Sea Biscuits: figlia della violenza

di Elly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** About tears and rain ***
Capitolo 2: *** About present and future ***
Capitolo 3: *** About sea and sky ***
Capitolo 4: *** About heart and mind ***
Capitolo 5: *** About earth and blood ***
Capitolo 6: *** About peace and war ***
Capitolo 7: *** About love, real love ***



Capitolo 1
*** About tears and rain ***


SB remix

nda
Probabilmente qualcuno questa storia la conosce già, perché non é null’altro che la versione corretta e migliorata di “Sea Biscuits, figlia della violenza”; Il mio stile di scrittura é molto cambiato da quando la pubblicai per la prima volta e, rileggendo quel piccolo ed insignificante lavoro, ridendo alle incongruenze e agli errori, mi é venuta voglia di rimetterla a posto, per creare una storia più completa e meglio strutturata. Questo vuole essere una sorta di capitolo introduttivo, in quanto dai prossimi la protagonista sarà una Sea già cresciuta di qualche anno. Buona lettura e a presto!

ps La canzone citata non é mia, naturalmente, ma appartiene agli A-ah. Vi consiglio dia scoltarla, perché é una canzone molto bella.


About tears and rain


“...I'll do my crying in the rain”

Ichigo finì di allineare i piatti sul lavello e si asciugò le mani sul grembiule da lavoro, mentre Makoto le passava accanto sorridendo e trascinando un enorme sacco della spazzatura.

-Seratina niente male eh?-

Domandò, indicando con il pollice il locale, ancora parzialmente in disordine. Ichigo scrollò le spalle con noncuranza, prendendo dall’angolo una ramazza e accingendosi a pulire il pavimento.

-Abbastanza...probabilmente c’era molta gente che non sapeva come occupare la serata ed é rotolata qui-

Makoto si asciugò la fronte e fece una risatina soffocata.

-Il capo ne sarà certamente contento-

-Quando si tratta di soldi il capo é sempre contento-

Rispose la ragazza distrattamente; Lavorava in quel ristorante da più di due anni, in attesa di terminare l’università e trovare un impiego migliore, e il capo lo conosceva bene: era un omaccione dalle guance rubizze e il sorriso gioviale, anche se i suoi modi di fare ricordavano quelli di un avvoltoio, sempre alla ricerca di una carogna da spolpare.
Ichigo sospirò e raccolse le ultime briciole dal pavimento, non con poca difficoltà.

-Lascia,faccio io-

Si offrì Makoto, ma Ichigo lo fulminò con lo sguardo.

-Ce la faccio-

Ribatté secca, affrettandosi a terminare l’opera ed evitando di incrociare lo sguardo con il collega, che la squadrò con aria infastidita.

-Dovresti smetterla di essere così egoista-

Disse ad un tratto, incapace di trattenersi.

-E tu così invadente. Io per stasera ho finito, ci vediamo domani-

Ichigo appese il grembiule al solito chiodo e, dopo aver indossato il cappotto, si allontanò a grandi passi verso l’uscita, senza preoccuparsi di salutare.
Odiava lo sguardo di Makoto: era così carico di pietà e rimprovero! Ma cosa poteva saperne, lui, della sua situazione? Lui che aveva una bella casa e una moglie innamorata che ogni sera gli preparava la cena;
Lui che era approvato e adorato da tutti, perché sorrideva sempre;
Cosa ne sapeva, lui, che si permetteva di giudicare ed elargire consigli, di ciò che provava una pecora nera?
Cominciò a camminare verso il parco, portandosi di tanto in tanto le mani a coppa sulla bocca e soffiandoci dentro,cercando di far tornare sensibilità alle dita.
La luce dei lampioni illuminava debolmente le panchine vuote e i ciottoli sparsi per la piazza, mentre il silenzio diventava ad ogni passo più opprimente, interrotto solo dallo sciabordio dell’acqua della fontana.
Ichigo si guardò intorno alla ricerca di Kisshu, maledicendolo quando si accorse che era in ritardo; Si sedette su una panchina ed affondò il viso nel maglione di lana, cercando di combattere il freddo che si stava impadronendo di lei.
Una pecora nera...null’altro che questo. Sopportava ormai a stento le risatine delle colleghe e le maledicenze dei superiori;
Sì, era incinta e no, non era sposata. Quindi?
Sapeva quali erano i commenti che giravano nell’ambiente: Ichigo? A sì, quella facile! La troietta.
Sbuffò, restando poi ad osservare la nuvoletta di vapore acqueo che si disperdeva nell’aria fredda della sera.
Un trillo conosciuto attirò la sua attenzione e la spinse ad aprire la borsetta: Mark la stava chiamando.
La ragazza sorrise con tenerezza e rispose, ringraziandolo mentalmente perché sentirlo l’aiutava a stare su di morale.

-Ciao amore!-

Esordì con allegria.

-Ichigo! Come stai?-

“Uno schifo... mi manchi da morire e odio doverti dire tutte queste bugie”

-Bene, anche se mi manchi!-

-Mi manchi anche tu! Ti sento stanca, tutto bene all’università? Non é che il lavoro ti stanca troppo?-

Ichigo scosse meccanicamente la testa,nonostante fosse conscia del fatto che Mark non potesse vederla.

-No, stai tranquillo. Tu, piuttosto, come te la cavi lì a Londra?-

-Una noia... anche se ormai ho quasi finito, tempo qualche mese e sarò nuovamente lì in Giappone con te, amore mio!-

Un alle spalle di Ichigo fece capire alla ragazza che Kisshu era arrivato: aveva motivi più che sufficienti per interrompere la telefonata.

-Ne sono felice Mark! Non sai quanto!-

-Allora a presto!-

“Forse per allora sarà tutto sistemato e questa storia sarà solo un brutto ricordo”

-Ciao amore-

Ichigo dedicò qualche secondo ad immaginare Mark all’aereoporto che la aspettava a braccia aperte, impaziente di stringerla a sé e sentire di nuovo il suo profumo.
Riposto il cellulare nella borsetta, si voltò a guardare Kisshu, appoggiato al lampione, in attesa.

-Finalmente ti sei deciso ad arrivare!-

Sbottò la ragazza stizzita, alzandosi bruscamente dalla panchina e pentendosi immediatamente di averlo fatto: la creaturina che portava in grembo non gradì il cambio improvviso di posizione e scalciò furiosamente.

-Perdonami il ritardo, ho dovuto sistemare alcune...faccende. Lo sai che siamo prossimi alla partenza-

Ichigo annuì; Certo che lo sapeva, quel giorno segnava l’inizio della sua rinascita.

-Perché mi hai fatto venire qui? Non eravamo d’accordo che ci saremmo visti solo al momento del parto?-

-Volevo sapere come...stavate-

Rispose Kisshu con semplicità,ma senza troppo trasporto.
Il trasporto era sconveniente tra loro.
L’alieno guardò il ventre gonfio di Ichigo e provò un moto di disarmante tristezza; La ragazza portava dentro di sé sua figlia: un dono inaspettato per entrambi, ma che restava pur sempre tale, almeno dal suo punto di vista.
Kisshu sentì l’impulso irrefrenabile di prendere Ichigo con la forza e portarla sul suo pianeta, ma si trattenne: non era più quello di una volta.
Aveva smesso di esserlo la sera in cui, dopo essersi materializzato nella stanza di Ichigo ed averla trovata in lacrime, l’aveva accolta tra le sue braccia, pur conscio del fatto che non stessero concretizzando un amore sopito. Ichigo era distrutta dall’imminente partenza di Mark per Londra, senza sapere quando sarebbe tornato, mentre Kisshu era alla ricerca di un po’ di amore.
Inutile tentare di mascherare con falso romanticismo una situazione simile: si erano sfruttati a vicenda e poco importava che Kisshu, Ichigo, la amasse davvero.

-Troppo gentile-

Mormorò la ragazza tra i denti, scrutandolo con odio;
Quella notte di nove mesi fa, tutto si aspettava tranne che di cercare nell’alieno una consolazione per la partenza di Mark.
Era rientrata nel suo piccolo appartamento, dopo aver salutato il ragazzo all’aereoporto, e aveva sbrigato tutte le faccede come il solito, con glaciale indifferenza.

“Mark tornerà a trovarmi...lo ha promesso...a Natale non manca poi molto”

Si ripeteva, mentre tutti i giorni,le ore,i minuti che mancavano a quel momento cominciavano a gravarle sulle spalle, mano a mano che finiva di caricare la lavatrice, stirare, pulire il pavimento.
Preparò la cena e mangiò davanti alla televisione,proprio mentre il telegiornale trasmetteva un servizio su Londra; Ichigo abbandonò il ramen nel piatto e corse in camera sua, scossa dai singhiozzi.
Aveva realizzato la lontananza che la separava da Mark;
Aveva realizzato che non lo avrebbe sentito spesso e visto ancora di meno; Aveva realizzato che tutta la calma con cui aveva accettato questa sua partenza non era null’altro che una bugia;
Si sentì improvvisamente vuota e molto sola, con un bisogno incontrollabile di essere stretta in un abbraccio.
Fu allora che comparve Kisshu: la guardò con aria stupita,ma non domandò nulla e si limitò a realizzare la tacita richiesta della ragazza, stringendola amorevolmente a sé.
Ichigo aveva accettato con sollievo quell’improvviso calore umano e si era lasciata cullare, aspettando che i singhiozzi si spegnessero. A quel punto si era staccata frettolosamente dall’alieno, confusa dai battiti furiosi del proprio cuore.
Cosa stava facendo? Non ebbe tempo di rispondere a quella fastidiosa domanda che le urlava in testa, perché Kisshu si impossessò delle sue labbra, in maniera tutt’altro che innocente.

-Che stiamo facendo...?-

Domandò Ichigo, allontanandosi da lui, ansante, con gli occhi ancora socchiusi; Il freddo che aveva dentro stava lasciando il posto ad un piacevole tepore. Kisshu scrollò le spalle, con noncuranza.

-Ci stiamo leccando le ferite a vicenda; Nulla di più e nulla di meno-

Rispose con semplicità, nascondendo dietro un velo di indifferenza una verità che avrebbe fatto troppo male ad entrambi.

-Ichigo...quanto pensi che manchi?-

Domandò l’alieno,interrompendo il filo dei ricordi della ragazza.

-Cosa vuoi che ne sappia? Dipendesse da me! Non vedo l’ora di liberarmene!-

Ribatté Ichigo, cominciando ad innervosirsi.
Aveva un forte mal di testa e in più c’era il feto che giocava a fare i tiri in porta con la sua vescica.
Kisshu fissò intensamente il sentiero del parco, mentre le luci dei lampioni illuminavano il suo viso pallido e scosso.

-Certo, immagino che sia dura per te-

Disse, senza riuscire a mascherare la nota di sarcasmo.
Ichigo fissò l’alieno con stizza, stringendo i pugni, ma restò in silenzio.

-Se non hai altro da dirmi-

Esordì, dopo qualche minuto di attesa.

-Io andrei a casa. Il lavoro mi ha sfiancata e ho bisogno di riposarmi-

-Certo-

Rispose l’alieno,osservando la ragazza voltargli le spalle e cominciare ad allontanarsi. Dopo pochi metri si fermò e, per un folle istante, Kisshu si lasciò cullare dall’illusione che tornasse sui suoi passi e lo pregasse di portarla via con lui.
Illuso.

-Kisshu...-

Disse, con tono glaciale.
L’alieno si limitò ad aspettare il seguito, in silenzio.

-Una volta che avrai il bambino, vattene e non tornare mai più...non voglio che questo...errore rovini la mia vita-

Kisshu spalancò un poco gli occhi color dell’ambra,mentre sentiva una rabbia cieca infuocargli il petto.

Piccola,stupida sgualdrina!

In un attimo le fu davanti e le afferrò i polsi, scoprendo i canini appuntiti tipici della sua razza.

-Errore?!-

Le urlò,strattonandola malamente, incurante del fatto che Ichigo avesse spalancato gli occhi, terrorizzata da quella reazione.

-Mi fai male!-

Esclamò lei, cercando inutilmente di liberarsi dalla presa.

-Questo tu lo chiami un errore?!-

Kisshu trasse violentemente a sé la ragazza, impadronendosi delle sue labbra con foga, quasi a volerle divorare.
Ichigo restò attonita, stordita da quel contatto improvviso e rabbioso, che le aveva fatto passare improvvisamente tutto il freddo accumulato in quei minuti. Le guance le si imporporarono, come a volerle ricordare che, tutto sommato, quel bacio non era poi così male; Non appena Ichigo fu cosciente dei suoi stessi pensieri, si scostò malamente dall’alieno e nella foga di interrompere quella vicinanza che la confondeva così tanto, perse l’equilibrio e cadde a terra.
Kisshu rimase a guardarla impassibile, leggermente ansante, passandosi inconsciamente la lingua sulle labbra, per sentire ancora un attimo il sapore di Ichigo.

-Non meriti nemmeno che io mi preoccupi per te-

Disse, prima di alzarsi di qualche centimetro da terra.
Ichigo lo guardò con gli occhi velati di lacrime;
Cos’era quella confusione che le regnava ora nel cuore?
Cos’era quell’ elettricità che l’aveva attraversata non appena Kisshu si era impossessato delle sue labbra?
Si guardò la pancia rotonda, come se la avesse notata davvero solo in quel momento.

Solo un errore...?

I suoi pensieri furono interrotti da un dolore lancinante proveniente dal basso ventre, talmente forte ed improvviso che le fece sfuggire un gemito.
Kisshu, che già si era allontanato da terra di quealche metro, si voltò a guardare in attesa di capire cosa le fosse successo: gli bastò un attimo per mettere da parte ogni risentimento e correre verso la ragazza, per aiutarla.
Ichigo era pallidissima, il viso contratto in un’orribile smorfia di dolore.

-Che succede? Tutto bene?-

Domandò Kisshu, mentre il panico cominciava a farsi strada in lui.
Ichigo lo guardò con sarcasmo misto ad un mare di altre emozioni che l’alieno non riuscì ad identificare.

-Tutto benissimo, non vedi? Sto solo partorendo, in mezzo ad un parco, di notte, al freddo, con un alieno che mi fa domande idiote!-

Ribatté, presa da una nuova contrazione.

-Bene...d’accordo, non c’é nulla di cui preoccuparsi, va tutto bene! Ora ti porto in un posto sicuro e confortevole, tu cerca di resistere ancora un po’-

-Non devi dirlo a m...argh!-

Kisshu la prese in braccio senza alcuna fatica e si teletrasportò nell’ appartamento della ragazza, disordinato ed avvolto nell’ombra.

- é una fortuna che tu adesso viva da sola!-

Constatò Kisshu, entrando nella stanza da letto e depositando Ichigo sulle coperte, delicatamente.

-Come va ora? Meglio?-

Le chiese, cercando di mantenere un tono di voce caldo e rassicurante.
Ichigo annuì; Per lo meno ora era al caldo e all’asciutto.

-Quanto ci vorrà per farlo nascere?-

Domandò Kisshu, mordicchiandosi il labbro inferiore con nervosismo.

-Non lo so...avevo letto da qualche parte che una volta che si rompono le acque é praticamente fatta: comincia l’espulsione del bambino-

-Ma può essere così improvvisa? Non hai avuto dolori in questi giorni o, che ne so...-

Certo che aveva avuto dolori, ma assolutamente nulla di preoccupante. Li aveva attribuiti allo stress, al lavoro, all’università.
Restarono in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.

-Ti serve qualcosa? Vuoi che ti chiami un medico?-

- Sei impazzito? Un medico ti farebbe portare in ospedale, e quello più vicino é dove lavora mio padre!-

L’alieno sospirò.

-Già, dimenticavo la storia della segretezza-

-Ki...Kisshu...credo che...ahh...il dolore si é fatto più intenso!-

Ansimò Ichigo, con gli occhi chiusi, cominciando a tremare violentemente.

-Ho...ho paura...io...non so come fare!-

L’alieno accarezzò febbrilmente la guancia della ragazza, cercando di tranquillizzarla.

-Lascia fare all’istinto! Voi donne siete state progettate per affrontare questo momento! Coraggio!-

Ichigo cominciò a spingere, mentre la fronte le si imperlava di sudore e gli occhi le si riempivano di lacrime.

-Non ce la faccio...-

Sussurrò, con voce rotta.

-Ce la devi fare...devi!-

La incoraggiò Kisshu.

-Coraggio,lo so che ce la puoi fare...coraggio...-

-Ki..Kisshu...-

-Sono qui...-

-Non .....non lasciarmi! Non lasciarmi sola!-

L’alieno spalancò gli occhi color dell’ambra, rafforzando la presa sulla mano della ragazza.

Tutto questo non può essere un errore.

-No. Non ti lascio sola...Sono qui-

Mormorò, combattendo inutilmente contro il nodo che gli aveva serrato al gola.
Senza smettere di parlare,si posizionò tra le gambe della ragazza,per aiutarla a far nascere la creaturina.

-Dai...vedo la testa! Coraggio!Un’ultimo sforzo!-

Ichigo raccolse il poco fiato rimastole e diede l’ultima,fatidica spinta.
Kisshu accolse la bambina tra le braccia, guardandosi attorno in cerca di qualcosa in cui avvolgerla.

-Devi...devi farla piangere...-

Mormorò esausta Ichigo, cercando di riprendere fiato.

-Mettila....mettila a testa in giù e dalle dei leggeri colpetti sulla schiena-

Suggerì all’alieno, che si affrettò ad eseguire le istruzioni di Ichigo; Una serie di gemiti riempirono l’aria, accompagnati dal sorriso raggiante di Kisshu.

-é una femmina!Le vostre apparecchiature funzionano meglio di quanto pensassi-

Esclamò trionfale, osservandola con gli occhi d’ambra scintillanti.

-Bisogna tagliarle il cordone ombelicale-

Disse Ichigo, mentre con un altra serie di piccole contrazioni, sentiva il suo corpo liberarsi della placenta rimasta.
Kisshu si affrettò a scaldare un coltello sul fuoco per poter tagliare il cordone in tutta sicurezza e infine, dopo aver accuratamente ripulito la bambina dal sangue e averle applicato un grosso cerotto dove le si sarebbe poi formato l’ombelico, la avvolse in un morbido asciugamano bianco e la porse alla madre.

-Guarda com’é bella-

Le disse, porgendole la piccola che si stava esibendo in una serie di gemiti causati dalla fame.
Ichigo si scoprì il seno e permise alla piccola di esplorarlo con le labbra, alla ricerca del capezzo, al quale si attaccò avidamente cominciando a succhiare, serrando i pugnetti.
Kisshu le guardò estasiato: era lo spettacolo più bello che avesse visto durante la sua vita.
Ichigo osservò la piccola creatura attaccata al seno e le venne da piangere, ma non era la disperazione ad aver scatenato questa reazione: era gioia.
Gioia perché era stata protagonista del miracolo della vita, concretizzato in quell’esserino dalle guance paffute e rosee;
Gioia perché sentiva quel piccolo cuore battere all’unisono con il suo e in un lungo, eterno attimo, si vide adulta sulla porta di una casa sconosciuta, ad aspettare il ritorno della bambina, affiancata da Kisshu.
Per un folle momento, si sentì felice immaginando una vita senza Mark.

Già...Mark...

Improvvisamente l’immagine del ragazzo amato le riempì la mente e automaticamente la ragazza spinse via da sé la bambina che, disorientata da quel distacco così brusco e violento, riprese a piangere.
Ichigo si sentì attanagliata dal senso di colpa; Aveva tradito Mark e, come se non bastasse, da quel momento di follia era nata una figlia: una creatura che, con le sue guance paffute, gli occhioni d’ambra e le orecchie leggermente a punta, avrebbe rovinato la cosa più bella che le fosse capitata nella vita.
Lei non poteva vivere senza l’amore di Mark: lui era il sole di tutti i suoi giorni, era l’aria che respirava, ogni battito del suo cuore era in funzione di lui.
Rivolse uno sguardo di angoscia e dolore alla bambina, incrociando il suo sguardo dorato ed innocente.
All’amore si sovrappose l’odio, al desiderio di averla sempre con sé la repulsione;
Ichigo la mise malamente tra le braccia di Kisshu e si rimise in piedi, sperando che le gambe smettessero di tremare in maniera così violenta.

-Io...ho finito...-

Disse,con voce stanca ma tagliente.

-Il nostro rapporto si interrompe qui-

Aggiunse, indicando con una mano la porta di ingresso dell’appartamento.

-Riesci ad andartene da solo oppure hai bisogno che ti accompagni all’uscita?-

Kisshu le rivolse uno sguardo imbambolato, stordito da quell’improvviso cambio di atteggiamento.

-Ichigo forse sarebbe meglio...-

Cominciò, ma la ragazza lo interruppe con un urlo.

-Vattene! Andatevene! Non voglio più avere nulla a che fare con voi!-

L’alieno mosse qualche passo verso al porta, con la piccola stretta tra le braccia.

-Non vuoi neanche scegliere con me il nome?-

Domandò, lo sguardo fisso davanti a sé.
Ichigo trasse un profondo respiro.

-Per favore, Kisshu...-

Implorò, aprendo la porta ed invitandolo esplicitamente ad andarsene.

-Promettimi che andrai a fare una visita per vedere se é tutto a posto-

Disse ancora l’alieno, prima di rivolgerle un ultimo, intenso sguardo e cominciare a scendere le scale; Avrebbe potuto smaterializzarsi, ma sentiva un bisogno impellente di camminare: doveva schiarirsi le idee.
Ichigo, alle parole dell’alieno, sentì lo stomaco stringersi in una morsa dolorosa.

-SEA!-

Esclamò, sperando che la voce giungesse ancora alle orecchie di Kisshu.

-Mi piacerebbe chiamarla Sea-

Ripeté.

-Bel nome-

Le arrivò come risposta,dal buio della tromba delle scale.
Ichigo rientrò in casa e si chiuse la porta alle spalle; Il rumore della serratura che scattava sapeva di definitivo e fece scoppiare nuovamente in lacrime la ragazza, che si lasciò scivolare a terra, in preda ai singhiozzi.
Una parte di lei voleva riaprire quella maledetta porta ed inseguire Kisshu, perché il fatto di essersi rifugiata tra le sue braccia quando si era sentita sola, il fatto di averci fatto l’amore e di aver tenuto la bambina che portava in grembo, doveva pur significare qualcosa; Forse si stava lasciando sfuggire l’occasione di essere veramente felice, una felicità incarnata in una creatura che aveva visto la luce neanche due ore prima.
Ancora una volta, fu l’immagine di Mark a trattenerla.
La sua vita era là, sul pianeta Terra, accanto al ragazzo che amava: avrebbero messo su una famiglia, sarebbero vissuti in una bella casa, con un lavoro sufficiente a farli vivere in maniera decorosa.
Sorrise a quell’immagine; Sì, aveva preso la decisione migliore: ci sarebbero stati altri bambini, concepiti con l’uomo che amava, in una situazione molto più tranquilla e...giusta.
Cullata da quell’immagine, si fece una doccia veloce per ripulirsi dal sangue e dal sudore e si distese sul divano, per concedersi un sonno risoratore; Il giorno seguente avrebbe seguito il consiglio di Kisshu e si sarebbe fatta visitare da un dottore.
I suoi sogni, quella notte, furono popolati dai colori rosa e oro.


Kisshu si allontanò nella notte, con Sea stretta al sicuro tra le braccia; Aveva smesso di piangere e si era addormentata, succhiandosi il pollice.
L’alieno la osservò con dolcezza per tutto il tragitto che li divideva dalla navicella che li avrebbe portati finalmente a casa: Pai l’aveva nascosta in una grotta scavata dal mare,in un luogo remoto della scogliera, irraggiungibile per normali essere umani, a meno che non fossero esperti scalatori o sapessero volare.
Restò qualche secondo ad osservare il mare, che si gonfiava minaccioso e nero sotto di loro, mentre le onde si scagliavano con rabbia contro gli scogli, prima di dissolversi in una pioggia di schiuma.
Un tuono ruggì in lontananza e le prime gocce cominciarono a riversarsi dalle nubi, colpendo l’alieno sul volto e scivolandogli tra le labbra.
Kisshu rise della sua stupidità: si era stupito nell’averle trovate salate.

If I wait for cloudy skies
You won't know the rain from the tears in my eyes
You'll never know that I still love you
So though the heartaches remain
I'll do my crying in the rain

(“Crying in the rain”, A-Ha)

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Capitolo 2
*** About present and future ***


About present and future

About present and future

“...le mie ali di cera si sciolgono in mare
ma voglio morire morire volando da te
Voglio volare da te
voglio volare da te
...”

Marco Masini-Voglio volare

La casa era immersa nel silenzio, interrotto solo dal ticchettare ritmico di un orologio e dai richiami sporadici di qualche animale notturno.
Improvvisamente dei passi veloci rimbombarono nel corridoio, sicuri della propria meta; Due occhi color dell’ambra brillarono nel buio, fissando con intensità la maniglia della porta che avevano davanti: non importava quanto fosse difficile, suo padre le aveva sempre insegnato ad affrontare le sfide a testa alta, senza indietreggiare mai. Sea tese la manina paffuta verso l’obiettivo, allungando il braccio fino al massimo consentito dal suo corpicino da bambina.
Un sonoro segnò la vittoria della piccola, che sorrise compiaciuta, passando la lingua nella fessura del dentino mancante.
Spinse silenziosamente la porta e si sporse oltre la soglia, con circospezione, esplorando ogni angolo della stanza con lo sguardo; Notò, con immenso piacere, che il finestrone della stanza era stato lasciato aperto per alleviare la caluria estiva.
Sea dedicò qualche secondo ad osservare le tende bianche che ondeggiavano al lieve vento, prima di entrare nella stanza e chiudersi la porta alle spalle con delicatezza, mentre un sorriso sghembo tornava ad illuminarle il volto.
L’obiettivo era ormai a pochi metri da lei; Afferrò la parte inferiore della camicia da notte, esageratamente lunga per lei, e si mosse velocemente verso il lettone, cercando a tentoni un varco tra il groviglio di lenzuola bianche. Puntellò le ginocchia contro il bordo legnoso del letto e si issò sul materasso, appoggiando poi trionfante la testolina rotonda sul cuscino.
Se c’era una cosa che la piccola adorava era dormire accanto al suo papy: in questa maniera, quando il sonno della piccina era popolato da incubi spaventosi, suo padre era subito accanto a lei, pronto a rassicurarla e a coccolarla, nonostante l’ora tarda.
Sì, il suo papy era davvero il migliore del mondo.
Sea chiuse gli occhi pronta per rimettersi a dormire, quando un ciuffo di capelli le solleticò fastidiosamente il viso; La piccola si mise a sedere sul letto grattandosi la guancia e spalancò gli occhi, lanciando un urlo terrorizzato.

-Che c’é? Che succede?-

Esclamò Kisshu, rizzandosi a sedere sul letto e lottando contro il groviglio di coperte che sembrava averlo imprigionato.

-Un ladro! Un ladro nel tuo letto!-

Ululò Sea presa dal panico, cominciando a colpire l’intruso, che nel frattempo si era svegliato e aveva un’aria piuttosto accigliata.
Kisshu ci mise qualche secondo a collegare la voce argentina che lo aveva svegliato di soprassalto a sua figlia, e che la suddetta stava prendendo a pugni e morsi la sua ragazza, inebetita dal sonno e da quel piccolo chimero che le stava mordendo con ferocia una gamba.

-Sea! Sea, smettila! BASTA SEA!-

Esclamò Kisshu, scalciando per liberarsi un piede dalle lenzuola e raggiungere la sponda opposta del letto, dove provvide a prendere quel piccolo demonietto di sua figlia per i vestiti, staccandola dalla gamba di Corinne, che osservava il tutto con aria stizzita.
Sea non staccò lo sguardo dalla ragazza, che si era tirata il lenzuolo sul petto, per coprire i seni nudi.

-Non mi avevi detto di avere una figlia-

Disse risentita, corrugando la fronte.
Kisshu sbuffò.

-Non ne ho avuto tecnicamente il tempo, se capisci cosa intendo!-

Rispose, ripensando agli svolgimenti eccessivamente...rapidi della serata precedente.
Corinne scrollò le spalle con noncuranza, rivolgendo a Sea uno sguardo inviperito.

-Possiamo riprendere a dormire oppure devo tornarmene a casa?-

Domandò.

-Sì, tu distenditi pure, io arrivo subito-

Detto questo, Kisshu mise Sea a terra, la prese per mano, e la condusse nel corridoio della casa, verso la sua cameretta.
Una volta raggiunta, Kisshu sollevò la bambina tra le braccia e la distese nel letto, rimboccandole le coperte, in silenzio.

-Chi era quella?-

Domandò Sea, a bruciapelo, socchiudendo gli occhi color dell’ambra.
Kisshu sospirò.

-Nessuno, amore. Ora dormi-

-Le mie amiche dicono che nel lettone del papà dormono solo la mamma e loro-

Continuò Sea, incaponendosi.

-Buonanotte, Sea-

La bambina capì che era inutile insistere oltre.

-Buonanotte papy-

Mormorò, girandosi verso il muro, accigliata.
Kisshu le sorrise e chiuse la porta, lasciandola sola con i suoi pensieri.
Quella non era la mamma, perché la mamma se n’era andata tanto tempo fa; Papà glielo aveva raccontato in una giornata di pioggia, quando Sea si era lamentata in occasione della recita di fine anno, a proposito del costume di scena: le sue amiche avevano la mamma a cucirglielo, e lei?
Kisshu si era rabbuiato.

“Ti aiuto a farlo, se vuoi”

Aveva proposto, nonostante la sua evidente incapacità di maneggiare ago e filo, ma questo a Sea non era bastato.

-Papy, ma la mia mamma dov’é?-

-Non c’é Sea. Non ha potuto stare con noi, ma nonostante questo ti vuole bene, ovunque sia ora-

Dopo allora, Sea aveva capito che quell’argomento era tabù; Sapeva che se glielo avesse chiesto suo padre gliene avrebbe parlato, ma era certa che ricordare la mamma lo facesse soffrire e lei non desiderava vederlo triste.
Sea aveva pensato tanto a come potesse essere stata sua madre e una volta aveva anche tentato di disegnarla; Lo scarabocchio che ne era derivato era stato appeso con orgoglio sopra il suo letto e ogni sera, prima di addormentarsi, Sea restava alcuni minuti a guardarlo, immaginando che sua madre, ovunque fosse, la pensasse e la proteggesse.
La bambina strinse a sé Attila, l’alieno di peluche che le aveva regalato zio Tart per il compleanno, e chiuse gli occhi, attendendo che il sonno la portasse via con sé.


Kisshu entrò piano in camera da letto e si richuse dolcemente la porta alle spalle, sospirando.

-L’hai messa a letto?-

Domandò una voce, nel buio.

-Sì, scusala per il risveglio brusco: non se l’aspettava-

-Neanche io, se é per questo. Non sapevo che avessi una figlia-

Kisshu si fece serio.

-Ci sono un sacco di cose che non sai di me, Corinne-

La donna si mise a sedere, senza preoccuparsi di mostrare la sua nudità.

-Vero, ma spero di avere il tempo di scoprire tutto ciò che non so-

Corinne si alzò e si diresse verso Kisshu, impossessandosi delle sue labbra e passandogli le braccia intorno al collo.
L’alieno, dopo pochi secondi, l’allontanò bruscamente da sé.

