Attack on Titan - LIVE!

di Ayumi Zombie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cazzo, Armin. ***
Capitolo 2: *** Cazzo, Mikasa. ***



Capitolo 1
*** Cazzo, Armin. ***


Perché sono una persona che ha ben poco da fare. Fra quel poco, ci sarebbero anche i compiti per il prossimo quadrimestre, ma non contano. Vi prego di lasciarmi un commentino per farmi sapere se la storia vi interessa o meno; se avete ipotesi per cose contenute nel testo e altre cose. Lasciatemi del feedback. Completamente a caso, ma lasciatemene. Pls.Grz prg.
 
  1. Cazzo, Armin.
 
« Massì che troviamo un cazzo di bassista entro il trentun dicembre, Armin. Ti agiti sempre troppo, cazzo, Armin. Qua alla Shiganshina High ci sono tipo tremila cazzo di studenti, Armin. Altro che un cazzo di bassista, Armin, ne troveremo un’ottantina, di cazzo di bassisti, Armin. »
« Armin, cazzo, piantala! » sbottò Eren, stringendo con più forza l’iPod ricevuto per il compleanno. Non aveva nemmeno dieci mesi, ma una crepa ne divideva a metà lo schermo. Quel povero oggetto era quasi più martoriato del cellulare. Come gli aveva spesso fatto notare il suo migliore amico Armin, il suo telefonino non aveva bisogno di una nuova cover, ma di un paracadute. Just sayin’.
« Di fare cosa? – Armin distolse l’attenzione dal libro che teneva aperto sulle ginocchia, per rivolgergli un sorriso accondiscendente. Il piercing smiley sotto al suo labbro superiore luccicò, complice. – Di ripetere le tue parole? Senza censura e con una fedeltà al novantanove per cento? »
Eren sbuffò, e si mise a guardare oltre alla testa bionda dell’amico, fuori dal finestrino. Possibile che oltre a lui nessuno fosse disposto a suonare al ballo di capodanno? Ma seriamente?
« Fosse l’ultima cosa che faccio, io non lascerò che quel coglione suoni al posto nostro. » ripeté per l’ennesima volta, ringhiando fra i denti.
Armin aveva riportato il proprio sguardo sulle pagine del libro, ma aveva un orecchio teso alle parole dell’amico. « Peccato che capiti casualmente che quel coglione abbia voce, chitarra, basso e batteria. All together. »
« E allora io gli spacco quelle cazzo di ossa. – se l’iPod avesse avuto il dono della parola, avrebbe emesso un flebile, ultimo gemito di dolore. – All together. »
« Eren, è alto esattamente quindici centimetri in più di te, - gli rispose l’altro, voltando pagina, - e pesa esattamente trentadue chili in più di te. Per quanto tu possa trasformarti nella versione mingherlina di Hulk, quando ti incazzi, gli basterebbe lanciarti un plettro in fronte e per te sarebbe l’equivalente dell’essere gettato nel Monte Fato. »
Eren gli rivolse uno sguardo piuttosto irritato.
Dopo qualche istante di silenzio, Armin alzò il viso per guardare il suo interlocutore. « Il Monte Fato è quello in cui viene gettato l’Unico Anello. Hai presente il Signore degli Anelli? »
« Cristo, Armin, lo so cos’è il cazzo di Monte Fato, smettila di sfottere! » abbaiò l’altro, agitando il pugno in cui era ben serrato il povero iPod.
Armin si portò una mano a coprirsi la piccola bocca. « Oh, scusami. Allora ho sbagliato ad interpretare quello sguardo di irritata ignoranza. »
« Non era irritata ignoranza! Era irritata incazzatura! »
« Eren, siamo arrivati alla chiesa. – il ragazzino indicò con la testa il finestrino che si trovava oltre al piccolo corridoio del bus e all’altra fila di sedili. – È quasi la tua fermata. »
Eren raccolse la cartella, si alzò dal sedile e se la gettò sulla schiena. Un tintinnio lieve di catene accompagnò il gesto. Si assicurò che il berretto nero con il logo delle ali della libertà degli Scouting Legion fosse ben calcato sul capo, si tirò su la zip del giubbotto nero di pelle troppo leggero per quella stagione. Nel frattempo, il pullman aveva raggiunto la sua fermata. Eren, senza voltarsi indietro, scese dal bus, alzando la mano in un cenno di saluto nei confronti del suo amico di lunga data.
 
