La lunga Strada verso il Tramonto

di Fabio93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***



Capitolo 1
*** I ***


La lunga Strada verso il Tramonto

 

 

I

 

 

 

 

-Eccoti, finalmente.-

La ragazza si girò verso di lui, con l'espressione sorpresa di qualcuno colto nel mezzo di un'azione intima e importante, poi gli rivolse un sorriso che aveva il colore del sole.

-Non mi trovavi?-

-No.-

-Dovevi cercare meglio!- Alessandra tornò a volgere lo sguardo verso il tramonto, seduta fra l'erba stinta dall'autunno.

Kal sbuffò e le si sedette accanto: la sua cotta di maglia e la spada tintinnarono e gli impedirono di trovare una posizione veramente comoda. Guardò il viso giovane e sereno illuminato dal sangue del giorno e si stupì come al solito di non trovarci alcuna preoccupazione. Tutti gli altri portavano in volto sorrisi tirati ed occhiaia profonde. Lui forse non era preoccupato, ma nemmeno sereno: era semplicemente vuoto. Da quando Sadhora era caduta, pochi anni prima, aveva perso un pezzo di anima dopo l'altro, lasciandoseli alle spalle come sassi inutili.

Ora camminava molto più leggero.

-È pericoloso, qui. E poi lo sai che non ci si deve allontanare dal gruppo senza dir niente.- la rimproverò.

-L'ho detto a Ruben.-

Era una bugia, naturalmente. Kal lo sapeva, ma aveva imparato a convivere con le stranezze di Alessandra. Non le si poteva insegnare la cautela, né la naturale diffidenza verso i luoghi inesplorati che ogni giorno attraversavano. In parole povere non le si poteva spiegare la paura, o forse lei non la voleva apprendere. Ed era strano che ora quella ragazza bionda, esile e indifesa fosse lì a guardare il tramonto, quando molti altri più forti di lei marcivano sotto terra.

Certo, prima di loro a vegliare su Alessandra c'era stato il padre, un contadino robusto e determinato, ma era comunque strano che quella bambina che rifiutava di crescere respirasse ancora. Forse quei suoi comportamenti erano una difesa contro la realtà fredda e ostile che la circondava, o gli orrori vissuti lungo la via le avevano spostato qualche rotella nel cervello. La trasformazione del padre non era certo stato un bel momento, ad esempio.

O forse era semplicemente fatta così: chi poteva saperlo?

-Comunque che ci fai qui? Ammiri il panorama?- chiese lui, grattandosi la barba folta ed ispida.

Lei annuì, stringendosi le ginocchia al petto e abbeverando gli occhi col sole morente.

-Non ti sembra bellissimo?-

Kal guardò l'erba farsi scura contro il tramonto, ondeggiando al ritmo del vento. Un tempo, dietro quei colori accesi avrebbe intravisto un buio profondo e spaventoso, appena intuibile dietro ogni sagoma di quell'insulsa realtà. Un vuoto oltre il fragile vetro dell'apparenza, pronto a balzare in avanti e inghiottirli tutti.

Eppure quel giorno il tutto sembrava un po' diverso.

-È solo erba mossa dal vento. Chissà, forse in mezzo c'è una lepre. O un predatore più grosso di noi.-

-Che brutta risposta!- si lamentò Alessandra -Distingui impronte vecchie di giorni e poi non cogli un bel tramonto. Davvero non ci vedi nulla di più che dell'erba? Non trovi che ci sia qualcosa di bello in questo momento?-

Lui guardò con più attenzione, con quegli occhi da cacciatore, abili e freddi.

Vedeva altro? Vedeva la grande mano di Dio accarezzare i fili d'erba a farli danzare con l'ultima luce? Forse.

Forse c'era più di quello che lo sguardo poteva distinguere, in quel prato, ma non ne era così sicuro. E poi quelli erano discorsi inutili, che non dovevano interessarlo, soprattutto mentre calava la notte.

-Tu viaggi troppo con la fantasia- le disse, alzandosi da terra -Dobbiamo tornare indietro prima che faccia buio, vieni.-

Le porse la mano guantata per aiutarla e lei la accettò in silenzio.

-Probabilmente Dorian è già tornato con la cena.- aggiunse, facendole strada verso il bosco poco lontano, ma già immerso nell'ombra del crepuscolo.

 

Nella selva era difficile muoversi in silenzio, su quel tappeto di foglie morte e rami secchi, e nell'ombra che sfumava dietro ogni albero poteva esserci qualcosa di paziente in agguato. A Kal le foreste non piacevano, umide e scomode da percorrere, tuttavia vi si trovavano molte risorse indispensabili per il viaggio, come la carne, tanto per dirne una.

Fortunatamente il campo era vicino.

Alessandra lo seguiva in silenzio: almeno erano riusciti a farla smettere di canticchiare quando si spostavano di notte.

La luce del fuoco schiarì d'improvviso il buio davanti a loro, portandosi dietro un leggero odore di fumo: erano arrivati. Alessandra superò Kal mettendosi a correre su per la piccola salita oltre la quale si erano accampati.

-Siamo noi!- gridò lui per avvertire gli altri: ci mancava solo che qualcuno infilzasse per sbaglio Alessandra mentre irrompeva senza preavviso nell'accampamento.

Ancora una volta si chiese perché spendesse tante energie per quella ragazza. Forse non sarebbe stato un male se ci avesse lasciato le penne: dopotutto era l'elemento debole del gruppo. Secondo una valutazione oggettiva, Alessandra era poco più di una bocca di troppo da sfamare, capace al massimo di portare in spalla uno zaino o di cucinare la cena. Eppure il pensiero di abbandonarla o comunque di perderla aveva un cattivo sapore.

In una piccola conca fra gli alberi ed il sottobosco, sei persone erano riunite attorno ad un modesto falò scoppiettante, tre delle quali, una coppia di anziani e una donna, erano intenti a pulire delle lepri che avrebbero poi cotto sul fuoco. La donna si girò e si alzò non appena sentì i passi di Alessandra e la abbracciò, facendo attenzione a non sporcarla con le mani insanguinate.

-Sei qui, finalmente! Lo sai che non devi allontanarti!- la redarguì con affetto, quasi parlasse a sua figlia.

-Sì.-

La risposta schietta e semplice le valse un sorriso.

-Su, vai ad aiutare John e Amanda con la cena, adesso arrivo anche io.- mentre la ragazza si allontanava, lei aspettò che Kal le andasse incontro.

-Un giorno o l'altro si caccerà nei guai.- gli disse.

Lui alzò le spalle.

-Non posso essere sempre con lei, Gwen. E poi prima o poi tutti ci cacciamo nei guai.-

-Ma lei sembra l'unica a non capirlo...-

Gwen aveva occhi grandi e capelli scuri. Era magra, ma forte, ed era un po' come lui: una cinica e determinata sopravvissuta. Sarebbe andata lontano, Kal se lo sentiva, ma alla fine anche lei avrebbe smesso di camminare: e si preoccupava del destino di Alessandra?

I due scambiarono ancora qualche parola, poi si separarono e lui poté avvicinarsi al fuoco, verso gli altri tre uomini. Norman e Ruben, un giovane boscaiolo ed un vecchio cavaliere, stavano discutendo animatamente e ad ampi gesti, il terzo, invece, alto e sottile, guardò Kal prendere posto e gli rivolse un cenno di saluto con un mezzo sorriso divertito.

-Heilà, Kal! Finita la caccia nei boschi? A me tocca scovare conigli troppo magri, tu invece te ne torni sempre con delle belle bionde.-

-Sarà il fascino della divisa, Dorian.-

-Mah, dovresti buttare anche tu quella vecchia cotta di maglia: rallenta i movimenti e tintinna in continuazione!-

-Chissà cosa direbbe ser Nickall se ti vedesse vestito di soli stracci e cuoio.-

-Borbotterebbe qualcosa sull'onore e sul prestigio dei Falchi che io sto insozzando, non c'è dubbio. Quel vecchio era fissato per queste cose, un po' come il nostro Ruben, ma adesso chi di noi è concime per i campi?-

Dorian era l'unico del gruppo di Kal ad esserci stato fin dall'inizio, fin da quando entrambi avevano preso servizio nei Falchi, una squadra d'élite dell'esercito di Sadhora. Avevano vinto una guerra, combattendo fianco a fianco, ed erano caduti insieme quando il mondo era andato a pezzi. Ma si erano rialzati ed erano andati avanti.

Dorian era forte e veloce ed era forse il suo unico amico. Era la seconda colonna portante su cui si reggeva la loro piccola comunità.

-Di che parlano, quei due?- gli chiese Kal, liberandosi della spada e posandola affianco a sé, sempre pronta all'uso.

Dorian si girò verso Norman e Ruben, che a malapena si erano accorti dell'arrivo del secondo Falco.

-Stanno facendo un interessante scambio culturale. Ruben ha raccontato di non so quale battaglia e di come molti suoi compagni fossero rimasti storpi a causa delle trappole piazzate dal nemico fuori dalle mura. Lui ha avuto fortuna, con una stampella appresso non sarebbe sopravvissuto a lungo, qui. Comunque la cosa ha solleticato la fantasia di Norman, che adesso vuole strappargli ogni dettaglio e capire se possiamo fare trappole simili per gli animali.- spiegò, sempre con quel suo sorriso ironico.

-A che scopo? Ci muoviamo sempre. Se anche piazzassimo le trappole, e non è detto che avremmo modo di costruirle, difficilmente il giorno dopo saremo ancora nei paraggi per controllarle.-

-Ci arriveranno anche loro.- fece l'altro con un'alzata di spalle -Per adesso lasciamoli parlare: sembra piacergli così tanto...-

-Capisco.- fece Kal con un sorriso mesto.

Le lepri erano state fatte a pezzi e messe a bollire con qualche erba aromatica in un pentolone di latta. Si accorse solo allora di essere decisamente affamato.

-E com'è il bosco?- chiese al compagno, fissando il vapore alzarsi dalla pentola e svanire poco più in su.

-Umido, grande e pieno d'erbacce. Un postaccio: tienitene alla larga.- scherzò quello.

-No, sul serio...è libero?-

Dorian soppesò la domanda, grattandosi il mento ed alzando gli occhi al cielo, come a voler cogliere le immagini della giornata trascorsa. Lui era il cacciatore migliore del gruppo ed era quello che se ne allontanava di più per cercare cibo.

-Non lo so. Gli indizi non sono buoni: ci sono pochi animali nella zona ed ho anche trovato una tana.-

Lo disse con un tono semplice, come se non fosse una cosa per cui sgranare gli occhi e mettersi le gambe in spalla.

-E che aspettavi a dircelo?!-

-Che differenza fa? Ormai siamo qui, ti pare? Non possiamo certo allontanarci ora...e poi era vuota, abbandonata.-

-Da molto?-

-Così mi è parso. Quando l'ho trovata era quasi un semplice buco nel terreno, anche la puzza era appena percepibile.-

-Questo però non vuol dire che i proprietari non siano ancora qui in giro...-

-No. Io non li ho visti, ma potrebbero esserci.-

Kal si morse il labbro. Le notizie non erano buone: una tana nelle vicinanze non era mai un buon auspicio. E ormai era notte.

-Dobbiamo stare attenti. Abbiamo perso Mathias da poco, ed era un membro valido.-

-Poi gli sono spuntati quegli affabili occhi gialli e tu l'hai gentilmente sgozzato prima che desse di matto.-

-Era ciò che andava fatto.- Kal non aveva rimorsi, anche se Dorian non sembrava approvare.

-Non è il fatto che ti sbarazzi degli infetti a preoccuparmi. È come lo fai: sembra troppo semplice. Non dovrebbe esserlo.-

-Paura che ti tagli la gola mentre dormi?-

-Forse.- Dorian tornò a sorridere, anche se il suo sguardo rimase un poco dubbioso, mentre sosteneva il suo.

-Allora non farti infettare.-

-Forse dovevo tenermi la cotta di maglia...-

-Già.-

-La cena è pronta!-

E i discorsi si chiusero.

Alessandra distribuì ciotole ammaccate e pezzi di carne bollita con cui riempirle, poi si sedette affianco a Kal per consumare il pasto.

-Di che parlavate, Kal? Avevate un'aria così losca!- s'informò, addentando un cosciotto umido.

Per un secondo Kal rifletté su quale bugia raccontarle, ma non ce ne fu bisogno.

-E quando mai Kal non è losco, dolcezza? Sarà la barba, comunque secondo me ha un'aria losca anche quando caga.-

Alessandra rise di gusto, quasi sputando fuori i bocconi appena presi.

-Non avrò un'aria losca quando ti vedrò sotto terra, caro Dorian: sarò felice e sorridente...-

-E chi ha detto che devo morire prima io?-

-Se continui a parlare...-

La ragazza si godette i due litigare come due marionette intente a dar spettacolo. Poi mise la mano nella ciotola e non pescò altro che brodo.

-Già finita?! Ma io ho ancora fame...- si lagnò, guardando sconsolata la scodella vuota -Devi cacciare qualcosa di più sostanzioso, Dorian.-

-Oh, se è così puoi venire con me a darmi una mano, la prossima volta...scommetto che ti divertiresti, nel bosco...-

Alessandra spalancò gli occhi.

-Sì!- poi il dubbio, si rivolse a Kal -Aspetta, questo conta come “allontanarsi dal gruppo”?-

-Altroché.- rispose lui, finendo la sua cena e posando il contenitore di latta per terra -È meglio che rimani con Amanda, come al solito.-

Si riferiva all'anziana del loro gruppo, ancora intenta a mangiare e chiacchierare col marito.

La ragazza lo guardò con occhi seri e con l'aria combattuta di chi stava per confessare una verità scomoda e pericolosa.

-Amanda puzza.-

Ci volle un bello sforzo per non riderle in faccia.

-Forse...ma sa tutto delle piante del bosco, e ti insegnerà bene.-

Dopo qualche minuto di cena silenzioso il gruppetto iniziò a parlare del più e del meno: di come le giornate si facessero più corte e fredde, di come entro un giorno o due al massimo sarebbero stati fuori dal bosco e altro ancora. Non c'era molto di cui parlare, ma ogni argomento era meglio del silenzio e dei pensieri malinconici che portava con sé.

A Kal non importava granché, ma sapeva che un morale alto, per quanto possibile, facilitava a tutti la giornata. E così faceva del suo meglio per ravvivare il fuoco e la conversazione. Anche se, come al solito, la vera star era Alessandra. Lei non smetteva mai veramente di parlare e quando lo faceva spesso poi iniziava a cantare.

Quella sera non fu diversa. La ragazza cantò di stelle, di estati lontane e di amori persi, e Kal scoprì i suoi pensieri a danzare con la sua voce allegra. Quando la notte si fece fonda e il fuoco debole, tutti si ritirarono a dormire, dopo aver stabilito i turni di guardia, cullati dal canto dei grilli e dai sospiri silenziosi del vento fra gli alberi.

 

 

 

Mentre l'accampamento dormiva, sorvegliato dallo sguardo stanco di un cavaliere appiedato, qualcosa fendeva il buio con occhi gialli e feroci. Annusando un appetitoso sentore di carne, sorridendo alla notte con una lunga fila di denti aguzzi.