-Scusami-

Mormorò, fissandola intensamente negli occhi ametista.

-Scusami se ti ho illuso, ma pensavo fosse chiaro...io non voglio una relazione seria con te-

Corinne sbatté le palpebre, confusa.

-Ma...-

-Ho una figlia di cui occuparmi...non posso permettermi certe...distrazioni-

Si scusò l’alieno, accarezzando la pelle nuda della donna con lo sguardo.

-Non mi sembra che tu abbia fatto così tante storie, ieri sera-

Sibilò, ferita.

-Scusami, davvero-

Ripeté Kisshu, sospirando.

“Non sei tu quella che cerco”

Corinne non disse nulla, si limitò a raccogliere i vestiti e ad infilarseli, preoccupandosi di dare le spalle all’alieno; Non voleva che vedesse le lacrime che le si erano impigliate tra le ciglia.

-Non vuoi neanche aspettare domattina?-

Domandò Kisshu, a disagio.
Corinne scosse la testa e si infilò il corpetto, allacciandoselo in maniera frettolosa.

-Ci si vede in giro, allora-

Mormorò, avvicinandosi alla finestra aperta e scostando le tendine bianche.

-Perdonami-

Disse ancora una volta Kisshu, senza fare nulla per fermarla; La donna annuì e si sollevò da terra, per poi sparire fuori dalla finestra.

Kisshu sospirò pesantemente e si buttò sul letto, sentendolo improvvisamente troppo grande e freddo.
Allungò il braccio per toccare lo spazio dove prima era adagiata Corinne e percepì ancora il tepore lasciato dal corpo della ragazza; Era stata una notte movimentata ma non più gratificante delle altre: non riusciva a liberarsi di quel freddo che gli attanagliava il cuore.
Nessuna donna finora era riuscita a soddisfarlo, a farlo bruciare di passione, a fargli desiderare che la notte passata insieme si ripetesse altre dieci, cento, mille volte.
Conosceva il motivo di questa insoddisfazione, ma era restio ad ammetterlo; Era una storia passata e, in quanto tale, doveva essere dimenticata.
Chiuse gli occhi e cercò di svuotare la mente, che fu popolata, per il resto della notte, da due grandi occhi rosa.


Sea si svegliò presto, quella mattina, disturbata dalle voci concitate provenienti dal piano inferiore della casa.
Scostò il lenzuolo, che le si era attorcigliato intorno alle caviglie, e uscì nel corridoio, sfregandosi gli occhi e stando attenta a non inciampare nella camicia da notte.
Prima di scendere le scale, sbirciò nella camera di Tart, ma vide che non c’ era nessuno e il letto era già stato rifatto.

-Papà?-

Chiamò, ma nessuno le rispose, mentre i toni delle voci al piano inferiore si facevano più infervorati.

-Mi rifiuto!-

Esclamò Kisshu, battendo con violenza un pugno sul ripiano della cucina.
L’alieno davanti a lui rimase tranquillo ed aspettò pazientemente che lo sfogo di rabbia terminasse; Era anziano e ormai era difficile che qualcosa lo stupisse più: aveva combattuto troppe guerre.
Prese dal taschino una pipa e del tabacco, si sedette e cominciò a caricarla, con tutta calma.

-Disturba se fumo?-

Domandò, con tono pacato.
Kisshu lo osservò, respirando pesantemente, poi scosse la testa.

-No-

-Molto bene, grazie-

Trasse due profonde boccate, guardando i cerchi di fumo che si disperdevano nell’aria, poi si soffermò nuovamente su Kisshu, che era in attesa.

-Generale Kisshu Ighitashi-

Disse, con voce profonda e severa.

-Il paese richiede nuovamente i suoi servigi. Ci aspettiamo la sua piena collaborazione-

Kisshu strinse i pugni con rabbia, finché le unghie non gli penetrarono nei palmi.

-Ho già dato l’anima a questo paese-

Mormorò, tremando di irritazione.
L’anziano alieno lo guardò, sorridendo accondiscendente.

-Crede che le guerre finiranno solo perché lei é stufo?-

Kisshu aprì la bocca per ribattere, prima di accorgersi che non aveva nessun argomento abbastanza valido per farlo.

-Stiamo radunando tutte le forze possibili. Siamo in guerra, generale, e dovrebbe sapere meglio di me che non é uno scherzo-

Kisshu abbassò lo sguardo e sospirò, rilassando i pugni.

-Le lascio qui la lettera di richiamo. Generale Pie e Tart, lascio anche la vostra-

Tart e Pie annuirono, in silenzio.

-Arrivederci, signori-

L’anziano militare fece un breve inchino e si congedò, chiudendosi la porta alle spalle e lasciandosi dietro il silenzio.

-Un ‘ altra guerra-

Mormorò Kisshu, sorridendo.

-Ancora morti, ancora sangue, ancora dolore-

Crollò su una sedia e si prese la testa tra le mani, lo sguardo fisso su quel maledetto pezzo di carta che, ancora una volta, aveva deciso per loro.
Tart gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla.

-Non ci possiamo fare niente-

Disse, cercando le parole adatte per incoraggiare il fratello.

-No. Non ci possiamo fare niente, ma una volta io combattevo senza avere nulla da perdere-

-Papà, cosa succede?-

Sea spinse la porta della cucina ed entrò tutta sorridente, con le trecce disfatte e la camicia da notte rosa.
Kisshu le rivolse un breve sguardo, poi scosse la testa.

-Nulla piccola, torna a dormire, é presto-

Sea mise su il broncio, arrabbiata per la reazione del padre.

-Sea, ti va di giocare un po’ con lo zio Tart?-

Domandò l’alieno, inginocchiandosi per poterla guardare negli occhi.

-Giochiamo con gli Snikleas?-

Tart sorrise ed annuì, prendendola per mano.

-Certo! E se ti va possiamo buttarne uno o due in strada, ma senza che Kisshu e Pie se ne accorgano!-

Sea sorrise con aria birichina, lasciò la mano dello zio più giovane e corse su per le scale, impaziente di cominciare.

-Cosa pensi di fare con Sea?-

Domandò Pie con voce atona, una volta che furono rimasti soli.

-Non avremo tempo per starle dietro-

Kisshu sospirò e si voltò a guardare il fratello.

-Cosa posso fare? Non c’é nessuno qui che possa occuparsi di lei-

Pie lo fissò intensamente, soppesando le parole che stava per pronunciare.

-Qui forse no, ma ci sono altri posti in cui...cercare-

L’alieno spalancò gli occhi, incredulo.

-Non tornerò sulla Terra, Pie-

-Qui ci sarà una guerra, stanno già facendo evaquare tutti i civili!-

-Non l’affiderò mai a sua madre!-

Ripeté Kisshu, incaponendosi.
Affidare la sua creatura ad Ichigo? La madre che non l’aveva voluta? la madre che l’aveva supplicato di uscire dalla sua vita?

-E ALLORA ACCETTI DI METTERLA IN PERICOLO?-

Kisshu si bloccò di colpo, stupefatto: Pie non aveva mai alzato la voce.
Mai.
Il fratello lo guardò furente, gli occhi ridotti a fessure.

-Smettila di essere così egoista e stupido! Dici di tenere tanto a tua figlia e questo é il momento di dimostrarlo! Metti da parte i tuoi sentimenti e i tuoi rancori e pensa alla sicurezza di Sea!-

Le parole di Pie riecheggiarono nella stanza, stagnando nel silenzio attonito che si creò non appena finì di pronunciarle.

-La nostra astronave é sempre pronta all’uso; Ha già affrontato viaggi del genere e non sarà un problema raggiungere la Terra. Ti conviene fare in fretta: Dobbiamo trovarci al quartier generale tra due giorni -

Pie si diresse verso la porta e, prima di superare Kisshu, gli diede una pacca di incoraggiamento;
L’ultima cosa che l’alieno sentì, fu il rumore della serratura alle sue spalle.


Sea si sporse un po’ sul davanzale, per vedere l’effetto che stava producendo il suo Sniklea giù in strada: quest’ultimo, un enorme palloncino tutto bocca ed occhi, stava rimbalzando da una parte all’altra, terrorizzando la gente che camminava sul marciapiede. Non erano esseri pericolosi; La loro grande bocca era sprovvista di denti ed erano talmente leggeri che farsi del male con loro era impossibile: nonostante questo, gli Snikleas avevano la terribile tendenza a mordere qualsiasi cosa capitasse loro a tiro, e a quel punto erano talmente contenti che si gonfiavano fino a scoppiare.
Tart ridacchiò, prese Sea per i fianchi e la posò sul pavimento della sua stanza.

-Lo rifacciamo zio? Dai!-

Tart scosse la testa, divertito.

-Non avremmo dovuto farlo neanche questa volta, Sea. Se ci beccavano era grave!-

-Cos’é che non dovevate fare?-

Domandò Kisshu, entrando nella stanza sorridendo.
Sea arrossì e scosse la testa, frustando l’aria con le treccioline rosa,ancora disfatte.

-Niente papy!-

Kisshu alzò un sopracciglio, con aria scettica.

-Dovrei fidarmi di questo piccolo diavoletto?-

Domandò, facendo finta di pensarci.

-Ma sì, per stavolta mi fiderò!-

Sea assunse un’espressione sollevata e si lasciò andare in una risatina.

-Tart, puoi lasciarci soli per un attimo?-

Domandò Kisshu, rivolgendosi al fratello, che annuì.

-Sea, facciamo un discorso da signorine grandi?-

Kisshu si inginocchiò davanti alla figlia e le accarezzò la testolina rotonda.

-Non mi piacciono i discorsi da signorine grandi-

Sbuffò la bambina, gonfiando le gote in un’espressione risentita.

-Lo so, ma questo é della massima importanza; Vedi, io e i tuoi due zii dobbiamo...abbiamo un lavoro da sbrigare molto importante ed urgente e non possiamo badare a te-

Sea sorrise, sollevata.

-Non importa papà, andrò da Lyu!-

-Amore mio, non puoi andare da Lyu, perché tutte le tue amichette e le loro famiglie verranno trasferite da un’altra parte; Siamo in uno stato di emergenza, piccola mia, e dobbiamo adeguarci-

Il sorriso della bambina si fece un po’ meno sicuro.

-...dove mi vuoi portare, papà?-

Kisshu sospirò: era arrivato il momento di affrontare la realtà.

-Dalla mamma-


“...Voglio volare da te
voglio volare da te
...”


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Capitolo 3
*** About sea and sky ***


cap3

nda
Mi scuso con tutti i lettori per l’increscioso ritardo, ma ero in pieno periodo esami e ho dovuto mettermi sotto con lo studio. Ora me ne manca solo uno per terminare il mio primo anno all’università e poi potrò dedicarmi molto di più alla storia. Scusatemi per il ritardo e per quelli che ancora ci saranno. Buona lettura!


About sea and sky

“So much between us
and we both know
that it's wrong...”

(Miss you More - BBMak)



Ichigo registrò a malapena il rumore del piccolo campanello appeso vicino alla porta d’entrata del locale; Troppo presa dai piatti che stava finendo di lavare, aspettò, senza alzare gli occhi dal lavabo, che Ayumi, la nuova arrivata, accogliesse il cliente come si conveniva.
La porta si chiuse violentemente, facendo suonare con furia il campanello appeso al di sopra di essa, mentre una voce entusiasta rimbombava nel locale ormai quasi deserto.

- é nata!-

Esclamò Makoto, il viso illuminato da un sorriso radioso. Aveva i capelli neri disordinati e i vestiti stropicciati e nel complesso sembrava stanco, ma mai Ichigo l’aveva visto più felice.

-Finalmente é nata!-

Ripeté il ragazzo, mentre una piccola folla di camerieri e cuochi si riuniva attorno a lui, per congratularsi e sapere di più sulla bambina;
Ichigo continuò imperterrita ad allineare le stoviglie bagnate sullo scolapiatti, cercando di isolarsi da quel clima così denso di gioia da risultare quasi soffocante.

-Dovreste vederla, é bellissima!-

Continuò Makoto, senza far nulla per nascondere la sua eccitazione.

-Spero che assomigli alla madre! Non é facile vivere con una brutta faccia come la tua!-

Rise il cuoco, dandogli una sonora pacca sulle spalle.
Ichigo si tolse il grembiule e lo appese al solito chiodo, avviandosi poi verso l’uscita con il cappotto stretto tra le braccia. Superò incurante e a testa bassa il campanello di gente che attorniava Makoto, tutto preso a rispondere ai sorrisi e alle pacche sulle spalle, ma fu la voce di quest’ultimo a fermarla quando, ormai, era a pochi passi dalla porta.

-Ichigo! Non penserai di scappare così? Stasera offro da bere a tutti per festeggiare!-

La ragazza si voltò verso di lui e fece un sorriso stiracchiato.

-Mi dispiace, ma non posso. Congratulazioni, comunque-

Detto questo, uscì in fretta, senza dare il tempo a Makoto di elaborare un discorso in grado di convincerla a restare; Era diventato padre, e allora? Cosa gli dava il diritto di rovesciare addosso agli altri la sua gioia, calda e appiccicosa come colla? Ichigo si passò meccanicamente le mani sulle braccia, come se sentisse i fili di quella felicità con cui Makoto aveva investito il locale stringerla fino a toglierle il fiato.
La ragazza accolse con gratitudine l’aria fredda della notte, che la investì non appena fu fuori dal locale, e fece un profondo respiro, sentendosi immediatamente più a suo agio; Indossò il cappotto e si incamminò verso casa, incurante dei piccoli fiocchi di neve che avevano cominciato a scendere dal cielo scuro.

***

La porta si aprì piano, rivelando l’ingresso scuro e disordinato della sua abitazione. Ichigo tastò alla cieca il muro accanto alla porta, finché le sue dita non incontrarono l’interruttore della luce e l’ambiente fu rischiarato.
Uno stagnante odore di chiuso e polvere le investì le narici e la ragazza registrò mentalmente il fatto che, in uno di quei giorni, avrebbe dovuto fare un po’ di ordine in giro; Superò con un balzo un mucchio di vestiti appallottolati sul pavimento dell’ingresso e si diresse verso la cucina, dove accese distrattamente la televisione.
Una luce azzurrina e tremolante investì la stanza, mentre Ichigo, incurante del canale selezionato, frugava nella credenza alla ricerca della confezione del thé.

-E poi dicono che le donne sono ordinate-

Mormorò una voce alle sue spalle, facendola sobbalzare.

-Non ti disturbare per me, non mi piace ciò che voi umani chiamate “thé”-

Ichigo si voltò lentamente, incredula, e si ritrovò a pochi metri da Kisshu, mollemente appoggiato su una sedia; Come primo impulso, la ragazza si sfregò gli occhi, convinta che quell’apparizione fosse soltanto frutto del troppo lavoro.
Kisshu sorrise senza allegria.

-No, non sono frutto della tua immaginazione, mi dispiace-

Ichigo indietreggiò fino al banco da lavoro della cucina, e lo usò come sostegno per rimanere in piedi.

-Cosa ci fai qui?-

Esclamò.

-Ho bisogno di un favore-

Ammise l’alieno con semplicità, guardandola intensamente.

-Con che coraggio vieni a chiedere un favore proprio a me?!Io non ti devo niente!-

Urlò la mew mew, con voce insolitamente acuta.

-Hai già avuto quello che volevi, avevi promesso di lasciarmi in pace!-

Kisshu le si avvicinò, con incredibile calma, continuando a mantenere lo sguardo incatenato al suo.

-Riguarda nostra figlia-

Mormorò, quando fu ad un passo da lei.

-E ti prego di non urlare, ho fatto fatica a farla addormentare-

Ichigo sbatté le palpebre, incredula.

-Scusa? Nostra...Tua figlia é qui?-

Il cuore di Ichigo cominciò a pompare sangue più velocemente, mentre sembrava che milioni di farfalle volassero impazzite all’interno del suo stomaco. Sea? La bambina che Kisshu aveva portato via appena nata, dopo che lei l’aveva pregato di non farsi più vedere?
Incredibilmente, Ichigo si ritrovò a domandarsi quanto fosse cresciuta, se avesse mantenuto ancora quelle guance rosate e piene...e gli occhi? Sarebbero stati ancora grandi e luminosi come quando era appena nata?
La mew mew scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri.
No, non poteva accettare che Kisshu l’avesse riportata indietro; Mancava poco meno di un mese al ritorno definitivo di Mark da Londra, cosa gli
avrebbe raccontato? Per un attimo, Ichigo non sentì più la stabilità del pavimento sotto i suoi piedi e dovette appoggiarsi con tutto il suo peso al banco di lavoro della cucina, mentre l’incubo del passato cominciava ad avvolgerla nuovamente nelle sue spire.
Kisshu, vedendola confusa e smarrita, fu tentato di accarezzarle una guancia, ma la mano rimase sospesa a mezz’aria.

No...non é te che vuole.


L’alieno sospirò, socchiudendo gli occhi; Cosa sperava di ottenere? Un’accoglienza festosa, un abbraccio di bentornato?
Si diede mentalmente dello stupido.

Basta con queste fantasie da ragazzino; Sei qui solo per mettere al sicuro Sea.

-Devi tenerla qui con te per un po’-

Mormorò Kisshu atono.
Quelle parole ebbero l’effetto di un colpo di pistola, spezzando brutalmente il silenzio in cui era immersa la cucina.
Ichigo lo guardò, inorridendo.

-Cosa?-

La luce azzurrina della televisione le illuminava parzialmente il viso pallido e sconvolto, e gli occhi, resi ancora più grandi dallo stupore.
Kisshu provò un moto di rabbia che lo spinse ad avvicinarsi brutalmente alla ragazza, scoprendo i canini affilati, mentre dalla gola gli usciva un ringhio sommesso e roco.

-Ascoltami, stupida umana!-

Sibilò, infuriato.

-Credi davvero che l’abbia portata qui per sport? Che volessi prendermi una vacanza dalle mie responsabilità di genitore?-

Ichigo stava per ribattere, ma l’alieno si avvicinò ancora e le tappò la bocca con una mano, con violenza.

-Il nostro pianeta é di nuovo in guerra e io sono stato chiamato a combattere! Ti occuperai di Sea finché non sarà tutto finito; A quel punto, tornerò a prenderla e la riporterò a casa-

Allentò la presa sulla bocca di Ichigo, ignorando le lacrime che cominciavano a colarle sulle guance e andavano perdendosi tra le sue dita diafane.
Kisshu la guardò con un misto di stizza e pietà.

-Smettila di piangere, stupida! é ora di crescere anche per te!-

Sibilò, gelido, e Ichigo si pulì rabbiosamente gli occhi con la manica della felpa, tirando su con il naso.

-Non ce la voglio qui-

Singhiozzò, tentando una debole rivalsa sull’alieno.

-Ti occuperai di lei. Bada che non é una domanda-

Kisshu le diede le spalle e sospirò impercettibilmente, mentre serrava i pugni con forza. Ichigo non era cambiata nei sei lunghi anni di lontananza: restava sempre una ragazzina egoista, una naufraga in balia della mareggiata dei sentimenti, troppo capricciosi e violenti per darle l’illusione di sapere come gestirli. Lo sguardo gli cadde su una fotografia, dove due ragazzi sorridevano in direzione dell’obiettivo; Mark aveva un braccio intorno alla vita di Ichigo, che pareva imbarazzata ma felice.
L’alieno chiuse gli occhi, cercando di ignorare quell’assurdo desiderio che gli stava avvelenando il cervello ed ottenebrando i sensi; Lui non avrebbe mai potuto prendere il posto di Mark, nonostante avesse più diritti di chiunque altro su Ichigo: non era forse lui, il padre della bambina che la ragazza aveva portato in grembo?
I singhiozzi soffocati alle sue spalle lo scossero da quei pensieri, e un moto di tristezza gli serrò lo stomaco.

Possibile che debba sempre finire così tra noi, Ichigo?
Possibile che siamo in grado solo di farci del male a vicenda?


Kisshu si voltò per dire qualcosa di incoraggiante alla ragazza, anche solo per scusarsi del comportamento di poco prima, ma Ichigo lo precedette.

-Dov’é ora?-

Domandò con voce piagnucolosa, avvicinandosi all’alieno e cercando di riprendere il controllo delle proprie emozioni.

-Sta dormendo sul tuo divano. Ho portato un po’ di vestiti e giocattoli, sono in quella borsa laggiù-

Kisshu indicò un angolo del salone, ancora immerso nel buio.
Ichigo si avvicinò a tentoni ad una abat-jour e la accese, inondando l’ambiente di una calda e soffusa luce gialla;
Sul divano, a pochi metri da lei, stava una bambina dai capelli rosa e le guance piene, che dormiva profondamente, con la bocca leggermente aperta e il pugnetto vicino al viso.
La ragazza le si avvicinò, studiandone i tratti con attenzione; Le orecchie erano certamente quelle di Kisshu, anche se più piccole, mentre i tratti del viso erano dolci come i suoi, nonostane fossero ancora arrotondati e infantili.
Ichigo si ritrovò a pensare che era davvero bella; Aveva un’espressione così serena e tranquilla...possibile che un rapporto basato su odio, rancore, disprezzo e ricatti potesse dare alla luce una creatura simile?

-Ha cinque anni, quasi sei. Non le piace molto il buio ed é...un po’ esuberante-

Disse Kisshu, osservando la figlia con tenerezza e scostandole un ciuffo ribelle dalla guancia.

-Forse é il caso di svegliarla, così te la presento-

L’alieno si sedette accanto a Sea e la scosse gentilmente per una spalla.

-Sea! Svegliati piccolina, siamo arrivati-

La bambina strizzò un poco gli occhi, poi li socchiuse, cercando di riprendere contatto con la realtà; Si stiracchiò un poco e si mise a sedere, strofinandosi una guancia con la manina grassoccia.

-Papà...?-

-Sì tesoro, sono qui-

Sea gli si sedette sulle ginocchia e si guardò intorno, scorgendo Ichigo inginocchiata davanti al divano; Fissò la ragazza con gli occhi color dell’ambra grandi ed attenti, poi un sorrisino timido le spuntò sulle labbra.

-Mamma?-

Domandò, piegando la testolina rotonda su un lato.
Ichigo sentì lo stomaco contrarsi dolorosamente e gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime.
Quella era la sua bambina? La piccola che aveva egoisticamente rifiutato di crescere?
Kisshu concentrò la sua attenzione sulla bambina; Ciò che stava per dirle faceva male prima di tutto a lui.

-Sea...-

Disse, guardandola serio in volto.

-Si, papà?-

-Questa é Ichigo, la tua mamma. Sono riuscito a ritrovarla, hai visto?-

Sea annuì emozionata, le gote più rosse del solito.

-Avrete tempo per conoscervi meglio...le sei mancata tanto, sai?-

La bambina si voltò a guardare Ichigo, con sguardo entusiasta.

-Davvero ti sono mancata, mamma?-

Ichigo annuì meccanicamente, incapace di proferire parola; L’aria nei suoi polmoni sembrava essersi congelata.
Sea, da parte sua, era felicemente incredula; Non sarebbe più stato necessario passare le serate ad immaginarsi cosa si provava ad essere abbracciati da una mamma, perché avrebbe potuto sperimentarlo sulla propria pelle. La bambina cercò di ricordarsi cosa facevano le mamme delle sue amichette, segnandoselo mentalmente: ora che anche lei aveva una mamma, avrebbe potuto condividere con lei molte attività che le erano parse divertenti, quali cucinare per il papà, rifare i letti, leggere le fiabe.
Prima di tutte queste cose, però, c’era un desiderio che aveva sempre occupato un posticino del suo cuore...un desiderio a cui decise di dar voce proprio in quel momento.

-Papà, quindi stasera posso dormire nel lettone con voi?-

Domandò ingenuamente, sorridendo radiosa.
Kisshu guardò la figlia con un’espressione indecifrabile, poi scosse mestamente la testa.
La felicità di Sea si spense in fretta, come una fiammella immersa nell’acqua.
Kisshu sospirò e cercò il modo più dolce di dire alla bambina che non sarebbe rimasto con loro; Aveva voluto rimandare al più tardi possibile quel momento, ma ormai non poteva più svicolare.

-Amore...il papà non resterà qui con te e la mamma-

Le parole stagnarono a mezz’aria, gravando sui presenti e saturando l’aria quasi fino a renderla irrespirabile. Sea riservò al padre uno sguardo lucido e smarrito, carico di domande a cui nessun ragionamento logico avrebbe dato una risposta esaustiva; Si morse il labbro nell’orgoglioso tentativo di non cedere alle lacrime, ma era una battaglia persa: queste ultime cominciarono a scivolare clandestinamente sulle guance, rotolando giù fino al collo. Kisshu dovette ricorrere a tutta la propria volontà per non cedere all’idea di riportarla indietro, nella sua vera casa; Si immaginò cosa sarebbe successo se la piccola fosse stata coinvolta in uno scontro a fuoco e tanto bastò per non farlo desistere.
La bambina gli gettò le braccia al collo, tirando rumorosamente su con il naso, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla.

-Non ci voglio stare qua senza di te-

Piagnucolò aggrappandosi a lui, come se potesse impedirgli di andare via. Kisshu le accarezzò sommariamente la schiena scossa dai singhiozzi.

-Sea, non fare i capricci. La gente a casa ha bisogno di me-

La bambina si staccò da lui quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.

-Io di più-

Mormorò, facendo vacillare la volontà del padre.

-Lo so amore, ma tu, a differenza di coloro che sono rimasti a casa, non sei sola; C’é la mamma che si occuperà di te-

Sea scosse la testa, mentre altre lacrime minacciavano di scendere dai grandi occhioni dorati.

-Non é lo stesso-

Kisshu sospirò e si sciolse dolcemente dall’ abbraccio della bambina, sorridendole incoraggiante.

-Facciamo così...il papà si fa sentire prestissimo e ti manda un regalino appena può! Che ne dici?-

Sea parve rallegrarsi un poco.

-Che regalino?-

Kisshu rise di cuore, vedendo la curiosità rimpiazzare la tristezza negli occhi della figlia.

-No no, é una sorpresa!-

Sea rimase in silenzio per un attimo, guardando con insistenza il pavimento, poi tornò a guardare il padre, con un’espressione tremendamente seria, che stonava con i suoi tratti infantili.

-Tornerai?-

Domandò, mentre una piccola lacrima le rotolava furtiva sulla guanciotta arrossata.
Kisshu gliela asciugò con il pollice e sorrise rassicurante.

-Certo che tornerò-

L’alieno strinse ancora una volta a sé la bambina, prima di farla scendere dalle ginocchia e metterla a terra.

-é ora di andare-

Disse, gurdando prima Ichigo e poi Sea.

-Fai la brava Sea, mi raccomando!-

La bambina agitò la manina, respirando profondamente per cercare di controllare i singhiozzi. A suo papà non piacevano le mocciose piagnucolone, glielo aveva sempre ripetuto; Non importava quanto potesse far soffrire o spaventare una situazione, bisognava sempre affrontarla a testa alta, perché al di là di quel dolore c’era sempre qualcosa di importante per cui valeva la pena lottare.
Sea si asciugò gli occhi e sorrise con aria fiera.

-Ti voglio bene papà!-

-Anche io piccoletta!-

Kisshu guardò ancora una volta Ichigo, che stava inginocchiata accanto alla bambina. I loro occhi si incontrarono per un attimo e l’aria parve farsi elettrica, mentre tutto intorno a loro piano piano si faceva più sfocato e la mente veniva intasata da folli ed illusori pensieri.

Voglio mantenere questa promessa, tornerò.

Se non tornerà...come faremo?

Non voglio più combattere.

E’ davvero ciò che voglio lasciarlo andare via di nuovo?
Voglio vederla ancora.

Voglio vederlo ancora.

Per un attimo, entrambi, sentirono il cuore riempirsi di un nuovo sentimento, al tempo stesso nuovo e conosciuto, che li fece sentire completi.
Kisshu, spaventato dal pompare furioso del proprio cuore, distolse lo sguardo per primo e prese fiato.

-Buona fortuna...Ichigo-

Mormorò, cercando di mantenere un tono distaccato.
La ragazza annuì appena e Kisshu schioccò le dita, sparendo all’improvviso.
Sea rimase per un attimo a guardare lo spazio dove prima c’era il padre, poi si voltò verso Ichigo, con aria timida.

-Mamma?-

Domandò, guardandola e scoprendo che assomigliava molto a come se l’era immaginata tante volte.

-Dimmi...dimmi, Sea-

-Perché...perché non hai baciato il papà?-

Ichigo sorrise nervosamente ed ignorò la domanda, alzandosi poi in piedi e prendendo la bambina per mano.

-Sarà il caso di prepararti il letto, non trovi?-

Disse, sforzandosi di controllare la voce, scioccamente incerta; Possibile che, nonostante fossero passati anni, Kisshu riuscisse a mandarla così in confusione? Non era mai stato amoroso nei suoi confronti, il loro era sempre stato un rapporto violento, fatto di ricatti e frasi taglienti. Quando, però, lei aveva avuto bisogno di una mano, lui era sempre stato al suo fianco, nonostante nessuno glielo avesse chiesto. Ichigo si avviò lungo il corridoio che portava alla camera da letto, seguita da Sea che si stava sfregando gli occhi, sbadigliando largamente.
Ichigo accese la luce e si inginocchiò davanti al letto, allungando una mano sotto di esso, alla ricerca di una vecchia brandina. Non appena le dita le si chiusero attorno allo scheletro di metallo, tra colpi di tosse dovuti alla troppa polvere, Ichigo la trascinò fuori, mostrandola alla bambina.

-Ora te la sistemo a dovere-

Sea arricciò il nasino.

-Il mio letto era più bello-

-Si fa quel che si può...mettiti il pigiama intanto, e sciogliti le trecce-

Sea ubbidì e si mise a rovistare nella sacca che le aveva portato il padre, ma dopo qualche minuto, con un faccino contrito, si rivolse alla madre.

-Papà non ha messo il pigiama-

Si lamentò, tirando il bordo della maglietta di Ichigo, intenta ad osservare con soddisfazione il letto che aveva improvvisato per Sea.

-Ti metterai una mia vecchia maglia, andrà bene lo stesso-

Dopo una manciata di minuti la bambina era pronta per andare a dormire e stava aspettando, seduta sul letto, che la madre uscisse dal bagno.
Ichigo si sciacquò il viso un paio di volte, prima di guardarsi allo specchio e scorgere il riflesso di un viso stanco e pallido, con gli occhi incredibilmente rossi e gonfi. Sospirando, si apprestò a spazzolare i lunghi capelli rossi con gesti lenti e delicati, che si fecero man mano più rabbiosi mentre la sensazione di completezza e perfezione che aveva provato quando i suoi occhi avevano incontrato quelli di Kisshu, svaniva lentamente e la realtà delle cose la investiva con prepotenza. In meno di un paio d’ore si era trovata ad essere nuovamente madre, in maniera inaspettata esattamente come la prima volta.
Appoggiò la spazzola sul bordo del lavello e uscì dal bagno, sforzandosi di sorridere; Kisshu l’aveva nuovamente incastrata, rigettandola in un incubo da cui sperava essere fuggita per sempre sei anni prima.
Si chiuse la porta alle spalle ed entrò in camera, pensando alla scusa che avrebbe presentato a Mark quando sarebbe tornato; Gettò un’occhiata al calendario, dove la data del suo ritorno era cerchiata di rosso: mancava poco meno di un mese, ormai.

