Beyond belief – La storia di chi si è sbagliato una volta

di Shirokuro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** First ***
Capitolo 3: *** Second ***
Capitolo 4: *** Third ***
Capitolo 5: *** Fourth ***
Capitolo 6: *** Fifth ***
Capitolo 7: *** Extra#1 ***
Capitolo 8: *** Sixth ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Storia interrotta definitivamente in favore del suo remake:
(filotimo) – antologie di vecchie rivoluzioni

 

Non crediate che questa volta mi tiri indietro. No, questa Long la porterò a termine. Anche se rimarrà in sospeso più volte, io ci riuscirò. Sono alcuni giorni che ci sto lavorando su ed adesso non so come esprimermi. io e le Longfic non abbiamo mai avuto un buon rapporto, finisco per scordare qualche dettaglio e lì m'incazzo ed il resto si intuisce. Però questa volta ce la voglio davvero fare. Diciamo che ho tutto il tempo di scrivere la Long sulla FortuneShipping e posterò i capitoli solo quando questa storia raggiugerà la conclusione. 
Dunque, alcune premesse. Prima di tutto, il titolo: sono quasi sicura che lo ritroverete cambiato. Dovessi trovarlo solo dopo la fine della fan fiction, sarà veramente il mio scopo nella vita trovarne uno adatto. Per ora si basa sui primi capitoli, forse i primi quattro o cinque, come Dio vorrà. Non sono nemmeno certa della sua correttezza, quindi ho detto tutto. Poi.
Questa sottospecie di fan fiction storica si basa su quello che dice Violante una volta decifrati i codici negli Abissi in BN2. Per quanto non abbia avuto l'onore di raggiungerlo, non ne avrò bisogno. In breve, parla di un antico re di Unima che in sintesi è un antenato di N. Bene, qui siamo leggermente lontani dalla storia originale. La data è pressopiù quella successiva alla Guerra tra Reshiram e Zekrom, quindi andiamo tranquilli sul fatto che non ne ho la più pallida idea. Dovrebbe essere il '600 o giù di lì. 
Questo prologo è corto, sì, ma anticipo che non sarà lo stesso per il seguito. Quindi vi mollo e ciao.
Beyond belief – Prologue
   «Dame e siori, accogliamo con immenso onore il Re, Gropius Harmonia, nella nostra modesta cittadina di Soffiolieve tra poco meno di una settimana» annunciava allegramente lo studioso della città, Aralia, affiancato dalla moglie, in veste di sindaco e rispettiva consorte. Nella folla – che si era andata a formare sotto il piccolo palco improvvisato – era iniziato un curioso vociare, tra pettegolezzi e varie ciance sull'uomo citato con tanta premura.
   Al tempo Soffiolieve non era piccola come la si conoscerà molti decenni a venire, era più nota e si basava sul commercio marittimo come non era difficile immaginare, vista la vicinanza con la distesa blu. Abitava lì anche una giovane che si mostrò poco interessata alla notizia, benché in quella località fosse nata e cresciuta. Fece cenno al suo piccolo Snivy di seguirla che non obiettò e stette dietro alla lunga veste della castana.
   Nobiltà? Oh, qual onore... chissà come sarà quest'altro Re, iniziò a pensare scettica e con un'espressione incredibilmente apatica, ma aggrottando le sopracciglia. Le ballerine in seta continuavano a seguire i passi svelti e decisi fino alla dimora. Sicuramente sarà un essere vanitoso e con un'ego di misura inesistente, concluse. 
   «Madre, sono di ritorno dalle mie commissioni» esclamò sperando che la genitrice la sentisse. Poggiò le buste e le bulle – probabilmente lettere da parenti lontani. Sospirò amaramente pentendosi dei pensieri formulati in precedenza, vagando con lo sguardo all'interno della villa.
   Vide comparire la figura della domestica e del Conte dell'Unima meridionale alla soglia della porta: «Figlia, finalmente» esalò. 
   E dire che io stessa faccio parte di quest'amara nobiltà..., pensò dirigendosi silenziosa verso la sua camera da letto affiancata dal Pokémon. Sapeva che sarebbe dovuta presenziare all'arrivo del Re. Dicevano fosse giovane, che non apprezzasse la compagnia delle fanciulle e sapesse parlare con le creature che abitavano le Vie. Chiuse ermeticamente gli occhi pregando: Arceus, aiutami.

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Capitolo 2
*** First ***


Storia interrotta definitivamente in favore del suo remake:
(filotimo) – antologie di vecchie rivoluzioni

 
Ok! Sono riuscita a scrivere questo primo capitolo della Long. Premetto che siete liberi di non leggerlo, serve come introduzione al personaggio di Belle e la sua relazione con Anita, nonché della stessa Anita. Accenati altri personaggi che più avanti potrebbero diventare rilevanti – ma comunque, non date nulla per certo. Per quanto il risultato non mi convinca poi tanto, mi ci sono impegnata molto, anzi, ci ho passato qualche ora sopra. 
Vabbé, io ho un mal di pancia che solo Iddio sa quanto, quindi sono rimasta a casa mia bella tranquilla e tutto e me ne sono approffitata e ho finalmente concluso. Inoltre è stato bello ricevere un paio di domande via MP riguardo alla Long, mi ha fatto pensare che ci sono ancora lettori che aspettano questa storia.
Comunque, non farò betare questa storia, e la ragione è che voglio fare tutto da sola per vedere dove posso arrivare senza ausili vari. Dopo avervi annoiati, io volo via a vestirmi per andare a far la spesa, buona lettura.

Beyond belief – First
   Congiunse le mani sulla lunga veste, mentre veniva percorsa da un brivido anomalo. Prese un gran respiro come era solita far in situazioni simili, dato che purtroppo accadeva spesso che quelle preparazioni insulse la rendessero tesa. La domestica bionda scoccò un’occhiata ad Anita, capendo le sue difficoltà e sorrise amichevolmente.
   A volte non poteva far altro che affidarsi alla docile Belle, sempre disponibile ed una vera amica, non solo la sua assistente. Rasserenata annuì come a dirle che andava già meglio e riprese a marciare verso il salone tesa. Mancavano due giorni all’atteso arrivo di Harmonia nella città del meridione.
   Come da previsione, c’era un gran fermento nella sala. Uno schiamazzo innaturale e stupidamente eccitato, fece salire il nervoso ad Anita in maniera pericolosissima. Continuava ad interrogarsi sul perché di tutto quel fermento – era sicurissima che non fosse stata la prima volta che i genitori vedevano il Re. Forse perché lì pernottava il citato? D’altronde, quella era l’unica vera casa signorile di Soffiolieve.
   Rassegnata, si diresse verso la madre, cauta. «Finalmente, sempre in ritardo?» fu la calda accoglienza che ricevette. La guardò con biasimo, prima di farle cenno di dirigersi nella direzione del fratello, il quale si stava preoccupando dell’organizzazione del salone – ovviamente, sarebbe stato accolto in quella sala il grande Re.
   Con un sospiro annuì e lasciò la bionda alla madre. Era una situazione imbarazzante, dopotutto: come avrebbe potuto mostrare il suo astio al Comandante di tutta la regione, rischiando l’odio dei genitori? Non era mai stata ritenuta irrispettosa nei confronti del Titolo del padre o degli altri nobili, semplicemente la definivano un’anarchica – secondo lei, un termine perfetto.
   Dopo aver percorso l’ampio salone, attese che Alcide si rendesse conto della sua presenza, cosa che accadde praticamente subito. Come da copione, arrivò la domanda della fanciulla.
   «Volevi un qualche aiuto, Fratello?» L’altro sorrise divertito – conosceva il suo odio per i preparativi vista la finalità – prima di rispondere.
   «Gradiremmo, io ed i nostri genitori, che ti occupassi delle portate della cena del giorno in cui arriverà il Re».
   Anita lo fissò con espressione di assoluta sorpresa ed in qualche modo, odio. Si avvicinò minacciosamente ad Alcide, sussurrandogli maliziosamente pericolosa, «Se c’entri qualcosa, anche un piccolo sprono ad assegnarmi questo compito ridicolo quanto nulla che fin ora abbia mai sentito, giuro che mando Snivy a distruggerti la camera da letto, stolto».
   «Non ho da temere, dato che l’unica cosa ridicola in questa situazione è il tuo Pokémon spocchioso» rispose aspro il giovane, sorridendo in maniera sarcastica. Dopo qualche secondo, Anita si ricompose e senza perdere lo sguardo ostile, annuì. Inutile era mettersi contro quel ragazzo che aveva il sostegno dei suoi genitori, così sorrise ed alzando l’indice verso il soffitto tornò a schernire il fratello.
   «Se qualcuno morirà avvelenato, sapremo a chi addossar la colpa».
   «Guarda, Sorella, che non ti abbiamo mai chiesto di preparare nulla, solo scegliere» fece notare Alcide, credendo che la gemella fosse quantomeno assonnata come mai vista l’affermazione ridicola.
   «Ma presenzierò nelle cucine» disse prima di sorridere e tornare verso Carolina – la madre – e Belle che, senza attendere alcun cenno, si inchinò alla signora e si sbrigò a seguire la padroncina una volta salutata la prima. Con un sospiro, Anita varcò la soglia del salone.
   Prima di arrivare in cortile, tra le due c’era un silenzio totale. Per qualche ragione era sempre stato così, quasi per evitare di esser sentite dai muri durante le loro singolari confessioni reciproche. Appena uscite rilassavano i muscoli di tutto il corpo, fino ad allora forzatamente mantenuti in quella posizione eretta ritenuta canonica per le signorincelle. 
   Dopo ciò, percorrevano tutto il cortile fino alla fontanella dedita ad un Samurott – simbolo della casata dei Bianco –, che per qualche oscura ragione si trovava nell’angolo più remoto dell’area. Finalmente, dalle labbra della bionda uscì un versetto acuto e soddisfatto, che rappresentava il suo sentirsi libera dall’oppressione della villa.
   All’interno dell’edificio si sentivano costrette a mille sforzi e questo loro modo di condividere il dolore, le aveva unite. L’unica differenza tra le due era certamente il fatto che Belle fosse una mera casalinga ed Anita una nobilsignora della tenera età. Però nulla aveva realmente impedito loro di stringere amicizia, tanto che erano diventate inseparabili. Con un po’ di fatica, la cameriera divenne la dama di compagnia della castana, sebbene fosse tutto molto approssimativo.
   Si sedettero ambedue sul bordo dell fontanella, liete. Invero, quello era l’unico luogo in cui potevano liberamente svagarsi. Da sempre. Anita aveva memoria di quando ci si tuffava dentro e la madre la sgridava, rischiando le peggiori crisi isteriche – benché questo fosse perché Carolina ogni volta diveniva un vulcano in eruzione e con la piccola, c’entrava poco e niente. Forse per questo le cercarono una balia in grado di tenerla a bada che era anche la madre della ragazza che ora le stava accanto.
   «Ordunque, cosa ti hanno fatto sapere od imposto?» domandò Belle. Con uno slancio delle gambe, diede dei calci in aria con aria infantile e nell’intanto Snivy si affrettava a raggiungere la padrona, accovacciandosi sul suo grembo. Anita sospirò e guardò l’amica di sempre. «Dovrei preparare un menù che sia di gradimento del Re».
   «E quindi? Non mi pare un incarico di grande importanza o complesso,» notò Belle, «anzi, non dovrai nemmeno cucinare» fece eco ad Alcide, involontariamente. La castana guardò l’acqua cristallina dietro di lei con la coda dell’occhio notando i piccoli Pokémon d’acqua che ci vivevano, meravigliandosi di come si trovassero bene in quella piccola fontanella circolare, coperta da rampicanti vari. Mentre la compagna attendeva la risposta, fissava la ragazza in maniera persa, forse perché si aspettava qualche battutaccia di basso livello riguardo la nobiltà e quelle cose che Anita odiava profondamente.
   «Questo non significherebbe, forse, assecondare i piaceri del Re? Sottostare a lui indirettamente?» domandò a se stessa, cercando di dare una risposta alla bionda. 
   «Tutti sottostiamo al Re».
   