 

 

 

È un po' un salto nel vuoto, quello che faccio con questa storia. So dove inizia, di cosa vuole parlare, e so come finirà. Il mezzo deve ancora prendere forma, ma forse così è ancora meglio, no? Ad ogni modo, nonostante il titolo, questo non sarà un esperimento lungo. Spero che tu voglia rimanermi affianco finché non sarà concluso. Nel prossimo capitolo si vedrà un po' di azione e si scoprirà qualcosa in più su come funzioni questo mondo misterioso. Grazie per aver letto questo incipit, spero ti sia piaciuto. Lascia una recensione se ti va. Alla prossima!

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Capitolo 2
*** II ***


II

 

Un tocco leggero sulla spalla e Kal fu subito sveglio.

Afferrò l'elsa della spada; era ancora notte, non poteva vederla, ma sa esattamente dove trovarla.

-Tranquillo, sono io.- la voce di Dorian era appena un sussurro.

Kal ne distingueva l'ombra contro la luce tenue del fuoco: era inginocchiato su di lui, con l'arco in mano. Non un buon segno.

-Che c'è? Ho già fatto il mio turno.-

-Sono qui.-

Un brivido freddo gli accarezzò la nuca, gli strinse lo stomaco. Kal si fidava dei sensi acuti del compagno, sapeva che aveva ragione.

-Vicini?-

-Ci sono già attorno, ma non sono molti: per questo non li ho sentiti.-

Almeno una buona notizia.

Si mise a sedere e scrutò il bosco attorno a loro. Un groviglio di ombre immobili, un muro di buio silenzioso. Eppure, in quel silenzio all'apparenza totale c'erano rumori appena percettibili.

Scricchiolii, fruscii furtivi.

-Sveglia gli altri.- fu tutto ciò che disse.

Mentre Dorian destava gli altri componenti del gruppo, Kal estrasse la spada dalla fodera consumata. L'acciaio, tuttavia, era lucido e ben tenuto, perfettamente affilato. La luce del braciere vi scivolò sopra, tingendola di rosso come fosse già sporca di sangue.

Un senso di calma distaccata scese su di lui: impugnare la propria arma gli dava sicurezza. Lui era un ottimo guerriero, il migliore del gruppo, non poteva permettersi di avere paura. In testa aveva un solo pensiero su cui concentrarsi: qualunque cosa fosse uscita dal bosco sarebbe morta ai suoi piedi.

Alle sue spalle l'accampamento si era risvegliato completamente. Dorian scrutava le ombre in cerca di un bersaglio per il suo arco, Norman aveva impugnato le sue due accette e Ruben, protetto da parti d'armatura miste a protezioni in cuoio, reggeva il suo spadone a due mani come un vero cavaliere. Si erano disposti attorno al nucleo debole, donne e anziani, che comunque non erano disarmati.

Anche il bosco sembrava aver preso vita, tutto attorno la foresta sussurrava ed ondeggiava, come mossa da un vento impalpabile. Qualcosa si muoveva fra gli alberi, calpestava foglie e rami secchi, ma ancora non potevano vederlo.

-Ci sono i mostri?- chiese Alessandra con voce flebile.

-Adesso li mandiamo via, tesoro.- la rassicurò Gwen, tenendo bene stretta in mano la sua lancia.

Il bosco tacque.

Era il momento.

-State tutti pronti!- disse Kal.

Un lampo giallo sulla destra. Kal si girò in quella direzione senza esitare, e non vide il nemico sbucargli alle spalle.

-Attento!-

L'avvertimento di Dorian arrivò troppo tardi.

Kal venne travolto alle spalle, un colpo da togliergli il fiato. Schizzò in avanti e cadde a terra, riempendosene la bocca e gli occhi. Quando rialzò lo sguardo, il vampiro gli era quasi addosso. Una creatura grottesca e rigonfia, dalla pelle bluastra e flaccida. Era quello che rimaneva di un uomo di mezza età, alto e robusto, ora anche dotato di denti lunghi e appuntiti.

La creatura fece per saltargli addosso, ma una freccia gli attraversò il petto. Il mostro emise un grido acuto e vibrante, abbassando lo sguardo a trovarne la punta intrisa di sangue. Kal ne approfittò per rimettersi in piedi.

Il vampiro lo vide arrivare e tentò di strappargli via il volto con le unghia affilate, Kal gli staccò il primo braccio, poi il secondo, quando la creatura ci riprovò, infine le mozzò la testa con un ultimo fendente.

Ma ce n'erano altri.

Mentre la battaglia si estendeva a tutto l'accampamento, altri due vampiri emersero dalla notte, puntando i loro occhi da lupo su di lui. Una donna ed un ragazzino.

Kal cercò di farli fuori subito, ma quelli scansarono i suoi fendenti e gli girarono attorno: era la loro tattica preferita, circondare la preda e poi trascinarla via. Ma lui non si fece ingannare.

Mulinò la spada, tenendoli a distanza, senza concedergli un solo passo. La donna, il vampiro più temerario, provò a prenderlo di sorpresa con uno scatto improvviso e si ritrovò con la gola mozzata. Se la strinse con le mani, quasi ammirasse allo specchio una nuova collana, ma il taglio era troppo profondo e l'emorragia troppo abbondante. Cadde a terra e non si mosse più.

Il ragazzino si fece subito avanti, Kal girò su sé stesso e menò un fendente orizzontale per decapitarlo. Il vampiro si abbassò, agile e veloce, gli afferrò le gambe e lo sollevò di peso.

Kal si ritrovò nuovamente nella polvere, sbatté la testa con violenza e il dolore gli esplose davanti agli occhi, un lampo nel buio. Si accorse di aver perso la presa sulla spada.

-Merda...!- imprecò a denti stretti.

Il vampiro era su di lui, con un ringhio famelico cercava di fare a pezzi gli anelli di ferro della sua cotta per poi sbudellarlo, ma quella resisteva. Kal cercò a tentoni la sua arma, ma il mostro se ne accorse.

Tentò di colpirlo in volto, ma Kal riuscì ad intercettare il colpo col proprio braccio, protetto da spessi guanti di cuoio. Il ragazzino digrignò i denti oblunghi e sporchi: non fosse stato per quelli e per gli occhi indemoniati sarebbe potuto apparire un ragazzetto qualunque, forse un po' pallido. Col braccio libero, Kal smise di cercare la spada e gli sferrò un pugno.

Sentì la mascella del mostro andare in pezzi e quello rotolò di lato, sbalzato via dal destro ben piazzato. Kal si rialzò in fretta e raccolse la spada. Il vampiro si stava riprendendo, lo atterrò con un calcio alle costole e gli ficcò l'acciaio in pieno petto, inchiodandolo al suolo.

Nella radura regnava il caos.

Le frecce di Dorian sibilavano minacciose, guidate nel buio dal suo occhio esperto. Norman si stava allontanando dal gruppo, ma sembrava cavarsela: le sue due armi roteavano come un vortice di metallo impazzito. Ai suoi piedi giacevano arti mozzati e cadaveri senza vita.

Ruben invece era nei guai. Era circondato dai vampiri, ombre contorte dagli occhi gialli, che gli stavano strappando di dosso l'armatura pezzo per pezzo, senza lasciargli spazio per usare il suo spadone. Kal decise di aiutarlo.

Lo raggiunse in poche falcate, ignorando una freccia che gli sibilò ad un palmo dal viso, e conficcò la sua spada nella schiena di uno dei vampiri. Sfruttandola come leva lo sbatté a terra e lo decapitò prima che si rialzasse.

Quelle cose avevano una notevole resistenza al dolore. Erano guidate solo dal richiamo della carne, la loro fame ne faceva predatori spietati ed incredibilmente tenaci. In compenso non avevano né armi né armature.

Uno dei mostri si girò per affrontarlo, ma lui lo aprì dalla pancia al mento con un solo fendente verticale. Approfittando dello spazio creatosi, Ruben tagliò a metà uno dei suoi assalitori con un unico, tremendo colpo di spada, e quello cadde a terra come un mucchio di stracci inutili.

I vampiri rimasti indietreggiarono, ringhiando. Ci fu un rapido scambio di sguardi, poi con un balzo sparirono nelle tenebre da cui erano venuti.

Fu ancora il silenzio.

Kal si rese conto che lo scontro era finito, che lui era vivo e respirava ancora. Pian piano, rilassò i muscoli ed abbassò la spada. Ruben gli si avvicinò, il suo viso era stravolto e sembrava ancora più vecchio di quanto già non fosse.

-Grazie, Kal.- gracchiò, fra un respiro sibilante e l'altro -Ti devo la vita.-

-Non preoccuparti, Ruben, non preoccuparti...- Kal gli mollò una pacca sulla spalla, prima protetta da una spallina di ferro, e si girò verso gli altri.

Dorian gli restituì lo sguardo, un sorriso stanco in volto.

-Salvati dall'alba, che dici?-

Solo allora Kal si accorse del vago chiarore che stava ridando forma alla foresta, dissipando il buio e gli orrori che nascondeva.

-Da quella e dalle nostre spade, Dorian.-

Alessandra piangeva in silenzio, gli occhi grandi e belli sbarrati a fissare il nulla. Amanda cercava di tranquillizzarla, mormorandole parole serene e cingendola in un abbraccio materno. Nella mano destra, vicino al viso della ragazza, reggeva un lungo ed affilato coltello da caccia. Kal si chiese se fosse per i vampiri o piuttosto per loro stesse.

Immaginò la lama penetrare nella gola di Alessandra senza sforzo. Il dolore sarebbe stato acuto ma breve, le avrebbe mozzato il respiro, ma non le avrebbe lasciato il tempo di prenderne un altro.

Scacciò quel pensiero nauseante: erano tutti vivi, contava solo quello.

-Abbiamo ricacciato quelle creature infernali nel buco che li ha vomitati fuori, eh?-

Norman sembrava soddisfatto dello scontro, le sue accette grondavano sangue e lui era esausto ma rinfrancato, come dopo una bella nuotata. Kal stava per ricambiarne il sorriso, poi notò la ferita.

Un solco irregolare, un lungo graffio proprio sotto l'ombelico, rimasto scoperto nella lotta.

Norman seguì il suo sguardo, guardò in basso ed il sorriso gli appassì sulle labbra. Anche Dorian e gli altri avevano visto. Un silenzio incredulo calò su di loro.

Kal si mosse verso il compagno, lui lo guardò negli occhi e non ebbe bisogno di sapere perché la spada era ancora sguainata.

-N-no...- balbettò, alzando una mano, mettendo l'altra sulla ferita sanguinante. Aveva perso in un attimo tutta la sua forza, aveva perfino lasciato cadere le accette.

Dorian si frappose fra i due, fulminando Kal con lo sguardo.

-Tranquillo, Norman, fammi vedere...- Gwen lo mise a sedere ed esaminò la ferita.

Kal fece per avvicinarsi, ma Dorian lo spinse via.

-Non ti avvicinare, cazzo...- nella sua voce c'era una fredda determinazione, una rabbia sottile ed affilata.

-Lo hanno ferito.-

-Questo non puoi saperlo!-

-Certo che lo so, e lo sai anche tu!-

L'amico lo fissò, ostinato, senza retrocedere di un passo. Dietro di lui Gwen stava medicando la ferita di Norman.

-Ragazzi...io non lo so com'è successo...non mi hanno toccato, lo giuro! Non so com'è successo...- balbettò il boscaiolo.

-Ti sei fatto male?- gli chiese Alessandra, passando affianco a Kal e Dorian e guardandoli con diffidenza.

-Se anche gliel'ha fatta un vampiro...beh, adesso sta bene!- continuò Dorian.

-Adesso, ma per quanto? Lo sai anche tu: basta un graffio ed entro uno o due giorni sei come loro!-

-Ma adesso sta bene. E poi alcuni sono sopravvissuti...-

-Non dire cazzate, Dorian! È ferito, è marchiato!- Kal alzò la voce più di quanto avrebbe voluto.

In un attimo tutti gli sguardi del gruppo si puntarono su di lui. Si sentì inspiegabilmente colpevole. Non riusciva a capire il perché di quella stupida ostinazione: sapevano tutti cosa sarebbe successo, ma volevano chiudere gli occhi.

Li maledisse tutti, uno per uno nella sua testa.

-Non te lo lascerò uccidere, Kal.- sibilò Dorian, sostenendo il suo sguardo carico di rabbia.

Kal aveva ancora la spada sguainata.

Tutti li guardavano, nessuno interveniva.

-Uccidere chi...?- fece poi Alessandra, guardandolo con occhi confusi e timidi, quasi si vergognasse di essere rimasta indietro nella conversazione.

Kal sentì la rabbia sbollire, lasciandogli dentro solo una profonda amarezza. Per ciò che lui era diventato, per ciò che il mondo lo costringeva ad essere.

Ruben gli mise una mano sulla spalla.

-Kal, metti via quella spada, adesso...- suggerì.

-Agli ordini, ser.- Kal eseguì e si allontanò di qualche passo, fissando il bosco che pian piano emergeva dalla notte.

-Che si fa, adesso?- chiese Amanda.

-Ci rimettiamo in marcia, usciamo dalla foresta. Norman dovrebbe riuscire a stare al passo, quando peggiorerà qualcuno dovrà aiutarlo. Non contate su di me.-

Kal si mise in marcia, senza voltarsi indietro. Per un attimo fu il solo ad addentrarsi fra gli alberi, poi sentì che gli altri lo seguivano.

Potevano ritenerlo un cinico bastardo ed assassino, ma avevano bisogno di lui. Perché quelli come lui sopravvivevano. Quelli come lui andavano avanti.

Che si tenessero stretti i loro vuoti principi morali, lui preferiva tenersi stretta la vita.

 

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Capitolo 3
*** III ***


III

 

Il vento frustava l'erba alta, passando fra gli steli come un sospiro malinconico. Era la voce dell'inverno, ancora lieve, ma che presto sarebbe cresciuta assieme al freddo. Il sole era alto nel cielo, splendeva pallido dietro un sottile strato di nubi.

La vasta prateria era silenziosa, il paesaggio come privato dei propri colori. In mezzo a quel mare d'erba, sotto la luce grigia di un mezzogiorno autunnale, Kal guidava il suo gruppo, avanti, sempre in avanti e senza guardarsi indietro.

Se si fosse girato avrebbe visto Dorian aiutare Norman a camminare, cercando di tenere il passo, praticamente trascinandosi dietro il boscaiolo ferito. Erano passati tre giorni dall'attacco, ma erano usciti dalla foresta solo nel pomeriggio del secondo. Si erano mossi in fretta e per fortuna senza altri spiacevoli incontri, ma poi le forze di Norman erano venute meno.

Dorian e Ruben facevano a turni per sorreggerlo, mentre la malattia lo consumava dall'interno. Kal non aveva voluto saperne. Sarebbero venuti da lui, quando avessero avuto bisogno, nel frattempo aveva altro a cui pensare, per esempio a trovare un rifugio per quando il tempo si sarebbe inasprito.

Come richiamati dai suoi pensieri, passi svelti e leggeri gli si avvicinarono.

-Kal?- era la voce di Gwen.

Lui non rallentò, ma la donna gli si affiancò, cocciuta.

