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alla mia Casa,
al mio Istituto,
al mio Distretto,
alla mia Fazione,
al mio Campo;
e a Joanne,
a Cassandra,
a Suzanne,
a Veronica,
e a Rick,
per quanto troll possiate essere,
grazie per aver
creato la mia vita.
Capitolo
1
MEL
Varcata la porta della biblioteca, mi sentii finalmente a
casa. Ci andavo sempre quando avanzava del tempo dalla pausa pranzo. A dire il
vero cercavo di farlo avanzare quasi sempre per rifugiarmi tra quegli scaffali.
Era il mio mondo, e come tale sentivo di appartenervi.
Mi avviai verso il mio tavolo preferito, quando mi accorsi che era già
occupato. Una ragazza dai capelli neri e lunghi, ma rasati da entrambi i lati,
era intenta a leggere un grande tomo nero. L’avevo intravista un paio di volte,
e non l’avevo giudicata una persona studiosa, anzi. Sapevo fosse dislessica. Bè,
lo ero anch’io, ma non molto. Cercavo sempre di impegnarmi al massimo e i
risultati erano evidenti. Avevo voti alti in tutte le materie.
Quella ragazza, invece, era stata presa in giro qualche volta, fuori da scuola,
da un paio di secchioni che la canzonavano per la sua dislessia e per i suoi
voti mediocri in matematica. Me l’aveva detto Niall, il mio migliore amico. Un
lunedì la ragazza era arrivata a scuola con le nocche nere e i secchioni la
guardavano intimoriti. Ero contraria alla violenza e avevo cominciata a vederla
di cattivo occhio. Ora era lì, concentrata su quel librone.
Notai le sue sopracciglia nere che si aggrottavano ogni tanto, e le labbra
s’increspavano appena mentre leggeva, ma gli occhi erano interessati. Mi doleva
interromperla perché a me per prima non piaceva che qualcuno mi disturbasse
mentre leggevo, ma volevo essere gentile. «Posso
sedermi?» chiesi gentilmente, facendo un cenno alla sedia accanto alla sua.
La ragazza sollevò gli occhi scuri dal libro e annuì, spostando la sua borsa in
modo da farmi spazio sul tavolo. Non mi sorrise apertamente, ma notai una lieve
curvatura all’insù degli angoli delle labbra che sembrava l’accenno di un
sorriso e che si affrettò a nascondere con la sua chioma nera. Mi accomodai accanto a lei e aprii gli appunti di Filosofia, cominciando a
studiarli per il compito del giorno dopo. In realtà era solo una ripetizione,
ma preferivo essere preparata per la verifica. Mi piaceva dare
il meglio di me e non ci vedevo niente di sbagliato. Ero totalmente immersa
nello studio da non accorgermi affatto che la ragazza fosse andata via,
lasciando il libro aperto sul tavolo. E non mi accorsi nemmeno dei passi che si
stavano avvicinando. Quando leggevo o studiavo il resto del mondo spariva. Chiudevo
gli occhi sulla realtà e li riaprivo in una dimensione nuova.
Ad un tratto due mani mi si pararono davanti agli occhi,
strappandomi violentemente dalla dimensione in cui ero entrata. «Indovina chi
sono.» disse una voce a me familiare.
«Niall, finiscila con questi giochetti.» risposi, per poi farmi sfuggire una
risatina. Niall ricambiò la risata, appoggiò le stampelle al lato del tavolo e
si sedette sulla sedia accanto alla mia. Niall era diverso dai
miei soliti amici intellettuali, certo, ma mi faceva morire dal ridere.
Era magrolino per i suoi quindici anni - uno in più di me -, ma poteva essere
scambiato anche per un diciott’enne per la barba che gli ricopriva il mento. Indossava
sempre un berretto che gli copriva i lisci capelli rossi e aveva una carenza
alle ossa delle gambe che lo costringeva a muoversi sulle stampelle. Mi portava
sempre in nuove zone del parco della città che non conoscevo. Proprio al parco
avevamo fatto amicizia. «Allora
stasera ci vieni al ballo di fine anno?» mi domandò, mentre raccoglievo i miei
libri. Gli rivolsi uno sguardo glaciale.
«Certo che no.» Io e gli eventi mondani non andavamo d’accordo. Varcammo la
porta della biblioteca e sboccammo nel corridoio affollato.
«Dai,
Mel. Starai con me! Ci divertiamo.»
Sbuffai
sonoramente. Niall aveva cercato sempre di farmi una vita sociale, ma io non
volevo. Preferivo passare il sabato sera a casa, con un bicchiere di cioccolata
calda con la panna e un buon libro. Niall, invece, piombava puntualmente a casa
e mi prendeva a stampellate se non chiudevo il libro, infilavo le scarpe e
andavo a fare un giro per il parco con lui. Non volevo sopportare un’enorme
manovra da parte sua per convincermi, perché avrebbe comunque vinto lui, quindi
mi arresi subito.
«Okay,
va bene. Ma se mi annoio prendo la giacca e vado via.» “Oppure mi porto un libro e mi metto a
leggere nel corridoio.” Pensai. Niall sorrise.
«Sarà meglio per te.» disse, lanciandomi un finto sguardo minaccioso e si avviò
verso la sua lezione successiva, Musica. Vidi che salutava Eles, la ragazza più
popolare e abbronzata della scuola, e questo mi insospettì. Per quanto gli
volessi bene, volevo essere realista. Lui era un tipo un po’ sfigatello, un
tipo che Eles non avrebbe mai guardato se non per farsi fare i compiti. Non
volevo che prendesse una cotta per lei per poi prendere una brutta delusione.
L’insegnante di Musica chiuse la porta dell’aula, così non potei vedere
nient’altro. Diedi un’occhiata all’orologio e mi accorsi che se fossi stata a
cercare di capire cosa Eles volesse da Niall avrei fatto tardi alla lezione
successiva.
Preferii lasciar perdere e mi incamminai verso l’aula di Scienze.
Quella
fu La Sera. La sera in cui iniziò tutto. Ricordo che stavo seduta con Niall che
faceva battute su tutti i comportamenti ridicoli dei ragazzi che tentavano di
farsi notare da Eles e dalle sue amiche.
«Guarda cosa stanno per combinare quei teppisti.» disse Niall, indicando un
gruppetto di ragazzini di tredici anni capitanati da una loro coetanea. Volevano
versare il punch sul pavimento della palestra causando una serie di scivoloni degli
altri studenti.
Cominciai a ridere quando quei decerebrati dei corteggiatori di Eles caddero
grazie alla ragazzina, ma mi fermai quando vidi Niall improvvisamente
irrigidito. Mi afferrò per il braccio e mi disse di non muovermi.
«Okay, ma cosa è successo?»
Non ebbi risposta. Vidi Niall avvicinarsi ad una ragazza dark, con i capelli
rasati ai lati, e il resto legati in una crocchia ben fatta, seduta da sola.
Era la ragazza della biblioteca. Sembrava piuttosto annoiata, ma riconobbe Niall.
Quante amiche aveva quel ragazzo? Ed erano una meno raccomandabile dell’altra.
Eles avrebbe potuto ferirgli il cuore, ma la Dark glielo avrebbe strappato,
masticato, sputato e poi pestato con gli stivali borchiati come se fosse una
sigaretta.
Continuavo a non capire, non capire mi faceva sentire stupida ed era qualcosa
che detestavo.
Niall parlò con la Dark per un po’; lui aveva quell’ espressione preoccupata
mentre lei era confusa. Non esattamente l’espressione di due ragazzi che
flirtano. Poi si alzarono e tornarono nella mia direzione.
Aggrottai la fronte, sempre più confusa.
«Andiamo fuori dalla palestra.» disse Niall, cominciando già a sgomitare tra i
ragazzi per arrivare alla porta.
Io e la Dark lo seguimmo.
«Si può sapere che succede?» sbottò la ragazza una volta usciti dalla palestra.
«Teri, tra poco capirai tutto.» rispose Niall.
«Niall, ma cos..? Oh, ciao.» mi voltai verso la voce, e davanti a me vidi Eles.
Bene. Anzi, male. Trattenni una smorfia.
«E quando arriva quell’altra? Per l’amor di Pan, che ansia.» disse Niall,
parlottando tra sé.
La
ragazzina dello scherzo del punch raggiunse il nostro gruppo. Aspettai che
Niall ci desse delle spiegazioni. Forse dovevamo fare un progetto insieme,
oppure doveva presentarci alcuni suoi amici maschi e creare un nuovo gruppetto,
-piuttosto
mal assortito-, ma la spiegazione non arrivò. La luce nel corridoio sembrò
farsi sempre più soffusa.
«Preparatevi
a correre.» esclamò Niall, guardando appena dietro le mie spalle.
Fu allora che successe la prima cosa incredibile di una serie di avvenimenti
che da allora in poi avrebbero caratterizzato la mia vita. Mi voltai e mi accorsi di un
gigante che ci guardava come io guardavo un nuovo libro. E la cosa più
inquietante era l’unico occhio iniettato di sangue al centro del viso. «Un ciclope.» sussurrai, con un fil di voce. «Scappate!» gridò Niall, buttando le stampelle per terra e cominciando
a correre.
Il terrore per quel mostro che agitava una clava primordiale superava di gran
lunga lo shock per Niall che riusciva a correre meglio di un maratoneta.
Carenza alle gambe, vero, Niall? Aveva
parecchie cose da spiegarmi.
Ci precipitammo fuori dalla scuola, correndo a perdifiato attraverso il
cortile.
Il gigante fece vibrare le finestre del piano terra e abbatté un paio di alberi
con il suo passo elefantesco. Nessuno all’interno della scuola sembrò accorgersene.
Probabilmente non riuscirono a sentire i tonfi per via della musica ad alto volume.
Mi chiesi come avesse fatto il ciclope ad entrare nella scuola senza farsi
notare.
Continuammo a correre a perdifiato attraverso il cortile, varcammo il cancello
e proseguimmo per quella traversa fino a svoltare in una delle strade
principali.
Sentimmo un urlo non umano di dolore. Mi voltai.
Il gigante era incastrato in un tombino la cui botola si era spezzata al suo
passaggio. Finire sotto i suoi piedi non doveva essere piacevole. Povera
botola. Il ciclope cominciò a menare colpi con la clava, rompendo l’asfalto. Si
sarebbe liberato in meno di due minuti.
«Abbiamo poco tempo.» disse la Dark -dovevo cominciare a chiamarla Teri -
«Prendiamo un taxi!» esclamò Eles, indicando la stazione alla fine della
strada. Com’era idiota.
«Si imbottiglierebbe nel traffico.» risposi prontamente. Mi guardai intorno e pensai
molto più velocemente di quello che mi aspettassi. «Nel caso non te ne fossi accorta, secchiona, non abbiamo tempo per leggere
un libro a riguardo!» esclamò la Dark. «Un attimo, ci sono! Mi serve qualcosa
per spezzare i lucchetti.»
E a quel punto Niall fece una cosa inaspettata. Si tolse le scarpe scoprendo
due zoccoli caprini che spuntavano da sotto i jeans troppo larghi.
«Ni-...» provai a dire.
«Cosa devo spezzare?»
Nel frattempo Polifemo Numero Due aveva quasi liberato la gamba dal tombino.
«Questi.» indicai i lucchetti che chiudevano delle corde legate fra tre
biciclette e tre pali. Niall non fece una grinza. Probabilmente l’avevo salvato
dal non sapere cosa fare. Rispettavo le regole, di solito, ma era un’emergenza.
Inforcammo le biciclette. Sul portapacchi della mia bici si reggeva Niall e su
quello della bici della Dark - okay, avevo difficoltà a chiamarla Teri - andava
la Capobanda dispettosa.
Il ciclope si liberò con un rumore di cemento spaccato e sibilo di acqua che
zampillava da tubi rotti. Non parlava. Usava solo parole senza senso come versi
primitivi.
Riuscimmo a farci strada nel traffico, scatenando le ire e le imprecazioni di
alcuni tassisti, ma salvarci la pelle veniva decisamente prima nella lista
delle priorità.
Il ciclope cercò di farsi strada spostando con un solo braccio
le automobili, però le bici erano decisamente più veloci.
Gli automobilisti gridavano, ma non c’erano feriti.
«UN CARRO ARMATO! NEL TERZO MILLENIO! INAUDITO! TROVATA PUBBLICITARIA!»
urlavano le voci intorno a noi. Aggrottai la fronte, ma continuai a pedalare
perché il mostro cominciava ad avvicinarsi, nonostante la velocità delle
biciclette.
Un carro armato? Vedevano seriamente un carro armato? Perché io vedevo un
disgustoso essere con una clava? Ero matta? Cosa vedevano Niall e le altre tre?
