Little girl

di Acinorev
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno - High ***
Capitolo 2: *** Capitolo due - Haltow vs Lincoln ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre - Let's play ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro - Told you ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque - Choking ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei - Being there ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette - Slice of life ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto - Taking for granted ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove - Freckles ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci - Expectations ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici - I wish ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici - Asshole ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici - Walk or run ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici - One step forward ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici - No need ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici - Someone like you ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette - Finally ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto - That dress ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove - Consequences ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti - I am here ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventuno - Little boy ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventidue - The most stupid thing ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitré - Only me ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattro - Phoenix ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinque - Near ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventisei - I can't breathe ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisette - Am I wrong? ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventotto - The last try ***
Capitolo 29: *** Epilogo - Gifts ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno - High ***




Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo.
 

Capitolo uno - High
 

 

Con uno sguardo al cielo di quel lunedì pomeriggio, Emma espirò profondamente solo per creare una piccola nuvola di condensa davanti al suo viso pallido. Calciò un sassolino che si era trovato sui suoi passi e tirò su con il naso, abbassando il capo nella sciarpa in lana grigia. «Prima o poi la pagherai per questo» borbottò rabbrividendo.
Pete, che le passeggiava di fianco, liberò una risata nell'aria. «Il mio amore non ti basta?» Le chiese, cingendole le spalle con un braccio e lasciandole un veloce bacio sulla guancia fredda.
Lei se lo scrollò di dosso con un sorriso accennato e le palpebre che si abbassavano sugli occhi scuri, di un blu sporco. «No» lo contraddisse. «Anzi, ora che mi ci fai pensare, mi servono dei soldi per comprare quel maglione che ho visto in centro l'altro giorno».
Era colpa di Pete se stavano passeggiando per Bradford – una città nella regione inglese di Yorkshire ed Humber - con una temperatura che forse era scesa al di sotto dello zero: lui amava il freddo, così come il paesaggio gelato ed i piccoli cristalli di ghiaccio che si creavano sull’asfalto, ma non amava immergersi in tutto quello da solo, perché odiava la solitudine con la stessa intensità, nonostante i suoi modi di fare suggerissero il contrario nella maggior parte delle volte.
«Ah, allora non guardare me» sospirò quello, stringendosi nelle spalle. «È Dallas che si occupa della contabilità, di solito» spiegò, indicando con un cenno del capo il ragazzo alla destra di Emma.
Lei alzò un sopracciglio e scosse la testa. Dallas, al posto di rispondere con una delle sue solite battute, si schiarì la voce ed ammise volgarmente l’unico bisogno che in quel momento lo preoccupava: «Devo pisciare».
«E comunque, se proprio dobbiamo essere pignoli, anche tu sei in debito con me» continuò Pete, puntandole un dito contro. «Oggi ho dovuto sopportare da solo quella stronza di matematica: mi ha chiamato quattro volte per correggere i suoi stupidi esercizi e tu non c'eri per suggerirmi, quindi immagina quanto sia stato piacevole».
Emma rise di gusto nell'immaginare la scena, con gli occhi assottigliati ed una mano davanti alla bocca. «Avanti, sai bene che non devi contare su di me in giorni come questi» si scusò. In effetti il primo giorno di scuola dopo le vacanze invernali - o qualsiasi altra vacanza - non era esattamente il suo preferito: non che disdegnasse le lezioni, anzi, le erano indifferenti né le costavano particolare fatica, ma era l'atmosfera a non essere di suo gradimento. I corridoi finivano per essere sempre pieni di studenti frustrati per la fine delle vacanze, eccessivamente entusiasti nel rivedere i loro compagni di sventura oppure ingenuamente terrorizzati se frequentavano il primo anno. Emma preferiva evitare tutto quel caos di prima mattina e rientrare il giorno dopo, quando le acque erano più calme e la fine delle vacanze meno eclatante.
Persino sua madre si era arresa a quella sua abitudine, tanto che anche quella mattina non aveva insistito né con le buone né con le cattive maniere affinché si alzasse dal letto. La ragazza si era semplicemente voltata verso la parete, quando si era sentita richiamare, e poi aveva aspettato di riaddormentarsi con le chiacchiere della sua famiglia al piano di sotto, grata di non dover correre per non arrivare in ritardo.
«Sì, intanto stavo per beccarmi un'insufficienza e tu sai che un'insufficienza non la recupero nemmeno con l'aiuto di qualche angelo benedetto» commentò Pete, facendo schioccare la lingua sul palato.
«Ragazzi, forse non mi sono spiegato bene» si intromise Dallas. «Devo pisciare» ripeté, fermandosi sul marciapiede.
«Trova un angolo e falla» fu la pragmatica soluzione offerta da Pete.
«Sì, ti conviene, anche perché il damerino, qui, non ne vuole proprio sapere, di posti caldi, quindi scordati un bagno» spiegò Emma in un’esagerazione amichevole.
«Non ci penso neanche. Troviamo un bar o una qualsiasi bettola e la faccio lì» rispose Dallas con decisione.
«Ci risiamo» mormorò l'altro, scuotendo la testa.
«Qui non ne vedo» gli fece presente lei, guardandosi intorno. Quella via sembrava piena zeppa di librerie ed appartamenti, persino fiorai e gioiellerie, ma niente che potesse offrire loro un bagno.
«Allora andiamo più avanti».
Emma alzò gli occhi al cielo e storse la bocca di lato, saltellando impercettibilmente sul posto per difendersi dal freddo mentre si strofinava le mani sottili coperte dai guanti.
«Non puoi farla dietro un cespuglio, in un angolo buio o anche in mezzo alla strada, come tutte le persone normali?» Domandò di nuovo Pete, sbuffando e aggiustandosi il cappello di lana verde petrolio sulla testa.
«Si dà il caso che le persone normali, come dici tu, non piscino in mezza alla strada, ma in un gabinetto. Ed è quello che farò anche io» ribatté Dallas, alzando un sopracciglio saccente.
«Sei una rottura».
«Ti ricordo che siamo gemelli omozigoti, fatti due domande».
«Ragazzi?» Si intromise Emma pacatamente. Camminando faceva ancora più freddo, perché l'aria gelida si infrangeva sul viso e sembrava accanirsi contro la pelle, ma nemmeno stare fermi sul marciapiede era una grande idea: le sembrava di congelarsi sempre di più, un centimetro alla volta ed inesorabilmente.
«Infatti vorrei proprio capire come abbiamo fatto a condividere il grembo materno per nove mesi, se tu sei così stupido».
«Perché parli di te in seconda persona?»
«E tu perché non riesci nemmeno a capire che era di te che parlavo?»
«Perché non la piantate?» Sbottò Emma con un sospiro annoiato, portandosi un ciuffo di capelli mori dietro l'orecchio.
«Non è colpa mia se mio fratello ha tutte le fisse di questo mondo!» Si difese Pete, alzando le braccia al cielo molto teatralmente e riferendosi alle numerose e particolari abitudini di Dallas, tra le quali l'espletare i suoi bisogni all'aperto non era di certo un'opzione.
«E avete intenzione di discuterne ancora per molto?» Esclamò lei, recuperando il cellulare dalla tasca del giubbotto in tessuto verde militare. Ormai non si impegnava nemmeno più a fondo nel rimproverarli, proprio come una madre che conosce sin troppo bene i capricci dei propri figli: a volte si spaventava persino di quanto fosse diventata simile alla sua, in un certo senso, soprattutto quando li sgridava usando il plurale, come se fosse sempre colpa di entrambi.
«No, anche perché sto per farmela addosso» fece notare Dallas, portandosi una mano sul cavallo dei pantaloni scuri. Aveva il viso contratto in un'espressione a dir poco impaziente e gli zigomi arrossati dal freddo, anche se la carnagione olivastra non li faceva risaltare più di tanto. Gli occhi cerulei si spostarono sul fratello, quasi in una tacita supplica, e quelli dell'altro - identici - si alzarono al cielo in segno di resa.
Emma ripose il cellulare in tasca dopo aver dato un'occhiata alla casella dei messaggi vuota e sorrise nell'assistere alla piccola scenetta.
«Avanti, muoviti» borbottò Pete, infilando le mani callose nelle tasche dei jeans ed incamminandosi.
Dallas ridacchiò inarcando le labbra in un largo sorriso, le uniche cose che lo distinguevano dal fratello gemello agli occhi degli estranei: le sue erano leggermente più carnose, ma si notavano soprattutto per la cicatrice che le spaccava verticalmente nell'angolo destro, guadagnata da una caduta durante il primo anno di asilo. Pete, invece, aveva una bocca più lineare ed anche meno facilmente suscettibile, dato che erano più le volte in cui si contraeva per il fastidio derivante da qualcosa che per ilarità.
«Quando la smetterai di farlo incazzare?» Chiese Emma, sorridendo a Dallas e scompigliandogli i capelli castani e leggermente più lunghi di quelli del fratello.
«Vuoi forse dirmi che Pete riesce anche a non essere incazzato?» Fu la risposta che seguì, con tanto di gomitata scherzosa.
«Vi sento» precisò Pete qualche passo più avanti, senza voltarsi a guardarli. E meno male, perché se avesse visto Dallas scimmiottarlo senza riserva, di sicuro sarebbe nato l'ennesimo battibecco.
«Smettila» lo ammonì Emma con un sorriso, prima di guardarsi intorno per avvistare un qualsiasi locale in cui il suo amico avrebbe potuto soddisfare quel suo impellente bisogno.
 
«Possiamo entrare lì» propose Emma, dopo qualche metro percorso in una via secondaria di Bradford. I piedi nelle Converse bianche iniziavano a perdere di sensibilità.
Dall'altra parte della strada, c'era un bar del quale aveva sentito spesso parlare, ma che non aveva mai frequentato. L'insegna in caratteri color panna ed in un corsivo dalle linee morbide racchiudeva il nome del locale – Rumpel - e le grandi finestre erano più scure del normale, rendendo più difficile spiare all'interno.
«Stai scherzando? Come minimo incontriamo Kol e compagnia bella e sinceramente preferirei evitare di dover fingere ancora una volta che le sue battute siano divertenti» protestò subito Pete, tirando fuori dal giaccone blu il pacchetto di Marlboro rosse. Era vero, Kol non era il massimo della compagnia: frequentava il terzo anno e tutti loro l'avevano conosciuto ad una festa tenutasi dopo l'ennesima partita di pallacanestro, una di quelle organizzate ogni ultimo venerdì del mese dalla loro scuola. Non che fosse la feccia del pianeta, ma con i suoi modi esasperanti ed in costante richiesta di attenzioni impediva di scappare a chiunque facesse l'errore di fermarsi a parlare con lui. Nel caso in cui qualcuno avesse osato dimostrargli anche solo una nota di fastidio, si cimentava in una litania sofferente e teatrale che finiva per essere peggio delle sue chiacchiere.
«Non rompere» borbottò Dallas, guardando a destra e a sinistra prima di attraversare a passo svelto la strada.
«Kent, lo sai meglio di me: io dovrò anche fingere di averlo in simpatia, ma tu dovrai di nuovo accettare i suoi viscidi complimenti» puntualizzò Pete, cercando di convincerla con ogni carta a sua disposizione. In effetti Kol non aveva mai nascosto le sue tecniche di seduzione - per quanto discutibili - e lei, d'altra parte, non aveva mai dato loro tanta importanza da ritenere necessario che cessassero. Pete, comunque, stava solo esagerando come al solito: non era nemmeno sicuro che avrebbero incontrato qualcuno in quel bar, nonostante si sapesse che quello era il punto di ritrovo di Kol e dei suoi sventurati amici.
«Sei paranoico» si limitò a dire lei, imitando Dallas ed immaginando il gemello alzare gli occhi al cielo. «E tu sbrigati. Tutte queste storie solo perché devi andare in bagno. Devo ancora capire chi sia peggio, tra voi due» commentò rivolta all’altro suo amico, mentre anche Pete li raggiungeva non senza borbottare contrariato.
«Io vi aspetto qui» annunciò quest'ultimo, appoggiandosi alla parete del bar con la schiena e premurandosi di accendere la sua preziosa sigaretta.
«Va bene» acconsentì Emma, annuendo. «E smettila di chiamarmi Kent».
 
Dallas era appena scomparso in un corridoio che presumibilmente portava ai bagni per la clientela ed Emma si guardava intorno, allibita da quanta gente fosse presente anche alle cinque del pomeriggio di un noioso lunedì - e sì, Kol c'era davvero, ma almeno non si era accorto di loro. L'interno era molto più spazioso e colorato di quanto avesse immaginato: ogni parete era dipinta di un colore diverso, che spaziava dal giallo ocra ad un brillante porpora, ed il pavimento in mattonelle nere faceva risaltare più del dovuto l'immancabile sporcizia che cadeva dai tavoli. Dietro al lungo bancone laccato, un uomo sulla quarantina d'anni, di bell'aspetto e ben rasato, serviva un anziano signore che alzava l'età media del bar, evidentemente frequentato per la maggior parte da adolescenti.
Emma comprò una bottiglietta d'acqua solo per mascherare la loro presenza opportunista, poi aspettò in disparte godendosi le canzoni che gli altoparlanti agli angoli del soffitto riproducevano in sottofondo, ma alla fine, quando vide Kol ed i suoi capelli ramati dirigersi nella sua direzione senza averla ancora riconosciuta, decise che era giunto il momento di andare a cercare Dallas.
Percorse il corridoio che aveva imboccato l'amico, soffermandosi sull'intonaco rovinato e sul vociare chiassoso del bar che si faceva sempre più ovattato. Dopo qualche metro si trovò dinanzi ad una parete con due porte: nessuna indicazione suggeriva quale delle due portasse ai bagni, quindi avrebbe dovuto scoprirlo da sola.
Si mordicchiò l'interno della guancia, ma prima che potesse effettivamente prendere una decisione, la porta alla sua sinistra si aprì, lasciando entrare un insistente alito d'aria gelida che la investì senza alcun indugio: evidentemente era un'uscita sul retro del locale.
Emma rabbrividì inevitabilmente, ma non ci fece caso, impegnata com'era a studiare il ragazzo che le stava di fronte: teneva la mano sinistra, quasi il doppio della propria, sulla superficie grigia della porta per tenerla aperta e l'altra nella tasca dei jeans neri e stretti, leggermente consumati sulle ginocchia. Ai piedi indossava un paio di Vans altrettanto scure e rovinate e la maglietta bianca poco aderente era coperta da un giaccone in velluto color pece, che gli arrivava a metà coscia. Dallo scollo sul suo petto fuoriuscivano incompletezze di alcuni tatuaggi.
Quando il ragazzo fece un passo avanti, spostando la mano dalla porta e facendola richiudere bruscamente e con un sonoro rumore metallico, Emma sobbalzò.
«Che c'è? Ti sei spaventata?» Chiese quello, con un sorriso beffardo a decorargli il viso pulito. Era seriamente impossibile ignorare quanto il verde dei suoi occhi fosse simile a quello delle acque più torbide, o quanto le sue guance fossero arrossate, quasi del colore delle labbra dalle curve morbide. I capelli ricci e disordinati erano di sicuro freddi come lo erano stati i suoi fino a poco prima e quei lineamenti erano di sicuro frutto della sua immaginazione, perché non potevano riuscire ad ammaliarla in modo così totalizzante senza alcuno sforzo.
Emma alzò un sopracciglio, cercando di registrare il timbro roco della sua voce, poi aprì la bocca per rispondere qualcosa.
«Somigli a qualcuno che conosco» la precedette lui, avvicinandosi lentamente con lo sguardo a scrutarle il volto. E a quel punto le possibilità erano due: o lei era davvero terribilmente bassa come Pete si divertiva a ripetere oppure quel ragazzo era esageratamente alto. A quella distanza le sembrava di essere minuscola, se paragonata alla sua altezza.
«Sei strafatto» fu il solo commento di Emma, schietta come al suo solito. Non era un rimprovero, ma una semplice constatazione indiscutibile. Effettivamente quelle iridi tanto verdi e racchiuse da ciglia lunghe erano rovinate dal rossore che le contornava, che conferiva al ragazzo un'aria assente e al tempo stesso spensierata. Sembrava che nulla potesse scalfirlo o che comunque non gliene importasse. E se qualunque adolescente sognatrice nella sua situazione avrebbe voluto percepire un profumo dolciastro ed accattivante, Emma dovette accontentarsi della fragranza di erba e fumo proveniente dalla sua figura.
Era altamente probabile che in lei non ci fosse nemmeno un particolare simile a chiunque quello sconosciuto avesse in mente.
«Abbastanza» confermò lui, scandendo bene la parola ed accompagnandosi con una risata debole e bassa, con tanto di occhi che si assottigliavano e piccole rughe che si formavano ai loro lati. Le fossette sulle guance gli davano un'aria infantile in contrasto con le sue espressioni e i denti erano più bianchi del cielo di quel pomeriggio, che minacciava una forte nevicata. Emma non riuscì a trattenere un sorriso, sia perché diamine, quella che era una risata, sia perché quel ragazzo aveva risposto senza alcuna traccia di indignazione: dare dello strafatto ad un completo estraneo non era di certo un'idea saggia, per cui ottenere una reazione civile restava un sollievo.
«Ci si vede, eh?» Biascicò lui poco dopo, senza soffermarsi oltre su di lei e superandola con passi lenti e una mano tra i capelli arruffati. Proprio mentre in Emma si stava delineando un sottile desiderio di sfiorargli la mascella poco squadrata, lui se ne era andato senza troppi complimenti, quasi ignorandola: intrattenere una conversazione in quel luogo e con una persona che ha appena fumato non dà il massimo delle aspettative, però lei aveva ancora quel timbro di voce in testa o forse anche nelle ossa e di certo non le bastava. Inoltre, ad Emma non piaceva quando qualcosa che bramava, più o meno intensamente, le scivolava via dalle mani in modo così semplice.
Lo osservò allontanarsi, reprimendo la voglia di seguirlo e di fargli una qualsiasi domanda solo per avere di nuovo l'opportunità di cogliere nuovi particolari del suo viso, ed una manciata di secondi dopo fu la porta alla sua destra ad aprirsi.
«Ah, eccoti» esclamò nel riconoscere Dallas, che si stava strofinando le mani sui pantaloni. «Avevo iniziato a darti per disperso».
«Non trovavo lo scarico, senza contare che lì dentro è tutto uno schifo. E indovina un po'? Non c'è nemmeno la carta per asciugarsi le mani» si giustificò - lamentò - scuotendo la testa.
«Andiamo, o tuo fratello ci lascia qui» sorrise Emma, mettendogli una mano sulla schiena ed incamminandosi al suo fianco.
«Non gli farebbe male far prendere un po' d'aria a quel cervello bacato che si ritrova» fu la risposta, in pieno stile gemelli Butler.
Proprio mentre rientravano nel locale principale del bar, Emma ebbe l'occasione di intravedere il ragazzo di poco prima seduto ad un tavolo circondato da coetanei: non aveva più il giaccone addosso e le spalle risaltavano attraverso il tessuto fine della maglietta bianca, mentre le braccia nude si mostravano piene di tatuaggi che da quella distanza non riusciva a distinguere. Sentì qualcosa muoversi dentro di sé, fremere affinché potesse riprovare la sensazione opprimente e allo stesso tempo piacevole provata in quel corridoio.
«Mi piace questo posto, sai?» Commentò Dallas, facendo un cenno di saluto al barista, che rivolse ad entrambi un sorriso cordiale. «Bagni a parte».
«Sì, anche a me» concordò lei, dando un'ultima occhiata al motivo di quella sua affermazione. Ovviamente lui non l’aveva vista e questo la innervosiva, perché sapeva che sarebbe stata in grado di farsi notare.
Fuori l'aria era di nuovo gelida e Pete era alla seconda sigaretta, o forse alla terza. «Dovevi pisciare o ricreare le cascate del Niagara?»






 


SORPRESA!
Ok, magari non frega a nessuno, ma sono dettagli ahahah
Come promesso, ecco lo spin-off di "
It feels like I've been waiting for you" su Emma ed Harry! (Per chi non ha letto quella storia, non c'è alcun problema: questa si svolgerà in parallelo e i contatti con gli altri personaggi saranno davvero pochi, e quando ci saranno verranno spiegati nel dettaglio!) Avevo detto che lo avrei pubblicato alla fine di "Unless...", ma stanotte (stamattina alle 5, in realtà) ho scritto questo...capitolo - se così può essere chiamato -, e non ho resistito!
Poche parole veloci che poi devo cucinare hahaha La storia è narrata in terza persona e al passato, cosa che ho sperimentato solo una volta, quindi spero che non esca una schifezza: confido nel vostro giudizio! Emma si conoscerà meglio già dal prossimo capitolo, così come gli altri personaggi, ma spero comunque che non vi sia dispiaciuta :)
Per chi ha letto "It feels...": la storia inizia esattamente nello stesso giorno e voi ne sapete di sicuro qualcosina in più! (A chi somiglierà Emma? :))
Detto questo, lascio a voi i commenti, che spero saranno positivi ahhaha Fatemi sapere cosa ne pensate!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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E qui c'è quello della gentilissima ragazza che mi ha fatto il banner: Dalilah efp su facebook

Un grazie immenso a tutte voi che avete letto, e a Caterina, che come sempre mi appoggia in tutto!
Spero vivamente di non avervi deluse!
Un bacione,
Vero.

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Capitolo 2
*** Capitolo due - Haltow vs Lincoln ***




 

Capitolo due - Haltow vs Lincoln
 

 

Ron Clarke tossicchiò di proposito nel vedere sua figlia Emma uscire dal bagno in accappatoio e con un asciugamano ad avvolgerle i capelli bruni in un turbante umido. Si appoggiò alla parete ed incrociò le braccia al petto, alzando un sopracciglio folto. «Hai intenzione di andare da qualche parte, signorina?» Domandò scettico.
Emma sospirò e si strinse nella stoffa che ormai sapeva di bagnoschiuma. «Papà, la tua memoria inizia a fare schifo» bofonchiò. Aveva il viso arrossato per il vapore ed il naso che le prudeva, come ogni volta che usciva dalla doccia: non che ci fosse un motivo in particolare, dato che il cambio di più di una decina di prodotti aveva escluso una eventuale allergia.
«Non fare la spiritosa» la riprese lui, facendo un passo in avanti. Si frizionò i capelli leggermente brizzolati con una mano e la scrutò con i suoi occhi scuri.
«Non faccio la spiritosa, sono sincera» precisò Emma, sostenendo il contatto visivo. «Comunque stasera c’è la partita, a scuola: mi ferm-»
«Non ne sapevo niente» la interruppe lui, sospettoso. Se il signor Clarke non conosceva a menadito qualsiasi spostamento delle figlie, non era contento: il problema era che stava diventando iperprotettivo e paranoico, o forse lo era sempre stato, soprattutto dal momento che si dimenticava spesso qualsiasi programma gli venisse riferito con il dovuto anticipo.
«Mel!» Esclamò Emma, vedendo sua sorella maggiore passare di lì. Melanie si voltò con i capelli mori legati in una coda sfatta e nel pigiama che si ostinava a mettere, nonostante i suoi sedici anni di età e gli orsacchiotti disegnati sul cotone chiaro. «Mel, ripeti a papà che ogni ultimo venerdì del mese c’è la partita di basket, nella mia scuola» la pregò con fare annoiato. Non tollerava le persone che le stavano col fiato sul collo e non tollerava il fatto che, appena sua sorella avesse aperto bocca, le sue parole sarebbero state considerate oro colato. Un anno di differenza influiva così tanto sulla credibilità di una persona?
«Hmhm» borbottò Melanie, sbadigliando. Gli occhi azzurri a nascondersi dietro le palpebre per qualche istante. «Stasera giocano contro i Lincoln’s» confermò. Emma si era persino dimenticata che l’incontro di quella sera si sarebbe tenuto con la squadra della scuola di Melanie: era la prima volta dall’inizio dell’anno che succedeva, quindi si chiedeva se ne sarebbe valsa la pena.
Ron era pensieroso, probabilmente nel valutare il da farsi, mentre sua figlia maggiore si allontanava borbottando qualcosa come “E non dire che non ti aiuto mai”, rivolto alla sorella. Emma alzò gli occhi al cielo e pensò che di quel passo avrebbe di sicuro fatto tardi.
«Lo sai, vero, che non dovrei farti uscire dopo il tuo comportamento degli ultimi giorni?» Disse infine il padre, corrugando la fronte.
«Papà, per favore» si lamentò Emma, liberando un profondo sospiro. Era impossibile che ogni volta si dovesse ripetere sempre la stessa scena: certo, lei non si faceva problemi a rispondere a tono ai propri genitori quando lo riteneva necessario, ma bisognava anche ammettere che questo non equivaleva ad essere una delinquente e che suo padre tendeva sempre ad esagerare. Aveva un concetto tutto suo di rispetto, fin troppo rigido.
«Niente “per favore”. È questo il punto: dai tutto per scontato, come se potessi sempre passarla liscia e-»
La sua paternale, che ormai Emma conosceva a memoria, fu interrotta dai passi piccoli e veloci di Fanny, che correva per il corridoio in mutande e calzini, da perfetta bambina capricciosa di sette anni.
«Fanny, torna subito qui!» La sgridò Constance, uscendo dalla sua cameretta con il suo pigiama tra le mani. I capelli del colore del grano le sfioravano le spalle e gli occhi così simili a quelli di Melanie riflettevano la stanchezza di una lunga giornata. Appoggiò le mani sui fianchi ancora magri e sbuffò, senza alcuna intenzione di rincorrere la figlia che intanto era arrivata al piano di sotto. «Ron, lasciala uscire» disse poi, rivolta al marito.
Emma sorrise, sia perché le era riconoscente, sia perché era come se quella donna fosse onnipresente: aveva orecchie ovunque e succedeva spesso che intercedesse per conto suo presso l’austera autorità del padre, come altrettanto spesso finiva per essere più dura di lui.
«Come sarebbe “lasciala uscire”?» Protestò l’uomo, con un’espressione di rimprovero sul volto. Evidentemente non gli piaceva essere contraddetto nel momento in cui cercava di farsi valere, ma per quanto volesse imporsi, con Constance Benson non c’era via d’uscita. Proprio per questo Emma ne approfittò per sgattaiolare via, con ancora le labbra inclinate all’insù e l’impazienza ad accelerare i suoi movimenti.
 
«Finalmente!» Esclamò Tianna senza nemmeno troppo entusiasmo, impegnata a girarsi una sigaretta mentre ne teneva una accesa tra le labbra. Seduta sul muretto che affiancava la scalinata d’entrata della loro scuola - la Haltow High School - teneva i capelli neri più di quella notte sciolti sulle spalle e gli occhi altrettanto scuri, tanto che il più delle volte era difficile distinguere le pupille al loro interno, fissi sulle sue mani.
Emma sorrise colpevole e Pete le diede una gomitata nel fianco. «Indovina di chi è la colpa?» Chiese retoricamente, avvicinandosi all’amica.
«Sai che novità» ribatté Tianna, prendendo un tiro dalla sigaretta e riponendo quella appena finita nel sacchetto che teneva costantemente in borsa. Abbassò le palpebre e scese dal muretto, lasciando un bacio veloce sulla guancia di Emma e passando una mano tra i capelli di Pete. «Prima o poi te le taglio, queste mani» si lamentò lui.
«È già iniziata?» Le chiese Emma, riferendosi alla partita. Erano le nove e mezza passate, quindi sì, probabilmente era già iniziata da un pezzo, ma lei non poteva farci nulla se il ritardo le scorreva nelle vene.
«Non lo so e non mi interessa: basta che entriamo, perché sto diventando un ghiacciolo» fu la risposta borbottata da Tianna, mentre gettava la sigaretta a terra e infilava le mani nelle tasche della giacca in pelle grigia.
«Esistono ghiaccioli al cioccolato?» Domandò Pete, incamminandosi al fianco delle due ragazze e riferendosi alla sua carnagione scura, ereditata dalle origini keniote. Gli occhi giocosi che attendevano una risposta altrettanto divertita.
«Diventi sempre più idiota ogni giorno che passa» sbuffò la diretta interessata, alzando un sopracciglio. «Piuttosto, dov’è Dallas?»
«Stasera trasmettono Star Wars in TV» disse soltanto Emma, sapendo che sarebbe stato sufficiente.
«Sfigato» commentò Tianna sorridendo con affetto.
 
In realtà la partita non era ancora iniziata, anche se tutti si erano appollaiati sugli spalti in attesa e quelle che dovevano assomigliare a delle cheerleaders avevano preso a scodinzolare nel campo. La palestra era già allestita per la solita festa che seguiva ogni incontro e dal soffitto alto pendevano alcune decorazioni leggermente fuori luogo e dei riflettori che sarebbero serviti più tardi: era appena il ventisei Gennaio ed erano già tutti stanchi della scuola, tanto da diventare smaniosi di assistere ad una semplice partita di basket, tenuta da giocatori che probabilmente non sarebbero arrivati nemmeno a pulire gli spogliatoi della NBA, ma che comunque si facevano apprezzare.
Ben presto anche il campo dal pavimento arancione e lucido iniziò a riempirsi, prima di professori, poi di allenatori ed infine di giocatori. I Lincoln’s indossavano la divisa con i colori della loro scuola, un giallo fin troppo brillante ed un verde altrettanto appariscente: gli Haltow’s, invece, sfoggiavano con grande orgoglio il viola che aveva portato loro tanta fortuna e altrettante vittorie.
Emma si voltò verso Tianna, che le stava seduta di fianco con le gambe lunghe accavallate ed una lattina di Redbull tra le mani. Osservò per qualche istante i suoi lineamenti stranieri ed il naso dalle linee arrotondate ma armoniose, le labbra che alcuni consideravano troppo carnose e le sopracciglia fini, che erano leggermente corrucciate. Le ciglia di mascara non si prendevano nemmeno la briga di sbattere e questo spinse Emma ad intervenire. «Sei una stupida» esordì, con un sorriso ad accompagnare il movimento di dissenso del suo capo. «Perché non ci provi?» Aggiunse mentre l’altra si voltava a guardarla.
Tianna sospirò e si imbronciò leggermente, facendosi spuntare una fossetta sullo zigomo destro. «Non siamo mica tutti come te» precisò. Effettivamente l’intraprendenza di Emma era più unica che rara, ma questo non c’entrava nulla. Tianna era infatuata in modo imbarazzante del capitano degli Haltow’s da esattamente un anno e mezzo, ovvero da quando aveva messo piede in quella scuola, eppure si era sempre limitata ad ammirarlo da lontano, a parlarne al telefono con la sua amica alle due della notte e ad inciampare quando le capitava di incrociare il suo sguardo in corridoio. Come poteva non averne abbastanza?
«Non siamo nemmeno tutti come te» ribatté allora Emma. «Perché non vuoi fargli capire cosa si sta perdendo senza nemmeno saperlo? Lo sai, che ai ragazzi certe cose devi sbattergliele in faccia, per fargliele notare».
«Sì, certo, intanto se mi facessi avanti mi direbbe qualcosa come: “Ah, non sapevo nemmeno che frequentassi questa scuola”. Ed io farei la figura della sfigata che in fondo sono, perché che cazzo, sto proprio cadendo in basso con queste paranoie» sbottò Tianna, prendendo un sorso di Redbull e tornando a guardare verso il campo, dove Jaye, puro godimento per i suoi occhi, aveva cominciato a scaldarsi con qualche tiro a canestro. I capelli biondi erano tanto chiari da farlo somigliare ad un albino e la carnagione rosata cosparsa di lentiggini faceva risaltare gli occhi di un blu acceso.
«Ragazze, mi sta venendo da vomitare» intervenne Pete con tanto di faccia annoiata. Non era un grande sostenitore di discorsi del genere, nonostante fosse sempre pronto ad intraprenderli in caso di stretta necessità. Li riteneva assurdi ed inutili, un pretesto per non passare all’azione.
Tianna sospirò e «Comprami un hot dog, al posto di parlare a vanvera» rispose, indicando con un cenno del capo l’uomo che si stava aggirando tra gli spalti con troppe calorie nel contenitore che teneva tra le mani.
Intanto, mentre i due si punzecchiavano per chi dovesse alzarsi o addirittura pagare, Emma tratteneva il fiato: i suoi occhi avevano smesso di vedere altro, perché erano troppo intenti a cercare di capire se quello in campo fosse davvero il ragazzo che avevano incontrato e studiato al Rumpel più o meno tre settimane prima. Se quelli fossero davvero gli stessi capelli ricci e privi di un ordine e se quelle fossero davvero le labbra che dagli spalti non riusciva a distinguere come avrebbe voluto.
Eppure doveva essere lui, altrimenti come si sarebbe spiegata quella fastidiosa e pungente attrazione che il corpo di Emma stava sperimentando? Ogni fibra del suo essere le stava praticamente urlando di averlo riconosciuto, ancor prima della sua mente: era riduttivo dire che non si sarebbe mai aspettata di rivederlo, né di rivederlo lì, a giocare con i Lincoln’s e a palleggiare con una destrezza che non riusciva a capire se fosse percepita solo da lei perché di parte o se esistesse davvero.
Questo voleva dire che frequentava la stessa scuola di Melanie? Quanti anni aveva? E come si chiamava?
Doveva ottenere delle informazioni, doveva sperare che anche lui avrebbe partecipato alla festa di quella sera, perché non poteva negare di aver ripensato al suo sorriso sghembo ed alla sua voce roca, dopo quel primo incontro.
 
L’atmosfera nella palestra era completamente cambiata. Le luci erano spente, tralasciando i numerosi faretti che illuminavano il pavimento lucido con colori sempre diversi e movimenti a tratti confusionari. Gli spalti erano ricchi di adolescenti che non sapevano più se sdraiarsi per la testa che girava, se fare lo sforzo di scendere qualche gradino e recuperare altro da bere, o se continuare solo a ballare sulle note inesperte di un DJ improvvisato del quarto anno. A terra, c’erano bicchieri vuoti – rossi e di carta spessa, proprio come quelli dei film americani – e bibite rovesciate che rendevano tutto più appiccicoso. I tre professori incaricati di “gestire la situazione”, così come era stato comunicato, si erano arresi dopo un’ora circa: era impossibile adempiere al proprio compito, se gli alcolici in realtà proibiti continuavano ad entrare nella palestra senza indugi e se le strigliate e le promesse di punizioni o bocciature non funzionavano. Per questo si limitavano a controllare che la situazione non sfuggisse di mano, per quanto era possibile: non era nei loro interessi creare uno scandalo a riguardo, ed Emma si chiedeva come potessero adagiarsi su una scusa tanto banale e contraria a diversi principi.
Insomma, gli studenti si stavano arrangiando con ciò che avevano, senza pretendere troppo e senza impegnarsi troppo. Persino Emma non storceva più il naso nel posare gli occhi su alcuni ragazzi che si muovevano in modo alquanto discutibile sulle note di una canzone altrettanto discutibile, o quando qualcuno rischiava di rovesciarle addosso qualsiasi cosa stesse bevendo, o quando una graziosa coppietta stava per procrearsi su di lei – anzi, no: in quel caso aveva corrucciato le labbra in un’espressione di disgusto e si era spostata, imprecando con un velato «Ma che cazzo, datevi un contegno».
Si chiedeva dove fosse finita Tianna: quando l’aveva chiesto a Pete, lui aveva continuato a ballare ad occhi chiusi e poi aveva sorriso mentre rispondeva un «Non si vede niente, figurati se riesci a vedere lei» che gli aveva fatto guadagnare un pugno scherzoso sul braccio. Da circa un quarto d’ora l’aveva persa di vista, un po’ perché effettivamente quella palestra stava iniziando ad essere fastidiosamente affollata, un po’ perché lei non era di certo stata attenta.
Era impegnata ad osservare, anzi, a cercare. Tra tutta quella gente, tra tutti quei corpi un po’ sudati e un po’ irriconoscibili per le luci ed il caos, sapeva bene su cosa soffermarsi: il suo obiettivo era molto semplice e si chiamava Harry Styles. Aveva scoperto il suo nome quando lo speaker da bordo campo l’aveva elogiato per un canestro – l’unico, a dir la verità. Emma si era resa conto che effettivamente la sua bravura era reale, anche se il suo allenatore l’aveva rimesso in panchina poco dopo per una tattica di gioco che le era poco chiara: aveva anche capito che i suoi movimenti veloci e la sua pelle che si deformava per definire i muscoli contratti non erano assolutamente salutari per lei. L’aveva visto ridere apertamente con un compagno di squadra, trovandosi ad inclinare involontariamente un angolo della bocca all’insù, e l’aveva visto imprecare e scuotere la testa per un’azione senza successo o un fallo da parte degli avversari. Si era divertita ad immaginare le intonazioni della sua voce e poi si era costretta a mantenere un minimo di orgoglio personale.
Ovviamente non l’aveva più rivisto dalla fine della partita e, ovviamente, era talmente ridicola da non riuscire a pensare ad altro: c’era qualcosa, in lui, che la spingeva ad osare, in qualsiasi accezione lo si volesse intendere. Le bastava una sfuggente occhiata per sentirsi pronta a tutto, anche se non sapeva a quale scopo: semplicemente diventava propositiva e smaniosa, come se il suo intero corpo la stesse spronando a muoversi, a raggiungere la fonte di tutto quel subbuglio.
Dandosi della povera insana di mente, Emma decisa che quella sera avrebbe raggiunto solo Tianna e magari anche Pete, per rubargli ancora un po’ di Jack Daniel’s. Si fece largo tra Sarah del primo anno e Tommy del terzo, cambiò direzione quando intravide Kol e tenne gli occhi chiusi per qualche istante quando si accorse di aver evitato per un soffio una chiazza informe di quello che sembrava vomito. Alla fine, però, riuscì a giungere sugli spalti, dove salì cinque o sei scalini per avere una migliore visuale sulla palestra.
Storse le labbra per poi mordicchiarsi l’interno di una guancia, mentre si alzava in punta di piedi per scrutare la folla - e no, stavolta non per trovare Harry Styles. Sospirò alzando gli occhi al cielo e valutò le opzioni che aveva: eppure, proprio mentre stava per decidere se fosse meglio perseverare in quell’ostile ricerca o tornare in mezzo a tutte quelle persone per continuare ad ignorare le chiamate di suo padre e divertirsi, intravide una figura che sembrava quella della sua amica Tianna.
La seguì con lo sguardo, corrugando la fronte per lo sforzo, e tentò di non perderla tra la folla, muovendo piccoli passi verso sinistra per spostarsi in base a come si muoveva la sua presunta amica. Ebbe il tempo di capire che quella in realtà era Raissa, una sua compagna del corso di arte, e che probabilmente Tianna l’avrebbe uccisa nel sapere che le aveva confuse, prima di sbattere distrattamente contro qualcuno.
Cercò di non perdere l’equilibrio, anche se il gradino davanti a sé sembrava parecchio minaccioso, e si voltò subito dopo per capire chi avesse colpito.
«Harry» sussurrò, con gli occhi spalancati per la sorpresa ed il cuore leggermente agitato per quel ritrovamento tanto prezioso quanto inaspettato. Harry Styles le stava di fronte con la sua fastidiosa altezza di troppo.
Subito dopo lei sorrise con un sopracciglio alzato per la soddisfazione e «Harry», ripeté, in segno di saluto e con un tono più deciso. Lui assottigliò lo sguardo, probabilmente cercando di capire con chi stesse parlando, e continuò a tenere la sigaretta quasi del tutto consumata tra le labbra: si passò una mano dietro la nuca, ignaro del fatto che i suoi capelli fossero eccessivamente disordinati, e spostò il peso sulla gamba destra.
«Dovrei conoscerti?» Chiese poi, sporgendosi leggermente in avanti per farsi sentire, per contrastare almeno un po’ la musica alta. Emma non si aspettava affatto che si ricordasse di lei, ma questo non le dispiaceva, anzi, lo vedeva come un piccolo vantaggio. Deglutì e lanciò un’occhiata all’amico di Harry, che li stava deliberatamente ignorando, intento com’era a parlare con una ragazza forse troppo poco vestita.
«Vorresti?» Ribatté lei, sostenendo il suo sguardo. Quanto avrebbe voluto che le luci della palestra si accendessero all’istante, in modo da poter riscoprire le sfumature degli occhi che le stavano davanti e che aveva quasi dimenticato. Ora sapeva per certo che non era pazzia, la sua, e che un motivo c’era se nonostante tutto quel tempo rivederlo era stato così sconvolgente: era impossibile fare altrimenti.
Harry alzò un sopracciglio ed inclinò lentamente le labbra in un sorriso sorpreso e forse anche un po’ incerto.
«Sono Emma» si presentò, senza porgergli la mano ma inumidendosi le labbra, con la sua aria da piccola donna intraprendente. Le era impossibile resistere ad un capriccio o ad un desiderio ben più radicato: tutto ciò che solleticava la sua voluttà, cercava di ottenerlo.
«Forse ho bevuto un po’ troppo» rispose Harry, con la bocca a formare un sorriso ilare che stava per sfociare in una risata. «Ma sono comunque abbastanza sicuro di non aver risposto di sì» continuò, guardandola con divertimento. Nel suo tono di voce, non c’era traccia del velato disprezzo che anche lei usava, per esempio, quando doveva far finta che parlare con qualcuno le facesse piacere, ma c’erano sprazzi di curiosità e stupore.
«Ho risposto io per te» fu il semplice commento di Emma, mentre si stringeva nelle spalle con noncuranza. Aveva solo voglia di farlo sorridere ancora e magari di farlo avvicinare e di riuscire a sfiorarlo e parlargli e…
«Hey, Clarke!» La salutò qualcuno non molto lontano da loro. Alzò gli occhi verso il punto dal quale era provenuta quella voce e sventolò debolmente la mano destra in direzione di Matt, anche lui del corso di arte.
«Clarke?» Ripeté Harry con lo sguardo pensieroso. Si tolse la sigaretta dalla bocca e la gettò a terra, spegnendola con un piede. «Clarke come Melanie Clarke?» Domandò.
Emma fu sorpresa da quel collegamento, ma non lo diede a vedere: la infastidiva il fatto che sua sorella dovesse essere di nuovo tra lei e qualcosa o qualcuno, o anche solo il fatto che conoscesse Harry. In che rapporti erano? Lui le avrebbe accennato delle sue parole sfrontate o nemmeno se ne sarebbe ricordato?
Annuì, curiosa di vedere la sua reazione. «È mia sorella maggiore» confermò.
Harry allargò il sorriso, sbattendo le ciglia che a malapena si vedevano in quella penombra, e scosse la testa. «Sei la sorellina della piccola Melanie…» commentò, con un’espressione difficile da decifrare. Era divertito? Stupito? Soddisfatto?
Un moto di orgogliosa stizza si impadronì di Emma nel sentire l’appellativo che Harry aveva dato a sua sorella, ma strinse i pugni e lo ignorò. Ora capiva che, quando si erano incontrati la prima volta, lui aveva davvero colto la somiglianza tra lei e Melanie, nonostante l’erba che aveva fumato.
«Dobbiamo per forza parlare di lei?» Chiese, improvvisamente a disagio per l’intromissione inconsapevole di qualcun altro in quel discorso.
«E sentiamo, di cosa vorresti parlare?» La rimbeccò lui, con un angolo della bocca più inclinato dell’altro a formare un’espressione giocosa.
Emma alzò un sopracciglio e fece un passo avanti, schiudendo le labbra per respirare lentamente e per accennare un sorriso involontario, ma comunque liberatorio. Aveva il viso praticamente all’altezza del suo petto, il corpo a pochi centimetri dal suo e il mento all’insù per poterlo guardare negli occhi. Mentre ogni fibra che la componeva si tendeva per quella vicinanza, si chiedeva come dovesse essere il vero profumo di Harry: non quello che sapeva di fumo o di alcool, come in quel momento, ma quello di quando si svegliava la mattina o di quando era appena uscito dalla doccia.
«Tu che dici?» Disse, scandendo bene le parole e continuando a percepire quella voglia di fare, di dire, di essere, che Harry le provocava dentro contro ogni logica. In fondo era un estraneo e lei non sapeva assolutamente nulla su di lui: era già abbastanza? O era davvero pazza?
A quel punto, Harry rise. Rise con le fossette accentuate ai lati della bocca e facendo un passo indietro, con una mano tra i capelli e gli occhi praticamente chiusi. «Ragazzina» esclamò, affievolendo la risata. «Ragazzina, rallenta» ripeté.
Ed Emma assunse un’espressione un po’ più seria, mentre sentiva l’eco di quelle parole nella sua testa. Ragazzina.
«Ascolta…» ricominciò Harry, frugando nella tasca dei suoi pantaloni stretti e tirando fuori un contenitore di metallo sottile dal quale estrasse una sigaretta, probabilmente confezionata da lui. Continuò a guardarla, però, senza lasciarla libera nemmeno per un istante. «Apprezzo l’intraprendenza, ma andiamo… Mi sentirei una specie di pedofilo» aggiunse, scuotendo di nuovo la testa mentre un ciuffo di capelli gli ricadeva sulla fronte.
Emma si sentì offesa da quel commento, nonostante fosse consapevole dell’effetto che il suo comportamento così determinato e schietto provocava nella maggior parte delle persone: il più delle volte veniva presa per una bambina spocchiosa ed anche un po’ troppo disinibita, ma la verità era semplicemente che la sua indole era fatta di brama e capricciosa spensieratezza. Non le importava molto di cosa dovesse affrontare o di chi dovesse superare, i suoi obiettivi le erano sempre molto chiari, così come gli sforzi da compiere per raggiungerli: quando le importava, però, non lo dava a vedere.
Come in quel momento.
Si passò una mano tra i capelli lunghi e leggermente più mossi per l’umidità di quella sera, sbatté le palpebre sul blu dei suoi occhi e sorrise. «Peggio per te» furono le sue semplici parole, pronunciate l’istante prima di voltarsi e allontanarsi da Harry Styles e dalle sue labbra ancora troppo irraggiungibili, senza aspettare una risposta.
Solo allora, solo quando ebbe frapposto tra di loro una distanza di sicurezza e non fu più sotto i suoi occhi, si concesse di corrucciare la sua espressione e di sbuffare. «Vaffanculo» mormorò tra sé e sé.






 


Buongiorno!
Lo so, probabilmente vi aspettavate qualcosa di meglio (io di sicuro!), e mi dispiace! Ho corretto questo capitolo mille volte, fino a due minuti fa, però non riesco a renderlo come avrei voluto che fosse, quindi posso solo sperare che voi l'abbiate apprezzato almeno un po'!
Ma lasciamo da parte le mie paranoie: sono entrate in scena la famiglia di Emma, che per le lettrici di "It feels..." sarà di sicuro più familiare (scusate il gioco di parole ahha), e l'amica Tianna (no, non ho scelto un prestavolto da sottoporvi perché credo nell'immaginazione, così come per Pete e Dallas :)) che ovviamente ha ancora bisogno di un po' di spazio per farsi apprezzare! 
Emma incontra di nuovo Harry e be'... Diciamo che è molto diversa da sua sorella Melanie, direi l'opposto ahhaah Non prendetela per una specie di ragazza dai facili costumi, anche perché non lo è: più che altro le piace prendersi ciò che vuole, proprio come una bambina capricciosa. Ma di questo se ne parlerà in lungo e in largo per tutta la storia (Y). Emma ha quindici anni, quindi è moooolto giovane, ma vedremo cosa ne uscirà :) Su Harry non ho molto da dire, nel senso che per ora non ha alcuna intenzione di assecondare le attenzioni della "ragazzina": questa volta è il ragazzo a fare il difficile haha (Per chi non avesse letto "It feels...", la sua età e il resto verranno approfondite più avanti, lo assicuro!)
Mi piacerebbe davvero molto leggere le vostre opinioni, sapere cosa avete pensato dei personaggi e cosa vi aspettate dalla storia :)

Infine, vi ringrazio infinitamente per aver letto! Ho notato che in tantissime avete seguito/ricordato/preferito la storia, DAVVERO in molte tenendo conto che c'è stato un solo capitolo, quindi GRAZIE GRAZIE GRAZIE :)
Spero mi farete sapere le vostre impressioni, se no ormai mi consocete, vado in palla ahhaha

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre - Let's play ***




 

Capitolo tre - Let's play
 

 

Era di nuovo lunedì ed Emma era di nuovo davanti al Rumpel, con una mano a stringere la cinghia della borsa larga e l’altra a riscaldarsi nella tasca del giaccone.
Dallas le aveva proposto di studiare insieme quella dannata filosofia che proprio non gli voleva entrare in testa, invitandola a casa sua e di Pete dopo scuola, ma lei aveva rifiutato senza nemmeno accampare una scusa: aveva semplicemente risposto che era impegnata e che un qualche filosofo avrebbe potuto aspettare la sera per essere combattuto e maledetto. Tianna aveva curiosato e aveva insistito, chiedendole cosa avesse da fare e perché avesse quell’espressione furba sul viso, ma Emma aveva continuato a camminare e a non rispondere: non aveva detto a nessuno di avere intenzione di tornare in quel bar per sfidare il destino e, chissà, rivedere Harry Styles.
Il giorno dopo la partita nella sua scuola era sgattaiolata in camera di sua sorella Melanie e aveva preso in prestito i suoi vecchi annuari, poi li aveva sfogliati dall’inizio alla fine e aveva scoperto che Harry aveva diciannove anni, che nelle fotografie gli piaceva sorridere apertamente e che frequentava l’ultimo anno. Probabilmente alcuni avrebbero potuto considerarla una stalker, dato che aveva anche deciso di cercarlo pur non avendo alcuna informazione certa sulle sue abitudini, ma lei preferiva giustificarsi con il suo sfrontato coraggio nel tentare di raggiungere ciò che le si era fastidiosamente fissato in testa: aveva escluso da principio la possibilità di andare alla Lincoln High School, perché era determinata, certo, ma non era così disperata da presentarsi lì senza un motivo, e alla fine aveva semplicemente deciso che il Rumpel avrebbe potuto portarle un po’ di fortuna.
Harry era lì la prima volta che si erano visti e anche intorno alla stessa ora, quindi c’era una minima probabilità di incontrarlo di nuovo.
Non esitò ad aprire la porta laccata in blu scuro e ad immergersi nell’atmosfera molto più accogliente del bar, rabbrividendo per la differenza di temperatura ed iniziando a sfilarsi i guanti di lana, che non avevano risparmiato le sue mani dal freddo. Si guardò velocemente intorno, trovando qualche paio d’occhi posato distrattamente su di lei e forse una quindicina di persone in tutto accomodate intorno ai vari tavolini in metallo scuro, ma Harry non c’era.
Al bancone, lo stesso uomo della prima volta stava asciugando velocemente e con movimenti esperti dei bicchieri: appena alzò lo sguardo per accertarsi di chi fosse appena entrato e la vide, le sorrise caldamente rivolgendole un saluto con un semplice cenno del capo. Emma ricambiò e decise di sedersi ad uno dei pochi tavoli liberi, in un angolo del bar e accanto all’ampia finestra che dava sulla strada.
Si passò la lingua sulle labbra ed incrociò le gambe sotto il tavolo, recuperando dalla sua borsa il libro di fotografia che sua madre le aveva regalato per Natale e che lei doveva ancora iniziare: da ottima osservatrice quale era, le piaceva fotografare i particolari che la circondavano, ancora alle prime armi e con la passione che pian piano cresceva. Le piaceva perdersi nei dettagli, cogliere ciò che ad una prima occhiata passa inosservato: un po’ come gli angoli della bocca della ragazza a pochi metri da lei, che sembravano delineati in modo così preciso da sembrare finti. Le rughe scavate intorno all’occhio destro dell’anziano signore che stava leggendo un giornale al tavolo alla sua sinistra, che chissà quante ne avevano viste e quante ne avevano sopportate. O lo sguardo ammaliato del giovane uomo dall’altra parte del locale, che chissà se la sua interlocutrice riusciva a comprendere e ad apprezzare. Difficilmente Emma ritraeva una figura o un viso intero, un paesaggio dai confini indefiniti o qualcosa in cui l’attenzione faceva più fatica a trovare un punto su cui focalizzarsi: i suoi soggetti erano altri e altrettanto difficilmente li avrebbe svelati a qualcuno.
«Buongiorno, cosa posso portarle?» Chiese una voce cordiale, ma fin troppo servile. Una cameriera che avrà avuto al massimo trent’anni la stava osservando con l’accenno di un sorriso ad aspettare una risposta: i capelli biondo grano erano sistemati in una treccia sfatta sulla spalla sinistra e la frangetta le copriva le sopracciglia chiare. Gli occhi cerulei rendevano il suo viso un po’ più grazioso e forse distraevano dalla corporatura robusta, dovuta anche alla scarsa altezza.
«Un frappè al cioccolato, grazie» rispose Emma gentilmente.
 
Quando alzò lo sguardo dal libro aperto sul tavolo, si stupì di aver perso la cognizione del tempo: i clienti erano nettamente diminuiti, le luci di un caldo ocra erano state accese per compensare l’avvicinarsi della notte e dalle vetrine si poteva scorgere il cielo sopra Bradford ormai diventato scuro.
Emma tossicchiò e si stiracchiò debolmente, muovendosi sulla sedia per ravvivare la gamba destra mezza addormentata e dando un’occhiata al suo orologio da polso: senza che se ne accorgesse, si erano già fatte le diciotto e venti.
Sospirò e si rese conto di aver trasformato quel pomeriggio all’insegna della ricerca di uno sconosciuto in un momento per sé, per il suo interesse e le sue passioni: si strinse nelle spalle per niente delusa e voltò lentamente una pagina solo per sbirciare l’argomento successivo, poi raddrizzò la schiena e non ebbe modo di fare altro, perché la sua attenzione fu rapita dalla porta del bar che si apriva.
Un gruppo di quattro o cinque ragazzi stava entrando nel locale proprio in quel momento, sghignazzando probabilmente per qualche battuta appena pronunciata o per qualche aneddoto appena raccontato: quello che interessava ad Emma, però, era la presenza di Harry tra di loro.
Ormai non credeva che l’avrebbe rivisto, almeno non quel giorno, e quella piccola sorpresa non poteva che stupirla ed emozionarla al tempo stesso: strinse un po’ troppo la pagina del libro tra le mani, infatti, mentre osservava quel ragazzo camminare con gli amici fino ad un tavolo a qualche metro di distanza. Aveva i capelli intrappolati da un berretto in lana grigia ed il giaccone nero che lo rendeva ancora più magro, un sorriso largo sul volto mentre parlava a voce alta – quella voce – ed un paio di jeans di un blu scuro che aderivano alle gambe esili.
Emma respirò a fondo, senza riuscire a trattenere un sorriso di soddisfazione ed impazienza, ma non continuò a studiare i suoi movimenti, per quanto avrebbe voluto: abbassò il capo e fece finta di essere concentrata sulla sua lettura, mentre dentro di lei memorizzava la posizione di Harry e dei suoi amici. Sapeva esattamente cosa fare.
Dopo qualche minuto in cui le parole scritte nero su bianco di fronte a lei non rappresentarono altro che un miscuglio di lettere impossibile da riordinare, a causa della distrazione che la voce di Harry rappresentava per lei, Emma alzò lentamente il viso, appoggiando gli avambracci sottili sul tavolo. Dritto di fronte a sé, lui era più o meno nella stessa posizione: il maglioncino nero gli stava leggermente largo ed i suoi occhi si spostavano allegri e attenti da un amico all’altro per seguire la conversazione che li stava intrattenendo.
Emma si inumidì le labbra e «Mi scusi?» domandò, alzando la voce e una mano per richiamare l’attenzione della cameriera che si aggirava indaffarata tra i tavoli. Poi portò di nuovo lo sguardo su Harry e capì di essere riuscita nel suo intento: si era accorto di lei e la stava osservando con un’espressione confusa, stupita e giocosa al tempo stesso. Forse l’aveva riconosciuta.
Lei gli rivolse un sorriso tutt’altro che timido, quanto più consapevole e provocatorio, ma non aspettò una sua reazione: la cameriera era di nuovo al suo tavolo e lei stava ordinando una semplice bottiglietta d’acqua, prima di tornare al suo libro con gli occhi, ma non con la mente.
 
Erano passati circa quindici minuti, o forse venti al massimo, quando Emma si sentì costretta a distogliere lo sguardo dalle fotografie stampate su quei fogli lucidi, per spostarlo su qualcuno che aveva appena preso posto al suo tavolo. Dentro di lei sapeva – sperava – che fosse Harry, ma decise comunque di tenere per sé quel presentimento, limitandosi a sbattere le ciglia lunghe mentre si dava ragione e mentre Harry si schiariva la voce proprio davanti a lei.
Inarcò un sopracciglio e rimase in silenzio, soffermandosi sulle mani grandi di Harry incrociate sul tavolo e sul suo busto leggermente proteso in avanti, del quale si intravedevano di nuovo quei tatuaggi che lei avrebbe voluto osservare per intero. Quegli occhi verdi come poche cose che Emma avesse mai visto la stavano studiando senza alcuna fretta o pudore, mentre le fossette ai lati della bocca rosea e umida si mostravano al posto del sorriso che lui stava cercando di nascondere.
Emma stava soccombendo sotto quello sguardo, sotto l’irrefrenabile voglia di togliergli dalla testa quel cappello solo per passare una mano tra i suoi capelli, ma si impose di non lasciar trasparire nessuna di quelle emozioni. Alla fine, fu proprio Harry a cedere a quel silenzio fatto di parole implicite, ma palesi.
«Di nuovo tu, eh?» Chiese soltanto, inumidendosi le labbra che finalmente si concessero di inclinarsi all’insù. Doveva divertirlo parecchio quella situazione, almeno quanto divertiva lei.
«O di nuovo tu» ribatté lei, senza distogliere lo sguardo dal suo.
Harry abbassò e scosse il capo lentamente, lasciandosi andare ad una piccola risata che la fece sorridere. Quando tornò a guardarla, però, non ebbe modo di essere testimone di quella piccola reazione che lei era stata tanto brava a nascondere e mascherare. «È una coincidenza o mi stai seguendo?» Domandò ancora, imperterrito.
«Perché dovrei seguirti?» Chiese Emma, fingendo un’espressione confusa. Non le importava molto che lui le credesse o meno, ma da quella sua semplice domanda poteva ricavare due informazioni: primo, Harry si ricordava di lei abbastanza bene da poterla riconoscere a due giorni di distanza; secondo, era presuntuoso e vanitoso, perché non molte altre persone avrebbero subito pensato di essere seguite da una ragazza vista una sola volta, per quanto quell’incontro fosse stato pieno di sottintesi. Doveva avere una considerazione abbastanza alta di sé.
«Non so» rispose Harry, stringendosi nelle spalle. «Forse perché non hai intenzione di arrenderti» azzardò, con lo sguardo divertito di chi sa l’effetto che ha e di chi ne aspetta solo una conferma. Altra informazione: aveva un ego smisurato.
Emma sorrise davvero stavolta, lanciando una veloce occhiata al suo libro. «Io credo che tu abbia una fervida immaginazione» rispose, arricciando il naso sottile. Sapeva che in realtà lui aveva fatto centro, ma non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, tanto meno in sua presenza.
«Dici?» Chiese Harry, facendo schioccare la lingua sul palato.
Lei annuì e continuò con lo stomaco piegato su se stesso per la vicinanza di quel ragazzo. «Fino a prova contraria sei stato tu a venire da me» spiegò, indicando con un piccolo cenno del capo il tavolo dei ragazzi alle loro spalle. «Senza nemmeno chiedermi se potevi sederti» aggiunse, continuando a mantenere le labbra inclinate in un sorriso trattenuto.
Stavano entrambi giocando, senza dichiararlo, ma dandolo per scontato: Emma poteva soltanto sperare di riuscire a vincere.
Harry alzò un sopracciglio, giocherellando con l’anello in metallo scuro che portava all’indice destro. «Se te l’avessi chiesto, mi avresti detto di sì» puntualizzò beffardo, in un’affermazione impregnata di consapevolezza. E diamine, aveva piena ragione.
Emma aprì la bocca per rispondere di non esserne troppo certo, ma fu preceduta dalla suoneria proveniente dal suo cellulare, finito da qualche parte nella borsa. Si sporse per raccoglierlo e cercò di ignorare l’attenzione con cui Harry la stava intrappolando con i suoi occhi, poi lesse il nome di Pete sullo schermo ed accettò la chiamata.
«Pete?»
«Kent, hey!» La apostrofò lui, facendole alzare gli occhi al cielo. In sottofondo si poteva riconoscere la voce di Dallas che scherzava con Tianna. «Dove sei?»
«Sono a casa» rispose lei prima di rendersi conto di aver fatto un passo falso. Harry ridacchiò e si passò una mano dietro il collo, mentre lei sospirava ed abbassava lo sguardo sulle rifiniture del tavolo.
«Allora vieni qui. Quella filosofia del cazzo era più lunga del previsto: abbiamo finito solo adesso e vogliamo ordinare le pizze» spiegò Pete, con le parole che lasciavano trasparire il disprezzo per quella materia e la stanchezza per quella giornata.
«Preferisco di no» lo liquidò lei. «Ho intenzione di mangiare qualcosa al volo e poi studiare: se venissi da voi non lo farei e domani non avrei scampo all’interrogazione».
Harry si passò la lingua sulle labbra, attento a quella conversazione che poteva seguire solo per metà ma che stava cercando di rielaborare.
«Avanti, Kent!»
«Ci vediamo domani. E smettila di chiamarmi Kent» puntualizzò – come sempre – prima di premere il pulsante rosso di fine chiamata e riporre il telefono in borsa.
Si schiarì la voce e si sistemò la manica destra del golfino blu notte.
«Kent?» Domandò Harry, incuriosito. «Perché questo Pete ti chiama Kent?»
Doveva essere anche un impiccione. Era impressionante come fosse semplice carpire piccoli dettagli dalle sue innocue parole.
«È un motivo stupido» rispose lei in un borbottio. Notando però che il ragazzo di fronte a sé continuava ad aspettare con insistenza, non poté fare altro che sbuffare e portarsi una ciocca di capelli bruni dietro l’orecchio. «Dice che quando pensa al mio cognome o quando lo pronuncia, gli viene in mente Clark Kent, Superman o quello che è» spiegò, gonfiando le guance come una bambina per poi studiare l’ilare reazione provocata.
Harry sembrava avere la risata facile ed anche una bella risata. Emma capì di non essersi sbagliata la prima volta che si erano visti, che lui poteva davvero farla sentire bene con un semplice particolare – e di particolari da conoscere e persino da fotografare ce n’erano parecchi. L’arco della sue sopracciglia, per esempio. I nei poco accentuati sulla sua mascella. Quelli sul suo collo.
«E perché gli hai mentito dicendo di essere a casa?» Continuò Harry come se fosse avido di informazioni. Era ancora presto per immaginare che potesse essere interessato a lei, anziché a quei piccoli pretesti che stava sfruttando per farla parlare, anche perché il venerdì precedente era stato abbastanza chiaro riguardo una loro eventuale conoscenza più approfondita.
«Hai intenzione di farmi un interrogatorio?» Lo rimbeccò Emma, inclinando leggermente il capo di lato. Non le dispiaceva rispondere a quelle domande, perché non le dispiaceva affatto poter osservare ogni cambiamento di espressione del suo viso o i movimenti delle sue iridi che sembravano più scure a causa delle luci soffuse, ma non era disposta a rivelare le proprie carte.
Harry alzò le mani come in segno di resa, appoggiandosi allo schienale della sedia e arrendendosi a quell’osservazione: probabilmente sapeva di avere insistito leggermente troppo, soprattutto dato il loro pseudo-rapporto che non aveva nemmeno una direzione.
«Perché sei venuto da me?» Insistette lei, diretta, puntellando il gomito destro sul tavolo e posando il mento sul pugno chiuso della mano. Era in uno stato di attesa curiosa e si sentiva quasi padrona della situazione.
«Te l’ho detto, volevo capire se mi stessi seguendo» rispose lui lentamente, tornando ad accostare gli avambracci alla superficie di metallo che li separava.
«Ma ora hai la risposta, quindi cosa fai ancora qui?»
«Come se ti dispiacesse».
«In effetti sì, mi dispiace».
«Ah, davvero?»
«Stavo leggendo, se non l’avessi notato».
«L’ho notato, sì».
«E vorrei continuare a farlo».
«Non sarò di certo io ad impedirtelo».
Harry le rivolse un sorriso sghembo, ricco di divertimento provocatorio, e si morse il labbro inferiore forse sperando di averla messa a tacere, ma non si mosse dalla sedia. Emma, d’altra parte, continuava a sostenere il suo sguardo con un sopracciglio alzato per la competizione che in un attimo aveva preso il sopravvento e per l’indecisione riguardo le proprie aspettative: doveva ammettere che il suo comportamento la stava confondendo, anche se non era di certo uno svantaggio.
Prese un sorso dalla bottiglietta d’acqua solo per occupare quei lunghi secondi di silenzio, anche se non sarebbero mai bastati a metterla in soggezione: doveva semplicemente aspettare e fingere di non sentire il suo sguardo oltrepassarla, di non provare il bisogno di sostenerlo ad oltranza non per una sfida, ma per semplice piacere. Si schiarì la voce e dedicò la propria attenzione al libro davanti a sé, leggendo mentalmente qualche frase in modo distratto.
Le veniva da ridere e quasi cedette alla tentazione quando sentì Harry fare lo stesso, sommessamente e probabilmente scuotendo la testa. «Che c’è?» Gli chiese tranquillamente, mostrando un’innocenza che non era di certo una sua prerogativa.
«Sei divertente, ragazzina» rispose lui, indicandola con l’indice sinistro e socchiudendo gli occhi.
Emma sbuffò: «Lo so» ammise piccata. «Tu invece lo saresti di più, se smettessi di chiamarmi in quel modo», aggiunse. Perché la maggior parte delle persone intorno a lei doveva ostinarsi ad usare diminutivi e soprannomi, quando si trattava di lei? Persino sua sorella Fanny aveva iniziato a chiamarla “Mema”, qualche anno addietro: ma almeno lei non era in grado di pronunciare a dovere il suo nome, all’epoca. Gli altri che scusa avevano?
«Già, è che… Non penso di ricordarmi il tuo nome» spiegò Harry, assumendo un’espressione che sarebbe dovuta essere dispiaciuta per quella gaffe, ma che sembrava più beffarda del solito. Lei incassò il colpo inaspettato e per un attimo ci rimuginò su: forse il fatto che l’avesse riconosciuta l’aveva portata a sperare in qualcosa di troppo, dato che l’aspetto fisico era sicuramente più facile da memorizzare, rispetto ad un nome pronunciato una sola volta ed in mezzo alla musica e al vociare di una festa.
«Mi chiamo Emma» sospirò, chiudendo con delicatezza il libro e riponendolo senza fretta nella sua borsa. Non che si fosse sentita punta nell’orgoglio per quell’inconveniente – forse – ma doveva proprio tornare a casa, o sua madre l’avrebbe rimproverata per il ritardo, e un’ulteriore discussione non era proprio nei suoi programmi per la serata.
Mentre indossava di nuovo la sciarpa, Harry continuò a guardarla con i pensieri nella sua testa fin troppo difficili da svelare. «Non te la sarai presa» ghignò, rimanendo seduto quando lei si alzò in piedi per infilarsi la giacca.
Emma sorrise senza guardarlo. «Ci vuole ben altro, credimi» rispose soltanto.
Lui si passò la lingua sulle labbra ed inclinò la testa da un lato, continuando ad osservare i suoi movimenti come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Buona serata» gli disse lei in segno di saluto e quello sorrise ancora una volta – chissà se in qualche occasione riusciva a farne a meno – rivolgendole un cenno del capo.
«Anche a te, ragazzina» esclamò per infastidirla.
Emma alzò gli occhi al cielo sbuffando un sorriso, gli voltò le spalle e si diresse al bancone per pagare: il barista aveva dei lineamenti ancora più armoniosi di quanto non sembrassero da lontano. La mascella spessa era ricoperta da un folto strato di barba nera, anche se sottile, e gli occhi piccoli e di un castano chiaro spiccavano ai lati del naso dritto. Aveva i capelli corti e scuri, che scoprivano la fronte ampia, ma non per questo di sgradevole aspetto. La sua voce, inoltre, era addirittura più roca di quella di Harry mentre la ringraziava per i soldi.
«Posso chiederle una cosa?» Domandò Emma, moderando il tono di voce quasi qualcuno avesse potuto sentirla.
L’uomo corrugò la fronte. «Certo» disse gentilmente.
«Conosce Harry?» Osò, senza indicarlo o voltarsi a guardarlo.
Il suo interlocutore ridacchiò bonariamente prima di rispondere. «Ti ha per caso importunata?»
Lei scosse il capo con un sorriso per quella curiosità. «No, volevo solo sapere se viene qui spesso» spiegò.
«Mi tocca vedere la sua faccia quasi ogni giorno, sì» fu la risposta evidentemente affettuosa. «Posso sapere perché ti interessa?»
«Nel caso mi venisse voglia di farmi importunare» scherzò, facendolo ridere sonoramente.
«Allora immagino che ci rivedremo» esclamò l’uomo, assottigliando gli occhi per assecondare il sorriso allegro che le stava rivolgendo.
Lei annuì. «A presto» confermò, prima di voltarsi e ripercorrere i propri passi fino alla porta del bar.
Non provò nemmeno a cercare Harry o il suo sguardo, perché non si sarebbe abbassata a tanto. Nonostante scalpitasse per sapere se la stava ancora osservando, non voleva dargli quella soddisfazione. Semplicemente camminò a testa alta e si infilò i guanti quando il venticello di quel lunedì la colpì meschinamente, mentre la porta si richiudeva dietro di lei con un tonfo acuto e fastidioso: immersa nell’aria fredda e nel buio precoce, oltrepassò il bar lentamente e sorrise a qualcuno che non poteva più vederla.






 


Buongiorno!
Come state fanciulle? Io sono sommersa dallo studio e sono quasi costretta a saltare i pasti per avere tempo di fare tutto ahhaha Quindi apprezzate i miei sforzi, nonostante il piccolo ritardo (Y)
Detto questo.... Capitolo esclusivamente su Emma ed Harry (che spero non abbia fatto schifo insomma hahah): di nuovo si può vedere quanto Emma sia intraprendente e per niente insicura o timorosa. Sa esattamente quello che vuole, conosce le proprie potenzialità e non si dà per vinta facilmente (il fatto che rovisti tra gli annuari e che torni al bar non è diverso da quello che fanno la gran parte delle ragazze, diciamocelo ahah). Comunque ha un modo tutto suo di agire, tant'è che lascia che sia Harry ad avvicinarsi, quasi facendo la finta tonta: ora, i loro piccoli battibecchi, sempre se così si possono chiamare, non sono affatto dettati da un'antipatia o menate varie. Ci tengo a precisarlo perché non è quel tipo di storia: semplicemente, entrambi si divertono a provocarsi, anche se con intenzioni diverse. Harry non ha ancora cambiato idea su di lei (non si ricorda nemmeno il suo nome il deficiente hahah), ma è un impiccione sfrontato (chi ha letto "It feels..." lo sa bene) ed Emma lo incuriosisce!
Sto parlando troppo, come sempre...Basta, mi ritiro ahahah Vi anticipo soltanto che nel prossimo capitolo ci sarà un altro piccolo aspetto di Harry, qualcosa che chissà se riuscirà ad intaccare la determinazione di Emma :)

PS. non che ve ne possa interessare qualcosa, ma il giorno in cui è ambientato questo capitolo è lo stesso in cui Melanie conosce Louis al supermercato :))))

Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, o vi abbia almeno incuriosito! Aspetto i vostri pareri e vi ringrazio infinitamente per tutto <333

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.
  
  

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro - Told you ***




 

Capitolo quattro - Told you
 

 

Il giorno dopo Emma non tornò al Rumpel, sia perché l’interrogazione di filosofia alla fine era andata male e suo padre non l’aveva apprezzato, sia perché non era sua intenzione.
Il secondo giorno decise di tornarci e trovò Harry al bancone del bar, che la guardava con la fronte corrugata ed un sorriso stupito sul volto. Lei si sedette al solito tavolo e studiò la lezione di biologia di quella mattina, senza mai alzare lo sguardo e senza che il suo obiettivo le si avvicinasse come l’ultima volta. Solo alla fine, quando Emma si mise in piedi per rivestirsi e lasciare il locale, i loro occhi si incontrarono per salutarsi a metri di distanza e a sorrisi ben delineati.
Il terzo giorno arrivò in ritardo ed Harry non c’era, ma non mancò di ordinare un thè caldo e di leggere un altro capitolo del libro di fotografia, seduta comodamente e al caldo a quello che ormai considerava il suo tavolo. Lui arrivò quando lei stava andando via, un’oretta più tardi, perché Pete aveva un assoluto bisogno della sua mente lucida per risolvere i problemi di matematica – “Lo sai anche tu che quella vecchia stronza mi boccia, se non recupero”. Harry si trovò ad aprire la porta proprio mentre lei stava per fare lo stesso, quindi entrambi si fermarono sulla soglia per la sorpresa e per osservarsi meglio, poi Emma gli rivolse un cenno del capo per salutarlo e lui scosse la testa alzando gli occhi al cielo con divertimento, prima di lasciarla passare ed entrare nel bar.
Il quarto giorno Emma restò a casa ed il quinto non uscì da sola.
«Ripetimi da quando hai la passione per questo posto?» Domandò Tianna, con un elastico stretto tra le labbra e le mani a raccogliere i capelli folti in una coda alta, mentre varcavano la soglia del Rumpel.
«Ci sono venuta un paio di volte, non è male» rispose l’amica, alzando le spalle e guardandosi intorno. I suoi occhi ormai erano addestrati alla ricerca di un soggetto ben preciso, un soggetto che non si stancavano mai di osservare per carpirne nuovi particolari: Harry era seduto ad un tavolo al centro del locale, circondato dai soliti amici e con in mano una sigaretta da girare.
«Come vuoi» sbuffò Tianna, dirigendosi verso il bancone.
Emma alzò un sopracciglio e sentì Pete borbottare qualcosa riguardo la temperatura eccessivamente alta e Dallas rimproverarlo di essere un rompiscatole. Aspettò di attirare l’attenzione di Harry per inclinare le labbra in un mezzo sorriso provocatorio e seguire i suoi amici subito dopo, ripercorrendo nella sua mente il modo in cui il suo viso si era smorzato in un’espressione allibita e arresa.
Ty, il barista con il quale ormai aveva stabilito un buon rapporto, la guardò con divertimento perché sapeva già quali fossero le sue intenzioni, ma non disse niente a riguardo e si premurò di prendere le ordinazioni di quei quattro ragazzi con la solita allegria professionale e con i soliti occhi calorosi.
«Comunque, quello lo conosco» esclamò Tianna, afferrando il bicchiere colmo di succo di frutta alla pesca ed indicando un punto alle loro spalle.
Emma si voltò subito, spinta dalla curiosità, e rimase soddisfatta quando si rese conto che la sua amica si stava riferendo ad un ragazzo del gruppo di Harry, anche se non avrebbe potuto indicare quale, precisamente.
«È uno di quelli che ti limiti a guardare da lontano sperando che prima o poi ti noti?» Domandò Pete con la sua nota delicatezza, sghignazzando con le labbra sottili intorno al bordo della tazza di cioccolata calda alla cannella. Tianna lo fulminò con lo sguardo e Dallas si schiarì la voce, chiedendo: «Quello chi, scusa?»
«Quello con la felpa grigia ed i capelli neri, si chiama Walton. Mio fratello gli dava ripetizioni di trigonometria qualche anno fa» spiegò lei, tornando a girarsi dall’altra parte. Suo fratello aveva ventitré anni e studiava in un college fuori città, ma aveva frequentato la loro stessa scuola.
Emma si soffermò sul protagonista del loro discorso, osservandone il mento appuntito ed il naso sporgente che si incastrava tra due occhi fin troppo sottili e neri: gli zigomi alti inasprivano i suoi lineamenti e sembrava di corporatura molto esile. Era seduto proprio accanto ad Harry ed era impossibile non notare le differenze, la sua palese inferiorità in fatto di aspetto fisico che quella semplice vicinanza faceva risaltare.
«Madre Natura non è stata affatto carina con lui» commentò Dallas, corrucciando le sopracciglia e sospirando mentre appoggiava le mani sul bancone lucido.
«No, però è molto simpatico» confermò Tianna annuendo convinta. «Vi piacerebbe» aggiunse.
Pete alzò un sopracciglio. «Sei poco affidabile in queste cose» commentò. «L’ultima volta che hai detto che qualcuno era simpatico, si è rivelato un egocentrico smanettone che non capiva nemmeno una battuta».
«Per questo era simpatico!» Fu la risposta accompagnata da una leggera risata.
Emma sorrise e si passò la lingua sulle labbra, spiando ancora una volta in direzione di Harry e dei suoi amici: se Tianna aveva una conoscenza nel suo gruppo, c’era la possibilità di sfruttarla.
 
Emma rise per la battuta di Dallas e prese un altro sorso dal suo bicchiere ormai mezzo vuoto. Erano lì da circa quaranta minuti e Tianna si era innamorata di Ty, arrivando persino a sostenere che avrebbe volentieri “assaggiato un dolce di vecchia data”, espressione che aveva fatto arricciare le labbra di Pete in segno di disgusto.
Mentre teneva una mano davanti alla bocca aperta per l’ilarità e gli occhi socchiusi per le lacrime che il divertimento le stava provocando, non seppe esattamente cosa la spinse a voltarsi verso sinistra: quando lo fece, però, notò che Harry non era più seduto al suo tavolo, ma che stava camminando nella sua direzione.
Tornando seria lentamente, lo guardò negli occhi per poi concedersi di ammirare le sue gambe magre ed il maglione largo che nascondeva le forme del suo busto ben definito. Gli avrebbe sorriso, se lui non l’avesse preceduta rivolgendole un segno del capo con il quale la invitava a seguirlo. Lei corrugò la fronte e lo osservò scomparire nel corridoio che portava ai bagni, poi mormorò una scusa ai suoi amici e scese dallo sgabello chiedendosi cosa si sarebbe dovuta aspettare.
Harry era al centro del corridoio, proprio dove si erano incontrati la prima volta, ed il vociare chiassoso del bar era ormai solo un sottofondo poco fastidioso: alzò lo sguardo su di lei mentre Emma si avvicinava lentamente e con la curiosità a ribollirle nelle vene.
Quando a separarli ci fu solo un metro scarso, fu lui stesso a parlare per primo. «Si può sapere cosa vuoi?» Domandò senza alcuna intonazione negativa, ma con un angolo della bocca più inclinato dell’altro a formare una piccola smorfia di incomprensione.
Emma piegò leggermente il capo da un lato e si strinse nel maglioncino verde scuro. «Di cosa stai parlando?» chiese a sua volta, nonostante sapesse già la risposta.
Harry, infatti, sbuffò un sorriso e scosse la testa: ogni suo movimento era lento, pienamente controllato. «Credi davvero che i tuoi giochetti e la tua aria da finta innocente possano fregarmi?»
I suoi occhi divennero più sottili mentre la scrutavano indagatori e per un attimo sembrò che avesse cessato di stare al gioco: aveva smesso di assecondarla e le aveva comunicato di conoscere meglio di lei quel bluff che stava portando avanti con tanta decisione.
Emma inspirò a lungo, riempiendosi i polmoni: non si sentiva scoperta o intrappolata, anzi, era quasi sollevata da quella chiarezza che finalmente si stava insinuando tra di loro. Amava provocare, ma amava ancora di più avere in pugno dei risultati.
«Sai benissimo cosa voglio» rispose, inarcando un sopracciglio e le labbra in un sorriso.
«Credevo di essere stato chiaro alla festa» esclamò Harry, passandosi una mano tra i capelli disordinati e tirando in ballo il suo rifiuto tutt’altro che delicato. «Eppure eccoti qui, improvvisamente cliente abitudinaria di questo bar ed in attesa di qualcosa che non ho intenzione di darti» aggiunse, abbassando leggermente il tono di voce. La sua vena solitamente divertita si stava smorzando in qualcosa di diverso, forse stanchezza.
Emma sbatté più volte le palpebre, indifferente a quella velata lamentela da parte sua. In fondo era quello che aveva sempre sperato di ottenere: la determinazione non era sempre ben vista o tollerata e c’era da sperare che avrebbe portato ad un punto di rottura, dal quale sarebbe potuta nascere una svolta. «Allora si direbbe che io sia testarda almeno quanto te» rispose lentamente, facendo un passo in avanti.
«Cristo Santo» mormorò Harry, abbozzando una risata che non prevedeva lo sguardo su di lei, la quale sorrise di rimando. «Hai quindici anni» disse corrugando la fronte e sottolineando quell’insignificante numero, che probabilmente per lui aveva più valore. Emma non si chiese come potesse essere così sicuro della sua età, perché se conosceva sua sorella Melanie poteva anche sapere qualcosa riguardo la sua famiglia, ma si sentì stanca di quel discorso.
«E tu diciannove, dov’è il problema?» Chiese, sfumando il divertimento della sua voce in qualcosa di più duro ed incrociando le braccia al petto.
«È proprio questo il problema» ribatté lui, con un’espressione incredula, ma comunque segnata da un lieve sorriso.
«Non capisco. Non mi conosci nem-»
«Neanche tu conosci me, eppure-»
«Non mi conosci nemmeno» lo interruppe con calma esigente. «Non puoi sapere se io sia una piccola bambina immatura, quindi perché ti complichi la vita?»
«Perché so già che non sei quello che voglio» rispose lui prontamente, mettendo finalmente da parte qualsiasi ghigno lo avesse mai caratterizzato. Aveva creato una piccola crepa nello scudo di intraprendenza di Emma: minuscola e quasi insignificante, ma c’era. Le sue erano tutte stronzate: non aveva idea di quello che lei avrebbe potuto offrirgli o di cosa sarebbe potuto esserci tra di loro, come neanche lei poteva saperlo. Come riusciva a mettere le mani avanti a priori?
«Perché insisti così tanto?» Domandò Harry senza aspettare una sua risposta. Aveva la voce roca più bassa del solito, stranamente seria, e lei avrebbe voluto non essere costretta a notare ogni sua inflessione, sempre diversa e mai banale.
«Perché sono disposta a dimostrarti che tutto questo problema dell’età è solo una cazzata» spiegò Emma. Era più decisa del solito, forse perché la sua attrazione nei confronti di Harry era stata affiancata dal fastidio per quel suo ragionamento infondato, dalla sensazione di essere sottovalutata mentre lei sapeva perfettamente ciò che valeva, quindici o non quindici anni. «Perché voglio almeno provarci» aggiunse.
Harry sospirò e la guardò seriamente per qualche secondo, durante il quale sembrò che tra di loro si stesse tenendo una tacita prova di forza. Poi si inumidì velocemente le labbra ed abbandonò per un attimo il contatto visivo. «Provarci, eh?» Ripeté, tornando con gli occhi su di lei ed avvicinandosi di un passo. «Allora facciamo a modo mio, ti va?» Chiese, abbassando il tono di voce e muovendo un altro passo in avanti.
Emma si trovò con la schiena a sfiorare il muro alle sue spalle e con il mento all’insù per poter sostenere lo sguardo di Harry, che in quel momento le stava tanto vicino da toccarle il maglione largo ad ogni inspirazione. Non rispose a quella proposta, perché era più curiosa di sapere a cosa si riferisse, e non reagì nemmeno quando l’avambraccio sinistro di Harry andò ad appoggiarsi contro il muro, creando quella che sembrava la parete della gabbia che lui stava formando con il suo corpo slanciato e chino su di lei.
Emma sentì il cuore giocarle un brutto scherzo, perdere per un attimo la sua naturale padronanza ed il controllo, perché aveva quelle labbra così vicine da essere quasi fastidiose. E sentiva il suo vero profumo. Poteva finalmente farlo, assaporarlo mentre Harry le respirava sul viso ed imprimerlo nella propria memoria. Non sapeva se quella piccola soddisfazione avrebbe finito per torturarla, ma lo temeva.
Harry non faceva altro che guardarla negli occhi blu, immobili e temerari contro quello che avrebbe potuto rivelarsi un inganno, né si concedeva di spiare altri suoi particolari: teneva il proprio viso a pochi centimetri dal suo e respirava lentamente, con la bocca schiusa e rosea, pura lussuria per Emma.
Ed Emma, con le sue mani piccole strette a pugno per scaricare l’adrenalina e lasciate lungo i suoi fianchi, cercò ancora una volta di ottenere ciò che bramava. Si alzò in punta di piedi e tentò di raggiungere le labbra di Harry, incapace di resistere. Dovette incassare la sconfitta, però, quando quelle si allontanarono di riflesso inclinandosi in un sorriso beffardo, simile ad una presa in giro e ad una consapevolezza ben delineata.
Avrebbe gonfiato le guance in segno di insoddisfazione, se solo non si fosse trovata a dover interpretare parole e movimenti che la stavano plasmando contro la sua volontà. «No» sussurrò infatti Harry, avvicinando di nuovo il viso al suo con una lentezza destabilizzante.
Non poteva farle quello, non poteva sfidarla in quel modo pur avendo già avuto un accenno della sua impazienza esasperata. Eppure alzò la mano destra tra i loro corpi e la accostò alla guancia di Emma, sfiorandola con l’indice e provocando dei brividi su quella pelle bianca e cosparsa da leggere lentiggini, invisibili per il periodo dell’anno e per la cipria che serviva a nasconderle.
Di nuovo, il cuore della ragazza stentò a mantenere in piedi quel teatrino di compostezza che recitava da un po’ di tempo.
Harry, per la prima volta, si soffermò con lo sguardo su qualcosa più in basso, sulle labbra umide di Emma, sulle quali passò delicatamente il pollice invitandole a schiudersi. Ma loro non lo fecero, distratte da quel contatto tanto inaspettato quanto infimo.
Poi il suo pollice scese sul suo mento, mentre Emma si appiattiva involontariamente contro la parete fredda alle sue spalle, e la sua mano si fermò sul suo collo, coprendolo con il suo ampio palmo e con il suo calore. Le dita che le sfioravano l’attaccatura dei capelli.
C’era qualcosa di estremamente studiato in tutti quei movimenti, come se fossero stati uno schema da seguire del quale si aspettavano solo i risultati, eppure avevano anche una sfumatura di naturalezza, come se Harry non potesse essere capace di altro: Emma lo sentiva ancora, il suo respiro regolare sulla pelle, e sentiva il proprio che a tratti veniva sospeso, in attesa. Sentiva le unghie conficcarsi nei propri palmi per lo sforzo di non posarsi sul corpo di Harry e sentiva la voglia di smettere di ascoltarlo, di alzarsi ancora una volta in punta di piedi e baciare quelle sue labbra sfacciate e sadiche, come se avesse potuto punirle.
Quando la mano di Harry si allontanò dal suo collo, lei si mosse impercettibilmente, disturbata. «Ferma» la ammonì di nuovo, sfiorandole la parte alta del petto con i polpastrelli in una carezza casuale e leggera. Le iridi verdi e torbide erano di nuovo fisse nelle sue, come ad intimorirla.
Emma serrò la mascella in un atto fiero, quasi avesse voluto dimostrare che non gli stava dando ascolto perché era costretta a farlo, ma solo perché aveva deciso di concederglielo. Perché, in fondo, con le sue mani su di sé ci sarebbe stata per altre ore.
E intanto proprio una di quelle mani stava continuando il suo percorso, stava scendendo lungo il suo addome per poi spostarsi sul suo fianco magro e ancora coperto dalla lana. La stava torturando.
Lei si morse un labbro quando sentì le dita forti e affusolate di Harry stringerle la pelle e contemporaneamente attirarla contro il suo corpo: si ritrovò con la schiena leggermente inarcata per l’eccessiva vicinanza e per lo sforzo di guardarlo negli occhi.
Lui sorrise di nuovo, sfacciato padrone della situazione, e spostò il viso verso di lei, fino ad accostarlo al suo come se avesse voluto bisbigliarle qualcosa all’orecchio: il suo respiro si infranse tra i suoi capelli sciolti e solo allora Emma si concesse di chiudere gli occhi e di far trasparire un po’ dell’emozione dirompente che stava provando. Per tutto quel tempo aveva dovuto combattere e sostenere il suo sguardo nella speranza di non dargliela vinta, di non fargli conoscere ciò che in realtà il contatto tra di loro stava provocando in lei, ma finalmente poteva fare una pausa, indebolirsi.
Harry scese a sfiorarle il collo magro con il naso, facendola pregare mentalmente affinché le sue labbra potessero posarsi sulla sua pelle almeno una volta, almeno quella. Ma non lo fecero, né lui reagì quando Emma si abbandonò all’istinto irrefrenabile di aggrapparsi al suo braccio e al suo busto, di sentire la sua schiena contratta attraverso il maglioncino.
Poi la mano destra che fino a quel momento aveva giocato sporco, decise di spingersi oltre: si spostò e permise alle dita di Harry di giocare con l’orlo dei jeans di Emma, spingendosi forse un centimetro sotto la stoffa stretta. Lei riaprì gli occhi e schiuse le labbra, inumidendosele e chiedendosi se anche lui stesse facendo lo stesso. Abbandonò l’impresa di dare un contegno al proprio cuore e respirò con la bocca.
Harry camminò sul suo addome con i polpastrelli sempre delicati e falsamente innocenti, fino ad arrivare ai bottoni dei suoi jeans chiari: quando li afferrò lentamente per farli uscire dalle asole, Emma lasciò scappare dalle proprie labbra un soffio più intenso. Probabilmente era stata la sorpresa, probabilmente il mero piacere per quel corpo contro il quale si stava stringendo, probabilmente l’impazienza per qualcosa di mai sperimentato o proprio la paura di quel qualcosa che non era sicura di voler provare, ma aveva sussultato impercettibilmente.
Lo sentì sorridere, con la bocca accanto al suo orecchio destro e la mano finalmente arrestata da quella lenta tortura. «Te l’ho detto» sussurrò piano. «Sei solo una ragazzina» aggiunse prima di allontanarsi con calma da lei, ancora rapita da quegli ultimi minuti, e camminare via con il capo chino e quella mano a rendere i suoi capelli ancora più disordinati.
Quando Emma lo vide scomparire dietro l’angolo, aveva ancora il petto che si alzava e si abbassava velocemente, come se lui fosse ancora lì a prendersi gioco di lei e della sua intraprendenza. Aveva gli occhi spalancati ed il profumo aspro di Harry nelle narici.
Si stupiva di se stessa, perché l’aveva lasciato andare senza protestare e senza muovere un muscolo, come fosse stata priva di qualsiasi granello della sua solita forza, ma era anche allibita e delusa da qualcosa che non si sarebbe aspettata: ovviamente le intenzioni di quel ragazzo erano ormai molto più chiare. Quando le aveva confessato di essere certo che lei non fosse ciò che cercava, sicuramente intendeva dire che non voleva avere a che fare con una quindicenne alle prime armi che fingeva di essere altro: preferiva qualcuno di più esperto, magari, ancora più disinibito di lei e con il quale avrebbe potuto divertirsi alla prima occasione. E aveva voluto dimostrarglielo, spingendola all'esasperazione e testando la sua determinazione per conoscerne i limiti: evidentemente ciò che aveva constatato aveva solo rafforzato le sue riserve, portandolo ad allontanarsi ancora prima di essersi avvicinato.
Emma non progettava di vivere in uno stato di clausura, questo era ovvio, ma era fermamente convinta che concedersi al primo ragazzo sulla sua strada non fosse dignitoso, né giusto: non voleva fare la preziosa o simili, ma credeva che fosse legittimo avere dei freni di sicurezza in situazioni del genere. Per quanto l’emozione provata per le mani di Harry sul proprio corpo si fosse rivelata prorompente e totalizzante, non si sarebbe fatta accecare. Probabilmente, anche se avesse già avuto quel tipo di esperienze, non avrebbe ceduto così facilmente ad Harry, non così presto: se lui voleva altro, se preferiva un gioco più semplice da vincere, lei non si sarebbe piegata alla sua volontà con uno schiocco di dita o uno dei suoi sorrisi.
Era determinata, non stupida.




Buongiorno!
Mi ero ripromessa di non aggiornare ancora per qualche giorno, anche perché fino a ieri il capitolo non era pronto, però poi l'ho finito e ormai mi conoscete: i capitoli terminati non ci vogliono proprio stare nel mio computer hahah Spero abbiate apprezzato la sorpresa!
Ma comuuuuuunque, passiamo alle cose importanti: ovviamente Emma torna più volte al Rumpel ed Harry ne approfitta per mettere le cose in chiaro! Come spero di aver lasciato trasparire, Harry non ha voglia di stare dietro ad una ragazzina di quindici anni senza esperienza, per questo continua a dirle che è piccola etc etc. Tant'è che per provarglielo (e per provarlo anche a se stesso, dato che non poteva esserne certo), la mette alla prova in un modo in pieno stile Harry Styles di questa storia: avrete modo di conoscere meglio la sua personalità e i suoi modi di fare, ma questo è già un indizio! La piccola esitazione di Emma infatti gli basta per avere una conferma! Ora, io per questo suo aspetto ho preso spunto da alcuni miei amici (sì, sempre quelli un po' pervertiti di cui ogni tanto vi racconto.........) che non hanno voglia di lavorarsi le ragazze e preferiscono avere la pappa pronta: credo sia una cosa comune a moltissimi ragazzi, anche al mio Harry :) Voi cosa ne pensate? La sua è una motivazione abbastanza banale ma anche realistica, credo: stranamente non mi sono buttata su niente di eccezionale o misterioso aahahha
Riguardo Emma, l'ultima frase del capitolo esprime esattamente ciò che vorrei dire :)
(Spero che la parte tra di loro non sia risultata noiosa, so che spesso mi perdo nei dettagli, è più forte di me!)

E niente, vi ringrazio come sempre per tutto l'appoggio, per i complimenti e le recensioni! Sono felice che la storia vi piaccia e che siate già così in tante a seguirla :) Fatemi sapere le vostre opinioni :)


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Capitolo 5
*** Capitolo cinque - Choking ***




 

Capitolo cinque - Choking
 

 

«Ma sei sicura che questa Gae si ricordi di te?» Chiese per l’ennesima volta Dallas, facendo comparire una nuvoletta di condensa di fronte al suo viso per la temperatura rigida di quella sera. Teneva le mani in tasca e la bocca nascosta dietro il collo alto del parka grigio: gli occhi cerulei si spostarono su Tianna, che stava suonando alla porta nonostante la musica ad alto volume rendesse pressoché impossibile udire lo stridore del campanello.
«Che differenza fa?» Ribatté lei a bassa voce, sistemandosi velocemente l’orlo del vestito bianco che contrastava nettamente con la sua carnagione del colore del caffè. I capelli scuri erano legati in un una treccia sulla spalla destra e gli occhi simili a dei pozzi neri risaltavano ancora di più con il mascara a contornarli.
«Certo che siete proprio stupidi» commentò Pete con la solita delicatezza, mentre si premurava di superare i loro amici ed aprire la porta senza troppe cerimonie. Immediatamente il volume della musica sembrò alzarsi di molti decibel ed il baccano creato dalle decine di persone in quella casa inondò le loro orecchie: entrarono senza preoccuparsi di essere riconosciuti o meno e mettendo da parte le buone maniere che li avevano trattenuti dal farlo.
Emma si guardò intorno per avvistare facce conosciute e per sbirciare i nuovi volti che ad una festa non mancano mai: togliendosi la giacca in pelle, la appoggiò al proprio braccio e controllò che il proprio abito fosse in ordine. Il corpetto nero e ricamato a tratti piccoli le stringeva un po’ troppo l’addome, ma come aveva fatto notare Tianna metteva in evidenza il suo seno poco sviluppato: al di sotto, una cintura fine e dello stesso colore interrompeva quella fantasia per lasciare spazio ad un tessuto uniforme e aderente, che le copriva sì e no un terzo delle cosce. A quel punto era toccato a Dallas commentare: “E ti fa anche un bel culo!”
Si spostò i capelli sciolti e lisci dietro le spalle e sorrise a Pete, che era già riuscito a recuperare un cocktail da chissà dove, porgendoglielo e muovendosi a ritmo della canzone suonata in quel momento. Quando ne bevve un sorso, seguendo i suoi amici e stando attenta a non inciampare nei tacchi in velluto nero, si accorse di avere tra le mani qualcosa che somigliava alla vodka, ma che sapeva anche di gin: qualcosa di disgustoso.
«Questa non è una casa, è un fottuto castello» commentò Dallas guardandosi intorno: effettivamente le stanze erano ampie e di sicuro numerose, dato che la casa si estendeva almeno su due piani. Gli oggetti che alcune persone già ubriache stavano maneggiando con poca cura sembravano parecchio preziosi, così come i tappeti del salotto, sui quali certamente era già caduto dell’alcool. I genitori di quella Gae non sarebbero stati molto contenti.
E pensandoci bene nemmeno Ron Clarke sarebbe stato felice di sapere che sua figlia gli aveva mentito spudoratamente, quando gli aveva detto che lei e Tianna avrebbero dormito da Dallas e Pete perché i loro genitori erano fuori città. Il fatto era che non se ne parlava proprio di chiedere di andare ad una festa di lunedì sera, ma Tianna era a pezzi moralmente quindi era indispensabile farla distrarre: la mattina stessa, per i corridoi della Haltow High School, la sua cotta più che segreta – conosciuta anche come Jaye Foster, il famoso capitano della squadra di pallacanestro – era stata avvistata dai suoi occhi attenti mano per mano con una certa Judith del quarto anno. Era stata lei stessa a proporre di andare alla festa di Gae, una senior con la quale aveva parlato forse tre volte, ma che era sembrata essere l’unica speranza per svagare la mente. Emma aveva solo dovuto mentire ai propri genitori, infilare il cambio all’interno dello zaino della scuola ed aspettare che l’autobus la portasse a casa di Tianna, per prepararsi insieme a lei.
«Guarda che a casa nostra non entri se non sei completamente ubriaca, quindi datti da fare» precisò Pete, offrendo un altro bicchiere di alcool a Tianna, che si stava guardando intorno con lo sguardo un po’ perso.
Dallas prese per mano Emma e la portò al centro del salotto, premurandosi di gettare il proprio parka su un divano lì vicino e correndo subito dopo a spostarlo, perché una coppietta piuttosto disinibita l’aveva evidentemente confuso per un lenzuolo.
Pochi secondi dopo, Pete era comparso con una sigaretta tra le labbra e gli occhi sottili, mentre Tianna gli si muoveva davanti forzando un sorriso che presto sarebbe diventato spontaneo.
 
Emma continuò a muovere la testa avanti e indietro, ignorando i capelli che si facevano sempre più disordinati intorno al suo viso e le strane espressioni del ragazzo con il quale aveva iniziato a ballare senza nemmeno rendersene conto. Le uniche cose alle quali riusciva a pensare, dato che era un perfetto sconosciuto, erano che anche lui la faceva sentire infinitamente bassa e che sperava che il suo grado di simpatia fosse direttamente proporzionale alla quantità di brufoli che gli riempivano il viso.
Quando la canzone terminò, si accorse di aver perso di vista Tianna, che fino a quel momento aveva ballato lì vicino con un bicchiere tra le mani ed i piedi scalzi, visto che dopo due ore e mezza era arrivata ad odiare i tacchi che indossava. Si alzò sulle punte dei piedi e la cercò tra la folla, mentre qualcosa dentro di lei le faceva ricordare una scena simile a quella della festa dopo la partita di pallacanestro della sua scuola.
Chissà cosa stava facendo Harry o quando l’avrebbe rivisto.
«Concedimi un altro ballo» esclamò il ragazzo al suo fianco, assumendo un’aria che doveva essere provocante, ma che risultava solo leggermente ridicola. Era impressionante come un qualsiasi essere di sesso maschile sentisse gli ormoni impazzire semplicemente dopo aver ballato con una ragazza - dopo aver ballato con lei.
«No, scusa, devo andare» lo liquidò Emma, cercando di sorridergli il più gentilmente possibile.
Si voltò senza aspettare una sua risposta e si fece largo tra le persone, storcendo il viso in un’espressione di dolore quando rischiò di cadere malamente per una storta. Si raccolse i capelli in una mano e con l’altra iniziò a farsi aria, chiedendosi se fosse normale che in quei metri quadri facesse così caldo: non era nemmeno sudata e fino a poco prima avrebbe detto di stare perfettamente bene, ma all’improvviso aveva sentito una vampata di calore attraversarle ogni centimetro di pelle. Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, dando la colpa a tutte quelle persone e a tutto quel movimento.
Una ragazza le finì addosso, ridendo sguaiatamente mentre abbozzava una scusa confusa ed incomprensibile, ed Emma se la levò di torno con uno movimento veloce, quasi terrorizzato. Il respiro le morì in gola e le mani si strinsero a pugno quando iniziò a riconoscere il modo in cui la sua mente si stava estraniando da tutto ciò che la circondava.
Doveva uscire da lì.
Fece qualche passo in avanti spostando malamente le persone, che sembravano blocchi di cemento sulla sua strada, mentre la testa si faceva sempre più pesante ed in lei cresceva la paura. «E levati, cazzo» mormorò tra sé e sé, spingendo con le mani leggermente più sudate la schiena di qualcuno che le stava davanti.
Mai avrebbe pensato che quel qualcuno potesse essere Harry Styles: il problema era che, nonostante fosse altamente improbabile che lui fosse ad una festa organizzata da una studentessa di un’altra scuola, quelli erano proprio i suoi occhi. Senza contare che Emma non aveva nemmeno bevuto quella sera, perché gli alcolici facevano letteralmente schifo, quindi quello doveva essere davvero Harry.
Il fastidio nelle sue iridi per quella ragazza che lo stava spingendo con tanta foga si trasformò prima in sorpresa e poi in confusione, quando Emma chiuse gli occhi e lo superò imperterrita, decisa ad allontanarsi da lui come da tutto il resto. Afferrò la maniglia della porta di casa ed aprì la bocca per cercare più aria, per ansimare un po’ di più mentre si piegava su se stessa.
Fuori casa di Gae il freddo della notte di Bradford non poté nulla contro la sensazione di avere la pelle e tutti gli organi in fiamme. Lei appoggiò la fronte al muro in mattoni rossi e respirò pesantemente, o almeno ci provò, perché le sembrava che i polmoni non fossero più capaci di svolgere il proprio compito. Il cuore le batteva troppo veloce.
Non voleva avere un attacco di panico, non lì, non dopo tutto quel tempo, non senza Dallas accanto a lei e no, per favore, no. Eppure la gola secca faceva ancora più male con l’aria fredda che passava al suo interno.
Sentiva le gambe terribilmente pesanti, quasi a volerla trascinare a terra senza che lei potesse opporsi, e non riuscì subito a distinguere la voce che le stava parlando. Le sue orecchie erano piene solo dei propri respiri arrancanti.
Quando poi una mano le si posò sulla spalla rigida, si voltò di scatto con gli occhi spalancati e si chiese di nuovo se quello fosse Harry o se lei fosse solo troppo confusa.
«Ma tu hai il permesso di bere?» Le chiese lui, con un sorriso beffardo sulle labbra ed i capelli intrappolati sotto un capellino grigio messo al contrario, probabilmente immaginando che fosse ubriaca e sul punto di vomitare. Quando Emma non rispose, appoggiandosi con una mano al muro e chiudendo gli occhi assenti, la sua espressione divenne immediatamente più seria.
«Cos’hai?» Domandò facendo un passo in avanti.
«Non riesco…» mormorò Emma, con la voce che non sembrava nemmeno la sua e con il respiro che le mancava.
Harry sbatté le palpebre più volte. «Che diavolo hai?» Chiese di nuovo.
«Dallas…»
«Cosa?»
«Dallas…» ripeté lei, mentre sentiva la testa scoppiare e mentre la voglia di urlare e scappare e urlare ancora si intensificava. Stava succedendo di nuovo e lei aveva bisogno di Dallas. «Cercalo» riuscì a dire prima di soffocare un respiro mancato.
«Ragazzina, non so nemmeno chi cazzo sia questo Dallas, come faccio a cercarlo?» Sbottò Harry con quella che sembrava una vaga preoccupazione, ma senza ottenere una risposta. «Cazzo» borbottò inumidendosi le labbra. «Dimmi cosa devo fare. Cosa farebbe Dallas?»
Emma si piegò un po’ di più su se stessa ed emise un piccolo gemito, abbassando le palpebre per impedire alla confusione di colpirla troppo forte. Serrò la mascella e sentì Harry avvicinarsi ancora, fino a sovrastarla.
«Stringimi» sussurrò soltanto.
«Non riesci nemmeno a respirare, se ti stringo sarà solo peggio!» Osservò lui, irrequieto ed anche un po’ titubante. Il suo tono di voce roco era quello a cui lei cercava di aggrapparsi per non pensare ai polmoni in fiamme, vuoti. Emma sapeva che aveva ragione, perché effettivamente a qualcuno che manca il fiato non dovrebbe servire una presa asfissiante intorno al proprio corpo, ma sapeva anche che per lei non funzionava così e che Dallas era l’unico in grado di farla calmare molto più in fretta, quando gli attacchi di panico la sorprendevano. Avrebbe voluto spiegarlo ad Harry, ma le parole si mischiavano tra di loro e rimanevano in fondo al suo inconscio.
«Cristo Santo» mormorò Harry, facendo un altro passo in avanti e circondandole il corpo scosso da un tremore diffuso. Emma sentì il profumo del suo maglioncino verde invaderle le narici e strinse quella stessa stoffa tra i pugni, con una forza che voleva solo riflettere le sue condizioni. Stava scomparendo in quell’abbraccio, perché le gambe le cedevano e le braccia di Harry la avvolgevano come se lei fosse stata troppo piccola per loro: sentiva il respiro di Harry tra i propri capelli e sperava di poterglielo rubare per averne un po’.
«Di più» sussurrò, mentre i battiti accelerati del suo cuore si confondevano con i bassi della musica proveniente dalla casa. Li sentiva rimbombare in ogni vena che la percorreva e temeva che le tempie potessero scoppiarle da un momento all’altro. Harry accentuò la presa, stringendola contro il proprio petto nonostante non fosse sicuro di quanto le avrebbe giovato, e lei fece lo stesso, arpionando la sua schiena con le dita piccole ma che avevano cessato di tremare.
«Smettila» le ordinò lui in un sussurro lasciato accanto al suo orecchio destro. «Basta» aggiunse poco dopo, con la voce che sembrava una rassicurazione pura, nonostante così decisa. Emma avrebbe voluto dargli ascolto senza nemmeno pensarci, ma non poteva che aspettare che il proprio corpo smettesse di dare di matto, che la sua gola smettesse di bruciare e che la sua testa smettesse di essere tanto pesante.
Intanto teneva gli occhi chiusi ed il viso sul maglioncino di Harry, cercando di concentrarsi solo sulle mani che sentiva su di sé e sul profumo che la circondava più delle sue braccia energiche.
In momenti del genere non c’era niente a cui Emma potesse pensare per riuscire a calmarsi, semplicemente perché la sua mente era troppo confusa e la realtà troppo distorta. Non aveva il controllo di niente e la cosa la terrorizzava, quindi non la aiutava di certo a superare un attacco di panico: l’unica ipotesi alla quale si aggrappava era che l’avere qualcuno a stringerla più di quanto l’aria intorno a sé cercava di fare con i suoi polmoni era in grado di farla sentire in qualche modo al sicuro. E no, Harry non era Dallas, eppure lei aveva smesso di tremare e la gola bruciava di meno.
Si mosse lentamente per circondare meglio la schiena che le stava facendo da supporto, affondando il viso contro il suo addome teso. Era surreale rimanere nel porticato di quella villa con la musica assordante nelle orecchie e persone brille o peggio nelle vicinanze, come se nulla potesse interferire con quella vicinanza che stavano condividendo forzatamente.
Quando Emma respirò profondamente, sentendo finalmente i polmoni riempirsi di ossigeno e percependo il cuore riassestarsi dopo quei minuti di subbuglio, Harry le passò una mano tra i capelli sulla nuca e sospirò piano. «Ci sei?» Domandò, senza però allentare la presa.
Lei annuì ancora ad occhi chiusi, ma non lo lasciò andare.
Solo dopo un paio di minuti le sembrò che tutto fosse tornato alla normalità dentro di sé e quindi anche all’esterno. Solo dopo un paio di minuti si rese conto di essere davvero tra le braccia di Harry e di riuscire davvero a respirare. La sensazione di caldo asfissiante era scomparsa e, per quanto in quella gabbia di muscoli e pelle tiepida fosse immune all’aria fredda, decise di fare un passo indietro e di inspirare a pieni polmoni.
Harry fece ricadere lentamente le braccia lungo i proprio fianchi, guardandola con attenzione e con preoccupazione: si morse il labbro inferiore e tossicchiò, dando una veloce occhiata dietro di sé.
«Si può sapere che ti è preso?» Le chiese con la voce allibita di chi ha dovuto gestire qualcosa che non comprende.
Emma strinse la catenina della sua pochette per sistemarla meglio sulla propria spalla, passandosi una mano tra i capelli e spostando gli occhi lucidi sul ragazzo che le stava ancora davanti. «Un attacco di panico» spiegò semplicemente. Adesso il freddo lo sentiva eccome.
«Un attacco di panico?» Ripeté lui alzando un sopracciglio. «E ora è passato o… Voglio dire, può tornare?»
Lei sorrise a labbra chiuse e lo guardò con un leggero divertimento, dovuto alla sua ingenuità e alla perdita probabilmente temporanea della sua aria da sbruffone. «Ne parli come se fosse un mostro cattivo» scherzò. «Comunque no, non credo che tornerà».
«Non fare la spiritosa, ragazzina» la accusò Harry, puntandole un dito contro ed assottigliando gli occhi in segno di ammonimento. «Mi hai fatto prendere un colpo».
Emma rise piano. «Grazie, comunque» mormorò, fissando quelle iridi verdi che erano immensamente più scure del solito a causa del buio smorzato solo dalle illuminazioni interne.
«Hm…» borbottò Harry insieme ad uno sbuffo, mentre si sistemava il cappellino sui capelli.
Prima ancora che Emma potesse chiedergli come fosse possibile che anche lui si trovasse a quella festa o anche solo dimostrargli che in fondo i due giorni passati senza vederlo non erano stati propriamente i migliori, prima ancora che gli facesse capire che il suo comportamento al Rumpel non l’aveva offesa, ma quasi, e prima ancora che potesse dirgli qualsiasi altra cosa che le passasse per la mente, un ragazzo aprì goffamente la porta di casa e si affacciò all’esterno guardandosi intorno. Era il suo amico Walton, anche se il viso era più allegro e più ubriaco dell’ultima volta che l’aveva visto e anche se i capelli neri erano più disordinati e sudaticci. Quando i suoi occhi piccoli si soffermarono su Harry, aprì le labbra in un sorriso largo.
«Che diavolo fai qui? Jenna è disposta a giocare a faccia di pietra, muoviti» esclamò, barcollando sulle gambe magre.
Emma corrugò la fronte e l’altro sospirò. «Sai che non gioco a quella roba» borbottò divertito.
«Che cazzo te ne frega? Sarà divertente» ribatté Walton, ridendo senza un vero motivo. «Puoi portare anche lei, magari ci sta» aggiunse quando si accorse della presenza di Emma.
«Certo, ma ora torna dentro. Io arrivo» esclamò Harry sorridendo con i denti bianchi scoperti, mentre l’amico gli intimava ancora di sbrigarsi e rientrava in casa.
«Faccia di pietra?» Domandò subito Emma, curiosa come al solito. Aveva ancora una strana sensazione alla bocca dello stomaco: non sapeva con certezza se fosse dovuta ai residui di quell’attacco di panico o all’idea di doversi separare di nuovo da Harry, ma le veniva quasi da vomitare.
«Sì, non credo che saresti interessata» spiegò l’altro, ridacchiando e passandosi una mano dietro al collo. C’era un pizzico di malizia nei suoi occhi ed Emma non se l’era lasciato scappare.
«Mettimi alla prova» disse infatti.
Harry si passò la lingua sulle labbra aperte in un sorriso e la osservò attentamente. «E va bene» sospirò. «Si gioca intorno ad un tavolo, i ragazzi stanno seduti e gli spettatori tutto intorno. Vuoi dirmi che saresti disposta a metterti sotto quel tavolo e a fare un lavoro di bocca ad uno sconosciuto, sperando di farlo eccitare così tanto da rendergli impossibile nascondere a tutti gli altri che è proprio lui quello con cui stai giocando?»
«Cosa?» Esclamò Emma a dir poco sconvolta. Per quello si chiamava “Faccia di pietra”? Quei ragazzi dovevano rimanere impassibili mentre una ragazza se li lavorava per bene? Ma che diavolo di giochi inventavano?
«Appunto» rise Harry, facendo comparire le solite fossette. «Comunque tu ora stai bene, no? Io… rientrerei» disse velocemente, indicando con il pollice destro la porta alle sue spalle.
Emma schiuse le labbra. «Sì» rispose stupita. «Sto bene, vai pure» continuò annuendo per dare più enfasi a quella bugia. Non che non stesse bene, ma di sicuro non voleva che lui andasse via, soprattutto dopo aver saputo cosa lo aspettava e anche se lui aveva già ammesso di non essere interessato.
Harry annuì sorridendo e si congedò con un cenno della mano, prima di voltarsi ed entrare nella villa. Lei rimase immobile, come se l’avesse avuto ancora davanti, e sbuffò la sua insoddisfazione. Si girò verso la strada e si sedette sui gradini che portavano dal porticato al vialetto del giardino: aveva la pelle congelata, ma non aveva intenzione di tornare in quella folla per cercare la sua giacca, perché ad Harry non l’aveva detto, ma aveva il terrore di poter avere un altro attacco di panico.
Si strofinò le mani sulle braccia nude e sbatté le palpebre, guardando un paio di amiche che stavano appena arrivando alla festa: si spostò leggermente verso destra per farle passare e cercò di non far alzare troppo il proprio vestito mentre si sfilava i tacchi, appoggiandoli lì vicino.
«Cambio di programma» esclamò una voce alle sue spalle dopo nemmeno un minuto, nell’esatto momento in cui la porta cigolava nell’aprirsi e sbatteva nel richiudersi. Ed Emma sorrise nel riconoscerla, ma senza voltarsi.
«Sentivi già la mia mancanza?» Domandò, mentre Harry le si sedeva affianco con un sospiro secco.
«No, è che non ci tengo a vedere la faccia di quello sfigato mentre gode» spiegò lui, tirando fuori dalla tasca dei jeans un contenitore in metallo. Il buio lo rendeva meno familiare, ma Emma lo riconobbe quando scoprì che all’interno c’erano delle sigarette preparate in precedenza.
«Almeno so di essere più piacevole dell’espressione eccitata di Walton» scherzò lei alzando le spalle.
Harry si voltò a guardarla con la sigaretta tra le labbra che formavano un sorriso stretto, con gli occhi sottili ed in una mano uno zippo grigio chiaro.
«Lo conosci?» Le chiese prima di accendere la fiamma davanti al suo volto. Lei dovette obbligarsi a non soffermarsi sui dettagli che quella luce calda aveva per un attimo scoperto.
«Non di persona. Lo conosce una mia amica» spiegò subito dopo, inspirando il fumo rigettato dalla bocca di Harry. «Tu invece come conosci Gae?»
«Gae?» Ripeté lui, corrugando la fronte ed appoggiando gli avambracci sulle ginocchia.
«La padrona di casa. Ti dice niente?» Ribatté Emma sorridendo divertita. Era strano parlare con lui così tranquillamente, strano perché l’ultima volta non avevano propriamente parlato e perché non riusciva a capire quale Harry preferisse.
«Ah, giusto. Non so chi sia, a dir la verità: deve essere la cugina di Walton o qualcosa del genere» rispose lui con indifferenza. Di profilo, Emma poteva studiare le linee morbide del suo naso e quelle più delicate delle labbra. «È una tua amica?»
«No, nemmeno io so che faccia abbia» si affrettò a precisare lei. Harry annuì divertito e continuò a fumare, scandendo il passare dei secondi con inspirazioni ed espirazioni lente e regolari.
«Questi attacchi di panico… li hai spesso?» Chiese poi con interesse.
«No, era da più di un anno che non succedeva» fu la spiegazione appena mormorata ed accompagnata da uno sguardo basso.
«Fanno schifo, eh?»
Emma annuì. «È come se non avessi più potere su nulla, nemmeno su te stesso. Perdi completamente il controllo» aggiunse. Non si soffermò su quanto odiasse non avere il controllo delle cose e lui non insistette.
«Pensavo ce l’avessi con me» disse Harry dopo una manciata di secondi, con la voce bassa ma comunque attenta, cambiando completamente argomento. Emma spostò lo sguardo su di lui, soffermandosi per un attimo sulla mano grande che teneva tra le dita la sigaretta quasi del tutto consumata. Alzò semplicemente un sopracciglio e questo portò Harry a continuare. «Per quello che è successo al Rumpel» aggiunse infatti, stringendosi nelle spalle larghe.
«Credi che sarebbe successo se io non l’avessi voluto?» Domandò allora Emma, assumendo un’espressione furba. Non poteva permettergli di pensare che fosse la vittima della situazione, perché era lontana dall’esserlo: in fondo si era lasciata toccare e plasmare dalle sue mani senza opporsi e, anzi, cercando sempre più contatto. Gli aveva lasciato il controllo della situazione, più o meno consapevolmente, e aveva corso il rischio: non avrebbe passato il tempo a piangersi addosso per quel rifiuto e lui peccava di presunzione se credeva che sarebbe successo.
«Sei così sicura di te?» Indagò Harry, rivolgendole lo stesso sguardo provocatorio che le aveva riservato nel corridoio del bar, esattamente prima di azzerare le precarie distanze tra di loro.
«Sì» rispose lei, fiera. Per un attimo notò gli occhi di Harry soffermarsi sulle sue gambe coperte solo dai collant color carne e le costò della fatica trattenersi dal sorridere. «E credo anche che tu sia più codardo di quanto voglia ammettere» aggiunse con decisione. Gliel’avrebbe detto quel giorno stesso, ma lui se ne era andato ancora prima che potesse riordinare i pensieri o allontanare la sensazione di avere il suo respiro tra i capelli.
Harry aspirò del fumo e buttò la sigaretta sul gradino sotto di loro, pestandola con lo stivale nero. «Questo è un colpo basso, ragazzina. Sentiamo, perché sarei un codardo?»
Lei si schiarì la voce e si avvolse la gambe con le braccia per ripararsi dalla rigidità della temperatura. «Semplice: temi di non essere abbastanza per farmi aprire le gambe» spiegò senza preoccuparsi di moderare il linguaggio o di mascherare un po’ della sua sfrontatezza. Il concetto era quello e di sicuro Harry non avrebbe usato altre parole nella sua mente. Quella era l’ipotesi di Emma: non avrebbe potuto spiegare in altro modo, altrimenti, la sua decisione di tirarsi indietro ancor prima di capire se ne sarebbe falsa la pena.
Harry la guardò in un modo tutto nuovo, influenzato dallo stupore per quella interpretazione dei suoi comportamenti e da qualcos’altro che era impossibile decifrare. Orgoglio maschile ferito? Testosterone offeso? Qualsiasi cosa fosse, divertiva Emma fino a farle venir voglia di ridere.
Nessuno dei due ebbe il tempo di parlare di nuovo, però, perché Emma fu improvvisamente distratta dalla voce di Dallas, allarmata e leggermente nervosa. Si voltò velocemente verso la porta di casa e si alzò nel vedere Tianna sorretta dai loro due amici.
«Tianna…» sussurrò, mentre anche Harry si alzava in piedi con lo sguardo confuso.
«Torniamo a casa, Kent» decretò Pete con le labbra sottili più imbronciate del solito. «Le è salita male» spiegò. Tianna aveva il trucco sbavato e delle tracce di mascara sulle guance a testimoniare le lacrime che probabilmente le avevano bagnate fino a poco prima. Si reggeva in piedi, ma camminava in modo scoordinato.
«Tieni» disse Dallas porgendole la sua giacca di pelle, che Emma afferrò subito dopo essersi infilata di nuovo i tacchi. Harry posò gli occhi su di lei e la salutò con un semplice cenno del capo, accompagnato da quello che sembrava solo un indizio di sorriso. Poi superò i suoi amici ed entrò in casa, lasciandole lo stomaco stretto in una morsa.
«Ha vomitato?» Chiese Emma, scendendo i gradini prima di loro.
«Non ancora, quindi stanotte ci divertiamo» rispose Dallas con gli occhi brilli, ma comunque lucidi.
«È perché sono una stupida, capite? Avrei dovuto parlargli, farmi avanti, e invece…» mormorò Tianna con la bocca impastata. «Anzi no, perché non sa nemmeno che esisto! Finisce sempre così e nessuno si accorgerà mai di me e…»
A quel punto Pete le si posizionò davanti e la afferrò per le spalle, ponendo fine al suo discorso confuso ed evidentemente enfatizzato dall’alcool. «Smettila di dire stronzate» la sgridò. «Jaye è uno stupido, ma questo non vuol dire che nessuno si accorgerà mai di te. Non ha senso sbattersi per qualcuno che non vale niente, non rispetto a te almeno, quindi chiudi quella bocca e cammina fino a casa. Giuro che se dici ancora una volta una cazzata del genere ti lascio qui e non ti aiuto, quando inizierai a vomitare anche l’anima».
Emma spalancò gli occhi e sorrise apertamente, stupida da quel rozzo discorso di incoraggiamento da parte di Pete. Tianna serrò le labbra come una bambina in procinto di piangere: «Ok, scusa, ma non ti arrabbiare» piagnucolò. Lui si voltò e trafficò nelle tasche del giaccone blu per tirarne fuori una sigaretta.
Emma si avvicinò all’amica e le passò un braccio intorno alla schiena, aiutando Dallas a sostenerla. «Andiamo» sussurrò.






 


Buonasera!
Puntuale come un orologio svizzero :) Questa volta inizio con il ringraziarvi mille volte per le belle parole per lo scorso capitolo: non pensavo che vi sarebbe piaciuto tanto e non sapete quanto mi abbiate resa felice :)
Riguardo questo capitolo, invece, ci sono alcune cosette da dire: innanzitutto quando Emma non fa niente per vedere Harry, ci pensa il "destino" ahaha Sane coincidenze che non fanno mai male! L'attacco di panico non so da dove mi sia uscito, ma avevo questa idea in testa e ho dovuto buttarla giù o mi avrebbe torturata! Spero non vi sia dispiaciuto, anche perché è servito a far rapportare i due protagonisti in maniera diversa! Per il resto, si commenta tutto da sè: (il gioco "faccia di pietra" esiste davvero, e indovinate un po'? Io l'ho conosciuto tramite i miei amici ahahah Non ci abbiamo mai giocato, GIURO, ma una sera dovevamo decidere cosa fare e loro l'hanno proposto perché ovviamente ci hanno provato.. Ma comunque questo non è importante ahha) che ne pensate del modo in cui Emma ha gestito la questione "Rumpel"? Diciamo che sa come smontare Harry ahhaha E sono curiosa di sapere se questo modo di prendersi le rivincite l'uno con l'altra vi piaccia come piace a me :)
Ultima cosa: Tianna, come avrete visto, è abbastanza fragile dal punto di vista sentimentale  e giuro che Pete io lo amo con tutta me stessa <3333 È uno zoticone ma uno zoticone molto dolce :)
Ok, ho parlato fin troppo quindi vi saluto!
Scrivetemi cosa ne pensate, per favore, perché il vostro parere è importante! E grazie ancora per tutto :)


Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.
    
