Dr. Veela or Miss Harpy?

di TheShippinator
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ciao a tutti! Mi ripresento con un... esperimento. Avevo detto che sarebbe stata una OS, ma ho ricevuto così tante spinte che sono stata letteralmente gettata in mezzo alla via della Raccolta a tema. Eh sì. Una serie di OS o FF con non più di due capitoli, mai pubblicate prima di essere complete, lo prometto. Non pubblicherò mai nulla riferito a Travel With Me che non sia stato prima finito. Ci vediamo alla fine per altre due paroline veloci!

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Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui mi tese la mano per la prima volta... è il giorno in cui scoprii che non siamo soli, nell'Universo, che esistono forme di vita aliene, che sono tra noi e che non sempre questo è un male. È il giorno in cui mi sono fidato di uno sconosciuto e ho vissuto un'esperienza incredibile, che mi ha donato la capacità di vedere là dove agli altri non è concesso. È il giorno in cui ho incontrato una persona che con un paio di semplici gesti è riuscita a farmi sorridere. Da allora viaggiamo insieme, girovagando per lo spazio e per il tempo senza meta, andando dove ci porta il TARDIS... talvolta qualcuno ci fa compagnia, talvolta siamo noi a restare un po' di più, ma nel mio cuore io lo so, in questo viaggio ci siamo solo noi: il TARDIS, il Dottore ed io, Kurt.

La sirena del TARDIS risuonava alta, sovrastando il suono delle voci del Dottore e Kurt, che discutevano animatamente.
«Sono stato più bravo io, ammettilo! Se non avessi fatto lo sgambetto a quell'omino verde, tu non saresti mai riuscito a sonicare la cosa con il coso sonico!» esclamò Kurt, salvandosi dallo sbattere i denti contro una sbarra di ferro afferrando la stessa, in seguito ad uno scossone particolarmente forte della cabina blu.
«La tua persistenza nel chiamare "omini verdi" ogni creatura Extra Terrestre che vedi, comincia a diventare divertente, più che irritante. E poi dovresti davvero smetterla di abusare della parola "cosa".» rispose il Dottore, afferrando una corda spessa e pendente dal soffitto, per aggirare la colonna dei comandi e raggiungere una leva troppo lontana e, contemporaneamente, evitare di cadere per terra.
Kurt ed il Dottore si erano conosciuti quelle che potevano essere due settimane prima... o due mesi. Viaggiando nel tempo, era piuttosto difficile riuscire a stabilire da quanto, effettivamente, i due godessero della reciproca compagnia. Avevano già visitato alcuni pianeti, il Dottore aveva portato Kurt a visitare un mercato che sarebbe stato piuttosto in voga da lì a circa quatrocentotredici anni ed, infine, avevano sventato una rivolta di alcuni estremisti Pro Divisione Razze che avevano cercato di imporre il loro credo nel governo di un pianeta che Kurt non aveva mai sentito nominare prima (una sorta di oasi felice nell'universo, meta turistica tra le più acclamate da parte di qualunque essere vivente).
«Sei troppo rigido, Dottore, sciogliti un po'!» esclamò Kurt, sbuffando. «Dovresti farti una vacanza su Dreemodexia, ti farebbe bene!»
«Ci posso provare, ma sicuramente mi ritroverei a dover dare di nuovo una batosta a quei nemici dei matrimoni tra Cornulopiani e Reityrhoxi. Voglio dire, a chi importa se lei ha le corna e lui tre occhi? Se vogliono sposarsi qual è il problema?» domandò il Dottore, retoricamente, raggiungendo infine la leva e tirandola. Il TARDIS fece un'altra brusca giravolta, quindi il forte rumore della sirena si affievolì, scomparendo del tutto una volta che si fu fermato.
Kurt si lasciò cadere su una protuberanza a forma di cubo del pavimento, gettando la testa all'indietro e sospirando forte.
«Non mi abituerò mai ai terremoti di questo aggeggio…»
«Ehi, non offenderla…» si lamentò il Dottore, raggiungendo la porta del TARDIS ed aprendola. Si sporse per dare un'occhiata, quindi la richiuse e si voltò.
«Okay, è arrivato il momento di farti vedere la cabina armadio. Non possiamo uscire così, ci scambierebbero per degli dei, rischieremmo una rivolta religiosa…» affermò il Dottore, saltando oltre ad una panchina di rete, germogliata direttamente dal pavimento, e tuffandosi verso le scale che scendevano a chiocciola verso il basso. Kurt lo seguì in fretta.
«Cabina armadio?» domandò il ragazzo, incespicando sulle scale, mentre cercava di tenere il passo del Dottore.
«Esatto. Non posso permettermi di andare sempre in giro con i miei vestiti ed in certe occasioni devo cambiarmi, no? E poi… non a tutti i me stesso piacciono le cose che metto. Al me stesso di prima, ad esempio… beh, no, lui era a posto, ma a quello prima ancora non piacevano i papillon. Come si fa a non amare i Papillon?!» domandò il Dottore, nonostante Kurt non riuscisse perfettamente a vederlo. Ne sentiva chiaramente la voce e poteva affermare con certezza che provenisse da una stanza sulla sinistra. Si affacciò e rimase letteralmente di stucco: c'era un grande camerino coperto da una tenda lunga almeno due metri, file e file di appendiabiti con vestiti di ogni epoca, dimensione, altezza e sesso ed almeno un paio di scarpiere che rigurgitavano scarpe da ogni dove.
«Come mai ci sono vestiti da donna?» domandò Kurt, sollevando il bordo di una gonna nera di pizzo con un paio di dita.
«Oh, sai… non si sa mai, fino ad ora sono sempre stato uomo, ma potrebbe capitare di diventare donna… ecco qua! Che ne dici?»
Kurt dovette ingoiare le sue domande sulle insinuazioni del cambio di sesso del Dottore, in virtù di una ben più idonea faccia sconvolta. Davanti a lui, l'uomo che era abituato a veder indossare pantaloni a pinocchietto, bretelle e papillon, era avvolto in quello che poteva essere un lenzuolo color avorio. La toga era lunga fino ad una decina di centimetri sopra alle ginocchia, annodata con una corda spessa intorno alle anche, quasi quella fosse una cintura, e tenuta su da due anelli di metallo sopra alle spalle, anelli ai quali erano annodati due lembi della tunica stessa. Ai piedi, portava un paio di sandali.
«Avanti, Kurt, non lasciarmi sulle spine!» lo incitò il Dottore, girando su sé stesso. Kurt sperò ardentemente che si fosse tenuto per lo meno le mutande.
Deglutì e si lanciò un'occhiata allo specchio alla sua sinistra, notando di essere tanto rosso da far concorrenza ad un pomodoro. Provando ad ignorarsi, si portò un pugno alla bocca, tossendo per schiarirsi la voce.
«Molto… bene, direi. Perchè ti sei vestito così? Festa in maschera?» domandò Kurt, avvicinandosi e sfiorando pigramente la stoffa dei vestiti alla sua destra con la mano.
«Io e te, caro Kurt, stiamo per immergerci nella mitologica Grecia! Volevo portarti a visitare le miniere di Spertodia, ma devo aver inserito le coordinate sbagliate. Sicuramente ho invertito il cinque e il sette, sbaglio sempre…» borbottò il Dottore, estraendo quello che Kurt scambiò per una piccola tovaglia color panna da una pila di stoffa della stessa tonalità. «Ecco, provati questo!»
Kurt spalancò gli occhi, osservando quello che alla fine riconobbe come un vestito.
«Io? Ma… il panna non è proprio il mio colore…!» cercò di protestare Kurt, ma il Dottore gli posò il vestito sul petto, sorridendo entusiasta.
«Sciocchezze, ti sta bene tutto! Avanti, provalo!» disse, spingendolo delicatamente verso il camerino.
Cinque minuti dopo, Kurt spostò la tenda timidamente, lanciando occhiate incerte allo specchio e provando a non vergognarsi troppo. Il vestito che il Dottore gli aveva rifilato era lungo quanto il suo, ovvero fino a dieci centimetri sopra al ginocchio, ed aveva anch'esso una corda atta a tenerlo fermo e chiuso in vita, ma, a differenza dell'altro, questo aveva una sola spallina e lasciava la parte destra del petto e della schiena di Kurt scoperti. Kurt non era abituato ad avere parti del corpo esposte e quel vestito lo metteva decisamente a disagio. Incrociò le braccia, per cercare di coprirsi un po', ringraziando il cielo, comunque, di aver per lo meno tenuto la biancheria intima.
Il Dottore si materializzò in fretta dietro di lui, posandogli le mani sulle spalle e stringendole un po'. Kurt deglutì rumorosamente, a causa del contatto diretto della mano di lui con la sua pelle.
«Visto? Stai benissimo! Ora possiamo andare!»
Non gli diede il tempo di ribattere, gli allungò solamente un paio di sandali e lo precedette fuori dal TARDIS, strategicamente parcheggiato in una nicchia scavata dalla natura nella parete di quello che era uno strapiombo. Kurt si chiuse la porta della Cabina Telefonica alle spalle, seguendo il Dottore che si addentrava nella foresta davanti a loro.
Camminarono per almeno dieci minuti, prima di notare i primi segni di vita: dei fili di fumo s'innalzavano davanti a loro, da quelle che, continuando a camminare, riconobbero come rudimentali abitazioni di origine greca. Erano piuttosto umili ed intorno ad esse si aggiravano persone vestite in maniera simile a loro, forse con abiti un po' più consumati.
Il Dottore avanzò allegramente e Kurt lo seguì, senza aver bene idea di cosa aspettarsi. Continuava a guardarsi intorno sconvolto ed emozionato, ma anche vagamente in soggezione. Quel posto gli dava l'idea di nascondere qualcosa o di essere in lutto. Le persone non sorridevano e, a differenza degli altri luoghi da loro frequentati, era quasi silenzioso e privo di vita.
«Che cos'è successo a queste persone?» domandò Kurt sottovoce, raggiungendo l'uomo ed affiancandolo.
«Non lo so… mi scusi, signore!» esclamò il Dottore, avvicinandosi ad un uomo che stava scaricando grandi mattoni d'argilla da un carretto di legno. «Veniamo da fuori, penso che ci fermeremo qualche giorno… sa dirci dove possiamo alloggiare?»
L'uomo finì di scaricare l'ultimo grosso mattone con un grugnito, quindi si voltò verso il Dottore, squadrandolo da capo a piedi. Lanciò un'occhiata anche a Kurt, aggrottando le sopracciglia.
«Siete di Atene? Non mi piacciono gli atenesi… troppi grilli per la testa.» affermò l'uomo, afferrando un altro mattone d'argilla e tornando a scaricare. «No, siamo… veniamo da molto lontano, i nostri cavalli sono scappati ed abbiamo trovato questo villaggio. Ci chiedevamo se ci fosse un posto nel quale riposare, per lo meno per qualche notte.» continuò il Dottore, guardando Kurt e facendo spallucce.
L'uomo li osservò ancora, sospettoso, quindi fece un cenno con il mento, indicando una casupola dall'altra parte della piazzola che, probabilmente, consisteva nel centro del villaggio.
«Shelby affitta le camere anche per sette lune… provate a chiedere a lei.» disse semplicemente l'uomo, scaricando in fretta l'ultimo mattone di argilla e sollevando il carretto, per sparire del retro.
Il Dottore fece un cenno a Kurt, che lo seguì fino alla locanda indicata dall'uomo.

