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Chi è
quest’uomo che mi fissa? E, soprattutto, perché?
Io sono
morta, non ho nulla dentro di me. Solamente il vuoto. I miei sogni sono
distrutti, portati via dalla brezza che entra dalla piccola finestra della mia
stanza. Non c’è alcuna luce dentro di me.
Ma lui mi
fissa.
Ho chiesto,
oggi, al guardiano della casa, chi sia quest’uomo e lui mi ha risposto che si
tratta di Faramir, secondogenito di Denethor, sovrintendente di Gondor.
Non posso credere che anche lui sia qui. Lui dovrebbe combattere per la sua
gente. Lui dovrebbe guidare la sua
gente, non stare qui a lagnarsi per qualche piccolo graffio.
Invece sta
qui e mi fissa, mentre passeggio nei cortili, quando le forze me lo permettono.
L’ho osservato a mia volta, curiosa. Sembra alto, anche se dalla distanza che
ci ha sempre separati non posso dirlo con certezza, ha dei capelli neri che gli
arrivano alle spalle, così diversi da quelli che ho sempre visto negli uomini.
Nelle terre del Mark, a Rohan, tutti hanno i capelli
chiari, come me o, al massimo, come mio fratello. Invece i suoi sembrano di
pece, quasi diabolici.
I suoi
occhi chiari mi scrutano. Non so definirne il colore esatto, ma vedo che sono
certamente chiari. A volte mi sembra come un falco che spia la preda prima di
acciuffarla con gli artigli.
A volte
invece sembra gentile. Chi può dire quale sia la verità?
Ma io non
mi pongo più domande sugli uomini. Ho amato una sola volta. Per una sola volta
ho provato gioia per qualcosa che non fossero battaglieoccasioni di trionfo militare. Ho amato
una sola volta e sono stata rifiutata. Il mio cuore ora è morto.
Mi hanno
chiusa qui, così che non possa combattere durante la battaglia finale.
L’ennesima crudeltà per Eowyn, figlia di Eomund, che in gabbia non sa stare. La sola cosa che ho
sempre temuto era proprio la gabbia, la prigionia, e ora vi sono costretta.
Faramir, il signore di Gondor,
mi sta guardando anche ora. Sembra che stia tentando di incrociare il mio
cammino. Ma io non glie lo permetterò. La mia solitudine mi è cara.
Eppure a
volte, mentre mi guarda, sento qualcosa che mi fa alzare lo sguardo verso di
lui e me lo fa abbassare appena incontro i suoi occhi. Perché? Io non provo
vergogna o timidezza. Io sono la principessa guerriera, il fiore d’acciaio che
i sudditi di Rohan hanno sempre adorato ed amato.
Questi
sguardi mi fanno sentire strana. Mi sento inadeguata. Per la prima volta mi
sento inadeguata. Non mi piace. Non mi è mai piaciuta questa sensazione. Io
posso essere padrona di ogni situazione.
Posso
ancora? Una volta ridevo, scherzavo e facevo tremare anche i cavalieri di mio
zio quando tenevo tra le mani una lama. Ora sono ridotta ad una dama inutile e
qualunque, costretta a restare in una stanza, temendo per colore che ama e per
quello in cui crede. Sono come un dipinto, messo in una cornice e appeso al suo
muro, per sempre suo santuario e riposo.
Sono qui e
posso solo ricambiare gli sguardi enigmatici del cavaliere di Gondor, che ogni volta che vedo, riporta le mie memorie al
signore che ha avuto il mio cuore. Me lo ricorda anche se
non si assomigliano, perché sono entrambi della stessa patria.
La patria è
tutto per me. È ciò che caratterizza un uomo.
Lui è come
tutti gli uomini di Gondor. E come tale, non avrà
nulla da me. Nulla di nulla. Neppure la mia compagnia. Ho giurato questo quando
mi sono accorta per la prima volta che fissava.
Amo ed odio
i suoi sguardi. Li amo perchè sono qualcosa che mi fa
sentire viva, ancora importante. Li podio perché mi
fanno sentire inadeguata e sciocca come una bambina.
Li odio
perché non li conosco. Non conosco questi sguardi, enigmatici, per me.
Eppure il
cavaliere continua a guardarmi ed io non posso fare a meno di ricambiarlo, di
tanto in tanto.
Ma
un’occhiata può essere ingannevole anche per me. So che potrei tradirmi. Mai
far vedere ciò che senti. È la prima cosa che ho imparato da mio padre e dal
maestro d’arme: se colui che hai di fronte capisce la tua paura o la tua
riluttanza, hai già perso.
E io non
perderò, perché sono Eowyn. Non ho mai perso.
Nemmeno
quando si tratta di sguardi e non di lame.
Sono distesa
sul mio giaciglio. La morbidezza del materasso di piume mi è quasi di conforto,
ma non abbastanza da farmi dimenticare la mia condizione. Non posso capacitarmi
di essere ferma, qui, senza poter combattere per la mia terra, per il mio
defunto zio e mio fratello, che senza dubbio farà onore alla nostra stirpe.
Cosa direbbe mio padre, Eomund, vedendomi qui, debole
e riversa, inutile, inattiva, quando la mia abilità con le armi e le strategie
militari era per lui fonte di orgoglio?
Non posso
uscire da qui. Non me lo permetterebbero, e, anche lo facessero, ferita come
sono, sarei di ben poco aiuto per il mio popolo. Almeno, però, il mio nome
diverrebbe immortale nella gloria della battaglia e dello spargimento di sangue
nemico.
Sento dei colpi
esitanti. Qualcuno sta bussando alla mia porta. Mi alzo a mezzo busto, in
allarme. Anche se so che nella casa di guarigione, nessuno è in pericolo, la
mia abitudine alla prudenza è dura a morire.
« Chi è là? » chiedo risoluta.
Un momento di
silenzio, poi sento una voce energica che mi risponde da dietro la porta « Sono il guaritore di turno, dama Eowyn.
Mi è permesso di venire alla vostra presenza? »
Il guaritore
di turno… cosa mai potrà volere da me a quest’ora tarda, quando il momento
dell’ultimo pasto della giornata si avvicina? C’è un solo modo per saperlo.
« Entra pure, guaritore. »
La porta si
apre con un lievissimo cigolio ed io mi alzo a sedere sul bordo del mio
giaciglio, pronta ad accogliere il nuovo venuto. La mia curiosità è accesa.
Quando arriva
davanti a me, vedo che è lo stesso anziano uomo che mi ha curata qualche giorno
fa. Ricordo la sua mano delicata e gentile prendersi cura dei miei tagli. Si
inchina rispettosamente, come gli è imposto dalla condizione sociale che lo
rende inferiore a me.
« Dama Eowyn, perdonate la mia
intrusione. » si scusa « ma sono qui per conto di qualcuno. »
Corrugo le
sopracciglia, sospettosa « E di chi, buon uomo? »
Il guaritore
sembra esitare. Rivolge uno sguardo oltre la soglia della porta, dove la
prospettiva mi impedisce di arrivare con il mio sguardo. Poi finalmente, torna
a fissarmi.
« Sono qui per conto di sire Faramir, mia
signora. »
Sentendo quel
nome, mi raggelo. Un uomo del suo rango e della sua tempra dovrebbe ispirarmi
rispetto ed ammirazione, ma l’unica cosa a cui riesco a pensare e che si è
permesso di guardarmi ben oltre quanto gli fosse concesso.
« Cosa desidera il sovrintendente di Gondor
da me? » chiedo, cercando di mantenermi calma.
Il guaritore s
inchina brevemente « Vorrebbe fare la conoscenza della
Dama di Rohan, mia signora. »
mi risponde.
Non posso fare
a meno di pensare che quell’uomo è sfrontato e impertinente,
eppure una parte di me mi dice che il suo è un gesto innocente. Io, però, so
che si tratta della parte debole della mia anima. Da quando essa si è
risvegliata, se credevo di averla sopita per sempre?
« Mi dispiace, buon uomo, ma dovrete riferire al sovrintendente che
sono molto stanca e non desidero ricevere visite. » rispondo, con dolcezza ma
estremamente ferma « Ci conosceremo in un’altra occasione. »
Il guaritore
mi guarda per un attimo, come incerto se aveva inteso o no le mie parole.
Successivamente, si volta un’altra volta verso la soglia della porta del mio
alloggio, esitante.
« Come la Bianca Dama desidera » dice
infine, inchinandosi un’ultima volta e arretrando rispettosamente prima di
voltarmi le spalle e richiudere la porta dietro di sé. Mentre si allontana,
sento che il suo non è il solo rumore di passi che sento. Con lui deve esserci
una persona. Una persona che, evidentemente, si trovava fuori dallaporta, dove il
guaritore aveva rivolto più volte lo sguardo.
Senza aver
bisogno di conferme, capisco, in quel preciso istante, che si tratta di Faramir. Lo comprendo, oltre che grazie all’istinto, anche
grazie alla sua andatura. Infatti, se quella dell’anziano guaritore è lenta e
lievemente strascicata, gli altri passi sono decisi e dalla ampia
falcata. Non ho dubbi.
Mi alzo dal
letto, lentamente e mi affaccio alla finestra che dà su uno dei cortili delle
case di guarigione. Mentre rivolgo gli occhi all’esterno della mia stanza,
penso che preferirei di gran lunga avere come vista il nero cancello di Mordor, così da potermi sentire vicina ai soldati che
stanno recandosi a combattere per tutti noi.
Anche io
dovrei essere con loro. Anche sire Faramir dovrebbe
essere con loro. Il nostro posto non è questo: ecco, finalmente, una cosa che
mi fa pensare di avere qualcosa in comune con lui.
Ma non basta
questo a indurmi a permettergli di avvicinarsi a me. Non dopo quegli sguardi,
non dopo quegli strani ed a me ignoti sospiri che gli ho sentito fare quando
per caso gli passavo accanto, accompagnata da una delle dame che mi assistono.
Chissà che
cosa lo avrà spinto a venire fin qui! Non posso credere che non ci sia una
ragione, perché una ragione esiste sempre, in ogni situazione. Ma era mio
dovere rifiutare. Non deve pensare di potermi avvicinare, qualunque sia il suo
scopo.
Ecco,
improvvisamente sento bussare di nuovo alla mia porta.
« Dama Eowyn! » è la voce di una delle
mie donne, quella che sento « Siete pronta? »
Mi volto verso
la porta, che è ancora chiusa, a separare me dalla mia interlocutrice « Pronta per cosa? »
Un momento di
silenzio, che identifico come incredulità anche se non
posso vedere il volto della mia dama. Non capisco davvero a cosa si riferisca.
« Mia signora…
» continua esitante « È ora di cena… Il sovrintendente
ha detto che vuole che gli sediate accanto. »
La cena…come
ho potuto dimenticarmene? Deve essere trascorso più tempo di quanto credessi,
mentre osservavo il cortile, persa nei pensieri.
Ma sire Faramir ancora mi perseguita!
Perché è così ansioso di conoscermi? Cosa vedrà mai in me quell’uomo così
strano?
Non posso
accettare. « Riferisci, per favore, al sovrintendente
che ho intenzione di consumare il pasto qui nella mia stanza. Non ho voglia di
vedere nessuno per oggi. »
« Come desiderate, mia signora. » la sua
voce è incredula, stupita. Perché?
Immagino che
trovi strano che una donna rifiuti un invito del genere, da un uomo del genere.
Soprattutto visto che tra pochi giorni a questa parte, tutto potrebbe essere
avvolto dalla nera oscurità del signore del male.
Se il modo
degli uomini cadrà, allora vorrà dire che si trattava del suo destino. Chi
siamo noi per lottare contro il nostro destino? Non possiamo ribellarci a ciò
che la vita ci impone. Persino io sono rassegnata, stanca di divincolarmi e
dibattermi, nella speranza di poter ritornare la fanciulla d’arme che il mio
popolo ha sempre ammirato e la cui fama ha attraversato fiumi e terre
straniere.
Credevo che il
mio destino fosse questo…ma evidentemente mi sbagliavo. Era già stato stabilito
che io restassi qui, inerme, con la sola compagnia della tortura dell’attesa.
Sire Faramir proverà le mie stesse pene? Si sentirà anche lui
fuori posto, in trappola?
Ho ricordi
molto nitidi di quando, tempo fa…il mio amato…l’uomo che ammiravo…sire Aragorn, mi chiese cosa temessi, se non
avevo paura della morte e del dolore. La gabbia, io gli risposi. Stare
dietro le sbarre fino a che l’abitudine e la vecchiaia le accettino, e ogni
occasione di dimostrare il proprio valore sia diventata un ricordo o un
desiderio.
Queste erano
state le mie esatte parole.
Questo era ciò
che realmente temevo.
Eppure io ora
mi trovo qui, in gabbia, nella stessa situazione che era protagonista dei miei
incubi così come delle mie parole. E oltre questo, sire Aragorn
ha rifiutato il mi amore. Un amore prezioso, visto che non l’avevo mai donato
ad alcuno, nonostante i cavalieri valorosi fossero in tanti, tra la mia gente.
“ tu sei
figlia di re! Una scudiera di Rohan! ” egli mi
rispose “ Non credo che questo sarà il tuo destino.”
In quel
momento, cominciai ad amarlo. Fu quello l’istante fatale che avrebbe segnato la
mia esistenza.
Ma lui si
sbagliava. Mi sbagliavo anche io.
La mia paura è
divenuta realtà, perché io, Eowyn, figlia di Eonund, sono rinchiusa premurosamente nelle case di
guarigione quando vorrei combattere per la mia patria.
Mi sveglio
bruscamente. La notte è per me stata popolata da incubi di ogni sorta, che per
protagonista avevano la prigionia e la morte disonorevole di mio fratello e la
caduta del re dei re. Non potrei immaginare cose peggiori nel mio inconscio. La
mia fede ed il mio orgoglio nonmi danno pace neppure durante il sonno.
Non posso
continuare così. Se non trovo qualcosa con cui tenermi occupata sono certa che
perderò ‘presto la ragione. Così, incurante del fatto che è ancora un’ora
lesta, mi alzo dal mio letto e con non poca difficoltà, provvedo affinchè le donne a me affidate mi
vestano e mi pettinino. Mentre infilo un abito bianco, accompagnato da
una cintura d’argento, il braccio sinistro mi duole terribilmente, non
essendosi la ferita rimarginata del tutto. Ma non importa. Non voglio che le
donne si accorgano della mia sofferenza e provino pietà per me. Non ho mai
amato la pietà.
Esse sono così
gentili e sollecite con me, che non posso fare a meno di apprezzarle, ma è la
mia natura desiderare dimostrare di essere in grado di provvedere a me stessa.
Mi osservo
allo specchio che è stato posto nella mia stanza. Non ho mai prestato
particolare attenzione al mio aspetto, di norma, fatta eccezione per alcune
occasioni. Del resto, le mie dame si preoccupavano abbastanza della mia
bellezza da non rendere necessario che lo facessi anche io.
L’immagine che
lo specchio mi restituisce è quella della me stessa di sempre, con qualche
piccola differenza. Sono più pallida, gli occhi sono grandi e tristi. La mia anima
morta vi si rispecchia senza finzioni.
Per il resto
posso riconoscermi. Il mio corpo esile e i miei capelli d’oro sono gli stessi.
Per la prima volta mi vedo fragile e capisco come mai molti uomini non credettero alle mie capacità belliche. Ma quel tempo è
morto, oramai. Io non sono nulla.
Esco dalla mia
stanza, risoluta, come sempre. Mi dirigo dal custode delle case di guarigione.
Egli è seduto dietro una scrivania e sta esaminando delle carte con estrema
concentrazione. Non appena varco la soglia della sua porta, si alza e si
inchina rispettosamente, come tutti. Sembra sorpreso di vedermi.
« Dama Eowyn! » esclama « Cosa fate qui?
»
« Signore… »
rispondo io, mantenendo una posa inflessibile e fiera «
sono irrequieta. Ho bisogno che mi si dia qualcosa da fare. Non posso più
rimanere nell’inerzia. »
Queste mie
parole lo sorprendono al punto che per un attimo spalanca gli occhi scuri e li
fissa incredulo nei miei.