  

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Capitolo 6
*** Capitolo sei - Being there ***




 

Capitolo sei - Being there
 

 

Nonostante si fosse appena svegliata, provò a tenere gli occhi chiusi ancora per un po', forse cercando di ingannare il sonno che le intorpidiva tutti i muscoli. Strinse a sé il cuscino del letto di Dallas e respirò a fondo, riuscendo a carpirne il profumo così familiare, poi si passò una mano sul volto ed alzò le palpebre lentamente, pregando di essere ancora circondata dal buio della notte. La stanza dei gemelli, però, era già illuminata dalla debole luce mattutina e, se la sveglia non era ancora suonata, non dovevano essere nemmeno le sette. Richiuse gli occhi e cercò a tentoni il proprio cellulare, trovandolo sul comodino alla destra del letto: erano le 6:53 e non esisteva nulla di più frustrante dello svegliarsi pochi minuti prima del dovuto, mentre ogni speranza di tornare a dormire si infrangeva.
Disattivò l'allarme che l'avrebbe infastidita da lì a momenti e cercò di elencare almeno cinque buoni motivi che avrebbero dovuto convincerla ad andare a scuola; eppure la testa le faceva male per le poche ore di sonno e non le veniva in mente niente, se non la faccia raggrinzita e per niente benevola della professoressa di chimica e le sue parole: "Signorina Clarke, tutte queste assenze non fanno bene al suo percorso scolastico: a tutto c'è un limite, quindi non si stupisca se d'ora in avanti i suoi genitori verranno informati riguardo ad ogni sua presenza mancata". Brontolò qualcosa al solo pensiero e si passò una mano tra i capelli.
Tianna non era a letto, almeno non in quello di Pete, dove l'aveva lasciata quella notte stessa con ancora delle parole sconnesse che le uscivano dalla bocca: i gemelli avevano ceduto loro il posto, occupando il letto dei genitori nella camera di fianco. Mettendosi a sedere, Emma corrugò la fronte chiedendosi dove potesse essere la sua amica, poi si alzò barcollando nel pigiama in cotone bordeaux e rabbrividì per i piedi scalzi a contatto con il pavimento freddo. Aveva bisogno di farsi una doccia.
Recuperato il cambio dallo zaino per la scuola, nel quale era tutto incastrato con estrema precisione e precarietà, camminò lentamente verso il bagno al fondo del corridoio, beandosi del silenzio che regnava nella casa: il suo cervello stava lottando con la sonnolenza ed i ricordi della festa a casa di Gae, di qualcuno che aveva incontrato lì.
Quando aprì la porta non fece un altro passo ed inclinò la testa da un lato, per un attimo confusa: Tianna era seduta a terra, incastrata tra l'angolo formato dalle due pareti ed il gabinetto in ceramica bianca. Teneva la testa appoggiata sul gomito piegato sulla tavoletta del WC e dormiva profondamente, coperta dalla tuta che usava come pigiama e con i capelli in disordine che le contornavano il viso leggermente imbronciato anche nel sonno. Dall'altra parte del gabinetto Pete era quasi nella stessa posizione, tranne che per la testa appoggiata alle mattonelle azzurre del muro e le braccia incrociate sul petto. Un paio di pantaloncini era tutto ciò che indossava e le gambe lunghe erano distese a terra, occupando per intero il pavimento del piccolo bagno.
Emma scosse la testa e sospirò, immaginando come Tianna avesse avuto bisogno di vomitare più di una volta nelle ore precedenti e come Pete avesse brontolato nel prestarle aiuto: come aveva fatto a non sentirli? Appena mosse qualche passo chiedendosi se fosse giusto svegliarli oppure no, Pete sobbalzò per lo spaventò ed aprì gli occhi chiari con urgenza: la guardò con una leggera confusione a plasmare tutta la sua espressione, poi sbatté le palpebre più volte e si girò verso Tianna, come per accertarsi della sua presenza.
«Cazzo» mormorò, passandosi una mano sul viso e poi sulle tempie.
«Buongiorno» esclamò Emma sorridendogli divertita, mentre appoggiava i vestiti sulla lavatrice nell'angolo, affianco alla doccia.
«C'è ancora puzza di vomito» si lamentò Pete, storcendo le labbra per il disgusto. I suoi occhi, però, contraddicevano la sua aria perennemente infastidita.
«Sta meglio ora?» Gli chiese lei, cercando di parlare a bassa voce per non svegliarla: era quasi del tutto sicura che non avrebbe mosso nemmeno un muscolo per andare a scuola. Le dispiaceva vederla in quello stato e le era sinceramente difficile concepire la sua debolezza in fatto di emozioni: le bastava un niente per buttarsi giù e demoralizzarsi, tanto che molte volte Emma aveva desiderato prestarle un po' di forza.
«Che ore sono?» Ribatté Pete, stropicciandosi gli occhi ed alzandosi in piedi. Quando Emma gli rispose, lui sospirò. «Ha vomitato fino ad un'ora e mezza fa: com'è possibile che regga così poco?» Commentò. Poi si piegò verso Tianna e cercò di passarsi il suo braccio sinistro intorno alle spalle, in modo da farla alzare in piedi nonostante i suoi lamenti sommessi per quel disturbo. «La porto a letto» decretò con uno sbuffo.
Emma annuì, osservando la sua amica muovere dei passi incerti a causa del sonno. «Tu che fai, vieni a scuola?»
«Col cazzo» fu la risposta borbottata a labbra strette e che la fece sorridere.
Riuscì a farsi una doccia veloce e a trovare l’asciugacapelli nascosto in fondo ad un armadietto, anche se il solito ritardo non le aveva dato scampo e come sempre avrebbe dovuto accelerare un po' i tempi, per arrivare a scuola in orario. Uscendo dal bagno si affrettò a posare i vestiti nello zaino, mentre Pete si rigirava nervoso nel suo letto e Tianna dormiva tranquillamente in quello del fratello, sommersa fino al collo dalla coperta, testimone della premura mascherata del suo amico.
Uscì in corridoio ed entrò nella camera dei signori Butler, scorgendo Dallas al centro del letto e con le lenzuola sparse in modo disordinato intorno al proprio corpo. Russava rumorosamente e aveva la testa abbandonata sotto uno dei cuscini dalle federe color panna. Emma sorrise per quella scena ed avanzò di pochi passi prima di lanciarsi letteralmente sopra il suo amico, che fece qualche verso di disapprovazione prima di riconoscerla e mettersi a ridere con ancora gli occhi chiusi. Lei lo abbracciò e gli baciò una spalla nuda mentre Dallas cercava di togliersela di dosso, ma solo per ricambiare quel piccolo gesto affettuoso.
«Un po' più di delicatezza no, eh?» La rimproverò, con la voce impastata e plasmata da una finta offesa.
«Tu fai di peggio» lo rimbeccò Emma, memore delle innumerevoli volte in cui il suo amico aveva deciso di svegliare lei e Tianna nei modi più assurdi, compreso l'assordante rumore dei coperchi delle pentole sbattuti l'uno contro l'altro nelle loro orecchie.
«Perché ti sei preparata?» Le chiese dandole una veloce occhiata. Entrambi erano sdraiati su un fianco e gli occhi cerulei ed assonnati di Dallas si specchiavano in quelli ormai vispi e truccati di Emma. «Non dirmi che vuoi-»
«Devo andare o mio padre mi uccide» lo interruppe lei sbuffando.
«Prendi appunti anche per me, allora» borbottò lui, prima di abbassare le palpebre e sistemare il viso sul cuscino.
«Te lo scordi, così imparate a lasciarmi sola. Tutti e tre».
 
Emma si infilò i guanti in lana nera e sorrise riconoscente alla ragazza che, uscendo, le tenne la porta aperta per gentilezza. Fece qualche passo all'esterno e sbuffò sonoramente per l'aria infima e fredda che le colpiva il volto, facendole rimpiangere i riscaldamenti anche eccessivi della sua scuola.
Il cielo era grigio e di sicuro avrebbe piovuto da lì a poco, come sempre d'altronde: la sua sfumatura particolarmente cupa sembrava riflettersi su ogni oggetto che ricopriva da lontano, velando il paesaggio di una certa malinconia. Emma era impaziente di tornare a casa, sia perché non aveva intenzione di diventare un ghiacciolo, sia perché l'indomani l'aspettava il compito di storia e lei non aveva ancora aperto libro. E doveva chiamare Tianna per sapere se fosse ancora viva.
Dopo una manciata di gradini in cemento rovinato, Emma prese a camminare lungo il vialetto di pochi metri di larghezza che portava dall'edificio scolastico alla strada, divisi da nessun cancello né da recinzioni. Eppure sentì quasi l'impulso di fermarsi, quando i suoi occhi più stanchi del solito si posarono distrattamente su una figura in piedi sul marciapiede, appoggiata ad una macchina in cattive condizioni di un bianco sporco e dalle linee spigolose a riflettere il suo essere datata: doveva avere più di dieci anni, perché era un modello molto poco moderno. Le braccia incrociate sul petto ed i piedi incrociati sul cemento sotto di loro, Harry aveva i capelli trattenuti dal solito cappello in lana grigio e lo sguardo su di lei, accompagnato come sempre dall'incurvatura delle labbra che gli dava un'aria perennemente divertita: i jeans scuri gli fasciavano le gambe ed il giaccone dello stesso colore era abbottonato solo per metà, lasciando intravedere un maglione intrecciato di un blu scuro. Gli stivaletti marroni erano ancora sempre troppo rovinati.
Emma non seppe cosa fare come prima cosa: chiedersi perché Harry fosse all'uscita della sua scuola, esultare internamente per la sua presenza e per l'opportunità di poterlo rivedere così presto - e senza che fosse lei ad avvicinarlo! - oppure soffermarsi sui dettagli del suo viso e su ogni suo più piccolo movimento. Nel dubbio, continuò a camminare lentamente, sostenendo il suo sguardo e facendo tutt'e tre le cose.
Più accorciava le distanze tra di loro, più sentiva intensificarsi la sensazione di avere ancora le braccia di Harry a stringerla in modo impacciato, ma con una forza che l'aveva protetta da qualsiasi cosa Emma volesse allontanare solo poche ore prima: gli era riconoscente e, ripensandoci, era stata la prima volta in cui entrambi avevano deposto le armi. Lei si era dimostrata debole, spoglia della sua caparbietà in ogni più piccola azione, e questo poteva essere un punto a suo favore oppure un enorme sbaglio. Lui, dal canto suo, aveva abbandonato la sua patina da presuntuoso, mostrandole un lato più compassionevole, un lato che l'aveva fatta sentire al sicuro anche se in circostanze particolari.
Quando alla fine a dividerli ci fu solo più un metro, Emma non si lasciò piegare dalle mani che fremevano per posarsi sul collo di Harry, né dal desiderio impellente di aggrapparsi al suo braccio solo per averlo più vicino e sentirne di nuovo il profumo. Allora si aggiustò la cinghia dello zaino sulla spalla destra e sorrise lievemente in segno di saluto, ma senza fermarsi: non poteva nemmeno essere certa che fosse proprio lei il motivo di quella visita inaspettata, quindi era meglio non accomodarsi sugli allori. Quel suo comportamento l'avrebbe in ogni caso portata in vantaggio in quella implicita gara che caratterizzava ciascun loro incontro.
Si accorse di Harry che alzava un sopracciglio in risposta, inumidendosi le labbra allegre, ma continuò a non dare ascolto al suo istinto, che la stava pregando di avvicinarsi al corpo al quale si era stretta solo poche ore prima e di lasciare da parte qualsiasi altra intenzione. Si trovò quindi a camminare lungo il marciapiede, dandogli le spalle e libera dal suo sguardo interrogativo: in fondo sperava che la fermasse, anche se non l'avrebbe mai ammesso.
E stranamente fu presto accontentata.
«Ragazzina, ferma. Dove stai andando?» La richiamò infatti Harry, alzando un po' la voce per compensare la distanza che aumentava tra di loro ad ogni suo passo lento.
Emma non rispose, ma si voltò a guardarlo, i capelli davanti al viso che la infastidivano e la fronte corrugata per la finta sorpresa. C'era qualcosa, dentro di lei, che da subito le aveva suggerito di essere l'unico motivo della presenza di quel ragazzo fuori dalla Haltow High School, anche se lei non era riuscita a distinguerlo chiaramente dal pizzico di presunzione che a volte la tradiva.
«Dove vai?» Ripeté allora Harry, con le labbra umide a suggerire una smorfia di stizza.
Emma alzò un sopracciglio e, nella sua testa, si congratulò con se stessa per aver dimostrato un certo distacco che evidentemente l'aveva incuriosito, o infastidito. «Ah» esclamò, armandosi dell'ingenuità della quale lui non aveva ancora imparato a diffidare. «Non pensavo fossi qui per me» aggiunse.
Harry rispose subito, quasi spazientito. «Certo che sono qui p-» disse senza pensarci, arrestandosi subito dopo sia per la consapevolezza di aver osato troppo, sia perché Emma stava sorridendo divertita. Vittoriosa.
L'aveva appena ammesso e lei non aveva nemmeno dovuto forzarlo: probabilmente l'orgoglio impettito di Harry gli giocava brutti scherzi in certe occasioni, favorendo le intenzioni di qualcun altro.
«Muoviti, sali» borbottò lui, dandole le spalle ed aprendo lo sportello dell'auto. Era evidente come quel piccolo lapsus lo avesse infastidito.
Emma sbatté più volte le palpebre, ma non rispose, limitandosi a fare dei piccoli passi verso la macchina. «Dove dovremmo andare?» Chiese soltanto, dando una sbirciata nell'abitacolo. Harry era già seduto al posto del guidatore, con gli interni rovinati in pelle di un marrone scuro.
«Sali o no?» Ripeté senza guardarla, con un cipiglio ad inarcargli le sopracciglia scure.
Emma tralasciò il divertimento che il suo comportamento suscitava e deglutì a vuoto per nascondere un disagio che si portava dietro da quando era bambina e che non aveva ancora sconfitto: i tragitti in macchina, anche quelli più corti e veloci, la inquietavano. Le sembravano qualcosa di estremamente incerto, perché aveva sempre l'impressione che il guidatore avrebbe potuto fare una deviazione e non portarla a destinazione: era una stupidaggine, lo sapeva bene e un po' se ne vergognava, ma era più forte di lei. Non voleva mostrare un'altra sua debolezza, non proprio nel momento in cui Harry avrebbe potuto usarla come arma e non subito dopo aver avuto bisogno del suo aiuto quella stessa notte: per proteggersi, quindi, sbuffò nella sciarpa di lana intrecciata e strinse i pugni, facendo il giro dell'auto per sedersi al suo fianco.
Rabbrividì e posò lo zaino ai propri piedi, mentre Harry accendeva il motore e lei chiudeva la portiera, provocando una passeggera corrente d'aria. C'era odore di sigarette e di deodorante per ambienti, che probabilmente proveniva dal piccolo aggeggio pendente dallo specchietto retrovisore. Prima ancora che lui potesse ingranare la marcia, cercò di mettere le cose in chiaro. «Devi portarmi a casa, perché devo studiare» esclamò forse un po' troppo duramente, a causa del disagio che provava. Si morse il labbro inferiore sperando di non essere stata eccessivamente sgarbata, soprattutto dal momento che Harry si era premurato di cercarla senza un esplicito motivo.
Lui si voltò nella sua direzione e la osservò da sotto le ciglia, appoggiando i polsi sul volante nero. «Non sono il tuo taxi» le fece presente con aria piccata.
Emma inspirò l'aria calda che stava iniziando a scaturire dalle ventole dell'auto e si innervosì ancora di più al pensiero di non poter decidere dove andare, di essere in qualche modo condizionata dalla volontà di qualcun altro. Non poteva avere una paura più stupida. «Sei tu ad essere venuto qui ed io devo andare a casa».
Doveva smetterla. Distolse lo sguardo, puntandolo sulla strada ancora brulicante di studenti e cercando di darsi un contegno: sentiva gli occhi di Harry percorrere ogni lineamento del suo volto, con insistenza ed un certo grado di fastidio, probabilmente accumulatosi sin da quando aveva ammesso di essere lì per lei.
«Allora vacci a piedi» ribatté lui, sbuffando sonoramente ed indurendo il tono di voce. Emma a quelle parole raccolse lo zaino ed aprì frettolosamente la portiera, uscendo all'aria fredda ma rassicurante.
Sapeva perfettamente di essere lei quella in fallo e sapeva che se solo avesse confessato il suo stato d'animo riguardo quella dannata auto lui avrebbe potuto capirla un po' di più, ma era più forte l'istinto di protezione, il desiderio di dimostrarsi forte e non di nuovo debole. L'orgoglio.
Non si voltò a guardarlo, ma camminò verso il marciapiede ascoltando il rumore del motore ancora accesso per coglierne qualsiasi movimento: con le palpebre strette scosse la testa impercettibilmente, serrando la mascella e dandosi ripetutamente della stupida. Harry era lì e lei lo stava facendo andare via in quel modo.
Incrociò le braccia al petto e sospirò nel momento in cui sentì che l'auto si stava muovendo, interrogandosi su quel piccolo litigio che avevano appena attraversato e che sembrava così inappropriato per loro, sempre pronti a giocare e a provocarsi.
«Devi dirmi la strada, però» esclamò la voce roca di Harry improvvisamente, mentre in retromarcia la affiancava di nuovo lungo la strada. Emma si fermò immediatamente e lo guardò stupita, ma anche sollevata: increspò le labbra per sorridere in modo trattenuto, nonostante quegli occhi verdi non fossero già più su di lei, e si impose di rimanere tranquilla mentre tornava a sedersi al proprio posto. La familiare inquietudine incastrata in gola e l'altrettanto familiare profumo di Harry a trattenerla: non avrebbe più rovinato quel loro incontro così inaspettato, a costo di agitarsi sul sedile per tutto il tragitto.
Tossicchiò guardandosi intorno ed avvistando un pacchetto di sigarette nello scompartimento davanti a sé, dei fogli sparsi sotto di esso ed un portafoglio in pelle nera con gli angoli un po' logori. Aveva voglia di mettere le mani dappertutto ed assorbire tutti quei particolari così personali che la circondavano, e forse questo l'avrebbe aiutata a distrarsi dal fatto che Harry stava facendo inversione.
«Gira a destra, al fondo della strada» sussurrò Emma, rafforzando l'indicazione con un cenno della mano. Si sentiva in colpa, ma non abbastanza da poter mettere da parte la sua testardaggine e chiedere scusa.
Lui annuì e sospirò, passandosi l'indice ed il pollice della mano destra sugli angoli della bocca umida.
Voleva di nuovo sentirlo parlare, come se quello avesse potuto stipulare una solida riappacificazione tra di loro, quindi ci provò ancora una volta. «Alla fine come è stata la festa di Gae?» Domandò, nonostante sapesse che quella domanda fosse ridicolmente forzata.
«Noiosa» rispose Harry con un'espirazione leggermente più profonda, appoggiando il gomito destro all'attaccatura del finestrino ben chiuso e tenendo la mano sinistra sul volante. «Qui?» Domandò, in attesa delle indicazioni stradali per superare un incrocio.
Emma rispose prontamente e scrutò il suo viso assottigliando gli occhi blu, che riflettevano ancora di più il grigiore del cielo. Il fatto che potesse guidarlo verso la propria destinazione la stava tranquillizzando, soprattutto perché ogni suo pensiero era forzato sulla sua persona, quindi era costretta a distrarsi da qualsiasi paranoia si sarebbe fatta in altri contesti. Decise comunque di non insistere oltre, lasciandolo nelle sue rimuginazioni che iniziavano a stancarla per il semplice fatto che non poteva controllarle.
Guardando fuori dal finestrino, spiava discretamente ogni movimento di Harry, arrivando persino ad imparare il modo in cui impugnava il cambio per ingranare le marce e a conoscere il modo in cui le sue iridi studiavano la strada mentre lei gli dava delle indicazioni. Alla fine, tra la caparbietà di entrambi, arrivarono davanti casa Clarke in pochissimi minuti di completo silenzio.
Harry accostò e spense il motore, tirando su con il naso ed appoggiando di nuovo i polsi tatuati sul volante. Emma si strinse nelle spalle, tirando un respiro di sollievo per la fine di quel viaggio in macchina ed un altro di frustrazione dovuto allo stesso motivo.
Stanca delle parole non dette, decise di attaccare per difendersi. «Perché sei venuto a scuola?» Gli chiese senza troppi giri di parole, cosa alla quale probabilmente lui stava iniziando ad abituarsi. Era curiosa e se da una parte poteva già immaginare la risposta, dall'altra voleva esserne certa e magari sentirgliela pronunciare a scanso di equivoci.
Harry la osservò per una manciata di secondi, giocherellando con gli anelli spessi che lei ancora ricordava come ci si sentisse ad avere premuti contro la propria pelle. Teneva le iridi chiare fisse nelle sue, irremovibili. «Guarda che hai frainteso» le disse semplicemente, forse immaginando a cosa stesse pensando.
Emma alzò un sopracciglio e rimuginò su quella frase, senza però rispondere. Fu lui stesso, infatti, a continuare senza bisogno di un incoraggiamento. «È che stanotte non ho avuto il tempo di ribattere» riprese, passandosi la lingua sulle labbra in un gesto pensieroso. Lentamente stava riacquistando la sua espressione maliziosa. «Ti sbagli, sai?»
Lei inclinò leggermente il viso da un lato e rielaborò le sue parole nella mente, cercando un'interpretazione che potesse soddisfarla. A cosa si stava riferendo esattamente e dove voleva andare a parare?
«Se io lo volessi, saprei come farti cedere» continuò lui lentamente, come per scandire ogni sillaba tagliente e beffarda. Ecco qual era il punto. Emma indurì lo sguardo per quella presunzione e per quel "se io volessi" che le si era impiantato sotto la pelle, prendendosi gioco di lei. «Saprei come toglierti quel sorrisino dalla faccia, quella sicurezza di cui ti vanti tanto» aggiunse con la voce roca ad accompagnare ogni inflessione e con il respiro lento a distinguere i secondi che passavano.
Forse per la prima volta Emma non riuscì a cogliere con successo il significato nascosto o meno di quelle parole: non sapeva da che prospettiva guardarle, interiorizzarle, senza contare il fatto che un po' le facevano male per la sottile insinuazione che accompagnavano.
«Però non vuoi farlo, giusto?» Domandò dopo qualche secondo, abbassando la voce ma mantenendo un tono deciso, volto ad insabbiare il suo reale stato d'animo. Il condizionale che Harry aveva usato solo poco prima non poteva passare inosservato. «Quindi perché scomodarti a farmelo sapere? Perché non ignorarmi direttamente?» Continuò mettendolo alla prova. Tra tutte le cose che Emma era, "illusa" non compariva nella lista: non avrebbe mai insistito tanto per qualcuno che palesava indifferenza nei suoi confronti, e di certo alcuni sguardi ed alcuni particolari tanto piccoli quanto significativi non potevano essere fraintesi. «E se io oggi non avessi dovuto studiare, non credo che mi avresti semplicemente accompagnata a casa» concluse, riacquistando un po' di sicurezza man mano che le parole si susseguivano spontaneamente, seguendo un filo logico al quale Emma non aveva nemmeno pensato con attenzione. Chissà quali erano stati i suoi programmi prima che lei li stroncasse sul nascere: il fatto che potesse averne era già una prova sufficiente di un interesse almeno minimo.
«Chi ti dice che non fossi solo di passaggio?» Ribatté Harry, sorridendo come se avesse avuto la situazione in pugno.
Emma sospirò ed alzò gli occhi al cielo quasi con ilarità. «È divertente giocare con te, ma è anche stancante» commentò arricciando il naso. Il loro era un continuo tira e molla, un avvicendarsi di attacchi e difese che fungevano da vantaggio all'uno o all'altra in modo alternato: era estenuante tenere il passo, per quanto potesse valerne la pena. «Ed ora devo andare» lo informò, iniziando a raccogliere lo zaino da terra. Ovviamente avrebbe preferito non doverlo fare, ma era sicura che se avesse rimandato quel momento avrebbe finito per distrarsi e dimenticarsi del compito di storia dell'indomani.
Harry annuì, sistemandosi con una mano grande il berretto sui capelli ed osservandola in ogni suo movimento: quando lei aprì la portiera per scendere, si schiarì la voce ed accese il motore, che borbottò sotto di loro. «Quindi devi studiare, eh?» Chiese in conferma.
Ad Emma venne da ridere per l'incredulità ed il sorriso largo che le plasmò il viso chiaro ne fu la prova: quel ragazzo era impossibile, persino più di lei. Ora tutte quelle parole che si erano scambiati sembravano essere più comprensibili: se fino ad un minuto prima Harry aveva cercato di dirle che continuava a non voler assecondare le sue attenzioni, almeno apparentemente, aveva appena dimostrato che la voglia di vederla c'era eccome. Probabilmente tutto il suo discorso si basava sull'orgoglio che lei stessa aveva ferito la notte precedente, chiamandolo codardo ed in qualche modo provocandolo: che avesse solo voluto prendere una posizione? Che avesse sentito il bisogno di riscattarsi e di tentare una rivincita?
Emma si voltò verso di lui e si inumidì le labbra carnose, soffermandosi per un attimo sulla pelle del suo collo. «Harry, se vuoi passare del tempo con me, dovrai chiedermelo espressamente» lo rimbeccò fiera.
«Era solo una domanda» la corresse lui, alzando le mani in segno di innocenza. Ma la verità era proprio tra di loro, nello spazio angusto di quell'abitacolo.
Lei scosse la testa. «Ci vediamo» lo salutò sorridendo. «Grazie per il passaggio».
Avrebbe voluto ringraziarlo anche per la curva delle sue labbra e persino per il suo testosterone che gli riempiva l'ego fino a dimensioni spropositate, ma sapeva che non sarebbe stato il caso di farlo. Poi, però, la mano di Harry avvolse il suo polso destro con ferma delicatezza. «Ragazzina» la chiamò lui a bassa voce, serio. Emma corrugò la fronte e tornò a guardarlo, leggermente confusa: riconosceva la sensazione della sua pelle a contatto con la propria, riconosceva la forma delle dita e dei polpastrelli, il palmo grande ed il calore tiepido.
«Come stai?» Le chiese senza alcuna traccia di divertimento o leggerezza. I suoi occhi erano interessati, anche se compostamente. «Hai avuto altri attacchi?» Aggiunse spiegandosi meglio: si stava preoccupando per lei, a modo suo, e questo superava le aspettative di Emma, che sentì le spalle rilassarsi sotto il cappotto scuro e l'espressione addolcirsi.
«No, sto bene» rispose soltanto. In fondo sarebbe stato sbagliato mentire solo per trattenere ancora per un po' la sua mano sul proprio polso, per impedirle di lasciarlo e di posarsi sul volante come stava facendo, anche se l'istinto gliel'aveva comunque proposto.
Harry annuì e distolse lo sguardo, preparandosi a ingranare la marcia senza dire un'altra parola: agli occhi di Emma quello somigliò ad un saluto, quindi sorrise per sé e scese dalla macchina, chiudendo lo sportello che produsse uno strano cigolio.
 
Erano le undici e mezza e lei doveva ancora finire un capitolo del maledetto programma di storia: continuava a camminare avanti e indietro per la stanza, ripetendo date e nomi di re e nomi di trattati e nomi di nazioni e nomi che non esistevano nemmeno perché dopo un po' la lingua le si annodava. Aveva gli occhi pesanti ed i capelli raccolti in una crocchia disordinata, mentre le ciabatte beige strisciavano sulle mattonelle color panna della sua stanza ad ogni passo lento.
Si imbronciò quando si accorse di aver perso il filo del discorso e di aver dimenticato l'ultimo paragrafo studiato, come se l'averlo ripetuto da poco non fosse servito a nulla: quindi si avvicinò alla scrivania disordinata e diede una sbirciata alla pagina corrispondente del libro di storia. Mordendosi il labbro inferiore, gli occhi scorrevano veloci sulle parole scritte in un carattere troppo piccolo per poter essere sopportato per più ore di studio, ma dovettero alzarsi verso la parete di fronte quando Emma udì distintamente un singhiozzo sommesso.
Corrugò la fronte e restò in ascolto: qualcuno stava davvero piangendo nella stanza accanto, non troppo rumorosamente per non farsi sentire, e quel qualcuno poteva essere solo sua sorella Melanie, che evidentemente non stava tenendo conto di quanto sottili potessero essere quelle pareti.
Emma fece qualche passo di lato, in modo da evitare la scrivania ed avvicinarsi al muro con il corpo, per appoggiarci l'orecchio e capire cosa stesse succedendo: aveva un nodo alla gola mentre contava i piccoli singhiozzi della sorella. Questi poi furono presto interrotti da alcune parole che lei non riuscì a comprendere, ma che continuò a cercare di decifrare, fino a quando le fu chiaro che Melanie doveva essere al telefono con Aaron, uno dei suoi migliori amici.
Diede le spalle alla parete e si lasciò scivolare lungo di essa, sedendosi a terra con la schiena a contatto con l'intonaco blu notte e con le gambe piegate e strette al petto. Ascoltava Melanie perché non poteva fare altro e perché non ne sarebbe stata nemmeno capace.
«Capisci?» Si sfogò la sorella con la voce rotta. Probabilmente era già in pigiama e con i capelli in disordine, i meravigliosi occhi celesti arrossati per le lacrime e le guance ingiustamente umide. Cosa le era successo? «Come può anche solo pensare che tra me e Niall ci sia ancora qualcosa, per uno stupido abbraccio poi? E vorrebbe che io tornassi da lui, ma come faccio a perdonarlo? Zayn mi ha fatto così male... Lo so... Aaron, lo so, ma il pensiero che per tutto questo tempo lui mi abbia mentito... Io... Sono così stanca».
Emma tentò di ricollegare gli sprazzi di frase che riusciva a decifrare: Niall era l'ex ragazzo della sorella, quello che solo un paio di mesi prima le aveva spezzato il cuore perché non le aveva detto di avere già una ragazza, un'altra. Lo stesso che si era presentato a casa loro solo poco tempo prima implorando perdono e lo stesso che Melanie aveva cercato di riaccogliere nella propria vita, sperando di recuperare quella felicità che aveva provato e che le era stata brutalmente portata via. La loro storia era di nuovo finita, anche se non le era dato di sapere perché.
Ma Zayn chi era? L'aveva sentito nominare una manciata di volte, mentre Aaron e Becka - i due migliori amici della sorella - erano a casa loro e passavano il tempo a parlare e parlare e parlare. Che ruolo aveva in tutto quello? Cosa aveva fatto per ridurla in quello stato, per costringerla a dover contenere i singhiozzi? Le aveva mentito, questo era certo, ma riguardo cosa?
E mentre Melanie continuava il suo sfogo, lei rimaneva seduta a terra ad ascoltarla: il loro rapporto era rovinato, logorato da lei stessa e dal suo rancore nei confronti della sorella maggiore, e questo le impediva di fare un passo avanti e di entrare nella sua stanza per consolarla o per chiederle spiegazioni. Eppure nulla le impediva di restare lì e di rispettarla di nascosto, fingendo di abbracciarla tramite una parete che era fatta di cemento, ma anche di orgoglio.

 






 


Hooooolllllaaaaa :)
Avevo detto che avrei aggiornato oggi e sono felice di avercela fatta, perché se no sarebbe stato un vero casino ahahha E poi in moltissime mi avete chiesto questo capitolo, quindi non potevo farvi aspettare oltre :) Anche se, devo dire che a me non piace (sai che novità ahahah): vi spiego, ho l'impressione che manchi qualcosa o comunque di non essere riuscita a scrivere tutto come avrei voluto. Spero che sia solo una mia sensazione, altrimenti conto su di voi :)
Ma passiamo al contenuto: a parte l'inizio molto introduttivo (dove Pete e Tianna sono ancora legati dalla sbronza hahah Alcune di voi hanno già dei sospetti su di loro, ma io ho la bocca cucita come sempre :)), sono due le cose un po' più importanti. Innanzitutto Emma ed Harry: diciamo che in questo capitolo giocano un po' di più a carte scoperte, anche se mai del tutto, e la piccola discussione ho voluto inserirla sia perché ce ne saranno a volontà e questo ne è un assaggino, sia perché loro sono ancora mezzi estranei, con due caratteri che non possono non scontrarsi! Tra Harry che aveva l'orgoglio ferito per quel piccolo lapsus e gli giravano le palle (detto in parole povere) ed Emma che era a disagio per la storia della macchina (è quella del banner, anche se si vede pochissimo) e troppo orgogliosa per ammetterlo, sono un attimo entrati in conflitto ahahah
A parte questo, Harry sembra essere tornato da lei per mettere le cose in chiaro e contraddirla riguardo le parole della festa: insomma, vuole fare l'uomo che ha tutta la situazione in pugno e bla bla. Ma sul loro piccolo incontro lascerò a voi la parola, perché sono curiosa di sapere cosa avete da dire a riguardo :)
Emma e Melanie: chi ha letto "It feels..." sa già tutto, sia quali siano i rapporti tra Mel, Zayn e Niall (questo capitolo è ambientato durante lo stesso giorno del capitolo 21!!), sia quale sia quello tra le due sorelle. Per motivi di spazio e anche di interesse, mi è davvero impossibile spiegare anche in questa storia ogni dettaglio: sia perché sarebbe davvero troppo lungo, sia perché Emma non ha un rapporto con Mel che le possa garantire molte informazioni, sia perché le cose fondamentali e importanti basteranno e verranno introdotte!
Basta, come sempre sto rischiando di fare un poema! Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto più di quanto piaccia a me, perché se no è un casino ahahha E lasciatemi i vostri commenti, per favore, perché mi sono molto utili! Soprattutto se c'è qualcosa che non va :)
Ho notato che lo scorso capitolo vi è piaciuto molto e ne sono felicissima! Grazie infinite per tutto, davvero: mi state dimostrando fin troppo sostegno per questa storia e non so come ringraziarvi :)


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Un bacione,
Vero.
    
  

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Capitolo 7
*** Capitolo sette - Slice of life ***




 

Capitolo sette - Slice of life
 

 

Emma aveva davvero provato a fare la sostenuta, come qualcuno avrebbe potuto dire: aveva provato a pensare alla scuola e a sua sorella Fanny che lasciava sempre la camera troppo in disordine, o ai messaggi senza senso di Dallas e al maglione che ancora doveva comprare. Eppure aveva fallito miseramente dopo sole quarantotto ore scarse: era giovedì pomeriggio e lei stava andando al Rumpel, sperando di poter incontrare Harry.
Lo aveva visto il martedì precedente, quando lui era andato a prenderla a scuola solo per far valere il suo orgoglio ferito, o forse non solo per quello, e nonostante tutto Emma fremeva per poter di nuovo posare gli occhi sulle sfumature dei suoi o su quelle mani un po' troppo grandi.
Entrò nel locale inspirando profondamente, subito pervasa dal calore confortevole che avrebbe scacciato il naso arrossato per il freddo e le dita leggermente intorpidite: solo due tavoli erano occupati e non riconosceva nessuno, a parte una schiena familiare ed il volto del barista, Ty. Schiarendosi la voce si diresse a passi svelti fino al bancone di fronte a sé, sicura di poterci trovare ciò che più le interessava.
Il maglioncino beige cadeva morbido sulla schiena piegata di Harry, seduto su uno degli sgabelli con i gomiti appoggiati al bancone ed i capelli in disordine. Sebbene avesse avuto qualche dubbio sulla sua identità, adesso era certa che fosse lui, perché era stata proprio la sua voce ad inveire contro Ty con un conciso "Non rompere il cazzo e dammi un'altra birra".
Emma corrugò leggermente la fronte per quel tono nervoso e biascicato, così rallentò leggermente per poter studiare meglio la situazione, ancora ad un paio di metri da loro. Vide Ty scuotere la testa con fare rassegnato, passandosi una mano dietro al collo ed appoggiando uno straccio sulla propria spalla destra: sembrava stanco, ma soprattutto sembrava non voler accontentare la richiesta di Harry.
Quando fu abbastanza vicina, Emma rimase alle spalle del ragazzo ma si fece riconoscere dal barista, che senza dire una parola la guardò nel modo più eloquente possibile. Gli occhi sottili e castani sembravano volerla avvertire o mettere in guardia, mentre il sospiro che uscì dalla sua bocca le parve esprimere esasperazione.
«Non è il tuo lavoro quello di vendere da bere? Allora perché il mio bicchiere è ancora vuoto?» Sbottò di nuovo Harry, muovendosi in precario equilibrio sullo sgabello. A quel punto Emma poté notare meglio la sfumatura innaturale della sua voce. Fece un passo avanti senza nemmeno pensarci, ritrovandosi al suo fianco con gli occhi a spiare il suo volto, come per accertarsi del suo stato.
«Se non la smetti di urlare ti faccio uscire a calci in culo, hai capito?» Lo riprese Ty, appoggiando le mani sul bancone e guardandolo con rimprovero, nonostante quelle parole fossero state pronunciate piano e senza alcuna punta di rabbia. Era quasi rassegnazione la sua, affetto che non voleva sfociare in una vera e propria discussione e che quindi tentava di sopportare.
Harry fu sul punto di rispondere, ma sembrò accorgersi solo allora della presenza di Emma proprio al suo fianco. Si voltò a guardarla con le labbra che prima espressero stupore e confusione, poi la solita malizia, inarcandosi in un sorriso lento. Le sue iridi solitamente vispe ed attente sembravano aver perso la loro lucidità ed il suo profumo era stato di nuovo coperto dall'odore dell'alcool. Era ubriaco.
«Guarda un po' chi è arrivata!» Esordì qualche secondo dopo allargando le braccia e sbilanciandosi sullo sgabello, mentre lei portava istintivamente una mano dietro la sua schiena, come per non farlo cadere. Non riusciva a capire come si sentisse a riguardo, se avrebbe dovuto prendere quella sbronza come un divertimento che Harry aveva scelto rispetto ad altri o se avrebbe dovuto concentrarsi sull'espressione preoccupata di Ty, che forse non avrebbe avuto in altre occasioni. «Ragazzina, vieni qua» esclamò lui di nuovo, circondandole la vita con un braccio e tirandola a sé senza delicatezza.
Emma sentiva le sue dita artigliarle il fianco ed il calore del suo corpo a contatto con il proprio, stretto in una morsa. Arricciò il naso per l'odore che non era abituata a sentire su Harry così intensamente e cercò di divincolarsi: non le piaceva il modo in cui la stava premendo contro di sé.
«Quanto hai bevuto?» Gli chiese seria dando un'occhiata al bancone, a Ty e poi di nuovo al viso di Harry, che era tornato ad una distanza ragionevole. La sua mano, però, era ancora insistentemente sul suo fianco.
«Vediamo...»
«Due Jack Daniel's e quattro Heineken» lo interruppe il barista con un sospiro.
«E vorrei la quinta, se non ti dispiace!» Lo rimbeccò Harry, mentre Emma cercava di capire come comportarsi. Avrebbe dovuto semplicemente allontanarsi e tornare un'altra volta? Sarebbe stato da egoisti e soprattutto non sarebbe stato da lei, che di lasciarlo in quello stato non ne aveva proprio intenzione. Eppure sarebbe stata in grado di rimanergli accanto e di fronteggiarlo?
Per prima cosa, comunque, era meglio impedirgli di bere ancora.
«Non credi di aver bevuto abbastanza?» Tentò, nonostante sapesse di non aver usato una motivazione abbastanza solida. Strinse il suo maglioncino tra le dita, mentre lui si muoveva distrattamente e minacciando di cadere da un momento all'altro: si stava sporgendo oltre il bancone, forse alla ricerca di qualsiasi alcolico nelle vicinanze. Non le rispose.
Ty la guardò alzando le spalle e scuotendo di nuovo la testa.
Emma sbuffò sonoramente ed iniziò a sentire caldo, con ancora il giaccone pesante addosso.
«E va bene» mormorò tra sé e sé, cercando il portafoglio nella borsa per poi posarlo sulla superficie in legno. «Dagli la birra, per favore, io cerco di portarlo via» disse piano a Ty. Lui non sembrò molto convinto, ma non ribatté: nemmeno lei era sicura di quello che stava facendo, ma era anche sicura che Harry non se ne sarebbe andato senza quella dannata Heineken. Sarebbe stata l'ultima, o almeno avrebbe provato a fare in modo che lo fosse.
«Così mi piaci!» Esclamò Harry ad alta voce indicando con l'indice il barista, mentre lo guardava aprirgli una bottiglia di birra. Appena la ebbe tra le mani, se la portò alla bocca e bevve a grandi sorsi.
«Vieni con me?» Gli chiese Emma osservando i suoi occhi socchiusi e la gola tesa, mentre riponeva il portafoglio in borsa. Era una domanda stupida e priva di qualsiasi fondamento, soprattutto perché nel suo stato Harry avrebbe potuto tranquillamente sbarazzarsi di lei con una parola di troppo, come d'altronde non aveva esitato a fare anche da sobrio: eppure era anche l'unica proposta che le era venuta in mente, senza altri pretesti.
Lui prese un ultimo sorso e si leccò le labbra umide, ma non si rivolse a lei quando rispose. «Ty, amico, come vedi ora ho da fare» esordì, con un tono impregnato di malizia che fece sospirare Emma. «Ma aspettami, eh!» Continuò rivolgendogli un cenno del capo. La teneva ancora stretta a sé, senza darle l'opportunità di allontanarsi, e forse era un bene, perché quando si alzò dallo sgabello sembrò non avere equilibrio: stranamente non c'era stato bisogno di insistere per convincerlo.
Ty si avvicinò al bancone e sussurrò in modo che Harry non sentisse. «Portalo sul retro, così se hai bisogno mi chiami» la istruì, aspettando un segno d'assenso che non tardò ad arrivare. Emma si voltò respirando profondamente e diede un'occhiata al viso stravolto del ragazzo che cercava di sostenere nonostante la differenza d'altezza.
«Dove mi porti, ragazzina?» Le chiese lui, camminando ed incespicando al suo fianco mentre lei gli circondava la vita con un braccio.
«Usciamo di qui» fu la risposta appena mormorata: imboccarono il corridoio che ormai conoscevano entrambi a memoria e lei rabbrividì per la leggera differenza di temperatura. Cosa avrebbe fatto una volta usciti? Era abituata alle sbronze di Tianna, che per lo più si risolvevano in lacrime come l'ultima volta, o a quelle di Pete, che invece lo obbligavano a mostrare il buon cuore che in realtà aveva, ma non sapeva cosa aspettarsi da Harry, dal suo tono beffardo e dal modo in cui la toccava.
La mano di Harry le strinse ancora di più il fianco, quasi cercando in lei un appiglio, mentre il suo corpo che la faceva sentire minuscola si piegava sul proprio impedendole di fare un altro passo. Emma sospirò velocemente e per un attimo chiuse gli occhi, lasciando che Harry le strofinasse il viso tra i capelli e sul collo. «Hai un buon profumo» mormorò la sua voce più roca del solito, soffiando del fiato caldo sulla sua pelle. Riusciva a percepire il suo sorriso sghembo, ma in qualche modo non era abbastanza per distrarla: era troppo impegnata a decifrare i suoi comportamenti, a capire di quali fidarsi e quali ignorare.
«Harry, spostati» disse piano, cercando di spingerlo delicatamente al suo posto. Sapeva che quel suo atteggiamento era marcato e plasmato dall'alcool nelle sue vene e non era di certo intenzionata a farsi abbindolare, nonostante le sue labbra fossero un costante richiamo per le proprie.
Lui non rispose oltre ed iniziò a canticchiare un motivetto improvvisato come se non fosse successo nulla, seguendo la direzione che i passi di Emma gli imponevano. Era faticoso tenerlo in piedi e soprattutto farlo andare avanti.
 
Quando Emma aprì la porta che dava sul retro, lui stava blaterando qualcosa riguardo la puzza che proveniva dai bagni: ignorò la temperatura ostile e lasciò che la porta si richiudesse da sola dietro di loro, mentre Harry per la prima volta lasciava andare il suo fianco ed allentava la presa. Lei si stupì di sentirsi in qualche modo abbandonata, senza il suo corpo a stretto contatto con il proprio - nonostante fino ad un minuto prima se ne sarebbe quasi lamentata - ma inspirò a lungo e non lo diede a vedere, più preoccupata di osservare i suoi movimenti confusi.
Si trovavano in un vicolo di pochi metri di larghezza: le pareti in mattoni grigi e rovinati gli davano un aspetto cupo, senza contare i tre grossi cassonetti in metallo annerito proprio affianco alla porta dalla quale erano usciti.
Emma sospirò e sentì la bottiglia di Heineken ancora nelle mani di Harry sbattere delicatamente contro qualcosa, quindi si concentrò sulla sua figura e lo guardò assottigliare gli occhi ed appoggiarsi al muro dietro di sé. Non sapeva cosa dire, quindi aspettava che fosse lui a parlare.
All'improvviso, però, la bottiglia cadde a terra - o forse era stata lasciata andare deliberatamente, ma non poteva saperlo, dato che il suo sguardo era rimasto fisso su qualcos'altro - e lei sobbalzò per lo spavento: i cocci di vetro erano sparsi ai piedi di Harry, mentre la birra avanzata era schizzata anche sui suoi pantaloni, riflettendosi in macchioline rotonde.
Harry alzò lentamente lo sguardo su di lei, con una mano appoggiata al muro e l'altra stretta a pugno, e per una manciata di secondi non fece altro, rendendo le sue iridi spente ancora più indecifrabili. Poi, come a rallentatore, le sue labbra iniziarono ad inclinarsi all'insù e tutto il suo viso si plasmò per accompagnare quella risata che stava nascendo e che portava con sé le due fossette ai lati della bocca e le leggere pieghe intorno agli occhi. Scoppiò a ridere, sonoramente e senza un motivo: Emma aveva le orecchie piene di quel suono ilare ed in qualche modo incoerente, che lei non riusciva ad imitare se non con un sorriso cauto.
«Ma ti rendi conto?» Esclamò lui piegandosi su se stesso senza interrompere la sua risata, ma portandosi una mano sullo stomaco. Aveva gli occhi ancora più lucidi e lei fece un passo avanti, fino a ridurre ancora di più le distanze tra di loro. «È assurdo, cazzo» continuò.
Emma inarcò le sopracciglia e cercò di interpretare quelle parole: si stava riferendo alla bottiglia appena rotta? Era troppo ubriaco per far riferimento a qualcosa? C'era un motivo per tutto quell'alcool nelle sue vene?
«Di cosa parli?» Provò a chiedere, semplicemente perché era diventato stancante tenersi tutto dentro: se doveva far compagnia ad un ubriaco, tanto valeva partecipare al gioco.
Harry tornò subito serio e la guardò come se non avesse potuto fare altro o come se si fosse appena reso conto di qualcosa, poi le si avvicinò deciso e lei indietreggiò involontariamente. Di nuovo la stava sovrastando e di nuovo si era mangiato troppa distanza tra di loro: portò la mano destra sul suo viso, a coprirle una guancia, e le accarezzò le labbra con una delicatezza un po' rozza. Emma sentiva il cuore vacillare, ma era pronta a tenerlo a bada: non voleva un contatto del genere dal momento che lui non se ne sarebbe nemmeno ricordato, perché non lo trovava veritiero. Al diavolo i motti riguardo la sincerità derivante da una sbronza, non sarebbe scesa a compromessi.
«Smettila» sussurrò senza essere troppo dura, spostandogli la mano dal proprio volto in un gesto che in altre occasioni non avrebbe nemmeno sognato di fare. Nelle iridi verdi che le stavano di fronte si susseguirono stupore e stizza, fino a lasciare il posto alla familiare vacuità di quel pomeriggio.
«È quello che vuoi, no?» Insistette Harry, imperterrito. Un sorriso malizioso a spuntare sulle sue labbra umide. «Potrei volerlo anche io» continuò a bassa voce.
Emma indietreggiò di un passo senza rispondere, ma continuando a sostenere il suo sguardo poco lucido.
«Sei venuto qui da solo?» Gli domandò cercando di cambiare argomento. A prescindere dalle sue parole fuorvianti, era determinata a scavare più a fondo nella questione, perché voleva capire se si fosse ridotto in quello stato per puro passatempo o per un motivo più solido. Erano soltanto le sei e un quarto del pomeriggio e probabilmente avrebbe vomitato da un momento all'altro, quindi la sua immaginazione si orientava verso la seconda opzione.
«Non mi ricordo» mormorò lui con un sorriso sghembo.
«Sei in macchina? Vuoi tornare a casa?» Continuò lei, corrugando la fronte mentre osservava l'espressione di disgusto che lo pervase.
Al suono di quelle parole Harry fece velocemente un passo avanti, fermandosi in modo precario davanti ad Emma e puntandole l'indice sinistro sul petto. Gli occhi furiosi la scrutavano senza indugio. «Non dire stronzate» la ammonì a denti stretti. «Col cazzo che ci torno» aggiunse, allontanandosi subito dopo e dandole le spalle, mentre si passava le mani tra i capelli leggermente sudati.
Emma sentì il respiro accelerare, ma si prese qualche secondo per capire a fondo quello che era appena successo: era accaduto qualcosa in casa sua? Aveva una situazione familiare non delle migliori? Si rese conto di non conoscerlo per niente, ma di volerlo comunque aiutare.
Aprì la bocca per dire qualcosa allungando una mano per sfiorargli la schiena tesa, ma proprio in quel momento lui grugnì qualcosa in segno di frustrazione e cercò di calciare un pezzo di vetro che gli stava davanti, finendo però per colpire l'aria al suo posto. «È assurdo!» Esclamò di nuovo, alzando la voce e sbattendo i pugni chiusi contro il muro. «Assurdo» ripeté flebilmente, appoggiando la fronte sui mattoni grigi. Emma non capiva cosa gli stesse succedendo.
«Harry…» sussurrò facendo dei passi lenti nella sua direzione. Questa volta la sua mano si appoggiò davvero sulla sua schiena, provando a darle un po' di conforto che forse non sarebbe nemmeno servito. C'era qualcosa, nella sua voce, che le impediva di non essere preoccupata.
«Cosa è successo?» Chiese allora, sentendo i rimasugli della bottiglia scricchiolare sotto le sue Converse bianche. Nessuna risposta.
Aspettò qualche secondo, aspettò una parola o un gesto, ma riusciva a percepire solo dei respiri profondi che non la rassicuravano: questo la spinse ad avvicinarsi ancora un po', a portare entrambe le mani su quella schiena tesa e a sfiorarla con la guancia sinistra. Sperava che quel tipo di vicinanza lo aiutasse contro qualsiasi cosa lo stesse torturando in quel modo.
«Sta succedendo di nuovo» mormorò Harry, sbattendo un altro pugno contro il muro. Non con forza, ma solo con rassegnazione. «Ancora» aggiunse.
Cosa? avrebbe voluto chiedergli, ma aveva fatto sin troppe domande e non voleva risultare troppo insistente.
Harry si mosse all'improvviso e si allontanò come se lei non fosse stata appoggiata contro il suo corpo, costringendola a fare un paio di passi indietro. Al centro del vicolo barcollò sulle sue gambe instabili e si portò di nuovo le mani tra i capelli, chiudendo gli occhi e serrando la mascella. Emma non riusciva a contenerlo, non riusciva a capirlo e questo le risultava insopportabile: avrebbe voluto poter fare qualcosa per lui, poterlo aiutare nel modo di cui lui necessitava, eppure qualsiasi cosa facesse non era abbastanza. Non sapeva come comportarsi.
«Due mesi» disse lui senza preavviso, continuando a tenere le palpebre abbassate. «Per due fottuti mesi mi ha mentito ed è colpa sua se adesso siamo in questo stato!»
Ad ogni parola il suo tono di voce si alzava ed il cuore di Emma si agitava.
«Avrei potuto fare qualcosa, invece ha preferito riempirmi di cazzate!» Continuò, facendo qualche passo senza meta sotto il suo sguardo attento. «Come facciamo ad andare avanti se lui non ha un fottuto lavoro?»
Emma schiuse le labbra e finalmente ebbe le cose un po' più chiare: non voleva saltare a conclusioni affrettate, ma con le poche informazioni che aveva poteva immaginare che il padre di Harry, anche se non poteva essere sicura che vivesse con lui, avesse perso il lavoro e che per due mesi avesse mentito a riguardo, cosa che probabilmente era già avvenuta in passato. Questo avrebbe spiegato il suo "Sta succedendo di nuovo". Per questo aveva cercato conforto nell'alcool? Per la loro situazione economica? Per il senso di impotenza nel sapere che per tutto quel tempo aveva vissuto nell'ignoranza riguardo la verità?
Ancora spiazzata da quella eventualità, rimase immobile ad osservare Harry che si avvicinava al muro dall'altra parte del vicolo: appoggiò una mano su di esso, come per farne un appiglio, e si fece scivolare a terra fino a sedersi con la schiena contro la parete e le gambe distese sul cemento umido per il freddo. Abbandonò il capo all'indietro e chiuse di nuovo gli occhi.
Emma espirò piano e rabbrividì nel trovarsi davanti ad un Harry rotto, abbattuto e completamente diverso da quello con il quale si era sempre rapportata. Si avvicinò lentamente come se stesse per entrare in un territorio minato, come se volesse accertarsi di averne il permesso, e si andò a sedere proprio alla sua destra, ignorando il gelo che riusciva a penetrare i suoi jeans chiari.
Piegò le ginocchia e si strinse nella giacca, guardando il viso di Harry attentamente. Sperava di incontrare il suo sguardo, forse per far caso a qualcosa che fino ad allora le era sfuggito, ma i suoi occhi continuavano a rimanere chiusi, al sicuro. Eppure Harry si era accorto di lei, della sua vicinanza, perché si mosse lentamente ed appoggiò un braccio sulle sue cosce, circondandole: la sua mano le sfiorava distrattamente il polpaccio magro.
Lei deglutì a vuoto e respirò in silenzio, quasi per non disturbare o interrompere quel momento di bizzarra intimità: non sapeva fino a che punto la mente di Harry fosse consapevole della sua confessione, né sapeva se fosse stata spinta solo dall'alcool, eppure in qualche modo lei era riuscita a farsi spazio in un frammento della sua vita. Non avrebbe ignorato questo particolare.
«Avrei potuto fare qualcosa» sussurrò Harry all'improvviso, con la voce bassa e rotta. Le sue dita iniziarono intenzionalmente a disegnare qualcosa sulla sua gamba, come ad accarezzarla delicatamente, ed Emma si lasciò sfiorare sperando che potesse in qualche modo servirgli.
 
Quando la porta del retro si aprì, si aprirono anche gli occhi di Emma, che si stava dimenando tra decine di pensieri confusi. Ty era sull'uscio e la guardava leggermente confuso, ma sollevato: non sapeva di preciso quanto tempo fosse passato da quando si era seduta al fianco di Harry, ma lo stato di intorpidimento dei suoi piedi e delle mani era un buon indizio. Lui si era addormentato. Il braccio ancora intorno alle sue cosce e la mano ancora accanto alla sua gamba.
«Emma, vai pure a casa: ci penso io» propose Ty camminando verso di loro.
Lei increspò le labbra e diede un'occhiata al suo orologio da polso. Erano le sette passate e in effetti sarebbe dovuta rientrare.
«Sei sicuro? Come farai con il bar?» Domandò lei, forse cercando una scusa per non separarsi da Harry, che finalmente aveva un'espressione rilassata.
«È arrivata Marian, se ne occupa lei» spiegò Ty. Marian era la cameriera che per prima Emma aveva conosciuto quando era tornata al Rumpel per vedere Harry.
Annuì esitante e spostò di malavoglia il braccio che la stava trattenendo, mentre il barista si avvicinava ancora per poter alzare il suo amico da terra.
Quando Emma fu in piedi si soffermò ad osservare il viso di Harry, le guance arrossate e gli occhi ancora chiusi di chi non capisce cosa stia succedendo né gli interessa. «Se ti lascio il mio numero, mi fai sapere quando arriva a casa? Se sta bene?» Chiese diretta senza distogliere lo sguardo. Non era convinta che portarlo lì sarebbe stata una buona idea, ma era anche vero che non poteva rimanere in mezzo alla strada o in un bar sdraiato sul bancone.
Ty sospirò per tenere Harry in posizione eretta. «È solo ubriaco, tranquilla: è stato peggio» commentò. Emma sapeva che era una sbronza e non una malattia terminale, ma era preoccupata per quello che stava sotto. Non sapeva se Ty avesse con Harry un rapporto più profondo di quello che sembrava, né se fosse a conoscenza dei suoi problemi familiari, ma non voleva rischiare di rivelarli a qualcuno che probabilmente non doveva conoscerli.
«Per favore» insistette quindi, senza sbilanciarsi oltre.






 


Buooongiorno :)
Avete visto che puntualità? Sono quasi fiera di me ahhahah 
Allora, allora, allora: ho un paio di cosette da dire (giuro che cercherò di essere il più sintetica possibile!). Avevo detto che in questo capitolo ci sarebbe stata una piccola svolta tra Harry ed Emma, anche se forse avrei dovuto precisare che questa è la premessa, perché il prossimo capitolo vi dirà qualcosa in più :)
Harry ubriaco, come avrete visto, è abbastanza volubile: passa dall'essere malizioso e scherzoso all'incupirsi e al crucciarsi. Emma invece è abbastanza furba da mantenere le distanze, nonostante le piccole attenzioni di Harry non le facciano di certo schifo! Ma passiamo al punto un po' più importante: si inizia a scoprire qualcosa sulla vita di Harry (di nuovo, chi ha letto "It feels..." saprà molto di più e può immaginare come mai Harry abbia preferito ubriacarsi: per chi invece non l'ha letta, si scoprirà tutto :)) ed Emma stessa si rende conto di non conoscere affatto questo ragazzo. Purtroppo non posso spingermi oltre, perché svelerei troppo, ma vorrei solo capire se sono riuscita a far trasparire ciò che volevo: so che in questo capitolo Emma è molto esitante, ma ho appunto cercato di far apparire quanto "l'altra faccia" di Harry l'abbia in qualche modo stupita, rendendole difficile rapportarsi con qualcuno che non si aspettava di dover conoscere! Secondo me è venuta un po' una cagata, ma confido nel vostro giudizio ahahah
Mi piacerebbe leggere i vostri commenti riguardo quello che è successo e riguardo i comportamenti/le parole di entrambi: sono molto curiosa :) Come ho già anticipato, nel prossimo capitolo ci sarà qualcosa di più sostanzioso: intendetela come più vi piace, io mi divertirò a leggere le vostre ipotesi :)
Come sempre grazie di tutto: non pensavo che questa storia vi potesse piacere tanto, e invece continuo a ricevere messaggi di complimenti e di impazienza che mi fanno sempre sorridere :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.
    
  

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Capitolo 8
*** Capitolo otto - Taking for granted ***




 

Capitolo otto - Taking for granted
 

 

Emma sbuffò sonoramente e si guardò intorno trattenendo uno sbadiglio, che dimostrava quanto il suo livello di noia fosse aumentato a dismisura, tanto da schiacciarla ancora di più sul divano in stoffa. Ci si era sdraiata sopra a pancia in giù, con il braccio destro che penzolava dal cuscino ed i capelli disordinati intorno al proprio viso, mentre i piedi scalzi premevano contro uno dei braccioli.
Chiuse gli occhi e canticchiò a bocca chiusa una canzone che MTV stava trasmettendo, cercando di seguirne il ritmo nonostante non la conoscesse bene. Era tutto fin troppo tranquillo: a scuola aveva avuto lezioni talmente monotone e prive di fascino che aveva rischiato più volte di addormentarsi, non aveva litigato nemmeno una volta con sua sorella Melanie, quel giorno, e persino Fanny si era trattenuta dal fare capricci, il che era tutto dire.
Ci pensò Constance, sua madre, ad interrompere il suo stato di torpore. «Ems, vieni ad aiutarmi!» Urlò dalla cucina, accompagnata dal rumore di alcune pentole o piatti. Emma sbatté le palpebre e sbuffò di nuovo.
«Sono occupata» rispose ad alta voce. Era una contraddizione, lo sapeva: nonostante si stesse annoiando come era successo poche volte negli ultimi tempi, preferiva continuare a vegetare sul divano anziché immergersi in stoviglie e profumi di cibi vari. La cucina non faceva affatto per lei.
«Ems!» La richiamò Constance, con un pizzico di rimprovero nella voce mischiato ad una supplica. Nel medesimo istante, però, anche il cellulare di Emma prese a squillare: non c'è da chiedersi a chi venne data la precedenza.
Sullo schermo scheggiato agli angoli apparve un numero che non conosceva, ma mossa dalla curiosità si portò il telefono all'orecchio destro e rispose. «Pronto?» Disse lentamente.
«Ragazzina, sono Harry».
Emma spalancò gli occhi e si mise in ginocchio alla velocità della luce non appena si rese conto della piega che quella giornata avrebbe potuto prendere. Si inumidì le labbra e sorrise. «Come hai avuto il mio numero?» Gli chiese, cercando di non lasciar trasparire quanto fosse incuriosita dal fatto che l'avesse.
«Ieri l'hai dato a Ty, no?» Ribatté lui con la solita furbizia nella voce.
«Sì, a Ty» precisò lei, alzando un sopracciglio. Non che le dispiacesse che il barista gliel'avesse poi rivelato, ma teneva particolarmente a sottolineare il fatto che Harry l'avesse cercato.
«Ascolta, hai già mangiato?» Fu la domanda che la colse di sorpresa, sia per il repentino cambio di argomento sia per il suo significato.
«No» rispose Emma semplicemente, scuotendo la testa come se avesse potuto essere vista. «Perché?»
«Allora ci vediamo tra un'ora al McDonald's davanti alla banca?»
Emma utilizzò due secondi contati per captare la voce roca di Harry, soffermarsi per un attimo su quanto fosse irresistibile, capire quello che le aveva chiesto ed esultare internamente per ciò che aveva l'aria di essere un invito a cena. «Va bene» confermò soltanto, mordendosi il labbro inferiore per trattenere un sorriso soddisfatto e sinceramente felice. Voleva vedere Harry, soprattutto dopo lo stato in cui l'aveva lasciato solo il giorno prima: Ty le aveva detto che non aveva voluto tornare subito a casa e che era rimasto per un po' con lui, ma che dopo aver vomitato anche l'anima - testuali parole - era stato un po' meglio.
«A dopo» disse lui velocemente, prima di chiudere la chiamata e lasciarla con il suono della linea persa all'orecchio.
Emma si passò una mano tra i capelli, posando il telefono sul divano ed alzandosi in piedi velocemente. Corse in cucina e trovò sua madre impegnata a sbattere le uova in un contenitore che aveva visto tempi migliori: aveva il viso candido sporco di farina ed il grembiule portava su di sé delle macchie di chissà cosa. Constance amava cucinare, era il suo passatempo ed il suo modo di rilassarsi, ma era anche molto distratta.
«Mamma, va bene se stasera mangio fuori?» Chiese la figlia, appoggiando una mano all'uscio della porta ed alzandosi sulle punte dei piedi per l'impazienza.
L'altra corrugò la fronte e spostò lo sguardo su di lei. «Come mangi fuori? Sto facendo anche la torta che ti piace» ribatté lievemente dispiaciuta.
«La mangerò quando torno o domani a colazione» la rassicurò Emma con un sorriso sincero sul volto. «Posso andare?»
«Va bene, ma la prossima volta cerca di non decidere le cose all'ultimo minuto» sbuffò Constance, passandosi il dorso del polso destro sulla fronte per spostare un ciuffo di capelli biondi.
Emma si ritrovò quasi a saltellare sul posto, mentre si mordeva un labbro per la felicità. Si voltò e si diresse a passi veloci verso le scale, mentre poteva ancora sentire la voce della madre che diceva: «E dovresti uscire un po' di meno: sei sempre fuori casa! Tuo padre si è già lamentato!»
Lei fece una smorfia e scosse la testa, incurante di quel sottile rimprovero che però non la toccava.
 
Emma arrivò al McDonald's alle otto e un quarto, ovvero quindici minuti in ritardo: aveva impiegato più del previsto a farsi una doccia veloce e a scegliere qualcosa di decente da mettersi, senza contare il tragitto a piedi che aveva dovuto percorrere velocemente proprio per arrivare prima di quanto i suoi tempi le stessero promettendo. Non che fosse agitata o impaziente, ma continuava a chiedersi se potesse considerarsi un appuntamento o almeno qualcosa che gli somigliasse: in fondo era stata lei a dire ad Harry che, se avesse voluto passare del tempo insieme, avrebbe dovuto chiederlo espressamente. Che si fosse deciso a farlo? Ovviamente, come sempre, non voleva lavorare troppo di fantasia: da Harry ci si poteva aspettare qualsiasi cosa e magari voleva solo parlare del giorno precedente.
Lo trovò appoggiato ad uno dei tavolini all'esterno, con una sigaretta mezza consumata tra le labbra. Stranamente non indossava più i soliti pantaloni neri, ma un paio di jeans di un blu scuro ai quali però erano abbinati gli onnipresenti stivaletti marroni. Il cappotto in velluto nero non lasciava intravedere ciò che indossava al di sotto, contrastando la curiosità di Emma, e nonostante fosse ormai buio Harry portava un paio di occhiali da sole che quasi la fecero ridere. I capelli disordinati lo erano più del solito.
«Sei in ritardo» commentò lui senza nemmeno salutarla. Il tono di voce le sembrò un po' troppo freddo, ma questo non la scoraggiò.
A nemmeno un metro dal suo corpo lo osservò gettare la sigaretta a terra per pestarla con un piede ed infilare le mani nelle tasche del cappotto. Lei si strinse nel suo ed alzò un sopracciglio. «Se mi avessi offerto un passaggio ci avrei messo di meno, ad arrivare» gli fece presente in tono provocatorio, abbozzando un sorriso.
Non riusciva a scorgere i suoi occhi e un po' le dispiaceva. In qualche modo era strano vederlo di nuovo sobrio, perché era impossibile non fare paragoni tra i due Harry che aveva conosciuto. Era strano, ma era anche un sollievo.
«Hai sempre troppe aspettative» rispose lui scuotendo la testa, forse per nascondere il sorriso che lo stava minacciando.
Emma non rispose e diede un'occhiata all'interno del locale: non era molto affollato, ma alle casse c'era già un po' di coda. «Ho fame: entriamo?» Propose, seppellendo il mento e la bocca nella sciarpa in lana nera. Il parka non la riscaldava abbastanza e le sembrava di non aver indosso nemmeno i jeans chiari, data la sensazione di avere le gambe immerse nel gelo più ostile.
«Ah, ora hai fretta?» Commentò Harry, voltandosi per seguirla e facendola ridere.
Venti minuti dopo erano ancora in coda con quattro persone davanti e lo stomaco che brontolava. C'era chiasso e odore di fritto e panini di tutti i tipi: talvolta la voce di Emma non era udibile, perché sovrastata da quelle strillanti dei bambini con le rispettive famiglie e dagli ordini quasi urlati confusamente da un commesso all'altro.
«Cosa prendi?» Chiese Emma sistemandosi meglio il cappotto sul braccio. Era stata costretta a toglierselo per il caldo all'interno. Voleva movimentare un po' la conversazione, soprattutto perché Harry sembrava stranamente silenzioso: forse ciò che era successo con il padre continuava a tormentarlo. Si era tolto gli occhiali e lei aveva capito perché li avesse indossati, dato che le iridi brillanti spiccavano in confronto alle occhiaie violacee ma non troppo evidenti che le sorreggevano.
Harry, con lo sguardo fisso sul tabellone al di sopra del lungo bancone, si inumidì le labbra prima di rispondere. «McMenù con patatine e Crispy McBacon» annunciò, guardandola subito dopo. «E tu? L'Happy Meal?» Domandò, prendendola in giro ed allentando finalmente quella maschera un po' troppo seria che lo stava caratterizzando.
Emma sorrise e gli diede una spallata giocosa, godendosi la curva che le sue labbra assunsero quasi in un regalo.
 
Avevano trovato un tavolo libero in un angolo del locale, forse un po' macchiato di salse e unto da chissà cosa, ma comunque l'unico posto in cui avrebbero potuto sedersi. Da una parte avevano la lunga vetrata che si affacciava sulla strada ormai buia di Bradford, dall'altra nemmeno un metro di spazio prima di un altro tavolo ben più grande e soprattutto chiassoso. Emma, con le spalle al muro, poteva osservare tutto il locale e purtroppo poteva anche vedere come il signore seduto al tavolo dopo il loro non riuscisse a mangiare senza sbavarsi come un bambino.
Addentò il suo Chicken Mythic assaporandone la salsa: aveva pagato tutto Harry, senza esitare e senza che lei protestasse più di tanto, perché in fondo non le dispiaceva per niente che si comportasse da gentiluomo. Lo guardò mentre prendeva un sorso di Coca-Cola: la sua mano era così grande da coprire gran parte del bicchierone in carta, tanto che Emma non poté impedirsi di pensare a quanto le mancasse sentirla sul proprio corpo.
«Ty mi ha detto che ieri sei rimasta un po' con me» esclamò lui all'improvviso, guardandola serio negli occhi e prendendo in mano il suo panino.
Emma deglutì e annuì tranquilla, si sentiva sollevata dal fatto che lui stesso avesse tirato fuori l'argomento: avrebbero dovuto parlarne, no? In qualche modo avrebbe dovuto sostenerlo.
«Non te lo ricordi?» Gli chiese alla ricerca di informazioni.
Harry inspirò profondamente, quasi in un sospiro. «Non ne ero certo» le confermò. «Ho ancora troppo mal di testa» aggiunse. Chissà quanto si ricordava effettivamente di quel pomeriggio, ma soprattutto chissà se sapeva di averle rivelato qualcosa di tanto personale.
«Be', sì, Ty stava per cacciarti dal bar visto che continuavi ad urlare» raccontò Emma con un sorriso, per smorzare la sottile tensione che si era insinuata tra di loro. «Ho pensato che fosse meglio portarti fuori prima che lo facesse lui con la forza».
Lui non sorrise, ma annuì piano, distogliendo lo sguardo. Emma avrebbe voluto cogliere nei suoi lineamenti uno straccio di riconoscenza, ma non era ancora in grado di farlo, sempre se era presente. In altre occasioni avrebbe esposto ad alta voce la sua leggera delusione, ma sapeva bene che Harry non ne aveva bisogno in quel momento, quindi si morse la lingua e si limitò ad agitarsi impercettibilmente sulla sedia.
«Quindi... Ti piace la fotografia?» Esordì lui dopo un paio di minuti di silenzio, stupendola.
Emma sollevò lo sguardo sul suo viso e continuò a masticare. Prima che potesse rispondere, però, Harry sembrò appagare il suo dubbio interiore, che evidentemente la sua fronte leggermente corrugata non era riuscita a nascondere. «Quando vieni al Rumpel ti porti sempre quel libro dietro» spiegò, riferendosi al libro di fotografia che sua madre le aveva regalato.
Non pensava nemmeno che ci avesse fatto caso, ma era in qualche modo felice di aver suscitato in lui una certa curiosità. «Sì, molto. Anche se sono solo una principiante» rispose alzando le spalle ed abbassando lo sguardo. Chissà se Harry avrebbe apprezzato la passione che lei covava dentro senza scoprirla eccessivamente, quasi per paura di danneggiarla.
«Quali sono i soggetti, di solito?» Continuò lui, con la voce roca e calma a contrastare nettamente con il caos che li circondava. In tutta quella confusione i pochi metri quadri che occupavano sembravano essere di un'altra realtà.
Emma si morse un labbro. «Dei particolari» rispose semplicemente, non potendolo spiegare in altri modi.
«Particolari, eh?» Chiese Harry, sorridendo naturalmente per mostrare un po' di malizia solo con la successiva domanda. Appoggiò gli avambracci sul tavolo e si sporse di poco in avanti. «Vediamo, cosa fotograferesti di me?»
Lei si lasciò andare ad una lieve risata dovuta alla schiettezza di quelle parole e ci pensò un attimo su. Alzò il mento per ostentare sicurezza e ripercorse velocemente i tratti del ragazzo che gli stava di fronte. «La linea del collo» rispose piano guardandolo negli occhi, mentre nella sua mente ricostruiva la sua pelle chiara e morbida. «La mascella. Le mani» aggiunse senza però scendere nei dettagli. Non gli disse che in realtà c'era qualcosa di ben preciso che avrebbe ritratto di quelle mani, qualcosa che aveva notato e che ormai non poteva più ignorare: come le linee sui suoi palmi grandi, i tratti delle dita, il piccolo tatuaggio a forma di croce, le vene sul dorso e le nocche arrossate per il freddo.
Harry mosse le labbra in un sorriso - e ovviamente lei avrebbe fotografato anche quelle, ma preferiva non dilungarsi troppo - ed aprì le mani per dar loro un'occhiata, come per cercare ciò che aveva colpito Emma.
«Tu invece?» Gli domandò lei poco dopo, bevendo un sorso di Sprite. «Cosa fai nel tempo libero, oltre a stare al Rumpel?» Continuò con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Dove erano finite tutte le loro allusioni? Possibile che stessero riuscendo a conoscersi un po' meglio senza stuzzicarsi a vicenda? A lei non dispiaceva questo nuovo lato del loro rapporto, forse perché sapeva che in fondo l'altro non era affatto scomparso, ma stava solo aspettando il momento giusto per ritornare a galla: nel frattempo ne avrebbero approfittato per scoprire qualcosa di più l'uno sull'altra.
Harry sospirò e si lasciò andare contro lo schienale della panca sulla quale era seduto, passandosi una mano tra i capelli. Le rondini tatuate sul petto erano un po' più visibili, grazie allo scollo morbido del maglione grigio. «Niente di che, in realtà» rispose con un'espressione pensierosa, quasi stesse provando ad essere un po' più specifico, spulciando nella routine delle sue giornate.
«Non hai nemmeno una passione?» Indagò lei scettica, mangiando l'ultima patatina fritta.
Harry rise e scosse la testa. «Ne ho una, ora che mi ci fai pensare, e credo sia abbastanza comune».
Emma corrugò la fronte, inclinando impercettibilmente le labbra in quello che doveva essere un sorriso confuso. Per questo lui si premurò di fare chiarezza. «Mi piace fare sesso» esclamò infatti, beffardo più del solito e con lo sguardo su di lei.
Emma alzò gli occhi al cielo e scosse la testa divertita, arrendendosi alla malizia di quel ragazzo. «Ti piace, ma chissà se sei bravo» lo prese in giro: voleva allontanare dalla propria mente la possibilità che in quel periodo Harry stesse praticando quella sua passione con qualcuno, perché non voleva diventare gelosa di un ragazzo sul quale non poteva avere alcuna pretesa, né imbronciarsi. Il solo pensiero di Harry con un'altra la faceva innervosire, quindi era meglio ignorarlo.
«Non immagini quanto» rispose Harry con la solita vanità impregnata di testosterone: era convinta che stesse nascondendo i suoi reali interessi sotto quelle risposte superficiali. Lei alzò le sopracciglia senza rispondere, senza commentare oltre e quindi stuzzicando la sua curiosità: data la sua perenne voglia di mettersi in mostra, probabilmente Harry era quasi dispiaciuto della precoce fine di quel discorso, perché significava che non avrebbe più potuto vantarsi. Infatti fu lui il primo a parlare di nuovo. «Che c'è, non mi credi?» Chiese con un sorriso tra l'offeso ed il malizioso.
Emma abbassò per un attimo lo sguardo, divertita. «Da quanto ne so potrebbe essere tutto fumo e niente arrosto» esclamò soltanto.
«Il bue che dà del cornuto all'asino» ribatté lui fin troppo piccato, come a pungerla volontariamente sul vivo. A parte il fatto che stavano andando avanti a modi di dire, Harry aveva smorzato la sua espressione e aveva reagito all'attacco al suo ego smisurato con una battuta che mancava di sensibilità. Evidentemente si stava riferendo a ciò che era successo nel corridoio del Rumpel, quando lui l'aveva messa alla prova solo per dimostrarle quella che riteneva assenza di esperienza. Era talmente pieno di sé da convincersi che quel suo piccolo rifiuto potesse essere dovuto solo alla sua verginità, e non alla mancanza di una sufficiente attrazione.
Emma, infastidita dal modo in cui lui continuava a darla per scontata, tentò di riscattarsi con la sua schiettezza. «Chi ti dice che io sia vergine?» Chiese con sicurezza, nonostante entrambi sapessero quale fosse la verità. Lei non era mai stata con un ragazzo in quel senso, ma non le piaceva che le venisse rinfacciato per un motivo futile: anche lei aveva dell'orgoglio ed anche lei voleva difenderlo.
Harry sorrise piano ed alzò un sopracciglio. «Stai scherzando?» Domandò incredulo, forse ripercorrendo mentalmente tutti i loro precedenti.
Lei scosse la testa, rimanendo più seria di quanto lui si aspettasse. «Sarebbe tanto strano se io semplicemente non volessi fare sesso con Harry Styles? Devi per forza insinuare che io sia vergine?»
«Ragazzina, calma» ridacchiò Harry, mettendo le mani avanti in segno di resa. Aveva sicuramente colto il fastidio nella voce di Emma. «L'avevo dato per scontato, ma non c'è bisogno di scaldarsi» aggiunse: non era convinto, lo si vedeva lontano un miglio, ma a lei non importava. Il problema non era che lui sapesse della sua inesperienza, ma la sua infinita sicurezza di sé, che lo portava ad essere più presuntuoso di quanto fosse accettabile. In fondo lei non aveva negato di essere vergine, aveva solo insinuato in lui il dubbio.
«Be', non darmi per scontata» disse Emma, sostenendo il sguardo.
Harry si passò la lingua sulle labbra ed annuì impercettibilmente. «Cambiamo argomento, ti va?»
 
Rimasero seduti a quel tavolo per un paio d'ore circa, anche se i vassoi davanti a loro erano ormai vuoti da un pezzo ed il locale si era notevolmente svuotato. Rimasero lì, incastrati tra uno sguardo di troppo ed una risata trattenuta, tra le chiacchiere riguardo le opinioni più inutili - "Io odio quando ordino una Coca-Cola e mi portano una Pepsi" - e quelle sulla vita di entrambi. Rimasero lì abbastanza a lungo da permettere ad Emma di sentire il cuore scoppiare per una familiarità che non avrebbe mai immaginato, interrotta talvolta dal loro solito modo di scherzare. Aveva notato come Harry si fosse rilassato, come man mano che il tempo passava la sua espressione si fosse liberata sempre più dalla tensione, e aveva scoperto un po' di più su di lui, su quello che era: nonostante si fosse tenuto ben alla larga dal discorso sulla propria famiglia, le aveva rivelato che in realtà la pallacanestro lo annoiava e che la praticava a scuola solo per avere dei crediti extra e qualche vantaggio agli occhi dei professori, che la sua macchina era davvero molto vecchia ma che non l'avrebbe cambiata per niente al mondo, che odiava la spiaggia, ma amava il mare - "Il che, se ci pensi, può essere un po' scomodo" - e che quando era piccolo diceva di voler diventare un mago. Si era intrufolata nelle sue piccole cose e si era sentita a proprio agio.
Emma rabbrividì appena uscirono dal McDonald's, perché ormai si era abituata al caldo soffocante che regnava all'interno. Harry non aveva accennato a quello che avrebbero fatto dopo, quindi non sapeva ancora se la serata fosse finita o se sarebbero andati da qualche altra parte, però a quanto pareva, per il momento, si sarebbero fermati su quel marciapiede: lui, infatti, si accese una sigaretta e si appoggiò ad uno dei tavoli più alti del normale, proprio dove lei l'aveva trovato quando era arrivata.
«Harry?» Lo chiamò all'improvviso, guardandolo in volto mentre assottigliava gli occhi per aspirare del fumo. «Tu cosa fotograferesti di me?» Domandò facendo un passo avanti. Erano molto vicini, quasi di fronte, ed Emma non riusciva bene a distinguere il suo profumo perché entrambi avevano assorbito quello del McDonald's: la sua curiosità era legittima, in fondo lui aveva avuto la sua risposta. Da quel momento lei si era maledetta interiormente per non avergli posto la stessa domanda, ma ormai stavano parlando di altro senza mai fermarsi, quindi se ne era pian piano dimenticata, anche se non definitivamente.
Harry spostò gli occhi nei suoi ed espirò lentamente. «Ragazzina, sei troppo piccola per la risposta» disse, portando una mano tra i suoi capelli per scompigliarli e ridendo piano.
Emma sospirò imbronciandosi ed incrociò le braccia al petto. «Stupido» commentò, mentre lui alzava le spalle senza rispondere oltre. Lei avrebbe preferito che fosse sincero, perché la curiosità la stava mangiando viva, ma subito sentì anche la curiosità per qualcos'altro che le impedì di insistere.
Si passò la lingua sulle labbra e si guardò intorno per una manciata di secondi cercando le parole giuste nella propria mente, accompagnata dal suono di Harry che fumava. Si sentiva in dovere di chiedergli notizie su ciò che l'aveva ridotto ad uno straccio il pomeriggio precedente: non poteva ignorare la cosa, nonostante lui non si fosse nemmeno avvicinato al discorso.
«Come va con tuo padre?» Domandò allora, a bassa voce e con l'espressione seria, pronta a captare qualsiasi reazione, anche la più piccola.
Harry rimase con la sigaretta a mezz'aria, a pochi centimetri dalla propria bocca, e si voltò verso di lei. «Cosa?» Chiese, come se non avesse sentito bene.
«Con tuo padre. Come va?» Ripeté Emma con il cuore un po' più agitato. Stava utilizzando un tono delicato, anche troppo rispetto alla sua indole, ma non sapeva cosa aspettarsi.
«Tu che ne sai?» Quasi ringhiò Harry, ancora immobile. Ormai era ovvio che non si ricordasse assolutamente di averle confidato parte dei propri problemi: di nuovo, la sua espressione si era mascherata di una rigidità che non gli si addiceva e che sembrava incolparla di qualcosa.
Lei sbatté le palpebre. «Me l'hai detto tu, ieri» rispose.
Lui aspirò del fumo nervosamente e più a lungo del solito, guardando dritto davanti a sé. «Stanne fuori» disse soltanto, con una durezza che le si incastrò nel petto.
Eppure Emma non era una che si arrendeva molto in fretta, né che si lasciava piegare facilmente, soprattutto se sapeva che alcuni comportamenti avrebbero potuto essere uno scudo di protezione: aveva visto e sentito Harry mentre urlava in un vicolo, a pezzi per una situazione che evidentemente non controllava, ed era innegabile che avesse bisogno di un supporto. Avrebbe insistito ancora un po', giusto per testare la sua determinazione ad essere lasciato in pace.
«Sicuro di non volerne parlare?» Domandò infatti, resistendo al suo rifiuto.
«Perché dovrei parlarne?» Ribatté lui mentre la rabbia faceva capolino nella sua voce. Il fatto che non le avesse nemmeno chiesto fino a dove si era spinto nel raccontarle la sua situazione la faceva riflettere.
«Potrebbe esserti d'aiuto» tentò Emma come se fosse ovvio.
«Certo» mormorò Harry, abbozzando una risata scettica e continuando a non guardarla. «E cosa ti fa pensare che io abbia bisogno di aiuto?»
«Ti ricordo che sono stata con te per tutto il tempo, ieri pomeriggio» precisò lei con un tono forse un po' troppo piccato. Non avrebbe voluto usarlo, ma le era venuto naturale dato quello ricco di sprezzo di Harry.
«Oh, giusto! Allora immagino che tu sappia meglio di me come io mi senta» rispose lui. E aveva ragione.
«Harry...» lo chiamò piano, pronta a rimediare. Forse la sua idea di insistere non era stata la migliore di sempre e si stava già pentendo di averla assecondata, dato che l'atmosfera che avevano condiviso fino ad allora si era ormai spezzata.
Harry, però, prese quel suo tentativo di parlare come un ulteriore tentativo di intrufolarsi nei suoi problemi. «Ti ho già detto di lasciar perdere» sbottò, interrompendola e spostando gli occhi colmi di fastidio nei suoi. «Giochiamo quanto vuoi, ma devi stare fuori dalla mia cazzo di vita. Tu non c'entri niente» aggiunse nervoso, gettando la sigaretta a terra.
Emma sbatté le palpebre più volte, colpita da quelle parole come se fosse stata appena schiaffeggiata in pieno volto. Era stato duro, sotto un certo punto di vista anche cattivo, e lei non era disposta a farsi trattare in quel modo.
«Sai una cosa?» Esclamò infatti, inasprendo lo sguardo e stringendo i pugni lungo i fianchi. «Hai ragione, io non c'entro proprio niente e ieri avrei potuto lasciarti da solo, al posto di preoccuparmi per te. Ma tu nemmeno ci fai caso, perché non mi hai detto neanche uno stupido "grazie". E non ti capisco per niente, non capisco per niente quello che stiamo a facendo a questo punto: che senso ha avuto questa serata, visto che fino ad ora non hai mai voluto spingerti oltre con me e visto che mi hai appena fatto capire che non ti interessa nemmeno una semplice amicizia? Che diavolo vuoi da me?» Concluse con il respiro irregolare a le frustrazione a farle tremare un po' le gambe. Aveva dato voce ai propri dubbi, cercando di mettere tutte le carte in tavola: Harry la respingeva su tutti i fronti con una decisione che faceva quasi male, rigettando qualsiasi approccio che lei potesse tentare, eppure era stato lui stesso a chiamarla per mangiare insieme, senza contare il fatto che lei non era di certo stata sempre l'unica a fare allusioni riguardo una certa attrazione tra di loro.
Harry la osservò intensamente per un paio di secondi, in un modo completamente diverso. «Infatti non so nemmeno che cazzo ci faccio, qui» disse spietato, camminando via velocemente senza girarsi a guardarla. Aveva usato un tono di noncuranza e quasi di disprezzo che aveva scosso Emma fin nel profondo, ferendola più di quanto lei avrebbe concesso in altre occasioni. Per questo non lo richiamò, troppo arrabbiata per farlo, né si mosse per qualche minuto, limitandosi a guardarlo salire in macchina e andarsene via.

 






 


Buooongiorno :)
Tra ieri ed oggi ho finito questo capitolo e devo ancora capire se mi piaccia o meno aahahha
Come avete visto, Harry non si ricorda praticamente nulla del tempo passato con Emma, tanto che non era nemmeno sicuro che lei ci fosse davvero: e nonostante tiri fuori l'argomento, non la ringrazia. Secondo voooi? Riguardo il discorso sul sesso, aprirei una piccola parentesi ahhaha: inizialmente non doveva nemmeno esserci, ma Harry è un po' ninfomane diciamo ahhaha (come tutti i diciannovenni) e loro due non sono di certo i tipi da scandalizzarsi per questo. Spero sia chiaro il fastidio di Emma: ovviamente lei è vergine, ma non sopporta il modo come lui lo dia per scontato, pensando che possa essere l'unico motivo per beccarsi un rifiuto. Insomma, vuole tenere a bada la sua vanità, ecco! Cosa ne pensate?
E infiiiine, la piccola novità: vi avevo già avvertite riguardo questo screzio nel loro rapporto. Quante di voi si aspettavano che Harry le fosse riconoscente per la sua vicinanza e cadesse tra le sue braccia per questo motivo? Be', non è da lui, infatti le dice chiaramente di farsi gli affari suoi, screditandola anche un po': ora, Emma avrà anche quindici anni, ma non è una stupida, ed è per questo che cerca di mettere le cose in chiaro. Voi la pensereste come lei? :)

Come sempre vi ringrazio per tutto, siete davvero meravigliose! Vi chiedo di farmi sapere cosa ne pensate, perché per me è molto importante! Ormai ogni capitoo ha circa mille visite, quindi mi piacerebbe sentire un po' più di persone (anche non per forza su efp!), giusto per avere un quadro di come state "vivendo" questa storia! Grazie se deciderete di farlo!

Vi lascio tutti i miei contatti:
ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.
    
  

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Capitolo 9
*** Capitolo nove - Freckles ***




 

Capitolo nove - Freckles
 

 

La mensa della Haltow High School sembrava più affollata del solito, ma soprattutto più rumorosa: Emma non riusciva proprio a capire perché tutti si ostinassero ad urlare ai propri compagni di pranzo, anziché parlare come persone normali, e voleva convincersi che la scarsa tolleranza di quel giorno fosse solo dovuta alle poche ore di sonno della notte precedente. Non erano assolutamente passati tre giorni dall'ultima volta che aveva visto Harry, non era assolutamente ancora arrabbiata e al tempo stesso frustrata per l'orgoglio che provava e che le impediva di cercarlo - soprattutto perché spettava a lui farlo, senza ombra di dubbio - e non era assolutamente nervosa. Per niente.
«Ti giuro che mi fai venire i nervi» borbottò Pete di fronte a lei, riferendosi però a Dallas, che le stava seduto di fianco: stava dividendo le pietanze nel suo piatto, in modo tale che non si toccassero. Se più o meno tutti avevano fatto l'abitudine a quella sua peculiarità, il gemello sembrava non riuscire a capacitarsene, perché lo riteneva inconcepibile.
«Mangia nel tuo piatto e non rompere» lo rimbeccò Dallas con un falso sorriso, portandosi alla bocca una foglia di insalata verde.
Pete alzò gli occhi al cielo e sospirò, addentando il panino al prosciutto mentre Tianna, alla sua destra, rideva di nascosto. «Comunque, tornando al discorso di prima, fai bene a non chiamarlo» esordì questa, versandosi dell'acqua nel bicchiere.
Emma, che stava guardando con desolazione quella poltiglia nel suo piatto che doveva essere pasta al sugo, alzò lo sguardo su di lei ed aspettò che continuasse: aveva informato i suoi amici della situazione con Harry e ne stavano giusto parlando, nonostante lei avrebbe preferito fare altro.
«Voglio dire, è già tanto che tu lo abbia cercato negli ultimi tempi» ricominciò alzando un sopracciglio. «E so che la tua filosofia di vita è tutta particolare, ma io rimango dell'idea che tocchi ai ragazzi fare il primo passo».
«Che idea stupida» commentò Dallas ancora con la bocca piena. «Perché dovremmo essere noi a fare sempre qualcosa? Credete che sia più facile attaccare bottone solo perché abbiamo un apparato riproduttivo diverso dal vostro?»
Emma sorrise in parte d'accordo con il suo amico e gli rubò un'oliva dal piatto, guadagnandosi un'occhiata fintamente infastidita. «Dallas ha ragione» decretò, dandogli un veloce bacio sulla guancia.
Tianna scosse la testa ed increspò le labbra in segno di disappunto, ma lasciò perdere quel piccolo dibattito per continuare con il discorso principale. «In ogni caso Harry è stato un coglione: ti ha trattata da schifo e ti ha anche lasciata a piedi. Chiamarti è il minimo che possa fare» esclamò decisa.
Pete sbuffò ed appoggiò il panino nel piatto. «Ma che diavolo state dicendo tutti quanti?» Domandò, guardandoli uno ad uno. «Kent, mi dispiace dovertelo sbattere in faccia, ma Harry vuole solo fare sesso: te l'ha detto e te l'ha fatto capire in ogni modo. È normale che non voglia che ti impicci nella sua vita ed è normale che si stufi di discutere con te, quando non sei nemmeno disposta a dargliela» concluse, alzando le spalle in un gesto di ovvietà. Tianna gli sganciò subito una gomitata sul braccio, incenerendolo con lo sguardo, e Dallas scosse la testa, mormorando un insulto poco velato.
Emma si limitò ad osservarlo e a riflettere su quelle parole che non le erano affatto estranee: sapeva anche lei che Harry era interessato al sesso, ma allo stesso tempo sapeva che non si riduceva tutto a quello. In fondo, se per tutto quel tempo erano in qualche modo rimasti legati pur senza andare a letto insieme, un motivo doveva esserci: senza contare il fatto che Harry sarà stato anche lievemente pervertito e rozzo in alcuni suoi modi di fare, ma aveva dimostrato anche dell'altro. O lei e la sua ostinata determinazione avevano reso tutto più confuso ed ottimistico?
«E cosa mi consiglieresti di fare, sentiamo?» Domandò Emma, senza dare voce ai propri pensieri.
Pete alzò un sopracciglio e si leccò un dito sporco di maionese. «Hai due opzioni» annunciò sfidandola con i suoi occhi chiari. «O gliela dai senza tante storie o te la tieni, ma ti accontenti di quello che lui è disposto a concederti in cambio».
«Ma che razza di consiglio è?» Lo rimproverò subito Dallas, inasprendo lo sguardo mentre si puliva le labbra sottili con un tovagliolo. «Parli come se Emma fosse solo un corpo: se questo Harry è troppo stupido per guardare oltre il proprio uccello, lei non deve per forza stargli dietro. Perché dovrebbe accontentarsi? Al massimo è lui che deve darsi una regolata. Nemmeno fosse il re di 'sto-»
«Hey, non essere volgare!» Lo prese in giro Pete con un'espressione furba.
«Ammazzati» rispose Dallas.
«Più tardi» ribatté l'altro prima di continuare. «Non credere che Harry, un normalissimo diciannovenne, pensi in altri termini quello che io ho solo detto ad alta voce. E non intendevo dire che Emma è solo un corpo-»
«Guardate che sono qui» li interruppe lei, sorridendo divertita.
«Ma dai?» Chiese Pete retoricamente, per poi concentrarsi di nuovo sul fratello. «Comunque, non volevo dire quello, ma solo che non può avere tutto: Harry ha messo le cose in chiaro sin da subito e se lei vuole lo stesso insistere, non può pretendere più di tanto» si spiegò meglio Pete.
«Può pretendere un po' di rispetto, invece!» Si infervorò Tianna agitandosi sulla sedia. «Qualsiasi sia il loro rapporto, lui non ha il diritto di trattarla a pesci in faccia».
«Questo sottile riferimento sessuale è stato voluto o...?» Ridacchiò Dallas, mangiando dell'altra insalata.
Tianna sorrise e lo mandò a quel paese con un semplice gesto.
«Sarebbe utile che la diretta interessata dicesse qualcosa a riguardo, però» commentò Pete, appoggiando gli avambracci sul tavolo mentre anche gli altri due puntavano gli occhi su Emma.
Emma li osservò per qualche istante con un'espressione divertita sul volto, che voleva anche nascondere le riflessioni che le parole dei suoi amici avevano stimolato in lei, e si strinse nelle spalle cercando qualcosa di furbo da dire, che potesse lasciare intatta la sua dignità. Non voleva ammettere di aver perso il controllo della situazione, né di temere di perdere un Harry che non aveva mai nemmeno avuto.
All'improvviso il telefono che teneva sul tavolo vibrò e si illuminò, così lei colse l'occasione per prendere tempo e per sbirciare di chi fosse il messaggio appena ricevuto. Appena lesse il nome "Harry" sullo schermo, si trovò a trattenere il respiro.
 
Un nuovo messaggio: ore 13.45
Da: Harry
"Di te fotograferei le lentiggini che vuoi a tutti i costi nascondere"
 
Emma sorrise a labbra chiuse e scosse la testa con gli occhi blu ancora fissi su quelle parole. Ricontrollò il mittente almeno cinque volte per essere sicura di non aver lavorato troppo di fantasia. Harry, contro ogni previsione e ovviamente in una nuova contraddizione, le aveva scritto un messaggio del genere: non solo aveva fatto il primo passo, si era anche ricordato di quella domanda alla quale non aveva risposto - chissà se nella sua mente l'avesse fatto, ma se il suo orgoglio maschile gli avesse impedito di dirlo ad alta voce - e aveva dimostrato di essersi accorto delle lentiggini tanto odiate da Emma.
Non sapeva come interpretare quello che era appena successo: in fondo era possibile che la stesse solo prendendo in giro, soprattutto dopo quella sera al McDonald's e dopo le sue parole così taglienti. Emma preferiva mantenere un profilo attento, pronto a confrontarsi con qualsiasi fregatura avrebbe potuto trovarsi in agguato, ma non poteva negare che quel piccolo gesto di Harry la facesse riflettere.
 
Messaggio inviato: ore 13.46
A: Harry
"Stupido."
 
Cos'altro avrebbe potuto dirgli? Non sarebbe di certo caduta subito tra le sue braccia, dimenticando il suo comportamento di soli tre giorni prima: se da una parte stava esultando internamente, dall'altra voleva far valere la propria posizione.
«Kent, ci sei?» La riprese Pete, schioccandole due dita davanti al viso.
Lei alzò un sopracciglio e sorrise più apertamente, mostrando poi al suo amico il messaggio appena ricevuto. Pete sbuffò arreso e passò il telefono a Tianna: questa, prima di borbottare ancora qualcosa sulla questione del rispetto - "Come se con una bella frase potesse farsi perdonare!" - si lasciò scappare un'espressione di dolcezza per quelle parole che in fondo ne possedevano un briciolo. Quando Dallas lesse il messaggio, invece, si voltò verso Emma e la guardò con le labbra serie. «Guarda che vuole solo portarti a letto» la ammonì, protettivo.
Emma corrugò la fronte e gli strappò il telefono dalle mani, come a volerne proteggere il contenuto. «E meno male che poi è Pete quello senza peli sulla lingua» si lamentò, riferendosi alle occhiate minacciose che Dallas aveva rivolto al fratello solo pochi minuti prima. Il suo animo bambino e allo stesso tempo vanitoso si sentiva lusingato dal messaggio di Harry, ma quel commento gli aveva appena sferrato un colpo ben assestato.
«Penso solo che tu debba stare attenta» si difese Dallas alzando le spalle. La cicatrice sul suo labbro si muoveva seguendo ognuna delle sue parole premurose. «Non farti prendere in giro» aggiunse.
La vibrazione del cellulare tra le sue mani rispose al posto suo.
 
Un nuovo messaggio: ore 13.50
Da: Harry
"Alle nove al Findoys"
 
Il Findoys era una sorta di punto di ritrovo per diversi gruppi di ragazzi: quasi al centro di Bradford, era nascosto dalle strade trafficate, ma allo stesso tempo non troppo isolato. Nonostante si trovasse in mezzo a palazzoni grigi e tonnellate di cemento, oltre ad ospitare rampe per lo skateboarding ed un piazzale che veniva solitamente usato per il calcetto o semplicemente per prendere il sole, offriva dei piccoli spazi verdi. Sembrava un minuscolo mondo in quello più caotico e dispersivo della città.
Emma ci arrivò in pullman, con la promessa fatta a suo padre di non tornare dopo le dieci e mezza, proprio perché sarebbe uscita da sola e perché l'indomani doveva svegliarsi presto per andare a scuola. Non aveva prolungato la discussione, perché era molto facile far innervosire Ron Clarke ed essere obbligati a rimanere a casa.
Ci mise qualche secondo a notare Harry, seduto su una panchina con i gomiti sulle ginocchia ed il capo chino: era molto buio, nonostante ci fossero alcuni lampioni accesi qua e là, ma la sua figura era ben riconoscibile, così come la sigaretta accesa che teneva in mano. Emma si passò le mani sui jeans chiari, aggiustandosi anche il parka che indossava, prese un respiro profondo e si avvicinò con decisione, pronta a dimostrargli qualcosa.
Lui alzò semplicemente lo sguardo quando la sentì vicina, ma non la seguì mentre lei gli si sedeva affianco rabbrividendo appena per il legno troppo freddo. Nessuno parlava, ma entrambi avevano di sicuro la testa piena di pensieri: Emma voleva che fosse lui il primo a dire qualcosa e perciò aspettava, approfittandone anche per sentire di nuovo il suo profumo e per osservare il profilo del suo viso. Dentro di lei, la rabbia si era smorzata leggermente, scacciata sempre più da ogni battito cardiaco in eccesso.
Dopo qualche minuto Harry si appoggiò allo schienale della panchina, sospirando: guardava davanti a sé con un'espressione quasi corrucciata, che contrastava con quella solitamente beffarda. Emma avrebbe pagato oro per scoprire uno ad uno i suoi pensieri, per poterli semplicemente leggere ed interpretare.
«Hai detto che non ti ho ringraziato» esordì lui a bassa voce, continuando ad ignorarla. Desiderava con tutta se stessa avere i suoi occhi nei propri, o almeno su una qualsiasi parte del suo corpo, e mentre si agitava internamente per quella mancanza, si chiedeva dove volesse andare a parare. Si stava di certo riferendo al fatto che non le avesse mostrato riconoscenza per la sua vicinanza durante quella sbronza al Rumpel, ma quali erano le sue intenzioni?
«Ti ho invitata a cena» aggiunse lui con lo stesso tono di voce.
Emma corrugò appena la fronte e sbatté le palpebre più volte: non aveva pensato alla possibilità che quell'invito potesse essere il rimpiazzo di un ringraziamento verbale, convinta che Harry volesse semplicemente vederla. Avrebbe dovuto focalizzarsi su altre cose, che magari avrebbero potuto aiutarla a capirlo meglio, nonostante quel ragazzo sembrasse un rompicapo: le era ancora difficile comprenderlo a pieno.
«Poi però mi hai detto di stare fuori dalla tua vita, hai ammesso di non sapere nemmeno perché fossi lì con me. E mi hai lasciata a piedi» precisò Emma, determinata a mettere le cose in chiaro. Era vero, il messaggio di Harry l'aveva lusingata, così come il gesto di portarla a cena per ringraziarla a modo suo, ma non voleva dargli l'impressione di essere pronta a farsi raggirare a suo piacimento: il suo comportamento del precedente venerdì non le era piaciuto, lui doveva saperlo.
«Che c'è?» Domandò Harry aspirando del fumo. «Vorresti delle scuse?»
Emma si trattenne dallo sbuffare, ma strinse i pugni. «Sì, non sarebbero male» confermò decisa, nonostante non se le aspettasse.
«Ero incazzato» sussurrò piano lui, guardandola negli occhi. «Non ho bisogno del tuo aiuto, né di quello di qualcun altro: devi lasciar perdere quella storia» aggiunse seriamente. Probabilmente quello era il suo modo di scusarsi - chissà se lei avrebbe mai sentito le parole "grazie" e "scusa" uscire dalla sua bocca - ed in qualche modo forse voleva farle capire che quella sua reazione non era stata provocata da lei in particolare, ma da un discorso che non voleva affrontare. O almeno sperava che fosse così.
«Non dovevo insistere» mormorò Emma quasi in un'ammissione di colpa. Aveva scelto con attenzione le proprie parole, perché lei aveva deciso consapevolmente di insistere e perché non era certa di non farlo mai più. Probabilmente sarebbe stato meglio promettere di astenersi dal tornare ancora sull'argomento, ma sarebbe stata una menzogna, perché Emma non era sicura di riuscire a trattenersi.
Harry non rispose, limitandosi a tenere la sigaretta tra le labbra: era come se entrambi non sentissero più il bisogno di parlare oltre, come se quelle poche frasi fossero bastate a chiarire la loro discussione. Emma era troppo orgogliosa per mostrare quanto effettivamente lui l'avesse ferita quel venerdì ed Harry probabilmente lo era altrettanto per ammettere di aver in qualche modo sbagliato. Fu questo che riportò Emma al messaggio ricevuto poche ore prima, a quello che adesso poteva interpretare più come un tentativo di farsi perdonare.
«Non pensavo ti fossi accorto delle mie lentiggini» esclamò sorridendo, sia perché era la verità, sia perché un po' stronza lo era e voleva infierire sulle parole che non si sarebbe mai aspettata da Harry.
Lui continuò a fumare guardando davanti a sé. «Non sei brava a coprirle» disse soltanto. E sapevano entrambi che era una bugia: Emma si premurava appositamente di nasconderle al meglio, tanto che divenivano visibili solo se si sapeva della loro presenza. Harry doveva averla osservata attentamente per scorgerle e lei la prese come una piccola rivincita, una specie di soddisfazione personale.
Voleva rischiare: voleva mettere alla prova le proprie sensazioni e quelle di Harry, che poteva solo cercare di indovinare. Voleva contraddire Pete ed i suoi presentimenti, cercare di dare ascolto ai propri. Voleva capire un po' di più.
Emma si passò la lingua sulle labbra, respirando profondamente ed in silenzio. Gli occhi blu erano puntati distrattamente su qualcosa di indefinito nel buio di quel posto poco illuminato: con un po' di attenzione chiunque avrebbe capito che stavano solo facendo da passaggio per i pensieri affollati che le vorticavano in testa. Non avevano più il compito di vedere, ma quello contrario: esprimevano, rivelavano.
Ascoltò il rumore del vento tra le foglie degli alberi che li circondavano e poi quello del fumo che usciva dalla bocca di Harry, incrociò le gambe e lo seguì con la coda dell'occhio mentre buttava la sigaretta a terra: il mozzicone ancora accesso spiccava tra l'erba scura.
Doveva fare qualcosa, o quel desiderio di agire che provava l'avrebbe divorata viva.
«Harry?» Lo chiamò a bassa voce, voltandosi a guardarlo. Lui, con i gomiti appoggiati sullo schienale della panchina, la guardò in attesa di quello che avrebbe detto: gli occhi verdi sembravano avere una luce propria, perché Emma era sicura che fosse impossibile che brillassero così tanto in quella oscurità.
«Questa volta possiamo provare a modo mio?» Domandò seria, mentre la propria voce sembrava quasi irreale se paragonata al silenzio che li circondava. Non si era sentita in dovere di specificare a cosa si riferisse, perché sapeva che anche lui l'aveva già capito: la prima volta era toccato ad Harry mettere alla prova il loro rapporto, ma era giusto che anche lei avesse la sua occasione.
Harry, come c'era da aspettarsi, non chiese spiegazioni perché non ne aveva bisogno: sbatté le palpebre e per un attimo sembrò che le sue labbra si inclinassero impercettibilmente in un sorriso fugace. Emma, attenta ad ogni particolare del suo viso, prese quella reazione come un consenso e subito sentì il cuore esultare e agitarsi.
Posò una mano sul legno freddo della panchina, proprio nello spazio che li separava inutilmente, in modo da potersi poggiare su di esso e sporgersi verso Harry. Lentamente accorciò le distanze tra i loro volti, mentre Harry rimaneva immobile con lo sguardo irrimediabilmente fisso su di lei. Chissà a cosa stava pensando, chissà cosa si aspettava. Emma di sicuro era più agitata di quanto volesse dare a vedere, perché ormai li dividevano solo pochi centimetri e perché a quella distanza poteva respirare l'aria ancora di fumo che usciva dalla sua bocca, il suo profumo che si mischiava ad essa.
Abbassò le palpebre per proteggersi dai suoi occhi, che non sapeva come gestire nonostante pensasse di aver imparato a farlo, e l'attimo dopo incontrò le labbra di Harry con le proprie. Erano più fredde di quanto si aspettasse e più morbide di quanto riuscisse a sopportare, ed erano davvero lì: quante volte, in uno qualsiasi dei loro incontri, aveva desiderato sfiorarle anche solo con le dita? E quante volte le aveva immaginate, proprio come una ragazzina sognante? Non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma l'avevano distrutta prima ancora di farsi conoscere.
Fu un bacio innocente, una semplice carezza che forse durò troppo poco, nonostante Emma si sentisse già sopraffatta: non aveva provato ad insistere, ad approfondire quel gesto per la prima volta un po' più intimo, perché voleva valutare la reazione di Harry e la propria. Prima di fare qualcos'altro, doveva capire le sue intenzioni e magari riuscire a smentire i presentimenti di Pete, Tianna e Dallas. Per questo si allontanò altrettanto lentamente di quanto gli si era avvicinata, rimanendo a pochi centimetri da lui e aprendo di nuovo gli occhi, in modo da farsi ancora un po' più di male e ritrovarsi nelle iridi che le stavano di fronte.
Non avevano cambiato espressione, come se quel bacio dovesse ancora esserci, e lei non sapeva come interpretarle, anche perché era più occupata a gestire ciò che si stava svolgendo dentro di sé.
Poi Harry sorrise piano, continuando a guardarla negli occhi. «Baci proprio come una quindicenne» disse a bassa voce, prendendosi gioco di lei.
Ed Emma, che si era davvero stancata, non voleva starlo a sentire oltre. «Vaffanculo» esclamò, alzandosi in piedi ed allontanandosi a passi veloci. Aveva il proprio orgoglio da rammendare, qualche nuovo insulto da creare appositamente per lui ed un'emozione inutilmente forte da smaltire. Era assurdo come anche in quel caso, mentre lei cercava di riversare in un semplice contatto ciò che a parole forse non sarebbe stata in grado di dire, Harry potesse prenderla in giro, sbeffeggiarla senza alcuna premura.
«Si può sapere dove stai andando?» Chiese la voce di Harry, mentre la sua mano bloccava il polso destro di Emma, impedendole di allontanarsi anche solo di un altro passo.
Lei si voltò con un'espressione ricca di rancore, che si inasprì nel momento in cui si scontrò con quella ancora sorridente del suo interlocutore: provò a liberarsi dalla sua stretta, ma le sembrò di peggiorare solo le cose, dato che il braccio sinistro di Harry le circondò la vita, come per contenerla.
«Lasciami» gli ordinò cercando di incenerirlo con lo sguardo. La faceva incazzare, terribilmente.
«Smettila di agitarti» la rimproverò lui, continuando a sorridere.
«E tu smettila di essere così insopportabile» ribatté Emma senza dargli ascolto. «Chi ti credi di essere, eh?»
«Cazzo, stai un po' zitta» esclamò Harry, premendo subito dopo le proprie labbra sulle sue. Fu meno delicato di quanto non lo fosse stata lei, più irruente: continuava a tenerla ferma, anche se non doveva più fare i conti con alcuna resistenza. Emma, che fino all'attimo prima stava cercando di tirargli uno schiaffo solo per sfogarsi, si era completamente arresa: anche se avesse voluto, non avrebbe potuto opporsi a ciò che stava succedendo, perché tutto il suo corpo era rapito dalla bocca di Harry, dal modo in cui la stava baciando senza lasciarla respirare, denigrando l'innocente contatto di pochi minuti prima e trasformandolo in qualcosa di più.
«È così che si fa» sussurrò Harry su di lei, lasciandole andare il polso e portando la mano al lato del suo viso, accarezzandole lo zigomo con il pollice. Emma aveva il respiro accelerato e i brividi per quella pelle fredda che la stava marchiando senza nemmeno rendersene conto. Continuava a tenere gli occhi in quelli che le stavano davanti, combattuta tra il desiderio di un altro bacio e quello di non dargliela vinta: ma come avrebbe potuto respingerlo?
Harry le sfiorò il naso con il proprio, giocando ad allontanarsi e ad avvicinarsi impercettibilmente alla sua bocca, consapevole di quanto quel suo comportamento fosse una tortura per Emma, e solo alla fine la baciò di nuovo, come in un atto di carità. Per quanto le costasse ammetterlo, era lui ad avere in mano la situazione, era lui a controllarla in ogni più piccolo movimento. Era il suo determinante.
«Emma» disse ancora lui, così piano da farle chiedere se l'avesse solo immaginato. Era la prima volta che la chiamava per nome e, santo cielo, era così strano sentire quelle lettere uscire dalle sue labbra. Da quel momento in poi avrebbe sempre associato quel suono a quell'istante, come se Harry l'avesse risparmiato appositamente. Lo sentì stringerla ancora di più contro il proprio corpo, mentre una sua mano le si incastrava tra i capelli chiudendosi quasi a pugno e l'altra si posava in fondo alla sua schiena per spingersela contro. «Senti la differenza?» Le chiese, spostandosi con le labbra sul suo collo ed obbligandola implicitamente a tenere gli occhi chiusi per godere di quel contatto.
Emma avrebbe voluto annuire, dargli del presuntuoso e poi baciarlo ancora solo per fargliela pagare, ma non fece nulla. Rimase immobile come se si stesse offrendo al proprio aguzzino, pronta a pagarne le conseguenze che in fondo bramava.
«Mi senti?» Sussurrò Harry mordendole la pelle e stringendola ancora di più, come se avesse potuto. A quel punto Emma, che lo sentiva eccome su ogni centimetro di sé e anche dove non la stava toccando, cercò le sue labbra e se ne appropriò, risvegliandosi da quell'arrendevolezza che non le si addiceva e dalla quale doveva riscattarsi. Voleva che anche lui riuscisse a sentirla, voleva che sapesse.
Si sentiva terribilmente piccola tra le sue braccia, sulle punte dei piedi per raggiungere la sua altezza, con addosso le sue mani troppo grandi. Si sentiva piccola e si sentiva altrettanto potente, perché i respiri di Harry erano per lei e perché era sempre lei a farlo reagire impercettibilmente ad ogni carezza meno delicata.
«Impari in fretta» scherzò lui, con la bocca aperta sulla sua ed una mano sul suo collo.
Emma gli morse un labbro per ammonirlo e per impedirsi di ridere. «Non riesci proprio ad essere un po' meno-»
«No» la interruppe sorridendo, senza darle il tempo di ribattere perché era più importante baciarsi ancora.






 


Buooongiorno :)
As usual questo capitolo non è come lo avrei voluto, ma pazienza hahah L'ho modificato mille volte, ho cambiato il finale altrettante volte e alla fine ho capito che avrei continuato così all'infinito, quindi mi sono data un limite!
Che dire? La prima parte ho voluto dedicarla al gruppo di amici, per farvi capire un po' meglio i loro punti di vista e i loro caratteri: spero vi siano piaciuti, con tutti i pro e contro che hanno (io ho un debole per Pete, lo ammetto ahah). Il messaggio che Harry invia ad Emma... Be', lascerei a voi i commenti ahahha Non voglio raccontarvi troppo su di lui, perché vorrei che si svelasse da solo e che in qualche modo voi seguiste la conoscenza che ne ha Emma! Però a questo punto direi che si capisce già quanto sia orgoglioso e impulsivo, ma c'è tempo per tutto il resto :) Entrambi non si sono persi in chiacchiere riguardo il piccolo litigio che hanno avuto e so che potrebbe sembrare strano, ma man mano che imparerete a conoscerli vi sembrerà più che normale!
Riguardo il loro bacio, vi dico solo di non stappare bottiglie di champagne hahaha Chi mi conosce sa che non c'è mai da stare tranquilli, quindi non vi adagiate sugli allori :)) Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto, così come lo svolgimento delle vicende!
Fatemi sapere le vostre impressioni per favore! E grazie infinite per tutto :D

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.
    
  

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci - Expectations ***




 

Capitolo dieci - Expectations
 

 

Tianna rabbrividì teatralmente incrociando le braccia al petto, mentre i suoi stivaletti marroni facevano rumore contro il cemento del marciapiede ad ogni suo passo trascinato.
Emma, alla sua destra, alzò gli occhi al cielo trattenendo un'espressione divertita e arresa: contava mentalmente i secondi che la dividevano dalle tanto attese parole della sua amica. Tre, due, uno...
«Ma perché diavolo ho voluto accompagnarti?» Esclamò Tianna, come previsto, con i capelli neri mossi dal debole vento. Si era offerta volontaria, ma non aveva tenuto in conto la temperatura ostile di quel pomeriggio.
«Fai sempre in tempo ad andartene» ribatté l'altra alzando le spalle, mentre la Lincoln High School - la scuola di Melanie - si faceva sempre più vicina. Non le era mai piaciuta particolarmente, con il cortile anteriore poco esteso e le pareti troppo grigie e rovinate.
«Sì, certo» borbottò Tianna in risposta, guardandosi intorno. Stavano già incontrando qualche studente diretto verso casa e potevano tranquillamente confondersi nella massa, dato che anche loro erano uscite da poco da scuola - un po' prima in realtà, per arrivare in tempo - e dato che avevano ancora gli Eastpak scarabocchiati sulle spalle. Emma sperava di non essere in ritardo o avrebbe fatto tutta quella strada per niente.
Sua sorella Melanie non era andata a scuola quel giorno. Per quanto il loro rapporto fosse congelato e per quanto non ci fosse nemmeno il venti percento di possibilità di una condivisione di segreti, era fastidioso vederla in quello stato: parlava di meno e piangeva un po' di più, ma soprattutto non era nemmeno più soddisfacente litigarci, data la diminuita reattività. Emma non era riuscita a capire fino in fondo cosa fosse successo con quello Zayn di cui aveva sentito parlare in una telefonata origliata, nemmeno spiando Aaron e Becka quando venivano a trovare la sorella: sapeva soltanto che Melanie era letteralmente a pezzi, con gli occhi azzurri terribilmente spenti ed inusuali, e che non c'era ancora stato alcun chiarimento. Dato che chiedere ai due suoi amici delle notizie a riguardo sarebbe stato un gesto troppo avventato, si era recata alla Lincoln High School per ricavare delle informazioni da sé.
Qualcosa nella sua mente si ostinava a ricordarle che in quella scuola avrebbe probabilmente trovato anche Harry, del quale sentiva ancora il sapore dalla sera prima, ma lei cercava di convincersi che la possibilità di incontrarlo fosse solo un incentivo. Era lì per la sorella, per scoprire chi diavolo fosse quello Zayn e cosa avesse combinato, non per ammettere che il fatto di non aver ancora sentito Harry la tormentasse un po' - solo un po'.
«Come hai intenzione di fare? Voglio dire, sai almeno come è fatto questo tizio?» Domandò Tianna scrutando gli studenti che andavano loro incontro. Ormai erano a pochi metri dai cancelli d'entrata.
«No, ma non voglio cercare proprio lui» spiegò Emma, passandosi una mano tra i capelli sciolti. Sarebbe stato troppo rischioso: non voleva che Zayn spifferasse la sua intromissione a Melanie, in un eventuale futuro. «Chiederò a qualcuno».
«Tipo... Lei?»
 
Alla terza o quarta persona alla quale chiesero di un certo Zayn, sembrò finalmente che fossero sulla strada giusta. Emma osservava attentamente il volto segnato da un acne ormai superato del ragazzo che le stava di fronte, cercando di carpire qualsiasi mutamento della sua espressione o del suo sguardo scuro. Era poco più alto di lei, aveva messo un po' troppo profumo e forse anche un po' troppo gel sui capelli corvini.
Nonostante tutto lei continuava a lanciare delle rapide occhiate alle porte della scuola, sia per evitare Becka ed Aaron che di sicuro le avrebbero fatto domande riguardo la sua presenza lì, sia per cercare Harry più o meno inconsciamente.
«Zayn Malik, intendi?» Chiese il ragazzo, cercando di andarle incontro.
«Non sappiamo il suo cognome» intervenne Tianna, increspando le labbra.
«Be', credo che sia l'unico Zayn in tutta la scuola. Sapete, conosco praticamente tutti, anche se solo di nome, e-»
«Quindi sapresti dirci qualcosa su di lui?» Lo incalzò Emma, cercando di evitare il discorso riguardo i suoi vaneggiamenti sociali. Sembrava un ragazzo parecchio vanitoso, forse un po' sfigato, ma con la voglia di mettersi in mostra.
«Cosa volete sapere esattamente?» Domandò lui, guardando negli occhi prima una e poi l'altra.
«Che tipo è, quanti anni ha, cose così».
«È dell'ultimo anno, è piuttosto famoso qui: è tornato dopo le vacanze invernali e nessuno se lo sarebbe mai aspettato, credimi! È stato via per due anni, non mi chiedere dove: se ne è andato dopo aver derubato e picchiato un vecchio a qualche chilometro da qui. Droga, ecco tutto» concluse, come se avesse appena elencato la lista della spesa.
Emma, se solo avesse avuto un po' meno autocontrollo, avrebbe lasciato cadere la propria mandibola a terra, completamente stupita da quella rivelazione: sua sorella Melanie, la persona più docile, diligente e fastidiosamente perfetta del mondo, si vedeva con un ragazzo del genere? A quel punto era normale che passasse il suo tempo a deprimersi su un divano per un litigio con lui: chissà cosa aveva combinato.
La parola “droga” le rimbombava nella mente. Sua sorella usciva con un drogato, che tra l'altro era appena tornato da una fuga verso chissà dove per aver picchiato e derubato qualcuno: magari era anche stato in carcere! Non poteva crederci, non riusciva nemmeno ad immaginare Melanie con un tipo così.
«Magari non è lui» tentò Tianna provando a riscuoterla dai suoi pensieri. Aveva le sopracciglia corrugate in segno di una vaga preoccupazione o comprensione.
Emma invece era arrabbiata per la stupidità della sorella, che si era lasciata abbindolare in quel modo, e per l'istinto di protezione che provava e che l'avrebbe spinta a prendere a calci quello Zayn, se solo lo avesse avuto davanti.
«Posso sapere perché vi interessa così tanto?» Domandò il ragazzo sorridendo incuriosito.
«No» tagliò corto Emma, guardando alle sue spalle. «Ma grazie lo stesso» aggiunse. Non riusciva più a concentrarsi su di lui o su qualsiasi altra cosa, perché aveva appena visto Harry uscire dalla scuola.
«Prego» rispose la loro modesta fonte di informazioni con un'aria stranita. Evidentemente si stava sforzando di indovinare il motivo delle loro domande, ma senza successo. Si voltò con un sorriso sghembo sul volto al quale Tianna non rispose se non con un'espressione quasi di ribrezzo, e si allontanò da loro fischiettando qualcosa con le mani in tasca.
«Perché tua sorella dovrebbe stare con uno così? Mi sembra davvero troppo strano» commentò Tianna pensierosa. «Insomma, magari avrà il fascino del ragazzo tormentato, ma rimane un drogato. A meno che in questi due anni non si sia ripulito e ora non sia diventato una specie di pentito in cerca di salvezza per la sua anima: ecco, magari Mel lo sta aiutando! Ci pensi? Lui con un passato tetro e lei, la ragazza che glielo farà dimenticare: roba da film strappalacrime» continuò, smorzando la sua serietà con una vena da sognatrice incallita. Quando Tianna si inoltrava in fantasie più o meno romantiche, non c'era molto da fare per opporsi se non lasciarla sfogare.
Emma stava facendo esattamente quello, approfittandone per osservare Harry a più di dieci metri di distanza: stava scendendo i gradini della scuola, stretto in un paio di pantaloni scuri e nel giaccone nero che gli aveva visto spesso addosso. Intorno a lui i soliti amici che aveva incontrato più volte al Rumpel, compreso l'esile Walton, ed un paio di ragazze. Una di loro gli stava fin troppo vicina per i suoi gusti.
«Emma Clarke, ti sei imbambolata?» Esclamò Tianna, cercando di guadagnare la sua attenzione, ma l'amica era intenta ad osservare e studiare la situazione, con la voglia di baciare Harry e quella di allontanare qualsiasi essere di sesso femminile dal suo corpo. «Ah, ora capisco: non hai occhi che per Harry Styles, eh?» Domandò l'altra, dopo aver seguito la direzione del suo sguardo: pur non avendolo mai incontrato, aveva potuto riconoscerlo facilmente grazie alle fotografie che Emma le aveva mostrato sul suo profilo Facebook.
«Non dovrei essere gelosa, no?» Mormorò Emma, mentre il gruppo di persone - lui - si avvicinava sempre di più ai cancelli. La ragazza che aveva già notato era piuttosto carina, anche se non l'avrebbe definita una bellezza: i capelli castani a caschetto forse sarebbero stati meglio di un colore più scuro, data la carnagione pallida con la quale dovevano confrontarsi. Il viso sottile, frutto di una costituzione esile, ospitava un sorriso simpatico e gli occhi sembravano scuri, anche se a quella distanza non era facile da stabilire. Lei ed Harry continuavano a scherzare e a ridere, come se condividessero un altro grado di intimità rispetto agli altri.
«Ma no, figurati» la rassicurò Tianna capendo al volo, mentre anche lei guardava gli amici di Harry salutarsi e andare ognuno per la propria strada. Lui rimase a pochi passi dal cancello, probabilmente alla ricerca di una sigaretta e con quella ragazza ancora di fianco. «Magari sono come te e Dallas» continuò. Emma per un attimo fece caso a quel paragone: Tianna non aveva nemmeno pensato di dire "Come me e Pete" e chissà se un motivo c'era.
Sospirò e cercò di ricomporsi, stringendosi nel parka infreddolito e rimanendo in silenzio: non tollerava la possessività che l'aveva sempre accompagnata. Non che fosse qualcosa di morboso, soprattutto perché era brava a non dimostrarla per nascondere quella che riteneva una debolezza, ma il solo fatto di poterla sperimentare la faceva sentire una stupida.
Si irrigidì all'istante, però, quando vide quella ragazza alzarsi sulle punte e baciare Harry sulle labbra, passandogli una mano tra i capelli con fare scherzoso. E si irrigidì ancora di più quando lui sorrise prima di accendersi la sigaretta, mentre lei se ne andava.
«Ok, forse un po' dovresti esserlo» si premurò di correggersi Tianna, con gli occhi spalancati che si muovevano dalla sua amica ad Harry. «Ma niente panico» aggiunse prontamente.
Emma sentì qualcosa dentro di sé ardere, letteralmente. Non si prese nemmeno il tempo di ragionare su ciò che aveva visto o su ciò che stava provando.
«Aspetta qui» disse soltanto, senza guardare Tianna e muovendo i primi passi decisi in direzione di Harry.
«No, hey, dove vai? Lascia perdere, sei troppo-»
«Aspetta qui» ripeté seriamente.
Sentiva la rabbia aumentare sempre di più ed il respiro sforzarsi di restare regolare per non lasciare trasparire l'uragano interno che la stava stordendo. Di sicuro aveva il polso accelerato, ma non riusciva a distinguerlo perché sentiva solo il rumore dei suoi passi sul cemento. Forse Harry non aveva capito che le prese in giro non erano comprese nel pacchetto.
Harry si accorse di lei poco prima di ritrovarsela davanti, piccola e combattiva, con le parole scritte in faccia. Tenendo la sigaretta tra le labbra, infilò le mani nelle tasche della giacca e sorrise con la fronte corrugata. «Che ci fai tu, qui?» Le domandò, probabilmente stupito nel vederla.
Emma stava davvero cercando di non dare in escandescenze, di tenere a bada la sua impulsività. Per quanto fosse offesa, non voleva sbilanciarsi troppo e dare ad Harry l'impressione di essere una sorta di psicopatica, quando la sua unica pecca era quella di sentire tutto in modo troppo intenso e personale. «Dovevo fare una cosa» rispose quindi: nessuna bugia, solo l'omissione di parte della verità.
Lui ovviamente la fraintese, perché la sua espressione si fece più provocatoria e consapevole. «Una cosa?» Indagò, mentre Emma cercava di capire come facesse ad essere così tranquillo. Non riusciva a cogliere cosa gli passasse per la testa.
«Tu non c'entri» ribatté subito, tentando di smorzare quel suo ghigno compiaciuto. Sapeva perfettamente che la sua presenza poteva essere facilmente interpretata in quel modo, ma nessuno poteva averne la certezza: dal momento che aveva anche visto Harry con un'altra ragazza, ci teneva particolarmente a mettere le cose in chiaro, come a proteggersi e a dimostrarsi più forte.
«Che hai? Stamattina ti sei alzata con il piede sbagliato?» Le chiese lui, alzando un sopracciglio ed espirando il fumo. Non gli piaceva quando i toni tra loro si inasprivano, questo Emma l'aveva capito.
«Tu hai una ragazza?» Domandò lei a bruciapelo, ignorando quel suo commento e tenendo i propri occhi fissi su di lui. Quella possibilità la metteva estremamente a disagio: non solo perché avrebbe significato che Harry era un ottimo giocatore, ma perché avrebbe anche significato che lei era stata troppo avventata e cieca, pronta a raggiungere i suoi obbiettivi senza prima assicurarsi che non fossero quelli di altri.
Harry per un attimo si immobilizzò, solo per poi ridere sommessamente. «No» disse soltanto, con una sicurezza che la faceva infuriare. Perché mentire?
«Non prendermi in giro» lo ammonì seriamente. Continuava a tenere le labbra serrate, come se stessero facendo da barriera ai fiumi di parole che avrebbe voluto riversare fuori.
«Sul serio?» Chiese Harry, addirittura divertito. Era evidente che anche lui stesse cercando di comprenderla. «Penso di poter dare una risposta piuttosto certa alla tua domanda, non credi?»
Emma sospirò e si voltò dandogli le spalle: voleva allontanarsi per sbollire la ferita che sentiva, sia riguardo la palese presa in giro, sia riguardo la sensazione che provava sulla quale non riusciva ad avere un ferreo controllo.
«Si può sapere che ti prende?» La riprese Harry con un tono accusatorio. E lei aveva un limite entro il quale gestire i propri istinti, per questo tornò a fronteggiarlo senza farselo ripetere due volte. Tianna li guardava da lontano, preoccupata e curiosa.
«Non mi prende niente» rispose quasi atona. «Ti ho solo visto baciare un'altra e ho cercato di capire chi fosse. Ma non è nulla di importante, giusto? Tanto hai detto di non avere una ragazza, quindi probabilmente vai in giro a baciare chiunque ti capiti a tiro» aggiunse con una finta calma che la stupì. Sapeva che avrebbe dovuto contenersi e non esporsi così tanto, ma tanto valeva affrontare subito la realtà. Non le piaceva essere presa in giro, non le piaceva condividere ciò che voleva per sé e non le piaceva essere così influenzabile dai gesti di qualcun altro. Non le piaceva apparire come una stupida illusa.
Harry sbatté le palpebre e per un istante si limitò a guardarla, forse colto di sorpresa: conservò comunque un'espressione per niente sconvolta o colpevole, che Emma non sapeva se interpretare come una buona finzione o come assenza di un briciolo di coscienza. «Sbrigati, vieni» le ordinò lui, voltandosi e camminando verso la sua scuola. Lei strinse la mascella e lanciò un'occhiata veloce alla sua amica, a metri di distanza, prima di seguirlo con i pugni chiusi e l'impazienza nelle vene.
 
