Rosa de los Vientos di HamletRedDiablo (/viewuser.php?uid=56405)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scirocco ***
Capitolo 2: *** Libeccio ***
Capitolo 3: *** Zefiro ***
Capitolo 4: *** Bora ***
Capitolo 5: *** Maestrale ***
Capitolo 1 *** Scirocco ***
Rosa de
los Vientos
Scirocco
Cercò
di non aggrottare le sopracciglia, per prevenire la
formazione delle rughe d’espressione, così
antiestetiche. Tuttavia, le ciarle
del menestrello mettevano a dura prova i suoi sforzi di contenimento:
l’intonsa
epidermide frontale si sarebbe incartapecorita come pergamena consumata
se quel
cantastorie non si fosse zittito.
Il
suo romantico spirito francese lo portava ad apprezzare
le ballate sentimentali e i sospiri delle cetre. Ma quelli emessi dal
musicista
vagabondo erano storpiature dell’arte amorosa in versi:
eroine scialbe,
personaggi privi di spessore, fatti incoerenti e rime forzate.
Tentò
di concentrarsi sull’aroma fruttato del vino nel suo
calice. E, proprio in quel momento, il traballante aedo
crollò definitivamente:
un lieto fine insulso e banale, che metteva in ridicolo tutte le
peripezie
narrate in precedenza.
«Se
permettete, signori» esclamò, accaparrandosi
l’attenzione dei presenti con una teatrale entrata in scena.
«Vi racconterò io
una storia d’amore che meriti davvero di essere
tramandata.»
Il
pubblico fu rapido nell’indirizzare la propria attenzione
sul vistoso francese: quelli che avevano formato un semicerchio attorno
al
musico ruotarono le sedie verso il nuovo narratore, chi stava mangiando
lanciò
un’occhiata tra una cucchiaiata e l’altra,
l’abbondante ostessa torse il collo
per ascoltare mentre continuava a sistemare le stoviglie appena lavate.
«Quanti
di voi sono stati in Spagna?» Francis si attardò a
contare le mani alzate per accrescere la suspence.
«Terra meravigliosa, non è vero?
L’ospitalità latina è impagabile. Dopo
quella
francese» non poté fare a meno di sottolineare,
scrollando la chioma bionda e
ondulata. «Immaginate quindi strade assolate, lastricati
odorosi di
mediterraneo e case piacevolmente rumorose. Questa è la
terra che ha dato
origine alla storia che sto per raccontarvi.»
Ovviamente
il paesaggio spagnolo non era sempre così
idilliaco. Ma l’abilità di un narratore stava nel
rendere unica la
quotidianità, e smussare gli elementi meno delicati.
«Sapete,
signori, spesso sono le piccole cose a creare i più
grandi sconvolgimenti» continuò, sapientemente
petulante. «Antonio Fernandez
Carriero lo sapeva molto bene.»
«Chi
è questo signore?» un bambino dagli occhi vispi si
sporse dalle ginocchia della madre per porgli quella domanda.
«Uno
dei nostri protagonisti» gli rispose Francis, mentre la
genitrice lo rimetteva al suo posto. «Antonio aveva condotto
una vita
avventurosa: in gioventù era stato un corsaro della corona
spagnola. La fama
della sua nave, La Reina, era tale
che nemmeno l’Olandese Volante e la sua ciurma
d’oltretomba incutevano tanto
timore in chi solcava i mari.»
«Non
avete detto che era un corsaro, e non un pirata?»
protestò un vecchio bucaniere in prima fila.
«L’abilità
in battaglia spaventa sia da alleata che da
nemica» controbatté Francis. Accarezzò
la barba dorata prima di riprendere:
«Dicevo, le piccole cose creano grandi sconvolgimenti. Fu
così per Antonio. Non
avrebbe saputo contare le volte in cui la nera signora aveva cercato di
carpirlo sottoforma di una lama puntata alla gola, ma era sempre
riuscito a
sfuggirle. Finchè…» si godette il
rumore del respiro trattenuto del pubblico e
proseguì: «Un giorno, la signora con la falce
tentò di portarlo con sé facendo
cantare la pistola di un suo nemico. Quello sparo fu micidiale: Antonio
fu
colpito alla gamba.»
«E’
morto?» soffiò atterrita una trecciuta bambina
seduta
sul pavimento.
«No,
graziosa fanciulla, non morì» la
rassicurò Francis con
un sorriso smagliante. «I suoi uomini lo soccorsero
prontamente: si consumarono
le braccia per la fretta con cui remarono verso il porto, e con la
stessa foga
cercarono un dottore. Il medico sbrodolò un elenco
confusionario di termini
tecnici che si tradussero in una semplice realtà: Antonio
sarebbe rimasto zoppo
per il resto della vita.»
La
compassione si abbatté sui volti degli astanti, e Francis
ne approfittò per aggiungere un pizzico di melodramma:
«La
pallottola aveva leso irrimediabilmente i muscoli della
coscia, non più in grado di sostenere il corpo senza
l’aiuto di un bastone da
passeggio. I giorni per mare di Antonio erano finiti: la sua ciurma
venne
affidata ad un altro capitano e la sua nave ripartì senza di
lui.»
«E’
triste…» piagnucolò una ragazzina sui
tredici anni.
«Oh,
ma Antonio era un uomo forte, e, soprattutto, venne
ripagato profumatamente per il lungo servizio svolto. Decise di
investire parte
di quella somma per diventare proprietario di un albergo in riva al
mare,
vicino alla sua patria di flutti. Il suo carattere socievole gli fece
guadagnare la simpatia dei suoi dipendenti come in passato era stato
per il suo
equipaggio, mentre la furbizia che lo aveva reso famoso tra i capitani
gli
permise di evitare gli sprechi e di far prosperare la sua
attività.»
«Non
avevate detto che questa era una ballata d’amore?»
gli
fece notare una donna con i folti capelli raccolti a crocchia.
«A me pare più
un racconto di avventura…»
«Ancora
un secondo, mia dolce signora, e sarete soddisfatta.»
Una spolverata di rosso incipriò le guance della donna.
Francis sorrise: il
sangue francese non tradiva mai. «Era bastata una pallottola
a cambiare il
mondo di Antonio. Una cosa non più grande di
così» mimò l’ampiezza del
proiettile avvicinando tra loro pollice ed indice. «E
all’incirca della stessa
misura fu il secondo oggetto che segnò un netto cambiamento
nella sua vita.»
«E
che cos’era?» cinguettò un pargolo in
seconda fila.
«Una
peseta. Che
gli portò…» Francis esitò.
Non poteva fare una descrizione realistica della
persona in questione: il suo svenevole animo di esteta ne avrebbe
sofferto. «…
la più squisita delle creature che abbiano mai posato il
piede su questa terra.
Oh, signori, se solo voi aveste potuto vedere il castano della sua
chioma! Una
tinta calda e lucente che splendeva sui capelli e subissava le iridi
dolci. E
il viso… orde di cavalieri si sarebbero sfidati per quel
volto soave! E il
corpo, signori, avrebbe fatto impallidire Afrodite in
persona!»
Francis
fece in modo che la sua espressione sognante non si
incrinasse mentre descriveva un simile bocciolo: il suo spirito
realista si
stava strappando i capelli nel sentire tante falsità.
«E
chi era questa donna? Come si sono conosciuti?»
gorgheggiò un gruppetto di amiche alla sua destra,
trepidanti.
Francis
giocherellò con la barba, indeciso. Meglio non dire
loro che, in realtà, stava parlando di un maschio. In fondo,
stava già raccontando
abbastanza bugie per addolcire l’immagine scorbutica di
quell’italiano.
«Erano
i primi giorni di marzo» presentò.
«Antonio lavorava
nella sua locanda nonostante la gamba malata, come ogni buon gestore
dovrebbe
fare, ma la cicatrice dolorante gli impediva di svolgere diversi
compiti. Uno
di questi era di recarsi al mercato per fare compere. Sapendolo, molti
commercianti inviavano i loro garzoni per portargli frutta, verdura,
carne,
tessuti o altro. Quel giorno in particolare, Antonio aveva richiesto
una cesta
di pomodori…»
***
«Antonio,
è arrivato il ragazzo del fruttivendolo.»
Il
cameriere attese che il padrone della locanda recuperasse
il bastone e lo raggiungesse.
Antonio
era riuscito a rendere elegante il suo claudicare.
Il falegname della piazza maggiore aveva impiegato quattro giorni
interi per
fabbricare quel bastone, ma il risultato era stato eccellente: la carta
vetrata
aveva levigato il legno robusto, che era stato successivamente lucidato
e
dotato di una impugnatura di metallo finemente lavorata, raffigurante
scene di
vita marina. Quando Antonio camminava, stringeva tra le dita quello che
era
stato il suo passato: un galeone frangeva le onde, e la fauna marina si
affollava tutto attorno.
«E’
già qui?» si sorprese, facendosi indicare il luogo
in
cui il garzone attendeva.
«Non
l’ho mai visto prima. Sembra…» il
cameriere abbassò la
voce nell’esprimere il suo parere personale:
«Sembra sul punto di azzannare
qualcuno.»
Antonio
torse un sopracciglio, perplesso. Se il ragazzino
smilzo che reggeva la gerla di pomodori avesse provato a mordere
qualcuno, si
sarebbe rotto i denti. Aveva il fisico di un filo d’erba, e
lo sguardo seccato
di un animale randagio.
Qualche
ciuffo castano, della stessa tinta degli occhi
infastiditi, era sfuggito al cappello che lo proteggeva dal sole
mattutino. Gli
abiti che lo coprivano si accatastavano uno sull’altro in un
disordine di forme
e colori: doveva essere un trovatello vestito con le elemosine dei
caritatevoli.
«Sono
dieci pesetas»
comunicò il ragazzo senza nemmeno salutare, stringendo il
canestro di verdura
come se temesse una rapina.
«Dieci,
d’accordo…» ripeté Antonio,
frugando nelle tasche.
Contò velocemente le monete raccolte sul suo palmo: nove pesetas.
«Ne
manca una» espose la mano perché anche il giovane
potesse vedere. «Torna al termine del tuo giro e te la
farò avere.»
«Fossi
matto!» inorridì il garzone, arretrando di un
passo.
«Lo sai quante bastonate sono, se si torna in bottega con una
peseta di meno?»
«Bastonate?»
si stupì Antonio.
«Conosco
il trucco. Io me ne vado fiducioso, e quando torno
mi sento dire: “Io ho pagato tutto quanto, marmocchio,
sloggia!”. E’ il mio
groppone che ci rimette, per gli sconti!» poggiò
il paniere a terra e vi si
parò davanti, a braccia conserte. «Niente crediti.
O hai i soldi, o mi riporto
indietro i pomodori.»
Antonio
squadrò di nuovo il ragazzo mingherlino, annichilito.
Credeva davvero di intimidirlo? Persino da zoppo gli sarebbe bastato un
nonnulla per scavalcare quel mucchietto d’ossa.
Ma
non era sulla stazza inconsistente del ragazzo che voleva
focalizzarsi.
«Hai
detto bastonate» insistette. «Vieni picchiato
spesso?»
Il
garzone sollevò il mento, insolente. «Sono dieci pesetas» ribadì.
«Ti
ho chiesto…»
«Dieci.»
Antonio
passò una mano tra i capelli scuri, sospirando per
la cocciutaggine del ragazzo.
«Dovrai
seguirmi di là» gli disse, indicando il bancone
con
la testa.
Il
giovane lo tallonò, senza togliere lo sguardo dal suo
bastone.
«E’
per colpa di una vecchia ferita in battaglia»
spiegò con
voce rauca Antonio, una volta circumnavigato il ripiano di legno.
«Non
te l’ho chiesto» brontolò il garzone,
appostato
sull’altro lato del bancone.
«No,
ma io ho il vizio di parlare troppo» sdrammatizzò
con
un sorriso l’uomo. Appoggiò il bastone in un
angolo e si chinò per cercare la
chiave della cassa.
«Hai
combattuto?»
Antonio
sollevò il viso ed incrociò la ritrosa
curiosità
degli occhi castani che lo fissavano dall’alto. Il ragazzo
doveva essersi
appollaiato sul bancone, facendo perno con i piedi sullo spesso
battiscopa.
