City Of Ice. di Farawayx (/viewuser.php?uid=136228)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** AVVISO. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18. ***
Capitolo 20: *** Capitlo 19: Angel with a Shotgun. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. ***
» Capitolo 1
«Siamo
come lo yin e lo yang: non possiamo vivere soli.»
«Caro
diario, è da tanto tempo che non vengo qui per scrivere due
righe. Penso che della persona spensierata di cui si leggeva nelle
altre pagine ormai non sia rimasto niente. Sai, le parole hanno il
potere di cambiarci, il tempo lo fa e con esso anche le persone. La
distinzione del bene e del male in questo mondo è davvero
contorta, nessuno nasce buono o cattivo, ma lo svolgere degli eventi ci
porta a diventarlo. Dicono che essere buoni sia la cosa più
difficile, ma con il passare del tempo realizzo che essere i cattivi lo
è ancora di più. Fingere che ogni singola cosa
sia indifferente, crogiolarsi nella solitudine ma soprattutto non avere
nessuno che tenga a te, ma quindi, io mi chiedo... Se nessuno tiene a
noi, esistiamo davvero? Le persone cattive sono quelle più
ferite e addolorante, che hanno lasciato che l'odio penetrasse in loro.
Ma loro sono anche quelli che amano di più. Ti chiedi cosa
sia io ora? Sono un angelo attratto dal buio.»
§
Sin
da quando era bambina l'unico pensiero che varcava la soglia della
mente di Samantha era uno solo, la domanda che echeggiava a gran forza
era sempre e solo quella.
“Perché?”.
Era un'altra mattina, di un altro giorno, di un altro mese, di
un altro anno in cui le cose non sarebbero mai cambiate, in
cui nessuna domanda avrebbe trovato risposta, nessuno sarebbe andato da
lei a dirle cosa ci fosse di sbagliato nei suoi occhi color nocciola o
nel suo viso ormai spento da troppo.
Tenne gli occhi fissi sul soffitto grigio, il cielo era nuovamente
ricoperto di nuvole, quindi la poca luce che filtrava attraverso le
finestre rendeva quel posto ancora più spettrale di quanto
fosse in realtà. Il freddo le era penetrato nelle ossa, ogni
solo piccolo movimento le creava nuovi brividi lungo la pelle chiare.
Lì faceva sempre freddo.
Quando una voce risuonò davanti alla sua camera fu costretta
ad alzarsi, raggiungendo di mala voglia la malridotta porta di legno
che dava su uno stretto corridoio poco illuminato. Il viso della
signora Reyes le comparse di fronte. Era consapevole di ritrovarsi
davanti quella vecchia donna ingobbita dal passare degli anni, i suoi
occhi erano spenti, velati da un grigio che ormai sembrava aver perso
qualsiasi tipo di scintilla. -Scendi, è arrivato
il momento.- pronunciò quelle parole a denti stretti,
girando poi tacchi velocemente, senza nemmeno darle il tempo di
rispondere.
Ricordava ancora chiaramente il primo giorno che aveva visto quella
donna, aveva il viso incorniciato da riccioli, e con un sorriso si era
calata su di lei, accarezzandole la guancia con una dolcezza che per
lei all'epoca era del tutto sconosciuta. E lo sarebbe rimasta ancora
per tanto.
Samantha quel giorno si sentiva fortunata mentre a soli quattro anni si
stringeva nel suo cappottino rosso, sicura di aver trovato finalmente
una casa, dei genitori. Una famiglia. Era convinta che non si sarebbe
mai più sentita sola, che sarebbe potuta andare a scuola,
avere degli amici e delle bambole con cui giocare. Voleva solo essere
una bambina come tutte e quando i suoi occhi avevano incontrato quelli
affettuosi della signora Reyes e di suo marito, era convinta che usciva
da quell'orfanotrofio con una famiglia. Usciva vittoriosa.
Ma ben presto si rese conto di aver fatto male i calcoli.
Sin dal primo momento che aveva messo piede in quel vecchio cottage,
situato in una delle campagne della periferia inglese, un brivido le
era corso lungo la schiena. In quel posto non riconosceva l'affetto, il
calore ma solo qualcosa di tremendamente sbagliato, ogni stanza era
riempito dall'odore della muffa che avanzava lentamente lungo i vecchi
mattoni dell'abitazione.
Ma si disse di essere comunque fortunata, qualsiasi posto sarebbe stato
migliore dell'orfanotrofio.
I coniugi Reyes non le diedero mai affetto, non si sentì mai
loro figlia o parte della loro famiglia, tutto quello che si limitavano
a fare era mantenerla, farla studiare e vestirla. Le sembravano persone
di ghiaccio. Solo una volta aveva un ricordo vago del signor Reyes, era
seduto su una poltrona a leggere un libro e la piccola gli si era
avvicinata, con quella curiosità che solo i bambini hanno,
aveva visto negli occhi dell'uomo, per la prima e forse ultima volta,
della tenerezza per lei, mentre le passava quel libricino sgualcito e
le leggevo il pezzo di una fiaba. Erano stati interrotti
dallo sguardo furente della signore Reyes. Samantha si era sempre
chiesta perché avesse reagito in quel modo. Le era sembrato
che non volerle bene era un imposizione e non una cosa di loro
spontanea volontà.
Nonostante l'affetto che le dessero era minimo, non riusciva a
spiegarsi perché erano così iperprotettivi nei
suoi confronti, le uscite erano del tutto limitate, entro una certa ora
non poteva più uscire dal cottage e per le visite in
città doveva esserci sempre uno dei coniugi con lei. Non
ricordava di essere stata a Londra più di due o tre volte e
sempre per soggiorni brevissimi.
Quando era cresciuta aveva provato rabbia per i suoi veri genitori, si
chiedeva sempre il perché. Perchè le avevano
fatto questo. Era stata considerata così tanto una disgrazia
la sua nascita, tanto da doverla mandare via? Erano così
giovani e immaturi da non potersi prendere cura di lei condannandola ad
un'infanzia il cui il massimo dell'amore lo aveva tratto dal suo
cane?
Il pensiero dell'ormai anziano pastore tedesco che dormiva nella sua
cuccia le balenò nella mente. Ricordava ancora il giorno in
cui il signor Reyes tornò a casa con il cucciolo tra le
braccia, aveva detto alla moglie che avevano bisogno di un guardiano
per la casa e che quel cane era stato addestrato per quello. Lo aveva
chiamato Argo spiegando che quel nome era un onore averlo,
perché era il nome del cane di Odisseo, il cane cieco che
era stato l'unico ad aver riconosciuto il padrone, per poi accasciarsi
a terra morto. Samantha aveva trovato sin da subito quel nome non
adatto ad una macchiolina così carina, quindi aveva preso a
chiamare quel cucciolo Agie, non sapeva da dove lo aveva tirato fuori
la sua fantasia. Ora il nome Argo cadeva a pennello su quel fiero cane,
mentre Agie sembrava screditarne le qualità, ma lei non
riusciva a smettere di chiamarlo così e il cane, anche se
non poteva, non si era mai lamentato, quindi per lei non era problema.
§
Sam restò ferma alcuni istanti vicino alla porta, seguendo
con lo sguardo la vecchia signora scomparire al di là delle
scale. Un sospiro uscì dalle sue labbra. Un senso di ansia
le si fiondò addosso, creandole un vuoto nello stomaco
mentre si avviava in direzione del suo armadio, estraendo gli unici due
capi che aveva tenuto fuori dalla valigia. Il giorno prima aveva
sentito i due coniugi parlottare tra loro, non era riuscita a cogliere
per intero di cosa stessero parlando, al suo orecchio erano arrivate
frasi sconnesse alle quali non aveva riuscito a dare un senso. Il
rumore dei passi della donna lungo le scale l'avevano fatta correre in
direzione della poltrona, in modo da farsi ritrovare in perfetta
posizione da lettura quando la donna aveva aperto la donna.