Si fermarono sul lato est dell'edificio, in un piccolo cortile ormai deserto perché stavano tutti tornando a casa: ripensandoci avevano fatto bene a spostarsi, dato che una discussione era più che imminente e rendere tutti partecipi non sarebbe stato l'ideale.
Harry sospirò e tornò a guardarla serio. «Denice non è la mia ragazza: andiamo solo a letto insieme, se proprio vuoi saperlo» spiegò calmo, come se le sue parole avessero potuto cambiare la situazione o migliorarla.
Emma smise di respirare per un breve momento, sufficiente ad incassare il colpo e a sentire il dolore che ne derivò. Si ritrovò a dipingere nella propria mente Harry contro il corpo di un'altra, le sue mani su quelle di un'altra ed il suo sorriso per un'altra: tutte quelle immagini le erano insopportabili, anche se tra loro non c'era stato niente di eclatante, anche se probabilmente era troppo possessiva. «Da quanto?» Domandò soltanto, con il cuore a scalpitare e la voce più flebile di quanto avrebbe voluto.
«Non lo so: un mesetto?» Rispose Harry, quasi a sminuire la cosa. «Cosa importa?»
Lei respirò profondamente, tesa come una corda sul punto di spezzarsi, ma non articolò alcuna spiegazione perché pensava fosse ovvia, perché non voleva ammetterla ad alta voce e perché era assurdo che Harry non ci arrivasse. Ed era anche impegnata a chiedersi se si comportasse allo stesso modo con entrambe, o con chissà quante altre; la sera prima le aveva accarezzato il collo in un modo che per tutta la notte non le aveva permesso un sonno tranquillo: aveva toccato altre allo stesso modo? Respirava lentamente sulla sua bocca solo con lei o era una procedura standard, una specie di abitudine? La infastidiva il pensiero che lei provasse qualcosa di relativamente unico - diverso - per Harry, che invece probabilmente l'aveva solo voluta aggiungere alla sua lista di conquiste.
«Aspetta, sei gelosa?» Chiese Harry lentamente, scandendo bene le parole per sottolineare la sua incredulità e tenendo la sigaretta mezza consumata tra le dita.
«No» precisò Emma. Era poco credibile, nonostante il tono duro utilizzato.
«Sì che lo sei» ribadì lui, scuotendo la testa senza l'ombra del solito sorriso divertito.
«Ti ho detto di no: è solo una questione di principio» insistette. Chissà se era così evidente quanto stesse mentendo: in realtà era molto gelosa e non lo tollerava.
Harry alzò un sopracciglio e gettò la sigaretta a terra. «Una questione di principio? Che stronzata» commentò a bassa voce.
«Ah certo, perché secondo te a me dovrebbe star bene qualsiasi cosa, no? Puoi baciarmi ed io non posso parlare se poi vengo a scop-»
«Lo sapevo» la interruppe Harry, con un'espressione che voleva quasi accaparrarsi il diritto di esprimere rabbia, quando avrebbe dovuto suggerire un minimo di consapevolezza. «Sapevo che sarebbe finita così».
«Così come?» Domandò Emma, sempre più agitata.
«Così, con te che ti presenti qui per farmi una scenata di gelos-»
«Ti ho già detto che non sono venuta qui per te, ma se smettessi di essere tanto presuntuoso forse riusciresti a prendere in considerazione questa possibilità!»
«Resta il fatto che sei incazzata come se ti avessi tradito, quando ci siamo solo baciati!» Continuò Harry, alzando la voce proprio come lei aveva iniziato a fare. «Cristo santo, è stato un bacio, non ci siamo promessi amore eterno! E regola i toni, perché non si tratta di essere presuntuosi, ma realisti: non sarebbe la prima volta che compari dal nulla, quindi non cercare di rigirare le cose!»
«E tu non cercare di farmi apparire come una specie di stalker psicopatica!» Sbottò Emma, offesa da quel commento. Era quella l'impressione che dava? In fondo cosa aveva fatto di tanto strano? Nemmeno si fosse nascosta dietro i cespugli di casa sua per pedinarlo. «E se per te è stato solo un bacio, che diavolo me l'hai dato a fare?»
Non voleva ammettere che per lei evidentemente aveva avuto un'altra importanza, perché ormai aveva compreso che Harry l'avrebbe sminuita. Eppure voleva comunque cercare di capire: quel ragazzo era una contraddizione vivente, ricca di gesti e parole in costante conflitto, in grado di fuorviare.
«Perché tu lo volevi!» Rispose lui come se fosse stato ovvio, allargando le braccia in un segno di esasperazione. La sua voce diventava più roca mentre si alzava. «È questo il tuo problema: non ti accontenti mai, ti aspetti sempre troppo. Hai voluto baciarmi e ok, posso anche starci, ma non venire qui a reclamare chissà cosa come se ti avessi fatto una promessa, perché le cose non stanno così».
«Ma che significa che "puoi starci"?» Ribatté Emma sempre più ferita, con l'orgoglio sempre più calpestato. «Tu mi hai assecondata! Mi hai baciata a tua volta e più di una volta: non credi sia normale pensare o almeno illudersi che tu possa provare un minimo di interesse? Vuoi farmi apparire come una bambina capricciosa che non è in grado di vedere la realtà delle cose, ma tu fai del tuo meglio per incasinare tutto!» Le tremavano le mani perché aveva voglia di dire molte più cose ed urlare un po' di più. Gli occhi non lasciavano nemmeno per un attimo quelli verdi e terribili di Harry.
«Non ci posso credere» mormorò lui, passandosi una mano tra i capelli. «Noi ci siamo baciati e tu mi stai facendo una scenata di gelosia. Io e Denice andiamo a letto insieme: che pretese dovrebbe avere lei?»
«Spero che almeno ne abbia!»
«No, invece!» Ribadì Harry, esasperato. «Ma in che razza di mondo vivi? La gente fa sesso, ragazzina, ok? In continuazione. E sai una cosa? Denice è peggio di me: credi che piangerebbe nella sua stanzetta se dovessi incontrare un'altra? Che soffra perché non abbiamo un rapporto esclusivo? Be', ti sbagli di grosso, perché è proprio quello che vuole evitare ed è abbastanza matura da ammetterlo, al posto di fare la finta buonista. E indovina un po'? Stiamo alla grande. Quindi non venirmi a fare la predica, quando evidentemente non ne sai niente».
Emma non rispose subito, sia perché voleva rielaborare quelle parole, sia perché voleva cogliere ogni loro significato. Respirò profondamente e, quando riprese a parlare, abbassò notevolmente il suo tono di voce. «Devi smettere di pensare che solo perché sono vergine io non capisca niente: non si tratta di questo e soprattutto non si tratta solo di me. Sei tu l'incostante, quello che l'attimo prima mi dice di non volere qualcuno come me e l'attimo dopo mi asseconda».
«Sbaglio o ti ho sempre detto come la pensavo? Se ti avessi davvero assecondata, a quest'ora non saresti più vergine» rispose Harry, con un tono che la ferì ancora di più. Aveva di nuovo sfoggiato la sua sconfinata sicurezza di sé, ma era meglio non toccare quel tasto.
«Allora perché mi hai baciata? Se tanto non te ne frega niente di assecondarmi, perché l'hai fatto?» Domandò flebilmente, cercando di non mostrare troppo del suo disagio interiore.
«Perché no?» Ribatté lui, serio.
Emma rimase in silenzio, stanca di quel discorso e della visione opposta delle cose che li caratterizzava. Distolse per una manciata di secondi lo sguardo, passandosi una mano tra i capelli solo per tenersi occupata.
«Ragazzina, non puoi biasimarmi per questo» ricominciò Harry con più calma. «Ti diverti a fare la grande e a provocare, ma forse non hai fatto i conti con le conseguenze dei tuoi giochetti. Mi hai baciato ed io non ti ho rifiutata perché sono un ragazzo, santo cielo. Sono un ragazzo e tu avrai anche quindici anni, ma non passi di certo inosservata: cosa ti aspettavi che facessi? È questo quello che intendo quando dico che non sei quello che voglio: lascia perdere il sesso, io non voglio qualcuno con tutte queste aspettative, che tra l'altro sono anche discutibili. Evidentemente non sei abbastanza matura, a differenza di quello che vuoi far credere, e non sei capace di tenere in considerazione anche le aspettative degli altri. Io non ho voglia di fare i conti con scenate di questo tipo, scordatelo».
Harry rimase ad osservarla per dei lunghi secondi, serio forse come mai e forse altrettanto sincero. Emma finalmente poteva capire un po' di più le sue motivazioni: aveva sempre pensato che ciò che lo frenava fosse la sua inesperienza sessuale, mentre ora si era aggiunto un altro tassello, che portava il nome di "immaturità ed illusioni". Era evidente che Harry fosse abituato ad altri tipi di relazione, a rapportarsi con qualcuno che la pensasse come lui, e le costava un po' ammetterlo a se stessa, ma non aveva nemmeno tutti i torti. Pete aveva ragione: Harry l'aveva avvertita sin da subito, era stato al gioco e l'aveva lasciata guidare la situazione, ma lei non avrebbe potuto pretendere null'altro. Qualsiasi sua azione sarebbe stata a suo rischio e pericolo: ormai il rischio era diventato una certezza ed il pericolo era stato già superato, lasciando il posto ad una ferita ben peggiore.
«Anche tu vuoi dimostrarti tanto maturo, quando invece sei più egoista di quello che vuoi far vedere: sei talmente pieno di te da non accorgerti che ogni tuo gesto ha una conseguenza sugli altri. Ma immagino che scaricare tutte le colpe su qualcun altro sia più semplice» esclamò Emma lentamente, solo per sopperire al parziale torto nel quale si trovava. Non se ne sarebbe mai andata senza rispondere a tono, senza contrattaccare con testardaggine.
Gli occhi di Harry la osservarono seri, più luminosi del solito perché il debole sole di quel pomeriggio si rifletteva in essi. Sembrò addirittura che stesse per dire qualcosa, per ribattere solo per farsi valere, ma quando non reagì Emma si sentì libera di voltargli le spalle e allontanarsi.
 
«Che è successo? Cos'ha detto?» Le chiese subito Tianna, andandole incontro con dei passi svelti ed un'espressione apprensiva.
Emma si limitò a guardarla per un istante, senza però fermarsi o risponderle. Aveva troppe cose a cui pensare e sapeva che se avesse provato a farle uscire, ne sarebbe conseguita solo molta confusione.
L'amica non insistette, ma la seguì continuando ad osservarla attentamente, come se si fosse arresa a ciò che lei le avrebbe concesso: probabilmente stava cercando di dipingere nella propria mente il peggior scenario realizzabile, e sapeva che non avrebbe dovuto insistere. Emma era volubile sotto questo punto di vista: se qualcosa la bloccava o la colpiva troppo forte, era pericoloso spingerla oltre il limite che lei stessa si imponeva. Bisognava semplicemente lasciarla smaltire qualsiasi cosa la stesse intossicando, aspettando che fosse lei, di sua spontanea volontà, a tirar fuori l'argomento: in caso contrario sarebbe scappata via e avrebbe prolungato il periodo delle proprie rimuginazioni.
E in quel momento, era piena di rimuginazioni. Più si allontanava da quella scuola e da lui, più la sua mente diventava lucida e obiettiva: era consapevole del fatto che nessuno di loro fosse senza colpe. Se Harry era stato un po' troppo futile e presuntuoso, lei era stata troppo insistente e cieca. Avrebbe dovuto rallentare, pensare con maggiore fermezza e non lasciarsi semplicemente trasportare dal suo profumo o dalle sue mani.
Harry le aveva rivolto delle parole che probabilmente le sarebbero rimaste incastrate dentro, a stridere dolorosamente tra di loro, per chissà quante ore, eppure non gliene si poteva fare una colpa: forse era stato un po' troppo diretto, ma era stato dannatamente sincero. Lo era sempre stato, sin dalla prima volta che avevano parlato, ma lei aveva voluto insistere e credere con convinzione che potesse esserci dell'altro: la loro era stata una semplice ed inevitabile resa dei conti e non poteva arrabbiarsi esclusivamente con Harry - nonostante avesse potuto usare dei modi più delicati - se la realtà delle cose le aveva fatto tanto male.
Emma si fermò all'improvviso, dopo aver percorso chissà quanti metri e strade diretta verso chissà dove. Alzò lo sguardo davanti a sé ed inspirò a lungo chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, Tianna le stava davanti con il capo leggermente inclinato di lato.
«Pete direbbe che sono una stupida» sussurrò stringendosi nelle spalle. Ne era convinta ed in fondo sarebbe stata la verità.
«No» la contraddisse Tianna. «Pete direbbe che sei una cogliona» la corresse, abbozzando un sorriso che sarebbe dovuto essere divertito ma che esprimeva solo conforto.
L'altra dovette darle ragione, quasi mettendosi a ridere nell'immaginarsi il suo amico arrabbiato con lei per tutto quel frignare e per non aver tirato un calcio ben piazzato ad Harry: avrebbe voluto che gli occhi lucidi fossero una conseguenza di quello sprazzo di ilarità, ma sapeva benissimo che avevano una causa ben diversa.
Tianna le sfiorò la mano sinistra con la propria, delicatamente e quasi in una tacita richiesta di consenso, e quando Emma tirò su con il naso distogliendo lo sguardo e trattenendo le lacrime, la tirò a sé stringendola più che poteva. Vederla in quello stato era raro e allo stesso tempo normale, nonostante potesse lasciare perplessi: la forte ed implacabile Emma si trasformava in qualcosa di estremamente fragile e bisognoso.
Se Harry l'avesse vista in quello stato, forse si sarebbe convinto ancora di più di avere a che fare con una bambina: una bambina che stringeva le palpebre per non piangere, una bambina che si infuriava ancora di più nel pensare di confermare involontariamente le sue insinuazioni, una bambina che necessitava del profumo dei capelli della sua amica Tianna, anche solo per qualche istante.
Più tardi sarebbe tornata ad essere la solita inscalfibile determinata, ma per ora sarebbe stata ancora un po' con il viso premuto sul suo collo.

 





 


Buooongiorno :)
Allora, allora, allora... Probabilmente ora qualcuno di voi vorrà uccidermi ahahah Però io vi avevo avvertite! E se non ve l'aspettavate, vuol dire che vi siete immedesimate parecchio in Emma o almeno in ciò che lei vedeva (voleva vedere) e che sono bravina ad ingannarvi ahahha
Cercherò di farla breve: spero che Harry non vi sia sembrato troppo duro, perché questa è l'unica cosa che mi preoccupa un po' di più in questo capitolo. La sua è sincerità: tutti la vogliono e tutti la cercano, ma si sa che non è sempre la miglior cosa, perché a volte può prendere questa forma! Ci tengo a specificarlo perché non vorrei che pensaste che Harry sia uno stronzo di prima categoria: o meglio, è stronzo perché un po' lo è, ma non in queste cose. In fondo Emma ha giocato con il fuoco e poi si è scottata da sola, nonostante gli avvertimenti e nonostante i comportamenti a volte distanti di Harry! 
Voglio anche precisare che Harry non è un "puttaniere" (non si porta a casa ogni giorno una ragazza diversa, nè è uno di quelli in stile "non mi innamoro mai") e che Denice non avrà alcun ruolo in questa storia: fidatevi di lui quando dice che vanno solo a letto insieme. E non pensate nemmeno che a lui non importi nulla di Emma: a prescindere da tutta questa storia del bacio e dell'attrazione fisica, hanno avuto i loro trascorsi e in qualche modo sono legati! Ma di questo si parlerà più avanti.
Riguardo ad Emma, forse in questo capitolo si può capire un po' di più quanto in realtà sia fragile: Harry non ha tutti i torti su di lei, anche se Emma non vuole ammetterlo! Ma non mi va di approfondire troppo perché vorrei che foste voi a commentare questo capitolo e tutte le piccole cose che ci sono dentro! Che ve ne pare? E secondo voi cosa succederà d'ora in poi?
Ah, mi stavo dimenticando: si scopre qualcosina di Zayn (per chi ha letto "It feels...": solita storia insomma hahaha Vi aspettavate che Emma andasse ad informarsi all'oscuro di sua sorella?) e vedrete in che modo questo influirà sulla storia :) Dico solo di non fidarvi mai di me ahahhaha

Spero DAVVERO che questo capitolo vi sia piaciuto, perché è parecchio importante! Fatemi sapere qualsiasi cosa vi passi per la testa, positiva o negativa, perché mi servono dei pareri :) Grazie infinite per tutto, come sempre! Siete meravigliose :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.
    
  

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Capitolo 11
*** Capitolo undici - I wish ***




 

Capitolo undici - I wish
 

 

«Puzzi da far schifo» commentò Emma storcendo il viso in una smorfia di disgusto e divertimento, mentre si sporgeva verso Dallas per lasciare una bottiglietta d'acqua appena comprata sul davanzale che gli stava davanti.
Lui alzò un sopracciglio e si passò la lingua sulle labbra, respirando velocemente. «Solo i migliori uomini hanno questo odore, altro che» ribatté continuando a correre sul tapis roulant: la suola delle sue scarpe da ginnastica un po' rovinate batteva sulla superficie scorrevole producendo un rumore ormai di sottofondo, mentre da tutta la palestra ne provenivano altri diversi tra loro. Il signore più simile ad un armadio a tre ante, all'angolo in fondo, accompagnava ogni sollevamento pesi ad un verso a dir poco disumano dovuto allo sforzo. Una ragazza stava saltando la corda poco più in là da circa un quarto d'ora, scandendo il passare del tempo con lo schiocco della corda sul pavimento. Le parole di incitazione di vari personal trainers, poi, accompagnavano tutti gli altri rumori di attrezzi soliti di un luogo del genere. Emma ormai era assuefatta a quell'ambiente confusionario, perché era quasi un'abitudine accompagnare Dallas ad alcuni suoi allenamenti.
«È semplice sudore. E puzza» lo corresse lei, sedendosi su una panca addossata alla parete: poteva vedere chiaramente in faccia il suo amico mentre cercava di mantenere il ritmo e soprattutto una frequenza respiratoria regolare. I capelli corti erano intrisi di sudore, che aveva pezzato anche la canottiera turchese che rimbalzava ad ogni movimento: chiunque avrebbe definito Dallas una bellezza particolare, una di quelle che non si riesce ad apprezzare ad una prima occhiata, ma che affascina sempre di più man mano che si ha l'opportunità di conoscerla. Forse Emma lo vedeva così bello anche perché era vincolata dall'incondizionato affetto che provava per quegli occhi cerulei, ed evidentemente non era l'unica a pensarla così.
All'improvviso, infatti, notò una ragazza avvicinarsi lentamente a loro, con lo sguardo fisso sul suo amico: teneva tra le mani un piccolo asciugamano che probabilmente stava usando per scaricare di tensione, data la stretta con la quale lo stava torturando. I capelli di un biondo spento erano raccolti in una treccia che dondolava impercettibilmente ad ogni suo passo e l'aggettivo "grazioso" non sarebbe stato adatto per descrivere il suo viso. Era un po' troppo scavato ed il naso all'insù era un tocco di dolcezza che stonava con gli altri lineamenti più duri, mentre la corporatura esile non metteva in evidenza le sue forme accennate.
«Senti, uomo: c'è qualcuno che ti sta mangiando con gli occhi» esclamò Emma, attenta a non farsi sentire dalla ragazza, sempre più vicina. Dallas corrugò la fronte in segno di confusione, ma quando si guardò intorno e capì a cosa si stesse riferendo, lasciò uscire dalla sua bocca qualche imprecazione: tornò subito a fissare la finestra che gli stava davanti, anche se le strade buie delle otto di sera non erano di certo di suo interesse.
«Dimmi se viene qui» mormorò soltanto a denti stretti.
«È già qui, praticamente» ribatté lei, chiedendosi cosa ci fosse di così strano tra di loro. Dallas sembrava terrorizzato, o terribilmente stufo.
«Ok, emergenza» disse lui velocemente.
«Dai, sul serio?»
«Emergenza, Emma» insistette, guardandola come se la stesse pregando.
Emma sospirò e si alzò lentamente dalla sedia, scuotendo la testa per ciò che riteneva fosse un'esagerazione, qualcosa di non necessario: si avvicinò al tapis roulant e Dallas si spostò velocemente dalla superficie ancora in movimento, fermandosi sui bordi dell'attrezzo in modo da stare di fronte alla sua amica, ancora più alto del solito.
«Mi devi dieci sterline, come minimo» borbottò lei alzandosi sulle punte dei piedi.
«Te ne do venti» la prese in giro Dallas, piegandosi verso il basso per sfiorarle le labbra e circondandole la vita con un braccio sudaticcio.
Emma chiuse gli occhi e cercò di non respirare, parlando sulla sua bocca. «Te lo giuro, puzzi troppo» ripeté per l'ennesima volta, facendolo ridere: lui la baciò ancora, prima di sorriderle apertamente e tornare sul tapis roulant. Diede un'occhiata alla ragazza per la quale avevano improvvisato quel teatrino per controllare l'esito, poi finse totale indifferenza.
La sua amica si accorse dello sguardo perso ed in qualche modo ferito che aleggiava sul volto della sua pretendente e per un attimo si sentì persino in colpa, soprattutto quando quella si voltò per allontanarsi velocemente.
«Vuoi spiegarmi che ti è preso? Non mi è sembrata una ragazza da emergenza» esclamò subito dopo, mettendosi di nuovo seduta sulla panca. Quella era la parola d'ordine, se così si poteva chiamare, che lei e Dallas avevano iniziato ad usare circa sei mesi prima: durante una festa un ragazzo un po' troppo insistente aveva costretto Emma a cercare aiuto nel suo amico per imporgli dei limiti. Fingere di essere impegnata aveva funzionato e da allora, senza alcun tipo di imbarazzo o rimorso, avevano stabilito che in situazioni del genere si sarebbero entrambi dati alla recitazione.
«Lo dici solo perché non è a te che si appiccica tre volte a settimana, nemmeno fosse una cozza» borbottò Dallas riprendendo a correre. «Ti rendi conto che conosce tutti i miei orari? Che cazzo, mi spaventa» aggiunse.
«Secondo me ti sarebbe bastato andarle vicino e farle sentire il tuo odore da maschio per farla andare via una volta per tutte» scherzò Emma sorridendo dispettosa.
«Vuoi smetterla?» Rise lui, lanciandole addosso il piccolo asciugamano che teneva sul tapis roulant.
Ovviamente lei lo rimproverò con un certo disgusto divertito, ma non insistette oltre: stare con Dallas la faceva sentire come in una fortezza attrezzata di ogni tipo di comfort e soprattutto protetta da qualsiasi eventuale minaccia. Le bastava un suo sorriso, oppure una delle sue tante manie, per scrollarsi di dosso qualsiasi pensiero: non sapeva come fosse possibile trovarsi così in sintonia con qualcuno, quasi condividessero lo stesso sangue, ma non avrebbe cambiato per nulla al mondo il loro rapporto. Emergenze comprese.
Due minuti dopo, però, la sua fortezza subì un attacco inaspettato.
Il suo telefono prese a squillare, aggiungendo un ulteriore rumore al leggero caos che già regnava nella palestra, ed inevitabilmente il suo cuore si risvegliò leggermente infastidito, aggiungendo ancora un piccolo e sfumato sottofondo, ma comunque presente.
«Harry?» Rispose Emma, con lo stupore e la stizza che trasudavano dalla sua voce. Dallas si voltò subito verso di lei e per qualche istante si guardarono entrambi alla ricerca di una risposta.
«Ragazzina, dove sei?» Esclamò la voce di Harry, che non sentiva da due giorni, con una tranquillità che la disarmava e la faceva infuriare. Certo, era curiosa di sapere perché quel ragazzo tanto schietto ed incurante degli altri l'avesse chiamata all'improvviso, ma non era disposta a dimenticare tutto.
«Perché dovrebbe interessarti?» Chiese quindi, alzando un sopracciglio mentre il suo amico le chiedeva con il labiale di spiegargli in qualche modo cosa stesse succedendo.
«Come faccio a passarti a prendere se non so dove sei?» Ribatté l'altro come se fosse ovvio.
A quel punto Emma temette sul serio di avere a che fare con qualcuno di estremamente instabile e magari con qualche problema di personalità: dopo quello che si erano detti - urlati - due giorni prima, com'era possibile che le stesse proponendo di vedersi? E perché lei non riusciva a provare solo risentimento nei suoi confronti, al posto di doverlo circondare di un contorno più piacevole e forse più sbagliato?
Non sapeva nemmeno se avesse voglia di vederlo e se fosse giusto dargli retta.
«Ma che problemi hai?» Domandò Emma senza troppe esitazioni, sia per avere una effettiva risposta, sia per avere un po' più di tempo per capire come quella telefonata la stesse facendo sentire.
Dallas rise scuotendo la testa, per poi tapparsi la bocca ed affievolire la sua voce.
«Me lo dici o no?»
«Secondo te dovrei?» Era allibita dalla semplicità alla quale Harry stava riducendo la loro situazione.
«Il punto è se lo vuoi» fu la risposta che ottenne, priva di malizia, ma veritiera.
Emma si morse un labbro e si trattenne dal sospirare, mentre i suoi occhi rimanevano in quelli di Dallas alla ricerca di un consiglio che in realtà non era altro che proprio. «Il fatto è che mi stupisco che sia tu a volerlo» ammise.
«Perché devi farti tutti questi problemi? Ti ho chiamata, no?»
«Oh be', allora sì che dovrei esserti riconoscente e magari cadere ai tuoi piedi senza esitazioni» lo sbeffeggiò, ancorandosi alla dignità alla quale non voleva rinunciare.
«Ragazzina…» sospirò Harry, come in un ammonimento che non fece che peggiorare la situazione.
«No, Harry» sbottò allora Emma, stanca di essere data per scontata e di dover sottostare alle sue pretese. «Non voglio dirti dove sono e non voglio vederti, a meno che tu non mi dia una valida motivazione per farlo».
«Buona serata allora» fu il saluto aspro e stufo che le rivolse, prima di terminare la chiamata.
Emma rimase con il telefono appoggiato all'orecchio ancora per qualche istante, ripetendo nella propria mente la discussione appena affrontata e cercando di mettere ordine tra le miriadi di sensazioni che la stavano scuotendo contemporaneamente. Appena abbassò la mano, suggerendo a Dallas che la telefonata era finita, questo smise di correre e si mosse velocemente per sedersi al suo fianco. Stava aspettando e non c'era bisogno di dirlo.
«Crede davvero di potermi prendere in giro in questo modo?» Esclamò Emma dando voce alla sua irritazione e non preoccupandosi nemmeno di regolarla. Gesticolava con le sopracciglia aggrottate, mentre Dallas la osservava in ascolto. «Dopo l'ultima volta che ci siamo visti, si aspetta anche che io gli dica dove sono in modo che lui possa venirmi a prendere? L'unica cosa che dovrebbe passare a prendere è il suo cervello, perché chissà dove diavolo l'ha lasciato! Cazzo, non lo sopporto!»
«Hey, respira» la incitò Dallas con un sorriso, accarezzandole la schiena coperta da un maglioncino bianco. «Ti ha detto perché voleva vederti?»
«No: quando gliel'ho chiesto mi ha augurato una buona serata» sbuffò lei, passandosi le mani sul viso e chiudendo gli occhi per qualche secondo. La infastidiva terribilmente il modo in cui Harry riusciva ad influenzarla così tanto: il suo stoicismo veniva continuamente messo alla prova e vacillava più di quanto avrebbe dovuto. «Insomma, che razza di persona deve essere se riesce a cambiare idea da un giorno all'altro senza nemmeno farlo sembrare un problema? È uno stupido e mi ha anche attaccato il telefono in faccia, capisci?»
«Ti sta uscendo il fumo dalle orecchie» scherzò Dallas per smorzare la tensione, mentre lei sbuffava imbronciata. «Comunque, secondo me, ti dà più fastidio il fatto che tu abbia voglia di vederlo nonostante tutto. So che è così».
«Non è vero» lo smentì subito Emma, con la voce meccanica di chi vuole nascondere ciò che invece vorrebbe urlare.
«Sì che è vero» ribatté Dallas alzandosi in piedi.
«Non ti devi allenare?»
E lui rise tra sé e sé, scuotendo la testa perché in fondo aveva fatto centro e perché la conosceva così bene da non doversi nemmeno sforzare di credere alle sue bugie.
 
«Ora che profumo di qualcosa come cocco e vaniglia, posso starti vicino o...?»
«Sì, ora che non sei più appiccicaticcio e che hai dei vestiti asciutti, puoi decisamente starmi vicino» confermò Emma, abbozzando una risata mentre il braccio di Dallas si posava intorno alle sue spalle per stringersela contro.
Le porte automatiche davanti a loro si aprirono quando entrarono nel raggio del radar sopra di esse, ma restarono spalancate quando i due ragazzi non si mossero di un passo: il telefono di Emma stava di nuovo squillando, a distanza di un'ora e mezza, e lei non avrebbe di certo pensato che anche il mittente potesse essere lo stesso. Quando lesse il nome di Harry sullo schermo, infatti, sia lei sia Dallas continuarono a fissarlo per qualche istante con un enorme punto interrogativo sul volto.
Emma deglutì a vuoto ed inspirò a fondo, premendo il tasto verde ed avvicinandosi il telefono all'orecchio, mentre l'amico lasciava andare la presa su di lei ed aspettava di assistere a chissà quale altra piccola scenata. Eppure non ne ebbe l'opportunità, perché Emma non disse nemmeno una parola, letteralmente rapita da ciò che invece stava succedendo dall'altra parte della cornetta.
La voce di Harry, bassa e ancora più roca del solito come a voler mascherare qualcosa, le arrivò limpida e disarmante. «Per favore, dimmi dove sei» disse soltanto. Ed era stata così simile ad una preghiera, così simile ad un bisogno, che per Emma fu abbastanza.
 
Harry arrivò dopo nemmeno un quarto d'ora. La sua auto bianca accostò davanti alla palestra ed Emma fece un passo avanti, staccandosi dal muro freddo al quale si era appoggiata in attesa: aveva convinto Dallas a tornare a casa e a non rimanere lì con lei, soprattutto perché aveva bisogno di restare un po' da sola per rimuginare senza nessuno che potesse leggerle nel pensiero.
Camminò velocemente lungo il marciapiede ed aprì lo sportello con il solito cigolio, sedendosi al posto del passeggero il più in fretta possibile per trovare conforto nei riscaldamenti accesi, che offrivano sicuramente una temperatura più accogliente dei cinque gradi che vigevano all'esterno.
Harry la stava guardando con una mano appoggiata sul volante e lei si decise ad incontrare il suo sguardo, curiosa di scoprirci dentro qualcosa: i suoi occhi, però, erano talmente seri da rasentare l'imperscrutabilità. Emma non sapeva cosa avrebbe dovuto aspettarsi, perché ormai stava imparando a diffidare dei propri sospetti, ma era anche convinta che ci fosse qualcosa che non andava, in Harry: il suo viso era troppo spento per assomigliare a quello beffardo che ormai conosceva a memoria.
Proprio quando Emma schiuse le labbra per interrompere quel momento di silenzio con una parola, lui distolse lo sguardo ed ingranò la marcia, accelerando per lasciarsi alle spalle la palestra: improvvisamente lei si ricordò di essere in una macchina e di odiare quell'aggeggio infernale, quindi chiuse per un attimo gli occhi e si irrigidì sul sedile, stringendosi nel parka come se avesse avuto freddo. Non voleva dimostrare ancora una volta il suo disagio, soprattutto perché riusciva a percepire quello di Harry, oltre il suo profumo.
Era successo qualcosa? Dalla prima telefonata che aveva ricevuto le era sembrato il solito di sempre, con la sua familiare sfrontatezza ad impregnare la sua voce: che avesse solo cercato di nascondere il vero motivo del suo invito a vedersi? Motivo che poi l'aveva forzato ad andare contro ogni forma di orgoglio e a chiamarla una seconda volta?
Emma stava fremendo per la curiosità, ma riusciva anche a distinguere la vena di preoccupazione che l'espressione tesa di Harry le suscitava dentro. «Dove andiamo?» Domandò con un filo di voce, sperando di smorzare quell'atmosfera troppo pesante che non sembrava adatta a loro.
«Da nessuna parte» rispose lui senza guardarla. Si inumidì le labbra e si passò una mano tra i capelli, mentre Emma ne studiava ogni movimento in modo da avvicinarsi un po' di più a ciò che non riusciva a capire a pieno. In qualche modo, per quanto potesse sembrare assurdo, erano simili in alcune cose: entrambi non volevano pressioni quando si trattava di parlare di qualcosa di scomodo, entrambi davano facilmente in escandescenza quando gli altri non lo capivano ed entrambi dovevano confrontarsi con una buona dose di fierezza che poteva anche far loro da ostacolo.
Dopo un paio di minuti Harry entrò nel vasto parcheggio di un supermercato chiuso: spense il motore in un posto a caso, illuminato dalla grossa insegna che sovrastava l'entrata dell'edificio. Il neon di un rosso brillante velava gli interni dell'auto di una sfumatura calda, che si rifletteva negli occhi di Harry quasi avesse voluto metterli in evidenza: era troppo ingenua per capire che ad Emma non era necessario quel piccolo stratagemma.
Lei respirò piano, come se il silenzio che li separava ed avvolgeva al tempo stesso fosse troppo opprimente per poter essere rotto, e si guardò intorno cautamente: avrebbe voluto tirare un sospiro di sollievo per il fatto di essere finalmente ferma e di non avere più il rombo del motore nelle orecchie, ma sapeva che non era il caso, quindi si limitò a rilassare tutti i muscoli che fino ad allora le avevano suggerito di scappare.
Harry appoggiò i polsi sul volante, in quel gesto che anche l'ultima volta l'aveva caratterizzato, poi sospirò ed abbassò il capo, lasciando che i capelli gli ricadessero davanti al viso. Il cappotto nero lo ricopriva quasi del tutto, simile ad una corazza: era normale che qualcosa in lui somigliasse all'Harry che si era ubriacato al Rumpel una settimana prima?
«Chiedimelo ancora» sussurrò senza muovere un muscolo, con la voce ovattata dalla sua posizione.
«Cosa?» Indagò lei, sbattendo più volte le palpebre per la sorpresa ed il tentativo di fare chiarezza.
Harry si voltò lentamente verso di lei, lasciando la tempia destra sulle sue mani e fissando i suoi occhi in quelli attenti di Emma. «Chiedimi come va con mio padre» disse piano, con le labbra ad accompagnare forse con timore quelle parole.
Emma si sarebbe aspettata davvero di tutto da quell'incontro, persino un ulteriore cambiamento nel loro rapporto, magari in contraddizione con tutto ciò che era stato fino ad allora, ma mai avrebbe pensato di doversi nuovamente confrontare con quell'argomento. Non dopo il modo in cui lui aveva reso chiara la sua riluttanza nel parlarne e soprattutto nel parlarne con lei.
Studiò a fondo il suo viso, soffermandosi su ogni curva naturale dei suoi lineamenti, e cercò di scegliere l'approccio migliore: aveva la sensazione che Harry potesse fuggire da un momento all'altro, se solo lei avesse sbagliato in qualcosa. Conosceva bene quell'istinto.
Alla fine comunque lo fece. «Come va con tuo padre?» Chiese, così a bassa voce da pentirsi di non essersi dimostrata più sicura. Si spinse in punta di piedi nella vita di Harry, quella che pensava di non poter mai raggiungere, e si immerse nel silenzio che seguì la sua domanda, che sembrava solo il preludio di qualcosa di indefinito. Lo accontentò perché poteva vedere dai suoi occhi che, anche se non l'avrebbe mai ammesso, ne aveva bisogno: e nonostante non capisse il perché avesse chiamato proprio lei dopo tutto ciò che era successo tra di loro, nonostante non sapesse quanto si sarebbe effettivamente aperto e se lei sarebbe stata abbastanza, sapeva di aver fatto la cosa giusta. Improvvisamente riusciva a vedere sotto una luce diversa l'Harry che le chiudeva il telefono in faccia al posto di dirle semplicemente cose volesse in realtà, ma soprattutto riusciva a capire a cosa fosse dovuto quel "per favore" che l'aveva soggiogata.
Dal canto suo, Harry non rispose. Si limitò a chiudere gli occhi e a corrugare lievemente la fronte, come se le parole di Emma gli avessero in qualche modo recato un sollievo. Per una manciata di secondi lei continuò a chiedersi se avrebbe dovuto aspettare che fosse lui a parlare quando più se la sarebbe sentita, o se avrebbe dovuto insistere con qualche domanda delicata, ma comunque utile. Ricordandosi dell'ultima volta che aveva tentato di intrufolarsi nei suoi problemi, aveva paura di causare un altro danno.
Emma lo osservò mentre si abbandonava contro lo schienale del sedile con un sospiro. Lo studiò mentre si accendeva l'ennesima sigaretta continuando a guardare davanti a sé, immobile. Si chiese quali pensieri gli affollassero la testa, mentre i suoi occhi si assottigliavano di poco. Spiò ogni suo movimento, anche quello più piccolo delle sue dita intorno alla sigaretta o dei suoi capelli mossi dalla brezza che entrava dal finestrino aperto a metà, per far uscire il fumo. Eppure, per quanto avesse sfruttato fino in fondo il suo spirito di osservazione, non aveva ottenuto alcuna conclusione: erano passati minuti e minuti, ma lei si sentiva ancora chiusa fuori da qualcosa che le era concesso solo di intravedere. C'era una barriera ad ostacolarle la vista e non aveva idea di come abbatterla, perché le eventuali conseguenze erano troppo imprevedibili.
Giocherellando con l'orlo dei suoi jeans chiari, Emma si sentì soffocare per quella situazione di stallo in cui vigeva il silenzio più assoluto e svincolato dal suo controllo. Aveva capito che Harry, dopo la terza sigaretta, non aveva realmente intenzione di dire qualcosa riguardo la sua situazione familiare, quindi cercò di toccare un altro tasto.
«Perché hai chiamato me?» Domandò piano, guardandolo negli occhi nonostante quelli non fossero su di lei. Quella domanda le stava vorticando in testa da troppo tempo per essere ancora sopportabile e in fondo aveva il diritto di saperne qualcosa in più.
Harry espirò del fumo e si passò una mano dietro il collo, ma continuò a non incrociare il suo sguardo. «Perché sei l'unica a saperlo» spiegò mormorando, come se non avesse voluto dirlo ad alta voce.
A quel punto Emma si trovò a fare i conti con diverse emozioni, ognuna scaturente da altrettante prospettive: si sentiva offesa, in minima parte, per essere stata cercata solo in assenza di alternative. Si sentiva onorata, in un certo senso, per essere comunque lì con lui: evidentemente, nonostante tutto, non la disprezzava così tanto da rifuggirla in qualsiasi modo, ma anzi, aveva sentito di potersi confidare a modo suo. Si sentiva fortunata, perché nessun altro conosceva Harry sotto quel punto di vista, mentre lei si era ritrovata in mezzo a tutto quello per una semplice casualità. E si sentiva ferita: non era riuscita a farlo aprire un po' di più e aveva di nuovo lasciato che lui pensasse solo a se stesso, sentendosi libero di chiamarla per un proprio bisogno senza pensare a cosa avrebbe provocato in lei la sua vicinanza.
Tutto quello che disse, però, fu un semplice: «Pensavo non volessi parlarne». Sapeva che tutte le sue rimuginazioni non l'avrebbero portata da nessuna parte, soprattutto con lui e soprattutto in quel momento: nonostante sentisse l'istinto di gettarle fuori una per una, non voleva risultare pesante e non voleva rompere l'atmosfera di innaturale confidenza che stavano condividendo, sebbene precaria.
Harry abbassò il capo. «Infatti non ne ho parlato» confermò prima di inspirare dell'altro fumo. «Volevo solo che qualcuno sapesse» aggiunse, rendendo tutto un po' più chiaro. Emma percepì il suo dolore e cercò di gestirlo: con quelle poche parole le aveva appena spiegato il perché di quel silenzio in cui si erano immersi. Lui non stava cercando dei consigli o delle parole incoraggianti, né voleva parlare o peggio ancora raccontare: voleva soltanto che qualcuno lo vedesse star male per qualcosa, qualcosa che nessuno conosceva e che lui si ostinava a nascondere. Voleva permettersi di mostrare un po' di debolezza, senza spingersi troppo oltre e senza dover fingere.
Emma continuò a guardare davanti a sé, immobile. «Sei un egoista» disse in un sussurro.
«Continui a ripeterlo» commentò Harry, mantenendo il tono di serietà che alla fine gli si addiceva più di quanto volesse dimostrare.
«Continui ad esserlo» ribatté lei. Sperava che ne fosse consapevole, perché almeno su questo era sicura di non sbagliarsi. Aveva a che fare con un egocentrico e sprezzante ragazzo pieno di sé, che nelle sue contraddizioni riusciva comunque ad essere coerente, rendendola nervosa.
«Lo so» mormorò Harry. Ed Emma aveva capito di dover stare attenta nel giungere a conclusioni affrettate, ma nulla le impediva di formulare un'ipotesi nella propria mente: il modo in cui quelle due semplici parole si erano interposte tra di loro, in quello spazio che stavano condividendo, le ricordava delle scuse che sapeva di non doversi aspettare in altri termini. Allo stesso tempo sembravano essere garanti dell'impossibilità di un eventuale cambiamento: Harry sapeva di non essere il più altruista tra gli uomini, ma non sarebbe cambiato, nemmeno quando se ne fosse pentito.
«Sei arrabbiata con me, non è vero?» Chiese lui all'improvviso, mantenendo la stessa espressione priva di qualsiasi beffa.
«Non darti tutta questa importanza» precisò subito Emma, incrociando le braccia al petto ed abbassando per un attimo lo sguardo, nonostante la sua voce si fosse affievolita rendendosi meno sicura.
«Sei arrabbiata perché ti ho detto quelle cose due giorni fa e perché stasera ti ho chiamata» continuò Harry imperterrito.
Lei non rispose, limitandosi a sostenere il suo sguardo: quegli occhi erano ancora più particolari con la luce dei neon ad illuminarli e la pelle del suo viso aveva assunto una sfumatura che la rendeva irreale. Se sapeva così bene come si sentiva, perché faceva di tutto per metterla in difficoltà?
«Io davvero non capisco» sospirò lui, gettando la sigaretta fuori dal finestrino.
«Non capisci? Andiamo, non sei poi così stupido» lo spronò Emma, incredula dinanzi a quel suo commento.
Harry tornò ad osservarla e si inumidì le labbra. «Chiariamo un paio di cose, hm?» Esordì, girandosi verso di lei anche con il corpo, in modo da avere la gamba sinistra sul sedile ed una mano sullo schienale. «Punto primo: quel giorno sono stato solo sincero e non l'ho fatto per ferirti, anche se tu ne sei convinta, anzi. Ho avuto abbastanza stima di te da dirti la verità: avresti preferito che ti prendessi davvero in giro?» Domandò retorico, centrando il punto esatto. Emma questo lo sapeva: sapeva che in fondo Harry era stato terribilmente sincero e che lei non doveva prendersela solo perché la verità le aveva fatto male. Ci aveva messo un po' a convincersene, ma alla fine si era ritrovata in accordo con lui.
«Sei così arrabbiata perché ti ho detto di esserti comportata da bambina?» Ricominciò Harry, come in una lista di possibilità che era pronto a sventare una alla volta. «Sai anche tu che non è del tutto una cazzata. In più, non mi sembra che tu abbia una grande idea di me, eppure io non ti tengo il broncio. Direi che siamo pari». Aveva ragione anche in questo, purtroppo. L'orgoglio di Emma si era infervorato nel momento in cui Harry l'aveva classificata come immatura ed illusa, ma non poteva fargliene una colpa: nonostante il suo giudizio fosse stato estremamente riduttivo, anche lei era in grado di riconoscere i propri errori, ammessi o meno.
«Ed io non ti ho mai obbligata a fare niente: non ti ho mai obbligata a cercarmi, né a vedermi questa sera. Ti ho chiamata e tu avresti potuto mandarmi a quel paese, invece sei qui: perché te la prendi con me? Continui a fare delle scelte per poi incolpare me quando non ti piacciono i risultati. Sei libera di fare quello che vuoi, ragazzina, devi solo assumerti le tue responsabilità» concluse a bassa voce. In quel momento sembrava un suo amico di vecchia data, uno di quelli che si perdono in discorsi ragionevoli, pronti a dare una mano.
Eppure non lo era: lui era Harry ed Emma odiava dover ammettere che non aveva completamente torto. Ormai era evidente che entrambi avessero la propria parte di colpa e soprattutto che ognuno di loro avesse una prospettiva diversa - quasi diametralmente opposta - con la quale vedere le cose.
«Non sono libera proprio per niente. Sei tu a farmi sbagliare, ecco perché ti incolpo. Io...»
Emma non continuò la frase, perché si rese conto di aver già detto troppo e di aver lasciato uscire un po' troppa della sua vulnerabilità riguardo Harry: temeva che lui ne avrebbe approfittato per infierire, magari con un sorrisetto beffardo sul volto, ma dovette ricredersi quando aspettò invano un suo commento, guardandolo quasi spaventata.
Harry si limitò ad osservare ancora per qualche istante il suo viso, prima di inclinare le labbra piene nell'abbozzo di un sorriso. «Pace fatta?» Chiese alzando un sopracciglio.
Emma si morse le labbra e valutò la situazione, poi annuì nascondendo un sorriso. «Pace fatta» confermò, nonostante non sapesse cosa avrebbe comportato. Non se lo chiese nemmeno, a dir la verità, perché non voleva pensare troppo né aspettarsi troppo: avrebbe accettato ciò che ne sarebbe conseguito.
Quando il suo cellulare squillò avvisandola dell'arrivo di un messaggio, lei si incuriosì e lo cercò nella borsa in cuoio grigio.
 
Un nuovo messaggio: ore 22:13
Da: Mamma
"Ma dove sei? Dovresti essere a casa da un quarto d'ora"
 
Emma sospirò sonoramente e rispose velocemente di essere sulla via del ritorno a causa di un ritardo dell'autobus.
«Harry, puoi accompagnarmi a casa?» Domandò controvoglia, distogliendo lo sguardo dai suoi lineamenti.
Lui ridacchiò - per la prima volta dopo un tempo che le era parso estremamente lungo e irreale - e si sistemò sul sedile, girando la chiave e accendendo il motore. «Dimenticavo che hai un coprifuoco» la stuzzicò.
«Succede, quando i tuoi genitori sono iper-protettivi» sbuffò lei, allacciandosi la cintura. Era strano sentire di nuovo sulla propria pelle quell'atmosfera di gioco che più volte avevano condiviso: Emma non voleva chiedersi se tra loro ci sarebbe mai potuto essere qualcosa. Senza bisogno di avere una conferma, aveva capito che Harry era diverso da lei, dal suo volere tutto e subito oppure direttamente niente: Harry viveva nel mezzo, in una porzione di spazio in cui lui era il centro e in cui vigeva una rete di interessi che lo guidavano in ogni azione, attraendolo prima ad un polo - i giochi con Emma - e poi ad un altro - i suoi tentativi di respingerla. Lei desiderava solo che ci fossero sempre più fili, in quella rete, con il proprio nome inciso sopra.

 





 


LO SO!!!!!
Vi chiedo scusa, davvero, ma non sono proprio riuscita a finire prima questo capitolo! Mi dispiace avervi fatto aspettare per due settimane ed essermene uscita poi con questo capitolo discutibile (non mi esprimo oltre solo perché poi mi offendete hahha).
However, spero di essermi fatta perdonare!
Che dire? Ho inserito la parte con Dallas per farvi conoscere un po' di più il loro rapporto: la storia delle "emergenze" ritornerà in un futuro! Hanno un livello di confidenza molto alto e spero vi piacciano :)
Riguardo Harry, be', direi che parla da solo ahahha Vorrei sapere cosa ne pensate, anche perché gestire uno come lui ed uno come Emma non è semplice per me, quindi sarebbe utile sapere se sto facendo uno schifo oppure no hahaha Il gesto di chiamarla è stato egoista dopo il loro ultimo incontro, è vero, ma c'è tutto un contorno da non dimenticare! Inoltre ciò che dice è vero: Emma è libera di fare ciò che vuole, a suo rischio e pericolo. Se lei stessa ha accettato di vederlo, non può tenere il broncio! Ah, spero sia chiaro il "Volevo solo che qualcuno sapesse": un conto è rimuginare su qualcosa per conto proprio e tenersi tutto dentro, usando le proprie forze per non lasciare uscire nemmeno un briciolo di tristezza per ingannare tutti gli altri; un conto è avere anche solo qualcuno che sa che stai male, indipendentemente dalla tua voglia di parlarne o meno. Mi sono spiegata? Spero di sì ahhaha Comunque tutta la situazione familiare di Harry verrà spiegata più avanti, tranquille :)
E niente, lascio a voi il resto dei commenti! Come si evolverà il loro rapporto? Cosa vi aspettate?

Vi ringrazio infinitamente per tutto l'appoggio che mi date e per tutta la pazienza che avete! Siete di grande supporto, quindi grazie mille :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.
    
  

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici - Asshole ***




 

Capitolo dodici - Asshole
 

 

Alle cinque del pomeriggio stava ancora nevicando. Per tutta la notte erano caduti dal cielo grossi fiocchi di neve, di quelli che attecchiscono al terreno senza troppi complimenti e che ricoprono tutto ciò che sfiorano di una patina bianca e soffice: Emma si era stupita di trovare il giardino di casa innevato, soprattutto perché era convinta che la temperatura fosse eccessivamente bassa per qualcosa del genere, ma non se ne era dispiaciuta.
Anche allora, con il cappello di lana in testa per proteggersi da quel cadere leggero di fiocchi, non riusciva a disprezzare il rumore dei suoi stivali sulla neve fresca o quello delle ruote delle auto che sfrecciando per la strada la macchiavano di grigio e sporco. In un certo senso non vedeva l'ora di tornare a casa ed aiutare la piccola Fanny a creare un pupazzo di neve: solo per il divertimento della sorella minore, ovviamente.
Prima di quella piccola distrazione, però, aveva altro da fare.
L'interno del Rumpel la accolse come al solito con un leggero scampanellio e con un calore che le recò sollievo: gli occhi di Ty, dall'altra parte del bancone, sorrisero ancor prima delle sue labbra, mentre lui sventolava una mano in aria per salutare la nuova arrivata che non vedeva da qualche tempo.
Emma rabbrividì leggermente, dandosi una veloce e distratta occhiata intorno - Harry era lì - prima di andarlo a salutare.
«Guarda un po' chi si rivede» esclamò Ty continuando a lavare un bicchiere da birra.
«Ti sono mancata?» Scherzò lei, togliendosi i guanti in lana e posandoli nella tasca della sua giacca.
«E me lo chiedi?» Ribatté l'altro nascondendo l'ennesimo sorriso. «Senza contare che sono rimasto indietro con qualsiasi cosa tu e quel relitto stiate combinando» continuò, indicando con un cenno del capo qualcuno oltre la figura di Emma. Ovviamente sapevano entrambi a chi si stava riferendo, di preciso.
Lei alzò le spalle ed un sopracciglio, distogliendo per un attimo lo sguardo. «Sta solo facendo il difficile» gli assicurò. Era una piccola bugia, o forse no, ma non avrebbe mai ammesso che in realtà le speranze di avere Harry nel modo che desiderava si stavano affievolendo sempre di più.
«E scommetto che tu non molli» ammiccò Ty scuotendo la testa divertito.
«Cos'è che non molli, ragazzina?»
La voce di Harry la scosse più per la sorpresa che per il suo tono, o almeno così avrebbe voluto credere. Le era arrivato di fianco senza che se ne accorgesse, con i gomiti nudi appoggiati sul bancone ed i capelli disordinati che gli davano fastidio, dato il modo in cui cercò di rimetterli a posto. Aveva gli occhi puntati su qualcosa che Ty stava già prendendo, qualcosa che poi si rivelò una semplice Sprite.
«La presa» rispose Emma senza esitazione e cercando di non soffermarsi troppo sulle spalle di Harry, messe in risalto dalla t-shirt bianca che indossava.
«Su cosa?» Indagò lui, prendendo la bottiglietta dalle mani del barista e aprendola in fretta per berne un sorso. Emma fece per rispondere sinceramente, nonostante non fosse la cosa migliore da fare, ma fu nuovamente interrotta.
«Anche io prendo sempre il solito, perché-»
«Ho sempre e solo due mani, Walt» rispose Ty senza lasciar finire di parlare il suo interlocutore.
Emma si voltò alla sua destra, trovando Walton nella stessa ed identica posizione di Harry: i suoi occhi neri erano fissi su di lei, nonostante stesse ancora borbottando qualcosa riguardo le differenze tra il servizio a due clienti teoricamente uguali. Quando sorrideva, il suo viso scavato e non esattamente piacevole alla vista si illuminava a tal punto da rendere i difetti molto meno appariscenti.
«Qual buon vento ti porta qui, comunque?» Domandò Harry, attirando di nuovo l'attenzione su di sé.
Questa volta il contatto visivo non mancò, tanto che Emma lo percepì fin quasi ad odiarlo, mentre malediceva la ridotta vicinanza che stavano condividendo.
«Sbaglio o hai detto che sono libera di fare ciò che voglio? Be', ti ho preso in parola» spiegò lei con aria soddisfatta. Non che volesse continuare ad insistere riguardo i limiti che Harry aveva ben evidenziato tra di loro, ma in fondo non le andava nemmeno di abbandonare tutto ed allontanarsi da lui definitivamente: egoisticamente parlando, non ne sarebbe stata capace, perché le piaceva fin troppo e perché arrendersi non era una sua prerogativa; altruisticamente, era l'unica a sapere di quel lato di Harry che a nessun altro era concesso di vedere, quindi era anche l'unica ad avere una certa responsabilità a riguardo. Non sapeva dove la sua decisione l'avrebbe condotta, ma sentiva l'impellente bisogno di avere Harry vicino, in un modo o nell'altro: non avrebbe più preteso niente, l'aveva promesso a se stessa.
«Touché» fu la risposta di Harry accompagnata da un sorriso sghembo, mentre lui beveva ancora un po' di Sprite senza smettere di guardarla negli occhi. Emma non poteva evitare paragoni tra le iridi che aveva davanti e quelle della sera prima: probabilmente era in cerca di un indizio che potesse suggerirle un cambiamento di stato d'animo o qualsiasi altra cosa, come se fosse stata in grado di carpirlo così facilmente.
Si rese conto, però, che una domanda diretta avrebbe potuto avere più successo. «Come stai?» Domandò semplicemente rendendo più seria la propria espressione, nonostante intorno a loro ci fossero i battibecchi allegri di Ty e Walton.
Harry sbatté le palpebre ed il fondo della bottiglia sul bancone. «Alla grande» rispose inumidendosi le labbra, mentre la sua espressione manifestava l'ilarità di quelle parole.
Emma non ebbe quasi il tempo di riflettere su tutti quei dettagli, perché Walton tornò a disturbarli con la sua esuberanza. «Allora, andiamo?» Bofonchiò infatti, sporgendosi oltre lei per rivolgersi al suo amico e pulendosi la bocca con il dorso della mano. La bottiglia di birra nell'altra.
«Va bene, basta che la smetti di rompere» sbuffò Harry, cercando nella tasca dei jeans neri i soldi da lasciare a Ty. La ragazza si chiese di cosa stessero parlando, pronta a nascondere al meglio la leggera delusione derivante dalla consapevolezza di non poter godere della sua compagnia per chissà quale caso del destino.
«Ci sei anche tu?» Domandò Walton senza che Emma si accorgesse che si stava rivolgendo proprio a lei. D'altronde, però, non aspettò nemmeno una risposta, come se fosse stata scontata. «Contando anche lei staremo un po' stretti in macchina, ma è ok. Quel coglione di Parker conosce metà dei poliziotti della città, nel caso ci fermassero» continuò, rendendola improvvisamente ed inaspettatamente partecipe dei loro programmi.
«Devi smettere di fare affidamento su Parker. Ricordati che c'è anche l'altra metà di poliziotti, in giro» lo mise in guardia Harry, con un sorriso divertito sul volto. Non aveva detto nulla riguardo la piccola intromissione di Emma: gli faceva piacere? Gli era indifferente?
«E tu devi smettere di portare sfiga. Giuro che se ci beccano ti metto sotto prima ancora di sentire le loro stupide voci» gli assicurò l'amico rendendo l'espressione un po' più minacciosa, o almeno provandoci.
Harry alzò gli occhi al cielo e si allontanò, dirigendosi verso il tavolo intorno al quale erano raggruppati altri loro amici dal viso familiare. Prima di arrivarci, però, si voltò per dire qualcosa. «Sicura di voler venire? Walton non distingue il freno dall'acceleratore» scherzò rivolgendosi ad Emma, mentre il suo viso si rilassava per quella piccola presa in giro, alla quale il suo amico rispose con qualche imprecazione.
«Tu non hai la macchina?» Chiese lei, leggermente preoccupata da quel piccolo imprevisto. I tragitti in auto non le piacevano, questo era appurato, ma una guida spericolata non avrebbe di certo aiutato: in un certo senso avrebbe preferito affidarsi ad Harry, quasi si fosse adattata in un brevissimo lasso di tempo ad ogni sua abitudine al volante.
«Oggi no» rispose semplicemente, stringendosi nelle spalle.
«Sul serio, non lo ascoltare: so guidare perfettamente. È che deve sempre rompere il cazzo» si intromise Walton, con un tono di voce che sembrava riflettere il malcelato imbarazzo dinanzi ad una sconosciuta, causato proprio da un suo amico.
«Ti piace talmente tanto la parola "cazzo" che se non ti conoscessi abbastanza penserei che tu sia gay» commentò Harry, facendo schioccare la lingua sul palato come a rimarcare quell'insinuazione. «Dai, muoviti» lo spronò prima di lasciargli continuare il battibecco, voltandosi per raggiungere il tavolo ed infilarsi il maglione di un verde scuro.
Emma rimase a guardarlo per qualche istante, osservandolo in ogni movimento mentre Walton lo malediceva senza troppi complimenti. Quando realizzò con una maggiore consapevolezza di dover effettivamente andare con loro da qualche parte, diede retta alla curiosità che la stava stuzzicando voltandosi per chiedere qualche informazione in più a Walton: non aprì bocca, però, quando lo trovò a fissarla piuttosto insistentemente, quasi stesse studiando qualche strano essere vivente.
«Ma tu, esattamente» cominciò lui, assottigliando gli occhi piccoli, «chi diavolo sei?».
 
La macchina di Walton somigliava più ad una scatola trasandata, di un blu metallizzato che stonava con il cerchione bianco della ruota anteriore destra e diverso da tutti gli altri. Non sapeva come avrebbero fatto ad entrare tutti lì dentro, ma a quanto pare non era la prima volta che succedeva qualcosa del genere, quindi non se ne preoccupava particolarmente.
«Non ho ancora capito dove andiamo» ammise Emma rivolta ad Harry, mentre entrambi aspettavano che Walton aprisse l'auto.
«Al Buco» rispose lui alzando le spalle.
«Dovrei conoscerlo?» Ribatté Emma, strofinandosi le braccia con le mani per proteggersi dal freddo.
«Magari ci sei anche già stata, è a dieci minuti da qui» fu la breve spiegazione. Intanto Brett si era accomodato accanto ad un Walton perennemente in vena di proteste inutili: era una ragazzo grassoccio ed estremamente silenzioso, con gli occhi verdi sottili più delle sue sopracciglia dello stesso colore dei capelli biondi. Non si erano nemmeno presentati, ma le aveva tenuto aperta la porta del bar mentre usciva.
«Non saprei, il nome non mi dice niente» confessò Emma, camminando lentamente verso lo sportello dell'auto. Nei sedili posteriori avevano già preso posto Parker e Lip, nonostante avessero prima discusso su chi sarebbe stato accanto al finestrino. Il primo aveva i capelli neri lunghi fino alle spalle, scompigliati e lisci solo fino alle punte, che si arricciavano leggermente: a parte la pettinatura alquanto buffa, rideva in continuazione e giocava costantemente con il piercing al labbro inferiore. La carnagione più chiara di quella di Emma stessa era spezzata dal nero delle sue iridi grandi e dal naso sporgente. Lip, invece, era più o meno il suo contrario: reduce da chissà quante lampade abbronzanti, aveva i capelli corti e di un castano scuro, che richiamava quello dei suoi occhi sempre attenti, ma difficilmente partecipi per davvero. I suoi bicipiti, incoraggiati da un fisico statuario, non invitavano nessuno a provocarli.
«Perché non è il suo nome» continuò Harry sedendosi nell'ultimo posto libero tra quelli posteriori. L'abitacolo era davvero troppo piccolo per le sue gambe lunghe: lui e gli altri due stavano già stretti anche senza di lei. Battendo una mano sulla propria coscia, Harry invitò Emma a sedersi sulle sue gambe, quasi ad offrirle una soluzione a quella sua osservazione mentale. «È stato Brett a chiamarlo così, una sera».
Emma inspirò profondamente e strinse nella mano destra la cinghia della sua borsa, leggermente umida per la neve che continuava a scendere, poi si decise ad accogliere l'invito appena ricevuto. Con un po' di difficoltà riuscì ad infilare le gambe in uno spazio vuoto - o quasi - tra quelle di Harry e quelle di Parker, mentre si sforzava di tenere il capo basso per non colpire il tettuccio dell'auto. Sentiva il profumo di Harry fin troppo intensamente, ma in fondo avrebbe potuto aiutarla a distrarsi: non sapeva dove mettere le mani, perché una poteva tenerla sul sedile di Walton per mantenersi in equilibrio, ma l'altra doveva necessariamente toccare Harry in un modo o nell'altro.
«Brett, ricordi quella sera? Quando eri talmente fatto che ci hai costretti ad ascoltare le tue pippe mentali sull'universo?» Esclamò Lip allegro, cogliendo il discorso dell'altro suo amico.
«"Questa merda di parco è un buco di culo in confronto a quanto è grande l'universo, vi rendete conto?"» Lo imitò Parker sghignazzando subito dopo, mentre Brett non reagiva minimamente a quei ricordi se non con un cenno del capo.
«Ah, ora si spiega tutto» commentò Emma lanciando uno sguardo divertito ad Harry, che stava sorridendo per la sua reazione. Averlo a quella distanza non era una novità, ma allo stesso tempo era in qualche modo diverso: le piaceva avere il suo viso così innocentemente vicino, così come le piaceva sentire le sue gambe sostenerla, nonostante fossero tanto magre da essere quasi spigolose.
Quando Walton lasciò il parcheggio nel quale si era infilato non molto cautamente, Emma strinse istintivamente le palpebre e la stoffa che ricopriva il sedile del guidatore, anche se solo per un piccolo istante.
«Che c'è?» Le chiese Harry, che evidentemente quell'istante non l'aveva lasciato scappare.
Emma si concentrò per qualche secondo sulle sue iridi verdi e tranquille, sperando di poter rubare loro un po' di quiete. «Niente» rispose testarda.
«Guarda che non te lo chiedo di nuovo» la ammonì lui, alzando un sopracciglio.
«Guarda che non voglio che tu me lo chieda» ribatté lei mentendo solo in parte.
Harry non rispose oltre, limitandosi a guardarla serio.
«Come si arriva a questo Buco?» Chiese Emma dopo qualche istante, sperando che quel trucco funzionasse: solitamente il fatto di sapere il percorso da seguire per arrivare a destinazione la aiutava a placare il disagio che la invadeva, nonostante fosse pressoché impossibile farlo scomparire. Perché doveva avere una paura così stupida ed insensata?
«Dalla South Born Street, perché?» Indagò l'altro corrugando la fronte.
Lei scosse la testa e distolse lo sguardo.
Non parlarono più.
 
Emma uscì dall'auto pestando il piede di Parker per sbaglio e precipitandosi fuori come se avesse appena visto cinquecento sterline a terra. Erano stati i dieci minuti più lunghi degli ultimi tempi e le sembrava quasi di non avere abbastanza ossigeno per riempire i polmoni. I ragazzi erano simpatici, è vero, ed Harry aveva davvero un buon profumo, ma Walton confondeva sul serio il freno e l'acceleratore e quel tragitto era stato un vero e proprio inferno.
«Soffri il mal d'auto per caso?» Insistette Harry arrivandole di fianco. Aveva smesso di nevicare, ma era comunque rilassante paragonare ogni particolare del suo viso con il candore della neve ancora fresca.
Per tutto il tempo, in macchina, l'aveva osservata mentre lei soffriva in silenzio: stoicamente aveva mantenuto la promessa di non chiederle più niente, ma evidentemente era difficile trattenersi.
«No» lo liquidò Emma, voltandosi per sbirciare il famoso Buco. Era una specie di largo piazzale con qualche panchina: in un certo modo le ricordava il Findoys, ovvero il luogo dove lei ed Harry si erano baciati per la prima ed ultima volta. Era un po' isolato e non si riusciva a capire se e quanti spazi erbosi ci fossero, dato che era tutto ricoperto da uno spesso strato di neve.
«Allora perché sembravi sul punto di urlare lì dentro?» Fu l'ennesima domanda.
Emma sospirò aggiustandosi il cappello sulla testa: c'era qualcuno a diversi metri da loro, un gruppetto di ragazze.
«Ragazzina?» La richiamò Harry, infastidito dal non aver ricevuto alcuna risposta.
«Ho paura delle auto, ok?» Sbottò lei voltandosi per fulminarlo con lo sguardo. «Non mi piace l'idea che qualcuno possa portarmi in qualsiasi posto, magari diverso da quello in cui devo andare. Contento? Ora prova a dire qualcosa a riguardo e ti taglio la lingua» continuò velenosa, cercando di rendere il suo sguardo minaccioso, nonostante fosse più spaventato. Confessare un timore così futile agli occhi degli altri non era di certo facile per lei, senza contare il fatto che non si era nemmeno spiegata al meglio.
Harry alzò le sopracciglia e sorrise lentamente. «Non c'è bisogno di passare alle minacce» esclamò mettendo le mani nelle tasche della giacca nera. «E dire che pensavo che il problema fosse la mia macchina» ridacchiò subito dopo, cercando una sigaretta nei suoi pantaloni. Allora si era già accorto del suo disagio.
Emma lo osservò in attesa di una presa in giro o di qualcosa del genere, pronta a difendersi a spada tratta, ma non ce ne fu bisogno. «Abbandona i tuoi istinti omicidi» disse infatti Harry, con la sigaretta tra le labbra e l'accendino che faceva il suo dovere dinanzi al suo viso concentrato. «Avresti potuto dirmelo prima che ti trascinassi sempre dentro una macchina» continuò, allungando una mano per accarezzarle giocosamente i capelli coperti dal cappellino in lana. Lei si morse le labbra per nascondere un sorriso di sollievo, ma fallì miseramente, costretta ad allontanarsi solo perché il capellino le stava finendo sopra agli occhi e lei voleva vedere Harry ridere.
Il momento dopo furono interrotti da qualcuno.
«Perché dovete sempre arrivare in ritardo?» Esclamò una voce femminile, accompagnata dal rumore della neve schiacciata dai passi di più persone. Emma si voltò, così come Harry, e osservò le tre ragazze che si stavano avvicinando parlottando allegramente tra di loro. C'era anche Denice.
Le altre due ragazze passarono letteralmente in secondo piano, quasi fossero state semplicemente uno scenario inutile, perché tutta l'attenzione di Emma si concentrò sulla presenza della persona che aveva la possibilità di avere Harry, in un modo o nell'altro. Serrò i pugni e la mascella, respirando piano per non lasciarsi sopraffare dalla gelosia e dalla rabbia, mentre si soffermava sulle sue gambe magre coperte da jeans scuri e sul suo corpo esile protetto da una giacca di pelle nera che chissà se era abbastanza pesante: man mano che si avvicinava Emma aveva l'opportunità di carpire particolari in più che la aiutavano - purtroppo - a vedere quanto fosse effettivamente graziosa nel complesso.
«Non potete nemmeno lamentarvi, dato che di solito siete voi a farci aspettare anni» precisò Walton, accedendosi una sigaretta senza nemmeno guardarle negli occhi. Ormai erano a pochi passi da loro ed Emma ne soffriva particolarmente, anche se non voleva darlo a vedere.
Istintivamente si voltò verso Harry, quasi avesse potuto rimproverarlo con un solo sguardo, e si stupì di trovarlo a guardarla: perché non le aveva detto che ci sarebbe stata anche Denice? Era un modo per divertirsi? Un modo per sbeffeggiarla ancora un po'?
«Devi toglierti il vizio di mentire costantemente» lo rimproverò una delle ragazze alzando un sopracciglio fine. Aveva la fronte coperta da una frangetta dritta e mora, mentre il resto dei capelli le arrivava poco più giù delle spalle: lo sguardo di ghiaccio contrastava con l'espressione allegra, sebbene marcata da lineamenti spigolosi.
Emma cercò di studiare anche l'altra ragazza, ma notò Denice avvicinarsi ad Harry con un sorriso sincero sulle labbra: gli circondò il busto con un braccio e lo baciò velocemente sulla bocca sussurrandogli qualcosa all'orecchio, qualcosa che fece rabbrividire l'osservatrice di troppo, che si stava letteralmente mordendo la lingua per non manifestare il suo fastidio. Harry, a sua volta, le baciò il collo e tornò a seguire il discorso pressoché senza un significato profondo dei suoi amici, evitando lo sguardo di Emma.
«Piacere, Olly» le si presentò qualcuno, distraendola dai suoi pensieri attenti. Emma sbatté più volte le palpebre e per qualche istante rimase ferma a studiare la mano tesa verso di lei: la terza ragazza di quel gruppetto le stava davanti con un sorriso gentile sul volto, mentre i suoi centimetri di altezza in più la facevano sentire davvero piccola. Purtroppo, per ciò che le stava passando per la testa e per tutta la cieca gelosia che stava provando, non riusciva ad essere al massimo delle buone norme comportamentali con gli estranei, ma il viso tondo che stava osservando sembrava privo di qualsiasi difetto o traccia di antipatia. Gli occhi grandi e neri come la pece riprendevano in qualche modo il rossetto scurissimo sulle labbra sottili ed i capelli dello stesso colore, mossi e lunghi fin oltre il seno. Era così bella da farla sentire una nullità, oltre che bassa.
«Emma» rispose lei, stringendole la mano e sforzandosi di non guardare Harry al suo fianco: non avrebbe fatto alcuna scenata di gelosia, come gli piaceva chiamarla, ma avrebbe tenuto la testa alta ed il cuore al proprio posto. Non doveva scomporsi, solo resistere.
«Non ti ho mai vista prima» continuò Olly facendo tintinnare i pochi bracciali che teneva al polso destro.
«Sì, ero al Rumpel e Walton mi ha coinvolta senza nemmeno conoscermi, quindi...»
«Fa così con tutte, che ci vuoi fare?» Sorrise l'altra, stringendosi nelle spalle. Chissà se si sarebbe dimostrata meno cordiale nel sapere che quella piccola intrusa nutriva qualcosa per il ragazzo con il quale Denice si divertiva. «Dai, andiamo» la spronò a seguirla, mentre anche gli altri si incamminavano verso il centro del piazzale. «E non farti spaventare dalla prima impressione su questa banda di stupidi, in fondo sono buoni» scherzò, con una chiara espressione ricca d'affetto sul volto.
Emma avrebbe voluto dirle che non erano di certo loro a spaventarla, ma si trattenne dal farlo e si limitò a seguirla in silenzio. Harry era a pochi metri da lei, con Denice stretta al proprio corpo ed il cuore di Emma stretto nelle mani, sebbene non ne fosse pienamente consapevole.
 
«Allora, a che scuola vai?» Domandò Audie tenendo le mani tra le cosce per riscaldarle e restando seduta sulla panchina. Era la ragazza con la quale Walton aveva iniziato il battibecco poco dopo essere arrivati ed era anche la più spigliata tra le sue amiche.
«Alla Haltow High School» rispose Emma gentilmente, ma anche stancamente. Era passata poco più di un'ora e lei stava velocemente arrivando al limite di sopportazione: non ne poteva più di evitare le effusioni tra Harry e Denice, non ne poteva più di chiedersi perché lui si ostinasse a non guardarla nemmeno o a non chiederle neanche scusa per quel piccolo tranello in cui l'aveva coinvolta. Non ne poteva più di non avere il controllo sui propri sentimenti, infiammati da quel trambusto al quale non voleva sottoporsi.
«Davvero? Conosco un paio di persone che la frequentano. Come hai conosciuto gli altri?» Continuò Audie.
«Walton ha di nuovo fatto il cascamorto al Rumpel» intervenne Olly, sfruttando l'informazione ottenuta poco prima.
«In realtà ho conosciuto Harry proprio al Rumpel qualche settimana fa» si spiegò meglio: non le andava di passare per quella che si era fatta rimorchiare dal primo passante al triste bancone di un bar.
«Ah sì?» Chiese Denice guardandola attentamente, ma senza perdere il sorriso incuriosito.
Emma annuì e si finse indifferente, sistemandosi meglio sulla panchina sulla quale si erano sedute per osservare i ragazzi prendersi a palle di neve proprio come dei bambini: Brett era decisamente in svantaggio, mentre Lip sembrava invincibile, forse grazie a tutti quei muscoli che gli facevano da scudo. «E voi? Come li avete conosciuti?» Indagò, sperando di ottenere qualche informazione in più.
«Be', Denice ha fatto conoscenza con i pantaloni di Harry ed il resto è venuto da sé» scherzò Olly, guadagnandosi un leggero pugno sulla spalla dalla diretta interessata. Emma trattenne per un attimo il fiato a quelle parole.
«Non dire idiozie» la ammonì Denice con le guance leggermente arrossate. Poi si rivolse alla nuova arrivata, seduta alla sua sinistra. «È in parte vero quello che ha detto, ma non è andata esattamente così» continuò buttando benzina sulla già accesa curiosità di Emma, che la guardava in trepidante attesa.
«Insomma, Harry le ronzava intorno da qualche tempo quando lei ha finalmente deciso di notarlo» si intromise Audie, in piena modalità gossip. «Per sfortuna del nostro povero Styles, però, una storia seria non era nelle sue intenzioni, quindi ha dovuto accontentarsi di qualche scappatella nel suo letto» concluse. Evidentemente si divertiva a raccontare sfacciatamente il susseguirsi delle vicende.
«Così sembra che io sia la peggiore delle stronze!» La corresse Denice. «Non si è accontentato, l'abbiamo deciso insieme: anzi, a dirla tutta è stato lui a proporre questa cosa e ne sembra anche piuttosto soddisfatto» precisò lei.
«Non credi che possa volere di più?» Emma si stava deliberatamente impicciando di affari che la riguardavano solo e remotamente in modo indiretto, eppure non riusciva a tenere a bada la lingua, perché la voglia di sapere era troppa.
Denice scoppiò a ridere, seguita dalle sue amiche: la loro non era una presa in giro, anzi, erano cristalline nel parlare di ciò che le riguardava. Evidentemente quella possibilità era più assurda di quanto lei credesse. «Stiamo parlando dello stesso Harry? No, a lui va bene così. E comunque, se anche volesse di più, dovrebbe andare a cercarlo da un'altra, perché io non ne voglio più sapere di storie anche solo lontanamente serie» spiegò incupendosi leggermente, come se fosse stata appena minacciata da un ricordo ancora pungente.
Emma iniziò a rimuginare su quelle informazioni, fino a quando Olly annunciò l'inizio della fine. «Ah, ecco: parli del diavolo e spuntano le corna».
Tutti gli sguardi si soffermarono sulla figura di Harry che si avvicinava a loro, ricoperta da residui di palle di neve e con le guance arrossate per il freddo: era così bello da fare un po' male, ma solo un po', perché il resto era dovuto al modo con il quale si rapportava con Denice, alla semplicità e alla disarmante confidenza con cui la baciava o si lasciava accarezzare. Tutto per cosa? Un'allegra scopata da dimenticare il giorno dopo?
«Hai una sigaretta?» Le domandò, tirando su con il naso e scrollandosi di dosso un po' di neve.
«Sì, ma te la scordi, e sai anche perché» rispose Denice, con un sorriso beffardo che in qualche modo ricordava quelli di Harry. Si alzò dalla panchina e si sporse in avanti per sfiorargli le labbra con divertimento, mentre lui mormorava un: “E dai, non rompere".
A quel punto per Emma fu davvero troppo da sopportare: si mise immediatamente in piedi, raccogliendo la borsa dalla panchina e tenendo lo sguardo su qualsiasi cosa che non fossero i capelli di Harry o le sue labbra occupate da altre. «Ho dimenticato di dover sbrigare una commissione, devo andare. Grazie della compagnia» si congedò alla velocità della luce, voltandosi subito dopo ed ignorando le domande stupite delle ragazze, che le stavano pesino offrendo un passaggio a casa. Le sarebbero state simpatiche, se si fosse trattata di una situazione completamente diversa.
Ai ragazzi sorrise semplicemente, rivolgendo anche a loro la scusa che aveva usato solo poco prima, mentre si dirigeva verso il marciapiede pronta a camminare per un bel po' solo per tornare finalmente a casa.
Era inutile rimanere lì, si sarebbe solo resa ridicola a se stessa e agli occhi di Harry. Lo stesso Harry che la raggiunse a passi veloci non appena lei svoltò in un'altra via che nemmeno conosceva.
La bloccò con una mano sul polso, ma senza dire niente.
Emma si divincolò con una decisione che stupì persino se stessa. «Devo andare» ripeté meccanicamente.
«Non sapevo che ci sarebbe stata anche lei» esclamò Harry con un tono serio, mentre la osservava attento.
«Certo, come no» sospirò lei distogliendo lo sguardo.
«È la verità: non ci teniamo aggiornati su ogni spostamento che facciamo» insistette lui quasi stancamente. Era stato il primo a cercare un confronto, quindi perché ora le parlava in quel modo?
«Ma se vi stavano aspettando!» Lo contraddisse Emma, infastidita dal suo mentire e dal suo modo di porsi.
«Avranno parlato con Walton! Io non sapevo che ci sarebbero state».
Emma sbuffò e serrò la mascella. «Va bene» si limitò a dire prima di voltarsi di nuovo. Che senso aveva starne a parlare se tanto si udiva chiaramente il rumore delle unghie di Harry mentre si arrampicava su specchi invisibili? E se anche fosse stato sincero, a cosa sarebbe servito? Ancora una volta era stata lei a sbagliare, ma diversamente dalle altre non se la sarebbe presa con lui: solo con se stessa.
«Fermati, santo cielo» la richiamò Harry sfumando il tono in un rimprovero.
«Si può sapere cosa vuoi?» Sbottò Emma tornando a guardarlo. Se solo l'avesse lasciata andare senza inutili parole, forse lei avrebbe smesso di sentire quello strano peso all'altezza del petto, mentre le immagini di lui e Denice vicini si susseguivano nella sua mente.
«Io? Sei tu che te ne stai andando come se-»
«E questo cosa ha a che fare con te?» Lo interruppe Emma, iniziando ad alzare la voce proprio come la sua stava facendo. «Ti ho chiesto di seguirmi? Non mi sembra».
«No, ma è evidente che tu sia incazzata con me per questa storia! Ti ho già detto che non sapevo di Denice e se proprio vogliamo dirla tutt-»
«Non dirmi che è stata una mia scelta e che devo accettare le conseguenze delle mie decisioni, non osare dirlo. Lo so perfettamente, infatti ho accettato tutte le vostre stupide effusioni senza dire niente: ora però devo proprio andare a casa, perché non ho più intenzione di farlo» stabilì fiera di se stessa. La gelosia la stava ancora divorando, nonostante Denice fosse lontana e lui fosse lì con lei, e doveva trovare un modo per metterla a tacere.
«Ok, allora vai» acconsentì Harry, più per rabbia che per altro. La sua espressione contratta non manifestava tranquillità ed era evidente che volesse dire dell'altro. Emma lo guardò solo per un ulteriore istante prima di voltarsi e riprendere a camminare: stava ribollendo per la stizza e per la voglia di urlare un po' di più solo per sfogarsi anche in minima parte.
«Anzi, sai una cosa?» Ricominciò lei subito dopo, tornando velocemente indietro e cogliendo Harry alla sprovvista, che la stava ancora osservando con lo stesso sguardo negli occhi. «Non è solo colpa mia. Magari tu non sapevi che ci sarebbe stata anche Denice, ma non ti sei fatto nemmeno uno scrupolo nello stare con lei davanti ai miei occhi. Ti sei divertito a sbaciucchiarla per bene mentre mi avevi a nemmeno un metro di distanza? Ti sei sentito appagato?»
«Continui a parlare senza sapere un cazzo! Sai cosa ha fatto appena siamo arrivati? Mi ha chiesto di fare sesso nel primo vicolo qui vicino: perché credi che le abbia detto di no?» Ribatté Harry, alterandosi un po' di più mentre lei rabbrividiva al solo pensiero.
«Dovrei ringraziarti per questo? Avrei preferito che ve ne foste andati, piuttosto che avervi davanti per tutto il tempo!» Confessò Emma, nonostante non fosse pienamente sicura di quelle parole. Probabilmente rimanere con loro in ogni minuto non era stato privo di vantaggi, dato che le aveva concesso di sapere esattamente cosa stavano facendo.
«Scommetto invece che se ce ne fossimo andati mi avresti urlato contro di essere uno stronzo insensibile! Mi avresti rimproverato di non aver avuto nemmeno un minimo di rispetto per te!»
Forse aveva ragione? Non era neanche quello il problema.
«Il punto è che io non voglio niente di tutto questo!» Precisò Emma, avvicinandosi un po' di più. Era ad un passo da lui e per una volta era più forte di quella misera distanza. «Pensavo di farcela, di poter resistere un po' di più e di vedere a cosa avrebbe portato, ma io non voglio accontentarmi. Non voglio accontentarmi delle briciole come hai fatto tu con Denice!»
«Come f-»
«E soprattutto non voglio dover sopportare questa situazione, quando tu sei bloccato in una relazione che non ti porterà da nessuna parte e che non ha nemmeno senso: sono stata una vera stupida a pensare di potercela fare, ma ora ho capito che sarebbe inutile».
«Non osare parlare di qualcosa che non conosci» la ammonì Harry facendosi ancora più vicino. Le stava respirando velocemente sul viso.
«Forse la tua Denice non dovrebbe parlarne con dei perfetti estranei» rispose lei, sostenendo il suo sguardo senza indietreggiare di un solo millimetro.
«Vai a casa, ragazzina» le ordinò lui a denti stretti.
«Stavolta, però, non fermarmi».
«Non ci penso neanche».
 
Quando Emma aprì la porta di casa con il mazzo di chiavi che finalmente i suoi genitori le avevano affidato, non ebbe il tempo di fare un passo o di inspirare ancora un po' d'aria, perché Fanny le si catapultò direttamente tra le braccia esclamando qualcosa di irriconoscibile.
«Aspetta, hey! Così mi fai cadere» la ammonì Emma, sorridendo mentre la sorella la obbligava a mettersi in ginocchio solo per abbracciarla meglio.
«Dove sei stata? Sei in ritardo!» La rimproverò Fanny senza un vero nervosismo. La sua era infantile ed irrefrenabile impazienza: aveva già indossato il giaccone più pesante in suo possesso, compresi i guanti da neve ed il cappellino in lana rosa che si intonava alla sua carnagione chiara.
«Sono in perfetto orario» ribatté lei, allontanandola un po' dal proprio corpo per poterla guardare in faccia. I suoi occhi color nocciola stavano letteralmente brillando per ciò che li avrebbe emozionati da lì a poco.
«Saresti stata in ritardo anche se fossi arrivata alle tre: è tutto il pomeriggio che va in giro così» intervenne Melanie dal divano sul quale era sdraiata, mettendosi a sedere.
«Melanie Clarke che sorride? Di' un po', non eri in fase "odio chiunque mi respiri vicino e anche me stessa"?» Domandò Emma, incuriosita dal viso radioso di sua sorella maggiore. Come sempre aveva scelto un approccio discutibile, ma il suo interesse era sincero, nonostante non tutti lo capissero.
«Non esattamente: tu sei ancora tra le persone che non sopporto, soprattutto quando sei così simpatica» borbottò Melanie alzando gli occhi al cielo, ma senza un vero e proprio risentimento. Era tornata quella di sempre: che avesse chiarito con quel relitto umano di Zayn? Emma non sapeva se esserne felice o meno.
«E dai, andiamo?» Si lamentò Fanny, saltellando sul posto.
Forse aiutarla a fare un pupazzo di neve avrebbe aiutato lei a togliersi Harry dalla testa.





 


Hello!
Dai, sono anche leggermente in anticipo :) come state fanciulle? Spero abbiate passato una buona settimana!
Passando al capitolo, non so nemmeno come definirlo: innanzitutto si nota la decisione iniziale di Emma di non abbandonare definitivamente Harry, per i motivi che lei stessa spiega. Ho introdotto gli amici di Harry (scusate per le numerose descrizioni ma non potevo farle mancare! e scusate anche per il linguaggio che usano, ma voglio che siano realistici!), anche se Walton lo conoscevate già un pochino! Riguardo Denice, lascio a voi tutti i commenti: ho voluto svelarvi una briciola del loro passato (in cui evidentemente Harry faceva la parte di Emma e Denice la sua), dato che è lo stesso che fa capire qualcosa ad Emma. Lei non vuole finire come loro, accontentarsi di qualcosa che non ha un senso né uno scopo: anche qui, ditemi cosa pensate della piccola - ennesima - discussione con Harry! Sono curiosa di sapere quali siano le vostre opinioni e previsioni per questi due :)
Ah, visto che mi è stato chiesto, ho deciso che alla fine di ogni capitolo dirò anche a che punto siamo in "It feels..." così chi la seguiva può orientarsi un po' di più! Questo capitolo è ambientato al giorno dopo il capitolo 22 :)

Spero davvero che vi sia piaciuto, anche se non succede niente di eclatante! In qualsiasi caso fatemi sapere i vostri pareri! E grazie infinite per tutto, davvero!

Vi lascio tutti i miei contatti:
ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.

Ah, nuova one shot :)
"Phantom limb"

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici - Walk or run ***




 

Capitolo tredici - Walk or run
 

 

«Quello che non capisco è perché tu non possa impegnarti un po' di più!» Continuò ad alterarsi Ron guardando con rimprovero la figlia. Emma lo osservò passarsi una mano tra i capelli mentre rimaneva in piedi davanti al divano: il sabato pomeriggio non era mai stato così movimentato.
«Ma qual è il problema?» Domandò esasperata, incrociando le gambe coperte da una tuta nera. «Nessun professore si lamenta del mio comportamento, non ho insufficienze e non rischio la bocciatura, non mi sembra di essere un completo disastro».
Constance si sedette sul bracciolo del divano, con il viso arrossato per la stanchezza causata dalle pulizie che stava svolgendo in casa. A tratti cercava di addolcire il marito, a tratti cercava di spronare Emma a regolare i toni: sapeva che avrebbe dovuto ricoprire il ruolo di moderatrice tra quei due, perché i loro litigi non erano mai molto tranquilli o pacifici.
«È questo il punto! Perché devi essere mediocre, quando potresti eccellere? In matematica hai tutte A, allora perché nel resto delle materie ti devi accontentare di una misera sufficienza?» Ribatté il padre allargando le braccia in segno di esasperazione.
«Perché a me va bene così! Non è difficile da capire, ma forse dovresti essere un po' meno egocentrico e provare a comprendere anche il mio punto di vista!»
«Non parlarmi così! Il tuo punto di vista conta fino ad un certo punto, se rischia di compromettere il tuo futuro: dei buoni voti sono fondamentali per accedere al college ed io non ti permetterò di buttare tutto al vento perché non hai voglia di impegnarti seriamente!»
«Ron, abbassa la voce» si intromise Constance, mentre Fanny arrivava correndo in salotto, attirata dalle grida. Nel suo completino azzurro pastello sembrava ancora più piccola, mentre osservava i suoi familiari in quell'atmosfera tesa: i suoi occhioni scuri si fermarono su Emma, fino ad attrarla a lei. Le si sedette vicino senza toglierle gli occhi di dosso.
«Stai rendendo questa storia una tragedia, quando evidentemente non lo è! Non sei tu a dover decidere il mio futuro o se andrò o meno al college, e finché non ci sarà un buon motivo per sentirti urlare non me ne starò qui a subire inutilmente!» Ribatté Emma alzandosi in piedi. Respirava velocemente per la rabbia e per la sensazione di essere in trappola: non sopportava di essere controllata in quel modo, non sopportava di dover a tutti i costi eccellere in qualcosa che non le avrebbe dato un minimo di soddisfazione solo per rendere felice qualcun altro. Suo padre pretendeva sempre il massimo e anche se lo faceva per il bene delle sue figlie, finiva per essere troppo opprimente e per ottenere il contrario: perdeva di vista ciò che era davvero importante.
«Invece tu non ti muoverai da qui fin quand-»
«Adesso smettetela, tutti e due!» Esclamò Constance, cercando di ripristinare l'ordine. Sapeva da chi Emma aveva ereditato la sua caparbietà e questo spiegava il perché dei loro continui scontri senza fine. «Urlare in questo modo non serve assolutamente a niente».
«Ed io che speravo di farle entrare qualcosa in quella testa, visto che sembra essere sorda quando suo padre le dice qualcosa!» Commentò Ron ironicamente, ma mantenendo un'espressione dura.
«Evidentemente continui a non capire niente di me» sibilò Emma.
Il padre fece un passo verso di lei e Fanny le si aggrappò ad una gamba, cingendola con le sue braccia sottili. «Stai oltrepassando il limite, ti avverto» la ammonì lui, additandola con l'indice destro mentre con l'altra si allentava il colletto della camicia bianca che indossava.
Emma sostenne il suo sguardo fiera come non mai, stringendo i pugni per il nervosismo.
«Devi smettere di sfidarmi ogni santa volta. Sono tuo padre e questo non devi dimenticarlo» continuò Ron con gli occhi fissi nei suoi, in una prova di forza che lei non avrebbe potuto vincere. «Fin quando vivi sotto questo tetto, fin quando sono io a pagarti la scuola e a pagare qualsiasi altra cosa che tu tocchi o mangi, devi portarmi rispetto e soprattutto devi darmi ascolto» aggiunse. Non stava più urlando, ma il suo tono non lasciava scampo: era duro, esigente ed in qualche modo indiscutibile. Per quanto Emma fosse una testa calda testarda ed insistente, sapeva quali fossero i limiti e sapeva fino a dove potesse spingersi. Nonostante ogni volta osasse un po' di più, la sua natura era messa a tacere da quella del padre, cosa che la faceva innervosire ulteriormente.
Quando Melanie arrivò in salotto con un'espressione confusa, per un attimo tutti gli sguardi si posarono su di lei, per poi tornare a scrutare chi stavano cercando di osservare: Ron teneva in pugno gli occhi di Emma, sua moglie Constance muoveva in continuazione i propri dal marito alla figlia e Fanny continuava a fissare il volto teso di Emma, senza mollare la presa dalla sua gamba.
Ron colse subito l’occasione di riprendere il discorso. «Perché non prendi esempio da tua sorella maggiore? L-»
«No, non iniziare con questa stupida storia» lo interruppe Emma, serrando la mascella.
«Ron, per favore» accorse anche Constance, che sapeva quanto fosse delicato quel tasto.
«Che c'è? È un discorso tanto assurdo? È sua sorella maggiore, dovrebbe prenderla ad esempio e sarebbe anche in grado di uguagliarla!»
«Papà...» provò ad intromettersi Melanie, in tono quasi supplichevole.
«Uguagliarla?» Si alterò Emma iniziando a gesticolare. «Che diavolo è, una gara? Non devo uguagliare nessuno, non devo somigliare a nessuno: sono così e questo deve andarti bene!» Le tremavano le mani per l'agitazione, per quello schiaffo figurato che aveva appena incassato: era così stanca di essere paragonata alla perfetta Melanie. Sapeva bene quante soddisfazioni lei fosse in grado di regalare ai loro genitori, ma era stanca di risentirne, di non sentirsi all'altezza: più glielo rinfacciavano, più le cose peggioravano.
«Emma, tuo padre non sta dicendo che dovresti essere come Melanie, sta solo cercando di farti capire che hai le sue stesse capacità e-»
«E niente, mamma. Avremo anche le stesse capacità, ma siamo due persone diverse: iniziate ad accettarlo!» La interruppe, divincolandosi dalla presa di Fanny e correndo verso la porta d'ingresso per recuperare il giaccone ed uscire di casa.
«Emma, torna subito qui!» Tuonò suo padre, prima che la figlia sbattesse la porta dietro di sé.
 
Stava letteralmente congelando. Dopo la nevicata del giorno prima le temperature si erano abbassate notevolmente, ghiacciando tutto ciò che incontravano: stavano provando a trasformare anche Emma in un ghiacciolo e lei stava resistendo a malapena nel suo parka e nelle sue Converse bianche trovate dietro la porta.
Con le braccia incrociate al petto stava camminando senza una meta da più di venti minuti: aveva pensato di andare da Tianna, ma poi si era ricordata della festa a casa dei cugini alla quale l'amica era stata costretta ad andare. Dallas e Pete avrebbero dovuto essere a casa, ma non li aveva ancora cercati, perché si era detta che era meglio sbollire prima un po' di rabbia.
Finalmente, quindi, scrisse un messaggio a Dallas, chiedendogli se fosse impegnato. Era arrivata al centro di Bradford senza nemmeno accorgersene e dato che si era stancata di camminare, decise di sedersi su una panchina sul marciapiede che correva davanti al CM - Chicken Magician, il miglior venditore di panini con il pollo di tutta la città: non sapeva se fosse così famoso per la bontà della carne o per il successo che sembrava riscuotere il volatile gigante posizionato all'entrata, che con una voce meccanica invitava i passanti ad entrare.
Dopo qualche minuto il telefono le squillò tra le mani e lei non perse nemmeno tempo a spiare il mittente. Accettò la chiamata. «Dallas?» Esclamò speranzosa.
«Ehm, no?» Rispose una voce dall'altra parte della cornetta.
«Harry?» Domandò Emma confusa, allontanando il cellulare dall'orecchio per accettarsi del nome sullo schermo e dandosi della stupida per non aver controllato prima di rispondere.
«Così dicono» commentò l'altro. Probabilmente si stava stringendo nelle spalle. «Tutto bene?»
Harry che le faceva una domanda che presupponeva un certo interesse? Quel sabato stava davvero superando ogni aspettativa.
«Lasciami stare» disse soltanto, prima di attaccare la chiamata e stringere il telefono tra le mani. Non aveva nemmeno voglia di pensare al perché Harry la stesse cercando, il che era tutto dire.
 
Quando la suoneria squillante del cellulare annunciò l'arrivo di un messaggio, Emma fu tentata di non guardarlo nemmeno per paura che potesse essere di nuovo Harry: si costrinse a farlo, però, sperando che fosse Dallas che la invitava a casa o in un qualsiasi altro posto, dato che aveva disperatamente bisogno di lui. Era passata una buona mezz'ora da quando gli aveva scritto.
 
Un nuovo messaggio: ore 16.23
Da: Dalla$
"Ems, scusa, sono da qualche parte nel Lincolnshire e il telefono non prende. Stiamo andando da una zia che non sapevo nemmeno di avere: a quanto pare è sul letto di morte e mia madre vuole che la salutiamo o qualcosa del genere. Tu che combini?"
 
Emma sospirò sonoramente e fece una smorfia di disapprovazione, infilando in modo brusco il telefono nella tasca del parka ed inveendo ingiustamente contro Dallas. Piegò le gambe sulla panchina e le circondò con le braccia, nascondendo il viso tra le proprie ginocchia. Nonostante tutto il tempo trascorso, non era ancora riuscita a smaltire completamente il nervosismo.
«Allora è peggio di quanto pensassi» esclamò qualcuno lì vicino.
Lei strinse le palpebre e per qualche istante non si mosse, sicura di chi avrebbe visto se solo avesse alzato il capo e guardato davanti a sé. Forse era la prima volta che cercava di rifuggirlo in modo così deciso.
«Che diavolo fai qui?» Mormorò rimanendo immobile.
Harry non si mosse, o almeno così le parve. «Al telefono non sembrava che stessi bene, in più dobbiamo parlare di alcune cose. E direi che ho fatto bene a venire, dato che sei in questo stato» spiegò con la solita sicurezza.
«Intendevo come hai fatto a trovarmi» specificò Emma, alzando finalmente lo sguardo duro. «E non ho bisogno di te» aggiunse. Harry indossava una giacca nuova, di un marrone scuro e di qualche taglia in più, ma che gli arrivava poco oltre il bacino. I blue jeans erano abbinati ai soliti stivaletti rovinati, come quasi sempre, ed i capelli erano coperti da un cappellino in lana nero. La sua auto era parcheggiata a pochi passi da loro.
Harry infilò le mani nelle tasche del giubbotto ed alzò le spalle. «C'è solo un posto in cui c'è una specie di pollo gigante che parla» rispose, indicando con un cenno del capo quell'enorme gallina finta che stava alle spalle di Emma. Doveva averlo notato nei pochi secondi che erano rimasti al telefono: lei aveva persino iniziato a non sentire più quel suono che dopo un po' diventava fastidioso, e per un attimo si maledisse per essere rimasta lì.
«Comunque devi andartene» disse lei, tornando nella posizione di poco prima e stringendo un po' di più le gambe tra le proprie braccia.
Rimase in attento ascolto per cercare di capire se Harry avesse preso alla lettera il suo invito, ma poté facilmente intuire che lui non si era mosso di un solo centimetro. Quando alzò il viso per guardarlo di nuovo, infatti, lo trovò ad osservarla impassibile con una caparbietà che lei conosceva fin troppo bene.
Sbuffò e si alzò velocemente dalla panchina, ignorando le gambe pressoché congelate che non avevano voglia di muoversi ed incrociando di nuovo le braccia al petto per proteggersi dal freddo.
«Andiamo, sei davvero ancora arrabbiata per quello che è successo ieri?» Esclamò Harry dietro di lei, tra l'incredulo e l'infastidito. L'ultima volta che si erano visti si erano lasciati con del risentimento reciproco derivante dal torto che entrambi avevano, anche se per aspetti diversi.
Emma non rispose e continuò a camminare in fretta, sperando che lui se ne andasse senza infierire: era troppo nervosa per affrontarlo senza causare l'ennesimo litigio e non aveva voglia di intrattenerne un altro.
«Non ti sembra di esagerare?» Riprovò lui, seguendola nello slalom tra i passanti.
«Santo cielo, puoi smetterla?» Sbottò Emma contro ogni previsione ed intenzione, arrestando la sua fuga e voltandosi a guardarlo con i capelli che le finivano sul viso struccato.
Harry si bloccò, stupito da quella inaspettata reazione. Le labbra schiuse e la fronte leggermente corrugata.
«Smettila di darti tutta questa importanza! Non sei tu il centro del mondo, e indovina un po'? Non sei nemmeno il centro dei miei pensieri. Quindi credimi quando dico che non c'entra assolutamente niente quello che è successo ieri, e lasciami in pace» esclamò con il respiro accelerato ed i pugni stretti. Poi distolse lo sguardo e si voltò per andarsene, consapevole dell'esagerazione del suo comportamento, ma incapace di fare qualcosa a riguardo. L'istinto di protezione che provava era più forte dell'attrazione nei suoi confronti, ed in quel momento la dimostrazione non avrebbe potuto essere diversa.
Fu costretta a fermarsi pochi passi dopo, quando Harry la superò velocemente per mettersi di fronte a lei e bloccarla semplicemente con la sua presenza, senza nemmeno sfiorarla. Il suo sguardo era cambiato, più attento e serio. «Che ti è successo?» Domandò soltanto.
Emma chiuse per un attimo gli occhi e respirò a fondo, cercando di calmarsi: sapeva di star perdendo un po' troppo il controllo, nonostante la situazione in casa sua la torturasse più di quanto sarebbe pesato a molte altre persone. Harry, per esempio, doveva fare i conti con cose ben più gravi.
Gli aveva appena detto di non avere lui come centro dei propri pensieri e si era smentita altrettanto velocemente.
«Non ti riguarda» mormorò.
«Non mi riguarda perché non vuoi parlarne o perché non è colpa mia?» Insistette Harry, cercando di capire se davvero il loro ultimo litigio non avesse alcun ruolo in tutto quello. Evidentemente non ne era convinto e non gli si poteva nemmeno dare completamente torto.
«Entrambi» rispose lei con decisione.
Harry annuì, tirando fuori dalla tasca destra della giacca un pacchetto di sigarette. Se ne accese una senza pronunciare nemmeno una parola, mentre Emma respirava il fumo passivo tra di loro e cercava di capire cosa aspettarsi e cosa fare.
Alla fine decise di superarlo e di continuare per la propria strada, dato che lui non dava cenno di iniziativa. Iniziativa che prese subito dopo, però, quando iniziò a camminarle di fianco ed in silenzio.
Emma serrò la mascella e sospirò piano. «Non seguirmi» gli ordinò senza guardarlo.
«Non ti sto seguendo, stiamo solo andando nella stessa direzione» rispose Harry, espirando del fumo con estrema tranquillità. Credeva di essere divertente?
«Usa la tua macchina, allora».
Ma Harry non rispose se non con un alzata di spalle indifferente, continuando ad affiancarla.
 
Si erano spostati di qualche isolato - sì, Harry era ancora alla sua sinistra ed era ancora in silenzio - ed Emma aveva iniziato ad abituarsi alle gelide temperature di quel pomeriggio. In qualche modo era riuscita ad abituarsi anche alla compagnia indesiderata, immergendosi completamente nei propri pensieri ed arrivando ad uno stato di maggiore tranquillità. Il fatto che Dallas non fosse lì con lei rallentava i processi di metabolizzazione di quanto era accaduto e per questo ci era voluto un po' di più affinché Emma smaltisse il nervosismo.
Dentro di sé non regnava più la rabbia, quanto un certo grado di malinconia e stanchezza.
Respirando lentamente chiuse gli occhi e si fermò, stringendosi nelle spalle e fissando poi il marciapiede rovinato ai suoi piedi. Harry fece ancora qualche passo prima di accorgersene.
«Pensavo mi avresti fatto camminare all'infinito» commentò lui, gettando a terra l'ennesima sigaretta. Aveva perso il conto di quante ne avesse fumate, ma in fondo doveva occupare il tempo in qualche modo mentre si vestiva di ostinazione per non lasciarla in pace. Solitamente si sarebbe stancato dei suoi rifiuti che l'avrebbero ferito nell'orgoglio, ma quella volta era stato più indulgente. Purtroppo o per fortuna.
Emma non rispose, ma alzò lo sguardo su di lui, con le braccia lungo i fianchi ed i pugni chiusi. Quando i loro sguardi finalmente si incontrarono, probabilmente Harry si accorse della patina estranea che stava velando la determinazione di Emma, di quella sfumatura più spenta che in altre occasioni avrebbe ospitato la solita ardente vitalità, perché si avvicinò lentamente a lei, un passo dopo l'altro.
Per qualche istante rimasero uno di fronte all'altra, occhi negli occhi, poi Harry allungò il braccio destro e le circondò il busto, spingendola contro il proprio corpo. Emma si lasciò guidare dai suoi movimenti, fino a trovarsi incastrata tra le sue braccia, con il viso sul suo petto ed il suo respiro sul proprio collo. Abbassò le palpebre e si strinse a lui come una bambina in cerca di conforto, così piccola in quella gabbia di protezione che forse era l'unica a non farla sentire in trappola.
Harry aveva un profumo diverso dal solito, un po' più dolce e un po' più intriso di fumo. Più freddo, perché ghiacciato dai pochi gradi con i quali doveva confrontarsi. Più insopportabile, perché ricordava ad Emma la sua debolezza. Più confortante, perché era comunque il suo.
Emma non riuscì più a trattenersi, nonostante tutti i suoi buoni propositi. «Sono stanca di non essere abbastanza» sussurrò appena, affondando un po' di più il viso sulla giacca di Harry. Lui mosse una mano fino ad incastrarla tra i suoi capelli già arruffati, accarezzandoli lentamente.
«Chi dice che non lo sei?» Le chiese a bassa voce.
«La mia famiglia» rispose lei, ripercorrendo velocemente la discussione di poco più di un'ora prima. Anche tu, avrebbe voluto aggiungere, ma era meglio evitare quel discorso, almeno fino a quando stare tra le sue braccia l'avesse confortata a tal punto.
Harry allentò la presa solo per allontanarla leggermente e guardarla negli occhi, chino verso di lei con quelle iridi verdi a scrutarla in un modo tutto nuovo. «E tu permetti loro di pensare una cosa del genere?» Domandò incredulo, evidentemente cercando di farla sorridere. Ci riuscì, perché gli angoli delle labbra di Emma si inclinarono per un solo istante verso l'alto.
«Cosa stai facendo qui, Harry?» Chiese lei in un sussurro determinato, che non voleva essere un'accusa, ma una specie di supplica. Perché la stava confortando? Perché era tutto così confuso tra di loro, poco delineato? Perché erano ancora l'uno tra le braccia dell'altra senza intenzione di muoversi di un millimetro?
Harry rilassò la propria espressione e la rese più seria. «Per te è tutto o niente» rispose semplicemente, dimostrando di averla inquadrata più che bene. «Ma ora siamo nel mezzo, ragazzina» continuò.
«Ok, ma nel mezzo di cosa? In che direzione stiamo andando?» Domandò allora Emma, in cerca di una risposta più precisa. La sua stessa natura le impediva di accontentarsi, la spronava ad avere sempre di più, soprattutto quando si trattava di lui. Perché doveva frenare quel suo istinto?
«Non lo so ancora» sussurrò Harry, scuotendo impercettibilmente la testa. Quelle parole la stupirono: non aveva mai preso in considerazione la possibilità che anche lui potesse non avere le idee chiare, perché tra i suoi comportamenti erano decisamente prevalsi quelli che la respingevano. Certo, non era stupida e aveva notato - percepito - che provava dell'attrazione, per quanto le cose poi potessero complicarsi di volta in volta, e l'aveva anche ammesso dopo quel loro bacio e con quel loro bacio, ma non riusciva proprio ad immaginarselo confuso a riguardo.
Emma abbassò lo sguardo e respirò piano, riportando le proprie braccia lungo i fianchi ed invitando implicitamente Harry a fare lo stesso con le sue. Era strano non sentire più quel contatto, ma le impediva di pensare lucidamente, quindi era meglio interromperlo in tempo.
«Non mi piace stare nel mezzo» ammise tornando a guardarlo.
«L'avevo capito» rispose lui sorridendo, mentre lei continuava ad osservarlo relativamente seria. Effettivamente l'aveva dimostrato in continuazione.
Quando il suo sorriso si affievolì, Harry sospirò e si tolse il cappello dal capo, per passarsi una mano grande tra i capelli disordinati e leggermente schiacciati. «Il problema è che tu vuoi tutto e non ti accorgi di quello che lo precede, perché non ti basta mai» esclamò mettendosi di nuovo il berretto. Emma rifletté su quelle parole: era un'accusa velata? Le stava dicendo di non apprezzare molte delle cose che c'erano tra di loro? Forse non sapeva che era proprio quello il punto: lei si accorgeva di tutto, anche di sin troppe cose.
«Il tuo problema invece è che non vuoi nulla, quindi ti basta tutto» ribatté, recuperando lo sguardo di sfida che fino ad allora era stato spodestato in continuazione dal suo stato d'animo.
Harry si inumidì le labbra e sospirò incredulo. «Ti sbagli» disse semplicemente.
Ma Emma era testarda e, se sapeva di avere ragione, l'avrebbe dimostrato con tutte le sue forze. «Ti sei fatto bastare Denice, anche se non era solo il suo corpo che volevi. Ti fai bastare me, anche se non so nemmeno cosa stiamo facendo. T-»
«Piantala di parlare di Denice» la interruppe, lasciando comparire nuovamente quel tono piccato del giorno prima. «E non si tratta di questo, io so cosa voglio e so anche come prendermelo» aggiunse.
Emma non voleva che i toni tra di loro si alterassero di nuovo, soprattutto dopo la discussione pacifica che stavano avendo, soprattutto dal momento che finalmente stavano parlando di loro. Per questo decise di essere la solita se stessa. «Ok» acconsentì per non smentirlo, nonostante non fosse completamente convinta. «Ma tu mi vuoi?» Domandò, diretta come poche volte. Dalla risposta sarebbero dipese molte cose ed il cuore di Emma lo sapeva bene, dato che si stava agitando con dei battiti di impazienza in più.
Harry alzò un sopracciglio e schiuse le labbra, forse stupito da quella domanda. La guardò attentamente per qualche istante che sembrò non finire mai, poi finalmente parlò. «Sì» confermò lentamente, mentre Emma sentiva dentro di sé un vero e proprio tumulto che non poteva permettersi di dimostrare, non ancora almeno. «Ma non sempre» aggiunse lui dopo poco.
Lei corrugò la fronte: «Cosa significa non sempre?» chiese confusa. Erano proprio queste sfumature che non riusciva a concepire, che ai suoi occhi non avevano nemmeno un senso.
«Significa che corri troppo, ragazzina» spiegò Harry come se fosse ovvio. Si stava ricollegando al discorso di poco prima sul tutto e niente, sul mezzo e su tutta quella concezione assurda che aveva del loro rapporto. Emma non correva, era solo decisa.
«Hai mai pensato che forse sei tu ad andare troppo piano?» Lo sfidò lei con sicurezza. Era così narcisista da non affibbiarsi nemmeno un piccolo difetto, ormai l'aveva capito.
«Hai mai pensato che se fossi andato più veloce ci saremmo distrutti dopo nemmeno cinque minuti?» Ribatté lui, altrettanto sicuro di sé. Emma sospirò e fu costretta a dargli ragione - ma solo un po'. Effettivamente erano talmente diversi da non potersi buttare a capofitto in qualcosa, perché la loro incompatibilità - sempre se di quella si trattava - avrebbe danneggiato qualsiasi cosa sul suo percorso. Forse il tempo trascorso a litigare e a fare piccoli passi avanti o indietro non era stato completamente uno spreco, anche se Emma non lo sopportava. Forse.
«Vedi? Stiamo di nuovo…» Harry si interruppe sbuffando sonoramente e portandosi una mano sul cappello, con lo sguardo da qualsiasi altra parte, ma non in quello di Emma.
«Va bene, ho capito» mormorò lei, stringendosi nelle spalle ed attirando la sua attenzione su di sé. Aveva capito che Harry non era il tipo da impegni troppo seri, da promesse o da discorsi sul futuro. Aveva capito che aveva i suoi tempi e aveva capito che sotto alcuni aspetti non era tanto diverso da lei: anche lui tendeva a scappare se si sentiva in trappola ed evidentemente Emma l'aveva fatto allontanare parecchie volte con la sua insistenza e con la sua forza.
«Hai capito?» Domandò lui in conferma, quasi non potesse crederci.
Emma annuì come se fosse ovvio e se ne convinse un po' di più. Vedendola da quella prospettiva, si spiegavano molte cose: ogni volta che tra di loro c'era stato anche solo un minuscolo progresso, lei l'aveva ingigantito e aveva preteso un po' di più, facendo allontanare Harry. Per quanto potessero avere idee diverse a riguardo, almeno ora poteva vederci chiaro e aveva un indizio su come avrebbe dovuto approcciarsi a lui senza combinare l'ennesimo disastro.
«Ma non ti assicuro niente» aggiunse Emma, abbozzando un sorriso caparbio. Certo, comprendeva il suo punto di vista, ma di sicuro non era così arrendevole da abbandonare la propria natura: bisognava solo raggiungere un compresso, nel quale anche lui avrebbe dovuto piegarsi un po'.
«Tranquilla, lo immaginavo» scherzò Harry, passandosi la lingua sulle labbra.
Era strano essere arrivati ad un tale livello di sincerità, di chiarezza: era come essere più leggeri, privi di un peso invisibile che però entrambi avevano sempre percepito.
Emma si sentiva felice, in qualche modo, quasi soddisfatta e pronta ad impegnarsi ancora di più per ottenere ciò che da troppo tempo bramava. «E sentiamo, cosa fanno due persone quando sono in questo fantomatico mezzo?» Domandò, sorridendo beffarda e provocando in lui la stessa reazione.
«Vanno in un posto caldo, per esempio» rispose Harry, rabbrividendo con le mani nelle tasche della giacca. «Mi si sta congelando il culo».





 


Buongiorno!
So che avrei dovuto aggiornare ieri, ma come molti sanno c'è stato un piccolo problema con il capitolo (mea culpa!) e quindi anche un ritardo ahaha In ogni caso spero che sia valsa la pena di aspettare! 
Allora, non voglio dilungarmi troppo ma effettivamente ci sono delle cosette di cui parlare: innanzitutto si presenta un po' meglio la famiglia di Emma, che chi ha letto "It feels..." conosce già. Come vedete sono genitori che pretendono molto ed Emma soffre abbastanza per questa cosa, soprattutto per il continuo confronto con la sorella maggiore (il loro rapporto verrà ancora approfondito, tranquille!).
Per quanto riguarda i nostri piccioncini: ha indovinato chi diceva che sarebbe stato Harry a fare il primo passo ahahha Era abbastanza evidente dai, Emma non l'avrebbe mai cercato! Comunque, a parte questo, vorrei solo commentare il loro discorso: credo che ora sia un po' più chiaro il loro rapporto, soprattutto il comportamento di Harry. Qualsiasi loro litigio o discussione, se letto con questa storia del "corri troppo" ha un po' più di senso (o almeno spero ahahha). In sintesi, ad HArry non piace affrettare le cose, non piace avere delle aspettative da rispettare e non piace avere il fiato sul collo: è molto più "scialla" e questo ovviamente entra in contrasto con quello che invece è Emma. Svelato il "mistero": ad Harry lei interessa, ma non in modo radicale. Voglio dire, lui è davvero nel mezzo: gli piace e non gli piace, in base a come si comporta. Raga io parlo, ma voi ditemi pure se non si è capito una mazza hahahha Ah, volevo anche dire che il "mezzo" può essere inteso come un semplice "hey, frequentiamoci e vediamo come va" di cui però Emma non vede il valore: non l'ha mai visto e non l'ha mai capito, quindi tutto quello che hanno passato ha assunto un'altra sfumatura dato che ai suoi occhi non era "tutto", non era quello che voleva. Ovviamente siccome la storia è raccontata dal suo punto di vista, forse siete state ingannate un po' anche voi: le infinite pretese di Emma hanno sminuito tutto il resto e ingigantito gesti che sarebbero stati normali agli occhi di altre persone! Ah, per la questione di Denice, se ne riparlerà :)
Ok, ora devo veramene smetterla perché mi sto incasinando ahahah So che potrei aver confuso un po' le idee (spero di no), quindi scrivetemi pure se ho fatto un casino e non vi è chiaro cosa è successo!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!! Come sempre vi dico di aspettarvi di tutto, perché ci sono ancora due GRANDI questioni da affrontare e che non potreste indovinare nemmeno con la sfera magica se non avete letto "It feels...", quindi siate pronte :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

Ah, nuova one shot :)
"Phantom limb"

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici - One step forward ***




 

Capitolo quattordici - One step forward
 

 

La campanella era suonata da almeno dieci minuti e le lezioni erano iniziate da altrettanto tempo: Emma aveva corso più che poteva - forse - per recuperare il ritardo nel quale si era cacciata per aver posticipato sempre di più il momento di alzarsi dal letto, eppure non era riuscita a fare completamente ammenda. In fondo era lunedì ed il lunedì si è tutti un po' più lenti. Non correva più mentre saliva i gradini della Haltow High School con una lentezza esasperante, aveva smesso già da un po' dopo essersi arresa all'inevitabile: in fondo, agli occhi della gentile e comprensiva professoressa Dobuchet non avrebbe fatto alcuna differenza se fosse arrivata in ritardo di pochi minuti o di una buona mezz'ora.
L'entrata scolastica era completamente vuota, non contando uno dei bidelli che la guardava con aria di rimprovero mentre spolverava a terra: Emma lo ignorò con un sospiro ancora assonnato e svoltò nel lungo corridoio per raggiungere il proprio armadietto. Nonostante la distanza, riconobbe subito la carnagione particolare di Tianna, così come i movimenti veloci del suo piede che picchiettava a terra in segno di una certa agitazione. Era appoggiata con la schiena alla fila di armadietti e teneva le braccia incrociate al petto, increspando la camicetta color panna che indossava sui jeans chiari.
«Perché non sei a lezione?» Le domandò Emma con tono apatico, mentre percorreva gli ultimi metri che le dividevano.
Tianna sembrò riscuotersi, voltandosi immediatamente verso l'amica e mostrando il volto che ospitava un'espressione non propriamente decifrabile: si passò una mano tra i capelli mossi e serrò le labbra carnose. «Non puoi capire» esclamò come indignata.
Emma alzò un sopracciglio ed aspettò che lei si spostasse per inserire la combinazione del proprio armadietto. «Fai in fretta, perché ho matematica alle prime due» la spronò con uno sbuffo, cercando di non far cadere nessun libro.
«Però guardami, perché io devo vedere la tua faccia quando te lo dirò» ribatté l’altra gesticolando con le mani: era evidente che fosse sconvolta per qualcosa, ma come sempre era troppo turbata per lasciare intendere se fosse qualcosa di positivo o meno.
Emma richiuse l'anta con delicatezza e strinse al petto il libro ed il quaderno che le servivano, tenendo in una mano anche una penna mangiucchiata. «Cosa-»
«Io non so se la gente stia completamente impazzendo o se sia io ad avere qualche problema» la interruppe Tianna, alzando un po' di più la voce. I suoi occhi vivaci si muovevano velocemente e le mani le tremavano impercettibilmente. «Sul serio, sto iniziando ad avere seri problemi nel rapportarmi con qualsiasi altro essere umano: come cazzo è possibile, dico io, che le persone perdano la testa da un momento all'altro?»
«Ok... Che ti è successo?» Domandò Emma sempre più curiosa e stranita. «E respira ogni tanto» scherzò subito dopo, sorridendole come a volerla rassicurare.
L'altra le diede ascolto e sospirò sonoramente, chiudendo per un attimo gli occhi e massaggiandosi le tempie. Quando rialzò le palpebre, sembrava aver smaltito gran parte dell'agitazione. «Pronta?»
Emma sbuffò. «Matematica» le ricordò, per darle una risposta più che soddisfacente.
«Stamattina Pete mi ha baciata».
«Divertente!»
«Sono seria».
«Sei seria?»
«Ecco, è proprio questa la faccia che volevo vedere! Allora non sono l'unica a credere che il mondo stia andando a rotoli!» Commentò Tianna esasperata, indicando con l'indice destro il viso incredulo della sua amica. Pete l'aveva baciata? Forse era davvero impazzito. Non che non si sapesse del suo interesse - lui non l'aveva mai ammesso e lei non se l'era mai nemmeno immaginato - ma chi avrebbe mai pensato che avrebbe spezzato la sua muraglia di durezza nei confronti del mondo per compiere un gesto così inaspettato?
«Voglio dire, punto primo: quale razza di stupido bacia una ragazza alle sette e mezza del mattino senza nemmeno un preavviso o-»
«Non sarà riuscito a trattenersi» la interruppe Emma sorridendo divertita. Cercava di immaginarsi la scena, ma sapeva che Tianna non le avrebbe risparmiato alcun dettaglio.
«Punto secondo» esclamò l'altra, in tono di rimprovero per l'interruzione della sua frase. «C'era anche Dallas: legami di amicizia e di fratellanza a parte, dov'è finita la privacy o il pudore o che so io?»
«Pete e Dallas vanno anche in bagno insieme tra un po', di cosa ti stupisci?» Ribatté solo per provocarla. Capiva il suo punto di vista e lo condivideva, ma era divertente punzecchiarla.
«Sì, ma io no! Non voglio far parte della loro vita di condivisione o cosa diavolo è: se proprio doveva impazzire e baciarmi, avrebbe dovuto farlo senza nessun altro intorno».
«Quindi non ti dà fastidio che l'abbia fatto, ma come l'ha fatto» indagò Emma sicura di aver centrato il punto. Tianna boccheggiò qualcosa e si morse il labbro inferiore, evidentemente in difficoltà.
«Posso finire la mia lista di punti e poi ne riparliamo?» Sbuffò alla fine, quasi esasperata. L'altra annuì con un sorriso e si arrese definitivamente all'immane ritardo per l'ora di matematica.
«Bene, punto terzo: perché? Voglio dire, cos'è che ha improvvisamente smesso di funzionare nel suo stupido cervello? È di Pete che stiamo parlando, fino a poco fa non sapevo nemmeno che fosse in grado di baciare una ragazza! Anzi, sapevo che ne era capace perché a quanto pare è una specie di adone, soprattutto tra quelle del primo anno, ma non pensavo che sapesse farlo così bene» si ritrovò a ragionare, con la fronte corrugata come se si fosse appena resa conto di quel particolare.
«Credo che tu abbia perso di vista l'obiettivo della tua lista di punti» rise appena Emma, sistemandosi i capelli sciolti sulla spalla destra. «E comunque se puoi dire questo significa che non ti sei tirata indietro quando ti ha baciata» le fece presente con un sopracciglio alzato in segno di perspicacia.
Tianna la guardò seria per un attimo, forse ragionando su una risposta adatta da dare. «Erano le sette e mezza del mattino, ok? Io di solito nemmeno sono in grado di parlare a quell'ora, figurati di respingere qualcuno: ci vogliono troppe energie. E poi mi ha colto di sorpresa: insomma, lui e Dallas erano lì ad aspettarmi come ogni mattina, permettimi di rimanerci male quando Pete mi ficca la lingua in gola al posto di salutarmi con il solito grugnito».
Emma rimase in silenzio per qualche istante, per valutare le parole sconvolte e teatrali dell'amica e per dipingere nella propria mente l'accaduto, poi scosse la testa e sospirò serena. «Direi che ti ha colta di sorpresa, ma non mi è sembrato che a te sia dispiaciuto farti ficcare la lingua in gola» commentò, mimando le virgolette sulle ultime parole.
«Ma allora non mi ascolti quando parlo» sbuffò Tianna gesticolando. «È proprio questo che sto cercando di dirti!»
Emma corrugò la fronte e nascose una risata, senza commentare il suo temporaneo stato di esaltazione: Tianna aveva un modo tutto suo di esternare le proprie emozioni e soprattutto ne aveva uno tutto suo di provarle. Pete aveva semplicemente reso più disordinata la già precaria stabilità alla quale cercava di aggrapparsi tra un fulmineo innamoramento e l'apatia più totale.
 