-Ti sei messa il pi...-

Ichigo si interruppe, vedendo che la bambina si era profondamente addormentata; La testolina era piegata da un lato e aveva un braccio grassoccio abbandonato mollemente sulla pancia, mentre l’altro era disteso sul piumone, accanto ad un foglio di carta; Probabilmente lo stava stringendo tra le dita poco prima di cadere preda del sonno.
Ichigo le rimboccò le coperte, sistemandole meglio la testa sul cuscino, ignorando il foglio che era scivolato sotto il letto, tra i batuffoli di polvere. Sopra di esso, un volto dai contorni sbavati e dalle passate incerte dei pastelli, sorrideva angelico; Recava in calce una scritta satura di errori ortografici ma traboccante di infantile affetto: la mia mamma.

***

Kisshu chiuse gli occhi e cercò di dormire un poco, mentre il rombo monotono dei motori della navicella gli ronzava nelle orecchie.
Svuotare la testa dai pensieri molesti era tutt’altro che facile, soprattutto ora che non aveva Sea su cui concentrare le proprie attenzioni.
Socchiuse gli occhi e si sfregò le tempie, rinunciando definitivamente all’idea di prendere sonno; La vista di Ichigo l’aveva turbato più di quanto pensasse, in più c’era stato quel momento...quel breve attimo in cui gli sguardi si erano incrociati e gli era quasi parso di sentire la voce di Ichigo dentro la propria testa, anche se indistinta.
Ancora una volta si domandò se la scelta di affidarle Sea fosse stata saggia: lei aveva rinunciato al suo diritto di essere madre tanti anni fa e nulla gli assicurava che avrebbe trattato la bambina come si conveniva. Guardò verso la luna, che diventava sempre più vicina mano a mano che si allontanava dalla terra e si ritrovò a pensare che, a quell’ora, Sea stava sicuramente già dormendo, con i capelli sparsi sul cuscino e la bocca socchiusa. Senza neanche accorgersene, si abbandonò sul sedile e scivolò nel dormiveglia. Ormai la decisione era stata presa e non si poteva più tornare indietro; Il suo compito era quello di risolvere la guerra il più velocemente possibile e tornare a prendersi Sea ed Ichigo.
Ichigo?
Per la decima volta da quando aveva rivisto la ragazza, si diede mentalmente dello stupido; Nella sua mente prese forma un altro pensiero, ma il sonno lo tradì e lo fece scivolare via dai pensieri razionali prima che potesse elaborare una risposta.

...Riprendere Sea ed Ichigo...non suona poi così male.


“Now I keep on waiting till
I am back where I belong...
Back where I belong”





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Capitolo 4
*** About heart and mind ***


Senza Titolo

About heart and mind
 
It's not always rainbows and butterflies
It's compromise that moves us along
My heart is full and my door's always open
You can come anytime you want
(She will be loved- Maroon 5)

Sea allungò una manina grassoccia sul tavolo, nel tentativo di raggiungere il vassoio su cui erano adagiati alcuni dolci dall’aspetto goloso, che lei non aveva mai visto. Sfiorò con le piccole dita il piatto e sbuffò, cercando di sporgersi ulteriormente senza doversi mettere in ginocchio sulla sedia; Sua madre le aveva ripetuto più volte che, in quella maniera, rischiava di sporcare i cuscini con le scarpe.
Ichigo le dava le spalle, impegnata a cucinare la loro prima colazione; Non era abituata ad avere qualcun altro in casa e il cambio di abitudini l’aveva innervosita non poco, soprattutto all’inizio della convivenza con la figlia.
In due settimane, comunque, aveva fatto già notevoli progressi: aveva imparato a cucinare qualcosa di fresco almeno una volta al giorno, invece di somministrare al suo organismo e a quello della bambina solo cibo precotto; Si era, inoltre, presa maggiore cura della casa: i vestiti sporchi non giacevano più appallottolati in ogni angolo, l’unto non colorava il muro vicino ai fornelli e il pavimento aveva smesso di essere appiccicoso.
Ichigo spense il fuoco e avvicinò i piatti alla padella, mettendo in ciascuno un po’ di uovo e della pancetta. Sì, dopo due settimane poteva dire di essersi ormai abituata alla bambina e l’angoscia, che le aveva stretto il cuore all’inizio di tutta quella storia, sembrava avesse allentato di un poco la presa.
Un rumore sordo attirò la sua attenzione e Ichigo fece in tempo a girarsi per vedere Sea capitolare a terra con tutta la sedia; Appoggiò i piatti sul lavello e si avvicinò alla figlia, che aveva uno sguardo terribilmente crucciato.

-Tutto bene? Ti sei fatta male?-

Domandò, esaminandole il viso in cerca di qualche ferita possibile; Sea si sottrasse alla sua presa con uno scrollone e si rimise in piedi.

-Sto bene-

Disse, e Ichigo le arruffò i capelli.

-Stai tranquilla, sono sicura che sentiremo presto tuo padre-

Aggiunse, cercando di tranquillizzare la bambina, tutta presa nel cercare di risollevare da sola la sedia.

-Doveva chiamare due giorni fa!-

Piagnucolò Sea, risiedendosi e portando alla bocca la ciambella che la mamma le porgeva, mentre con la mano libera si sfregava il nasino.

-Probabilmente ha avuto un contrattempo, a volte capita ai grandi-

Le spiegò Ichigo, mettendole davanti il piatto con le uova e la pancetta e riempendole il bicchiere di succo d’arancia.

-Comunque stai tranquilla, sono certa che...-

Il cellulare di Ichigo cominciò a vibrare sul ripiano della cucina, interrompendo il loro discorso; La ragazza si dondolò sulla sedia fino a raggiungere l’apparecchio e gettò uno sguardo al display per vedere chi la stesse chiamando, ma il numero risultò sconosciuto. Accigliata, rispose con un poco di titubanza.

-Ciao gattina!-

Esordì una voce squillante dall’altro capo del telefono; Ichigo spalancò gli occhi, mentre il suo cuore aumentava furiosamente i battiti.

-Mark?-

Domadò, con voce flebile, chiedendosi se per caso non stesse ancora sognando; Il lamento di Sea riguardo la pancetta troppo salata, la convinse di essere nel mondo reale.

-Proprio io, tesoro! Come stai?-

Ichigo sbatté le palpebre, mentre con una mano faceva cenno alla figlia di tacere.

-Benissimo, sto per andare al lavoro...come mai mi chiami così presto? é successo qualcosa?-

-Diciamo di sì, amore...in realtà speravo che potessi venirmi a prendere...-

-A prendere? Ma dove sei?-

-All’aereoporto Narita*-

La ragazza scattò in piedi, rovesciando la sedia e gettando una veloce occhiata al calendario; Mancavano ancora due settimane alla data del suo ritorno! Cosa ci faceva già lì?

-Ichigo? Ci sei ancora?-

Domandò Mark, confuso: si aspettava una reazione di gioia allo stato puro, non quel silenzio imbarazzato.

-S...sì! Scusa, ma mi hai sorpresa! Mancano ancora due settimane alla data in cui...-

-Lo so-

La interruppe Mark e, dal tono di voce, Ichigo intuì che stesse sorridendo.

-Ho finito prima il dottorato ed é stata una mia decisione non dirti nulla sull’anticipo della partenza. Volevo farti una sorpresa-

Ichigo, incastrandosi il telefono tra l’orecchio e la spalla, prese per un braccio la figlia e la allontanò dal frigo, porgendole poi il latte che la piccola stava cercando di prendere.

-Ci sei riuscito-

Disse in tono pensieroso, valutando le possibilità su dove sistemare Sea e maledicendo Mark per non averla avvertita in tempo.

-Tutto bene?-

-Si...si scusa, si sta esaurendo la batteria, dammi il tempo di organizzarmi e arrivo!-

-No Ichigo, lascia stare, se devi correre al lavoro non preoccuparti! Mi prendo un taxi e ti aspetto a casa, tanto mi hai dato il doppione delle chiavi!-

Il tono ferito di Mark fece sentire Ichigo immediatamente in colpa; Mordendosi il labbro per il nervosismo, prese i piatti dalla tavola e li mise nel lavello, aprendo l’acqua.

-No, ascolta, non é un problema. Aspettami lì, io arrivo-

In quel momento la batteria si scaricò completamente e il cellulare si spense con un irritante sibilio; Ichigo lo chiuse e lo abbandonò sul ripiano, sospirando.
Che fare? Lasciare Sea a casa da sola neanche a parlarne; Benché fosse una bambina matura per la sua età, era ancora troppo ingenua e sprovveduta. Poteva portarsela dietro, ma voleva preparare gradualmente Mark alla presenza della piccola, sbattergliela davanti appena sceso dall’aereo, con parecchio nervosismo addosso dovuto alla stanchezza e al fuso orario, sembrava il biglietto da visita per una litigata.
Per un attimo Ichigo valutò l’idea di lasciarla ad una delle Mew Mew, ma poi si rammentò con amarezza che non le sentiva da troppo tempo. Gettò un’occhiata all’orologio e schioccò la lingua, irritata: tra meno di quindici minuti avrebbe dovuto essere al lavoro e tra meno di mezz’ora all’aeroporto.

-Sea, fai la brava, vatti ad infilare le scarpe ed il cappotto-

La bambina appoggiò sul tavolo il bicchiere di latte e guardò la madre, cercando di pulirsi il labbro superiore con la lingua.

-Dobbiamo andare a lavorare?-

Domandò, spingendo indietro la sedia e mettendosi in piedi.
Ichigo scosse la testa.

-Più o meno. Diciamo che stiamo andando da Makoto-

A sentire il nome del collega di Ichigo, Sea si illuminò. Makoto le era piaciuto fin da subito, la faceva ridere con le sue battute ed era molto disponibile; Una volta le aveva raccontato una fiaba molto emozionante, cercando di intrattenerla affinchè Ichigo potesse terminare tranquillamente il suo turno di lavoro. Aveva, inoltre, una figlia bellissima, alla quale Sea voleva molto bene.

-Ma a casa sua?-

Domandò la bambina, rovistando nella scarpiera.

-Si!-

-Che bello, mamma! Così possiamo vedere Miyu! L’ultima volta che le ho toccato la guancia ha fatto un versetto buffissimo! Dici che questa volta Makoto me la farà tenere in braccio?-

Ichigo ignorò le chiacchere della figlia e, chiusa a chiave la porta di casa, si affrettò giù per le scale, verso il garage, con Sea che le trotterellava allegramente al fianco.



Makoto sbadigliò sonoramente, chiedendosi chi mai potesse essere a quell’ora del mattino. Quel giorno aveva il secondo turno al lavoro e non gli sarebbe dispiaciuto dormire un paio di orette in più, soprattutto calcolando che la sua signorina preferita aveva pianto tutta la notte in preda alle coliche.
Grattandosi la testa e trattenendo a stento un ennesimo sbadiglio, aprì la porta e, non appena realizzò chi avesse davanti, sbattè più volte le palpebre, confuso.
Ichigo gli regalò un sorriso imbarazzato, mentre Sea si fiondò in casa e gli abbracciò stretta una gamba.

-Ciao zio Makoto!-

Esclamò. Makoto sorrise e le accarezzò la testa, concentrando poi la propria attenzione su Ichigo.

-E’ successo qualcosa?-

La ragazza annuì e l’ombra di un sorriso aleggiò sul suo volto; Due settimane prima, Makoto aveva accolto lei e Sea nella stessa maniera.



Ichigo trasse un respiro profondo, stringendo un po’ di più la manina di Sea, avvolta nel guantino di lana. Guardò per la decima volta la porta del ristorande dove lavorava, in cerca del coraggio necessario per aprirla ed affrontare i colleghi. La bambina cominciava a dare segni di impazienza, battendo la punta dello stivaletto sul marciapiede innevato.

-Mamma, ho freddo. Entriamo?-

Domandò, tirando leggermente Ichigo per la mano. La ragazza si riscosse dai suoi pensieri ed annuì, ruotando la maniglia ed entrando nel locale, ignorando il trillo del campanello che, invece, attirò l’attenzione di Makoto, intento a preparare alcune porzioni di ramen.

-Ehi, Ichigo! Non ti aspettavo, il tuo turno è tra più di un’ora. E’ successo qualcosa?-

Le domandò, soffermandosi ad osservare Sea.

-Tutto bene, non ti preoccupare...volevo presentarti mia figlia-

Disse Ichigo, pensando che, se non l’avesse detto in quel momento, le parole si sarebbero poi rifiutate di uscire.
Makoto inarcò le sopracciglia, poi sorrise e finì di preparare il ramen, porgendolo ai clienti in attesa davanti al bancone.
Ichigo si avvicinò e, dopo essersi tolta il cappotto ed averlo appeso accanto a quello di Sea, si sedette su un alto sgabello e rimase in attesa che Makoto dicesse qualcosa.

-Mi fa piacere vederla, Ichigo. Credevo che il padre avesse insistito per portarla a vivere con sè a Londra, in seguito alla tua scelta di abbandonare l’università. Te l’ha perdonata?-

Ichigo arrossì ed annuì, fissandosi con insistenza le scarpe.
Makoto asciugò un coltello con il grembiule e, dopo averlo appoggiato sul bancone, si rivolse a Sea.

-Allora, piccolina! Mi vuoi dire come ti chiami?-

Sea gli sorrise allegramente, piegando leggermente la testa da un lato.

-Sea! E ho tanti anni così-

La piccola gli mostrò la manina aperta.

-Oh, hai cinque anni?-

Sea scosse la testa, imbronciandosi.

-No, devi aggiungere un altro mezzo dito-

Makoto si lasciò andare in una risata e le arruffò bonariamente i capelli; Ichigo si irrigidì impercettibilmente: aveva pettinato i capelli della bambina in maniera tale che nascondessero le piccole orecchie a punta...fortunatamente queste ultime rimasero nascoste, nonostante la carezza dell’uomo.

-Cinque e mezzo! Ma allora sei una bimba grande!-

Sea annuì con convinzione, sporgendosi poi un po’ sul bancone per vedere cosa stesse cucinando Makoto; Appena vide le polpettine di riso allineate in bell’ordine, sentì lo stomaco brontolare ed allungò la mano con l’intenzione di prenderne una, ma la voce di Ichigo la fermò.

-Sea! Non puoi mangiare il cibo del ristorante!-

Fece per prendere in braccio la figlia, ma Makoto le mise la mano sul braccio e la fermò, scuotendo la testa.

-Lasciagliene mangiare una, dai! Tanto ne ho già preparate molte, non sarà una in più o in meno a fare la differenza-

Prese una polpetta un po’ più piccola delle altre e la porse a Sea, che si risedette sorridente, dando dei piccoli morsi al suo spuntino.

-Dimmi un po’, la tieni qui durante il tuo turno?-

Domandò Makoto ad Ichigo e lei annuì.

-Sì, non ho nessuno che possa occuparsi di lei, così me la porto dietro-

-E i tuoi genitori?-

-Non è mai andato loro giù il fatto che fossi rimasta incinta senza essere sposata-

Makoto annuì, pensieroso.

-Ascolta, io dopo sono libero, perchè mia moglie ha voluto andare dai suoi genitori e si è portata dietro la bambina...se vuoi tengo un po’ di compagnia a Sea-

Ichigo spalancò gli occhi, sorpresa.

-Perchè faresti questo per me?-

Makoto le rivolse un sorriso caldo, sincero e per la prima volta da quando lo conosceva, Ichigo non rimase asfissiata da quella sua gioia così intensa, anzi: provò nei suoi confronti un sentimento di aperta gratitudine.

-Perchè non dovrei farlo?-



Makoto salutò Ichigo con la mano, sulla porta di casa, mentre con l’altra cercava di trattenere Sea che voleva precipitarsi a vedere la sua cuginetta adottiva.

-Dai, dai zio Makoto, andiamo a vedere la cuginetta!-

Makoto rise e prese in braccio la bambina, portandola in cucina.

-La cuginetta sta ancora dormendo e, calcolando quanto ci ha fatto tribolare questa notte, è meglio che lo faccia ancora per un po’-

Sea si fece mettere sul tavolo, dove restò seduta con le gambe a penzoloni.

-Allora, hai già fatto colazione?-

Sea annuì, ma poi un sorriso furbetto le illuminò il volto.

-Posso fare il bis?-

Makoto rise di cuore e frugò nella credenza, tirandone fuori dei biscotti al cioccolato e sventolandoli sotto il naso della bambina.

-Che ne dici di questi, furbetta?-

Sea ne prese uno e se lo mise in bocca, ringraziando lo zio.



Ichigo si guardò intorno, controllando febbrilmente il suo orologio da polso.
L’aereo di Mark era già atterrato da più di mezz’ora e sicuramente lui la stava aspettando, valigia alla mano, pronto per condividere insieme la gioia del suo rientro. Purtroppo era dovuta passare prima dal ristorante, per chiedere ad Ayumi di scambiare il suo turno con il proprio: in questa maniera poteva dedicarsi a Mark tutto il mattino e andare a lavorare solo a pomeriggio inoltrato. Questa deviazione, però, le aveva fatto perdere diverso tempo e aveva fatto aspettare il ragazzo più del previsto.
Ichigo camminò verso la sala d’attesa dell’aereoporto, sperando che Mark non se ne fosse già andato, stufo di aspettarla, finchè una voce fin troppo conosciuta attirò la sua attenzione.

-Ichigo!-

Quando sentì due braccia forti avvolgerla in una stretta bisognosa, di cui aveva tanto sentito al mancanza, il cuore della ragazza mancò un battito.
Emozionata, non impedì alle lacrime che le si erano formate negli occhi di sciovolarle lungo le guance, anzi, le usò come pretesto per affondare il viso nel torace di Mark e prolungare l’abbraccio.
Lui le accarezzò amorevolmente la testa, passandole poi due dita sotto il mento per indurla ad alzare il capo e a guardarlo in viso.
Ichigo si alzò sulla punta dei piedi per avvicinarsi alle labbra di Mark che, capite le sue intenzioni, annullò la distanza tra i loro visi e la baciò, stringendola possessivamente a sè.
Ichigo svuotò la mente ed aspettò di essere sommersa da quell’ondata di emozioni ormai tanto familiare, che le faceva sentire le gambe molli e la testa leggera; Aspettò che l’aria cominciasse a sfrigolare, facendole aumentare vertiginosamente i battiti del cuore...per questo, quando Mark si allontanò da lei, rimase per un attimo immobile, con gli occhi chiusi e le labbra protese, confusa e desolatamente vuota: non aveva sentito nulla.
Si portò una mano sulle labbra, cercando di convincersi che da quel bacio non era nato nulla, se non un po’ di batticuore.

-Allora Ichigo...vogliamo andare?-

Domandò Mark, guardandola con un sopracciglio inarcato e l’aria divertita.
Ichigo si riprese e sorrise incerta, tormentandosi il labbro inferiore.
Il ragazzo, vedendola delusa, le si avvicinò all’orecchio e le sussurrò:

-A casa tutti i baci che vuoi-

Ichigo arrossì e, preso Mark per mano, si avviò lungo il grande corridoio dell’aereoporto, chiaccherando del più e del meno, cercando di ignorare quei fastidiosi pensieri che, ne era certa, un giorno o l’altro l’avrebbero portata alla pazzia.

Io amo Mark. Lo amo da impazzire.Lo amo...?



Ichigo camminò lentamente lungo il corridoio in penombra, senza preoccuparsi di nascondere le sue nudità; Il tempo del pudore era ormai finito, soprattutto quando era con Mark. Aprì la porta del bagno e cercò a tentoni l’interruttore della luce, ma una mano si strinse saldamente sul suo polso, trascinandola in un abbraccio soffocante. Ichigo sorrise incerta, cercando di divincolarsi nella maniera più dolce possibile, per non urtare i sentimenti del suo ragazzo.

-Ehi, Gattina-

Le mormorò lui, mordicchiandole il lobo.

-Speravi di sfuggirmi così?-

Domandò, accarezzando dolcemente la schiena della ragazza e cercando le sue labbra; Ichigo si lasciò baciare, cercando dentro sè stessa quell’isola felice su cui volava la sua anima ogni volta che, in passato, Mark le rivolgeva anche solo un’occhiata. Quando non incontrò altro che vuoto, Ichigo fu disgustata da sè stessa: Mark non meritava questo...lui l’aveva sempre protetta, amata e rispettata e, cosa più importante, si era fidato di lei, anche quando aveva tutte le ragioni per non farlo.
Davanti al pensiero di quanto fosse stata egoista nei suoi riguardi, Ichigo si sentì fisicamente male e dovette appoggiarsi maggiormente alle braccia del ragazzo, per non scivolare sul pavimento.
Mark interruppe immediatamente il bacio e la guardò, con gli occhi colmi di preoccupazione.

-Ehi, Ichigo! Tutto bene?-

La ragazza si limitò ad annuire, non fidandosi della sua voce.
Lei non meritava Mark e solo in quel momento aveva realizzato del tutto quella verità: non lo meritava perchè non era in grado di amarlo abbastanza, non nella maniera perfetta ed incondizionata che lui desiderava. Come poteva dirgli che non desiderava fare l’amore con lui? Che non era per lui che batteva il suo cuore? Come poteva accettarlo lei stessa?

-Deve essere un calo di pressione...nulla di preoccupante-

Lui, non soddisfatto da quella risposta, la prese sotto braccio e la riaccompagnò a letto, aiutandola a distendersi.

-E’ meglio se ti prendi una giornata di riposo, oggi. Telefono io al tuo capo, non preoccuparti-

Ichigo scosse la testa, appoggiandosi su un gomito.

-Non è necessario, davvero! E poi...-

La ragazza si morse le labbra: doveva assolutamente dirgli di Sea; Non l’avrebbe presentata come sua figlia, ovviamente, ma come una cugina lontana di cui doveva prendersi cura. Mark la osservò con un sopracciglio inarcato e un sorrisetto ironico.

-Sei pallida come un lenzuolo e prima mi sei quasi svenuta tra le braccia. Mi sembra un ottimo motivo per starsene a casa, oggi-

-Mark, senti, dopo verrà...-

Cominciò Ichigo, ma Mark la zittì con un bacio a fior di labbra.

-Parli decisamente troppo. Cerca di dormire un po’ invece di preoccuparti. Io telefono al ristorante e poi mi faccio una doccia. Ah proposito...grazie di avermi già preparato il letto**-

Le spostò i capelli dalla fronte e vi posò un bacio, poi si alzò ed uscì dalla stanza da letto, chiudendo piano la porta.
Ichigo restò per un momento a meditare nel buio, poi si alzò e con decisione tirò le tende della finestra, facendo entrare nella camera un fiotto di luce denso come il miele; Spalancò le ante e rimase ad osservare Tokyo, ignorando il freddo pungente che le violentava la pelle nuda. Ascoltò il chiasso della città che si muoveva frenetica sotto di lei, ormai tanto familiare da risultare piacevole.
Non era riuscita a dire di Sea a Mark e tra poco cominciava il turno di Makoto al ristorante, quindi non sarebbe stato strano trovarselo davanti alla porta di casa con la bambina per mano.
Ichigo si segnò mentalmente di dire a Sea di non chiamarla mamma in presenza di Mark, ma il fatto che anche quelli del ristorante sapessero che era sua figlia complicava notevolmente le cose. La ragazza si portò una mano al petto e si stupì nel sentire il battito regolare del suo cuore: c’era stato un tempo in cui credeva che battesse solo in funzione di Mark; Com’era possibile che continuasse a pompare regolarmente il sangue, quando lei si sentiva dilaniare dentro dai sensi di colpa e dal fantasma di un sentimento che non c’era più?
Un sorriso ironico le si dipinse sulle labbra:

Che stupide fantasie da ragazzina...


Nonostante quel pensiero, però, i ricordi della notte in cui, in quello stesso letto su cui ora era inginocchiata, si era donata completamente a Kisshu, tornarono ad affacciarsi alla sua mente. Buffo...due giorni prima, quando aveva cambiato le lenzuola, aveva rimesso quelle che avevano accolto i sospiri e i gemiti di quella notte clandestina di quasi sei anni prima; Non le aveva mai più usate da allora.

Già...Kisshu...

Chissà se la guerra era già cominciata. Si ricordò che non avevano più notizie dell’alieno da diversi giorni ormai, e la preoccupazione che aveva riempito gli occhi di Sea quella mattina divenne la sua: e se fosse successo qualcosa? Il cuore comiciò a pompare più velocemente e fu come se una mano invisibile le stesse stringendo lo stomaco in una morsa. La ragazza scosse al testa e si diede della stupida, ignorando una verità che sarebbe stata troppo scomoda da accettare.
Il trillo del campanello riscosse Ichigo dai suoi pensieri e, dopo essersi infilata la vestaglia da camera, andò ad aprire senza preoccuparsi di guardare dallo spioncino; Sapeva già chi avrebbe trovato sulla porta.

-Mamma!-

Esclamò Sea, abbracciandola all’altezza delle ginocchia.

-Lo sai che la cuginetta ha vomitato tutto il passato di albicocca? Io gliel’ho detto allo zio che quella roba faceva schifo, ma lui non mi ha dato retta!-

Makoto affondò le mani nel giaccone pesante che aveva addosso, sorridendo.

-Tua figlia è una vera donnina di casa!-

Ichigo sorrise ed annuì, accarezzando sommariamente la testolina rotonda di Sea.

-Grazie di averla tenuta per la mattinata, mi hai davvero aiutato...a proposito, non mi sento molto bene oggi, puoi dire tu al capo che non ce la faccio proprio a venire?-

Makoto assunse un’aria più seria e la squadrò con occhio critico, senza mascherare la nota di preoccupazione che gli aveva oscurato il volto.

-Sei pallida da fare paura, sicura di non esserti presa l’influenza?-

-Stai male, mammina? Se vuoi ti preparo il brodino che a me mi fa schifo, però Aiko dice che fa tanto bene-

Makoto rise di cuore al pensiero della moglie che cucinava il famigerato brodo, odiato da tutti coloro che avevano avuto la sfortuna di assaggiarlo.

-Sì, mia moglie è una veterana del brodino!-

Ichigo ringraziò Sea e le assicurò che non era necessario, poi concentrò la sua attenzione sul collega.

-Grazie ancora per l’aiuto...ora credo che andrò a stendermi; Il riposo è la cura migliore-

-Ichigo, chi è?-

La ragazza si irrigidì e sentì il cuore prendere a battere più velocemente, pompando sangue ed adrenalina, mentre Makoto serrò la bocca in una linea sottile, assumendo un atteggiamento ostile.
Sea, stordita da quel cambiamento improvviso, si sporse un poco oltre la madre, per incrociare lo sguardo di un ragazzo sconosciuto, con la pelle color del bronzo e due profondi occhi castani; Mark aveva un asciugamano stretto in vita, mentre con un altro si frizionava i capelli bagnati.

-Oh..oh, Mark...ecco, loro...lui è...un mio collega di lavoro!-

Balbettò Ichigo, indicando Makoto con un gesto della mano.

-Piacere-

Dissero i due ragazzi in contemporanea, osservandosi: Mark era semplicemente incuriosito, Makoto invece appariva ostile.

Così è questo lo stronzone che, oltre ad aver sottratto la figlia ad Ichigo, si è ripresentato come se nulla fosse! Bel pezzo di merda...

Makoto tese freddamente una mano a Mark, che lui accettò con un sorriso incerto, confuso dal disprezzo che brillava negli occhi dell’uomo.

-E’ stato gentile a venire fin qui...-

-Dovere-

Il silenzio calò come una cappa opprimente e Ichigo decise di mettere fine a quella situazione imbarazzante.

-Makoto, allora ci vediamo al lavoro domani-

Disse, sfoderando la sua espressione più dolce. L’uomo le sorrise brevemente, poi si inginocchiò all’altezza di Sea e le diede un bacino sulla fronte.

-Fai la brava piccolina-

-Sì zio!-

La bambina annuì, frustando l’aria con i suoi capelli sbarazzini.
L’uomo si alzò e fece per andarsene, quando la voce di Mark lo richiamò.

-Piacere di averla conosciuta, signor Makoto-

Quest’ultimo si girò e gli rispose quasi con un ringhio.

-Piacere mio-

Bastardo ipocrita.


Ichigo chiuse la porta di casa e vi si appoggiò contro con un sospiro, ignorando per un momento gli sguardi interrogativi di Mark e Sea.

-Ichigo...mi potresti spiegare chi è questa bambina?-

La ragazza socchiuse gli occhi ed annuì stancamente.

-Scusa se non te l’ho detto prima, Mark...lei è la mia cuginetta Sea. I miei zii sono dovuti partire all’improvviso per un viaggio di lavoro e mi hanno chiesto se potevo badare a lei-

La bambina le rivolse uno sguardo confuso, non capendo; Le si avvicinò e le tirò la vestaglia, in cerca di attenzioni.

-Chi è questo signore, mammina?-

Domandò, allungando le braccina grassocce per farsi prendere in braccio.
Il sopracciglio di Mark si sollevò pericolosamente e Ichigo trattenne a stento un gemito di frustrazione.

-Mammina?-

Domandò il ragazzo, fissando accigliato la mew mew. Lei gli si avvicinò ad un orecchio e sussurrò, in modo tale che solo lui potesse sentire:

-Le piace chiamarmi così...credo sia un modo per sentire di meno la mancanza dei suoi genitori-

Le labbra di Mark si aprirono in un sorriso ed annuì, sporgendosi un poco per baciare la fronte della fidanzata.

-Sei dolcissima, tu-

Mormorò, ritornando poi in bagno per finire di asciugarsi i capelli e vestirsi, lasciando sole Sea ed Ichigo. Una volta che non fu più a portata d’orecchio, la mew mew si rivolse alla figlia, sbuffando impercettibilmente.

-Per favore piccola, non chiamarmi mamma di fronte al ragazzo che hai appena conosciuto, va bene?-

La bambina guardò sua madre negli occhi, poi si divincolò per essere messa a terra e la ragazza notò come i suoi grandi occhi color dell’ambra fossero inumiditi dalle lacrime.

-Perchè non posso chiamarti mamma?-

Domandò, con la voce che tradiva un pianto ancora inesploso.
Ichigo la guardò in silenzio e scosse la testa.

-Perchè la mamma non vuole soffrire-


Please don't try so hard to say goodbye
 
Yeah
I don't mind spending everyday
Out on your corner in the pouring rain
 
Try so hard to say goodbye
 
(She will be loved- Maroon 5)



* E’ uno dei due aereoporti internazionali di Tokyo; l’altro si chiama Haneda.
**Mark si riferisce alla brandina dove dorme Sea, avendo naturalmente confusa il fatto che Ichigo non lo avesse preparato per lui ma per la bambina.

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Capitolo 5
*** About earth and blood ***


cap5

About earth and blood

nota dell’autrice: Finalmente sono riuscita, dopo lunghe, lunghissime vacanze, a prendere nuovamente possesso del mio computer. Il capitolo, come vi avevo già detto, era scritto ed aspettava solo che tornassi a casa per essere pubblicato! Spero che vi piaccia! Un saluto a tutti/e!


