What if... Voldemort avesse scelto Neville?

di AryYuna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - 31 ottobre 1981 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - 31 ottobre 1981 ***


    -Premessa-
   Questo è uno di quei megaprogetti che ogni ficwriter ha, sepolto da qualche parte nella sua mente o nel suo pc, ma che pochi riescono a portare effettivamente a compimento. Non so se sarò una di questi pochi, ma prometto che mi ci impegnerò.
   Lavoro su questa idea da secoli, precisamente da quando, i primi di novembre del 2003, ho letto il fatidico capitolo sulla profezia, ma solo verso l’estate del 2010 ho iniziato a metterla fisicamente su carta. Le idee c’erano da sempre, il tempo in un modo o nell’altro si riesce sempre a trovare… il modo di mettere tutto insieme era l’unica cosa che mancava, per cui per mesi questa what if è rimasta sul mio quaderno ad ammuffire.
   Fino ad ora. Spero possa piacervi, sono secoli che non scrivo fanfiction e tra l’altro questo è il mio esordio nel fandom di Harry Potter (in realtà ho un’altra megawhatif sperduta nella mia cartellina, ma conta sì e no un paio di pagine, quindi non la si può considerare).

   ATTENZIONE: ho scelto di usare i nomi italiani, perché è con quelli che a undici anni ho scoperto HP e me ne sono innamorata. Unica eccezione è Paciock (Longbottom è trecento volte meglio) in quanto già da bambina trovavo ridicolo come suonasse.



   - A Francesca, mia sister e potteramica





Capitolo 1 - 31 ottobre 1981


   “Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore, nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull’estinguersi del settimo mese. L’Oscuro Signore lo designerà come suo eguale, ma egli avrà un potere a lui sconosciuto. E l’uno dovrà morire per mano dell’altro, perché nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvivere”
   
   Era una serena sera d’autunno. Un po’ fresca, forse, ma nemmeno il vento che soffiava sulla piazza scoraggiava i bambini che, mascherati da orchi e vampiri, bussavano alle porte chiedendo “Dolcetto o scherzetto?”. Zucche intagliate sui bordi di pietra della fontana illuminavano con le loro candele la zona dove i lampioni erano lasciati spenti, e dai tetti e dalle finestre delle case pendevano ragni e pipistrelli di plastica. Ma nemmeno le decorazioni più fini ed elaborate potevano competere con quelle che ogni anno riempivano la Sala Grande e i corridoi di Hogwarts.
   Una vita fa.
   Quando la guerra ancora non era entrata nelle loro vite, quando lui e i suoi amici stavano insieme, si divertivano, si godevano le giornate, e non erano costretti a nascondersi ai quattro angoli dell’Inghilterra.
   Sospirò, prima di bussare alla porta di una villetta dall’aspetto anonimo. Il suo udito di Animagus percepì i passi frettolosi dell’amico al di là della porta, lo sentì scostare l’otturatore di rame che copriva lo spioncino e schiarirsi la voce per darsi un’aria sicura prima di chiedere « Prova di essere tu » con voce tremante.
   Sirius sorrise.
   « Sono Felpato, Coda. E sembri talmente terrorizzato che ti sento trattenere il respiro ».
   Le serrature scattarono, e Peter Minus aprì sollevato.
   « Lo so, ma il fatto è che sono terrorizzato ».
   Sirius entrò sfilandosi il giubbino di pelle dal taglio chiaramente babbano.
   « Tutto ok? » chiese poi.
   Peter chiuse accuratamente le tre serrature prima di annuire ed invitare l’amico a seguirlo in cucina.
   « Sai che non sarà una porta chiusa a chiave a fermare i Mangiamorte, vero? » gli fece notare l’amico e lui rabbrividì.
   « Novità dall’Ordine? » chiese poi per non pensarci.
   « Sì, ho sentito Lunastorta: pare che Voldemort abbia davvero intenzione di coinvolgere Greyback » rispose Sirius cupo sedendosi al tavolo della cucina.
   « Non puoi evitare di dire quel nome? » squittì Peter con un sussulto sedendosi di fronte a lui.
   « Quale, Voldemort o Greyback? » ribatté l’altro con un ghigno.
   « Entrambi, magari » mormorò il padrone di casa prima di alzarsi nuovamente per prendere due burrobirre dal frigorifero ed offrirne una all’amico.
   « Grazie, Pete. Tu hai sentito Ramoso? Vorrei andare a trovarlo, prima o poi… Magari faccio passare questa settimana, ma poi ci vado. Sempre che tu mi dica dov’è » concluse ridendo.
   Peter fece una smorfia.
   « Te l’avrei già detto già da tempo, sei tu che non hai voluto ».
   « Lo so. In effetti, continuo a credere che non sia una buona idea, il Custode deve essere uno e uno soltanto, ma… »
   « Ti manca James » concluse per lui Peter.
   « James, Lily... Harry » rispose Sirius con un sorriso intenerito al pensiero del figlioccio che contagiò anche Codaliscia.
   « Domenica prossima ci andiamo insieme, ok? Lo diciamo anche a Remus ».
   Sirius sorrise, battendo allegramente la propria bottiglia contro quella dell’amico, a mo’ di brindisi.
   « Tu invece che mi dici? Ti trovi bene tra i babbani? »
   « Mio padre è babbano, Felpato » rispose Peter alzando gli occhi al cielo.
   « Ah, già. Scusa, è che l’ho visto sì e no mezza volta alla stazione e tendo a dimenticare » si giustificò il ragazzo stringendosi nelle spalle con un sorriso.
   « Quando finisce la guerra sei invitato a casa mia » mormorò Codaliscia improvvisamente triste.
   « Ehi, su con la vita, un po’ di ottimismo! Se non ci crediamo nemmeno noi dell’Ordine, alla sconfitta di Voldemort, come facciamo a eliminarlo sul serio? » esclamò Felpato posando la bottiglia sul tavolo e battendo la mano su quella dell’amico, che inaspettatamente sussultò e si ritrasse. Sirius scoppiò a ridere. « Siamo proprio nervosi, eh, Pete? »
   Peter si stiracchiò un sorriso in faccia cercando di rilassarsi.
   « Scusa. È che… hai sentito dei McKinnon, no? Io… ho paura, Felpato ».
   Sirius tornò serio.
   « Lo so. Ne abbiamo tutti » sospirò. Vuotò la propria bottiglia e si alzò. « Io vado. Grazie della burrobirra, ci vediamo al più presto » disse guardando l’orologio appeso al muro.
   « Missione? » comprese Peter alzandosi a sua volta.
   « No, Silente non vuole farmi correre rischi inutili… sai, crede che sia io il Custode Segreto di James e famiglia. No, devo incontrare un informatore ».
   « Un informatore? »
   « Già. È un vecchio amico di Regulus, conosce dei Mangiamorte e ha accettato di incontrarmi… Spero abbia qualche notizia sulla talpa » rispose Felpato seguendo l’amico che gli faceva strada verso la porta.
   Peter sussultò, ma cambiò prontamente argomento.
   « Odio quel coso » disse indicando la moto parcheggiata sul vialetto. « Preferisco Materializzarmi ».
   Sirius sbuffò.
   « Vedi? È per queste frasi che mi dimentico che tuo padre è babbano: come puoi definire “coso” la mia Harley? »
   E continuando a ridacchiare si congedò, inforcò la propria moto e partì a tutta velocità.
   Peter lo osservò allontanarsi lungo la strada da dietro i vetri di una finestra del salotto a piano terra. Con la mano destra si tormentava l’avambraccio opposto - quando Sirius lo aveva toccato aveva avuto paura che scoprisse il suo segreto, e adesso si chiedeva se valesse davvero la pena di continuare con quel gioco pericoloso che non gli dava affatto la tranquillità in cui aveva sperato quando aveva accettato, anzi, gli dava ancora più ansia, la sua vita stava diventando un’angoscia continua, e stentava a vedere ancora i lati positivi dell’inizio. E magari questo informatore adesso avrebbe gettato al vento tutte le sue precauzioni smascherandolo definitivamente. Forse avrebbe dovuto provare a seguire Sirius… ma per poi fare cosa? Ammazzare l’informatore? A pensarci, però, di lui sapevano solo pochi Mangiamorte, e nessuno di questi era stato a Hogwarts con il fratello di Sirius, era improbabile lo conoscessero…
   Sospirò.
   Magari, se la domenica successiva fossero riusciti finalmente a vedersi - loro quattro, i Malandrini, di nuovo insieme - si sarebbe rilassato. Almeno per un po’.
   Dopotutto, poi, perché avrebbero dovuto scoprirlo? Stava giocando bene le sue carte, nessuno aveva ancora avuto alcun motivo per sospettare di lui.
   Prese un paio di respiri profondi per calmarsi, poi spense la luce e andò a dormire.
   
   A chilometri di distanza da lì, nella Londra bene, Augusta Longbottom stava conducendo una lotta impari contro il suo senso materno. Aveva la netta impressione che qualcosa di terribile stesse per accadere, e non poter fare nulla la irritava oltre ogni misura. Continuava a camminare avanti e indietro nell’ingresso, il mantello già addosso, pronta a Smaterializzarsi per Woolstone, nel Lancashire, dove si nascondevano suo figlio e la sua famiglia, non appena il suo istinto materno avesse vinto contro la già quasi annientata razionalità. L’unica cosa che la frenasse era la consapevolezza di non essere un granché nei duelli e non poter quindi fare la differenza nemmeno volendo. Forse sarebbe dovuta andare da Silente, parlargli dei suoi timori… ma nel tempo che ci avrebbe messo sarebbe potuto accadere il peggio.
   Perché allora rimaneva ancora lì? Doveva correre da suo figlio, meglio inutile da vicino che da lontano!
   Ma magari si sbagliava, non c’era alcun pericolo…
   Beh, e allora? Meglio così, si sarebbe potuta godere una serata con Frank, Alice e il loro bellissimo bambino, Neville, il suo primo nipotino. Sempre meglio che rimanere lì a consumarsi nel dubbio!
   Il pensiero di suo nipote fece la differenza, abbandonò ogni incertezza e fece una piroetta per Smaterializzarsi.
   Presa dall’urgenza di agire prima che la sua razionalità si svegliasse nuovamente, non si accorse dell’incantesimo lanciato da un punto imprecisato del salotto che le si agganciò addosso e permise ai due Mangiamorte nascosti nell’ombra di Smaterializzarsi a loro volta subito dopo diretti alla sua stessa destinazione.
   Quando apparse davanti al cancello della villetta dove si nascondeva la giovane famiglia Longbottom e vide le due figure mascherate Materializzarsi ai suoi lati, era troppo tardi. Non ebbe il tempo di prendere la bacchetta né di urlare per avvertire gli abitanti della casa del pericolo: i Mangiamorte la freddarono con un gesto simultaneo.
   Rodolphus Lestrange si puntò poi la bacchetta contro l’avambraccio sinistro, mentre sua moglie Bellatrix sorrideva - un sorriso ampio, folle, gli occhi spalancati - soddisfatta e fremente di impazienza. Il teschio sulla pelle dell’uomo si accese vivo e pochi secondi dopo, avvolto in una tunica nera come la morte che portava, Lord Voldemort fece la sua maestosa comparsa. I due Mangiamorte si inchinarono al suo cospetto, ma lui non vi badò, avanzò deciso verso la casa, levò la bacchetta nelle sue dita lunghe e bianche e la puntò contro la porta della villetta facendola saltare.
   Fu fin troppo facile: i due giovani genitori dormivano sereni, e nonostante si fossero svegliati di colpo allo schianto sordo del legno della porta, non fecero in tempo a difendersi, né tanto meno a raggiungere la culla del loro bambino, così, mentre i fedeli Mangiamorte si divertivano con loro, il Signore Oscuro colpì il bambino piangente con la sua maledizione.
   Nel giro di pochi minuti, dei Longbottom non rimase altro che una casa distrutta e quattro corpi senza vita, sotto ad un teschio fumoso dalla cui bocca, come una spettrale lingua, si dimenava in serpente.
   
   Appena fu abbastanza lontano da eventuali occhi di babbani insonni, Sirius spiccò il volo sulla sua Harley Davidson FXWG Wide Glide. L’aria fresca della notte gli riempiva i polmoni e si infilava tra i capelli, fischiando nelle orecchie mentre la moto prendeva velocità.
   Davvero non riusciva a capire cosa avessero Peter e Lily contro la sua moto, era una sensazione così magnifica!
   Sorvolò mezza Londra senza nemmeno curarsi di usare un Incantesimo di Disillusione, tanto era abbastanza alto e veloce da non poter essere notato facilmente. E poi, al massimo, lo avrebbero scambiato per un uccello un po’ strano, i babbani sapevano ricorrere ad ogni genere di fantasiosa spiegazione per giustificare i fenomeni magici a cui di rado assistevano.
   Curvò sul Tamigi per tornare indietro e dopo un altro giro panoramico della città atterrò al riparo da sguardi indiscreti a poca distanza dal luogo dell’appuntamento.
   
   I babbani del quartiere, svegliati dall’esplosione, avevano immediatamente dato l’allarme alle loro autorità e adesso si affollavano curiosi intorno alla villetta distrutta, sconvolti dalla scena che si presentava ai loro occhi.
   Quando Silente si Materializzò lì davanti, allarmato dalla mancata comunicazione di Augusta all’ora convenuta, aveva trovato una piccola folla di civili in vestaglia intorno ai responsabili dell’ordine babbani, tutti accalcati intorno alle macerie di quello che era stato il nascondiglio dei Longbottom. Alcuni di loro indicavano spaventati il cielo, dove ancora troneggiava il Marchio Nero, altri cercavano di sbirciare al di là delle fasce gialle e nere che delimitavano il perimetro della villetta, al cui ingresso un telo nero copriva il corpo di Augusta.
   Silente chiuse gli occhi per darsi forza, poi lanciò un Incantesimo Confondente tutto intorno e nascose ciò che restava della casa e dei suoi abitanti agli occhi di chiunque non avesse poteri magici. Evocò quindi il proprio Patronus e lo inviò da Moody.
   Questo si Materializzò pochi minuti dopo con la sua squadra, che subito si occupò di interrogare ed obliviare i babbani.
   « Li ha uccisi personalmente » comprese il capo Auror osservando il Marchio Nero copra le loro teste.
   Silente annuì.
   « L’esplosione della casa è successiva. L’ha fatto per mostrarci che ha vinto » aggiunse.
   Moody lo osservava con un sopracciglio inarcato, ma non fece domande.
   « Dovremo recuperare i corpi » disse solo, e fece cenno agli Auror che avevano terminato l’obliviazione di procedere. Questi si disposero in fila davanti al nastro giallo e nero messo dai poliziotti babbani e levarono le bacchette verso le macerie.
   « Non ha senso, però » commentò Moody mentre i suoi uomini estraevano il corpo di Frank Longbottom. Alcuni avevano gli occhi lucidi per quello che era stato, seppure per breve, un loro collega. « Dal suo punto di vista non ha senso: i Longbottom erano Purosangue, è uno spreco di sangue puro! »
   Silente non rispose. Il corpo di Alice fu ritrovato poco dopo, e a non lontano da lei gli Auror rinvennero il piccolo Neville. Dovette chiudere nuovamente gli occhi, cercando una forza che non poteva avere, mentre alcuni dei presenti si abbandonavano al pianto inutilmente trattenuto fino a quel momento. Moody si tolse il cappello con la fascia da capo Auror e chinò il capo, poi evocò il proprio Patronus per avvertire i membri dell’Ordine di farsi trovare al Quartier Generale.
   
   Era un po’ in anticipo, così sedette su un muretto accanto alla sua amata moto per aspettare. Ma ciò che lo raggiunse poco dopo non fu un uomo, ma una fenice argentea. Il Patronus di Silente.
   Balzò in piedi di colpo, gli occhi spalancati, il cuore in gola che batteva all'impazzata, in testa un’unica domanda: “chi?
   La fenice parlò con la voce di Silente.
   « Al quartier generale, tutti » disse prima di ripartire alla ricerca degli altri membri dell’ordine.
   Sirius la osservò allontanarsi incapace di fare un passo, la sua mente andava ai suoi amici - James e la sua famiglia erano protetti dall’Incanto Fidelius… ma se fossero arrivati a Peter? No, ci era appena stato, Pete stava bene, era al sicuro in quel quartiere… E Remus? Si vedevano raramente, impegnato com’era l’amico con le sue missioni tra i lupi mannari…
   Scosse la testa per non pensare, nascose la moto con un incantesimo e si Smaterializzò diretto alla base dell’Ordine. Avrebbe incontrato l’informatore un’altra volta.
   
   Locata alla periferia di Londra, in brutto quartiere babbano, la base dell’Ordine della Fenice occupava un modesto monolocale al terzo piano di una squallida palazzina. Un unico tavolo di legno circondato da sedie scompagnate, un piccolo mobiletto con un lume elettrico, una lampada a stelo e un pouf costituivano tutto l’arredamento.
   Silente aveva protetto l’appartamento con i migliori incantesimi di sicurezza, così che né Maghi né babbani potessero accedervi a meno che non fossero parte dell’Ordine, e una fattura antismaterializzazione impediva ai rari prigionieri che riuscivano a portarvi - prima di lasciare che Moody li portasse ad Azkaban - di fuggire.
   Quando Sirius arrivò, trovò già seduti intorno al tavolo Caradoc Dearborne, Emmeline Vance, Arabella Figg ed Elphias Doge, gli occhi che saettavano di qua e di là a cercare sui visi degli altri qualche indizio del perché Silente li avesse fatti accorrere lì. Ad ogni pop si voltavano tutti insieme di scatto per vedere chi si fosse Materializzato, chi quindi non avessero ancora perso - perché era chiaro che avevano perso qualcuno, non c’era altro motivo possibile per quella convocazione improvvisa.
   « Remus? » si informò Sirius sedendo accanto ad Elphias, il respiro corto, preoccupato a morte.
   Elphias scosse la testa.
   « Non sappiamo niente ancora ».
   Sirius annuì, e prese un altro respiro profondo per calmarsi. Non voleva dire niente, mancava tanta gente ancora, non era detto che Remus…
   Ma una voce si sovrappose nella sua mente a quel pensiero: forse Remus non era la vittima, forse non c’era nessuna vittima, forse Silente aveva scoperto chi fosse la spia e voleva comunicarlo loro… e Remus non era ancora arrivato.
   Scosse la testa con decisione: no, Remus era un Malandrino, e nessun Malandrino avrebbe mai potuto fare una cosa del genere, li conosceva erano cresciuti insieme, si fidava ciecamente di ognuno di loro e non avrebbe iniziato a dubitarne proprio adesso. Erano suoi amici, tutti.
   Remus era un lupo mannaro.
   Si alzò di scatto, incapace di rimanere fermo, e si chiuse nel piccolo bagno del monolocale per non farsi vedere dai suoi compagni mentre era sul punto di strapparsi i capelli per estirpare quei pensieri crudeli su Remus - il suo compagno di dormitorio, quello che gli passava gli appunti quando si distraeva in classe, quello che pur essendo prefetto partecipava a tutti gli scherzi che organizzavano contro i Serpeverde, quello per cui tutti loro erano diventati Animagi, Lunastorta, il suo amico Malandrini! - si buttò acqua fredda sul viso per riscuotersi e tornò dagli altri solo quando fu certo di avere il pieno controllo dei suoi pensieri.
   Un nuovo pop accompagnò la Materializzazione di Peter, visibilmente spaventato.
   « Sirius… che succede? » squittì con un filo di voce avvicinandoglisi.
   « Non lo so. Non sappiamo niente ancora ».
   Peter fece scattare lo sguardo su tutti i presenti per cercare qualche indizio, ma erano tutti pallidi e confusi quanto lui. Sedette accanto all’amico, tormentandosi le mani per l’attesa.
   Benji Fenwick si Materializzò poco dopo, anche lui chiedendo se qualcuno sapesse qualcosa, e lo stesso Sturgis Podmore e Minerva McGranitt che lo seguirono a pochi minuti di distanza. Pian piano si Materializzarono tutti gli altri membri dell’Ordine, tutti con le stesse espressioni confuse e spaventate in volto.
   Sirius era sempre più nervoso, ormai mancavano solo Remus e Moody.
   Quando con il successivo pop apparvero l’Auror e Silente, Sirius non poté trattenere un gemito: che il loro amico fosse un traditore o la vittima, il suo mondo stava per cadere in pezzi, e lui non sapeva come fare per rimanere intero. Peter al suo fianco doveva condividere i suoi timori, perché si era fatto più pallido, e tratteneva il respiro.
   « Ci siamo tutti » disse Silente, e le sue parole erano lontane e troppo lente per loro. « Immaginate tutti il motivo per cui vi ho chiamati, e non ci girerò intorno: stanotte abbiamo perso dei compagni, Voldemort li ha trovati e assassinati personalmente.
   Qualcosa scattò nella mente di Sirius e, nell’istante che precedette i nomi delle vittime del Signore Oscuro, l’immagine di James, Lily e Harry si sovrappose a quella di Remus. Si voltò lentamente verso Peter, sconvolto quando lui, e gli rivolse uno sguardo terrorizzato. Non respirava più, e Silente sembrava metterci una vita a parlare ancora.
   « Frank e Alice Longbottom e… il loro bambino Neville… sono stati assassinati nel loro nascondiglio. Probabilmente hanno seguito Augusta, la madre di Frank e loro Custode Segreto, abbiamo trovato anche il suo corpo vicino alle macerie ».
   « Ma-macerie? » ripeté Arabella, con un filo di voce.
   Il gelo era piombato sulla stanza a quella rivelazione, l’orrore si era dipinto sui volti dei presenti.
   « Ha fatto esplodere la casa » rispose Moody, ma Sirius non stava più seguendo, il suo cervello si era fermato alle parole di Silente, inorridito: Voldemort aveva ammazzato un bambino di un anno
   « Perché? » fu tutto ciò che riuscì a dire, incapace di mettere in fila due pensieri sensati. Peter al suo fianco teneva le mani premute sulla bocca, e piangeva cercando di non fare rumore.
   Silente non rispose. Possibile che nemmeno lui, che aveva sempre una risposta per tutto, sapesse spiegare ciò che era successo? Doveva esserci un motivo, perché Voldemort non avrebbe mai ammazzato un neonato tanto per fare… Era anche Purosangue, Godric! Aveva sparso sangue puro innocente… per divertirsi?
   « Per stanotte sono sospese le missioni, tornate tutti nei vostri nascondigli direttamente, senza fermarvi da nessuna parte prima » ordinò secco il preside di Hogwarts, lanciando uno sguardo a Sirius - credeva che come Custode Segreto dei Potter sarebbe corso immediatamente da loro… cosa che Sirius aveva effettivamente una voglia folle di fare - « Vi contatterò io. Non prendete iniziative » e detto ciò, scambiò due parole con Moody e si Smaterializzarono di nuovo insieme.
   Nonostante le sue parole, però, nessuno si mosse. Erano ancora tutti congelati dalla sorpresa, dall’orrore, dalla paura, dal disgusto, dal dubbio.
   La prima ad alzarsi fu Minerva, che si Smaterializzò senza una parola, una mano sul viso a nascondere le lacrime in arrivo. Dopo di lei se ne andarono pian piano tutti, in silenzio.
   
   Camminava avanti e indietro nella sua stanza da mezz’ora, torcendosi le mani sudate e ansimando come se stesse correndo in salita. Aveva paura, paura vera, paura che succedesse qualcosa di irreparabile, che finisse tutto nel peggiore dei modi. E non era nemmeno sicuro di sapere quale fosse il peggiore dei modi: che il Signore Oscuro arrivasse ai suoi amici o che loro scoprissero la verità?
   Quando Lucius Malfoy si era presentato a casa sua, ormai un anno prima, in piena notte, vestito di una lunga toga nera e un mantello col cappuccio calato sulla maschera d’argento che gli celava il volto, il suo primo istinto era stato urlare e cercare una via di fuga. Reazione stupida, il Mangiamorte aveva bloccato porte, finestre e camino, e gettato una Fattura Antismaterializzazione su tutta la casa. Aveva allora cercato di trasformarsi in topo, ma l’altro gli aveva puntato contro la bacchetta intimandogli di calmarsi, e a lui non era rimasto che ubbidire tremando. E supplicare.
   « Fingi di essere Grifondoro, Minus, andiamo! » aveva ghignato allora il Mangiamorte togliendosi la maschera e rivelando la sua identità.
   « Ti prego, abbi pietà, non uccidermi! Farò tutto ciò che vuoi! »
   Lo aveva detto così, senza nemmeno pensarci sopra. Più e più volte, negli anni, si era fermato a riflettere se fosse davvero adatto a fare l’eroe all’Ordine, ma poi il pensiero dei suoi amici era sempre riuscito ad allontanare i dubbi, e anche se non del tutto convinto aveva finito col proseguire le missioni, aspettando la fine di quella dannata guerra. Ma in quel momento, quando il pericolo era stato così reale davanti a lui, non aveva più avuto nessun dubbio: la sua vita valeva più dell’eroismo stupido. E più dell’amicizia. In fondo, tutti al suo posto avrebbero agito allo stesso modo… no?
   Malfoy era scoppiato a ridere, disgustato.
   « Mi risparmi parecchia fatica, così » aveva detto allora, prendendo comodamente posto su una poltrona e invitandolo, sempre sotto minaccia, a fare altrettanto. « Non te ne pentirai, Minus. Il Signore Oscuro saprà ricompensare la tua fedeltà, se farai ciò che ti verrà chiesto.
   « Qualunque cosa » aveva allora risposto lui, compiendo così il primo passo sulla lunga strada che lo avrebbe portato lontano dai pericoli… o almeno così credeva. In realtà aveva solo intrapreso un lungo percorso fatto di angoscia e senso di colpa, paura e dolore per gli amici che stava tradendo.
   E ora.
   Ora Frank e Alice erano morti, e con loro il piccolo Neville. Godric! Aveva solo un anno!
   La stessa età di Harry.
   E se il Signore Oscuro gli avesse chiesto di rivelargli il rifugio segreto dei Potter? Finora gli era andata bene, le informazioni che aveva passato ai Mangiamorte non avevano mai riguardato da vicino i suoi amici, e se anche avevano portato alcune loro missioni a fallire miseramente, fino a quel momento erano riusciti a cavarsela con qualche ferito, ma niente di più. Ma ora, se il Lord avesse scoperto che i Potter erano nascosti e che lui ne era il Custode Segreto, come si sarebbe comportato?
   Giorno dopo giorno, si rendeva sempre più conto che quella che all’inizio gli era sembrata la strada migliore si stava rivelando una condanna. E lui non sapeva come salvarsi.
   
   La giornata era stata più lunga e più dura del previsto.
   Viveva coi licantropi già da un mese, e se ne allontanava solo per poche ore ogni tanto per fare rapporto a Silente. Ogni giorno la sua missione era quella di convincere i suoi simili che Voldemort li volesse solo ingannare, sfruttare per i suoi scopi, ma non avrebbe mai dato loro ciò che prometteva. Sempre meno licantropi, però, sembravano disposti ad ascoltare. Dopotutto, fino ad allora, la società magica non aveva dato loro nulla, quindi perché non tentare con i Mangiamorte? Cosa ci perdevano, una società che non concedeva loro nemmeno un lavoro solo perché diversi?
   Quel giorno in particolare, si era trovato di fronte la strenua opposizione di due seguaci di Greyback, che continuavano a promettere un mondo nuovo, libero, in cui tutto loro sarebbero stati trattati col rispetto che meritavano. E per i più violenti, promettevano la libertà di abbandonarsi ai loro più profondi istinti, quelli di sangue.
   Questa seconda proposta era stata accolta con notevole entusiasmo.
   Remus sospirò. Se a Hogwarts non avesse trovato i Malandrini, cosa ne sarebbe stato di lui? Probabilmente ora si sarebbe trovato dall’altra parte della barricata, a chiedere vittime per i suoi istinti, acclamando Voldemort.
   E Greyback.
   No, non avrebbe mai potuto farlo. Non Greyback, che attaccava i bambini per divertimento e non per necessità. Non Greyback che aveva morso lui e distrutto la sua famiglia.
   Sospirò di nuovo.
   Gli mancava, la sua famiglia. Non vedeva sua madre da mesi, impegnato com’era con l’Ordine, e come ogni volta che la lasciava sola, non poteva fare a meno di essere preoccupato per lei.
   Sospirò per la terza volta, radunando le sue cose - poche cose, per la verità, i branchi di lupi mannari preferivano viaggiare leggeri per non rischiare di perdere le loro cose quando si trasformavano. L’indomani si sarebbero spostati di nuovo, stavolta per incontrare finalmente di persona Greyback, e ascoltare dalla sua bocca i piani di Voldemort per loro.
   Il momento della verità, l’incontro col mostro che lo aveva trasformato. Temeva e anelava quel momento da quando aveva scoperto chi lo aveva morso, e ora finalmente lo avrebbe incontrato faccia a faccia.
   Avrebbe tanto voluto che i suoi amici fossero con lui, per dargli coraggio e stargli vicini.
   I suoi amici. Si chiese cosa stessero facendo in quel momento. Probabilmente dormivano, beati loro, nei loro nascondigli. O magari Peter era in missione, James e Lily riaddormentavano il piccolo Harry, che si era per l’ennesima volta svegliato, e Sirius faceva la lotta tra il buon senso di rimanere nascosto e la voglia di farsi un giro in moto nonostante fosse notte fonda.
   Sorrise, pensando ai Malandrini, poi raggiunse il resto del branco, pronto ad incamminarsi con loro per il luogo in cui avrebbe finalmente incontrato Greyback.
   


   NOTA: attualmente, nonostante io abbia idee ben precise per il prosieguo della storia, di questa fanfiction ho già pronti solo altri due capitoli. Inoltre vi avverto che non sono particolarmente veloce a scrivere, perché il tempo libero è davvero troppo poco rispetto a ciò che vorrei fare. Spero che questa mia piccola creatura vi appassioni abbastanza da non farvi fuggire nemmeno quando scoprirete di dover aspettare mesi tra un aggiornamento e l’altro, in caso contrario purtroppo vi capisco XD
   Il prossimo capitolo, comunque, sarà online tra circa due settimane.
   Un grande grazie a chi ha letto e soprattutto a chi commenterà ^^
   AryYuna

   
   
   

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


    Dieci commenti per un solo capitolo! Potrei piangere, davvero, non mi era mai capitato prima! *_*

   Grazie, grazie, grazie e ancora grazie a _Jaya, fuckinmind, Nymphy Lupin, Julia Weasley, Desdemona Black, Alohomora, Mirwen, jomarch, Francesca Akira89, _Mary e anche a chi ha letto soltanto. Sono commossa!
   


Capitolo 2


       La stradina che conduceva fuori Hogsmeade era quasi sempre deserta. Non vi erano negozi né abitazioni, i lampioni erano insufficienti, e la Testa di Porco era solitamente malfrequentato dopo il calar del sole, per cui non vi era pericolo di essere casualmente visti né dai bambini, che si erano ormai ritirati, e probabilmente erano già sotto le loro calde coperte dopo i festeggiamenti di Halloween, né da eventuali coppiette che si godevano la serata.
   Nel buio della zona si confondevano due figure vestite di nero, una delle quali, in piedi, svettava fieramente sull’altra.
   « Sarai ricompensato al di là di ogni tua immaginazione, mio fedele » stava dicendo Lord Voldemort al giovane Mangiamorte inginocchiato davanti a lui. Il ragazzo chinò la testa portando la mano destra al petto.
   « Mio Signore » ringraziò.
   « Alzati, mio fedele Mangiamorte. Oggi mi hai reso un grande servigio, qualcosa che ti eleva tra i più alti ranghi dei miei seguaci. Se hai una richiesta, il tuo magnanimo Lord la soddisferà per rimostrarti la sua gratitudine. Oro? Potere? »
   Severus Piton aveva timidamente sollevato lo sguardo verso il suo signore. Poteva osare… ?
   Cos’era che Severus Piton desiderava sopra ogni altra cosa? Non l’oro, non il potere, nemmeno il riconoscimento tra gli altri Mangiamorte che lo disprezzavano perché Mezzosangue… Ciò che Severus Piton desiderava più di ogni altra cosa era una donna, una donna che un tempo era stata la sua unica amica, e il cui pensiero ora gli toglieva il sonno e lo turbava da sveglio, una donna che gli aveva preferito un presuntuoso Grifondoro, che fino a poco tempo prima lei stessa disprezzava…
   Poteva osare?
   Ma lei aveva alla fine sposato quell’odioso ragazzo, ed erano ormai quasi due anni che non la vedeva, che non aveva sue notizie, da quando aveva ricevuto quella maledetta pergamena, quella disgustosa lettera scritta da lui, il presuntuoso Grifondoro, in cui lo invitava alle loro nozze, perché avrebbe certamente fatto piacere a Lily.
   Piacere. A Lily. Piuttosto a lui, quel borioso quanto insignificante campione di Quidditch, che avrebbe potuto sbattergli sotto il naso il suo trofeo, la sua vittoria. La sua Lily. Sua, non di Severus.
   Aveva stracciato la lettera e l’invito, e aveva dato i brandelli di carta alle fiamme, furioso e disperato allo stesso tempo.
   Forse avrebbe dovuto accettare l’invito, andare al matrimonio. Rapirla, magari. O forse, chissà, la stessa Lily vedendolo avrebbe compreso il suo errore.
   Ma ora, dopo due anni, tante cose potevano essere cambiate. Lily Evans non esisteva più, Lily Potter era sposata, le sudice mani di quel borioso Grifondoro l’avevano toccata, la sua bocca l’aveva profanata, il suo corpo… e ora, magari, avevano anche…
   No, non doveva pensarci. Lily era lontana, perduta. E gli faceva male che se quel maledetto giorno di cinque anni prima non le avesse rivolto quello sporco insulto, forse, le cose sarebbero potute andare diversamente.
   “Se hai richieste”.
   Poteva osare? Avrebbe riparato al suo errore. Avrebbe preso con la forza la seconda occasione che Lily non aveva voluto dargli a sedici anni, dopotutto allora erano solo ragazzi, adesso erano adulti, era tutto diverso…
   Ma Lily aveva sposato Potter, Lily aveva scelto la sua strada come lui aveva scelto la propria.
   Poteva osare? Aveva il diritto di farlo?
   Chinò nuovamente la testa.
   « Ciò che l’Oscuro Signore riterrà opportuno » rispose.
   Lord Voldemort lo osservò dall’alto. Sapeva che non era quella la risposta che il giovane Mangiamorte voleva dargli, ma non capiva perché non avesse espresso i suoi reali desideri, quali che fossero. Aveva forse paura di lui? Cosa poteva desiderare che lui gli avrebbe rifiutato e si sarebbe infuriato? Non vi erano beni terreni che Lord Voldemort non avrebbe potuto procurare, e con la sua fedeltà il giovane si era certamente guadagnato il diritto di chiedergli una qualsiasi posizione di rilievo tra i Mangiamorte. Allora cosa lo frenava? Forse semplicemente voleva troppe cose e non riusciva a scegliere, era la cupidigia a frenarlo.
   Il volto di Lord Voldemort si distese in un ghigno.
   « Non c’è fretta, Lord Voldemort ti ricompenserà quando lo vorrai » disse prima di Smaterializzarsi, lasciandolo solo coi suoi pensieri.
   