La professoressa Dobuchet l'aveva incenerita con lo sguardo quando Emma era entrata in aula con un'ora di ritardo, ma in fondo se l'era meritato. Dopo mezz'ora le lanciava ancora sguardi piccati e minacciosi, che però non sfociavano in una vera e propria ramanzina solo grazie ai buoni voti della migliore studentessa del corso.
Pete le stuzzicò il braccio destro con il gomito ossuto, facendola quasi sussultare mentre i suoi pensieri si arrotolavano intorno ad una equazione scritta alla lavagna. Era il suo vicino di banco e non aveva ancora aperto bocca: l'aveva solo salutata con un cenno del capo, cosa della quale lei non si stupiva affatto.
Emma gli rivolse uno sguardo interrogativo e lui si grattò il mento con disinvoltura. «Te l'ha detto?» Bisbigliò appena, guardando la professoressa come a fingere un'attenzione che non l'aveva ancora nemmeno sfiorato dall'inizio della lezione.
«Certo» rispose lei con un'alzata di spalle, senza esprimersi oltre e svolgendo un rapido calcolo sul suo quaderno.
Per un paio di minuti l'unico rumore fu la voce dell'insegnante che rimbombava tra le pareti dell'aula. Dallas, due banchi alla loro sinistra, rischiava di addormentarsi sul foglio.
«Quindi?» Sussurrò Pete, stavolta osservando la sua amica attentamente. La sua espressione non lasciava trasparire alcuno stato d'animo, come sempre: era semplicemente in attesta di una risposta.
«Non lo so, Pete. Lo chiedo io a te: quindi?»
Perché voleva saperlo da lei? Era stato lui a baciare Tianna di punto in bianco, senza nemmeno fermarla o provare a parlarle quando poi lei aveva ingranato la quinta ed era corsa via per lo stupore per quel gesto.
«Scommetto che ha dato di matto» sbuffò Pete a bassa voce, dondolandosi sui piedi posteriori della sedia in legno. Gli occhi cerulei erano fissi sul loro banco e le labbra erano strette in una linea dura: sembrava annoiato.
«Be', puoi biasimarla?» Ribatté Emma, cercando di fargli capire quanto quel semplice bacio fosse stato troppo inaspettato per essere accettabile.
«Oh, andiamo…» sospirò lui, facendo appoggiare tutti e quattro i piedi della sedia sul pavimento con un rumore un po' troppo forte, che provocò un richiamo al silenzio da parte della professoressa. «Perché farne una questione di stato? Stamattina era più attraente del solito e quando l'ho vista mi è venuta voglia di baciarla, non credo sia una cosa tanto assurda» spiegò con tutta calma. Quel suo discorso ricordò ad Emma di Harry, del suo modo di prendere tutto alla leggera.
«Almeno ti piace? Oppure gli ormoni hanno fatto tutto al posto tuo?» Chiese lei con un tono piccato: più che essere risentita nei confronti di Pete, era stato il pensiero di Harry a peggiorare la sua visione delle cose. «Sai com'è fatta: a quest'ora-»
«Certo che mi piace, stupida» la interruppe lui con un sussurro nervoso. «Se dovessi ascoltare solo i miei ormoni avrei la bocca e qualcos'altro sempre occupati».
Emma sorrise per quella piccola confessione e per l'espressione priva di imbarazzo del suo amico: Tianna non era certa del suo interesse, anche se era più occupata a capire il proprio, e chissà quale sarebbe stata la sua reazione nello scoprire che in fondo quel bacio non era poi così insensato. Forse avrebbe finalmente lasciato perdere il capitano della squadra di pallacanestro.
«Non incasinare tutto, Pete» bisbigliò Emma tornando un po' più seria. «Anche se sei uno dei miei migliori amici potrei seriamente renderti la vita un inferno, se ce ne fosse bisogno» lo minacciò utilizzando la penna mangiucchiata ed assottigliando gli occhi.
Lui scosse la testa alzando gli occhi al cielo e si avvicinò strisciando l'avambraccio sinistro sul banco. «Bugiarda» la provocò, dandole un veloce bacio sulla guancia forse solo per nascondere un sorriso divertito.
«Butler! Che diamine!» Esclamò ad alta voce la professoressa, evidentemente infastidita dal disturbo alla sua lezione: Emma si raddrizzò sulla sedia in attesa di una strigliata e Pete fece lo stesso con aria annoiata. Subito dopo, però, si resero conto che si trattava di un errore, perché era l'altro Butler ad essere interesse di rimprovero: Dallas infatti si era appena svegliato, alzando la testa di scatto dal banco e guardandosi intorno alla ricerca di un indizio su dove si trovasse.
 
Nell'aula di fisica gli studenti stavano ancora facendo un gran baccano mentre prendevano posto in attesa del professore: era solo la terza ora ed Emma sarebbe già scappata volentieri. L'unica nota positiva era la compagnia che avrebbe avuto: Dallas era stato praticamente obbligato dai suoi genitori a frequentare quel corso, mentre Pete era stato abbastanza furbo da intestardirsi e finire una settimana in punizione per mancanza di rispetto, piuttosto che accettare di imparare "stronzate che nella vita non servono a nulla".
Emma appoggiò i libri su uno degli ultimi banchi accanto alla finestra e sospirò controllando il cellulare: aveva scritto a Tianna per sapere se la crisi di nervi le fosse passata, ma non aveva ricevuto risposta. La cosa che la preoccupava era che lei e Pete avrebbero avuto tutta la lezione di scienze naturali per parlare - o per litigare.
Quando Dallas varcò la soglia della porta, lei sorrise spontaneamente e lo seguì con lo sguardo in attesa di averlo accanto.
«Uccidimi, ti prego» borbottò quello, rovesciando i quaderni sul banco senza alcuna delicatezza.
«Se lo facessi nessuno potrebbe uccidere me» lo contraddisse scherzando.
«Giusta osservazione, nessuno ti vuole così bene» commentò lui, sorridendole mentre si sedeva sul banco e la invitava ad avvicinarsi. Lei si sistemò tra le sue gambe divaricate ed alzò il viso per guardarlo negli occhi, prima di pizzicargli dispettosamente una guancia.
«Allora, te l'hanno detto?» Chiese Dallas inumidendosi le labbra sornione. Negli occhi brillava un certo divertimento ed era evidente la sua vena pettegola. Emma capì subito a cosa si stesse riferendo.
«È stato fantastico confrontare le due versioni degli eventi» fu infatti la sua risposta, mentre ripensava alle varie informazioni ottenute.
«Il mio Pete sta crescendo. Riesce finalmente a provare dei sentimenti» esclamò Dallas teatralmente, fingendo di commuoversi e di asciugarsi una lacrima inesistente.
Lei gli diede un pugno scherzoso sul braccio e rise per le sue doti recitative. «Lascialo in pace» cercò di difenderlo. «Non sei felice per loro? Era palese che a Pete piacesse Tianna».
«Non me ne importa molto, a dir la verità» commentò Dallas alzando le spalle. «Basta che non vengano a scopare in quella che è anche la mia stanza».
«Ora chi è il cinico senza sentimenti?» Lo riprese Emma, guardandolo con un rimprovero divertito.
«Dai, sai che scherzo: era ora che tra quei due le cose cambiassero» si corresse, appoggiando i palmi aperti delle mani sul banco. «Stavo addirittura pensando di fingermi lui per fare qualcosa al suo posto».
«Non sei bello come Pete, non saresti stato credibile» lo prese in giro lei aspettando una reazione che non tardò ad arrivare. Dallas infatti la attirò a sé e le morse un guancia tenendola ferma con le sue braccia magre, mentre il professore entrava in classe e scuoteva la testa alla vista dell'ennesima coppietta alle sue lezioni.
Mai giudizio fu più azzardato e sbagliato.
 
Ne mancava una all'appello. Emma, Pete e Dallas erano fermi all'entrata scolastica, davanti al gabbiotto dei bidelli ed in attesa dell'arrivo di Tianna: il diretto interessato non aveva aperto bocca, come c'era da aspettarsi, e la diretta interessata sembrava avere spento il telefono. Persino a pranzo li aveva evitati, preferendo sedersi con alcune sue compagne dei corsi extra-scolastici.
«Ah, eccola» annunciò Dallas sistemandosi lo zaino sgualcito sulle spalle stanche.
Emma si alzò sulle punte per cercarla tra la calca degli studenti e stranamente la vide avvicinarsi a loro. Persino Pete aveva indirizzato il proprio sguardo su di lei, mantenendo il pungente silenzio che parlava più di quanto si credesse, ma forse furono proprio i suoi occhi a far cambiare idea a Tianna, che cambiò anche strada limitandosi a rivolgere loro un cenno della mano come saluto.
Dallas tirò una gomitata al fratello fulminandolo con lo sguardo ed Emma gli pestò un piede facendo lo stesso. «Che cazzo vi prende?» Si difese Pete, sobbalzando per i colpi ricevuti e spingendo via Dallas. «Non ho intenzione di seguirla, non siamo mica all'asilo» aggiunse duramente. Il bello di Pete era che davvero non l'avrebbe seguita, né ne aveva un desiderio profondo. Era così particolare nelle questioni di cuore.
Emma sbuffò ed alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa, ma non insistette perché tanto ci stava pensando già Dallas, tra minacce fraterne e battute provocatorie. Lesse sullo schermo del cellulare il messaggio che Tianna le aveva appena mandato, scusandosi del proprio comportamento, e si ricordò di essere in ritardo.
«Ragazzi, devo scappare» annunciò, riponendo il telefono in tasca frettolosamente.
«Harry?» Chiesero loro in sincrono, facendola sorridere. Sapevano fin troppe cose di lei.
Annuì appena e si abbottonò la giacca. «Ce la fate a non ammazzarvi, se vi lascio soli?»
«Forse» rispose Pete alzando le spalle.
 
Harry la stava aspettando in auto, cosa che fece storcere il naso ad Emma, e lei non poteva nascondere l'espressione serena che le aveva appena conquistato il volto. Il sabato precedente era stata l'ultima volta che si erano visti, dopo il litigio con i suoi, quindi era curiosa di sapere a cosa sarebbero andati incontro: il loro rapporto non era affatto cambiato, anche se lei percepiva un certo grado di stabilità in più.
«Hey» lo salutò sedendosi al posto del passeggero, mentre lui si sistemava gli occhiali da sole sul naso, voltandosi a guardarla mentre chiudeva lo sportello.
«So che non ti piace andare in macchina, ma mi serve per portarti in un posto» disse lui senza troppi preamboli, mettendosi la cintura ed aspettando che lei facesse lo stesso.
«Stringerò i denti» sospirò lei, raddrizzando le spalle. Era già tanto avergli confessato quella stupida paura, dirgli anche che con lui la percepiva in minor misura sarebbe stato troppo. «Però mi aiuterebbe sapere dove stiamo andando» aggiunse mentre lui ingranava la marcia e partiva, allontanandosi sempre di più dalla scuola.
«Fidati di me» scherzò Harry, guardandola per un istante tramite gli occhiali scuri. Emma avrebbe voluto che non li avesse, perché preferiva studiare a fondo le sue iridi, proprio come aveva fatto per tutto il sabato pomeriggio quando l'aveva portata a prendere un frappè. Avevano parlato di molte cose, allora, quasi come due persone normali.
«Come va con i tuoi?» Domandò Harry facendo attenzione alla strada.
Lei si irrigidì un poco, ma non si scompose. «Non ci parliamo» rispose semplicemente. «Tuo padre?»
Harry superò un semaforo arancione, accelerando quasi bruscamente: «Non ci parliamo» disse.
Prima o poi Emma gli avrebbe chiesto qualche informazione in più, qualcosa che l'avrebbe aiutata ad avere una maggiore chiarezza riguardo ciò che stava accadendo in casa Styles, qualcosa che avrebbe potuto renderla di più efficace aiuto.
Dopo pochi minuti, l'auto svoltò in una via sterrata e stretta, alla quale lei non aveva mai fatto caso: era bloccata da una catena rossa che correva da una estremità all'altra del sentiero, ma Harry scese dalla macchina lasciata in moto e se ne liberò facilmente. «Il lucchetto è arrugginito e non funziona più, ma sono troppo pigri per cambiarlo» spiegò una volta rientrato prima di ripartire.
Emma si guardò attentamente intorno, mentre gli alberi si infittivano ai lati di quella via strettissima. «Sai, vero, che portarmi nel bel mezzo di un bosco senza nemmeno avvertirmi non mi è esattamente d'aiuto?» Commentò con un tono scherzoso che, però, era anche sincero.
Harry rise apertamente, sistemandosi sul sedile. «Siamo arrivati» spiegò rallentando: davanti a loro iniziava ad intravedersi uno spiazzo erboso dietro ad un'ultima curva. «E comunque se anche te l'avessi detto non avrebbe avuto un effetto diverso».
Emma si trovò d'accordo e non rispose, più impegnata a spiare il luogo in cui si trovavano. Non avrebbe saputo quantificare il suo diametro, se non dicendo che era molto ampio: era circondato da una fitta serie di alberi, interrotta solo in un piccolo punto dove continuava il sentiero. C'era ancora della neve, residua dall'ultima nevicata.
Harry arrestò l'auto all'inizio dello spazio e scese senza dire una parola sotto lo sguardo attento di Emma. Aprì il suo sportello e si sporse verso il basso per dirle qualcosa: «Avanti, sali al mio posto» la istruì, cogliendola di sorpresa.
«Cosa?»
«Mettiti alla guida».
«Perché?»
«Perché oggi imparerai a guidare».
Emma scoppiò a ridere senza nemmeno pensarci e si aspettava che Harry facesse lo stesso, perché quello era evidentemente uno scherzo. Invece non ricevette la reazione sperata, perché il viso davanti a sé era estremamente serio.
«Harry, di che stai parlando?» Domandò allora, ancora ferma sul sedile del passeggero.
Lui si inumidì le labbra e sospirò. «Se impari a guidare avrai di certo meno paura a salire su una macchina» spiegò, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo.
«Ma non dipende dal sapere guidare o meno. Ho paura di chi guida, del fatto che potrebbe portarmi in un posto totalmente diverso da quello che mi aspetto: come qualcuno di mia conoscenza, che mi ha appena trascinata in un bosco» ribatté lei cercando di fare chiarezza.
«Allora mettila così: se impari a guidare, avrai qualcosa su cui concentrarti quando sarai in macchina con qualcuno, al posto di passare il tempo a stringere la pelle dei sedili. Che ne so, il momento di cambiare la marcia o il modo di tenere il volante...»
«E va bene» acconsentì Emma con uno sbuffo, scendendo dall'auto mentre lui si faceva da parte. «Va bene» ripeté. Era assurdo ed insensato quello che stava per fare, ma apprezzava il fatto che Harry avesse pensato alla sua paura e ad un modo per contrastarla. Era un gesto gentile.
Si sedette al posto del guidatore e per un attimo osservò le varie parti del cruscotto. Il volante era ancora caldo per le mani di Harry, quindi lo strinse un po' di più tra le proprie. «Tu sei pazzo» borbottò tra sé e sé.
«Allora…» iniziò Harry, togliendosi finalmente gli occhiali da sole e sporgendosi verso di lei per indicarle la posizione delle varie componenti che le sarebbero servite. Le fece vedere le frecce e le insegnò come accenderle o spegnerle, le illustrò il contachilometri ed il contagiri, le mostrò la levetta per accendere le luci di posizione, quella per i tergicristalli e quella per aprire il cofano. Le spiegò come inserire le marce, il loro significato ed il loro effetto sul motore, quando frenare e come frenare, poi si ricordò di non averle detto quali fossero i pedali. E c'era il freno a mano, la spia che lampeggia quando si sta per rimanere a secco o quella dell'olio del motore - "Ma queste cose non mi servono", "Sta' zitta e ascolta" -, il pulsante per regolare gli specchietti retrovisori ed il clacson.
«Mi sono dimenticata tutto» ammise Emma tesa come una corda. Harry non aveva avuto pietà di lei e le aveva farcito la testa di mille informazioni che ora stavano sgomitando per farsi spazio. In più non era esattamente tranquilla riguardo la sua prima guida.
«Ricordati di lasciare molto piano la frizione e intanto di schiacciare l'acceleratore» le fece presente Harry, allacciandosi frettolosamente la cintura.
Emma lo guardò con la fronte corrugata. «Grazie per la fiducia!» Esclamò con i piedi sui pedali. «Non ci andremo a schiantare, tranquillo».
«Muoviti, ragazzina» sorrise lui senza dire nulla in proposito.
Lei inspirò a fondo e tornò con gli occhi sulla strada, determinata a fare del proprio meglio nonostante temesse il contrario. Ripassando mentalmente la posizione dei petali, controllò che la marcia non fosse inserita e girò la chiave per accendere il motore, poi schiacciò la frizione ed ingranò la prima.
«Ok, ora piano» la guidò Harry in attesa.
Emma appoggiò il piede sull'acceleratore ed iniziò a lasciare la frizione, ma qualcosa andò storto perché la macchina borbottò qualcosa sotto di loro e si spense l'attimo dopo. «Ma ho fatto piano!» Si lamentò lei, guardando incredula il volante.
«Avanti, riprova».
 
«Ragazzina, rallenta» ripeté Harry con una nota di preoccupazione nella voce, mentre si teneva aggrappato alla maniglia al di sopra del finestrino.
«E dai, sono solo in terza!» Ribatté Emma continuando a girare in tondo nell'enorme piazzale erboso. Dopo innumerevoli tentativi era riuscita a partire senza grandi problemi e dopo altrettanti tentativi era riuscita a non far morire il motore nei primi due minuti.
«Frena» la ammonì lui senza darle ascolto.
«Che c'è? Hai anche la cintura, non ti succederà niente di male» rise Emma mostrandogli la lingua proprio come una bambina dispettosa. Aveva scoperto che guidare la divertiva: certo, doveva tenere a mente parecchie cose affinché tutto funzionasse, ma le piaceva destreggiarsi tra una marcia e l'altra.
«Ma la macchina è mia e tu devi rallentare» continuò Harry imperterrito.
«Visto? Ora anche tu hai paura» lo prese in giro nel constatare come le parti si fossero invertite.
«Attenta alla buc-»
Non ebbe il tempo di finire la frase, però, perché le ruote dell'auto presero in pieno una buca piuttosto grossa con un tonfo poco rassicurante. «Alla buca…» concluse Harry chiudendo gli occhi e sospirando, mentre Emma sorrideva colpevole. «Ora puoi rallentare?»
Non ricevendo alcuna risposta o alcuna variazione nella velocità, Harry decise di cambiare approccio. Allungò la mano destra verso la coscia di Emma, avvolgendola con il palmo aperto.
«Che stai facendo?» Chiese subito lei guardando prima la sua mano, poi il suo viso ed infine la strada fittizia.
Lui sorrise con le labbra chiuse e con le fossette maliziose che parlavano al posto suo. Mosse le dita lentamente ed accarezzò la pelle di Emma tramite i jeans sottili, nonostante lei si stesse muovendo nei limiti concessi per scrollarselo di dosso.
«Harry…» lo ammonì Emma, perdendo l'aria sfrontata di pochi secondi prima. Quel contatto la distraeva parecchio e le cose peggiorarono un poco quando la mano iniziò a risalirle la coscia, un po' troppo verso l'alto.
Nonostante non lo stesse guardando, poteva percepire il suo sorriso dispettoso e consapevole.
«Harry, piantala» ripeté con poca convinzione, schiacciando involontariamente un po' di più il pedale dell'acceleratore e facendo andare per un attimo il motore su di giri.
Ma Harry si stava vendicando, infatti non le diede ascolto e continuò il suo percorso: lentamente e delicatamente spostò ancora la sua mano, questa volta verso il suo interno coscia. Emma sobbalzò appena e non seppe come, ma riuscì a far spegnere il motore per sbaglio.
Si voltò subito verso Harry, che intanto aveva tolto la mano da quel posto che sembrava piacerle tanto ridendo con gli occhi chiusi, ed imbronciò le labbra inasprendo lo sguardo. Avrebbe voluto fargli una strigliata, ma poi cambiò strategia. Si girò sul sedile in modo da fronteggiare Harry, appoggiando il gomito destro sul volante: iniziava a fare caldo dentro l'abitacolo e se avesse avuto anche solo una canottiera al di sotto del maglione se lo sarebbe tolta all'istante.
«È triste che tu debba ricorrere a questi stratagemmi per poter toccare una ragazza» esclamò velenosa, assistendo vittoriosa all'espressione di Harry, che si faceva più seria nel rielaborare quelle parole ed infine divertita.
«Questo lo dici tu» affermò malizioso, allungandosi per prendere dal cruscotto il contenitore in cui teneva le sigarette preparate da lui e l'accendino.
Emma in un primo momento sorrise, guardandolo mentre si accendeva una sigaretta, ma poi il suo pensiero fu spontaneamente portato su Denice: non avevano parlato di lei e del loro rapporto, nonostante avessero in qualche modo deciso di frequentarsi. Perché si stavano frequentando, giusto?
Be', qualsiasi cosa stessero facendo, l'argomento Denice non era un dettaglio di poco conto.
«Harry?»
«Hm?» Rispose lui con gli occhi sottili per il fumo che stava inspirando e posando il contenitore al proprio posto.
«Non ti vedi più con Denice, vero?» Chiese lei semplicemente, guardandolo in attenta attesa.
Harry abbassò di poco il finestrino e prese un altro tiro, prima di rispondere. «Vuoi che non mi veda più con Denice?»
«Me lo stai davvero chiedendo?» Domandò Emma, incredula e stupita.
Harry si strinse nelle spalle. «Pensavo avessimo già parlato di lei» borbottò senza guardarla e tirando su con il naso.
«Sì, ma poi le cose sono cambiate» lo contraddisse, sentendo mancare un po' della stabilità sotto i suoi piedi.
Per qualche minuto nessuno dei due parlò.
«Quand'è stata l'ultima volta che siete stati insieme?» Domandò lei, incurante dei limiti che Harry voleva rispettare. Anche lei ne aveva e la condivisione non rientrava nelle cose accettabili.
Harry sospirò ed appoggiò il capo al sedile, girandosi poi verso nella sua direzione. «Venerdì sera» rispose piano. Almeno da quel sabato non erano stati a letto insieme. Non c'era traccia di colpevolezza o di pentimento nella sua voce ed in un certo senso era normale, ma tutto quello doveva cambiare.
«Io non divido nulla con qualcun altro» disse Emma seriamente. «Tu hai le tue condizioni, io le mie» aggiunse. Se lei doveva impegnarsi a non correre troppo, come lui aveva detto, allora anche Harry doveva metterci del suo: fin quando la rifiutava, Emma poteva accettare che lui stesse con qualcun altro, perché non poteva pretendere nulla, ma da quando aveva intravisto la possibilità di qualcosa di più e da quando l'aveva vista anche lui, le cose non potevano rimanere le stesse.
Una parte di lei temeva che Harry se la sarebbe presa e che magari l'avrebbe di nuovo rimproverata, ma fortunatamente quella stessa parte dovette ricredersi. Harry infatti inspirò dell'altro fumo e annuì piano, senza commentare o controbattere. Evidentemente comprendeva ciò che era giusto e lo condivideva, così come doveva essere. La stupì quella reazione, forse perché si aspettava che lui non fosse disposto a rinunciare così facilmente a Denice, forse perché sospettava che l'affetto nei suoi confronti andasse oltre il sesso.
«Posso chiederti un'altra cosa?» Domandò allora, decisa ad andare fino in fondo. Cercava di nascondere il sorriso di soddisfazione che la minacciava al pensiero di valere più di Denice agli occhi di Harry.
«Giuro che non sono andato a letto con nessun'altra» scherzò lui, smorzando quell'atmosfera seria che li stava avvolgendo.
Emma sorrise divertita e scosse la testa. «Non è questo» ammise a bassa voce. «Perché non vuoi mai parlare di quello che è successo tra di voi?»
Harry alzò gli occhi al cielo e si mosse di poco sul sedile. «E tu perché ne vuoi sempre parlare?» Rigirò la domanda.
«Perché voglio sapere» ammise lei. Cosa c'era di tanto strano? La sua curiosità era più che normale, legittima.
«Il punto è che non c'è niente da sapere, quindi smettila» insistette lui con lo sguardo oltre il cruscotto.
«Bugiardo. Se così fosse, non ti comporteresti in questo modo».
Emma non si sarebbe arresa facilmente, perché ormai era diventata una questione di principio: se Harry non avesse vuotato il sacco di sua spontanea volontà, lei avrebbe fatto un ultimo tentativo leggermente diverso dagli altri.
Harry non rispose a quella piccola provocazione, ma così facendo buttò altra benzina sul fuoco di determinazione di Emma.
«Eri innamorato?» Domandò senza peli sulla lingua. Il suo obiettivo era quello di portarlo all'esasperazione, detto in parole povere: certo, non voleva mancare di delicatezza, ma a mali estremi, estremi rimedi.
Nessuna reazione.
«Da come ne parlava ho avuto l'impressione che tu tenessi molto a lei, a prescindere dal sesso».
Niente.
«Perché hai accettato di ridurre tutto a quello?»
Ancora niente.
«Possibile che lei non si senta nemmeno un po' in colpa?»
«Cristo santo, sei impossibile!» Sbottò Harry alla fine, tenendo la sigaretta tra l'indice ed il medio destri e voltandosi verso di lei con il viso livido di un'espressione eloquente. «No, non ero innamorato. Sì, ci tenevo molto e avrei voluto qualcosa di serio, cosa che per lei era inconcepibile. Ho accettato perché sono affari miei e sì, è possibile che non si senta in colpa perché è stata anche una mia scelta» concluse con un sospiro, parlando velocemente come a voler mettere fine a quella tortura il più in fretta possibile. La guardò immobile per qualche istante, poi abbassò lo sguardo e corrugò appena la fronte. «Non ne voglio parlare perché all'inizio faceva male stare con lei, quindi non mi piace quando qualcuno me lo rinfaccia senza sapere come stavano le cose» spiegò seriamente.
«Fa ancora male?» Indagò Emma, insistente come sempre. Doveva sapere, doveva entrare nella sua testa e ricavare la maggior quantità di informazioni che le fosse concesso. Era soddisfatta della riuscita del suo piccolo ed improvvisato piano ed era felice che Harry avesse deciso finalmente di aprirsi un po' di più, anche se con la necessità di insistere.
Harry tornò a guardarla con una strana espressione sul viso. «No. Ora è divertente» rispose, con un tono che sembrava essere venato dall'intenzione di una blanda vendetta o comunque di soddisfazione. Emma si chiese a cosa pensasse esattamente Harry quando passava del tempo con Denice, senza necessariamente andare a letto insieme, se le portasse rancore o se fosse fiero di averla in qualche modo legata a sé. «Era divertente» si corresse lui dopo qualche secondo, come a voler rimarcare la sua decisione e a volerla rassicurare.
Emma sorrise appena con le labbra chiuse e si sentì meglio, in un certo senso. Si sistemò sul sedile, inserì la prima ed accese il motore. «Tieniti forte» scherzò schiacciando l'acceleratore, mentre Harry si malediva a bassa voce per la sua idea.

 





 


Buongiorno!
Molte di voi probabilmente sono a scuola, quindi spero di avervi offerto una piacevole scappatoia hahaha Per chi invece a quest'ora dormiva, buongiorno :)
Che dire? È un capitolo un pochetto più lungo del solito (ma mi avete detto che non vi dispiace, quindi cerco di crederci ahahah) e ci sono un paio di cose sulle quali soffermarsi:
1. Pete ha stranamente fatto il primo passo con Tianna, a modo suo ahhaha Alcune di voi probabilmente si aspettavano già che prima o poi sarebbe successo qualcosa, quindi vi chiedo di darmi la vostra opinione :) Nella prima parte del capitolo, ho deciso di fare dei paragrafi a parte per ogni amico di Emma in modo da farvi conoscere un po' di più il loro rapporto e il loro modo di ragionare: poi ho inserito quello in cui ci sono tutti e quattro per raggrupparli e far vedere altre piccole dinamiche! Spero di esserci riuscita hahah 
2. Harry Harry Harry: cosa pensate della sua idea di insegnarle a guidare? :) In questo capitolo loro due sono un po' più tranquilli, rilassati (STRANO): nell'ultima parte ho "concluso" la faccenda Denice per cui tante si preoccupavano! Vi avevo già detto che non avrebbe interferito attivamente nella storia tra Harry ed Emma: nessun imprevisto in cui lei si rende improvvisamente conto di amarlo e bla bla bla. Il loro era davvero solo un divertimento, anche se scaturente da opinioni diverse. Spero che il loro passato sia abbastanza chiaro: purtroppo non sono potuta scendere nei dettagli, perché Harry - anche se qui ha ceduto - è ancora restio nel parlarne, quindi non si sarebbe mai messo a raccontare la storia della sua vita. Ricapitolando, lui era molto preso di Denice ma lei non aveva intenzione di instaurare qualcosa di serio, quindi di comune accordo hanno deciso di abbassare le pretese: come Harry stesso dice, per lui non è stato facile, anche se poi i sentimenti si sono affievoliti e lui ne è comunque uscito vincitore. Ditemi se vi ho confuse ahhaha (anche lui è un tipo molto orgoglioso, quindi non c'è da stupirsi quando si tira indietro nel dover parlare di qualcosa in cui ci ha rimesso)
Ah, Harry non protesta quando Emma gli fa capire di dover interrompere la sua pseudo-relazione con Denice: magari a qualcuno di voi sembrerà strano, ma come ho sempre detto lui non è uno stronzo e non è stupido. Sa benissimo che Emma ha tutto il diritto di avanzare quella pretesa, ed evidentemente a lui non dispiace concentrarsi solo su di lei :)
Ovviamente, come sempre vi consiglio di non festeggiare troppo presto ahahah Nel prossimo capitolo si tornerà a parlare della situazione familiare di Harry e molto presto ci sarà un grosso litigio!!!

Come sempre, grazie di tutto!! Siete di grande supporto e mi fa piacere che la storia vi piaccia tanto :) Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate! Ad ogni capitolo ci sono quasi 2000 visite, quindi mi piacerebbe sentire qualche parere in più, altrimenti penso che ci sia qualcosa che non va (?)
Scusate se mi sono dilungata così tanto (troppo), a presto :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

Ah, nuova one shot :)
"Phantom limb"

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici - No need ***




 

Capitolo quindici - No need
 

 

Quando Emma uscì di casa senza salutare i suoi genitori e nemmeno Melanie, lasciando una frettolosa carezza al volto ingenuo di Fanny, non si sarebbe mai aspettata di trovare un'auto bianca fin troppo familiare parcheggiata a pochi metri dal suo cancelletto. Rimase ferma davanti alla porta per qualche secondo, osservando l'aggeggio infernale con attenzione solo per assicurarsi che fosse proprio quello.
Lei ed Harry non avevano parlato di vedersi quel mattino: che avesse voluto farle una sorpresa ed un favore portandola a scuola? Non le sembrava il tipo, ma non poteva certo escludere la possibilità.
Sorrise a labbra chiuse e scese velocemente i pochi gradini che portavano al vialetto, aprendo il cancello con una leggerezza che la fece quasi vergognare ed avvicinandosi a testa alta alla macchina ferma accanto al marciapiede.
Dopo essersi sporta per intravedere la figura di Harry in un’ulteriore conferma, lo stomaco le si strinse per un attimo e lei aprì la portiera, accomodandosi al posto del passeggero. Chissà se lo stratagemma di Harry dell'insegnarle a guidare avrebbe funzionato.
«Buongiorno» lo salutò posando il proprio zaino ai suoi piedi. Lui ingranò subito la marcia senza nemmeno guardarla in faccia: gli occhi erano fissi davanti a sé e la mascella era tesa, mentre le labbra non avevano la solita morbidezza.
Emma corrugò la fronte cercando di capire cosa gli passasse per la testa. «Non ricordavo dovessi passare a prendermi prima di andare a scuola» esclamò con un entusiasmo smorzato dal suo indagare cautamente. Sperava in una risposta, ma non ottenne nemmeno un cenno del capo: Harry si limitava ad accelerare oltre il consentito.
Lei strinse un po' di più l'orlo della sua giacca per una frenata troppo brusca per i suoi gusti e cercò di tenere sotto controllo la sua agitazione, seguendo il consiglio che le era stato dato il pomeriggio precedente. Ascoltò il rombo del motore e cercò di capire quando sarebbe stato opportuno cambiare la marcia: si accorse che Harry stava spingendo al massimo quella sua vecchia auto. Osservò con accuratezza ogni suo movimento: le sue mani stringevano il volante con nervosismo e ciascuno spostamento veniva compiuto in modo secco. Alla fine, però, tutto quello studiare e carpire informazioni non fece altro che agitarla ancora di più.
«Harry?» Lo chiamò infatti, quando superarono la sua scuola e presero un'altra strada. Non le piaceva vederlo in quello stato, completamente isolato dal resto del mondo e persino da lei, a nemmeno un metro da lui. E non le piaceva l'atmosfera di tensione che la stava logorando, sommata all'ignota destinazione verso la quale si stavano dirigendo.
Harry continuò ad ignorarla e superò velocemente un'altra auto, premendo contro l'acceleratore con una tale forza da obbligare Emma ad appiattirsi contro il sedile ed a sbarrare gli occhi. Cercò il suo sguardo, un contatto visivo che potesse in qualche modo aiutarla a capire, ma dovette accontentarsi del suo profilo duro e sin troppo serio: tutto il suo corpo era teso, contratto, come se fosse stato sul punto di scattare o frantumarsi per la troppa tensione.
«Harry, per favore» riprovò con tono più supplichevole - sia per cautela sia per paura - mentre imboccavano un rettilineo percorso tranquillamente da altre poche auto. Lui continuava ad accelerare, ad arrivare vicinissimo agli altri automobilisti solo per poi azzardare un sorpasso che riusciva a compiere nei limiti del possibile, a causa delle automobili che giungevano nell'altro senso. Ad ogni accelerata e ad ogni frenata il cuore di Emma batteva più forte, quasi volesse a tutti i costi farsi notare.
«Rallenta…» esclamò lei con le mani che stritolavano la cintura alla quale si erano aggrappate, la stessa cintura che Emma sentiva sul proprio petto e che non riusciva a darle conforto nonostante la sua funzione protettiva.
«Harry» lo pregò ancora in un sussurro. La sua non era paura, era mutata in vero e proprio terrore: l'Harry che solitamente era in grado di calmarla anche se alla guida era come inconsapevole della sua presenza e del suo smisurato timore. Era lì, proprio accanto a lei, ma non la vedeva e non la sentiva: le sembrava di sbattere i pugni contro un muro di vetro che li separava, per farsi notare, e di non riuscire nemmeno a farlo vibrare.
Quando Harry spinse ancora di più il piede sull'acceleratore, ne ebbe abbastanza. «Fermati, cazzo!» Urlò istintivamente, chiudendo gli occhi e respirando velocemente, quasi non si aspettasse una reazione.
Stranamente, invece, la macchina rallentò - anche se all'improvviso e quindi non in modo confortante - e l'attimo dopo era ferma sul ciglio di una strada quasi fuori città. Emma non aspettò nemmeno un secondo prima di aprire velocemente lo sportello e correre fuori dall'auto, piegandosi in avanti per appoggiare le mani sulle ginocchia e tenere le palpebre abbassate, per tranquillizzarsi e per ignorare la nausea che la stava minacciando.
Rimase in quella posizione per un minuto buono, cercando di smaltire l'adrenalina che avrebbe dovuto proteggerla, e solo dopo aver raddrizzato la schiena ed essersi guardata intorno si chiese cosa diavolo stesse succedendo. Si voltò verso l'auto e cercò Harry, non sapeva ancora se per urlargli contro qualcosa riguardo la sua ultima stupida performance o se per scavare un po' più a fondo.
Era in piedi davanti al cofano dell'auto e le dava la schiena: le spalle larghe erano tese e lo si notava anche se erano coperte dalla giacca marrone, i suoi movimenti continuavano a nascondere qualcosa. Stava fumando con avidità.
Emma sospirò sommessamente, con la mente che testava ogni possibilità: non era la prima volta che Harry si mostrava in quel modo e, anzi, solitamente quel suo sguardo duro e assente corrispondeva ai problemi con il padre. Che fosse successo qualcosa? O che fosse solo un momento di debolezza?
Voleva scoprirlo, quindi si avvicinò a passi lenti, sentendo gli stivaletti neri calpestare la terra fredda del mattino. Per prudenza, gli rimase alle spalle, come se non potesse osare troppo.
Aspettò in silenzio, abbandonando definitivamente l'idea di rimproverarlo per il suo comportamento di poco prima, e lo osservò mentre terminava l'ennesima sigaretta. Quando il mozzicone ancora acceso venne gettato a terra, lei trattenne per un istante il respiro, quasi avesse significato una svolta in quel silenzio di trepidante attesa.
Harry incastrò una mano tra i propri capelli e sospirò, poi rilassò entrambe le braccia lungo il corpo e restò immobile per degli interminabili secondi. «Sali in macchina, ti porto a scuola» disse tra i denti, con la voce bassa e più roca del solito di chi si sta trattenendo dall'urlare.
Emma alzò un sopracciglio e si chiese se stesse scherzando. «No» rispose seria, continuando a guardare la sua nuca.
Lui si voltò spazientito incontrando finalmente il suo sguardo ed Emma fu tentata di indietreggiare solo per la sfumatura dei suoi occhi: non per paura, no, ma per un certo dolore che riuscivano a trasmettere come se fossero stati creati appositamente per quello. «Ragazzina…» la ammonì stringendo i pugni.
«Non vado da nessuna parte» ribatté lei caparbia. Le sue iridi avevano appena spazzato via ogni possibilità di prestargli ascolto.
«Perché devi sempre fare di testa tua?» Sbottò Harry in un'accusa, allargando le braccia. Era il suo nervosismo a parlare, ma Emma non avrebbe sopportato in silenzio solo per questo motivo.
«Di testa mia? Sei tu ad avermi praticamente rapita portandomi in mezzo al nulla e adesso pretendi che risalga in macchina e dimentichi tutto come un bravo cagnolino? Non mi muoverò da qui fin quando non mi dirai cosa ti succede» decretò, sostenendo il suo sguardo come in una prova di forza.
Harry assottigliò gli occhi e respirò profondamente, poi si avvicinò a lei di un passo. «Non ti voglio intorno, quindi tu salirai su quella macchina» scandì lentamente, arrivandole fin troppo vicino.
Emma non negò a se stessa quanto quelle parole non le avessero fatto bene, ma cercò di essere razionale: ormai conosceva un po' meglio quel ragazzo che le stava parlando in termini tanto duri e sapeva che spesso l'orgoglio era più testardo di lei e più istintivo di lui.
«Non mi vuoi intorno, eppure sei venuto da me» sussurrò Emma con fermezza, sventolando quella verità che non poteva essere smentita né contraddetta. Era un dato di fatto.
«Infatti non avrei dovuto farlo» sibilò lui. Le sembrava di essere tornata alla serata che avevano trascorso al McDonald's, quando alla fine lui le aveva detto chiaramente di non sapere cosa stesse facendo in quel posto con lei. Eppure, chissà come, a distanza di settimane erano ancora lì.
«Perché?» Domandò lei, smorzando il tono. Stava cercando di capire fino in fondo ogni suo pensiero, in modo da agire di conseguenza.
«Perché non ho bisogno di te» rispose lui secco, come se fosse stata una cosa ovvia.
Per qualche secondo, a nemmeno mezzo metro di distanza, si limitarono a guardarsi, a scrutarsi in una tacita sfida. Entrambi non erano intenzionati a perdere.
«Ne sei sicuro? O hai cambiato idea solo perché sei troppo orgoglioso per ammetterlo?»
Sapeva che a lui non sarebbe piaciuta quella sua insinuazione, ma non era disposta a piegarsi ad un suo difetto caratteriale, quando era evidente che avesse bisogno di qualcosa, almeno di qualcuno che lo ascoltasse, qualsiasi cosa fosse successa. In fondo si era fatto trovare sotto casa sua alle otto del mattino e tutti i suoi comportamenti urlavano una necessità che lui non era in grado di ammettere: come poteva ignorarlo?
«Non c'è niente di male ad aver bisogno di aiuto» continuò Emma ancora a bassa voce, come a volerlo rassicurare, dal momento che non aveva ricevuto alcuna risposta.
Harry serrò la mascella. «Io non ho bisogno di nessun aiut-»
«E va bene. Va bene, pensala così se proprio ti fa sentire meglio» lo interruppe. «Ma perché non vuoi accettarne uno se qualcuno è disposto a dartelo?»
«Perché non potresti fare niente!» Rispose lui alzando la voce. L'assenza di una speranza si rifletteva nella sua voce incrinata e nelle vene del collo in rilievo, nelle nocche che tremavano e negli occhi che la stavano torturando.
Emma alzò la testa come a darsi una maggiore credibilità e si avvicinò impercettibilmente. «Mettimi alla prova» insistette fermamente.
«Non sai nemmeno di cosa stai parlando» la rimproverò lui. «Cosa vorresti fare? Andare a pregare qualcuno perché tra due giorni non ci stacchino la fottuta elettricità? Vai, vai pure e fammi vedere quanto sei invincibile, visto che credi di poter risolvere tutto!» Stava urlando ed Emma avrebbe solo voluto alleviare la tensione che lo stava stritolando in una morsa, avrebbe voluto fargli capire che non esistevano solo aiuti materiali, ma anche di altri tipi.
Avrebbero interrotto la fornitura di corrente in casa sua? Evidentemente la loro situazione economica stava peggiorando sempre di più, dal momento che prima di arrivare ad un provvedimento così severo dovevano essere arrivate diverse sollecitazioni al pagamento. Sollecitazioni evidentemente non accolte.
«È ovvio che io questo non possa far-»
«Bene, allora vai da mio padre e digli che deve smettere di mentire! Va' da lui e chiedigli perché cazzo continui a nascondermi le cose, a farmi credere che vada tutto bene, quando poi devo scoprire la verità da una lettera che non è nemmeno bravo a nascondere! E chiedigli a cosa ha portato questo suo comportamento del cazzo, visto che non abbiamo nemmeno più un centesimo!»
Il dolore che stava attraversando ogni millimetro della pelle di Harry sembrava diffondere nell'aria e colpire in pieno viso anche Emma, che se pochi minuti prima aveva dovuto lottare per scorgerlo anche solo lontanamente, adesso doveva fare i conti con quella valanga di parole e macigni riversati inaspettatamente su di lei.
«Probabilmente stava solo cercando di proteggerti, di non farti pesare la situazione. Magari pensava di poter risolvere tutto e-»
«E cosa? Cosa, dannazione?!» La interruppe Harry di nuovo, quasi urlando. «Se mi avesse detto la verità fin dall'inizio, avrei potuto fare qualcosa! Invece mi ha tagliato fuori, l'ha sempre fatto e continua a farlo, e quando siamo nella merda è troppo tardi perché io possa aiutarlo! Questo non è proteggere, è essere stupidi!»
Emma rimase in silenzio ad ascoltare i suoi respiri veloci, mentre lui si passava una mano tra i capelli e guardava qualsiasi cosa che non fosse lei. La situazione era peggiore di quanto avesse pensato ed effettivamente non c'era molto che si potesse fare, ma non ci si poteva di certo arrendere così facilmente. Harry aveva la voglia e la forza di cambiare le cose, bisognava solo aprirgli gli occhi e smuoverlo dalla sua rabbia cieca.
«Non c'è nessuno a cui potreste chiedere i soldi in prestito?» Domandò cauta, rendendosi conto di quanto poco sapesse della sua famiglia. Purtroppo non c'era da scherzare con le questioni fiscali: se in due giorni avrebbero tolto loro l'elettricità, non ci sarebbero state altre posticipazioni, a meno che loro non avessero pagato il dovuto.
«Sì, potrei chiedere a mia madre» esclamò Harry con calma, prima di contraddirsi ed esprimere le sue reali emozioni. «Se solo sapessi dove sia. Ma chissà se ricorda di avere un marito e un figlio, visto che dopo quindici anni la memoria può fare brutti scherzi» aggiunse a denti stretti, con un rancore talmente intenso da essere quasi palpabile. Emma doveva accontentarsi delle informazioni frammentarie che riceveva più o meno costantemente da un Harry sconvolto e riluttante a raccontare in modo lineare la storia della propria vita: erano briciole, quelle che le regalava controvoglia e forse senza nemmeno accorgersene, preso da quel moto di rabbia che lo stava attraversando. Era sempre stato così, in qualsiasi cosa: Emma doveva scavare e raccogliere pezzi di storia che poi avrebbe dovuto riorganizzare da sola, perché lui non l'avrebbe aiutata.
A quel punto si sentì addirittura in colpa per quella domanda che era andata a toccare un tasto così delicato. C'erano altri parenti? Possibile che fossero così soli? Non le andava più di insinuarsi nell'argomento famiglia, perché negli occhi di Harry si era aggiunto un altro peso che portava il nome di "abbandono".
«Ty?» Domandò allora con cautela, sapendo del loro rapporto che andava oltre quello più che naturale tra barista e cliente. «Potresti farti anticipare dei soldi e magari ripagarlo lavorando un po' per lui, al bar».
«Ty non ha trecento sterline da darmi da un giorno all'altro e col cazzo che mi metto a chiedere l'elemosina» rispose teso, quasi fosse appena stato offeso. Era questo uno dei suoi problemi: chiedere aiuto non rientrava nelle sue possibilità, sia quando si trattava di ammettere di aver bisogno di essere ascoltato, sia quando si trattava di salvare la sua situazione familiare, compromessa da un errore in buona fede del padre.
«Non si tratta di elemosina, Harry» provò a convincerlo lei. «È una soluzione temporanea, giusto per non rimanere senza corrente elettrica».
Harry si strofinò il viso con una mano, respirando con un'intensità che le fece addirittura pena. E pensare che pochi minuti prima stava cercando di cacciarla e che lei avrebbe potuto anche dargli ascolto, lasciarlo solo in quello stato.
Emma allungò una mano verso il suo volto, sfiorandolo appena con i polpastrelli delle dita come per paura di romperlo o scheggiarlo: gli accarezzò lo zigomo ed osservò i suoi occhi scrutarla, in cerca di una risposta per quel gesto inaspettato e carico di una tenerezza che forse stonava con ciò che stava accadendo.
«Mi dispiace» sussurrò lei con tutta la sincerità che possedeva, accogliendo la sua guancia nel palmo della propria mano, proprio come se stesse cercando di consolare un bambino. Con la differenza che quel bambino era in grado di schiacciarla con una sola parola.
O con un gesto.
Harry scostò bruscamente la sua mano dal proprio viso e sospirò nervoso, voltandosi per fare qualche passo lontano da lei. L'aveva respinta.
 
Emma aveva contato solo tre auto di passaggio per quella strada quasi deserta.
Aveva contato anche i propri respiri, più o meno duecentosessanta in venti minuti: tredici ogni sessanta secondi, costanti e lenti.
Aveva contato le sigarette fumate da Harry: sei consecutive, tutte finite a terra senza essere spente, a circondarlo come una barriera di protezione.
E aveva contato gli sguardi condivisi con lui. Zero.
Era seduta sul cofano della sua auto da abbastanza tempo da avere i muscoli congelati: ormai aveva imparato a memoria la linea delle spalle e della schiena di Harry, che da quando si era allontanato da lei non si era più voltato a guardarla. Il silenzio stava diventando snervante, ma non osava interromperlo senza nemmeno sapere il perché.
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per scuoterlo e farlo di nuovo sorridere in quel modo malizioso che era solo suo, ma allo stesso tempo una voce dentro di lei le intimava di non muoversi e di non parlare, di lasciargli del tempo e di aspettare - aspettare cosa? Comunque le aveva dato ascolto, anche se la pazienza stava giungendo agli sgoccioli: per affrontare quegli interminabili minuti aveva pensato alle ore di lezione che avrebbe saltato e poi aveva cercato di ricostruire la famiglia di Harry, di immaginarsi un bambino con gli occhioni verdi ed ingenui che vede andar via la madre. Non sapeva quanto questo passato lo influenzasse, se si fosse dimostrato così rancoroso a riguardo solo perché l'assenza della madre gli portava via una possibilità di risoluzione del suo problema o se invece si fosse riaperta una ferita ben più profonda dentro di lui. In un certo senso aveva paura di chiederglielo: aveva il presagio che l'avrebbe solo fatto innervosire, quindi tenne per sé quella curiosità.
All'improvviso Emma fu costretta a tornare alla realtà, quando le scarpe di Harry si mossero sul terriccio lentamente. Lei raddrizzò la schiena impercettibilmente, come a mettersi sull'attenti, e lo osservò voltarsi nella sua direzione, con gli occhi meno espressivi di prima, ma non del tutto apatici. Harry la scrutò per qualche istante e continuò a farlo anche mentre muoveva dei passi lenti verso di lei fino ad arrivarle davanti, fino a dover chinare leggermente il capo per poterla guardare in viso. Le avrebbe chiesto di salire in macchina e di tornare a scuola? L'avrebbe di nuovo respinta?
Emma si limitò ad aspettare ancora. Aspettò e per poco non si mise a contare anche i battiti del proprio cuore che sforavano dall'ordinario e che presagivano qualcosa. Quando la mano destra di Harry si posò sul suo collo nudo, con il palmo aperto a raffreddarle la pelle, lei si irrigidì senza mostrarlo. Era un contatto inaspettato, diverso, ed il viso che aveva di fronte era sempre più vicino.
Con una lentezza che sapeva di tortura, le dita di Harry le accarezzarono il collo e l'attaccatura dei capelli ed i suoi respiri lenti sembrarono scandire quell'attesa infinita che stava davvero divenendo insopportabile. Emma sentiva l'istinto di aggrapparsi al suo corpo, di cercare di ottenere un po' di più, ma gli occhi nei quali si stava specchiando sembravano ammaliarla ed obbligarla a non compiere alcun movimento.
Poi Harry si avvicinò ancora, fino a sfiorarle il naso con il proprio, fino a sfiorarle la bocca e a sfiorarle il cuore. Rimaneva lì, ad una distanza ingiusta che continuava a rappresentare un limite da superare o da rispettare o da ignorare. Lì, con le sue labbra umide e socchiuse, che probabilmente sapevano ancora di fumo in modo marcato.
E proprio quando Emma stava per cedere e prendersi ciò che le era stato offerto, fu Harry ad anticiparla, premendo la bocca sulla sua velocemente, con irruenza: lasciò andare un respiro di sollievo che però sapeva più di frustrazione, schiudendo le labbra per accogliere quelle che sembrava desiderare ardentemente, mentre lei chiudeva gli occhi per accertarsi che fosse reale, portando le braccia intorno al suo busto per stringerlo e per avvicinarlo un po' di più. Non la stava affatto respingendo, anzi, dal modo in cui non le lasciava riprendere fiato sembrava che la stesse finalmente accettando.
Harry le divaricò le gambe in modo da posizionarsi tra di loro e poter avere una maggiore superficie di contatto con il corpo che stava stringendo e cercando con bramosia. Emma non sapeva più dove mettere le mani, perché aveva bisogno di toccare ogni centimetro di lui e perché era stata sopraffatta dall'intensità di ogni suo movimento e persino di ogni suo respiro. Sentì le sue mani incastrarsi tra i propri capelli, stringerli e tirarli per manifestare quello che forse non era tanto differente da ciò che stava provando lei. Poi le sentì sul collo e sul viso, sui fianchi a stringerli e sotto la giacca per accarezzarle il ventre. Non riusciva più a seguirle e quasi le toglievano il fiato a causa dell'urgenza che lasciavano trasparire.
Quindi era questo che si sentiva nell'avere Harry un po' di più? Era questo che l'avrebbe spinta a volerne ancora? L'aveva desiderato così a lungo da non sapere come affrontarlo. Non sapeva come gestire quel nodo alla bocca dello stomaco, quella smania di lui che non poteva essere descritta in altro modo. Non era come il loro primo bacio, non era solo quello: c'era dell'altro, forse dovuto a tutto ciò che avevano passato e superato, forse dovuto a ciò che era cresciuto dentro di lei, ma c'era e si percepiva chiaramente.
Harry le sfiorò l'orecchio, lasciandole un bacio lento proprio al di sotto del lobo, prima di accarezzarla con la lingua e lasciarle di sicuro un segno di possesso. Emma rabbrividì e si costrinse ad abbandonare la presa su di lui per assecondarlo, dato che le sue mani stavano cercando di sbottonarle la giacca: tirò giù la cerniera e venne subito invasa da spifferi di aria fredda che venivano in parte bloccati dal corpo che la proteggeva con la sua posizione. Alzò il viso verso il cielo e aprì gli occhi, godendosi ogni movimento di Harry sul proprio collo ed aspettando qualcosa che non voleva immaginare, tenendo una mano tra i suoi ricci disordinati.
La mano destra di Harry, invece, si avvicinò al suo addome piatto e le sue dita giocarono un po' con il maglione a trama larga, prima di tirarlo leggermente su in modo da non ostacolare il loro passaggio.
Emma trasalì per quanto erano fredde, ma non si lamentò affatto di quel contatto: incrociò le gambe intorno al suo bacino e se lo strinse contro, mentre il respiro accelerava al tocco di Harry sulla propria schiena nuda, sulla spina dorsale leggermente sporgente e tra le proprie scapole.
Per un istante rimasero con le fronti a sfiorarsi e con gli occhi a studiarsi, ed Emma rischiò seriamente di perdere ogni barlume di lucidità nel trovarsi davanti le iridi bramose di Harry: chissà se anche le sue stavano brillando in quel modo, chissà se ciò che stava provando le si leggeva in faccia o in un respiro di troppo o in un movimento di meno. Alla fine non riuscì più a sopportare quella distanza, perché conosceva bene l'alternativa ed era ingiusto opporre resistenza, quindi si appropriò di nuovo delle sue labbra, invitandolo a non fermarsi nemmeno per un secondo, a non perderne nemmeno uno.
Harry sembrò essere del suo stesso parere, dal momento che la assecondò sbilanciando tutto dall'altra parte, quella in cui era lei a dover arrancare per star dietro a quel trasporto con il quale stavano quasi giocando. Quando poi lui portò la mano sinistra sul suo seno al di sopra del maglione, accarezzandolo e stringendolo piano prima di imprimere il proprio tatto con più urgenza, Emma tremò come una bambina, come se non avesse mai sperimentato qualcosa del genere: e forse era davvero così, perché non era il primo a toccarla, ma quella era la prima volta che veniva toccata da lui, con tutto ciò che ne conseguiva.
Chissà se quello era il suo modo di ringraziarla tacitamente, di dire "no, non ho bisogno di te, ma grazie lo stesso". Chissà se quegli interminabili venti minuti passati in silenzio gli fossero serviti per schiarirsi le idee, per combattere degli istinti e districarsi a fatica tra di essi. Chissà cosa sentiva nel toccarla.
 
La mano di Harry era sulla sua coscia. Immobile e leggera, sembrava si trovasse nel suo luogo naturale.
Emma, dal canto suo, cercava di percepirla in ogni millimetro: provando ad ignorare i tediosi jeans che con il loro tessuto le impedivano di avere le sue dita sulla propria pelle, tentava di sentire l'anello all'indice di Harry oltre la stoffa, di tracciare ogni linea del suo palmo e di delimitare ogni piccolo muscolo. Non sapeva per quanto ancora ne avrebbe avuto la possibilità, quindi era determinata a non sprecare nemmeno un momento.
Con la coda dell'occhio rivolse un'occhiata attenta al viso di Harry, che era concentrato sulla strada mentre guidava con molta più tranquillità. Il cipiglio tra le sue sopracciglia non era scomparso, ma si era affievolito, e le sue labbra erano leggermente arrossate per i baci che Emma ancora sentiva su di sé. Le piaceva quel loro aspetto, le piaceva sapere di essere la causa della loro piccola tortura, le piaceva avere le proprie nello stesso stato, pronte a peggiorare la situazione.
«Allora? Ti è servito imparare a guidare?» Esordì lui schiarendosi la voce, dopo chissà quanti minuti di silenzio. Erano le prime parole che si scambiavano da quel "mi dispiace" al quale si era ritratto, sebbene non fosse di certo la prima cosa che si dicevano in ben altri termini. «Anche se imparare è una parola grossa» aggiunse subito dopo con un ghigno rivolto alla strada, ma evidentemente destinato a lei.
Emma sorrise anche solo nel vederlo di nuovo con un'espressione più rilassata, poi gli restituì il favore pizzicandogli un braccio. «Stava funzionando prima che tu iniziassi a guidare come un pazz-»
Arrestò subito la sua parlantina quando si rese conto che la sua lingua piccata era istintivamente andata a toccare un tasto delicato: non le sembrava giusto rinfacciargli il comportamento tenuto quella mattina, soprattutto dopo aver saputo a cosa era dovuto.
Per un istante, talmente breve da porsi tra la realtà e l'immaginazione, le dita di Harry strinsero un po' di più la coscia di Emma e forse anche il volante, mentre il suo viso tornava ad assumere una maschera di serietà. Quando poi la sua mano si allontanò da lei, temette di aver guastato quel piccolo traguardo che le metteva ancora in subbuglio tutto il corpo: la osservò quasi impaurita e smarrita, contando minuziosamente gli istanti di lontananza, ma si rincuorò nel vederla posarsi sul cambio per inserire un'altra marcia e tornare su di lei subito dopo, lentamente. Una sensazione di sollievo le percorse l'intera spina dorsale, proprio quella che lui, pochi minuti prima, aveva studiato con le sue dita. Vertebra dopo vertebra.
Emma increspò le labbra in un sorriso nascosto, poi sollevò il viso verso quello di Harry. «E a te è servito avermi qui?» Osò, con quell'aria da bambina pretenziosa che forse lui non sopportava, ma che forse lo divertiva. La sua indole sicura di sé era convinta che la risposta fosse affermativa, ma era abbastanza vanitosa da volerlo sentire con le proprie orecchie.
Harry si fermò ad un semaforo rosso e si voltò verso di lei con un sopracciglio alzato. Lentamente si inumidì le labbra ed inclinò un angolo della bocca per sorridere, mentre alzava gli occhi al cielo. E a quel punto, con quella risposta solo accennata ma che era già abbastanza, Emma sorrise apertamente vittoriosa e si sistemò meglio sul sedile. Abbassò lo sguardo sulla mano che ormai si era fatta indiscreta e familiare e vi posò sopra la propria, con una finta indifferenza che non stupì nessuno dei due.





 


Buongiorno!
Visto? Sabato è arrivato in fretta e nessuna di voi è morta nell'attesa ahhaah Ma a parte gli scherzi, mi fa davvero piacere vedere con quanta ansia aspettiate il capitolo :)
Passando al capitolo, visto che non ho molto tempo: le cose in casa Styles si sono un po' complicate ed io spero di avervi presentato al meglio Harry e il suo carattere, soprattutto in rapporto a quello di Emma. Chi ha letto "It feels..." sa già molto bene cosa stia per succedere, ma agli altri posso assicurare che nel prossimo capitolo ne avranno un assaggio :)
Per quanto riguarda quell'infinito e noioso paragrafo in cui Harry bacia Emma, mi scuso se vi ha fatto sbadigliare hahaah Non ho voluto cambiarlo perché l'ho sempre immaginato così, senza parole e con più fatti, ma posso capire che non tutti possano pensarla come me! Quindi, se vi ha annoiate, se vi è risultato impersonale come a me, fatemelo sapere senza problemi :)
Per quanto riguarda l'ultima parte, be'... Parla da sola :) Insomma, lascio a voi qualsiasi commento sui comportamenti un po' altanelanti di Harry!

Vorrei ringraziarvi infinitamente per tutto l'appoggio che mi date e per le recensioni allo scorso capitolo! Mi ha fatto piacere sapere che alcune di voi hanno accolto la mia richiesta di farsi sentire per un parere, e li ho apprezzati tutti :) Spero davvero che continuerete a darmi le vostre opinioni, soprattutto ora che la storia si movimenterà un po'!
Posso già anticiparvi che nel prossimo capitolo ci sarà quel litigio di cui vi avevo parlato ed entrare in scena Zayn, in carne ed ossa e non solo più tramite racconti e voci di corridoio :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

AAAAH, quella meraviglia di banner lassù è opera di
Dalilah Efp (cliccate sul nome per il link al suo profilo fb), quindi ora invidiatela tutti perché non so come faccia (forse solo io sono una frana in fatto di banner ahahha)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

Ah, nuova one shot :)
"Phantom limb"
    
  

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Capitolo 16
*** Capitolo sedici - Someone like you ***




 

Capitolo sedici - Someone like you
 

 

La casa era estremamente silenziosa nonostante il sommesso scrosciare dell'acqua proveniente dal bagno, nel quale Melanie si stava facendo una doccia. La piccola Fanny era al centro commerciale con la madre, mentre Ron sarebbe stato immerso nel lavoro fino a cena.
Emma si stiracchiò pigramente sul divano con un'estremità della matita tra i denti, cercando la soluzione a quegli ultimi esercizi di fisica sui quali non riusciva a concentrarsi: teneva il libro aperto sulle ginocchia piegate, mentre i piedi nudi cercavano di rimanere in equilibrio sul bordo del divano. I suoi pensieri vorticavano dal giorno prima, così come tutti i suoi organi interni, scombussolati ed ancora storditi: il centro della sua attenzione, infatti, era diventato la sede di un vigoroso tira e molla tra le sensazioni derivanti dal corpo di Harry stretto al suo e dalle sue mani sulla propria pelle e la situazione difficile nella quale quel cuore un po' più caldo e per un attimo più debole si trovava. Non ne avevano più parlato, ma Emma avrebbe potuto descrivere nel dettaglio ogni istante nel quale Harry si era assentato momentaneamente, nascondendosi dietro uno sguardo distratto che poi rivolgeva a lei, per cercare la sua bocca e forse fare un po' più di chiarezza.
Cosa avrebbe potuto fare lei? Cosa avrebbe potuto fare per estinguere il fuoco di tormento che giaceva nel petto di Harry? Come avrebbe potuto risolvere tutto, quando tutto sembrava piuttosto irrisolvibile? Per come stavano le cose, lui si era dimostrato più che restio a chiedere aiuto, anche se solo a Ty, quindi ogni particolare lasciava presagire che il giorno dopo casa Styles non avrebbe più avuto corrente elettrica da utilizzare. Trecento sterline non erano poche da recuperare ed Harry aveva ragione: se solo avesse avuto un po' più di tempo, avrebbe potuto mettersi all'opera e magari trovare un modesto lavoro con cui aiutare suo padre, che invece si era barricato in una protezione paterna che aveva portato solo a danni.
Trecento sterline.
Sbuffò e chiuse gli occhi, abbandonando il capo sullo schienale del divano.
Trecento sterline.
L'istante dopo si raddrizzò come se fosse stata punta da uno spillo acuminato nel suo baricentro, con un'idea che le vorticava in testa. Pericolosa e assurda, ma stranamente allettante.
Trecento sterline.
 
Spalancò la porta del bagno, trovandosi per un attimo sopraffatta dal vapore che appannava lo specchio e che si posava su ogni più piccolo oggetto, mentre Melanie si godeva ancora quella sua infinita doccia calda. «Io esco: ti mando un messaggio appena so a che ora torno» annunciò velocemente, alzando un po' la voce per farsi sentire.
«Dove vai?» Domandò la sorella maggiore, insaponandosi i capelli e girando il volto verso di lei, ma Emma si era già chiusa la porta alle spalle per correre giù per le scale.
Aveva ancora i capelli raccolti in una crocchia disordinata ed il viso struccato che lasciava alla mercé di tutti le numerose lentiggini sul suo viso, ma nulla le importava come il pensiero di dover raggiungere Harry e di dovergli assicurare una soluzione, qualcosa per cui le sarebbe stato grato e che forse l'avrebbe fatto sorridere. Ed anche lei stava sorridendo impaziente mentre, seduta sull'ultimo gradino delle scale, si infilava le Converse bianche: si era cambiata solo la maglia, in modo da non avere un patetico pigiama abbinato ai pantaloni della tuta blu.
Controllò il cellulare, che stava per dimenticare sul divano ancora invaso dai suoi libri di scuola, e lesse il messaggio di Harry: era a scuola per gli allenamenti con la squadra di pallacanestro e le chiedeva perché le interessasse. Ignorò quella domanda e si limitò a rispondere di aspettarla lì, poi posò il telefono nella borsa raccolta dall'appendiabiti e si infilò la giacca frettolosamente.
Quando aprì la porta con un gesto secco, però, per poco non cadde all'indietro nel ritrovarsi un ragazzo in piedi davanti a lei, con la mano ancora allungata verso il campanello che non aveva fatto in tempo a suonare.
Emma sbatté più volte le palpebre stupite e fu costretta ad abbandonare le previsioni sulla reazione di Harry e su ciò che le avrebbe detto e su ciò che avrebbe fatto e... Quello chi diavolo era?
Ovviamente più alto di lei, data la sua statura insoddisfacente, il ragazzo la guardava con occhi sorpresi e leggermente confusi, come se non si aspettasse di trovare lei in quella che d'altronde era casa sua: era bello, eccome se lo era, di una bellezza addirittura fastidiosa ed imbarazzante, ovviamente per chi poteva solo godere di tali lineamenti senza poter fare altro che invidiarli. Infagottato nel suo parka di un grigio scuro, dava l'impressione d'essere ancora più magro di quanto le sue gambe sottili lasciassero intendere. Il viso sembrava perfettamente studiato e proporzionato, come se qualcuno si fosse messo a tavolino solo per idearlo, ed ospitava due labbra secche, ma ben delineate nella loro morbidezza di forma: persino il naso non aveva alcun tratto discrepante. Le iridi brune erano circondate da ciglia lunghe e nere, della stessa tonalità dei capelli a spazzola che portava.
Emma si rese conto di avergli appena fatto un'analisi un po' troppo approfondita, quindi tentò di tornare all'ordine.
«Ciao» esclamò soltanto, sia perché il suo cervello stava ancora cercando di metabolizzare tutti quei particolari, sia perché sperava di nascondere nel minor numero di parole il suo soffermarsi sul suo aspetto.
Lui alzò un sopracciglio: «Ciao» rispose appena, assumendo un cipiglio divertito. Persino i suoi muscoli facciali erano dotati di un'innata armonia di movimento, che permetteva loro di creare espressioni prive di difetti.
Emma stava per chiedergli chi fosse e cosa facesse lì, ma fu anticipata. «Sono Zayn, il ragazzo di Melanie: dovre-»
«Tu sei Zayn?» Lo interruppe lei, mal celando il suo incredulo stupore. Zayn, quello che aveva fatto piangere sua sorella per chissà quanti giorni. Zayn il tossicodipendente. Lo stesso Zayn che aveva preferito malmenare qualcuno per un po' di roba anziché fare un favore a se stesso e ripulirsi.
Non poteva essere.
Insomma, quando aveva sentito parlare di lui e di quello che era il suo passato e forse anche il suo presente, aveva provato ad immaginarselo in modo da farsi un'idea: rapita da stereotipi, si aspettava qualcuno di rachitico e segnato dalla droga, compreso di ematomi negli incavi dei gomiti; occhi infossati e dilatatori alle orecchie, anche se questo particolare non c'entrava assolutamente nulla con una tale dipendenza. Lo aveva immaginato diverso, assimilandolo ad una specie di relitto umano ripescato da qualche centro di recupero, non... Così.
«Ehm... Sì? Tu devi essere Emma» rispose lui, mantenendo un sottile dubbio nel suo tono di voce. Era bassa e lenta.
Lei annuì corrugando la fronte, pronta a rimangiarsi qualunque apprezzamento avesse fatto su di lui nei precedenti secondi. Indurì lo sguardo e strinse le labbra, reprimendo l'improvviso astio che la sua identità le provocava nel profondo. Fu anche tentata di dirgli che aveva sbagliato casa e di sbattergli la porta in faccia.
«Credo che Melanie mi stia aspettando, posso...?» Tentò Zayn, notando il silenzio che era appena calato tra di loro.
«Ti droghi ancora?» Domandò Emma a bruciapelo, incrociando le braccia al petto come a conferirsi maggiore autorità. Era suo dovere essere al corrente di certi particolari, a prescindere da come stessero le cose tra quello Zayn e sua sorella, a prescindere da ciò che probabilmente avevano condiviso. E forse sarebbe stato più sensato raccogliere informazioni da Melanie stessa, ma in quel caso doveva accontentarsi.
Zayn quasi indietreggiò di un passo a quella domanda, incupendosi in volto. «Come, scusa?» Balbettò stupito, inarcando le sopracciglia folte.
«Hai sentito bene: ti droghi ancora?» Ripeté lei. Osava anche fingere di essere un innocente cane bastonato: be', non sarebbe entrato in casa sua se lei non l'avesse considerato degno. «Non fare il finto tonto, mi hanno raccontato cose interessanti su di te» esclamò, improvvisamente nei panni di un membro della mafia italiana.
Lui deglutì e si inumidì le labbra. «È stata Melanie a raccontartele?»
«Scherzi? Certo che no» rispose lei come se l'avesse appena offesa. Forse tra sorelle succedeva così, solitamente, ma le sorelle Clarke erano leggermente diverse. Non che non fosse colpa sua. «Ma comunque questo non c'entra: non hai ancora risposto alla mia domanda» gli fece presente esigente.
Zayn respirò profondamente e serrò la mascella, nervoso. «Io non mi drogo» affermò serio.
Emma alzò un sopracciglio e soppesò quelle parole come per carpirne la veridicità.
«E vai ancora in giro a picchiare la gente per soldi?» Insistette mancando completamente di tatto. Eppure era necessario, dato che si stava parlando di sua sorella: probabilmente lei sapeva molto di più su di lui - anzi, sicuramente - ma era talmente magnanima e talvolta ingenua che avrebbe potuto accettare ben più di quanto avrebbe dovuto, giustificando il tutto con un "povero, sta attraversando un periodo difficile". Forse era stato il suo aspetto da angelo serafico a trarla in inganno, ma non era comunque una scusa sufficiente. «Niente di personale, eh. Semplici formalità» commentò subito dopo, con quella sincerità trafiggente e sorniona che la caratterizzava.
Zayn sembrò risentirsi, mentre si irrigidiva fino a serrare i pugni, ma seppe come affrontarla. «Non vado nemmeno in giro a picchiare la gente per soldi» ripeté meccanico, quasi come se quelle parole lo irritassero ad ogni singola lettera. Cos'era, rimorso? Rabbia per essere stato smascherato in quel modo? «Vuoi sapere qualcos'altro o posso entrare?» La provocò, riguadagnando punti.
«Mia sorella è sotto la doccia» rispose lei in modo provocatorio, scandendo ogni sillaba come a definire un limite che gli era sconsigliato di oltrepassare. Ma subito dopo che ebbe pronunciato quella frase, entrambi sentirono dei passi leggeri sulle scale, segno che Melanie era ormai fuori dal bagno.
Emma si voltò verso il salotto alzando gli occhi al cielo e poi li spalancò, quando si accorse che la sorella indossava solo un accappatoio. Al pensiero di ciò che quello Zayn avrebbe potuto pensare su di lei e sulla sua semi-nudità, le si innescava all'interno un moto di rivolta e protezione: si sentiva suo padre, a dire il vero, mentre teneva a bada l'istinto di rimproverarla e di spedirla a vestirsi in modo più... Meno... Meno.
«Zayn» esclamò Melanie sorpresa, spiando oltre Emma e sorridendo stupita, con il viso pulito a rimarcare la sua naturale bellezza. I capelli bruni le ricadevano bagnati e mossi sulle spalle, incorniciando la sua carnagione chiara in un contrasto piacevole. L'altra sospirò stizzita e si voltò verso il loro ospite, guardandolo in tralice.
Lui, che fino a quel momento l'aveva affrontata con una durezza nell'autocontrollo non da meno, si era già rilassato, con gli occhi incollati a quelli che probabilmente agognavano, dato il modo in cui sembravano non vedere altro. E certo, forse Emma poteva anche ammettere di sentirsi addirittura di troppo in quello scambio di sguardi eloquenti ed in quell'atmosfera improvvisamente cosparsa di fiori ed arcobaleni, ma nulla le impediva di mantenere solido il suo scetticismo riguardo Zayn e le sue intenzioni.
«Emma, tu non dovevi uscire?» Domandò Melanie, affiancandosi a lei e facendo cenno al suo ragazzo di seguirla all'interno. Lui fu ben felice di essere salvato dalle grinfie pretenziose di Emma, ma forse si trattenne dal darlo a vedere, limitandosi a sorridere alla sua soccorritrice e a prenderla per mano.
La più piccola delle due Clarke lo sfidò con lo sguardo mentre le passava affianco: «Infatti» rispose. «Ma sono incappata in un inconveniente» continuò, provocando una leggera confusione nel volto della sorella, mischiata ad un certo risentimento per il commento rivolto a Zayn, che scuoteva la testa divertito.
Poi Emma ebbe come una rivelazione e, mentre guardava con sospetto il modo in cui quei due sembravano aver trovato la pace semplicemente condividendo lo stesso metro quadro, si ricordò di quanto dovesse fare in fretta per arrivare il prima possibile da Harry. Per questo si voltò e corse via senza dire un'altra parola, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Harry la stava aspettando sulle gradinate della scuola. Indossava il giaccone nero che da un po' non gli vedeva addosso e dei blue jeans con sotto - stranamente - delle Nike scure. Teneva le gambe distese ed incrociate davanti a sé, con le mani a sorreggerlo a terra mentre guardava il pallido e freddo sole delle quattro del pomeriggio tramite gli occhiali scuri, con il viso rivolto verso l'alto. I capelli forse erano ancora bagnati dalla doccia che era solito farsi dopo gli allenamenti, ma erano legati in un codino al quale scappavano delle piccole ciocche ondulate e disordinate.
Man mano che Emma si avvicinava, l'immagine di Harry e quella di Zayn si sovrapponevano e cozzavano sempre di più nella sua mente: Harry non possedeva la stessa bellezza dell'altro, non aveva il volto privo di difetti né i lineamenti semplici ed armoniosi di chi è troppo perfetto, eppure, in qualche modo, nella sua semplice naturalezza era ancora più insopportabile da osservare, perché Emma non riusciva a trovare un solo particolare che non la attirasse e che non la ammaliasse. Harry non aveva la stessa bellezza disarmante di Zayn, ma era più di Zayn.
Quando si accorse di lei, piegò le gambe sul gradino al di sotto di lui e si tolse gli occhiali, appoggiandoli sul borsone che teneva alla sua sinistra. Emma gli si avvicinò velocemente, sorridendogli come una bambina eccitata, e gli si sedette accanto: se prima si era chiesta come si sarebbe dovuta comportare con lui dopo la recente svolta nel loro rapporto, in quel momento voleva solo vuotare il sacco e farlo stare meglio. Le sue iridi verdastre, infatti, erano segnate da una certa stanchezza che andava sicuramente oltre le ore di allenamento.
«Com'è andata oggi?» Gli domandò soltanto, con il braccio sinistro che strisciava contro il suo.
Harry alzò le spalle e sospirò, poi si avvicinò a lei ed incastrò il viso nell'incavo del suo collo, respirando sulla sua pelle. «Al solito» mormorò, prima di regalarle un bacio leggero e caldo che le fece abbassare le palpebre in segno di apprezzamento.
Emma lasciò che lui e le sue labbra le ripercorressero il collo fino alla linea della mascella, con piccoli morsi e carezze appena accennate, come se per tutta la vita avessero fatto solo quello, come se lei potesse già esserci abituata, anziché sentire le mani fremere. Ma alla fine, contro ogni briciola della sua volontà, dovette muoversi leggermente per chiedergli di smetterla. Chiedergli, esatto, perché non sarebbe mai riuscita ad imporglielo, non quando nemmeno lei credeva alle sue stesse necessità.
«Aspetta, devo dirti una cosa» sussurrò, appoggiando una mano sulla sua gamba e chiudendo di nuovo gli occhi quando Harry la baciò sulle labbra con la bocca aperta, bisognosa o forse solo avida.
«Parla, allora» la invitò lui in modo provocatorio senza interrompere il contatto, come se già sapesse che lei non l'avrebbe fatto. Ma si sbagliava.
«Ho una soluzione» disse infatti Emma, respirando su di lui e portando l'altra mano alla base del suo collo, continuando ad accettare i suoi baci ed i suoi morsi leggeri. Harry non rispose, limitandosi a mugugnare qualcosa in segno di noncuranza e a stringere un po' di più la presa sulla sua nuca per avvicinarla a sé.
«Ho trovato i soldi, Harry» ansimò lei, mentre ogni centimetro del suo corpo si risvegliava al tocco di Harry, che sembrava premere gli interruttori giusti.
Eppure, all'improvviso, tutto si arrestò: Emma si trovò libera dalle labbra che la stavano prendendo senza ripensamenti e si scontrò con lo sguardo confuso di Harry, a pochi centimetri dal suo volto. «Cosa?» Domandò lui.
Emma si mosse per prendere qualcosa dalla tasca anteriore dei suoi pantaloni, svincolata dalla presa che fino ad allora l'aveva ingabbiata ma che aveva smesso di farlo, preferendo lasciarle una maggiore possibilità di movimento. «Ecco» esclamò soddisfatta, impugnando le trecentocinquanta sterline che aveva portato con sé per quell'incontro e sventolandole davanti al viso incredulo di Harry, che le guardava come se non sapesse nemmeno cosa fossero.
Lui si irrigidì al suo fianco, serrando le labbra. «Dove li hai presi?» Indagò a denti stretti, con il respiro che sembrava farsi più duro e ritmico nell’osservare il mucchio di soldi comparsi dal nulla.
«Che importa-»
«Dove li hai presi?» Ripeté Harry, alzando un po' la voce come a non ammettere alcuna discussione e piantando gli occhi in quelli blu e confusi di Emma. Cos'era quella reazione? Perché aveva l'impressione che fosse tutto sbagliato?
Il sorriso che le aveva decorato il volto di fierezza scomparve lentamente, lasciando il posto a qualcosa di indefinito ed in ogni caso di più cauto. «Mia madre li teneva da parte per il regalo di matrimonio di non so chi, ma non è brava a nasconderli» spiegò. Constance li aveva racimolati un po' per volta, riponendoli sul comò nella sua camera da letto, sotto un cofanetto: Emma se ne era ricordata mentre continuava a ripetere la somma che Harry doveva pagare per l'elettricità, così simile a quella che era facilmente accessibile a casa sua. Era stato semplice, per lei, pensare di prendere quei soldi e di donarli a lui in modo da trarlo via da quell'impiccio che non sapeva come gestire: davanti ai suoi genitori avrebbe mentito e negato di aver a che fare con quella misteriosa sparizione di soldi, perché in ogni caso non avrebbero potuto dubitare di lei. Avrebbero più facilmente creduto ad un abile ladro, ma non avrebbero mai incolpato la responsabile e diligente Melanie, la disinteressata Emma o l'infantile Fanny. E solo quando Harry li avesse accettati, risolvendo le cose nella sua famiglia, lei avrebbe pensato di rivelare la verità, in modo da tenere al sicuro quell'avventata soluzione. A quel punto avrebbe accettato l'inevitabile strigliata e magari l'interminabile punizione, ma erano prezzi che era disposta a pagare.
Harry non rispose, né smise di guardarla con la stessa espressione attonita sul viso.
«Sono trecentocinquanta sterline: le ho prese tutte perché non sapevo se la somma che mi avevi detto fosse arrotondata e te ne servissero di più» continuò lei allora, sperando di smuoverlo da quella stasi che nel profondo stava iniziando a spaventarla, come una nota che stride con le altre e alla quale se ne sommano sempre di più, insistenti.  «Puoi andare a pagare la tassa, così non ti toglieranno la corrente, e poi me li ridarai quando potrai. I miei genitori non sapr-»
«Ragazzina, che cazzo stai dicendo?» Furono le parole di Harry, masticate dalla rabbia che ormai era palese in ogni millimetro teso del suo volto.
Emma sbatté le palpebre e rimase in silenzio, scossa da quel tono e da tutto ciò che non riusciva a capire. Allora provò a parlare solo per mettere a tacere quelle note stridenti che si erano organizzate in un vero e proprio concerto. «So che preferiresti cavartela da solo, ma-»
Lui si alzò velocemente e si passò una mano tra i capelli con altrettanta tensione. «Ma che cazzo dici?» Ripeté, forse più a se stesso che a lei. E a quel punto nessuno dei due parlò oltre.
Forse ero lo stupore, quello che lo faceva reagire così. Forse era il suo orgoglio, che gli impediva di dimostrare quanto in realtà apprezzasse il suo gesto. Forse era la sua impulsività, che presto avrebbe lasciato il posto alla razionalità e l'avrebbe spinto a cogliere quell'occasione che avrebbe potuto aiutarlo.
«Harry?» Lo chiamò lei, seduta su quel gradino ancora più gelido senza di lui al suo fianco.
Harry si voltò nella sua direzione e mostrò le sue iridi incollerite che la fecero quasi rabbrividire. «Hai rubato dei soldi in casa tua per aiutare me?» Scandì con gli occhi sottili e la fronte corrugata.
Emma respirò piano, quasi cercando di non farsi sentire, ed annuì senza capire cosa aspettarsi.
«Cristo santo» esalò lui, scuotendo la testa ed affrettandosi a prendere una sigaretta dalla giacca per accenderla il più velocemente possibile. Ormai lo conosceva abbastanza bene da sapere che quel semplice gesto stava a significare l'aumento di nervosismo che gli avrebbe irrigidito le spalle e la voce.
«Perché fai così?» Chiese Emma, incapace di rimuginare oltre su quella dinamica inaspettata che non aveva affatto programmato. Le sembrava assurda.
«Come perché? Sei completamente impazzita?» Urlò Harry, gesticolando e facendo un passo verso di lei, mentre dalla sua bocca usciva ancora del fumo che aveva inspirato pochi istanti prima. «Mi sventoli in faccia i tuoi soldi, soldi che hai rubato! Per di più in casa tua! Che diavolo significa?»
Lei si alzò da terra e lo guardò dritto negli occhi, pronta a combattere. «Significa che voglio darti una mano, mi sembra ovvio!» Ribatté moderando la propria voce per non gridare. Non voleva litigare, ma solo ammansirlo e fargli capire che non c'era niente di male ad apprezzare un aiuto esterno, soprattutto se non ce n'erano altri. «Perché non puoi semplicemente accettarlo?»
«Stai scherzando, spero» la accusò lui. «Non è questo il punto, come fai a non capirlo?»
«No, come fai tu a non apprezzare alcun gesto o proposta che possa anche solo darti un piccolo aiuto!»
«Non iniziare con questa storia, non c'entra un cazzo» la ammonì puntandole un dito contro, mentre la sigaretta si consumava da sola tra le sue dita.
«C'entra, invece, perché altrimenti non ti arrabbieresti in questo modo e mi diresti almeno un grazie!»
«Dovrei ringraziarti per questo?» Chiese Harry incredulo, con le iridi che fremevano su di lei, quasi avessero potuto trasmetterle un messaggio ben più eloquente e d'impatto. «Non ti rendi conto di quello che hai fatto?! Hai quindici anni, ma iniziavo a pensare che fossi un po' più matura. A quanto pare mi sbagliavo di grosso» la accusò insensibile, mentre lei periva sotto quel colpo che la ferì prima nell'orgoglio e poi in qualcosa di più profondo, qualcosa che era quasi indissolubilmente legato a lui.
«Non smetterai mai di aggrapparti a questa scusa dell'età, vero? Evidentemente è molto più facile accusarmi di qualsiasi cosa tu mi stia accusando, anziché ammettere di essermi riconoscente per aver trovato una soluzione! Ho preso quei soldi, è vero, ma li ho presi per te! E tu questo nemmeno lo vedi!»
«Una soluzione?!» Sbottò Harry con il viso stravolto dall'ira. «Tu non hai trovato proprio un cazzo ed io non ti ho chiesto di farlo! Pensi davvero di avere il mondo nelle tue mani? Di poter rubare così dei soldi per offrirmeli senza problemi? Sei solo una bambina. Una bambina che pur di ottenere ciò che vuole se ne frega di tutto!»
Emma rimase in silenzio per degli istanti interminabili, con il respiro scosso dalla rabbia e dalla delusione per quelle parole immeritate che le lancinavano le membra. «Hai ragione, non avrei dovuto prenderli: a questo punto non te lo meriti» affermò con la voce dura, ma abbastanza tremolante da farla innervosire ancora di più con se stessa.
«Non ci provare. Non ribaltare le cose per farmi sembrare il cattivo della situazione» la mise in guardia Harry, gettando a terra la sigaretta che tanto non avrebbe fumato. «Sto cercando di farti capire che quello che hai fatto è sbagliato: non puoi rubare, non puoi rubare in casa tua e non puoi rubare per me. È tutto così assurdo che non capisco nemmeno come tu faccia a non accorgertene! Cristo, hai pensato a cosa voglia dire? A quali saranno le conseguenze?»
«Sì che ci ho pensato, ma sono anche disposta ad accettarle!» Sbottò Emma, risentita dal modo in cui lui la stava trattando. Le sembrava davvero di essere una bambina sgridata dal padre, ma sapeva di non esserlo: era lui a farla sentire così, lui con il suo costante atteggiamento di superiorità che la voleva a tutti i costi denigrare e far sentire piccola. Lui che non capiva che Emma aveva preso in considerazione tutti i pro e contro e, per quanto gli svantaggi fossero in maggioranza, non le era importato.
«Ma perché? Perché diavolo devi accettarle quando sono così insensate?!» Urlò Harry sempre più vicino a lei.
«Perché penso che ne valga la pena, ecco perché! Almeno questo riesci a capirlo?!»
Harry si ritrasse a quelle parole, come se ne fosse rimasto scottato, come se lo avessero in qualche modo disgustato e non avesse voluto farsi raggiungere dal loro suono. Ed Emma, che aveva la gola secca e le mani che fremevano, non sapeva più come gestire quel tumulto di emozioni che la investivano ad ondate sempre più alte ed energiche.
«Io l'ho fatto per te, per aiutarti. Non c'è nulla di sbagliato in questo» sussurrò pochi istanti dopo, con un tono apatico che era dettato da lei, dal suo tentativo di non mostrare ciò che stava provando.
Harry serrò la mascella, immobile. «Tu credi?» Domandò retorico. «Corri troppo, te l'ho già detto, ma questo supera davvero ogni limite. Non siamo ancora niente, siamo a malapena qualcosa, e tu rubi dei soldi per darli a me. Non funziona così, non è così che dovrebbe andare. E tu nemmeno te ne accorgi. Non puoi avere tutto, ragazzina. Non puoi ignorare tutto ciò che ti sta intorno solo per raggiungere i tuoi obbiettivi, non puoi pretendere che io accetti questi soldi e non puoi davvero sperare che ti appoggi in questa cosa».
Emma trattenne il fiato per qualche istante, stringendo le mani a pugno ed al loro interno quei soldi che iniziava ad odiare: ancora una volta Harry aveva criticato tutto ciò che lei era, tutto ciò che lei rappresentava e di cui andava fiera. L'aveva trattata alla stregua di una pulce che non si decide a fare la cosa giusta, brandendo uno scudo di durezza al quale lei non riusciva ad opporsi.
Non siamo ancora niente, siamo a malapena qualcosa.
In fondo aveva ragione, erano solo agli inizi, in cerca di qualcosa a cui aggrapparsi e su cui fondare un'eventuale relazione più stabile: eppure Emma ci teneva, a quel qualcosa. Per quanto piccolo e fragile, gli aveva conferito un'importanza che la spronava a metterci dentro tutta se stessa, perché non poteva farne a meno. Perché lui non lo vedeva? Perché continuava a sminuire tutto?
Era convinta che il prestito di quei soldi gli avrebbe fatto piacere, che lui avrebbe apprezzato i rischi ai quali si era esposta per prenderli, che l'avrebbe ringraziata. Invece l'aveva attaccata con delle parole che continuavano a colpirla anche se erano già state pronunciate, gettando del fango su ogni suo tentativo di ribellione.
Emma era così delusa da quella reazione, così ferita dal modo in cui Harry la dipingeva, che avrebbe voluto urlargli contro tutta la sua rabbia ed il suo rancore. Avrebbe voluto urlare così tanto e così a lungo, che finì per non fare niente.
Abbassò lo sguardo e strinse le labbra in una linea dura, come a sigillare dentro di sé ogni emozione, perché non si sarebbe permessa di mostrarsi debole, di mostrare a lui ciò che la stava turbando in un modo così profondo. Gli aveva già concesso troppo ed in troppe occasioni. Non gli avrebbe dato nemmeno uno straccio di soddisfazione nel vederla cadere sotto le sue critiche spietate. Il suo orgoglio e la sua dignità le avrebbero fatto da protettori incontrastati, da maschera impassibile e fiera.
Lentamente ripose i soldi nella tasca della sua giacca, con le mani che quasi bruciavano per l'agitazione, e solo allora riportò lo sguardo su Harry: la stava osservando immobile, in attesa di una qualunque parola. Probabilmente si aspettava delle suppliche o una sfuriata, tutto ciò che ci si aspetterebbe da un bambino capriccioso, ma Emma l'aveva avvertito più volte di non darla per scontata.
«Va bene» disse lei, alzando le spalle in segno di noncuranza. Era brava a nascondere quanto gli occhi di Harry la rendessero debole in quel momento. «Non accettare i miei soldi: mia madre ne farà di sicuro un uso migliore. E lascia stare anche me: in fondo mi sono già stancata di tutti questi drammi, di tutte queste discussioni. Ho quindici anni, come ti piace tanto ripetere: al posto di impegnarmi così tanto in qualcosa dovrei divertirmi e, sinceramente, ho davvero intenzione di farlo» concluse. Il viso plasmato da un'espressione promettente che però Emma non riusciva a controllare: stava mentendo spudoratamente, perché lei avrebbe voluto divertirsi solo con Harry e avrebbe voluto risolvere i suoi problemi uno alla volta, ma doveva proteggersi, e l'unico modo per farlo era mascherare tutto dietro una bugia.
Harry distolse per un attimo lo sguardo accennando una risata incredula. «Queste provocazioni con me non funzionano» esclamò. Aveva già capito quanto le parole che gli erano state rivolte fossero frutto di un calcolo ben studiato, ma non poteva averne la certezza, quindi Emma era decisa a far leva su quella probabilità che lui non avrebbe potuto confutare del tutto.
«Non funzionano perché sei così presuntuoso da non accettare il fatto che potrebbero anche non essere delle semplici provocazioni» ribatté lei decisa, traendo dei barlumi di forza dal pensiero di potersene andare da lì a poco, di potersi allontanare da quel corpo che continuava ad attrarla. «Ma in fondo cosa importa?» Aggiunse subito, inclinando le labbra in un mezzo sorriso. «Tu non vuoi una come me. Ed io voglio troppo bene a me stessa per volere uno come te».
Uno che non mi apprezza.
Uno che non mi capisce.
Uno che riesce a farmi male.
Si voltò subito dopo per essere libera dai suoi occhi su di sé, per poter tornare a respirare senza sentirsi oppressa. Non si aspettava che Harry la richiamasse e stranamente nemmeno lo sperava, perché aveva davvero solo bisogno di andare via e di rimanere sola.
Fece bene a non illudersi, perché neanche una misera parola lasciò la bocca di Harry per raggiungerla, anche se le sembrò di cogliere un respiro sommesso.
 
Quando tornò a casa, dopo aver girovagato per la città per un paio d'ore, sua madre Constance era in salotto con Fanny: sedute sul tappeto di fronte al divano, svolgevano i compiti della piccola.
«Hey» la salutò Constance, mentre Emma si toglieva la giacca senza incrociare il suo sguardo.
«Emma» la richiamò ancora con un tono di mezzo rimprovero, non avendo ricevuto alcuna risposta.
«Ciao, mamma» sbuffò allora lei, lasciando le Converse di fianco alla porta. La sua voce era ridotta ad un sussurro stanco, apatico.
«Ma questo non lo so fare!» Si lamentò all'improvviso Fanny, gettando la matita sul libro ed imbronciandosi con le braccia incrociate al petto. Mentre Constance cercava di convincerla ad andare avanti, con la promessa di un dolce speciale per cena, Melanie uscì dalla cucina canticchiando qualcosa: le labbra increspate in un sorriso continuo e la vaschetta di gelato all'amarena sotto al braccio. Emma si irrigidì nel vedere davanti a sé un grado di felicità di cui non poteva più vantarsi.
«Mel, tra poco si cena: non mangiarne troppo!» Esclamò Constance, portandosi una ciocca di capelli biondo grano dietro l'orecchio. E mentre Fanny protestava - "A me non lo fai mai mangiare il gelato a quest'ora!" - lei si voltò verso Emma, in piedi nel bel mezzo del salotto. «È quasi inquietante per quanto è felice: chissà cosa le è successo» commentò. Nella voce, c'era già la promessa di andarsi ad informare.
Emma sospirò piano e si risvegliò insieme al nervosismo che la teneva in ostaggio. «Certo, dopo la visita di Zayn...» Bofonchiò avviandosi verso le scale. Di nuovo una sensazione di disagio la invase al pensiero della differenza tra il pomeriggio che aveva trascorso - gli occhi colmi di rimprovero di Harry - e quello che invece aveva rallegrato Melanie. E non era gelosia, né senso di ingiustizia. No.
Quando Constance spalancò le iridi azzurre in segno di stupore, boccheggiando qualcosa, Emma si morse la lingua e per un attimo si fermò in punta di piedi. I loro genitori non vedevano di buon occhio Zayn, perché anche loro erano venuti a sapere della sua reputazione - non riusciva ancora a capire come - e si erano persino premurati di rimproverare Melanie, sconsigliandole di uscire con una persona del genere. Ovviamente l'idea che un ragazzo privo di fiducia fosse entrato in casa e che Melanie stesse continuando a vederlo doveva aver scombussolato Constance.
Emma sentì un brivido di senso di colpa, per aver spiattellato quell'informazione che sarebbe dovuta rimanere segreta, ma se ne sbarazzò subito.
Gli occhi di Harry.

 





 


Buooooongiorno!
Sorpresa (?) ahahha Non riuscivo più a tenere questo capitolo nel pc, quindi ho pensato che a voi non sarebbe di certo dispiaciuto leggerlo un giorno in anticipo :)
Spero che almeno ne sia valsa la pena hahahah
Allora, allora, allora, ci sono un po' di cosette da dire:
1) finalmente è entrato in scena Zayn!! Spero di avervi fatto sorridere con il loro incontro, soprattutto per il comportamento protettivo di Emma (io mi sono divertita un sacco a scrivere di loro ed è stato piacevole intrufolarsi di nuovo nella mente di quello Zayn!)! Chi ha letto "It feels..." forse può interpretare meglio il comportamento di entrambi, ma in ogni caso fatemi sapere cosa ve ne è parso :) Avviso le altre lettrici, invece, di non sottovalutare l'importanza del personaggio di Zayn, anche se per ora è stato solo nominato un paio di volte! Vedrete che condizionerà un po' di cosette!
2) Emma crede di aver trovato la soluzione ai problemi di Harry, ma le cose non vanno come lei aveva previsto! Secondo voi? Sono consapevole che il suo gesto sia stato un po' estremo e sprovveduto, ma Emma è proprio questo: è un estremo di tutto, di qualsiasi cosa provi e pensi, ed evidentemente ad Harry questa cosa non va molto giù. Vorrei lasciare a voi qualsiasi commento, per vedere come interpretate ciò che è successo! Anche qui, chi ha letto "It feels..." forse riesce ad orientarsi meglio, ma vi assicuro che tutto ciò che passa per la testa di Harry verrà svelato :) Riguardo ad Emma, si è beccata l'ennesima batosta, l'ennesima critica e l'ennesimo rifiuto!
3) nell'ultima parte c'è un particolare che non è da sottovalutare (again, lettrici di "It feels..." voi ne sapete di più ahahah spero che il retroscena di tutta questa storia vi sia più chiaro adesso, soprattutto le azioni di Emma :))
Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto!! E aspetto le vostre opinioni, perché sono curiosissima :)

Come sempre, vi ringrazio per tutto quello che fate e dite per me! Sono davvero felice che la storia sia seguita da così tante persone e che così tante persone ci tengano a farmi sapere il loro parere :)
Ah, nel prossimo capitolo ci sarà il tanto atteso pov Harry :))))

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Un bacione,
Vero.

One shot :)
"Phantom limb"
    
  

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette - Finally ***




 

Capitolo diciassette - Finally
 

 

Emma avrebbe volentieri fatto a meno di andare a scuola o di avere a che fare con qualsiasi essere umano al di fuori di se stessa, ma quando aveva provato a proporre alla madre di rimanere a casa, la risposta stizzita che aveva ricevuto le aveva sconsigliato di farlo.
Così si era preparata lentamente come a ritardare il più possibile il momento di uscire: la stessa lentezza la stava accompagnando anche durante la colazione e ne era testimone la tazza di latte ancora illibata, con i cereali a galleggiarci dentro.
Seduta al tavolo in cucina, volse distrattamente lo sguardo verso la sua famiglia - tutto, pur di non pensare. Il padre, a capotavola, stava leggendo uno dei suoi soliti giornali, che non mancavano mai di farlo innervosire per qualcosa. Melanie, dall'altra parte del tavolo, sembrava più addormentata di lei, dato il modo in cui continuava a mescolare i suoi cereali con movimenti annoiati e mancanti di vitalità. E Fanny, al suo fianco, stava bevendo direttamente dalla tazza.
«Fa' piano, o ti macchi la maglia e mamma ti uccide» la ammonì infatti, per niente pronta ad affrontare la quotidiana scena nella quale Constance si infuriava per la disattenzione della figlia.
Fu proprio Constance a risvegliare la famiglia da quel torpore, quando arrivò in cucina con spassi svelti e decisi, privi di qualsiasi armonia con l'atmosfera placida della stanza. «Avete preso voi i soldi sul comò?» Chiese agitata, ancora stretta nell'accappatoio color panna. I capelli sciolti sulle spalle e un po' disordinati.
Emma trattenne il fiato, ma si impose di non lasciar trasparire nemmeno un'emozione: non pensava se ne sarebbe accorta così velocemente, dopo nemmeno un giorno esatto.
«Quali soldi?» Domandò Melanie sbadigliando. Improvvisamente anche Emma avrebbe voluto essere ignara di tutto, al posto di dover sopportare il peso delle proprie menzogne e di un gesto sprovveduto.
«Quelli che teniamo sotto il cofanetto» spiegò Constance in trepidante attesa. «Devo andare a comprare il regalo per il matrimonio di mia cugina Ester, ma non ci sono. Qualcuno di voi li ha toccati?» Insistette, provocando un'altra stretta intorno allo stomaco di Emma. Rimanere in silenzio le sembrava la cosa migliore da fare, anche se temeva che non ci sarebbe riuscita.
«Sai che te lo avrei detto. Controlla meglio» la rassicurò Ron, con la sua voce ferma e responsabile. Gli occhiali da vista gli pendevano ancora sulla punta del naso e la sua espressione non sembrava molto preoccupata: per quanto ancora sarebbe stato così?
«Ho già controllato, Ron» affermò la moglie in tono scocciato per quel consiglio inutile. «Non ci sono».
«È impossibile» rifletté lui, corrugando la fronte e passandosi una mano tra i capelli folti.
«Melanie, Emma, li avete presi voi?» Domandò allora Constance avvicinandosi al tavolo. Emma per poco non spalancò gli occhi, ma si raddrizzò lentamente sulla sedia e si sforzò di mantenere la calma: era senso di colpa quello che sentiva. Senso di colpa per aver fatto qualcosa contro la propria famiglia e per qualcuno che non l'aveva nemmeno apprezzato.
«No. Magari è stata Fanny, per gioco» esclamò impulsivamente, mentre Melanie scuoteva la testa per discolparsi stringendosi nelle spalle. Aveva appena incolpato sua sorella minore di qualcosa che non le sarebbe nemmeno passato per la testa e per un attimo si maledisse per quel colpo basso.
«Fanny nemmeno ci arriva, al comò» commentò la madre, sospirando forse per la stanchezza. «Ve lo chiedo per l'ultima volta, non è uno scherzo: c'erano trecentocinquanta sterline, sotto quel cofanetto. Dove sono finite?»
Emma strinse così forte i pugni che arrivò persino a farsi male, ma per fortuna erano sulle sue gambe, sotto il tavolo ed al riparo da tutti. Avrebbe dovuto dire subito la verità? Non poteva farlo. Voleva aspettare ancora un po', essere sicura che Harry non cambiasse idea e decidesse di accettarli: sapeva di essere patetica nello sperare qualcosa del genere, ma se il danno era fatto, doveva almeno essere sfruttato fino in fondo.
«Mamma, non ne ho idea» rispose Melanie, con tutta la sincerità che le sue iridi chiare potevano esprimere. Probabilmente la sua sensibilità la stava facendo sentire offesa per le accuse della madre.
«Se qualcuno li ha presi deve solo dirlo. Quei soldi non vengono mai spostati da lì: io e vostra madre parliamo di ogni sterlina che togliamo da quel gruzzoletto e, fino a prova contraria, nessun ladro è entrato in casa nostra. Avanti, chi è stato?» Esordì Ron, posando il quotidiano sul tavolo e togliendosi gli occhiali. Ormai era chiaro che la sua imperscrutabilità fosse stata incrinata da un sospetto ben più grave, mentre i suoi occhi attenti vagavano sulle figlie.
Emma ospitava dentro di sé un vero e proprio tumulto di istinti contrastanti. Si guardò intorno e si inumidì le labbra per quel silenzio carico di tensione: Constance, con le mani sui fianchi ed il viso contratto in un'espressione quasi dispiaciuta, stava osservando la sua primogenita.
«Melanie…» esclamò infatti dopo qualche secondo avvicinandosi a lei, che era stupita dall'essere stata interpellata in tono così sospettoso.
«Che c'è?» Chiese lei, intimorita. «Non... Non penserete che li abbia presi io?»
Eccola lì, la sua innocenza: offerta su un piatto d'argento ed indiscutibile.
«Che ti prende, Constance?» Domandò Ron, altrettanto allarmato. Ed eccola lì, l'altra conferma. Nessuno avrebbe mai dubitato di Melanie, perché semplicemente lei non avrebbe mai compiuto un gesto del genere. Era un dato di fatto, qualcosa su cui non si poteva nemmeno discutere. Emma non sapeva come sentirsi a riguardo, se fiera di avere una sorella così oppure solo sminuita per lo stesso motivo.
Constance ignorò la domanda del marito e tornò a concentrarsi sulla figlia maggiore. «Mel, ieri Zayn è venuto qui, vero?» Indagò inaspettatamente a bassa voce, come a non voler osare troppo.
Melanie spalancò gli occhi e boccheggiò qualcosa, mentre Emma tratteneva di nuovo il fiato ed iniziava a capire cosa stava succedendo.
«Come...?» Sussurrò Melanie, cercando di comprendere.
«Me l'ha detto tua sorella» spiegò la madre senza riserve. E la diretta interessata, che stava ancora stringendo i pugni sotto al tavolo, indurì lo sguardo solo per resistere alle sensazioni che provava: Constance stava dando la colpa a Zayn, data la sua reputazione e data la scarsa fiducia che tutti riponevano in lui, loro più di chiunque altro. Quell'informazione che Emma si era lasciata scappare il pomeriggio precedente, riguardo la sua visita a casa Clarke, si stava premurando di proteggerla da un suo sbaglio. Eppure perché non ne era sollevata? Aveva l'opportunità di passarla liscia, ma non le dava la soddisfazione che avrebbe dovuto. Forse era l'espressione irata e ferita della sorella a condizionarla. Forse la consapevolezza di aver insinuato nella sua relazione un problema inaspettato e pericoloso.
«Melanie, è la verità? Pensavo di esser stato chiaro riguardo quel ragazzo» intervenne Ron: evidentemente la moglie non gli aveva rivelato nulla della sua piccola disubbidienza. Il padre si stava innervosendo: non solo erano spariti dei soldi in casa sua, ma c'era anche la possibilità che a prenderli fosse stato un ragazzo che lui aveva disprezzato e cercato di allontanare da sua figlia sin da subito.
«Emma, sei...» iniziò Melanie, storcendo il volto in un'espressione di disgusto: non avrebbe mai creduto alla non intenzionalità delle parole di Emma, quelle che avevano profanato il suo piccolo segreto. Questa sostenne il suo sguardo, mentre dentro di sé sussurrava: "Lo so".
«Lascia stare tua sorella, ora» intervenne Constance con fermezza. «È stato qui, giusto?»
«Sì, ma-»
«Allora non mi stupisce che siano spariti dei soldi!» Borbottò Ron, alzandosi in piedi di scatto e facendo raschiare la sedia sul pavimento. Emma era paralizzata, bloccata dalle due alternative che la tormentavano: avrebbe potuto dire la verità, assumendosi la colpa e ponendo fine a quella storia e alla sofferenza di sua sorella, o avrebbe potuto stare in silenzio, dando ancora una possibilità ad Harry. Ma le priorità le avevano sempre dato del filo da torcere: sapeva che Melanie avrebbe superato anche quel problema, dato che era riuscita ad accettare il passato tormentato di Zayn e soprattutto data la reale innocenza del suo ragazzo. Harry, invece? Cos'avrebbe fatto senza quei soldi?
«State davvero insinuando che sia stato lui?» Domandò Melanie indignata ed incredula.
«E perché non dovremmo? Ti ricordo che non lo precede una bella fama e tu hai anche il coraggio di portarlo in casa nostra di nascosto! Ovvio che i soldi siano scomparsi senza bisogno di un furto in grande stile, quando ci pensa già nostra figlia, a facilitare l'impresa di un ladruncolo da quattro soldi!» Il tono di voce di Ron si alzava sempre di più.
«Smettila di parlarne come se fosse la feccia di questa terra!» Sbottò Melanie in un tentativo disperato di proteggere ciò a cui teneva. Le parole successive, invece, riflettevano i suoi sforzi di allontanare da sé la possibilità che quelle accuse fossero vere. «Non lo conosci, non sai niente di lui! E non siete nemmeno sicuri che quei soldi siano davvero scomparsi! Potreste averli spostati e magari esservene dimen-»
«Smettila tu, di alzare la voce con noi! Non ti permetto di difendere un ragazzo qualunque rispetto alla tua famiglia! Guarda in faccia l'evidenza una volta tanto!» Gridò il padre, sbattendo una mano sul tavolo per la rabbia e provocando le prime lacrime di Fanny, sensibile a quelle urla e alla tensione.
«Mel, non pensare che a noi faccia piacere ipotizzare una cosa del genere» intervenne Constance, con calma. «Però le cose stanno così: due giorni fa i soldi c'erano. Li ho messi io stessa sotto quel cofanetto. Non abbiamo avuto ospiti da allora, se non quel ragazzo, e non ci sono segni di scasso sulle porte: come puoi non avere il dubbio che sia stato lui? Magari quando si è assentato per andare in bagno o quando l'hai fatto tu. Non ci vuole molto per entrare in una stanza e frugare dappertutto».
Emma deglutì in attesa di una qualunque risposta, mentre sua sorella spostava lo sguardo perso nella tazza davanti a sé e rimaneva in silenzio per istanti interminabili: era evidente che stesse ospitando una vera e propria guerra dietro quegli occhi spaventati e rovinati dal sospetto. E lei si sentiva terribilmente colpevole, ma non riusciva ad aprire bocca: non ci riusciva perché aveva paura e perché, inaspettatamente, non voleva che quelle stesse iridi la guardassero con disprezzo.
Incapace di sopportare oltre quella vista e soprattutto se stessa, Emma si alzò lentamente dalla sedia e prese in braccio Fanny, ancora in lacrime. Doveva allontanarsi il più in fretta possibile.
Con la mascella serrata accarezzò i capelli della sorella minore cercando di tranquillizzarla, mentre la accompagnava in camera sua. Non voleva sentire le parole provenienti dal piano inferiore, nonostante le fosse inevitabile a causa dell'enfasi con la quale venivano pronunciate, quindi cercava di coprirle con una canzoncina abbozzata a labbra chiuse che sapeva essere la preferita di Fanny.
Quando si sedette sul letto, con la piccola tra le sue braccia che si strofinava le guance per asciugarle, e quando sentì la porta di casa sbattere rumorosamente, chiuse gli occhi e pregò che nessuno si accorgesse delle discrete lacrime che le stavano bagnando le ciglia. Così diverse da quelle ingenue della sorella, ma altrettanto irrefrenabili e dolorose.
Dovevano essere quelle le conseguenze delle quali Harry parlava, le conseguenze che lei aveva implicitamente accettato senza rendersi conto del loro peso.
Doveva essere quella la bambina che lui continuava a vedere in lei. La bambina che ne stava consolando un'altra, ma forse solo per consolare se stessa.
 
Harry stava ancora passeggiando distrattamente nei corridoi quasi vuoti della Lincoln High School, quando il cellulare nella sua tasca prese a vibrare placidamente: sospirò e si chiese se fosse proprio necessario dover prestare attenzione a chiunque lo stesse chiamando alle otto del mattino. Poi la curiosità lo guidò nei movimenti: avrebbe dato una sbirciata, solo per vedere se...
Sullo schermo, però, compariva un nome che non somigliava per niente a quello di Emma. Un pizzico di delusione gli fece inarcare le sopracciglia, prima di essere rimpiazzato dal sollievo e da chissà quale altra emozione, decisamente fastidiosa ad un orario per lui così assurdo.
Decise di accettare la chiamata, comunque; lo interessava più di quanto avrebbe mai pensato.
«Zayn, amico» rispose, portandosi il telefono all'orecchio ed inclinando le labbra in un sorriso impaziente. L'aveva colto di sorpresa, doveva ammetterlo.
«Esci, subito. Ti aspetto nel cortile sul retro» furono le sole parole che ricevette in risposta, prima di udire il suono che annunciava la precoce fine di quella chiamata. Harry restò immobile ancora per qualche istante, mentre analizzava attentamente ciò che stava succedendo: se conosceva abbastanza bene Zayn - e lo conosceva molto bene - sapeva anche che quel suo tono di voce basso e trattenuto non preannunciava niente di buono.
«Finalmente» sussurrò tra sé e sé con un sorriso indecifrabile sul volto. Ripose il telefono nella tasca e si aggiustò il maglioncino bianco, passandosi una mano tra i capelli mentre camminava lentamente verso il cortile sul retro.
 
La porta anti-panico che dava su quello sprazzo di prato verde si chiuse dietro di lui con un tonfo secco. Harry assottigliò gli occhi guardandosi attentamente intorno, mentre il vento placido gli colpiva la pelle scoperta: Zayn era ad un paio di metri da lui, con il viso cupo ed irato come l'aveva visto poche volte in tutti quegli anni. Aveva interrotto il suo fare avanti e indietro solo per guardarlo con un'espressione nervosa, quasi a volerlo colpire senza nemmeno muoversi. I pugni chiusi e le nocche bianche suggerivano una tensione che probabilmente gli stava smorzando anche il respiro, così come le labbra serrate in una linea rigida.
Quello che Harry non si era aspettato, però, era che dietro la figura del suo vecchio amico se ne nascondesse un'altra ben più indifesa: Melanie Clarke gli si era infatti avvicinata come ad ottenere una protezione, data la sua infinita fragilità che nascondeva una forza della quale raramente si accorgeva - bastava pensare all'imperturbabile decisione con la quale si era fidata delle parole di Zayn ed aveva disdegnato quelle di tutti gli altri. Le sue iridi azzurre e confuse lo osservavano alla disperata ricerca di una spiegazione, che però non gli avrebbe mai chiesto direttamente. I capelli bruni si muovevano piano a seconda dei soffi di vento gentile, mentre la sua figura quasi tremava per il freddo mentre si stringeva nella sua giacca. Aveva un'espressione sconvolta.
«Guarda un po' chi abbiamo qui!» Esclamò Harry, avvicinandosi agli altri due con le braccia aperte ed un sorriso divertito sul volto. Era impaziente di sbarazzarsi di quel peso, di sentire qualsiasi cosa Zayn avesse da dire, persino di urlare in risposta. Voleva solo mettere fine a quella storia e sperava con tutto se stesso di riuscire a provocarlo abbastanza da ricevere la reazione sperata.
«È un piacere rivederti, piccola Melanie» salutò la ragazza, guardandola con un sopracciglio alzato ed usando l'appellativo che lo deliziava per il modo in cui la faceva sentire in imbarazzo, colorandole le guance di un rosso esitante. Lei spostò lo sguardo sui pugni chiusi di Zayn, ancora in silenzio, come a volersi sottrarre al divertimento che inconsapevolmente gli stava procurando: non che ad Harry piacesse tormentarla, anzi, era solo il suo modo di rapportarsi con lei e con la sua ostinazione. Ormai conosceva bene la caparbietà della famiglia Clarke: Melanie, seppur così diversa dalla sorella, era fornita della stessa quantità di determinazione, nonostante ne usufruisse in modo diverso e ben più calibrato.
Emma, invece.... Lei, semplicemente, lo faceva impazzire.
Fu Zayn a strapparlo da quel pensiero. «Cosa le hai detto?» Gli domandò esigente, con il volto tirato dal nervosismo, dalla rabbia.
Harry era pronto a fare tutto il necessario per accendere la miccia che avrebbe fatto esplodere il ragazzo che gli stava di fronte. Per questo si armò della sua sfrontatezza e finse un'espressione oltraggiata, scuotendo la testa. «Non so di cosa tu stia parlando» esclamò. Ovviamente stava mentendo, perché di sicuro la piccola Melanie gli aveva raccontato delle sue provocazioni, del suo metterla in guardia: non che avesse superato il limite di decenza, ma si era divertito ad insinuare in lei il dubbio che tutte le voci su Zayn fossero vere, dato che il diretto interessato non voleva rivelare nulla a riguardo e che lei si ostinava a crederlo innocente. Gli era persino dispiaciuto specchiarsi in quegli occhi azzurri per un attimo spaesati, privati della loro fiducia in chi probabilmente aveva tentato in tutti i modi di guadagnarsela, ma aveva dovuto farlo. Per se stesso. Per Melanie. E per quello stupido di Zayn.
«Non fare il coglione» lo ammonì quest'ultimo, avvicinandosi a lui velocemente. «Rispondimi» gli ordinò.
Harry notò un passo avanti da parte di Melanie, che probabilmente stava presagendo qualcosa di non positivo, e sorrise di nuovo. «Avanti, amico...»
«Che cazzo le hai detto?!» Sbottò Zayn, lanciandosi contro di lui ed afferrandolo per il maglioncino per farlo indietreggiare, facendogli sbattere la schiena contro il muro. Aveva il suo volto così vicino da poter percepire il suo respiro accelerato: poteva immaginare il tumulto che gli stava percuotendo il corpo teso, ma era troppo soddisfatto ed impaziente per togliersi quell'espressione beffarda dal viso. Harry voleva che Zayn reagisse, a costo di sporcare il maglioncino contro la parete o di avere qualche graffio sulle scapole.
«La verità» rispose poi lentamente nell'ennesima provocazione, chiudendo le proprie mani su quelle di Zayn e spostando per un attimo lo sguardo su Melanie, che li stava osservando esterrefatta e senza fiato. Chissà se almeno lei stava carpendo qualcosa dai suoi occhi, quel sollievo che gli invadeva ogni cellula, o se li stesse solo fraintendendo come al suo solito.
Harry percepì prima il pugno di Zayn colpire il suo occhio sinistro, con una forza che lo stordiva ma che lasciava trasparire una lieve esitazione, poi sentì l'urlo spaventato di Melanie. Non reagì, perché in fondo se lo meritava e perché se lo meritava anche quello che lo divertiva chiamare aggressore.
Zayn sembrò cercarla, quella reazione, infatti lo sbatté di nuovo contro il muro, inasprendo lo sguardo. «Sei solo un pezzo di merda» sibilò a denti stretti. «Potrei dire cose su di te che farebbero crollare tutto quello che ti sei costruito intorno con tanto impegno» lo minacciò avvicinandosi al suo viso. Si stava riferendo alla sua vita, a quella che aveva cercato di costruirsi dopo ciò che li aveva divisi e che Zayn stesso gli aveva concesso, senza rendersi conto di come la stesse manomettendo inconsapevolmente.
Harry inclinò di nuovo le labbra in un mezzo sorriso, perché percepiva sempre più vicina la risoluzione di tutta quella storia: era quasi fiero di Zayn, nonostante sentisse l'occhio pulsare di dolore per il colpo di poco prima. Possibile che bastasse fare leva sulla ragazza che tanto amava, per portarlo a sbraitare mentre lo teneva appeso contro il muro? Non aveva mai reagito a tutte le provocazioni dirette a lui, mentre Melanie si era rivelata un punto debole facilmente raggiungibile. Come sempre si obbligava a mettere se stesso in secondo piano, se non all'ultimo, e questo era stato la sua piccola condanna.
«Ma non lo farai mai, non è vero?» Domandò Harry, già sicuro della risposta. «Non ne avresti le palle» sputò tra i denti, assottigliando gli occhi in un chiaro intento provocatorio con il quale si prefissava di portare Zayn al culmine.
E ci riuscì.
Sordo alle preghiere di Melanie di fermarsi, Zayn iniziò a colpire il viso di Harry con tutta la frustrazione e la rabbia che aveva represso per tutto quel tempo. Le sue nocche continuavano a battere furiosamente contro il suo zigomo, la sua bocca, l'arcata sopraccigliare. Harry non si opponeva al dolore che gli veniva inferto, perché non voleva e non doveva: quello era solo ciò che si meritava per una decisione che aveva cambiato tutto. Era ciò che Zayn meritava per lo stesso motivo.
Harry iniziò a pensare che quella serie di colpi non sarebbe finita presto, mentre si accasciava a terra con il respiro mozzato in gola e la percezione di ciò che gli stava intorno che diveniva sempre più confusa e fuori dal suo lucido controllo. Nonostante Melanie si fosse letteralmente aggrappata alle spalle del suo ragazzo per farlo smettere - mossa dalla compassione che la caratterizzava - lui non accennava a darle ascolto.
Poi, all'improvviso, Harry si ritrovò ad aspettare inutilmente l'ennesimo pugno, con gli occhi chiusi ed il cuore a colpirgli la cassa toracica come se anche lui fosse stato arruolato in quella lotta contro il suo proprietario. Ma Zayn, con la mano sollevata sul suo viso, si limitava a respirare affannosamente e a guardarlo con gli occhi iniettati di ira palpabile. «Non ne vale nemmeno la pena» sussurrò con disgusto prima di alzarsi in malo modo dal corpo stanco di Harry, che si portò una mano alla mandibola macchiata da un rivolo di sangue.
Zayn prese ad allontanarsi a passi svelti, quasi cercando di impedire a se stesso di tornare indietro e di continuare ciò che si era imposto di non finire, ma Harry non voleva che se ne andasse, perché non si sarebbe lasciato scappare un'occasione come quella. Cercò di rialzarsi tenendosi al muro con una mano e barcollando sulle gambe instabili, sputando della saliva di sangue poco lontano e tossendo dolorosamente. «Stai scappando di nuovo!» Urlò con il fiato che ancora riusciva a raccogliere.
Quelle parole sconvolsero Zayn, proprio come aveva immaginato, e lo costrinsero a tornare indietro, mentre Melanie gli si piazzava davanti per ostacolarlo. «Chiudi quel cesso di bocca!» Gridò esasperato, trattenendosi dal dire troppo. «Tu mi devi tutto! Ogni giorno che stai vivendo, ogni passo che fai all'aria aperta!» Continuò, in un'accusa che faceva male ma che era vera.
Finalmente, si trovò di nuovo a pensare Harry. Finalmente gliel'aveva rinfacciato, finalmente aveva mostrato quanto in fondo lo considerasse in debito con lui. E cazzo se ce ne aveva messo, di tempo. Di nuovo si sentì attraversare dalla sensazione di sollievo che precede ciò che più si agogna e le sue labbra si incresparono in un sorriso beffardo un po' malconcio.
«Che aspetti a riprenderti tutto, allora?» Gli domandò Harry, pronto a ricevere una risposta che gli avrebbe dato della soddisfazione. Avrebbe preferito pregarlo di farlo una volta per tutte, di liberarlo da quel peso che si portava costantemente dietro e del quale non riusciva a sbarazzarsi da solo, ma non ne sarebbe stato in grado. «Forse non ne sei capace?»
Fu Melanie a schermare il tentativo di Zayn di raggiungerlo e colpirlo ancora, perché si strinse al suo corpo con tutta la forza che possedeva: Harry sapeva che non lo stava facendo per proteggere lui, ma per proteggere il ragazzo che amava dai suoi stessi gesti. Perché in fondo ne era sicuro: quegli occhi limpidi non potevano che provare amore.
«Sei solo patetico» mormorò Zayn con il viso teso, quasi ignorando le esili braccia che lo stavano trattenendo. «Prima o poi qualcuno ti toglierà quel sorrisetto di merda dalla faccia. Ed io non ci sarò» aggiunse.
«Non esserci è la tua specialità» continuò Harry, sicuro che quella semplice frase avrebbe smosso la situazione. Era un'accusa che gli scaturiva dal profondo, ma era allo stesso tempo una mera provocazione.
Provocazione che Zayn non gradì, perché di nuovo cercò di muoversi e di sfogarsi su di lui, anche se, di nuovo, Melanie lo spinse a non farlo.
L'attimo dopo Harry sentì le gambe tremare sotto di sé per il sangue che gli pulsava insistentemente nelle tempie, mentre guardava gli altri due allontanarsi. Zayn quasi correva per raggiungere l'uscita della scuola, mentre Melanie lo faceva sul serio, ma per raggiungere lui.
Forse li sentì urlare e litigare, ma non riuscì comunque a capire le loro parole né gli sarebbe interessato farlo. Era più impegnato a stringere le palpebre per sentire meno dolore.
 