«Non io. Io non voglio sottostare a nessuno» ribatté sicura. Odiava anche solo l’idea di esser ritenuta inferiore, un suddito di qualcuno di superiore. Alla fine, tutti i sovrani erano così, credeva. Dei buoni a nulla, fortunati per nascita, pensava Anita. «Tanto meno a qualcuno che non si è guadagnato il suo Titolo!» puntualizzò, stringendo la presa al bordo del marmo. 
   I genitori di Anita, avevano sempre desiderato che lei avesse almeno un Pokémon di tipo Acqua, per far onore alla casata. Invece lei si era sempre rifiutata, amava i Pokémon di tipo Erba e nonostante i signori Bianco erano sempre stati contrariati, il Professor Aralia le concesse uno Snivy ribelle che nessun abitante aveva desiderato – escludendo lei. «Non sottostarò mai a nessuno». Belle sorrise.
   Sapeva fare solo quello, le era stato impresso che solo sorridendo avrebbe vinto la vita che crudele ostacola i viventi. «Il padre del Re gli ha ceduto la carica, forse merita il suo Titolo».
   «O forse Ghecis Harmonia aveva bisogno di fare una lunga vacanza! Vorrei che questa monarchia finisse subito» ripeteva sempre. Sin dalla giovine età di soli quattordici anni non desiderava altro. Il diritto di nascita era una cosa stupida, pensava. Sospirò. «Ma non credo che questo gradirebbe saperlo mio padre» continuò rassegnata.
   Si alzò, prendendo in braccio il Pokémon che finalmente si era appisolato sul grembo della padroncina. Si incamminò verso la villa a passo regolare, lasciando la sua assistente da sola. 
   Il suo sguardo la rimirava nelle sue movenze. Così aggressiva eppure aggraziata. Era proprio particolare, la signorina Bianco. Anarchica e profondamente devota ai suoi ideali, le idee Illuministe le garbavano non poco e stava sempre con la sua amica. «Sei sempre una testa calda, Anita» disse mente la testa slittava a destra, incerta. «Avrei potuto aiutarti nel tuo incarico, comunque» continuò tra sé e sé, offesa.

   Erano passati due giorni e da allora Anita non aveva avuto modo di scusarsi con Belle per come l’aveva abbandonata; era troppo impegnata a discutere con Komor ed Alcide dei preparativi – per ironia della sorte – per l’accoglienza del Re, che si vociferava si trovasse già a Soffiolieve. 
   Quella stessa sera si sarebbe presentato alla Casa Bianco e senza alcun rischio di morire avvelenato, dato che il gemello l’aveva incastrata a mettere delle Baccaprugne potenzialmente purgative tra gli ingredienti per il dolce – peccato che effettivamente la Torta di Baccaprugne ne necessitava. Risolta la faccenda, i due Fratelli dovevano occuparsi di tutto il resto assieme al Consigliere fidato di Alcide.
   Attualmente si discuteva della camera da letto del Re, che per uno scherzo del Destino sarebbe stata posta accanto a quella di Anita. Mordendosi l’indice, accettò senza troppi capricci. Dopo un’interessantissimo diverbio sul colore che le lenzuola avrebbero avuto, la ragazza poté congedarsi. 
   Da un po’ si interrogava su come potesse essere Gropius Harmonia, con un nome simile sicuramente era un tipo pompato, orgoglioso. Magari era pure muscoloso e si faceva valere tanto da aver ottenuto il suo Titolo prima della morte del padre. Mentre si dirigeva verso la fontanella non faceva altro che interrogarsi a proposito. Come si sarebbe trovata con il suo peggior nemico inconsapevole di esserlo? Non poteva immaginarlo. Le avevano riferito le più svariate dicerie, come il fatto che non apprezzasse i Pokémon sfruttati a fini commerciali e simili.
   Intanto la lunga veste seguiva i movimenti leggeri della ragazza, che sospirando si sedette sul bordo della fontanella. Roteando, la gonna si adagiò lungo le gambe affusolate di Anita. Aspettò che si facesse sera, silenziosa ed in ansia. Non vide Belle, quindi dedusse fosse occupata.
   Sentì un gran vociare improvvisamente, degli zoccoli di Pokémon rapidi. Un nitrito. 
   «Finalmente è arrivato!» 
   Arceus, dammi tu la forza.

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Capitolo 3
*** Second ***


Storia interrotta definitivamente in favore del suo remake:
(filotimo) – antologie di vecchie rivoluzioni

 
Come io sia riuscita ad aggiornare con il secondo capitolo a questa velocità, bho, non ne ho idea. Il primo l'ho postato a distanza di ben due mesi e nove giorni. Wo wo wo, per nove giorni arrivavo alla bellezza di un mese di distanza tra questo ed il capitolo precedente ((mera)viglia). E l'ho scritto prevalentemente oggi; cioè, avrò scritto quattro righe in questo mese ed oggi che non sono andata a scuola per ragioni varie, mi sono data alla pazza gioia e ho scritto otto ore. Dalle otto alle dieci e poi da mezzogiorno alle sei. E ci siamo ragazzi, ci siamo! Questo capitolo è pronto. Notiamo come non andare a scuola mi aiuta a scrivere Beyond belief, eh.
Credo che abbasserò il rating, almeno finquando non arriveremo a momenti propizi per alzarlo. Inoltre anche questo capitolo è piuttosto inutile se non per il finale, ma comunque è scontata come eventualità, so che appena arrivati alle prime righe capirete tutto, ma avviso che tutto questo è finalizzato per qualcosa di meno sentimentale; nonostante questa Long sia incentrata sulla FerrisWheelShipping, questo pairing è indicativo per la storia.
Comunque, dato che nei precedenti capitoli non l'ho fatto, vi illumino su una cosa: i vari nomi del Mondo Pokémon, li ho modificati. Quelli per ora apparsi sono Vie, Titolo e Padrona. Vie equivale a Percorsi, quindi quando dico "viaggio per la Via Prima", dico "viaggio per il Percorso Uno"; Titolo è un po' il "Classe Allenatore" e Padrona, bhe, equivale all'Allenatore che non lotta e non addestra i propri Pokémon. Ed a proposito di Padrone, scoprirete che Anita ha ben tre nomi, più il cognome e il numero alla fine che fa sempre figo.
Infine, non posso far altro che aggiungere sorridente che non dovete aspettarvi capitoli chilometrici o cosa, io non sono in grado di scrivere cose simili. Pensandoci, nemmeno le mie shots sono lunghe più di tanto. Comunque, per ora, mi tengo sulla media delle 1200 parole. Detto questo, vi auguro una buona lettura y_y 
Beyond belief – Second
   Anita era corsa nella Sala del Ricevimento come un fulmine, lasciando che dietro di lei si levasse lo squittio che era il verso di Snivy, abbastanza spazientito dall’energia della Padrona. Era sempre così, d’altronde, la ragazza era per l’ennesima volta in ritardo e questa volta non avrebbe dovuto permetterselo; oltretutto non c’era nemmeno Belle con lei, che usualmente la spronava a mettere più voga in quella curiosa corsa.
   Svoltò a sinistra, prima di sbattere il volto contro una terza colonna di marmo che le impediva di proseguire diritta. Concluse il percorso sbucando nell’immenso salone, attirando discretamente l’attenzione – e vari sguardi incuriositi e perplessi si posarono sulla sua figura della castana. Tra le decorazioni e i tavoli imbanditi della Sala affianco, il volto della fanciulla si colorò di un rosso scarlatto, per l’indefinibile imbarazzo che provava in quell’attimo.
   Nelle due file uniformi di persone – composte, una, dalla famiglia della signorincella e le dame da compagnia della madre e la cugina, e l’altra alla servitù – vide la sua bionda amica ridere, sebbene si nascondesse con la mano bianca come il latte. Komor, posizionato inusualmente accanto a lei e non affianco al gemello, le fece notare il danno che stava provocando alla carente sicurezza di Anita in quel momento, tossendo.
   La quindicenne ricambiò agitata quegli sguardi e dopo essersi accertata che il padre la squadrava in cagnesco, ricompose la postura che fin al suo disastroso arrivo era poco degna di una signora – gambe divaricate e braccia flesse, mentre le mani reggevano la gonna, mostrando le ballerine che seguendo la postura dei piedi, puntavano verso l’interno – e si sbrigò ad affiancare Alcide. Per l’ennesima volta, aveva dato un spettacolo singolare, in grado di mostrare tutta la sua femminilità.
   Dopo aver raggiunto la propria postazione, si concesse di studiare più minuziosamente la scena che la circondava.
   Il piccolo corteo creatosi si mostrava lineare, mentre addietro queste barriere viventi si potevano distinguere chiaramente i due colori scelti per il rinnovo degli affreschi – verde e giallo, entrambi in tonalità abbastanza accese. Anita aveva dedotto che il Re li gradisse. Guardando alla sua destra poteva vedere il portone spalancato e avvicinandosi erano un uomo avvolto da una mantella e quello che pareva essere suo figlio, data la somiglianza dei due; probabilmente il più anziano era il famigerato Re. Dietro di loro, c’erano due ragazze che dovevano avere presso più la stessa età del ragazzo. 
«Siate benvenuto nella nostra umile villetta, Nostro Amato Re» disse ad un certo punto Flavio, signor Bianco, rivolgendosi al ragazzo. Anita si lasciò sfuggire un versetto acuto che attirò l’attenzione di Alcide. La guardò male per qualche istante, il tempo necessario per farla pentire dell’azione.
   Ridi, Sorella. Finché puoi farlo, vedrai.
   Il ragazzo venne raggiunto dalle due ragazze e lui si voltò verso di loro sorridendo, loro ricambiarono. Anita non potè far meno di interrogarsi sul perché di ciò, o chi erano. Sì, in quel momento a premerla di più era la sana curiosità di conoscere la loro identità.
   Forse cortigiane?[1]
   Anita rimosse quell’orrido pensiero dalla sua mente quasi immediatamente, quando il padre le fece segno di avvicinarsi e l’idea della vicinanza con il Re la rendeva insicura: cosa avrebbe dovuto fare?
«Mi rifiuto!»
«Figlia, non essere disubbidiente, devi essere rispettosa nei miei confronti».
«No, Madre, non se questo implica lezioni di etichetta che non mi serviranno mai!»
«Anita Elisabetta Cortensia Bianco Terza! Smettila immediatamente».
«Nemmeno dovessimo un giorno accogliere qualcuno di importante!»
«Va bene, Figlia. Allora esci da questa camera».