“...Ci separammo un po' come ci unimmo,
senza far niente e niente poi c'era da fare,
se non che farlo lentamente noi fuggimmo
lontano dove non ci si può più pensare...”

(Mille giorni di te e di me -Claudio Baglioni-)


****************************



Kisshu si premette forte le mani sulle orecchie e aprì leggermente la bocca, in attesa; Socchiuse gli occhi, nel vano tentativo di ripararli dalla polvere, e ruotò un poco il capo, cercando con lo sguardo i suoi compagni di battaglione, tutti rannicchiati contro il muro e nella sua stessa, assurda posizione.
Improvvisamente un boato spezzò il silenzio gravido di attesa che si era creato tra i militari e una sfera di accecante luce verde aprì il polverone in due, fischiando mentre si avvicinava letale al nemico.
Il boato provocato dal colpo lasciò lo spazio ad una cacofonia di suoni: urla, richiami, lamenti di animali morenti; Dopo qualche minuto, il vento prese a soffiare piano, disperdendo il polverone e mostrando il campo di battaglia a Kisshu ed il suo plotone. L’alieno si sporse un poco fuori dalla protezione offerta da un muro diroccato, per assicurarsi della fuga dei nemici, poi alzò lo sguardo verso il capo cannoniere dietro di loro e, dopo un breve cenno da parte di quest’ultimo, si alzò finalmente in piedi, ordinando ai suoi soldati di fare altrettanto.

-Il colpo é andato a segno, signore. Le truppe nemiche sono in fuga...abbiamo vinto-

Kisshu si concesse un breve sorriso e fece un cenno affermativo con il capo, rivolgendosi poi alla truppa, ancora con i nervi tesi e i sensi all’erta.

-Nulla da segnalare, signori. Quei cani sono in fuga-

A quelle parole, i soldati emisero all’unisono un sospiro di sollievo e qualcuno si tolse l’elmo, asciugandosi il viso con un lercio lembo di stoffa.

-Gliele abbiamo suonate eh, generale?-

-Quei bastardi ora sanno che non stiamo scherzando!-

-Satou, se avessero incontrato te in campo aperto sarebbero ancora a domandarsi se stiamo facendo sul serio!-

Il soldato arrossì lievemente sulle guance, mentre l’aria si riempiva di risate cariche di sollievo.
Il pericolo era lontano, ora.
Kisshu si allontanò dalla compagnia, avvicinandosi al capo cannoniere.

-Preparate il cannone e legatelo alle bestie, si torna al campo-

-Generale, se mi permettete... sta per calare il buio, non sarebbe meglio accamparsi qui e partire domattina? Il nemico é abile a muoversi nell’ombra della notte...-

Kisshu alzò seccamente una mano, rivolgendo al soldato che aveva davanti un’occhiata di fuoco.

-Vuole dare il tempo al nemico di riorganizzarsi? Domattina saremo al punto di prima. Dobbiamo muoverci. Adesso-

L’alieno annuì con aria contrita, prima di gridare qualche ordine in un dialetto stretto che Kisshu non riconobbe.
Si avviò verso i soldati con passo deciso, rifiutando con un cenno del capo l’otre d’acqua che un sottoposto gli stava porgendo.

-Si torna al campo, signori. Questa maledetta esplorazione é durata anche troppo.-

Ci fu un unanime gemito di malcontento, ma nessuno osò contraddire gli ordini; Si limitarono ad alzarsi in piedi a fatica, scuotendosi i vestiti carichi di terra.

-Questa maledetta sabbia! E’ da giorni che ce l’ho pure nelle mutande! Se sfrega ancora un po’ mi ritroverò senza il gioiello di famiglia!-

Qualche soldato ridacchiò, altri annuirono, in comunione con la tesi affermata.

-Non sapevo ne possedessi uno, di gioiello di famiglia!-

-Legati la lingua alle palle Nakamura!-

Kisshu roteò gli occhi con rassegnazione, sistemando meglio la sella al proprio Sepurnè che, non gradendo, scosse la testa irritato.
L’alieno rimase per un attimo ad osservare le scaglie dell’animale, illuminate dal sole morente; Ne seguì i contorni frastagliati, perdendosi nelle sfumature di colore che scemavano dal blu al verde scuro.
Accarezzò distrattamente il dorso dell’animale prima di montarvici in groppa e affondare i tacchi in ferro nei fianchi, per farlo smuovere. Il sepurnè allargò le narici e mosse qualche passo intorno al capannello di soldati che stavano raccogliendo le ultime cose. Kisshu osservò, parandosi gli occhi con una mano, l’immensa landa desolata che lo circondava,cercando di ritrovare la direzione per il campo; Il nemico li aveva fatti andare fuori dalla strada tracciata per troppi chilometri, cacciandoli per intere giornate fino a farli inoltrare nel cuore di quel deserto roccioso, dove aveva teso loro l’ultimo agguato. L’alieno, continuando a guardarsi intorno, ripercorse gli eventi degli ultimi giorni e si ritrovò a ringraziare tutti gli Dei conosciuti, per averlo aiutato nella riuscita del piano che aveva salvato la pelle a lui ed i suoi soldati; Sapeva che attaccare per primi era follia pura, perchè erano inferiori dal punto di vista numerico e non conoscevano il territorio, ma era l’unico modo per disorientare i nemici e riuscire a guadagnare un po’ di tempo prezioso, che avrebbero sfruttato per tornare al campo a consegnare preziosi informazioni. Tutto era andato per il meglio, grazie anche alla loro nuova arma, un cannone piccolo e leggero che sparava proiettili di energia pura, in grado di sviluppare un calore superiore ai 500° , in un’area circoscritta di dieci metri per dieci.

L’unico problema...

Pensò Kisshu, sospirando.

E’ che il tempo guadagnato è inutile se non si conosce la direzione in cui procedere.

Facendo schioccare la lingua per l’irritazione, l’alieno trasse di tasca una piccola sfera, grande quanto una pillola, e la espose alla luce diretta di Tilea, la stella che permetteva la vita sul loro pianeta. La sfera si sollevò piano in aria e si illuminò di un blu intenso, increspadosi sotto la carezza lieve del vento, come se fosse stata composta da acqua.

-Indicaci la via-

E non deludermi...sei la nostra ultima speranza.

Mormorò Kisshu e il piccolo globo vibrò leggermente, muovendosi verso nord-est.
Augurandosi che la marcia non affaticasse oltremodo i suoi soldati, Kisshu affondo i talloni nei fianchi squamati del sepurnè che, spalancando le narici per l’irritazione, si drizzò sulle potenti zampe posteriori e si lanciò al trotto, lasciando che la lingua rosea penzolasse ad un lato della bocca, per cacciare l’eccessiva calura che precedeva la sera. I soldati, finito di raccogliere la poca attrezzatura che rimaneva loro, si misero al seguito del generale, mentre le cavalcature si esibivano in soffocati sibilii. Nakamura accarezzò il collo del suo sepurnè, sorridendo.

-Sono degli ottimi animali...instancabili-

Commentò, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
Kisshu si girò verso il battaglione, seccato.

-Smettetela di chiaccherare e concentratevi su ciò che vi circonda! Siamo in una landa desolata, ve ne siete accorti, signorine?Ciò fa di noi un bersaglio facile!-

I soldati annuirono con aria insoddisfatta e presero a scrutare l’immensa landa cotta dal sole, senza scorgere nulla di particolarmente significativo.

-Come siamo visibili noi, lo sono anche loro-

Sussurrò Satou, dando voce al pensiero di tutti.
Fu un attimo: dalla sabbia emersero centinaia di radici che intrappolarono le zampe dei sepurnè, facendoli cadere rovinosamente al suolo e alzando una cortina di polvere e sabbia. I soldati, lanciando imprecazioni, cercarono di rialzarsi ed impugnare le armi, assicurate alla cintura dei calzoni, ma ombre nemiche presero a muoversi velocissime tra loro, distribuendo colpi mortali; I sepurnè, in preda al panico, scapparono al galoppo, emettendo sibilii acuti. Kisshu estrasse i suoi tridenti e si guardò intorno, cercando di rimanere lucido; Un alieno nemico cercò di sorprenderlo alle spalle ma, con una rapida torsione del busto, Kisshu gli affondò l’arma nell’addome. Senza stare a guardare se il colpo inferto era stato mortale oppure no, si gettò su un altro nemico, spinto dalla forza della disperazione: cercare di soverchiarli alla cieca era inutile, la possibilità di essere presi alle spalle era troppo grande; Doveva radunare i suoi soldati e, se possibile, uscire da quella cortina di terra e sabbia che rendeva impossibile la vista e la respirazione.
Per un attimo, Kisshu intravide Nakamura preso da un corpo a corpo con un altro soldato e cercò di raggiungerlo, sempre attento a ciò che si muoveva intorno a lui.

-Nakamura!-

Urlò, sperando che l’altro gli rispondesse e gli indicasse la sua posizione.

-Sono qui, generale!-

Esclamò il soldato, comparendogli accanto alla spalla e posizionandosi con la schiena contro quella di Kisshu.

-Le copro le spalle, signore!-

Kisshu sorrise, vagamente rincuorato.
Un soldato nemico gli si parò davanti, ma fu facilmente eliminato grazie alla prontezza di Kisshu, ormai avvezzo ai combattimenti ed alle guerre; Nakamura, da parte sua, se la cavava altrettanto bene, nonostante l’irruenza tipica di chi è abituato alle risse da osteria piuttosto che al combattimento militare.
Con sollievo da parte di entrambi i combattenti, la sabbia cominciò a depositarsi a terra e la visibilità migliorò, fino a che entrambi non ebbero un chiaro quadro della situazione: I nemici erano tutt’altro che numerosi, ma rimediavano a questa pecca con una quantità di attrezzature notevolmente superiore alla loro, il che li rendeva in svantaggio.

-Fottuti bastardi, ci stavano aspettando-

Sibilò Nakamura, stringendo la sua pistola finchè le nocche non gli diventarono bianche; Kisshu aggrottò la fronte, dandosi dello stupido.

-Ci hanno spinto esattamente dove volevano loro-
Ringhiò, stringendo febbrilmente la presa sul manico dei suoi tridenti.

E Dio solo sa se mi perdonerò mai per non averlo intuito in tempo.

I soldati di Kisshu si riunirono intorno al proprio comandante, ansimanti e feriti, mentre i nemici li accerchiavano, con un’aria soddisfatta.

-Giù vostre armi, se tenete alla vita-

Gracchiò un alieno in groppa ad una cavalcatura sconosciuta, con voce lenta e cercando di scandire bene ogni parola.
Kisshu si guardò rapidamente intorno, cercando di valutare la cosa migliore da fare; Poi, sospirando, lasciò cadere a terra i tridenti, imitato da tutti i suoi soldati.

-Ottima scelta-

Mormorò il generale nemico, compiaciuto; Scese dalla propria cavalcatura e si avvicinò a Kisshu, che lo squadrò con occhi ardenti. Aveva lineamenti felini, con la parte inferiore del viso prominente e un naso largo e piatto, di colore violaceo; Gli occhi erano spaventosi: due pozzi del colore della viva fiamma, spaccati da una pupilla verticale.
L’alieno si abbassò all’altezza di Kisshu e osservò il simbolo che portava cucito sull’uniforme.

-Siete gruppo di esplorazione, dico corretto?-

Kisshu scoprì i canini affilati, emettendo un ringhio gutturale. Il generale nemico non si diede neanche la pena di scomporsi, limitandosi ad alzare un sopracciglio.

-Io prendere questo per sì-

Disse, facendo poi un cenno della testa ai suoi soldati, che impugnarono le armi e le puntarono contro il piccolo gruppo, che fu scosso da un brivido. Il generale fece un ulteriore cenno e due soldati si staccarono dal gruppo, raggiungendo Kisshu ed afferrandolo per le braccia.

-Tu ora venire con noi-

Gracchiò il capo, volgendo le spalle al gruppo di Kisshu, con indifferenza, mentre quest’ ultimo cercava di liberarsi dalla presa d’acciaio dei due alieni che lo stavano trascinando via.

-Figli di puttana!-

Ringhiò, dando un violento strattone al soldato alla sua destra; Il generale gli rivolse un’occhiata annoiata, prima di colpirlo alla nuca con il calcio del proprio fucile; Kisshu sentì distintamente l’impatto della sua nuca con l’arma del nemico, mescolato alle grida dei suoi soldati...poi tutto fu buio.




Mark prese la tazza di Sea e le versò una dose generosa di latte, sorridendole amorevolmente.

-Ecco qua, piccolina-

Disse, porgendogliela; Sea, che aveva la testa appoggiata sulle braccia, alzò lo sguardo per un attimo, poi tornò a concentrarsi sul legno lucido del tavolo.
Ichigo la guardò severamente.

-Potresti almeno ringraziare-

L’apostrofò, con voce acida. La bambina riservò alla madre un’occhiata rabbiosa, poi puntò le mani sul bordo del tavolo e spinse indietro la sedia.

-Grazie tante-

Sibilò, prima di uscire dalla cucina e andare a chiudersi nella camera da letto.
Ichigo sospirò, posando la tazza sul tavolo e cercando lo sguardo di Mark.

-Scusala...è una bambina così difficile...-

Il ragazzo scosse la testa, sorridendo.

-Cerca di comprenderla, Ichigo. E’ lontana dai suoi genitori, le mancano, è normale che faccia un po’ la capricciosa-

Mark tuffò un biscotto nel latte, con aria tranquilla.

-Dimmi dei tuoi zii, piuttosto. Non pensavo che avessero una figlia così piccola; Da ciò che ricordavo io, il fratello di tuo padre aveva diversi anni in più. Mi sbaglio?-

Ichigo scosse la testa, in cerca di una scusa valida.

-Sea è stata un...dono inaspettato. L’hanno accettata con gioia, nonostante l’età avanzata-

Mark annuì e sorrise di nuovo.

-Un giorno anche noi avremo tanti bambini a scorrazzare per casa. Me l’immagino già: due pupetti con i capelli chiari e gli occhi scuri. Sarà meraviglioso-

Si alzò ed abbracciò Ichigo, che sentì gli occhi inumidirsi.

Maledizione.


Sea, chiusa di botto la porta della camera da letto, si tuffò sulla brandina e nascose il viso nel cuscino, inspirando profondamente per soffocare i singhiozzi; Non pensava che avere una mamma fosse così...difficile. Le era stato categoricamente proibito di disturbare il ragazzo con cui Ichigo divideva la casa, nonostante lui si dimostrasse sempre molto gentile nei riguardi della bambina.

Troppo gentile. Non mi piace. Voglio tornare a casa.

Sea si girò nel letto finchè non si trovò con lo sguardo rivolto al soffitto, stordita dall’intensità di quel desiderio. Quella non era casa sua: i giochi sparsi sul pavimento erano solo ombre di quelli che aveva lasciato nella sua stanza; La lunga maglietta di Ichigo usata per dormire, abbandonata in un angolo del letto, le apparve per la prima volta per quello che era: uno straccio consunto e liso, usato come provvidenziale rimpiazzo al suo pigiama mancante.
Neanche avere la mamma, che rappresentava il più grande desiderio da quando era nata, era la stessa cosa: Ichigo non le aveva letto le favole, non le aveva pettinato i capelli prima di dormire nè le aveva cantato ninna nanne; la obbligava, anzi, a portare i capelli sciolti e disordinati, affinchè coprissero le orecchie, troppo a punta per quell’estraneo di nome Mark, e non le permetteva neanche di chiamarla mamma.

Mi manca papà.

Pensò la bambina, abbracciando stretto stretto il cuscino; Improvvisamente, come risvegliato dai pressanti desideri della piccola, il peluche dalle sembianze di chimero si illuminò e cominciò a fluttuare nell’aria, fino ad atterrare tra le mani della bambina. Sea sentì il cuore aumentare i battiti ed un sorriso le illuminò il volto rotondo ed infantile: quello era certamente suo padre! Avevano stabilito che il contatto sarebbe avvenuto tramite quel piccolo peluche e già altre volte Kisshu lo aveva utilizzato per comunicare con la figlia. Senza esitazioni, Sea tirò l’antenna posta sulla testa del chimero ed aspettò che gli occhi si illuminassero per proiettare l’ologramma del padre; La delusione fu immensa quando, al posto dell’immagine di Kisshu, il chimero proiettò il viso stanco e tirato di Pai.

-Sea? Sea, sei tu? Mi senti?-

La bambina si schiarì la gola, che pareva essere diventata di cartone, e pronunciò un debole sì in risposta allo zio.
Pai non cercò neanche di sorridere per tranquillizzarla.

-Sei li da sola? Ichigo dov’è?-

-No zio. La mamma è di là con un...con un ragazzo-

Rispose, in cerca di parole adatte per definire Mark. Pai si accigliò per un attimo, poi tirò un lungo sospiro.

-Sea, ora ascoltami...-

-Dov’è papà? Perchè mi contatti tu? Aveva detto che questo chimero sarebbe stato il nostro modo segreto di comunicare!-

Il fiume di domande travolse Pai che, seduto ad alcune apparecchiature nella base generale, serrò i pugni e li battè sul tavolo, al colmo della frustrazione. Taruto, accanto a lui, gli rivolse un’occhiata preoccupata e gli appoggiò una mano sulla spalla, cercando di calmarlo.

-Sea, non fare domade e ascoltami!-

Esclamò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli e facendo sobbalzare la bambina

-Chiamami Ichigo, è una questione di massima urgenza!-

Sea scosse la testa.

-Non posso. Papà ha detto di non far vedere il chimero agli umani-

-Se vuoi che tuo padre dica ancora qualcosa devi fare come ti dico!-

Taruto sobbalzò e guardò Pai con aria confusa: non era da lui perdere la calma in quella maniera, soprattutto con la nipotina.
Sea spalancò gli occhioni color dell’ambra e serrò le labbra, mentre la consapevolezza di ciò che significava la frase dello zio prendeva forma nella sua mente.
Pai, non appena vide la sua espressione, si diede mentalmente dell’idiota e cercò di rimediare.

-Sea, bambina, non è ancora troppo tardi per tuo padre, ma dobbiamo fare in fretta. Capisci perchè voglio parlare con tua madre subito?-

La piccola annuì, asciugandosi con rabbia i lacrimoni attraverso la manica del vestitino che indossava; Aveva promesso a suo padre che sarebbe stata forte e piangere non era certo il modo per mantenere fede alla parola data.
Senza altre esitazioni, scese dalla brandina e si precipitò in cucina, con il piccolo chimero stretto al cuore.


Ichigo si voltò verso la porta appena in tempo per vedere la figlia precipitarsi verso di lei, con il peluche tra le braccia. Mark, vedendo la bambina rientrare in cucina di corsa, male interpretò le sue intenzioni e le sorrise in maniera indulgente.

-Ti si è risvegliata la fame, signorinella?-

Domandò, indicando con la testa la tazza di cereali e latte che aveva tenuto fuori apposta per lei; Sea lo ignorò e, prima che Ichigo potesse fare qualsiasi cosa per fermarla, lasciò andare il peluche che teneva tra le mani e questo si librò in aria, finchè i suoi grandi occhi rotondi non furono all’altezza di quelli di Ichigo, che indietreggiò, portandosi una mano sulle labbra. Mark, incuriosito da quell’oggetto, si avvicinò alla compagna e la prese per mano, non notando la sua espressione terrorizzata. Dopo pochi secondi, l’immagine di Pai prese di nuovo consistenza e lui si rivolse direttamente ad Ichigo, ignorando Mark.

-Abbiamo bisogno di aiuto-

Disse, senza perdersi in inutili convenevoli. Ichigo rimase immobile, con la mente in stand by: aveva l’assurda sensazione che tutto le si fosse congelato intorno.

-Kisshu ti avrà detto che il nostro pianeta è stato attaccato, dato che questo è anche il motivo per cui Sea si trova lì. Sarò franco con te, Ichigo: stiamo perdendo. Il nemico è più tenace del previsto e ci siamo fatti sorprendere più d’una volta come pivelli. Abbiamo bisogno dell’aiuto delle Mew Mew-

Ichigo scosse la testa, incredula.

-Dammi un solo motivo per cui dovremmo aiutarvi!-

Esclamò, serrando i pugni finchè le nocche non le sbiancarono.

-Siete venuti sul nostro pianeta con la pretesa di diventarne i padroni, ci avete quasi uccise e ora, dopo tutti questi anni in cui, te lo assicuro, eravamo più che contente di non avervi più tra i piedi, ci mandate un messaggio dicendo che dobbiamo venire ad aiutarvi!-

Pai non cambiò espressione, si limitò ad uno sbuffo leggero. Restarono alcuni secondi in silenzio, poi l’alieno parlò e la sua voce aveva assunto una sfumatura risentita.

-Non abbiamo nulla da darvi in cambio e ti capirò se non vorrai accettare la mia richiesta d’aiuto; Ascoltami ancora un momento, però: Kisshu è sparito, supponiamo che la sua squadra sia stata attaccata da un plotone nemico; Forse non è troppo tardi, se sono furbi lo terranno in vita e cercheranno di strappargli informazioni su di noi, tuttavia il tempo è poco. Nell’ultima comunicazione avuta con Kisshu, ci ha informato che sono riusciti ad ottenere le informazioni necessarie per eliminare, forse una volta per tutte, i nemici. Se lui non torna, soccomberemo anche noi e nessuno verrà a riprendersi Sea-

Pai fece una pausa, incerto se dire le ultime parole che gli ronzavano in testa oppure no; Sea era vicino alla madre, lo sapeva, e sarebbe stato un duro colpo per lei: tuttavia, meglio somministrarle una delusione che con il tempo avrebbe superato, piuttosto che farle provare il dolore di perdere il padre.
Prese fiato e si preparò a sferrare il colpo finale.

-So che per te Sea è un peso. So che tenerla lì non era, nè è mai stato, un tuo desiderio; Non vuoi dovertela allevare tutta la vita, giusto? Questo è l’unico modo che hai per assicurarti il futuro che desideri. Non voglio una risposta immediata, ti ricontatterò entro domani e per allora mi darai una risposta; ti prego di comunicarmi anche chi, tra le Mew Mew, deciderà di venire-

Pronunciata l’ultima parola, la comunicazione si interruppe e il peluche, ormai servito allo scopo, ricadde a terra accompagnato da un rumore ovattato, rotolando per qualche metro. Il tempo nella stanza pareva essersi fermato: Mark e Sea guardavano Ichigo con espressioni indecifrabili, mentre la ragazza aveva lo sguardo fisso davanti a sè, ancora stordita dalle parole dell’alieno.

Kisshu...

Pensò, mentre, contrariamente alla sua volontà, lo stomaco si contrasse in uno spasmo doloroso. Non poteva essere morto, una cosa simile non aveva alcun senso! Le tornarono alla mente le immagini del combattimento tra l’alieno e Deep Blue, avvenuto molti anni prima; Anche lì Kisshu sembreava morto ma alla fine...alla fine...Le ultime parole dell’alieno le risuonarono distintamente nelle orecchie, come se lui fosse stato lì a pronunciarle:

"Avrei voluto vincere, così alla fine mi avresti dato un bel bacio"

"Kisshu..."

"Ma anche stare abbracciato così a te non è male! Sei così calda e morbida..."

"Kisshu..."

"Tu stai...piangendo?"

"..."

"Avvicinati, ti devo dire una cosa...io ti amo, micetta!"


Ichigo si ritrovò ragazzina, avvolta in quell’abito troppo corto e rosa, inginocchiata e tremante davanti al corpo senza vita dell’alieno, chiedendosi il motivo per cui non era stata in grado di pronunciare neanche una parola di conforto. Si era sentita tremendamente impotente e ora, dopo sei lunghi anni di lontananza, quella stessa sensazione era tornata ad avvolgerla come una coperta rimboccata troppo stretta.
Quando Mark le appoggiò una mano sulla spalla e la costrinse a guardarlo negli occhi, Ichigo tornò bruscamente alla realtà.

-Cosa significa questo?-

Domandò, con un tono di voce più basso del normale; Ichigo fissò quegli occhi color cioccolato in cui, tempo prima, amava perdersi e non vi lesse nè rabbia nè odio: vedeva solo una nota di amara tristezza.
Ichigo sentì il proprio cuore andare in pezzi perchè, ora lo sapeva, non poteva più mentire; L’unica via che Pai le aveva lasciato aperta era quella della verità e, inevitabilmente, dell’addio.

-Mark, io...-

Cominciò, ma il ragazzo la interruppe.

-Non so come stanno le cose, ma in ogni caso sarebbe meglio non parlarne con Sea lì-

Disse, indicando la bambina che la stava guardando con occhi ardenti di delusione, rabbia e tristezza.

-Sea, puoi...puoi lasciarci soli un momento?-

Domandò Ichigo, senza guardare la figlia: non voleva dimostrarle quanto fosse debole. Sea serrò le labbra, stringendosi le braccia intorno al petto in un gesto istintivo di protezione, come se volesse chiudere fuori quel mare di dolore che sembrava volesse travolgerla. Ora cominciava ad intuire la verità, la stessa che suo padre le aveva sempre tenuto nascosta: sua madre non se n’era andata contro la sua volontà, non l’aveva pensata per tutto il tempo che non l’aveva avuta vicina, non aveva mai sentito il desiderio di pettinarle i capelli o cantarle canzoni; Sua madre aveva scelto quale strada percorrere e si era incamminata su quella che non la prevedeva.
Sea scosse la testa, cercando di mettere ordine tra tutti quei confusi pensieri che continuavano ad affacciarsi alla sua mente; Sua madre era una bugiarda e suo padre...per la prima volta una rabbia incontenibile nei confronti del padre le esplose dentro, facendole desiderare di non vederlo mai più; Era solo un bugiardo che non manteneva le promesse: le aveva detto che sarebbe tornato presto, che le avrebbe spedito dei regalini e invece...invece...

Invece non tornerà.

Concluse per lei una vocina maligna nella sua testolina. Sea, a quelle parole, corse verso la porta dell’appartamento di Ichigo, la aprì e corse fuori, senza scarpe, andando a sbattere contro le gambe di una persona fin troppo conosciuta.

-Sea!-

Esclamò Makoto, sorpreso, inginocchiandosi ed aiutando la bambina a rimettersi in piedi. Non appena vide il volto rigato di lacrime della piccola, si indispettì e la prese in braccio, cercando con la mano libera un fazzoletto pulito per asciugarle gli occhioni.

-Cos’è successo? Dov’è tua madre?-

Domandò, cercando di mantenere un tono di voce il più dolce e rassicurante possibile.
Sea affondò la testa nell’incavo della sua spalla.

-Non la voglio più come mamma!-

Singhiozzò con rabbia, stringendo la maglietta del ragazzo tra i pugnetti chiusi.

Ahi ahi.

Pensò Makoto, accarezzando la schiena della bambina.

-Non vuoi dire allo zio cos’è successo?-

Sea scosse la testa.

- Portami via, zio. Portami a vivere con te-

Piagnucolò la bambina, staccandosi da lui e guardandolo negli occhi.
Makoto sorrise e gli asciugò una lacrima fuggitiva con il pollice.

-Amore, fosse per me lo farei anche perchè ti voglio bene e lo sai, ma...cosa direbbe la tua mamma? Le mancheresti, non credi?-

Sea scosse la testa, mentre gli occhioni color ambra tornavano ad inumidirsi.

-Non le importa nulla di me-

Disse, con voce rotta; Makoto la abbracciò nuovamente e sospirò.

-Va bene, direi che qua ci vuole una buona tazza di thè e una doppia razione di biscotti al cioccolato-

Disse, sorridendo.

-Prima però avverto la mamma che ti porto via con me per un po’, d’accordo? Così non le verrà un colpo quando non ti vedrà più-

Sea annuì ed appoggiò la testa rotonda sulla spalla del ragazzo, chiudendo leggermente gli occhi; Ora, tra le braccia di quello che aveva adottato come zio, si sentiva protetta e poteva avere il tempo di calmarsi un poco. Makoto bussò piano sulla porta rimasta aperta ed aspettò che Ichigo gli rispondesse; Poco dopo, la ragazza apparve sulla soglia, con i capelli che le ricadevano disordinatamente sul volto e gli occhi cerchiati.
Non si sforzò neanche di dimostrarsi gentile, nè Makoto lo pretese.

-Porto via Sea per un po’-

Disse, continuando ad accarezzare la schiena della bambina.
Ichigo annuì.

-Te ne sarei grata. Verrò a riprenderla il prima possibile-

-Non avere fretta...Ichigo?-

Disse Makoto, riducendo la voce ad un sussurro.

-Non permettergli di farti del male. Non te lo meriti-

La ragazza stava per rispondergli che non erano affari suoi, ma poi si rese conto che Makoto era solo e genuinamente preoccupato per lei e Sea.
Si sforzò di fare un piccolo sorriso e scosse la testa.

-Farò il possibile-

Promise, salutandolo poi con la mano e richiudendo piano la porta.
Il rumore metallico della serratura rimbombò per il corridoio buio, mentre il cuore di Ichigo batteva una volta più velocemente.
Mark si affacciò dalla porta della cucina, in attesa.

-Possiamo...parlare in maniera tranquilla. Makoto ha portato Sea a fare una passeggiata-

-Bene-

Disse Mark, mettendole un braccio intorno alle spalle ed attirandola a sè.

-Ichigo...non ho idea di ciò che stai per dirmi, so solo che è importante e sento che hai paura. Ad essere completamente sincero, ne ho anche io, perchè so che dopo questo discorso le cose tra noi non saranno più come prima-

A queste parole ad Ichigo scappò un singhiozzo, che cercò di soffocare nel torace di Mark.

-Ichigo, voglio solo dirti che nulla, neanche la notizia più brutta, sarà in grado di intaccare l’amore che ho per te. Sei tu la persona più importante della mia vita e se ti lasciassi andare sarei uno stupido-

Il ragazzo le prese il mento tra l’indice e il pollice, invitandola a guardarlo; Ichigo vide negli occhi di Mark una nebbia di tristezza ma, dietro questa, l’ardere accecante di un amore sincero.

-Oh Mark, sono una stupida!-

Esclamò, abbracciandolo forte.

-Sediamoci e parliamone, vuoi?-

Ichigo annuì e, preso Mark per mano, lo fece accomodare sul divano, sedendoglisi accanto.

-Io non sono quella che tu credi, Mark. Sono una bugiarda e un’ipocrita, ti ho mentito per tutto questo tempo perchè non volevo farti soffrire e, soprattutto, non volevo perderti. Tu eri così lontano, mi mancavi così tanto...-

Mark le prese una mano e gliela strinse.

-Fai un bel respiro e raccontami tutto dall’inizio, per favore-

Le disse, con tono calmo ma autorevole. La ragazza ubbidì e cominciò a raccontare tutto, dal giorno in cui era partito per Londra e lei era caduta tra le braccia di Kiasshu fino al ritorno dell’alieno due settimane prima, quando aveva rivisto Sea dopo quasi sei anni di lontananza. Che sollievo potergli raccontare tutto, senza smettere di sentire la sua mano calda accarezzarle la schiena! Finito di raccontare, Ichigo sentì il proprio cuore così leggero da temere quasi che le volasse via. Passarono alcuni minuti di silenzio, prima che la ragazza trovasse il coraggio di alzare lo sguardo ed incontrare quello di Mark; Con un’occhiata vide tutte quelle emozioni che si era preparata a sopportare, nonostante in misura molto minore rispetto a quanto si fosse aspettata.
Il ragazzo non interruppe il contatto con Ichigo, nonostante i tocchi della sua mano si fossero fatti più veloci e meno intensi.

