarlo per abbracciarlo e dirgli che era tutto a posto, che aveva un’oretta libera per stare con lui quel pomeriggio, che lo amava…
Invece era Zelena.
“Ciao.” Disse con voce piatta.
La ragazza sorrise.
“Cosa fai qui da solo?”
“Potrei farti la stessa domanda.”
“Io sono venuta a portare giù le cose per l’allenamento delle cheerleader…sai com’è…” indicò la spilla del capitano.
Lui annuì e Zelena portò due scatoloni negli spogliatoi. Dopodiché tornò da lui.
“Tutto bene?”
“Circa.”
“Con la tua Belle?”
Robert alzò lo sguardo.
“Con la mia Belle va di merda.” Dichiarò.
Zelena smise di sorridere improvvisamente.
“Mi…mi dispiace.”
Non è vero, non te ne frega un cazzo.
“Già.”
“Vuoi parlarne?”
“Non c’è molto da dire. Ha iniziato ad ignorarmi. Oggi mi ha chiesto del tempo per sé.”
Non sapeva nemmeno perché le stava dicendo quelle cose.
Non apprezzava Zelena, non gli stava simpatica e non gli dava l’idea di essere una persona particolarmente empatica.
Ma in qualche modo aveva…bisogno di sfogarsi.
Lei annuì comprensiva.
“Capisco. E’ capitato anche a me in passato.” Sussurrò triste.
“Io invece non capisco. Stavamo bene fino a sabato scorso…e poi all’improvviso…”
Mosse simbolicamente la mano e il messaggio era chiaro: era svanito tutto.
“A volte succede.”
Zelena prese posto accanto a lui.
“Sai…con un mio ex è stato così. Ma mi sono resa conto di una cosa…la miglior risposta a tutto questo, è essere pronti ad andare avanti e a voltare pagina, subito.” Dichiarò la rossa.
Gold si chiese se ci fosse un briciolo di sincerità nelle sue parole.
Forse sì, perché sembrava che qualche vecchia ferita del passato si fosse riaperta.
“Non è facile andare avanti se sei innamorato.”
“Lo so. Ma a volte…” si voltò verso di lui, scrutandolo con i suoi occhi azzurri “A volte basta un piccolo gesto simbolico. E molte cose cambiano. Ci si risparmiano infinite sofferenze.”
Il ragazzo la fissò.
All’improvviso Zelena si mosse verso di lui e in un attimo le sue labbra si posarono sulle sue, quasi fameliche. Robert non la scacciò e pensò che forse era davvero venuto il momento di guardare avanti, smetterla di soffrire, cercare rifugio tra le braccia di qualcun altro che potesse amarlo...quando la campanella trillò forte e lo risvegliò dal torpore. Con un brusco movimento si spostò e la guardò come scottato.
Scosse la testa disperato e disgustato da sé stesso, si alzò e scappò via, non sentendo neanche che la ragazza lo chiamava quasi disperata.
 
 
Quella sera Gold non mangiò. 
Era a digiuno dalla mattina ma non provava nessun tipo di stimolo.
Aveva toccato il fondo.
Non riusciva a pensare ad altro.
Sarebbe bastato così poco per…per cambiare tutto. Sarebbe bastato respingere Zelena. Quel piccolo gesto avrebbe cambiato tutto.
Ma lui non l’aveva fatto e sapeva bene perché: perché non aveva voluto respingerla. Perché una parte di lui aveva sperato di trovare un appiglio in quel bacio, un modo per guardare avanti, per convincersi che era pronto ad essere lasciato. Era pronto a trovare qualcun altro da amare.
Ma non era così.
Doveva assolutamente chiamare Belle e dirle la verità.
L’avrebbe odiato, l’avrebbe lasciato, lo sapeva.
Se già era in dubbio prima, ora sicuramente non avrebbe più voluto sapere nulla di lui. Ma doveva farlo.
 
Si rigirò a lungo nel letto.
Era la cosa giusta da fare. Glielo doveva perché la amava e la rispettava. Doveva essere coraggioso.
Ma Robert Gold non era bravo nei grandi atti di coraggio.
 
 
Venerdì mattina Tink si alzò vagamente in ansia. Quel pomeriggio sarebbe uscita con Killian. Il loro primo appuntamento ufficiale. Non sapeva bene perché aveva accettato, ma sapeva che in qualche modo, era felice di quell’assurda e nuova situazione.
 
Belle invece era agitatissima.
Le avrebbero consegnato le graduatorie delle borse di studio quel pomeriggio.
Sperava ardentemente di essere passata.
Immaginava solo la gioia di poter scampanellare a casa Gold, abbracciare Robert e dirgli che era fatta, che ce l’aveva fatta.
Spiegargli con calma perché era sparita, come stavano le cose, come si era organizzata lo studio, il fatto che aveva dovuto alzare la media per assicurarsi la vittoria e quindi aveva dovuto farsi interrogare di alcune materie che lui non frequentava.
E poi sarebbe andato tutto a posto.
Si sarebbero baciati e avrebbero fatto l’amore e sarebbe stato perfetto.
Doveva essere andata così.
Belle aveva fatto il massimo. Aveva tutti i requisiti per vincere. Anche Tink l’aveva detto, guardando orgogliosa la sua media scolastica.
Quindi entro sera si sarebbe risolto tutto.
E l’indomani avrebbe dormito fino a mezzogiorno, si sarebbe concessa uno dei suoi piatti preferiti da Granny’s e avrebbe passato la giornata con Robert.
Arrivata a scuola però, Belle trovò una sgradevole sorpresa in cortile.
Zelena la stava aspettando.
“Eccola qua.”
“Che diavolo vuoi.” Ringhiò Belle.
Ne aveva abbastanza di essere presa in giro ed era già irritata ed agitata di suo. Era pronta a venire alle mani se necessario.
“Calmati criceto, voglio solo parlarti di una cosa: ma preparati, non sarà divertente.”
 
 
“Regina!”  Una voce ben nota la bloccò nel bel mezzo del corridoio.
Regina sospirò. Tipico della Swan.
Emma aveva quel suo modo di chiamarla e di farla immobilizzare e farla sobbalzare che era suo e di nessun altro.
“Professoressa Swan.” disse Regina, voltandosi lentamente e sentendo la divisa stringersi improvvisamente addosso al corpo, quasi come un peso.
“Allora sei davvero tu!” esclamò l’altra “Sai, all’inizio con quella divisa quasi non…non ti riconoscevo!”
La mora strinse le labbra e annuì brevemente.
Non sapeva cosa dire. Si sentiva in colpa per il suo comportamento e per l’improvviso voltafaccia, si sentiva di nuovo al sicuro dietro alla sua divisa da cheerleader, si sentiva arrabbiata, no anzi, furibonda con Zelena per averla costretta a quello.
“Come mai sei tornata nelle cheerleader?” chiese poi Emma, indicandola con un breve cenno della mano.
Non sembrava seccata, sembrava solo sinceramente stupita.
“Era arrivato il momento di fare alcune scelte.” Rispose semplicemente Regina.
“Okay! Tutto bene?”
“Sì.” Tagliò corto. La sua voce era secca, un po’ troppo forse.
Emma inarcò le sopracciglia.
“Sei arrabbiata? Se è per quella B che ti ho dato sai benissimo che non ti meritavi una A, inoltre secondo me-“
“Non c’entra nulla!” sbottò infine Regina.
Strinse i pugni fino a sentire le unghie conficcarsi nel pugno.
La professoressa la guardò sorpresa.
“Senta, io apprezzo quello che ha fatto ma…basta! Non…non possiamo diventare improvvisamente inseparabili, non funziona così! Sto bene! E non continui a guardarmi come se stessi per esplodere da un momento all’altro, non ho bisogno della sua pietà! Sto bene e finalmente sono tornata a fare la cosa che amo, perciò mi lasci in pace e finiamola con questa storia!”
Immaginò che sua madre sarebbe stata fiera. Lei però si sentì solo disgustata da sé stessa.
Emma rimase immobile.
“Veramente! Basta! Non è per cattiveria. Non ce l’ho con lei, rivoglio solo i miei spazi” rincarò la dose la mora.
Era la cosa giusta.
Andava fatto prima che il loro rapporto si evolvesse, Regina non poteva permettersi complicazioni. Era il suo ultimo anno e non aveva voglia di affrontare simili problemi.
“Pensavo solo che potessimo essere amiche.” Disse infine Emma, quasi inespressiva.
Pareva svuotata di qualsiasi emozione.
“Non ho bisogno di amiche! Sto bene!” ripeté l’altra con forza.
“Il fatto che tu non ne abbia bisogno non significa che…che non ne avessi bisogno io.” Mormorò Emma.
Regina si bloccò.
A questo non aveva minimamente pensato.
Ma era troppo tardi.
“Spero che continuerai a seguire il mio corso…buona giornata.” Disse infine la professoressa. La ragazza la vide deglutire impercettibilmente.
Per un momento pensò di rincorrerla.
Rincorrerla e poi?
Dirle che potevano essere amiche. Che potevano continuare ad uscire, che potevano scherzare, ridere e comportarsi come due persone normali. Oppure poteva correre da lei ed abbracciarla, dirle che le dispiaceva, che le voleva bene e dirle che non avrebbe mai voluto fare una cosa simile, che lei, Emma, era la persona migliore che conoscesse e che era solo colpa di Zelena e della sua lingua lunga, e di Cora ovviamente, sua madre. Oppure poteva correre da lei e...e dirle che era colpa sua. Di Regina stessa. E di quel sogno, e di quella strana...cosa che Regina provava da qualche settimana, o forse da qualche mese nei suoi confronti.
Ma Regina non fece nulla di tutto ciò.
Rimase semplicemente immobile per qualche minuto.
Dopodiché si voltò e lasciò il corridoio.
 
 
Nel frattempo, al parco vicino alla Storybrooke High, Tink aspettava nervosa che Killian si presentasse.
Controllò il cellulare.
Dopo dieci minuti inviò un messaggio.
Non ottenne risposta.
 
 
Suonò la campanella dell’ultima ora del pomeriggio ma Belle non la sentì.
Fissava il suo quaderno senza realmente vederlo.
 
“Mi ha baciata lui.”
“Io ovviamente dovrei crederti, vero!?”
“No, non devi. Io te l’ho detto per correttezza, perché l’ho trovato un comportamento disgustoso. Se non mi credi perché non glielo chiedi?”
 
Non poteva essere.
Ogni singola parte di lei le assicurava che c’era uno sbaglio, anzi, nessuno sbaglio, c’era solo Zelena e la sua invidia, Zelena e le sue bugie, Zelena e la sua cattiveria.
Era ovvio che prima o poi avrebbe agito contro di loro, era ovvio che si sarebbe inventata qualcosa di simile.
No, non poteva crederle e non doveva.
Doveva trovare Robert, subito, e dirgli cos’era successo. Così avrebbe potuto vedere l’indignazione e il disgusto sul volto del ragazzo che sarebbe andato a cercare Zelena e gliene avrebbe dette quattro per essersi inventata una bugia simile.
Sì, sarebbe andata così.
Belle si alzò vedendo il mondo in un modo curioso, come a rallentatore.
Il mal di pancia che le aveva attanagliato le viscere qualche ora prima non cessava di tormentarla.
Perché Zelena doveva averle mentito? A che scopo se non c’era un briciolo di verità nella sua storia, mettersi apertamente contro di lei e Robert?
“Zelena ti odia. Vuole solo ferirti, tienilo a mente, non ha un vero scopo. Si diverte così.” Si ripeteva Belle.
Scrisse a Robert.
Avrebbero chiarito subito quella faccenda così si sarebbe tolta quel peso. Gli avrebbe detto della borsa di studio, si sarebbero abbracciati e baciati e sarebbe tutto tornato alla normalità. Proprio come pensava quella mattina.
Perché la borsa di studio era sua. I risultati erano arrivati prima del previsto e la borsa di studio era sua.
Sarebbero andati insieme a New Haven, i loro futuri erano liberi di proseguire affiancati, nessuno poteva impedire loro di stare insieme se era destino e Belle lo sapeva, era destino, perché lei lo amava e lui amava lei.
 
Quando andò in contro a Robert, nel parcheggio, ogni certezza svanì.
O meglio, una serie di nuove certezze si fece strada nella sua mente.
No, non poteva averla tradita. Non poteva aver fatto una cosa che l’avrebbe fatta stare così male. Lui la amava e soprattutto, la rispettava.
Eppure…
“Ciao. Io…sono davvero preoccupato. Davvero tanto. ” iniziò lui.
“Lo so. Ma va tutto bene davvero. Non c’è nulla che non vada tra me e te, te lo assicuro. E'...è stata dura. Ma ora è tutto a posto.”
Robert sentì un nodo enorme allo stomaco sciogliersi: la strinse in un forte abbraccio.
Belle seppellì il viso nella sua camicia, inspirando quello che ormai aveva cominciato a riconoscere come il profumo di casa.
“Scusami. Davvero, mi dispiace tantissimo.” Disse lei precipitosamente “Non volevo, adesso…io ti spiego tutto.”
Robert annuì.
Poi improvvisamente decise che le spiegazioni potevano aspettare. C’era una cosa che voleva fare e che era decisamente più urgente: baciarla.
Il pensiero di Zelena si insinuò lentamente nella sua mente, sgradevole e imbarazzante. Ripensò al fatto che non aveva reagito, al fatto che si era lasciato baciare e a quanto avrebbe voluto tornare indietro e cancellare tutto quello che era accaduto. Lui voleva solo Belle, non era pronto a lasciarla andare e non sarebbe stato pronto neanche in un milione di anni.
Appoggiò le labbra sulle sue per cancellare il disgustoso ricordo di quel mezzo bacio scambiato in palestra.
“Ora spiegami.” Mormorò qualche minuto dopo.
Belle sospirò.
“Aspetta.” Disse dopo qualche secondo.
Non riusciva a togliersi dalla testa quell’orribile sensazione. C’era solo un modo per farla svanire per sempre ed era avere la certezza che nulla fosse accaduto e che Zelena fosse semplicemente una grandissima bugiarda.
Era certa che fosse così, era da ore che se lo ripeteva.
“Io…devo chiederti una cosa prima. Non vorrei farlo perché…perché mi fido di te. E perché ti amo.” Disse decisa.
Robert deglutì.
Anche io ti amo Belle, non sai quanto. Ma oggi finalmente te lo dirò.
Inconsapevolmente si toccò la tasca per verificare che il pacchettino del gioielliere fosse ancora lì. 
“Però allo stesso tempo…sto davvero male. Non…non so perché. Però ti prego, non arrabbiarti. Io mi fido di te, davvero. Voglio…voglio solo esserne certa.”
Il ragazzo annuì brevemente.
“Oggi, prima di scuola, Zelena è venuta a cercarmi.”
Lui non disse niente ma qualcosa nel suo stomaco si contrasse e le mani iniziarono a sudargli copiosamente.
“E…e voleva fare la stronza come al solito.”
“Come al solito?” chiese titubante.
Belle spalancò la bocca. Giusto. Lui non sapeva nulla delle loro schermaglie perché lei non gliel’aveva detto. Lei per prima gli aveva tenuto nascoste un sacco di cose.
“Scusami se non te l’ho detto prima.” Disse tristemente “Ma…ma preferivo sbrigarmela da sola. Sono un po’ di settimane che Zelena…mi tormenta, ecco. Niente di grave però, le solite stronzate cattive che si dicono tra ragazze…”
Robert non disse nulla ma si sentì ancora peggio.
Non solo aveva baciato – no, in realtà aveva subito passivamente il bacio – Zelena, ma aveva baciato anche la ragazza che tormentava la SUA ragazza.
“Scusami.” Ripeté Belle “Avrei dovuto dirtelo prima.”
“Non importa! Non fa niente, davvero.” Riuscì a dire Robert.
“Stai bene? Hai un’espressione strana…”
“Sto bene. Sono solo…solo stanco. E’ stata una giornataccia.”
Belle ricominciò a spiegare.
“E’ venuta da me oggi ed io le ho risposto male…lei mi ha detto che voi due siete amici.”
Robert non disse nulla. Non poteva essere tutto lì. Oppure magari…
“Non siamo amici. Proprio per niente.” Dichiarò dopo un momento di silenzio.
“Okay.” Disse Belle. “Lei…ti prego, Robert, non arrabbiarti.”
“Non mi arrabbio! Parla!” esclamò lui concitato.
“Mi ha detto che sei andato da lei e…e che vi siete baciati. In palestra, ieri. Mi ha detto che tu l’hai baciata.” Buttò fuori tutto d’un fiato.
Un terribile silenzio seguì le parole della ragazza. Lei non aveva il coraggio di guardarlo in faccia, si sentiva in colpa anche solo per averglielo riferito, eppure lo sapeva, andava fatto…
“Te l’ha detto lei, questo.” Disse Robert con estrema lentezza.
“Sì. Ovvio. Insomma, so che è una stronza e…mi dispiace, non dovrei mai dubitare di te ma…ma volevo solo sentirmi dire che non è vero.”
Sentì la gola chiudersi e le lacrime salire.
Voleva davvero sentirsi dire che non era vero.
Disperatamente.
“Non è vero quindi.” Disse Belle.
Robert non rispose.
La testa gli faceva male e improvvisamente aveva iniziato a mancargli l’aria.
Doveva agire rapidamente.
Menti.
Dille che non è assolutamente vero.
Lo sai che non vale la pena di dirle la verità su questa cosa.
“Robert?” chiese Belle guardandolo negli occhi. La voce le si incrinò.
Dille che Zelena è una stronza ed è gelosa di lei.
“Non è vero…?” ripeté con voce tremante la ragazza.
Dille che è una bugia.
E’ la tua parola contro quella di Zelena.
E poi tu non l’hai veramente baciata…semplicemente non l’hai respinta.
“Rispondimi!”
Belle ti ama, ti crederà, non crederà a Zelena.
Lei ti ama.
Tu la ami e non puoi farla andare via.
Tu hai bisogno di lei.

“Belle devi calmarti. Devo spiegarti una cosa.”
Fu un attimo. Belle indietreggiò di fronte alla sua insicurezza ed improvvisamente qualcosa nel suo sguardo era cambiato.
Dove prima c’era fiducia, amore e in parte, dispiacere, ora c’era dubbio. Dubbio e qualcosa d’altro…disillusione?
“No.” Disse lei lentamente. “Non mi calmo. Tu devi rispondere alla mia domanda.”
“Prima ti devo…ti devo spiegare una cosa, poi potrò rispondere alla domanda e sarà tutto più chiaro.” Robert cercò di dirlo con calma ma sentì un lieve tremore nella voce tradirlo.
“Hai baciato Zelena?”
“Ascoltai io-“
“Rispondimi.”
“Se mi fai spiegare.”
“RISPONDI ALLA MIA CAZZO DI DOMANDA!” Urlò improvvisamente furiosa.
Come faceva ad essere così elusivo? Come faceva a non guardarla neanche direttamente negli occhi? Teneva la testa bassa e la osservava di sottecchi, il viso contratto e gli occhi molto più scuri del solito.
“Belle non-“
“Hai baciato Zelena.”
Non era una domanda. Era diventata un’affermazione.
Perché la reazione di Robert non era fraintendibile.
Belle aveva creduto che si sarebbe arrabbiato con lei e con Zelena stessa, credeva che sarebbe stato indignato da una simile accusa o magari che addirittura avrebbe riso.
Ma sul suo volto c’era solo una cosa: colpevolezza.
“Fammi spiegare.”
“No.” Rispose lei con voce incolore.
Gold provò a prenderle la mano ma lei si scansò come se si fosse scottata.
Intorno a loro non c’era anima viva.
Era un pomeriggio così caldo e gli studenti probabilmente si erano riversati nei parchi per studiare o alla spiaggia.
“Non mi toccare.” Disse tremante.
Robert fece un altro passo verso di lei.
“Belle, ti prego.”
“Voglio sentirtelo dire.”
Lui non disse nulla.
“Dimmelo.”
“Devo solo spiegarti una cosa.”
“Dimmi che hai baciato Zelena.” Ripeté Belle.
La voce non le tremava più. Voleva solo sentire quella frase, nient’altro contava.
Forse perché ancora una minuscola, piccolissima parte di lei, sperava di vedere un cenno di diniego da parte del ragazzo.
Ma il cenno di diniego non venne.
Al contrario, Robert annuì impercettibilmente.
Per qualche minuto, l’unico rumore percettibile fu il fischiare del venticello tra gli alberi del parcheggio.
“Perché?” chiese infine Belle, alzando nuovamente lo sguardo su di lui.
Uno sguardo vuoto.
“Perché ho avuto paura.” Rispose semplicemente Robert.
“E di cosa, di grazia, avresti avuto paura?” domandò la ragazza.
Ora in lei un altro sentimento si faceva strada, un sentimento che non aveva mai provato nei confronti di Robert da quando avevano iniziato a frequentarsi: rabbia. Rabbia di fronte alla sua codardia, alla sua inettitudine, rabbia di fronte a quel suo atteggiamento da cucciolo impaurito che aveva assunto non appena aveva sollevato l'argomento.
“Ho avuto paura perché…perché tu non rispondevi alle mie chiamate! E perché ti comportavi in modo strano dalla sera del mio compleanno e io non capivo!”
“Tu non capivi!? Cosa diavolo avresti dovuto capire!?” iniziò ad alzare la voce.
“Non…non capivo perché eri sparita! E perché mi ignoravi e mi sentivo solo e-“
“E hai pensato di farti un’altra, giustamente!”
“NO! HO AVUTO PAURA CHE STESSI CERCANDO UN MODO PER LASCIARMI! ANCHE KILLIAN CONTINUAVA A DIRMI CHE ERA FINITA E…ED IO ERO TERRORIZZATO! ALLORA HO BACIATO LEI PER CONVINCERMI CHE ERO PRONTO A GUARDARE AVANTI!” Urlò Robert.
Belle non disse nulla.
Afferrò la borsa e ne tirò fuori una busta, dopodiché gliela pose.
“Ecco perché sono sparita. Mentre tu avevi paura, io mi sono sbattuta per questa.”
Gold la aprì tremante.
Belle aveva vinto la borsa di studio.
“Ma è fantastico!” disse, cercando di sorridere.
“Già.”
Il ragazzo si rigirò il foglio tra le mani. Si sentiva malissimo.
Non si era mai sentito così male in vita sua.
“Non ho mai pensato neanche per un solo minuto di lasciarti.” Mormorò Belle.
Robert cercò di ricacciare indietro le lacrime con scarso successo. Così per evitare una situazione imbarazzante, fisso per terra.
“Fino ad oggi.” Terminò la frase la ragazza.
“Cosa?” chiese stralunato.
Belle riprese il foglio e lo infilò nella borsa.
“No.” Disse lui con voce incolore.
“Devo andare a casa.”
“No.” Ripeté.
“Sì.”
Con uno scatto si voltò, pronta a lasciar finalmente sciogliere quel groppo in gola che aveva iniziato a farle male fino ai polmoni.
Robert rimase immobile in mezzo al parcheggio.
Poi improvvisamente si risvegliò e fece una corsa.
Afferrò Belle per il braccio.
“Belle ti supplico, aspetta solo un momento.”
“Lasciami andare.”
“No, ascoltami, ti prego, devi ascoltarmi.”
“Ti ho detto di lasciarmi andare.”
La ragazza cercò di camminare oltre ma le mani del ragazzo la trattennero.
“Per favore, per favore Belle io mi farò perdonare, te lo prometto e-“
“LASCIAMI ANDARE!”
Si girò e con uno strattone si liberò.
“TI PREGO! NON SIGNIFICA NIENTE, E' STATA LEI A BACIARMI! E' STATA UNA COSA STUPIDA E-“
“NON E’ UNA COSA STUPIDA! NON LO E’ PER NIENTE!”
Robert sentì le lacrime iniziare a scendergli sulle guance ma non se ne preoccupò. Non importava più nulla se non il viso di Belle davanti al suo. Il mondo aveva perso importanza, sarebbero potuti morire tutti per quello che gli importava, ma lui avrebbe continuato a vedere solo lei.
“Belle, ti prego, prenditi una pausa, aspetta un po’ di tempo ma non fare questo, non buttare via quello che abbiamo. Ti supplico Belle, ti prego”
“Lasciami andare a casa.” Urlò lei.
“Ascoltami!”
“LASCIAMI ANDARE!”
“NON VOGLIO PERDERTI!”
“MI HAI GIA’ PERSA.”
Belle fece un passo indietro e cercò di respirare. Scoprì che le risultava molto difficile e che le lacrime le annebbiavano la vista.
“Belle ti prego.” Mormorò Robert provando ad avvicinarsi. Tese la mano verso di lei.
La ragazza fissò la mano. Sarebbe bastato così poco per prenderla.
“Ho paura.”
Belle vacillò e guardò quei grandi occhi scuri pieni di lacrime.
No. Non sono debole.
Arretrò e scosse la testa.
Dopodiché, col volto rigato dalle lacrime si voltò e iniziò a correre.
Non lo sentì chiamare, forse perché non lo voleva sentire, o forse perché per lei era come se avesse attraversato un confine invisibile e non fosse più raggiungibile.
 
Don't speak
I know what you're saying
So please stop explaining
Don't tell me cause it hurts
Don't speak
I know what you're thinking
I don't need your reasons
​Don't tell me cause it hurts
 
Robert non seppe dire per quanto rimase immobile nel parcheggio.
Ad un certo punto si sedette per terra, forse perché le gambe gli facevano male o forse perché era semplicemente più comodo sostenersi a qualcosa.
E come sempre in questi casi, una parte rifiuta categoricamente ciò che è successo. E’ il processo più semplice ed umano per lenire il dolore.
E così Robert continuava a pensare dentro di sé che tutto quello non fosse accaduto. Che si sarebbe svegliato da un momento all’altro e avrebbe scoperto che non era successo niente.
Ad un certo punto si alzò, perché doveva recuperare la borsa.
Doveva semplicemente farlo, così camminò verso la scuola perché era l’unica cosa che poteva fare, la cosa più semplice da fare, la cosa che andava fatta.
 
 
Tink entrò esausta in biblioteca e si sedette al primo tavolo che trovò libero.
Poco dopo Ariel entrò di corsa.
“Cosa succede? Ho ricevuto il tuo messaggio” esclamò preoccupata.
Tink grattò via una macchia dal legno, dopodiché alzò il volto. Aveva gli occhi lucidi.
“Tink!?” disse Ariel. Si sedette e le prese la mano.
“E’ davvero un casino. Non so neanche io perché sto piangendo.” Mormorò l’altra guardandosi intorno disperata.
“Cos’è successo!?”
“Avevo un appuntamento con Killian.” Disse infine, non riuscendo più a nascondere la cosa.
Ariel non disse nulla. Rimase zitta per un momento, poi annuì.
“E’ okay. Davvero, non sono gelosa. Sono davvero felice per te.”
“Non dovresti.” Mugugnò Tink.
“Perché?”
“Io- … lui mi ha dato buca.”
La rossa aprì la bocca a vuoto e poi la richiuse.
“Hai idea del perché?”
“No! Appunto! Non si fa così! Siamo usciti sabato scorso e andava tutto bene e…e mi ha chiesto di uscire e gli ho detto di sì. Lui l’ha fatto solo per darmi buca ed umiliarmi, gli ho scritto, non mi ha neanche risposto…è questa la cosa che mi fa impazzire!” Seppellì la testa tra le braccia mentre Ariel le dava leggere pacche sulla spalla.
“E’ uno stronzo comunque. E non bacia neanche benissimo, non ti perdi nulla!” commentò, cercando di tirarle su il morale.
Tink avrebbe voluto dirle che era felice di sentirselo dire, ma in cuor suo non poteva farlo.
“Ah. Inoltre ho…ho incontrato Gold. Era in lacrime” riprese Tink, cercando di asciugarsi gli occhi “E quando gli ho chiesto cosa fosse successo mi ha detto che si sono lasciati. Lui e Belle” Concluse.
Era stata davvero una brutta notizia da sentire. Tink non avrebbe mai immaginato di prendere a cuore così tanto la relazione dei suoi amici, anzi, non aveva neanche realizzato di averla veramente a cuore finché non aveva visto Gold in quello stato. Evidentemente anche Ariel era affezionata ai due, perché si portò le mani alla bocca e non disse niente, ma gli occhi iniziarono a diventarle lucidi.
“Ma…com’è possibile?” chiese dopo diversi minuti di silenzio.
“Non ne ho idea. E’ scappato via  prima che potessi chiedergli…qualsiasi cosa…non voleva neanche dirmelo, l’ho praticamente costretto…”
“E Belle? L’hai vista?”
Scosse la testa sconsolata.
“Dovremmo andare da lei.” Disse poi Ariel. “Non può stare da sola, suo padre lavora fino a sera.”
“Non credo che voglia vederci…”
“Ma non possiamo lasciarla sola!”
Tink appoggiò la testa sul tavolo.
No, non potevano.
Provarono a chiamarla ma fu tutto inutile.
Così le due ragazze si sedettero tristemente in biblioteca. Fuori dal giardino sentivano gli schiamazzi degli altri studenti ma nessuna delle due aveva voglia di unirsi a loro.
 
 
 
Quella sera, per diverse persone nella minuscola cittadina di Storybrooke, fu una delle serate peggiori di sempre.
Fu una serata tremenda per Belle che passò ore a piangere mentre suo padre, disperato, cercava di estrapolarle informazioni sull’accaduto. Ad un certo punto minacciò a vuoto di andare a casa Gold per parlare con Robert. Ma non servì a nulla.
Non c’era niente da dire e Belle era molto stanca.
Fu quasi peggio per Robert che dovette rimanere impassibile durante la cena e parlare tranquillamente coi suoi genitori del più e del meno.
In camera sua, Robert pianse silenziosamente tutte le lacrime che aveva e si maledisse più e più volte per non aver saputo aspettare, per non aver avuto fiducia in ciò che legava lui e Belle, per aver ceduto alla sua paura. Adam lo guardava dubbioso, inclinando la testa e guaendo leggermente. Ad un certo punto gli leccò la mano senza troppe aspettative. Il ragazzo prese in braccio il piccolo cucciolo e seppellì il viso nel suo morbido pelo. 
Anche per Regina fu una serata tremenda.
Continuava a pensare a Zelena, a sua madre, ad Emma, Emma che aveva bisogno di un’amica e che credeva di averla trovata in lei. Emma che si era fidata, che si sentiva probabilmente sola, lontana dalla sua città e dai suoi vecchi amici e lei, Regina, le aveva voltato le spalle…
Tink provò e riprovò a chiamare Belle, provò a chiamare anche Robert ma nessuno dei due risultava raggiungibile.  Così si lasciò scivolare nel letto, fissando la televisione senza realmente vederla, arrabbiata per com’erano andate le cose, triste per Belle e Gold, delusa perché sembrava che niente andasse mai nel verso giusto.
Ma la notte peggiore la passò Killian Jones.
C’era un motivo preciso per il quale non si era presentato all’appuntamento e non aveva minimamente sentito i messaggi di Tink e le sue chiamate minacciose. In quel momento era seduto su una sedia dell’ospedale, nella sala d’attesa del pronto soccorso. Suo fratello Liam aveva fatto un incidente in moto e si trovava ora sotto i ferri chirurgici. La situazione era estremamente grave. Così Killian fissava il vuoto e sperava, sperava ardentemente di poter riabbracciare il fratello al più presto possibile. 









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Song: Don't speak - No Doubt


Badumtsccccchhhh.
Ciao. Anno nuovo vita nuova, giusto? 
Allora, allora, allora. Sono passati un po'...di settimane da quando ho aggiornato l'ultima volta. Credevo che non ce l'avrei mai fatta così ho preso una decisione drastica. Sono entrata in hiatus. Soprattutto dopo la 4x11, non avevo il coraggio nè la forza necessaria per scrivere questo capitolo. Mi sono presa una pausa ma...sono tornata!
Inizio con le novità: d'ora in avanti la fanfiction avrà un aggiornamento regolare, salvo imprevisti, ogni due settimane. Il prossimo è previsto per lunedì 26 gennaio. :D Niente più hiatus o attese interminabili. Ho deciso di darmi un tempo!
Seconda cosa...Questa fanfiction ha compiuto un anno. Non so neanche descrivere l'emozione che provo quando penso che questa follia prosegue da più di dodici mesi ormai. Ed è tutto grazie a voi che mi avete seguita pazientemente, anche durante i tempi morti, e mi avete sempre incoraggiate con commenti e splendide recensioni. Perciò vi ringrazio di cuore. Veramente.
Ora veniamo alle cose pratiche del capitolo...innanzitutto mi scuso per la lunghezza. Temo che possa risultare illeggibile. Ho provato e riprovato a spezzarlo ma non ce l'ho fatta, mi sembrava di spezzare il ritmo, così ho optato per tenerlo unito. Se è troppo...credetemi, vi capisco.
Poi...mi dispiace. Sì, non so cos'altro dire. Insomma...capita. E' la vita. E' l'angst.
Terzo punto...non sono per niente convinta di questo capitolo. Ho paura che risulti forzato o assurdo ma...ditemi voi. 
Quarto punto: ho lasciato un po' da parte Emma e Regina, ma nel prossimo capitolo torneranno a colpire. Ci sono grandi progetti per loro.
Anche per Robert e Belle ci sono progetti. #Keepreading #nospoilers #thisisnottheendofthestory.
Insomma, che dire?
Vi ringrazio ancora una volta e vi invito a farmi sapere cosa ne pensate di questo folle e crudele capitolo. :) Un bacione a tutti i lettori, silenziosi e non.
Ve quiero.
ritardatariamente, Seasonsoflove

 

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Capitolo 29
*** It's too late ***


And it's too late baby
now it's too late
though we really did try to make it
something inside has died
and I can't hide 
and I just can't fake it





Sabato mattina Belle si svegliò lentamente, quasi in trance.
Non aprì immediatamente gli occhi. Le pareva di vedere la luce filtrare prepotentemente dalle tende. Immaginò che fosse tardi ma non se ne curò. Era bello tenere gli occhi chiusi. Fingere che nulla fosse accaduto. Una parte di lei ci credeva persino, si aggrappava a quella piacevole sensazione.
Purtroppo la realtà giunse brusca e inaspettata, sotto le sembianze di suo padre.
“Belle, mi dispiace svegliarti ma è passata l’una e credo che sia venuta l'ora di alzarti.”
Allora aprì gli occhi.
“Papà?”
“Sì. Ecco, io ti ho lasciata dormire…non…non mi è sembrato che tu abbia dormito molto questa notte. Ma devi mangiare qualcosa. Guarda qua…ti…ti ho preparato tutto quello che ti piace!”
Suo padre si sedette sul bordo del letto con un ampio vassoio in mano: tè, biscotti, brioche, una tavoletta di cioccolato, pane tostato…
Belle si stropicciò gli occhi e si stiracchiò. Sentiva le palpebre pesanti e gonfie, probabilmente effetto collaterale di quanto aveva pianto.
“Grazie” mormorò afferrando un biscotto.
Non aveva fame ma Moe aveva ragione: non poteva rimanere a digiuno per sempre.
L’uomo sospirò e la squadrò con i suoi occhi azzurri.
“Ora…ti va di dirmi cosa è successo?”
La ragazza scosse la testa.
“Non voglio parlarne. Davvero…apprezzo tanto lo sforzo che hai fatto e…appena sarò pronta ti dirò tutto. Ma ora preferisco…non pensarci. Perché…mi fa male.”
Sentì gli occhi riempirsi di nuovo le lacrime. Allora con un grande sforzo le ricacciò indietro e mangiò decisa un altro biscotto.
“Va bene…” disse Moe.  Era palesemente impaziente ma rispettò il volere della figlia. “Però devi assolutamente sentire la tua amica Tink. Ha chiamato almeno dieci volte, credo sia molto preoccupata.”
Belle deglutì. Giusto. Ora doveva dirlo a Tink, che sicuramente l’aveva già saputo, ma avrebbe preteso i dettagli della storia e avrebbe insistito per mettere in atto qualche folle vendetta. Poi avrebbe dovuto dirlo ad Ariel…a Ruby, sua zia. Le aveva scritto felice durante quei mesi, dicendole quanto era contenta e Ruby le aveva risposto con altrettanto entusiasmo, le aveva detto che sarebbe venuta a trovarla una volta finiti gli esami, a giugno, e che non vedeva l’ora di incontrare il suo famigerato ragazzo…
“Sì.” Asserì Belle dopo qualche minuto. “Credo che mi farà bene parlare con Tink.”
Suo padre annuì coscienziosamente, chiedendosi però dentro di sé perché non volesse parlare anche con lui.
 
 
Quando Belle accese il cellulare, trovò circa una cinquantina di messaggi.
C’erano quelli di Tink, dai più semplici:
 “Dobbiamo parlare, richiamami appena puoi!”
A quelli più minacciosi:
“Sto venendo a casa tua, ti avviso” e “Vado da Robert e gli do fuoco alla casa se non rispondi subito”
Per finire con lo spam più selvaggio:
“Rispondi1” “Rispondi2” “Rispondi3” “4” “5” “6”.
C’erano anche i messaggi di Ariel, in quantità notevolmente minore ma altrettanto preoccupati.
Belle sbuffò mentre un altro messaggio arrivò in quel preciso istante:
“Tuo padre mi ha detto che sei sveglia richiamami subito HAI CAPITO, SUBITO”
 
Ma non erano quelli i messaggi che Belle temeva.
Tremante, con un enorme groppo alla gola, aprì la casella aspettandosi il peggio.
Invece non trovò nulla.
Lui non le aveva scritto niente.
Rimase immobile a fissare lo schermo del cellulare.
Il dolore che aveva provato la sera prima e che quel mattino pareva essersi leggermente sopito, riprese a martellarle il petto con una violenza inaudita.
La cosa peggiore era che una parte di lei aveva davvero sperato.
Non che un messaggio avrebbe cambiato le cose, assolutamente…no, semplicemente una parte di lei avrebbe semplicemente voluto leggere il suo nome sul visore. Vedere che le aveva scritto. Che stava soffrendo quanto lei, che aveva pensato a lei…avrebbe voluto leggere le parole che avrebbe scelto. Sarebbe stato inutile ma in un certo senso, avrebbe ancora fatto parte della sua vita, per qualche minuto. L’avrebbe sentito vicino, nel dolore.
Invece nulla.
E Belle provò di nuovo quella netta sensazione, come se qualcosa si fosse rotto per sempre e ora li dividesse un confine invisibile.
Non l’aveva lasciato per quel bacio.
Non era stato quello, non il bacio in sé. Era stato…tutto il resto.
Il fatto che la paura fosse stata più forte dell’amore che provava per lei.
O che avrebbe dovuto provare.
Il fatto che in pochi giorni di lontananza aveva semplicemente perso la testa. Come avrebbe fatto ad affrontare un eventuale distacco se non era in grado di gestire neanche una settimana da solo?
E così Belle French era semplicemente arrivata alla conclusione che Robert amava più la sua paura e la sua debolezza, di lei.
 

 Quel week-end fu terribile per ciascuno di loro. Belle parlò con Tink ed Ariel e spiegò loro cos'era successo. Entrambe le ragazze espressero il loro sdegno nei confronti di Robert e lo ricoprirono coi peggiori insulti: la cosa non fu molto d'aiuto per nessuno.
Regina si limitò a studiare, più che altro per cercare di evadere dal sentimento di disagio e noia che la pervadeva da venerdì.
Killian era furioso. Furioso col mondo, con i suoi genitori che litigavano, che piangevano, che non gli spiegavano bene come stavano le cose. Furioso con i medici perchè suo fratello era ancora in coma e non si svegliava nonostante l'operazione fosse andata relativamente bene. Furioso persino con sè stesso. Non aveva detto a nessuno dei suoi amici della sua situazione, ed era disperato.
Quel week-end sembrava non finire più. Eppure passò e in un modo o nell'altro, fu lunedì.


Robert aveva cercato di darsi dei piccoli obiettivi da completare giorno per giorno, così da avere la sensazione di poter ancora recuperare ciò che aveva perso. Non era molto d’aiuto ma in qualche modo lo faceva sentire meglio. Era l’unica cosa a cui poteva aggrapparsi: la speranza di poter ritornare all’inizio. La speranza che i suoi sforzi e il tempo potessero risolvere le cose.
Quel giorno, lunedì mattina, era venuto il momento di fare una certa consegna.
Probabilmente non sarebbe cambiato nulla ma gli pareva importante anche solo provarci.
Così incontrò Tink nel cortile dietro la scuola.
“Ciao.” Esordì lei vagamente imbarazzata.
“Ciao.”
Entrambi fissarono il pavimento con estremo interesse.
“Mi dispiace per come sono andate le cose.” Disse infine Tink, brusca.
“Già. Dispiace anche a me.”
Lui non aveva particolarmente voglia di parlarne, specialmente perché la ragazza era amica di Belle. Se da una parte poteva sfruttare la cosa, dall’altra…in qualche modo sentiva di non dovere invadere la privacy dei loro discorsi. Avrebbe tanto voluto chiederle come stava Belle, cosa faceva, se lui le mancava, se parlava di lui, se era arrabbiata e se davvero aveva intenzione di non perdonarlo, se lo amava ancora o se tutto ciò che provava era magicamente sparito nel nulla…
Non lo fece.
“Allora, ho…questa cosa. Devi darla a Belle.”
Tirò fuori il piccolo pacchettino dalla tasca e lo consegnò a Tink.
“Sai che non funzionerà, vero?” chiese lei mestamente.
“Non sto cercando di riconquistarla. E’ solo davvero importante per me che…che lei lo veda.”
Tink si mordicchiò le labbra. Sembrava sul punto di chiedergli qualcosa.
“Posso vedere cos’è?” domandò infine.
Il suo tono di voce curioso strappò un mezzo sorriso a Robert, il primo in diversi giorni, che annuì.
Così la ragazza aprì il pacchettino. All’interno vi era un ciondolo semplice e rotondo, montato su una catenina d’oro.
“Ha qualche significato nascosto?”
Lo alzò all’altezza degli occhi per osservarlo meglio.
“Si può aprire.”
Fece per aprirlo, ma esitò.
“Se…se preferisci non lo faccio.”
“Puoi farlo.”
All’interno del ciondolo c’era un semplice bigliettino bianco.
Tink lo lesse.
“Ah.”
“Già.”
Nessuno dei due disse nulla. Robert cominciò a sentire quella fastidiosa sensazione agli occhi che aveva imparato a collegare alle lacrime imminenti. Sbattè le palpebre un po’ di volte e cercò di rilassarsi.
“Quando…quando avresti dovuto darglielo?”
“Venerdì.”
Lei esitò un momento, poi qualcosa la spinse ad agire. Si avvicinò al ragazzo e lo abbracciò con gentilezza.
“Oh.” Si lasciò sfuggire Robert. Era perplesso ma ricambiò l’abbraccio.
“Mi dispiace davvero.”
“Anche a me.”
“Robert, tu hai fatto una stronzata enorme, davvero.”
“Lo so.”
Fissò il pavimento senza trovare nient’altro da aggiungere.
“Glielo darò. Ma…non… non ci sperare”
“Lo so.” Ripetè il ragazzo senza forze.
Aveva già smesso di sperare da un bel po’.
 
“Ma dov’eri finita? E’ mezz’ora che ti aspetto!” abbaiò Belle non appena Tink fece il suo ingresso in aula studio.
L’amica alzò le mani con fare colpevole e si sedette accanto a lei.
Il pacchettino che Robert le aveva consegnato era in tasca e sembrava che pesasse più del piombo.
La cosa più semplice sarebbe stato esordire semplicemente con la verità: dirle che aveva visto Gold per parlargli e che le aveva consegnato una cosa per lei. Dopodiché lasciarle il regalo e andarsene con discrezione, per lasciare a Belle il tempo di metabolizzare.
Eppure Tink sentiva che non era la cosa giusta da fare.
Non odiava Robert. Disprezzava ciò che aveva fatto, nella sua mente rappresentava in quel momento tutto ciò contro cui combatteva ogni giorno, cioè la mancanza di rispetto e fiducia nelle relazioni umane.
Ma non lo odiava.
Ma darle quel regalo significava dargli inconsciamente un’altra possibilità.
Perché dentro di sé, Tink sapeva che se Belle avesse letto ciò che era inciso a fuoco su quel ciondolo, le sue decisioni finali avrebbero potuto cambiare radicalmente.
 
Ti amo.
 
Non consegnarla a Belle significava tradire la fiducia di Robert. Dopo che gli aveva fatto una promessa. Ma anche lui aveva fatto delle promesse a Belle e non le aveva mantenute.
Tink rifletteva mentre annuiva automaticamente a tutte le cose che Belle stava dicendo in quel preciso istante.
Chi era lei per impedire alla sua amica di sapere la verità? Dalla sua decisione potevano dipendere i destini dei due ragazzi…oppure no.
Magari i loro destini erano già segnati e quello non avrebbe cambiato nulla…in fondo erano giovani, avevano diciotto anni…
“Quindi pensavo di…di fare domanda a Boston.” terminò Belle con enfasi.
Tink fissò il tavolo davanti a sé, senza dare nessun segno di vita.
Doveva darle quel ciondolo.
Era la cosa giusta da fare: la ragazza era fermamente convinta che bisognasse sempre scegliere l’amore invece che la rabbia e la vendetta. Avrebbe applicato quel criterio anche quella volta.
“Tink?”
Si ridestò dal torpore e fissò Belle.
“Sì?”
“Mi hai ascoltata?”
“Certo che sì. Ma…nell’ultima parte…cosa stavi dicendo…?”
Belle alzò gli occhi al cielo.
Non la stava ascoltando.
Chissà cos’era successo mentre era rimasta fuori tutti quei minuti. Forse aveva incontrato Killian.
“Dicevo che non andrò più a New Haven. Ma la borsa di studio…la posso usare comunque. Quindi…pensavo di fare domanda all’università di Boston. Dove…dove vuoi andare anche te.”
Tink spalancò gli occhi.
“A Boston!?”
“Sì. Così…almeno non…non sarei sola.” Borbottò Belle.
La biondina sentì il pacchettino nella tasca diventare ancora più pesante.
Belle aveva cambiato i suoi piani.
Non voleva più andare a New Haven.
Non voleva seguire Robert, ora che Robert non era più parte della sua vita.
“Io…è…”
Esitò.
Mise la mano in tasca.
“E’ magnifico.” Concluse infine.
Appoggiò entrambe le mani sul tavolo e le congiunse.
“Davvero. Potremo prendere una stanza insieme! E…e decorare le mura con un sacco di foto di Game of Thrones!” esclamò poi.
Belle rimase un attimo interdetta.
“Sì…con…foto di Game of Thrones.”
Entrambe rimasero in silenzio per un po’ di tempo, immerse nei loro pensieri.
Poi istintivamente Tink appoggiò la propria mano su quella dell’amica.
“Sarà una nuova avventura! E so…che non è come l’avevi immaginata, ma…ci divertiremo”
Entrambe sorrisero.
No, non era come aveva immaginato ed era troppo presto per pensarci senza provare un’orribile sensazione di vuoto allo stomaco, ma Belle pensò che in fondo la ragazza aveva ragione.
Si sarebbero divertite.
 
 
Nei giorni seguenti, la notizia dell’incidente del fratello di Killian si diffuse rapidamente a scuola.
Il giovane capitano della squadra di football era estremamente popolare e la sua mancanza non passò di certo inosservata.
Robert gli scrisse senza troppa convinzione martedì mattina, se non altro perché aveva bisogno di parlare con qualcuno.
Non ottenne risposta ed immaginò che il ragazzo se ne fosse andato da qualche parte in vacanza senza avvisare nessuno, o che avesse deciso di prendersi qualche giorno di “malattia” come era solito fare (giorni in cui vegetava sul divano fingendo di avere la febbre per non dover andare a scuola).
Quando giovedì mattina, la professoressa Blanchard annunciò alla classe che il fratello di Killian Jones era in gravissime condizioni, in coma all’ospedale, rimasero tutti sconcertati. Robert pensò tristemente che in quel momento forse non era la persona più triste della città e decise che sarebbe andato a trovare l’amico quel pomeriggio stesso.
La persona che si sentì peggio, per Killian e per sé stessa, fu Tink.
 
 
Emma Swan sfogliava pensierosa un catalogo di mobili, seduta da Granny’s, una tazza di caffè bollente di fronte.
Si era trasferita da poco nella nuova casa in affitto e aveva intenzione di apportare qualche modifica.
Le avrebbe fatto comodo avere un uomo, pensò distrattamente, o anche qualche amica a darle una mano. Aveva già acquistato una scrivania nuova ma non aveva idea di come montarla.
Suo padre si era immediatamente offerto, ma Emma aveva declinato. Se c’era una cosa di cui era sicura in quel momento, era il suo assoluto desiderio di tenere fuori i suoi genitori dalla sua vita.
I signori Swan si erano notevolmente indignati e preoccupati quando Emma aveva espresso il suo desiderio di cambiare casa ed iniziare una vita per conto proprio. Così dopo numerosi litigi, incomprensioni, i due avevano acconsentito a patto che la giovane professoressa accettasse comunque di non rispedirli dritti indietro a Tallahassee.
Emma aveva accolto la loro proposta, ed ora viveva da sola.
Era una sensazione magica. Poteva mangiare ciò che voleva, andare a dormire quando voleva, fare ciò che voleva senza doverne rendere conto.
Aveva ingenuamente pensato che avrebbe potuto invitare Regina per chiacchierare e bere qualcosa, ma poi la situazione aveva preso una piega imprevista…
Emma si rattristò ripensando al fatto che in qualche modo era riuscita a perdere l’unica amica che era riuscita a farsi in quei mesi. Si chiese per l'ennesima volta il perchè di quella brusca decisione. Forse era stata troppo soffocante, forse le aveva dedicato troppe attenzioni...
Pensò anche al fatto che l’unica amica che era riuscita a farsi era una studentessa di diciotto anni.
Forse era giunto il momento di rivoluzionare la sua vita.
“Ehi- ehi scusi.”
Emma alzò lo sguardo stupita.
Un uomo, o forse un ragazzo, non poteva avere più di trent’anni, le stava rivolgendo la parola.
“Sì?”
“Le…le è caduto questo.” Disse semplicemente l’altro. Le consegnò un foglio, un compito in classe che doveva essere sfuggito dal plico sul tavolo.
“Oh. Grazie!” esclamò Emma sorridendo.
Lo sconosciuto fece altrettanto.
Aveva i capelli castani mossi e intensi occhi scuri. No, decisamente non poteva avere più di trent’anni.
“Prego.”
Emma lo fissò con curiosità. Sembrava sul punto di dire qualcosa ma si guardava intorno dubbioso.
“Mi scusi se glielo chiedo” borbottò infine “Ma non credo di averla mai vista da queste parti. E’ nuova?”
Lei annuì.
“Sì io…beh, non proprio. In realtà abito qui da gennaio. Però…mi considerò nuova. Vengo da Tallahassee.”
L’uomo sembrava sorpreso.
“E’ piuttosto lontano da Storybrooke!”
“Sì…ma…beh, lavoro come professoressa. Sono stata trasferita.” Spiegò con semplicità.
Lui esitò un momento, dopodiché indicò la sedia vuota.
“Sembra una storia interessante. Posso…?”
Emma lo squadrò. Sembrava un tipo a posto.
“Non ho cattive intenzioni.” Disse con un mezzo sorriso, intuendo le sue preoccupazioni.
Emma annuì. “Allora siamo d’accordo. Può sedersi!”
“Mi chiamo Christopher comunque.”
Le strinse la mano.
“Christopher Walsh” (*)
 

 
Regina aveva poche certezze arrivata a quel punto della sua vita.
Sembrava che ognuno di loro fosse stato risucchiato da un vortice di eventi imprevisti ed indesiderati, ed ognuno di loro si ritrovava ad affrontare la situazione come meglio poteva.  Belle e Robert si erano lasciati. La coppia che sembrava essersi dichiarata eterno amore solo pochi giorni prima, era scoppiata.
Regina Mills non aveva idea del perché e soprattutto, in fondo, non le importava: ma in qualche modo, una delle sue certezze era crollata.
Belle era molto umorale. Parlava con apparente tranquillità ed era sempre gentile, ma era anche imprevedibile. C’erano momenti in cui si rinchiudeva in sé stessa, altri in cui scattava per le cose più impensate. In ogni caso, non l’aveva vista versare una lacrima: neanche una volta.
Robert era completamente sparito. O meglio, Regina lo aveva intravisto qualche volta nei corridoi e in classe, ma non si erano mai parlati. Nulla se non un breve cenno. A differenza di Belle, il ragazzo aveva eretto un muro tra sé e il resto del mondo. Aveva ceduto il posto di capitano della squadra del Decathlon ad un ragazzo del terzo anno. Dopodiché, aveva continuato la sua vita: il suo sguardo era vuoto, faceva quasi spavento.
Tink era diventata imprevedibile quasi quanto Belle. Non riusciva a darsi pace per come aveva trattato Killian il venerdì precedente. Questo Regina l'aveva intuito da stralci di conversazioni che aveva captato in biblioteca, mentre studiava insieme alle due ragazze.
La cosa che trovata leggermente comica, in tutto quello, è che anche Zelena in qualche modo si era trovata all’interno di quel vortice di cambiamenti. Durante gli allenamenti era sempre più insopportabile e dispensava cattiverie a tutte le compagne di squadra. Sembrava furibonda per qualcosa e lo dimostrava ampiamente in attacchi di imprevedibile isteria.
Così Regina rifletteva.
E pensava che in fondo, era grata, per una volta, che non fosse toccata a lei. La sua vita era estremamente regolare e calma da quando si era unita nuovamente alle cheerleader. Non poteva certo lamentarsene.
Le cose con Emma Swan, si erano definitivamente sistemate.
Certo, pensava malinconica la ragazza, forse non erano andate nel verso in cui avrebbero dovuto…ma a volte è necessario fare delle scelte.
Ciò che mai aveva immaginato, è che si sarebbe trovata molto presto a farne una.
 
Quando passò davanti al Granny’s Dinner con passo spedito, inchiodò improvvisamente. Non registrò subito ciò che aveva visto. Fece due passi indietro e guardò attraverso la spessa vetrata.
Non poteva essere…eppure…
Emma Swan era seduta all’interno del locale, con un grande bicchiere di caffè in mano. Di fronte a lei, un perfetto sconosciuto, un ragazzone coi capelli castani, sembrava intento ad ascoltarla mentre lei parlava.
Regina rimase immobile a guardare la scena.
Dopodichè corse via.
 
 
“Ascoltami…devo dirti una cosa: papà e mamma…hanno deciso di separarsi. Mi dispiace piccolino, è per questo che lei non viene più a trovarci. Sappi che il mio amore per te non cambia di una virgola. So che vorresti vedere la mamma e che lei ti manca ma…per il momento preferisce stare sola. Io la amo ancora però. Spero che mi ami anche lei. Tu cosa ne pensi?”
Adam inclinò leggermente la testa, perplesso.
Robert lo guardò incoraggiante.
Il cane guaì gli leccò la mano e trotterellò verso la ciotola di cibo.
"Torna qui Adam!"
Lui continuò a mangiare come se niente fosse.
Il ragazzo scosse la testa sconsolato, riprendendo a rosicchiare un biscotto.
"Sei proprio stupido. Povero piccolo."
Improvvisamente sentì il campanello suonare.
Si avviò verso l’ingresso, chiedendosi chi potesse essere.
Rimase estremamente stupito quando vide Tink Glocke, avvolta in una mantellina gialla contro la pioggia.
“Posso entrare?” urlò sopra al frastuono del temporale.
Lui annuì.
“Attenta, bagni tutto il marmo.” La ammonì poi.
Tink sbuffò e si fermò sul tappeto.
“Sono qui per una cosa breve e concisa.” Esordì infine.
“Va bene. Vuoi una tazza di tè?”
“No, grazie.”
Si guardò intorno incuriosita. La casa di Gold sembrava davvero bella, anche se da quella scomoda posizione poteva intravedere solamente il soggiorno e parte della cucina.
“Dunque?”
“Si tratta di Killian.”
Robert annuì deluso. Sperava di avere qualche notizia di Belle, o almeno di sapere come aveva reagito di fronte al ciondolo…
“Io…io e lui dovevamo uscire venerdì scorso.”
Lo stomaco del ragazzo fece una capriola.
Venerdì scorso…
“Lui non si è presentato all’appuntamento. Ora ho capito perché. Io…credevo che avesse fatto lo stronzo così gli…gli…” la voce le tremò e i suoi grandi occhi verdi iniziarono a diventare lucidi.
Robert si strofinò le mani a disagio.
“Scusa. Non dovrei piangere. Ecco, ora la smetto subito. Visto?” disse, la voce acuta e una nota leggermente isterica nel modo di parlare.
“Dunque gli…gli ho scritto delle cose davvero cattive. Proprio tanto cattive. E...e mi sento malissimo.”
Gold non disse nulla per qualche secondo. Si chiese distrattamente quali cose cattive gli avesse scritto…
“Non è stata una gran giornata venerdì scorso eh?”
“Decisamente no…”
Entrambi sorrisero tristi.
“Voglio farmi perdonare.” Disse semplicemente Tink. “Non lo conosco benissimo ma…ma voglio che capisca che non avevo idea di cosa fosse successo e che…che ci sono se lui ha bisogno di un’amica. O di qualsiasi altra cosa.”
Robert annuì serio.
Improvvisamente Adam apparve nell’ingresso, facendo capolino dalla cucina.
“Oh.” Esclamò Tink guardandolo.
Il dalmata le si avvicinò allegro, scodinzolando e le annusò felice le gambe.
“Lui è Adam. E’ il cane che…che…”
La voce si perse nel nulla
“Lo so.”
Tink si chinò e gli accarezzò la testa.
“E’ bravo?”
“Non proprio, non mi ubbidisce e fa sempre quello che vuole lui...Ma va bene, è molto affettuoso.”
Lei sorrise e continuò a grattargli la testa mentre il cane si rotolava beato sul tappeto bagnato, scuotendo le zampe e la coda, incurante del fatto che stesse sporcando il preziosissimo marmo di casa Gold.
“Dunque?” chiese poi.
“Penso che dovresti andare a trovare Killian. E dirgli le cose che hai detto a me.”
Gold non si riteneva particolarmente bravo a dare consigli, ma quella gli pareva la cosa più saggia da fare.
“A trovarlo?”
“Sì. In ospedale…insomma, penso che sia meglio che ne parliate a voce. Lui apprezzerebbe.”
Con un ultimo buffetto sulla testa di Adam, Tink si rialzò, con uno sguardo un po’ sperduto, nella sua mantellina gialla.
“Mi sembra di stare all’interno di un vortice.”
Il ragazzo si strinse nelle spalle.
Era esattamente la sensazione che provava da una settimana ma preferiva non pensarci.
Forse le cose si sarebbero calmate.
O forse il peggio doveva ancora arrivare.
In ogni caso, pareva che tutti avessero i loro demoni da affrontare.
“Bene. Allora io vado.” Disse poi bruscamente la biondina.
“Sei in macchina?”
“No, in bici.”
“Vuoi un passaggio?”
“No, grazie, ho la mia mantellina…” indicò la telara gialla.
A Robert parve vagamente ridicola.
“Allora…ciao.”
“Ciao…ci…ci vediamo. E…beh, se non ubbidisce…prova a parlargli in tedesco.”
 
 
Non troppo lontano da casa Gold, nella sontuosa villa dei Mills, Regina mangiava senza troppo entusiasmo una misera insalatina.
Sua madre parlava con Henry Mills riguardo al…nulla. Sembrava arrabbiata con una certa Eva Blanchard (Regina pensò distrattamente che probabilmente era la madre della sua professoressa di lettere). Ma di tutto ciò, a Regina non importava nulla. Non riusciva a togliersi di mente Emma Swan.
Emma Swan e quello sconosciuto.
Erano amici? Erano conoscenti, si erano appena incontrati? O erano qualcosa di più?
Emma le aveva detto di aver bisogno di amici, ma a quanto pare gli amici ce li aveva eccome…o forse si era rivolta a lui dopo che Regina stessa aveva troncato la loro amicizia.
Forse si era sentita sola e aveva avuto bisogno di qualcun altro.
“E’ la madre della tua professoressa, giusto, Regina?”
Regina alzò la testa turbata e fissò i suoi genitori.
“Cosa?”
“La signora Blanchard…”
“Oh! Sì, sì!” esclamò convinta. Poi ci ripensò e aggiunse “E’ un’incompetente, non la sopporto.”
Non era vero ma sua madre sorrise soddisfatta.
Così alla ragazza fu permesso di tornare ai suoi pensieri.
Realizzò lentamente, mentre con estrema precisione infilzava un pomodorino, che un sentimento completamente nuovo si stava facendo strada in lei.
Qualcosa di mai provato e di molto sgradevole.
Avrebbe voluto vederlo bene in faccia quello sconosciuto.
Avrebbe voluto dirgli che non era il benvenuto nella vita di Emma.
Era…
“Gelosia.” Mormorò la ragazza.
“Come?” le chiese il padre.
“Niente. Pensavo…pensavo ad un tema per il saggio che devo scrivere.” Dichiarò precipitosamente.
Era gelosia.
Ricordava di aver provato vagamente lo stesso sentimento quando aveva scoperto che Belle e Robert avevano iniziato a frequentarsi alle sue spalle.
Ma non era nulla al confronto di questo, no, questo era sgradevole, bruciante ed estremamente fastidioso.
Non sapeva perché.
Le dava fastidio l’idea che Emma l’avesse rimpiazzata così in fretta.
O forse che le avesse mentito, dicendole di essere la sua unica amica.
O forse era qualcosa di più particolare, legato al sogno che aveva fatto settimane prima…
“Ho finito. Posso andare di sopra? Devo assolutamente finire di studiare storia per domani altrimenti…”
Cora annuì. “E ricordati domani mattina, di puntare la sveglia. Io e tuo padre partiamo per le sei!” Le urlò dietro.
Una volta in camera Regina sua, decise che era venuto il momento di agire.
Non avrebbe perso Emma Swan. Forse era già successo ma conoscendo la professoressa e il suo carattere, sarebbe tornata da lei.
E lei, Regina, avrebbe tenuto testa a Zelena.
Non riusciva a credere di essersi lasciata influenzare da quell’arpia, ma ora le cose sarebbero cambiate.

 
 
Il venerdì mattina, Robert si svegliò.
Come prima cosa accese il cellulare, lo faceva ogni mattina: era un’abitudine che aveva preso da quando stava con Belle. Nessuno dei due amava le cose eccessivamente romantiche ma ad entrambi piacevano i piccoli gesti quotidiani come augurarsi il buongiorno, o la buonanotte.
Come ogni mattina, da una settimana prima, anzi, a ben voler vedere, da due settimane prima, il cellulare di Robert non segnava nessuna novità.
Come ogni mattina da sette giorni a quella parte, il ragazzo scrisse un messaggio.
 
Buongiorno Belle. Ti amo tanto e mi manchi. Adam ti saluta, sta benone ma manchi anche a lui.
 
Lo salvò nelle bozze poi andò a fare colazione.
Come ogni mattina, da una settimana, afferrò la tazzina scheggiata che Belle aveva rotto accidentalmente la prima volta che era venuta a casa sua; la appoggiò sul tavolo e vi versò il tè dentro.
Non era sentimentalismo.
Non era romanticismo gratuito o qualche strana forma di autolesionismo.
Semplicemente Robert non riusciva a lasciarla andare. Non poteva e soprattutto, non voleva. Ogni piccola cosa che poteva tenerlo legato a lei, qualsiasi cosa che in qualche modo fosse stata toccata da lei, andava trattata col massimo riguardo e andava amata e protetta.
Così Robert si era trovato ad amare ancora di più il piccolo Adam, che in quel momento poteva dichiararsi tranquillamente il cane più felice di Storybrooke.
La sciarpa gialla che lei gli aveva regalato mesi prima era riposta sulla scrivania, insieme ad un paio di guanti che lei una volta aveva dimenticato lì e che lui aveva scordato di ridarle.
“Un giorno o l’altro mi ricorderò di restituirglieli” si era detto Robert.
Forse avrebbe potuto usarli come scusa per rivederla, anche solo per un minuto…ma in fondo, preferiva tenerli.
Forse perché una parte di lui sperava davvero che un giorno glieli avrebbe restituiti.
In ogni caso, decise che dopo scuola sarebbe andato a trovare Killian e suo fratello Liam all’ospedale. L’amico aveva sicuramente più bisogno di conforto di lui.
Adam apparve accanto a lui e balzò sulla sedia.
“Adam, no.” Disse Robert senza troppa convinzione.
Il cane salì rapido sul tavolo.
“No!”
Iniziò a leccare i resti della torta che sua madre aveva cucinato.
“No! Per l’amor del cielo, non ti è bastata l'esperienza dell'altro giorno!? Mi hai già rovinato un tappeto!"
Afferrò il cagnetto e lo rimise a terra.
“Adam, nein. Sitz.” Disse infine, cercando di mantenere il tono fermo.
Erano le uniche due parole che sapeva di tedesco, ma l’effetto fu disastroso.
Adam salì nuovamente sul tavolo e non si arrese fino a che non venne chiuso drasticamente fuori dalla cucina.
 
 
Regina osservò il profilo di Emma, senza farsi notare, appena fuori dalla porta, leggermente nascosta.
Lasciò che gli occhi indugiassero sui lunghi capelli biondi, sulla forma del viso, sulle mani in quel momento impegnate a scrivere una lunga sfilza di voti…
Deglutì.
Dopodiché uscì allo scoperto e bussò alla porta per educazione.
Emma alzò lo sguardo e un’espressione di puro stupore le si dipinse sul volto.
“Regina!” esclamò.
Le labbra si piegarono in un sorriso spontaneo.
“Professoressa Swan…” rispose l’altra, evitando di incrociare lo sguardo.
“Vuoi dirmi qualcosa?”
“In realtà sì…ma preferirei…se non le dispiace…” fece per chiudere la porta ed Emma annuì.
 
 
C’era una cosa che Tink non aveva messo in conto quando con Belle aveva deciso di andare a trovare Killian, quel pomeriggio.
Cioè che probabilmente, essendo venerdì pomeriggio, anche Robert si sarebbe trovato lì.
Quando in sala d’aspetto trovarono il ragazzo seduto ad una delle sedie accanto alla porta, le due si bloccarono immediatamente.
Seguì una serie di reazioni spontanee e poco piacevoli.
Robert scattò in piedi senza avere nemmeno il tempo di riflettere, mentre Belle fece un passo indietro, mormorò qualcosa all’amica, si voltò e percorse il corridoio verso l’uscita.
Tink in tutto ciò rimase a fissare la scena con tanto d’occhi.
“Voglio parlarle.” Disse semplicemente Robert alla ragazza.
Era vero.
Si erano evitati per tutta la settimana.
Lei lo aveva evitato.
Ma ora era lì e doveva parlargli, doveva ascoltarlo…forse non era troppo tardi…
“Allora vai e parlale. ” Rispose Tink, brusca.
Robert corse lungo la corsia, evitando un paio di barelle. Trovò Belle di fronte all’ascensore.
“Belle!”
Lei non si girò.
Fissò il visore che segnava i piani.
Ancora tre. Poteva farcela.
“Belle.”
Il cuore prese a batterle molto più velocemente. Poi sentì una mano poggiarsi sulla spalla.
Si girò di scatto, piena di rabbia.
“Non mi toccare.” Sibilò.
Robert indietreggiò subito, alzando le mani.
“Scusami…non…non sapevo come farti girare.”
Belle rimase immobile.
Una settimana non era neanche lontanamente sufficiente a rimarginare una ferita simile.
Aveva sperato che evitandolo sarebbe stato più semplice, ma si sbagliava di grosso.
Deglutì a stento, imponendosi di non versare una lacrima: ne aveva già versate abbastanza.
“Volevo solo chiederti…come stai.”
La semplicità di quella domanda la lasciò ancora più stravolta.
Sentì il tintinnio dell’ascensore alle sue spalle, il segnale che tanto aspettava.
Senza dare una risposta, entrò nell’ascensore.
Sperò con tutta sé stessa che Robert non la seguisse.
Non lo fece.
Rimase immobile davanti alle porte, fissandosi le scarpe.
“Spero che tu stia bene.” Disse infine mentre le porte si chiudevano.
 
 
Quindici minuti più tardi, Belle era ancora di fronte all’ospedale, triste, amareggiata, arrabbiata e delusa da sé stessa.
Che cos’avrebbe pensato sua madre se l’avesse vista in un’occasione simile?
Era andata a trovare un amico in difficoltà, a confortarlo e a dirgli che sapeva bene cosa significava rischiare di perdere una persona amata; era andata per aiutare Tink a sbrogliarsi da quell’orrenda situazione, per sostenerla.
Ed era scappata via.
Aveva visto il suo ex ragazzo ed era scappata come la più stupida delle ragazzine alle prime armi.
Killian era lassù con suo fratello in coma, Tink era lassù che aspettava la sua occasione per chiedere scusa…e Robert?
Robert anche probabilmente era lassù, era lì per aiutare il suo amico.
Non l’aveva visto uscire e a meno che non avesse pensato di andarsene da qualche porta sul retro, le probabilità di ritrovarlo lì erano alte.
Lo amava ancora. Era ovvio e prevedibile, pensò amareggiata mentre si tormentava le unghie appoggiata ad un muretto, ma non per questo faceva meno male.
Eppure era stata scorretta anche con lui.
Le aveva solo chiesto come stava. Avrebbe potuto rispondergli e chiudere la conversazione, magari anche essere onesta con lui: dirgli che non voleva vederlo o parlargli perché stava male, essere sincera e comportarsi come la ragazza matura che doveva essere.
Era davvero arrivata a quel punto?
Il suo pensiero tornò a Killian.
Si ricordò quando sua madre, Colette, aveva iniziato a sentirsi poco bene. Le si fermò la gola a ripensare ancora a quanto aveva sofferto. Lei, suo padre, sua madre.  E Killian era lassù, e suo fratello, Liam, era in coma, e i genitori di Killian andavano e venivano e poteva solo immaginare l’orrore e il terrore che provavano ogni volta che parlavano con i medici e non veniva data loro nessuna novità positiva. E Belle sapeva bene cosa volesse dire…eppure non era lì con lui.
Per codardia. Per semplice vigliaccheria.
Così Belle si staccò dal muretto, smise di tormentarsi le unghie, respirò a fondo e rientrò nell’ospedale.
 