Se c’era qualcosa che Eren era davvero bravo a fare, era incazzarsi. Quando era più piccolo gli era stato effettivamente diagnosticato un certo problema di controllo nei confronti della rabbia, ma era stato assicurato ai suoi genitori che se ne sarebbe andato con la crescita, insieme all’iperattività e alla curiosa tendenza che aveva a rimanere ad osservare la sua pupù prima di tirare lo sciacquone. Ora, Eren rimaneva ancora in bagno per un tempo più lungo del necessario, ma lo faceva per ragioni che non fossero il rimanere a rimirare la sua odorosa opera; eppure continuava ad arrabbiarsi. Il suo non era un problema: era un dono. Non era solamente incredibilmente impulsivo, incapace di giudicare le conseguenze delle proprie azioni – o anche solamente di ipotizzarne l’esistenza –, sboccato, e in grado di generare insulti completamente gratuiti ed immotivati. Lui riusciva ad arrabbiarsi anche per ragioni risalenti a giorni, settimane o mesi prima semplicemente rimuginandovi sopra. Il perché pensasse ai torti passati invece che alla biancheria intima femminile come la maggioranza dei suoi coetanei, nessuno lo sapeva. Nemmeno lui.
« Sono tornato. » borbottò, entrando in casa. Non si assicurò che qualcuno lo sentisse, e si limitò a salire le scale di legno per andare in camera propria.
Aprì la porta di camera propria con un lieve calcio, e la corrente prodotta fece svolazzare qualcuno dei poster appesi alle pareti. Lui non vi prestò alcuna attenzione, e lasciò cadere la cartella sul letto disfatto. Si sedette sul materasso, si sfilò la giacca, e solo quando si chinò a slacciarsi gli anfibi si rese conto di non essere solo nella stanza. Tirò su la testa di scatto. « Mikasa! » esclamò, sorpreso.
« Mamma mi ha mandata su a mettere via la tua biancheria. » fu così che la sorella adottiva giustificò la dozzina di paia di mutande che recava in mano.
Eren arrossì lievemente, per cui scelse di cambiare discorso. « Che ci fai qui? Non dovresti essere a scuola a organizzare le robe? »
Mikasa era abituata al linguaggio gregario del fratello, perciò le era spontaneo interpretarlo automaticamente. Riprese a sistemare le mutande nel cassetto. «  Abbiamo finito prima del previsto, per cui siamo tornati a casa prima. Avete trovato il bassista? »
Eren finì di slacciarsi l’anfibio, e lo scalciò via con violenza. Andò a sbattere contro al comodino, e l’urto fece oscillare la lampada appoggiata su di esso, che oscillò e cadde. « Cazzo, se non lo abbiamo trovato stamattina, ti pare che sei ore dopo ci compare dal nulla? »
Mikasa era abituata anche agli scatti d’ira. Chiuse il cassetto. « Sai benissimo che, se non lo trovate, il palco va ai From the North. – Si avvicinò a lui, si abbassò un pochino, appoggiandosi con le mani sulle ginocchia, e gli sfilò il berretto. Lo lasciò cadere sul letto e, con un gesto tenero, quasi materno, gli carezzò i capelli castani, per riordinarli un po’. – Io posso usare i miei poteri da rappresentante d’istituto quanto voglio, Eren, ma entro il trenta dovete avere la band completa e l’elenco di canzoni che intendete suonare. »
Uscì dalla stanza senza dire una parola in più. Non era necessario.
 