«Ero
un corsaro» rispose Antonio.
Trovò
finalmente la chiave e si rialzò.
«Quanti
mari hai visto?»
L’uomo
fissò per la seconda volta quel giovane apprendista:
sebbene l’espressione scontrosa cercasse di mascherarlo, una
fiamma di
interesse scintillava nelle iridi calde.
«Tutti
e sette» si vantò con modestia Antonio.
«Ero il
capitano de La Reina.»
«Ah,
la conosco» il berretto venne calato ad ombreggiare il
volto: evidentemente il giovane non era in grado di esercitare un
controllo
totale sulle sue curiosità. «E’ un bel
galeone.»
«Era
la sorella dell’oceano» asserì Antonio,
carezzando la
nave incisa sul suo bastone. Avrebbe dato entrambe le gambe pur di
poter
passare un altro giorno in mare. «Per quanto gli uomini
possano ingegnarsi, non
costruiranno mai un’imbarcazione pari a quella.»
«Hai
disertato?» lo stuzzicò il ragazzo, con
un’unghia di
acredine nella voce.
Antonio
sorrise amaro e scosse la testa con afflizione.
«No,
non sono un traditore. Solo uno sbadato»
picchiettò la
coscia inefficiente e mormorò: «E’
bastato un colpo di pistola.»
Il
giovane spostò lo sguardo a turno dalla sua gamba, al suo
bastone, al suo viso. Non fece parola delle sue meditazioni:
l’unico segno
tangibile dei suoi pensieri fu una pennellata di comprensione
sull’espressione
seccata.
«Ho
delle altre consegne da fare» annunciò spiccio,
scendendo dalla sua postazione.
«Non
hai preso i soldi» obiettò Antonio.
Il
giovane girò attorno al bancone, gli afferrò il
polso e
si rovesciò sulla mano le nove pesetas.
«Tornerò
a prendere la decima stasera, al termine del mio
giro» concluse sbrigativo, ed imboccò veloce la
porta. «Vedi di averla pronta»
lo minacciò prima di uscire.
Antonio
restò pietrificato, alla ricerca di un senso in
quanto era accaduto: un secondo prima il ragazzino si era infuriato
perché non
voleva elargire pagamenti a credito, e subito dopo aveva deciso di
aspettare la
sera per riscuotere l’ultima peseta.
«Il
mondo è bello perché è
vario» commentò al basito
cameriere che aveva seguito tutta la scena. «A proposito,
dobbiamo cambiare
fruttivendolo.»
«Come
mai?» domandò l’inserviente.
«Non
approvo certi metodi» snocciolò Antonio. Il suo
sottoposto non pose ulteriori interrogativi e corse a recuperare i
pomodori.
Antonio
si adagiò sulla sedia dietro il bancone, la vecchia
cicatrice che formicolava.
Quando
era stato capitano aveva comandato schiere di uomini forgiati
dai campi di battaglia e spellati dal mare; mai, nemmeno una in una
singola
occasione, aveva fatto ricorso alla violenza per essere obbedito. Non
approvava
simili criteri educativi, specie se adoperati nei confronti di gracili
ragazzi
orfani: chi non possedeva il carisma necessario a farsi rispettare non
avrebbe
dovuto assumere dipendenti.
Comunque,
aveva capito una cosa di quel giovanotto. Non
sognava certo di succedere nella possessione di un banchetto di frutta
e
verdura al mercato rionale: le sue aspirazioni erano dirette ad un
mondo fatto
di spuma marina, di salsedine respirata al comando di un timone.
Antonio
non aveva dubbi a riguardo.
L’oceano
che ruggiva nelle vene di quel ragazzino era lo
stesso che infuriava nelle sue.
***
«E
si sono rivisti?» sospirò una bambina, incantata.
«Ma
certo. Quella sera stessa, come promesso dalla meravigliosa
fanciulla»
garantì Francis – glissando allegramente sul vero
sesso
del garzone e sulla sua intrattabilità, di certo non meravigliosa - e proseguì.
***
La
chiave venne appesa al suo chiodo con un tintinnio.
Davvero
un peccato che il vecchio Dan avesse levato gli
ormeggi quella sera: la risata aspra con cui condiva i suoi racconti
d’avventura rimbombava in tutta la sala principale. La
locanda sarebbe stata un
po’ più vuota senza quello sguaiato filibustiere.
Un’acre
malinconia strisciò dalla cicatrice fino al cuore,
dove affondò le zanne con voracità. Antonio
massaggiò il petto per spazzare via
quel sentimento corrosivo, senza troppa convinzione: non sarebbe
riuscito ad
estirpare quella tristezza astiosa semplicemente accarezzandola.
Quando
i marinai approdavano al suo albergo li accoglieva
con gioia: attraverso i loro discorsi poteva avere
l’illusione di sentire
ancora il rollio della nave sotto i piedi e il concerto delle maree
nelle orecchie.
Ma quando ripartivano si spandeva in lui la stessa sensazione che aveva
provato
quando, per la prima volta, aveva salutato La
Reina dal molo: il presentimento che un enorme portone si
fosse chiuso, e
lui fosse rimasto imprigionato dalla parte sbagliata.
«Antonio,
stai diventando vecchio se sei così
melanconico…»
si prese in giro, ben consapevole di essere assai lontano dalla
senilità.
Si
appoggiò al bastone e si preparò a salire le
scale.
Gli
architetti che avevano ristrutturato quell’edificio gli
avevano consigliato di scegliere come propria camera una di quelle al
piano
terra, ma Antonio era stato categorico: la sua stanza sarebbe stata al
terzo
piano, l’ultimo. Solo da lì si poteva godere della
vista del mare
Non
erano valse a nulla le prediche apprensive del resto del
mondo sulla sua gamba difettosa: al piano terra erano stati allestiti
gli
alloggi del personale, e la sua camera era stata ammobiliata, nel
malcontento
generale, al terzo piano.
Aveva
appena appoggiato il piede sul primo gradino quando
bussarono.
Antonio
andò ad aprire, e nel rettangolo della porta comparve
l’aiutante del fruttivendolo.
«Sono
venuto a ritirare la peseta»
comunicò monocorde. Qualcosa di indefinibile aveva
scolorito la vitalità incostante del giovane e abbassato le
spalle esili, che
il garzone tentava continuamente di raddrizzare.
«Vado
a prenderla. Siediti, intanto» lo invitò Antonio,
facendolo accomodare in una delle poltrone all’ingresso:
doveva accertarsi di
un sospetto. Ed il ragazzo non avrebbe mai risposto ad una domanda
diretta, se
non fosse stato obbligato.
Il
giovane accettò diffidente, e si sedette in punta di
cuscino, la schiena ben lontana dal comodo rivestimento. Ad Antonio fu
sufficiente osservare l’innaturale irrigidimento di muscoli
dorsali e
l’attenzione con cui il ragazzo cercava di non appoggiarsi
alla spalliera per
capire. Formulò la domanda che ora sentiva di poter fare,
sicuro che la sua
supposizione fosse azzeccata:
«Ti
ha picchiato?» chiese, piazzandosi davanti alla
poltrona.
Il
ragazzino lo fulminò con un’occhiataccia.
«Sto
aspettando la peseta»
gli ricordò con impazienza, cercando di alzarsi. Antonio non
si mosse di un
millimetro, ed il garzone fu costretto a mettersi di nuovo a sedere.
«Sto
aspettando una risposta» replicò garbato
l’uomo.
L’apprendista
stropicciò le labbra in una smorfia e capitolò
indignato:
«Non
ha gradito. Datemi questa benedetta peseta e
saremo a posto.»
Il
bastone passò da una mano all’altra
dell’uomo prima che
questo proferisse:
«Faresti
meglio a lasciare il tuo lavoro, prima che ti
distrugga le vertebre.»
«Il
pane non si materializza per magia» ribatté
sprezzante
il ragazzo.
«Lo
so. Potresti lavorare qui, infatti.»
Stupore
e dubbio cozzarono negli occhi del giovane
mescolandosi tra loro in mille frammenti.
«Saresti
vicino al mare. E qui pernottano i capitani di
tutte le navi che si fermano in porto» continuò
Antonio, sapendo bene dove
colpire per suscitare l’interesse del garzone.
Il
ragazzo tamburellò le dita sui braccioli della poltrona,
indeciso.
Antonio
si chinò sulle ginocchia, il bastone appoggiato
sulla spalla, in modo che l’apprendista potesse guardarlo
dall’alto mentre
assicurava:
«Sono
stato per anni capitano di una nave, e per anni
padrone di un albergo. Nessuno dei miei uomini ha mai avuto un livido a
causa
mia.»
Trascorse
qualche secondo di stasi riflessiva. Gli occhi del
ragazzo saettarono da una parte all’altra, ricalcando il
ritmo furioso cui
lavoravano le sue meningi nel valutare i pro e i contro di
quell’offerta.
Per
la prima volta si tolse il cappello, liberando una
zazzera arruffata di rame scuro.
«Com’è
lo stipendio?» volle sapere. «E, comunque, sei
ancora
in debito con me di una peseta.»
Antonio
si rialzò, soddisfatto.
La
sua arte di convincere le persone non era ancora
arrugginita del tutto.
***
«Erano
già innamorati?» si commosse la donna con la
crocchia.
«Ovviamente
no» negò con grazia Francis. «Si erano
visti per
poche ore… sarebbe stato impossibile. La loro storia
cominciò come una
relazione di lavoro e nulla più.»
«E
allora come è successo?» insistette la bambina dai
capelli intrecciati.
«Non
occorse molto tempo» sviolinò il narratore,
beandosi
dell’attenzione che si era conquistato. «Due
spiriti affini non impiegano molto
ad infiammarsi a vicenda. Avevano in comune l’amore smodato
per il mare, e
caratteri così diversi da incastrarsi perfettamente
l’uno nell’altro. Condividendo
la vita quotidiana, ebbero molte occasioni per accrescere il reciproco
trasporto. Una gentilezza oggi, un sorriso domani… tante
piccole cose si accumularono
a formare la base di un sentimento profondo.»
«Quando
se ne sono accorti?» chiese la più sfacciata del
gruppo di amiche radunate in un angolo.
«La
storia inizia a marzo. Il cambiamento avvenne nel mese
di maggio» calcolò Francis, in attesa di essere
supplicato per seguitare la
narrazione.
«Oh,
avanti, ci dica come sono andate le cose!» lo
pregò
infatti la madre che reggeva ancora sulle gambe il figlio.
«Dunque…»
Francis stuzzicò la barba per fingere un intenso
raccoglimento.
«Il punto di stacco è alle idi di
maggio…»
Ho
rimesso online questa storia<3
L'avevo
cancellata per farla partecipare ad un concorso convertendola in
originale... ma, ahimè, non è andato bene XD
Devo
dire che un po' mi dispiace, ma non troppo: almeno ho il permesso di
rimettere la fanfiction su Internet u.u
Indi
per cui... la ripubblico in questo istante medesimo<3
E
grazie di cuore a tutti, TUTTI coloro che hanno letto e commentato la
prima versione<3 Le vostre recensioni sono tutte salvate su un
file nel mio computer, e ogni tanto le rileggo per ricordarmi del
vostro supporto<3
Spero
che i pirati possano ridonarvi le emozioni che vi hanno dato in
passato<3
Red
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Capitolo 2 *** Libeccio ***
Libeccio
La
schiena si Lovino si accapponò quando venne messa a nudo.
La
luce dell’alba colò lungo la sua colonna
vertebrale,
incuneandosi nei punti in cui la pelle si increspava in minuscoli
sfregi.
Negli
ultimi due mesi, quel rituale si era ripetuto spesso:
Lovino a torso nudo e Antonio che gli esaminava la schiena, entrambi
seduti sul
letto dell’uomo. Le prime volte erano state necessarie
affinché Antonio
applicasse un unguento medicamentoso sulle ecchimosi violacee, ben
visibili
sulla pelle chiara del ragazzo. Pian piano i lividi erano retrocessi
verso un
verde malato e un giallo spento fino a sparire del tutto, lasciandosi
dietro
solo il brutto ricordo delle percosse subite.