-Mark?-

Provò Ichigo, impaurita dal silenzio gravido di aspettative che stagnava tra di loro. Il ragazzo trasse un profondo sospiro.

-Cosa vuoi che ti dica, Ichigo? E’ una storia...assurda. Non mi aspettavo una simile verità, non da te. Andando via dal Giappone ero tranquillo perchè avevo una totale e cieca fiducia in te...-

-Mark, io...-

Il ragazzo sollevò una mano e la ragazza si zittì.

-Fammi finire, te ne prego. Dicevo, avevo riposto molta fiducia nella tua persona ma, lo ammetto, non mi sono mai soffermato a pensare quanto potesse essere dolorosa questa lunga separazione, per te-

Mark concentrò il suo sguardo sui propri jeans, alla ricerca di un modo per continuare il discorso.

-Forse, se avessi pensato un po’ più a te, a noi, tutto questo non sarebbe successo. Ichigo, non ti faccio una colpa per avermelo tenuto nascosto, lo so che lo hai fatto per non ferirmi e distruggere tutto ciò che di bello c’è stato e ci sarà tra noi. Kisshu ha fatto male a ricattarti per farti tenere il bambino, ma mi fa più soffrire il fatto che tu non abbia avuto fiducia in me e nel mio amore: se avessi seguito ciò che ti diceva il cuore, quel cuore che batte per me, forse adesso non saremmo neanche qui a discuterne. Oltre a questo, ora Sea c’è e non stiamo parlando di un gattino o di un cane, ma di una persona; Quella bambina è tua figlia e, che tu lo voglia o no, questo fatto non cambierà mai, non importa quanto lontana Kisshu la porti. Capisci cosa voglio dire?-

Ichigo annuì mestamente, evitando lo sguardo del ragazzo.

-Hai delle responsabilità nei suoi riguardi e anche nei riguardi del padre. Da quello che ho potuto vedere, Kisshu ti amava davvero. Ha sacrificato la vita per salvarti quando...non rispondevo più delle mie azioni. Abbandonarlo ora sarebbe ipocrita e vergognoso e tu non sei così. Sei una ragazza forte, gentile e leale e sai qual’è l’unica decisione da prendere ora-

-Mark, io non voglio perderti!-

Esclamò Ichigo, gettandogli le braccia al collo e stringendo il ragazzo forte a sè; Lui ricambiò l’abbraccio, inebriandosi del profumo della sua fidanzata.

-Se mi ami non mi perderai, Ichigo. Ma la domanda ora è proprio questa: mi ami?-

Ichigo aprì la bocca per rispondere che sì, certo che lo amava, non poteva vivere senza di lui, ma lui le portò una mano sulle labbra e scosse la testa.

-Una volta che sarà finita tutta questa storia, mi darai la tua risposta. Ti ho aspettato per tanto tempo, Ichigo, non saranno qualche ora o giorno in più a fare la differenza-

Ichigo annuì, grata a Mark di essere così meravigliosamente altruista e...innamorato.


Quando Kisshu aprì gli occhi, la prima cosa che sentì distintamente fu un dolore sordo alla testa, che si espandeva dalla nuca fino alla fronte, dandogli l’impressione che il cervello stesse per spaccarsi a metà.
Ringhiando per il dolore si sforzò di mettersi seduto, ma sia i piedi che le mani non gli rispondevano più; Spostando lo sguardo su questi ultimi, l’alieno notò che erano legati strettamente da delle corde e la mancanza di sangue li aveva fatti diventare orrendamente gonfi e tumefatti.
Dalla posizione supina in cui si trovava, cercò di guardarsi intorno, ignorando volutamente il doloroso pulsare della testa. Sembrava essere rinchiuso in una sorta di tenda, perchè dalle spesse pareti in tessuto balenava la lieve e rassicurante luce del fuoco e sotto di lui poteva sentire la morbidezza della sabbia.
All’improvviso un lembo della tenda venne scostato e Kisshu potè vedere, stagliato davanti ad un enorme falò, l’imponente figura del generale nemico, intento a fumare tranquillamente una lunga pipa. L’alieno, nonostante non potesse vedere bene il viso dell’avversario, sapeva che i suoi occhi lo stavano esaminando, con la stessa, ostentata calma del pomeriggio, quando lui e i suoi compagni erano stati catturati.

-Tu essere vigile, finalmente-

Notò il generale, chinandosi all’altezza di Kisshu.

-Figlio di puttana!-

Urlò l’alieno in risposta, sputandogli sugli stivali; Un soldato accanto al generale fece per colpire nuovamente Kisshu con il fucile, ma con un gesto imperioso della mano il suo superiore lo fermò.

-Questo piccolo cane abbaia ma non sa mordere-

Disse, afferrando le guance di Kisshu tra il pollice e l’indice.

-Mio nome è Nakaizu, generale supremo delle truppe di Elearth-

Si presentò, studiando attentamente il volto contratto dall’ira del prigioniero.

-Cosa vuoi da me, bastardo?! Perchè non mi hai ucciso?-

Un lampo di divertimento illuminò le iridi feline dell’avversario.

-Quando uno presenta, tu dovere presentarti tua volta-

Annotò, inclinando gli angoli della bocca in un ghigno beffardo.

-Per quanto riguarda risposta a tua domanda...essere semplice: morte soluzione troppo facile per te-

Spiegò lentamente, come se stesse rivolgendosi ad un bambino un po’ tardo.

-Io saputo cose su vostro gruppo. Voi in possesso di nostre preziose informazioni e questo no bene-

Kisshu si sottrasse a quella presa fastidiosa e si esibì nel più strafottente dei suoi ghigni.

-Se anche fosse vero, stronzo, credi che verrei a dirlo proprio a te?-

Nakaizu ricambiò il sorriso, inarcando le sopracciglia.

-Oh, io essere sicuro che sì, ci dirai tutto-

Kisshu stava per ribattere a tono, quando i due soldati che avevano affiancato il generale si chinarono su di lui liberandogli i piedi dalle corde e, dopo avergliene assicurata una al collo, obbligandolo a mettersi in piedi. Kisshu si morse il labbro inferiore per non imprecare quando i piedi, sotto il peso del corpo, iniziarono a riprendere sensibilità e si finse indifferente, sforzandosi di studiare l’ambiente in cui era e cominciando già a progettare la fuga.
I soldati lo trascinarono fuori, vicino al falò, e lo spinsero in ginocchio tenendogli saldamente i capelli in modo che la testa gli rimanesse alta.
Kisshu sentì il sangue gelarsi nelle vene, mentre gocce di sudore freddo gli scivolavano lungo la fronte; Intorno al falò, posizionati in maniera da formare un semicerchio, c’erano i suoi soldati, legati ad alti pali appuntiti, coperti di sangue e terra e con la testa ciondoloni sul petto. L’alieno spalancò gli occhi color dell’ambra, mentre sentiva il proprio cuore aumentare vertiginosamente i battiti. Nakaizu sorrise, non perdendosi nulla della sua espressione sconcertata.

-Tuoi soldati ancora vivi-

Disse, indicandoli.

-Se arroccato su tue posizioni, ora dovrai scegliere chi deve morire per salvare tuo paese-

Kisshu deglutì, passando in rassegna, con lo sguardo, il suo plotone;
Satou, che aveva appena vent’anni e l’ultima cosa che si aspettava era trovarsi a combattere in campo aperto, con gente pronta ad ucciderlo a sangue freddo. Una sera gli aveva raccontato, mentre condividevano il turno di guardia, di essersi innamorato di una ragazza e di volerle chiedere di uscire insieme; Aveva tanti di quei sogni! E cosa ne era rimasto ora, di quei desideri, legato davanti ad un falò nemico, con il sangue che gli colava sul volto tumefatto? Kisshu spostò lo sguardo ed incontrò il viso squadrato di Nakamura; Aveva gli occhi chiusi, vinti da un dolore insopportabile anche per lui che si vantava di averne passate tante. Kisshu notò che gli mancava un braccio e il moncherino era stato stretto da legacci rudimentali, per tenerlo in vita a forza, in maniera che potesse prendere parte all’assurdo piano ideato da Nakaizu per fare in modo che Kisshu confessasse le informazioni di cui erano entrati in possesso.
L’incredulità e il dolore provato da una tale visione lasciarono il posto ad una rabbia cieca, che provocò in Kisshu un’ondata di energia insperata.
Con uno strattone si liberò dei soldati che tenevano la corda che portava al collo e si gettò vicino al fuoco, nel tentativo disperato di bruciare i legacci che ancora gli stringevano i polsi. Si liberò con un calcio di alcuni soldati che si erano gettati su di lui nel tentativo di fermarlo, stringendo i denti per il dolore provocato dal contatto troppo ravvicinato con il fuoco. Dopo alcuni, interminabili secondi, Kisshu sentì finalmente le corde cedere e si preparò ad affrontare i nemici a viso aperto, nonostante fosse a conoscenza di quanto quel gesto fosse disperato. Il generale, vedendo l’espressione rabbiosa e disperata di Kisshu, scoppiò in una risata gutturale.

-Cosa speri di ottenere, cucciolo di cane?-

Gli domandò, piegando leggermente la testa da un lato, con fare curioso.

-Tu, solo, contro molti soldati addestrati bene...e contro di me. Quante possibilità conti avere?-

Il generale gli si avvicinò di un passo, continuando a sorridere.

-Non piacerti scegliere chi deve morire?-

Domandò, mentre Kisshu seguiva con lo sguardo ogni suo movimento, pronto ad attaccarlo al primo passo falso.

-Facciamo così, cuccioletto, possiamo trovare accordo, mh?-

Inaspettatamente, e con una rapidità che Kisshu neanche immaginava, estrasse dalla fascia di stoffa che portava stretta alla vita una pistola, la punto versò Nakamura e sparò, senza distogliere gli occhi dall’alieno.
Un lampo illuminò l’accampamento a giorno e Kisshu vide il volto del suo sottoposto per l’ultima volta, prima che quest’ultimo fosse avvolto da un fascio di energia che lo consumò in pochi secondi lasciando, al suo posto, una macchia scura sulla sabbia del deserto.
Il volto del generale si distese in un ghigno.

-Io scelto per te chi morire per vostra causa. Ora tu collaborare con noi?-

Kisshu sputò a terra, al colmo della frustrazione.

-Sei un bastardo!-

Urlò, mentre cercava un’inutile soluzione che potesse salvare tutti.

-Abbaia, cane. Mi pare tu non riuscire a fare altro!-

Kisshu rivolse un’ultima occhiata ai suoi soldati, poi scosse la testa e cercò il coraggio, dentro di sè, per pronunciare le ultime, definitive parole.

-Non avrai quelle informazioni, nè te ne daremo sul nostro campo. A costo della vita di tutti noi-

Il ghigno che fino a quel momento aveva illuminato il volto del nemico parve raggelarsi, mentre la calma che aveva ostentato fino a quel momento si dissolse come neve al sole.

-Cambierai idea-

Disse, gelido, prima di ordinare a due soldati, in una lingua sconosciuta a Kisshu, di riportarlo nella sua tenda. Quest’ultimo, mentre si lasciava trascinare via, si concesse un piccolo sorriso di soddisfazione: forse il generale aveva finalmente capito con che razza di soldati aveva a che fare.


Mark si guardò in giro, sospirando, poi, con uno scatto, chiuse la valigia e la sollevò dal letto su cui era appoggiata. Ichigo lo guardava appoggiata allo stipite della porta, assorta.

-E’...proprio necessario?-

Domandò piano, insicura della sua stessa voce. Il ragazzo le sorrise mestamente, avviandosi verso l’uscita della camera.

-Sì, Ichigo. Ho bisogno di riflettere su ciò che è successo oggi e stare un po’ sola con i tuoi pensieri servirebbe anche a te-

Ichigo abbassò lo sguardo, annuendo, mentre sentiva già le prime lacrime pungere alla base degli occhi.
Mark fece un mezzo sorriso, cercando di sdrammatizzare.

-Guarda che non è un addio! Domani sera ci rivediamo davanti all’ex caffè Mew Mew, così da...-

La voce gli si spense quando Ichigo gli si buttò tra le braccia, affondando il viso nel suo petto.

-Perdonami, Mark-

Il ragazzo l’allontanò gentilmente da sè, dandole un lungo bacio sulla fronte.

-Ci vediamo domani, Ichigo-

Disse, prima di uscire sul pianerottolo e chiudersi la porta alle spalle.
Ichigo restò qualche momento a fissare la porta chiusa, mentre il rumore della serratura che scattava rimbombava nella sua testa, come molti anni prima quando, sullo stesso pianerottolo, aveva dato l’addio definitivo a Kisshu. Senza che la ragazza potesse spiegarsi il perchè, le risalì dalla gola una risata acuta, innaturale, che travolse ogni singolo muscolo del suo corpo e la fece tremare; Cadde in ginocchio, portandosi una mano alle labbra, per soffocare quel suono così falso e inadatto, e le sue dita incontrarono le lacrime che avevano preso a sgorgare, incontrollate, dai suoi occhi.
Ripensò al pomeriggio e prese a ridere più forte, mentre i suoni e le immagini si distorcevano nella sua mente, creando contrasti improbabili e scenari assurdi.
Sea che correva via dalla cucina, Mark che la chiamava amore, Pai che appariva dagli occhi del peluche e le diceva di Kisshu sparito, probabilmente morto.
Kisshu sparito.
Kisshu morto.
La risata della ragazza si trasformò in un urlo di disperazione, mentre la verità racchiusa in quelle parole si faceva strada in lei; Sarebbe stato facile chiudere gli occhi e dimenticarsi di tutto. Sarebbe stato facile non muoversi dalla terra, tenersi Sea e dichiarare a Mark amore eterno. Ichigo si rialzò dal freddo parquè, asciugandosi rabbiosamente il viso con un lembo della maglietta che indossava; Sapeva che sarebbe stato facile, ma scelse di non chiudere gli occhi perchè, e di questo ne era sicura, il suo cuore non le avrebbe mai perdonato una cosa simile.
Si trascinò stancamente in cucina e, senza avere la minima coscienza delle proprie azioni, aprì la credenza e, presa una bottiglia di vino, se ne servì un bicchiere generoso; Lo scolò d’un solo sorso e si versò il secondo, ben conscia di non reggere l’alcol.
Il campanello della porta la prese alla sprovvista e, barcollando leggermente, caracollò lungo il corridoio, per vedere chi fosse.

-Ciao Ichigo, ti ho riportato...oh...-

La voce di Makoto si spense non appena quest’ultimo vide lo stato in cui era la ragazza: i capelli spettinati, gli occhi gonfi e cerchiati, il viso a chiazze rosse; I vestiti le ricadevano addosso come sacchi, stropicciati e carichi di polvere.
Ichigo fissò Makoto intensamente, prima di cadergli tra le braccia e cominciare a piangere sommessamente.

-Ehi, ehi!-

Esclamò quest’ultimo, allontanandosi da lei, a disagio.

-Forse è meglio se andiamo dentro a parlare un attimo, eh?-

Disse e, senza aspettare risposta, entrò nel piccolo appartamento, ignorando volutamente il disordine che vi regnava.
Sea, ancora in braccio a lui, aveva la testolina rotonda appoggiata sulla sua spalla e fissava ciò che la circondava con un’espressione imbronciata.
Makoto la mise a terra e le si inginocchiò davanti, dandole una veloce carezza sulla guancia.

-Tesoro, che ne dici di andare a giocare in camera tua? Dovrei parlare un attimo con la tua mamma-

Sea lo scrutò attentamente, prima di imbronciarsi ulteriormente.

-Mi sono stufata di questi discorsi da grandi!-

Esclamò, prima di avviarsi verso la sua stanza a passo sostenuto.
Makoto sospirò impercettibilmente, invitando poi Ichigo a sedersi sul divano davanti a lui.

-Allora, mi spieghi cos’è successo? Sea non ha voluto dirmi tutto, si è limitata a frasi sibilline ed è stata di cattivo umore tutto il giorno; Torno qui e ti trovo sola, con un’espressione distrutta e un’alito che, perdonami, puzza terribilmente di vino. E’ colpa di quello lì, giusto?-

Nonostante fosse in preda ai fumi dell’alco, Ichigo non tardò a comprendere che con l’espressione “quello lì” Makoto si stava riferendo a Mark. Pensò all’immenso malinteso in cui era inciampato il suo amico e le venne di nuovo da ridere.

-Tu sei completamente sbronza-

Constatò Makoto, con una nota di disgusto nella voce.

-E allora?-

Biascicò Ichigo, puntandogli contro l’indice.

-Tu ti impicci di troooppe coshe *hic*. Tu non shai nulla...nulla di me!-

Il ragazzo si irrigidì, serrando i pugni e osservandola con un misto tra pietà e malcelato disgusto.

-E’ vero, non so molto di te...ma io giudico da quello che vedo. Ti sei sempre dimostrata solo un’irresponsabile! Hai una bambina da crescere, non puoi fare certi ...colpi di testa!-

Esclamò, indicando la bottiglia di vino mezza vuota sul tavolo.

-Non sei più una ragazzina, maledizione! Sea ha fiducia in te, ti vuole bene, con che coraggio deludi così le aspettative che ha tua figlia su di te?-

-Mia figlia...-

Sibilò Ichigo, riducendo gli occhi a due fessure.

-E’ shtata sholo un...errore!-

Lo schiaffo arrivò potente ed inaspettato e il rumore da esso prodotto rieccheggiò per la stanza; Makoto era in piedi davanti a lei, furente, la mano ancora alzata.

-Non dire mai più una sciocchezza del genere-

Le intimò, con voce glaciale.

-Un bambino è sempre, SEMPRE un dono, inaspettato o meno, e non ti permetto di dire simili scempiaggini-

Ichigo, rimasta fino a quel momento seduta davanti a lui, si alzò per guardarlo meglio negli occhi.

-Parli bene, tu. Quella bambina è nata da una relazione praticamente inesistente, con un uomo che...-

Le parole le morirono in gola, rendendosi conto che non sapeva come continuare la frase.

Con un uomo che...non amo?

Makoto sospirò, esasperato, passandosi una mano tra i corti capelli neri.

-Stasera e stanotte non puoi occuparti di Sea. La porterò a casa mia e...-

-No-

Disse Ichigo, scuotendo la testa con più veemenza del necessario.

-La porterò da sua zia. Staremo entrambe lì-

Makoto la osservò con occhio critico, poi annuì.

-Vi accompagno io, comunque. Ho la macchina proprio qui sotto-

Ichigo annuì e lo ringraziò, dicendo che avrebbe preparato il necessario in pochi minuti e ridacchiando all’idea della faccia che avrebbe fatto Minto una volta che lei e Sea si sarebbero presentate alla sua porta; Se non avesse avuto tutto quell’alcol in circolo, forse si sarebbe accorta che non c’era assolutamente nulla da ridere.



Kisshu chiuse ostentatamente gli occhi, mentre l’ennesimo soldato gli veniva trucidato davanti; Sentì il sangue del suo sottoposto scorrergli lungo il viso, caldo e viscoso, e fece violenza su sè stesso per trattenere il conato di vomito che gli stava risalendo la gola.

-Tu no volere parlare, ancora? Mi complimento con te, cucciolo, essere più simile a me di quanto pensavo-

A quelle parole, Kisshu sollevò di scatto al testa, scoprendo i canini affilati.

-Non sopravvalutarti, stronzo! Non saremo mai della stessa pasta noi due!-

Nakaizu alzò un sopracciglio, con aria scettica.

-Ah no? Stai lasciando morire tuoi soldati per informazioni stupide e, credimi, io fare esattamente stessa cosa-

-NOI SIAMO STATI ADDESTRATI PER QUESTO!-

Urlò Kisshu, avventandosi verso il generale e strattonando i soldati che lo trattenevano.

-Nessuno è addestrato a morire-

Disse il generale, senza note canzonatorie nel tono della voce.

-Ognuno possiede cose importati per cui morire, tuttavia nessuna di queste fa vincere lui paura di morte-

Kisshu rimase in silenzio, lo sguardo basso e i pugni serrati; Di tutti i suoi soldati ne erano rimasti in vita solo tre, che erano quelli con meno ferite degli altri. Nelle ore di terrore in cui era rimasto in ginocchio tra la sabbia, ad assistere impotente alla morte dei suoi compagni, Kisshu aveva notato che nessuno di loro aveva mai ripreso coscienza, nonostante le urla e gli sghignazzi dei soldati nemici. Era davvero una magra consolazione ma almeno, si disse, non avevano sofferto più del dovuto.

Sciocco. Cosa puoi saperne, tu?

Kisshu scosse la testa, disperato, impotente e pienamente cosciente di esserlo: ma quale missione, ma quale comandante! Era solo un misero assassino, che non aveva esitato a sacrificare i suoi soldati, gli stessi con cui aveva riso, scherzato, combattuto per uno stupido ideale; Forse il loro sacrificio sarebbe stato comunque inutile perchè, se i nemici avevano intenzione di ucciderli tutti, chi avrebbe portato le informazioni al campo?

Sono maledettamente inutile.

Pensò Kisshu con amarezza, fissando il vuoto davanti a sè.

Assassino!

Gli urlò una voce dal profondo della sua mente, prima che l’incoscienza, come una madre pietosa, lo trascinasse via.

*******************

“...per sempre,
e per tutto quanto il tempo, in quest' addio...
io m' innamorerò...di te...

...mille giorni di te e di me....”




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Capitolo 6
*** About peace and war ***


cap6

About peace and war

“...Paura di decidere
Paura di me

Di tutto quello che non so
Di tutto quello che non ho... “


(Elisa- Eppure sentire)


***********************

Quando riprese coscienza di sè, Kisshu decise che non avrebbe aperto gli occhi; Nel dormiveglia gli era sembrato di essere di nuovo nella sua casa e di sentire le voci di Taruto e Sea che litigavano giù in cucina. Voleva godersi quella sensazione di familiarità ancora un poco, prima che la realtà gli ripiombasse addosso tutta in una volta. La notte non lo aveva rispiarmato dagli incubi e dalle grida dei suoi commilitoni, mentre una voce fin troppo familiare continuava a gridargli, anche fra le ragnatele dei sogni:

-Assassino!-

Già...assassino.

Nonostante la situazione, Kisshu si lasciò andare ad un sorriso.

In fondo non sono mai stato altro che questo.

Aprì piano gli occhi, cercando di capire dove si trovasse, e si sorprese nel non vedere lo spesso tessuto che costituiva il tetto della tenda, quanto piuttosto un cielo color dell’inchiostro, punteggiato da miliardi di stelle.
Inspirò profondamente, riempendosi i polmoni dell’aria fredda della notte e ringraziando di avere addosso una tuta termica, che si adattava perfettamente agli sbalzi di temperatura. Si guardò intorno e notò di essere disteso fuori dalla tenda, accanto a due guardie che, probabilmente, avevano il compito di vigilarlo nonostante sembrassero più interessate al boccale di vino che stringevano tra le mani.
Ogni tanto gli lanciavano occhiate svogliate, convinti del fatto che, nello stato in cui era ridotto, non avrebbe assolutamente potuto scappare.
Ad un tratto un altro soldato apparve da dietro alcune tende, trascinando un animale recalcitante che continuava ad abbassare la testa e soffiare, nel tentativo di liberarsi dalle briglie e fuggire nuovamente nel deserto; Kisshu ebbe un tuffo al cuore: si trattava del sepurnè di Nakamura, l’avrebbe riconosciuto tra mille. Quel soldato aveva una vera e propria adorazione nei confronti di questi animali e, quando il comandante supremo aveva ordinato loro di andare nel recinto degli animali e sceglirsi il proprio, Nakamura non aveva avuto dubbi: Tilea, questo il nome della bestia, aveva un carattere difficile, ma muscoli così prestanti e ben fatti erano difficili da trovare e poi c’era quel segno...una piccola scaglia rovinata, proprio in mezzo alla fronte, che manteneva una sola tonalità di colore,il rosso, anche quando era illuminata dal sole.
I soldati che lo sorvegliavano fecero un cenno al compagno, che rispose con grugniti e quelle che, pensò Kisshu, dovessero essere imprecazioni contro Tilea, che aveva preso a scalciare. Le risate dei due alieni sovrastarono i sibilii del sepurnè che, piantate saldamente le grosse unghie degli arti inferiori nel terreno, si rifiutò di seguire oltre il soldato; Quest’ultimo, dopo alcuni tentativi poco convinti di portarlo al recinto con le altre bestie, lasciò perdere, assicurando bene la briglia ad un palo piantato poco lontano e raggiungendo i compagni intorno al fuoco.

-Astru beha hac, thene fiorta?-

Grugnì uno, indicandogli il posto accanto al suo e mettendogli in mano un boccale già pieno. Il soldato annuì e sorrise, scolando il vino tutto d’un fiato e cominciando a tossire, accompagnato dalle risate sguaiate degli altri due.
Kisshu rimase ad osservare i loro movimenti, mentre un piano stava prendendo lentamente forma nella sua mente; Scrutò attentamente i cinturoni dei soldati e notò, con enorme sollievo, che tutti possedevano un corto pugnale, utile soprattutto nei combattimenti ravvicinati. Gli davano tutti le spalle, nonostante uno di loro si fosse seduto in maniera tale da poterlo tenere d’occhio senza che fosse necessario girarsi. Kisshu adocchiò l’otre di vino, ai piedi degli uomini, che pareva ancora piuttosto piena; Conoscendo l’indole di molti soldati, calcolò che non avrebbero impiegato più di mezz’ora per scolarsi tutto l’alcol, accennando forse ad una breve litigata nel momento in cui sarebbe dovuto toccar loro decidere a chi spettasse l’ultimo goccio.
Il fuoco scoppiettava allegro davanti ai tre soldati, presi in una fitta conversazione che non accennava a diminuire; Dal canto suo, Kisshu cercava di calmarsi e mantenere il sangue freddo, ripassando mentalmente e più volte le parti essenziali del piano.
Dopo venti, interminabili, minuti la conversazione tra i soldati si spense e tutti e tre furono presi da una certa sonnolenza, che andò crescendo mano a mano che i minuti si rincorrevano, implacabili. Kisshu si concesse la libertà di muoversi un poco solo quando fu convinto di udire un lieve russare proveniente dalla guardia più vicina; Individuò con gli occhi il sepurnè, che si guardava intorno con aria irritata, e ringraziò che nessuno avesse pensato ad alimentare il fuoco: la fuga sarebbe stata, forse, più facile.
Strisciò con cautela verso la guardia più vicina ed osservò l’arma che sporgeva dalla cintura: quest’ultima era piuttosto allentata ed al pugnale mancava la custodia. Lentamente, cercando di fare meno rumore possibile, Kisshu avvicinò le mani intorpidite all’impugnatura dell’arma, cercando di estrarla dalla cintura della guardia; Il primo tentativo andò a vuoto, a causa dell’intorpidimento delle dita, che non gli rispondevano a dovere. Senza scoraggiarsi, Kisshu ritentò e i suoi sforzi ebbero successo: il pugnale scivolò diligentemente fuori dalla cintura e gli cadde tra i piedi, senza alcun rumore. Sospirando di sollievo, l’alieno se lo sistemò alla meglio tra i talloni e cominciò a sfregare la corda che gli imprigionava i polsi sulla lama; Dopo alcuni minuti che parvero interminabili, le corde cedettero e Kisshu si ritrovò con gli arti superiori liberi. Senza perdere tempo fece la stessa cosa con le corde che gli legavano i piedi ed infine fu libero. Scivolò silenzioso alle spalle degli alieni nemici e si apprestò a tagliar loro la gola, ma una voce fastidiosa glielo impedì.

Assassino...

Si mosse incerto per il campo, prestando attenzione ad ogni singolo passo per evitare di tradirsi stupidamente. Quando fu abbastanza vicino al sepurnè, si fermò ed attese che l’animale lo vedesse: non poteva rischiare di spaventarlo, perchè in quel caso i suoi richiami avrebbero messo in allerta tutto il campo. Tilea lo scorse e rimase alcuni secondi ad osservarlo, per poi riprendere tranquillamente a guardarsi intorno. Kisshu, sospirando di sollievo, tagliò con un colpo netto la corda che teneva imprigionato il sepurnè e, dopo avergli fatto qualche carezza sul collo per tranquillizzarlo, gli montò in groppa. Quando pensava di avercela fatta, il sepurnè scartò bruscamente verso sinistra e Kisshu, impreparato, perse l’equilibrio, cadendogli pesantemente sulla schiena. L’animale non gradì quell’improvviso peso sul dorso e, spalancata la bocca, lanciò un sibilio acuto, che fece risvegliare di soprassalto i soldati dell’accampamento. Imprecando, Kisshu affondò i talloni nei fianchi di Tilea, che prese immediatamente a galoppare verso lo spazio aperto, incurante, ora che aveva la libertà, di Kisshu che le si era saldamente aggrappato al collo.


Sea strizzò ancora una volta la pallina di gomma che aveva in mano, prima di lanciarla, con un gesto svogliato, sul sedile anteriore al suo. Makoto si voltò per una frazione di secondo, riprendendola bonariamente.

-Sto guidando Sea. A meno che tu non voglia rovinarti quel bel nasino contro un lampione, è il caso di non lanciarmi addosso oggetti-

La bambina non rispose ma assunse un’espressione scocciata, riprendendo poi a guardare fuori dal finestrino. Le luci della città si susseguivano in un caos di colori, che andavano dal giallo intenso dei lampioni, a quello intermittente delle insegne a neon; Non fosse stata così di cattivo umore, forse avrebbe potuto apprezzare quello spettacolo: a casa sua non aveva mai visto così tanta...vita. Si domandò quale giudizio avrebbe dato sua madre al luogo che lei chiamava “casa” , se mai ci fosse stata; Forse il papà l’avrebbe convinta ad andarli a trovare, qualche volta. Gettò una veloce occhiata ad Ichigo, accomodata sul sedile di fianco a Makoto; Era assorta in chissà quale pensiero, mentre osservava distrattamente le macchine che il ragazzo sorpassava.

Forse è preoccupata per papà.

Pensò speranzosa la bambina, risollevandosi un po’. Si sporse verso i sedili anteriori, attendendo qualche minuto prima di parlare.

-Dove andiamo?-

Domandò infine, scrutando attentamente il volto della madre.

-Dalla zia Minto-

Rispose Makoto, approfittando del semaforo rosso per accarezzare i capelli di Sea.

-Chi è zia Minto?-

Insistette la bambina, con voce lamentosa.
Ichigo si voltò verso di lei, guardandola con occhi spenti.

-L’hai vista quando eri troppo piccola, non puoi ricordartela. Smettila di fare domande, tanto siamo arrivati-

Mormorò, indicando una grossa villa proprio davanti a loro. Sea, troppo persa nei suoi pensieri, non aveva notato che il paesaggio era cambiato: le case piccole e strozzate nei quartieri saturi di negozi e luci avevano lasciato il posto ad eleganti villette dall’aspetto curato.
La bambina spalancò gli occhioni, impressionata.