   Villa Lestrange sorgeva a Nord di Aviemore, una cittadina babbana nel pieno delle Highlands scozzesi, separata dalla città da una corona di collinette ricoperte di boschi. Un cancello di ferro lavorato delimitava la proprietà sul davanti. L’ampio giardino era abbellito da alte siepi dalla forma conica, che gli davano un’aria molto elegante e solenne. La villa era maestosa come si conveniva al nome dei Lestrange, imponente nella struttura e ricca nelle decorazioni di pietra sulla facciata.
   La luce di decine di candele illuminava i rettangoli delle finestre al piano terra, dove si erano radunati in attesa i Mangiamorte, convocati lì da Lord Voldemort pochi minuti prima.
   Del Signore Oscuro e dei padroni di casa, però, non vi era ancora nessuna traccia, gli ospiti erano stati accolti da due terrorizzati elfi domestici e fatti accomodare nell’ampio salotto. La convocazione era giunta inaspettata e ad un orario insolito, e ora i fedeli seguaci dell’Oscuro Signore si intrattenevano cercando di indovinarne il motivo, un po’ curiosi, un po’ preoccupati.
   Severus Piton prese posto sulla poltrona accanto ad una delle ampie finestre, ignorando i suoi compagni che dopotutto lo snobbavano come sempre dall’alto del loro Sangue Puro. Non gli interessavano le loro congetture, lui sapeva cosa aveva da comunicare loro Lord Voldemort, e sorrise soddisfatto al pensiero che lui, e non quei pomposi Purosangue, era responsabile di quella grande vittoria del loro signore.
   Con un pop, si Materializzarono al centro della sala Lord Voldemort e i coniugi Lestrange. Questi ultimi si allontanarono da lui avvicinandosi ai coniugi Malfoy che attendevano accanto al caminetto. Le chiacchiere cessarono. Bellatrix Lestrange rivolse ai compagni uno sguardo beffardo, fiera di sé e del posto preferenziale che lei e suo marito occupavano nella cerchia dell’Oscuro Signore.
   « Amici miei » esordì Lord Voldemort, « ho il piacere di comunicarvi che la grande minaccia » e qui fece una smorfia sarcastica « è stata eliminata » annunciò con finta solennità. I Mangiamorte ridacchiarono. « Ma non è per queste sciocchezze che vi ho convocati, è per dare i giusti onori a chi li merita » dichiarò squadrandoli tutti uno ad uno. Bellatrix sorrideva del suo sorriso folle. « Il vero responsabile di questa vittoria, amici miei » continuò avvicinandosi inaspettatamente a Severus e posandogli la mano bianca dalle lunghe dita sulla spalla.
   Il ragazzo alzò lo sguardo su di lui, sorpreso. E non fu l’unico. Un’ondata di incredulità attraversò i Mangiamorte. Il sorriso si congelò sulle labbra di Bellatrix, mentre si voltava sconcertata verso suo marito. Sul volto di Rodolphus, un freddo sorriso di circostanza mal celava il disgusto, e un’espressione simile avevano molti del Mangiamorte.
   Lord Voldemort però non sembrava interessato, continuava a tenere la mano sulla spalla di Severus, indicando senza possibilità di fraintendimento che il giovane Mangiamorte aveva tutta la sua fiducia, indipendentemente da ciò che gli altri potessero pensare.
   Inconsapevolmente, Severus sorrise soddisfatto.
   
   « Quel piccolo, sudicio Mezzosangue! Come ha osato? »
   Bellatrix tremava di rabbia mentre, stringendo i pugni, si sfogava col marito nella loro camera da letto.
   Il Signore Oscuro aveva congedato i Mangiamorte dopo gli annunci e, quando gli ospiti si erano Smaterializzati, i due padroni di casa avevano smesso i loro falsi sorrisi e si erano ritirati nelle loro stanze per dare sfogo a tutti i loro malumori.
   Bellatrix, in particolare, era disgustata.
   « Il Signore Oscuro non può davvero averlo fatto, non può davvero aver dato a quel… quel… quel mago a metà il merito della sua vittoria! » strillò in un crescendo di furia che culminò in un incantesimo di fuoco alle tende del baldacchino.
   Rodolphus osservava la moglie, seduto su una poltrona di velluto accanto al letto. Non batté ciglio quando il baldacchino prese fuoco, ma si aprì in un sorriso soddisfatto verso la sua donna. Bellatrix respirò a fondo per camparsi, ma non smetteva di tremare.
   « Quello schifoso la pagherà » decretò.
   Rodolphus si alzò e le cinse la vita con un braccio, attirandola a sé, lo sguardo fiero, il sorriso ancora sulle labbra.
   « Naturalmente» rispose, e Bella si lasciò andare ad un sorriso folle e pericoloso.
   
   Non tutti i Mangiamorte, però, si erano lasciati rovinare la serata dall’annuncio riguardante il giovane Piton. Un gruppetto, capeggiato da Mulciber, aveva deciso di festeggiare in grande stile la notizia della scomparsa minaccia al loro Lord. E se era vero che nessuno si era mai preoccupato troppo di quel fantomatico bambino dai grandi poteri, era altrettanto vero che ad una scusa per festeggiare non si poteva dire di no. Dopo un lungo giro per locali a fare il pieno di Whisky Incendiario, brindando a vittorie più o meno reali, quando ormai albeggiava sulla Gran Bretagna, Leuis Mulciber propose di darsi ad attività più vivaci, dando così inizio ad un’entusiasmante gara a chi incantava più babbani. Il gioco era iniziato a Royston, per poi spostarsi a Batley e altri piccoli centri abitati dove erano certi non ci fosse alcun mago, per potersi divertire indisturbati fino all’arrivo dei Ministeriali - ma data l’ora erano abbastanza tranquilli anche su questo fronte: poiché i paesini scelti erano molto lontani tra loro, erano sicuri che gli Auror non sarebbero potuti intervenire abbastanza prontamente ovunque, e loro erano sufficientemente sobri da capire di dover cambiare obiettivo ogni pochi minuti.
   Erano passate poche ore, quando Evan Rosier disse di essere stufo del gioco e di voler passare a qualcosa di più pericoloso e interessante, e i compagni accolsero l’idea di attaccare babbani in un villaggio in cui abitassero anche maghi.
   « E stavolta ci faremo tutto il villaggio, senza scappare come conigli » propose Thorfinn Rowle.
   « D’accordo! Forza ragazzi, che io sono in testa, datevi da fare! » esortò Evan Smaterializzandosi subito seguito dai suoi compagni.
   
   Nel sudest della Gran Bretagna, novembre si presentò con una leggera pioggerella mattutina che prometteva di trasformarsi nel giro di ventiquattr’ore in un temporale in piena regola. Le gocce picchiettavano sulle decorazioni di Halloween che ancora abbellivano giardini e finestre di Godric’s Hollow, mentre gli abitanti si apprestavano ad uscire per dedicarsi ai propri impegni quotidiani.
   Liberi da lavoro e missioni, James e Lily Potter avrebbero potuto dormire fino a tardi se il loro figlioletto di un anno e tre mesi non avesse deciso di svegliarsi piangendo alle sette del mattino. Mamma Lily si alzò prontamente per andare ad accudire il suo piccolino, mentre suo marito, benché ancora assonnato, ridacchiava alla vista della ragazza che si precipitava fuori dalla loro camera da letto senza nemmeno infilarsi la vestaglia, presa dall’urgenza di raggiungere il bambino. Era sempre divertente vedere come la Lily Evans tranquilla e controllata dei tempi di Hogwarts fosse diventata una Lily Potter dolce e fin troppo apprensiva, e James non mancava di farglielo notare, ridendo, mentre lei arrossiva imbarazzata e cercava di rispondere con lo stesso tono duro con cui per anni aveva rifiutato i suoi inviti ad uscire insieme a scuola. Fallendo miseramente, perché dal canto suo Lily non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma non avrebbe mai voluto tornare quella che era a Hogwarts, perché la sua nuova routine di moglie e madre le dava più di quanto avesse mai sognato. Ed era felice di correre ogni mattina da Harry senza mai scocciarsi, anche quando era stanca.
   Anche quella mattina, fu con gioia che entrò nella cameretta dalle pareti azzurre che James aveva allestito a suon di bacchetta per Harry. Si chinò sul lettino per prendere in braccio il suo piccolo e lo cullò teneramente per calmarlo.
   « Mamma » mormorò Harry smettendo all’istante di piangere. Faceva così ogni mattina, appena sveglio, perché ormai aveva capito il trucco per avere la madre vicina all’istante. Sirius l’aveva rimproverata ridendo che stava trasformando Harry in un mammone, ma lei era talmente felice quando sentiva che Harry smetteva di piangere tra le sue braccia che il resto non importava. E poi, c’era tempo per rendere Harry un uomo, adesso era il suo bambino e lei voleva coccolarlo più che poteva.
   Lo portò in bagno, lo lavò e asciugò, e ad ogni « Mamma » lo riempì di baci. Dopo averlo vestito, poi, tornò con lui da James, che poltriva ancora a letto, e come ogni mattina iniziò a prenderlo in giro con Harry che ripeteva « Papà poltrone » ridendo, finché il ragazzo, fingendo di essere stanco della loro mancanza di rispetto, ai alzò a sua volta per chiudersi in bagno e rimanerci una mezz’ora, « il tempo di capire che sono sveglio » diceva.
   Lily e Harry invece scesero in cucina per la colazione.
   « Che dici, mamma prova a fare le frittelle per papà? » chiese Lily al bambino che sorridendo felice dal sediolone espresse la sua approvazione battendo le mani sul tavolino. « E frittelle siano » rise Lily preparando uova, farina e zucchero e iniziando a mescolare gli ingredienti sotto lo sguardo attento di Harry. Dopo aver preparato le frittelle e aver messo su il caffè, prese un omogeneizzato alla frutta e iniziò a imboccare il bambino, senza smettere di sorridere, poi, quando James scese in cucina, lasciò Harry a lui e andò a prepararsi a sua volta, mentre il marito educava il figlioletto “alle cose veramente importanti”.
   « Tu hai una grande responsabilità, Harry: sei figlio di un campione” e questo significa che non potrai che essere un campione a tua volta » era uno dei discorsi tipici che il giovane papà faceva al suo bambino. Fortuna che a Harry sembrava piacere sul serio la scopina che gli aveva regalato Sirius!
   
   Harry giocava sul pavimento coi cubi colorati, e a intervalli regolari chiedeva alla mamma « Chiddi! » ricevendo ogni volta un no da lei e una risata dal papà. Ma senza perdersi d’animo, mentre i genitori lo tenevano d’occhio dal divano parlando tra loro di faccende dell’Ordine, tornava alla carica. All’ennesimo « Chiddi! » del bambino, James prevenne il no di Lily appellando la scopa giocattolo.
   « James! » lo riprese la moglie, ma lui ormai stava aiutando Harry a prendere posto sul sediolino della scopina, e non si capiva chi dei due fosse più felice. « Solo mezz’ora però » decretò allora rivolta al marito.
   « Promesso » rispose lui distrattamente, e Lily era sicura che non avesse sentito nemmeno una parola. Si mise perciò comoda a guardare il bambino svolazzare per la stanza ridendo e gridando « Chiddi! », seguito da James che spostava con un tocco di bacchetta gli oggetti sulla sua traiettoria - avevano già perso un vaso di Petunia, non era il caso di rischiare cose più preziose.
   Molto più di mezz’ora più tardi, James portò il bambino in cucina e lo mise sul sediolone, mentre Lily preparava il pranzo per lui e per loro. Quando fu pronto, James iniziò a imboccare Harry facendo volteggiare il cucchiaio, col risultato di spargere tutta la pastina per il tavolino del sediolone, tra le risate di Harry e i suoi sguardi estasiati mentre il padre raccontava delle due grandi imprese come Cacciatore dei Grifondoro.
   Il tutto si traduceva in tante risate da parte di Lily e sospiri di sollievo al pensiero di poteri pulire con la magia.
   
   « Dorme? »
   « Come un angioletto ».
   Era pomeriggio inoltrato, e James aveva messo Harry a dormire nella sua cameretta al piano di sopra.
   « Hai acceso il baby-contol? » si informò Lily.
   Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.
   « Quante volte ti devo dire che i maghi usano gli incantesimi e non i cosi etrellici? »
   « Elettrici. Comunque, scusa, Silente ci ha fatto attaccare l’elettricità, perché non sfruttarla? »
   « Perché non serve » rispose James alzando le spalle.
   « Però il frigorifero ti piace, eh? » lo punzecchiò la moglie tirandolo a sedere accanto a lei sul divano.
   « Beh, Silente ci ha dato un frigo babbano, non è colpa mia » si giustificò il ragazzo.
   « Eh, già, Silente ci ha dato il frigo… E dì un po’, signor Mago, voi come fate a conservare i cibi senza frigo? »
   « Banco freddo. È un bancone con un Incantesimo Congelante… sul serio non lo sai? »
   La ragazza alzò le sopracciglia.
   « A scuola non si studiano queste cose, e le uniche case di maghi che io abbia frequentato sono quelle dei Malandrini, e hanno tutti il frigo! »
   « Giù, perché quel cagnaccio dispettoso ha deciso di far prendere un colpo ai Black vivi e defunti babbanizzandosi il più possibile! » rispose James e Lily rise.
   « D’accordo, allora, niente baby-control: hai attivato gli incantesimi per sapere se Harry si sveglia e chiama? » si corresse infine lei.
   « Ovvio, sono un padre responsabile, io ».
   « Certo, certo. Questa poi la racconto ai ragazzi quando vengono ».
   James fissò serio sua moglie.
   « Secondo te con che coraggio loro dovrebbero giudicare me? »
   Lily ci pensò un po’ su.
   « Beh, Sirius sicuro non può, ma Peter e Remus possono giudicarti tranquillamente. Remus era anche Prefetto, ti ricordo »
   « Come se questo lo avesse mai fermato… E poi io ero Caposcuola! »
   La ragazza scoppiò a ridere.
   « Ma quello fu un errore, è sicuro! Silente aveva bevuto un po’ troppo con la McGranitt! »
   « Questa la racconto a Minerva » ribatté il ragazzo. « E dire che ha un’opinione così alta della “seria Lily Evans”! »
   Risero entrambi, poi Lily andò a controllare Harry - « Istinto di mamma » si giustificò quando James le ricordò gli incantesimi che aveva messo - e il marito, rimasto solo, si avvicinò alla finestra per guardare “la gente libera” che tornava a casa dall’uscita domenicale, che nemmeno la pioggia era riuscita a scoraggiare.
   Gli mancava la libertà. Benché amasse Lily e Harry più della sua stessa vita, avrebbe tanto voluto poter uscire, almeno per qualche minuto, respirare l’aria fresca, volare. Sospirò, mentre in strada un’auto accostava al marciapiede di fronte. Seguì con lo sguardo la famiglia che ne scese finché non entrò in casa. Poi la porta si chiuse e la sua attenzione si spostò su due ragazzini che, appostati dietro un albero, erano pronti a saltarne fuori per spaventare i passanti. Sorrise, ricordando quando i Malandrini organizzavano scherzi ai danni dei Serpeverde a Hogwarts.
   « Dorme tranquillo » gli comunicò Lily tornando in salotto
   « Ovvio, altrimenti gli incantesimi sarebbero scattati » ribatté James.
   La ragazza sbuffò e, per arginare una discussione, il marito le si avvicinò, le cinse la vita con un braccio e le sussurrò all’orecchio « Che ne dici di goderci questo momento tutto nostro? »
   « James Potter, un po’ di responsabilità! Dobbiamo finire… »
   « … le relazioni per l’Ordine, lo so, ma non c’è fretta. Stando a Silente rimarremo qui ancora per parecchio » obiettò lui.
   « Stiamo già rimandando da un bel po’, James ».
   « E rimanderemo ancora per un altro po’! Su, signora Potter, non farti pregare… »
   « Sei incorreggibile, signor Potter. Ma domani finiremo la relazione ».
   « Come desideri, milady ».
   
   « Ma non dovevano esserci dei maghi, qui? Chi l’ha detta, ‘sta cazzata? » fu il commento di Abel Yaxley guardando Evan riscuotere la sua vincita dai compagni: era risultato quello che aveva incantato - in vari modi, dalle fatture, agli incantesimi, ad un paio di Cruciatus verso “babbani particolarmente brutti” - più babbani, con ben trentuno incanti contro i ventisette di Walden Macnair, il più prolifico tra i suoi avversari.
   « Boh, io sapevo ci fossero un paio di famiglie magiche, ma a quanto pare mi sbagliavo… o forse hanno capito che non era il caso di intervenire, contro di me non c’è storia! » fu la risposta di Evan, che si lasciò poi andare ad una risata folle e allucinata.
   « Sei ubriaco, Rosier? » rise Abel.
   « Un po’. Ma ammetto che sono rimasto deluso anche io, contavo di trovare almeno un paio di Grifondoro… Mi sarebbe andato bene anche un Tassorosso fifone! » rispose Evan continuando a ridere.
   « Vabbè, ma ormai siamo qui, godiamocela fino in fondo! » tagliò corto Walden. « Chi è per un po’ di caldo divertimento? » propose ammiccando e sollevando la bacchetta.
   I Mangiamorte risero la loro approvazione.
   « Ma, in tutto ciò, dove ci troviamo? » chiese Gerard Goyle puntando la bacchetta contro una casa vicina. Benché palesemente ubriaco, aveva un’aria decisa e pericolosa.
   Evan rise più forte e sguaiatamente, ma riuscì a rispondere.
   « Ottery St. Catchpole ».    



   Dubbi e spiegazioni: come avrete notato, i Potter sono sotto Incanto Fidelius nonostante ilnostro Mocciosus sia dalla parte del nemico. La mia idea è che Silente, appena sentita la profezia, abbia subito pensato che si potesse applicare alle due famigliole dell’Ordine e le abbia protette entrambe. Poi dovrebbe aver fatto fare l’Incanto solo ai Potter, dopo l’incontro con Piton. Questo è quello che ho capito, almeno. Nel dubbio, diciamo che è parte dell’“if” della “what if” il fatto che entrambe le famiglie abbiano un Custode Segreto XD Grazie a Francesca Akira89 per avermi fatto soffermare su questo dettaglio, che dettaglio non è ma che non mi era sembrato così importante.
   
   Detto ciò, scrivere scene romantiche mi è spaventosamente difficile, spero che la cosa non si noti troppo XD Questa fanfiction rappresenta per me anche una sfida, per cui ci sono molte cose che troverete e a cui magari sarete anche abituati ma che per me sono totalmente nuove. Dato l’amore che nutro per la saga e per i suoi personaggi ho deciso di impegnarmi e di rendere questa fanfictin il più canon (e su questo ho già toppato, a quanto pare XD) e stilisticamente piacevole possibile, confrontandomi anche con situazioni e descrizioni con cui ho poca familiarità.
   Spero davvero di essere riuscita almeno in parte nel mio intento, consigli di qualsiasi genere sono molto mooooolto ben accetti! ^^
   PS: i nomi dei Mangiamorte, dove non canon, sono chiaramente di mia invenzione. Idem per le usanze magiche (tipo il banco freddo… solo io mi sono chiesta come fanno i maghi senza frigo? XD).
   Il prossimo capitolo, se mi decido a smetterla di cambiare idea, è già pronto e sarà online tra circa quindici giorni. Grazie di aver resistito fin qui XD
   AryYuna

   
   
   

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


    Chiedo scusa per il ritardo! ^^
    Un rigraziamento gigante a chi ha letto e soprattutto a chi ha recensito lo scorso capitolo : Mirwen, Nymphy Lupin, _Jaya, Julia Weasley, Alohomora, Erodiade e fuckinmind. Grazie! ^^



Capitolo 3



    L’Inghilterra era stata piena di fiorenti cittadine di soli maghi, fino a quasi due secoli prima. Poi, con la rivoluzione industriale e la conseguente l’espansione delle città babbane, i maghi si erano ritrovati a scegliere: integrarsi con loro o vivere nascosti, ai margini delle loro metropoli.
   Poco lontano da Godric’s Hollow, sempre nel West Country, sorgeva il villaggio di Ottery St. Catchpole, dove ormai erano rimasti pochi maghi, e molto sparsi. Ma una famiglia, Purosangue da generazioni - e da altrettante generazioni incurante di tale purezza - viveva dietro la collina, coi suoi ben sette figli.
   Arthur Septimus Weasley, alto, rosso di capelli - il marchio di famiglia - dipendente del ministero, si sentiva l’uomo più felice della terra: aveva una moglie bella ed amorevole, sei figli maschi svegli e in buona salute e una bellissima bambina di quasi tre mesi, la prima figlia femmina Weasley da più di cento anni. Una famiglia semplice e tranquilla in una cittadina semplice e tranquilla. Non avrebbe mai potuto immaginare che quella guerra di cui sentivano e leggevano sul Profeta potesse arrivare anche a loro.
   Arthur era appena rincasato dal lavoro, dopo un’estenuante giornata trascorsa a rincorrere spine volanti che avevano terrorizzato un intero quartiere babbano, e gli era bastato fare il primo passo in giardino per capire che qualcosa non andava: le scope di Bill e Charlie giacevano abbandonate vicino al recinto, e dei loro proprietari non vi era alcun segno. Entrò esitante in casa, dove non trovò né Molly che sferruzzava, né Ronnie sul sediolone accanto alla cucina, né la piccola Ginevra nella culla che mamma Weasley faceva levitare dietro di sé ovunque andasse. Si diresse al salotto col cuore che già gli martellava nel petto. Non c’erano né i gemelli a giocare sul tappeto come loro solito né Percy a leggere sulla poltrona mentre li controllava, da bravo fratello maggiore.
   « Molly? Ragazzi? » chiamò con un filo di voce e senza attendere risposta sguainò la bacchetta e salì le scale che portavano al piano superiore. Quando trovò anche questo deserto, gemette, e abbandonando ogni cautela scese di sotto correndo, chiamando a gran voce la sua famiglia, terrorizzato. Fu per caso che passando accanto all’orologio di Molly notò che non mancava nessuna delle lancette, e che nessuna di queste si trovava su “pericolo mortale”. Che si fosse rotto? Non voleva pensarlo, e parzialmente rincuorato stava per evocare il suo Patronus e inviarlo alla ricerca della moglie quando fu preceduto da un coniglio d’argento che con la voce di Molly emise solo poche parole prima di svanire in uno sbuffo di vapore: « Al primo bacio. Stiamo tutti bene ».
   Arthur si lasciò cadere su una sedia per il sollievo, abbassando finalmente la bacchetta che aveva stretto come un’ancora di salvezza fino a quel momento.
   
   Più a sud di Ottery St. Catchpole, a Sidmouth, viveva un’altra famiglia magica, i Tonks. Si erano stabiliti lì da ormai quasi dieci anni, da quando cioè si erano sposati appena maggiorenni. All’inizio non era stato particolarmente facile: la famiglia di Andromeda l’aveva cercata per mesi, nel disperato tentativo di evitare lo scandalo, e loro avevano passato tutto quel periodo barricati in casa, protetti dagli incantesimi posti da zio Alphard, l’unico Black che li avesse appoggiati, e riforniti di cibo e generi di prima necessità dai genitori di Ted, che all’inizio avevano abitato con loro per sfuggire eventuali rappresaglie da parte della famiglia di Andromeda.
   Dopo quasi due anni, poi, le ricerche dei Black si erano diradati fino a fermarsi del tutto, come aveva loro comunicato lo zio Alphard, e Andromeda ne aveva subito compreso il motivo, nonostante lo zio non ne avesse mai fatto cenno: lei non era più una Black, era solo una bruciatura sull’arazzo. E aveva finalmente la libertà, la libertà di non avere più un cognome pesante, la libertà di essere una Tonks. Aveva baciato suo marito come mai prima di allora e, mentre lo zio Alphard ridacchiando si congedava, aveva continuato a baciarlo, felice.
   Quella notte Andromeda e Ted Tonks avevano concepito la loro prima figlia, una bellissima Metamorfomaga cui avevano dato nome Ninfadora.
   
   Ormai Dora aveva quasi otto anni, controllava bene le sue capacità e aveva iniziato a presentarsi ai genitori con sembianze buffe ripetendo che voleva un fratellino o una sorellina, al che i genitori alzavano gli occhi al cielo e rispondevano « Può darsi » sfiorando il nasino che la bambina aveva preparato per l’occasione.
   « Mammina! » chiamò anche quel pomeriggio Dora, saltellando in salotto con i capelli turchesi legati in due lunghissime trecce e il muso di un gattino. « Mammina, dai, mi fai un fratellino? » tornò alla carica sbattendo le lunghe ciglia sugli occhi grandissimi.
   Andromeda rise. Non si stancava mai di quello spettacolino, anche perché la figlioletta aveva una grandissima fantasia e riusciva a creare faccine sempre nuove e graziose - ed era abbastanza sicura che anche Dora si divertisse, in fondo.
   La accarezzò, e stava per risponderle come faceva sempre, quando un sonoro pop in giardino la fece sobbalzare.
   « Vai di sopra, Dora, la mamma arriva subito » disse prendendo la bacchetta.
   « Che succede? » si spaventò la bambina.
   « Nulla, tesoro, sarà ancora il cane dei vicini, lo sai, quelli lo tengono sempre libero. Lo incanterò e lo farò tornare a casa sua, come sempre. Vai di sopra, intanto. Io ti raggiungo, ok? »
   Dora non sembrò molto convinta, ma ubbidì.
   Andromeda uscì circospetta in giardino, la bacchetta sguainata davanti a sé, pronta a difendere con la vita la sua famiglia. Erano passati quasi dieci anni da quando aveva lasciato la sua casa a Londra e il mondo Purosangue in cui era cresciuta, ma il terrore che i Black la trovassero e facessero del male a Ted prima e a lui e Dora poi non era mai sparito, nonostante tutte le rassicurazioni che più volte le aveva dato lo zio Alphard prima di morire.
   Era pronta a Schiantare - perfino a uccidere - quando voltò l’angolo, e le prese un colpo quando si trovò davanti una giovane donna circondata da ben sette bambini, tutti con gli stessi capelli rossi della madre.
   « Cosa… Chi Salazar siete? » esclamò indecisa se abbassare la bacchetta o tenerla ancora irragionevolmente puntata contro lo strano gruppetto - chiaramente innocuo.
   « Mi perdoni signora. Lo so che sembra un’invasione, ma non sapevo dove altro andare… Siamo di Ottery St Catchpole, il paese è stato attaccato… Mangiamorte ovunque… La sua è la famiglia magica più vicina… » ansimò la donna, stringendo forte a sé la neonata che portava in braccio. Il più piccolo dei maschietti tirava forte la manica della madre, sporgendosi dalle braccia del maggiore dei fratelli, mentre gli altri più grandi tenevano per mano i gemellini.
   « Mangiamorte? » ripeté inorridita Andromeda. La donna annuì.
   « Le chiedo ospitalità per qualche ora… Alle sei mio marito tornerà dal lavoro e andremo via, ma fino ad allora vorrei rimanere nei paraggi, per essere certa che quelle persone lascino il paese… Altrimenti dovrò avvertirlo al lavoro… Oh, Godric, come farò a mandargli un Patronus al Ministero? Dovrei aspettare che… »
   Andromeda si avvicinò alla donna e le posò una mano sulla spalla, interrompendo il fiume di spiegazioni e ragionamenti.
   « Va tutto bene, ora siete al sicuro, e potrete rimanere qui per tutto il tempo che servirà. Volete una pozione calmante? »
   La donna sorrise debolmente, rilassandosi un poco.
   « Un tè, magari, grazie. Oh, mi perdoni, non mi sono nemmeno presentata, mi chiamo Molly Weasley e questi come vede sono i miei figli ».
   Andromeda non sapeva se ridere: quella donna era chiaramente - e comprensibilmente - sconvolta e pensava a scusarsi per la mancanza di educazione. I Weasley erano davvero strani come si diceva nella sua famiglia.
   « Andromeda Tonks, prego entrate ».
   Fece accomodare i fuggiaschi nel salotto, e si sorprese nel constatare che tutti e sei i bambini fossero innaturalmente tranquilli - effetto della paura, certamente. Mentre offriva un tè alla signora Weasley, notò che Dora sbirciava da sopra le scale gli strani invasori, poi assicuratasi che erano pericolosi scese le scale serenamente e si presentò loro con la mano tesa e, fortunatamente, un aspetto normale.
   « Piacere, sono Tonks. In realtà è il mio cognome, ma il mio nome non mi piace, quindi preferisco farmi chiamare così. Tranne da mamma e papà » disse quasi tutto d’un fiato. Andromeda alzò gli occhi al cielo, versando il tè in una tazzina.
   « Signora Weasley… Mi può raccontare cosa è successo? » chiese poi. Non era sicura fosse una domanda da fare davanti ai bambini perciò aggiunse « Dora, perché non porti i ragazzi in giardino e li fai giocare un po’ con te? »
   Mentre la figlia prendeva la sua scatola dei giochi e ubbidiva, contenta di avere finalmente un po’ - un po’ tanta - di compagnia, la donna si preparò ad ascoltare il racconto di come i Mangiamorte avevano invaso Ottery St. Catchpole, pregando che tra loro non ci fosse anche sua sorella Bellatrix.
   
   Lo aveva notato subito. Lui aveva tredici anni, era alto, aveva i capelli rossi e tutto il fascino che un vero Grifondoro - sfrontato, sicuro di sé - poteva avere su una bambina di undici anni per la prima volta lontana da casa.
   Lo aveva notato subito, e in effetti erano pochi a non conoscerlo: Arthur Weasley non perdeva occasione per mettersi in mostra con le sue bravate ai danni dei Serpeverde o con le sue strambe magie sui manufatti babbani che studiava nelle ore di babbanologia. E lei era talmente incantata da lui che una volta aveva acquistato un filtro d’amore pensando che un giorno avrebbe potuto versarglielo senza farsi vedere nel succo di zucca.
   Ciò che non sapeva, però, era che il giovane Weasley vivesse a pochi metri da casa sua. Lo scoprì durante le vacanze di Pasqua del suo primo anno, quando si trovò per la prima volta faccia a faccia con lui mentre, sfruttando la presenza dei tanti parenti adulti in casa, faceva esperimenti magici sui manufatti babbani nel cortile di casa. Lei era uscita un po’ per sfuggire l’isteria pre-pranzo pasquale nella quale era sprofondata come ad ogni festività la sua famiglia, e vagando per il quartiere lo aveva visto seduto nel giardino di una casetta dall’aspetto strano, che giocava con degli strani piatti neri rigati. Divisa tra la curiosità di capire cose stesse facendo e l’imbarazzo di avvicinarsi rimase ferma impalata sul marciapiede, osservandolo da lontano. Non considerò però che Arthur alzasse gli occhi dalla sua strana occupazione e incrociasse proprio il suo sguardi.
   « Ehilà! » la salutò, e lei divenne all’istante dello stesso colore dei propri capelli, mentre cercava disperatamente una via di fuga. Non trovandola, rispose un timido « Ciao » facendo qualche passo incerto verso il ragazzo. « Prewett, giusto? Primo anno » chiese Arthur affabile, e lei annuì. « Io sono Arthur Weasley » si presentò tendendole la mano.
   « Molly » mormorò lei prendendola titubante. Aveva caldo al viso.
   « Abiti da queste parti? » le chiese lui.
   « Uh-uh » fu l’unico suono che lei riuscì ad emettere.
   « Non ti ho mai vista. Non esci mai di casa? »
   « Uh » mormorò lei. Poi fece un respiro profondo e cerco di articolare una risposta migliore, ma nuovamente non riuscì a dire nulla.
   A toglierla d’impiccio però giunse suo fratello Fabian, che, a quanto pareva, la cercava già da un bel po’.
   « Molly, eri qui allora! Io e Gideon ti abbiamo cercata ovunque! Oh, tu sei Arthur Weasley, del terzo, giusto? »
   Il ragazzino annuì sorridendo.
   « E tu sei Fabian Prewett, battitore dei Grifondoro e responsabile del Bolide che ha disarcionato Lestrange cosicché potessimo prendere il Boccino! » rispose tendendo la mano al nuovo arrivato. « Molly, andiamo, gli zii arriveranno tra poco e la mamma inizierà a dare di matto come sempre. Ci vediamo a Hogwarts, Weasley, è stato un piacere incontrarti! »
   « Anche per me. E anche te, Molly, spero ci rivedremo » fu la risposta del ragazzino.
   Molly divenne ancora più rossa, ma un sorriso enorme le si distese sul volto mentre trovava il coraggio di rispondere, seppure con un filo di voce, « Anche io. Ciao » prima di seguire suo fratello.
   « Oh, e buona Pasqua! » gridò loro dietro Arthur.
   Era iniziata così.
   Poi a scuola lui l’aveva avvicinata una domenica, e le aveva chiesto di fare una passeggiata lungo il Lago Nero, e lei era riuscita a trovare la voce per accettare. Una, due volte, tre si era ripetuta la cosa, e lei aveva imparato a sciogliersi.
   Alla fine della scuola, erano entrati nello stesso scompartimento ed erano scesi a King’s Cross tenendosi per mano.
   Il 10 luglio, lui era andato a prenderla a casa con una bicicletta babbana a cui aveva illegalmente praticato un incantesimo librante e, dopo aver sorvolato il paese con lei, era atterrato al limitare del paese vicino, e l’aveva baciata all’ombra di un albero.

   
   Dora portò i cinque fratelli Weasley più grandi in giardino, dove organizzò un minitorneo a Sparaschiocco all’ombra del grande albero che si protendeva al di sopra del recinto che delimitava la proprietà.
   « Voi come vi chiamate? » chiese ai suoi nuovi compagni sedendosi all’ombra e aprendo la scatola dei giochi.
   « Io sono Bill » rispose il maggiore. Doveva avere dieci o undici anni, in che significava che l’anno successivo avrebbe iniziato la scuola. Dora, come tutti i bambini figli di maghi, non vedeva l’ora che toccasse anche a lei. « Loro sono Charlie » continuò presentando il più grande degli altri fratelli, « Percy » il successivo in ordine d’età, « e Fred e George » i gemellini, che dovevano avere più o meno tre anni, e quindi erano troppo piccoli per lo Sparaschiocco. Dora, da brava bambina grande, diede loro dei giocattoli di legno incantato che a quanto ricordava aveva usato lei quando aveva più o meno la loro età, e i due bambini batterono le mani divertiti dalle scintille colorate che i pupazzetti sprizzavano se venivano toccati. I bambini più grandi invece si unirono a lei nel torneo, anche se Bill, notò Dora, alzava ogni tanto lo sguardo verso i fratellini o verso il recinto, come in attesa di qualcuno.
   « Siete tanti » osservò dopo un poco la bambina. « Io invece sono figlia unica. Però ho chiesto a mamma e papà di farmi un fratellino o una sorellina, e spero di convincerli prima o poi ».
   « Se vuoi possiamo essere noi i tuoi fratelli, siamo tanti » fu la risposta di Charlie mentre distribuiva le carte. « E l’anno prossimo Bill va a Hogwarts, quindi a noi mancherà un membro, tu puoi sostituirlo »
   La bambina si aprì in un largo sorriso.
   