« Ma…mia signora, non siete ancora guarita e mi è stato ordinato di
curarvi con particolare attenzione. » obietta « Non dovreste alzarvi per altri
sette giorni. Vi prego, tornate nella vostra stanza. »
Quasi mi metto
a ridere. La mia presenza ha sempre messo in soggezione gli uomini quanto le
donne. Non ho mai compreso il motivo, anche se ciò mi reca soddisfazione. Anche
in questo caso, il custode delle case di guarigione non ha fatto eccezione.
Il suo tono,
che avrebbe dovuto essere perentorio, ha ceduto il posto a uno quasi
supplichevole. Che sappia già di dover fare i conti con la mia determinazione?
« Sono guarita, almeno nel corpo. » insisto « Il braccio migliora
rapidamente. Ma mi ammalerò se non mi darete qualcosa da fare. Ho bisogno di
tenermi impegnata. »
« Mi dispiace, mia signora…non posso fare nulla per voi. »
Per un
momento, sono tentata di ribattere con astio. Mi trattengo, perché anche quei
tempi in cui odiavo essere contraddetta sono terminati. Non è rimasto davvero
niente della Dama che tutti ammiravano e amavano nelle terre del Mark.
Decido allora
di cambiare, seppure temporaneamente, argomento « Ci
sono giunte notizie della guerra? »
Il Custode
scosse la testa « nessuna, mia signora. I luogotenenti
di Gondor cominciano a temere il peggio. »
Queste parole
mi rendono ancora più determinata ad ottenere ciò che voglio. Se il mondo degli
uomini sta davvero soccombendo all’oscurità, allora non voglio trascorrere i
miei ultimi istanti di vita compiangendo me stessa in un letto.
L’anziano
guaritore oltrepassa la scrivania per avvicinarsi lentamente a me. « Dama Eowyn, non dovete pensare
ad altro che a guarire in questo frangente. »
« Non so neppure se è quello che voglio. »
rispondo, con un filo di voce.
Egli manda un
sospiro incredibile « Sono stanco, mia signora…se
sapeste! » dice, voltandomi le spalle « Stanco di vedere la morte e di dover
combattere contro di lei. Troppe guerre…troppe sofferenze. »
per la prima volta noto che è esausto…fragile quasi quanto me, quando mi sono
riflessa nello specchio.
« le guerre sono inevitabili. » dico io.
Ne sono sempre stata convinta e non le ho mai nemmeno disdegnate. Esse da
sempre sono motivo d gioia per me. Ognuna avrebbe potuto condurmi sulla strada
della gloria. Ma il mio destino non era questo.
Il Custode
scuote la testa « Io non credo, mia signora. »
continua « Rispetto il vostro parere, ma ritengo che al mondo le sofferenze
siano già tante anche senza le armi. »
Faccio un
verso sprezzante « Una guerra si scatena facilmente,
mastro guaritore. E coloro che non hanno spade possono morire su di esse. » mi allontano di qualche passo da lui, volgendo lo sguardo
ad oriente…immaginando cosa stia accadendo a mio fratello…al mio sire…
Aragorn. Il suo ricordo è ancora tanto bruciante che sono
costretta a rivolgere nuovamente il pensiero al discorso che avevo intrapreso.
« Io non so
cosa abbiate dovuto affrontare…signora, ma.. » prova a
dire lui, ma lo zittisco subito.
« E infatti non ha importanza » la mia voce è pacata ma egli
non fiata ugualmente. Una piccola traccia della mia antica energia è ancora
riversa nella mia presenza. « Ma sappi che in
quest’ora buia, non vorrei altro che la morte. Se noi non combattessimo e
l’Oscuro signore, invece, radunasse eserciti non saremmo qui a parlare.
Eppure noi
combattiamo, e vinciamo, anche. Nonostante questo, non esiterei a scegliere la
morte in battaglia, anche fra atroci sofferenze, piuttosto che una guarigione
che si limita al corpo. »
Le mie parole
stupiscono più lui che me. Io le ho pronunciate nel sonno, nelle ore di veglia,
quando mi trovavo sola e inerme contro il tempo e la gabbia in cui sono stata
riposta.
Il Custode, invece sembra davvero sconcertato. Forse questo è
un bene. Forse le mie parole lo hanno spaventato e fatto preoccupare abbastanza
da indurlo ad esaudire il mio desiderio. Ma erano vere, qualunque sia ora la
sua risposta. Io penso davvero ciò che ho detto.
Egli rimane in
silenzio, fissandomi benevolo e colpito, ma nemmeno dopo qualche secondo
pronuncia una parola.
« Non vi è davvero nulla da fare? » cerco di incalzarlo « Chi è che
comanda in questa città? »
« Sire Faramir è il sovrintendente della
città. » dice lui in un sussurro. Per poco non
sussulto. Faramir…avrei dovuto pensarci. La mia mente
è annebbiata dal dolore e dall’indignazione per la situazione in cui sono
relegata. E mi sono dimenticata che è lui a detenere il potere in questo luogo.
Sciocca debole dimenticanza.
« È qui in
questa casa, Dama Eowyn » continua l’uomo « Anche lui è stato gravemente ferito, ma la sua guarigione
è quasi completa, come la tua. »
« Io non guarirò mai. »
Lui non
risponde, forse perché sa che ho ragione, o forse perché è stufo di dover
combattere con la mia determinazione. Preferisce, ad ogni modo, continuare a
parlare del Sovrintendente.
« Come dicevo egli è qui e detiene il potere di diritto. Se
desiderate qualcosa…dovrete chiedere a lui. Ma non so se potrà accontentarvi. »
Questo momento
è per me penoso. Rivedo mentalmente quegli sguardi che mi aveva sempre lanciato
in quei giorni in cui passeggiavo nei cortili delle case di guarigione. Avverto
ancora una volta le sensazioni contrastanti e confuse che mi avevano
attraversato l’anima, risvegliandola per un momento dal suo profondo sonno. Ho
cercato di evitarlo con tutte le mie forze, ma ora lui
è la sola speranza a cui posso aggrapparmi per ottenere ciò che desidero…per
non cadere nell’abisso della follia.
Devo prendere
una decisione, ma mi sorprendo a scoprire di non esserne capace. Rimango in
silenzio per non so quanto tempo, con il Custode che mi guarda
interrogativamente.
Alla fine
faccio un respiro profondo, ben consapevole del fatto che, se non affronterò quell’uomo,
non solo impazzirò per l’inerzia, ma anche per l’incertezza causatami dai suoi
sguardi. Io ho sempre affrontato ogni situazione.
Raddrizzo
fieramente la schiena « Non vuoi accompagnarmi da lui?
» dico fermamente, rivolta al Custode « In tal modo,
forse, lo saprai. »
Grazie mille a Ramiza
e Thiliol che hanno questa storia tra i preferiti,
Thiliol: per questo
racconto mi sono ispirata al libro. Baci.
Eccomi qui! Ripostato
il capitolo. Chiedo scusa per gli errori…ma avevo postato il capitolo senza
rileggerlo.
Cassiana: ti ringrazio per avermi fatto notare
le forti incongruenze nei tempi dei verbi. Quasi non riconoscevo la mia
scrittura rileggendo il testo!
Ad ogni modo ci tengo a spiegarti come
mai è accaduto. Vedi, ho scritto questo capitolo parallelamente ad un altro di
un’altra storia, che è scritto al passato. Talvolta, quindi, mi dimenticavo di
passare al presente, il tempo che hoscelto per scrivere questa ff.
Purtroppo, non rileggendo il chap, poi non me ne sono
resa conto. Ora ho corretto e spero di non avere
dimenticato nulla. Perdonami se puoi…
Spero, però, che al di là degli
errori, la storia ti piaccia. Fammi sapere. Baci.
Il
sovrintendente
Cammino a
fianco del Custode. Ha acconsentito a condurmi dal solo che ha il potere di
darmi ciò che chiedo. Le sue stanze non sono molto lontane da quelle dei
guaritori, ho modo di osservare. Non posso fare a meno di domandarmi di che
natura ed estensione siano le ferite riportate dal signore di Gondor. Forse che anche lui ha dovuto patire sofferenze e
delusioni?
Ma ciò, in
fondo, per me non ha importanza.
Arriviamo a
destinazione. Lo capisco dal fatto che il Custode rallenta notevolmente la sua
andatura, inducendomi a fare lo stesso. Siamo davanti ad una porta di quercia
scura, molto robusta all’apparenza, con la serratura in metallo splendente.
Sembra una porta differente da quelle delle altre stanze delle case di
guarigione. Probabilmente, anche in un caso come quello in cui ci troviamo, la
differenza di rango e ruoli gioca una parte fondamentale nella vita dei signori
di questa città.
Il Custode
bussa piano, colpi regolari e quasi esitanti sul legno duro e scuro.
« Avanti » la
voce che risponde, anche se ancora non posso dirlo con certezza, è di timbro
medio, suadente, gentile. Una bella voce, devo ammettere.
Entriamo,
lentamente, e ci troviamo subito in una stanza piuttosto grande, con un letto
al centro e un tavolo ampio e spazioso dove stavano sparse diverse carte. Faramir di Gondor è seduto
davanti a quel tavolo, la testa china sui fogli, la fronte aggrottata in
un’espressione di concentrazione. Non appena varchiamo la soglia della stanza,
però, alza immediatamente lo sguardo.
Non
dimenticherò mai quel momento. È un attimo. I nostri occhi si incontrano
legandosi quasi magicamente. Per la prima volta ho modo di vedere con
attenzione il volto dell’uomo i cui sguardi mi hanno perseguitata per giorni. I
capelli neri, appena mossi, gli ricadono sulle spalle, pettinati in parte
all’indietro sull’ampia fronte. I lineamenti, anche se non l’ho mai notato, sono
regolari e belli, forse un tantino severi. Gli occhi,
poi, sono capaci di affascinare. Persino io, in questo istante, rimango per un
attimo vittima del loro incantesimo. Sono grandi e hanno ciglia lunghe, quasi
femminili, che incorniciano le iridi grigie, dell’esatto colore del piombo.
Il suo sguardo
mi colpisce perché ha tutte le caratteristiche per essere languido, ma invece è
fiero, virile e anche messaggero di una capacità non comune in fatto di armi e
battaglie. La bocca sottile enfatizza la severità, forse apparente della sua
persona.
Mentre mi
guarda, nulla traspare dai suoi occhi, se non uno sprazzo dell’unico sentimento
che ho sempre disprezzato: la pietà.
« Mio Signore,
» comincia a dire il Custode, distogliendo l’attenzione del sovrintendente da
me « Costei e Dama Eowyn di Rohan. È la dama che ha cavalcato insieme con il re….e
rimase gravemente ferita. Ora sta guarendo, ma non è contenta e desidera
parlarvi. »
Faramir ascolta le parole dell’uomo con attenzione e senza
scomporsi. Ammiro il suo autocontrollo. Tuttavia, non voglio che nessuno,
neppure lui che fu così impudente, possa credermi un’ingrata.
Alzo una mano
per reclamare la parola « Sire, non fraintendere le sue parole » dico, usando
il tu, in quanto parlo con un mio pari. « Le cure che
mi sono state riservate sono le migliori. Non potrei domandare di meglio. È
altro, in effetti che mi affligge. »
Egli, dopo aver
nuovamente rivolto lo sguardo al mio viso, fa un cenno al Custode e questo si
allontana discretamente con un inchino. Provo una strana sensazione a trovarmi
da sola in sua presenza. Qualcosa che non ho mai provato prima. Deve trattarsi
di fastidio, fastidio per i suoi sguardi insistenti ed enigmatici, ma non
potrei definirlo neppure in questa maniera. Si alza in piedi e mi accorgo che
emana come un’aura di potere, simile a quella che da sempre sprigiona sire Aragorn. La sua corporatura robusta e snella, da guerriero,
è celata da una tunica nera, con lo stemma di Gondor,
sopra un paio di calzoni grigi.
Ma io sono
stata a fianco degli uomini più valorosi della mia terra, perciò non sarò messa
in soggezione da questa patetica esposizione di autorità. Io stessa ne emano
quanta lui non potrà mai sognare. Eppure, triste e desolata come oramai sono,
non posso che essere meno fiduciosa di me stessa di quanto lo sarei stata nella
norma.
« È un onore, signora, conoscerti. » dice,
inchinandosi profondamente. « Una conoscenza che è
stata a lungo sperata, ma sempre rifiutata. » sorride.
Me ne meraviglio, perché ciò che dice dovrebbe essere carico di indignazione,
forse addirittura rancore. Invece il suo tono è gentile, comprensivo. Non
sembra che mi stia rimproverando per avere ignorato i suoi tentativi di
avvicinarmi.
« Anche per me è un onore conoscere il sovrintendente del regno più
potente della Terra di Mezzo. » Non posso non
ricambiare la cortesia, tuttavia mi astengo dal restituirgli il sorriso. « Sebbene in circostanze non liete. »
Si avvicina a
me di alcuni passi, lentamente « il Custode ha detto
che sei scontenta, mia signora. Cosa posso fare, dunque, per alleviare le tue
pene? » qui sorride nuovamente, con un accenno di ironia « Anche io, come te,
sono prigioniero dei guaritori e soggetto alla loro autorità »
Mentre lo
osservo, vedo che mi sta fissando intensamente. Di nuovo, negli occhi leggo una
profonda pena che mi fa rabbrividire di stizza. Cosa darei per cancellare
quell’emozione dai suoi occhi, ora. Questa grave tenerezza che vi leggo mi
trafigge il petto, come mille pugnali. Desideravo la gloria e l’ammirazione. La
pietà è per me motivo di vergogna. Non credevo di esservi così esposta.
Nonostante
questi sentimenti si facciano breccia nel mio cuore ferito, mi rendo conto
anche di altro. Comprendo che ho davanti un uomo valoroso, anche severo, come
il suo aspetto, seppure affascinante, tradisce, eppure
gentile. Comprendo anche che, sebbene la cosa mi infonda profondo rammarico,
nessun cavaliere della mia gente lo avrebbe mai eguagliato in battaglia.
« Cosa desideri? » ripete, svegliandomi
dalla profonda riflessione di cui ero caduta preda. « Se è in mio potere,
allora lo farò. »
La sua
gentilezza mi mette stranamente in difficoltà. Deve essere a causa della pietà
che la ispira, perché non sono estranea a questo tipo di premure. Decido allora
di parlare chiaramente, senza temporeggiare ulteriormente.
« Vorrei che ordinassi al custode di lasciarmi andare. »
Faramir distoglie lo sguardo per un istante, sorridendo
tristemente « temo di non poterti accontentare mia
signora. » dopo aver detto queste parole torna a guadarmi « Infatti, come ti ho
detto, sono anche io affidato alle cure e alla responsabilità del Custode. » Si avvicina di un altro passo, quasi esitante. D’istinto,
i miei occhi lo fermano mandando cupi lampi « Ma non
mi opporrei comunque alla sua volontà, se in gioco vi è la tua guarigione. »
In un unico
istante vedo tutte le mie ultime speranze crollare, come sotto gli eserciti del
nemico abbiamo dovuto abbandonare il Palazzo D’oro della mia stirpe.
« Ma io non
desidero guarire » insisto, vedendo che sul volto di lui compare un’espressione
curiosa, facendosi strada nella tenerezza « Io voglio
andare in guerra e morire con onore, come mio fratello…o come mio zio, il re Theoden. »
Nel nominare il
mio amato e compianto tutore e signore, qualcosa nella mia voce si intenerisce,
senza che io possa farci nulla. Distolgo lo sguardo dal sovrintendente proprio
come lui ha fatto poco prima con me. Non voglio che la debolezza traspaia dai
miei occhi. Non voglio che mi consideri una sciocca o una vanesia che parla di
cose più grandi di lei, di cui, magari, nemmeno sa nulla.
Ma egli è,
invece, stranamente comprensivo. « Ti comprendo. La
morte in battaglia è la più valorosa tra tutte le morti che si possano
desiderare. Anche io la desideravo. » Sospira, come ma ho udito sospirare un
uomo prima d’ora « Ma oramai è troppo tardi per seguire i soldati. E inoltre,
come sono ora, non sarei che d’intralcio alle truppe. »
Non so come
rispondere. In realtà non so neppure se rispondere sia la cosa giusta. Il suo
modo di parlare è così suadente, dolce e gentile che qualcosa dentro di me si
scioglie, come se il gelo fosse improvvisamente raggiunto da un raggio di sole.
Mi irrigidisco: questa sensazione è per me nuova e non so cosa stia a
significare. E, stando così le cose, non posso controllarla.