 
In sala d’attesa non trovò Tink.
Però trovò Robert.
Era ancora seduto, sulla stessa sedia di prima, immobile, pallido. Gli occhi, quei meravigliosi occhi scuri che in qualche assurdo modo, al sole assumevano una strana sfumatura ambrata, erano leggermente arrossati.
Belle si sedette dal lato opposto della sala.
Vicino a lei c’era solo una vecchia signora intenta a leggere il giornale.
Robert non si mosse e non la guardò.
Continuava a fissare il pavimento.
Una parte di Belle la spingeva prepotentemente a cambiare posto. A sedersi vicino a lui, a parlargli.
A dirgli che non stava bene, che era a pezzi da esattamente sette giorni. E a chiedergli se per lui era la stessa cosa, a domandargli perché in una settimana non le avesse scritto una sola volta, a chiedergli se era normale che facesse così male e se prima o poi sarebbe passato.
Non scenderai a patti un’altra volta.
Ma è più coraggioso parlargli che ignorarlo, lo sai bene. In quello che stai facendo non c’è nulla di cui essere fiera.
“Non sto molto bene.”
La voce le uscì fiocamente, tremante.
L’anziana signora si girò verso di lei stralunata, dopodichè scosse la testa e riprese a leggere.
Gli angoli della bocca di Robert si incurvarono leggermente, mentre osservava di sottecchi la scena.
Anche a Belle venne da sorridere. Era una cosa che sempre li aveva accomunati, una sorta di passione per le situazioni assurde.
Durò un attimo: un attimo in cui entrambi furono sul punto di sorridere, di sorridersi. Un brevissimo attimo in cui erano tornati ad essere loro.
Ma il momento svanì e la magia si perse.
Le bocche tornarono tese e gli sguardi seri.
“Anche io non sto bene.” Disse dopo qualche minuto, Robert.
“Mi dispiace per prima. Sono stata sgarbata.”
“Non importa, davvero…io sono stato un po’ troppo avventato. Non avrei…non mi sarei dovuto permettere.”
La vecchia accanto a Belle continuò a leggere il giornale.
Il rumore delle pagine e il suono dell’ascensore e dei vari macchinari dell’ospedale furono l’unica cosa udibile per parecchi minuti.
“Tink è dentro?”
“Sì.”
 
La porta si aprì e ne uscì Tink, completamente stravolta.
Belle scattò in piedi e la raggiunse, abbracciandola.
“Com’è andata?”
“Io…bene. Gli…gli ho detto tutto quello che volevo dirgli. Se…se vuoi ora puoi andare tu.”
Si soffiò forte il naso e si lasciò cadere su una sedia.
Robert tamburellò col piede.
“Vuoi che venga anche io?” chiese poi rivolto a Belle.
Lei annuì.
Aveva bisogno di qualcuno per fare ciò che voleva fare.
Qualcuno che nonostante tutto la conoscesse e la amasse.
Entrarono nella stanza.
 
Killian era seduto accanto al letto, le mani incrociate, la testa bassa.
Alzò lievemente lo sguardo su di loro e fece un debole cenno con la mano.
Vicino a lui suo fratello Liam, giaceva inerme sul letto. Il volto sfigurato, i macchinari tutti intorno a lui che segnavano le deboli ma regolari pulsazioni.
“Come sta?” esordì Robert.
Killian parlò, la voce leggermente strozzata e nasale.
“Non lo so. Non capisco nulla di quello che c’è scritto nella cartella clinica o di quello che dicono i dottori. Vorrei aver ascoltato quello che dicevano a scienze. Sono incazzato nero e i miei cercano…cercano di spiegarmelo ma continuano a litigare ed io non capisco e i medici continuano a…a discutere di trauma cranici ed emorragie...”
Belle ricordò come anche lei non avesse compreso nulla di ciò che i dottori avevano detto riguardo a sua madre. E ricordava l’atteggiamento di rifiuto di suo padre, di come non volesse parlare di ciò che stava succedendo…
“Se vuoi…se vuoi posso leggere la cartella e provare a capirci qualcosa insieme a te…” disse dopo un po’ Belle.
Jones annuì rabbioso, con gli occhi pieni di lacrime.
Così Belle diede un’occhiata al primo dei fogli abbandonati sul comodino.
“Qui dice…un sacco di cose su quanto può durare un coma.”
“E quanto può durare? Perché non si sveglia? I dottori hanno detto che l’operazione ha avuto successo!”
Belle esitò.
“Io…non lo so. Però qui dice che il coma…se è…se reversibile, non supera mai i trenta giorni.”
“Reversibile?”
“Significa che può guarire...”
“Sì…io…mio padre dice che ne è convinto. Mia madre invece continua a piangere e non parla.”
“Lo so. Mio…mio padre quando…quando mia madre è stata male, lui…non parlava quasi mai. Le persone reagiscono in modi diversi.”
Killian la guardò.
“Tua…”
“Mia madre.”
Poi improvvisamente annuì. Lo sapeva, la mamma di Belle era morta. Ma non aveva mai realizzato cosa significasse, fino a quel momento.
Belle dal canto suo, sentì la gola stringersi fino a farle male. Senza più riuscire a trattenersi, sentì gli occhi bagnarsi e le lacrime iniziare a scorrerle sulle guance.
Robert rimase immobile, appoggiato al muro.
Si sentiva un estraneo.
Un estraneo al dolore di Killian, un estraneo al provare un amore così forte per un membro della propria famiglia. Un estraneo rispetto a Belle che in quel momento, anche se in lacrime, cercava di leggere gli altri documenti e spiegare all’amico con parole semplici, la situazione di suo fratello.
Si scusava se la voce le si spezzava e riprendeva semplicemente a leggere.
“Ehi, stronzo” disse improvvisamente Killian indicandolo, qualche minuto dopo.  “Vieni qua e abbraccia la tua ragazza, subito!”
Gold non rispose, mentre Belle, col volto rigato dalle lacrime, guardava altrove.
“Se la mia ragazza stesse facendo una cosa del genere per il mio migliore amico le avrei già cucito un tappeto rosso con le mie mani! Anzi, tre tappeti rossi.” rincarò la dose.
Entrambi abbozzarono un leggero sorriso.
Lo sguardo di Robert incontrò quello di Belle.
Killian non aveva idea di come stessero le cose tra loro.
E di certo quello non era il momento per dirglielo.
Senza più riflettere, si avvicinò a lei e la abbracciò.
“Ecco, ora va meglio.” Borbottò Killian, soffiandosi il naso e strofinandosi gli occhi. “Comunque lei è davvero fantastica.” Disse rivolto a Robert indicando Belle “Se te la fai scappare giuro che ti spacco la faccia…e anche Liam…quando si sveglierà…io gli dirò come si è comportata Belle e lui sarà…sarà davvero arrabbiato se non farai le cose come vanno fatte.” terminò la frase guardando il fratello ed accarezzandogli la mano con affetto.
Gold annuì, stringendo Belle a sé, appoggiando il viso tra i suoi capelli.
Sentì le piccole mani di lei aggrapparsi alla sua schiena, quasi disperate, e sentì il suo volto sul collo.
Entrambi sapevano che non ci sarebbe stato un altro momento così per loro.
Un momento in cui piangere insieme e soffrire insieme, un momento in cui potevano consolare un amico e consolarsi a vicenda, dimenticandosi per un istante che in quella guerra loro erano in due schieramenti opposti.
“Allora…” disse dopo un po’ Jones, respirando a fondo “Tink mi ha detto che Belle ti ha regalato un cane.”
Belle si scostò leggermente dal corpo di Gold e annuì.
“Beh è fantastico! Potremo insegnargli un sacco di cose!”
“Io…io non credo che imparerà mai qualcosa.”
La ragazza lo guardò, improvvisamente offesa.
“Guarda che è un cane molto intelligente! Me lo hanno assicurato!” 
“E’ un cane intelligentissimo!” assicurò Killian dandole manforte.
“Senti, non capisce nulla di quello che gli dico. E non mi ubbidisce mai e mi occupa sempre il letto quando devo dormire! L’altro giorno ha mangiato tutti i resti della torta che mia madre aveva cucinato la sera prima e ha vomitato tutto sul tappeto. Inoltre se lo chiamo per nome non risponde.” sbottò infine Robert.
Belle scoppiò improvvisamente a ridere tra le lacrime. Poteva solo immaginare quanto indignato dovesse essere stato Robert di fronte al preziosissimo tappeto rovinato.
“Io lo so perché non risponde e non ti ubbidisce” disse poi, cercando di ricomporsi.
I due ragazzi la guardarono perplessi.
“Quando l’ho preso…prima di fartelo recapitare…io…ho continuato a chiamarlo Bobik per tutto il tempo.”
“HAI FATTO COSA?” Esclamò Robert indignato.
Killian sgranò gli occhi.
“L’ho chiamato Bobik…e…credo che abbia avuto l’imprinting con quel nome!”
Nessuno disse niente.
“L’hai chiamato Bobik. E ora io devo chiamarlo Bobik? Sennò non mi ubbidirà mai?” chiese poi Robert, leggermente turbato.
“A quanto pare sì.”
E infine, anche Killian scoppiò a ridere.
Fu immensamente grato ai suoi due amici per essere riusciti a farlo sorridere in una situazione del genere. Non si era mai sentito peggio ma quella risata era stata come un balsamo sulle sue ferite. Era il rumore della speranza.
“Bobik e Bobby! Oh mio dio! E’ la cosa più stupida e meravigliosa che io abbia mai sentito.” esclamò poi.
Il viso di Robert si fece rosso mentre Belle lo abbracciò di nuovo, ridendo quasi istericamente.
“Non se ne parla. Lui si chiama Adam, non lo chiam-“
“Ma dai, l'hai chiamato Adam!? Ma come hai potuto!? E' un nome da frocetto isterico! Sei sicuro di non avere un cane omosessuale?”
“LUI NON E’-“
“Bobik! Non ti ascolterà mai finchè non lo chiamerai così!” esclamò Belle.
Mentre Killian e Belle ridevano tra le lacrime, Robert respirò a fondo.
“Vada per Bobik.” Disse infine.
 

 
Quando il minuscolo gruppetto uscì dall’ospedale, l’atmosfera si era fatta nuovamente pesante e così i loro cuori.
Tink avrebbe voluto rimanere ancora. Non riusciva neanche a spiegare a voce cos’aveva provato nel vedere il ragazzo accanto al corpo immobile del fratello. Avrebbe voluto tenergli compagnia anche per tutta la notte.
E poi c’era stata l’espressione sul viso di Belle quando era uscita. L’espressione della consapevolezza di chi sa cosa significhi vedere una persona amata in quello stato, l’espressione di una ragazza matura che improvvisamente sembra tornare la spaurita tredicenne di fronte alla morte di sua madre.
“Credo che andrò a casa. Ho bisogno di…di stare un po’ tranquilla.” Borbottò infine Tink. Le facevano male gli occhi, desiderava solo potersi buttare a letto e riemergere il giorno seguente, o forse quello dopo ancora.
Nessuno rispose.
Ci fu un fioco scambio di saluti, dopodichè Robert e Belle rimasero soli. Il tempo era uggioso e si sentiva nell’aria l’odore di un temporale imminente. I due continuarono a camminare senza dire nulla, senza guardarsi, ancora storditi dall’abbraccio di poco prima e dalla valanga di sensazioni che li aveva tramortiti. C’era la tristezza per la situazione, la pena che provavano entrambi per Killian e per suo fratello. C’era l’orrore di Belle nel ricordare quanto accaduto a lei anni prima.
Il rimpianto di entrambi per com’erano andate le cose tra loro, il disperato desiderio di potere in qualche modo aggrapparsi ancora a quell’abbraccio e a quei pochi momenti di leggerezza e fingere che le cose non fossero andate nel modo in cui erano andate.
Nel parcheggio dell’ospedale, entrambi si fermarono.
Robert fissò la sua auto senza realmente vederla; si strofinò gli occhi arrossati e si schiarì la gola.
“Possiamo…mangiare qualcosa insieme? Non ho voglia di…di tornare a casa.”
Vide che Belle guardava lontano, immersa nei suoi pensieri.
“Belle…”
“Ho sentito.”
Si voltò verso di lui infine puntò lo sguardo su di lui.
“Ti amo e…e credo che tu lo sappia.”
Robert non disse nulla. Sentì il cuore bloccarsi e lo stomaco ingarbugliarsi.
Era così felice di sentirglielo dire che per poco non la baciò.
“E…vorrei davvero dire di sì.” Gli occhi della ragazza avevano smesso di lacrimare “Vorrei…vorrei tornare lì dentro e rimanere abbracciata a te, scherzare su Bobik…e vorrei abbracciarti adesso e dirti di sì, mangiare qualcosa e farmi riaccompagnare a casa.”
“Allora fallo.” Provò Robert disperato “Puoi farlo, possiamo mangiare qualcosa anche come amici, ma ti prego io-“
“Non lo farò.” Disse semplicemente Belle.
Lui non rispose.
Esattamente come una settimana prima, la testa iniziò a dolergli e gli sembrò che l’aria gli venisse strappata dai polmoni.
“Ti prego.”
“No. Ti amo ma…ma non posso farlo. E non voglio.”
Lo guardò con serietà. Non doveva piangere.
Forse a casa avrebbe pianto ancora, ma non ora.
Doveva essere corretta ed onesta, come era sempre stata.
“E’ finita.”
 
 







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Song: It's too late - Carole King

(*) Christopher Walsh...è Walsh. Sì la scimmia aka mago di Oz. Christopher (Gorham) è il nome dell'attore che lo interpreta :) 

Bimbumbam.
Here I am.
PUNTUALEEEEE (o quasi. sono le 2AM quindi tecnicamente è il 27 ma WHO CARES).
Also...sono tornata in carreggiata. Mi metterò al pari con le vecchie recensioni arretrate e tutto quanto. I feel power.
Dunque cosa dire su questo capitolo?
L'ho trovato MOLTO difficile e sono molto insicura di com'è riuscito. Non so come potrebbero reagire Belle e RumpleRobert di fronte ad una rottura, insomma, LO SCOPRIREMO NELLA 4x12 ma per ora non lo so...così ho provato a scrivere i tratti del loro carattere.
Ho immaginato un Robert a metà tra il "I'll make up to you" (cit. 4x11) e il post skin-deep, cioè rassegnato e quasi...quasi venerante nei confronti del ricordo di Belle. 
Mentre Belle l'ho immaginata come una che nonostante tutto, si rimbocca le maniche e...cerca di andare avanti. Con correttezza ed onestà.
Sono perplessissima anche sulla parte di Killian.
In effetti sono perplessa su tutto. 
La canzone che ho scelto invece mi piace un sacco. C:
Bene, fatemi sapere se vi va cosa ne pensate, avanzate pure critiche o perplessità perchè sono proprio perplessa su questo capitolo.
Come al solito vi ringrazio per il sostegno, siete meravigliosi <3 Grazie per le recensioni, per aver inserito la storia nelle seguite/favorite/ricordate...grazie di tutto <3 ci leggiamo...Lunedì 9 febbraio! :D
Un bacione

Seasonsoflove


 

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Capitolo 30
*** I'll never fall in love again ***



What do you get when you fall in love?
You only get a life of pain and sorrow
So for at least until tomorrow
I'll never fall in love again
No, no, I'll never fall in love again



Regina era completamente ignara di ciò che era accaduto dalla parte opposta della città, in ospedale: in quel momento, la vita le sorrideva.
Non si capacitava di come si fosse fatta intimorire da Zelena per qualcosa che in realtà non esisteva: o meglio, lo capiva, ma cercava di ignorarlo.
Poteva essere tutto nella sua vita: cheerleader, figlia perfetta e amica di Emma. Nessuna delle cose escludeva l’altra ed ora le era chiaro più che mai.
Zelena poteva anche provare a minacciarla o a intimorirla di nuovo, ma lei non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa.
E così camminava per le vie di Storybrooke col cuore leggero, pensando che sua madre e suo padre erano fuori città e questo significava avere la casa tutta per sé, senza assilli o preoccupazioni.
Accanto a lei, Emma parlava animatamente della situazione coi suoi genitori.
“Così la mia scrivania è ancora in uno scatolone, abbandonata in un angolo. E resterà così fino alla fine dei miei giorni, temo.”
La studentessa si ridestò dai suoi pensieri.
“Come? Perché?”
“Perché non ho idea di come montarla!”
Regina sorrise leggermente.
“Possiamo provare insieme, ma non assicuro nulla. Non sono un granchè nei lavori manuali.”
Emma scosse la testa infastidita.
“Sono le istruzioni, non la parte manuale! Faccio confusione e mio padre continua a chiedermi se voglio una mano.”
 Seguì qualche secondo di silenzio. Un autobus passò accanto a loro e Belle French che era su quell’autobus, seppur in lacrime, le vide. Ma entrambe erano ignare della situazione.
“Pensandoci, potrebbe essere una buona idea. Potresti darmi una mano, almeno non sarei più costretta a correggere i compiti sul tavolo della cucina tra le briciole.”
Emma aveva davvero bisogno di una mano e chiedere a Walsh, il ragazzo che aveva incontrato pochi giorni prima le sembrava inappropriato.
“Allora abbiamo un accordo.”
 
 
 
In realtà era da tanto che Emma aveva in mente di invitare Regina a casa sua per bere un tè insieme, o un caffè, per chiacchierare comodamente e senza la formalità che la scuola imponeva.
Ciò che non si aspettava, era di trovarsi con la ragazza a cercare disperatamente di montare, seguendo dei complicatissimi schemi, una scrivania dell’IKEA.
Avevano preso la cosa sottogamba, ma non era per niente facile, neanche con le istruzioni. Lo scatolone era pieno zeppo di assi, viti e altri strani aggeggi difficili da identificare ad un primo sguardo.
“Va bene, ora passami il martello.” Biascicò Emma sotto un’asse di legno, con due chiodi in bocca.
“Ecco qua. Cerchi di tenere fermo l’angolo dell’asse però, o si sposterà come prima!”
“Fai facile a parlare…”
Regina alzò gli occhi al cielo ed afferrò il foglio delle istruzioni.
“Bene, il chiodo lì a destra.”
“A destra dove?”
“A destra! Lì sopra, insomma, vicino all’angolo!”
“Va bene qui?”
“Sì!”
Emma infilò il chiodo all’estremità dell’angolo. Purtroppo non riuscì a tenerlo fermo, così l’asse intera si spostò e mandò a monte l’assetto del mobile.
“NON E’ POSSIBILE!” Esclamò furente.
“Ecco che ci risiamo.” Disse l’altra sarcastica.
“Ma cosa sbaglio!?”
“Gliel’ho detto, deve tenere unite le due assi! Che senso ha cercare di infilare un chiodo se poi si muove tutto il resto?”
Emma riemerse dubbiosa dalle macerie del suo operato.
“Come dovrei fare!? Io ci provo ma…”
L’altra sbuffò e le schiaffò il foglio sotto il naso.
“Guardi qui! E’ così difficile da capire!?”
La bionda lo fissò contrita.
“Non capisco niente. Nel disegno è pieno di pezzi che non ci sono nella realtà!”
Regina fece per ribattere qualcosa, poi si fermò. Controllò di nuovo le istruzioni.
“C’è tutto! E’ lei che non sa montare quelle stupide assi!” esclamò poi spazientita.
“Ma insomma, tu stai li ferma immobile e fai fare tutto a me! Provaci te!”
“Io non sono fatta per i lavori manuali.”
“Questa è la scusa che stai utilizzando da un’ora per startene lì a bere il tè! Avanti. Prova.”
 
E così Regina, non senza protestare e sbuffare, andò a prendere il posto dell’altra.
“Bene. Ora mi tenga ferme le assi.”
“Prima tu non me le hai tenute ferme.”
Regina alzò la testa e la fulminò con lo sguardo.
“Vogliamo discuterne a lungo?”
Emma arricciò il naso irritata e si avvicinò per tenere immobili e vicini i tue famigerati pezzi di legno.
“Sono fermi?”
“Penso di sì.”
“Come sarebbe a dire – penso di sì –“
“Insomma io-“
“Al diavolo.”
 
Mezz’ora dopo, non senza altre imprecazioni e numerosi battibecchi, la scrivania era finalmente pronta.
Regina si rialzò soddisfatta e incrociò le braccia.
“Dovrei riconsiderare la mia vita. Ho un futuro come ingegnere.”
“Tecnicamente, al massimo falegname.” La corresse Emma.
L’altra inarcò le sopracciglia.
“Come preferisce.”
E poi accadde.
Emma fece per rialzarsi ma appoggiò accidentalmente il piede su qualcosa di piccolo, duro ed estremamente scivoloso. Annaspò un momento, muovendo le braccia sgraziatamente, dopodichè si aggrappò alla prima cosa che le capitava, cioè il braccio di Regina, e rovinò a terra insieme alla ragazza.
Entrambe urlarono ed entrambe sbatterono la testa con forza.
Il mondo si fermò per qualche minuto.
“Cosa – diavolo – è – successo.” Biascicò poi Regina.
Emma, incastrata sotto di lei, aprì gli occhi.
“Sono scivolata.” Mormorò.
“Questo l’avevo intuito.” Rispose l’altra digrignando i denti. “Su cosa però?”
La voce di Regina proveniva da qualche punto imprecisato vicino alla sua spalla destra.
La professoressa girò la testa con cautela. Pareva tutto in regola.
E lo vide: un bullone che ancora rotolava leggermente, placidamente appoggiato sul pavimento.
“Un bullone.”
Il tono di voce era inespressivo. Non potevano aver dimenticato nessun pezzo, o la scrivania non sarebbe stata montata correttamente…eppure…
“Non può essere! Tutti sanno che in un mobile dell’Ikea non può avanzare nulla, altrimenti…altrimenti non sta in piedi!”
“Beh, questo è un bullone.”
Dichiarò Emma. Poi aggiunse “E anche bello grosso.”
“Merda.”
“Non usare certi termini di fronte ad una professoressa.” Disse la bionda debolmente, come per abitudine.
“Tecnicamente sono sopra una professoressa, quindi posso dire quello che voglio.”
Se Regina avesse potuto decidere una qualunque frase da poter cancellare nella sua esistenza, sarebbe stata quella.
Alzò il viso titubante, fino ad incontrare lo sguardo dell’altra. Aveva la testa appoggiata sulla spalla e il resto del corpo abbandonato sgraziatamente mezzo sul pavimento, mezzo sul corpo dell’altra. Per un momento sentì la gola seccarsi, complice il profumo di Emma, complici i suoi occhi verdi e il suo sguardo stupito. Poi si riprese.
“Era…era una battuta.”
Cercò senza successo di assumere un’espressione allegra.
“Insomma…non era…”
“Ho capito” Tagliò corto Emma.
Rimasero immobili ancora un momento.
“Ora però dovresti rialzarti, se non ti dispiace.”
“C-certo.”
“A meno che non ti piaccia così tanto stare sopra una professoressa.”
Regina scattò a sedere e si sistemò i capelli.
“Che simpatia.” Disse poi sarcastica, sentendo il viso bollente.
“Più o meno come la tua. Ma immagino che le battute tra ragazze siano così di questi tempi.” Borbottò l’altra rialzandosi e stiracchiandosi.
Le due non parlarono per qualche minuto, mentre Regina ricontrollava le istruzioni senza realmente vederle.
Era arrabbiata, imbarazzata, lusingata e felice. Inoltre il suo cuore batteva molto forte e le dava fastidio, rimbombava rumorosamente nelle orecchie.
Non aveva idea di cosa le stesse accadendo, non riusciva a fare ordine nel turbinio di assurde sensazioni che avevano preso forma dentro di sé.
“Immagino che siamo ancora in tempo per un altro tè.” Esordì infine Emma.
L’altra alzò la testa e sorrise.
Sì, erano in tempo.
 
 
Alle dieci in punto, Robert venne sbattuto fuori dal Rabbit Hole in condizioni pietose. Qualcuno gli urlò dietro qualcosa che suonava tanto come un “non farti vedere mai più”, e la porta del locale si chiuse.
Il ragazzo rimase un momento immobile, stordito a fissare l’edificio.
Poi, pieno di rancore, tirò un calcio al muro e mostrò il dito medio alla finestra.
“Tanto sono più figo di voi!” sbraitò, rivolto alle persone dentro al locale.
Dopodiché se ne andò traballando, con la birra in mano.
Doveva tornare a casa, Bobik aveva bisogno di fare la sua passeggiatina serale.
Bobik doveva anche mangiare.
Ma l’idea di tornare in quella casa disgustava Robert.
Così decise che avrebbe dormito fuori, all’aperto. Tanto era caldo, era primavera.
Mezz’oretta dopo però scoprì che le panchine del porto erano curiosamente scomode e l’aria del mare di Storybrooke era dannatamente fredda, nonostante fosse aprile inoltrato.
Si alzò furibondo, dopodichè gli venne l’illuminazione: sapeva benissimo dove andare a dormire.
 
 
Regina Mills non era mai stata tanto felice in vita sua.
Sua madre era fuori casa, suo padre anche, aveva ordinato del fantastico cibo cinese, molto grasso e pesante, si era gustata anche un muffin al cioccolato che si era comprata prima sulla via di casa.
Ora era davanti alla televisione, con la sua coperta preferita, il suo pigiamino di seta preferito e il suo programma preferito: Masterchef.
E intanto pensava ad Emma, al fatto che quello fosse stato il miglior pomeriggio della sua esistenza, al fatto che era indubbiamente la sua migliore amica…e poi ripensava al suo profumo, era davvero buono, forse doveva chiederle che cos’era…improvvisamente sentì un fastidioso rumore provenire dalla finestra.
Si girò spaventata. Sembrava qualcosa di duro che sbatteva contro il vetro.
E poi udì l’urlo.
Una voce che conosceva bene.
Preparandosi al peggio, aprì la porta di casa ed uscì in giardino.
 
 
“REGIIIIIINAAAAAA”  Urlò Robert, agitando le mani nel bel mezzo del giardino.
Nessuno rispose.
“Stupida stronza, lo so bene che sei in casa. Hai tutte le luci accese!” biascicò.
Prese un sassetto e lo lanciò verso la finestra del soggiorno.
“REGINA!” Urlò di nuovo preparandosi a lanciare un nuovo sasso.
In quel momento la porta d’ingresso si aprì.
“Brutto ammasso di merda!” urlò la mora andandogli incontro furibonda, attraversando il giardino con passo spedito.
“Regina! Ma quanto ci hai messo, vieni qua che ti do un abbraccio!” Gold cercò di avanzare ma inciampò nei suoi stessi piedi e finì con la faccia a terra.
“Cosa vuoi! Cretino! Non puoi urlare in questa maniera, tutto il vicinato ti ha sentito!”
Robert cercò di rialzarsi sputacchiando erba.
“E quindi? Avranno pensato che sono il tuo ragazzo venuto a farti una romantica serenata.”
Regina lo fissò con disgusto e tristezza.
Era ridotto in uno stato pietoso.
I capelli spettinati, lo sguardo vacuo, la camicia quasi aperta, sporca, scucita su una manica e una bottiglia di birra in mano.
“Ti piaccio vero? Non sono male, devi ammetterlo. Non sono molto alto e palestrato, è vero, ma sono un tipo interessante.” disse lui ammiccando.
“Cosa diavolo ci fai qui.”
“Ho bisogno di un posto dove dormire. Ho provato sulla panchina del porto ma è scomodissima. Quindi dormo qui.” Disse semplicemente. Dopodiché cercò di camminare in avanti ma Regina lo spinse indietro.
“Con che coraggio vieni qua, ubriaco marcio, alle undici di sera, pretendendo di dormire a casa della tua ex-ragazza che disprezzi e prendi in giro da mesi!?”
“Non ho voglia di tornare a casa. Odio tutti, a parte il mio cane. E non posso andare da Killian. Ora fammi passare dai.”
“Perché non vai ad implorare pietà dalla French? Scommetto che se ti vede ridotto così ti accetta.”
Gold rimase immobile e fissò il terreno.
“Beh!? Hai qualcosa da dire!?” abbaiò Regina.
Era in pigiama. Era furiosa. Era così felice fino a poco prima, aveva passato un pomeriggio splendido e si stava godendo la sua televisione in alta definizione, guardandosi le repliche di Masterchef.
Per una volta che sua madre era fuori città, ecco che arrivava quel fantasma dal passato a tormentarla.
“Lo sai che non posso tornare da Belle.” Mormorò piano.
“Perché vi siete mollati. Sì, lo so.”
“Lei mi ha piantato.” Specificò.
Regina inarcò le sopracciglia.
“Davvero? Lei ti ha lasciato? Perché?”
“Non sono cazzi tuoi!” ringhiò lui.
Lei sorrise amabilmente.
“Fammi capire. Vieni qui a chiedermi asilo e non mi dai neanche un valido motivo per cui dovrei aiutare l’essere più stronzo e miserabile sulla faccia della terra?”
“Mi ha lasciato perché l’ho tradita. Ma non l’ho fatto apposta. Lei non mi parlava più e credevo che …volesse mollarmi. Avevamo litigato…no, non proprio. Insomma, era una cosa stupida…lei era sparita dopo la cena coi miei…” la voce gli si spense.
“Hai tradito Belle? Ma tu i pantaloni allacciati non te le sai proprio tenere, vero!?” esclamò Regina disgustata.
“Bada a come parli!” Gold le agitò un dito contro “Non l’ho tradita in quel modo lì. Ho baciato appena un’altra, perché mi sentivo solo, triste e non amato. Anzi, mi sono fatto baciare da un’altra. E l’altra è corsa a dirglielo.”
“Chi è la fortunata?”
“Non so se la conosci, si chiama Zelena, è arrivata da poco in città ed è più stronza di te.”
Regina si immobilizzò, sentendosi gelare dentro.
E così Zelena era arrivata a distruggere anche l’amore immortale di Robert Gold e Belle French…Quella ragazza era male allo stato puro. Pensò fugacemente ad Emma. Forse era meglio non sottovalutare la cugina: poteva seriamente fare loro del male.
“Beh? La conosci!?” chiese lui. Bevve un sorso di birra.
“No.” Mentì subito Regina. “Smettila di bere. O mi vomiterai tutto in giardino.” Aggiunse poi, osservando apprensiva la bottiglia nelle sue mani.
“E’ tuuutto sotto controllo!”
Non fece in tempo a dirlo che si piegò su sé stesso e avverò in pochi secondi la predizione di Regina.
La ragazza fece un balzo indietro e imprecò.
“Merda che non sei altro!” Sbraitò a vuoto.
“Sc –“  Provò a dire Robert “Scusa”
“IO CHIAMO LA POLIZIA” Strillò l’altra istericamente. “TI DENUNCIO! Ti faccio sbattere in galera per molestie!”
Lui si accasciò su sé stesso, tenendosi la pancia, in preda ai conati.
“VATTENE SUBITO DAL MIO GIARDINO! FUORI!” Urlava lei.
Lo afferrò per un braccio, badando di tenersi ben lontana dalla sua faccia e fuori tiro, e cercò inutilmente di trascinarlo sul vialetto, lontano dalle peonie curate di sua madre.
Robert iniziò a piagnucolare.
“Oddio santissimo no. Anche questo no!”
In men che non si dica il ragazzo piangeva come una fontana, aggrappato al braccio della sua ex-fidanzata.
Regina era completamente senza parole.
“Ti prego non mi abbandonare anche tu!” biascicava continuamente Robert, sempre tenendosi la pancia e dondolandosi su di sé.
Lei valutò l’idea di fargli un video ed inviarlo a Belle, dicendo di tornare subito a riprenderselo.
Ma non era un’idea intelligente.
Doveva farlo sparire al più presto o i vicini avrebbero iniziato a fare domande, chiedendosi chi è che urlava e piangeva nel giardino accanto al loro alle undici di sera passate.
Quella era una via rispettabile.
“Senti” disse disperata “Okay puoi entrare. Ti prego, rialzati, smettila di fare baccano, vieni, adesso sistemiamo tutto.”
Ma Robert ormai era completamente andato. Si era sdraiato a terra, rannicchiato su sé stesso, e scuoteva la testa.
Regina respirò profondamente. C’era una sola cosa da fare.
Chiedere aiuto.
E c’era una sola persona che sarebbe corsa ad aiutarla a quell’ora, pur di vivere un’avventura indimenticabile: Tink.
 
 
Tink, stesa a letto e con un libro abbandonato sulla pancia, pensava al pomeriggio passato.
Non aveva cenato e non aveva fame, era triste e non sapeva cosa fare.
Fin da piccola aveva sempre tenuto la sua vita e le emozioni che non riusciva a gestire, sotto controllo. Il suo autocontrollo aveva fallito qualche ora prima, in quella stanza dell’ospedale.
Anche se poteva dirsi relativamente soddisfatta di com’erano andate le cose.
Aveva affrontato la sua paura e i suoi errori, si era scusata e aveva aiutato il suo amico in un momento di difficoltà. Non lo aveva abbandonato e non era scappata.
E Killian era stato davvero gentile con lei.
Nonostante fosse arrabbiato con più o meno chiunque, non le aveva serbato rancore.
“Non tocco il cellulare da giorni. Non so che messaggi tu mi abbia mandato ma non fa niente.” Aveva borbottato il ragazzo.
 Tink gli era grata per non essersela presa.
Se fosse stato arrabbiato con lei, o peggio, se avesse sofferto a causa sua non se lo sarebbe mai perdonato.
Così, chiusa quella spiacevole storia, la giovane si era semplicemente avvicinata all’amico e gli aveva stretto la mano e lo aveva consolato.
Non era mai stata brava in quel genere di cose, ma poteva ritenersi soddisfatta. Ora però, nella sua cameretta, cominciava a sentirsi di nuovo triste.
Era desolata anche per Belle, per l’espressione della sua amica e per quella di Robert. E si sentiva male per aver tenuto per sé il ciondolo che le era stato chiesto espressamente di consegnare.
Killian cosa le avrebbe detto di fare? Si sarebbe arrabbiato se avesse scoperto che in qualche modo stava tenendo i due amici uno lontano dall’altra?
E poi, come un segnale divino, il cellulare della ragazza squillò.
Squillò così forte che per poco Tink non cadde dal letto, persa com’era nei suoi pensieri.
Chi poteva essere a quell’ora?
Rabbrividì pensando a Jones, magari suo fratello era peggiorato, oppure aveva finalmente letto i suoi fatidici messaggi pieni di odio e aveva deciso di non perdonarla…
Invece era Regina.
 
 
“Aiutami a portarlo dentro.”
“Ma che puzza! Come si è ridotto così!?”
“Lascia perdere, non lo vuoi sapere.”
Le due ragazze avevano afferrato Robert sotto le braccia e lo stavano trascinando faticosamente dentro casa.
“Belle…” mormorò lui.
“No. Non c’è Belle. Basta frignare ora.” Disse Tink sbrigativa. Riuscirono, con immenso sforzo, a portarlo in soggiorno. Lo fecero sedere sul divano e Regina gli portò di corsa un secchio in caso di problemi estremi.
“Okay. Io lo tengo sott’occhio. Tu vai di là e prepara acqua e limone, va bene?”
Disse Tink concitata.
“Acqua e limone. Perfetto.”
“Anche un caffè.”
“Io odio il caffè…anche Belle lo odia…” biascicò a fatica il ragazzo.
“Tu devi stare zitto, hai capito!? Regina, il caffè.”
“Bene.”
 
Regina fu di ritorno in men che non si dica.
Robert era sdraiato sul divano mentre Tink gli teneva la mano e annuiva alzando gli occhi al cielo ogni volta che lui mormorava “Mi dispiace.”
“Ecco qua.” Disse Regina posando il necessario sul tavolino del soggiorno.
“Prima il caffè, poi l’acqua e il limone. Ti avviso che potrebbe stare male di nuovo ma è l’unico modo per farlo riprendere in fretta.”
 
 
Tre ore dopo il ragazzo giaceva sul divano, con espressione sofferente e la testa che iniziava lentamente a fargli un male inconcepibile.
Regina e Tink, in preda alla noia e alla disperazione, avevano riacceso la TV e guardavano le repliche di Game of Thrones.
“Dove sono?” Chiese ad un certo punto Robert.
“A casa mia.” Rispose Regina concentrata sulla televisione, senza degnarlo di uno sguardo.
“Chi è che puzza così!?”
“Tu.” Disse Tink fissando lo schermo.
Lui mugugnò ancora qualcosa.
“Bagno.”
“Cosa?” Regina si voltò verso di lui.
“Bagno!” ripeté.
“Stai male? C’è il secchio. Non voglio rischiare che tu mi sporchi qualcosa nel tragitto verso il bagno!” esclamò lei.
“Devo…voglio solo andare in bagno!” ripeté lui.
“Ti ho detto di usare il secchio!”
“Ma devo fare la pipì!”
Tink lanciò a Regina uno sguardo eloquente.
Quando Robert fu davanti alla porta del bagno, con Regina accanto che lo sorreggeva, si schiarì la voce.
“Entro allora.”
Sparì e si chiuse la porta a chiave.
Regina imprecò. Non doveva chiudere la porta a chiave.
Cinque minuti dopo, terrificata, udì lo scroscio della vasca da bagno.
Batté  con violenza sulla porta ma non udì risposta.
“Tink vieni qui!” chiamò subito.
“Che c’è” disse l’altra accorrendo “Dai che mi sto perdendo il Purple Wedding!” (*)
“Senti l’acqua correre?”
“Sì.”
“Lui non risponde.”
Entrambe picchiarono forte con i pugni sullo stipite finchè la porta non si aprì e non apparve Robert con espressione stupita e praticamente nudo.
“COPRITI!” urlò Tink scandalizzata.
“Mi…sto facendo una doccia!” esclamò lui sdegnoso.
Regina dovette reprimere l’istinto di strozzarlo.
“Perché diavolo vuoi fare una doccia!?”
“Lei” indicò Tink che lo guardò con disprezzo “Ha detto che puzzo.”
“Va bene ma devi farti un bagno proprio ora!?”
“Sì.”
La porta venne chiusa con violenza e le due ragazze lo sentirono cantare a squarciagola una tremenda canzone di Celine Dion.
“Sembra che stia meglio.” Disse poi Tink perplessa, mentre Joffrey Baratheon (**) moriva avvelenato sullo schermo della loro televisione.
“Già. Piccolo bastardo, gli vanno sempre tutte bene.” Commentò Regina con amarezza.

 
Quando Robert uscì dalla doccia, Tink e Regina stavano chiacchierando in soggiorno.
“Scusate…scusate.” Provò lui, ancora un po’ confuso.
La testa gli pesava e faceva molto male, ma il mondo aveva iniziato a riacquistare senso.
Per uscire però, aveva indossato in fretta e in furia un accappatoio di Regina, rosa, che gli copriva a stento ciò che doveva coprirgli.
“Mettiti dei vestiti! Vegognoso!” Abbaiò subito Tink.
“Ehm…sono qui per questo. Non ne ho!”
“Come sarebbe. Rimettiti quelli vecchi. E anche velocemente!” esclamò Regina.
“Sono sporchi!” disse lui indignato.
“Li hai sporcati tu! E’ roba tua!”
“Ma io ora sono pulito e profumato.”
Regina sbuffò rabbiosa mentre Tink scuoteva la testa.
La mora si alzò e sparì al piano di sopra, mentre Robert pestolava agitato in soggiorno, nel suo accappatoio rosa.
“Se potessi…non dire niente a Belle, ecco.” Disse poi rivolto a Tink.
“Non lo farò. Anche se sto seriamente pensando che te lo meriteresti per quello che le hai fatto.”
La bionda guardava davanti a sé con espressione corrucciata.
“Smettila. Lo sai che la amo e che non volevo ferirla.”
“Sì, lo so. Però più ci penso e più mi verrebbe voglia di prenderti a sberle e di-“
Robert non scoprì mai cosa gli avrebbe voluto fare Tink.
In quel momento arrivò Regina con in mano alcuni indumenti puliti.
“Qui ci sono un paio di mutande larghissime di mio padre. E sì, in caso te lo stessi chiedendo, ti ho dato le più brutte apposta.  Lo stesso vale per i calzini. E questa invece mi risulta che fosse tua.”
Gli porse una t-shirt nera con una scritta bianca e lui sparì mogio mogio nella camera degli ospiti.
Tornò poco dopo in boxer, calzini e con la t-shirt indosso.  Sulla maglietta troneggiavano due frecce, una puntava verso l’alto, e l’altra verso il basso.
La scritta recitava “The Man, The Legend”. Ovviamente la freccia di The Legend puntava verso il basso.
“Sei sicura che fosse mia?” chiese profondamente dubbioso.
Le tue ragazze si fecero sfuggire una risata.
“Non penso che mio padre abbia mai comprato una cosa simile.” Disse Regina sogghignando.
“Neanche io ricordo di averla mai comprata.”
“E’ tua, te lo assicuro.”
Gold si guardò perplesso, poi alzò le spalle.
“Me l’avranno regalata.”
 
 
Fu quindi deciso che sia Robert che Tink si sarebbero fermati a dormire.
Da una parte Regina li avrebbe volentieri cacciati entrambi a pedate da casa sua, dall’altra era piacevole l’idea di avere due amici con cui condividere una serata così movimentata.
Osservando Tink che si accampava sul divano e cercava disperatamente uno pseudo-pigiama da indossare e Robert che gironzolava per casa con la sua ridicola maglietta e con quei boxer larghi a quadretti, mentre beveva acqua e limone e sgranocchiava fette biscottate, Regina si sentì, forse per la prima volta in vita sua, davvero a casa. E in un certo senso, amata.
Le era mancato avere un gruppo di persone con cui condividere un certo tipo di esperienze.
La sua divisa da cheerleader non le aveva mai procurato dei veri amici.
Ma Tink sì. Ed Emma, inconsapevolmente.
E Regina pensò che non ci fosse nulla di migliore al mondo.
 “Hai una coperta o qualcosa del genere?” chiese Tink mentre spostava dei cuscini dal divano.
“Sì, nell’armadio della stanza degli ospiti.”
Robert intanto si lamentava perché non trovava il suo spazzolino da denti.
“Ne avevo lasciato qua uno! Proprio qui, in questo bicchiere!” urlò dal bagno.
“Sono mesi che non vieni qui, mi hai mollata tu e pretendi anche che io abbia ancora il tuo spazzolino da denti?”
“Avrebbe fatto comodo ora! Potevi tenerlo.” Esclamò scontento.
“Puoi sempre usare quello del water.”
Tink arrivò con un’enorme coperta di pile.
“Ho trovato questa, posso usarla?”
“Sì, certo.”
 "Ce la facciamo ad andare a letto!?" esclamò poi Regina, vedendo che Robert usciva dal bagno con fare bellicoso.
"Dopo che avrò trovato uno spazzolino da denti!" rispose con rabbia.
L'altra alzò gli occhi al cielo e si avviò verso il bagno.
 
Poco dopo, si lasciò cadere a letto, sfinita.
Chiuse la luce mentre sentiva Tink che borbottava qualcosa nel bagno accanto alla sua stanza.
“Ma dov’è il dentifricio!?” la sentì dire.
“Se l’è preso Robert e se l’è portato in camera. Ne trovi un altro tubetto nello scaffale accanto al lavandino!” rispose lei fissando il soffitto.
“Perché se l’è portato in camera?”
”Chiedilo a lui. Magari ci dorme assieme.” Rispose vaga l’altra.
Passarono circa quindici minuti. Sentì Tink scendere le scale e avviarsi verso il divano.
Sorrise.
Avere due amici in casa era davvero una sensazione straordinaria. Certo la loro era una strana amicizia, in realtà non sapeva esattamente se potesse essere considerata tale, ma stavano comunque dormendo da lei e avevano condiviso con lei dei momenti incredibili.
Se sua madre avesse saputo…
Si girò nel letto e guardò fuori dalla finestra.
Chiuse gli occhi, pensando che l’indomani avrebbero fatto colazione insieme e avrebbe potuto prendere in giro Gold per l’immonda performance della sera precedente e per la sua ridicola t-shirt.
E poi, all’improvviso, sentì qualcuno zampettare nel corridoio fuori dalla sua camera. Il qualcuno in questione bussò alla porta e senza aspettare una conferma entrò.
Anche al buio poteva intravedere la stupida scritta di quella stupida maglia che Robert indossava.
“Cosa ci fai qui!” sibilò.
Gold non disse niente e si avvicinò al suo letto.
Poi disse a disagio: “C’è uno strano rumore.”
Regina si tirò su disorientata.
“Eh?”
“C’è uno strano rumore giù di sotto. Tipo…qualcosa che fischia e sospira forte.”
“Ma va.”
“Ti dico di sì. Io non ci voglio più dormire al piano terra.”
“Ma smettila! Torna di sotto imbecille, quanti anni hai!?”
“Vieni a sentire se non ci credi. Non è che hai i topi in casa?”
Regina sbuffò, scalciò rabbiosa la coperta e si alzò.
“Bel pigiamino.” Disse Robert sarcastico.
“E’ pura seta. Inoltre non mi faccio dire cosa indossare da uno che si è comprato quella maglietta!”
“Ti ho detto che me l’hanno regalata!”
Continuarono a battibeccare sotto voce fino alle scale.
Dopodiché, a passi felpati, scesero i primi gradini.
Da lì avevano la visuale completa e sul corridoio e su parte dell’ingresso.
Si udì un respiro profondo e Regina si voltò spaventata verso Robert.
Lui sgranò gli occhi.
“Cos’è?” chiese lei dubbiosa.
“Ma che ne so, sono venuto a chiedertelo apposta! Credevo fosse tipo la caldaia ma…”
Si udì di nuovo quello strano rumore sommesso, e si aggiunse anche uno strano brontolio.
Regina arretrò per le scale.
“Okay. Adesso ci procuriamo un’arma scendiamo di sotto.” Iniziò lei agitata fissando il corridoio.
“Un’arma!?”
“Sì. Ecco.” Tirò giù dalla parete un quadro e lo mise in mano a Gold. “Se è un ladro colpiscilo forte in testa con questo.”
Lui la fissò turbato.
Dopodiché Regina sparì per un secondo di sopra e ritornò tenendo in mano un abat-jour.
“Siamo pronti.” Disse solennemente.
“Non possiamo semplicemente chiuderci in camera tua e aspettare che faccia giorno!?”
“Non pensi a Tink!? Se è qualche malintenzionato chissà cosa le faranno!”
Robert pensò che in effetti il discorso filava.
Così, silenziosamente, i due scesero per le scale, cercando di limitare il più possibile i movimenti bruschi.
Gold controllò la cucina. Non si muoveva nulla. Fece segno a Regina di seguirlo.
Sentirono quello strano rumore, ancora. Proveniva dal soggiorno.
Il ragazzo si bloccò davanti alla porta socchiusa.
Fece segno di no con la testa e si spostò.
“Vigliacco.” Mormorò Regina.
Spalancò la porta con rapidità e si preparò a colpire.
Nulla si muoveva. Poi quel rumore.
Proveniva dal divano.
Regina si avvicinò al divano, osservò ciò che le si palesava davanti agli occhi e si girò lentamente.
La testa di Gold spuntava spaventata dallo stipite della porta.
Lei gli si avvicinò furibonda brandendo la lampada con odio.
Si chiuse la porta alle spalle.
“Brutto demente che non sei altro! ERA TINK!” Sibilò.
“Eh?” chiese lui perplesso.
“E’ Tink! Russa!”
“Ma come fa a fare quel rumore! Ha qualche problema al setto nasale? Guarda che secondo me non è mica normale!”
“Ma chissenefrega! Mi hai fatta agitare per niente! Sei un idiota, un codardo e un credulone!”
I due continuarono a litigare furiosi nel corridoio davanti alla porta del soggiorno, finché Regina risalì le scale schiumante di rabbia.
Rimise il quadro al suo posto e la lampada.
Gold la seguì agitato fino alla sua camera.
“Vuoi sparire!? Il tuo posto è una rampa di scale più sotto, nella stanza degli ospiti.””
“Io…non mi piace stare di sotto.”
Regina si costrinse a non prenderlo a pugni e respirò profondamente per calmarsi.
 “Ti ho accolto in casa mia. Ti ho dato asilo, gentilezza, una stanza, un bagno e ti ho aiutato. Cosa vuoi ancora!” sbottò infine.
“Niente. Non lo so. Mi sento solo. Non mi piace il buio e sono ancora un po’ ubriaco. E la finestra dà sulla strada. Ho paura di vedere qualcuno che guarda dentro.” Confessò lui fissando il pavimento.
Era così ridicolo, con quell’espressione spaventata, i capelli arruffati, quei terribili boxer larghi a quadretti e i calzini a righe. E quella maglietta.
Le scatenava una sorta di sentimento di pietà misto a rabbia ed ilarità.
Ma non solo quello.
Ciò che più la turbava e la infastidiva, era anche una certa nostalgia che le stava dando emozioni tutt’altro che piacevoli.
“Va bene. Dormi qua. Prenditi il lato del letto che so che ti piace tanto. Poi stai zitto, non muoverti e non fare rumore. Non voglio sentir volare una mosca. E guai a te se provi a fare qualcosa di strano. Se sento anche solo qualcosa che si appoggia contro la mia schiena o le mie gambe giuro che...”
Robert la guardò costernato.
“Voglio solo dormire!” esclamò poi traboccante di indignazione.
Senza dire più una parola, entrambi si infilarono sotto le coperte e si girarono, dandosi le spalle.
Regina rimase immobile, ascoltando i battiti del suo cuore rimbombare nelle orecchie.
Era una situazione strana, imbarazzante e triste.
C’era stato un tempo in cui loro si erano trovati in situazioni del tutto analoghe, e le avevano sfruttate al meglio.
Poi le cose erano cambiate, il destino aveva scelto per loro due strade separate.
Forse non lo aveva mai amato, ma questo non voleva dire che in fondo al suo cuore, Regina non provasse un pizzico di affetto per quel ragazzo che aveva condiviso con lei così tanto.
“Posso chiederti una cosa?” disse improvvisamente la mora.
“Credevo di non poter parlare.”
“Puoi parlare se interrogato.”
“Spara.”
Regina esitò. Come chiederlo senza sembrare ambigua?
Non c’era un modo, così andò dritta al punto.
“Mi…mi hai mai amata?”
Gold non rispose subito.
Lentamente si girò dalla parte della ragazza e rimase a fissarle la schiena.
“Non credo.” Disse poi piattamente.
Seguirono alcuni minuti di silenzio.
“Tu?” chiese poi lui.
“No.” Rispose Regina, dopo averci pensato.
Si girò anche lei.
“Ami Belle?” domandò, guardandolo nella penombra.
“Sì.”
“E perché l’hai tradita?”
“Non…non l’ho fatto apposta. Lei era sparita. E’…una storia lunga. E…mi aveva chiesto del tempo. Credevo che fosse un modo per lasciarmi e addolcire la pillola, mi sono fatto prendere dal panico. Avevo…così paura che mi lasciasse che ho cercato di convincermi che ero pronto ad affrontare la cosa e ad andare subito avanti. Non è così. Lei non voleva neanche lasciarmi. Stava lavorando per ottenere una borsa di studio e…era sparita per quello. Ho rovinato tutto.” Concluse mesto.
Regina rimase in silenzio per un momento.
“Gliele hai dette queste cose?”
“Ci ho provato. Non le interessa.”
“Mi dispiace.”
Gold seppellì la testa nel cuscino.
“Sembra che per quanto mi impegni io non riesca a fare la cosa giusta.” Disse poi.
La ragazza sorrise tristemente.
“Beh, siamo in due.”
"Davvero? In realtà mi sembri serena ultimamente..."
"Lo sono...più o meno."
Lui la guardò di striscio.
“Vuoi dirmi che succede?”
Regina esitò.
Era un argomento spinoso ma non aveva nessuno con cui parlarne. Con Tink non poteva, per ovvie ragioni.
“Alla festa di Tink qualche settimana fa…quella dove-” iniziò.
“Quella dove siamo venuti a prenderti. Sì, continua.”
Era inutile cercare qualche perifrasi o degli eufemismi, così disse schiettamente: “A quella festa…sono andata a letto con Tink.”
Robert non disse niente ma Regina poteva vedere che la stava osservando, al buio.
“Nel senso che…ci ho fatto ses-“
“Sì, ho capito cosa intendi.”
“Okay.”
Lui si alzò e si mise a sedere.
“Beh, non penso che sia un problema...” Disse infine.
“Credo che mi sia piaciuto. Insomma...non...non so spiegarlo. Non mi è piaciuto perchè era con lei ma...ma mi è piaciuto.” Confessò lei.
“Beh, buon per te!”
Si mise a sedere pure lei.
“Credi di essere…si insomma…ti piacciono...” riprese Robert.
“Le ragazze?”
Lui annuì sorridendo leggermente.
“Non saprei. Non mi sono mai posta il problema.”
“Beh,  puoi pensarci. Ti piace Tink?”
Regina aggrottò le sopracciglia.
“Non credo proprio.”
“Ti piace…qualcun’altra?”
Emma Swan.
“No.”
“Allora abbi pazienza, arriverà il momento in cui lo capirai.” Disse lui saggiamente.
Regina si lasciò andare e ridacchiò. Si sentiva nettamente meglio.
“Non pensi che sia strano?” chiese poi però.
“No. Cioè, mi sento vagamente offeso nel sapere che potresti essere diventata lesbica dopo essere stata con me, insomma, non credevo di essere così terribile ma-“
Regina scoppiò a ridere e Robert si unì a lei.
“Sai, stiamo meglio ora di quando stavamo realmente  insieme. Se avessi saputo che non eri così insopportabile sarei stata meno stronza..” Esclamò lei.
“E’ perché ora hai cambiato sponda. Non c’è più tensione sessuale tra noi due. Ti considero al pari di Killian.”
La ragazza afferrò un cuscino e glielo sbattè in faccia.
“Sei odioso!” sibilò.
Ma non lo pensava davvero.
Era stato davvero gentile con lei e aveva saputo farla ridere e farla sentire a suo agio su una questione che la tormentava da settimane.
Una questione di cui non aveva parlato a nessuno.
E soprattutto, una questione che non aveva neanche mai avuto il coraggio di portare alla luce con sè stessa.
Robert afferrò un altro cuscino e glielo spappolò sulle gambe.
“Senti, ma tu sei attiva o passiva? Comunque ti ci vedo, sposata con Ellen DeGeneres e cinque bambini adottati!”
“E pensa che potrebbero dire che è stata colpa tua!” disse Regina cercando di difendersi da un secondo attacco. “Dopo le tue tremende performances io-“
“Zitta!”
Gold le si lanciò di peso addosso e la atterrò contro il materasso immobilizzandole i polsi.
La casa era immersa nel silenzio e improvvisamente i due si resero conto della vicinanza che si era creata tra i loro corpi.
Regina sentì un brivido lungo la schiena, guardando quei grandi occhi che credeva di aver perso per sempre.
Le mani calde di Robert che erano ancora strette intorno ai suoi polsi, mollarono lentamente la presa.
La ragazza sentì le loro dita intrecciarsi quasi inconsapevolmente.
“Regina…”soffiò lui.
“Una notte. Una notte soltanto.” Ribatté lei decisa.
Senza farselo ripetere, Robert annullò le distanze tra loro e appoggiò le proprie labbra su quelle di Regina.
Fu come tornare indietro nel tempo e riavvolgere il nastro.
Le immagini di quegli ultimi mesi si susseguivano nella sua mente: Belle che lo lasciava, la cena a casa sua, la festa di Tink e prima volta con Belle, Belle che lo baciava, San Valentino con Belle, la punizione con Belle, il Ballo, Regina…Regina.
Erano passati mesi ma era come se non fosse passato neanche un giorno.
Regina gli tolse finalmente la stupida maglietta, graffiandogli la schiena e divorando le sue labbra.
Si chiese distrattamente di cosa sapessero le labbra di Emma Swan.
Poi tutto finì.
Robert si staccò di colpo, indietreggiò sul letto e si appoggiò a fatica sul materasso, respirando forte.
“Beh?” esclamò Regina.
Si controllò al buio, cercando di capire se ci fosse qualcosa di strano che avesse portato il ragazzo a scostarsi.
Lui non disse nulla e rimase immobile.
“Guarda che ho fatto la ceretta.” provò incerta.
Robert tirò su col naso e improvvisamente si rannicchiò sul lato destro del letto.
"Ma cos'hai!?" abbaiò la ragazza.
"Scusami...non ci riesco...Belle...Lei..." mormorò lui infelice, iniziando a singhiozzare.
Regina chiuse gli occhi, respirando forte. Sapeva che stava per ricominciare a piangere ed era la cosa più deprimente a cui avesse mai assistito. Inoltre aveva interrotto quella che poteva essere una piacevole nottata. Ciononostante lui era stato gentile con lei nel momento del bisogno. Era suo dovere morale fare lo stesso.
"Va bene, senti...ti prego, no, non piangere, hai una faccia terribile mentre piangi e...e ti trema tutto il mento!"
Troppo tardi. Il corpo di Robert era scosso dai singhiozzi e il ragazzo aveva afferrato il cuscino e l'aveva abbracciato.
"Scusami" provò tra le lacrime  "Sono una checchetta isterica, lo dice sempre anche Killian, ma Belle mi manca, la amo così tanto e io non dovevo fare quello che ho fatto poco fa...se lei lo sapesse..."
Infine Regina capì che c'era un'unica cosa da fare in quel momento.
Comportarsi da amica.
Così si avvicinò con discrezione al corpo del ragazzo e lo abbracciò.
"Ho capito." disse semplicemente.
Rimase in attesa che i singhiozzi si calmassero.
"Non...non lo dirai a nessuno vero? Mi prenderanno tutti in giro." mugugnò poi Robert.
"No, non lo dirò a nessuno." dichiarò l'altra pazientemente.
Alzò lo sguardo fino ad incontrare, seppur al buio, quello dell'altro.
"Ma tu non dire a nessuno...quell'altra cosa. Di me e Tink. Va bene?"
Lui annuì, tirando su col naso.
"Abbiamo un patto!" disse poi.
Regina sorrise.
Avevano un patto.
E infine, si addormentarono.









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*I'll never fall in love again - Burt Bacharach

(*) e (**) Purple Wedding: Game of Thrones. Anche se non siete fan della serie e DOVRESTE ESSERLO, la scena...è questa: https://www.youtube.com/watch?v=l2W2xHM4cWo


Taratra - ta ta ... 
Ciao! 
Allora...voi vi chiederete: ma questo capitolo è stato scritto sotto influssi di LSD? 
Cari amici, la risposta è SÌ. Non so neanche io come giustificarmi. So che molti di voi *allegra combriccola di Rumbellers di Facebook/Skype/Whatsapp sì, sto parlando a voi* si aspettavano dosi infinite di angst, dolore e sofferenza...ma...no.
O almeno...un po' sì, ma non tanto. 
Personalmente, sono una grandissima fan delle cosiddette dramedy, ossia drama + comedy ...insomma, cosa c'è di meglio? E ho notato che ultimamente C'ERA UN PO' TROPPO DRAMA. Quindi...
A parte gli scherzi, io sono un'amante della GoldenQueen in tutte le sue forme. Potrei shipparli alla morte se non amassi i Rumbelle e se non avessi la strana sensazione che Regina potrebbe essere la figlia di Rumple (il che renderebbe tutto vagamente incestuoso quindi NO). In ogni caso, loro sono LA BROTP.  Durante la loro scena della 4x11 ho pianto. Per me sono semplicemente fatti per essere amici, si capiscono, hanno lo stesso taglio di capelli e c'è quel bel rapporto di amore/odio perfetto per le grandi amicizie. Insomma, LI AMO.
E sì, lo so che stava per succedere una brutta cosa, ma...quello a cui ho pensato è che entrambi erano in un momento di assurda debolezza e...qualcosa ha preso il sopravvento. Ma poi l'amicizia ha vinto su tutto <3.
Oh, e ve lo giuro, montare i mobili dell'IKEA è un'esperienza trascendentale. E' terribile. Parola di scout.
E poi boh, è tutto vago.
Ditemi voi. Non sono mai convinta, questo si sa, ma non sono convinta di...praticamente qualsiasi cosa. Quindi, sarò felice se mi farete sapere cosa ne pensate, IC, OOC...tutto insomma. Criticate anche, perchè sarò ben felice di migliorare qualsiasi cosa! :)
Una piccola cosa...questa fanfiction ha raggiunto e superato le 300 recensioni. Non posso neanche esprimere la mia gratitudine e la gioia che provo a sapere che questo...folle esperimento nato per caso in un giorno del dicembre 2013 ora sia seguito e recensito da così tante persone. Veramente, è bellissimo per me poter condividere un po' dei miei viaggioni mentali giornalieri con persone come voi.
Perciò, grazie davvero.
Un bacioe dearies, alla prossima...lunedì (notte) 23 febbraio!
Seasonsoflove

 

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Capitolo 31
*** You Oughta Know ***


And I'm here to remind you
Of the mess you left when you went away
It's not fair to deny me
Of the cross I bear that you gave to me
You, you, you oughta know




La mattina seguente, Tink si svegliò sul divano di Regina, con le ossa doloranti e il collo indolenzito.
Si alzò borbottando, arrabbiata per essere stata così stupida ed aver deciso di dormire sul divano. Decise che per far iniziare bene la giornata, avrebbe svegliato Robert in qualche modo estremamente fastidioso. Le sembrava una buona idea.
Spalancò la porta della camera degli ospiti e stava per iniziare a battere le mani, quando si accorse che il letto era vuoto.
Perplessa, salì le scale per svegliare Regina e chiederle spiegazioni.
Aprì la porta rumorosamente.
“Regina!” esclamò rimanendo sulla soglia della camera, stringendosi addosso infreddolita la coperta che si era portata dal divano.
Una testa di capelli neri si palesò di fronte a lei mentre Regina apriva gli occhi dubbiosa e si grattava la testa.
“Che ore sono?” borbottò.
Tink stava per rispondere quando accanto a lei, un’altra testa di capelli castani emerse.
Robert si guardò intorno confuso, ancora a petto nudo.
Dopodiché si ributtò sotto le coperte mormorando qualcosa che sembrava molto un “voglio morire”, e seppellì la testa sotto il cuscino.
Tink indietreggiò fissando il letto.
“No ascolta noi non-“ cominciò Regina, interpretando bene lo sguardo scioccato dell’altra ragazza.
Ma lei si era già voltata, era uscita dalla camera e aveva sbattuto la porta.
 
Regina si infilò velocemente la vestaglia e corse giù per le scale.
“Fermati subito! Sei in casa mia quindi qui comando io!” sbraitò alla figura che si stava dirigendo verso il soggiorno.
Tink si voltò inviperita.
“Sei una merda. Anzi, siete due merde!”
L’altra sbuffò.
“Ma perché sei così melodrammatica e non mi ascolti?”
“Sapete benissimo com’è la situazione e…e lui fa tanto il disperato per Belle, poi appena può andare a letto con la sua ex non si fa problemi! E tu!” le puntò il dito contro “Tu te ne freghi se si è appena lasciato con una tua amica e lei sta soffrendo e-“
“Okay, prima di tutto, Belle non è una mia amica. Secondo, non abbiamo fatto proprio niente.”
La fissò, sfidandola a contraddirla.
Tink scoppiò a ridere.
“Certo. Avete solo dormito insieme e casualmente lui era nudo e-“
“Non era nudo! Aveva le mutande e anche i calzini!” puntualizzò.
“Ma l’avete fatto.” Tink pestò i piedi furiosa.
“NO! NON L’ABBIAMO FATTO! E’ venuto a dormire da me perché…perché ti ha sentita russare e si è spaventato per il rumore. E aveva paura di dormire da solo. Ecco tutto, non è successo niente.”
Evitò accuratamente di menzionare che a ben voler vedere, qualcosa era successo. Ma non erano andati fino in fondo. Insomma, era stato appena un accenno, quindi non aveva il dovere di sentirsi in colpa.
Tink aprì la bocca furiosa.
“Io…io non russo!” fu tutto quello che riuscì a farfugliare, rossa in viso.
Non le sfuggì lo sguardo sarcastico dell’altra che si limitò però ad incrociare le braccia.
“Davvero.” Ripetè “Non russo. Nessuno mi ha mai detto una cosa simile…neanche…neanche te quando abbiamo…dormito insieme!”
Fu il turno di Regina di arrossire. Improvvisamente si ricordo del fatto che la sera prima aveva deliberatamente confessato tutto a Robert…si chiese se avesse fatto la cosa giusta. Riflettendoci a mente fredda, non ne era poi così sicura.
“Comunque, io e Gold non abbiamo fatto nulla. Proprio nulla, te lo assicuro.”  Concluse decisa.
Tink si guardò intorno a disagio, stringendo convulsamente la coperta.
“Va bene.”
 
Mezz’ora dopo le due ragazze erano riuscite, non senza enormi sforzi, a trascinare Robert in cucina per fare colazione.
Era completamente stordito, la testa gli pesava e sentiva gli occhi gonfi e la gola dolorante. Una volta in cucina, si abbandonò su una sedia e appoggiò la testa sul tavolo, desideroso solo di potersi rifugiare sotto le coperte e non emergere mai più.
“Non voglio le uova.” Mugugnò quando senti un famigliare sfrigolio provenire dai fornelli.
“Allora non mangiarle.” Fu la risposta secca di Regina.
Tink continuava a scrutarli dubbiosa, quasi come se si aspettasse qualcosa: una parte di lei era ancora fermamente convinta che fosse successo qualcosa tra i due.
Ma non accadde nulla. Così si alzò per andare in bagno, lasciandoli soli.
“Crede che io e te-“
“No.” Tagliò corto la mora.
Finì di preparare il caffè, dopodichè appoggiò una caraffa di succo sul tavolo e si sedette.
“Dobbiamo parlare di una cosa.” Esordì bruscamente.
Robert alzò la testa con sguardo vacuo.
“La cosa che ti ho detto questa notte.”
Lui annuì, capendo dove voleva andare a parare.
“Resterà davvero tra me e te.”
“E’ importante che sia così.”
“Lo so.”
Regina si versò il caffè mentre Robert beveva un bicchiere di succo, sentendo finalmente la gola rilassarsi.
“Voglio darti una mano.” Disse poi improvvisamente.
 Lei lo guardò incredula.
“Come?”
“C’è…c’è qualcosa che posso fare per aiutarti?”
Regina non rispose e guardò lontano, fuori dalla finestra, sorseggiando il suo caffè.
Di cos’aveva bisogno? Di sicuro, niente che Robert potesse offrirle. Avrebbe avuto bisogno di un po’ di chiarezza, di poter gestire con più facilità i suoi sentimenti e di tranquillità. E di nessuna intromissione da parte di sua madre, Cora, e di Zelena.
Improvvisamente sorrise, fissando la tazza.
“Sì.”
Lui parve sorpreso.
“Davvero?”
“Mi chiedi se ho bisogno di aiuto e poi sei sorpreso se dico di sì?”
“Non sei mai stata una che chiede aiuto.”
Regina si sporse un po’ in avanti e ghignò.
“Questa volta sì. E ne ho bisogno per sconfiggere un nemico in comune.”
Sentirono Tink sciabattare in soggiorno.
“Zelena.” Bisbigliò Regina.
“Cosa? Ma hai detto che non la conoscevi!” protestò Robert.
“Può essere che io abbia mentito.”
Decise di restare sul vago e alzò le spalle.
“Sei proprio una stronza, bugiarda e-“
“Si candiderà a Reginetta del ballo di fine anno. E anche io. Vorrei vincere e mi servirebbe davvero quell’ultima corona…sai com’è fatta mia madre…”
Ma Robert non la ascoltava, continuava a borbottare parole che somigliavano tanto a “la solita falsa” e “non mi fiderò mai più”.
“Il punto è che tu non vuoi vedere quella stronza diventare reginetta del ballo, vero?”
Lui si interruppe.
Ci pensò su.
Immaginò come sarebbe stata avvilita Belle di fronte ad una simile possibilità.
“No.”
“Bene. Aiutami a vincere quel titolo allora.”
Si appoggiò allo schienale della sedia serenamente, mentre sentiva Tink che giungeva verso di loro.
Robert guardò rapido la porta, poi annuì brevemente.
“Non sembra una cattiva idea. Cosa devo fare?”
Regina sorrise.
 
Se ne andarono poco dopo. Tink, ancora irritata e su di giri, sparì a bordo della sua bicicletta e pedalò veloce verso casa.
Robert invece camminò mogio mogio fino a raggiungere la propria dimora.
Guardò sconsolato il portone, afferrò le chiavi, lo aprì ed entrò.
“Laddie.”
Suo padre lo salutò mentre attraversava il soggiorno per dirigersi al piano di sopra, in camera sua.
“Papà.”
“Sembri un accattone. Come ti sei ridotto così?”
Non alzò gli occhi dalla pagina del suo giornale.
Ricevette come risposta un debole borbottio: “Ho passato la notte fuori”
“Ho dovuto portare fuori quella tua piccola bestiaccia, stava piangendo e facendo un baccano tremendo.”
Robert salì le scale spedito, aprì la porta della sua camera e vi guardò dentro desolato. Gli occhi vagarono dal letto ancora sfatto, all’armadio, infine alla scrivania, dove si posarono su di una certa sciarpa gialla.
Le parole di Belle tornarono a martellargli lo stomaco.
“E’ finita.”
Si tolse i vestiti sporchi con rabbia e si cambiò, prendendo a calci tutti i mobili che riusciva a raggiungere.
Poi sentì un debole guaito.
Il suo cane era lì, sulla porta, e lo guardava titubante.
“Bobik…?” Provò.
Belle aveva ragione. Le orecchie del cane fremettero e lui iniziò a scodinzolare.
Così Robert allargò le braccia e dopo un po’ di esitazione iniziale, il cagnetto si precipitò da lui.
“Ciao. Scusa se non ci sono stato ieri.” Mormorò il ragazzo prendendolo in braccio e buttandosi sul letto.
Rimase lì per qualche minuto, o forse di più, fissando il soffitto, con quel soffice peso sul petto, chiedendosi come sarebbe stato poter avere Bobik sul petto e Belle accanto, scherzare, ridere, come una piccola famiglia.
 