Quando aprì la porta di casa, Harry trovò suo padre seduto sul divano, con la televisione sintonizzata su quello che sembrava un programma culinario. Lasciò lo zaino a terra e si tolse le scarpe, poi espirò piano e si avviò verso la cucina.
«Harry...» Lo chiamò suo padre, con la voce profonda e stupita di chi non vuole osare troppo. «Sono solo le nove, perché sei già a casa?» Domandò. In fondo era pur sempre Adam Styles, fonte del suo patrimonio genetico e di conseguenza detentore del diritto di impicciarsi della sua vita.
«Non avevo voglia di stare chiuso in quella scuola» rispose Harry senza voltarsi a guardarlo, ma rimanendo scalzo nel bel mezzo del salotto. Non voleva mostrargli il viso gonfio per i pugni di Zayn, né le labbra spaccate. Non voleva dover rispondere ad ulteriori domande, ma, soprattutto, non voleva farlo preoccupare. «E risparmiami la paternale» lo anticipò.
Adam sospirò sconfitto, ancora seduto sul divano. Poteva già immaginare i suoi occhi bruni e stanchi abbassati ai suoi piedi, i capelli brizzolati e radi sulle tempie resi più disordinati da quel gesto con la mano che aveva ereditato. Non sapeva se aspettare ancora qualcosa oppure no: si sentiva esausto.
«Harry, vorrei solo...» riprese il padre, probabilmente mordendosi un labbro e torcendosi le mani ruvide come al suo solito. «Grazie» sussurrò qualche istante dopo.
I pugni di Zayn si facevano ancora sentire, ma quella sola parola l'aveva sconvolto mille volte di più, facendo sembrare tutto il resto un sottofondo lontano e sbiadito.
«Grazie per aver chiesto quei soldi a Ty. Io... Io uscirò oggi stesso e cercherò un altro lavoro. E non ti nasconderò più nulla, perché... Perché ormai sei un uomo e non hai più bisogno di essere protetto, non in questo modo almeno».
Harry deglutì a vuoto e strinse i pugni. Si chiedeva se quei buoni propositi sarebbero stati perseguiti, visto che l'ultima volta che erano stati resi palesi non avevano portato ad alcun cambiamento. Si chiedeva anche quando sarebbe riuscito a perdonarlo del tutto, dopo esser stato costretto a rivivere un vecchio momento della sua vita del quale Zayn era una vivida rappresentanza.
«Non devi ringraziarmi» disse soltanto. Percepiva ancora l'imbarazzo provato nel chiedere a Ty trecento sterline, cosa che il suo orgoglio non era pronto ad accettare: l'aveva fatto prima che Emma gli offrisse quell'assurda via di uscita, prima che lo trascinasse senza esitazioni in un passato che avrebbe voluto dimenticare. Era stata lei, con la sua infantile caparbietà, a convincerlo a fare quella richiesta: gli aveva confermato che non si trattava di una mera elemosina, ma di un ultimo tentativo di salvare la situazione, e lui aveva provato a fidarsi, perché era l'unica possibilità che gli rimaneva. Quella ragazzina non si rendeva nemmeno conto di ciò che faceva, di ciò che provocava con ogni sua parola.
«Non smetterò di farlo, invece. Né smetterò di scusarmi per tutto questo» continuò Adam, imperterrito.
Harry abbassò le palpebre e trattenne un sospiro, prima di allontanarsi lentamente.
 
Un nuovo messaggio: ore 18.49
Da: Ragazzina
"Perché Zayn ti ha picchiato? Come stai?"
 
Un nuovo messaggio: ore 21.14
Da: Ragazzina
"Harry"
 
Un nuovo messaggio: ore 00.01
Da: Ragazzina
"Sul serio non hai intenzione di rispondere? Adesso chi è il bambino, tra di noi?"
 
Harry strinse il telefono nel palmo della sua mano, mentre con l'altra si aggrappava alla bottiglia di birra che, nel buio della sua stanza, riverberava cautamente la luce dei lampioni che si intrufolava dalla finestra.
Seduto sulla sedia della scrivania, teneva le gambe tese in avanti ed i piedi incrociati sul davanzale, accanto al posacenere ricolmo di mozziconi più o meno spenti. Il viso tumefatto era rischiarato dalla notte, che smorzava i colori violacei che gli dipingevano lo zigomo ed altre porzioni di pelle.
Serrò la mascella provando una fitta di dolore dove Zayn l'aveva colpito e chiuse gli occhi, prima di sospirare e bere un sorso di birra. Poteva già immaginare con dovizia di particolari il volto di Emma, concentrato ed infastidito nell'attesa di una sua risposta. Poteva anche percepire il profumo dei suoi capelli.
«'Fanculo».





 


Buoooonasera!
Giuro che non non era in progetto questo piccolo "sgarro" nei tempi di pubblicazione, ma spero che l'abbiate apprezzato :) Il fatto è che d'ora in avanti non avrò nemmeno tempo per respirare, quindi ho dovuto aggiornare oggi! Detto questo, passiamo al capitolo, che è meglio!
Sinceramente non so cosa aspettarmi da voi ahahah Ho paura di aver sconvolto chi non ha seguito "It feels..." e che ovviamente non si aspettava nulla di tutto questo! Ma andiamo per ordine:
1. La famiglia di Emma incolpa Zayn per la scomparsa di quei soldi, perché ovviamente per loro è molto più probabile che sia stato lui: in "It feels..." sembrava che Emma avesse detto della sua visita alla madre di proposito, ma ora potrete capire che in realtà la situazione le è un po' sfuggita di mano. So perfettamente che il suo comportamento potrebbe essere criticato, perché in molti avrebbero detto la verità pur di proteggere la sorella e la sua relazione, ma Emma si discosta da questa mentalità: è vero, crede ancora che Harry possa cambiare idea, crede anche che Melanie riuscirà a cavarsela perché crede in lei, ma la motivazione principale è che è spaventata a morte per qualcosa che ha fatto e che non credeva potesse avere quelle ripercussioni. Lei non ha mai voluto incolpare qualcun altro. Comunque l'ultima parte è quella che forse spiega un po' di più il suo stato d'animo, arrivato ad un punto di rottura per tutta quella tensione/senso di colpa.
2. HARRY E ZAYN: so che molte di voi saranno confuse e forse mi odieranno, ma GIURO che sarà tutto più chiaro ahahah Di proposito ho evitato di raccontare il loro passato e di parlare di ciò che fosse alla base del loro litigio, perché si verrà a scoprire più avanti e perché se no non sarei stata io ahahah Stessa cosa vale per il rapporto tra Melanie ed Harry: all'inizio della storia lui lasciava intendere di conoscerla ma non spiegava come, ma tempo al tempo e nel intanto avete degli indizi :) Mi sono concentrata per lo più sulle emozioni di Harry e spero vi abbiano in qualche modo colpite o che le abbiate per lo meno apprezzate! Per chi ha letto "It feels...", come è stato leggere il POV Harry e capire un po' di più i suoi comportamenti?
3. Harry alla fine ha chiesto i soldi a Ty, seguendo il consiglio di Emma - cosa che lei nemmeno immagina. Lascio a voi i commenti :)
4. Nel prossimo capitolo si scoprirà come Emma abbia scoperto della lite tra Zayn ed Harry, non è ancora una veggente haah Ma anche qui, vorrei lasciare a voi la parola :)

Questo spazio autrice è esageratamente lungo, ahimè! Quindi concludo ringraziandovi ancora una volta per tutto ciò che fate/dite per me :) Vi chiedo di lasciare un parere e spero che la lettura sia stata gradevole :)

Protagonisti del prossimo capitolo: Emma, Pete, Dallas, Tianna, Denice ed Harry :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

One shot :)
"Phantom limb"
    
  

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Capitolo 18
*** Capitolo diciotto - That dress ***




 

Capitolo diciotto - That dress
 

 

«Mi tieni le chiavi nella borsa?» Domandò Pete con una sigaretta accesa tra le labbra fini. Il fisico asciutto risaltava grazie alla camicia grigia che indossava sui jeans scuri: stava congelando, lo si vedeva dalle mani che un po' tremavano e dagli occhi sottili, ma si era obbligato a non portarsi la giacca per evitare di doversi preoccupare di dove lasciarla.
Tianna alzò un sopracciglio e lo guardò allibita, stringendo un po' di più la borsetta nella mano sinistra mentre gli camminava di fianco. «No?» Rispose seccata, come se fosse stato ovvio. Il cappotto nero le copriva il vestito color panna che evidenziava premurosamente ogni sua forma – “Voglio farlo morire, stasera”. I capelli erano sciolti sulla spalla destra e gli occhi splendevano anche grazie all'ombretto che Emma le aveva prestato.
«Acida del cazzo» borbottò Pete, scuotendo la testa in segno di disapprovazione. Da quando si erano scambiati quel bacio rubato, non avevano parlato dell'accaduto, né avevano litigato: semplicemente erano lentamente tornati quelli di sempre, anche se accompagnati da una dose di stizza in più che li lasciava sempre in procinto di una discussione. Tianna aveva confessato alla sua amica di essere furiosa con lui per il modo in cui aveva affrontato la cosa: non riusciva a concepire che, dopo quel bacio, non si fosse nemmeno interessato della reazione che aveva causato. E Pete aveva detto, sempre alla sua amica e senza mezzi termini, che non credeva a quelle “assurdità del rincorrere la ragazza per avere una risposta”: aveva fatto il suo passo avanti, quindi spettava a lei “muovere il culo e fare qualcosa”.
Emma sorrise con Dallas al suo fianco, poi scosse la testa divertita ed allungò una mano verso Pete, chiedendogli implicitamente di consegnarle le chiavi di casa in modo da poterle riporre nella sua borsa. Lui accettò di buon grado, mentre la casa di Walton si faceva sempre più vicina e, soprattutto, sempre più rumorosa.
«Vedi? Non ci voleva molto» commentò lui rivolto a Tianna nel chiaro tentativo di stuzzicarla ancora.
«Ma si può sapere che diavolo vuoi?» Sbottò l'altra gesticolando. «Non sono al tuo servizio, quindi posso decidere di mia spontanea volontà se portare o meno le tue stupide chiavi nella mia borsa, senza che tu rompa le scatole!»
«Ci risiamo» borbottò Dallas ridendo piano con le mani nelle tasche dei jeans neri, abbinati ad un maglioncino di un beige molto chiaro che si intonava perfettamente alla sua pelle: gli occhi divertiti cercarono Emma, per poi alzarsi al cielo in segno di incredulità. Ormai si stavano abituando a quelle insulse discussioni, scaturenti da motivazioni ancora più insulse.
«Cristo, non hai nemmeno bevuto e sei già una piattola» commentò Pete con il viso impassibile di chi non vuole mostrare troppo. «Ah, a proposito: non ubriacarti come l'ultima volta, perché non ti raccolgo più da terra, né rimango con te nel cesso mentre vomiti anche l'anima» continuò, riferendosi alla festa che avevano frequentato settimane prima, quella nella quale Emma aveva sperimentato l'ennesimo attacco di panico, quella nella quale c'era anche Harry.
«Tranquillo, non me lo aspetto di certo da uno come te! E poi vaffanculo, scusa» si difese Tianna, sempre più nervosa.
«Ma che diavolo fanno?» Sospirò Emma, salendo i gradini di casa di Walton.
Dallas sorrise apertamente e si avvicinò al suo orecchio: «Preliminari» disse soltanto, facendola ridere.
Non si presero la briga di suonare il campanello o di bussare, perché tanto nessuno li avrebbe sentiti in quel trambusto assordante, quindi Dallas aprì la porta con l'impazienza che guidava ogni suo movimento. Era sabato sera e per lui era d'obbligo divertirsi fino a non sentire più le gambe, o quella che lui chiamava “la terza gamba”.
Emma aveva incontrato Walton in una via di Bradford solo il giorno prima ed in quella occasione aveva ricevuto l'invito alla sua festa di compleanno, nonostante non sapesse nemmeno quanti anni compisse esattamente e nonostante lui non si ricordasse nemmeno il suo nome. Lei aveva colto la palla al balzo per due semplici motivi: primo, non sapevano ancora cosa fare il sabato sera, quindi avrebbe rappresentato una valida alternativa; secondo, a quella festa sarebbe stato presente anche Harry, senza ombra di dubbio.
Era dal loro litigio che non parlavano e non si vedevano, quindi dal mercoledì precedente. Avrebbe voluto sapere come se la stava cavando in casa, se stesse vivendo senza corrente elettrica o se avesse trovato dei soldi, dato che non era tornato a cercare i suoi, ma lui non aveva intenzione di parlarne. Avrebbe voluto sapere perché diavolo Zayn l'avesse picchiato - cosa che lei aveva origliato quando l'amico di sua sorella, Aaron, era venuto a casa loro per parlare dell'accaduto con Melanie - ma, di nuovo, lui non voleva parlarne e Melanie la odiava troppo per rivolgerle anche solo un cenno di saluto. Avrebbe voluto sapere se gli mancasse almeno quanto lui mancava a lei, ma non si sarebbe mai abbassata a chiederglielo. Il fatto che Harry non avesse nemmeno risposto ai suoi messaggi l'aveva spinta a chiudersi nel suo orgoglio e a non fare altri tentativi: non l'avrebbe di certo rincorso, né lui sembrava volere che lei lo facesse.
Emma sospirò e, con un sorriso di incoraggiamento a se stessa, fece i primi passi nel corridoio d'entrata di quella casa: i battibecchi di Pete e Tianna, alle sue spalle, erano quasi inudibili ormai, mentre le luci basse permettevano di vedere una folla in movimento e probabilmente del tutto ubriaca che si aggirava per casa.
Sapeva che ci sarebbe stato Harry, ma non si aspettava certo di incontrarlo dopo nemmeno un minuto. Aveva iniziato a togliersi la giacca, infatti, quando lo vide a pochi metri da lei con lo sguardo puntato nel suo.
Indossava dei pantaloni neri e gli stivaletti dello stesso colore, che contrastavano con la camicia bianca con le maniche tirate su fino al gomito ed i primi bottoni fuori dalle asole, in modo da lasciargli scoperto il petto: era così bello che ad Emma fremevano le mani, le labbra, tutto. Non sapeva se fossero solo le luci ingannatrici a provocare quelle ombre scure sul volto di Harry, ma era più probabile che fossero i segni lasciati dal litigio con Zayn: avrebbe voluto accarezzarli per alleviarli, o forse solo torturarli per prendersi una piccola rivincita.
«Vuole spogliarti lui da quella distanza, o...?» Le disse Dallas all'orecchio, accortosi del modo in cui Harry la stava osservando immobile e serio, rendendo quello sguardo reale e non solo frutto delle speranze della sua amica. Emma non rispose, ma continuò a sostenere il contatto visivo senza mostrare alcuna espressione particolare, incoraggiata dalla consapevolezza che la portò a sfilarsi lentamente e del tutto la giacca, che era rimasta per metà sulle sue braccia.
La sua vanità si infervorò nel constatare come gli occhi di Harry si stessero premurando di percorrere ogni centimetro del suo corpo, mentre le sue labbra si schiudevano appena: Emma indossava un abito rosso che richiamava le leggere lentiggini che aveva lasciato più visibili sul suo volto poco truccato. Il tessuto morbido la copriva fino a metà coscia, senza sfoggiare né una provocante scollatura sul seno né una sensuale schiena scoperta: avrebbe potuto scegliere un vestito ben più appariscente, ma non voleva sembrare così disperata, né trovava che quello che aveva indossato la sminuisse in qualche modo. Le nascondeva le forme senza disdegnarle, così come si avvolgeva in un nodo sotto al seno che lo metteva in risalto senza cadere nel volgare.
Ad Harry doveva piacere, comunque.
«Ah, credo che ora non si limiterebbe a spogliarti» continuò Dallas, di nuovo al suo orecchio. «Di' un po', ce li hai i preservativi?» Le chiese malizioso, facendola sorridere per il divertimento. Il pensiero che gli occhi assorti di Harry si stessero soffermando sul proprio corpo le provocava qualcosa, dentro, che non la tranquillizzava affatto: eppure non si sarebbe lasciata manipolare in quel modo dalle sue stesse emozioni, quindi assunse un'espressione incurante e, senza guardarlo un'altra volta, si disperse nel grande salone con i suoi amici.
 
Strinse tra le mani il bicchierino e ne bevve il contenuto al goccio, seguita da un Dallas alquanto brillo e da Tianna, che lo stava per raggiungere nonostante si fosse riproposta di non dare quella soddisfazione a Pete.
«Ti giuro che quella me la porto a letto, entro la fine della serata» borbottò Dallas con ancora l'alcool che gli bruciava in gola e gli occhi concentrati. Emma seguì il suo sguardo e si ricordò della ragazza che, a detta del suo amico, ci stava provando spudoratamente da quando era arrivato alla festa, ovvero da circa due ore. Non gliel'avrebbe detto, ma era più propensa a credere che stesse accadendo il contrario.
«Ma avrà tipo vent'anni» protestò Tianna, come se stesse parlando di una quarantenne. Poi si sistemò i capelli e si schiarì la voce. «Ammettendo che sia davvero interessata a te e che tu non sia solo troppo sbronzo o stupido per crederlo, non pensi che le piacerebbe qualcuno con un po' di esperienza in più di un quindicenne? Da quanto hai perso la verginità? Sei mesi?» Lo prese in giro facendo ridere anche Emma. Tianna aveva ragione: Dallas si atteggiava a grande esperto sessuale, quando invece era solo il suo testosterone a parlare per lui, dato che non poteva vantare grandiose e così numerose esperienze.
«Intanto io l'ho persa, cara. E solo perché quel deficiente di mio fratello ti sta facendo girare le palle, non vuol dire che tu debba prendertela con me» le fece presente Dallas, piccato da quella battuta che non si era aspettato, ma comunque mai offensivo. «Ed ora, se volete scusarmi, vado a fare il mio dovere» si congedò subito dopo.
«Due gemelli, uno più stupido dell'altro» borbottò Tianna scuotendo la testa.
«A proposito, dov'è Pete?» Domandò Emma, scandagliando il salone alla ricerca del suo amico - e non solo.
«L'ultima volta che l'ho visto era avvinghiato ad una specie di essere umano con le tette che dovrebbe essere una ragazza, anche se non ne sono sicura» biascicò l’altra con una gelosia che le trasudava dalla pelle.
Emma rise: «Era così oscena?» Chiese incuriosita.
«Me la sarei fatta anche io, altro che» fu la risposta assurda che ricevette.
Le diede un bacio sulla guancia e le solleticò un fianco. «Si comporta così solo per farti ingelosire, lo sai anche tu» la rassicurò, scorgendo un lampo di tristezza attraversarle gli occhi scuri.
Subito dopo Tianna si ricompose ed alzò un sopracciglio, osservando con attenzione un ragazzo che stava passando davanti a loro. «Be', non crederà davvero che io me ne stia in un angolo a piangere» disse soltanto, allungando una mano verso il ragazzo e sorprendendolo, quando gli chiese di ballare senza aver bisogno di insistere, dato che l'istante successivo si stava divertendo nel bel mezzo della folla.
«Emma, giusto?» Squillò una voce al suo fianco, facendola sobbalzare per la sorpresa. «Dio, scusa, non volevo spaventarti» rise subito dopo, con un cocktail tra le mani.
Era Denice.
I capelli a caschetto erano dritti come spaghetti ed il viso era attentamente truccato, anche se non troppo: era graziosa nel suo vestito nero a tubino, così in contrasto con la sua pelle diafana. Emma non aveva nemmeno preso in considerazione la possibilità che potesse esserci anche lei ed in quel momento non poté fare altro che irrigidirsi.
«Non fa niente» le rispose improvvisando un sorriso che dovette apparire davvero forzato, dato il modo in cui Denice la guardò.
«Non sapevo saresti venuta! Ma immagino che tu sia con Harry» ragionò l'altra, guardandosi intorno in punta di piedi forse per cercarlo. Come era venuta a sapere del rapporto che li legava? Cosa pensava a riguardo? Provava del risentimento per lei e per il suo ruolo nella fine della loro relazione carnale? La gentilezza che le stava riservando era solo una maschera per il suo rancore?
«In realtà no, non sono con Harry» affermò Emma, pentendosene subito dopo. Avrebbe dovuto mentire in modo da marcare un po' di più il territorio, perché non voleva che Denice si sentisse libera di tornare sui suoi passi e soprattutto nel letto di Harry.
«Oh... Eppure mi è sembrato di averlo visto, da qualche parte» rifletté la ragazza corrugando la fronte. Significava forse che non c'erano stati contatti, tra di loro? E non aveva capito che probabilmente erano semplicemente venuti a quella festa ognuno per proprio conto?
Emma rimase in silenzio e quella fu una risposta più che loquace per Denice, che sbatté le palpebre e sembrò illuminarsi. «Oh…» esclamò di nuovo. «Cos'è successo? Avete litigato? Ha fatto qualche cazzata delle sue, non è vero?»
Le sue labbra sottili erano come indignate mentre Emma corrucciava le sopracciglia, stupita dall'interesse del quale era testimone: non sapeva come comportarsi o come rispondere, perché non riusciva ad inquadrare Denice ed i suoi pensieri.
«Scusa, non deve sembrarti normale che io non voglia ucciderti per aver allontanato Harry da me» scherzò Denice subito dopo, quasi leggendole nella mente. «E con questa frase forse mi sono incasinata ancora di più» aggiunse con una risata, rendendosi conto di quanto fossero assurde le sue parole.
«In effetti sto ancora cercando di capirti» ammise Emma, abbozzando un sorriso.
«Be', allora ti faciliterò il compito» rispose Denice, prendendo un sorso dal suo cocktail e spostando lo sguardo nei suoi occhi. «Non ti odio, né voglio strapparti i capelli o altro, su questo puoi stare tranquilla» esclamò gentile.
«È già qualcosa» commentò Emma sorridendo, consapevole di dover rimanere in attesa di un'ulteriore spiegazione.
L'altra annuì divertita e chissà se tutta la sua spensieratezza fosse dovuta solo all'alcool. «Sono felice che Harry abbia scelto te» continuò, facendosi più seria e stupendo la sua interlocutrice, che la guardava con sempre più interesse. «Io ho sempre cercato di dargli tutto ciò che potevo, anche se sapevo che non gli sarebbe bastato: infatti è venuto da te per cercare altro».
Emma si ammutolì e schiuse le labbra. Non si sarebbe mai aspettata un discorso del genere, forse perché non riusciva a concepire un rapporto di quel tipo, così diverso da quello che voleva costruire lei. Sapeva che Harry avrebbe voluto instaurare qualcosa di serio con Denice e che si era poi accontentato di una relazione carnale per non perderla, ma davvero sperava di poter ottenere ciò che voleva da lei? Da quella ragazzina che criticava in continuazione e senza alcun rimorso?
O forse... Forse proprio perché si stava impegnando in qualcosa di più non era intenzionato ad ignorare quelli che per lui erano problemi evidenti e alla base di un loro eventuale rapporto. Quella consapevolezza la colpì al centro del petto e spodestò tutti gli altri suoi pensieri: improvvisamente percepiva nettamente la possibilità che Harry non la trattasse in quel modo per puro disprezzo o divertimento, ma che lo facesse perché loro due potessero effettivamente adattarsi l'uno all'altra.
«Probabilmente ti aspettavi che facessi una scenata, lo so» sorrise ancora Denice. «Ma preferisco dirti grazie, perché io ad Harry tengo molto e tu potresti dargli ciò che cerca. Senza contare il fatto che mi permetti di non sentirmi più.... Non abbastanza, ecco» aggiunse, incupendosi per un breve istante.
Non abbastanza? Ogni volta che Emma aveva pensato a Denice e ad Harry li aveva reputati strani e assurdi nel loro cercarsi sessualmente per poi vivere indipendenti gli uni dagli altri. E quando aveva riflettuto sul loro passato aveva reputato lui uno stupido per essersi accontentato e lei un'egoista per aver accettato di andare a letto con qualcuno che provava qualcosa nei suoi confronti. In quel momento, invece, aveva l'impressione che Denice l'avesse fatto solo per cercare di rimediare alla sua incapacità di dargli ciò che realmente voleva, come per sdebitarsi: probabilmente doveva ferirla, quella sua mancanza, quel suo non essere in grado di rendere qualcuno felice, qualcuno al quale era legata. Si chiedeva perché avesse tutte quelle difficoltà.
«Dio, sono pessima» esordì di nuovo Denice, passandosi una mano sulla fronte. Praticamente stava parlando da sola. «Sto qui a blaterare su te ed Harry quando mi hai detto che non siete nemmeno venuti insieme, quindi-»
«Ah, non preoccuparti» la interruppe Emma, riscuotendosi dal suo silenzio. «Abbiamo discusso, ma... Be', spero che riusciremo a chiarire».
Anche io vorrei dare tutto ad Harry.
Il viso di Denice si illuminò. «In questo caso, buona fortuna!» Le augurò sincera. «E scusa se ti ho annoiata con tutte le mie chiacchiere: giuro che adesso torno da Olly ed Audie e ti lascio in pace» aggiunse allegra. Ormai la sua vena sorridente non le sembrava più sospetta: erano state la sua gelosia e la sua mentalità ad impedirle di notare quanto Denice fosse cristallina, tanto cristallina da sembrare falsa.
«Non mi hai affatto annoiata: buona serata» la salutò, mentre l'altra se ne andava muovendosi a ritmo di musica e rivolgendole un cenno della mano per congedarsi.
 
La mano del ragazzo con il quale stava ballando le afferrò il fianco sinistro, attirando il suo corpo contro il proprio: Emma sorrise maliziosa, nonostante non provasse alcun interesse per i suoi occhi tanto scuri o per la sua mascella ben delineata. Si limitava a muoversi secondo i bassi della canzone, talvolta chiudendo gli occhi e buttando indietro la testa nel tentativo di escludersi da tutta quella folla.
«Scusa, ti ho pestato il piede» le disse lui all'orecchio, alzando di molto la voce per sovrastare il volume della musica. Emma rise appena, ma lo tranquillizzò scuotendo semplicemente il capo: gli allacciò le braccia intorno al collo e continuò a ballare, incurante di tutto. Non era ubriaca, ma quasi.
Quando il volto del ragazzo le si avvicinò di nuovo, lei si trovò a guardare oltre la sua spalla sinistra. «Non mi hai ancora detto come ti chiami» la rimproverò bonariamente, mentre Emma individuava tra tutta quella gente l'unica persona che, sotto i chili di orgoglio testardo, le interessasse davvero.
«Nemmeno tu» rispose allora, senza distogliere lo sguardo dal viso di Harry. Ad un paio di metri da loro stava ballando insieme ad una ragazza che lei non riusciva a riconoscere, dato che le dava le spalle: poteva vedere solo i capelli mori e lunghi fino a metà schiena, mossi con sensualità ad ogni suo passo, ed il vestito blu elettrico che le copriva il sedere solo per miracolo. Le mani di Harry - quelle che lei conosceva bene - erano posate sui suoi fianchi magri, mentre il suo viso era assorto in un sorriso spensierato. Per tutta la sera l'aveva solo intravisto di sfuggita, senza sapere se entrambi si stessero evitando di proposito o, proprio per cercarsi, finissero puntualmente per perdersi.
In un attimo i suoi occhi verdi ed alterati dalle luci soffuse della stanza si alzarono verso quelli attenti e nervosi di Emma, che stavano cercando di nascondere a se stessi la lancinante gelosia che provavano. Lui non aveva nemmeno dovuto cercarla, tra tutte quelle persone, come se avesse già ben chiaro dove l'avrebbe trovata: che la stesse osservando da prima che lei se ne accorgesse? Quel pensiero solleticò la vanità di Emma, ma non sovrastò l'implicito invito ad una sfida che il loro sguardo stava esplicando.
Emma alzò un sopracciglio ed accarezzò il collo del ragazzo con una mano, senza smettere di guardare Harry, di studiare qualsiasi sua eventuale reazione.
«Sono Jason» esclamò lui, sfiorandole non troppo innocentemente il lobo dell'orecchio.
Lei sorrise: «Emma» ribatté avvicinandosi lentamente al suo, di orecchio, per respirargli accanto.
Harry continuava a sostenere il suo sguardo e a ballare un po' più distrattamente, ma sapeva che avrebbe dovuto controbattere per non perdere. Con quella consapevolezza si inumidì le labbra e passò una mano tra i capelli della ragazza, mentre le poggiava l'altra sulla schiena con il palmo aperto.
Quando l'ingenuo ragazzo provò a continuare la conversazione, fu interrotto prontamente. «Non parlare» gli disse Emma, allontanandosi di poco per poterlo guardare negli occhi. E lui, che ancora non sapeva di avere una bomba ad orologeria tra le mani, inclinò le labbra carnose in un sorriso malizioso ed annuì, stringendola un po' di più e permettendole di guardare nuovamente oltre la sua spalla.
Harry la stava ancora osservando, forse cercando di capire cosa si fossero detti: quando incrociò il suo sguardo di nuovo, però, si inumidì le labbra e fece scendere la sua mano sinistra sulla schiena della sua accompagnatrice, fino a fermarsi sui suoi glutei. La stava provocando, ma non doveva essere così sicuro di poter vincere.
Emma, infatti, pur non sapendo esattamente cosa stessero facendo quando avevano mille cose da risolvere, lasciò un bacio leggero sotto l'orecchio del ragazzo e subito ottenne la reazione che lui si stava sforzando di trattenere. Le posò le labbra sul collo e lei gli afferrò i capelli, chiudendo gli occhi ed inclinando il capo per lasciargli più spazio. La stava torturando appena, baciandola e mordendola con una dolcezza che sapeva di impazienza, e non poteva nemmeno negare che fosse bravo in ciò che stava facendo.
Sorrise appena, ancora con le palpebre abbassate, e quando riportò lo sguardo su Harry lo trovò fermo e un po' più rigido, con lo sguardo serio che chissà se nascondeva della gelosia. Ne ebbe la conferma quando lui serrò la mascella e, con un cenno del capo, le fece segno di raggiungerlo, come ad imporle di allontanarsi dal ragazzo. Sembrava un avvertimento, il suo.
Emma allargò il sorriso, beffarda come mai, e si mosse in modo da dargli le spalle: aveva ancora quei baci sul collo, ma ormai non poteva più vedere Harry e, soprattutto, Harry non poteva vedere lei, né quello che stava succedendo.
Aveva appena vinto.
 
Nel corridoio che portava alla cucina la musica arrivava stranamente più attutita, anche se il ronzio nelle orecchie di Emma non voleva farlo apparire come un vantaggio. Lei si appoggiò al muro per evitare un gruppo di ragazzi che, stretti in un abbraccio a forma di cerchio, si ostinavano a saltare in modo disordinato ostacolando il passaggio: li superò con un po' di fatica e strisciando il gomito contro la parete, poi si sistemò il vestito e si voltò per malmenare chiunque le avesse afferrato i fianchi così possessivamente. Forse era il ragazzo con il quale aveva ballato e che aveva appena abbandonato nella pista senza troppe spiegazioni, ma nemmeno lui aveva il diritto di toccarla in quel modo.
Quando si voltò, o almeno provò a farlo, quelle stesse mani la tennero ferma, in modo che lei potesse girare solo il viso. Harry le respirò sul collo e se la premette contro il corpo, con un movimento che rimaneva in bilico tra il brusco ed il bisognoso. Emma si chiese come avesse fatto a non accorgersi che quelle dita erano le sue, ma non si ritrasse, né protestò.
«Ti ho già detto che questi giochetti con me non funzionano» mormorò lui sulla sua pelle, dandole l'occasione di percepire l'odore di alcool che le sue labbra emanavano. Avrebbe voluto sapere quanto i suoi pensieri ne fossero offuscati e quanto invece fossero lucidi e consapevoli. E avrebbe voluto rispondergli: “Eppure sei qui”.
«Forse hai bevuto troppo, perché non so di cosa tu stia parlando» ribatté lei, posando le mani sulle sue come a tenersi e a non lasciarsi cadere, visto che le gambe sembravano cederle sotto i colpi della nostalgia per quel contatto.
«So che quel damerino non può farti provare questo» sussurrò ancora lui, appoggiando la bocca su un lembo di pelle della spalla lasciato scoperto dal vestito, baciandolo e poi succhiando appena, per lasciare un segno simile ad un marchio di possesso. Aveva ragione, il brivido che percorse la schiena di Emma non avrebbe potuto essere provocato da nessun altro ed in nessun altro modo. Era così semplice, così delicato e così totalizzante da portare solo e soltanto la sua firma.
«Perché ne sei così sicuro?» Domandò lei, testarda nel non volergli dare una soddisfazione. Non sapeva a cosa stessero andando incontro, né voleva tirare ad indovinare: nonostante tutti i loro trascorsi, tutte le litigate e la rabbia, erano lì, in quel momento, l'uno alla ricerca dell'altra in modo più o meno palese.
A quel punto Harry sembrò rivendicare una sua proprietà, stringendole un po' di più i fianchi ed attirandola di nuovo contro di sé, come se non fosse abbastanza vicina. «Perché tu me ne dai la conferma senza nemmeno accorgertene» rispose con un sorriso nella voce, accarezzandole il braccio destro, nudo e sensibile al tocco delle sue dita. Emma chiuse gli occhi per qualche istante, paralizzata dal battito alterato del suo cuore e dalla possibilità di essere così facilmente interpretabile, nonostante i suoi estremi tentativi di non mostrare troppo, non a lui.
Per riprendere in mano la situazione si divincolò tra le sue braccia, riuscendo a voltarsi completamente per guardarlo in viso, ma non a staccarsi dal suo corpo. Lui sembrò stupirsi di quel gesto, ma continuò a tenerla ferma con le mani, mentre Emma gli studiava il volto livido e le labbra spaccate dai pugni di Zayn: forse era una stupida a pensarlo, ma aveva ancora più voglia di baciarle.
Harry la guardava intensamente, soffermandosi su ogni particolare che solo lui sembrava notare: avvicinò il viso al suo, respirandole sulla pelle, ma Emma non si mosse. Non voleva rivelarsi condiscendente - almeno non così tanto - ed in fondo voleva imporsi un freno: per quanto volesse continuare ad avere il corpo di Harry tanto vicino, per quanto volesse abbandonarsi a lui, non poteva farlo, perché loro non potevano. Non era giusto né salutare avvicinarsi fisicamente, se tutto il resto sembrava ancora allontanarli.
Giocando a raggiungere e sfiorare la sua bocca solo per poi ritrarsi impercettibilmente, Harry si lasciò scappare un respiro più lungo, più sofferto. «Mi manca averti intorno, ragazzina» sussurrò, in modo così intenso e destabilizzante che per poco lei non ebbe bisogno di arrancare per dell'aria.
Era vero? Poteva fidarsi? E diamine, le mancava così tanto anche lui.
Respirò un po' più velocemente e si inumidì le labbra, gesto che attirò l'attenzione di Harry e che sembrò motivarlo a spingersi oltre: le baciò la bocca improvvisamente, ma lei indietreggiò quasi contro la sua volontà. Lui spalancò gli occhi e la guardò stupito, sbattendo più volte le palpebre: sembrava chiederle silenziosamente cosa avesse fatto e, allo stesso tempo, esprimere il suo fastidio per quel piccolo rifiuto.
L'attimo dopo, però, si espresse in tutt'altri termini: le portò le mani sulle guance e premette di nuovo le labbra sulle sue con più urgenza, con più imprescindibilità. Emma non ebbe né il tempo né il desiderio di fermarlo, anzi, si trovò ad assecondare quel bacio con un tale trasporto e con un tale bisogno da chiedersi se sarebbe mai riuscita a fermarsi. Gli portò le braccia intorno al collo e lo strinse a sé, ansimando con la bocca aperta contro la sua, mentre sentiva le sue mani scendere sulle proprie spalle e poi sulla sua schiena, pronte ad imprimere la loro presenza come ad impedirle di dimenticarla.
«Mi fai così incazzare» borbottò Emma, appoggiando la fronte alla sua e chiudendo per un attimo gli occhi, mentre incastrava le dita tra i suoi capelli tirandoli appena come in un dispetto. Era estenuante stare al passo di tutti i suoi comportamenti, di tutti i suoi rifiuti che si trascinavano dietro altrettanti riavvicinamenti. Non sapeva più su cosa basarsi e di cosa fidarsi.
Harry serrò la mascella e la fece indietreggiare fino a farle appoggiare la schiena al muro: alzò una mano sulla parete, con il palmo aperto ed il braccio semi-disteso, mentre continuava a mantenere la stessa distanza dal suo viso. «Sei tu…» ribatté, con l'altra mano che le percorreva lentamente la coscia fino a posarsi sul suo fianco, «che fai incazzare me». Poi la baciò ancora e ancora, fino a farle chiedere del tempo per respirare o per pensare, fino a farsi male a causa di quelle piccole ferite che gli sfregiavano le labbra.
Improvvisamente, però, Emma si riscosse: ogni singola fibra del suo corpo le urlava insulti per quella decisione puramente razionale ed infida, ogni fibra si ribellava alla distanza che stava cercando di porre tra se stessa ed Harry, ed alcune le stavano persino disubbidendo. Le sue dita, infatti, erano aggrappate alla camicia che lui indossava e che lei avrebbe solo voluto togliergli per poter accarezzare meglio il suo petto ed il suo addome. Eppure sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare ed era risoluta a seguire il suo stesso consiglio.
Mentre Harry la guardava confuso, con il respiro smorzato dai troppi baci e dalla voglia di avere di più, Emma racimolò gli ultimi brandelli di forza di volontà. «Devo andare» lo avvertì, come impaurita dalla possibile reazione. La verità era che non poteva rimanere lì con lui, spalmata contro una parete come se per loro fosse normale: e forse lo era davvero, ma non poteva essere abbastanza. C'era troppo alcool a plasmare la realtà di entrambi, troppi punti in sospeso a metterli in conflitto e, per quanto le sembrasse un gesto sadico nei confronti di quella parte di sé che voleva continuare ad assecondare le carezze di Harry, non si sarebbe comportata da masochista. Si sarebbe allontanata e avrebbe aspettato che succedesse qualcosa con la testimonianza della sobrietà di entrambi.
«Che stai dicendo?» Domandò lui, assottigliando lo sguardo e sfiorandole il seno in una carezza casuale che finì sul suo addome. Il barlume alterato delle sue iridi non le sembrava un indice di affidabilità: era pressoché sicura che dargli delle spiegazioni serie non sarebbe stato abbastanza per farlo arrendere, perché semplicemente non era in grado di accettarle o di ragionarci su. Per questo motivo non rispose e lo guardò per un'ultima volta, passando le dita sul suo zigomo livido come per distrarlo, prima di svincolarsi dalla sua presa ed allontanarsi velocemente.
Lo sentì chiamarla, alle sue spalle, ma si mischiò tra la folla e, per tutto il resto della serata, lo evitò come se avesse potuto farle del male.
 
Ormai era quasi una tradizione dormire a casa dei gemelli Butler dopo una festa, soprattutto se i genitori erano via per uno dei frequenti viaggi di lavoro. Nel salotto Pete e Tianna stavano avendo l'ennesima discussione, mentre Emma e Dallas si stavano già cambiando per andare a dormire, nella stanza di quest'ultimo.
«Sto solo dicendo che non me ne frega un cazzo se sei single e puoi fare quello che vuoi, perché non è così, almeno non davanti a me!» Sbottò Pete, alterato e contraddittorio solo a causa dell'alcool. Se fosse stato del tutto sobrio - nonostante anche in quel momento fosse relativamente lucido - avrebbe di sicuro parlato con più calma.
«E perché non dovrei, razza di stupido? Ti sei passato tutte le ragazze della festa nemmeno fossi un gigolò che puzza ancora di latte, quindi che diavolo vuoi da me?!» Tianna, invece, aveva mantenuto il suo fioretto di rimanere sobria: le sue parole, quindi, erano ben più consapevoli.
«Ah, quindi hai sculettato davanti a tutti solo perché io er-»
«Non dire cazzate, non ti darei mai tutta questa importanza!» Mentì lei, mentre Emma e Dallas, che stavano origliando tutto senza nemmeno sforzarsi dato che gli altri stavano praticamente urlando, ridacchiavano tra loro. «E poi a te non dovrebbe neanche importare, come non ti è importato di capire se quello stupido bacio che mi hai dato mi fosse piaciuto! E per la cronaca, mi ha fatto schifo!»
«Sei solo una stronza bugiarda, perché se non ti fosse piaciuto non ti saresti sciolta tra le mie braccia come una bambina alle prime armi!»
«Ops, stanno per finire i preliminari» commentò Dallas con un ghigno divertito sul viso, mentre barcollava nell'infilarsi i pantaloni del pigiama. Emma era già in uno dei due letti, vestita e al caldo.
«Come osi, stupido narcisista?! Se ti ho dato quell'impressione, dato che di sicuro sono stati i tuoi assurdi ormoni da sfigato a-»
«Cristo, ma perché non chiudi quella bocca?!»
L'attimo dopo ci fu un frastuono dato probabilmente da un vaso di terracotta che veniva rovesciato a terra e dai piedi che inciampavano contro il tavolino. Emma e Dallas si raddrizzarono di scatto e corsero a vedere, accecati dalla possibilità che gli altri due si stessero uccidendo.
«Visto? Ho sempre ragione in queste cose» commentò Dallas, appoggiato allo stipite della porta. Tianna e Pete, infatti, erano sdraiati sul divano in un intreccio di gambe, braccia e labbra che si cercavano disperatamente: questo segnava definitivamente ed ufficialmente la fine dei preliminari, lasciando spazio a qualsiasi cosa ne sarebbe derivata.
 
Emma si era intrufolata nel letto di Dallas poco dopo: non riusciva a dormire per la sensazione di avere ancora Harry su di sé e per i rumori equivoci che provenivano dal salotto o da chissà quale posto stessero inaugurando Tianna e Pete.
L'amico la accolse senza aprire gli occhi, ma scostando le coperte, e lei si sdraiò sul fianco sinistro in modo da avere il viso rivolto verso il suo, assonnato e ancora mezzo ubriaco. «Stasera Harry mi ha detto che gli manco» sussurrò appena. Quelle parole sembravano essersi tatuate sulla sua pelle, in un pungente promemoria.
«Non vedo come potrebbe essere altrimenti» bofonchiò l'altro, girandosi sul fianco e sollevando una palpebra per osservarla e sorriderle.
Lei sorrise apertamente avvicinandosi un po' di più, fino ad avere la fronte che sfiorava la sua. «Qualche giorno fa mi ha anche detto che non mi vuole, però» aggiunse, incupendosi un poco.
«Tecnicamente sei stata tu a dirlo a lui. Harry ha solo esposto in modo poco garbato ciò che lo fa innervosire di te» ribatté Dallas, circondandole la vita con un braccio.
«Era implicito. Come fa a volermi, se non gli piace quello che sono?»
«Non lo so, ma forse se lo chiede anche lui» rispose Dallas con una serietà un po' più marcata. Era questo che apprezzava di lui, il saper calibrare le sue reazioni ed il saper adattarsi ai toni di conversazione, anche quando lei stessa non era pronta a farlo.
Possibile che Harry fosse confuso a riguardo? Lei lo era di sicuro.
«So anche io di aver sbagliato nel prendere quei soldi a casa mia» cominciò Emma, deviando di poco il discorso. La voce così bassa che si adattava alla minima distanza tra di loro. «Voglio dire, il gesto è sbagliato in sé e per sé, ma sono ancora convinta che sia stato giusto per me e per lui, in un certo senso. Il fine giustifica i mezzi... No?» Non era una stupida, né un'ingenua: ovviamente il furto di quei soldi era un gesto discutibile sotto molti punti di vista, ma era il significato ad elevarlo ad un maggior prestigio, almeno nella sua testa. Per questo si era scontrata con Harry: lui continuava a concentrarsi su una visione obiettiva delle cose, mentre lei voleva fargli capire che non si riduceva tutto a quello.
Dallas le accarezzò una spalla e sospirò piano. «Non sempre» sussurrò. «So per certo che tu avessi le migliori intenzioni, ma sono tuo amico e devo dirti che è stato davvero troppo. Su questo Harry ha ragione. Sicuramente lui sa che l'hai fatto per aiutarlo e probabilmente te ne è anche grato, ma è un maschio e gran parte dei maschi ha spazio per una sola emozione alla volta: prendi Pete, l'attimo prima era incazzato e sembrava volesse uccidere Tianna, l'attimo dopo i suoi ormoni hanno preso il sopravvento e l'hanno portato a farsela sul divano» spiegò con una naturalezza che stupiva entrambi, dato che, per quanto aveva bevuto, avrebbe dovuto essere più che difficile fare un discorso simile.
Emma rise e per un attimo si sentì meglio.
«Voglio dire, da come ne parli sembra essere un tipo parecchio orgoglioso, quindi forse si è arrabbiato ancora di più nel dover accettare l'aiuto di qualcun altro... Cazzo, è troppo tardi e sono troppo ubriaco per fare discorsi del genere» ridacchiò Dallas, arrendendosi.
«Stavi andando benissimo» sorrise Emma come a volerlo incoraggiare.
«Be', il succo è che avete bisogno di parlare, perché siete due testoni. E tu devi mettere da parte tutto questo orgoglio, perché lui non è l'unico ad essere nel torto: dovresti riportare quei soldi ai tuoi genitori, chiedere scusa e parlare anche a tua sorella Melanie. Non credi che Harry apprezzerebbe una tale prova di maturità?» Sorrise lui a bassa voce.
«Vorrei che lui mi avesse detto queste cose con questo tono, non urlandomi contro in quel modo» rifletté Emma, ripensando ai suoi occhi iniettati d'ira ed alle sue parole taglienti. Non poteva trattenersi dal confrontarle con quelle dolci e lente di Dallas, che in fondo avevano avuto lo stesso impatto, se non maggiore.
«Ognuno ha le sue reazioni, ma devi concentrarti su quale sia il loro significato. L'hai detto tu: il fine giustifica i mezzi, no?»
Emma sentiva il cuore scoppiare per l'affetto che sentiva per il suo amico: non sapeva descrivere a parole ciò che la legava così indissolubilmente a lui, né riusciva a quantificare le proporzioni di quelle sensazioni. L'unica cosa della quale era certa era che non sapeva come avesse fatto per tutto quel tempo senza Dallas.
«Grazie» sussurrò quindi, incapace di dire altro.
Lui si avvicinò un po' di più e le bacio una guancia, poi la fronte. «Certo, certo» ridacchiò con le labbra ancora sulla sua pelle.
Emma provò a pizzicargli l'addome e rise piano: alzò il viso e lo guardò negli occhi. «Dico sul serio» ripeté. Dallas la guardò nel buio della stanza, senza parlare, ma accettando il significato di quelle parole.
«Sai che è un piacere» mormorò poco dopo.
E intanto, poco alla volta, i loro visi si stavano avvicinando, come spinti da una forza all'apparenza innocua ed ignara. Emma non si opponeva e si concentrava sul proprio respiro, accompagnato dal battito del cuore che scandiva ogni millimetro che si riduceva tra loro. Pochi istanti dopo le loro labbra si unirono piano, come in una carezza immobile e dolce, cullata da un affetto che andava oltre. Era diverso dagli scherzosi e teatrali baci che si erano scambiati nelle famose situazioni di "emergenza", perché era diversa la motivazione, era diversa l'atmosfera ed erano diversi loro.
Quando quel timido ed inaspettato contatto terminò, Emma si ritrasse lentamente, confusa e frastornata. Rimasero per qualche lungo secondo a scrutarsi nell'ombra, entrambi con lo stesso pensiero nella testa.
Qualcuno avrebbe pur dovuto esplicitarlo ad alta voce.
«Ti è... piaciuto?» Domandò quindi lei, stringendo le lenzuola nel pugno della mano destra e sperando in una risposta che corrispondesse alla sua.
Dallas quasi sussultò, poi strinse le labbra in una linea dritta e le rigirò la domanda. «A te è piaciuto?»
Lei sospirò e si morse una guancia, consapevole del fatto che l'altro non avrebbe mai parlato prima di lei. «No» disse in un respiro, temendo una ritorsione.
«Cazzo, meno male!» Esclamò invece Dallas, lasciando andare un enorme sospiro di sollievo e ridendo con una mano sullo stomaco. Lei fece lo stesso e gli tirò un pugno scherzoso sulla spalla, sollevata dalla sua reazione.
«Stupido, per un attimo ho creduto che-»
«No, santo cielo, no. È stato come baciare.... Non so, ti voglio troppo bene per vederti come.... Non riesco nemmeno a dirlo, capisci?» Blaterò Dallas, con ancora il sorriso sulle labbra.
«Ok, sei stato abbastanza chiaro» rise lei, alzando gli occhi al cielo. Poi si mosse per sdraiarsi per metà sul suo corpo, posando un braccio sul suo addome ed il viso sul suo petto.
Dallas si sistemò meglio e la avvolse in un abbraccio fraterno, nel quale lei si sentiva protetta e al riparo da qualsiasi pensiero potesse ferirla. «Buonanotte» le sussurrò tra i capelli.
«Buonanotte» rispose lei, baciandogli il petto.
 
Un nuovo messaggio: ore 04.37
Da: Harry
"La prosdima volta che ci vediamo ti voglkio con quel vestito"

 





 


Buoooogiorno!
Visto?? Nessuno è morto nell'attesa di questo capitolo ahahha Scherzo, mi fa piacere che lo aspettiate con tanta impazienza :)
Ma comuuunque, passiamo alle cose serie:
1. ormai mi trovo bene con gli elenchi puntati, quindi fateci l'abitudine ahahha
2. il caro e vecchio Walton ha fatto la sua parte (mi sarebbe piaciuto farlo entrare in scena ma il capitolo sarebbe stato ancora più lungo! In ogni caso ritornerà!) ed Emma ed Harry si sono ritrovati - non troppo casualmente - alla stessa festa: preciso che non si parlano da tre giorni praticamente, quindi no, Harry alla fine non ha risposto a quei messaggi!E comunque, spero che i due """piccioncini""" vi siano piaciuti in questo capitolo: la scena in cui entrambi ballano con persone diverse, giocando a provocarsi da lontano, era nella mia testa da parecchio tempo, anche se non sono sicura che abbia l'effetto in cui speravo! Che ne dite? Per il resto lascio i commenti a voi, soprattutto riguardo il loro vero incontro :)
3. Denice!!! Mi piace un sacco il suo personaggio e spero che anche voi ora riusciate a guardarlo in un altro modo :) È chiara la natura del suo rapporto con Harry? Spero di sì, altrimenti chiedete pure :)
4. TIANNA E PETE HALLELUJA hahahah è tipo dall'inizio della storia che aspetto di farli finire insieme ahahhaha Insomma, sono molto particolari e anche il loro modo di rapportarsi lo è! Ovviamente anche per loro non sarà tutto rose e fiori eheheh (anche perché con uno come Pete è sempre tutto da vedere)
5. Dallas ed Emma: sono davvero felice che Dallas vi piaccia così tanto, è una cosa che mi soprende e mi rallegra :) Come avrete capito, il loro rapporto è davvero troppo fraterno per poter sfociare in qualcosa di più, e ho voluto inserire quel piccolo bacio proprio per confermarlo ulteriormente. Emma si apre un po', fornendovi qualche informazione in più sulla sua visione delle cose: molte di voi l'hanno rimproverata per non aver capito il motivo della rabbia di Harry, ma in realtà lei sa benissimo che rubare è sbagliato etc etc. Quello che invece non riesce a concepire è come faccia lui a non capire il significato di quel gesto: insomma, credo che ormai sia chiaro che Emma è una persona pronta a fare davvero di tutto per le persone a cui tiene, anche qualcosa di profondamente sbagliato, ma non tutti hanno la sua irruenza e la sua decisione, e questo lei non lo capisce/accetta. Spero di essere stata chiara hahah In ogni caso, si ritornerà sull'argomento :)

Direi che devo smetterla di blaterare e lasciare a voi la parola! Fatemi sapere cosa ne pensate, quali sono le vostre riflessioni e le vostre ipotesi! Mi farebbe molto piacere :) E grazie per aver letto e per tutto il resto!!!

Ovviamente, non accomodatevi sugli allori: nel prossimo capitolo ci sarà un nuovo litigio :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

One shot :)
"Phantom limb"
    
  

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannove - Consequences ***




 

Capitolo diciannove - Consequences
 

 

Emma aveva sorriso quando aveva letto il messaggio ricevuto da Harry in piena notte. L'aveva considerato un accettabile buongiorno, nonostante la sua indole la portasse a bramare qualcosa in più. L'aveva immaginato ancora più ubriaco, magari barcollante sulle gambe magre e con la testa immersa nei pensieri su di lei, e l'aveva dipinto appoggiato ad un muro o seduto sul pavimento, pronto a scrivere un messaggio istintivo e sgrammaticato, perché in quel momento il suo orgoglio maschile era tenuto a bada dall'alcool.
Stava sorridendo anche allora, seduta intorno all'isolotto in pietra nel mezzo della cucina di casa Butler, ma per un motivo diverso. Al suo fianco Dallas teneva la fronte appoggiata sul ripiano e gli occhi chiusi: aveva mal di testa e non aveva ancora detto una sola sillaba, obbligando l'assonnato Pete a preparare la colazione - in realtà quest'ultimo non aveva fatto altro che procurare cereali, biscotti e latte alle ospiti, appoggiandoli con svogliatezza davanti a loro. Era seduto accanto a Tianna, dall'altra parte dell'isolotto, ed era concentrato nel mescolare il contenuto della sua tazza, mantenendo un cipiglio inconfondibile e familiare.
Tianna lo guardava con le labbra socchiuse e gli occhi attenti di chi è pronto a carpire ogni più piccolo dettaglio: Emma le tirò un cereale per attirare la sua attenzione e ridacchiò in silenzio quando quella sobbalzò per lo spavento.
«Allora?» Mimò con le labbra, curiosa ed impaziente. La sua amica, infatti, non le aveva ancora raccontato nulla e lei non era più disposta ad aspettare. Tianna si strinse nelle spalle ed il suo viso stanco si illuminò di un sorriso malizioso, prima di rivolgersi alle sue mani strette sul ripiano.
Emma, che non aveva in programma una resa così semplice, le tirò un altro cereale. Questa volta, però, attirò l'attenzione anche di Pete, mentre la diretta interessata si agitava sulla sedia per raccogliere quell'intruso che era riuscito ad entrare nella scollatura del suo maglioncino. Lui guardò entrambe con un sospetto all'apparenza disinteressato, poi alzò gli occhi al cielo e tornò alle sue silenziose occupazioni.
«Ho fame» borbottò Dallas all'improvviso, ancora nella stessa posizione.
Emma afferrò un biscotto al cioccolato dalla confezione e glielo avvicinò alla bocca, come se lui non ne avesse avuto le forze. Dallas lo morse e poi lo prese tra le proprie mani, attento a non muoversi più del necessario.
«Vi rendete conto che oggi devo passare il mio tempo a studiare biologia?» Sbuffò Tianna ravvivandosi i capelli ondulati e cercando di fare conversazione, cosa che - alle nove del mattino e dopo una notte come quella - non era gradita ai più.
«Questo perché fai sempre tutto all'ultimo» rispose Pete senza contraddire la sua pacata e congenita durezza, nonostante gli ultimi avvenimenti.
L'altra si accigliò, pronta a ribattere, ma Emma arrivò in suo soccorso per evitarle un'altra discussione. «Senti chi parla: per caso hai studiato per il test di matematica di domani?»
Pete alzò un sopracciglio e la incenerì con lo sguardo, prima di ignorare la sua risposta e di tornare a bere il suo latte. Lei sorrise soddisfatta, poi si rivolse alla sua amica per tornare al discreto discorso iniziale.
Cercò di farla sbottonare con uno sguardo insistente e divertito, ma quella sembrava non volersi esporre, limitandosi ad imbarazzarsi lievemente. Emma allora si schiarì la voce e perseverò con le sue iridi blu ed ancora assonnate, ma Tianna la rimproverò silenziosamente per paura che Pete potesse accorgersene.
Quello che entrambe non avevano messo in conto, però, era che Pete se ne fosse già accorto, infatti alzò il viso verso Emma e sospirò. «Non siamo andati a letto insieme, se è questo che vuoi sapere» esclamò con tranquillità, guadagnandosi una gomitata da parte di Tianna per il tono superficiale che aveva utilizzato. Eppure avrebbe dovuto saperlo, che Pete non conosceva molte altre intonazioni.
«Che c'è?» Chiese lui infatti, corrugando la fronte.
«Ho ancora fame» si lamentò intanto Dallas, in un velato invito a dargli altro cibo. Emma alzò gli occhi al cielo e lo accontentò, ma non prima di avergli pizzicato un braccio per dargli una svegliata.
«Niente» borbottò Tianna, stizzita.
Pete scosse la testa e le tirò una ciocca di capelli per infastidirla, lei si voltò probabilmente per urlargli contro e lui la baciò senza ulteriori spiegazioni.
 
Sdraiata sul letto e da poco tornata a casa, Emma si stava godendo l'aria mattutina della domenica appena iniziata. Teneva il telefono tra le mani, leggendo e rileggendo quel messaggio che l'aveva fatta sorridere e al quale non sapeva ancora se rispondere o meno. Non voleva cadere subito ai suoi piedi, né sapeva se quelle semplici parole nascondessero un reale interesse o fossero state dettate solo dall'alcool: era una possibilità, in fondo. Harry avrebbe potuto essersi pentito di averle scritto - sempre se se ne ricordava - e magari, a dispetto dei suoi istinti più profondi, non aveva ancora voglia di vederla.
All'improvviso la porta della sua camera si spalancò con una certa urgenza, tanto da spingerla a sedersi sul letto, infastidita. «Che ti prende?» Domandò a sua sorella maggiore, che aveva fatto irruzione senza bussare e con un'espressione sconvolta sul viso. Sembrava arrabbiata, anzi, furiosa.
«Come fai a conoscere Harry Styles?» Ribatté Melanie senza alcuna esitazione, come se non potesse fare a meno di dar voce ai suoi dubbi. Emma spalancò gli occhi, colta alla sprovvista, e cercò una risposta che potesse metterla a riparo, dato che non era sua intenzione ammettere la verità. Come faceva Melanie a sapere di loro due?
«È lui il ragazzo con il quale stai uscendo?» Incalzò l'altra, sfruttando la sua esitazione nel rispondere. Melanie sospettava già da un po' che sua sorella si stesse frequentando con qualcuno, nonostante Emma non avesse mai smentito o confermato la cosa: poteva vantare un ottimo spirito di osservazione. Lei si irrigidì, chiusa nella riservatezza che la caratterizzava in situazioni impreviste.
«Emma, rispondi!» La spronò Melanie, alzando di molto il tono di voce. Perché le premeva così tanto avere quelle informazioni? Perché, dopo giorni senza rivolgerle la parola, si stava comportando in quel modo?
«Sì, ok? Sto con Harry!» Sbottò Emma, alzandosi dal letto in preda al nervosismo. Era una mezza bugia, ma il suo istinto si era già portato avanti, aggrappandosi alla speranza che quella frase potesse trasformarsi in realtà dato che il loro litigio poteva essere superato.
Melanie ebbe una reazione che la stupì: in silenzio si limitò a guardarla indietreggiando di un passo, quasi a volersi allontanare da quella risposta e dal suo significato.
«Dimmi che non hai preso tu quei soldi» sussurrò poi a denti stretti, con gli occhi infervorati da una nuova energia.
Emma vacillò, con il cuore in gola a presagire qualcosa dal quale sarebbe stato meglio scappare. «Tu cosa ne sai?» Chiese soltanto, dandosi della stupida per non aver negato tutto. La verità era che era curiosa di sapere cosa fosse successo a Melanie per portarla a sospettare di lei, per portarla a sapere di Harry. La risposta, però, arrivò subito dopo, come uno schiaffo in pieno viso.
«Si dà il caso che il tuo amato Harry me l'abbia detto stamattina» esclamò la sorella, incrociando le braccia al petto. Emma sentì il suo corpo ribellarsi a quella notizia: tralasciando le dinamiche a lei sconosciute del loro incontro, dato che Melanie era semplicemente uscita con Fanny per fare una passeggiata un'oretta prima, non riusciva a credere che lui avesse davvero pensato di dire la verità al posto suo, senza nemmeno avvertirla, senza nemmeno chiedersi se non spettasse a lei farlo. Non riusciva a credere che l'avesse fatto dopo la notte appena trascorsa.
Corrugò la fronte e schiuse le labbra, ferita ed ormai scoperta. «Io... Volevo solo aiutarlo» sussurrò con lo sguardo basso, in un'ammissione alla quale sarebbe stato inutile e stupido sottrarsi. Non c'era più niente che potesse fare per nascondere l'accaduto, anche perché non sapeva quanto Harry avesse raccontato.
«Aiutarlo?» Ripeté Melanie, avvicinandosi di un passo con il viso paonazzo.
Emma alzò lo sguardo su di lei, decisa a non lasciare che qualcun'altro potesse mettere in dubbio quella verità che sembrava essere l'unica ad accettare. Eppure, specchiandosi negli occhi della sorella, un improvviso terrore le afferrò la volontà in una morsa asfissiante. Il senso di colpa si stava facendo strada in ogni suo pensiero. «Aveva bisogno di soldi» spiegò, come per trovare una giustificazione che la facesse sentire meglio, nonostante fosse la stessa che continuava a ripetersi e nonostante in quel momento le sembrasse del tutto nuova. «Lui e suo padre non se la cavano bene» aggiunse.
«Mi stai dicendo che... Che per aiutare lui, hai rubato in casa tua?!» Urlò Melanie, alzando gradualmente la voce. «Sei forse impazzita?!»
«Perché fai così?» chiese Emma, incapace di rimuginare oltre su quella dinamica inaspettata che non aveva affatto programmato. Le sembrava assurda.
«Come perché? Sei completamente impazzita?» urlò Harry, gesticolando e facendo un passo verso di lei, mentre dalla sua bocca usciva ancora il fumo che aveva inspirato pochi istanti prima.
Rapita da quell'involontario e doloroso ricordo, osservò la sorella passarsi una mano tra i capelli. «Scommetto che hai calcolato tutto nei minimi dettagli, vero?! Hai colto l'occasione, quando Zayn è venuto qui, e ti sei incaricata di spiattellarlo in giro in modo che mamma e papà dessero la colpa a lui! Tanto per te non vale niente tua sorella, né il suo ragazzo, non è così? Devi esserti divertita a scaricare su di me le tue stupide frustrazioni!» Gridò ancora Melanie, incredula di fronte alla realtà delle cose.
Emma aveva il fiato corto per quelle accuse: sapeva di non avere la fiducia della sorella, ma era completamente allibita dal suo egocentrismo, che la portava a non vedere oltre il suo naso e a non ammettere nessun'altra possibilità. Sapeva di non avere con lei un ottimo rapporto, ma non poteva credere di non meritare nemmeno il beneficio del dubbio, una richiesta di spiegazioni.
«Certo, come sempre ti senti al centro del mondo» commentò infatti, indignata. «Be', notizia flash: non è così!» Continuò. Lei non aveva architettato un bel niente, né aveva pensato di dare la colpa a Zayn. Quello era stato un imprevisto che non aveva tenuto in conto, qualcosa che le aveva concesso del tempo e che lei aveva assecondato per paura.
«Sei tu che mi metti al centro del mondo! Sei tu ad essere fissata con questa storia e sei sempre tu ad essere convinta che tutti preferiscano me, nonostante io ci abbia messo tutta me stessa nel dimostrarti che non è così!» Sbottò Melanie, dando voce al problema che da tempo intercorreva tra di loro. «Però hai continuato a pensare ciò che volevi, e non credere che questo ti giustifichi, perché cavolo, Emma, hai rubato dei soldi alla tua stessa famiglia! Hai praticamente fatto incolpare un'altra persona al posto tuo e ci sono andata di mezzo anche io!»
Emma non ebbe tempo di rispondere, di controbattere o di litigare, perché dalla porta fecero capolino i loro genitori, attirati dalle urla. «Ragazze, che sta succedendo qui dentro?» Chiese Constance preoccupata.
Fu Melanie a rispondere: «Ve lo spiega lei».
 
«Avanti, di' quello che hai fatto» esclamò la sorella maggiore, incrociando le braccia al petto.
Emma si sentiva braccata, come un animale che cerca disperatamente di fuggire, ma che non ha vie o strumenti per farlo. Paralizzata da quella incapacità, si limitava ad osservare i volti confusi dei suoi genitori e a mantenere un respiro quanto più regolare possibile. Sapeva cosa sarebbe successo da lì a poco e non era pronta ad affrontarlo.
Harry non avrebbe dovuto dire la verità al posto suo. Non avrebbe dovuto accaparrarsi quel diritto e non avrebbe dovuto far precipitare le cose.
«Emma» la chiamò Ron, osservandola attentamente.
Lei strinse i pugni lungo i fianchi e cercò un po' di coraggio, vergognandosi di se stessa per la paura che provava e per la consapevolezza di aver deluso qualcuno che stava per scoprirlo nel peggiore dei modi. Non si sarebbe resa ancora più ridicola, non se lo sarebbe permessa.
Alzò il mento e deglutì tutte le sue esitazioni. «Ho preso io quei soldi» disse semplicemente.
La stanza precipitò in un silenzio ben più irreale di quello vigente fino a qualche istante prima. Si udiva solo la voce spensierata di Fanny, che al piano di sotto canticchiava la sigla di un cartone animato che stava guardando in televisione.
«Tu cosa?» Ripeté Constance, indurendo lo sguardo.
«Ma che stai dicendo?» Domandò Ron quasi in contemporanea.
«Ragazzina, che cazzo stai dicendo?» furono le parole di Harry, masticate dalla rabbia che ormai era palese in ogni millimetro teso del suo volto.
«È la verità» rispose Emma, chiudendo dentro di sé il dolore per l'ennesimo ricordo e per l'ennesimo colpo alla propria consapevolezza. «Martedì li ho presi per aiutare una persona» continuò obbligandosi a non fermarsi, nonostante la fragilità che sentiva e nonostante gli sguardi di delusione che aveva su di sé. Poi si rivolse a Melanie, serrando la mascella. «E anche se per qualcuno è tanto difficile da credere, non volevo far ricadere la colpa su Zayn. Al massimo avrei potuto inscenare un furto o qualcosa del genere, dare la colpa ad uno sconosciuto almeno fino a quando quei soldi non fossero serviti al loro scopo. A quel punto avrei raccontato tutto, ma evidentemente le cose mi sono sfuggite di mano».
«Bugiarda! T-» Cominciò Melanie, pronta ad incolparla di nuovo.
Fu interrotta da Ron, però, che la zittì con un cenno deciso della mano. «Emma, ti rendi conto di quello che hai fatto?» Quasi sussurrò, facendo un passo avanti. «Credevo di averti educata meglio di così, che fossi più matura e responsabile». La voce era così bassa e grave da mettere i brividi.
«Dovrei ringraziarti per questo?» Chiese Harry incredulo, con le iridi che fremevano su di lei, quasi avessero potuto trasmetterle un messaggio ben più eloquente e d'impatto. «Non ti rendi conto di quello che hai fatto?! Hai quindici anni, ma iniziavo a pensare che fossi un po' più matura. A quanto pare mi sbagliavo di grosso» la accusò insensibile, mentre lei periva sotto quel colpo che la ferì prima nell'orgoglio e poi in qualcosa di più profondo, qualcosa che era quasi indissolubilmente legato a lui.
La delusione negli occhi del padre la abbatté completamente, senza darle alcuna possibilità di combattere o di trovarne la forza: era insopportabile e dolorosa, pronta a distruggere ogni tentativo di difesa che lei avrebbe potuto intraprendere. In quel momento sentì il peso della situazione nella quale si trovava: lo sentì fino ad avere l'impressione di esserne schiacciata sul pavimento sul quale stentavano a reggersi le sue gambe.
Si lasciò cadere delicatamente sul letto, sedendosi sul bordo con lo sguardo basso di chi cerca una scappatoia o qualcosa a cui aggrapparsi per resistere. Quando lo rialzò verso i visi dei suoi giudici, si ripromise di non distoglierlo più, di affrontare ogni cosa con la sua ferrea dignità nonostante la sentisse vacillare: in fondo sin dall'inizio sapeva che quel momento sarebbe arrivato, anche se in circostanze e tempi diversi.
Con un'espressione impassibile che non si concedeva nemmeno una smorfia per il rischio di cedere completamente, si limitò a rispondere concisamente alle domande che le venivano poste. In silenzio accettò i rimproveri e le grida del padre. In silenzio sostenne gli occhi feriti della madre, che non si capacitava del suo gesto. In silenzio tentò di convincere Melanie della reale svolta degli avvenimenti tramite un semplice sguardo. E, sempre in silenzio, tentò di affrontare il tutto con una nuova forza, che era difficile da mantenere viva e che in qualche modo la faceva sentire solo più debole.
 
Il cielo era dipinto da tonalità rosse che creavano ombre calde su tutto ciò che sovrastavano. Il sole, ormai quasi all'orizzonte, era nascosto dagli edifici delle città.
Emma ignorò i brividi che le percorrevano le braccia, come se ognuno di essi fosse trasportato direttamente sulla sua pelle da un alito di aria fredda che si infilava nei suoi indumenti. Chiuse per un attimo gli occhi e, quando li riaprì, un fuoco di ferrea tenacia ardeva nelle sfumature delle sue iridi. Non aspettò oltre ed avviò la chiamata, iniziando a camminare nel giardino sul retro di casa sua.
Non ricevette risposta e questo la portò a mordersi nervosamente un labbro, prima di ritentare.
Niente.
Avviò di nuovo la chiamata.
Ancora niente.
Sul punto di urlare, premette con foga il tasto verde per la quarta volta, ripromettendosi di continuare a farlo fin quando non avesse ottenuto ciò che le spettava.
«Ragaz-»
«Che diavolo ti passa per la testa, si può sapere?!» Sbottò appena Harry rispose con un tono che non volle nemmeno interpretare. Non le importava minimamente se fosse impegnato, se fosse in bagno o se non le volesse parlare, perché doveva ascoltarla e lei si sarebbe aggrappata ad ogni suo diritto per obbligarlo a farlo. «Come ti salta in mente di spifferare qualcosa del genere a mia sorella?!»
La rabbia la guidava in ogni movimento, in ogni intonazione: non si era mai sentita così stanca e rancorosa, e forse era anche a causa dell'estenuante litigio familiare che era durato oltre ogni previsione, ma si sentiva in dovere di sfogarsi completamente.
«Dovremmo parlarne di persona» disse Harry senza scomporsi troppo.
«Mi piacerebbe farlo, se non fossi in punizione fino alla fine dei miei giorni!» Urlò ancora, pronta a gettare fuori tutto ciò che le passava per la testa. «Non avevi nessun diritto di parlare con Melanie, non avevi nessun diritto di intrometterti in questa storia!»
«Tu parli di intromettersi?! Devo forse ricordarti-»
«È diverso, Harry! Perché non ci arrivi?!» Gridò Emma esasperata. Sentiva il bisogno di piangere, di sbarazzarsi delle lacrime che aveva trattenuto per tutto il giorno, ma non voleva farlo mentre era al telefono con lui e questo le toglieva altre forze. «Almeno io mi sono degnata di parlarne prima con te, ti ho offerto qualcosa che avresti potuto accettare o rifiutare! Non sono andata a pagare al posto tuo quella dannata bolletta! Invece tu hai preso una decisione che non ti spettava, hai fatto qualcosa che toccava a me fare! E non hai scuse per questo!»
«Melanie doveva saperlo, glielo dovevo» rispose Harry, con una calma che la fece innervosire ancora di più. «E tu non avresti parlato con i tuoi genitori, lo sai».
«Quindi è per Melanie che l'hai fatto?» Domandò Emma, corrugando la fronte e sentendo il cuore agitarsi al centro del suo petto. Non riusciva ancora a capire chiaramente in che rapporti fossero lui e sua sorella. «E a me non hai pensato?! Cazzo, devo proprio starti a cuore! Mi hai sempre parlato delle conseguenze delle mie azioni, ma oggi sei stato tu a non aver pensato a quelle che hai provocato, al casino che hai fatto! E che diavolo ne sai, se io avrei parlato o no ai miei genitori?!»
Si stava sfogando a ruota libera, concedendogli ben poche possibilità di ribattere. Lei avrebbe confessato tutto ai suoi genitori: forse con un po' di lentezza per la paura, forse con un po' di ritardo per dare a lui un'altra occasione, ma l'avrebbe fatto.
«Perché ormai ti conosco! E non credere che le cose sarebbero andate tanto diversamente, se tu stessa avessi detto la verità, quindi non parlarmi come se io fossi l'unico responsabile di tutto questo!»
«Questo non c'entra assolutamente niente! Quando io ho preso quegli stupidi soldi ero pronta ad accettare tutte queste conseguenze, ma tu me le hai imposte senza darmi del tempo! Hai detto che non volevi avere niente a che fare con questa storia, allora perché te ne sei interessato solo per farmi del male?!»
«Io non...» Harry sospirò dall'altro capo della cornetta. «Non l'ho fatto per ferirti» riprese seriamente.
Emma si strinse nelle spalle ed alzò gli occhi per guardare il cielo ed impedire alle lacrime di fare capolino. Sapeva di essere condizionata da troppe emozioni per poterle gestire tutte e sapeva di star per cedere.
«Allora perché? Eri talmente arrabbiato con me da desiderare di farmela pagare?» Domandò lei abbassando il tono di voce.
«Ti ho già detto perché l'ho fatto» fu la risposta. Harry non sembrava annoiato, né la stava rimproverando: avrebbe voluto averlo davanti per poterlo guardare negli occhi e per interpretare meglio ogni sua parola.
«Be', questo non mi basta» sussurrò Emma. «Non mi basta che tu abbia pensato prima a Melanie che a me: io ho pensato prima a te quando ho lasciato che i miei dessero la colpa a Zayn, sai? Ho pensato che se non fossi intervenuta tu avresti avuto più tempo per tornare e prendere i soldi che ti servivano. Ma immagino di essere stata solo una stupida o, come ti piace tanto dire, una stupida bambina» esclamò con un tono apatico del quale si pentì subito dopo. Più volte si era ripromessa di non lasciargli più scovare le sue debolezze, mentre si era appena lasciata sfuggire l'ennesimo gesto estremo che aveva compiuto per lui: nel ripensarci lo classificò come assurdo.
Cercò di non dargli il tempo di rimuginare sulle sue parole e di non dare il tempo a se stessa di vergognarsi troppo per quella debolezza. «E non mi basta che tu abbia dato per scontato il fatto che io non avrei confessato tutto ai miei genitori, perché hai di nuovo dato me per scontata».
Harry non rispose.
Emma respirò a lungo e profondamente.
«Devo proprio sembrarti ridicola» riprese poi sorridendo tristemente. «Una ragazzina che fa di tutto per qualcuno, quando quel qualcuno non si degna di darle nemmeno una briciola in confronto. Dimmi, Harry, come va con tuo padre? Avete la corrente elettrica? Sei riuscito a trovare dei soldi? E dimmi, come conosci Zayn? Cosa è successo tra di voi?» Ripeté come un mantra, pronunciando gli interrogativi che nella sua mente si erano susseguiti ininterrottamente per giorni. «Quando hai detto che ti mancavo eri sincero? O eri davvero solo molto ubriaco?» Aggiunse, dato che quel dubbio si era intensificato molto di più dopo gli ultimi avvenimenti. «Io non ho nessuna delle risposte e tu sei stato abbastanza chiaro nel non volermene dare. Sono stanca di combattere per niente».
La parte più profonda di Emma si aspettava una risposta, anche solo una risata di scherno che potesse confermare le sue ipotesi, ma non ottenne nulla, cosa alla quale in fondo era abituata, e quel silenzio diventò talmente insopportabile da spingerla a terminare la chiamata. Subito dopo sperò ancora di sentire il telefono squillare, ma restò solo un'ennesima vana speranza.
Si sedette a terra, sull'erba umida del suo giardino, e si portò le gambe al petto per nascondervi il viso e circondarle con le braccia. Solo allora, nascosta da tutti, si sentì libera di piangere.





 


Buoooogiorno!
Sì, avevo detto che avrei aggiornato domani, ma domani non avrei potuto e quindi ecco qui il capitolo! Sarò veloce (spero) perché sono di fretta!
La cosa fondamentale di questo capitolo è il fatto che Harry abbia detto la verità a Melanie: ovviamente ha avuto le sue ragioni e ovviamente si ritornerà sull'argomento, quindi non disperate! E prima di etichettarlo come uno stronzo, aspettate hahah Questo ha delle ripercussioni sull'intera faccenda, dato che ormai tutta la famiglia sa dell'accaduto! Ed Emma, che non solo ha dovuto accettare le famose conseguenze di cui si parlava e la delusione dei suoi parenti, si è anche ritrovata a dover combattere di nuovo contro Harry! Spero che sia chiaro il ragionamento: lei sta dando il mille per cento, come al suo solito, mentre lui sembra sempre riportare tutto a terra, smontare ogni passo avanti: per questo dice di combattere per niente!
Detto questo, aspetto i vostri commenti! Vi chiedo di farmi sapere tutto ciò che vi passa per la testa perché mi sarebbe molto utile :)

Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto! E vi ringrazio per tutto, come al solito!!
Nel prossimo capitolo, HARRY.

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.
  

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Capitolo 20
*** Capitolo venti - I am here ***




 

Capitolo venti - I am here
 

 

Stranamente era lunedì mattina ed Emma aveva gli occhi aperti già da un'ora prima che la sveglia suonasse. Non che fosse mai riuscita ad addormentarsi nel vero senso del termine - e le occhiaie evidenti ne erano la conferma - ma le piaceva pensare di aver almeno riposato quanto necessario a non svenire in classe. Doveva pensarlo.
Era ferma in corridoio, appoggiata alla parete con le mani che continuavano a torturarsi nell'attesa: davanti a lei, la porta della stanza di Melanie era ancora chiusa. Continuava a ripetersi di doverlo fare, nonostante il suo orgoglio e nonostante le si torcesse lo stomaco al solo pensiero: ora o mai più, erano le parole che vorticavano nella sua mente. In fondo era lunedì, il giorno dei buoni propositi, e lei li aveva raccolti in una lunga lista mentale, pronta a rispettarli con ogni briciolo di volontà.
Quando Emma sentì il suono della sveglia della sorella provenire attutito da qualche metro di distanza, aspettò che lei la spegnesse per poi spalancare la porta ed entrare senza ulteriori esitazioni: Melanie si spaventò per quel gesto inaspettato e l'altra si pentì di aver mostrato così poco autocontrollo. Con ancora una mano sulla maniglia e l'altra ad aggiustarsi la maglia del pigiama azzurro, Emma cercò di darsi un contegno. «Buongiorno» mormorò appena, mordendosi un labbro.
Melanie aveva ancora i capelli disordinati e gli occhi assonnati, ma la guardava attentamente in attesa di una qualsiasi parola: dopo il litigio del pomeriggio precedente l'atmosfera era di ghiaccio. Le rivolse un cenno del capo in risposta a quello stentato saluto ed Emma prese quel semplice gesto come un permesso a fare qualsiasi altra cosa avesse in mente: si voltò velocemente e chiuse la porta, poi sospirò e tornò a guardare sua sorella maggiore.
Si avvicinò lentamente, forse per recuperare un po' di tempo o per riformulare il discorso che aveva avuto tempo di pianificare durante tutta l'insonne notte. Era troppo nervosa - lo dimostrava il fatto che continuasse ad accarezzarsi energicamente il braccio destro, come a darsi conforto o un incoraggiamento - ed avrebbe voluto che fosse altrimenti.
Melanie non disse nemmeno una parola: forse era troppo arrabbiata e ferita per farlo, o forse conosceva molto bene sua sorella e sapeva che aveva bisogno di silenzio. Emma in un certo senso gliene fu grata, anche se non sapeva cosa aspettarsi, mentre si sedeva titubante sul letto e prendeva a guardarsi le mani strette sul suo grembo.
«Io...» sussurrò, richiudendo subito dopo la bocca, quasi indignata per il tono insicuro e debole con il quale aveva parlato. Non ricordava più come iniziasse quel benedetto discorso e stava davvero cominciando ad innervosirsi. Sospirò sonoramente ed incontrò lo sguardo di Melanie, mandando al diavolo se stessa ed ogni progetto che avesse macchinato nelle ore precedenti: come sempre avrebbe lasciato che l'istinto la guidasse in quella personale crociata. E fu proprio l'istinto a spingerla tra le braccia della sorella, permettendole di stringerla in un gesto ben più eloquente di mille parole confuse e riluttanti.
Sentì Melanie irrigidirsi, probabilmente stupita da quel contatto al quale sicuramente non si sarebbe sottratta: profumava di buono, infatti Emma cercò quella fragranza leggera tra i suoi capelli, accettando le sue braccia che si permettevano di ricambiare la stretta e che la fecero sentire immediatamente meglio. Nonostante il suo carattere, la sua sincerità ed il suo estremismo, non era mai stata brava a dimostrare il suo affetto nei confronti di sua sorella: era seppellito sotto chili di rancore privato e di invidia, ma c'era e lo sentiva sempre più intensamente, senza riuscire a controllarlo o ad esternarlo.
Quando Melanie le baciò delicatamente una spalla, con quel fare fraterno che la caratterizzava in ogni gesto, Emma si sentì già in parte perdonata. «Mi dispiace» sussurrò allora, con gli occhi chiusi ed il cuore che combatteva per liberarsi da quel peso. L'altra annuì e nessuna delle due fece un altro movimento. «Ho sbagliato e l'ho sempre saputo» continuò dopo qualche istante. Non le era facile pronunciare quelle parole, ma doveva farlo. «Lo sapevo anche mentre prendevo quei soldi e mentre facevo ricadere la colpa su Zayn. E mi dispiace» concluse, allontanandosi lentamente per poterla guardare negli occhi. Non le ripeté come fossero andate realmente le cose, non le ripeté come le fossero sfuggite di mano, perché avevano già affrontato quel discorso il giorno precedente: inoltre, il suo orgoglio non era molto d'accordo ad esporsi di nuovo in modo così evidente.
«E hai ragione tu» riprese, pronta a non fermarsi: avrebbe chiarito la loro tacita questione in sospeso. «Sono convinta che mamma e papà ti vedano con un occhio diverso, rispetto a come vedono me, ma non perché io sia una bambina viziata. È perché tu sei migliore, Mel» ammise a bassa voce. Confessarlo non era stato difficile come aveva creduto, ma nemmeno così semplice: la verità era che, per quanto spesso la criticasse, lei non si sarebbe mai sentita all'altezza di sua sorella. Della sua bellezza. Della sua bontà. Della sua intelligenza. Di ogni suo più piccolo particolare. E, se per tutto quel tempo si era ribellata a quella verità scomoda, mascherando il tutto con la rabbia, era ormai pronta ad accettare che lei sarebbe stata l'unica persona davanti alla quale avrebbe mai pensato di ammettere un'inferiorità.
Melanie corrugò la fronte e sembrò sconvolta da quelle parole. «No…» sussurrò soltanto.
«Ti ho sempre invidiata» la ignorò Emma, stupendosi di se stessa. «Ma al posto di prenderti ad esempio, mi sono arrabbiata e ho fatto di tutto pur di metterti i bastoni tra le ruote, come se avessi potuto sentirmi meglio facendoti un torto».
«Emma, non hai assolutamente niente da invidiarmi» la contraddisse Melanie, scuotendo la testa. «Davvero, io non sono... migliore. E tu vai benissimo così come sei» continuò premurosa. E quelle parole che Emma tanto bramava da qualsiasi persona la circondasse - soprattutto da lui - furono pronunciate dall'unica che lei aveva sempre cercato di respingere, l'unica che, forse, avrebbe potuto offrirle un appoggio migliore di chiunque altro.
«Non è vero» ribatté allora abbassando lo sguardo, provata dal senso di colpa per quel suo stupido comportamento con il quale aveva rovinato il loro rapporto per così tanto tempo. «Sono un completo disastro».
«Hey, guardami» la spronò l'altra, accarezzandole dolcemente i capelli. Nei suoi occhi, non c'era più la delusione del giorno precedente, non c'erano più tutta la rabbia e lo sdegno che l'avevano messa in ginocchio. O, se ancora erano presenti, erano sovrastati dall'affetto. «Smettila di dire queste cose. Non è affatto così e mi dispiace... Mi dispiace che tutto questo sia successo anche a causa mia: se avessi saputo come ti sentivi, io avrei fat-»
«Vedi perché ti invidio?» La interruppe Emma, accennando un sorriso breve. Quella ragazza era semplicemente assurda: riusciva a sentirsi responsabile anche di qualcosa per cui non doveva essere perdonata, di qualcosa in cui lei era solo una vittima ignara. La sua disponibilità e la sua prontezza nell'aiutare chiunque le respirasse intorno spiazzavano Emma più di tante altre cose. Lei sì che sapeva gestire e riconoscere le priorità, perché non era infetta dall'orgoglio che l'avrebbe solo ostacolata: sapeva essere ragionevole e trattenere gli istinti che sicuramente sentiva come tutti gli altri, pur mantenendo una perseveranza che in pochi si aspettavano da una persona così timida e mite. Sapeva perdonare con facilità, senza per questo peccare di stupidità.
«Scusa, davvero» ripeté Emma tornando al discorso iniziale. La sfumatura che attraversò gli occhi di Melanie le diede un indizio su come lei non avesse ancora dimenticato la faccenda: probabilmente non l'aveva nemmeno ancora perdonata, come era giusto che fosse. «E chiedi scusa anche a Zayn» aggiunse borbottando, nonostante di lui le importasse meno di zero. Non si fidava di quel ragazzo e di sicuro avrebbe preferito vedere qualcun altro al fianco di sua sorella, ma non poteva fare molto a riguardo.
Melanie si accorse della sua riluttanza nelle ultime parole, ma non lo diede a vedere, o almeno ci provò. «Scuse accettate» disse prontamente dopo qualche secondo, sorridendo con la solita dolcezza.
Emma, con gli occhi fieri fissi sul pavimento, fece altrettanto. Non aveva più le forze per aprirsi ancora: si era già esposta abbastanza e quella situazione era più che imbarazzante.
«Melanie! Sei sveglia?» Urlò Constance dal piano di sotto, nel quotidiano controllo che la sveglia avesse fatto il suo dovere, cosa che con lei succedeva raramente.
La diretta interessata rispose affermativamente, mentre Emma si alzava dal letto e si avvicinava alla porta, pronta a tornare in un posto più al riparo. Si aggrappò al legno chiaro della porta e si fermò, dandole le spalle. C'era ancora una cosa che voleva precisare.
«Harry non è una semplice cotta, come l'ha definita ieri papà» esclamò stringendo i pugni. Ron era stato piuttosto duro a riguardo: gli era inconcepibile che sua figlia si fosse comportata in quel modo solo per correre dietro ad un capriccio che a quindici anni non poteva essere altro. «Non ho riportato subito i soldi al loro posto solo perché speravo che lui li accettasse, prima o poi. Sai, Harry... Si è arrabbiato molto quando gli ho proposto di prenderli» continuò, abbozzando una risata incredula. Non poteva di certo avere un'altra reazione, data l'assurdità di tutta quella storia, dato il dolore che sentiva nel non aver ricevuto ancora nemmeno una sua chiamata o un messaggio, nonostante le cose che lei gli aveva urlato al telefono. «Non mi ha parlato per diversi giorni» concluse, uscendo subito dopo dalla stanza.
 
Quando il cellulare iniziò a vibrare nel buio della sua camera, credette di sognare: era troppo stanca per riuscire a svegliarsi davvero, soprattutto dal momento che era riuscita a prendere sonno e tutto il suo corpo si era completamente abbandonato alla debolezza. Eppure, nonostante gli occhi ormai aperti e confusi, la vibrazione sul suo comodino non si arrestò.
Emma diede un'occhiata alla sveglia alla sua sinistra che, con i suoi caratteri blu e splendenti, indicava le 2:43 di notte. Corrugò la fronte ed allungò una mano per afferrare il cellulare, chiedendosi chi potesse essere a quell'ora. Quando sullo schermo, contro ogni sua previsione, lesse il nome di Harry, trattenne il fiato.
Improvvisamente la stanza calò di nuovo nel buio completo, perché la chiamata era appena stata terminata: a quel punto Emma fu tentata di ridere, perché quello doveva essere stato davvero un sogno.
Sospirò e si passò una mano sul viso, come per arrendersi alla sua vergognosa situazione, ma sobbalzò nel letto quando il telefono vibrò di nuovo, rivendicandosi più che reale. Fissando lo schermo dove lo stesso nome di prima faceva la sua comparsa, si prese qualche secondo per pensare velocemente a tutte le possibilità: per più di un giorno aveva atteso una sua telefonata, a prescindere da ciò che lei sentisse a riguardo, quindi sarebbe stato da stupidi non accettarla.
Premette il tasto verde lentamente, poi si avvicinò il cellulare all'orecchio, girandosi su un fianco.
«Harry…» sussurrò soltanto, senza alcuna intonazione particolare nella voce bassa.
Dall'altra parte, lui respirò profondamente, ma non parlò. A cosa stava pensando? Cosa stava per dirle?
Emma era già pronta ad armarsi di ogni difesa possibile ed immaginabile pur di affrontare l'eventuale ennesima ferita, ma provvide in silenzio. Non sapeva cosa aspettarsi, ma sapeva che non avrebbe fatto lei il primo passo.
Con gli occhi socchiusi per il sonno, ascoltava il respiro lento di Harry che scandiva il passare dei secondi: avrebbe voluto urlargli di parlare, di dire qualcosa perché quel silenzio era straziante, ma in fondo le piaceva pensare che lui stesse cercando qualcosa di adatto nel suo repertorio di frasi in grado di ferirla il più delle volte. Le piaceva un po' di meno, però, l'eventualità che potesse pronunciare proprio una di quelle.
Quando si accorse di aspettare inutilmente, dato che Harry sembrava assorto in un silenzio dal quale non aveva intenzione di svincolarsi, si sentì improvvisamente più stanca e arresa. «Buonanotte, Harry» mormorò infatti, pronta a mettere fine a qualsiasi cosa stessero facendo.
«Aspetta» disse allora lui, con una vena che sembrava di preoccupazione o di impazienza. Emma gli diede ascolto, sollevata nell'aver provocato una reazione.
Accolse un altro sospiro e se lo immaginò fuoriuscire dalle sue labbra morbide e magari increspate in chissà quale espressione che non le era dato di scoprire.
«Ho chiesto i soldi che mi servivano a Ty» esordì poi Harry, spiazzandola per quella rivelazione.
L'aveva fatto.
Le aveva dato ascolto e aveva risolto le cose.
Nonostante quando glielo aveva proposto avesse reagito duramente, poi aveva accolto il suo consiglio.
Emma sorrise nel buio e chiuse gli occhi, raggomitolando le gambe al petto.
«Lavorerò al Rumpel nei fine settimana per ripagarlo. Ieri stavo cercando di capire come funziona la macchina per il caffè, quando mi hai chiamato» aggiunse lentamente.
Lei sorrise di nuovo, questa volta più apertamente: la sua mente le dipinse davanti agli occhi un Harry indaffarato tra un'ordinazione e l'altra, confuso dai vari compiti ed imprecante contro gli aggeggi infernali dietro al bancone, armato di grembiule nero e di block notes per appuntare le varie volontà dei clienti.
«Con mio padre le cose vanno meglio, credo» continuò lui a bassa voce. «Non ha ancora trovato un lavoro, ma si sta impegnando. Ha sbagliato a non dirmi la verità, ma io ho sbagliato a non accorgermi di nulla per mesi».
Emma annuì tra sé e sé, percependo l'impegno di Harry nel voler rispondere alle domande che lei il giorno prima gli aveva rinfacciato. Non poteva che immaginare che per lui fosse difficile parlare di ciò che lo tormentava, come in fondo era sempre stato. Se ne accorgeva dal modo in cui rendeva tutto conciso e preciso, senza scendere nei dettagli o dilungarsi troppo, come a cercare una protezione alternativa alla riservatezza.
«Io e Zayn siamo cresciuti insieme. Avevamo qualcosa in sospeso, qualcosa di cui non so parlare» sospirò Harry, quasi sconfitto dalle sue stesse parole ed incendiando la curiosità di Emma. Non si sentiva in dovere di forzarlo oltre, forse perché riusciva ad apprezzare quello che le stava concedendo in quel momento, senza il bisogno di sentire altro. «Tua sorella Melanie mi ha aiutato indirettamente in questa cosa. Lei sa tutto» aggiunse. E la pausa che seguì quelle ultime parole, pronunciate con un tono che lasciava intendere un significato sottinteso, le sembrò un invito a chiedere a Melanie stessa delle ulteriori informazioni: data la sua incapacità di parlarne, forse Harry le stava regalando l'opportunità di sapere tutto senza che fosse lui la fonte diretta di quel racconto.
«Mi dispiace di aver fatto un casino dicendo la verità a tua sorella» riprese lui. «Ma dovevo farlo e forse... Prima o poi capirai il perché».
Emma corrugò la fronte e fu tentata di chiedergli perché non potesse capirlo subito, cercando disperatamente di mettere insieme tutte quelle informazioni frammentarie. Però non lo fece, perché era letteralmente incantata nell'ascoltarlo parlare spontaneamente, senza che lei facesse domande o insistesse nel sapere qualcosa in più.
Passarono qualche istante in silenzio, ognuno ascoltando e contando i respiri dell'altro. Fu di nuovo Harry a parlare. «Possiamo vederci?»
Emma sentì il cuore agitarsi per quella domanda, nonostante fosse ancora combattuto dai sentimenti contrastanti che provava: lui aveva commesso i suoi errori, ma aveva anche fatto un passo verso di lei, cercando di dimostrare - nei suoi limiti del possibile - che lei non stava combattendo per niente, come gli aveva detto.
«Sono in punizione, non posso uscire» rispose allora, ricordandosi di quel particolare scomodo.
«No, Emma» disse Harry piano, accarezzando il suo nome con un tono che la scosse fin nelle ossa. «Possiamo vederci adesso
Lei spalancò gli occhi: «Come...» sussurrò soltanto, non capendo ciò che avesse in mente.
«Trova un modo» insistette lui. «Perché è vero che mi manchi» aggiunse, rispondendo anche all'ultima domanda.
 
Emma non era disposta a rischiare di essere scoperta mentre sgattaiolava fuori casa nel bel mezzo della notte per incontrarsi con il ragazzo che ventiquattro ore prima i suoi genitori avevano disprezzato, soprattutto perché la situazione era fin troppo delicata per poter essere complicata ulteriormente.
Aveva pensato di farlo entrare in camera sua, ma la sua finestra dava su una parete completamente priva di appigli e - non sapendo come si sarebbero evolute le cose - era rischioso persino avere la sua presenza dentro casa.
Alla fine, quindi, aveva optato per il giardino sul retro: gli aveva dato le informazioni dovute, spiegandogli da dove passare e combattendo con il proprio battito cardiaco per mantenere una certa tranquillità, minata dalle sue parole inaspettate e maledettamente piacevoli.
Si era rinfrescata la faccia e aveva indossato un maglione nero che avrebbe sostituito l'imbarazzante maglia del pigiama con un enorme mongolfiera colorata sull'addome, poi si era ravvivata i capelli e lavata i denti. Muovendosi il più silenziosamente possibile, Emma era uscita dalla porta-finestra che dava sul giardino, aspettando qualche secondo nella più completa immobilità per capire se qualcuno si fosse svegliato: in quel caso avrebbe semplicemente detto che aveva bisogno di un po' d'aria e se la sarebbe cavata solo con uno sguardo sospettoso. Dopo essersi accertata della solidità della sua incognita uscita, si avvicinò allo steccato al quale Harry si era già aggrappato per poterlo scavalcare.
Sotto di lui, Emma tendeva le mani verso l'alto, come a volerlo prendere al volo se avesse dovuto sbilanciarsi o cadere: lo osservò attentamente mentre spostava una gamba dopo l'altra oltre lo steccato, intimandogli di fare piano e soprattutto di fare tutto in silenzio. Poi fece un passo indietro quando lui, con un salto energico, atterrò sui suoi piedi a mezzo metro da lei, passandosi una mano tra i capelli e tirandosi verso l'alto i pantaloni blu della tuta.
Emma si prese qualche secondo per osservarlo attentamente: i capelli ricci erano meno voluminosi e più arruffati del solito, mentre il viso continuava a portare i segni del litigio con Zayn, anche se si stavano affievolendo lentamente. La giacca marrone era sbottonata e lasciava intravedere una maglietta bianca un po' sgualcita: chissà se anche lui si era vestito con le prime cose che aveva trovato nell'armadio.
Harry portò lo sguardo nel suo e si lasciò scappare un respiro più lungo, che lei non seppe bene come interpretare. «Anche io ho bisogno di risposte» disse inaspettatamente.
Lei corrugò appena la fronte: le sembrava di dargliene e di avergliene sempre date anche in eccesso, anche contro la propria volontà.
«In fondo hai detto di non volermi» continuò Harry prima che lei potesse aprire bocca. Era vero, gliel'aveva detto alla fine del loro litigio causato dalle sterline rubate, ma Emma si chiedeva come facesse ad avere dei dubbi: nonostante le sue parole, credeva che fosse vergognosamente ovvio quanto lo volesse.
«Anche tu mi hai detto un sacco di cose» rispose, per non dargli la soddisfazione di un'ammissione con la quale si sarebbe esposta troppo. Erano così precarie le cose tra di loro, da rendere tutto rischioso e sospetto.
«Ma non ho mai mentito. Tu l'hai fatto?» Ribatté lui, spiazzandola. Faceva male sapere che le parole dure che le aveva rivolto non potessero trovare una scusa dietro la rabbia o l'orgoglio, ma che scaturivano da reali pensieri. E se davvero non aveva mai mentito, anche le frasi che le avevano fatto battere il cuore un po' più forte erano state frutto della sua sincerità, ma non compensavano la piccola e fastidiosa ferita.
«Non riesci proprio ad essere un po' più delicato?» Lo rimproverò. Apprezzava la schiettezza, ma era convinta che potesse essere dimostrata con una maggior cura, soprattutto riguardo certi argomenti.
Harry sospirò e si passò una mano tra i capelli, lentamente. «Il significato non cambierebbe» si giustificò.
«E quale sarebbe il significato?» Osò Emma, decisa a strappargli ancora qualche informazione. Assottigliò gli occhi ed incrociò le braccia al petto, sia per intestardirsi sia per proteggersi dal freddo notturno. «Tutte le cose che non ti stanno bene di me che significato hanno?»
«Ragazzina, non essere ipocrita» la ammonì senza indurire il tono di voce. «Quante volte mi hai dato dell'insensibile? Quante volte mi hai dato del presuntuoso, dell'egocentrico ed egoista? Si direbbe che il mio carattere non sia tra i tuoi preferiti, quindi potrei farti esattamente la stessa domanda».
Emma non aveva mai pensato a quella prospettiva delle cose: effettivamente, in ogni litigio, nessuno dei due si era risparmiato in fatto di critiche. Si erano sempre rimproverati a vicenda, in modo più o meno grave ed andando a toccare tasti più o meno delicati: chissà come si sentiva Harry a riguardo. Forse nutriva dei dubbi simili ai suoi, dato che era arrivato a chiederle se davvero non volesse più avere a che fare con lui.
«Hai già la risposta, visto che sono qui» mormorò Emma, cercando di non esporsi troppo. Dopo tutti gli ultimi avvenimenti aveva bisogno di restare al riparo il più possibile, di ricostituire quello scudo imperscrutabile che era stato smantellato prima da lui e poi da tutti i membri della sua famiglia.
Harry si inumidì le labbra e la guardò per qualche istante. «Anche io sono qui».
E quella era la sua risposta.
Quello era il loro modo di assicurare la presenza l'uno dell'altra, con parole vaghe e fuorvianti, ma nonostante tutto e nonostante tutti gli scontri. Forse stavano davvero combattendo per raggiungere una certa stabilità che potesse prescindere dalle loro differenze: e forse era tutto così doloroso e ancora instabile a causa dei loro caratteri, delle loro discrepanze. In caso contrario, la presenza di Harry nel suo giardino non avrebbe avuto senso: chi avrebbe potuto costringerlo a perdere tempo con lei?
Emma trattenne a stento un sospiro con il quale avrebbe sfogato tutte le informazioni contrastanti che si affollavano dentro di sé, tutte le possibilità e le contraddizioni. Voleva concentrarsi sul presente, sul ragazzo che aveva di fronte e su ciò che le stava provocando dentro. Nonostante ciò che più volte si era ripromessa, il suo istinto la portava ad ingannare ogni freno razionale: dovendo accettare il suo monopolio, Emma non poteva fare altro se non convincersi di essere forte abbastanza da saper gestire la situazione. Magari un po' meglio di come aveva fatto in passato.
E quindi, sopraffatta da tutto quel ragionare e tormentarsi, «Ok» sussurrò soltanto.
Harry abbozzò una leggera risata che gli fece comparire le fossette sulle guance, a renderlo meno serio ed inconcepibile. Scosse la testa ed abbassò lo sguardo sulle sue scarpe con ancora un sorriso sul volto.
Quando poi lo rialzò verso il suo, «Ok» ripeté.
A quel punto nessuno dei due si mosse, come se entrambi stessero cercando di capire la successiva mossa, come se entrambi stessero cercando un permesso per ciò che avevano in mente. Poi, quando sembrò che non ci fosse più niente da discutere silenziosamente e tramite taciti accordi, Harry si spostò verso di lei e le baciò le labbra senza lasciarle nessun'altra possibilità se non quella di assecondarlo: Emma chiuse gli occhi e respirò sulla sua bocca, intrecciando le braccia dietro la sua schiena e poi le mani tra i suoi capelli. Nonostante fosse passato poco tempo dall'ultima volta che aveva avuto l'opportunità di toccare il suo corpo e di percepire ogni suo muscolo sotto le dita sottili, sembrava che le mancasse il fiato per la nostalgia.
In un barlume di lucidità - per quanto potesse essere compromessa dalle labbra soffici di Harry che continuavano a rubare dei baci esigenti alle sue - decise di ridurre ancora di più i rischi di essere scoperti dai suoi genitori: aggrappandosi alla sua giacca, indietreggiò incespicando nei propri piedi fino ad appoggiare la schiena alla parete fredda ed umida della baracca, quella che suo padre usava per vari attrezzi arrugginiti e che proteggeva loro dalla vista di chiunque fosse uscito in giardino.
«Possiamo smettere di litigare?» Arrancò Emma, con la voglia di non fare nient'altro che baciarlo per tutto il giorno, per tutti i giorni. Le sembrava un tale spreco perdere tempo per urlarsi contro. E le sembrava altrettanto assurdo che potessero essere così incompatibili sotto diversi punti di vista, quando i loro corpi sembravano essere stati creati l'uno per l'altro.
«Poi non potremmo fare pace» ironizzò Harry, stringendole la nuca per avvicinarla ancora di più al suo volto. Lei fece lo stesso, divertita da quella risposta che mancava di serietà, ma che in fondo non era del tutto falsa.
«Potremmo trovare comunque dei pretesti» gli propose maliziosa.
«Sì, ed io ne ho già uno» annuì lui, facendola incuriosire. «Ti sei fatta baciare da quel coglione» sussurrò senza interrompere il contatto, ma imprimendo una maggiore enfasi in ogni suo movimento mentre incastrava il proprio corpo con il suo.
Emma pensò subito a Dallas, ma si rese conto che lui non poteva sapere niente di quella specie di bacio che si erano scambiati. Poi capì a chi si stava riferendo.
«Non mi ha baciata» ribatté fiocamente. Tecnicamente, il ragazzo con il quale aveva ballato alla festa di Walton le aveva baciato solo il collo.
«Ma la sua bocca era su di te» continuò Harry, mordendole dispettosamente un labbro. Era gelosia, la sua? Ripensandoci era forse la prima volta che la dimostrava in modo così esplicito ed inaspettato: lei non si aspettava di certo una reazione del genere a due giorni di distanza, anzi, non si aspettava nemmeno che lui si ricordasse dell'accaduto.
«Se la metti così…» tentò di dire Emma, nonostante avesse un po' di difficoltà a trovare abbastanza ossigeno per parlare, visto che lui non le dava il tempo di respirare a dovere. «Le tue mani erano sul culo di quella ragazza» esclamò piccata.
Harry sorrise di nuovo con una certa malizia, poi spostò le mani lungo la sua spina dorsale per fermarle sui suoi glutei. «Così, dici?» Le domandò ammiccante, stringendo la sua carne e, contemporaneamente, attirandola a sé.
Emma rabbrividì, ma non si scompose, pronta a ripagarlo con la stessa moneta. «Non so» rispose infatti, accarezzandogli la mascella con le labbra fino a posarle sul suo collo fresco. Gli baciò la pelle più volte, godendosi la sensazione di averlo in pugno con così poco, e la succhiò appena solo per poi lambirla ancora un po'. «Ma lui mi ha baciata così, quindi credo che abbia fatto di sicuro un lavoro migliore del tuo» continuò a pochi centimetri dal suo viso, usando le parole che lui stesso aveva scelto solo per farlo innervosire di più.
Harry alzò un sopracciglio e velò il suo sguardo di un barlume di fastidio, prima di tornare a tormentarle le labbra come a voler smentire le sue parole.
«Perché mi sfidi?» Le domandò soltanto, con una punta di rabbia nella voce. Non era sicura se fosse dovuta alla sua provocazione o all'immagine del ragazzo che alla festa l'aveva sfiorata in quel modo.
«Perché non dovrei?» Mormorò con gli occhi chiusi, momentaneamente distratta dal morso piccato che lui le lasciò al lobo dell'orecchio.
«Perché sono sicuro che almeno in questo…» le sussurrò sulla pelle, stringendo di nuovo le sue natiche per rinforzare il concetto, «perderesti» concluse leggero, riferendosi probabilmente alla sua inesperienza sessuale.
Emma non si lasciò scoraggiare dalla sicurezza degna del suo ego sconfinato, perché era brava nel nascondere certe cose: dentro di sé, comunque, non poteva negare l'agitazione tendente all'impazienza che le mani su di lei stavano scatenando.
«Non dovresti esserne così certo» lo stuzzicò allora.
Lui si irrigidì per un impercettibile frammento di secondo ed alzò il viso per guardarla negli occhi con le labbra socchiuse. «L'hai già fatto con qualcuno?»
Emma strabuzzò gli occhi e boccheggiò qualcosa, poi tornò in sé e per poco non sospirò. «Lo sai» affermò, infastidita per quella domanda inutile.
«Non intendo il sesso» la corresse Harry, come se fosse stata una cosa ovvia, come se non avesse avuto nemmeno un dubbio a riguardo. «Intendo quello che viene prima. I preliminari».
Lei si morse un labbro e distolse per un attimo lo sguardo. «No» rispose flebilmente. Qualche palpatina non poteva certo essere classificata tra i preliminari, almeno non quelli ai quali Harry era abituato.
Harry sorrise lievemente, quasi a non volerlo dare a vedere, poi i suoi occhi si velarono di qualcosa di diverso. «Bene» affermò, prima di osservarle le labbra e riprendere a baciarle lentamente, con più dolcezza di prima.
I loro baci, per un motivo o per un altro, erano sempre stati ricchi di passione e frenesia, impulso ed irruenza, mentre quello che stavano condividendo in quel momento era in netto contrasto, distinguendosi per i movimenti accorti ed in sintonia, per la delicatezza e la leggerezza.
Emma sospettava che Harry stesse cercando di tranquillizzarla in previsione di qualcosa che aveva in mente, dato che le sue mani le stavano scivolando sotto il maglione sul ventre piatto. Era stata tentata di riscuoterlo e di fargli capire di non averne bisogno, perché lo voleva quanto lui e perché era pronta e consenziente, ma in fondo non le dispiaceva quel suo lato premuroso ed aveva quindi deciso di conoscerlo meglio.
Gli permise di sfiorare i suoi fianchi e poi di risalire fino al suo seno, senza dare importanza ai brividi causati dalle sue dita fredde. Gli permise di baciarla ancora, come a doverlo fare mosso da una costrizione esterna ed indiscutibile. E lei, in cambio, si curò di non lasciarsi sfuggire nemmeno un dettaglio né un respiro.
«Ti ricordi al Rumpel?» Domandò Harry, sfiorandole il collo con il naso e stringendole il seno sinistro in una mano. «Eravamo nella stessa situazione» continuò, mentre l'altra mano scendeva verso il suo ombelico per definirne i contorni solo con i polpastrelli. Qualche istante dopo, la sua attenzione si era spostata sull'orlo dei pantaloni del suo pigiama: giocava a separarli dalla sua pelle e ad infilarci sotto le dita, per poi alternare quei movimenti a carezze che forse volevano distrarla o rimandare l'inevitabile. «Ti ricordi?» Ripeté.
Certo che ricordava, ma non erano affatto nella stessa situazione: quella volta non si conoscevano nemmeno ed erano ancora intenti a studiarsi senza sapere con certezza con chi avessero a che fare, anche se lui sembrava essere più sicuro di lei a riguardo. E non era la stessa cosa perché, dopo tutto quel tempo e dopo tutto ciò che avevano attraversato, il contatto tra di loro aveva assunto tutt'altra sfumatura e tutt'altro significato.
«Ti riferisci a quella volta in cui hai cercato di umiliarmi?» Domandò lei, stringendogli i capelli nei pugni chiusi per rimproverarlo fintamente. Era ancora vivida nella sua memoria l'espressione di Harry di quando aveva confermato il suo essere una ragazzina, dopo quel suo ritrarsi impercettibilmente al suo tocco.
«Mi riferisco a quando ho messo a tacere questa tua lingua insopportabile» la corresse lui, sorridendo malizioso.
La sua mano sinistra, mentre Emma borbottava qualche risposta impertinente, superò l'orlo dei pantaloni ed accarezzò quello dei suoi slip, per poi ignorare anche quello.
Emma serrò le labbra e trattenne il fiato per quel contatto nuovo, chiudendo gli occhi ed aspettando un ulteriore movimento. Harry aveva un tocco leggero e, per quanto non le piacesse pensarlo, decisamente sapiente: la accarezzava piano, continuando a baciarle il collo come a toglierle almeno una parte di pensieri, e sembrava avere molto più autocontrollo di lei. Lei che si strinse a lui, quando sentì il suo indice esercitare una certa pressione e spingersi al suo interno: non le faceva male, né era fastidioso. Era solo nuovo e piacevole, era Harry.
«Ma questo funziona decisamente meglio» la schernì piano lui, riallacciandosi al discorso di prima con una certa ironia nella voce. Emma aprì la bocca per mandarlo al diavolo, ma non uscì nemmeno una parola dalle sue labbra, perché Harry aveva aggiunto un altro dito, rendendo tutto un po' più intenso.
I respiri di Emma seguivano la velocità dei movimenti di Harry, che ogni tanto sembrava cedere il posto alla sua solita passionalità: la stava reprimendo, probabilmente per lei, ma non così bene come credeva. Era ancora lì, pronta a subentrare ogni volta che il suo controllo si affievoliva, ed Emma non ne era dispiaciuta.
Incastrò il viso nel suo collo, ma sentì il bisogno di cercare le sue labbra e rubar loro un altro bacio: nonostante la situazione, c'era ancora una parte di lei che non voleva abbandonarsi completamente a lui, che non voleva risultare passiva tra le sue mani, come una vittima consenziente senza alcuna iniziativa. Doveva dimostrargli che la sua inesperienza non poteva pregiudicare il tutto e che lui la stava sottovalutando.
«Così?» Le chiese Harry con la bocca aperta contro la sua, facendola annuire appena, ancora con gli occhi chiusi.
Stringendo il suo corpo tra le braccia, Emma non poté ignorare l'evidenza della sua eccitazione: forse si aspettava che anche lei facesse qualcosa, che anche lei gli facesse provare un po' del piacere che lui le stava regalando fino a smorzarle il respiro in gola. Se così era, non l'avrebbe deluso. In caso contrario, l'avrebbe sorpreso.
Lasciò andare i suoi capelli e con la mano destra scese lungo il suo collo e sul suo petto, soffermandosi per un attimo sul suo addome: nascose la sua incertezza dietro carezze lente che si interrompevano quando una di Harry la faceva gemere silenziosamente, poi slacciò il nodo dell'elastico dei suoi pantaloni della tuta tirandone un'estremità.
«Non devi» sussurrò lui, appoggiando la fronte alla sua.
«Ma tu lo vuoi» fu la sua risposta, mentre gli abbassava quanto bastava il pantalone e l'intimo.
«Ragaz-»
Harry si interruppe ed abbassò le palpebre, serrando la mascella. Emma aveva iniziato ad accarezzare la sua erezione senza sapere bene come fare, ma senza mostrare alcuna esitazione. Con gli occhi spalancati ansimava lievemente, osservando la reazione di Harry in ogni più piccolo particolare.
«Cazzo, sei così testarda» la rimproverò, affondando il viso sulla sua spalla mentre lasciava andare un respiro più strozzato.
«Come se ti dispiacesse» ribatté lei, accennando un sorriso che si affievolì quando le emozioni che stava provando si intensificarono. Harry infatti sembrò volersi vendicare per quella piccola disubbidienza imprimendo un maggior impeto nei suoi movimenti, che le fecero percepire una punta di dolore per un attimo fastidiosa, mentre fino ad allora era stata sopportabile.
«Harry, io credo che...»
Lasciò la frase in sospeso, perché effettivamente non avrebbe saputo come terminarla: sapeva soltanto di avere lo stomaco accartocciato su se stesso ed il basso ventre teso per la sensazione di piacere che stava aumentando inevitabilmente. Si morse un labbro e lui si limitò a darle ancora di più, a guidarla come l'esperienza gli aveva insegnato e come lei sembrava apprezzare.
Quando Emma si irrigidì alzandosi sulle punte dei piedi e chiudendo gli occhi, Harry la baciò per soffocare il leggero gemito che le stava uscendo dalle labbra e che non poteva essere sentito. Si mosse ancora per una manciata di secondi dentro di lei, lentamente, per tornare ad accarezzarla piano ed in attesa che potesse riprendere fiato. Lei sorrise incredula sulla sua bocca, con il cuore che faceva sin troppo rumore nella sua cassa toracica, poi lo sentì trattenere un sospiro quasi sofferente.
Cercò una via di uscita da quella sopraffazione dei sensi e riprese a muovere la sua mano su di Harry, mentre lui posava le sue sui suoi fianchi aggrappandosi a loro più del necessario. Teneva gli occhi chiusi, sebbene lei volesse studiare le sue iridi anche in quel momento.
«Non stringere troppo…» le consigliò all'orecchio, incastrando una mano tra i suoi capelli e respirando velocemente tra di essi. Lei gli diede ascolto e lui gemette: Emma si riempì la testa di quel suono, così diverso ed irreale per lei, che era abituata a sentire la sua voce solo durante battute di cattivo gusto o rimproveri duri.
Quando Harry iniziò ad ansimarle sulle labbra, accelerò i movimenti ed aspettò che anche lui si irrigidisse tra le sue braccia come lei aveva fatto solo poco prima. E per un attimo le sembrò di doverlo sorreggere, mentre lui stringeva le palpebre e stringeva il suo corpo.
Emma gli baciò uno zigomo e poi le labbra, leggera e pronta a vederlo tornare in sé: c'era qualcosa di estremamente gratificante nel vederlo completamente spossato per qualcosa che lei aveva fatto. Sapere di avere un potere del genere su di lui le serrava gli organi in una morsa. Un'ora prima non avrebbe nemmeno pensato che fosse possibile ritrovarsi lì con lui, né in un contesto simile: eppure, contro ogni senso logico, entrambi sembravano aver bisogno di trovare un compromesso non solo a parole, ma anche con il contatto e le carezze.
Mentre Harry rimaneva con la fronte appoggiata alla sua e si ricomponeva, tirandosi su i boxer ed i pantaloni, lei gli accarezzò il viso ancora emaciato per il litigio con Zayn, per poi circondargli il busto ed appoggiare il viso sul suo petto in un gesto che le sembrava fosse diventato ben più intimo. Lui aveva ancora il respiro accelerato, ma la circondò con le braccia e le lasciò un bacio tra i capelli disordinati dalle sue stesse mani.
«Ricordi quando hai detto che ti saresti sentito un pedofilo a stare con me?» Domandò Emma con un sorriso malizioso sul volto, che attendeva già una risposta ben precisa. Aveva deciso di giocare al suo stesso gioco.
«So già dove vuoi arrivare, puoi anche non continuare» rispose lui, sorridendo con la bocca sulla sua nuca.
A lei venne da ridere, ma cercò di trattenersi. «È solo che non mi sembra ti sia dispiaciuto così tanto approfittarti di una ragazzina» continuò infatti, prendendolo in giro. In qualche modo quella era una piccola rivincita: molto spesso Harry aveva messo in dubbio la possibilità che tra di loro potesse esserci qualcosa, eppure le emozioni che entrambi avevano provato nei minuti precedenti erano state più che tangibili. Non poteva negarle ed erano la prova del suo errore di valutazione.
Harry rise facendo vibrare il suo petto, poi la strinse un po' di più a sé. «Dovevi per forza dirlo, eh?»
Emma alzò il viso verso il suo per poterlo guardare negli occhi, per permettergli di scrutare la soddisfazione nei propri. «È stato più forte di me» esclamò con una finta innocenza nella voce ed una nuova emozione nel torace.
Lui scosse la testa ed alzò gli occhi al cielo, prima di posarle un bacio leggero sulle labbra, delicato e per nulla insistente. Poi nascose il viso nell'incavo del suo collo, piegandosi un po' di più per arrivare alla sua altezza mentre Emma si alzava sulle punte.
«Mi sa che abbiamo perso entrambi» le sussurrò piano all'orecchio.





 


Et voilà!
Finalmente questo benedetto capitolo è arrivato e voi non dovrete più aspettare hahahah Spero solo che ne sia valsa la pena, perché quando scrivo qualcosa a rating ""rosso"" (che secondo me è ancora arancione), vado sempre in palla! Ma sarete voi i giudici, giusto?? Sempre spietate, mi raccomando!!
Detto questo, andiamo per ordine, come ormai da tradizione:
1. Non so quanti di voi vedano Melanie come una piagnucolona o chissà cos'altro: si potrebbe anche pensare che abbia perdonato Emma troppo in fretta, ma come lei stessa dice, Melanie sa bene a cosa dare la priorità e sa altrettanto bene come affrontare i problemi e "assolvere" le persone. Il suo affetto per sua sorella è al primo posto: in un certo senso, come Emma è disposta a rubare in casa propria per le persone a cui tiene, Melanie è disposta a chiudere un occhio su molte cose! So che chi non ha letto "It feels..." non può conoscere bene Melanie, ma vi assicuro che anche lei ha una buona dose di testardaggine per le cose in cui crede, anche se la manifesta in modi diversi!
2. La telefonata di Harry EHEH Che ne pensate? So che non si è sbottonato più di tanto, ma ha comunque cercato di fare il possibile (vi anticipo che prestissimo avrete una chiave di lettura ancora più forte del suo personaggio, quindi trust me!) ed Emma l'ha più che apprezzato :)
3. Spero vi sia piaciuto il modo in cui hanno chiarito, senza scendere troppo nei particolari ma rendendo tutto sottinteso e più che chiaro. Harry in fondo non ha tutti i torti: anche Emma non si è mai risparmiata dal giudicarlo, quindi lui potrebbe metterla in dubbio allo stesso modo, nonostante abbia avuto diverse dimostrazioni contrarie! (Insomma, doveva anche pararsi il culo dai ahhaha)
4. L'ultima parte... Boh, non so cosa dire se non che ogni volta è un imbarazzo terribile ahhahaha Io non scendo molto nei dettagli in queste cose, perché per me è più importante come loro le affrontano, piuttosto che i gesti in sè e per sè. Spero davvero di non avervi deluse!! Per qualsiasi eventuale critica, scrivetemi pure :)

Basta, come sempre tiro già dei poemi! Vi lascio con i miei più sentiti ringraziamenti, perché siete sempre più gentili e di supporto e io vi amo per questo :)
Fatemi sapere le vostre opinioni riguardo il capitolo!! 