« Ma tu, se
posso, mia signora, » continua intanto lui, approfittando del mio silenzio « Perché desideri una morte simile? Una fanciulla della tua
bellezza e del tuo rango dovrebbe avere aspirazioni diverse da quelle che hai
appena enumerato. »
Lo guardo
intensamente. Nel suo menzionare la mia bellezza non c’era alcun tentativo di
lusinga. Si comprende perfettamente che si tratta solamente di una semplice
considerazione. Per questo ne rimango colpita. Era semplice e diretta, non un
elaborato complimento.
« Non lo sai mio signore? »
Egli scuote la
testa « Non conosco la tua storia, Dama Eowyn, né posso dire di essere vicino a scoprire i profondi
segreti del tuo cuore. » allarga le mai in segno di resa « Del resto, se ho
tentato di conoscerli, mi hai tenuto a distanza, mia signora. »
Non rispondo né
presto troppa attenzione a quella allusione ai miei rifiuti di farmi conoscere
da lui. Non posso e non voglio riaprire un discorso che doveva rimanere chiuso
sin dall’inizio. Tuttavia non nutro rancore verso Faramir
per averlo menzionato, perché non c’è ombra di malizia o sotterfugio in lui.
Sospiro a mia
volta, non trovando le parole per provare ad insistere riguardo alla mia richiesta.
Ma lui mi
precede e parla prima che io possa obbiettare « Ad
ogni modo, mia signora, la morte in battaglia attende tutti, prima o poi.
Cambia solo il dove ed il quando. »
Il pensiero
corre velocemente a mio fratello Eomer , da solo, ad affrontare le tenebre di Sauron
e dei suoi eserciti oscuri, ad oriente. Non posso fare a meno di cedere per un
istante alle emozioni. Forse anche la gentilezza inaspettata e disarmante
dell’uomo che ho davanti mi inducono a lasciarmi andare.
Una lacrima
silenziosa scivola lungo la mia guancia sinistra e non faccio nulla per
combattere quello sciocco segno di debolezza. Chino il capo da un lato,
sovrappensiero, distogliendo lo sguardo da Faramir.
« Ma i
guaritori desiderano che rimanga a letto altri sette giorni, » dico piano. In effetti sto parlando da sola in quel momento, non con lui
« E la mia finestra non è rivolta ad oriente, dove mio fratello combatte per la
libertà ».
Mi volto a
guardare nuovamente il sovrintendente e noto che sta sorridendo. Sorride
tristemente e mi accorgo che, se possibile, la sua pietà nei miei confronti è
aumentata. Vorrei fuggire per non dover sopportare quell’umiliazione, per non
leggere la pena sul suo viso da uomo d’arme, ma
sensibile. Una parte di me mi dice che non sarei mai dovuta venire da lui.
« La tua finestra non è rivolta ad oriente? » ripete dolcemente lui
« A questo c’è facile rimedio. Darò ordini al custode affinchè
i tuoi alloggi siano spostati in questa ala delle case di guarigione. Qui
potrai volgere lo sguardo ad oriente dalla tua stanza e anche da questo
giardino, dove, se vorrai, potrai passeggiare al sole. »
C’è una strana nuova euforia nella sua voce. Non la comprendo. Ad ogni modo, le sua parole sono per me fonte di piccole gioie, perché la
vista dell’oriente mi darà modo di sentirmi vicina ai miei soldati, e ad Eomer.
Nel frattempo
prosegue « Se prometti di riposare come ordinano i
guaritori potrai avere ciò che ti sto offrendo. E se verrai qui
a camminare, sovente troverai me. » la guarda con dolcezza infinita « Allevieresti
le mie pene se trascorressi del tempo con me, passeggiando e discorrendo. »
La sua
richiesta è molto strana, anche se innocua. Mi coglie profondamente di
sorpresa, anche se mi pare di riuscire a non darlo a vedere. I nostri sguardi
si incontrano nuovamente con crescente intensità. Quale strana magia possiede
quest’uomo?
« Non desidero i discorsi dei viventi, mio signore. » dico, nel tentativo, sincero, di evitare di accontentarlo
nella sua richiesta. Infatti, sebbene lui abbia, in parte, soddisfatto i miei
bisogni, tenergli compagnia, per quanto sembra si tratti di un amabile uomo,
sarebbe per me incarico troppo gravoso. La mia anima è morta, come potrei
sopportare di curare la sua?
Faramir avanza di un altro passo. Ora è proprio davanti a
me, a breve distanza. « Ti prego, signora. » dice in un preghiera assai dignitosa eppure straziante « non te lo
chiederei se non lo desiderassi davvero. »
È sincero, o
almeno così sembra. Ma il mio cuore è dilaniato da vecchie ferite che non si saneranno
mai se non nella pace eterna e gloriosa dell’oblio.
Sostengo il suo
sguardo con fierezza, senza però essere spinosa o fredda «
E in che modo potrei alleviare io le tue pene, mio signore? »
« Vuoi la mia sincera risposta? »
Risponde con
tanta rapidità che per un attimo credo di aver immaginato le sue parole. Ma non
mi lascio intimorire o incuriosire dal suo strano comportamento. Non potevo
permettermi di cedere. Non io.
« La voglio. »
Faramir mi fissa serio, improvvisamente cupo nei suoi
lineamenti fino a quel momento sereni e forse un po’ malinconici. Un
cambiamento sorprendente.
« Allora, Eowyn di Rohan,
ti dico che sei bella. Nelle valli delle nostre colline crescono fiori belli e
splendenti e fanciulle più splendenti ancora, ma non ho veduto sinora a Gondor né fiore né dama così meravigliosa e così triste. » nella sua voce c’è un impeto appassionato, strano in un
uomo della sua tempra, seppure sensibile e gentile. «
Forse non ci restano che pochi giorni prima che l’oscurità sommerga il mondo.
Allevierebbe le pene del mio cuore se fino ad allora
potessi vederti. Siamo passati ambedue sotto le ali dell’ombra e la medesima
mano ci ha salvati. »
Le sue parole
sono uscite dalle labbra di lui come un fiume insostenibile. Rimango mio
malgrado colpita dal suo atteggiamento e dai suoi modi. Non so perché, ma c’è
qualcosa di strano in lui. Faramir di Gondor non è un uomo comune e non posso fare a meno di
ammirarlo.
« Non ha salvato me sire. » dico piano. È
la verità, però, e lui lo sente dal tono della mia voce. So che capisce che la
mia anima è perduta. Leggo la comprensione nei suoi occhi. «
Non sono io che posso aiutarti a guarire. » Mi allontano risoluta da lui,
lentamente, senza sciogliere il legame creatosi tra i nostri sguardi « Ma ti
ringrazio per i favori che mi hai accordato. »
Prima che possa
dire altro, faccio una piccola riverenza, e gli volto le spalle, lasciandolo
solo. Prima di chiudere la porta alle mie spalle, faccio attempo
a vedere un’ultima volta i suoi occhi grigi, che erano, se possibile, ancora
più profondi e tristi di quando li avevo fissati dando la mia risposta.
Lo
so che fino ad ora sono stati pochi i cambiamenti rispetto al libro…ma vi prego
di pazientare, perché era indispensabile, per adesso, mantenere una certa
somiglianza con il testo. Presto non tarderanno ad arrivare le sorprese.
Nel
frattempo vi preannuncio che ho dovuto e dovrò ancora, mantenere alcuni pezzi
dei dialoghi originali, laddove ve ne sarà bisogno, ma tutto contribuisce ad
attenersi allo scritto di Tolkien.
Ringrazio
tutti i lettori e li saluto. Spero vi piaccia il nuovo capitolo. Baci.
Primo
giorno
Il sole splende. Guardo
dalla finestra del mio nuovo alloggio e le mie labbra si stendono in un sorriso
mesto. Finalmente posso guardare ad oriente, dove Eomer
rischia di salvare la nostra patria pagando con la vita. Sarebbe una morte
gloriosa per lui, la stessa che desidero per me, ma mi genera inquietudine il
sapere che, se lui muore, io sarò sola. È una sensazione che mai ho provato
nella mia vita e mi sconvolge l’anima tormentata.
Per cancellare questi
pensieri mesti, decido di provare a fare una passeggiata nel giardino che Faramir mi ha indicato appena ieri. Chissà che non riesca a
darmi sollievo fare due passi al sole.
In cuor mio so che non
mi darà sollievo. Nulla ormai può darmi sollievo, ma abbandonarmi alla follia e
alla melanconia significherebbe per me arrendermi. Ed io non mi sono mai
arresa.
Mi abbiglio e mi pettino
con l’aiuto della mie donne. Deamna,
la più anziana decide che dovrò essere più bella del solito e io me ne domando
il motivo. Non chiedo spiegazioni, però. La lascio fare.
Mi fa indossare un abito nero con disegni d’argento. Il colore scuro fa
risaltare il pallore della mia pelle ed i colori chiari tipici della mia razza.
Ricordo molto bene quando il mio re Theoden mi regalò
questo vestito. Reprimo con fatica una nuova ondata di dolore.
Le donne mi pettinano
devotamente i capelli e li ordinano in un’elaborata acconciatura. Insisto
perché vengano lasciati quasi del tutto sciolti, come ho sempre amato, e allora
raccolgono alcune ciocche laterali intrecciandole con un filo d’argento a forma
di ramo di edera. Non posso fare a meno di sorridere. Non per me. No.
L’abbigliamento e la vanità non sono mai stati di mio interesse, meno che mai
ora che sono rinchiusa nelle case di guarigione.
Deamna e le altre si lasciano
andare ad esclamazioni di apprezzamento riguardo il
mio aspetto, ma quasi non le ascolto. Spesso mi ritrovo a divagare nei miei
pensieri, come in uno stato di trance. Deve essere colpa della melanconia.
Mi alzo in piedi, stando
attenta a non sforzare il braccio fasciato e appeso al collo. Il braccio che mi
tortura con la sua inutilità.
Esco dai miei
appartamenti e dopo pochissimo mi trovo nel cortile di cui mi ha parlato il
sovrintendente. Non lo avevo notato prima, essendo di rado uscita dalla mia
stanza, ma è davvero un luogo molto bello. Le arcate di pietra grigia sono
imponenti, ma anche aggraziate e si intrecciano con piante dai rami pendenti e
dai fiori colorati. E poi volge ad oriente!
Comincio a passeggiare
davanti alla grande balconata. Non ho nulla da fare se non questo. Ma non mi
dispiace, perché il cortile è grande e posso perdermi molto più tranquillamente
nei miei pensieri di quanto non farei nella mia stanza, circondata dalle
attenzioni di Deamna e delle sue ragazze.
Dopo alcuni minuti, non
si dire quanti esattamente, sento dei passi avvicinarsi decisi. Mi volto con
estrema lentezza e vedo che colui che sta appropinquandosi alla mia presenza è
proprio Faramir di Gondor.
Colpito dai raggi del sole sembra essere lui stesso un astro abbagliante,
nonostante i colori scuri dei suoi vestiti e dei suoi capelli. Per un attimo ne
rimango affascinata, ma subito la mia mente si estranea alla sua vista per
concentrarsi sul possibile motivo della sua venuta.
Non ci sono possibilità
oltre quella che sia venuto per passeggiare in mia compagnia. Sorride. Un
sorriso schietto, aperto, quasi da fanciullo, che contrasta con il suo aspetto
e i suoi lineamenti.
« Buongiorno, Eowyn di Rohan » dice
gentilmente, inchinandosi davanti a me « Sono contento
che tu abbia deciso di seguire il mio consiglio e di venire quindi qui. »
« Mio signore, per me
guardare ad oriente è una necessità. » rispondo io,
placida.
Egli sorride « Ma puoi ammirarlo anche dai tuoi alloggi, Bianca Dama. ».
Questa considerazione mi lascia interdetta. Non solo il signore di Gondor ha ragione, ma ha fatto la sua considerazione con
grande spontaneità. Capisco che il suo è un tentativo di pormi una domanda.
« Avevo bisogno di aria
fresca. » spiego.
Faramir mi si avvicina ancora
di qualche passo, affiancandomi e seguendo il mio sguardo oltre il balcone « Lo capisco, mia signora. Stare chiusi nella propria stanza
non è piacevole per nessuno. »
« Per me significa la
morte, mio signore. »
Le mie parole devono
colpirlo grandemente perché il suo sguardo limpido si sposta dall’orizzonte per
venire a posarsi sul mio volto. Mi guarda interdetto, curioso. È chiaro che non
si aspettava una tale precisazione da parte mia. Tuttavia non parla.
Evidentemente comprende quanto fossi seria e sincera.
Restiamo a lungo in silenzio, entrambi uno di fianco all’altro. Guardiamo
l’orizzonte senza distogliere mai lo sguardo. La sua presenza accanto a me è
quasi rassicurante. Mi sento stranamente in pace. Non so, tuttavia, se questa
sensazione sia dovuta davvero al sovrintendente oppure a me stessa. Da tempo,
infatti, ho compreso che non ha senso tormentarsi per l’esito della guerra in
corso. Mi cruccio solo della mia inerzia.
« Se posso, signora… »
comincia lui, esitante, guardando il pavimento « ho
chiesto di te. »
Mi volto verso di lui ed
incrocio i suoi occhi grigi, freddi nel colore ma caldi nella loro grande
espressività. Quanti anni può avere? Sicuramente non più di trenta.
« E cosa ti hanno detto, mio signore? » le sue parole
hanno suscitato la mia curiosità, ma si tratta di una curiosità pigra,
rassegnata. Qualunque cosa gli abbiano riferito, a me non interessa.
Mi guarda intensamente,
accennando un sorriso « Cose ammirevoli. Sono rimasto
molto sorpreso venendo a conoscenza della tua fama e delle gesta che hai
compiuto, mia signora. » mi risponde calmo, ma evidentemente ammirato « Non
avrei mai pensato a nulla del genere quando entrasti nei miei alloggi. Né
tantomeno quando mi confessasti di desiderare la morte in battaglia. » il suo
sorriso si allarga « Perché una dama della tua bellezza e del tuo coraggio non
desidera la vita? »
Stavolta sono io a
restare incantata e sorpresa delle sue parole. Non mi aspettavo certo che chi
gli avesse parlato di me gli avesse riferito ogni dettaglio del mio
combattimento. Non c’è dubbio, infatti, che lui sappia contro cosa ho
combattuto e, soprattutto, cosa ho sconfitto.
« Con chi hai parlato, mio signore? » non posso
fare a meno di domandarlo.
Faramir sorride ancora di più.
Come fa a sorridere quando l’ombra sta per invadere il mondo? « In verità, dama
Eowyn, non potrei dirtelo, ma poiché il mio
informatore è tanto vicino a te da aver guadagnato la tua stima e il tuo
affetto… » allargò le mani in segno di resa « È stato
il mezzuomo a parlarmi di te. »
Spalanco gli occhi,
sorpresa «Merry? »
« Credo sia quello il
suo nome, anche se me ha riferito uno più complicato.
»
Sta scherzando. O
meglio, sta tentando di scherzare. Evidentemente il mio piccolo amico e
compagno d’armi si è presentato con il suo nome completo. Dovevo pensarci io
stessa! Chi altri se non lui che mi fu a fianco avrebbe potuto narrare ciò che
ho fatto?
« Sei forse sorpreso mio signore? » domando con
una punta di ironia. Non ho intenzione di rispondere allo scherzo, ma solo di
indurlo ad esternare la sua incredulità. Non sarebbe certo il primo uomo a
mostrarsi scettico di fronte alle mie capacità di guerriero.
« No mia signora. »
risponde lui « Solamente ammirato. » È sincero. Posso
leggerlo nei suoi occhi. Occhi magnetici, a dire la verità. Sono io, a questo
punto, a rimanere sorpresa. Quest’uomo è così apparentemente sincero e
disponibile che non posso fare a meno di chiedermi come mai sia diventato un
guerriero. La sua tempra non smentisce quella che è la realtà, ma il suo
carattere mite e gentile si adatta maggiormente ad un uomo di pace, magari uno
studioso.
« Non capisco. » dice ad
un certo punto « Già quando ti osservavo non comprendevo come mai fossi tanto
triste, dama Eowyn. Ora ho motivi ancora più validi
per essere nel dubbio. »
« Quale dubbio ti
tormenta? » chiedo io, rendendomi conto che le sue
parole sono diventate oscure. Non ho mai amato gli enigmi. Che parli chiaro e
si esponga se lo desidera.