   La ragazza era certa che Carolina stesse godendo davanti alla sua incertezza, in quella dimora erano tutti un po’ sadici; crudelmente, profondamente e semplicemente sadici. Spesso si domandava perché tra tutte le famiglie che avrebbero potuto darle vita, le fosse capitata proprio quella ed il pensiero che assieme a lei fosse arrivato anche quello stolto odioso di Alcide la faceva imbestialire ancor di più. Qual destino le era toccato.
   Flavio destò nuovamente Anita dai suoi pensieri, «Re Harmonia, questa è la mia prima ed unica figlia femmina. Questa graziosa e spumeggiante fanciulla si chiama Anita El–».
   «Anita Bianco può bastare, Padre. Non credo che il mio nome completo sia d’interesse del Re» lo interruppe brutale la castana. Alcide sorrise dietro di lei, lo sentì chiaramente – oramai erano un libro aperto l’una per l’altro – e la cosa la infastidì il necessario per farla voltare e scoccargli uno sguardo poco rassicurante. «Bhe,» riprese il Signore per evitare una lite tra fratelli «direi che dovremmo continuare le presentazioni in Sala banchetti».
   Con un profondo respiro di sollievo, la ragazza annuì fingendo consenso fanciullesco ed ubbidienza – ed ecco che Komor impedì nuovamente a Belle di ridere.
   Alcide si sbrigò ad affiancare la sorella. «Sbaglio o sei particolarmente tesa?»
   Muori, brutto sciagurato. Che tu venga condotto dal Pokémon più crudele nelle viscere più profonde di Unima, anzi, del pianeta intero. Voglio vederti morire, dannato.
   «Oh, no, carissimo Fratello. In fondo il mio peggior nemico indiretto per eccellenza si trova sotto il mio stesso tetto!»
   «E non solo» commentò divertito. Non facendo domande o battute, la ragazza si sbrigò a muovere passi più rapidi.
   Ti auguro col cuore la peggiore delle morti.

   Quel vociare che proseguiva ininterrottamente da un paio d’ore oramai, infastidiva Anita come nulla – Harmonia ed il gemello a parte.
   Komor sedeva beato accanto al castano, mentre Belle aveva rotto ben due piatti dall’inizio della serata – difatti la fanciulla preferì non presenziare nelle cucine, per evitare di prendersi eventuali colpe o distrarre ulteriormente la giovane. Non era nemmeno difficile immaginare l’imbarazzo che provava in quel momento, dato che – ma guarda il Destino – era seduta affianco al Re, lontana dai familiari, che chiacchieravano beatamente con quello che si era rivelato il padre di Harmonia.
   Mangiavano in silenzio – un silenzio di tomba, riempito dalle risate della Sala –, aumentando il disagio di ella. Perché quale, orrido, crudele, stupido, ingiusto, immorale, gioco del Fato doveva accadere a lei? Sentiva che ad ogni parola di quel ragazzo che non raggiungeva nemmeno la maggiore età dovesse essere giusta ai suoi occhi, i quali vedevano ciò che era bianco nero.
   «Qual è il tuo nome completo?» domandò all’improvviso, proprio quando la giovine cominciò a bearsi del silenzio.
   «I–Il mio nome, Sire? E–Ecco, mi chiamo Anita Elisabetta Cortensia Bianco Terza» balbettò, presa alla sprovvista.
   «Non chiamarmi “Sire”, ti prego» rispose. «Preferirei N».
   «NChe coraggio, tante confidenze. Non sono mica la sua nuova dama da compagnia o un parente alla lontana! E poi cos’è questa storia del darsi del
tu?
   «Già. Vedi, il mio primo nome è Natural. Gradirei che tu, come spero anche tuo fratello, non mi trattaste come una sfera di cristallo. Come fanno le mie Sorelle».
   «Oh». Non avrei comunque avuto intenzione di farlo, avrebbe voluto aggiungere, ma ritenne più appropriato non farlo. Sorrise, cercando di parere più sollevata possibile, ma non lo era affatto. Ora era piuttosto confusa; la logica le diceva che quel suo atteggiamento fosse finta modestia, eppure qualcos’altro le diceva che era più umile di quanto pensasse.
   «Figlia» la chiamò Carolina, sorridente e soddisfatta, «Raggiungi me e tuo padre un solo istante».
   Anita si alzò in piedi e dopo esser stata raggiunta anche dal Fratello. Sembrava meno pimpante dell’ultima volta che l’aveva visto, qualche ora prima. Ora era più che altro – anzi, era e basta – soddisfatto. Tu, cosa, hai, combinato!

   «Sono felice di avvisarti che sposerai il Re!»
   E non poté nemmeno invocare Arceus, che i sensi le vennero a mancare.
[1]Prostitute delle corti, insomma, puttane.

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Capitolo 4
*** Third ***


Storia interrotta definitivamente in favore del suo remake:
(filotimo) – antologie di vecchie rivoluzioni

 
Questo capitolo innanzitutto è il mio modo ufficiale per rendere pubblica la mia situazione riguardo le pubblicazioni previste e gli aggiornamenti più vari. Scrivendo questo angolo d'Autrice ad esempio sto correndo il pericolo di perdere questa instabile connessione Internet. Purtroppo, dopo un anno di valido servizio (escludendo i suoi periodi no), la chiavetta Wind che usavo per connettermi si è rotta, sfacciata, divenendo inutilizzabile. Attualmente ho trovato una rischiosa soluzione che comprende perdere la fiducia di mio padre (necessaria al mantenimento del mio cellulare) e la connessione di un'intera giornata che avrei utilizzato per vedere K-On!!; sto usando una connessione wi-fi creata usando il mio cellulare, quale S4 quindi facilmente accessibile a questa funzione (che si trova addirittura nella barra delle opzioni). Altro non ho da dire. Lo sto facendo perché mi spiace per chi magari attende aggiornamenti futilmente o chessò, si è addirittura dimenticato della storia. Quindi, con un capitolo del tutto inutile che tratta di simpatiche conversazioni fra fratello e sorella / amica e protagonista, vi lascio senza ulteriori indugi, per evitare che la rete cada. Mi spiace lasciarvi senza anticipazioni od altro, ma dovendo formattare il testo con questo editor di cacca, devo fare in fretta. Ah! Dato che volevo provare a cambiare grafica, dalla mia prossima apparizione, chissà che non troviate tutto in Arial. E mi spiace non mettere nulla in italic o lasciare i spazi ad inizio rigo, farò da cellulare domani se riesco, prometto, quindi vi supplico di non far presente questa mancanza nei pensieri - se presenti. Buona lettura.
{Capitolo parzialmente editato il 23/06 ; edit completato il 26/06}  
Beyond belief – Third
   Il Sole che sorgeva? No, probabilmente non era il Sole quella fioca luce che stava forzando le palpebre di Anita senza consentirgli di opporsi. Certamente era buio, attorno a lei, perché quell’oggetto che emanava la luce era una candela – ormai usurata. La castana si domandò come mai si trovasse distesa sul letto e massaggiandosi una tempia, si mise a sedere tirando a forza il busto. Quando – con non poca fatica – riaprì gli occhi, dovette però ritrarsi immediatamente.
   Davanti alla castana, ghignava un ragazzo che identificò in poco come il fratello. «Qual orrore! Sei un essere odioso, lo sai? Per quale ignota ragione mi sei apparso così?!» urlò, facendosi prendere dall’agitazione. «Anzi, non dire nulla e mi farai contenta!» e così dicendo scese con urgenza dal giaciglio, scoprendo di avere ancora indosso la veste color pesca; nonostante tutto, si risedette –  ancora troppo debole.
   Alcide ridacchiò, prima di recuperare la candela ed usarla per accendere le altre candele, quali ad olio, disposte per la stanza. Mentre compiva questa azione, con disinvoltura invidiabile – sopratutto da Anita, che era abbastanza scossa dal risveglio –, iniziò a parlare e cercava di scandire bene le parole; con probabilità temeva che l’altra fosse ancora intontita dal sonno e non seguisse il suo discorso, data la poca reattività che mostrava. Ma Anita non ascoltava comunque e cercava di ricordare cosa fosse accaduto prima di ritrovarsi nella propria stanza; era talmente assorta nei suoi ragionamenti che non si accorse nemmeno che Alcide si era pericolosamente avvicinato ed accomodato accanto a lei.
   Solleticandole il collo, la destò dai suoi pensieri. «Ascoltami quando parlo, Anita». Con un sobbalzo ed un sussulto inevitabili, la fanciulla annuì istintivamente; Alcide aveva capito quando erano bambini come farsi rispettare – ovvero, facendole solletico –, probabilmente scattava qualche meccanismo nel suo cervello che la costringeva a scuotere la testa in segno d’assenso e quello che al gemello più aggradava era che non poteva far nulla per opporsi al volere di chi l’aveva incitata. «Coraggio, Sorella, ripetimi quel che ti ho detto!»
   Quell’ordine era la rovina di ogni essere umano che si immergeva nei propri pensieri. Per ribattere solitamente sarebbe bastato fingere consenso o dissenso, rispondendo a monosillabi od emulando espressioni facciali che già si erano esibite in passato con la persona al proprio cospetto; classiche manovre di una quotidianità noiosa, che Anita sapeva ben adoperare e con il tempo aveva anche affinato la sua tattica. Ma la questione fatidica, che raramente le veniva posta, la sconvolse ed il sussulto che la trasalì – l’inevitabile sobbalzo che venne spontaneo – fu la causa del sorriso sornione che si dipinse sul volto di Alcide.
   «Ripeto: vuoi o no, conoscere i dettagli sulla tua Unione?»
   «Zitto!» Anita condusse le mani alla testa, intimorita. Ebbe la sensazione che una fitta potesse essere avvertita chiaramente alle tempie, anche se sperava che fosse solo un’illusione, ma quanto brutalmente il gemello la imitò giocoso capì che davvero qualcosa fosse accaduto – qualcosa che a lei non sarebbe certamente piaciuto. Alcide era solito darle segnali curiosi, che usualmente non sarebbero stati mandati come faceva lui; negli anni, la castana aveva imparato a decodificare i suoi bizzarri gesti. L’imitarla – ad esempio, come in quel frangente – stava a significare che i suoi dubbi o comunque, le sue preoccupazioni, fossero sensati.
   «Ehi, Reginetta».
   «Cosa?» domandò, mentre – con quella velocità che solo il cervello umano possiede – ricomponeva i pezzi del puzzle. «Oh, no, no, no, no! No!»
   «Certo, cara Sorella, che hai proprio battuto la testa in maniera violenta, se non ricordi il motivo per il quale sei svenuta», poi iniziò a giocherellare con i capelli di Anita distrattamente. «Anche se, pensandoci con lucidità, tu non sei mai svenuta prima. Che ribrezzo deve farti il Re» e subito la fanciulla si scostò, interrompendo i movimenti delle mani di Alcide fra i suoi capelli. Lo fissò furibonda, prima di gridargli contro.
   «Tu lo sai meglio di me, Fratello, quanto odi la nobiltà e la gerarchia che ruota attorno ad essa, conosci il mio astio verso la mia stessa famiglia! Ne sei cosciente più di me! E questo matrimonio, io, non lo desidero affatto!»
   Prima che potesse però rendersene conto, la sua bocca venne tappata dal ragazzo – evidentemente allarmato. L’espressione terrorizzata di lui, fece pentire la ragazza del tono con il quale aveva pronunciato quelle parole; sarebbe potuta esser accusata di tradimento o chissà cos’altro. Con calma, annuì, per far intendere che aveva capito il messaggio ed avrebbe moderato i toni e con questo abbassò lei stessa le mani del gemello. «Brava, siamo in pochi a conoscere fino in fondo i tuoi pensieri, non fare in modo di ucciderti o peggio, ucciderci per questo!»
   «Che Fratello protettivo» sibilò ironica. Con un sospiro, rilassò la schiena ed abbassò lo sguardo. «Quanto vorrei poter sapere se Harmonia mi renderà la vita impossibile o se mi asseconderà, lasciando che lo odi. Come farò, Alcide?»
   E sia il ragazzo che la stava accanto, che quello che stava origliando, si morsero il labbro confusi. Già: come farò?
   Dopo qualche minuto di riflessione – Anita si chiese se davvero Alcide fosse in grado di pensare, più che altro – la sicura della porta scattò con estrema facilità e la testa di Belle fece capolino nella stanza. «Po–Posso entrare, Signorini?»
   «Intanto sei già entrata, futile domandare permesso, e poi mi dà fastidio che usi quella formalità con me!» la riprese Anita, scherzosamente. Non sarebbe mai potuta esser severa con la sua dama, in fondo.
   «Stesso vale per me» canzonò Alcide che con un balzo si eresse in piedi e si diresse verso l’uscita di quella camera. «E rimboccate le coperte di quel letto!»
Quando dietro di lui la porta si chiuse, la bionda si strinse al braccio della ragazza, dopo essersi seduta grossolamente sul giaciglio e nascondendo il volto; tremava impercettibilmente, mentre la castana la osservava stupita. Belle non poteva vedere il gemello, insisteva che emanasse un’aura poco promettente e che non volesse averci a che fare. L’amica le accarezzò la testa con estrema dolcezza – lasciando comunque intendere che, per certi versi, la capisse.