-Prendi le tue cose e mettile nelle valigie che potrai trovare nel
ripostiglio.- Con la solita freddezza la donna aveva pronunciato quelle
parole, travolgendo Sam con un senso di stordimento tale da farle
cadere il libro dalle dita. Si era alzata dirigendosi verso la signora
che quasi sembrava non vederla. Il suo sguardo era di
ghiaccio. Alle sue ripetute domande, alla sua ricerca di una
spiegazione non aveva ricevuto nessuna risposta, ma aveva notato un
guizzo di panico negli occhi della donna, che prima di andarsene le
aveva concesso una breve spiegazione. -Noi avevano solo il compito di
crescerti, ora è arrivato il momento che tu faccia i conti
con te stessa.- Quelle parole le echeggiavano in testa. “che
tu faccia i conti con te stessa”, non trovava un minimo di
senso in quell'affermazione. Aveva ripercorso mentalmente ogni piccolo
avvenimento, ogni cosa sbagliata che avrebbero potuto convincere i due
coniugi a mandarla via, ma non trovava un nesso logico. Non c'era
nessun senso in quella situazione.
Scosse la testa come se con quel gesto quello stato confusionale
potesse andar via, mentre passava le dita lungo il proprio busto,
lisciando così il tessuto della maglia. Diede uno sguardo
veloce alla propria figura riflessa in modo contorto in quel vecchio
specchio rovinato. I suoi occhi fissarono quelli dell'altra se stessa,
chiedendosi cosa vedessero le persone quanto li osservavano, se
guardandoli riusciva a trapelare quando dolore ci fosse realmente
nascosto in essi.
Un ulteriore colpo sulla porta le fece intuire che il tempo a sua
disposizione era scaduto, volente o nolente, doveva lasciare quel
posto. Nonostante tutto era affezionata a quella camera, era stata il
suo mondo per tutti i suoi diciotto anni, conosceva ogni singola crepa
o rialzatura di qualche trave. Era l'unico posto che aveva considerato
suo.
Si chiuse la porta alle spalle, notando che in quel momento ci fosse un
silenzio più inquietante del solito, l'unico rumore udibile
erano i rintocchi delle suole delle sue scarpe contro il pavimento di
legno. Scese le scale velocemente, una strana sensazione le corse nello
stomaco e sentì dei brividi formasi lungo la propria pelle
mentre posava il piede sull'ultimo scalino, sfociando così
nel salotto.
E poi i suoi occhi si posarono su un macabro spettacolo che non
avrebbero mai dimenticato.
La signora Reyes era esanime sul pavimento, la testa china penzolava su
un collo marchiato da un lungo taglio dal quale il sangue si riversava
a fiotti. un urlò uscì dalle sue labbra che si
ritrovò a ricoprire poco dopo, mentre indietreggiava
terrificata. Ebbe solo il tempo di chinare il viso prima di rendersi
conto che le sue scarpe erano zuppe di sangue, il pavimento era come
una pozzanghera. Sbiancò voltandosi lentamente, la paura di
quello che avrebbero visto i suoi occhi le era entrata nelle ossa. Un
ventaglio di sangue echeggiava lungo la parete, lasciando intravedere
un corpo appoggiato contro di esso, gli occhi le si riempirono d'orrore
quando capì che a quel corpo mancava la testa che era
ruzzolata ai piedi ed ormai era ricolma di sangue. Il signor
Reyes.
Sam sentì il sapore della bile in bocca mentre l'unico
rumore che riusciva a distinguere con chiarezza era quello del suo
cuore, batteva così forte da riempirle completamente la
testa e annebbiarle la vita. Non aveva più aria nei polmoni
per urlare, ma qualcosa nella sua testa le disse: scappa.
Non seppe dove trovò la forza e il coraggio, ma con uno
scatto delle gambe partì con un razzo in direzione della
porta, quasi si sorprese di trovare la serratura aperta mentre la
spalancava ed usciva fuori dall'abitazione ricoperta di sangue. Corse
più che poteva sul lungo viale che portava verso il recinto
che dava sulla strada, sentiva i polmoni farle male per quanto
respirava velocemente. Ma qualcosa la fermò. I suoi occhi si
posarono su una figura sdraiata al suolo. Il suo pelo non era
più marrone e nero, ma il colore del sangue aveva invaso
anche il petto dell'animale.
- Agie!- Urlò mentre gli occhi le si riempivano di lacrime e
le gambe si dirigevano verso la figura immobile del cane. Gli si
sedette accanto, scuotendo e scrollando più volte il corpo
dell'animale, tentando di ritrovare almeno in lui una qualche fonte di
vita. Ma niente. Gli occhi di Agie restavano chiusi e il suo petto
immobile. Lacrime salate le percorse il viso a fiotti, mischiandosi con
il sangue che ormai la sporcava, mentre lei teneva la testa poggiata
contro il pelo morbido e ancora caldo del suo unico amico. Non riusciva
a non pensare a quelle volte che quel cane le aveva dato affetto, come
sapeva capire il suo umore. Quando era piccola giocava sempre con lei
ma quando era cresciuto lui era sempre stato lì per
proteggerla, come quella volta che in piena notte era scappata dalla
tenuta dei Reyes, era convinta che nessuno si sarebbe reso conto della
sua assenza per poi rendersi conto che il cane era lì con
lei, e l'aveva accompagnata e protetta, non solo quella notte, ma da
quando lui era arrivato in quella casa. Ora non avrebbe potuto
più leggergli delle storie per calmarlo quando era nervoso e
diventava aggressivo con tutti tranne che con lei, non avrebbe
più potuto lisciare la sua pelliccia e stringersi al suo
collo per piangere tutte le sue lacrime mentre sentiva il cucciolo
piangere con lei. Agie era morto e mentre lei si stringeva al suo corpo
ormai privo di ogni battito, qualcosa trascinò anche Sam nel
mondo delle tenebre, non ebbe il tempo di sollevare la testa per vedere
chi l'avesse colpita, ma sicura che sarebbe stato il suo ultimo respiro
si strinse all'amico pregando per entrambi.
§
Fu svegliata dal rumore di qualcosa che gocciolava in lontananza. Sam
aprì molto lentamente gli occhi, intorno a lei tutto era
avvolto nella luce del tramonto. Era stesa su di un letto
piazzato al centro di una stanza arredata con un gusto moderno, le
pareti erano ricoperte di poster e quadri pieni di colori, mentre una
leggera luce filtrava da sotto la porta semichiusa. Il soffitto era
immacolato, come se quella stanza fosse stata rinnovata da poco
tempo.
Scattò immediatamente a sedere e subito desiderò
di non averlo fatto, un dolore ardente le trafisse la testa come uno
spillo mentre un senso di nausea le si affiorò nello
stomaco. Tentò di mettersi in piedi, cercando a tentoni
qualcosa a cui aggrapparsi ma ogni singola parte del corpo le doleva,
come se ogni suo muscolo la implorasse di ritornare a stendersi in quel
letto e dormire. In preda ad un improvviso attacco di panico
scattò in piedi, barcollando, con l'adrenalina che scorreva
nelle vene. Ebbe un capogiro e si aggrappò con entrambe le
mani alla spalliera del letto, usando quella come punto di appoggio per
non cadere. Mentre usava tutta la sua forza di volontà per
non abbandonarsi alle tenebre udì dei passi in lontananza
farsi sempre più chiari e vicini, qualcuno stava arrivando
dal corridoio che conduceva a quella stanza.