   Giocarono per qualche ora, poi un pop alle loro spalle attirò la loro attenzione. Dora stava per correre in casa e chiamare la madre, ma Bill si alzò di scatto esclamando « Papà! » in direzione dell’uomo appena Materializzatosi. Attirate dal suono della Materializzazione, Molly e Andromeda raggiunsero i bambini in giardino, mentre Arthur scavalcava la recinzione per abbracciare i suoi figli e la moglie.
   « State tutti bene, grazie al cielo! Mi sono spaventato così tanto, non vedendovi! Ma cosa è successo? »
   « Mangiamorte. Hanno… » iniziò a rispondere Molly, ma si interruppe perché non voleva parlare davanti ai bambini. Andromeda invitò i due a seguirla in casa, lasciando nuovamente i bambini al loro torneo.
   « Mangiamorte? » chiese Arthur quando furono in salotto.
   « Sì. Hanno invaso il paese, catturato dei babbani… Credo ne abbiano anche torturati alcuni, si sentivano le urla anche dal nostro lato della collina… » rispose sua moglie rabbrividendo, mentre Andromeda, che aveva già sentito il raccontom, osservava dalla finestra i bambini tornare a giocare. « Quando ho visto levarsi in alto del fumo ho avuto paura che arrivassero anche a noi, così ho preso i bambini e mi sono Smaterializzata. La signora Tonks è stata così gentile da ospitarci fino ad ora » concluse Molly.
   Arthur prese in braccio Ronnie e sedette su una poltrona di fronte alla moglie, che stringeva a sé la piccola Ginny, addormentata.
   « La ringrazio molto, signora » disse poi come ricordandosi improvvisamente di qualcosa di importante.
   « Andromeda. Siamo dalla stessa parte, lasciamo stare i formalismi » sorrise la donna lasciando il suo posto accanto alla finestra.
   Arthur sorrise a sua volta.
   « Andromeda, allora. Ti ringrazio per aver dato ripato a mia moglie e ai miei figli, ti sarò debitore a vita. Per qualsiasi cosa, non esitare a chiedere ». Andromeda scosse la testa. « Ora andiamo. Grazie ancora ».
   « Dove andrete? »
   Arthur non rispose subito.
   « Non lo so » rispose dopo averci pensato un po’. « Di tornare a casa non se ne parla, non ho fatto caso al resto del paese, mi sono Materializzato direttamente a casa, ma ho idea che non sia il caso di tornarer a Ottery St. Catchpole. E anche se il resto del paese fosse tranquillo, potrebbero nornare, non credo fossero lì per caso » aggiunse stancamente.
   Molly sussultò.
   « Ma noi non… »
   « Siamo traditori del Sangue Puro, Molly » spiegò Arthur, e Andromeda annuì tristemente: ricordava fin troppo bene le parole con cui nei sotterranei di Serpeverde si accennava ai Weasley, e gran parte di quelli che erano stati suoi compagni di Casa avevano finito per unirsi ai Mangiamorte. Senza contare Regulus, Bella e Rodolphus e, sospettava, anche Cissy e suo marito. « Probabilmente i Mangiamorte torneranno a Ottery St. Catchpole per vedere se siamo tornati. Magari no, magari è solo una mia idea, e davvero erano lì solo per divertirsi, ma non si sa mai… »
   « Hai ragione, non possiamo sapere cosa facessero lì » considerò Andromeda, poi dopo quache secondo di riflessione continuò. « Mio cugino fa parte dell’ordine della Fenice. Sono certa che Silente vi aiuterà ».
   Molly ebbe un attimo di esitazione, al pensiero dell’Ordine - erano già passati due anni da quando… - ma non poté che sorridere grata insieme a suo marito.
   
   Andava avanti e indietro nel suo studio, inquieto. Non aveva dormito la notte precedente, e aveva trascorso la giornata a Woolstone con gli Auror per fare luce sugli avvenimenti, e ora era tormentato dall’atrocità di una consapevolezza: Voldemort sapeva della profezia.
   Benché la cercasse, non trovava altra possibilità. Perché uccidere il bambino, altrimenti? Restava da capire quanto avesse scoperto: sapeva che i Longbottom non erano gli unici a cui la profezia poteva riferirsi? Conoscendolo, probabilmente aveva cercato solo tra i Purosangue, quindi era lecito supporre che Harry - e con lui le speranze del mondo, magico e non - fosse al sicuro.
   Certo, ammesso che la profezia fosse vera. Ma a parte i dubbi sull’attendibilità della predizione, c’era ancora l’incertezza sul destino dei Potter: e se la talpa di cui da tempo sospettavano l’esistenza avesse riferito a Voldemort che lui aveva nascosto due famiglie? No, non lo aveva fatto finora, perché farlo proprio adesso? Ma, ancora una volta, non aveva certezze, quindi meglio agire d’anticipo. Prese una manciata di Polvere Volante, e stava per gettarla nel camino per recarsi da Sirius Black, quando fu distratto dallo sbatacchiare d’ali di un gufo, che fece il suo ingresso dalla finestra aperta, lasciò cadere una busta chiusa da un sigillo di cera rossa dall’aria familiare, ed uscì.
   Silente posò nuovamente la Polvere Volante, e prese la busta. Aveva appena strappato il sigillo del Ministero e letto le prime due righe - che accennavano ad un’aggressione di Mangiamorte da qualche parte nel West Country, quando la sua attenzione fu nuovamente distratta da una testa apparsa con un leggero pop nel suo camino.
   La testa di Sirius apparve nel suo camino pochi minuti dopo il suo ritorno da Godric’s Hollow.
   « Che succede? » gli chiese Silente.
   « Ottery St. Catchpole è stata attaccata oggi, poco dopo le tre del pomeriggio. Mia cugina dice che due maghi si sono rifugiati da lei a Sidmouth, nel frattempo, ma hanno figli - parecchi, a quanto dice - e non se la sentono di tornare a casa. Mi ha chiesto se possiamo fare qualcosa per loro ».
   Silente tornò un attimo alla lettera, in cui tra i vari villaggi attaccati era nominato anche Ottery St. Catchpole, prima di rispondere. « Capisco. Vai da lei, allora, nel frattempo. Vi mando Remus il più presto possibile ».
   Il ragazzo annuì e stava per andaresene quando Silente lo fermò.
   « Aspetta, ho un favore da chiederti ».
   « Un favore? Sicuro, dimmi ».
   « So che avevamo deciso di non condividere quest’informazione per non rischiare che giungesse a orecchie indiscrete, ma ho bisogno che tu mi dica dove si trovano James e Lily » illustrò l’anziano mago.
   « Oh. E… come mai? »
   Silente alzò un sopracciglio, spiazzato dalla risposta - o meglio dalla mancata risposta - di Sirius, la cui testa sembrava improvvisamente a disagio.
   « Ho le mie ragioni » disse lentamente, e il ragazzo capì che avrebbe fatto bene a spiegarsi in fretta, o avrebbe rischiato di essere cruciato nel camino all’istante.
   « Giusto. Scusa, è che… non sono io il Custode Segreto. Ci siamo scambiati. Peter ed io, intendo ».
   « Scambiati? » ripeté Silente alzando l'altro sopracciglio.
   « Sì… Una trappola per i Mangiamorte. Io sarei stato una scelta scontata, mentre Peter è insospettabile ».
   « Capisco. Un buon piano, devo ammetterlo » considerò l’anziano mago, sospirando al pensiero di quella giornata che sembrava non voler finire. « Avrei preferito saperlo, però. Sai dove si trova Peter? È sempre dai suoi o… ? »
   « No, è a Kew, quartiere babbano. Mortlake Road 101 ».
   « Molto bene. Allora vai da tua cugina e aspetta lì ».
   Il ragazzo annuì nuovamente e con un pop sparì dalle fiamme verdi.
   Rimasto solo, Silente spedì un Patronus, poi uscì dal territorio di Hogwarts per recarsi da Peter.
   
   Silente si Materializzò a casa sua quando erano ormai quasi le otto di sera, e già questo di per sé avrebbe preoccupato chiunque. Nel caso di un Grifondoro non particolarmente coraggioso, la preoccupazione - che somigliava tanto a terrore - si tradusse in uno strillo acuto, e Peter Minus si rintanò dietro il divano invocando lo Scudo più potente di cui era capace, quando sentì pop dietro di sé.
   « Sono io, Peter » sorrise Silente con aria rassicurante.
   « Si-Silente? Cosa… Cosa fai… qui? » squittì il ragazzo terrorizzato. Ecco, era giunto il suo destino, l’Ordine lo aveva scoperto e Silente in persona era arrivato per portarlo ad Azkaban. O per ucciderlo.
   « Sirius mi ha detto che vi siete scambiati » rispose affabile Silente, lisciandosi la barba.
   « Ah ».
   « Mi serve di sapere dove si trovano James e Lily ».
   « Oh. Certo. Sicuro ».
   Peter prese un lungo respiro. Ormai non poteva più fuggire, e il suo unico vantaggio era ormai perso: ora che Silente sapeva che era lui il Custode Segreto, lui aveva perso l’unica informazione utile con cui barattare eventualmente la sua via coi Mangiamorte. D’altra parte, però, così guadagnava la protezione del mago più potente d’Inghilterra, e l'unico di cui - si diceva - il Signore Oscuro avesse pausa.
   « Godric’s Hollow. La casa al termine della stradina che porta fuori dal villaggio, dopo le villette babbane ».
   Silente ringraziò con un cenno e si Smaterializzò senza dare troppe spiegazioni.
   
   Gli incantesimi di controllo di James scattarono proprio mentre Lily entrava nella cameretta di Harry per controllarlo ancora una volta.
   « Mamma » chiamò contento di vederla, alzandosi in piedi nella culla con le manine aggrappate alle sbarre di legno.
   « Tesoro, sei già sveglio » lo salutò la ragazza prendendolo in braccio. Harry tirò una ciocca di capelli e iniziò a giocarci rapito.
   « Ha buon gusto, si vede proprio che è figlio mio » commentò James che li osservava fermo sotto l’arco della porta. « Le rosse sono le migliori, ricorda ».
   Lily roteò gli occhi, ma furono in quel momento interrotti dal campanello.
   James fece per andare ad aprire, ma Lily lo fermò.
   « Controlla chi è ».
   Il ragazzo sbuffò - un Mangiamorte non avrebbe mai bussato - ma prese ugualmente la bacchetta e si avvicinò cauto alla porta.
   « Chi è? » chiese.
   « Albus Silente. Peter mi ha detto dove trovarvi » rispose l’anziano mago, e il ragazzo aprì, tutt’altro che rincuorato.
   « Silente! Che ci fai qui? Cos’è successo? Stanno tutti bene? »
   Silente non rispose, non era il momento di raccontare le cattive notizie, così si limitò a riconsegnare a James il suo mantello argenteo e a chiedere ai due di seguirlo. James prese il mantello distrattamente, occupato a cercare di decifrare l’espressione di Silente per ricavarne informazioni: era certo che il suo vecchio preside gli stesse nascondendo qualcosa, ma non riusciva a capire cosa. E aveva il terrore di capirlo. Lily osservò a sua volta il mago, cercando di comrpendere il perché di quello strano invito - non aveva forse detto che dovevano nascondersi? Cosa era cambiato?
   « Cosa è successo? » chiese Lily.
   « I Mangiamorte hanno attaccato dei villaggi babbani, stanotte, e abbiamo una famigliola di maghi in fuga. Vorrei che ti occupassi di loro » rispose rivolto alla donna. « Rimarranno al sicuro alla base dell’Ordine » rassicurò poi James, vedendo che il ragazzo stava per obiettare qualcosa. « Tu invece dovresti seguirmi, ci sono pochi membri dell’Ordine liberi, ho bisogno di tutto l’aiuto possibile: i Mangiamorte si sono dati un po’ troppo alla pazza gioia, ci sono decine di babbani incantati sparsi per tutta la Gran Bretagna e gli Auror non sono abbastanza ».
   I due ragazzi accantonarono i loro dubbi per annuire decisi, Silente trasformò un soprammobile in Passaporta per Lily e Harry - insisteva col dire che per un bambino così piccolo la Materializzazione poteva risultare fastidiosa - e si Smaterializzò con James.
   



    Capitolo diffiiiiiiiicile, l’avrò scritto sette o otto volte, e inizialmente non volevo essere così buona con la rossa famiglia, poi però mi sono venute idee migliori (o peggiori, a seconda dei punti di vista *risatina sadica*)
    Spiegazioni di capitolo: a Ottery St. Catchpole dovrebbero vivere anche i Lovegood, dal canon. Ma se metto nella storia un altro bambino piccolo (Luna) diventa un asilo XD Scherzi a parte, ho pensato sembrasse un po’ forzato mettere tutti i personaggi esattamente nei luoghi in cui abiteranno quindici anni dopo, ergo la mia idea è che magari i Lovegood si siano trasferiti a Ottery St. Catchpole successivamente. Se l’idea non vi piace, pensate che gestire tanti bambini piccoli era impossibile e ho trovato una scappatoia XDXD
    Per altri dubbi, sono qui per rispondere ^^
    Il prossimo capitolo non sarà online prima del 20, data in cui dovrei finalmente dare uno stupido esame di cui, come sempre, non si sa il programma -.- Mah!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


   Aggiornamento molto in ritardo, e con questo non ho più capitoli completi di scorta, quindi è matematico che per il quinto capitolo vi farò aspettare ancora… Chiedo umilmente perdono, ma tra esami, la preparazione del cosplay per il Romics e relativo viaggetto a Roma con le amiche ho avuto meno tempo del previsto. Anche per rispondere alle recensioni allo scorso capitolo (giuro che rispondo quanto prima, giuro!) Ringrazio comunque chi ha letto e soprattutto Mirwen, Alohomora, Nynphy Lupin, _Jaya, coshicoshi, Erodiade, Julia Weasley e fuckinmind che hanno commentato e alla mia beta-sister Francesca ^^



Capitolo 4
   



    Era luglio, un luglio torrido e insopportabile, soprattutto nell’opprimente atmosfera che regnava al numero 12 di Gimmauld Place. Sirius detestava le vacanze estive, tornare a casa era un incubo, vedere il disprezzo negli occhi dei parenti quando per sbaglio incrociavano il suo guardo, rivolgendo amorevoli apprezzamenti al piccolo Serpeverde di casa, una tortura. Solo di notte Grimmauld Place diventava soppirtabile, quando tutti dormivano, compreso quell’orrido elfo che, da quando lui era stato smistato Grifondoro, aveva iniziato a sentirsi autorizzato a parlare male di lui nonostante fosse un suo padrone.-
    Il caldo, però, rendeva fastidiosa anche la notte. Stanco di rigirarsi nel letto alla ricerca di un punto fresco del materasso, Sirius si alzò e scese silenziosamente in cucina per prendere un po’ d’acqua. Poi, non volendo subito tornare a letto, vagò un po’ per casa, ed entrò senza accorgersene in salotto, dove il maestoso arazzo che raffigurava l’albero genealogico dei Toujours Pur correva lungo la parete.
    Fu allora che lo vide. Poco lontano dal suo stesso nome, tra Bellatrix e Narcissa, dove era sempre stata la sua cugina preferita una bruciatura nel tessuto aveva cancellato il nome di Andromeda.
    Per un istante si guardò intorno terrorizzato che qualcuno, vedendolo, potesse accusarlo di un tale scempio - era stato Kreacher, forse, pulendo? No, per un errore simile il vecchio elfo si sarebbe impiccato, e poi non ne avrebbe mai vuto il potere - ma poi capì cosa doveva essere realmente successo: come già Phineas, Marius, Isla e Cedrella prima di lei, anche Andromeda era ormai uscita dalla famiglia. Di lei, solo una bruciatura sul tessuto tra Bella e Cissy.
    Erano almeno tre anni che Meda era sparita, ormai non era più un segreto che fosse fuggita con un Nato Babbano, e Sirius sapeva che prima o poi zio Cygnus e zia Druella avrebbero rinunciato a cercarla e avrebbero preso il provvedimento che già le malelingue prospettavano da tempo, ma non si sarebbe mai aspettato che avvenisse così. Credeva che come minimo sarebbe stata convocata l’intera famiglia, e che l’epurazione sarebbe avvenuta al termine di qualche lungo e noioso discorso sull’importanza del sangue, durante il quale sua madre lo avrebbe guardato minacciosa per ricordargli che quello era il destino che lo aspettava se non avesse messo la testa a posto. E invece no. Andromeda era stata cancellata come si cancella una macchia unta sul tappeto, senza cerimonie, senza alcuna importanza. Andromeda semplicemente non esisteva più.
    Da allora, Sirius l’aveva rivista solo due volte: la prima quando, divenuta mamma, Andromeda aveva invitato, all’insaputa dei Black, il suo cugino preferito a vedere la piccola Dora, e la seconda quando, dopo essere fuggito di casa a sedici anni, zio Alphard lo aveva affidato a lei per qualche giorno, il tempo che si calmassero le acque - che lo cancellassero dall’arazzo, Walburga non aveva intenzione di sprecare tre anni come aveva fatto Druella per cercare un Grifondoro - e che trovasse una sistemazione migliore. Poi solo lettere, tante per la verità, soprattutto da quando, morto Alphard, avevano perso ogni contatto con i Black.

   
    Sirius si Materializzò nel giardino dei Tonks ed entrò in casa senza bussare. Non era mai stato lì, e non aveva mai conosciuto il marito di sua cugina, ma era abbastanza sicuro che nessuna delle sette paia di occhi maschili che lo fissarono al suo ingresso appartenessero a lui.
    « Sirius! » lo accolse con un sorriso Andromeda abbracciandolo. Il sangue Black che nonostante tutto le scorreva ancora nelle vene non le permise di dire né fare altro, ma aveva lo sguardo orgoglioso di una mamma che rivede il proprio bambino dopo tanto tempo e lo trova ormai trasformato in un uomo.
    « Immagino siano loro. Tanti figli, eh sì » commentò lui cercando di non ridere.
    « Loro sono Molly e Arthur Weasley. E i loro figli, sì » rispose Andromeda presentando la coppia. I due si alzarono e strinsero la mano al ragazzo.
    « Molly Weasley? La sorella di… ». La donna annuì tristemente, e Sirius si affrettò a cambiare discorso. « Silente ha detto di aspettare un po’, manderà qualcuno. Credo stia cercando un posto sicuro per voi ».
    « Avete avuto notizie? » chiese Andromeda con un’occhiata dubbiosa a Molly. « Deui Mangiamorte, intendo ».
    « Ottery St. Catchpole non è l’unico paese attaccato. Hanno fatto un gran casino per mezza Gran Bretagna, a quanto pare ».
    In quel momento, il camino si illuminò e dalle fiamme verdi uscì un uomo.
    « Papà! » gridò una bambina - niente capelli rossi, quindi doveva essere Ninfadora, registrò Sirius - spuntando da dietro il divano e saltando al collo dell’uomo, che ora si guardava intorno spiazzato.
    « Credo di aver bisogno di qualche spiegazione » disse.
   
    Mancava solo un’ora, e finalmente lo avrebbe incontrato: il mostro che aveva distrutto la sua esistenza. Fremeva di impazienza, e contemporaneamente sperava che non si presentasse. Camminava avanti e indietro al limitare della radura, mentre i suoi simili parlottavano sommessamente tra di loro, seduti in cerchio sotto il cielo coperto di pesanti nuvole.
    Si chiedeva se Grayback lo avrebbe riconosciuto. Probabilmente no, erano troppi i bambini che aveva morso nella sua lunga carriera, e certamente non poteva ricordarsi di lui quando erano ormai passati quindici anni. Si chiese se tra gli altri non vi fosse qualche altra sua creatura, anche se in effetti era un’ipotesi poco plausibile: chi mai avrebbe voluto incontrare il proprio assassino? Se non fosse stato per l’ordine, lui stesso sarebbe fuggito a gambe levate il più lontano possibile da lì… o forse no, perché dopotutto voleva incontrarlo, guardare negli occhi l’uomo che per divertimento aveva fatto del male ad un bambino di sei anni. E non solo uno.
    Il tempo si dilatava, un’ora eterna lo separava da quel momento, e lui non riusciva a stare fermo, i inoltrò nel folto degli alberi, respirando profondamente per calmare il cuore impazzito.
    Avrebbe voluto non essere solo, almeno.
    Sedette ai piedi di un albero col tronco ricoperto di muschio, cercando di distrarsi. Ripensò a Hogwarts, ogni volta che era preoccupato, rievocare a quello che era stato il periodo più felice della sua vita lo aiutava a rilassarsi. Gli mancava tanto la scuola.
    Alzò la testa, cercando il cielo tra le fronde degli alberi, e la prima goccia di pioggia gli cadde sul viso, poi ne arrivò un’altra, e un’altra ancora, e in breve il ticchettio dell’acqua sulle foglie riempì l’aria. Bene così, la pioggia lo calmava.
    Tornò dai suoi compagni, e li trovò ancora seduti in attesa nella radura, incuranti della pioggia che gli inzuppava capelli e vestiti, perché la loro natura di licantropi li proteggeva dal freddo. Sedette insieme a loro, ma dopo un po’ si alzò di nuovo, e stavolta non per l’irrequietezza: aveva visto qualcosa di argenteo tra gli alberi, ed era certo di aver riconosciuto cosa fosse. Quando tornò nel folto della foresta, si trovò davanti la fenice d’argento che parlando con la voce di Silente gli disse di recarsi immediatamente alla base dell’Ordine.
    Una parte di lui fu sollevata, l’altra infastidita, ma fu la prima a prevalere, e fu con gioia che prese la bacchetta che portava nascosta tra le sue poche cose e si Smaterializzò con esse.
    Nei pochi istanti di viaggio, tutto il sollievo svanì: cos’era successo? Qualcosa di cattivo o buono? Propendeva per la prima, sperava nella seconda e non riusciva aimmaginare nessun possibile scenario. Reduce da un’attesa, sperava tanto di non doverne sopportare una peggiore.
    Fortunatamente, quasi nello stesso momento in cui si Materializzò alla base, apparvero con un bop anche Silente e…
    « James! » esclamò Remus rinfrancato. Il suo amico sembrava illeso e soprattutto tranquillo, quindi niente di brutto doveva essere successo.
    O forse Silente non lo aveva ancora detto nemmeno a lui.
    Scacciò via il pensiero e si scambiò un abbraccio fraterno col suo compagno Malandrino.
    « Alcuni villaggi sono stati attaccati dai Mangiamorte, stanotte » li aggiornò brevemente Silente. « Una famiglia di maghi è fuggita e ora ha bisogno di un rifugio. Portatela qui, si trova a Sidmouth, ora. Sirius è già lì » illustrò consegnando ai due la lettera arrivatagli dal Ministero. « Poi tutti e tre andate nei villaggi attaccati: gli Auror sono molto impegnati ultimamente, e probabilmente avranno bisogno di aiuto ».
    I due ragazzi annuirono e prontamente si Smaterializzarono.
    Silente invece rimase alla base aspettando la Passaporta con cui sarebbero arrivati Lily e Harry. Nemmeno i tempo di sedere accanto al tavolo, che i due apparvero al centro della stanza. Harry sembrava infastidito dal viaggio. L’anziano mago, quindi, si congedò e si Smaterializzò con un cenno bonario al bambino.
   
    A Sidmouth, casa Tonks sembrava essersi trasformata in una stazione ferroviaria: non vi erano mai stati, a memoria dei proprietari, così tanti arrivi improvvisi.
    Dora sembrava sinceramente divertita. Aveva trascorso una piacevole giornata coi fratelli Weasley, e benché Bill e Charlie , più consapevoli dei fratelli minori della gravità della situazione, avessero spesso alzato gli occhi verso il recinto in attesa del padre, sia loro sia i bambini più piccoli erano stati una buona compagnia. E ora che i suoi nuovi compagni di giochi stavano per andare via, a lei dispiaceva.
    Un bop in giardino e il successivo suono del campanello annunciarono l’arrivo di James e Remus. Dora andò ad aprire la porta da brava padrona di casa accogliendo i due ragazzi, che salutarono con un cenno Sirius e si presentarono brevemente.
    « Vi porteremo alla base dell’ordine finché Silente non vi troverà una sistenazione migliore » comunicò poi Remus ai signori Weasley. Questi annuirono, prima di ringraziare ancora una volta i Tonks - che con un ampio sorriso ribadirono che non c’era nulla di cui ringraziare - e raccogliere i proprio figli per Smaterializzarsi coi tre Malandrini.
    Dora salutò un po’ triste i suoi nuovi amici e si fece promettere che si sarebbero presto sentiti. Le due madri sorrisero ai figli e ai mariti, intenerite.
    « Se servisse qualsiasi cosa » disse Ted stringendo la mano a Sirius, « dite a Silente che noi siamo pronti a darvi una mano. Preferiremmo non essere direttamente coinvolti, per… sai » continuò facendo un cenno alla moglie, che stava accarezzando una insolitamente sconsolata Dora. « Ma per qualsiasi altra cosa contate su di noi ».
    « Grazie » rispose il ragazzo, che avev a perfettamente capito: aveva avuto anche lui un fratello Mangiamorte, ed era stato doloroso vederlo dall’altro lato della barricata, prima, e morto diciannovenne in circostanze misteriose, poi, e comprendeva la paura di Andromeda di trovarsi contro le sue sorelle.
    Terminato il giro di saluti, i tre giovani membri dell’Ordine e la numerosa famiglia Weasley si Smaterializzarono, diretti alla base dove Lily e Harry li aspettavano.
   
    Stanco per il viaggio e perché, dopotutto, era ora per lui di dormire, Harry era alla fine crollato, e la madreaveva fatto apparire una culla per far riposare il bambino. Quando però i tre ragazzi e i Weasley fecero il loro ingresso, e la piccola della famiglia scoppiò in lacrime disturbata dai troppi spostamenti, anche Harry si svegliò piangendo, e i genitori accorsero subito per coccolarlo.
    « Se diventerò padre, al primo pianto farò un Muffliato. O anche due » commentò divertito Sirius, e Remus gli diede una gomitata.
    Ristabilito l’ordine tra i bambini, ed evocate altre due culle per Ronald e Ginevra, gli adulti si misero al corrente delle disposizioni di Silente.
    « Vengo con voi » decise Arthur al termine delle spiegazioni.
    Molly si voltò di scatto verso di lui, che teneva lo sguardo risolutamente fisso sui tre Malandrini. La donna affidò il bambino al fratello maggiore e si parò davanti al marito, l’aria sconvolta, gli occhi improvvisamente lucidi.
    « No, tu non vai » disse.
    « Molly, voglio andare, voglio aiutarli, devo! »
    « Tu… devi? » ripeté la donna, ormai prossima alle lacrime. James e i suoi amici si scambiarono uno sguardo e si ritirarono accanto a Lily e ai bambini, lasciando i due coniugi alla loro discussione.
    « Molly, starò attento… »
    Ma Molly non lo lasciò finire.
    « Starai attento? Cosa credi, che basti? Credi che Fabian e Gideon non siano stati attenti? » gridò, e stavolta scoppiò davvero a piangere.
    Il primogenito Weasley accarezzò il fratellino, spaventato dall’improvviso cambiamento di toni. I tre Malandrini e Lily si guardarono a disagio.
    « Tesoro… » mormorò Arthur stringendola a sé. « Lo so che hai paura, che non vuoi perdere anche me. Starò attento, cercherò di evitare rischi inutili. E lo so che non basterà, so che anceh i tuoi fratelli avranno fatto attenzione e che non è bastata, ma voglio farlo. Siamo in guerra, Molly, non importa che io resti con te o vada con loro, i Mangiamorte sono arrivati a Ottery St. Catchpole e possono arrivare ovunque, non saremo mai al sicuro finché la guerrà non sarà finita. Mi dispiace » aggiunse baciandola sulla fronte, poi salutò i figli, raccomandandosi di fare i bravi, si avvicinò ai tre ragazzi e si Smaterializzarono insieme, prima tappa Royston.
   
    Rimaste sole con i bambini, le due donne si fissarono imbarazzate per un po’, senza parlare. Poi Molly si riscosse, si asciutò gli occhi e tirò su col naso, e si avvicinò a Lily.
    « Io sono Molly Weasley » disse guardandola gritto negli occhi, come per chiarire che non avrebbe risposto a nessuna domanda su ciò che era appena successo.
    « Io sono Lily Potter » rispose la ragazza assecondando la sua scelta.
    « Anche tu mamma » commentò Molly decisa a trovare un argomento di conversazione qualsiasi che non riguardasse i suoi fratelli.
    « Già. Tu sei molto mamma, invece » sorrise di rimando Lily con uno sguardo ai tanti bambini. L’unica femminuccia dormiva nella culla accanto a quella di Harry, il più piccolo dei maschietti tirava i capelli del fratello più grande, mentre gli altri - innaturalmente tranquilli, forse troppo stanchi - avevano preso posto intorno al tavolo.
    « Oh, è più semplice di quel che sembri. Anche se devo dire che oggi è più semplice del solito, non sono mai stati così tranquilli ».
    Il bambino più piccolo diede uno strattone più forte ai capelli del fratello, che sussultò massaggiandosi la testa.
    « Non si fa, Ronnie » disse poi paziente. Doveva avere circa undici anni, ed era chiaro che fosse abituato, con tanti fratelli piccoli e un padre lavoratore, ad aiutare la madre nell’occuparsi di loro. Molly si sarebbe trovata davvero in difficoltà l’anno successivo, senza di lui. Ronnie annuì dando segno che aveva capito di aver sbagliato. Lily ridacchiò. Le sarebbe piaciuto, di lì a qualche anno, assistere ad una scena simile con Harry al posto del bambino più grande.
    Ma c’era la guerra, e non era proprio il momento di pensare ad una cosa simile, quando giorno dopo giorno la situazione diveniva sempre più disperata.
    « Siediti » disse a Molly. « Ho idea che ci sarà da aspettare un po’ prima che Silente ritorni ».
    Molly ringraziò e prese una sedia di fronte a Lily. Ronnie tese le braccia versa la madre, e si addromentò beato poco dopo che lei lo ebbe preso in braccio. I gemellini si accoccolarono l’uno contro l’altro a terra accanto al muro, mentre il bambino con gli occhiali si addormentò aon la testa sulle braccia, seduto composto al tavolo. Molly evocò per tutti delle coperte, e sospirò, aspettando.
   
    « Libertà, finalmente! Stavo ammuffendo a Godric’s Hollow! » esclamò James allargando le braccia.
    « Perché ti annoiavi proprio, chiuso in casa con la Evans, eh? Povero Ramoso » lo prese in giro Sirius.
    « Potter, Felpato, Potter, non più Evans » rispose l’amico con un sorriso da orecchio a orecchio.
    Remus alzò gli occhi al cielo. Arthur sorrise debolmente, ma non si unì ai tre. Remus lo notò e gli si affiancò, dietro agli altri due Malandrini che si dirigevano verso il centro del paese.
    « È per quello che diceva tua moglie? » gli chiese.
    Arthur sospirò.
    « Da quando i suoi fratelli sono morti in missione è terrorizzata, è diventata più protettiva coi bambini, ha persino paura di lasciar andare Bill a Hogwarts - l’anno prossimo farà il primo anno - e credo che sotto sotto ce l’abbia con Silente, che lo ritenga in qualche modo responsabile. Se non fosse per i bambini, credo che avrebbe persino rifiutato l’aiuto dell’Ordine » rispose, e sospirò di nuovo. In realtà anche io ho paura, abbiamo sette figli, e la piccolina non ha neanche tre mesi… ma la guerra può raggiungerci ovunque… I Mangiamorte hanno attaccato Ottery St. Catchpole, Godric! »
    « Abbiamo tutti paura. Ma, come hai detto tu, non possiamo essere al sicuro in nessun luogo, tanto vale fare qualcosa per accelerare la fine di questa guerra maledetta ».
    « Giusto » rispose Arrhur annuendo.
    « Tua moglie… È Molly Prewett, giusto? »
    « Weasley ora. Comunque sì ».
    Remus abbassò lo sguardo, adisagio.
    Non aveva mai conosciuto di persona la sorella di Fabian e Gideon, ma loro avevano spesso parlato di lei, la loro piccolina a cui erano tanto affezionati. E se per lui e i suoi compagni il ricordo dei due giovani eroi era ancora doloroso, dopo quasi un anno dalla loro morte, che li aveva sorpresi e sconvolti al punto che molti di loro erano stati sul punto di mollare, comprendeva più che mai i sentimenti di Molly e il suo terrore di perdere ancora qualcuno a cui teneva.
    « Mi dispiace ».
    « Non è colpa tua ».
    « Lo so, ma mi dispiace comunque. Conoscevo Fabian e Gideon, la loro morte è stata un colpo per tutti. Erano due grandi maghi, e sono morti da eroi ».
    Arthur sbuffò.
    « Già, ma questo non dirlo a Molly, o ti crucerebbe all’istante. In realtà non so come Silene si sia salvato dalla sua bacchetta, quando è venuto a dirci di Fabian e Gideon » disse con una smorfia. Remus assecondò la sua volontà di cambiare i toni della conversazione, e ridacchiò di rimando. Poi i due si affiancarono a James e Sirius, che ancora scherzavano su Lily e il suo status di “signora Potter”.
    Giunti alla piazza principale, un paio di incantesimi rilevarono loro che gli Auror avevano già provveduto a ripostare l’ordine nella cittadina.
    « La prossima è Batley » disse Remus dando una scorsa alla lettera del Ministero data loro da Silente.
    A Batley trovarono due Auror che pattugliavano le strade. Uno di loro stava imprecando ad alta voce contro i Mangiamorte, mentre rivolgeva incantesimi di riparazione a tutto ciò che dava segno di essere stato rovinato da magia recente.
    « Quei maledetti » stava dicendo « si stanno dando alla pazza gioia! Ieri hanno sterminato un’intera famiglia, stanotte hanno incannato i babbani di mezza Gran Bretagna… e il Ministro è un'imbecille, continua a tergiversare invece di prendere provvedimenti seri! »
    « Non durerà a lungo, se continua così ci saranno elezioni anticipate » disse l’altro Auror, abbassando la bacchetta dopo aver riparato la vetrina di un negzio.
    « Anche qui ci sono già gli Auror. Andiamo alla prossima? » propose Arthur ai suoi compagni. Sirius e Remus annuirono, ma James li fermò.
    « Aspettate, voglio sentire. Sono rimasto fuori dal mondo per troppo, cos’è questa storia delle elezioni anticipate? »
    « Dicono tutti che il Ministro è troppo debole, che non può tenere testa a una situazione simile. Che il governo è destinato a cadere presto. Molti non aspettano altro » rispose Remus.
    « Lo spero! » stava infatti rispondendo il primo Auror, sempre più infervorato. « Siamo in guerra, è inutile girarci intorno, e serve un uomo forte e carismatico che non perda tempo con tutta quella burocrazia. Non sono sicuri che sei colpevole? Bene, prima ti arrestano, nel caso che lo sei sul serio, e poi controllano. Vagonate di galeoni buttati in processi quando è chiaro che se ti beccano vivo sotto al Marchio Nero vuol dire che sei uno di loro! Maledizione Imperius, ha! Il cazzo che sono sotto Maledizione, senti a me! »
    Il compagno annuì ancora.
    « È per colpa sua e di quelli come lei, che se n’escono con le “seconde occasioni” che continuano ad esserci vittime… Meno male che al Dipartimento per l’Applicazione della Legge Magica abbiamo Crouch, al diavolo le perdite di tempo, Schiantesimi e Disarmo, loro vogliono ammazzarci? Noi ammazziamo loro! » disse.
    « Grande uomo, Crouch! Ecco, lui lo vedrei bene come Ministro ».
    « Anche io, e anche mezza popolazione magica. Se cade il Ministero, lui sale sicuro… Vorrei che fosse salito prima, adesso avremmo meno Mangiamorte in giro, e soprattutto meno vittime. Abbiamo perso già troppi civili e colleghi, ieri anche i Longbottom, ed erano così giovani! »
    Fu una doccia fredda per James e Remus. Si voltarono l’uno verso l’altro e verso i compagni.
    « Frank e Alice? » mormorò Remus portandosi una mano alla bocca.
    James cercò lo sguardo di Sirius, ma lo vide più triste e meno sconvolto di quanto si aspettasse.
    « Tu… lo sapevi? »
    Il ragazzo annuì.
    « Silente ci ha convocati ieri notte per dircelo. C’era il Marchio Nero, e… li ha ammazzati tutti ».
    « Tutti? … Frank, Alice… e… » balbettò James, pallido.
    « E Augusta. E… E Neville » completò Sirius.
    James gemette.
    Neville aveva la stessa età di Harry, Alice e Lily erano amiche da Hogwarts, e quando avevano scoperto di essere incinte nello stesso momento avevano passato interi pomeriggi accarezzandosi i pancioni e immaginando i loro bambini che giocavano insieme.
    E ora…
    « Perché? » chiese con un filo di voce. « Il bambino… ».
    « Non lo sappiamo. Forse lo trovava divertente. Forse voleva fare piazza pulita. Non lo sappiamo ».
    « E Silente? Lui deve per forza sapere… ».
    Ma Sirius scosse la testa.
    Remus mise una mano sulla spalla di James, che si voltò lentamente verso di lui.
    « Abbiamo una missione » disse tristemente, anche lui sconvolto dalla notizia. Il ragazzo annuì.
   