Il week-end passò e la settimana ricominciò senza significativi cambiamenti.
Tink andò a trovare Killian altre due volte e gli tenne compagnia per diverse ore. La situazione non migliorava ma almeno il ragazzo aveva trovato un’amica e un’alleata in quella disperata circostanza.
Belle passava molto tempo da sola.
Aver posto definitivamente la parola “fine” alla sua storia con Robert era stato doloroso, più di quanto avesse immaginato. Così realizzò che fino al venerdì prima, per una settimana intera, non aveva veramente creduto che fosse finita. Ma poi l’aveva rivisto e aveva fatto male, troppo male e Belle sapeva che esistevano solo due soluzioni possibili: tornare con lui o lasciarlo definitivamente.
Nella sua testa si chiedeva se non avesse esagerato, se magari avrebbe potuto chiedergli una pausa, dargli un’altra possibilità, provare a dimenticare…ma non ci riusciva. Ogni volta che vedeva Zelena, sentiva una rabbia e una disperazione inspiegabili.
Ne parlò con Tink che le disse di tenderle un agguato e picchiarla in gruppo fuori da scuola.
Belle non lo trovò un consiglio molto utile e così si isolò ancora di più.
 
 
Il mercoledì seguente, a scuola si percepiva una grande agitazione.
Le iscrizioni per la squadra di dodgeball erano state ufficialmente aperte e moltissimi studenti erano determinati ad entrare a far parte del team della Storybrooke High.
Così Robert e Regina entrarono a scuola e trovarono una folla enorme proprio di fronte alla porta della palestra.
“Idioti. Non hanno idea di cosa aspetta loro” Mormorò lei, scuotendo la testa.
Robert annuì e i due ripresero a camminare verso l’aula.
Dal sabato precedente, da quando Regina era finalmente riuscita ad aprirsi e Robert le aveva promesso una mano con il ballo di fine anno, avevano formato una specie di tacito patto in cui avevano deciso di sostenersi a vicenda.
Per il ragazzo era stato un vero dono dal cielo: aveva passato gli ultimi giorni completamente solo, con Belle e Tink che lo evitavano e Killian in ospedale. Non aveva avuto nessuno con cui confessarsi e con cui parlare, escludendo il povero Bobik che si sorbiva pazientemente (in cambio di biscottini e coccole) ore di discorsi su quanto Robert fosse dispiaciuto e disgustato da sé stesso, e su quanto gli mancasse la sua ex-ragazza.
In realtà parlare con un cane si era rivelato piuttosto deludente, ma ora Gold finalmente aveva trovato qualcuno con cui stare e a cui aggrapparsi. Qualcuno che aveva condiviso tanto con lui e che in qualche modo era in una situazione difficile quanto la sua.
Per Regina era la stessa cosa.
Non aveva potuto parlare con nessuno di quel terribile dubbio che la affliggeva. Non che ora ne parlasse, ovviamente, anzi, non riusciva nemmeno a pensarci. Dopo aver esternato ciò che la tormentava, aveva archiviato il pensiero in un remoto scompartimento della sua mente e aveva intenzione di gettare la chiave. Ma il solo fatto di essere riuscita ad esprimere ad alta voce il problema e di non essere stata giudicata, la faceva sentire meglio.
Dal canto suo, una parte di lei avrebbe voluto ancora evitare Emma, soprattutto dopo ciò che era accaduto sabato. Dall’altro non poteva evitare di incrociare casualmente la professoressa nei corridoi dove sapeva che faceva sorveglianza, o salutarla nelle aule dove sapeva che aveva lezione.
Così, immersi nelle loro preoccupazioni e nei loro pensieri, quasi inconsapevolmente, Robert e Regina si erano visti fuori da scuola. Non è che uno dei due avesse aspettato l’altra. Si erano incontrati, c’era stato un leggero scambio di mezzi sorrisi e i due ragazzi si erano diretti insieme verso l’edificio.
E così era nata la loro strana amicizia.
 

Tink fissò il foglio delle iscrizioni al torneo di dodgeball.
Davanti a lei, Anna Arendelle firmò entusiasta insieme ad Ariel e le lasciò la penna.
“A te!”
Ariel le appoggiò una mano sulla spalla e le sorrise comprensiva.
“Lo so che tutta questa storia di Killian ti sta stressando…ma penso che potremmo semplicemente distrarci un po’. Ci vanno un sacco di persone alle selezioni, sarà divertente.”
La lasciò con la penna in mano, di fronte al foglio.
Diede rapidamente un’occhiata ai nomi, finchè l’occhio le cadde sul nome di Zelena. Strinse i pugni.
Valutò se scrivere qualcosa accanto al suo nome, come “stronza” o “puttana”. Pensò che non sarebbe stato molto costruttivo, però a bel pensarci c’era qualcosa che poteva farla stare meglio.
Lei e Belle potevano dare una bella lezione a quella stronzetta. Una volta per tutte.
Così aggiunse il suo nome in fondo alla lista degli iscritti, insieme a quello di Belle French.
 
 
Qualche ora dopo, Regina si apprestava a dirigersi verso la mensa.
E ovviamente, casualmente, Emma Swan le si palesò davanti.
“Allora!?” esclamò agitando le mani con entusiasmo “Iscritta al torneo.”
Regina inarcò le sopracciglia e storse il naso.
“No…?”
Riprese a muoversi, rallentando il passo e permettendo così alla professoressa di camminare accanto a lei.
“Ma come! E’ l’evento clou della scuola insieme al Ballo, mi hanno detto.”
Sentì la cheerleader sbuffare vigorosamente e la guardò interrogativa.
“E’ una schifezza. Partecipa solo chi non ha voglia di andare a lezione.”
“Io avrei partecipato di sicuro allora.” Borbottò Emma.
Regina si voltò e sogghignò.
“Non dirlo in giro però.” Aggiunse.
“Assolutamente.”
Emma tacque un momento, poi riprese.
“Speravo di vederti partecipare coi tuoi amici comunque! Avevo già pronto lo striscione apposta per te!”
Regina sgranò gli occhi e fissò dritto avanti a sé.
“Oh allora dovrò partecipare sicuramente.” commentò cercando di mantenere un tono noncurante e sarcastico.
“Io parteciperei se potessi.”
La mora vide con la coda dell’occhio, due sue compagne di squadra, appoggiate all’armadietto, che le scrutavano dubbiose.
“Vi girate e vi fate gli affari vostri, sì?” ringhiò rivolta a loro.
Una delle due si sistemò la coda di cavallo sdegnosa e si voltò verso l’amica.
Emma sospirò.
“Immagino che questo tuo atteggiamento non cambierà mai, vero?”
“Immagina bene.”
La verità, ma non lo disse alla professoressa, è che non le piaceva vedere le cheerleader, sue compagne ma soprattutto compagne di Zelena, guardarla in quel modo mentre camminava per i corridoi con lei.
“Ti saluto miss simpatia, mi aspettano i ragazzini di prima.”
Disse infine Emma, dirigendosi verso le scale.
Regina la salutò rapidamente e si infilò nel corridoio di destra, verso la mensa.
 
“Secondo te chi è stato così idiota da iscriversi al torneo?”
Esordì un po' dopo Regina, mangiando avidamente una delle mele che era solita portarsi per dessert.
“Non ne ho idea. E sinceramente non mi interessa.”
“Potremmo dare un’occhiata. Giusto per farci un’idea di chi ci sarà.”
Robert addentò la sua ciambella, scrutando dubbioso la fila dei ragazzi in mensa.
“Perché ti interessa tanto?” chiese poi.
La mora esitò, osservando il torsolo della sua mela e depositandolo sul vassoio, insieme ai tovaglioli.
“Non è che mi interessi. E’ solo…curiosità” Mentì rapidamente.
Regina voleva accettare quella come una sfida personale, o almeno era ciò che si era detta. Il fatto che Emma sarebbe stata presente all’amichevole e l’avrebbe vista giocare non c’entrava molto. Insomma…non così tanto, continuava a ripetersi Regina. Non era quello il motivo, c’erano tanti altri motivi, come ad esempio saltare qualche inutile lezione scolastica o fare un po’ di allenamento fisico in più o riuscire a colpire Zelena con una pallonata dritta sul naso…
“Beh, a me non incuriosisce.”
Dichiarò Robert riprendendo a mangiare la sua ciambella, sempre guardandosi avidamente intorno.
“La tua faccia da cane bastonato mentre aspetti di vedere Belle French che appare magicamente in mensa, è proprio qualcosa che vorrei evitare di vedere.”
Lui la guardò irritato.
“Puoi andartene se ti dà tanto fastidio.” Commentò.
“Va bene. E’ quello che farò.” Scattò in piedi nervosa e lo lasciò da solo.
Con un’alzata di spalle, il ragazzo riprese ad osservare ciò che lo circondava.
 
Una volta di fronte al foglio delle iscrizioni, Regina diede una letta ai nomi.
Con sommo stupore vede i nomi Tink Glocke e Belle French scribacchiati in fondo alla lista.
Valutò cosa fare su due piedi.
Poteva fregarsene, iscriversi oppure anche no, fare cosa faceva comodo a lei ed ignorare gli altri. Oppure poteva avvisare Robert, che in quel momento probabilmente era ancora seduto in mensa, imbambolato, ad aspettare una persone che non sarebbe venuta.
Poteva avvisarlo perché le sembrava una cosa carina da fare, una gentilezza che poteva aiutare la loro amicizia appena rinata a crescere e a svilupparsi.
Insomma, poteva provare a fare una cosa buona.
Emma sarebbe stata fiera.
Molto fiera.
Così Regina, non senza sbuffare, seccata perché fare la cosa giusta per lei era proprio inutile e controproducente, afferrò il cellulare e scrisse quello che era il primo messaggio a Robert dopo mesi.
 
- La tua ex fidanzatina si è iscritta alle selezioni per il torneo.
- Buon per te.
 
La ragazza rilesse il messaggio due volte, prima di capire esasperata che Gold  aveva frainteso.
 
- L’altra tua ex fidanzatina.
 
Aspettò. Dopo circa dieci secondi, il tempo che Regina aveva stimato ragionevole per ottenere la risposta che si aspettava di ottenere, il cellulare vibrò.
 
- Il mio nome lo sai scrivere.
 
Così anche Regina Mills e Robert Gold si erano appena candidati come membri della squadra di dodgeball.
 
 
“HAI FATTO COSA!?”
“Non c’è nessun bisogno di urlare! Siamo anche in biblioteca!”
Belle sbattè con forza i pugni sul tavolo, schiumante di rabbia.
“Ripetilo ancora una volta.”
Tink respirò a fondo, si alzò e le prese le mani.
“Ti ho…ci ho iscritte al torneo di dodgeball. Anzi, alle selezioni. Perché…perché ho pensato che possa essere un passatempo costruttivo.”
Non menzionò Zelena, né la rabbia che aveva provato leggendo il suo nome su quella lista. Né il fatto che non riusciva a dormire bene per colpa di Killian e della loro situazione, né il fatto che stesse cercando disperatamente un modo per distrarsi.
Belle si allontanò da lei e prese a gironzolare intorno al tavolo della biblioteca.
“Senti, tu mi hai vista a ginnastica, vero?” chiese poi.
“Sì. Poche volte perché mi sono fatta esonerare, è vero, però ti ho vista.”
Ma Tink doveva mostrarsi convinta, o il suo piano non avrebbe mai funzionato.
“E non sei così male. Davvero.”
Non era vero. Belle era terribile a ginnastica, ma Tink attribuiva la colpa al fatto che si sentiva sotto pressione. I loro compagni erano pronti a deriderla e la ragazza chiaramente non riusciva ad impegnarsi al massimo delle sue forze.
L’altra la guardò incredula.
“Io non so neanche tirare una palla oltre la rete!”
“Ma qui non c’è…nessuna rete.” Provò Tink cercando di sorridere “E nessun canestro! E non c’è neanche una porta.”
“Ma ci sono palle! TANTE PALLE DA SCHIVARE! Hai mai assistito ad una partita di dodgeball?”
“Sì e sembra divertente!”
Belle scosse vigorosamente la testa.
“No, non lo è. E’ un gioco violento e difficile, dove tutti corrono, saltano, urlano e…e diventano cattivi. E io non voglio partecipare. PER NIENTE.” Terminò la frase con forza e riprese a camminare nervosa.
Tink la guardò supplicante.
“Ci divertiremo. Ti prego. Non lasciarmi sola…”
Belle chiuse gli occhi, respirò a fondo, reprimendo l’istinto di strozzarla.
“Se mi succede qualcosa…” disse poi minacciosa.
“Non succederà niente. Vedrai. Ci divertiremo.”
 
 
Le selezioni per entrare in squadra si sarebbero tenute il lunedì successivo, alle tre in punto, in palestra.
Tink trascinò Belle con sé, incoraggiata dalle parole di Anna ed Ariel, entrambe molto entusiaste per l’imminente partita amichevole.
I giocatori sarebbero stati sorteggiati, tra maschi e femmine, divisi in più squadre e poi lasciati a fronteggiarsi.
La prima cosa che Belle vide, appena entrata in spogliatoio, fu Zelena che in un angolo parlava con le sue fidatissime amiche.
Si irrigidì e le mani le tremarono. Poi la sua testa si voltò verso Tink.
“Lo sapevi.” Disse semplicemente.
“Cosa?”
Tink non era particolarmente brava a mentire, ma riteneva che il suo tono di voce fosse risultato convincente. Evidentemente per Belle non fu così.
“Voglio andarmene. Ora.”
Fece per voltarsi ed uscire dallo spogliatoio, proprio mentre Zelena la vedeva con la coda dell’occhio e sorrideva malignamente.
“No, senti- ascoltami.” Tink la afferrò per un braccio e la trattenne. “E’ il tuo momento per fargliela pagare e per farle capire di che stoffa sei fatta e-“
“Forse per te è un gioco. Ma non lo è per me. Soffro ogni giorno per questa storia e non avevo nessuna voglia di doverla affrontare apertamente in campo. E’ una cosa stupida ed immatura, è andata com’è andata e…e voglio lasciar perdere.”
Lo sforzo di una risposta fu risparmiato dall’arrivo di Ariel, di ritorno dal bagno.
“Ah ma c’è pure lei? Allora gliela facciamo vedere.” Asserì guardando la cheerleader ed incrociando le braccia con fare minaccioso.
Belle scosse la testa disperata e si sedette.
Sembrava che nessuno volesse capire e soprattutto che nessuno si sforzasse. Non era un gioco, non era divertente, non voleva farla pagare a nessuno (e non ne era sicuramente capace). Non voleva ridursi a cercare di colpire Zelena con una palla di spugna solo perché il suo ex ragazzo aveva deciso che non si fidava abbastanza per resistere una settimana da solo.
Regina entrò in spogliatoio e si fermò a scrutare Zelena.
Dopodiché si voltò verso Belle e le lanciò un’occhiata strana, quasi di comprensione.
Ma non c’era più tempo. Le ragazze cominciavano a muoversi verso la palestra e Belle doveva decidere in fretta se ritirarsi con una scusa banale, oppure sottoporsi semplicemente all’umiliazione.
 
Quando entrò in campo, si pentì amaramente di non aver disertato.
C’era la squadra delle cheerleader al completo, tutte nelle loro uniformi nuove di zecca. C’erano anche diversi ragazzi delle varie squadre di football, basket ed hockey.
Poi c’era il minuscolo gruppetto di Belle e qualche altro povero derelitta, in cerca di una scusa per saltare lezioni a caso. E ovviamente i ragazzi di prima, ignari delle dinamiche del gioco.
E poi c’era Robert.
Era seduto in un angolo insieme a Regina e a qualche altro ragazzo che Belle non sapeva riconoscere.
Ignorò la fastidiosa sensazione di vuoto allo stomaco e l’improvvisa fitta che aveva sentito dalle parti del cuore e che si era propagata per tutto il suo corpo.
Camminò spedita verso Tink e le sue amiche.
“Allora siamo prontissime!” esclamò Anna felice “Io lo sono. Insomma, non ho mai giocato a dodgeball però ho guardato su internet, mi sono informata bene su tutte le regole perché è un gioco un po’ violento ma se si sanno le regole sono certa che-“
“Abbiamo capito.” La fermò Tink.
Anna annuì incoraggiante.
“Sappi che non ho intenzione di passarci sopra. Anche perché non so se hai notato, ma c’è anche lui.” Mormorò Belle nell’orecchio di Tink e beccandosi un’occhiataccia di rimando.
La Coach fischiò e il brusio cessò.
Ai lati della palestra, sulle tribune, erano seduti parecchi studenti e alcuni membri del corpo insegnanti.
A Regina non sfuggì una certa chioma biondo platino in cima all’ultima fila e un certo volto sorridente che alzò i pugni in segno di vittoria.
Dentro di sé sentì una strana euforia e una curiosa adrenalina che di sicuro non poteva attribuire alle inutilissime quanto imminenti selezioni, che indubbiamente avrebbe passato senza sforzo.
Sorrise tra sé e sé mentre ad estrazione, venivano formate le varie squadre che si sarebbero affrontate.
 
Belle cercò di ignorare con tutte le forze che aveva a disposizione il fatto che Robert era finito in squadra con Zelena. Ci provò davvero.
Pensò che non erano affari suoi. Che non significava niente, che era stato un sorteggio, che non poteva certo essere gelosa di una sciocchezza simile e soprattutto non poteva essere gelosa di qualcuno che non le apparteneva più.
Eppure non provava altro che rabbia e voglia di prendere a pugni qualcuno.
Guardò con la coda dell’occhio Gold e notò con relativo sollievo che non sembrava per niente a suo agio in quella squadra. Era finito con altre due ragazze, Merrin e Kristin (*), oltre al famigerato Gaston Prince, capo della squadra di basket, una manciata di cheerleader e qualche altro ragazzo. Se ne stava impalato nei suoi pantaloncini blu, e nella sua maglia grigia con lo stemma della scuola, a braccia incrociate, con le sue scarpe da ginnastica e Belle poteva scommettere che non le aveva mai indossate perché erano ancora intonse e perché Robert semplicemente non indossava mai scarpe da ginnastica.
Forse avrebbe voluto prendere a pugni proprio lui e quella sua espressione contrita. Con che diritto rimaneva lì immobile con quella ridicola tenuta e quelle stupide scarpe da ginnastica e quella dannata espressione rabbiosa, quando l’unica ad avere il diritto di essere arrabbiata era Belle?
Poi Belle avrebbe voluto prendere a pugni Tink per averla trascinata in tutto quello.
E anche la Coach, e Zelena, e tantissime altre persone, quasi tutti in quella palestra.
Finì in squadra proprio con Tink, Anna, sua sorella Elsa, alcune ragazzine di prima e un ragazzo che non aveva mai conosciuto ma che si presentò come tale Will Scarlett.
Ariel fu smistata in un’altra squadra ancora, insieme a Regina.
Dopo un po’ di minuti, le squadre cominciarono a disporsi a bordo della palestra e altri studenti iniziarono ad affluire nelle tribune.
Belle sentì un’orribile sensazione di agitazione mista a nausea crescerle nello stomaco e diffondersi per tutto il corpo. Le gambe erano molli.
Robert guardava lontano e non si muoveva, le braccia rimanevano incrociate. Era molto arrabbiato e agitato e Belle lo sapeva perché conosceva bene quell’espressione, le narici tese e le labbra immobili.
Zelena era poco lontano da lui.
“Le prime due squadre a fronteggiarsi saranno…”
Tink si avvicinò alle due amiche e appoggiò le mani sulle loro spalle.
“Scommetto che siamo noi.” Sussurrò poi.
E infatti…
 
Si disposero in campo, mentre Robert, Zelena e il resto della loro squadra raggiugevano l’altra parte della palestra.
“Voglio vedere un gioco corretto. Sceglieremo i giocatori in base non solo alla bravura, ma anche alle capacità di legare. E’ importante avere una squadra unita.
Ragazzi…maschi, intendo. Dosate la vostra forza, non vogliamo vedere nasi rotti.”
Fischiò, e l’amichevole iniziò.
 
Non stava andando male, pensò Belle abbassandosi ad una velocità che non credeva nemmeno possibile ed evitando una pallonata scagliata da una ragazza dell’altra squadra.
Tink, con un vero e proprio urlo di battaglia, si lanciò in avanti con due palle di spugna in mano e le lanciò in direzione di Zelena, che però le evitò.
Quella sorta di battibecco sportivo proseguì per numerosi minuti. Nessuno risparmiava certo colpi e gli studenti seguivano la loro piccola guerra con tanto d’occhi.
A Belle non sfuggì il fatto che ogni volta che Robert si impossessava della palla, valutava gli avversari ma finiva sempre per scagliarla contro Will Scarlett.
“Che diamine!” borbottò quest’ultimo, mentre si buttava a terra evitando un bolide lanciato nella sua direzione.
Belle si buttò letteralmente sul pallone e lo afferrò. Si avvicinò alla linea di metà campo, intenzionata a colpire Zelena. Poteva davvero farcela, la ragazza era distratta e seguiva i movimenti dei suoi compagni.
Lanciò il pallone con tutta la sua forza ma Robert urlò “Giù!”.
Zelena si ridestò e si scansò appena in tempo, lanciando un’occhiata velenosa a Belle.
Lei dal canto suo, non aveva idea se Gold avesse urlato volontariamente o involontariamente, se fosse davvero un avvertimento diretto a Zelena oppure a qualcun altro.
Tornò avvilita verso il fondo del campo mentre Tink furiosa lanciava due pallonate di fila contro Robert.
Improvvisamente Zelena si avvicinò alle sue compagne di squadra. Bisbigliò qualcosa concitatamente alle ragazze, poi fu il suo turno di avvicinarsi alla linea che divideva le due metà campo. Fissò Belle e sulla sua faccia si aprì un grande sorriso malevolo.
Tink ed Anna lanciarono due palle dritte contro di lei ma le schivò entrambe.
In men che non si dica, tornarono indietro entrambe ma dirette su Belle che le schivò per miracolo.
Altre tre pallonate giunsero dritte verso di lei, pochi secondi dopo.
Una la colpì in pancia mentre le altre due si schiantarono contro la spalla e il braccio destro. Cadde e rimase un momento immobile.
“Merda.”
Si alzò stordita e fissò le compagne di squadra.
“Attenta!” Urlò Will.
E poi un’altra pallonata, e ancora altre due, la colpirono in piena faccia.
Crollò a terra tenendosi il naso e sentendo il mondo esplodere intorno a lei, oltre che il cervello esploderle dentro al cranio. La fronte iniziò a pulsare terribilmente e così il naso.
Qualcosa di caldo e liquido iniziò a colarle verso la bocca e poi sul collo, mentre Tink prendeva una palla e la lanciava con furia verso la squadra avversaria colpendo però il muro.
Anna si era precipitata verso di lei, così come la Coach ed Ariel, alzatasi dalla panchina.
Le persone a bordo campo esclamavano concitate ed indicavano la scena, mentre Belle sentiva calde lacrime scorrerle sulle guance. Non sapeva dire se fosse la vergogna o il dolore cocente,  ma iniziò a piangere silenziosamente mentre continuava a tenersi il naso e la fronte.
“Dio mio!” strillò Anna. Si buttò a terra e le prese il viso tra le mani.
“No, non è rotto. Secondo me non è rotto. Me ne intendo di nasi rotti…beh non proprio, non ne ho mai vista in realtà ma secondo me questo non è rotto, guarda Ariel, guarda anche tu!”
L’altra la fissò con tanto d’occhi e alzò le mani.
Tink nel frattempo aveva iniziato ad urlare e puntare il dito contro Zelena.
“COACH!” Gridava “LI SQUALIFICHI! TUTTI!”
In tutto quello, Robert era rimasto immobile a fissare la scena: non si era mosso di un millimetro. Tink avanzò verso di lui e gli urlò qualcosa mentre lui scosse la testa e le rispose con veemenza, indicando i suoi compagni. Emma Swan e miss Blanchard apparvero improvvisamente in campo e si diressero verso la coach Tamara, preoccupate ed indecise sul da farsi.
I ragazzi inquieti parlottavano e gironzolavano tra le tribune o a bordo campo.
Aiutarono Belle a rialzarsi, tra le risate delle cheerleader e le voci concitate di tutti gli altri.
Ci fu un breve istante in cui lei fissò dritto verso Gold, aspettando di vedere una sua reazione, aspettando di vederlo correre in avanti , aspettando di vederlo urlare contro Zelena, aspettando di vederlo fare…qualsiasi cosa.
Invece lui rimase immobile e spostò lo sguardo sulle tribune.
Belle deglutì a stento, sentendo il sapore del sangue in gola, il brusio degli studenti nelle orecchie.
 Poi Tamara soffiò nel fischietto per ottenere il silenzio che cercava.
“Questo è un comportamento inaccettabile.”
Robert alzò titubante la mano per ribattere qualcosa ma nessuno gli diede retta.
“Siete tutti fuori. TUTTI!”
“Io non ho fatto niente! Non è giusto!” esclamò a quel punto il ragazzo.
“Stai zitto ragazzino e vedi di sparire insieme ai tuoi compagni di squadra. Ora.”
Zelena sorrise sotto i baffi.
Del dodgeball non poteva importarle di meno, ma una piccola soddisfazione se l’era presa e chissà se il naso di Belle sarebbe mai tornato com’era prima.
“Le altre due squadre in campo. Io accompagno la ragazza in infermeria. Riprendete a giocare.”
Tutti ripresero ad urlare, alcuni arrabbiati, altri semplicemente eccitati dalla situazione; alcuni invece ridevano per il modo sghembo in cui Belle si ricompose e camminò debolmente verso li spogliatoi, accompagnata dalla coach e dalla piccola Anna che aveva abbandonato la partita.
 
 
Regina si dileguò letteralmente appena finita la partita della sua squadra. Aveva visto e fatto abbastanza per quel giorno. Mentre le ragazze nello spogliatoio ancora discutevano di ciò che era successo poco prima, lei si cambiò, si sistemò criticamente i capelli davanti allo specchio e si defilò.
Uscì in corridoio e corse verso l’entrata delle tribune.
Lì trovò chi cercava.
“Allora, si è divertita?”
Emma si voltò e le sorrise. In mano teneva un plico di fogli che aveva appena ritirato dalla Blanchard.
“Beh, non proprio. Non pensavo che foste così violenti!”
“Non è sempre così.”
“Non mi piace comunque. Mi piacevano gli sport al liceo e giocavo anche a calcio coi miei compagni, ma…questo mi è sembrato esagerato.”
Regina si sedette accanto a lei e guardò l’orologio.
Aveva ancora mezz’oretta di autonomia prima di dover tornare a casa e rendere conto a sua madre della sua giornata.
“Perché se la sono presa con Belle comunque? Quella ragazza è così carina…”
La domanda non la colse propriamente di sorpresa.
Ciononostante valutò se dire ciò che sapeva alla professoressa.
“Lei sa la French e Gold stavano insieme, giusto?”
Emma annuì.
“L’avevo intuito, sì.”
“Si sono lasciati per colpa di…una delle ragazze che erano in squadra con Robert, oggi. Quindi…è una storia lunga.”
Per occupare il tempo, afferrò la sua bottiglietta d’acqua e ne bevve un gran sorso.
“Capito. Penso che la Coach risolverà la questione, ho visto Gold andare da lei dopo la partita…”
Regina inarcò le sopracciglia.
“Davvero?”
“Sì.”
Si strinse nelle spalle e bevve un altro sorso, aspettando che la professoressa continuasse a parlare.
“Posso parlartene, vero? Insomma, mi sembra che siate tornati amici e che le cose si siano risolte…”
“Oh sì. Ora siamo amici…insomma, circa. Comunque lui non mi piace più.” Disse convinta la mora.
“Magari perché ti piace qualcun altro”
Regina strabuzzò gli occhi e per poco non soffocò. Deglutì a stento e la guardò stralunata.
Emma sorrise incerta.
“Era…uno scherzo.”
“Sì…l’avevo…capito.”
Per togliersi dall’imbarazzo di quella orribile situazione, indicò i fogli che Emma aveva in mano.
“Cosa…cosa sono quelli?”
“I moduli d’iscrizione per il week-end a Boston, per visitare l’università.”
“Oh. Quando-“
“La terza settimana di maggio.”
Regina rifletté rapidamente e capì che doveva accertarsi di una cosa prima di fare una mossa assolutamente avventata che avrebbe potuto rimpiangere per tutta la sua vita.
“Chi…chi ci accompagnerà?”
“Dei professori intendi? Io, miss Blanchard e August Booth.”
“Lei?”
“Sì, mi occupo dell’orientamento.”
L’altra annuì.
“Ne prendo uno.”
Emma la guardò sorpresa.
“Credevo volessi andare a Yale.”
“Sì beh…non si sa mai nella vita. Poi un week-end fuori città…può biasimarmi?”
Senza aspettare una risposta e un permesso, allungò la mano ed afferrò uno dei fogli. Lo sventolò ironicamente, poi si alzò e saluto la professoressa, lasciandola in uno stato di perplessità assoluta.
 
 
Appena dopo essere uscito dall’ufficio della coach, Robert corse a perdifiato lungo i corridoi fino ad arrivare all’infermeria, dove trovò però Tink davanti alla porta.
Lei non si mosse, a braccia incrociate lo attese e lo guardò con serietà.
“Devo entrare.” Disse lui senza preamboli.
“Puoi scordartelo.”
“Come scusa?”
“Hai capito benissimo.”
“Dai, fammi entrare!”
“No!”
“Spostati.”
“No.”
“Si può sapere che cazzo di problema hai!?” esclamò furioso.
Belle era lì dentro e probabilmente aveva male, aveva bisogno di essere consolata, magari coccolata, e lui doveva spiegarsi, doveva dirle cos’aveva riferito alla coach, doveva dirglielo subito e Tink non si schiodava di lì, lo fissava semplicemente senza muovere un muscolo e gli impediva di svolgere il suo compito.
“Che problema ho?” chiese poi incredula “Hai visto cos’hanno fatto le tue amiche a Belle?”
“Non sono stato io! E non sono mie amiche! Lasciami entrare!” fece un passo in avanti, concitato, ma Tink lo spinse indietro.
“Smettila!”
“Smettila tu e lasciami entrare! Non ho colpa se quelle sono pazze o non so cosa, io ho parlato con la Coach, ho detto loro quello che è successo e le ho fatte squalificare e-“
“Tu non capisci proprio niente, vero?” domandò la ragazza con tono sprezzante.
“Cosa?”
“Non frega a nessuno se sei andato dalla coach! Quello che dovevi fare era intervenire lì e difenderla ed aiutarla, invece sei rimasto immobile e hai guardato altrove perché sei un cacasotto! Sono persino venuta da te a dirti di reagire e tu mi hai detto di no!“
“Perché non potevo fare niente! Ero da solo e ci sarei finito dentro pure io, mentre non volevo prendermi la colpa per una decisione che hanno preso loro, inoltre-”
“Oh non sia mai!” esclamò lei con enfasi “Robert Gold che si immischia in qualcosa e dà prova di non essere un totale smidollato e un codardo!”
“NON SONO UN CODARDO!”
Pestò il piede a terra e si avvicinò di nuovo alla porta.
“Fammi entrare!”
“Lasciala stare!” urlò l’altra di rimando, furibonda “Non hai neanche avuto le palle di difenderla durante uno stupido allenamento di dodgeball e lei ti ha guardato, aspettava che tu facessi qualcosa, e invece niente! Non hai avuto le palle di aspettarla per una settimana, non hai avuto le palle per dirle in faccia che la amavi, non hai le palle neanche di guardarti allo specchio! Credi di farla felice ma…ma le rovini solo la vita. E te l’ha detto lei, è finita. Perché non te lo ficchi in quella zucca vuota che ti ritrovi!?”
Robert arretrò orripilato da quelle parole.
Scosse la testa per scacciarle, non poteva sentirle, non doveva ascoltarle, non ora che aveva da compiere una missione importante. Forse ci avrebbe pensato in seguito, a casa, al sicuro nel suo letto, sotto le coperte, dove poteva piangere senza essere visto o giudicato...
“Stai zitta e spostati.” Sibilò.
“Vattene.”
“Devo dirle una cosa che mi ha detto la coach.”
“Posso dirgliela io.”
“Invece gliela dirò io. O aspetterò qui fino a che non ti sposterai o fino a che lei non uscirà. Allora le parlerò.”
Tink lo fissò con disgusto.
“Va bene. Se credi di farla felice palesandoti davanti a lei e rompendo per l’ennesima volta i confini che lei ha stabilito e-“
Non finì il discorso. Robert le era passato accanto, le loro spalle si erano scontrate e lui era andato oltre.
 
 
Belle era seduta su un lettino dell’infermeria, tenendosi la busta di ghiaccio che le era stata consegnata proprio sul naso pulsante.
L’infermiera le aveva sbrigativamente dato un’occhiata e aveva decretato che il naso non era assolutamente rotto e che era piuttosto normale farsi male durante gli allenamenti sportivi e che non c’era da disperarsi o da piangere.
La ragazza ora era sola, cercava di riordinare le idee e soprattutto cercava di ignorare le dolorose pulsazioni che si diffondevano per tutto il viso.
Non era quello a farle male, era l’umiliazione. Il fatto che tutte quelle ragazze si fossero messi a lanciarle addosso tutte quelle palle di spugna, a lei e solo a lei, semplicemente perché Zelena gliel’aveva detto.
Il fatto che quelle sconosciute fossero state pronte a farle deliberatamente del male solo perché una loro compagna aveva detto loro di farlo.
Ma era stata solo colpa sua, pensò Belle. Certo, quelle ragazze erano cattive, non la conoscevano nemmeno ed erano pronte ad umiliarla, erano perfide, ma lei, Belle, avrebbe potuto evitare di infilarsi in quella situazione.
Era stata lei ad esporsi, perché una minuscolissima parte di lei aveva sperato di poter rifilare una bella pallonata a Zelena e batterla. O aveva almeno sperato di poter uscire a testa alta da un confronto, ottenebrata dalle parole di Tink e dagli incoraggiamenti delle altre sue amiche.
Ma avrebbe dovuto sapere perfettamente come sarebbe andata a finire.
Era una sciocchezza – si ripetè – entro poco se ne sarebbero dimenticati tutti.
E in più, ci era abituata. Certo, ultimamente a scuola era stata molto bene, probabilmente per l’influenza e la popolarità di Robert, unita al fatto che finalmente aveva delle amiche, un ragazzo, un club scolastico…ma ora lei e Robert si erano lasciati e lui non veniva più al giornalino, e Killian non veniva a scuola e lei era arrabbiata con Tink, e Regina sembrava averli abbandonati di nuovo…e tutto era precipitato di nuovo in un abisso, proprio come era sempre stato. Quella indefinita nuvola di felicità in cui era vissuta per qualche mese si era dissolta e il mondo era tornato ad essere lo stesso di sempre.
Le cose non cambiano per le persone come me – pensò amaramente – possono solo migliorare momentaneamente, ma non cambiano.
E improvvisamente la porta si aprì.
 
 
Entrò Robert, con i suoi pantaloncini blu e una felpa sopra la maglietta e uno strano sguardo.
Non si mosse dalla porta.
Belle cercò di ignorarlo, di ignorare la cocente vergogna che provava al pensiero di com’era caduta davanti a lui e davanti alla scuola. Cercò di ignorare anche il fatto che lui non aveva mosso un muscolo per fermare il massacro, che l’aveva osservata per un momento e aveva subito distolto lo sguardo.
In fondo erano solo sciocchezze ed entro pochi mesi sarebbe andata via, a Boston, con Tink…anche se in questo momento era un po’ arrabbiata con lei, sarebbero partite e si sarebbero lasciate tutto alle spalle…
Cercò anche di ignorare che una parte di lei era così felice di vederlo lì, di sapere che ancora gli importava, che non la considerava solo una poveretta, che era venuto a vedere come stava, anche se aveva quell’espressione contrita e quella stupida tenuta sportiva che non gli si addiceva proprio.
“Volevo solo dirti che ho parlato con la Coach e lei ha detto che è assolutamente intenzionata a squalificare Zelena. E anche gli altri che ti hanno fatto male.” Esordì lui bruscamente.
Belle si morse il labbro e tamponò il livido col ghiaccio.
“Okay.” Disse dopo un po’.
“E volevo dirti che sei nella squadra.” Aggiunse poi.
La ragazza rimase un momento immobile, poi alzò lo sguardo, fino ad incrociare gli occhioni scuri di Robert.
“Come scusa?”
“Sei nella squadra.” Ripeté.
Avrebbe voluto ridere ma non c’era nulla di comico.
Lei, nella squadra. E ovviamente veniva Robert in persona a dirglielo.
“Chi hai pagato per farmi entrare?”
Gold fece un passo in avanti e infilò le mani in tasca.
“Nessuno. Ma lo spirito di squadra è importante, a volte anche più delle prestazioni. E tu ne hai più di molti altri, secondo la coach.”
Belle annuì.
“Bene. Sono molto felice, ti ringrazio per la splendida notizia.”
Non avrebbe saputo dire se era peggio la freddezza o l’estremo sarcasmo in quelle parole.
“Anche io sono in squadra.”
“Oh, ancora meglio.”
Robert non disse nulla.
 
“E’ finita.”
 
Il ricordo di quella frase lo trattenne dall’avanzare verso Belle, abbracciarla, dirle che la amava ed aiutarla con quella busta di ghiaccio. Non erano più affari suoi se lei stava male, come gli aveva fatto notare Tink poco prima. Sentire quelle parole gli aveva fatto male, era stata una secchiata d’acqua fredda di fronte alla dura realtà.
E inoltre, sempre come Tink gli aveva fatto notare, non era abbastanza coraggioso da avanzare, abbracciarla, dirle che la amava ed aiutarla con la sua busta del ghiaccio.
“Comunque non vedo perché avrei dovuto pagare qualcuno. Andavi…andavi ben prima che si coalizzassero contro di te.”
Belle lo guardò lentamente.
Fu chiaro che non c’era più nulla da dire, così Robert si voltò  si avviò verso l’uscita col cuore pesante, quando le parole della ragazza lo fecero voltare di nuovo.
“Perché non mi hai difesa?”
Lui rimase immobile, zitto e fissò il pavimento.
“Pensavo solo che…che sarebbe stato più utile parlarne con la coach.”
La ragazza lo guardò, levando improvvisamente la busta dal naso tumefatto.
“Io volevo solo essere difesa.”
A rompere il silenzio che seguì quelle parole ci pensò l’infermiera.
Aprì la porta bruscamente, fissò un momento Robert, dopodichè gli consegnò un foglio.
“Uno per te, e uno per la signorina. La professoressa Swan mi ha chiesto di darveli ora e di riportarli firmati al più presto.”
Belle diede un’occhiata al foglio, nonostante la testa pulsante riusciva a leggere abbastanza bene.
“Ci andrai?” chiese Robert, leggendo anche lui il contenuto.
“Al week-end a Boston? Sì. Anche perché se voglio iscrivermi in quell’università mi conviene vedere com’è.”
Gold rimase paralizzato dalla risposta. Ci mise qualche secondo per realizzare ciò che veramente Belle gli stava dicendo.
Alzò gli occhi dal foglio, completamente stranito.
“Boston?”
Lei annuì “Mi sembra una valida alternativa.”
“No.”
Il tono di voce del ragazzo era incredulo e tremante.
“No, tu avevi detto che saresti venuta a New Haven.”
Belle chinò la testa, guardando il lettino dell’infermeria.
“Non c’è niente per me a New Haven.”
Robert si avvicinò a lei, terrorizzato.
“Non è vero! E’ una buonissima università e tu dovresti cogliere l’occasione e andarci. Non puoi buttare via tutto, non sarebbe-“
“Non butto via niente. Cambio semplicemente università.”
Ma per Robert quello significava davvero buttare via tutto.
Buttare via la sorda, piccola speranza di partire insieme ad agosto, di poter sistemare le cose, magari di poter vivere insieme o semplicemente ricominciare ad essere amici e poi qualcosa di più…
“Ma…A New Haven.”
“Ci sei tu. E basta.”
Appunto – avrebbe voluto risponderle Robert.
C’era lui. C’erano loro, insieme, in un’altra città, liberi di ricominciare e di stare bene insieme e di costruire un futuro insieme, di laurearsi, di prendere l’aereo insieme per tornare a Storybrooke per Natale…
Realizzò improvvisamente che senza saperlo, aveva investito tutto in quella minuscola speranza. Non ci pensava, era troppo desolato in quei giorni per capirlo, ma aveva sempre pensato che in qualche modo, una volta lontani da quella cittadina, sarebbero tornati insieme.
Ma non c’era più nessun tipo di futuro possibile.
Belle si stava trasferendo, stava decidendo per un altro futuro, uno nuovo, lontano da lui, lontano da loro…
“Non verrai a New Haven” Disse lentamente.
“No.”
“E quando pensavi di dirmelo, di grazia?” chiese tremando.
Ora oltre alla tristezza stava sopraggiungendo un nuovo sentimento, rabbia, frustrazione, senso di impotenza.
“Non mi sembrava di doverti dire qualcosa.” Rispose lei gelida. Aveva ripreso a tamponarsi il naso e aveva distolto lo sguardo.
“Va bene. Allora, vaffanculo.”
Di scatto si voltò, camminando spedito verso l’uscita.
Lasciò la stanza sbattendo la porta e senza voltarsi.
Tink era ancora fuori e lo squadrava a braccia incrociate.
“Se hai qualcosa da dire, tienitelo per te.” Ringhiò il ragazzo.
Poi prese a correre.






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Song: You Oughta Know - Alanis Morisette
(*) Merrin e Kristin: sono le attrici che interpretano Ursula e Malefica. Non potendole chiamare Ursula e Malefica (#LOL) ho optato per i nomi delle interpreti :)

*smirk*
Sono qui, con un piccolissimo ritardo di pubblicazione dovuto a cause di forza maggiore che non sto a spiegarvi.
Che dire? Cito George R. R. Martin: "Questo capitolo è stato una cagna". 
Si tratta di un capitolo di passaggio in cui ho buttato le basi per due avvenimenti futuri molto importanti, ossia il dodgeball (si, tornerà a colpire) e la gita a Boston. Vedrete come si svilupperà la cosa ma...attenzione! I prossimi capitoli saranno cruciali e molto densi.
No, non mi sono dimenticata di Killian. Ma piuttosto che buttare lì un pezzo su di lui tanto per, preferisco tenerlo per il prossimo capitolo in cui vedremo cosa sta succedendo in ospedale. 
Sono muy muy muy dubbiosa su questo capitolo, proprio perchè essendo di passaggio, non so dove collocarlo. Mi trovo sempre in difficoltà con questo genere di cose.
Ho immaginato che Belle sia in una fase un po' "instabile". Da una parte vuole ancora farla pagare a Zelena etc., dall'altra c'è la parte matura di lei che le dice di trattenersi. Anche Robertrumple è una spina nel fianco. 
In ogni caso è sempre un piacere per me scrivere, spero che il capitolo vi piaccia, per quanto appunto possa sembrare misero in confronto ad altri e privo di fluff e scene aww o scene divertenti. 
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va. Come al solito ringrazio tantissimo tutti coloro che lasciano splendide recensioni, che aggiungono la storia alle seguite, preferite o ricordate.

♥♥♥ Grazie davvero ♥♥♥
Quindi al prossimo appuntamento, che ho stabilito per, salvo imprevisti, Domenica 15 Marzo.
Un bacione 

Seasonsoflove
 

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Capitolo 32
*** Feels Like We Only Go Backwards ***


It feels like I only go backwards, baby
Every part of me says, "go ahead"
I got my hopes up again, oh no, not again
Feels like we only go backwards, darling



“TU E BELLE CHE COSA?”
Robert scrollò la testa, si alzò e camminò nervosamente fino alla finestra. Si appoggiò sul davanzale e fissò il panorama senza realmente vederlo.
“Ci siamo lasciati.”  Ripeté senza distogliere gli occhi dalle chiome degli alberi che si muovevano leggermente al vento.
Killian si alzò di scatto dalla sedia vicino al letto di suo fratello.
“Cosa ti avevo detto!?” iniziò aggressivo, sbattendo il pugno sul comodino.
“Non fare così tanto rumore. Siamo in un ospedale.” Mormorò l’altro stanco.
“Ti avevo detto che se ti fossi fatto sfuggire Belle ti avrei riempito la faccia di pugni. Ora devo farlo. Mi hai costretto tu.”
Gold si girò e lo guardò senza particolare apprensione o stupore.
“Mi prenderei a pugni da solo se potessi.”
Seguì qualche minuto di silenzio nel quale Robert appoggiò la fronte al vetro e Killian si lasciò ricadere sulla sedia stremato.
“Che casino hai combinato?” si informò infine.
“Ho…baciato un’altra. Circa.” Esalò senza forze.
“Fai schifo.” Commentò Jones fissando lo schermo dell’elettrocardiogramma.
“Lo so. E c’è di peggio.”
Esitò. Non sapeva se voleva parlarne, ma non sarebbe riuscito a tenersi il peso dentro ancora a lungo senza scoppiare a piangere o…senza scoppiare e basta.
Il vento continuava a soffiare leggero e le persone sembravano godersi la primavera.
Il mondo sembrava godersi la primavera. Il mondo, tutti quanti, tranne lui, Robert, e ovviamente Killian.
“Lei non verrà a New Haven. Ha vinto la borsa di studio e andrà a Boston e io…”
si girò disperato “Io credevo sarebbe venuta con me e che avremmo sistemato tutto. Invece…invece no. E quando me l’ha detto…ho davvero sbottato. Le ho detto una cosa cattiva.”
Forse l’amico gli avrebbe risposto qualcosa, magari gli avrebbe finalmente tirato un pugno, ma in quel preciso momento la porta di vetro che dava sulla corsia si aprì ed entrò un’indaffarata infermiera.
Mentre la donna controllava che tutto fosse regolare,  Killian sbuffò arrabbiato.
La sua ira e la sua esasperazione parvero sgonfiarsi.
“Ti sei proprio scavato la fossa da solo.”
Robert annuì avvilito. E non faceva che peggiorare.
 
 
Le parole di Killian Jones si rivelarono tragicamente vere.
Nei giorni seguenti all’incidente in palestra, Belle prese ad evitare sempre più sistematicamente Robert.
Quando lo vedeva cambiava lato del corridoio o si spostava precipitosamente nella bancata dietro se accidentalmente si trovavano vicini in classe.
Se prima avevano cercato comunque di comportarsi civilmente, dopo la partita di dodgeball era guerra aperta. O meglio, una fredda guerra aperta. Non si salutavano, non si guardavano nemmeno negli occhi. Era come se non si fossero mai conosciuti.
Non che Robert volesse continuare in quel modo, questo no, ma sentiva di aver irrimediabilmente spezzato qualcosa con la frase detta in infermeria. Non era una grande frase, non era un insulto mirato, ma l’aveva detta col cuore, si era sentito così arrabbiato e ferito che in quel momento le avrebbe detto tutte le cattiverie del mondo.
L’idea che sarebbe partito da solo per New Haven (a ben voler vedere non proprio solo, Regina sarebbe stata con lui) lo tormentava e gli faceva provare un orribile miscuglio di sensazioni: rabbia, disperazione, delusione e frustrazione. Non sapeva nemmeno più dove incanalare tutte le emozioni che in quel momento governavano la sua vita.
Belle dal canto suo, si era completamente concentrata sui risultati scolastici e sul giornalino, che dopo la prematura dipartita di Robert e Killian, aveva perso un esiguo numero di iscritti.
“Piccole merde.” Aveva mormorato Tink, non vedendo arrivare il solito gruppetto di ragazzine del primo anno. “Lo sapevo che erano qui solo per la popolarità.”
Belle aveva annuito tristemente, così a quel punto Tink si era alzata e parlando molto forte e con estrema convinzione aveva dichiarato che “tanto quelle sgualdrinelle non sapevano nemmeno scrivere.”
Regina, ormai diventata in qualche assurdo e curioso modo, la migliore e unica amica di Robert, era nel complesso serena.
Aspettava placidamente la gita a Boston che si sarebbe tenuta durante la seconda settimana di maggio. Per il resto, continuava ad allenarsi e a fare ciò che aveva sempre fatto. Come ad esempio, frequentare Emma Swan nel modo più innocente e amichevole che conoscesse, evitare Zelena ed essere estremamente accondiscendente con Cora.
 
 
Aprile giunse al termine e maggio portò con sé qualche novità: Killian tornò a scuola. Passava i pomeriggi accanto al fratello e le mattinate a scuola. Non vi erano segni di miglioramento ma i signori Jones avevano dichiarato che Killian doveva tornare a scuola o rischiava di perdere l’anno.
In realtà non il ragazzo non andava tutti i giorni, ma quando lo faceva, Tink appariva immediatamente al suo fianco, pronta ad aiutarlo a “recuperare le lezioni perse”.
Così Belle si trovò relativamente sola.
Aveva ancora Ariel ed Anna, certo, ma non aveva con loro il tipo di rapporto che aveva con Tink.
Tink e Belle avevano discusso a lungo dopo ciò che era successo durante la partita e Belle aveva riferito all’amica cosa Robert le aveva detto in infermeria.
A quel punto di comune accordo, avevano deciso di escluderlo dalla loro vita.
In tutto quello, Robert stesso, superata la fase della rabbia e della delusione, era entrato ormai in un vizioso circolo di apatia totale: l’unica cosa di cui gli importava era rendere felice il piccolo Bobik.
E i giorni passavano, lenti ed inesorabili.
 
  
Il cinque maggio, Belle si alzò alle sette in punto e caracollò verso la cucina.
Mise su il tè e si sedette al tavolo.
Suo padre era rincasato tardi la sera prima e stava ancora dormendo, così la casa era immersa nella quiete mentre fuori le prime macchine dei lavoratori passavano per la via, dritte verso il centro di Storybrooke.
Belle provò uno strano vuoto allo stomaco osservando il calendario.
Un mese prima era andata alla festa di Tink con Robert.
Solamente un mese prima.
Sembravano passati secoli e allo stesso tempo neanche una settimana.
Da quanto si erano lasciati? Due settimane? Tre?
Non aveva importanza.
Continuava a pensarci. Non tutto il giorno, la delusione e il dolore cocente dei primi giorni aveva cessato di farsi sentire: no, era più un insistente sensazione di desolazione.
Si sentiva vuota. Poteva divertirsi, scherzare con Tink, Ariel e con chiunque, poteva ridere davanti alla televisione con suo padre, ma poi quel fastidioso pensiero tornava a tormentarla.
E pensava a lui quando qualcosa glielo ricordava, e di piccole e odiose cose che le ricordavano Robert ce n’erano davvero tante in quella stupida città.
Il tè con la cannella e i gelati ad esempio.
O Granny’s e gli hamburger.
La casa di Tink, il dalmata del dottor Hopper, la camicetta che lui le aveva regalato, la biblioteca.
Ma Belle si era ripromessa di essere forte.
Non si sarebbe lasciata abbattere, sapeva fin troppo bene che ogni dolore, per quanto grande, ad un certo punto inizia a rimpicciolirsi.
Suo padre le aveva detto che essere forti non significa reprimere i propri sentimenti e Belle sapeva che era vero. Quindi aveva semplicemente deciso di andare avanti.
Certo, c’erano momenti in cui la sera le veniva da piangere o le volte in cui per sbaglio incrociava Robert nei corridoi e sentiva il cuore salirle fino alla gola: ma andava avanti. Aveva le sue cose da fare, le sue interrogazioni, gli esami di fine anno da preparare e tanto le bastava.
Così decise che quel cinque maggio avrebbe semplicemente riconosciuto il fatto che era passato un mese dalla festa a casa di Tink, avrebbe riconosciuto che le faceva male pensarci, dopodiché si sarebbe vestita e sarebbe andata a scuola.
 
Anche Robert ci pensò.
Fu la prima cosa a cui pensò appena sveglio.
E si chiese se Belle se lo ricordasse, se ci stesse pensando anche lei, se magari gli avrebbe scritto qualcosa…
No, lei sarebbe andata a Boston: aveva scelto la strada più lontana da lui e non valeva la pena pensarci.
Così anche Robert si preparò e si diresse verso scuola.
 
Ciò che nessuno dei due si aspettava in alcun modo, era la presenza di un terzo incomodo in quel giorno infelice.
Alle dieci del mattino, Belle uscì rapidamente dall’aula di filosofia e camminò spedita verso il suo armadietto.
Lì trovò una curiosa sorpresa ad aspettarla.
Will Scarlet, il ragazzo che aveva giocato in squadra con lei durante la partita di dodgeball, era appoggiato al muro proprio attaccato al suo armadietto.
Si bloccò, incerta sul da farsi.
Cercava lei?
Evidentemente sì, perché non appena la vide si mosse verso di lei e la salutò con un gesto quasi brusco.
“Ciao. Sono Will, non so se ti ricordi di me, abbiamo-“
“Mi ricordo. La partita.”
Lui annuì e la guardò un po’ perplesso.
Lei fece altrettanto.
Aveva un viso buffo in qualche modo, i lineamenti squadrati, grandi occhi scuri, i capelli molto corti e le orecchie sporgenti. Nel complesso era gradevole, con il suo giubbotto di pelle e una strana espressione quasi affranta.
“Cerchi…hai bisogno di qualcosa?” chiese poi.
“In realtà no. Volevo solo chiederti come stavi e se il tuo naso era tornato al suo posto.”
Belle inarcò le sopracciglia.
“Il mio naso è sempre stato al suo posto.”
“Sì, hai capito cosa intendo no? Tutti dicevano che si era storto e che quella tipa rossa ti aveva rovinato la faccia e non sarebbe stato carino…”
La ragazza constatò che nonostante i modi di fare un po’ strani e un curioso accento, Will sembrava simpatico.
“Sto bene.” Disse infine.
“Ottimo. Che diamine, se fossi riuscito a tirarle una pallonata in faccia…”
Fece un gesto esplicito e poi mormorò di nuovo “che diamine.”
Belle sorrise.
“Apprezzo la cavalleria.”
Avrei voluto vedere Robert tirarle una pallonata in faccia.
“Ora dovrei andare. Comunque sono felice che il tuo naso sia ancora dritto”
“Sì…sì sono felice anche io.” Asserì Belle placidamente.
Will si allontanò con le mani in tasca; ad un certo punto si girò e le fece un altro cenno con la mano e urlò “Ci vediamo in giro!” poi sparì in un’aula.
Lei aprì il suo armadietto e iniziò ad infilare dentro alcuni libri, pensando che Will era stato davvero gentile a chiederle come stava e che forse in quella scuola c’era ancora qualcuno di umano e compassionevole.
Poi, mentre sistemava le sue cose, con la coda dell’occhio vide Robert.
Ormai ci aveva fatto l’abitudine, a riconoscerlo rapidamente in modo da poterlo evitare o semplicemente da poter infilarsi in qualche aula vuota o in qualche bagno.
Ma non c’era nessun posto dove nascondersi e Belle sapeva perfettamente che lui l’aveva vista parlare con Will e che quel giorno sarebbe stato un giorno importante per loro se fossero stati insieme, sarebbe quasi stato il loro mesiversario ( in realtà consideravano la “loro” data il giorno di San Valentino), sarebbe stato un mese dalla loro prima volta, un mese da quando si erano detti che si stavano innamorando…
Spinta da una forza misteriosa si girò anche lei ed incontrò il suo sguardo.
Non sapeva perché l’avesse fatto, forse una parte di lei voleva sfidarlo, forse voleva solo vederlo e capire se anche lui ci aveva pensato quella mattina…
Durò un momento. Poi Robert si girò e proseguì dritto, teso come una corda di violino, mentre Belle raccolse la sua borsa e camminò tremante nella direzione opposta.
 
Altri giorni passarono e Belle non poté fare a meno di notare che lei e Will si incontravano spesso nei corridoi e lui la salutava con entusiasmo.
Anche Tink glielo fece notare ma Belle decise di glissare.
 
Anche Robert lo notò.
Inizialmente cercò semplicemente di non farci caso. La sera del cinque maggio, a casa sua, si concentrò con tutte le sue forze sul film che stava guardando, pur di non pensare a Belle che chiacchierava col suo nuovo amico.
E i giorni seguenti vide Will Scarlet aggirarsi spesso nei paraggi dell’aula studio dove sapeva benissimo che Belle era solita stare.
Non sembrava che il ragazzo avesse molti amici.
“Probabilmente vuole solo delle amiche” si diceva Robert.
Cercava di non pensarci.
Non doveva pensarci, o sarebbe impazzito.
 

Uno dei giorni della seconda settimana di maggio, Emma entrò in classe con passo spedito.
Regina che fino a quel momento aveva avuto la testa appoggiata sul banco, si rialzò immediatamente e si sistemò automaticamente i capelli.
“Calma i bollenti spiriti.” Le sussurrò Robert.
Lei lo fulminò con lo sguardo e si girò fissando ostinatamente la lavagna. Pregò di non essere arrossita.
“Bene, buongiorno.” Esclamò Emma. Sorrise alla classe, dopodiché appoggiò la borsa sulla cattedra e vi rovistò dentro alla ricerca di qualcosa. Un mucchio di fogli comparve tra le sue mani e venne abbandonato sul legno massiccio.
Si schiarì la voce.
“Un po’ di tempo fa vi avevo consegnato le autorizzazioni per la gita a Boston. Vi avevo chiesto espressamente” sottolineò con cura l’ultima parola “di riportarmele entro breve tempo e devo ammettere che siete stati piuttosto bravi, anche se alcuni di voi si sono rifiutati di darmi una conferma. Gold, sto parlando con te, sì.  Sto ancora aspettando, sappiatelo. Ora…l’università mi ha consegnato alcuni questionari che vi distribuirò…giusto per sapere che tipo di programma organizzare in modo che la visita si riveli…utile.”
Attese brevemente un responso che però non giunse.
“Beh insomma, dovete portarmeli compilati…non…non dovrebbe essere difficile.”
Osservò dubbiosa il plico di fogli sulla cattedra.
Qualcuno mormorò qualcosa e una ragazza in prima fila si stiracchiò assonnata.
Emma sgranò gli occhi. Nessuno sembrava particolarmente entusiasta, così calcò la mano.
“Vedrete…la gita sarà divertente! La sera alcuni studenti del campus si sono offerti per farvi da guida nei più…più bei locali del posto.”
Belle sbuffò ma i metodi di convincimento della Swan sembrarono ridestare l’attenzione di alcuni studenti.
“Io vado. Ho consegnato l’autorizzazione la settimana scorsa.” Bisbigliò Regina a Robert.
“Cosa? Ma perché?”
Lei alzò le spalle e non rispose.
“Ma tu verrai a Yale con me, vero!? Non puoi abbandonarmi anche tu per Boston! Quella città fa schifo!” sussurrò concitato.
Regina alzò gli occhi al cielo.
“Anche la French andrà comunque.” Disse poi, indicando Belle, mentre Emma continuava a parlare.
Gold tamburellò nervoso.
“Lo so.”
“E tu non pensi di venire?”
Lui esitò.
“Non lo so. Non ci avevo neanche pensato.”
Regina stava per ribattere quando Emma Swan si schiarì la voce.
“Regina? Hai qualcosa da dire che ti piacerebbe condividere con la classe?”
La ragazza strinse gli occhi e scrollò le spalle infastidita, guardando altrove e sentendo le guance bollenti.
 
Quando un’ora dopo, tutti gli studenti uscirono dalla classe, Regina aveva occhi solo per il mezzo sorrisetto di sfida che Emma le dedicò mentre varcava la porta.
Robert si diresse velocemente in aula studio, afferrò quella stupida autorizzazione che aveva abbandonato nella borsa settimane prima, la guardò a lungo e decise infine di compilarla.
Forse non avrebbe ottenuto nulla, o magari la fortuna gli avrebbe sorriso e avrebbe sistemato le cose.
Valeva la pena di tentare.
 
 
Tink scrutava dubbiosa il questionario della Boston University che Emma Swan le aveva consegnato.
Erano un mucchio di domande inutili alle quali lei conosceva già tutte le risposte.
Che materie le interessavano, che corsi le sarebbe piaciuto frequentare…
Non sapeva nemmeno perché stesse andando a quella gita in realtà.
Aveva scelto quel college almeno due anni prima, si era già candidata e aveva avuto anche le conferme che voleva dall’università stessa.
Avrebbe letteralmente gettato nella spazzatura tre giorni di preziosissimo week-end che avrebbe potuto utilizzare studiando o andando in palestra.
Insomma, facendo cose nettamente più utili.
Le dispiaceva lasciare Belle da sola. Quella era la loro avventura e entro pochi mesi sarebbero salpate insieme per Boston…come potevano pretendere di partire insieme se lei nemmeno la accompagnava alla prima visita?
La prima impressione era importante.
Belle veniva da una grande delusione e Tink doveva aiutarla.
Così iniziò a compilare di malavoglia quel questionario, stravaccata sul letto e con la mente altrove.
La porta della sua camera si aprì all’improvviso.
“Mamma!” protestò scandalizzata, scattando a sedere “Ti ho chiesto mille volte di bussare!”
Sua madre la scrutò con attenzione, poi parlò.
“C’è qualcuno per te.”
Tink la guardò stupita.
“Come?”
“C’è qualcuno per te…nell’ingresso.”
“Chi è?”
La donna incrociò le braccia.
“Un ragazzo. Abbastanza carino.”
Tink pregò che non fosse Robert, venuto da lei con qualche scusa per provare a parlare con Belle.
Non che fosse accaduto ultimamente.
Dal loro ultimo disastroso dialogo in infermeria, non c’era stato più nessun tipo di contatto.
Certo, la ragazza ogni tanto si chiedeva se la collanina che era depositava in fondo al suo cassetto andasse restituita al legittimo proprietario, o forse alla legittima proprietaria dato che era un regalo…in ogni caso, cercava di non pensarci. Era passato e il passato bisognava lasciarlo alle spalle.
Era la cosa giusta, o almeno così aveva deciso.
Sua madre la guardò mentre lei la oltre passava.
“Dovresti smetterla di indossare il verde, ti sbatte troppo.” Commentò.
Tink si girò stizzita.
“Magari quando tu la pianterai di vestirti sempre di blu.” (*)
Scese i gradini a due a due, preparandosi ad un eventuale sberlone da tirare a Robert, ma rimase stupita da ciò, o meglio, da colui che la stava aspettando nell’ingresso.
Killian era appoggiato al muro con lo sguardo fisso e le guance rosse.
Per un momento, la ragazza tremò e pensò il peggio.
Che fosse…
Jones alzò lo sguardò su di lei e sorrise.
“Indovina un po’!” esclamò poi, allargando le braccia.
Tink arrivò nell’ingresso col cuore a mille.
“Sta…tuo fratello si è…”
“Sì.”
Nessuno dei due disse nulla.
Poi Killian iniziò a ridere.
“Mi ha chiesto se potevo portargli una birra. Mia madre ha iniziato a sclerare e a dirgli che è un idiota.”
Tink sorrise felice, poi si avvicinò al ragazzo e lo abbracciò.
Qualcosa la spinse ad alzare il volto e a portarlo vicino a quello di Jones, che sogghignò candidamente.
“Beh?” Mormorò.
In quel preciso momento, la madre di Tink si schiarì la voce in modo piuttosto vigoroso dalla stanza accanto.
Entrambi si staccarono precipitosamente mentre Killian si sistemava immediatamente i capelli e la giacca di pelle.
“Mia madre è una puritana.” Bisbigliò Tink furente.
“Beh tesoro, penso che avremo tempo di recuperare.”
Lei annuì.
“Comunque volevo chiamarti ma poi…ho pensato di dirtelo a voce. Perché…perché sono davvero felice.” Continuò Jones. Era palesemente emozionatissimo.
“Hai fatto bene.” Replicò Tink con un sorriso.
Poi ripensò al questionario che la attendeva di sopra.
E improvvisamente, prese una decisione.
“Sei libero nel week-end?”
Killian si grattò la barba dubbioso.
“Sì. Insomma, non so quanto sarò libero, dipende da come vanno le cose ma…”
“Allora potremmo uscire insieme. Se tutto va bene, insomma. Così potresti distrarti e rilassarti. Ecco. Dopo tutta quest’ansia...se ti va…” Concluse precipitosamente lei.
La risposta che ottenne fu un sorriso sempre più sornione.
Un po’ le era mancato quel sorriso, vedere Killian in quello stato per tutte quelle settimane si era rivelato devastante. Ma ora forse le cose iniziavano ad andare per il verso giusto…
“Mi piacerebbe. Ma tu non dovevi andare a Boston a vedere…quella roba che chiamate college?”
Tink negò precipitosamente.
“No, io ho già scelto, andrò lì e non mi serve visitarlo. E’ solo una perdita di tempo.”
Lui annuì.
“Capito.”
Dopo qualche secondo di silenzio, parlò ancora.
“Dovrei scappare ora. In ospedale intendo…”
“Lo so.”
La biondina fece un passo in avanti, poi si bloccò.
Gli fece segno di aspettare, si mosse rapidamente verso la porta e controllò il soggiorno.
“Beh?”
Lei zampettò veloce verso Killian e gli scoccò un rapido bacio a stampo.
“Ecco fatto.” Mormorò.
Killian rimase un momento stordito.
“Wow.” Disse poi leggermente frastornato, toccandosi le labbra.
“Ora sparisci. Fila da tuo fratello.” Bisbigliò Tink, incrociando le braccia e guardando altrove.
Lui annuì felice.
Quando era già a metà del vialetto, la porta si aprì e Tink comparve sulla soglia.
“Sono davvero felice per te.” Esclamò lei, prima di sparire di nuovo dentro casa.
 
Poco dopo chiamò Belle.
Ci volle mezz’ora buona per calmare l’amica e spiegarle che lei, Tink, sarebbe rimasta a casa nel week-end perché era assolutamente necessario, perché il fratello di Killian finalmente si era svegliato…
Alla fine Belle acconsentì.
Non solo.
Il giorno dopo si recarono in ospedale, anche Robert si recò in ospedale (non si incontrarono ma ci mancò davvero poco) e almeno qualcosa sembrò andare per il verso giusto.
Il giovedì prima del fatidico week-end, Killian fece un discorso molto serio a Robert.
“Io dico che a Boston devi riconquistarla.” Disse saggiamente, sorseggiando un caffè alla macchinetta della corsia del reparto. “E lo dice anche Liam. E sappiamo che puoi farcela. Ma devi giocartela bene. Perciò vai, con la benedizione dei fratelli Jones.”
Ma Robert dubitava fortemente che a Boston avrebbe riconquistato Belle.
“Ma hai davvero intenzione di rinunciare a lei!?”  Aveva abbaiato Killian furente.
“Non c’è più nulla da fare! Sono…sono settimane che è finita. Basta! Non capisco perché…perché continuiamo a discuterne.”
L’amico aveva scosso la testa.
“Sei proprio un caso perso.”
 
 
 
Il momento della partenza arrivò sorprendentemente veloce.
Quella mattina Belle si preparò e per la prima volta dopo tante settimane, si sentì felice.
Sarebbe andata a Boston a vedere l’università che avrebbe frequentato.
Certo, Tink non ci sarebbe stata, ma Ariel sì.
E poi ci sarebbe stato Will, il loro nuovo amico che era davvero gentile e simpatico e aveva quell’accento così ridicolo e le faceva tanto ridere.
Gliel’aveva detto due giorni prima, in biblioteca, quando era passato con un volume di Alice nel Paese delle Meraviglie in mano e ne aveva approfittato per sedersi vicino a lei e scambiare due parole.
Quando prima di uscire di casa, valigia in mano e borsa nell’altra, Belle si avvicinò al divano, trovò suo padre concentrato su letteralmente un mucchio di frittelle col cioccolato.
“Dovresti andarci piano con quelle.” Disse severamente.
Lui le guardò perplesso, dopodichè alzò lo sguardo.
“Hai ragione. Ma mi piacciono tantissimo…”
Belle sorrise e lo strinse con affetto.
“Fai la brava.” Mormorò lui.
“Fai il bravo anche tu.”
Lui le baciò la testa con fare burbero, poi borbottò un “a lunedì.”
La ragazza uscì di casa e respirò l’aria del mattino a pieni polmoni.
Sarebbe stato un bel week-end.
Dopo un mese di ansia, tristezza e desolazione se lo sentiva, sarebbe stato un bel week-end: avrebbe respirato aria di college per la prima volta.
 
 
 
Robert era nervosissimo.
Controllò la sua valigia almeno dieci volte. Controllava e ricontrollava di avere tutto, di aver preso i vestiti migliori che aveva e le scarpe lucide che gli piacevano tanto e gli facevano sempre fare un’ottima figura.
All’ultimo momento si ricordò di aver dimenticato lo spazzolino da denti così corse a prenderlo.
Dopodiché spiegò per la terza volta quella mattina, a sua madre, il rituale a cui Bobik era abituato, come andava sfamato e quante volte bisognava portarlo fuori.
La donna annuì pazientemente di fronte alla grande premura del ragazzo.
Lui, dopo aver letteralmente lanciato la valigia in macchina, tornò un momento in casa.
Il dalmata gli corse incontro e iniziò a gironzolargli intorno alla gamba agitatissimo.
“Bobik.” Esordì solennemente Robert “Papà sta partendo.”
Lui alzò lo sguardò e guaì forte.
Il ragazzo si chinò e lo accarezzò.
“Starò via solo pochi giorni e poi saremo di nuovo insieme. Te lo prometto, piccolino. Non piangere, ti prego.” Mormorò.
Lo strinse forte e si lasciò leccare la mano, allontanandosi poi col cuore pesante.
A metà tra il nervoso, il triste e l’emozionato, uscì di casa.
Respirò a fondo.
La vita non era mai stata clemente con lui e non si riteneva una persona particolarmente fortunata, ma quelle ultime settimane erano state letteralmente infernali. Non poteva di sicuro andare peggio di così.
Magari finalmente le cose sarebbero cambiate, magari no, ma forse valeva la pena sperarci.
Non sapeva cosa aspettarsi da quel week-end ma aveva una strana sensazione di
leggera euforia che gli faceva pensare che tutto sarebbe andato per il meglio.
Era la prima volta in quasi un mese di solitudine, che finalmente vedeva una possibile, fiochissima speranza. E aveva intenzione di sfruttarla al meglio.
 