Il ciclope cominciava a stancarsi di quei colpi alle automobili, e anch’io
avvertivo il bruciore ai polmoni farsi sempre più forte.
«Mel, devi affrontarlo. Prendi questo» mi disse Niall, quando fummo costretti a
fermarci per riprendere un minimo di fiato.
Il rumore delle ruote delle auto che venivano scostate di lato si faceva sempre
più vicino.
Mi porse un elastico azzurro chiuso con un nodo.
«Slegalo. Si chiama Oxypetes. Significa che vola veloce» disse.
Inizialmente non capii. Non è certo una cosa da tutti giorni che un tuo amico
dagli zoccoli caprini ti dia un elastico con un nome greco e ti dica di
slegarlo nel bel mezzo di un inseguimento da parte di un ciclope.
«È solo un elastico, Niall.» replicai.
«Non fare la saputella e sbrigati!» gridò la Capobanda dispettosa.
«Slegalo!» urlò Niall, cercando di sovrastare il rumore di macchine accostate
al marciapiede ormai dietro di noi.
“Un motivo deve pur esserci.” mi dissi.
Tirai il cappio e l’elastico si sciolse all’istante, trasformandosi in un arco
d’argento con una freccia già incoccata. Rimasi a bocca aperta. L’urlo da
cavernicolo del ciclope mi risvegliò dallo shock. Non avevo mai usato un arco,
e non sapevo nemmeno da dove iniziare, ma fu l’istinto a guidarmi.
Il ciclope si stava avvicinando alla Dark e alla Capobanda dispettosa. Teri
proteggeva con il corpo la più piccola. Scesi dalla bici, scaraventandola di
lato e mi frapposi tra loro e il mostro. In pochi secondi tesi l’arco e puntai
all’occhio di quel mostruoso essere cavernicolo. Rilasciai la freccia.
Oxypetes saettò e colpì Mister Cavernicolo in pieno occhio. L’urlo fu forte,
immagino, ma alle mie orecchie arrivò ovattato. Sentii la presa sull’arco
allentarsi, ma vidi che c’era già una nuova freccia incoccata. Poi tutto si
fece confuso.
Spazio autrice
Okay, questo è il primo capitolo del crossover che avevo in mente da secoli. È principalmente
su Percy Jackson, ma ci saranno riferimenti anche a Harry Potter, e si
incrocerà a Twilight e a Iris (una saga italiana). Sono finalmente riuscita a
finirlo e credo che comincerò a postare un capitolo ogni martedì pomeriggio.
Il primo capitolo non è un granché, è più che altro un’introduzione alla vera
storia. I capitoli sono ventiquattro, non molto lunghi, e si alterneranno i
punti di vista delle quattro protagoniste: Mel, Eles, Teri e la Capobanda
dispettosa il cui vero nome non è detto in questo capitolo.
Spero vi sia piaciuto, e accetto eventuali correzioni e/o consigli.
Un bacio. And may the gods always be in your favor.
Ero la più grande di età e di muscolatura lì in mezzo. Fui costretta
a trascinare l’arciere-secchiona del gruppo fino alla stazione dei taxi. Mi
aveva leggermente scocciata il fatto di dover portare la ragazzina del punch
dietro di me in bici, ma il panico era più forte del fastidio. Ma trascinare
quella tipa strana che borbottava parole senza senso non mi faceva affatto
piacere, soprattutto dopo la stanchezza della pedalata. Ero distrutta
fisicamente e soprattutto mentalmente. Troppe cose assurde in troppo poco
tempo.
Diedi mentalmente ragione a mia zia che non voleva mandarmi in palestra.
Sarebbe stato decisamente meglio non farmi quei bicipiti. Non erano molto
evidenti, niente a che vedere con quelle donne tutte unte del Wrestling, e poi
cercavo sempre di nasconderli con felpe e magliette larghe, per poter sfoderare
l’effetto sorpresa di saper piazzare un bel pugno nello stomaco. Mi erano
serviti per difendermi bene dai bulli e poter essere lasciata sola. Stare sola
non mi pesava affatto. Il mio unico amico era Niall. Si sedeva accanto a me
nell’ora di Francese ed era sempre stato gentile con me. Un giorno vidi dei
bulli che lo prendevano in giro per le stampelle e per i capelli rossi. Lui
piagnucolava e io intervenni. Quei bulli avevano già avuto qualche occhio nero
a causa mia, quindi non fu difficile cacciarli via. Da allora Niall era diventato
mio amico.
Tornando alla tiratrice d’arco, riuscii a sopportare il suo delirio febbrile
fino alla stazione di taxi. Sperai comunque che si riprendesse presto. Avevo un
debito con lei. Se non fosse stato per la sua precisione nel tirare quella
freccia, il Ciclope mi avrebbe uccisa. Il solo pensiero mi fece rabbrividire,
nonostante l’aria calda di giugno. Prendemmo un taxi. Niall diede alcune
indicazioni al tassista. «Bene,
suppongo che questa serata non ce la scorderemo facilmente, quindi penso sia il
caso di presentarci.» disse la tipa super abbronzata.
Era sicuramente popolare perché era quella più corteggiata durante il ballo. Io
stavo sempre in silenzio e in disparte, ma non per questo era come se fossi
assente. Sapevo osservare molto bene. E preferivo essere invisibile piuttosto
che corteggiata in modo così patetico.
«Ria Johnson.» disse la ragazzina che aveva fatto fare certi scivoloni ai
cretini del football. «Tu sei Eles McTemar.»
«Speravo non mi conoscessi, avendo tredici anni.» replicò l’altra.
«Vuoi dire che non ti piace essere conosciuta?» domandai, alzando un
sopracciglio. Immaginai fosse una di quelle ragazze che tingono o tagliano i
capelli e poi dicono “Faccio schifo con questo taglio!” per poi sentirsi dire
dalle amichette “No, tesoro, stai benissimo!”. Odiavo quell’ipocrisia.
«Esatto, lo detesto. Tutti sanno tutto di me. Non è bello essere un libro
aperto. Sono quasi contenta di ciò che è successo questa sera. Nessuno della scuola
lo saprà.» rispose.
«Lei è Mel Evans.» disse Niall, sussurrando parole confortanti in greco antico
- che mi accorsi con grande sorpresa di capire - alla ragazza che ci aveva
salvati.
«Teri Nabaci.» mi presentai.
«Non ti ho mai vista.» affermò Eles.
«Non sono una persona che ama farsi notare.» replicai.
«Bel vestito, comunque.» rispose, indicando il mio vestito viola.
Mi guardai addosso, accennando un sorriso. Era il primo vestito che mia zia aveva
azzeccato, dopo anni a cercare di farle capire che il rosa shocking e il
celeste pastello non erano colori per me.
Già, mia zia. Lei non sapeva che fossi appena scappata da un ciclope e che
stessi andando...Dove stavo andando? Le strade erano a me sconosciute, ma mi
accorsi che stavamo uscendo da New York.
«Hey, aspettate! Dove stiamo andando?» domandai, come cadendo dalle nuvole.
«In un posto sicuro.» ribatté Niall. Poi mi guardò con i suoi occhi azzurri e
sembrò leggermi nel pensiero.
«Tranquille, manderemo un messaggio alle vostre famiglie quando saremo lì.»
Quella frase riuscì a calmarmi. Non era davvero mia zia, ma un’amica dei miei
genitori che mi aveva cresciuta come una figlia dopo la morte dei miei quando
ero poco più che una neonata. Mia zia mi aveva sempre raccontato che mi avevano
lasciato da lei per trascorrere un week-end in roulotte ma, durante il viaggio
di ritorno, la nebbia fitta aveva provocato un’ incidente con un camion che li
portò alla morte.
Durante il viaggio capii che Niall fosse amico di tutte e quattro, ma nessuna
si era mai accorta delle altre tre. Menomale che sapevo osservare molto bene.
«Si fermi qui.» disse Niall, ad un tratto, al tassista.
«Ma è aperta campagna. Non c’è niente qui.» replicò il tassista, preoccupato.
Guardai fuori dal finestrino senza capire cosa intendesse. C’era un campo lì,
ai piedi di una collina e alla suo ingresso c’era...era davvero un drago che
russava? Stropicciai gli occhi, ma il drago era ancora lì. Forse dovevo
prendere in considerazione l’idea di trovarmi in un sogno. Qualcosa, però, mi
diceva che non era così.
«Non si preoccupi. Tenga il resto.» ribatté il mio amico, cacciando delle
banconote nella mano del tassista e uscendo dal taxi.
Fui costretta a trascinarmi Mel fino ai piedi della collina. Farfugliava parole
come “Oxypetes”, “Dark”, “Dispetto”, “Capra”, “Clava”. Era visibilmente
traumatizzata, povera stella. Peccato che non questo non la rendesse anche più
leggera da trasportare.
Arrivato all’ingresso del Campo, Niall si fermò e si slacciò la cintura.
«Niall, ma che diavolo fai?» chiesi, facendo una smorfia incredula. Non mi
sembrava il momento di fare l’idiota.
«Mostro la mia vera natura» rispose scoprendo completamente le sue gambe
caprine. Fu difficile guardarlo negli occhi e distogliere lo sguardo dalle sue
zampe.
«Niall, ma tu...» sussurrò Ria, fissandogli le gambe.
«Sono un satiro, metà uomo e metà capra» rispose lui, sorridendo. «Sono vostro
custode, e sono stato incaricato di prelevarvi e portarvi qui. Per tutto il
tempo in cui siamo stati amici vi stavo proteggendo dai mostri, ma stasera ho
ricevuto l’ordine di portarvi qui. Un contrattempo come un ciclope era piuttosto
prevedibile»
Niall? Il nostro custode? Ero stata io a difendere quel ragazzo
magrolino dai bulli, e non solo una volta. Ora mi stava dicendo che in realtà
lui aveva protetto me per tutto il tempo dai mostri. Non poteva essere! E aveva
davvero chiamato quel coso “contrattempo”? Per poco non ci lasciavamo le penne tutti
e cinque se non fosse stato per Mel!
«Continuo a non capire.» replicò Eles.
«Mitologia greca, avete presente? Bè, è tutto vero e non si è concluso con la
fine della cultura Greca. Voi, ragazze, siete semidee. Il genitore che voi non avete
mai conosciuto è un dio o una dea. Bè, nel caso di Teri non sappiamo chi sarà.
Ecco perché siamo qui. Questo è l’unico posto al mondo in cui voi siete più al
sicuro, il Campo Mezzosangue» e così dicendo spalancò le braccia verso il
Campo.
Capii che uno dei miei genitori non era morto, in quel weekend, ma aveva
approfittato per tornare sull’Olimpo. Non sapevo se sentirmi arrabbiata o
sollevata.
«Mio padre...Un dio. Wow» sussurrò Eles.
«Mia madre è viva» disse invece Ria, incredula.
«Se Mel fosse cosciente penserebbe anche lei a sua madre, che non ha mai
conosciuto.» rispose Niall, varcando l’ingresso. Lo seguimmo.
«Quindi tutte le divinità dell’Antica Grecia sono vive.» affermò Eles.
«Esattamente. Presto sarete riconosciute, siete nell’età. Bè, a parte per Teri
che ha già quindici anni. Qui al Campo sono tutti come voi.» replicò il satiro,
avvicinandosi ad un anfiteatro.
«Sono piuttosto sfigata per essere una semidea» dissi.
«Se ti riferisci alla dislessia e al disturbo da deficit dell’attenzione fidati
che tutti qui sono come te» rispose Niall.
«Gli eroi non dovrebbero essere tipi superfighi? Io non lo sono e non vedo come
una ragazza dislessica possa esserlo» ribatté Ria.
«Parlate per voi!» esclamò Eles.
«Ragazze, siete dislessiche perché il vostro cervello è fatto per leggere il
greco antico»
Ecco perché capivo le parole che Niall sussurrava a Mel.
Entrammo e un enorme falò regnava al centro dell’ anfiteatro.
Scorsi ragazzi e ragazze con magliette arancioni e collane di
perline al collo che ridevano e scherzavano.
«Figli di Apollo!» gridò Niall. Alcuni ragazzi che stavano cantando in greco
antico si interruppero e guardarono nella sua direzione.
«Correte ad aiutarmi. Semidea che delira, post - traumatizzata da incontro con
ciclope.»
Un paio di ragazzi corsero verso di me, e mi tolsero Mel di dosso, portandola
verso un edificio che dedussi fosse l’infermeria. Mi sciolsi la crocchia ormai
spettinata e pettinai i capelli con le dita. Averli sciolti mi fece sentire
appena più protetta.