-Kal!-

-Che c'è?-

-È il momento.-

Lui si girò a guardarla. Aveva il volto smunto, gli occhi scuri arrossati e stanchi. Una bella donna con indosso troppa fatica e troppa stanchezza.

-È giunto da un pezzo, Gwen.-

-Lo so, era una cosa inevitabile. Ma ora Norman non riesce nemmeno più a reggersi in piedi...ci rallenta tutti e potrebbe diventare pericoloso da un momento all'altro, ormai.-

-E allora perché lo hai medicato, maledizione?! Potevamo farla finita nel bosco: sarebbe stata più semplice per tutti, anche per lui!- stava alzando la voce, ma non gli importava.

Gli altri membri del gruppo li seguivano in silenzio, ma sapevano benissimo di cosa stavano parlando. Tutti sapevano e tutti tacevano.

-L'ho curato- fece Gwen, avvicinando il viso al suo -perché è quello che ci si aspettava facessi. Lo so: le ferite di un vampiro sono una sentenza di morte, ma fin quando il ferito non è sul punto di trasformarsi...beh, ucciderlo sembra un omicidio agli occhi degli altri!-

-E adesso cosa sarebbe?-

-Non lo so...un atto necessario. Di pietà, anche...-

Kal non riuscì a trattenere una breve risata.

-Ti prego, dimmi che non credi a queste cazzate...-

Gwen lo guardò fisso negli occhi per qualche secondo, prima di rispondere. Il vento le tirò i capelli e passò oltre, ululando.

-No, non ci credo. Ma è così che funziona. Gli altri si fidano di me perché sanno che non li abbandonerò quando li vedrò feriti. E si fidano di te perché hai la forza di fare ciò che è necessario...ma devi farlo quando è necessario. O di te avranno solo paura.-

Fu il turno di Kal di non rispondere. Dalle sue spalle giunse l'esile lamento di Norman. Doveva soffrire come un cane, il poveraccio, ma non aveva nemmeno le forze per urlare.

-E perché dovrei farlo io?- chiese infine, ancora deciso a non lasciarsi blandire.

-Può non essere bello, ma è ciò che ci si aspetta da te. Dorian non si darà per vinto finché Norman non cercherà di azzannarlo alla gola e lo stesso vale per Ruben, coi suoi ideali di cavalleria. Tu sei una specie di capo, per tutti noi, anche se nessuno lo ha detto...se vuoi rimanerlo, devi essere disposto a fare quello che gli altri non osano.-

-Ah, 'fanculo...!-

Kal si fermò e si girò. Alessandra, Amanda e John lo superarono senza fiatare. Dorian e Ruben, nella retrovia, lo videro, ma continuarono ad avanzare al ritmo malfermo del compagno ferito. Non c'era altro da fare, comunque.

-Fermo. Mettilo giù.- disse a Dorian, quando il trio fu a pochi passi da lui.

Il Falco, che stava reggendo il boscaiolo, scambiò un breve sguardo con Ruben.

-Ti ho detto di metterlo giù.-

-Ti sei stancato di portarlo in spalla?- fece Dorian, sarcastico.

Norman fissava il terreno ai suoi piedi, pallido e magro, sembrava lo spettro di sé stesso.

-Fa' come dice, Dorian. Lo vedi anche tu come sta...- gli disse Ruben, a bassa voce.

Lui scosse la testa, le labbra ridotte ad una fessura, ma poi decise di obbedire.

-Stendiamoci qui, da bravo...- disse a Norman, aiutandolo a sdraiarsi sull'erba.

Quando ebbe finito, tornò ad incrociare lo sguardo di Kal. Non c'era più rabbia, fra loro due, solo una triste consapevolezza. Una riappacificazione voluta dall'inevitabile.

Kal s'inginocchiò sul compagno ferito, la mano sinistra poggiata sull'elsa della spada. Norman respirava a fatica, rantolando; la sue pelle era pallida e tesa come pergamena secca, tranne attorno alla ferita, dove si era fatta invece gonfia e maleodorante. Lo guardò negli occhi febbricitanti: punte dorate avevano iniziato a comparire sulle sue iridi grigie, come granelli d'oro sul letto di un fiume.

Il morbo stava prendendo il sopravvento, nemmeno Norman, alto e forte, ce l'avrebbe fatta. Presto si sarebbe trasformato in uno di quegli esseri immondi, avrebbe cercato di ucciderli tutti senza nessun rimorso. Kal lo aveva già visto accadere, ma non avrebbe lasciato che succedesse quella volta.

Il boscaiolo steso a terra mormorò qualcosa d'incomprensibile, poi voltò la testa di lato e gemette, come perseguitato da un incubo insistente.

Kal si rialzò, si tolse la polvere dai pantaloni ed estrasse la spada. L'uomo non fece nemmeno il gesto di scostarla, quando lui ne poggiò la punta sul suo petto. Lo guardò distrattamente, come se gli vedesse attraverso, nemmeno si rendeva conto di quello che gli stava succedendo.

Kal alzò lo sguardo ad incontrare quello di Ruben e Dorian. Il cavaliere annuì, un gesto d'invito, mentre l'altro distolse gli occhi, divorato dal senso d'impotenza.

-Mi dispiace.- disse Kal.

Gli affondò la lama nel petto, tagliando a metà il suo ultimo respiro.

 

 

Un cumulo di terra smossa aveva preso il posto del cadavere di Norman.

Ci avevano messo tutto il giorno a scavarlo, ed ora il tramonto arrossava il terreno che aveva ricoperto il sangue del boscaiolo. Kal, Dorian e Ruben avevano scavato a turni con l'unica pala a loro disposizione. Avrebbero dovuto aggiungere qualche pietra per proteggere la tomba, ma non ne avevano trovate di abbastanza grosse, così avevano rinunciato: non c'erano comunque molti predatori da quelle parti.

Kal era stanco e sudato, si era sdraiato lontano dal gruppo, cercando le prime stelle nel cielo mentre gli altri provavano ad accendere un fuoco con due pietre ed un po' di erba secca. La vita dei sopravvissuti tornava alla normalità, come se nulla fosse successo.

Sentì Alessandra avvicinarsi molto prima che lei gli si sedesse affianco.

Per un po' rimasero in silenzio, ognuno a conversare coi propri pensieri, poi Kal decise di muovere il primo passo.

-Cosa c'è, Alessandra?-

-Sono triste...-

Si girò verso di lei. I capelli chiari le ricadevano sul volto chino, incassato fra le ginocchia.

-Lo vedo...è per Norman?-

La ragazza annuì, senza dire nulla. Kal si tirò su a sedere.

-Non devi essere triste: tutti se ne vanno, prima o poi. Almeno lui non si è trasformato.-

-Lo so che è così che va...però a me non piace per niente!- dalla voce rotta lui capì che era sull'orlo del pianto -Perché dobbiamo morire, Kal? Tutti noi?-

Lui non seppe cosa rispondere.

-Perché? Beh...è così che funziona il mondo, Alessandra...- iniziò -A noi è concesso vivere solo per un po', ma questo ci sprona a trarre il meglio da quello che abbiamo.-

-Il meglio? Ma se non facciamo altro che nasconderci e combattere!- lo guardò negli occhi, e lui vide nei suoi una disperazione grande come il mare d'inverno. La disperazione di chi aveva perduto in un giorno il significato di una vita.

-Io...io provo ad essere allegra, Kal, ci provo! Però...quando uno di noi muore...i-io...io...- le sue parole si persero in un balbettio sconnesso, le lacrime le rigarono il viso.

Kal sentì una stretta gelida al petto, come se il ghiaccio sul quale aveva da sempre camminato si fosse rotto all'improvviso, precipitandolo nell'acqua fredda. Non poteva permettere ad Alessandra di perdere la speranza, non a lei, che era l'unica a tenerla viva per tutti.

La abbracciò, stringendola forte mentre il suo corpo era scosso dai singhiozzi.

-Shhh, su, va tutto bene.- le disse, cercando di tranquillizzarla.

La tenne stretta a sé, mentre il pianto si calmava piano piano.

-Norman è morto per difenderci. Adesso lui è in pace, dorme. Ha dato la vita per noi, e noi siamo ancora vivi. È vero: ognuno di noi deve morire, ma noi siamo ancora vivi. Non devi essere triste. Io sarò sempre qui con te.-

-Sempre-sempre?- chiese lei, alzando lo sguardo.

-Finché potrò, tesoro.- le disse.

A guardarla ora sembrava fragile come uno stelo di rosa. Eppure, senza quello stelo esile e bello, il mondo di Kal non avrebbe avuto senso. Lo realizzò in quel momento, steso su un prato vicino alla tomba di un suo compagno, che Alessandra era tutto ciò che aveva.

Il suo mondo, la sua speranza.

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Capitolo 4
*** IV ***


IV

 

 

Kal si mise a correre e Gwen lo seguì.

Uscirono dai cespugli urlando e sbracciandosi, piombando sulla radura erbosa poco più in basso, incuranti dell'aria gelida e della luce scarsa. Davanti a loro l'alba spezzava la notte, una sottile lama di luce a separare cielo e terra, all'orizzonte. Scintille di luce scivolavano sulle acque del fiume, rivelandone la presenza a qualche centinaio di metri da loro. Nel mezzo dell'erba alta, gli animali della mandria alzarono la testa, allarmati.

Erano delle vacche d'allevamento, o meglio lo erano state. Come molte altre, avevano imparato a sopravvivere nell'ambiente selvaggio, quasi non fossero mai state addomesticate. Basse, tozze e dal pelo lungo, erano un'ottima fonte di cibo per sopravvissuti affamati come loro.

Il maschio dominante, un bufalo enorme dalle corna lunghe almeno un braccio, localizzò le due figure urlanti, ormai molto vicine alla sua mandria. Saggiò l'aria: sapeva di ferro e di sangue. Nonostante la sua mole, prese la decisione tipica della preda: rivolta la testa verso il fiume, iniziò a correre, portandosi dietro il resto degli animali. Si misero in moto come un unico organismo, dapprima lenti ed incerti, poi sempre più veloci, facendo vibrare il terreno sotto i loro zoccoli.

-Via! Via, stupide bestiacce!- Kal gridava a pieni polmoni, rincorrendo gli animali più lenti del gruppo.

Aveva il fiato corto, i polmoni gli bruciavano nonostante fosse privo di spada e cotta di maglia, eppure urlare in faccia alla notte che scompariva, in faccia all'aria fredda del mattino lo rendeva euforico, quasi ebbro. Forse perché dentro di lui non c'era posto per altro, in quel momento, si sentiva svuotato di ogni pensiero, ad ogni respiro assaporava l'alba e la gettava fuori in un grido liberatorio.

Gwen non era da meno. Incitava la mandria dal lato opposto, sgolandosi e sventolando la propria lancia come uno stendardo.

In breve gli animali iniziarono a distanziarli, macinando terreno con la loro andatura goffa ma decisa, spingendosi sempre di più verso la sponda del corso d'acqua. In quel tratto la riva era praticamente piatta ed il fondo era basso, per questo le vacche la attraversavano per cercare cibo sulle due sponde ed abbeverarsi con facilità.

Dorian ci aveva visto giusto.

Kal rallentò il passo fino a fermarsi, esausto e sudato. Come per un sasso calciato giù da un dirupo, ora che la fuga era iniziata sarebbe andata avanti da sola. Riprese fiato a pieni polmoni, osservando gli ultimi sprazzi di buio cedere al giorno: sopra la sua testa le stelle più luminose si vedevano ancora, appese al confine sfumato fra luce ed ombra nel cielo.

Gwen gli si affiancò dopo poco, i capelli madidi incollati al volto ad incorniciare uno splendido sorriso.

-Che corsa, eh? Niente di meglio per svegliarsi la mattina!- gli disse d'un soffio, poggiando il proprio peso sulla lancia e mettendosi la mano libera sul fianco.

-Almeno ci siamo scaldati...sta cominciando a fare freddo, ormai...-

Il muggito spaventato della mandria interruppe il loro breve discorso. Gli animali scartarono improvvisamente di lato, per poi gettarsi fra le acque del fiume. Fra quegli imponenti corpi in movimento, Kal intravide la sagoma minuta dell'amico, con l'arco teso a cercare un bersaglio.

La freccia partì d'improvviso e senza rumore, a pochi metri di distanza una vacca cadde a terra, scomparve sotto gli zoccoli degli altri animali e poi riemerse, stesa sulla riva a qualche passo dalla salvezza.

Un centro perfetto.

-C'è riuscito davvero...- fece Kal.

-Non pensavo fosse possibile abbattere queste bestie con un semplice arco.-

-Ci vuole un ottimo arciere...ma tu non dirgli niente, o poi si monta la testa.-

Un altro sorriso. Un bene più raro e prezioso di una preda sostanziosa, solo ora Kal iniziava a capirlo.

Si avviarono insieme verso il fiume. Dorian aveva già raggiunto il cadavere dell'animale, riverso al suolo col pelo imbrattato di sangue. La freccia gli si era conficcata in gola per almeno una spanna, il cacciatore la estrasse con uno sgradevole rumore di risucchio, trovandone l'asta incrinata e storta.

-Maledizione!- inveì, poggiando la schiena contro il dorso peloso della vacca e osservando crucciato il danno.

-Puoi sempre riusarne la punta.- suggerì Kal, arrivato sul posto.

La vacca era davvero imponente, anche se non era uno degli esemplari più grossi della mandria. Avrebbe potuto sfamarli per diversi giorni, se non settimane, se avessero potuto sfruttarne appieno la carne. La triste verità era che avrebbero dovuto selezionare i pezzi migliori, e solo quelli che potevano trasportare fino al campo; ne avrebbero cotto una parte da mangiare subito ed avrebbero affumicato il resto.

-Per usarla su di te, magari...che aspettavi ad uscire allo scoperto? Io ero pronto da un pezzo! Sono stato coi piedi nel fango a congelarmi per almeno mezz'ora!- puntò la freccia rotta contro l'amico, poi ad indicare i suoi stivali, completamente incrostati di fango scuro.

Mentre loro facevano il giro largo, nascondendosi fra le piante attorno alla radura, Dorian aveva seguito la sponda del fiume, sempre tenendosi nascosto fra la vegetazione, fino al guado, aspettando poi che i compagni spingessero gli animali verso di lui.

-Non potevamo correre alla cieca come matti, dovevamo aspettare l'alba.-

-Tutte palle, ho una mezza idea di come abbiate passato il tempo, voi due...-

-Faceva così freddo, Dorian...non fossi stato a rotolarti beato nel fango ti avremmo invitato!- scherzò Gwen, avvicinandosi poi all'animale abbattuto -Comunque dovremmo finire il lavoro qui, no?-

-Lavoro, sempre e solo lavoro per me...!- Dorian estrasse da dietro la schiena un lungo pugnale; con un gesto deciso incise la pelle della vacca, iniziando poi ad allargare il taglio. Sangue, fatica e fango, tutto per un poco di carne.

 

 

Un sottile filo scuro di fumo si attorcigliava nell'aria, un vessillo nero a cavallo del vento. Il trio proseguiva lento per il saliscendi di collinette erbose che caratterizzavano il territorio, senza perdere di vista quell'esile scia: era la loro via del ritorno.