Vi lascio tutti i miei contatti:
ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.
 
    
  

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Capitolo 21
*** Capitolo ventuno - Little boy ***




 

Capitolo ventuno - Little boy
 

 

Tianna era sdraiata sul letto a pancia in giù, crocettando risposte a caso dell'esercizio di biologia. Per gentile concessione dei suoi genitori, Emma era riuscita ad allargare la sua vita sociale e a far entrare qualcuno in casa sua, dato che le era impossibile uscirne se non per frequentare le lezioni scolastiche.
Con la banale scusa dello studio, si stava godendo un po' di quel calore che solo Tianna era in grado di darle, inconsapevolmente ed in modo costante. Seduta a terra, con la schiena appoggiata all'armadio ed il libro aperto sulle gambe piegate, la guardava con un leggero broncio incerto.
L'altra se ne accorse e sbuffò. «Cosa fai ancora qui?» Domandò con un'estremità della matita stretta tra i denti.
Emma si morse un labbro e chiuse per un attimo gli occhi. «È che vorrei che fosse lui a dirmi tutto, non Melanie. Altrimenti su cosa si basa il nostro rapporto? Dovrebbe essere in grado di parlare con me, perché non sempre mia sorella potrà spiattellarmi i suoi segreti» ragionò nervosa. Anche solo il fatto che Melanie sapesse qualcosa che lei ignorava la pungeva sul vivo.
«Magari non si tratta di te, magari è un argomento che non gli piace proprio affrontare» ribatté Tianna, stavolta alzando lo sguardo scuro su di lei. Alla base del collo spuntava un succhiotto che non si curava di coprire. «E questa storia c'entra anche con Zayn, quindi è più probabile che Melanie abbia saputo tutto dal suo ragazzo che da Harry».
«Sì, per-»
«Emma, alza il culo e vai da lei» la interruppe Tianna. «È stato lui stesso a consigliartelo ed io aggiungo un altro consiglio: non insistere. Avete appena smesso di litigare ed è evidente che dobbiate darvi una tregua a vicenda. Non sarà lui a parlarti di qualsiasi segreto stia nascondendo, è vero, ma non pensi al fatto che voglia che tu ne sia al corrente? È già qualcosa» concluse.
Tianna aveva ragione sotto ogni punto di vista, ma nel mondo di Emma non poteva semplicemente ridursi tutto ad un qualcosa: eppure, nonostante dentro di sé scalciasse per fare di testa propria e spronare Harry a raccontarle di persona tutto quello che doveva, non voleva vanificare i minuscoli passi in avanti che stavano facendo. Il solo ricordo della notte che aveva appena trascorso con lui era un buon incentivo.
Sospirò e si alzò da terra. «Odio darti ascolto» borbottò, mentre Tianna sorrideva vittoriosa.
 
Melanie stava facendo merenda con una fetta di torta preparata da Constance quella mattina: era seduta al tavolo in cucina e canticchiava allegramente qualcosa. Da quando aveva chiarito il suo rapporto con Zayn, era raggiante: un ruolo in quel cambiamento nel suo stato d'animo l'aveva anche avuto il lungo discorso con i loro genitori, che si erano scusati con lei per aver accusato il ragazzo di furto e lei di ingenuità.
«Mel, devo chiederti una cosa» esordì Emma, entrando in cucina a piedi nudi. Si sedette di fronte a Melanie ed incrociò le braccia sul tavolo. Lei corrugò la fronte per la confusione e continuò a masticare ciò che aveva in bocca, mentre annuiva per invitarla a continuare.
«Devi dirmi cosa è successo tra Zayn ed Harry. Proprio tutto» spiegò l'altra diretta, senza indugiare un secondo di più. Aveva un netto e distinto bisogno di sapere ogni particolare, tanto da non poter più rimandare il fatidico momento della verità: se Harry l'aveva implicitamente invitata a raccogliere da sé tutte le informazioni, lei non avrebbe seguito il consiglio con un solo minuto di ritardo.
La sorella spalancò gli occhi e deglutì a fatica, tossicchiando forse solo per circostanza. «Dovresti... Dovresti parlarne con Harry» le consigliò, evidentemente pronta a non intromettersi in una storia nella quale non doveva essere direttamente coinvolta.
«È stato lui a mandarmi da te» le spiegò Emma, che non si stupì affatto della reazione avuta. «Dice di non saperne parlare» aggiunse, mimando le virgolette con le dita e con un tono che lasciava intendere quanto per lei fosse assurdo.
Melanie alzò un sopracciglio, sospirò e si sistemò i capelli mossi sulla spalla destra. «Sono così simili eppure così diversi... Zayn ci ha messo mesi per raccontarmi la verità» affermò.
Emma tamburellò le dita impazienti sul tavolo, non molto interessata alla vita di coppia della sorella. «Vuoi farmi diventare ancora più curiosa o pensi di poter iniziare a parlare?» La interpellò.
«Gentile come al solito» la rimproverò l’altra, corrucciando le sopracciglia. Poi si schiarì la voce e cominciò. «Devi promettermi che lascerai che siano loro due a risolvere le cose» temporeggiò guardandola seria: a dispetto della sua mitezza, Melanie possedeva qualcosa, nel suo sguardo, che spesso impediva a chiunque altro di contraddirla.
Emma annuì con poca convinzione solo per non dare inizio ad una discussione ed aspettò in silenzio, ma non troppo tranquillamente.
«Due anni fa Harry era in una situazione economica probabilmente simile a quella di ora: suo padre aveva perso il lavoro da un po' di tempo e lui non riusciva a trovarne uno, perché era un ragazzino e nessuno voleva assumerlo» raccontò Melanie lentamente.
Un ragazzino.
«Non so quanto tu sappia esattamente, ma Zayn ed Harry si conoscono da quando erano bambini. Da quanto Zayn mi ha raccontato, Harry ha sempre avuto molte pretese ed una forte consapevolezza delle proprie capacità. Il fatto che non riuscisse ad aiutare suo padre, che fosse inutile ed impotente, lo faceva arrabbiare ancora di più della situazione stessa».
Ecco perché, quando Harry era ubriaco e si era lasciato scappare per la prima volta qualche informazione sui suoi problemi familiari, aveva detto che il padre gli aveva di nuovo mentito, lasciando intendere che la situazione fosse solo una copia di qualcosa già accaduto e sperimentato. Doveva essersi sentito nuovamente inutile, accaparrandosi il dovere di aiutare la famiglia che non poteva contare nemmeno sull'aiuto di una madre negligente.
«Dato che le cose andavano sempre peggio, Harry aveva iniziato a bere e a cambiare amicizie, anche se non so quanto questo lo abbia effettivamente influenzato: ti riporto solo quello che mi è stato raccontato» riprese Melanie, abbassando per un attimo lo sguardo con fare pensieroso e cauto nei giudizi. Emma non sapeva davvero cosa aspettarsi. «Comunque una notte ha chiamato Zayn ed era ubriaco: voleva che andasse con lui a casa di un certo signor Dumbel, non so se hai presente chi sia. Aveva intenzione di derubarlo per aiutare il padre ed era un piano stupido ed assurdo, ma quando Zayn ha provato a farlo ragionare, lui ha semplicemente detto che allora ci avrebbe pensato da solo».
Emma aveva la gola secca ed un certo senso di preoccupazione nelle vene. Non riusciva ad immaginare le condizioni di Harry, i suoi pensieri e la sua disperazione nel non poter essere d'aiuto: non voleva farlo, perché non era piacevole. Non riusciva neanche a credere che proprio lui avesse avuto un'idea così assurda, un'idea così simile a quella che lei aveva seguito nel rubare i soldi in casa propria.
Forse quella parte del suo passato aveva influenzato la sua reazione quel giorno? Forse si era rivisto in lei? In quel gesto sbagliato?
«Quando Zayn è arrivato lì, Harry era già entrato in casa da una finestra, ovviamente con l'accuratezza di un ragazzo ubriaco marcio. Infatti il signor Dumbel si era già accorto di lui: si stavano azzuffando nel salotto e Zayn ha dovuti dividerli e portare via Harry con la forza. Era buio e pensava che non fossero stati riconosciuti, ma il giorno dopo quasi tutta Bradford sapeva già della bravata di Harry Styles».
Lo sguardo di Emma si incupiva sempre di più.
«Ovviamente questo non ha migliorato le cose. Harry era nel panico, perché non voleva che suo padre lo venisse a sapere e perché rischiava di rovinare tutto ulteriormente: sapeva di aver fatto un errore e probabilmente, se solo fosse stato un po' più sobrio e un po' meno disperato, non avrebbe nemmeno pensato ad un piano così stupido. E Zayn... Zayn ha il vizio di farsi carico delle necessità degli altri: era il suo migliore amico e si sentiva in dovere di fare qualcosa» continuò Melanie, facendo una breve pausa. Il suo tono di voce sembrava arreso nel parlare di quello che era il ragazzo che amava. «È andato dal signor Dumbel con tutti i risparmi che aveva e l'ha... Be', praticamente l'ha corrotto. Gli ha chiesto di tenere la bocca chiusa, facendo leva sul fatto che non avesse riportato grandi danni e assicurandogli che non sarebbe accaduto di nuovo. Lui ha stranamente accettato, forse solo grazie ai soldi e alla sua avidità. Poi Zayn si è preso la colpa, attirando l'attenzione di tutta la città e mettendo al sicuro Harry».
Emma ormai aveva il cuore in subbuglio, non sapeva a quale emozione prestare prima attenzione. Non riusciva a pensare lucidamente, perché era troppo assorta dal racconto e dal suo significato, che si ricollegava inesorabilmente a ciò che Harry era diventato.
«È per questo che Zayn se ne è andato: non gli sono mai serviti soldi per la droga, come mormora la gente. Non ha mai picchiato nessuno, né è un criminale come alcuni vogliono dipingerlo» continuò Melanie, questa volta con un maggior impeto nella voce. Era l'amore che parlava, il suo sconfinato senso di protezione. «Per quanto sia stata una sua scelta, quella di prendersi la colpa, non riusciva più a sopportare tutte le voci su di lui ed i continui giudizi. È tornato solo quando sperava che la faccenda fosse stata dimenticata, almeno un po', anche se a quanto pare non è ancora così».
La sorella minore socchiuse le labbra e respirò piano, come a non voler interrompere quel momento.
«Emma...» la chiamò l'altra, con una dolcezza che forse voleva consolarla dopo tutte quelle informazioni. «Quando l'altra mattina ho parlato con Harry, quando mi ha detto di te e di quei soldi, mi ha anche detto qualcosa su di lui» ricominciò, stupendola non poco. «Non ha mai voluto che Zayn facesse tutto questo: lui stesso si è definito un codardo, perché non è mai stato in grado di smentire tutto e di assumersi le proprie responsabilità. Quando Zayn è tornato, lui non ha fatto altro che rincarare la dose e fomentare quelle voci che in realtà riguardavano se stesso: voleva che Zayn arrivasse al limite, che ammettesse di sentire il peso di quel suo gesto eroico, anziché far finta che andasse tutto bene, e soprattutto che dicesse la verità al posto suo. Usava me per arrivare a lui: continuava a dirmi di sapere ogni cosa, di essere stato lì quando Zayn aveva picchiato il signor Dumbel senza intenzione di fermarsi, perché sperava di colpirlo sul vivo. Sperava che lui, incapace di essere egoista, non sopportasse l'idea che anche io ci stessi andando di mezzo e decidesse finalmente di dire la verità a tutti per vendicarsi, visto che Harry non era in grado di farlo. E devo dire che lo conosce bene, perché è successo proprio questo: quando la scorsa settimana hanno litigato a scuola, Zayn era furioso con lui, perché mi aveva resa talmente dubbiosa da portarmi a credere che ci fosse una possibilità che fosse stato lui a rubare i soldi in casa nostra».
Un'altra pausa.
«Harry non ha risposto nemmeno ad un pugno. Ha lasciato che Zayn si sfogasse su di lui, perché non ne aveva mai avuto l'occasione: credo pensasse di meritarsi tutta quella violenza, dato che non è stato in grado di rimediare alle cose. In ogni sua parola c'era una provocazione: era evidente che volesse solo spingerlo al limite. E sai, da lunedì girano altre voci a scuola: si dice che a picchiare il signor Dumbel sia stato Harry, in realtà... Ma non è stato Zayn a spargerle».
Emma fissava gli occhi di sua sorella in un silenzio ed in un'immobilità irreali, che spezzò solo qualche secondo dopo. «C'è altro?» Chiese soltanto, con un fil di voce.
Melanie la osservò, forse cercando di capire cosa stesse celando dietro quel muro che aveva appena frapposto tra di loro, poi scosse la testa lentamente. E solo a quel punto Emma si alzò velocemente dal tavolo senza dire un'altra parola né curarsi della sedia che strisciava rumorosamente sulle mattonelle del pavimento.
Arrivò nella sua stanza all'improvviso, spaventando Tianna quando chiuse con un tonfo la porta alle sue spalle. Si appoggiò al legno dietro di sé e respirò velocemente, poi si lasciò scivolare a terra ed incastrò le mani tra i propri capelli senza battere ciglio.
«Cazzo».
 
Emma aveva chiesto ad Harry di tornare a casa sua anche quella notte: non aveva dovuto addurre una motivazione, perché era più che probabile che lui pensasse che volesse semplicemente vederlo. Chissà se almeno una sua piccola parte sospettava qualcosa.
Aveva passato tutto il pomeriggio ad analizzare le nuove informazioni e le nuove sfaccettature di Harry, mentre Tianna esclamava sconvolti “Oh, mio Dio” più o meno ogni quindici parole e mentre lei fremeva per raggiungere un quadro completo della situazione. Alla fine si era ritrovata a combattere emozioni diverse, ma similmente insistenti.
Non riusciva a credere che, per tutto quel tempo, avesse ignorato nel modo più ingenuo possibile un passato del genere, dei particolari così lontani, ma con cicatrici così profonde che si chiedeva come avesse fatto a non notarle sin da subito in ogni comportamento di Harry. Si sentiva anche un po' stupida, ad essere sincera, perché aveva vissuto ogni singolo momento all'oscuro di qualcosa di così significativo senza sospettare nulla. Questa consapevolezza la indispettiva oltre ogni limite: se avesse saputo la verità sin da subito, avrebbe potuto trarne degli indizi in grado di aiutarla nel suo continuo e snervante tentativo di comprendere Harry.
Harry. Non le aveva detto nulla, probabilmente mosso dalla sua immancabile fierezza e chissà, forse anche dalla vergogna: in fondo Melanie le aveva raccontato che si era definito un codardo - perché dirlo proprio a lei? Quante volte aveva convissuto con il suo passato, cercando un modo per riscattare Zayn e redimere se stesso, mentre celava a tutto il mondo ciò che realmente stava affrontando? Emma era sicura del fatto che, nonostante la sua nuova posizione, non avrebbe comunque avuto accesso alla libertà di aiutarlo in quella sua lotta personale: le cose si sarebbero presto complicate, data la verità ormai sguinzagliata a passo di voci di corridoio più veloci di qualsiasi altro mezzo di condivisione, e le persone avrebbero ricominciato a giudicare senza alcuna esitazione. Harry come avrebbe reagito a quegli attacchi? Li avrebbe accettati come si era sottomesso ai pugni di Zayn, perché meritati, oppure si sarebbe ribellato per conservare la propria dignità?
Emma non poteva nascondere a se stessa nemmeno quel sottile senso di colpa che stava richiamando la sua attenzione: lei per prima si era omologata a quella massa di portatori di pettegolezzi in parte infondati, criticando Zayn e le sue indegne - e false - azioni passate. L'aveva deriso subdolamente, classificandolo tra i relitti più vili sulla faccia della Terra - forse anche a causa della storia con sua sorella - senza sapere di giudicare indirettamente qualcun altro. Il senso di colpa lo provava anche verso sua sorella: l'aveva reputata una sciocca ingenua, pronta a cadere ai piedi del primo belloccio di passaggio, quando Melanie aveva soltanto dimostrato ancora una volta la sua forte lealtà nei confronti di chi - tramite il suo attento intuito - riteneva ne fosse degno, a prescindere dal parere degli altri.
Emma si stupì nel sentirsi così simile a sua sorella, per certi versi: contro ogni previsione, non riusciva a condannare Harry e le sue azioni. Non era una stupida e sapeva perfettamente quanto lui avesse sbagliato e quanto i suoi comportamenti fossero stati riprovevoli, ma ogni centimetro di sé si ostinava a giustificarlo quasi a volerlo proteggere dal suo stesso eventuale giudizio: certo, sentiva la rabbia per essere stata etichettata come una bambina irresponsabile quando aveva preso i soldi di sua madre, nonostante Harry avesse fatto di peggio. E certo, c'era anche quella valanga di pensieri irrequieti che pretendevano la sua attenzione e che la distraevano l'uno dall'altro. Eppure, tra quel miscuglio di emozioni, decreti e possibilità, non c'era assolutamente nulla che la spingesse a condannarlo. Ovviamente non credeva che avesse agito in modo appropriato, né si capacitava della sua idea di derubare qualcuno con tanto di percosse, ma riusciva a comprendere le sue motivazioni, perché erano le stesse che - in maniera più lieve - guidavano lei in ogni sua azione: Harry era stato condizionato dall'alcool nelle sue vene, che probabilmente aveva portato all'esasperazione un'idea utopica che l'aveva solleticato per mancanza di altre opportunità e alla quale magari lui aveva anche riso. Soprattutto, però, era stato condizionato dall'amore per il padre e dalla necessità di fare qualcosa per sbarazzarsi di quel senso di impotenza che odiava: era stato quello ad ottundergli i sensi, più di qualsiasi bottiglia di alcolici.
Anche Emma sentiva la propria obiettività oscurarsi ed indebolirsi, inebriata e confusa dal legame che Harry le aveva imposto inconsapevolmente.
 
Erano le tre di notte e la luna piena illuminava il cielo, rischiarando il buio che altrimenti l'avrebbe avvolta inesorabilmente. Stando ai rumori che udiva, assottigliando gli occhi Emma si aspettava di vedere chiaramente la figura del ragazzo intenta a scavalcare lo steccato come la notte precedente, ma dovette ricredersi.
La sua presenza, infatti, era testimoniata solo dalla sua voce roca.
«Ragazzina, salta di qua» la spronò stupendola.
«Ma che stai dicendo?» Domandò lei, avvicinandosi di un passo al legno che li separava. Era alto abbastanza da coprire l'intera statura di Harry.
«Dai, non possiamo passare la vita nel tuo giardino. Immagina se non dovessi riuscire a trattenerti ed urlassi troppo: cosa penserebbero i tuoi genitori?» Commentò malizioso, accompagnando il tutto sicuramente con un sorriso beffardo.
Emma alzò gli occhi al cielo: «Quanto sei stupido» bofonchiò.
«Avanti, vieni» continuò lui.
«Harry, non voglio che i miei scoprano che non sono in casa. Quasi sicuramente mi ucciderebbero senza pensarci due volte» si giustificò lei, immaginando un ipotetico scenario non poco cruento.
«Stanno dormendo: perché nel bel mezzo della notte dovrebbero svegliarsi ed entrare nella tua stanza? Ti facevo un po' meno paranoica» la prese in giro con una provocazione palpabile.
Emma sospirò ed appoggiò le mani sui fianchi. «Solo per questa volta» lo ammonì.
Subito dopo si avvicinò allo steccato e con un salto cercò di aggrapparsi ad esso per poterlo scavalcare, ma la sua scarsa altezza le permise a malapena di sfiorare con le dita il bordo dritto, facendola ricadere a terra in malo modo e facendole battere le ginocchia sull'erba e la testa contro il legno. «'Fanculo» borbottò tra sé e sé, strofinandosi le parti urtate con le mani.
«Ragazzina, dimmi che non sei appena caduta» esordì Harry, insospettito dal trambusto che lei aveva provocato.
«Sta' zitto» gli intimò, rialzandosi in piedi e serrando la mascella per la risata nemmeno trattenuta che scaturì dalle labbra di Harry.
«Avrei voluto vederti» cantilenò lui senza smettere di ridere.
Emma si guardò intorno alla ricerca di qualcosa su cui appoggiarsi per arrivare all'altezza giusta. «Se non la pianti, non solo sveglierai tutto il vicinato, ma ti arriverà anche un calcio dove non batte il sole» lo minacciò, recuperando un vecchio secchio in ferro e mettendolo con il fondo verso l'alto in modo da poterci salire sopra.
«Sempre se riesci ad arrivare da questa parte» esclamò Harry.
Lei non rispose, intenta com'era a prendersi la soddisfazione di contraddirlo. Quando finalmente riuscì a far leva contro lo steccato e a sedersi a cavallo su di esso - con un certo dolore dovuto alla posizione - guardò verso il basso e sorrise vittoriosa ad Harry, che la stava osservando con le braccia conserte ed un ghigno divertito sul volto.
Qualche secondo dopo Emma saltò a terra rischiando di perdere l'equilibrio, ma recuperandolo in brevissimo tempo. «Ora il tuo calcio non te lo leva nessuno» lo avvisò. «E grazie dell'aiuto!»
Harry ridacchiò e le si avvicinò lentamente, lasciandole il tempo di ammirare il suo viso dai colori smorzati e dagli occhi brillanti: alla luce di ciò che Emma aveva saputo quel giorno, si chiedeva quante altre sfumature le sue iridi avessero assunto e quanto fossero state strazianti non solo per lui.
«È inutile che fai la dura» la rimproverò, arrivandole a pochi centimetri dal viso. Doveva aver fumato da poco, perché il suo respiro sapeva ancora di nicotina. «Devo ricordarti che sei stata tu a chiamarmi?» Continuò beffardo - come se si fosse trattata di una gara a chi avrebbe ceduto per primo - accarezzandole i capelli con la mano sinistra. Poi le baciò piano le labbra, ancora sorridendo. «Non riesci a resistere più di un giorno senza vedermi» sussurrò appena.
Emma per poco non lo allontanò bruscamente per smontare tutto quel suo testosterone. «E lo stesso vale per te, dato che appena io ti chiamo, tu arrivi» ribatté consapevole, prendendosi una piccola rivincita. «Comunque devo anche parlarti di una cosa» aggiunse lentamente, iniziando ad introdurre l'argomento.
«Di cosa?» Domandò lui, facendosi un po' più serio e lasciando da parte la loro piccola schermaglia.
Lei aspettò qualche secondo prima di rispondere, perché doveva ancora capire bene come affrontare l'imminente discorso. «Ho parlato con Melanie: mi ha raccontato tutto».
Harry si ritrasse guardandola negli occhi, poi tirò fuori dalla tasca il solito pacchetto di sigarette e se ne accese una. I suoi movimenti si erano fatti così silenziosi e rigidi da dare un indizio sul suo stato d'animo. Così, quando si voltò per allontanarsi, Emma non esitò a seguirlo senza parlare.
 
L'aveva portata nello stesso posto in cui le aveva insegnato a guidare: ci aveva messo un po' a riconoscerlo, dati il buio e l'assenza di qualsiasi illuminazione al di fuori dei fari della macchina, ma era sicura che si fosse fermato proprio al centro di quell'enorme spiazzo di verde. Intorno a loro gli imponenti alberi scuri si muovevano pigramente secondo i deboli aliti di vento stranamente più caldo del solito, mentre il cielo sopra le loro teste era cosparso di stelle, che verso l'orizzonte tendevano a scomparire a causa delle luci della città.
Per l'intero tragitto nessuno dei due aveva aperto bocca. La radio era rimasta spenta. Harry aveva guidato con tranquillità, ma con una sigaretta dopo l'altra tra le labbra e due occhi blu ad osservarlo. Emma era decisa ad aspettare che fosse lui a parlare, anche se stava cedendo rapidamente: Tianna l'aveva praticamente costretta a promettere di non essere insistente, ma lei era così impulsiva da non riuscire a mantenere fede alle promesse in modo adeguato.
Non si aspettava che Harry uscisse dall'auto, perché credeva che sarebbero rimasti all'interno, perciò lo seguì con lo sguardo. Pensò che fosse impazzito, quando lui salì sul cofano dell'auto e camminò verso il parabrezza per poi arrampicarsi sul tettuccio. Emma sbatté più volte le palpebre ed ascoltò i rumori provenienti da sopra di lei, chiedendosi cosa avesse intenzione di fare lassù. Quando il silenzio tornò ad invaderle le orecchie e venne mantenuto per diversi secondi, aprì lo sportello e scese dalla macchina.
Rabbrividì appena e si strinse nella giacca, poi si voltò per osservare Harry e lo trovò sdraiato con le braccia dietro la testa, le gambe piegate e lo sguardo fisso verso il cielo. Aveva un'espressione seria, che però differiva impercettibilmente dalle innumerevoli e simili altre che aveva assunto in quelle settimane. Emma sospirò piano, cercando di non farsi sentire, poi lo seguì sul tettuccio dell'auto stando attenta a non scivolare.
Lo spazio era ridotto, ma riuscì a sdraiarsi al suo fianco e a trovare una posizione accettabilmente comoda: di certo avrebbe preferito appoggiare il viso sul suo petto e magari abbracciargli il corpo - sia per trovare un po' di calore, sia per fargli sentire la sua vicinanza - ma decise di lasciargli una debita distanza di sicurezza.
«Quando hai preso quei soldi, ti avrei strangolata» cominciò Harry a bassa voce. Nessuna inclinazione particolare macchiava il suo tono. Emma girò il volto per osservare il suo: prima o poi avrebbero pur dovuto parlarne. «Ero incazzato perché è oggettivamente sbagliato quello che hai fatto. Perché continuavi a non capirlo e forse nemmeno ora ne sei convinta. Perché rivedevo in te quello che io volevo fare ed ho fatto due anni fa, e per questo ti ho odiata. Perché sono stanco di essere circondato da persone che sono tanto stupide da mettersi nei casini per me. E perché per un attimo ho pensato di accettare quei soldi e me ne sono vergognato».
Emma aveva da dire qualcosa riguardo ogni motivazione che Harry aveva elencato, ma si sentiva in dovere di non intervenire, nonostante dovesse combattere con la propria volontà per trattenersi.
«Urlavo contro di te ed intanto urlavo contro me stesso e contro quello stupido di Zayn» riprese lentamente, utilizzando di nuovo quell'aggettivo, che però non riusciva in alcun modo ad avere una connotazione offensiva. «Hai commesso il mio stesso errore ed io non ero disposto ad accettarlo di nuovo, né volevo che tu facessi la fine di Zayn, incastrata in conseguenze che nemmeno merito di far subire a qualcuno».
Ormai era un po' più facile capire ciò che era realmente successo quel pomeriggio: Harry si era trovato catapultato in un passato che lo stava tormentando ed aveva cercato di difendersi nel migliore dei modi. Mentre la testardaggine di Emma ed il suo essere ignara di tutto peggioravano le cose, lui cercava di resistere a ciò che era stato e che evidentemente disprezzava. Non era disposto a lasciare che un'altra persona compisse un gesto estremo per salvare lui, né che ne uscisse penalizzata per questo. Ed il tutto si era risolto in urla e litigi, che entrambi avevano scagliato l'uno contro l'altra per non addentrarsi in cose taciute.
Emma si sentiva in parte sollevata, perché poteva capire che, quando Harry l'aveva rimproverata per l'ennesima volta marchiandola di disprezzo, stava rimproverando più che altro se stesso ed il suo passato. L'aveva ritenuto un ipocrita, dato il modo in cui si era accanito contro di lei nonostante i suoi precedenti, ma non poteva più farlo, perché non ne aveva più motivo.
«Ogni volta che tu mi hai proposto di aiutarmi, anche solo quando volevi parlare di mio padre, io...» Harry sospirò e lei attese in silenzio. «Non voglio più dipendere dall'aiuto di qualcun altro. Voglio farcela da solo, cosa che non mi è mai stata facile. Per questo ti ho sempre allontanata, o meglio, anche per questo: non voglio mentire e dire che fosse l'unica motivazione, perché penso ancora che tu abbia sempre accelerato i tempi cercando di avere tutto e subito».
Emma non commentò, o almeno non ad alta voce: era immenso il senso di realizzazione che la stava invadendo, perché finalmente poteva comprendere meglio ogni litigio affrontato con Harry. Se prima poteva solo pensare che fosse un lunatico e che non gli importasse del suo appoggio, ormai poteva capire quanto in realtà, dietro quella sua durezza, si nascondesse una debolezza che non dipendeva da lei. Ogni volta che l'aveva respinta, era solo per sentirsi più forte e per fingere di non aver bisogno di nessuno.
«Ho dovuto dire la verità a Melanie: non potevo ripetere lo stesso sbaglio e lasciare che qualcuno pagasse per i miei errori. Ho permesso a Zayn di prendersi la colpa al posto mio e non ho mai fatto nulla per ripagarlo, se non dopo due anni: quando ho incontrato tua sorella al parco, ho pensato che fosse la mia occasione per fare la cosa giusta. So di averti messa in una brutta posizione, ma non potevo lasciare che qualcun altro ci andasse di mezzo. Tu eri già abbastanza».
Non condivideva la sua scelta, ma la capiva, capiva cosa avesse inteso dicendo che aveva dovuto farlo per Melanie: lei l'aveva aiutato, anche se inconsapevolmente, nel suo tentativo di rivoluzionare una situazione che lo faceva sentire troppo in colpa e troppo codardo, e ci aveva rimesso, perché la sua relazione con Zayn era stata minata dai sospetti. Harry non poteva permettere che accusasse altri contraccolpi.
Dopo un minuto buono passato in silenzio, Harry parlò di nuovo. «So già cosa pensi di me e di quello che ho fatto» esclamò con lo stesso tono di voce e senza muoversi. Non era alla ricerca di compassione o di rimprovero, semplicemente era sicuro delle proprie idee e di ciò che meritava. Evidentemente si sentiva giudicato, perché per due anni aveva assistito alle reazioni di parte della città riguardo ciò che lui aveva fatto e che era sulle spalle di Zayn: era più che probabile che si aspettasse lo stesso giudizio anche da lei.
«Penso che tu abbia sbagliato» rispose Emma con la sincerità che possedeva. «Il tuo è stato un gesto troppo estremo anche per me, ma capisco perché tu l'abbia fatto. Altrimenti sarei un'ipocrita, no?»
Lui non rispose, né si scompose in un'espressione che potesse lasciar intendere il suo stato d'animo.
Emma si sentì in diritto di continuare. «Melanie mi ha detto quello che hai fatto per far reagire Zayn e mi ha detto che ci sono dei nuovi pettegolezzi a scuola» esclamò a bassa voce, senza smettere di guardarlo. Non scese nei dettagli perché non ce ne sarebbe stato bisogno. «Potrai non crederci, ma io mi sento fiera di ciò che stai facendo. Certo, qualcuno avrebbe da ridire sui tuoi metodi, ma ognuno agisce secondo i propri schemi: l'importante è che tu sia riuscito a trovare il coraggio di fare qualcosa. Sarebbe stato molto peggio se ne avessi approfittato fino in fondo, senza nemmeno sentirti responsabile. E poi, hai detto di esser stato tentato di accettare i miei soldi, ma non l'hai fatto e hai preferito chiederli a qualcun altro, senza ottenerli con la forza: questo significa che sei cambiato».
Harry assottigliò gli occhi, primo segno di reazione da parte sua.
Emma si mosse piano, attenta a non sbilanciarsi e a non cadere da quello spazio angusto, ed alzò il viso per guardare meglio il suo: si teneva appoggiata con un gomito, mentre l'altra mano si posava sul suo addome. «Harry» lo chiamò in un sussurro, cercando di attirare la sua attenzione. Continuò solo quando le sue iridi verdi si spostarono su di lei, pensierose ed in burrasca. «Sono fiera di te» ripeté, sperando di sovrastare con quel sentimento la vergogna che lui provava per se stesso e che forse pensava di suscitare anche in lei: lo testimoniava il fatto che si fosse limitato a commentare ciò che riguardava loro due, lasciando da parte i tasti più dolenti del suo passato e che probabilmente dovevano rimanere intimi tra lui e Zayn. Era assurdo come la situazione sembrasse essersi ribaltata: era lui, in quel momento, il ragazzino.
Harry si limitò a guardarla seriamente, con chissà quali pensieri nella mente: stavano condividendo un momento che andava ben oltre qualsiasi attimo di confidenza che avevano fino ad allora condiviso, che prescindeva da tutto il resto e che li univa pur essendo loro divisi dall'orgoglio di uno e dalla distanza precauzionale dell'altra.
Emma si specchiava nei suoi occhi e non poteva che sentire le proprie parole sin nel profondo: provava una pena immensa per il passato che aveva dovuto affrontare e per le difficoltà che non era riuscito a vincere, che lo avevano etichettato come codardo e debole, ma allo stesso tempo ammirava il modo in cui era rimasto in piedi. Non sapeva quanto fosse cambiato in seguito a quegli avvenimenti, ma era sicura che si fosse plasmato almeno in minima parte in base alle conseguenze delle quali gli piaceva tanto parlare forse solo per un vecchio rancore: stimava i suoi tentativi di riscatto, per quanto conservassero l'ombra della sua vigliaccheria, perché erano impregnati di volontà e di sforzi.
Così decise di riversare tutte quelle emozioni in un leggero bacio: si piegò verso di lui lentamente, quasi a volergli offrire la possibilità di sfuggire al suo tocco, e posò le labbra sulle sue, fredde ed immobili. Non si spinse oltre e non pretese oltre, ma si allontanò dopo una manciata di secondi per tornare a guardarlo negli occhi. La loro intensità le suggerì di esser riuscita a trasmettere se non tutto, almeno gran parte di ciò che aveva dentro.
Mentre Emma si spostava silenziosamente su un fianco, appoggiando il viso sul braccio piegato sotto la testa, Harry voltò il proprio verso di lei. «Adesso capisci?» Mormorò soltanto, facendole cogliere un riferimento a tutti i comportamenti che non erano mai stati chiari fino in fondo. Gliel'aveva detto, sarebbe stato inutile addossare tutte le colpe al suo passato e fingere che le differenze tra loro non esistessero, ma almeno Emma poteva riconoscere che l'abisso tra di loro non era poi così esteso, ma solo reso più contorto da varianti che non le era stato dato di conoscere sin da subito.
Lei annuì. «Se mi avessi raccontato tutto prima, forse le cose sarebbe state diverse» disse. Quella consapevolezza la stava stuzzicando fastidiosamente già da quel pomeriggio: se per tutto quel tempo se l'era tenuta dentro per evitare qualsiasi tipo di rimprovero e dare spazio solo ad Harry, ormai non riusciva più a trattenersi. In fondo, qualsiasi cosa gli fosse successa, se l'avesse detta ad Emma, avrebbero affrontato diversamente molte situazioni: magari avrebbero litigato di meno e si sarebbero compresi di più, al posto di scontrarsi su qualcosa che non avrebbe mai avuto un vero e concreto significato se non inserito in un contesto.
Harry inspirò lentamente e si inumidì le labbra. «Non è qualcosa di cui si parla al primo appuntamento, né al secondo o al terzo» si giustificò indurendo un po' il tono, forse vagamente piccato dal suo velato rimprovero.
«Lo so, ma... Sarebbe stato bello riuscire a capirti un po' prima» si spiegò meglio lei. «Non avrei pensato così spesso che tu fossi un completo idiota» scherzò poi per riuscire a risollevare il suo animo.
Harry sorrise e scosse la testa, rivolgendo di nuovo lo sguardo verso il cielo. «Almeno io avevo una scusa» commentò, allargando ancora di più le labbra in una chiara presa in giro.
«Cosa vorresti dire?» Chiese Emma fintamente stizzita, spintonandolo appena con una gomitata.
Lui si voltò sollevando un sopracciglio, poi si alzò su un gomito e si piegò verso di lei, fermandosi ad una distanza ridicola. «Esattamente quello che hai capito» le sussurrò sulle labbra, abbozzando una risata che si confuse in un bacio divertito, mentre Emma si divincolava senza troppa convinzione per ribellarsi.
Si arrese dopo pochi secondi, per una volta aggrappandosi alla priorità giusta, che era rappresentata dalla bocca di Harry, calda e lenta in ogni movimento studiato e mosso da un bisogno tangibile.
Emma gli passò una mano tra i capelli e continuò a tenere gli occhi chiusi, mentre la mano sinistra di Harry si infilava sotto la sua giacca e sotto la sua maglia, fermandosi sul suo ventre. Per un attimo pensò che volesse ripetere ciò che li aveva rapiti la notte scorsa, dato che si mosse verso il basso giocando temporaneamente con l'orlo dei suoi pantaloni, ma si dovette ricredere quando percorse la direzione opposta lentamente, arrivando a chiudere il suo seno nel proprio palmo.
«Non ti fermi proprio davanti a niente, piccola testarda» le sussurrò contro la pelle umida, tra un bacio e l'altro. «Dovresti provare ribrezzo per quello che ho fatto due anni fa e per come mi sono comportato con il mio migliore amico» aggiunse, mentre lei rabbrividiva sotto il suo tocco e si trovava d'accordo con lui. «Invece sei qui a dirmi che sei fiera di me, anche se sono uno schifoso codardo».
Emma lo strinse un po' di più a sé. «Vuoi che te lo dica?» Gli domandò sottovoce, mordendogli un labbro. «Sei uno schifoso codardo» continuò lentamente. «Non capisco come tu abbia anche solo potuto pensare di irrompere in casa di qualcuno, con che coraggio tu abbia picchiato quell'uomo». E non smise di baciarlo, mentre sentiva i suoi muscoli contrarsi al suono di quelle parole. «Se non ti conoscessi già, non vorrei avere niente a che fare con te» aggiunse sincera. In un'altra occasione, infatti, lei avrebbe semplicemente pensato di lui ciò che aveva pensato di Zayn, con la ferma convinzione di doverlo evitare come la peste.
Harry smise di baciarla e la guardò dritto negli occhi come a chiedere una spiegazione. Lei gli sorrise intraprendente e gli accarezzò uno zigomo, prima di alzare di poco il viso per raggiungere il suo. «Detto questo…» mormorò sfiorandogli il naso. «Dove eravamo rimasti?»
Lui abbozzò una risata incredula, di quelle che molto spesso l'aveva avuta come protagonista, ed Emma accettò il nuovo bacio che ne scaturì: non le importava degli sbagli che aveva commesso Harry, perché sapeva che non li aveva commessi in mala fede. Era conscio dei propri errori e delle proprie responsabilità e non era un ipocrita a riguardo; inoltre stava cercando a modo suo di risolvere le cose e di riscattarsi.
Quando Harry si allontanò piano dalle sue labbra, continuò a sfiorarle ad ogni respiro. Sembrò che volesse dirle qualcosa o forse quella era la speranza di Emma, ma non si lasciò sfuggire nessuna parola. Semplicemente si piegò sul suo petto, sistemandosi meglio accanto al suo corpo. Lei riusciva a respirare il profumo dei suoi capelli, mentre lui continuava a tenere la mano sul suo seno ed una gamba tra le sue.
Emma prese ad accarezzargli il collo e rimasero così, immobili in quel contatto strano che non era ancora definibile fino in fondo. Lei che doveva ancora crescere e lui che pensava di averlo già fatto.

 





 


Buondì!!
I know, I know: la maggior parte di voi non si aspettava questo lato di Harry (anche perché non c'era nulla che ve lo facesse sospettare) e alcuni saranno anche delusi! Chi invece ha letto "It feels..." sapeva già che prima o poi la verità sarebbe venuta a galla! Vorrei solo dire una cosa: qualcuno nei capitoli precedenti mi ha scritto di essere felice che Harry non fosse il solito personaggio con un "passato oscuro" e a me dispiace che ora magari abbia cambiato idea! In ogni caso, non credo che quello di Harry possa essere definito proprio così: è stato un solo episodio, non un'infanzia tormentata o un'adolescenza allo sbaraglio tra droga e chissà cos'altro. Harry ha fatto una cazzata, che non avrebbe fatto se fosse stato sobrio, e questa ha avuto parecchie ripercussioni, ma comunque non la definirei un "passato oscuro"! Comunque, se qualcuno dovesse aver qualcosa da dire a riguardo, perché magari non si trova d'accordo o che so io, che mi scriva pure :)
Poooi! Finalmente si ha una visione più chiara dei comportamenti di Harry! La sua durezza nei confronti di Emma e i suoi tentativi di respingerla, erano sì parte del suo carattere e conseguenze delle loro differenze, ma anche i risultati del suo disagio e del suo senso di colpa! La storia con Zayn e il suo essere stato un codardo l'hanno molto scosso, quindi cerca di fuggire o di combattere qualsiasi cosa che possa farlo sentire di nuovo così: per quanto è orgoglioso, si fa un po' schifo da solo per come si è comportato! Spero di esser stata chiara, ma per qualsiasi dubbio sapete dove trovarmi :)
Di conseguenza, Zayn, poveretto, si è preso un sacco di merda per niente hahahah Per chi non ha potuto conoscere bene il suo personaggio, forse è un po' strano che lui si sia sacrificato così tanto per un suo amico! Però ve lo dico chiaro e tondo: è un testone e si sbatte per chiunque, quindi è più che normale! E direi che ora potrete capire molto meglio il capitolo dal pov di Harry!
Anyway: spero che la reazione di Emma a tutta questa storia vi sia piaciuta! Mi è venuto naturale descriverla in questi termini, perché è coerente con il suo estremismo e con la sua determinazione! Ovviamente questo non è solo un pregio, ma se ne riparlerà :) Non voglio star qui ad annoiarvi, perché mi sono accorta di essermi dilungata anche troppo ahhaha
Oggi è una giornata del cazzo ed io mi sento uno straccio, quindi vogliatemi bene e fatemi sapere cosa ne pensate, almeno mi tirate un po' su di morale!! È tutto ben accetto, anche i "CHE SCHIFO DI CAPITOLO" ahhaha Questo capitolo è un po' la chiave di lettura di gran parte dei litigi tra Emma ed Harry, quindi le vostre opinioni sono importanti!! Anche riguardo l'evoluzione del loro rapporto :)

Basta, ora ritorno nel mio angolino triste e desolato! Vi lascio con un grazie immenso!! Siete sempre più meravigliosi (ormai parlo al maschile perché ho scoperto che ci sono anche lettori maschi EHEHEH)!!

Vi lascio tutti i miei contatti:
ask - facebook - twitter 

Un bacione,
Vero.
 
    
  

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Capitolo 22
*** Capitolo ventidue - The most stupid thing ***




 

Capitolo ventidue - The most stupid thing
 

 

Tianna spalancò la porta del bagno delle ragazze come una furia, con i capelli ricci che le rimbalzavano intorno al volto struccato ad ogni passo preoccupato e veloce: Emma non ebbe nemmeno il tempo di asciugarsi le mani o il viso che si era appena lavata, perché l'amica la costrinse a voltarsi e le afferrò il mento per ispezionare la sua pelle da vicino. Dietro di lei, con molta più calma ma non per questo meno urgenza, Pete fece la sua comparsa: gli occhi chiari e seri mantenevano il loro solito contegno, ma erano attenti ed impazienti.
«Che diavolo combini, si può sapere?» La rimproverò Tianna, senza spostare lo sguardo dalla sua bocca lesionata: il labbro inferiore era dolorosamente spaccato alla sua estremità sinistra, ma fortunatamente non sanguinava più, perché la ferita era solo superficiale.
«Sto gocciolando ovunque» ribatté Emma, alzando gli occhi al cielo. Dei rigoli d'acqua ancora fresca le stavano scivolando sul collo e sul maglioncino. «E mi stai facendo male» esagerò, portando l'amica a lasciare la presa sul suo mento.
«Se vuoi fare a botte con qualcuno, almeno prima chiamami» intervenne Pete, come se quello fosse il problema principale. Tianna lo fulminò con lo sguardo e lui, come al solito, la ignorò con un ghigno divertito.
Emma scosse la testa e recuperò un fazzoletto di carta dal dispensatore alla sua destra, per asciugarsi le mani ed il viso. «Non l'avevo mica programmato» rispose tranquilla. «E comunque non ho fatto a botte» precisò, scimmiottando quelle ultime parole.
«Ah, no?» Chiese retoricamente la sua amica, appoggiandosi le mani sui fianchi ed alzando un sopracciglio: sembrava una madre sul punto di rimproverare severamente la figlioletta irresponsabile. «Quindi ti sei presa a schiaffi da sola?»
Emma sapeva che i suoi amici dovevano essere stati informati da alcuni compagni del loro corso, perché quella mattina li aveva intravisti mentre recitavano la parte degli spettatori incuriositi e a tratti incitanti. Eppure è risaputo che le voci di corridoio rimangono difficilmente fedeli alla realtà, quindi non sapeva cosa fosse effettivamente arrivato alle orecchie di Tianna e Pete.
«Fatti fare una foto, così la mando a Dallas» sghignazzò quest'ultimo, prendendo il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni: stranamente si era ricordato del povero fratello che era costretto a casa a causa dell'influenza. Emma sorrise divertita ed accarezzò il braccio di Tianna, prima che quella potesse reagire ed iniziare una sfuriata contro entrambi: inaspettatamente, poi, se la tirò contro abbracciandola stretta e compiendo una smorfia dedicata all'obiettivo dell'amico, che le stava inquadrando senza remore.
«Assurdi…» borbottò Tianna appena il flash le illuminò il volto, liberandosi dalla presa soffocante che l'aveva costretta in quella foto per poi sistemarsi i capelli guardandosi allo specchio. «Ora puoi dirci cos'è successo esattamente?» Domandò subito dopo.
Emma sospirò e si appoggiò con le mani al lavandino dietro di lei. «Quella stronza di Calli parla sempre troppo» disse soltanto, indispettendo il suo tono di voce anche solo nel nominare quella ragazza. Non erano mai andate d'accordo: persino all'asilo, quando entrambe non avevano nemmeno un carattere definito, finivano puntualmente per tirarsi i capelli a vicenda e quindi in punizione.
«Cos'ha detto stavolta?» Domandò Pete, che forse si aspettava qualcosa di più entusiasmante.
«Tu non dovresti nemmeno essere qui, pervertito» gli fece presente Emma: in fondo era il bagno delle ragazze.
«Sì, ma non stavamo parlando di Calli?» Ripeté lui, imperturbabile.
Emma sbuffò. «Non avrebbe mai perso l'occasione di dire la sua riguardo Harry» borbottò nervosa. Le voci sul suo passato erano arrivate anche nella sua scuola e quell'arpia dai capelli bruciati dalle troppe tinte non avrebbe potuto tenere la bocca chiusa, perché avrebbe significato essere ragionevole e soprattutto perdere un'opportunità di fare innervosire la sua eterna rivale in un campo inesistente.
«Spiegati meglio» la incitò Tianna, incrociando le braccia al petto. Lei ed i gemelli sapevano delle nuove rivelazioni su Harry, perché di loro c'era da fidarsi e perché, in qualunque caso, sarebbero venuti comunque a saperlo da altri, quindi tanto valeva dire sin da subito la verità anziché sottoporli a pettegolezzi non affidabili. Non si erano sbilanciati molto nel dare un giudizio, anche se era palese che la loro fiducia in lui fosse calata drasticamente: credevano abbastanza in Emma da accettare le sue decisioni, perché sicuri che fossero basate su motivazioni solide, anche se magari diverse da quelle che avrebbe avuto chiunque altro.
«Mi ha fermata all'entrata e già per questo l'ho odiata a morte, perché nessuno può sopportarla alle otto del mattino» cominciò Emma, sicura che i suoi amici si sarebbero trovati d'accordo con lei. Calli e la sua voce bassa - a differenza della sua statura - non erano mai un buongiorno, a nessuna ora del giorno. «Ha iniziato a blaterare su di Harry e sul fatto che venga spesso a prendermi a scuola: che poi che diavolo gliene frega? Mi spia, per caso?» Continuò, abbandonandosi brevemente ad uno sfogo liberatorio. Dal martedì in cui lei ed Harry erano rimasti sul tettuccio della sua auto a disegnare costellazioni in cielo solo per distrarsi e non dormire, solo per sentirsi ancora un po', era ormai passata una settimana esatta: in quei giorni lui era spesso arrivato davanti alla Haltow High School a bordo della sua vecchia auto per accompagnare Emma a casa, dato che l'eterna punizione pendente sul suo capo restringeva di molto le loro possibilità di passare del tempo insieme. Nonostante le poche occasioni a disposizione per vedersi, però, il loro rapporto sembrava aver contratto una nuova forza ed una nuova intensità.
«Probabile» sbadigliò Pete. «Non credo abbia una vita molto entusiasmante, quindi dovrà pur svagarsi con qualche hobby».
«Be', dovrebbe proprio trovarsene un altro» inveì Emma, sempre più nervosa nel ripercorrere mentalmente ciò che era accaduto nemmeno mezz'ora prima: la stizza la guidava in ogni movimento ed in ogni inclinazione del tono di voce. «“Non pensavo ti piacesse farti sbattere da un drogato delinquente” ha detto. “Deve essere sempre strafatto, per volere una come te. Ma l'uccello almeno gli funziona?”» riprese a denti stretti, modificando la sua voce per imitare quella di Calli. Come aveva sospettato, la storia in circolo era sempre la stessa, forse perché senza il tassello della droga non avrebbe riscosso lo stesso successo: cambiava solo il soggetto, nonostante Harry avesse cercato di modificare più particolari che nel corso del tempo erano degenerati. Le dava terribilmente fastidio che le persone intorno a lei potessero continuamente giudicarlo, soprattutto su qualcosa che non conoscevano fino in fondo e che in parte era anche falso.
«Aspetta, ti fai sbattere da Harry?» La interruppero Tianna e Pete all'unisono, una allibita e l'altro probabilmente solo in cerca di uno scoop.
«Ma no, idioti» rispose Emma. «E poi non è questo il punto…»
Tianna tirò un sospiro di sollievo e l'altro borbottò un “E quando inizierai?”. «Per un attimo ho temuto che Calli Menz sapesse più di me» ammise la ragazza.
«E come potrebbe essere possibile?»
«In fondo hai detto che ti spia».
«Sì, ma...» Emma sospirò profondamente e scosse il capo, passandosi una mano tra i capelli. Non era intenzionata a continuare quel discorso. «Comunque, io le ho semplicemente risposto che è una cogliona senza cervello e che nemmeno uno strafatto avrebbe voglia di sopportare lei e la sua assurda stupidità. Credo si sia offesa, perché a quel punto mi ha tirato uno schiaffo» concluse un po' indignata e un po' indifferente, con l'aria da innocente che non le si addiceva per niente.
«Con un solo schiaffo ti ha ridotto così la bocca?» Domandò Pete stupito, guardandole le labbra.
«Non dirlo a me» sbuffò Emma. Nemmeno lei poteva credere di avere la pelle così delicata: si sarebbe aspettata un po' di arrossamento o qualsiasi altro segno, ma quando si era portata la mano alla bocca ed aveva visto quel rivolo di sangue sulle sue dita, ne era rimasta stupita ed oltraggiata al tempo stesso. Certo, forse il rumore che l'impatto aveva fatto risuonare ed il dolore che ne era derivato avrebbero dovuto darle un indizio, ma andiamo, era stato solo uno schiaffo.
«E tu?» Chiese Tianna con un'espressione indecifrabile sul volto. Era palesemente assorta dal racconto, forse in attesa di recepire abbastanza informazioni per costruire un decreto a riguardo.
«Ed io niente, perché, appena mi sono avvicinata, il preside ha iniziato a sbraitare in cortile e ci ha interrotte. Ma giuro che appena-»
«No, tu non giuri proprio un bel niente» la fermò subito l'amica, irremovibile riguardo le sue regole morali. «Calli sarà anche una stupida, ma tu non puoi rovinarti la carriera scolastica per lei. Il preside sicurament-»
«Sì, il preside si è già preoccupato di informarci che non ha intenzione di tollerare questi comportamenti nella sua scuola, testuali parole. Ha minacciato di sospenderci, se dovesse accadere di nuovo, ma almeno ci ha fatto la grazia di non chiamare i nostri genitori» la informò Emma, un po' dispiaciuta dalla mancata opportunità di pareggiare i conti. Era un'umiliazione quella che aveva subito, perché non avrebbe mai permesso a nessuno di colpirla in quel modo e davanti a tutta quella gente, senza nemmeno la possibilità di fare altrettanto.
«Ecco, quindi tieni le mani a posto ed ignorala» le consigliò Tianna. «Altrimenti finisci solo per darle importanza».
«Pete, ma che stai facendo?» Domandò Emma, mentre l'amico si avvicinava a lei con il suo cellulare teso in avanti. Gliel'aveva posto davanti alle labbra, con un'espressione concentrata sul viso.
«Dallas vuole una foto della tua ferita da guerra».
 
Non aveva detto ai suoi genitori che quel giorno sarebbe uscita due ore prima da scuola grazie all'assenza di un professore, quindi aveva potuto ritagliarsi del tempo libero da non dover trascorrere in clausura in casa propria. Ed ovviamente sapeva anche a chi dedicarlo.
Emma entrò nel Rumpel come da troppo tempo non faceva: non si ricordava nemmeno quando fosse stata l'ultima volta che aveva messo piede in quel tepore accogliente. L'atmosfera era sempre la stessa, però: Ty stava preparando il caffè ad un cliente sorridendo cordialmente, mentre i piccoli altoparlanti dello stereo trasmettevano debolmente una canzone a lei sconosciuta. Il pavimento nero era stranamente più pulito del solito ed Harry era già lì, proprio come le aveva promesso.
Era solo, seduto ad uno dei tavoli generalmente occupati anche dai suoi amici, e giocherellava con un bicchiere vuoto tra le sue mani, fissandolo con uno sguardo perso e parzialmente nascosto dai capelli che gli ricadevano sulla fronte. La maglietta grigia si adagiava perfettamente sul suo corpo, animato regolarmente da respiri lunghi e lenti.
Emma rivolse un cenno di saluto a Ty, ripromettendosi di scambiarci due parole più tardi, poi sospirò ed iniziò a togliersi la giacca. Aveva deciso di non dire niente riguardo l'accaduto di quella mattina con Calli, perché sapeva che Harry non avrebbe reagito bene e che magari l'avrebbe anche rimproverata: doveva mentire e la cosa non la allettava particolarmente, ma era decisa a non nascondersi. Alzò il mento per infondersi coraggio e si avvicinò ad Harry, lasciandogli un bacio inaspettato tra i capelli e facendolo sussultare per la sorpresa.
Mentre Emma prendeva posto davanti a lui, mascherandosi con un'indifferenza fin troppo marcata che per questo risultava sospetta, Harry corrugò la fronte e la osservò con attenzione. «Ragazzina, che ti è successo?» Le domandò subito, con gli occhi puntati sul suo labbro spaccato e più gonfio.
Lei si strinse nelle spalle e prese il piccolo menù plastificato tra le mani. «Sono caduta» rispose soltanto, fingendo di cercare qualcosa da ordinare.
«Sei caduta?» Ripeté lui insospettito. Era evidente che non le credesse, ma questo non gli dava alcuna sicurezza: era comunque la sua parola contro quella di Emma.
«Sì, e preferirei non parlarne, dato che metà della scuola mi ha vista e ne ha parlato per tutto il giorno» lo liquidò, armandosi della caratteristica dignità che lui non avrebbe potuto mettere in dubbio. In fondo era solo una mezza bugia, dato che per davvero metà scuola non aveva fatto altro che parlare di lei e Calli per tutta la mattinata. «Tu, piuttosto? Perché hai questa faccia da funerale?»
Solo a quel punto Emma ripose il menù al suo posto e si sforzò di guardarlo negli occhi: con gli avambracci appoggiati sulla superficie liscia del tavolo, fu tentata di mordersi il labbro in un gesto usuale, ma ci ripensò quando una piccola fitta fastidiosa le ricordò del taglio che si era procurata. Harry la stava studiando, più che guardando: le sue iridi attente e per niente ingenue non erano pronte a lasciarsi sfuggire nemmeno un particolare, anche se, nell'impegnarsi così tanto in quell'impresa, avevano abbassato le proprie difese scoprendosi agli occhi altrettanto astuti che stavano loro di fronte.
«Sono stanco» borbottò dopo una manciata di secondi, quasi riscuotendosi. «Se qualcuno smettesse di tenermi occupato nel bel mezzo della notte...» continuò duro, ma con la malizia ad aleggiargli nel tono di voce.
Emma sorrise beffarda. «Andiamo, un paio d'ore a notte rubate al tuo sonno non possono di certo ridurti in questo stato» lo rimbeccò sicura. Ormai quasi ogni notte si incontravano fuori casa sua per sfuggire alle rigide regole di Ron Clarke e per condividere lo stesso ossigeno: era diventata una sorta di routine, che però non avrebbe mai potuto sfociare nel banale e nel ripetitivo. «Di' la verità: sei così stanco perché al posto di dormire non riesci a smettere di pensarmi» lo provocò. Scherzava, certo, ma il suo spirito di donna ancora un po' immatura si dilettava nel credere davvero a quell'affermazione.
Harry si sciolse in un sorriso largo e sentito, inumidendosi le labbra. «Tu sei sicura di dormire abbastanza, invece? Inizi a confondere i sogni con la realtà» ribatté pronto.
«E chi dice che non possano coincidere?» Rispose Emma, soddisfatta dalla piccola vittoria in una delle quotidiane lotte che si tenevano ad ogni loro incontro. Lui scosse la testa ed alzò gli occhi al cielo, mentre le permetteva di percorrere velocemente con lo sguardo la linea del suo collo e della sua mandibola: le piaceva pensare di conoscere sempre meglio ogni parte del suo corpo, di poterle ripercorrere ad occhi chiusi senza alcuna difficoltà e di poter rivivere vividamente ogni sua reazione al proprio tocco.
«Che c'è?» Domandò Harry, forse notando il modo in cui lo stava osservando.
Lei scosse il capo e tamburellò con le dita sul tavolo. Il maglioncino che indossava era troppo pesante per il clima di quella giornata e, soprattutto, per i riscaldamenti perennemente accesi del Rumpel. «La prossima settimana c'è il ballo di primavera, nella mia scuola» esclamò, raddrizzandosi sulla sedia.
«Non è ancora primavera» precisò Harry, chiamando la cameriera affinché raggiungesse il loro tavolo. Il suo viso non era stato percorso dalla minima espressione: era davvero così ottuso o stava solo fingendo di non aver capito, in modo da poter evitare la questione?
Emma fece per dire qualcosa, ma si limitò ad accogliere con un sorriso la cameriera che si era avvicinata prontamente, data la scarsa quantità di clienti nel bar. Ordinò un thè alla pesca ed aspettò che lui chiedesse un altro bicchiere di Sprite. Quando rimasero di nuovo soli, non tornarono sull'argomento né ne affrontarono un altro: aspettarono in silenzio senza alcun imbarazzo - o almeno era quello che volevano dar a vedere - e rimasero nella stessa posizione anche quando la cameriera tornò dopo qualche minuto con le loro ordinazioni.
Emma si schiarì la voce ed alzò un sopracciglio, mentre Harry si rinfrescava la gola con un lungo sorso. «Mi accompagni?» Domandò soltanto, quando il silenzio si fece insopportabile.
Lui sembrò confuso. «Dove?»
«Al ballo di primavera, mi sembra ovvio» rispose lei con tono scocciato. Non le piaceva che stesse facendo il finto tonto.
«No» disse Harry con una semplicità disarmante, stringendosi nelle spalle in segno di indifferenza.
Emma sbatté le palpebre più volte e si prese qualche secondo per riformulare il rifiuto appena ricevuto. «Perché no?»
«Perché credo che i balli siano delle stronzate, soprattutto quelli di primavera che vengono organizzati in inverno» spiegò, guardandola negli occhi come a sfidarla a ribattere qualcosa. «Perché nel novanta per cento dei casi la musica fa schifo e l'alcool altrettanto, sempre se ce ne sarà. E perché non ho intenzione di mettermi un completo addosso che, tra l'altro, non ho nemmeno i soldi per affittare o comprare».
Emma probabilmente assunse un'espressione palesemente infantile nell'ascoltare l'elenco delle motivazioni del regale Harry Styles, perché lui accennò un sorriso divertito, ma non per questo pentito.
«Non devi per forza indossare un completo» gli fece presente lei, piccata. «È solo un ballo: cosa importa se si tiene in inverno o in primavera? E poi, anche la musica alla festa di Walton faceva schifo, eppure te la sei spassata lo stesso».
La infastidiva il fatto di aver ricevuto una risposta negativa e per di più così incurante. Non che per lei fosse fondamentale andare a quel ballo o andarci con lui, ovvio, ma non le sarebbe di certo dispiaciuto.
«Ragazzina, non provare a convincermi, tanto non cambio idea» ribatté Harry con fare annoiato e provocatorio al tempo stesso: sapeva di farla innervosire e questo sembrava essere una succulenta fonte di divertimento.
Emma inasprì lo sguardo e lo rese indecifrabile. «Come vuoi» esclamò, abbandonandosi sullo schienale della sedia ed incrociando le braccia al petto. «Vorrà dire che accetterò uno degli inviti che ho ricevuto e che ci andrò con qualcun altro» continuò, per niente intenzionata a pregarlo.
«Perfetto, problema risolto» disse Harry, senza alcun fastidio nella voce. Probabilmente non credeva che lei dicesse sul serio, perché aveva il brutto vizio di sottovalutarla.
«Perfetto» ripeté lei, inviperita fino alla punta dei capelli. Certo, forse le sue iridi erano brave bugiarde, ma tutto il resto di lei urlava il suo disappunto, soprattutto ad un occhio esperto come quello che aveva di fronte.
Harry sospirò dopo aver bevuto un altro sorso di Sprite, poi si soffermò di nuovo sulla labbra di Emma. «Cos'hai fatto?» Domandò ancora, indicandole con la mano che impugnava il bicchiere freddo. Lei era pronta a mentire di nuovo, soprattutto dopo il piccolo battibecco affrontato, ma non appena aprì la bocca per rispondere, nel bar entrò un gruppo chiassoso che attirò la sua attenzione e che smorzò le sue intenzioni.
Erano gli amici di Harry: Walton camminava davanti a tutti con un sorriso divertito sul viso e le mani in tasca. Brett, il grassoccio del gruppo, non era intenzionato a smentire la sua fama di imperturbabile e silenzioso apatico, avanzando lentamente senza alcuna particolare espressione sul viso. Parker - se ben ricordava il suo nome - aveva tagliato i capelli corvini, quasi trasformandosi in una persona diversa, e stava ridendo con Walton dandogli una pacca sulla spalla destra. Lip, invece, era probabilmente ancora più grosso dell'ultima volta che l'aveva visto: i suoi muscoli sembravano finti e di sicuro non ispiravano fiducia.
Emma li osservò pronta a salutarli tranquillamente, forse più per distrarsi dal dispetto che provava nei confronti di Harry, ma si fece pensierosa quando li vide scorgere il loro amico ed incupirsi, iniziando a parlottare tra di loro mentre indugiavano al centro del bar.
Harry li guardò e sospirò, come se già sapesse cosa stava succedendo. Le loro facce sembravano offese, private della solita spensieratezza che li aveva accompagnati in ogni pomeriggio passato al Rumpel, e quel cambiamento, quel cipiglio sulla fronte di ognuno di loro - compreso Brett, stranamente - era comparso proprio dopo aver visto Harry.
«Ma che gli prende?» Indagò Emma rivolta più a se stessa, osservando Walton che stringeva i pugni con fare nervoso. Questo fece un passo avanti, poi Lip lo afferrò per una spalla e Brett scosse la testa guardando Parker: alla fine, dopo un'infinità di messaggi in codice che avrebbero potuto scambiarsi a parole evitando gran parte del teatrino, tutti e quattro si mossero verso il tavolo di Emma ed Harry.
«Ciao» li salutò lei, stranita da ciò che stava succedendo. Fu ignorata senza troppo storie - tranne che da Brett, che si confermò nelle sue maniere educate rivolgendole un cenno del capo - e tutta l'attenzione si spostò su Harry, che si limitò ad alzare lo sguardo e ad aspettare in silenzio.
«Di' un po', ti sei divertito a trattarci come dei deficienti?» Iniziò Walton con gli occhi scuri ridotti a due fessure, mentre incrociava le braccia al petto. Emma si mosse istintivamente, come a voler imporre dei toni più pacati, ma si arrestò altrettanto velocemente, perché di sicuro qualcuno non l'avrebbe apprezzato.
«Per due anni abbiamo spalato merda su Zayn Malik e ora, magicamente, veniamo a scoprire che avremmo dovuto avere un bersaglio diverso» continuò Parker, torturandosi il piercing al labbro inferiore.
La situazione era diventata un po' più chiara grazie a quel commento ricco di rabbia: era anche più chiaro il perché Harry non fosse affatto stupito nell'udire quelle parole. Probabilmente, da quando la verità era uscita a galla, i suoi amici si erano riempiti di rancore un passo alla volta, fino ad arrivare al limite e quindi al rimprovero appena pronunciato.
«Non è colpa mia se avete preferito dar retta a delle voci» rispose Harry, apparentemente rilassato. Emma aveva da ridire su quell'argomentazione, ma fu Walton ad esprimere a voce i suoi stessi pensieri.
«Forse perché quelle voci venivano da te. E noi ci fidavamo di te» esclamò l'altro, con la delusione a delineare ogni tratto del suo volto. In fondo aveva ragione, Harry non aveva scuse.
«Ma tu non ti sei fidato abbastanza da dirci la verità» continuò Lip, per la prima volta con un'espressione seria sul viso. «Siamo i tuoi migliori amici, o almeno pensavamo di esserlo».
Harry sospirò silenziosamente, con il volto stanco e probabilmente colpevole, e guardò lentamente negli occhi dei suoi amici, un paio alla volta. «Le cose sono un po' più complicate di così» disse piano rivolgendosi a Walton, con il quale aveva un legame più profondo.
«Invece a me sembrano molto semplici» rispose quello. «Ci hai mentito e ci hai fatto fare la figura dei coglioni, pur sapendo la verità: a questo punto non posso nemmeno dire di conoscerti come pensavo».
«Non dire cazzate, questo non cambia niente» si affrettò a precisare Harry, corrugando la fronte.
Walton serrò la mascella e si limitò a guardarlo, cercando di riversare nelle proprie iridi tutto il rancore che provava: era giustificabile, perché in fondo loro erano stati coinvolti più di molti altri in quella storia, alla stregua di marionette delle quali Harry si era servito per raggiungere i suoi scopi. Emma si chiedeva perché non riuscisse ad essere sincero, almeno con i suoi migliori amici: se avesse spiegato loro la situazione sin dal principio, le cose si sarebbero evolute in modo differente.
«Harry non è diverso da quello che avete conosciuto» cominciò Emma, spinta dal suo irrefrenabile istinto a dire tutto ciò che le passava per la testa e che riteneva utile. Stava per aggiungere che era solo macchiato da un segreto, ma lo sguardo che Walton le rivolse la zittì senza sforzi. Anche Harry si voltò verso di lei: un chiaro rimprovero scritto sul suo viso scuro.
«Il signor Dumbel non ti è bastato?» Domandò Walton, tornando con gli occhi su quello che forse non riteneva più un amico. «Adesso picchi anche le ragazze che ti scopi?» Continuò volgarmente, riferendosi al labbro emaciato di Emma e provocando una irrefrenabile reazione a catena.
Harry si alzò in piedi di scatto, afferrando il ragazzo per il colletto della sua giacca pesante e quasi alzandolo da terra: tutto intorno, gli altri si mossero di conseguenza, incerti sul da farsi. Emma, intanto, si era alzata a sua volta facendo strisciare la sedia sul pavimento. Sentì Ty chiedere cosa stesse succedendo, ma nessuno gli prestò attenzione.
«Attento a come parli, Walt» lo minacciò Harry, con le nocche bianche e gli occhi irati. «Visto che dici di non conoscermi, non sai nemmeno come potrei reagire».
«Perché te la prendi tanto? Per caso ho detto la verità?»
A quel punto Harry cedette al nervosismo che lo stava attanagliando in una morsa e spinse il suo amico all'indietro. Emma si avvicinò rapidamente, battendo un fianco contro il tavolino e facendo rovesciare il bicchiere di thè alla pesca: si frappose tra i due ragazzi senza ripensamenti, mentre anche Brett la imitava - unico fra gli altri.
«Andate a risolvere i vostri problemi fuori di qui, razza di idioti» intervenne Ty, accorso per mantenere l'ordine nel suo locale. I suoi occhi si muovevano infastiditi da un viso all'altro, soffermandosi un po' di più su quello di Harry: il resto del locale si era improvvisamente ammutolito.
«Scusaci, Ty» esclamò Emma, con una mano sul petto che ormai conosceva a memoria e che continuava a muoversi velocemente ad ogni respiro. «Adesso ce ne andiamo».
Harry stava ancora puntando Walton, come in attesa di un segnale per scagliarsi contro di lui e sfogare tutto ciò che sentiva: anche quella situazione era una conseguenza delle sue azioni.
«E voi…» riprese il proprietario del bar, dopo aver annuito in un tacito assenso, riferendosi agli altri ragazzi. «Se siete venuti qui per comprare qualcosa, va bene. Altrimenti levatevi dai piedi. Credevo di aver smesso di educarvi e di mettervi un po' di sale in quella zucca qualche anno fa, invece vedo che siete ancora dei tredicenni immaturi» concluse, allargando il discorso a tutto il gruppo - Harry compreso - mentre si voltava per allontanarsi.
 
Harry camminava velocemente davanti a lei, che era rimasta indietro per pagare Ty e per recuperare la propria giaccia sotto gli occhi infuriati di Walton e quelli un po' più miti degli altri. Nessuno aveva più detto una parola, da quando il proprietario del bar era intervenuto per calmare gli animi agitati, e questo aveva permesso loro di sgattaiolare fuori per evitare ulteriori discussioni.
Emma accelerò il passo e per poco non inciampò. «Harry, fermati» ordinò, un po' preoccupata e un po' infastidita.
«Non avresti dovuto intrometterti» ribatté lui, duro come altre volte l'aveva affrontato, ma senza voltarsi a guardarla.
Su quel punto forse aveva ragione. «Sono solo feriti, loro... Vedrai che-»
«Devi farti gli affari tuoi» la interruppe di nuovo, ancora ad un paio di metri di distanza.
Emma increspò le labbra e si fermò. «E così siamo tornati a questo?» Chiese retorica, infuriata da quelle parole che la catapultavano in un passato nemmeno tanto lontano che sperava di non dover più rivisitare.
Harry si voltò e la guardò scuro in volto, poi le si avvicinò a grandi passi. «Hai intenzione di farmi la predica?» Domandò a bassa voce, ma con la mascella serrata. «Non vuoi nemmeno dirmi cosa cazzo ti sei fatta a quel labbro, quindi non stupirti se anche io decido di escluderti da qualcosa».
«E questo ora che diavolo c'entra?»
«Dimmelo!» Insistette lui, afferrandola per le braccia. «Non prendermi per stupido: so riconoscere un labbro spaccato da una caduta o da qualcos'altro, quindi dimmelo».
Emma respirò velocemente, conscia di non poterlo più ingannare e della necessità di accontentarlo per non farlo innervosire di più: era evidente che lui stesse cercando un appiglio per concentrarsi su qualcos'altro o semplicemente per sfogarsi. «Una della mia scuola mi ha dato uno schiaffo» sussurrò distogliendo lo sguardo dal suo.
«Perché?» Domandò Harry, secco. Non era stupito, perché dal momento in cui l'aveva vista aveva già immaginato cosa fosse successo.
Lei non rispose, barricata nella sua testardaggine.
«Perché?» Ripeté lui, stringendo un po' di più le sue braccia tra le proprie mani.
Emma tornò a guardarlo, altera e un po' meno pronta. «Stava parlando di cose che non la riguardano» spiegò mantenendo un tono ferreo. Era riluttante a dire la verità, perché sapeva a cosa sarebbe andata incontro.
«Quali cose?» Perseverò Harry, così vicino al suo volto da sembrare che volesse strapparle le sillabe di bocca con le sue stesse mani.
«Di te. Stava parlando di te!» Sbottò Emma, divincolandosi dalla sua presa e costringendolo a lasciarla andare. «I pettegolezzi viaggiano in fretta» aggiunse dura.
Harry respirò più profondamente e per qualche secondo non reagì in alcun modo se non con lo sguardo, che la stava trapassando più e più volte come a volerle trasmettere un messaggio che era già sottinteso.
Subito dopo si voltò di nuovo e ricominciò ad allontanarsi.
Emma era confusa da tutti quegli avvenimenti ed indispettita dall'atteggiamento schivo che pensava di aver finalmente imparato ad affrontare: lo seguì solo per iniziare un litigio, mentre lui saliva nella macchina parcheggiata qualche metro più in là.
Quando si sedette al sedile del passeggero e quando entrambe le portiere furono chiuse, il mondo esterno si dissolse come al di fuori di una bolla impenetrabile: il silenzio li avvolse insieme al nervosismo e le dita di Harry avvolsero il volante, stritolandolo.
«Tu non mi devi proteggere» sussurrò a denti stretti, con il capo leggermente chino e lo sguardo fisso davanti a lui. «Non mi devi proteggere appena qualcuno parla di questa storia, perché non puoi farci niente, perché sarà sempre peggio e perché se a me non interessa, non deve interessare nemmeno a te. E non mi devi proteggere da Walton, Cristo santo» continuò, alzando la voce e voltandosi per guardarla.
«Io non ti sto proteggendo» precisò Emma, marcando quella parola con un tono diverso. Non si stava ergendo a sua paladina, stava solo cercando... Voleva che venisse rispettato.
«No?» Domandò lui, pieno di retorica.
Emma serrò le labbra senza badare alla leggera fitta di dolore che derivò da quel gesto: non si scompose, limitandosi a sostenere il suo sguardo in una tacita sfida. Era abbastanza intelligente da capire il perché dei suoi gesti, il perché del suo intervento nella discussione con Walton ed il perché dello schiaffo che aveva accettato solo per lui: non gli avrebbe permesso di screditare tutto solo per far valere il suo testosterone.
Resosi conto del fatto che Emma non era intenzionata a ribattere, asserragliata dietro la coltre di caparbietà che usava come arma e difesa, Harry sospirò e si passò una mano tra i capelli.
Quando tornò a guardarla, il suo sguardo era placidamente tormentato.
«Ragazzina, so come sei fatta e so...»
Un altro sospiro.
«Va bene essere determinati, ma non per questo devi essere anche stupida» si spiegò meglio, con un tono di voce lineare e serio.
Emma corrugò appena la fronte. «Bene, ora sono anche stupida» borbottò indisposta. «Perfetto, Harry, c'è qualcos'altro di cui vorresti lamentarti?»
«Ti comporti da stupida, ma so bene che non lo sei» rispose lui, un po' seccato dalla reazione ottenuta, dato che era stata evidentemente dettata dal nervosismo che aleggiava tra di loro.
Lei si morse l'interno di una guancia e distolse per qualche secondo lo sguardo, posandolo di nuovo nelle sue iridi solo quando la sua voce tornò a solleticarle il corpo.
«Tutta questa determinazione che hai, tutta questa testardaggine... A volte ti fanno fare cose stupide» ripeté Harry, riprovandoci. «Rubare, per esempio. F-»
«Andiamo, stiamo di nuovo parlando di questo?»
L'ennesimo sospiro.
«Fammi finire» le ordinò, sull'orlo del nervosismo. «Stiamo anche parlando del fatto che ti sei presentata qui con un labbro rotto, che ti sei procurata solo per difendere il mio nome. Ed è stato stupido. Stiamo parlando del fatto che ti sei messa in mezzo a me e Walton, quando era evidente che lui non aspettasse altro per sfogarsi su di me in ben altri modi. Ed è stato stupido. Stiamo anche parlando del fatto che... Che mi hai accettato dopo aver saputo la verità su di me, come se ti avessero solo detto che sono stato bocciato in quarta elementare. E questa è stata la cosa più stupida di tutte» concluse, affievolendo il volume della sua voce ma aumentando quello dei suoi occhi.
Emma rimase in silenzio per qualche secondo, ragionando sulle parole che le stavano svelando un discorso che andava ben oltre il suo labbro emaciato. «Per te queste cose sono stupide» cominciò. Era ferita, di nuovo. «Per me sono normali. Giuste. E vorrei che tu non le sminuissi così».
«Non le sto sminuendo, sto solo dicendo che mi fai incazzare» ribatté Harry.
«Ah, certo: ora sì che suona meglio» sbuffò Emma, incrociando le braccia al petto e puntando lo sguardo oltre il parabrezza, sulla macchina che stava loro di fronte. «E sai una cosa? Sei tu che fai incazzare me, perché non importa quanto io mi sbatta per te, quanto cerchi di dimostrarti, a te non starà mai bene niente! E allora vaffanculo, Harry!» Quasi urlò, finendo per mordersi il labbro inferiore per la frustrazione e lasciando subito dopo la presa a causa del dolore. Era così stanca di quella storia, di quel continuo discorso che sembrava non trovare mai una risoluzione.
Non si voltò verso di lui, limitandosi a contare i propri respiri accelerati, ma sentì perfettamente le sue iridi studiarla, forse stupite o forse sul punto di gridare in risposta. Emma iniziò a preoccuparsi quando, invece che dal solito litigio verso il quale sembravano diretti, le sue parole furono seguite dal silenzio più totale.
Cosa doveva aspettarsi? A cosa stava andando incontro? Non si era affatto pentita di ciò che aveva detto e anzi, si sentiva sollevata, perché finalmente aveva buttato fuori quella sensazione di non adeguatezza che la perseguitava ogni volta che succedeva qualcosa di simile. Iniziò a sperare che lui avesse compreso il suo stato d'animo e che, per questo, fosse sul punto di reagire in modo diverso dal solito.
Dopo secondi interminabili e forse minuti, Emma non resistette all'istinto di sbirciare con la coda dell'occhio cosa stesse facendo Harry. Un guizzo di muscoli le fece girare il viso impercettibilmente, quasi a non voler cedere o ammettere la sconfitta. Gli occhi verdi nei quali tante volte aveva cercato riparo dai loro stessi attacchi, erano ancora fermi su di lei, in attesa. Forse anche loro stavano cercando la medesima protezione, perché non si erano sporcati né di rabbia né di risentimento.
Il corpo di Emma si rilassò all'istante e lei si sentì di nuovo in diritto di respirare liberamente. Almeno fino a quando Harry non tornò a parlare.
«Io non voglio avere bisogno di te».
Quelle lettere, una dopo l'altra ed una incastrata nell'altra, si erano mosse a formare un significato che era stato espresso come un respiro appena più evidente. Così piano, da confondersi con il mormorio delle persone che affollavano le strade pomeridiane di Bradford. Così forte, da penetrare in Emma tramite una fessura all'apparenza invisibile ed inscovabile, da rimbalzare tra le sue ossa ed in ogni sua cellula senza trovare una via di uscita e, per questo, condannato a rimanere lì, a rappresentare la condanna di qualcun altro.
Emma sbatté le palpebre e le sembrò di non avere nemmeno un cuore pulsante. Improvvisamente, tutto le fu più chiaro: aveva completamente frainteso le parole che le erano state rivolte, abituata com'era a scorgere in esse continue critiche ed aspri rimproveri. Harry l'aveva fatto di nuovo: aveva usato l'aggettivo stupido come quando aveva parlato dello stupido Zayn che si era sacrificato tanto per lui, e lei nemmeno si era accorta dell'accezione diversa che aveva assunto tra le sue labbra.
Harry conosceva bene ogni singolo sforzo che Emma compiva per lui, anche quello più piccolo ed anche quello più sbagliato: ma per quanto potesse criticarla, per quanto potesse innervosirsi per la sua irresponsabile impulsività, non riusciva a nascondere la gratitudine che provava, quel senso di calore che l'incondizionato appoggio di qualcuno è in grado di dare, quel sostegno che solo chi ama senza riserve può dispensare. E per non ammetterlo a se stesso, né a lei, esternava il tutto con urla dissimulatorie e sguardi che non si capacitavano di ciò a cui dovevano assistere, tentando di confonderlo con il comunque innegabile fastidio per un estremismo che non conosceva e che non capiva.
Emma sapeva che quel momento di maggior confidenza non doveva essere forzato, perché da come conosceva Harry poteva ipotizzare che una sola parola sbagliata l'avrebbe fatto scoppiare o fuggire. Perciò, contro ogni briciola di volontà e contro ogni sprazzo di istinto, si limitò ad immagazzinare quella frase e quel tono di voce, quegli occhi e quelle dita nervose.
Forse per la prima volta, si accontentò.

 





 


Hello everyone!
Mi dispiace di avervi fatto aspettare un paio di giorni in più per questo capitolo, ma come ho già spiegato ho avuto molto da fare (fatica sprecata, dato che oggi sono stata bocciata ad uno degli esami più importanti e difficili del mio corso, dopo non aver dormito nemmeno un'ora stanotte per ripassare AH AH AH). Comunque, a voi non interessa, quindi spero soltanto che sia valsa la pena di aspettare!
È passata una settimana dall'incontro sul tettuccio della macchina e ho dato un po' di spazio alle famose conseguenze che Harry ha sempre tirato in ballo! Prima Emma ha un veloce battibecco con una della sua scuola (non si fa, mi raccomando!! ahahah Ho dovuto scriverne perché Emma fa il cavolo che vuole ed io devo riportare, ahimè! Credo che sia ancora evidente il suo essere infantile, soprattutto in vicende come queste! A proposito: credete che Emma sia maturata nel corso della storia? Sono curiosa di sapere le vostre opinioni :)) e poi arrivano anche gli amici di Harry, che non potevano di certo prendere bene tutta questa storia (condita ovviamente dalla riservatezza orgogliosa di Harry...)!
Riguardo l'ultima parte, non poteva mancare la solita discussione ahhaha Però, per fortuna, si è risolta in modo migliore rispetto alle altre volte: vorrei che fosse chiaro il discorso di Harry, quindi per qualsiasi dubbio scrivetemi!! Lui critica davvero l'irresponsabile impulsività di Emma, ma allo stesso tempo non può che sentirsi... onorato? In qualche modo completamente accettato, senza possibilità di far valere ancora quelle sue immense difese con le quali ha sempre cercato di non scoprirsi troppo: le attenzioni a tratti infantili di Emma lo infastidiscono e al tempo stesso lo attraggono. Ditemi se sto blaterando o se per voi ha un senso ahahah Giuro che nella mia testa ne ha!
Detto questo, ho un bel po' di ore di sonno da recuperare, quindi vi lascio! Vi chiedo di farmi sapere cosa ve ne pare, perché sapete che i vostri pareri per me sono fondamentali! In più, mancano solo cinque capitoli alla fine della storia (CAZZO! Ma non è appena iniziata???), quindi ne ho ancora più bisogno :)

Grazie mille, come sempre! Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

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Capitolo 23
*** Capitolo ventitré - Only me ***




 

Capitolo ventitré - Only me
 

 

Emma era ancora in accappatoio, quando sentì bussare alla porta della propria stanza: smise di frizionarsi i capelli bagnati dalla doccia appena conclusa e corrugò la fronte.
«Sì?» Domandò, alzandosi dal letto sul quale si era seduta.
La maniglia in ottone lucido si abbassò lentamente e la porta si aprì cauta, lasciando apparire i suoi genitori: Constance indossava una tuta da casa ed aveva il viso arrossato, perché fare il bagno a Fanny non era mai semplice, mentre Ron riusciva ad essere distinto anche con un paio di jeans ed una polo chiara. Era un passo dietro la moglie, con un cipiglio scuro sul volto.
Per un attimo Emma temette che fossero sul punto di negarle il ballo scolastico di quella sera, al quale le era stato concesso di andare solo dopo infinite suppliche ed infiniti discorsi sul suo comportamento: era sabato sera ed entro tre quarti d'ora avrebbe dovuto essere pronta, o i suoi amici l'avrebbero lasciata a piedi. I suoi amici, sì, perché Harry non aveva più toccato l'argomento, nemmeno quando lei stessa lo aveva stuzzicato con finta ingenuità, aggiornandolo sul vestito che aveva comprato per l'occasione o su altri piccoli particolari: fermo nella sua decisione di non accompagnarla, non aveva ceduto nemmeno per un secondo, nemmeno per finta.
«Cosa c'è?» Chiese Emma, cercando una risposta al più presto: era anche pronta a litigare, pur di aggrapparsi al suo diritto di andare a quella festa.
«Vorremmo solo dirti una cosa» cominciò Constance, con la sua voce calma ed accogliente, ma comunque inflessibile. Si passò una mano tra i capelli e suo marito la affiancò, con lo sguardo severo fisso sulla figlia: l'avrebbe di certo intimorita, se lei fosse stata un po' meno ferrea.
«E tu non dovrai ribattere, né-»
«Ron, cosa ti ho detto solo un minuto fa?» Lo interruppe Constance, ammonendolo con un'occhiata insistente e con una leggera gomitata nel fianco. Lui sbuffò la repressione che l'amore per quella donna gli imponeva e serrò le labbra con nervosismo: quella era la classica espressione con la quale dimostrava di non essere d'accordo con ciò che stava succedendo.
Emma cercava di indovinare quello a cui sarebbe andata incontro, ma ogni secondo che passava la confondeva sempre di più: il rapporto con i suoi genitori si stava risanando lentamente, perché la delusione in loro provocata era un nemico resistente e temerario, quindi non pensava che il discorso sarebbe nuovamente vertito sul suo furto delle sterline. Aveva fatto qualcos'altro? Stranamente, no.
«Tuo padre non è ancora convinto che tu debba andare al ballo di questa sera» cominciò Constance, senza dire niente che Emma non si aspettasse. «Ma io credo che sia inutile tenerti chiusa in casa fino a data da destinarsi» continuò.
«Questo lo dici tu» borbottò Ron, senza preoccuparsi di non farsi sentire.
«Voglio che tu sappia che non è un premio, né una specie di perdono» riprese la madre, ignorando la piccola interruzione. «È una possibilità che vogliamo darti. Ci hai deluso molto, questo lo sai, e continueremo a credere che tu abbia sbagliato, nonostante le tue motivazioni: ma siamo i tuoi genitori e dobbiamo avere fiducia in te, nelle tue decisioni, quindi speriamo che tu possa decidere di non fare più qualcosa di così stupido e di usare di più il tuo buon senso. Se ci deluderai ancora, però, non sarà tutto così facile».
Emma ascoltò in silenzio ogni parola, valutando tacitamente come comportarsi e cosa rispondere, o se farlo. Sapeva bene che sua madre aveva ragione, era innegabile, e le era grata di aver finalmente capito che quella punizione nella quale l'avevano costretta era più inutile di qualsiasi altra cosa: Emma conosceva i propri errori e ciò che li aveva provocati, non aveva bisogno di un periodo di clausura per scovarli, né per pentirsi. I suoi genitori, forse, temevano che lei potesse solo fingere di aver compreso il motivo della loro delusione, in modo da poterla scampare.
Alla fine, a causa dello sguardo speranzoso di Constance e di quello minaccioso di Ron, decise che era meglio non inoltrarsi in un discorso facilmente influenzabile dalle loro aspre convinzioni e di gettare le armi a terra. «Va bene» rispose soltanto.
Il padre sospirò tacitamente, quasi sollevato da quelle parole non provocatorie né ribelli, mentre sua moglie illuminava il proprio volto con un sorriso soddisfatto. «Bene» ripeté quest'ultima, stringendosi una mano con l'altra. «Allora ti lasciamo in pace, così puoi finire di prepararti. Tuo padre non lo ammetterà mai, ma vuole davvero vederti con l'abito per il ballo».
Ron sembrò innervosirsi per quella verità che avrebbe di certo preferito tenere nascosta ed Emma si trattenne dal ridere, ma non infierì: annuì stringendosi nell'accappatoio ed aspettò che i due uscissero dalla stanza, sorridendo apertamente non appena sentì suo padre rimproverare Constance in corridoio.
 
La palestra della Haltow High School era stata trasformata in una sorta di giardino interno, a tratti eccessivo e a tratti estremamente delicato, come nel caso dell'entrata, che era stata decorata con un ampio arco in rametti di legno, intrecciati a banali, ma eleganti margherite bianche.
Sul pavimento erano stati sparsi radi petali di rose di diversi colori - sicuramente finte - che talvolta finivano per rimanere attaccati agli orli dei vestiti un po' troppo lunghi di alcune ragazze o sotto la suola delle scarpe, rese appiccicose da un bicchiere rovesciato a terra. Ai piedi degli spalti, una struttura simile a quella posta all'entrata incorniciava la poco professionale stazione musicale del DJ, arricchita da primule di mille sfumature diverse ed allegre.
Lungo la parete opposta erano stati preparati dei tavoli per le vivande - che sarebbero quasi sicuramente state di scarsa qualità - e per le bibite: coperti da tovaglie bianche, erano decorati da vasi di svariate forme e contenenti ciclamini di un rosa pallido ed orchidee di un etereo bianco. Le petunie, invece, erano state riservate per rallegrare altri punti della palestra, cercando di smorzare la sua quotidianità ed i ricordi scolastici che portava con sé.
«Hanno fatto proprio un bel lavoro» esclamò Emma, guardandosi intorno e prendendo un sorso di acqua dal bicchiere che teneva tra le mani. Scelta discutibile, certo, ma aveva constatato che le altre bevande erano in grado di provocarle una forte nausea per il loro sapore sgradevole. Ormai erano al ballo da più di due ore ed avevano scoperto ogni suo più piccolo particolare, compresi i più spiacevoli, come le deliziose coppie degli ultimi anni che avevano scambiato i bagni per delle camere d'albergo.
Pete, al suo fianco, si ergeva serio ed immobile nel suo completo grigio topo che aderiva perfettamente alle forme del suo corpo slanciato: aveva gli occhi fissi sulla pista da ballo, piena di persone in agitazione e probabilmente anche molto sudate, e teneva le mani nelle tasche dei pantaloni, con il collo magro lasciato libero dai primi bottoni della camicia bianca rimasti fuori dalle asole. «Hm» fu la sua risposta. O meglio, fu più qualcosa di simile ad un grugnito nervoso.
Emma corrugò la fronte e lo osservò serrare le labbra e la mascella, prima di seguire il suo sguardo per avere un indizio su ciò che aveva il potere di incupirlo oltre i soliti livelli. Eppure nulla attirò la sua attenzione o riuscì ad aiutarla nella sua mite indagine.
«Pete?» Domandò allora, tentando di incrociare le sue iridi. Nessuna risposta.
«Pete?»
Niente.
«Pete!»
Solo a quel punto, con una mano di Emma stretta intorno al suo braccio, il ragazzo si riscosse con un sospiro profondo e minaccioso. «Si può sapere che ti prende?» Chiese Emma, genuinamente stupita dal turbamento del suo amico che, fino a poco prima, si stava divertendo senza alcuna sfumatura cupa sul viso.
«Continua a parlarmi, perché altrimenti vado lì e pianto un casino» esclamò lui a denti stretti, guardandosi intorno con un'impazienza che sapeva di rabbia.
«Puoi spiegarti meglio?» Tentò lei, ancora più confusa. Cosa poteva essere successo da plasmarlo in quel modo?
Pete sbuffò e si morse il labbro inferiore. «Non la vedi? Non vedi la tua cara amichetta con il ragazzo dei suoi sogni, meglio conosciuto come coglione di prima categoria?» Domandò, raggiungendo con lo sguardo i soggetti della sua spiegazione.
Emma tornò ad ispezionare lo spazio intorno a loro e, solo dopo essersi alzata sulle punte ed essersi sporta verso sinistra, riuscì a capire di cosa Pete stesse parlando e cosa lo stesse facendo fremere in quel modo. Tianna indossava un abito lungo e color avorio, che le scivolava sul corpo come a coprirlo senza sfiorarlo troppo: la carnagione scura creava un contrasto incantevole, che si rifletteva spontaneamente negli occhi di Pete ogni volta che si posavano su di lei. L'apparente problema, però, era che Tianna non fosse sola: al suo fianco, infatti, un sorridente Jaye la stava intrattenendo con chissà quale discorso divertente che la stava facendo ridere, lo stesso Jaye capitano della squadra di pallacanestro e sua epica infatuazione. Emma sapeva quanto la sua attrazione per lui si fosse affievolita fin quasi a scomparire, soprattutto dopo l'evoluzione del rapporto con Pete, ma evidentemente non era così chiaro a tutti.
«Stanno solo parlando» provò lei, cercando di far calmare il suo amico. «Non essere geloso» aggiunse con l'accenno di un sorriso rassicurante.
Pete la guardò sconcertato. «E tu non dire cazzate, Kent» sbottò. «Non sono geloso, ma non mi piace essere preso per il culo. Guardala, sta... Sta civettando con lui, cazzo» continuò, tornando a fulminare con lo sguardo la persona che gli stava facendo ribollire il sangue nelle vene. Era quasi divertente assistere alla sua non-gelosia, che non sapeva nascondere nemmeno con tutti gli sforzi che stava compiendo: era comprensibile che si sentisse minacciato dalla scena alla quale stava assistendo, ma non doveva lasciarsi trascinare dalle sue preoccupazioni.
«Tianna non è capace di civettare» gli ricordò Emma, cercando di smorzare la sua serietà, e proprio in quell'istante, quasi si fosse sentita chiamare, la diretta interessata si voltò verso di loro e si accorse di essere osservata. Pete distolse immediatamente lo sguardo, irrigidendosi a tal punto che Emma temette potesse frantumarsi con il più piccolo movimento.
«Sta venendo qui» lo informò lei subito dopo, sospirando per raccogliere un po' di pazienza e per prepararsi all'inevitabile. Il ragazzo non rispose, né sembrò sconvolgersi per quell'informazione, ma era più che evidente che stesse trattenendo il suo nervosismo.
Non appena Tianna, con i suoi capelli profumati raccolti in un'acconciatura alta, arrivò a pochi passi da loro, Emma le rivolse un'occhiata ammonitrice che forse lei si aspettava, dato il modo in cui alzò gli occhi al cielo.
«Che c'è? Sei venuta a dirci quanto Jaye sia divertente?» Sbottò Pete con la sua voce calibrata, ma affilata. Non la stava guardando, ma aveva la mascella serrata.
«È molto divertente, sì» rispose Tianna, contro ogni previsione e con un chiaro intento provocatorio.
«Vaffanculo» fu il gentile invito che allora le fu rivolto.
Emma sospirò e scosse la testa, limitandosi a guardare prima il suo amico e poi la sua amica in attesa che smettessero di comportarsi da stupidi.
«Certo che sei proprio un deficiente» lo rimproverò Tianna, sbuffando con le mani appoggiate sui propri fianchi.
«Io?! S-»
«Sì, tu! Perché sei proprio un grandissimo deficiente se pensi che io possa ancora volere Jaye!» Lo interruppe lei, arrivando al succo della questione.
Pete vacillò per un istante troppo breve per poter essere notato da un estraneo, ma tornò subito in sé, incassando il significato di quelle parole. «In fondo lo volevi anche quando non ti degnava di uno sguardo, quindi cosa ci sarebbe di tanto strano?»
Tianna spalancò gli occhi e strinse i pugni, probabilmente per non urlare il suo disappunto. «Hai ragione. Allora avrei dovuto accettare quando mi ha chiesto di ballare con lui, idiota che non sei altro» esclamò seccata e delusa, prima di voltarsi ed allontanarsi velocemente.
Emma spostò lo sguardo su Pete e gli tirò una gomitata nel fianco, senza nemmeno preoccuparsi di essere delicata e senza dargli il tempo di lamentarsi. «Tu ora vai da lei e chiarisci questa storia» gli ordinò, minacciandolo con lo sguardo. «Subito».
«Non ci penso neanche. È l-»
«Muoviti!»
Pete si morse l'interno di una guancia e sbuffò infastidito, forse perché sapeva di aver leggermente esagerato nel reagire in quel modo. Aprì la bocca per ribattere qualcosa, ma la richiuse subito dopo, in segno di resa. L'attimo dopo, ancora con le mani in tasca ed il capo chino, stava ripercorrendo i passi di Tianna per raggiungerla.
Emma accennò un sorriso soddisfatto e si rinfrescò la gola con un altro sorso d'acqua, mentre quello che si era improvvisato DJ per la serata pronunciava un annuncio al microfono: sembrava emozionato mentre proponeva un lento scritto da lui stesso. Lei sospirò delusa e si incupì leggermente: Harry le mancava e, almeno quando era sola, poteva ammettere che avrebbe voluto averlo lì al suo fianco, a trascorrere la serata con lei e magari ad invitarla a ballare quello stupido lento.
Per consolarsi da quella malinconica consapevolezza, afferrò la macchina fotografica che teneva legata al collo e che le pendeva sul fianco sinistro: si premurò di scegliere le impostazioni adatte per quell'atmosfera e per i colori che la circondavano, ricordandosi degli insegnamenti che aveva recepito dal libro che le aveva regalato sua madre, ed individuò il soggetto che avrebbe voluto immortalare. Forse era merito del suo stato d'animo, ma il lieve broncio di una ragazza seduta a pochi metri da lei - probabilmente nell'inconcludente attesa che qualcuno le si avvicinasse o reduce da una delusione - le sembrava particolarmente affascinante. Non appena si portò la macchina fotografica davanti al viso, però, l'obiettivo fu completamente occupato da qualcuno che ben conosceva.
Depose la sua innocente arma e scosse la testa sorridendo. «Quante volte devo dirti di non rovinarmi le foto?» Esclamò divertita, mentre Dallas la scimmiottava in silenzio.
«Avrai altre occasioni per creare opere d'arte» rispose lui, aggiustandosi la giacca nera che copriva la sua camicia di un azzurro pallido. Era un completo stranamente meno elegante di quello di Pete, ma gli conferiva comunque un'aria estremamente distinta: i suoi quindici anni era celati da uno sguardo più maturo e da un portamento più sicuro.
«Tu, piuttosto, non dovresti essere con Sammy?» Domandò Emma, lasciando da parte quel discorso. A differenza sua, che aveva preferito andare da sola, Dallas aveva invitato al ballo una ragazza del suo corso di scienze naturali, dagli occhi grandi e di un verde sporco: era graziosa nella sua bassa statura e nei suoi sorrisi stentati, anche se non sembrava esattamente il suo prototipo di ragazza.
«Sì, forse dovrei» sorrise Dallas, passandosi una mano tra i capelli castani. «Ma quando è iniziata questa canzone, ho pensato di controllare che la mia migliore amica non rimanesse in un angolo a deprimersi» spiegò tranquillamente. La conosceva bene, eccome se la conosceva.
«Be', non mi sto deprimendo, quindi puoi tornare da quella poveretta che deve sopportarti. Sono sicura che stia aspettando che tu la inviti» rispose Emma, cercando di riacquistare la dignità che quell'immagine le aveva rubato.
Dallas le porse una mano e sorrise consapevole. «Allora dovrà aspettare ancora un po'».
 
Le note che accompagnavano i loro passi lenti e ricchi di confidenza erano di una dolcezza che continuava a stupirla e che la rilassava. Emma aveva il viso accoccolato sulla spalla di Dallas, mentre lui le respirava tra i capelli ed ogni tanto le pestava i piedi, borbottando una scusa divertita. A qualche metro da loro aveva intravisto Tianna e Pete, che le avevano implicitamente confermato di aver chiarito l'ennesimo problema che li aveva portati ad insultarsi al loro solito. Poco più in là, la ragazza che aveva tentato di fotografare stava ballando in modo impacciato con qualcuno, sorridendo mite di tanto in tanto.
«Harry è stato proprio uno stupido a non venire» cominciò Dallas, portandola a muoversi per guardarlo negli occhi. «Scommetto che gli saresti piaciuta con questo vestito: in fondo credo tu piaccia a tutta la scuola, con questo vestito» scherzò, probabilmente cercando di sollevarle il morale.
Emma indossava un abito che le arrivava a coprire le scarpe aperte e di un argento opaco: il blu notte che la rivestiva morbidamente giocava con la sua carnagione chiara e con le leggere lentiggini. Al di sotto del seno, una fascia leggermente più aderente e decorata spezzava la continuità del vestito, evidenziando il suo girovita: l'orlo spesso della sua scollatura, invece, era costituito da piccole e fitte pietre argentate e continuava in spalline non molto larghe che si arrampicavano sulle sue spalle magre. Anche lei era convinta che ad Harry sarebbe piaciuto.
«Immagino che potrà vedere solo le foto e che si pentirà di non essere venuto, allora» rispose Emma, cercando di trarre una piccola soddisfazione dalla delusione che ogni tanto tornava ad infastidirla.
«Questo è sicuro» affermò Dallas. «Cosa sta facendo, stasera, di tanto più divertente?» Curiosò.
Lei si strinse nelle spalle ed ignorò il leggero fastidio che le procurava la forcina che le bloccava un ciuffo di capelli dietro la nuca. «So che doveva vedersi con Zayn e che poi sarebbe uscito con Walton e gli altri».
L'amico sbatté più volte le palpebre, come se qualcosa non gli tornasse. «Aspetta. Ma Harry non lavora al Rumpel nel week-end? E lui e Zayn sono di nuovo culo e camicia? E non aveva litigato con Walton?»
Emma abbozzò una risata per tutti i dubbi che si erano appena accalcati in Dallas, come d'altronde era prevedibile. «In teoria lavora al Rumpel, sì, ma Ty gli ha dato la giornata libera» cominciò. «Con Zayn non è di nuovo culo e camicia, ma ci stanno lavorando: da quando Harry ha fatto uscire fuori la verità, si sono riavvicinati. Credo che stiano cercando di ricostruire il rapporto che avevano, anche se lui non ne parla volentieri. E con Walton e gli altri... Hanno continuato ad odiarsi ancora per un po', dopo quello che è successo al bar, ma qualche giorno fa si sono visti e hanno chiarito: Harry ha dovuto raccontare ogni cosa e loro gli sono andati incontro».
«Tutto per il meglio, insomma» commentò Dallas. Effettivamente Emma la pensava allo stesso modo: era sinceramente felice che Harry stesse riuscendo a mettere un po' di ordine nella sua vita, che stesse riuscendo a rimediare ai propri errori ed anche ai più recenti. Se si era sentita fiera di lui appena scoperta la verità, ultimamente quel sentimento si era amplificato fin quasi ad accaparrarsi un posto fondamentale dentro di lei.
Tornò ad appoggiarsi sulla spalla dell'amico, chiudendo gli occhi per godersi quella sensazione di benessere che Dallas era riuscito ad instaurare in lei, scacciando la malinconia dettata dall'assenza di Harry. Quando le ultime note della canzone fecero presagire la fine del momento di intimità che aveva interessato tutta la palestra, nessuno si sarebbe aspettato un ritorno così brusco all'atmosfera dei minuti precedenti: una canzone a dir poco spacca-timpani, infatti, si premurò di irrompere nella condivisione creatasi tra le persone in pista ed Emma spalancò gli occhi, quasi sobbalzando.
Dallas allentò la presa con la quale l'aveva stretta a sé e lei si guardò intorno per qualche secondo, stranamente frastornata. I movimenti della folla si erano fatti molto più irruenti e disordinati, quasi soffocanti. Emma trattenne il respiro e cercò di distinguere la sensazione familiare che si stava facendo spazio dentro di lei: guardò Dallas negli occhi e schiuse le labbra, come a volerlo avvertire di qualcosa.
Quello corrugò la fronte e portò le mani sulle sue braccia nude. «Cosa c'è?» Le chiese.
Lei deglutì a fatica ed iniziò a respirare dalla bocca, velocemente e con difficoltà: abbassò le palpebre e contò i battiti che le rimbombavano nelle tempie, mentre prendeva consapevolezza di ciò che sarebbe successo da lì a poco. Un altro attacco di panico era quello che meno si sarebbe aspettata da quella serata e si malediceva, perché avrebbe almeno voluto che ci fosse una spiegazione a tutto quello o una causa scatenante che potesse essere evitata. Invece, come a prendersi gioco di lei, il respiro le mancava nei momenti meno opportuni, costringendola a chiudersi in se stessa e a cercare riparo dal presagio di oppressione che finiva inevitabilmente per stritolarle lo stomaco.
«Emma, ehi…» provò Dallas, che forse stava iniziando a sospettare qualcosa.
Quando lei gli circondò il busto con le braccia un po' tremanti, aggrappandosi alla sua giacca come a fargli sperimentare la stessa pressione che stava percependo intorno al proprio petto, lui comprese perfettamente ciò che stava accadendo. La strinse così forte da impedirle di espandere a pieno i polmoni ed Emma si sentì sollevata nell'avere un vero motivo che le impedisse di respirare: questo sembrò calmarla almeno temporaneamente, nonostante conservasse ancora l'istinto di scappare in fretta e lontano. Stringeva le palpebre per rimanere in contatto con la realtà e cercava di lasciarsi invadere dal profumo rassicurante di Dallas, quello che già altre volte l'aveva aiutata e riportata indietro.
A dispetto di ciò che si aspettava, l'attacco di panico sembrò provare pietà del modo in cui il suo cuore stentava a trovare un ritmo accettabile e moderato, dissolvendosi precocemente rispetto alle altre volte, anche se in modo più graduale e tortuoso. Per sicurezza e per paura che fosse solo una finta, Emma aspettò qualche secondo in più prima di rilassare i muscoli tesi ed inspirare a fondo.
Dallas si accorse del modo in cui le sue braccia lo stavano avvolgendo con più delicatezza. «È passato?» Chiese lentamente, come se fosse stato pronto a provvedere in caso contrario.
Lei respirò a lungo ed alzò il viso verso il suo, annuendo piano. Il ragazzo portò una mano tra i suoi capelli ed accennò un sorriso di sollievo. «Mi dispiace» sussurrò, baciandole la fronte teneramente. Emma si fece pervadere da quel calore, mentre rimanevano immobili tra le persone che, quasi non si accorgessero della loro esistenza, con i loro movimenti confusi creavano uno stonante contrasto. Appoggiò il volto sul suo petto e lui si piegò con la guancia destra sulla sua nuca, per rassicurarla ed aspettare che si calmasse definitivamente.
Quando lei si sentì più tranquilla e quando le gambe smisero di tremarle, alzò le palpebre ed osservò ciò che li circondava. Lontano ed in modo confuso, a causa delle persone che le impedivano la visuale, intravide qualcuno che le sembrò più inaspettato del recente attacco di panico.
 
«Harry…» sussurrò, raddrizzandosi e cercandolo di nuovo tra la gente, dopo averlo perso di vista a causa dell'affollamento.
«Eh?» Domandò Dallas, non avendo capito ciò che aveva detto.
«Harry era lì» spiegò Emma, continuando a guardare il punto in cui l'aveva scovato. Non poteva essersi confusa, perché non avrebbe mai potuto scambiare i suoi occhi con quelli di qualcun altro.
«Sei sicura?»
Non rispose, perché diavolo, sì che era sicura ed il cuore le stava battendo un po' più forte. Lasciò la presa su Dallas ed afferrò la gonna del vestito in modo da potersi allontanare più velocemente e senza intralci, mentre il suo amico la richiamava chiedendole spiegazioni.
Dopo averlo cercato all'interno della palestra – invano - decise di provare all'esterno.
Subito rabbrividì a causa dello sbalzo di temperatura: se fino a pochi secondi prima aveva dovuto combattere contro un caldo soffocante, lì fuori rischiava di ibernarsi. Ignorando la pelle d'oca e stringendosi le braccia con le mani per cercare un po' di riparo, studiò velocemente le scalinate che le stavano di fronte ed il cortile che portava ai cancelli della scuola: di Harry non c'era traccia e lei stava iniziando a pensare di esserselo semplicemente immaginato, spinta dalla volontà di averlo davvero con sé.
Sospirò e restò per qualche secondo in silenzio, indecisa sul da farsi.
«Vedo che ti stai divertendo anche senza di me».
Emma si voltò immediatamente, spaventata e sollevata dal suono di quelle parole, che erano state pronunciate dall'unica voce che fosse mai riuscita a paralizzarla con tanta facilità. Harry era appoggiato alla parete della palestra, ad un paio di metri dall'arco che ne segnava l'entrata ed immerso nella penombra. Indossava un pantalone scuro ed una camicia nera, lasciata aperta sul petto tatuato: tra le dita della mano sinistra teneva una sigaretta quasi per nulla consumata, che probabilmente aveva acceso subito dopo essere uscito e che gettò dopo aver preso un ultimo tiro.
Nonostante Emma si stesse immergendo nella piacevole sensazione che le provocava il sapere che Harry aveva deciso di raggiungerla al ballo, colse distintamente l'accusa che le era stata rivolta bruscamente. «Stavamo solo ballando» cercò di giustificarsi, similmente a come si era rapportata ad un Pete estremamente geloso di Tianna.
Harry assottigliò lo sguardo e fece qualche passo avanti, tenendo gli occhi inesorabilmente fissi nei suoi. «A me non è sembrato» ribatté nervoso.
«I-»
«Mi avevi detto che ci saresti venuta con qualcuno, non che ti avrei trovata spalmata su di lui» la interruppe. Un altro passo verso di lei.
«Non sono venuta con Dallas» precisò Emma, infastidita da quelle insinuazioni. «E non ero spalmata su di lui».
«Quindi fammi capire: stai con me, sei venuta qui con un altro e, come se non bastasse, hai-»
«Forse non ricordi, ma sei stato tu a non volermi accompagnare: credevi forse che mi sarei chiusa in casa per questo? Non puoi rinfacciarmelo, non ora» esclamò Emma senza lasciarlo finire. Aveva notato come avesse marcato i suoi diritti su di lei, quello “stai con me” che sembrava voler usare come imperativo e come giustificazione, ma era insensato che la rimproverasse per aver scelto un altro accompagnatore. Avrebbe potuto dirgli di essere andata a quel ballo da sola, ma non era ancora il momento.
«Sì che posso, invece. E non prendermi per il culo, avevi le sue mani ovunque» insistette Harry, con il tono di voce che iniziava ad alterarsi.
Emma corrugò la fronte, stupita. «Stai davvero esagerando. Stavamo solo ballando» ripeté, nonostante non fosse nemmeno la completa verità: non voleva infilare nel discorso una sua debolezza, perché il suo istinto di protezione glielo impediva, in caso di necessità di una difesa. «E poi vuoi davvero farmi una scenata di gelosia per Dallas
Harry sbatté le palpebre. «E perché no? Voi due siete sempre stati troppo legati, non mi stupirei se volesse entrarti nelle mutande» commentò. Emma sapeva che il rapporto con Dallas poteva essere facilmente frainteso agli occhi degli estranei, ma non credeva che anche Harry potesse avere dei dubbi a riguardo. Non poteva non accorgersi che il modo in cui guardava il suo amico non aveva niente a che fare con il modo in cui guardava lui, con il modo in cui lo adulava. E da cosa nasceva quell'improvvisa gelosia? In fondo, quando li aveva visti, erano solo abbracciati.
«Sul serio, Harry, non sai nemmeno che stai dicendo» lo contraddisse, allibita.
«No, forse tu non sai cosa stai dicendo».
«Smettila. È il mio migliore amico e so per certo che non prova niente per me» continuò Emma, ripensando a quel bacio che si erano scambiati e che aveva fatto ancora più luce sul loro rapporto. Avrebbe dovuto parlargliene? Il suo istinto le intimava di mantenere il segreto, perché avrebbe portato solo a danni e probabilmente a litigi, mentre la sua ragione la pregava di appellarsi alla sincerità che pretendeva da lui e che quindi gli doveva di diritto. Non voleva rovinare tutto, non ora che le cose tra loro stavano migliorando sempre di più - piccoli inconvenienti come quella sera a parte: d'altronde, quello con Dallas era stato un semplice gesto d'affetto dettato dal momento e dall'intesa che li legava indissolubilmente, un gesto che era solo servito a confermare ciò che entrambi sapevano. Non aveva intenzione di trasformarlo in un'arma, soprattutto vista la sua innocuità.
«E come fai ad esserne così sicura?» Domandò Harry, ovviamente in cerca di sicurezze.
«Lo so perché è così» rispose lei semplicemente, optando per il silenzio riguardo quel bacio, poi sospirò lentamente. Non aveva bisogno di un'ulteriore discussione, quindi si arrese ed abbassò le proprie difese. «Harry, sono venuta qui da sola, mentre Dallas ha invitato una sua compagna di corso, se proprio vuoi saperlo: mentre ballavamo mi è venuto un attacco di panico. Per questo eravamo così vicini quando ci hai visto. Io non ero spalmata su di lui e non avevo le sue mani ovunque: mi stava solo aiutando» spiegò esaurientemente, sperando di rassicurarlo quanto bastasse a sciogliere il cipiglio sulla sua fronte.
Lui la osservò come per testare le sue parole, ma sembrò non crederle ancora completamente. Probabilmente stava valutando ogni informazione che si affollava nella sua mente, cercando allo stesso tempo di far fronte al fastidio - alla gelosia - che l'immagine di lei con Dallas gli provocava dentro.
Emma si avvicinò a lui, allungando una mano fredda verso il suo volto: gli sfiorò lo zigomo destro con i polpastrelli, mentre lui serrava la mascella. Harry si ritrasse e fece un passo indietro, sbuffando un po' di nervosismo e distogliendo lo sguardo orgoglioso.
«Avrei voluto che ci fossi tu, al suo posto» sussurrò lei, senza arrendersi a quei tentativi di allontanarla. Niente era più vero di quelle parole. Nonostante l'affetto e la riconoscenza nei confronti del suo amico, nulla sarebbe stato paragonabile alla presenza di Harry, al suo modo di stringerla e al suo respiro tra i capelli.
Harry tornò a guardarla e strinse i pugni. «Solo io posso toccarti in quel modo» rispose piano e con una decisione che non lasciava spazio a repliche. «Solo io, ragazzina». Le sue iridi la stavano incatenando a quella verità indiscutibile alla quale lei non avrebbe mai potuto ribellarsi.
Emma annuì lentamente, placandosi come sconfitta, nonostante la sua fosse solo una vittoria. E lui, a quel punto, sembrò riacquistare la sua sicurezza: recuperò un'altra sigaretta e la accese in silenzio, mentre in silenzio restavano anche loro, l'uno accanto all'altra.
Lei non sapeva cosa dire, forse perché stava ancora pensando al modo in cui Harry l'aveva legata a sé senza via di fuga e come se non potesse essere altrimenti, o al fatto che alla fine fosse venuto al ballo, nonostante la sua iniziale indifferenza: per quanto lo conosceva, poteva immaginare come, una volta arrivato nella palestra cercandola tra la folla, si fosse sentito ferito nell'orgoglio nel vederla tra le braccia di qualcun altro.
Aveva contato ogni inspirazione ed espirazione con le quali Harry aveva fumato l'intera sigaretta, senza muoversi e, tacitamente, senza permettere a lei di fare altrimenti: quando lo vide gettare il mozzicone a terra, schiacciandolo con uno degli stivaletti neri, si voltò ad osservarlo, sperando che la nicotina lo avesse aiutato a smaltire il nervosismo. Non voleva fare l'ipocrita, non poteva negare che la sua gelosia la facesse sentire onorata, ma allo stesso tempo aveva un bisogno impellente di un contatto con la pelle della quale sapeva riconoscere il profumo ed il sapore.
Harry si inumidì le labbra e trattenne un sospiro, poi tese una mano verso di lei, in un chiaro invito ad afferrarla: Emma celò un lieve sorriso e vi posò il proprio palmo sinistro, lasciando che le sue dita fredde la stringessero e la tirassero a sé. Non si sarebbe mai aspettata di essere invitata a ballare in quel luogo ed in quelle circostanze, almeno non da lui, eppure si ritrovò a stretto contatto con il corpo di Harry e con il suo viso nell'incavo del proprio collo, mentre entrambi si muovevano lentamente, quasi dondolandosi l'uno con l'altra.
Lei respirò sulla sua camicia, continuando a sorridere per quel momento di inaspettata intimità e per il modo elegante e controllato in cui Harry la stava stringendo a sé: dalla palestra potevano udire una canzone che di romantico aveva ben poco e che stonava completamente con l'atmosfera che erano riusciti a crearsi intorno, dopo aver ormai ricalcato la proprietà di uno sull'altra e viceversa. Emma ed Harry stonavano persino tra di loro, in ogni loro sfumatura, eppure sembravano comunque costituire un'armonia unica ed imprevedibile, come in un ossimoro stridente.
«Sei davvero venuta da sola?» Le domandò lui all'orecchio, a bassa voce e facendola rabbrividire per come il suo respiro le aveva accarezzato la pelle.
Emma annuì sul suo petto.
«Perché non hai insistito affinché ti accompagnassi io?»
Lei alzò il viso verso il suo e sbatté le ciglia di mascara. «Tu perché non mi hai detto di volermi accompagnare?» Gli rigirò la domanda.
Harry alzò un sopracciglio, sconfitto al suo stesso gioco, ed entrambi capirono quanto la loro fierezza li avesse portati a fraintendersi e ad aspettare ciò che desideravano senza sforzarsi di prenderlo.
«All'inizio non volevi davvero venire, però. Quand'è che hai cambiato idea, esattamente?» Chiese Emma, incuriosita da quella dinamica.
Lui alzò un angolo della bocca in un leggero sorriso, un po' malizioso. «Quando mi hai parlato del vestito che avresti indossato» rispose sincero, senza discostarsi dalla sua innata personalità. In fondo, cos'altro avrebbe potuto superare gli alcolici disgustosi, la musica scadente ed un ballo di primavera che si teneva in inverno? Lui era troppo egoista per mettere da parte i suoi pensieri per prediligere quelli di qualcun altro - come il desiderio di Emma di avere lui come accompagnatore - quindi era evidente che l'unica cosa che potesse fargli cambiare idea dovesse innanzitutto fornirgli un guadagno.
«E pensare che io te ne ho parlato di proposito» ammise lei, ricambiando il sorriso beffardo mentre entrambi scoprivano le loro carte.
«Scommetto che ti sei divertita» mormorò Harry, avvicinandosi al suo viso.
«Non immagini quanto» rispose, ripensando alla sua espressione che cambiava ad ogni particolare che descriveva di quel vestito. Subito dopo si lasciò baciare le labbra, lentamente ma con un traslucido desiderio di vendetta: respirò sulla sua bocca e sentì il cuore vacillare nell'ottenere ciò che stava bramando da un periodo di tempo insopportabile, per quanto relativamente breve.
Harry si prese del tempo per sfiorarle con le labbra umide il mento e la mandibola, risalendo verso la sua bocca e poi scendendo di nuovo verso il suo collo, dove iniziò ufficialmente la sua tortura. Emma chiuse gli occhi e portò una mano tra i suoi capelli, per stringerli inconsapevolmente ogni volta che un brivido scaturiva da un contatto tra di loro.
«Sei bellissima stasera» le sussurrò sulla pelle.
Emma trattenne il fiato ed increspò le labbra in un sorriso. Era il primo vero complimento che Harry le rivolgeva: nonostante i sottintesi ed il modo in cui la faceva sentire desiderata con una semplice carezza, quella era la prima volta che si apriva in un sincero apprezzamento sulla sua persona. E lei lo sentiva nelle ossa, quel pensiero, a cementare la sua vanità e la sua riconoscenza.
«Ragazzina…» continuò, circondandole la vita con un braccio e spostando una mano tra i suoi capelli mossi e solo parzialmente raccolti. «Ti voglio» soffiò accanto al suo orecchio. «Più di quanto riesca a sopportare» aggiunse.
Lei deglutì quelle parole sperando di riuscire a metabolizzarle prima che la distruggessero completamente. Stranamente non sapeva cosa rispondere, non sapeva se muoversi e come farlo: era semplicemente ed inesorabilmente paralizzata da quella consapevolezza alla quale aveva giocato a credere, di tanto in tanto, ma che era appena stata resa evidente e reale.
«E ti prenderei anche qui, se tu...»
La frase di Harry si dissolse in un sussurro, masticato in un morso con il quale le afferrò delicatamente il lobo dell'orecchio, quasi a volerla punire per una colpa non chiara.
«Se io?» Domandò Emma, senza nemmeno decidere di farlo e così piano da portarla a chiedersi se l'avesse solo pensato.
Harry probabilmente non si aspettava una sua risposta, perché si allontanò di poco solo per poterla guardare negli occhi: lei si specchiò nelle sue iridi, trovandole ricche di desiderio, ma non generico o vago, un desiderio che aveva il suo nome inciso a delimitarlo, in rappresentanza di una catena e di una liberazione. «Hai quindici anni» fu la sua spiegazione.
Stava cercando di proteggerla? Voleva aspettare affinché lei fosse pronta e abbastanza matura da poter prendere una decisione del genere?
«Devi smettere di ripeterlo» lo ammonì lei. A quel punto credeva che la loro storia prescindesse dalla sua età: avevano superato quell'ostacolo ormai da tempo ed era insensato ripescarlo per farne un impedimento.
«Ma è così» ribatté lui, a pochi centimetri dal suo volto. «È troppo presto e potresti pentirtene». Il suo tono di voce era controllato, ma era palese che una parte di lui dissentisse da quelle parole. Era assurdo pensare a come il suo comportamento nei suoi confronti fosse cambiato: la prima volta che le aveva sfiorato il corpo con malizia, tra i corridoi freddi del Rumpel, non si sarebbe posto alcun problema, se solo lei si fosse mostrata consenziente. Mentre in quel momento stava esitando, mostrando la cura con la quale voleva maneggiarla e guidarla.
«Presto rispetto a cosa?» Chiese lei, allibita dalla piega che aveva preso il discorso. Harry, con le sue confessioni sussurrate, aveva acceso il suo desiderio gettandole addosso un'impazienza che era quasi dolorosa: come poteva pretendere di spegnere quell'incendio con delle motivazioni simili? «Non c'è un'età minima che si deve aspettare per poter perdere la verginità. Avrò anche quindici anni, ma non sono una stupida e so cosa voglio. Da chi lo voglio».
Lui inspirò profondamente ed appoggiò la fronte alla sua. «Io sto davvero cercando di resistere, ma così non mi aiuti» mormorò.
«Non c'è motivo per cui tu debba farlo» perseverò Emma. Avrebbe voluto che esistessero delle parole in grado di esprimere chiaramente il desiderio ed il bisogno che provava di avere Harry nel modo più completo e totalizzante. Andava tutto ben oltre la semplice attrazione fisica, era qualcosa di connaturato e di consolidato dentro di sé, che si annoverava tra le necessità più profonde ed imprescindibili, come se ne dipendessero il suo benessere e la sua integrità.
Harry abbassò le palpebre e mosse la mano tra i suoi capelli, stringendoli tra le dita come a voler esprimere un pensiero tramite quel semplice gesto. Passò qualche secondo in silenzio, portando Emma al limite di sopportazione e poi trascinandola indietro: quando riaprì gli occhi, valse più di mille parole.
«Vieni a casa con me?» Sussurrò soltanto, con un'intensità che lo plasmava e che lo rendeva diverso dal solito, privandolo della malizia scherzosa che lo caratterizzava il più delle volte, sostituita da un ardore ben più condizionante e profondo.
Nonostante il discorso, Emma non si aspettava quella proposta così diretta, eppure la accettò come se l'avesse bramata per anni: era pronta e voleva stare con Harry fino a non sentirsi più viva, se lontana da lui.
«».