Shelby era una donna dal naso un po' prominente, ma incredibilmente affascinante. Aveva conquistato da subito il cuore di Kurt, intraprendendo con lui una conversazione sul canto mentre serviva loro vino dolce, pane alle olive ancora tiepido e formaggio fresco. Non erano i soli clienti, comunque: c'erano un paio di uomini in un angolo ed anche una donna, seduta da sola e con lo sguardo triste. Mancava la tipica aria gioiosa e vagamente brilla che pervade una locanda di solito.
«Shelby, sa dirci come mai questo villaggio è così silenzioso?» domandò il Dottore ad un certo punto, sorseggiando il suo vino.
La donna sembrò congelare forzatamente il sorriso sulle proprie labbra, quindi si voltò e cominciò a strofinare delle ciotole di ceramica.
«Beh… non sono buoni giorni per essere in visita, questi. C'è una Fiera, vicino alla città, che si è presa due giovani. L'Arpia, la chiamano. Io non l'ho mai vista di persona, ma dicono che sia bella un attimo prima, dolce come ambrosia e con voce paragonabile solo a quella di una Musa, poi terribile un attimo dopo, con viso di aquila, occhi di diavolo e fuoco tra le dita dalle unghie aguzze. Che Apollo ci protegga, se quella si avvicina al villaggio siamo tutti perduti, è certo!» esclamò la donna, sottovoce, indicando con un cenno del mento la donna che sedeva da sola. Il Dottore e Kurt si voltarono a fissarla per un istante, prima di guardare di nuovo Shelby.
«Il figlio di quella donna è stato portato via da lei. Dicono che l'amasse e che se lo sia presa, insieme al figlio del vecchio artigiano. Quei due passavano molto tempo con lei. Tutti sapevano che un giorno se li sarebbe presi, ma nessuno ha mai fatto nulla per impedirlo ed ora i nostri uomini vanno ogni due giorni nella foresta, a cercarla, per darle la giusta punizione per il suo crimine. Quella povera donna piange tutte le notti e di giorno viene qui.»
Kurt ed il Dottore si voltarono per osservare la donna: aveva i capelli ricci e castani, lunghi, e lo sguardo spento. Se ne stava seduta ingobbita, guardando una specie di ciotola di ceramica -dotata di manico- davanti a lei, visibilmente piena di vino denso.
«Dovresti parlarle...» sussurrò il Dottore, colpendolo lievemente con il gomito.
Il ragazzo si voltò a guardarlo, sollevando le sopracciglia.
«Io? Perchè?» chiese, sempre sottovoce, Kurt.
«Beh, tu sei umano, lei è umana... avete un sacco di cose in comune!» esclamò il Dottore, dando una leggera pacca sulla schiena all'altro, facendolo dondolare sullo sgabello sul quale era seduto e costringendolo ad alzarsi.
Kurt trattenne un mugolio, mentre inciampava un po' in avanti; si voltò per lanciare un'occhiataccia al Dottore, quindi si avviò verso la donna.
«Posso sedermi?» domandò Kurt, fermandosi a mezzo metro dal tavolo della signora. Guardandola più da vicino, si potevano notare i segni dello stress sul viso ancora relativamente giovane della donna. Era chiaramente triste e gli occhi erano lucidi e gonfi di lacrime che, probabilmente, aveva passato tutta la notte a piangere. Kurt lo poté notare grazie al fatto che, prima di rispondergli, lei sollevò lo sguardo su di lui, esaminandolo attentamente.
Il ragazzo attese, spostando il peso del proprio corpo prima su una gamba, poi sull'altra, mentre la e donna lo guardava e, solo dopo alcuni secondi, gli concedeva il permesso di accomodarsi.
«Siete venuto a portarmi al Tempio di Asklepio?» domandò lei, con una lieve voce roca, quasi ormai la usasse raramente.
Kurt aggrottò le sopracciglia, inclinando un po' la testa verso destra.
«Cosa? No...! Niente Tempio... perchè dovrei portarvi lì?» domandò, sporgendosi poi verso di lei ed abbassando la voce in tono confidenziale, quasi si stessero scambiando dei segreti.
«Pensate che non lo sappia, quello che la gente del villaggio dice? Pensate che io sia sorda, oltre che pazza? Pazza di dolore, dicono. Vorrei vedere se fossero al mio posto, con il figlio preso, rapito da quel demonio, forse morto...!» la voce della donna si ruppe in un singhiozzo, mentre gli occhi le si riempivano nuovamente di lacrime e lei soffocava i suoi lamenti nel palmo della mano, premuto sulla bocca.
«Non... non fate così... Sono qui solo per parlare con voi, non credo che siate pazza! Io vorrei... vorrei che mi parlaste di vostro figlio...» sussurrò Kurt, allungando una mano e posandola su quella libera della donna. Lei spalancò gli occhi rossi, allontanandola in fretta e fissando Kurt sconvolta, quindi, lentamente, si riavvicinò. Gli strinse le dita tra le proprie, spostando anche la mano premuta davanti alla bocca. Prese un profondo respiro, quindi si spazzò via le lacrime dalle guance ed avvolse, anche con quella, la mano di Kurt.
«Mio figlio... era così bello, il mio Jesse... era così caro ad Apollo, ma forse non abbastanza. Deve avergli fatto qualche torto del quale non sono a conoscenza... Il mio Jesse suonava per il dio e cantava per lui, sempre. Cantava anche alla foresta, per Diana, ma cantava anche per quel Mostro...» disse piano la donna, tenendo lo sguardo basso.
«Quale Mostro?» domandò Kurt in un sussurro, attento.
«Quella Fiera che mio marito cerca di uccidere da quasi due lune... È bella, molto, ma è ingannatrice. Può diventare un demone dell'inferno in un istante ed ucciderti come si uccide un capretto per un sacrificio. Al mio Jesse piaceva, lei. Al mio Jesse e al figlio dell'artigiano. Quando quel ragazzo andava a far legna per il padre o a cercare i fiori per le tinture, Jesse lo accompagnava. Passavano la giornata nella foresta con quel Mostro e lui cantava per lei, così diceva... Diceva che era bella e buona e che li amava, tutti e due... ma non era vero, non era vero...»
Il respiro della donna accelerò, mentre lei soffocava un singhiozzo, di nuovo, stringendo forte il labbro inferiore tra i denti. Le mani si allontanarono da quelle di Kurt ed andarono ad avvolgere la ciotola, stringendosi attorno al manico, quindi l'avvicinò alla bocca. Kurt l'osservò bere un lungo sorso di quel vino ed aspettò che lei mettesse nuovamente giù il "bicchiere", ma non lo fece.
«Avete detto che sono quasi due lune che vostro marito cerca di uccidere questa... Creatura... È da così tanto che è scomparso vostro figlio? Signora...?»
Kurt tentò di estorcerle ancora qualche parola, ma lei non rispose più, continuò solo a borbottare tra sé e a rigirarsi la ciotola tra le dita. Alla fine, sconfitto, Kurt sospirò e tornò dal Dottore. Shelby era scomparsa, mentre il Signore del Tempo era ancora lì in silenzio, intento a bere dalla sua, di ciotola.
«Vuoi che...»
«No, non è necessario, ho sentito... Suo figlio Jesse ed il figlio dell'artigiano sono spariti da quasi due mesi. Probabilmente sono spariti insieme. So tutto quello che ho bisogno di sapere, eccetto una cosa...» disse il Dottore, tenendo lo sguardo fisso sulla donna, serio.
«Che cosa?» domandò Kurt, prendendo tra le mani la propria ciotola di vino.
Il Dottore si voltò verso di lui, mentre un lieve sorriso gli si formava sulle labbra.
«Quanto bene sai cantare, Kurt?»