« Grazie, nonno, ma ho mangiato un hot dog al bar della scuola con Eren. » sorrise gentilmente Armin, richiudendo la porta dello studio in cui si trovava il suo tutore.
Si era sfilato le vans prima di entrare in casa, per evitare di sporcare di fango il pavimento in legno dopo aver attraversato il cortile. Non fece alcun rumore nell’andare nella propria stanza, né nel prendere il suo tablet ed appallottolarsi in un angolo del suo letto. L’accese ed andò su Facebook. In home gli apparve uno stato di Sasha piuttosto idiota, seguito da un’ottantina di commenti di Connie e della ragazza altrettanto stupidi; l’ennesima nuova foto del profilo di Christa e la consueta valanga di “mi piace” attribuiti all’immagine; Franz ed Hannah che si scambiavano i soliti “Sarei morto senza te! <3” e continuavano ad ignorare l’esistenza di chat private per fare gli sdolcinati. Non voleva guardare le notifiche, sapeva che cosa contenevano. Vi cliccò sopra. Sasha e Connie l’avevano invitato ad una dozzina di giochi idioti, e tre o quattro persone avevano accolto la sua foto del nuovo piercing insutrial all’orecchio con lo stesso “Oddio ma ti ha fatto male!?!?1” formulato in tre o quattro modi diversi. Li ignorò tutti.
E poi era lì: la notifica del messaggio di risposta di Marco. Anche in quel momento era online. Armin fece un respiro profondo, deglutì ed aprì una sessione di chat.

 
Armin Arlert scrive:
Ciao, Marco! Grazie mille per avermi risposto, sei stato gentilissimo!
Marco Bodt scrive:
ciao armin (: ma figurati, per me mica è stato un problema, anzi sono contento di avervi aiutato
Armin Arlert scrive:
Secondo te per lui sarà un problema?
Marco Bodt scrive:
cosa vuoi dire? O.o
Armin Arlert scrive:
Intendo, venire a suonare con noi.
Marco Bodt scrive:
ma ti pare!!! xD anche se non lo dice, è sempre stato un suo sogno….. sarebbe scemo a dirvi di no xDxD
Armin Arlert scrive:
Ma allora, se posso chiederti, come mai non ha risposto agli annunci? Eren ne ha tappezzato l’intera scuola, li ha visti di sicuro.
Marco Bodt scrive:
guarda che in realtà è un sacco timido, e secondo me aveva un po’ paura…. intendo dire che suonare è una delle poche cose che fa mettendoci l’anima e per me ha un po’ paura che poi lo avreste rifiutato per qualcosa che gli piace un sacco
non so se mi sono spiegato bene
Armin Arlert scrive:
Ma figurati, ho capito cosa vuoi dire. Grazie ancora, comunque. E mettici una buona parola!
Marco Bodt scrive:
insisterò, stai tranquillo xD

 
Armin spostò la discussione su argomenti qualsiasi, per poi farla scemare in un paio di saluti di circostanza. Lasciò cadere l’iPad bianco sul letto, e si massaggiò le tempie per qualche istante. Era inutile dire che, per quanto si divertisse a provocare Eren a riguardo, suonare al ballo di capodanno era qualcosa che desiderava fare tantissimo anche lui. Si alzò e si diresse alla scrivania, sulla quale giaceva, intonso da quando l’aveva aperto la sera prima, il libro di storia. Accostò le mani ai suoi due lati, senza sedersi, ed alzò la testa verso il poster degli Scouting Legion che troneggiava sul tavolo a cui si era appoggiato. Il cantante lo guardava fiero, con i suoi occhi di ghiaccio e quell’aria da comandante che gli aveva ispirato fiducia fin da quando Eren gli aveva fatto vedere i video le prime volte, alla fine delle scuole elementari.
« Che cosa faresti al posto mio, Erwin? » mormorò al poster.
« I’d slay some motherfucker, and then I’d lie where his body rests. » si rispose da solo, abbassando la voce così da fare in modo che somigliasse a quella dell’uomo sul muro. Era una citazione da “I (h)ate my humanity”, una delle sue canzoni preferite in assoluto. Sia per la dozzina di giochi di parole che c’erano nel testo, che ne rendevano l’interpretazione incredibilmente ardua e simile ad un rompicapo, sia per il ritmo lento, quasi simile ad una ballata, che produceva un contrasto incredibile col consueto testo sanguinolento.
Spinse la sedia all’indietro e vi si lasciò cadere sopra. Pescò un evidenziatore da uno dei portapenne di cui era disseminata la scrivania, e cercò di concentrarsi sul testo. Peccato che la sua mente fosse più concentrata sull’inevitabile futuro disastroso, che non sul passato morto e sepolto.