Lo vedo aggrottare la
fronte « Mi domando cosa ti ha spinta a desiderare la
morte. »
In un attimo, i miei
occhi si fissano nei suoi, furiosi e gelidi per la sua ostentata impertinenza.
Lo guardo in questo modo per alcuni secondi e mi sento gelare il sangue nelle
vene quando vedo che, invece di scusarsi, il suo sguardo si colma di pietà.
Vorrei cavargli gli occhi per impedirgli di guardarmi in questo modo, ma dopo
un istante appena sento la rabbia svanire magicamente per cedere il posto ad
una tiepida tranquillità.
Non posso fare altro che
rimanere ferma ad ascoltare i battiti del mio cuore. Un cuore che credevo
morto, ma che sta battendo all’impazzata.
« Non devi dirmelo per
forza, mia signora, » disse con molta calma « Ma spero
che, magari un giorno, te la sentirai di confidarti con me. »
La sua gentilezza è così
disarmante! Nonostante io ne rimanga colpita, mi sento
nuovamente raggelare. Mi chiudo in me stessa per non dover rivelare i segreti
di un’anima sofferente quale la mia è.
Faramir se ne accorge
certamente, perché i suoi occhi diventano cupi e tristi.
« Ti chiedo perdono, se
ti ho offesa o se sono stato troppo avventato a porgerti quella domanda. » si inchina solennemente, senza smettere di guardarmi.
Nelle sue iridi grigie una grande desolazione. « Devo
tornare ai miei affari. »
Si allontana rapidamente
e il mio cuore ricomincia a battere forsennatamente. È stato impertinente e
davvero avventato, come lui stesso ha detto. Tuttavia mi dispiace se il mio
comportamento gli ha causato tristezza, o motivi per imbarazzarsi.
Perché ho la sensazione
che non sia vero che aveva dei doveri da svolgere?
Deamna è molto solerte oggi. Non so se dipenda da lei,
oppure se effettivamente il mio aspetto possa dare adito a pensare che qualcosa
sia diverso da solito.
« Nulla, Deamna, »
rispondo io, gentilmente, ma con evidente noia, visto che mi ha posto questa
domanda almeno cinque volte da quando è entrata nelle mie stanze.
« Siete sicura? Sembrate pallida. »
Sorrido mestamente « Il
pallore del mio volto altro non è che una manifestazione di come la vita,
dentro di me, si stia affievolendo. »
La ragazza al mio fianco, mentre mi pettina i
lunghi capelli, ha un singhiozzo. È evidente che le mie parole l’hanno molto
turbata. Non è, come me, abituata a prendere in considerazione la morte da
quando è nata. Ho visto riportare mio padre a palazzo, morto, poi ho assistito
al lento spegnersi di mia madre, che ha dovuto
soccombere al dolore.
Ora mio zio è morto e sto per perdere anche Eomer. Io, invece, sono in gabbia. Cosa mi aspetta, se non
seguire la mia stirpe nell’oblio?
« Cosa desiderate indossare oggi,
mia signora? » mi domanda, dopo aver sistemato i miei
capelli in un’elaborata acconciatura raccolta alla base del collo.
« L’abito nero, Deamna.
» rispondo osservandomi allo specchio e stentando a riconoscermi « Il lutto è
ciò che ho sempre vissuto. Perché smettere ora? Perché non andargli incontro? »
Seno chiaramente un sospiro provenire dalla
ragazza, ma non me ne curo. So perfettamente che vorrebbe vedermi bella e
sorridente, ma ho abbandonato la possibilità di sorridere nel momento in cui
sire Aragorn ha rifiutato il mio amore.
Il braccio mi duole molto meno rispetto a ieri.
Non me ne rendo conto fino a che non indosso l’abito, dovendolo piegare su se
stesso. Ma è un miglioramento giunto troppo tardi
perché io possa seguire i soldati di mio fratello in battaglia. In verità, li
avrei seguiti anche ferita, ma, come in quel caso, neppure adesso me lo
permetterebbero.
« Cosa fate, mia signora? »
la voce di Deamna mi distoglie dai miei pensieri.
« Desidero passeggiare nel cortile, » rispondo « vedere il sole e tentare di scaldare il mio cuore al suo
calore. » So bene che non è possibile. Non ho mai
sperato in qualcosa del genere, ma non voglio turbare la mia dama più di quanto
già non sia. Mi dispiace per lei, a volte, perché le infondo tristezza, pur
senza volerlo.
« Volete che vi accompagni? »
si offre gentilmente, abbozzando un sorriso.
Mi volto a guardarla, più rapidamente di quanto
intendessi fare « No. ». La mia voce è imperiosa e non
so perché. Non ho avuto questo tono intenzionalmente e me ne rammarico nel
momento in cui vedo l’espressione gioiosa di Deamna
sgretolarsi.
« Perdonami, » dico subito, tentando di fare
ammenda per il mio strano comportamento « Ma la
solitudine mi è molto cara. »
Deamna annuisce lentamente e sembra calmarsi. In
realtà so che è ancora molto dispiaciuta. Purtroppo, però non posso alleviare
ulteriormente le sue sofferenze, perché dovrei fingere di star bene. Non ho mai
saputo fingere.
Esco dalle mie stanze chiedendomi il motivo del
mio strano comportamento di un attimo fa. Che la solitudine mi sia cara è vero,
non ci sono dubbi. Non ho mentito. Ma sono stata attraversata, poco dopo, dalla
consapevolezza che il volto di sire Faramir mi è
apparso, quando la mia dama si è offerta di farmi compagnia.
Non so spiegarmi il perché. Che sia questo il
motivo del mio strano comportamento? Forse, ma ciò che maggiormente mi
preoccupa è il motivo della mia associazione, non il mio errore.
Raggiungo il cortile camminando lentamente,
gravemente, rimuginando come sempre sul mio passato e sul presente. Il futuro
non mi preoccupa, perché so che non ce ne sarà uno. Il mondo cadrà nell’ombra
senza la guida di mio zio Theoden per il mio popolo,
e senza tutti i valorosi soldati che abbiamo perduto.
Rivolgo lo sguardo ad oriente. Darei ogni cosa
in mio possesso per godere della vista degli elfi e osservare da vicino l’esito
delle battaglie, la marcia dei soldati…. Almeno in questo modo potrei sentirmi
vicina a loro.
Il sole è sorto da poco. I suoi raggi caldi e
luminosi sono un balsamo per me. Una delle poche cose, in verità, che ancora mi
recano piacere.
Sospiro, godendo della sensazione di quel tepore
sul mio viso, senza staccare gli occhi dall’orizzonte.
« Anche io vorrei poterli vedere. » dice una voce alle mie spalle. Sussulto per la sorpresa,
ma non ho bisogno di voltarmi per sapere chi ha parlato.
Faramir di Gondor è ora
accanto a me, come appena un giorno fa. Posso sentire la sua presenza
rassicurante accanto a me, come un appiglio sicuro in caso di necessità. È una
sensazione che mi è nuova, perché non ho mai cercato sostegno, né ne ho mai
sentito il bisogno.
« So che mi sarebbe di conforto » rispondo io,
chiedendomi, però come abbia fatto ad indovinare i miei pensieri. Ci voltiamo
l’uno verso l’altro quasi contemporaneamente. Sire Faramir sembra pensieroso, ma sorride sempre. Anche ora.
Come può un uomo come lui riuscire a sorridere in un’ora così buia? Dovrebbe
soffrire della mia stessa melanconia.
« È normale desiderare ciò, mia signora. » annuisce scrutandomi il volto. Ha uno strano sguardo « Lo stesso provo io, osservando da lontano l’orizzonte e
potendo fare affidamento solo alla mia immaginazione per indovinare cosa accade
ai nostri. »
« Però non possiamo. »
come mai ho parlato al plurale? Perché mi sono riferita ad entrambi?
Faramir allarga le mani in un gesto rassegnato
d’impotenza « No, mia signora, non possiamo. » sospira
« Ma questo non significa che non possiamo sentirci vicini a loro. »
Le sue parole sono così calme! Riesce a trovare
qualcosa di rassicurante in ogni situazione. È un dono che non ho mai posseduto
e che ricordo di non avere neppure mai potuto osservare.
« Credi che ci sentano,
mio signore? » chiedo, incapace di non porgli quella domanda « Credi davvero
che i nostri soldati, in battaglia, sentano che il loro popolo, Noi, riponiamo
in loro la nostra fiducia? »
« Non dovresti saperlo,
dama Eowyn? » mi domanda in risposta « Non sei forse
tu andata in battaglia come i più valorosi degli uomini? »
« È vero, sire, ma quando scesi in battaglia, il
mio cuore era altrove. Non avevo tempo di prestare attenzione a sensazione
alcuna. »
Ciò che gli ho rivelato è la verità. Quello che
però mi stordisce e mi lascia in confusione è il fatto stesso che glie lo abbia
rivelato. Chi è lui, signore di Gondor, capace di
indovinare i segreti pensieri del mio cuore?
Non posso che sentirmi priva di difese in sua
presenza, eppure ciò mi causa rabbia e piacere insieme.
« Vogliamo camminare, dama Eowyn?
» mi propone, facendo per primo alcuni passi. Lo seguo
senza esitazione, guardando nei suoi occhi gentili. È un uomo molto strano, il
sovrintendente di Gondor.
Facciamo molti passi in silenzio, ma io mi
accorgo che molto spesso i suoi occhi indugiano sul mio volto e sulla mia
figura. Indugiano gentili, curiosi, non impertinenti. Il suo è uno sguardo che
pesa.
« Posso chiedere, mia
signora? » domanda a voce bassa dopo alcuni istanti.
Mi volto verso di lui «
Cosa, sire? »
« Mi domandavo, come mai porti i colori del
lutto. » Possiede una disarmante sincerità. È una
sincerità rispettosa, ma mi suscita lo stesso disagio.
Cosa mai potrei rispondere, se non la verità?
« La mia vita è stata un unico, intenso lutto. »
I suoi occhi diventano tristi «
Anche la mia, dama Eowyn. Posso capire il tuo dolore.
»
Stavolta sono io ad essere incuriosita dalle sue
parole. Se ha chiesto di me a Merry, sono sicura che ha appreso anche le mie numerose perdite, ma lui? Chi mai
avrà perduto, lui?
« Davvero, mio signore? »
« Si. » risponde senza
vergogna o riservatezza « Mia madre, la cui morte fece quasi impazzire mio
padre, mio fratello maggiore e mio padre stesso. »
« Tuo fratello sire? »
gli domando.
Per un attimo i suoi occhi si velano di
tristezza. È un momento che passa subito, ma non posso fare a meno di
dispiacermene. Non avevao mai pensato di vedere gli
occhi di quest’uomo, sempre così buoni e gentili, esprimere dolore.
« Si, mia signora. » si sta confidando con me. Quasi non posso crederlo, visto
che so che io, probabilmente, non avrei fatto la stessa cosa con lui. No. Non
lo avrei fatto di certo. « Avevo un fratello, che mi
superava in età di cinque anni. Egli era il prediletto di mio padre, sire Denethor, ed era il soldato più nobile e valoroso di questa terra. Il Capitano della Torre Bianca. L’erede. Lo
amavo molto e quando ci giunse la notizia della sua scomparsa, seguita, in
seguito dal ritrovamento del suo corno, spezzato, una parte di me è morta con
lui. » sospira profondamente « Boromir era il suo
nome. Se lo avessi conosciuto, mia signora, sono certo che lo avresti ammirato.
»
Continuiamo a passeggiare silenziosamente.
Mentre raccontava quella triste storia, c’era davvero grande pena nella sua
voce. Mi stupisce, quanto sia complessa e strana l’anima di quest’uomo. Quanti
anni può avere? Trenta? Certo non più di trentatre. Eppure c’è grande saggezza
nel suo cuore. Lo avrebbe detto anche il mio signore e zio, Theoden,
se lo avesse incontrato.
« Sono certa che tuo fratello era un uomo
valoroso, mio signore. » non posso fare a meno di
dirlo. E forse, almeno un po’, lo penso. « D’altra
parte, siete dello stesso sangue. »
Non so cosa mi abbia spinto a parlare in maniera
tanto ardita, né faccio in tempo ad interrogarmi a riguardo, perché l’uomo che
passeggia al mio fianco si volta verso di me e mi rivolge un sorriso aperto,
sinceramente felice e commosso per il mio, seppure involontario, complimento.
« Mi rendi grande onore, dama Eowyn.
» mi ringrazia « Ma temo che mio padre avesse ragione nel credere che fosse Boromir il figlio con maggiore coraggio. »
« Tuo padre, sire, ti amava certamente. Non
confondere una predilezione, seppure sbagliata e distorta dalla follia, con la
mancanza d’amore. » Ho sentito di ciò che è accaduto
al vecchio sovrintendente. Deamna è stata davvero un’ ottima informatrice. Non che avessi espresso desiderio
di conoscenza di questi fatti, ma ella, in buona fede e notando le attenzioni
di sire Faramir verso di me, ha voluto che io
sapessi.
Se prima le mie parole lo hanno fatto
compiacere, ora egli è commosso. Vedo chiaramente le lacrime affacciarsi ai
suoi occhi di tempesta, mentre mi guarda. Il suo sguardo, in questo momento, mi
fa sentire piccola e insignificante, perché è carico di un sentimento grande
quanto la stessa terra.
« Ti chiedo perdono,
sire, se ti ho mancato di rispetto con le mie parole. »
Non posso fare a meno di scusarmi.
Faramir si ferma e mi guarda, ancora commosso, begli
occhi, intensamente.
« Mia signora, » la sua voce è grave, solenne,
ma incredibilmente dolce « Le tue parole sono piene di
saggezza, non comune in una fanciulla della tua giovane età. Mi hanno placato.
Per questo ti ringrazio e ti sarò per sempre debitore. »
È sincero. Posso vederlo. E sento le mie gambe tremare alla vista di un uomo
della sua tempra sillabare quelle semplici parole. Che mi sta accadendo? Certo
non posso essere io la fanciulla che rabbrividisce sotto il peso di uno
sguardo, quando non teme né lancia né spada.
« Non parliamo di debiti, in quest’ora buia,
sire. » dico io di rimando « Perché, in ogni caso, non siamo neppure certi che
avremo modo di pagarli. »
Faramir si rabbuia un po’, ma presto ritorna sereno, la
fronte ampia spianata e solcata da un’unica ruga orizzontale nel mezzo. Il suo
è un volto amico. Non riesce difficile imparare ad amarlo.
Amore? In tutte le forme in cui ho avuto modo di
rovarlo, ora è morto, dentro di me. Perché ho usato
questa parola non so spiegarmi, ma non è il momento in cui interrogarsi su
sciocchezze del genere.
« Il tuo braccio sta guarendo? »
mi domanda premuroso e visibilmente interessato.
« Migliora, sire, ma ho paura che occorrerà
ancora qualche giorno prima che possa tornare ad usarlo. »
Avevo dimenticato, per un attimo, quanto il mio inutile braccio mi fosse di
peso. Ma so che dalla realtà non si può fuggire. Né la fuga è un atto
onorevole.
Il sovrintendente annuisce ed abbozza un sorriso
comprensivo « È ovvio, mia signora. » dice pacato « Il
tempo deve fare il suo corso perché le ferite si rimarginino. »
Un ombra scura mi attraversa lo sguardo,
solitamente limpido « Ci sono ferite, Faramir di Gondor, che neppure il tempo può sanare. ».
Senza dubbio comprende che non sono le ferite di
guerra quelle a cui mi riferisco. Lo so, perché si riaccende la pietà nei suoi
occhi. Vorrei fuggire da quello sguardo. È la prima volta che desidero mettermi
in salvo in questo riprovevole modo.
Il sapere, poi, che si tratta solo di uno
sguardo, quello da cui voglio scappare, mi riempie di vergogna. Cerco di
mantenere la calma, ma mi riesce difficile. Cosa mi ha fatto quest’uomo?
Nessuno mai mi ha messo in difficoltà.