 





 


Buonassssssssssssssssera!
Lo so, fino a poco fa ho ripetuto che avrei aggiornato domani, ma alla fine sono riuscita a liberarmi dai miei impegni un po' prima, quindi ho deciso di accontentarvi per una volta :) Che dire? Questo capitolo mi piace e non mi piace per diversi motivi, ma in fondo siete voi a dover giudicare!
Salto temporale di più di una settimana e ci ritroviamo direttamente al ballo di primavera: a parte le varie vicende di contorno, quelle più importanti restano sempre quelle tra Emma ed Harry! Moltissime volte mi è stato chiesto di far apparire un Harry geloso ed io non potevo anticipare nulla, ma... eccolo qui! Ovviamente la sua reazione è proporzionata al poco che ha visto, ma spero comunque che non vi sia dispiaciuta come scena! Vi aspettavate che sarebbe arrivato al ballo? Come ho cercato di far emergere, Harry era solo troppo orgoglioso per ammettere di volerla accompagnare, dopo che lei l'aveva infarcito di dettagli sul vestito che avrebbe indossato, ed Emma era altrettanto orgogliosa per abbassarsi a chiedergli di nuovo di andare con lei, visto che già una volta aveva ricevuto un due di picche! Due stupidi, insomma ahhaha
Per quanto riguarda ciò che succede dopo, be', credo si commenti da solo! So che qualcuno probabilmente penserà che sia presto e che Emma sia ancora troppo piccola per un'esperienza del genere, ma il loro rapporto non potrebbe essere diverso, né potrebbero esserlo loro: per come sono fatti, ne hanno bisogno, e per come è fatta lei, che deve vivere tutto fino in fondo e senza esclusione di colpi, è qualcosa di fondamentale! In ogni caso, io non mi ergerò a suo difensore, perché Emma è una persona - di carta - e fa le sue scelte, che possono essere giuste o sbagliate, a giudizio di ciascuna persona che legge! Ovviamente, il prossimo capitolo sarà Emma/Harry, Harry/Emma e nient'altro!
Ah, piccola parentesi: riguardo la scelta di Emma di non dire nulla sul bacio con Dallas, vale lo stesso discorso. Giusto o sbagliato? Bla bla bla. Non siamo una banda di ipocriti, quindi non facciamo nemmeno i moralisti: nella vita reale, queste cose succedono in continuazione e a volte con motivazioni molto meno nobili! Quiiiindi, aspetto i vostri pareri in ogni caso :)
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto! In caso contrario, esprimete pure tutte le vostre riserve :)

Ho notato che l'attenzione per la storia sta un po' diminuendo, quindi non vorrei che ci fosse qualcosa che vi disturba o che non gradite! Ditemi pure tutto quello che vi passa per la testa! Fatemi sapere tutti i vostri pareri, perché per me è fondamentale e mi aiuta molto, sia ad andare avanti con motivazione sia per migliorare ciò che voi potete consigliarmi! Grazie mille per tutto, come sempre!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.
    
  

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Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattro - Phoenix ***




 

Capitolo ventiquattro - Phoenix
 

 

Harry abitava al primo piano di un vecchio palazzo dall'intonaco grigio rovinato: l'edificio aveva la forma di un enorme blocco di cemento rigido ed austero, spezzato solo dagli oggetti quotidiani che comparivano sui balconi angusti e ravvicinati. Era preceduto da un cortile non molto ampio e scarsamente illuminato, nel quale delle minute giostre per bambini si preoccupavano di spezzare l'atmosfera dura e quasi stanca.
Quando Emma entrò nell'appartamento, si sentì un'intrusa leggermente a disagio: Harry le aveva assicurato che il padre non sarebbe stato in casa, perché aveva finalmente trovato lavoro come guardiano notturno di una sconosciuta fabbrica alla periferia di Bradford, ma lei aveva l'impressione di essersi intrufolata in uno spazio troppo intimo e privato.
Gli ambienti erano piccoli e disordinati, o almeno quella era l'impressione che davano i mille oggetti accalcati su mensole e mobiletti in legno. In piedi al centro del salotto, che ospitava anche un cucinino sistemato nell'angolo sinistro, Emma strinse le mani intorno alla macchina fotografica che le pendeva ancora sul fianco e si guardò intorno, più agitata del previsto. Harry l'aveva lasciata sola per qualche secondo senza darle una motivazione, ma scomparendo velocemente nel breve corridoio: dai rumori confusi che sentiva, era quasi certa che stesse riordinando qualcosa e questo la fece sorridere appena.
Per tutto il tragitto verso casa nessuno dei due aveva aperto bocca: la mano di Harry sulla sua coscia sembrava essere l'unico mezzo di comunicazione che potessero permettersi. Lei non sapeva ancora se apprezzare o meno quel silenzio che stava facendo loro da padrone, perché se da un lato la turbava e la faceva sentire a disagio, dall'altro le prometteva un'intimità che l'avrebbe frastornata.
Si spaventò quando il suo cellulare squillò nella borsetta che aveva portato con sé.
«Ma dove sei finita?!» La rimproverò Dallas, senza nemmeno darle il tempo di rispondere “Pronto?”. Si era completamente dimenticata di avvertirlo e di spiegargli ciò che era successo, ma come poteva essere biasimata?
«Dallas, mi dispiace. Sono con Harry, non... Non mi aspettate» disse soltanto, abbassando un po' la voce come a non voler farsi sentire e sperando che l'amico capisse senza bisogno di spiegazioni particolareggiate. Intanto sfiorò con le dita una maglietta di Harry, che era stata abbandonata sullo schienale di una sedia intorno al tavolo in legno e quadrato.
«Cosa significa? Non dormi da noi?»
«No».
«Oh... Oh, cazzo!» Esclamò lui esaltato, come se gli si fosse accesa una lampadina nel cervello. «Emma, il preservativo, ti prego! Sei agitata? Certo che lo sei, lo sono io per te! Ma stai tranquilla, magari non ti farà nemmeno male e p-»
«Ehi».
Il sussurro di Harry la distrasse dalla voce concitata di Dallas, che era ormai entrato in modalità psicopatico rischiando un attacco cardiaco immotivato: Emma lo osservò mentre stava appoggiato con una spalla allo stipite della porta del corridoio, scalzo e con ancora indosso quella camicia nera e morbida che la tentava in ogni suo centimetro di tessuto.
«Ora devo andare» disse lei al telefono, senza ascoltare le parole di Dallas e senza distogliere lo sguardo da quello di Harry, che sembrava non volerla abbandonare nemmeno per un istante. Ripose il cellulare nella borsa dopo aver premuto alla cieca il tasto di fine chiamata, poi deglutì a vuoto ed aspettò senza sapere cosa.
«Vuoi qualcosa da bere?» Le chiese Harry, immobile ad un paio di metri da lei.
«No» rispose flebilmente. Dov'era la sua voce? Dov'erano il suo coraggio e la sua sfrontatezza? L'aspettativa di ciò che stava per succedere la stava logorando in ogni sua caratteristica, smussando i suoi angoli più affilati e rendendola innocua, o peggio, indifesa.
Lui si mosse lentamente e quasi in modo meccanico, ma non le si avvicinò: si diresse verso il lavandino e raccolse un bicchiere di vetro appoggiato lì vicino, prima di riempirlo di acqua dal rubinetto e bere tutto d'un sorso. Ogni suo movimento, ogni suo respiro un po' più evidente e rumoroso svelavano la tensione che gli stava facendo tendere i muscoli della schiena. Emma non l'aveva mai visto così, perché non si era mai mostrato turbato nei momenti di intimità che avevano condiviso: avrebbe potuto dire che fosse più agitato di lei, nonostante non ne avesse motivo, e forse era per questo che continuava a starle lontano, condannandola ad una tortura estenuante.
Harry si passò il dorso della mano sinistra sulle labbra, in un gesto forse utile solo ad occupare i secondi che passavano, poi si avvicinò al tavolo ed afferrò il bordo superiore dello schienale di una sedia: teneva il capo chino, come se stesse pensando e valutando o come se non volesse alzarlo su di lei. Lei che non perdeva occasione di studiarlo e che non si era lasciata sfuggire il bianco delle sue nocche, testimone della stretta che mantenevano.
Emma si inumidì le labbra e si preparò con un respiro appena più lungo degli altri: dopo aver lasciato la borsa e la macchina fotografica sul tavolo, gli si avvicinò lentamente, mentre il rumore dei suoi tacchi sulle mattonelle chiare echeggiava nella stanza e nella sua testa. Arrivata al suo fianco, inspirò il suo profumo ed aspettò una sua eventuale reazione, ma non ottenne nulla: ok, pensò soltanto, includendo in quelle due lettere più significati. Allungò una mano verso quella di Harry, lentamente ed in modo esitante, perché non sapeva nemmeno come comportarsi e cosa stesse effettivamente succedendo: quando le sue dita accarezzarono quella pelle familiare ed estranea, lei non poté non rilassarsi. Era come se fosse in grado di accoglierla e farla sentire al sicuro.
Harry si voltò piano verso di lei e schiuse le labbra per rispondere a quel contatto con un respiro: restarono inerti a guardarsi, a cercare di comprendersi senza le parole ed andando oltre le apparenze. Qualche istante dopo, Emma dovette arrancare per trovare dell'aria che potesse farla rimanere lucida, mentre Harry le rubava ogni molecola di ossigeno dalle labbra: le si era premuto contro, facendola indietreggiare di un passo per l'irruenza della quale si era servito mentre le teneva il viso tra le mani, e si era lasciato scappare un sospiro che le era sembrato stanco, impaziente.
Si sentì persino in dovere di ringraziarlo per averla liberata da quella stretta allo stomaco che la stava divorando, nonostante fosse stata presto sostituita da qualcosa di più leggero, ma peggiore. Stava cercando un modo per tenerselo vicino, per non sentire nient'altro se non lui ed il suo corpo ed il suo alito caldo sulla propria pelle, mentre camminava goffamente all'indietro spinta dai suoi movimenti, che la stavano guidando nel corridoio buio.
Erano avvolti dai fruscii del suo abito, che si incastrava tra le loro gambe quasi sapesse di dover trovare una via di uscita per non essere schiacciato dalla distanza che non potevano sopportare. Dal rumore dei passi di Harry, che ormai lei conosceva a memoria perché troppe volte li aveva uditi dietro di lei a seguirla e davanti a lei ad allontanarla. Dai soffi dei loro morsi esigenti. Emma si stava riempiendo le orecchie di ogni suono che stava delineando ciò che loro erano insieme, nonostante le fosse difficile pensare nitidamente.
Harry la spinse in quella che indovinò fosse la sua stanza, visto che Emma non aveva il coraggio di aprire gli occhi né di preoccuparsi di qualsiasi cosa non fosse la sua bocca. Sentì le sue mani afferrarle i fianchi con urgenza, tentare di combattere con la stoffa del vestito e poi sollevarla fino a farla sedere su una superficie, che riconobbe come la sua scrivania. Emma ansimò per il fastidio di alcuni oggetti sotto di lei e per le carezze di labbra che il suo collo stava subendo: decise di rischiare e di sollevare le palpebre, che fino ad allora aveva usato come scudo contro il troppo che Harry rappresentava, e notò il buio che ancora li circondava, smorzato solo dal flebile chiarore proveniente dal salotto.
Fu tentata di lamentarsi quando una mano di Harry lasciò il suo corpo facendola sentire abbandonata: con il sommesso rumore di un interruttore che veniva premuto alla cieca, una lampada da scrivania si accese al suo fianco, a fatica e con un leggero ronzio. Emma poté osservare velocemente la stanza piccola ed ordinata, il letto spazioso che le stava di fronte e poi più nulla, perché le labbra di Harry erano tornate a reclamarla e lei non poteva di certo sottrarsi alla loro volontà.
«Voglio vederti» mormorò Harry sulla sua bocca, con il respiro accelerato di chi sta aspettando da troppo a lungo. «Voglio vedere tutto» continuò, stringendola tra le braccia come a sottolineare l'indiscussa proprietà che esercitava su di lei.
Emma non rispose, perché in fondo non ci sarebbe stato nulla di adatto da dire e nessuna voce per farlo. Si limitò ad adattarsi ai suoi movimenti, abbandonando il tentativo di placare i battiti animati del proprio cuore: se proprio doveva sentire, voleva non poter fare altro.
«Ogni tuo centimetro» riprese Harry, baciandole la mandibola mentre si incastrava meglio tra le sue gambe. «I tuoi occhi» sussurrò ancora, mordendola appena. «Le tue lentiggini» le soffiò all'orecchio. «E voglio che tu veda me» concluse, riappropriandosi delle sue labbra.
Ed Emma pensava che lui fosse riuscito ad entrarle nella mente confusa ed annebbiata, che fosse riuscito a strapparle i pensieri e a farne delle parole che spacciava per sue, perché sentiva il suo stesso desiderio, la sua stessa necessità. Lo baciò come se avesse voluto rivendicare quei significati comuni e gli accarezzò il collo graffiandolo appena, mentre gli allacciava le gambe intorno al bacino e gli si stringeva contro. Harry reagì con un suono strozzato che gli lasciò fugacemente le labbra, andandole incontro e permettendole di sentire ciò che gli stava provocando dentro: si stavano stringendo così forte da non avere la possibilità di respirare liberamente, obbligati quindi a cercare ossigeno l'uno nella bocca dell'altra.
Improvvisamente quella vicinanza asfissiante li portò ad immobilizzarsi, con le fronti che si sfioravano e la pelle arrossata dai dispetti e dalle preghiere. I loro petti ansimavano veloci e li scuotevano inesorabilmente: Emma aveva cambiato idea e si era ripromessa di non chiudere più gli occhi, di non perdersi nemmeno un attimo o un particolare, e per questo si stava scontrando con le iridi scure ed offuscate che la stavano trattenendo con loro.
Harry continuò a tenere le mani sulla sua schiena parzialmente scoperta e si mosse lentamente sporgendosi verso le sue labbra per baciarle, con una delicatezza che sembrava essersi svincolata dalla passione che fino ad allora l'aveva celata e sminuita. La sfiorò e le respirò contro, poi le accarezzò il collo e fece un passo indietro.
Emma sbatté le palpebre e non si riconobbe nei capelli spettinati e nel vestito che la scopriva fino al bacino, con le guance sicuramente arrossate ed i rimasugli di carezze più esigenti sulle spalle. Lo guardò chiedendosi perché si fosse allontanato. Quando lui le porse una mano, proprio come quando l'aveva invitata a danzare al di fuori della palestra, lei accettò di nuovo le sue intenzioni e scese dalla scrivania, attenta a non inciampare e a non cedere alle gambe che un po' le tremavano: teneva il volto alzato in modo da non interrompere il contatto visivo che stavano condividendo. Poi Harry la stupì.
Continuando a rapire i suoi occhi, si abbassò lentamente, con cautela, fino ad inginocchiarsi ai suoi piedi. Emma dovette reprimere un gemito per quell'immagine, ma cercò di non darlo a vedere, perché voleva seguire i suoi movimenti con tutta l'attenzione della quale era dotata. Lui respirava con più regolatezza, ma non nell'intensità: tese le mani verso l'orlo del suo abito e le consigliò tacitamente di tenerlo alzato. Le sfiorò il piede destro, accarezzandole la caviglia fine, e si concentrò sulla fibbietta del tacco per slacciarla. Le tolse prima una scarpa, poi l'altra.
A quel punto, Emma non riusciva più a sopportare la dolcezza che quei gesti avevano riversato in lei: non riusciva ad accettarla o a capacitarsene, perché non pensava che l'avrebbe mai incontrata. Era abituata all'irruenza, tra di loro, al bisogno e allo strappare all'altro ciò che si voleva, ma mai avrebbe creduto di poter provare qualcosa del genere: qualcosa di così semplice, genuino.
Harry si rialzò in piedi ed i suoi occhi si accertarono che andasse tutto bene, prima che le sue dita si muovessero verso la camicia ormai stropicciata. Emma capì il suo obiettivo e decise di intervenire, per riscuotersi dall'intorpedimento che la stava paralizzando. Posò una mano sulle sue, intente a sfilare un bottone dalla relativa asola, e prese il loro posto: procedette lentamente, sotto il suo sguardo attento e mentre il proprio si soffermava su ogni millimetro di pelle che veniva scoperto. Alla fine, quando i lembi della camicia non potevano che posarsi delicatamente sui fianchi magri di Harry, Emma li separò ancora di più, fino a farli scivolare sulle sue spalle.
Il pezzo di stoffa cadde a terra e lui restò a torso nudo, definito e statuario, con i pantaloni che gli stringevano un po' troppo i fianchi, segnandoli con una leggera rientranza: lei percorse il suo petto con i polpastrelli leggeri ed incantati, senza esitare nella scoperta di ciò che ormai considerava suo.
Quando rialzò gli occhi nei suoi, accettò un altro bacio a fior di labbra, placido ed innocente: Harry le accarezzò le braccia nude e la invitò a voltarsi per dargli le spalle. Le spostò i capelli sulla spalla sinistra e respirò sull'altra, marchiandola con il suo alito e quasi senza toccarla, poi la sua mano destra si posò sulla sua schiena e ne percorse le vertebre scoperte e velatamente in rilievo, facendola rabbrividire. Emma chiuse gli occhi e trattenne il fiato, mentre sentiva la cerniera del suo abito che veniva abbassata più lentamente di quanto fosse sopportabile: era impaziente, ma allo stesso tempo nervosa come non mai, perché era comunque la prima volta che qualcuno aveva l'occasione di vederla nuda, indifesa. Era felice che quel qualcuno fosse Harry.
«Desidero togliertelo da quando te l'ho visto addosso» confessò lui. Fece passare le dita sotto le spalline dell'abito, giocandoci vagamente mentre le baciava il collo probabilmente per distrarla, poi gliele fece scorrere sulla pelle ed il vestito, incapace di trattenersi in altri modi, le scivolò lungo il corpo fino ad arricciarsi ai suoi piedi. Emma rabbrividì, ma non ebbe più motivo di farlo quando Harry si adagiò contro la sua schiena e la riscaldò con il suo tepore, come a volerla coprire e racchiudere: le stringeva le braccia sull'addome, mentre lei girava il volto verso destra per incontrare il suo e per lasciarsi sfiorare dalle sue labbra.
«Hai idea di quanto tu sia bella in questo momento?» Le chiese, baciandole a lungo una guancia e cullandola nella sua stretta non priva di desiderio. Quel desiderio, lo sentiva anche lei, forte come un pugno nello stomaco, logorante come un acido instillato volutamente nelle sue vene ribelli, subdolo come un tranello dal quale non poteva fuggire, ma che non voleva neanche rinnegare. Per questo si voltò verso Harry e gli allacciò le braccia intorno al collo, impedendogli di parlare ancora ed obbligandolo a darle ciò che stava egoisticamente posticipando: cercò la sua bocca e la spronò a baciarla come poco prima aveva fatto, mentre percepiva il proprio respiro perdere di nuovo il controllo sul giusto ritmo da mantenere.
Harry acconsentì senza alcun ripensamento a quella richiesta sfrontata ed abbandonò il suo corpo per sbottonarsi i pantaloni, cosa che Emma stava tentando di fare senza alcun risultato: fu lei, però, ad insistere per calarglieli lungo le gambe sottili, quasi non potesse più attendere oltre.
«Aspetta, aspetta» la fermò lui, borbottando sulle sue labbra.
Emma lo guardò confusa ed ansimante, mentre Harry rimaneva con solo un paio di slip grigi addosso e mentre si piegava per raccogliere qualcosa da terra: dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni, trasse il portafoglio in pelle consumata e vi frugò all'interno. L'istante dopo, tra le mani teneva la confezione di un preservativo. Accennò un sorriso che aveva di nuovo l'ombra della sua solita malizia, poi gettò la bustina sul letto alle sue spalle. «Dicevamo?» Domandò retorico, continuando a scoprire la dentatura bianca e tornando ad abbracciare il suo corpo con una confidenza che ormai non li stupiva più.
Emma si lasciò guidare in quella morsa verso il materasso, coperto da un piumino tinto da un azzurro sporco e spiegazzato: si sdraiò su di esso appoggiando la nuca sul cuscino dalla fodera fresca e che sapeva di un profumo familiare, mentre Harry la imitava quasi fossero uniti da un filo che li obbligava a muoversi all'unisono. Era sopra di lei, con le gambe intrecciate alle sue ed i capelli che le solleticavano la fronte, le mani puntate ai lati del suo capo per non pesarle addosso. «Devi rilassarti» esclamò, sfiorandole la punta del naso con il proprio.
Emma si irrigidì impercettibilmente, chiedendosi cosa potesse mai notare lui che invece sfuggiva al proprio controllo: le sembrava di non lasciare trasparire l'ansia che si stava cibando della sua lucidità, ma evidentemente non doveva esserne così sicura. «Io sono rilassata» ribatté per nascondersi meglio, mentre cercava di capire quale parte del corpo che la stava imprigionando volesse toccare per prima.
«Non lo sei».
«Sì, invece».
«No» la contraddisse di nuovo lui, portando la mano sinistra sulla sua coscia e tatuando le impronte delle proprie dita sulla sua pelle, mentre la spostava in modo da farle circondare con essa il suo bacino e mentre si sfregava contro di lei, in una chiara anticipazione di quello che li stava attendendo. Emma mancò un respiro e quello fu sufficiente. «Non lo sei» ripeté Harry, muovendosi ancora su di lei, che accettò quel piccolo errore di valutazione compiuto nel testare la propria fermezza, restando pronta a non cedere troppo: in fondo anche lui si era rilassato solo da poco. All'inizio era stato compito suo riportarlo indietro, mentre in quel momento i ruoli si erano invertiti.
Harry non parlò oltre e si dedicò al compito che si era tacitamente prefissato: si inumidì le labbra e le posò sulle sue, ma solo per un istante, perché subito dopo si concentrò su altri particolari, che forse era smanioso di conoscere e di rendere suoi e di nessun altro. Con delicatezza le sue dita tracciarono un sentiero appena accennato, che venne ricalcato e suggellato da leggeri baci prolungati fino al seno di Emma, ancora coperto da una leggera stoffa nera. Mentre lei gli passava le mani tra i capelli, con il fiato che le mancava nell'averlo su di sé e solo per sé, lui continuava a baciarla e saggiarla, cercando di mettere da parte l'urgenza che provava e che non riusciva a nascondere.
La bocca di Harry si posò sulla piccola voglia rosata che macchiava l'incavo del suo seno.
Sul neo simile ad un timido segno sulla sua clavicola sinistra.
Sulle lentiggini rade delle sue spalle, che conservarono le sue attenzioni più a lungo.
Sulla costa che sentiva sotto le dita mentre la accarezzava.
Su qualsiasi altro centimetro della sua pelle che potesse raggiungere. E mentre procedeva in quella lenta e piacevole scoperta, Emma si scioglieva al suo tocco come se, ad ogni carezza, si dissolvesse un nodo dal quale era composta, lasciandola senza qualcosa a trattenerla o a delimitarla saldamente.
Harry portò le mani dietro la sua schiena e lei la inarcò per fornirgli un accesso migliore, conscia delle sue intenzioni ed in qualche modo impaziente della loro realizzazione. Lasciò che le sfilasse il reggiseno, guardandolo negli occhi come se in realtà stesse guardando molto più a fondo, e quando fu libera di sentire il petto di Harry aderire completamente al suo, sospirò come in una liberazione agognata per molto tempo.
«Harry?» Domandò lei, con un filo di voce che non si sarebbe aspettata, ma che probabilmente era solo smorzato da tutta quell'emozione che stava accumulando e sotto la quale stava perendo.
«Hm?» Mormorò lui, prendendo tra le labbra il suo seno sinistro con un po' più di ardore.
«Per te è lo stesso?» Continuò cercando di attirare la sua attenzione, come se non ne avesse già abbastanza.
«Cosa?» Indagò l'altro, alzando gli occhi nei suoi e placandoli con una ragionevolezza che andava sfumando pian piano.
Emma gli prese una mano e se la portò al centro del petto. «Questo» rispose soltanto. Voleva farglielo sentire: voleva che sentisse quel suo cuore giovane e tenace che si autodistruggeva solo per sottomettersi a lui, che stentava a tenere fede a tutte le sue funzioni perché non aveva più una guida solida e decisa, che cercava di lavorare di più, aumentando la media dei suoi battiti per ritrovare un equilibrio apparentemente tanto lontano, quando probabilmente avrebbe dovuto arrendersi ed abituarsi ad un altro.
Harry la guardò intensamente. «Pensavo te ne fossi già accorta» le disse piano, imitandola nel suo gesto e portandola a sentire il proprio, di battito cardiaco. Accelerato come il suo. Furioso. Impaziente. Perso.
Emma tentò di celare ciò che stava sentendo perché per la prima volta ne fu spaventata, quindi alzò il capo per baciarlo e per distrarlo dalla verità che avrebbe potuto scovare nei suoi occhi. Aveva bisogno di avere il controllo per sentirsi forte, perché minuto dopo minuto le sembrava di soccombere sempre di più sotto il peso di ciò che stava sperimentando e provando. Lui la lasciò fare, forse indovinando quella sua necessità, e lei si dimostrò esigente quando percepì la sua mano percorrerle il fianco e nascondersi maliziosa nei suoi slip: gli permise di accarezzarla lentamente e poi con più insistenza, ormai pienamente consapevole di quello che era in grado di farle trattenere il fiato o farla gemere.
Quando Harry arrestò i suoi movimenti, lasciando la sua bocca con baci sempre più leggeri, Emma si sentì in dovere di protestare, ma ogni suo flebile respiro fu ammonito dalle labbra che stavano percorrendo il suo corpo: sembrava volessero conoscere ogni cellula che lo componeva ed ogni morbido angolo che lo delimitava, ma in fondo le era stato anche confermato prima ancora che avesse potuto ipotizzarlo. Voglio vedere tutto.
Harry si soffermò sull'elastico morbido del suo intimo e lo strinse tra le dita, mentre Emma lo anticipava sollevando di poco il bacino: quel gesto spontaneo dovette stupirlo, perché assottigliò gli occhi ed accennò un sorriso mentre le sfilava gli slip guardandola negli occhi. «Pensavo che almeno in questa occasione saresti stata meno...» sussurrò, lasciando in sospeso la frase ed iniziando a baciarle una coscia nuda.
Lei si mosse con finta naturalezza, per confondere l'imbarazzo che poteva riconoscere solo dentro di sé. «Prima o poi dovrai smettere di darmi per scontata» lo rimproverò a bassa voce, usando quel mantra che più volte aveva dovuto riproporgli. Harry colse il riferimento e rise piano contro la sua pelle, ma non rispose.
La sfiorò con le labbra e con i denti fino alla punta dei piedi. Poi risalì verso l'alto, finendo per respirare tra i suoi capelli sparsi sul cuscino. Lei sussurrò il suo nome, quando fu costretta a subire un'altra piacevole sevizia ad opera di quelle dita familiari, che non smettevano di prepararla a ciò che le stavano anticipando e che lei non riusciva più ad attendere. Trovava ingiusto che fosse la sola ad essere messa alla prova, portata al limite di sopportazione e poi strappata dal piacere solo per ricominciare da capo, quindi allungò una mano verso Harry, che si era appena sfilato gli slip pesandole per un attimo addosso pur di non abbandonare la sua bocca. Cercò di dargli piacere, anzi, di vendicarsi, ma lui glielo permise solo per poco.
Dopo qualche minuto, infatti, si ritrasse impercettibilmente con il respiro che ne faceva indovinare il motivo. «Ti consiglio di fermarti» esclamò come in un ammonimento sofferto, mentre le sue iridi manifestavano il limite che stavano cercando di rispettare. Emma gli diede ascolto, con un velo di soddisfazione che accompagnava il suo sguardo comprensivo, ma consapevole.
Harry aveva gradualmente perso la lentezza ed il controllo nei suoi movimenti: il suo tentativo di rispettare dei tempi che secondo lui erano più adeguati stava scemando, lasciando il posto all'ardore che lo pervadeva e che stava dimostrando sempre più, in ogni suo gesto. Emma iniziò a subire più debolmente gli attacchi dell'agitazione che cercava di combattere con il piacere, soprattutto quando vide Harry cercare la bustina del preservativo sul letto ed aprirla, per poi inginocchiarsi tra le sue gambe ed occuparsi del resto.
Trattenne un sospiro e per un attimo si sentì nuda, non fisicamente, perché quello era scontato, ma in un senso ben più profondo e spaventoso: era completamente succube delle mani grandi e morbide che erano tornate su di lei, dei muscoli che si contraevano ad ogni emozione che li stuzzicava, e non trovava un modo per mettersi al riparo.
Harry si inumidì le labbra e si piegò di nuovo su di lei, muovendosi contro la sua intimità per alleviare la propria impazienza e per aizzare la sua. La baciò, ancora e ancora, fin quando non si ritrovò a morderle le labbra con un sospiro masticato e sofferto: a quel punto, entrambi non erano più in grado di aspettare oltre.
Emma si aggrappò alle sue spalle tese, con le dita che premevano contro le sue scapole in rilievo mentre lo accoglieva dentro di sé, lentamente. Provava un dolore lancinante che la portò a serrare le palpebre e a mordersi le labbra per non manifestarlo, ma ovviamente i suoi sforzi furono vani.
«Ti sto facendo male» mormorò Harry con la voce spezzata e con gli ansimi derivanti dal suo trattenersi, dal suo cercare di restare fermo per farla abituare alla sua presenza. Non era stata una domanda, ma un'affermazione che sicuramente non avrebbe voluto fosse contraddetta.
«No» respirò Emma, scuotendo piano il capo e riaprendo gli occhi per darsi maggiore credibilità. La mano di Harry, accanto alla sua testa, stava stringendo il lenzuolo nel proprio palmo. «Continua».
Lui si mosse impercettibilmente, provocando una smorfia trattenuta sul proprio volto, poi appoggiò la fronte alla sua: le sue iridi sfoggiavano una nuova luce, che si ergeva a suo nome e che ricavava energia solo da lei. «Non devi fare la dura» la rimproverò debolmente, riferendosi al suo continuo tentativo di apparire meno debole di quanto in realtà fosse, più coraggiosa di quanto gli altri potessero immaginare. «Non quando sei nel mio letto. Non quando sei sotto di me» aggiunse, con la voce bassa e roca che riuscì a farle più male della sua intrusione fisica.
Emma fece scivolare una mano sulla sua schiena, graffiandola appena come ad esplicitare una richiesta. «Per favore» disse soltanto: non voleva che si fermasse, non voleva che parlasse, né che cercasse di abbattere i suoi tentativi di rimanere intera. Voleva annientarsi consapevolmente solo per poter dire di essere sopravvissuta, voleva sentirlo dentro di sé a rendere inutili i suoi confini, voleva doversi chiedere chi dei due si stesse muovendo e chi invece non avesse più aria della quale cibarsi. Ed il dolore non le avrebbe fatto da impedimento, perché era futile in confronto a ciò che gli stava dietro.
Harry accettò la sua insistenza e la accostò alla propria: portò entrambe le mani ai lati del suo viso, calde ed impercettibilmente tremanti, posando la propria bocca sulla sua, ma senza baciarla. Era un contatto, un'impossibilità di interporre tra loro una distanza che andasse oltre quella di un respiro affannato, e lei se ne stava cibando avidamente. I primi movimenti di Harry furono lenti, ma profondi: nonostante fossero studiati per lasciarle del tempo, sembravano non darle tregua, o forse era Emma a non riuscire ad abituarsi a quella sensazione di puro distacco dalla realtà, ai gemiti che si confondevano con i suoi.
«Emma…» sussurrò lui al suo orecchio, allungando una mano per afferrare la testiera del letto e per sollevarsi appena, chiudendo gli occhi mentre rimaneva fermo dentro di lei. Lei che non sapeva più come si respirasse e che lo odiava per questo, nonostante fosse l'odio più piacevole che avrebbe mai potuto provare.
Incapace di trattenersi, Emma alzò il bacino per andargli incontro, muovendosi intorno a lui con un nuovo piacere ad invaderla e facendolo ansimare flebilmente. «No» la ammonì lui in risposta, irrigidendosi inevitabilmente. Ma Emma era affascinata dall'espressione completamente persa che aleggiava sul suo volto, che lo rendeva così vulnerabile, almeno per una volta, così non gli diede ascolto, mentre lui, con la mano libera, cercava di farla smettere facendo pressione sul suo fianco sinistro.
«Ferma».
Circondandogli il busto con le braccia ed il bacino con le gambe, si sporse contro il suo collo, solleticandolo con i capelli e baciandolo con le labbra frementi e sapientemente inesperte, senza smettere di muoversi lentamente verso di lui, avanti e indietro e ancora.
«Emma, smettila» ripeté la voce spezzata di Harry, che tradiva la sua incapacità di controllarsi e la difficoltà nel resistere: c'era qualcosa, in quella intonazione così sofferta, che dipingeva di un'altra sfumatura il significato di quelle parole, perché alle orecchie di Emma non arrivava nulla se non puro ed incontrastato desiderio, che le impediva di fermarsi.
Quando Harry non ottenne una tregua, nemmeno un secondo per prendere fiato, restò aggrappato alla testiera del letto e gemette più forte, afferrandole la nuca con l'altra mano e stringendo il suo corpo contro il proprio come a volerla inglobare dentro di sé. Nascose il viso nel suo collo e si mosse con una spinta più energica, che le fece scappare un suono inatteso e nuovo dalle labbra, provocato dalla profondità del loro contatto e dal dolore che comunque era ancora presente. Harry ripeté quel suo gesto e vi aggiunse foga, quasi disperazione, fino a dover esprimere quel terremoto tramite un respiro roco e fiacco.
Emma non ebbe il tempo di accogliere ed accettare tutto ciò che stavano condividendo, perché qualche secondo più tardi lo sentì irrigidirsi sotto le proprie dita, contro la propria pelle, dentro di sé. Spalancò gli occhi ansimando senza vergogna, mentre entrambi restavano immobili come a non potersi più separare: era successo così velocemente che aveva lasciato in lei solo del frastuono incontrollabile.
«Sei già...?»
Il sussurro di Emma fu involontario, spinto dalla sua incredulità e dalla confusione che il piacere ed Harry stesso avevano instillato in ogni sua cellula, ma lui sembrò reagire a quelle parole come se ne fosse stato scottato. Senza guardarla, perse la delicatezza con la quale l'aveva stretta fino ad un attimo prima e lasciò il suo corpo, quasi non potesse sopportarlo oltre: lei lo osservava stupita, disordinata e ancora non in grado di fare o dire qualsiasi cosa, mentre Harry si alzava dal letto e raccoglieva i pantaloni dal pavimento con dei gesti secchi e nervosi. Lo vide gettare il preservativo che si era appena tolto nel cestino accanto alla scrivania ed uscire dalla stanza. Non una parola. Non uno sguardo.
Emma aveva il respiro irregolare, anche se probabilmente non avrebbe trovato nulla in ordine dentro e fuori di sé, ed era sola, al centro del letto e completamente nuda, abbandonata. Si guardò intorno come se si trovasse in un posto estraneo e come se non avesse davvero vissuto quei momenti, ascoltando i rumori confusi e duri che provenivano da chissà quale stanza nella quale Harry si era diretto: subito dopo, lo scrosciare fioco dell'acqua le fece presupporre che fosse andato a lavarsi.
Cosa avrebbe dovuto fare? Si sentiva in colpa per quell'esclamazione spontanea e per lei innocua, che forse aveva ferito troppo nel profondo la fierezza di Harry, già minata dal non essere riuscito a controllarsi e far durare di più quella loro condivisione: era più che sicura che fosse quello il motivo del suo comportamento e, per quanto si sentisse vagamente ferita dall'abbandono immediato al quale era stata sottoposta, non si sentiva in grado di condannarlo.
Si mosse lentamente, scivolando sul piumino del letto accompagnata da leggeri fruscii e dai brividi provocati dalla sua momentanea ed improvvisa solitudine: appoggiò i piedi a terra e restò qualche secondo immobile, poi si piegò per prendere da terra la camicia di Harry e la indossò, inebriandosi del profumo che già le mancava. Quando si alzò in piedi, fece una piccola smorfia di dolore nel constatare che avrebbe dovuto sopportarlo ancora per un po': si voltò verso il letto scarsamente illuminato, ripercorrendo mentalmente i momenti appena trascorsi e quasi irreali e soffermandosi per pochi istanti sulla piccola macchia di sangue che sporcava il candore dell'azzurro. Dopo essersi convinta di ciò che era davvero successo, uscì dalla stanza ed osservò il corridoio per capire dove dirigersi: individuò quasi subito la porta che nascondeva Harry, grazie al rumore un po' più forte e grazie alla luce che proveniva dagli spiragli inferiori del legno.
Si appoggiò al muro di fronte ad essa ed aspettò in silenzio: decise di utilizzare quel tempo a disposizione per analizzare a fondo, per quanto possibile, la persona diversa che si sentiva. Era come se qualsiasi suo movimento o pensiero fosse dettato da qualcun altro, qualcuno di nuovo e marcato da esperienze e sospiri, qualcuno al quale doveva abituarsi e che la faceva tremare dentro.
Quando Harry apparve sull'uscio, scalzo e a petto nudo, si studiarono per dei secondi interminabili: dal modo in cui percorse il suo corpo, con le labbra e la mascella serrate, si sarebbe potuto dire che fosse sorpreso di vederla con indosso un suo indumento, ma che fosse anche vagamente infastidito dalla sua presenza lì: Emma credeva che il suo ego avesse bisogno di tempo e spazio per ricostituirsi e rinforzarsi.
«Gli asciugamani sono sotto il lavandino. Puoi lavarti» disse lui meccanicamente, prima di stringere un po' più forte la maniglia della porta e di superarla senza ulteriori indugi.
Lei lo guardò allontanarsi con passi pesanti ed irrequieti e sospirò, poi entrò nel bagno seguendo il suo consiglio.
 
L'aveva cercato nella sua stanza, ma alla fine l'aveva trovato in salotto: era appoggiato allo schienale del divano, intento a spiare il paesaggio offerto dalla finestra del piccolo balcone dell'appartamento, mentre fumava una sigaretta che chissà se era la prima. Emma si strinse nella camicia, che aveva momentaneamente preso il posto del corpo di qualcun altro, e gli si avvicinò con calma, senza fare rumore con i piedi nudi e freddi.
Gli si fermò davanti, guardandolo dal basso senza alcuna esitazione, nonostante lui non si degnasse di dar credito alla sua presenza. Harry si limitava ad inspirare ed espirare del fumo, con gli occhi sottili e la fronte tesa a testimoniare il suo reale stato d'animo.
«Harry» lo chiamò, cercando di ottenere la sua attenzione. Nonostante per lei non fosse necessario cimentarsi in quella sceneggiata, si sforzava di immaginare i sentimenti di un uomo in una situazione del genere e di conseguenza tentava di mantenere un certo grado di delicatezza, con l'intento di rassicurarlo. Per lei non aveva avuto importanza quel dettaglio che lui stava ingigantendo, perché aveva provato più di quanto avesse sperato e perché il pensiero di averlo portato al limite aveva il potere di distruggerla: voleva solo che lo capisse.
«Harry, non fa niente…» continuò a bassa voce, sfiorandogli l'addome con le dita.
Lui sbuffò il fumo appena aspirato e picchiettò il piede a terra. «Come un fottuto tredicenne» cominciò duramente, masticando le parole con il fastidio ed un velo di rabbia. «Sono venuto come un fottuto tredicenne» ripeté, incolpandosi di quello che sembrava un vero e proprio screzio nella sua integrità.
«Ma-»
«Non dire niente» la interruppe, continuando a non guardarla: per la sua altezza, bastava che tenesse lo sguardo fisso davanti a sé per evitare completamente la figura minuta della ragazza che gli stava di fronte. «Cristo, non ci posso credere» sospirò qualche istante dopo, strofinandosi gli occhi con i palmi delle mani e poi passandosene uno tra i capelli, ancora più spettinati. «E per tua informazione, di solito duro di più. Molto di più» aggiunse, incontrando il suo sguardo per la prima volta e forse solo per imporre la sua veridicità.
Ad Emma veniva da ridere, perché lei non lo stava mettendo in dubbio e perché, nonostante le dispiacesse che si crucciasse a tal punto, era anche divertente essere testimone delle sue paranoie a riguardo.
«Pos-»
«Tu non dovevi farlo» la bloccò di nuovo, facendole nascondere un sorriso mentre lui continuava indisturbato. «Quella cosa con i fianchi... Stavo cercando di trattenermi, non dovevi muoverti in quel modo» si spiegò meglio. Per Emma ogni riferimento a quello che avevano condiviso era un vero e proprio sparo al centro del petto: banalmente, certo, ed anche in tono piuttosto infantile, ma ogni parola la aiutava a metabolizzare il fatto che lei avesse davvero avuto Harry e che lui l'avesse davvero annullata solo per ricrearla a proprio piacere.
«M-»
«È che non sai cosa si provi ad essere dentro di te, cosa significhi» la interruppe per l'ennesima volta, mozzandole il fiato nella gola. Probabilmente Harry non aveva mai parlato così tanto e così assiduamente di qualcosa che lo indisponeva, ma Emma non poteva di certo dispiacersene, nonostante non riuscisse a pronunciare nemmeno una sillaba. Quelle parole le permisero di eliminare qualsiasi ilarità dai suoi pensieri, qualsiasi leggero imbarazzo per quella situazione, così come sembravano aver spazzato via la rabbia di chi le aveva pronunciate, cedendo il posto ad un qualcosa di più profondo ed importante.
Harry la stava osservando attentamente, lasciando che la sigaretta si consumasse da sola tra le sue dita. Emma addolcì il suo sguardo e si fece più vicina, alzandosi sulle punte dei piedi per sfiorargli le labbra con le proprie: se non poteva parlare, poteva almeno agire.
«Non dovevo andarmene in quel modo» sussurrò lui ancora sulla sua bocca, avvicinandosi il più possibile - secondo i suoi standard - a quelle che potevano somigliare a delle scuse.
Lei sorrise e lo baciò di nuovo. «In effetti mi hai ferita così tanto, che credo tu mi debba un'altra possibilità» mormorò maliziosa, sia per smorzare l'atmosfera tesa che gli aleggiava intorno sia per manifestare un suo bisogno. Forse era troppo avida, ma non le importava più di tanto.
Le mani di Harry si posarono sulla sua schiena, stringendola appena in una reazione alla sua provocazione. «Ora sono un po' nervoso» tentò di rifiutare, forse spaventato all'idea di ripetere quello che per lui era un errore imperdonabile.
«Devi rilassarti» giocò Emma, utilizzando le stesse parole che le erano state rivolte solo poco prima e facendolo sorridere per quel riferimento più che appropriato. «Ti aiuto io, hm?» Aggiunse qualche istante dopo, scivolando con le dita a sbottonargli i pantaloni, per abbassarglieli lungo le cosce toniche.
Iniziò a baciarlo lentamente e non solo sulla bocca: aveva imparato accuratamente la tortura alla quale era stata sottoposta ed era pronta ad applicarla a sua volta, sfiorando ogni centimetro del petto di Harry e respirando su ogni suo addominale appena accennato, fino a soffermarsi intorno al suo ombelico e sui suoi fianchi spigolosi. Inginocchiata a terra, alzò lo sguardo per incontrare quello che era sicura avrebbe trovato su di sé.
Quando lo baciò dove l'aveva portato con l'immaginazione e con una sapiente anticipazione, Harry le afferrò i capelli con una mano e chiuse gli occhi, schiudendo le labbra. «Oh, mio Dio».
 
La casa era silenziosa, perfettamente in armonia con la notte inoltrata che si affacciava dalle finestre scure e che imponeva a tutti, implicitamente, di non fare troppo rumore. Nelle orecchie di Emma, però, si ripeteva ancora il respiro lento ed assonnato di Harry, quello che l'aveva cullata prima di addormentarsi e quello che l'aveva svegliata inconsapevolmente: in quel momento era in un'altra stanza, con il rubinetto aperto e a metri di distanza, ma quelle inspirazioni ed espirazioni leggere continuavano ad essere più forti dello scrosciare dell'acqua. Se ne sarebbe mai liberata?
Afferrò il bicchiere in vetro ormai pieno e chiuse il rubinetto, bevendo a piccoli sorsi mentre si dondolava impercettibilmente sui piedi scalzi ed infreddoliti. Si era alzata dal letto con i brividi a percorrerle il corpo, soprattutto perché aveva dovuto abbandonare quello di Harry, contro il quale si era svegliata accoccolata placidamente, e aveva indossato la camicia nera che già una volta aveva svolto il ruolo di surrogato: ne era coperta fino a metà coscia e ne aveva acconciato le maniche troppo lunghe con più risvolti.
Aveva la necessità di percepire la presenza di Harry, anche tramite un profumo o un tessuto spiegazzato: era qualcosa in bilico tra il bisogno di una bambina indifesa e capricciosa e quello di una donna che sa ciò che le spetta, ma anche ciò che non è disposta a cedere. Non era colpa sua se si ritrovava in quello stato confuso e totalizzante, del quale non riusciva a sbarazzarsi perché non voleva farlo: era stato Harry a ridurla così, legandola a sé senza possibilità di fuga o ribellione, abbattendo qualsiasi sua indipendenza e rendendola schiava immeritevole di grazia. Tornati a letto, si era riaffermato sminuendo l'integrità di Emma, rubandole la forza e allo stesso tempo dandole l'occasione di rifocillarsi da essa, in uno scambio permissivo, ma comunque vincolante: l'aveva trascinata al punto di non ritorno, fin quasi a farla implorare, per poi smentirsi e strapparla da quell'aspettativa per riportarla indietro, pronto a ricominciare da capo ancora e ancora. E lei gli aveva lasciato l'illusione di avere il controllo, perché Harry non si accorgeva di adempiere alla sua volontà, mentre sperava di esasperarla.
Con le labbra ancora intorno al bordo del bicchiere, sorrise tranquillamente quando sentì dei passi lenti alle sue spalle: non pensava di averlo svegliato, ma, nonostante fosse rimasta incantata dal suo volto assente e quasi infantile nei suoi tratti assonnati, non poteva dire di dispiacersene.
Aspettò che le braccia di Harry le circondassero l'addome per stringerla contro il suo, e solo allora allargò il proprio sorriso e posò il bicchiere nel lavandino. «Ehi…» sussurrò appena, inclinando il capo per permettergli di raggiungere il suo collo, dove posò le labbra in un bacio che sembrava non voler portare a termine il suo scopo.
«Perché te la sei messa?» Domandò Harry con la voce roca di chi si è appena svegliato, impastata dal sonno e dai respiri sulla sua pelle, strattonandole piano la camicia.
Emma corrugò leggermente la fronte. «Ti dà fastidio?» chiese, esplicitando il dubbio che le era stato provocato: effettivamente, anche quando si era fatta trovare davanti alla porta del bagno dentro il quale Harry si era nascosto e riparato, lui l'aveva accolta con uno sguardo indecifrabile nel vederla indossare un suo indumento.
La risata soffocata che ricevette in risposta bastò a rincuorarla. «Stai scherzando?» Mormorò lui, voltandola verso di sé per poterla guardare in viso. «È solo che ti preferisco nuda» continuò, sorridendo con la malizia che si stava risvegliando alla sua stessa velocità e sfiorandole le labbra prontamente, prima che lei potesse ribattere qualcosa di arguto.
«Allora toglimela» lo provocò lei, circondandogli il busto nudo con le braccia. Harry indossava solo l'intimo e quella completa assenza di imbarazzo tra di loro riusciva ancora a stupire Emma.
Lui sorrise sulle sue labbra e se la strinse contro, per poi afferrarle i fianchi e farla sedere sul ripiano della cucina. «Tra un attimo» rispose, leggermente più serio di qualche istante prima, mentre faceva scivolare le mani sulle sue braccia fino ad accarezzarle il collo sottile e fermandole ai lati del suo viso: Emma spiava ogni suo movimento, cercando di decifrare le sue più piccole espressioni e di anticipare le sue intenzioni. Credeva che si sarebbe di nuovo divertito a torturarla e ad istruirla nella nuova malizia che l'aveva pervasa, ma dovette ricredersi quando lui si limitò ad appoggiare la fronte alla sua, respirando lentamente e chiudendo per un attimo gli occhi. Percepì una variazione nell'atmosfera, qualcosa di impercettibile, ma fondamentale.
Harry le lasciò un bacio a fior di labbra, lento e delicato, quasi stesse cercando di riversare in esso un significato, poi le sfiorò le lentiggini sulle guance con le dita, sostenendo il suo sguardo. L'istante dopo, il suo viso era nascosto tra i capelli di Emma, alla ricerca del suo profumo e in un abbraccio che trasudava tenerezza e nient'altro. Era un contatto così essenziale e genuino, che lei si ritrovò a non saper come reagire: quasi si irrigidì nel constatare il modo in cui Harry la stava facendo scomparire tra le sue braccia senza però imporsi, ma quasi rendendosi a lei.
Superato lo stupore e digerita la morsa che le aveva attanagliato lo stomaco in un improvviso e piacevole dispetto, Emma inclinò le labbra nell'ombra di un sorriso e lo accolse come a concedergli una grazia, che indirettamente ne avrebbe conferita una a lei di rimando. Le era impossibile decifrare fino in fondo il loro rapporto, il loro urtarsi solo per avere l'opportunità di guarirsi a vicenda, il loro essere componenti discordanti di un insieme armonioso, ma non se ne lamentava: le bastava sentire tutto sulla propria pelle, le bastava che ci fossero tutti quei conflitti e quelle riappacificazioni. Le bastava che ci fosse Harry: di spiegazioni, non ne aveva bisogno.
«Grazie».





 


'Giooooooorno :)
Ehm, come dire... Mi imbarazza sempre un sacco scrivere questi capitoli, quindi abbiate pietà ahahah Insomma, non credo ci sia molto da dire, anche perché con 11 pagine di capitolo direi che sarebbe superfluo perdersi in lunghi discorsi (mi scuso se avete trovato la lunghezza esagerata, ma non potevo togliere nulla né ho voluto farlo!)! Avevo detto che non ci sarebbe stato nient'altro se non Harry ed Emma e così è stato, quindi spero davvero che l'abbiate apprezzato e di essere riuscita a trasmettervi ciò che Emma ha vissuto!
Riguardo Harry.... Era troppo eccitato ed è venuto troppo presto, piccino ahahha Avevo questa idea in mente da moltissimo tempo: il fatto è che mi ero stancata delle solite scene di sesso, dove tutto è perfetto e c'è subito intesa etc etc, perché cose come queste succedono e anche spesso; in più, dato il carattere orgoglioso e vanitoso di Harry, mi sembrava un buon modo per dare una piccola rivicinta ad Emma :) Insomma, Harry non soffre di eiaculazione precoce (infatti poi lo dimostra), ma è stata la nostra piccola Emma a sconvolgerlo, e lo ammette lui stesso! Spero che le dinamiche vi siano piaciute, altrimenti fatemi pure notare eventuali pecche!
Per quanto riguarda la scena finale, anzi, il "grazie" finale, non ho specificato di proposito chi lo abbia detto: secondo voi? :)))
Ah, volevo chiedervi anche un'altra cosa: dato che mancano tre o quattro capitoli alla fine della storia, cosa vi aspettate che succeda? Liberate la vostra fantasia, perché io mi diverto a leggere le vostre ipotesi!!
Detto questo, vi prego di farmi sapere le vostre impressioni su questo capitolo, dato che è abbastanza importante e che ci ho messo un bel po' per renderlo quanto più accettabile hahaa

Grazie di tutto, come sempre! Per le recensioni, per le belle parole su ask e su facebook, e per le segnalazioni per inserire la storia tra le scelte! L'appoggio che mi date mi rende fiera di ciò che faccio e non ve ne sarò mai abbastanza grata :)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

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Capitolo 25
*** Capitolo venticinque - Near ***




 

Capitolo venticinque - Near
 

 

Emma si svegliò con un sobbalzo confuso, come se si fosse appena riscossa da un sogno che non riusciva a ricordare: sbatté più volte le palpebre per far abituare le sue iridi alla luce insistente che entrava nella stanza, filtrando dalla finestra della parete che le stava di fronte. Si portò una mano sul viso e tra i capelli, poi cercò di abbandonarsi di nuovo al sonno che sentiva, al benessere che le chiedeva solo di riposare perché privo di qualsiasi altro bisogno: con il volto accoccolato sul petto di Harry, iniziò a contare i suoi respiri e a concentrarsi su ogni centimetro di pelle con il quale stavano entrando in contatto.
Mentre si lasciava scappare un sorriso per il modo in cui il braccio sinistro di Harry le stava circondando il corpo senza lasciarle una via di fuga, un rumore improvviso le fece spalancare gli occhi e trattenere il fiato. Non voleva muoversi, come se avesse potuto cambiare la realtà delle cose semplicemente nascondendosi da essa, eppure i rumori continuavano ed era ovvio che provenissero dall'appartamento, nonostante lei avesse sperato di essere ancora troppo assonnata per attribuirli alla loro reale origine, la strada. Quando la sua mente si risvegliò dal torpore, accadde tutto velocemente.
«Cazzo!» Imprecò a bassa voce, mordendosi il labbro inferiore ed iniziando a scuotere il corpo di Harry, che sembrava ancora immerso in un sonno profondo. «Harry, svegliati!» Tentò ancora, imprimendo più forza nei suoi movimenti.
Le sembrava assurdo ritrovarsi nella classica scena da commedia romantica, banale ed assolutamente prevedibile: dopo un fugace sguardo all'orologio da parete della stanza, che segnava le sette passate del mattino, non ebbe più dubbi sulla possibilità che il padre di Harry fosse tornato da lavoro. Eppure ci avevano pensato: avevano impostato la sveglia, in modo da uscire di casa prima del suo ritorno ed in modo che Emma potesse recarsi a casa dei gemelli, dove i suoi genitori sarebbero andati a prenderla più tardi. Perché non si erano svegliati?
Forse doveva solo calmarsi, comunque: forse il padre di Harry sarebbe semplicemente andato a dormire, dopo una notte insonne, e loro avrebbero potuto sgattaiolare via senza essere notati. Lei non teneva particolarmente a fare la sua conoscenza: non ancora e, più che altro, non in quelle circostanze. La stessa cosa valeva sicuramente per Harry.
Harry, che stava ancora dormendo, immune a qualsiasi cosa potesse cercare di ostacolarlo. «Maledizione, apri gli occhi» borbottò Emma, alla ricerca di un piano da seguire ed iniziando a tirargli dispettosamente una ciocca di capelli. Lui rispose inconsapevolmente con una smorfia infastidita e, senza aprire gli occhi, si girò su un fianco per darle le spalle e quindi proteggersi da un eventuale fattore di disturbo: a quel punto lei gli pizzicò energicamente un fianco.
«Ma sei impazzita?» Protestò Harry, questa volta tornando supino per poterla guardare e minacciare al tempo stesso. I suoi occhi ridotti a due fessure covavano una briciola di rancore per quel risveglio brusco, ma erano comunque ancora troppo confusi per esprimere una piena consapevolezza.
«È tornato tuo padre» disse soltanto Emma, appoggiandosi su un gomito per osservarlo dall'alto.
«Cosa?» Mormorò lui, sbadigliando tranquillamente e grattandosi l'addome, mentre il lenzuolo si arrotolava ancora di più intorno al suo corpo ad ogni movimento sonnolento delle sue gambe.
«Non abbiamo sentito la sveglia o non è proprio suonata, ed ora tuo padre è qui» gli spiegò un po' meglio, sperando che riuscisse a riacquistare un sufficiente grado di lucidità.
Harry spalancò gli occhi e sospirò, prima di strofinarsi il viso con le mani, probabilmente cercando di svegliarsi del tutto: non sembrava preoccupato come lei e forse era un bene. «Tra poco andrà a dormire, tranquilla» mormorò appena voltandosi nella sua direzione, con la carnagione che contrastava con il candore del cuscino sotto la sua testa.
Emma lo osservò per qualche istante, incerta e pensierosa. «Sei sicuro?»
«Sì» rispose lui con un respiro più profondo, spostandosi per baciarle il petto. «Appena si addormenta, ce ne andiamo» continuò sulla sua pelle, mentre lei si stupiva di non aver nemmeno notato che entrambi fossero ancora nudi. Ma ormai aveva importanza?
«Fermo» lo ammonì con un sorriso, sentendo la sua mano percorrerle l'addome e scendere sempre più in basso.
Harry le solleticò il collo con i capelli disordinati. «E dai…» sussurrò appena, dimostrandole il desiderio che sembrava non lasciarlo mai in pace e non lasciare in pace nemmeno lei.
«È che mi mette un po' a disagio il fatto che tuo padre stia passeggiando per casa» si giustificò Emma, udendo l'aprirsi di una porta. Con le mani piccole e combattute stava cercando di contenere quelle ben più grandi e decise che la stavano mettendo alla prova, nonostante sentisse la determinazione venir meno o, comunque, cambiare il suo obiettivo.
Lui rise silenziosamente ed alzò il viso per guardarla negli occhi. «Non credi che mio padre dovrebbe essere più a disagio di te, nel sapere quello che sta succedendo in questa stanza mentre lui passeggia per casa?»
«Ma non lo sa, e non deve saperlo» precisò lei, imbarazzata da quell'eventualità. «E poi non sta succedendo proprio un bel niente» si affrettò ad aggiungere, bloccando un altro tentativo di Harry di farla cedere alle sue tentazioni.
«Non ancora» la corresse lui, premendo la propria bocca contro la sua in una palese provocazione: entrambi non potevano alzare la voce, perché avrebbero messo a repentaglio il loro tentativo di restare nascosti, quindi dovevano lottare con i morsi e le carezze, tacitamente e senza tregue.
Emma cercò di respingere il suo corpo spingendo con le mani sul suo petto caldo, poi alzò un ginocchio per colpirlo dove sarebbe stato più sensibile e, quando lui si scansò di riflesso rimproverandola bonariamente con lo sguardo, lei ne approfittò per sgattaiolare fuori dal letto. Harry restò fermo a guardarla, ancora sdraiato su un fianco e con le labbra arrossate inclinate in un sorriso beffardo: Emma, in piedi di fronte a lui e completamente nuda, sostenne il suo sguardo per fargli capire di non essere affatto intimorita da quella situazione, nonostante fosse pervasa da una sensazione nuova e che doveva ancora studiare a fondo. Subito dopo, con uno sbuffo vittorioso, si piegò a raccogliere la camicia nera che quella notte l'aveva accompagnata più di una volta e la indossò velocemente, negandogli il piacere e la soddisfazione di posare gli occhi sul proprio corpo.
Lui sospirò sconfitto, strofinandosi gli occhi con i palmi delle mani, e lei ridacchiò appena.
L'istante successivo entrambi si immobilizzarono, dopo aver sentito bussare delicatamente alla porta della stanza. Emma sbarrò lo sguardo: raccolse in un lampo i propri vestiti da terra e corse a nascondersi dietro l'uscio, in modo che se la porta fosse stata aperta, ne sarebbe stata nascosta senza troppi problemi. Harry, invece, le intimò a gesti di cambiare nascondiglio e poi di fare silenzio.
«Non doveva andare a dormire?» Mimò lei con le labbra, con il cuore che le batteva un po' più forte. L'unica cosa alla quale riusciva a pensare era la parola “sconveniente”: una situazione del genere, dove era probabile che il padre del suo ragazzo la vedesse con solo una camicia addosso, era troppo anche per il suo innato estremismo. Harry scosse la testa e si sdraiò nel letto, forse pensando che fosse meglio fingere di dormire.
Qualche secondo dopo, nell'immobilità quasi irreale della stanza e dei corpi che l'avevano vissuta, Adam Styles entrò silenziosamente senza spingersi troppo oltre: Emma serrò le palpebre e si appiattì contro il muro, mentre poteva indovinare che l'uomo non avesse fatto più di due passi in avanti e che avesse ancora la mano sulla maniglia della porta, dato che era ancora nascosto dalla superficie lignea.
«Cosa c'è?» Domandò Harry, con un tono brusco che contrastava nettamente con quello scherzoso che l'aveva caratterizzato poco prima: evidentemente non era un bravo attore e non era riuscito a fingere di dormire, preferendo affrontare direttamente la questione.
Emma udì un sospiro nervoso da parte del padre. «Volevo vedere se eri in casa» rispose semplicemente.
«Lo sono» ribatté il figlio. Emma poteva intravederne solo le gambe lunghe, nascoste dal lenzuolo. «Ma la prossima volta aspetta una risposta, prima di entrare» aggiunse duramente. Il modo in cui si stavano relazionando non le piaceva: sembrava covare un problema di fondo, in grado di turbarlo.
«Dannazione, Harry: sono io ad essere deluso da te, quindi smettila di trattarmi come un povero stronzo» lo rimproverò Adam.
La testimone invisibile ed attenta di quello scambio di rancori, stava tentando di collegare tutte le informazioni che aveva a disposizione: per quale motivo padre e figlio si stavano di nuovo scontrando, dopo essere riusciti a ritrovare un equilibrio in seguito al quasi fallimento finanziario che li aveva interessati?
Al contrario delle sue aspettative, Harry non rispose ed Adam uscì sbattendo la porta alle proprie spalle, senza pronunciare un'altra parola. Emma non sapeva come immaginarlo, se con gli occhi verdi come quelli che ben conosceva o con i capelli altrettanto arruffati, se con le rughe stanche intorno agli occhi o le guance un po' scavate ed i lineamenti armoniosi: eppure riusciva ad indovinare la sua espressione nervosa, pur senza un volto.
Rimasti soli, Harry borbottò un “vaffanculo” e nascose il viso nell'incavo del proprio braccio sinistro, mentre lei si sentiva libera di tornare a respirare a pieni polmoni, priva della paura di essere scoperta. Ancora frastornata dal disagio derivante da quell'episodio e dal rischio corso, rimase immobile a rimuginare sulle proprie ipotesi: si mosse soltanto quando udì lo scrosciare dell'acqua, che le fece intuire che Adam si stesse facendo una doccia.
«Vestiti, andiamo via» le ordinò Harry, pronto a cogliere l'occasione per uscire di casa. Il tono con il quale aveva parlato, il modo in cui stava serrando la mascella ed il fatto che evitasse il suo sguardo, le suggerivano che fosse turbato e che stesse cercando di gestire il nervosismo. Emma lo osservò mentre si alzava dal letto, soffermandosi sulla sua schiena definita, e solo qualche istante dopo si decise a seguire il suo consiglio.
 
Erano rimasti in silenzio per tutto il tempo, né avevano condiviso un contatto visivo che avesse potuto rimpiazzare le parole. Emma, con indosso il vestito della sera precedente che stonava vagamente con l'ora mattutina e le strade deserte, continuava a tenere lo sguardo fisso sul viso di Harry e le mani strette al sedile del passeggero: come sempre, la sua paura delle automobili si amplificava quando l'atmosfera si faceva più tesa, ed il modo in cui il suo accompagnatore aveva ripreso a fumare non la rassicurava affatto.
Quando Harry accostò di fronte casa di Dallas e Pete, Emma si stupì di come il tempo fosse passato velocemente senza che lei se ne rendesse conto, probabilmente perché troppo impegnata a contare i secondi di silenzio che aumentavano imperterriti.
«Avanti, dillo» sospirò lui all'improvviso, lasciando che dalla sua bocca uscisse anche una leggera ombra di fumo, mentre teneva la sigaretta quasi del tutto consumata tra le dita della mano destra, fuori dal finestrino. I suoi occhi erano ancora fissi davanti a sé.
«Io non ho niente da dire» rispose Emma quasi indispettita. Non era del tutto vero, ma non era di certo lei ad essere entrata in silenzio stampa come era già successo più volte.
«Certo, come no» borbottò Harry, inspirando avidamente del fumo: quella scena era una copia fedele e meticolosa di tutte le altre situazioni simili nelle quali entrambi continuavano ad incastrarsi, ancora e ancora.
«Sei tu quello che dovrebbe dire qualcosa» ribatté lei.
«Io?»
«Sì, tu».
«E cosa vorresti sentire, hm?»
«Cosa ti passa per quella testa, per esempio».
Harry sospirò e gettò la sigaretta dal finestrino, voltandosi verso di lei. «Ragazzina, allora perché non me lo chiedi e basta?»
Emma si accigliò e per un attimo si limitò ad osservarlo: certo, avrebbe potuto semplicemente domandare cosa avesse e cosa fosse successo con il padre, ma perché doveva sempre insistere per ottenere delle informazioni? Perché lui non era in grado di parlarne di sua iniziativa?
«Non mi va di chiederti sempre tutto» rispose allora. «Non capisco perché tu non possa parlare con me dei tuoi problemi senza dover inevitabilmente arrivare a questo» continuò stringendosi nelle spalle. Era così strano essere tornati alle discussioni, dopo la notte che avevano appena trascorso e vissuto: nonostante fosse una scena vista e rivista, sembrava in qualche modo estranea e stridente, ma forse solo perché Emma non avrebbe più voluto riviverla.
«C'è davvero bisogno che ti spieghi cosa è successo con mio padre?» Ribatté Harry, stupito dalle sue parole e forse anche dalla mancata perspicacia della ragazza.
«Sì» rispose decisa. «Perché da quanto ne so, potresti averlo fatto incazzare per non aver portato fuori la spazzatura o per aver rigato la macchina, ma non posso esserne sicura, dato che tu ti chiudi in te stesso e me lo rendi impossibile». In fondo il motivo di quell'accenno di scontro avrebbe potuto essere uno qualsiasi, anche il più insulso, ma dal momento che aveva scatenato in lui una reazione tale, per Emma era estremamente difficile lasciar correre ed ignorare il suo istinto curioso.
«Di' un po'…» cominciò Harry, inumidendosi le labbra e sistemandosi meglio sul sedile. Si schiarì la voce, prima di riprendere. «Sul serio credi che la verità su quello che ho fatto sia circolata solo a scuola?»
Lei corrugò la fronte e schiuse le labbra, mentre comprendeva finalmente di cosa si stesse parlando. Come aveva fatto a non pensarci?
«Credevo fosse ovvio» aggiunse lui, abbassando la voce: sembrava trasudare un velo di delusione, un'aspettativa mancata, ed Emma, per un attimo, si sentì in colpa per non aver riflettuto sulla conseguenza più importante di tutte.
Aprì la bocca per replicare qualcosa, forse anche per chiedere scusa per non essersi interessata a quella parte della sua vita, dandola per scontata, o per indagare in modo da risanare la mancanza della quale si sentiva responsabile, nonostante non potesse essere sicura che Harry la percepisse allo stesso modo: non sarebbe stato tanto strano se lui avesse preferito tralasciare la questione, dato che entrambi sapevano quanto disdegnasse il parlare di sé. «Vuoi...?»
«Non particolarmente, no» la anticipò Harry, lasciandosi accarezzare dall'ombra di un sorriso, malinconico e divertito al tempo stesso, sebbene fosse una combinazione improbabile e che chiunque si sarebbe fermato a studiare. «Almeno non ora» aggiunse, come in una promessa.
Emma si trattenne dal protestare, perché in fondo lo conosceva e sapeva che sarebbe stato inutile forzarlo ad aprirsi, se non anche estremamente infantile: le loro differenze caratteriali dovevano ancora smussarsi, per potersi adattare senza troppi problemi, ed entrambi si stavano impegnando affinché accadesse il più velocemente possibile, con piccoli fallimenti ed altrettanti passi in avanti. «Va bene» mormorò quindi, annuendo piano e schiarendosi la voce.
Quando Harry sospirò, tornando ad assumere quell'espressione che durante la notte lei si era divertita a scorgere nel buio, Emma si rilassò del tutto: si lasciò accarezzare i capelli e godette del calore della sua mano sulla propria guancia. «Vieni qui, ragazzina» sussurrò lui subito dopo, spingendola a sporgersi verso il suo corpo, in modo che potesse circondarla con le braccia. Dopo il risveglio movimentato e brusco, riuscirono a ricreare l'atmosfera di calore ed intimità che li faceva sentire a proprio agio più di qualunque altra cosa, che li faceva muovere in silenzio solo per andarsi incontro e nutrirsi della stessa aria.
Emma si strinse a lui serrando le palpebre, così come serrava le mani tra i suoi capelli e le labbra sulla sua pelle: avrebbe voluto non dover scendere dall'auto e passare altre ore in sua compagnia, senza dover imporre una distanza ai loro corpi, che evidentemente non erano più in grado di sopportarla o di concepirla. E avrebbe voluto poter esprimere a parole ciò che sentiva e che non riusciva a sopportare, a contenere.
«Di solito è mio padre a portare fuori la spazzatura, comunque» precisò Harry senza preavviso, confondendola per un istante prima di darle l'opportunità di capire a cosa si stesse riferendo. Stava parlando tra i suoi capelli, accanto al suo orecchio. «Ed io non sono Walton, so guidare una macchina» continuò, mischiando le sillabe ad un accenno di risata, che la avvolse proprio come le sue braccia le avvolgevano il busto.
«Sbruffone» lo prese in giro, sorridendo e mordendogli dispettosamente il collo.
«Uno sbruffone che ha di nuovo voglia di toglierti questo vestito» mormorò Harry, respirando su di lei proprio come aveva fatto nel buio smorzato della sua stanza. «Quindi è meglio che tu vada».
Emma venne pervasa da una vanità appagata e soddisfatta, che la spinse a cercare le labbra di Harry per sfiorarle e provocarle un po', come a voler testare la loro resistenza ed il proprio potere.
«Vattene» le ordinò lui, stringendole un fianco per ammonirla, nonostante la sua bocca fosse più che consenziente a quel gioco simile ad una prova di forza.
«Se proprio insisti» sussurrò lei in risposta ad una distanza minima dal suo volto, sorridendo maliziosa: sapeva quanto il desiderio di Harry fosse in contrasto con la sua razionalità e si divertiva a rendere quel conflitto ancora più evidente. Le piaceva vederlo riflesso nelle sue iridi, mentre la osservava sistemarsi e poi aprire lo sportello per scendere dall'auto. Respirava solo per sentirselo addosso.
 
Dovette suonare il campanello diverse volte prima che qualcuno si decidesse ad accoglierla in casa: come sempre, nel fine settimana i genitori dei gemelli riponevano una grande fiducia nei loro figli, lasciando la casa nelle loro mani per occuparsi di questioni lavorative. Dallas era arrivato addirittura a sospettare che le loro fossero solo bugie e che, invece di passare ore chiusi in un ufficio amministrativo, si rilassassero in località turistiche che non volevano rivelare, per evitare di dover condividere la loro privacy.
Fu Pete ad aprire la porta: il viso era distorto da un'espressione stanca ed imbronciata, a dimostrazione del fatto che fosse stato svegliato contro la sua volontà. Indossava i pantaloni del pigiama, mentre il petto nudo rabbrividiva per l'aria mattutina: appena la vide, assottigliò gli occhi e sospirò sommessamente, prima di darle le spalle ed allontanarsi in salotto senza dire una parola.
Emma osservò il suo amico scomparire in corridoio continuando ad ignorarla, ma non si mosse di un passo, perché troppo occupata a capire se fosse semplicemente un comportamento dettato dal sonno o se invece ci fosse qualcosa alla base: Pete non era di certo la persona più solare del mondo, ma in quel momento dava segni di un serio peggioramento.
Quando decise di cercare Tianna, nonostante potesse già immaginare dove avrebbe potuto trovarla, quella sbucò dal corridoio correndo verso di lei ed allacciandole le braccia al collo. «Tu!» Esclamò vivacemente con i capelli in disordine, mentre Emma era costretta ad indietreggiare di un passo per affrontare la sua insolita energia. «Tu devi dirmi tutto, hai capito?»
«Prima devi lasciarmi respirare» rispose l'altra, cercando di allontanarla da sé per poterla guardare negli occhi.
«Ok, va bene» annuì Tianna, sbattendo le ciglia folte che portavano ancora tracce di mascara, mentre la spingeva con decisione verso il divano alle loro spalle. «Ma tu ora siediti qui e parla» insistette, prendendo posto al suo fianco con le gambe incrociate e le mani a torturarsi a vicenda.
Emma soffocò una risata per quel comportamento estremo che, in fondo, rifletteva implicitamente il proprio stato d'animo: per quanto si sforzasse di dimostrarsi più grande e matura di ciò che realmente era, sentiva il profondo bisogno di raccontare tutto alla propria migliore amica, con l'istinto più genuino e sincero che potesse sentire.
«Non ti azzardare a cominciare senza di me!» Esclamò una voce da un'altra stanza, che subito riconobbe essere quella di Dallas. Emma si voltò divertita e studiò i suoni confusi che udiva e che stavano testimoniando la fretta del suo amico: lo vide arrivare in salotto inciampando nei pantaloni della tuta che stava cercando di infilarsi, mentre la maglietta grigia gli si arricciava sull'addome in modo disordinato.
«Buongiorno» lo salutò scherzosamente lei, spostandosi verso Tianna per fare un po' di posto sul divano: i suoi occhi erano circondati da leggere occhiaie violacee, nonostante si sforzassero di mostrarsi attenti ed impazienti.
«Lascia perdere i convenevoli» la ammonì lui, sedendosi al suo fianco con le ginocchia contro il petto. «Com'è stato? Ti ha trattato bene?»
«Ti ha portato a casa sua?» Intervenne anche Tianna, sovrastando la sua voce ancora assonnata.
«Spero proprio di sì!» Rispose Dallas al suo posto, mentre lei si limitava a spostare lo sguardo dall'uno all'altra per seguire le loro domande e le loro riflessioni, già pronta ad un'estenuante interrogatorio al quale non sapeva come avrebbe reagito: era sicura che avrebbe tenuto per sé diversi particolari, diversi momenti che non voleva condividere con nessun altro, ma allo stesso tempo si sentiva in dovere di esternare quell'emozione insistente e pressante che non la abbandonava.
«Ti ha fatto male? È stato dolce?»
«Avete usato il preservativo? So di essere un rompipalle, ma è importante: non voglio dover crescere un bambino a quindici anni».
«Al massimo lo crescerebbe lui, non credi?»
Emma lasciò che i suoi due amici continuassero a discorrere su eventualità, probabilità, certezze e domande alle quali si rispondevano a vicenda, come se lei non fosse nemmeno lì, tra di loro: era divertente ed in qualche modo rassicurante vedere come si preoccupavano per lei e per una serie di particolari apparentemente futili, correndo con la fantasia solo per poter testare tutte le possibilità e non trascurare nulla.
«Abbassate quella cazzo di voce!» Urlò Pete dalla sua stanza, zittendo entrambi e facendo spalancare gli occhi di Emma: c'era davvero qualcosa che non andava, quella mattina.
«Non rompere e rimettiti a dormire, idiota!» Rispose Dallas, mentre Tianna sbuffava sonoramente scuotendo la testa.
«Ma cosa gli prende?» Domandò allora Emma, corrugando la fronte e lasciando spazio ad una leggera confusione, che per un attimo riuscì ad eclissare qualsiasi altra emozione.
«Non sopporta l'idea che tu sia andata a letto con Harry, anche se non lo ammetterà mai» spiegò Tianna, stringendosi nelle spalle.
«Come, scusa?» Chiese Emma, stupita da quella verità inaspettata.
«È geloso» continuò l'amica, sorridendo per la faccia esasperata di Dallas. «Un po' come lo sarebbe un fratello».
«Non dire stronzate! Io non sono geloso!» Si difese Pete, ancora nell'altra stanza: aveva pronunciato quelle stesse parole anche quando si era difeso dalle supposizioni di Emma sulla sua gelosia nei confronti di Tianna, al ballo, e la cosa la fece sorridere sinceramente. Non si sarebbe mai aspettata una reazione del genere, ma non poteva dire di disdegnarla.
Si alzò dal divano, ignorando le domande concitate dei suoi amici e promettendo di tornare subito, si tolse le scarpe e camminò silenziosamente verso la sua meta: Pete era sdraiato sul letto, a pancia in giù e con il viso affondato nel cuscino candido. Quando lei bussò alla porta spalancata, solo per avvertirlo della sua presenza, la reazione fu un semplice grugnito che la pervase di un affettuoso divertimento. Avanzò nella sua direzione e si sedette sul materasso al suo fianco, passando una mano tra i suoi capelli per renderli ancora più arruffati o forse solo per cercare un approccio adeguato.
Quando Pete si mosse come per allontanarla, continuando a nascondere il viso nella federa, Emma si piegò verso di lui e gli baciò più volte la guancia liscia. «Ti voglio bene» gli sussurrò all'orecchio, sicura di non doversi aspettare una risposta che andasse oltre uno scrollo di spalle o un verso non ben definito.
E infatti le sue aspettative furono soddisfatte.
Alzatasi in piedi, lo guardò un'ultima volta prima di dargli le spalle e dirigersi di nuovo verso il salotto, ma fu presto interrotta nelle sue intenzioni. «Kent» la chiamò lui, con la voce soffocata dalla stoffa del cuscino. «Parla ad alta voce, quando torni di là».
Emma sorrise e scosse la testa, arresa alla sua caparbietà che gli impediva di mostrare apertamente i propri pensieri. «Va bene» rispose semplicemente.
 
Messaggio inviato: ore 15.12
A: Harry
"Indovina? Mel ci ha invitato ad andare alla notte bianca con lei e Zayn, stasera"
 
Un nuovo messaggio: ore 15.14
Da: Harry
"Ahahahahah no."
 
Messaggio inviato: ore 15.17
A: Harry
"..."
 
Un nuovo messaggio: ore 15.21
Da: Harry
"Senti, apprezzo che tra te e la piccola Melanie le cose vadano meglio, così come tra me e quello stupido, ma un appuntamento a quattro è l'ultimo dei miei desideri"
 
Messaggio inviato: ore 15.22
A: Harry
"Ma perché? Non sarà così male! (non mi piace quando la chiami piccola Melanie)"
 
Un nuovo messaggio: ore 15.25
Da: Harry
"Preferisco stare solo con te (perché? sei gelosa?)"
 
Messaggio inviato: ore 15.27
A: Harry
"... ruffiano. Lo dici solo per convincermi (stai zitto)"
 
Un nuovo messaggio: ore 15.31
Da: Harry
"E la cosa divertente è che ci riesco! Ti passo a prendere alle nove (piccola Emma)"
 
Bradford non era mai stata così luminosa di notte. Le strade erano rischiarate dalle fila di lampioni, come al solito, ma a rendere tutto più vivo e acceso erano le vetrine dei negozi e le insegne dei locali, le risate delle persone ed i passi piccoli e veloci dei bambini, estasiati dalla novità della notte bianca.
Anche Emma si sarebbe unita alle loro dimostrazioni di entusiasmo, se non avesse avuto un solido autocontrollo: passeggiare con Harry, mentre le loro braccia si sfioravano per la vicinanza e mentre qualsiasi preoccupazione e problema sembrava scomparire, la faceva sentire fastidiosamente bene. Si credeva persino una stupida a percepire in modo così intenso qualcosa di tanto semplice, ma non poteva opporsi alla sua sensibilità, né alla presenza di Harry e a tutto ciò che significava.
Ridendo per una battuta che le aveva appena rivolto, dove ovviamente si permetteva di prenderla in giro per qualcosa, Emma alzò il viso per spiare il suo, per accertarsi che il suo sorriso fosse ancora lì e fosse ancora lo stesso, che non se lo fosse semplicemente immaginato: eppure, l'istante successivo, si stupì nel notare un repentino cambiamento nella sua espressione, che si irrigidì come a manifestare un certo disagio.
Harry si fermò e sospirò, mentre lei faceva lo stesso corrugando la fronte: spostando lo sguardo davanti a sé, comprese il motivo di quello strano comportamento. Di fronte a loro, infatti, Zayn e Melanie stavano camminando nella direzione opposta insieme ad Aaron, uno dei migliori amici della sorella: la sua pelle diafana era simile a quella della sua amica, mentre gli occhi terribilmente neri e vivaci riprendevano il colore dei suoi capelli non molto lunghi.
Emma sentì l'istinto di scappare, cosa che la fece riflettere su quanto avesse fatto bene, in fondo, a rifiutare l'invito di Melanie: ciò che più la metteva a disagio era la presenza di Zayn, con il quale si era comportata in modo immaturo e superficiale. Non era ancora riuscita a perdonarsi definitivamente per come l'aveva trattato, soprattutto dopo aver saputo tutto quello che aveva fatto per Harry.
«Emma! Da quanto tempo!» La salutò Aaron, avvicinandosi a lei per darle un abbraccio veloce: era una persona molto affettuosa, forse anche troppo, ma le ricordava moltissimo Dallas e questo era un grosso punto a suo favore.
«Solo qualche giorno, in realtà» precisò lei, sorridendo mentre lui si allontanava dandole l'opportunità di salutare anche gli altri.
«Bella come al solito» si complimentò.
«Per tornare etero devi proprio esercitarti con la mia ragazza?» Intervenne Harry, senza scomporsi più di tanto. Il tono di voce era duro e vagamente annoiato, mentre gli rinfacciava il suo orientamento sessuale: Emma sapeva che tra loro non scorreva buon sangue, quindi non si prese la briga di intromettersi.
Fu Zayn a schiarirsi la voce più rumorosamente del dovuto, solo per imporre un tacito freno alla situazione, mentre Aaron bofonchiava qualche imprecazione: andando tutti nella stessa scuola e conoscendosi bene, sapevano alla perfezione quali fossero le dinamiche tra di loro e quali i rischi. «Pensavo non sareste venuti» commentò rivolgendosi ad Harry, dopo aver dedicato un cenno del capo ad Emma. Zayn superava i suoi ricordi: forse a causa delle luci intense, qualsiasi minuscolo difetto del suo viso era completamente eclissato, rendendo la sua figura ancora più eterea di quanto potesse essere possibile. Nella sua giacca di pelle, nera come i pantaloni che indossava, era quasi ridicolo con la sua mancanza di imperfezioni: davvero ridicolo.
«Sì, be'-» provò a rispondere Emma, prima che venisse interrotta.
«È solo che non volevamo venire con voi» esclamò Harry, privo di qualsiasi freno inibitorio nel dare libero sfogo alla sua sincerità: per chi non lo conosceva abbastanza, quella sua risposta sarebbe potuta sembrare più ironica che reale, ma tutti lì in mezzo sapevano quanta verità rivelasse.
«Non cambierai mai?» Domandò retoricamente Melanie, rivolgendo il suo sguardo cristallino ed indiscutibile ad Harry, nonostante le gote arrossate dimostrassero la sua timidezza di base: era impressionante come una persona pudica e timorosa come lei riuscisse ad imporsi in modo così assoluto. Zayn, al suo fianco, sorrideva nell'assistere alla scena: come la prima volta che Emma li aveva visti insieme, lui guardava sua sorella senza limitarsi all'esteriorità. Sembrava scavarle dentro e capirla ad ogni occhiata.
«Di' la verità: ti piaccio così come sono, piccola Melanie» rispose Harry, marcando la sua voce di una malizia particolare, quasi designata solo a lei, mentre anche le sue iridi assumevano un'espressione provocatoria. Emma si voltò a guardarlo in un tacito rimprovero per quel soprannome che aveva usato di nuovo, ma lasciò perdere. Almeno per il momento.
«Possiamo andare?» Si intromise Aaron, sospirando infastidito. «Devo già sopportare questa specie di individuo a scuola, non ho intenzione di condividere con lui un solo secondo in più» continuò, con l'aria altezzosa che assumeva quando voleva disdegnare apertamente qualcuno.
«E va bene» acconsentì Melanie, sperando di evitare un'altra piccola discussione. «Tanto dobbiamo andare a recuperare Becka».
Harry stranamente non rispose alla provocazione di Aaron, limitandosi a guardarsi intorno come se fosse solo e anche molto annoiato. Emma alzò gli occhi al cielo e scambiò uno sguardo d'intesa con la sorella: Melanie sapeva del perché avesse declinato l'invito, ma evidentemente aveva detto a Zayn che non sarebbero andati alla notte bianca solo per non dargli un dispiacere. Il suo tentativo di proteggerlo da quel piccolo screzio, però, non era andato a buon fine.
«Ci vediamo» salutò Emma abbozzando un sorriso, mentre gli altri le rivolgevano saluti simili: ovviamente Harry fu immune a qualsiasi tentativo relazionale, ma nessuno ci fece caso, perché tutti avevano confidenza con il suo lato da sbruffone.
«Questa volta non mi hai insultato: facciamo progressi» mormorò Zayn, passandole accanto e dedicandole un sorriso consapevole, che lei ricambiò per divertimento. Non rispose e li guardò allontanarsi: inizialmente aveva creduto che sarebbe stata una buona idea passare la serata insieme, ma dopo quel breve e strano incontro, si era decisa del contrario. Probabilmente era solo ancora troppo presto.
«Frocio del cazzo» borbottò Harry subito dopo, sfogando leggermente in ritardo la sua antipatia per Aaron.
Emma sospirò e riprese a camminare, invitandolo implicitamente a fare lo stesso. «Omofobo del cazzo» ribatté, imitandolo.
«Non sono omofobo: è che non lo sopporto» la corresse lui, affiancandola tranquillamente. Era strano che non avesse ancora iniziato a fumare.
«Ma non per questo devi torturarlo perché non ha i tuoi stessi gusti» lo rimproverò saccentemente, spostando di nuovo lo sguardo sul suo viso: ormai aveva imparato che, durante un discorso di qualsiasi tipo, era sempre consigliabile osservare le sue espressioni, perché solo con il loro aiuto avrebbe potuto comprendere a pieno i suoi pensieri, talvolta traditi dalle parole troppo affilate o criptiche.
«Ragazzina, non mi dire che tu non hai mai preso in giro una persona grassa» sbuffò lui. «Potrei farti lo stesso discorso: non dovresti torturarla solo perché le piace mangiare dieci Happy Meal al McDonald's, mentre tu ne preferisci uno».
«Harry, ma che razza di paragone è?» Domandò Emma, cercando di trattenere una risata.
«È vero. Tutta questa storia dell'omofobia è ingigantita da fare schifo: se siamo tutti uguali, perché qualcuno può essere preso per il culo perché ha la circonferenza di una mongolfiera e non perché gli piace il cazzo? E poi per me se qualcuno è gay non fa né caldo né freddo: è che Aaron è un gay che non sopporto» concluse lui, con una convinzione che la stupì non poco.
«Infatti non si dovrebbe scherzare nemmeno sulle persone in sovrappeso. Anche perc-»
«Ora basta, hm?» La interruppe, ponendo fine alla discussione prima ancora che potesse continuare ad oltranza, condotta dalla tenacia di entrambi. Per rinforzare il concetto, le prese la mano ed intrecciò le loro dita saldamente, ma senza perdere la delicatezza che più volte le aveva riservato.
Emma si stupì di quel contatto, come ormai stava accadendo sempre più spesso, e per un attimo si distrasse da ciò che la stava tenendo impegnata a rimuginare. Accortasi dal tranello nel quale era cascata, nascose un sorriso e gli diede una leggera spallata.
«Ti ho già detto che sei un ruffiano?»
 
Erano tornati alla macchina da più di dieci minuti, Emma era in ritardo e le strade erano percorse da radi gruppi di persone che facevano ritorno a casa: eppure, l'auto era ancora chiusa e loro erano ancora in piedi contro di essa, stretti l'uno all'altro fino a togliersi il respiro a vicenda.
Emma sentiva la maniglia dello sportello contro la schiena, ma cercava di ignorarla, concentrandosi sulle mani di Harry che le percorrevano il corpo senza tregua, come se non potessero trovare sollievo o pace: si lasciava baciare nella speranza di non sentire più l'aria fredda che si era infiltrata negli angoli di Bradford con l'avanzare della notte, si lasciava seviziare solo per farlo sentire schiavo a sua volta, succube della piacevole tortura che voleva infliggerle, ma della quale non poteva fare a meno.
«Riguardo quello che è successo stamattina…» mormorò lui sulla sua bocca, portandole una mano tra i capelli per stringerli delicatamente in una morsa ferrea. «Tu vuoi sempre parlare» continuò, facendole chiedere perché allora lui lo stesse facendo, perché volesse impedirle di averlo in modo totale e senza interruzioni o varianti.
Dopo qualche istante di respiri accelerati e sofferti, riprese in un sussurro. «Ma ci sono tanti modi per stare vicino a qualcuno. Ed io ti sento, Emma». La sua voce la stava accarezzando senza esitazioni, facendole da guida e da distrazione, mentre lei soccombeva consapevolmente e senza alcun rimorso.
«Io ti sento».

 





 


SCUSATE!!!!!!!!!!!
So di aver ritardato e mi dispiace molto: come già sapete (credo) ultimamente non ho molto tempo per scrivere e, quando ne ho, sono troppo stanca e faccio fatica a concentrarmi! In ogni caso, ieri mi sono rimboccata le maniche, ho combattuto contro il sonno e mi sono ripromessa di finire il capitolo (Y). Ovviamente è venuto una cagata allucinante, dato che per me è un capitolo piuttosto insulso, se non fosse per qualche particolare, ma come sempre mi affido alla vostra sincerità!
Che dire? Indirettamente sto cercando di descrivervi i cambiamenti nella vita di Harry: ovviamente, le voci sul suo conto non potevano non raggiungere anche suo padre e questo ha delle ripercussioni! E tutti conosciamo Harry, quindi non ci stupiamo se lui non ne abbia parlato: alla fine del capitolo, vi ho mostrato un po' di più la sua visione delle cose, dato che lui si accontenta della presenza di Emma! Insomma, anche su questo loro due hanno delle idee differenti :)
Poi, poi, poi... Pete è il mio amore, giuro hahaha voi tutte avete un debole per Dallas, quindi io mi schiero dalla parte di Pete perché davvero, lo adoro! Ovviamente non bisogna fraintendere la sua gelosia: è puramente "fraterna", nonostante non ci siano rapporti di sangue! Persino Tianna non se ne preoccupa :)
Piccola parentesi su Zayn/Melanie/Aaron: non so nemmeno perché li abbia inseriti ahahah alla fine sono stati una semplice comparsa in questo capitolo, ma almeno avete un piccolo squarcio sui vari rapporti tra di loro! Chi ha letto "it feels..." conosce molto bene Aaron e conosce il suo rapporto con Harry: finalmente, chi si preoccupava dell'eventualità che Harry fosse omofobo, può avere un reale chiarimento a riguardo. Ad Harry non importa niente dei gusti sessuali degli altri: in questa uguaglianza assoluta, di conseguenza, non si preoccupa affatto di tralasciare aspetti di una persona che per lui sono normali, come l'essere omosessuale o  in sovrappeso (se ci fosse qualcuno in sovrappeso tra i lettori, vi prego di non prenderla sul personale: ovviamente non è una morale, né un messaggio nascosto tra le righe, ma solo l'idea di un personaggio di fantasia!), perché non vede il motivo per il quale meriterebbero una maggiore sensibilità! Spero di essere stata chiara hahah Altrimenti, sapete dove trovarmi :)
Detto questo, non ho nient'altro da aggiungere! Mancano solo tre capitoli alla fine (oh santa pace....) e posso solo anticiparvi che nel prossimo ci sarà una svolta nel rapporto tra Emma ed Harry! A voi le ipotesi :)

So di non aver rimediato al ritardo con un capitolo degno, ma spero lo stesso che non vi abbia fatto troppo schifo, ecco! Vi chiedo di darmi le vostre opinioni, siano esse positive o negative, perché ci tengo molto :) E grazie di tutto, come sempre!! Allo scorso capitolo ho ricevuto delle recensioni che mi hanno anche fatto commuovere, quindi non so davvero cosa dire! Per non parlare di coloro che hanno segnalato la storia per le scelte :) grazie, grazie, grazie!
E a presto :)

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Un bacione,
Vero.

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Capitolo 26
*** Capitolo ventisei - I can't breathe ***




 

Capitolo ventisei - I can't breathe
 

 

Era il due maggio: la primavera tentava di uguagliare l'estate e le sue temperature torride, nonostante non riuscisse nella sua impresa e si dovesse accontentare di risultare una copia sbiadita e flebile della sua meta. Quel pomeriggio, infatti, il sole faceva da padrone incontrastato nel cielo di un azzurro pastello privo di nuvole, ma non poteva fare altro che riscaldare tiepidamente tutto ciò su cui gli era concesso di regnare.
La brezza fresca, soffiando delicatamente, si intrufolava tra le fronde dei grandi alberi addossati gli uni agli altri e provocava naturali melodie silenziose: giocava ad agitare i fili d'erba che riflettevano i raggi solari e tentava dispettosamente di voltare le pagine del libro che Emma teneva tra le mani, sollevato davanti al volto.
L'auto di Harry era parcheggiata al centro dello spiazzo di verde che più volte li aveva ospitati, fungendo loro da rifugio e da protettore, da discreto testimone: con lo sportello anteriore del passeggero aperto, la musica a basso volume proveniente dalla radio si mischiava a tutti gli altri leggeri rumori, a formare un sottofondo di tranquillità che contribuiva ad estraniare quei metri solitari dal resto del mondo.
Qualche passo più in là, una coperta di lana a quadri rossi e verdi era stata distesa sul prato, perché troppo vecchia e consumata per poter essere usata per qualcos'altro: Emma ed Harry vi si erano sdraiati sopra, prima per possedersi come avevano fatto per la prima volta un mese e mezzo prima - bisognosi di riaffermarsi l'uno sull'altra senza fermarsi -, poi semplicemente per essere lì, per esserci insieme. Lei, con gli occhiali da sole a trattenerle i capelli sul capo, stava ripassando la lezione di biologia sulla quale il giorno dopo sarebbe stata interrogata: indossava una t-shirt bianca che non le arrivava a nascondere l'ombelico, dove incontrava l'orlo della gonna di un rosa pallido che la copriva fino a metà coscia. Ogni tanto mormorava qualche nozione scientifica, chiudendo gli occhi per memorizzarla meglio o mordendosi le labbra con un sospiro, nel caso di un errore: le lentiggini che le macchiavano timidamente il viso erano evidenziate dal sole.
Harry, alla sua destra, mostrava coraggio nel restare a petto nudo, nonostante il sole non fosse così caldo, né l'aria così piacevole: con le braccia incrociate dietro il capo, si rilassava canticchiando distrattamente le canzoni che si susseguivano alla radio, piano per non disturbare troppo. Ormai, dopo tutto il tempo trascorso, non c'era più bisogno di riempire i silenzi con parole e discorsi: ormai bastava condividere lo stesso spazio, sentirsi vicini.
Emma la percepiva eccome, la vicinanza di Harry: anche immersa nello studio, non riusciva ad ignorare nemmeno il più piccolo spostamento al suo fianco, che la obbligava tacitamente a comportarsi di conseguenza. Talvolta si straniva nel constatare come le venisse naturale muoversi impercettibilmente in accordo alle azioni di qualcun altro, quasi potessero guidarla. Così, in quel momento, notò anche il viso di Harry che si voltava nella sua direzione, il suo sguardo puntato su di sé: lei si schiarì la voce e riprese a ripassare nella propria mente, abituata ad essere studiata silenziosamente, nonostante non restasse più niente da scoprire o da indagare. E si accorse della sua mano, che scivolò lentamente sulla propria coscia, accarezzandola con i polpastrelli leggeri prima in una direzione, poi nell'altra: quel contatto la fece rabbrividire.
«Ragazzina» sussurrò lui, a bassa voce ma senza esitazione.
«Hm?» Rispose Emma, senza distogliere lo sguardo dalle pagine del libro.
Dopo qualche secondo di silenzio, provò a capire perché Harry non avesse continuato: girò il viso verso di lui, con la lana della coperta che le solleticava la guancia destra, e si specchiò negli occhi che si trovò di fronte. Erano seri, assorti: poteva vantarsi di aver raggiunto un certo grado di abilità nell'arte di decifrarli, ma non era ancora un'esperta indiscussa, perché per quanto ci provasse, si scontrava sempre con piccole sfumature ingannevoli o dettagli sfuggenti.
Harry aspettò ancora qualche istante, prima di schiudere le labbra rosee e parlare. «Tu mi ami».
Nessuna domanda, nessun dubbio: solo una certezza, intrisa di convinzione e priva di esitazioni. Per Emma fu come se le avesse strappato la verità dall'angolo più remoto della propria sensibilità, come se non avesse nemmeno chiesto il permesso per farlo: non aveva mai verbalizzato i propri sentimenti, non aveva mai espresso a parole ciò che provava ogni volta che le dita di Harry definivano il suo corpo o quando non potevano farlo, perché non ne aveva sentito il bisogno. Sapeva perfettamente di cosa si trattasse e le bastava sentirlo fino a farsi male, le bastava esserne succube senza una via di uscita.
Qualcuno avrebbe potuto dire che l'amore, quello vero, non era possibile a soli quindici anni: persino lei ne era stata convinta fino a poco tempo prima, eppure non riusciva ad immaginare qualcosa di più forte e totalizzante di ciò che le faceva da guida e vincolo. Non poteva ammettere l'esistenza di un sentimento ancora più profondo, perché era convinta che nessuno sarebbe riuscito a sopportarlo: per questo, alla fine, aveva dovuto accogliere l'idea di amare Harry con tutta se stessa e con molto di più.
E lui lo sapeva.
Emma sostenne il suo sguardo per una paio di secondi, paralizzata dalla consapevolezza con la quale si era appena dovuta confrontare e che le era stata imposta con una innocente prepotenza: il cuore le batteva talmente forte da costringerla a posare il libro sul proprio petto, come a volerne attutire il rumore ritmico e per lei assordante. Distolse gli occhi da quelli di Harry, improvvisamente incapace di affrontarli ancora e forse spaventata all'idea di mostrarsi vulnerabile, e spostò la mano destra fino a raggiungere la sua, che si trovava ancora sulla sua coscia, delicata ed indiscreta. La sfiorò con i polpastrelli, in una risposta silenziosa ed inequivocabile, poi fece intrecciare le proprie dita alle sue.
Le sue labbra, svincolate dalla ragione o da qualsiasi forma di volontà, si incurvarono arbitrariamente in un sorriso spontaneo: Emma voleva rischiare, mettere alla prova ciò che fino ad allora aveva sospettato, ma che era sempre rimasto sottinteso. Improvvisamente necessitava di una certezza fatta di parole sincere e non solo di supposizioni, perché era convinta che ne sarebbe valsa la pena. Continuando a sorridere, quindi, si voltò verso di lui.
«E tu-»
Ami me, avrebbe voluto dire, ma le sillabe le morirono in gola, assieme ai loro significati. Era stato un semplice attimo, un fugace e rivelatore secondo: la mano di Harry si era rilassata impercettibilmente, come se avesse cercato di ritrarsi da una verità o da un'aspettativa, pur non volendo rendere quella sua reazione palese o persino vergognandosene. Ed i suoi occhi, quelli che non l'avevano abbandonata sin da quando si erano posati su di lei, avevano mostrato un apparentemente trascurabile guizzo, che però si era tradito e l'aveva spezzata.
Emma tornò a respirare solo dopo pochi istanti e lasciando che ogni pezzo a renderla intera si sgretolasse e la privasse di qualsiasi confine. «Tu no» riprese in un sussurro tremante.
Dimmi che sto sbagliando.
Harry si limitava a guardarla come se lei non avesse ancora parlato, come se non avesse ancora capito, ed Emma avrebbe voluto afferrarlo dalle spalle e scuoterlo fino a fargli vomitare anche solo una parola: non riusciva a pensare lucidamente, a confrontarsi con una nuova eventualità totalmente destabilizzante e assurda. Era sempre stata convinta che anche lui provasse lo stesso: in qualche modo gliel'aveva dimostrato ad ogni sussurro, ad ogni carezza più esigente o silenziosa.
Per favore, dillo.
I secondi passavano e lei era lasciata sola ad affrontare il tumulto di pensieri che in un attimo le aveva affollato la mente: cercava di essere obiettiva, di ripercorrere velocemente ogni momento trascorso insieme, per scovare piccoli dettagli che avrebbero potuto farla ricredere riguardo le sue convinzioni. Ma era doloroso e terribilmente sbagliato, perché Harry... Lui...
Ti prego.
Non poteva essere stata così stupida e cieca: si ribellava a quell'ipotesi, perché Emma aveva sentito tutto ciò che avevano condiviso e non poteva averlo semplicemente immaginato. O forse sì? Forse aveva vissuto filtrando ogni esperienza con i propri sentimenti, giovani ed irrequieti, irresponsabili. Forse, per la prima volta, era stata lei a dare qualcosa per scontato. Forse aveva riempito e ricucito qualsiasi piccolo sospetto, ai suoi occhi invisibile, con quel troppo che provava e che condizionava tutto ciò che le stava intorno, fungendo da discreto compenso.
Eppure le era bastato così poco, in quel momento, per carpire la verità: un semplice sguardo ed un fugace movimento subentrati nell'attimo giusto - o sbagliato. Era bastato così poco per distruggere così tanto.
Incapace di respirare a dovere, si alzò in piedi frettolosamente, chiudendo gli occhi ed allontanandosi di qualche passo: gli dava le spalle, tentando di proteggersi dalle iridi che le erano ancora addosso e che non capiva più cosa volessero. Improvvisamente erano diventate estranee ingannevoli: tutto ciò che pensava di aver capito di loro sembrava una menzogna.
«Non ancora» esclamò finalmente Harry, mettendosi a sedere. La sua voce conservava la sua compostezza.
Emma serrò la mascella. «Cosa?» Chiese flebilmente, pentendosi subito dopo di quella fragilità e senza voltarsi a guardarlo.
Udì qualche rumore, ma non si domandò cosa lui stesse facendo, se si stesse avvicinando. «Non ti amo ancora» precisò Harry, come se con quella correzione avesse potuto migliorare le cose, rassicurarla. Lei percepì la nota di tenerezza che aveva caratterizzato quella frase, ma non l'accolse a dovere.
Spalancò gli occhi e batté più volte le palpebre, allibita: subito dopo si voltò nella sua direzione e sobbalzò lievemente nel trovarselo a nemmeno un paio di passi di distanza. «E questo cosa dovrebbe significare?» Domandò stridula, non in grado di realizzare a fondo ciò che stava accadendo.
«Non farlo» rispose Harry in un mite sospiro, passandosi una mano tra i capelli e sottintendendo la profonda conoscenza che aveva del suo carattere e dei suoi pensieri, per quanto irruenti. Emma serrò le labbra in una linea dura, quasi potessero rappresentare una ben più efficace barriera, e non parlò oltre, sicura che il suo silenzio sarebbe stato compensato da parole non proprie.
«Non fermarti di nuovo al tutto o al niente. Non escludere quello che sta nel mezzo. Non escludere me» continuò lui, come a voler sottolineare le previsioni che la riguardavano e che sapeva essere fondate.
Lei sostenne il suo sguardo per provare a smentire le sue supposizioni, per mascherarsi d'orgoglio in modo da non dargli la soddisfazione della ragione, ma era troppo debole per fare del suo meglio, per combattere energicamente gli istinti che la stavano dilaniando. I propri occhi erano una fonte di informazioni priva di qualsiasi filtro, in quel momento, e potevano essere decifrati senza alcuno sforzo: era vero, il fatto che Harry non l'amasse era in grado di azzerare e sminuire tutto il resto, quasi avesse perso di ogni minimo significato. La sua mente ed il suo cuore erano succubi di quella verità, che non lasciava spazio a null'altro.
«Tu non mi ami» si limitò a ripetere Emma, meccanicamente: sentiva il bisogno di pronunciare ancora quelle poche sillabe, ricche di così tante conseguenze e ferite, per potersene convincere. Le stava usando come aiuto per raggiungere un certo grado di obiettività, sperando che Harry potesse comprendere il suo stato d'animo anche senza ulteriori spiegazioni, che lei non sarebbe stata capace di fornire. Avrebbe voluto formulare una frase che andasse oltre le poche parole, avrebbe voluto spiegare ciò che stava affrontando dentro di sé, ma non ci riusciva.
«Questo non vuol dire che non lo farò mai» tentò lui, avvicinandosi di un passo con cautela: era evidente come stesse cercando di contenere e prevenire una discussione più accesa, era evidente come stesse cercando di farla ragionare per evitarle del dolore.
Emma reagì abbassando per un attimo le palpebre, scottata dai significati che doveva affrontare. «Invece è proprio così» mormorò tornando a guardarlo, mentre sentiva le gambe tremarle appena, incapaci di sopportare il peso di quella consapevolezza.
Harry corrugò la fronte ed attese qualcosa che lo aiutasse a capire meglio.
«Ti ho già dato tutto, fino a non lasciare più niente per me» riprese lei, con la voce ferma ma flebile, sulla soglia di un controllo che stava per cedere. «Ti ho mostrato quello che sono, ti ho fatto conoscere lati di me che non mi erano nemmeno chiari. Se fino ad ora tutto questo non è bastato, di cos'altro potresti innamorarti?» Trattenne inconsapevolmente il fiato, mentre cercava di digerire quelle parole, pronunciate prima ancora che la sua testa potesse formularle in un pensiero chiaro ed insistente. Le facevano così male da essere insopportabili.
Harry reagì con un altro passo in avanti, veloce e quasi preoccupato, come se fosse appena stato minacciato, come se avesse voluto trattenere una possibilità o una convinzione. Fece per allungare una mano verso il braccio destro di Emma, ma rinunciò quando la vide irrigidirsi. «Che stai dicendo?» Chiese piano. Sembrava sconvolto. «È proprio tutto quello che mi hai dato che mi farà innamorare di te: ho solo bisogno di più tempo. Sai che ne ho sempre avuto bisogno».
Sì, lo sapeva. A differenza di Emma, che si era sempre spinta oltre ogni limite sin da subito e senza alcun ripensamento, lui si era cucito addosso il ruolo di chi preferisce non buttarsi a capofitto nelle cose, di chi preferisce procedere lentamente e con più ragione, che istinto, appellandosi ad una maturità che forse fungeva da protezione. Ma questa sua caratteristica non poteva riguardare qualsiasi aspetto della sua vita, non qualcosa di così intenso come i sentimenti.
«Tempo?» Gli fece eco, con il bisogno di allontanarsi dal suo corpo. «A cosa ti servirebbe? Forse ti aiuterebbe a farmi diventare un'abitudine, ma di certo non ti insegnerebbe ad amarmi per quella che già sono e che dovresti già amare».
«Credi davvero che potresti diventare un'abitudine?» Chiese Harry, inarcando le sopracciglia per manifestare l'offesa ricavata da quell'insinuazione. «Non ti lascio sminuire quello che provo, quello che sei per me, solo perché non è quello che vorresti» la ammonì, indurendo il tono di voce. Il nervosismo si stava facendo largo in entrambi, assumendo sfumature differenti che si scontravano ad ogni vibrazione causata dalle loro parole o dai loro piccoli movimenti.
«Ma non è questo il punto, non capisci?» Esclamò Emma, vittima dell'esasperazione. «Io non metto in dubbio quello che senti: come potrei farlo, se fino a pochi minuti fa credevo fosse amore? Sto parlando di quello ci aspetta! Io...» Come raramente succedeva, non trovava i pensieri giusti da pronunciare, non riusciva a formulare una frase che potesse spiegare al meglio ciò che intendeva dire: ogni volta che ci provava, le sue emozioni la disturbavano e la privavano della concentrazione, condizionando anche tutto il resto.
Harry le si avvicinò velocemente, afferrandola per le braccia ed accarezzandole la pelle fino a posare le mani sulle sue guance, ignorando il suo estraneo disagio: le sollevò il viso per poter ottenere i suoi occhi e si inumidì le labbra, parlando prima con le iridi che con la bocca. «Ricordi quando ci siamo conosciuti? Quando dicevo di non volere qualcuno come te?» Le chiese, servendole quei ricordi senza alcun imbarazzo. «Mi sbagliavo: tu sei quello che voglio».
Emma non poteva dubitarne, sarebbe stato assurdo e terribilmente ingiusto. Anche in quel momento non le era dato di rinnegare tutto ciò che avevano condiviso: respirò a stento e fece un passo indietro, svincolandosi senza fretta dalla sua presa. «Lo so» mormorò stringendo i pugni. «Ma non nel modo in cui dovrebbe essere».
Lo vide irrigidirsi, in una reazione che voleva testimoniare la tensione sempre più evidente ed indiscreta. «Nel modo in cui dovrebbe essere? Non c'è un copione da seguire, una scaletta da rispettare!» Sbottò infatti.
Rimasero entrambi inerti, immobili a poca distanza l'uno dall'altra, una distanza che forse non era mai stata così salutare. Emma, dopo qualche istante, cedette al dolore che provava: abbassò lo sguardo e chiuse per un attimo gli occhi, perché le era insopportabile il pensiero che le iridi di Harry non la vedessero come lei avrebbe voluto. Cosa provavano nel posarsi su di lei? Cosa non era stato abbastanza, per loro?
«Guardami» le ordinò lui, smorzando il tono in qualcosa di simile ad una preghiera.
Non voleva farlo, perché non voleva sentirsi incapace di affrontare i suoi occhi e perché aveva bisogno di proteggersi. Non lo ascoltò, limitandosi a stringere i pugni per sentire le unghie contro i propri palmi e potersi concentrare su un altro tipo di dolore.
«Guardami» ripeté Harry, con più decisione.
Non si riconosceva nella ragazza che gli stava di fronte, senza energie per compiere una semplice azione. Nel respiro corto ed irrequieto. Nel silenzio che l'aveva avvolta inesorabilmente. Nella debolezza che aveva sempre disprezzato. Non le piaceva quel suo lato indolente: avrebbe voluto protestare contro se stessa e rimproverarsi, spronando la sua solita caparbietà a farle da scudo e a darle coraggio.
Harry non insistette oltre e si allontanò a passi nervosi, senza che lei lo seguisse fisicamente né con lo sguardo: Emma sapeva che sarebbe andato a prendere le sigarette nell'auto, quindi non si stupì nell'udire tutti quei piccoli rumori che ormai conosceva a memoria e che le permettevano di dipingere nella propria mente una scena che si rifiutava di osservare direttamente. Si strinse nelle braccia e si concentrò sul proprio respiro, tentando di regolarizzarlo per poterne ricavare un certo conforto.
Aspettò che la sigaretta di Harry si consumasse tra le sue labbra increspate, senza sentire il peso dei secondi che passavano, cullati in modo irreale dalla radio ancora accesa, perché doveva affrontarne uno ben peggiore.
 
Qualche minuto dopo Emma era ancora nella stessa posizione, anche se le sue mani avevano iniziato a tremare lievemente: non riusciva a smettere di pensare e non sapeva a quale emozione dare la priorità, su quale concentrarsi per prima in modo da processarla e metabolizzarla. Nella confusione dei suoi sentimenti, c'era qualcosa, però, che purtroppo non poteva mettere in dubbio: era convinta che Harry non sarebbe mai arrivato ad amarla.
«Perché non parli?» Le domandò lui, all'improvviso e senza muoversi nella sua direzione: si era seduto sul cofano dell'auto con le braccia incrociate al petto ed i capelli in disordine, ancora a petto nudo.
Emma alzò lo sguardo solo in quel momento, sforzandosi di non abbassarlo più. «Cosa vuoi sentirti dire?» Ribatté: forse era meglio così, forse era meglio farsi guidare nel discorso, anziché fallire in ogni tentativo di iniziarne uno.
«Voglio che tu mi smentisca» rispose Harry, mentre lei non si lasciava sfuggire l'imperativo utilizzato, seppur smorzato da un tono accomodante. «Voglio che mi dica a cosa stai pensando e voglio che sia sbagliato rispetto a quello che credo».
Sapeva perfettamente a cosa si riferisse, non poteva fingere il contrario, eppure non ebbe l'occasione di accontentarlo, nonostante stesse già raccogliendo le forze ed il coraggio per riuscirci. Harry, infatti, si allontanò dall'auto e fece qualche passo verso di lei, così lentamente da risultare snervante. «Dimmi che non è vero, che credi ci sia una possibilità» esclamò.
Si fece più vicino.
Emma indietreggiò impercettibilmente.
«Dimmi che per una volta puoi accontentarti anche tu» continuò, obbligandola con un solo e prolungato sguardo a non distogliere il proprio. «Che puoi aspettarmi».
Ancora più vicino.
Emma trattenne il fiato.
«E dimmi che mi ami abbastanza da volerlo fare».
Quello fu un colpo basso. Harry si era appellato ai suoi sentimenti per far leva sulla sua determinazione, sulla caparbietà che lei aveva sempre dimostrato nel volerli vivere fino in fondo: stava cercando di incastrarla nei suoi stessi vincoli. Ma non avrebbe funzionato.
«Non posso dirtelo» sussurrò lei, con la voce che le veniva meno. Osservò i lineamenti di Harry plasmarsi istantaneamente per manifestare la ferita che gli era appena stata inflitta e che derivava da un'altra.
«Cazzate» rispose lui, indurendo lo sguardo ed irrigidendosi nella sua tensione. «Le tue sono solo cazzate!» Ripeté, quasi urlando e voltandole le spalle, mentre si passava una mano tra i capelli in un gesto di puro nervosismo. Emma ne approfittò per respirare a pieni polmoni, sfruttando la sua momentanea lontananza, ma non ribatté, perché lo conosceva e sapeva che aveva appena iniziato.
«Ti sei sempre vantata di saper lottare per ciò che vuoi» riprese infatti Harry, tornando a guardarla ed abbassando la voce. «Allora perché non sei più disposta a farlo, ora che ce ne sarebbe bisogno?»
«Perché è difficile» fu la risposta appena mormorata. Emma non sapeva più come ripristinare la sua originale forza, non sapeva più come ergersi contro le accuse e come impostare una motivazione a sostegno delle proprie convinzioni. Semplicemente, era sull'orlo di un baratro: in equilibrio precario, si sentiva in procinto di esplodere, quasi come se il suo organismo stesse risparmiando tutte le energie solo per proteggersi e prepararsi.
«Difficile? E secondo te per me non lo è?» Ribatté Harry, gesticolando. «Te ne stai qui, pensando di poter decidere dei miei sentimenti, quando solo io posso farlo, e non parli, Cristo! Non parli e sto cercando di capire che cazzo vuoi fare!»
«Non lo so!» Ammise lei, alzando la voce per la prima volta. «E sai quanto mi piacerebbe poter effettivamente decidere dei tuoi sentimenti, invece di sapere di non poter far nulla per cambiarli?» Liberare quelle parole, dando piena aria ai polmoni, le procurava un certo sollievo, che però veniva inevitabilmente sostituito da una fitta insopportabile di dolorosa consapevolezza.
«Perché?! Perché credi di non poter fare niente, quando hai già fatto così tanto?!» La corresse lui, sempre più alterato.
«Perché fa male!» Sbottò Emma, sentendo cedere i freni nei quali si era ritrovata costretta ed intrappolata. «Fa male non essere stata abbastanza!» Aggiunse, inspirando a fondo mentre cercava di decifrare l'espressione di Harry, che probabilmente non si aspettava una reazione così improvvisa, nonostante la stesse cercando. Dopo qualche istante tentò di riprendere. «Secondo te dovrei accontentarmi e aspettarti, visto che ti amo, ma è proprio per questo che non posso farlo: io non respiro, quando sono con te, non capisci? Non respiro, mentre tu... Per te non è lo stesso e questa cosa non riesco... Non posso neanche guardarti senza chiedermi perché tu non provi lo stesso, senza sentirmi esausta: non ho più nulla da darti. Tu mi hai finita, Harry. Non mi hai lasciato niente ed io non so più come andare avanti».
Quando anche l'ultima lettera ebbe lasciato le sue labbra, Emma si sentì completamente vuota: Harry si era già preso tutto, ma ormai anche i pensieri più profondi ed irruenti l'avevano abbandonata, privandola di qualsiasi contenuto e aprendo una profonda voragine di nulla. Restò immobile nella sua sensazione di sottile annientamento e sopportò gli occhi di Harry, accesi da un'emozione particolare e nuova: apparivano incapaci di relazionarsi con la verità con la quale si erano appena scontrati, di ribattere e resistere.
Emma sentiva le lacrime affiorare, ma non voleva cedere: si stava trattenendo con tutte le proprie forze, perché voleva aggrapparsi all'unica sensazione che riusciva a provare, pur di non precipitare nel suo baratro personale. Preferiva soffrire, che abbandonarsi.
Abbassò le palpebre per un istante e chinò il capo come se non potesse più lottare contro l'improvvisa stanchezza: aveva bisogno di fuggire e pensare fino a non esserne più capace, ma non avrebbe potuto farlo davanti ad Harry. «Puoi portarmi a casa?» Domandò a bassa voce, tornando a guardarlo solo per carpire il suo stato d'animo: non riusciva a decifrarlo.
Lui fece un passo indietro, come se si fosse appena riscosso, e aspettò qualche secondo prima di annuire lentamente: non era convinto, glielo si leggeva in ogni curva del suo viso teso, e di certo non era tranquillo, perché i suoi movimenti risultarono rigidi e nervosi quando si diresse in silenzio verso l'auto. Emma lo seguì con i piedi pesanti di chi è costretto a spostarsi pur non avendone le forze: si ricordò della coperta ancora stesa sul prato e del suo libro abbandonato su di essa e ne approfittò per rimandare il momento in cui avrebbe dovuto condividere pochi metri quadri di incredibile tensione con Harry.
Si piegò sulle ginocchia per raccogliere i due oggetti lentamente, limitandosi ai contatti prettamente necessari: la lana sulla quale solo poco prima avevano vissuto l'ennesima intimità ormai consolidata le bruciava le pelle e gli occhi, il cuore. Una volta piegata a dovere, si rialzò tenendola tra le mani insieme al libro e si voltò: Harry era già seduto in macchina e aveva spento la radio, condannando entrambi ad un silenzio che avrebbe rappresentato una battaglia. Non sapeva perché avesse reagito in quel modo alle sue parole, senza pronunciarsi e senza manifestare i propri sentimenti: si sarebbe aspettata uno sfogo rabbioso, una protesta o anche un velato insulto impulsivo, invece doveva confrontarsi con uno sguardo spento e con le sue labbra serrate.
Persino il suo modo di guidare sembrava essersi trasformato, almeno momentaneamente: mentre lei cercava di appiattirsi contro il sedile solo per avere un sostegno che le impedisse di cedere - con il motore dell'auto che non era mai stato così spaventoso - Harry non accelerava più del dovuto, né si esibiva nelle sue solite frenate all'ultimo momento, che provocavano quasi sempre reazioni scortesi da parte degli altri automobilisti. Manteneva una velocità che rimaneva ben al di sotto dei limiti previsti, non inveiva contro alcuna manovra errata o azzardata di qualcun altro, rispettava abbondantemente le distanze di sicurezza: in qualche modo sembrava voler preservare una distanza da qualsiasi aspetto della realtà, quasi non potesse sopportarlo, quasi necessitasse della solitudine che in quell'istante non gli era concessa. L'unico segno di nervosismo che Emma aveva potuto notare era l'energia con la quale le sue mani stringevano il volante: salde su di esso, si occupavano di scaricare tutto ciò che il loro proprietario sembrava non provare.
Forse le parole di Emma l'avevano colpito più di quanto avessero sconvolto lei.
I minuti che la accompagnarono a casa trascorsero così lentamente da farle chiedere se il tempo si fosse davvero fermato o se, semplicemente, fosse solo la propria percezione ad essere stata contaminata dal turbamento che la stava agitando: Harry frenò piano, proprio davanti al cancello di casa Clarke, e restò con le mani sul volante e lo sguardo su di esse. L'auto era ancora in moto.
Emma teneva la borsa in stoffa morbida sulle gambe, fissandola assente. Schiuse le labbra per lasciar uscire un respiro un po' più profondo e forse anche per dire qualcosa, ma le serrò subito dopo, con l'intenzione opposta. Doveva scappare da lì.
Aprì lo sportello velocemente, cercando disperatamente dell'aria che fosse priva delle tracce del profumo di Harry, e si preparò a scendere dall'auto. Appena ebbe appoggiato un piede sull'asfalto, però, lui le afferrò un polso energicamente, strattonandola in modo da impedirle di allontanarsi e da spingerla contro di sé. L'attimo dopo aveva la bocca aperta contro la sua, mentre un gemito le scappava inavvertitamente, per la sorpresa e per il dolore che quel contatto riusciva a provocarle, nonostante fosse anche ciò di cui più aveva bisogno.
Harry le si premeva contro, percorrendo il suo corpo con le mani e soffermandosi sul suo collo nudo, ancora macchiato da baci e morsi passati: nonostante Emma avesse opposto una mite resistenza, priva di convinzione perché non alimentata dalla sua solita forza, lui non le aveva concesso tregua. Respirando a fatica sulle sue labbra, non le lasciava alcuna libertà: era il suo orgoglio a parlare senza sillabe pronunciate, a pregarla nell'unico modo che non prevedeva una richiesta, ma che implicava una ferrea pretesa. Tenendola così stretta, voleva obbligarla ad ascoltare ciò che non riusciva a dire.
Emma, però, non si sentiva in grado di sopportare oltre l'amore che pulsava dentro di lei e che non era ricambiato. Ne era consumata.
«Harry…» sussurrò soltanto, spostando una mano sul suo petto per poterlo allontanare debolmente.
Lui appoggiò la fronte alla sua e restò con gli occhi chiusi, il respiro pesante. «Non...» esclamò piano, senza continuare e scuotendo lievemente il capo. Subito dopo abbandonò le sue intenzioni ed anche il corpo che stava trattenendo con sé, sistemandosi meglio sul sedile ed evitando di guardarla.
Emma lo osservò solo per un paio di secondi, tempo necessario a farle memorizzare il taglio degli occhi ed ogni più piccolo dettaglio che stava a manifestare il suo insito turbamento, poi si voltò e scese in fretta dall'auto.
Non...?
 
Un nuovo messaggio: ore 20.12
Da: Tianna
"Ti ho chiamata tipo 47 volte: dove sei finita? Devo chiederti una cosa di chimica!"
 
Un nuovo messaggio: ore 20.43
Da: Tianna
"Emmmmmmmmmmmmmmma? Devo darti per dispersa?"
 
Un nuovo messaggio: ore 21.15
Da: Dalla$
"Puoi per favore rispondere a quella esaurita della tua amica? Mi sta facendo impazzire. E poi crede davvero che io possa aiutarla in chimica? hahahah"
 
Un nuovo messaggio: ore 22.32
Da: Tianna
"Sto seriamente iniziando a preoccuparmi: dove sei?"
 
Un nuovo messaggio: ore 22.54
Da: Pete
"Kent, rispondi"
 
Un nuovo messaggio: ore 23.11
Da: Dalla$
"Hai spento il telefono, quindi i casi sono due: o non vuoi parlare, visto che ignori tutte le nostre chiamate e i messaggi, oppure sei solo stronza. Ma mi convince più la prima possibilità: cosa succede? Chiamami appena puoi!"
 