Era un uomo. Reggeva in una mano delle asciugamani e nell'altra una
tazza dalla quale si sollevava un leggero batuffolo di vapore. La luce
alle sue spalle la costrinse a sbattere le palpebre trasformando
così lo sconosciuto in un'ombra in controluce. Vide una
figura alta e magra come una pertica e i suoi capelli erano una corona
di fitte guglie nere. Era asiatico. Il volto, dagli zigomi eleganti,
era molto bello, e le spalle larghe, nonostante la struttura esile e
snella. I suoi occhi brillavano di una luce particolare, qualcosa che
Sam non aveva mai visto. Indossava un paio di jeans aderenti e una
camicia nera coperta da dozzine di fibbie di metallo. Teneva la tazza
ferma in una mano inanellata e poi la poggiò sul comodino,
come se lei non fosse lì.
Sam lo fissava terrorizzata, ogni suo muscolo era in allerta. Era stato
quell'uomo ad uccidere i suoi tutori e l'aveva rapita?
Fu troppo per Sam. La stanchezza, il terrore, lo shock e la perdita di
sangue l'assalirono come un'ondata di piena. Sentì che le
ginocchia le cedevano e iniziò a scivolare verso il
pavimento.
L'uomo annullò le distanze tra loro in un lampo: si mosse
tanto velocemente che riuscì a prendere Sam al volo prima
che toccasse terra e la sollevò, come se pesasse
quanto una piuma.
-Angioletto?- La chiamò la voce, allungando una mano verso
il suo viso. -Tutto bene?.-
Lei si ritrasse e sollevò debolmente una mano per
allontanarlo. -Non toccarmi.-
Sul viso dell'uomo comparse un'espressione divertita,
dopodiché avanzò alcuni passi verso il letto e
poggiò il corpo della ragazza su di esso.
- Non devi avere paura di me.- fu l'unica cosa che disse
prima di ritrasi, mettendosi a sedere su una sedia posta vicino al
letto di ferro battuto.
La ragazza indietreggiò nell'angolo più lontano
del letto, come se quell'ammasso di lenzuola potessero proteggerla, e
sollevò lo sguardo spaventato sul viso di lui. -Chi sei?
Perchè hai ucciso i miei genitori? Cosa vuoi da me?- quasi
urlò.
L'uomo alzò le mani sulla difensiva. -Ehi, ehi, frena. Ci
tengo a precisare che io non ucciso nessuno.- Fece una pausa
ma riprese a parlare prima di dar tempo a Sam di rispondere. - Mi
chiamo Magnus Bane, sono uno stregone. E da te in teoria non voglio
niente.-
Milioni di domande affollarono la testa di Sam, ma tutte scomparsero
lasciando spazio ad una sola. -Uno stregone?- gli chiese sarcastica.
-Certo e io sono una winx in via di trasformazione.-
Lo stregone sollevò le labbra in un sorriso. -Sarai
moribonda ma la forza per essere sarcastica ce l'hai.-
- Cosa vuoi da me? Chi ha fatto quello ai miei....- Fece una pausa come
se non riuscisse a definire in quel modo quelle due persone che
l'avevano cresciuta. -..genitori.-
- Non erano i tuoi genitori e lo sai perfettamente, Samantha.-
- Come sai il mio nome?-
-Io so tutto quello di cui c'è la necessità di
sapere.- le disse l'uomo e fece scoccare due dita creando come una
scintilla.
- Ti prego, sii chiaro.-
- Potrei perdere delle preziose ore a spiegarti le cose che so,
oppure...- Sollevò entrambe le mani e le tese verso il viso
di Sam. Inizialmente la ragazza si ritrasse, ma l'espressione seria di
Magnus la costrinse ad avvicinarsi lentamente, lasciando che lui
posasse entrambe le dita lungo le sue tempie.
E poi fu come un flash.
Magnus che parlava con delle donne, le chiamava sorelle di ferro, che
gli davano un talismano destinato ad una bambina. Poi il buio e di
nuovo Magnus che parlava con un uomo completamente incappucciato. Lui
lo avvertiva della nascita di una bambina, una bambina che non sarebbe
dovuta nascere in quel mondo. Lui doveva proteggerla. Poi qualcosa
tremò e c'era un Magnus che parlava con un uomo, lui gli
diceva che la bambina era stata trovata e andava protetta. Poi di nuovo
il buio.
Aprì lentamente gli occhi, trovandosi di fronte il viso di
Magnus che la guardava con un espressione indecifrabile.
-Cos..cosa significa quello che ho visto?- Balbettò lei
tirando indietro la testa, così da liberarla dalle mani di
lui.
L'uomo alzò gli occhi al cielo, come se fosse scocciato di
doverle spiegare tutto in maniera più dettagliata,
dopodiché chinò il viso. - So di te da prima
della tua nascita. Ricordo quel giorno come se fosse ieri. Quell'uomo
incappucciato che hai visto è uno dei fratelli silenti,
cacciatori di demoni che hanno arricchito il potere della mente. Lui
era un mio conoscente da prima che entrasse nella fratellanza e una
sera ha percepito qualcosa di anormale, qualcosa di tremendamente
sbagliato. E' venuto da me raccontandomi quello che aveva visto nelle
sue visioni e come solo io potessi aiutarlo, se ne avesse fatto parola
con i cacciatori non avresti visto nemmeno il tuo primo giorno. Non so
per quale assurdo motivo, ma decisi di fare quello che diceva, andai
dalle sorelle di ferro per prendere un talismano.- Sollevò
una mano con la quale indicò il ciondolo che Sam aveva al
collo da quando era piccola. L'unico ricordo dei suoi genitori
naturali. La ragazza lo tocco istintivamente. -Dopo di che ho fatto in
modo che venissi affidata a una famiglia che potevo controllare,
perdonali per il loro caratteraccio. Ma poi un informatore mi ha detto
che nel mondo invisibile si vociferava sulla tua esistenza e che lui ti
stesse cercando, allora ho capito che il posto più sicuro
per te era con me. Ma lui era stato più veloce, ha raggiunto
il cottage e ha ucciso i due coniugi. Io ho aperto un portale per
raggiungerti il più velocemente possibile e quando sono
arrivato eri una pozza di sangue sdraiata su un cane. Ho avuto giusto
dieci secondi per prenderti e scappare, prima che loro ci
vedessero.-
Sam fissò l'uomo allibita. Cacciatori di cosa? Lui
chi?
- Lui chi?-
Magnus serrò le labbra a quella domanda e lei
capì che non avrebbe risposto. -Cosa sono? Perchè
tutta questa attenzione nei miei confronti?-
Magnus rilassò le spalle, come se fino ad allora avesse
portato un peso da dieci chili sulla testa. -E chi lo sa.- fece una
pausa sollevando gli occhi sul suo viso. - Lo sa solo chi ti ha creata,
io ho ricevuto il compito di proteggerti.- disse piano sollevandosi
dalla sedia.
-Magnus?-
-Sì?-
-Lui chi?-
- Riposati, hai tante cose da metabolizzare.- Le rispose l'uomo,
uscendo poi dalla stanza.
§
Prima di cadere in un sonno profondo Sam aveva escogitato una ventina
di piani di fuga, era così confusa da tutta quella
situazione, l'unica cosa che lei chiedeva era le verità. Ci
capiva così poco.
Ma poi il suo corpo l'aveva tradita, l'emozioni e la stanchezza della
giornata avevano preso il sopravvento e lei si era addormentata,
trovando stranamente comodo e familiare quel letto.
Quando riaprì gli occhi la camera era ancora immersa nel
buio, capì che era ancora notte fonda. Si sollevò
dal letto mettendosi seduta, piacevolmente sorpresa dal fatto
che la testa non le girasse più come prima.
Al contatto dei piedi nudi con il pavimento freddo un brivido le
percorse la schiena. Si sollevò in piedi attraverso la
stanza, avvicinandosi alla finestra dalla quale intravedeva
un'infinità di luci. La bocca le si spalancò per
la sorpresa, era convinta di essere ancora nelle vicinanze della sua
vecchia casa, invece si ritrovava proprio in un altro continente.