Poco dopo un uomo barbuto, con capelli ricci e neri e una camicia tigrata
addosso ci raggiunse, seguito da un uomo a cavallo. Solo quando si avvicinò al
falò mi accorsi che fosse parte integrante del cavallo.
«Un centauro.» dissi, sorpresa.
«Piacere di conoscervi, nuove arrivate. Benvenute al Campo Mezzosangue. Io sono
Chirone, direttore delle attività del campo. Lui è il Signor D.»
«Perché si chiama Signor D?» domandò Ria. Me lo stavo chiedendo anch’io, in effetti.
Non mi ero mai presentata come “Miss T”.
«I nomi sono potenti, signorina.» replicò l’uomo, con una punta di stizza.
«A proposito, quali sono i vostri?» chiese Chirone, sorridendoci.
«Teri» dissi. Le altre due ragazze fecero per presentarsi, ma una voce le
interruppe.
«Nuove arrivate?» mi voltai verso la nuova voce alle nostre spalle. Era un
ragazzo sui diciassette anni, con i capelli neri e gli occhi verdi. Accanto a
lui, una ragazza bionda. Si tenevano per mano. Ecco, ci rieravamo: coppie e le loro
dannate dimostrazioni d’amore. Mi trattenni dall’alzare gli occhi al cielo.
«Io sono Ria Johnson.» disse la ragazzina.
«Bene, signorina Jackson, si ricordi di non fare più domande sul mio nome. La
tengo d’occhio. Chirone, andiamo a concludere quella partita!»
«Teri ed Eles.» disse Chirone, indicando prima me e poi l’abbronzatissima. «Benvenute.»
E poi si allontanò al trotto seguendo il signor D.
«Tranquilla» disse il ragazzo dagli occhi verdi a Ria. «Sbaglia sempre i nomi.
A dir la verità ha invertito il mio con il tuo.» I due risero.
«Percy Jackson, figlio di Poseidone.» disse poi, porgendoci la mano. La ragazza
accanto a lui, che era stata zitta tutto il tempo, si avvicinò.
«Annabeth Chase, figlia di Atena.Non ancora riconosciute, immagino.» affermò la
ragazza, studiandoci.
«Da chi?»
«Il vostro genitore divino non ha ancora mandato un segno per riconoscervi. Una
volta che sarete riconosciute dormirete nella casa del vostro genitore.» e
detto così indicò le cabine che caratterizzavano ogni dio, poco più lontano
dall’anfiteatro. Erano venti.
«Per ora dormirete nella casa di Ermes, dio dei vagabondi e dei messaggeri.»
indicò la cabina Undici. «Vi presento i capigruppo. Connor, Travis!»
Due ragazzi dai capelli ricci si avvicinarono, spintonandosi e ridendo.
Uno dei due mi rivolse un sorriso e appoggiò una mano sulla mia spalla. Sentii
il mio corpo irrigidirsi. Contatto fisico con uno sconosciuto: una delle cose
che non sopportavo.
«Potresti evitare?» chiesi. Il ragazzo sorrise e lasciò cadere la mano lungo il
fianco.
«Certo, dolcezza. Se vuoi entrare nella mia cabina devi rispondere ad una
domanda.» mi disse. Annuii.
«Cosa dice un arancio quando non va a fare la spesa?» domandò. Aggrottai la
fronte.
«Mi prendi in giro?»
«Rispondi e basta.» replicò, sorridendo.
«Non lo so.»
«Manda-rino!» esclamò, e scoppiò a ridere alla sua stessa battuta. Risi anch’io
non per la battuta ma per la sua stupidità. Cercai di non farmi vedere troppo e
mi nascosi con i capelli. Non mi piaceva che gli altri mi vedessero ridere, mi
faceva sentire debole. Era sbagliato, e ne ero cosciente, ma ormai coprirmi con
i capelli era un gesto automatico, tipo un tic.
«Tranquilla, entrerai lo stesso nella cabina di Ermes.» disse, rivolgendomi un
altro sorriso a trentadue denti «Anzi, spero che non ci sia nemmeno un posto
disponibile per dormire, così dormi con me.» Mi sentii improvvisamente stupida
per aver indossato quel vestito così corto. Ero troppo in ghingheri.
«Travis, sei un’idiota. Non terrorizzarla. Neanche gli acari vogliono stare nel
tuo letto.» ribatté l’altro, Connor, ridendo. Poi si rivolse a me, a Ria e a
Eles.
«Venite a sedervi accanto a noi, vicino al falò.» disse Connor «Presto sapremo
chi siete.»
Ci sedemmo e nonostante non fossi in disparte era come se lo fossi. Connor e
Travis chiacchieravano con Eles e Ria, io non mi intromettevo a meno che non mi
chiedessero qualcosa. Dopo poco mi disinteressai.
Mi si avvicinò una ragazza alta, dai capelli lisci e neri con le punte rosse
che le sfioravano le spalle. Aveva un viso dolce, con grandi occhi scuri e una
spruzzata di lentiggini sul naso.
«Ciao!» esclamò, sorridendomi. «Nuovo pandacorno?»
Corrugai la fronte. «Nuovo che?»
«Panda - corno» ripeté la ragazza. «La fusione tra un panda e un unicorno»
«Oh...interessante» dissi, per poi voltarmi e alzare gli occhi al cielo.
Un’altra persona che voleva prendermi in giro: ma che bel Campo in cui ero
finita! Probabilmente stavo sognando e quello era il sogno più idiota che
potessi fare.
«Rispondimi!» esclamò la ragazza. «Oh, giusto. Non mi sono neanche presentata.
Io sono il pandacorno Aurora, figlia di Afrodite» disse, porgendomi la mano. Le
strinsi la mano, anche se diffidente.
«Sono Teri»
«Teri, sei una musona. Mi ricordi più un lamacorno, osservandoti meglio.
Dovresti cavalcare più spesso gli arcobaleni, ragazza». A quel punto fu
difficile trattenere una risata.
«Oh miei dei! Sono capace di far ridere una musona! Dovrei avere una medaglia
per questo. Magari quando rientra dall’impresa potrei provarci anche con Nico.
Però quel ragazzo mi mette sempre a disagio anche se ho due anni in più di lui.
Oh, tu non sai chi è Nico. È il figlio di Ade, l’unico rimasto in vita. È un
tipo allegro come te». Aurora parlava tantissimo, ma non mi dispiaceva sentirla
parlare. Era divertente.
«Tu hai scoperto solo stasera di essere una semidea, giusto?» chiese. Annuii.
«Ecco, io sono stata al sicuro fino a due anni fa. Avevo quindici anni e ho
scoperto il mondo dei youtuber. Sai cos’è, vero? Appunto, in un solo pomeriggio
ho fatto una maratona di video di Drew Malino e Troye Sivan. Così i mostri mi
hanno trovata; navigare in Internet per un semidio significa dire ai mostri
“Hey ragazzi, sono qui!”. Ma sono riuscita a scappare, perdendo il mio portatile.
Grover, uno dei satiri di qui, mi ha trovata e mi ha portata al Campo sana e
salva. Che fortuna! E tu?»
Le raccontai brevemente ciò che era successo quella sera.
«Fighissimo!» esclamò. «Oh miei dei, la tua amica è stata appena riconosciuta!
Comunque, mi sei simpatica. Se ti va domani ci alleniamo insieme e ti insegno a
cavalcare gli unicorni. In realtà sono pegasi, ma per me è lo stesso»
«Affare fatto»
«Oh, dimenticavo. Tieni una maglietta e dei pantaloncini per la notte. Immagino
che tu non voglia dormire con un vestito». Presi la maglietta e i pantaloncini
e ringraziai Aurora, accennando un sorriso.
Ammiravo quella stramba figlia di Afrodite. Era difficile farmi ridere, e
soprattutto era difficile starmi vicino. Effettivamente mi chiesi perché lo
facesse. La ragazza si era avvicinata a me; aveva capito che ero sola anche se
ero circondata da persone.
Aver appena trovato qualcuno che provasse a capirmi era una bella sensazione. Forse
quel Campo non era poi così male.
Spazio autrice
Mi sto ancora chiedendo come sia riuscita ad aggiornare puntuale, non mi è mai
successo prima (ecco perché le mie ff finivano per essere cancellate). Anyways,
come potete vedere qui cambia il punto di vista e anche la personalità della
narratrice. Teri è la tenebrosa del gruppo e non ride spesso, tende più a
ghignare. Aurora esiste davvero ed è una mia amica: il capitolo è dedicato a
lei e alla sua fissazione per i youtubers che mi ha trasmesso.
Credo che sia abbastanza chiaro di chi sia figlia Mel, Eles e Teri più o meno
chiaro, e Ria punto interrogativo.
Se avete qualche idea sul loro genitore divino mi piacerebbe se me lo diceste
tramite recensione. :) E, ovviamente, accetto anche critiche e consigli: per me
sono preziosi.
Ringrazio coloro che mi hanno aggiunta tra gli autori/storie preferiti e Kalyma
P Jackson che ha recensito, facendomi saltare dalla sedia per la sorpresa.
Un bacio.
Non pensavo di essere riconosciuta così in fretta. Addirittura,
a solo mezz’ora dal mio arrivo al Campo. Niall mi aveva spiegato che non era
una cosa istantanea.
Non avevo mai conosciuto mio padre. Mia madre aveva cambiato discorso per
quattordici anni, ogni volta che le chiedevo di parlarmene. Diceva che doveva
lavorare, che aveva il dovere di aiutare lo Stato, essendo una poliziotta.
Così mio padre decise di riconoscermi subito, come per farsi perdonare della
sua assenza. Non ero risentita con lui, però. Alla fine era un dio, aveva anche
le sue cose da fare.
Stavamo intorno al falò, ridendo e scherzando con Connor, Travis e Liam, un
altro ragazzo della casa di Ermes.
I due ragazzi di Apollo che erano andati a soccorrere Mel tornarono dall’infermeria,
e si unirono ad altre ragazzi e ragazze. Presero i loro strumenti musicali e
ricominciarono a cantare e a suonare creando un’atmosfera così tranquilla da
farmi sentire finalmente a casa. Niente amiche leccapiedi, niente ragazzi che
fanno gli stupidi per attirare l’attenzione, niente lettere che ballano sul foglio
per colpa della dislessia, ma anche niente mamma e profumo di focaccine farcite
che aveva sempre tempo di fare, nonostante il suo lavoro impegnativo.
Mi consolai al pensiero che l’indomani avrei potuto contattarla tramite
l’iPhone di cui Niall mi aveva parlato. La “i” stava per Iride, la dea
dell’arcobaleno. Gettando una dracma nell’arcobaleno che si creava quando i
raggi del sole attraversavano l’acqua e chiedendo gentilmente, avrei potuto
salutare mia madre e tranquillizzarla.
I figli di Apollo stavano cantando Wonderwall degli Oasis. Stavo così bene che
cominciai a canticchiare guardando il cielo stellato. Non avevo mai visto così
tante stelle. In città era praticamente impossibile, con tutte quelle luci.
Quella vista mi lasciò senza fiato.
Ad un tratto il lieve chiacchiericcio e la musica della casa di Apollo si
zittirono. Mi accorsi che l’unico suono fosse la mia voce e smisi di cantare,
guardandomi intorno, imbarazzata. Pensai di aver stonato e di aver rovinato
tutto, ma poi mi accorsi che tutti mi fissavano con un lieve sorriso sulle labbra.
Una luce tremava sui loro volti, e mi accorsi che veniva da me. Sollevai lo
sguardo, e vidi il simbolo della lira che brillava sulla mia testa.
Un rumore di zoccoli al trotto si fece più vicino.
«Benvenuta Eles, figlia di Apollo, dio del sole e della medicina, protettore
delle arti, signore dei topi e dei cigni.» disse Chirone.
Gli altri campeggiatori si inchinarono. Ero abituata ai complimenti ma non agli
inchini. Quando il simbolo della lira sparì dalla mia testa fu un sollievo. Ero
contenta per il mio riconoscimento, ma non per l’imbarazzo.
Nella casa di Ermes, chiaramente, non ci misi più piede. Un
po’ mi dispiacque. Connor, Travis e Liam erano simpatici.
I figli di Apollo mi accolsero calorosamente non appena il simbolo della lira
scomparve dalla mia testa. Scattarono in piedi e corsero ad abbracciarmi. Poi Will
Solace, il capogruppo della casa di Apollo, mi chiese di seguirlo nella cabina
Sette.
La cabina di Apollo era bellissima. Non appena entrai il profumo di arte mi
investì. In svariati punti della stanza c’erano delle arpe, chitarre, strumenti
musicali di vario genere e al muro erano attaccati appunti di medicina. Il
lampadario non emanava una pallida luce artificiale, ma splendente luce solare.