Dopo aver passato una notte a grattarsi a causa delle lenzuola ruvide ed aver consumato una colazione inconsueta (latte di capra, che aveva a malapena digerito, e pane d'orzo con miele), Kurt aveva seguito il Dottore a fare un giro del villaggio in cui avevano deciso di stabilirsi momentaneamente. Entrambi avevano intuito che l'artigiano al quale era stato portato via il figlio, era lo stesso che aveva dato loro informazioni il giorno precedente. Nonostante tutto, avevano preferito non andare ad interrogarlo: il Dottore non era certo di aver fatto una buona impressione su di lui.
Proprio mentre stavano per abbandonare il piccolo mercato cittadino, due ragazzine si precipitarono per la strada, incespicando e piangendo. Kurt le seguì con lo sguardo, mentre li superavano dirette da due signore intente a sgusciare dei piselli in grandi vasi di ceramica, fuori dalla porta di casa.
«Madre! Madre, l'Arpia! Abbiamo visto l'Arpia!» esclamò la più grande, riparandosi in fretta dietro ad una delle donne, mentre la piccola si gettava tra le braccia dell'altra, rischiando di far cadere il vaso.
«Dove? Dove l'avete vista?» domandò concitata la prima signora, voltandosi e scuotendo piano le spalle della figlia.
«Al limitare della foresta, vicino al villaggio. Veniva di qui!» disse la figlia, tremando e scatenando il panico nella gente. Il Dottore, che fino a quel momento era stato in silenzio, all'improvviso afferrò il gomito di Kurt, tirandolo con sé mentre si avvicinava a quelle donne.
«Da che parte? Dove hai visto la Creatura?» chiese alla bambina, che spostò lo sguardo su di lui, confusa, come anche la madre.
«Di... di là... Uno degli uomini stava cercando di ucciderla...» sussurrò lei, mentre la madre si alzava in piedi e la spingeva in casa, allontanandola dalle domande del Dottore e dal pericolo dell'Arpia.
Gli uomini e le donne del mercato parlavano ad alta voce, arraffando le loro merci più in fretta che potevano, cercando di non rompere nulla e, contemporaneamente, di levarsi dalla strada il più in fretta possibile. Mentre tutti si dirigevano alle loro case, Kurt ed il Dottore lottavano controcorrente per allontanarsi e raggiungere la foresta.
«Dottore, non dovremmo ripararci anche noi? Se quella Creatura è pericolosa...» tentò Kurt, ma venne subito subito bloccato.
«Quella Creatura potrebbe essere proveniente da un altro pianeta, sola e dispersa, alla ricerca di qualcuno che le offra aiuto. Dobbiamo trovarla e salvarla!» ribatté il Signore del Tempo, cominciando a correre una volta superato l'ultimo fuggiasco. Kurt si affrettò a seguirlo, incespicando nei sandali.
«Dici... dici che potrebbe essere una... "Marziana" o qualcosa del genere?» domandò Kurt, ansimando, mentre il Dottore cominciava a rallentare, una volta udite le prime avvisaglie di quello che era sicuramente un piccolo scontro.
«Non essere sciocco, Kurt, lo sanno tutti che i Marziani sono prevalentemente forme di vita a base di ossigeno ed idrogeno... ALT!» esclamò il Dottore, bloccandosi all'improvviso ed allungando il braccio sinistro, per interrompere l'avanzare del Compagno.
Kurt si fermò, rischiando di andare a sbattere contro il Dottore, quindi sollevò lo sguardo, seguendo quello dell'altro. La vide.
Si librava in aria, le grandi ali squamose spiegate e gonfie di vento che sembrava nascere direttamente dal suolo. I capelli le vorticavano, scuri e gonfi, intorno al capo, come se avessero vita propria. Il viso era sfigurato, assomigliava a quello di un rapace e gli occhi erano neri e lucidi: riflettevano il rosso delle palle di fuoco che bruciavano tra le dita, dando l'impressione che le sue orbite contenessero tizzoni ardenti. Le braccia erano piegate e le dita aperte ad artiglio, ma lei non stava attaccando la piccola folla di uomini radunata a terra, intorno a lei, quasi non si accorgessero che si stava librando in aria, libera di volarsene via in qualunque momento, e volessero circondarla. La minacciavano con spade e lance e lanciandole pietre e pezzi di coccio con delle fionde improvvisate o semplicemente usando le mani.
Kurt era pietrificato e, nonostante l'aspetto terribile della Creatura, non poteva che provare pena per lei: quegli uomini la circondavano, lanciandole pietre e colpendola, facendola strillare di dolore e rabbia, ma lei non faceva altro che starsene lì, terribile e maestosa pur essendo minuta, spaventandoli con il solo aspetto. Non aveva visto una sola palla di fuoco abbandonare la sua mano.
«Oh, tu sì che sei bellissima... Fermi!» esclamò all'improvviso il Dottore, dando poi le spalle alla scena ed infilandosi le dita nei capelli acconciati dal gel. «Fermi, stupidi idioti, le farete del male!»
Sbuffò, trattenendo il respiro, prima di voltarsi verso Kurt.
«Le faranno del male...» sussurrò Kurt, mordendosi il labbro inferiore.
«Le faranno del male...» confermò il Dottore, con un piccolo cenno del capo, voltandosi a guardare la scena: gli uomini avevano iniziato a lanciare le lance, che però non arrivavano a colpire la donna, visto che lei le colpiva con piccole palle di fuoco quando erano troppo vicine per i suoi gusti.
«Le faranno del male, le faranno del male!» esclamarono insieme Kurt ed il Dottore, scompostamente, cominciando di nuovo a correre in avanti, verso gli uomini.
Mentre cercava di tenere il passo, Kurt notò che il Dottore si era infilato una mano sotto al colletto della tunica. Qualche istante dopo, il Cacciavite Sonico faceva bella mostra di sé stretto nel palmo della sua mano, anche se un po' meno sporgente del solito. Forse voleva mantenere un basso profilo, ed infatti, ad un certo punto, Kurt si sentì tirare per una spalla.
Il Dottore si nascose dietro di lui, una volta abbastanza vicino da poter prendere la mira con sicurezza. Per prima cosa, puntò il Cacciavite contro gli uomini, e quelli, in pochi istanti, lasciarono cadere le armi massaggiandosi le mani ed i polsi e guardandosi attorno stupiti. Quindi, sollevò un po' il tiro e lo puntò sulla Creatura. Il vento che la teneva sospesa cessò all'istante e nel momento in cui quella fu a terra, tutti gli uomini si allontanarono, senza nemmeno preoccuparsi di recuperare gli oggetti lasciati precedentemente cadere.
Il Cacciavite Sonico sparì presto di nuovo all'interno della tunica, in quella che Kurt presumeva essere una tasca segreta, quindi sia lui che il Dottore avanzarono verso la figuretta che se ne stava immobile al centro di quel largo cerchio di uomini e lo scomposto cerchio di armi.
I capelli cominciarono a schiarirsi, raggiungendo una tonalità un po' più simile al castano chiaro, mentre le ali squamose andavano a ritirarsi sulle scapole, permettendo alla pelle di tornare liscia e color cappuccino. Su quel corpicino magro cadeva quella che probabilmente era una semplice veste da donna, color avorio e sporca di terra in più punti, strappata in altri. Quando la Creatura sollevò lo sguardo, Kurt trattenne il fiato. Non aveva più gli occhi lucidi e neri e il profilo rapace, bensì due occhi grandi e rotondi, dalle ciglia lunghe, e le labbra piene. Non lo guardò a lungo, anzi, non lo guardò quasi per niente, si limitò ad alzarsi e a scoprire i denti, minacciosamente, verso gli uomini che avevano ripreso ad avvicinarsi. Portò nuovamente le dita piegate e separate a simulare degli artigli, con le unghie rivolte verso l'alto.
«Voi e i vostri giocattoli! Quando capirete che è tutto inutile? Potrei uccidervi in un istante e non avreste nemmeno il tempo di scegliere a quale ricordo pensare nel momento della morte, ed invece guardatevi! Mi accerchiate come lupi affamati ed io sono sola e senza colpa, l'ho ripetuto anche troppo! A meno che per voi amare sia una colpa, allora sì, lo sono! Sono colpevole!» esclamò lei, con voce tremante e carica sia di rabbia che di paura che di esasperazione.
«Taci, Mostro! Certo che sei colpevole! Se amare, dall'Inferno da cui provieni, ha lo stesso significato di uccidere, allora lo sei eccome! Due vite di questo villaggio, ti sei presa, ed ora è giusto che la tua ci sia data in cambio! A morte l'Arpia assassina!» esclamò uno degli uomini, dotato di una folta barba brizzolata, ottenendo il consenso del gruppo che era con lui.
«Non sono un'assassina, né tantomeno un'Arpia!» esclamò di nuovo lei, guardandosi attorno terrorizzata, mentre gli uomini si avvicinavano ancora di più.
Kurt si voltò verso il Dottore. Sembravano passati minuti interi, in realtà il tutto stava succedendo in pochi secondi.
«Se anche ti chiamassi Veela, non migliorerebbe la tua condizione! Sapete solo far morire gli uomini di dolore per l'amore non corrisposto o li uccidete voi stesse a mani nude! Perchè dovrei chiamarti con il tuo nome, quando assassina ti si addice meglio?»
La Veela riaprì bocca, nel tentativo di ribattere, ma un piccolo colpo dato per sbaglio dalla spalla del Dottore, avvisò Kurt che probabilmente il discorso tra quei due si sarebbe concluso in quel momento.
«Perdonatemi, perdonatemi, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare... dopotutto, state parlando proprio qui, davanti a tutti...! Premessa: sei meravigliosa. Dico davvero, sei stupenda! Adesso, certo, ma anche prima... Uhu! Uno spettacolo! Passiamo alle cose serie, sì?» disse il Dottore, avanzando in fretta tra l'uomo e la Donna, che l'osservò con tanto d'occhi. Il Signore del Tempo si piegò a raccogliere un ciottolo, che poi fece saltellare sul palmo della mano, lanciandolo in aria e riafferrandolo al volo.
«No, dico... questa cosa dell'assassina, io non l'ho capita. Avete delle prove? È stato eseguito un regolare processo?» domandò il Dottore, stringendo il ciottolo tra pollice ed indice e puntando, con quello, l'uomo con la barba. Si fermò un istante ad osservare la propria mano, quindi fece una smorfia, scambiando un'occhiata con la Veela. «Non è proprio la stessa cosa di un Cacciavite Sonico, eh?»
«Un Cacciavi-...?» azzardò lei, per poi scuotere il capo ed arretrare in fretta di un paio di metri. Gli uomini dietro di lei si allontanarono in fretta, per non intralciarla e non toccarla. «Finiamola con queste stupidaggini! Lasciatemi! Non voglio un processo, voglio che abbiate pace! Non sono colpevole per la perdita di quei due ragazzi, voi stessi portare il peso della colpa sulle vostre spalle e non ne siete nemmeno consapevoli! Tacete, o che gli Dei vi fulminino!»
«Come osi, tu, Mostro!» esclamò un altro ragazzo, facendola voltare nella sua direzione. Lei scoprì i denti, emettendo un verso acuto e stridulo e dando a tutti le spalle, fuggendo in fretta nel folto della foresta.
«No! L'avete fatta scappare! Ignoranti uomini primitivi e ciechi, ma non vedete che è solo una creatura spaventata che voi non fate altro che torturare?!» esclamò il Dottore, guardando quanti più uomini riusciva ad osservare negli occhi, visto che molti tenevano lo sguardo basso o fisso sul punto nel quale era sparita lei.
«No, quella è una potete Creatura che incarna il male della natura. Non fatevi impietosire dal suo bel viso, quella ragazza ha ucciso due figli di questo villaggio!» ribatté un altro uomo ancora, raccogliendo la propria spada rudimentale da terra.
«Ma dove sono le prove??» intervenne Kurt, facendo spallucce e scuotendo il capo. «Noi non c'eravamo prima, è vero, ma lei ha solo detto che li amava e che i veri colpevoli siete... beh, voi.»
Il Dottore lo indicò, regalandogli anche un cenno del capo.
«Grazie, Kurt, ecco appunto! Perchè avrebbe dato la colpa a voi della scomparsa di quei due ragazzi? Chi ci assicura che in realtà non siano stati fatti sparire da qualcuno di voi, per chissà quale motivo?» domandò il Dottore, scuotendo il capo e lanciando il sasso in aria. Non lo guardò, per riprenderlo al volo, ma semplicemente rimase immobile, con il solo risultato che, invece di finire di nuovo nella sua mano, il sasso gli finì in testa.
«Ahi... un Cacciavite Sonico è molto meglio di te, manchi di prendibilità sensoriale, amico sasso... ma immagino che sia giusto così, dopotutto hai un cuore di pietra... in ogni caso! Dovete fidarvi di me! Io sono il Dottore e vi aiuterò a far luce in questo mistero.» esclamò il Signore del Tempo, sorridendo compiaciuto ed ammiccando verso Kurt. Il ragazzo sollevò le sopracciglia, scettico, arricciando anche le labbra.
«Il Dottore? È tipo... come un Sacerdote del Tempio?» domandò un ragazzo ad un altro.
«Più come un Signore del Tempo, a dire il vero...» rispose Kurt, con un mezzo sorriso divertito, mentre l'uomo con la barba si faceva avanti, raggiungendo il Dottore. Gli si avvicinò tanto che, se Kurt fosse stato in lui, ne avrebbe sentito l'alito sul viso.
«Vi consiglio di fare attenzione, "Dottore". Gli Dei non sono così benevoli ultimamente. Potreste attirarvi contro le loro ire e Zeus solo sa che cos'è in grado davvero di fare quella Creatura. Non voglio anche il peso della vostra morte sulla coscienza.» borbottò l'uomo, indicando anche Kurt con un cenno.
«Non vi preoccupate, io e Kurt ce la caveremo. Siamo bravi a cavarcela, vero?» rispose il Dottore, a testa alta e con un sorriso sicuro. La sua espressione era seria, per niente ironica ed anche una sua mano, per rafforzare il suo dire, corse al collo cercando di afferrare un cravattino che, ahimè, non portava. Per un istante, il Dottore si rabbuiò, cominciando ad accarezzarsi il collo nudo pensieroso.
L'uomo rimase a guardarli per un po', alternando lo sguardo da lui a Kurt, quindi fece un cenno con la testa e tutti gli uomini andarono a recuperare le loro armi e i loro strumenti da lavoro. Il brusio che avvolgeva il piccolo gruppo, non era sufficiente a coprire il peso dei pensieri di quelle persone, che sembravano scivolare nell'aria, condotti dai loro sguardi curiosi ed arrabbiati, ed andarsi a scontrare contro Kurt e il Dottore.
Senza più degnarli di uno sguardo, il Signore del Tempo diede loro le spalle e cominciò a camminare seguendo la scia della Creatura, inoltrandosi nella foresta.
«Dici che è un po' presto per inventare i cravattini?» domandò l'uomo, qualche secondo più tardi, mentre Kurt gli arrancava dietro inciampando nei sandali.
«No, se inventiamo anche i digestivi...» rispose il ragazzo, posandosi una mano sullo stomaco e trattenendo l'ennesimo rigurgito.
«Il latte di capra?» domandò il Dottore, ridacchiando e voltandosi a lanciargli un'occhiata.
«Il latte di capra...» rispose Kurt, annuendo piano e permettendo anche alle sue labbra di arcuarsi in un sorrisetto.

