Away from you

di Sophie_Lager
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Beast ***
Capitolo 2: *** Happen again. ***



Capitolo 1
*** The Beast ***


Questa storia non è una fanfiction, i personaggi sono miei e così gli avvenimenti e gli eventi narrati. Tuttavia, non posso fare a meno di ringraziare la mia fonte di ispirazione, senza la quale questa storia non sarebbe mai nata. E forse, qualcuno di voi lettori, riconoscerà qualche citazione dei nostri Cat e Vinc.
Detto questo, non mi resta che augurarvi buona lettura, sperando che la mia creazione vi piaccia!
XXX

Sophie Lager



CAPITOLO 1
 

«Allora, detective Grey, che cosa abbiamo qui?»

«Omicidio, signore. La vittima è stata colpita alla testa per simulare un suicidio, probabilmente. Ma il suo aggressore non è stato troppo attento ai dettagli, quindi molto probabilmente la cosa non era premeditata. Ci sono impronte digitali ovunque, con una breve ricerca riusciremo a risalire al possessore del DNA. Come dicevo, la vittima non è morta per dissanguamento. Il sangue a terra è il suo, ma non è stato la causa della morte. Pensiamo si tratti di avvelenamento.»

«Perfetto, lavorateci ancora su. Non abbiamo molto tempo.»

«Certo signore.»

 

«Grey, abbiamo delle prove?»

«Si, dal DNA ritrovato nell'appartamento siamo risaliti al presunto fidanzato di Vanessa Treish. L'uomo non si trova nei paraggi. Delle pattuglie stanno cercando di rintracciarlo.»

«Perfetto, stiamo procedendo bene. Datevi da fare, ragazzi!»

 

«Evelyn. Evelyn! Evelyn Grey!»

«Hey, Richard!»

«Che fai, te ne vai subito a casa?»

«Beh, in realtà… Si.»

«Dai, non puoi saltare questo stupendo aperitivo tra colleghi!»

«Ah, da come hai pronunciato "stupendo" mi è proprio venuta voglia di cambiare idea!»

«Okay, va bene, forse è meglio tornare a casa subito, dovrei seguire le tue orme.»

«Ci vediamo domani, okay?»

«Certo. Fai attenzione, Evy. Non è esattamente sicuro andare in giro per New York di notte, da soli.»

«Hey, Rich, io faccio sempre attenzione. Sono un poliziotto, ricordi?»


 

Dove… Dove sono? 

Oh, la testa!

Non riesco a vedere niente. Mi sembra di avere i postumi di una sbornia.

Sbornia… Quindi sono andata alla festicciola tra colleghi? Non ricordo niente. Maledizione, niente!

Alzo a fatica le braccia e mi stropiccio gli occhi. Muovo gli arti lentamente, non riesco a sentirli davvero. Come se fossi stata addormentata con un tranquillante.

Apro gli occhi, sbattendo ripetutamente le palpebre. 

E il mio cuore manca un colpo.

Dove sono? Questa non è casa mia. E tantomeno il mio distretto di polizia.  

La stanza è grande e bianca. Ci sono scaffali di metallo bianchi pieni di … medicinali, e tutto sembra pulito e disinfettato. C'è odore di acido. Il che non è per niente rassicurante. 

Ad una prima occhiata, direi di essere in un ospedale. 

Guardando meglio, mi accorgo di essere chiusa in una gabbia. 

Una gabbia!

Scatto in piedi, immediatamente sull'allerta. La mano scatta alla cintura, alla pistola. Ma le mie dita afferrano l'aria. Merda! Dov'è la mia pistola? Che posto è questo? E soprattutto, come ho fatto a finire qui?

La gabbia è piccola ma alta, tuttavia non ci sono porte, come se tutto fosse controllato elettronicamente. Mi spingo nell'angolo più lontano dall'unica porta presente nella stanza e premo le mani sulle tempie. Devo ricordare. Ieri sera. Cosa ho fatto ieri sera.

Improvvisamente delle conversazioni mi tornano alla mente, e ricostruisco ciò che è accaduto.

Il caso di Vanessa Treish. Il suo cadavere in una pozza di sangue sul pavimento. Richard che mi invita ad uscire con i colleghi. Io che, da sola, torno a casa camminando sui marciapiedi mezzi deserti di una New York notturna. E poi quel sibilo. Le mie mani che strappano la freccetta dal mio collo. La vista che mi si annebbia. E quei tizi che mi fanno salire sulla macchina…

Poso la mano sul collo, e riesco a sentire il forellino lasciato dal tranquillante sparato da chissà quale pistola. Perché mi hanno portato qui?