« Dama Eowyn, » la sua
voce è troppo gentile. Troppo rassicurante e straziante. Pietà. Pietà anche
nella voce. « Non essere triste, perché sei una
fanciulla di grande coraggio e incredibile forza. » mi guardò più intensamente,
sicuro e serio « Sconfiggerai il tuo dolore così come hai sconfitto il Nazgul. »
Non posso che restare muta davanti a tanta
fiducia, a tanta ammirazione. Lo guardo a mia volta e, oltre alla pietà, scorgo
una stranissima tenerezza. Lo sguardo che ha adesso è molto, molto simile a
quelli che mi rivolgeva quando passeggiavo nel cortile ovest. Anche allora il
suo sguardo pesava su di me.
« Non so se il mio destino è quello di
sopravvivere all’Ombra. » sospiro.
« Invece si. » mi
corregge con un improvviso impeto « Mia signora.. »
continua, poi, più dolcemente. « Se il mondo degli uomini
non è destinato a cadere, non sarà certo per il dolore che tu appassirai. »
« E dunque per cosa, uomo di Gondor?
»
Sorride. Perché sorride se stiamo parlando della
mia morte? Forse che trova l’oblio qualcosa di cui avere burla?
Se possibile, vedendo la mia incredulità, il suo
sorriso si allarga « Tu morirai tra moltissimi anni,
quando vecchia e stanca, sentirai che il tuo posto non è più in questo mondo. »
non riesco a comprendere ancora le sue parole «Ti spegnerai quando l’amore di tuo
marito sarà a confortarti, oppure egli ti osserverà insieme agli spiriti della
tua stirpe.
E avrai molti eredi intorno a te, belli, fieri e
splendenti come te, Bianca Dama. »
Non ho parole per rispondergli. Un futuro dl
genere l’ho immaginato una sola volta in tutta la mia vita: quando speravo
nell’amore di sire Aragorn.
Ma evidentemente, non è il futuro che mi
aspetta.
« Come puoi dire questi, sire? »
Si stringe nelle spalle. « Semplicemente lo credo, mia signora. »
Continuiamo a camminare, senza parlare,
rivolgendo sovente i nostri sguardi ad oriente. Eomer
starà già combattendo? No, non credo. Ancora non è il momento.
Passano i minuti, lenti ed inesorabili e io non
sento altro che non siano i miei sospiri malinconici. Sire Faramir,
invece, sembra sereno anche ora. Non rimugina. Non è caduto preda della
melanconia. Non lui. Che sia vero chenon posso essere alla pari di un uomo?
È per la mia natura di donna che sono in questo stato, ora?
« Mia signora? » mi chiama dopo un po’. « Vorrei
farti una domanda. »
Mi volto a guardarlo. È una risposta sufficiente
per lui, che prosegue.
« Non vorresti sedere al mio fianco, questa sera,
quando gli uomini valorosi della terra di mezzo che si trovano qui si
riuniranno al banchetto? »
Ricordo che mi è stata fatta già una volta una
domanda simile. Ricordo anche di come ho rifiutato il suo invito, indispettita
e forse offesa dai suoi sguardi tanto nuovo e strani
per me.
« Già una volta mi hai chiesto ciò, sire. »
« È vero. Ma te lo chiedo ancora,
dama Eowyn. » sorride
ancora. Il suo aperto, irriducibile sorriso « E sta a te, ora decidere se
rifiutare ancora »
Dunque non ha dimenticato. Però, come quando
l’ho incontrato personalmente la prima volta, non mi incolpa né sembra messo a
disagio dai miei rifiuti. Forse mi comprende più di quanto non sembri.
Vale la pena di tentare, allora. Me ne pentirò?
« Accetto, mio signore, e ti ringrazio. » chino il capo in segno di rispetto e di ringraziamento.
Egli sorride, felice. Cosa mai avrò detto per causargli tanta gioia?
« Mi rendi felice mia signora. »
È come pensavo, allora. Da cosa di pende tanto entusiasmo? Stavolta, non so per quale motivo,
l’istinto mi impone di non fare domande al riguardo.
Fatemi sapere se vi è piaciuto. Saluti e baci a
tutti e in particolare a chi ha questa storia tra i preferiti.
Rue Meridianmi piacerebbe se mi facessi sapere che
ne pensi.
Ho partecipato a numerosi banchetti, ma mai prima
d’ora ho pensato di poter essere nervosa all’idea. Devo ricredermi,
stranamente.
Non so che cosa mi stia accadendo e la cosa mi
infastidisce. Quando si è abituati ad avere sempre il controllo della
situazione e ad essere temuti e rispettati, nonostante si sia donna, queste
emozioni che mi stanno invadendo non sono facili da comprendere o da accettare.
Sono nei miei appartamenti ed attendo che arrivi Deamna con le altre ragazze. Vengono ogni sera nella
speranza che dica loro di non avere intenzione di cenare da sola.
Almeno per questa volta, potrò accontentarle.
Non passa molto tempo e vedo che la porta della stanza
si apre. La figura di Deamna e delle
a,tre ragazze compare davanti a me.
« Mia signora… » comincia a dire la più anziana «
Anche questa sera… » so già che cosa sta per dire. Mi sta domandando, appunto,
se anche questa volta desidero cenare in solitudine.
La interrompo « No. » Il tono della mia voce è quasi apatico. Mostra decisione,
ma è flebile e non mostra entusiasmo. Forse è per questo che la mia dama non
capisce subito cosa intendo.
« Cosa volete dire? » mi
domanda.
Sospiro « Sire Faramir ha richiesto la mia presenza al banchetto, questa
sera. » Anche stavolta, niente entusiasmo.
Almeno da parte mia.
Infatti, vedo che Deamna
sorride e ostenta un’espressione di pura, raggiante gioia. Le ragazze dietro di
lei sorridono e ridacchiano compiaciute.
« Oh, mia signora! » esclama Deamna
« ma è magnifico! »
Sospiro, senza sorridere, seria e cupa « Suppongo che lo sia. »
In verità, non credo che comprenderò mai tanto
interesse per questo genere di cose. Non sono mai stati argomenti che mi hanno
interessata, gli amori, i pettegolezzi, gli inviti…. Ma sono certa che è di
questo che si tratta, nel mio caso?
No. Non lo sono.
Il solo modo per scoprire come sarà partecipare a
questo banchetto, è solo il parteciparvi. Ma come farò senza la presenza del
mio sire? Theoden, mio zio, è sempre stato la prima
persona verso la quale rivolgevo lo sguardo, in simili occasioni. Il mio
pilastro, colui che più di tutti amavo ed ammiravo. Nessun uomo di Rohan lo eguaglierà mai.
La voce di Deamna richiama
nuovamente la mia attenzione.
« Vi renderò talmente bella, mia signora, che
abbaglierete la sala al solo vostro ingresso. » La sua
voce era bassa ed eccitata. Sebbene provassi, mio malgrado, un certo
compiacimento, nell’invito di Faramir, non condividevo il suo stato d’animo, né la sua agitazione.
« Ti prego,Deamna. Preferirei non cambiarmi. » dissi subito, cancellando
gran parte del suo entusiasmo « Solo… non vorresti sciogliere i miei capelli? »
Mi dispiace di vedere scomparire lentamente il suo
sorriso, ma non posso fare a meno di farle eseguire ciò che ho domandato. Il
nero, oggi, è il solo colore con il quale mi sento a mio agio, senza contare
che il mio braccio risentirebbe di un ulteriore cambio d’abito.
Osservo la mia immagine allo specchio, mentre le mie
dame sciolgono la complicata acconciatura dei miei capelli, per lasciarli
ricadere morbidi sulla mia schiena. In breve, non sono altro che una cascata di
onde dorate che mi accarezza le spalle ed il volto.
Indugio ancora un momento sulla mia immagine,
studiandomi con più attenzione del solito. Non è per civetteria, credo sia solo
curiosità. È una curiosità improvvisa, ma solo curiosità. O forse no?
Sono sempre stata molto pallida, nonostante amassi
molto le cavalcate al sole e le passeggiate estive. Il colore della mia pelle
eguaglia quasi lo splendore delle donne elfiche. I miei occhi, che una volt erano pozzi azzurri che mandavano lampi di
fierezza, mi restituiscono pigramente lo sguardo. Sono un eterno contrasto tra
i colori della mia persona e l’abito che porto. Potrei essere l’incarnazione
dello spirito del lutto e della morte.
Mi alzo in piedi, elegantemente, uscendo dai miei
appartamenti, seguita dalle mie dame. Evidentemente hanno deciso di farmi da
scorta fino a che non raggiungerò la sala dei banchetti.
Il mio incedere è lento, ma
deciso. A dire il vero, mi sembra quasi di non toccare terra, mentre avanzo.
Ripenso alla mia immagine allo specchio.
Dicevano che
ero bella, nella mia terra. Lo sono mai stata? Lo sono ancora? Ma ha
importanza?
Forse.
No.
Sire Faramir ha detto che lo
sono, quando ci siamo incontrati personalmente la prima volta.
Ricordo perfettamente le sue parole. Mi ha definita
più bella di tutte le fanciulle gondoriane. Non mi
sono mai preoccupata della competizione con le altre donne del mio paese. La
sola volta in cui ho temuto di essere inferiore rispetto a qualcun’ altra… Ah,
come ricordo bene quella volta!... È stato il giorno
in cui, mentre viaggiavo con la mia gente verso il fosso di Helm,
appresi, vedendo il gioiello che portava al collo, che sire Aragorn
aveva donato il suo cuore a qualcuna.
Ma anche allora, sapevo che nessuna donna mi avrebbe
eguagliato: io sapevo combattere come e meglio di un uomo. La bellezza era cosa
inutile quando si doveva fronteggiare un nemico.
Ma non se si vuole essere amati.
Sono dunque mai stata bella?
Non lo so.
« Siamo arrivate, mia signora. »Deamna mi conduce davanti ad una porta molto grande,
simile ad un portone, più che ad un semplice ingresso di una sala. Sospiro
profondamente, poi raddrizzo le spalle, mentre due delle mie dame spalancano la
porta per permettermi di entrare.
Non appena varco la soglia, cento sguardi si posano su
di me. Forse di più.
La stanza era molto grande, spaziosa e illuminata da
numerose candele e torce. AL centro, un tavolo rettangolare molto lungo e
ampio, dove erano seduti gli uomini più valorosi, tra quelli che erano dovuti
restare a MinasTirith, a
causa di ferite gravi. Nonostante fossero in tanti, notai dei posti lasciati
vuoti, probabilmente in attesa di altri commensali.
Alcuni dei soldati, evidentemente uomini della città,
avevano accanto a loro delle dame. Le loro spose. Tutte erano belle e tristi,
agghindate e docili, dolci e remissive. I loro sguardi si posarono su di me
quanto quelli degli uomini. E proprio dai loro sguardi, compresi che dovevo
essere una singolare visione.
O forse, semplicemente, non erano abituati a colori
tanti chiari quanto i miei. La mia pelle sembra brillare contro il nero del mio
semplice abito.
Rimango ferma, finchè non lo
vedo.
Sire Faramir è seduto a
capotavola, con in mano un calice pieno. Mi fissa come
il resto dei presenti, ma quasi subito si alza per venirmi incontro. Non appena
mi è davanti, sorride e si inchina profondamente.
Ancora una volta il suo sorriso mi colpisce, perché è
spontaneo, privo di qualunque artificio dettato dalla cortesia o dalle buone
maniere. È solo felice di vedermi.
Non sorrido a mia volta, ma sento il mio cuore battere
più forte mentre mi inchino dopo di lui. Senza attendere oltre, mi porge la
mano, tenendola ferma a mezz’aria, ed io vi poggio la mia, leggermente.
Tenendomi così, mi porta dietro il posto da lui occupato a capotavola,
tenendomi al suo fianco.
Nemmeno adesso gli sguardi si spostano da me.
« Signori! » dice solennemente Faramir
« Dame e uomini d’arme! Costei è Dama Eowyn di Rohan. Questa sera siederà con noi, in attesa dell’avvento
dell’ombra o della luce.
Ella è la ragione della nostra ultima vittoria… »
Lo guardo sorpresa da ciò che sta rivelando, da come
lo sta rivelando. Perché nella sua voce sento l’orgoglio.
« Ella ha combattuto al fianco della sua gente, con
valore e coraggio. La sua abilità e forza d’animo superano quella di molti
uomini, anche la mia. E fu lei ad abbattere il Nazgul.
» A quella rivelazione si alza un sinistro ed indesiderato mormorio, spento
solo dalle successive parole del sovrintendente « Se non fosse stato per lei,
non saremmo qui, ad attendere e sperare. Ammiratela, dunque, quanti io
l’ammiro, ed accoglietela tra di voi con rispetto e gioia. »
Si ferma un istante, per riprendere in mano il calice che aveva prima di venire
da me. Lo leva alto, affinchè tutti potessero vedere
il suo gesto « Vi chiedo, ora, uomini, fedeli sudditi
di Gondor, di brindare con me. Beviamo alla salute di
Dama Eowyn di Rohan… » porta
il calice alla bocca, mentre il mio cuore batte all’impazzata «… Colei che ha
salvato il mondo degli uomini! »
Si leva un grido di entusiasmo, mentre tutti brindano
alla ma salute. Non posso fare a meno di commuovermi e abbozzare un sorriso. La
fama che avevo sempre desiderato, sempre bramato, mi era stata offerta proprio
ora, in presenza di tutti i più valorosi e potenti soldati scampati al
pericolo.
Uomini valorosi e fieri, che hanno brindato ad una
donna. A me.
Mi volto verso Faramir,
rivolgendomi quasi senza accorgermene uno sguardo di gratitudine infinita. Per
un attimo, non sono più l’incarnazione del dolore e della morte, ma la Bianca Dama di Rohan. Per un attimo, sono di nuovo la dolce e determinata
fanciulla d’arme, che aveva speranze e sogno di gloria. Una gloria che
finalmente era mia.
Quando il brindisi termina, mi rendo conto che è
giunto il momento di prendere posto. Ai lati del posto a capotavola, dove siede
Faramir in quanto sovrintendente di Gondor, ci sono due posti liberi. Uno a sinistra ed uno a
destra.
So bene che i posti a sinistra del capotavola sono
riservati alle donne, solitamente alla moglie e alle figlie di colui che
presenzia al banchetto, mentre quelli a desta, a scalare, sono per coloro che
si sono distinti in battaglia, per il braccio destro del signore della città, o
del padrone di casa. Questo è l’ordine. Questo è giusto.
Faccio per dirigermi verso il posto a sinistra, maFaramir mi ferma
gentilmente, trattenendomi per il braccio sano.
Ci guardiamo per un attimo, lui serio, io curiosa,
confusa. Un attimo dopo egli mi impone di sedermi al
suo fianco, ma a destra. Gesto, questo, che suscita l’attenzione di tutti i
presenti, nuovamente. Io non posso fare a meno di apprezzare ciò che sta
facendo per me, e non mi preoccupo di cosa vuole comunicarmi il suo sguardo
intenso. Non ancora.
Pero ora, il sapere che mi stima al punto di
consegnarmi la gloria che mi spetta e di consegnarmi il posto d’onore di un
uomo mi basta.
Il mio cuore continua a battere forsennatamente e il
mio pensiero si rivolge a mio zio. Se davvero i suoi occhi sono su di me,
insieme a quelli di mio padre, allora so che è fiero di me. In fondo, lo è
sempre stato.
Per lui ero una figlia ed una sorella, insieme.
Gli occhi grigi e profondi di sire Faramir
mi distolgono dai miei pensieri. Mi guarda come faceva prima di incontrarmi.
Non riconosco questo sguardo come non lo riconobbi allora, ma per ciò che ha
fatto per me, non posso che sorridergli, provando un moto d’affetto, per un
attimo.
Vedendo il mio sorriso, sorride a sua volta, con una
gioia disarmante e tenerezza negli occhi. Stavolta la sua è una tenerezza
libera dalla pietà. Non avrei resistito, sapendo che aveva agito per pietà. Non
so perché, ma sento che è così.
Durante tutto il banchetto, i suoi occhi mi
abbandonano per poche volte. Sono come due calamite, due carboni ardenti che
spesso non posso fare a meno di guardare.
Converso con i commensali, che si rivelano molto
interessati alle mie avventure, alla mia vita e alla mia terra. Mi mantengo
riservata, ma parlo amabilmente e con piacere.
Faramir continua a guardarmi.
Io lo guardo a mia volta.
Non so riconoscere il suo sguardo, ma dai suoi occhi
capisco di essere bella. Non so perché, visto che non possiedono il desiderio
osceno di Grima, che mi voleva per sé come bottino di
guerra, se mio zio fosse caduto sotto la mano di Sauron.