Trovare la Veela non fu facile. Era davvero una creatura della natura, come aveva detto l'uomo del villaggio, e in quanto creatura della natura poteva muoversi in essa in maniera sorprendente.
Dovettero raggiungere la parete del dirupo dove avevano nascosto il TARDIS, prima di poter anche avere un solo indizio della sua presenza, e ciò che "trovarono" fu abbastanza sorprendente.
La ragazza era rannicchiata su una sporgenza a circa sette metri d'altezza, raggomitolata con le gambe al petto, a piangere. Piangeva forte e in maniera quasi drammatica, nascondendo il volto tra le braccia posate sulle ginocchia.
Il primo a prendere la parola fu il Dottore, naso all'insù ed un'espressione dolce che probabilmente avrebbe convinto anche il più restio dei diffidenti.
«Oh, una Creatura bella come te non dovrebbe mai ritrovarsi con gli occhi rossi e gonfi per il pianto...! E con... il moccio che le cola dal naso e quei singhiozzi strani che le escono dalla gola e... »
«Andate via!»
No, forse non era stata una buona idea far parlare il Dottore per primo. Sobbalzò, preso in contropiede, sollevando le sopracciglia e voltandosi verso Kurt, quasi a chiedergli che cos'avesse detto di male. Kurt sospirò, lanciandogli un'occhiataccia, per poi sollevare di nuovo lo sguardo a sua volta.
«Senti, non so come tu sia arrivata lassù, ma potresti scendere? Noi non vogliamo farti del male, vogliamo solo parlare, davvero!» tentò il ragazzo, ottenendo solo che la Veela sbirciasse da sopra le braccia per lanciargli un'occhiata.
«Non voglio avere a che fare con nessuno di voi!» esclamò lei, con voce tremante, tornando a piangere e nascondendo, questa volta, il viso tra le mani.
«Non la convinceremo mai, è testarda...!» esclamò Kurt sottovoce, sporgendosi verso il Dottore, che non aveva smesso un attimo di guardarla.
«È spaventata e sola... le piace la gente che canta. Canta, Kurt, dai!» sussurrò in risposta l'uomo.
«Cantare? Ma... non canto da anni, non ho idea di cosa...» si oppose inizialmente il ragazzo, arretrando di mezzo passo.
«Oh, ti prego, ti sento quando fai la doccia!» rispose il Dottore, lanciandogli un'occhiata scettica.
Kurt rimase in silenzio, ponderando l'ipotesi di arrabbiarsi con lui, ma cedendo all'idea di intonare qualche nota. Erano, in effetti, anni che non cantava davvero. C'era stato un periodo della sua vita in cui aveva pensato che le sue doti canore l'avrebbero portato sui palchi di Broadway, ma il sogno era scemato quando era stato rifiutato alla NYADA. Il suo curriculum era troppo scarno, non aveva frequentato corsi di canto o Glee Club a scuola, perchè non ce n'erano mai stati, e tutto ciò che aveva era il suo talento che, però, non coltivato, era rimasto una semplice e comune bella voce.
«Okay...» sussurrò solamente, schiarendosi la voce e cominciando a pensare.
Non era facile, con i singhiozzi della Veela di sottofondo, ma le rotelline, nel suo cervello, stavano girando alla ricerca di una canzone che avrebbe potuto aiutarlo a convincere la ragazza a scendere da lì ed ascoltarli.
«Blackbird singing in the dead of night, take these broken wings, and learn to fly. All your life you were only waiting for this moment to arise...» intonò all'improvviso, a voce nemmeno troppo alta, tenendo lo sguardo fisso su un cespuglio davanti a lui. Poteva sentire le guance arrossarsi per l'imbarazzo di cantare, per la prima volta, davanti a qualcuno dopo così tanto tempo passato a farlo solo in casa durante le pulizie o, appunto, sotto la doccia.
Non gli era venuta in mente un'altra canzone, solo quella, che, semplicemente, parlava di un uccellino. Essendo così tanto legata alla natura, sperava che la Veela sarebbe quanto meno stata disposta a smettere di piangere per ascoltare il testo e forse, dopo, sarebbero riusciti a convincerla a scendere.
Continuò a cantare, facendosi coraggio pian piano, sollevando lo sguardo fino a posarlo sulla ragazza, che aveva smesso di piangere, ma ancora non lo guardava. Cercò di evitare di guardare il Dottore, perchè il suo sguardo ed i suoi incoraggiamenti, in questo mento, l'avrebbero di sicuro distratto.
Mentre cantava per la seconda volta il ritornello, notò che la Veela aveva spostato la testa ed adesso l'osservava. Forse prima non si era nemmeno accorta di lui, ma adesso lo stava davvero guardando e con interesse anche.
«You were only waiting for this...»
Un attimo prima era sullo spuntone di roccia, un secondo dopo si era alzata in piedi ed una folata di vento si era sollevata dal terreno, proprio davanti a Kurt. La vide gettarsi nel vuoto, tenuta in aria da quella colonna di vento, che pian piano scomparve fino a permetterle di posare i piedi a terra. I suoi occhi erano ancora rossi e gonfi, ma aveva smesso di piangere ed ora erano solo spalancati e lucidi, attenti. Gli si avvicinò così in fretta che lui, per lo spavento, sobbalzò e lasciò la frase a metà, senza concludere la canzone.
«Sei un efebo? O il figlio di una Ninfa?» chiese lei, con voce lievemente provata dalle lacrime.
«Sono... solo Kurt.» rispose lui, lanciando solo ora un'occhiata al Dottore.
L'uomo si riscosse, quando Kurt l'osservò, spostando in fretta lo sguardo sulla Veela e sorridendo largamente.
«Lui è Kurt e io sono il Dottore. Siamo qui solo per parlare con te...» disse con voce bassa e calma, profonda e rilassante.
La Veela rimase ferma ad osservarlo, per poi sospirare.
«Io non sono un'Arpia. Non sono un'assassina e nemmeno un Mostro. Prima di essere chiamata così dalla gente del villaggio, Jesse e Brody mi chiamavano Rachel. Potreste farlo anche voi...» suggerì lei, semplicemente, allontanandosi di un passo, mentre Kurt si avvicinava al Dottore.
«Chi è Brody?» sussurrò al Signore del Tempo, senza spostare lo sguardo dalla Veela.
«Il figlio dell'artigiano...» ne dedusse l'uomo rispondendogli in un sussurro, per poi aprire le braccia mostrando le mani. «Rachel. Meraviglioso. Ce ne sono altre come te, da queste parti?»
«Eravamo poche... non so quante ne sono rimaste. Forse nessuna.» rispose lei, scuotendo piano il capo. «Ehm... scusate, ma che cosa sei tu, esattamente?» domandò Kurt, alternando lo sguardo da Rachel al Dottore. Nessuno dei due rispose, quindi si guardarono, come a cercare di capire chi dovesse prendere la parola.
«Okay, facciamo così: io provo ad indovinare e tu, Rachel, mi dirai se sto dicendo bene o male. Dunque... Devo ipotizzare che tu e le tue sorelle siate il risultato di una sorta di... unione genetica extra terrestre ed umana...» cominciò il Dottore, ma subito lei lo interruppe.
«Gli Umani lo chiamano Amore e Fare Figli. Funziona così, nella mia razza. I geni Puri sono solo maschili ed hanno bisogno di geni Femminili per potersi riprodurre. I miei padri sono arrivati su questo Pianeta per costruire una loro famiglia. Per regola, non si possono usare gli stessi geni Femminili per più di un figlio.» spiegò brevemente lei, annuendo.
Il Dottore sospirò profondamente.
«Affascinante. Ho sempre saputo che voi Veele avevate qualcosa di... "spaziale". E... non ho potuto fare a meno di notare la somiglianza tra...» azzardò il Dottore, indicando, con un pollice, dietro di sé.
Rachel annuì e Kurt si ritrovò più confuso di prima.
«Non può ricordarsi di me. I miei padri hanno cancellato il ricordo di noi dalle menti degli abitanti del villaggio. Nessuno si ricorda che una volta io ho vissuto con loro...» spiegò Rachel, fissando Kurt, come se volesse accertarsi di avergli fatto capire tutto con quelle semplici parole.
Kurt scosse piano la testa e fece spallucce.
«Mi dispiace, ma non capisco. Ho capito che sei... beh, Umana, per metà, ma per metà "aliena" e che una volta vivevi al villaggio, ma che adesso nessuno si ricorda di te. Non trovo il nesso...» riassunse Kurt, voltandosi verso il Dottore, alla ricerca di spiegazioni più efficaci.
L'uomo sospirò e cominciò a camminare, per concentrarsi mentre lasciava che la sua mente deducesse le informazioni mancanti.
«Vediamo... i tuoi padri sono così innamorati e così vogliosi di avere una loro famiglia, che si fermano su questo Pianeta in boccio, trovano il villaggio e ci si stabiliscono. Con l'aiuto di Shelby...»
«Shelby?!»
«... -sì, Shelby, Kurt...- riescono ad ottenere di avere una bambina tutta loro. Ma sei una femmina, e le femmine non sono geni Puri, nella tua razza, quindi...»
«Quindi, intorno ai dodici anni, ho iniziato a mostrare i primi segni di instabilità ed una volta raggiunti di quindici anni, ce ne siamo dovuti andare.» concluse Rachel, mentre il Dottore annuiva sconsolato.
«Instabilità, sarebbe a dire... il vento e il resto?» domandò Kurt, mimando l'agitarsi di un paio di ali con le braccia.
Rachel annuì, sorridendo appena.
«Esatto. Quindi se ne sono andati e hanno modificato la memoria del villaggio. Lasciatelo dire, è stato piuttosto scorretto, è un bene che la Polizia Galattica non lo sia venuto a sapere. Comunque, adesso loro sono andati, vero? E qui sei rimasta solo tu.» concluse il Dottore, mentre Rachel cominciava a passeggiare seguendo la parete del burrone. Il Dottore e Kurt la seguirono, in silenzio.
«Già, sono rimasta solo io. È così che funziona. Quando si diventa grandi, si lascia casa e si vive da soli. I miei papà hanno portato con loro le mie sorelle, che sono nate dopo e da altre Madri, ma so che una volta cresciute anche loro, sono andate via e si sono stabilite da qualche parte nei boschi vicini. Stiamo bene, nella natura, è la nostra casa. Molto più di quanto potrebbe esserlo un villaggio. I miei fratelli, invece, sono andati con loro e presto troveranno un Compagno a loro volta.» concluse lei, con un lieve sorriso triste. «Non vedo e non sento più le mie sorelle da molte lune, ormai. Credo che siano andate via o che siano morte. Mentre io lotto contro quelli che una volta mi hanno voluto bene, cercando di difendermi per una colpa che non ho commesso, loro stanziano nell'Ade lontane ed irraggiungibili...»
«E... questo ci riporta al motivo per cui siamo qui!» esclamò il Dottore, con falsa allegria.
Rachel fece una smorfia, voltandosi per osservarli.
«No. Prima vorrei sapere chi siete. Cosa volete da me e come fate a sapere tutte queste... cose? Soprattutto voi... siete forse Dei? Siete Dei!» domandò inizialmente la ragazza, per poi sobbalzare con le mani alla bocca e gli occhi grandi spalancati.
«No! No, non siamo dei! Oh, cavolo, lo sapevo che mi avrebbero scambiato per un dio...» borbottò il Dottore, mentre Rachel si dirigeva in fretta verso Kurt e gli afferrava le mani.
«L'avevo capito! Siete Apollo, non è vero? Avete la sua voce angelica! Dovremmo cantare insieme!» esclamò lei, costringendo Kurt a sollevare le sopracciglia e a trattenere un sorrisetto.
Il dottore si accigliò, affrettandosi ad inserirsi tra i due.
«No, no... davvero, lui? Noi non siamo dei! IO non sono un dio, per quanto questo possa rattristarti o confonderti, ahimè, non lo sono!» esclamò il Dottore, afferrando un braccio di Kurt e tirandolo indietro, al suo fianco.
«No, lasciala continuare, mi piaceva... com'era? Voce angelica, eh?» ripeté Kurt, ridacchiando e beccandosi un'occhiataccia dall'altro.
«Noi siamo viaggiatori del tempo. Io sono il Dottore, anche io non sono Umano. Kurt lo è, ma non è di queste parti. Né di questi tempi.» spiegò il Dottore, ignorando l'ultimo commento del ragazzo ed osservando Rachel, che, però, non aveva smesso un attimo di lodare gli dei per averle concesso un aiuto così grande.
« ... questo spiega il piccolo Tempio Blu che ho trovato ieri sera! È sicuramente la vostra casa, divino Apollo!» esclamò di nuovo lei, voltandosi ancora verso Kurt e cercando di afferrargli di nuovo le mani.
Il Dottore si affrettò a frapporsi fra i due una seconda volta.
«No no no... hai trovato il TARDIS? È il nostro mezzo di trasporto, non è un Tempio e... noi non siamo dei!» esclamò di nuovo, mentre Rachel cominciava a cantare una canzone dedicata ad Apollo, gironzolando attorno a Kurt, che se la ridacchiava divertito.
Ci volle tutto il pomeriggio per convincerla che nessuno dei due era Apollo e per convincerla a raccontare loro la sua versione della storia. Quella sera, entrambi tornarono al villaggio stanchi, un po' straniti, ma, tutto sommato, sollevati nello scoprire che no, nessuno era morto.