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Capitolo 2
*** Cazzo, Mikasa. ***


La parte più divertente è che sono tutti molto convinti. Ma ne approfitto per ringraziare ancora una volta tutte le persone che hanno deciso di sprecare il proprio tempo leggendo queste mie sciocchezze! Mi diverto davvero tanto a buttarle giù, e mi piace sapere che a qualcuno fa ridere ciò che scrivo!

2. Cazzo, Mikasa.
 
Cadde seduto di fianco ad Armin con la grazia di un orso vestito da ballerina.
« Ti ho trovato il bassista. »
Voltò la testa nella direzione di Armin con la scioltezza di un burattino poco oliato.
« Ma tu non fai casini come al solito. Promise me. »
Annuì con l’espressione tranquilla di chi avesse appena visto casa propria esplodere.
 
« Bella, Marco. » disse il ragazzo, a bocca piena, lasciando cadere la cartella sul banco con un tonfo.
« Ciao, Jean. » gli sorrise di rimando il vicino di banco, appoggiando in mezzo al quaderno la matita che stava usando per aiutarsi a ripassare. Alzò la testa nella direzione dell’amico, e rimase a fissarlo durante tutta la procedura: mentre si sfilava la giacca e la lasciava cadere sopra la cartella; quando finiva di ficcarsi violentemente in bocca il cornetto alla marmellata che lo accompagnava fedelmente a scuola ogni mattina; nel momento in cui cercava di mettere ordine sulla superficie del banco, scaraventando lo zaino a terra e la giacca sul bordo della sedia.
Jean si accomodò sulla sedia, ed aprì la borsa contenente i libri. « Oh, ma la relazione di geografia è per dopo le vacanze di Natale, no? » chiese, mentre era chinato a frugare fra quaderni e raccoglitori.
Marco non gli rispose.
Jean si voltò. « Oh, ma mi hai sentito? » gli domandò, arcuando un sopracciglio. Perché diamine lo stava fissando a quel modo…?
« Jean, ti ricordi quando eravamo bambini, e tu mi hai rivelato il tuo sogno? » irruppe Marco, con voce gentile.
L’amico rimase a fissarlo, sbattendo le palpebre un paio di volte. Cosa c’entrava? « Quale sogno? Quello in cui mangiavo la luna perché credevo fosse fatta di formaggio coi buchi? »
Con lo stesso sorriso gentile, scosse la testa.
« Quello in cui mangiavo tutte le nuvole perché credevo fossero fatte di panna montata? »
Di nuovo, senza traccia di perdita della pazienza, un segno di negazione.
Jean aggrottò le sopracciglia, grattandosi la testa. « Per caso c’entra la maestra? »
Marco sospirò, chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie con le mani su cui ricadevano le maniche di un maglioncino troppo lungo. « No, Jean. Parlo dell’ultimo sogno che mi hai rivelato. Alle medie. »
Jean rimase ad osservarlo per qualche istante. Assottigliò gli occhi, cercando di pescare di nuovo quel ricordo sfuggente. Si leccò le labbra con la punta della lingua, come per reinterpretare le parole che aveva pronunciato tempo fa, rimaste incise propria pelle della bocca.
Il ragazzo lentigginoso rinunciò. « Suonare, Jean. – disse con l’entusiasmo che si prova nel ricevere l’ennesimo brutto voto in una materia in cui si è gettata la spugna. – Parlo di suonare. »
Jean sbarrò gli occhi e tirò dentro la lingua. Marco sapeva bene che non gli avrebbe mai chiesto di parlare, perciò lo fece di propria volontà. « Hai presente il mio amico Armin? »
L’altro scosse la testa. « No, quale? »
« Come no? Te l’ho anche fatto aggiungere su Facebook! – si fermò, per studiare l’espressione dell’amico. – Quello coi capelli lunghi fino alle spalle, lisci lisci come quelli di una ragazza… »
Il viso di Jean si illuminò. « Ah, e che ha il naso fatto un po’ così? » chiese, arcuando il dito indice e portandolo in mezzo alle sopracciglia, nell’imitazione di un naso aquilino.
Marco impiegò qualche istante a capire di chi il vicino di banco stesse parlando. Quando se ne rese conto, però, assunse un’espressione piuttosto interdetta, come se sperasse di aver capito male. « No, Jean. La persona a cui stai pensando tu è Annie Leonhardt. Ed è una ragazza. »
« Allora mi sa di no. »
« Avanti! – Marco, nonostante i modi gentili che aveva di porsi nei confronti di chiunque, era un ragazzo molto caparbio. – Quello che posta una foto di un piercing nuovo una settimana sì e una no. Quello tramite cui ti ho comprato il CD degli Scouting Legion. »
Il cervello di Jean stava lavorando. Se gli occhiali che Marco usava per leggere fossero stati a raggi X, avrebbe potuto vedere la scimmia con i cembali che abitava la testa vuota di Jean mentre si affaccendava a cercare di ricomporre i pezzi del puzzle per formare un’immagine con un po’ di senso.
« Quello della classe di storia, vestito come un becchino, a cui hai restituito quel libro l’altro giorno? » provò, con aria circospetta.
« Esattamente! – strepitò Marco, stringendo un pugno in segno di vittoria. – Armin! È lui! Ma non dire che era vestito come un becchino. »
« Era tutto nero. – si giustificò Jean, allargando le mani davanti a sé. – A parte quel Bambi zombie sul davanti della maglietta. Mi ha rovinato i ricordi della mia infanzia. »
L’altro scelse di lasciare perdere le scelte d’abbigliamento di Armin. « Beh, la sua band ha bisogno urgentissimo di un bassista entro il trenta dicembre. »
« Aspetta. – disse Jean, alzandosi in piedi ed estraendo il proprio telefonino dalla tasca sul retro dei suoi jeans di marca. Ne accese lo schermo e lo guardò per qualche istante. Portò la mano sinistra davanti al proprio viso, mentre con l’altra teneva il cellulare, ed iniziò a sollevare un dito dopo l’altro. Sposto lo sguardo in direzione del suo interlocutore. – Il trenta dicembre è fra dieci giorni. »
Marco sfoderò il sorriso più caldo che aveva, quello con cui sbrinava il frigo.
 