   «Belle, ti spiacerebbe rifare il letto?» La domanda era stata fatta nel tentativo di distrarla dalla paralisi non tanto rada, ma venne comunque squadrata dal basso – perché lei poteva permettersi di farlo, ma doveva limitarsi a quello e obbedire comunque.
   Attendendo che la dama da compagnia finisse il suo lavoro, si ritrovò a penare ritrovandosi memore del fatto avvenuto quella stessa sera... chissà che ore erano e quanto sia stata svenuta. Sicuramente, non si sarebbe mai potuta aspettare che le cose prendessero questa piega in poche ore e si chiedeva perché avessero scelto proprio lei, che veniva spesso evitata dai Signori e dalle Loro Consorti. Magari il Re voleva che si parlasse di lui – come volevasi dimostrare – o magari il Re Padre aveva deciso di metterlo alla prova con una ragazza ribelle oltre ogni dire – sarebbe stato abbastanza eccentrico. Per quanto si torturasse, non trovava una risposta a quel quesito.
   Ma una domanda ancora le ronzava in testa, che le venne spontaneo sussurrare.
   «Come si comporta la moglie di un re?»
  Subito si tappò la bocca, ricordandosi di non essere sola; l’altra si voltò nella sua direzione, stupita almeno il doppio della castana di quella curiosità. Anita si chiese perché dovesse preoccuparsi di simili idiozie in un momento come quello. Belle ridacchiò e riprese a rimboccare le coperte, prima di interrompersi nuovamente quando qualcuno bussò alla porta, facendo sussultare il povero cuore – oramai consumato dai troppi colpi ricevuti quella sera – della fanciulla.
   «Signorina Anita?» domandò da fuori la porta un ragazzo che lavorava alla Villa. La ragazza voluta aprì la porta e l’addetto le porse un foglietto come si usava nell’abitazione. Annuì, permettendogli così di congedarsi e dirigersi nelle stanze dedite alla servitù che viveva nella Villa stessa; non era certo grazia o chissà qual’altra gentilezza, si sarebbe dovuto svegliare prima la mattina e lavorare fino alle ore più tarde, se chiamato o mandato dai compagni più svogliati – altra oscenità, a parere di Anita Bianco.
   «Cosa c’è?» chiese Belle.
   Dopo aver fatto scorrere gli occhi un paio di volte sul foglietto, seccata, disse «Il Re Padre desidera vedermi alle undici di stasera». Almeno aveva scoperto qualcosa sull’orario, ma avendo ora un appuntamento, si ritrovò costretta a domandare l’ora all’amica.
   «Sono quasi le undici, Anita».
  «Allora mi dirigo immediatamente in Sala Ricevimenti. Ci vediamo dopo» rispose mentre incominciava a correre per fare in tempo, grazie alle dimensioni sconsiderate dell’edificio.
   Tu, Arceus, ti diverti a vedermi dannare.

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Capitolo 5
*** Fourth ***


Storia interrotta definitivamente in favore del suo remake:
(filotimo) – antologie di vecchie rivoluzioni

 
Mi spiace ma no, io non reggo. Primo, sto aggiornando (immaginate che abbia continuato con aliauhlnwaiefnew) la mia Long. Son felice. Secondo, ho stravolto tutto. Ok, iniziando dal fatto che mi sarei dovuta limitare al racconto all'inizio, credo di aver rovinato un attimino la fine MA NO dovevo sbrigarmi a rendere Alcide per quello che è. Perché dietro il nostro scassa ovaie castano c'è l'ammmhore. Ora, ho un attimino accentuato troppo Ghecis in maniera negativa tanto da non rivederci più Ghecis (o sì, vedetela come volete ma non vedo Ghecis). N povero cucciolo dove sei finito, l'unico sano di mente in mezzo a tanto OOC. Mi spiace. Senza dimenticarci che Anita si commuove. Ma non può solo odiare, ragazzi, è pur sempre un'adolescente e per quanto odi gli adolescenti purtroppo è così: Anita ha soli quindici anni ed una vita tremenda. Un minuto di silenzio per Anita (iniziarono le danze). Anita ha anche paura sì, ho rovinato tutto con il quarto capitolo ciao. E molto molto dialogo. Anche troppo. E cos'altro? Ah, sì. Sapevo sarebbe finita così; sin dall'inizio. Lo sentivo chiaramente, era così ovvio! Se la cosa degenera, però, non ne farò un dramma. Porterò a termine tutto questo e lo farò davvero. Ma lo farò. Quindi non aspettatevi troppo.
Mi spiace non aver ricevuto recensioni precedentemente, ma in fondo non è una tragedia. Va benissimo, anche perché devo ancora rispondere ad Ilaria e ok. Null'altro, buona lettura.

 
Beyond belief  – Fourth
   Tanto tempo fa – anzi, dopotutto non erano più di settanta o magari ottant’anni fa, chissà –, nacquero due fratelli, a distanza di tre anni l’uno dall’altro. Erano i principi di terre in fiore, che ogni luna prosperavano ancor di più, dieci, cento, mille e più volte rispetto alla luna precedente.
   Il re di quel regno potente e felice era un uomo buono, che faceva sempre quel che era nelle sue capacità per aiutare il popolo, che lo amava ed adorava; desiderava che anche i suoi figli venissero ricordati dai posteri come persone dal cuore grande e si ripromise che li avrebbe cresciuti secondo princìpi di onestà, giustizia e carità: sarebbero dovute divenire persone giuste, insomma.
   Per far sì che i due non scegliessero mai la strada sbagliata, ricordandosi di essere fratelli e i sovrani di quelle terre, chiese al Pokémon Guardiano di queste di dar vita ad altre due creature come lui, da poter donare in caso di necessità ai amati figli, che sarebbero rimaste sottoforma di pietre fino a quando delle preghiere sincere come la sua sarebbero arrivate all’interno dell’involucro freddo. Il Pokémon non sapeva in che modo esaudire quella richiesta, quindi divise in tre la propria anima, dandole forma. Una sarebbe rimasta a lui, che si sarebbe ibernato per recuperare le forze prendendo il nuovo nome di Kyurem, una ad un Pokémon candido dalla coda e le ali fiammeggianti ed una ad uno dall’energia sconcertante, un’energia pari al fuoco ma più sintetica.
   I due fratelli, crebbero in forze e si dimostravano ogni giorno più onesti e giusti, come il loro beneamato padre aveva desiderato. Nonostante ciò, i due avevano sviluppato due differenti linee di pensiero, così contrastanti quanto simili, necessarie l’una per mantenere l’altra; questo però non lo potevano capire. 
   Il maggiore credeva che la Verità fosse la chiave per affrontare il mondo a testa alta, per sconfiggere le inibizioni e anche le minacce – potenti o no che fossero. Tutto sarebbe dovuto restare com’era, perché era la Verità che era stata lasciata dagli Antichi, prosperata solo seguendo quelle stesse Verità.
   Il minore era convinto che gli Ideali valevano mille e più volte della Verità, perché l’uomo deve innovare la realtà che lo circonda, permettendo così di agevolare e rendere più confortevole la vita in Terra, per così rendere omaggio all’intelligenza lasciataci volontariamente e per usarla da Arceus. 
   Col tempo, fra il popolo si crearono due fazioni, una a difendere la Verità e l’altra a combattere per gli Ideali. Negli anni a seguire, le lotte si fecero sempre più crude e nessuna delle divisioni sembrava poter vincere. Il re morì dopo l’inizio della guerra, così il popolo chiedeva un nuovo sovrano e volendo a tutti i costi che il difensore della Verità o degli Ideali salisse al trono, lo scontro aumento di violenza ed intensite dieci e più volte.
   I due fratelli, impietositi e dispiaciuti per aver condotto il proprio regno in quello stato, decisero di combattere schierando dalle proprie parti i Pokémon Leggendari Reshiram e Zekrom creati dal padre, rivelandosi a loro come i Cavalieri delle proprie idee. I Pokémon, sinceramente commossi dell’esistenza di persone buone e credenti come loro, scelsero di scendere in campo e determinare chi avrebbe regnato e mettendo fine a quella situazione incresciosa.
   Quando, dopo una lotta estenuante, i due Pokémon caddero, i due fratelli si videro costretti ad incontrarsi per trovare una soluzione. Decisero che avrebbero lasciato il trono alla famiglia degli Harmonia e che nessuna guerra dovesse continuare, lasciando che il tempo sia padrone del destino di quelle terre, che chiamarono Unima, come Unione, per ricordare ai posteri che i conflitti erano solo inutili ed insensati.
   Si adentrarono nella Torre Dragospira e lì nascosero il Chiarolite e lo Scurolite, le pietre che contengono Reshiram e Zekrom. Sigillarono l’entrata con l’aiuto dei loro Pokémon e poi sparirono, abbandonando Unima e morendo chissà dove. Magari si fecero una nuova vita per conto loro o finirono in disgrazia, chissà. 


   «Una storia alquanto interessante, Re Padre. Ma questo cos’ha a che fare con me?» Anita sedeva su una sedia proprio davanti a Ghecis – così aveva detto di chiamarsi, il Re Padre –, che aveva insistito affinché ascoltasse la storia che voleva narrarle. Ora come ora, si chiese se fosse un suo motivo di vanto, essere della famiglia che i Re avevano scelto per succedergli o chissà, forse era solo il suo modo di introdurla alla Famiglia. L’uomo sospirò e sorrise – la castana poté giurare di aver visto malizia per un attimo in quello sguardo freddo e caloroso.
   Si alzò e si diresse al centro del Salone, lentamente, ci mise un tempo che alla fanciulla parve un’eternità, facendole chiedere se aveva sbagliato qualcosa. Forse il messaggio che voleva trasmetterle non era così remoto come le sembrava? I passi cessarono e lei puntò lo sguardo su Ghecis, questa volta decisa a capire cosa la nobiltà volesse offrirle. «Anita, tu non solo sposerai il mio unico e vero Figlio, ma diverrai la sua prima Rivale. Mia cara fanciulla, io ti ho scelta come sposa per lui affinché Reshiram e Zekrom si risveglino. Affinché quella lotta trovi il suo vincitore!» La ragazza sentì un senso d’incupimento. Cosa significava? E come se l’avesse letta nel pensiero, l’uomo incrociò il suo sguardo e continuò il suo discorso, accompagnato da gesti ed espressioni eloquenti.
   «Anita, tu sei la Ragazza che difende gli Ideali, che desidera rendere realtà i suoi sogni che parlano di Libertà, di Unità, di Egualità, sogni che la Verità non può rendere reali senza l’aiuto del Tempo! Anita, voglio che tu sia quella fanciulla, perché è quello che sei!»
   «Voi siete pazzo!»
   «Sono colui che renderà la tua vita un Inferno o perfetta, ma dipende anche da te!»
   Seguì il silenzio, rotto solo dal respiro affannato della castana. Sì, era pazzo, folle. Ma era anche potente. Poteva sentire come i suoi pensieri sfumassero in pazzia, pura follia. Sentiva l’odore della paura che provava e che lui voleva infonderle. Si calmò e poi si alzò dalla sedia.
   «Non so cosa sia questa storia, so che dovrò obbligatoriamente sposarmi con Gropius, ma se crede che questa sua follia sia approvata si sbaglia».
   «Anita! Piccola ignara ragazzina, sappi che dovrai affrontarmi, dovrai affrontarlo con il suo amato fratellino ed i tuoi compari. Da sola non ce la faresti, ma dovrai affrontarci!» Era troppo, ora basta. Anita uscì dal Salone correndo come mai.