Avrebbe riconosciuto quella città ovunque, aveva passato il
tempo a sospirare sulle sue cartoline sognando di poter vivere
lì un giorno. E ora eccola lì. I grattacieli
erano visibili dalla finestra, così come il fiume e i vari
ponti che lo attraversavano. La vista da lì era bellissima.
Era a New York.
Sentì un rumore percorrerle il corpo, non ci mise molto a
realizzare che era il suo stomaco, non mangiava niente da... troppo.
Decise così di uscire dalla stanza, gli stregoni mangiavano
come tutte le persone normali, no? Oppure si sarebbe trovata cose come
ali di pipistrello e lingue di rana per colazione? Mentre camminava nel
corridoio illuminato da alcune luci fioche realizzò che era
una normalissima casa e quasi saltò dalla gioia quando
trovò la cucina con del cibo normalissimo. Prese un po' di
pane e stese su una di quelle fette del formaggio che aveva trovato in
frigo e si apprestò a dargli un morso.
Si sentiva così strana. Aveva ancora del sangue secco tra i
capelli, sangue dei suoi 'genitori', eppure non provava dolore per la
loro perdita. Chiuse gli occhi mentre l'immagine di Agie compariva
davanti ai suoi occhi. Il cane disteso in una pozza di sangue,
probabilmente era stato ucciso per far sì che nessuno in
casa si accorgesse della loro presenza, visto che il cane non avrebbe
abbaiato.
Sam sollevò una mano verso il proprio viso, sorprendendosi
nel trovarlo umido. Stava piangendo. Quella era una perdita che le
faceva male, si era sempre detto che il cane era il migliore amico
dell'uomo e per lei era davvero così, in lui aveva trovato
un amico fedele. Più di qualsiasi umano.
§
Uno strano luccichio in fondo al corridoio attirò la sua
attenzione. Aggrottò la fronte tentando di capire se si era
immaginata tutto o davvero qualcosa aveva brillato davanti alla porta
della sua camera? Beh, pensando agli eventi della giornata era anche
troppo possibile.
Una fonte di coraggio che non sapeva di avere la spinse ad alzarsi.
Posò sul bancone della cucina quello che restava del panino,
avviandosi poi fortuitamente lungo il corridoio, percorrendolo in punta
di piedi. Nemmeno lei sentiva il rumore dei suoi passi.
Da sotto la porta vide una luce bianca e il sangue le si
gelò nelle vene, c'era qualcuno. Prese un lungo respiro e
abbassò con forza la maniglia spalancando di scatto la
porta.
Dovette sbattere gli occhi più volte per abituarsi alla luce
bianca che in quel momento illuminava la stanza. Proveniva da una
pietra stretta tra le mani di un ragazzo.
Spalancò gli occhi per la sorpresa lasciando scorrere le
dita sull'interruttore della luce, riempiendo così la stanza
della luce artificiale .
-Credo che questa non mi servirà più.- Disse il
ragazzo in un tono neutro ponendo nella tasca la pietra che ormai non
emanava più nessun tipo di luce.
Sam lo fissò per un'istante. Era alto, snello e muscolo, con
un volto pallido, signorile, inquieto, tutto zigomi e occhi scuri. -
Cosa diavolo ci fai nella mia stanza?-
Il ragazzo sollevò l'angolo delle labbra in un mezzo
sorriso, guardandola. -Che linguaggio scurrile, non è adatto
ad una signorina.-
Sam indietreggiò di alcuni passi alzando di un tono la voce.
Voleva che Magnus la sentisse.- Chi sei?-
- Puoi chiamarmi Sebastian.-
-Cosa stai facendo qui dentro?-
-Sai, curiosavo un po' di qua e un po' la.- Le disse passando poi
l'indice su di un mobile e raccogliendo con esso la polvere che si era
deposta sul legno, osservandolo poi con una espressione
simile al disgusto.
- Questa è violazione di domicilio! Potrei chiamare la
polizia e..-
Il ragazzo rise interrompendo così le parole della ragazza.
-Fa pure, vediamo quanti di loro sopravviverebbero a questa.-
Sollevò dalla tasca un manico di osso stringendolo in
entrambe le mani. - Aethalas-
sussurrò con un filo di voce. Un'istante dopo da
quella spada partì un lampo di luce che quasi
accecò Sam.
- Cos'è? - gli chiese con voce tremolante.
- Questa? Una spada angelica, strano che qualcuno che viva in casa di
Magnus Bane non lo sappia.-
- Vuoi farle tu una lezione di demonologia?- Disse una voce alle spalle
di Sam. Magnus.
Al contrario da quanto Sam si aspettasse Sebastian rimase del tutto
rilassato, anzi sorrideva ampiamente, divertito da quella
situazione.
- Cosa vuoi? Qui non c'è niente per te Jonathan.- Gli disse
con noncuranza Magnus.
-Sebastian.- Lo corresse lui provocando un sorriso sarcastico
sul volto dello stregone.
- Puoi farti chiamare anche Serafino, a me non interessa, vattene. -
- Ma come siamo sgarbati. Chi è lei?- Disse
Sebastian indicando Sam con la spada.
- Una studentessa a cui affitto la camera, sai in tempo di crisi ogni
fonte di denaro è utile.- Disse il mago con noncuranza.
-Ti senti particolarmente simpatico oggi?- Gli disse il ragazzo
ampliando il sorriso in uno divertito.
- Cosa ci fai qui?-
- Chi è lei?-
- Ti hanno mai detto che non si risponde ad una domanda con un'altra
domanda?- Lo stregone sollevò le mani dalle quali
uscirono delle scintille azzurre.
- Non sono qui per combattere, Bane.- Concluse infine Sebastian
riponendo così la spada angelica all'interno della propria
cintura.
Sam che era rimasta lì ad osservare la scena si
avvicinò furtivamente a Magnus, nascondendosi dietro la sua
schiena.
- Cosa ti serve? Non te lo chiederò un'altra volta.- Magus
pronunciò quelle parole a denti stretti mentre continuava a
tenere lo sguardo sul viso del ragazzo.
Ma Sebastian mosse qualcosa, un secondo era lì e l'altro era
sparito.
Sam sbatté le palpebre per la meraviglia. -E'
sparito..-
- Ha usato un portale.- le rispose Magnus ancora sulla difensiva.
-Chi era?-
-Il nostro peggior incubo.-
§
Sam passò il resto della notte a girarsi nel letto. Gli
avvenimento di poco prima le erano piombati addosso come mattoni. Non
riusciva a togliersi dalla testa il viso di quel ragazzo, i suoi occhi
neri sembravano un cielo notturno senza stelle, ma comunque ricco di
fascino. Qualcosa in cui perdersi.
Ma Magnus lo aveva descritto come il male assoluto, qualcuno da temere.
E ora come ora non sapeva più di chi fidarsi.
Quando riaprì gli occhi era giorno. Sul letto erano
ripiegati dei vestiti con della biancheria e un biglietto. Per
oggi indossa questi, provvederò a farti avere qualcosa da
mettere.
Osservò la calligrafia per alcuni istanti, per poi afferrare
il mucchio di vestiti sotto un braccio e dirigendosi verso il
bagno.
L'acqua calda contro la sua pelle fu come un toccasana, sembrava che ci
fossero delle mani immaginarie che le massaggiassero ogni centimetro di
muscolo, facendole sciogliere i nervi.
Quando indossò i vestiti puliti si sentì come
rinata, la sensazione del tessuto fresco contro la pelle era
stranamente piacevole.
Il suono del campanello la distrasse dai suoi pensieri.
Quando aprì la porta un ragazzo alto dagli occhi blu e
capelli neri posò lo sguardo su di lei.
-E tu chi sei?- le chiese sorpreso.
-Potrei farti la stessa domanda. - Rispose lei sulla
difensiva.