    Noticine finali. Adoro i Malandrini, e non vedevo l’ora di farli riunire. Ora manca solo Peter (perché nonostante tutto è un Malandrino anche lui, e almeno per adesso non ha tradito nessuno) e il quadro sarà completo.
    Per quanto riguarda l’epurazione dell’arazzo dai traditori, ho letto molte fanfiction che trattavano quel momento, e tutte prevedevano grandi cerimonie per il momento della bruciatura. Molto Black, in effetti, ce la vedo Walburga a convocare tutti per mettere bene in chiaro che Sirius per lei non esisteva più. Ma poi, mentre cercavo di dormire (le idee migliori mi vengono quando non ho una penna per annotarle, ovviamente XD) ho pensato: per Walburga, Sirius ha smesso di essere suo figlio già allo Smistamento, perché fare cerimonie per qualcuno che non è suo figlio? Da qui ho allargato il ragionamento agli altri traditori, e ho immaginato che se qualcuno è riuscito a bruciare il nome del proprio figlio solo perché Magonò vuol dire che davvero niente gliene frega di lui, quindi via le cerimonie, i panni sporchi laviamoli in famiglia!
    Uhm… credo sia tutto, se mi viene in mente altro lo scrivo nel prossimo capitolo. Che non so quando posterò ^^’’’’’’’’’
    Spero questo vi sia piaciuto, aspetto i vostri commenti! ^^
   

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


    *cerca una scusa per giustificare il ritardo… e non la trova*
    La verità è che ho passato quasi tutti i giorni in uni a studiare, e quando ero a casa facevo tutt’altro che scrivere per pura e semplice pigrizia. Poi mi sono messa a vedere Game of Thrones, e a quel punto ho abbandonato tuuuutto ciò che stavo facendo per divorare l’intera serie in meno di una settimana.
    Quindi fate pure, lanciate le vostre pietre XD
    Ringrazio con tutto il cuore Mirwen, Nymphy Lupin, Erodiade, Alohomora, Julia Weasley e meissa_s. E la mia sister, naturalmente, che mi supporta e sopporta via sms XD
    Risponderò anche alle recensioni, promesso ^^’
   



Capitolo 5



   La scena che si presentò loro di fronte a Ottery St. Catchpole non fu tranquilla come le altre: c’erano cinque Auror, che si affannavano tra i molteplici gruppi di babbani incantati per interrogarli e modificarne poi la memoria. Scorsero anche due medimaghi che si occupavano di curare una coppia orribilmente affatturata. Le case intorno alla piazza dove si svolgeva la triste scena erano avvolte dalle fiamme, fiamme magiche a fatica domate da un Auror che da solo cercava di circoscriverle per evitare che prendessero anche gli edifici vicini.
    « Godric… » mormorò Arthur guardando impietrito lo spettacolo.
    Remus gli mise una mano sulla spalla, mentre James e Sirius si affiancavano all’Auror per aiutarlo a domare gli incendi.
    « Siete dell’ordine? » chiese questo ai quattro.
    James annuì. L’Auror sospirò.
    « Hanno attaccato mezza Gran Bretagna, e non riusciamo a stare dietro a tutto. Solo qui a Ottery St. Catchpole hanno provocato danni per milioni di galeoni, sistemare i babbani diventa sempre più difficile dato che la maggior parte delle case è anche bruciata… e tenere a bada le loro forze dell’ordine si sta rivelando sempre più complicato, cazzo, eccone un altro! » imprecò abbandonando il quartetto per andare a bloccare una macchina della polizia che si avvicinava a sirene e lampeggianti accesi. Modificò la memoria dei due poliziotti e li rispedì indietro.
    « Il fumo si leva alto, dai villaggi vicini stanno iniziando a preoccuparsi, continuano ad arrivare poliziotti… ». Sospirò ancora. « Non possiamo pensare a tutto il paese, siamo solo in cinque! »
    « Nove » lo corresse Sirius. L’Auror sorrise debolmente, poi tornò a scuotere la testa stanco quando vide fermarsi una giovane coppia di curiosi di fronte alla piazza in fiamme. Remus si avvicinò loro e li obliviò, mentre Arthur si faceva avanti tentennante.
    « Avete… notizie… Io abito di là della collina… La casa… » balbettò.
    L’Auror abbassò lo sguardo tristemente.
    « La casa è bruciata, signore » disse con aria colpevole. « C’era un incantesimo autoattivante, le fiamme l’hanno avvolta improvvisamente - abbiamo visto il fumo da qui - e quando siamo andati a vedere, parte dell’edificio era già bruciato. Dato che non riuscivamo a spegnerle abbiamo preferito dare la precedenza al villaggio babbano… La casa era disabitata » aggiunse con un filo di voce a mo’ di scusa.
    Arthur scosse la testa, scoraggiato.
    « È giusto ».
    « Mi dispiace ».
    « No, no, avete fatto bene, la mia famiglia dopotutto era in salvo… Avete fatto il vostro lavoro ».
    L’Auror sembrava ancora un po’ imbarazzato, così colse la prima occasione per allontanarsi e dedicarsi ai babbani.
    « Arthur… » disse Remus incerto, e l’uomo scosse la testa e sollevò risoluto la bacchetta verso la casa di fronte a loro. Bloccate le fiamme, i tre Malandrini proposero al loro compagno di andare a controllare la sua casa e, sebbene indeciso e spaventato all’idea di cosa avrebbe trovato, Arthur fece loro strada per il sentiero che aggirava la collina.
   
    Della Tana - così i Weasley usavano chiamare la loro sbilenca ma accogliente casa - non rimaneva più nulla. Le fiamme magiche avevano divorato tutto ciò che era combustibile, e avevano lasciato, ad opera di distruzione terminata, solo cenere e desolazione. E la disperazione di un uomo.
    « Molly e i bambini stanno bene » mormorò cadendo in ginocchio, per darsi forza.
    I tre ragazzi si scambiarono sguardi addolorati di fronte alle macerie della casa.
    « Silente vi troverà un posto, vedrai » fu tutto ciò che riuscì a dire James. Non era sicuro che fosse una consolazione, ma non riusciva a trovare altro da dire.
    Arthur sospirò e sbatté le palpebre per ricacciare indietro le lacrime che sentiva affiorare, poi annuì e si alzò risoluto.
    « Andiamo ».
   
    Tornati alla base dell’Ordine, i quattro ragazzi trovarono tutti e otto i bambini placidamente addormentati, i più piccoli nelle culle appositamente create dalle mamme, i più grandicelli intorno al tavolo.
    « Vedo tanto rosso » fu il commento di Sirius sorridendo. « Povero Harry, si sentirà solo così ».
    James gli diede una gomitata nelle costole, ma il suo sorriso divenne più tirato quando incrociò lo sguardo di Lily e pensò che lei ancora non sapeva.
    Arthur sorrise debolmente, poi si avvicinò alla moglie e la prese da parte per raccontarle l’accaduto.
    «Com’è andata? » chiese Lily dopo aver salutato il marito con un bacio.
    « Non tanto bene… » rispose Remus tristemente lanciando un’occhiata alla coppia che parlava a bassa voce poco distante. Vide Molly mettersi una mano sulla bocca inorridita e Arthur abbracciarla, e scosse la testa. « Silente? » chiese poi.
    « Ancora non è tornato ».
    James si avvicinò al figlioletto addormentato nella culla accanto ai due piccoli Weasley, e gli accarezzò delicatamente i capelli, cercando di rimandare il momento in cui avrebbe dovuto raccontare a Lily quello che era successo.
    « È stato bravo? » le chiese.
    « È sempre bravo » sorrise Lily.
    « Quindi bisogna fare qualcosa per correggerlo al più presto! Il figlio di un Malandrino non può non essere all’altezza » la prese in giro Sirius avvicinandosi a sua volta alla culla, comprendendo il tentativo di James di rinviare il discorso sui Longbottom.
    Lily alzò gli occhi al soffitto, e stava per ribattere qualcosa quando vide Molly asciugarsi gli occhi e tornare accanto ai bambini e si bloccò. Avrebbe voluto dirle qualcosa, ma non sapendo cosa si limitò a metterle una mano sulla spalla.
   
    Stancamente, Silente lasciò l’ufficio del Ministro. Erano ore che discuteva con lei e Bartemious Crouch su quali fossero i metodi migliori per fronteggiare la minaccia crescente di Voldemort e dei suoi seguaci, e decisamente gli avvenimenti degli ultimi due giorni non aiutavano la sua causa. Crouch, al contrario, marciava sulla violenza dei Mangiamorte e sul comprensibile malcontento che questa provocava nella popolazione magica per spingere verso misure sempre più drastiche. Autorizzazione per gli Auror all’uso delle Maledizioni Senza Perdono e condanne senza processi, a quanto pareva, non erano altro che l’inizio di una campagna di misure sempre più strette.
    Per la sicurezza del popolo magico, diceva.
    La sicurezza del popolo magico. Incarcerare innocenti, magari ucciderli solo per dei sospetti avrebbe di certo portato sicurezza alla società. Ma cos’erano piccoli errori in confronto al bene comune?
    Il bene superiore. Silente sospirò, raggiungendo l’atrio per potersi Smaterializzare.
    Di certo lui non era la persona più indicata a condannare un ragionamento simile.
    Il grande orologio appeso alla parete segnava quasi la mezzanotte. Aveva passato più tempo del previsto con il Ministro, e doveva ancora tornare da Peter per chiedergli di disattivare l’Incanto Fidelius su casa Potter e trovare come promesso un rifugio alla famiglia fuggitiva. Sospirò ancora. La giornata continuava ad allungarsi.
   
    I bambini dormivano ormai da un pezzo, e i sei adulti li osservavano in silenzio seduti accanto alle pareti, stanchi e persi nei loro penseri, quando Silente fece ritorno.
    « Com’è andata? » chiese.
    Remus raccontò brevemente la situazione, mentre Silente si lisciava la lunga barba. Giunto alla distruzione di Ottery St. Catchpole, lanciò uno sguardo triste ai coniugi Weasley e si fermò.
    Silente annuì, poi si frugò nelle tasche e ne estrasse una chiave che consegnò ad Arthur.
    « Data la situazione credo sia l’idea migliore: questa è la chiave di una casa a Godric’s Hollow. Forse è un po’ piccola, non è nata per una famiglia così numerosa, ed è anche disabitata da un po’, ma basterà una pulita e qualche letto e dovrebbe andare bene. Potrete rimanerci tutto il tempo che vorrete, e anche stabilirvi lì » disse con un sorriso benevolo.
    Sopraffatta dall’emozione e dalla gratitudine, Molly alzò gli occhi lucidi sull’anziano mago, e mentre Arthur riuscì a squittire un timido « Grazie », lei aggiunse un deciso « Vogliamo far parte dell’Ordine ».
    Suo marito la guardò interdetto, ma annuì la sua approvazione.
    Silente squadrò per qualche secondo la donna, e il suo sguardo sembrò trapassarla da parte a parte come se potesse leggere dentro di lei. Poi si rivolse ai Potter.
    « Ho chiesto a Peter di rimuovere l’incantesimo, siete di nuovo operativi ».
    Lily tirò una gomitata al marito quando lui si illuminò come se gli avessero dato chissà che gande notizia, poi Silente si congedò.
    Arthur svegliò i figli più grandi e affidò loro i gemellini, poi prese Ronnie che ancora dormiva e le due famiglie - Weasley e Potter - si Smaterializzarono salutando Sirius e Remus.
   
    Godric’s Hollow era immerso nel sonno. James si offrì di accompagnare i Weasley alla casa data loro da Silente, e spedì moglie e figlio a riposarsi tranquilli. Lily aveva la netta impressione che il marito le stesse nascondendo qualca, e che rimandasse il più possibile il momento di dirgliela, finalmente.
    « Eccoci qui » annunciò James di fronte alla villetta. « Casa Silente ».
    « Casa… Silente? Vuoi dire che Silente… ci ha dato casa sua? » chiese sbigottita Molly.
    « Ormai non viene più qui da anni. Prima di un paio di anni fa non sapevo nemmeno che fossimo quasi vicini di casa » rispose il ragazzo sorridendo. « Se vi serve qualcosa, la nostra casa è in fondo alla strada ».
    I signori Weasley ringraziarono e salutarono, poi James sospirando fece ritotno a casa propria. Non poteva più rimandare.
    Trovò Lily seduta sul letto a giocare con Godric, il loro gatto tigrato. Harry dormiva tranquillo nella sua cameretta. Il ragazzo rimase a guardare la moglie impalato sotto l’arco della porta, finché lei alzando gli occhi al cielo disse a Godric:
    « Il tuo padrone crede ancora di potermi nascondere qualcosa, dopo dieci anni che lo conosco ».
    James non riuscì trattenere un sorriso, ma i suoi occhi continavano a guardarla tristemente. Godric balzò giù dal letto e Lily sospirò.
    « Ti decidi a parlare o devo diventare una Legilimante? » cercò di scherzare la ragazza, ma il marito rimase serio. « James… qualsiasi cosia… » iniziò facendo per alzarsi e avvicinarsi a lui.
    Il ragazzo la fermò e le si sedette accanto. Sospirò stropicciandosi gli occhi dietro gli occhiali, sotto lo sguardo interrogativo della moglie. Poi si voltò a guardarla, e lei comprese.
    « Chi? » chiese con un filo di voce portandosi una mano alla bocca.
    « Frank e Alice ». Lily gemette, mentre le lacrime iniziavano a rigarle il viso all’udire il nome di quella che era stata una sua grande amica a Hogwarts. « E Augusta » continuò James, sempre più piano, e le prese le mani nelle sue. « E Neville ».
    « No! » gridò Lily, e si abbandonò al pianto tra le sue braccia. Lui la strinse forte sentendosi impotente.
    « Lily… » mormorò accarezzandole i lunghi capelli rossi.
    « Avevano la stessa età, James! Aveva un anno! » rispose la ragazza tra le lacrime. La sua voce svegliò Harry, che iniziò a piangere a sua volta dalla stanza accanto.
    « Vuoi… »
    « No, no, vado io » disse Lily asciugandosi le lacrime e respirando per calmarsi. Non voleva che il suo bambino la vedesse così, lei doveva rassicurarlo… povero piccolo, lo aveva spaventato!
    James la sentì parlare dolcemente con Harry, la voce ferma e tranquilla, e sorrise per la sua fortuna, pregando che mai nulla succedesse a nessuno dei due.
   
    Casa Silente era visibilmente disabitata da tempo, ma nonostante i parecchi centimetri di polvere aveva un’aria accogliente.
    Dopo una rapida spolverata a suon di bacchetta, Molly permise ai bambini di accoccolarsi sui divani del salotto per la notte.
    « Mamma… » mormorò Bill dopo aver affidato Fred a Charlie. « Rimarremo qui, allora? »
    Molly si chinò - nemmeno troppo, il ragazzino era alto quasi quanto lei - e lo accarezzò annuendo.
    « Non ti piace? »
    « Non è questo… Ma non torniamo a casa nostra? »
    I genitori si scambiarono uno sguardo triste.
    « Per ora no, tesoro. Poi… vedremo » rispose Arthur mettendo una mano sulla spalla del figlio.
    Bill chinò la testa, comprendendo ciò che i genitori non volevano dirgli: non sarebbero tornati più a casa. Charlie dietro di lui sembrava essere giunto alla stessa conclusione, perché aveva di colpo assunto un’aria triste.
    « Ora dormite, su, che domani esploriamo con calma la casa, eh? » disse loro il padre sperando così di distrarli.
    I bambini annuirono e si accoccolarono ai lati opposti di uno dei due divani.
   
   
   
   
    Fiiiiiu, ce l’ho fatta! Questo capitolo è stato complicatissimo! Qualsiasi cosa scrivessi mi sembrava sempre o stupida, o detta male, o troppo veloce, o troppo lenta… alla fine l’idea per sbloccarmi mi è venuta mentre aspettavo un’amica per studiare in uni XD
    Uhm… non dovrebbero esserci note, stavolta. Spero di non ricordarmi come sempre cosa volevo dire
dopo aver pubblicato XD
    Prossimo capitolo… a data da destinarsi, il mio prof per la tesi mi ha compilato un programma con tutti gli esami (troppi >< ) che mi mancano, e a dicembre ne ho uno bruuuutto, luuuungo, che detesto con tutta me stessa =.=
    Se sopravvivo, spero di farcela prima di Natale XDXD

   
   



   

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


   Primaditutto BUON NATALE e già che ci sono FELICE ANNO NUOVO A TUTTI ^^
    Mega-ringrazio poi Julia Weasley, Mirwen, Nymphy Lupin (sto cercando di controllare più volte per evitare errori di battitura >< ), Alohomora, Erodiade, meissa_s e fuckinmind per le loro bellissime recensioni allo scorso capitolo, a fucky doppio, visto che non l’avevo ringraziata per quella al capitolo precedente, e poi a Francesca, per i suoi preziosi consigli e le piacevoli discussioni.
   
    ATTENZIONE! Questo capitolo è stato progettato, e in parte scritto, PRIMA della caduta del governo, e non è da considerarsi in nessun modo collegato alla reale situazione italiana. È una fanfiction su un fandom che amo, non un manifesto politico.



Capitolo 6



   La mattina del 2 novembre tornò la pioggia incessante che aveva caratterizzato il giorno di Halloween, e la temperatura scese di qualche grado.
    Stanco per la nottata, James si alzò a fatica e si trascinò in bagno come un troll. L’acqua fresca sul viso gli fece ricordare che i giorni di reclusione erano finiti, e che finalmente avrebbe ripreso le missioni con l’Ordine. Bene, detestava rimanere nascosto al sicuro mentre altri rischiavano la vita, era un fiero Grifondoro e avrebbe combattuto!
    Quando sentì Harry battere le manine contro le sbarre della culla, James si affacciò alla propria camera da letto e trovò Lily ancora addormentata. Era davvero stanca se i suoi “istinti di mamma” non l’avevano svegliata in tempo per accudire il suo piccolo. Stanca… e sconvolta. D’altro canto non si poteva dire che lui fosse sereno: benché conoscesse poco Frank, tre anni avanti a lui e i suoi amici a Hogwarts, e ancor meno Alice, troppo timida e tranquilla per frequentare gli scalmanati Malandrini, nonostante passasse tutto il suo tempo con le ragazze del loro anno, la notizia che in una sola notte Voldemort avesse eliminato due ragazzi poco più grandi di loro, una strega sicura come Augusta e un bambino dell’età di suo figlio… James si portò una mano sul viso, per stropicciarsi gli occhi prima che le lacrime prendessero il sopravvento, e andò da Harry.
    « Mamma dorme, tesoro » disse prendendolo in braccio e stringendolo a sé.
    Lo avrebbe protetto, a qualsiasi costo.
   
    Nonostante la stanchezza accumulata negli ultimi giorni, Remus si alzò di buon’ora. Aprì la tenda pesante che oscurava la finestra, salutando la pioggia pesante con una smorfia: il suo umore era già abbastanza brutto senza che il tempo lo aiutasse.
    Si avvicinò stiracchiandosi al cucinino e cercò di preparare il caffè solo per scoprire di non averne più. Il suo umore peggiorò ancora, e richiuse il barattolo con più foga del necessario, rompendolo. Imprecando tra i denti lo riparò con la magia, per poi ritrovarsi gli occhi umidi senza un perché davanti al barattolo sano.
   
    Tutt’altro che riposato, Sirius spense la sveglia incenerendola quando questa suonò alle otto del mattino, per poi girarsi dall’altro lato e ritrovarsi un raggio di luce - parlare di sole non era propriamente corretto - dispettoso dritto in faccia.
    « Ok, ok, ho capito, è ora » mormorò rivolto a chissà chi, e si alzò grattandosi la testa.
    Tempo mezz’ora e si ritrovò, ancora intontito di sonno, a sobbalzare per un tuono lontano, che gli rammentò in un triste momento gli eventi delle due notti passate.
    Almeno, pensò, i Malandrini tornano insieme.
   
    Pur non avendo condiviso con gli amici gli avvenimenti della movimentata nottata, Peter non aveva chiuso occhio: il pensiero che ora Silente gli aveva chiesto di rimuovere l’Incanto Fidelius lo aveva tenuto sveglio per ore, a interrogarsi se fosse un bene o un male. Erano quasi le cinque del mattino quando finalmente era riuscito ad addormentarsi, chiudendo il lungo ragionamento con un rassegnato sarà quel che sarà che non era per niente una conclusione, e ora fissava il suo viso nello specchio del bagno vedendosi più vecchio e per nulla più saggio.
    Fare la spia per i Mangiamorte era diventato ormai troppo pericoloso, aveva perso l’unica informazione importante da barattare in cambio della sua vita, in caso lo avessero scoperto. Cosa avrebbe fatto ora? Sarebbe mai stato in grado di opporsi al Signore Oscuro, di passare con l’Ordine?
    No. E lo sapeva: la paura era troppa.
    Sospirò, aprendo l’armadietto per prendere lo spazzolino. Non restava che aspettare e sperare che nessuno lo scoprisse.
   
    I quattro Malandrini si Materializzarono alla base dell’Ordine quasi contemporaneamente, e James e Peter si scambiarono pacche di saluto sulle spalle.
    « E la signora Potter? » chiese poi quest’ultimo.
    James sospirò.
    « È… rimasta con Harry ».
    « Le hai detto dei Longbottom? » comprese Sirius.
    L’amico annuì.
    « La guerra sta andando male » disse Peter abbassando lo sguardo triste.
    « Non dire così, Coda, vedrai che ce la faremo » cercò di tirarlo su Remus, ma il ricordo delle notti con gli altri licantropi, il pensiero dei Longbottom e l’immagine della casa di Arthur Weasley bruciata erano ancora freschi nella mente e dolorosi, e si vedeva che nemmeno lui credeva nelle sue stesse parole.
    « Animo, gente, il vostro Ramoso è tornato, e nessuno può sconfiggere i Malandrini quando sono insieme! » disse allegramente James. La perdita di tre dei loro e del piccolo Neville era una dolorosa stilettata nello stomaco, ma confidava davvero che tornare coi Malandrini avrebbe, se non risolto la cosa, comunque fatto la differenza.
   
    Tornare in prima linea fu più difficile di quanto si aspettasse James: a quanto pareva, nonostante fosse rimasto confinato sotto Incanto Fidelius per una decina di giorni appena, l’Ordine si era dovuto barcamenare tra una serie apparentemente infinita di problemi. Sirius lo aggiornò brevemente sulle misteriose missioni che ognuno di loro aveva dovuto compiere su ordine di Silente e che si erano risolte in un nulla di fatto - almeno, questa era l’impressione che ne avevano ricevuto loro, ma Silente sembrava soddisfatto - che, unite ai soliti scontri con Mangiamorte troppo entusiasti del loro lavoro, avevano reso la vita difficile ai membri dell’Ordine.
    A tutto ciò, poi, si aggiungeva la precaria situazione politica in cui versava la società magica della Gran Bretagna, situazione che era destinata a peggiorare. Infatti, appena arrivato, Silente annunciò loro di aver trascorso il giorno precedente a discutere con Crouch e il Ministro, e che il governo era destinato a cadere da un momento all’altro. Dopodiché la riunione si svolse come di consueto, iniziando coi rapporti delle missioni svolte.
    « Ieri avrei dovuto incontrare Greyback » disse Remus quando fu il suo turno, e i Malandrini notarono nella voce del loro amico il misto di sollievo e irritazione per non essere stato presente. « Per la maggior parte, i licantropi sembravano dalla sua parte, forse uno o due avevano ancora dubbi, ma non so se dopo l’incontro di ieri abbiano cambiato idea ».
    Silente annuì pensieroso.
    « Per ora la missione è sospesa, tornare tra loro dopo aver saltato l’incontro di Greyback sarebbe sospetto e rischieresti di trovarti gli altri contro, e poi ho bisogno di te su altri fronti. Sirius, tu? »
    « Lo vedrò nei prossimi giorni, ma non so ancora quando ».
    Silente annuì di nuovo.
    « Chi? » chiese a bassa voce James all’amico quando fu il turno di Elphias di parlare.
    « Un informatore ».
    « Un Mangiamorte? ».
    Sirius esitò.
    « Era un amico di Regulus » disse poi.
    James diede cenno di aver capito, ma non disse nulla, sapeva quando Sirius ci stesse male - e si sentisse in colpa, a volte - per quel fratello morto nemmeno diciannovenne per gli ideali sbagliati.
    Terminato il giro di aggiornamento, Silente fece alzare i coniugi Weasley e li presentò agli altri membri dell’Ordine, poi informò tutti che quel pomeriggio si sarebbero celebrati i funerali dei quattro Longbottom.
    « Potter! Bentornato! » salutò Caradoc dopo che Silente se ne fu andato. « Come mai di nuovo tra noi? Credevo che Silente vi avesse fatti nascondere ».
    « Eh, a quando pare senza di me non siete capaci di fare niente, così sono dovuto tornare » sorrise James stringendo la mano dell’amico e scambiandosi altri saluti e pacche sulle spalle con gli altri dell’Ordine.
    « E il piccolo? » chiese Emmeline apprensiva.
    « Io e Lily resteremo a casa a turno, come facevamo prima » rispose il ragazzo.
    « State attenti » si raccomandò Caradoc assumendo un’aria improvvisamente seria, poi dopo qualche altro saluto si Smaterializzarono tutti, chi diretto alla missione del giorno, chi a casa.
    Rimasti soli, Remus chiese:
    « Com’è andata poi ieri? »
    James scosse la testa con aria triste.
    « Lei e Alice erano molto amiche » disse solo.
    « Certo però che è assurdo… Sterminare così una famiglia intera, compreso un bambino così piccolo… » ragionò ad alta voce Remus.
    Peter si strinse nelle spalle.
    « Che fosse pazzo era chiaro » disse. « Però è vero, non ha senso ».
    « Possiamo fare qualcosa? » chiese allora Sirius all’amico Malandrino.
    James sorrise.
    « Perché non venite da me? Sono sicuro che a Lily farà piacere ».
    « Così rivedremo anche Harry! Mi manca il mio figlioccio » accolse l’idea Sirius.
    Remus e Peter annuirono sorridendo a loro volta.
   
    Bartemious Crouch senior leggeva la pila di rapporti della notte precedente con crescente irritazione: i Mangiamorte si stavano allegramente prendendo gioco del governo, e quell’idiota del Ministro Bagnold sembrava incapace di prendere i provvedimenti necessari.
    In tempi di crisi come quelli, pensò, serviva qualcuno forte e capace di prendere le decisioni più drastiche. Qualcuno diverso dalla Bagnold.
   
    La pioggia si era lentamente attenuata fino a cessare, ma la temperatura si era abbassata di qualche grado nel corso della giornata.
    Lily e James avevano discusso a lungo sulla possibilità di lasciare Harry dalla vicina Bathilda o dai Weasley e recarsi al funerale da soli, ma alla fine - imbacuccato per bene, tanto che a stento lo si scorgeva tra gli strati di lana - il bambino affrontò l’aria aperta per la prima volta da quando era stato gettato l’Incanto Fidelius sulla sua casa.
    Mamma Lily lo teneva stretto a sé per proteggerlo dal freddo e contemporaneamente per darsi forza, mentre James le teneva un braccio intorno alle spalle per farle sentire la sua vicinanza. Uscirono dalla porta sul retro insieme ai Malandrini e, nascosti da occhi indiscreti dal grande albero frondoso che si allungava sulla loro casa dal giardino dei vicini babbani, si Smaterializzarono.
    Al cimitero di Woolstone si erano già radunati gli altri membri dell’Ordine, che esprimevano le loro condoglianze agli inconsolabili genitori di Alice.
    Quando Lily si avvicinò loro, la signora Shepherd singhiozzò più forte, e le gettò le braccia al collo.
    « Lily! Oh, Lily! La mia Alice, la mia piccola Alice e la sua famiglia! »
    Lily iniziò a piangere a sua volta, e Harry, tra le due donne singhiozzanti, ebbe un attimo di smarrimento prima di decidere - da “bravo futuro Grifondoro”, come diceva spesso il suo papà - di sporgersi verso la signora Shepherd per accarezzarle goffamente la guancia umida, come a volerla consolare.
    La donna si intenerì e, pensando al nipotino, sorrise tra le lacrime, contagiando il piccolo, orgoglioso di essere responsabile di quel sorriso.
    Mentre gli ultimi Auror in uniforme da parata esprimevano il loro cordoglio al signor Shepherd e al cognato di Augusta, Harfang Longbottom, Silente e il funzionario del Ministero si Materializzarono poco distante.
    L’anziano preside salutò Harfang e i genitori di Alice, scambiando con loro qualche parola, poi lasciò che il funzionario iniziasse la celebrazione.
    Accanto alla signora Shepherd, Lily piangeva silenziosamente ricordando gli anni a Hogwarts, il sorriso dolce di Alice - la prima ad averle dato il benvenuto tra i Grifondoro mentre lei ancora guardava Severus in attesa di essere Smistato -, la sua allegria e semplicità, le sue parole di conforto quando, nonostante avesse già finito Hogwarts, era corsa a trovarla ad Hogsmeade dopo il suo litigio con l’amico Serpeverde… La ricordò mentre le mostrava l’anello con cui Frank le aveva proposto di sposarla, e le annunciava di essere incinta due giorni dopo che Lily le aveva rivelato la stessa cosa, e scoppiava a ridere parlando di pappe, pannolini e progetti per il futuro, un futuro che avrebbe visto i loro figli Smistati insieme a Grifondoro. Ricordò i momenti spensierati in cui si erano prese in giro a vicenda per essersi sposate così giovani, e ricordò quando, appena uscite l’una da Hogwarts e l’altra dall’Accademia, erano entrate nell’Ordine, decise a combattere… e pronte a morire.
    Abbassò lo sguardo su Harry, innaturalmente tranquillo, come se comprendesse perfettamente ciò che stava accadendo. Lo accarezzò teneramente e si beò del suo sorriso mentre con la manina paffuta la accarezzava come aveva fatto con la madre di Alice.
    Aveva paura, paura per lui, per James, per se stessa… ma avrebbe continuato a combattere, per Harry, per James e per se stessa. E per Alice, Frank, Neville e Augusta. Lo giurò lì, seria, mentre le lacrime si asciugavano sulle sue guance tirando la pelle, e il celebrante cedeva la parola a Moody e gli Auror salutavano i loro compagni evocando scintille dorate, che avvolsero le tre bare grandi e la piccola e le deposero delicatamente nella terra umida di pioggia, la nonna accanto al padre, il bambino tra i genitori.
    I presenti presero le bacchette e fecero sbocciare fiori colorati che posarono sulle bare, poi il ministrante le coprì con la terra.
    Fra le nuvole fece capolino il sole, illuminando per un momento le lettere incise nelle fredde lapidi di marmo, poi si nascose nuovamente, mentre la piccola folla si salutava triste ripetendo parole di cordoglio alle famiglie dei loro compagni.
   
    Stavano per Smaterializzarsi dalla collinetta, quando un gufo reale planò sulle loro teste facendo cadere una busta di carta pregiata tra le mani di Silente. Il sigillo era quello del Ministero. L’anziano mago la aprì con mani sicure, lesse e alzò lo sguardo sulle facce confuse intorno a lui.
    « Il Ministro si è dimesso. Si va ad elezioni ».
   