Lovino
non si era opposto a quella terapia, ma non aveva
nemmeno mostrato riconoscenza. In un’unica occasione si era
esibito in un
abbozzo di gratitudine: la prima volta che Antonio gli aveva spalmato
la
mistura curativa sugli ematomi, il giovane gli aveva rivelato il
proprio nome.
Era stato il suo modo rozzo di ringraziarlo.
Antonio
aveva imparato due cose di Lovino: la prima, che
aveva fatto vedere i suoi lividi solo a lui, perché non
voleva che quella
storia circolasse tra le comari. La seconda, che il motivo che lo
spingeva a tornare
in quella stanza non era più la terapia, ma
l’amore per il mare: ogni giorno si
faceva raccontare qualcosa sui trascorsi da corsaro
dell’uomo, avido di
conoscenza.
«Sei
guarito» diagnosticò Antonio, richiudendo
l’ormai inutile
contenitore di pomata.
Lovino
annuì in silenzio, chiudendo la camicia.
Fu
mentre l’ultimo bottone entrava nell’asola che
sbottò:
«Cos’è
successo due anni fa?»
La
domanda freddò l’ex-capitano per qualche istante
prima
che la memoria lo soccorresse: la sera precedente, al termine del
lavoro, aveva
accennato ad un incredibile evento avvenuto due anni prima. Lovino non
dimenticava nulla che avesse a che fare con vascelli e galeoni.
«Fummo
sorpresi da una tempesta» raccontò Antonio, la
voce
di un’ottava più bassa e appena più
raspata del solito. «Poche volte ho visto
una simile furia d’acqua: non so se fosse più
aggressiva quella del mare o
quella del cielo. Le nuvole ci rovesciavano addosso cascate di pioggia,
e le
onde si abbattevano sull’albero maestro come se volessero
spezzarlo. Ci
rifugiammo sottocoperta, ma uno dei miei uomini rimase bloccato sul
ponte. Mi
legai una corda in vita e corsi a recuperarlo.»
Lovino
si era voltato per ascoltarlo meglio, le sopracciglia
inarcate ad esprimere scetticismo. Antonio non vi diede importanza:
ormai aveva
imparato che, spesso, Lovino manteneva quella facciata antipatica solo
per non
far trapelare il suo reale interesse.
«Ci
salvammo entrambi» continuò. «Ma mentre
eravamo sul
ponte, che possa essere fulminato se mento, ho visto il volto della Dea
del
Mare.»
«La
Dea?» replicò Lovino. «Ma le donne
portano male sulle
navi…»
«Forse
perché lei sarebbe invidiosa di un’intromissione
femminile nel suo regno» sorvolò Antonio, immerso
nei ricordi. «Lo ricordo
benissimo: si era levata un’onda gigantesca e lì
ho visto il suo viso, fatto di
flutti e di spuma. Era bellissima e terrificante. Non ho mai visto
niente di
simile in tutta la mia vita…» lo sguardo gli cadde
sul bastone, ed il cuore gli
crollò a terra. Non aveva mai visto niente di simile, e mai
più ne avrebbe
avuto occasione: la Dea del Mare aveva deciso di maledire il mortale
tanto
sfrontato da averla guardata negli occhi.
«Secondo
me, avevi bevuto troppa acqua di mare» lo screditò
Lovino.
Antonio
non replicò: si appoggiò al bastone per issarsi
in piedi,
silenzioso.
«E’
ora di andare a lavorare» disse, porgendogli una mano
per aiutarlo ad alzarsi.
Lovino
lo ignorò spudoratamente e
si sollevò dal letto da solo.
«Non
facciamo aspettare i clienti» mugugnò, arrotolando
le
maniche della camicia.
***
Antonio
non era stato il solo a chiedersi perché
continuassero a vedersi ogni mattina nonostante i lividi fossero
spariti da
tempo.
Lovino
si era letteralmente arrovellato per trovare una
risposta.
E
la strada che prendevano le sue ipotesi non gli piaceva per
nulla.
Aveva
giurato che non si sarebbe mai più affezionato a
niente.
Aveva
amato la sua terra natale, la sua bella Italia: il suo
cuore aveva immagazzinato l’odore asprigno delle arance, il
biancore delle case
rurali, il cielo azzurro che si specchiava nel mare. L’aveva
adorata in ogni
sua parte, ed era stato costretto ad abbandonarla. Tutti i suoi ricordi
erano
marciti in una poltiglia caustica che gli corrodeva lo stomaco quando
provava a
ripensare al suo paese d’origine.
Aveva
amato la sua famiglia, e anche loro erano spariti.
Erano volati in un luogo molto più lontano della sua patria
natia, un posto che
non si poteva raggiungere navigando. Anche loro erano stati inglobati
nel
marciume che gli avvelenava l’anima.
L’unico
a non averlo tradito era il mare, maestoso e familiare
in qualunque porto.
Aveva
giurato che non avrebbe aggiunto altre tossine a
quelle che già gli circolavano nello spirito: il suo cuore
sarebbe stato
occupato solo dall’oceano, l’unico sempre uguale a
se stesso. Non avrebbe
concesso nulla più di un contenuto distacco ai paesi e,
soprattutto, agli uomini:
la città in cui si trovava era solo un posto in cui vivere,
e non avrebbe
sofferto abbandonandola; le persone che conosceva erano suoi colleghi
di
lavoro, e non avrebbe provato grossi rimpianti nel lasciarli.
Antonio
era la variabile imprevista che incrinava il suo
progetto.
Non
aveva avuto remore nel lasciarsi alle spalle l’umorale
fruttivendolo che era stato il suo capo, anzi, ne aveva provato un
immenso
sollievo: la scarsa paga non valeva certo i maltrattamenti che subiva
ogni
giorno.
Antonio,
invece, sapeva come farsi benvolere dai suoi
dipendenti: aveva assegnato l’intero piano terra agli alloggi
del personale, ed
offriva loro un vitto decente, che aveva convertito il fisico rachitico
di
Lovino in quello asciutto e sano di un ragazzo in forma. Lui stesso si
era
sorpreso quando allo specchio aveva scoperto delle guance floride ed un
colore
più vivo negli occhi. Non pensava che il cibo potesse
operare un simile
prodigio.
Consapevole
della sua passione per la costa, Antonio gli
aveva affidato il ruolo di pescatore.
Lovino
era stato felice di quell’incarico: poteva passare
ore e ore da solo con la spuma salata, e vedere le correnti che
vorticavano
sotto la sua barca. Si era fatto insegnare alcuni trucchi dai marinai
che
intrecciavano le reti sul lido, e ne aveva fatto buon uso: aveva
imparato quali
fossero i siti più ricchi di pesce e le rotte preferite di
alcune specie
marine.
I
primi giorni aveva riportato all’albergo un raccolto
striminzito,
ma, con l’affinarsi della tecnica, era riuscito a garantire
il pesce fresco sul
menù della locanda.
Masticò
il labbro inferiore mentre analizzava la sua rete
per assicurarsi che non ci fossero dei fili strappati. Più
delle lodi
sarcastiche dei vecchi pescatori, che gli offrivano un tiro di pipa
quando lo
vedevano carico di pesce e lo chiamavano “Neleo”,
gli aveva fatto piacere
vedere il volto di Antonio rinfrancato per la scelta fatta. Il suo
precedente
padrone non gli aveva mai sorriso e Lovino non sarebbe stato
né contento né
dispiaciuto di vederlo sereno.
Si
caricò la rete in spalla, ed afferrò la canna da
pesca e
il cestino delle esche con la mano libera. Doveva ammettere che Antonio
era una
persona gentile. L’unico ad essersi dimostrato
così disponibile con un orfano
emigrato.
«Vado»
annunciò a cuochi e camerieri che finivano di
indossare le loro divise.
«Prendi
qualcosa per ripararti dalla pioggia» gli
consigliò
il capocuoco, da sopra il trambusto delle stoviglie sbatacchiate sui
fornelli.
«Il tempo non promette nulla di buono.»
Lovino
lanciò uno sguardo fuori dalla finestra: immerso
com’era nei suoi pensieri, non si era accorto del principio
di nubifragio che
si stava ammassando ad occidente. Il vento avrebbe presto spinto sulla
loro
città quei nembi gravidi di burrasca.
«Non
ti conviene metterti in barca, oggi» si premurò
una
cameriera che proprio non riusciva a raccogliere gli sfuggenti capelli
mori in
una coda. «Se dovessero esserci i
fulmini…»
«Pescherò
dal molo» sminuì Lovino. Afferrò una
palandrana
stinta dalla salsedine e decise che sarebbe stata sufficiente a
proteggerlo
finché non avesse cominciato a piovere. «Se si
scatenerà il temporale, tornerò
indietro.»
«Quando si
scatenerà» lo corresse il corpulento capocuoco,
emergendo dagli scaffali con
una selva di pentole tra le braccia grassocce. «Fai
attenzione.»
Lovino
annuì. Indossò il tabarro, si calò il
cappello da
pescatore in testa, raccolse i suoi attrezzi e si preparò ad
avventurarsi nel
mondo che minacciava tempesta.
Ma
qualcosa lo bloccò a pochi metri dall’uscita: dal
piano
superiore si udì un tonfo sordo, come di un corpo svenuto.
La cameriera
desistette dall’impresa di legare la zazzera crespa e si
affrettò a vedere cosa
fosse successo. I passi della donna aumentarono esponenzialmente la
velocità
nel discendere le scale, e si affacciò con il volto livido
di chi ha visto un fantasma.
«Diego,
sbrigati, Antonio si sente male!» strepitò,
afferrando per la collottola il cameriere appena nominato.
«E’
la gamba, vero?» sberciò il capocuoco mentre Diego
volava su per le scale. «Quando cambia il tempo, è
sempre così.»
«La
gamba?» chiese Lovino, senza dare un’inflessione
troppo
partecipe alla voce.
«Quando
si avvicina la pioggia, le vecchie ferite fanno
sempre male, ragazzo. A volte sembra di impazzire»
borbogliò l’uomo. «Ma non
preoccuparti: Diego è abituato a dargli una mano, in queste
situazioni. Vai a
pescare tranquillo.»
Lovino
annuì e si affrettò ad uscire dalla porta.
Antonio
non gli aveva mai parlato di quella sua debolezza.
Forse non lo aveva informato perché c’era Diego
ad aiutarlo.
Pestò
con forza i piedi sull’acciottolato mentre si dirigeva
alla spiaggia e al mare grigio per il nubifragio incombente.
Diego
avrebbe sostenuto il gestore della locanda. E lui
intanto sarebbe rimasto fuori a pescare.
C’era
qualcosa, in quell’equazione, che lo infastidiva come
una puntura di calabrone. Ma si rifiutò di esplorare il
motivo di quel suo
stato d’animo.
Si
sbrigò a raggiungere la risacca ruggente. Almeno lei non
avrebbe preferito Diego.
***
Il
cuscino si appiattì accondiscendente sotto la sua
schiena.
Non
si aspettava un acquazzone così violento a maggio:
credeva che ormai la stagione delle piogge e degli strazi alla vecchia
ferita fosse
terminata. C’era sempre un’eccezione alla regola,
avrebbe dovuto ricordarsene.
Scostò
un lembo del lenzuolo per osservare la gamba offesa:
Diego e Consuelo avevano stretto per bene le bende sul balsamo
antidolorifico,
ma non era servito a molto. Più i mesi passavano,
più quella cicatrice sembrava
tormentarlo. Ogni giorno che trascorreva ad ascoltare il mare
anziché viverlo
depositava una spina nella sua ferita. Ormai la sua gamba era un unico
roveto.
Per
di più, la Dea del Mare aveva deciso di colpirlo con una
stoccata a tradimento: i cirri scuri e la caligine opprimente erano gli
stessi
del giorno in cui aveva mostrato il suo viso.
«Forse
sto invecchiando davvero» sospirò, portandosi una
mano alla fronte.
Dall’arrivo
di Lovino, era diventato più difficile
combattere la malinconia, poiché rivedeva in lui tutto
ciò che era stato alla
sua età: un ragazzo affamato di avventure e di terre da
esplorare. Prima o
poi, il mare si sarebbe portato via
anche il suo pescatore: Antonio sapeva meglio di tutti quanto fossero
allentanti le promesse di lidi lontani e di litorali sconosciuti.
Bastava
che il richiamo degli abissi si elevasse con più
forza dalle scogliere, e Lovino se ne sarebbe andato.