Avevano impiegato un intero giorno per recarsi al fiume, guidati da Dorian che aveva trovato le tracce della mandria in una delle sue escursioni d'esplorazione. Il ritorno ne aveva richiesti due, ma finalmente il campo era in vista. Con la carne da portarsi dietro era tutto più difficile: prima di partire avevano costruito una portantina di fortuna usando due rami d'albero, una delle loro coperte e gli ultimi metri di filo di tendine animale che avevano.

Era anche la prima volta che si fermavano tanto a lungo in un posto, prima dell'inverno, ma per tutto quel cibo ne valeva la pena: dovevano essere almeno una trentina di chili di carne, Dorian e Kal la portavano insieme, ciascuno reggendo un capo della barella, mentre Gwen li precedeva scandendo il proprio passo picchiando distrattamente il manico della lancia sul terreno.

Mosche uscite da chissà dove si erano aggiunte alla compagnia, ronzando attorno al loro bottino nel silenzio del giorno. All'inizio avevano chiacchierato, ma ora i due Falchi cominciavano ad essere stanchi del viaggio, soprattutto Kal che si era ripreso spada e cotta, e poi tutti erano concentrati sull'imminente ritorno al campo. Anche se si spostavano in continuazione, lasciandosi dietro montagne e pianure senza nome e senza ricordi, il cerchio di corpi riuniti attorno al fuoco era quanto di più vicino potessero avere di una casa.

Ed era bello avere un luogo in cui tornare, avere qualcuno che ti aspettasse e che desse significato alla tua fatica. Kal non ci aveva mai pensato prima, eppure ora gli sembrava una cosa così semplice. Voleva tornare, rivedere i suoi compagni e saperli in salvo e al sicuro.

Nonostante ciò, si fermò a riprendere fiato: le spalle gli bruciavano e a discapito della giornata fredda era comunque sudato. Gwen si accorse dello stop improvviso e si girò a guardarli.

-Solo più questa salita, ragazzi.-

Il campo era in cima ad una delle colline più alte dei dintorni, dove cresceva anche qualche piccolo albero. Era sembrato il posto perfetto dove ripararsi, perfetto anche per tenero d'occhio il territorio.

-Come mai non ci hanno visti?- domandò Dorian, d'un tratto.

-Che intendi?-

-Se avessero tenuto gli occhi aperti avrebbero dovuto avvistarci...se non l'hanno fatto significa che non sono abbastanza attenti.-

-Magari eravamo dietro una collina, quando hanno guardato...- propose Kal.

-Dovrebbero guardare sempre. Non si sa mai.-

-Glielo dirai di persona, Dorian, così potrai accantonare le tue paranoie. Su, però: dovete fare un ultimo sforzo!- Gwen riprese a camminare, affrontando con rinnovato slancio il pendio, affondando nell'erba fino alle ginocchia. Piccole cavallette saltavano via ad ogni suo passo, sparendo poi come piccoli sassi gettati nel mare.

I due la seguirono, al loro ritmo.

Kal doveva ammettere che l'amico aveva ragione: si erano raccomandati di rimanere sempre all'erta e di non allontanarsi mai troppo dal fuoco per non farlo spegnere. Anche una minima distrazione poteva costare cara, di quei tempi.

-Ehi! Ci siete? Siamo noi!- Gwen scomparve oltre la cima dell'altura.

Dorian e Kal continuarono ad avanzare cauti, attenti a non far cadere la carne per terra.

Dalla cima non giungeva alcun rumore, nessuna risposta, solo il fumo che si alzava lento verso il cielo.

-Gwen? Gwen, va tutto bene?- chise Kal, con una lieve nota d'apprensione.

La donna non rispose. D'improvviso il Falco sentì il peso del silenzio gravare su di loro.

Qualcosa non andava, Dorian non parlava, ma sapeva che anche lui aveva un brutto presentimento. Accelerarono il passo.

-Gwen? Gwen?!-

Un ultimo sprint e furono in cima.

Il campo era abbandonato, vuoto. Il fuoco al centro era quasi spento, oggetti vari, utensili e vestiti giacevano sparsi fra l'erba. Fra i cespugli e gli alberi che gettavano un po' di ombra sul posto nulla si muoveva.

Gwen fissava la scena, ammutolita e sgomenta come un pescatore difronte al deserto. Dorian e Kal lasciarono cadere la portantina senza nemmeno accorgersene. Kal scattò in avanti, frugando con gli occhi fra i resti dell'accampamento.

Dov'erano tutti? Che diavolo era successo?

-Alessandra! Alessandra!- chiamò, guardandosi attorno sperduto, il cuore stretto in una morsa di ghiaccio -John! Amanda! Ruben! Dove diavolo siete!?-

L'eco del suo richiamo rimbalzò fra le colline.

-Non è possibile...- mormorò, incapace di comprendere.

Un tocco leggero sulla spalla.

-Guarda lì...- Dorian indicò un mucchio di stracci poco più avanti.

Solo che non era un mucchio di stracci, Kal se ne rese conto ad una seconda occhiata: era il cadavere di John. Giaceva scomposto, il collo piegato ad un angolo innaturale, gli occhi sbarrati. Dalla bocca sdentata colava un sottile rivolo di sangue.

-Oddio...- anche Gwen aveva visto, ma sembrava incapace di cogliere ciò che aveva davanti agli occhi.

Dorian si chinò sul cadavere dell'anziano, tastandone il collo rotto, cercando di mantenere la calma e il distacco.

-Qualsiasi cosa sia successa...non è successa che da qualche ora.- sentenziò -Non è ancora del tutto freddo né irrigidito...cazzo...-

Si portò una mano alla bocca, quasi ad impedirsi di urlare.

Kal ascoltava a malapena.

Aveva visto tante morti, negli ultimi anni, eppure quell'ultima aveva qualcosa di sconcertante, qualcosa che non si sarebbe più aspettato.

-L'hanno ammazzato...- Gwen diede voce ai suoi pensieri, gli occhi fissi sul cadavere del vecchio, incapace di distogliere lo sguardo -Non è stato un infetto: qualcuno lo ha ucciso!-

Un assassinio.

Non avevano incontrato anima viva dall'estate scorsa, e d'improvviso metà del loro gruppo era scomparsa nel nulla, lasciandosi dietro solo il cadavere di John.

Chi fosse l'assassino non era importante, un'altra domanda si faceva pian piano strada nella mente dei tre, germogliando dal seme piantato dalla paura: dov'era andato?

Qualcosa smosse il sottobosco, uscendo allo scoperto alle spalle dei tre sopravvissuti.

 

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Capitolo 5
*** V ***


V

 

La cosa che emerse dal bosco era talmente malridotta che Kal credette di avere davanti uno spettro.

Terriccio, sangue incrostato e scuro e solo più sotto un Ruben pallido e tremante. Gli occhi gli erano sprofondati nel viso tirato, le labbra fremevano, una ferita profonda gli apriva il petto: qualsiasi cosa lo avesse colpito aveva mancato il cuore per un soffio. Il cavaliere si reggeva a stento in piedi, dava l'impressione di poter crollare al primo alito di vento.

-Ruben!- Dorian gli corse incontro, prendendolo fra le braccia come fosse un bambino malato -Va tutto bene, ecco, sdraiati...-

Quando Kal si fu avvicinato, capì quanto grossa fosse la menzogna dell'amico. La ferita pareva un pozzo di carne e sangue, e probabilmente a Ruben non ne era rimasto granché in corpo. Cosa poteva essere stato?

Una lama tozza e non troppo lunga, forse un coltello.

Si accorse che il cavaliere stava cercando di parlare e gli si inginocchiò accanto.

-L-loro sono...s-sono...-

-Camati, Ruben.- Gwen gli passò una mano sulla fronte, scostandogli i capelli sudati dal viso.

Gli occhi del vecchio la cercarono per qualche secondo, prima di metterla a fuoco. Era allo stremo. Kal si rese conto che non sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo da raccontare nulla.

-Concentrati, dicci cos'è successo...- gli sussurrò dolcemente la donna, stringendogli la mano guantata con la propria.

Contro ogni previsione di Kal, Ruben trovò la forza di parlare.

 

 

Si erano avvicinati pian piano e senza rumore, sventolando uno straccio logoro a mo' di bandiera bianca. Due puntini neri, Ruben li aveva scorti quando ormai erano a metà strada per la cima della loro collina; non potevano essere infetti, ma nemmeno i loro tre compagni di ritorno.

Aveva mandato John ed Alessandra a controllare che non ce ne fossero altri a prenderli alle spalle, ma c'erano solo quei due. Questo dava a Ruben una certa sicurezza: lui era l'unico che sapeva veramente difendersi, ma John aveva una balestra. Potevano mantenere la situazione sotto controllo.

Si accorse di sudare, nonostante il freddo. Teneva la mano destra stretta attorno all'impugnatura dello spadone e si costrinse a rilassarla. Incontrare altri viandanti come loro era cosa rara, di quei tempi, e la diffidenza fra i diversi gruppi era sempre alta, ma doveva avere fiducia: sarebbe andato tutto bene. Probabilmente avevano solo scorto il fumo e si erano avvicinati per curiosità, potevano avere qualcosa di utile da scambiare, o magari cercavano solo un po' di compagnia. Tutto poteva essere, ma non se la sentiva di abbassare la guardia.

Se solo ci fossero stati Kal e Dorian con loro...

Scosse la testa, come per allontanare quei pensieri vigliacchi: lui era un cavaliere, e come tale si sarebbe comportato. Avrebbe difeso i propri compagni...se fosse stato necessario.

John era al suo fianco, balestra in mano, a scrutare con gli occhi sottili i due viaggiatori avvicinarsi passo dopo passo. Dietro di loro Alessandra e Amanda bisbigliavano fra loro, probabilmente l'anziana stava rassicurando la ragazza, o le stava raccontando qualche storia per distrarla. Ogni tanto Ruben pensava che Alessandra era davvero tonta, eppure il gruppo non sarebbe stato lo stesso senza di lei.

-Heilà!- la voce giunse sospinta dalla brezza, interrompendo i suoi pensieri.

Una voce di donna, realizzò il momento dopo il cavaliere, la cosa lo tranquillizzò di molto. Alzò una mano, per mostrare di aver sentito e per rispondere al saluto. Gli estranei erano ormai ad una trentina scarsa di metri da loro.

-Ciaooo!- Alessandra sventolò allegra la mano, portandosi l'altra alla bocca per dar forza alla propria voce.

Ora che erano più vicini, Ruben riuscì a vedere meglio i loro ospiti. La donna era la prima, aveva lunghi capelli marroni, il volto magro e serio, coperta da uno spesso mantello nero. Dietro di lei veniva invece un uomo grosso come un armadio, calvo, le braccia spesse come tronchi d'albero. Lui sì che poteva essere pericoloso, tuttavia pareva disarmato.

-John, tieni d'occhio il gigante, sì?- fece lui.

Un colpo di balestra ben piazzato avrebbe steso anche il più massiccio degli uomini.

Pochi passi, ed i due furono in cima.

Ci fu uno scambio di sguardi fra i due gruppi, un silenzio teso sotto al sole tiepido.

-Salve! Speriamo di non avervi spaventati...avete un bel fuoco, qui.- disse la donna.

Nonostante il volto spigoloso e l'aspetto trasandato, aveva una bella voce morbida. Il suo compagno rimase zitto, aveva un paio di piccoli occhi nocciola che parevano privi di interesse o di vita. Uno sguardo che non faceva piacere incrociare.

-Nessun problema, signora. È solo che non si vedono molte facce nuove, di questi tempi. Da dove venite, se posso chiederlo?-

-Da oltre le colline...sembra più distante di quanto non sia. Voi venite da lontano, vero? Siete soltanto in quattro?-

Una domanda strana, soprattutto visto che loro erano in due. Era saggio parlare di Kal e gli altri? Seguendo il suo istinto, senza una particolare ragione, Ruben decise di mentire.

-Sì, siamo tutti qui. Perché, voi avete altri compagni ad aspettarvi?-

La donna ignorò la sua domanda, rivolse invece lo sguardo verso il gigante calvo.

-Molto bene, Adam.-

Quello che successe dopo fu imprevedibile e rapido. Il gigante si mosse più velocemente di quanto Ruben avrebbe mai ritenuto possibile, allungando la mano verso John come a volerlo scacciare via. Il cavaliere non capì cosa avesse fatto finché non guardò l'anziano al suo fianco: un coltello si era infilzato come per magia nel suo petto. John ne guardò sconvolto il manico, mormorando qualcosa d'incomprensibile.

-Che diavolo...?- fece in tempo a dire Ruben, ancora sotto choc.

Il gigante scattò in avanti, afferrando la testa di John prima che potesse sollevare la balestra, ammesso che ne avesse ancora la forza, e la torse con un movimento deciso. Lo schiocco del collo che si rompeva fece uscire il cavaliere dal trance.

Sguainò la spada, pronto ad avventarsi contro l'assassino.

Un dolore bruciante al fianco sinistro. La donna aveva estratto dal mantello un pugnale lungo ed affilato, già sporco del suo sangue.

-Maledetta!- ignorando il dolore si lanciò su di lei, tagliando l'aria con fendenti poderosi, tuttavia la sua avversaria era rapida: cercare di colpirla era come voler afferrare un granello di polvere nell'aria. Era sempre ad un passo dalla lama del suo spadone.

Con la coda dell'occhio il cavaliere vide Amanda gettarsi contro Adam, gridando come una furia infernale. Anche Alessandra urlava, terrorizzata, ma lui non riusciva a vederla.

La donna si mosse, approfittando della sua distrazione per un rapido contrattacco. Ancora una volta Ruben sentì l'acciaio graffiargli la carne, stavolta qualche centimetro sotto l'ascella destra. Cercò di rispondere, ma i suoi attacchi andarono a vuoto.

-Smettila di scappare, maledizione!-

-Sei troppo lento, ti servirebbe un'armatura intera...-

Con un ruggito il cavaliere si lanciò in un affondo: l'avrebbe trapassata da parte a parte, se fosse riuscito a colpirla. La donna scartò di lato, Ruben si girò per seguirla e per poco non perse l'equilibrio. Incespicò, la testa gli girava.

Si accorse di essere stanco, sentiva il sangue colargli dalle ferite, inzuppandogli i vestiti.

Decise di fermarsi, tenendo alta la guardia: era più saggio aspettare che fosse lei ad avvicinarsi. Gli tremavano braccia e game, cominciava anche a sentire freddo. Si rese conto con sconcerto che quella donna lo stava battendo.

Lo stava uccidendo.

Come erano arrivati a quel punto? Un secondo prima stavano conversando, ed ora John era morto e lui gravemente ferito.

-Chi sei, maledizione! Cosa vuoi da noi?!-

La donna ancora una volta non gli rispose, fissandolo invece con due freddi occhi da rapace.

Ruben sentì i passi quando era troppo tardi. Il gigante calvo piombò su di lui come una frana di muscoli ed ossa, sbattendolo a terra come un fantoccio inerme. L'impatto gli svuotò i polmoni. Ebbe giusto il tempo di chiedersi se avesse qualcosa di rotto, prima che Adam lo immobilizzasse, sedendoglisi a cavalcioni sul petto.

-Fottuto bast...-

Il coltello affondò senza sforzo. Un dolore gelido ed affilato gli mozzò il respiro, rovesciò la testa, incapace perfino di urlare. Fu allora che vide Alessandra.