   Note varie: ho scoperto in ritardo che il Ministro in carica dal 1980 al 1990 è stato Millicent Bagnold, donna. Ho corretto i pronomi e gli aggettivi riferiti a lei contenuti nei capitoli precedenti. Chiedo scusa per l’intoppo, e ringrazio Mirwen per l’aiuto… devo imparare a fare ricerche sul lexicon prima di scrivere…
    Ho invece cercato in lungo e in largo indizi sul cognome da nubile di Alice, e non avendolo trovato l’ho inventato. Grazie alla mia sister Francesca - come farei senza di te? - per il suggerimento.
    Altra cosa che ho cercato e non ho trovato è come funziona la politica in Harry Potter. Ho quindi deciso di dare la mia idea della cosa in questa fanfiction.
    Harfang Longbottom appare nell’albero genealogico della famiglia Black disegnato dalla Rowling. Nella mia ricostruzione dei fatti l’ho reso cognato di Augusta.
    Uhm… che altro? Ah, sì. Nella mia idea, Silente, da bravo machiavellico manovratore quale è, non ha detto della profezia a nessuno, si è limitato a dire qualcosa tipo “Voldemort vi vuole, nascondetevi”, e dato che sembrano tutti pendere dalle sue labbra le due famigliole gli hanno ubbidito e basta. Dopotutto, sia i Potter che i Longbottom avevano appena avuto un figlio, è normale che si siano fidati e basta, si trattava di proteggere i piccoli. Ecco perché i Malandrini si interrogano sul perché Voldie abbia ammazzato la famigliola… Non sono sicura che si capisca cosa volevo dire, per dubbi chiedete pure ^^’
   
    Il prossimo capitolo è parzialmente scritto, ma dato l’andamento fino ad ora preferisco non sbilanciarmi su una possibile data di pubblciazione. Tanto non riuscirò a rispettarla mai XD Chiedo scusa, e spero di trovarvi ancora tutti ^^

   
   

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


   Ok, lo so, è un’eternità. Ma nel bel mezzo della sessione invernale, con almeno quattro esami da preparare, il tempo era davvero poco.
   Ringrazio Erodiade, Alohomora, Nymphy Lupin e meissa_s per le belle recensioni, giuro che poi vi rispondo ^^’’’
   



   Capitolo 7



   La notizia delle dimissioni del Ministro finì naturalmente in prima pagina già nell’edizione della sera del Profeta, e si diffuse insieme al suo carico di confusione e sollievo: il popolo magico aspettava adesso le elezioni per mettere al governo una personalità forte e decisa, che sapesse finalmente prendere le decisioni giuste per risolvere la difficile situazione.
   Favorito nella corsa al Ministero era Bartemius Crouch Sr, capo del Dipartimento di Applicazione delle Leggi Magiche. Apprezzato per le leggi promulgate sulle autorizzazioni agli Auror, Crouch godeva di molto credito presso quasi tutte le famiglie magiche: le potenti famiglie Purosangue vedevano in lui la svolta dopo quasi settant’anni di “impuri” al governo, i più moderati contavano che un uomo così determinato non avrebbe avuto paura di prendere misure drastiche per fermare il Signore Oscuro e i suoi seguaci, e persino coloro che poco si interessavano alla politica riconoscevano in Crouch il carisma necessario a guidare la società.
   Non fu perciò inaspettato il risultato delle elezioni straordinarie del 26 novembre, che videro trionfare Crouch con quasi l’ottanta percento dei voti contro il suo avversario.
   Arthur ripiegò il giornale pensieroso, ma fu distratto dalla moglie che, guardandosi intorno nervosamente per controllare che nessuno sentisse, gli chiese:
   « Hai pensato a qualcosa? »
   Arthur, ancora concentrato sull’articolo del Profeta, alzò le sopracciglia confuso, e Molly esasperata spiegò:
   « Il regalo, Arthur! Gli undici anni del tuo primogenito! »
   « Oh. Cioè, sì, sì, l’avevo capito. Ehm… ».
   « Avevo pensato a un gufo. Quasi tutti i ragazzini ricevono un gufo per i loro undici anni, gli sarà utile a Hogwarts, così potrà scriverci per farci sapere ciò che fa, come si trova… ».
   « Sì, buona idea » approvò. O meglio, finse di approvare: Molly aveva già deciso, il suo parere era irrilevante.
   « Oggi pomeriggio sei in missione, giusto? Sarà meglio che vada stamattina a Diagon Alley, allora, non mi va di lasciare i ragazzi soli » ragionò la donna prendendo il mantello pronta a Smaterializzarsi.
   « Possiamo lasciarli dai Potter ».
   « Hanno già un bambino, non voglio dar loro tanto disturbo e poi non sono abituati a dover gestire i gemelli » obiettò Molly, poi uscì e svanì.
   Arthur scosse la testa, ormai era abituato a prendere decisioni di quel genere senza in realtà partecipare nemmeno. Tornò al giornale, e all’articolo sulla nuova politica del Ministero.
   
   Quando il gufetto marrone bussò alla sua finestra, Sirius lo riconobbe immediatamente e si precipitò ad aprire. Il biglietto somigliava ai due ricevuti precedentemente, stessa pergamena, stessa scrittura frettolosa eppure ordinata. Il suo “informatore”, il Mangiamorte che conosceva Regulus e che “in nome della loro amicizia” aveva deciso di aiutarlo gli dava un nuovo appuntamento, per l’indomani sera. Sirius si morse il labbro, e sospirò per calmarsi. Una parte di lui quasi temeva quell’incontro, temeva che finissero a parlare di Regulus… temeva di vedere l’accusa negli occhi di quel ragazzino che ricordava come l’ombra di suo fratello a Hogwarts… che aveva avuto però il coraggio di scegliere una strada diversa, e addirittura voleva aiutare l’Ordine.
   Lo ricordava ancora, il giorno dello Smistamento.
   Il 1 settembre 1972 per Sirius era stato un giorno triste. Nonostante non vedesse l’ora di lasciare la pesante atmosfera di casa Black e ritrovare i suoi amici, Sirius aveva preso il treno di malavoglia, e mentre James, Remus e Peter scherzavano, lui aveva trascorso il viaggio fissando la porta dello scompartimento, nell’infantile speranza che si aprisse e suo fratello prendesse posto con lui. Ma ovviamente lui non aveva disubbidito alla raccomandazione della madre di rimanere con Narcissa e gli altri Serpeverde. Non lo avrebbe mai fatto, per lui le parole di Walburga Black erano legge, lui era un piccolo Serpeverde come volevano mamma e papà, era l’orgoglio dei Black, era l’ultima speranza per salvare la preziosa famiglia Purosangue.
   Aveva preso la carrozza a Hogsmeade lanciando occhiate ai bambini del primo anno, che seguivano Hagrid alle barche. E quando questi avevano fatto il loro ingresso in Sala Grande al seguito della McGranitt aveva invano sperato che suo fratello incrociasse il suo sguardo.
   A quel punto, prima ancora che il Cappello pronunciasse la sua sentenza, aveva capito di aver perso per sempre suo fratello: a casa ancora capitava che giocassero insieme, quando i loro genitori non c’erano, ancora Regulus gli sorrideva e gli faceva domande su Hogwarts. Ma lì, di fronte alla scelta, Regulus Black era andato fino in fondo sulla strada tracciata per lui dalla famiglia.
   Il Cappello Parlante lo aveva assegnato a Serpeverde dopo appena qualche secondo che gli era stato posato sulla testa, e lui si era alzato fiero e fiero si era seduto tra i suoi nuovi compagni.
   Sirius seguì poco il resto dello Smistamento. Ricordava un paio di bambini terrorizzati che si sedevano rigidi come se il Cappello potesse divorare loro la testa, un gruppetto che ammiccava sorridente ai fratelli maggiori già seduti ai tavoli. Lo colpì un ragazzino di nome Goldstein che si avvicinò allo sgabello con l’espressione preoccupata di chi temeva di deludere qualcuno, e che gli ricordò se stesso un anno prima. Solo che lui alla fine aveva scelto la sua strada, il ragazzino invece si era alzato sollevato dalla decisione del Cappello e aveva raggiunto Regulus tra i Serpeverde. Aaron Goldstein era diventato il miglior amico di Regulus, e dopo la scuola insieme si erano uniti ai Mangiamorte. Sirius aveva perso le sue tracce dopo il diploma, ma la lettera che lo informava della morte di suo fratello era sua - nessuno dei Black si era preoccupato di farglielo sapere: dopotutto, per loro, lui non era più parte della famiglia.
   Poi, dopo tre anni, un’altra lettera, poche parole:
   “Lo faccio per Reg, per la nostra amicizia. Incontriamoci”.
   
   Molly lasciò l’Emporio del Gufo con la gabbietta in mano. Il gufetto marrone tubava sommessamente, e faceva saettare gli occhi gialli qua e là per la via trafficata. D’un tratto però lanciò un grido acuto e iniziò a sbattere le ali contro le sbarre di ferro. Non fu l’unico: i gufi e gli altri animali nella vetrina del negozio si agitavano nelle loro gabbiette e anche un paio di randagi lì vicino iniziarono ad abbaiare senza sosta.
   « Ma cosa… ? » si chiese Molly scambiando occhiate confuse con gli altri passanti, ma ben presto fu chiaro cosa avesse spaventato gli animali: quattro figure incappucciate emersero dall’ombra di un vicoletto, le bacchette in mano che già emanavano tenui bagliori rossastri.
   I bop delle Smaterializzazioni riempirono l’aria, ragazzini vennero staccati a forza dalla vetrina di Accessori per il Quidditch dai terrorizzati genitori, chi non sapeva o non poteva Smaterializzarsi iniziò a correre verso la banca, l’unico edificio dall’aria sufficientemente sicura, mentre i negozianti si affrettavano a chiudere.
   Molly si unì alla folla che sciamava verso la Gringott, il gufetto che continuava a strillare nella gabbia e ad agitarsi, ma prima che i Mangiamorte potessero effettivamente fare qualcosa due Auror uscirono dall’Ufficio Postale, gli sguardi decisi, le bacchette levate.
   « Avada Kedavra » dissero quasi in coro e, prima che i sorrisi soddisfatti del panico che avevano creato con la loro sola presenza svanissero da dietro le maschere, due Mangiamorte furono a terra. Gli altri due ebbero un attimo di smarrimento, ma si ripresero abbastanza in fretta da sferrare a loro volta un attacco. La luce verde si riflesse sinistramente nelle vetrine mentre raggiungeva i due Auror, ma questi la respinsero senza indugio, e scagliarono a loro volta l’incantesimo mortale. Un Mangiamorte fu colpito, l’altro riuscì a ritirarsi nel vicolo da cui era spuntato coi suoi compagni e si Smaterializzò.
   Fischi e applausi riempirono l’aria, conditi da vari « Evviva Crouch! ». Il nuovo Ministro aveva, come promesso, ampliato le libertà degli Auror: se prima potevano uccidere quando necessario, ora non c’era più bisogno di questa necessità.
   I due Auror si avvicinarono ai tre corpi e tolsero loro le maschere.
   « Jugson, Fawcett, e questo credo sia nuovo, non l’ho mai visto prima » disse uno dei due mentre l’altro registrava i nomi su una pergamena con la bacchetta. Nessuno dei due sembrava interessato alla gente che li acclamava.
   Molly vide che portavano sul petto una spilla con una scritta che non riconobbe, ma che - a quando sentì dire a un uomo alla sua destra - denotava la loro appartenenza ai Reparti Speciali istituiti da Crouch.
   Dopo che i due si furono Smaterializzati coi tre corpi, la gente riprese le precedenti attività, continuando però a commentare l’accaduto.
   Molly terminò il giro di commissioni e tornò a casa, dove trovò il marito in apprensione che parlava coi Potter.
   « Molly! » esclamò sollevato correndole incontro. « La radio… i Mangiamorte… » balbettò.
   « Va tutto bene, c’erano due Auror, li hanno uccidi, non si è fatto male nessuno » lo rassicurò la donna sorridendo mentre posava gabbietta e mantello. Era un po’ scossa, in realtà, ma cercò di non darlo a vedere: ora che lei e il marito facevano parte dell’Ordine avrebbero dovuto abituarsi a cose di quel genere.
   « Sì, lo hanno detto… ma com’è stato possibile? »
   « Gli Auror li hanno uccisi prima che facessero alcunché. Erano dei Reparti Speciali » spiegò ricordando le parole dell’uomo a Diagon Alley.
   « Reparti Speciali? Sono già operativi? » chiese James.
   « A quanto pare sì ».
   « Crouch fa proprio sul serio » constatò Arthur. « Ah, Molly, James e Lily hanno portato un po’ qui Harry » aggiunse dopo una pausa per cambiare argomento. « È di sopra che gioca con Ronnie. Charlie è col loro. I gemelli - beh, li senti, sono fuori che giocano. Bill e Percy invece credo siano in cucina, e Ginny dorme » aggiornò la moglie.
   « Sono contenta che Ron abbia qualcuno con cui giocare, i gemelli amano stare per conto loro e gli altri sono troppo grandi, per cui di solito me lo porto dietro… però così è meglio ».
   « Fa piacere anche a noi. Essere figlio unico a volte è un po’ triste » disse James, e a Molly non sfuggì l’occhiata che lanciò alla moglie, ma non era sicura che lei lo avesse visto.
   « A volte credo che i nostro vorrebbero esserlo, invece » ridacchiò Arthur.
   « Ma no, è così bello avere tanti fratelli! » obiettò James con un sorriso.
   Chiacchierarono di fratelli e bambini per un po’, poi Molly invitò la famigliola a restare per il pranzo, ma i Potter rifiutarono educatamente promettendo però di tornare nel pomeriggio.
   « Arthur ed Io siamo in missione, voi e i bambini starete certamente meglio tutti insieme » disse James.
   « Mi sembra un’ottima idea » fece eco l’uomo, e le due donne si dissero subito d’accordo.
   
   Quel pomeriggio, James scoprì cosa intendeva Sirius con “missioni misteriose”. Silente aveva mandato lui e Arthur in un paese a qualche chilometro da Londra alla ricerca di un uomo di nome Caractacus Burke, l’ex proprietario di Magie Sinister. Il perché era a loro oscuro, ma ubbidirono senza contestare: qualsiasi ne fosse il motivo, di sicuro Silente doveva sapere il fatto suo.
   Mentre cercavano Burke, chiedendo informazioni su di lui nei negozi del paese - da qualche parte doveva pur fare la spesa, no? Sperarono ardentemente che non andasse sempre e solo a Diagon Alley - James e Arthur si conobbero un po’ meglio.
   L’uno appassionato di babbani, l’altro sposato con una Nata Babbana, si raccontarono le loro scoperte sul mondo non magico, ridendo come ragazzini di fronte alla tecnologia con la quale venivano in contatto nella loro ricerca.
   « Burke? » ripeté grattandosi il mento un salumiere a cui chiesero informazioni. « Sì, lo conosco. Un tipo strano, veniva una volta a settimana, non so dove facesse la spesa gli altri giorni. In realtà non si vedeva mai in giro, tranne quando veniva qui, di giovedì mattina » disse. Sembrava un gran chiacchierone, e la cosa era sempre positiva in ricerche come quella. « Non aveva la fede, però una ragazzina veniva da lui ogni giovedì, quindi credo fosse divorziato. Non mi sembrava tipo che va con le ragazzine, insomma, quindi doveva essere la figlia, no? ». James e Arthur si scambiarono un’occhiata, ma il negoziante non attese una risposta, perché continuo: « Poveretta, immagino che il padre facesse la spesa apposta per lei, dato che lo vedevo solo quel giorno… chissà che combinava gli altri giorni! » ripeté alzando la voce e scuotendo la testa. Fortuna che erano i soli nel negozio. « Era un tipo strano, vestiva in modo strano… portava certi medaglioni! Pesanti, volgari… Però sono cinque o sei anni che non lo vedo più, mi sa che si è trasferito. O magari lo hanno portato in manicomio, aveva la faccia adatta. Prima stava in fondo alla strada, nella casa marroncina. Almeno, la figlia la vidi andare là una volta. Ma io mi faccio i fatti miei, quindi non so bene » concluse. O, meglio, James e Arthur pensarono avesse concluso, perché fece una lunga pausa, ma in realtà il salumiere aveva tutta l’aria di avere ancora qualcosa da dire.
   « Oblivion » sussurrò James mettendo una mano nella tasca del giaccone. Il salumiere rimase per qualche istante con la bocca semiaperta nella parola che stava per dire, poi si riprese e sorridendo disse loro:
   « Buongiorno. Desiderate? »
   « Questo » rispose James prendendo un pacchetto di biscotti salati. « Quanto è? ».
   « Due sterline ».
   Il ragazzo pagò e uscì, seguito da un perplesso Arthur.
   « Lo hai Obliviato? » gli chiese confuso.
   « Avrebbe continuato a parlare, e noi avevamo già quello che ci serviva » rispose James con uno strano sorriso malandrino aprendo il pacchetto. « Ne vuoi? Sono buoni, Lily mi ha anche insegnato a farli, ma a lei vengono meglio ».
   Trovarono facilmente la casa indicata loro dal negoziante, ma a quanto pareva Caractacus Burke si era davvero trasferito da qualche anno, e la signora che abitava ora la sua casa era non solo totalmente babbana, ma non sapeva nemmeno chi fosse il precedente proprietario.
   « Ho comprato la casa tramite un’agenzia immobiliare, di più non so, mi spiace ».
   « Non importa, grazie lo stesso. E scusi per il disturbo » rispose educatamente Arthur, per poi rivolgersi al compagno di missione dopo che la donna ebbe richiuso la porta.
   « Missione fallita? »
   « Beh, abbiamo scoperto che non vive più qui… immagino che non sia un completo fallimento. Vorrei solo capire i motivi di questa missione… » sospirò il ragazzo.
   « Silente sa quello che fa ».
   « Già, ma a volte vorrei saperlo anche io ». Fece una pausa. « Torniamo? ».
   Arthur annuì.




    “So little time, so much to do”. Due esami mostruosi da fare in dieci giorni a gennaio, la fanfiction da scrivere, le traduzioni per il forum degli X-Men e una lunga lista di disegni da fare. Devo imparare a gestire il tempo (o a fare meno cose… beh, la maggior parte della colpa è degli esami, comunque u_u)
   Note sul capitolo. Non ero sicura di voler introdurre un personaggio originale, soprattutto in un ruolo così importante come quello del Mangiamorte semi-pentito, ma il canon non mi è stato per niente d’aiuto data le poche info sulla Old Generation e soprattutto su Regulus e ciò che lo riguarda. Ho scelto il cognome dalla lista di personaggi di Harry Potter (me la solo letta tutta e ho provato un sacco di nomi prima di scegliere questo!), immagino che possa essere uno zio dell’Anthony Goldstein che appare nel quinto libro.
   I due nomi citati dei Mangiamorte uccisi a Diagon Alley pure vengono dal canon, ma sono personaggi minori. Il terzo non è nominato perché… perché non volevo inventare un nuovo nome XD Beh, Voldie avrà pure avuto seguaci non nominati nei libri, no? Non sarebbe definibile “esercito” se fossero così pochi sennò u_u
   Caractacus Burke invece viene dal canon, ed è, appunto, l’ex proprietario di Magie Sinister (in inglese “Borgin & Burkes”).
   Altro? Uhm… sì, stando al Lexicon, Bill è nato il 29 novembre del ‘70.
   E con questo credo di aver detto tutto, per qualsiasi cosa chiedete ^^


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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


   Uhm… mi sto giocando i seguaci con questi ritardi XD Ringrazio di cuore Alohomora, Erodiade e Mirwen che hanno recensito l’ultimo capitolo, e tutti quelli che hanno letto e non commentato.

Capitolo 8



   William “Bill” Weasley si svegliò, per la prima volta in vita sua, prima ancora che il sole sorgesse, col cuore che batteva forte per l’eccitazione. Era il 29 novembre del 1981, faceva più freddo della media stagionale e lui compiva undici anni. L’infanzia era finita, e di lì a qualche mese avrebbe fatto anche lui parte del mondo magico. Nei giorni successivi avrebbe anche potuto finalmente acquistare la sua prima bacchetta! Non vedeva l’ora di andare da Olivander coi suoi genitori e la schiera di fratelli, certamente invidiosi perché avrebbero dovuto aspettare ancora…
   Si alzò, si lavò e si vestì, e scese in cucina che erano appena le sette e mezza. Diede uno sguardo alla finestra. Quando sarebbe arrivato il gufo con la sua lettera?
   Nel giro di mezz’ora l’impazienza ormai si era impossessata di lui, e la sua mente aveva già partorito una decina di scenari devastanti: e se il gufo si fosse perso? E se si fosse scontrato con uno di quegli arei babbani? E se avesse perso la lettera? E se Silente si fosse dimenticato di mandargliela? E se…
   Fortunatamente sua madre scese in cucina a metà della ventesima possibile catastrofe, e dopo un iniziale momento di stupore nel vederlo in piedi a quell’ora, gli si avventò contro per abbracciarlo commossa.
   « Oh, il mio tesoro ha undici anni! » fu l’unico suono che Bill riuscì a distinguere tra un bacio e l’altro. Mentre cercava di affermare la sua ormai adulta età - e sopravvivere al soffocamento - Bill vide raggiungerli anche il padre, che sfoggiava un sorriso orgoglioso nonostante la stanchezza.
   « Allora sono undici » disse liberando il figlio dalla stretta della moglie e scompigliandogli i capelli.
   Bill annuì fiero di sé, poi Molly si affrettò ai fornelli per « preparare una colazione degna di questo giorno speciale ».
   I suoi fratelli scesero quasi un’ora dopo, e dovette aspettare che si svegliassero anche Ron e Ginny prima di potersi dare all’entusiasmante attività di apertura dei regali - che erano un bel po’, considerando la moltitudine di zii e zie che aveva: un libro sul Quidditch, uno di leggende, dei vestiti nuovi e…
   «Un gufo! » esclamò quando suo padre rientrò dopo una breve escursione nel giardino sul retro con una gabbietta in mano.
   I suoi fratelli emisero profondi “oooh” di ammirazione, mentre lui apriva la gabbietta e il gufo ubbidiente gli si posava sul braccio teso.
   « È stupendo! Grazie mamma, grazie papà! ».
   Ma il più bello doveva ancora venire. Erano a metà della colazione quando un altro gufo fece il suo trionfale ingresso nella cucina: il gufo di Hogwarts.
   Mentre Charlie, Percy e i gemelli gli saltavano intorno, e persino i due piccoli si sporgevano verso di lui interessati, Bill prese la busta preziosa dal becco del gufo, e la aprì.
   Ora era ufficialmente un mago.
   
   Il provvedimento successivo attuato dal governo Crouch portò squadre di Auror a pattugliare ventiquattr’ore su ventiquattro Diagon e Nocturn Alley e i villaggi a maggioranza magica del territorio britannico. Molti furono gli arresti, e molti altri seguaci di Voldemort furono eliminati appena sorpresi in attività anche solo presuntamente illegali.
   Nel giro di due giorni dal suo insediamento, Crouch aveva portato un pesante clima di terrore tra le schiere dei Mangiamorte e di quanti si muovevano al limite della legalità. Ma il Signore Oscuro di questo non si preoccupava. Nessun Ministro poteva nulla contro di lui, e nessun provvedimento sarebbe mai stato sufficiente a fermare la sua cerchia più interna di Mangiamorte, composta dai maghi più potenti della società, e a lui più fedeli.
   Sollevò lo sguardo dal cadavere della sua ultima vittima steso poco lontano da lui. Disgustoso babbano, aveva osato parlargli, chiedergli se fosse ubriaco… e poi puntargli contro uno aggeggio di metallo quando lui lo aveva guardato come è giusto guardare un essere inferiore. A quanto aveva capito, il babbano si illudeva di spaventarlo con quella diavoleria babbana… come se fosse possibile spaventare il Signore Oscuro. Scavalcò senza troppo riguardo il corpo del poliziotto, tornando a passeggiare per le strade di Londra, osservando nauseato le automobili babbane che iniziavano a riempire le strade.
   Esseri inferiori. Era stato un errore per lui girare per le loro strade, mischiarsi alla feccia, ma era da tanto che non metteva piede nel loro mondo, e aveva voluto vedere coi suoi occhi il modo in cui questo era cambiato. L’aria era pesante di quello che i babbani chiamavano “smog”, le automobili occupavano metà della strada, così che la gente doveva stare attenta a come passava da un marciapiede all’altro, e il cielo era quasi invisibile. I babbani stavano distruggendo il mondo, i loro libri per bambini parlavano di una magia inesistente e sedicenti maghi facevano trucchi squallidi con carte e fazzoletti.
   Irritato, si Smaterializzò incurante di eventuali occhi indiscreti - il popolo magico non doveva vivere nascosto come i peggiori criminali, doveva dominare gli inferiori! - diretto dal più giovane dei suoi più fedeli: Bartemius Crouch jr.
   Nonostante il padre fosse stato eletto Ministro della Magia, Barty jr non aveva sconfessato il Lord e la sua causa, si era anzi Smaterializzato a Little Hangleton appena il Ministero aveva diffuso l’esito delle elezioni, si era inginocchiato di fronte al Signore Oscuro e scoprendosi l’avambraccio aveva giurato che nulla sarebbe cambiato per lui. Si era persino offerto di pronunciare anche il Voto Infrangibile per dare prova della sua fedeltà.
   Il giovane Crouch lo accolse con la cerimoniosità che si confaceva al loro Lord, e gli offrì il meglio che una casa di un degno - benché giovane - mago poteva offrire. L’elfo domestico che gli tolse il mantello si inchinò a toccare terra col naso, e rimase in quella posizione finché lui e il suo padrone non furono svaniti dietro l’angolo del salotto.
   « Ho una missione per te, mio fedele » annunciò ai due senza preamboli. Bart, senza mostrare sorpresa: era sempre pronto a ricevere i suoi ordini quali che questi fossero. « Crouch si illude di averci messi con le spalle al muro, senza capire che così protegge gli inferiori babbani, lasciando loro il mondo che con la violenza ci hanno sottratto. Per rispetto alla Casa del mio antenato, che ha ospitato la sua presenza indegna, ti chiedo di andare da lui, e… fargli capire i suoi errori. Se questo non dovesse bastare, gli farò personalmente visita, per assicurarmi che non ne faccia mai più » disse.
   Barty rimase a capo chino.
   « Come desiderate, mio Lord » rispose senza esitazione.
   Soddisfatto, Voldemort lasciò il giovane e prese il mantello per recarsi da villa Lestrange.
   
   Consapevole di aver pestato più di un pericoloso piede, Crouch si era fatto affiancare da tre dei migliori Auror del Dipartimento Difesa che avevano il compito di proteggerlo da qualsiasi ritorsione da parte dei seguaci del Lord Oscuro. Ma ciò che accadde era ben diverso da qualsiasi cosa si fosse aspettato.
   Quando, poco dopo essere rincasato dal lavoro, sentì bussare alla porta, Winky fu mandata ad aprire scortata da un Auror.
   « Padron Barty, è tornato il padroncino! » annunciò saltellando allegramente l’elfa.
   Mary Crouch si illuminò, e corse ad accogliere il figlio abbandonando sulla poltrona il lavoro di ricamo su cui era impegnata. Il marito congedò l’Auror e la seguì con più calma.
   « Ciao mamma, ciao papà » salutò il ragazzo abbracciando entrambi e affidando il mantello all’elfa di famiglia.
   Sua madre gli accarezzò teneramente il viso, commentando quanto ai suoi occhi il figlio sembrava cresciuto in quei pochi mesi trascorsi dall’ultima volta che lo aveva visto; Barty sr, invece, mantenne un atteggiamento più distaccato, anche se sul suo volto c’era l’ombra di un sorriso.
   Winky corse via appena dopo aver accompagnato i tre padroni in salotto, e ne tornò poco dopo portando un vassoio di biscotti e del the. Sorrideva da un orecchio all’altro, e la cosa faceva un buffo effetto sul suo viso di elfo.
   « Padron Barty » disse timidamente al ragazzo, « Winky è felice di vedere te tornato ».
   Il ragazzo le sorrise amabilmente, prendendo il the e i biscotti, e trascorse una tranquilla serata chiacchierando coi genitori del suo lavoro. Erano quasi le nove di sera quando il discorso si diresse lentamente verso la politica.
   « Il “terrore Crouch”, l’hanno soprannominato i giornali » buttò lì quasi per caso Barty, sorridendo divertito, ma suo padre fu subito molto serio.
   « A mali estremi, estremi rimedi » rispose.
   Mary lanciò un’occhiata turbata al marito. Sapeva cosa stava per avvenire, quando si parlava di politica Barty sr e Barty jr non riuscivano ad andare d’accordo.
   « Mali estremi? » ripeté Barty senza smettere di sorridere. Prese un biscotto dal piatto ormai semivuoto, e ne addentò un pezzetto con educazione.
   « Pericolosi criminali, che si trincerano dietro un ideale folle, pronti a seminare il panico tra i maghi e le streghe perbene. Hanno cercato di attaccare in pieno giorno fuori la Gringott! Beh, se la Bagnold non era capace di prendere le giuste contromisure - o forse era solo un’incompetente, poco importa - la situazione è cambiata, ed è ora che se ne rendano conto, quei pazzi. Se ciò di cui hanno bisogno è qualcuno che agisca con pugno duro, beh, sono pronto. Dopotutto, il pugno duro è l’unica lingua che la gente capisce ».
   « Il Signore Oscuro sta usando pugno duro » rispose lentamente il ragazzo. Il sorriso aveva fatto posto ad un’espressione seria, ma ancora calma.
   Mary rabbrividì. Barty aveva iniziato ad interessarsi all’ideale di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato già a Hogwarts, e lei non aveva dubbi che avesse continuato anche dopo aver lasciato la scuola. Ma non lo aveva mai sentito parlare apertamente dei metodi del Signore Oscuro. Da ciò che aveva inteso lei, suo figlio condivideva di quell’uomo l’idea, non i mezzi.
   « Il Signore Oscuro? Quel pazzo è schiavo delle sue ambizioni, e si fa seguire da dei decerebrati che cercano scuse per alzare la bacchetta ». Barty ebbe un fremito all’insulto di suo padre verso il suo signore, ma mantenne un’aria composta. « Qualsiasi sia il suo ideale lui è solo uno sciocco che si fa servire da gente inadeguata » proseguì Barty sr senza accorgersi di nulla. « È un omicida, un ladro, un disgustoso criminale » proseguì infervorandosi.
   « È l’erede di Salazar. E sta riportando l’ordine alla società » ribatté Barty, e una parte di lui era stufa di mantenere la calma di fronte ai toni irrispettosi del Ministro.
   « Omicidi? Furti? Terrore? Sarebbe questa l’idea di ordine del tuo idolo? ».
   « “Terrore Crouch” » replicò il ragazzo, e quasi sputò le parole. « Mi sembra che i suoi metodi non ti facciano così schifo ».
   « Io sono la legge. E la legge autorizza Auror addestrati ad uccidere dei criminali prima che possano fare del male alla brava gente ».
   « I babbani non sono brava gente! » si accalorò Barty.
   « E quanti babbani credi ci siano a Diagon Alley? » obiettò con disprezzo il Ministro.
   « Più di quanti dovrebbero essercene, armati delle loro bacchette rubate col benestare di quel vecchio pazzo che apre Hogwarts ai figli di quegli esseri inferiori! » gridò il ragazzo alzandosi di scatto.
   Barty sr fu subito di fronte a lui, e Mary gemette alzandosi a sua volta.
   « Per favore… » mormorò.
   « Non tollero che mio figlio osi alzare la voce con me ». Il tono dell’uomo era calmo, i suoi occhi puntati in quelli del ragazzo.
   « Salazar si sta rivoltando nella tomba, vedendo che feccia ha frequentato la sua nobile Casa ».
   Suo padre gli diede uno schiaffo. Sua madre strillò, frapponendosi tra i due. Mise le mani sulle spalle del marito, guardandolo con gli occhi spalancati.
   « Barty, per favore… » balbettò. Ma lui non la guardò nemmeno, continuava a fissare il sangue del suo sangue che gli restituiva uno sguardo carico d’odio.
   « Ho fatto bene ad abbandonare questa casa. Non è la casa di un vero mago, di un Serpeverde. Sei solo uno schifoso filobabbano, e voglio che tu sappia una cosa: il Signore Oscuro odia i filobabbani ancor più di quanto non odi gli stessi babbani. Siete voi la rovina della società magica, siete voi la ragione per cui il mondo va in malora » prese fiato, ergendosi in tutta la sua statura. « Verrà il giorno in cui pagherai per il tuo tradimento ».
   « Barty! Cosa dici? » esclamò sconvolta sua madre voltandosi verso di lui.
   « E sarà il tuo Lord a farmela pagare? » chiese Barty sr con aria di derisione.
   « Oh, no. Lui non si sporca le mani con gli esseri inferiori ».
   « Certo, immagino che dopotutto non sia davvero in grado di fare ciò che afferma, altrimenti non si farebbe attorniare da gente di bassa lega come Greyback. O da degli inetti ragazzini che con la bocca che sa ancora di latte vanno in giro a parlare di ideali ».
   Il ragazzo strinse i pugni.
   « È questa l’opinione che hai di me » disse sforzandosi di riacquistare la calma. « Molto bene. Non è dell’opinione di un vecchio idiota che ho bisogno, quando il Signore Oscuro mi considera uno dei suoi più fidati seguaci. Stai attento… padre ». Alzò la manica della veste, scoprendo il Marchio Nero.
   Mary era ormai prossima alle lacrime. Fece un passo verso il figlio, coprendo con la mano l’orrendo simbolo marchiato a fuoco sulla pelle del suo bambino.
   « Tesoro… non dire cose che non pensi… è solo la rabbia che ti fa parlare, è la rabbia che fa parlare entrambi… non siete mai andati d’accordo sulla politica… ma non dovete litigare per questo… Barty… diglielo anche tu… ».
   « Ti sbagli, ragazzo » ribatté fieramente l’uomo, senza dare minimamente ascolto alle parole della moglie. « Io non sono tuo padre ».
   « Barty… » esalò Mary, ma nessuno dei due uomini sembrava accorgersi di lei.
   « Lieto di sentirtelo dire. Perché non voglio essere tuo figlio » furono le ultime parole del ragazzo prima di marciare verso la porta, prendere il mantello e Smaterializzarsi oltre la soglia.
   « No! » gridò Mary troppo tardi, cercando di rincorrerlo. Poi le lacrime sgorgarono tutte insieme, e la donna finì in ginocchio sul pavimento del salotto, piangendo disperatamente, le mani tra i capelli. Winky fu prontamente al suo fianco, e piangeva a sua volta.
   Bartemius Crouch sr non si era mosso da dove si trovava durante l’alterco col figlio, lo sguardo risoluto, il respiro regolare.
   
   Il vento gelido sferzava Nocturn Alley. Sirius detestava quel posto, gli ricordava tristemente i giorni della sua infanzia in cui era costretto a seguire il padre nei suoi affari “perché un giorno toccherà a te occupartene”. Col senno di poi sapeva che quei pomeriggi nel gelo di Nocturn Alley erano preferibili all’atteggiamento dei suoi genitori dopo il suo Smistamento, ma allora ciò che desiderava era rimanere a casa a giocare con Regulus.
   « Black? » disse una voce dall’ombra.
   « Sì ». Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa aspettarsi. D’un tratto faceva troppo caldo.
   « Ho poco tempo, devo incontrarmi con il Signore Oscuro e gli altri per fare rapporto tra dieci minuti. Ma domani… alle sei, all’angolo di Magie Sinister, nel vicoletto accanto alla drogheria… beh, incontrerai qualcuno di interessante » disse in fretta e si voltò per Smaterializzarsi.
   « Aspetta! Chi… cosa… » balbettò Sirius preso alla sprovvista.
   « Il Signore Oscuro già sospetta che qualcuno lo stia tradendo, non posso tardare » rispose, ma non se ne andò, rimase a fissare il fratello del suo vecchio amico in quegli occhi grigi così simili a quelli di Regulus. « Lui… avrebbe voluto che te lo dicessi. Sono qui solo per questo ».
   « Mio fratello? ».
   « C’è tanto che non sai di lui. Ma ho giurato ». E, prima di dar tempo a Sirius di capire le sue parole, si Smaterializzò.
   