 
Regina si guardò intorno piena di aspettativa.
Alla stazione di Storybrooke, molti dei suoi compagni dell’ultimo anno si stavano preparando a lasciare la cittadina.
Emma Swan e miss Blanchard stavano facendo l’appello per controllare che gli studenti fossero tutti presenti.
Poco più in là, Regina vide con la coda dell’occhio Belle ed Ariel, che sembravano entrambe molto emozionate.
Poi finalmente Robert arrivò correndo, i capelli spettinati e la valigia mezza aperta.
“Beh!?” abbaiò Regina quando lui si fermò proprio di fronte a lei.
“Ho…ho dovuto salutare Bobik. Poi sono uscito di casa, ma mi sono ricordato di essermi dimenticato di avergli comprato il mangime che piace a lui e sono dovuto tornare a-“
“Fermati. Ho appena realizzato che non mi interessa.”
Lui le scoccò uno sguardo rancoroso e si chinò per riprendere fiato.
Belle, lì vicino, li ignorò completamente.
“Ti proibisco di iniziare a guardarla di sottecchi con quella faccia da cane bastonato che ti contraddistingue.”  Disse poi Regina secca, controllando il cellulare.
Robert sbuffò.
“Non l’ho guardata, giuro.”
“Ah davvero? E allora come sai che è già qui?”
Non ottenne risposta.
Altri studenti arrivarono e pian pianino, Emma lì radunò intorno a lei. Prese rapidamente il foglio che miss Blanchard le stava porgendo, si schiarì la voce e sorrise.
Robert notò, sentendo una famigliare sensazione di vuoto allo stomaco, che Will Scarlet si era posizionato vicino a lei.
Provò uno strano desiderio di prenderlo a pugni e poi prendere a pugni sé stesso.
A fatica, distolse lo sguardo e lo puntò su Emma.
“Allora…tutti pronti?” provò sorridendo.
Qualche debole cenno di assenso dalle fila degli studenti assonnati.
“Saliremo sul treno che…che sta per arrivare.” Si interruppe e guardò lo schermo degli orari.
Regina ridacchiò.
Si vedeva che era nervosa e che stava cercando di essere autoritaria e al tempo stesso amichevole.
“Il viaggio durerà circa cinque ore e ci fermeremo a Portland per cambiare treno. Fate i bravi e…cerchiamo di divertirci con...con responsabilità. Ecco.”
Annuì per farsi forza.
“Una volta arrivati a Boston dovremo prendere…una navetta, credo…” scrutò dubbiosa una cartina che aveva in mano “Sì. E arriveremo al campus. Sulla navetta, oppure direttamente al campus, ci sarà una persona ad accoglierci e lì ci daranno tutte le direttive.”
I ragazzi rimasero in silenzio.
“Bene, allora…partiamo!” esclamò Emma.
E appena arrivò il treno, partirono.
 
 
Fu un viaggio lungo ed estremamente tedioso.
Quello di Robert fu rovinato dal fatto che Will si era seduto nel posto accanto a Belle e di fronte ad Ariel.
Regina si appollaiò, non senza commentare la sporcizia del treno (“saremmo dovuti andare in macchina), accanto a Robert.
Un’ora dopo si alzò per andare in bagno.
Tornò furibonda e ben decisa a denunciare i servizi ferroviari per lo stato delle toilettes.
Robert non la ascoltava.
Fissava inerme le file di alberi che si susseguivano nella campagna del Maine.
Immaginò che Belle avrebbe fatto quel viaggio con Tink, la sua migliore amica, e magari con Will in un futuro non molto lontano.
Si chiese come mai non fosse rimasto a casa e gli tornarono a mente le parole di Killian.
 

“Posso farti una domanda?” esordì Ariel, emergendo dal suo numero di Vogue.
Belle abbassò il libro che stava leggendo ed annuì.
Will dormiva beato accanto a loro, gli auricolari nell’orecchie.
“Perché Gold è venuto a Boston?”
La ragazza non rispose.
Si domandava la stessa identica cosa da quando lo aveva visto in stazione.
Per un momento aveva creduto di essersi sbagliata, lui sarebbe andato a Yale e non vedeva l’utilità di presentarsi a quella gita…ma no, era lui, era davvero Robert, inconfondibile nella sua postura rigida che assumeva quando era nervoso e con quell’espressione corrucciata.
Belle aveva sentito lo stomaco capovolgersi ma aveva immediatamente rivolto l’attenzione altrove. In questo Will l’aveva aiutata, aveva fatto un’imitazione della Blanchard che l’aveva fatta ridere e rilassare.
Ma sapeva che nonostante tutto, Robert era lì.
E non riusciva a togliersi dalla testa che fosse venuto là per vedere dove lei, Belle, sarebbe andata.
Così provava un miscuglio di irritazione e una sorta di soddisfazione nel sapere che in qualche modo, lui ancora si interessava alla sua vita.
“Credo che sia venuto a Boston…perché voleva avere una scusa per non dover studiare questo week-end.” Disse semplicemente.
“Scusa se te l’ho chiesto.” Replicò Ariel tristemente. “Non volevo però-“
“Non fa niente. Sto bene, davvero. Ci divertiremo.”
Sorrise.
 
 
Arrivarono a Boston con due ore di ritardo.
Regina era letteralmente furibonda e aveva già preso a male parole una povera ragazza del loro anno che aveva osato “guardarla male”.
Inutile dire che Emma aveva dovuto correre ai ripari prima che il tutto degenerasse.
All’arrivo al campus vennero velocemente smistati nelle loro camere. Fu un processo lungo e doloroso, fatto di proteste e parecchi litigi.
Robert finì con un certo Robin Loxley (**). Qualcuno fece notare che Robert e Robin suonavano davvero bene come compagni di stanza. Gold non lo trovò affatto divertente.
I ragazzi vennero comunque lasciati liberi per quella sera.
Alcuni andarono a cercare pub abusivi in cui infilarsi nonostante la minore età, altri rimasero in stanza.
Belle ed Ariel passarono la serata chiacchierando tranquillamente mentre Robert e Regina riuscirono a procurarsi una meravigliosa bottiglia di whiskey che condivisero con grande spirito di cameratismo.
 
 
Il giorno dopo, Emma aveva fissato l’incontro con la responsabile dell’orientamento della Boston University per le nove.
I più ritardatari, tra i quali proprio Regina e Robert, ancora leggermente storditi dalla serata precedente, arrivarono intorno alle nove e mezza. Il sole splendeva alto e l’aria era calda: nel complesso, non avrebbero potuto chiedere una giornata migliore.
“Bene. Ci sono tutti.” Esordì Emma, scoccando un’occhiata di disapprovazione alla coppia appena arrivata.
La donna che si occupava dell’orientamento iniziò a parlare.
Parlò a lungo e dopo dieci minuti l’attenzione generale era calata.
Disse che per quella mattina avrebbero visitato il dipartimento di chimica e scienze: li avrebbero smistati in coppie per quei due giorni e li avrebbero messi alla prova con delle semplici simulazioni di quelli che potevano essere i primi esperimenti richiesti durante i corsi.
“Il foglio con le coppie…signorina Swan…”
Miss Blanchard richiamò tutti gli studenti e il gruppo si strinse.
“Ah bene.” Iniziò Emma. Aprì il foglio. “Ah, sono in ordine alfabetico.” Commentò.
Belle sbuffò.
Non sarebbe stata con Ariel.
“Che palle” mormorò lei.
Emma cominciò a leggere i nomi e man mano che le coppie venivano formate, si disponevano vicino alla professoressa.
Finalmente…
“French, Glocke.”
Belle fece un passo in avanti mentre Robert strinse gli occhi per vederla meglio nell’accecante luce del sole.
“Glocke non c’è.” Ricordò la ragazza ad Emma.
“Ah sì, dannazione, ho dimenticato di scriverlo alla segreteria…” Si beccò un’occhiataccia dalla Blanchard.
Regina ridacchiò mentre Emma, tenendo il foglio in bocca, cercava una penna nella borsa. Dopodiché cancellò il nome di Tink dalla lista.
Improvvisamente il cuore di Gold fece una doppia capriola nel petto.
La sua mente, abbastanza sveglia rispetto a quella degli altri, aveva già fatto due rapidi calcoli.
E forse…
“La ragazza ha avuto un’emergenza a casa e non è potuta venire.” Spiegò Emma sbrigativa, rivolgendosi alla loro responsabile.
Belle si grattò la testa nervosa.
“Allora…French…la prossima è…ah no, scusa, il prossimo è Gold.”
La ragazza non disse nulla.
Si limitò a fissare con sguardo stralunato Emma.
“Gold?” chiese a bassa voce alla professoressa.
“Sì.” Rispose lei con semplicità. “Gold dove sei?” esclamò poi.
Robert caracollò in avanti come in trance, tenendo stretta la sua borsa e raggiungendo il posto a fianco di Belle.
“Eccomi qui.” Dichiarò impettito.
Regina scosse la testa nella fila.
Quello era stato davvero un colpo di fortuna enorme.
Belle però non si mosse.
“Mi scusi ma non è possibile per noi…scegliere il nostro compagno?” chiese poi ad Emma.
Lei inarcò le sopracciglia e guardò la Blanchard.
“Belle, la lista è questa.”
“Ma…”
Sentì la terra sprofondarle sotto i piedi.
Non voleva.
Era l’ultima cosa che voleva al mondo.
Gli altri studenti li guardavano incuriositi mentre Robert fissava dritto avanti a sé, incapace di muovere un muscolo, cercando di nascondere il tripudio di euforia che gli era appena scoppiato nel petto.
Ma Belle non voleva lavorare con Robert.
Non voleva trovarsi due giorni a stretto contatto con lui, non voleva parlargli, non voleva neanche guardarlo, ma non aveva scelta…
“Andiamo avanti: Jones e Loxley.”
“Non c’è neanche Jones.” Bisbigliò la Blanchard.
Emma sbuffò sonoramente e cancellò anche il suo nome. Cominciava ad odiare quella mansione.
Belle perse il conto di tutti i nomi che vennero fatti.
“Lo so che non è il massimo.”
Era il mormorio di una voce che lei conosceva fin troppo bene.
Non rispose.
“Ma cerchiamo…di fare funzionare la cosa, okay?”        
No pensò Belle.
Non funzionerà mai.







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Feels Like We Only Go Backwards - Arctic Monkeys (cover Tame Impala)


(*) La mamma di Tink...è...LA FATA TURCHINA. Sorpresa! Siete contenti vero? So che la amate.
(**) Robin of Loxley: se non erro, dovrebbe essere un altro nome per identificare Robin Hood. Ammetto di non essere una grande fan di questo personaggio, ma avrà anche lui la sua parte!



Ciao babies <3
Un giorno di ritardo causa connessione orripilante, ma eccomi qui.
Dunque, cosa dire?
E' un altro capitolo di passaggio, lo so, mi dispiace davvero ma...era necessario pure questo. 
Lo so che SwanQueen e Rumbelle sono in una situazione di stasi, ma questo capitolo è un po'... "calm before the storm". Infatti vi anticipo che i prossimi capitoli saranno molto, moooolto intensi. Ma proprio molto, per ogni personaggio.
Ci sarà angst, ci sarà fluff, ci sarà qualche comparsa inaspettata...ci saranno tante cose.
Quindi sì, questo capitolo è molto scarno, ma spero che si rivelerà propedeutico a ciò che sta per arrivare.
Quindi allacciatevi le cinture, non è finita qui. Nè per Robert, nè per Belle, nè per Tink o Killian o Regina o Emma...i nodi verranno al pettine!
Che altro dire? Vi ringrazio come sempre del sostegno qui su EFP, al gruppo di matte su whatsapp/skype/facebook, e  anche a quei pazzi che ogni tanto mi scrivono su twitter...siete bellissimi *^*
Fatemi sapere cosa ne pensate se ne avete voglia! Un bacione dearies, e alla prossima (Domenica 29 marzo - con un possibile giorno di ritardo LOL )!
Seasonsoflove!

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Capitolo 33
*** Time after time ***


If you're lost you can look 
and you will find me 

Time after time 
If you fall I will catch you
I'll be waiting 

Time after time 



Belle French in quel preciso istante, si considerava la ragazza più arrabbiata del pianeta.
Avrebbe volentieri mandato tutti a quel paese, avrebbe raccolto le sue valigie e se ne sarebbe andata a casa se avesse potuto.
La vita era proprio infida: Belle ce la metteva tutta per sorridere, per farsi forza ed andare avanti, per ignorare gli incidenti di percorso e considerarli, appunto, solo incidenti di percorso. Tutto questo risultava difficile nel momento in cui il fato decideva che per lei nulla era più ottimale di un meraviglioso fine settimana passato a fianco del suo ex ragazzo di cui – anche se evitava di pensarci e di dirlo ad alta voce – era ancora inevitabilmente innamorata.
Anche se in quel momento, per Robert, provava tutto fuorché amore. Provava invece una gran voglia di schiaffeggiarlo.
Non c’era un vero motivo, in realtà non era nemmeno colpa sua, ma in quel momento era lì, immobile, con la sua tipica espressione contrita con le narici tese, e fissava ostinatamente un punto lontano.
E questo per Belle era inconcepibile.
Quella stupida espressione le faceva montare una rabbia indescrivibile.
“Quando hai finito di fare l’ostile, possiamo anche iniziare.” Sbottò infine.
Lui si girò vagamente sorpreso.
“Sei tu che hai iniziato.”
“Come preferisci. Però smettila e diamoci da fare.”
 
Erano nell’aula di biologia dell’università.
Erano stati distribuite loro diverse ricerche: niente di eccessivamente impegnativo ma neanche compiti troppo facili.
“Abbiamo fatto una cosa simile a scuola. Niente di nuovo, se questo è il meglio che possono offrire…” Borbottò Robert, fissando il foglio delle istruzioni ed indossando i guanti.
“Perfetto. Allora spero che tu lo sappia fare.”
Lui finì di mugugnare qualcosa e si sedette, scrutando dubbioso il suo libro senza realmente vederlo.
Se avesse potuto rallentare un momento, fermarsi, fare ordine nei suoi pensieri e nelle sue emozioni sarebbe stato tutto più semplice, o almeno quella era la sua netta impressione.
Era accaduto tutto rapidamente e si era trovato sballottato accanto a lei, a Belle, con davanti due giorni di collaborazione forzata.
Se da una parte non poteva fare a meno di esultare e pensare che a volte la fortuna davvero aiutasse gli audaci e che era stata un’ottima mossa quella di andare a Boston con il resto della classe, dall’altra temeva che quel weekend insieme potesse rivelarsi deleterio.
Che in qualche modo potesse peggiorare la sua situazione.
Così Robert non osava muovere un muscolo: aveva quasi il terrore che improvvisamente Belle decidesse che tutto quello era troppo per lei, che ne aveva abbastanza. Aveva paura che lo lasciasse lì da solo, abbandonato a se stesso, com’era già accaduto in passato.
“Sono dieci minuti che fissi quel libro, credevo che fossero compiti facili per te.” Commentò Belle acidamente, riportandolo bruscamente alla realtà.
Alzò lo sguardò improvvisamente incerto.
“Allora…ci mettiamo al lavoro…?”
La ragazza annuì seria. Lo guardò brevemente, dopodiché si girò dall’altra e prese a ordinare le provette.
 
Iniziarono a lavorare.
Accanto a loro, ai vari tavoli, le altre coppie si dividevano tra quelle impegnate e quelle palesemente svogliate. Tra queste ultime, vi era Regina, in coppia con Kristin, la sua compagna di stanza. Le due sembravano fare tutto fuorché lavorare al progetto.
Belle sistemava i campioni di sostanze che erano stati dati loro, mentre Robert li distribuiva seguendo accuratamente quanto scritto sul libro.
Davanti a loro un noioso uomo sulla quarantina, professore di chimica, spiegava le diverse formule agli studenti e illustrava gli obiettivi del corso.
Non dissero una parola.
A un certo punto, Gold realizzò che la lezione sarebbe finita.
E che loro sarebbero usciti.
Avrebbero dovuto pranzare, il suo stomaco glielo stava facendo prepotentemente presente.
Magari lui e Belle avrebbero potuto mangiare insieme, ad uno dei tavolini del bar dell’università, oppure sul prato di fronte alla loro sede.
Pensò che forse sarebbero riusciti a parlare.
Non voleva forzare le cose, voleva solo riuscire a…parlarle.
Voleva chiederle come stava, come proseguiva sua vita, se davvero avesse intenzione di scriversi a Boston…magari aveva anche intenzione di scusarsi per ciò che le aveva detto in infermeria, per averla aggredita in quel modo quando non ne aveva il diritto…e poi voleva chiederle di Will.
Se le era davvero simpatico, se erano amici, se magari per caso lui fosse interessato ad Ariel…
L’ora di pranzo arrivò e i ragazzi si alzarono mentre Emma Swan ricompariva in aula e spiegava loro come si sarebbero svolte le cose quel pomeriggio.
 
 
“Io ho preso un panino questa mattina.” Disse semplicemente Robert, estraendo un fagottino di carta stagnola dalla borsa.
“Buon per te.” Fu la risposta.
Belle si guardava intorno impaziente.
Voleva trovare Ariel e mangiare con lei.
Oppure con Will.
Voleva scappare da quell’imbarazzante situazione per almeno un’oretta, sfogarsi per bene ed essere pronta ad affrontare il pomeriggio: sapeva che sarebbe stato altrettanto sfiancante.
Verso le undici aveva gettato alle ortiche tutte le sue pretese di eroismo e coraggio e aveva affrontato la dura e cruda realtà: non voleva confrontarsi con quella situazione e non poteva soprattutto, per lo meno non uscendone illesa.
Per un fugace momento aveva accarezzato l’idea di andare dalla Swan e chiederle di cambiare compagno, dirle che Robert non si era dimostrato collaborativo, che era svogliato…poi però le era sembrata una decisione davvero meschina e vigliacca.
Una cosa che probabilmente Robert avrebbe fatto al posto suo.
Così aveva optato per rimanere al suo posto, parlare lo stretto indispensabile e senza comunque essere sgarbata.
Non sapeva se fosse riuscita nel suo intento, soprattutto per quanto riguardava l’ultima parte, ma sperava di sì.
“Possiamo sederci nel prato.”
La frase di Robert la fece cadere completamente dalle nuvole.
“Io non ho da mangiare.” Iniziò evasiva.
Non sarebbe stata maleducata. Sarebbe stata corretta come sempre.
Continuava a ripeterselo.
“Okay…allora possiamo passare prima al bar.” Dichiarò lui indicando il chiosco vicino a loro.
La ragazza si girò di scatto.
“Ho già detto ad Ariel che mangio con lei.”
Lui guardò ostinatamente verso il bar.
“Belle, siamo in coppia insieme”
“Dobbiamo semplicemente lavorare insieme.”
“Ma Belle, mangiare fa part-“
"No."

In quel momento Will apparve in fondo al viottolo di ciottoli che usciva da uno degli edifici del campus.
Robert si irrigidì.
Belle era seria. Non aveva intenzione di mangiare con lui.
L’avrebbe lasciato lì, da solo.
Proprio come aveva temuto.
Lo disprezzava a tal punto da non voler nemmeno passare una mezz’ora con lui a chiacchierare del più e del meno addentando uno stupido panino del bar.
“Ci vediamo tra un’ora qui, va bene? Buon pranzo!”
Fu un saluto breve, glielo disse senza nemmeno guardarlo negli occhi.
“Belle…” iniziò Robert.
“La smetti? Non fai altro che dire il mio nome. E’ fastidioso.” Esclamò lei secca.
“E’ il tuo nome! Come devo chiamarti!?”
Belle sembrò sul punto di ribattere qualcosa di pungente.
Poi scosse la testa e ripeté “Tra un’ora qui.”
Si incamminò verso Will che la salutava sorridente con due panini in mano.
“Siamo davvero arrivati a questo punto?”
Le parole fluirono dalla bocca di Robert prima che lui potesse fermarle.
Era più che rabbia e frustrazione, era incredulità di fronte a due persone che in così poco tempo erano riuscite a distruggere tutto ciò che avevano costruito.
Era incredulità di fronte all’atteggiamento di Belle.
Lei non si voltò, finse di non aver sentito ed accelerò il passo.
“Non lo so.” Mormorò però tra sé e sé.
 
 
“Sei una tossica.” Disse semplicemente Regina, mentre la sua nuova amica si preparava ad ordinare Martini liscio all’una del pomeriggio, al bar dell’università.
“Ma finiscila.” Mormorò lei concentrata sul suo documento d’identità falso.
“Come pensi di giustificare il fatto che sei una studentessa del liceo eppure il tuo documento dice chiaramente che hai ventidue anni e ti chiami Malefica?
“Ci penserò quando arriverà il cameriere. Tu piuttosto, hai pensato a cosa mangiare nel frattempo?”
“Io non pranzerò con te. In prigione non ci voglio finire.” Dichiarò bruscamente la mora.
Kristin alzò lo sguardo su di lei.
“Va bene.” Disse infine, lo sguardo leggermente vacuo.
Regina si alzò di scatto dal tavolo al quale erano sedute e si allontanò rapidamente.
Sapeva esattamente chi voleva trovare e l’avrebbe fatto al più presto.
Mentre se ne andava si chiese distrattamente se Malefica fosse riuscita ad ordinare il suo drink.
Decise che non le importava.
 
 
“Belle, siamo davvero arrivati a questo punto?”
Will parlava del più e del meno, le raccontava della sua mattinata passata con un ragazzo grasso che aveva già soprannominato “Little John”, ma Belle era completamente assorta nei suoi pensieri.
Robert aveva ragione.
Erano davvero arrivati a quel punto?
Era una domanda legittima dopo la mattinata appena trascorsa.
Una mattinata passata in un imbarazzante silenzio, una mattinata passata ad ignorarsi.
Belle aveva giocato una buona parte in quella faccenda, lo sapeva. Se fosse stato per Gold, probabilmente non sarebbe accaduto nulla di tutto quello, avrebbero semplicemente parlato e probabilmente si sarebbero divertiti. Se fosse stato per lui forse quella sera sarebbero andati a bere in qualche pub universitario, poi l’avrebbe riaccompagnata in stanza e poi…poi…
Ma lei non riusciva a perdonarlo.
Continuava a pensare e a ripensare a ciò che avevano passato insieme, cose minuscole se confrontate alle grandi tappe della vita, eppure ogni singolo avvenimento, ogni sapore, odore, ogni ricordo era una ferita aperta.
Dopo tutte quelle settimane, era ancora tremendamente doloroso.
E presto il dolore aveva iniziato a trasformarsi in rabbia.
Rabbia anche contro sé stessa, per non aver saputo prevedere come sarebbe andata a finire e rabbia contro sé stessa per come si stava comportando adesso.
Robert stava probabilmente mangiando da solo, in mezzo al prato, il viso leggermente contratto al sole, i grandi occhi con la loro sfumatura ambrata e i soffici capelli spettinati dal caldo venticello che soffiava sul campus.
Poteva quasi vederlo, le maniche della camicia rimboccate, il gilet, le scarpe e i pantaloni neri, così solo…
Era una cosa aveva sempre stupito Belle: la solitudine di Robert.
Non era solo nel senso stretto della parola, aveva degli amici, aveva una famiglia.
Ma Belle lo aveva visto a tavola coi suoi genitori: era stato così diverso dalle cene con suo padre, Moe e sua zia Ruby, alle cene a cui sua madre Colette l’aveva abituata, dove ogni cosa emanava calore e famigliarità.
No, Robert era semplicemente solo. Poteva voler bene ai suoi genitori e loro volevano bene a lui, ma nel ragazzo c’era qualcosa di profondamente malinconico che non era mai riuscita a capire fino in fondo. Soprattutto perché lui non ne parlava mai.
Le era sinceramente sembrato che insieme a lei fosse più allegro e sembrasse davvero coinvolto, le era sembrato di vederlo davvero felice. E probabilmente era così, ma non abbastanza se era arrivato, nel giro di una sola settimana, a fare ciò che aveva fatto.
"Quindi?"
Belle sussultò.
Will la guardava in attesa di una risposta.
“Quindi…” iniziò lei sorridendo, in attesa che lui ripetesse l’ultima frase.
“Ti va una torta al cioccolato?” disse semplicemente.
La bocca di Belle si aprì fino a formare una grande o.

"Intendi...adesso?"
“Sì. Ho visto un bar molto carino qui dietro. Tranquillo.” Annuì convinto.
Lei rimase un momento in silenzio.
“Che ore sono?”
Lui alzò le spalle, poi si mise a rovistare nello zaino in disordine.
“Che diamine…” borbottò. “Ah ecco.” Estrasse un vecchio cellulare.
“Neanche l’una e mezza.”
“Alle due dobbiamo ricominciare. Non so se facciamo in tempo.” Esclamò dispiaciuta.
Era vero.  O almeno, parzialmente.
Cominciavano davvero alle due e quindi avrebbero fatto in tempo, volendo, a gustarsi la torta con tutta calma. Avevano più di mezz’ora.  Ma Belle aveva appena deciso che aveva un’altra questione da sistemare.
Non sapeva cosa l’avesse spinta e probabilmente se ne sarebbe pentita, ma non era mai stata il tipo di persona che lasciava una questione in sospeso.
Doveva trovare una certa zazzera di capelli lisci, castani e voleva chiarire le cose prima che fosse troppo tardi.
No Robert, non siamo arrivati a questo punto. O meglio, sì, ma non voglio farmi del male ulteriormente. E non voglio ferire nemmeno te, perché non te lo meriti.
“Capito.” Disse semplicemente l’altro. Si alzò e si stiracchiò.
“Io…vado un attimo in camera a prendere delle cose per il pomeriggio…però questa sera facciamo quel giro di cui parlavamo…vero?” chiese Belle, nella speranza di suonare serena ed amichevole.
“Volentieri!” esclamò l’altro.
E così Belle iniziò la sua ricerca nel parco.
 
 
Trovò Robert in un angolo vicino ad un grande albero.
Era appoggiato ad un sasso, da solo, come aveva previsto.
Belle esitò.
Cosa doveva fare? Andare là semplicemente? Magari avvisarlo con un messaggio. O salutarlo da lontano…o chiamarlo…
Optò per la soluzione più semplice. Avvicinarsi senza dire nulla.
Lui la vide evidentemente, perché la scrutò un momento prima di tornare a dedicarsi al libro che aveva sulle ginocchia.
Quei metri parvero infiniti a Belle.
Una volta raggiunto il ragazzo, si fermò.
“Hai mangiato?” chiese poi.
Lui la osservò di sottecchi e annuì.
Belle incrociò le braccia e guardò il parco.
“Non siamo arrivati a questo punto.” Disse infine.
Robert alzò di nuovo lo sguardo su di lei ma poi lo spostò verso altro.
“Però sembrerebbe di sì.”
“No.” Tagliò corto. “E’ solo che faccio fatica a gestire la cosa. Ma…possiamo farcela in qualche modo.”
Non ottenne risposta.
Lentamente poi, Robert ripose il libro e si alzò.
Finalmente la guardò dritta negli occhi, perdendosi nelle sue iridi così azzurre e in quel viso che conosceva ormai a memoria.
“Perché fai fatica?”
“Perché sì. Questo genere di cose…mi fa male. Intendo, mi fa male a lungo.”
Lui annuì.
“Anche a me fa male.”
“Lo so. E’ per questo che sono qui. Per…per cercare di non peggiorare la situazione. Perché mi sono resa conto di come stessi rendendo tutto più difficile.”
Entrambi rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Belle parlò di nuovo:
“Cerchiamo di…di goderci l’esperienza. Senza pensare al passato. E senza parlarne soprattutto. Insomma, facciamo quello che dobbiamo fare, serenamente.”
Robert annuì.
“Ti ho anche portato un’offerta di pace.” Continuò lei.
Dalla borsa estrasse una bottiglia di tè alla pesca.
Il gesto strappò un sorriso al ragazzo che la afferrò.
“Grazie. Ci voleva, si muore dal caldo oggi.”
“Già. Ne ho una anche per me.”
Aprirono le loro bottigliette e le fecero cozzare l’una contro l’altra.
“Cin cin. A questo splendido weekend che è iniziato proprio nel modo migliore.” mormorò cupamente Robert.
Belle alzò gli occhi al cielo anche se in fondo, l’umorismo cupo del ragazzo era una delle cose che l’aveva subito affascinata e sempre l’aveva fatta sorridere.
Sorseggiarono il tè freddo, mentre entrambi pensavano a quel loro assurdo primo appuntamento da Granny in cui entrambi avevano scoperto di avere in comune un’insana passione per quella bevanda.
“Cosa stai leggendo?” chiese poi Belle, indicando la borsa abbandonata a terra.
“Potremmo restare seduti nella nostra biblioteca ed essere comunque in ogni luogo su questa terra…”
“John Lubbock. Perché leggi un manuale di archeologia?”
Robert alzò le spalle.
“Era l’unico libro che ho trovato da prendere in prestito al bar, mentre compravo il panino.”

"Capito."
Rimasero ancora in silenzio, assorti nei loro pensieri.
“Abbiamo ancora un po’ di minuti” La informò poi Robert controllando l’ora.
“Dai, fammi spazio.” Disse semplicemente lei.
Si sedettero entrambi su quella roccia. Decisero pochi minuti dopo di spostarsi completamente all’ombra dato il caldo insostenibile, così si lasciarono andare contro il tronco dell’albero, immersi entrambi nella lettura dei loro libri.
Non era un granché, ma era un inizio, pensò Robert speranzoso.
 
 
La giornata per Regina stava trascorrendo ragionevolmente bene, rifletté la ragazza.
Sì, inizialmente svegliarsi dopo la bevuta della sera precedente era stato un poco traumatico, ma si era ripresa in fretta grazie a due meravigliosi caffè gentilmente offerti dal servizio universitario.
Quando Robert era stato scelto per fare coppia con Belle, a Regina era venuto sinceramente da ridere: il ragazzo tendeva a lamentarsi sempre e sosteneva di essere la persona più sfortunata al mondo. In realtà lei era fermamente convinta che fosse il contrario e che Robert semplicemente non sapesse sfruttare le innumerevoli occasioni che gli venivano offerte e che le buttasse via per vigliaccheria o stupidità.
Forse questa volta sarebbe stato diverso – si disse, mentre mangiava una buona insalata che aveva trovato in un grazioso bar appena fuori dal campus – forse finalmente si sarebbe svegliato e avrebbe realizzato quanto poco gli sarebbe bastato per riportare gli eventi a suo favore.
Quanto a lei…non le importava assolutamente nulla di ciò che avrebbe fatto quel pomeriggio ed il giorno seguente.
Era venuta a Boston con un intento ben preciso, quello di passare del tempo con Emma.
E sperava di averne l’occasione quella sera, ma prima doveva scoprire se ne avrebbe avuto l’occasione.
Tutti i ragazzi si sarebbero dispersi per i vari pub del campus proprio come la sera precedente, con la differenza che quella sera Regina avrebbe abbandonato Robert ai suoi patemi e se ne sarebbe andata in giro con chi voleva lei.
Se le cose non andavano come previsto, aveva sempre Kristin, la sua compagna di camera, con cui si era trovata sorprendentemente bene, nonostante la sua stranezza. La ragazza non si faceva problemi di fronte all’alcool, non si era neanche fatta problemi la sera prima quando Regina era rincasata alle due di notte in stato pietoso. Anzi, lei stessa era seduta sul letto con lo sguardo perso nel vuoto e una strano atteggiamento comatoso.
Regina sospettava seriamente che nascondesse moltissime cose nella sua valigia violetta, ma si era promessa di non indagare: non erano assolutamente affari suoi.
Quindi affrontò senza troppe preoccupazioni, ciò che l’università le proponeva.
Il weekend era appena iniziato.
 
 
L’orologio segnava appena le due e Robert e Belle si misero in cammino verso la seconda tappa di quella giornata.
Avrebbero fatto un tour guidato della facoltà, o almeno era quello che diceva il programma.
“Io non voglio nemmeno fare biologia.” Borbottò Belle osservando il volantino che era stato distribuito quella mattina.
“Allora perché sei qui?”
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Domani visitiamo la facoltà di lettere. E’ quella che mi interessa.”
Robert annuì. Il ragionamento filava.
Poi gli venne un’idea.
“Neanche a me interessa fare il tour oggi pomeriggio. Potremmo non andare!”
Belle si fermò perplessa.
“Sei impazzito?”
“No. Beh, forse. E’ che non ho voglia di stare in piedi e fare finta di ascoltare qualcosa di cui non mi interessa niente.”
“Abbiamo pagato per questa gita.”
“Lo so ma-“
Esitò.

Non voleva ferire Belle su quell’argomento, sapeva quanto lei fosse sensibile.
"Ma?"

“Niente.” Concluse infine mestamente. Lasciò cadere l’argomento e si infilò le mani in tasca.
Per un breve istante aveva sperato che magari avrebbero potuto andarsene insieme da qualche parte, mangiarsi un gelato e poi cenare insieme, non vedere Will fino al giorno dopo…
“Non saprei nemmeno dove andare.”
Belle si guardava intorno, le braccia incrociate, visibilmente a disagio.
“Nel senso che-“
“Nel senso che se anche saltassimo il pomeriggio, non saprei dove passarlo. Ariel ci va di sicuro, a lei interessa biologia, e Will-”
Si bloccò incerta su come proseguire, vedendo Robert irrigidirsi.
Come comportarsi in quel caso? Tink forse l’avrebbe saputo.
Lei e Gold erano in una strana zona grigia: non erano amici, non erano in buoni rapporti, erano solamente due persone che un tempo si amavano e che ora si trovavano schiacciate in una situazione imbarazzante e cercavano di sfruttarla al meglio.
Tra lei e Will non c’era assolutamente nulla, e di questo Belle ne era certa.
O almeno ne era certa per quanto riguardasse lei.
Sui sentimenti del ragazzo evitava di indagare, non voleva di certo complicazioni: era un buon amico, la faceva ridere e andava d’accordo con Ariel e Tink.
Questo le bastava, per il momento. Non poteva prevedere cosa il futuro avesse in serbo per lei, ma di sicuro non era minimamente pronta per pensare anche a frequentare un altro ragazzo.
Il motivo era la ciondolante figura accanto a lei che in quel momento aveva ripreso a fissare corrucciata l’orizzonte.
“Anche a Will interessa la biologia.” Terminò la frase con semplicità.
Robert annuì.
Camminarono in silenzio per qualche altro minuto.
“Cos’altro interessa a Will?” chiese poi lui all’improvviso.
Belle deglutì.
“In che senso?”
“Non lo so. Non ci ho mai parlato, mi chiedevo solo che tipo fosse.”
Lei non rispose subito.
Ecco, esattamente il tipo di situazione che voleva evitare.
“E’ simpatico. Gli…interessano molte cose.”
“Ah, bene.”
Era come se la breve tregua che si erano presi fosse finita e tra loro fosse calato un sottile velo ghiacciato.
Belle avrebbe voluto disperatamente dirgli che non doveva reagire così. Che non c’era motivo di essere irritato e che comunque non ne aveva il diritto a prescindere.
Ma non voleva neanche approfondire l’argomento, non voleva ferire Robert ma una parte di lei era perversamente soddisfatta nel vedere quella sottile gelosia che lo attanagliava, nel vedere il desiderio di chiederle cosa stesse accadendo tra lei e Will e la totale incapacità di farlo.
Fu di nuovo Robert a rompere il silenzio.
“E’…è un tipo okay?”
“Direi di sì.”
“I suoi che lavoro fanno?”
Belle sgranò gli occhi.
“Ehm…non lo so?”
“Ah.” Fu la vaga risposta del ragazzo. Rifletté un attimo.
Non doveva continuare a farle domande. Lo sapeva.
Eppure DOVEVA sapere cosa stava succedendo…
“Come mai siete amici?”
“Ci siamo conosciuti alla partita di dodgeball.” Disse precipitosamente Belle. Poi aggiunse “E’ anche amico di Tink ed Ariel.”
“Immagino che aveste bisogno di nuovi membri maschili nel gruppo…” borbottò l’altro sottovoce.
Belle si bloccò.
“Come scusa?”
Robert si fermò anche lui, poco più avanti.
“Ho detto: immagino che aveste nuovi membri maschili nel gruppo.” Ripeté ostinato.
“Quale gruppo?”
“Il vostro. Tu, Tink, Ariel e quella tizia svitata con le trecce.”
“Anna non è una svitata! E poi perché avremmo dovuto avere bisogno di nuovi membri maschili?”
“Sai com’è…”
Si auto indicò.
Belle sbuffò e poi si strinse nelle spalle.
“Smettila, non è andata così. Semplicemente abbiamo parlato e ci siamo trovati bene.”
“E’ un piacere vedere che Tink lo abbia accettato così facilmente nel gruppo, considerando che quando ho iniziato ad uscire con te, ci ha messo mesi per iniziare a trattarmi come se fossi un normale ragazzo e non un appestato.”
Non avrebbe mai voluto che le parole gli uscissero in quel modo, non così alacremente, ma non aveva potuto farne a meno.
Se fino a pochi minuti prima aveva creduto che il pomeriggio sarebbe passato con tranquillità, se aveva addirittura accarezzato l’ipotesi di potersi godere qualche ora in compagnia di Belle semplicemente gioendo di poterla avere di nuovo accanto, ora gli parve chiaro che non era così.
Gli era bastato sentire il nome di Will, ricordare l’entusiasmo del ragazzo mentre si precipitava a portare i panini per il pranzo di Belle e tutto era crollato.
La cosa che più lo faceva impazzire era il sorriso della ragazza accanto a lui.
Dentro di sé era fermamente convinto di non aver mai visto Belle così allegra e spensierata. Will la rendeva felice, Robert lo sapeva, e la cosa che più temeva e che riteneva vera, era che Will la rendesse più felice di lui.
Non aveva la più pallida idea di cosa stesse accadendo tra Belle e il suo nuovo amico e quel mistero lo disorientava e lo irritava, lo faceva sentire male, si sentiva come se le avesse sempre fatto mancare qualcosa, qualcosa che ora lei aveva trovato in un altro.
“Bene. Vedo che è impossibile fare un normale discorso con te senza tirare fuori vecchi rancori del passato.” Commentò Belle freddamente.
I suoi occhi azzurri erano ridotti a fessure e le braccia erano rigide.
Dell’atmosfera tranquilla di poco prima non c’era traccia.
“E’ possibile eccome. Solo che a volte mi chiedo il perché di…molte cose.”
“E magari, invece che imputare la colpa agli altri, potresti essere onesto e-“
“E cosa?” domandò Gold iniziando a scaldarsi.
Due studenti che passavano accanto a loro li guardarono straniti.
Intorno, il parco si godeva la quiete della pausa pranzo.
“E ammettere che anche tu hai le tue colpe!”
“E chi ha parlato di colpe? Io ho solo fatto poche semplici domande.” Mugugnò lui.
“No! Hai parlato di Tink e delle cose che sono successe nel passato mentre avevamo stabilito di non parlarne! E mi hai riempita di domande!” esclamò Belle concitata, tamburellando con le dita.
Era esattamente ciò che voleva evitare: una discussione che riaprisse le ferite che avevano appena iniziato a farle un po’ meno male.
“Io non volevo parlare del passato! Ho solo chiesto che tipo fosse Will!”
“Ma cosa te ne frega?”
Robert si guardò intorno a disagio.
“Mi importa eccome! Magari…magari non è una persona per bene e tu…tu ci parli e lui potrebbe farti soffrire e avere cattive intenzioni, che ne so se-“
“Certo.” Lo interruppe Belle sarcastica “Dev’essere proprio quello il problema.”
“Cercavo solo di essere amichevole! Mi stavo preoccupando per te!” urlò Robert improvvisamente furioso “Perché devi essere così con me?”
La ragazza si avvicinò a lui e lo fronteggiò.
“Così come?”
“Così! Così distante!” ripeté lui arrabbiato “Anche questa mattina, sei stata fredda e cattiva, non me lo merito! Non pretendo che tu sia…non pretendo che le cose tornino com’erano ma almeno un minimo di gentilezza!”
“Infatti ti ho chiesto scusa e sono tornata. Ma avevamo stabilito che non avremmo più parlato del passato e invece-“
“E io ho fatto qualche domanda sul tuo presente!”
Belle lo fissò incredula.
“Qualche domanda?”
Lui si concentrò su un albero lontano. Non voleva guardarla negli occhi, gli risultava molto difficile a quel punto.
“Sì.” Rispose poi deciso “Qualche domanda.”
“Tu hai iniziato a farmi il terzo grado su Will!” Esclamò Belle rabbiosa. “Non erano domande innocenti, lo sai!”
“Erano solo domande. Qualche semplice domanda.” Ripeté lui cocciuto.
Fu quello che fece più infuriare Belle.
La sua ostinazione, quel suo modo di fare improvvisamente distaccato, così tipico: prima si infuriava e sbottava, poi si richiudeva in sé stesso e si rifiutava semplicemente di dire le cose come stavano.
Robert era così: davanti alla verità, si rifiutava di reagire.
“No. No, non erano semplici domande.” Dichiarò tremante di rabbia “Tu volevi sapere cosa ci fosse tra me e Will perché non riesci a concepire che qualcuno in questo mondo riesca a farmi sorridere dopo quello che è successo tra noi.”
Robert non disse nulla ma Belle sapeva di avere fatto centro.
Lo vide nei suoi occhi, nel modo in cui lentamente si abbassarono.
Ciononostante, non si fermò.
“E nonostante ti avessi chiesto di non rivangare il passato, non ti è importato, anche se sapevi che mi stavi facendo male. Will non mi fa stare male. Mi fa sorridere ed è una cosa che non credevo più possibile, non così presto.”
Lui continuò a non dire nulla.
“Perché passo del tempo con lui? Perché è bello stare con una persona che…è semplicemente ciò che dice di essere. Senza mille sovrastrutture e senza mille paure. E che non fissa il vuoto senza rispondere e che ha il coraggio di dire la verità e di affrontare i problemi se ce ne sono.”
Belle prese fiato tremante e fece un passo indietro, aspettando la reazione del ragazzo.
Non accadde.
Socchiuse leggermente gli occhi ed annuì impercettibilmente, mentre il vento gli scompigliava i capelli.
“E rispondi qualcosa, cazzo!” urlò lei esasperata.
Robert scrollò le spalle, incapace di aprire bocca.
“Sei un vigliacco.” Rincarò Belle.
Lui continuò a fissare il pavimento.
“Va bene.” Dichiarò dopo un po’. Afferrò la borsa che aveva lasciato cadere e si mosse in avanti.
“Dove vai!?” abbaiò Belle.
“Me ne vado.” Disse piattamente.
Non vedeva l’ora di essere in stanza.
Robin, il suo compagno di stanza, era sicuramente insieme agli altri. Così lui avrebbe avuto la camera per sé.
Si sarebbe sfogato, magari avrebbe pianto, avrebbe fatto le valigie e se ne sarebbe tornato a Storybrooke.
Era accaduto esattamente ciò che temeva.
Quel weekend aveva peggiorato tutto.
Will la faceva sorridere.
Will era un ragazzo semplice e gentile, la trattava bene e la faceva stare bene.
Era ovvio che tra i due sarebbe successo qualcosa, prima o poi, era inevitabile.
“Non hai neanche il coraggio di reagire. E’ questo che mi ha sempre fatto incazzare di te!” Gli urlò dietro Belle.
Era vero.
Continuò a camminare, le mani che sudavano e il cuore che batteva a mille.
Improvvisamente si girò.
Tornò sui suoi passi mentre Belle lo fissava.
“Will ti fa sorridere.” Disse poi, con voce tremante, cercando di ignorare il nodo alla gola che rischiava di soffocarlo “Va bene. Anche io però ti ho fatta sorridere. E ti ho fatta stare bene e stavamo bene insieme, eravamo felici. Lo so che era così, tu eri felice con me, eri…eri davvero felice. Mi ricordo quella sera da Tink e…ed è stata una serata bellissima per entrambi. Adesso mi fai…mi fai sembrare la persona peggiore del mondo, ma non lo sono! Ho fatto un casino e mi dispiace, sono stato un idiota, ma tu non sei una santa! Hai capito!?” si interruppe un momento, poi riprese, riuscendo finalmente a deglutire “Quindi smettila di trattarmi come se fosse stata tutta colpa mia! Io ti ho supplicata di parlarne, di perdonarmi, tu mi hai ignorato! Io non ti avrei mai lasciata! Mai!” Belle aprì la bocca con fare bellicoso per ribattere ma lui proseguì “E volevo solo stare con te. Avrei fatto qualsiasi cosa per te e tu non ti sei mai resa conto di quanto io fossi innamorato e continui a credere che io ti abbia mentito, che io sia…sia diverso da come mi vedi. E credi che abbia baciato Zelena semplicemente perché ne avevo voglia, invece ero disperato! E-“
Il suo monologo disperato venne interrotto dal suono del cellulare di Belle.
Entrambi sobbalzarono.
“E tieni quella suoneria più bassa che mi hai assordato!” abbaiò lui.
“Cretino” sibilò lei. Poi afferrò il cellulare.
 “Brava, rispondi. Interrompimi pure mentre finalmente riesco a parlare.” Continuò Robert.
Belle gli scoccò un’occhiata velenosa, gli fece segno di tacere e accettò la chiamata.
“Pronto?” rispose, la voce un po’ troppo alta e isterica per sembrare normale.
Ci fu qualche secondo di silenzio in cui le sopracciglia di Belle si aggrottarono e Robert pestò i piedi arrabbiato, maldicendo chiunque li avesse interrotti.
“Sì, sono io.” Disse lei perplessa.
Gold incrociò le braccia.
"Sì..."

Improvvisamente Belle cambiò espressione.
“Cosa?” chiese disorientata.
Robert le fece segno di muoversi, dopodiché le diede le spalle e riprese a fissare il parco, cercando di regolare il battito cardiaco. Si allontanò di qualche passo, respirando a fondo.
Si girò e vide Belle parlare concitatamente al telefono e spiegare qualcosa.
Passò qualche minuto, poi la chiamata si chiuse e la ragazza rimase immobile in mezzo al selciato.
Robert si avvicinò con passo spedito.
“Non ho finito.” Dichiarò poi.
Belle lo fissò.
“Invece sì. Io però torno a Storybrooke.” Disse infine.
Lui rimase un momento immobile, poi scoppiò a ridere.
“Ho già pensato di tornarci io. Quindi se io torno, tu devi restare.”
La ragazza non reagì e ricontrollò il cellulare.
“Sono seria.”
“Anche io .”

"Robert per favore!"
Lui la guardò come se la vedesse realmente solo ora, sentendo un tono di voce allarmato che raramente le aveva sentito usare.
Era davvero seria.
Ed era anche pallida.
Improvvisamente un orribile sospetto gli riempì la mente.
“Sei…davvero seria?”

"Sì"
Aspettò che lei parlasse, ma sembrava troppo stordita per spiegare cosa fosse successo.
Esitò.
Una parte di lui voleva riprendere il discorso e sfogarsi, l’altra percepiva il cambiamento di atmosfera, come improvvisamente il sole avesse smesso di splendere e l'aria si fosse raffreddata...
“Belle cosa-“
“Era l’ospedale. Mio padre si è sentito male al lavoro. Dicono che è tutto sotto controllo e ora sta già…già molto meglio ma mi hanno chiesto di…di andare lì.”
Robert si ammutolì.
Tutta l’ira che aveva provato fino a poco prima, svanì nel giro di un secondo. Fu come se qualcuno avesse bucato la grossa bolla d’ira e frustrazione che aveva accumulato e ora lui fosse vuoto.
Tutto il desiderio di rinfacciarle ciò che lui aveva patito in quelle settimane, era improvvisamente scomparso.
Ora nella sua mente vi era solo un pensiero: aiutare Belle.
“Io…” iniziò incerto.
“Devo davvero tornare. Capisci?”
Lui rimase un momento immobile.
Poi annuì.
Belle esitò, poi si lisciò la gonna.
“Vengo anche io.” si decise Robert.
“Non puoi.” Disse lei stancamente “La Swan non lo permetterà.”
“Non sto chiedendo il suo permesso infatti.”
“Si incazzerà moltissimo.”
“Allora sono felice che non me ne importi niente.”
“Robert, davvero, non puoi venire con me!” esclamò lei concitata.
“Infatti, non posso. Però devo.” Dichiarò.
La ragazza avrebbe voluto ribattere qualcosa, ma quella chiamata l’aveva svuotata di qualsiasi forza.
La voce dell’infermiere continuava a rimbombarle in testa.
Non era niente di grave – diceva – però c’era bisogno di lei. Sì, suo padre era cosciente, però c’era bisogno di lei. C’era stato qualche problema con la circolazione e la respirazione, le pareva di aver capito. C’era bisogno di lei.
In trance, si girò ed iniziò a camminare.

Storybrooke.
Doveva raggiungerla al più presto e non aveva idea di come fare.
Quanto era lontana da Storybrooke?
“Cos’ha? Te l’hanno detto?” iniziò Robert trotterellandole accanto rapidamente.
“Hanno parlato di qualcosa al cuore. Ma…hanno ripetuto un paio di volte che non è grave.” Disse, fissando il selciato.
Doveva prendere il tram, ne era certa. E il treno. La aspettava un lungo viaggio.
“Bene. Allora non è niente di grave. E’ così sicuramente.” Borbottò.
Il suo pensiero volò fugacemente a Killian.
“Potrei chiamare Jones!” esclamò improvvisamente ispirato “Lui sarà ancora in ospedale per suo fratello. Magari può chiedere cos’è successo.”
Belle esitò.
“Non credo che darebbero informazioni ad uno sconosciuto. Parlavano di alcune carte che dovrò firmare.”
“Non è niente di grave.” Ripeté Robert, stando al passo.
La ragazza si bloccò un momento e lo fissò. Realizzò che davvero non aveva idea di cosa fare.
“Devo…come facciamo a tornare a Storybrooke?” chiese poi, guardandosi intorno sperduta.
Robert si morse le labbra. A questo non aveva minimamente pensato.
“Dobbiamo andare in stazione.” Disse poi.
“Lo so ma tu…ti ricordi la strada?”
Lui esitò.
In realtà non benissimo. Non era stato attento all’andata, era troppo impegnato a scrutare Belle e Will per accorgersi del tragitto che avevano percorso o di quale tram avessero preso.
Ma potevano cavarsela.
“Sì, mi ricordo la strada. Abbastanza, insomma.” Mentì  “Adesso andiamo alla stazione dei tram e…e lì vediamo. Le valigie ce le faremo recapitare.”.
Belle annuì spaventata.
“Poi…se vuoi in treno continuiamo a parlare.” Mormorò debolmente.
Gold scosse la testa precipitosamente.
“Non era nulla di importante. Erano…solo i mie patemi. Adesso…adesso cerchiamo di arrivare in stazione.”
                                                                                                                                                                                                           
 
Regina non aveva la minima idea di ciò che stava accadendo in quel preciso istante dall’altra parte del campus. Tutto ciò che sapeva è che alle due e mezza Robert e Belle non si presentarono.
Venne fatto l’appello più volte ma loro non arrivarono.
La ragazza sbuffò mentre finalmente Kristin – che lei ormai aveva comodamente ribattezzato Malefica – la raggiungeva. Pensò che i due si erano probabilmente riappacificati e in quel momento si stavano godendo un bel pomeriggio sotto le coperte di una delle loro due stanze.
In ogni caso, non erano affari suoi.
Aveva problemi più grandi e tediosi a cui pensare.
Come ad esempio, chiedere ad Emma di fare un giro per i bar quella sera. Chiederglielo senza sembrare assillante. O troppo ossessiva. O innamorata.
Insomma, chiederlo in assoluta tranquillità. E non era di sicuro facile.
Rimase taciturna per la mezz’ora seguente, mentre venivano trascinati da un’aula all’altra dei vari edifici ed erano costretti ad ascoltare una tremenda presentazione, bilingue, sul college.
“Capisco che tu sia sovrappensiero, cara, ma è la quarta volta che mi pesti il piede. La prossima volta ti strangolo.” Le sussurrò Kristin.
Regina alzò gli occhi al cielo.
“La tua bevuta non è andata come il previsto?”
L’altra non rispose.
La mora rifletté un momento, osservando, senza realmente vederle, tutte le persone accanto a lei. Si morse il labbro indecisa.
“Come chiederesti di uscire ad una persona, senza chiederle veramente di uscire?” bisbigliò poi.
La sua compagna di stanza si girò lentamente e un’espressione leggermente sorpresa si formò sul suo volto. Si toccò perplessa i capelli biondi, poi rispose.
“Troverei una scusa. Aiuto con la scuola, sai, cose simili.”
Regina annuì. Come pensava. Era la cosa più logica, ma non era il suo caso.
“Okay. E se non potessi? E soprattutto, se fosse… sconveniente uscire con questa persona?”
Kristin sorrise lentamente.
“Povera Regina. In che guaio ti sei cacciata?”
“Intanto non prenderti tutta questa confidenza.”
“Con chi vuoi uscire eh? Con la Blanchard?”
Regina non rispose.
Quasi pensò però.
“Ho fatto centro vero?”
“Certo che no” mormorò l’altra distratta.
“E’ una persona qui presente?”
“Non ti riguarda.”
La comitiva si incamminò per un corridoio stretto e varcò un ampio portone, giungendo nell’atrio.
“Il mio consiglio comunque è questo: passa la serata con me. Ad un certo punto…puoi fingere di avere bisogno di aiuto…una cosa simile. E chiami la persona in questione che si sentirà doverosamente costretta a venire in tuo aiuto.”
Regina sgranò gli occhi e si voltò. Quella era decisamente la cosa più intelligente che qualcun le avesse detto durante tutta la giornata, non c’era formula di chimica che tenesse.
“Sei un drago!” mormorò estasiata.
“Non mi faccio di certo chiamare Malefica a caso.” Rispose compiaciuta.
Regina annuì.
In qualche modo, avrebbe fatto funzionare le cose.
 
 
Il viaggio per Belle e Robert fu molto lungo ed angosciante.
Le stazioni si susseguivano, il treno sorpassava numerose cittadine del Maine e il paesaggio rimaneva sempre lo stesso, con le sue coste frastagliate, gli alberi alti e il cielo terso. Il sole iniziava a scendere, le ombre si allungavano e la luce era calda in quella torrida giornata di maggio.
Robert, la testa appoggiata al finestrino, fissava le file di alberi accanto al loro binario, cercando di pensare al da farsi, una volta arrivati a Storybrooke.
Belle era seduta di fronte a lui, lo sguardo perso nel vuoto.
Si torceva le mani e continuava a controllare il cellulare con occhi disperati, quasi come se avesse paura che esplodesse.
E intanto le campagne del Maine, ignare della loro angoscia, continuavano ad estendersi a perdita d’occhio mentre Robert finalmente decideva che la fronte iniziava a sudargli un po’ troppo e che doveva assolutamente abbandonare il vetro bollente del finestrino.
 
“Non credo che manchi tantissimo.” Mormorò il ragazzo ad un certo punto, mentre il cielo si tingeva delle tinte del tramonto.
Belle annuì spaventata.
“Hai fame?” le chiese poi, estraendo dalla borsa un pacchetto di biscotti.
“No, grazie.”
“Però dovresti mangiare, non tocchi cibo da questa mattina.”
Era vero. Dopo il frugale pranzo che avevano consumato verso l’una e dopo quella dannata chiamata, Belle non aveva ingerito più un solo boccone.
“Non ho fame.”
“Lo so ma-“

"Robert."
Lo disse quasi supplichevole.
Lui annuì tristemente: reputò insensato insistere.
“Almeno bevi un po’…un po’ di tè alla pesca. Ecco, prendi il mio, il tuo è finito.”
Le porse la sua bottiglietta.
“Non ho mal di gola. Nessuna malattia.” Aggiunse precipitosamente e abbozzando un sorriso.
Belle afferrò stancamente ciò che il ragazzo le porgeva e bevve un sorso.
“Ecco fatto.” Disse poi.
Si lasciò andare sul sedile e chiuse gli occhi.
Sarebbe andato tutto bene – si ripeteva. Altrimenti l’avrebbero già chiamata.
Era sicuramente una cosa da niente, un leggero malore.
Robert di fronte a lei continuava a tamburellare col piede mentre di nuovo si era abbandonato sul finestrino.
Belle si prese un momento per osservarlo. Si era tolto la cravatta e il gilet, era rimasto con una delle sue semplici camicie nere, leggermente slacciata, le maniche rimboccate. Lo sguardo perso, i capelli leggermente spettinati…se Belle non fosse stata così preoccupata, si disse con estrema sincerità, avrebbe trascorso quelle ore guardandolo e pensando a cose a cui era meglio non pensare.
Il ragazzo batté forte col piede contro il sedile.
“Smettila.” Sbottò infine lei.
Lui la guardò stupito.
“Continuavi a fare rumore col piede.”
“Oh. Scusa.”
Belle scosse la testa infastidita.
“Non fa niente. Era una cosa stupida. Scusami tu, è che sono nervosa.”
Robert annuì.
“Andrà tutto bene.” Si interruppe, poi riprese precipitosamente “E lo penso davvero. Non lo dico per autoconvincermi, come faccio sempre. E’ così.”
Lei sorrise tristemente.
“Proprio così?” chiese.
“Così!” asserì lui convinto.
Appoggiò nuovamente la testa al finestrino e riprese inconsapevolmente a tamburellare col piede.
 
 
Finalmente, arrivarono a Storybrooke ed il sole era ormai tramontato. Ci avevano messo un po’ di più del previsto a causa di un ritardo a Portland.
Belle scese dal terno si lanciò letteralmente sul binario ed uscì di corsa dalla stazione, mentre Robert le stava dietro faticosamente.
Dentro di sé pensò che fosse venuto il momento di mettersi a dieta.
“Muoviti.” Gli urlò infatti Belle.
“Sì. Mi muovo. E da domani mangerò meno gelati.” Mormorò Robert tra sé e sé.
Giunsero nel parcheggio della stazione e Belle si bloccò.
“E ora?” chiese il ragazzo raggiungendola e ansimando.
“Ora prendo il bus.” Decise lei dopo qualche secondo di riflessione “Ce n’è uno che porta direttamente all’ospedale.”
Lui annuì e poi si bloccò.
“Però vengo anche io.”
Belle gli lanciò uno sguardo strano e non disse nulla. Una parte di lei avrebbe voluto chiedergli di lasciarla sola, di andare a casa o fare quello che voleva. Ma temeva di non essere in grado di affrontare tutto quello nella più perfetta solitudine. Aveva anche pensato a chiamare Tink, ma la ragazza probabilmente stava festeggiando con Killian e le sembrava brutto interromperla.
Così annuì brevemente e fece segno a Robert di seguirla.
Dopo qualche passò però, Gold si fermò di colpo.
“Io penso che dovremmo prendere la macchina.” Disse all’improvviso.
La ragazza continuò a camminare.

"Belle!"
“Ti ho sentito. Ma si dà il caso che io non abbia una macchina.”
“Io sì però.”
Lei rallentò, si girò verso di lui aggrottando le sopracciglia.
“Ce l’hai qui?”
Robert annuì e le indicò il parcheggio.
Riprese a correre ignorando la fitta alla pancia, passando tra diverse macchine, cercando di individuare con gli occhi la sua e cercando di ricordarsi dove l’avesse lasciata.
“Se non ti ricordi dov’è io faccio prima a prendere il bus!” esalò Belle standogli dietro.
“Lo so dov’è. Lo so. Devo solo…”  si bloccò e appoggiò la mano sulla testa.
Si ricordò che il giorno precedente era arrivato in ritardo per colpa del mangime di Bobik e che il parcheggio era quasi pieno. Non era riuscito quasi a trovare posto e per questo aveva dovuto lasciarla quasi in strada…
“Okay. Lo so.” Disse dirigendosi spedito verso l’uscita.

"Sicuro?"
"Sicuro."


 
Regina si scrutò allo specchio in modo estremamente critico.
“Sì, sei uno schianto” disse Kristin, senza degnarla di uno sguardo.
L’altra la fissò con sufficienze ed incrociò le braccia, girandosi e guardando la sua compagna rovistare nella valigia.
“Cos’hai lì dentro?” si decise a chiedere infine.
L’altra si girò e la fronteggiò.
“Lì dentro dove?” chiese poi con un sorriso tranquillo.
“Lì.” Indicò la valigia.
“Oh. Lì. Beh, principalmente vestiti, sai. Poi anche del sapone e quel genere di cose.”
Regina strinse gli occhi sospettosa, sentendosi vagamente presa in giro.
“Hai capito benissimo cosa intendo.”
“No.” Dichiarò l’altra innocentemente.
“Allora sarò più specifica: cos’hai lì dentro che potrebbe farci finire nei guai, cara la mia Malefica?”
La ragazza sorrise trionfante.
“Ah. Tu intendevi...” si chinò sulla valigia e ne fece uscire una bottiglia di vetro. Sembrava acqua ma Regina sapeva benissimo che non lo era.
“Questo.” Terminò la frase.
La mora annuì.
“Hai intenzione di condividerla sì o no?” le chiese infine.
“Dipende” disse l’altra con fare vago.
“Da cosa?”
“Da molte cose. Non voglio che qualcuno faccia la spia e-“
“Non sono una spia.” Dichiarò Regina sprezzante. “Sono già finita in punizione per aver bevuto a scuola quando non avrei dovuto. Non ho intenzione di ripetere. Non…non platealmente, almeno. Ma vorrei condividere per questa sera. Ne ho bisogno per una cosa che devo fare.”
Kristin annuì soddisfatta e aprì la bottiglia.
“Ah.”  Disse, prima di passarla all’altra ragazza che tendeva il braccio avidamente. “Sapere cosa devi fare e chi devi incontrare, è implicitamente il prezzo da pagare per berla.”
Regina sbuffò ed alzò gli occhi al cielo.
Non le avrebbe mai detto la verità. Ma con un po’ di fortuna, poteva inventarsi una bugia credibile. Non ora però, prima avrebbe ingerito un po’ di quella magica sostanza che avrebbe reso tutto più semplice.
“Te lo dirò dopo che avrò bevuto. Sarà più facile.”
Un sorriso da entrambe le parti, suggellò il patto delle due ragazze.
 
 
In quel preciso istante, a molti kilometri di distanza, Robert e Belle arrivarono finalmente – non senza numerose imprecazioni ai semafori e diversi creativi insulti da parte di Robert agli altri automobilisti, tutti chiaramente incompetenti agli occhi del ragazzo - all’ospedale.
Era sgradevolmente famigliare.
In effetti nell’ultimo periodo si erano ritrovati lì insieme molte volte e mai in situazioni piacevoli o tranquille.
A gennaio, la prima volta, dopo il disastroso Ballo d’inverno, poi a trovare Killian e suo fratello…
Questa volta ea anche peggio, pensò Belle.
Questa volta toccava a lei.
Ma non era successo niente, l’avrebbero chiamata altrimenti, anche l’infermiere le era sembrato relativamente tranquillo mentre l’aveva chiamata a Boston…

Boston.
Boston era lontana, e anche l’università.
Belle pensò tristemente ai soldi spesi per quella gita, a quanto le era costata e al fatto che non aveva nemmeno potuto vedere la facoltà che le interessava, e chissà come sarebbe stato triste suo padre per tutta quella storia e conoscendolo si sarebbe sentito in colpa…
I passi di Robert accanto a lei la tenevano ancorata alla realtà, impedivano alla sua mente di divagare troppo e di perdersi nelle preoccupazioni e soprattutto, nel cieco terrore che in qualche modo l’aveva attanagliata da quando aveva ricevuto la chiamata.
Perché tutto quello le ricordava fin troppo ciò che era accaduto con sua madre.
Ma non doveva pensarci. Non poteva e non ce n’era motivo.
Entrarono passando direttamente dal pronto soccorso, come le era stato detto dall’infermiere.
Belle si bloccò un momento davanti alla porta e deglutì.
Anche Robert si fermò e la guardò.

​"Andiamo?"
"Sì..."

“Andrà tut-“
“Tutto bene. Lo so.” Ripeté stanca.
 
Uno sgradevole odore di disinfettanti e medicinali li accolse. Belle chiuse gli occhi un momento, respirò e riprese a camminare.
Alla reception firmò i documenti che doveva firmare e una giovane donna disse loro di aspettare quieti in sala d’attesa, insieme agli altri.
Così si sedettero, Belle agitata, le mani nervose e lo sguardo perso e Robert accanto a lei, imbarazzato e anche un po’ spaventato.
Il medico del pronto soccorso, il dottor Whale, che Robert riconobbe come il medico che gli aveva operato la gamba in gennaio, giunse da loro in pochi minuti.
“La signorina French?” chiese guardando Belle.
Lei annuì, gli occhi sgranati.
“La aspettano in cardiologia per firmare alcuni documenti. Le spieghiamo brevemente la situazione. Anche suo padre è lì.”
Belle fece per parlare ma lui la interruppe “Sta bene. Non è nulla di grave. Ma potrebbe diventarlo se non interveniamo tempestivamente.” Si fermò e la guardò con serietà.
La ragazza si torse le mani.
“Allora vengo.”
Robert fece per muoversi ma Whale lo guardò interrogativo.
“Oh, lui è con me.” Disse Belle sbrigativa.
“Mi dispiace signorina French, ma solo i famigliari sono ammessi.”
I due ragazzi si guardarono allarmati.
Fu un breve momento, i loro sguardi si incontrarono e in quel preciso istante Belle capì che non sarebbe stata in grado di gestire quella situazione da sola. Per qualche breve istante aveva creduto di potersela cavare, certo, ma quella speranza era sfumata. Era troppo difficile e aveva davvero bisogno di un sostegno e Robert era lì, per qualche assurdo motivo il fato aveva deciso di riunirli proprio in quel momento, e lui la conosceva e sapeva che lei stava vacillando. Lo capiva dal suo sguardo perso.
Per un breve istante, fu come se tra loro fosse tornato tutto normale e Gold provò il forte impulso di stringerla forte a sè.
Ci pensò il medico a riportarli alla brusca realtà.
"Andiamo?"
Belle non si mosse e si guardò intorno.
“Lui…è…mio fratello.”  Iniziò poi, improvvisamente ispirata.
Robert aggrottò le sopracciglia ma dopo un momento di perplessità, annuì.
Whale li guardò sarcastico.
“Ah sì? Però non vi assomigliate molto. Anzi, proprio per niente.”
“Ma come no!” protestò Belle. Si avvicinò a Robert e si appoggiò alla sua spalla indicandolo.
“Non vede? Siamo entrambi bassi e-“
“Non molto alti. Non siamo bassi. Siamo non molto alti.” la corresse Gold punto sul vivo.
Lei gli scoccò un’occhiataccia.
“Continuo a non vedere somiglianze, ragazzi miei. Occhi azzurri, capelli mossi e rosso scuro. Occhi nocciola, capelli lisci e castano chiaro.”
Robert si inserì.
“E’ perché non siamo davvero fratello e sorella. In realtà siamo cugini. Ma siamo cresciuti insieme, sa…Quindi ci consideriamo fratello e sorella. Insomma…è chiaro, no?”
Belle lo guardò male ma non disse nulla.
Il dottore incrociò le braccia e li scrutò attentamente.
“Io mi ricordo di voi due.” Disse infine. “Lui” indicò Gold “Si è fatto male questo inverno. Al ginocchio se non erro. E ha fatto un sacco di storie per farsi togliere due pezzi di vetro, una cosa mai vista prima al pronto soccorso.”
Robert strinse le labbra e fissò lontano, contrito ed offeso.
“Era mio fratello anche allora. Fratello e cugino.” Dichiarò Belle decisa.
“Non è vero. Vi siete baciati prima dell’intervento.” Replicò Whale sorridendo.
“Ci ha spiati!” esclamò Robert indignato.
“Idiota. Hai fatto saltare la copertura.” Mormorò Belle al ragazzo.
Whale continuò a sorridere.
“Suo padre sta aspettando.” Disse poi a Belle.
“Lui è il mio ragazzo.” Esclamò lei disperata “Può venire con me, davvero. E’ di famiglia, stiamo insieme da tanto.”
“Siamo fidanzati. Promessi sposi.” Rincarò Robert, ignorando il piccolo fuoco danzante che si era acceso nel suo cuore nel sentirle dire una cosa simile.
Il medico scosse la testa.
“Niente da fare.”
“Ci sposeremo a giugno!”
“Ci siamo già sposati a giugno scorso!”
“Ragazzi. Per me non sarebbe un problema, dico davvero.” Mormorò Whale  sorridendo in modo comprensivo. “Ma il regolamento è questo. Ora, sono sicuro che il signor…”
“Gold. Mio padre è una persona importante. Molto.”
“Gold qui presente, il cui padre è una persona molto importante, potrà aspettare qui mentre lei parlerà con il dottore. Che ne dice? Suo padre non dovrebbe trovare nulla da ridire.”
Robert non rispose, incrociò le braccia e fissò il pavimento, rabbioso ma sconfitto.
Belle però annuì.
Si girò verso Robert.
“Ascolta. Non voglio costringerti a stare qui e sono seria. Hai già fatto tanto e…e se vuoi puoi andare, sei stato molto gentile e te ne sarò sempre grata.” Mormorò guardandolo negli occhi.
Lui scosse la testa, tornando a perdersi nei suoi occhi azzurri e sperando in qualche modo di poter alleviare la tensione che vi leggeva dentro, anche solo rimanendo lì ad aspettarla.
“Sto fuori ad aspettare.”
“Potrei metterci un po’. Magari hai sonno, hai fame…Dico davvero Robert io-”
“Davvero. Sto qui. Non c’è problema. Lo faccio volentieri.”
Belle si morse il labbro.
“Grazie.” Sussurrò.
Lui annuì sorridendo debolmente.
Poi senza riflettere, fece la cosa più spontanea: le prese la mano.
Fu un gesto forse irrazionale, ma non poté fare nulla per evitarlo.
La sentì irrigidirsi al contatto con le sue dita, ma nessun dei due si spostò.
“Andrà davvero tutto bene. Sarò qui ad aspettare. Proprio qui,  su…su una di quelle sedie. Le vedi?” Indicò un gruppo di sedie vuote lì vicino.
Belle annuì mordendosi le labbra e sentendo la gola chiudersi improvvisamente.
“Tengo un posto anche per te e prendo qualcosa da mangiare e da bere.”
La ragazza gli strinse brevemente la mano, quasi automaticamente, cercando di ignorare i brividi che la percorrevano e focalizzandosi su ciò che andava fatto.
Lentamente staccò la mano e ripeté piano “grazie”, dopodiché sparì con Whale per la corsia.
Esausto, Robert caracollò fino alla macchinetta dove acquistò due pacchettini di Oreo che divorò in pochi minuti. Poi si procurò due bottigliette d’acqua e raggiunse il gruppetto di sedie indicate precedentemente. Ne scelse con cura una e ne occupò altre due per sicurezza, in caso Belle volesse stendersi o in caso avesse chiamato Tink e Killian.
Poi crollò lui stesso su una sedia e chiuse gli occhi.