   N uscì dal suo nascondiglio e affiancò il Padre. «Io non voglio» sussurrò.
   «Mi spiace Figlio; tu dovrai rendere onore al nostro nome come null’altro».

   La porta della stanza di Alcide era di un mogano lucido, distinguibile dalle altre anche nella fioca luce che poteva permettersi al tempo la dimora. La aprì e si fiondò sul letto, cercando Alcide a tentoni nel buio. «Alcide, svegliati!» lo incorraggiò. Con un mugugno si voltò lentamente verso la Sorella e dopo averla messa a fuoco abituandosi al buio, si tirò a sedere stropicciandosi gli occhi.
   «Il Re Padre è pazzo, stava blaterando qualcosa su una guerra, due Pokémon, due fratelli, su di me e su N, su di te e Belle e Komor, credo. Io sono spaventata Alcide, io non so che pensare, tutto sta impazzendo, io ho paura! Vorrei poter andare da Belle e Komor e dir loro di andarsene anche se sarebbe stupido, ma non so che cosa fa–».
   Improvvisamente scoprì di essere avvolta dalle braccia del gemello. Realizzandolo, cercò in un primo momenti di sottrarsi all’altro, ma non dava segno di cedimento. «Lo so» gli sussurrò in un orecchio. «Non conosco i dettagli, questo è ovvio, ma ti prego, non agitarti. Non so cosa possa portare questa lotta mai iniziata, ma io ti sosterrò».
   «Alcide, questo cosa significa?» domandò sorpresa. Non ricordava una sola volta che il castano di fosse atteggiato così nei suoi confronti. Con le braccia, imprigionò incerta le sue spalle. Sentiva che si sarebbe potuta mettere a piangere.
   «Non odiarmi solo perché sono dispettoso, preciso e terribilmente ostinato. Io ti voglio bene, sei mia sorella, no?»
   «Alcide, io temo... temo di non capirti, perché?»
   «Anita. Sono successe tante cose che tu non puoi conoscere. Io invece conosco una parte della storia. Non so se sono sulla giusta via, ma io vorrei tanto capire». Io ci capisco ancor meno, avrebbe voluto rispondere, ma venne presa dall’incontrolabile voglia di piangere. Sentiva di essere, per la prima volta in vita sua, un peso per qualcuno. Non sapeva cosa stesse dicendo Alcide, ma si sentiva amata. Quell’amore fraterno di cui ora aveva disperato bisogno e che negli anni gli era mancato, anche se ora sentiva di essersi persa da sola.
   «Perché mi stai abbracciando, perché mi stai dicendo tutto questo?»
   «Perché, Sorella,» e sottolineò Sorella «ci sono state delle volte in cui ho realizzato che nel darmi da fare per parerti odioso lo sono diventato, ma ci sono altre volte quando vorrei aiutarti».
   Arceus, dov’è mio Fratello? Se è lui, dimmi cosa devo pensare perché vorrei poter credergli senza sospetto.

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Capitolo 6
*** Fifth ***


 
Storia interrotta definitivamente in favore del suo remake:
(filotimo) – antologie di vecchie rivoluzioni

 
Beyond belief – Fifth
   Alcide non rivolgeva la parola alla sorella da qualche giorno, quando si era risvegliato misteriosamente accanto a lei. Era da allora che nonostante il sorriso persistente sul suo volto niveo, ogni volta che era nelle vicinanze di Anita distoglieva lo sguardo, puntandolo più lontano possibile – se sul suo Snivy era decisamente meglio, per qualche ragione, preferiva così.
   Non sapeva perché, ma erano passati oramai tre giorni ed ancora non si erano rivolti la parola. Senza un suo consulto, la ragazza era confusa sul da farsi e voleva fargli un sacco di domande su quello che le aveva detto e con questo atteggiamento, non poteva farle. Inoltre, come se non fosse ancora abbastanza, il Signor Bianco pretendeva che N e la figlia passassero più tempo possibile assieme per conoscersi meglio – la fanciulla ormai era sicura che lui, della guerra tra Ideali e Verità, non sapeva assolutamente nulla – ed aveva praticamente finito le scuse possibili. Evitare il Re ed il rispettivo Padre era quasi impossibile, erano spesso circondati da servitori, rendendo il sorpassarli difficoltoso perché occupavano l’intero corridoio. Forse a salvarsi era proprio N, in realtà, che preferiva girare per i corridoi affiancato dalle sue – come le chiamava – Sorelle.
   Ghecis le aveva accennato che avesse un solo figlio. Poteva, sì, significare che fosse l’unico figlio maschio, ma dubitava che avesse qualche motivo per elogiare il suo sesso. Comunque, anche se era accompagnato solo dalle due, era raro vederlo in giro per la dimora, magari passava il tempo in camera.
   La sua più grande preoccupazione, comunque, era il dover parlare con Belle della sua attuale situazione. Anche Komor sarebbe potuto essere a conoscenza dei fatti, supponendo che Alcide gliene avesse già parlato. Sospirando, porse le monete richieste alla mercante e ritirò la cesta riempita in parte dal pane fresco appena acquistato. Con un cenno del capo, ringraziò la donna e si incamminò verso la Villa, anzi, pensò di farlo. Indugiò sui propri passi, chiedendosi se nessuno si sarebbe arrabbiato se non fosse tornata in orario alla dimora. Ci pensò ancora un poco e realizzò che con il suo carattere ritardatario nessuno si sarebbe insospettito se fosse arrivata qualche minuto più tardi.
   Prese un respiro e si diresse verso la Prima Via, che partiva dal confine di Soffiolieve. Era uscita raramente dalla città di medie o grandi dimensioni – non sapeva dirlo, avendo visto solo la sua città natale in tutti i quindici anni che aveva vissuto –, quasi sempre di nascosto. In genere correva il rischio di essere scoperta e quelle volte che era stata vista, aveva passato seri guai; con la presenza dei Reali alla Villa, comunque, tutti erano concentrati sull’accomodarli e nessuno si sarebbe preoccupato di seguirla. Sollevata a quel pensiero, fece il passo meno cauto e più naturale, uscendo dai confini.
   Camminò verso le zone in cui l’erba si faceva più alta e le strade lavorate appena e superficialmente. Prese un profondo respiro e – trovandola con lo sguardo per pura casualità – si appoggiò su una roccia abbastanza sporgente, ma che era comoda come giaciglio. Se si era allontanata, sebbene di poco, da casa era per respirare un’aria diversa da quella intrisa di tensione che le metteva ansia, non sapeva dove rivolgere lo sguardo né con chi parlare o confidarsi. Belle pareva spensierata, si chiedeva se fosse corretto addossarle le sue stesse preoccupazioni e le sue paure. Non sapeva nemmeno come combattere quella guerra e nemmeno se avrebbe combattuto.
   Si pentiva di aver lasciato Snivy nelle mani di Komor. Non perché era lui, ma altresì per il fatto che quando uscivano da Soffiolieve era l’incarnazione della felicità. Sospirò sonoramente, attirando l’attenzione di qualcosa. Un fruscio si estese fino alle sue orecchie, d’improvviso, facendola alzare allarmata. Se fosse stato un Pokémon, si augurava fosse un Lillipup perché senza Snivy non sapeva come affrontarne. Anzi, pensandoci, non era una Combattente, nessuno le aveva mai imposto di allenare il proprio mostricciatolo ed ora più che mai si chiedeva perché il Fato fosse così crudele. Di solito non aveva paura, ma sapere di essere sola, contro qualcosa che non sapeva fronteggiare, la faceva impallidire.
   Un secondo fruscio, stavolta sensibilmente più vicino, fece eco nella sua testa. Mosse un paio di passi cauti verso la zolletta di erba dal quale proveniva quel movimento. Deglutì. Le era stato sempre detto di prestare attenzione ai Pokémon selvatici e di evitarli se possibile, ma la curiosità mista al terrore la spingevano ad agire in maniera controversa. Inizialmente, non notò nulla oltre al verde dell’erba, poi notò che c’era una chiazza di verde in particolare. Quel colore era lo stesso che lo circondava, ma la tonalità era talmente differente, decisamente più chiara, da rendere palese il fatto che quella erba non fosse.
   La sagoma verde chiaro si mosse un poco ed Anita allungò la mano, aspettandosi qualsiasi reazione – magari la creatura o quel che era le sarebbe saltata addosso, magari sarebbe scappata od addirittura volata lontano –, non sapeva quanto i mostricciatoli potessero fare; ma la reazione che seguì al lieve e rapido tocco delle dita fu talmente naturale da chiedersi «Perché?»
   Lentamente, la chiazza indistinta si girò su se stessa – anzi, solamente la parte più alta si stava muovendo – ed Anita si domandò solo una cosa: e se quelli fossero capelli? Questo avrebbe implicato il fatto che la creatura fosse una persona. Dopo qualche attimo che le parvero un’eternità, scoprì il volto di quella che oramai sapeva essere un essere umano. Spalancò la bocca e quando i suoi occhi incontrarono quelli di Gropius – N, si corresse mentalmente – non poté reprimere l’istinto di trovare una scusa. Era in un luogo che non si sarebbe dovuta trovare ed aveva appena trovato un testimone che avrebbe tranquillamente potuto rivelare tutto.
    Era mentre lei faceva questi pensieri drammatici ed esagerati, che N sussurrò quasi impercettibilmente, ma abbastanza forte da essere sentito da Anita, «Potresti non dire a nessuno che sono venuto qua?» La ragazza sorrise istintivamente e la sua mente subito si svuotò di ogni pensiero.
 
   «Natural Harmonia Gropius, Re di Unima e mio Nemico non per scelta che mi chiede, gentilmente e con la possibilità di negare il favore, di non rivelare a nessuno che ogni giorno per un periodo di tempo non stabilito si permette in gran segreto, un segreto che conoscono solo le sorelle, di passeggiare per la Via più prossima e giocare con le Creature» riassunse, mentre abbracciava le proprie gambe e spiava con la coda nell’occhio N, seduto accanto a lei – stava anche mangiucchiando il pane appena comprato. «Esatto» confermò, mentre continuava a mangiare.
   «E pare che possa rivolgermi a lui con la massima confidenza», continuò a riepilogare quanto le era stato appena detto, «anche se comprende l’insultarlo o riprenderlo per la sua poca educazione lontano da occhi indiscreti». Il verde ridacchiò divertito. Non era proprio vero che era maleducato, anzi, era garbato e gentile, ma spesso si lasciava andare per scrollarsi la tensione che portava sulle spalle. Per certi versi, Anita non riusciva proprio a biasimarlo, anche lei faceva lo stesso, dopotutto.
   «Posso... Posso farti una domanda?» La voce di Anita era leggermente incrinata; non sapeva bene come comportarsi senza essere troppo formale e non parere sfrontata al contempo, inoltre voleva assolutamente soddisfare quella piccola curiosità. Scosse la testa ed attese la risposta, dipingendo in viso un’espressione che sapeva risoluta. «Certamente, no?»
   «G–Ghecis, tuo padre, ha detto che tu sei il suo unico e vero Figlio. Quindi, chi sono le ragazze che vanno sempre in giro con te?» chiese semplicemente, con quel coraggio di cui necessitava.
   «Le mie Sorelle» disse con convinzione, ma mentre Anita stava per ribattere, riprese a parlare per giustificare quella risposta troppo semplice e insoddisfacente. «Sono le mie Sorelle, sì, ma sono state trovate nel bosco, proprio come...» indugiò «insomma, oramai le ritengo le mie due Sorelle anche se poi non lo sono». Capisco, quindi ci è molto affezionato. Creatosi di nuovo silenzio, si mise a giocare con la stoffa del vestito, quando le balenò in mente una domanda. «Cosa fai qui ora? Nulla di concludente mi pare».
   «Aspetto».
   «Cosa!»
   «I Pokémon».
 