In ogni caso, se mi volevano invitare per il tè potevano dirmelo gentilmente. Quindi è meglio scappare il prima possibile. Ma come?

Improvvisamente, la porta si apre. Sussulto e mi spingo ancora di più nell'angolo. Entra un medico, o almeno credo sia un medico. Ha un camice bianco e una mascherina sulla bocca. Non mi lancia neanche un'occhiata. Quindi tutto questo per lui è normale. Bene. Rassicurante. Prende una cartellina e controlla alcuni dati. Poi prepara una siringa, e si avvicina a me.

Oh no. No, assolutamente. Che cosa c'è in quella siringa? 

«Che cosa volete farmi?» Grido al tizio. Lui mi ignora. Prima che la gabbia si apra, entra una donna. E' vestita come il tipo con la siringa, e anche lei non mi considera minimamente. Altro fatto poco rassicurante. Infila dei guanti di lattice bianchi e apre un cassetto. Ne estrae una pistola. 

Tranquillante. Ancora tranquillante.

«Chi siete!» Grido, furiosa e in preda al panico. «Perché mi avete portato qui!»

«E' tutto sotto controllo, signorina Grey. Tra poco sarà tutto finito.» E' l'uomo a parlarmi. Mi volto verso di lui, e compio il peggiore errore: la donna prende la mira e spara. Colgo il tutto con la coda dell'occhio, e istintivamente alzo le braccia. La freccia mi colpisce sull'avambraccio e immediatamente la rimuovo. Troppo tardi per annullare del tutto l'effetto, ma abbastanza per farmi rimanere lucida ancora per un pò. Devo combattere, non può finire così.

«Maledizione!» Esclama la donna, evidentemente rimasta senza armi. Bene, un punto a mio favore.

«Ce la caveremo senza» Risponde l'uomo, passando la siringa alla collega. «Stai pronta a colpirla. Io apro la gabbia.»

E poi il buio.

Un'allarme inizia a suonare, e le luci di emergenza si accendono. I miei due aguzzini si immobilizzano: evidentemente questo non era nei loro piani.

Sento dei colpi sordi e delle urla in lontananza, e di nuovo tutto questo non mi rilassa affatto. Sta succedendo qualcosa di anomalo perfino per queste persone senza scrupoli che rapiscono ragazze dalle strade solo per fare esperimenti. Quindi sta succedendo qualcosa di davvero terribile, ne sono sicura.

«Aiuto!» Inizio a gridare. «Aiutatemi!»

I due mi ignorano, e continuano a fissare la porta, in allarme. Che cosa sta succedendo di preciso?

Poi le urla cessano, e c'è solo il silenzio. Finchè qualcosa non distrugge quella maledetta porta. 

Un uomo entra con passo deciso. Non riesco a vederlo in volto, le luci sono troppo basse. Ma riesco a vedere i suoi occhi, e tanto basta. 

I suoi occhi brillano nel buoi della stanza. Come quelli di un animale. Di un predatore.

Non è possibile.

Istintivamente, mi faccio sempre più piccola, verso l'angolo della gabbia, sperando di non essere vista. I due medici sono immobili. Poi, improvvisamente, scattano. L'uomo si getta sul nuovo arrivato cercando di colpirlo. Senza capire come, l'uomo con gli occhi da gatto si sposta veloce come la luce, lontano alcuni metri da dove poco prima l'avevo visto, e la mia gabbia si apre. Presa dal panico, esco con uno scatto, drigendomi verso la porta. Il mio aguzzino, l'uomo, è ancora impegnato contro lo strano tipo arrivato. La donna viene verso di me. Continuo a muovermi finchè non la considero abbastanza vicina, poi ruoto su me stessa e la colpisco con un calcio. Lei si ferma per un attimo, poi contrattacca. Io cerco di difendermi come posso, ma il tranquillante inizia a farmi effetto: i miei occhi non colgono più completamente i movimenti, le immagini sono sfocate, le mie braccia si muovono con lentezza. Poi la donna mi fa cadere, e io batto la testa sul pavimento freddo. In quel momento di confusione, sento la siringa perforarmi la pelle. Ce l'hanno fatta, alla fine. Strappo via la siringa non appena la donna la conficca nel mio braccio, ma una piccola quantità di quel qualcosa riesce ad entrarmi in circolo. Il liquido brucia nelle mie vene, e io grido di dolore. E allora l'uomo con gli occhi di gatto appare dal nulla sopra di me e attacca la donna. Lei grida, lui come un animale ringhia. Sento la carne della mia aguzzina lacerarsi, e le sue grida placarsi. 