- Sono Alec, il ragazzo di Magnus.-
A quelle parole la ragazza schiuse le labbra per la meraviglia, non si
aspettava che Magnus stesse con qualcuno. Alec poi le sembrava solo un
ragazzino, era sì molto muscoloso, ma il suo viso restava
comunque estremamente giovane.
-E tu chi sei?- Le chiese poi il ragazzo portando le iridi azzurre sul
suo volto.
- Samantha.-
-Bel nome, sai che in ebraico significa fanciulla sacra?-
Parlò una voce alle spalle di Alec, dopodiché
avanzò un ragazzo leggermente più basso di Alec,
era biondo, e i suoi capelli scintillavano come ottoni.
- Spero che la vostra sia solo una visita di cortesia, oggi non ho
voglia di sentire casini.- La voce di Magnus parlò sopra
quella dei tre, facendoli voltare.
NOTE
D’AUTRICE ◊
Ho iniziato a
scrivere questa come una storia libera, ma poi mentre scrivevo mi
è balenato in mente il personaggio di Sebastian e ho
pensato: e se non fosse come noi crediamo?
OKAY, io
amo il suo personaggi, quindi piccolo spoiler, hahah.
Ditemi
cosa ne pensate, è la prima volta che scrivo su questo
genere, e niente, fatemi sapere!
Un
bacione. <3
Credits: Per la barra prima delle
note a : yingsu
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2. ***
» Capitolo 2
«Obsession
it takes control, obsession it eats me whole.
I can't say the words out loud, so in a rhyme I wrote you
down.
Now you'll live through the ages, I can feel your pulse in the
pages.»
Il suono delle voci che si
mischiavano e arrivavano come un mormorio, distraevano la mente di Sam.
Dopo l'arrivo dei due ragazzi, Magnus l'aveva praticamente reclusa in
camera, come una di quelle bambine che venivano mandate a giocare con
le bambole quando si parlava di cose da
“grandi”. Prima di andare via i suoi
occhi si erano posati su i due ragazzi, c'era qualcosa in loro che
l'affascinava, forse la loro postura, o i segni che percorrevano a
tratti la loro pelle. Erano vestiti di nero e la loro vita era avvolta
in una cintura, dalla quale pendevano vari manici e pugnali. Magnus non
le aveva nemmeno dato il tempo di poter formulare qualche domanda ai
due, su cosa potessero essere quei tatuaggi che tanto l'affascinavano o
il perché quei ragazzi fossero armati fino alla punta dei
capelli. Sembravano due guerrieri.
Scrollò
le spalle, si sentiva stanca, come un uccello in gabbia. Aveva passato
gran parte della sua breve vita rinchiusa nelle mura di quel cottage, i
Reyes non le avevano mai permesso di allontanarsi più del
dovuto, era stata cresciuta sotto una campana di vetro e ora voleva
scoprire il mondo.
Sam
sollevò gli occhi verso la finestra, la vista di New York si
estendeva sotto il suo sguardo e nel vederla quasi le si mozzava il
fiato. I grattacieli risaltavano come stelle sul cielo grigio della
metropoli, mentre in lontananza il ponte di Brooklyn dominava la parte
del fiume più vicina, non riusciva a non osservarlo,
totalmente affascinata.
Basta,
pensò.
Senza
soffermarsi a pensarci più di tanto si sollevò da
quel letto e mosse alcuni passi verso la porta della propria camera,
che spalancò senza fare troppe cerimonie. Le voci che
avevano riempito quelle stanze fino a poco prima sembravano essere
svanite nel nulla e mentre si dirigeva verso la cucina schiuse la bocca
per la meraviglia quando costatò che la stanza era vuota.
Non c'erano tracce di Magnus e nemmeno dei due ragazzi. In quel posto
echeggiava il silenzio.
Un
pensiero entrò nella sua testa così velocemente
che non riuscì a scacciarlo via. Era consapevole di
conoscere poco e niente quella città, ma vivere rinchiusa in
quel posto come una suora di clausura non le avrebbe reso la cosa
più piacevole, voleva uscire e esplorare quel posto, voleva
imparare a conoscerlo. Si rese conto però di non avere
nemmeno un soldo con se e che comunque le sarebbero stati utili, le
bastava anche qualche spicciolo per pagarsi l'autobus.
Lasciò
vagare lo sguardo lungo le parati, su una di esse era posto un mobile
alto pieno di libri e cassetti, con un buco nel mezzo dove era
incastonato un televisore al plasma. Sam non ne aveva mai viste di
così grandi. Da qualche parte doveva pur esserci qualche
banconota. Si avvicinò ad uno dei cassetti e con un
movimento veloce lo aprì, frugando in esso con la punta
delle dita. Niente. Tentò di non scoraggiarsi e
passò al secondo, vuoto anche quello. Poi al terzo e
finalmente al quarto. Un sorriso le si formò sulle labbra
quando le dita incontrarono la particolare carta su cui erano stampati
i soldi e la strinse vittoriosa tra le mani.
La
distese con attenzione e il già ampio sorriso si
allargò ancora di più quando costatò
che era una banconota da cinquanta dollari. Erano parecchi soldi, lo
sapeva, ma potevano tornare utile in quel momento, non che fosse sua
abitudine frugare nelle case degli altri e rubare soldi, ma se voleva
uscire per esplorare un po' ne aveva bisogno. In
più era a corto di vestiti e dai passanti che aveva
intravisto del tutto coperti da strati di capotti poteva capire che il
clima non era dei più ospitali.
§
Dopo aver deposto con attenzione la banconota in una tasca interna dei
pantaloni e coperto le proprie spalle con un cardigan che aveva trovato
appeso all'appendiabiti, uscì furtivamente dall'abitazione.
Intorno al collo si era legata una sciarpa color cobalto che aveva
scovata sull'ingresso della casa, sin dal primo contatto con il tessuto
l'aveva trovata estremamente morbida e calda, e, non resistendo l'aveva
presa.
Non
appena varcò la soglia del portone di ferro, uscendo dal
palazzo dell'appartamento, fu colpita dal forte cattivo odore
che c'era nell'aria. Scese i due scalini che davano sulla strada e si
ritrovò in uno stretto viale fiancheggiato da vecchi
magazzini, anche se la maggior parte mostrava i segni della
trasformazione in unità residenziali: fioriere alle
finestre, tende di pizzo che ondeggiavano nell'aria fredda della
mattina, bidoni della spazzatura numerati sui marciapiedi.
Percorse
decisa quel viale, ritrovandosi così in un parco malridotto,
l'erba non curata e secca scricchiolava sotto i suoi piedi. Alla sua
destra le guglie di una chiesa scintillavano e si mimetizzavano contro
il cielo grigio.
Osservando
meglio quel posto si rese conto che si ritrovava in una zona
industriale, sembrava semi abbandonata, le strade erano costeggiate da
fabbriche e magazzini.
Alcuni,
costatò Sam, erano stati convertiti in loft e in gallerie
d'arte, ma c'era ancora qualcosa di inquietante nelle loro forme
imponenti e squadrate in ci si aprivano pochissime finestre coperta da
inferriate. Arrivò con il fiato corto a quella che
veniva segnalata come la fermata della metropolitana,
dopodiché svoltò un paio di incroci alla cieca,
ritrovandosi in un quartiere più frequentato.
Camminava
velocemente tra la folla che riempiva i marciapiedi, mentre
con le mani sollevava la sciarpa contro il proprio viso, tentando di
coprirlo con essa quanto più possibile. Il freddo pungente
le pizzicava la pelle, mai come in quel momento desiderava trovare un
termosifone e ammanettarsi vicino ad esso.