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Time after time - Cyndi Lauper



Ehm...ciao.
Sì, sono una brutta persona. Sì, dovevo aggiornare secoli fa e no, non l'ho fatto. No, non ci sono scuse per questo. Mi dispiace, il mio cervello semplicemente si rifiuta di collaborare quando inizio ad avere prove intensive a teatro e quando gli esami si avvicinano - sto studiando economia aziendale, se qualcuno ha consigli che non contemplino il suicidio, siete i benvenuti - e...e basta.
Alla fine ce l'ho fatta.
Devo dire che ultimamente non sono neanche molto ispirata a causa dell'andamento della serie tv madre - sì, sono molto delusa dalla quarta stagione - ma ho deciso che non abbandonerò questa fanfiction che ormai mi accompagna da più di un anno e a cui sono davvero affezionata.
Qualche nota sul capitolo: mi pareva di averlo già detto, non ho potuto chiamare Malefica col suo nome originale per ovvi motivi, così ho optato per il nome dell'attrice che la interpreta, accennando comunque al "soprannome" della bionda. Stona un po' ma...non avevo scelta!
Per quanto riguarda ai Rumbelle...ARGH. Sono disperata. Non sapevo che pesci pigliare, vi confesso che questo capitolo ce lo avevo in mente più o meno dall'inizio ma al momento critico in cui ho dovuto scriverlo, si è rivelato una spina nel fianco. Spero di non essere andata troppo OOC, di non aver esagerato...e state tranquilli, Moe French starà benissimo <3 niente angst, solo fluff, happy endings e cose belle!
Ho cercato di rendere un pochino il rapporto tra Regina e Malefica, mi sono piaciute abbastanza quelle due e ho AMATO l'aria da tossica spacciatrice che aveva Mal nella foresta incantata in contrasto con quella da boss mafioso che ha a Storybrooke.
Le SwanQueen sono state un momentino accantonate ma nel prossimo torneranno a colpire, così come Tink e Hook.
Beh, che dire? Vi ringrazio tantissimo per il sostegno che mi dimostrate, soprattutto perchè sono scema ed incostante...ma spero che in qualche modo l'attesa venga ripagata e che il capitolo vi sia piaciuto :
)
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va, critiche, pomodori...è tutt ben accetto! Quindi ancora tanti grazie e tanti cuori a tutti e alla prossima, CHE DOVREBBE ESSERE a fine aprile, salvo situazioni critiche. 
Un bacione!
Seasonsoflove


 

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Capitolo 34
*** Perfectly Aligned ***


And the years go by
Close your eyes
'Cause everything is... perfectly aligned
perfectly aligned
Don't fail me now
Ask me how
Everything is... perfectly aligned


 
“Questa cosa fa schifo!” latrò Regina, bevendone però un altro bicchiere.
Kristin si lasciò andare sul letto e chiuse gli occhi.
“Non hai il minimo senso del gusto per gli alcolici” mormorò ad un certo punto.
“E’ orribile!”
“E intanto continui a berlo…”
Regina, anch’ella sdraiata sul letto, si rialzò bruscamente.
“E’ vero.” Bofonchiò confusa.
“Allora. Prima di uscire e fare faville in questo noiosissimo campus, devi ancora pagare il prezzo per ciò che stai bevendo.”
La mora valutò confusamente le implicazioni di quella frase. Aveva promesso di dire la verità a Kristin, ma non aveva la minima intenzione di essere sincera su tutta quella storia.
“Non so di cosa parli.” Dichiarò quindi alzandosi. Barcollò lievemente e si avviò sdegnosa verso il bagno, ben decisa ad ignorare la domanda e a rifarsi il trucco prima di uscire.
“Lo immaginavo.”
Kristin si alzò anche lei e raggiunse la compagna nello squallido bagnetto che condividevano.
“Se non mi dici cosa succede, dirò alla Swan del nostro piccolo simposio di questa sera.”
Regina si girò orripilata.
“Ma ci finiresti in mezzo anche tu!”
L’altra fece un vago gesto con la mano come dire, “ piccolezze”.
“Sei disgustosa.”
“Dunque?”
La mora si girò e si scrutò confusa allo specchio. Cercò di afferrare il rossetto ma sbagliò mira; a quel punto si appoggiò al lavandino, respirando forte.
“Mi piace Gold.” Disse infine.
Era la soluzione più diplomatica ed intelligente. Se la voce fosse giunta, non troppo inaspettatamente, al ragazzo, avrebbe sempre potuto negare e spiegargli come stavano veramente le cose.
Kristin si appoggiò alla parete sorridendo placidamente.
“Se tu ti aspetti che io ci creda-“
“E’ così. Puoi crederci oppure no. E ora dammi un altro sorso di quella cosa.”
“Se ti piace Gold” Kristin si alzò in punta di piedi e portò la bottiglia al di fuori dalla portata del braccio di Regina “perché non hai fatto una piega quando è stato assegnato in coppia alla sua amichetta del cuore?”
L’altra non rispose. Era in un vicolo cieco, avrebbe dovuto pensarci prima di mettersi in quel pasticcio.
Doveva trovare rapidamente una soluzione.
“Lui non deve sapere di piacermi ancora, altrimenti la nostra amicizia terminerebbe subito. Sono riuscita a ricucire i rapporti con lui per miracolo, non voglio perderlo facendo inutili scenate di gelosia” Disse infine, cercando di sembrare convincente. Per dare forza al suo discorso, abbassò lo sguardo e incrociò le braccia, assumendo un’espressione triste.
Kristin rimase un momento immobile, scrutandola.
“Non so perché ma non riesco a crederti completamente. Quindi questa la finisco io, fino a che non decidi di soddisfare la mia curiosità come si deve.” Dichiarò infine, uscendo dal bagno con la bottiglia in mano.
Regina sbuffò, già stanca di quell’infinito week-end che si stava rivelando fastidioso quanto infruttuoso.
Ora almeno era da sola. La sua bugia sembrava aver momentaneamente soddisfatto la sua famelica compagna di stanza, o forse almeno le aveva dato qualcosa su cui riflettere.
Era venuto il momento di agire.
Forse poteva chiamare Emma. Finalmente le era stata concessa della privacy, poteva chiamare la professoressa con una scusa banale, poteva dirle di non sentirsi bene oppure semplicemente dire che Malefica, anzi, Kristin, aveva messo qualcosa dentro al suo succo…
Afferrò il cellulare.
Stava per comporre il numero, quando si bloccò e si guardò intorno, scrutando le squallide pareti del bagno.
Quanto era disperata per dover fingere di stare male e riuscire ad elemosinare un po’ dell’attenzione di Emma?
Non erano amiche loro due? Non sarebbe stato più semplice chiamarla e chiederle di fare un giro…? Lei lo avrebbe apprezzato sicuramente di più.
Indecisa sul da farsi, sentì improvvisamente bisogno di alcool.
E come se avesse sentito il suo richiamo, Kristin entrò di nuovo in bagno.
“Smettila di stare lì a fissare il cellulare. Non avrai mai il coraggio di chiamarlo. O chiamarla.”
“Cosa?” esclamò allarmata Regina.
L’altra alzò gli occhi al cielo.
“Vestiti. Ho sentito la mia amica Merrin che si è imbucata ad una festa di alcuni ragazzi del campus. Andiamo con lei questa sera.”
Regina non disse nulla e fissò il cellulare.
“Allora? Te l’ho detto, ti manca il coraggio.” La canzonò la compagna.
“Non è vero.” Mormorò la mora.
“Sì che lo è.”
Regina scosse la testa infastidita.
Era vero.
Si guardò intorno a disagio.
“Facciamo un salto alla festa. Se fa schifo però me ne vado.” Disse poi semplicemente.
 
 
 
Quando Belle arrivò in sala d’attesa, trovò Robert abbandonato su una delle sedie che le aveva indicato, gli occhi chiusi. Sembrava addormentato.
La ragazza esitò. Doveva svegliarlo?
Si avvicinò lentamente e si sedette accanto a lui.
“Robert?” provò piano.
Lui aprì gli occhi.
“Non stavo dormendo.” Disse subito, scuotendo la testa intorpidito. “Giuro.”
Belle sorrise leggermente.
“Va tutto bene…beh, insomma, non sarebbe stato un problema se tu avessi deciso di riposarti.”
Gold si guardò intorno leggermente rintronato, poi improvvisamente desto si raddrizzò sulla sedia, afferrò alcune cose che aveva depositato al suo fianco e gliele porse.
“Ecco, ho preso da bere. E anche da mangiare, ci sono gli Oreo, delle…gallette di riso, credo, e questa è frutta secca.”
Belle lo guardò stupita. Appoggiò i fogli che il medico le aveva consegnato sulla sedia accanto alla sua e si lasciò andare contro lo schienale.
“Ho…solo fatto rifornimenti. E’ ora…è ora di cena.” Si giustificò Robert guardando dubbioso il cibo.
“Sei stato molto gentile” lo rassicurò Belle, immaginando che avesse mal interpretato il suo sguardo “però non ho fame.” Concluse tristemente.
Lui annuì serio.
“Com’è andata? Cos’hanno detto?”
“Non…non è niente di grave. E’ un’arteria ostruita e vogliono operarlo subito per evitare che il problema peggiori.”
“Subito intendi…”
“Intendo ora, sì. E’ un’operazione di routine e non vogliono rischiare di lasciarlo così un’altra notte.”
Robert tamburellò il piede nervoso.
“Quindi ora…”
Belle fissò l’orologio con sguardo vuoto.
“Ora lo operano, non ci metteranno molto…poi mi diranno.”
Gli spiegò brevemente la situazione, ciò che le avevano detto i medici e ciò che le aveva detto suo padre. Dopodiché entrambi rimasero in silenzio.
Non c’era molto altro da dire: i medici e le infermiere camminavano avanti e indietro per la corsia, alcuni di fretta, altri svogliati, chiacchierando o sorseggiando i loro caffè. Il tempo passava lentamente e Robert decise che era venuta l’ora di mangiare di nuovo.
Belle non toccò cibo ma bevve il tè.
Si torceva le mani nervosa, guardava l’orologio, sobbalzava ogni volta che un medico usciva da qualche sala operatoria.
“Secondo me dovresti mangiare qualcosa.” Riprovò Robert un’oretta dopo.
Non ottenne risposta.
Intanto il monotono e continuo trillare dei macchinari accompagnava la loro veglia.
 
 
Le persone intorno a lei si divertivano, Kristin era sparita ed era ritornata più volte, lo sguardo sempre più perso. Regina non aveva dubbi sulla destinazione della ragazza ogni volta che si allontanava, come non lasciava dubbi l’odore di fumo sui suoi vestiti.
Regina sbuffò.
Controllò il cellulare: nulla.
Ovviamente.
Belle e Robert erano via dal pomeriggio, chissà che bella giornata avevano passato insieme, si erano sicuramente riconciliati…ed Emma dov’era?
Si alzò inquieta ed improvvisamente sentì una mano appoggiarsi sulle spalle.
Si girò di scatto.
“Togli subito quella mano o te la strappo.” Ringhiò.
Il ragazzo che stava di fronte a lei si ritirò bruscamente e la guardò con tanto d’occhi.
Regina riconobbe un ragazzo della sua scuola, tale Robin.
“Non farlo mai più.” Disse in tono minaccioso.
Odiava quel tipo di approccio.
“Tranquilla Vostra Maestà” ironizzò lui. Sembrava essersi ripreso dalla rispostaccia, così si avvicinò di nuovo alla ragazza.
“Non sono qui per importunarti se è questo che credi.” Dichiarò poi. “Sono finito a questa festa e non conosco nessuno. So che sei amica di Gold, quindi volevo chiederti se per caso l’hai visto…è sparito da questa mattina.”
Regina rimase un momento immobile.
“No.” Rispose poi “Non ho idea di dove sia.”
Si abbandonò su un divano, mentre le persone intorno a lei urlavano e ballavano.
“Non ti senti bene?” le chiese Robin, rimanendo in piedi davanti a lei, le mani in tasca.
“Sono stanca.”
“Perché non vai in camera?”
“Perché non ne ho voglia. Perché non la smetti di parlare?”
“Stanno parlando tutti!”
“Tu smettila e basta.”
Lui alzò le mani, sorrise, e con un cenno  la salutò e se ne andò.
 
 
 
Passarono due ore nelle quali Belle si accasciò debolmente su una delle sedie e chiuse gli occhi. Poco dopo Robert vide il petto della ragazza alzarsi e abbassarsi ritmicamente e capì che si era addormentata.
Si tolse la giacca e la coprì, curandosi di non svegliarla.
Poi riprese a mangiare, nervoso, osservando l’orologio.
Improvvisamente apparve davanti a lui una giovane infermiera molto carina e sorridente.
“Tè? Caffè? Succo?” chiese, indicando il carrello.
“Oh. Sì grazie, due tè alla pesca.”
L’altra annuì e glieli pose.
Una volta che lo ebbe scrutato bene, il sorriso si fece più ampio.
“Mi ricordo di te.”
Lui la guardò sperduto. Poi lo sguardo gli cadde sulla targhetta del nome: “Nova”.
Strinse gli occhi, cercando di ricordare.
“Sei quello a cui abbiamo tolto i pezzi di vetro dal ginocchio questo inverno. Eri terrorizzato dall’anestesia!”
Robert arrossì. Tutti si ricordavano di lui, era praticamente diventato lo zimbello dell’ospedale.
“Già.” Bofonchiò, guardando altrove.
“Anche lei era con te!” continuò lei allegramente, indicando Belle addormentata. “Vi siete baciati prima dell’intervento. Il dottor Whale sosteneva che voi non stesse insieme ma io sì. Così abbiamo scommesso dieci dollari.”
Robert aggrottò la fronte. Era una storia piuttosto strana. Perché gliela stava raccontando?
“Insomma, ho vinto una scommessa grazie a voi due. Quindi, grazie!” concluse.
Lui annuì imbarazzato “Prego.”
Rimase un momento in silenzio.
“Dovrebbe ridare i dieci dollari al dottor Whale.”
Nova lo guardò sorpresa.
“Perché?”
“Non stavamo veramente insieme all’epoca.”
Lei tornò a sorridere.
“Beh, ma ora sì. Quindi…”
“No, neanche ora.” Disse lui piattamente.
Nova si morse il labbro.
“Però siete insieme qui.”
“Non significa niente.”
L’infermiera si sedette accanto a lui. Il ragazzo sembrava davvero giù di corda e per Nova vedere le persone tristi era desolante.
Per questo aveva deciso di fare l’infermiera: aveva sempre voluto aiutare gli altri.
“Scommetto altri dieci dollari che starete insieme.” Dichiarò infine, tornando a sorridere.
“Con chi li scommette?”
“Con te.”
“E’ una causa persa…”
“Allora non hai nulla da perdere.”
Gli tese la mano.
Lui esitò, ma infine decise che era troppo stanco per ribattere così la strinse.
“Ricorda.” Disse Nova alzandosi e strofinandosi le mani soddisfatta “Che io riconosco sempre l’amore, quando lo vedo. E ricorda che mi devi dieci dollari.”
Robert la guardò allontanarsi stupito ma anche stranamente speranzoso.
 
 
 
 
 
Quella serata era stata un vero fallimento.
Di poche cose Regina era assolutamente convinta nella sua vita, ma questa era una di quelle certezze inconfutabili. Aveva trascorso qualche ora in camera a bere senza un vero proposito, chiacchierando del nulla con la sua compagna, non era riuscita a chiamare Emma, aveva deciso di uscire insieme a Kristin ed imbucarsi ad una festa al campus che si era rivelata tutto fuorchè divertente. Il tutto sarebbe potuto anche essere stato emozionante, se Regina avesse avuto un altro carattere.
Kristin si era trovata con la sua amica Merrin e insieme si erano date alla pazza gioia.
Poteva anche essere stato quasi una bella serata all’inizio, ma dopo un po’ la musica era diventata troppo forte e i drink avevano iniziato ad essere troppo pesanti e la gente urlava e i ragazzi erano un po’ troppo su di giri.
Dopo aver schiaffeggiato uno studente del secondo anno di biologia per averla toccata, Regina aveva deciso che era ora di porre fine a quello strazio.
Si era avviata verso l’uscita e aveva deciso di tornare in camera.
Quasi quasi rimpiangeva Gold e le sue serate con lui; loro due almeno sapevano come ridere e tenersi compagnia, nonostante il ragazzo tendesse a diventare piuttosto lamentoso ed indisponente da ubriaco. Non che con Kristin si fosse trovata male, questo non poteva dirlo, ma quel tipo di festa non faceva per lei.
No, pensò Regina, a lei piacevano le feste un po’ più calme, esclusive, con un bell’ambiente e i suoi amici…
Non molto lontano da lei, Merrin uscì di corsa e urlò “ANDIAMO A CAMMINARE SUI BINARI!” mentre alcune ragazze la seguivano.
Regina scosse la testa impietosita, vedere quelle che dovevano essere studentesse del college comportarsi come liceali era davvero uno spettacolo triste e lei in tutto quello non c’entrava niente, quindi era ora di tornare in camera.
Camminava rapidamente per il parco del campus, non vedeva l’ora di infilarsi nel letto, l’indomani si sarebbe dovuta svegliare presto e lo sapeva, avrebbe avuto mal di testa per tutta la mattina…
E poi il miracolo accadde.
 
 
 
 
“Suo padre si sveglierà domani mattina.”
Belle guardò il medico con tanto d’occhi, mentre Robert camminava inquieto dietro di lei, consapevole di non potersi fare avanti perché non parte del nucleo famigliare.
“Sta…lui-“
“Sta bene. L’intervento è andato a buon fine ma chiaramente è ancora sotto anestesia, si sveglierà domani mattina.”
Belle annuì e fece per parlare di nuovo, ma si bloccò.
Il dottore la scrutò con fare critico.
“Lei ha bisogno di una bella dormita. Vada a casa e si riposi. Lasci il cellulare acceso e per ogni evenienza la contatteremo…ma non si preoccupi. Dorma e domani, con calma, discuteremo i dettagli.”
“Domani?”
“Sì, domani.”
La ragazza cercò di protestare ma le parole le morirono in gola. Andava tutto bene. Il medico glielo stava assicurando.
“Passo la notte qui.” Disse però, molto decisa.
“Ovviamente è libera di farlo, ma se permette…le consiglio di andare a casa. E’ tutto sotto controllo.”
A quel punto Robert, impaziente come non mai, si palesò di fronte al dottore e, cercando di avere un fare autoritario, parlò.
“Vorrei sapere anche io cosa succede. Penso di averne tutto il diritto.”
Si alzò anche un po’ sulle punte, giusto per sembrare più alto.
Fu felice di non essersi fatto la barba quella mattina, sembrava sicuramente più adulto in quel modo, con una leggerissima ombra sul mento e sulle guance.
Belle lo guardò male.
“Sono certo che la signorina la aggiornerà su tutto.” rispose il dottore con un mezzo sorriso. Dopodiché si congedò.
Belle si girò e lo fronteggiò.
“Si è visto che ti sei alzato sulle punte dei piedi.”
Robert si sgonfiò e riprese il suo naturale modo di fare.
“Allora? Cosa succede? Sta bene?”
Lei spiegò ciò che le aveva detto il medico.
“Io però penso di dormire qui.” Disse infine.
Gold scrutò la corsia e le sedie della sala d’attesa, molto dubbioso.
“Credo che sia meglio andare a casa.”
“No” si intestardì lei.
“Belle…”
“Se succede qualcosa io-“
“Non succederà nulla. E poi terrai il cellulare acceso. Belle, devi dormire e non puoi farlo su quelle sedie. Mi viene mal di schiena solo a guardarle. E…e stare qui non cambierà le cose, lo sai.”
Lei pestò i piedi arrabbiata e gironzolò inquieta per la sala d’aspetto, mentre Robert aspettava paziente.
Non serviva a nulla stare lì, lo sapeva, Robert aveva ragione. Non avrebbe fatto la differenza.
E suo padre l’avrebbe voluta a casa, a dormire nel suo letto…
Tornò dal ragazzo.
“Va bene.” Dichiarò “Ma devi portarmi a casa, gli autobus non passano più dopo le nove.”
Lui sorrise.
“Non c’è nessun problema.”
“Prima però devo chiamare mia zia Ruby. Ho…ho bisogno di sentirla e devo avvisarla.” Si interruppe e improvvisamente si portò la mano alla fronte “e devo avvisare la Swan, cazzo.” Esclamò concitata. Afferrò il cellulare.
“La Swan l’ho avvisata io. Tranquilla. Sanno cos’è successo.” Le disse subito Robert.
Belle lo guardò piena di gratitudine.
“Grazie. Io…non so dove ho la testa ma-”
“Non c’è di che.”
La ragazza annuì.
Poi decise che era davvero venuto il momento di chiamare sua zia.
 
 
 
Emma Swan era lì.
Inizialmente Regina fu certa di aver bevuto troppo, temette addirittura che una delle sue nuove amiche le avesse lasciato qualche sorpresina nel bicchiere…non poteva essere. La fortuna non era mai stata dalla sua parte, possibile che proprio ora la sorte le sorridesse?
Eppure i capelli biondi erano i suoi. E anche i jeans, il giubbotto di pelle rossa.
Era semplicemente seduta su una panchina del campus, il cellulare in mano e un libro in un'altra.
La mora esitò.
Qual era la cosa migliore da fare?
Si guardò lentamente intorno.
Forse Emma era con qualcuno, magari con la Blanchard…o forse stava aspettando qualcuno, anche se quelli erano un luogo e un’ora curiosi per aspettare amici o colleghi.
O magari era sola. Magari la sua serata era saltata oppure non aveva mai avuto un programma per quella sera e ora stava semplicemente ingannando il tempo, godendosi l’atmosfera di festa del campus…
Mentre Regina rifletteva febbrilmente, realizzò di essersi fermata di fronte alla panchina. Se Emma avesse alzato la testa l’avrebbe subito notata e cos’avrebbe pensato, vedendola lì, immobile?
Doveva pensare ad una soluzione rapida. Così si arrangiò alla bell’e meglio e senza dare nell’occhio si spostò in una stradina laterale, fuori dalla luce dei lampioni.
Ora doveva aspettare, pensò.
Avrebbe semplicemente atteso qualche minuto per assicurarsi che Emma non fosse in compagnia e per essere sicura di non risultare inopportuna, dopodichè si sarebbe palesata.
Non venne nessuno e la professoressa continuava a guardare il cellulare, corrucciata. Così, dopo alcuni minuti, Regina decise che era venuto il momento di agire.
Si alzò, camminò rapida e si scompigliò leggermente i capelli, giusto per dare l’idea di essere di fretta.
Una volta vicina alla panchina esclamò con grande – e finta – sorpresa.
“Professoressa Swan!”
Emma alzò il volto e la guardò sperduta.
Una volta riconosciuta l’interlocutrice, sorrise.
“Regina. Mi hai fatto prendere un colpo.”
In risposta si beccò un sopracciglio inarcato e le braccia incrociate.
Cordiale come sempre – pensò Emma.
“Cosa ci fai qui?” le chiese poi.
Regina scrollò le spalle.
“Sono andata con delle amiche in un bar per conoscere alcuni ragazzi del campus e farci spiegare come funziona la vita qui…sa, per sapere un po’ cosa c’è da fare nel tempo libero, se ci sono locali, palestre…” Inventò spudoratamente. Stette attenta a scandire bene le parole per mascherare la sua poca sobrietà.
L’altra strinse gli occhi sospettosa, ma annuì.
“Lei?” chiese poi Regina.
“Io dovevo vedermi con la professoressa Blanchard. Ma a quanto pare ha avuto dei...” esitò e storse il naso “problemi di stomaco. Quindi mi sono trovata a girovagare da sola per il campus. Con un libro.”
“Anche io ora sono sola.” Esclamò rapidamente Regina. Un po’ troppo rapidamente si disse poi, mordendosi la lingua e sperando che l’alcool non la portasse a dire altre frasi inopportune.
“Quindi com’è andato il giro coi ragazzi del campus?”
“Mah, noioso direi. Mi aspettavo di meglio.” Dichiarò con fare quasi sdegnoso.
“Nessuno di loro era all’altezza?”
“Più o meno.”
Emma annuì mentre la ragazza di fronte a lei si guardava intorno sospettosa. Sembrava quasi che aspettasse di veder spuntare qualcuno da dietro qualche cespuglio. Attese pazientemente.
“Ha voglia di bere qualcosa insieme?” sbottò infine.
La professoressa sorrise trionfante. Sapeva benissimo che Regina odiava dichiararsi sconfitta e piuttosto che tornarsene in camera dopo una serata noiosa, avrebbe fatto qualunque cosa pur di movimentare le cose. Anche concedersi un altro drink con la sua professoressa di psicologia.
Ed Emma ne era contenta. Iniziava a sentirsi davvero triste e fuori luogo a Boston.
Margaret Blanchard non era una donna cattiva o antipatica, ma per certi versi le ricordava molto sua madre. Petulante e molto ansiosa. Insomma, una donna adulta, pensò Emma, mentre lei si considerava ancora giovane e vedere tutti quei ragazzi all’università le aveva messo addosso una grande voglia di vivere e godersi la vita.
La Blanchard non faceva che parlare di animali, cibo e dei suoi problemi di stomaco. Dopo due giorni la cosa aveva iniziato a farsi sfiancante e terribilmente noiosa.
Così la bionda colse la palla al balzo.
“Credevo che non me lo avresti mai chiesto.” Dichiarò, alzandosi dalla panchina e strofinandosi le mani sui jeans.
“Perché?”
“Perchè ti conosco.” Rispose Emma sorridendo leggermente.
Regina inarcò le sopracciglia dubbiosa.
In ogni caso, quella per lei era una grandissima vittoria.
Così si mise a camminare con fare baldanzoso accanto alla professoressa, diretta verso uno dei numerosi bar universitari che Kristin le aveva indicato la mattina precedente.
 
 
 
 
Belle sentì il telefono squillare e attese, sperando che sua zia rispondesse. Magari stava lavorando alla tavola calda o magari aveva appena finito il suo turno ed era andata a dormire…
“Belle?”
La voce di Ruby le giunse forte e chiara all’orecchio.
“Zia!” esclamò Belle sollevata. Era lì. Poteva parlarle. Poteva avvisarla, chiederle aiuto…
“Mi dispiace se ti ho chiamata a quest’ora. Stai…stai lavorando?”
Il rumore della sala d’attesa era davvero fastidioso, così si tappò un orecchio per riuscire ad isolarsi.
“Non preoccuparti, sono in pausa. Come stai?”
“Io…bene.”
Esitò.
Come poteva dirle cos’era accaduto senza farla preoccupare inutilmente?
“Sicura?”
Belle si maledisse.
Sua zia aveva un grande istinto quando si trattava di capire se una persona mentiva oppure no.
“Non proprio…”
 “Senti, è per quel cretino con cui eri fidanzata un po’ di settimane fa? Stai ancora male per lui? Dimmi di no, ti prego, poi ho visto le sue foto su Facebook, ha dei capelli da idiota e hai visto le sue foto in costume? Ha la pancia!”
A Belle scappò una mezza risata. Se Robert avesse sentito quel discorso…
“No…io…lui non c’entra. Ecco…” si bloccò e respirò a fondo. “Papà non sta bene.”
Seguì un momento di silenzio.
“Cosa vuol dire?”
La voce di Ruby si fece improvvisamente tesa e Belle capì che la donna stava pensando a cos’era successo a sua sorella, a Colette, la mamma di Belle.
“Non…non è come per la mamma.” Disse subito la ragazza. “Io…sono in ospedale. L’hanno operato al cuore…credo…credo che ora stia bene.”
Ancora silenzio.
“Belle, cos’è successo?”
“Non lo so con certezza.”
Camminò inquieta per la corsia.
“Ero…ero a Boston e mi hanno chiamata dall’ospedale dicendomi che papà non si era sentito bene.”
Sentì un vago rumore in sottofondo, rumore di una tastiera.
“Ruby?” provò.
“Sto controllando gli orari dei treni per Storybrooke. Un momento.”
Belle rimase zitta.
Se controllava gli orari dei treni significava che…
“Perché CAZZO DEVE ESSERCI SCIOPERO DOMANI!? Si può sapere!?” abbaiò improvvisamente furiosa Ruby.
La ragazza sobbalzò.
“Ruby io-“
“Ma è questo il modo di fare!? E poi che sito inutile. Non mi segna neanche le coincidenze…aspetta…”
Belle attese.
“Niente. Domani non ce la faccio. Sarò lì domenica mattina alle undici.”
Belle deglutì. Non sapeva cosa dire. Aveva chiamato solo per avvisare, per sentire la voce amichevole di sua zia, per sentirsi rincuorata…
“Grazie. Mi dispiace, io non volevo disturbarti, davvero…io...” Le uscì.
“Macchè, macchè. Sono solo incazzata perché non riesco ad arrivare domani. Tu fai così: tienimi aggiornata, chiamami domani mattina e spiegami tutto con calma, per filo e per segno. Ora devo tornare al lavoro, la vecchia mi scuoia viva se non servo quegli hamburger…noi due ci vediamo domenica alle undici. E AGGIORNAMI.”
Belle continuò a balbettare e a ringraziarla.
Appena finita la chiamata, sentì una piccola bolla di gioia gonfiarsi nel petto.
Sua zia veniva da lei domenica. Era da Natale che non la vedeva, l’avrebbe riabbracciata a breve. Sua zia che era per lei come una seconda mamma, e nonostante abitasse lontana, trovava sempre il modo di starle vicina.
Tornando in sala d’attesa Robert le venne subito incontro.
“Dunque, com’è andata?”
“Bene. Io - lei verrà qui. A Storybrooke. Domenica mattina.”
Robert sorrise e fece per poggiarle la mano sulla spalla. A metà strada cambiò evidentemente idea e si limitò a stringere il pugno il segno di vittoria.
“Noi…possiamo andare.” Disse semplicemente Belle.
“Perfetto. Vuoi qualcosa da bere?”
“No, sto bene.”
“Da mangiare? Belle, sono ore che non-“
“Basta! Cazzo, te l’ho già detto, non ho fame!”
Il ragazzo chiuse la bocca di scatto. Fece un passo indietro desolato.
“Scusa.” Pigolò lei dispiaciuta “Non volevo essere brusca. Scusa, davvero.”
Lui si grattò la testa, guardando il pavimento.
“Non…non fa niente.” Disse infine.
“Mi dispiace” ritentò Belle.
“Non è successo niente.” Minimizzò Robert.
Belle sapeva benissimo di averlo ferito, lo vedeva nel modo in cui gli occhi scuri del ragazzo fissavano il linoleum della corsia.
Avrebbe voluto abbracciarlo in quel momento.
Era venuto con lei a Storybrooke, l’aveva accompagnata in ospedale, era stato lì con lei, si era preoccupato per lei ed ora era lì, ancora lì, pronto ad aiutarla nonostante tutto.
Strinse i pugni, resistendo all’impulso di stringerlo e dirgli che le dispiaceva, che era felice che fosse lì con lei, che la faceva stare bene e che non voleva che se ne andasse.
Ripensò al modo in cui l’aveva aggredito.
Era stata una frase ingiustificata, ma la tensione accumulata durante tutta la giornata, e forse anche nelle ultime settimane, tendeva semplicemente ad esplodere nei momenti meno opportuni.
“Sono solo molto spaventata. Mi dispiace tanto.” Cercò di dire infine.
Lui annuì, guardandola negli occhi.
“Lo so. Andiamo alla macchina.”
Questa volta le appoggiò la mano sulla spalla e insieme uscirono dall’ospedale, non senza essersi prima fermati alla macchinetta delle merendine e aver comprato un pacchetto di Oreo che Belle divorò mentre Robert la guardava rincuorato.
 
 
“E’ un’ottima serata.” Disse Emma con voce alterata, battendo le mani allegramente.
Regina annuì coscienziosamente. Era una meravigliosa serata. Forse non era iniziata nel migliore dei modi ma sicuramente si era evoluta bene, estremamente bene. Mentre Emma osservava con sguardo rapito il suo bicchiere vuoto, Regina pensò fugacemente a Kristin. Chissà dov’era adesso. Chissà se l’avrebbe trovata in camera al suo ritorno e soprattutto, chissà in che stato l’avrebbe trovata. La cosa la incuriosiva e la divertiva. Sperò che la ragazza fosse sola. Non voleva brutte sorprese e non voleva estranei ubriachi in camera.
“Però non va bene.” Esclamò improvvisamente la professoressa “Io sono la tua insegnante e non dovrei bere. Dovrei dare un buon esempio.”
Riprese a fissare il bicchiere, quasi con tristezza.
Regina arricciò il naso e si grattò la testa.
Quel discorso non aveva senso, non al momento.
“Non lo dirò a nessuno.”
“Non dovrei farlo comunque. E’ scorretto. Adesso smetto. Basta.”
Afferrò il bicchiere e lo buttò in un cestino vicino alla panchina sulla quale erano sedute.
“Ecco.” Disse tornando al suo posto “E’ ora di andare a dormire. Su, alzati.”
“Ma perché non la smette? Tanto ormai…”
Regina fece un vago gesto con la mano, come a dire che la serata era andata.
“Ma non dovrei farlo!”
La professoressa pestò i piedi rabbiosa.
“Forse no, ma si vede che ne aveva bisogno.”
Emma si girò verso di lei, ipnotizzata.
“Sì. E’ così!” mormorò ispirata “Ne avevo bisogno. Perché i miei genitori sono troppo asfissianti. Lo sai quante volte mi hanno chiamata da quando sono qui!? Sedici! Sai quante volte ho risposto?”
“Sedici?”
“ESATTO!”
Regina annuì. Aveva capito il problema.
“Ho solo bisogno di svagarmi un po’.” Mormorò assorta Emma.
Da qualche parte nel parco dell’università, un orologio battè forte le ore. Un solo rintocco. La luce del lampioni parve quasi affievolirsi.
“Ma è l’una!”
La voce di Regina destò Emma dal suo torpore.
“L’una?”
“Ma sì, non ha sentito l’orologio?”
“Quale orologio?”
Regina lasciò perdere.
Dopo qualche minuto, Emma si alzò in piedi e si stiracchiò.
“E’ davvero ora di andare. Abbiamo fatto anche troppi strappi alla regola per questa sera.”
Regina sorrise mesta.
“Immagini se sua madre sapesse.”
L’altra borbottò qualcosa in risposta e prese a camminare in direzione dei dormitori.
“Ti accompagno in stanza. Sei sotto la mia responsabilità.”
“Oh, stiamo ancora parlando di responsabilità?” la provocò Regina con finta innocenza.
Quelle ore passate insieme le avevano dato un nuovo coraggio e una nuova spavalderia. O meglio, aveva riacquistato gran parte della sua solita spavalderia, e la stava mettendo ampiamente a frutto.
“Non funzionerà.” La ammonì Emma.
Le fece segno di seguirla e camminò davanti a lei, baldanzosa.
Regina le stette dietro quasi a fatica.
“Perché i suoi genitori sono così?”
“Dovresti chiederlo a loro”
“Ha fatto qualcosa in passato per cui dovrebbero preoccuparsi?”
Emma si bloccò e la guardò.
Fu un lunghissimo istante e Regina pensò spaventata che forse non avrebbe dovuto porre una domanda simile, era stata indiscreta...
Lo sguardo della donna era indecifrabile.
“No. Cosa vuoi che abbia fatto?” disse infine.
L’altra scosse la testa.
“Niente.”
Ripresero a camminare.
“Magari si era fatta una canna o qualcosa di simile.”
Emma rise, di nuovo rilassata.
A Regina però non era sfuggita la reazione della donna. Si chiedeva cosa potesse essere successo di così terribile.
Probabilmente non era nulla.
Anche sua madre, Cora, se la prendeva per un mucchio di cose insignificanti.
Passeggiando parlando del più e del meno.
 
Arrivarono al dormitorio circa un quarto d’ora dopo.
Sulla porta Regina si bloccò bruscamente. E ora?
“Bene. Il suo dovere l’ha fatto. Ora può lasciarmi andare, la strada fino alla camera la conosco.” Sbottò.
Non era sua intenzione suonare così sarcastica, non voleva davvero, ma non poteva farne a meno.
Emma non sembrò darci peso e sorrise.
“E’ il tuo modo per ringraziarmi di averti accompagnata ed essermi assicurata che tu non finissi nelle mani sbagliate?”
“No.”
Emma annuì e alzò le spalle: Regina era fatta così.
“Allora, io raggiungo la mia di stanza…augurandomi che la professoressa Blanchard non sia ancora sveglia.” Concluse Emma.
Fece un passo avanti verso Regina e si fermò.
Regina rimase immobile, sentendo il cuore batterle forte in qualche punto imprecisato del petto. Intorno a loro il campus era silenzioso, era una bella serata, il cielo era terso e non c’erano nuvole. Era proprio una bella serata.
Per l’imbarazzo si molleggiò leggermente sulle punte e si strofinò le mani, pensando a qualcosa da dire, qualsiasi cosa pur di sbloccare quella situazione.
“Domani mattina quando vedrò la Blanchard e mi verrà da ridere sarà colpa sua.”
Emma rise.
“A domani.” Mormorò poi.
Vi fu ancora un momento di incertezza, Regina rimase ferma, combattuta se avvicinarsi, abbracciarla e ringraziarla della bella serata. Valutò che la distanza tra lei e la professoressa era considerevolmente poca. Infine scrollò le spalle quasi infastidita e con un cenno della testa sparì dentro al portone.
Una volta arrivata di fronte alla sua camera imprecò.
Imprecò molto, bussò e prese a pugni la porta ma niente da fare, Kristin era ancora fuori e Regina non aveva le chiavi.
Provò a chiamarla una, due, tre, fino a dieci volte ma niente. Ad un certo punto il cellulare di Kristin evidentemente si scaricò, perché smise di squillare.
Regina smise di chiamare così, furiosa e stanchissima, scese le scale e si preparò a fare una corsa per raggiungere Emma Swan.
 
 
 
 
 
 
 
“Allora…eccoci.” Dichiarò Robert.
Parcheggiò la macchina e rimase immobile, fissando la casa di Belle davanti a lui. Gli parevano passati secoli dall’ultima volta che l’aveva vista. Provò una stretta al cuore ripensando che l’ultima volta che si era trovato su quel vialetto di ciottoli bianchi, lei gli aveva detto ti amo, proprio lì, in quel preciso punto davanti alla porta d’ingresso.
Ora Belle era accanto a lui, di nuovo, ma tra loro c’era un muro.
La ragazza aveva il viso tirato, l’espressione stanca e triste, muoveva nervosamente le mani e continuava a controllare il cellulare.
“Belle?”
“Sì…sì. Ora scendo.” Disse lei con sguardo deciso.
Robert esitò un momento “Vuoi che venga con te fino alla porta?”
La ragazza rifletté, poi annuì brevemente, evitando però di guardarlo.
I due scesero dalla macchina e camminarono lungo il vialetto. Una volta nella veranda, si fermarono.
Belle continuava a guardarsi intorno: sembrava persa. Respirò a fondo.
“Io…adesso vado.” Iniziò quindi, cercando di mantenere un tono tranquillo.
“Okay. Per…per qualunque cosa puoi chiamarmi. Davvero, anche se è notte, non farti problemi. Io…ci sono.”
Robert provò il forte impulso di prenderle di nuovo la mano e stringerla. Invece si infilò le mani in tasca e guardò la ragazza di sottecchi.
“Vorrei chiederti una cosa.” Disse improvvisamente Belle. Sembrava profondamente combattuta ma anche decisa.
 “Capisco se vuoi rifiutare, credimi. Non vorrei farlo ma…ne ho bisogno.”
“Dimmi pure!”
“Non- non so cosa fare adesso. Non voglio dormire qui, senza nessuno. Insomma, non mi è mai capitato, sai, mio padre è sempre in casa…io…ho paura. E…e mi sento un po’…” si interruppe desolata, si morse le labbra, respirò a fondo e riprese “Non lo so, mi sento sola e…debole. Capisci cosa intendo?”
Gold annuì lentamente.
“Vuoi che ti faccia un po’ di compagnia?”
Belle lo guardò dal basso verso l’alto, il viso rosso.
“Potresti…dormire qua?”
Robert deglutì. Sì, certo che poteva. Anzi, una parte di lui era anche contenta di quell’imprevedibile risvolto della situazione. Poteva starle vicino, poteva abbracciarla se ne aveva bisogno, avrebbe fatto qualsiasi cosa necessaria.
“Se tu vuoi, certo.”
“Sì, mi…mi farebbe piacere. Però non sentirti obbligato, davvero io-”
“Lo faccio volentieri.”
Così entrarono in casa.
 
 
Trovò Emma, non molto distante dal dormitorio.
“Professoressa Swan!” esclamò Regina, fermandosi di colpo e respirando profondamente. Quella corsa l’aveva spossata.
Emma si girò stupita.
“Regina? Cosa succede? Hai diment-“
“Non ho le chiavi.” Esalò l’altra.
Emma sgranò gli occhi.
“Come sarebbe a dire? Le hai perse? Ecco perché non bisogna bere, vedi cosa succede? E adesso come faremo…devo chiamare la Blanchard e-“
“Ce le ha la mia compagna di stanza!” la interruppe Regina secca.
La professoressa sospirò sollevata.
“Mi hai fatto prendere un colpo!”
“La mia compagna di stanza non è in stanza!”
“Eh?”
“Non è in stanza! E io non ho le chiavi!”
“Quindi?”
Regina pestò i piedi impaziente e infastidita.
“E quindi non posso entrare in stanza! Non è difficile da capire!”
Emma si illuminò improvvisamente.
“Ho capito, basta dirlo subito senza essere scortese” puntualizzò poi.
“Non so cosa fare.”
“L’hai chiamata?”
“Ha il cellulare spento.”
La bionda si strofinò il viso, stanca.
“Chi è lei?”
“Kristin Bauer.”
“Va bene. Hai idea di a che ora tornerà?”
Regina scosse la testa. Non aveva idea. Per quanto la riguardava, forse non sarebbe nemmeno tornata e avrebbe dormito fuori.
Emma rifletteva. Si guardò intorno.
“Vieni da me.” Disse infine.
La prima reazione di Regina fu di trionfo. Quello era un risvolto inaspettato e piacevole. La seconda, fu di imbarazzo: cosa intendeva? Intendeva farla dormire da lei? Non aveva neanche il pigiama o lo spazzolino da denti…
La terza reazione fu di sommo orrore.
“Non dormirò con lei e la Blanchard!” urlò orripilata.
“Non urlare!”
“Non ho urlato!”
“Si invece”
“Beh, non dormirò con lei e-“
“Non dormo con la Blanchard!” esclamò Emma. “Ma ti pare!? I professori hanno stanze separate!”
Regina aprì la bocca a vuoto e poi la richiuse.
“E perché noi studenti no? Perché noi dobbiamo condividere le camere?” riprese poi, bellicosa.
Emma scrollò le spalle.
“La mia stanza è di qua.”
Prese a camminare lungo un vialetto che costeggiava un edificio più piccolo rispetto al dormitorio. Regina le trotterellò dietro.
“Riprova a chiamare la tua compagna intanto.”
Provò, non ottenne risposta.
“Il preside mi sentirà.” Borbottò Emma.
Infine, dopo aver camminato, dopo numerose scale, giunsero di fronte ad una porta.
“Io dormo qui.” Emma indicò la sua porta “E la Blanchard dorme lì.” Ne indicò un’altra.
Incrociò le braccia.
Regina sbuffò.
La sua mente era concentrata su tutt’altro che la camera della Blanchard. Era lontana dalla Blanchard e dai suoi problemi intestinali, stava pensando alla porta che aveva davanti e al fatto che di lì a poco l’avrebbe varcata. Deglutì.
Non stava succedendo nulla, doveva calmarsi o avrebbe sicuramente rovinato tutto. Quando Regina era agitata tendeva a diventare intrattabile e piuttosto aggressiva. Respirò a fondo.
Emma armeggiò con le chiavi e le due donne entrarono.
 
 
“Posso avere una coperta?” Domandò Robert, indicando il divano.
Belle, che stava preparando un tè, si girò a guardarlo.
“Per cosa?”
“Per dormire!”
Lei inarcò le sopracciglia, dopodiché scosse la testa.
“C’è già il piumino, non serve la coperta.”
Gold rimase un momento immobile, perplesso, senza capire la risposta.
“Allora…” Disse dopo un po’ la ragazza. Gli porse una tazza di tè e parlò piano, quasi sottovoce “Mi dispiace per il disordine tra l’altro…”
“Figurati!”
“Comunque per… se vuoi posso darti una t-shirt di mio padre per dormire. Non so come ti senti più a tuo agio ma-“
“Sto bene così, davvero.” Tagliò corto Robert.
Belle lo scrutò con sguardo critico, ma alla fine annuì. Le sarebbe piaciuto ribattere e chiedergli come faceva a dormire con la cintura e la camicia così strette, ma decise di ignorare la cosa. Non erano affari suoi in fondo.
Non più, almeno.
“Allora, vieni.”
Robert la seguì come in trance.
Salire le scale, entrare in quella camera da letto dove lui e Belle avevano passato insieme il San Valentino, dove si erano baciati, dove avevano fatto l’amore più volte…cercò di non pensarci. Cercò di non pensare a nulla, né al profumo della ragazza che era nell’aria, né alla sensazione di tristezza e desolazione che lo pervadeva.
“Scegli pure un lato del letto.” Disse bruscamente Belle.
Era conscia di quanto fosse imbarazzante e deprimente la situazione. Ma in quel momento non aveva la forza per pensare al fatto che dopo un mese ancora stesse così male per quella storia e che si fossero trovati costretti in quella situazione. Era solo felice di avere qualcuno con lei in casa, qualcuno che la facesse sentire un po’ meno sola e miserabile, qualcuno che la capisse, anche se quel qualcuno era Robert Gold.
Le era costato caro chiederle ciò che gli aveva chiesto, per tutto il viaggio in macchina, mentre lui guidava e lei osservava di sottecchi il suo profilo concentrato, aveva pensato a come chiederglielo, se chiederglielo. Avrebbe volentieri fatto tutto da sola, ma era davvero spaventata. Tutti gli eventi delle ultime settimane, tutti i problemi e le ansie erano sbottati in un sol colpo. Sarebbe esplosa se fosse stata sola.
“Come scusa?” La voce di Robert la ridestò dai suoi pensieri.
Lei si girò verso di lui.
“Un lato del letto. Scegli quello che preferisci.”
“Per…fare?”
“Per dormire, magari?”
Gold aprì la bocca a vuoto.
Due o tre volte.
“Ah. Ma io credevo che- che insomma, avrei dormito sul divano.”
Belle scosse la testa.
“Se ci tieni tanto, okay. Ma sappi che è scomodissimo dormirci sopra per una notte intera.”
Detto questo, aprì l’armadio e afferrò un pigiama pulito. Robert si guardò i piedi imbarazzato, indeciso sul da farsi.
“Vuoi che esca? Devi…devi cambiarti?”
La ragazza respirò a fondo.
“Senti.” Disse secca “In questo momento non mi importa nulla delle formalità. Non mi importa se dormi con me o se mi tolgo la camicia mentre sei in camera e tu vedi la mia schiena. Voglio solo stendermi, chiudere gli occhi, addormentarmi e dimenticare per qualche ora che esisto e che la mia vita in questo momento fa schifo.”
Così dicendo, si sfilò la camicetta e con un movimento fluido si infilò la t-shirt.
“Ripensandoci, potrei avere anche io una t-shirt?” disse infine Robert.
Se non voleva formalità, allora tanto valeva…
La ragazza tornò poco dopo dalla camera di suo padre con una maglietta blu. Gold, dopo essersi tolto la sua camicia, se la infilò.
“Ci navigo qui dentro.” Mormorò pensieroso, muovendo le braccia e valutando l’ampiezza delle maniche.
“E’ perché sei basso.”
“Non sono basso!”
“Sì invece.”
“No! E poi ho ancora tempo per crescere, sono giovane!”
“No Robert, hai diciannove anni. Rimarrai basso e faresti bene ad accettare la cosa una volta per tutte.”
“Ma-“
“Non ho voglia di discutere di questo!”
Non aggiunse altro, tirò le coperte e si sedette sul letto.
Afferrò il cellulare e lo controllò un’altra volta, poi lo appoggiò sul comodino.
“Va bene…allora eccomi.” Borbottò Robert imbarazzato, sedendosi anche lui sul letto, dall’altro lato.
“Buonanotte!” Mormorò lei. Si sdraiò, si girò curandosi di dare le spalle al ragazzo, e spense la luce.
Passò un minuto, poi aggiunse un “grazie”, leggero e affaticato ma pieno di reale gratitudine.
 
 
 
 
 
“Scegli pure un lato del letto.”
Emma apparve sulla soglia del bagno, lo spazzolino da denti in bocca e il beauty in mano. Regina guardò il letto e rimase immobile.
Respira a fondo – pensò.
Considerò freddamente quale lato le piacesse di più. Alla fine indicò quello dalla parte della finestra.
“Meglio così, a me piace dormire verso il muro.” Biascicò Emma allegra, masticando il suo spazzolino da denti.
“Non ho un pigiama.” Disse poi Regina. Intanto camminò a disagio su e giù per la stanza, occhieggiando la valigia di Emma e valutandone il contenuto.
Un grande libro marrone attirò il suo sguardò.
“Un libro di fiabe? Davvero?” proruppe poi in un risata.
“Ti proibisco di ridere.”
La voce di Emma proveniva dal bagno.
Regina lo afferrò e lo aprì.
“Ci sono persino i disegni…”
“Smettila di frugare nelle mie cose!”
Emma zampettò allegramente verso di lei e chiuse la valigia con un mezzo calcio.
“Perché legge questa roba?”
“Non è per me. L’ho comprato qui ma è un regalo.”
La ragazza alzò lo sguardo stupita.
“Per?”
“Una persona.”  Rispose l’altra semplicemente.
Regina sbuffò.
Poi le venne in mente un tremendo sospetto.
“Persona.” Sibilò.
“Come dici?”
“Niente.”
“E’ per una persona e non dovresti commentare!”
Regina lo chiuse di scatto e salì sul letto, sedendosi.
“Quindi c’è una persona nella sua vita!” La canzonò poi.
Ma non c’era nulla di divertente in tutto quello.
Sperò di aver frainteso, sperò che quell’uomo con cui l’aveva vista da Granny’s fosse solo un conoscente, sperò che non ci fosse nessuno nella vita di Emma Swan.
Emma incrociò le braccia e alzò gli occhi al cielo.
“Ci sono molte persone nella mia vita. Anche tu sei una di queste.”
Regina la guardò seria ed Emma con un mezzo sorriso si voltò. Prese a frugare nella valigia e le lanciò una t-shirt.
“Tieni, dormi con questa.”
“Chi è questa persona?”
“Non sono affari tuoi.”
“Allora deve essere importante.”
Emma non rispose e continuò a controllare la sua valigia.
“Non è un uomo. Se è questo che ti interessa.” Disse infine, tirandosi su e guardando la ragazza che in quel momento era sdraiata nel letto e fissava il soffitto.
Regina sentì il cuore aumentare il suo normale battito, ma non lo diede a vedere.
Non è un uomo – si disse trionfante.
In effetti era un libro di fiabe. Poteva essere un regalo per un bambino, per un nipote o un cuginetto.
Che sciocca era stata, come aveva fatto a non pensarci…
Emma le lanciò anche un paio di pantaloncini e fece uno sguardo eloquente.
“Ho sonno. Fila a cambiarti.”
Regina si alzò in piedi sdegnosa.
Prima di chiudere la porta del bagno però si girò.
“Perché dovrebbe interessarmi?”
Emma stava infilando il libro in valigia.
“Non saprei. Sei tu che mi hai bombardata di domande.” Borbottò concentrata su ciò che stava facendo.
Regina la osservò ancora per qualche secondo, poi sparì in bagno.
“Le rubo del dentifricio” urlò poco dopo.
Non ottenne risposta.
 
 
 
Passarono minuti che parvero ore.
Non si sentiva alcun rumore, era tutto calmo e silenzioso in casa French e nella via, solo il ticchettio dell’orologio faceva intendere che il tempo stava passando, seppur lentamente.
Robert rimase immobile a fissare il soffitto, pensando che quella era la prima volta che dormiva con Belle e che aveva sempre immaginato come sarebbe stato addormentarsi vicino a lei, abbracciato a lei per poi risvegliarsi accanto a lei. Ed ora finalmente dormivano insieme, ma non c’era nulla di cui gioire visto che niente era andato come sarebbe dovuto andare e nessuna cosa era al suo posto.
Girò la testa e vide il corpicino della ragazza vicino a lui, la schiena che si muoveva ritmicamente, i capelli scuri sciolti sul cuscino.
Deglutì e cercò di distrarsi, pensando a cos’avrebbero mangiato a colazione il giorno dopo, cercando di autoconvincersi che un metro e settantaquattro non erano poi così poco per un ragazzo della sua età e che sicuramente entro la fine dell’anno avrebbe guadagnato qualche centimetro in più…
Poi improvvisamente la udì singhiozzare.
Pensò di aver sentito male, forse la sua mente gli aveva giocato un brutto scherzo…
Ma vide le piccole spalle di Belle alzarsi velocemente e di scatto e lo sentì di nuovo.
Imbarazzato ed indeciso sul da farsi, rimase immobile, ascoltando il respiro farsi più affaticato.
“Belle…?” tentò dopo qualche secondo.
Non ottenne risposta.
“Belle…io non so se devo fare finta di non sentirti piangere. Se…se preferisci posso fingere.” Disse poi titubante.
La ragazza si girò lentamente, stringendo il cuscino tra le braccia e seppellendovi il viso.
“Scusa se ti ho svegliato.” Cercò di dire.
“No io…non mi ero ancora addormentato.”
Lei continuò a singhiozzare piano.
Non aveva versato una lacrima per tutta la sera, probabilmente si era trattenuta per farsi forza e per amor proprio.
“Belle se vuoi-“
“Non…non ti ho mai detto cos’è successo alla mia mamma, vero?”
Smise di stringere il cuscino e lo allontanò di scatto.
Robert scosse la testa lentamente.
Non avrebbe nemmeno voluto sentire quella storia, non in quel momento, non da lei, non provando quei sentimenti, ma di sicuro questo non poteva dirlo.
“Quando avevo dodici anni e mezzo circa…mia madre…ha iniziato a sentirsi male.”
Respirò a fondo e riprese.
“E sai, all’inizio i medici non sapevano dire cos’avesse…poi hanno iniziato a farle alcune analisi, sempre più analisi…”
Robert era immobile.
Continuava a fissare un punto lontano, quasi ipnotizzato.
“Credo che tu possa immaginare il resto.”
Lui annuì lentamente.
“Quanto?” chiese poi dopo un momento di silenzio.
“Sei mesi.”
Sei mesi erano un tempo infinitamente lungo eppure anche infintamente breve – pensò Robert, la mente rivolta improvvisamente verso il ticchettio dell’orologio. Non sapeva scegliere quale delle due alternative fosse la peggiore.
“Mi dispiace.” Mormorò poi. Non aveva idea di cosa dire.
Proprio come quel pomeriggio in ospedale da Killian, lui si sentiva un estraneo.
Non provava neanche un simile attaccamento alla sua famiglia, non aveva idea di cosa significasse.
Avrebbe voluto fare qualsiasi cosa per farla sentire meglio, ma rimase immobile nella sua desolazione, incapace di reagire.
“No…non devi. Io non ci penso mai, davvero, cerco di farmi forza ed evito sempre…è che…era da tanto che non mi sentivo così.”
Belle si rannicchiò un po’ su sé stessa e alzò il viso verso Gold.
Il ragazzo poté solo intravedere l’espressione spaventata del suo volto, tra le guance rigate dalle lacrime.
“E adesso ho paura di rimanere sola.”
La gola le si chiuse e riprese a piangere piano.
“Non…non avrei più nessuno.” Mormorò “Sarei qui, da sola, non avrei nessuno…non avrei nemmeno i soldi per pagare l’affitto e non saprei cosa fare…e…ora ho davvero paura...anche se non c’è niente di cui avere paura, anche i medici l’hanno detto…” si interruppe e cercò di asciugarsi il viso sul lenzuolo.
Senza più riflettere, Robert si avvicinò a lei, lentamente, e cinse il suo minuscolo corpo con le braccia.
“Belle.” Mormorò poi, appoggiando il mento sulla sua testa, accarezzandole la schiena “Vorrei dirti che andrà tutto bene perché lo penso. Davvero. E hai parlato tu stessa con i dottori e con tuo padre prima dell’operazione. Non è nulla di grave, l’hanno operato e domani mattina si sveglierà…starà bene…”
“Lo so.”
“Però so anche che non è questo che vuoi sentirti dire.”
“Già.”
La voce proveniva spezzata ed attutita, dal suo petto.
“Non…non sarai sola…okay? Hai Tink che ti vuole tanto bene. E tua zia Ruby che verrà qui al più presto, te l’ha detto prima al telefono…e…Ariel…e anche Anna, e anche Killian ti starebbe vicino. Persino Regina…e se ti sta vicina Regina, allora sei sicura che andrà tutto bene.”
Belle singhiozzò forte e proruppe in una mezza risata. Non abbracciò Robert, si lasciò semplicemente stringere e si abbandonò contro il suo corpo, inspirando il suo profumo che tanto le era mancato ma che era curiosamente mescolato all’odore del bucato di casa French.
“Anche io, lo sai.”
“Lo so.” Replicò lei, stanca.
“Ma non è solo questo...io penso che…anche se succedesse qualcosa…tu saresti…forte abbastanza per farcela anche se fossi sola.”
Belle alzò il volto e lo sguardo su di lui.
“Non pensi che ci sia un limite oltre il quale una persona non può più proseguire?”
Gold la guardò, nel buio, alzando lentamente la mano e portandola all’altezza del suo il viso. Lei rabbrividì, sentendo le sue mani calde sulle sue guance. Ma non c’era nulla di sensuale in quel tocco, era semplicemente una carezza dolce, piena di affetto e di tristezza.
“Sì, certo ma penso anche che…che tu abbia delle spalle molto forti. Piccole, certo, ma forti. Non sei sola perché…perché prima di tutto, io penso che potrai sempre contare su te stessa.”
Era ciò che Belle voleva sentirsi dire.
Lo sapeva che i suoi amici non l’avrebbero abbandonata, ma non poteva dire lo stesso di sé stessa. Era tutta la sera che ci pensava e aveva paura.
Non aveva paura degli altri, aveva paura di sé stessa e non le era mai capitato.
Ma se Robert credeva così tanto in lei…
 “Non…non sono così piccole. Sono proporzionate al resto del corpo.” Disse poi Belle tra le lacrime.
Lui le sorrise.
“Adesso ti abbraccerò. Ti avviso. E’ tutta la sera che voglio abbracciarti e mi trattengo.” Dichiarò Belle, la voce nasale ma decisa.
Lui annuì serio e mentre le piccole braccia di Belle lo stringevano intorno alla vita, le baciò la fronte.
“Comunque hai ragione. Sono proporzionate.” Sussurrò, baciandole i capelli, quasi cullandola.
Rimasero un momento immobili, in quella posizione, immersi nel calore che solo due corpi umani abbracciati e stretti potevano dare.
“Come sai che è scomodo dormire sul tuo divano per una notte intera?” chiese improvvisamente Robert.
“Perché una volta mi sono addormentata davanti alla televisione e mi sono svegliata il giorno dopo con un mal di schiena tremendo.”
Entrambi scoppiarono a ridere.
“Ti sei addormentata con la bocca aperta, vero? E-“
“E la bava, sì!” terminò lei, asciugandosi le lacrime con una mano mentre con l’altra rimaneva aggrappata salda al corpo di Gold.
“Sono una stupida” continuò, strofinandosi gli occhi “Ogni volta che succede una cosa così inizio a piangere, anche da Killian…io lo so che andrà tutto bene, invece mi faccio prendere dal panico e-“
Il dito di Robert si poggiò sulle sue labbra.
“Zitta. Non dirlo nemmeno.”
Lei lo guardò triste e si riappoggiò al suo petto, beandosi ancora un po’ della sua vicinanza, ascoltando il battito del suo cuore.  Certo, l’indomani avrebbe affrontato le conseguenze dei suoi gesti e di quell’abbraccio, ma al momento non voleva pensarci, non aveva voglia di pensare, e quell’abbraccio era tutto ciò di cui aveva bisogno.
“Va bene. Dormiamo?” propose poi, dopo essersi calmata un poco.
“Sì. Se stai meglio e riesci a dormire…dormiamo.”
“Sto un po’ meglio.”
Robert sospirò e aspettò di sentire le piccole braccia di Belle abbandonare la sua schiena e il suo corpo staccarsi ed allontanarsi.
Era inevitabile, quel momento stava per finire, quel momento era nato per finire.
Invece non accadde nulla.
Anzi, Belle si rifugiò letteralmente addosso a lui, seppellendo il viso nell’incavo tra il collo e la spalla.
“Buonanotte. E scusa per tutto questo.” Sussurrò dopo un po’.
“Buonanotte. E…non fa niente. Davvero.”
 
 
Nel buio della stanza di Emma Swan, Regina fissò il soffitto, incapace di muovere un muscolo.
Una parte della sua testa urlava, urlava forte e non le lasciava tregua, le sbraitava di fare qualcosa, di azzardare una qualunque mossa, di cogliere l’attimo, di sfruttare una situazione che non si sarebbe mai più ripetuta.
Eppure non poteva.
La parte razionale di lei lo sapeva, sapeva che quella era stata una semplice soluzione di emergenza e che non c’era niente di coinvolgente o romantico in ciò che stava succedendo, che stava travisando tutti i segnali e gli sguardi, che avrebbe sicuramente fatto una figura tremenda e che sarebbe stata costretta a chiudere ogni rapporto con Emma se avesse osato anche solo sfiorarla.
E non osava neanche pensare alla vergogna.
Vergogna con Emma, con sé stessa, con gli altri se per caso la cosa fosse uscita allo scoperto…
Strinse i pugni fino a farsi male.
Cosa le stava succedendo? Non lo sapeva neanche lei.
Forse era ancora l’effetto di ciò che aveva bevuto, o forse semplicemente riusciva a vedere per la prima volta le cose con assoluta chiarezza.
Non sapeva definire ciò che provava per Emma, ma di sicuro non era semplice affetto. Le voleva bene, certo, ma non era solo questo.
Si sentiva a casa, si sentiva al sicuro e per lei quello non aveva prezzo.
Si girò verso la donna e tese la mano verso la schiena.
Si sentiva troppo al sicuro con Emma.
Proprio per questo non voleva rischiare di perderla.
Sospirò forte e si girò dall’altra, ritirando bruscamente la mano.
Infine si addormentò.
 
 
“Se il cellulare…suona…” pigolò Belle dopo dieci minuti, o forse venti, o magari trenta. Sentiva il confortevole suono del battito del cuore di Robert vicino all’orecchio, quasi come una ninna nanna.
“Sì…ci penso io…” rispose Robert, la bocca appoggiata alla fronte della ragazza, gli occhi chiusi e la mente ormai altrove, tra le braccia di Morfeo.
Era felice e sereno. Gli pareva che il freezer fosse pieno di gelati che avrebbe mangiato l’indomani insieme a Belle, la stessa Belle che ora si trovava tra le sue braccia, la stessa Belle di cui era innamorato e che ora miracolosamente era lì accanto a lui. E come volava il tempo, non vedeva l’ora che fosse mattina per mangiare uno dei gelati, o magari due o tre…
“Dovremmo fermare l’orologio” continuò lei, quasi addormentata, infastidita dal ticchettio delle lancette.
“Domani lo faccio…ma prima mangeremo i gelati…”
“Bravissimo Bobby…” strofinò il naso contro il suo collo e si strinse a lui ancora un po’, giusto per essere sicura di essere ben salda e non rischiare di cadere dal precipizio che stava quasi sognando.
Infine si addormentarono entrambi completamente.

 
 




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Song: Perfectly Aligned - Milo Greene

Sono una vergognosa. Ma dopo tre mesi mi sono decisa ad aggiornare.
Non ho scuse. Tra università, teatro, e, devo dirlo, mancanza di ispirazione...mi sono fatta trascinare. Ma una promessa è una promessa e quindi ecco qui il nuovo capitolo. 
In realtà è un capitolo a cui sono molto affezionata e pertanto, sono anche molto spaventata da come possa essere venuto. Toccherà a voi, se ne avrete voglia, darmi un giudizio. IC, OOC, nonsense...ditemi pure.
Almeno #unapiccolagioia per i Rumbelle sta volta. E pure per le SwanQueen.
Le storyline in sospeso, quelle di Tink ed Hook, torneranno nel prossimo capitolo che uscirà a Natale molto presto. Nessuno è stato dimenticato, sono stati solo momentaneamente abbandonati per poi essere ripescati. E niente, chissà come si evolveranno le cose...ricordate che il finale di questa storia è già scritto. 
Quindi, che dire? Grazie a tutti per il sostegno, per le recensioni, per seguirmi nonostante gli immondissimi ritardi. Siete belli.
A presto.
Forse.
Si spera. Ma sì dai, sessione estiva permettendo.
Un bacione a tutti voi (: 
seasonsoflove

 
 
 

 
 
 

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Capitolo 35
*** This time tomorrow ***


This time tomorrow
where will we be?




Quando Robert si svegliò, per un momento si trovò in uno stato di confusione tale, da non capire neanche dove fosse.
Era a Boston? Ma no, quello non era lo spoglio muro bianco della stanza in cui aveva dormito la sera precedente…ma non era neanche a casa sua…
Qualcosa di gelido si appoggiò ai suoi piedi e lo riportò alla brusca realtà.
Era la camera di Belle.
E la sua proprietaria in quel momento dormiva beatamente dandogli le spalle, il respiro regolare e i capelli sciolti sul cuscino. E la cosa fredda che lo aveva svegliato, non erano altro che i piedi di Belle stessa.
“Dev'essere terribile dormire coi piedi freddi.” mormorò Robert.
Rimase un momento immobile.
Era andato tutto bene. Il cellulare non aveva squillato, il telefono di casa nemmeno.
In strada si sentiva il vociare allegro di bambini: era sabato e probabilmente non era nemmeno troppo presto, vista la calda luce del sole che filtrava dalle tende.
Aveva dormito con Belle, pensò poi.
Si erano addormentati abbracciati, questo lo ricordava bene…chissà per quanto erano rimasti abbracciati. Era una bella sensazione. Faceva leggermente male ora, a mente lucida, mentre il buio della confortevole notte se n’era andato, ma era anche una bella sensazione stare lì nel letto con lei, sapere di aver dormito insieme a lei, di aver condiviso qualcosa di così importante…
Non c’era tempo per crogiolarsi nella nostalgia e nei pensieri, era ora di alzarsi.
“Belle.” Mormorò quindi.
Non giunse risposta.
Dopo il terzo richiamo decise di passare a qualcosa di più forte e fisico.
Si mise a sedere e soppesò, improvvisamente imbarazzato, le sue opzioni. Poteva chiamarla ancora più forte ma non sembrava una cosa molto carina.
Poteva scrollarla…no, era una cosa che Regina avrebbe fatto a lui. Anzi, probabilmente gli avrebbe tirato un calcio o qualcosa del genere.
Poteva cantare o arruffarle i capelli…sì. Doveva fare qualcosa di gentile ma deciso. Magari non cantare, quella non era una buona idea ripensandoci.
Prima però doveva assolutamente bere qualcosa: aveva la gola secca.
Senza far rumore, zampettò in cucina dove trovò una gran desolazione all’interno del frigorifero. Controllò anche negli stipetti ma, con grande delusione, vi trovò ben poco di commestibile. Probabilmente il papà di Belle, in sua assenza, viveva di cibo d’asporto o precotto. Nel freezer non c’erano nemmeno i gelati che si ricordava di aver sognato.
Riuscì comunque a procurarsi un bicchiere di succo e ne preparò uno anche per Belle. Dopodiché tornò di sopra, raggiungendo il lato del letto e fermandosi di fronte alla ragazza.
Si passò una mano tra i capelli spettinati, estremamente dubbioso.
Era davvero carina mentre dormiva e sembrava anche molto serena.
Si trovò inconsapevolmente a sorridere…se solo avesse potuto svegliarsi accanto a quel viso ogni mattino…sarebbe stato meraviglioso.
Si avvicinò lentamente e portò la mano vicino al suo volto.
Le picchiettò dolcemente il naso e attese.
Lei lo arricciò brevemente e gli angoli della bocca si alzarono.
Robert sorrise felice: aveva fatto centro.
Le toccò di nuovo il naso e la guancia. Questa volta un vero sorrisino si aprì sul volto di Belle che scosse la testa mugugnando qualcosa.
“Svegliati Belle French.” Disse a quel punto.
Belle aprì un occhio e vi sbirciò attraverso.
“Cosa succede?” biascicò.
“Niente.” Rispose lui tranquillo “E’ solo ora di alzarsi. Dobbiamo andare da tuo padre.”
Lei aprì entrambi gli occhi.
Dopodiché con una smorfia di fastidio li richiuse e infilò la testa sotto il cuscino.
“La mia vita è una merda. Voglio morire.” Pigolò.
“Su, dai.”
“Odio tutti!” La voce giungeva attutita dal cuscino.
“Dobbiamo fare colazione, io ho molta fame. Quasi quasi invidio tuo padre che in questo momento avrà già mangiato la colazione offerta dall’ospedale e si starà chiedendo cosa stia facendo quella pigrona di sua figlia…” disse Robert sedendosi sul letto vicino a lei.
“Ma tu hai sempre fame!?”
“Mi serve cibo ed energia per crescere.”
Belle scosse la testa e tirò un calcio alla coperta.
“Non cresci più, Robert. Al massimo cresci in larghezza.”
“Ho fame. Devo crescere ancora qualche centimetro, anche il mio medico ne è convinto.” Ripeté lui ostinato.
“Allora vai a mangiare.”
“Non c’è cibo nel tuo frigo.”
Lei riemerse, spettinata, dal cuscino.
“Come sarebbe a dire!?”
“C’era poco e niente e sicuramente nulla di adatto ad una colazione come si deve. Solo succo. Ecco qui.” Le porse il bicchiere.
Belle si mise a sedere anche lei e lo afferrò, bevendone un gran sorso.
Gold considerò che avrebbe davvero voluto dirle che era molto carina anche appena sveglia. Voleva farla felice e farla sentire bene, ne aveva sicuramente bisogno dopo la giornataccia precedente.
“Sei molto carina anche a quest’ora del mattino.”
Lei gli lanciò un’occhiataccia.
“Come sarebbe a dire – anche - ?”
Robert alzò le spalle.
“Alcune persone al mattino sono diverse da come appaiono di giorno.”
Belle aggrottò la fronte, sorseggiando il succo, poi lo osservò.
“Tu invece sembri un po’ stupido.” Dichiarò infine.
Robert aprì la bocca tra l’indignato e lo scioccato, mentre Belle prorompeva in una risatina.
“Cos’ho che non va!?” abbaiò lui.
“Niente dai, non te la prendere. I tuoi capelli fanno ridere però. Sono spettinati e strani.” Sghignazzò.
“E’ sempre così. Io mi sforzo e dico una cosa carina, tu invece ti prendi gioco di me e ridi dei miei capelli o delle mie espressioni. Sei proprio una piccola ingrata! “
“E tu sei proprio pedante.” Dichiarò Belle, finendo il bicchiere di succo ed appoggiandolo sul comodino “Sei così chiacchierone e lamentoso ogni mattina?”
No pensò lui. Ma averla lì in qualche assurdo modo lo riempiva di energia. Anche se bisticciavano, anche se lei lo prendeva in giro…era bello.
Era come quando stavano insieme, pensò incredulo, non era cambiato niente. Aveva scoperto che in quelle settimane Belle non era cambiata, il suo senso dell’umorismo era lo stesso, le cose che la facevano ridere erano le stesse.
Anche il sorriso di Belle, nonostante la preoccupazione negli occhi, era spontaneo, ed era sempre lo stesso.
Improvvisamente si sentì speranzoso.
Forse qualcosa stava cambiando. Forse quella nottata insieme aveva dato modo ad entrambi di ritrovarsi…
“Sono chiacchierone quando serve.”
“Cioè sempre, soprattutto se devi lamentarti di cose inutili.”
“Ma non è vero! Tu invece-“
“Che palle che sei.” Mormorò lei esausta.
Si ributtò tra i cuscini e chiuse gli occhi. Anche il suo stomacò brontolò ma decise di ignorarlo.
Cercò di ignorare anche la sensazione di calore che si era diffusa a partire dal suo cuore mentre rideva con Robert e lo prendeva in giro. Non poteva e non doveva pensarci. Lui era lì perché voleva starle vicino, perché era in una situazione spinosa. Le loro strade si erano momentaneamente incrociate di nuovo, ecco tutto. Nient’altro.
Si concentrò sul da farsi.
Pensò a suo padre e l’ansia tornò ad attanagliarle lo stomaco. Aprì gli occhi nuovamente.
“Dai, vai a mangiare qualcosa.” Disse infine, vedendo che Gold la fissava pieno di aspettativa.
“Vedo che non vuoi collaborare. Lo immaginavo. Dunque ti dico cos’ho pensato.” Si bloccò e aspettò un cenno d’assenso per continuare.
“Allora, adesso vado un momento a casa. Faccio una doccia e mi cambio, poi passo al bar e…e prendo qualcosa da mangiare per tutti e due. Che ne dici?”
Belle ci pensò su un momento, guardandolo di sottecchi.
“Non è una cattiva idea…ma…quanto starai via?”
“Pochissimo.”
“Se suona il cellulare?”
Robert si morse il labbro mentre il volto di Belle si faceva teso e pallido.
“Rispondi.” Disse semplicemente “Poi mi chiami. E io arrivo subito.”
Lei annuì.
“Se sei sotto la doccia non senti.”
“Lo sentirò, promesso.”
“Ti porti il cellulare nella doccia?”
“Sì.”
Lei inarcò le sopracciglia, perplessa.
“Ascolta…Andrà tutto bene. Davvero.”
Belle continuava a guardarsi intorno a disagio. Così ansiosa, spettinata, appena alzata, col suo pigiamino azzurro sembrava dannatamente indifesa.
Fu questo che spinse Robert ad afferrarle la mano.
“Sarò di ritorno fra pochissimo. E andremo da tuo papà e lui starà bene, io sarò con te e staremo bene anche noi. Okay?”
Dopo qualche momento, lei annuì, stringendogli la mano di rimando.
Sarebbe andato tutto bene.
Doveva andare tutto bene.
 