E
lui, Antonio, come si sarebbe comportato quando quel
giorno fosse giunto?
Qualcuno
bussò alla porta, o meglio, prese a pugni il legno
dello stipite. L’ex-capitano non ebbe bisogno di chiedere chi
fosse.
«Avanti»
invitò.
In
controluce, con la palandrana sgocciolante e il cappello
fradicio, Lovino sembrava uno spirito delle intemperie. Diede la stessa
impressione anche quando si addentrò nella stanza, in uno
spiaccichio di
vestiti zuppi e gocce che si infrangevano sul pavimento.
«Devi
asciugarti, o ti ammalerai» lo redarguì
gentilmente
Antonio, sistemandosi più composto contro il cuscino.
«Non
mi avevi detto dei tuoi problemi con la gamba» fu la
risposta incoerente di Lovino, mentre si toglieva il cappello scoprendo
la
capigliatura intrisa di tempesta. Nemmeno il diluvio, però,
era riuscito ad
abbassare quell’unico ciuffo ribelle che svettava verso
l’alto.
«Non
è una storia interessante» si
giustificò Antonio.
Lovino
si spogliò del tabarro grondante pioggia, ma non si
fece scrupolo di sedersi sulle coperte con i pantaloni bagnati.
«Come
è andata la pesca?» chiese l’uomo per
aggirare
l’ostilità di Lovino.
«Non
è una storia interessante.» Fu con
acidità che il
ragazzo gli restituì le sue stesse parole.
Lovino
non voleva ammettere che, se quel giorno aveva
catturato pochi pesci, non era stato a causa del tempo ostile, ma dei
pensieri
insulsi che lo avevano distratto dal suo lavoro.
Stupido
Diego e stupido Antonio.
«Succede
sempre, quando arriva la tempesta. La cicatrice
comincia a farmi male, e il muscolo cede. Faccio fatica a camminare,
quando
succede» spiegò Antonio, per poi domandargli di
nuovo: «Come è andata la
pesca?»
«Magra»
ringhiò Lovino. «Pochi pesci e troppi
grattacapi.»
«Grattacapi?»
«Grattacapi»
confermò il ragazzo, senza aggiungere una
sillaba.
Antonio
drizzò la schiena contro la testiera del letto,
Lovino si impegnò a guardare altrove.
Il
silenzio cadde tra di loro come un masso. Fu il
proprietario dell’albergo a liberarsi di quel fardello.
«Pensi
mai di prendere il mare?» chiese.
Gli
occhi del giovane scattarono verso di lui, accesi da una
rabbia di cui Antonio non comprese il motivo. E Lovino tenne la ragione
del suo
malumore ben nascosta: il gestore era l’unica persona, da
quando era stato
separato dall’Italia, cui si fosse veramente affezionato.
Aveva tentato in
tutti i modi di erigere barriere tra di loro e di iniettarsi dosi di
indifferenza, ma era stato come cercare di spegnere il fuoco a mani
nude: aveva
ottenuto solo scottature.
Sentire
quella stessa persona tenergli nascosto il malessere
alla gamba e chiedergli quando sarebbe partito lo feriva più
di quanto desse a
vedere: aveva promesso di non legarsi a nessuno, invece lo stava
facendo con la
persona più sbagliata del mondo. E quella consapevolezza non
faceva che
aumentare il suo malcontento.
«Certo.
Non vedo l’ora di andarmene da qui»
ribatté secco.
Lo
sguardo verde di Antonio lo studiò per qualche momento.
Non seppe cosa lui avesse intuito dal suo cruccio imbronciato, ma la
seguente
domanda sembrò contenere una molteplicità di
significati diversi:
«Cosa
ti trattiene?»
Non
gli piacque il tono dell’uomo, cadenzato come i passi
del cacciatore che ha intravisto la tana della preda e cerca di non
spaventarla
per catturarla. Non aveva alcuna intenzione di finire nella sua
tagliola.
«La
mia peseta»
attaccò. «Non me l’hai ancora
restituita.»
L’incredulità
sollevò le sopracciglia scure dell’ex-capitano.
«Resti
qui solo per una peseta?»
Lovino
si sprangò dietro un mutismo ostinato. Una goccia si
tuffò dalla frangia allo zigomo, e rotolò sulla
guancia mimando una lacrima; il
ragazzo la asciugò sul polsino umido, che passò
anche sul resto della faccia
bagnata.
Antonio
si protese verso di lui, avvicinando la mano alla
testa del giovane.
«Lovino…»
mormorò, poggiandogli il palmo sulla chioma madida
di temporale.
Il
pescatore reagì come se gli avessero infilato uno
scorpione nella camicia: sollevò il volto dalla manica e
schiaffò via la mano
dell’uomo, alzandosi con uno scatto dal letto.
«Non
mi toccare!» esclamò. «E ricordati di
restituirmi la peseta,
così finalmente me ne potrò
andare!»
Fu
più rapido di un fulmine nell’uscire dalla stanza,
lasciando dietro di sé solo l’odore di mare e di
nubi.
***
«Oh,
hanno litigato?» si dispiacque la bimba con le trecce.
«Un
pizzico di conflitto accende l’amore»
recitò Francis.
«Ma
avevate detto che quel giorno di maggio aveva segnato
uno stacco. Invece battibeccarono» protestarono le tredicenni
in un angolo.
«Signorine,
non avete colto l’essenziale: perché litigarono?
Perché erano entrambi innamorati» decise di essere
più chiaro, notando il
dubbio serpeggiare nell’improvvisata platea. «Lei aveva intuito di provare qualcosa
per quell’uomo, ma non voleva
accettarlo.»
«E
perché?» petulò un bimbo in prima fila.
Francis
riuscì a morsicare la sua vera risposta –
“perché
era cocciuto come un mulo” – e a formularne
un’altra, più lirica e ugualmente
veritiera:
«Perché
non poteva ammettere di amarlo, se metà del suo
cuore palpitava per il mare e l’altra metà era il
cimitero dei lutti passati. Tuttavia,
quel giorno fu fondamentale per entrambi: lei
comprese i propri sentimenti, ma cercò di ignorarli e
soffocarli; e lui si
accorse di questi suoi tentativi.»
«E
Antonio come capì di essere innamorato di lei?»
domandarono di nuovo le ragazzine.
«Lui…»
Francis sorrise, galante. «Lui lo aveva capito molto
prima di lei.»
Un
uggiolio estasiato si levò dalle gole femminili.
«Ma
se volete conoscere meglio quali fossero i sentimenti
che lo animavano…» li mise sulle spine Francis,
assumendo l’espressione
sorniona di chi sa molto e rivela poco. «Devo rievocare il
giorno in cui a
cambiare la vita di Antonio non fu qualcosa di piccolo. Giugno giunse
assieme
ad un enorme galeone inglese: la Queen of
Pirates aveva gettato l’ancora. E il suo capitano
era diretto proprio alla
locanda di Antonio…»
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Capitolo 3 *** Zefiro ***
Zefiro
Quando
Lovino tornò all’albergo, quel giorno, fu accolto
da
un gran trambusto: dalla sala da pranzo si gonfiava un gran vociare che
riempiva tutto l’ingresso di chiacchiere.
«Che
sta succedendo?» chiese a Diego, che correva
indaffarato dal salone alla cucina.
«Abbiamo
un ospite importante!» gioì il cameriere,
emergendo
con un vassoio carico di specialità di pesce. «Il
capitano della Queen of Pirates!»
I
muscoli di Lovino evaporarono in nebbia a quella notizia:
perse la cognizione dei sensi, lo spazio e il tempo diventarono un
agglomerato
colloso intorno a lui. Dovette battere le palpebre per riscuotersi.
«Il
corsaro della regina d’Inghilterra, Arthur
Kirkland?»
enfatizzò, incredulo.
Diego
annuì distratto, filando a servire i commensali.
Lovino
fu un lampo nel portare in cucina il pescato della
giornata e, con altrettanta velocità, corse in camera sua
per indossare un
vestito che non puzzasse di fauna d’oceano: il pesce era
delizioso come
pietanza, ma come profumo lasciava molto a desiderare.
Si
recò quindi in sala da pranzo: la testa di ogni persona
presente era girata verso l’inglese sistemato al centro della
sala; alcuni deformavano
la bocca in modo davvero grottesco per mangiare senza distogliere lo
sguardo da
lui.
Nella
sua immaginazione, Arthur Kirkland era un gigante di
due metri, armato di fucili grossi come cannoni. La realtà
gli restituì
un’immagine assai diversa: il capitano del più
splendido vascello della flotta
inglese era un uomo di altezza normale, forse appena più
basso di Antonio; i
corti capelli biondi, increspati e schiariti dal mare, scendevano in
una
frangia disordinata che solleticava le strambe sopracciglia e lasciava
scoperti
gli occhi verdi, più chiari di quelli
dell’ex-capitano de La Reina.
La divisa da corsaro non era uscita del tutto indenne
dalle lunghe peregrinazioni affrontate, ma le finissime stracciature
del
cappotto e degli stivali accrescevano il fascino del completo: a cosa
erano
dovuti quegli sfilacciamenti? Un colpo di spada evitato per un soffio?
Un
proiettile schivato al millimetro?
Arthur
rispondeva quieto alle domande incessanti degli altri
avventori, continuando a pigiare il tabacco nella propria pipa con il
pollice.
Al
suo fianco sedeva Antonio, che lo ascoltava con il
sorriso amareggiato dai ricordi lontani e le dita intrecciate
sull’impugnatura
aurea del bastone.
Lovino
si sorprese nel notare Antonio vestito con la propria
uniforme da corsaro. Differiva da quella dell’inglese per i
colori, i sigilli
reali ricamati sul petto e mille altri dettagli di sartoria, ma erano
entrambe
divise da comandante di vascello. Da quanto sapeva, Antonio aveva
rinchiuso la
sua in fondo all’armadio quando era stato chiaro che non
avrebbe mai più fatto
ritorno su La Reina.
Perché
aveva deciso di metterla, quel giorno? Che fosse una
sorta di codice d’onore tra capitani, in servizio e in
pensione?
«Lovino!»
Antonio lo riconobbe e gli fece cenno di
avvicinarsi con la mano.
Il
ragazzo fu ulteriormente stupito dal suo tono cordiale:
si era forse scordato del loro diverbio di qualche settimana prima? Era
impossibile che non ne avesse memoria, poiché da allora
Lovino aveva smesso di
recarsi nella sua camera ogni mattina per farsi controllare la schiena.
Allora
perché si comportava come se non fosse successo nulla?
«Arthur,
questo è Lovino» lo presentò non appena
il
pescatore si fu accostato al loro tavolo, nell’attenzione
generale.
«E’
nuovo?» s’informò l’inglese,
nel suo spagnolo stentato.
«Non l’ho visto quando sono venuto la scorsa
primavera.»
«Lavoro
qui da poco» spiegò Lovino, cui non piaceva che si
parlasse di lui come se non fosse fisicamente presente. Nemmeno se era
il gran
capitano della Queen of Pirates a
farlo. «Piacere» aggiunse, caustico.
Arthur
gli assegnò un sorriso sghembo, mentre accendeva la
pipa.
«Vuoi
aggiungerti a noi?» domandò.
Lovino
si appropriò di una sedia e si unì al tavolo.
La
serata corse veloce tra una trattazione delle
caratteristiche del galeone maestro della flotta inglese e racconti di
ricchezze esotiche e scenari misteriosi.
Lovino
assorbì le parole di Arthur Kirkland come tutti gli
altri ascoltatori: sentiva il sangue spumeggiare e le orecchie
rombargli come
le onde che si infrangevano contro gli scogli; l’oceano che
aveva sede nel suo
cuore si risvegliava ai discorsi dell’inglese.
Una
punta amara guastava la sua passione: Antonio era come
stregato dalle novelle del capitano più acclamato di Gran
Bretagna. Un incanto
che lui non era mai riuscito a creare quando gli parlava delle sue
escursioni
mattutine per procurarsi il pesce.
«Cosa
vi ha spinto a fermarvi in Spagna, capitano?» chiese
uno dei più affezionati clienti del loro locale, un
bucaniere con i denti
consumati dallo scorbuto.