   «Alcide!»
   L’urlo echeggiò nel nulla, mentre la porta aperta con assordante fragore faceva lo stesso, perdendosi nel silenzio. Solo allora, il castano si voltò sorridente verso il ragazzo che si dirigeva a passi svelti e furente verso di lui. Komor, d’altronde, non era calmo come sembrava. L’interpellato attese che la marcia finisse ed il moro lo osservò, con terribile furia.
   «Alcide!»
   Tuonò ancora. L’altro lasciò la testa pendere verso destra con un’espressione quasi dispiaciuta. Nulla era propriamente sbagliato, niente aveva interferito con il compito del povero ragazzo che ora osservava quel faccino immaturo stringendo i pugni. Come odiava quando mostrava il suo lato bambino; alzò gli occhi e scattò cogli occhi verso il letto. «Sei un incapace!»
   «Scusami» sussurrò solamente, tentando di non perdere il sorriso, mentre abbassava lo sguardo verso le proprie mani che stavano giocando allegramente fra loro. «Non potevo continuare in quel modo». Sobbalzò preso da un’improvviso singhiozzo. Non aveva rovinato nulla, ma evidentemente, Komor la pensava diversamente. Secondo il moro, Alcide non si era ancora accorto della gravità della situazione. Non poteva accorgere di qualcosa di grande, più di lui. La mano si levò in aria e si liberò di quella rabbia dando un singolo e sonoro schiaffo al povero quindicenne.
   Lo sguardo dispiaciuto ed il sorriso erano ancora lì, però. «Eh eh, scusami».
 
   Anita si morse il pollice nel tentativo di non farsi accattivare da quel ragazzo che si stava rivelando una fonte di gentilezza ed intrigo unica. Forse aveva davvero qualche problema di concentrazione – come i genitori spesso le rimproveravano – e non riusciva a ricordarsi che quello era il Re, il primato dei nobili, quelli che odiava. Poi doveva ricordarsi le parole del Re Padre – lo sguardo che le aveva rivolto ogni istante, quello che era riuscito a distruggere il suo orgoglio, fino a costringerla nelle braccia consolatorie del fratello. E Snivy la stava ancora aspettando alla Villa.
   «Dovremmo ricomprare il pane» affermò tranquillo N.
   «Ma sei stupido? Attireresti troppi sguardi e chiacchiere».
   «I tuoi genitori non si arrabbieranno?» chiese, diventando insopportabilmente curioso. Non aveva ancora capito se quel tipo era ingenuo o se la stava semplicemente prendendo troppo comoda. «Spiegherai tu ai Signori di Soffiolieve la fame insaziabile che hai provato nel mezzo della strada di ritorno», asserì.
   «Io devo rientrare di nascosto».
   «Perfetto, allora dirai che hai trovato il pane appena sfornato e comprato dal mercato in cucina per pura coincidenza».
   «Credo vada bene».
   La castana si alzò di scatto e recuperò la cesta con un rapido gesto, incamminandosi verso la propria dimora. L’altro la seguì con lo sguardo. Non riusciva a pensare ad altro se non al fatto che quella ragazza non potesse far nulla di tanto malvagio da essere odiata – ma avrebbe difeso la propria Verità, il motivo per cui era nato.
   Ehi, Arceus, tienimelo lontano o finirò per trovarlo simpatico o peggio.



So che è molto (e dico, molto) tardi, ma non potevo aspettare di più. Anche perché tanta attesa per un capitolo pressoché inutile è stupida- e poi mamma forse nemmeno si è resa conto quindi ok. Quindi vi dico rapidamente poche cose: perdonate il ritardo, domani edito per benino con tanto di note decenti/spiegazioni ed il prossimo capitolo sarà un'extra perché io può. Buona lettura.
Finalmente, eccomi qua. Intanto Komor qua che fa tanto il figo, c'entra (poco, ma c'entra). Intanto, ripeto, è figo, poi è un poco cretino. Allora! Tutti voi volete un poco di FerrisWheel (mh ma no, state seguendo una Long che dovrebbe incentrarsi sulla TouN e non vi aspettate nulla, mh) e finalmente si iniizia. Ovviamente la mia paura per l'OOC di N (perché scrivere di N mi fa paura, non so renderlo, punto). Però, cercando disperatamente di giustificare eventuale Out Of Character, N non è tutta quella formalità, anzi, da quel che mi è sembrato è piuttosto allegro con chi conosce (#kuudere) ma poi che ne so, sono poco blavah con personaggi così... remissivi? Dio, non direi, ma mi è venuto in mente questo aggettivo. D: Aehm... sì.
Allora, Anita è una ragazza ferma sulle proprie idee ma anche incline al cambiarle, a quanto pare. Eee bho. Il brutto di una Long è che vorresti chiarire malintesi e simili ma nuo perché è spoiler. Quindi no, non posso dire perché Tizio schiaffeggia Caio e non posso punto. ;; Che cosa brutta. Però posso affermare e con massima sicurezza che non mi pare di aver fatto un pessimo lavoro, nonostante non sia dei migliori, questo capitolo mi ha abbastanza soddisfatta (anche perché l'ho dovuto riscrivere per intero a causa di un incidente del cavolo).
Il prossimo capitolo, ripeto, si allontanerà dal mondo di Bb di un poco, lasciando spazio ad un Extra breve e per qualche motivo sensato. uvu Sappiate che anche l'ultimo capitolo sarà Extra, anzi, direi metà Bb!verse e metà Extra. Ma per ora, lasciamo stare. Buona lettura.

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Capitolo 7
*** Extra#1 ***


Storia interrotta definitivamente in favore del suo remake:
(filotimo) – antologie di vecchie rivoluzioni

 
 
Extra#1 – Di come nessuno le raccontò la Storia di Terre Profanate
   Osservò nuovamente lo scaffale. I capelli castani danzavano seguendo i movimenti della testa che a sua volta assecondava i movimenti degli occhi color cielo, limitati solo dal berretto bianco e la visiera di questi – rosa, come la madre ha sempre voluto. Doveva essere certa che nemmeno lì c’erano i libri di suo interesse, solo per poi continuare o ritornare su altri ripiani. Aguzzò la vista e cercò con lo sguardo fra i tomi riposti più in alto. Allungò il braccio e sfiorò le copertine rigide, forse nella speranza che uscisse fuori qualcosa di interessante. Sbuffò rumorosamente lasciando ricadere il braccio seguendo il fianco, decidendo che in quella libreria non c’era nulla e fosse meglio proseguire per la prossima. Si meravigliava di come potesse non trovare qualcosa nella biblioteca di Aloè.
   Non poté pensare ad un motivo per il quale quel luogo sembrasse sprovvisto di qualsivoglia tipo di libro di Storia, riguardante quel periodo, che la grande mano color cioccolata le si posò sulla spalla coperta solo dalla maglia bianca di cottone leggero ed un brivido la percorse – causato dall’improvviso tocco. «Ma tu guarda chi si improvvisa lettrice di antichi testi!» Anita si voltò spostando un paio di volte i piedi e guardo dal basso la Capopalestra. Alzò gli occhi sulla libreria alle spalle della più grande. Deglutì al vedere che era alto almeno due metri per una larghezza di almeno cinque e che ne avrebbe dovuti controllare almeno altri tredici così.
   «Aloè, potrei chiederti un favore?» Questa volta si vide costretta a cercare il sostegno della Direttrice di quel luogo ammuffito e privo di qualsivoglia tecnologia, sebbene fosse solita far da sé qualunque attività o tipo di ricerca. Dopo che la donna alta quanto una gru ebbe annuito sorridente – probabilmente felice che qualcuno si interessasse alla biblioteca –, poggiò la piccola mano sul braccio possente della stessa e le indicò la libreria in mogano oramai consumato dagli anni e le disse fermamente, «Voglio che mi aiuti con la mia ricerca.
   «Sto cercando informazioni sulla Storia di Unima nel periodo tra il Millecinquecento ed il Millesettecento, massimo primi dell’Ottocento. Su Internet e nelle normali biblioteche non ci sono informazioni, pare che quegli anni fossero inesistenti e nessuno mi ha saputo raccontare nulla, quindi mi sono detta che a certi estremi solo nella tua Palestra poteva esserci la risposta che cercavo,» e qui si fermò, osservando ancora lo scheletro che sosteneva quei libri rovinati dalla polvere e dal tempo «ma non ho trovato ancora niente e quindi, cara la mia Aloè, ora mi aiuti». L’altra collaborò nello studiare visivamente quei tomi dietro di lei, muovendo gli occhi per nessuna ragione. Dopo qualche minuto il suo viso si illuminò di una luce leggera e fiduciosa.
   «Nel periodo che mi descrivi, venne deciso il nome di Unima e ci furono due grandi Guerre, dette della Verità e degli Ideali, analoghe alla tua lotta contro il Team Plasma, con il quale credo si siano dei collegamenti importanti che potrebbero rivoluzionare la Storia di quell’epoca per Unima!»
   «Se è tanto importante non potevi parlarmene prima?»
   «Ah, già, perché ti interessa questa fascia della Storia?»
   Anita non rispose. Un motivo sì, c’era, ma non le faceva piacere sbandierarlo ai quattro venti, quindi stette in silenzio per qualche motivo eludendo l’incontro visivo con Aloè, lasciandole capire che non voleva e non avrebbe raccontato a nessuno per il momento la sua curiosità. «Messaggio ricevuto, ok: ho qualcosa in Ufficio, vieni». Senza acconsentire o far alcun cenno, seguì Aloè nello studio.
   Era rimasto esattamente come lo ricordava. La scrivania in mogano in mezzo al piccolo palco, che si faceva incorniciare da antiche librerie, ed il registro che di tanto in tanto si ritrovava alla pagina – ammuffita e gialla – successiva a quella che la proprietaria del Museo ricordava, ogni volta spinta dallo spiffero che si creava fra gli scheletri che sostenevano tomi antichi. Aveva ricevuto qualche ristrutturazione dalla prima volta che ci mise piede, ma per qualche motivo, nonostante le pareti lucenti e le lampade soft e chiare sul soffitto, l’aria vecchia e polverosa restava la garanzia che si aveva entrando nella stanza.
«In realtà, queste informazioni sono molto incerte, piccole testimonianze raccolte da diari che alcuni nobili erano soliti tenere. Fra questi, c’erano i Signori di Soffiolieve, ma in particolare, utili sono stati i ritrovamenti del diario di Elisabetta» spiegò distrattamente la donna mentre cercava qualcosa fra i vari piani, destando Anita dai propri pensieri. «Credo sia per questo che nessuno si è preso la briga di esporre il tutto ad Internet intero».
   «Chi era questa Elisabetta?» domandò semplicemente.
   «Era la figlia primogenita dei Signori di Soffiolieve del tempo». Afferrò un libro, saltellando sulle punte. La castana si chiese se esistesse davvero un punto che Aloè non riuscisse a raggiungere sollevando di poco il braccio. «In alcune pagine, fa riferimento ad un fratello, poi ad alcuni nobili e poi è come se facesse un salto temporale di anni e parla dell’esito della Seconda Guerra della Verità e degli Ideali, a cui ti ho accennato prima».
   «E cosa dice?»
   «Afferma che non vedrà più le persone a lei care, tra prime, Harmonia» rispose, senza dare la risposta che la giovane si aspettava; non era però delusa.
   «Harmonia è inteso come il nome della casata nobile che esisteva sin dalle prime testimonianze di società medievale?»
   «Sei abbastanza informata, mia cara Anita. Non avrei saputo dirlo meglio! Dalle testimonianze di un’ospite di corte, pare che il Re di allora fosse un Harmonia e fosse destinato a sposare Elisabetta, come avevano pattuito il Re Padre ed i genitori della ragazza. Non sappiamo come andarono le cose fra loro, sicuramente la ragazza lo amava, ma non possiamo dire con certezza nulla. La nostra giovane lady non ha scritto per tanto sul suo diario, se non per affermare che qualcuno se ne andrà, restando sul vago. Comunque, ho trovato interessante, questa frase».
   Anita si protese per leggere quello che l’indice della donna dai capelli color menta indicava. La calligrafia poteva essere incomprensibile, notò, ma lei aveva un modo di scrivere addirittura peggiore. La frase, era nella lingua moderna di Unima: convenso ni vinci controbur canegiti portonu bes no nide zi. Si disse che era una fortuna che la lingua attuale fosse stata adottata dal volgare della regione di Kanto. Non riusciva proprio ad immaginarsi parlare una qualsiasi variazione di quelle parole. «Significa che, testualmente, questa lotta deve trovare il suo vincitore e quel giorno non vorrò esserci.
   «Da quel che sappiamo, vennero coinvolti Reshiram e Zekrom. Ma i testimoni della tua battaglia contro N, hanno studiato gli avvenimenti e confrontando quello che si racconta sulle Guerre, possiamo dire che il potere dei Pokémon Leggendari, assopito per secoli, si sia indebolito incredibilmente, lasciando immaginare come potessero essere distruttivi i due novant’anni dopo la loro creazione che non oltre trecento ancora dopo». Ci fu qualche momento di pausa. «Purtroppo sono solo teorie, alla fine. Come ti ho già detto, sono dati estremamente delicati, testimonianze da null...».
   «Chi ha combattuto la Guerra?» Non le lasciò concludere: lei credeva a tutto, non poteva far altro nella mancanza più totale di prove. Aloè la guardò meravigliata, osservando come i pugni fossero chiusi ermeticamente e lo sguardo fosse corroso dalla curiosità e l’ostinazione.
   «Non lo sappiamo. Elisabetta e l’ospite non fanno riferimenti. Nessun diario di nessun nobile ne fa». Aloè guardò l’orologio. «Va bene, per ora basta, ho un appuntamento urgente».
   «Voglio sapere, Aloè, voglio davvero sapere cosa successe! Non so quanto possa essere importante per voialtri, ma per me lo è tantissimo. Mi aiuterai?» La voce di Anita era supplichevole. Quando se ne accorse, si maledì da sola; tuttavia, la donna sorrise ed annuendo, disse: «La prossima settimana, ad Austropoli. Faremo delle ricerche approfondite con un amico!»
   «Grazie».
   Uscì dall’Ufficio, lasciandola tristemente sola. La castana sapeva che non era buono farlo, ma il diario di Elisabetta era ancora lì sulla scrivania. Si sedette sulla poltrona e strinse gli occhi a due fessure, per poter leggere quella grafia, aiutandosi con un dizionario della lingua moderna di Unima che aveva trovato prima. Non importava quante persone avessero già tentato. Lei aveva un obiettivo ed avrebbe scoperto quello che doveva: ad ogni costo.