Chiudo gli occhi. Le lacrime sgorgano senza accennare a fermarsi, cerco di non gridare per il dolore e per la paura. Questo non è un uomo. E' una bestia. Un animale. Non un umano.

Apro gli occhi, ma il tranquillante sta avendo la meglio: non vedo più chiaramente.

Mi lascio sfuggire un lamento, quindi torno a mordermi la lingua. Lui non deve sentirmi. Devo lasciare che se ne vada. Che posto è questo? Che cosa succede qui alle persone? Questa bestia è frutto di un esperimento?

Sbatto le palpebre cercando di ritrovare la vista, e lui è sopra di me. A parte gli occhi, il suo viso è umano. Ma non riesco a vederlo, ormai non riesco a vedere più niente. Sento delle mani sotto la mia schiena, e mi accorgo che lui mi sta sollevando. 

«Lasciami!» Grido, con la voce impastata dal tranquillante. Cerco di fare resistenza, ma probabilmente userebbe più forza un uccellino. Muovo le gambe, cerco di sfuggirgli, ma niente. Ormai non posso fare nient'altro se non chiudere gli occhi e sentire il veleno bruciarmi nelle vene.

«E' tutto okay. Sei al sicuro.»

Ed è l'ultima cosa che sento. 

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Capitolo 2
*** Happen again. ***



CAPITOLO 2

Oh cavolo. La mia testa.

Sposto pigramente le mani sulle tempie e premo forte.

Poi con un altro movimento svogliato porto la mano sulla sveglia e la quieto. Quella dannata sveglia. Mi farà andare fuori di testa, un giorno. Ne sono sicura.

Mi alzo dal letto, e vedo i miei jeans. Addosso. 

Non mi sono cambiata ieri sera?

Oh.

Merda.

Ieri sera.

Il mio respiro accelera. Ieri sera. Ieri sera. Che cosa è successo ieri sera? 

Mi torna tutto in mente con un rapido, doloroso flash.

Il lavoro. L'aperitivo. I miei rapitori. L'allarme. La siringa. La bestia.

La bestia.

E' l'ultima cosa che ricordo. Quell'uomo -se così si può chiamare-  che mi prende tra le sue braccia dopo aver massacrato ogni persona in quell'edificio. E che mi dice che sono al sicuro.

E ora eccomi qui. Sono al sicuro.

Con la mano cerco il segno della siringa sul braccio. Non appena appoggio le dita sulla pelle, una fitta mi colpisce all'improvviso. Quella roba non è riuscita ad entrarmi del tutto in circolo, ma qualunque cosa fosse sicuramente non doveva farmi del bene. 

E adesso, che cosa faccio? Sono appena stata rapita da dei pazzi psicopatici che volevano sperimentare non so cosa su di me, in non so quale luogo, e per non so quale motivo. E sono stata salvata da una bestia. Che cosa racconto?

Okay, manteniamo la calma. Non posso raccontare proprio niente. 

E comunque, la polizia sono io. Posso risolvere questo caso da sola. Sperando che ci siano degli indizi sui miei abiti, visto che se non fosse per la siringa, tutto quello che è accaduto potrebbe essere una mia invenzione: non ci sono prove materiali.

Va bene, indagherò da sola su questa faccenda. Su quei pazzi e … su quell'essere. Sempre che sia davvero esistito. Dopotutto, ero sotto tranquillanti. Non vedevo bene, e non riuscivo a comprendere appieno cosa avevo intorno.

Sospiro e mi cambio, cercando di darmi un'aria da persona normale, e non da una che ha appena scampato un'aggressione. Posso riuscirci.

 

«Hey Grey, tutto okay?» 

Sono le 17 e ho superato indenne la mattinata.

La testa continua a pulsarmi da stamattina, e il braccio è in fiamme. Non so cosa fare, sono nel panico più totale. Ho raccontato di essere stata aggredita ieri sera, e di aver perso la pistola e i documenti, ma di essere uscita indenne dall'accaduto. Come detective, sotto questa prospettiva, farei veramente schifo. Ma mi sono ripromessa di non raccontare la verità a nessuno. Almeno, non adesso. Però dopo una mattinata da eroina, i postumi della serataccia si fanno sentire. E non è per niente tutto okay.

«Certo Joe» Rispondo al mio capo, con un sorriso il più luminoso possibile. Ma lui non ci casca.