 
 
Quando Emma si svegliò il mattino seguente ci mise un po’ per mettere a fuoco la situazione. Doveva essere presto, la sveglia non era ancora suonata e non sentiva i caldi raggi del sole filtrare dalle tende.
Tenne gli occhi chiusi, ben decisa a riaddormentarsi e far così calare quel fastidioso mal di testa, così famigliare eppure così sgradevole…
Cercò di girarsi, per trovare una posizione più confortevole e improvvisamente realizzò di essere imprigionata.
Due braccia erano strette saldamente intorno alla sua vita e appoggiato alla sua schiena, c’era un corpo che in quel momento le procurava un gran caldo.
Rimase immobile, ricordando che la persona che condivideva con lei il letto in quel momento, era Regina Mills.
E in quel momento era abbarbicata contro la sua schiena e la teneva stretta, come se avesse paura di lasciarla scappare.
Emma esitò, indecisa sul da farsi.
Se si muoveva, rischiava di svegliare la ragazza.
Se rimaneva ferma rischiava di non addormentarsi più. Inoltre la situazione era leggermente imbarazzante.
Insomma, non che Emma provasse fastidio, certo che no. Lei non era una persona molto fisica ma in quel momento non si sentiva a disagio. Tuttavia avrebbe voluto girarsi. La spalla destra sulla quale era appoggiata iniziava a dolere e l’idea di appoggiarsi a quella sinistra era allettante.
Provò a muoversi, con lentezza.
Regina rimase immobile e continuò a respirare tranquilla, profondamente addormentata.
Così, sempre lentamente, Emma riuscì a girarsi su sé stessa.
Si trovò a pochi centimetri dal viso di Regina e rimase perplessa. Questo non l’aveva calcolato.
La ragazza era profondamente addormentata e sembrava serena.
Emma sorrise, quasi automaticamente. Era felice di vederla dormire così con tranquillità, era felice che non avesse passato la notte in bianco, vergognandosi di dormire con la sua professoressa di psicologia che ormai poteva dirsi sua amica, era felice dello splendido rapporto che stava costruendo con lei, era felice di aver trovato una persona come lei…
Chiuse gli occhi serena, preparandosi ad addormentarsi di nuovo, quando la sveglia suonò facendola sobbalzare. Regina si destò all’improvviso e aprì gli occhi.
Accadde tutto molto velocemente.
La ragazza cacciò un urlo e con uno scatto si mise a sedere sul letto, stringendo a sé il cuscino ed esclamando indignata:
“CHE COSA STAVA FACENDO!”
Emma, per lo spavento, rotolò su sé stessa e in men che non si dica, finì a terra, cadendo dal letto con un sonoro ‘tonf’.
Riemerse pochi secondi dopo tenendosi la testa mentre la sveglia continuava a trillare.
“Spegniti, merda!” urlò Emma afferrando il cellulare con violenza.
Regina la guardava con tanto d’occhi.
Dopo qualche momento di incertezza, finalmente il telefono si quietò.
“Che cosa stava facendo.” Ripetè immediatamente Regina.
“Buongiorno anche a te.” Biascicò Emma.
Era già stanca di quella giornata.
Fino a pochi minuti prima era tutto così confortevole e piacevole…
“Buongiorno un corno. Perché mi sono svegliata con la sua faccia a pochi centimetri dalla mia!?”
Emma scosse la testa e si alzò, barcollando verso il bagno.
“Mi spiava mentre dormivo!?” le abbaiò dietro Regina.
“Ma piantala.” Borbottò Emma, cercando lo spazzolino da denti.
Regina la raggiunse e afferrò il tubetto del dentifricio.
“Non lo riavrà finchè non mi dirà perché mi ha spiata mentre dormivo.”
Emma la fissò esterrefatta.
“Spiata?”
“Sì.”
“Tu sei pazza. Sono le otto del mattino, dammi un attimo di tregua.”
“La sua faccia era sì e no a cinque centimetri dalla mia!”
La professoressa si guardò allo specchio.
Aveva delle occhiaie tremende e i capelli avevano apparentemente mal sopportato la serata precedente e la nottata.
“ALLORA!?”
“Senti, stavo dormendo. Non so perché la mia faccia fosse vicina alla tua ma si dà il caso che possa succedere, condividendo un letto.”
Regina incrociò le braccia.
“Non mi piace essere guardata mentre dormo.” Dichiarò.
L’altra alzò le spalle con indifferenza.
“Non mi piace e mi fa sentire a disagio. E vulnerabile.”
“Nessuno ti ha guardata mentre dormivi. Smettila.” Borbottò Emma infastidita.
“Beh la prossima volta non si avvicini più così tanto a me.” Concluse Regina con enfasi.
“E chi si avvicina!” esclamò la professoressa “Basta! E poi sei tu quella che si è appiccicata a me per tutta la notte!”
La ragazza spalancò la bocca e, con grande stupore di Emma, arrossì furiosamente.
“Di che diavolo parla!?”
“Mi sono svegliata e tu mi tenevi tutta stretta, tipo wrestling. Quindi qui l’unica che si deve lamentare sono io, che sono stata usata come cuscino e che mi sono trovata con la schiena sudata!”
Regina non disse nulla. Buttò il tubetto del dentifricio al suo posto ed uscì dal bagno.
Emma lo afferrò e le disse “Nella valigia ci sono dei biscotti se hai fame!”.
Sentì la porta della camera sbattere.
“Quanta teatralità per niente.” Sospirò Emma. Si lavò i denti rapidamente e si preparò a raggiungere Regina.
 
 
Regina uscì dalla stanza di Emma Swan sbattendo forte la porta.
Si appoggiò al muro e respirò a fondo.
Cos’è che la turbava così tanto? Avrebbe dovuto essere felice e invece...
Aveva dormito con Emma, avevano dormito abbracciate, stando a quanto aveva appena scoperto, si erano svegliate vicine e invece che godersi il momento, invece che gioirne, aveva come al solito reagito male…
Tamburellò nervosa le dita sul muro, indagando i propri sentimenti in quel momento.
Si sentiva imbarazzata. Molto imbarazzata. Inoltre era arrabbiata per quella stupida sveglia: come si faceva a tenere una sveglia così alta? Probabilmente Emma era una di quelle persone che avevano difficoltà a svegliarsi, una di quelle che rinviava la sveglia all'infinito.
Continuò a pensare.
Più di ogni cosa, si disse con sincerità dopo qualche minuto, era delusa.
Delusa dal fatto che non fosse accaduto nulla.
“Cosa volevi che accadesse?” si chiese amaramente. Non lo sapeva nemmeno lei, non sapeva darsi una risposta.
Forse l’avrebbe saputo se avesse avuto il coraggio di ammettere come stavano le cose con Emma. Ma non era il suo caso.
Era arrabbiata e delusa perché Emma era così…tranquilla con lei. Così a suo agio. Così indifferente rispetto a tutto ciò che Regina considerava ambiguo.
Troppo a suo agio le disse una vocina maligna.
Troppo a suo agio per essere qualcosa di più che un’amica.
Accadde all’improvviso: la porta della Blanchard si aprì e Margaret Blanchard in persona uscì dalla sua stanza, in camicia da notte e con una cuffia per capelli in testa.
Regina arretrò orripilata.
“Mills?” borbottò la Blanchard osservandola bene, dischiudendo gli occhietti cisposi.
Regina non osò aprire bocca.
Era una visione tremenda e sicuramente l'avrebbe tormentata a lungo.
La porta dietro di lei si aprì all'improvviso ed Emma ne uscì veloce.
Si bloccò nel vedere la collega e Regina di fronte a lei. Riflettè rapidamente.
Scoccò uno sguardo di puro orrore a Margaret Blanchard, dopodichè sorrise calorosamente a Regina.
“Allora, vuoi entrare?” disse alla ragazza.
“Io…ecco..." la voce si perse nel nulla.
“Cosa succede Emma? Ho sentito una porta sbattere, ero in bagno e mi sono presa uno spavento…” pigolò la Blanchard.
“Niente di cui preoccuparsi eccessivamente…Regina è qui perché mi ha chiesto di parlare di una questione riguardante la sua compagna di stanza. Ma è urgente, ci sono stati dei problemi durante la notte.”
Regina annuì molto convinta.
“Problemi gravi.”
La Blanchard le scrutò dubbiosa.
Poi, dopo alcuni brevi ed imbarazzanti convenevoli, Regina rientrò mogia mogia nella camera di Emma e l’altra professoressa tornò in camera tenendosi la pancia per il crescente mal di stomaco.
 
 
“La tua drammaticità non conosce confine.” Sbottò Emma infine, chiudendo la porta.
Regina alzò gli occhi al cielo e si risedette sul letto, svuotata di qualunque energia. Le forti emozioni che provava, miste all’orrore puro causato dalla visione di Margaret Blanchard, l’avevano duramente provata.
“Mi dia quei biscotti di cui parlava.”
La professoressa frugò nella valigia, afferrò il pacchetto e glielo lanciò.
“Stai bene comunque? Hai dormito bene?”
“Sì. Lei?”
“Direi di sì.” Rispose sorridendo Emma.
Passò qualche minuto in cui l’unico rumore udibile fu lo sgranocchiare di Regina.
“Non sono drammatica.” Disse lei dopo un po’. “Ma non mi piace essere presa in giro.”
“Non ti stavo prendendo in giro.”
“Sì invece…mi ha preso in giro perché l’ho…l’ho-“
Si bloccò.
Morse un biscotto con rabbia.
“Perché l’ho abbracciata questa notte. Inconsapevolmente, OVVIAMENTE, mentre dormivo. Che poi è tutto da vedere. Non ci sono prove di questo, non mi stupirei se si fosse inventata tutto.” concluse piccata. Incrociò le braccia e guardò fuori dalla fienestra.
Emma scosse la testa sconsolata, poi aprì l’armadio e tirò fuori una camicia bianca. La mostrò a Regina.
“Può andare?”
Ricevette un cenno di assenso.
“Non ti ho presa in giro comunque…mi sono solo difesa.”
L’altra sbuffò.
“Non metta i jeans con quella camicia.” Le disse poi.
Emma si voltò e la guardò interrogativa.
“Non le stanno bene.”
Rimase in silenzio, aspettando, chiedendosi perché l’avesse detto e spiando la reazione della professoressa.
Emma aggrottò la fronte perplessa.
“Okay…”
Regina esitò. Voleva terminare il suo discorso.
Così finì il biscotto e parlò.
“Da cosa si è difesa?”
“Dalle tue accuse ingiustificate! Non sono di certo una che spia gli altri mentre dormono!” Emma si bloccò e poi riprese con enfasi "E solo perchè non ho tanti amici a Storybrooke non significa che- che io sia una tipa stramba. Ecco tutto!"
“Va bene, va bene.” la canzonò Regina. Salì in piedi sul letto e saltò qualche volta.
“Le dà fastidio?” chiese poi.
“Che salti sul letto? No, lo faccio sempre anche io.”
La ragazza scosse la testa.
Quella conversazione si stava rivelando piuttosto difficile.
Sperava di riuscire a ricavarne qualcosa.
Emma finì di sistemare l’armadio e si girò e con un balzo fu sopra il letto, in piedi, di fronte a lei.
“Ventotto anni per niente.” Commentò Regina sarcastica.
L’altra sorrise.
“Direi che è ora di dividerci. Spera che la tua compagna sia in camera, altrimenti mi sentirà.”
“Non possiamo rimanere qui a saltare sul letto? A mangiare i biscotti e a chiacchierare.”
“Mi piacerebbe ma lo ritengo poco fattibile.”
Regina sbuffò e scese dal letto. Stava raccattando i suoi vestiti quando l’occhio le cadde nuovamente sul libro di fiabe dentro la valigia di Emma.
“Non vuole proprio dirmi per chi è quel libro?” si decise a chiedere.
Si girò e la guardò con aspettativa.
“Te l’ho detto, è per una persona.”
“Dovremmo essere amiche. Circa.” le fece notare Regina.
“Lo siamo. Circa.”
La ragazza osservò bene Emma.
Era davvero intenzionata a non risponderle.
E di nuovo, come la sera precedente, ebbe la netta sensazione che ci fosse qualcosa di non detto.
Forse era solo una sua idea e ad Emma piaceva fare la misteriosa o forse iniziava a conoscerla meglio e a notare i lati più nascosti del suo carattere.
Se fosse stato un uomo, un amico…perché non dirlo? Perché non essere onesta se millantava di volerle essere amica?
Scrollò le spalle infastidita.
“Come vuole lei.”
Ma Regina non era mai stata una persona arrendevole.
 
 
Robert frenò bruscamente davanti a casa e scrutò dubbioso la sua abitazione. La macchina di sua madre non c’era, doveva essere già uscita.
Curiosamente però, notò che quella di suo padre era al suo posto nel parcheggio.
Peter Gold era in casa.
Robert rifletté un attimo ma poi decise che non gli importava: avrebbe biascicato qualche scusa, avrebbe semplicemente detto che Boston gli aveva fatto schifo e che aveva deciso di tornare prima. Tanto a suo padre non sarebbe importato.
A suo padre importava solo quando si trattava di mettergli pressione su cose inutili.
Zampettò rapido per il vialetto e aprì la porta di casa.
Sentì un ululato selvaggio e sorrise.
Bobik arrivò di corsa, abbaiando forte e scodinzolando. Gli si lanciò contro mentre Robert lo accarezzava e lo stringeva.
“Hai visto? Papà è tornato prima del previsto!” esclamò felice. “Ma sei tutto sporco e puzzolente...non ti hanno fatto il bagno!?” aggiunse poi, guardandolo criticamente.
Decise che avrebbe portato Bobik da Belle e che insieme lo avrebbero lavato. Il piccolino aveva tutte le zampe sporche di fango ed emanava uno strano odore che a Robert sembrò proprio fogna.
Così avviò verso il soggiorno con il cagnolino alle calcagna e stava per aprire la porta ma qualcun altro fu più veloce.
Suo padre uscì rapidamente dal salotto, stupito ed imbarazzato al tempo stesso.
“Ciao.” Disse Robert guardingo.
“Ciao laddie.” Rispose subito l’altro.
Sembrava estremamente a disagio.
“Credevo fossi a Boston.” Disse dopo un lungo momento.
Robert alzò le spalle.
“Non mi piaceva così sono tornato prima. Faceva schifo. Meglio Yale.”
Suo padre annuì.
Non si spostò di un centimetro. Rimase impettito di fronte alla porta del soggiorno, immobile.
“Dovrei…” iniziò Robert, indicando la porta alle sue spalle.
“Cosa? Non ce l’hai una camera tua!?”
Il ragazzo lo fissò stupito.
“Ci sono dentro le ciotole di Bobik.” Spiegò poi.
“Lo so.”
“Mi servono.”
“Non possono rimanere lì?”
“Devo andare a casa di Belle e portarle lì.”
Peter sorrise.
“Vi frequentate di nuovo quindi?”
Robert non rispose.
“Posso passare?”
Ma suo padre non si spostò.
“Dai laddie, vai a farti una doccia, puzzi, non vorrai mica andare a casa della tua ragazza conciato così.”
Robert sospirò.
“Immagino di no.”
“Allora fila in bagno canaglia.” Gli diede una pacca scherzosa sulla spalla.
Dopodiché si girò, entrò in soggiorno e chiuse la porta.
Il ragazzo fece un passo verso la sua camera da letto ma si fermò di colpo.
C’era qualcosa che non tornava.
Non aveva idea di cosa fosse ma ne era certo.
Era sempre stato un buon osservatore e qualcosa lo aveva inconsapevolmente turbato. Lo realizzava ora, dopo aver parlato con suo padre, ma lo stesso atteggiamento dell’uomo lo aveva stupito.
Tornò nell’ingresso rapidamente e diede un’occhiata agli attaccapanni.
C’era un soprabito rosso, un soprabito rosso che non aveva mai visto, da donna e che di sicuro non apparteneva a sua madre.
Si avvicinò lentamente mentre Bobik abbaiava senza convinzione, come a voler richiamare la sua attenzione.
“Zitto.” Mormorò Robert.
Scrutò da vicino la giacca.
Dopodiché si avviò spedito verso il soggiorno.
Spinse la maniglia ma scoprì che la porta era chiusa a chiave.
“Fammi entrare.” Disse ad alta voce.
Suo padre non rispose.
“Apri la porta!”
“Cosa fai ancora qui? Vai di sopra.” Sentì la voce di suo padre, attutita al di là della porta.
“Ti ho detto di aprire la porta.”
“Sto lavorando. Vai di sopra.”
“Se non lo fai giuro che la sfondo a calci.” Esclamò tremante.
Vedendola ancora chiusa, tirò un pugno forte sul legno, procurandosi un gran male alle nocche.
Bobik guaì terrorizzato.
“APRI!” Sbraitò Robert, improvvisamente furioso.
Sapeva benissimo perché suo padre non apriva, sapeva benissimo perché non lo aveva lasciato entrare in soggiorno poco prima, lo sapeva ma voleva vederlo con i suoi occhi.
“Robert ma che cazzo-“
Tirò un altro pugno sulla porta, più forte del precedente.
E improvvisamente suo padre comparve davanti a lui, arrabbiato e spaventato.
“Che cosa pensi di fare stronzetto!? Questa porta è costata più della tua macchina!”
Robert fece un passo avanti.
Spinse suo padre da una parte ed entrò.
Rimase immobile a fissare una donna, una giovane donna sulla trentina che in quel momento si stava chiaramente rivestendo, che lo guardò di rimando.
Sentì suo padre afferrargli la spalla e dirgli qualcosa ma non vi prestò attenzione.
In quel momento contava solo la donna di fronte a lui, che sembrava cercare le parole, cercare delle scuse, ma si limitava ad arretrare portandosi le mani alla bocca.
Dopo qualche secondo, Robert decise che ne aveva abbastanza.
Con le orecchie che fischiavano e il viso bollente, si voltò di scatto, si scansò bruscamente da suo padre e corse su per le scale.
Bobik lo seguì allarmato, mentre lui raggiungeva la sua camera, sbatteva la porta si sedeva sul suo letto e affondava il viso tra le mani.
Respirò a fondo e cercò di calmarsi. Respirò più e più volte, sempre più lentamente, finchè non riuscì a riordinare i pensieri.
Se lo aspettava.
Lo sapeva, si disse, sapeva che tipo di uomo era suo padre.
Non c’era nulla di strano in quello che aveva appena visto, in fondo lo sospettava da sempre, averlo visto non cambiava di sicuro la situazione…doveva solo evitare di pensarci, non era niente di importante. Non cambiava nulla. Doveva pensare piuttosto al da farsi: era la cosa migliore.
Doveva tornare da Belle e doveva farlo subito, quella era la cosa che davvero contava. Le aveva promesso che ci avrebbe messo poco, che sarebbe tornato da lei con la colazione…non c’era tempo per nient’altro. Tutto il resto passava in secondo piano. Suo padre poteva fare quello che voleva, tanto Robert non lo aveva mai stimato e mai lo avrebbe fatto...
Annuì lentamente, da solo. Si alzò, aprì l’armadio e sfilò dei vestiti puliti, stranamente calmo. Prese anche la sua t-shirt preferita con cui stava tanto comodo in casa, una bella t-shirt blu che a suo parere lo snelliva e lo alzava. L’avrebbe portata a casa French e l’avrebbe indossata così si sarebbe sentito a suo agio.
Sentì dei passi sulle scale e suo padre apparve scarmigliato sulla sua porta.
“Robert, dobbiamo parlare.”
Robert lo guardò attentamente da capo a piedi.
“No.” Mormorò poi.
Non gli importava nulla. Non voleva saperne niente e voleva uscire al più presto da quella casa.
“Ascolta, non è come-“
“Stai zitto.”
Peter Gold si passò una mano tra i capelli, disperato.
“Ti prego. Non dire niente a tua madre.” Disse infine.
Robert deglutì.
“Lei penserebbe male…non capirebbe. Questa famiglia-” Si interruppe e si inumidì le labbra con agitazione crescente “Tu…tu non vuoi che ci succeda qualcosa, giusto?” gli chiese infine supplicante.
Il ragazzo rimase immobile.
Non riusciva a capacitarsi di quello che stava accadendo e di ciò che suo padre gli stava chiedendo.
“Avanti laddie, non-“
“Non voglio sentire più niente. Mi fai schifo. Mi fate schifo tutti. Me ne vado.”
Tremante afferrò il suo zaino di scuola e vi infilò dentro i vestiti. Camminò rapido verso il bagno, travolgendo suo padre e ignorando le sue parole, afferrò quanto gli serviva, scese le scale e si avviò rapido verso l’uscita.
“ROBERT!” Gli urlò dietro Peter “FERMATI!”
Ma Robert non si fermò.
Prese in braccio Bobik e non chiuse nemmeno la porta di casa. Corse fuori, salì in macchina e partì.
 

“Idiota” disse semplicemente Regina entrando in camera.
Kristin era sdraiata sul letto sfatto e la guardò interrogativa.
“Buongiorno!” esclamò poi sorpresa. Sembrava intenta in quella che pareva una delicatissima opera di travaso.
“Adesso la smetti di bere questa merda.”
Regina le strappò di mano la bottiglia.
“Mamma mia come sei acida, Reginella. Ti è andata male la nottata?” le chiese Kristin con finta dolcezza.
“Sono rimasta chiusa fuori. Vedi un po’ tu.”
“Beh ma non ti ho vista qui fuori sullo zerbino quando sono tornata…deduco che hai passato la notte altrove.”
Ammiccò.
Regina alzò gli occhi al cielo e si diresse verso il misero bagnetto. Iniziò a svuotare il contenuto della bottiglia nel lavandino.
“COSA STAI FACENDO!” Urlò Kristin allarmata.
“Evito l’espulsione ad entrambe.” Borbottò Regina.
“Che caz-“
“La Swan ha saputo della nottata.” Disse semplicemente.
Con un balzo Kristin le fu accanto e con altrettanta rapidità la spinse contro il muro.
“Hai fatto la spia?”
Regina strinse gli occhi.
“No. Ho dovuto chiamarla perché non sapevo dove dormire. Ma siccome è una persona comprensiva ha detto che se ci sbarazziamo di questa roba velocemente, non farà rapporto. E smettila di fissarmi così, tanto non mi fai paura.”
L’altra la lasciò andare con un ringhio.
Pochi minuti dopo, tutte le bottiglie erano state svuotate e altrettanto svuotata sembrava Kristin che aveva ripreso il suo naturale sguardo vacuo e fissava sconsolata il soffitto.
“Ho ancora una serata qui. Come farò?”
“Come facciamo tutti.”
Regina si stava vestendo rapidamente.
Emma le aveva dato una ventina di minuti per far sparire le prove della loro nottata brava, per lavarsi e vestirsi. Era stata una gentile concessione e questo Regina lo sapeva bene.
“Ringraziami piuttosto che ti ho evitato il gramo destino che ti aspettava.” Mormorò poi rabbiosa, allacciandosi un bottone della camicia.
“Dove hai dormito?” le chiese improvvisamente Kristin.
Regina non rispose.
“Allora?”
“Non sono affari tuoi.”
“Chi è il fortunato?”
“Smettila!”
Kristin sbuffò.
"Mi hai rovinato il week-end. Almeno dammi qualche dettaglio divertente. Alllora, hai dormito con la Blanchard?” domandò.
“Devi chiudere quella bocca. Hai capito?” Ringhiò Regina.
Kristin rise.
“Deve proprio piacerti la Blanchard per difenderla così…cosa ti attira di lei? Il taglio di capelli? O magari le orecchie a sventola. O magari sotto quelle gonne da suora ha-”
“BASTA!”
La mora respirò a fondo per calmarsi.
“Ora entrerò in bagno. Quando esco non voglio più sentire le tue stronzate. La Blanchard fa schifo e tu sei una drogata. Non disturbarmi ulteriormente.”
Senza voltarsi, si diresse spedita in bagno e chiuse la porta sbattendola.
 
 
Quando Robert suonò il campanello di casa French, lo colpì con estrema violenza e ripetutamente, forse più del dovuto.
La porta si aprì e Belle, ancora in pigiama ma con una tazza di tè in mano, lo guardò interrogativa.
“Beh?”
“Non aprivi!” si giustificò Robert. Dopodiché entro senza esitare, lo zaino in una mano e nell’altra il guinzaglio del piccolo Bobik.
Belle spalancò gli occhi stupita mentre il cagnolino le si lanciava addosso con gioia e guaiva forte, mordendole i pantaloni del pigiama. Dopo settimane che non la vedeva, pareva ben deciso a farle capire quanto gli fosse mancata.
“Lui cosa ci fa qua?”
“E’ con me. Non potevo lasciarlo a casa da solo. Era triste e sporco.”
Lasciò cadere lo zaino per terra con violenza.
Si girò respirando forte.
Doveva calmarsi immediatamente. Aveva cercato di distrarsi lungo la strada, ma niente aveva avuto effetto, neanche il suo cd di canzoni preferite.
Belle era molto perplessa. Tentava di tenersi lontana dalla lingua di Bobik che in quel momento cercava di raggiungere la sua faccia, nel frattempo osservava il ragazzo con sguardo critico.
“Non ti sei cambiato i vestiti?” chiese infine.
Lui scosse le spalle infastidito.
“Faccio la doccia qui. Ho i vestiti di ricambio nello zaino.”
“E la colazione?”
Si colpì la fronte col palmo della mano.
“Ecco cos'era! L’ho dimenticata. Cazzo.”
Belle si alzò e lo guardò bene.
Sembrava scosso, in ansia e molto arrabbiato. Lo vedeva dal modo scattoso in cui si muoveva per la cucina prendendo una tazza di tè e bevendola, lo vedeva dalla sua espressione.
“Robert, cosa succede?”
Lui non la degnò di uno sguardo. Finì di bere e appoggiò la tazza sul tavolo.
“Allora il tè c’era. Dov’era? Non l’avevo trovato prima.”
“Nell’ultimo stipetto, dietro il barattolo del caffè. Robert, cosa c’è?”
Finalmente il ragazzo alzò lo sguardo.
“Niente.” Rispose con estrema lentezza.
Bobik si sedette e abbaiò forte e più volte.
“Stai zitto tu.” Sbottò Robert.
Belle rimase immobile.
Non aveva idea di come agire. Qualche mese prima gli si sarebbe avvicinata e l’avrebbe abbracciato, gli avrebbe chiesto cosa stava succedendo e gli avrebbe dato la sua disponibilità per parlarne. Ma ora…
“Vado a farmi una doccia.”
“Perché non l’hai fatta a casa tua?”
“Era occupata.”
Lei incrociò le braccia.
“Hai tre bagni.”
“Erano…erano occupati tutti e tre” rispose lui evasivo.
“Cosa succede?”
“Niente ti ho detto. Se ti dico niente è niente!” esclamò.
Afferrò lo zaino e lo aprì, estraendone i vestiti puliti, lo spazzolino da denti e l’accappatoio.
Belle gli si avvicinò con fare bellicoso.
“Non sono stupida. Esci di casa allegro e petulante, torni furioso. Ora dimmi cos’è successo o la doccia te la scordi.”
Robert respirò a fondo.
“Ne parliamo dopo.”
“Ne parliamo ora.”
“Ti ho detto di no!” esclamò improvvisamente furibondo.
“E io ti ho detto di sì!” disse lei alzando esponenzialmente la voce, altrettanto arrabbiata.
Quello era esattamente il motivo per cui si erano lasciati. Il fatto che Robert il più delle volte non avesse il coraggio di guardare in faccia la realtà, di parlare, di affrontare i problemi.
“Non puoi costringermi a parlare se non voglio.”
“No, certo. Non potevo neanche quando stavamo insieme, figurati se posso adesso.” Commentò lei sarcastica.
Robert strinse i pugni, respirò a fondo e Belle seppe di aver fatto centro. 
Era stato sleale forse, ma avrebbe funzionato e lo sapeva.
“Sono arrivato a casa mia” iniziò infine, tremante “E ho trovato mio padre che se la spassava con una tizia che- che non ho idea di chi sia. Me ne sono andato più in fretta che potevo perché mi ha fatto schifo quello che ho visto.”
Belle aprì la bocca senza riuscire ad emettere un suono.
Nessuno dei due parlò per un minuto buono.
“Contenta?” chiese lui infine.
“Robert io-“
“Vado a farmi la doccia.”
“Aspetta!”
Ma non ottenne niente: il ragazzo si girò di scatto e camminò spedito verso il bagno.
“Torna subito qui! E’ il mio bagno e posso sbatterti fuori di casa finché voglio!” sbraitò lei a vuoto.
Sentì la porta chiudersi.
Bobik abbaiò, frustrato e triste.
“Merda” Mormorò Belle tra i denti.
Rimase un momento immobile.
Aveva due scelte: poteva fregarsene e lasciare che se la sbrigasse da solo. Avrebbe fatto la doccia, sarebbe uscito calmo e tranquillo, lo sapeva. Non ne avrebbe di sicuro più parlato. Avrebbe semplicemente fatto finta di non averle mai detto niente.
E in fondo Belle lo sapeva, non erano affari suoi, non più, che cosa le importava se lui stava male e non riusciva ad esprimersi? Lei provava ad aiutarlo, ci aveva provato fin dall'inizio, ma se lui non voleva…
La scelta era allettante.
Poi c’era una seconda scelta, la più difficile, quella di farsi ancora una volta coinvolgere.
Belle si morse il labbro. Lì in piedi nella sua cucina, con un ridicolo pigiama addosso e una tazza di tè in mano, sentì chiaramente di essere di fronte ad un bivio cruciale.
Fregatene – disse dentro di lei una vocina maligna.
Rimase ancora un momento immobile mentre Bobik guaiva.
Fu seriamente tentata di tornarsene in camera a finire il tè.
Poi i suoi piedi si mossero automaticamente e prima che se ne accorgesse, era davanti alla porta del bagno.
 
La aprì senza neanche bussare.
“Ma che modi sono!?” abbaiò Robert.
Era in mutande e calzini, aveva un ridicolo paio di boxer larghi con dei cactus disegnati sopra. Belle non glieli aveva mai visti e lo ringraziò mentalmente per non averli mai indossati in sua presenza. Fece fatica a trattenere una risata.
Quindi entrò e si richiuse la porta alle spalle. Si appoggiò al muro e incrociò le braccia, cercando di non far cadere lo sguardo su quei ridicoli boxer e sui calzini a righe blu e nere.
“Vattene subito. Mi sto spogliando.” Riprese lui arrabbiato.
“Non me ne vado finché non ne parliamo.”
“Ti ho detto che mi sto spogliando!”
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Pensi che mi importi? Non hai niente che io non abbia già visto.”
Robert pestò i piedi arrabbiato.
“Non si può neanche avere un minimo di privacy qui! Non è corretto! Sai anche quanto sono pudìco!”
A quel punto Belle non riuscì più a trattenersi. Scoppiò a ridere di fronte all’esterrefatto sguardo del ragazzo che per tutta risposta si coprì con un asciugamano, indignato.
“Piantala di fare l’idiota.” Disse infine, tornando seria.
“Va bene. Allora stai pure qui mentre mi spoglio e mentre mi faccio la doccia, se la cosa ti rende felice. E’ evidente che ti piace vedermi nudo. Buon per te, goditi lo spettacolo.” Dichiarò furibondo.
Cercò di togliersi un calzino ma non ci riuscì, così saltellò fino al muro dove si appoggiò per non cadere.
“E non ridere! Non ci provare!” sbraitò.
Belle aspettò pazientemente che si calmasse.
Finalmente riuscì a togliersi i calzini, poi si bloccò.
“Allora!? Esci dal bagno!”
“Prima parliamo.”
“No! Adesso io entrerò in doccia e-”
“Va bene. Come preferisci, ma mi ci hai costretta tu.” Disse Belle con tono di sfida.
Dopodiché con un gesto fluido si tolse la maglietta del pigiama e rimase in reggiseno.
Robert sgranò gli occhi e la sua rabbia parve svanire per qualche secondo, sostituita da uno sguardo di sinceri ammirazione e stupore.
Poi si girò sdegnoso dall’altra.
“Non sono in vena.” Dichiarò.
“Di cosa?”
“Di fare…quello.”
Belle incrociò le braccia.
“Non ho alcuna intenzione di fare qualcosa con te. Se entri in doccia però, io ti seguo. Finché non parli. Anche a costo di farmi la doccia con te.”
Robert si appoggiò al muro, sospirando.
“Per favore.” Mormorò improvvisamente stanco.
Belle si avvicinò e gli si piazzò davanti.
“Ci ho pensato molto prima di entrare in bagno. Perché tu non sei mai onesto quando hai qualche problema, non parli mai. Poi ad un certo punto sbotti…e dopo basta, ti chiudi in te stesso. E no, non dovrebbe importarmi per niente, dovrei riuscire a fregarmene soprattutto perché…finisco col farmi male.” Si interruppe e riprese, con voce calma eppure amareggiata “Però mi importa, che io lo voglia o no. Quindi ora mi dici come stanno le cose e cos’è successo. Altrimenti quella è la porta di casa mia, ma se esci, non avrai mai più niente a che fare con me. Mai più in tutta la tua vita.”
Robert aprì la bocca a vuoto e strinse l’asciugamano convulsamente.
“Non lo faccio perché sono curiosa e lo sai.” Lo guardò dritto negli occhi “Lo faccio perché sono sicura che tu abbia bisogno di parlare. Tu sei stato molto gentile con me ieri e ora io voglio aiutare te. Quindi siediti qui.” Indicò il bordo della vasca “E parla.”
Robert si guardò intorno disperato, capendo di essere finito in una trappola.
Fu seriamente tentato di andarsene. Rivestirsi e andarsene da quella casa, chiudere con Belle per davvero, una volta per tutte. Smetterla con quella farsa, smettere di sognarla e di essere innamorato di lei, smettere di vederla e di continuare a sperare che col tempo le cose si sarebbero riaggiustate.
Ma guardando quegli occhi azzurro cielo, vedendo quel viso, non riuscì a muovere un muscolo.
Ripensò alla notte appena passata. Se qualcosa si stava smuovendo, quello non era il momento di opporsi.
Belle voleva solo aiutarlo.
Quella era una chance che gli stava dando. Probabilmente era l’ultima.
E in fondo, sapeva di aver bisogno di parlare con qualcuno, forse con l’unica persona che davvero lo capiva e teneva a lui. Non avrebbe retto a lungo il peso della situazione, non da solo.
Deglutì.
“Non possiamo parlarne dopo che ho fatto la doccia?”
Lei non rispose, limitandosi a guardarlo male.
Così Robert si sedette, ancora arrabbiato, sul bordo della vasca da bagno, dove Belle lo raggiunse.
“Ti ho già detto cos’è successo.” Borbottò poi.
“Sì.” Disse lei con gentilezza “Non mi interessano i dettagli. Vorrei sapere come ti senti tu.”
Lui ci pensò un po’ su.
“Non lo so.” Ammise infine.
“Sei arrabbiato?”
“Sì, ma non stupito. Insomma, so che uomo è mio padre.”
“Quindi-“
“Quindi sono…sono arrabbiato e…e schifato. E anche in dubbio. Mi sento in colpa perché…lui mi ha chiesto di non dirlo a mia madre. È stato quello che mi ha scioccato più di tutto il resto...e io non so…non-“
Si interruppe, incapace di proseguire e scrollò le spalle sconsolato.
Picchiettò le dita sulla vasca da bagno, fissando le piastrelle bianche.
“Cosa pensi di fare? Ha in mente qualcosa?” si informò Belle.
Osservò come ipnotizzata la mano di Robert. Ci sarebbe voluto così poco per
raggiungerla…
Strinse la propria mano intorno al bordo della vasca, costringendosi a stare ferma.
“Non lo so. Non voglio ferire nessuno. Lui ha detto che se parlo…ci faremo tutti del male…e ha ragione.” Mormorò lui.
Belle alzò lo sguardo dalla sua mano irrequieta e valutò che forse era la prima volta che lo vedeva così vulnerabile. Era lì, seduto, con quelle sue ridicole mutande, i capelli spettinati e l’espressione affranta.
E in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per essere ancora la sua ragazza, per poterlo stringere e dirgli che insieme avrebbero trovato una soluzione, che lei ci sarebbe stata per lui sempre e che non lo avrebbe mai abbandonato. Che lo amava e che anche se suo padre era l’essere più miserabile sulla faccia della terra, lui non era così, era un bravo ragazzo ed era il suo ragazzo, e insieme avrebbero affrontato qualunque cosa.
“Non devi farlo ora.” Disse infine. “Prenditi del tempo.”
Era il massimo che poteva fare, pensò tristemente.
Lui annuì stanco.
“Hey!” mormorò Belle. Si avvicinò a lui e gli diede un colpetto sul braccio,
costringendolo a voltarsi dalla sua parte. Gli sorrise e quello era il primo, vero sorriso che gli dedicava dopo tanto tempo. Poi appoggiò il mento sulla sua spalla. Forse questo poteva concederselo.
“Non devi avere fretta. E’ una brutta situazione e tuo padre non è stato molto gentile a chiederti di mentire ma puoi prenderti del tempo per
riflettere.”
“Sta sera a casa come farò a-” iniziò Robert. Venne interrotto.
“Sta sera dormi qui. Va bene? Io odio guidare e tu puoi accompagnarmi all’ospedale. In cambio potrai stare qui. Facciamo la spesa insieme, portiamo Bobik fuori, cuciniamo qualcosa che ci piace per cena…e potremo parlarne se vorrai, e decidere cosa fare. Ti sembra una buona idea?”
Lui ci pensò un po’ su, scrutando pensieroso i suoi calzini che giacevano abbandonati vicino al termosifone.
“Sì.” Borbottò poi.
Belle sorrise, poi gli lasciò un veloce bacio sulla spalla e si alzò in piedi.
Forse in seguito si sarebbe pentita di tutta quella confidenza ma in quel momento le sembrava importante seguire l’istinto e lasciar perdere qualsiasi convenzione. Nessuno poteva decidere come si sentisse e cosa dovesse fare, nessuno tranne lei.
 “Scusami se-“ iniziò Robert.
“Non fa niente.”
Non aveva voglia di sentire le sue scuse. Non servivano, non erano richieste e non avevano mai portato a nulla.
“Okay.”
Riprese a picchiettare la ceramica della vasca da bagno.
“Allora. Vuoi farti questa doccia?” esclamò Belle, battendo improvvisamente le mani, afferrando una spugna e lanciandogliela.
“Non ne ho più voglia.” Mormorò lui mogio.
“Beh, devi farla perché puzzi. E perché anche io puzzo e dopo di te dovrò farmela io. Quindi ora aprirò l’acqua e me ne andrò, tu ti toglierai quelle ridicole mutande coi cactus e non le indosserai mai più.”
Finalmente a Robert scappò una risata.
“Non sono così brutte.”
“Sono orrende ma ti ringrazio di non averle mai indossate in mia presenza.”
“Oggi le ho-“
“Oggi non conta.”
Lui annuì.
Mentre Belle usciva dal bagno, Robert le urlò dietro un semplice “grazie”. Era stato un grande passo in avanti.
 
Uscì dal bagno in accappatoio, quasi mezz'ora dopo, borbottando rabbioso qualcosa contro il phon di casa French.
Si sentì estremamente offeso quando Belle gli scoppiò a ridere in faccia, indicando i suoi capelli che in quel momento avevano perso ogni controllo e viaggiavano nell’aria senza curarsi dell’ira del loro legittimo proprietario.
“Sembrano tanti fili da cucito impazziti!” aveva esclamato Belle indicandoli.
Robert aveva pestato i piedi furioso e aveva cercato di sistemarseli con le mani. Nel farlo, aveva alzato e le braccia e l’accappatoio gli si era aperto lasciandolo completamente nudo in soggiorno.
A quel punto, rosso in viso, si era coperto velocemente ed era fuggito in bagno.
Belle dovette passare quindici minuti buoni a convincerlo pazientemente che no, assolutamente non aveva visto nulla e che comunque la cosa non l’avrebbe minimamente turbata.
Dopo numerose peripezie i due finalmente riuscirono a salire in macchina e a dirigersi frettolosamente verso l’ospedale, non prima però di aver acquistato due grossi cornetti al cioccolato da Granny’s.
 
All’ospedale filò tutto liscio.
Robert si appollaiò in sala d’attesa come la sera precedente, tenendo Bobik tra le braccia, mentre Belle si dirigeva un po’ ansiosa verso la stanza di suo padre.
Lo trovò in piena forma e molto chiacchierone.
Apprese che aveva già litigato con un’infermiera per avere una doppia dose di pane e burro.
“Hai appena avuto un infarto!” aveva esclamato Belle esterrefatta.
“Non era un infarto! Era…qualcosa di meno…pericoloso! E poi insomma, avevo fame!” si era giustificato suo padre.
Belle gli fece chiaramente capire che una volta a casa si sarebbe messo a dieta e che lei l’avrebbe controllato personalmente.
Parlarono del più e del meno.
Non gli accennò di Robert, sapeva bene che Moe non lo apprezzava particolarmente da quando si erano lasciati e sebbene avesse evitato accuratamente di dirgli cos’era successo, una parte di lei era convinta che lo sapesse.
“Come sei venuta qui?”
“In autobus. Tra l'altro, vicino a me si è seduta una signora che...”
Non le piaceva mentire ma l’aveva reputato necessario.
Più difficile sarebbe stato mentire nell’area ristoro dell’ospedale, quando Robert e Belle stavano sorseggiando una cioccolata calda e improvvisamente apparvero sulla soglia Tink e Killian.
 
 
Regina era sdraiata sul letto, pensierosa.
Il week-end era ormai alla frutta. Quel sabato sera non avrebbe combinato niente, lo sapeva bene: l’alcool era finito insieme al week-end e lei era stufa di rischiare di finire nei guai.
Emma le aveva fatto intendere perfettamente che non ci sarebbero più stati strappi alla regola per i restanti giorni a Boston.
“Cosa pensi di fare questa sera?” si era quindi informata Regina, guardando la sua bionda compagna di stanza.
Kristin aveva alzato le spalle.
“Andrò in giro ad esplorare. A cercare ciò che tu mi hai buttato via. Bastarda.”
E così quel sabato sera, Regina sarebbe rimasta sola in camera.
Sbuffò, annoiata, fissando le pareti spoglie.
Non era stato un brutto fine settimana in fin dei conti.
Certo, forse non aveva portato con sè tutto ciò che lei avrebbe voluto, ma non poteva dichiararsi completamente delusa. Inoltre non aveva nemmeno dovuto fare i compiti.
Chissà come stavano Belle e Robert, si chiese distrattamente.
La Blanchard li aveva informati della situazione del padre di Belle la mattina precedente.
Ma a lei non importava.
Insomma, provava un vago sentimento di dispiacere nei confronti di Belle ma non era qualcosa di particolarmente allarmante.
Più allarmante, decisamente più allarmante, era la sensazione di calore che si diramava dal suo stomaco ogni volta in cui pensava ad Emma e alla notte precedente.
Arrossì infastidita.
Chissà cosa stava facendo Emma in quel momento, magari era bloccata in camera con la Blanchard a sorbirsi un lunghissimo discorsi sui problemi intestinali di quest’ultima…
Si girò sul fianco e controllò il cellulare. Nessuna novità.
Infine Regina si ricordò di quel curioso libro di fiabe e realizzò che quel week-end aveva portato con sé qualcosa di estremamente importante: una finestra sulla vita di Emma. Qualcosa di cui lei, Regina, non era al corrente. Qualcosa che aveva voglia di scoprire.
 

La situazione non era particolarmente brutta, valutò Belle.
Si erano seduti lì, loro quattro, nellla caffetteria del primo piano dell'ospedale.
Certo, lo sguardo furioso di Tink non lasciava spazio a nessun dubbio, ma in compenso Killian aveva un sorriso raggiante che andava da un orecchio all’altro.
Dopo aver spiegato cos’era successo a Moe French (Tink aveva abbandonato momentaneamente il broncio e uno sguardo preoccupato l’aveva sostituito), Killian aveva incautamente proposto di bere qualcosa insieme, tutti e quattro.
Al momento di tornare ognuno ai propri affari, Tink era riuscita a prendere un secondo Belle da parte e a sussurrarle: “al più presto dobbiamo parlare.”
Belle aveva annuito.
 
 
Poi c’era stata la cena.
Quando aveva promesso a Robert di farlo rimanere a cena, non aveva minimamente pensato che preparare qualcosa insieme sarebbe stato così problematico.
Già la spesa si rivelò un’impresa non da poco.
Avevano seriamente litigato sui vegetali da comprare. Robert odiava le zucchine mentre Belle le amava. Viceversa, Belle odiava le carote e Robert insisteva assolutamente per inserirle nell’insalata.
Già provati da questo, arrivati al momento di scegliere la carne, la situazione era esplosa.
“LA CARNE ROSSA FA MALE!” aveva urlato Belle di fronte ad uno stupito macellaio.
“VA BENE! COMPRIAMO UNO DI QUEI MERDOSI POLLI!”
Robert si era calmato solo quando Belle gli aveva concesso di comprare un’intera vaschetta di gelato che avrebbero mangiato dopo cena. 
 
 
Preparare la cena effettiva non era stato meno faticoso della spesa. Bobik ci aveva messo del suo, mettendo in atto tutta una serie di piccoli furti che inizialmente erano passati inosservati ma successivamente avevano portato Belle ad arrabbiarsia con Robert e ad esclamare "ma quel cane non riesci proprio ad educarlo!?" per poi riceversi in risposta un seccatissimo "se è stupido è colpa tua che hai scelto male!"
Dimenticarono inoltre le patate sul fuoco e le trovarono tutte bruciacchiate. Seguì una crisi isterica di Robert in cui si mise a dichiarare a gran voce che non era colpa sua e che era il fornello di casa French che chiaramente non funzionava e che lui, Robert, era sempre stato un bravissimo cuoco.
Ebbero un momento di pace solo quando misero la carne nel forno.

Belle si sdraiò sfinita sul divano, mentre Robert camminava agitato per il soggiorno.
“Non sarà pronto prima di mezz’ora, puoi calmarti.”
“Già. Lo so. Ma…voglio essere sicuro che vada tutto bene. Ecco.”
Belle l’aveva osservato con la coda dell’occhio.
Sicuramente si sentiva in colpa per aver lasciato bruciare le patate, nonostante non volesse ammetterlo.
“Dai, vieni a sdraiarti qui.” Gli aveva detto infine, sorridendo.
Robert l’aveva guardata, stupito.
Belle si era spostata leggermente sulla destra, lasciandogli una porzione di divano sul quale sdraiarsi accanto a lei.
Considerò che sarebbero stati molto vicini e che forse la cosa poteva metterla a disagio. Magari non aveva valutato bene le distanze.
“Sicura?”
Lei alzò gli occhi al cielo e gli fece segno di accomodarsi.
Così Robert si sdraiò goffamente accanto a lei e fissò il soffitto senza muovere un muscolo. Sentiva la spalla della ragazza attaccata alla sua, così come tutto il resto del corpo. Mosse i piedi, nervoso.
Poi sentì una mano scompigliargli i capelli.
“La smetti di fare il cretino e ti calmi?” gli chiese Belle, sempre sorridendo, il viso vicino al suo.
Forse troppo vicino.
Il ragazzo annuì lentamente.
“Sono solo un po’ in ansia per…tutta la situazione.”
“Lo so. E io sono qui per aiutarti.”
Robert mugugnò qualcosa.
“Come?” domandò Belle, guardandolo candidamente.
“Non ho voglia di parlare.” Ripetè Robert.
Lei annuì.
“So anche questo. Non ce n’è bisogno se proprio non vuoi…cerca…cerca solo di stare tranquillo.”
“È che non ci riesco.”
Rimasero per qualche momento in silenzio.
“Sei davvero carino con questa t-shirt blu.” Disse Belle all’improvviso alzando il volto e scrutandolo bene.
Robert si illuminò. La sua t-shirt non l’aveva mai tradito e ora più che mai, gli aveva fatto fare un’ottima figura. Doveva assolutamente indossarla più spesso.
“Lo pensi davvero?” chiese però guardandola di sottecchi.
“Sì. Il blu ti sta bene. Sembri più alto.”
"Davvero?" Esclamò speranzoso.
"No. Ma sei carino lo stesso."
Il ragazzo scoppiò finalmente a ridere mentre Belle si univa a lui e gli dava una leggera testata sulla spalla.
“Visto?” disse infine. “Ci vuole poco per rilassarsi.”
Robert annuì, grato. Guardò la sua t-shirt con orgoglio.
“Ora accendo la televisione e guardiamo qualcosa, ti va?”
Cinque minuti dopo si erano appisolati entrambi, sdraiati vicini sul divano, mentre la carne in forno cucinava e per la casa si diffondeva un delizioso odore.
 
 
Erano le nove e mezza di sera circa, e in casa French non volava una mosca.
Dopo il pomeriggio movimentato e le notevoli fatiche nel preparare la cena, Belle e Robert avevano deciso semplicemente di sdraiarsi sul letto e fare ognuno le proprie cose. Per poco non avevano fatto bruciare anche la carne: si erano svegliati mentre il timer del forno suonava forte. In qualche modo erano riusciti a mangiare e alla fine, sfiniti, avevano deciso di spostarsi in camera da letto.
Così Belle era immersa nella lettura di un libro di letteratura tedesca che le sarebbe servito per un’interrogazione, mentre Robert, dopo aver controllato nervosamente la libreria della ragazza, ne aveva sfilato un volume a caso ed aveva iniziato a leggerlo.
L’orologio ticchettava piano, mentre i due giovani si godevano la quiete della sera. Bobik dormiva beato ai piedi del letto.
Ogni tanto, senza volerlo, Robert lanciava qualche occhiata Belle.
Quella era la loro ultima serata insieme, pensò amaramente. Il loro tempo stava per scadere, l’indomani sarebbe arrivata Ruby, la zia di Belle, e lui avrebbe lasciato quella casa per non farvi più ritorno.
Era stato davvero bene.
Nonostante il pensiero di ciò che lo attendeva a casa, nonostante il ricordo di ciò che aveva visto quella mattina che continuava a tormentarlo, nonostante tutte le chiamate di suo padre che aveva ignorato…era stata una bella giornata. Strana ma bella.
Avere Belle intorno era anche meglio di come ricordasse. Era sempre così vitale, gli sembrava di avere un piccolo sole sempre accanto. Non importava cosa accadesse, la piccola Belle French trovava sempre un modo per rialzarsi, più forte di prima, e di far rialzare gli altri con lei.
“A cosa stai pensando?”
Robert si girò stupito mentre la ragazza lo guardava, un leggero accenno di sorriso stampato sul volto.
“A niente. Sto leggendo.” Indicò il libro per dare forza alla propria affermazione.
“Hai lo sguardo vitreo da circa dieci minuti.”
Lui non disse nulla e si fissò dubbioso i calzini.
“Hai sonno?”
“No.” Rispose lentamente “Pensavo solo che è stata una bella giornata, nonostante tutto.”
Lei annuì.
“Lo è stata. Incredibile ma vero.”
Passò ancora qualche minuto nel quale cercò di concentrarsi sulla pagina del libro di chimica che stava leggendo.
“Facciamo qualcosa?” chiese infine.
Non riusciva a focalizzarsi su ciò che c’era scritto su quei fogli.
La testa continuava a vagare altrove, anche verso posti pericolosi nei quali non avrebbe dovuto fermarsi.
“Stiamo facendo qualcosa. Stiamo leggendo!” Commentò Belle senza staccare gli occhi dal libro.
“Intendevo…qualcosa insieme. Non so, tipo un gioco.”
“Che gioco?”
“Non saprei...qualcosa di società...”
Lei ci pensò un po’ su.
“Vuoi giocare a scacchi?”
“No, mi mette ansia prima di dormire.”
Belle annuì pensierosa, poi improvvisamente si illuminò.
“Ti va di scrivere qualcosa?” chiese.
Robert aggrottò la fronte dubbioso.
“Non saprei…non è che io sia un grande scrittore in erba.”
“Beh, non si può mai dire, a volte l'ispirazione arriva nei momenti più improbabili. Aspetta, prendo il pc.”
Si alzò e raggiunse la scrivania dove vi era posato sopra il laptop. Lo prese e tornò a letto.
“Ho i piedi freddissimi” si lamentò poi.
Gold sorrise.
“Avevi i piedi freddi anche questa mattina.”
“Ce li ho sempre freddi.”
“Non dev’essere piacevole.”
“Infatti.”
Aprì il computer con un gesto rapido e lo accese. Robert la guardò incredulo mentre lei sorrideva e indicava lo schermo.
“Coraggio. Scriviamo una storia.”
Lui aggrottò le sopracciglia.
“Su?”
“Non lo so. Se fosse già scritta lo saprei ma deve ancora essere scritta quindi…”
Entrambi tacquero mentre il computer si avviava.
Ci mise parecchi minuti.
“È un po’ lento…è che...è che non è proprio nuovo...” si scusò ad un certo punto Belle. Aveva le guance leggermente rosse, notò Robert; ne dedusse che in qualche modo se ne vergognava.
“Anche il mio fa così, è terribile. Tutti i computer sono lenti!” Le disse, cercando di sembrare incoraggiante.
“Già…il mio particolarmente. Dovrò cambiarlo prima o poi. L’ho chiesto a papà per quando andrò all’università. Speriamo che…beh…” non terminò la frase.
Robert annuì, sentendo però il cuore stringersi, un po’ al pensiero di Boston, un po’ di fronte all’atteggiamento di Belle, così umile e triste e rassegnato.
Fissava semplicemente lo schermo del suo computer, nel suo pigiamino azzurro e con quella strana espressione un po’ irritata e un po’ disillusa, eppure allo stesso tempo anche tranquilla, come se fosse abituata a tutto quello e in qualche modo, le andasse bene.
“Oh, finalmente!” esclamò poi.
Aprì Word e fissò lo schermo bianco.
“Dunque?” gli chiese poi.
Robert la guardò interdetto.
“Ehm…C’era…c’era una volta?”
Lei battè le mani contenta.
“Vada per il tradizionale. Allora… -c’era una volta…- Cosa c’era una volta?“
“Un coccodrillo.” Disse poi Robert, dopo averci pensato.
“Sei serio? Perché?”
“Perché mi sembra carino come incipit! Non smontarmi così, dai!”
“Va bene, va bene” la ragazza alzò gli occhi al cielo “Cosa faceva questo coccodrillo?”
“Il coccodrillo…si era innamorato di una bella ragazza.”
Belle sorrise.
“Si dice fanciulla se vuoi scrivere una fiaba.”
“Quanto sei pignola!”
“Allora, c’era una volta un coccodrillo, che amava una graziosa fanciulla. Ma il coccodrillo…viveva sotto l'influsso di una terribile maledizione.” Dichiarò Belle, scrivendo mentre le minuscole lettere comparivano sullo schermo.
Robert rimase fermo un secondo.
“La storia ha un lieto fine?” chiese poi.
Lei sorrise.
“Ma certo. Alla fine vivranno felici e contenti ed innamorati. Sennò che storia è?”
Gold annuì, felice e mentre Belle aggiungeva frase dopo frase, sempre più entusiasta e piena di idee, si rese conto di amarla ora più che mai e che forse se il coccodrillo e la fanciulla potevano avere un lieto fine, allora anche loro potevano sperarci.









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This time tomorrow -  Gaz Coombes

Sciao beli.
Beh, non ho pubblicato a Natale. Visto? 
Poteva andare peggio.
Bentrovati e bentrovate, sono felice di vedere che l'ultimo capitolo abbia riscontrato successo nonostante gli aggiornamenti discontinui. Passando a questo, sono dubbiosa per un paio di cosine, ma credo che ormai sia normale. Spero di essere riuscita a mantenere Belle e Gold IC, così come Regina ed Emma. Tink e Killian hanno fatto una piccola apparizione ma non finisce qui, nel prossimo capitolo ne sapremo di più ed indagheremo le menti di tutti i nostri protagonisti. Lo so che i fan della Swan Queen sono molto frustrati e forse mi odieranno, ma vi prometto che le cose si svilupperanno. Non subito, ma lo faranno. 
E anche i Rumbelle. Anche se a loro #nagioiapiccolapiccola l'ho concessa. A Robertrumple però no. Quello mai. Povero ragazzo. 
Insomma, che dire? So che è dura seguire gli aggiornamenti ma cercherò di impegnarmi di più (avendo finito le lezioni universitarie ho molto più tempo libero) affinchè i capitoli riprendano ad uscire regolarmente, almeno una volta al mese. Nel frattempo, se avete voglia, lasciate un commentino e fatemi sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuto il capitolo, se c'è qualcosa che non vi è piaciuto, se i personaggi sono IC o OOC...critiche e recensioni positive sono entrambe le benvenute! 
Quindi vi saluto e vi lascio con un ...banner? credo si chiami così!?  carinissimo che una fan mi ha inviato su Twitter! 
Alla prossima, a presto spero, un bacione e grazie a tutti quelli che mi seguono. 




 

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Capitolo 36
*** Riptide ***


I just wanna, I just wanna know 
If you're gonna, if you're gonna stay 
I just gotta, I just gotta know 
I can't have it, I can't have it any other way








Fu Belle a svegliarsi per prima la mattina dopo.
Aprì lentamente gli occhi e sbirciò in direzione della finestra. Il sole si faceva largo tra le tende, caldo e avvolgente. Sorrise.
Era da tempo che non dormiva così bene. Forse si era stancata tanto i giorni precedenti e quindi era riuscita a concedersi una notte di sano riposo, forse ne aveva bisogno, o magari era anche semplicemente merito della figura profondamente addormentata accanto a lei.
Si girò lentamente fino a trovarsi faccia a faccia con Robert che in quel momento respirava piano. 
Le scappò una mezza risata vedendolo lì, tutto spettinato, con la faccia spiaccicata contro il cuscino e un piede fuori dalla coperta.
Ogni tanto muoveva leggermente la bocca come se stesse mormorando qualcosa e la sua espressione era vagamente corrucciata.
E per la prima volta dopo tanto, Belle si sentì insicura sul da farsi e soprattutto, su tutte le scelte prese.
Era così felice con lui.
Aveva dimenticato quanto potesse essere felice.
Durante quel fine settimana aveva cercato di non pensarci, si era imposta di concentrarsi sulle cose da fare, di mettere da parte qualsiasi sentimento. Non avrebbe in ogni caso portato a nulla.
Eppure ora, mentre Robert arricciava il naso, contrariato, iniziò a mettere in discussione tutto.
La scelta di lasciarlo così definitivamente, la scelta di eliminarlo dalla sua vita, la scelta di andarsene a Boston e non dare più nessuna possibilità ad un futuro per loro due.
Forse aveva avuto troppa fretta? Avrebbe potuto considerare meglio le sue opzioni prima di agire?
Belle sospirò, continuando ad osservarlo di sottecchi.
“Vorrei darti una seconda possibilità. Forse non dovrei, ma lo vorrei.” mormorò poi. Lo disse molto sottovoce. Quasi si stupì di averlo detto, ma era la verità.
Desiderava disperatamente dargli una seconda chance.
Allungò la mano e gliela appoggiò sulla guancia.
“Dovresti aiutarmi.” Continuò.
Rifletté sul da farsi.
Dopodiché molto lentamente, si avvicinò al corpo del ragazzo, fino a trovarsi attaccata a lui.
Cauta, appoggiò la testa appena sotto il suo collo, sul petto, attenta a non svegliarlo, inspirando l’odore della sua pelle.
Fece un altro piccolo movimento e annullò qualsiasi distanza tra i loro corpi, appoggiandosi del tutto a lui.
Chiuse gli occhi e respirò, conscia della follia che stava compiendo.
Eppure sembrava la cosa più giusta in quel momento. Non desiderava altro che trovarsi lì. Era esattamente dove avrebbe voluto essere.
“Robert…?” disse infine.
In tutta risposta, Robert mugugnò qualcosa di indefinito e affondò la faccia nel cuscino, sempre più contrariato.
“Insomma, collabora un po’!” bisbigliò Belle rabbiosa.
Si curò di appoggiare un braccio sui suoi fianchi e di farlo passare intorno alla schiena del ragazzo.
Dopodiché con un gesto deciso, gli strinse i fianchi, facendolo sobbalzare.
Robert si svegliò di colpo, confuso, mentre Belle chiuse precipitosamente gli occhi.
Lo sentì muoversi leggermente e sorrise di nascosto, la faccia appoggiata alla sua maglietta. Immaginò il suo stupore nel trovarsi così vicino a lei.
“Belle?” lo sentì dire piano.
Mormorò qualcosa di sconnesso.
“Belle?” ripeté lui.
Il suo piano stava funzionando.
Si mosse appena e lo avvolse in un abbraccio.
Lo sentì rimanere immobile.
“Andiamo…” pensò.
Poi, miracolosamente, sentì due braccia cingerle i fianchi e stringerla, accarezzandole lentamente la schiena.
Si beò di quella situazione, conscia della sciocchezza che stava facendo, conscia di aver probabilmente perso il lume della ragione. Fingere di dormire solo per ottenere un abbraccio, quando avrebbe potuto semplicemente dirgli la verità…che sciocchezza…eppure era così divertente e piacevole, così bello…
Passarono alcuni minuti, poi venne il momento di agire.
Si mosse lentamente, curandosi di fingere un gran sonno.
Alzò la testa.
“Beh?” mormorò poi.
Robert si era riaddormentato.  
Belle sbuffò incredula.
“Cretino.” Sussurrò piano.
A quel punto si staccò contrariata e rotolò su sé stessa.
“Svegliati Gold!” esclamò ad alta voce.
Il ragazzo aprì gli occhi e si mise subito a sedere.
“Ho sognato che avevano chiuso l’Any Given Sundae.” Disse poi.
Belle lo guardò interrogativa.
“La gelateria! Ho sognato che chiudevano la gelateria e io cercavo di organizzare una protesta! Secondo te è un sogno premonitore?”
Belle capì perché sembrasse così contrariato nel sonno.
“Devi davvero smetterla di pensare al cibo.” Dichiarò, stiracchiandosi.
“Ho paura, Belle. Se dovessero chiuderla cosa farei?”
“Non ci pensare. Non succederà.” Mormorò. “Mi fai la colazione?” chiese poi.
Lui rimase un momento immobile, fissando il vuoto.
“Va bene, cosa ti preparo?” domandò, ridestandosi.
Belle rise.
“Ma dai, scherzavo. La prepariamo insieme. Andiamo.”
Si alzò e pimpante raggiunse l’armadio, dove afferrò una felpa e la indossò sopra il pigiama. Infilò le ciabatte e si girò verso il letto.
Robert era ancora sotto le coperte.
“Beh?” 
Lo guardò interrogativa.
Lui la fissò di rimando.
“Vai avanti tu.”
Belle sgranò gli occhi.
“Cosa succede?”
“Io arrivo tra un momento, vai pure avanti!”
Sembrava vagamente imbarazzato per qualcosa.
“Robert…ricordi cos’abbiamo detto riguardo ai segreti?”
“Non ti sto nascondendo niente, lo giuro!” Disse lui precipitoso.
“Va bene…allora vieni?”
“Io- sì, tra un momento.”
Belle incrociò le braccia e inarcò le sopracciglia.
“Cosa c’è? Avanti. Spara, non può essere così terribile.”
Lui la guardò mortificato.
“Non farmelo dire…è una cosa personale…e…insomma, non è…non è una cosa da dire…”
Non finì la frase.
“Una cosa personale in che senso!?”
“Basta!” Si bloccò e poi riprese rabbioso “È una cosa da maschi, va bene!? Non potresti capire!”
Belle spalancò la bocca mentre Robert fissava lontano, evidentemente contrariato.
“Beh insomma, potevi dirlo subito invece che fare il misterioso!” esclamò infine lei, arrossendo furiosamente.
“Scusa se non mi viene in mente di avvisarti ogni volta che ho il-“
“Basta! Vado a mettere su il tè. Raggiungimi quando…quando hai sbollito.” Farfugliò Belle, rossa in viso e le orecchie bollenti. 
“È UNA REAZIONE FISIOLOGICA NATURALE! È COLPA DEL MATTINO! NON DEVO SBOLLIRE!” Le urlò dietro Robert.
Rimasto solo il ragazzo sbuffò.
Era davvero una vita difficile.


Mentre Belle preparava allegramente la colazione e Bobik le saltellava intorno, Robert la raggiunse, ancora contrariato.
“Eccolo il principino! Tutto passato?” esclamò Belle ridendo.
“Smettila” borbottò lui.
Si mise a tagliare il pane e lo infilò nel tostapane. Dopodiché si girò verso Belle e si appoggiò al bancone della cucina.
“Sei tremenda.” Dichiarò.
“E tu ti vergogni per delle cose assurde!” rispose lei spensierata, senza guardarlo.
“Se le cose fossero invertite anche tu ti saresti vergognata! E poi anche tu eri…eri tutta rossa in faccia.”
Belle assaggiò il tè.
“Passami lo zucchero, ne manca un po’.”
“Hai capito cosa ti ho detto?”
“Se tu ti senti imbarazzato è ovvio che mi sento imbarazzata anche io.”
Robert non rispose ma mugugnò qualcosa sottovoce che assomigliava molto a “non è così che funziona”. Dopodiché prese in braccio Bobik e lo controllò.
“Hai gli occhietti sporchi.” Gli disse scrutandolo attentamente. 
Belle rise e gli passò la sua tazza di tè. 
“Muoviti con quel pane. Tra un po’ arriverà mia zia e non voglio che ci trovi ancora qui a mangiare.”
Robert annuì e appoggiò Bobik a terra.


Regina scrutava pensierosa le file di alberi che si seguivano mentre il treno, lentamente ma inesorabilmente, prendeva velocità e la portava a casa.
Non è che le mancasse Gold. Non per davvero, si disse mentre leggeva annoiata una rivista, però le sarebbe piaciuto che fosse stato lì con lei. Giusto per chiacchierare, per ridere un po’ e per prenderlo in giro. Insomma, per avere qualcuno.
Le sarebbe piaciuto anche di più sedersi vicino ad Emma, ma la Blanchard si era appollaiata nel sedile di fronte al suo e aveva appoggiato i suoi bagagli su tutti gli altri, occupando un intero scompartimento.
Poteva vedere la figura tonda della testa di Margaret Blanchard dal suo sedile. Quella inutile testa tonda che le aveva rotto le uova nel paniere. Imprecò sottovoce.
Si alzò con fare noncurante e passò davanti ai sedili delle due professoresse.
Emma alzò lo sguardo verso di lei. 
Durò un secondo ma Regina sapeva che quello sguardo era una silenziosa richiesta d’aiuto. Margaret Blanchard dava tutta l’idea di essere completamente immersa in uno dei suoi infiniti discorsi riguardo gli animali o la salute.
La ragazza sorrise fra sé e sé e proseguì verso la coda del treno. 