Will mi assegnò il letto di Lee Fletcher e sottolineò che fosse davvero un
onore. E io mi sentivo onorata.
«Tutto quello che vedi qui è solo una piccola parte di ciò che un figlio di
Apollo può fare. Vicino alla Casa Grande c’è un intero spazio dedicato alle
arti e ai mestieri.» Riuscii solo ad annuire e sorridere, non perché non
capissi ma perché ero troppo emozionata e sorpresa per dire qualcosa di
sensato. Sentivo crescere in me la voglia di restare in quel Campo per più
tempo possibile.
«Immagino ti servirà un pigiama» disse Vanessa, una delle mie sorellastre dagli
occhi grandi e verdi.
«Sì, il mio arrivo è stato molto improvvisato»
«Comunque bel vestito, sorella» rispose lei, porgendomi un pigiama bianco.
Ero così felice da essere convinta di non riuscire a chiudere occhio, ma non
appena appoggiai la testa sul cuscino crollai a dormire.
Il mattino dopo Michael Yew, un altro dei miei fratellastri, mi fece trovare
accanto al letto una maglietta arancione con la scritta ‘Campo Mezzosangue’ e
il simbolo a forma di pegaso, un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica.
Avevo solo il mio vestito argento della sera del ballo come bagaglio.
Indossai i vestiti e poi uscii insieme ad alcune delle mie sorellastre.
Ci stavamo dirigendo verso il poligono di tiro con l’arco, la
specialità dei figli di Apollo, quando Michael mi prese per un braccio e mi
trascinò verso le fucine.
«Che cos-» feci per chiedere, quando lui mi interruppe.
«Ti serve il tuo arco con la tua faretra.» rispose. «Ogni figlio di Apollo deve
averne uno proprio.»
Una ragazza dalla carnagione scura, pantaloni militari e bandana sui capelli
neri si avvicinò con un sorriso.
«Nuova arrivata?» domandò, sorridendo e pulendosi le mani unte con uno
straccio.
«Esatto.» rispose Michael. «Nyssa, ti presento la mia sorellastra, Eles
McTemar.»
Le strinsi la mano che notai essere callosa, poi mi fece cenno di seguirla in
un’altra stanza.
Quella stanza sì che era il paradiso di ogni arciere.
Archi di ogni genere e dimensione, frecce esplosive, faretre che diventavano invisibili.
«Qual è il mio?» domandai.
«Bé, come per i discendenti di Ecate, dea della magia, è la bacchetta che sceglie il suo mago. In questo caso, è l’arco
che sceglie il suo arciere. Avvicinati a quello che senti essere il tuo, e
vedremo se lui pensa lo stesso.» rispose Michael.
Proprio appoggiato alla parete vicino a me c’era un arco nero, semplice. Lo
afferrai, poi allungai una mano per prendere la faretra ma l’arco mi scivolò di
mano. Eppure ero convinta di averlo stretto forte. Mi inginocchiai per
recuperarlo. Allungai una mano per afferralo ma l’arco scivolò via alla mia
presa e si riattaccò alla parete.
Decisamente non era d’accordo. Mi guardai intorno.
Un arco d’oro, ricco di ghirigori, splendeva alla luce del sole. Mossi qualche
passo per provarlo ma, come se sapesse che puntavo a lui, l’arco volò
dall’altro lato della stanza. Sbuffai, frustrata. Sperai che non dovessi
restare per ore in quella stanza cercando di provarli tutti e vedendoli volare
via per non diventare miei.
Nonostante gli archi supertecnologici che riempivano la stanza, la mia
attenzione fu attratta da un arco che a prima vista sembrava semplice come il
primo. Era fatto di legno chiaro. Accanto ad esso giaceva una faretra marrone scuro
con alcuni decori dorati e frecce altrettanto scure, alcune più opache, altre
più lucide. Era chiuso in una teca di vetro.
Mi voltai verso Nyssa e Michael quando mi accorsi che lui le aveva appena
stampato un bacio sulle labbra. Trattenni un sorriso.
«Ho scelto. È questo.» dissi, attirando la loro attenzione su di me.
«Buona scelta.» disse Nyssa, con le guance ancora in fiamme. «Hai scelto l’arco
che tuo padre ha donato al Campo, in attesa del suo erede degno di saperlo
usare. Peccato che ogni volta che un figlio di Apollo ha provato ad usarlo
l’arco si è sbriciolato dalle loro mani e si è ricomposto nella teca.»
«Bè, se non reca nessun danno permanente, lasciamelo provare.» replicai.
«Come preferisci.» ribatté, stringendosi nelle spalle. «Perdi il tuo tempo.»
Mi avvicinai alla teca, guardando l’arco. Ad un tratto l’arco si sbriciolò.
Nemmeno il tempo di prenderlo in mano che l’arco si era già ribellato. Perfetto.
Feci per girarmi e cercare un altro arco ma un secondo dopo l’arco della teca
si ricompose nelle mie mani, con una freccia già incoccata.
«Oh miei dei!» esclamò Michael, portandosi una mano alla bocca. Nyssa spalancò
gli occhi, con il dito ancora sospeso sul bottone di apertura della teca.
«Santo Efesto, allora è lei...»
«Sono io...cosa?» chiesi.
«Andiamo a provarlo, sorellina.» disse Michael, sorridendo. Lasciò a malavoglia
la mano di Nyssa e si avviò verso l’uscita. Ringraziai Nyssa e mi avviai fuori.
«Dunque, quella faretra ha due tipi di frecce. Frecce normali a destra e frecce
particolari a sinistra.» spiegò.
«Che intendi per particolari?» domandai.
«Prendine una. Percy! Corri, ci serve il tuo aiuto.» Percy Jackson, il figlio
di Poseidone, ci raggiunse.
«Che succede?» chiese.
«Mia sorella deve provare il famoso arco di Apollo.»
«Quello che non era compatibile con nessuno della tua casa?»
«Esatto.»
«Mi tengo pronto in caso di incendio.»
Deglutii rumorosamente. Incendio? Che razza di arco era? Non ero più sicura di
sentirmi così felice all’idea che fosse mio.
«Bè, visto che ci siamo, meglio dirlo a tutta la cabina.» disse Michael.
«Figli di Apollo! L’arco di nostro padre ha trovato finalmente il suo
proprietario!» gridò. I miei fratelli e le mie sorelle cominciarono ad arrivare
numerosi con altri ragazzi del Campo e a parlottare tra loro, entusiasti.
«Vai, Eles!» esclamò Will, sorridendomi. Vanessa mi fece l’occhiolino.
Incoccai la freccia particolare, con le mani tremanti. Era quella leggermente
più lucida. Tesi l’arco e non appena le mie dita lo toccarono, smisi di
tremare. Puntai verso il bersaglio. Non appena la rilasciai, la freccia
cominciò a schiarirsi sempre di più fino a quando non divenne dorata. Il raggio
che ne scaturì fu fortissimo, ma gli occhi non mi bruciavano. Immagino che la
discendenza dal dio del sole centrasse qualcosa. I ragazzi accorsi esclamarono
per lo stupore. Centrai il bersaglio e sorrisi. Come primo tentativo era
notevole.
«Corri a toglierla dal bersaglio, prima che si incendi!» esclamò Michael. Feci
come aveva detto. Arrivata vicino al bersaglio mi accorsi del fumo che
cominciava ad uscire dalla punta della freccia. La estrassi dal bersaglio e ci
soffiai sopra, spegnendo la piccola fiamma che si era formata.
«Ora hai capito come funziona?» mi chiese il mio fratellastro.
«Sono frecce-raggi di sole.» dissi.
«Esatto. E tu sei la figlia di Apollo destinata a quell’arco. Fidati,
sorellina, questo è l’onore più grande che potesse capitarti».
C’erano molte cose per le quali dovevo sentirmi onorata da quando ero lì.
Sperai che fosse segno dell’inizio di una fantastica estate.
Quella sera ci fu una festa, ma nessuno era vestito più elegante
del solito. Notai solo qualcuno dei miei fratelli e alcuni dei figli di
Afrodite che avevano deciso di mettersi in ghingheri. Io avevo lasciato il mio
vestito argentato nella Cabina Sette e avevo preferito i jeans e la maglietta
arancione. Oltre a essere più comoda mi faceva sentir parte di quel mondo in
cui ero entrata da poco più di ventiquattro ore. Il signor D era di buon umore:
riempiva di Diet Coke i bicchieri di tutti. Un po’ a scoppio ritardato, ma
avevo capito che fosse Dioniso.
Cantai e suonai insieme ai miei fratelli e alle mie sorelle per tutto il tempo.
Avevo visto mia madre quella mattina.
Era felicissima di vedermi, ma mi aveva detto che aveva immaginato ciò che mi
era successo.
Mi aveva detto che restare lì era più sicuro per tutti.
Quella mattina era stranamente vestita di nero. Quando le avevo chiesto il
motivo mi aveva guardato come se le avessi fatto una domanda stupida. Poi aveva
farfugliato una scusa, qualcosa sul fatto che non aveva trovato niente di
meglio nell’armadio. Mi aveva detto di divertirmi e di impegnarmi
nell’allenamento.
“Mi dispiace, Eles. Avrei dovuto spiegarti tutto a Marzo, quando hai compiuto
quattordici anni. Dovevo aspettarmi che il momento di rifugiarti al Campo era
vicino.” Mi aveva detto, prima di chiudere la comunicazione. Non avevo fatto in
tempo a dirle che era tutto okay, che ora ero sana e salva ed era ciò che
importava. Niall, però, aveva finito le dracme e la conversazione era
terminata.
A metà serata Chirone batté lo zoccolo per terra per attirare l’attenzione di
tutti.
«Bene, i mezzosangue più piccoli di quattordici anni sono gentilmente pregati
di andare nelle proprie case a dormire»
I ragazzi dagli undici ai tredici anni cominciarono a lamentarsi, ma poi ubbidirono.
Scorsi Ria che si incamminava verso le cabine con un’espressione arrabbiata.
«Dai, bambina.» disse un ragazzo dall’aria prepotente della casa di Ares,
Rupert Ripton. «Vai a dormire e a sognare i tuoi cartoni animati preferiti.»
«Infatti» sopraggiunse il suo gemello, Daniel. «Abbiamo visto la tua maglietta
di Peppa Pig!»
Vidi gli occhi verde scuro di Ria illuminarsi di una luce strana. Ebbi la
sensazione che i due gemelli figli di Ares si sarebbero presto ritrovati con il
sedere a terra.
Spazio Autrice Eccezionalmente
posto di lunedì, perché domani è il mio compleanno (La vecchiaia incombe
funesta) e dopo aver finito i compiti (maledetti Promessi Sposi) dovrò
accogliere amici e parenti a casa e a fine serata non credo che riuscirei a
rileggere il capitolo e pubblicarlo. Il quarto lo posterò sabato e d’ora in poi
sarà il giorno in cui aggiornerò. Nel week-end è più facile che ci si metta su
Internet e si leggano ff.
Comunque, questi capitoli sono privi di azione. Sono capitoli in cui mostro le
quattro protagoniste e il loro modo di adattarsi alla nuova vita al Campo,
infatti da questo capitolo fino al sesto verranno riconosciute.
Ringrazio Khae1
e Kalyma P Jackson
per le recensioni allo scorso capitolo, e vi consiglio di andare a dare un’occhiata
alle loro ff. Altre recensioni sarebbero davvero gradite, comprese le critiche
che io trovo importanti.
Ci sentiamo sabato, baci. xx
La prima volta che avevo fatto uno scherzo era stato in quarta
elementare. Ero ad un compleanno e stavo bevendo un’aranciata quando un
gruppetto di bambine mi accerchiò. Erano più ricche e carine di me, e anche più
eleganti e avrebbero dovuto intimorirmi, ma non fu così. Attesi che mi parlassero,
ma dopo avermi guardato con cattiveria mi lanciarono addosso i bicchieri di
Coca cola sporcandomi i pantaloni mimetici che mio padre mi aveva regalato. Sì,
avete capito bene. Tutti insieme, quattro bicchieri di Coca cola fredda in
faccia e sui vestiti.
“Oh, scusami, bimbo. Sei così invisibile” Disse una di loro. Le altre risero e
andarono via.
Fu la prima volta che fui vittima di bullismo. E anche l’ultima.
Resi il buffet sgradevole, per prima cosa. Riempii le patatine di zucchero, i
dolcetti di sale e le bevande erano mischiate tra di loro. Chiesi l’aiuto di un
paio di bambini. Dovevano spingere le quattro bulle sulle sedie di plastica che
avevo riempito di Nutella. E lo fecero. Sapevo essere molto persuasiva.