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Eccoci qua! La seconda parte verrà pubblicata domani!
Ringrazio infinitamente Alexa (DumbledoreFan), Giusy (Gipsiusy) e tutti gli altri che mi hanno fisicamente e psicologicamente assillata al fine di avere altre Doctor!Blaine/Companion!Kurt. Vi assicuro che vi amo profondamente per questo, perchè ho molte fantastiche idee!
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Un bacio e a domani!
Andy <3

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Bentornati! Eccoci qui con la seconda parte della OS (e a vederla pubblicata, poi, non è che sembrasse poi così lunga, ma chissenefrega! Meglio così!)! Riusciranno a salvare Rachel da giudizi affrettati e condanne ingiuste? Rachel si farà salvare? Kurt riuscirà a digerire il latte di capra? Scopritelo leggendo!

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«Credi che dovremmo dirlo ai genitori?» domandò Kurt, ripiegando la propria tunica e posandola sull'unica sedia presente nella stanza che i due dividevano alla locanda di Shelby.
«Intendi i genitori di Jesse, il padre di Brody o la madre di Rachel?» domandò il Dottore, sdraiato sul proprio letto ed intento a giocherellare con il suo cacciavite sonico.
Kurt si affrettò ad infilarsi sotto le coperte, fintantoché il Dottore era distratto: nessuno dei due aveva pensato a portarsi dietro un pigiama.
«Beh... sì. No. Insomma... non lo so. Sarebbe giusto che lo sapessero, dopotutto sono i loro genitori, ma se i ragazzi hanno ritenuto opportuno andarsene perchè loro non riuscivano a capirli, chi siamo noi per andare contro il loro volere?» domandò il Dottore a sua volta, pensieroso, voltandosi verso Kurt e scrutandolo, forse alla ricerca di un parere anche da parte sua.
Kurt si tirò su bene il lenzuolo ruvido fino al mento, fissando il soffitto.
«Io penso che... la madre di Jesse dovrebbe saperlo. Per il padre di Brody... a casa mia, ho conosciuto tante persone come lui. Scorbutiche, insofferenti... hai sentito Rachel, gli diceva che doveva trovarsi una buona moglie, perchè le relazioni con altri uomini erano "roba da Atenesi che hanno da mangiare e possono permettersi di fare quello che vogliono".» rispose Kurt, voltandosi sul fianco, per poter osservare il Dottore. «Se glielo dicessimo, sarebbe anche capace di andarlo a cercare, io credo. Hanno deciso di scappare perchè qui non stavano bene.»
Il Dottore rimase in silenzio, pensieroso, per qualche istante.
«E Shelby?» domandò di nuovo, osservando l'altro.
«Beh... non so se possiamo fare qualcosa per lei. Devi dirmelo tu, questo.» rispose Kurt.
Il Dottore annuì, con un sospiro.
«Il tipo di modifica mnemonica che hanno compiuto è sicuramente di facile risoluzione -vedi, i ricordi non si possono cancellare, ma si possono nascondere-, però non so se sia meglio far ricordare a Shelby che ha una figlia o farle scoprire che la suddetta figlia è colei che il villaggio vuole uccidere.»
Entrambi tacquero per qualche secondo, ma fu Kurt il primo a rompere il silenzio.
«È un bel casino, eh? » domandò, azzardando una mezza risatina.
«Già...» rispose il Dottore, con un piccolo sorriso. «Dai, dobbiamo dormire. Domani sarà una giornata impegnativa.»
«Buona notte, Dottore.» disse piano Kurt, annuendo.
«Buona notte, Kurt.» rispose il Dottore, che si rigirò sul letto, senza chiudere gli occhi.
Aveva bisogno di pensare.

Kurt non digeriva il latte di capra. Non lo digeriva e basta, avrebbe dovuto arrendersi a non berlo, piuttosto che passare l'intera mattina a rischiare di rimetterlo sul bordo della strada.
Lui ed il Dottore non avevano più parlato di raccontare o meno ai genitori dei ragazzi che fine avessero fatto i loro figli, ma il Dottore aveva uno sguardo assorto, concentrato, e Kurt supponeva che avesse preso una decisione.
Nel pomeriggio, subito dopo pranzo, si diressero nel bosco. La loro intenzione era quella di cercare nuovamente Rachel, ma non la trovarono da nessuna parte. Il Dottore decise, quindi, di addentrarsi nella foresta. Non camminarono molto, prima di trovarsi davanti un fiumiciattolo poco profondo, ma abbastanza fastidioso. Kurt suggerì di utilizzare delle grandi pietre lì vicino e farle rotolare nel fiume, così da permettere ad entrambi di attraversarlo passandoci sopra e senza bagnarsi troppo.
Mentre stavano facendo rotolare l'ultima pietra ed il Dottore andava avanti per farla arrivare in fondo alla fila di sassi, Kurt si decise a parlare.
«Cos'hai deciso di fare, alla fine?» chiese con noncuranza, portandosi in bilico su due pietre, piegato in avanti e con le mani impegnate a far rotolare la pietra verso il Dottore. Le dita erano ormai congelate, ma non poteva importargli di meno.
«Non so, ho sempre pensato che trovarmi una bella villetta su una delle lune di Giove sarebbe stato carino. Trascorrere i miei ultimi giorni lì... non troppi, non mi piace stare fermo troppo a lungo.» affermò il Dottore, afferrando la pietra che Kurt gli passava e facendola rotolare più avanti. Era sistemato nella sua stessa posizione, ma aveva deciso che senza scarpe era più comodo. Aveva legato i lacci delle stesse e se le era poggiate attorno al collo.
Kurt sollevò le iridi al cielo, increspando le labbra con vago disappunto.
«Sai che non intendevo quello.» disse semplicemente, raddrizzandosi e portandosi le mani ai reni, stiracchiandosi la schiena.
«Beh... credo che, fra tutti, l'unica che abbia davvero il diritto di sapere della figlia, sia Shelby. Se i due ragazzi non volevano che i genitori sapessero nulla di loro, chi siamo noi per ignorare i loro desideri? Posso sistemare la memoria di Shelby e lei ricorderà da sé di Rachel. Vieni, avanti.» disse alla fine il Dottore, sistemando il sasso e superando definitivamente il fiume. Kurt gli fu subito dietro, quindi si fermarono un attimo a guardarsi intorno.
«Penso che sia una buona decisione.» disse alla fine Kurt, guardando verso l'alto ed esaminando la cima di un albero. «Credi che dovremmo dire a Rachel delle nostre intenzioni?»
Il Dottore fissò a sua volta la cima dell'albero esaminata da Kurt.
«Penso che non sarà necessario...» disse piano il Dottore, mentre un'ombra abbandonava il suo posto in cima all'albero e saltava a quello dopo con un'agilità tale da non far nemmeno muovere una foglia.
«Che... cos'è?» domandò Kurt, arretrando di un passo, spaventato.
«Chi è. È Rachel. Ci ha sentiti.» rispose il Dottore, facendo cenno a ragazzo di fare marcia indietro e tornare al fiume. Rachel non si sarebbe fatta avvicinare, quest'oggi.