Era ad un paio di metri da loro, a fissarli con occhi grandi e spaventati, le mani serrate convulsamente attorno alla bocca. Doveva andarsene, ora, o sarebbe stato troppo tardi.

-Corri...- spero che la ragazza avesse sentito quel suo ultimo sussurro. Il buio gli sbocciò davanti agli occhi, inghiottendo il mondo.

 

 

Kal ascoltò il racconto del cavaliere immerso in un muto sconcerto.

-Sono svenuto...pensavo di essere...di essere morto- Ruben prese un respiro profondo e gorgogliante, sembrò lottare con tutte le sue forze per introdurre aria nei polmoni -Quando sono rinvenuto mi sono nascosto...fra i cespugli. Avevo...avevo paura che tornassero.-

Per poco l'ultima frase non si perse in un bisbiglio.

Chiuse gli occhi, concentrandosi sullo sforzo di respirare. Era incredibile che fosse ancora vivo.

-Non importa, Ruben, hai fatto tutto il possibile.- gli disse, cercando di mantenere la voce calma -Non hai visto altro? Hai visto che ne hanno fatto di Alessandra e Amanda? Dove sono anda...-

-Kal...- Dorian lo interruppe.

Kal lo guardò con aria interrogativa.

-È morto.-

Il Falco si rece conto che l'amico aveva ragione. Il cavaliere non respirava più, si era spento, ormai privo di energie. Il suo volto aveva un'aria quasi serena, ora che non doveva più combattere contro le sue orrende ferite.

-Maledizione!-

Kal scattò in piedi come una molla, quasi tentato di prendere a calci il cadavere del compagno per la frustrazione.

Si sentì travolgere da un odio cieco e profondo: chiunque fossero i due assassini, erano venuti lì approfittando della loro buona fede e, senza alcun motivo, avevano fatto una strage. Il fatto che non ci fosse alcuno scopo evidente non faceva che rendere il tutto più difficile da accettare.

-Si sono portati via le armi.-

Kal si girò verso Dorian, anche lui si era rialzato e stava esaminando i resti del loro accampamento con sguardo attento.

-Lo spadone di Ruben e la balestra di John sono sparite.-

-Dici che è questo che volevano? Le nostre armi?- gli chiese.

-Difficile dirlo...però c'è dell'altro: dove sono i cadaveri di Alessandra e Amanda?-

Qualcosa si accese nella testa di Kal: forse c'era ancora speranza.

-Pensi che le abbiano rapite?-

Dorian alzò le spalle, incerto.

-E se fossero scappate?- propose Gwen -Magari sono ancora qua attorno, in salvo...-

-Ne dubito- fu la secca risposta del Falco –dal racconto di Ruben quei due parevano essere dei combattenti esperti. E non sembravano avere particolari scrupoli: deve essere coem ha detto Dorian.-

-Le portano alla tana del mostro...-

-Cosa?-

Dorian fece un sorriso mesto, scuotendo la testa incredulo.

-Nulla...è solo che sembra una fottuta storia d'avventura. La principessa rapita per essere data in pasto al mostro...-

Per qualche secondo nessuno disse nulla, l'inquietudine strisciava loro addosso come un serpente viscido e freddo.

-Che si fa, quindi?- domandò Gwen, spostando gli occhi da uno all'altro dei due Falchi.

La cosa più saggia era lasciare perdere: non sapevano dove i rapitori fossero diretti, erano in netto svantaggio e soprattutto sarebbero andati incontro ad un nemico formidabile. Kal non valutò nemmeno l'ipotesi.

-Le andiamo a prendere.- disse semplicemente -Cerchiamo una pista, anche la più lieve e la seguiamo. Quando raggiungeremo quei bastardi, ci pregheranno per una morte rapida.-

Dorian lo guardò per qualche secondo con un sorriso indecifrabile.

-Direi di non perdere altro tempo, allora. Ruben e John non ci faranno troppo caso...- propose, cercando un assenso negli sguardo di Kal e Gwen.

Non ci furono obiezioni: la caccia era iniziata.

 

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Capitolo 6
*** VI ***


VI

 

La città era uno scoglio in muratura in mezzo ad un mare di nebbia.

Cavalloni di foschia umida scivolavano sulle sue mura, trascinati da una corrente silenziosa e fredda. Il sole era appena sorto, tutto era dipinto di un grigiore perlaceo che sfumava la luce e confondeva le forme.

Appostati sulla cima della collina più vicina, Kal e gli altri riuscivano a malapena a scorgere i profili degli edifici più alti, ma da quel poco che vedevano sembrava una città piuttosto grossa. Nessuno aveva idea di che posto fosse, però: erano troppo lontani dai territori a loro familiari.

Avevano seguito le tracce dei rapitori fino ad uscire dal labirinto delle colline, fermandosi solo quando la luce diventava troppo scarsa per distinguere la via. Una perdita di tempo importante, soprattutto con le notti che andavano allungandosi, ma inevitabile. Tuttavia, ora avevano la meta davanti ai loro occhi.

I due assassini dovevano per forza avere lì il loro rifugio, non c'era altra ragione per addentrarsi in una città: da quando la piaga aveva consumato la civiltà, centri abitati come quello erano diventati tane perfette per i vampiri, ricche di posti in cui nascondersi fino al calare della notte. Evidentemente quella città era un'eccezione, oppure l'avevano ripulita dai vampiri. Il che era decisamente preoccupante.

-Quanti pensi che saranno?- chiese a Dorian, alla sua destra.

Il Falco fissava il paesaggio come a voler fendere la nebbia col proprio sguardo, cercando di cogliere ogni particolare che potesse essere utile.

-Mi piacerebbe saperlo. Abbastanza per un'accoglienza in grande stile, temo: se davvero vivono al sicuro in quella città, devono essere parecchi.-

-Parecchi...- gli fece eco Gwen, seduta poco più indietro -Non suona bene.-

Negli ultimi giorni era parsa sempre più stanca, un mucchietto d'ossa tenuto a stento insieme da muscoli indolenziti, ma nel suo sguardo non era mai mancata la determinazione. Kal sapeva che non si sarebbe fermata, e aveva avuto ragione.

-Diamine, non abbiamo mai incontrato gruppi di più di dieci persone...mi rifiuto di credere che possa esserci un'intera città ad aspettarci.- fece Kal.

La luce andava pian piano aumentando, ed i colori emergevano tenui dai vortici di nebbia.

-Dobbiamo essere comunque cauti, Kal. Sicuramente sono più di noi: non possiamo semplicemente fare irruzione e dare battaglia.-

-Questo lo so.- ammise lui, aprendo e serrando le dita delle mani. Serviva per il freddo, ma anche per tenere a bada il nervosismo.

-Ma non possiamo aspettare: ogni ora, ogni minuto che passa potrebbe essere uno di troppo. Non sappiamo cosa vogliano farne di Alessandra ed Amanda, ma dobbiamo impedirglielo. A tutti i costi.-

Fissò l'amico, che sostenne il suo sguardo senza problemi.

-Io sono con te, Kal, ti dico solo le cose come stanno.-

Kal annuì.

-Lo so. Ma non abbiamo scelta, dobbiamo muoverci. Faremo un giro di ricognizione delle mura, sperando che non siano abbastanza numerosi per presidiarle. Se saremo fortunati troveremo un punto d'accesso prima che la nebbia sia calata del tutto.-

-E poi?- domandò Gwen.

Tremava per il freddo. Le sarebbe servito un po' di riposo, ma non era possibile.

-Ci inventeremo qualcosa. Tu ti ricordi come si usa quella?- le domandò, alludendo alla lancia che stringeva forte nella mano destra.

-La punta verso il nemico, se non sbaglio...- rispose lei con un mezzo sorriso.

Kal glielo restituì.

-Allora sei pronta a tutto.-

Un paio di minuti dopo stavano scendendo dalla collina, al riparo del velo candido della bruma invernale.

 

 

Furono fortunati.

Anche se il cancello principale era ben chiuso, una sezione intera di mura era crollata su sé stessa, giaceva come calpestata da un gigante, anche se probabilmente erano state le intemperie e la mancanza di riparazioni a fare il danno. Comunque, le macerie non erano state rimosse e con un po' di attenzione le si poteva scalare e passare dall'altra parte.

Kal osservò il muro di cinta: doveva essere alto almeno venti metri, anche se i calcinacci arrivavano ad un'altezza inferiore.

-È una bella sfacchinata.- commentò Dorian, ai piedi delle macerie -Però ce la possiamo fare.-

-Possiamo farcela, certo. Quello che mi preoccupa è che saremo visibili e vulnerabili per tutto il tragitto...-

Il mare di nebbia si era ritirato, lasciandosi dietro solo un ristagno opaco sul paesaggio sempre più nitido. Una buona giornata, considerata la stagione.

-Non abbiamo visto guardie sulle mura, probabilmente non sono abbastanza per controllarle. Secondo me, se ci saranno guai, li avremo una volta dentro la città.-

-Potrebbe esserci un altro passaggio più sicuro.-

-Oh, ma smettila!-

Gwen si avvicinò a grandi passi alla catasta di pietre ed iniziò la scalata.

-L'hai detto anche tu che non c'è tempo da perdere! Non troveremo passaggi migliori di una breccia di dieci metri nelle mura, dobbiamo tentare, ora.-

Non si fermò neanche per quel breve discorso. Dorian si girò verso di Kal, alzando le spalle.

-Ha ragione.-

-Già, suppongo di sì...-

La scalata era meno difficile del previsto. Rocce squadrate e grosse come barili erano accatastate l'una sull'altra a formare una specie di scalinata sbilenca ed informe. Procedere con la cotta di maglia addosso era faticoso, ma Kal era sicuro di poter resistere senza rallentare fino in cima, la discesa sarebbe stata una passeggiata.

In breve tempo lui e Dorian superarono Gwen, il silenzio rotto dallo scricchiolio delle rocce sotto i loro piedi e dai loro respiri esalati a denti stretti.

Kal avrebbe voluto procedere più in fretta, ma senza la giusta cautela avrebbe finito solamente per azzopparsi e non avrebbe mai raggiunto Alessandra. Continuava a tenere d'occhio le mura, aspettandosi ogni volta di scorgere una sagoma umana a stagliarsi contro il cielo bianco come il latte, ma ancora nessun segno di vita, da quelle parti.

Le cose stavano andando bene, in fondo: la cima era a portata di mano e non avevano incontrato né sentinelle né trappole sul percorso.

Fece appena in tempo a formulare quest'ultimo pensiero, prima che il terreno gli mancasse sotto i piedi.

Fu un volo breve, come un tuffo nell'acqua, solo che ad accoglierlo ci fu solida pietra. Cadde sulla schiena e l'impatto gli svuotò i polmoni con un rantolo strozzato; una grossa pietra lo colpì sulla spalla: il dolore gli saettò su per il braccio, che un secondo dopo divenne completamente insensibile.

Kal gridò e scivolò verso il basso, portandosi dietro una piccola frana di sassi e polvere, verso un budello di pietra allagato dal buio. Cercò di far presa con mani e piedi sul terreno sconnesso, all'inizio non funzionò, ma dopo qualche metro la caduta rallentò fino a fermarsi.

In bilico su un pozzo di tenebra, per un attimo ci furono solo i suoi respiri affannati a riempire il silenzio.

-Cazzo...-

Il braccio cominciava a pulsargli, riusciva a muoverlo, ma a fatica: per fortuna era il sinistro. Si alzò, con cautela. Dal buco che lo aveva inghiottito, qualche metro più in alto, entrava luce sufficiente a dare una vaga forma all'ambiente: doveva essere finito dentro di uno dei vecchi passaggi all'interno delle mura che evidentemente non era andato distrutto. Che fosse una trappola o un pessimo scherzo del destino poco importava: la situazione non era comunque delle migliori.

-Kal? Kal!- la voce di Gwen gli giunse distorta, dall'esterno.

-Sono...sono qua sotto!- rispose, risalendo a passi misurati verso la voce.

-Questo era chiaro!- Dorian –Stai bene?-

-Sì, solo un braccio ammaccato.-

Il buco era proprio sopra la sua testa, Dorian e Gwen si sporgevano dai bordi, sollevati di vederlo camminare sulle proprie gambe.

-Non ce la fai, vero, ad issarti?- domandò il Falco.

Kal non provò nemmeno ad allungarsi.

-È troppo alto, ho bisogno di una mano.-

-E va bene, vedi solo di non trascinarmi lì sotto con te.-

Fece per porgergli il braccio, ma Gwen lo bloccò. Stava fissando il buio alle spalle di Kal con gli occhi di chi vede il lupo cattivo uscire dalla foresta.

Kal girò su sé stesso: due occhi gialli, selvaggi, si erano accesi nella penombra. Il vampiro mosse qualche passo incerto verso di lui, era alto e magro, sembrava confuso: doveva essere da tempo che non si svegliava per un pasto. Il Falco portò la mano destra all'impugnatura della spada, ma le sue dita si strinsero sul nulla.

Era disarmato.

La paura si impadronì di lui, lo pietrificò sotto lo sguardo di quegli occhi spietati, come una preda incapace di fuggire. Il vampiro emise un ringhio gorgogliante e tese i muscoli.

-Kal! Sali!- Dorian si allungò verso di lui, alle sue spalle.

Non poteva andarsene senza la sua spada: gli serviva un'arma! Valutò le opzioni in un attimo.

Un attimo di troppo.

Il vampiro scattò in avanti, Kal si scansò appena in tempo e lo spinse di lato, il mostro rovinò a terra, sferzando l'aria coi propri artigli nel tentativo di colpirlo. I detriti smossi trascinarono Kal verso il basso, ma lui riuscì a non cadere.

Si guardò attorno: altri occhi, uno dopo l'altro, si accendevano come tante piccole fiamme brillanti. Scorse anche una forma familiare, poco più avanti: la sua spada.

Si lanciò verso di essa proprio mentre un secondo vampiro si faceva sotto a bocca spalancata, Kal afferrò la propria arma, la estrasse, e con un movimento fluido gliela ficcò in gola. Il mostro si dibatté come un pesce preso all'amo, poi crollò a terra, immobile.

Ma ce n'erano altri, troppi.

Si rese conto che se non se ne fosse andato in fretta non se ne sarebbe andato più.

-Kal, avanti, CORRI!- urlò Gwen.

Pareva distante chilometri, ma Kal seguì il consiglio e corse. Un vampiro lo afferrò, spuntato da chissà dove, le unghie rasparono sugli anelli di metallo, i denti aguzzi gli si chiusero ad un palmo dal viso.

-Levati...!- Kal lo allontanò con una gomitata sullo stomaco, per poi scoperchiargli il cervello con un rapido fendente.

Gli altri vampiri erano sempre più vicini, ad ogni passo parevano più numerosi.

-Maledizione, maledizione, maledizione...- ripeté ossessivamente, come una bizzarra preghiera, riprendendo ad arrancare verso la luce, che sembrava non avvicinarsi di un passo.

Il primo dei vampiri ad averlo attaccato si era rimesso in piedi e lo aspettava a braccia aperte. Con un urlo famelico si lanciò alla carica: Kal doveva assolutamente schivarlo, o lo avrebbe ributtato giù, verso i suoi inseguitori.