Quando il campanello di casa suonò, il cuore di Belle fece qualche capriola. Sua zia era arrivata. 
“Tu aspetta qui e vieni di là solo quando te lo dico io” sibilò a Robert che annuì coscienziosamente.
Belle si precipitò alla porta con un sorriso enorme stampato sul viso.
“I tuoi capelli sono lunghissimi! Sono cresciuti almeno di trenta centimetri da Natale, ma com’è possibile!” fu la prima cosa che le disse Ruby, sull’uscio.
La ragazza non le rispose. Si limitò ad abbracciarla forte e in quell’abbraccio vi erano più di mille parole.
“Mi sei mancata!” le disse mentre la stringeva.
“Anche tu, lupacchiotto!”
“Smettila di chiamarmi-“
“Sarai sempre un lupacchiotto per me!”
Le due si staccarono e si guadarono per un momento.
“Ti sono anche cresciute le tette. Dev’essere il sesso che hai fatto in questi mesi!” dichiarò infine Ruby, entrando in casa.
“ZIA NON-!” Esclamò Belle indignata, arrossendo.
“Che c’è, non si può dire? So bene che è così, non fare la santarellina con me, non sono mica tuo padre!” 
Ruby buttò la valigia nell’ingresso e si tolse la giacca.
“Ruby ascolta c’è una persona che-“
Robert fece capolino dalla porta della cucina e si fermò impettito in corridoio di fronte alla donna.
“Salve” iniziò titubante.
“Ti avevo specificatamente detto che dovevi rimanere in cucina finché non ti avessi chiamato.” Esclamò Belle esasperata.
“Ma io credevo che quel - c’è una persona che - fosse il segnale!”
Ruby guardò Robert, incrociò le braccia ed inarcò le sopracciglia.
Belle scosse la testa mentre Gold la guardava confuso, prima di avanzare titubante con la mano tesa verso Ruby.
“Sono Rob-“
“So benissimo chi sei. Ti ho visto su Facebook. E Belle mi ha raccontato tutto.”
Lui aprì la bocca a vuoto e rimase con la mano tesa in aria. Era una minaccia?
Cosa significava quel “tutto”?
Forse Belle le aveva detto anche di come si erano lasciati e soprattutto del perchè?
Questo avrebbe spiegato lo sguardo poco amichevole che la donna gli stava rivolgendo.
Belle si schiarì la gola.
“Lui è stato qui per questi giorni e mi ha aiutata. Ho…ho pensato di fartelo conoscere.” 
Ruby si girò verso di lei e poi nuovamente verso Robert.
“I tuoi capelli sono meglio in realtà che in foto.” Disse infine.
Avanzò e afferrò la mano del ragazzo. Era alta quanto lui ma il suo sguardo inquisitore lo fece arretrare impercettibilmente.
“Andrò di sopra ad appoggiare la mia roba e a cambiarmi. Quei treni sono veramente disgustosi, non voglio neanche parlarne” riprese Ruby. Poi si voltò nuovamente verso Robert “quando torno di sotto vedi di essere sparito, voglio passare un po’ di tempo di qualità con mia nipote e non voglio ragazzini petulanti in giro per la casa.” 
Così dicendo afferrò nuovamente la valigia e si diresse verso le scale borbottando qualcosa.
Robert esclamò un “sì, certo” e si affrettò verso l’uscita.
Belle invece rimase immobile a guardare la scena, incerta se ridere o preoccuparsi.
Sapeva che sua zia era una donna gentile ed estremamente accogliente, ma era anche molto aggressiva e determinata quando qualcosa non le andava a genio.
Era evidente che al momento Robert non era nelle sue grazie.
“Bene, allora credo che andrò.” Esordì quest’ultimo, schiarendosi la voce.
Belle si ridestò dai suoi pensieri ed annuì.
“Beh, come primo incontro non è andato malissimo…” provò poi.
Robert non rispose e si infilò la giacca.
“Ehi, aspetta.” Gli disse lei.
Si avvicinò e gli appoggiò titubante la mano sul braccio.
“Grazie ancora di tutto. Dico davvero.”
Lui la scrutò vagamente corrucciato.
“Di niente, l’ho fatto davvero volentieri. Sono stato bene.” disse infine.
“Spero…spero che a casa tua le cose vadano un po’ meglio.” Continuò Belle.
“Già.”
“Se…” si bloccò. Non sapeva se dirlo. Doveva? E soprattutto, lo voleva?
“Se hai voglia di parlare…” non terminò la frase.
Robert abbozzò un leggero sorriso.
“So a chi rivolgermi.”
“Esatto!”
Rimasero ancora un momento immobili.
Belle lo scrutò, indecisa sul da farsi.
“Posso abbracciarti?” chiese interdetta.
Robert la guardò incredulo.
“Sì. Certo. Insomma, non devi chiedermelo.”
Così Belle fece un passo avanti e delicatamente gli cinse la schiena con le braccia.
Fu un abbraccio molto discreto eppure il cuore di Robert fece numerosissime capriole, così tante che ebbe paura che la ragazza si fosse accorta dell’accelerazione improvvisa dei suoi battiti.
Com’era bello poterla abbracciare di nuovo.
Com’era felice mentre appoggiava il mento tra i suoi capelli e sorrideva, pensando che se Ruby fosse scesa in quel momento lo avrebbe probabilmente preso a pugni.
“Bene. Allora…ciao. E grazie ancora. Ci vediamo domani!” mormorò Belle imbarazzata, staccandosi.
“Ci-ci vediamo domani?”
Lei inarcò le sopracciglia.
“Sì…noi frequentiamo la stessa scuola…ricordi?”
Robert aprì la bocca ma la richiuse subito.
“Oh. Sì. Pensavo…io pensavo…” la voce svanì in un balbettio incomprensibile mentre Belle era sempre più perplessa.
“Non importa. Ci vediamo a scuola…”
“Sì. A scuola!” ripeto stordito. Esitò un momento ma poi si decise.
“Se…se vuoi possiamo fare colazione insieme alle macchinette, così ci aggiorniamo su…su come va, ecco…”
Belle rimase un momento in silenzio, riflettendo.
“Penso si possa fare. Beviamo un tè?”
“Sì, è perfetto. Allora a domani, alle macchinette.”
Annuì e batte le mani con entusiasmo ed uscì dalla porta.
Belle lo guardò camminare sul vialetto di casa, pensando in cuor suo che le sarebbe piaciuto seguirlo.
O le sarebbe piaciuto che lui si fosse fermato ancora. Le piaceva averlo in giro per casa, la faceva sentire bene.
Lui si girò ancora una volta e la salutò con la mano, dopodiché salì in macchina e partì.
“Se hai finito di fare la nostalgica innamorata e hai del tempo da dedicare alla tua zietta che non vedi da mesi…” una voce famigliare le giunse all’orecchio.
Si girò e Ruby la guardava con uno strano sorriso. Il sorriso di una persona che tramava qualcosa. Di una persona che aveva perfettamente capito cosa stesse accadendo.
“Non sono più innamorata!” esclamò, le orecchie bollenti.
L’altra sbuffò.
“Certo che no. Dai, vieni di là. Voglio sapere un bel po’ di cose e poi abbiamo una visita all’ospedale da fare o sbaglio?” la afferrò sottobraccio e insieme si diressero in cucina.


Arrivata a Storybrooke, Regina scese malamente dal treno, stanca e disgustata. Kristin le passò accanto, si girò verso di lei e indicò la Blanchard. Fece un gesto molto eloquente, le strizzò l’occhio e si diresse verso l’uscita della stazione.
“Ragazzi, un momento! Dobbiamo fare la conta ed assicurarci che ci siamo tutti!” provò Emma, alzando la voce.
Nessuno le diede retta.
Margaret Blanchard si defilò rapidamente, tenendosi la pancia. Salutò Emma e sparì sul binario.
A quel punto, mentre i suoi compagni si disperdevano verso l’uscita della stazione, Regina decise che era venuto il momento di agire.
Accelerò il passo e si affiancò ad Emma.
“Immagino che il suo viaggio sia stato molto divertente.”
Emma si girò verso di lei e scosse la testa.
“Non ne voglio nemmeno parlare.”
“Io invece voglio! Come sta la Blanchard? Ha ancora mal di stomaco?”
Emma non risposte e storse il naso disgustata.
“Non so quanto utile sia stato questa visita all’università…nessuno dei ragazzi mi è sembrato molto convinto…”
Borbottò poi.
Regina annuì.
“Abbastanza inutile.”
La professoressa stava per ribattere qualcosa, quando il suo sguardo si fermò alla fine del binario e un’espressione di puro orrore si dipinse sul suo viso.
“No.” Mormorò.
“Beh?” chiese Regina.
Seguì la direzione in cui Emma stava guardando e vide una coppia, appena fuori dalla stazione, che agitava vistosamente le mani nella loro direzione. L’uomo aveva corti capelli di un biondo stranamente famigliare, leggermente ingrigiti…
“Sono i suoi genitori?” esclamò poi, ridendo.
“Non posso crederci.” Emma digrignò i denti.
“Sono venuti a prenderla! Ma che gentili!” la canzonò Regina, camminando sempre accanto a lei.
“Stai zitta tu.”
La professoressa accelerò e si diresse spedita verso la coppia.
“Cosa ci fate qui!” esclamò furibonda. 
“Emma, tesoro!” 
Sua madre la abbracciò e la strinse forte.
Regina rimase indietro, incerta se avanzare o godersi lo ridicolo spettacolo da lì.
“Neanche i genitori dei miei ragazzi sono venuti a prenderli!” Protestò Emma.
“Volevamo vedere come stavi, magari le valigie erano pesanti e-“
“Sono stata via per tre giorni!” 
La bionda pestò i piedi frustrata mentre i suoi genitori la guardavano preoccupati.
Regina fece un passo avanti, quasi involontariamente, e lo sguardo della signora Swan si posò su di lei.
“Tu sei Regina!” esclamò illuminandosi.
Emma si girò e la guardò, rossa in viso.
“Mamma…”
La donna fece un passo avanti verso Regina che rimase immobile, imbarazzatissima.
“Emma ci ha parlato molto di te.” Disse, tendendo la mano. Anche il signor Swan avanzò.
“Mary e David Swan.” Dissero in coro.
L’espressione di Emma era tra la disperazione  più assoluta e la rabbia più furiosa.
Regina strinse le loro mani, interdetta. 
Davvero Emma aveva parlato di lei in casa? E cosa aveva detto? Aveva detto che erano amiche? O magari aveva rivelato tutti i suoi segreti…
“Mamma, papà, per favore, andate.” Li supplicò Emma.
“Ma smettila Emma, basta fare la scontrosa! Ascolta Regina, vuoi un passaggio a casa?” 
La ragazza guardò dubbiosa Emma che fece un vigoroso segno di no con la testa.
“Davvero sareste così gentili?” esclamò infine.
La professoressa le lanciò uno sguardo infernale.
“Ma certo. Siamo venuti per prendere Emma ma possiamo accompagnare a casa anche te.”
Regina dedicò loro il più smagliante sorriso che avesse. Poi lo spostò su Emma.
Era un po’ una sfida quella che le stava lanciando. La situazione poteva essere imbarazzante ma le piaceva provocare Emma e farla arrabbiare.
“Beh, allora va bene! Grazie davvero signori Swan.”
Mentre i due coniugi facevano strada verso la macchina, parlando ad alta voce e cercando di estrapolare ad una contrariatissima Emma informazioni sulla gita, Regina camminava baldanzosa accanto alla professoressa.
“Me la pagherai cara.” Sibilò Emma mentre sua madre raccontava di una volta in cui era andata a Boston quando aveva vent’anni.
“Non vedo l’ora.” Rispose Regina sogghignando.
“Ti darò tanti di quei compiti extra…”
“E dovrei crederle?”
Emma alzò gli occhi al cielo.



In macchina, Regina fu la prima a sedersi, sotto invito di Mary Swan.
Era una macchina relativamente spaziosa, una sorta di furgoncino a quattro posti. 
“C’è un po’ di disordine.” Esclamò David Swan gioviale.
Un po’ di disordine era un eufemismo. Regina aveva dovuto quasi sedersi in centro perché accanto al finestrino c’erano diversi sacchi di vestiti.
“Stiamo ancora finendo di trasferire le cose.” Si scusò Mary.
Emma salì dietro con espressione sofferente.
“Vorrei chiederti scusa per la situazione, ma è solo colpa tua.” Disse a Regina, che sorrise candidamente. Si divertiva davvero tanto a prenderla in giro. Forse un po’ troppo.
Sentirono gli Swan parlottare da dietro, dove c’era il bagagliaio, dopodiché Mary apparve di nuovo.
“Mio marito è un po’ sbadato…e il bagagliaio è ancora inutilizzabile. Regina, ti dispiace se mettiamo le valigie sui sedili dietro?”
“Oh no, non c’è problema! La tengo sulle gambe, non pesa tanto…”
“Ma no, le mettete sui sedili…voi vi stringete, non dovrebbe esserci problema.” Borbottò Mary. Passò loro le valigie. Emma con fatica prese quella di Regina e gliela passò.
“E meno male che non pesava tanto” sibilò.

Due minuti dopo erano tutti seduti ai loro posti.
Regina era immobile, i nervi a fior di pelle.
Lei ed Emma erano finite considerevolmente vicine. Le loro gambe erano attaccate, così come le loro spalle.
Avrebbe voluto incrociare le braccia ma forse sarebbe sembrato scortese agli Swan, così si limitò a farle penzolare sul sedile, riflettendo sul da farsi, cercando di ignorare la sensazione di calore che le procurava la vicinanza di Emma.
“Allora partiamo.” Borbottò David.
Dopo qualche tentativo inutile, il furgoncino finalmente si mise in moto.
Emma fissava davanti a sé, le labbra tese e lo sguardo fisso.
“Idioti…” mormorò.
Regina si girò verso di lei.
“A me sembrano gentili. Non sia così negativa…potrebbe andare peggio.”
“Allora Regina, com’è nostra figlia a scuola?” iniziò Mary.
Emma chiuse gli occhi preparandosi al peggio.
“A me…a noi piacciono molto le sue lezioni.” Rispose Regina.
“E gli altri professori ti piacciono?”
“Dipende.”
“Quando andavamo a scuola noi…”
Emma scosse la testa disperata e Regina tornò a guardarla.
La macchina frenò improvvisamente.
“DAVID!”
“Scusa! Scusa! Non ho visto il semaforo rosso!”
“Non vi preoccupate. Tanto peggio di così non può andare.” Proruppe Emma in una risata isterica.
“Perché dici così tesoro? Non preoccuparti Regina, Emma è un po’ catastrofica quando si tratta di noi, ma non è niente di grave…” Riprese Mary Swan.
“L’ho notato. Forse esagera un po’.” Disse Regina sorridendo.
Emma la guardò scioccata.
“Traditrice.” Le mormorò.
“Fin da piccola è sempre stata così, con certe smanie di indipendenza…quando siamo venuti qui, non voleva neanche che ci trasferissimo con lei.”
“Davvero?” esclamò Regina, continuando a fissare Emma, un sorriso sempre più largo mentre l’altra la guardava con odio.
“Già. E…abbiamo preso in considerazione l’idea, ma avevamo anche paura, muoversi da soli in una città nuova-“
“Già. Perché Storybrooke è proprio una città nella quale è facile perdersi.” Sbottò Emma.
“No, non sto parlando di questo.” Mary si girò verso di loro “A volte può essere difficile farsi nuovi amici, no? Fa comodo avere qualcuno. Volevamo solo essere qui per te, Emma, qualsiasi cosa accadesse. Perché ti vogliamo bene!”
Regina pensò che nonostante tutto, sua madre non le aveva mai detto una cosa simile. I signori Swan potevano essere decisamente troppo protettivi e pedanti e terribilmente disorganizzati, ma sembravano anche davvero buoni. E volevano bene ad Emma, pensò tristemente Regina, in un modo che lei non conosceva.
“Sono capace di farmi degli amici” disse Emma piccata.
“Capacissima” le diede manforte Regina.
“Emma ci ha parlato benissimo di te e siamo felici che abbia legato così con una persona, anche se è una studentessa, inizialmente eravamo perplessi ma dieci anni di differenza non sono poi molti e-“
“MAMMA! PAPA’! ” Protestò Emma furiosa.
Regina si voltò verso di lei, raggiante.
“Pensate di tenervi in contatto una volta finita la scuola?”
“Sì, certo.” Disse Regina.
Mary Swan le dedicò un grande sorriso, si girò verso il marito e poi riprese a parlare. 
Emma appoggiò la testa al sedile, sfinita.
“Odio la mia vita.” Mormorò.
“Perché?” chiese Regina, sottovoce, mentre davanti i due genitori chiacchieravano animatamente sulla figlia e raccontavano aneddoti imbarazzanti.
“Perché questo è esattamente il motivo per cui non avrò mai amici. E in questo momento mi vergogno da morire. E poi guarda. Che. Merda. Di. Macchina.” Sibilò rabbiosa, scandendo le parole, spostando un giaccone e finendo col tirarsi la manica in faccia e spettinandosi tutti i capelli.
Regina la guardò ancora un secondo, poi improvvisamente, le prese la mano.
Erano sedute così vicine e le loro mani erano già così vicine, era stato automatico. Semplicemente aveva appoggiato la mano sulla sua. Aveva dovuto spostarla giusto di qualche centimetro. 
Emma rimase un momento immobile e la guardò.
Davanti Mary Swan raccontava di quando la piccola Emma si era rotta una caviglia in terza elementare.
Regina deglutì. Era possibile che con quella mossa avesse compromesso tutto ciò che aveva costruito. Non aveva potuto farci niente, l’aveva fatto prima che potesse realizzare ciò che stava realmente facendo. Si preparò al peggio.
Ma Emma non spostò la mano.
Si limitò a lanciarle uno sguardo indecifrabile.
Regina continuò a guardarla, conscia che il mondo continuava a muoversi, lo testimoniavano le strade fuori dal finestrino, eppure lì dentro si era fermato tutto. E se Mary Swan avesse girato di nuovo la testa e le avesse viste? Cos’avrebbe pensato? Doveva staccarsi e anche subito…
Ma poi Emma sorrise. Non era un vero e proprio sorriso, più un abbozzo. Allargò le dita della mano e le intrecciò con le sue.
“Grazie.” mormorò.
Regina sorrise anche lei, sentendo il viso bollente e sperando di non essere arrossita e sperando che non si vedesse quanto era dannatamente felice in quell’istante, probabilmente l’istante più bello della sua vita.


Una volta davanti a casa, Regina salutò la famiglia Swan e li ringraziò del passaggio. Mentre percorreva il vialetto, si girò un’ultima volta. Emma la seguiva con lo sguardo. Le fece un breve cenno con la mano, dopodiché la macchina ripartì.
Regina aprì la porta di casa, pregando che sua madre non ci fosse.
E infatti era sola. Salì le scale di corsa, saltando due gradini alla volta, una cosa che probabilmente non faceva dalla quinta elementare. Da sola in camera, si buttò sul letto, felice, e fissò il soffitto.
Sorrise immensamente soddisfatta di sè stessa.
Non aveva idea di ciò che fosse accaduto in macchina, non sapeva come stessero le cose, non sapeva cosa provasse lei e menchemeno cosa provasse Emma. Ma era tutto così nuovo, luminoso e bello che poco le importava.
Aveva rischiato tutto ciò che poteva rischiare e le cose erano andate non bene…meglio! Si era buttata, aveva deciso di dare ascolto al suo cuore ed era stata premiata.
Ora aveva tutta la domenica per riposarsi.
L’indomani a scuola avrebbe rivisto Emma e non vedeva l’ora, chissà come sarebbe stata la situazione. 
Era così allegra che afferrò il cellulare e decise che era venuto il momento di accertarsi sullo stato di Robert.

- Ciao cretino. Come stai?

La risposta non tardò a giungere

- Bene.

- Cos’è successo con Belle?

- Suo padre è stato male.

- Questo ce l’hanno detto…intendo, come vanno le cose tra te e Belle? Avete concluso qualcosa? Mi auguro di sì.

- Ti ho detto che suo padre è stato male!


Regina sbuffò. Il ragazzo non era in vena di parlare. 

- E quindi?

- E quindi secondo te cosa dovremmo aver concluso?

- Qualcosa?


Non ottenne più risposta.
Poco male. Quello era l’ultimo dei suoi problemi. 



Non troppo lontano, a casa sua, Robert sbuffò di fronte allo schermo del cellulare, seduto alla scrivania. 
“Bobik, smettila di tirare intorno quel calzino.” Disse poi, stanco.
Il cagnolino continuò a mordere placidamente un calzino caduto dal cassetto che Robert aveva abbandonato per terra il giorno precedente, nella fuga da suo padre.
Suo padre invece non si era fatto vedere. Dopo aver provato a chiamarlo il giorno prima, più nulla. Tipico, pensò Robert. Probabilmente non ne avrebbero parlato mai più.
Quando Gold era tornato a casa, aveva trovato solo sua madre intenta nel compilare alcuni documenti di lavoro. Lo aveva salutato con un breve cenno affettuoso e gli aveva chiesto com’era Boston.
Al che Robert stava per rispondere che non ci era davvero stato, che era tornato indietro prima…ma si era trattenuto. Sua madre gli avrebbe chiesto come mai non era tornato a casa il giorno precedente e questo avrebbe portato ad altre domande. Domande che Robert voleva evitare.
Così aveva semplicemente mentito.
Belle gli aveva detto di prendersi del tempo, di rifletterci su e così avrebbe fatto. Nessuno gli doveva mettere fretta, era una decisione importante quella che stava per prendere: la sua famiglia dipendeva da essa. Quel pensiero era come un macigno.
Provò a distrarsi, pensando a Belle e al weekend appena passato. L’unica cosa positiva nella sua miserabile vita in quel momento.
Forse qualcosa si era smosso. L’indomani si sarebbero visti e avrebbero fatto colazione insieme.
Si alzò, improvvisamente speranzoso e si avviò verso l’armadio. Lo aprì e scrutò dubbioso i suoi vestiti.
Il pensiero di suo padre si fece momentaneamente più lontano mentre sceglieva la camicia che avrebbe messo il giorno seguente, una camicia azzurra che non metteva spesso ma che gli piaceva molto e gli infondeva speranza. L’aveva indossata la sera di San Valentino. 
Aveva un significato speciale per lui, gli ricordava una delle più belle serate della sua vita e voleva indossarla.
Le cose forse potevano ancora migliorare.



“Non mi piace questo silenzio” disse improvvisamente Ruby, afferrando il telecomando e stoppando il film che stavano guardando.
“Ehi!” protestò Belle “Perché l’hai fatto?”
“Oltre a non piacermi il tuo silenzio, non mi piace questo film. È noioso e inoltre dobbiamo parlare.”
Si girò verso Belle piena di aspettativa ed incrociò le gambe.
“Abbiamo parlato tutto il pomeriggio!”
“Non abbiamo parlato della cosa che mi sta tanto a cuore…”
“L’entrecote?” provò Belle.
“A parte quella.”
“Non capisco dove vuoi arrivare.”
“Oh secondo me invece lo capisci benissimo.”
La ragazza afferrò uno dei cuscini del divano e lo strinse convulsamente.
“Vuoi parlare di Gold.” Disse infine. Fece vagare lo sguardo sullo schermo, quasi cercando aiuto. 
“Tu vuoi parlare di Gold!”
“No, io vorrei vedere il film in realtà…”
Ruby alzò gli occhi al cielo.
“Va bene.” Sbuffò infine “Non voglio fare la parte della zia rompiscatole. Quindi non insisterò nel parlare di qualcosa di cui apparentemente tu non vuoi parlare.”
Belle la guardò stranita. 
“Davvero?”
“Davvero.”
“Grazie.” Disse Belle “Davvero. Ne parleremo, solo…oggi voglio godermi la giornata. Senza preoccupazioni.”
Ruby annuì pensierosa. Afferrò il telecomando. Stava per premere il tasto play quando si girò di nuovo verso la nipote.
“Zia?”
“Lo so che non vuoi parlarne ma-“
“ZIA!”
“Ma almeno voglio dire cosa penso!”
Belle sbuffò e appoggiò la testa sullo schienale del divano, chiudendo gli occhi.
“Penso solo che non dovresti farti condizionare da nulla e seguire il tuo istinto. ECCO, ho finito il momento materno. Possiamo tornare a vedere questo splendido film.”
La ragazza aprì gli occhi.
“Tutto qui?”
“Sì. Te l’avevo detto, non voglio essere rompiscatole.” Alzò le mani “rispetterò le tue decisioni. Ora andrò a prendermi un tè alla pesca, ne vuoi uno?”
Belle annuì.


Poche ore dopo, nel suo letto, quelle poche semplici parole di sua zia le rimbombavano in testa.
Segui il tuo istinto.
Cosa le diceva il suo istinto?
Guardò le pareti della sua camera, piene di quadri e di fotografie. Guardò la sua libreria. Si mise a sedere inquieta.
La sua mente le ricordava le cose importanti in quel momento.
Suo padre e la dieta che doveva seguire, gli esami imminenti, l’università, il trasferimento, racimolare qualche soldo prima della partenza per Boston, mantenere le amicizie…erano quelli i suoi obiettivi. Fissò dubbiosa la finestra, la luce della luna che filtrava dalle tende.
Era accaduto tutto troppo in fretta. Fino a pochi mesi prima non conosceva quasi nessuno, non credeva che avrebbe mai vinto la borsa di studio, viveva alla giornata. Poi aveva conosciuto Tink. E poi Robert. E le cose avevano iniziato a girare vorticosamente in un modo che non credeva possibile. Anche con Robert le cose erano state davvero veloci. Si conoscevano da appena sei mesi eppure era come se stessero insieme da una vita. 
Non avrebbe dovuto neanche starci male, si disse sinceramente. Erano stati insieme sì e no tre mesi, avevano solo diciotto anni.
Ma era esattamente quello il problema. Benché ogni minima parte razionale di lei la spingesse a dimenticare l’accaduto e pensare al futuro, l’istinto la spingeva verso Robert Gold. In quei mesi era come se avessero imparato ad appartenersi in un modo tutto loro. Si conoscevano e Belle avrebbe voluto continuare a conoscerlo, giorno dopo giorno, mese dopo mese.
Ruby le diceva di seguire l’istinto e l’istinto le diceva questo. Di dare una possibilità a quello che avevano costruito.
Si ributtò tra i cuscini.
L’indomani avrebbe visto Robert a scuola. Avrebbero fatto colazione insieme durante l’intervallo. Quel pensiero la rendeva felice, la calmava e le faceva pensare che in ogni caso, aveva ancora del tempo per prendere una decisione. E così, lentamente, si addormentò.


Ma quando Belle giunse a scuola lunedì mattina, trovò una seccatissima Tink ad aspettarla all’ingresso. 
Preparandosi al peggio avanzò, mostrando quello che riteneva un sorriso smagliante e sereno. Forse non ebbe l’effetto desiderato perché l’espressione della biondina non mutò minimamente.
“Dobbiamo parlare.” Le disse non appena le si trovò di fronte.
Belle respirò a fondo.
“Immagino di sì.”
Fece un passo in avanti ma Tink rimase immobile.
Poi la abbracciò bruscamente.
“Come sta tuo papà?”
“Bene. Molto meglio, sono andata a trovarlo anche ieri e stava bene. L’ho sentito poco fa e dopo scuola io e mia zia andremo in ospedale.” Rispose Belle, ricambiando perplessa l’abbraccio.
Una volta staccatasi, Tink riprese ad osservarla.
“C’è un’altra cosa di cui voglio ancora parlare. Sai cos’è, vero?”
“Sì. Insomma, credo.”
Entrarono a scuola e si diressero verso gli armadietti, mentre Belle fissava il pavimento, attendendo la fatidica domanda. Una volta arrivate finalmente Tink si decise a parlare.
“Sei tornata con Robert?”
Belle se lo aspettava. 
“No.” Rispose prontamente.
“Perché eri con lui?”
“Perché era una brutta situazione. Ero a Boston ed ero con lui quando mi hanno chiamata dall’ospedale. Mi ha aiutata.”
Tink chiuse l’armadietto di scatto.
“Perché non hai chiamato me!?” esclamò infine, triste.
Belle la fissò stupita.
“Beh, non eri a Boston e-“
“Quando sei arrivata qui, avresti dovuto chiamarmi subito! Io sarei venuta a prenderti in stazione, sarei arrivata e-“
“Lo so!”
Prese bruscamente dei libri e la fissò.
“Lo so Tink. Non ci ho pensato, mi dispiace. E’ stato tutto così veloce…”
“Ma lo sai che io sarei corsa subito se tu mi avessi chiamata! Subitissimo! Sarei venuta anche a Boston in bicicletta! A piedi!”
“LO SO!” Ripeté Belle esasperata.
La fronteggiò.
“Non voglio che tu pensi che io sia un’amica di merda.” Pigolò Tink. Si interruppe e poi riprese “Ma io mi sento così. Non sono venuta a Boston e ti ho lasciata sola, era una brutta situazione con Robert e invece ho pensato solo a me stessa, mi dispiace tantissimo e-“
“Tink.” La bloccò Belle. Le prese la mano “È tutto a posto! Queste cose capitano, ma non per questo penso che tu valga di meno. Penso che tu sia un’ottima amica, la mia migliore amica. ”
L’altra rimase un momento in silenzio. 
“Siamo migliori amiche?”
“Ma certo!”
Tink sorrise improvvisamente ispirata.
“Non ho mai avuto una migliore amica.”
“Neanche io. Non avevamo mai stabilito la cosa ma immagino che sia così!”
Sorrisero entrambe.
“Allora” riprese poi Tink, prendendo Belle sottobraccio e dirigendosi verso l’aula di lettere “Com’era Boston?”
Belle sospirò.
“Non ho visto molto” ammise.
“Immaginavo. Possiamo tornarci quest’estate, dopo gli esami. Per vedere anche com’è la città, l’università e tutto il resto. Una vacanza insieme.” Disse Tink prontamente. 
Belle annuì sorridendo.
“Sembra un’ottima idea.”
Continuarono a camminare.
“E Robert com’era?” Chiese Tink dopo un po’, titubante.
Qualche secondo di silenzio seguì la domanda. 
“Sempre lo stesso.” Rispose Belle infine.
“È stato gentile?”
“Molto.”
Evitò di menzionare tutto ciò che era successo in quei due giorni.
Ciò che aveva provato, gli infiniti momenti in cui il contatto fisico era risultato così fastidioso eppure allo stesso tempo inevitabile e piacevole, i momenti in cui anche solo averlo accanto l’aveva resa felice.
Non voleva parlarne, sapeva cosa ne pensava Tink…o magari no.
Magari le avrebbe detto la stessa cosa di sua zia. Di stare tranquilla, non pensarci. Di seguire il suo istinto.
“Dovrei fare colazione con lui questa mattina.” Disse dopo un po’.
Tink si voltò verso di lei di scatto.
“Non farlo.” 
Belle la guardò interdetta.
“Cosa?”
“Non…non andare.”
“Perché?”
“Perché sai cosa significherebbe andare…non…non mi sembra giusto.”
Belle esitò e guardò il pavimento.
“È solo che non mi ricordavo quanto era bello stargli accanto” Ammise mogia.
Tink scrollò le spalle.
“Non si merita una seconda possibilità.”
Belle si fermò in mezzo al corridoio, prima dell’aula.
“Scusami, ma non eri tu che parlavi sempre di credere nelle persone?”
“Sì ma-“ la bionda si fermò. “Sì, lo penso. È che non credo che sia questo il caso!”
“Non voglio comunque dargli una seconda possibilità. E’ solo un tè insieme.”
“Ma lui ti piace ancora!” protestò Tink “Lo sai. Se ricominciate a vedervi è inevitabile che…che succeda qualcosa. Non lo so. Non voglio che tu soffra di nuovo. Tutto qua. Non riesco a capire perché abbia fatto ciò che ha fatto, ho paura che sia…sia semplicemente una di quelle persone che fa quel tipo di cose. Sai…una di quelle persone che rovinano tutto. Che non riescono semplicemente ad accontentarsi di essere felici.”
Belle guardò tristemente l’amica.
Non era quello che voleva sentirsi dire ma era ciò che temeva di sentirsi dire ed era ciò che temeva di pensare anche lei.
Robert era gentile, era molto intelligente, era dolce, la trattava bene e l’aveva sempre resa felice. Non le aveva mai fatto mancare nulla, era sempre stato presente, la adorava e la faceva sentire benissimo.
E allora perché aveva fatto quello che aveva fatto?
Per paura? Forse non solo per quello.
No, Belle aveva timore che Robert fosse proprio ciò che diceva Tink: una persona che non può accettare di essere felice. Che non riesce a stare tranquilla e che per paura, finisce col rovinare ogni cosa.
“Non lo so.” Ripetè Tink.
“Non so neanch’io.” Borbottò Belle.
In quel momento aveva paura anche lei.

Quella mattina Regina camminava per il corridoio più baldanzosa del solito. Il mondo splendeva di tutta un’altra luce.
Passò davanti a Belle e Tink che parlavano concitate, le saluto con un mezzo sorriso di sufficienza, afferrò la sua mela dalla borsa e si diresse sicura verso l’ufficio di psicologia. 
Sbirciò dentro prima di entrare.
“Buongiorno signorina Swan!” esclamò infine, palesandosi davanti a lei con un grande sorriso stampato sul volto.
“Ha passato una bella domenica? Si è divertita ieri? I suoi come stanno?”
Emma la fulminò con lo sguardo e riprese a correggere la pila di compiti che aveva sulla scrivania.
“La vedo stanca. E stressata.” Continuò Regina. Diede un bel morso alla mela e si appoggiò al muro.
“Come fai ad avere già voglia di tormentare le persone?” Borbottò infine Emma “E’ lunedì mattina, dammi un momento di tregua.”
“Suvvia, non sia così scontrosa. Ha ragione sua madre.”
“Basta!” ringhiò Emma.
Regina sogghignò e continuò a masticare placidamente la sua mela.
“Quando hai finito di provocarmi…” 
La professoressa sbatté la penna sulla scrivania ed incrociò le braccia.
“Dovrebbe rilassarsi un po’.”
Così dicendo, aprì nuovamente la borsa ed estrasse un’altra mela. La lanciò ad Emma che stupita la afferrò.
“Le avevo detto che le avrei fatto provare una delle mele del mio giardino.”
“Se è un modo per farti perdonare sappi che-“
“Non devo farmi perdonare di niente.”
Emma inarcò le sopracciglia.
“Hai dato deliberatamente corda ai miei genitori. Umiliandomi. Divertendoti.”
Regina alzò le spalle e fece un’espressione annoiata.
“Quanto la fa lunga.”
Morse la sua mela e prese un bel respiro. Non era lì per provocare gratuitamente Emma, per quanto potesse essere rilassante e divertente. Aveva una missione da compiere.
“Cosa fa venerdì pomeriggio?”
Emma si alzò dalla scrivania e si appoggiò ad essa.
“Perché?”
“Pensavo che potessimo fare qualcosa. Sempre che non abbia già programmi con la Blanchard. Ma non vorrei mai che i suoi pensassero che la sua amica Regina la sta trascuran-“
“BASTA!”
“Va bene, va bene, la smetto…”
Emma chiuse gli occhi e sospirò.
Era stancante.
“Ti farò sapere. Se arriverò viva al fine settimana. E se non ti avrò strozzata prima. Potrei anche decidere di metterti in punizione per il resto dell’anno scolastico. Non mettermi alla prova.”
Regina sorrise amabilmente mentre l’altra la guardava torva.
“Sparisci ora.”
“A dopo miss Swan!” 
Se ne andò, trionfante come non mai.


Belle camminò spedita verso l’uscita dell’edificio, la testa che sembrava scoppiarle. Le parole che Tink le aveva detto, le sue insicurezze, il fatto che Robert probabilmente era rimasto ad aspettarla da solo, fissando sconsolato la macchinetta delle merendine, aspettando qualcuno che non sarebbe mai arrivato.
Non sapeva se avesse fatto la cosa giusta, ma le parole dell’amica le avevano sicuramente riaperto alcune ferite che dopo quel week-end, sembravano essersi quasi magicamente richiuse.
E se Tink avesse avuto ragione?
Che provasse ancora qualcosa per Robert era innegabile. Ma ricominciare a frequentarlo sembrava ora impensabile. Non riusciva più a fidarsi di lui, era impensabile. Ma soprattutto era impensabile mentire a sé stessa e al ragazzo: non sarebbero mai stati amici. Non poteva funzionare, non dopo così poco tempo. 
Certo, tutte i pensieri sull’istinto e sui sentimenti non erano state dimenticati, né le parole di Ruby. 
Ma la sua vita veniva prima di tutto, doveva pensare con razionalità alla situazione e a come affrontarla. 
E benché Robert la rendesse felice, esisteva anche una piccola, o forse non troppo piccola parte, che temeva che l'avrebbe fatta soffrire di nuovo. E quello per Belle era decisamente troppo al momento.
Ora non vedeva l’ora di uscire da scuola, prendere l’autobus, raggiungere Ruby all’ospedale e parlarne di nuovo con lei, chiederle consiglio, chiederle ancora se era davvero pazza a voler concedere a Robert una seconda possibilità o se semplicemente era stupida e ancora innamorata. Chiederle se esistevano persone capaci di rovinare la felicità per paura dell’infelicità. Dirle che finalmente era pronta a parlarne e che ne aveva bisogno.
Tutto questo sarebbe stato molto più facile se una certa persona non l’avesse aspettata davanti al portone principale.
Belle respirò a fondo.
Era ovvio che sarebbe successo.
Dopo avergli dato clamorosamente buca senza nemmeno avvisarlo, il minimo che Robert poteva fare era cercarla e dirgliene quattro. Si preparò psicologicamente ad affrontare la questione e camminò, cercando di mantenere un’andatura tranquilla e non far trapelare il senso di colpa e l’ansia. Provò uno strano tuffo al cuore notando che indossava la camicia azzurra che aveva a San Valentino. 
“Stai bene?” fu la prima cosa che Robert le chiese, facendo un passo verso di lei.
La ragazza si bloccò.
Non era esattamente l’incipit che si aspettava.
“Io- sì, perché?”
“Pensavo…pensavo fosse successo qualcosa. Perché non sei venuta prima…allora ho pensato che magari tuo padre…”
Robert non terminò la frase. 
Rimase a guardarla, con aria un po’ interrogativa e un po’ triste.
Forse aveva già intuito la verità.
Belle decise che doveva scusarsi, e doveva farlo subito. Poteva aver preso momentaneamente una decisione, cioè quella di allontanarsi di nuovo, ma questo non la giustificava nel comportarsi male o nel farlo preoccupare per nulla. Menchemeno nel mancargli di rispetto.
“Tranquillo, sto bene. Ho avuto un contrattempo con Tink che mi ha chiesto…una cosa. E mi sono dimenticata di avvisarti, scusami. Tra una cosa e l’altra…scusa, non so dove ho la testa.” 
Attese una risposta.
Il ragazzo annuì lentamente.
“Ho capito.”
Seguì qualche imbarazzante secondo di silenzio.
“Tu…come stai?” chiede lei infine.
Questo glielo doveva.
Almeno questo.
“Ho visto giorni migliori ma…tutto bene, circa.”
“A casa?”
“Niente di nuovo.”
Belle sapeva cosa significava. La situazione era rimasta stabile e probabilmente Robert era ancora indeciso sul da farsi, incastrato com’era in quella bruttissima situazione.
“Va…va bene.” Si bloccò e poi riprese “Io ora dovrei andare in ospedale da mio padre.”
Non sapeva cos’altro dire.
Le parole di Tink continuavano a rimbombarle nel cervello.
“Okay! Vuoi un passaggio?”
Belle scosse la testa.
“Prendo il bus.”
“Ti accompagno alla fermata?”
“Tranquillo! C’è…c’è Tink che mi aspetta fuori.”
Non era vero. Non lo faceva perché non voleva dire di no a Robert, lo faceva perché sapeva di dover trovare una scusa con sé stessa. A Robert sarebbe bastato un semplice no e si sarebbe allontanato immediatamente.
“Non è vero.” Disse Robert “L’ho vista uscire mezz’ora fa con Killian.”
Merda, pensò Belle.
“Davvero?” chiese, cercando di simulare sorpresa.
“Belle…” 
Belle si morse il labbro e fece un passo in avanti. Non voleva parlarne lì, davanti a tutti, sulla porta principale. Sapeva che Robert l’avrebbe seguita senza neanche doverglielo dire.
Una volta fuori in cortile, si fermò di nuovo.
“Belle?”
“Mi dispiace. Non…credo di poterlo fare. Ci ho pensato ma non so se riesco a far funzionare le cose ora come ora.” Dichiarò lei, la voce piatta. Si guardò intorno, sconsolata.
Gold annuì tristemente.
“L’avevo capito quando non sei venuta questa mattina.”
“Mi dispiace davvero è che…mi fa ancora troppo male, non pensavo, invece è così. E non è stato corretto nei tuoi confronti, lo so.”
Nessuno dei due disse nulla per qualche secondo.
“In effetti no, però…va bene. Lo capisco. Fa male anche a me.”
“Lo so! Per questo non voglio forzare le cose. Robert, non credo che torneremo in-“
“Non voglio tornare con te.” La interruppe Robert.
Non era vero. Avrebbe voluto tornare con lei subito, avrebbe venduto l’anima al diavolo per poter stare con lei. Ma non era quella la sua priorità.
Aveva riflettuto il giorno precedente, da solo, nella sua stanza, mentre suo padre si comportava come se niente fosse accaduto, mentre sua madre ignara continuava la sua vita di tutti i giorni e si lamentava ad alta voce di tutte le pistine bagnate che Bobik aveva lasciato per casa. Aveva pensato che anche se tra lui e Belle era finita, piuttosto che starle lontano per sempre, perderla definitivamente, avrebbe preferito rimanere suo amico. Gli andava bene. E poi chissà, la vita poteva riservargli delle sorprese nel futuro. Da un’amicizia poteva nascere di nuovo l’amore.
E inoltre, nonostante tutto, nonostante l’amore e l’attrazione che provava per lei, era davvero affezionato anche alla sua persona e al suo carattere. Belle era l’unica con cui riusciva a parlare, era l’unica persona con cui riuscisse ad aprirsi completamente, non era come con Killian o con Regina, con lei ogni cosa era diversa e migliore. Si fidava di lei e sapeva che non lo avrebbe mai giudicato.
Era come se Belle si fosse scavata un posticino tutto suo nella sua anima e in qualche modo ancora fosse lì, come se ancora potesse condividere con lui dolori e gioie.
“Io…voglio…solo avere qualcuno. Con cui…parlare. Mi sento…mi sento davvero solo.” Terminò la frase fissando il pavimento.
Belle rimase zitta.
Questo non l’aveva messo in conto.
“Non ho nessun altro. Mi fido di te, mi manchi, mi manca parlare con te, uscire con te…mi manchi e basta. Piuttosto…piuttosto che non poterti…parlare per niente, mi…mi va bene essere tuo amico.”
La ragazza si guardò intorno spaesata.
“Non lo so.” Disse infine. 
Era la verità. 
Non era certa di poter fare quel passo. Era meschino lasciarlo da solo, soprattutto quando lui le era stato accanto senza remore in un momenti di assoluta difficoltà. Ma Belle doveva pensare anche a sé stessa, a proteggere il proprio cuore. Non voleva fargli del male ma non voleva neanche continuare a soffrire. 
E poi c’erano tutte le priorità, le ricordo la sua vocina razionale. L’università, i soldi, gli esami, suo padre. Tutte quelle cose a cui pensare. Non c’era tempo per stare a crogiolarsi nel dolore.
Magari Robert poteva essere pronto ad essere suo amico, ma lei non lo era.
“Dico davvero Robert. Non lo so. È che…credo che sia troppo presto.”
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli.
“Sarà troppo tardi tra poco. Tu…te ne andrai. E io anche. E non potremo più…più essere amici. Abbiamo un ultimo mese di scuola…perché non…lo sfruttiamo al meglio?”
Ma lo sguardo spento di Belle diceva già tutto.
Non sarebbero stati amici.
Non ci sarebbe stato più niente.
Era finita.
“Non lo so. Ho…ho bisogno di tempo. Devo capire…come far funzionare la cosa. E devo capire se voglio farla funzionare.” Ripetè lei.
Sembrava triste, e anche molto stanca.
“Ora devo davvero andare in ospedale. So che sembra una scusa ma-“
“No…no tranquilla. Non sembra una scusa. Dico davvero.”
“Va bene.”
Nel silenzio del cortile, tutto sembrava ancora più pesante e definitivo. Robert pensò che odiava davvero quel cortile. E la sua camicia azzurra era stata davvero inutile.
“Ascolta…ci vediamo a scuola, va bene? Nei prossimi giorni.” provò Belle. Cercò di sorridere, di sembrare amichevole, ma non ci riuscì. 
“Sì…va bene” rispose lui, fissando il pavimento.
Così Belle si sporse in avanti e gli diede una leggera pacca sul braccio. Sorrise tristemente un’ultima volta e camminò verso la fermata. Salì sul bus e si trascinò tristemente verso uno dei sedili vuoti, sempre meno sicura della decisione appena presa.



Dopo la visita a suo padre, lei e Ruby camminavano silenziose per il corridoio, quando senza preavviso, apparve davanti a loro Killian Jones. Aveva in mano due lattine di Coca Cola.
“Belle!” esclamò sorpreso.
“Ciao Killian!”
Belle sorrise e indicò le lattine.
“Ne porti una a tuo fratello?”
“Sì. Senza dirlo ai medici.” Le strizzò l’occhio.
Poi il suo sguardo si spostò su Ruby. Belle poté vedere con chiarezza lo stupore e l’ammirazione sul volto del ragazzo, che la fissò con tanto d’occhi.
“Tieni gli occhi a posto.” 
Belle aggrottò le sopracciglia. Di certo sua zia non perdeva tempo.
“Killian Jones, lietissimo di fare la tua conoscenza…Davvero lietissimo. Non sapevo che Belle avesse delle amiche così interessanti.”
Fece un profondo inchino mentre Ruby storceva il naso.
“I tuoi amici sono tutti così?” chiese poi rivolta a Belle.
Lei stava per rispondere che no, solo Killian era così ma era davvero simpatico quando ci si metteva, ma Ruby proseguì.
“Sono la zia di Belle comunque.”
Killian spalancò gli occhi azzurri e guardò Belle che annuì ridendo.
“Ho appena fatto una figura di merda, vero?”
Entrambe le donne annuirono.
Jones si strinse nelle spalle, si aggiustò il giubbetto di pelle e riprese a sorridere.
“Vabbeh. Cose che capitano.” dichiarò infine.
Ruby scosse la testa.
“Vado a parlare un momento col dottore.” Si allontanò a passo spedito, le lunghe gambe che si muovevano sinuose nei pantaloni neri aderenti.
“Senti Belle, perché non mi hai mai fatto vedere una foto di tua zia? Sono cose importanti in un’amicizia, conoscere i reciproci parenti e-” iniziò Killian non appena fu sparita dietro la corsia.
“È troppo vecchia per te.”
“Vecchia? Ma che dici, vecchia-“
“E poi tu non frequenti Tink?”
Il ragazzo si zittì immediatamente mentre Belle inarcava le sopracciglia.
Dopo qualche secondo, parlò.
“Come stai comunque? Tuo fratello?”
“Benone, tutto alla grande. Tuo padre invece?”
“Anche. Tutto prosegue.”
Lui annuì.
Poi si avvicinò con fare da complice e le passò un braccio intorno alle spalle.
“E…col mio…amico?”
Belle sbuffò. Era ovvio che l’avrebbe chiesto.
Sembrava che tutti volessero chiederle la stessa cosa.
“Cosa intendi?” provò a prenderla alla lontana.
“Vi ho visti insieme…” proseguì lui con fare complice.
“Sì. Mi ha aiutata molto in questi giorni.”
“Sono felice. Significa che posso ricominciare a fare il tifo per voi? Gold ultimamente era intrattabile, una checchina isterica, ma-“
“Killian” lo interruppe Belle decisa “Non stiamo insieme. Mi ha solo aiutata. Tra me e Robert è finita.”
Il ragazzo si bloccò ammutolito.
“Cosa significa?”
“Lo sai bene.”
Killian si guardò intorno a disagio.
“Mi sembra un po’ drastico.”
“È così che funzionano le relazioni.”
Dopo un po’ il ragazzo annuì tristemente. 
“Ti ha spezzato il cuore.”
Sospirò. Sembrava sul punto di voler dire qualcosa d’altro.
“Però…per quanto cretino sia e per quanto abbia fatto una cosa schifosa, se posso dirlo, ti ha amata davvero.” Disse infine.
Belle fissò il pavimento. Se l’aveva amata perché non gliel’aveva mai detto?
Perché non aveva, neanche nei momenti più critici, avuto il coraggio di dirle la verità? 
A volte Belle pensava che se gliel’avesse detto, se gli avesse sentito pronunciare quelle fatidiche due parole, le cose sarebbero andate diversamente. Lei sarebbe stata più forte, avrebbe avuto meno paura, si sarebbe fidata di più. Forse sarebbe persino riuscita a perdonarlo.
“È andata così.”
Killian la guardò.
“Pensaci bene.” Dichiarò alla fine. 
“Ci ho pensato bene.”
“Pensaci ancora meglio.”


Belle rimase a lungo sdraiata sul letto, a fissare il soffitto, un libro in mano e lo sguardo vacuo. Ma se lo sguardo poteva sembrare perso, la sua mente era concentrata.
Tink le diceva di fare una cosa, Killian un’altra, Ruby un’altra ancora. Robert intanto aveva bisogno di un’amica. Tutti le parlavano e si sentivano in dovere di farle sapere cosa pensavano.
A forza di ascoltare gli altri aveva forse perso di vista i propri desideri? 
Forse, si disse con sincerità, era ora di chiedersi con onestà cosa voleva e cosa provava. Ci aveva provato la sera prima ma ora, a mente fredda, dopo ciò che era accaduto quel pomeriggio, come si sentiva?
Era triste in quel momento. Triste perché le sembrava di aver fatto una cosa stupida ed insensata. E soprattutto sbagliata.
La sensazione che la attanagliava dal giorno precedente, quella specie di inconscia attesa, l’aveva abbandonata.
Sapere che a scuola avrebbe visto Robert e che avrebbero parlato. Ci aveva pensato il giorno precedente, nonostante le preoccupazioni, nonostante tutto, era felice.
Era una bella sensazione, era come la sensazione che si prova alla fine dell’estate, quella sensazione di attesa, di aspettativa. La sensazione che l’estate non sia veramente finita e che in ogni caso, le cose saranno luminose e belle.
Invece ora era tutto fuori posto.
Si mise a sedere e guardò i suoi libri.
Avrebbe voluto avere come consigliere uno qualsiasi dei suoi personaggi preferiti. O magari Jane Austen in persona.
Invece era sola.
Ed era giusto che fosse così.
Doveva prendere una decisione, da sola.
E questa volta, sarebbe stata definitiva. 




- Vada per venerdì. Facciamo un tè. A casa mia, per le quattro.
Fu il breve messaggio che Regina ricevette poco dopo cena.
- Ottimo. La Blanchard viene?
Non ottenne risposta.



Robert grattò la testina di Bobik, guardando il soffitto, demoralizzato.
Niente andava bene.
Suo padre faceva schifo, la sua famiglia faceva schifo, la sua vita faceva schifo. Aveva solo un bel cagnolino.
Non è vero, si disse, ho anche dei bei capelli.
Poi scosse la testa.
Era sempre stato fiero dei suoi capelli, anche se potevano sembrare stupidi o se spesso lo facevano arrabbiare, quando facevano ciò che volevano loro. 
Ma ora, mentre guardava il proprio riflesso nel vetro della finestra di camera sua, si chiese se non fosse venuto il momento di tagliarli. 
Forse sì.
Quel taglio di capelli era davvero da idiota.
Era venuto il momento di cambiare un sacco di cose.
Stava proprio per decidere che l’indomani sarebbe andato dal tanto odiato ed evitato barbiere, quando improvvisamente il suo cellulare si illuminò.
Certo come non mai che fosse un insulto a random di Regina, si sporse verso di esso con poco entusiasmo.
Invece vi era un nome diverso, stampato in grassetto vicino alla una piccola icona verde dei messaggi. Un nome che non leggeva da mesi sul suo schermo. Un nome che fece fare al suo cuore almeno cinque capriole.

Belle

 -Hai ancora un mio paio di guanti. Quando pensi di ridarmelo?

Robert fissò lo schermo interdetto, felice, felicissimo ma anche confuso. Che razza di messaggio era?

- Quando preferisci! 

Attese impaziente la risposta, il cuore che batteva ad una velocità tre volte più forte del normale.

- Domani fuori da scuola? Prima delle lezioni.

Sempre più confuso, rispose.

- Va bene. 

Non giunse più risposta.
Deluso, appoggiò il cellulare, incerto se essere comunque un po’ più felice di prima.
E lo schermo si illuminò di nuovo.

- Come stai?

Respirò a fondo.

- Tutto bene…circa. Tu? Tuo padre?

- Sopravviviamo entrambi.


Valutò se rispondere ancora. Decise di tentare.
Scattò una foto a Bobik e gliela inviò.

- Puliscigli quel musetto, è lurido.

Robert controllò l’animale. In effetti era vero.

- Ora lo faccio. E’ che si rotola sempre nel fango!

- Mmmh. Io non ho foto di animali da inviarti di rimando, scusa…

- Va bene anche così

- Vado a leggere qualcosa e poi dormo, sono sfinita. Buonanotte, a domani!


A domani.
Robert rilesse quelle due semplici parole un sacco di volte. Erano così piccole. Eppure così belle e luminose. 
Era successo qualcosa?
Cos’era cambiato in una giornata?
Forse Belle aveva deciso che voleva dare una chance alla loro amicizia? Che ciò che c’era e che c’era stato tra loro meritava un’altra possibilità? Qualcuno le aveva detto qualcosa?
Di sicuro non voleva vederlo per i guanti, si disse. Era una scusa, era maggio ed era molto caldo, quei guanti di lana poteva farseli ridare in un qualsiasi momento, anche usare Killian come tramite e farseli dare da lui…
No. Belle aveva voluto vederlo. Si sarebbero visti domani, questa volta ne era certo. 
Belle gli aveva scritto. Aveva cambiato idea. Forse davvero non era troppo tardi per cercare di costruire almeno una bella amicizia, per riconquistare la sua fiducia, per aiutarla. 
Sorrise.










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Riptide - Vance Joy



Hellooooo
it's meeeee.
Credevate che fossi morta? E invece no. BUON NATALE! E buon anno nuovo. Ormai rinuncio a scusarmi delle tempistiche con cui scrivo e aggiorno. Ma pian pianino aggiorno e arrivo alla fine. Perchè vi avviso che non manca tantissimo. Non so se sia una buona o una cattiva notizia.
Dunque, questo capitolo è molto importante per me e vi spiego perchè. Avevo in mente una cosa simile anche prima che lo show prendesse una certa direzione - 5x10 sto parlando con te - cioè una scena in cui Belle dice di non essere pronta. È la cosa che a me sembra più IC, quindi avevo deciso di scriverla. Dopodichè l'ho vista su schermo. Non mi è piaciuta per il semplice fatto che prima sembrava che Belle fosse pronta a voltare pagina, mentre dopo pochi episodi è tornata sui suoi passi. Poi la 5x11 l'abbiamo vista tutti quindi le cose si sono sistemate.
Nel capitolo ho cercato di essere coerente con Belle, di far capire che è combattuta e lo è sempre stata. Insomma, non come nella serie tv che hanno reso male - a mio parere - il conflitto interno, rendendola semplicemente bipolare da un episodio all'altro. 
Chiusa parentesi IL COMPORTAMENTO DI BELLE E LA PAZZIA DI ADAM HOROWITZ ED EDDY KITSIS.
Il primo grande piccolo passo Swan Queen è avvenuto e ora vedremo a cosa porterà. 
Altra cosa a cui tengo, l'inserimento di Ruby. Ho deciso di darle una sorta di ruolo "guida" per Belle, ma non troppo rompiballe, a differenza di Tink che tende ad intromettersi un po' troppo. Spero di non essere andata troppo OOC, ma è tanto difficile scrivere di personaggi a cui purtroppo è dato poco spazio.
Sono stata anche troppo seria in questo commento.
Quindi?
Vi saluto, vi ringrazio IMMENSAMENTE per il vostro sostegno e anche per gli MP minatori che ogni tanto ricevo su Twitter "ma quando aggiorni?". Mi fa piacere vedere che nonostante tutto, seguiate sempre la fanfiction. Quindi alla prossima, presto, forse, non si sa, si spera. Fatemi sapere, se vi va, se vi è piaciuto il capitolo, se non vi è piaciuto, critiche, recensioni postive...
Un bacio sciaoBELI.
seasonsoflove

 

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Capitolo 37
*** Hiding ***


I know you've tried
But something stops you every time
You cry a little, so do I, so do I
And it's your pride
That's keeping us still so far apart
But if you give a little, so will I, so will I

Tell me I will be released
Not sure I can deal with this



“Sei molto silenziosa.”
Belle alzò lo sguardo dal suo tè e fissò sua zia.
“Davvero?”
L'altra annuì, addentando famelica il suo panino con la marmellata.
“Questa mattina vedo Robert.”
Ruby la guardò per un momento, poi inghiottì un grosso boccone e sorrise.
“Svelato il mistero.”
“Non è niente di che” borbottò Belle “deve restituirmi un paio di guanti...”
“Un po' caldo per dei guanti...no?”
Belle non rispose.
“Ho pensato che magari alla fine possiamo provare ad essere amici.” dichiarò infine.
Non era precisamente la verità. Aveva pensato molto, ci aveva pensato ed era arrivata al punto di fare una lista di pro e contro su tutto ciò che una possibile amicizia con Robert avrebbe comportato.
Alla fine aveva buttato all'aria tutta la razionalità e aveva deciso di seguire l'istinto. Nel weekend erano stati bene, si erano divertiti. Non era stato imbarazzante, nonostante tutto. Certo, a volte era stato un po' triste, ma non si sentiva a disagio con lui. Si sentiva a casa.
Per questo motivo aveva semplicemente deciso di proseguire su quella strada.
“Perchè stiamo molto bene insieme.”
“Sei felice della tua scelta?”
“Non so.” ammise Belle “Ma immagino che lo scoprirò presto.”
 
La conferma la ebbe non appena vide Robert che la aspettava fuori da scuola, i capelli scompigliati al vento, la camicia scura, una giacca leggera sopra e un paio di guanti di lana in mano.
Non appena la vide le lanciò il suo solito mezzo sorriso triste e le fece un cenno con la mano.
Belle respirò a fondo e lì, nella calda aria di maggio, seppe di aver preso la decisione giusta. Non lo capì a livello razionale, visto che evitò di pensarci: le bastò sentire un piacevole tuffo al cuore e un improvviso vuoto di stomaco per realizzare che in qualche assurdo modo, era felice.
“Ciao.” esordì raggiungendolo. Lo scrutò, leggermente imbarazzata, indecisa se chiedergli scusa per il giorno precedente, per come lo aveva trattato o semplicemente ignorare la questione.
“Ecco i guanti.” disse Robert.
Belle sorrise.
“Grazie.”
Seguì qualche secondo di silenzio nel quale la ragazza decise di fare buon viso a cattivo gioco e dimenticarsi casualmente di ciò che era accaduto il giorno prima.
“Come stai?”
Gold inclinò leggermente la testa e inarcò le sopracciglia.
“Bene...credo...tu?”
“Benone. Insomma, meglio dei giorni scorsi.”
“E...a casa?”
“Tutto okay. Più o meno. Da te?”
“Anche.”
“Ottimo.”
“Già.”
Belle annuì e si guardò intorno.
“Hai...studiato per chimica?”
“Sì dai, tu?”
“Sì. Insomma, quanto ho potuto.”
Ancora silenzio.
Gold si schiarì la voce e si strofinò le mani sui pantaloni, salterellando sul posto.
Belle fissò il pavimento e realizzò che forse dopotutto non era una cattiva idea scusarsi per il giorno precedente e chiarire la situazione.
“Robert ascolta io-”
“E' tutto okay. Sto bene e ho capito.”
Lei aprì la bocca a vuoto e la richiuse.
“Non sai neanche cosa volevo dirti.”
“Immagino tu volessi parlare di ieri...”
“Beh io-”
Robert annuì.
“Anche io ho ripensato a ieri e...e non voglio costringerti a fare nulla che ti faccia stare male. Quindi...non devi sentirti in obbligo di parlare con me, ecco. Se vuoi finirla qui, fallo. Non sono arrabbiato.”
Belle sgranò gli occhi.
“Perché pensi questo?”
“Beh, tu hai detto che...che non riesci a far funzionare le cose. Ci ho pensato e...e ho capito che probabilmente hai ragione. Non ha senso forzare le cose, andiamo ognuno per la propria strada e ci lasciamo il passato alle spalle...andiamo avanti insomma.”
Belle rimase zitta e immobile. Questo non l'aveva assolutamente messo in conto. Non faceva parte dei suoi piani e non andava per niente bene.
“In realtà volevo scusarmi.” disse infine, sentendo la gola chiudersi pericolosamente. Respirò a fondo e si calmò.
Gold, che stava fissandosi le scarpe, alzò leggermente lo sguardo su di lei.
“Cosa?”
“Volevo scusarmi per averti dato buca. Non è vero che avevo da fare. Ho avuto paura, tutto qui. E non è stato carino da parte mia.”
“Ah. Va bene.”
“E inoltre volevo dirti che...che ci ho pensato anche io.” proseguì, cercando di rimanere calma. Non le piaceva la piega che aveva preso la conversazione ma non significava nulla. Doveva proseguire nel suo intento come aveva deciso la sera precedente.
“E anche io ho curiosamente pensato che tu avessi ragione. Che è più doloroso...allontanarci per sempre. Ed ignorarci. Quindi ti ho chiesto di riportarmi i guanti perché volevo parlare con te di questo. E chiederti se ti andava di...non lo so. Vederci e chiacchierare ogni tanto.”
Robert rimase zitto, lo sguardo indecifrabile.
“Ma” riprese Belle, osservandolo attentamente “A quanto pare tu avevi altri piani...” non terminò la frase.
Un tremendo sospetto si era appena destato in lei.
“Altri piani?” chiese Robert a quel punto.
“Hai appena detto che non vuoi forzare le cose.”
“Non ho detto questo.” esclamò lui precipitosamente “Ho detto solo che FORSE tu hai ragione.”
Belle strinse gli occhi. Aveva ragione di pensare che i suoi sospetti fossero estremamente fondati e che presumibilmente Robert avesse deciso di reagire in quel modo per prepararsi al peggio.
“Beh se tu credevi che io ieri avessi ragione allora non ha senso tentare. Non ci sono le basi per un'amicizia e-”
“Non lo credo.” Dichiarò Robert improvvisamente agitato. “No, assolutamente. Ho detto una cosa stupida prima, non so perché l'ho detta. Probabilmente ero solo nervoso, ho mangiato poco a colazione e Bobik mi ha bucato un calzino a furia di morderlo.”
Belle incrociò le braccia.
“C'è qualcosa che devi dirmi?”
Gold si grattò la testa imbarazzato.
“Io...ho detto così perchè...volevo solo sembrare più maturo e consapevole.” borbottò poi, la faccia bollente, consapevole di essere appena stato smascherato.
“Idiota” mormorò Belle scuotendo la testa.
“Dai, non dirmi così...ci sto davvero provando a fare le cose per bene.” disse tristemente.
Un mezzo sorriso scappò alla ragazza, vedendolo così avvilito e realizzando l'assurdità di quanto era appena successo.
Eppure era anche questo che le mancava del loro rapporto. Quel continuo battibeccare, le situazioni assurde, Robert che si impegnava per compiacerla mentre non capiva che a Belle lui piaceva così com’era. Che l’unica cosa che aveva sempre voluto era che lui fosse semplicemente lui.
“Entriamo?” chiese infine.
“Sì, certo. Ti porto la borsa?” esclamò lui, grato che il discorso fosse stato riportato su un piano più comprensibile.
“No, grazie.”
“Sicura?”
“Sì, tranquillo, ce la faccio da sola!”
Camminarono in silenzio.
“Quindi siamo amici?” domandò poi Robert speranzoso.
“Non allarghiamoci troppo. Una specie.”
Lui annuì allegramente trotterellandole accanto.
“Mi sembra un buon inizio.”
Appena entrati a scuola, tre ragazzini di prima li superarono spintonando Robert e facendosi largo tra la folla di studenti che in quel momento si era accalcata davanti alla bacheca degli avvisi.
“Quelle matricole di merda...” borbottò Robert furioso massaggiandosi la spalla.
“Cosa succede?” chiese Belle perplessa, alzandosi sulle punte per vedere al di là della calca.
“Non ne ho idea. Vediamo...”
Una volta arrivati vicini alla bacheca, dopo aver spintonato numerosi ragazzi e ragazze che proprio non ne volevano sapere di spostarsi, videro che un grosso avviso coi colori della scuola era stato appeso appena sopra la tabella degli orari.
“No...” mormorò Belle con sommo orrore.
“Già.”
“Dimmi che non è quello che penso.”
“Ho paura di sì.”
“Quando?”
“La prossima settimana. Sabato pomeriggio...”
“Non possiamo dare forfait?”
Lui stava per ribattere qualcosa quando un ragazzo diede una spallata a Robert, che si girò e lo guardò con fare bellicoso.
Belle lo prese per un braccio e lo trascinò via.
“Il prossimo che mi spintona, giuro che gli-”
“Stai zitto. Non mi interessa. Aiutami.” esclamò Belle disperata.
“Ma Belle, quei ragazzini non hanno nessun rispetto! Io alla loro età-”
“Hai ancora la loro età!”
Robert si zittì improvvisamente.
“Non voglio giocare.” riprese Belle agitata.
“Non è la fine del mondo!”
“Non voglio giocare!” ripetè lei “Non ne voglio sapere. Hai visto cos'è successo l'ultima volta? Per poco non morivo. Non giocherò di nuovo, non voglio che qualcuno mi rompa il naso!”
“Va bene. Belle?” Robert le appoggiò le mani sulle spalle. “Ricordi quando ho iniziato a fare il pazzo al pronto soccorso per quella puntura?”
Belle annuì deglutendo.
“Ecco, mi preoccupavo per niente. E questa è la stessa cosa!”
Cercò di sorridere incoraggiante.
“Ascolta, è solo una partita a dodgeball. E' un gioco. Uno stupido gioco! Durerà poco e poi sarai libera!”
La ragazza continuò a fissarlo, l'espressione disperata.
“Davvero!” riprovò lui.
“No!” esclamò infine Belle. “Morirò!”
“Non morirai.”
“Giocherò malissimo e tutti rideranno di me!”
“Non succederà.”
“E se succederà?”
“Io non riderò di te. Mai. E picchierò chiunque rida di te. E ti difenderò durante la partita.”
Belle inarcò le sopracciglia.
“Come l'ultima volta?”
Robert si zittì e fissò il pavimento, le guance bollenti.
Si ricordava bene l'ultima amichevole per scegliere la squadra e ricordava bene cosa Zelena aveva fatto a Belle. E ricordava bene anche di essere rimasto immobile e zitto nel momento decisivo.
“Scusami.” disse poi la ragazza mortificata. “Non volevo ritirare fuori quella storia. Non è esattamente il modo migliore per aiutare la nostra amicizia. Stavi solo cercando di essere carino...”
Lui annuì.
“Io sono sempre carino.” disse poi, guardandola di sottecchi.
Belle sorrise.
“Quasi sempre. Riuscirai a farmi esonerare?”
“Non credo.”
“Devi fare qualcosa.”
“Te l'ho detto, ti difenderò. Mi prenderò tutte le pallonate per te. Lo giuro.”
Proprio in quel momento Regina li raggiunse.
“Sparisci topo, voglio parlare con Gold.”
Belle aprì la bocca per protestare ma il ragazzo fu più rapido.
“Non puoi trattare così una mia amica.” dichiarò con fare pomposo.
Nè Regina né Belle dissero nulla ma si guardarono vagamente perplesse.
“Hai capito!?” chiese Robert.
“Certo. Come no! Non lo farò mai più, puoi starne certo.” rispose Regina alzando gli occhi al cielo.
“Scusami Belle, posso parlare con il tuo amico Robert?”
Belle inarcò le sopracciglia.
“Vado a lezione...ci vediamo dopo!” rispose poi infastidita scrollando le spalle.
“No!” protestò Robert.
Ma Belle li aveva già salutati con un cenno ed era sparita nella folla.
“Sei una stronza di merda!” esclamò Robert furibondo rivolgendosi all'amica appena arrivata.
“Potrete riprendere il vostro siparietto dopo che mi avrai aiutata. Sono sicura che Belle possa aspettare dieci minuti.”
“Io non ti voglio aiutare! Hai mandato all’aria tutta la mia mattinata!”
Regina lo guardò male.
“Ho un appuntamento venerdì.” disse poi.
“E a me che me ne frega!?” abbaiò Robert. Afferrò la borsa rabbioso e si diresse verso il suo armadietto.
“Non so cosa indossare!”
Gold si girò incredulo verso Regina che per tutta risposta lo fissò di rimando con tanto d'occhi.
“Che c'è? Ho bisogno di un consiglio!”
Il ragazzo raggiunse finalmente la fila di armadietti blu nel corridoio, l'amica alle calcagna.
“Non sai scegliertelo da sola?”
“Non questa volta.”
“E non...non puoi andare dalle tue amiche? Cosa c'entro io, sono anche un maschio, cosa vuoi che ne capisca.”
Aprì seccato l'anta dell'armadio ed estrasse due libri.
Regina nel frattempo gli gironzolava intorno inquieta.
“Sai meglio di altri cosa mi sta bene addosso.”
Non ottenne risposta.
“E poi non ho amiche.” Ammise schiettamente.
O meglio, un’amica ce l’aveva. Si dà il caso che però quell’amica fosse anche la persona con cui doveva vedersi venerdì.
“Allora!?”
Gold si girò esasperato.
“Non lo so.” disse stanco “Indossa quello che vuoi e che ti fa sentire a tuo agio. Non mi importa niente!”
“E se ti proponessi uno scambio?”
“Sarebbe?”
Regina sorrise candidamente.
“Io ti do una mano con quella specie di criceto a cui ti ostini a sbavare dietro. E tu in cambio mi dai una mano con questa cosa.”
Robert non rispose.
Chiuse l'armadietto e guardò Regina.
“Io e Belle...stiamo bene ora. Non abbiamo bisogno di una mano.”
La Mills annuì sarcastica.
“Ovviamente.”
Gold rimase ancora un po' in silenzio.
“Chi è il fortunato?”
“Non ti riguarda.”
“Allora vuol dire che lo conosco e te ne vergogni.”
Regina sbuffò.
“Non è un fortunato.” disse poi semplicemente.
Robert spalancò la bocca e la richiuse.
“Ecco perché sei venuta da me.” Concluse trionfante.
“Va bene, va bene” acconsentì lei.
“Esci con una rag-
“STAI ZITTO” Sbraitò.
Il ragazzo ghignò.
“Indossa il vestito rosso. Quello che hai comprato lo scorso autunno, scollato.”
“Sei pazzo? E' una cosa informale. Non un vero appuntamento”
“Ah.”
Ci pensò un po' su.
“Allora metti la camicia nera di seta.”
“Non è un po'...seria?”
“Lasciala un po' più sbottonata.”
Regina alzò gli occhi al cielo.
“Immagino che dovrò arrangiarmi.”
“Tu hai promesso che mi aiuterai con Bel-”
“No. Non mi sei stato di alcun aiuto. Motivo per cui ora me ne andrò lasciandoti da solo alle tue paturnie. Ciao.”
Così dicendo si voltò sdegnosa e si allontanò, lasciando Robert confuso e decisamente irritato.
 