«No Evelyn, non è tutto okay. Sembri un cadavere.»

«Esattamente. Sembri il cadavere di Vanessa Treish che ho analizzato poco fa.» Commenta Rich ironico, dal computer in fondo alla stanza, intento a trascrivere dati su dati riguardo i DNA ritrovati sulla scena del crimine.

«Allen, torna al tuo lavoro!» Lo ammonisce Joe, prima di rivolgersi di nuovo a me. 

«Grey, è meglio che tu torni a casa. Non stai bene, e vorrei ben vedere dopo quello che è successo ieri. Adesso vai e riposati, e non preoccuparti per il caso. Se ne occuperà Mills.»

«Certo, capo.» Rispondo, quasi contenta. Andare a casa è la cosa che più mi preme al momento, insieme al fatto di voler scoprire che cosa diavolo mi hanno iniettato nelle vene quei due pazzi. Ma avrei voluto un po' più di tempo per cercare qualcosa -qualsiasi cosa- riguardo ciò che ho visto ieri sera. E non è una cosa che posso fare in compagnia dei miei colleghi. Spero di poter rimediare domani, e nel frattempo cercherò di lavorarci da casa.

Sollevata, esco dal distretto senza separarmi dalla mia pistola. Questa volta non verrò rapita di nuovo. Le strade sono già buie, e dopo quello che ho vissuto sussulto ad ogni movimento sospetto.

Cerco di aumentare la velocità, senza mettermi a correre. Devo tornare a casa. Subito. Il braccio sta bruciando, non riesco a ragionare. Mi sento mancare le forze, e ho bisogno di aria. La folla inferocita di newyorkesi che tornato a casa dal lavoro non mi permette di respirare. Dopo alcuni passi, mi faccio strada e mi sposto in uno stretto vicolo deserto. Ci sono alcuni cassonetti e delle porte, probabilmente il retro di qualche locale che da sulla strada. Ma in questo momento non mi importerebbe di nessuno, neanche se ci fosse una festa. 

Mi appoggio al muro e stringo con tutte le mie forze sul braccio, cercando in qualche modo di attenuare il dolore. Non sono un medico, né tantomeno uno scienziato. Non so niente di tutto questo, conosco a malapena il nome delle ossa del corpo umano, non so che fare. Sono un poliziotto, io!

Chiudo gli occhi e continuo a premere. Il dolore è troppo forte, sento la fronte imperlata di sudore, e le forze che mi abbandonano. Sto per svenire, in un vicolo di New York, di notte, e nessuno sa dove mi trovo. Perfetto. Proprio… Perfetto…

Proprio quando sento mancare il terreno sotto i piedi, due braccia mi impediscono di toccare terra.

Di nuovo quella voce.

«E' tutto apposto. Va tutto bene.»

Apro le palpebre un'ultima volta e riesco a vedere i suoi occhi. 

Occhi che non brillano nell'oscurità.

 

Mi sveglio di soprassalto, con il fiato corto.

I miei sensi sono subito in allerta. Il luogo non mi è familiare, proprio per niente.

Dove sono? E' mai possibile che ogni volta che mi sveglio mi trovo in un luogo diverso? Che sta succedendo alla mia vita?

La mano torna alla cintura, e di nuovo non ho la pistola con me. Di nuovo!

Sono in allarme, ogni cellula del mio corpo trema per la paura. Sta accadendo di nuovo.

Ma il luogo non è lo stesso.

Mi trovo sopra un divano scuro, usato, in una stanza buia. Mi pare sia un monolocale, arredato con uno stano stile grunge, che più che ricercato sembra casuale, come se qualcuno avesse tentato di arredare un magazzino il meglio possibile, senza riuscire a tirare fuori qualcosa di meglio. 

La cosa che mi colpisce di nuovo però è che non c'è nessuno. Sono di nuovo sola.

Cerco di alzarmi, ma fare leva sul braccio mi fa ancora male. Mi sfugge un lamento, e noto che la mia camicia è stata arrotolata fino alle spalle per fare spazio ad una benda bianca proprio sopra la ferita. 

Qualcuno mi ha medicato?

O ha cercato invece di finire il lavoro di ieri sera?

Cerco di strappare via la fascia, senza procurarmi altro male, ma una voce mi ferma.

«E' meglio se non lo fai. La benda ti aiuterà a disinfettare la ferita.»

Quella voce.

Mi volto di scatto, e lo vedo.

E' lui. L'uomo che mi ha salvato.

La bestia.

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