Allora. Ci si rivede, eh?, fandom dei Pokémon. Sì, finalmente pubblico questo Extra di Bb. Prima di chiedervi perché postare qualcosa di così inutile nella long, sappiate che invece è UTILE. Incredibile ma vero. Veniamo quindi alle spiegazioni.
Da qui nascerà una breve Long nella Long che non so come imposterò. Quando sentirò che dovrò scrivere l'Extra lo farò e basta, fino alla fine. Perché Fuyu, essere pigro, svogliato, nullafacente, idiota, stupido e pure lento, si fa carico di questo peso? Io, la Long, l'ho già in testa. Gli avvenimenti importanti ed il finale, in particolare. Il finale, è stato l'inizio di tutto. Ma poi mi son chiesta: questi poracci, se chie'eranno pecché appagliono 'sti qua, io comme risponno? Quindi diamo una storia al finale, facciamo in modo che abbia un senso, che i lettori capiscano cosa accade e sì, scriviamo una mini-Long nella Long. Tanto per smorzare il continuo di Bb, dare qualcosa di classico e familiare ai lettori di FerrisWheelShipping. Insomma, alla fine, ha un suo perché. Inoltre serve per rendervi consapevoli che Bb non si svolge in un mondo alternativo dove i nostri personaggi sono gli stessi ma in un altro contesto. Bb si svolge nel mondo di Pokémon BW, i personaggi sono discendenti diretti dei protagonisti o reincarnazioni, fatevi tutti i filmini necessari a spiegare, solo che si parla del passato relativo a questo Extra. I hope you enjoy. Buona lettura.
Chiedo scusa se non rispondo immediatamente alle recensione. Capitemi. Troppa fatica, ma sappiate che mi riempiono d'orgoglio.

EDIT (28.05.2015): ora che sto scrivendo il nuovo capitolo e tra un paio di giorni o poco più (prima degli esami, comunque) tornerò, volevo precisare infine come si ambienta con calma questo extra. L'Anita di questo capitolo non è l'Anita della long; potrei dire che sono due timeline completamente differenti! Infatti la long si svolge in un periodo che si potrebbe approssimare al '600-'700, mentre gli Extra si svolgono nel tempo di BN! Spero di aver chiarito, perché sono stata molto confusionaria precedentemente!! Scusate!

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Capitolo 8
*** Sixth ***


Storia interrotta definitivamente in favore del suo remake:
(filotimo) – antologie di vecchie rivoluzioni

 
Beyond belief – Sixth
   «Non credere a nessuno tranne me». Anita si passò la mano trai capelli castani fino al nastro che legava la coda, dove fu costretta a fermarsi per limitare i danni alla propria acconciatura. Si era a lungo tormentata sul da farsi e finalmente si era decisa. Espirò e chiuse gli occhi, prima di posarli sulla figura della dama da compagnia. Belle, le mani congiunte davanti, sorrise ed annuendo annunciò un potente «Lo faccio già». L’altra la guardò per un po’, l’espressione indecisa. Espirò ancora, abbandonando la testa all’indietro, mentre le punte dei capelli iniziavano a giocare con l’acqua fredda. Osservò il cielo, infastidita leggermente dal Sole al limite del suo campo visivo. Il silenzio la rassicurava. Sperava si sarebbe proteso fin quando non avrebbe trovato una scusa per andarsene senza dover proseguire con le spiegazioni – scelta incauta. Dopo qualche secondo, però, la voce cristallina della bionda servitrice trillò ancora, scuotendo la signorina.
   «Però devi dirmi cosa sai, fino a che punto arrivano le tue conoscenze sulla storia che Ghecis sta osannando a destra e manca come pretesto per provocare l’imminente guerra!» Anita sbiancò. «Iniziavo a pensare che l’avresti scoperto troppo tardi, sinceramente! Sono sollevata» e porto le mani davanti al viso, intrecciando le dita con dolcezza e sorridendo innocentemente.
   «Cosa?!» A scioccarla non era solo il fatto che Belle conoscesse parole come imminente, ma anche il fatto che ne sapesse più di lei. Anche se in effetti non so nulla, questo è ridicolo. Belle perse un po’ di fiducia nel suo sguardo. «E-Ecco... io veramente chiedevo...»
«Cosa sai di questa storia?! E da quanto?!» domandò con irruenza, mentre l’altra era evidentemente tentata dall’alzarsi dal bordo in pietra della fontana popolata dagli occasionali mostriciattoli. «Cos-Cosa sai tu?»
   «Niente! So solo che sta per succedere qualcosa di importante con di mezzo due Pokémon, ma tu! Tu ne sai molte di più!» disse, come accusandola. Poi nei suoi occhi si dipinse la preghiera. «Ti prego,» afferrò una delle mani della bionda, con sguardo sottomesso, «devi dirmi tutto quello che sai!» La dama, in difficoltà, annuì lentamente, mentre la gote diveniva rossa per la tensione e il respiro veniva a fatica. Anita non perse tempo a farsi domande sulla situazione della poverina e strinse con forza la mano piccola di Belle. Deglutì con forza, mentre evitava mosse false temendo un qualcosa di indefinito.
   «Però... Signorina Anita! T-Ti prego, per ora, non dire a nessun altro di coinvolto che conosci che ti ho raccontato quello che ti sto per dire! Si era pattuito che avresti dovuto scoprire tutto da sola ed invece ho parlato pensando che prima di avvisarmi avresti aspettato di far luce su più cose!» pregò senza pause particolarmente lunghe. La castana si rilassò e sorrise – era sempre così ingenua e dolce, difficile resisterle. «Resterò muta fino a quando non me lo dirai tu».
   «Ghecis Harmonia è il nono discendente della famiglia di media borghesia che venne incaricata dai due Fratelli a prendere il comando su Unima» iniziò, calmandosi, sempre ostinata a non muoversi. «È figlio unico ed i suoi genitori morirono poco dopo la sua incoronazione a sedici anni. Ha sempre avuto manie di grandezza, sotto il suo regno, infatti, le terre di Unima hanno conosciuto un periodo di prosperità e ricchezza, ma anche di pesanti cambiamenti: i tre Stati sono divenuti due, il suo – l’Alta Nobiltà –, che comprende la sua famiglia ed ospiti di corte, e quello di tutti gli altri abitanti – il Ceto Inferiore –, che comprende il resto della popolazione». Pausa. «Ora che ha raggiunto diversi dei suoi obiettivi prefissati, ambisce alla supremazia anche... leggendaria. Dopo alcune ricerche, pare che, come noi, abbia rinvenuto la storia della nascita di Unima ed ora pretenda di essere il padre del Cavaliere della Verità».
   Un pensiero scosse Anita: ora non aveva motivi per odiare Natural. La bionda la guardò un po’ delusa, ma dopo aver osservato brevemente l’espressione indecisa dell’altra, proseguì.
   «Poi ha scoperto una certa signorina di Soffiolieve che aveva partecipato ad incontri con alcuni portatori dell’idea Illuminista nonostante la tenera età e alcune voci parlano di una sua... mh... disapprovazione! Disapprovazione nei confronti della nobiltà! E visto che stava cercando qualcuno di adatto a prendere il posto di Cavaliere degli Ideali, ha pensato di scegliere qualcuno che non avrebbe potuto combattere suo figlio; qualcuno che se innamorasse era perfetto».
   «Il matrimonio!» sussultò l’interessata, lasciando andare la mano di Belle – che se la guardò bene, ancora pregna del calore di Anita.
   «Esatto»; guardò la figura del Samurott fiero dietro di loro. Era sempre stata una servitrice della famiglia Bianco, sin da quando sua madre era stata incaricata come balia per la figlia della Signora di Soffiolieve, ma quel Samurott, lei, l’aveva sempre ammirato. «Anita: non ci sono lotte da concludere, né motivi che ti debbano spingere a risvegliare Zekrom – il Pokémon degli Ideali –, sei libera di lavartene le mani. Dovreste nuovamente gettare Unima nel caos: basterebbe un giorno per determinare il vincitore, ma sai già che sarebbe devastante, no?». Gli occhi chiari e lucidi tornarono sulla figura nivea dell’adolescente, che strusciava tra di loro le ballerine di seta. «La Verità per la quale battaglia Natural Gropius Harmonia gli è stata impiantata nel cervello da suo padre: da Johto arrivano ogni giorno centinaia di Poké Ball. Anche se qui in giro non se ne vedono, al Nord se ne fa largo uso per catturare ed allenare i Pokémon. Lui vorrebbe che questo smettesse di accadere». Anita capì. «Pensa bene a cosa fare: se vuoi combattere, prosegui, se non vuoi, trova un modo per scacciarlo via. Farai comunque la scelta giusta».
   Rifletté un attimo: «Mi sta dicendo che resteranno qui fino a quando non troverò un modo per mandarli via o finirà tutta questa storia?» La bionda annuì.