 
“Devo dirti una cosa molto importante.” esordì Belle entrando in classe e sedendosi accanto a Tink.
Questa si girò e la scrutò attentamente.
“Io e Robert siamo amici. Insomma, non proprio ma...siamo in rapporti civili. Ci parliamo.” dichiarò infine.
Tink non disse nulla.
Guardò la porta che dava sul corridoio, gli studenti passare, senza realmente vederli.
“Va bene.” disse poi “L'importante è che tu sia felice.”
Belle annuì.
“Lo sono.”
Tink sorrise debolmente e le strinse la mano.
“Davvero. Insomma...mi basta che tu stia bene.”
“Sto bene. Meglio di qualche settimana fa. Non che ci voglia molto.”
Le due si guardarono ancora un momento e poi scoppiarono in una risata liberatoria.
“Allora, con Killian come va?”
Tink rise.
“Diciamo che va.”
“L'ho incontrato in ospedale e sembra piuttosto felice.”
“Sì, suo fratello sta sempre meglio.”
“A-ha. E siete passati in seconda base?”
Tink si girò di scatto e la guardò esterrefatta.
“BELLE!”
“Che c'è?” chiese l'altra innocentemente “Non posso fare qualche semplice domanda?”
“Non sono cose da chiedere!”
“Non mi sembravi dello stesso parere quando mi hai fatto il terzo grado su me e Gold.”
“Questo...questo non c'entra niente” farfugliò Tink.
Afferrò l'astuccio, lo aprì e prese la penna.
“Devo prendere appunti ora. Zitta!” sibilò furiosa.
Belle rise mentre il professore entrava in classe, seguito da Robert che le lanciò un'occhiata veloce e si diresse verso l'ultima fila.
 
Non era che Tink non avesse pensato a ciò che Belle diceva.
Probabilmente, anzi, sicuramente anche Killian ci aveva pensato durante i loro tranquilli pomeriggi passati a casa Jones che al momento era sempre libera.
Diciamo però che non era la sua priorità.
Soprattutto perché non l'aveva mai fatto con nessuno. O meglio: con nessun uomo. L’unico rapporto che aveva avuto, ma non lo considerava tale in quanto era avvenuto in occasioni estreme e non aveva significato molto, era stata quella sottospecie di serata imbarazzante con Regina.
Questo Belle non lo sapeva e Tink non voleva di certo dirlo.
Sapeva che l’amica non l’avrebbe giudicata, eppure non riusciva ad ammettere ciò che era successo con Regina e non riusciva ad ammettere che quella era la cosa più intima che avesse mai sperimentato.
E una parte di lei si vergognava ad ammettere che nonostante le chiacchiere e l'atteggiamento da saputella, sotto sotto era una semplice ragazzina inesperta che non aveva idea di come affrontare la cosa.
Se avesse chiesto a Belle sicuramente le avrebbe dato un sacco di consigli utili. E l’avrebbe aiutata. Ma non era arrivato il momento.
Assolutamente no. Anche se sia lei che Killian ci pensavano.
 

I giorni trascorsero in relativa tranquillità.
Robert ebbe modo di realizzare che le cose erano nettamente migliorate da quando lui e Belle avevano deciso di essere più o meno amici. In realtà non avevano più parlato da quel martedì mattina ma il solo fatto di vederla a lezione e di non dover abbassare lo sguardo ma di poterle sorridere e salutarla, migliorava considerevolmente ogni sua giornata. Per non parlare di quando era lei a sorridergli in mensa o nei corridoi e a fargli un leggero cenno con la mano.
C'erano state tante volte in cui avrebbe voluto scriverle o chiamarla o avvicinarsi a lei e parlarle. Ma non voleva sembrare invadente, così l'idea era caduta nel dimenticatoio. Un passo per volta, tanto alla partita di dodgeball avrebbero sicuramente avuto modo di stare un po' insieme.
Belle d'altro canto aspettava il venerdì con molta ansia: suo padre sarebbe stato dimesso. Lei e Ruby avevano iniziato a preparare la casa in modo da fargliela trovare pulita e molto accogliente. Avevano anche fabbricato uno striscione e comprato dei palloncini.
Belle però non era l'unica ad aspettare il venerdì.
Anche Regina non vedeva l'ora che arrivasse il fine settimana. Certo, quel pensiero che comportava anche un bel po' di stress, tra la scelta dei vestiti e il trovare una scusa che Cora Mills ritenesse valida per starsene fuori un pomeriggio intero.
Quel venerdì sarebbe stato un giorno importante e nessuno doveva interferire. Non aveva idea di cosa sarebbe successo ma era certa che tutto sarebbe andato per il meglio.
 
E fu venerdì. Belle non vedeva l'ora di tornare a casa per sistemare le ultime cose, fare rapidamente la spesa e correre all'ospedale a riprendersi suo papà.
Così, quando all'una uscì da scuola e si ritrovò Robert che camminava qualche metro avanti a lei, era di ottimo umore. Talmente di ottimo umore che, buttando ogni precauzione al vento, decise di compiere un'azione avventatissima.
“Gold!” urlò.
Robert si girò e le sorrise felice.
“Ciao.”
“Rallenta e fammi trotterellare un po' vicino a te.”
Gold si fermò.
“Trotterella finchè vuoi!
“Come va?”
“Tutto bene, tu?”
“Benissimo! Oggi dimettono mio papà!”
Robert la guardò.
“Grande! Davvero...sono felice!”
“Anche io. Bobik come sta?”
Robert borbottò qualcosa.
“Eh?”
“Ho detto che è un piccolo prevaricatore.”
“Dovrebbe trovare qualcuno che gli insegni l'educazione. Qualcuno di adatto.” esclamò Belle appoggiandogli la mano sulla spalla.
“Stai dicendo che-”
“Che tu non sei adatto.”
Gold la guardò male.
“Sono adattissimo.” mugugnò.
Ma non era vero. Bobik era sempre più esuberante e Robert non faceva nulla per fermarlo, neanche quando saltava addosso alle persone e decideva che era assolutamente necessario e legittimo sbavare loro addosso, o quando rubava le cose dai giardini dei vicini. Si limitava a guardarlo con gioia, pensando che almeno qualcuno in quel triste mondo era felice e spensierato.
“Magari un giorno lo portiamo al parco.”
Robert sgranò gli occhi e fissò il pavimento mentre camminava.
Aveva capito bene? Belle aveva parlato al plurale.
Un plurale inteso come 'noi'. Lui e lei, insieme. Al parco, con Bobik. Non osava chiederle di ripetere per paura di aver capito male.
“Pensi che potrebbe servire?” chiese infine. Aveva bisogno di sondare il terreno prima di illudersi.
“Ma sì, magari in due riusciamo ad insegnargli qualcosa.”
Non aveva capito male.
Belle stava proponendo di andare al parco insieme con Bobik. Di uscire insieme, solo loro due. O forse…
“Andiamo noi due quindi...”
“C'è qualcosa che non va?”
“Assolutamente no.” esclamò Robert “Solo che credevo che volessi invitare anche Killian che...che ha avuto già diversi cani in passato.” inventò spudoratamente.
“Oh...beh, se vuoi chiedergli di venire va bene.” disse lei, perplessa.
Robert si maledisse. Perchè non era stato zitto? Adesso era davanti ad un bivio. Se diceva di no, Belle poteva pensare che lui voleva che fossero solo loro due, come in effetti era. Quindi poteva insospettirsi e pensare che lui volesse riconquistarla, cosa in parte vera ma a cui Gold cercava di non pensare.
Se diceva di sì, poteva fraintendere. Se era ancora interessata, come per forza era perché insomma, i sentimenti non potevano essere di certo svaniti del tutto, magari voleva passare un pomeriggio da sola con lui e se avesse chiamato Killian avrebbe potuto pensare che a Robert non interessava stare con lei.
“Sono un po' confuso.” dichiarò infine, raggiungendo la macchina e fermandosi. Optò per la cosa più facile da fare e che con Belle aveva sempre funzionato: la sincerità.
“Come mai?”
Lei lo guardò interrogativamente.
“E' che non volevo chiederti se volevi che venisse anche Killian. Solo che mi sembrava strano che pensassi di andarci da sola con me. Quindi...ora...non so bene come comportarmi.”
Belle aggrottò la fronte.
“Dicono che noi donne siamo complicate ma direi che anche voi uomini non scherzate.”
“Non è affatto vero, è solo che-”
“Se vuoi invita Killian. Non è un problema per me. Non è neanche un problema se non lo inviti e se passiamo un'oretta insieme ad insegnare a quella tua bestiaccia ad ubbidire. Decidi tu, va bene?”
Robert aprì la bocca a vuoto.
“Andiamo io e te.” dichiarò infine convinto.
“Perfetto.”
“Va bene. Benissimo.”
“Vado a casa che poi devo andare in ospedale...okay?”
“Sì. Sì, certo.”
“Allora ci sentiamo nel weekend!”
“Certo!”
Belle sorrise e si allontanò.
“Buon...beh, fai gli auguri a tuo padre da parte mia!” le urlò dietro.
Una volta in macchina appoggiò la testa al sedile e sbuffò.
In vita sua non era mai stato tanto agitato. Quella nuova situazione con Belle era piacevole ma era anche spaventosa. Aveva il terrore di fare un passo falso, di dire o fare qualcosa di troppo che potesse essere frainteso e portasse la ragazza ad allontanarsi di nuovo. Aveva paura che quel momento di pace fosse solo una tregua: che presto Belle si sarebbe resa conto che non voleva più avere niente a che vedere con lui, che si era sbagliata credendo di potergli essere amica e che dovevano assolutamente troncare i rapporti di nuovo. Certo, conoscendo Belle la cosa sembrava altamente improbabile, ma Robert aveva comunque molta paura.
 
Arrivata a casa, Regina si avviò rapida verso lo studio di sua madre.
Una volta davanti alla porta respirò a fondo.
Non c’era nulla di male in ciò che stava facendo. Poteva anche dire a Cora la verità. Dirle che usciva con una sua professoressa. Che erano diventate amiche, che se la stava lavorando per ottenere un voto più alto il psicologia… la paura di Regina, più che fondata, era che Cora avrebbe captato immediatamente la titubanza della figlia. E forse anche l’omissione di certi dettagli, come il fatto che Regina in realtà andava a casa della sua professoressa e anche se, ovviamente, non lo ammetteva nemmeno a sé stessa, forse sperava che qualcosa di magico succedesse quel pomeriggio.
Bussò sulla porta di mogano.
“Mamma?”
“Vieni pure!”
Regina entrò e Cora alzò lo sguardo da alcune scartoffie. Le sorrise.
“Adesso bussi persino? Faccio così paura?”
Regina non disse nulla.
“Non volevo disturbarti, magari stavi facendo qualcosa di importante.” Dichiarò infine.
“Nulla è più importante di mia figlia.”
Ci fu un momento di silenzio.
“Volevo solo dirti che fra poco esco…e starò via qualche ora.”
Cora annuì.
“Dove vai di bello?”
Regina esitò.
Doveva dirle la verità. Quella città era piccola, qualcuno poteva vederla entrare a casa di Emma, qualcuno poteva vederle o sapere della loro amicizia…
“A casa di una mia amica.” Disse semplicemente.
“A studiare, mi auguro.”
“Sì. Nessuna delle due riesce a fare i compiti di chimica e abbiamo pensato di provarci insieme.”
Cora sorrise soddisfatta.
“Chi è lei comunque?” chiese poi.
“Non la conosci…è nuova. Si chiama Emma.”
“Emma…?”
“Sì. Il cognome non me lo ricordo…qualcosa con la ‘S’ credo…è arrivata da poco, tipo due mesi fa…non ci ho quasi mai parlato e mi serve solo per fare quei compiti.”
Attese, il cuore che batteva un po’ più forte del normale e i palmi delle mani sudati.
“Va bene. Torni per cena?”
“Sì, certo.”
“A dopo allora, tesoro”
“Ciao mamma.”
 

Belle non aveva davvero previsto nulla di ciò che sarebbe accaduto quel pomeriggio.
Se l'avesse anche solo lontanamente sospettato, si sarebbe preoccupata di prendere mille e più precauzioni. Ma Belle si fidava della macchina di casa French. Non la usava molto, era vero, odiava guidare ed inoltre le piaceva camminare; ma era una bella macchina. Non nuovissima, certo, non estremamente costosa, ma una bella macchina.
Evidentemente però anche le belle macchine decidono che ad un certo punto è venuto il momento di tradire il proprio proprietario ed abbandonarlo nel bel mezzo di una giornata molto importante.
E questo era successo a Belle, mentre usciva dal supermercato appena fuori da Storybrooke, piena di sacchetti colmi di cibo.
Così la ragazza era uscita dall'edificio, si era diretta traballante verso il parcheggio, aveva acceso la macchina...che con uno strano rumore gracchiante si era messa in moto a fatica. Dopo pochi metri il problema si era palesato, chiaro come non mai.
Belle aveva forato.
Così era uscita furiosa nel parcheggio e aveva cercato di capire come si cambiasse la ruota, se ne avesse una di ricambio. Il tempo però stringeva e suo padre sarebbe tornato a casa in poche ore e Belle voleva assolutamente preparargli una bella torta di frutta da fargli assaggiare al suo ritorno.
Così aveva capito che aveva due possibilità: chiamare un taxi, o chiamare qualcuno che le desse una mano.
Si era trovata di fronte ad una scelta difficile.
Le sarebbe piaciuto poter chiamare Tink ma la ragazza non aveva la patente: diceva che non le serviva e che sarebbe finita con lo spostarsi sempre in macchina e avrebbe inquinato la città. Aveva solo una bellissima bicicletta verde brillante con la quale si muoveva per la piccola cittadina.
Poteva provare a chiedere ad Ariel. Oppure Killian. Non era certa delle capacità di guida del ragazzo ma Tink le aveva menzionato che era stato in grado di pilotare una nave...quindi una semplice macchina non sembrava un problema così insormontabile. Regina era fuori discussione. E poi ovviamente c'era Robert.
Sembrava la scelta più logica. Dopo Tink, era la persona con cui aveva più confidenza e che conosceva meglio. Inoltre i due avevano un ottimo rapporto quando si trattava di venirsi incontro ed aiutarsi a vicenda. Era certa che il ragazzo sarebbe corso da lei – a meno che non avesse altri impegni improrogabili.
Eppure...eppure. Già quella mattina gli aveva chiesto indirettamente di uscire e Robert era rimasto visibilmente interdetto. Magari stava cercando di sistemare le cose a casa o magari era a disagio per la loro nuova situazione e non sapeva come agire.
Belle si appoggiò alla macchina sconsolata.
Erano amici, pensò poi. E lei aveva davvero bisogno di una mano. In cambio gli poteva portare una fetta di torta, una volta fatta.
Afferrò il cellulare e cercò il numero.
Sbuffò.
Scrutò dubbiosa ancora una volta la sua rubrica, in cerca di qualcun'altro da chiamare. Ruby non poteva dato che la macchina ce l'aveva Belle...infine si decise e chiamò.
 
Quando Robert vide il nome di Belle sul display del cellulare rimase immobile per dieci secondi buoni. Dopodichè corse da Bobik che si trovava dall'altra parte della stanza e stava rosicchiando la gamba della scrivania.
“BOBIK! GUARDA!” Urlò “La mamma sta chiamando!”
Il cane sembrò non capire perché lo guardò dubbioso per poi tornare a continuare la sua opera indisturbato.
Così Robert si schiarì la voce – voleva che sembrasse particolarmente profonda – e rispose.
“Pronto?”
“Robert…?”
“Sì. Ciao!”
“Ciao...sono Belle.”
Gold aggrottò le sopracciglia perplesso.
“Sì. Lo so. C'era il tuo nome sullo schermo...”
Sentì qualche secondo di silenzio dall'altra parte.
“Giusto. Senti...cosa stai facendo?”
Era una domanda piuttosto curiosa, pensò Robert.
“Niente. Stavo giocando un po' a scacchi contro il computer...”
“Oh! Ottimo. Ehm...quindi non stai facendo niente di importante?”
“Giocare a scacchi contro il computer non ti sembra importante!?”
Gold sentì chiaramente la ragazza sbuffare dall'altra parte.
“Nel senso, non hai impegni?”
“Non credo. Perchè?”
Non osava credere alle proprie orecchie. Quelle parole sembravano proprio precedere quello che poteva solo essere un invito…
“Avrei bisogno di una mano.”
“Oh.”
Era un po' deluso. Non che gli dispiacesse aiutarla, certo, ma aveva sperato che l'avesse chiamato per uscire, per prendere un gelato o portare un po' fuori Bobik…
“Sono bloccata allo Store fuori da Moncton Street. Credo...credo di aver forato. E ho appena fatto la spesa quindi non posso andare a piedi alla fermata del bus...”
Robert capì dove voleva arrivare.
Saltò su dal letto dove si era sdraiato nuovamente e adocchiò subito i vestiti posati sulla sedia della scrivania. Afferrò una camicia e la infilò rapidamente sopra la maglietta.
“Capito. Vuoi che venga lì?”
“Mi faresti un favore enorme.”
“Non c'è nessunissimo problema. Lo faccio volentieri.” dichiarò Robert allegro, allacciandosi i bottoni e controllandosi allo specchio.
“Sicuro?”
“Assolutamente. Sarò lì in un quarto d'ora...va bene?”
“Va benissimo. Grazie e scusami.”
“Figurati, vengo volentieri. A fra poco!”
Attaccò il cellulare e si guardò euforico allo specchio.
“Bobik.” iniziò “Papà adesso va ad aiutare la mamma.”
Il cane lo ignorò.
“Sarò di ritorno...non so quando. Se arrivo presto non sarà andata tanto bene. Se invece arrivo tardi questa sera festeggiamo e andiamo a farci una corsetta.”
Prese le chiavi della macchina e le infilò nella tasca dei pantaloni. Schizzò in bagno e si lavò i denti. Si sporcò la camicia di dentifricio, imprecò ed andò a cambiarsi.
Bobik apparve dubbioso in soggiorno mentre Robert si infilava le scarpe.
“Non puoi venire oggi, piccolino. Devi stare qui e fare il bravo. Mi prometti che farai il bravo?”
Bobik guaì appena e Gold lo prese come un sì.
“Bravo cagnolino, intelligentissimo come i suoi genitori!” esclamò felice.
Lo accarezzò e rapidamente uscì di casa.
 
“Dunque…”
Robert fissò dubbioso la macchina mentre Belle lo guardava disperata.
“Ti prego. Dimmi che sai cambiare la gomma.”
Lui la guardò incerto.
No, non sapeva come cambiare una gomma. Non gli era mai capitato, poteva ritenersi fortunato ma in due anni non aveva mai forato una volta.
Non voleva deludere Belle. Era venuto fin lì per aiutarla e non poteva tornare a casa a mani vuote. Non poteva tornare a casa e dire a Bobik che non era riuscito neanche a cambiare una gomma.
E non poteva nemmeno essere così difficile. Avrebbe cercato le istruzioni su internet e le avrebbe seguite. Non era impossibile, ce l’avrebbe fatta in qualche modo.
“Io…credo di sì.” Disse infine.
“Credi?”
“Preferisco tenermi un margine di dignità in caso di fallimento.”
Belle buttò la testa indietro.
“Che vita infame.” Soffiò.
Robert sorrise leggermente.
“Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta.”
 
 
 
 
Mezz’ora, numerose imprecazioni e diverse bugne dopo, Robert si sedette sconsolato sul duro e grigio cemento e decise che era decisamente ora di fasciarsi la testa.
“Vaffanculo!” sbraitò Belle tirando un calcio alla macchina.
Il cric fece uno strano rumore e crollò miseramente.
“Non capisco davvero dove sbagliamo!” si lamentò lui.
Rialzandosi, ricontrollò tutto. Aveva fatto come dicevano le istruzioni di WikiHow, avevano tirato fuori ruota di scorta, cric, avevano rialzato la macchina. Eppure…
“Non lo so.” Mormorò Belle. “Non riesco a ruotare la manovella!”
“Fra quanto devi essere a casa?”
“Un’ora!” esclamò Belle disperata.
“Va bene.”
Si grattò la testa dubbioso.
“Hai il collo tutto nero.” Disse poi Belle, guardandolo storto.
“Già.” Mormorò lui pensieroso. Si sfregò il collo ma aveva la mano sporca e peggiorò la situazione.
“Vieni qui che ti pulisco” Gli disse lei.
Si tirò la manica della maglia sopra la mano e la strofinò vigorosamente sulla macchia.
“Ecco fatto.”
Robert la guardò di sottecchi.
“Non so cosa fare.” Ammise infine.
La ragazza si appoggiò alla macchina.
“Dovrò chiamare un carro attrezzi.”
Robert fece un altro giro intorno all’automobile, in cerca di un’ispirazione.
“Ci metteranno un po’ credo”
“Lo so.” Disse lei stanca.
“Ti accompagno a casa intanto?”
Belle lo guardò in silenzio.
“Mi sento un po’ in colpa.”
“Non dovresti.”
“Mi sembra di sfruttarti.”
“Non è così.”
Lei rimase ancora un po’ zitta.
“Non è che lo fai per ricevere qualcosa in cambio, vero?”
Robert aggrottò la fronte perplesso.
“Un giorno mi spiegherai da dove viene questa mentalità secondo la quale una persona ti fa un favore e si aspetta qualcosa in cambio.”
In realtà aveva capito benissimo cosa intendesse Belle.
Non voleva che quella loro ritrovata confidenza venisse scambiata per qualcosa d’altro e che le sue richieste fossero scambiate per un semplice modo di riprovarci.
“Dai, tranquilla. Al massimo mi aspetto qualcosa da mangiare quando arriviamo a casa.”
Sul volto di Belle si aprì quello che sembrava il fantasma di un sorriso.
“Smettila di pensare al cibo.”
“Devo ancora cresce-“
“Andiamo.”
 
 
“Io…ho cercato di fare ordine. Davvero.” Esclamò Emma mentre Regina entrava e scoccava un’occhiata di evidente disapprovazione al divano tutto disordinato.
“Lo apprezzo.” Rispose l’altra impassibile.
“Non ti permetterò di prendermi in giro.”
“Non lo sto facendo.”
Emma incrociò le braccia.
“Posso lasciare la mia giacca da qualche parte…o?” domandò infine Regina.
“Oh. Sì, certo, dammi qui.”
Afferrò la giacca che la ragazza le porgeva e la appese all’attaccapanni nell’ingresso.
Rimase su giusto mezzo secondo, dopodichè rovinò a terra.
“Posso farlo io se lei non ne è capace.“
“Zitta.”
La afferrò di nuovo e la appese, questa volta con maggior cura. Rimase ferma.
“Visto?”
Regina sorrise leggermente.
Magari Emma era agitata proprio come lo era lei, solo che non possedeva il suo autocontrollo e quindi non riusciva a gestire bene la cosa.
Sì, pensò Regina, il ragionamento filava. Doveva essere quello il motivo.
“Capisco che sia emozionata all’idea di avere finalmente qualcuno che la visita in questo…questa casa. Però può stare tranquilla.”
Emma alzò gli occhi al cielo e fece segno di seguirla nella minuscola cucina.
“Ho preparato il tè.”
“L’ha fatto prima così che non potessi vedere il disastro che avrebbe combinato?”
“Sei veramente simpatica oggi. Più del solito. Complimenti, davvero.”
Regina si sedette compiaciuta e si lisciò la gonna. Alla fine aveva cercato di indossare qualcosa di informale ma comunque grazioso e che la facesse sentire a suo agio. La camicia di seta però l’aveva tenuta ben abbottonata.
Emma si era data da fare.
Aveva persino cercato di apparecchiare la tavola come vedeva fare nei film, per fare una merenda come si deve. Se fosse stato per lei probabilmente avrebbe divorato un pacco di biscotti sbriciolando tutto sul divano, ma Regina le sembrava esattamente il tipo di persona a cui può venire una vera e propria crisi di nervi di fronte alla noncuranza o alla sciatteria. Così si era impegnata. Aveva scelto le tazze più carine che aveva – le uniche a dire il vero – una bella tovaglia…aveva persino messo in tavola la zuccheriera.
“Wow. Si è davvero impegnata.” Esclamò Regina colpita.
“So fare anche io le cose come si deve, ogni tanto.” Borbottò l’altra versando il tè nelle tazze.
Il cellulare che era abbandonato sul pianale della cucina lì accanto si illuminò improvvisamente.
“Il suo-“
“Lo so.” Disse Emma, concentrata su quello che stava facendo.
Finita la complicata manovra, afferrò l’aggeggio e lo controllò. Senza dire una parola lo rimise al suo posto.
“Beh? Neanche risponde?”
“Non è importante.”
“Comincio a capire perché non ha amici.”
Emma la guardò male.
“Va bene, va bene” disse Regina “la smetto. Ora sarò gentile. Questo tè è davvero buono.”
Il cellulare si illuminò nuovamente ma Emma lo ignorò.
“Beh Regina, cin cin.” Brindò poi la professoressa “Al pomeriggio più divertente della storia.”
 
 
“Mi dispiace” mormorò Robert sovrappensiero, fissando il computer che inesorabilmente si rifiutava di collaborare. Belle scosse la testa sconsolata.
“Dovrò proprio cambiarlo mi sa.”
“Posso fare un altro tentativo...”
La ragazza si sedette sul letto e sbuffò.
“Dovrò comprarmene uno nuovo.”
“Magari se proviamo a riavviare ancora una volta...” provò Robert speranzoso.
Non ottenne risposta.
Erano arrivati a casa da un’oretta. Belle aveva finito di sistemare le ultime cose e intanto aveva chiesto a Gold di darle un’occhiata al computer che da qualche giorno rifiutava di accendersi. Robert, desideroso di riprendersi dal fiasco con la macchina, aveva accettato di buon grado. Così si era messo a smanettare.
In realtà aveva fatto le uniche cose che gli venivano in mente: aveva tolto e rimesso la batteria, aveva soffiato negli ingranaggi. Aveva soffiato molto negli ingranaggi.
Evidentemente soffiare negli ingranaggi non era un metodo consolidato di riparazione, perché al momento il computer rimaneva inesorabilmente spento.
Scrutò il computer. Voleva così disperatamente farlo funzionare e far felice Belle.
“Dai.” mormorò “Accenditi.”
Lo schermo rimase nero.
“Vaffanculo!” esclamò a quel punto furioso.
“Lascia perdere.” gli disse semplicemente Belle.
Si era buttata tra i cuscini e sgranocchiava tristemente uno dei biscotti al cioccolato.
“Te l'ho detto, ne comprerò uno nuovo. Sarebbe ora in realtà…”
“Ma io volevo farlo funzionare!” protestò Robert pestando i piedi.
Si alzò inquieto e gironzolò per la stanza, lanciando ogni tanto uno sguardo di sbieco al computer. L'aveva presa molto sul personale. Sembrava che il laptop non volesse proprio collaborare nella sua missione di compiacimento di Belle. Esattamente come la macchina.
“Vieni a sederti!”
“Non mi arrendo!”
Belle riemerse dai cuscini.
“Dai. Vieni qui.”
A quel punto, sconsolato, si lasciò cadere sul letto.
“Mi dispiace.” disse fissando il soffitto.
“Non fa niente” rispose la voce di Belle, da qualche parte imprecisata vicino al suo orecchio destro, tra i cuscini.
“Prendi un biscotto, tirati su.”
“Volevo riuscire a sistemare almeno questo, visto il fallimento della macchina.”
Belle rise.
“Cerchi di impressionarmi?”
“No…beh…” lui esitò e sgranocchiò un biscotto, fissando il soffitto. “Non proprio. Cerco solo di riuscire a fare qualcosa di buono.”
“Ci sono un sacco di cose buone che riesci a fare.”
 “Mi prendi in giro?”
“No. Perché dovrei?”
Robert la osservò di sbieco mentre lei sorrideva candidamente.
Rimasero ancora un momento in silenzio, sgranocchiando i loro biscotti e fissando il soffitto, sdraiati sul letto, vicini.
“Mi sei mancata.” Disse infine lui “Mi è mancato…tutto…questo” fece un gesto con la mano, indicando loro due.
Belle lo guardò.
“Anche a me è mancato tutto questo.”
“Pensi che questa specie di amicizia funzionerà?”
Lei non rispose.
“Non lo so. Non ne sono sicura.” Ammise dopo un po’.
“Sei felice?”
“Più di qualche settimana fa. Tu?”
Robert annuì.
“Più di qualche settimana fa.”
 

“Ma tu guardi davvero questa roba?” chiese Emma, fissando perplessa lo schermo del suo portatile.
“Tutti lo guardano!” esclamò Regina indignata. “Game of Thrones è un fenomeno mondiale.”
“Non so. Mi sembra un po’ senza senso. E poi non mi sembravi il tipo da questo tipo di programma…”
In effetti Regina non lo era. Ma Tink aveva continuato a citarle quello stupido telefilm e alla fine, presa dalla curiosità, aveva ceduto. Si era abbassata a livello dei suoi coetanei e aveva scoperto che in realtà Game of Thrones non era affatto male, anzi. C’erano dei bei personaggi, una trama interessante e un sacco di intrighi.
“Chi è il tuo personaggio preferito?” domandò Emma.
“Lei.” Regina indicò una bella donna bionda sulla quarantina “Cersei Lannister.”
“Ci avrei giurato” rispose Emma ridendo.
La ragazza la scrutò un momento, un po’ guardinga.
“Perché?”
“Potresti essere tu.”
“Non sono così cattiva!”
Emma alzò le sopracciglia ma non disse niente.

Erano sedute sul divano. Il computer di Emma era appoggiato sul tavolo di fronte e un pacchetto di popcorn giaceva abbandonato vicino a loro sul divano.
“Non capisco.” Ripetè la professoressa per l’ennesima volta. “Che senso ha fare una guerra per un trono se il Re c’è già? C’è lui e poi ci saranno i figli…e basta! Quanto casino per nulla!”
Regina sbuffò.
“Non c’è niente da capire! Tutti vogliono il potere e basta!”
Emma era comunque perplessa.
“Ma non ha senso. Non capisco.”
Regina la guardò di sbieco.
“Se le fa così schifo possiamo spegnere.” Buttò lì.
Emma la guardò di rimando, sorpresa.
“No! Affatto. Insomma, non lo capisco ma non mi fa schifo.”
La ragazza non disse nulla.
“Sembra che mi faccia schifo?” chiese Emma perplessa.
“Sì.” Dichiarò l’altra.
“No! Mi sto divertendo!”
“Non sembra.”
“E’ così! Te lo assicuro!”
Vedendo che Regina non rispondeva, Emma mise in pausa l’episodio.
“Regina!”
L’altra non disse niente ma si limitò a scrutarla in cagnesco.
“Non mi sto annoiando! Giuro” esclamò Emma disperata “mi dispiace se ho dato questa impressione, in realtà mi sto divertendo, è uno dei migliori pomeriggi che io abbia avuto in mesi e mesi, mi fa piacere guardare questa porcheria e commentarla con te. È una cosa che le amiche fanno. E noi siamo amiche!”
Regina rimase un momento zitta e poi scosse la testa.
“A volte mi fa quasi tenerezza.”
Emma aprì la bocca indignata per ribattere qualcosa ma non gliene fu dato il tempo.
“Sto scherzando, dai. Mi fa piacere che si stia divertendo. Mi piace prenderla in giro, tutto qui. Tranquilla.”
Si concesse un mezzo sorriso di fronte all’espressione basita della professoressa.
“Allora? Continuiamo?”
“Sei assolutamente senza ritegno.”
Ripresero a guardare l’episodio.
“La vedo turbata.” Riprese Regina dopo un po’.
Emma non rispose. Non voleva darle altri pretesti per prenderla in giro. In realtà si divertiva in quella situazione. Insomma, una parte di lei era anche leggermente indispettita da quella mancanza di rispetto da parte di Regina e dalla sua insolenza, ma era giusto così. Tra amiche funzionava così. Si sarebbe sentita più offesa se Regina l’avesse trattata come una vecchia professoressa. Inoltre c’era qualcosa nel modo di fare della ragazza, nel suo modo di guardarla e di scherzare, che la faceva sentire…felice. Non era mai riuscita a darsi una spiegazione, ma Emma era sempre stata molto istintiva e non le piaceva lambiccarsi sui problemi, nonostante spesso fosse piena di paure e di insicurezze. Però se una cosa le piaceva e la rendeva felice, la faceva. E Regina la rendeva felice. Anzi, la faceva sentire speciale. Inoltre era sicura che la ragazza fosse piuttosto selettiva con le sue frequentazioni: se aveva scelto lei come amica, una professoressa, una che fa fatica ad indossare un giubbotto di pelle senza incastrarsi nella manica, sicuramente un motivo c’era. Anche Regina doveva sentirsi felice con lei, nonostante le loro diversità.
“EHI?”
Emma sobbalzò.
“Cosa c’è?”
“Niente. Pensavo si fosse addormentata. Sa, la vecchiaia che avanza.”
“Un giorno di questi qualcuno ti punirà per la tua insolenza.” Mugugnò Emma.
“Non ne dubito.”
Regina rimase un momento in silenzio, poi esitò.
“Mi…mi dica se esagero ogni tanto.” Dichiarò infine, mantenendo lo sguardo ben fisso davanti a sé.
“E’ un barlume di sensibilità quello che vedo?”
“Non si illuda troppo.”
Emma sorrise e guardò lo schermo per qualche minuto.
“No, comunque. In realtà mi diverto. Mi piace molto stare con te.”
Regina non disse nulla. Respirò piano, sentendo lo stomaco agitarsi e il cuore aumentare i battiti rapidamente.
“Adesso però potresti anche rispondere. Dire ad esempio ‘anche a me piace stare con te’…sai. Giusto per non farmi sentire la solita cretina.” Sbottò Emma acida.
La ragazza continuò a stare in silenzio e a guardare il computer.
Cosa doveva fare?
Perché diavolo non reagiva?
Mi piace molto stare con lei, anche troppo avrebbe voluto rispondere.
Avrebbe voluto fare qualsiasi cosa ma aveva paura di sbagliare. Di dire una parola sbagliata, una parola di troppo. Di esagerare, di fraintendere. Aveva paura persino dei sentimenti che stava provando e di sicuro non riusciva a farli rientrare in nessuna categoria di sentimenti che avesse mai provato fino ad ora.
Però non poteva di sicuro stare zitta, non dopo che Emma si era esposta e le aveva detto una cosa così carina, così gentile…
Così amichevole disse una vocina maligna dentro di lei.
Deglutì.
“Mi fa piacere che le faccia piacere stare con me.” Disse infine. Era il massimo che riusciva a fare per ora. Lo disse cercando di simulare indifferenza, col suo solito mezzo sorriso sarcastico stampato in volto.
Emma scosse la testa sconsolata.
E anche questa è andata, di merda ma è andata pensò Regina. Si era salvata. Era tutto tranquillo.
Girò impercettibilmente la testa e con la coda dell’occhio vide che la mano di Emma era vicino alla sua. Non vicinissima. Ma abbastanza vicina per essere raggiunta.
Non ci voleva tanto. L’aveva già fatto una volta. Era andata anche bene.
Poteva rifarlo. Poteva rischiare, aveva già rischiato, cosa poteva esserci di difficile? Se la prima volta funzionato avrebbe funzionato anche la seconda.
Impercettibilmente spostò la propria mano verso destra.
Era una pazzia ma la mano di Emma la attirava così tanto. E il pensiero di cosa sarebbe potuto succedere dopo. Magari Emma aveva gli stessi dubbi, magari non aveva il coraggio di fare qualcosa perchè lei, Regina, era sempre così fredda, scostante e sarcastica. Era così…poco amabile.
Spostò la mano di altri due centimetri. Valutò che ormai la distanza era davvero poca.
“Tieni”
Alzò lo sguardo spaesata.
Emma aveva spostato la mano e ora le stava porgendo il pacchetto di popcorn.
“Ho visto che lo stavi cercando.”
Regina aprì la bocca a vuoto.
“Sì. Tanto è mezzo vuoto perché lei se lo è finito nei primi cinque minuti.” Esclamò poi.
Le uscì un tono di voce piuttosto duro, forse più del dovuto.
“Ce n’è un altro se lo vuoi eh” disse Emma stupita.
“No…no va bene questo. Insomma, tanto sono a dieta.”
Prese il pacchetto sentendo l’entusiasmo di poco prima sgonfiarsi come un palloncino bucato e sentendo improvvisamente il cuore pesante.
“A dieta?”
Regina prese una manciata di popcorn e la mangiò senza averne voglia.
“Già.”
“Non mi sembra che tu ne abbia bisogno. Perché sei a dieta?”
La ragazza continuò a masticare lentamente.
Non significava niente. Emma poteva aver davvero creduto che lei volesse i popcorn. Era plausibilissimo.
“Regina?”
“Boh. Abitudine da cheerleader.”
“Ma stai benone!”
Regina alzò le spalle.
“Lo so.” Disse. Non aveva senso crogiolarsi nel fiasco e dimenticarsi che Emma era ancora lì con lei e le stava parlando. “Insomma, credo. Diciamo che non mi vedo malaccio”
“Malaccio? Fossi stata io come te dieci anni fa…”
Regina lanciò uno sguardo di sottecchi.
“Com’era?”
“Boh. Non un granchè secondo me. Ma non era un gran problema. Avevo altri pregi, anche se magari potevano vedermi brutta.” Cercò di abbozzare un sorriso.
Regina esitò.
“Non riesco davvero ad immaginarla brutta.” Borbottò infine.
Emma la guardò stupita.
“Era un complimento!?”
L’altra alzò le spalle.
“Una specie.” Disse infine.
“Wow.” Esclamò Emma.
“Cosa?”
“Ricevere un complimento da te è una delle cose più incredibili che mi sia mai capitata. Mi sento davvero lusingata.”
Regina si voltò verso di lei.
“Se vuole proprio saperlo, e lo dico un po’ perché mi fa pena e un po’ perché così le dimostro che anche io ho un cuore, penso che lei sia...davvero…insomma” corresse il tiro, doveva pur mantenere un pizzico di dignità, “abbastanza carina”.
Tacque. In realtà, guardando per l’ennesima volta il viso di Emma e concedendosi uno sguardo leggermente più lungo degli altri, pensò che fosse davvero bella. Forse non era bella nel senso classico del termine. Non aveva grandi labbra carnose, aveva un viso abbastanza squadrato, la pelle davvero pallida e i capelli biondo chiaro ondeggiavano tra il disastro perenne e la semi decenza. Eppure quegli occhi verdi le piacevano un sacco. E anche il naso, la forma degli zigomi pronunciati, il modo in cui aggrottava la fronte quando qualcosa la irritava o la confondeva.
E di nuovo, in quel silenzio che era calato tra loro, Regina percepì come se il tempo si fosse fermato. Esistevano loro due e basta. Il mondo fuori andava avanti per i fatti propri e le lasciava in pace.
“Grazie.”
“Di cosa?”
“Del complimento”
“Non si monti la testa adesso.”
Emma aggrottò la fronte.
“Gliel’avranno detto anche i tipi che frequentava giù a Tallahassee.” Buttò lì Regina.
Rimase in attesa della risposta, un po’ in ansia e un po’ curiosa.
“Boh. Non è che frequentassi molti ragazzi.”
“No?” chiese Regina, fingendosi genuinamente noncurante.
“Mah…no.”
“Non mi dica che non ha mai avuto un ragazzo.”
Emma fissò lo schermo senza dire niente. Sembrava che stesse riflettendo.
“Ho…ho avuto un ragazzo. Non...non solo uno ma lui...beh, diciamo che è stato importante. Ma è stata…una storia abbastanza incasinata.” Disse infine.
"Come si chiamava?"
"Neal."
Regina tacque. Aveva avuto un ragazzo e le cose non erano finite bene. Ecco perché forse era così in ansia, ecco perché faceva fatica ad aprirsi. Magari usciva da una lunga storia, magari aveva sofferto.
“E’ per questo che fa sempre la scontrosa? Perchè è andata a finire male?”
Emma la guardò storto.
“Non faccio la scontrosa.”
“Un po’ sì.”
L’altra si guardò le ginocchia senza dire nulla.
“Boh. Forse. Non mi piace parlarne, tutto qua.”
Regina annuì e riprese a guardare lo schermo del computer. Non voleva insistere troppo.
 
 
Quando Belle gli aveva chiesto di fermarsi a cena, Robert non aveva minimamente pensato alle eventuali e probabili complicazioni. Come ad esempio, la presenza di suo padre Moe e il fatto che l’uomo probabilmente non aveva molta voglia di vederlo.
Mentre sentiva il rumore dell’auto nel vialetto realizzò che probabilmente quella era stata una pessima idea. Guardò Belle indeciso sul da farsi, mentre lei sistemava la frutta nel cesto, osservandola criticamente.
“Belle?” provò.
“Secondo te è carino quel cesto di frutta lì?”
“Penso…penso di sì. Posso chiederti una cosa?”
“Dimmi” rispose lei, senza guardarlo.
“Sei sicura che sia una buona idea?”
“Cosa?”
“Che io rimanga…intendo...”
Esitò.
“Non so cosa- beh… insomma, non so come mi veda tuo padre…”
Belle lo guardò un momento.
“Penso che mio padre sappia meglio di me come vanno le cose alla nostra età.” Rispose semplicemente.
Ma Robert non ne era convinto. Ebbe l’atroce conferma dei suoi dubbi non appena Ruby varcò la porta, una grossa borsa in mano e un sacchetto nell’altra, seguita da Moe French.
Ruby salutò allegramente Belle, poi vide Robert e sgranò gli occhi.
Intanto Belle si era letteralmente lanciata in avanti e aveva stretto forte suo padre.
“Bentornato!”
Suo padre la abbracciò goffamente e borbottò qualcosa.
Robert rimase immobile sulla soglia della cucina, indeciso sul da farsi. Si chiese mentalmente perché diavolo fosse lì. Era impazzito? Belle non era più la sua ragazza. Non aveva più il diritto di fermarsi a mangiare da lei, non poteva farlo, l’aveva tradita e aveva fatto un grosso guaio di cui sicuramente suo padre era a conoscenza…ora lo odiava, era palese. Gliene avrebbe dette di tutti i colori e lo sapeva, ma se lo meritava, se l’era proprio cercata…
Si strofinò le mani sudate contro i pantaloni e valutò l’idea di sgattaiolare al piano di sopra e chiudersi in camera. Magari poteva uscire dalla finestra…
“Papà…ho pensato che lui poteva fermarsi a cena.”
Quella frase lo riportò bruscamente alla realtà.
Ruby si chinò, improvvisamente indaffarata sulla borsa e prese a frugarvi dentro.
Nella casa cadde il silenzio.
Moe fece un passo avanti e fissò Robert, vedendolo solo in quel momento, mentre il ragazzo esitava disperato, indeciso se fare un passo in avanti oppure no.
“Ho forato e Robert è venuto a prendermi. Mi…ha dato una mano. Quindi ho pensato che-“
“Fuori.” Disse semplicemente Moe, fissando Gold.
Il ragazzo aprì la bocca a vuoto mentre Belle guardava suo padre basita.
“Io-“ provò Robert.
“Fuori.” Ripeté il signor French, alzando la voce.
Robert esitò, poi annuì rapido e si diresse verso l’ingresso.
“No!” esclamò Belle, ridestandosi improvvisamente.
“Vado subito.” disse Robert.
Moe lo fissò mentre il ragazzo gli passava accanto, le guance bollenti.
“No! Fermati!”
Gold non disse niente e prese rapido la sua giacca.
“Ho detto fermati!” sbraitò Belle. “Papà!” esclamò poi furiosa.
“Belle io-“
“Stai zitto. E TU FERMATI.”
Robert rimase un momento interdetto.
“Belle non voglio-“
“PAPA’ STAI ZITTO.”
“Ascolta io vado, davvero, non c’è problema e-“
“NON VAI DA NESSUNA PARTE!”
“Allora chiariamo una cosa!” esclamò Moe “Questa è casa mia e decido io chi-“
“Non voglio sentire una parola.”
“Maurice…” si intromise Ruby.
“Vado. Scusate il disturbo, dico davvero.”
Robert li guardò un momento mentre Moe lo fissava con astio crescente e Belle rimaneva immobile. Fece un altro breve cenno ed uscì dalla porta.
Insieme a rumore della porta che si chiudeva, si udì chiaramente lo sbattere di qualcosa sul tavolo.
“Ottimo lavoro. Veramente ben fatto.” Esclamò Ruby sarcastica.
Moe si girò verso di lei esterrefatto.
“Ho fatto il mio dovere di padre!”
“Il tuo dovere di padre è quello di decidere cosa fa tua figlia e chi frequenta?”
“Sotto il mio tetto-“
“Basta. Ho sentito abbastanza.”
Belle afferrò la giacca e si diresse verso la porta.
“Dove credi di andare!” le abbaiò dietro Moe.
“Dove preferisco.”
“Non lo accetto!”
“E non accettarlo allora. Ma non puoi fermarmi, nessuno decide cosa devo fare.” Sibilò Belle inviperita.
“Lo faccio perché ci tengo a te-“
“Smettila.”
L’uomo si girò verso Ruby che lo guardò a braccia incrociate.
“Ti ha fatta stare male e tu…tu vuoi ancora che io lo accolga qui?”
Belle si girò verso di lui e respirò forte.
“Mi dispiace papà, ma non accetto una cosa simile. Prima di tutto è la mia vita e non puoi permetterti di reagire in questo modo. Inoltre Robert mi è stato accanto in questi giorni, mi ha aiutata ed è venuto via da Boston per starmi vicino.”
Moe sgranò gli occhi e stava per dire qualcosa ma la ragazza lo bloccò.
“Non mi interessa cosa pensi di lui. E’ successo quello che è successo. Se mi ha fatta stare male, sono affari miei, non tuoi. Siamo amici e voglio cenare con lui. Quindi o lo accetti e lo lasci cenare da noi, oppure lo seguirò e andremo da qualche altra parte e mangeremo fuori insieme. A te la scelta.”
Senza aggiungere niente, uscì dalla porta.
Moe la guardò impotente, si girò di nuovo verso Ruby in cerca di consiglio.
“Non guardare me. L’hai sentita: la vita è la sua e dovresti lasciargliela vivere come preferisce.”
“Tu non c’eri, Belle è stata davvero male e non voglio che soffra di nuovo. E’ mio dovere-“
“E’ abbastanza grande per sapere cosa fare e tu sei suo padre, non il suo tutore o il suo padrone.”
Il signor French bofonchiò qualcosa come “non ho mai pensato di esserlo, però lei deve ascoltarmi”.
Ruby inarcò le sopracciglia.
“Vado a riprenderli?”
L’uomo non disse niente.
“Non è giusto.” Dichiarò poi “Non sono d’accordo con questa scelta. Per niente. Belle mi sentirà dopo. Questa è l’ultima volta che permetto una cosa simile.”
Ruby sorrise mestamente.
“Non devi essere d’accordo. La vita va così.”
Attraversò rapida l’ingresso e uscì.
 
“Fermati! GOLD, BRUTTO IDIOTA, TI HO DETTO DI FERMARTI!”
Robert si voltò stupito.
“Cosa ci fai qui?”
“Ti avevo detto di stare fermo! Perché non mi hai ascoltato!?”
“Ma lo hai visto tuo padre? Non credo che-“
“Tu devi ascoltare me, non lui.”
Gold si fermò e si guardò intorno a disagio.
“Ha ragione” disse poi improvvisamente “Non è carino che io mi presenti così a casa tua dopo quello che è successo. Non è stato educato.”
Belle pestò i piedi frustrata.
“Voi due siete uguali! Perché non posso decidere io cos’è educato o carino? State parlando della mia vita!”
Robert non disse nulla per qualche secondo, fissando l’asfalto del vialetto di casa French.
“Ho fatto una cosa brutta nei tuoi confronti.”
“Sì. E siamo stati male entrambi. Per quanto ancora dovremo parlarne?” si interruppe improvvisamente furiosa “Ma quanto cazzo rompi le palle!? Smettila di pensare! Smettila di essere così complicato e cervellotico e smettila di pensare sempre al passato! Pensi di farcela?”
Il ragazzo la fissò stranito.
“Non sono cervellotico.”
“Lo sei. E invece che cercare di rimediare ai tuoi errori ti ci crogioli dentro. Continui a lamentarti,  a piangerti addosso e a piangere addosso a me!”
“Ma non-“
“Sì che è vero! Ti ho chiesto di cenare insieme perché mi fa piacere. È così complicato? Pensi di poterlo fare?”
Robert non disse nulla.
“Allora?”
“Mi fa piacere cenare con te” borbottò infine.
“Allora adesso seguimi, rientriamo.”
“Tuo padre-“
“Mio padre se ne farà una ragione e capirà che non può pretendere di gestire la mia vita come vuole lui.”
Il ragazzo non si mosse.
“È che…”
“Cosa ancora!?”
Non trovava le parole per esprimere ciò che provava. Frustrazione, vergogna, rabbia, tristezza. Eppure Belle aveva ragione: in quelle settimane non aveva fatto altro che piangersi addosso. Che pensare a quanto la vita era crudele ed ingiusta con lui, a quanto aveva sbagliato, a quanto era stupido…
Invece che cercare di imparare da quanto era successo, non faceva altro che crogiolarsi nel suo dolore, nei sensi di colpa e nella rabbia, senza però cambiare una virgola nel suo atteggiamento.
“Hai ragione.” Ammise infine “Ma non…non è facile per me. Sono fatto così, capisci?”
Belle gli appoggiò le mani sulle spalle e lo guardò.
“Tu sei molto meglio di così.”
La fatica di rispondere fu risparmiata dal tempestivo arrivo di Ruby.
“Potete rientrare. Si è un po’ calmato.” Disse.
Sorrise brevemente a Belle prima di fare dietrofront e tornare in casa.
“Hai visto?” chiese subito Belle.
Robert si guardò intorno a disagio mentre la ragazza gli diede le spalle e trotterellò dietro alla zia.
“Non vieni?” domandò poi, girandosi e sorridendogli.
Gold rimase un momento imbambolato a fissarla, poi la seguì.
  
Una mezz'oretta dopo, erano tutti a tavola. Robert fissò il suo piatto con sguardo vacuo.
La situazione era estremamente critica.
Moe French sembrava sul punto di esplodere. Il suo sguardo saettava furioso da Belle, a Gold, a Ruby, al misero piatto di insalata davanti a lui.
Ruby mangiava e ogni tanto parlava del più e del meno, come se niente fosse. Era palese che lo stesse facendo solo per cercare di mantenere un’atmosfera piacevole: il risultato era però stentato e, nei momenti di silenzio tra un discorso e l’altro, vagamente agghiacciante.
Belle pensò che forse in fondo non sarebbe stata una brutta idea mangiare fuori da sola con Gold, ma ormai era troppo tardi.
“Quindi avevo pensato di andare in vacanza con le mie colleghe…ma potrei prendermi un po’ di ferie per stare qui. Potremmo farci qualche giorno al mare!”
Belle annuì vigorosamente.
“Non a fine giugno però. Sono a Boston con Tink.”
Robert sentì un tuffo al cuore all’idea di Belle e di Boston ma si concentrò sui suoi pomodori e non disse niente.
“Ottima idea.”
Finalmente Moe aveva rotto il suo silenzio.
“Così puoi vedere meglio l’università.”
Belle annuì allegra e riprese a mangiare.
Ruby guardò Robert e decise che era ora di fare un tentativo.
“E tu Robert? Dove andrai?”
“Mhhhhn”
Pessimo tempismo, pensò. Deglutì rapidamente un enorme boccone e rispose.
“A…A N-new Haven” balbettò, mentre la gola bruciava.
Rimase sul vago. Gli pareva davvero brutto rispondere subito ‘Yale’. Già Maurice French lo odiava, se poi avesse detto la verità, sarebbe parso sicuramente supponente o desideroso di mettersi in mostra.
“Ah! Cosa studierai?”
Anche Belle si girò verso di lui. Non ne avevano più parlato quindi non sapeva la decisione del ragazzo.
“Pensavo…giurisprudenza.” Borbottò.
“Cazzo!”
“Zia!”
“Che c’è? Siamo tutti giovani qui. Anche Moe, vero Moe?”
Lui grugnì qualcosa in risposta e cadde di nuovo il silenzio.
“Dove andrai esattamente?”
Era stato il signor French a parlare. Per la prima volta in tutta la serata guardava Robert dritto negli occhi.
Il ragazzo incontrò fugacemente lo sguardo di Belle e seppe che aveva capito perfettamente la situazione.
“A…Al college intende?”
“Sì. Che università hai scelto?”
Robert esitò.
“Yale.” Disse infine.
“Porca puttana!”
“ZIA!”
“Smettila di fare la puritana Belle. Ragazzo, vai a Yale e non dici niente?”
“Beh, non pensavo fosse importante.” Disse semplicemente Gold.
Belle guardò subito suo padre, ansiosa.
Lo sguardo di Moe era indecifrabile.
“Immagino.” Disse infine.
“Sì. È così. Pensavo contasse di più la facoltà del college in sé.” Ribattè Robert piccato.
“Beh, Yale è un’opportunità bella grossa.”
“Così come il college in generale. Per questo ho consigliato a Belle di tentare la borsa di studio, perché è una grande opportunità.”
Guardò Maurice dritto negli occhi. L’uomo non disse nulla ma Robert sapeva di aver fatto centro.
Era anche merito suo se Belle aveva deciso di tentare. L’aveva incitata, l’aveva sostenuta. Questo Moe non poteva certo negarlo.
“Belle ha preparato il dolce…se volete possiamo assaggiarlo…” Iniziò Ruby.
“Come mai hai scelto Yale?” Moe era ripartito alla carica.
“Papà…il dolce?” provò Belle.
“L’ho scelta perché era una buona università.”
“Tuo padre dev’essere felice di avere un figlio così ambizioso. Me lo ricordi un po’ in effetti.”
Robert non rispose ma si morse l’interno della guancia per non ribattere che a lui proprio non poteva fregare di meno se suo padre era felice oppure no.
“Papà…”
Belle aveva visto Robert e aveva visto come si era irrigidito a sentir parlare di suo padre. Moe ovviamente non sapeva come stavano le cose, se l’avesse saputo forse non avrebbe infierito in quel modo.
Ma non c’era modo di comunicarglielo senza umiliare Robert.
“Immagino sia felice. Non lo so di preciso perché non ne parliamo molto.” Rispose infine il ragazzo.
“Comunque dovresti essergli grato di averti dato una simile opportunità…non tutti sono così…fortunati.” Dichiarò Moe freddamente.
Ci fu qualche secondo di silenzio, nel quale Belle si aspettò di sentire Robert esplodere.
Invece quando parlò, lo fece con calma e determinazione, nonostante Belle sapesse che il ragazzo era profondamente irritato.
“Ho lavorato sodo per guadagnarmi un posto in quell’università. Studio molto e mi impegno. Quindi non sono fortunato. Anzi, tutt’altro.” Concluse amaramente.
Evidentemente Moe non trovava più nulla da aggiungere perché si limitò ad infilzare una foglia di insalata e a masticarla con foga.
“E comunque Boston mi è sembrata davvero una buonissima università e ne ho sentito davvero parlare bene. Belle andrà alla grande” Aggiunse dopo un po’, Robert.
Ruby sorrise e tirò un sospiro di sollievo.
Il ragazzo se l’era cavata bene. Evidentemente anhce Moe non aveva niente da ribattere. Si limitò a finire la sua cena, mentre Ruby riprendeva a chiacchierare con Belle e l’atmosfera si rilassava un poco.
 
 
Alla fine Regina si era fermata anche a cena.
Non che avessero mangiato un granché. Erano ancora piene dai due pacchetti di popcorn divorati per merenda. Emma aveva tirato fuori dello splendido burro di noccioline e si erano spalmate il tutto generosamente su una bella fetta di pane.
“Mhmhn” mugugnò Regina finendo di masticare “se mia madre mi vedesse si incazzarebbe tantissimo.”
Emma rise
“Tua madre sembra davvero tremenda da come la descrivi”
“Non…non è proprio così. Insomma, sì. Però a volte ho la sensazione che si senta sola e…incompresa. Per questo fa così. Mi racconta un…un sacco di cose tristi sul suo passato. Magari però mi sbaglio.”
Diede un morso al suo panino.
“Potresti chiederglielo, sai. Se si sente sola.”
“Credo che mi riderebbe in faccia.”
Continuarono a mangiare per qualche minuto, in silenzio.
“E’ complicato.” Disse Regina infine.
Sì, sua madre era complicata. Le cose con Cora erano sempre state complicate. C’erano stati dei brevi momenti in cui Regina si era sentita davvero amata. Ma per il resto della sua vita, la relazione con sua madre le era sembrata una continua sfida a soddisfare le sue ambizioni.
Ci aveva fatto l’abitudine ma a volte le sarebbe piaciuto che le cose fossero diverse.
“Io non so come fai a vivere senza questo tipo di cibo.” Mormorò Emma, spalmandosi del burro sul pane, concentrata.
“Ci sono abituata.”
“Beh, se hai voglia di disabituarti ogni tanto vieni pure da me a cenare.”
Regina sorrise.
“Volentieri.”
 
 
“Beh” iniziò Belle “Non è andata poi così male”
Robert la guardò reprimendo un mezzo sorriso, infilandosi velocemente la giacca e sistemandosi il colletto mentre sentiva i pesanti passi di Moe French in salotto. L’uomo si stagliò minaccioso nella luce che proveniva dalle scale.
“Buona serata.” Dichiarò. Si schiarì la voce con fare eloquente e si spostò al piano di sopra. 
Ruby lo seguì subito dopo, indicò Robert e fece un segno come dire “taglia la corda”, poi sorrise e salì le scale.
“Ti accompagno fuori” disse Belle.
Non aveva voglia di salutare Robert lì nell’ingresso, col rischio che suo padre o Ruby stessero origliando o magari li stessero spiando.
“Non ce n’è-“
“Andiamo.”
L’aria della sera era piacevolmente fresca e benché fosse maggio, quando il sole calava nel Maine non era mai veramente caldo. Belle rabbrividì impercettibilmente e si strinse nel suo cardigan.
“Vuoi la mia giacca?” le chiese Robert automaticamente.
“No, rientro subito.”
Lui annuì.
Camminarono in silenzio sul vialetto e poi, quando furono fuori dal giardino, ancora per un pezzo, sul marciapiede.
Dopodiché, Belle si fermò.
“Volevo salutarti come si deve. Ho la sensazione che Ruby ci stesse spiando.”
Robert sorrise vagamente.
“Lo ritengo probabile.”
La ragazza lo guardò per un lungo istante, poi si sporse in avanti e lo abbracciò.
Sentendolo ricambiare l’abbraccio, lo strinse ancora più forte, seppellendo il viso nella sua spalla. Forse avrebbe dovuto staccarsi ma non aveva nessuna voglia di farlo e a quanto pare neanche Robert. Rimasero immobili per diversi secondi.
“Belle?”
“Dimmi.”
“Guardami un momento.”
Belle si morse il labbro.
“No.” Disse infine.
“Perché no?”
“Perchè so cosa accadrebbe e non voglio.”
Se avesse alzato il viso, si sarebbe trovata inevitabilmente vicina a quello di Robert e a quel punto sarebbe potuta accadere una cosa soltanto. Una cosa che Belle non voleva. O meglio, che voleva disperatamente ma che non era pronta a fare.
Così fece l’unica cosa sensata.
Si staccò e si infilò le mani in tasca.
Robert la guardò da sotto in su.
“Scusa.” Disse infine. “Non dovevo e-”
“Non fa niente.” Lo interruppe lei “Ci lavoreremo su. Sei un buon amico comunque.”
“Mi dispiace se prima…ho sbottato. E’ stata un po’…dura per me.”
“Non hai sbottato” esclamò Belle stupita “Anzi! Dispiace a me per…per tutte le domande. Non te lo meritavi…ma per il momento è così. Mio padre è fatto così.”
Robert sorrise triste.
“Me lo sono meritato.”
“Comunque te la sei cavata benone.”
“Davvero?”
Lei annuì decisa.
Gold esitò, sembrava sul punto di dire qualcosa ma infine annuì anche lui.
“Allora…se…se non c’è altro…ci vediamo domani.”
“Già. E…Grazie ancora di tutto.”
“Figurati! Grazie a te per la cena!”
Belle rimase ancora un momento ferma. Poi si sporse in avanti e gli lasciò un leggero bacio sulla guancia sinistra. Gli lanciò un’ultima occhiata mesta, si voltò e camminò spedita verso casa.
 
 
“Allora, arrivederci.” Dichiarò Regina sulla soglia della porta.
Si guardò intorno un’ultima volta. Chissà quando avrebbe rivisto quella casa. Molto presto sperava.
Emma annuì e si grattò la testa a disagio.
Sembrava sul punto di dire qualcosa. Aprì la bocca ma la richiuse e si guardò i piedi.
“Guardi che non mi aspetto un bacio della buonanotte.”
Si maledisse nel momento preciso in cui pronunciò quelle parole. Respirò profondamente.
“Era una battuta.” Disse scuotendo la testa. “Volevo essere sarcastica. Mi sa che mi è uscita male.”
La professoressa non sembrava particolarmente colpita.
“Volevo chiederti una cosa.” Disse infine.
Regina capì perché non avesse reagito alla sua tremenda uscita di poco prima: probabilmente era concentrata sui suoi pensieri.
“Ti dispiacerebbe darmi del…del tu? Insomma, almeno se ci vediamo il pomeriggio. E’ tutto il giorno che ci penso…Dovrebbe essere una cosa normale. No?”
La ragazza si grattò la testa perplessa.
“Ah. Okay. Sarà un po’ difficile all’inizio ma potrei provarci.”
“Mi fa sentire vecchia sentirmi dare del ‘lei’ da una che avrà sì e no dieci anni in meno di me” borbottò Emma con un mezzo sorriso.
Regina annuì.
“Lei è vecchia.”
“Regina…”
“Ah, già. Tu sei vecchia.”
Emma scoppiò a ridere sollevata.
“Molto meglio.”
L’altra sorrise.
“Bene. Se non c’è altro, me ne andrei.”
“Immagino che ci vedremo lunedì a scuola.”
“Purtroppo sì.”
“Già.”
Seguì qualche secondo di imbarazzato silenzio, poi Emma fece un passo avanti.
Regina la guardò diffidente e fece un mezzo passo indietro.
“Ma che problemi hai!?” esclamò l’altra rabbiosa. “Uno non può neanche salutare!? Sei incredibile!”
“Mi sono solo spaventata.” disse Regina irritata, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“Va bene. Va bene. Vai. CIAO.” Sbottò l’altra facendo un brusco gesto con la mano.
“Non mi saluti più?”
“Sì. Ciao.”
La ragazza la guardò male.
“Okay, ho esagerato.” Ammise risentita, beccandosi indietro l’occhiata torva dell’altra.
“Già.”
Regina rimase immobile, poi sbuffò, capendo cosa voleva Emma.
Aprì leggermente le braccia e la guardò.
La professoressa ricambiò lo sguardo.
“Mh” mugugnò infine.
Avanzò e la abbracciò. Era un abbraccio goffo e insicuro ma a Regina sembrò la cosa migliore del mondo. Un curioso calore le invase il petto.
E proprio come quel giorno in macchina, agì semplicemente d’istinto. Girò il viso fino ad incontrare la guancia di Emma e vi lasciò un bacio veloce sopra.
“Beh?” Esclamò la bionda staccandosi improvvisamente.
“Che c’è” esclamò l’altra sulla difensiva.
“Mi stupisci ogni giorno di più.”
“Non so di cosa parli.”
“Quel…bacio?”
“Si usa tra amiche.”
“A cosa devo l’onore?”
“Ma che vuoi! Basta! Ora vado. Ciao.” Dichiarò Regina, il viso bollente. Se rimaneva lì un altro momento, sarebbe letteralmente scoppiata.
Si girò senza dire nulla e scese le scale abbastanza velocemente.
“Era quello il bacio della buonanotte?” le urlò dietro l’altra dal pianerottolo “Torna qui! Sei proprio una cacasotto!”
Una volta uscita dal portone, Regina si incamminò rapida verso casa.
Svoltato l’angolo si fermò e respirò profondamente.
Il cielo era scuro e nell’aria c’era odore di pioggia. Doveva tornare a casa in fretta ma le gambe rimasero immobili, di piombo.
Forse aveva fatto il più grande casino di sempre o forse no.
Non sembrava, in ogni caso, era letteralmente sul filo di un rasoio.
Ogni gesto, ogni parola poteva essere qualcosa di troppo. Ogni piccola cosa poteva compromettere il loro rapporto.
Quello splendido rapporto che erano riuscite a costruire in quei mesi.
Io sono riuscita a fare qualcosa di così meraviglioso pensò Regina incredula.
Per la prima volta nella sua vita, aveva accettato l’affetto di qualcuno, aveva dato in cambio tutto ciò che poteva dare. Aveva costruito qualcosa di splendido.
E se lei, Regina Mills, era riuscita a farlo, allora la speranza esisteva davvero.
Sorrise felice.
Ogni volta che con Emma si era messa in gioco, il destino l’aveva ripagata con felicità.
Ma non era il destino, pensò Regina.
Era Emma. Era Emma che non aveva paura di fronte a lei, che non la guardava come se fosse una specie di aliena. Era Emma che l’aveva invitata a casa sua, che le aveva chiesto di rimanere a cena. Era Emma che si era interessata a lei, che l’aveva aiutata e sostenuta, che c’era sempre stata in quei mesi difficili.
Ogni istante con lei era splendido e valeva una vita intera di attesa.
E in quel momento Regina ammise finalmente a sé stessa di essersi innamorata di Emma Swan.






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Hiding  - Florence and the Machine (
http://www.dailymotion.com/video/x2vap1h qui il link, è una canzone poco rintracciabile in internet ma vale la pena di ascoltarla :3 )

Salve a tutti. Cosa dire? Come potete vedere, sono puntualissima.
Beh, sono tornata. Ho avuto davvero un periodo di mancanza totale di ispirazione ma sono lieta di annunciarvi che ho ricominciato a scrivere abbastanza regolarmente, quindi gli hiatus si ridurranno notevolmente. 
Il mio problema nasce principalmente dal fatto che la serie tv madre non mi dà più del materiale su cui lavorare, insomma, mi sfianca. Non dovrebbe essere così ma lo è. 
Con un po' di terapia dello scrittore sono riuscita a superare il blocco, quindi eccomi qui con un capitolo che spero sarà all'altezza delle aspettative e vi ricompenserà almeno un pochino per tutti questi mesi di attesa. 
Spero non risulti troppo lungo o noioso. Siamo ad un punto cruciale della storia e questo era un capitolo a cui tenevo davvero molto. Nella mia testa doveva contenere molto più fluff e romance, ma una volta su carta mi sono resa conto che forse era meglio andarci piano con ENTRAMBE le coppie + una - Tink e Hook.
La prima questione che mi sta a cuore è Belle: so che può sembrare un po' repentino questo cambiamento, ma per come la vedo io, Belle non è una persona a cui piace tenere il muso e non è una persona a cui piace soffrire e far soffrire gli altri. Anche negli episodi, nonostante tutto, è sempre tornata da Rumple, anche in qualità di semplice alleata. Da qui il loro riavvicinamento. Ma non agitatevi troppo...hanno ancora un po' di strada da fare :3
La seconda questione che mi sta a cuore: Regina ma soprattutto Emma. Ho cercato di rendere come meglio potevo i sentimenti di Regina, tralasciando spesso cosa prova Emma e cosa ne pensa di tutta la situazione. Prometto che presto, PIU' PRESTO DI QUEL CHE PENSATE, scopriremo finalmente qualcosa di più sulla professoressa, sul suo passato e sui suoi sentimenti. ANGST IN ARRIVO.
Terza questione: Moe French. Nella serie tv è proprio una, DICIAMOLO, merdaccia d'uomo. Io tendevo a considerarlo un padre super protettivo, un po' stronzo ed invadente, ma niente di che. Invece è proprio un bastardo. Ho deciso comunque di non volerlo rendere senza cuore e di attenermi ad una versione leggermente più moderata di Maurice French. Non credo che la Belle French che conosco accetterebbe un certo tipo di prevaricazioni da parte di suo padre, quindi ho deciso di rendere sì conflittuale il loro rapporto, ma non al punto da far odiare Moe.
E questo dovrebbe essere tutto.
Mi scuso ancora per lo hiatus enorme e per la mia lunga assenza da EFP. Spero che il capitolo vi piaccia, se avete voglia fatemi pure sapere cosa ne pensate, se vi è piaciuto, se qualcosa vi ha fatti storcere il naso...insomma, ditemi pure cosa ne pensate! 
Come sempre ringrazio tutti quelli che seguono la storia, quelli che la commentano e le povere anime del gruppo rumbelle whatsapp che si devono sorbire tutta l'ingiustizia di questo mondo insieme a spoiler tarocchissimi come "in questo capitolo c'è un limone". Ciao amiche <3
Un bacio a tutti e a presto!
Seasonsoflove

 

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