Una freccia tagliò l'aria con un sibilo sottile, conficcandosi nella spalla del mostro; quello incespicò e rallentò il passo. Kal si spostò di lato e si abbassò, passando sotto al braccio della creatura mentre quella proseguiva la sua folle corsa. Girandosi appena, il Falco ebbe una fugace visione di quello che c'era alle sue spalle: denti e occhi indemoniati ovunque posasse lo sguardo.

Fece in volata gli ultimi metri, rinfoderò la spada e si lanciò verso Dorian, che lo afferrò al volo. Per un attimo temette che sarebbero caduti entrambi, poi l'amico iniziò a sollevarlo.

Qualcosa gli afferrò il piede, stringendolo in una presa di ferro.

Il volto di Dorian si fece paonazzo, i muscoli del collo gli si tesero come corde d'arpa nello sforzo di strapparlo alle grinfie del mostro.

-Lasciami, lasciami andare, stronzo!-

Kal scalciò come un cavallo imbizzarrito; colpì qualcosa col tacco dello stivale, la presa si sciolse e il secondo dopo fu libero. Dorian lo trascinò con un unico slancio fuori dalla tana e si ritrovarono entrambi stesi a terra: ansimanti, esausti, salvi. Dal pozzo di pietra giungevano grida disumane e ringhi inferociti, ma nessuno di quei mostri poteva raggiungerli: c'era troppa luce per loro, là fuori.

Fece appena in tempo a mettersi seduto, prima che Gwen lo cingesse in un abbraccio fin troppo simile ad una morsa letale.

-Grazie al cielo stai bene...- sussurrò, fissandolo in volto con occhi un po' lucidi.

Lui sorrise, ma poi la allontanò da sé con delicatezza. Le braccia gli tremavano, il respiro gli si era come incastrato in gola. Guardò verso il basso, verso la gamba che uno dei vampiri gli aveva afferrato e che gli bruciava come fosse poggiata su una pietra rovente.

Non fu una sorpresa vedere il sangue.

Kal osservò la ferita dapprima con un certo distacco, come se non si fosse aspettato nulla di diverso che quello squarcio nel polpaccio. Sapeva che lo avrebbe trovato lì, che prima o poi sarebbe finita in quel modo.

-Oh merda...!-

Dorian aveva visto. Gwen seguì il suo sguardo e si portò le mani alla bocca.

Arrivò la paura, come una corrente d'acqua fredda a stringergli il petto. Il mondo vacillò davanti agli occhi del Falco come una candela al vento, per un secondo i colori sbiadirono nel grigio e dalle ombre del giorno si fece avanti quell'oscurità, quel nulla che conosceva bene, ma che aveva pensato di essersi lasciato alle spalle.

Puoi far finta di non vedermi, di dimenticarmi, ma alla resa dei conti siamo sempre, solo io e te, giusto? sembrava sussurrargli.

Fu il tempo di un secondo, poi Kal riprese il controllo; gli altri due erano rimasti immobili, ad aspettare una sua reazione, spostando gli sguardi dalla ferita sanguinante al suo viso inespressivo.

-È tutto a posto.- si sorprese a dire.

Con gesto meccanico strappò un lembo di stoffa dai pantaloni e lo avvolse alla meglio sul graffio, per tamponare l'emorragia. Si alzò in piedi: la gamba gli faceva un male cane, ma poteva reggere.

-Ce la fai a...-

-Ce la faccio benissimo.- rispose -Andiamo avanti.-

Non c'era altro da fare. Riprese la scalata, ormai erano quasi in cima: fermarsi a piangersi addosso non sarebbe stato di alcun aiuto. Avrebbe continuato finché poteva, mettendo un piede davanti all'altro come la vita gli aveva insegnato a fare. Si disse che non era cambiato nulla: doveva trovare Alessandra, non c'era tempo per pensare al resto.

Gwen e Dorian rimasero fermi il tempo di scambiarsi uno sguardo, colmo di una tristezza troppo grande e profonda per le parole, poi lo seguirono. Una manciata di passi e furono dentro la città.

 

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Capitolo 7
*** VII ***


VII

 

La città era morta.

Scheletri deformi in legno e mattoni vigilavano ai lati delle strade, fissando con orbite vuote e buie i tre visitatori avanzare con cautela. Piccoli stormi di corvi volavano come ombre nel cielo, i ratti fuggivano a nascondersi fra le case crollate sentendo i loro passi avvicinarsi. Per strada non c'era nessuno, com'era logico attendersi, eppure il silenzio che avvolgeva il borgo sembrava aspettare soltanto di essere rotto.

Kal si guardava attorno circospetto, le orecchie tese e la mano stretta attorno all'impugnatura della spada: non avrebbe corso il rischio di perderla ancora. Zoppicava appena, nonostante il dolore. Non avrebbe mai immaginato che una ferita di vampiro bruciasse tanto: poteva sentire il morbo risalirgli su per la gamba passo dopo passo.

Cercava di non pensarci e di rimanere concentrato. Aveva una spada, mancava un nemico da abbattere.

Gwen e Dorian lo affiancavano, scrutando ogni angolo di quella tomba in muratura. Da qualche casa arrivavano dei rumori, come respiri di qualcuno profondamente addormentato, ma di sicuro non erano quello che cercavano. Tuttavia ciò rinforzava il loro dubbio: come si poteva vivere in una città infestata dai vampiri?

Dorian lo fece fermare, afferrandogli la spalla.

Gli fece cenno di tacere e guardò in alto, come a voler riafferrare un ricordo. Kal si concentrò ed il secondo dopo capì: rumore di voci. Lieve, un'eco appena udibile, eppure c'era. D'un tratto Kal si tese come una corda, il cuore accelerò i battiti: erano vicini.

-Lo senti?- gli sussurrò l'amico.

-Sì...ma da dove viene?-

-Cosa sentite?- Gwen li guardava con apprensione.

-Voci. Non possono essere troppo lontane, penso vengano da quella parte, dal centro città...- Dorian indicò una delle vie più larghe, ingombra di macerie e sporcizia portata dal vento.

-Andiamo, ma stiamo attenti: questo è il loro territorio...- li avvisò Kal.

La gamba non faceva più così male.

Ripresero ad avanzare, come ombre sfuggite al crepuscolo, i nervi tesi e gli occhi attenti. Ogni rumore era sospetto, dietro ogni angolo poteva celarsi una trappola, eppure una parte di loro bramava il primo contatto. Kal voleva solo trovarsi davanti i rapitori e passarli da parte a parte con la sua spada: un'ultima soddisfazione prima di...

Prima di lasciare la città, si costrinse a concludere. Ancora una volta, il buio si allungò per sfiorargli l'animo, ma lui lo ricacciò indietro.

Dovevano essere vicini a quello che era stato il cuore del borgo: le vie erano più larghe, gli edifici più solidi, probabilmente la maggior parte erano vecchie botteghe e laboratori. Le strade erano anche meno ingombre di sporcizia e calcinacci, forse perché venivano usate abitualmente.

Si fermarono.

Le voci ora erano chiaramente udibili davanti a loro; a qualche decina di metri sembrava esserci una grossa piazza.

-Di qua.-

Kal si addentrò in un vicolo, sperando non riservasse brutte sorprese. La penombra attecchiva alle baracche in rovina come muffa, la luce del sole non sembrava poter raggiungere quegli anfratti dimenticati e umidi. Tuttavia anche quelli erano deserti e i tre vi si fecero strada in perfetto silenzio. Entrarono in un edificio da una breccia in un muro: a giudicare dalla grossa forgia impolverata doveva essere stata la bottega di un fabbro.

Un mantice giaceva inutilizzato in un angolo, assieme a vari attrezzi arrugginiti ed ammaccati. Dalle finestre entrava una luce obliqua e sporca, la cosa importante, però, era che esse davano direttamente sulla piazza.

Kal si sporse con cautela, appena appena oltre l'orlo della muratura. Davanti a lui c'era un grosso edificio, forse una chiesa il cui campanile era crollato. Proprio sull'entrata, una manciata di persone si affaccendava attorno ad un focolare, chiacchierando animatamente.

-Eccoli, i bastardi...- sussurrò, gustandosi la parola -Io ne conto cinque.-

-Attorno al fuoco, ma hai visto sul tetto?- fece Dorian.

Kal alzò lo sguardo: altre quattro sagome scrutavano la piazza dall'alto.

-Arcieri?-

-Non lo so...c'è qualcosa di strano, non trovate?- chiese Gwen.

In effetti qualcosa c'era: le tre figure si muovevano debolmente, senza però spostarsi per davvero. Erano come spaventapasseri mossi dal vento, ma erano in carne ed ossa, non c'erano dubbi.

-Sono legati.- notò Dorian.

Sembrava incredulo, eppure certo della propria scoperta.

-Dietro la schiena hanno un palo...ogni tanto si vede quando si muovono...-

-Non è che li hanno...impalati?- domandò Gwen con un brivido.

Il Falco guardò meglio, sporgendosi un po' di più.

-No, no...sono proprio legati. Ma perché? Io di questa storia non ci sto capendo niente...-

Kal tornò a guardare in piazza. Cinque persone attorno al fuoco, solo una donna fra di loro. Non sembravano minimamente preoccupati.

Ma c'erano solo loro? Dov'erano gli altri?

Per vivere al sicuro in quella città infestata non potevano essere così pochi, a meno di avere un ottimo nascondiglio. Qualcosa gli sfuggiva, anche se sentiva la risposta agitarglisi in fondo alla mente, inafferrabile, ma presente.

Una sensazione fastidiosa.

Gwen sembrò colta di sorpresa da un pensiero improvviso. Si girò, poggiando la schiena contro il muro sotto la finestra, e contemplò per un attimo la stanza vuota. Poi si volse verso di loro, aveva gli occhi grandi e stanchi.

-Dite che li usano per tenere buoni i vampiri?-

-Intendi...?-

-Quelli legati lassù...se li usassero, beh, come esche?-

I due Falchi digerirono in silenzio la proposta. Era una cosa assurda, al limite del folle.

Kal ripensò all'idea degli spaventapasseri.

-Può darsi che li usino per saziare i mostri in città, sperando che non curiosino nella chiesa- ammise -Forse è per questo che rapiscono la gente qua attorno...per avere sempre carne fresca di scorta...-

I tasselli del rompicapo scivolarono lentamente a formare un quadro sensato, o almeno così pareva. Andavano a caccia, si rese conto Kal, ecco perché avevano attaccato il loro gruppo.

-Quei maledetti vanno in cerca di persone...- disse, come se cercasse di convincere sé stesso.

-Ha senso, che io sia maledetto! È questo che vogliono fare di Amanda e Alessandra, allora!-

Dorian spiò nuovamente fuori dalla finestra, grattandosi il mento con fare nervoso.

-Questi sono tutti fuori di testa! Chi architetterebbe mai una cosa simile? E solo per vivere al riparo delle mura di questo schifo di città...- non sembrava riuscire a capacitarsi della situazione -Quindi...li uccidiamo tutti?-

Kal gli rivolse un sorriso storto, Gwen strinse forte la lancia che teneva in grembo.

-Mi pare ovvio. Abbiamo solo bisogno di un poco di strategia...-

 

 

Un buio umido e denso sfumava i margini della cripta: era un'ampia sala rotonda, scavata nella viva roccia e tassellata di semplici piastrelle di pietra rosa, che rilucevano fioche alla luce della torica.

C'era silenzio, e a lei la cosa piaceva. Là sotto, fra le tombe che i monaci avevano scavato per i loro confratelli, il tempo sembrava non esistere. Nonostante tutto il trambusto in superficie, lì c'erano solo ombre, freddo e ricordi. Nessun orrore in agguato, nulla a turbare una quiete che pareva immutabile, come un ghiacciaio che non conosceva estate. Era un posto tranquillo, non per nulla era stato fatto per i morti, e tuttavia le porte di ferro che custodivano l'entrata delle singole camere di sepoltura andavano benissimo anche per contenere i vivi.

Si incamminò verso una di esse, il secchiello di legno che le sbatacchiava sul fianco destro, la spada ben stretta a quello sinistro. Dal secchio si spandeva nell'aria un gradevole aroma: carne di cervo cotta al fuoco. Erano solo pochi bocconi, ma sarebbero bastati, e prima avesse finito, prima avrebbe potuto tornare su con gli altri, a godersi la cena.

Arrivata davanti ad una delle celle, posò il secchio a terra e diede un calcio alle sbarre di ferro: le figure dall'altra parte si mossero, svegliate dal rumore improvviso. La ragazza era la più vicina, alzò le mani per proteggere gli occhi dalla luce della torcia, che in confronto al buio pesto cella cripta doveva sembrarle più splendente del sole. La vecchia si limitò a girare la testa verso di lei, guardandola con un'espressione di fredda ostilità.

Infine c'era il ragazzo, più indietro: lo avevano catturato qualche settimana prima e sembrava ormai allo stremo. Sarebbe stato il prossimo, decise: se aspettavano ancora rischiavano che morisse prima di potersi rendere utile.

Probabilmente il giorno dopo lo avrebbero prelevato, lo avrebbero portato da uno dei vampiri che tenevano legati sul tetto affinché ne fosse infettato. Un fantoccio perfetto per delimitare il loro territorio: i vampiri non si attaccavano fra di loro, vedevano la chiesa come la tana dei loro simili e non si avvicinavano, lasciandone in pace i veri abitanti.

Pensò che fosse quasi buffo come i prigionieri avrebbero passato al buio il resto della loro vita, per rivedere il sole solo da vampiri, e chissà cosa si provava, poi? Il sole non li uccideva, ma sembrava piuttosto cuocerli a fuoco lento, iniziando dalla pelle.

Buffo.

-Vi ho portato la cena, felici?- disse.

Le tombe si scambiarono bisbigli ironici, con l'eco della sua voce.

-Lasciaci andare...-

La voce della ragazza era ridotta a un gracidio appena comprensibile; da quanto tempo era che non le davano da bere? Doveva ricordarsi di tornare con l'acqua, dopo. La guardò negli occhi, osservando i riflessi del fuoco dar loro una luce febbrile. Se si fosse ammalata per davvero sarebbe stato un guaio, ma sembrava a posto.

-Ti prego...-

Lei lanciò oltre le sbarre i pezzi di carne, senza rispondere.

-Mangiate, dopo vi porterò da bere.-

La ragazza, qualunque fosse il suo nome, non ebbe la forza di supplicarla ancora o di maledirla. Docile ed arrendevole: un cane, rinchiuso là dentro, avrebbe fatto più storie. Lei fece dietrofront e si lasciò le cripte alle spalle, risalì in fretta i gradini che portavano alla chiesa. Fuori l'aria era molto più leggera.

Adam osservava la piazza, in piedi sulla soglia del portone aperto, un'enorme sagoma scura in contrasto con la luce del pomeriggio, che scivolava inesorabile verso il rosso del tramonto.

-Che succede?- gli chiese, avvicinandosi.

Adam si girò a guardarla ed indicò l'esterno con un cenno del capo. Anche lui era silenzioso e freddo come le cripte, e forse per quello le andava a genio; si era spesso chiesta se il suo mutismo fosse un fatto fisico o meno, ma finché eseguiva gli ordini la cosa non era importante.