Armin non aveva voluto fargli parola di chi fosse il bassista. Lo aveva abbandonato nel corridoio, e se n’era andato a seguire la sua stupida lezione di letteratura francese con un’espressione enigmatica sul volto. Eren avrebbe giurato che quel piccolo bastardo ci godesse, nel vederlo sulle spine. Sovrappensiero, aprì la porta per uscire dalla classe. Gli frullavano per la testa un centinaio di ipotesi su chi potesse essere l’uomo che li avrebbe salvati dalla rovina più certa, il proposito di scolpire una statua o qualcosa del genere in suo onore, e una mezza dozzina di insulti dedicati principalmente ad Armin.
Aprì il suo armadietto. Girò la manopolina fino a che non compose il semplice “104” e prese il libro di storia che giaceva là dentro da almeno un mese. D’accordo, aveva la testa da tutt’altra parte, ma il professore continuava a dire ad ogni lezione che al rientro delle vacanze natalizie ci sarebbe stato lo stupido test riassuntivo del primo semestre. Si voltò verso lo specchietto appeso all’interno dell’anta, per sistemarsi un po’ i capelli castani. Diede un’occhiata ai tre piercing sulla parte alta della cartilagine dell’orecchio. Armin aveva ragione, le sue paure di un’infezione perdevano di senso se ci si faceva fare i buchi da un esperto e se li si igienizzava correttamente.
« Ehi, Eren. »
Preso com’era a rimirarsi l’orecchio, non aveva notato la sua sorella adottiva arrivargli alle spalle, fra la folla di studenti che si riversavano verso l’uscita della scuola, nonostante fosse comparsa nel riflesso. Prese il libro per cui aveva aperto l’armadietto e si voltò verso di lei. « Ciao, Mikasa. Torni a casa con me, oggi? » le domandò, richiudendo l’antina.
Lei scosse la testa, e gli porse qualche banconota verde. Quelle che aveva lei erano sempre incredibilmente lisce. « No. Prendi qualcosa al bar della scuola. »
Eren le lanciò un’occhiata accigliata, ma prese comunque il denaro e se lo infilò in tasca, senza curarsi che si stropicciasse. « Cos’è, hai paura che se provassi a cucinarmi qualcosa per conto mio, morirei sul colpo? »
« Abitiamo nella stessa casa, Eren. Mi piacerebbe ritrovarla in piedi quando tornerò stasera. » L’espressione di Mikasa faceva pensare ad un giocatore di poker professionista. 
« Beh, allora io mi vado a prendere un panino. » sospirò il ragazzo, che aveva scelto di ignorare quel commento simpatico. Gli aveva pur sempre sganciato i fondi per il pranzo.
« Aspetta, Eren. Devo dirti una cosa. »
« Dimmi, cosa c’è? » domandò il ragazzo, passandosi la mano fra i capelli per poi grattarsi la nuca.
« Riguarda il concerto di Capodanno. Ho ricevuto l’sms. »
Eren sorrise, smagliante. « Visto? Abbiamo il bassista! Spaccheremo un casino! » per enfatizzare la felicità che gli provocava quel pensiero, diede un pugno al suo armadietto. Inutile dire che era meno maltrattato di cellulare e lettore musicale solo perché si trovava meno spesso sotto le mani di Eren.