Passarono due giorni, prima che il Dottore avesse la possibilità di avvicinarsi a Shelby abbastanza da parlarle da solo.
«Che cosa deve farmi vedere? Ci sono problemi con i letti?» chiese la donna, entrando nella camera dei due e guardandosi intorno.
«No, i letti sono a posto, meravigliosi!» esclamò il Dottore, battendo le mani entusiasticamente e voltandosi. Senza farsi notare, estrasse il proprio Cacciavite Sonico dalla tasca segreta all'interno della tunica.
«Le coperte, in effetti, sono un po' ruvide...» borbottò Kurt, grattandosi il collo irritato, a causa della sua pelle delicata.
«Le mie coperte sono fatte con la migliore...» cominciò Shelby, incrociando le braccia al petto. Non riuscì a finire la sua frase, perchè il Dottore si voltò di nuovo e la interruppe.
«Ne siamo sicuri, Shelby!» esclamò lui, puntandole il Cacciavite Sonico alla fronte, proprio al centro. La donna incrociò gli occhi, per fissare l'aggeggio. Le sue labbra si separarono lievemente, a causa della sorpresa.
«Che cos'è?» domandò lei, fissando alternativamente il Dottore, Kurt e il Cacciavite Sonico.
«Un... Cacciavite?» rispose il Dottore, con una sorta di incognita, probabilmente non del tutto certo che il cacciavite fosse già stato inventato.
«Vite? Ha a che fare con il vino?» domandò la donna, inclinando il capo verso destra.
«No.. Non ha importanza. È un oggetto sonico, quindi fa cose soniche, molto potenti... cose da dei. Ma non siamo dei. Okay? Ora devo sistemare una cosa che c'è nella vostra testa.» spiegò il Dottore, mentre Kurt, sollevava un sopracciglio, incerto sul fatto che lui stesse usando le parole esatte.
«No, fermatevi, fermatevi!» si lamentò subito Shelby, portando le mani avanti, con i palmi rivolti a lui. «Se non siete un Dio, come siete entrato in possesso di un manufatto che compie prodigi di entità divina?»
Il Dottore sbatté le palpebre, scambiando un'occhiata con un perplesso Kurt.
«Siamo... messaggeri di Apollo! Il dio ha ritenuto che la vostra intelligenza fosse adeguata a rivelare le sue parole al popolo dei mortali. Noi... ehm... siamo qui per infondere la luce del dio nella vostra mente, Shelby. Siete... fortunata?» disse in fretta Kurt, fingendosi entusiasta e pomposo, adocchiando però il Dottore come a chiedergli un consenso. Ottenne qualche cenno di incoraggiamento ed un paio di occhiolini entusiasti.
«Il Divino Apollo mi ha... scelta? Anche se non sono una dei suoi numerosi Oracoli? Oh, gli Dei hanno sempre un occhio di riguardo per chi è così devoto alla loro benevolenza! Se solo mi aveste detto chi eravate, vi avrei concesso la mia stanza o anche due, anziché una!» esclamò Shelby, arrossendo emozionata ed allargando le braccia, chiudendo gli occhi. «Possa il vostro operato aprire la mia mente al Divino Apollo!»
Il Dottore la osservò, mentre Kurt si portava al suo fianco.
«Geniale... Assolutamente geniale, Kurt! Kurt Hummel... sapevo che avevo fatto una giusta scelta, quando ho deciso di portarti con me!» esclamò il Dottore sottovoce, puntando nuovamente il Cacciavite Sonico alla fronte della donna.
Kurt incrociò le braccia e sollevò un sopracciglio.
«Ricordatelo, ad avventura finita. È la seconda volta che faccio funzionare le cose. Prima con lo sgambetto a quell'Omino Verde, ora questo... Tre, se contiamo che ho convinto Rachel a parlarci.» si pavoneggiò Kurt, mentre il Dottore muoveva il Cacciavite lungo tutto il cranio della donna. Quello emetteva uno strano ronzio acuto e traballante, al quale ormai il ragazzo si era abituato.
«La vanità non ti porterà mai da nessuna parte, mio adorabile Kurt.» commentò il Dottore, lanciandogli un'occhiata divertita.
«Mi ha portato ai vertici della piramide sociale, tra i dipendenti di Vogue.com!» ribatté Kurt, ridacchiando, per poi osservare Shelby.
Stava aggrottando le sopracciglia ed il Dottore aveva smesso di badare a lui. Era piuttosto concentrato e si vedeva che stava facendo qualcosa di potenzialmente pericoloso. Il ronzio del Cacciavite si interruppe un paio di volte, poi tacque del tutto e, quasi contemporaneamente, il Dottore si portò in avanti. Kurt non fece nemmeno in tempo a chiedersi perchè, che il corpo svenuto della locandiera era ben stretto tra le braccia del Signore del Tempo.
«Deve riposare, è stato un lavoro piuttosto duro, per la sua mente provata. Quando si sarà svegliata, potremo verificare l'attendibilità dei suoi ricordi.»
Insieme, la fecero sdraiare sul letto di Kurt, quindi si sistemarono su quello del Dottore in attesa del suo risveglio.

Ci vollero un paio d'ore, prima che Shelby riprendesse conoscenza e, quando lo fece, non fu piacevole.
Prima di tutto, minacciò di cacciarli via in quanto "infedeli, mentitori ed aggressori", quindi volle sapere perchè si trovava lì.
Il Dottore aveva appena finito di raccontarle una balla in merito ad un suo calo di pressione, ormai certo che il tentativo di farle ricordare tutto fosse andato storto, quando lo sguardo della donna di fece all'improvviso vacuo.
«Shelby?» la chiamò il Signore del Tempo, toccandola prudentemente sulla spalla. Estrasse il Cacciavite Sonico, sonicandole nuovamente la testa, quindi lo ritirò in fretta.
«Che le succede?» domandò in fretta Kurt, lo sguardo che volava dal Dottore a Shelby.
«I ricordi. Probabilmente, il ricordo di Rachel si è presentato all'improvviso a causa di un'associazione mentale legata a qualcosa che abbiamo detto ed ora la sua mente sta... cercando le informazioni relative a Rachel. Le sta cercando dappertutto, all'interno del suo cervello, ed ora che io le ho sbloccate, lei riesce a trovarle. La sua mente sta andando in sovraccarico, ecco perchè Shelby si è... "spenta".» spiegò il Dottore, indicandola e girandole attorno, come un cucciolo incuriosito da un giocattolo nuovo.
All'improvviso, la donna sbattè le palpebre e si guardò intorno.
«Rachel?» domandò, sollevando le iridi e fissandole su Kurt. «Dov'è Rachel? Ricordo... di averla salutata che era in braccio a suo padre e poi più nulla... Non è più tornato? Si è portato via la mia... bambina?»
La voce della donna era intrisa di panico ed amore. Continuava a guardarsi intorno, preoccupata, cercando quella che, nei suoi ricordi, non era più che una bambina con gli occhi grandi ed i capelli lunghi intrecciati sulla nuca, le mani sporche di terra ed i piedi nudi che scalpicciavano sul pavimento della locanda. Sembrava aver rimosso le informazioni relative all'Arpia che aveva apparentemente ucciso due ragazzi di quel villaggio, o, quantomeno, non sembrava associarla alla sua Rachel.
«Shelby, dovete calmarvi. Questo sarà un po' strano, per voi, ma dovete capire che non c'era... alternativa. La vostra mente era stata messa in stand-by e io l'ho sbloccata.» spiegò il Dottore, sotto lo sguardo confuso della donna.
«Che cos'è questo stand-by di cui parlate?» domandò lei, tornando a voltarsi. «Dov'è Rachel?»
Il Dottore sollevò gli occhi al soffitto, emettendo un mugolio di frustrazione.
«Se mai ho ritenuto la tua generazione obsoleta e primitiva, Kurt, ti chiedo davvero scusa. Ma come facevano a comunicare in quest'epoca, senza un vocabolario moderno?» chiese il Dottore, più a sé stesso che a Kurt, il quale fissava stranito il Signore del Tempo. «Allora... la vostra mente è stata... congelata. Non nel senso che aveva freddo. Era bloccata. Alcuni vostri ricordi sono stati congelati così che voi non poteste trovarli. Io li ho scongelati ed ora siete in grado di ricordarvi di Rachel.»
Il Dottore continuò a spiegare e Kurt dovette insistere più volte affinché Shelby lo lasciasse finire e tornasse seduta, invece che correre fuori alla ricerca della sua "bambina". La donna pianse, si arrabbiò, urlò e maledì i suoi compaesani a gran voce, nonostante il Signore del Tempo tentasse in tutti i modi di non rendere udibili le sue grida.
Le spiegò che ciò che le stavano rivelando doveva rimanere segreto, che Rachel era innocente e le disse anche il perchè. Shelby non ci mise molto ad accettare la loro versione dei fatti, ma pretese, in cambio del suo silenzio, di poter finalmente incontrare la figlia.
«Dobbiamo trovarla, prima. Abbiamo perso le sue tracce ieri, ma sono abbastanza certo che se lei verrà con noi, Shelby, sarà più facile convincerla a farsi vedere.» disse il Dottore, sorridendo e porgendo la mano alla locandiera.