Lo superò, abbandonando il secchiello davanti all'entrata, e capì cosa non andava: due estranei, un uomo ed una donna, avanzavano verso di loro con fare cauto. Non sembravano ostili, e tuttavia erano armati. Che fossero capitati lì per caso?

La cosa non quadrava. In quei pochi secondi che ebbe per valutare la situazione, decise che quei due erano in qualche modo pericolosi.

Che andavano tenuti d'occhio.

Che forse andavano uccisi.

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Capitolo 8
*** VIII ***


VIII

 

-Fermi lì! Non muovete un altro passo!- la sua voce echeggiò nella piazza e i due sconosciuti obbedirono.

L'uomo, sulla destra, alzò le mani, la donna invece continuò a stringere la propria lancia: sembrava spaventata, più che minacciosa.

-E questi chi sono, Kath?- le chiese Julius, alzatosi dal proprio posto attorno al fuoco.

Kath lo zittì con un gesto della mano. Julius era un ometto nervoso ed irascibile, e adesso era necessario sondare le acque con la giusta calma: oltre a lei e Adam erano rimasti solo in cinque in città, e tutti i loro migliori combattenti erano ancora fuori, a caccia. Sicuramente non sarebbero tornati in vista del tramonto.

Maledizione, quei vagabondi non potevano scegliere momento peggiore per capitarle fra i piedi.

-Chi siete, e che diavolo ci fate qui?-

-Noi...siamo di passaggio, cercavamo un rifugio per la notte!- rispose l'uomo, dopo qualche secondo -Non ci aspettavamo che la città fosse già occupata.-

-Non pensavate nemmeno di trovarci dei vampiri?-

I membri del suo gruppo erano tutti in piedi, alle sue spalle, in attesa che il discorso portasse ad una qualche conclusione. Il fuoco scoppiettava, ed ogni tanto il fumo li avvolgeva, passando subito oltre a cavallo dell'esile brezza.

-Ce ne sono molti anche fuori, non pensavamo che qui fosse peggio...e comincia a far freddo.- l'uomo spostò il peso da una gamba all'altra, pareva a disagio -Non è che possiamo...unirci a voi? Anche solo per questa notte.-

Qualcosa non quadrava, Kath lo sentiva. Anzitutto quei tipi erano stati maledettamente fortunati a non finire in uno dei tunnel sepolti delle mura, che loro avevano imparato ad evitare con cura. Ma tolto quello, c'era comunque un aspetto poco convincente, che però non riusciva ad afferrare e che la rendeva nervosa e vigile.

Poi la donna, la sconosciuta, guardò in alto.

Kath capì: avevano visto i vampiri legati sulla chiesa. Forse non sapevano di cosa si trattava, ma avevano visto e non avevano fatto domande, anzi, si erano fatti avanti come se non ci fosse nulla di sospetto.

Quasi come se non importasse, quasi come se li stessero cercando.

-Per favore...siamo stanchi e affamati...-

-Hey, ma chi vi credete di essere?!- Julius avanzò verso gli estranei, brandendo il coltellaccio con il quale aveva affettato la carne del cervo -Venire qui, di soppiatto e...-

Ci fu un sibilo e poi un gorgoglio soffocato. Quando Kate si girò, non capì subito cosa fosse quell'oggetto lungo e sottile che sporgeva dal collo di Juilius, poi, vedendone la punta intrisa di sangue, capì che era una freccia. Una freccia che forse era destinata a lei, e che Julius si era meritato con un passo avanti di troppo.

L'uomo si portò una mano alla gola ed alzò gli occhi al cielo, mentre il sangue iniziava a colargli giù dalla ferita sempre più copioso. Kath lo afferrò prima che cadesse a terra privo di sensi e lo usò come scudo per il secondo dardo, che gli si conficcò nel fianco esposto. Da dietro la sua copertura di fortuna, intravide la sagoma dell'arciere muoversi sul tetto di uno degli edifici che davano sulla piazza, maledettamente vicino.

-ADAM, PRENDILO!- strillò.

Adam capì e si lanciò in una corsa silenziosa ma inarrestabile come una slavina, verso la casa sulla quale era appostato l'arciere nemico. Nello stesso momento gli altri due intrusi partirono all'attacco: lei con un inarticolato grido di guerra, lui con la sola voce affilata di una spada sguainata.

Kath lasciò cadere a terra il cadavere di Julius ed estrasse la propria arma appena prima che l'uomo le piombasse contro come un falco in picchiata. Gli girò attorno, deviandone i colpi guidati da una rabbia fredda e calcolatrice: il nemico la attaccava con foga, e tuttavia evitava di sbilanciarsi.

Con la mente concentrata sul duello, sentì solo vagamente altre frecce pizzicare l'aria attorno a lei. Dietro di lei qualcuno gridava, attorno a lei la città assisteva in silenzio.

Le lame si incrociarono una, due, tre volte; l'avversario la incalzava, ma Kath riuscì ad evitare un confronto diretto. Continuò spostarsi da un lato all'altro, costringendolo a cambiare continuamente la guardia per seguirla.

Poi contrattaccò.

Schivò un affondo e rapida lo colpì al braccio, sentendo l'acciaio fare presa sul muscolo. Era una ferita superficiale, ma era comunque soddisfatta: ora l'avversario avrebbe avuto una distrazione in più ad impacciarlo.

-Chi diavolo sei?- gli domandò, tenendo alta la guardia.

L'altro non rispose, prese fiato a grandi respiri, fissandola con due occhi gelidi ed implacabili. Kath capì con improvvisa intensità che la voleva morta e non si sarebbe fermato nemmeno se gli avesse mozzato un braccio.

Ma perché?

L'uomo tornò all'attacco senza preavviso. I suoi colpi erano precisi, ma furiosi, lanciati per farla a pezzi. Schivando l'ennesima stoccata, lo vide incespicare.

Fu un momento, ma per il suo occhio era abbastanza: per qualche motivo, la gamba sinistra gli faceva male, era anche fasciata in maniera improvvisata. Si portò quindi su quel lato, costringendolo a caricare il peso sulla gamba ferita.

Cominciava ad essere stanca, sentiva il sudore inzupparle i capelli, scorrerle giù per la schiena, e sentiva il freddo di ogni soffio di vento come se non avesse indossato altro che panni umidi. Tuttavia sapeva di essere in vantaggio. Gli attacchi dell'avversario si fecero più fiacchi e, anche se riuscì a ferirla un paio di volte, finì per chiudersi scivolare sulla difensiva, zoppicando sempre più vistosamente.

-Lurida puttana...- lo sentì mormorare.

Un cupo, travolgente senso di trionfo le dipinse un ghigno lupesco in viso. Anche se il motivo di quello scontro le sfuggiva, era ormai certa che lo avrebbe vinto.

 

 

Kal si rese conto che stava perdendo.

La gamba gli pareva un blocco di marmo rovente, ed il taglio al braccio continuava a sanguinare. L'altra invece era ferita solo di striscio, sulla guancia e sul fianco, ma nulla di grave; se solo la ferita al fianco fosse stata più profonda, anche solo un paio di centimetri, sarebbe stato tutto diverso.

Invece ora si ritrovava svantaggio, a tenere salda una spada con mani che fra non molto avrebbero iniziato a tremare. L'avversaria lo fissava con uno sguardo famelico, in attesa del momento propizio per atterrarlo e finirlo.

Kal non voleva arrendersi, ma sentiva di non avere il controllo della situazione. Non sapeva come andasse a Gwen, né che fine avesse fatto Dorian. Sapeva solo di essere nel bel mezzo di una danza con la morte, zoppo e stanco.

Il sole tramontava, su di loro, sulla città, su tutta la pianura ai piedi delle colline. Uscivano le ombre, strisciavano fuori dalle case, dai ciottoli delle strade e si allungavano in silenzio verso i contendenti. Un passo falso, e sarebbe stato afferrato.

Ma continuava a ripetersi che non poteva perdere, non quando c'era il destino di Alessandra e di Amanda nelle sue mani. Continuava a ripeterselo, sperando di trasformare il pensiero in convinzione.

-Avanti, fatti sotto...- la sfidò, stringendo la presa sulla spada -Fammi vedere se sai solo scappare!-

La donna dovette crederlo sufficientemente vulnerabile, ed attaccò. Kal parò il primo colpo, discendente, cercò di far scivolare la propria lama all'interno, verso il collo di lei, ma quella deviò la risposta e girò su sé stessa, sfruttando il movimento per un fendente orizzontale.

Kal si abbassò, lasciando che la spada gli sibilasse sopra la testa. Un dolore lancinante gli risalì dalla gamba a stringergli il petto. Rimase per un momento immobile e senza fiato, con la paura di non potersi rialzare, per un momento certo di morire in ginocchio.

Strinse i denti, e fu in piedi, la punta della spada lanciata in avanti a perforare la guardia nemica. Vide l'acciaio affondare nella spalla della donna e gli parve quasi di poterne gustare il sangue. L'altra soffocò un grido ed allontanò la sua spada con un colpo violento, impedendogli di arrivare più a fondo nella carne; poi indietreggiò di qualche passo, fuori dalla sua portata.

Doveva averci ripensato, sul suo conto, e adesso preferiva attendere.

-Che c'è? Ti tiri indietro per un graffietto?- la provocò, con una certa soddisfazione nonostante la stanchezza.

Ci fu fragore di vetri rotti e un rumore come di lenzuola smosse dal vento. Lui e la donna si girarono, come di muto accordo, verso la fonte del rumore. Qualcosa era precipitato da una delle case alla destra di Kal ed ora giaceva in piazza come un mucchio di stracci neri.

Era Dorian, si rese conto lui con un brivido, scaraventato fuori da una delle finestre del primo piano.

Era morto? La cosa sembrava troppo assurda ed inaspettata per essere vera. Eppure il suo amico era lì: immobile sotto un velo di luce rosso sangue, come un grumo di vernice su un dipinto abbozzato.

Poi si mosse.

Debolmente, si girò su sé stesso, a pancia in su, ed il cuore di Kal riprese a battere. Il momento dopo, la figura portentosa di Adam uscì dall'edificio, avanzando a grandi passi verso la sua vittima. Aveva due frecce conficcate in petto, ma sembrava non farci nemmeno caso.

-Maledizione!- inveì Kal.

La donna si fece nuovamente sotto, e per poco non lo colse di sorpresa. Lui riuscì a deviarne i colpi e ad abbozzare qualche fendente; spostandosi per non scoprire i fianchi, vide Adam sollevare Dorian da terra ed iniziare a strangolarlo con compiaciuta lentezza mentre quello si dibatteva a malapena.

Ma Kal non poteva aiutarlo, poteva solo guardare impotente, deviando un affondo dopo l'altro. Pensava che l'avversaria si sarebbe ritirata dopo aver saggiato la sua resistenza, ma non lo fece, non quella volta. Quella volta sarebbe andata fino in fondo.

Il filo della lama gli passò ad un centimetro dal volto, Kal fece un passo indietro ed il muscolo della gamba sinistra si contrasse con forza, diventando come pietra.

Tutto parve rallentare di colpo.

Kal sentì il dolore affondargli le unghie nella coscia come a volerlo tirare giù; si sentì stringere i denti e soffocare un grido, curvandosi all'indietro nel tentativo di non perdere l'equilibrio.

“Adesso cado. È finita. Adesso cado.” pensò.

Gli occhi della donna incrociarono i suoi. Erano belli, notò.

-EHI TROIA!-

L'urlo era così carico di rabbia e disprezzo che lei non poté che girarsi: il sasso la colpì in piena fronte. Ci fu un piccolo zampillo di sangue, la pietra le rimbalzò sul cranio con un suono ovattato e viscido, poi la donna cadde a terra a peso morto, come non fosse mai stata in piedi.

Gwen fissava la sua vittima da qualche metro di distanza, il fiato grosso, il braccio destro ancora proteso nel gesto del lancio e gli occhi spalancati per la sorpresa: nemmeno lei si aspettava un centro simile. Kal si riscosse e si rese conto di essere ancora in piedi, dopotutto. Con un calcio allontanò la spada che la sua avversaria aveva lasciato andare; la donna farfugliò qualcosa e cercò di rialzarsi, il sangue le rigava il volto, sempre più abbondante. Il Falco la afferrò per le vesti e la tirò su, premendole la spada sulla gola.

-Fermati, Adam!- gridò Kal, tenendo stretto il proprio ostaggio meglio che poteva.

Il gigante calvo si girò verso di lui, continuando a reggere Dorian a mezz'aria senza sforzo apparente. Le dita di Dorian erano avvinghiate attorno ai suoi polsi, nel vano tentativo di allentarne le stretta.

-Lascialo andare o giuro che la ammazzo!- gridò ancora.

Non sapeva se avrebbe funzionato, ma non aveva altra scelta. La gamba gli doleva da impazzire, un dolore che anziché alleviarsi sembrava crescere pian piano fino ad escludere qualsiasi altra sensazione. Non poteva combattere ancora, se Adam non cedeva era finita.

Lentamente, quasi con delicatezza, Adam mise a terra Dorian. Lui crollò in ginocchio, per poi strisciargli lontano prendendo aria a pieni polmoni. Adam continuava a fissare Kal come un cane da guardia fissa un intruso.

-Maledetto buono a nulla...- sibilò la donna.

Stava tornando lucida, nonostante la botta.

-A quanto pare il figlio di puttana ci tiene a te...-

Dorian si era rimesso in piedi e si avvicinava zoppicando. Aveva un coltello piantato in petto, sulla destra: provò a smuoverlo, fece una smorfia di dolore e decise di lasciarlo dov'era. Gwen gli corse incontro e lo aiutò a stare in piedi: non era ferita, ma pareva allo stremo

-Lasciami, lasciami, ce la faccio...- Dorian si staccò lentamente da lei e mosse da solo gli ultimi passi che lo separavano dall'amico.

-Sicuro di stare bene?- gli domandò Gwen, dubbiosa.

-Sì...per essere stato accoltellato ed essere precipitato fuori da una finestra, sì...- il suo sorriso era tirato e fragile, ma sincero.

I tre si guardarono in faccia, fissandosi ognuno coi propri occhi stanchi, eppure ancora vivi, ancora pronti ad andare avanti. E per quell'attimo non ci furono parole.

-Ci hai ammazzati tutti...-

Era stata la donna a parlare, riportandolo alla realtà e alla missione che ancora doveva compiere.

-Sei contento ora? Ci hai ammazzati tutti...-

-Tu respiri ancora, purtroppo.- notò Dorian.

-Dove sono i prigionieri? Dove li tenete?- chiese Kal, lanciando nel frattempo uno sguardo ad Adam.

Era ancora immobile, eppure sembrava più vicino. Aveva mosso qualche passo? Oppure no? Doveva starci attento.

La donna non rispondeva, stringeva con le mani il braccio con cui la teneva ferma, ma per il resto non sembrava reagire.

-Allora? Sappiamo che li tenete qui da qualche parte: parla!-

Un piccolo aumento di pressione e la lama incise la carne della sua gola, ma lei non ci fece nemmeno caso. Sembrava assorta in pensieri che la stavano portando molto lontano, o forse era ancora stordita?

-Siete qui per la ragazza e la vecchia.- disse poi.

Emise un verso rauco che forse era una risata.