« Dovete ancora presentare la lista delle canzoni, ed aspettare che venga approvata. – lo corresse la sorella, con un tono inflessibile. – Ma non è specificatamente di questo che volevo parlarti.  »
« E di cosa? » chiese lui, sfilandosi lo zaino ed appoggiandolo a terra.
« Del tuo futuro, Eren. » gli rispose con tono incredibilmente serio, seguendo con lo sguardo il ragazzo che si accovacciava ad infilare malamente il libro in mezzo agli altri.
Eren fece una smorfia, richiudendo la zip dello zaino. « Dio, Mikasa, ancora con questa storia? »
« Sai benissimo che non ha alcun senso evitare questo discorso. Diventare un cantante drogato non dovrebbe essere la tua massima priorità. »
« Cosa cazzo stai dicendo?! » sbottò lui, guardandola con la stessa espressione che avrebbe potuto avere se gli fosse stato sferrato un pugno in pieno stomaco.
« Sono seria. Non gettare via il futuro in questo modo. Diventa un agricoltore. »
« Mikasa, per l’ultima volta, no! » Eren sferrò un nuovo pugno all’armadietto, ma stavolta per ragioni diverse rispetto a quelle che l’avevano spinto a farlo in precedenza. Non che queste attutissero il colpo o qualcosa del genere.
Mikasa chiuse gli occhi e sospirò. Sembrava una madre intenta a spiegare a un bambino troppo grande che quella di Babbo Natale era solamente una favola. « So benissimo che i tuoi voti non sono abbastanza alti da farti sperare in una carriera come medico, imprenditore, insegnante, manager, giornalista. Lo sai anche tu. – lo guardò negli occhi, come per rafforzare il concetto. Il loro colore scuro non lasciava trasparire nessuna sfumatura né variazione, così come la sua voce o il suo pensiero. – Ma perché devi per forza buttare via la tua vita con il sogno di diventare un cantante drogato? »
« Ma la smetti di dire “cantante drogato” come se fosse un unico termine?! » sbraitò Eren, allargando le braccia. Ormai la campanella era suonata da qualche minuto, per cui i corridoi erano vuoti. Quasi nessuno lo udì.
« Eren. – la ragazza gli prese le mani e lo guardò intensamente negli occhi. Aveva le stesse movenze materne e delicate del giorno prima, quando gli aveva sfilato il berretto e carezzato i capelli. – Hai delle potenzialità. Scarse, ma ne hai. E sarebbe fantastico se le investissi in qualcosa di utile, come l’agricoltura, invece che nel diventare un cantante drogato. »
Eren ritirò di scatto le braccia, e guardò Mikasa con astio. « Vaffanculo, Mikasa! – le disse, senza censurare il proprio francesismo. Le voltò le spalle, ed iniziò a dirigersi verso la porta dell’edificio scolastico. – Quando suonerò all’apertura degli Scouting Legion, quando i giornalisti verranno sotto casa aspettando che metta il naso fuori dalla porta, quando i fan mi manderanno la loro biancheria intima, allora ti rimangerai tutte queste stronzate! »
« Eren! – esclamò Mikasa, tendendo la mano in direzione del fratello. La porta s’aprì, ed il mondo esterno lo inghiottì. Ormai se n’era andato. La voce della ragazza risuonò flebile nel corridoio ormai vuoto. – Io mi sto solamente preoccupando per te… »

 

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