Non vi dico le urla quando si alzarono dalle sedie. Per me fu una soddisfazione
enorme e da allora non potei più farne a meno. E quei due bambini, George e
Ernie, divennero i miei amici più fedeli. Andavamo in giro a organizzare cose
del genere, piccole vendette contro i bulli.
«Abbiamo visto la tua maglietta di Peppa Pig!» gridò quello scemo della casa di
Ares.
Pestai i piedi a terra. Come si permettevano quei prepotenti di rivolgersi a me
in quel modo? Erano i gemelli Ripton, figli di Ares. Dio della guerra, giusto? Bè,
non mi interessava. Odiavo i prepotenti e non l’avrebbero passata liscia. Corsi
nella cabina di Ermes e afferrai la mia borsa degli scherzi.
Uscii nuovamente fuori. Chirone era circondato da alcuni suoi amici centauri un
po’ ubriachi, quindi non mi notò.
Presi dalla mia borsa una forbice e gattonai sotto il tavolo di Ares. Quei
fessi stavano ridendo e scherzando sulla loro grande presa in giro alla nuova
piccola arrivata con un paio di suoi amici scemi quanto loro.
Slegai uno spago e annodai la panca su cui erano seduti con le loro scarpe.
Erano così massicci che le mie dita non procuravano loro nemmeno il solletico.
«E poi la ragazzina ha pestato i piedi per terra ed è andata via.» Gli altri
due risero sguaiatamente.
Presi la forbice e restando sotto la panca cominciai a tagliare la parte
inferiore dei loro jeans, per poi farci un risvolto. Presi la colla attacca
rapido – facendola sbrodolare lungo le mie braccia – e ci incollai dei nastrini
fucsia.
«Non vedo l’ora della Caccia della Bandiera, domani.» disse uno di cretini che
mi aveva presa in giro. «Voglio proprio godermi la faccia delle nuove arrivate
quando la nostra Casa vincerà e romperà il c...» si interruppe. Mi bloccai dal
tagliargli i jeans e restai in ascolto, sperando che non gli venisse improvvisamente
voglia di guardarsi i piedi e vedere gli spaghi che lo legavano alla panchina.
«Diamine, Daniel. Come sei scurrile!»
gridò un altro ragazzo, facendo la voce in falsetto. Tirai un sospiro di
sollievo e continuai a incollare i loro jeans fino a farli diventare un bellissimo
modello con il risvolto. Presi i pennarelli e disegnai sui risvolti, proprio
accanto ai nastrini, la testa di Peppa Pig, visto che l’amavano tanto. So cosa
state pensando, che ero un’ammiratrice di quel cartone. No, lo stavo facendo per
farmi valere, per dimostrare che non mi sarei limitata ad ignorare la loro
prepotenza e per farmi rispettare all’interno del Campo.
«Idioti.» disse una voce femminile, probabilmente era la ragazza a cui avevano
fatto il verso. L’avevo sentire solo una parola, ma già andavo d’accordo con
lei.
Tra le assi della panca c’era lo spazio necessario per farci passare una mano.
Così presi un pennarello nero e scrissi sui loro stupidi sederi coperti dalle
loro stupide mutande “I ♥ Peppa Pig”.
«Andiamo a prendere un po’ in giro la nuova arrivata, quella dark.» disse uno
dei due. Intendevano Teri. “Ah, buona fortuna.” Pensai. Anche se fossero
riusciti a raggiungere Teri senza far notare i loro nuovi pantaloni fashion
(cosa impossibile) credo che la ragazza non si sarebbe risparmiata dal fare un
paio di occhi neri anche al Campo.
Esattamente quello che volevo. Fecero per alzarsi ma restarono bloccati.
Sbuffarono. Pensai stessero per prendere i loro coltelli, invece no. Vidi le loro
braccia muscolose tirare via lo spago come se fosse un sottile filo di cotone.
Si alzarono e si avviarono verso il tavolo di Ermes, dove Teri era seduta,
quando tutti scoppiarono a ridere.
«Bei pantaloni!» gridavano. I due gemelli si guardarono addosso e poi si
scambiarono occhiate imbarazzate e andarono via, verso la Cabina di Ares.
Giusto una piccola vendetta per fargli fare una figuraccia, non uno scherzo
molto elaborato. Mi sarei vendicata in un modo migliore un’altra volta. Feci
per alzarmi, quando mi accorsi di essere sotto la panca. E me ne accorsi
sbattendo la testa contro il bordo. Doloroso.
«Buonanotte, figli del dio della guerra. Se volete ho qualche doppione di
figurine di Peppa del mio fratellino.» dissi, facendo finta di non essermi
fatta niente. Tutti scoppiarono a ridere.
Alcuni mi diedero delle pacche sulle spalle. Un figlio di Iride stava per
battermi il cinque, quando si bloccò, aggrottando la fronte. Mi sentii un po’
strana. Forse quello scherzo che avevo fatto ai figli di Ares mi rendeva loro
eguali. Mi sentivo... in colpa? E se fossero stati miei fratelli? Bel modo di
farsi nemici nella propria cabina. Poi ricordai che mia madre era il ramo
divino della famiglia. Il ragazzo figlio di Iride fissava sopra la mia testa.
Aggrottai la fronte e guardai in alto. Il simbolo di una bilancia brillava di
una luce viola sulla mia testa.
Nonostante fosse ubriaco, Chirone trottò verso di me e mi diede una pacca sulla
spalla.
«Ria Johnson, figlia di Nemesi, dea della vendetta. Benvenuta.» disse, mentre
gli altri mezzosangue si inchinavano. «E
ora festa tutta la notte!» gridò Chirone. E si allontanò al galoppo verso i suoi
amici centauri, tutti con una bottiglia in mano.
Realizzai di essere l’unica figlia di Nemesi presente. Sarei stata sola nella
cabina, ma alla fine non mi pesava. Avrei fatto amicizia con altri semidei, no?
«Sono tornati!» gridò Rose, una delle figlie di Dioniso, guardando verso
l’ingresso del campo.
Mi voltai, con la luce viola del simbolo di mia madre ancora sulla testa.
Due ragazzi e una ragazza si avvicinarono al falò con aria distrutta.
«Finnick!» esclamò Percy preoccupato, correndo verso uno dei ragazzi. Era più
grande di lui, circa ventitré anni o forse più. Si strinsero in un abbraccio
affettuoso, fraterno, e il più grande continuava a ripetere di stare bene.
Aveva i capelli color bronzo spettinati e gli stessi occhi verdemare di Percy.
Mi commossi a vedere quella scena, ricordandomi di mio fratello più piccolo,
Onny. L’avevo visto appena quella mattina, tramite l’iPhone, insieme a mio
padre. Gli avevo chiesto se anche mio fratello dovesse stare al Campo, ma mio
padre mi aveva spiegato che non era figlio di Nemesi come me. Ecco perché
eravamo così diversi. Io avevo gli occhi verde scuro, Onny azzurri, lui aveva i
capelli biondo platino e io biondo cenere. Mio padre sembrava visibilmente
sollevato di sapere che fossi al Campo.
«Fidati, Riri, è molto più sicuro che tu stia lì.» mi aveva detto.
All’improvviso tutti raggiunsero i tre ragazzi appena tornati, disponendosi a
cerchio intorno a loro.
La ragazza dai capelli lisci e castani si sedette e subito una ragazza della
casa di Afrodite, Aurora, le portò un quadratino di ambrosia e un bicchiere di
nettare.
«Abbiamo perso Gregor e Leo durante il viaggio a Los Angeles, e siamo tornati
indietro. Non potevamo andare avanti senza loro due.»
Chirone sembrò farsi più serio.
«Arika, cosa è successo esattamente?»
«Ci siamo divisi per seguire le tracce di un mostro. Noi l’abbiamo trovato e
l’abbiamo ucciso. Loro avranno continuato senza di noi.»
L’altro ragazzo, con i capelli neri e la carnagione chiara, il più piccolo, fu
trascinato da Rose, la figlia di Dioniso, fino alla cabina Tredici.
“Figlio di Ade.” Pensai.
Eles fermò Rose. «No, no, il ragazzo ha bisogno di cure. Deve andare in
infermeria.» disse.
Teri scattò in piedi. «Lo accompagno io.» E così fece. Lasciò che il ragazzo le
si appoggiasse addosso e lo portò senza troppi sforzi in infermeria, seguita da
Eles.
«Nico è abbastanza stanco.» disse Finnick. «Vado anch’io.»
«Ti aiuto.» si offrì Percy. Lo accompagnò alla casa di Poseidone, reggendolo
ogni tanto per non farlo cadere.
Arika si sedette accanto a me e mi strinse la mano.
«Benvenuta, figlia di Nemesi.» mi disse, con un sorriso.
La festa ricominciò.
In quel momento la luce viola si fece sempre più soffusa fino a spegnersi.
«Grazie, figlia di Zeus.» risposi.
Aggrottò la fronte.
«Come hai...» fece per chiedere.
«Occhi che mandano scariche elettriche per quanto sono blu.» risposi,
interrompendola. Sorrise, ammirata.
«Se ti va, domani ci alleniamo insieme. Ho sempre voluto fare
due chiacchiere con una figlia di Nemesi»
«Sicuro» risposi.
«Sai, io sono sempre piuttosto sola e so che lo sarai anche tu»
Annuii. «È quello che stavo pensando».
Arika mi sorrise un’ultima volta e poi si avviò verso la casa Uno.
«Eles.» chiamai, non appena la vidi uscire dall’infermeria. La ragazza si voltò
verso di me e mi sorrise. Era davvero molto più simpatica ora che stavamo al
Campo.
«Come sta Mel?» chiesi.
«Ha smesso di delirare. Dorme.»
«Teri è andata da lei, vero?»
Eles annuì. «Ha accompagnato Nico per avere la scusa di restare lì.» Guardai
verso l’infermeria, sentendomi un po’ in colpa. Mel era lì per colpa mia, per
aver salvato me e io non ero passata a trovarla o a far compagnia a Teri.
Decisi di andarci il giorno dopo.
«Vado, prima che Chirone torni lucido. ‘Notte.»
Andai nella casa di Nemesi e appoggiai la mia borsa degli scherzi ai piedi di
un letto.
Mi guardai intorno. La cabina Sedici era bellissima. C’erano solo due letti a
castello, vuoti. Un lampadario a forma di bilancia di bronzo pendeva dal
soffitto, con inciso il nome in caratteri greci di Nemesi e illuminava l’intera
cabina con una luce chiara e violacea. Scelsi un letto e mi ci buttai sopra,
quando notai una foto appesa alla parete di un ragazzo dai lineamenti orientali.
Qualcuno bussò alla porta della Cabina. Scesi dal letto e andai ad aprire.
Davanti a me c’era Percy.
«Hey Ria, ecco i tuoi vestiti. Li avevi lasciati nella cabina di Ermes.» disse,
porgendomi le mie robe.
«Oh, grazie.» dissi, sorridendo.
«Figurati. Buonanotte.» disse Percy, sorridendo. Si voltò per andarsene, ma lo
fermai.
«Ehm, Percy...Una domanda.»
Si girò nuovamente verso di me.
«Anche due.»
«Chi è quel ragazzo?» chiesi, indicando la foto poco sopra il mio letto.
Percy si scurì in volto e fece un sorriso amaro.
«Devi sapere, Ria, che quello era un tuo fratellastro. Si chiamava Ethan
Nakamura, Crono l’ha ucciso. Come suo ultimo desiderio mi ha chiesto di
chiedere agli dei di giurare sullo Stige di riconoscere tutti i propri figli a
tredici anni e di costruire nel Campo le cabine per i figli delle divinità minori.»
«Quindi quello che mi è successo è grazie ad Ethan? Se non fosse stato per lui
sarei dovuta rimanere nella cabina di Ermes per sempre?»
Percy annuì e io mi voltai verso la foto di Ethan. Aveva una benda su un
occhio, ma aveva un bel viso.
«In quel cassetto ho messo il suo coltello avvelenato, la sua arma. Credo che
se lui ti avesse conosciuta avrebbe voluto che andasse a te.» disse Percy.
Mi avvicinai ad un comodino in legno e aprii il primo cassetto. Un coltello
bianco era chiuso nel suo fodero. Lo presi e lo misi in borsa, sorridendo.
«Grazie, Percy. Sogni d’oro.»
Percy sorrise e si avviò verso la Cabina Tre. Indossai il pigiama e mi stesi
sul letto, guardando il soffitto e senza smettere di sorridere.