Eppure, so che sono bella.
E sotto quello sguardo, per una sera, una sera intera,
la mia melanconia sparisce e posso essere Eowyn.
Solamente Eowyn.
Che mi dite? Vi è piaciuto? Spero di si e mi auguro che le recensioni siano numerose. Mi piace
quando ricevo commenti, sia positivi che negativi.
Perdonate gli eventuali errori.
Un saluto speciale a sole a mezzanotte che ha messo la
storia nei preferiti. Spero che lascerai un commento.
Ringrazio anche tutti gli altri fedeli
che seguono la storia. Bacioni.
Siedo nei miei alloggi, guardandomi allo specchio e
cercando di comprendere il senso di solitudine e di oppressione che mi pervade.
L’immagine che ricambia il mio sguardo è sempre quella della stessa fanciulla
d’arme che ho amato. In cui mi sono sempre riconosciuta.
Ora non mi riconosco, perché il mio sguardo è
nuovamente vacuo, assente. Ma non per la melanconia. Non per la stessa, almeno.
Ieri ciò che ho provato al banchetto è stato qualcosa
di indescrivibile, memorabile, ma ora che sono qui,
che aspetto, tutto mi sembra di nuovo senza importanza.
Ma aspetto cosa?
Purtroppo una parte di me, anche se piccola, sa darmi
una risposta. Attendo che sire Faramir venga a farmi
visita.
Quest’oggi, ho passeggiato spesso nel cortile, sperando
che lui mi raggiungesse, come ha sempre fatto negli ultimi giorni, ma non è
venuto. Né stamane, né nel pomeriggio.
Perché?
Mi sono rintanata qui nelle mie stanze perché
improvvisamente, dopo aver atteso invano, mi è sembrato che tutto attorno a me
fosse inadeguato. Il sole pareva troppo luminoso, le piante troppo rigogliose.
Follia.
Per questo mi sono rintanata qui.
Rintanata. Una parola ignobile, ma non ne trovo una
più adatta. Ho avuto paura di qualcosa che neppure ora so definire e per
codardia ho preferito fuggire. La codardia è venuta anche da me, dunque, ed io
ho scoperto di non esserne immune come credevo.
Afferro la spazzola di crine che sta davanti a me,
appoggiata alla mensola dello specchio. Comincio a spazzolarmi i capelli, con
movimento lento e quasi ritmico. Mi sembra di tranquillizzarmi facendo così.
Non ho neppure voluto chiamare Deamna e le altre
donne per svolgere questi compiti riguardanti la mia cura personale. Non voglio
vedere nessuno.
Ma so che accetterei di vedere lui.
Il sovrintendente di Gondor
ha ottenuto l’accesso alla mia anima senza che io me ne rendessi conto. Quando
gli ho accordato questo permesso? Non lo so, ma devo averlo fatto, perché il
mio cuore è sempre stato immune, intoccabile dagli altri e irraggiungibile per
chiunque tranne che per mio zio, mio fratello e mio cugino. Due di loro sono
oramai defunti ed Eomer corre gravi pericoli senza
che io possa essere al suo fianco.
Nessuno può aiutarmi, consolarmi.
Nessuno tranne sire Faramir.
Improvvisamente avverto un rumore. Smetto di
spazzolarmi i capelli e mi volto, guardinga, cercandone la fonte.
Il suono si ripete e mi rilasso sulla sedia, tornando
finalmente a respirare. Qualcuno sta bussando alla mia porta, lievemente.
« Avanti. » dico fermamente.
La porta si apre con un lieve cigolio e compara
davanti a me Deamna. I suoi occhi neri brillano di felicità trattenuta e noto sul suo volto qualcosa di
diverso. È come se fosse raggiante.
« Mia signora… » comincia a parlare ma esita. Mi
domando come mai, ma la incalzo senza indugiare oltre nei miei sospetti.
« Va avanti, deamna. »
Fa un passo avanti « Ecco…mi
chiedevo, mia signora, se poteste pare a meno della mia presenza, domani. »
La sua richiesta, per quanto innocente, mi coglie di
sorpresa. Che sia accaduto qualcosa? Il suo sguardo non mi mente al riguardo.
Come indovinando il mio interrogativo, ella prosegue «
Vedete, il mio sposo è fuori pericolo, il guaritore ha detto che la febbre è
passata ed io pensavo… forse, mia signora… »
« Desideri trascorrere la giornata con lui. » la anticipo. Sapevo che il marito della mia dama di
compagnia era tornato gravemente ferito dall’ultima battaglia. La morte aveva
avuto quasi la meglio su di lui. Sebbene Deamna
ostentasse allegria e ottimismo in mia presenza era chiaro ai miei occhi quanto
fosse preoccupata per lui.
Abbassò lo sguardo, imbarazzata « Si,
mia signora, è così. »
Sospiro sommessamente, prima di darle il mio consenso.
Se le sue parole mi hanno fatto provare immensa gioia per la sua felicità, mi
avevano anche riportato alla mente Faramir di Gondor, che mi aveva abbandonata sola con i miei fantasmi,
quest’oggi, dopo avermi regalato la gloria, appena ieri sera.
« Non hai da essere timida, Deamna
» la rassicuro « Puoi stare con tuo marito tutto il
tempo che desideri, domani e anche oltre. »
Evidentemente felice, si illumina di un sorriso quasi
insostenibile a guardarsi. Mi ringrazia brevemente, ma adeguatamente e poi mi
volta le spalle, per uscire.
Poco prima di attraversare la soglia della porta,
però, si volta e torna indietro.
« Perdonatemi, Dama Eowyn. » dice, come improvvisamente memore di qualcosa « Mi
avevano ordinato di consegnarle questo. » mi porse un
messaggio arrotolato su se stesso, come i dispacci che i soldati facevano
pervenire ai re durante le guerre.
Mentre la vedo allontanarsi di fretta, non meno felice
di prima, apro il messaggio e, leggendo, il mio cuore batte più forte.
Sire Faramir mi informa che
il motivo della sua assenza nel cortile è stato causato da necessarie questioni
militari da sbrigare, seguite da un lancinante, sebbene innocuo dolore al
braccio che aveva riportato la ferita in battaglia. Sorrido involontariamente
nel momento in cui leggo le ultime righe, dove scrive che non si è dimenticato
di me e che sarebbe onorato della mia compagnia per la mattina successiva.
Rileggo ogni parola con cura, sempre sorridendo e
cominciando a pensare che, forse, dopotutto, non sono di nuovo sola come
credevo.
Sire Faramir
mi attende certamente nel cortile, come mi ha anticipato nel suo messaggio.
Stranamente l’idea di raggiungerlo mi colma di pace e serenità. Sono quasi
felice all’idea di poter trascorrere del tempo in sua compagnia.
Felice io?
Dimentico forse l’ora buia in cui
si decideranno i nostri destini? Come posso essere felice adesso? Per quanto io
cerchi di farmi forza, ripetendomi che non ho ragione per trovare la serenità,
non riesco ad imporre al mio cuore la mia volontà. Ciò mi colma di meraviglia.
Tuttavia, non ho tempo di pensare
al motivo del mio insuccesso, perché il sovrintendente mi attende certamente
già da alcuni minuti. Con un respiro profondo, esco dai miei appartamenti e
procedo in direzione del cortile che già mi è familiare. Ho scelto un semplice
abito di un morbido tessuto grigio ferro. Se avesse avuto una sfumatura di
azzurro, avrebbe ricordato il colore dei miei occhi freddi come il ghiaccio. Ma
sono gli occhi di sire Faramir che, invece, mi
rammenta.
Ho posto attorno alle mie spalle
uno scialle di grezzo cotone nero, perché l’aria del mattino è fredda, molto
fredda. Credo che il vento del Nord stia cominciando a giungere dalle montagne
ad ovest. Posso quasi sentire il suo sussurro, mentre scompiglia i miei capelli
sciolti.
Non devo camminare a lungo, perché
lo vedo. È, come spesso accade quando mi attende, assorto nel contemplare la
vallata su cui sorge questa strana e bella città, oltre la montagna. Il suo
sguardo è assente e pensieroso, ma, nel vedermi, sorride immediatamente. Quando
si concede di sorridere, il suo volto si illumina. Accade lo stesso quando
sorrido io?
Mi tende una mano, invitandomi a
raggiungere il suo fianco, per guardare ad ovest, insieme a lui.
Come prima del nostro incontro, i
suoi occhi indugiano sulla mia figura ostentando un’espressione indecifrabile.
Sebbene ancora non abbia trovato un’adeguata interpretazione, stavolta mi
provoca piacere, non disagio o sdegno.
« Benvenuta, Dama Eowyn. » mi accoglie mentre
afferro saldamente la sua mano. « Ti aspettavo. »
Chino il capo, salutandolo
rispettosamente a mia volta «Ti chiedo perdono, sire.
Non era mia intenzione farmi attendere. »
Ride. Un suono limpido e
cristallino, anche se molto breve. Terminata la risata, rivolge a me il suo
sguardo, con dolcezza infinita e dice: « Non chiedere
mai perdono a me, Eowyn di Rohan,
perché non lo merito e perché tu sei nata per comandare. Il tuo dovere è
ascoltare scuse, non pronunciarle. »
Rimango mio malgrado impressionata
dalle sue parole. Mai nessuno si era rivolto così a me. Nessuno tranne il mio
defunto zio e sovrano. Di certo non un estraneo.
Eppure, per qualche ragione, sento
che lui non è più un estraneo.
« Stavo osservando il confine ad
ovest. » mi spiega, distogliendo lo sguardo da me. « Mio fratello lo faceva sempre in tempo di guerra. »
Posso sentire la malinconia nella
sua voce come se fosse palpabile.
« Tuo fratello, sire, è morto. Tu
sei vivo. Lui non era migliore di te. » Non tremo più
nel parlare così. Sento che da tempo tra noi si è venuta a creare una
confidenza che credevo impossibile.
« Le tue parole mi rendono grande
onore, mia signora, ma temo che siano mal riposte. »
Mi colpisce il suo modo di
pronunciare questa frase. Non v’è traccia di falsa modestia in lui, né, del
resto, di tristezza. Si schernisce e si denigra con la massima convinzione e
dignità. Mi domando se riesca mai a vedersi da uomo grandioso quale è.
« Ma basta parlare di tristezza e di
morte. » dice improvvisamente, voltandosi verso di me « Sembrano argomenti del
tutto inopportuni quando ho la fortuna di averti al mio fianco, dama Eowyn. » Sorride debolmente, ma i
suoi occhi grigi brillano di una strana luce interna. I suoi complimenti non
sono affettati, ma sinceri. Dai suoi occhi vedo chiaramente che pensa davvero
ciò che dice.
Onorata dalle sue parole, non posso
fare a meno di rispondere, seppure debolmente, al suo sorriso. Vedendo questo
mio gesto, si illumina ancora di più, e riesco quasi a vedere il ragazzo che è
stato, attraverso la maschera di uomo d’armi. La sua persona è un enigma per
me. Sembra l’incarnazione stessa del comando e dell’imperiosità, almeno quanto
sire Aragorn - il mio cuore palpita debolmente al suo
ricordo – eppure qualcosa in lui suggerisce che la vita del soldato non era
quella che maggiormente gli si confaceva.
« Hai ragione,
sire. » rispondo, con voce bassa « ma non intendevo parlare a sproposito. Credo
davvero in ciò che ho detto e mi permetto di dirti che sei un signore da
ammirare. »
Per un momento, sembra sorpreso « Mia signora! » esclama, con sguardo perplesso « Mi rendi
grande onore con le tue parole. »
Sbuffo debolmente « Comincio a rendermi conto, sire, che le mie parole non
sono altro che sussurri al vento. Valgono quanto quelle di chiunque. »
« Ti sbagli,Eowyn di Rohan. La tua
ammirazione è per me motivo di gioia e onore. Nessuno meglio di te, che hai
conosciuto i più valorosi uomini del nostro tempo, potrebbe essere un giudice
tanto esperto »
Continuiamo a camminare lentamente, come
sempre. Il tempo scorre via velocemente, tanto che quasi non me ne rendo conto.
È davvero cos’ poco che ci conosciamo, mio signore? A
volte mi sembra che sia passata un’eternità, altre
volte un solo giorno.
La conversazione cade sugli
argomenti più disparati, dalla guerra ai fiori che crescono sulle brughiere
della mia terra. È facile parlare con lui. È confortante. Sembra che nulla
possa andare male, anche se la situazione che grava sul mondo degli uomini
rischia di distruggere la nostra razza. Non riesco a pensare ad una tale
eventualità, non quando parlo con lui. Non so perché, visto che quando sono
sola, mi sento preparata a raggiungere i miei antenati nell’oltretomba. Ma
quando sire Faramir è con me…..
la morte è la sola cosa a cui non penso.
« A cosa pensi,
mia signora? »
Evidentemente devo essermi persa
nei miei pensieri, perché è la sua voce che mi riporta alla realtà.
Mi volto verso di lui e vedo che mi
fissa, curioso e benevolo.
« A tutto, mio signore. » rispondo «
E a nulla. »
Ride. Di nuovo quel suono caldo e
confortante, allegro. « Sei la fanciulla più straordinaria di
questo mondo, Bianca Dama. A volte non riesco a capacitarmi della tua giovane
età. »
Lo guardo, cercando di comprendere
cosa intendesse dire, ma il mio sguardo, stranamente, si ferma al suo volto,
severo e dolce allo stesso tempo. Posso vedere ogni singolo tratto del suo
viso, dalla distanza che ci separa.
Distolgo rapidamente lo sguardo. « Pensavo alla fine che sarà di noi. »
« Non parlare di fine quando questa
ancora non è stata decretata, mia signora. » il suo è
un dolce rimprovero. Sembra che si dolga di non riuscire a scalfire mai del
tutto la lastra di ghiaccio che ricopre la mia anima. Tra me e me, rido. Rido
perché è effettivamente così.
« Hai ragione,
sire Faramir. » dico,
sorridendo. Ma, memore di ciò che mi ha detto quando abbiamo cominciato a
passeggiare, non gli chiedo perdono.
Che sia un segnale? Il
preludio di un oscuro presagio? Non posso nascondere la mia inquietudine,
perché so bene cosa sta accadendo agli eserciti rimasti a combattere, davanti
al Nero Cancello. Soldati valorosi cadono, muoiono per salvare patria, onore,
famiglia. Posso soltanto osare sperare nella loro riuscita.
L’aria è fredda. Anche
questo mi inquieta. Tuttavia, riesco a trovare un po’ di pace nella compagnia
di sire Faramir, che mi sta accanto in quest’ ora, più buia delle altre, come lo è stato quando
ancora splendeva il sole.
Siamo entrambi in piedi nel
cortile, rivolti ad oriente, con i cuori colmi di speranza e di preghiere. Il
tempo ci ha indotto ad indossare indumenti caldi. Io stessa
porto qualcosa che mi è stato offerto in dono, ma che non è mai stato
mio prima di adesso. Si tratta di un pesante mantello del colore cupo della
notte. Intorno al bordo e al collo e al cappuccio sono incastonate magnifiche
stelle lucenti. Sicuramente sono frutto della lavorazione dell’argento.
È stato Faramir
a portarmi questo dono, per proteggermi dal freddo pungente del vento dell’est.
Lui stesso lo ha drappeggiato gentilmente sulle mie spalle e, per un momento,
io ho tremato al tocco delle sue dita.
Mi ha confidato che la
precedente proprietaria di questo regale indumento era sua madre. Il mio cuore,
per un istante, ha provato grande tenerezza a quella confessione, perché ho
compreso che deve essere stato un gesto particolare, il suo, nel porgerlo in
dono proprio a me. Sapevo, infatti, e so anche ora, che Finduilas,
la dama andata in sposa al nobile Denethor, era una
dama di nobile stirpe e grande bellezza. Apprezzata ed ammirata da tutti, era
però morta anzi tempo, lasciando i cuori dei suoi cari colmi di dolore.
Nonostante sia ben coperta,
rabbrividisco di preoccupazione, se non di freddo, e il mio sguardo vaga fino a
posarsi sulle montagne a nord.