-Che bello!-

Esclamò, scendendo dalla macchina, mentre Makoto spegneva il motore.
Ichigo trasse un profondo respiro, nel vano tentativo di calmarsi: erano più di sei anni che aveva perso i contatti con le ex Mew Mew e, fino ad allora, non le era mai venuto in mente di ricontattarle; Si era fatta altre amicizie, forse meno sincere ma sicuramente più facili, e, nonostante ogni tanto si domandasse cosa stessero facendo Minto, Purin, Zakuro e Lory, non aveva mai trovato il coraggio di alzare la cornetta e chiamarle. Con che coraggio, ora, bussare alla porta di Minto per chiederle aiuto?

-Ichigo, vuoi che vi aspetti qui?-

Domandò Makoto, chiudendo il bagagliaio e appoggiando a terra le borse; Ichigo scosse la testa e si sforzò di sorridere.

-Non è necessario, davvero. Ti abbiamo creato fin troppo disturbo...-

Il ragazzo sorrise incoraggiante.

-Nessun disturbo. Tanto più che il ristorante è chiuso e siamo in ferie e, a dirti la verità, mi sto annoiando a morte!-

Questo non è del tutto vero...

Pensò, perchè sua figlia dava piuttosto da fare e non permetteva a nessuno di annoiarsi. Tra l’altro aveva promesso alla moglie di portarla in montagna per una settimana e, se volevano partire in tempo per godersi la tranquillità senza il caos dato dall’alta stagione, avrebbero dovuto sbrigarsi a fare le valige.

-Allora vi saluto, ragazze!-

Esclamò, inginocchiandosi davanti a Sea per darle un bacio sulla fronte.
Ichigo gli strinse cordialmente la mano, ringraziandolo ancora per essere stato così disponibile; Appena la macchina di Makoto scomparve dietro la prima curva, Ichigo si avvicinò al citofono e, senza stare a pensarci troppo, suonò il campanello.

-Chi è?-

Gracchiò una voce che Ichigo non riconobbe.

-Ichigo Momomya. Sono una...una conoscente di Minto e avrei bisogno di parlarle-

-Attenda un attimo, per favore-

Dopo pochi minuti, un ronzio prolungato indicò che il cancello era stato aperto e che potevano entrare. Ichigo prese Sea per mano e la condusse lungo il vialetto illuminato da bassi lampioni rotondi, che davano al giardino un’aria spettrale.
La porta della villa era aperta e una governante dall’aria conciliante le stava aspettando, con un sorriso ad illuminarle il volto paffuto.

-La signorina Minto è impegnata nella lezione serale di danza in questo momento. Potrà ricevervi tra poco; Se intanto volete accomodarvi in salotto...-

Disse, portandole in una granda sala circolare, decorata da grandi quadri e mobili dall’aspetto costoso.
Sea si guardò intorno meravigliata, senza lasciare la mano della madre, nonostante fosse ancora arrabbiata con lei.
Ichigo si sedette sul bordo di un divano in velluto blu, torcendosi le dita nervosamente.

Qui dentro si respira lo stesso odore di soldi che tanto odiavo quando venivo da piccola.


Pensò, ignorando Sea che continuava a guardarsi intorno con curiosità; Studiò con attenzione un piccolo carillon appoggiato su un tavolino più basso degli altri: rappresentava una piccola giostra di cavalli e sembrava molto vecchio, nonostante la proprietaria dovesse averne molta cura.
Lo prese tra le manine grassocce e cercò la chiavetta per avviarlo, ma una voce glaciale proveniente dalla porta del salone la indusse a rimetterlo immediatamente al suo posto.

-Faresti meglio a non toccarlo. E’ delicato e desidererei che non si rompesse-

Minto era apparsa sulla soglia della stanza: indossava ancora la tuta nera che utilizzava per allenarsi ed aveva un morbido asciugamano bianco a coprirle le spalle. Ichigo, accortasi dell’amica, scattò in piedi e prese Sea bruscamente per mano, trascinandola vicino a sè.
Le due ragazze si squadrarono per un lungo attimo, in attesa che una delle due cominciasse a parlare; Ichigo avvertiva distintamente una nota di ostilità nello sguardo della sua ex amica e non si sentì di darle torto: non era stata lei a sparire per sei lunghi anni, senza dare notizie.

-Minto, io...-

Cominciò Ichigo, ma la voce le morì in gola. Cosa poteva dire? Scusarsi? Implorarla di perdonare la sua stupidità?

-Risparmiati le scuse, Ichigo. Cosa vuoi?-

Domandò tagliente, dando loro le spalle ed avviandosi verso la cucina.

-Minto, ascolta, ho notizie importanti e...-

-Su quesrto non ne dubito, dato che ti hanno perfino convinta a venirmi a cercare!-

Ichigo abbassò lo sguardo, sospirando impercettibilmente e chiedendosi se fosse poi stata una così buona idea cominciare a riallacciare i rapporti proprio da Minto; Forse avrebbe dovuto provare con Lory che sarebbe stata certamente più conciliante.
Minto si versò un bicchiere di latte e gettò un’occhiata a Sea, nascosta dietro le gambe della madre; Osservò i suoi occhi color dell’ambra e gli spettinati capelli rosa, soffermandosi particolarmente sull’espressione imbronciata che aveva.

-Chi è questa bambina?-

Domandò con tono indifferente, spostando nuovamente l’attenzione su Ichigo. Che coraggio presentarsi come se niente fosse successo, dopo sei anni che non dava sue notizie! Minto non era mai riuscita a spiegarsi il repentino cambiamento dell’amica, accompagnato dall’allontanamento dal gruppo Mew Mew. Non le era mai stata simpatica, ma lavorando e combattendo insieme era riuscita a conoscerla più a fondo e a provare per lei una sorta di rispetto, sentimento che la MewMew si era giocata del tutto dimenticandole nel cassetto, una volta che la guerra contro gli alieni era finita.

Un atteggiamento molto maturo.

Pensò Minto con risentimento, scoccando un’occhiata glaciale ad Ichigo, ferma sulla soglia della cucina accanto alla bambina.
Spazientitasi, Minto sbattè con rabbia il bicchiere sul ripiano del lavello, facendo sobbalzare leggermente la ragazza.

-Hai detto di avere delle notizie importanti da riferirmi! Parla, allora!-

La incalzò, alzando la voce.

-Scusa, hai ragione...è che...-

Ichigo sbuffò, sapendo esattamente ciò che era necessario fare: doveva dire la verità a Minto; Solo in questo modo, forse, lei avrebbe capito la gravità della situazione e avrebbe accettato di dar loro una mano.
Aveva indugiato troppo a lungo; Ripensò a quando aveva scoperto di essere incinta e aveva fatto la scelta di non dire nulla a nessuno, per evitare occhiate cariche di compassioni e rimproveri inutili. Quel giorno aveva scelto di non fidarsi di quelle che erano le migliori amiche che avesse mai avuto e da allora la sua vita era andata peggiorando, facendola trovare sempre più triste e sola. Quel giorno era stata una stupida, ma non sarebbe ricaduta nello stesso errore due volte: era tempo di trovare il coraggio per rimediare agli errori passati.

-Quanto tempo hai?-

Domandò infine, fissando Minto negli occhi; Quest’ultima notò il cipiglio serio che aveva assunto Ichigo, rivedendo per un attimo la sua vecchia leader.

-Tutto quello necessario-

Rispose, indicando con un cenno della testa le scale.

-Al secondo piano potremo usufruire del mio salottino privato, che è più intimo-

Ichigo annuì e prese ad avviarsi verso le scale, quando una manina la trattenne.

-Mamma, ho fame e mi annoio. Non li voglio sentire i discorsi da grandi-

Piagnucolò Sea, destando l’attenzione di Minto.

-Mamma...?-

Ripetè incredula, spostando lo sguardo da Sea a Ichigo. Studiò il viso infantile della bambina, notando che sì, in effetti la somiglianza con Ichigo c’era; Ma chi poteva essere il padre? Forse Mark? La risposta le attraversò la mente, improvvisa come un fulmine, non appena incontrò gli occhi della bambina: il padre non era Mark, nè un qualsiasi altro umano. Occhi di quel colore li aveva visti soltanto nel loro nemico di tanti anni prima.

-Sea, non è questo il momento di fare i capricci. Non posso lasciarti qui da sola, non in casa d’altri-

Minto si riscosse dai suoi pensieri e si premurò di rassicurare Ichigo; Ora che iniziava ad incastrare tutti i tasselli del puzzle era diventata impaziente di sentire ciò che le avrebbe detto la ex Mew Mew.

-Puoi lasciarla con Yuki, dammi solo il tempo di chiamarla-

Prima che Ichigo potesse ribattere, Minto era già sparita nel corridoio; Tornò pochi minuti dopo accompagnata dalla stessa ragazza che aveva aperto loro la porta.

-Potresti occuparti di questa bambina, per favore?-

Yuki annuì con un sorriso, abbassandosi all’altezza di Sea.

-Mi sono sempre piaciuti i bambini! Allora, piccolina, mi dici come ti chiami?-

-Sea e ho cinque anni. Mi dai da mangiare?-

Domandò la piccola, portandosi una manina sullo stomaco.

-Ho fame-

Ripetè, con il timore di non essere stata abbastanza chiara.
Ichigo stava per riprenderla sulla questione “buona educazione”, ma Minto pareva impaziente, quindi decise di lasciare la bambina con Yuki e seguire l’amica su per le scale, verso il salotto. Una volta raggiunto, Minto si chiuse la porta alle spalle ed invitò Ichigo ad accomodarsi, sedendosi poi a sua volta.

-Non credevo che quella bambina fosse tua figlia-

Disse, inchiodando i suoi occhi in quelli di Ichigo; Pur arrossendo leggermente, la ragazza sostenne con fermezza il suo sguardo.

-Per quanto incredibile ti possa sembrare, è così-

Confermò, studiando con attenzione il viso di Minto, per scorgervi un minimo accenno di sorpresa; Fu inutile, in quanto l’amica era ancora perfettamente immobile, in attesa che lei continuasse a raccontare.
Ichigo fece un profondo respiro e si preparò a buttare fuori tutto, per la seconda volta in quell’eterna giornata.

-Forse l’avrai già inutito guardandola, ma Sea non è figlia di Mark. Lei è...il frutto di una notte clandestina, avuta quando Mark era appena partito per Londra; Mi sentivo molto sola e, non chiedermi per quale assurda ragione feci una simile scelta, trovai consolazione nell’unica persona che avevo sempre, imperterritamente rifiutato: Kisshu-

Minto trattenne per un attimo il fiato, nonostante lo avesse già intuito.

-Già. Occhi come i suoi non si vedono tutti i giorni-

Mormorò a mezza voce, cercando di metabolizzare la notizia il più in fretta possibile.

-Quando meditai su ciò che successe quella notte mi sentii malissimo, figurarsi quando scoprii di essere rimasta incinta; Il primo impulso fu quello di abortire e cercare di porre rimedio a quello che, non mi vergogno nel dirlo, fu un clamoroso errore. Kisshu, appresa la notizia della gravidanza, mi intimò di tenere il bambino, minacciando di andare a raccontare a Mark quella notte di follia. Presa dal terrore di una simile eventualità, tenni il bambino e cominciai, a poco a poco, ad allontanarmi da tutti voi; Non riuscivo a guardarvi in faccia, mi sentivo una...traditrice. Ero andata a letto con colui che, pur essendosi redento all’ultimo, aveva quasi ucciso tutte noi e distrutto il nostro pianeta. Presi l’unica decisione che, in quel momento, mi pareva plausibile: smisi di vedervi. Stupidamente scelsi di non fidarmi di voi e della vostra amicizia e non so se potrete mai perdonarmi per una simile sciocchezza-

Minto rimase a fissarla, ripassando mentalmente i punti essenziali del racconto e cercando di decifrare quali sentimenti stesse provando: rabbia? Indignazione? Pietà?

-Sei stata una stupida-

Disse improvvisamente, senza perdere il controllo della propria voce.

-E una vigliacca. Non hai avuto il coraggio di assumerti la responsabilità delle tue azioni-

Ichigo annuì, senza tentare di ribattere: era perfettamente consapevole che tutte le critiche che l’amica le stava rivolgendo erano corrette.

-Lasciami terminare il racconto, per favore. Dicevo, passai nove, lunghi mesi nel quasi completo isolamento, uscendo di casa solo quando era strettamente necessario; Una sera, mentre tornavo a casa dal lavoro, incontrai Kisshu e ci litigai: proprio allora mia figlia decise di nascere. Fu un parto lungo e spossante, ma sapevo...speravo, che quello costituisse l’ultimo sforzo prima di riavere una vita serena. Kisshu, infatti, mi aveva promesso che avrebbe portato la bambina sul suo pianeta una volta nata; Che modo perfetto per cancellarli entrambi dalla mia vita! Da quel giorno non li ho più visti nè sentiti, ma il sentimento di solitudine e colpevolezza persisteva: temevo che, se avessi rivisto una qualunque di voi, avrei dovuto darvi spiegazioni sui miei mesi di lontananza e prima o poi avreste scoperto il mio segreto. Non potevo permettere una cosa simile, non dopo essere uscita da un incubo che durava nove mesi. Questo è stato il motivo che mi ha spinto a non cercarvi più; Piuttosto vigliacco e sciocco, lo ammetto-

Ichigo trasse un lungo sospiro, torcendosi le mani che aveva in grembo.

-Circa tre settimane fa, Kisshu si è ripresentato alla mia porta con la bambina, dicendo che aveva bisogno di aiuto: Il suo pianeta era entrato in guerra e lui temeva per l’incolumità di Sea, così aveva pensato di portarla nell’unico posto davvero sicuro, ovvero qui da me, sua madre. Non fui felice di vederlo, ma ero troppo spaventata per rifiutarmi di tenere la bambina: Kisshu ha modi...molto convincenti. Da allora Sea vive con me, in attesa che la guerra finisca e suo padre venga a riprendersela...questo è ciò di cui ero convinta, prima della chiamata di Pai: il loro popolo sta perdendo la guerra e Kisshu è disperso chissà dove. Mi...Ci ha chiesto aiuto. Vorrebbe che il gruppo MewMew andasse sul loro pianeta per aiutarli a vincere la guerra; Kisshu è riuscito ad entrare in possesso di informazioni utili per infliggere un colpo mortale al nemico, se riuscissimo a trovarlo...-

Ichigo fu interrotta da Minto, che scattò in piedi e cominciò a camminare nervosamente per la stanza.

-Vogliono il nostro aiuto?!-

Tuonò, incredula.

-Vogliono che andiamo sul loro pianeta, quando poco meno di dieci anni fa loro hanno quasi distrutto il nostro?-

Rincarò, fermandosi per guardare Ichigo dritta negli occhi.

-E’ una richiesta assurda!-

Concluse, aggrottando le sopracciglia.

-Sì, è quello che ho pensato anche io-

Ammise Ichigo, fissando con insistenza le lucide piastrelle del pavimento.

-Tuttavia...-

Continuò, ma Minto la interruppe.

-Tuttavia, se ti sei presa il disturbo di venire fin qui per riferirmelo, sei dell’idea che dovremmo andare ad aiutarli. Sbaglio?-

-No, non sbagli. Non ho intenzione di fare pressioni a riguardo, comunque; Sei liberissima di rifiutare e io non ci troverò nulla da obiettare-

Minto restò per qualche minuto in silenzio, a riflettere; Cos’era meglio fare? L’idea di andare a combattere una guerra non sua su un altro pianeta non era certo entusiasmante, e poi perchè scomodarsi? Cosa rappresentavano gli alieni per loro? Ma soprattutto, cosa rappresentava questa guerra per Ichigo?

-Dimmi la verità: perchè vuoi prendere parte ad una guerra non tua?-

Domandò, incrociando le braccia sul petto; Ichigo sorrise senza allegria, chiedendosi il motivo per cui quella domanda aveva tardato tanto ad arrivare.

-Perchè sono stufa di chiudere gli occhi davanti alla realtà. Sea è mia figlia, nonostante tutto, e ho delle responsabilità sia nei suoi confronti che in quelli del padre-

Minto rimase suo malgrado sorpresa, che cercò di celare dietro il sarcasmo.

-Gran belle parole per una persona che ha vissuto da vigliacca fino ad ora-

Disse, alzando scetticamente un sopracciglio.

-Ho fatto molti errori, ed è per questo che ora vorrei porvi rimedio, aiutando Kisshu e risparmiando a Sea il dolore per la perdita del padre-

-E per smaltire questo tuo senso di colpa personale metteresti in gioco le nostre vite?!-

Sbottò Minto, adirandosi; Ichigo rimase impassibile, nonostante avesse le nocche bianche a furia di stringersi le mani. Cosa mai avrebbe potuto rispondere? Era la pura verità. Minto fece un sorrisetto di sdegno, disgustata.

-Sei la persona più ipocrita che io abbia mai incontrato. Pensare che una volta ti rispettavo-

Sibilò, riducendo gli occhi a due fessure.

-La nostra conversazione si chiude qui, Ichigo. Yuki ti accompagnerà alla porta di ingresso-

Aggiunse, volgendole le spalle. Ichigo si alzò in piedi e raggiunse la porta del salotto, chiusa in un dignitoso silenzio: da quell’incontro non si era aspettata altro.


Correre.
Il fiato cominciava a mancarle e le gambe sembravano essere diventate pesantissime, ma la bambina sapeva che fermarsi era pericoloso; Doveva continuare, nonostante il cuore sembrasse scoppiarle nel petto.
Si guardò intorno, disperata, ma le uniche cose che vide furono alberi secchi, i cui rami, simili a lunghe dita scheletriche, si muovevono nell’aria elettrica che precedeva una tempesta. Ansimando, la bambina proseguì la sua folle corsa, ignorando il terreno arido cosparso di sassi appuntiti, che continuavano a ferirle le tenere piante dei piedi, implacabili.
Loro erano vicini, lo sapeva.
Si guardò velocemente alle spalle, ma nulla di vivo interrompeva la monotonia dell’orizzonte; Vagamente rassicurata, tirò un sospiro di sollievo, prima di lasciarsi cadere al suolo, privata di tutte le forze.
La ferita le faceva male. Alzò la lieve stoffa della maglietta che indossava e vide un lungo taglio sanguinolento, che le percorreva tutto il fianco sinistro.
Strano; Non riusciva proprio a ricordare come avesse potuto procurarselo.
Una saetta squarciò le nubi che si accalcavano nel cielo, illuminando di una luce azzurrognola il paesaggio circostante e fu allora che la vide: una lapide di un bianco irridescente, che spiccava sulla terra scura e arida.
Come in trance, Sea si alzò sulle gambe malferme e camminò verso la pietra, inginocchiandosi davanti; Sul lucido marmo bianco spiccavano scritte a caratteri alieni, che brillavano sotto la luce azzurrognola dei fulmini. La bambina vi passò sopra i polpastrelli, esplorando ogni piccola incisione. Il cuore aumentò vertiginosamente i battiti: improvvisamente sapeva cosa significavano quei caratteri, nonostante non avesse ancora una lettura spigliata.

Non può essere...

Pensò, mentre ogni fibra del suo corpo risuonava di dolore.
Alzò lo sguardo e incontrò gli occhi vitrei di suo padre, riverso supino accanto alla lapide, il fianco squarciato da un taglio profondo, incrostato di sangue vecchio.

Sea si rizzò a sedere, facendo cadere la coperta che Yuki le aveva premurosamente messo addosso; Il cuore le batteva in petto come un tamburo, mentre strascichi dell’incubo si affacciavano ancora alla sua mente. Si portò le mani al viso e cominciò a singhiozzare, terrorizzata: quello era suo padre. Suo padre era morto.

-Vieni Sea. Torniamo a...-

Non appena Ichigo vide lo stato in cui versava la figlia, le corse accanto, inginocchiandosi accanto al divano su cui Yuki l’aveva messa a dormire.

-Cosa succede?-

Esclamò, senza poter nascondere la nota di panico della sua voce; Anche Minto, in piedi sulla soglia, osservava la scena.
Sea, accorgendosi della presenza della madre, allontanò le mani dagli occhi e la fissò con espressione sconvolta.

-Papà è morto!-

Urlò, gettando le braccia al collo della madre, dimentica della rabbia che provava nei suoi confronti. Ichigo, sbigottita da quelle parole, non ricambiò la stretta ma allontanò bruscamente la bambina, per poterla guardare negli occhi.

-Cosa stai dicendo?!-

Sea, confusa da quel rifiuto, rimase in silenzio, mentre altre lacrime scendevano dagli occhioni lucidi. Ichigo si spazientì.

- Vuoi spiegarmi perchè dici che tuo padre sarebbe morto?!-

-L’ho visto!-

Ululò la bambina, divincolandosi dalla stretta della madre.

-E’ tutta colpa tua! Se avessi ascoltato subito zio Pai ora saremmo da papà! Ti odio, ti odio!-

Gridò Sea in lacrime, sfogando tutto il dolore, la tristezza e la confusione che covava dentro; Approfittando dell’attimo di incertezza che ebbe la madre a quelle parole, scese dal divano e corse verso la porta. Stava per infilarsi nel corridoio, quando una mano la fermò.
Minto aveva preso la bambina per una spalla e l’aveva costretta a fermarsi.

-Come puoi essere sicura che tuo padre sia morto?-

Domandò, con voce calma e controllata.

-L’ho visto-

Ripetè Sea, guardando Minto dritta negli occhi.

-Potrebbe essere stato solo un incubo-

Continuò la ragazza, ragionevole. La bambina scosse la testa, irritata dal fatto che nessuno la capisse.

-Non era un incubo! E’ la realtà! So dov’è mio papà, è ferito, forse è già troppo tardi...voglio tornare a casa!-


-Voglio tornare a casa!-

Esclamò Minto, divincolandosi dalla presa del nonno, che risultò più solida che mai.

-Non puoi, Minto. Saresti solo di intralcio-

La bambina gli rivolse uno sguardo astioso.

-Voglio stare con papà!-

-Questo non è possibile, lo sai-

Le lacrime cominciarono a rigare il volto della ragazzina, scivolandole lungo il collo. Il nonno rimase impassibile, ad osservare la macchina di famiglia che si faceva sempre più piccola .

-Voglio dirgli ancora che gli voglio bene-

Singhiozzò, stringendo con più forza la mano dell’uomo. Lui annuì appena.

-Lo sa già-

-Fammi andare a casa, nonno, per favore-

-No-



Minto buttò a terra la sua bambola, calpestandole volutamente il volto; Gli occhi azzurri, ormai privi del sostegno del volto in porcellana, rotolarono per la stanza, ma la bambina non se ne curò. Quella bambola era stato l’ultimo regalo di suo padre; Era stato il regalo “della guarigione” perchè, quando gliela aveva donata, le aveva promesso che non sarebbe mai più tornato in quella clinica orribile dov’era stato operato.
Ora suo padre era morto e le sue promesse giacevano tra i cocci di porcellana e le lacrime della figlia.

-Non l’ho neanche salutato-

Singhiozzò la bambina, quando sentì la porta della sua camera aprirsi.
Una mano callosa le accarezzò il volto, nel tentativo di rassicurarla.

-E’ meglio così; Non l’avresti riconosciuto-

-Non importa. Fammi vedere il papà, nonno! Non ti chiederò più nulla, ma per favore, fammelo vedere un’ultima volta!-

-No-


Sea e Minto rimasero a fissarsi per minuti che parvero interminabili, poi la ragazza annuì appena ed allentò la presa che aveva sulla spalla della bambina.

-Prendi il cappotto, Sea. Ti riportiamo a casa-

Disse, accompagnandola all’appendiabiti e recuperando anche il suo giubbotto. Ichigo, a quelle parole, spalancò gli occhi, sorpresa.

-Minto, ma tu...-

Mormorò, ma l’amica le rispose con una scrollata di spalle.

-Non credere che lo faccia per te-

Specificò, dando istruzioni a Yuki sulle cose da fare mentre lei era via.

-Datti una mossa, abbiamo già perso fin troppo tempo-

Aggiunse, rivolgendole un’occhiata glaciale; Ichigo annuì e prese la giacca, chiudendosi la porta della casa di Minto alle spalle.



Kisshu si portò una mano al fianco, grugnendo per il dolore; Durante la sua fuga era stato raggiunto da un proiettile di energia pura, che non era riuscito ad evitare. Un fulmine illuminò il cielo a giorno, squarciando le nubi cariche di pioggia; Kisshu si guardò indietro, alla ricerca dei suoi inseguitori ma i suoi occhi incontrarono solo una landa desolata, spazzata dal vento.
Tirò un poco le redini di Tilea, facendole rallentare l’andatura; Il dolore era diventato un pensiero costante nella sua mente e ciò gli impedivadi mantenere la lucidità necessaria per condurre il sepurnè. Tilea scrollò nervosamente la testa, con il respiro corto a causa della lunga corsa.

-Dobbiamo trovarci un riparo, vecchia mia-

Mormorò Kisshu, accarezzandole affettuosamente il collo. Si guardò intorno, socchiudendo gli occhi, ma non vide altro che desolazione; Sospirando, esortò il sepurnè a proseguire al passo, ignorando le grosse gocce di pioggia che avevano cominciato a cadere, frustandogli il corpo martoriato. L’alieno cominciò ad avvertire fastidiosi brividi di freddo attraversargli le ossa.

“Devo trovare un posto sicuro dove fermarmi...”

Pensò, mentre i contorni delle cose attorno a lui si facevano sfumati e tremolanti, come se li stesse guardando attraverso un acquario. Improvvisamente le forze gli vennero meno e Kisshu si accasciò sulla schiena del destriero, scivolando poi a terra, privo di sensi, del tutto ignaro che due paia di occhi lo stavano fissando con curiosità, nascosti dietro una grande roccia dai bagliori lattei.

-Sorella, il prescelto è caduto-

Mormorò un alieno dai lineamenti marcati, alzandosi il cappuccio per ripararsi dalla pioggia; La sorella scosse la testa, facendo tintinnare le perline che portava intrecciate tra i corti capelli lilla. Un elaborato tatuaggio le ornava la parte sinistra del viso, proseguendo lungo il collo e perdendosi tra le pieghe dei vestiti.

-Non è lui, fratello. Tuttavia ci sarà utile-

Senza aggiungere altro, l’aliena raccolse il lungo e nodoso bastone che giaceva appoggiato contro la roccia bianca, incamminandosi poi verso Kisshu.


-Nonna!-

Una bambina dai corti capelli lilla entrò correndo nella tenda della nonna, ansante, incespicando nei propri piedi.
Un’anziana donna alzò lo sguardo verso la nipote, incuriosita, smettendo momentaneamente di triturare le erbe che aveva davanti.

-Mio padre ha detto che sono ricominciate le guerre al nord! Dobbiamo di nuovo spostarci!-
Disse la bambina tutto d’un fiato, alzando il tono della voce mano a mano che spiegava la situazione. La nonna si limitò ad inarcare le sopracciglia, riprendendo il lavoro che aveva lasciato a metà.

-Elyn, non è una novità...e poi lo sai che non devi origliare le conversazioni di tuo padre-

La bambina sbuffò impercettibilmente, sedendosi a gambe incrociate accanto alla donna e prendendo una manciata di erbe dal cesto, per aiutarla.

-Lo so, ma erano informazioni importanti! Nonna, si combattono ancora!-

Ripetè, guardando con disappunto un’erba particolarmente spinosa.

-Ci sarà il tempo della pace, Elyn; Il fatto che non sia ancora giunto non deve farci perdere le speranze-

Spiegò con calma l’anziana donna, mescolando in una ciotola le erbe appena triturate e del grasso animale.
Elyn si mosse nervosamente, mordicchiandosi il labbro inferiore.

-Dici sempre così, ma la pace non arriva mai e... -

-Hai mai osservato le stelle?-

La interruppe l’anziana, ricercando lo sguardo della bambina che, perplessa, non rispose subito.

-Tu pretendi da noi esseri mortali risposte che non potremo mai dare...il nostro futuro è scritto nelle stelle e credimi, bambina, la pace arriverà-

Elyn giocherellò distrattamente con le frange del proprio vestito, prima di rialzare lo sguardo sulla nonna, negli occhi una luce nuova.

-Insegnami a parlare con le stelle!-

Esclamò, determinata; La nonna la guardò stupita.

-Elyn, sei troppo giovane e...-

-Sono la nipote di una sciamana, nel sangue mi scorre la stessa tua magia. Imparerò!-

L’aliena osservò la nipote, meditabonda.

-Sei a conoscenza del fatto che, se deciderò di condividere con te i miei segreti, la tua strada sarà tracciata?-

Si passò una mano sulla parte sinistra del volto dove, nascosto tra le rughe, faceva mostra di sè un intricato tatuaggio; Elyn annuì convinta.

-Molto bene. Torna nella mia tenda stasera, quando Tilea sfiorerà la cima del monte Impel-

*******************************

L’erba danzava dolcemente nel leggero venticello primaverile, sollenticando le caviglie di Elyn, troppo impegnata a soffocare uno sbadiglio per accorgersene. Lei e la nonna, giunta l’ora stabilita, si erano inerpicate lungo una collina poco distante dal villaggio, raggiungendo la radura dove erano sedute in una decina di minuti. La bambina era in attesa che la nonna parlasse, ma quest’ultima aveva socchiuso gli occhi, godendosi la sensazione della fresca aria notturna sulla pelle.

-Come puoi pensare di capire il linguaggio dell’universo, se ti rifiuti di metterti in contatto con lui?-

Domandò la nonna ad un tratto, con la voce poco più alta di un sussurro.

-Mettermi in contatto...non mi hai spiegato come si fa!-

-Basta ascoltare-

L’anziana aliena sorrise, indicando alla nipote di avvicinarsi a lei; Non appena furono sedute vicine, le posò le mani sugli occhi e cominciò a borbottare piano parole che Elyn non comprese. Improvvisamente una luce esplose dietro le palpebre chiuse della bambina, facendola sussultare.

-Non temere la luce-

La voce della nonna si stagliò improvvisamente chiara sul borbottio di fondo. Titubante, Elyn fece dei respiri profondi per rilassarsi e, una volta che riuscì a placare il battito furioso del suo cuore notò che la luce si era fatta più intensa, assumendo bagliori dorati; Improvvisamente la luce, così com’era venuta, sparì e la nonna le tolse le mani dagli occhi, sorridendo.

-Come ti senti?-

Elyn sbattè più volte le palpebre e si guardò intorno; Perchè, improvvisamente, tutto si era fatto più intenso ai suoi occhi? L’erba era sempre stata così verde? E il vento così musicale?

-Nonna ma...cos’è successo?-

Balbettò, guardandosi intorno meravigliata.

-Ti ho solo aperto gli occhi, bambina. Il mondo intorno a noi ha molto da raccontare...spesso, però, siamo noi a non volerlo ascoltare-

La nonna si alzò faticosamente in piedi, appoggiandosi ad un nodoso bastone di legno, ornato in cima da piume e ossicini, che tintinnarono al lieve vento.

-Dove vai?-

Domandò Elyn, senza apprensione: non temeva la notte.
L’anziana aliena increspò appena le labbra.

-Immagino che tu abbia molte domande da fare al mondo, mia cara. Da sola riuscirai ad ascoltare meglio le risposte; Ti aspetto domattina alla mia tenda-

La bambina annuì e si distese sull’erba umida, socchiudendo appena gli occhi; Quella sera avrebbe dovuto ascoltare e vedere tramite il cuore.