I
palazzi che caratterizzavano quella strada erano di gusto moderno, Sam
riusciva a vedere la sua figura riflessa nelle grandi finestre che
contraddistinguevano la maggior parte degli edifici in quel posto. Era
come essere in un altro mondo, tutta quella modernità,
quelle persone, quella vita, erano tutte cose che fino ad allora lei
non aveva mai potuto vedere. Era sempre stata isolata in un posto
dimenticato dal mondo. In quel momento si sentiva come la protagonista
di un film italiano che aveva visto tanto tempo fa con il Signor Reyes,
Caterina va in città, come lei si sentiva del tutto fuori
luogo e soffocata da quel cemento che incombeva cancellando il verde
dei prati che Sam era consona vedere ogni giorno.
Mentre
camminava con la testa china il suo sguardo fu attratto come
una calamita da un negozio. Le piccole vetrine erano decorate di rosso,
i vari manichini erano ricoperti da capi d'abbigliamento del tutto
singolari. Uno di essi indossava un vestitino a pois neri su una base
bianca, era stretto sulla vita e un grande fiocco era legato sulla
schiena.
Come
attirata da una calamita Sam varcò la soglia di quel piccolo
locale. L'ingresso era un trionfo di incensi, tende di perline e poster
astrologici. Uno riproduceva la costellazione dello zodiaco, un altro
una serie di simboli cinesi che Sam, pensò, non sarebbe mai
stata capace di leggere. Scaffali stretti di vestiti ripiegati
correvano lungo la parete accanto alla porta. Quel posto aveva un
qualcosa che l'affascinava.
Non
sapeva nemmeno lei cosa stesse realmente cercando fin quando lo sguardo
non ricadde su di un capottino rosso. Era come se i suoi piedi si
fossero mossi da soli, poco dopo si ritrovò ad accarezzarne
la stoffa con la punta delle dita, ad osservarlo affascinata, come se
quel capo le scaturisse un ricordo, aveva un qualcosa di familiare. Era
come ritornare a casa dopo una giornata di lavoro.
-
Posso aiutarla?- La voce dolce di una ragazza la fece sobbalzare,
cogliendola di sorpresa.
Sam
sciolse la presa delle dita sul tessuto del cappotto, voltandosi
così verso di lei. - Quanto costa?- Le chiese indicando con
l'indice il capo d'abbigliamento.
-
Quaranta dollari.- Rispose la donna. -Ma per le clienti speciali
possiamo fare un piccolo sconto.- aggiunse sorridendole in modo
complice. - Trenta dollari.- concluse.
Non
capì il perché di quel trattamento, forse era
solo una strategia di vendita per attirare così nuovi
clienti, ma in quella ragazza c'era qualcosa di strano. I capelli
biondi le ricadevano sulle spalle racchiusi in due lunghe trecce che le
incorniciavano il viso, la pelle era estremamente chiara, ma i suoi
occhi brillavano di luce propria. In un modo che costringeva Sam ad
osservarli, come del tutto ammaliata.
Distolse
lo sguardo rendendosi conto di star fissando la commessa e
annuì lentamente mentre quella le proponeva di provare il
capo.
Si
diresse nell'unico e stretto camerino del negozio, osservando
così come era uscita quel giorno di casa. I capelli castani
le ricadevano lungo le spalle, formando delle piccole onde alle punte.
Sotto gli occhi erano ben visibili le occhiaie dovute alla notte
movimentata che aveva appena trascorso.
Indossò
il cappottino rosso e sentì sin da subito un calore
espandersi attraverso le ossa infreddolite dal freddo di dicembre. Le
ricadeva in maniera perfetta sulle spalle e la cintura in vita le
snelliva i fianchi, facendola sembrare più alta. Arrivava
alle ginocchia e i bordi erano decorati con dei grossi bottoni dello
stesso colore del cappotto. Sam passò le mani sul tessuto,
era meravigliata da quanto comparisse morbido al tatto, non era
velluto, era un tessuto che non sapeva definire.
Uscì
dal camerino, con ancora addosso il cappotto, e si diresse alla cassa,
dove la stessa ragazza di prima indugiava contro i tasti della
calcolatrice. Quando la vide le rivolse un sorriso.
Si
ritrovò a provare la stessa sensazione che le era
attraversato il corpo quando poco prima aveva visto la ragazza per la
prima volta, ma più la guardava più sembrava che
qualcosa mutasse nel suo aspetto, come se i suoi capelli non fossero
più così biondi ma diventavano sempre
più chiari, quasi tendenti al bianco. Forse aveva le
allucinazioni.
Pagò
velocemente quanto dovuto, senza togliersi il cappottino dalle spalle,
ed uscì da quel negozio. Tutto il tempo si era sentita
strana lì dentro, era come se qualcosa le stimolasse la
mente, come se ci fosse stata una nebbiolina leggera davanti ai suoi
occhi.
Non
appena si ritrovò in strada benedisse mentalmente il capo
che le riscaldava il corpo, il clima non le sembrava più
così ostile, anzi, era quasi piacevole passeggiare mentre
quel leggero venticello le scostava i capelli facendoglieli ricadere
davanti al viso.
Continuò
il suo percorso, fermandosi di tanto in tanto a curiosare nelle vetrine
di alcuni negozi, nonostante dicembre fosse appena iniziato alcune
commesse erano intente ad addobbare l'entrate con lucine e qualche
versione gonfiabile di Babbo Natale.
Una
grossa insegna arancione attirò la sua attenzione, su di
essa era scritto in caratteri lineari “Internet
point”. Un'idea le balenò nella mente e una scossa
di adrenalina le attraversò il corpo, si sentiva come un
viaggiatore del deserto che aveva finalmente trovato un oasi.
Entrò
in quel piccolo locale, delle grandi finestre davano sulla strada e tre
file di computer erano allineati lungo la parete. Si avviò
verso uno di quelli liberi, trovandolo già acceso, e
aprì la pagina del motore di ricerca.
Era
consapevole che il mondo era popolato di leggende su tanti essere
soprannaturali, ma ora come ora il suo unico mezzo di informazioni era
questo. Non era una grande maga dei computer, ma sapeva che con il
tempo internet aveva preso il posto delle vecchie enciclopedie e che
nessuna fonte di informazioni potesse esser più aggiornata
di quella, doveva capire o almeno provarci, e visto che si ritrovava a
vivere nella casa di uno stregone, si chiedeva quante di quelle
leggende fossero vere.
La
prima parola che le venne in mente fu “Cacciatori di
demoni”. Lasciò scorrere velocemente le dita lungo
la tastiera e cliccò invio. Scelse la prima opzione e
iniziò a leggere.
Guerrieri
ibridi, nati dalla fusione del sangue di un angelo e di un essere
umano. Sono preposti al mantenimento dell’equilibrio tra
umani e creature soprannaturali che abitano il mondo, nonché
al blocco dei demoni che nel nostro mondo vorrebbero entrare da altre
dimensioni.
Sam
inarcò appena un sopracciglio nel leggere quelle parole.
Quindi, quelle creature erano figli di un angelo? Esistevano gli angeli?
Non
si era mai definita molto credente, anzi, riteneva che gli uomini
avessero creato la figura di Dio per avere un qualcosa a cui
aggrapparsi quando era il momento di affrontare la morte e che con il
tempo quella credenza si fosse ingigantita. I suoi tutori non erano
molto credenti, quindi, in un modo o nell'altro non aveva mai avuto
l'opportunità di avvicinarsi al mondo religioso,
però aveva letto alcuni libri. Del soprannaturale era
un'appassionata di storie di vampiri, aveva letto talmente tante volte
Dracula, completamente presa dal suo personaggio ma aveva sempre
pensato che quelle erano storie e sarebbero sempre restate tali.
Si
rese conto di aver passato un paio di ore davanti a quel computer
quando gli occhi iniziarono a pizzicarle, costringendola a chiudere le
palpebre sempre più spesso. Era consapevole della
poca affidabilità delle cose che aveva appreso, secondo
google lo stregone cominciava ad essere tale quando scopriva la sua
capacità innata; questo il più delle volte
avveniva da giovane, ma poteva capitare anche in tarda età.