Un nuovo messaggio: ore 23.27
Da: Tianna
"Non volevo parlare con la tua segreteria, ma immagino che dovrò accontentarmi! Spero non sia successo niente (sappi che ti ucciderò, se non mi darai una buona scusa per avermi fatto preoccupare per tutto questo tempo)"
 
Un nuovo messaggio: ore 01.46
Da: Harry
"Resta"





 


EHM, CIAO!
Non so cosa scrivere perché credo che in questo momento mi odiate ahahhahaha Sono certa che non ve l'aspettavate e giuro di essermi sentita sempre un po' in colpa quando si parlava dei loro sentimenti ed io non potevo anticipare niente! In ogni caso, visto che sono di fretta (risponderò alle recensioni stasera, se riesco!), dovrò essere quanto più sintetica possibile!
Spero davvero che le dinamiche siano chiare: questo capitolo è stato molto difficile da scrivere, anche ora non mi convince, ma credo sia dovuto al fatto che ho dovuto spezzare i cuoricini dei miei personaggi e, forse, anche dei miei lettori! È passato un mese e mezzo dall'ultimo capitolo (quindi, in totale, siamo a quota cinque mesi), Harry ammette di non amare Emma e lei crolla: non so se sono riuscita a rappresentarla al meglio. L'idea era proprio quella di farle perdere qualsiasi tenacia, proprio a causa della sua consapevolezza. Se ho ciccato alla grande, fatemelo sapere ahahha Spero sia chiaro il perché lei sia convinta che Harry non possa amarla: il fatto che gli abbia donato tutto di sé, la porta a sentirsi sfinita, soprattutto perché non ha più nulla da dedicargli e che possa farlo innamorare.
La maggior parte di voi era convinta che Harry provasse amore nei suoi confronti: su questo ci sarebbe un enorme discorso da aprire ahahha In realtà, credo di non avervi mai dato alcuna prova su questa teoria: vi siete immedesimate così tanto in Emma, vivendo tutto esattamente come lei, da non accorgervi che in realtà, almeno da parte di Harry, potesse non trattarsi di un sentimento così forte. Con questo non voglio dire che lui non tenga a lei, per carità!!
Comunque non posso dire nient'altro, perché ci saranno altri confronti tra di loro, quindi voglio aspettare che siano loro stessi a tirar fuori altri particolari e altre tematiche: per ora, vorrei che foste voi ad interpretare il tutto :)

Non me ne vogliate male, per questo capitolo! Spero che, nonostante il contenuto, vi sia piaciuto e che io sia riuscita a trasmettervi ciò che volevo! Aspetto i vostri pareri, che soprattutto a questo punto sono fondamentali! Quali sono state le vostre impressioni? Cosa vi aspettate? Credete ci sia una speranza per la loro storia? Io non voglio condizionarvi, quindi non vi dirò se la storia avrà un lieto fine oppure no! (non provate nemmeno a chiedermelo, perché non otterrete informazioni ahahah)

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

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Capitolo 27
*** Capitolo ventisette - Am I wrong? ***




 

Capitolo ventisette - Am I wrong?
 

 

La lezione di matematica non era mai stata così poco interessante: Emma non era di certo nello stato d'animo adatto per trovare qualcosa particolarmente entusiasmante, ma la professoressa non voleva collaborare, dato che aveva deciso di punirli con due ore di esercitazioni, visti gli scarsi risultati dell'ultimo compito in classe. Dopo nemmeno un'ora, Emma aveva già risolto tutte quelle che le erano state assegnate - riconfermando la sua innata bravura nel gestire numeri e simboli - e poteva passare il resto del tempo ad annoiarsi, o ad osservare Pete, ancora bloccato al quarto esercizio.
«Questa roba non mi servirà a niente nella vita» borbottò lui, gettando la matita sul quaderno e sbuffando sonoramente.
«Sicuro di non volere una mano?» Gli domandò lei, con il viso appoggiato sulle braccia incrociate sul banco. Nell'aula regnava il completo silenzio, mantenuto fermamente dagli sguardi ostili della professoressa, quindi dovevano entrambi parlare in sussurri appena accennati.
«Sì» rispose Pete, determinato ed infastidito. Nonostante l'avesse sempre cercata per un consiglio o per copiare i compiti a casa, si era messo in testa di dovercela fare da solo, sebbene non stesse ottenendo risultati soddisfacenti. «Tanto ci rinuncio» aggiunse subito dopo.
Appunto.
Emma annuì piano, stringendosi nelle spalle e limitandosi ad osservarlo senza commentare, anche quando lo sentì sospirare profondamente. Al terzo sospiro consecutivo, però, si sentì in dovere di intervenire.
«Che c'è?» Gli chiese, accogliendo la sua volontà inespressa di intavolare chissà quale discorso: difficilmente Pete si apriva di sua spontanea volontà, preferiva manifestare un certo disagio in modo da rendere gli altri consapevoli, per poi aspettare un loro invito a parlare.
Lui imbronciò la sua espressione, poi la rilassò mentre si voltava per guardare la sua amica negli occhi. «Voglio fare sesso» spiegò velocemente, ancora a bassa voce.
Emma sorrise appena. «Ok?» Rispose soltanto, stupita da quell'affermazione.
Pete si morse un labbro e sospirò per l'ennesima volta. «Voglio fare sesso con Tianna» precisò, piegandosi verso di lei come a volerle confidare un segreto troppo delicato.
«Sì, be', lo immaginavo, visto che è la tua ragazza» commentò tranquillamente, senza capire il suo bisogno di specificare quel particolare. «Qual è il problema?»
«Il problema» riprese lui lentamente, irrigidendosi in ogni centimetro del suo corpo, «è che... Io non... Insomma, capito?»
Lei sbatté più volte le palpebre, divertita dall'atteggiamento del suo amico. «Sei vergine, no?»
Pete spalancò gli occhi e si guardò furtivamente intorno, come a volersi accertare che nessuno avesse sentito quelle parole compromettenti. «Abbassa la voce» la rimproverò a denti stretti. «E comunque lo è anche lei».
Emma non aveva ancora ben chiaro dove volesse arrivare. «Non ti seguo».
Lui serrò la mascella e la guardò come se non potesse capacitarsi della sua scarsa perspicacia. «La sua prima volta dovrebbe essere... Sai, perfetta. O qualsiasi altra stronzata voi ragazze sognate» cercò di spiegarsi, rendendo tutto più comprensibile. Pete, rivestito dalla sua corazza di stizza ed apparente indolenza, si stava preoccupando di rovinare con la propria inesperienza qualcosa che per Tianna avrebbe dovuto essere un ricordo memorabile e degno.
«Secondo me non dovresti farti tutti questi problemi» sussurrò Emma, cercando di incoraggiarlo. «Lei non se ne fa».
Lui distolse lo sguardo e, con entrambi i gomiti puntati sul banco, si passò le mani tra i capelli ancora più corti dopo l'ultimo taglio: aspettò qualche secondo prima di rispondere. «Sono un coglione, vero?»
«Sì» affermò lei, sorridendo. «Ma un coglione molto dolce».
Pete la guardò in cagnesco, pur riservandole una punta di divertimento ed affetto nelle proprie iridi cerulee. «Ho ufficialmente toccato il fondo» borbottò, scuotendo la testa.
Emma soffocò una piccola e genuina risata. «Credimi, non h-» Si interruppe da sola, bloccata nel parlare di qualcosa che stava cercando di allontanare a tutti i costi dalla propria mente: avrebbe voluto dirgli che il fondo era ancora lontano, per lui, e che lei vi si era trovata spesso, ma avrebbe significato dover accogliere Harry tra i suoi pensieri, cosa che le era impossibile.
Pete si accorse di quel particolare e le andò incontro, ignorando la sua difficoltà per rincuorarla. «Dici che dovrei... preparare qualcosa?» Domandò, corrucciando l'espressione come se avesse provato disgusto per i suoi stessi dubbi.
«Tipo petali di rosa sul letto e candele in giro per la stanza?» Chiese Emma, sorridendo appena. Basterebbe anche una lampada da scrivania accesa, delle lenzuola azzurre ed un vestito da sera indossato solo per farselo togliere, si trovò a pensare con una fitta al centro del petto. Si schiarì la gola per digerire quel ricordo che sembrava appartenere ad un'altra era, quando risaliva solo ad un mese e mezzo prima.
«Qualcosa del genere» confermò lui, accigliato. «Ma non è da me, capisci? E tutta questa storia è una gran rottura, perché non mi aiuta per niente».
«Pete, se non vuoi, puoi anche pensare a qualcos'altro» cercò di consigliarlo, sperando che la smettesse di ingigantire problemi che esistevano solo nella sua mente.
«A me andrebbe bene qualsiasi cosa, cosa credi? M-»
«Ma vuoi farlo per Tianna» sospirò Emma, anticipandolo. La preoccupazione del suo amico era in grado di scaldarla.
«Butler, Clarke, fate silenzio!» Li rimproverò la professoressa, fulminandoli con lo sguardo attraverso gli occhiali sottili.
Pete alzò gli occhi al cielo, fingendo di tornare ai suoi esercizi, ma abbandonando la matita sul libro appena persa l'attenzione della docente. Emma, invece, non si preoccupò nemmeno di sembrare dispiaciuta, limitandosi a raccogliere il proprio telefono dal banco per sbirciare l'ora.
 
Messaggio inviato: ore 12.03
A: Tianna
"Oggi fermati a comprare un completino intimo. Anzi, magari più di uno"
 
«E a te ha detto qualcosa?» Sussurrò di nuovo Pete, tenendo lo sguardo basso sulle proprie mani.
Lei lo guardò per qualche istante, studiando la sua espressione. «Mi stai chiedendo se anche lei voglia fare sesso con te o se mi abbia detto qualcosa riguardo come vorrebbe farlo?» Domandò divertita. Il suo imbarazzo la faceva sorridere, perché era raro scorgerlo.
Pete alzò le spalle, mascherando l'interesse che provava con della indifferenza poco credibile.
 
Un nuovo messaggio: ore 12.05
Da: Tianna
"So che quello che è successo con Harry ti ha ferita e che stai male, però... Vedi, per me sei solo un'amica..."
 
Ad Emma venne da ridere così forte da sentirsi costretta a tapparsi la bocca con una mano e a trattenere il fiato. Cercò di resistere, sia per non suscitare la curiosità del suo amico, sia per non provocare l'ira della professoressa. Fece segno a Pete di aspettare un solo minuto e digitò la risposta.
 
Messaggio inviato: ore 12.06
A: Tianna
"Stupida ahahhahaha Ti servirà per Pete!!"
 
«Non mi ha detto niente, mi dispiace: dovrai cavartela da solo» mormorò subito dopo, mentendo spudoratamente. In realtà Tianna rischiava spesso di diventare monotematica, chiedendosi perché mai Pete non avesse ancora provato a cercare l'approccio più intimo che potesse esistere: ed Emma non poteva rivelarlo, ma era anche stata mandata in una sorta di missione segreta per scavare a fondo nella mentalità del ragazzo. La sua amica, infatti, incapace di chiederlo al diretto interessato, voleva a tutti i costi vederci chiaro.
 
Un nuovo messaggio: ore 12.07
Da: Tianna
"CHE STAI DICENDO COSA HA DETTO E QUANDO?? EMMA TI PREGO!"
 
«Sai una cosa?» Borbottò Pete, sospirando. «'Fanculo, hai ragione tu: non devo farmi tutti questi problemi» continuò senza guardarla. Il suo viso tradiva i suoi reali pensieri: era evidente che non ne fosse convinto e che stesse ancora cercando di capire come muoversi, ma il suo ego di testosterone gli impediva di scoprirsi oltre. Emma sorrise e non commentò: le piaceva come Pete riuscisse a farla distrarre da se stessa. Nonostante l'apatia che la stava minacciando, si ostinava a trattarla come sempre, quasi senza alcuna delicatezza e cercando di trattenerla dal lasciarsi andare: con la sua durezza mascherata le impediva di abbattersi e la obbligava a reagire, sia contro di lui, sia contro quello che sentiva. Tianna e Dallas avevano un altro modo di rapportarsi a lei, molto più protettivo e comprensivo, che però finiva per essere inefficace.
Dopo qualche minuto, forte delle sue consapevolezze, decise di ricercare la schiettezza che solo Pete sarebbe stato in grado di donarle, priva di filtri e di parole di circostanza. Si schiarì la voce, attirando la sua attenzione, e si ritrovò nei suoi occhi attenti. «Sto sbagliando?» Chiese semplicemente, sicura del fatto che avrebbe capito a cosa si stesse riferendo. Aveva sentito la propria voce tremare appena, a testimoniare ciò che dentro la stava incrinando sempre di più.
Voleva sapere se stesse sbagliando a sentirsi in quel modo, nonostante non potesse fare altrimenti. Se avesse sbagliato a non rispondere all'ultimo messaggio di Harry - risalente ormai a due giorni prima - nel quale le veniva chiesto di restare, sebbene sentisse di essersene già andata. Voleva sapere se stesse sbagliando ad ostinarsi a stargli lontano, troppo spaventata dal nulla in cui si era tramutata durante la loro discussione per volerlo rischiare di nuovo.
«Sì» fu la risposta decisa e priva di alcuna esitazione, quella che le fece mancare il fiato e che la riportò alla realtà tangibile e crudele. Pete la guardava seriamente, senza alcuna traccia di rimprovero sul proprio volto familiare e rassicurante. Emma lo osservò senza parlare, con le labbra serrate e le iridi aperte a farsi decifrare.
 
Tianna si stava lamentando del fatto che nei bagni mancasse sempre la carta igienica, quando Dallas si unì a lei e ad Emma insieme a suo fratello. Avevano tutti gli zaini in spalla, anche se mezzi vuoti perché alcuni libri erano stati lasciati negli armadietti, e fremevano per tornare a casa.
Dallas circondò le spalle di Emma con il suo braccio sinistro, baciandole una tempia. «Come stai?» Mormorò piano, quasi cercando uno spazio di intimità tra gli schiamazzi indignati di Tianna ed i brontolii del suo ragazzo.
Lei trattenne un sospiro. «Tu?» Rispose soltanto, sottintendendo un significato ben chiaro.
Lui la guardò pensieroso e forse indeciso sul da farsi: sapeva di non dover forzare troppo la resistenza della sua amica, di non doverle stare con il fiato sul collo, altrimenti avrebbe potuto provocare una sua fuga, ma non riusciva ad accettare i suoi occhi spenti ed i sorrisi smorzati, difficili.
Qualche passo più tardi, Emma si immobilizzò poco prima delle porte vetrate della scuola: teneva lo sguardo dritto di fronte a sé, i pugni chiusi.
«C'è Harry» esclamò appena, facendo fermare anche i suoi amici. Riusciva a scorgerlo attraverso il vetro pulito, appoggiato alla sua auto con gli occhiali scuri a proteggerlo dalla luce tiepida del sole del pomeriggio: la maglietta bianca risaltava sulla sua pelle.
Dallas si allontanò da lei, forse a volerle concedere un po' più di spazio per respirare. Tianna, al fianco di Pete, la osservava con il volto preoccupato: «Dovevate vedervi?» Le domandò, leggermente confusa.
Emma scosse la testa, senza smettere di perdersi nei dettagli che da quella distanza poteva solo immaginare. Avrebbe dovuto aspettarsi che sarebbe venuto a cercarla.
«Vuoi vederlo? Altrimenti pos-»
«No» la interruppe con decisione. «Devo farlo» aggiunse, abbassando la voce e muovendo i primi passi senza dire un'altra parola. Loro non la seguirono, forse limitandosi ad osservarla mentre si allontanava ed esprimendo le loro perplessità a bassa voce.
Harry la vide subito, non appena lei oltrepassò le porte della scuola: si staccò dallo sportello dell'auto e si tolse gli occhiali, lasciando i propri occhi liberi di posarsi su di lei senza alcun ostacolo. Emma avrebbe preferito il contrario, invece, perché man mano che si avvicinava a loro poteva scorgere sempre meglio il nervosismo che li avvolgeva, l'ira che li rendeva brillanti. Era furioso.
Quando gli arrivò a nemmeno un metro, Harry serrò la mascella ed entrò in macchina sbattendo lo sportello: nei suoi gesti si nascondeva un ordine che lei non poteva ignorare, una pretesa che le era impossibile contraddire. In fondo capiva il perché del suo comportamento, dato il proprio, ma non voleva che la colpevolizzasse per qualcosa di cui non era responsabile e che non riusciva a combattere: entrambi avevano i propri meriti.
Con il petto che le faceva male, reattivo per la vicinanza di quello contro il quale più volte si era assopito, prese posto nel sedile del passeggero e lasciò che Harry ingranasse la marcia velocemente, sgommando per portarla via dalla scuola, per portarla fino a lui. Emma sentiva l'odore delle troppe sigarette fumate nell'abitacolo, sentiva le mani fremere per il bisogno di posarsi sulla pelle che stava loro così vicina, la paura della velocità che era tornata a scorrere nelle vene che aveva baciato ripetutamente, tra le lenzuola e nei propri pensieri. Sentiva tutto ciò che le era stato rubato e che non riusciva più a ricostruire.
Non si aspettava che qualcuno osasse parlare, quindi non si stupì del teso silenzio che li accompagnò per tutto il tragitto, né tentò di scoprire dove stessero andando. Lo capì da sola quando accostarono davanti al Buco, il posto in cui era stata con lui ed i suoi amici, compresa Denice. Senza la neve che lo ricopriva quella volta, appariva molto più verde e spazioso: semplice nei suoi spazi poco curati, ma vissuti, più accogliente che in precedenza.
Emma scese dall'auto con ancora lo zaino stretto tra le mani, forse incapace di lasciarlo andare per l'effetto terapeutico che stava rappresentando: durante la guida l'aveva torturato per scaricare il disagio e non si sentiva ancora pronta ad abbandonarlo. Perciò lo portò con sé, seguendo Harry verso una panchina a qualche metro di distanza. Lei si sedette compostamente ed in silenzio, in attesa, mentre lui rimase in piedi, a camminare nervosamente avanti e indietro.
«Pensi davvero di poter fingere che io non esista?» Sbottò Harry senza aspettare oltre, con la voce alta ed il respiro accelerato: i suoi impliciti tentativi di controllarsi non stavano avendo successo, nelle sue iridi ne risiedeva la prova. «Che diavolo hai in testa, hm? Sono passati due giorni!»
«Non urlare» lo rimproverò lei, sforzandosi di non essere debole come l'ultima volta ed aggrappandosi al dolore e alla rabbia che provava. «Credi che mi sia divertita in questo tempo?»
«Non mi interessa cos'hai fatto, so solo che mi hai completamente ignorato!» Ribatté lui, gesticolando. «Se io non fossi venuto da te, per quanto ancora ti saresti comportata così, come una stupida?!»
Emma si alzò in piedi a quelle parole, come per difendersi anche fisicamente. «Come una stupida?! Sei tu lo stupido, se pensi che dopo quello che è successo io possa stare bene o cercarti senza alcun problema!» Era stato più forte di lei: non era riuscita a digitare una risposta sul suo cellulare, non era riuscita ad avviare una chiamata né ad avvicinarsi fisicamente, bloccata nei suoi pensieri che l'avevano intrappolata in una ragnatela di impotenza.
«Ah, certo, perché l'unica che si sente come una schifo qui sei tu, non è vero?!»
«Non sto dicendo questo-»
«Ma lo pensi! Pensi solo a te stessa! Altrimenti ti saresti preoccupata di rispondere almeno ad un cazzo di messaggio!» La interruppe urlando, rinfacciandole ancora una volta la sua mancanza. Le vene del suo collo erano in risalto, a gridare per lui tutta la loro tensione, la loro delusione. «Invece niente, nemmeno una parola».
Emma strinse i pugni e sostenne il suo sguardo. Era così stanca da doversi arrangiare con le ultime briciole di tenacia che la alimentavano, flebili e scarse. «Parli come se la colpa di tutto questo fosse mia, come se io fossi una stronza insensibile! Perché non ti assumi le tue responsabilità?»
Il viso di Harry si contrasse in un'espressione di incredulità, macchiata da una punta di disprezzo. «Vorresti fare sentire me in colpa? Per quello che provo?» Le domandò assottigliando gli occhi, con la voce tesa di chi non crede a ciò che sta dicendo.
«Ma cos'è che provi?!» Gridò Emma, portata all'esasperazione dalla confusione che la sovrastava, dalle contraddizioni di chi le stava di fronte.
«Cristo, qualsiasi cosa sia, tu non hai nessun diritto di sputarci sopra!» Ribatté lui, ormai alterato dalle emozioni impetuose che lo agitavano. «Nemmeno tu sei sempre stata innamorata di me, quindi non fare l'ipocrita! Non ho intenzione di stare qui a sentirti dubitare di tutto quello che sento!»
A quelle parole Emma trattenne il respiro per pochi istanti: aveva esagerato e si era lasciata trasportare dalla sua impulsività irragionevole. Ciò che la legava ad Harry era reale, nonostante non fosse ciò che desiderava con tutta se stessa, quindi non poteva rinnegarlo: con il suo silenzio tentò di riparare al danno procurato, mentre lo osservava fremere per il nervosismo.
«Perché hai voluto dirmelo?» Mormorò poco dopo, con la gola che bruciava per la volontà di urlare tutto ciò che stava trattenendo al proprio interno. «Se sapevi di non amarmi... Perché?»
Era questo che la invadeva di rabbia, fino ad appannarle il giudizio: non riusciva a capire perché Harry avesse tirato fuori il discorso, quel pomeriggio, sicuramente conscio di quale sarebbe stata la sua reazione. Sospettava che potesse esser stato un gesto premeditato, che avesse voluto portarla proprio lì, apparentemente senza una reale intenzione: e ciò che le faceva anche più male era l'essersi resa vulnerabile solo l'attimo prima, ammettendo i propri sentimenti al suo stesso aguzzino.
Lui serrò le labbra senza interrompere il contatto visivo con il quale stavano cercando di scoprirsi a vicenda, ma non rispose se non con un respiro più profondo.
«Sapevi come mi sarei sentita» riprese allora Emma, con il rancore a tamponare la malinconia. «Eppure non te ne è importato. E non hai avuto nemmeno il coraggio di essere diretto, hai preferito che ci arrivassi da sola. Tu volevi che io lo sapessi, ma non capisco perché». Si rifiutava di credere che avesse voluto ferirla, perché non lo riteneva in grado di riservarle una tale cattiveria, soprattutto senza un motivo valido.
Harry sospirò distogliendo lo sguardo e posandolo su qualcosa di indefinito alla sua sinistra, passandosi una mano dietro al collo e facendole desiderare che fosse invece su di lei: sebbene ogni suo muscolo si torturasse nella propria tensione, tutto il suo corpo continuava ad attrarla inesorabilmente, in un legame voluttuoso ma non bilanciato, e quindi doloroso.
«Rispondi» ordinò, forte della scintilla di tenacia che la accese dopo fin troppo tempo. La sentiva ardere debolmente, ma la sua presenza la rincuorava: non voleva più essere un involucro privo di resilienza, come lo era stata due giorni prima.
Lui tornò a guardarla, conservando la durezza nelle sue iridi torbide, ma sporcandola anche di qualcos'altro che Emma non voleva immaginare. «Non è stata una cosa programmata, se è questo quello che pensi» esclamò brusco, come se si stesse già difendendo da un'accusa non ancora esplicitata.
«Qual è l'alternativa?» Lo provocò.
Harry strinse i pugni ed aspettò ancora qualche istante prima di parlare, facendole temere di non poter ottenere una risposta. «Volevo sentirtelo dire» disse a bassa voce, mentre il suo timbro roco le accarezzava la pelle.
Emma corrugò la fronte e fece un piccolo passo indietro. «Sei davvero stato così egoista?» Chiese stridula, in una riflessione che era rivolta più a se stessa. Per un suo desiderio, l'aveva costretta a confrontarsi con qualcosa che l'avrebbe inevitabilmente ferita.
«Non ci ho nemmeno pensato, ok?» Sbottò lui, tirando fuori ciò che probabilmente stava cercando di non lasciarsi sfuggire. L'insinuazione che gli era appena stata rivolta l'aveva sbloccato dal suo statuario orgoglio, obbligandolo a cedere solo per poterla smentire. «Eri lì e anche se stavi studiando riuscivi a farmi sentire tutto, troppo, quindi l'ho detto ad alta voce. Volevo che tu mi guardassi e lo ammettessi, perché sapevo che ne sarebbe valsa la pena: non ho pensato a nient'altro».
Emma restò in silenzio, immobile.
«Cazzo, detto così sembra che io l'abbia fatto solo per prendermi una soddisfazione» continuò lui, scuotendo la testa. Si tastò le tasche dei pantaloni, forse cercando il pacchetto di sigarette, ma non lo trovò, quindi si morse il labbro inferiore e fece una pausa, appoggiando le mani sui propri fianchi. «Ho agito d'impulso» riprese, facendosi più serio. «Ero felice».
Lei avrebbe voluto avere la panchina proprio dietro di sé, per potersi abbandonare su di essa senza la necessità di spostarsi, cosa per la quale non aveva energia: tutta la sua concentrazione, infatti, era dedicata alle parole che l'avevano appena colpita e consolata. Harry si era sentito esattamente come lei: seguendo le proprie sensazioni e supposizioni, si era azzardato a riscontrarle nella realtà, in una conferma inaspettata e bisognosa. Emma, poco dopo, aveva percepito la stessa necessità, perché quando l'aveva guardato e si era silenziosamente dichiarata, non aveva lasciato spazio a nient'altro se non alla volontà di accertarsi dei suoi sentimenti, come a poterli rendere più reali. La differenza stava nell'esito: lui era riuscito ad ottenere il suo assaggio di felicità, lei si era scontrata duramente contro una smentita della propria.
Non poteva nascondere a se stessa il senso di sollievo che ricavò da quella rivelazione: Harry non aveva cercato di ferirla, né si era divertito a torturarla con la verità. Aveva semplicemente seguito l'attrazione per l'amore che lei gli riservava, cercandolo per appropriarsene, per percepirlo fino in fondo.
Harry sembrò voler approfittare della morsa di pensieri che la stava attanagliando, perché si avvicinò lentamente, catturando le sue iridi per impedir loro di abbandonarlo. Allungò una mano verso il suo viso ed Emma fu tentata di ritrarsi, ma appena sentì i suoi polpastrelli sulla propria pelle, cedette ad un istinto ben più radicato ed impetuoso: il sentimento che la pervadeva le impediva di imporsi dei limiti ben definiti.
Si lasciò sfiorare con sempre più sicurezza, respirando il suo respiro come se fosse stato l'unica fonte di ossigeno, ed aspettò che il suo viso fosse abbastanza vicino da averlo a nemmeno un centimetro di distanza. Era anche per quello che aveva cercato di evitarlo in quei due giorni: la vicinanza con il suo corpo, con il suo respiro, era in grado di piegare la sua volontà e distrarla dalle sue intenzioni.
Harry le accarezzò le labbra con le proprie, facendola sospirare internamente, e subito dopo se ne appropriò come aveva sempre fatto: esigente e cauto, si stava prendendo ciò che nelle ultime ore non gli era stato concesso e ciò che lei aveva bramato, pur senza volerlo ottenere. Emma si aggrappò alla sua t-shirt, alzandosi sulle punte per spingersi contro di lui, e sentì il cuore incrinarsi lievemente per quel contatto.
«Avrei preferito non saperlo. Avrei preferito non accorgermene» sussurrò con la fronte appoggiata alla sua e lo sguardo sul suo petto.
Harry si allontanò bruscamente, lasciandola sola e disorientata. «Devi smettere di parlarne come se ti avessi detto di non provare niente per te» la ammonì, con la voce macchiata di fastidio. «E non ti chiederò scusa per essere stato sincero, se è questo che vuoi: in un rapporto bisogna essere in grado di parlare di quello che si prova, anche quando non è piacevole».
«Ma di cosa vorresti parlare?» Esclamò lei: l'attimo prima le loro labbra stavano cercando un compromesso ed una tregua, come se non fossero state interessate a tutto il resto, mentre l'attimo dopo si muovevano solo per urlare ancora, strappate dalle loro reali intenzioni. «Di certo non cambierebbe le cose!»
«Allora cosa vorresti fare?» Ribatté Harry, alzando di nuovo la voce. «Evitarmi e non rispondere ai miei messaggi? Ignorarmi?! Gran bella idea, non c'è che dire!»
«Scusa se ho cercato di prendermi del tempo per affrontare tutto! Hai intenzione di rinfacciarmelo ancora per molto?»
«Sì, perché io ti ho chiesto di restare e tu non hai detto una parola! Non ti sei nemmeno preoccupata di come potessi stare nell'aspettare una tua cazzo di risposta!» Il tono che aveva usato era impastato di delusione, ma anche di orgoglio ferito: in quel breve messaggio di due giorni prima, aveva lasciato libera la sua paura, tentando di prevenirla e di chiedere che non venisse confermata. Emma era divisa in due: da una parte giustificava se stessa per il proprio silenzio, motivandolo con il dolore lancinante con il quale aveva dovuto combattere e che le aveva impedito di reagire; dall'altra, però, sapeva di essere stata anche egoista nel dare la priorità al proprio stato d'animo, ignorando quello di Harry.
Quella consapevolezza, per la seconda volta, la portò a tacere: non riusciva ad ammettere di aver sbagliato, semplicemente perché avrebbe dovuto rendersi ancora più debole e non poteva permetterselo. Quindi preferiva accettare il rimprovero senza darlo a vedere, sostenendo lo sguardo che la stava accusando.
Harry stava respirando profondamente, nervoso. «Dimmi cosa vuoi fare, ragazzina. Devi dirmelo» esclamò a bassa voce. Una supplica travestita da ordine.
Emma sbatté le palpebre e schiuse le labbra, con il cuore che si agitava un po' di più nella sua cassa toracica: era la seconda volta che le veniva chiesto di fare una scelta, ma lei continuava a non trovare una soluzione. Desiderava vivere Harry con tutta se stessa e questo la spingeva a concedergli tempo e a smorzare le proprie esigenze, ma sapeva di non poter ottenere il suo amore e questo le imponeva di arrestarsi e di proteggersi: per quanto lui tentasse di contraddire quella verità, come avrebbe potuto amare qualcosa che non era sufficiente?
«Devo pensarci, Harry. Ho bisogno di farlo, perché non so-» Il suo timbro flebile venne interrotto bruscamente.
«No, lascia perdere» disse soltanto, assottigliando gli occhi e riservandole l'accenno di un sorriso incredulo, mentre scuoteva il capo. «Sono stanco di sentire queste stronzate: sei solo una bambina capricciosa che non è felice se non ottiene subito tutto ciò che vuole. Tutto questo amore che dici di provare dov'è, quando è ora di dimostrarlo? Io non ti amo, i miei sentimenti, quelli che tanto disprezzi, mi spingono a lottare più di te: non è ironico? Ma continua pure: prenditi il tempo che ti serve, pensa a tutto quello che vuoi e fingi di essere combattuta, quando sappiamo entrambi a cosa stai pensando. A me non importa niente».
Dopo averla raggelata con quelle parole, le voltò le spalle e si incamminò a passi svelti verso la macchina. Emma restò immobile a guardarlo farsi sempre più lontano, senza comprendere effettivamente cosa fosse appena successo e continuando a ripetere nella propria mente ogni sillaba appena udita.
«Harry!» Lo chiamò, non appena la voce fu tornata a farle vibrare la gola e le gambe. «Aspetta!»
Ma lui stava già salendo in auto e, l'attimo dopo, se ne era già andato.





 


Buongiorno gente!
Sorpresa? ahahah Ho aggiornato in anticipo semplicemente perché ho dovuto aggiungere un altro capitolo alla storia, quindi per problemi di tempo sono dovuta scendere ad un compromesso! In pratica, mancano solo più due capitoli, che - se tutto va secondo i piani - verranno pubblicati di mercoledì!
Detto questo: mi è piaciuto leggere le vostre reazioni allo scorso capitolo, e ho notato che molte continuano a vivere la storia tramite gli occhi di Emma :) Infatti molte si concentrano sul fatto che Harry non la ami, dando per scontato che tutto il resto non conti, di fronte a questa verità! Ah, mi ha fatto piacere anche che alcune si siano accorte della diversità di Emma, della sua debolezza, che nella storia non è mai venuta fuori così tanto: è proprio questa l'idea che volevo dare, perché se ha sempre vissuto tutto al massimo, queste vicende non possono essere l'eccezione, quindi tutto il dolore per lei è amplificato di cento volte.
In questo capitolo c'è un altro litigio: viene chiarito il perché Harry abbia aperto il discorso, nello scorso capitolo (spero sia chiaro!), ma Emma continua ad essere confusa. Si scontrano di nuovo sulla loro visione diversa delle cose, infatti lui finisce per andarsene (e come ai vecchi tempi, la lascia anche a piedi hahah): voi cosa ne pensate? Riuscite ad inquadrare bene i pensieri di entrambi? Ovviamente con Emma vi risulta più semplice, dato che è tutto raccontato dal suo punto di vista, ma sono sicura che anche Harry potrebbe risultarvi altrettanto facile da decifrare :) In fondo non nasconde molto le proprie emozioni!
Anche questa volta, non voglio commentare oltre: aspetto le vostre ipotesi e i vostri commenti :)
Nel prossimo capitolo si deciderà del "destino" di questa coppia: si accettano scommesse ahaahahah Poi ci sarà solo più l'epilogo, ahimé!
Piccola parentesi su Pete: io continuo ad amarlo incondizionatamente, che vi devo dire? hahahha ho deciso di inserire una scena con lui - e indirettamente Tianna - per smorzare un po' i toni tristi di questi due capitoli! Spero l'abbiate apprezzato :) Cosa ve ne pare, del rapporto che ha con Emma? Della sua schiettezza? Dallas è un buon amico, questo ormai è chiaro, ma Pete non è da sottovalutare, infatti Emma va da lui, per fare chiarezza sulle proprie decisioni: e ottiene una risposta chiara, sincera e priva di alcuna moina determinata dal legame di amicizia!

Grazie, come sempre, per tutte le vostre recensioni e tutti i messaggi su facebook/ask! Siete dolcissime e mi fate sempre sorridere :) Spero abbiate voglia di commentare anche questo capitolo, con i piccoli particolari che sono usciti! A presto!!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

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Capitolo 28
*** Capitolo ventotto - The last try ***




 

Capitolo ventotto - The last try
 

 

Con i capelli a solleticarle le spalle, Emma camminava lentamente sotto il sole della domenica pomeriggio: le gambe avevano un'intraprendenza propria, che la spingeva a non fermarsi per nessuna ragione, né per eventuali ripensamenti.
Dopo tre giorni aveva scritto ad Harry.
La mancanza che provava era in grado di stroncare qualsiasi suo tentativo di distrarsi, semplicemente non la lasciava in pace, tormentandola anche nei momenti meno opportuni: troppe ore erano passate senza sentirlo, vederlo, toccarlo, e pian piano qualsiasi motivazione Emma avesse addotto per mantenere le distanze era stata piegata dalla necessità di azzerarle. Sconfitta dal proprio istinto, quindi, aveva abbattuto il silenzio che si era intrufolato nel loro rapporto, senza nemmeno chiedersi quale reazione avrebbe ottenuto.
“Mio padre è appena uscito, vieni qui”, era stata la semplice risposta che aveva ricevuto dopo un paio di minuti, illuminandole il volto con un sorriso spontaneo ed irrefrenabile. Non l'aveva respinta, nonostante la fine brusca del loro ultimo incontro, e questo le faceva sperare che anche lui sentisse la nostalgia divorargli le ossa, secondo dopo secondo.
Emma aveva smesso di chiedersi quale fosse la cosa giusta da fare, la soluzione da intraprendere: dentro di sé era ancora convinta che i sentimenti di Harry, per quanto sinceri, non avrebbero mai potuto raggiungere l'intensità dei propri, né sarebbero potuti essere etichettati come “amore”. Eppure voleva sforzarsi di combattere ancora un po', di aggrapparsi ad un'ultima speranza disperata: tutte le sue lotte interiori, tra ciò che avrebbe dovuto fare e ciò che invece le era concesso, venivano messe a tacere dal bisogno che aveva di Harry. Si era annientata ai suoi piedi mettendo da parte qualsiasi freno, nonostante continuasse a percepire tutto ciò che fino ad allora l'aveva spinta ad indietreggiare, ad allontanarsi. Semplicemente non voleva ascoltare quello che la sua interiorità le stava urlando, perché, se l'avesse fatto, la storia che stava vivendo sarebbe andata incontro ad una fine precoce.
Il cancello dell'appartamento di Harry era aperto, quindi Emma proseguì all'interno dell'edificio con un sospiro sommesso, che avrebbe dovuto rincuorarla: salì lentamente le scale e rimase qualche secondo in più di fronte alla porta che la divideva dalla sua brama. Nonostante volesse essere lì, doveva sforzarsi di non pensare: stava contraddicendo la sua spontaneità, che voleva obbligarla a ritrarsi per sfuggire ad un dolore inevitabile e ad una relazione che non l'avrebbe mai soddisfatta, quindi non poteva fermarsi a riflettere.
Suonò il campanello alzando il mento, come a darsi un certo contegno, ed aspettò che Harry le si presentasse davanti: quando la porta si aprì, lui comparve con uno strano cipiglio sul volto, rigido e forse pronto a difendersi. La canottiera nera che indossava stonava vagamente con la tonalità di blu dei pantaloni della tuta: a piedi nudi, la guardava senza invitarla ad entrare e senza dire una parola.
Emma strinse i pugni lungo i fianchi e si inumidì le labbra, prendendosi il tempo che le serviva per recuperare ciò che le mancava. «Hai ragione» sussurrò, sostenendo il peso delle sue iridi. «Hai ragione su tutto» ripeté: stava mentendo, almeno in parte, ma aveva bisogno di farlo per contraddire i propri pensieri e ciò a cui l'avrebbero condotta.
Harry si irrigidì appena, stringendo nella mano destra la maniglia della porta sulla quale era rimasta posata. Lei deglutì a fatica ed avanzò di un passo, sufficiente a raggiungere il suo corpo e a percepire il suo profumo sotto la pelle. Continuava ad osservarlo, forte come voleva solo apparire e come in realtà non era: allungò una mano verso il suo petto ed appoggiò su di esso il proprio palmo, poi si fece ancora più vicina e si alzò sulle punte dei piedi per baciargli delicatamente il mento, gli zigomi, il collo. «Hai ragione tu» disse ancora, sulle sue labbra schiuse e attente. Ripeteva quelle parole perché non poteva farne a meno e perché, se avesse osato affrontare un discorso più completo, avrebbe sicuramente mostrato la sua reale visione delle cose.
Voleva convincersi di potercela di fare, di poter aspettare fingendo che qualcosa sarebbe pur arrivato, prima o poi. Voleva sbarazzarsi della propria sicurezza riguardo il contrario e voleva impegnarsi fino in fondo, azzerando la propria volontà per poterla sostituire con quella di Harry. Era il suo ultimo tentativo e non poteva andare sprecato.
Harry lasciò la maniglia per incastrare le dita nei capelli di Emma, possessive e decise: respirò profondamente, chiudendo gli occhi mentre giocava a torturarle le labbra con piccoli movimenti che non erano mai abbastanza. Aveva un'espressione sofferta, come se avesse voluto rimproverarla per qualcosa senza riuscirci: alla fine, però, abbandonò qualsiasi tentativo di dialogo e si limitò a baciarla con impeto, stringendola a sé con una mano sulla sua schiena magra.
Emma gemette silenziosamente contro di lui, serrando le palpebre per non lasciar trasparire troppo e adeguandosi ad ogni incastro che le veniva proposto con esigenza. Aveva temuto un ulteriore litigio o la ricerca di spiegazioni, seguita da rimproveri, ma aveva anche sperato e creduto nel contrario: se Harry provava anche solo la metà di ciò che la stava divorando, avrebbe ceduto proprio come lei alla vicinanza ritrovata, abbandonando qualsiasi esitazione o semplicemente rimandandola. E così era stato.
La porta si chiuse dietro di loro senza sbattere, grazie ad una leggera spinta, mentre l'uno cercava di rubare l'ossigeno all'altra e mentre entrambi venivano continuamente sconfitti in un gioco che non sempre volevano vincere. Harry camminava all'indietro, cercando di riappropriarsi di ogni centimetro del corpo che gli era stato lontano per troppo tempo, ed Emma lo seguiva senza la possibilità o il desiderio di ritrarsi.
«Sei sicura?» Mormorò lui sulla sua pelle, trattenendola con un'energia tale da essere contagiosa. Lei avrebbe dovuto dire di no, che non lo era affatto, che doveva costringersi ad esserlo per non perdere la persona che amava per un proprio limite: ma non ebbe nemmeno il tempo di mentire ancora. «Perché non voglio passare altri giorni come questi. Non posso».
Emma credeva a quelle parole, ma non era più lo stesso sentirle: non riusciva a non confrontare il loro significato a quello che invece provava lei. Forse lui aveva davvero sentito la sua mancanza, ma il suo cuore metteva automaticamente in secondo piano quella informazione, per dare la priorità alla mancanza che invece aveva sperimentato nelle proprie fibre: e quel processo portava inevitabilmente ad un dolore viscerale, dovuto alla minimizzazione di tutto ciò che non era più abbastanza.
«Sono qui» disse lei soltanto, proprio come quando, nel cortile sul retro di casa sua, entrambi si erano dati una risposta senza esplicitarla, mettendo da parte le discussioni che li avevano interessati e qualsiasi altro problema. Anche in quel momento Emma stava cercando di ignorare le liti recenti e le parole abusate, le accuse ed i toni rudi utilizzati: doveva concentrarsi su quello che poteva vivere tramite Harry, per convincersi di quello che non poteva perdere.
Lui la baciò con più foga, quasi volendo compensare il periodo di lontananza, e si sedette sul piccolo divano del salotto tirandola su di sé: senza allontanarsi dalle sue labbra, Emma combatté brevemente con la gonna che indossava in modo che non le creasse fastidio ed infilò le mani sotto la stoffa che ricopriva il petto contro il quale era premuta. Harry prese quel gesto come un invito, così si affrettò a togliersi la canottiera, abbandonandola al proprio fianco distrattamente e passando, subito dopo, al maglioncino che gli impediva di accarezzare direttamente la pelle cosparsa di lentiggini che tanto apprezzava.
Lei si lasciò sfiorare non troppo delicatamente, concedendo alle sue mani e alle proprie quella foga che doveva manifestare il desiderio che stava conquistando entrambi: ormai aveva detto addio a qualsiasi forma di pudore o vago imbarazzo che l'aveva colpita la prima volta. Non c'era più nessun segreto del corpo che stava stringendo che non conoscesse, nessun angolo che non avesse baciato almeno una volta e nessun lembo che non ricordasse a memoria, come se fosse solo un disegno immaginato dalla propria mente e troppo proprio per appartenere a qualcun altro.
Soffermandosi sulla clavicola destra di Harry, Emma percepì ancora più intensamente ciò che un semplice contatto poteva suscitare in lei e sentì il bisogno di urlarlo a pieni polmoni: non poteva farlo, però. Non l'avrebbe fatto per molto tempo, perché non avrebbe sopportato una risposta priva di corrispondenza, non avrebbe sopportato di non essere ricambiata. Quindi tutti quei “ti amo” che stava sussurrando dentro di sé sarebbero rimasti incastrati tra le sue labbra, nascosti per non essere distrutti. Quel limite la consumava, perché non le concedeva la libertà di esprimersi: il tentativo di proteggersi le impediva di esporsi completamente, come aveva imparato a fare, e la obbligava a trattenersi, a non dare tutto ciò che non poteva riavere in cambio.
Harry la fece sdraiare sul divano, nonostante fosse troppo stretto e corto per accogliere comodamente entrambi: le scostò i capelli dal viso e si posizionò meglio tra le sue gambe, accarezzandole le cosce come a volerle firmare con le proprie impronte. Aveva il respiro accelerato e le iridi rese più torbide della luce che non arrivava ad illuminarle a dovere: fisse su di lei, non si lasciavano sfuggire alcun particolare. Emma le sfidava, sostenendo il loro confronto, proprio per negare quegli stessi particolari.
La sua mano sottile ed intraprendente superò l'orlo dei pantaloni di Harry, per arrivare a dargli piacere senza alcuna timidezza e forte dell'esperienza costruita e rimarcata con il tempo: si adeguò alle sue reazioni, che non mancavano di farla sentire in grado di provocarle e di prometterle di essere l'unica a poterle suscitare. Eppure anche quel gesto non aveva più lo stesso significato: se prima quella consapevolezza la elettrizzava, ora poteva essere messa in dubbio. Emma si chiedeva se Harry avesse potuto provare lo stesso, al suo tocco, con altre ragazze: se non era amore, quello che le riservava, cosa la differenziava da Denice, per esempio? Anche lei l'aveva incastrato in una relazione che costringeva entrambi in un fantomatico mezzo, anche lei era stata sfiorata dalle sue mani, che ci tenevano, ma non fino in fondo.
Scottata da quei pensieri, si ritrasse, fingendo di avere bisogno di accarezzargli i muscoli contratti della schiena ed il viso così vicino al proprio. Lui sospirò per quell'improvviso abbandono e nascose il volto nell'incavo del suo collo, muovendosi su di lei per anticipare ciò che li avrebbe imprigionati come più volte in precedenza. Baciandole la pelle, percorse il suo petto ancora coperto dal reggiseno, scese sul suo addome accompagnato da brividi impazienti e si premurò di sfilarle la gonna e gli slip grigi, prima di occuparsi dei propri pantaloni e del proprio intimo.
«Ti sono mancato?» Sussurrò sulle sue labbra, una volta che fu tornato a far stridere i loro corpi nudi e scossi da leggeri ansimi. «Perché tu mi sei mancata, ragazzina» ammise subito dopo, dedicandosi a farle raggiungere quel livello di piacere che sapeva l'avrebbe presto portata a socchiudere gli occhi e a schiudere la bocca per sospirare un po' più forte. E certo, certo che le era mancato: era lì proprio per quello, perché la mancanza aveva superato d'intensità tutto il resto, obbligandola a buttarsi in una scelta che non aveva ancora accettato fino in fondo e della quale non riusciva a non dubitare.
Si sentiva una terribile egoista nel non avere il controllo sulla propria mente e sui propri sentimenti, che erano stranamente d'accordo nel farle pesare quanto una stessa emozione potesse essere tanto diversa: non era nelle sue intenzioni screditare ciò che per così tanto tempo l'aveva resa felice, ma in quel momento non poteva fare altro. Le era impossibile spazzare via i confronti tra le proprie sensazioni e quelle che erano invece di Harry, travolto da qualcosa di diverso ed in qualche modo minore.
Emma avrebbe potuto accettare quel qualcosa, se solo si fosse parlato di un altro momento, se solo non fossero passati cinque mesi nei quali gli aveva donato tutto, ma non le era più così semplice: la convinzione di non poterlo trasformare in qualcosa di più la paralizzava e la terrorizzava.
«Mi sei mancato» gli fece eco, stringendolo a sé con gli occhi chiusi. «Così tanto da essere insopportabile» continuò sinceramente. I propri sentimenti erano l'unica cosa sulla quale non poteva permettersi di mentire: le parole a sua disposizione non avrebbero mai potuto esprimere fedelmente il loro reale significato, troppo intenso per essere racchiuso in un mucchio di lettere, quindi dovevano essere rafforzate da uno sguardo limpido ed una carezza leale.
Harry serrò le dita tra i suoi capelli e la sfiorò con la propria eccitazione, provocando in entrambi un'aspettativa alla quale avrebbero facilmente ceduto entro poco. «Devo... Devo prendere il preservativo» sussurrò al suo orecchio, con la voce trattenuta che ormai conosceva alla perfezione in ogni sua intonazione. In quella, in particolare, risiedeva la volontà di abbandonare quel dettaglio e di non separarsi dal suo corpo. Anche Emma avrebbe preferito non essere lasciata scoperta, senza la sua pelle a ricoprirla e senza i suoi occhi ad obbligarla a credersi abbastanza forte, ma annuì con convinzione ed allentò la presa con la quale lo stava costringendo su di sé.
Harry si alzò velocemente dal divano, camminando nudo verso il tavolo ad un paio di metri di distanza e lasciandole la possibilità di soffermarsi su tutti quei particolari che non le erano mai bastati e che non smetteva mai di studiare. Lo osservò aprire il portafoglio e diede per scontato che avesse trovato ciò che cercava, mentre lei serrava le gambe per sentirsi un po' meno esposta: si tolse il reggiseno, per avere un contatto completo con il petto tatuato che fino ad allora le era stato in parte precluso.
Pochi istanti dopo, i loro confini erano di nuovo in procinto di confondersi gli uni con gli altri ed Emma tremava impercettibilmente, sotto il peso di Harry e sotto quello dei propri sentimenti. Quando lo sentì entrare dentro di sé, con un movimento deciso ma non privo di premura, smise di respirare per una manciata di secondi, serrando la mascella per il vago dolore e la sensazione di essere inevitabilmente unita a lui. Ad occhi chiusi, mentre entrambi rimanevano immobili per prestare attenzione a quel momento che voleva significare molto più di un semplice atto fisico, cercava di concentrarsi sui baci che le venivano lasciati delicatamente sul collo, accompagnati da respiri veloci ed impazienti.
Emma accolse un'altra spinta e gemette qualcosa, allacciando le gambe intorno al bacino di Harry: sentì il cuore infrangersi senza alcun preavviso e provocando altrettante fratture in ogni centimetro ancora intatto. Persino la loro unione si era trasformata in un'estenuante ferita che i suoi pensieri non facevano che infettare ed aggravare: nella sua mente vorticavano domande alle quali non voleva rispondere, perché ignorare la realtà sarebbe stato più semplice. Non riusciva a smettere di chiedersi se per tutto quel tempo solo lei, in quel frangente, avesse sentito tutto in modo così intenso, così totalizzante; se sarebbe mai riuscita a fargli provare lo stesso, a farlo cedere ai piedi della consapevolezza di non poter sperimentare qualcosa di più forte; se con le altre ragazze con le quali era stato si fosse comportato allo stesso modo, in un'unicità che in realtà era comune a tutte. Si chiedeva perché, perché tutto l'amore che sentiva non potesse essere abbastanza per stimolare e riempire anche il suo.
Faceva così male da impedirle di perseverare nei suoi tentativi: semplicemente non credeva di poter sopportare tutte quelle verità, tutte quelle incertezze su qualcosa che già non era in grado di accettare di per sé. Harry le aveva chiesto di aspettare, ma lei non sapeva per cosa avrebbe dovuto farlo, perché ormai l'aveva vuotata completamente, lasciando qualcosa che non sarebbe stato sufficiente a dargli ciò di cui necessitava.
Le sue riflessioni, mentre si stringeva al corpo di Harry, si manifestarono con una lacrima che le scivolò sulla guancia, bruciandole la pelle quasi fosse composta da un acido corrosivo: era la prima mai versata in sua presenza. Lui se ne accorse grazie ad un sospiro spezzato, caratteristico, ed aprì gli occhi come se fosse stato sconvolto da qualcosa. «Emma...» sussurrò, studiando ogni particolare del suo viso senza muoversi dentro di lei, senza osare farlo per timore di poter danneggiare il suo precario equilibrio. La confusione e la preoccupazione erano dipinte nelle sue iridi, mentre quelle nelle quali si specchiavano si maledicevano per aver abbassato le difese.
«Non... Non è niente» mentì Emma, scuotendo piano la testa e sbattendo le palpebre per rimuovere ogni residuo di quelle lacrime traditrici. Harry corrugò la fronte, non convinto da quelle parole, e si avvicinò ancora di più al suo viso: sfiorandolo delicatamente con le labbra, lo asciugò dal percorso umido di quella indiscreta intromissione.
«Perché piangi?» Le chiese seriamente.
«Te l'ho detto» rispose lei, tentando di raggiungere un auto-controllo che potesse proteggerla. «Mi sei mancato».
Non era una bugia, ma solo un'informazione incompleta. Anche se Harry riponeva troppa fiducia nella sua tenacia e nei suoi sentimenti, per dubitare di lei, Emma aveva lasciato fuggire quella lacrima perché era stata sconfitta, perché per la prima volta non era riuscita nel suo intento e nel suo scopo. Si era appena accorta di non poter sopportare la presenza di Harry, il contatto con il suo corpo, quando solo lei era in grado di viverlo completamente: e non erano stati sufficienti i suoi sforzi, i suoi tentativi, né il suo ritorno o le sue menzogne. Si era arresa.
«Smettila» le ordinò lui, lontano dall'essere un rimprovero, accarezzandole le spalle. «Non mi piace».
Emma si sgretolò un po' di più a quelle parole, ma si sporse in avanti e gli baciò le labbra. «Ho già smesso» lo rassicurò lentamente, per poi gemere piano per un suo movimento.
 
Harry non si era ancora svegliato: sdraiato sul fianco sinistro, dormiva pacificamente sul divano dove, fino ad una manciata di minuti prima, era rimasto in compagnia di Emma. Lei era riuscita a sottrarsi alla sua presa, al suo braccio intorno al proprio addome ed al suo volto sulla propria spalla, senza disturbarlo: si era rivestita lentamente, osservando il suo corpo ancora nudo ed illuminato dal pomeriggio inoltrato, che si intrufolava dai vetri della porta-finestra. Aveva bisogno di allontanarsi il più possibile da lui e di andarsene in fretta, perché le era insopportabile la permanenza in quei metri quadri, tra i loro vestiti, i suoi respiri ed i loro profumi mischiati. Doveva solo dirglielo.
Prese posto su una delle sedie intorno al tavolo ed iniziò ad allacciarsi le Converse bianche, troppo consumate per durare ancora per molto. Quando ebbe quasi finito, però, sobbalzò nell'udire dei rumori che testimoniavano il fatto che Harry si fosse svegliato.
«Dove stai andando?» Le chiese con la voce assonnata, ma nervosa, mentre si infilava le mutande ed i pantaloni. La stava studiando con uno sguardo indagatore, insospettito.
Emma si rialzò in piedi e si inumidì le labbra, respirando lentamente nonostante avesse voglia di urlare. «Torno a casa» rispose rigida.
Lui si immobilizzò, alzando un sopracciglio scettico. «Torni a casa?» Domandò incredulo, abbozzando la traccia di un sorriso. «Tutto qui?»
«Non ce la faccio, Harry» cercò di spiegarsi, nonostante sapesse già a cosa stesse andando incontro. «Sono venuta qui e ci ho provato ancora una volta, ma non ce la faccio».
In quel momento il viso che le stava davanti si oscurò con una smorfia di disgusto. «Credi di poterci provare semplicemente facendo sesso?» Si alterò subito, come sconvolto da quella ipotesi.
Emma prese le sue parole come un'ulteriore conferma, ma si impedì di crollare. «Per me non è stato del semplice sesso» rispose con una sorta di gelo ad impregnarle la voce. Era quella la differenza che aveva percepito per tutto il tempo, che l'aveva fatta tremare e persino piangere.
Harry sospirò e si passò una mano tra i capelli, come al suo solito. Era ancora a petto nudo. «Sai bene che non intendevo dire quello» esclamò esasperato.
«Però non è nemmeno una bugia» precisò lei. «Mi chiedo che differenza ci sia con il sesso che facevi con Denice: nemmeno di lei eri innamorato, giusto?» Stava risultando più provocatoria e dura di quanto avesse predetto, ma immaginava fossero solo le sue difese che finalmente si rinforzavano, traendo forza dal crollo che volevano evitare.
«Vuoi davvero paragonare il mio rapporto con lei e tutto quello che abbiamo passato noi?» Domandò lui retorico, facendo un passo avanti e gesticolando. «Cristo, questo discorso non ha nemmeno un senso!»
«Invece ce l'ha! Perché non riesco a capire come possa essere-»
«Io non ti ho mai fatto mancare niente!» La interruppe Harry, urlando. «Né a letto, né al di fuori. Quindi non osare nemmeno paragonarti a Denice, perché sarebbe assurdo! Te ne esci con queste stronzate solo perché ho detto di non amarti? Ma non lo vedi quanto sei ipocrita?!»
«Non mi mancava niente perché pensavo che mi stessi dando tutto!» Ribatté lei, alzando il tono e sfoderando la sua tenacia. «Ed ora che ho scoperto che non è così, le cose cambiano, perché inizia a mancarmi tutto quello che potresti ancora dare e che invece non riceverò mai!»
«Sei solo tu ad esserne convinta! Io non ho mai detto questo! Non voglio più ascoltare le tue fottute sicurezze su quelli che sono i miei sentimenti! Stai creando una marea di problemi basandoli sul nulla!»
«È solo perché tu non vuoi aprire gli occhi! Non vuoi vedere che non puoi prendere più niente da me, che non c'è più nulla che io possa fare o dire per farti provare qualcosa di più forte!»
«Non si tratta di questo! Si tratta di costruire qualcosa insieme, di... Ti stai arrendendo prima ancora di averne la certezza e non capisco perché, arrivati a questo punto, tu possa farlo con tanta facilità!»
«Pensi davvero che sia facile, per me?!» Esclamò Emma, stridula. Si stavano urlando contro senza nemmeno prendersi il tempo necessario per respirare a dovere, avvicinandosi sempre di più come a voler rimarcare le proprie parole con un'imposizione fisica. «È da quando ci siamo incontrati che ci sto provando, non te ne accorgi?! Ogni singolo giorno ho dovuto lottare per qualcosa: prima per farti notare la mia esistenza, per farti anche solo pensare che tra di noi avrebbe potuto esserci qualcosa, e poi per vivere al meglio ciò che avevamo! Ed ho appena scoperto di non esserci riuscita, di essermi sforzata così tanto per niente! Perché tutto quello che ho fatto per stare con te non ha avuto alcun senso!»
«Continui a fare gli stessi errori, cazzo!» Ribatté Harry in preda all'ira. «Appena qualcosa non è come vorresti, butti via tutto il resto! Come ti viene in mente di parlare in questo modo di quello che abbiamo attraversato?!»
«Non sto dicendo che non abbia significato nulla, sto dicendo che non è stato abbastanza!» La gola le bruciava ad ogni sillaba che gettava al di fuori, mentre gli occhi avevano smesso di farlo perché troppo orgogliosi per lasciarsi di nuovo andare. «Non è stato abbastanza e non c'è nient'altro che possa esserlo! È questo il punto, perché non vuoi capirlo?!»
«Perché parli come se potessi essere sicura di quello che dici, come se dessi per scontato quello che succederà! Ma non puoi saperlo e non vuoi nemmeno fare un tentativo! Santo cielo, perché non me l'hai detto subito che avrei avuto una scadenza per provare dei dannati sentimenti?!»
«Non si tratta di avere una scadenza! Io ti avrei lasciato tutto il tempo del mondo, se solo fosse rimasta almeno una parte di me da poterti dare e con la quale aiutarti, ma non è così e non riesco ad aspettare, perché aspetterei qualcosa che non arriverà! Non è il tempo, il problema, è quello a cui non porterebbe!»
Harry serrò la mascella, respirando velocemente e lasciando che il suo petto si alzasse e si abbassasse seguendo il ritmo delle sue inspirazioni rapide e nervose. «Non te lo dico di nuovo» la ammonì serio, puntandole il dito contro. «Smettila di parlarne come se potessi esserne certa».
Emma chiuse gli occhi per un istante e si passò una mano sul volto, stanca di quelle urla e dell'incapacità di trovare un punto d'incontro. «Ma lo sono, che tu ci creda o no» disse a bassa voce.
«Non capisco... Non capisco perché quello che abbiamo avuto fino ad ora non possa bastarti» ricominciò Harry, incredulo. «Ti ha sempre resa felice, tanto che pensavi che fosse amore. Ora cosa è cambiato? Perché non può farti sentire allo stesso modo? Perché dici di non potercela fare, se fino a pochi giorni fa era tutto il contrario?»
Era inutile continuare a discutere sulle stesse discrepanze, senza mai arrivare ad un compromesso. Inutile ed estenuante. «Perché mi è impossibile! Pensi che a me non piacerebbe accettare tutto questo e vedere cosa succederà? Con tutta me stessa vorrei essere in grado di rimanere con te, ed è lo stesso motivo per cui sono venuta qui oggi! Non riuscivo a sopportare la tua mancanza, così ho messo da parte qualsiasi mia idea, qualsiasi briciola di volontà, solo per provare a darti ascolto, per sforzarmi di cambiare prospettiva e di accontentarmi! Ma non-»
«Sei venuta qui, pur sapendo che non avresti cambiato idea?» La interruppe Harry, corrugando la fronte per far luce su qualcosa che lo stava indisponendo.
«No, l'ho fatto nonostante le mie idee. Speravo di riuscire a cambiarle» rispose Emma.
«Tu ti sei presentata a casa mia, mi hai mentito, facendomi credere di aver capito il mio punto di vista, sei venuta a letto con me e mi hai illuso! Cristo, vuoi prendermi in giro?!» Era furioso.
«Certo che no, no!» Lo contraddisse lei scuotendo la testa, esasperata. «Non ti ho preso in giro, volevo solo che tu avessi ragione! Volevo che mi stessi sbagliando! Ho pensato che se fossi stata meno testarda, che se fossi stata più comprensiva e flessibile, avrei potuto prenderla in un altro modo, sarei potuta rimanere con te. Quindi ho fatto di tutto per averne una conferma, anche se poi ho ottenuto l'effetto opposto».
«Ma ti sei comportata come se avessi preso una decisione definitiva! Mi hai fatto sentire come se ti avessi finalmente riavuta, invece ora te ne stai qui a dirmi che era tutta una stupida prova! Che diavolo ti succede, si può sapere?!»
Emma si sentì improvvisamente in colpa per il proprio comportamento, un po' di più rispetto a prima: avere a che fare con gli occhi feriti ed arrabbiati di Harry l'aveva messa di fronte ad una dura realtà. Non era mai stata sua intenzione illuderlo, perché era sempre stata davvero pronta a far funzionare le cose: che poi avesse fallito miseramente nel suo scopo era un altro discorso.
«Mi dispiace» cominciò allora. «Mi dispiace di averti ferito, ma non l'ho fatto di proposito».
«Certo, come no» sospirò lui stancamente.
«E dai a me dell'ipocrita?» Lo accusò subito dopo, inasprendo lo sguardo. «Io devo crederti quando dici di avermi fatto capire di non amarmi senza nemmeno pensarci e tu non puoi credere che io abbia solo provato ancora una volta a rimanere al tuo fianco?»
Harry la osservò duramente, appoggiando le mani sui propri fianchi. «Sono due cose diverse» soffiò.
«No, invece. E anche se lo fossero, direi che tu hai provocato di gran lunga più conseguenze» ribatté. Sapeva di star usando un tono non prettamente pacifico, ma non le piaceva quando qualcuno criticava i suoi sforzi.
«Ce ne sarebbero state molte di meno, se tu non ti fossi messa a fare i capricci!»
«Giusto, continua con questa storia!» Si irritò Emma, iniziando di nuovo ad urlare. «Tanto sai fare solo questo, rinfacciarmi di essere una stupida bambina! Ma sai una cosa? Se davvero credi di potermi amare, dovresti iniziare ad accettare anche questa parte di me! E cazzo, perché ti ostini a credere che i miei siano dei capricci?!»
«Perché sono infondati! Ecco perché!» Le rispose Harry, gesticolando. «E al posto di puntare il dito contro di me, forse tu dovresti semplicemente crescere!»
Il cuore di Emma stava per lasciare la sua gabbia toracica ed uscire a fare a pugni con il viso che amava ed odiava allo stesso tempo: insistente e caparbio, batteva troppo forte per essere messo a tacere, scandendo i tempi della loro discussione come un tamburo da battaglia. «Io dovrei crescere?! Parla quello che nel bel mezzo di un litigio se ne va, lasciandomi a piedi! Se ti vanti di essere così maturo, allora perché non sei nemmeno in grado di affrontare un discorso?»
Per quanto aver fatto l'amore con lui su quel divano fosse stato doloroso, come mai prima d'ora, avrebbe preferito di gran lunga provare quella stessa agonia, piuttosto che continuare ad urlarsi contro, con rancore e rabbia cieca.
«Lo avrei affrontato, se il discorso avesse avuto almeno una base!» Replicò Harry, come se fosse stato ovvio. «E ti ho fatto anche un favore, visto che hai paura di una stupida macchina!»
«E questo ora che cosa c'entra?! Vuoi davvero appellarti a giochetti del genere?» Gli domandò retoricamente, ferita dal modo in cui aveva sbandierato una sua fobia.
Lui reagì spingendo una sedia contro il tavolo e con un verso di frustrazione, iniziando a camminare nervosamente avanti e indietro, di fronte a lei. Con il capo chino, sembrava aver bisogno di smaltire l'ira e l'esasperazione.
Emma ne approfittò per riordinare i pensieri e per spiegarsi meglio, sperando di farsi comprendere se non a pieno, almeno in parte. Sospirò profondamente ed abbassò il tono di voce. «Prima mi ha fatto male, stare con te» esordì, attirando la sua attenzione. «Per quanto avessi bisogno di riaverti, non riuscivo a non pensare a quanto diversamente stessimo vivendo lo stesso momento. Ti stringevo e mi chiedevo cosa provassi mentre io mi annullavo, mi chiedevo cosa di me non fosse sufficiente e perché. Volevo dirti quanto... Cosa stessi provando, ma non volevo sapere che per te non era lo stesso. Non di nuovo. E non voglio più provare qualcosa di simile, Harry. È st-»
«Per questo piangevi» domandò, arrestando le sue parole. «Vero?»
Emma trattenne il fiato e si maledisse ancora una volta per essersi permessa di mostrare traccia del crollo interiore che l'aveva interessata. Non rispose, limitandosi a sostenere il suo sguardo.
«E mi hai mentito ancora, anche mentre ero dentro di te» riprese allora lui, macchiando di disprezzo la sua voce.
«Non ti ho mentito» precisò lei.
«No, ovvio che no» esclamò Harry, assumendo un'espressione falsamente cordiale. «Mi hai solo fatto credere di essere talmente felice di essere di nuovo con me, da sentire il bisogno di piangere, quando invece lo stavi facendo perché già sapevi che te ne saresti andata. Ed io sono stato uno stupido, uno stupido che si è lasciato fregare in questo modo!».
«Parli come se avessi calcolato tutto, quando non è affatto così» tentò Emma. Non voleva essere dipinta come una manipolatrice, perché non lo era.
«Dici? A me s-»
«Smettila!» Lo interruppe con la voce rotta. «Smettila, di darmi contro per qualsiasi cosa! Nemmeno io vorrei tutto questo, eppure ci sono finita dentro! E tu non dovresti screditare tutti i miei sforzi, quando io ce l'ho messa tutta per andare contro il mio stesso istinto! Credi che non ti voglia, Harry? Credi che se potessi, non mi lascerei tutto alle spalle?! Odio dover prendere una decisione e non essere abbastanza forte per prendere quella giusta! E so che forse dovrei davvero darti del tempo, che altre persone, al mio posto, l'avrebbe sicuramente fatto, ma semplicemente non ci riesco! Pensi che mi faccia piacere?! Che non vorrei poterti guardare senza vedere solo quello che credo di non poter avere?!»
«E tu pensi che non vorrei avere altri modi per convincerti che ti stai sbagliando?!» Urlò lui di rimando. Erano entrambi esasperati, sfiniti. «Tutto questo è solo una tua convinzione ed io non so cos'altro fare per... Dipende da te, ragazzina. Io non ti rincorrerò ancora, non ti chiederò di nuovo di non andartene».
Aveva appena ricevuto un ultimatum, duro e malinconico. E per quanto potesse esser irreale, dopo tutto ciò che avevano passato, era anche necessario.
Emma rilassò i muscoli e si concentrò sul proprio respiro: avrebbe voluto che la decisione spettasse a qualcun altro, in modo da poter protestare ed opporsi con tutte le sue forze, ma purtroppo era una sua responsabilità. Stava per rinunciare a qualcosa che l'aveva fatta sentire talmente viva da essere insopportabile, qualcosa per cui aveva lottato così tanto da renderla fiera, qualcosa che l'aveva stretta così forte da farle credere di non poter rimanere intera senza la giusta pressione, senza le giuste mani a trattenerla. Ma nonostante la sua mente le urlasse di non farlo, il suo giovane cuore non era in grado di accontentarsi, non era in grado di aprirsi ancora per donare altrettanto ed Harry non sarebbe stato in grado di amarla, non con tutte quelle discrepanze a dividerli, non con tutte quelle discussioni prive di compromessi alle spalle.
«Non chiedermelo» disse lei soltanto, stringendo le labbra in una linea rigida ma fragile, che quasi si rifiutava di pronunciare parole che avrebbero significato un addio. Con gli occhi ancora fissi nei suoi, indietreggiò di un passo e tentò di rimanere in piedi, di non cedere alla tentazione di lasciarsi andare al senso di colpa per non essere sufficientemente forte.
Harry schiuse le labbra e per un attimo sembrò avesse smesso di respirare. Subito dopo serrò i pugni così forte da rendere bianche le proprie nocche. «Va bene» rispose duramente.
Emma avrebbe voluto salutarlo in un altro modo, magari sfiorando ancora una volta le sue labbra o le sue spalle: avrebbe voluto scattargli qualche altra fotografia, simile a quelle che conservava gelosamente nel suo prezioso computer e che lo ritraevano interamente e in piccoli dettagli che solo lei avrebbe potuto ricondurre a lui. Avrebbe voluto fare tante cose, ma il modo in cui Harry la guardò quando tentò di avvicinarsi le sconsigliava di farlo, quindi gli voltò le spalle e chiuse gli occhi.
«Perfetto» esclamò di nuovo lui, mentre la guardava allontanarsi lentamente. «Sì, vattene».
Non ascoltarlo.
Emma aprì la porta con un sospiro e mise un piede fuori dall'uscio, mentre sentiva i passi di Harry farsi più vicini: aveva gli occhi lucidi e per niente al mondo si sarebbe voltata, per niente al mondo si sarebbe fatta vedere di nuovo fragile e contraddittoria. Quindi accelerò i propri movimenti, fino a ritrovarsi a percorrere velocemente le rampe delle scale: forse, se avesse corso abbastanza forte, il dolore non sarebbe stato in grado di raggiungerla ed imprigionarla.
«Ma sappi che sei solo un'egoista!» Lo udì urlare, probabilmente sul pianerottolo di fronte al suo appartamento. «Mi hai sentito?! Sei solo un'egoista del cazzo!»
Lo sentiva. Fin nelle ossa.
E forse lo era davvero, ma forse Harry non si accorgeva di esserlo almeno quanto lei, dato che si ostinava a rimproverarla e a chiederle di restare, nonostante la conoscesse e nonostante sapesse bene quanto per lei fosse difficile.
 
Rannicchiata sul suo letto disfatto, Emma aveva aspettato il passare della giornata, testimone immobile persino del tramonto scarlatto che aveva potuto scorgere dalla sua finestra. Affidandosi al profumo proveniente dalla cucina, poteva dedurre che fosse ormai ora di cena, ma non aveva voglia di alzarsi né di accertarsene: sentiva i muscoli ribellarsi a qualsiasi sua intenzione.
«Emma?» La chiamò il padre probabilmente dal corridoio, visto il tono di voce. «Esci da quella stanza, tua madre ha bisogno di aiuto in cucina».
Lei si raggomitolò ancora un po', come a volersi proteggere da quegli ordini e credendo di poter lasciare fuori tutto il resto del mondo: era letteralmente a pezzi e non poteva permettersi di dar retta a qualcun altro, perché la ferita che si portava dietro era troppo intransigente per permetterglielo.
«Emma?» Tentò di nuovo Ron, bussando alla sua porta.
«Vai via» gli ordinò lei con un filo di voce, senza che le importasse di essersi effettivamente fatta sentire.
«Sto entrando» annunciò il padre, aspettando qualche secondo per concederle del tempo per sistemarsi, nel caso non fosse stata presentabile.
Quando si fece largo nella stanza, lei gli dava le spalle: indossava ancora gli stessi abiti che l'avevano accompagnata da Harry, quelli che erano impregnati del suo profumo. «Papà, lasciami in pace» sussurrò, nonostante sapesse di non poter ottenere ciò che desiderava.
«Cosa succede?» Domandò infatti Ron, avvicinandosi al letto per poi girarci intorno e sedersi su di esso, dalla parte nella quale la figlia si stava facendo sempre più piccola, come alla ricerca di un cantone sicuro. La guardava con la confusione negli occhi, con la preoccupazione che solo un padre potrebbe provare.
Emma abbassò le palpebre e restò immobile. Era riuscita a rimanere intera, seppure da sola, a non cedere definitivamente, ma sentiva i propri argini indebolirsi sempre di più.
«Vuoi parlarne?» Le chiese piano, senza ricevere una risposta. Originario possessore della caparbietà che la figlia aveva poi ereditato, non si arrese di fronte a quei silenziosi rifiuti: tese una mano per posarla delicatamente sul braccio di Emma, accarezzandolo senza sfiorarlo con troppa insistenza, ma abbastanza dolcemente da provocare una reazione. Lei corrugò la fronte e trattenne le lacrime, mentre si arrendeva alla consapevolezza di aver bisogno di sfogarsi e alla malinconia che stava ancora bussando alla sua fragilità più intima.
«Vuoi piangere?» Insistette lui allora, quasi fosse ovvio.
Emma si lasciò scappare un singhiozzo sommesso, a quelle parole, come se fosse appena stata colpita dal loro significato: esprimerlo ad alta voce aveva stuzzicato la sua spontaneità, abbattendo i suoi freni e quasi dandole il permesso di sfogarsi completamente. Le dava il diritto di essere fragile, perché riconosciuto anche da qualcun altro e non solo dal suo istinto. Quindi annuì piano, continuando a tenere gli occhi chiusi e singhiozzando ancora, senza imporsi alcun controllo.
Ron le afferrò delicatamente il braccio che non aveva smesso di sfiorarle teneramente, in modo da farle alzare il busto ed accoglierla in una stretta paterna e sicura. La circondò con le sue braccia solide proprio come il suo sostegno, lasciandole nascondere il viso sempre più umido a causa delle lacrime sulla propria spalla sinistra. Emma si aggrappò alla sua schiena, stringendo nei palmi piccoli il tessuto della sua camicia, e lasciò che lui le accarezzasse i capelli lentamente, in una litania che avrebbe dovuto fungere da conforto.
La stava cullando piano, con piccoli movimenti che volevano scandire il suo sfogo, e fu in quel momento che si permise di tornare davvero bambina, stretta a suo padre ed avvinghiata al suo affetto.
 
Un nuovo messaggio: ore 21.36
Da: Harry
"Tu non sai nemmeno cosa sia l'amore"
 
Emma si strinse il telefono al petto, desiderando che quelle parole fossero vere.
Non rispose.

 





 


Buooonasera gente!
Devo fare in fretta, perché non ho tempo e sto per avere una crisi di nervi: alloooooora, che dire? Ennesimo confronto tra Emma ed Harry, che non poteva mancare: questa volta è lei a cercarlo (figuriamoci se, dopo il loro ultimo incontro, lui avrebbe mai smosso il suo orgoglio eheh), ma per un ultimo e disperato tentativo. Nonostante sappia già cosa il suo cuore le sta consigliando, cerca di fare la scelta più altruista tra tante e di prestare fedeltà esclusivamente alla volontà di Harry. Ci prova, ma fallisce: probabilmente molte criticheranno questa sua decisione, ma Emma è coerente con se stessa, quindi non avrebbe potuto fare altro. È sempre stata estrema in tutto, quindi anche qui non può essere da meno!
Lui ovviamente non la prende molto bene, infatti il litigio va a toccare anche altri piccoli argomenti, ma comunque alla fine i due si lasciano in malo modo: Harry che le urla contro, mentre lei scappa, letteralmente. Piccola parentesi con il padre di Emma, che non so da dove mi sia uscita, e poi il messaggio che lei riceve e al quale non risponde.
ORA, ditemi tutto quello che vi passa per la testa! Dubbi, perplessità, insulti (magari no ahah)? Insomma, sono curiosa di leggere le vostre opinioni a riguardo, le vostre aspettative per l'epilogo (dopo il quale potrò finalmente commentare un po' meglio le varie dinamiche!): vi sono chiare le motivazioni di entrambi? Credete di potervi schierare dalla parte di qualcuno? Cosa pensate dell'egoismo del quale entrambi si accusano? A voi i commenti :)

As usual, grazie di tutto!!!!!

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.

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Capitolo 29
*** Epilogo - Gifts ***




 

Epilogo - Gifts
 

 

Con l'intero contenuto dell'armadio rovesciato sul letto e su gran parte del pavimento, Emma aveva finalmente trovato qualcosa da indossare: solo poche settimane prima, in un pomeriggio piovoso ed insignificante, aveva approfittato della compagnia di sua madre per svaligiare alcuni negozi di vestiario. Tra i vari acquisti, che le erano costati la promessa di avere pietà del conto in banca della famiglia, compariva un abito di un giallo paglierino, semplice nelle sue linee aderenti, ma morbide: senza spalline né particolari decorazioni, le fasciava il seno ed il resto del corpo, arrivando a coprirla pudicamente fino a metà coscia. Sulla schiena la stoffa si divideva in senso ovale per svelare la sua pelle candida.
Emma appoggiò l'abito sul letto, sopra tutti quelli che aveva già provato e scartato, e prese ad osservarlo mordendosi il labbro inferiore, pensierosa. Il fatto che Tianna ed i gemelli stessero tramando qualcosa non la aiutava per niente: le avevano detto che l'avrebbero portata a cena fuori, per poi accompagnarla in un qualche locale nel quale non era mai stata, ma non erano bravi a nascondere un segreto, quindi era più che evidente che stessero tentando di farle una sorpresa. Lei non era di certo intenzionata a rovinarla, eppure le avrebbe fatto comodo avere almeno un indizio per scegliere l'abbigliamento adatto: in fondo era il suo sedicesimo compleanno, ne aveva tutto il diritto.
«Emma!» Esclamò concitata la voce infantile di Fanny, mentre la piccola spalancava la porta della stanza della sorella. Si precipitò verso di lei con gli zigomi arrossati ed i capelli in disordine, sorridendo anche con gli occhi vivaci.
«Quante volte ti ho detto che dovresti bussare?» La rimproverò bonariamente Emma, accarezzandole il capo senza distogliere lo sguardo dal vestito ancora sul letto.
«Ma ho finalmente trovato il regalo da darti!» Protestò Fanny, scansando con una mano il tocco della sorella e saltellando sul posto. Per tutta la mattina, infatti, aveva tenuto il broncio per la sua incapacità di pensare ad un regalo di compleanno adatto: si era chiusa in camera sua, nonostante le fosse stato detto che non fosse qualcosa di importante, e non ne era uscita se non per mangiare ed andare in bagno.
Emma corrugò la fronte e si riscosse dai propri pensieri, stupita da quella piccola novità. «Davvero?» Le domandò, osservandola con attenzione. «E cosa sarebbe?»
Fanny allargò il sorriso sdentato sul proprio volto e le porse la bambola di pezza che teneva tra le mani.
«Annabel?» Chiese la sorella, incredula. «Vuoi regalarmi Annabel?»
L'altra annuì, come se la risposta fosse stata ovvia.
«Ma è la tua bambola preferita» continuò Emma, sempre più sorpresa da quella decisione così improbabile: quell'ammasso di stoffa consumata e vissuta aveva condiviso con la piccola persino la culla, senza staccarsi da lei nemmeno per un giorno.
Il viso di Fanny si corrucciò in un'espressione concentrata, mentre lasciava il regalo alla sua destinataria. «Lo so» mormorò, abbassando lo sguardo ed incrociando le mani dietro la schiena. «Ma tu mi ci lasci giocare quando voglio, non è vero?» Ragionò, come se stesse illustrando un piano già elaborato ed approvato: sarebbe stato troppo strano se avesse deciso di separarsi da Annabel così definitivamente, quindi era ovvio che volesse scendere ad un compromesso.
«Certo» sorrise Emma, intenerita da quella richiesta simile ad una paura.
«E poi, così puoi tenerla con te di notte, quando sei triste» continuò Fanny, tornando ad illuminarsi con le labbra increspate in un sorriso speranzoso.
«Tu la usi per questo?» Le domandò la sorella.
«No, io ormai sono grande per queste cose» fu la risposta, accompagnata da un sottile tono indignato che la fece divertire appena. «Però magari a te può servire».
«A me?»
Fanny annuì sapientemente, con un'aria buffa che solo una bambina di sette anni può conservare.
«Io non sono triste» precisò Emma quindi.
«Ma qualche giorno fa ti ho sentita piangere, mentre eri qui» ribatté l'altra, vagamente confusa. Emma smise di respirare. «Perché piangevi? Hai fatto arrabbiare la mamma? Di solito, se le dai un bacio e la abbracci, poi lei non è più arrabbiata».
La sorella maggiore, stritolando tra le mani l'innocente bambola di pezza, serrò la mascella e deglutì a fatica: non pensava che qualcuno l'avesse sentita e voleva costringere anche se stessa a dimenticare l'accaduto. Non le succedeva spesso, anzi, era stata la prima volta dopo lo sfogo liberatorio al quale si era abbandonata tra le braccia solide di suo padre: a differenza di quello che aveva temuto, era riuscita a tenere insieme i propri pezzi abbastanza efficientemente da non lasciarsi andare al senso di vuoto che percepiva, che viveva ogni giorno passato senza Harry. E per un mese e mezzo aveva continuato a lottare, a nascondere dentro di sé ogni tipo di debolezza per non realizzarne l'intensità, fino a quando, senza alcun preavviso o motivo scatenante, aveva ceduto inesorabilmente. I propri sentimenti stavano sanguinando, agonizzanti per l'assenza del loro oggetto, e quando lei si accorse dell'effettivo dolore che questo provocava - quello che aveva cercato a tutti i costi di non vedere - non fu in grado di sopportarlo.
Ogni secondo trascorso dalla fine di loro, ogni secondo che lei aveva sottovalutato consapevolmente si era riversato nelle lacrime che aveva nuovamente versato nella sua stanza, con Fanny come ingenua ed invisibile testimone.
Emma chiuse per un istante gli occhi e si aggrappò al proprio contegno, poi si sforzò di sorridere. «Grazie del regalo» esclamò abbassandosi all'altezza della sorella, in ginocchio. «Mi piace molto» aggiunse, muovendosi per abbracciare il piccolo corpo che le stava di fronte e che era sempre in grado di darle un certo assaggio di conforto.
«Emma! Scendi un attimo! C'è tua zia Millie al telefono!» Urlò Constance dal salotto, aggiungendo un nome all'interminabile lista di parenti che quel giorno l'avevano cercata per farle gli auguri. Lei alzò gli occhi al cielo e lasciò andare sua sorella, che sgattaiolò via priva di alcun pensiero che avesse potuto turbarla.
Osservò Annabel tra le sue mani e la appoggiò sul letto.
 
Circa quarantacinque minuti dopo, Emma era pronta e suo padre stava borbottando qualcosa riguardo la lunghezza insufficiente del suo abito, cosa che avrebbe fatto anche se le fosse arrivato alle caviglie.
Quando il campanello di casa suonò, si alzò velocemente dal divano sul quale stava macerando la sua impaziente attesa e si avvicinò alla porta, con il rumore dei tacchi neri che la seguiva ad ogni passo. Ebbe appena il tempo di riconoscere le facce esaltate e calcolatrici dei suoi amici, prima che Dallas le si avventasse contro, coprendole gli occhi con una benda nera.
Emma sospirò e si rilassò. «Sapevo che avreste combinato qualcosa» esclamò soddisfatta e arresa, mentre aspettava che la stoffa fosse accuratamente assicurata ad impedirle la visuale.
«Invece ti sbagli» la corresse Tianna, con il suo profumo a solleticarle il naso. «Dobbiamo davvero portarti a cena, ma non vogliamo farti vedere dove» spiegò, sperando di essere convincente. Il fatto era che non ci riusciva nemmeno lontanamente, anche a causa del mezzo sospiro di Pete, che probabilmente era stato trascinato in quell'impresa senza grande entusiasmo.
«Certo, certo» rispose Emma, allungando le mani in avanti per orientarsi meglio, nonostante Dallas stesse tenendo una mano dietro la sua schiena per indirizzarla nella giusta direzione.
«Signor Clarke, allora noi andiamo» esclamò lui, prima di varcare la soglia di casa.
«State attenti, mi raccomando» rispose l'altro, ancora seduto sul divano e con lo sguardo serio. «E ogni tanto tirale giù quel vestito. Anzi, no: Tianna, fallo tu» si corresse subito dopo, facendo sorridere tutto il gruppo.
«E fate tante foto!» Si intromise Constance, scendendo le scale con Fanny tra le braccia.
«Va bene, ciao» tagliò corto Emma, scuotendo la testa e facendo un passo instabile in avanti. «Dallas, se cado, ti uccido» promise poi a bassa voce.
Lentamente e non senza piccoli scherzi con i quali i gemelli si divertivano a guidarla erroneamente, la festeggiata riuscì a salire nell'auto che era parcheggiata davanti casa sua: le avevano detto che li avrebbe accompagnati il padre di Tianna, come spesso accadeva, ma l'odore era diverso ed anche la morbidezza dei sedili. «Di chi è questa macchina?» Domandò allora, vagamente stupita. Era nel posto centrale, tra Pete e Dallas.
«Ciao, Emma. Tanti auguri» la salutò qualcuno dalla voce familiare.
«Signor Butler!» Ricambiò lei, stupita nel rivederlo, o meglio, nel sentirlo. «Non sapevo fosse tornato dalla Svizzera».
«Sì, purtroppo ogni tanto torniamo ad avere dei genitori» scherzò Dallas, con sicuramente un sorriso sulle labbra. Le piaceva molto il rapporto nella loro famiglia: difficilmente riuscivano a prendersi sul serio, sempre pronti a ridere e a far ridere, nonostante il lavoro in ufficio del signore e della signora Butler potesse consigliare il contrario. Per questo motivo il padre non si sentì affatto accusato dalla battuta del figlio: nessuno avrebbe mai potuto credere ad una frase del genere, perché i gemelli erano letteralmente innamorati di chi aveva donato loro la vita.
«La prossima volta, allora, non mi chiamare chiedendomi quando torneremo» ribatté il signor Butler scatenando leggere risate.
Emma aveva tentato di memorizzare tutte le curve intraprese in modo da orientarsi nella propria città, ma si era persa dopo i primi cinque minuti di guida: era agitata anche solo per il fatto di essere in un automobile - che se non era di Harry risultava ormai cento volte più spaventosa - ed era troppo impaziente per la serata che la attendeva, senza contare il fatto che i suoi amici stavano abilmente cercando di distrarla con battute sarcastiche e chiacchiere infinite. Aveva semplicemente dovuto arrendersi, promettendo a se stessa di non chiedersi più quale fosse la meta, ma di fidarsi ciecamente di loro.
Alla fine, quando l'auto si spense, Emma si irrigidì sul sedile posteriore e sorrise spontaneamente. «Alzati, forza, o vuoi che ti porti in braccio?» La spronò Pete con il suo solito tono incolore, ma intriso di quella confidenza che le impediva di indignarsi.
Lei si sporse verso il suo corpo, nonostante non potesse vederlo, e lo strinse a sé in modo scherzoso. «Sei sempre così dolce, che mi viene voglia di coccolarti fino a domani. Piccino» lo prese in giro, mentre lui cercava di divincolarsi dalla sua presa senza troppa convinzione.
«Smettila, idiota» la rimproverò bonariamente, ricambiando per un solo attimo quell'abbraccio impacciato ed improvviso.
La aiutò a scendere dall'auto, facendo attenzione a non farla inciampare sul marciapiede, e la guidò lentamente in avanti, mentre Tianna la prendeva per mano e le lasciava un bacio sulla guancia. «Ti ho già detto che stasera sei una strafiga?» Le bisbigliò all'orecchio.
Emma abbozzò una risata e si godette la sensazione piacevole del sole tiepido sulla propria pelle, pronto a tramontare e a dettare l'inizio della fine di quel diciannove giugno. «No, ma ti ringrazio» rispose sinceramente. Non era da lei recitare la parte della persona imbarazzata ed incredula, perché si amava abbastanza da credere nelle parole di Tianna: si sentiva bella in quel vestito. Un po' di più rispetto ai giorni precedenti, quelli nei quali aveva cercato di ricostruire la propria fortezza di consapevolezza, e un po' di meno rispetto a quando era Harry a farla sentire così, ma pur sempre bella.
«E il vestito ti fa un bel culo» continuò l'altra. «Pete, non le fa un bel culo?»
«Giuro che sei l'unica che può chiedere al proprio ragazzo un parere sul culo di un'altra» sbuffò lui.
«Che c'entra? Stiamo parlando di Emma» precisò lei. «Di certo non te lo chiedo su quella smorfiosa che ti corre dietro come una cagnetta in calore per tutta la scuola» continuò stizzita.
«Ci risiamo…» commentò Emma a bassa voce, con la risata di Dallas a dimostrarle di esser stata udita.
«Stai forse parlando di te?» Ribatté Pete.
«Razza di stupido» lo insultò la ragazza, tagliando corto.
«Ah, l'amore…» sospirò Dallas.
La festeggiata avrebbe voluto non avere quella benda scura sugli occhi, per poter osservare divertita ogni minima espressione sul viso dei loro amici. Poteva basarsi solo sui rumori che la circondavano - come il passo lento di Pete o i tacchi di Tianna sull'asfalto - e sugli odori, come quello familiare e confortante di Dallas. Non riusciva a definire la sensazione che provava nell'essere in loro compagnia: percepiva ogni implicito sforzo per farla sorridere, per regalarle una spensieratezza che aveva rischiato di perdere e che volevano riacquistasse almeno per una sera, ed era grata di avere il loro sostegno.
«Per carità, dovrei essere proprio una stupida masochista per amare un individuo del genere» esclamò Tianna, dando sfogo alla sua leggera stizza. Nessuna novità, visto che le cose andavano sempre così, e nessuna preoccupazione, dato che dopo cinque minuti sarebbero sicuramente scomparsi in qualche posto più appartato per riappacificarsi a modo loro. Talvolta Emma sospettava che Pete la provocasse di proposito, solo per poi poterla ammansire a suo piacimento.
Anche Harry si divertiva a stuzzicarla maliziosamente, prima di ricordarle da chi dipendesse inesorabilmente.
L'aprirsi di una porta la distrasse da quei pensieri pericolosi, quindi si concentrò sul gradino sul quale non doveva inciampare e sul chiasso proveniente dall'interno afoso del locale, mentre il battibecco tra la coppia continuava senza alcun disturbo.
«Benvenuti al Red's» li accolse la voce stridula di un uomo.
Emma alzò un sopracciglio e fu tentata di sbirciare da sotto la benda. Non conosceva nessun ristorante con quel nome, né un locale: sicura che nessuno le avrebbe rivelato qualcosa se non a tempo debito, non insistette per conoscere la verità.
Con attenzione fu guidata giù per due rampe di scale: la musica mista a vero e proprio rumore proveniente dal piano terra stava diminuendo di intensità, lasciando spazio ad un maggior silenzio. Forse si trattava di un locale che offriva anche un'area di ristorazione.
Dopo l'ultimo gradino, la mani di Dallas le solleticarono dispettosamente i fianchi, facendola ridere: «Sei pronta?» Le chiese soltanto, iniziando a scioglierle il nodo dietro la nuca.
Lei annuì ed aspettò impazientemente di poter riacquistare la vista, mordendosi il labbro in un sorriso smorzato. Quando la benda lasciò libere le sue iridi, smise di respirare e sentì il cuore tornare a battere con l'enfasi che non provava da un po' di tempo.
Erano tutti lì, per lei.
 
«Allora, che ne pensi?» Domandò una voce al suo fianco, sorprendendola.
Emma ingoiò il pasticcino alla crema che aveva silenziosamente rubato dal banchetto e si voltò alla propria sinistra: Zayn la stava osservando con le mani nelle tasche dei jeans scuri e con un'espressione serena sul volto. Non si era stupita nel ritrovarlo tra gli invitati, in compagnia di Melanie, perché aveva avuto l'occasione di conoscerlo meglio e di creare un rapporto che andava oltre quello della semplice conoscenza.
«Mentirei se dicessi che non me l'aspettavo» sorrise lei, inumidendosi le labbra. «Ma mi piace molto» ammise. Era ancora pervasa dal senso di calore provocato dall'impegno che i suoi amici avevano messo nell'organizzare la sua festa a sorpresa: nonostante non fossero stati abbastanza abili nel nascondere le proprie reali intenzioni, erano riusciti ad invitare tutti i suoi amici per farla sorridere, per farle sentire qualcosa. Affittando il piano inferiore del Red's - che alla fine era un semplice pub su due piani, consigliato da sua sorella Melanie - avevano predisposto dei tavoli per un buffet e chiamato il DJ della loro scuola per animare la serata con un po' di musica. Per come la vedeva, avrebbero anche potuto portarla in un vicolo colmo di cassonetti maleodoranti, ma ne sarebbe stata ugualmente felice.
Zayn sembrò sollevato e sinceramente appagato dalla sua risposta, poi si versò da bere in uno dei bicchieri e bevve a piccoli sorsi la birra amarognola. Entrambi restarono immobili, ad osservare la sala colma di persone allegre e spensierate: tra loro si era ormai instaurata una certa confidenza, anche se non era ancora ben chiara. Nonostante il loro legame non fosse profondo o costruito su solide basi, infatti, sembrava comunque più intimo di quanto fosse naturale: Emma credeva che dipendesse da ciò che indirettamente condividevano, da quella persona che aveva condizionato le vite di entrambi e che sembrava intrufolarsi cautamente in ogni loro dialogo ed in ogni loro incontro. Con le loro esperienze passate, avevano l'impressione di nascondere lo stesso segreto indiscreto: solo loro potevano sapere cosa volesse dire legarsi ad Harry, viverlo anche se in modi diversi, e questo era abbastanza per creare un'intesa implicita e comprensiva. Era Harry ad unirli, più di qualsiasi altra cosa.
«Tua sorella è bellissima» mormorò piano Zayn, alzando una mano per ricambiare il saluto di Melanie, poco distante da loro. Il sorriso rilassato che gli distese il viso la meravigliava ogni volta di più: sembrava urlare senza riserve quanto sincero fosse il suo significato, come se Zayn si stupisse in ogni minuto di poter amare così tanto qualcuno.
«Oh, ti prego…» si lamentò Emma, alzando gli occhi al cielo e nascondendo parte dei suoi pensieri, per liberarsi dall'atmosfera di cuoricini immaginari che si stava diffondendo attorno al corpo del suo amico.
Lui abbozzò una risata e bevve un altro sorso. Quando si voltò verso di lei, il suo sguardo scuro era più serio, intenso: come poteva Melanie sopravvivere a qualcosa del genere?
«Che ti prende?» Domandò Emma, stranita dal suo comportamento.
Zayn alzò le spalle e per un attimo finse indifferenza, poi spostò lo sguardo sul proprio bicchiere e di nuovo su di lei. «Fuori, c'è qualcuno che ti aspetta» esclamò lentamente, osservandola con attenzione come a voler carpire ogni sua minima reazione.
Emma percepì qualche battito in più, ma non lo diede a vedere. «E chi sarebbe?» Chiese, con la voce sicura che sperava non tradisse il presentimento che le stava accartocciando lo stomaco.
«Vai a vedere» le consigliò Zayn, inclinando le labbra nel preavviso di un sorriso.
Lei non sapeva cosa pensare: una piccola parte di sé, quella più caparbia e forse stupida, le aveva instillato nella mente la possibilità che quel qualcuno potesse essere Harry, ma non voleva crederci. Probabilmente erano solo i suoi sentimenti ricchi di speranza a volerla tormentare in quel modo, probabilmente era solo un pretesto per farla uscire e darle un regalo o farle un'altra sorpresa, probabilmente era talmente patetica da fremere affinché fosse la prima opzione, quella giusta.
«Se non è stato invitato, vuol dire che non è importante» tentò di sdrammatizzare, con le gambe che cercavano di farla accasciare anche solo per un istante. Voleva aggrapparsi a quella possibilità, dato che tutti i suoi amici erano già presenti, per non sprofondare nel ridicolo e nella vergogna per se stessa.
Zayn indurì la sua espressione. «Emma, vai a vedere» ripeté, intimandole di non contraddirlo.
Lei ignorò la gola secca e serrò la mascella, guardando il suo interlocutore come a voler cercare una risposta sul suo viso: si chiedeva perché non potesse sapere di cosa stesse parlando e perché il suo istinto le gridasse di avere già una risposta, che non poteva basarsi su altro se non su una speranza disperata.
Alla fine inspirò profondamente e gli diede ascolto.
 
Emma camminava con la sguardo basso, fisso sulle proprie scarpe aperte e con la suola rumorosa: non voleva alzarlo prima del necessario, perché voleva aspettare e prendersi ancora un po' di tempo per accettare tutte le possibilità, o forse solo quella.
Aprì la porta del locale passandosi una mano tra i capelli e sospirando piano, mentre l'aria afosa le aderiva alla pelle nuda: a quel punto non avrebbe potuto rimandare oltre il momento della verità.
I suoi occhi si mossero veloci ma restii, trovando immediatamente il loro obiettivo.
Le sue mani si strinsero in un pugno rigido.
Il suo cuore si ritrasse, come a volersi proteggere prima ancora di subire una minaccia.
Ed il suo corpo si immobilizzò, pietrificato.
Harry era a pochi metri da lei, appoggiato con la schiena alla sua auto bianca e un po' più sporca di quanto ricordasse. Indossava gli stivali marroni che chissà se avrebbe mai buttato ed i jeans neri un po' consumati sulle tasche posteriori: la sua pelle era leggermente abbronzata, di un colorito più scuro che contrastava con la t-shirt bianca e che metteva in risalto il verde imperfetto delle sue iridi. Intense più di quanto la sua memoria le concedesse di ricordare, ammalianti più di quanto volesse sopportare, erano su di lei, inevitabilmente e come sempre.
Non lo vedeva da più di un mese, ma sembrava non fosse passato nemmeno un secondo, stando al turbinio di emozioni che stava nuovamente ospitando, anche a distanza di tutto quel tempo: aveva l'impressione di aver solo sbattuto le palpebre e di aver cambiato scenario con quel semplice gesto. Un battito di palpebre e loro due non si sfioravano più, ma l'amore di Emma era ancora pulsante e vivo.
Non mostrò l'impatto che il rivederlo ebbe su di lei, non reagì in alcun modo alla forma delle sue labbra schiuse o ad ogni tratto del suo viso. Finse di non notare il modo in cui gli occhi di Harry si posarono su ogni centimetro del suo corpo, forse accarezzando i suoi stessi pensieri, e si impose di non dar retta al proprio istinto. Aveva impiegato troppo tempo nell'imparare a recitare la parte di chi sta dimenticando, tanto da essere quasi riuscita a farlo davvero, quindi non poteva permettersi di azzerare tutti i suoi sforzi provocandone degli altri.
«Ciao» sussurrò Emma, restando ferma nella sua posizione e mettendo a tacere tutte le altre domande che insistevano per essere pronunciate. Avrebbe davvero voluto chiedergli perché fosse lì, perché dopo tutto quel tempo, perché, perché ed altri mille perché, ma non si sentiva ancora in grado di ricevere una risposta, che quasi sicuramente non sarebbe stata quella che più desiderava.
«Ehi» ricambiò lui, avvicinandosi di pochi passi, lentamente. La sua voce, invece, era esattamente come si ripeteva nella sua mente: l'ultima volta che l'aveva udita, le stava urlando contro con una tale rabbia da farla tremare, ma lei non la disdegnava. Si era aggrappata a qualsiasi sua sfumatura, a qualsiasi sua intonazione, e l'aveva ricordata su ogni centimetro della propria pelle.
«Buon compleanno» continuò lui con una certa cautela. Sembrava stesse valutando la situazione, le sue reazioni alle proprie parole: era sempre stato un attento osservatore e, per quanto Emma si sforzasse di nascondere tutto al meglio, la maggior parte delle volte riusciva nel suo intento.
«Grazie» rispose soltanto, con un fil di voce. Non era più abituata a sottostare al suo sguardo, né ad averlo così vicino seppur così lontano. Non credeva possibile che si fosse davvero ricordato del suo compleanno. Non riusciva a comprendere perché si fosse presentato alla sua festa e perché non avesse parlato direttamente con lei, anziché informare Zayn. Non riusciva a tollerare la confusione che la sua sola presenza aveva risvegliato in lei.
«Non mi guardare così» esclamò lui dopo qualche secondo, facendo un altro passo in avanti. Aveva assottigliato gli occhi, come a pregarla fingendo che fosse un ordine.
«Così come?» Ribatté Emma, fingendo di non sapere a cosa si stesse riferendo. Era evidente che nelle sue iridi si stesse riflettendo ogni più piccola emozione che la stava attraversando, ma non poteva fare nulla a riguardo, né le interessava farlo. Forse, se il profumo di Harry fosse stato un po' meno forte, avrebbe avuto più possibilità di concentrarsi. Forse ne avrebbe avute se il suo amore si fosse davvero smorzato almeno un po', anziché ingannarla così infidamente per tutto quel tempo.
«Lo sai» rispose Harry seriamente.
Emma inspirò a fondo. «Lo sai anche tu» gli fece presente. Era inutile parlare per sottintesi, fare domande delle quali si conoscevano già le risposte. In che altro modo avrebbe potuto guardarlo e che forza avrebbe dovuto usare?
Harry si inumidì le labbra e sospirò piano, senza reagire a quello scambio di battute. La tensione tra loro era tangibile, insistente, e nessuno dei due sapeva bene come gestirla: in fondo dopo il loro ultimo incontro non si erano più visti né parlati, come se non si fossero mai appartenuti. Lui non l'aveva cercata, forse troppo arrabbiato e ferito per poter cedere ad un compromesso o arreso alla sua determinazione, della quale probabilmente si era stancato. E lei aveva preferito non litigare ancora, non tentare un chiarimento, perché le avrebbe fatto ancora più male, dato che rimaneva della convinzione che i loro sentimenti sarebbero sempre stati sbilanciati.
«Sono passato a darti il mio regalo» esordì Harry, dopo un paio di minuti di interminabile silenzio, di sguardi attenti e di battiti cardiaci in più.
Emma spalancò gli occhi e corrugò la fronte. «Mi hai fatto un regalo?» Domandò incredula, credendo che la stesse prendendo in giro. Dato il suo animo dispettoso e caparbio, era possibile che avesse scelto una sottile modalità di vendetta nei suo confronti.
«È tanto strano?» Replicò lui, alzando un sopracciglio. Ed Emma avrebbe voluto non conoscerlo così bene, non saper scorgere la sincerità nella sua voce roca e nella sua espressione pacifica. Avrebbe voluto essere in grado di ritenerlo un falso, perché avrebbe accettato meglio quella possibilità.
«Sì» rispose semplicemente. Non era intenzionata a mentire e si chiedeva come lui potesse non comprendere l'assurdità di quella situazione: da qualsiasi punto di vista la si guardasse, c'era qualcosa che stonava terribilmente.
«Invece no» la contraddisse, quasi offeso dalla sua convinzione. Emma riusciva a cogliere i significati sottintesi delle sue parole, ma non voleva ammetterli: non voleva credere che Harry tenesse ancora a lei a tal punto da volersi riavvicinare, da volerle porgere un regalo che non le aveva fatto nemmeno durante la loro storia. Doveva proteggersi a tutti i costi, quindi si travestiva di scetticismo.
«Credevo mi odiassi, o qualcosa del genere» gli spiegò allora, esponendo la sua motivazione principale. Impresse sulla sua pelle ed incastrate tra i suoi organi nobili, regnavano ancora le parole ricche di rancore che le erano state rivolte durante le loro ultime discussioni, così furiose da suggerirle che nascondessero poco efficacemente il disprezzo che lui aveva sviluppato nei suoi confronti, a causa delle diversità che li separavano.
Harry aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito dopo, forse imponendosi un certo auto-controllo. «Sai che non è vero» esclamò piano, stringendo i pugni.
No, non lo so, pensò Emma. E non stava mentendo: era convinta che quel ragazzo che ora la stava guardando con rimprovero avesse perso la stima nei suoi confronti, che l'avesse calpestata perché incapace di comprenderla. Credeva di averlo allontanato e stancato definitamente, provocando una ferita cronica in quello che era solo l'incipit di un sentimento.
Non rispose alle sue parole, perché quelle che le vorticavano nella mente erano troppo confuse per essere espresse chiaramente e perché le mani avevano iniziato a tremarle impercettibilmente per il timore.
Dopo qualche secondo Harry abbassò lo sguardo e si voltò, facendole chiedere se se ne stesse andando e facendole fare un passo avanti, spontaneo e dettato dall'istinto. Emma si tranquillizzò solo quando lo vide aprire lo sportello del passeggero dell'auto e raccogliere qualcosa dal sedile: lo osservò mentre si avvicinava di nuovo a lei, con un pacchetto tra le mani grandi.
«Tieni» sussurrò lui, porgendole ciò che le apparteneva e ripristinando il contatto con i suoi occhi. Le era a nemmeno un metro di distanza, a tentarla con ogni suo particolare.
Emma si sforzò di respirare normalmente e si concentrò su quel regalo, prendendolo tra le mani e facendo attenzione a non toccare quelle di Harry, nemmeno per errore. La carta che lo rivestiva era di un verde pallido, decorato con fantasie astratte: la aprì cercando di non rovinarla troppo e chiedendosi se fosse stato lui ad impacchettarla così bene.
Quando le fu chiaro cosa stesse stringendo, sentì la gola chiudersi ad impedire qualsiasi passaggio di aria ed il cuore arrendersi a qualcosa che non era in grado di gestire. Percepì gli occhi inumidirsi e si disprezzò per la debolezza che non riusciva a debellare.
Harry le aveva regalato una cornice in legno chiaro, di forma rettangolare e priva di qualsiasi sfarzo: ma al suo centro, al posto della solita fotografia illustrativa in vendita nei negozi, ne era posizionata una di Emma. Nuda e sdraiata a pancia in giù su un letto, era ritratta fino a metà busto, con le lenzuola ad accartocciarsi lungo i suoi fianchi magri: il viso dormiente sprofondava in un cuscino increspato, mentre i capelli disordinati le incorniciavano l'espressione innocente e gli zigomi lievemente arrossati. La sua pelle chiara contrastava con il buio della stanza, chiaramente illuminata solo da una debole luce, ed era macchiata da ben visibili lentiggini, indiscrete e libere da qualsiasi copertura Emma fosse solita imporre loro. La qualità dell'immagine era discutibile, cosa che le fece supporre che fosse il prodotto della fotocamera di un cellulare, e l'inquadratura sembrava non volersi concentrare sulla sua intera figura, ma su qualcosa che solo l'autore poteva indovinare.
«Te l'avevo detto, che mi sarebbe piaciuto fotografare le tue lentiggini» sussurrò Harry, riportandola alla realtà.
Emma alzò velocemente lo sguardo su di lui, stringendo la cornice tra le mani ed il cuore in una preghiera. Non poteva credere a quelle parole, a quel gesto: era doloroso immergersi di nuovo in un tempo così lontano, risalente a quando loro due non erano nemmeno qualcosa di definibile, incomprensibili l'uno agli occhi dell'altra e viceversa. Non era l'unica a ricordarsi di quel particolare, di quel messaggio ricevuto durante il pranzo a voler anticipare una riconciliazione.
«Quando...?» Riuscì solo a chiedere, tanto flebilmente da essere appena udibile. Voleva sapere quando Harry avesse scattato quella fotografia a sua insaputa. Quando fosse rimasto ad osservarla e avesse sentito il bisogno di immortalare la sua immagine in qualcosa che non aveva intenzione di rivelare. Quando si fosse tradito, viste le continue prese in giro che le rivolgeva quando insisteva per fotografarlo in più particolari.
Harry la osservò per qualche istante. «La prima volta» rispose piano.
Qualcosa dentro di lei si mosse così energicamente da spingerla a distogliere lo sguardo dal suo viso: come aveva fatto a non riconoscere immediatamente le lenzuola azzurre nelle quali si era arresa a qualcun altro? Ripensare alla prima volta nella quale si erano stretti così forte da rendersi deboli a vicenda era una vera e propria tortura, qualcosa che aveva evitato di fare sin da quando aveva capito che non ce ne sarebbe più stata l'occasione: ma pensare che Harry si fosse svegliato al suo fianco, quella stessa notte, e si fosse soffermato sui suoi dettagli facendo attenzione a non svegliarla, era ancora peggio.
Improvvisamente l'essersi presentato alla sua festa e l'averle portato un regalo - quel regalo - le erano di conforto: sembravano darle una risposta che aveva cercato ed immaginato per molto tempo. Più volte Emma si era domandata perché Harry si fosse limitato a criticarla senza indulgenza, al posto di farle comprendere cosa significasse per lui e che importanza avesse: troppo preso a scontrarsi con le sue convinzioni, si era come dimenticato di farla sentire accettata, preferendo urlarle contro tutto il suo disappunto, anziché insistere affinché potesse farsi capire. Ma in quel momento, non aveva più dubbi: non poteva averne, perché le era appena stata fornita un'ulteriore ed inaspettata prova dello spazio che occupava in Harry e che forse lui non era stato bravo a dimostrarle. Quello era stato il suo modo per scoprirsi un po' di più, anche se in ritardo.
Si sentì fremere per quella consapevolezza, fremere per i sentimenti che non aveva mai smesso di provare e che, ridotti ad un flebile e sottomesso bagliore, erano appena stati incendiati nuovamente da una scintilla non richiesta. «Harry…» provò a dire, ma inutilmente. Le sue parole, infatti, che non sapeva nemmeno dove l'avrebbero portata o cosa si sarebbero effettivamente lasciate sfuggire, furono interrotte casualmente nello stesso istante.
«Tra due giorni me ne vado» esclamò Harry, serio.
Emma respirò piano ed abbandonò le braccia lungo il proprio corpo. «Cosa?» Domandò a bassa voce, incapace di riflettere su ciò che aveva appena udito.
«Ho degli amici a Bristol che possono darmi un lavoro. Voglio cambiare aria, ora che la scuola è finita» spiegò Harry lentamente. Aveva ripreso a studiarla senza alcun filtro, attento a non tralasciare nemmeno un battito di ciglia.
Conscia dell'esame al quale era sottoposta, si impose con tutte le forze che stentavano ad animarla di non lasciar trasparire assolutamente nulla, nemmeno una briciola di quel dolore che l'aveva di nuovo incrinata. Non gli avrebbe più concesso niente, niente da usare contro di lei, niente da rubarle senza permesso. E sì, una parte di lei voleva sapere perché avesse deciso di andarsene, voleva sapere se allora tutto quel teatrino fosse stato solo un modo per salutarla, e voleva sapere perché mai avesse voluto farlo ed infierire, ma le sue labbra si serrarono inesorabilmente, rigide nella loro determinazione.
Non sapeva se Harry sperasse di essere fermato, se volesse ricevere attenzioni o se volesse semplicemente dimostrarle di essere andato avanti con la propria vita, pronto a ricominciare da capo, ma le bastava essere sicura che avesse preso quella decisione senza di lei. Di conseguenza, non sarebbe stato compito suo fargli cambiare idea.
«In bocca al lupo, allora» esclamò impassibile, mentre invece sentiva ogni cellula del proprio corpo ribellarsi a quelle insulse parole. Velò le proprie iridi di una stentata indifferenza e pregò affinché potesse risultare credibile, almeno quella volta.
Una strana espressione si dipinse sul volto di Harry, che fece un piccolo passo indietro. «Già…» rispose solo, in un respiro represso. Cosa avrebbe voluto dire, al posto di quella semplice sillaba? Quale rimprovero o preghiera avrebbe voluto rivolgerle? Stavano tralasciando così tante cose, tra di loro, da non sentirsi nemmeno più capaci di poterle recuperare.
Qualche istante dopo, Emma cedette inaspettatamente. «Quando torni?» Indagò soltanto, pentendosi subito dopo di averlo fatto.
Lui sembrò sollevato da quella indiscreta dimostrazione di interesse, ma non lo diede troppo a vedere. «Non lo so, dovrò sistemarmi e avrò poco tempo libero» le spiegò.
Quello significava che non sarebbe tornato per molto tempo, nonostante questa verità fosse mascherata da una frase di circostanza e parecchio vaga. Per Emma era doloroso sapere che non l'avrebbe più potuto incontrare: per tutto quel tempo era stata abbastanza fortunata da non rivederlo per strada o in altri luoghi, ma aveva comunque covato la speranza che potesse accadere da un momento all'altro. Averlo a chilometri e chilometri di distanza, invece, le toglieva anche quel granellino di possibilità che la alimentava.
«Tu come stai?» Continuò Harry poco dopo, interrompendo i secondi di silenzio che si stavano interponendo numerosi tra di loro.
Ad Emma venne da ridere per quella domanda, ma si limitò a sorridere appena, cordialmente, aggrappandosi ancora alla promessa di non concedergli più nulla. «Bene» fu la sua risposta, chiaramente futile e priva di spirito di conversazione.
Lui si accorse del tono usato e schiuse le labbra per intervenire, forse per insistere, quindi fu costretta a correre ai ripari, incapace di sopportare oltre parole non dette e di trovare un senso per provarci.
«Sarà meglio che rientri, Dallas è impaziente di farmi vedere la torta» si congedò Emma, dopo un minuto scarso nel quale aveva soppesato tutte le possibilità. Forse era meglio così: forse era meglio lasciarlo andare ed evitare altro dolore, svincolare entrambi da un legame che, per quanto desiderato, doveva affrontare troppi ostacoli per poter resistere. Nonostante negli attimi precedenti Emma avesse ceduto il controllo al suo istinto spericolato, che aveva tentato di guidarla verso un ulteriore tentativo di riappacificazione, poteva di nuovo vedere le cose chiaramente ed in modo oggettivo.
Avevano vissuto insieme per un periodo sufficiente a provare qualcosa che non avrebbero facilmente dimenticato, sufficiente a ferirli in modo abbastanza profondo da lasciar scritti nella loro interiorità insegnamenti che sarebbero stati ascoltati: Emma era stata costretta a levigare la sua irresponsabilità ed il suo estremismo, nonostante non avesse voluto farlo. Aveva imparato a tenere ad una persona a tal punto da non dare importanza a molto altro. Aveva imparato a sbagliare per le proprie convinzioni, a rischiare tutto pur di raggiungere uno scopo che ne valesse la pena.
A vicenda, si erano trasformati e adattati a qualcun altro, sforzandosi fino in fondo di far funzionare due cuori concordi solo sulla loro diversità.
«Certo, vai pure» replicò Harry, annuendo senza troppa convinzione: evidentemente non si aspettava un abbandono così precoce, così scarno. Eppure Emma non sapeva bene come comportarsi e cosa dire, perché le sembrava tutto troppo insulso: ormai aveva capito l'importanza di separarsi, di lasciarsi liberi per recuperare la propria identità senza andare a discapito di quella di qualcun altro. Avrebbero potuto parlare ancora ore intere, Harry avrebbe persino potuto rimandare o annullare la partenza per dar loro più tempo, ma le cose non sarebbero cambiate, i problemi non si sarebbero risolti perché troppo grandi per poter essere anche solo accettati, e non si sarebbero amati a dovere.
Emma lo guardò ancora per qualche istante, immobile davanti a lui, come a voler imprimere ancora una volta ogni suo dettaglio nella propria mente, conscia del fatto che non l'avrebbe più rivisto. Quando indugiare oltre le fu insopportabile, si voltò lentamente e si allontanò adagio, sperando che quello che sentiva fosse solo il rumore dei propri tacchi e non anche quello del suo cuore sempre più danneggiato.
«Aspetta» la fermò Harry, afferrandole il polso destro e costringendola a specchiarsi di nuovo nelle sue iridi. Lei non protestò, ma si irrigidì a quel contatto: non si era dimenticata di cosa volesse dire avere le sue mani addosso, sentirne ogni angolo morbido e tiepido, e credeva che fosse semplicemente crudele doverlo rivivere proprio in quel momento. «Aspetta…» sussurrò lui di nuovo, quasi non se ne rendesse conto. La sua espressione sembrava preoccupata, ma comunque in grado di controllarsi.
Emma schiuse le labbra per chiedergli cosa dovesse aspettare e perché, perché la stesse trattenendo in quel modo senza capire ciò che provocava quel semplice gesto, ma lui la anticipò: la attirò contro il suo corpo, stringendola tra le braccia fino a renderle difficile respirare. Lei restò inerme, sconvolta da quella sensazione di completezza e allo stesso tempo di impossibilità che la pervase, e chiuse gli occhi, circondandogli il busto per farsi ancora più vicina, per sentirlo ancora di più, un'ultima volta.
Harry nascose il viso nell'incavo del suo collo e ci respirò su lentamente, come era solito fare un tempo: le sfiorò la pelle con il naso e poi con la bocca, leggera ed umida, facendo rabbrividire la vittima dei suoi movimenti. La baciò sulle lentiggini delicatamente e senza fretta, come se avesse avuto paura di danneggiarla ulteriormente o di danneggiare se stesso: forse anche lui aveva percepito quanto entrambi desiderassero un altro tentativo, ma senza poterne effettivamente avere uno, e forse anche lui stava affrontando quell'ingiustizia crudele e priva di pietà, tentando di resistere al meglio.
«Ciao, ragazzina» sussurrò appena, posando un'ultima volta le labbra su di lei, mentre Emma si sforzava di restare in piedi. Quel nomignolo l'aveva assolta da qualsiasi tormento l'avesse minacciata fino a quel momento, come se l'avesse liberata da un peso che continuava ad incomberle sul capo: si era sentita riportata indietro, a quando Harry lo usava per schernirla e a quando era stato trasformato in qualcosa di così intimo e personale da essere indispensabile. In una parola era racchiusa tutta la loro storia, l'intera essenza di ciò che erano stati e che avrebbero potuto essere, insieme a ciò che erano in quell'istante, stretti l'uno all'altra in un perdono reciproco, che lasciava tracce di malinconia nei loro respiri e tra i loro profumi.
Emma impresse il viso contro il suo petto, cercando di appropriarsi di ogni suo movimento e riuscendo quasi a percepire il suo battito cardiaco, accelerato come il suo. Si allontanò lentamente, restia ad abbandonare un contatto che inizialmente aveva tentato di rifuggire, e sospirò piano, incontrando di nuovo le iridi profonde che tanto la destabilizzavano.
Come avrebbe fatto a voltarsi di nuovo per andarsene? Come avrebbe fatto a lasciare definitivamente qualcosa solo per non rovinarla ulteriormente?
Harry intrecciò le dita tra i suoi capelli sciolti sulle spalle, accarezzandoli come riassaporando un vecchio ricordo. La guardò come se avesse voluto dire qualcosa, chiuse gli occhi per nascondere una venatura di tormento e continuò a tenerli chiusi, quando Emma portò la mano libera dalla cornice sul suo collo. Lo sfiorò riconoscendo ogni suo millimetro ed ogni sfumatura della pelle che lo costituiva.
Lui increspò le labbra e trattenne il respiro, poi si sporse in avanti per appoggiare la fronte alla sua, in un contatto che non poteva essere più puro o sincero. Entrambi stanchi e feriti, stavano cercando di redimersi per abbandonarsi a vicenda, ma era così difficile e faceva così male da obbligarli a restare immobili ancora un po', ancora vicini.
Harry le lasciò un bacio sulla fronte e non la guardò più, privandola di un ulteriore contatto visivo che forse avrebbe solo reso tutto più arduo: si separò dal suo corpo e si voltò, allontanandosi velocemente senza indugi evidenti. Emma si sentì nuovamente sola e disorientata e lo osservò salire in macchina, per poi scomparire alla prima curva imboccata con il piede pesante sull'acceleratore e le mani strette sul volante.
 
Quella notte Emma dormì con Annabel stretta al petto.


 





 


EPILOGO????!!!!
Io davvero non riesco a credere che questa storia sia finita: sono ancora convinta di aver pubblicato il primo capitolo e di non avere nessuna idea riguardo gli avvenimenti ahahah Ma bando alle ciance, nelle quali mi perderò più avanti, e passiamo a questo benedetto epilogo!
Sicuramente molte di voi si aspettavano una riconciliazione, altre ancora saranno deluse da questo finale etc etc, ma ripeto ancora una volta che dipende tutto da come si interpretano le cose! Andiamo per punti, che è meglio:
- Annabel non so da dove mi sia uscita, ma spero vi sia piaciuta l'idea! Nella mia mente Fanny è una piccina adorabile!
- Pete/Dallas/Tianna: non potevano di certo mancare, anche se non rivestono alcun ruolo fondamentale in questo capitolo. Sono più che altro delle comparse in una scena quasi quotidiana, e spero li abbiate comunque apprezzati! A proposito: chi riconosce il locale in cui la portano è il TOPPPPPPP :)
- Zayn: gli ho riservato una piccola parte, in quanto amico ritrovato di Harry eheheheh (ovviamente, è ancora super-mega-innamorato di Melanie)
- HARRY: vi aspettavate che si sarebbe presentato, quando ho parlato della festa? La scena di loro due mi ha fatto penare abbastanza, perché ho dovuto presentare al meglio il loro "nuovo" rapporto, soprattutto dal momento che è così diverso rispetto a prima. Come ho scritto nel capitolo, dopo il loro ultimo incontro hanno definitivamente interrotto ogni tipo di contatto per un mese e mezzo: molte di voi hanno giustamente detto che avrebbero dovuto parlare da persone civili, al posto di urlarsi solo addosso, ed io sono d'accordo, ma noi non siamo Harry ed Emma e loro non ne sarebbero stati capaci. Non è nel loro modo di essere, sono troppo estremi e testardi per potersi confrontare in un altro modo. Quindi, quindi, quindi, che dire? Spero davvero di aver descritto bene l'imbarazzo e la tensione, accompagnati da parole e frasi di circostanza ma anche con un significato mal celato!
Harry le ha portato un regalo, e che regalo!! Ho cercato di far trasparire l'immagine che ho io in mente di Emma in quella foto, ma ovviamente la vostra immaginazione lavorerà anche al posto mio hahah Con questo gesto, con questo piccolo dettaglio rivelato, ho voluto compensare la durezza di Harry, perché credo sia stata largamente fraintesa (l'idea della foto mi è entrata in testa già da quando lui aveva detto di volerle fotografare le lentiggini: AH, bei tempi quelli!!). Spero che sia chiaro che Harry tiene molto ad Emma, nonostante le abbia urlato contro nelle loro ultime discussioni: il suo atteggiamento non vuole essere una prova di indifferenza, ma solo di una ferita che lo rende cieco e ancora più testardo. Voi cosa ne pensate? Vi è piaciuto il regalo?
Riguardo la sua partenza, BE', non c'è molto da dire: per un attimo, Emma ha ceduto al suo istinto e ha pensato "figa oh, magari possiamo ricominciare", visto che era presa da tutte quelle emozioni derivanti dalla foto e dal suo significato, ma ben presto ha dovuto tornare a contatto con la realtà! Cosa credere in proposito? Harry voleva essere fermato oppure ha solo cercato di salutarla nel migliore dei modi?
Per il loro saluto, non ho molto da dire: ho evitato qualsiasi parola sdolcinata o da libro Harmony perché non sarebbe stata da loro, mi è venuto sponteneo descrivere tutto in quel modo, più attraverso particolari che con frasi fatte.
Per il resto, lascio a voi la parola! Mi piacerebbe davvero conoscere le vostre idee su questo epilogo, i vostri pareri sul finale! Ripeto ancora una volta che questo finale è programmato già da molti capitoli, forse da prima ancora che loro diventassero una coppia effettiva: è l'unico che avrei potuto scrivere e che può rispecchiare l'identità dei due protagonisti. Qualsiasi altra variante sarebbe stata insoddisfacente e inappropriata, per quanto a tutti piacciano gli happy endings: Harry ed Emma sono troppo diversi per continuare a stare insieme e, nonostante lo vogliano entrambi, sanno che non è possibile, che devono lasciarsi andare a vicenda.

Mi sto dilungando davvero troppo! Vi ringrazio ancora una volta per tutto quello che avete fatto per me e per questa storia! Siete state meravigliose e mi siete state di grande supporto :) Non ho davvero parole per esprimere la mia gratitudine! Spero mi farete sapere un ultimo parere su questa storia! Magari anche chi non ha mai commentato, può farsi sentire almeno in ultima battuta, perché mi farebbe davvero piacere :)

AH, dimenticavo: ci rivediamo a settembre con il SEQUEL :)))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))))
Lo so, avevo detto che non l'avrei scritto e bla bla bla, ma stavo mentendo spudoratamente perché è in programma già da molto ahaha

Vi lascio tutti i miei contatti:
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Un bacione,
Vero.
 
    
  

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