Sire Faramir
allora si volta verso di me e mi guarda, incuriosito e gentile. « Cosa cerchi,Eowyn? »
Sospiro « Non si trova
forse lì il Cancello Nero? E non dovrebbe egli
giungervi oramai? Sono già trascorsi sette giorni dalla sua partenza »
Non so bene a chi mi
riferisco. Se a Eomer, mio fratello, o a sire Aragorn, l’unico uomo che ha avuto da me tanta ammirazione
da suscitare quel sentimento a me ignoto.
Neppure Faramir
lo comprende, perché, per un attimo vedo il suo viso rabbuiarsi. Non ne
comprendo la ragione, non appieno, almeno.
Dopo qualche istante di
silenzio, l’uomo accanto a me sospira profondamente e viene invaso,
apparentemente, da una strana tristezza. Non posso fare a meno di guardarlo con
un po’ di apprensione, perché mai l’ho visto in quello stato. Eppure, se anche
lo osservo, non oso turbarlo chiedendogli alcunché.
« Sette giorni. » esclama
lui tutt’a un tratto facendomi sobbalzare « Come sembra strano che sia
trascorso così poco tempo! Se solo ne avessi dell’altro, Dama Eowyn. »
Com’è strano quest’uomo!
Riesce a conservare la sua magnificenza persino quando il suo lato più intimo
sale in superficie. Genera in chi lo guarda ammirazione e tenerezza al
contempo.
Non faccio in tempo a
parlare a mia volta, perché lui continua, con lo stesso accento triste e
appassionato « Non pensare male di me se ti dico, Eowyn, che questi sette giorni mi hanno recato una gioia ed
una pena che non immaginavo di provare. » le sue parole mi lasciano confusa, ma
il mio cuore palpita con strana intensità mentre continuo ad ascoltare « Gioia
di vederti, ma pena, perché in questi giorni infausti i miei timori e i miei
dubbi sono aumentati. »
Comincio a tremare
lievemente. Non mi era mai capitato prima di questo momento. Lo sento sospirare
nuovamente e non ho il coraggio di guardarlo mentre prosegue. « Eowyn, non vorrei che questo mondo, il nostro mondo,
finisse adesso, perché sarebbe doloroso per me perdere tanto presto ciò che ho
trovato »
Il mio cuore sembra
impazzito. Come mai non saprei dirlo, ma le parole di sire Faramir,
nonostante non le comprenda a fondo, mi hanno generato uno strano turbamento.
« Perdere ciò che hai trovato, sire? » chiedo, tentando
di mantenermi distaccata, di tornare ad essere la principessa guerriera su cui
ho sempre fatto affidamento. « Non capisco cosa tu
abbia trovato in questi giorni che potresti perdere. » Lo guardo, seria, ma
sento che nei miei occhi è scaturita un po’ di dolcezza che non riesco a
soffocare « Ma coraggio, amico, non parliamone. » mi intristisco nuovamente,
vedendo che sempre più nuvole oscurano il sole « Anzi, non parliamo del tutto!
Sono sull’orlo di un terribile abisso, che si apre ai miei piedi, nero e
spaventoso. » Un brivido mi scuote tutta e credo di
avvertire che il mio compagno lo sente. Lo sento, più che vederlo, voltarsi
verso i me, con la pietà e l’apprensione negli occhi.
« Siamo tutti sull’orlo
dell’abisso, mia signora…. »
« Si,
è vero. » concordo io « Ma tutti hanno qualcosa a cui aggrapparsi… o qualcuno.
Io sono sola. Se l’oscurità dovesse giungere, non ci sarebbe mio fratello, con
me. E non so se alle mie spalle vi sia la luce, perché ancora non posso
voltarmi. »
La calma innaturale con cui
mi sono udita pronunciare queste parole terribili lo sconcerta, perché ora
posso vederlo in volto. I suoi grigi occhi sono socchiusi, la ruga tra le
sopracciglia che gli conferisce la severità tipica del soldato è più profonda
ora.
Abbassa la voce fino a
ridurla ad un roco sussurro esitante, prima di parlare «
Cosa aspetti a voltarti, mia signora? »
« Attendo un colpo del fato.
»
In verità, ho compreso, o
almeno così mi è parso, a cosa alludesse quella domanda, rivolta così piano che
ho potuto udirla solo grazie al volere degli spiriti. Ma l’oscurità è ancora
troppo incombente perché io non mi finga indifferente.
In un certo senso, non ho
mentito, quando ho detto che attendo un colpo del fato.
«Si.
» esclama lui mettendosi al mio fianco, ancora più
vicino e rivolgendo lo sguardo a est, insieme al mio. «
Attendiamo un colpo del fato. »
Restiamo in piedi, l’uno accanto all’altra, qui sulle mura. La fiducia
che mi infonde la sua presenza mi stordisce per la sua intensità. Man mano che
i secondi passano, sento che ogni rumore sembra farsi più lieve, fin quasi a
cessare. Il Sole sembra cedere completamente il posto alla notte e
all’oscurità, ma il tempo sembra fermarsi.
Perché sento questo?
Cosa si è impadronito di me
al punto di comandare le mie emozioni e persino i miei sensi?
Mentre ascolto l’improvviso
silenzio che ha avvolto la terra sobbalzo perché mi rendo improvvisamente conto
che qualcosa di caldo e gentile stringe la mia mano sinistra. Abbasso lo
sguardo, tremante e vedo che le nostre mani sono allacciate in una stretta
dolce. Come sia potuto accadere non saprei dirlo. Eppure non trovo la forza né
la volontà di oppormi e liberarmi da questo contatto. Mi volto a guardare il
sovrintendente e vedo che sorride, con una dolcezza infinita negli occhi.
Distolgo lo sguardo, incapace di tollerarla.
Continuiamo per un po’ a
guardare l’orizzonte, in silenzio, poi lo vidi recuperare un po’ del suo
abituale sorriso.
« Mi ricorda Numenor. »
Lo guardo, in parte
contenta che abbia rotto la patina di silenzio che sembrava aver spezzato il
primo incanto.
«Numenor?
»
« Si.
La terra dell’Ovesturia che s’inabissò e la grande
ombra scura che sommerse tutte le verdi terre e le colline e che avanzava. »
spiegò lentamente, prima di voltarsi a guardarmi in volto « La sogno sovente. »
Mentre i nostri sguardi
continuano a fissarsi, egli allunga una mano verso di me e, esitante, ripone
dietro la fronte una ciocca di capelli che, sciolta come il resto della mia
chioma, era andata a velare i miei occhi. Il tepore della sua pelle posso sentirlo anche se mi sfiora inavvertitamente. In quest’ora
buia mi sembra l’unica cosa degna di essere salvata dal male incombente.
Ma la sua tristezza e
desolazione nel rievocare quelle immagini cupe, mi è penetrata nelle carni e nel
cuore, risvegliando la mia stessa melanconia e anche la paura che conosco, da
poco, anche io.
« Allora credi che
l’oscurità stia arrivando? » dico, agitata,
stringendomi istintivamente a lui. « L’oscurità
inesorabile? »
Non riesco neppure a
meravigliarmi del mio gesto avventato ed indecoroso, che mi trovo a fissare i
suoi grandi occhi grigi, colmi di una tenerezza senza fine e anche di
qualcos’altro che non riesco a definire. Mi spaventa e mi delizia allo stesso
tempo.
Ma chi sei, tu, uomo di Gondor, che hai le chiavi della mia anima senza che io te
le abbia consegnate?
O forse l’ho fatto………
« No. » dice lui,
guardandomi e stringendomi di più con le mani sulla vita, lievemente « Era
solamente un’immagine. Sebbene cupa, era innocua, Eowyn.
Ma sono confuso anche io. »
Scuote la testa, come per
liberarsi d un pensiero troppo pressante « Non so cosa
stia accadendo. Ragionando a mente lucida, direi che siamo in una situazione
terribile e che sta avvenendo la nostra distruzione. Direi che una catastrofe è
avvenuta, e che ci troviamo alla fine dei giorni. Ma il cuore mi smentisce. Mi
sento leggero, aereo e la speranza in me è forte come mai lo è stata. Provo una
gioia incredibile, fuori luogo in queste buie ore »
Il suo tono è talmente
appassionato e confidenziale che mi spaventa e comincio nuovamente a tremare
tra le sue braccia forti e gentili. Lui deve indovinare la mia reazione, perché
sorride e la sua voce diventa più carezzevole mentre termina il suo discorso,
bellissimo e terribile, chiaro ed oscuro «Eowyn, Eowyn, Bianca Dama di Rohan, in questa ora, io non credo che alcuna oscurità
possa durare. »
Detto questo, egli si
sporge verso di me e mi bacia la fronte. Sento il mio cuore palpitare
intensamente al contatto della mia pelle contro le sue labbra tiepide e morbide.
Anche io improvvisamente mi sento leggera e al sicuro da qualunque malvagità.
Appena scosta le labbra
dalla mia fronte, sento un vuoto nel cuore che non riesco a spiegarmi, ma
continua ad abbracciarmi. Restiamo così a lungo anche se
non saprei dire per quanto esattamente.
Improvvisamente, il vento
riprende a soffiare, freddo ed inesorabile, scompigliando e mescolando i nostri
capelli, come in un’ondadi colore. Le nubi si spostano e il sole ricompare all’orizzonte.
Dalle mura, insieme A sire Faramir, vedo le acque del
fiume Anduin brillare come argento e cristallo alla
luce crescente.
Non so cosa sia accaduto,
ma guardo l’uomo accanto a me, poco prima che si congedi, e sento
inesplicabilmente che avremo presto buone notizie.
Ehilà! Come
sono andate le vacanze? Spero bene. Scusate per il ritardo, ma al solito,
vacanze, malattia e risistemazioni casalinghe….non ho potuto aggiornare prima.
Ringrazio
come sempre tutti i lettori e soprattutto coloro che trovano un attimo di tempo
per lasciare un commento.
Saluto
particolarmente anche le persone che hanno questa storia tra i preferiti.
Perdonate
eventuali errori.
Mi auguro che
il Chap vi piaccia e che troviate il tempo per
lasciare recensioni. Ne aspetto di numerose, mi raccomando!
Sono
venuti tutti. Mio fratello, sire Aragorn, i nostri
valorosi soldati. Tutti sono tornati per festeggiare la vittoria della Luce
sull’Ombra. La gioia si è impadronita di me come non credevo sarebbe mai potuto
più accadere. Finalmente vedo che la speranza non è morta insieme a mio zio e
alla nostra gente, vedo una nuova possibilità per il nostro mondo. So che tutto
si sistemerà.
Tuttavia
la calma che provo durante le giornate è affievolita da qualcosa. Si tratta di
una presenza. In verità, la presenza si trova solamente nella mia mente, perché
la persona cui mi riferisco mi turba proprio perché assente. Non ho più visto
sire Faramir da quando insieme abbiamo ammirato l’est
dal cortile, stretti l’uno all’altra in un abbraccio che significava niente,
eppure tutto. La calma che ho provato tra le sue braccia non potrà essermi
restituita neppure da cento di questi giorni di festa.
Perché,
mi domando. Cosa potrebbe mai recarmi gioia maggiore che vedere il mio popolo
tornare vincitore dalla più grande battaglia mai combattuta negli annali della
Terra di Mezzo? Più del sapere che non ci saranno più morti e dolore? Ho tutto
ciò che potrei mai desiderare….
Tutto,
tranne lui.
Non
so, in verità, come siano uscite dalla mia bocca queste parole. Non era mia intenzione
formulare un simile pensiero.
Cosa
mi sta accadendo? Sono forse preda di un sortilegio? Il mio cuore si sta
sciogliendo con tale rapidità che mi sembra così lontano il tempo in cui non
provavo altro che desiderio di gloria.
Sire Faramir è entrato nella mia vita in punta di piedi,
silenziosamente, ma con la determinazione dell’acqua, che riesce a perforare
persino la pietra.
E ora
io non posso fare a meno di lui. Voglio che mi stia accanto, voglio sentire la
sua voce, ascoltare i suoi consigli….
Sentire le sue labbra sulle mie……
No.
Devo fermarmi, prima che sia troppo tardi. Ho imparato già una volta che i
sentimenti di questo genere non portano altro che dolore, sofferenza, disastro.
L’amore per la patria è il solo che valga la pena vivere, per il quale si può
donare se stessi.
Ma
come sono giunta a parlare d’amore? Mente traditrice, cosa mi hai fatto?
No.
Non voglio scappare. È vero, è giunto il momento di ammetterlo, almeno con me
stessa. Sire Faramir mi ha fatta innamorare. Ha preso
un cuore spezzato, frantumato e consunto e lo ha riportato alla vita, senza
fare quasi nulla. Ed ora io sono sua, completamente.
Ora
che sono riuscita ad ammetterlo, mi senti libera, più leggera. Ma nonostante
abbia fatto la cosa giusta ammettendolo, devo continuare ad agire nel giusto e
a non parlare. Non consentirò a questo sentimento di trascinarmi nell’abisso
che già una volta ho dovuto visitare.
Questa
volta Eowyn di Rohan
seguirà la sua testa, non il suo cuore. La mia mente non mi ha mai condotto
sulla cattiva strada. Mi è sempre stata fedele e mi ha sempre mostrato la retta
via, ciò che doveva essere fatto ed era giusto fare.
Il mio
cuore, invece, dopo averlo ascoltato una sola volta, mi ha quasi condotto alla
morte. E, ora me ne rendo conto, se vi si giunge per la disperazione, anche una
morte in battaglia è una fine ingloriosa.
Faramir non saprà mai cosa mi ha fatto. Del
resto, non so neppure se ricambi o no i miei sentimenti per lui, quindi quale
ragione ci sarebbe nel lasciarglieli intendere? Nessuna.
Forse
rimpiangerò di non aver approfittato dell’occasione che mi si è presentata, ma
non importa. Preferisco avere rimpianti piuttosto che morire di dolore.
Non
voglio essere compatita, la pietà è ancora ciò che maggiormente disprezzo, ma
non ho intenzione di cambiare idea.
Mi
spaventa tutto in quest’ora. Tutto è risolto, tutto è nuovamente luce e
splendore, ma io sono confusa e addolorata.
Ma
questo dolore passerà. Se cedo, non passerà pechè
diventerebbe troppo grande.
E
morire di dolore, sarebbe la cosa peggiore di tutte per una figlia di Rohan.
Lo so che il capitolo e corto e so che
sono in ritardo. In un ritardo stratosferico per giunta. Vi prego di
perdonarmi, però. Ho avuto davvero un periodaccio, credetemi. Cercherò di
aggiornare puntualmente da adesso in poi, anche se magari non troppo spesso.
Ho scritto una nuova long fic su vanhelsing
se qualcuno è interessato a dare un’occhiata. Ne ho poi in cantiere una sul
film “Casper”…quello con Cristina Ricci, avete
presente?
Comunque vada, spero che commenterete numerossissimi.
Ringrazio i lettori e ancora di più coloro
che, irriducibili, mi lasciano i loro pareri. Baci.
Sono di nuovo
sola. La maggior parte di coloro che sono tornati dalla battaglia e sono dunque
salvi, sono partiti. Ma non io. Non desidero assistere al trionfo di sire Aragorn, perché so che mi causerebbe dolore. Non sarebbe
insostenibile, ma non ho intenzione di causarmi ferite inutili.
Perché,
graffi o lacerazioni, sempre di ferite si tratta.
Mi sono,
invece, affezionata a queste mura, inaspettatamente. È stato qui che ho trovato
la pace per la prima volta dopo tanto tempo. Forse per la prima volta in tutta
la mia vita. Non dimenticherò mai i giorni trascorsi nel dubbio e nella tortura
dell’incertezza. È stato solo grazie a loro che ho conosciuto la sola persona
che mi ha condotto alla pace.
Sire Faramir è stato la mia salvezza.
Ormai non ho
più timore di ammetterlo. Semplicemente, ormai non ho più timore di nulla,
tranne che del dolore.
Ingenuamente,
dicevo che non temevo morte o dolore, ma era perché non avevo ancora fatto i
conti con il dolore che può causare un amore respinto o deriso. È stato più che
sciocco pensare di esservi superiore, da parte mia. L’orgoglio della mia gente
mi è entrato nel sangue molto più di quanto avrebbe dovuto. Ora, finalmente, lo
comprendo.