Magnus aveva un viso estremamente giovane, ma nonostante questo
sembrava consapevole del suo potere e lo usava abilmente, come se nella
vita non avesse fatto altro. Come se fosse un qualcosa di antico
intrappolato in un corpo giovane.
Dopo aver pagato con i restanti soldi il cassiere dell'internet point,
uscì da quel piccolo locale, notando che ormai il cielo si
era tinto di rosso. Era quasi l'ora del crepuscolo.
Aveva
del tutto perso la cognizione del tempo, mentre si riempiva la mente di
miti e favole a cui qualche giorno prima non avrebbe mai creduto.
§
Mentre
tornava indietro tentava di orientarsi, cercando di ricordare quale
fossero gli incroci che aveva svoltato prima. Le strade le sembravano
tutte uguali, i grandi palazzi padroneggiavano sulla strada, taxi
gialli sfrecciavano lungo di esse e le persone si affollavano
sui marciapiedi cercando di richiamarne uno. Seguì il
proprio istinto e svoltò lungo un viale. Non intravedeva
nessun parco malandato o case squadrate, i palazzi che caratterizzavano
quella strada avevano la facciata decorata con dei pilastri che
partivano da ogni finestra , dei fregi e fiordalisi decoravano
elegantemente parte del marmo ormai scuro e eroso da anni di
esposizione all'aria inquinata e alle piogge acide di New York.
Dovevano essere palazzi molto vecchi.
Un
senso di panico le montò nello stomaco quando
capì di essersi persa. Il primo impulso fu quello di
disperarsi, buttarsi in un angolino e piangere, ma con tutta la sua
forza di volontà lo represse. Doveva pensare lucidatamene,
andare in panico avrebbe solo peggiorato la situazione.
L'immagine
del cartello della metropolitana con su scritto
“Brooklyn” le balenò nella mente. La
casa di Magnus si trovava a Brooklyn, ma lei non aveva idea di dove
fosse in quel momento.
Si
guardò intorno, quella zona era stranamente deserta,
pensò Sam. Era convinta che in una città come
quella dovesse esserci sempre qualcuno per strada, e poi non era
così tardi. Diversi lampioni erano spenti, mentre quello
più vicino a lei gettava un fioco bagliore giallo sul
marciapiedi che seguiva la strada. Sollevò lo sguardo
intravedendo con la coda dell'occhio un uomo che proprio in quel
momento stavo svoltando l'angolo, sparendo dietro alle mura di uno dei
palazzi.
Sam
senza pensarci due volte lo seguì, accelerando in modo
notevole la velocità del proprio passo, superando
così anche lei l'edificio. Con grande stupore di Sam, l'uomo
non c'era più. Svoltare quell'angolo l'aveva portata in un
vicolo. Si era alzato un vento caldo che muoveva le foglie degli alberi
rachitici vicino allo stabile e trascinava la spazzatura raccolta nei
canaletti di scolo e sui marciapiedi facendola volteggiare sulla strada
piena di crepe. Il flebile ronzio delle auto sembrava lontanissimo e
l'unico suono che contasse era quello delle sue scarpe che
scricchiolavano sull'asfalto cosparso di immondizia. Avrebbe voluto
essere capace di camminare senza produrre rumore.
Quello
in cui era finito sembrava un vicolo che probabilmente veniva usato in
passato per la consegna delle merci. Era stretto e stipato di
immondizia: scatoloni marci, bottiglie vuote, pezzi di plastica,
oggetti sparsi.
Sentì
come una presenza alle sue spalle, questo la portò a girarsi
di scatto facendole finire alcune ciocche di capelli sulle labbra, ma
alle sue spalle non c'era nessuno. Il cuore prese a martellarle nel
petto mentre il proprio battito le rimbombava nelle orecchio,
continuava a ripetere a se stessa di restare calma, che tutto quello
era solo fonte della sua immaginazione che... Ma una voce
parlò all'improvviso dalle ombre alle sue spalle
distruggendo ogni minimo tentativo di auto convincimento.
-
Non credo che questo sia un luogo adatto ad una ragazza.- disse la voce.
Sam
si immobilizzò, fissando le ombre all'imboccatura del
vicolo. Per un terribile istante si chiese se non si fosse immaginata
quella voce. -Chi c'è laggiù?- mormorò
tentando di tenere la voce più ferma possibile.
Sentì
una leggera risata dopodiché fece un passo avanti, uscendo
dalle ombre più buie. Il suo contorno si definì
lentamente: Sebastian.
Sam
non mosse un muscolo del proprio corpo mentre teneva lo sguardo fisso
sul viso del ragazzo, non riusciva a non osservare i suoi capelli
così chiari da sembrare bianchi. Lui le si
avvicinò lentamente, osservandola con curiosità.
-
Che strana coincidenza ritrovarci qui, entrambi.- Le disse rivolgendole
un sorriso che però non coinvolgeva gli occhi. Loro
restavano freddi e glaciali sul viso di lei, pronti a cogliere ogni suo
movimento.
-Non
credo nelle coincidenze.- Sussurrò la ragazza a denti
stretti.
-
E fai bene.- Le rispose Sebastian prima di scattare in avanti, verso il
corpo di lei, premendole così un braccio sopra la clavicola
e spingendola con una spinta contro una delle pareti umidicce del
vecchio vicolo. Un urlò abbandonò le labbra di
Samantha che strinse gli occhi non appena le proprie spalle si
scontrarono contro il cemento duro, mordendosi appena un labbro per
soffocare la fitta di dolore.
-
Cosa diavolo fai?- Gli urlò contro mentre le mani di lui le
si stringevano intorno alle spalle, bloccandola.
Sebastian
la osservava con curiosità, i suoi occhi vagavano sul viso
di lei, catturandone ogni dettaglio, come se stesse a farle una
radiografia. - E' davvero molto curioso tutto ciò.-
-
Di cosa parli?-
-
Di te.-
-
E' così difficile parlare chiaramente? Sono circondata da
persone che non hanno la capacità di dare una mezza
spiegazioni. Solo frasi mozzate di qua e di là.-
ringhiò Sam nera di rabbia.
-
Tu non sai cosa sono io?- Chiese Sebastian sinceramente sorpreso.
-
Oltre ad essere un maniaco stalker?- Sam sentì le proprie
labbra seccarsi mentre parlava. -No.- concluse.
-Allora
ti serve davvero una lezione di demonologia.- allontanò
appena il viso dalla ragazza senza allentare la presa. - Sai almeno chi
sono i Nephilim?- Notando l'espressione interrogativa di Sam
sollevò gli occhi al cielo esasperato. -I cacciatori per voi
mondani ignoranti.-
La
ragazza lo fulminò con lo sguardo prima di
ricordarsi di quello che aveva scoperto nel pomeriggio. -Figli di
uomini e di angeli.-
-Più
o meno.- fece una piccola pausa.- Secondo la leggenda, gli
Shadowhunters, ovvero cacciatori di demoni, furono creati
più di mille anni fa, quando gli umani stavano per essere
distrutti dalle invasioni di demoni provenienti da altri mondi.
Jonathan Shadowhunter, il primo Nephilim, evocò l'angelo
Raziel, che mescolò in una ciotola un po' del proprio sangue
con del sangue umano e lo diede da bere agli uomini. Coloro che bevvero
il sangue dell'Angelo divennero Cacciatori, e così i loro
figli e i figli dei loro figli.- Sollevò un
braccio in modo che lei potesse vedere una delle rune che lo
percorreva. -E queste sono la loro fonte di forza, le rune, ce ne sono
per ogni tipo. Ti rendono più forte , più veloce
o qualsiasi sia la funzione della runa che adoperi.-
Sam
schiuse le labbra sorpresa lasciando correre lo sguardo sul braccio
marchiato del ragazzo. -Se anche tu porti i marchi dei cacciatori,
allora perché ne parli chiamandoli 'loro' e non 'noi'?-
-Perchè
io sono un cacciatore speciale. Nelle mie vene scorre sangue di demone,
questo mi rende più forte e veloce di natura.- Fece una
pausa aumentando la stretta delle dita contro la pelle della ragazza. -
E anche più spietato.-
Gli
occhi di Sebastian erano diventati ancora più scuri di
quanto fossero normalmente, non era quasi distinguibile la pupilla. Sam
fece una smorfia di dolore alla sua stretta, respirando profondente.