«State attenta, Shelby, non vorrei che vi faceste male...!» disse piano Kurt, fermando l'avanzata della donna, prima che il suo sandalo si posasse su un sasso traballante che, di certo, l'avrebbe fatta inciampare.
«Oh, grazie mio caro Kurt, siete sempre così premuroso...» sussurrò Shelby, in risposta, abbassando lo sguardo solo qualche secondo, il tempo di trovare un sentiero più sicuro, prima di tornare a scrutare verso l'alto. Era, nel profondo, sicuramente convinta di dover guardare in alto per poter scorgere la figlia... E non aveva poi così torto.
«Perchè l'avete portata qui?» domandò una voce poco lontana, inequivocabilmente proveniente da uno degli alberi alla loro sinistra.
Kurt ed il Dottore si voltarono in quella direzione, mentre Shelby avanzava spedita fino ad uno dei tronchi.
«Rachel? Bambina mia?» esclamò la donna a voce alta, guardandosi attorno preoccupata. Aveva gli occhi lucidi ed era sicuramente prossima a piangere.
«Meritava di sapere, almeno lei. Non c'era motivo per il quale a lei fosse negato il ricordo di sua figlia.» disse il Dottore, osservando fisso Shelby. Non c'era ombra di felicità sul suo volto, solo una sorta di malinconia pensierosa. Il Dottore stava pensando a qualcuno, probabilmente.
Kurt si chiese se, da qualche parte, lui avesse una moglie e dei figli ed il pensiero che potesse essere così, inspiegabilmente, lo turbò.
«Non avrebbe dovuto... ora è in pericolo... ora siamo in pericolo entrambe!» esclamò Rachel dall'alto. Un fruscio delle foglie in cima all'albero fu l'unico segnale del suo spostamento, insieme ad una lieve folata di vento caldo.
In un battito di palpebre, Kurt si ritrovò non più a fissare Shelby che posava la mano sul tronco dell'albero, persa, bensì Shelby che si copriva la bocca per trattenere i singhiozzi dati dalla vista della figlia, una giovane donna dagli occhi lucidi a sua volta.
«Mi dispiace, madre...» sussurrò Rachel, prima che la donna le andasse incontro e quasi la travolgesse con il proprio corpo, per la fretta di avvolgere il suo con le braccia.
Si strinsero per alcuni minuti e Shelby pianse. Rachel teneva strette le palpebre, occhi chiusi e labbra pressate forte tra loro. Non si fece scappare una lacrima né un gemito, ma le sue ciglia erano umide e gli occhi lucidi, quando si separarono.
«Adesso... che cosa pensate di fare? L'avete messa nuovamente a parte del segreto ed adesso è vostro compito proteggerla.» esclamò Rachel, Shelby che le stringeva una mano tra le sue. I suoi grandi occhi castani erano fissi sul Dottore, quasi avesse riconosciuto in lui l'autorità della coppia che aveva davanti.
«Se Shelby non parlerà e manterrà il segreto, non sarà in pericolo!» esclamò il Dottore, deciso.
«No!» esclamò la locandiera, facendo voltare tutti verso di lei. «Non me ne resterò in silenzio a fissare mia figlia che viene attaccata, ferita ed insultata da quei bruti, che Zeus li fulmini!»
Rachel sollevò le sopracciglia e sgranò gli occhi in un'espressione omicida, nei confronti del Dottore. Quello tentennò, scambiando un'occhiata con Kurt, che si schiarì la gola e fece mezzo passo avanti.
«Se... se posso... Perchè non vendete la locanda e vi trasferite in qualche altra città, dove nessuno sia in grado di riconoscere Rachel per quello che è? Stareste insieme, entrambe, e se Rachel riesce a contenere le sue "capacità", non dovrebbe avere grandi problemi ad integrarsi.» suggerì Kurt, con un'alzata di spalle.
Shelby aggrottò le sopracciglia.
«Vendere la locanda? Ma... è tutto ciò che possiedo... È la mia casa...» sussurrò lei, voltandosi verso Rachel con espressione addolorata e supplicante, quasi cercasse in lei una soluzione.
«Non devi andartene, madre. Il Dottore ti dirà cosa fare, vero?» rispose Rachel, osservando la madre e voltandosi solo un istante a fissare il Signore del Tempo, che sembrava preso in contropiede.
Eh no, a questo proprio non aveva pensato. Mettere Shelby a parte del segreto la esponeva ovviamente ad un pericolo che, per quanto inferiore a quello che solitamente lui era solito affrontare, poteva essere distruttivo per lei. Se i paesani avessero scoperto che lei era la madre di Rachel e che le faceva visita, l'avrebbero punita "in nome degli dei".
Il Dottore iniziò a passeggiare avanti ed indietro, gesticolando e mormorando tra sé, mentre Kurt lo fissava in disparte, cercando di capire che cosa gli passasse per la testa . Ad un certo punto, una delle sue mani si mosse nella sua direzione e poi in quella di Rachel e Shelby, mentre lui si allontanava spedito verso un sentiero che conduceva al lato della montagna.
«Dove sta andando?» chiese Shelby, rivolta a Kurt.
Il ragazzo scosse il capo, affrettandosi a seguirlo.
«Non ne ho idea...» rispose soltanto, mentre Rachel si guardava i piedi, indecisa tra il prendere il volo o il proseguire in quel modo. Sembrò decidere che non era il caso di far alzare il vento, quindi cominciò a camminare in fretta dietro a Kurt ed alla madre.
Non fecero in tempo a raggiungere il Dottore, perchè camminava troppo in fretta, correva quasi! Kurt era ancora distante, quando le sue orecchie percepirono il familiare suono della sirena del TARDIS.
«Dottore!» esclamò lui, cominciando a correre, mentre il panico prendeva il sopravvento nel suo cuore. «DOTTORE!!»
Gridò, con quanto fiato aveva in corpo, perchè il Dottore se ne stava andando via con il TARDIS e lo stava lasciando indietro.
Perchè lo stava lasciando indietro?
Kurt iniziò ad ansimare, completamente in preda al panico e con la testa che gli girava. Era disperso. Era ufficialmente disperso nello spazio e del tempo, abbandonato e senza nessuna possibilità di tornare a casa sua. Sempre che ci fosse ancora una casa.
«Kurt! Che succede?» domandò Rachel, quando raggiunse Kurt, che camminava in circolo, agitato e con le mani tra i capelli, proprio davanti alla nicchia nella parete dove avevano nascosto la cabina telefonica blu al loro arrivo.
«Sono... stato lasciando indietro. Il Dottore mi ha lasciato indietro! DOTTORE, TORNA SUBITO QUI O GIURO CHE LI TAGLIERO' TUTTI, I TUOI STUPIDI PAPILLON!» gridò di nuovo verso il cielo, passandosi poi le mani sul viso e respirando profondamente.
Aveva bisogno di riflettere. Il Dottore non se ne sarebbe mai andato lasciandolo indietro, non senza dargli una spiegazione. L'avrebbe preso da parte, gli avrebbe spiegato il suo piano, poi se ne sarebbe andato e lui avrebbe saputo che tra poco l'avrebbe visto ritornare con la sua nave spaziotemporale blu e quella rumorosa, fastidiosa sirena, che perfino ora gli perforava i timpani.
La sirena.
Kurt si voltò, proprio mentre Shelby, che era rimasta indietro, sbucava dal bordo della foresta e raggiungeva la figlia.
Sia lei che Rachel rimasero imbambolate a fissare un punto alle spalle di Kurt, poco lontano dalla nicchia nella montagna.
«Cosa? Che succede?» domandò Kurt, strofinandosi energicamente i palmi delle mani sugli occhi arrossati. Ci volle solo un secondo perchè si accorgesse davvero di cosa stava succedendo.
Spalancò le palpebre e sollevò le sopracciglia, quindi si voltò, perchè il suono della sirena del TARDIS non se lo stava immaginando.
La cabina telefonica blu si stava materializzando di nuovo lì, davanti a lui, anche se non nella nicchia dove ormai si era abituato a vederla.
Un lieve calore si espanse nel suo petto, una sensazione come di speranza e di sollievo. Allora non l'aveva lasciato indietro, non era perso nello spazio e nel tempo per sempre. Poteva ancora tornare... tornare dove?
«Dottore! Esci da lì!» esclamò, non appena il rumore fu cessato.
Il Signore del Tempo non se lo fece ripetere, anche se probabilmente non aveva nemmeno sentito le minacce di Kurt. La porta del TARDIS si aprì ed il Dottore ne uscì tutto sorridente, le braccia sollevate verso l'alto.
«Tutto risolto! Tutto sistemato!» esclamò, mentre Kurt gli andava incontro con l'indice proteso.
Il sorriso svanì dalle labbra dell'uomo, mentre Kurt gli si avvicinava al viso, premendo quasi l'indice sulla punta del suo naso. Lo fissò negli occhi con i suoi arrossati e lucidi, serio e dal respiro traballante per lo spavento preso.
«Non ti azzardare... e dico NON ti azzardare mai più a... lasciarmi indietro. Mai.» disse Kurt con una voce bassa che, per qualche ragione, impressionò il Dottore più di quanto avrebbe fatto se avesse urlato.
«Non ti ho lasciato indietro... ti ho lasciato avanti, mentre io tornavo indietro per sistemare una faccenda. Non ti lascerò mai indietro, fidati di me.» sussurrò il Dottore in risposta, sollevando le proprie mani ed avvolgendo i polsi di Kurt con le dita. Abbassò le sue braccia e gli sorrise, anche se Kurt non ricambiò, ostinato nel suo mostrarsi furioso. Si fece, comunque, da parte, annuendo lievemente. Il Dottore lasciò andare uno dei suoi polsi, ma tenne l'altro stretto mollemente tra le dita.
«Mie care signore, se volete seguirmi vi condurrò ad Atene, dove una locanda nuova di zecca aspetta solo l'arrivo di qualcuno che cominci a gestirla assieme alla sua splendida ed adorabile figlia!» esclamò il Dottore, sorridendo alle due donne.
Loro si scambiarono un'occhiata, senza pronunciare parola. Sembrava che non avessero ancora superato la comparsa improvvisa del TARDIS.
Il Dottore si voltò, pensieroso, adocchiando la soglia della cabina blu.
«Oh, lei? Ehm... è la mia macchina spaziotemporale. Siamo... viaggiatori del tempo, ricordate? Viaggiamo con questa. Oh, avanti, non sono la prima forma di vita extra terrestre che vedete, giusto? Rachel, tu sei una Veela, Shelby, tu... sei sua madre...» il Dottore portò avanti le mani, indicando la donna e la ragazza, con le sopracciglia sollevate in un'espressione buffa, quasi volesse mostrare che la spiegazione al perchè una cabina blu si fosse appena materializzata davanti a loro fosse palese.
«Avete detto che c'è una locanda...?» domandò timidamente, alla fine, Shelby.
Il Dottore annuì, sorridendo e battendo le mani.
«C'è! Sarete sorpresa di notare la somiglianza con la vostra attuale locanda e sapete perchè lo sarete? Perchè ho passato un intero pomeriggio a spiegare esattamente in che posizione sistemare ogni singola stanza all'architetto, infatti ho un leggero languorino e penso che tra poco andrò ad aprire quel pacco di biscotti che abbiamo comprato settimana scorsa...» si voltò verso Kurt, indicando il TARDIS. «Hai presente? Quelli con le nocciole Ghartoniane... Assomigliano un po' ai pistacchi.»
Spiegò, voltandosi verso Rachel e Shelby, che si guardarono perplesse.
Il Dottore rimase a fissarle, poi osservò Kurt, il quale scosse piano il capo e lo invitò a continuare con un cenno della mano. L'uomo aprì la bocca, ma Rachel lo interruppe prima.
«Dottore, state dicendo che avete fatto costruire una locanda per mia madre... in un pomeriggio?» domandò Rachel, spalancando gli occhi.
Il Dottore sollevò i suoi al cielo, ridendo.
«Certo che no! Ho dato disposizioni di costruirla circa due o tre mesi fa e dovrebbe essere pronta, ormai. Se volete accomodarvi, vi accompagnerò ad Atene in un batter d'occhio.» continuò il Signore del Tempo, facendosi da parte e piegandosi in un inchino ad indicare la porta aperta del TARDIS.
Sollevò la testa, adocchiando il Compagno.
«Kurt...» disse solamente, facendo sobbalzare il ragazzo, che si piegò in fretta in un inchino incerto. Il Dottore annuì, compiaciuto.
Shelby e Rachel si guardarono un istante.
«Madre...» cominciò Rachel, ma Shelby la interruppe scuotendo il capo e le mani.
«No, non provarci, Rachel. Io e te siamo rimaste separate per alcuni anni e lo so che tecnicamente è così che dovrebbe essere, ma... io ti amo, tesoro. Sei mia figlia e se per stare con te devo lasciare il villaggio, allora così sia.» disse semplicemente Shelby.
Rachel sorrise ed annuì, quindi sospirò.
«Dottore, mi promettete che andrà tutto bene? Saremo al sicuro?» chiese lei, voltandosi verso la madre e stringendo piano la sua mano.
«Finchè terrete un basso profilo, perchè qualcosa dovrebbe andare storto?» rispose lui. «E a proposito di storto... la schiena comincia a farmi male...»
Rachel rise e Shelby avanzò, posando le mani una sulla spalla del Dottore e una su quella di Kurt.
«Vi devo tutto.» disse semplicemente, mentre il Dottore prendeva le sue dita tra le proprie e l'accompagnava oltre la soglia del TARDIS.
Rachel cominciò a camminare verso Kurt, che già aveva teso una mano nella sua direzione, quando un forte fruscio fece voltare entrambi.
«Che vi avevo detto? Sono in combutta con l'assassina e hanno rapito Shelby!» esclamò una voce maschile. Nel giro di pochi secondi, dalla foresta spuntarono diverse figure, armate di armi rudimentali. Erano gli stessi uomini con i quali il Dottore e Kurt avevano discusso, quando avevano salvato Rachel la prima volta che l'avevano vista.
Sembravano tutti furiosi e, dalle condizioni dei loro vestiti e dei loro capelli, era chiaro che li avevano silenziosamente seguiti o, comunque, raggiunti in fretta senza badare alle foglie e ai rami che s'impigliavano dappertutto.
«No! È un equivoco! Rachel, sbrigati!» esclamò Kurt, tenendosi alla soglia del TARDIS con una mano, mentre tendeva l'altra alla Veela. La ragazza lo guardò con uno sguardo disperato e desideroso, quindi scosse il capo.
«Badate a mia madre.» disse solamente, facendo dietrofront.
«No!» esclamò Kurt, mentre Rachel gli dava le spalle e sollevava le mani. Rivolse la punta delle dita verso l'alto e le piegò quasi fossero degli artigli. Non la vedeva in faccia, ma poté giurare che avesse sollevato le labbra in modo da mostrare i denti a quegli uomini, visto che qualche secondo dopo un verso acuto e vibrante, come lo strillo di un'aquila, spezzò il silenzio e fece lievemente arretrare gli uomini. La sorpresa durò solo pochi secondi, abbastanza da permettere a Rachel di evocare una colonna di vento che la sollevò in aria. Il corpo venne sfigurato dalla comparsa di un paio di ali squamose, che vennero subito gonfiate dall'aria calda che la spinse in avanti. Alcune palle di fuoco, lanciate dalle mani di Rachel, colpirono il terreno di fronte ad un paio di uomini, bruciando la terra e qualche ciuffo d'erba. «Catturiamola!» esclamò all'improvviso uno dei paesani.
«Chiudi la porta, Kurt, si parte!» esclamò invece il Dottore all'interno del TARDIS. Probabilmente, era stato troppo impegnato ad aiutare Shelby a comprendere perchè la cabina fosse più grande all'interno, per assicurarsi di cosa stesse succedendo lì fuori.
«No, Dottore, fermo!» esclamò Kurt, voltandosi e sporgendosi all'interno del TARDIS.
Troppo tardi. Il Dottore aveva già abbassato la leva e un grosso scossone fece cadere Kurt in avanti, sul pavimento della cabina. La porta si chiuse con uno schianto, e la sirena cominciò a suonare, riempiendo le orecchie del ragazzo assieme alle grida furiose di Shelby.