   «Rischi grosso» ridacchiò Alcide. Era nascosto dietro all’uscio della porta sul retro dalla quale stava rientrando Belle dopo una commissione in paese. Sentì il sangue raggelare nelle vene – davvero non sopportava quel ragazzo. Strinse le spalle e raccogliendo un po’ di dignità, gli rispose raggiante. «Mai quanto te, Fratello». Nelle sue orecchie rimbombarono due passi e poi venne costretta a girarsi verso di lui. Aveva la nausea. Sentiva addirittura il suo respiro in quel momento – forse non era mai stata tanto vicina al suo Signorino. Liberò le mani dal foglio che teneva in mano e cercò di spostare quella del castano sulla sua spalla. «Non osare mai più, Belle!»
   «Uh uh, cosa ti infastidisce?» domandò con una nota di incertezza ed imbarazzo. Sotto il punto di vista dell’arroganza, i due gemelli erano uguali. Non era colpa sua se si era innamorata di quello sbagliato. «Ah, il fatto che io non sia legata dal sangue come te a Lei?» continuò, afferrando tra le mani il viso di Alcide – dopo le avrebbe lavate fino a consumare la pelle. «La prossima volta, nasci in una famiglia differente dalla sua: chissà che non foste andati pure d’accordo!» Gli soffiò una risata in faccia. Si sentiva male a stargli accanto, voleva solo che la sorpresa della sua presa lo instradasse verso il lasciarla andare; nonostante gli occhi pieni di meraviglia, comunque, a distruggere le sue speranze, fu la mano del ragazzo che si strinse ancor di più attorno alla spalla. Che schifo.

   Anita amava il caldo, ma era abbastanza sicura che in quel momento la calura fosse colpa della presenza maschile poco distante. Da quando la Villa di Soffiolieve era divenuta un campo di battaglia, capitava spesso che si trovassero da soli in una stanza di quelle comuni al primo piano. Quelle deserte, sempre quelle! puntualizzò mentalmente la poverina cercando di capire come fosse possibile che si incontrassero sempre in quei luoghi. Una volta era in un’angolino a mangiare una mela, un’altra ancora stava giocando con un Pokémon raccolto sulla Prima Via. Ed ora leggeva. Era girato di spalle e non vedeva cosa, ma l’avrebbe comunque scoperto visto che il libro che le serviva per studiare era proprio davanti al volto di Natural. Arceus, non puoi farmi questo! Prese fiato e tossì un paio di volte. «Re?»
   «N» corresse, voltandosi. «Oh, sei tu». E chi altri?!
   «Potresti passarmi il volume rilegato di verde davanti a te?»
   N volse lo sguardo sullo scaffale e non vide alcun libro di quel colore. Guardò la ragazza stranito. Non è possibile! Andò a controllare lei stessa.
   «Di cosa parlava?»
   «Leggende e miti di Unima!»
   «Oh». Natural chiuse il libro che stava consultando e lo porse ad Anita. Lo squadrò per un po’. Possibile che avesse preso un libro senza nemmeno notare di che colore fosse la copertina? Quel tipo era davvero adatto a fare il Re?
   «N!» Una voce debole, simile a quella di una bambina, si fece strada per la stanza. Era una voce di colore rosa, come i capelli della proprietaria.
   «Antea», rispose il ragazzo al richiamo, «per caso è successo qualcosa?»
   «Concordia ti cercava, avrebbe bisogno di un certo aiuto». N annuì. La castana non capì e, mentre cercava di fare mente locale – che diamine di aiuto necessitava la presenza di un re? –, il verde la invitò a seguirlo facendole cenno. La aspettò sull’uscio, fin quando non diede segni di voler iniziare a camminare. Rimase dietro ai due fratelli e li seguì fino a fuori la Villa di Soffiolieve, per poi imboccare un percorso molto ambiguo, stretto, a lei praticamente sconosciuto. Camminarono per un bel pezzo, constatò. «Sento che è qui vicino» mormorò la ragazza, posando la mano sinistra sul braccio di N. Il suo polso era imprigionato da un bracciale largo, grigio, che per certi versi distruggeva l’immagine delicata dell’arto pallido. Con lo sguardo cercò di scrutare anche quello destro e scoprì ne teneva un altro identico anche lì. I nobili sono tutti così? Lo farà per simboleggiare il suo potere? No, è una donna, non credo...
   Finalmente, Antea ed N si fermarono. Lui alzò lo sguardo e chiamò «Concordia!» attirando l’attenzione di diversi Pokémon che però non si spaventarono, si limitarono a rispondere, assieme alla figura snella adagiata su un ramo alto nel bosco in cui si erano addentrati. Anita sentì qualcosa strusciarsi contro la sua gamba; abbassò lo sguardo e con sorpresa vide che era il suo amato Snivy – quando era arrivato e come?
  «Visto che tanto devi saperlo comunque, ti svelo che tipo di aiuto serve a mia sorella, Anita» la scosse dai suoi pensieri così, abbassando lo sguardo verso di lei, mentre la piccola creatura verde si posava sulla sua spalla.
   «Eh
   «Antea, vieni» disse, iniziando ad arrampicarsi sull’albero – e per la prima volta, la castana vide il Re scostare il suo lungo mantello, scoprendo come sotto di esso non fosse vestito di fronzoli e medaglie, ma con abiti semplici, quasi da contadino – assieme alla ragazza che con agilità balzava da un ramo a quello immediatamente più alto. La Signorina della città di mare di Unima li guardava senza riuscire a dire nulla. Invidiò il vestito bianco e leggero di Antea e Concordia, che era mille volte più pratico del suo già molto più semplice del dovuto. Si soffermò sui polsi della bionda che i fratelli avevano finalmente raggiunto: una serie di bracciali d’oro incastrati tra loro ognuno.
   Antea e N presero le mani della sorella e poi anche le proprie. Fu allora che notò come al polso destro, N tenesse un bracciale uguale a quello di Antea, ed al sinistro, la serie di Concordia.
   I tre chiusero gli occhi, dopo aver formato un cerchio, ed Anita scorse la sagoma di un Pidove che giaceva sul ramo. Poi, iniziò a brillare una luce verde, in mezzo ai fratelli Reali, che prima vagò senza meta all’interno del confine che segnavano le loro braccia e successivamente si avvicinò al Pokémon. Le mani si sciolsero ed un’ala reagì al dolce sussurro che le sorelle rivolsero in sincrono al volatile. N, a gambe conserte sul robusto ramo, cercò Anita e le sorrise.

   «Quel Pidove... era morto?» chiese al Re mentre Snivy giocava con Antea e Concordia in una radura sulla via del ritorno. Lui la guardò stupito.
   «No, ma forse gli mancava meno di quanto tu possa pensare per esserlo. È uno degli amici di mia Sorella Concordia, che è nata proprio qui vicino Soffiolieve, in una casetta sulla Prima Via» spiegò, sistemandosi il mantello, coprendo nuovamente i vestiti marroni.
   «Quindi....» Provò a formulare una frase che spiegasse, ma non capiva proprio cosa fosse successo, né cosa dovesse importarle.
   «Le mie due Sorelle sono le Muse dell’Amore e della Pace, secondo mio padre».
   «Non crederei molto facilmente a tutto quello che dice, N» rispose, in qualche modo, offesa.
   «Non lo faccio quasi mai infatti. Se devo essere sincero, sono un po’ quel tipo di persona che deve toccare con mano per credere, ma hai visto che sono speciali, Antea e Concordia. Da quando abbiamo soccorso un Pokémon la prima volta, mi sono trovato costretto a credergli».
   «Quindi, di preciso...» provò nuovamente.
   «Non lo so. Possono, Antea, conciliare i Pokémon tra loro, e, Concordia, calmarli quando si imbestialiscono. Io, invece, riesco a parlare dritto al loro cuore». Modesto. «Snivy ti vuole bene, trattalo con altrettanto affetto».
   Anita rimase sull’erba, mentre l’altro si alzava.
   «Non so perché, ma sentivo che dirti di questa nostra peculiarità fosse necessario e l’occasione si è presentata...» Si voltò verso di lei e raggiante disse «Puoi pure dimenticartelo!»
   Arceus, ho deciso di lottare.


 
Soundtrack(s); This game (Suzuki Konomi), Straordinario (Chiara), kiss (Mafumafu), Reiwai Terrorism (GUMI). Ok, dopo otto mesi (ebbene sì), nuovo capitolo di Bb. Mi scuso per il ritardo, ma sono accadute diverse cose. La pigrizia, sì, ma nemmeno, perché, di scrivere, ho scritto, ma vai che mi trovavo l'idea da sviluppare per la fan fiction su LiEat (che ha avuto un tragico epilogo) e varie che mi distraevano da NIGEB e Bb, va' che dovevo tirare su due materie, vai di ciclo (perché sì, ha una sua influenza sul mio stato), vai le delusioni sentimentali (no, davvero, a quattordici anni sembrano cose importantissime anche se sono cazzate), va' i problemi in famiglia, la long-fic è totalmente finita in secondo piano sotto ogni punto di vista. E quando finalmente ci metto mano... puf!! Il computer decide di fottersi. Un par di palle. ED HO PERSO LE FAN FICTION CHE PIU' MI PREMEVA SCRIVERE TRA CUI LA SUPERBAT, LA YUMEM I!CENTRIC E QUELLA SU LIEAT MORITE TUTTI ECCO Però! PC nuovo, vita nuova, (si spera anche tavoletta grafica nuova,) capitolo nuovo. È il più lungo io abbia scritto ed anche quello che ho scritto in meno tempo (escludendo il prologo ma che non vale come capitolo); oltre al fatto che da Settembre il mio stile si è in parte evoluto per poter scrivere ed adattarmi a NIGEB (webnovel in corso, per la cronaca), invece del solito unico evento ne ho descritti due: la conversazione con Belle (più il suo scontro con Alcide) e gli eventi con N che sono circa le canoniche mille parole per capitolo ognuno (è sempre stato così, per qualche ragione) divenendo circa 2200 parole in tutto. Correggerlo è abbastanza difficile, di solito scrivo di meno e di errori ce ne sono anche spesso: qualsiasi cosa mi sia sfuggita, anche un pensiero che non è in italic, mi farebbe piacere se venisse segnalato (mi aspetto due recensioni: una piena di correzioni, l'altra che fa "ha detto quasi tutto ??, ma ho notato che ").
Piccole note sul testo: ho deciso di abbandonare, almeno in gran parte, il linguaggio forzato e alla Il Segreto (perché sì. io guardo Il Segreto) che ho inutilmente cercato di usare in precedenza. Inoltre ho provato, solo per questa volta immagino, a dare la precedenza più che all'introspezione e l'azione vere e proprie, i dialoghi. E credo basta? (La cosa dei bracciali dei tre che sono uguali è canon btw)
E nulla, non voglio dir altro perché è una long, le cose dovrebbero essere spiegate più in là, so, Fuyu e Bb sono tornate!! Spero vi sia piaciuto il capitolo (ai vecchi lettori e, siamo ottimisti, anche ai nuovi); la revedere!

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