-
Magnus cos'è? - gli chiese in fine.
Il
viso di Sebastian si rilassò di colpo alla sua domanda, come
se l'oscurità che lo aveva avvolto si era dissolta come
fumo. - E' un nascosto. -
-
Un nascosto?-
-
I nascosti sono coloro che abitano insieme a noi nel Mondo Invisibile.
Sono i vampiri, lupi mannari, il popolo fatato e figli di Lilith,
essendo mezzi demoni, sono stregoni.-
Tutte
quelle informazioni le volteggiarono nella testa come un faro di luce
nell'oscurità più totale.
-E
tu cosa vuoi da me sottospecie di Spider-Man oscuro?-
-
Ora vuoi sapere decisamente troppo.- Uno strano sorriso si
formò sulle labbra di Sebastin mentre sollevava due dita,
portandole sulla guancia di lei, che sfiorò appena.
Sam
riusciva a sentire il battito regolare del suo cuore vibrargli
attraverso il petto e il suo respiro le riscaldava la pelle. -Non
toccarmi.-
Una
risata fuoriuscì dalle labbra di Sebastian. -Oppure, cosa mi
fai? Mi spruzzi negli occhi lo spray al peperoncino?-
Sam
portò lo sguardo negli occhi di lui, fissandoli e con un
movimento veloce sollevò entrambe le mani premendole sul suo
petto come per allontanarlo. E lui lo fece. Sebastian scattò
indietro con un'espressione confusa sul viso mentre sollevava una mano,
portandola su una parte del collo che era rimasta scoperta dalla
maglietta. Era balzato via come se il il tocco delle dita di Sam lo
avessero bruciato.
-Ma
cosa.. - si toccò la pelle confuso. -Mi hai ustionato!-
Esclamò più sorpreso che arrabbiato.
Sam
abbassò lo sguardo sui propri palmi, guardandosi le mani
tremolanti sconcertata. -I-io..- balbettò del tutto confusa
mentre lui le si avvicinava di nuovo stringendole le dita intorno al
polso. Le girò il braccio in modo da poterle osservare il
palmo della mano, ma non c'era niente di strano, la sua pelle era
liscia e morbida, senza nessuna traccia di qualcosa di anormale.
-
Molto interessante- gli sentì mormorare mentre lo sguardo di
lui la percorreva dall'alto verso il basso, in maniera insistente,
facendola sentire a disagio. Sebastian le si avvicinò con
una velocità non umana, premendola nuovamente contro quella
parete, portandosi ad un palmo dal suo viso. E poi ci fu il buio.
§
Era
come se qualcuno le avesse cucito le palpebre. A Sam parve di sentire
le pelle che si strappava mentre le apriva lentamente e sbatteva gli
occhi. Vide sopra di sé un limpido cielo notturno, non c'era
traccia di stelle. Si mise dolorosamente a sedere. Le faceva male
tutto, ma soprattutto la nuca. Si guardò attorno: si
ritrovava distesa sopra ad un prato mal curato, l'umidità le
era entrata nelle ossa. Non ci volle molte a riconoscere quel posto,
era il parco che aveva oltrepassato la mattina, questo significava che
era nelle vicinanze della casa di Magnus e che Sebastian non le aveva
spezzato il collo, cosa molto probabile in quegli istanti.
Si
mise in piedi lentamente, premendo entrambe le mani sul collo
dolorante, mentre si avviava a passo svelto tra le case che ora le
sembravano famigliari. I vecchi edifici squadrati, l'odore di
spazzatura, il viale stretto e finalmente il portone di ferro della
casa di Magnus. Lo varcò intrufolandosi sul pianerottolo
buio e percorse velocemente le due rampe di scale, per poi bussare con
impazienza alla porta della casa.
Le
aprì un ragazzo. Si guardarono entrambi confusi, in un primo
momento pensò di aver sbagliato porta, ma il cognome Bane
era chiaramente leggibile sulla porta.
-E
tu saresti?- Il ragazzo la guardò in modo sospettoso. Era
consapevole di avere un aspetto orribile e di poter sembrare una
barbona, ma in quel momento le importava poco.
Stava
per rispondergli quando una voce familiare parlò.- Sigmund,
lascia entrare la vagabonda.-
Il
ragazzò sollevò gli occhi al cielo e si
spostò per farla passare. - Ti ho detto che mi chiamo Simon!-
Magnus
che era seduto comodamente sul divano sollevò pigramente una
mano in segno di noncuranza, portando poi lo sguardo su Sam che era
appena entrata. -Allora, mi derubi e scappi via?-
Un
senso di colpa si fiondò nello stomaco. -Io volevo solo..
esplorare.-
-Esplorare,
interessante.- Magnus fece una pausa sollevandosi in piedi. - La
prossima volta avvertimi. Ho fatto un po' di shopping per te, ora vai,
prima che la tua vista mi irriti più del dovuto.-
Sam
si voltò ritrovandosi nuovamente di fronte quel ragazzo
dagli occhi scuri e l'aria impacciata che era rimasto in silenzio a far
da spettatore. - Seymour, va con lei, non voglio che scappi di nuovo.
Io intanto sistemerò una camera per te.-
Sam
entrò nella sua stanza con Simon alle spalle. In quel
momento desiderava con tutta se stessa restare da sola. -Mi dispiace
che tu debba farmi da babysitter.-
-
Tranquilla, posso capire come ti senta.- le disse lui rivolgendole un
sorriso comprensivo.
Lei
annuì appena lasciandosi ricadere sulla sedia, esausta. -
Anche tu sei uno stregone?-
Simon
accennò una risata scuotendo poi la testa. - No, io sono un
vampiro.-
Sam
ebbe un momento di esitazione. Quel ragazzo che sembrava la cosa
più innocente del mondo, che dimostrava poco più
di sedici anni, era un vampiro?
-Figo.-
fu quello che disse. -Almeno tu sai in che categoria inserirti.-
Simon
le sorrise. -Beh, io sono uno vampiro un po' più figo. Posso
stare alla luce del giorno.-
-
Dovrei chiederti l'autografo?-
-Se
vuoi offro anche foto e maglie con la mia faccia sopra e la
scritta“Io sono l'unico e solo, stronzetti”.-
Sam
sorrise. -Vivi qui con Magnus?-
Lui
scosse la testa sospirando appena. -No, ma non ho un posto dove andare
e..-
-...E
visto che ultimamente ho messo su un hotel per vagabondi, ospito i
figli abbandonati senza una casa.-
Entrambi
girarono il volto verso la porta ritrovandosi un Magnus in vestaglia
che sorseggiava annoiato del vino da un bicchiere a coppa. - Su, il
convento spegne le luci, tutti a dormire.- Si girò verso il
corridoio esitando un secondo. -E per quanto riguarda te, signorina,
domani avremo molto di cui parlare.-
NOTE
D’AUTRICE ◊
Allora, vi ringrazio di cuore
per l'incoraggiamento che mi avete dato nel primo capitolo, per me il
vostro parere è davvero molto importante!
Spero di
non deludere le aspettative e che questo capitolo vi piaccia!
Naturalmente
ringrazio anche chi ha messo la storia tra i preferiti, seguite e
ricordate, vi ringrazio tutti di cuore.
Come
sempre, sapere cosa ne pensate mi renderebbe davvero felice, un bacione
enorme. <3
Credits: Per la barra prima delle
note a : yingsu
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