   Immagino di dovermi scusare ancora una volta per il ritardo… Facciamo che vi avverto da ora che non aggiornerò più di una volta al mese, così non potete aspettarvi da me tempi più brevi XD (ammesso poi che riesca ad aggiornare una volta al mese… vabbè).
   La difficoltà più grande del capitolo? Trovare sinonimi per definire Barty sr e Barty jr durante i dialoghi. Ma cazzarola, proprio lo stesso nome dovevano avere? XDXD
   


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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


   C’è bisogno di scusarmi? Ormai lo sapete come funziona. Ma stavolta ho avuto un motivo, giuro, chi mi conosce su fb lo sa ><
   Grazie come sempre per le recensioni e grazie alla mia beta-sister. Buon capitolo, ci vediamo nelle note finali
   



   Capitolo 9



   Barty si Materializzò a casa propria profondamente irritato. Non era riuscito nel compito che il suo Lord gli aveva assegnato, aveva fallito. Ed era tutta colpa di quel traditore del Sangue Puro di suo padre! Furioso con se stesso per la vergogna di dover confessare il fallimento al suo Signore, e con suo padre - no, non era suo padre! - per essere un babbanofilo, Barty prese la bacchetta e cancellò ogni traccia dell’esistenza del suo rinnegato genitore dalla sua vita: eliminò la sua immagine dalle foto alle pareti, fece Evanescere i suoi doni, strappò e fece sparire il mantello che gli aveva prestato tempo prima e che lui aveva dimenticato di restituire.
   Per niente appagato dal suo sfogo, Barty si lasciò cadere su una poltrona, mentre alla furia si sommava la preoccupazione: cosa avrebbe detto di lui il suo Signore? Vedeva già la faccia disgustata dei suoi amici - non lo avrebbero più considerato tale - Rodolphus e Bellatrix, vide il trionfo sul volto di Lucius, video l’arroganza su quello del Mezzosangue Piton… e vide la delusione negli occhi rossi di Lord Voldemort, e questo gli fece più male che mai.
   Lo avrebbe ucciso. Avrebbe ammazzato con la sua bacchetta lo sporco traditore che aveva chiamato padre. Era l’unico modo per lavare l’onta da se stesso, dalla sua famiglia. Dalla Casa di Salazar.
   Stava per Smaterializzarsi per giurare al Lord che era pronto a fare qualsiasi cosa per riparare agli errori del Ministro, quando fu proprio lui a Materializzarsi nella sua casa.
   Barty si buttò in ginocchio ai suoi piedi, mentre il suo elfo accorreva per offrire al Signore Oscuro i suoi servigi.
   
   Dicembre era prossimo, e come ogni anno dalla fine della scuola Peter sentiva la malinconia assalirlo mentre attraversava la strada diretto a casa di sua madre. Come a tutti i maghi adulti, Hogwarts gli mancava, ma più Natale si avvicinava più la tristezza aumentava. Gli mancava la spensieratezza di allora, i pranzi nella Sala Grande, le risate in Sala Comune coi suoi amici, gli scherzi - sorrise di nostalgia ricordando la faccia della McGranitt quando al quarto anno, per la prima volta, tutti e quattro decisero di rimanere a Hogwarts per le vacanze - le passeggiate notturne nel parco e a Hogsmeade, le battaglie a palle di neve…
   Si fermò di fronte casa di sua madre. Era tutto passato. Le risate, la spensieratezza. Era passata l’adolescenza.
   Ed ancor prima era passata l’infanzia. I suoi Natali infantili, con le risate dei suoi genitori. Mentre lui scartava i regali, le domande imbarazzate di suo padre su cosa festeggiassero i maghi a Natale.
   Detestava il Natale, Peter. Da tre anni detestava il Natale. Da quando Hogwarts non poteva più proteggerlo dalla tristezza della vita, da quando aveva una casa sua perché non voleva vivere con sua madre e il suo patrigno, da quando non c’era più Remus a cambiare argomento quando il discorso finiva sui genitori, o James a dirgli che era il benvenuto dai suoi quando voleva, o Sirius a chiedergli se voleva fare a cambio, con la sua risata sguaiata che cercava di nascondere la tristezza.
   Bussò incerto, sperando quasi che in casa non ci fosse nessuno, ma ad aprire fu proprio il suo patrigno.
   « Ciao Pete. Tua madre è in cucina » lo salutò.
   
   Libero dai suoi impegni tra i lupi, Remus era stato invitato da James e Lily a passare una serata tranquilla e a « parlare di tutto fuorché di lavoro ».
   Con sua somma sorpresa, trovò anche Arthur Weasley e uno dei suoi figli - il più piccolo… Ron? Remus continuava a confondere i nomi dei troppi piccoli Weasley.
   « Eccolo qui, Ronnie! Saluta, Ronnie » disse l’uomo al bambino, il quale fissò intimidito il nuovo arrivato e fu solo dopo che Harry gridò allegramente « Emu! » che decise di fidarsi di lui e sorrise.
   « Ehi, Lunastorta! » lo salutò James comparendo dalla cucina. «Arthur è passato a portarci un pezzo di torta ».
   « È il compleanno di Bill, fa undici anni, e Molly ha insistito perché portassi un po’ di torta ai nostri gentili vicini. Poi, saputo che saresti venuto, ho pensato di aspettarti. So che a breve andrai in missione e volevo salutarti » disse Arthur. « E poi Ronnie sembrava contento di rimanere un altro po’ con Harry » aggiunse voltandosi verso i due bambini che giocavano sul tappeto.
   Remus sorrise intenerito ai due bambini, poi diede la mano ad Arthur.
   « Auguri al tuo ometto, allora. E a te e Molly, ovviamente ».
   « Grazie. Beh, io vado. Buona serata. Ronnie, andiamo via, saluta Harry »
   I due bambini sembravano non condividere l’idea di Arthur, e ci volle un po’ a farli smettere di fare resistenza. Alla fine, l’uomo si scusò, tra le risate degli altri, e riuscì a portare via il reticente figlioletto.
   Perso il suo compagno di giochi, Harry sembrò più propenso ad interessarsi all’amico del padre, e insistette per farsi prendere in braccio e intrattenere da lui in attesa della cena.
   
   « Alzati, mio fedele. Sapevo che tuo padre non si sarebbe fatto intimidire, nessun Serpeverde cede alle minacce » disse Lord Voldemort dopo che Barty gli ebbe raccontato del suo incontro con il Ministro.
   « Lui non è un vero Serpeverde, mio Lord e non è mio padre » fu la risposta del ragazzo, che rimase inginocchiato a capo chino.
   Voldemort si concesse quello che in un essere umano sarebbe stato un sorriso, ma che sul suo volto serpentino appariva più una smorfia soddisfatta.
   « Sei un devoto seguace, Bartemius Crouch jr, e apprezzo la tua fedeltà. Mi occuperò io di colui che non vuoi più chiamare padre: Lord Voldemort sa come punire i traditori. Alzati ».
   Fu solo a queste parole che, rincuorato, Barty si alzò, mantenendo però la testa bassa.
   « Sì, mio Lord. E se vorrete, io sarò al vostro fianco ».
   « Leveresti la bacchetta su colui che ti ha generato? »
   « Una volta, dieci, cento. Lui mi avrà anche generato, ma non è mio padre » ribatté il ragazzo deciso.
   La smorfia si allargò sul volto bianco di Lord Voldemort.
   « Quando sarà il momento, verrai con me ».
   Barty si piegò in un rispettoso inchino. L’uomo che era stato suo padre avrebbe pagato per mano del Lord che aveva osato non riconoscere, sotto gli occhi di chi aveva chiamato figlio. Era la giusta punizione per i traditori. E lui era felice che il Signore Oscuro avesse deciso di portarlo con sé.
   “Sono il più fedele dei vostri Mangiamorte, mio Lord”.
   
   Moody convocò l’Ordine il mattino seguente per assegnare le nuove missioni. Sirius e Remus avevano già i loro incarichi, e non si presentarono proprio, così come Caradoc e Minerva McGranitt, impegnati col loro lavoro.
   Arthur e James furono nuovamente mandati a fare ricerche su Burke, stavolta a casa della figlia.
   Peter si ritrovò la serata libera, ma l’indomani sarebbe dovuto andare di pattuglia a Hogsmeade con Caradoc - a quanto pareva dei tizi avevano iniziato a compiere furtarelli mascherati da Mangiamorte contando sul terrore che le loro maschere generavano nella gente.
   « Ci manca solo che Crouch mandi gli Auror dei reparti speciali a prendere due idioti che rubano da Mielandia » fu il commento sprezzante di Moody.
   Terminato di assegnare le missioni, l’Auror congedò in fretta i membri dell’Ordine e si Smaterializzò diretto al Ministero. Dopo che se ne fu andato, Emmeline prese la parola.
   « Ehi, gente. Prima che andiate tutti via, visto che il Natale di avvicina, che ne dite di organizzare qualcosa tutti insieme? »
   Sturgis alzò un sopracciglio.
   « Ti pare il momento di pensare al Natale? »
   « È dicembre, in qualche altro momento si dovrebbe pensare al Natale? » ribatté la donna.
   « Tutti insieme… » mormorò Peter. I ricordi dei Natali con la sua famiglia unita e coi Malandrini lo assalirono. « Sarebbe bellissimo! » esclamò sorprendendo tutti, persino se stesso.
   « Bene, Pete è d’accordo, per cui anche gli altri tre saranno dei nostri » contò Emmeline. « Chi altri? »
   « Io non ho parlato » protestò James.
   « Voi Mandarini fate sempre tutti insieme » lo liquidò la donna.
   « Malandrini » corresse James con una smorfia.
   « Scusa » mormorò Peter « Forse… Volevi passare il Natale con Lily e Harry, immagino… ».
   « Scherzi? Lily parlava di andare a trovare la sorella! » rise James dandogli una violenta pacca sulla spalla.
   Emmeline intanto stava cercando di convincere Arabella e Benji.
   « Spiacente, Mel, mia moglie vuole andare a trovare i suoi ».
   « Tua… moglie? Benji, tu non sei sposato ».
   « No, ma Claire si comporta come se lo fossimo. Per cui il Natale lo passerò in Galles coi miei suoceri ».
   « E tu, Arabella? » cambiò bersaglio la donna.
   L’altra si strinse nelle spalle.
   « Bene. Arthur, tu e Molly sarete dei nostri, vero? »
   « Non credo sia il caso, abbiamo sette figli e il Natale di solito è un gran casino da noi » rispose lui imbarazzato.
   « Non è divertente, però, se non vuole farlo nessuno! » protestò Emmeline perdendo il suo entusiasmo. « Oh, beh, io la proposta l’ho fatta. Voi pensatesi bene » disse prima di salutare.
   « A me l’idea piaceva » disse Peter.
   « Se salta tutto, ci vediamo noi quattro. Sai che Harry adora avervi tutti a casa » lo confortò James.
   Peter sorrise debolmente.
   Ma dopo che anche James e Arthur si furono Smaterializzati e fu solo nel monolocale, il sorriso sparì, sostituito dalla consueta espressione di quando pensava alla sua doppia vita.
   Sospirò, scuotendo la testa. Era stufo di pensarci, ed era stufo di essere stufo.
   Si Materializzò a casa propria, e lo sguardo gli cadde sulla scatola di biscotti fatti in casa che gli aveva regalato sua madre. Una scatola di biscotti fatti in casa. Come se avesse ancora dieci anni. Con rabbia ingiustificata colpì la scatola facendola cadere a terra e spargendo biscotti spezzati sul tappeto.
   Doveva smettere di farsi trascinare dalle cose e dalle persone, di accettare passivamente, doveva decidersi a prendere in mano la sua vita. Aveva ventuno anni e mezzo, ed era ora di diventare un uomo.
   Doveva solo trovare il coraggio…
   Il braccio sinistro iniziò a bruciare, l’effetto della convocazione di Lord Voldemort. Peter chiuse gli occhi, grattandosi con insistenza l’orrendo tatuaggio, ma non c’era tempo per pensare, e sicuramente fare tardi non era un’opzione.
   Ubbidiente come sempre, Peter si Smaterializzò mestamente. Per diventare uomo c’era tempo, ora era più importante sopravvivere.
   
   Lord Voldemort attendeva nel cimitero di Little Hangleton, paesino sulla costa dell’East Sussex, che era stato casa dei suoi genitori. Da qualche parte doveva esserci anche la tomba di suo padre, il babbano che aveva osato abbandonare l’ultima discendente di Salazar Serpeverde dopo averla profanata col suo sangue indegno. Sporco babbano ignorante. Aveva avuto la fine che meritava, ucciso dalla bacchetta del figlio nato dalla loro sudicia unione, permettendo così all’ultimo erede del più grande mago di tutti i tempi di lavare l’onta della sua nascita mista.
   Un bop accompagnò l’arrivo del Mangiamorte che aveva convocato. Lord Voldemort lo accolse con uno sguardo freddo dall’altro, e il ragazzo sembrò rimpicciolirsi mentre chinava il capo guardandosi nervosamente in giro.
   « M-mio Lord » balbettò piegandosi goffamente su un ginocchio.
   « Alzati » ordinò il Signore Oscuro. Tremando, il ragazzo ubbidì.
   Vari erano i motivi che tenevano i Mangiamorte legati a Lord Voldemort: c’erano coloro che lo avevano conosciuto ragazzo e lo avevano seguito quando aveva dimostrato di essere l’Erede aprendo la Camera dei Segreti; c’erano quelli che, più giovani, lo seguivano perché condividevano i suoi ideali e metodi, e avevano creduto alla sua parola con cieca fiducia; c’erano quelli che lo seguivano per desiderio di potere e di gloria, e c’erano quelli spinti dalla paura e dal desiderio - dalla speranza - di protezione.
   Peter Minus era uno di questi. Ma Lord Voldemort sapeva come sfruttare al massimo le sue alleanze.
   « So che hai un impegno tra un’ora Minus, e non è mia intenzione trattenerti » iniziò con voce strascicata che fece gelare Peter. « Anzi, sarà mia premura che tu arrivi in orario e… pronto ».
   Peter fu grato che la maschera d’argento nascondesse l’espressione terrorizzata sul suo volto, ma sapeva che non vi era alcun modo di nascondere il brivido che lo attraversò. Iniziò a tremare.
   Lord Voldemort ghignò con falsa affabilità.
   « Non temere, mio seguace. Dovrai solo compiere il tuo dovere di fedele Mangiamorte. So che posso fidarmi di te, per questo ti affido questo incarico ».
   Peter ingoiò della saliva che in realtà non c’era, la sua bocca era arida.
   « Il tradimento è il cancro della società. Il tradimento verso il Signore Oscuro è la firma sotto la propria condanna a morte. Comprendi, vero? ».
   Il ghignò sul volto del Lord si allargò viscido.
   Peter annuì lentamente, senza riuscire a smettere di tremare.
   Comprendeva. E non gli piaceva.
   




   Ok, ok, sono stata cattiva XD Non l’ho fatto apposta, giuro, volevo svelare alla fine di questo capitolo cosa avrebbe trovato Sirius, ma poi mi sono lasciata prendere la mano. Mi risulta pericolosamente facile e quasi piacevole scrivere di Barty jr e di Minus. Barty e Peter! Lo psicopatico e… Peter. Il ratto. Il traditore. Assurdo…
   Note sul capitolo. Non so se Voldie possa effettivamente chiamare un solo Mangiamorte tramite il tatuaggio, da quello che ho capito dal quarto libro un tatuaggio richiama tutti gli altri, ma… beh, lui è Lord Voldie, immagino che possa fare queste cosucce, no? XD
   Prossimo capitolo ancora da scrivere, ve lo dico fin da ora. Tanto lo so che mi odiate, io al posto vostro mi odierei XDXD
   

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


   Miliardi di grazie alle irriducibili che ancora, nonostante tutto, ancora mi seguono e addirittura mi lasciano commenti positivi! Serpentina, Alohomora, Erodiade, meissa_s e la mia nuova lettrice (mi è venuto un colpo quando ho letto che avevo nove nuove recensioni, e ho iniziato a saltellare per casa battendo le mani! … no, non ho cinque anni, ‘mbè? XD) Butterfly90, vi adoro! <3
   Mille grazie anche a chi continua a seguirmi silenziosamente, spero siate ancora tutti lì ^^’
   E come sempre (anche se non lo dico in tutti i capitoli), grazie alla mia beta-sister Francesca/Serpentina (vedi la comodità di avere un account tuo qui su efp? Ti posso ringraziare per nickname! XD)



   Capitolo 10



       Non accadeva spesso che il Signore Oscuro gli affidasse missioni di quel genere. Lui era la spia, la talpa del Lord all’interno dell’Ordine, il ratto che si nascondeva tra le crepe del muro per ascoltare e riferire. Non era un assassino. La sua bacchetta non aveva mai ucciso nessuno. Non era nemmeno sicuro di saper pronunciare la Maledizione Senza Perdono.
   Ma sapeva che questo momento sarebbe arrivato. Il momento in cui il Signore Oscuro non si sarebbe più accontentato delle briciole che gli riferiva, e avrebbe voluto di più. Una prova tangibile della sua fedeltà. O una scusa per eliminarlo - Peter non era sicuro di essere particolarmente nelle grazie del Lord.
   Ma nonostante in un certo senso se l’aspettasse, Peter non era pronto.
   Vagò per la Londra babbana per un po’ - aveva ancora un po’ di tempo - cercando una soluzione. Poteva dire di non averlo trovato. Poteva dire di aver trovato L’Ordine, e di certo il Signore Oscuro non si aspettava che lui si mettesse a combattere da solo contro Silente e i suoi… ma qualcosa gli diceva che non era una buona idea mentire a Lord Voldemort. Rabbrividì.
   L’unico modo che aveva di sopravvivere era… ubbidire. Ucciderlo.
   
   Remus ricontrollò per la terza volta di aver preso tutto. Non che potesse portare chissà cosa con sé, ma non voleva ritrovarsi impreparato ad affrontare le certamente scomode condizioni di viaggio che gli imponeva la sua missione.
   Nel ricontrollare, si accorse che un nuovo strappo minacciava di farsi largo sull’angolo della borsa che conteneva le sue cose, e con l’usuale stanza pazienza prese ago e filo dal cassetto del comodino e lo ricucì alla meno peggio - non era granché come sarto, benché dopo averlo beccato una volta a rammendarsi un calzino a scuola James aveva preso a definirlo “la mamma dei Malandrini”… finché non aveva scoperto, appena un mese dopo, che non era capace nemmeno di friggere un uovo senza bruciarlo. Sorrise al ricordo del “pic-nic in stile babbano” che lui e i suoi amici avevano deciso d concedersi quell’estate di quattro anni prima.
   Da allora era migliorato - un po’ - ai fornelli, ma tante altre cose erano cambiate.
   Piegò il mantello sulla borsa e ricontrollò il borsellino con aria malinconica. Beh, almeno se fosse stato costretto ad abbandonare la borsa avrebbe perso ben poco. Anche se quel poco era tutto ciò che possedeva.
   Con un sospiro stanco si lasciò poi cadere a sedere sul letto guardandosi intorno. L’indomani avrebbe lasciato Londra per l’ennesima missione tra i lupi, e non sapeva quando sarebbe tornato, ma gli avrebbe fatto piacere essere sicuro di avere una casa al rientro; invece, l’affitto sarebbe scaduto di lì a due giorni e data la sua tutt’altro che rosea situazione economica, al momento non sapeva nemmeno come pagarne una nuova al suo rientro.
   “Oh beh, ci penserò quando tornerò. Se tornerò”.
   Stendendosi sul letto, calciò via le scarpe con un gesto annoiato poco da lui - e molto da Sirius, a pensarci bene - e si addormentò praticamente subito.
   
   Tornato a casa con un tutt’altro che contento Ron, Arthur fu accolto dall’usuale allegro vociare dei gemelli, che a quanto pareva avevano deciso di dedicarsi alla loro attività preferita: tormentare Percy. Dimostrando ancora una volta di essere decisamente più maturo dei suoi cinque anni e mezzo, però, il bambino stava facendo del suo meglio per ignorarli e continuare il suo puzzle. Charlie, dall’alto dei suoi quasi nove anni, osservava la scena con distacco, pronto a intervenire da bravo fratello maggiore se le cose fossero precipitate improvvisamente. Attraversando il salotto, l’uomo intravide Molly in cucina a ripulire un mezzo disastro con la bacchetta: probabilmente Ginny aveva di nuovo deciso che la pappa era più buona da lanciare che da mangiare.
   « Com’è andata dai Potter? Sei rimasto più di quanto mi aspettassi » salutò Molly facendo lentamente evanescere lo sporco. Ginny batté mani e piedi contenta dell’arrivo del padre, e lui si chinò a baciarle la fronte. Ron si divolcolò tra le sue braccia, per tendersi verso la sorellina e darle una goffa carezza.
   « Ho aspettato che arrivasse Remus, a breve dovrebbe partire per una missione e mi faceva piacere salutarlo ».
   Molly rimase un momento pensierosa, la bacchetta fissa su una macchia sul pavimento.
   « Che missione? » chiese piano. Era contenta di far parte dell’Ordine. Credeva davvero nell’organizzazione e nel bene che stavano facendo per la società magica, ma…
   « Non ne ho idea. Sai com’è Silente, la segretezza prima di tutto. Non sono sicuro che nemmeno i suoi amici sappiano di che si tratti ». Ginny tese la mano paffuta al fratellino e gli strinse un dito. Arthur sorrise intenerito.
   « È questo il punto: quando sei andato con James a cercare quel tizio, Burke, l’incarico vi è stato assegnato davanti a tutti. Lo stesso a Caradoc, Emmeline… ogni volta che c’è una riunione e ci sono nuovi incarichi da assegnare la cosa viene fatta davanti a tutti. Ma Remus? Sarà venuto sì e no un paio di volte alle riunioni, e l’ultima volta Silente gli ha solo detto “sai cosa devi fare”… ». Fece una pausa, lanciando finalmente l’incantesimo contro la pozza di pappa sul pavimento. Arthur aspettò pazientemente che arrivasse al punto, accarezzando intanto la figlia seduta sul seggiolone. « Deve essere qualcosa di particolare, per tenerla così segreta. Di pericoloso » aggiunse la donna voltandosi a fissare il marito negli occhi. « E quanti anni può avere Remus? Venti? Ventuno? ».
   Quindi questo era il punto.
   « Non è l’età a rendere una missione più sicura ».
   « No, ma… a quell’età noi non eravamo in giro a combattere cose più grandi di noi ».
   « Perché allora non c’era ancora la guerra ». Molly trasalì a quella parola, e lanciò un’occhiata preoccupata verso il salotto. Fortunatamente nessuno dei bambini più grandi era a portata di orecchie. « È una guerra, Molly. Lo sai tu, lo so io, e presto purtroppo lo sapranno anche i bambini. È inevitabile. Ed è inevitabile che in un modo o nell’altro tutti ne verremo coinvolti. Remus e gli altri saranno giovani, ma siamo troppo pochi da questa parte per proteggere tutti ».
   Molly aprì la bocca per ribattere, ma poi abbassò lo suardo sospirando.
   « Ho paura ».
   Arthur le si avvicinò - con grande fastidio di Ronnie e Ginny, che sembravano molto contenti di potersi comportare per una volta da bravi fratelli.
   « Andrà tutto bene. In un modo o nell’altro andrà tutto bene ».
   Era una promessa debole, una promessa che non avrebbe nemmeno cosa fare per mantenere, ma Molly sorrise debolmente.
   « Hai visto Bill, comunque? » cambiò argomento l’uomo con un largo sorriso.
   « Credo sia di sopra. Poco fa ha detto di voler dar da mangiare al gufo e non è più sceso ».
   Arthur annuì. Tornato in salotto, consegnò Ron a Charlie - che lo prese in braccio sorridente, fiero del compito importante che gli veniva affidato - e salì le scale alla ricerca del suo silenzioso primogenito.
   Lo trovò nella camera che divideva con Charlie, il neobattezzato Horus appollaiato sulla sua spalla, la lettera di Hogwarts in mano e un’espressione che suo padre di certo non si aspettava in viso: tristezza.
   « Toc toc » disse l’uomo. Bill sollevò lo sguardo, stampandosi un sorriso forzato sul volto.
   « Papà » salutò. Horus sbatacchiò un po’ le ali.
   « Come mai sei qui tutto solo? ».
   « Così » rispose il bambino stringendosi nelle spalle.
   « Va tutto bene? » chiese cautamente Arthur sedendosi sul letto accanto al figlio.
   Bill non rispose subito. Si rigirò la lettera tra le mani, accarezzando il sigillo della Scuola d Magia.
   « Lo so che è stupido… » confessò infine, « e che non vedevo l’ora che arrivasse… e che tutti sono contenati quando ricevono la lettera, ma… ». Esitò, senza guardare suo padre. Si sentiva ridicolo e infantile, ma non riusciva a farne a meno. E dire che fino a quella mattina era stato così eccitato…
   Vedendo che non completava la frase, Arthur venne in suo aiuto.
   « È un passo importante, l’ingresso nel mondo magico. La fine dell’infanzia » concluse lentamente.
   Bill alzò lo sguardo verso di lui, imbarazzato. Il gufo si alzò in volo e si andò ad appollaiare su uno dei libri sull’antico Egitto, regalo di Silente, che erano sulla scrivania di fronte al letto, come a voler osservare la scena da un migliore punto di vista.
   « Non vedevo l’ora di avere la lettera » confessò il bambino. « Ma ora mi sembra che sia arrivata… troppo presto » disse a vodce più bassa tornando a fissare la fonte del suo improvviso sconforto.
   Arthur sorrise, mettendogli una mano sulla spalla.
   Ricordava perfettamente il giorno in cui aveva ricevuto la propria lettera, l’eccitazione al pensiero di poter finalmente frequentare la famosa scuola, le canzonature di Bilius che continuava a ripetergli strani aneddoti sullo Smistamento per terrorizzarlo, l’orgoglio di mamma e papà… e quella irrazionale sensazione di aver perso qualcosa, la tristezza per aver chiuso il primo segmento della sua vita, per essere ormai “grande”. Avrebbe avuto la sua bacchetta, avrebbe avuto una divisa, avrebbe mangiato il cibo cucinato dagli elfi della scuola al posto dei grandi banchetti di mamma Weasley… avrebbe studiato le materie di un vero mago e avrebbe giocato a Quidditch in un campo vero invece che nell’orto delle zucche… e tutto questo era bello e triste al tempo stesso.
   « Non è affatto stupido. Ci siamo passati tutti » disse.
   « Davvero? ». Il tono era scettico, gli occhi ancora fissi sulla lettera.
   « Davvero. È la chiusura di un capitolo, e l’inizio di qualcosa di nuovo. Cambiare fa sempre paura ».
   Padre e figlio rimasero in silenzio per un po’, mentre le parole si facevano strada nel bambino.
   « Io non vedevo l’ora di andare a Hogwarts » ripeté Bill.
   Arthur annuì.
   « E quando ci sarai non vorrai più andartene. Ma ora è normale che tu abbia paura ». Fece una pausa. « E poi… non è nemmeno dicembre. Hai ancora dieci mesi di infanzia » aggiunse con un ghigno complice, cercando di alleggerire l’atmosfera.
   Bill lo guardò, stavolta sorridendo sul serio. Dopo un attimo di esitazione lo abbracciò.
   « Grazie, papà ». Una pausa. « Non dirlo alla mamma, però » aggiunse sciogliendo l’abbraccio con un’improvvisa espressione di orrore.
   « Ho le labbra cucite » promise Arthur.
   « E nemmeno agli altri… Charlie mi prenderebbe in giro per secoli! »
   Il padre rise.
   « Aspetta che abbia la lettera anche lui, e vedrai che attraverserà la stessa fase » gli fece notare saggiamente.
   Bill annuì, sorridendo ancora una volta.
   Il gufo tubò contento del ritrovato buonumore del suo nuovo padrone.
   
   Novembre volgeva al termine, e l’avvicinarsi di dicembre - e, con esso, del Natale - si sentiva ormai nell’aria: nella Londra babbana i negozi rimanevano aperti fino a tardi e le luci colorate nelle vetrine si riflettevano nelle automobili che affollavano le strade.
   Anche il mondo magico luccicava, le decorazioni luminose svolazzavano per Diagon Alley richiamando l’attenzione dei bambini e degli adulti che si affollavano tra i negozi addobbati per comprare i regali.
   Questo di giorno. All’ora in cui si Materializzò nella strada commerciale diretto al suo appuntamento con Aaron, Sirius si ritrovò a pensare che dopotutto Notturn Alley non appariva poi tanto diversa. Certo, c’erano meno colori, ma a quell’ora, coi negozi chiusi e bui, la differenza era minima. Ovviamente i vicoli erano tutta un’altra faccenda, pensò infilandosi nella stradina che divideva Magie Sinster dalla drogheria, desiderando ardentemente una di quelle lanterne luminose a forma di Babbo Natale che di giorno dispensavano fiocchi di neve di zucchero tra i bambini che riuscivano a toccarle.
   Sollevando il bavero del giubbino di pelle da motociclista che indossava - una di quelle “babbanate” che aveva deciso di concedersi insieme alla sua amata Harley, un po’ per far venire un colpo alla sua famiglia e un po’ perché, ammettilo Ramoso, anche i babbani sanno essere fighi - per proteggersi dal freddo, Sirius si preparò all’attesa, rimuginando nel frattempo su Aaron e le sue misteriose “informazioni”.
   
   All’ora convenuta, vide Aaron spuntare in fondo alla strada principale stretto nel suo mantello da mago. Fece per andargli incontro quando lo vide fermarsi guardando chiaramente nella sua direzione e facendogli segno di aspettare.
   Aggrottando le sopracciglia, Sirius fece come gli venne detto, rimanendo nell’ombra del vicolo, senza capire.
   Questa cosa diventa sempre meno chiara…
   Non dovette aspettare a lungo, comunque. Nemmeno cinque minuti più tardi, una seconda figura si staccò dall’ombra di Notturn Alley, e si fermò di fronte ad Aaron. Da dove si trovava, Sirius non riusciva a vederla in viso né poteva sentire cosa i due si stessero dicendo, ma sembrava che Aaron stesse aspettando il misterioso nuovo arrivato, per cui assunse che qualsiasi cosa il vecchio amico di Regulus volesse mostrargli dove avere a che fare con lui.
   Ma prima che potesse anche solo chiedersi cosa mai questo strano incontro avesse a che fare con lui - o con suo fratello, Sirius non capiva davvero cosìaveva voluto dire Aaron con quel “lo faccio per Regulus”… - ci fu un lampo di luce verde e Aaron collassò, gli occhi aperti, l’espressione serena. Non si aspettava nulla del genere.
   Senza rendersene conto, senza pensare al pericolo, Sirius gridò « Aaron! » sfoderando la bacchetta e correndo in strada.
   Il misterioso assassino trasalì, e senza voltarsi verso di lui iniziò a correre in direzione del buio dei vicoli. Sirius gli andò dietro, ancora sconvolto per ciò che era accaduto sotto i suoi occhi senza che lui potesse fare nulla, la bacchetta in pugno pronta a impedire all’uomo incappucciato di Smaterializzarsi.
   Bastò tuttavia perderlo di vista per un istante, quando l’assassino svoltò l’angolo, e Sirius non lo trovò più. Era certo che non si fosse Smaterializzato, avrebbe sentito il caratteristico pop, ma dov’era finito?




       E sono vivaaaa! >< A meno tre esami dalla laurea - e con il mostro di chimica fisica II che incombe su di me più minaccioso di Voldie con la Bacchetta di Sambuco di fronte a un Sanguesporco - sono finalmente tornata.
   Probabilmente dopo un’attesa simile vi aspettavate un capitolo più lungo… spero di non avervi delusi. Dopotutto il finale è… beh… *risatina sadica*
   Prossimo capitolo… non so quando sarà pronto, perché ancora non ho iniziato a scriverlo, ma spero tanto di riuscire a pubblicarlo entro fine mese. Dopotutto, nemmeno vado in vacanza, qualcosa dovrò pure fare… oltre a studiare =.=
   Buone vacanze ai lettori più fortunati di me! ^^
   
   

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


   Dai che sono stata brava, due capitoli in un mese! XD Grazie come sempre a chi ha letto il capitolo precedente, e in particolare a Serpentina, Butterfly90, EnglandLove98, Alohomora e Erodiade che hanno recensito. Vi adoro! < 3
   Noticina di inizio capitolo: avevo precedentemente detto che avrei usato solo ed unicamente i nomi italiani con l’eccezione del povero Longbottom, che ho voluto salvare dall’osceno “Paciock”. Bene, c’è un altro povero personaggio che necessitava del mio salvataggio: Horace Slughorn (in italiano “Lumacorno”… cioè, ma davvero, che bisogno c’era di tradurlo? È un cognome, porca Pluffa!)



   Capitolo 11



   Inviato il Patronus a Silente, Sirius riportò la sua attenzione su Aaron. Il ragazzo giaceva su un fianco, gli occhi aperti, la bocca appena dischiusa, l’espressione congelata in quell’ultimo momento di stupore alla vista della bacchetta nella mano del suo interlocutore. Era un’immagine strana, Aaron non sembrava davvero morto. Eppure lo era, e l’assenza di qualsiasi segno palese della cosa - sangue, ferite, arti piegati in modo innaturale - rendeva la scena disturbante. Aaron era morto. Così, improvvisamente. La Maledizione più terribile lo aveva colpito. Era morto.
   Davanti ai suoi occhi.
   E lui non aveva potuto fare niente, non era nemmeno riuscito a fermare l’assassino.
   « Maledizione! » gridò calciando una pietruzza che si trovò provvidenzialmente davanti ai piedi.
   Chi diavolo era quel tizio? Aaron non era apparso stupito di incontrarlo, e aveva fatto cenno a Sirius di rimanere nascosto in attesa. Cosa voleva che vedesse. Chi diavolo era quel tizio?
   Frustrato si appoggiò pesantemente con la schiena contro il muro dell’Emporio di Magia Nera, gli occhi fissi su Aaron.
   “Lo faccio per Reg”; “Lui… avrebbe voluto che te lo dicessi”; “C’è tanto che non sai di lui. Ma ho giurato”.
   Una parte di lui sentiva come di aver perso per la terza volta suo fratello.
   
   Corri. Scappa. Non fermarti. Più in fretta. Via. Fuggi. Più veloce…
   Era ormai in piena Londra babbana, lontano dalle fogne, a metà di un tunnel della metropolitana, quando si fermò a riprendere fiato, perdendo totalmente la concentrazione sulla propria trasformazione.
   Si ritrovò a quattro zampe sui binari della metro di Londra, ansimando, ricoperto di sudore, un sapore amaro in bocca e gli occhi spalancati di terrore.
   Si rialzò a fatica, barcollando, e subito il suo corpo si ribellò: un momento dopo era piegato in due, le mani sudate contro il muro di pietra, lo stomaco che si svuotava dolorosamente sul bordo del binario, lasciandolo tremante, la testa che girava.
   Aveva ucciso un uomo. Aveva preso una vita. Aveva superato la linea invalicabile oltre cui non esisteva più possibilità di redenzione.
   Sputò, tossì, vomitò ancora… e pian piano passò dall’ansimare al singhiozzare e da lì… a piangere.
   