«Trattative
commerciali, principalmente» rispose l’inglese,
svuotando la pipa. «E l’ospitalità di
questa locanda.»
Arthur
Kirkland sapeva fare i complimenti, era indubbio.
Riusciva a quantificare la giusta dose di lode per non sembrare lezioso
e, al
contempo, a proferirla senza superbia: sembravano elogi sinceramente
genuini.
Ad Antonio facevano piacere, a giudicare dal mezzo sorriso con cui li
accoglieva.
Il
capitano dimostrò anche di saper fare annunci in sordina,
discreti ma ugualmente avvincenti: il giusto modo per stimolare lo
spirito
delle persone senza farle sentire costrette ad accettare.
«Antonio,
se non sbaglio il tuo albergo raccoglie marinai da
tutti i porti» considerò Arthur, facendo roteare
la pipa tra le dita.
«Chi
è stato sfiancato dal mare è sempre il
benvenuto» confermò
puntuale l’uomo.
L’inglese
annuì e riprese: «Sto cercando qualche nuovo
mozzo. Gli ultimi che hanno tentato di reggere il ritmo della Queen of Pirates…»
storse il labbro,
disgustato dal ricordo. «Sai che il mal di mare non perdona
chi non sa ballare
con le onde.»
Antonio
asserì con il capo: non gli erano nuove le scene dei
principianti che si sporgevano dai parapetti di legno per vomitare
anche
l’anima.
«Quanti
uomini ti servono?» volle sapere Antonio.
«Ho
dovuto lasciarne tre sulle coste britanniche»
sospirò
Arthur, contrariato. «Me ne servono altrettanti.»
«Cosa
ne pensi, Lovino?»
Il
ragazzo fu chiamato in causa così improvvisamente che
impiegò qualche attimo per formulare una risposta adeguata.
«Che
ci saranno sicuramente tre volontari disposti a servire
il capitano» ribatté asciutto.
Antonio
fece per aggiungere qualcosa, poi richiuse le labbra
senza dire nulla: Lovino lo avrebbe odiato se avesse insistito di
fronte a
tanta gente.
Il
giovane attese che il resto della serata gli scorresse
addosso, e si congedò quando l’ora divenne troppo
tarda per lui.
Aveva
apprezzato la compagnia del capitano, anche se era
stata direzionata principalmente vero il gestore
dell’albergo, ed era felice di
aver fatto la conoscenza di una persona così influente.
L’acido
che gli graffiava lo stomaco era dovuto al
comportamento di Antonio: non gli era piaciuto il singolare scintillio
degli
occhi smeraldini, né la complicità con cui
conversava con Arthur Kirkland.
Scosse
la chioma ramata, esasperato.
Era
stanco per la lunga giornata. Avrebbe fatto meglio ad
andarsene a letto quanto prima.
Aveva
raggiunto la sua stanza quando si accorse del
minuscolo gonfiore nella tasca dei suoi pantaloni.
Non
faticò ad identificarlo. E sentì il nervosismo
montagli
di nuovo alle tempie.
***
«Vuoi
davvero propormi il tuo nuovo aiutante?»
Nella
grande sala erano rimasti solo loro due. In nave non
si poteva dormire a lungo: il mare era un alleato volubile, ed
occorreva
restare costantemente vigili. I loro orari erano tarati
sull’umore delle maree,
del tutto scoordinati rispetto alla placidità terrestre.
«E’
un ragazzo sveglio, impara in fretta. E ama moltissimo
l’oceano» considerò Antonio.
Arthur
picchiettò il tavolo con la pipa, insoddisfatto dalla
risposta.
«E
tu lo lasceresti partire?» indagò.
Antonio
inalberò la schiena sulla sedia, ed impugnò con
più
forza il bastone.
«Perché
non dovrei?»
Arthur
inspirò a fondo e rispose con un’altra domanda:
«Per
quanto tempo abbiamo navigato insieme, Antonio?»
Il
gestore si prese qualche istante per conteggiare a mente.
«Quasi
dieci anni» sancì alla fine.
L’inglese
dondolò il capo in un assenso.
«Ti
ho visto fare mille cose, in quel tempo: hai assaltato
navi, condotto contratti mercantili, scoperto nuove rotte commerciali,
corteggiato moltissime donne. Ho visto passare sul tuo viso fierezza,
astuzia,
gioia, galanteria… ma l’espressione che avevi
questa sera non riesco proprio a
farla rientrare tra queste categorie.»
«Voi
inglesi siete troppo inclini alla poesia» lo
screditò
amichevolmente Antonio.
«E
voi spagnoli siete troppo inclini ai sentimenti smodati»
rincarò Inghilterra. Finì di ripulire la pipa e
la ripose nel tascapane. «Non
credo che ti farebbe piacere vedere quel ragazzo partire.»
Antonio
accarezzò il suo bastone con i pollici, trattenendo
nel petto un corteo di sospiri.
«Sono
un corsaro, e sai quanto vada fiero di questa
qualifica. Ma se quel ragazzo salpasse con la mia nave, non sarei
diverso da un
pirata» si risentì Arthur.
«Un
pirata?»
«Cosa
fanno i pirati, se non piombare nelle imbarcazioni
altrui e depredarli dei loro tesori?»
Di
certo non si aspettava di suscitare l’ilarità di
Antonio:
l’uomo esplose in una fragorosa risata, che riuscì
a contenere solo mettendosi
una mano davanti alla bocca.
«E
poi dicono che voi inglesi non avete senso
dell’umorismo!» ansò, provato dalle
risa. «Lovino non è affatto un tesoro.»
Arthur
contorse le bizzarre sopracciglia, per nulla
persuaso.
«I
dobloni, i gioielli…» elencò Antonio
con un filo di voce.
«Sono tutte cose che si possono racchiudere in un forziere.
Quello è un tesoro.
Lovino non è così» un rimpianto
salì ad imbrunirgli le iridi verdi, mentre
concludeva: «Se cercassi di rinchiuderlo, ne morirebbe.
È uno spirito libero,
avvizzirebbe se dovesse mettere radici da qualche parte.»
«Se
è vero che è tanto innamorato del mare, potresti
non
vederlo mai più, una volta lasciato il porto. Sai che
l’oceano è un amante
geloso» gli ricordò Arthur.
Antonio
socchiuse gli occhi per annuire, ma li tenne aperti
e fermi nel dichiarare:
«Non
sarò io a mettergli il lucchetto che lo
ucciderebbe.»
Arthur
scosse la testa, scontento.
«Ti
ho seguito da sottoposto, Antonio: tu mi hai insegnato
ad essere il capitano che sono ora. E questa è la prima
volta che disapprovo
una tua decisione.»
«Arthur,
non ho intenzione di costringerlo a partire con la
tua nave. Ho detto solo che non gli impedirò di farlo, se
è questo che
desidera.»
L’inglese
tamburellò le dita sul tavolo con impazienza e
sbuffò:
«Non
riesco a capirti: se ami quel ragazzo…»
«Non
esagerare con i termini» lo frenò Antonio.
«Non lo
conosco da così tanto tempo.»
«Quando
hai capito che il mare era il tuo futuro?» lo mise
alla prova Arthur.
«La
prima volta che sono salito su una nave» rispose onesto
l’altro.
«Allora
vedi che, per certe cose, il tempo è irrilevante?»
lo
mise in fallo il capitano, con una certa soddisfazione a torcergli le
labbra in
un ghignetto. «Ad ogni modo, non voglio esplorare il vostro
tipo di rapporto.
Che sia amicizia, affetto filiale o di altro genere, non conta.
L’unica cosa
che mi è chiara è che, se quel…
Lovino, giusto? Se lui partisse, tu avresti la
stessa espressione di quando hai salutato La
Reina dal molo.»
«Hai
davvero una memoria formidabile» commentò Antonio.
«Smentiscimi,
se sbaglio» lo sfidò l’inglese,
incrociando le
braccia.
Lo
spagnolo inclinò per un attimo il capo
all’indietro e
respirò a fondo. Rialzò quindi la testa e
rispose, reggendosi la fronte con le
dita:
«Anche
se non fossi tu, Arthur, prima o poi arriverebbe un altro
capitano in cerca di marinai. O sarebbe Lovino stesso a rintracciare un
equipaggio con dei posti vacanti. L’hai detto anche tu, ho
capito che il mio
futuro era il mare dalla prima volta che ho messo piede su
un’imbarcazione, e
lui ha preso la mia stessa decisione. I suoi sogni non si realizzeranno
sulla
terraferma» passò i polpastrelli sugli occhi e
proseguì, a voce bassa: «Non sei
tu il pirata, Arthur. Il pirata è l’occasione di
solcare i mari. Posso anche
impedirgli di partire adesso, ma cosa cambierebbe? Sai bene quanto sia
irresistibile il richiamo delle sirene al di là degli
scogli: prima o poi la
Dea del Mare verrà a prendersi anche lui. Preferisco che
parta con te,
piuttosto che con uno sconosciuto. So che tu sei un ottimo capitano, e
non usi
la violenza per farti comprendere dai tuoi subordinati.»
Arthur
non si addentrò oltre nelle sue motivazioni: aveva
visto un simile pallore sulle guance di Antonio solo quando il dottore
gli
aveva comunicato l’impietoso verdetto sulla sua ferita.
«Quindi
il problema non sono io, ma l’opportunità che
offro»
valutò. Lo spagnolo annuì stancamente.
«Se
l’avessi saputo prima, me ne sarei rimasto zitto»
brontolò l’inglese. «Perdonami, ma
l’idea di arrecarti un danno non mi sorride:
sei stato il mio maestro per anni, su La
Reina, e io ti ripago portandoti via l’unica cosa
che ti rende sopportabile
l’esilio sulla spiaggia.»
«Non
essere così melodrammatico» minimizzò
Antonio,
alzandosi dal tavolo. «Bisogna adattarsi alla vita,
perché la vita non si
adatterà a noi.»
«L’ultima
volta che sei stato costretto ad “adattarti”, ho
visto la tua anima andare in pezzi» protestò
Arthur. «Hai intenzione di
compiere un simile suicidio anche questa volta?»
«Buonanotte,
capitano» lo salutò Antonio, inchinandosi
cavalleresco senza perdere la presa sul bastone. «Un vero
peccato che il mare
ti abbia reclamato per sé: avresti fatto impallidire i
drammaturghi di tutte le
terre con le tue metafore.»
«Hai
capito quello che intendevo» si risentì
l’altro,
alzandosi per restituire l’inchino. «Buonanotte,
capitano.»
«Non
sono più un comandante» gli fece presente lo
spagnolo,
mentre si avviavano sulle scale.
Arthur
gli scoccò un ghigno furfante e replicò:
«Finché
il mondo avrà memoria, il capitano Antonio Fernandez
Carriero sarà ricordato come il più valente uomo
di mare di tutti gli oceani.»
Il
gestore fu sbalordito da un simile omaggio, tanto da
rimanere senza parole. Del suo silenzio approfittò
l’altro per scoccare una
frecciatina finale, prima di sparire nella sua camera:
«Peccato
che il corsaro della Queen of Pirates
sia un poco più valoroso di lui.»
Antonio
non trattenne un sorriso mentre terminava di salire
le scale.
Grazie
al cielo, il tempo cambiava molte cose, ma non tutte.
E Arthur Kirkland non si sarebbe mai lasciato erodere dagli anni che
passavano.
***
Furono
due cose a colpirlo, quando entrò nella stanza.
La
prima fu un piccolo oggetto che lo centrò alla bocca
dello stomaco per poi finire rotolando sotto il comodino.
La
seconda fu una voce rossa di rabbia che sibilò:
«Come
può un uomo tanto stupido essere stato capitano de La Reina?»
Antonio
massaggiò il ventre e richiuse la porta della camera
spingendola con il bastone.
«Pensavo
fossi già a letto, Lovino.» Assottigliò
gli occhi
per scorgere qualcosa in più del profilo umbratile del
giovane: man mano che le
sue pupille si adattavano alla fitta penombra della camera i lineamenti
del
ragazzo emergevano dalla notte, come un disegno di cenere su una tela
nera. La
poca luce lunare che strisciava attraverso le imposte
spruzzò di argento i
capelli e le pieghe dei vestiti, ma non riuscì a scostare
l’ombra annidata
sugli occhi. Tutto ciò non rappresentò un grosso
problema: Lovino era talmente
irato con lui che le iridi quasi luccicavano nel buio.