Mentre la mia
mente vaga per questi pensieri, i miei passi mi hanno condotta fuori dalla mia
stanza, fino a quel cortile dove ho trascorso tante ore felici. Mentre mi guardo
intorno, mi pare quasi di vedermi, insieme al sovrintendente, mentre passeggio
e ritrovo un po’ di quella serenità da tempo perduta. Improvvisamente sento una
lacrima scorrere lungo la mia guancia destra. Me ne sorprendo. Eowyn di Rohan non ha mai pianto.
Ripenso con
attenzione a ciò che ho deciso tempo fa: non voglio lasciare che questo amore
mi distrugga. Non ho intenzione di cedervi e aprire me stessa a quel dolore che
desidero evitare. Inoltre, questa volta morirei, perché questo amore è molto
più forte e potente di quello che nutrivo per il re dei re. Non so davvero
spiegarmene la ragione, ma so che è così. Ogni mio pensiero è rivolto all’uomo
dai capelli neri e i chiari occhi dolci e non si tratta di immagini legate ai
sogni di gloria.
Sarei stata
un’ottima regina, se solo lui mi avesse amata. Ora, però capisco che il suo
rifiuto è stato il regalo migliore che avrebbe mai potuto farmi. La bianca dama
di Rohan non amava davvero Aragorn
figlio di Arathorn, ma la sua grandezza, la sua
purezza, il suo essere elevato rispetto a tutti quanti noi altri.
Ciò che provo
per sire Faramir è molto diverso. Diverso e
terribile.
Ma mi
domando, dunque: se un amore figurato, idealizzato, come quello può causare una
sofferenza tale, dentro di me, cosa farebbe mai un amore vero? Morirei. Lo so.
Ma, se non
posso pensare all’amore che nutro per lui, per difendere me stessa, posso
almeno provare gratitudine per il tempo che mi è stato concesso di trascorrere
con lui. Per quello che ha fatto per me. Ed è esattamente quello a cui intendo
pensare.
In fondo,
merito di poter vivere almeno di ricordi. Non ha nulla a che vedere con il
fatto che ho preso una decisione definitiva. Nella vita si compiono scelte,
sempre. Io ho fatto la mia e non devo pentirmene, anche se questo significherà
stare lontano da lui.
Non intendo
sposarmi, questo è certo. Non avevo mai pensato di farlo, prima di incontrare
sire Aragorn. Pensavo piuttosto di diventare un
condottiero, magari il generale delle truppe di mio zio Theoden.
Un uomo di valore, insomma. Sire Faramir, mi ha fatto
comprendere, però, che avrei potuto essere, e sarei per sempre stata, un eroina, una persona di valore. Ma sono pur sempre una
donna.
La
consapevolezza di questo mi ha aperto gli occhi. So che non potrò tornare
indietro, ma non me ne rattristo.
Sono
sopravvissuta al dolore di mia madre, alla morte di mio padre, al declino del
mio paese. Non potrei sopravvivere a me stessa. Persino le mie forze, alla fine
non sono illimitate.
Ora devo solo
aspettare, perché so che solamente il tempo riuscirà a lenire le mie ferite. Ma
non amerò mai più. Questa è la scelta di Eowyn di Rohan.
Non vedrò i
miei figli continuare la mia stirpe. Saranno quelli di mio fratello Eomer a compiere questa missione.
Non mi
sveglierò alcune mattine con un uomo accanto. Dormirò sempre sola, son il solo
calore di me stessa a confortarmi.
Non indosserò
un anello nuziale. Le mie dita rimarranno disadorne, pure e limpide come il mio
cuore, che non si macchierà mai più.
Ma sarò una
donna d’arme, aiuterò mio fratello nelle sue funzioni governative, vedrò
nascere e crescere la sua prole. Mi occuperò di mia cognata, quando ce ne sarà
una.
E, per
sempre, riserverò un pensiero speciale per sire Aragorn,
che mi ha liberata da quella che sarebbe per me stata una prigione dorata e mi
ha fatto muovere i primi passi verso l’amore.
E i miei
sogni andranno sempre incontro a sire Faramir, che
amo con tutta me stessa, con la forza di cui solo le donne della mia razza sono
capaci.
Le scelte di
una fanciulla cresciuta per servire il suo paese. Per amare la sola cosa che
mia potrà deludermi: l’onore.
Ho ricevuto un messaggio di mio fratello. La gioia che
ho provato nel ricevere sue notizie è inesprimibile. Mi ha fatto intravedere la
luce che per molto tempo ha aspettato invano. Ma questo, è stato prima che
comprendessi che i giorni trascorsi con sire Faramir
sono stato un’occasione di felicità.
La felicità più grande cui potessi aspirare. ora non chiedo altro.
Non chiedo altro e per questo ho risposto
negativamente alla richiesta di Eomer di raggiungerlo
al Campo di Cormallen. Sarebbe stata la cosa più
bella, per me, raggiungerlo e partecipare della sua gloria, della mia gloria.
Ma Egli non è partito. Egli deve prepararsi ad
accogliere il Re. Il suo incarico di Sovrintendente è terminato, perché sire Aragorn tornerà e prenderà ciò che, di diritto, è suo.
Se non avesse rifiutato il mio amore, o qualunque cosa
fosse, insieme al trono avrebbe preso anche qualcos’altro, che fosse suo di
diritto.
Ma non è andata così e ora io appartengo a colui che
non parte per partecipare alla vittoria. Quale dovrebbe essere il mio posto se
non accanto a lui? Ogni donna deve stare accanto all’uomo che ama e adora. Io
non devo essere da meno. Non sarò da meno neppure se, in un certo senso, non è
mio diritto stargli accanto. gli non è il mio
fidanzato. Non è il mio sposo.
Non gli appartengo, ma sono sua. È tardi per tornare
indietro.
per questo resto qui, chiusa nelle mie stanze a
riflettere. Per la maggior parte del tempo, penso a lui. Da quando ho deciso di
rimanere nelle Case di Guarigione, non l’ho più veduto. Perché?
La mia speranza era di restare perché sarei rimasta
con lui. Ho dunque agito invano?
Proprio mentre mi interrogo per l’ennesima volta a
questo proposito, sento bussare lievemente alla mia porta.
« Chi è? » domando con un filo
di voce. Il cuore impazzito nella gola martella nelle orecchie impedendomi
quasi di udire.
« Sono Faramir, mia signora. »
risponde la voce che conosco beneche ho imparato ad amare « Non era mia
intenzione disturbarti, ma avrei bisogno di parlare con te. »
Per qualche istante fui incapace di rispondere, ma poi
trovai la forza necessaria per consentirgli di entrare nella camera.
Quando varcò la doglia, non so se a causa della lunga
lontananza, mi parve ancora più bello e più magnetico di quanto rammentassi. Un
dio. Un uomo che superava tutti gli altri per la sua capacità di riempire una
stanza con la sua personalità, senza che essa risultasse opprimente e dura.
« Mia signora, sei pallida. » dice dolcemente « Il
Custode diceva il vero, dunque. »
So di essere pallida. Non sono uscita da giorni dalle
mie stanze, crogiolandomi nella mia sofferenza. « Cosa ti ha detto,
sire, il Custode? »
« Che eri pallida, come quando arrivasti qui, ferita dal Nazgul. »
Alzo gli occhi a guardarlo, per la prima volta, e
leggo in essi la preoccupazione, e anche qualcos’altro.
« Non sono uscita per alcuni giorni, sire, ma sto bene.
» sussurro. La voce sembra essersi bloccata nella mia
gola. « Come mai sei venuto fin qui? »
« Ero preoccupato per te, Eowyn.
» risponde senza esitare un solo istante. « E desideravo parlarti, come ho detto. »
« Che cosa volevi dirmi? »
Sorride, e mi sento riscaldata da quel sorriso così
tenero e amorevole « Non verresti a farmi compagnia?
Se davvero non sei uscita, ultimamente, è tempo di rimediare. Il sole splende
nel cielo, mia signora. » il suo sorriso si allarga « manca solo la tua
presenza perché illumini il mondo intero. »
Quelle parole sarebbero risultate falsamente galanti
in bocca ad un qualsiasi altro uomo. Lui, invece, lo pensa veramente. Non posso
non essene lusingata.
Annuisco e lo seguo nel cortile dove abbiamo trascorso
tante ore felici. Ammiriamo insieme per molti minuti il sole che aveva
decantato. Sembra che a MinasTirith
sia tornata la vita.
Dopo qualche istante, sento il respiro dell’uomo
accanto a me farsi più rapido, quasi nervoso. Forse per questo lui sospira, nel
tentativo di calmarlo.
Senza staccare gli occhi dall’orizzonte, si rivolge a
me «Eowyn, perché resti
qui, invece di unirti ai festeggiamenti a Cormallen,
oltre CairAndros, dove tuo
fratello ti attende? »
La sua domanda mi coglie terribilmente alla
sprovvista. Come fa lui a sapere che mio fratello mi ha invitata a
raggiungerlo? Lo sa veramente, poi? È così solenne, strano e saggio, sire Faramir, che non sarei sorpresa nell’apprendere che non lo
sa affatto, ma lo ha indovinato dal mio sguardo.
Non so cosa rispondere. Scoprire il mio cuore così
facilmente sarebbe poco saggio da parte mia. Domando dunque a lui, che tutto
vede e sa. Prego che la sua risposta non mi metta con le spalle al muro. In
gabbia.
« Non lo sai? » domando, anche
io senza guardarlo.
« Vi sono due motivi possibili » risponde senza
scomporsi, voltandosi però a guardarmi. Avverto un lieve tremore nella sua voce
«ma quale sia quello vero non saprei dire. »
In quel momento, nonostante il mio amore sconfinato,
che mi sforzo di tenere nascosto ai suoi occhi, lo odio. Gli indovinelli sono
noiosi e stancanti. In quest’ora tarda, voglio chiarezza. Altrimenti, sire Aragorn, che sembrava tanto ammirarmi ed amarmi, non
sarebbe diverso da lui.
« Non desidero giocare agli indovinelli. Parla più
chiaro. » Sono tornata la principessa guerriera, la
fiera figlia di Eomund. Ho espresso un ordine
tassativo.
Sorride lievemente, vedendo ciò che io stessa ho
notato « Poiché lo desideri, signora,credo che tu non
parta perché soltanto tuo fratello ti ha mandata a chiamare, e ammirare in
tutto il suo trionfo sire Aragorn non ti recherebbe
alcuna gioia. » si ferma ed io sento il cuore
esplodermi nel petto. Non so se riuscirò a dissimulare ancora a lungo. Distolgo
lo sguardo da lui, per paura che legga la mia anima.
Stavolta lo vedo chiaramente tremare, mentre prosegue « Oppure perché io non parto e desideri starmi accanto. »
rise « E forse per ambedue i motivi e tu stessa non sapresti scegliere. »
Il suo sguardo si fa intenso, indagatore e
terribilmente dolce. Come posso resistere a quello sguardo? Distolgo gli occhi
per l’ennesima volta. Che vergogna, per me, che non sono fuggita davanti a
colui che non poteva essere ucciso, fuggire lo sguardo di un uomo.
«Eowyn, tu non mi ami, o non
vuoi amarmi? » chiede infine.
Comincio a tremare e gli volto le spalle « Desideravo
l’amore di un altro » dico, tentando di rifugiarmi nel passato. nei ricordi. Nella consapevolezza di ciò che accadrebbe se
rifiutasse il mio amore « Ma non voglio la pietà di
nessuno. »
« Lo so. Desideravi l’amore di sire Aragorn.
» sento una tristezza senza fondo nella sua voce. Se
avessi guardato per un momento i suoi gentili occhi grigi avrei letto lo stesso
sentimento? Mi volto ed è così. « Lui era grande e
potente. Ammirevole, come un generale sembra ad un giovane soldato. E tu, Eowyn che ambivi la fama e la
gloria, come avresti potuto non amarlo, non essere attratta dal suo splendore?
Volevi essere innalzata sopra ciò che di meschino
striscia sulla terra. » mi guarda con tenerezza « Ma lui ti diede solo
comprensione e pietà »
Non posso fare nulla per impedirlo, quindi neppure mi
volto. le lacrime hanno cominciato a scorrere. Troppo
il peso. Troppo il dolore. Troppa rassegnazione nel mio cuore.
« Guardami,Eowyn! » esclama. La sua voce
interrompe il mio pianto e fisso gli occhi nei suoi. «
Non deridere la pietà, perché è un nobile sentimento. posseduto
dai vaolorosi. Ma non è questo, che ti offro. » Mi
prese per le spalle, delicatamente, ma risoluto, facendosi più vicino « Sei una
dama nobile e valorosa. la fama che desideravi è stata
da te raggiunta e nessuno mai la oblierà nei secoli che verranno. E sei tanto
bella che neppure le parole dell’idioma elfico potrebbero
descriverti. » si ferma, esitando, ed io vorrei
che continuasse, perché dice cose gentili e care. Se questo è un addio, almeno
lui ha saputo lenire il mio cuore, prima di lasciarlo andare alla marea.
Si avvicina ancora di più «
Io ti amo, Eowyn d Rohan. » dice calmo. Il mio cuore batte furiosamente « Un tempo
ebbi pietà della tua tristezza, ma ora, anche se tu
fossi la regina di Gondor, io ti amerei ugualmente.
Ho notte e giorno ringraziato quanto esiste di potente a questo mondo per aver
fatto sì che sire Aragorn ti respingesse. Se fossi stata
sua, quanto sarebbe stato infelice il mio amore? Non avrei neppure potuto
tentare. »
Non sento nulla se non le sue parole, la pressione
delle sue dita sulle spalle coperte dal leggero tessuto del mio vestito. Ciò
che sento è vero? Mi sveglierò scoprendo di aver delirato nel sonno?
Faramir mi guarda con tenerezza straziante «
Io ti amo. Non mi ami, tu, Eowyn?
»
Quelle ultime parole sono la conferma che cercavo. Il
sole brilla nella mia anima ora che so che stavolta non ho amato e sperato
invano. Potrei dunque essere felice?
Con lui, so che lo sarei.
Mi divincolo gentilmente dalla sua presa e mi
allontano di qualche passo, voltandogli le spalle. Mentre lo faccio, leggo un
dolore così straziante nei suoi occhi da indurmi a gettargli le braccia al
collo per lenirlo. Il mio dolore non contava nulla più, in presenza del suo.
« Questa è MinasAnor, la torre del sole. » dico, sempre senza guardarlo in
volto « Guarda, sire! l’Ombra è scomparsa. Non sarò
più una fanciulla d’arme, perché verrà la pace. Se occorrerà, combatterò, ma
non prima di aver conosciutola gioia. Sarò una guaritrice e amerò tutto ciò che
cresce ed è vita. » stavolta mi giro a guardarlo. È
ancora addolorato, ma meno. C’è speranza e confusione nel suo sguardo.
Mi avvicino molto lentamente. Ogni passo che compio,
genera in lui maggio speranza e maggiore tremore. Allora sorrido, sperando che
comprenda « Non desidero più essere una regina. »
Allora, egli ride, sollevato e felice, come non lo
avevo mai sentito « meno male, perché io non sono un
re. Eppure sposerò la bianca dama di Rohan se ella lo
vorrà. » Si avvicinò a sua volta a me di un passo « E se ella lo vorrà
dimoreremo nell’Ithilien, dove ella coltiverà un
giardino. Ogni cosa vi crescerà con gioia, se curata e coltivata da lei. »
Mi trattengo dal ridere, ma continuo a sorridere. la felicità, in quel momento, sembra senza confini « Devo
dunque lasciare la mia gente, uomo di Gondor? » dico,
esageratamente seria nonostante il sorriso « E vorresti che la gente orgogliosa
della tua città dica di te che hai domato una selvaggia fanciulla del Nord,
quando v’erano molte e più fanciulle adatte a te qui? »
Ride ancora, gettando il capo all’indietro con gioia
estrema « Lo vorrei. »
Prima che me ne renda conto, copre l’ultima distanza
che ci separa e mi prende tra le braccia. Allora comprendo che mi èstata donata la felicità, e gli getto le braccia al collo
come desideravo fare vedendolo addolorato. Le nostre labbra si incontrano e si
perdono insieme. Non avrei immaginato cosa avrei provato baciandolo, ma come
avrei potuto?
Sento le sue labbra gentili e appassionate e rispondo
lui con uguale intensità.
Siamo visibili a molti, ed essi ci guardano, ma non
importa. Sono guarita e so che qui è davvero il mio posto.
Qui, ma non nelle case di Guarigione. Qui, ma non in
questo cortile. No.