   « Quindi era questo il famoso informatore » commentò Malocchio Moody considerando il cadavere davanti a lui. Gli Auror stavano completando i rilievi nella zona, mentre lui raccoglieva la deposizione di Sirius.
   « Già ». Il ragazzo fissava tristemente il corpo senza vita di Aaron, illuminato dagli incantesimi dei due Auror accovacciati accanto a lui.
   « Nessuna idea di chi fosse o come sia fuggito? ».
   « No ».
   Aaron venne sollevato e avvolto in un telo magico per il trasporto al Dipartimento.
   « Noi abbiamo finito qui, capo » disse uno dei due Auror, un uomo sulla quarantina, rivolto a Moody. Lui annuì.
   « Vi raggiungo subito ». Si voltò di nuovo verso Sirius. « Naturalmente sei passato di qui per caso » gli disse a bassa voce calcando le ultime due parole, significativo.
   Il ragazzo annuì, chiedendosi però cosa diavolo una persona normale potesse mai esserci venuto a fare Notturn Alley dopo l’orario di chiusura dei negozi.
   « Bene » salutò l’Auror prima di Smaterializzarsi coi suoi colleghi e il corpo di Aaron Goldstein.
   Sirius sospirò, i pugni stretti per la rabbia, e dopo qualche istante si Smaterializzò a sua volta diretto a Godric’s Hollow.
   L’aria leggera della cittadina era come un balsamo per la mente, dopo aver passato quasi un’ora nella soffocante oscurità di Notturn Alley, dopo ciò che era successo. Sirius percorse il vialetto davanti casa dei Potter e bussò alla porta. Prima che questa si aprisse, sentì chiaramente i passi incerti di Harry e la sua voce che esclamava speranzosa « On! On! ».
   Suo malgrado sorrise.
   « Sirius! Che sorpresa, come mai qui? » lo accolse Lily, il bambino in braccio con un’espressione decisamente delusa. « Entra, James è in salotto ».
   « Ciao, Lily. Ehi, Harry ». Il bambino non cambiò minimamente espressione. « Credevo di piacergli » commentò il ragazzo con un mezzo sorriso perplesso.
   « Non farci caso, ha stretto amicizia col figlio piccolo di Molly e Arthur e hanno giocato insieme fino a poco fa, per cui probabilmente si aspettava fosse tornato » spiegò Lily chiudendo la porta. « Avresti dovuto vederli, tutti e due, quando Arthur ha detto che dovevano tornare a casa… Se fosse per loro probabilmente giocherebbero insieme ventiquattr’ore al giorno » sorrise, chiaramente contenta che il suo bambino avesse trovato il suo primo amichetto.
   « Felpato! Che ci fai qui? » fu l’accoglienza di James, spuntando dal salotto richiamato dalle voci.
   « Ehi » rispose Sirius, e a Lily bastò un’occhiata ai due per capire di doversi ritirare.
   « Vi lascio alle vostre chiacchiere, è ora del bagnetto per Harry » disse prima di salire le scale.
   « Che succede? » chiese diretto James, facendo strada per la cucina. Aprì il frigo e ne tirò fuori una fetta di torta, che offrì al suo amico. « Il maggiore dei figli di Arthur ieri ha compiuto undici anni, e lui ci ha portato un po’ di torta » spiegò.
   « Avevo appuntamento con Aaron » rispose Sirius accettando un pezzo di torta.
   « Oh, bene. E com’è andata? ».
   Sirius non rispose subito.
   « Aaron è morto » disse di getto dopo l’iniziale esitazione. L’amarezza per non aver potuto fare nulla mentre un uomo moriva davanti ai suoi occhi sommava alla frustrazione per non essere riuscito nemmeno a fermare il tipo che l’aveva ucciso. E senso di colpa, perché se non fosse stato per lui, forse, Aaron non si sarebbe mai trovato lì.
   James lo fissò per un momento in silenzio prima che le parole si facessero strada in lui.
   « Cos’è successo? » chiese poi piano, lasciando perdere la torta e sedendosi di fronte all’amico al tavolo della cucina.
   « Non lo so. È arrivato e si è fermato in mezzo alla strada, e mi ha fatto segno di restare nascosto. Poi è arrivato questo tizio, e hanno iniziato a parlare, e poi… c’è stato un lampo di luce verde, e un secondo dopo Aaron era a terra, e io ho cercato di inseguire quel verme. Ma l’ho perso » raccontò, le parole che inciampavano l’una sull’altra nella fretta di essere pronunciate.
   « Smaterializzato? » suppose James.
   « No. Niente “pop” » rispose Sirius scuotendo mestamente la testa.
   « Niente “pop”? » ripeté incredulo James, le sopracciglia che si sollevavano verso i capelli disordinati. Sirius non si preoccupò di confermare. Staccò un pezzetto di torta con la forchettina, ma non fece alcun movimento per portarselo alla bocca. « Disillusione? » fu la successiva idea di James.
   « Nemmeno, ho provato a rilevare eventuali incantesimi di occultamento, e ho visto anche gli Auror fare lo stesso quando sono arrivati, e non ce n’erano tracce da nessuna parte ».
   « Beh, non può essere evaporato ».
   « Immagino di no ».
   Cadde il silenzio tra i due. Godric fece il suo ingresso in cucina e miagolò pigramente una specie di saluto andando ad accucciarsi sotto il tavolo.
   « Non hai scoperto niente su tuo fratello? » chiese James lentamente.
   Sirius scosse la testa.
   « Quello che non capisco è cosa voleva che vedessi. Avrei forse dovuto capire qualcosa dal suo incontro con quel tipo? Forse voleva… non so, presentarmelo? ».
   James non rispose. Non sapeva cosa dire, si stava ponendo le stesse domande, e cercava disperatamente un modo per confortare l’amico.
   « Dovresti parlarne con Silente. Magari lui ha qualche idea ».
   L’amico sospirò.
   « Probabile. Lui ha sempre qualche idea » aggiunse con un mezzo sorriso che però non raggiunse gli occhi mesti.
   
   Il primo giorno di dicembre, un posto vuoto spiccava al tavolo degli insegnanti, tra la vicepreside Minerva McGranitt e il professore di Pozioni, Horace Slughorn: il preside Albus Silente aveva lasciato la scuola di buon’ora per incontrarsi con un giovane membro dell’Ordine della Fenice.
   Perfettamente in orario come sua abitudine, Remus Lupin si Materializzò nella radura, di fronte al suo vecchio preside. Aveva con sé il mantello, una borsa rattoppata e la sua bacchetta.
   « Remus » lo salutò Silente col suo solito sorriso gentile.
   Il ragazzo rispose con un cenno del capo. Silente lo squadrò per un lungo momento.
   « Sei pronto? ».
   Remus annuì, deciso. Era pronto. Aveva organizzato questa missione con Silente fin da quando era saltato il suo incontro con Greyback, meno di un mese prima, aveva pianificato ogni mossa, ogni dettaglio. Conosceva i rischi ed era pronto ad affrontarli. Sapeva di poter portare a termine la missione, sapeva di essere in grado… sapeva che se lui non l’avesse fatto, nessuno avrebbe potuto, e la loro fazione avrebbe perso un importante vantaggio.
   « Sei ancora in tempo per tirarti indietro » disse Silente piano.
   « No. Sono pronto ».
   L’anziano preside lo squadrò ancora per qualche momento prima di distogliere lo sguardo per concentrarsi sulle pieghe della veste, da cui estrasse un piccolo involto di carta marrone tenuto insieme da dello spago.
   « Sai come funziona » gli disse porgendoglielo.
   Di nuovo Remus annuì.
   « Ci vediamo tra una settimana » disse Silente. Fece per voltarsi per andar via, ma poi ci ripensò. « Stai attento » aggiunse fissando il giovane davanti a lui coi suoi penetranti occhi azzurri.
   Remus rispose con un sorriso tirato.
   « Lo farò » mormorò prima di fare una mezza giravolta su se stesso per Smaterializzarsi.
   
   Rintracciare il branco di Greyback non era stato affatto difficile. Dopo essersi diviso dal gruppo in attesa sulle colline, Remus aveva tenuto d’occhio i giornali in cerca di sinistre morti o… beh, peggio, ed era stato piuttosto facile seguire la scia di sangue lasciata da Greyback e i suoi. Fortunatamente c’era stata luna piena una sola volta, per cui il licantropo non aveva avuto la possibilità di darsi alla sua attività preferita: trasformare bambini innocenti.
   Come ha fatto con me.
   Remus scosse la testa per allontanare quel pensiero. Non portava mai a nulla di buono, quando ci si perdeva, e ora aveva una missione importante da portare a termine.
   Alzò lo sguardo verso il cielo mattutino. Aveva due giorni per unirsi nuovamente al branco, e poi… doveva sperare che tre anni di scorribande sotto la luna piena coi Malandrini gli avessero insegnato l’autocontrollo necessario. La sua mano cercò nervosamente in tasca il pacchettino datogli da Silente, come un’ancora di salvezza.
   Devo farcela. Devo.
    E con un’espressione risoluta si incamminò verso la collina dove, secondo i suoi calcoli, Greyback si doveva essere accampato col suo branco.




   Eeeeh. Capitolo breve, lo so. Ma ho aggiornato prima del solito, quindi diciamo che mi perdonate, ok? XD E comunque è tutta colpa di Remus, che non è docile come Peter. Davvero, prima o poi devo scrivere una fanfiction solo su Codaliscia, mi riesce orrendamente piacevole scrivere di lui!
    Parlando di Peter, sì, è stato lui. Non era mia intenzione rendere la morte di Aaron uno dei “grandi misteri” della storia, per cui ho pensato di rendere subito chiaro chi fosse il colpevole. È il grande passo di Peter verso il Lato Oscuro, quello che nel canon è rappresentato dal tradimento dei Potter, che qui non avviene. Ora è davvero al di là del salvataggio. Forse. Maledetto ratto, io ti odiavo ed ero in pace con me stessa, una volta, cosa mi hai fatto? ><
   Avverto fin da ora che non so quando riuscirò a pubblicare il prossimo capitolo: la sessione autunnale incombe su di me, e devo anche iniziare i tirocini (finalmente, mi viene da dire). Inoltre il mio già poco tempo libero si deve giostrare tra una montagna di disegni che rimando da troppo tempo e l’account di traduzione che ho creato qui su efp (e tanto per non fare spam, se come me adorate il dimenticato telefilm Dark Angel fate un salto su shywr1ter, non ve ne pentirete!). E già che ci sono, se volete farvi due risate, vi consiglio di fare un giro sull’account di Serpentina, la mia beta-sister.
   E no, non è spam. Sono… suggerimenti per i lettori XD
   

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


   Non state sognando: è un nuovo capitolo! Sì, lo so, sono sparita nel nulla. E vi chiedo scusa, ma con un po’ di fortuna dovrei laurearmi a marzo, e ho dovuto fare i due tirocini obbligatori e dare fisicaII… e mi mancano ancora due maledettissimi esami >< Per non parlare della tesi, che però è l’unica cosa positiva al momento… anche se passo tutta la giornata in laboratorio e quando torno a casa a stento riesco a studiare “il mostro” (alias quantomeccanica… perché ho l’impressione di fare più esami di fisica che della mia materia? -.-). Però sul retro del mio quaderno di laboratorio ci sono pezzi di capitoli e idee varie per la fic XD Spero che il mio tutor non si faccia venire in mente di aprire il quaderno al contrario…
   Ok, basta perdere tempo, capitolo nuovo finalmente!
   
   Ringrazio infinitamente Serpentina, Alohomora, Erodiade, Butterfly90, meissa_s e do il benvenuto alla mia nuova fan (oh, come fa figo dirlo! XD) Lilian Flumer! Grazie mille, spero di non avervi fatte scappare con la mia lunga assenza :)
   



Capitolo 12



   Il branco di Greyback era costituito da dodici membri. Era probabilmente il branco di licantropi più numeroso d’Inghilterra, dato che solitamente quelli come lui cercavano di nascondere la loro condizione, proprio come lui. Mantenere un profilo basso era il modo migliore per cercare di avere una vita normale - e anche così, la normalità era un sogno ben lontano dall’essere realizzabile. Le dodici persone che componevano il branco di Greyback, però, non avevano intenzione di nascondersi, di tentare di avere una vita normale. Erano persone stanche di nascondersi, che avevano trovato in Greyback la risposta ai loro desideri di lasciarsi andare, essere se stessi. Smettere di fingere. Dopotutto, tutti loro avevano cercato a lungo di vivere come gli altri, di avere una casa, un lavoro, una famiglia, degli amici. E - Remus lo sapeva - avevano fallito. Non per colpa loro, o forse qualche volta sì, chissà… ma no, Remus lo sapeva, perché era successo anche a lui - trovare lavoro era quasi impossibile per quelli come loro, come lo era affittare una casa, o anche solo avere degli amici.
   Remus lo sapeva, perché i Malandrini erano l’unica ragione per cui la sua vita non era disperata come la loro, ma quanti erano come James, Sirius e Peter? Quanti erano disposti a vedere l’uomo dietro la bestia? Remus aveva visto gli occhi dei pochi che durante la sua infanzia avevano scoperto il suo segreto, aveva visto il terrore, aveva visto il disgusto. In qualcuno anche la pietà. Ma mai prima di Hogwarts aveva visto l’amicizia. E mai al di là dei Malandrini e di Silente - che per primo aveva cercato di vedere oltre i pregiudizi, che gli aveva dato una possibilità dove chiunque altro avrebbe voltato le spalle - aveva visto la comprensione. Ripensò alla casa che aveva dovuto lasciare perché non aveva i soldi per continuare a pagarne l’affitto, al lavoro che era riuscito a mantenere per tre mesi - un record - prima che il padrone del locale facesse due conti e collegasse le sue misteriose malattie alla luna piena. Prima che lo licenziasse senza nemmeno un sorriso, quando fino al giorno prima era sempre stato tanto gentile. Chissà se aveva parlato a qualcuno della sua condizione. La ragazza che serviva ai tavoli gli aveva spesso sorriso, secondo Sirius aveva una cotta per lui - aveva chiesto spiegazioni, magari? E come aveva reagito se le aveva ottenute? Remus rise senza allegria tra sé. Una ragazza lui non avrebbe mai potuto averla, c’era poco da fantasticare al riguardo. La ragazza del locale, la Corvonero che gli faceva gli occhi dolci al quarto anno, la bambina babbana coi capelli ricci che abitava nella casa accanto a quella dove lui aveva trascorso l’infanzia non lo avrebbero mai nemmeno guardato, se avessero saputo la verità, e sarebbero certamente fuggite da lui.
   Specialmente se avessero saputo in cosa consisteva la sua nuova missione.
   Fortuna che a saperlo erano solo lui e Silente. L’anziano preside era stato categorico: non doveva fare parola con nessuno di ciò che avrebbe fatto, e lui aveva ubbidito, nemmeno i Malandrini sapevano nulla. Probabilmente avevano immaginato una delle solite missioni da infiltrato. Beh, infiltrato lo era. Solo che stavolta non si sarebbe limitato a parlare con gli altri licantropi, a raccogliere informazioni.
   E tutto nel branco di Greyback.
   Raggiunse la collina, e trovò i dodici del branco ancora addormentati. Benché in forma umana, erano tutti accucciati come dei lupi.
   « Ehi » lo salutò una voce animata che trasudava sicurezza. Era un tono diverso da quello che ricordava, ma dopotutto la prima volta che lo aveva incontrato non aveva una voce umana.
   Remus fece un respiro profondo e indossò la sua migliore espressione da missione prima di voltarsi.
   Greyback aveva un ghigno spavaldo sul volto. Gli bastò guardare Remus per un secondo per capire che era uno di loro.
   « Benvenuto » gli disse diretto, poi distolse lo sguardo e andò a svegliare con un calcio uno dei suoi.
   Mancavano cinque giorni alla luna piena, e la missione di Remus era ufficialmente iniziata.
   
   Non era riuscito a dormire. La faccia di Aaron Goldstein lo aveva tormentato ogni volta che era riuscito a chiudere occhio, facendolo sobbalzare e quasi cadere dal letto inzuppato di sudore. Non che da sveglio fosse diverso: continuava a rivivere quel momento, il momento in cui aveva per la prima volta preso una vita. La luce verde che si sprigionava dalla sua bacchetta gli lampeggiava davanti agli occhi, mentre nelle orecchie risentiva la propria voce pronunciare la Maledizione, in una tortura infinita.
   Aveva accolto il suono della sveglia con sollievo, rotolando giù dal letto perfettamente sveglio come non gli era mai capitato. Aveva vomitato di nuovo, certo - il suo stomaco semplicemente non ce la faceva a reggere la tensione, la paura, l’angoscia, il senso di colpa - ma almeno ora era giorno, sarebbe potuto uscire, respirare l’aria fresca di inizio dicembre, fare la sua ronda per Diagon Alley con Caradoc e dimenticare…
   « Dimenticare? Hai ucciso un uomo, cazzo! » urlò a se stesso tirando un pugno contro il muro. La reazione era così poco da lui che si spaventò da solo, e il dolore che gli provocò il pugno contro la parete lo lasciò senza fiato per un istante, prima di scivolare a terra piangendo - una reazione molto più da lui, questa, pensò con disgusto.
   Che diavolo ci ha visto quel maledetto Cappello in me per mandarmi a Grifondoro?
   Non era la prima volta che se lo chiedeva, ma ancora non sembrava riuscire a trovare una risposta. Probabilmente nemmeno la millenaria saggezza del Cappello Parlante era riuscita capire veramente cosa fare di lui - una Casa per ragazzini che hanno il terrore di crescere, e non sanno compiere scelte, e si lasciano trasportare dalle cose e dalle persone perché è più facile non esisteva, e a quel punto una Casa valeva l’altra. Di certo non aveva l’indole altruista di un Tassorosso, né l’intelligenza di un Corvonero, né l’ambizione di un Serpeverde… né il coraggio di un Grifondoro. E se ogni Casa era come una beffa a ciò che lui era veramente, perché non mandarlo a Grifondoro?
   Ma alla fine ci aveva creduto, Peter. Per sette anni aveva creduto di aver trovato la sua strada. I Malandrini erano tutto ciò che un ragazzino insicuro poteva desiderare, erano una possibilità. Ma finita la scuola era caduto tutto. La guerra gli aveva tolto la speranza. Combatteva una battaglia che lo spaventava, per amicizia. Per… codardia? Non aveva saputo dire di no ai suoi amici quando avevano proposto di unirsi all’Ordine. Aveva avuto paura di perderli, di perdere tutto. Li aveva seguiti senza opporsi, come aveva seguito Malfoy senza perdere tempo a tergiversare, a supplicare, a cercare di combattere.
   E se non aveva aperto bocca di fronte ai suoi amici o a Lucius Malfoy, come avrebbe potuto farlo quando Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato gli aveva affidato l’incarico di persona?
   Si fissò le mani, la destra dolorante per il pugno al muro. Tremavano. E benché apparentemente pulite, Peter vedeva il sangue di Aaron Goldstein che le macchiava, indelebile.
   
   Remus seguì il branco giù per la collina, verso il lago. Questi uomini e donne avevano rinunciato al loro lato umano, disprezzati ed allontanati come mostri dalla gente comune, dalla cosiddetta società civile che era terrorizzata da loro al punto da rifiutarsi di dare loro anche la più piccola delle possibilità. Mentre osservava i suoi simili camminare curvi e lanciarsi di corsa verso gli animali che facevano la loro comparsa tra gli alberi - pronti a squartarli come lupi sulle loro prede e non come uomini a caccia di cibo - Remus si ritrovò a pensare ancora una volta a quanto fosse stato fortunato che Silente gli avesse dato la possibilità di frequentare Hogwarts. Senza di lui, la sua vita sarebbe stata simile a ciò che vedeva ora davanti a lui. Ricordandosi d’un tratto che la sua missione prevedeva di vivere quella vita, Remus si lanciò a sua volta contro una lepre che timidamente fece capolino da un cespuglio. Non voleva uccidere senza motivo e, nonostante non avesse mangiato la sera prima, la scena sanguinosa che si svolgeva di fronte ai suoi occhi gli aveva tolto tutta la fame. Rotolò tra gli alberi con la povera lepre, e quando fu fuori dal campo visivo di Greyback la lasciò andare con uno sguardo di scuse - un po’ patetico scusasi con una lepre, pensò poi, prima di evocare un incantesimo non verbale per far apparire macchie di sangue sui suoi vestiti e sulle guance. Riapparve da dietro il cespuglio dipingendosi sul volto un’espressione appagata e pulendosi alla meglio il sangue che aveva in faccia con la manica. Attese che i suoi compagni fossero a loro volta soddisfatti e sufficientemente sfamati, e tutti insieme seguirono Greyback tra gli alberi, diretti… chissà dove.
   Nessuno parlava, tutti si trascinavano, le spalle curve, le palpebre pesanti, gli occhi cerchiati di rosso sopra le occhiaie scure e profonde, i volti scavati.
   Rispetto a loro sembri quasi in perfetta forma disse nella sua testa la voce allegra di Sirius. Remus si costrinse a non sorridere, mentre si adattava all’andatura degli altri.
   
   Era ormai mattina inoltrata quando Sirius annunciò che sarebbe andato da Silente. Aveva trascorso buona parte della nottata a scambiare opinioni sull’accaduto con James e la mattina a far giocare Harry - riguadagnandosi tra l’altro i suoi favori. Salutò i suoi amici e si incamminò per la strada che usciva da Godric’s Hollow per Smaterializzarsi lontano da occhi babbani.
   Troppo concentrato sui propri pensieri, non si accorse che, benché non babbani, degli occhi lo avevano visto lasciare casa Potter.
   
   Dall’altra parte della cittadina, intanto, due maghi adulti e una bambina si Materializzarono Congiuntamente. La bambina reggeva una scatola ricoperta di elegante carta da regalo e sormontata da un vaporoso fiocco che aveva insistito per fare lei stessa.
   I tre, confondendosi tra i babbani che affollavano ora il paese, si fecero strada verso una delle villette lungo la strada. Giunti di fronte alla porta, la donna bussò, mentre la bambina sorrideva e saltellava sul posto incapace di contenere l’eccitazione.
   Molly Weasley aprì la porta coi gemelli che la seguivano attaccati ai lati della gonna.
   « Andromeda, Ted! E la piccola Dora! Ciao, tesoro, come stai? » salutò spostandosi di lato per fare loro spazio. « Che bella sorpresa! ».
   « Abbiamo saputo che è stato il compleanno del vostro ometto, e Dora ha insistito per venire a fargli gli auguri di persona » rispose Ted mentre Molly gli prendeva il cappotto di taglio babbano per appenderlo all’attaccapanni dietro la porta.
   « Le lettere sono per le persone che non si possono raggiungere di persona » spiegò la bambina con un largo sorriso. « Ma non c’era motivo per cui non venissimo, no? »
   I tre adulti si scambiarono occhiate divertite, mentre i due gemelli sembravano improvvisamente catturati dal pacchetto che portava la loro amichetta.
   « Dov’è Bill? » chiese lei rivolta alla signora Weasley cercando di tenere la scatola lontana dalle mani tese di George, mentre Fred le tirava il vestitino per costringerla ad abbassare le braccia.
   « Bambini, lasciare stare Dora! Bill è di sopra nella sua stanza, tesoro: seconda porta a destra » rispose Molly facendo strada in salotto seguita dai signori Tonks.
   Dora ringraziò e corse su per le scale, lasciando i gemelli a scambiarsi sguardi delusi: il pacchetto aveva un’aria molto interessante.
   Con tutta la sicurezza di una bambina di otto anni che portava il regalo di compleanno perfetto, Dora bussò alla porta che le era stata indicata e quando la voce di Bill la invitò ad entrare si aprì in un sorriso carico di aspettativa. Spinse la porta, sorriso ben chiaro sul volto, regalo perfetto in una mano e l’altra alzata in un saluto.
   « Sorpresa! » annunciò. « Scusa per il ritardo. Buon compleanno! » disse avanzando sicura e porgendo il pacchetto a Bill.
   « Dora! Oh… wow! Che fai qui? E… questo è per me? »
   William Arthur Weasley non era un bambino timido. Non lo era mai stato e anzi adorava prendere in giro Charlie quando davanti a Lizzie, la figlia del droghiere di Ottery St. Catchpole, iniziava a balbettare e arrossire. Ma trovarsi Nymphadora nella sua stanza, regalo in mano e auguri di buon compleanno sulle labbra - e un graziosissimo vestitino di lana verde abbinato a delle calze bianche e delle scarpette coordinate all’abito, con i capelli raccolti in una coda alta fermata da un fiocco dello stesso verde… ma Bill non la stava guardando così attentamente, no - lo aveva… sorpreso, ecco. Era solo sorpreso di trovarsela di fronte.
   « È il tuo regalo di compleanno » rispose Dora senza scomporsi, le braccia ancora tese aspettando che Bill prendesse la scatola.
    « Oh… grazie » riuscì a dire lui accettando finalmente il dono. Posò la scatola sul letto, e la bambina gli si avvicinò per giudicare la sua reazione mentre la apriva.
   Bill sciolse il grosso fiocco e scoprì lentamente…
   « È un libro di incantesimi! » esclamò il bambino, ora con gli occhi spalancati e luccicanti.
   « Ora avrai la tua prima bacchetta e potrai finalmente fare magie vere! » disse Dora annuendo vigorosamente.
   « Wow, è… wow! Dora, grazie! »
   « Ti piace? ». La bambina era improvvisamente insicura.
   « Se mi piace? Dora, è… è il mio primo libro di incantesimi! Non vedo l’ora di avere una bacchetta, voglio provarne subito qualcuno! »
   Rincuorata, Dora riacquistò subito la sua sicurezza e nello slancio del momento si alzò sulle punte dei piedi e posò un bacio veloce e un po’ impacciato sulla guancia di Bill, prima di ritrarsi imbarazzata e rossa - rossa sul serio, proprio color pomodoro - fino ai capelli.
   « Non possiamo rimanere a lungo, papà ha preso solo un giorno di permesso perché doveva fare dei servizi e ci tiene a portare me e la mamma a pranzo in un ristorante babbano. Buon compleanno, Bill! » disse quasi tutto d’un fiato prima di correre fuori dalla stanza e giù per le scale, lasciando il maggiore dei Weasley imbambolato accanto al letto, il libro ancora in mano, e gli occhi spalancati per l’incredulità.
   Ma a riscuoterlo non fu il suo cervello che finalmente trovava la strada per il suo corpo, bensì la porta d’ingresso che si apriva con un tonfo seguito dallo strozzato grido di aiuto di James Potter.




   Ho smesso di credere di poter promettere una data di aggiornamento, quindi non lo farò. Spero di riuscire ad aggiornare più velocemente, comunque, perché quattro mesi mi sembrano decisamente troppi… abbiate un po’ di pazienza, devo laurearmi, porco Minus! ><
   Buone vacanze e felice Anno Nuovo! :)


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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


   Qualcuno non vuole che io mi laurei. La burocrazia, il mio relatore… la sfiga. Domani dovrei consegnare la firma del mio prof (prof disperso, tra l’altro -.-) in segreteria, e il 18 o 19 mi dovrei laureare. Domani si gioca tutto: se non trovo il prof (o la prof) per la firma metto a fuoco il dipartimento, e vediamo se qualcuno si decide a fare il lavoro per cui viene pagato!
   In tutto ciò, invece che dopo quattro mesi ho aggiornato dopo sei. Qualcuno vuole scommettere per il prossimo capitolo? No, perché di questo passo potrei aggiornare dopo il mio matrimonio - e no, il mio ragazzo immaginario ancora non si è proposto. Riku, ti decidi? XD
   Spero ci sia ancora qualcuno lì… intanto voglio ringraziare sinceramente Serpentina, Lilian Flumer, Butterfly90, meissa_s e lunadistruggi per le loro bellissime recensioni, e la mia nuova lettrice, ArmoniaDiVento. Spero di non averti fatta già fuggire, con questo ritardo!
   



Capitolo 13



   James Potter non era un tipo facile al panico. In tutta la sua vita poteva contare sulle dita di una mano le situazioni in cui, terrorizzato, era corso con le lacrime lungo il viso e gli occhi spalancati per la disperazione, ma nessuna delle precedenti situazioni di panico era mai stata così…
   Harry piangeva tra le sue braccia, stringendo tra i pugnetti chiusi la camicia del suo papà, e James avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo tranquillizzare… ma chi avrebbe tranquillizzato lui?
   Corse, incurante dei babbani che lo fissavano, verso la casa dei Weasley, e mai il breve tragitto gli era sembrato così… eterno. La porta gli si aprì davanti finendo a sbattere contro il muro senza che lui nemmeno prendesse la bacchetta e, tra le lacrime che gli annebbiavano gli occhi, invocò disperato l’aiuto dei quattro maghi che lo fissavano sconcertati.
   « James, cosa… » fece Arthur, ma lui non gli diede il tempo di terminare la domanda.
   « Lily! Hanno preso Lily! ».
   Ci volle un minuto buono prima che le facce che lo accolsero passassero da confuse a inorridite.
   Molly si avvicinò per prendergli Harry dalle braccia e calmarlo, mentre Arthur guidò il ragazzo al divano e Appellò un bicchiere d’acqua dalla cucina.
   « James, cosa è successo? » gli chiese cercando di apparire calmo.
   Il giovane alzò gli occhi su di lui, la disperazione nello sguardo.
   « Hanno preso Lily » ripeté in un sussurro.
   « Chi, James? » incalzò gentilmente Arthur.
   Andromeda spinse delicatamente Dora verso le scale, dove Bill si era fermato richiamato dal trambusto.
   « Mamma… » provò a protestare la bambina, ma la donna non la ascoltò: non voleva che sua figlia ascoltasse quello che aveva tutta l’aria di un discorso da adulti. Bill prese Dora per mano e la guidò di nuovo di sopra.
   « Due Mangiamorte, credo » stava dicendo intanto James. « Non lo so, non li ho visti bene… Sono arrivati improvvisamente, dopo che Sirius se n’è andato… hanno fatto saltare la porta di casa e hanno lanciato Schiantesimi ».
   Arthur e i Tonks si scambiarono occhiate inorridite. « Ero il più vicino a Harry e mi sono precipitato da lui… Ma loro miravano a Lily » concluse con un filo di voce. « L’hanno Schiantata e… sono spariti con lei ».
   « Dobbiamo chiamare gli Auror » disse Ted dopo un momento.
   James lo guardò, confuso. Sembrava sotto shock. Andromeda se ne accorse e prese la bacchetta per formulare l’incantesimo di emergenza. Pochi minuti dopo, due Auror si Materializzarono nel salotto di casa Weasley.
   
   Durante il Medioevo, per sfuggire alle persecuzioni e ai roghi, il Ministero della Magia era stato costretto ad emanare lo Statuto di Segretezza, e i maghi si erano dovuti adattare a vivere tra i babbani nascondendo la propria vera natura.
   Le famiglie più potenti e orgogliose, però, non vollero vivere in mezzo ai loro persecutori, inferiori eppure temuti persino dal Ministero, e si ritirarono in luoghi remoti, dove edificarono le loro dimore con la magnificenza che meritavano.
   Il maniero dei Lestrange era nato in quel periodo. Imponente, maestoso come la famiglia che lo aveva eretto meritava, era una testimonianza del potere dei maghi: nato dal nulla in una notte, protetto da innumerevoli incantesimi, generazioni di Lestrange vi erano nati e morti, e le antiche mura della villa avevano assistito per secoli all’odio della potente famiglia contro gli esseri inferiori che avevano costretto i maghi all’esilio.
   Rodolphus Lestrange era il legittimo erede della maestosa linea di sangue che aveva innalzato quelle mura, e come i suoi antenati aveva proseguito la sanguinosa tradizione fin da bambino, fin da prima di conoscere l’erede di Salazar e seguirlo ciecamente, fin da prima di conoscere la donna che lo avrebbe degnamente affiancato.
   Era con quella donna che stava ora proseguendo quella stessa tradizione. Ed era contro un’altra donna - un essere inferiore, figlia della feccia, ma elevata da un Ministero sempre più debole e patetico a loro pari… Loro pari! Mai una figlia del fango avrebbe potuto essere loro pari - che lo stava facendo.
   Lily Potter era sospesa a mezz’aria elle segrete del maniero, sorretta dagli incantesimi della bacchetta di Bellatrix. Rodolphus le camminava lentamente intorno, come un lupo pronto a balzare sulla sua preda, la bacchetta nella mano, lo sguardo spietato sopra il sorriso crudele.
   Bellatrix sorrideva in modo anche più pericoloso - pazzo. Di fronte a lei c’era non solo una Sanguesporco, ma la vittima prescelta per la loro vendetta contro il Mezzosangue che aveva osato credersi migliore di loro, che aveva osato sorridere compiaciuto mentre il Signore Oscuro cantava le sue lodi nella casa di un Purosangue. Era compito loro, dei più fedeli seguaci del Lord, rimettere l’essere inferiore al suo posto. E quale modo migliore di farlo che usare proprio una Sanguesporco?
   Patetico Mezzosangue. Il sangue impuro di suo padre lo aveva spinto ad innamorarsi di una figlia del fango. Ma questo lui lo nascondeva. Sapeva che non c’era posto per chi avesse sporcato la stirpe magica tra le loro fila. Peccato che i Lestrange lo sapessero.
   Rodolphus levò la bacchetta, risvegliando la ragazza con un incantesimo non verbale. Lily aprì gli occhi e batté le palpebre più volte, guardandosi intorno per cercare di capire dove si trovasse. Era sospesa a un metro da terra in una stanza dalle mura di pietra, senza finestre. Voltando la testa incontrò gli occhi dei suoi carcerieri e un brivido le percorse la schiena, mentre domande le si affollavano nella mente.
   Dov’era Harry? E James? Erano al sicuro? Com’era arrivata qui?
   L’ultima cosa che ricordava era di aver salutato Sirius… poi più nulla. L’avevano rapita? Cos’era successo a Harry e James? Il panico iniziò ad impossessarsi di lei, mentre cercava di liberarsi, ma era come se catene invisibili le stringessero le braccia lungo i fianchi, le caviglie insieme.
   Bellatrix rise, una risata sottile, sadica.
   Rodolphus sollevò nuovamente la bacchetta.
   L’urlo di Lily riecheggiò nei sotterranei della villa.
   