«Credevi
che io valessi una sola peseta?»
ringhiò.
Ecco
cosa gli aveva lanciato addosso: la moneta che aveva
fatto scivolare nella sua tasca durante il colloquio con Arthur.
«Hai
detto che era quella a tenerti ancorato a questo posto»
ribatté Antonio, sedendosi sul letto a fianco del ragazzo,
che, per tutta
risposta, arretrò fino a rimanere accovacciato
sull’angolo più lontano.
«Quindi
era il tuo modo per darmi il benservito.»
«Volevo
solo farti capire che sei libero di accettare
l’offerta del capitano, se è quello che
vuoi.»
«E
non potevi usare la tua fottuta bocca per dirlo?»
Un
raggio lunare si frantumò nei suoi capelli quando Lovino
scattò con il volto verso il basso.
«Liquidarmi
con una moneta… mi hai preso per una puttana?»
Il
palmo di Antonio si poggiò sulla testa del ragazzo e
Lovino sgroppò come un torello per liberarsene. Ma questa
volta l’uomo non
aveva intenzione di assecondare la sua ostinazione: vedendo rifiutato
il primo
approccio, lasciò cadere il bastone per serrare il giovane
in un abbraccio.
L’impugnatura di metallo rintoccò contro il
pavimento nella sorpresa muta che
seguì il gesto dell’ex-capitano.
«Lasciami
andare!» s’incaponì Lovino, agitandosi
come se le
braccia del compagno fossero fatte di tizzoni ardenti.
Antonio
contenette la rivoluzione del ragazzo con una
tranquillità encomiabile: non imprecò contro i
pugni che gli tempestavano il
petto, non gli permise di sciogliere il nodo del suo abbraccio e
sopportò il
suo dimenarsi senza mai smettere la maschera di accondiscendenza.
Quando
finalmente la fatica spossò la sommossa, Antonio
accentuò la presa sulla schiena del giovane, premendolo
contro di sé.
Sollevò
gli angoli della bocca in un sorriso nel momento in
cui il fisico sodo del ragazzo si delineò contro il suo:
Lovino non era più lo
scheletro semovente giunto alla sua porta qualche mese prima.
«Ascoltami»
comandò paterno. Il pescatore emise uno sbuffo
incomprensibile, che non fermò l’uomo:
«Non volevo offenderti. Volevo solo
farti capire che sei libero di andare, se vuoi.»
«L’ho
capito!» reagì Lovino, sollevando il volto. Per la
prima volta, la luna riuscì a stracciare il drappo
d’ombra dai suoi occhi, che
balenarono nella notte come laghi castani. Il loro particolare
sfavillio non fu
dovuto solo all’azione dell’astro notturno:
imprigionati nelle iridi orgogliose,
si agitavano sciami di lacrime trattenute. «Sei
così ansioso di buttarmi
fuori?»
La
gamba malata lanciò un gemito, ma venne ignorata
dall’uomo, concentrato solo nello scostare la frangia fulva
per poggiare un
bacio sulla fronte del ragazzo.
«Lovino,
ho detto che puoi andare, non che sei obbligato a
farlo» bisbigliò sulla pelle seccata dal mare, e
addomesticò il rimbrottare del
compagno accarezzandogli i capelli profumati di vento e salsedine.
«Ma
saresti felice se me ne andassi»
s’invelenì lui.
«Lovino»
la voce di Antonio scivolò in una tonalità roca e
calda. Il giovane aveva imparato a riconoscere quella particolare
cadenza tra
tutte le altre; gli ricordava la sabbia di mezzogiorno, ardente e
ruvida. Affiorava
a raschiare le morbide tonalità spagnole solo quando Antonio
parlava della sua
ferita e del mare, ossia quando menzionava rispettivamente il suo
dolore più
grande e il suo amore più sconfinato. Come se la sua voce
normale non potesse
reggere emozioni troppo forti, e si sgretolasse sotto il peso di quei
sentimenti incalzanti.
«Resta.»
Bastò
una parola ad infrangere lo scudo di collera che
Lovino aveva innalzato: quelle poche lettere trapassarono le sue difese
come giavellotti,
e si conficcarono dritte nello sterno. Perché Antonio usava
la voce delle
grandi emozioni per lui? Non era solo un suo dipendente?
Cercò
di distanziarsi per osservarlo in volto, ma il
compagno lo cinse con maggiore forza, immobilizzandolo.
«Lovino…»
lo chiamò di nuovo, con quella modulazione
arrochita.
La
mano dell’uomo scivolò sulla sua guancia,
guidandogli il
viso verso l’alto.
Antonio
non era fiero del suo comportamento. Aveva deciso di
non imporsi, per lasciare Lovino libero di assecondare il suo ardore
per le
onde. Ma il suo piccolo pescatore era così bello, anche con
i segni del mare
sul volto: la salsedine incastrata nella zazzera rossiccia, il colorito
abbronzato
che il sole aveva coltivato sulle guance, la fragranza di iodio
annidata nei
vestiti. Era il modo in cui l’oceano esigeva quel ragazzo
come suo,
marchiandolo con i propri simboli; aveva ragione Arthur, il mare era un
amante
geloso.
Ma
cosa poteva fare un fuoco d’acqua, in confronto ad un
uomo innamorato?
Le
labbra del capitano si appropriarono di ciò che i flutti
non avrebbero mai potuto raggiungere: schiusero la bocca del giovane in
un
bacio, ed il respiro del ragazzo si intrecciò al suo.
Lovino
non si lasciò domare istantaneamente: oppose
un’instabile resistenza, altalenando tra momenti di cedimento
e istanti di ostilità.
Antonio attese che le animosità del ragazzo cessassero fino
a sentirlo più
malleabile nel suo abbraccio.
Fu
Lovino il primo a troncare il bacio: quasi si rovesciò
per la forza con cui si spintonò via.
«Ti
odio» le dita si serrarono sulla camicia del compagno,
scosse da un impercettibile tremore. «Perché devi
sempre complicare tutto?»
«Se
vuoi andartene, la peseta
è sotto il comodino» lo informò
carezzevole Antonio.
Il
pugno non lo vide arrivare, ma le nocche di Lovino furono
brutali nell’abbattersi sulle sue costole.
«Perché
dai tanta importanza ad uno spicciolo?» si
arrabbiò,
sferrando un secondo colpo. «Sei davvero un uomo
stupido.»
«Talmente
stupido da chiederti di rimanere, non è
così?»
«Fottiti.»
Antonio
non si risentì della scurrilità del ragazzo. Al
contrario, lo condusse con gentilezza sul materasso, al suo fianco.
Tenne le
mani saldate alla sua schiena, per impedirgli di arretrare, e la bocca
sulla
sua fronte perché anche la pelle potesse udire
l’ultima richiesta:
«Resta
qui, Lovino.»
Il
ragazzo gonfiò le guance indispettite, ma fu
l’unico
segno del suo risentimento; le mani si appoggiarono sulle braccia
dell’uomo con
uno schiaffo appena trattenuto: quello era un abbraccio,
nell’ottica bisbetica
del giovane.
I
baci caddero sul volto del pescatore con la dolcezza della
pioggia primaverile, intervallati dalla voce roca dell’uomo
che mormorava il
suo nome.
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Capitolo 4 *** Bora ***
Bora
L’alba
gli parve diversa, quella mattina: aveva visto
innumerevoli volte il manto violaceo del mare stingere in un rosa
pallido e poi
infuocarsi di rosso, seguendo i dettami del cielo soprastante.
Poggiò
una mano sul tessuto ruvido della camicia,
all’altezza del ventre.
Forse
il cambiamento non era nel sole che sorgeva.
Quella
notte aveva visto per la prima volta la cicatrice di
Antonio, un piccolo cratere di pelle nivea. Sembrava impossibile che
una cosa
così modesta avesse potuto cambiare tanto la vita
dell’uomo.
Scosse
la testa per sbatacchiare fuori quei pensieri
inopportuni, ma la spiaggia lo tradì: il timido calore
dell’alba che si
insinuava nei suoi vestiti gli ricordò il tepore del corpo
del compagno, la
pelle riscoprì nello scirocco che la sfiorava le carezze del
capitano, e la
risacca scrosciante sembrava chiamarlo con la voce roca che
l’aveva fatto
fremere la sera prima...
«Già
sveglio a quest’ora?»
Lovino
quasi saltò sul posto come un gatto selvatico: troppo
preso dai suoi pensieri, non si era accorto del capitano seduto sulla
sabbia
fresca. Anche se quel giorno l’uomo non indossava la
sgargiante uniforme,
avrebbe dovuto comunque notare di non essere da solo sulla battigia.
L’inglese
lo squadrò con calma, giocherellando con la pipa
che teneva in mano.
«Hai
dormito male» sancì alla fine. «O non
hai dormito
affatto.»
«Ho
dormito benissimo» lo contraddisse Lovino, abbassando
però il cappello per coprire gli occhi affaticati.
«Davvero?»
si meravigliò sornione Arthur.
Il
ragazzo annuì scontroso, e sollevò il colletto
della
camicia: i baci di Antonio marchiavano la sua pelle nonostante la notte
fosse
finita, e preferiva che l’astuto capitano non notasse il
petalo rosso che
svettava sopra la clavicola.
Il
pescatore si diresse verso la barca rovesciata e appoggiò
l’equipaggiamento sulla sabbia per poterla ribaltare. Non
riuscì a farlo:
Arthur si appoggiò al guscio ligneo, impedendogli qualunque
azione.
«Pensi
di proporti per la Queen of Pirates?»
Sentire
lo spagnolo storpiato affiancato all’inglese fluido
del capitano nella stessa frase faceva davvero un buffo effetto, ma
Lovino non
era dell’umore per ridere.
«Una
volta preso il largo è difficile tornare indietro,
sai?» lo ammonì Arthur, picchiettando
l’estremità grassoccia della pipa contro
il legno della barca.
«Perché
siete così interessato alle mie scelte?»
«Perché,
se tu declini l’offerta, dovrò cercare un nuovo
mozzo» replicò con candore Arthur. «E
perché mi sembra che tu sia molto affezionato
a questo posto.»
«Questo
sarebbe un valido motivo per partire» oppose Lovino,
in attesa che il capitano si spostasse dalla barca.
L’inglese
poggiò la pipa alle labbra e ne masticò
l’imboccatura, assorto.
«Perdonami,
ma l’essere innamorato… di questa
città» si
corresse, notando il cipiglio corrucciato del giovane. «Non
dovrebbe essere un
motivo per restare?»
«Niente
affatto» mugugnò Lovino. Doveva ricordarsi
dell’Italia che gli aveva accoltellato il cuore e della
famiglia che gli aveva
ridotto a brandelli l’anima. Se voleva salvare quel poco che
gli era rimasto,
non doveva permettere a nessuno di metterci le mani sopra. Nemmeno ad
Antonio.
Arthur
si sporse sulla barca e lo avvertì:
«Se
salperai con noi, ragazzo, difficilmente tornerai in
questo porto. E, se ci tornerai, sarà solo per vedere come
la vita è continuata
senza di te, e forse sarà anche peggio che non farvi
ritorno. Pensa a questo
mentre deciderai.»
Lovino asserì
velocemente, facendogli capire che il tempo delle chiacchiere era
finito. Il
capitano si sollevò dall’imbarcazione, e
finalmente il ragazzo poté girarla e
caricarla con l’attrezzatura per la pesca.
Arthur
si allontanò, lasciandolo solo con il suo lavoro.
Tanti
anni prima, lui non era riuscito ad abbandonare il
mare per stare al fianco del suo amico; l’espressione di
Antonio, quella volta,
era speculare a quella di un naufrago che vede i soccorsi passare senza
dargli
aiuto. Sperava che almeno quel ragazzo riuscisse a preferire un
abbraccio vivo
alle fredde lusinghe dell’oceano.
Tuttavia,
Antonio aveva ragione: Lovino era come loro, nel
bene e nel male.
Il
capitano abbandonò la spiaggia durante il risveglio dei
gabbiani e dei loro stridii scoordinati.
***
«Ma
come poteva essere indecisa?» si adirò una
ragazzina.