*****************************

Ichigo guardò fuori dall’oblò, osservando i fascidi luci e colori che avevano avvolto la navicella; Erano partiti già da qualche ora ma lei non riusciva a staccarsi da quella piccola apertura, come ipnotizzata.

“E’ inutile guardare fuori...le nostre navicelle non sono come quelle degli umani, viaggiano ad una velocità infinitamente superiore... vedrete solo fasci di luce”

Aveva spiegato Pai non appena erano partite, lasciandosi alle spalle, insieme al pianeta natale, tutte le sicurezze che si erano create in quegli anni di pace.
Ichigo guardò le compagne che erano state così pazze da seguirla in quell’avventura e le ringraziò mentalmente. Non tutte avevano potuto accogliere la sua richiesta, a causa di obblighi ed impegni più o meno grandi. Zakuro era impegnata nella registrazione di un film in America e non erano riuscite a contattarla, mentre Lory aveva dato da poco alla luce il suo primogenito, per la felicità di Ryan, e, nonostante fosse stata felicissima per il ritorno di Ichigo nelle loro vite, non aveva potuto abbandonare il suo piccolino per affrontare un’avventura così pericolosa.
Purin, a differenza delle altre, non aveva domandato nulla ad Ichigo, si era limitata ad abbracciarla e regalarle un largo sorriso,sottolineando quanto le era mancata in quel tempo.
Ichigo distolse per un attimo l’attenzione dalle immagini che scorrevano veloci al di fuori dell’oblò e guardò l’amica, sorridendo leggermente: Purin aveva gli occhi spalancati dallo stupore e stava esplorando ogni minimo angolo dell’astronave; Non era affatto cambiata dall’ultima volta che l’aveva vista, anche se adesso doveva avere quasi vent’anni.

-E questo a cosa serve?-

Domandò Purin ad un certo punto, indicando un grosso pulsante dal colore rosso acceso.

-E quest’altro?-

Domandò ancora senza aspettare risposta, focalizzando l’attenzione su una piccola leva posta accanto al pulsante. Ichigo si concesse mezzo sorriso e scosse la testa, divertita dall’entusiasmo così genuino dell’amica.
Purin, di per sè, non stava più nella pelle dalla gioia; Quando aveva sentito che sul pianeta natale di Taruto era scoppiata una guerra ed avevano bisogno di aiuto, non ci aveva pensato due volte ad accettare la proposta di Ichigo. Taruto non si era tirato indietro quand’era stato il momento di difenderla e ore lei non se la sentiva di abbandonarlo. Strinse con più forza il sacchetto di caramelle che aveva in tasca e sorrise: una promessa era una promessa.

-E’ una caramella!-

Disse Purin, lottando per trattenere le lacrime, mentre Taruto arrossiva violentemente.

-Te la regalo! Te le regalo tutte, ma ti prego...resta qui!-

Mormorò, con una vocina insolitamente acuta. Taruto la osservò in silenzio, mentre quelle lacrime gli facevano stringere il cuore.

-Tornerò a prenderle-

Disse, osservando con insistenza un punto indefinito oltre la nuca di Purin.

-Quando avrò finito queste caramelle tornerò a prenderne altre...e allora ci rivedremo-

La ragazza meditò un attimo su quelle parole, annuendo convinta.

-E’ una promessa?-

Taruto l’aveva osservata in silenzio prima di annuire.

-E’ una promessa-


Quanto le era mancato il piccolo alieno in quegli anni! L’aveva aspettato invano per un sacco di tempo; Ogni sera si sedeva vicino alla finestra e si perdeva a guardare le stelle, immaginando che su una di quelle poteva esserci lui. Alcune volte la nostalgia era così forte da farle salire le lacrime agli occhi, ma lei si sforzava di ricacciarle indietro, perchè piangere non sarebbe servito a farlo tornare più in fretta.

-Purin!-

La voce di Ichigo riscosse la ragazza dai suoi pensieri, facendola sobbalzare leggermente.

-Eh?-

Domandò, chiedendosi se per caso l’amica le avesse fatto una domanda a cui non aveva risposto; Ichigo le indicò il pupazzo a forma di chimero che le volteggiava intorno, con gli occhi che lampeggiavano debolmente.

-Sulla terra Kisshu usava quel pupazzo per comunicare con me e Sea... probabilmente qualcuno vuole parlare con te-

Purin prese il pupazzo tra le mani, dubbiosa, e guardò Ichigo.

-Se è Pai perchè non usa l’attrezzatura dell’astronave per parlarci?-

Domandò, continuando ad osservare il chimero.

-Quel pupazzo si dirige automaticamente verso la persona a cui è indirizzata la chiamata. E’ per te-

Disse Ichigo con decisione, facendole poi un sorriso di incoraggiamento e tirando per lei l’antenna posta sul capo del pupazzo. Immediatamente i suoi occhi si illuminarono e proiettarono l’ologramma di Taruto che, alla vista di Purin, sorrise imbarazzato.

-Ciao...oh, sono contento che tu abbia capito come farlo funzionare...-

La ragazza annuì, mentre gli occhi cominciarono a farsi più lucidi.

-Ascolta...mh... cioè, non dovrei essere qui a parlarti, Pai me l’ha proibito, però...-

La voce di Taruto si spense e quest’ultimo si ritrovò a fissare semplicemente la ragazza, in imbarazzo, senza avere la più pallida idea di come continuare. Purin, per rompere il ghiaccio, trasse di tasca il sacchetto delle caramelle e lo mostrò a Taruto.

-Ho pensato che quelle che ti ho dato anni fa fossero finite-

Disse con semplicità, facendo arrossire ulteriormente l’alieno.
Ichigo seguì alcune battute della conversazione, poi si allontanò per lasciare ai due un po’ di privacy.

***************************

Quando Kisshu aprì gli occhi, si stupì nel constatare che il dolore al fianco si era placato; Cautamente puntellò i gomiti sul freddo pavimento di pietra e si trasse a sedere, guardandosi intorno per capire dove fosse. A una prima occhiata sembrava l’interno di una grotta, probabilmente molto antica a giudicare dai graffiti sulle pareti. L’alieno si alzò in piedi, osservandosi il fianco su cui doveva esserci la ferita e trovandolo sano, senza ombra di cicatrici; Anche i vestiti che indossava erano perfettamente puliti e privi di strappi.

“Strano...”

Pensò, avvicinandosi alle pitture per osservarle meglio; Ciò che vide gli fece raggelare il sangue nelle vene: Al centro di un’ intricata cornice di simboli c’era il volto di sua figlia.


...Eppure sentire
Nei fiori tra l'asfalto
Nei cieli di cobalto - c'è


Eppure sentire
Nei sogni in fondo a un pianto
Nei giorni di silenzio - c'è

un senso di te ...”



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Capitolo 7
*** About love, real love ***


Senza Titolo

A tutti voi, perchè mi avete chiesto talmente tante volte di continuarla che lasciarvi a bocca asciutta mi dispiaceva troppo. 


And what if I never told you I'm afraid to cry? (E cosa sarebbe successo se non ti avessi detto che ho paura di piangere?)
(I wanna cry) (Voglio piangere)
What if I never let you down inside? (Cosa sarebbe successo se non ti avessi lasciato entrare nel mio cuore?)
I'm sorry for the nights I don't remember (Scusami per le notti che non posso ricordare)
What if I never said to you I would try? (Cosa sarebbe successo se non ti avessi detto che volevo davvero provare?)

                                                             (For the nights i can't remember- Hedley) 


***

Se qualcuno gli avesse mai raccontato il suo futuro, Kisshu gli avrebbe come minimo riso in faccia; Lui sapeva che nel suo futuro ci sarebbe stata Sea, e una pace duratura. Forse, dopo che fosse passato sufficiente tempo, il suo cuore avrebbe trovato la forza di amare nuovamente un’altra donna, condividendo con lei la vecchiaia. Ora invece, mentre le sue dita esploravano caute le incisioni sulla pietra fredda della grotta, Kisshu sentì distintamente il suono dei suoi progetti per il futuro che si si crepavano per poi andare in pezzi come frammenti di un vecchio specchio.

-Cosa diavolo...-

Mormorò, soffermandosi nuovamente sull’immagine della figlia, per avere conferma di non essersi sbagliato.

-Probabilmente sto sognando-

Si disse, allontanandosi dalla parete per avere una visione globale della parete con i graffiti.

-Non stai sognando, giovane alieno; O almeno, non nei termini che intendi tu-

Mormorò una voce alle spalle di Kisshu, gutturale come le fusa di un gatto. L’alieno si voltò di soprassalto, portando istintivamente le mani alla cintura, in cerca dei suoi tridenti. Osservò attentamente la ragazza che aveva davanti, studiandola; per essere una donna aveva i lineamenti molto marcati, che stonavano con la corporatura esile. I capelli erano corti e di un intenso color lilla, intrecciati con perline ed ornamenti, gli stessi che adornavano la cima del suo nodoso bastone, appoggiato alla parete alle spalle di lei. Ciò che più colpì Kisshu fu il complesso tatuaggio che occupava tutta la parte sinistra del viso, perdendosi poi tra le pieghe del grezzo mantello che indossava; Erano gli stessi simboli incisi sulla parete della grotta.

-Se continuerai a stare sulla difensiva non potrò mai rispondere a tutte quelle domande che ti agitano lo spirito-

Disse distrattamente la ragazza, sedendosi con grazia su un piccolo tappeto costituito da rami e foglie intrecciati; Non sembrava turbata dall’irrequietezza di Kisshu, nè sembrava sfiorarla l’idea che lui potesse farle del male. Spinto da una forza a cui non seppe mai dare un nome, Kisshu imitò l’esempio dell’aliena e si sedette di fronte a lei, a gambe incrociate.
Senza guardarlo, la ragazza prese alcune bacchette di incenso e, dopo averle fissate in un grezzo sostegno d’argilla, le accese; Tutti i suoi gesti erano calcolati e sicuri, attraversati da una grazia che Kisshu non aveva mai visto in nessun altra donna, nè umana nè aliena. Rimase incantato ad osservarle le mani, chiedendosi che effetto facesse sentirle scorrere sulla pelle del proprio corpo. A quel pensiero l’alieno scosse violentemente la testa, cercando di scacciare quei pensieri inopportuni.

-Tu sei una persona molto importante-

Disse ad un tratto l’aliena, alzando finalmente lo sguardo su di lui. Kisshu fissò quegli occhi di un viola profondo e si accorse che erano privi di pupilla.

-Tu sei...cieca?-

Domandò, pentendosi immediatamente di averlo fatto. L’aliena ignorò la domanda e continuò a parlare come se Kisshu non l’avesse mai interrotta.

-Tu sei l’incarnazione del re Quiche, colui che, molte dinastie fa, salvò il nostro pianeta dalla prima grande guerra-

Kisshu battè le palpebre, confuso.

-Chi...? Di cosa stai parlando?-

Ancora una volta, la ragazza fece finta di non sentirlo.

-I popoli che abitano il nostro pianeta sono sempre stati bellicosi e, in tempi remoti,  le continue guerriglie finirono per sfociare in una guerra colossale; Non esistevano più nemici ed amici, erano tutti schierati contro tutti. Il nostro pianeta andò veramente molto vicino alla distruzione quella volta; se non fosse intervenuto re Quiche, non saremmo neanche qui a parlarne-

Fece una pausa, prendendo due bicchieri di terracotta e colmandoli di un liquido ambrato, contenuto nella borraccia che portava appesa alla cintura.
Ne spinse uno verso KIsshu, che lo guardò con aria diffidente.

-E’ un infuso molto utile per far rimarginare le ferite; Come puoi vedere dal tuo fianco, ti è già servito molto-

Kisshu spalancò gli occhi, mentre una domanda si faceva strada nella sua mente.

-Da quant’è che sono svenuto?!-

Esclamò, rovesciando un poco del liquido contenuto nel bicchiere. L’aliena non cambiò espressione.

-Quattro giorni con oggi-

Mormorò, sedendosi più comodamente ed apprestandosi a riprendere il racconto.

-Quattro giorni?!-

Kisshu balzò in piedi, preso improvvisamente dal panico.

-Devo andarmene da qui! Devo raggiungere i miei compagni, è già passato troppo tempo e...- 

-E ne passerà ancora. Sarai molto più utile se resterai qui e mi lascerai finire di parlare-

Disse l’aliena, alzandosi in piedi.

-Ascolta-

Sibilò Kisshu, in preda all’irritazione.

-Ti ringrazio per avermi salvato. Davvero. Ma il mio posto non è qui-

Disse infine, avviandosi verso l’uscita della grotta; La ragazza lo seguì con lo sguardo.

-Quella rappresentata nelle sacre iscrizioni è tua figlia, non è vero?-

Domandò ad un tratto, con tono leggero. Kisshu si immobilizzò all’istante, voltandosi lentamente con gli occhi ridotti a due fessure irate.

-Cosa ne sai tu di mia figlia?-

Sibilò, mentre, in una mossa istintiva, scopriva i canini. L’aliena non diede peso alla reazione dell’ospite e, dopo avergli nuovamente indicato dove sedersi, riprese il suo racconto da dove lo aveva interrotto.

-Io so molte cose Kisshu, molte di più di voi sciocchi che vi ostinate a tapparvi le orecchie davanti al suono del mondo!-

Lo fissò intensamente per un attimo, prima di alzarsi per prendere alcuni ciocchi di legno e disporli al centro della grotta. Kisshu la osservò con curiosità, nonostante dentro di sè sentisse ancora forte la necessità di alzarsi e fuggire. I suoi compagni erano morti, lui stesso ci era andato molto vicino e i nemici, intanto, avanzavano e si facevano ogni giorno più forti. Che senso aveva perdere tempo con questa ragazza? Si riscosse dai suoi pensieri non appena la vide chinarsi sui ceppi e dar loro fuoco.

-Sei impazzita?!-

Esclamò Kisshu, alzandosi velocemente in piedi e cercando con lo sguardo qualcosa  con cui soffocare le fiamme; Ancora una volta, fu la voce dell’aliena, perfettamente calma , a convincerlo a sedersi e ad osservare il fumo che, in lente volute, cominciava a riempire l’intera grotta.

-Mostrarti ciò che successe, indomabile fratello, sarà più efficace. Questo fumo non ci farà alcun male e ci aiuterà a varcare i confini del tempo-

Prima che Kisshu potesse elaborare qualsiasi pensiero, le palpebre gli diventarono pesanti e lui scivolò in un silenzio ovattato. 



Quiche lasciò  che gli scudieri si occupassero della sua armatura e trasse un lungo sospiro; L’attacco di quel pomeriggio era stato solo un diversivo e lui c’era cascato come un novellino. L’esercito era stato trucidato inutilmente, mentre la popolazione veniva depredata e uccisa. Quiche strinse convulsamente i pugni e sputò sul terreno una boccata di sangue, maledicendosi. Quale re era mai stato così stupido?

-Quiche!-

L’alieno si voltò, trovandosi davanti una delle poche persone in grado di restituirgli il sorriso. La donna indossava una lunga veste color avorio, che faceva risaltare il rosso intenso dei capelli. Aveva uno sguardo preoccupato. Quiche allargò le braccia e la strinse forte a sè, incurante del dolore che affliggeva ogni fibra del suo corpo.

-Ero così preoccupata!-

Mormorò la moglie contro il suo petto, cercando di controllare i singhiozzi.
Il re le accarezzò dolcemente la schiena, aspettando che lei si calmasse prima di parlare.

-Mi spiace Fraise...-

Disse, scostandola un poco da se per poterla guardare negli occhi.

-Questa maledetta guerra non accenna a finire, i soldati sono stremati, sia nel corpo che nello spirito e io...-

…sono un maledetto idiota.

-...io non sono stato capace di fare le scelte giuste-

La moglie, a quelle parole, scosse energicamente la testa, frustando l’aria con i lunghi capelli color delle fiamme.

-Non dire così! Sei un mortale anche tu! Commetti i tuoi sbagli, non puoi pretendere di essere infallibile!-

Esclamò infervorata. Quiche le sorrise indulgente, desiderando con tutto sè stesso che le parole appena pronunciate da Fraise fossero vere o, perlomeno, condivise da tutti i suoi sudditi. La moglie lo guardò in silenzio, sciogliendosi dall’abbraccio.

-Sarai stanco; Spogliati dei tuoi incarichi per qualche ora e...-

Quiche scosse la testa, sorridendo mestamente alla moglie.

-Non posso; Dobbiamo riorganizzare le difese, perdere tempo sarebbe un’inutile quanto dannosa sciocchezza-

L’alieno diede un bacio alla moglie, allontanandosi poi nel cortile.

"Devo trovare il capitano Parai, insieme riorganizzeremo le difese dei villaggi circostanti. Mi auguro solo di fare in tempo, prima che la popolazione subisca altri attacchi"

Quiche attraversò il cortile che portava verso le scuderie in tutta fretta, accompagnato solo dai tonfi dei suoi passi sul selciato; rallentò soltanto quando il suo sguardo si posò su una figura fin troppo conosciuta, l'unica, insieme alla moglie, capace di alleggerirlo un po' dalle sue pene. 

Mope era seduta sul muretto che delimitava la grande fontana di pietra, le mani immerse nell’acqua fredda e lo sguardo assente. Aveva saputo dell’insuccesso del padre e ne era stata molto turbata: da quanti anni non sentiva altro che discorsi carichi di disgrazia?

“Il popolo ha fame”

“Un altro villaggio è stato messo a ferro e fuoco”

“perchè il re non fa nulla?”

La ragazza scosse la testa, cercando di allontanare i cattivi pensieri.


-Ti è entrata una mosca nel naso?-

Domandò una voce alle sue spalle, con tono divertito. Mope, nella fretta di voltarsi, perse l’equilibrio e immerse le braccia fino al gomito nella fontana, inzaccherandosi il vestito e provocando le risate di suo padre.

-Ah...oh...buongiorno, padre-

Biascicò, alzandosi in piedi e cercando di darsi un contegno, nonostante l'abito bagnato. Quiche osservò le guance della figlia imporporarsi e non si sforzò di nascondere un sorriso.

-Ti sembra questo il modo di fare di una principessa?-

Domandò divertito. Mope guardò in tutte le direzioni, per accertarsi che non ci fosse nessuno, poi bisbigliò parole che suo padre non comprese. Improvvisamente si alzò un forte vento che avvolse la giovane aliena e si placò soltanto quando i vestiti di Mope furono perfettamente asciutti.

-Così va meglio, padre?-

Domandò la ragazza, esibendo il sorrisetto sghembo che suo padre adorava.

-Non ti sei ancora stancata di praticare questi trucchetti?-

Chiese Quiche, con un’ombra di nervosismo nella voce. Nel regno la magia non era mai stata vista di buon occhio, poichè molte leggende e credenze popolari la additavano come qualcosa di non naturale e, conseguentemente, malvagio. Le dicerie si erano rafforzate da quando alcuni villaggi erano stati rasi al suolo da quello che i villici chiamavano "il diavolo nero": un'ombra scura che, al suo passaggio, faceva avvizzire le piante, morire il bestiame e impazzire chi aveva la stoltezza di osservarla troppo a lungo. Quiche stesso aveva avuto la sfortuna di vederla all'opera; era successo tutto in pochi minuti: il bosco in cui marciava l'esercito si era zittito e un'ombra nera aveva oscurato il sole, inghiottendoli. I sepurnè avevano avuto un tremito che aveva scosso ogni loro muscolo, prima di crollare pesantemente a terra, gli occhi rivoltati e una bava schiumosa che colava dalle bocche spalancate. 

-Mantenete la calma!-

Aveva esclamato Quiche, rialzandosi in piedi dopo essersi liberato dal cadavere del suo destriero, che, morendo, lo aveva trascinato a terra sotto di sè. Il silenzio era inquietante. Ciò che successe da quel momento in poi, Quiche non lo ricordava: immagini confuse, un dolore acuto alla testa e poi la sensazione delle foglie e dei rami del sottobosco appiccicati alla guancia, in un impasto di fango e sangue che aveva dato al re una profonda nausea. Si era rialzato in piedi, confuso, e si era ritrovato davanti il suo esercito brutalmente sterminato. 
La voce della figlia riportò Quiche al presente.

-Non c’era nessuno che potesse vedermi-

Disse Mope, tra l'irritato e il vergognoso.

-Lo so, figlia, come so che il tuo dono non è qualcosa di malvagio di cui vergognarsi. La situazione attuale, però, richiede prudenza-

Le spiegò Quiche stancamente, passandosi una mano sulla fronte; La testa aveva cominciato a dolergli terribilmente. Dopo l'ultimo attacco in cui aveva visto con i suoi occhi il "diavolo nero" era stato costantemente assalito da malesseri a cui, comunque, non aveva mai dato molto peso: li attribuiva alle continue battaglie, alla sensazione di impotenza, ai sensi di colpa per non essere riuscito a proteggere il suo popolo. 
Spossato, si sedette accanto alla figlia e la guardò: era la sintesi perfetta di lui e di Fraise; lunghi capelli rossi e due occhi grandi, color del miele. Ricordò il momento in cui il guaritore aveva sollevato il fagottino urlante e glielo aveva mostrato, annunciandogli con tono deluso che era una femmina e non l'erede tanto atteso. Quiche l'aveva presa in braccio e, quando il suo sguardo aveva incontrato quello dorato della figlia, il mondo si era dissolto intorno a loro come la nebbia mattutina; non aveva mai provato un'emozione così intensa verso un altro essere vivente, un amore così disarmante da fargli temere che il cuore si fermasse perché troppo piccolo per contenere una simile emozione. 

-E' bellissima-

Non era riuscito a dire nient'altro mentre la porgeva a Fraise che accolse la bambina porgendole il seno, al quale la piccola si attaccò avidamente. 
Quiche si asciugò il velo di sudore che gli si era formato sulla fronte e si sforzò di prestare attenzione a ciò che Mope stava dicendo, ma la voce gli arrivava confusa e il dolore alle tempie si faceva via via più insistente. Sollevò lo sguardo dall'acqua della fontana e cercò gli occhi dorati della figlia, così simili ai suoi, e li vide carichi di preoccupazione.

-Padre, state bene…?-

Nel momento stesso in cui la voce della figlia lo raggiunse, Quiche avvertì le proprie forze scivolargli via come l’acqua da un secchio bucato; mentre sentiva se stesso cadere come una bambola di stracci e la testa gli esplodeva in un’unica vampata di dolore, si domandò com'era possibile amare così intensamente un altro essere vivente da non desiderare nient'altro che la sua felicità, anche a discapito della propria. Il mondo si dissolse in una miriade di spruzzi ghiacciati, che si tesero verso il cielo per un momento, catturando la luce del sole e creando uno strano contrasto con l'oscurità in cui il re stava precipitando; poi fu solo buio e silenzio. Quiche cadde riverso nella fontana, dove giacque immobile, i lineamenti pallidi e resi confusi dall'acqua increspata nella quale stava affondando. Mope osservò la scena terrorizzata prima di balzare in piedi ed afferrare il corpo del padre per le spalle, nel tentativo di tirarlo fuori dalla fontana; essendo Quiche eccessivamente pesante per lei, la ragazza riuscì solamente a sollevarlo quel tanto che bastava per permettergli di respirare, nonostante si fosse immersa completamente nella fontana e stesse puntando i piedi sul fondale limaccioso con tutte le sue forze. Mope chiamò il padre più volte, con voce sempre più angosciata; gli scostò i capelli bagnati dalla fronte e si chinò per sentire se respirava, ma il vestito ingombrante che le si era gonfiato intorno e la posizione scomoda che aveva assunto per aiutare il padre non le permisero di assicurarsene con certezza. Disperata, cominciò ad urlare ed immediatamente accorse un manipolo di guardie.

-Principessa! Principessa, cos’è successo?-

Domandò un soldato, ma un’occhiata alla scena fu più che sufficiente per far capire ai nuovi venuti cosa stesse succedendo; Immediatamente allontanarono la ragazza dal corpo del padre, che fu poi trascinato fuori dalla fontana e portato via dal cortile, verso le stanze reali. Mope restò immobile ad osservare la scena, i battiti furiosi del suo cuore a coprire il tumulto di voci, gli abiti bagnati a gocciolare sul selciato polveroso. 



Il pianto disperato di sua madre era l’unico suono che penetrasse la nebbia che aveva avvolto Mope dal momento in cui suo padre era svenuto. Gli attimi che avevano seguito le sue grida erano un’accozzaglia di colori e suoni, che si susseguivano senza un’apparente logica. Qualcuno parlava, diceva che sì, sì era grave, ma con un po’ di fortuna...

...fortuna?

La vita di suo padre era legata alla buona sorte? La vita di quel padre che le era stato sempre accanto, anche e soprattutto quando commetteva un errore, quando non era fiera di sè stessa, quando la sensazione di diversità prevaricava l’orgoglio dell’essere speciale?  Mope si avvicinò al capezzale di Quiche, osservandone i lineamenti stanchi, le labbra viola e la pelle diafana; Fraise era inginocchiata accanto al letto e teneva stretta la mano del marito tra le sue, lasciando che le lacrime le solcassero le guance. 
La medicina non poteva fare nulla per lui; i guaritori migliori erano stati richiamati dagli angoli più sperduti del paese e tutti avevano dato la stessa risposta:

“Non è una questione di salute, Signora. Fisicamente il re non ha nulla che non vada, oltre la spossatezza più che comprensibile, portata dai tumulti delle battaglie”

Mope ripensò alle parole del guaritore, mentre un’idea si faceva strada in lei sempre più prepotentemente: se la medicina non poteva guarire suo padre allora, forse...

-Madre-

Mope posò la mano sulla spalla tremante di Fraise, per richiamare la sua attenzione. La donna alzò gli occhi gonfi e rossi e tentò di sorridere alla figlia, ma il sorriso tremò quasi subito, trasformandosi in una smorfia di dolore.

-Oh, Mope, se tuo padre non dovesse farcela io davvero non so…-

Fraise si interruppe e si portò una mano al viso, cercando di nascondere l'angoscia straziante alla figlia. Mope battè velocemente le palpebre per ricacciare indietro le lacrime che le pizzicavano gli occhi e, traendo un profondo respiro, parlò a voce alta per sovrastare i singhiozzi della donna. 

-Madre, vorrei chiederti del tempo per stare da sola con mio padre-

Disse, cercando di mantenere saldo il tono di voce. Fraise la guardò confusa ma Mope sostenne il suo sguardo con determinazione; la madre aveva il viso chiazzato e profonde occhiaie blu sotto gli occhi lucidi. Per un momento, la ragazza desiderò che la madre fosse più forte di così; desiderò che la prendesse tra le braccia e le dicesse che sarebbe andato tutto bene, che suo padre ce l'avrebbe fatta, che aveva fiducia in lui. Ma sua madre non era mai stata una donna forte: era fragile come una bambola di porcellana e si era sempre appoggiata a suo padre per affrontare le avversità. Non era in grado di gestire una simile situazione.

-Io…-

Mormorò Fraise, ma Mope la interruppe.

-Te lo chiedo per favore, è...è importante-

Disse, quasi in supplica. L’aliena sospirò ed annuì, alzandosi faticosamente dal capezzale del marito, restia a lasciargli la mano. Mope la ringraziò con un sorriso, seguendola con lo sguardo finchè non fu uscita dalla porta e la ebbe richiusa alle sue spalle.
Nel silenzio della stanza, Mope si domandò se non fosse una follia: cercare di curare suo padre con la magia era quanto mai sciocco e azzardato; non sapeva ancora bene quali fossero le sue reali capacità e questo non faceva che renderle ancora più difficile il compito.
Incerta sul da farsi, si sedette sul bordo del letto, cercando di ignorare il proprio dolore nel vedere il padre ridotto in quello stato e concentrandosi. Chiuse gli occhi ed inspirò a fondo, cercando dentro di sè quell'angolino nascosto e rassicurante dove sapeva esserci la fonte delle sue capacità. Quando lo ebbe trovato sentì il familiare calore alle mani causato dall'energia magica che entrava in circolo e presto tutto il suo corpo venne animato da nuova forza. Non aveva mai tentato di trasferire questa forza nel corpo di un altro essere vivente, anche se una volta, da piccola, era riuscita a curare un piccolo sepurnè ferito solo con la forza del suo desiderio. Appoggiò le mani sulle tempie del padre, con delicatezza, chiuse gli occhi e si concentrò. Immaginò la sua energia, la vide scorrere nelle sue vene insieme al sangue, e immaginò le sue mani come dei ponti verso il corpo di Quiche, ponti che la sua energia percorreva per iniziare a scorrere nel corpo del padre, donandogli forza.  

All’inizio Mope non riuscì a percepire altro che il debole battito del cuore di Quiche, che pulsava lento nelle vene...poi un’immagine le attraversò la mente, veloce come il lampo nella tempesta, e un rumore sordo, indistinto, le riempì  le orecchie, mentre un gelo innaturale le percorreva le membra. Nonostante questo, la scintilla della soddisfazione brillava in lei come la fiammella di una candela: ci era riuscita. Ora vedeva cos’era che non andava in suo padre,cosa impediva alla medicina di trovare un rimedio per il suo male. 



Quando Kisshu aprì gli occhi, si ritrovò a fissare una distesa di velluto blu scuro, puntinata di stelle; una leggera brezza gli accarezzava la pelle, asciugandogli il sudore e facendolo rabbrividire. L’alieno si mise seduto, frizionandosi le braccia e guardandosi intorno, stordito; l’ultima cosa che ricordava era  il fumo che saliva in lente volute nella grotta, facendogli perdere i sensi, soffocandolo...

-L’universo ti ha parlato?-

Kisshu si voltò verso Elyn, seduta accanto a lui, lo sguardo perso nella volta celeste. 

-L’universo...?-

Ripetè l’alieno, cercando di fare mente locale.

-Tutto quello che hai visto nel sogno, non sono stata io a raccontartelo...io ho potuto solo facilitarti l’ascolto-

Gli spiegò la sciamana, rispondendo alla sua tacita domanda. 

-Mi sento un po’...stordito-

Ammise KIsshu, massaggiandosi le tempie e socchiudendo gli occhi, in cerca di sollievo. Elyn, per la prima volta da quando l’aveva conosciuta, gli sorrise.

-E’ normale, non devi preoccuparti di ciò. Cos’hai visto?-

-Una ragazza-

Mormorò Kisshu, lottando per trattenere i ricordi del sogno, che già gli scivolavano via dalle dita come sabbia.

-E la sua famiglia. Il padre era molto malato e lei, per salvarlo... ha fatto qualcosa-

Elyn lo ascoltò in silenzio e, quando si accorse che Kisshu non ricordava altro, parlò.

-Non hai visto cos’ha fatto?-

Kisshu scosse mestamente la testa. 

-Non hai visto la fine?-

L’alieno guardò Elyn con occhi stanchi.

-Dove vuoi arrivare?-

Domandò; lei scosse le spalle e non rispose. 

-E’ ora di andare-

Disse dopo un po’, alzandosi in piedi e raccogliendo il suo bastone, che tintinnò piano.

-Dove?-

Domandò Kisshu sorpreso.