   Gli Auror si erano messi subito al lavoro per ritrovare la giovane scomparsa: due di loro si erano Smaterializzati da casa Weasley per iniziare i rilievi magici a casa Potter, mentre il terzo aveva continuato a fare domande a James cercando di ricostruire i fatti. In breve era sparito anche lui, e le ricerche erano iniziate.
   Fino a qualche mese prima, nessuno avrebbe proposto di chiamare gli Auror per qualcosa in cui c’entrassero i Mangiamorte: contro i seguaci di Voldemort, gli Auror potevano poco. Era il motivo principale per cui Silente aveva fondato l’Ordine della Fenice, il motivo per cui il preside riceveva tonnellate di lettere che non c’entravano nulla con il suo ruolo nella scuola.
   … ma questo era prima di Crouch. Prima della legge che autorizzava gli Auror a prendere tutte le misure che ritenevano necessaria - tutte.
   James si alzò dal divano, incapace di restare fermo, e prese Harry, che ancora piangeva, dalle braccia braccia. Il piccolo tese subito le manine verso il suo papà, che lo cullò mormorandogli frasi vuote per calmarlo.
   Era sbagliato che una parte di lui fosse contento che Crouch avesse approvato quella legge? Due Mangiamorte avevano preso la sua Lily. Harry piangeva e non sembrava in grado di calmarsi nonostante i suoi sforzi. E lui… era distrutto al pensiero di quello che potevano farle mentre loro aspettavano. Era sbagliato che fosse contento all’idea che avrebbero pagato nel peggiore dei modi?
   Sì che lo era. Era sbagliato, perché lui faceva parte dell’Ordine della Fenice, e i membri dell’Ordine non cercavano quel tipo di giustizia.
   Era sbagliato.
   Ma non gliene importava. In quel momento era un marito e un padre, ed era un ragazzo di ventun’anni che combatteva contro i Mangiamorte da quando ne aveva diciassette. Era un essere umano che aveva visto le atrocità che quei… quei mostri compivano contro quelli che percepivano come esseri inferiori. E benché a lui non importasse, perché lui amava Lily e ogni cosa di lei, sapeva che essendo una Nata Babbana rischiava lo stesso destino: solo due mesi prima avevano dovuto seppellire un’intera famiglia Purosangue. Cosa avrebbero fatto i Mangiamorte a quella che chiamavano Sanguesporco?
   Strinse più forte il bambino contro il petto, continuando a ripetergli che sarebbe andato tutto bene, che la mamma sarebbe tornata a casa sana e salva, che… Non sapeva nemmeno cosa gli stesse dicendo di preciso. Le parole non avevano senso alle sue stesse orecchie.
   Ma non poteva dirgli quello che temeva. E non poteva dirgli quello che sperava, perché non avrebbe mai ammesso di stare immaginando i due Mangiamorte che nemmeno aveva visto in volto soffrire. Non sapeva nemmeno cosa stesse accadendo a Lily, ma la paura era tale che la sua mente ricreava immagini atroci, immagini che cercava poi di rivolgere verso gli aguzzini senza volto.
   I Weasley e i Tonks sedevano sul divano e le poltrone osservandolo senza parlare. Molly aveva le lacrime agli occhi, ma le stava trattenendo. Arthur teneva i pugni chiusi, e si scambiava occhiate con Ted: volevano fare qualcosa. Ma non sapevano cosa. Andromeda cercava di scacciare l’immotivato senso di colpa che l’aveva pervasa non appena James aveva pronunciato la parola “Mangiamorte”.
   In cima alle scale, seduti al riparo dagli occhi dei propri genitori ma abbastanza vicini da aver sentito tutto, Bill e Dora si tenevano la mano, gli occhi lucidi.
   
   A chilometri di distanza da Godric’s Hollow, ignaro di quanto accaduto, Remus proseguiva la sua missione.
   Il branco si trascinava dietro il proprio leader senza fiatare. Ogni tanto qualcuno di loro si azzardava a sollevare lo sguardo sui propri compagni, ma il sospetto vinceva sempre, e nessuno di loro aveva intenzione di essere il primo a parlare, il primo a tendere la mano. Il primo a rischiare.
   Erano cresciuti così. Consapevoli di essere reietti della società, di non poter stringere legami veri con nessuno. Molti di loro erano stati abbandonati dalle proprie famiglie dopo il morso che li aveva condannati, altri erano stati costretti ad allontanarsi per la paura di fare del male ai loro cari. Erano soli, lo erano sempre stati.
   Era così che Greyback era riuscito a radunarli. Il bisogno di appartenere a qualcosa, a un luogo, a qualcuno, il bisogno di avere qualcuno che si fidasse di loro, che non fuggisse terrorizzato li aveva spinti a seguirlo. Remus si chiese se non ci fosse tra loro qualcun altro che fosse stato trasformato proprio da Greyback.
   Giunti in vista delle prime case di una cittadina, il licantropo si fermò e il suo branco con lui. Forte della sua autorità si voltò verso i suoi e sorridendo affabile - viscido - disse loro che si sarebbero fermati lì. E non “lì” ai margini della città, come i reietti che erano. Lì, nell’allegra cittadina. Quasi nessuno di loro possedeva del denaro, ma Greyback continuò a sorridere loro. E loro continuarono a seguirlo.
   Aveva conquistato la loro fiducia.
   E questo rendeva il compito di Remus ancora più difficile. Perché sapeva che al posto loro si sarebbe fidato anche lui, sapeva che al posto loro…
   No, non doveva pensarlo.    Seguì Greyback e gli altri in città, mangiarono insieme, girarono come persone normali, quasi come turisti. Gli veniva da ridere. Era un po’ come la prima gita a Hogsmeade. Si aspettava da un momento all’altro James che afferrava Sirius e Peter ai suoi lati gridando “Zonko! Quello è Zonko!” sotto gli occhi disgustati di Lily Evans a qualche passo di distanza. Ma ancora nessuno dei licantropi aveva intenzione di fare il primo gesto di amicizia. Di questo passo sarebbe toccato a lui.
   
   Il dolore era insopportabile. Non aveva mai sperimentato la Maledizione Cruciatus, prima, ma non avrebbe mai immaginato che potesse essere così… così…
   Non riusciva a pensare. Non sapeva più nulla, i suoi occhi erano chiusi contro il dolore che la pervadeva dall’interno, le sue orecchie erano piene delle sue stesse urla che le facevano bruciare la gola, mentre aghi infuocati sembravano trafiggerla in ogni centimetro di carne.
   Fai che finisca.
   Ma quando Rodolphus abbassava la bacchetta, Bellatrix pronta la sollevava, e la tortura non finiva mai.
   Alla fine, il suo corpo e la sua mente non furono più in grado di sopportare il dolore, e Lily perse conoscenza.




   Dai che ce l’ho fatta!
   Non avevo mai scritto una scena di torture. Immaginata, certo, milioni di volte, ma scritta mai. Non credevo che Lily - donna - sarebbe stata la prima vittima di torture di una mia storia, sono
una di quelle psicopatiche che adora vedere i personaggi per cui sbava soffrire. Uhm… forse questa era meglio non dirla, chissà che penserete di me XD
   Ho alzato il rating a arancione. Dato che la tortura è semplicemente una Cruciatus (beh, “semplicemente”… vallo a dire a Lily! XD) non credo ce ne fosse realmente bisogno, ma nel dubbio ho pensato fosse meglio esagerare. Tanto finché non è rosso non dovrebbe cambiare niente per le regole di efp, giusto?
   Un enorme grazie alla mia meravigliosa beta, che ha betato il capitolo in tempo record, e grazie a chiunque sia rimasto con me nonostante la mia spaventosa assenza.
   Cercherò di scrivere il prossimo capitolo quanto prima, ma facciamo che non prometto più niente, che mi porto sfiga da sola XD Prima o poi vorrei anche provare a scrivere qualcosa su qualche nuovo fandom, e di questo passo mi sa che non ce la farò mai XDXD
   Alla prossima!


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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


   Il primo capitolo da dottoressa! Ebbene sì, la sottoscritta si è infine laureata il 18 giugno, dopo lunghe peripezie per avere la firma finale sulla tesi, casini di prof, casini di presentazioni di PowerPoint, casini di tutto, e ora… ora è una giovane donna libera e disoccupata in cerca di lavoro. Povera illusa, eh? XD
   Ma non sono qui per parlare di lavoro, sono qui perché ho finalmente scritto il quattordicesimo capitolo! Spero che non vi sentiate (troppo) trascurati, voglio che sappiate che non ho alcuna intenzione di abbandonare questa fanfiction, so cosa accadrà nei prossimi capitoli e ho anche una linea generale abbastanza chiara sull’intera storia, ho solo difficoltà con alcuni personaggi e scene e il vizio di impelagarmi in troppi progetti contemporaneamente. Ma non abbandonerò questa mia piccola creatura.
   Ringrazio quindi tutti voi per la pazienza e per il supporto, soprattutto Serpentina, lunadistruggi, Erodiade e Butterfly90 per i loro bellissimi commenti :)
   



Capitolo 14



   Fluttuava. Priva di peso, senza pensieri, senza mente, senza corpo, era sospesa nel vuoto. Nel vuoto non c’era dolore, né le sue urla, né le risate di piacere dei suoi carcerieri. Nel vuoto era viva, libera.
   Fluttuava. Non vi erano preoccupazioni, né desideri, né speranze. Non vi era la paura, né disperazione.
   Lily vagava in se stessa, lontana dallo scempio che i suoi torturatori stavano facendo del suo corpo.
   Non vi era prima, né dopo, non vi era tempo, né conoscenza.
   Lily era bambina e ragazza e donna, ed era libera.
   
   Quando riaprì gli occhi, era finalmente sola. Le mura grigie della villa intorno a lei erano silenziose. Prive delle ombre dei suoi carcerieri, delle luci riflesse dei loro incantesimi di tortura.
   Lily rabbrividì. Era stesa sulla schiena sul pavimento di fredda pietra, il viso voltato di lato verso la porta di legno massiccio, ai cui lati due fiaccole di luce magica rischiaravano la cella in cui era prigioniera. Non aveva catene su di sé, le medievali trappole babbane superflue, debole com’era per le ore - erano state ore? Solo minuti? O giorni interi? - di tortura. I capelli sudati erano appiccicati alla pelle pallida del viso e le facevano il solletico, ma non riusciva a sollevare la mano per scostarli, non riusciva nemmeno a voltare il viso per guardare l’altro lato della cella. Il suo respiro era lento e irregolare, tremolante, eppure il suo corpo era integro - non una ferita, non un livido.
   Da quanto tempo era lì? Harry e James stavano bene? Dio, fai che stiano bene.
   Immaginò la disperazione di James, sentì il pianto di Harry che la invocava, e le lacrime iniziarono a bruciarle gli occhi e a scivolarle lungo la tempia, nei capelli.
   Fai che mi trovino. Fai che mi salvino.
   Lo scattare della serratura le fece spalancare gli occhi e trattenere il fiato - era troppo debole per sobbalzare, ma sent il proprio cuore battere più in fretta. Il respiro le sfuggì dalle labbra in un flebile gemito e si fece via via sempre più rapido; in un lampo di lucidità sperò di perdere nuovamente conoscenza.
   Ma la porta si spalancò e Rodolphus Lestrange entrò altero e regale come sempre, rivolgendole un disgustato sguardo dall’alto.
   Sollevò la bacchetta, e Lily fu sollevata a mezz’aria.
   « Ti prego » supplicò, ma la sua voce era poco più che un sussurro, e Rodolphus la ignorò.
   Voltandosi nuovamente verso la porta, rivolse un breve cenno a Bellatrix che lo attendeva nell’ampio corridoio sotterraneo; poi i due fecero strada all’inerme corpo di Lily attraverso le segrete fino a un’apertura nella roccia a strapiombo su un lago circondato dai boschi.
   Lily pensò che l’avrebbero lasciata cadere nel vuoto.
   I due, però, guardandosi e sorridendo si Smaterializzarono con lei.
   
   Si Materializzarono protetti da un Incantesimo di Invisibilità in una strada isolata, in un quartiere babbano, di fronte ad una casa dall’aspetto anonimo, modesto. Non era dimora degna di un mago, non era la casa in cui avrebbe dovuto vivere una strega Purosangue. Ma era la casa che aveva potuto darle l’orrido marito babbano, la feccia con cui la donna aveva scelto di mescolare il suo sangue, dando vita all’abominio. E ora, quel frutto di un rapporto sporco viveva lì, e si faceva chiamare seguace del Signore Oscuro.
   I Lestrange depositarono senza troppe cerimonie il corpo della Sanguesporco, ora nuovamente svenuta, di fronte alla porta del Mezzosangue, e si Smaterializzarono.
   Bellatrix sorrideva estasiata quando riapparve al fianco di suo marito al limitare del vasto parco che circondava il loro castello.
   Rodolphus aveva lo sguardo soddisfatto, i suoi occhi scintillarono freddi.
   La donna si voltò verso di lui e gli porse la mano, e Lord Lestrange gliela prese sicuro per portarsela alle labbra.
   « Mia signora, è un piacere vedere il sorriso illuminare il tuo volto » disse attirandola a sé.
   Bellatrix rise, ma si scostò da lui.
   « Mio signore, permettimi prima di togliere dal mio corpo la puzza di babbano » lo rimproverò, e Rodolphus rise.
   
   A Cokeworth non era nevicato, ma l’inizio di dicembre aveva portato comunque le temperature a calare, e i pochi che camminavano per la strada - per fare acquisti, andare e tornare dal lavoro, passare il tempo - erano infagottati nei loro cappotti e giubbini pesanti.
   Lily tremava. A metà tra il sonno e la veglia, gli occhi ancora chiusi, non sapeva dove si trovava, ma sapeva di non essere più nelle segrete dell’antica dimora dei Lestrange: sentiva il vento freddo sul viso, vedeva attraverso le palpebre chiuse il sole che faceva a tratti capolino tra le nuvole, sentiva l’erba sotto di sé, l’umidità farsi strada fino alla sua pelle, oltre i vestiti che aveva indossato quella mattina - era stato davvero quella mattina? - quando si era alzata dal letto con James.
   Non cercò nemmeno di muoversi, sapeva di non potere e aveva quasi paura di star sognando la libertà - o che fosse tutto vero e fosse solo il preludio a qualcosa di peggiore. Attese a occhi chiusi, mentre il vento le asciugava le lacrime e le gelava il sudore che le ricopriva il corpo dolorante.
   Fai che mi trovino.
   Non era tipo da aspettare, non lo era mai stato, aveva combattuto con l’Ordine da quando aveva diciassette anni, scegliendo di non restare indietro ad aspettare che le decisioni e le azioni degli altri disegnassero il cammino della sua vita.
   Lily Evans Potter non era una damigella in pericolo, era una strega capace e pronta a combattere al fianco di chi come lei aveva deciso di non permettere a Voldemort e ai suoi di piegare il mondo magico. Non aspettava di essere salvata, era in prima linea a bacchetta tesa.
   Ma era anche una ragazza di nemmeno ventidue anni, era una madre ed era una donna che era stata rapita dalla sua casa in una mattina qualunque, ed era stata torturata per ore, tenuta prigioniera. E ora…
   Abbandonata. O peggio.
   Fai che mi trovino. Fai che mi salvino.
   
   Gli Auror avevano effettuato i rilievi magici a casa Potter e avevano scagliato i loro incantesimi di tracciamento per cercare di risalire ai rapitori della giovane signora Potter.
   James era rimasto in piedi a osservarli lavorare da lontano, lo specchio a doppio senso con cui aveva chiamato Sirius in mano, e non sapeva cos’altro fare. Il suo migliore amico stava per contattare Silente tramite il camino di casa sua, ma aveva subito interrotto tutto e aveva cercato di tranquillizzarlo, promettendogli che lo avrebbe subito raggiunto. Arthur Weasley e Ted Tonks erano poco distanti, pronti ad aiutare come potevano.
   I secondi si trascinavano come ore, e James non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di Lily che svaniva insieme alle due figure incappucciate mentre Harry piangeva spaventato dall’improvviso trambusto.
   Sirius apparve con un pop direttamente accanto a lui, protetto da occhi babbani dagli incantesimi che avevano scagliato gli Auror poco prima per poter lavorare senza problemi.
   « James? » lo chiamò piano.
   Il ragazzo aveva sulle guance le righe sottili disegnate delle lacrime, ma i suoi occhi, benché rossi e lucidi, erano vuoti e fissi davanti a sé.
   « James? La ritroveremo. E starà bene, vedrai ».
   Lui non si mosse.
   
   Mai in un milione di anni si sarebbe aspettato di rivederla davanti casa sua, ma se se lo fosse aspettato, di certo non avrebbe mai immaginato di trovarla pallida, svenuta e infreddolita sull’erba davanti alla porta.
   « Lily! Lily, mi senti? » la chiamò inginocchiandosi accanto a lei. Le toccò il viso, scostandole i capelli umidi dagli occhi, e le prese la mano gelata. « Lily, rispondimi! »
   Aveva aperto la porta per andare a fare la spesa, perché - al contrario della maggioranza dei suoi “colleghi” Mangiamorte - non aveva un elfo domestico che se ne occupasse per lui, ma la vista di Lily Evans - Potter, gli ricordò malignamente il suo cervello - gli aveva fatto dimenticare tutto.
   Non sapendo cos’altro fare, gettando occhiate nervose in giro per essere sicuro che nessun babbano passasse di lì, la sollevò tra le braccia e la portò dentro, al caldo. La posò sul divano e fece apparire una coperta per scaldarla, poi prese la bacchetta e le asciugò i vestiti fradici e iniziò ad esaminarla per capir cosa le fosse accaduto.
   Non ci mise molto a riconoscere i segni della Maledizione Cruciatus: la sua pelle era intatta, le ossa intere, non c’era sangue, nessun livido visibile, ma il dolore prolungato le aveva scavato sottili rughe sulla pelle troppo del viso, il respiro era lento e poco profondo per l’istintiva paura del corpo di soffrire ancora.
   E ci mise ancor meno a comprendere chi fosse stato… e perché.
   « Salazar » esalò passandosi una mano sul volto, inorridito.
   Il tempo sembrò fermarsi mentre fissava il viso stanco di quella che era stata la sua unica amica.
   Cosa devo fare?
   Sapeva cosa era successo.
   Aveva visto gli sguardi dei Purosangue a villa Lestrange quando il Signore Oscuro aveva cantato le sue lodi dopo la morte dei Longbottom, e aveva trascorso l’ultimo mese aspettandosi qualche tipo di rappresaglia.
   Ma non questo. Non Lily.
   Sciocco. Era ovvio che dei fieri maghi Purosangue non si sarebbero mai abbassati ad aggredirlo personalmente come dei volgari babbani, avrebbero scelto vie più sottili, più dolorose. E più sicure: Lord Voldemort avrebbe potuto magari punire qualcuno di loro per aver messo in discussione le sue parole e le sue scelte, ma non avrebbe speso nemmeno un istante su dei maghi Purosangue per aver insegnato a una discendente della feccia il suo posto.
   Si concesse un momento per accarezzare quel volto che aveva amato - che amava ancora - poi con un sospiro profondo si preparò a fare ciò che andava fatto.
   Per Lily.
   
   Fluttuava. Non aveva pensieri, ma aveva mente e corpo, e sapeva che il suo corpo era libero, non più tormentato dai suoi torturatori.
   Era al caldo, all’asciutto. Sapeva di essere al sicuro.
   Non sapeva dove si trovava, Lily, ma la sua mente iniziò a evocare immagini di quando era bambina, di un parco giochi in cui andava spesso con sua sorella - mi manchi, Petunia - di passeggiate intorno al Lago Nero con le sue compagne di Casa, con Severus, con James. Non le piaceva pensare alla sua amicizia perduta con Severus, ma era al caldo, i suoi vestiti erano asciutti, ed era al sicuro, e non faceva più male…
   Era al sicuro. E poteva ricordare, perché ora… non faceva più male.



   Non so come facciano certi autori ad andare esattamente dove vogliono, io non ci riesco. Questo finale mezzo snily non era minimamente nei miei programmi, visto che sono poco shipper e, se proprio devo esserlo, shippo solo James/Lily. Però è uscito, e ora non riesco a vedere come avrei potuto scrivere questo capitolo senza.
   Pochi personaggi e pochissima azione in questo capitolo, ma nel prossimo ci sarà una delle prime scene che ho programmato quando ho iniziato a ideare questa storia (erano tre: l’omicidio dei Longbottom, quella che vedrete nel prossimo capitolo e un’altra che - quando verrà - sarà la mia preferita e contemporaneamente quella che troverò più difficile dover scrivere). Tutto sta a vedere quando pubblicherò il prossimo capitolo…
   Spero siate ancora con me. Grazie mille per aver letto! :D
   

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


   Natale è appena passato, ma faccio in tempo a farvi gli auguri per il nuovo anno, perché sia sereno e pieno di risate. Buon 2014, ragazzi! E i miei più grandi ringraziamenti a chi continua a seguirmi, soprattutto a Serpentina, _pollina_ (benvenuta!), lunadistruggi, Erodiade e Butterfly90!
   



Capitolo 15



   Severus Piton si concesse appena qualche minuto per osservare il viso di cui era ancora innamorato dopo tanti anni. Nonostante la pelle troppo pallida e le rughe scavate dal dolore di quell’insensata tortura, era bella come sempre. Le accarezzò i capelli, seguì il contorno delle guance col dorso della mano, le sfiorò appena le labbra col dito, poi si costrinse ad alzarsi, a chiudere gli occhi, a respirare.
   Lily non era sua. Non lo sarebbe mai stata. Lui non avrebbe mai potuto baciare quelle labbra, quindi perché torturarsi così? Era stata già una tortura sufficiente trovarla pallida e priva di sensi sui gradini di casa - avrebbe scoperto chi fossero i colpevoli e l’avrebbero pagata cara.
   Si passò una mano sul viso e prese un respiro profondo per prepararsi a fare ciò che doveva. Tornò a guardare Lily, esaminando brevemente le possibilità; sapeva qual era la strada più semplice, quella più facile; e sapeva qual era la strada giusta.
   Salazar… perché la amava tanto?
   Si alzò il cappuccio del mantello sulla testa, fino a coprire parte della fronte e tenere in ombra il resto del viso, poi si chinò a prendere tra le braccia la donna che amava, avvolta nella coperta che aveva fatto apparire per tenerla al caldo e, piroettando su se stesso, si Smaterializzò con lei.
   Apparve tra gli alberi in fondo alla strada principale di Godric’s Hollow, la strada dove viveva la sua Lily, e capì subito di aver commesso un errore: benché invisibili ai babbani, due Auror erano in piedi di fronte alla villetta dei Potter, impegnati a raccogliere le tracce di magia lasciata dai Mangiamorte che avevano rapito la donna. E poco più in là, Potter stesso col fidato amico Black al suo fianco, osservava la scena. L’espressione sul volto di Potter colpì per un momento Severus, ma un momento dopo il giovane Mangiamorte sentì come una stretta al cuore.
   Avrei dovuto immaginarlo.
    Nonostante tutto l’odio che c’era tra loro, nonostante gli scherzi - il bullismo - di Potter, nonostante fossero e sarebbero sempre stati avversari, nemici, Severus sapeva che anche Potter amava Lily. E poteva non essere l’uomo giusto per lei, poteva non essere degno di inginocchiarsi di fronte a lei o leccare la terra dove lei camminava, ma non era possibile fraintendere l’espressione di pura devastazione che c’era ora sul suo volto. Era come se la luce per lui fosse svanita.
   Si costrinse a distogliere lo sguardo e a seguire i movimenti degli Auror. Era stato sciocco da parte sua non considerare che Potter avrebbe chiamato le autorità; la sua mente valutò in fretta le scelte: lasciare Lily e Smaterializzarsi? Gli Auror avrebbero potuto accorgersene. Avanzare alla luce con la dona svenuta tra le braccia? Sarebbe stato come costituirsi per un reato che non aveva commesso.
   Guardò Lily, che ancora non si era svegliata, chiedendosi se i suoi aggressori non avessero calcolato anche quella situazione, non avessero voluto far ricadere la colpa su di lui come parte della “punizione”.
   Cercò di restare nascosto tra gli alberi mentre continuava a osservare l’operato degli Auror. Finiti i rilievi, si avvicinarono a Potter e Black e scambiarono qualche parola con loro; Severus non riusciva a sentire cosa si stessero dicendo e non osava tentare un incantesimo per aumentare il proprio udito, ma vide Potter annuire, la stessa espressione svuotata e distrutta ancora sul viso. Vide Black mettere una mano sulla spalla dall’amico, vide gli Auror allontanarsi per Smaterializzarsi, vide Potter stringere i pugni per la rabbia e dire qualcosa che aveva tutta l’aria di essere una promessa. Vide Black sospirare, la mano ancora sulla spalla del suo compagno di bravate.
   Quando gli Auror si Smaterializzarono, Severus capì che era la sua occasione. Avanzò silenzioso tra gli alberi per avvicinarsi il più possibile alla villetta dei Potter, la mente concentrata sull’obiettivo, gli occhi su viso di Lily, cercando di assorbire più che poteva della sua presenza prima di doverla salutare di nuovo - per sempre?
   Fece il secondo errore della giornata.
   Per qualche motivo, si chiese cosa avrebbero pensato i suoi vecchi compagni Serpeverde - ora Mangiamorte - se avessero visto l’astuto Severus Piton così perso per quella Sanguesporco da smettere di ragionare. Se avessero saputo che effetto aveva Lily su di lui, si sarebbero limitati a metterlo in ridicolo di fronte al Signore Oscuro, per punirlo.
   Troppo preso da ciò che stava facendo, e cullato dalla falsa sensazione di sicurezza che gli aveva dato la partenza degli Auror, Severus non vide Potter e Black muoversi verso di lui - per rientrare in casa, probabilmente - e fu solo quando udì le loro voci che se ne accorse. Ma per allora era troppo tardi.
   
   Gli Auror avevano terminato i rilievi di base e gli avevano comunicato che avrebbero dato ora il via alle indagini.
   James sapeva cosa significava: non avevano trovato nulla, nessuna traccia magica, nessun segno dei mostri che avevano preso la sua Lily; ora avrebbero dovuto cercare altre piste, anche se avevano tutti riconosciuto l’operato dei Mangiamorte.
   Ma perché Lily? Era Nata Babbana, sì, ma ce n’erano tanti come lei. Perché venire a prenderla a casa?
   Perché la sua Lily?
   James giurò vendetta.
   « James? » lo chiamò di nuovo Sirius notando i pugni stretti dell’amico; aveva ancora una mano sulla sua spalla per conforto, per supporto.
   James non rispose. « Li farò a pezzi con le mie mani. Fanculo la bacchetta » disse invece.
   Sirius sospirò. Era raro vedere James arrabbiato per davvero; di tutti loro, era quello solare, quasi infantile nella sua ingenua allegria, nel suo aperto entusiasmo. Nella sua innocenza. Era quando avevano affrontato i Mangiamorte per la prima volta, durante il loro settimo anno, che Sirius aveva per la prima volta visto il lato oscuro di James: quando Lily era stata in pericolo davanti ai suoi occhi.
   « Entriamo, James. Fa freddo » cercò di suggerire. « Oppure potremmo andare dai Weasley, riprendere Harry e portarlo a casa… »
   Questo sembrò risvegliare l’amico, come Sirius sperava.
   « No, è più al sicuro lì. I Mangiamorte potrebbero tornare ». Ma a fare cosa? Era già inspiegabile che avessero preso Lily. « E poi così si distrarrà e non noterà… »
   James si interruppe: Harry era abbastanza piccolo da non notare troppo di ciò che accadeva intorno a lui mentre era occupato, mentre, se fosse stato a casa, avrebbe presto cercato la mamma… Ma per quanto avrebbero potuto tenerlo distratto? E… se la mamma non fosse tornata? Quanto ci avrebbe messo a dimenticare il suo viso, la sua voce, a chiedere di lei?
   « James, stai saltando a conclusioni affrettate » richiamò la sua attenzione Sirius, ben sapendo su che strada si stessero dirigendo i pensieri dell’amico. « Vedrai che gli Auror la ritroveranno » disse riuscendo finalmente a guidare James verso la casa.
   « Dovrei essere in giro a cercarla anche io ».
   « Ha sentito gli Auror, è meglio che resti qui, in caso i rapitori decidano di mandarti un gufo o contattarti in qualche modo ».
   « I Mangiamorte non rapiscono la gente per chiedere un riscatto » sbuffò James con rabbia.
   L’amico non se la prese; sapeva che la rabbia non era rivolta a lui. Avrebbe voluto fargli notare che non c’era nessuna prova concreta che si trattasse di Mangiamorte - benché sapesse lui stesso che era un’obiezione priva di senso - quando notò un movimento tra gli alberi di fianco alla villetta.
   Anche James lo notò, perché sguainò la bacchetta e la strinse forte. La rabbia nei suoi occhi si tramutò in determinazione e odio. Sirius lo seguì.
   
   Quando si accorse che Potter e Black si stavano muovendo, era troppo tardi per rendere invisibile se stesso e Lily. Avrebbe potuto Smaterializzarsi con lei, ma a quella distanza i due ex-Grifondoro avrebbero potuto bloccarlo prima che completasse mezzo giro. Non gli restavano molte scelte. Fece ancora un passo, gli occhi sul bel viso di Lily, e si chinò per poggiarla delicatamente sul terreno, fiducioso che il marito innamorato si sarebbe precipitato da lei prima che la coperta in cui era avvolta si gelasse al contatto con la neve caduta nella notte; sperò solo che Black fosse più preso dai suoi amici che dall’uomo incappucciato che aveva riportato Lily.
   Ma per la seconda volta, scoprì di aver sottovalutato le similitudini tra Potter e lui: non appena l’ex-Cacciatore Grifondoro vide l’uomo incappucciato, prima ancora di scorgere il rosso dei capelli di Lily tra le pieghe della coperta, la sua rabbia repressa esplose.
   « Ehi! » urlò Potter con tutto il fiato ch aveva in gola, incurante di quanti avrebbero potuto sentirlo benché invisibile.
   Severus trasalì e alzò la testa, incrociando per un istante lo sguardo dei Potter da sotto il cappuccio. Sapeva che il proprio viso era nascosto, ma sapeva anche che, dopo sette anni da rivali a Hogwarts, Potter non avrebbe avuto bisogno di vederlo in faccia per riconoscerlo. Si alzò di scatto e prese la bacchetta, pronto a difendersi indietreggiando di nuovo verso la protezione degli alberi.
   Potter sollevò la propria bacchetta quasi contemporaneamente e inaspettatamente la sua bocca articolò « Cru… »
   « James! » lo fermò Black inorridito, inginocchiato accanto a Lily, una mano sospesa a mezz’aria sopra il suo viso, gli occhi spalancati verso l’amico che gli dava le spalle a poca distanza.
   Potter non terminò la Maledizione Senza Perdono, ma non reagì in altro modo al richiamo di Black; continuò a tenere la bacchetta puntata contro l’uomo incappucciato, l’odio nello sguardo. Severus non osò muoversi di un passo, la mente che rapidamente esaminava le sue possibilità.
   « James, è viva » disse Black con voce più bassa, più… dolce. E fu come se qualcuno lo avesse liberato dall’Incantesimo della Pastoia: le sue spalle si rilassarono, la linea della sua schiena di ammorbi, la presa sulla bacchetta si allentò pur restando salda. Nei suoi occhi, dove prima c’erano odio e orrore, apparve per la prima volta una luce. L’odio però rimase, la bacchetta non si abbassò.
   « Chiama i Guaritori » disse la sua voce, più bassa di quando aveva urlato la quasi-Maledizione, rauca.
   Severus pensò freneticamente a un modo per sfruttare la situazione, ma di fronte a lui non c’era il James Potter che lo aveva appeso a testa in giù al quinto anno, c’era un uomo posseduto dall’odio e dal dolore. C’era un uomo che non conosceva.
   « James, cosa vuoi fare? » chiese la voce di Black, ancora con quel tono di dolcezza che, sinceramente, Severus non si sarebbe mai aspettato da lui.
   « Dargli ciò che merita » rispose Potter gelido, ma ancora non si mosse. Severus sperò che la presunta nobiltà d’animo dei Grifondoro non fosse solo una di quelle cazzate con cui gli idioti di quella Casa amavano riempirsi la bocca.
   « Allora chiama gli Auror, James » disse Black senza muoversi da vicino a Lily. « Loro lo arresteranno e processeranno e… »
   « Processarlo? » ripeté Potter sputando la parola come un insulto. La mano che reggeva la bacchetta tremò, l’altra si strinse a pugno. « Non merita un processo ».
   « Tutti meritano un processo, James » ribatté gentilmente l’amico. Severus notò che continuava a ripetere il nome di Potter, come se in qualche modo servisse ad ancorarlo. « E, quando lo dichiareranno colpevole, lo porteranno ad Azkaban ».
   Severus, suo malgrado, rabbrividì.
   « Non è abbastanza » disse a bassa voce Potter.
   « James… Se lo uccidi, arresteranno te… »
   « Non mi importa! » urlò l’ex-Cacciatore.
   « E che ne sarà di Lily e Harry, senza di te? »
   La bacchetta tremò ancora e Potter, per la prima volta, sembrò rendersi conto della situazione. Severus non avrebbe mai immaginato di dover un giorno essere in debito verso Black - era più che certo che quando gli aveva detto, al quinto anno, come entrare nella Stamberga Strillante mentre il suo amico lupo mannaro si stava trasformando lo avesse fatto per ucciderlo. Eppure…
   Potter agitò la bacchetta e Severus ebbe appena un attimo per pensare a come proteggersi dallo Schiantesimo prima che questo fosse scagliato. Cadde a terra fingendo di essere stato colpito - e, cavolo, il terreno era davvero gelido e duro - poi udì il suo avversario formulare l’incantesimo per richiamare gli Auror. Sapeva che gli agenti del Ministero ci avrebbero messo pochi secondi ad accorrere, ma dovette aspettare che finalmente Potter si voltasse verso Lily per fare la sua mossa.
   Proprio mentre risuonava il pop della Materializzazione degli Auror, Piton rapidamente rotolò su un fianco per simulare la piroetta della Smaterializzazione e svanì sotto gli occhi dei due uomini dei Ministero mentre Potter si voltava di nuovo verso di lui urlando « No! »



   Come detto nelle note dello scorso capitolo, questa è una delle scene che avevo programmato per prime quando ho avuto l’idea per questa fanfiction. In realtà avevo immaginato più sangue (XD), ma non sarebbe stato adatto ai personaggi. D’altra parte, per il sangue c’è sempre tempo *risatina diabolica* Spero che non troviate il mezzo Crucio di James OOC - dopotutto anche il figlio, alla fine del quinto, ha il suo “momento maledizione” dopo la morte di Sirius: per come lo vedo io, James è un tipo allegro e solare, di certo il più positivo tra i Malandrini, ma per Lily farebbe di tutto. D’altra parte, sono convinta che anche Severus la amasse (nonostante io non sia propriamente una fan del pipistrellone e del suo concetto contorto di amore), e che in qualche modo in questo i due ragazzi si somigliassero. Ah, se mi sentissero… mi sa che mi picchierebbero XD
   Ok, sto andando a ruota libera.
   Col prossimo capitolo, probabilmente, torneremo a seguire gli altri personaggi. Spero che il capitolo mono-tematico vi sia piaciuto; non volevo trascinare la faccenda del rapimento per trenta capitoli essenzialmente “allungando il brodo” senza concludere niente.
   Buon 2014, gente! :)
   

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