«E’
difficile scegliere tra due sogni di pari valore:
Antonio e il mare occupavano ciascuno metà del suo cuore. Fu
arduo decidere. E
non dimenticate che la poverina
usciva scottata dai suoi precedenti legami: come biasimarla se non
voleva
soffrire di nuovo?» Francis difese la docile
pulzella sentendo il viscidume della bugia scivolargli lungo
la spina dorsale.
«Ma
avrebbe sofferto comunque!» obiettò una delle
amichette.
«Lei pensava di
patire di meno recidendo quel sentimento prima che diventasse troppo
forte»
spiegò Francis.
«Ma…
ma non è vero! Era già innamorata!» una
delle
tredicenni quasi pianse nel lanciare quel lamento.
«Ma
non voleva ammetterlo. Ricordatevi che lei considerava
l’attaccamento affettivo un errore: ecco perché
non voleva assolutamente
ammettere di provare qualcosa per l’ex-capitano.»
«E…
come continua la storia?» pigolò la prima, con il
labbro
tremulo.
«Avete
mai sentito il detto: “Le decisioni si prendono
all’alba”? Fu proprio il sole che spuntava in cielo
a udire la conclusione cui
giunse la giovane dopo lunga e
sofferta meditazione. Passò una settimana
dall’incontro con il capitano, e
mancavano altri sette giorni prima che la Queen
of Pirates partisse.»
Francis
ricominciò a narrare, pago delle espressioni
addolorate delle signorine.
***
L’alba
distribuì una cascata di rame sui tetti, sui muri e
sui selciati, incendiando la città con i colori del sole
nascente.
Lovino
non riuscì ad apprezzare lo spettacolo: era sveglio
da ore, seduto sul bordo del letto del gestore della locanda, vestito
della
sola camicia di tessuto grezzo. Stringeva la coperta tra le dita, la
testa lievemente
incassata nelle spalle; i sospiri bloccati si impastavano tra di loro
in un
groviglio vischioso a livello dell’esofago.
Antonio
si mosse sotto le lenzuola, per poi alzarsi a sedere
con il viso stropicciato di sonno. Ebbe qualche difficoltà
nel sistemarsi sul
materasso per via della gamba, che ancora non aveva smesso di dolergli,
benché
il temporale fosse passato.
«Ho
deciso» comunicò Lovino, senza lasciargli nemmeno
il
tempo di rivestirsi.
Antonio
batté le palpebre per cacciare gli ultimi residui di
torpore, e rassettò le coperte in modo che coprissero
l’indispensabile prima di
invitare Lovino a proseguire.
«Accetterò
la proposta del capitano.»
Lo
vide andare in pezzi, lo sentì
andare in pezzi.
Con
una sola frase, aveva devastato l’uomo che gli stava di
fronte: restò integro nel corpo, ma qualcosa dentro di lui
si spense e si
frantumò, come se qualcuno avesse fatto cadere la lampada
del suo spirito.
Con
stoicismo invidiabile, Antonio riuscì a rispondere,
sfoggiando
persino un sorriso tirato:
«D’accordo.
Te l’ho detto, sei libero di partire. Arthur
sarà felice di averti nella sua ciurma.»
Non
aggiunse altro: si sporse verso il ragazzo e lo
strattonò contro di sé in un abbraccio possessivo.
Il
giovane simulò un flebile dissenso per pura scena, ma la
sua finta si incagliò nella preghiera dell’uomo:
«Non
alzare la testa, Lovino.»
La
voce rauca grondò fuori dal cuore spaccato, e Lovino,
quella volta, ubbidì. Se Antonio non voleva che lui
drizzasse il capo per
vederlo in viso, l’avrebbe fatto: almeno quel piccolo favore
poteva
concederglielo.
Artigliò
le spalle dell’uomo e spinse la fronte nell’incavo
del suo collo, ad occhi chiusi.
Restarono
così, stretti uno all’altro, ciascuno trincerato
nel rispetto del dolore altrui: nessuno dei due aprì le
palpebre per vedere la
sofferenza del compagno. Lovino si sciolse dall’abbraccio a
testa bassa;
Antonio girò il viso verso la parete opposta, e
restò così mentre il ragazzo si
rivestiva e scendeva.
Dopo,
solo dopo che se ne fu andato, si afferrò la testa con
le mani.
***
Fu
più lento del solito a scendere le scale, quella mattina:
aveva l’impressione che qualcuno gli avesse colato del piombo
fuso nelle
arterie della gamba. Perfino con il bastone fece fatica a raggiungere
il piano
terra, e ciò suscitò la preoccupazione dei suoi
dipendenti.
Li
rassicurò velocemente e si recò nella sala
principale,
dove il capitano inglese si stava riposando sul divanetto.
«Partirà»
telegrafò Arthur, vedendolo entrare.
«Lo
so. Lo immaginavo da prima che me lo dicesse» disse
Antonio, sedendosi al suo fianco con un sospiro di sollievo: la vecchia
lesione
sembrava impazzita, quella mattina.
Arthur
lo esaminò critico, e corrugò la fronte in segno
di
disapprovazione.
«Antonio,
non offenderti, ma sembra che tu sia appena
tornato dal regno dei morti» constatò clinico il
capitano.
«Sei
il solito esagerato» lo acquietò il padrone
dell’albergo.
«La
nave parte tra sette giorni.»
«Lo
so.»
«Non
lo vedrai più.»
«E’
probabile.»
«E
lo accetti?»
Antonio
serrò i pugni, come aveva fatto quando il medico gli
aveva estratto il proiettile dalla carne viva.
«Dovrò
accettarlo» decise alla fine.
«Io
non posso obbligare te a trattenerlo né lui a restare.
Ma se entra davvero nel mio equipaggio, non cambierò le
rotte perché lui possa
tornare a trovarti, lo capisci?» insistette Arthur.
«So
quali sono i doveri di un capitano. Fallo diventare un
bravo uomo di mare, e non te ne pentirai» previde Antonio.
«Ma
tu sì» replicò brutale
l’altro. «Perché rendi sempre
tutto complicato?»
Antonio
sorrise con amarezza, ricordando:
«Mi
è stata mossa questa stessa critica circa una settimana
fa.»
Arthur
digrignò i denti, seccato. Non aveva diritto di
intromettersi oltre nella vita di quei due, ma
l’arrendevolezza di Antonio lo
faceva imbestialire: non capiva con quale spirito avesse deciso di
martirizzarsi
a quel modo, rinunciando volontariamente all’unica persona
che per lui fosse
paragonabile al mare.
«Partiremo
tra sette giorni, con la marea» gli ricordò,
alzandosi. «Se vuoi fare qualcosa, fallo entro quella
data.»
«Salpa
tranquillo con il tuo nuovo mozzo» ribatté
Antonio,
con spossata affabilità.
Restò
immobile sul divano ancora per un po’, ad ascoltare il
tempo che passava.
Poi
fece leva sul bastone e si rialzò.
C’erano
ancora tante cose da fare.
La
giornata lavorativa era appena iniziata.
***
Le
tredicenni lanciarono un acuto lacrimoso.
«Come
ha potuto?» guairono.
«Aveva
preso la sua decisione, e voleva portarla fino in
fondo: sarebbe partita la settimana seguente»
rimarcò Francis, con una vena di
sadismo.
«Dunque
partì?» s’impensierì la donna
con la crocchia.
Francis
si concesse un’abbondante manciata di secondi per
accrescere la tensione delle giovinette.
«La
storia è quasi terminata. E questa è la
conclusione.»
Prese
fiato e cominciò.
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Capitolo 5 *** Maestrale ***
Maestrale
Sporto
dal ponte di comando, Arthur assistette allo
spettacolo della ciurma che riempiva la stiva, come faceva sempre prima
di un
lungo viaggio.
In
mezzo ai membri più consumati dell’equipaggio
zampettava
Lovino, che quasi spariva dietro le casse che trasportava. Di sicuro
non gli
mancava la forza di volontà per diventare un bravo marinaio.
Appoggiò i gomiti
al
parapetto e lanciò uno sguardo verso il basso: le onde si
arricciavano contro
le possenti fiancate della nave, e le più audaci arrivavano
a spazzare la
passerella che collegava la Queen of Pirates
al molo. Un vento allegro scompigliava le frange bianche dei flutti in
piccoli
spruzzi: quell’aria sarebbe stata l’ideale per
gonfiare le loro vele, una volta
giunti al largo.
Spinse
la sua attenzione oltre i coriandoli di spuma marina,
sul litorale e poi sul porto, dove alcuni paesani si erano riuniti per
salutare
il famoso corsaro e il suo seguito. Ma non distinse alcun uomo
appoggiato ad un
bastone.
Gli
occhi verdi vagarono oltre, alla ricerca della sagoma
della locanda. Antonio aveva una camera con vista sul mare: sicuramente
era
affacciato ad una finestra per salutare il suo ultimo affetto che
partiva.
Arthur
passò una mano tra i capelli, pensoso: non era venuto
perché lui aveva detto di non voler più vedere la
sua faccia abbattuta?
«Maledetto
filantropo» grugnì.
«Tutti
a bordo!» sberciò la vedetta, non appena i viveri
furono immagazzinati.
I
marinai si affrettarono a risalire la passerella e a
prendere posto sulla nave.
Solo
una figuretta si attardò, calamitata dalla città
che si
svegliava in lontananza. Il vento agitò i capelli,
cospargendoli di riflessi
autunnali, e ingrossò i vestiti troppo larghi, ma non smosse
di un millimetro
il ragazzo, immobile a fissare una piccola locanda persa in una foresta
di
costruzioni.
«Ehi,
scricciolo, dobbiamo levare l’ancora!»
abbaiò il
timoniere, mettendo le mani a coppa attorno alla bocca.
«Sbrigati a salire!»
Lovino
si voltò quasi perplesso, come se non capisse
perché
cercassero proprio lui; si volse di nuovo, a baciare con gli occhi
l’alberghetto bianco, poi diede le spalle alla spiaggia e
cominciò a salire.
Il
vento ruggì, e la passerella ondeggiò tanto che
Lovino fu
costretto ad abbassarsi per non essere disarcionato. I flutti
tutt’attorno si
ingrossarono rombando, ed esplosioni di schiuma candida deflagrarono
dal
profilo aguzzo degli scogli.
«E’
bello quel paesino, vero?» gridò Arthur sopra gli
ululati delle folate aggressive. «Dispiace quasi
lasciarlo.»
La
natura si rabbonì all’improvviso: le onde
tornarono a
sciamare con grazia, guidate dalle maree, e il vento scemò
in una brezza
morigerata.
Lovino
non udì le sue parole, o fece finta di non averle
sentite: si rialzò sulla passerella e ricominciò
a salirla.
Ma
ebbe di nuovo un istante di esitazione sull’ultima asse
di legno. Non si voltò a guardare il litorale, ma lo vide
anche senza girarsi:
le lingue di sabbia, la strada che portava alla locanda e che
proseguiva verso
il mercato… la finestra da cui lui stesso aveva osservato
tante volte il mare…
«E’
un vero peccato lasciarlo, non è così?»
Arthur
non precisò l’oggetto della sua domanda.
A
chi si riferiva l’inglese? Al paese o ad una persona in
particolare?
Il
capitano buttò fuori un rivolo di rimpianto con un
sospiro: nemmeno quella volta avrebbe potuto fare niente per il suo
amico.
Lovino
aveva compiuto anche l’ultimo passo. Ormai era a
bordo della nave.
***
Antonio
aveva avvicinato una sedia alla finestra, poiché
sapeva che le sue gambe non avrebbero retto un secondo addio, dopo
quello al
mare.
Guardò
tutto, come aveva fissato il bisturi mentre sradicava
la pallottola dal suo muscolo sanguinante, anni prima.
Osservò l’equipaggio che
caricava la nave, il galeone che si riempiva di merci e di persone, e,
infine,
la partenza.
Anche
senza distinguere i dettagli, aveva immaginato tutto:
l’ancora che veniva sollevata, le vele spiegate, il timone
strattonato verso la
rotta stabilita.
E
Lovino che se ne andava.
Passò
una mano sugli occhi. Era stanco. Terribilmente
stanco.