-Ecco perché avete ucciso tutti...per una ragazza e una vecchia...-

-Dimmi dove sono.- le intimò Kal.

-Io non ti dico un cazzo.- era tornata seria all'improvviso, la risata si era spenta così com'era nata.

Kal la spinse a terra, le piantò la gamba ferita sul petto e la punta della spada sulla gola. Si godette per un attimo la sensazione di pesarle sul petto, di schiacciarle il respiro sotto il proprio tacco, poi cercò il suo sguardo per farle capire che non stava scherzando.

-Parla ora. Parla o ti ammazzo.-

-Fottiti.-

Gli occhi di lei non tradivano la minima esitazione: sarebbe morta, pur di non parlare. Lo odiava, per quello che aveva fatto a lei ed al suo gruppo. Bene, che lo odiasse pure: ma se non riuscivano a farla parlare c'era il rischio di dover setacciare tutta la città prima di trovare Alessandra. E non era detto che ne avessero il tempo.

Rimasero così per qualche secondo, ognuno a saggiare la determinazione dell'altro, a sfidarsi in silenzio e nell'ultima luce che il sole concedeva loro.

-Dovrai uccidermi.- disse lei, quasi compiaciuta -Le tue amiche sono già morte, e se non lo fossero non ti aiuterei a salvarle. Uccidimi, come hai ucciso gli altri: non credere che la cosa mi spaventi.-

Kal non poté fare a meno di rabbrividire al pensiero di essere arrivato troppo tardi, anche se era sicuro che la donna gli stesse mentendo solo per fargli male. Tuttavia diceva il vero: non avrebbe parlato. Ma lui non si sarebbe rimangiato la propria minaccia.

-Come vuoi, allora. Non credere che la cosa mi dispiaccia, dopotutto.-

-Sono...nelle cripte.-

La voce lo colse di sorpresa. Era una voce acuta, quasi femminile, ma non era quella della donna: era stato Adam a parlare. Kal si girò nuovamente verso di lui, sorpreso che da un colosso del genere potesse uscire una voce così.

-Le cripte?-

-Adam, maledizione, zitto!-

-Sono nella...nella chiesa...dietro l'altare...- spiegò il gigante.

Sembrava fare fatica a scandire le parole: forse era per questo che non aveva ancora mai parlato, o forse era stato zitto talmente a lungo da dimenticarsi come mettere una lettera dopo l'altra.

-Lasciala andare, per favore...-

-Sei uno stupido, un maledetto stupido...- lo accusò la donna che aveva appena salvato.

O almeno ci aveva provato. Kal guardò i compagni: i loro volti assentirono, senza bisogno di domande.

-No, non credo.-

La lama affondò nella gola di lei senza difficoltà: il sangue uscì a fiotti dalla ferita, imbrattandole il volto e spargendosi sul pavimento. Qualcosa le si accese negli occhi, forse sorpresa o dolore, ma l'attimo era già svanito: fu una morte silenziosa e troppo breve, per i gusti di Kal.

Adam guardò la scena come se non si fosse aspettato altro, come un uomo contempla un castello di carte abbattuto dal vento. Non si mosse, come congelato in quell'attimo di malinconica certezza, poi tese i muscoli e gonfiò il petto.

L'attimo dopo era partito alla carica.

Kal alzò la spada e cercò di colpire il gigante non appena fu a tiro, quello schivò la lama e lo buttò a terra con una spinta. Il Falco cadde sulla schiena, Adam torreggiava su di lui; cercò di rialzarsi, ma scoprì di non averne la forza.

Prima che Adam potesse accanirsi, Dorian gli balzò sulle spalle, cercando di strangolarlo o di farlo cadere. Il gigante si dimenò come un cavallo impazzito, sballottando Dorian da una parte all'altra; quello tenne stretta la presa come meglio poté, ma alla fine Adam se lo scrollò di dosso come una coperta logora, ed anche lui fu a terra.

Ma non ci fu tempo per altro.

Gwen scattò in avanti e gli conficcò la lancia dritta in petto, per più di una spanna. Adam grugnì ed afferrò l'asta di legno, quasi a volersela strappare dalle carni.

-Muori, maledetto, muori!- stillava Gwen, rigirando la lancia nella ferita.

Altro sangue bagnò il terreno, ormai scivoloso, ma il gigante non voleva arrendersi. Avanzò di un passo, poi di un altro, sempre torcendo le mani enormi attorno al bastone che gli affondava nel petto. Aveva uno sguardo folle, stralunato: voleva afferrare Gwen, colpirla, ucciderla, mangiarla.

Poi, come se la punta della lancia fosse infine arrivata toccare a ciò che lo teneva in piedi, Adam crollò a terra e non fu altro che una massa portentosa di muscoli morti.

 

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Capitolo 9
*** IX ***


IX

 

Il tramonto.

Mentre la luce del sole si aggrappava alla terra, nel tentativo inutile di non scivolare oltre l'orizzonte, Kal si chiese quanti ne avesse visti in vita sua; quante volte avesse assistito, senza nemmeno prestarci attenzione, a quel rincorrersi senza fine, o scopo, di luce ed ombra a scandire il ritmo della sua vita.

Era certo, tuttavia, che quello sarebbe stato l'ultimo. La cosa gli parve triste in un modo che non avrebbe saputo definire: si sentiva come un viaggiatore, avido di vita e scoperte, che avesse infine raggiunto il limite estremo del mondo. Impossibile andare oltre, ci si poteva solo voltare per guardare la strada percorsa.

E così, scivolando sulla luce obliqua degli ultimi raggi, Kal cadde in ginocchio senza più la forza o il desiderio di rialzarsi.

Il dolore lo scosse appena. Era ormai entrato in quello stato di torpore che sapeva precedere la febbre e il delirio; la gamba aveva retto, almeno fino a quel momento, salvo qualche fitta. Non fosse stato così, non sarebbe mai riuscito a lasciare la città assieme agli altri. Si erano trattenuti per la notte, al riparo delle mura della chiesa, per poi partire ai primi raggi del sole.

Era stata una delle notti peggiori che Kal ricordasse: quei mostri erano ovunque fuori dal loro rifugio. Li sentivano sul tetto, ne sentivano i passi e i richiami nella piazza, mentre si cibavano dei resti di Adam e degli altri rapitori. Un banchetto che la notte celava pietosamente ai loro occhi, ma che era impossibile non immaginarsi; e se uno di quegli esseri, anche uno solo fosse entrato, per loro non ci sarebbe stato scampo conciati com'erano. Tuttavia, ancora una volta l'alba aveva scacciato le ombre e loro erano stati risparmiati.

Alla mattina avevano pensato di salire sul tetto e sgozzare i vampiri, ma poi avevano rinunciato: ci sarebbe voluto tempo ed era rischioso. Per quanto sembrasse ingiusto il destino toccato a quei tre disgraziati, loro non potevano farsene carico, non dopo tutta la fatica fatta per uscire vivi dallo scontro del giorno prima. E così se n'erano andati, lasciandosi alla spalle quel luogo pieno di orrori e di silenzi gelidi.

Avevano camminato tutto il giorno, all'andatura più spedita che potevano sostenere, per mettere più strada possibile fra loro e quello che sapevano essere un enorme covo di vampiri, e le tre ombre che erano i suoi compagni continuarono a camminare ancora per un poco, prima di accorgersi che lui si era fermato.

Non erano riusciti a salvare Amanda.

Anche se Kal non lo avrebbe ammesso ad alta voce, il pensiero di averla persa gli era rimasto bloccato in gola come una spina fastidiosa. Quando l'avevano trovata era morta da poco, ancora tiepida, ma congelata per sempre in un sudario di rabbia e risentimento, lo sguardo duro perso nel vuoto. Se n'era andata così, maledicendo il mondo e sfidando le tenebre, esalando il suo ultimo respiro in quel buio di pietra che teneva fuori il sole. Ad un passo dall'essere salvata.

Nella stessa cella avevano anche trovato il corpo di un ragazzo, respirava appena e non riuscivano a svegliarlo. Troppo debole per essere aiutato, ormai.

Quello di cui però era grato, di cui tutti erano grati, era che Alessandra fosse sopravvissuta. A tirarla fuori dalle cripte era parsa attaccata alla vita con un filo, ma poi si era ripresa in fretta. Aveva pianto tanto, ma si era ripresa. Forse perché sapeva di essere al sicuro, di essere stata ritrovata. In un certo senso, di essere tornata a casa.

-Kal?-

La voce di Dorian gli fece sollevare gli occhi. Il Falco gli si avvicinò, e lo osservò con aria preoccupata.

-Stanco, eh? Come ti capisco...- gli disse, cercando una leggerezza che la sua voce non aveva.

-È stata una bella camminata.- Kal provò a sorridere.

Era una sua impressione, o si faceva buio in fretta? Faceva già fatica a distinguere il volto di Dorian, a poco più di un metro da lui. Tutto era sfumato e privo di contorni, sprazzi di arancio vivo si spegnevano nel grigio cenere.

-Dai, ti aiuto a rialzarti.-

-No, Dorian...-

Quello si chinò su di lui, ignorandolo, cercando di tirarlo su. Gwen e Alessandra si erano fermate, ed ora tornavano indietro, verso di loro.

-Dorian, dico davvero, fermo...-

-Avanti!-

-Dorian, lasciami stare!-

Non urlò, o almeno non molto forte, eppure il Falco si ritrasse di scatto, come se temesse di essere aggredito. Morso, forse?

Kal riprese fiato, mentre l'amico lo squadrava, in silenzio. Alessandra e Gwen li avevano raggiunti; Kal osservò i suoi compagni senza dire una parola, come se li vedesse per la prima volta nonostante il crepuscolo. Erano quei tre motivi, esausti ed ammaccati, ad averlo spinto sempre avanti, ad avergli dato la forza di sopravvivere. Kal si era sempre fidato solo del proprio braccio e della spada che brandiva, ma ora capiva che solo quello non sarebbe mai bastato.

E tuttavia, ora non gli riusciva di trovare la forza di fare un passo in più.

-Non ce la faccio più, Dorian. Dovete lasciarmi.- lo disse guardandolo in faccia, e Dorian non distolse lo sguardo. Il sole morente accendeva qualcosa di fioco e tremulo negli occhi dell'amico, il resto del volto era ormai oscurità.

-Certo che ce la fai, non fare la femminuccia!-

-Dorian, non rendere la cosa...-

-Maledizione Kal! Ma che vuoi? Che ti lasci qui a morire? O preferisci che ti ammazzi io, eh?-

-Io...-

-È semplice mollare, eh? Se sei un vero guerriero combatti, Kal, alzati! Alzati e...-

-Dorian, ha ragione lui.- lo interruppe Gwen.

Il Falco si girò verso di lei, interrompendo a metà i gesti affannati con cui stava torturando l'aria, un momento prima.

-Come dici?!-

-Con te è sempre la stessa storia: sai come me che questo momento arriva sempre. Kal...Kal non sarebbe qui in ginocchio, se ce la facesse continuare...- riuscì a terminare la frase prima che la voce le si rompesse.

Portò una mano alla bocca e così rimase, fissando un punto imprecisato oltre la spalla di Kal. Non voleva lasciarsi andare, e lui la capiva: avrebbe reso tutto più difficile. Del resto, nemmeno lui era mai stato troppo sentimentale, quando si trattava di farla finita con un infetto.

Dorian si passò una mano sul viso, poi fra i capelli. Sbuffò, fece per andarsene e tornò indietro, ma non riuscì a ribattere.

-Lo lasciamo qui?-

-Sì, io mi fermo qui, Alessandra...-

Dopo un attimo di indecisione, la ragazza si inginocchiò con lui e lo abbracciò, stringendolo forte. Non piangeva, non quella volta. Kal ricambiò la stretta come meglio poté, tuffando il viso fra i suoi capelli di cui riusciva quasi a sentire il colore brillante.

-Grazie.- gli disse lei, semplicemente. E poi -Ti voglio bene.-

-Anch'io te ne voglio...- riuscì a rispondere Kal, contro ogni sua stessa aspettativa.

Il secondo dopo la ragazza si allontanava a passi svelti, portandosi via il proprio profumo e le lacrime non più trattenute.

-Addio Kal.- anche Gwen si inginocchiò, baciandolo con dolcezza sulla fronte -Saremo forti.-

Il tempo di un sorriso ed anche lei si era allontanata, irraggiungibile.

Kal sentiva un dolore profondo agitarglisi dentro, sentiva male in una qualche piega del proprio animo di cui non avrebbe mai sospettato l'esistenza. Alzò gli occhi al cielo, trovandoci le prime stelle, timide, eppure ben visibili. Erano circondate dalla notte, un buio molto più grande di loro e che avrebbe potuto inghiottirle tutte, eppure splendevano.

Gli parve che dovesse significare qualcosa.

-Kal...- Dorian esitò, alla ricerca delle parole giuste -Beh, cazzo...mi dispiace finisca così.-

-Finisce sempre così, Dorian. Prenditi cura delle ragazze, dopo.-

Dorian annuì, senza aggiungere altro.

-Sai che...sì, insomma, non posso fermarmi a seppellirti, siamo ancora vicini alla città.-

-Sì, capisco, me ne farò una ragione.- era assurdo trovarsi a discutere di cose del genere, quasi buffo, a suo modo.

-Che poi, uno come te chi se lo mangia...- scherzò Dorian.

E all'improvviso non ci fu nulla da dire.

-Avanti, finiamola.-

Dorian impugnò l'arco e scelse una freccia dalla faretra. La certezza di stare per morire colpì Kal senza preavviso e con violenza. Il panico gli risalì in gola, minacciando di affogarlo come acqua marina, ma lui lo ricacciò indietro: non sarebbe morto in preda alla paura. Dopotutto lui era un guerriero, un Falco di Sadhora; avrebbe guardato in faccia la morte senza esitare.

Tuttavia non poté scacciare quella sensazione di ineluttabilità, di essere arrivato ad un confine invalicabile, se non con la speranza. Gli occhi gli scivolarono per un momento verso le sagome di Alessandra e Gwen, appena visibili in lontananza. Con la mente, rivide i fili d'erba mossi dal vento, in un altro tramonto che pareva ormai lontano anni. Si ricordò di come avesse cercato qualcosa, allora: un'intuizione, una certezza che desse colore alle sfumature del suo mondo.

E ora? Lo vedi, ora?

La voce di Alessandra lo raggiunse come fosse ancora affianco a lui.

-Pronto?- gli chiese Dorian, dopo aver incoccato la freccia.

Kal annuì.

Dorian sospirò -Addio, Kal.-

Lui chiuse gli occhi, in attesa.

 

 

 

Non era poi così buio, in fondo.

 

 

 

 

E siamo alla fine. Quasi non mi sembra vero. È stata una faticaccia, ma anche una bella esperienza, scrivere questa storia, ed arrivare fino in fondo non può che riempirmi di soddisfazione. Certo, spero di aver dato al mio racconto un finale degno, magari buono; quel che è certo è che ho fatto del mio meglio.
Ti ringrazio per essere arrivato fino alla fine. Spero vorrai lasciare una recensione, un parere, un piccolo segno del tuo passaggio: ti assicuro che sarebbe una cosa graditissima.
E per il resto...beh, grazie ancora, e alla prossima!

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