Quella sì che era stata una giornata fantastica.
Il giorno dopo andai in infermeria. Trovai Teri già lì, che aiutava
i figli di Apollo a far aprire la bocca a Mel nel sonno per farle mangiare
almeno un quadratino di ambrosia.
«Hey.» dissi, avvicinandomi al letto.
«Ciao Ria. Ho saputo che sei stata riconosciuta da tua madre.» mi rivolse un
lieve sorriso.
«Già, figlia della dea della vendetta, Nemesi.»
«È una divinità troppo sottovalutata, secondo me.» disse Teri. «La dea della
vendetta non è mica qualcosa da niente, ma è considerata una divinità minore.»
Sorrisi anch’io.
«Non posso far altro che essere d’accordo con te. E tu?»
«Io cosa?»
«Hai qualche idea di chi potrebbe essere il tuo genitore divino?»
«Grover, un satiro amico di Niall, dice che il mio stile le ricorda quello di Talia
Grace, figlia di Zeus. Ora è diventata Cacciatrice di Artemide. Non significa
niente, però. Abbiamo entrambe lo stile dark, ma non significa che sia sua
sorellastra. Probabilmente, come ha detto Niall, sono figlia di una divinità minore
tipo Tyche o Ipno.»
«Non mi sembri figlia del dio del sonno.» replicai.
Teri si strinse nelle spalle.
«Come mai sei sempre qui, ad assistere Mel?» domandai.
«Mi sento in dovere di stare qui. E poi ho compagnia» rispose, facendo cenno ad
un ragazzo che dormiva nel letto accanto. Era lo stesso che la sera prima aveva
accompagnato in infermeria. Com’è che l’aveva chiamato Eles? Qualcosa come Nico,
forse.
«Quando si rimetterà Mel?» chiesi.
In quel momento, come se si sentisse nominata, Mel aprì gli occhi di scatto.
Spazio autrice
Perdonatemi, ma ieri il mio computer aveva deciso di non
farmi postare e non c’è stato verso di convincerlo a collaborare. Ad ogni modo,
questo è il secondo riconoscimento della storia, yay. Ed è in questo capitolo
che inizia il crossover con Hunger Games. Non è certo una coincidenza che il
fratello di Percy si chiami Finnick. Ve l’aspettavate che Ria fosse figlia di
Nemesi? Che ne pensate di Arika? Vi ringrazio già in anticipo se recensite
(anche con una critica) e ringrazio soprattutto Kalyma P Jackson per aver
recensito tutti i primi tre capitoli di questa fan fiction. Vi consiglio
vivamente di leggere la sua fan
fiction, è stupenda e avvincente.
Baci xx
Finalmente riuscii ad riemergere da quel mare grigio in cui
ero caduta e in cui non riuscivo a respirare. Era come riprendere fiato dopo
una nuotata estenuante. Mi sembrava di aver vagato per ore e ore in un luogo di
cenere, con il cielo bianco e una luna nera. Sentivo le tempie pulsarmi e i
muscoli come raggrinziti per lo sforzo.
Mi sedetti sul letto, stropicciandomi gli occhi per scacciare i puntini gialli
davanti a me. Aprendoli vidi accanto a me la Capobanda dispettosa e la Dark.
Com’è che si chiamava? Teri, credo.
«Che...» feci per chiedere, ma la voce mi uscii roca e bassa. Cercai di
schiarirmela.
«Che cosa è successo? Dov’è il ciclope?» chiesi. Solo lo sforzo di parlare mi
causò un mal di testa più martellante di prima. Mi massaggiai le tempie per
alleviarlo e mi riappoggiai sul cuscino.
«L’hai disintegrato, Mel.» rispose Teri.
«Oxypetes» sussurrai, guardandomi il
polso. L’elastico era ancora lì. Non avevo sognato e non ero matta, ma non
sapevo se fosse una buona notizia.
«Esatto, il tuo arco con la tua freccia» disse la Capobanda dispettosa. «Oh, tu
non sai ancora i nostri nomi. Io sono Ria Johnson.» Sembrava avermi letto nel
pensiero. Ecco, finalmente non dovevo chiamarla più la Capobanda dispettosa.
Sarebbe stato imbarazzante.
«Teri Nabaci.»
«Voi sapete già il mio nome. Ho disintegrato il ciclope con una freccia?»
«Fatta di bronzo celeste, che uccide i mostri ma non gli umani.»
«Wow.» sussurrai, guardandomi l’elastico legato al polso. «Nessuno l’ha notato?»
«Sì, grazie alla Foschia. Permette agli umani di vedere ciò a cui possono dare
una spiegazione.»
Aggrottai la fronte, ancora più confusa, ma non feci in tempo a chiedere
ulteriori spiegazioni perché un ragazzo dalla tintarella perfetta mi si avvicinò.
«Mel, io sono James, figlio di Apollo. Come ti senti?»
«Figlio di Apollo? Forse io dovrei chiederti come ti senti.»
Il ragazzo sorrise.
«Bè, vedi, Mel. La mitologia greca non è solo nei libri. È reale. Qui siamo al
Campo Mezzosangue, un posto per ragazzi come noi. Dislessici, iperattivi e con
un genitore mancante, ovvero il nostro genitore divino.» mi spiegò con voce
gentile. La definizione mi calzava alla perfezione.
«Quindi mia madre...»
«Sicuramente è una delle dee dell’Olimpo. Tornando alla mia domanda. Come stai,
Mel?»
«Sto bene.» risposi subito. Il ragazzo mi osservò attentamente con i suoi occhi
verdi. Sfiorò con le dita l’elastico che avevo al polso. Poi sorrise.
«Sei stata davvero molto coraggiosa. Lasciati visitare. Se stai bene potrai
andare nella Casa di Ermes.» Non mi aveva appena detto che mia madre era una
dea? Cosa centrava Ermes?
«Ma Ermes è...»
«Ermes è il dio dei vagabondi, quindi la Casa accoglie sempre i semidei non
ancora definiti.» spiegò, con un sorriso.
Mezz’ora dopo ero nella Casa di Ermes. Mi vestii con la maglietta del Campo e
un paio di jeans puliti.
Decisi di andare a fare un giro per cominciare a orientarmi. James mi aveva
spiegato che avrei potuto restare lì al sicuro per tutto il tempo che volevo e
l’idea mi allettava.
Oltrepassai l’anfiteatro vuoto e i ragazzi che giocavano a pallavolo, evitando
per un pelo una pallonata in faccia.
Vidi le fucine, poco più avanti, da cui proveniva il rumore del metallo battuto
e forgiato. Quando arrivai nei pressi dell’arena scorsi dei ragazzi che si
allenavano con la spada. Il loro insegnante era un ragazzo dai capelli neri e
gli occhi verde mare. Restai in disparte, ma decisi di restare a guardarli.
Avrei voluto imparare ad usare la spada e iniziai dall’osservare qualcuno più
bravo di me all’opera.
Ad un tratto l’allenatore si rivolse a me.
«Ti va di provare?» chiese, con voce gentile. Mi sentii arrossire.
«Oh, ehm...» mi sistemai i capelli. «Grazie, mi piacerebbe». Mi avvicinai
timida al ragazzo.
«Tu sei Melissa Evans, vero?» chiese. «Io sono Percy.»
«Preferisco Mel, grazie. Ma come fai a saperlo?»
«Niall mi ha parlato di te e di come hai salvato tutti da un ciclope, qualche
giorno fa».
«Oh, Niall! Come sta?» chiesi, avvertendo una fitta di preoccupazione.
«Sto magnificamente, ragazza!» esclamò una voce alle mie spalle. Mi voltai e
vidi Niall, senza stampelle e senza cappellino. Tra i capelli rossi spuntavano
appena due corna. E mi accorsi di non aver sognato le zampe caprine.
Mi abbracciò e mi sollevò in aria. Non immaginavo potesse essere così forte.
«Dii immortales, Mel! Sei stata grande!» disse, sorridendo e saltellando.
«Tu sei stato grande, Niall. Come hai fatto a capire...Voglio dire, e il
ciclope...nessuno poteva vederlo. Okay, hai parecchio da spiegarmi»
«Certo. Vieni, facciamo un giro per i campi di fragole. Percy, avrai la tua
nuova alunna presto, okay?»
«Nessun problema, amico» rispose il ragazzo, sorridendo.
Niall mi portò in giro per il Campo. Il profumo delle fragole era inebriante e
sentii lo stomaco brontolare.
«Ho fame» mormorai. «Quand’è l’ora di pranzo qui?»
«Tra un paio d’ore. Immagino che James ti abbia dato solo ambrosia e nettare da
mangiare in questi due giorni».
«Ambrosia e nettare. Non sono i cibi degli dei?»
«Sì, ma voi semidei potete mangiarne in poche dosi per ristorarvi»
Niall mi spiegò parecchie cose sul funzionamento del mio nuovo mondo. Riuscire
a capire mi fu d’aiuto a non sentirmi più così stupida.
«Se ti va puoi allenarti un po’ con Oxypetes prima di pranzo» disse. «Io torno
nei boschi»
«Certo, vai pure. E grazie di tutto, Niall. Sei un eroe»
Niall ridacchiò.
«Va’ ad allenarti, che è meglio» disse. Poi mi diede una pacca sulla spalla e
trottò verso la Foresta.
Tirai il cappio ad Oxypetes e l’arco si aprì come una molla. La freccia era già
incoccata. Puntai il bersaglio e la scoccai. Non centrai l’obiettivo, ma ci
andai molto vicina ma come secondo tiro non era male. Una nuova freccia era già
comparsa. Niall mi aveva spiegato che Oxypetes aveva infinite frecce. L’arco
era stato creato dai figli di Efesto ma ideato dai figli di Atena.
Mi stavo allenando con l’arco al poligono di tiro, quando una ragazza bionda mi
si avvicinò.
«Ciao Melissa» disse, con un sorriso.
«Ciao. Chiamami Mel» risposi, ricambiando il sorriso.
«Io sono Annabeth, lieta di conoscerti» mi porse la mano.
«Piacere mio. Tu sai già il mio nome» risposi, stringendogliela.
«Me l’ha detto Niall. So tutto dell’altra sera.»
«Qui al Campo si diffondono in fretta le notizie. Anche un altro
ragazzo, Percy, sapeva già tutto di me»
Annabeth si strinse nelle spalle e sorrise.
«Sì, Niall l’ha raccontato in contemporanea sia a me che a
lui.» Capii dalla sua espressione che la ragazza tenesse molto a Percy, ma
preferii non fare domande invadenti.
«Ti va di allenarci insieme con la spada? So della tua vittoria con l’arco, ma
imparare ad usare anche un’altra arma non è sbagliato»
«Concordo.» dissi. Tirai il cappio all’estremità dell’arco che tornò ad essere
un elastico azzurro legato al mio polso. Aveva l’aspetto di un elastico per
capelli tagliato e poi annodato.
«Cosa mi sono persa in questo giorno e mezzo, al Campo?»
«Bè, tre dei cinque semidei partiti per l’impresa negli Inferi sono tornati e ci
hanno detto di essersi persi il figlio di Ade, Gregor e il figlio di Efesto,
Leo. Nemesi ha riconosciuto Ria, invece Apollo ha riconosciuto Eles.»
«Eles figlia del dio delle arti?!» domandai incredula.
«Già. E Ria figlia della dea della vendetta.» rispose Annabeth, mentre
sceglieva una spada del peso giusto per me.
«E io? Quando lo saprò?»
«Presto, tranquilla. Nel frattempo potresti ripetere un po’ di mitologia greca
e vedere quale delle dee senti che ti rispecchi di più. Anche se io un’idea già
ce l’avrei.»
«Seguirò il tuo consiglio.»
«Bene. Ora basta chiacchiere.» disse. Mi lanciò una spada che afferrai al volo.
Niall mi aveva spiegato anche che l’iperattività derivava dai riflessi da
combattimento.
Annabeth era davvero una grande. Mi insegnò un sacco di finte e trucchi per
ingannare l’avversario e rubargli la spada, o individuare il suo punto debole.
Per non parlare degli avvertimenti che mi diede per evitare che gli altri
scoprissero il mio di punto debole. Ad esempio io tendevo a lasciar scoperto il
lato sinistro.
Mi capitò un paio di volte di capire quello che intendesse prima ancora che
finisse di spiegarmelo. Ero entrata nell’ottica della mia nuova vita.
Arrivò l’ora di pranzo, e noi eravamo ancora sotto il sole ad allenarci. Pensai
che sarebbe stato meglio che mi avesse dato lei, una ragazza, i rudimenti per
l’uso della spada e non Percy. Mi capiva meglio.