-A quest’ora dovrebbero essere già arrivati-

E, senza aggiungere altro, Elyn si allontanò. 

***


Ichigo si guardò intorno, frizionandosi il braccio destro, come faceva sempre quando era nervosa. La base di comando di Kisshu pullulava di alieni con indosso tutti la stessa uniforme e le stesse espressioni seccate; Nessuno pareva accorgersi delle tre ragazze appena scese dalla navicella che, disorientate, osservavano la brulicante massa di soldati.
Ad un certo punto, un alieno conosciuto venne verso di loro, mentre un sorrisetto gli illuminava il volto ancora molto giovane. 

-E’ un piacere rivedervi-

Mormorò non appena furono abbastanza vicini. Ichigo sorrise di rimando, sollevata di vedere almeno un volto conosciuto; Tart era davvero cresciuto molto in quegli anni di lontananza: aveva perso i lineamenti paffuti da bambino e la sua statura era notevolmente aumentata; ora poteva guardare Ichigo dritta negli occhi.  Purin osservò l’alieno in silenzio, cercando l’ombra del suo vecchio amico in quei lineamenti ormai adolescenti; per la prima volta si vergognò del suo aspetto, ancora così simile alla bambina che Tart conosceva, e tentò di raddrizzare il più possibile le spalle, per apparire più alta. 

-Seguitemi, vi porto da Pie!-

Disse Tart, osservando tutte le presenti e soffermandosi su Purin un po’ più a lungo.  Le tre ragazze seguirono l’alieno per gli stretti corridoi della base, fermandosi poico alveare. Diversi alieni erano chini su quelli che, notò Ichigo, dovevano essere lontani cugini dei computer terrestri, tecnologicamente più evoluti. Al centro della stanza c’era Pie, impegnato a supervisionare il lavoro dei sottoposti, tanto da non accorgersi nemmeno della loro presenza; Fu la voce di Tart a riscuoterlo.

-Sono arrivate-

Mormorò semplicemente l’alieno, con un piccolo inchino. Pie si voltò verso le ragazze, inarcando le sopracciglia, senza sorridere.

-Finalmente siete arrivate. La situazione sta diventando più critica ogni momento che passa-

Disse, osservando le mew mew con occhi glaciali e soffermandosi soprattutto su Ichigo, che si sottrasse allo sguardo, imbarazzata.

-Datemi il tempo di organizzare il lavoro di questi soldati e poi vi spiegherò ciò che abbiamo bisogno che voi facciate. Tart, accompagnale nelle stanze superiori-

Senza aggiungere altro, l’alieno si voltò nuovamente verso i macchinari e le ragazze si ritrovarono a seguire nuovamente Tart lungo intricati corridoi, finchè non furono fatte accomodare in un grande salone circolare, con al centro un tavolo metallico su cui era stata abbandonata una cartina di quel mondo. 

-Pie non ci dovrebbe mettere molto-

Mormorò Tart, sedendosi su un bordo del tavolo ed osservando le ragazze. 
Purin si guardò intorno, esplorando la stanza con gli occhi, finchè non incontrò lo sguardo limpido di Tart. Restarono alcuni momenti ad osservarsi, mentre i battiti del cuore di Purin aumentavano vertiginosamente. Perchè si sentiva così inadeguata? Perchè non poteva semplicemente andare lì e dirgli quanto gli era mancato? Quante sere aveva passato ad osservare le stelle, nella speranza di scorgerlo?
L’alieno le sorrise gentilmente, cercando coraggiosamente di ignorare il rossore che, ne era certo, gli era salito alle guance.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che si erano visti? 
Improvvisamente la porta si spalancò e Pie entrò nella stanza, l'espressione irata come non mai; senza degnare di uno sguardo gli altri presenti camminò a passo marziale verso Ichigo, squadrandola dalla sua altezza imponente. 

-Spero che tu voglia spiegarmi-

Sibilò con rabbia.

-Cosa diavolo significa questo-

Disse, scostandosi ed indicando la soglia della porta dove, vestita con gli abiti del giorno precedente e i capelli spettinati, stava Sea. Aveva uno sguardo colpevole ma il sollievo di essere tornata a casa e di rivedere i volti di coloro che l'avevano cresciuta era evidente.  Il primo pensiero che attraversò la mente di Ichigo fu la rabbia verso l'irresponsabilità di Mark: gli aveva chiesto, prima di partire, se potesse occuparsi di Sea per il tempo in cui sarebbe stata via; sapeva che era una richiesta ingiusta ed egoista, ma non aveva nessun altro a cui appoggiarsi. Makoto era un brav'uomo, ma aveva appena avuto una bambina e, nonostante si fosse affezionato a Sea, non poteva chiedergli di tenerla per un tempo indefinito…forse per sempre, se le cose fossero andate male. Si era vista con Mark al momento della partenza, prima che le mew mew salissero sull'astronave che le avrebbe portate sul pianeta natale di Kisshu, e Ichigo aveva spiegato a Sea che sarebbe dovuta restare con il ragazzo per un po'. Lei si era opposta e aveva cominciato ad urlare e scalciare, ma la madre era stata irremovibile. Aveva guardato Mark negli occhi e aveva visto, dietro tutto il dolore per la loro separazione, la disponibilità ad aiutarla ancora una volta; in quel momento aveva giurato a sè stessa che avrebbe aggiustato le cose, in un modo o nell'altro. Ora, però, la prima, impulsiva tentazione a cui Ichigo cercò di non dare retta, fu quella di contattare Mark ed urlargli addosso la sua frustrazione; come aveva fatto a non accorgersi che Sea era salita sull'astronave? Che l'avesse fatto apposta?  Come leggendole nel pensiero, Sea parlò con una vocina piccola piccola. 

-Mammina, non è colpa del signore. Volevo tanto vedere papà…e quindi sono arrivata sull'astronave-

Ichigo le si inginocchiò davanti, appoggiandole le mani sulle spalle, confusa.

-Come sarebbe…sei salita sull'astronave senza che ce ne accorgessimo?-

Sea scosse la testa, frustando l'aria con i capelli spettinati.

-No, ero dentro l'astronave e basta-

-Ora-

Disse Pie con voce glaciale.

-Sapere come Sea sia giunta fin qui è assolutamente irrilevante, come è irrilevante decidere se tu sia o meno una madre affidabile-

Camminò verso la bambina e il suo sguardo non si ammorbidì quando i suoi occhi incontrarono quelli grandi e dorati di Sea.

-Hai disobbedito a tuo padre, che ti voleva al sicuro. Mi hai molto deluso, Sea-

Disse, prima di rivolgersi alle altre persone presenti nella stanza. 

-Ora vi aggiornerò sulla situazione di questo pianeta e cosa è necessario fare per salvarlo. Ascoltatemi con attenzione, perché il tempo è poco-

Si avvicinò al tavolo di metallo, ignorando lo sguardo di Tart; sapeva di essere stato duro con Sea, ma riaverla a casa costituiva un problema: preoccuparsi di proteggerla succhiava a tutti loro energie e lucidità, cose di cui avevano bisogno se volevano vincere quella dannata guerra. Iniziò a parlare meccanicamente, ripetendo ciò che aveva già detto ai suoi soldati centinaia di volte, ma la sua mente era lontana, persa nei ricordi di qual era la loro vita prima di ricominciare a combattere. Non gli sembrava neanche di averla mai vissuta. 

-Non sappiamo molto di questo nemico-

Disse, lanciando una cartellina marrone sul tavolo e aspettando che i presenti prendessero i fogli che ne erano scivolati fuori. 

-Queste sono tutte le informazioni che siamo riusciti a raccogliere e, come vedete, purtroppo non sono molte. Per ora gli obiettivi del nemico non sono chiari, così come non lo sono i suoi spostamenti: pare, comunque, che sia alla ricerca di qualcosa presente su questo pianeta. Abbiamo trovato un solo alieno sopravvissuto ad un interrogatorio nemico, un funzionario del nostro governo al corrente di segreti internazionali riguardati tecnologie avanzate e nuovi sistemi di energia. Ci ha raccontato, prima di spirare, che le forze a cui ci opponiamo non sono interessate a tutti quei segreti che noi consideriamo importanti, ma cercano "la scintilla pura dell'energia". Stiamo avanzando per ipotesi, ma non possiamo escludere che si riferiscano all'acqua cristallo, che già una volta ci ha permesso di salvare il nostro pianeta. Ecco l'aiuto che vi chiediamo: cercare l'acqua cristallo presente su questo pianeta e portarcela; provvederemo a metterla al sicuro dai nemici oppure utilizzarla come elemento di scambio se le cose dovessero mettersi male per davvero-

-E se non stanno cercando l'acqua cristallo?-

Domandò Minto, tagliente.

-Non ho voglia di rischiare la vita per un'ipotesi-

Pie la osservò a lungo ma la ragazza sostenne tranquillamente il suo sguardo. 

-E' l'ipotesi più probabile al momento-

-O piuttosto l'unica che avete?-

Tart si scambiò un'occhiata preoccupata con Purin, entrambi incerti sul da farsi; quella discussione era una sterile presa di posizioni e non avrebbe portato da nessuna parte. Prima che Pie potesse rispondere a Minto, Ichigo lo interruppe.

-Va bene. E' comunque un inizio e, a sentire da come hai spiegato le cose, è effettivamente un'ipotesi valida. Ti darò una mano-

Ichigo guardò prima Purin, che si limitò ad annuire, e poi Minto, che aveva la stessa espressione rabbiosa di quando la ragazza si era presentata a casa sua senza preavviso, dopo anni che non si vedevano. Nonostante questo, a Ichigo parve di scorgere una scintilla del vecchio rispetto dietro lo sguardo astioso dell'amica e si sentì rincuorata: forse, dopotutto, qualcosa si poteva davvero recuperare. 

-Minto?-

Le domandò con voce posata, alla quale la ragazza rispose con un'indifferente alzata di spalle.

-Ormai siamo arrivate fin qui…-

Disse, ignorando l'occhiata che Pie le lanciò. 

-Vi forniremo di tutto il supporto tecnologico che disponiamo, oltre che di soldati addestrati che vi aiuteranno nella ricerca. Alla fine di tutta questa storia sarete ricompensate adeguatamente per l'aiuto che ci fornite. Ora un soldato vi accompagnerà nelle vostre stanze, dove attenderete altre istruzioni. Per qualsiasi cosa necessitiate, Tart sarà a vostra disposizione-

I presenti si accinsero a lasciare la stanza, quando un soldato apparve sulla porta; aveva un'aria trafelata e la divisa in disordine. 

-Generale!-

Esclamò, senza riuscire a nascondere il tono di voce emozionato. 

-Il generale Kisshu, signore…è tornato!-

***

L'infermeria non gli era mai piaciuta; le pareti bianche e l'odore di medicinali che vi aleggiava gli davano un senso di nausea che non riusciva a gestire. Kisshu si mosse nervosamente sul lettino, a disagio, mentre l'infermiera finiva di controllare la ferita al fianco, ormai cicatrizzata quasi del tutto. Non poteva ancora credere di essere tornato; Elyn lo aveva condotto attraverso il deserto con facilità, percorrendo sentieri che i suoi piedi dovevano conoscere alla perfezione. Nonostante fosse cieca non aveva mai avuto un attimo di dubbio o incertezza, come non gli aveva mai chiesto aiuto quando si erano ritrovati a scendere da rocce impervie o percorrere sentieri selvaggi. Una volta giunti nei pressi della base, Elyn si era congedata da lui, facendogli promettere di ritrovarsi da lì a due giorni nei pressi del monte Deadscar insieme "alle altre schegge del destino che troverai una volta giunto a casa". Kisshu non aveva avuto il tempo di chiederle spiegazioni perché lei, fatto un lungo fischio, era saltata in groppa al sepurnè che era arrivato al galoppo, senza bisogno che l'animale rallentasse per farla salire, e si era allontanata nella notte. L'alieno avrebbe voluto chiederle come faceva ad essere così sicura che lui si sarebbe presentato all'appuntamento, ma era certo che sarebbe stato inutile; in qualche modo era certo che l'estranea che lo aveva salvato non era solo un'aliena eccentrica, ma sapeva davvero come risollevare le sorti del loro pianeta. O forse era il fumo che gli aveva fatto respirare a dargli questa sicurezza.

"In ogni caso"

pensò Kisshu.

"Non abbiamo davvero nulla da perdere"

-Può rivestirsi, generale. La ferita, seppur profonda, è guarita quasi alla perfezione; le rimarrà la cicatrice, però-

Kisshu annuì distrattamente; non sarebbe certo stata una cicatrice in più a preoccuparlo. 

-Ha davvero delle doti mediche eccezionali-

Lo lodò l'infermiera, compilando un modulo che teneva su una cartellina rigida.

-Non tutti sarebbero riusciti a curarsi da soli una simile ferita-

-E' stato l'istinto di sopravvivenza ad avere la meglio-

Spiegò Kisshu, accennando un sorriso.

-Devo fare rapporto-

Aggiunse, alzandosi dal lettino e dirigendosi verso la porta. L'infermiera annuì e lo seguì con lo sguardo finchè non fu sulla porta, prima di compilare l'ultima casella del modulo e ritornare al suo lavoro. 
Appena uscito dall'infermeria, Kisshu non fece in tempo a fare due passi che venne fermato da due persone a lui fin troppo familiari; il primo di cui incontrò lo sguardo fu Pie che, nonostante la solita espressione indifferente, aveva gli occhi leggermente lucidi. 

-Sei riuscito a tornare-

Constatò, appoggiandogli una mano sulla spalla. 

Dio, quanto erano ridicoli. Kisshu trascinò a sè il fratello e lo abbracciò frettolosamente, felice di rivederlo. Pie ricambiò quel gesto improvviso senza irrigidirsi nè chiedersi se fosse il caso di lasciarsi andare a simili dimostrazioni d'affetto. 

-Aspetto il tuo rapporto al più presto-

Disse non appena si separarono, con l'accenno di un sorriso. Kisshu annuì, prima di rivolgere le sue attenzioni a Tart che, a differenza del fratello maggiore, faticava molto di più a trattenere le sue emozioni. Nonostante fosse cresciuto in altezza il suo spirito aveva ancora quel tratto infantile che la guerra non era riuscita a cancellare e Kisshu ringraziò tutti gli Dei a lui conosciuti per questo. 

-Non sai che razza di spavento mi hai fatto prendere…-

Mormorò con voce incerta, osservandolo intensamente per paura che potesse scomparire da un momento all'altro. 

-Mi dispiace, Tart-

Disse Kisshu, appoggiandogli le mani sulle spalle e sorridendo stancamente.

-Si vede che gli incapaci vivono più a lungo degli altri-

Aggiunse amaro, tornando a rivolgere la sua attenzione su Pie. 

-La missione è stata un fallimento completo. Tutti i miei soldati sono morti-

Se la notizia avesse o meno colpito Pie, Kisshu non riuscì a capirlo, ma si rese conto che ricordare quell'episodio gli provocava un dolore cocente al petto e gli annebbiava la mente; non era riuscito a salvarli. L'alieno scosse violentemente la testa per liberarsi da quei pensieri opprimenti, obbligandosi a concentrare tutte le sue energie sul presente: doveva fare rapporto, dire ciò che aveva scoperto senza tralasciare il benché minimo particolare, per fare in modo che il sacrificio dei suoi compagni non fosse stato vano. 

-Avvertiremo le famiglie ed organizzeremo un funerale degno-

Disse Pie e Kisshu immaginò sè stesso sulla porta mentre un soldato dal volto e dal vestito anonimo gli annunciava, con voce meccanica, che sua figlia era morta per una giusta causa e che avrebbe avuto un funerale degno e una medaglia. Un inutile pezzo di metallo come risarcimento per la figlia che avevo perso. Gli salì alle labbra una risata isterica che tentò di contenere, ma che sfociò prepotente rimbombando nel corridoio. Rise fino alle lacrime, sotto lo sguardo ansioso di Tart e quello impassibile di Pie, che rimase ad aspettare la fine dello sfogo, intimando con un gesto Tart a fare lo stesso. 

-Un funerale…degno?-

Mormorò Kisshu, alzando gli occhi dorati ancora bagnati di lacrime verso Pie e trafiggendolo con uno sguardo talmente addolorato da costringerlo a fare un passo indietro. 

-Sai quanto gliene può fottere ad una madre, ad una moglie, di un funerale degno? E della medaglia di circostanza?-

Pie risopose a quella domanda retorica cercando di mantenere un tono saldo.

-E' la procedura. Tu cosa pensavi di fare?-

Non aveva mai visto Kisshu con una simile espressione sul volto, nè lo aveva sentito parlare con una voce così carica di rancore, impotenza e…senso di colpa?

-Andrò io a parlare con le famiglie. E mi scuserò per la mia incapacità-

Disse Kisshu con voce dura, voltando le spalle al fratello ed incamminandosi verso la sala di comando.

-Seguimi. Ti farò il resoconto di quanto successo-


Quando aveva sentito che Kisshu era vivo, Ichigo aveva sentito un'ondata di sollievo attraversarle il corpo, lasciandola senza fiato e facendole tremare le gambe. Il nodo che le stringeva la gola da quando tutta quella storia era cominciata si era fatto un po' più largo e alla ragazza pareva di aver finalmente riacquistato la capacità di respirare e di pensare in maniera lucida. Ora, seduta su una poltrona dall'aspetto anonimo in una stanzetta per i civili uguale a molte altre, cercava di decifrare le emozioni che le si agitavano nel petto. Si era imbarcata in un'impresa probabilmente suicida e vi aveva trascinato dentro anche due delle sue più care amiche, sua figlia non era al sicuro tra le braccia di Mark ma in quella stanzetta con lei, distesa sul letto a dormire, e il ragazzo che amava era ad anni luce di distanza; eppure, nonostante tutto, si sentiva più sollevata in quel momento critico piuttosto di quando era ancora al sicuro sulla terra. E quella sensazione era legata alla notizia che Kisshu fosse ancora vivo. Per la prima volta da quando aveva fatto l'amore con l'alieno, quella lontana notte di quasi sei anni prima, in Ichigo si fece strada la convinzione che la scelta di quel singolo momento non fosse stata casuale ma dettata da un sentimento che, nonostante il suo opporsi, aveva piantato radici profonde dentro di lei. Si alzò piano e frugò nella borsa che si era portata per il viaggio, tra gli oggetti che vi aveva buttato dentro alla rinfusa, e ne estrasse una vecchia foto consunta, che ritraeva lei e Mark abbracciati. 
Lo aveva amato davvero; amava i suoi occhi nocciola e la sua pelle sempre abbronzata, amava il suo modo di fare dolce e disponibile, i suoi piccoli difetti, i suoi capelli scompigliati. Ricordava ogni singolo abbraccio, ogni singolo bacio, perché li aveva assaporati a fondo, beandosi di quella felicità che pareva indistruttibile e la proteggeva dal mondo. Con lui era cresciuta, aveva condiviso progetti e speranze, credeva davvero in un futuro passato l'uno al fianco dell'altra. Eppure lo aveva tradito, ingannato e fatto soffrire, perché, che lo volesse o meno, Kisshu l'aveva colpita. Ricordava la sua ossessione nei suoi confronti, la disperata rassegnazione davanti al fatto che non lo amava… e non lo amava davvero, all'inizio. I sentimenti, però, avevano cominciato a mutare nel momento in cui l'alieno aveva lasciato da parte la maschera da sbruffone e aveva tirato fuori la sua vera essenza, mostrandosi coraggioso e sensibile. L'amava davvero ed Ichigo non aveva potuto restarne indifferente.  Il giorno in cui Mark era partito aveva lasciato dentro Ichigo una sofferenza profonda che aveva indebolito le difese della ragione e l'aveva lasciata in balia dei sentimenti, quelli veri, quelli che avevano aspettato il momento giusto per sbocciare. Quando, tra le lacrime, aveva visto Kisshu appollaiato sulla sua finestra, rintanarsi tra le sue braccia le era sembrato naturale come respirare, così come le era sembrato naturale lasciarlo esplorare il suo corpo e chiamare il suo nome durante il culmine della passione.
Kisshu, non Mark. 
Era stata profondamente egoista nei confronti sia del ragazzo che diceva di amare che di Kisshu, perché per paura non aveva accettato i suoi veri desideri e aveva passato sei anni a fingere di essere felice. Aveva recitato così a lungo che, alla fine, se ne era convinta anche lei, nonostante la tristezza e la frustrazione la sgretolassero dentro poco alla volta. Ritornando sulla terra, Kisshu l'aveva messa in condizione di analizzare ed affrontare i suoi veri sentimenti, liberandola finalmente dalla maschera che si ostinava a portare da sei anni. Era arrivato il momento di smettere di fingere. 
Ichigo guardò la foto che teneva tra le mani ancora per qualche momento, prima di riporla con cura dentro la valigia ed avviarsi verso la porta il più silenziosamente possibile.
La luce elettrica illuminava il corridoio di un sinistro bagliore arancione e coppie di soldati in uniforme camminavano avanti ed indietro con le pistole tenute saldamente ai fianchi. Ichigo si avvicinò a due di loro, che interruppero la loro ronda e la osservarono senza mutare espressione.

-Scusate…avrei bisogno di conferire con il generale Kisshu-

Domandò, chiedendosi se i soldati conoscessero il nome del loro generale o lo chiamassero con un altro appellativo a lei sconosciuto. 

-Ci è stato ordinato di non disturbare i tre generali. Dovrà aspettare-

Disse un soldato con voce seccata, intimandole con un gesto piuttosto eloquente di liberare il corridoio e permettere loro di riprendere la ronda.

-Si tratta di sua figlia-

Insistette Ichigo, senza darsi per vinta. I soldati si scambiarono un'occhiata.

-Ci è stato ordinato…-

Ripeterono, ma una voce dietro di loro li interruppe.

-Riprendete pure a fare il vostro dovere. Mi occupo io della ragazza-

Mettendosi sull'attenti ed ignorando completamente Ichigo, i due soldati risposero:

-Signorsì signor Generale!-

E si allontanarono lungo il corridoio, gli stivali che toccavano terra nello stesso momento, come se fossero stati un sol uomo. Ichigo si ritrovò sola ad osservare Kisshu, il volto stanco e più segnato di quando lo aveva visto sulla terra alcune settimane prima. I suoi occhi avevano una strana sfumatura arancione alla luce artificiale e Ichigo si domandò se fossero sempre stati così tristi e feriti. 

-Ti avevo pregata di proteggerla-

Disse Kisshu con voce stanca, osservandola a lungo. Dio, quanto era bella. Aveva così bisogno di abbracciarla, affogare i pensieri tra i suoi capelli, sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, che alla fine di quella storia avrebbe davvero trovato quella felicità che andava cercando di donna in donna da quella notte in cui l'aveva fatta sua. Invece rimase lì, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni sgualciti, ad osservarla in silenzio. 

-Mi dispiace-

Mormorò Ichigo, abbassando lo sguardo e tormentandosi le mani. 

-Mi dispiace per…per tutto. Davvero-

Avrebbe voluto scusarsi per la sua stupidità, per tutte le volte che l'aveva fatto soffrire, dirgli quanto amava Sea e quanto le sarebbe piaciuto aver aperto prima gli occhi. 
Rimasero in silenzio ad osservarsi, chiedendosi perché fosse così difficile accettare i cambiamenti che erano avvenuti nelle loro vite e fosse più facile stare lontani ad osservarsi piuttosto che percorrere quei pochi metri che li separavano ed unirsi finalmente in quell'abbraccio che li avrebbe allontanati dal mondo e dal dolore almeno per qualche momento. 

-Tu non mi ami-

Disse ad un tratto Kisshu, con voce incerta. Ancora sperava che non fosse vero, quanto era sciocco!

-Io invece ho la sensazione che se non ti bacio adesso, potrei morire. Ti prego, riprenditi Sea e tornate sulla Terra. Pie è convinto che tu e le Mew Mew potreste essere decisive nella vittoria contro il nemico, io invece desidero solo sapere mia figlia al sicuro e te il più lontano possibile dai miei occhi; riusciremo a vincere anche senza di voi-

Concluse, cercando di assumere il tono più indifferente che gli riusciva. Ichigo lo osservò a lungo, mentre il cuore le batteva furiosamente nel petto e le mani le tremavano impercettibilmente. 

-Perchè dici questo?-

Domandò con voce tremante, mentre sentiva gli occhi inumidirsi.

-Perchè mi ami ancora dopo tutto quello che ti ho fatto?-

Kisshu rimase spiazzato da quella domanda: non era certo questa la reazione che si aspettava. Si era domandato tante volte il perché non riuscisse a dimenticare Ichigo, ma non aveva mai trovato una risposta soddisfacente, quindi a poco a poco aveva smesso di porsela e aveva accettato quella sua personale ossessione, cercando di mascherarla il più possibile per poter vivere normalmente e sperando di riuscire a trovare, tra le tante donne che aveva frequentato, quella che gli avrebbe donato la felicità che cercava.   
Eppure, sentendosi porre da Ichigo l'interrogativo che lo aveva a lungo tormentato, Kisshu riuscì finalmente a trovare l'unica risposta tanto sensata quanto vera, benché difficile da accettare.

-Per lo stesso motivo per cui ero disposto a morire per te nella lotta contro Mark, anche se tu mi avevi sempre trattato a pesci in faccia; perchè con te mi sento a casa-

Le parole galleggiarono tra di loro per un momento, prima che Kisshu annullasse con due falcate la distanza tra loro e prendesse Ichigo tra le braccia, baciandola con un bisogno tale da essere quasi doloroso. Nel momento stesso in cui le loro labbra si toccarono l'aria parve farsi elettrica e il mondo attorno a loro scomparve in una nebbia indefinita; esistevano solo loro due, i loro corpi stretti in un abbraccio urgente, le loro mani che scorrevano ovunque senza pudore e le loro labbra sempre alla ricerca le une delle altre. Ichigo venne investita da un'emozione talmente forte che la lasciò stordita per un momento, mentre sentiva le gambe farsi di gelatina e il cuore aumentare paurosamente i battiti, tanto da farle credere che le sarebbe scoppiato in petto.  Ecco dov'era quella felicità che si era illusa di trovare nei baci di Mark, era così a portata di mano che si sentì estremamente stupida ad essersela negata per tutto quel tempo. Capiva perfettamente le parole di Kisshu, quel suo "con te mi sento a casa"…avvolta in quell'abbraccio talmente stretto da farle quasi male, Ichigo si sentì protetta e al sicuro proprio come se fosse stata tra le pareti della casa in cui era cresciuta. Sentì Kisshu mormorarle qualcosa labbra contro labbra ma non riuscì ad afferrare il senso di ciò che le stava dicendo, troppo stordita dal mare di sensazioni che stava provando. 

-Ti amo, dannazione a te, ti amo come non ho amato mai nessuna…-

Continuava a ripetere Kisshu, stringendola maggiormente a sè nel bagliore arancione del corridoio. Ichigo sentì le lacrime salirle agli occhi e non fece nulla per fermarle quando le colarono lungo le guance ed il collo. 

-Perdonami, ti prego, perdonami, sono stata una stupida-

Mormorò la ragazza, passando le mani tra i capelli di Kisshu ed avvicinando ancora di più il viso al suo. Stava sognando? Kisshu non era mai stato meno interessato ad una risposta; Ichigo era lì, stretta nel suo abbraccio, come aveva sognato negli ultimi sei anni, e lo pregava di perdonarla. Come poteva fargli una simile richiesta, a lui che, dietro tutto il rancore e la sofferenza, non aveva desiderato altro che riaverla tra le braccia, per un desiderio vero più che per uno stupido momento di debolezza? La baciò come un naufrago che finalmente ritorna sulla terra, dimenticandosi per un momento di tutto il dolore e la sofferenza provati, del fatto che avesse addosso gli stessi vestiti di quando era stato catturato e fosse tutt'altro che presentabile e che il suo viaggio verso la terra era stato inutile, perché Sea era di nuovo in un posto pericoloso. Per un momento il suo mondo si ridusse ad Ichigo, alle sue piccole mani che lo stringevano a sè, al profumo dei suoi capelli e al sapore delle lacrime che ancora non avevano smesso di scenderle. Senza esitazione Kisshu aprì la porta della stanza alle spalle della ragazza, senza smettere di baciarla, e la spinse dentro chiudendosi la porta alle spalle con un calcio. Nonostante la sua mente fosse ubriaca di sensazioni, ricordava distintamente le parole di Pie:

"Abbiamo sistemato Ichigo, Sea e le sue amiche nel padiglione civile più piccolo ed ancora vuoto, perché è il più vicino alla sala di comando e possiamo contattarle più in fretta"

Quel padiglione era ancora vuoto perché l'evacuazione dei civili non era ancora terminata, essendo moltissimi quelli che non avevano voluto lasciare il pianeta. Se tutto fosse andato secondo i piani, nel giro di pochi giorni tutte le stanze sarebbero state occupate e dotate dei sistemi di sicurezza già presenti in quelle in utilizzo, ma per il momento erano ancora spoglie e disabitate, ad esclusione dei pochi mobili necessari, come il letto e il bagno. Senza preoccuparsi di accendere la luce, Kisshu depositò Ichigo sul materasso senza lenzuola e leggermente polveroso, stendendosi poi sopra di lei e puntellandosi con le ginocchia per non schiacciarla con il suo peso. Continuò a baciarla con sempre maggiore desiderio, aiutandola a liberarsi della maglietta e del reggiseno, che caddero dimenticati in un angolo della stanza. L'odore della sua pelle lo stava facendo impazzire. Aveva desiderato quel momento da talmente tanto tempo che non voleva perdersi un singolo istante nè particolare di Ichigo, perciò affondò la testa nell'incavo del suo collo e respirò profondamente, inebriandosi del suo profumo e cercando, contemporaneamente, di sfilarle i pantaloni. La ragazza lo lasciò fare, stringendolo a sè e percorrendo il suo torace con le mani, indugiando per un attimo su quella  che al tatto sembrava una grande cicatrice e poi ricominciando ad esplorare la sua pelle senza il minimo pudore. Presto la divisa di Kisshu seguì gli indumenti di Ichigo sul pavimento ed entrambi si trovarono nudi ed accaldati, sicuri di voler andare fino in fondo come non lo erano mai stati per nient'altro durante le loro vite. L'alieno affondò in Ichigo con la violenza spinta dal desiderio e la ragazza gli piantò le unghie nella carne della schiena fino a fargli male, ma, invece di infastidirlo, quel gesto eccitò Kisshu ancora di più. Con poche spinte l'alieno riversò la sua vita dentro la ragazza, che urlò il suo nome pregandolo di muoversi ancora, in preda ad un orgasmo così intenso che la lasciò senza fiato. Quando Kisshu uscì da lei e le si distese accanto, Ichigo gli si raggomitolò il più vicino possibile, appoggiando la testa sul suo torace. Il giorno successivo sarebbe stato il momento delle parole e delle decisioni. A Kisshu, però, il domani non era mai sembrato così distante.

***

And I do wanna love you (E voglio amarti)
If you see me runnin' back (Se mi vedi rincorrere il passato)
And I do wanna try (E voglio provare)
Because if falling for you girl is crazy (Perchè è una pazzia se mi innamoro di te, ragazza) 
Then I'm going out of my mind (Dunque sto impazzendo)
So hold back your tears this time (Trattieni le tue lacrime questa volta)

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