«Niente panico, niente panico! Hai detto che è andata verso il fiume, vero?» domandò il Dottore, correndo intorno al pannello dei comandi, mentre il TARDIS gemeva e sobbalzava.
«Sì!» esclamò Kurt, concitato, reggendosi ad un palo e tenendo Shelby saldamente con la mano libera, visto che la donna non riusciva a trovare una sua stabilità.
«E quegli uomini la stavano seguendo?» domandò di nuovo il Dottore, sollevando un paio di leve e premendo alcuni bottoni.
«Sì, Dottore, sì!!» ripeté Kurt, spazientito.
«Bene. Quando te lo dico io apri la porta del Tardis, ok?» domandò il Dottore, indicando la porta con una mano e girando freneticamente una manovella in senso antiorario con l'altra.
Kurt annuì, semplicemente.
Continuarono a vorticare e il TARDIS non smise nemmeno per un minuto di sobbalzare e rischiare di farli cadere tutti. Shelby tentava di parlare, ma probabilmente era troppo confusa e preoccupata per riuscire ad elaborare delle frasi di senso compiuto.
Ad un certo punto, il Dottore premette un grosso bottone blu ed il TARDIS smise di vorticare. La Sirena, d'altro canto, tornò a suonare forte.
«Apri la porta!» esclamò il Dottore, indicando freneticamente l'entrata della cabina. «La porta, la porta!!»
Kurt si precipitò verso la porta del TARDIS, spalancandola e gridando per lo spavento.
Qualche istante dopo, stava ruzzolando sul pavimento con Rachel -ancora dotata di artigli, becco ed ali- spalmata addosso.
«Rachel!» esclamò Kurt, sconvolto, per poi avvolgerla con le braccia e lasciarsi andare ad un sospiro di sollievo.
«Rachel!» sospirò Shelby, correndo verso di loro mentre la Veela tornava di aspetto Umano, e gettandosi in ginocchio. Li avvolse entrambi con le braccia, ma solo perchè Kurt era ancora troppo scosso per spostarsi.
«Chiudi chiudi chiudi chiudi chiudi!!!» gridò il Dottore, superandoli tutti e gettandosi verso la porta. Schivò una lancia per pura fortuna, anche se quella andò a conficcarsi nella colonna del pannello dei comandi, quindi chiuse la porta con uno schianto e vi si appoggiò con le spalle.
«Tutti uguali, voi Umani, da quando Vespasiano ha deciso che non gli piacevano i cardini! Dove pensate di essere, al Colosseo??? Bisogna sempre chiudere le porte, a meno che non sia necessario lasciarle aperte, in quel caso mai, mai chiudere le porte.» esclamò il Signore del Tempo, ansimando per la corsa. Abbassò finalmente le iridi verso le tre figure che si stavano abbracciando sul pavimento e che, ora, ridevano anche dei suoi sproloqui. Rachel e Shelby, chiaramente, non avevano capito nulla a proposito del Colosseo. Kurt, invece, si era lasciato andare con la schiena nuovamente sul pavimento e le braccia distese perpendicolari al corpo. Una risata rilassata fuoriuscì dalle sue labbra, piegate in un sorriso.
Ce l'avevano fatta, Rachel era salva.

«Rachel, tesoro... sei sicura? Pensavo che saremmo state insieme, ora...» disse piano Shelby, abbracciando la figlia seduta di fianco a lei, la bancone della nuova locanda.
Era davvero identica a quella che aveva al villaggio, il Dottore non aveva mentito. Era anche più bella e le coperte, in qualche modo, sembravano più raffinate di quelle che possedeva prima. Le stoviglie erano di una fattura pregiata, anche se su alcune erano attaccati dei piccoli pezzetti di quella che poteva essere pergamena, bianca e sottile come mai l'aveva vista. Sopra a questi pezzetti di "pergamena" erano scritti simboli che lei non conosceva, ma le piaceva la loro forma, quindi aveva deciso di lasciarli lì.
«Voglio cercare i miei padri, madre. Devo sapere se sanno dove sono le mie sorelle. Se sono vive, voglio poterle salvare... sarò di ritorno presto. Ora che vi so qui al sicuro, senza quegli uomini pericolosi intorno tutto il giorno, ho finalmente la possibilità di andarle a cercare senza la paura di non rivedervi più... Posso essere di ritorno anche solo tra pochi minuti, lo sapete?» aggiunse Rachel, sorridendo e facendo sorridere anche Shelby.
«Lo so, è che... se ti succedesse qualcosa...» disse piano la donna, strofinando la propria mano contro il braccio della figlia.
«Non mi succederà niente, finchè ci sarà il Dottore.» sentenziò sicura la Veela. «E Kurt.»
Shelby annuì, quindi si slanciò in avanti, per abbracciarla nuovamente.
Poco oltre la soglia della locanda, il Dottore e Kurt osservavano la scena tra le due donne, ognuno perso nei propri pensieri.
«Quindi.. Rachel ha deciso di accettare la tua proposta?» chiese Kurt, le braccia incrociate davanti al petto e una strana espressione sorpresa sul viso.
«Beh, non appartiene propriamente a questo posto, no? Immagino che le possa fare bene viaggiare un po' e poi tornare qui e dedicarsi ad una vita tranquilla. Non è Umana, non è Pura come i suoi padri... non ha una vera casa. Scoprirà chi è e cosa vuole, se vivrà un po' la vita che avrebbe vissuto se fosse nata maschio.» spiegò il Dottore, le mani infilate in tasca con noncuranza.
Si erano entrambi cambiati e, tra poco, avrebbero consegnato anche a Rachel abiti più consoni.
«Immagino che sia vero...» disse piano Kurt, voltandosi verso il Dottore e restando a fissarlo per qualche istante.
«Sono pronta!»
La voce di Rachel lo distrasse, obbligandolo a voltarsi verso di lei. Le rivolse un grande sorriso e le tese la mano, mentre il Dottore si avvicinava a Shelby, che aveva seguito la figlia per salutarla.
«Abbiate cura della mia bambina. Promettete che me la riporterete...» disse la donna, seria, per poi andare incontro al Signore del Tempo e stringerlo tra le braccia. «... come avete già fatto una volta.»
«Ve la riporterò di nuovo.» sussurrò il Dottore, voltandosi solo per sfiorare con le labbra la tempia della locandiera, quindi sciolse l'abbraccio e fece un buffo inchino in direzione della porta. «Se la nostra nuova ospite vuole seguirmi...!»
Rachel e Kurt risero. Salutarono un'ultima volta Shelby, quindi varcarono la soglia del TARDIS.

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Doom! Doo doo doo doom! Doo doo doo doom! Doo doo doo... DOO WEE OOOOOO! *Whovians intensify*
Eccoci qua con la seconda parte! Non ho ancora deciso ufficialmente quale delle numerose storyline che ho già delineato avrà nascita, adesso, anche se penso di non avere molte alternative... Quindi anticipo che nella prossima OS, probabilmente, farà capolino Sam!
Vi lascio il link della mia Pagina d'Autore su fb (Cliccate pure qui)!
Se volete contattarmi potete farlo anche su Twitter (The Shippinator), su Tumblr (TheShippinator (Ship All The Characters!)) e su Ask (Andy TheShippinator)

Un bacio e alla prossima!
Andy <3

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