«Te la cavi davvero bene, Mel.» disse, quando ci chiamarono per mangiare.
«Grazie Annabeth.» risposi sorridendo. «Tu sei una forza.»
«Domani ci sarà la Caccia alla Bandiera. Ti vorrò nella mia squadra.»
«Sarà un onore.»
Restai tutto il pomeriggio ad aspettare Connor che avrebbe dovuto
portarmi un libro -rubato- che parlasse delle dee greche e delle loro
caratteristiche.
Quando finalmente arrivò era sera inoltrata.
«Scusami Mel, ma ho faticato per non farmi beccare e sono rimasto chiuso nella
biblioteca per un po’.»
Ero così felice all’idea di cercare di capirci qualcosa che non lo rimproverai
nemmeno.
Nella casa di Ermes regnava il più assoluto silenzio. Tutti erano usciti per la
cena, ma io avevo detto di non avere fame. Era la verità, d’altronde. La casa
era buia, a parte per l’abat-jour accanto al mio letto.
«Mel!» mi chiamò una voce.
«Mel!» chiamò di nuovo. Era Eles. Poco dopo sbucò dalla porta.
«Cosa c’è?» chiesi, senza distogliere lo sguardo da una pagina di Ecate.
«Vieni a festeggiare il ritorno dei tre ragazzi dell’impresa! Così conosci un
po’ di gente in più.»
«Non mi va.» risposi, continuando a non guardarla.
«Oh, andiamo. Non puoi stare tutta la serata senza socializzare. È venuta anche
Teri che è sempre una ragazza solitaria!»
«Ti ho già detto che non mi va.»
«Uff, dai. Magari riesci a parlare anche con Percy Jackson! I miei fratelli mi
hanno detto che è praticamente una celebrità qui»
«Non mi interessa niente di Percy Jackson!» sbottai. «Voglio sapere chi è mia
madre e basta!»
In quel momento una luce grigia illuminò la casa di Ermes.
Eles spalancò la bocca e gli occhi. In quel momento arrivò Chirone al trotto.
«Dii immortales»
Guardai verso lo specchio appeso alla parete opposta e mi accorsi del simbolo
di una civetta sulla mia testa.
«Atena è mia madre.»
Lo speravo davvero, ma mi sentivo troppo insicura per pensarlo. La dea della
saggezza e della strategia militare come madre era la migliore cosa che potesse
accadermi.
Vidi Annabeth, Chirone e Eles sull’uscio che si inchinavano.
Quando la luce si spense, Annabeth entrò nella casa di Ermes e corse ad
abbracciarmi.
«Prendi le tue cose» mi disse. «Ti trasferisci nella casa di Atena.»
Dopo il trasferimento raggiunsi gli altri alla festa. Non
avevo più motivo di restarmene lì, chiusa in camera.
Scorsi un po’ di delusione negli occhi di Teri quando si accorse di essere
l’unica delle nuove arrivate a non essere stata ancora riconosciuta. Il ragazzo
della casa di Ade le si avvicinò per darle una pacca rassicurante sulla spalla.
Teri gli rivolse un timido sorriso, ma senza nasconderlo dietro i suoi capelli
come l’avevo sempre vista fare. Poi si alzò e tornò nella casa di Ermes. Stavo
per andare a rassicurarla. Nonostante non la conoscessi molto sentivo quel
dovere. Mio padre mi aveva sempre detto che ero troppo protettiva, anche nei
confronti delle amiche. Era difficile frenarmi.
Teri aveva bisogno di ridere e volevo aiutarla.
«Vuole stare sola.» disse una voce. Mi girai e vidi il figlio di Ade che aveva
cercato di rubarle un sorriso. La maglietta arancione stonava con il suo aspetto
un po’ tenebroso.
«Come...»
«C’ero anch’io in infermeria, ma ero cosciente. Mentre lei aspettava che tu ti
svegliassi, ha parlato con me. Bè, io ho parlato con lei. Ascolta molto, più
che altro. Preferirebbe stare da sola, ne sono certo.»
«Se lo dici tu che sei riuscito a tirarle un sorriso...»
«Bè, sorride tanto spesso quanto parla.» rispose. «Goditi la festa, lei sta
meglio sola. Comunque, io sono Nico.»
Feci come mi aveva detto Nico, ma notai che lui non aveva fatto lo stesso.
Entrò nella Cabina di Ermes, ma lo vidi uscire qualche minuto dopo. Dal suo
viso non traspariva alcuna emozione. Stavo per andare a chiedergli cosa gli
avesse detto Teri, ma Annabeth mi prese per un braccio e mi trascinò a ballare.
Quella prima serata al Campo Mezzosangue fu la più bella della mia vita.
Spazio autrice Ed ecco il quinto capitolo con il terzo
riconoscimento! Non è poi così sconvolgente, Mel è un personaggio abbastanza
chiaro. Grazie a Kalyma
P Jackson per la sua immancabile recensione e vi invito a leggere la sua
storia, è stupenda.
Buon sabato e alla prossima!
Quella mattina mi svegliai con la sensazione di avere qualcosa
da fare. Aprii gli occhi e mi stiracchiai pigramente.
Pochi secondi dopo Liam, un altro ragazzo della casa di Ermes, cominciò a
saltare sul mio letto.
«Svegliati!» gridò nel mio orecchio. «Caccia alla Bandiera oggi!»
Mi girai dall’altro lato del letto senza prima avergli dato uno schiaffo sulla
guancia.
«Hey! Volevo solo evitare di farti fare tardi.» si giustificò.
Sbuffai e balzai giù dal letto.
«Vattene.» mugugnai, con la voce ancora impastata di sonno.
«Perché?»
«Devo cambiarmi.»
«Oh.» Liam uscì subito dalla Casa già vuota.
Mi infilai la maglietta arancione, i jeans e le scarpe di tutta fretta e corsi
a fare colazione.
L’aria era calda, ma tirava un lieve venticello che trascinava con sé
l’inebriante profumo di fiori e fragole.
Una volta che tutti ebbero finito, Chirone batté lo zoccolo per terra. Ero al
Campo da poco, ma mi ero già abituata alle creature mitologiche.
«Eroi!» gridò. «Ripeto le regole per i nuovi arrivati. Il ruscello come linea
di confine, stendardo in bella vista e con non più di due guardie. Gli oggetti
magici sono concessi. Si possono disarmare i prigionieri ma non imbavagliare.
Alle armi!»
La mia arma era un patetico coltello che mi aveva prestato Nico, il figlio di
Ade che mi aveva parlato in infermeria. Da quando ero lì al Campo avevo già
conosciuto due persone che sembravano capirmi, Nico e Aurora. Tornando al
coltello, era troppo leggero per me. Non era un granché, ma sufficiente a
difendermi.
L’armatura, invece, mi calzava alla perfezione. La casa di Ermes era alleata
con quella di Efesto, Ade, Afrodite, Nemesi, Atena e Poseidone.
Avere la casa di Ares come nemici non mi tranquillizzava affatto, ma tentai di
non pensarci.
Annabeth spiegò il piano.
«Ria si aggirerà intorno alla nostra bandiera con Nyssa e Jake, ma alla guardia
ci saranno i due di Poseidone. Voi, figli di Efesto, cercherete di distrarre i
figli di Apollo. Quanto a voi, figli di Ermes, fate quello che sapete fare
benissimo: distraete la guardia e rubate la bandiera. Noi di Atena sappiamo
come muoverci nel caso di un attacco di massa alla nostra bandiera.»
Annabeth si allontanò con i ragazzi della sua casa e così fecero gli altri.
Travis mi prese per un braccio.
«Tu resta nascosta con Nico mentre noi cerchiamo di rubare la bandiera. Coprici
le spalle.»
Annuii. Cominciammo a camminare tra gli alberi. Si moriva di caldo, e il
terreno era ripido. Per fortuna l’armatura non mi pesava, almeno quella.
Pensavo che saremmo usciti dal Campo per quanto stavamo camminando, ma ad un
tratto Travis si bloccò.
«Eccola» sussurrò.
Mi accovacciai dietro un cespuglio, decisa a restare lì in caso di necessità,
come mi aveva detto Travis.
«Non immischiarti se cominciano a volare fendenti di spade, okay?» disse
Connor. Annuii, e lui uscì da dietro il cespuglio.
Connor e Travis brandirono le spade e si avvicinarono al ragazzo della casa di
Ares a guardia dello stendardo rosso con una lancia insanguinata e la testa di
un cinghiale dipinte sopra.
Avvertivo solo i colpi delle spade che cozzavano tra loro e i sibili dei
fendenti.
«Non girarti» disse Nico afferrandomi la mano che non impugnava il coltello.
«Ehm...» indicai la sua mano sulla mia e lui la ritrasse subito, farfugliando
delle scuse.
«Resta qui. Io vado.» disse Nico, guardandomi dritta negli occhi. Sembrò
esitare nel dirmi o nel fare qualcosa. «Non immischiarti, va bene?» aggiunse,
infine. Immaginai che sia lui che Travis non volevano che mi immischiassi
perché ero appena arrivata e non molto allenata. Convinti loro.
«Tranquillo.» risposi, e mi sorpresi a sorridergli senza nascondermi. Sorrise anche
lui, poi si lanciò nella mischia.
Presi un respiro profondo, obbligandomi a non girarmi, nonostante le urla e le
imprecazioni che sentivo. Mi concentrai su un filo d’erba per non sentire
niente. Ma senza successo.
Sentii nuove urla e mi voltai, sempre ben attenta a non farmi notare.
Altri figli di Ares erano sopraggiunti in aiuto, e poco dopo anche i figli di
Efesto e di Afrodite in aiuto a quelli di Ermes. Scorsi Aurora battersi contro
un ragazzone alto e muscoloso e riuscire a disarmarlo.
I fendenti volavano, le spade sibilavano nel vento, e alla fine la casa di Ares
proclamò prigionieri i figli di Efesto e di Afrodite, più Connor, Travis e Liam
che continuavano a ribellarsi. Nico continuava a battersi con onore con ben due
semidei.
Decisi di agire. In quel trambusto nessuno si accorse di una ragazzina dai
capelli neri che aveva appena sollevato in aria lo stendardo della casa di
Ares. Cominciai a correre attraverso gli alberi, più veloce che potevo.
Sentii le urla dei ragazzi di Ares. Se n’erano accorti. I miei piedi andavano
ormai da soli, saltavano in automatico gli ostacoli e rallentavano nelle zone
più scoscese della Foresta.
Ad un tratto una lancia sibilò proprio vicino al mio orecchio. Non persi
energia a voltarmi. I polmoni cominciarono a bruciare, ma tentai di dare loro
tutta l’aria che riuscivo a trovare.
Uscii dalla Foresta, tornando nel Campo. La conchiglia di Chirone suonò, e io
rallentai, riprendendo fiato per poi buttarmi a terra, sfinita. Niall corse ad
abbracciarmi.
«Bravissima!» mi disse, stritolandomi nel suo abbraccio familiare.
«Complimenti, Teri.» gli fece eco Chirone. Gli altri mezzosangue tornarono al Campo,
richiamati dal suono della conchiglia. I figli di Efesto corsero per prendermi
in braccio e festeggiarmi. Ero così felice che dimenticai di coprirmi il sorriso
con i capelli, com’ero solita fare. Stavo cominciando a togliermi
quell’abitudine.
«Perché non diventa del colore della casa di Ermes?» chiese Travis, indicando
la bandiera.
Ma nessuno gli diede mai una risposta.
Un mostruoso topo gigante sbucò dalla Foresta. Camminava su due zampe ed era
alto più di tre metri. Si guardava intorno con gli occhi rossi e infiammati,
messi ancora di più in risalto dal pelo nero e corto. Digrignava i denti e ringhiava
come fosse un cane. Non assomigliava ad una creatura mitologica, quanto più a
una creatura infernale passata inosservata dai libri di mitologia.
Con una zampa atterrò due arcieri di Apollo.
I figli di Efesto sguainarono le armi e si piazzarono davanti a me, per
difendermi. Non ero così indifesa come credevano. Nonostante il trambusto e il
panico riuscii ad agire.
Tutti i mezzosangue fecero per partire all’attacco all’istante.
Piantai la bandiera nel terreno all’istante e gridai per fermarli.
«NO!» urlai con tutta l’aria che avevo nei polmoni. Mi feci immediatamente
spazio tra tutti i mezzosangue, presi la rincorsa e superai di velocità tutti
gli eroi all’attacco, come se il prato mi spingesse. Quella corsa nella foresta
non mi aveva spossata più di tanto. Non so chi mi avesse dato tutta quella
velocità e quella forza.