Chiamò
Consuelo per farle sapere che quel giorno non sarebbe
sceso poiché le sue condizioni di salute non erano delle
migliori. La cameriera
accettò le sue disposizioni con un inchino e se ne
andò, angustiata.
Antonio
appoggiò il bastone alla parete, e restò a
fissare
il galeone che si rimpiccioliva fino a sparire. Il mare gli
sembrò tremendamente
vuoto, quando il vascello fu sparito.
«Dea
del Mare» esalò. «Non ti è
bastato prenderti la mia
prima vita? Dovevi strapparmi anche la seconda?»
Chiuse
le palpebre, esausto. No, non era colpa della Dea: se
avesse voluto Lovino accanto a sé, avrebbe dovuto insistere
maggiormente
affinché restasse. Aveva deciso di non farlo, e quello era
il risultato della
sua scelta: un mare sterile ed un letto vuoto.
Ma Lovino era felice.
Forse, una lontanissima eco della sua gioia sarebbe arrivata fino a
lui,
trasportata dalle onde: si sarebbe fatto bastare quel baluginio di
contentezza
per tirare avanti.
Non
si accorse di essersi addormentato finché un gran putiferio
al piano di sotto non lo destò: aveva passato le notti
precedenti in un’agitata
insonnia, per cui non era stato troppo complicato cedere alle seduzioni
di
Morfeo.
Faticò
non poco per togliersi dalle spalle quel pesante intontimento.
Afferrò l’impugnatura del bastone per sollevarsi
dalla sedia; dal pian terreno
si levava un tramestio di voci concitate, ed un rumore acquoso si
faceva strada
sulle scale.
Antonio
non riuscì a capire di cosa si trattasse finché
la
porta non venne spalancata.
«Che
il diavolo ti fulmini!» sbraitò una strana
creatura,
chiudendo con violenza l’uscio. «Tutta questa
fatica per un idiota!»
I
capelli come alghe rossicce, gli indumenti ridotti ad un
agglomerato di stoffe fradice ed una grossa pozza che si allargava ai
suoi
piedi: Antonio impiegò qualche istante a distinguere
qualcosa in quello strano
essere.
Ma
quando lo riconobbe non trascorse un secondo prima che
l’ex-capitano, dimentico del suo bastone e del suo zoppicare,
corresse da lui e
lo circondasse con un abbraccio.
«Mi
soffochi!» s’incaponì il gocciolante
individuo.
«Perché
sei tornato?» esultò Antonio, stringendolo con
tanta
forza da stritolarlo.
La
voce non era solo roca: si sbriciolava nelle corde vocali
dell’uomo per l’emozione. La gioia di Antonio era
tale che debordò come un lago
arginato da una diga troppo piccola, sommergendo anche il ragazzo che
cingeva
con le braccia.
«Non
fare domande idiote» bofonchiò contro la sua
spalla
Lovino, che ancora non aveva ricambiato l’abbraccio.
«Ti sto bagnando» gli fece
notare, poiché il compagno sembrava non curarsi affatto dei
vestiti che si
impregnavano d’acqua.
«Lovino!»
festeggiò Antonio, baciandolo sullo zigomo, sul
mento, sulla fronte. Gli indumenti di entrambi erano ormai zuppi, e le
labbra
dell’uomo si bagnarono nel percorrere il viso lucido di mare
del ragazzo, ma
Antonio non se ne preoccupò: la sua percezione del mondo si
limitava al giovane
che brontolava contro il suo petto.
Lovino
si zittì, e si arpionò alla camicia umida del
compagno. Non gli avrebbe detto di come la nostalgia lo avesse
pungolato,
convincendolo a girarsi di nuovo; non gli avrebbe rivelato che,
voltandosi,
aveva intravisto il suo viso alla finestra; soprattutto, non avrebbe
mai saputo
che si era sentito perduto al pensiero che, se fosse partito, non gli
sarebbe
bastato volgere lo sguardo per incontrare il suo volto.
La
Queen of Pirates non
poteva certo fare inversione solo per lui, né calare una
scialuppa di
emergenza. Così Lovino aveva fatto l’unica cosa
possibile, e anche la più
pazza: aveva scavalcato il parapetto e si era tuffato, nello sgomento
dei
marinai e nel giubilo del capitano, che lo aveva incitato a nuotare
più veloce.
Aveva
raggiunto la riva a nuoto, agevolato dalla calma del
mare, quasi docile durante la frenetica traversata del giovane.
Ed
eccolo lì, selvatico e piovoso, aggrappato al motivo che
lo aveva fatto tornare sulla terraferma.
«Non
partire più» bisbigliò Antonio,
avvicinandosi alla sua
bocca. Lovino schiuse le labbra, assaporando il gusto della sua scelta.
Il
materasso sembrò più soffice delle volte
precedenti,
quasi gioisse anche lui del ritorno del giovane.
Il
ragazzo non inscenò alcuna guerriglia, quel giorno, e non
scalciò contro l’uomo che si adagiava su di lui.
Trattenne il respiro quando i
bottoni si separarono dalle asole, e lo liberò in un ansito
nell’avvertire la
bocca del compagno sul suo petto infreddolito.
I
vestiti non riuscirono a bagnare il materasso: raggiunsero
il pavimento in poco tempo, e dovettero accontentarsi di inzuppare
delle misere
assi di legno. I capelli di Lovino, al contrario, formarono una
frastagliata
ghirlanda umida sul cuscino.
Le
mani e gli occhi dell’uomo esplorarono tutto il corpo del
giovane, come se lo scoprissero per la prima volta. Partirono dai
capelli
arruffati dalla nuotata e li accarezzarono piano, come una seta
pregiata. Poi
scesero sul viso, dove le dita si soffermarono sulle labbra arrossate e
gli
occhi sui loro gemelli castani.
La
bocca dell’uomo si attardò sulla pelle morbida del
collo,
e le mani proseguirono fino ad incontrare la consistenza tenera delle
cosce.
Ripeté
il suo nome, la voce ridotta ad un bisbiglio rauco, e
Lovino rispose facendo strisciare le gambe contro i suoi fianchi e le
braccia
attorno al suo collo.
Com’era
bello, il suo Lovino, nonostante i capelli
scompigliati e le labbra screpolate dall’aggressione della
salsedine. Non era attraente
perché i suoi lineamenti fossero perfetti, o il suo fisico
scultoreo. Era come
il mare, forte e fiero fino all’arroganza, affascinante anche
nei suoi lati più
aspri. Ma Lovino era infinitamente superiore all’oceano: era
un amico dalle
lunatiche premure, un lavoratore fidato e un amante litigioso. Era una
persona
viva, un innamorato pronto a gettarsi in mare per non perdere chi amava.
Lo
baciò ancora mille volte, insaziabile del gusto salato
delle sue labbra.
Le
braccia di Antonio lo serrarono con forza mentre i loro
corpi si univano, come se l’uomo volesse immergersi
direttamente nel suo
spirito. Lovino cercò un appiglio nelle sue spalle per
rispondere al desiderio
che si faceva strada in lui, represse con veemenza le lacrime e si
lasciò
modellare dalla volontà dell’amante, pronto a
condividere anche l’anima: si era
legato a quell’uomo precludendosi le libertà che
l’oceano gli offriva, per cui
non avrebbe risparmiato nemmeno una cellula del suo essere nel vivere
quell’amore.
Immerse
le dita nei capelli scuri come le profondità marine,
respirò il profumo intenso del compagno, premette le labbra
sulla pelle
bollente. Non gli importava dove tutto quello lo avrebbe condotto: per
quanto
il sentiero potesse diventare periglioso, Antonio sarebbe stato con
lui. Aveva
scorto un inespresso giuramento negli occhi verdi che lo lambivano
adoranti, e
quel giuramento gli garantiva che non sarebbe mai più stato
solo: l’ex-capitano
non gli avrebbe permesso di chiudersi di nuovo dentro se stesso.
I
muscoli dell’uomo si irrigidirono dalla sorpresa quando
Lovino sollevò il capo dal guanciale per baciarlo di sua
sponte; lo stupore
durò per un secondo prima che Antonio ricambiasse la
piacevole caparbietà del
giovane.
Lovino
si premette contro di lui, ansando piano nelle sue
labbra calde.
Quello
era il legame per cui era pronto a mettere in gioco
il proprio cuore.
Per
Antonio, era disposto a rischiare.
***
La
vista era davvero stupenda, da quella camera.
Capiva
perché Antonio l’avesse voluta per sé:
di notte, la
luna arrivava a trovarsi esattamente al centro della finestra, come un
quadro
orientale.
Lovino
si spostò cauto sotto le lenzuola, cercando di non
svegliare Antonio. Uno zefiro notturno gli scivolò sulla
pelle nuda, facendolo
rabbrividire, e il ragazzo si avvicinò di nuovo al compagno
assopito per
acciambellarsi nel suo calore.
Si
sentiva la risacca del mare, in lontananza. Quella sera
avrebbe dovuto udirla più distintamente, accucciato nella
pancia di una nave, separato
da lei solo da un rivestimento di legno e pece. Invece
ascoltò il suo canto
sdraiato in un letto comodo, abbracciato da una coperta e dal suo
amante.
Non
era stato il mare a strapparlo da un padrone violento, a
dargli una casa e un lavoro, ad innamorarsi di lui. Era stato Antonio.
Solo
Antonio.
«Sarà
per la prossima volta» soffiò in direzione delle
onde
danzanti.
Si
sollevò appena per osservare il suo compagno: Antonio
dormiva sereno, le braccia attorno ai suoi fianchi, la corporatura
solida messa
in risalto dalle luci di mezzanotte, la cicatrice che raggrinzava la
linea della
coscia.
Sicuro
che l’ex-capitano non si sarebbe svegliato, Lovino
allungò la mano per sfiorare la pelle in rilievo. In un
certo senso, era in
debito con la malasorte che aveva bloccato sul litorale il coraggioso
corsaro.
Se le cose fossero andate diversamente, lui sarebbe rimasto sotto le
bastonate
del fruttivendolo, e Antonio non avrebbe mai saputo della sua esistenza.
Risalì
il contorno del corpo dell’uomo, poggiò i palmi
sul
suo petto e la guancia sulle nocche.
«Non
parto più» sbuffò, tra il risentito e
il mansueto.
«Perciò tu non lasciarmi andare.»
Nel
sonno, Antonio strinse la presa attorno alla sua vita e
immerse il viso nei suoi capelli, per poi tornare immobile.
Lovino
lo abbracciò a sua volta e usò il suo petto come
cuscino per addormentarsi.
Non
gli sarebbero servite stelle polari ad indicargli la
strada, porti in cui attraccare e avventure per le quali imbarcarsi.
Con
lui c’era Antonio.
Non
aveva bisogno di altro.
***
Il
pubblico femminile espresse il suo consenso con un lungo
applauso, che Francis sorbì con la soddisfazione dipinta sul
volto.
«Quindi
sono rimasti insieme?» gorgheggiò la bimba con le
trecce.
«Ovviamente,
mia diletta» confermò Francis.
«E
sono ancora là?» cinguettarono le tredicenni.
«Ma
certo, signorine. Se capitate in Spagna, assicuratevi di
soggiornare alla locanda di Antonio Fernandez Carriero, e potrete
conoscere lui
e la sua dolce metà. Anche se…» si
stuzzicò la barba, alzandosi con un sorriso
criminale: «Forse vi sembrerà un pochino
più mascolina rispetto a
come ve l’ho descritta io.»
Francis
tornò al suo tavolo, lasciando il pubblico attonito
per quell’affermazione.
Non
si preoccupò di risolvere il loro interrogativo: il
tempo del narratore era finito. Era tornato il francese devoto solo
alla
contemplazione estetica.
Sollevò
il calice, brindando intimamente ai due innamorati
nell’assolata baia spagnola, alle risate di Antonio e ai
bronci di Lovino.
«Chiederò
ad Arthur di raccontarmi qualche altra storia
interessante, non appena si fermerà in
Francia…» rifletté, gustando il vino.
Quella
sorsata recava con sé il gusto della nebbia inglese,
dei profumi di Spagna e dei roseti di Francia.
Francis
sorrise, vuotando il bicchiere.
Per
quella sera, non vi erano altre storie che valesse la
pena di raccontare.
Sequel di Rosa de los Vientos: Rosario
Cuentas
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