Allungai un braccio davanti al mostro, e richiamai tutte le forze del mio corpo
e la mia concentrazione. Sapevo di poter riuscire a cacciare quel mostro. Volevo che andasse via perché minacciava
la tranquillità del Campo, la mia nuova famiglia. Il terreno sotto il roditore
si spaccò a metà con una vampata di fuoco. Sentii il calore arrivarmi
violentemente in faccia ma non demorsi. Il ringhio feroce del roditore fu
rimpiazzato da un’occhiata da topino impaurito, e cercò di aggrapparsi al bordo
con le zampe. Sentii una voce nella mia testa.
“Non farmi cadere. Risparmiami e ti risparmierò” disse. Era il topo ad aver parlato. Non gli credetti nemmeno per un secondo. Cominciai ad avvertire fitte alla
testa, ma continuai a concentrarmi. Sentivo il corpo bruciarmi, però non
mollai.
Soffocai un urlo, e un altro lembo di terra si spaccò, facendo tornare il
mostro agli Inferi.
Lasciai cadere il braccio lungo il mio fianco e la terra si richiuse, lasciando
una cicatrice di terra nel prato. Un battito d’occhi più tardi l’erba
ricresceva nello stesso punto, ricoprendo la cicatrice. Mi trascinai dove avevo
piantato la bandiera e mi accasciai per terra, nel silenzio e nello stupore generale.
La corsa nella Foresta per sfuggire ai figli di Ares non era stata niente in
confronto.
«Per tutte le anime degli Inferi.» disse una voce. Mi voltai verso la voce e
vidi due ragazzi, uno dimostrava all’incirca la mia età e l’altro qualche anno
in meno. Non li avevo nemmeno visti entrare. Uno aveva i capelli ricci, la
pelle olivastra e l’aria di uno che ama scherzare, l’altro aveva i capelli castani,
la carnagione chiara e gli occhi scuri.
«Leo! Gregor!» gridarono tante voci, correndo ad abbracciarli.
«Vi credevamo ormai perduti.»
«Ci avete fatto prendere uno spavento!»
«Siete arrivati negli Inferi, alla fine?» domandò Nico, appena uscito dalla
Foresta.
Dovevano essere importanti, ma io non ebbi la forza di avvicinarmi.
«Stiamo bene.» dissero i due ragazzi.
«Perché non lo chiedete a quella ragazza che ha appena rispedito un segugio
infernale da dov’era venuto?» chiese quello che avevo capito essere Gregor.
Tutti si voltarono verso di me.
«La bandiera!» gridò Travis. «Non si sta trasformando nei colori della casa di
Ermes...»
«Casa di Ade.» sussurrò Nico, con aria delusa. «La prima ragazza che mi piace è
mia sorella.» borbottò.
La bandiera si tinse di nero, con il simbolo del timone del terrore fiammante.
E quello stesso simbolo comparve sulla mia testa pochi secondi dopo.
Tutti si zittirono, e mi sentii un po’ troppo osservata.
Poi tutti si inchinarono e fu anche peggio. Era imbarazzante essere così notata
dopo anni di invisibilità.
Quando si rialzarono e il simbolo scomparve da sopra la mia testa fu un enorme
sollievo. Ma sentivo qualcosa che non andava in quel riconoscimento. Ade era
mio padre? Wow. Chirone mi si avvicinò, poggiandomi una mano sulla
spalla.
«Tutto bene, Teri? Sei così pallida.» Riuscii solamente ad annuire. Mi sentivo
ancora disorientata. «La portiamo
nella nostra casa.» disse Gregor, prendendo la bandiera.
«Tranquillo, sto bene.» replicai, sorridendo. Mi chiedo ancora dove trovai la
forza. Sapevo chi fosse mio padre, e non potevo chiedere niente di meglio, ma
la stanchezza superava di molto la felicità. E c’era anche quella sensazione
strana, come una nota stonata.
Gli altri ragazzi sorrisero e applaudirono per il mio riconoscimento, ma con un
po’ di titubanza.
«Quindi anche Ade ha tradito il patto.» disse Chirone. Mi fece sentire quasi in
colpa.
«Bè, l’ha tradito già per Gregor, o sbaglio?» domandò Mel.
«Che patto?» mi intromisi. Mel sapeva già tutto, evidentemente. Solita
secchiona.
«I tre pezzi grossi, ovvero Ade, Poseidone e Zeus, decisero di non fare più
figli con i mortali dopo la seconda guerra mondiale perché i loro figli sono
troppo potenti. Nico è nato tempo prima del patto, poi è stato nell’Hotel Lotus
fino a qualche anno fa. Lì non si cresce mai.» mi spiegò Chirone. «Un paio di
anni fa è stato prelevato da lì e ha ricominciato a crescere. Quindi, a conti
fatti, Ade non ha mai tradito il patto. Zeus, invece, ha concepito Talia e
Poseidone ha concepito Percy.»
«E Finnick?» chiesi.
Finnick sorrise. «Bè, io vengo dal futuro. Non mi ha ancora concepito. Non so
se mi spiego.» «Arika?» domandai.
«Stessa cosa di Nico. Io sono nata nel ventisei. Ma io nell’Hotel Lotus ci sono
finita durante un’impresa e ci sono rimasta per tanto tempo, fino a quando mio
padre ha mandato una delle sue ninfee a prendermi».
«E Gregor?» chiesi quello che già Mel aveva chiesto. «Anche lui è stato chiuso
nell’Hotel Lotus?»
«Gregor è stato adottato da Ade, in
quanto lui ha viaggiato nel Sottomondo offrendo servigi particolare al dio
degli Inferi, ma questa è un’altra storia che, magari, un giorno lui ti
racconterà. Gregor sta qui solo per allenarsi, ma non è un semidio.»
«Quindi Ade ha tradito il patto concependo me.» dissi.
«Sì, a quanto pare sì. Ma continua a suonarmi strano. E quel topo enorme...C’è
qualcosa che non va» Chirone assunse un’aria pensierosa e infine decise di
cambiare argomento. «Allora, la vostra impresa?» chiese a Gregor. Il ragazzo si
sedette.
«Ade era particolarmente di buon umore, nonostante tutto. Qualcosa di davvero
raro, dopo secoli lì sotto. Comunque sia, l’impresa è riuscita.»
«Quindi?»
«Ade ci ha detto cosa c’è che non va. C’è uno strano trambusto negli Inferi»
continuò Gregor. «Ade e Thanatos avvertono la presenza di strane creature il
cui numero continua ad aumentare. E insieme a loro aumentano le morti, ma non sono
morti complete.»
«Come sarebbe a dire che non sono complete?» chiese Chirone.
«Non raggiungono gli Inferi.» dissi, sorprendendomi di me stessa. Non so
spiegarvi come lo sapessi.
«Esatto. Sfuggono alla morte, ma non sono vivi.» proseguì Gregor.
«Non sarà mica una nuova generazione di dei.» disse Arika.
«No, Arika. Temo siano qualcosa di più pericoloso.» replicò Chirone, con aria
preoccupata. Come faceva a sopportare tutte quelle preoccupazioni? Certo che i
centauri dovevano essere creature molto forti psicologicamente.
«Ci serve un’impresa per cercarli e osservarli da vicino per scoprirlo.» affermò
Gregor.
«Siete appena rientrati, ragazzi.» ribatté Chirone. «Manderemo qualcun altro.»
Finnick, Gregor, Arika, Nico e Leo annuirono rassegnati. Si erano già
entusiasmati per una nuova impresa.
«Dobbiamo andare nella casa di Ermes.» disse Nico, alzandosi in piedi.
«Perché?» chiese Liam.
«Dobbiamo prendere le cose di Teri.» rispose Gregor, per poi correre verso la
casa di Ermes seguito da Nico.
Connor e Travis si scambiarono un’occhiata e poi fecero spallucce. Immaginai
che se avessero rubato qualcosa non era un problema: quasi niente in quella
cabina apparteneva davvero ai figli di Ermes.
«Bene» disse Chirone «È ora di pranzo, eroi.»
Spazio autrice
Ed ecco l’ultimo riconoscimento, yay!
Vi anticipo già che la “strana sensazione” di Teri non è dovuto all’imbarazzo
dell’inchino degli altri semidei, ma c’è altro sotto. Insomma, non finisce qui
la faccenda delle sue origini divine.
Poi c’è un accenno alla trama vera e propria, questo ‘disturbo’ negli Inferi e
questo strano topo.
Anyways, spero vi sia piaciuto e ringrazio nuovamente Kalyma P
Jackson per le sue recensioni (cliccate sul suo nome per leggere la sua
storia meravigliosa) e ne sono ben accette altre, critiche comprese.
Un bacione e a sabato prossimo!
Will e Michael litigarono durante tutto il pranzo e fu una noia
totale.
«Avresti dovuto farle usare l’arco! Avremmo accecato la figlia di Nemesi che proteggeva
la bandiera di Atena!» esclamò Michael, riferendosi a me.
«Primo: le strategie le fa sempre Clarisse. Non credo che sarebbe stata una
buona idea contraddirla. Secondo: l’arco di Apollo è troppo potente. Avrebbe
consumato delle frecce inutili, e tu sai che quell’arco non è destinato ad una
persona qualsiasi.» replicò Will, più tranquillo.
«Per la miseria, Solace. L’avrebbe recuperata! Figurati se non si riesce a recuperare
una freccia luminosa come quella.»
«Avrebbe potuto appiccare un incendio alla Foresta!» ribatté Will, alzando il
tono di voce e sbattendo una mano sul tavolo, facendo tintinnare i bicchieri.
«Calmi, ragazzi» intervenni. «C’è qualcosa che dovrei sapere sull’arco di
Apollo? Tutti ne parlano come un onore enorme e una responsabilità in più».
Ma i miei fratelli ignorarono la mia domanda.
Michael aprì la bocca per ribattere, ma poi si fermò e sorrise.
«Ti piace la ragazzina, eh?» disse a Will.
«Ma che dici? Non sai come ribattere e passi alla carta della cotta per
qualcuno? Per la cronaca non mi piace nessuno, né Ria né nessun’altra»
Michael alzò le spalle, rise e poi si concentrò sul suo cibo così come fece
Will.
Non so se Michael ci credette o meno, ma io non me la bevvi nemmeno per un
secondo. Non ero cieca e vedevo come Will fissava le ragazze sedute al tavolo
Dieci, casa di Afrodite. Non ero ancora riuscita a capire chi guardasse
esattamente, ma l’avrei scoperto.
«Scusami.» mi disse Michael, sottovoce. «Ma se avessi usato il tuo arco avremmo
avuto più possibilità di vincere.» Risi. Mi erano sempre piaciuti i bambini.
«Tranquillo, Michael. Dovresti accettare la sconfitta.» risposi, senza smettere
di sorridere.
«Oh, ma io accetto la sconfitta» replicò. “Quanto il cane e il gatto vanno
d’accordo” stavo per ribattere, quando Liam, della casa di Ermes, si avvicinò
al nostro tavolo.
«Brucia la sconfitta, eh, Yew?» disse, ridendo. «Ricorda che mi devi dieci
dracme.»
«Veramente sarebbero cinque.» replicò mio fratello.
«Perché?» chiese l’altro, aggrottando la fronte.
«Se la bandiera fosse stata presa da un figlio di Apollo o di Ares mi avresti
dato dieci dracme, se la bandiera fosse stata presa da un figlio di Ermes o di
Atena ti avrei dato dieci dracme. Poi io ti ho chiesto se la bandiera non fosse
stata presa da nessuna delle due case cosa avremmo fatto.»
«E io ti risposto che ti avrei dato cinque dracme.» sbuffò Liam.
«Ridendo come un’idiota.» aggiunse Michael. Liam gli lanciò un’occhiata
fulminante.
«Okay, allora dammene solo cinque. Speravo te ne fossi dimenticato.»
Michael gli porse le cinque dracme e rise.
«È un piacere fare affari con te, amico.»
Liam rise e poi si diedero il cinque. Poi puntò i suoi occhi azzurri su di me.
«Ciao Eles.»
Non aspettò nemmeno che gli rispondessi che andò via ridacchiando. Corrugai la fronte,
ma decisi di lasciar perdere.
Se vi aspettate che la giornata finì con tranquillità al contrario di com’era
iniziata, vi sbagliate di grosso. Quella fu davvero una giornata piena e
strana. Percy mi aveva avvertita: la vita di un semidio non è facile.
Stavo cantando beatamente con i miei fratelli, come ogni sera. Teri stava
ridendo e scherzando con i suoi fratellastri. Non l’avevo mai vista così
allegra. Forse non lo era mai stata finché non si era ritrovata tra i suoi
simili.
«Curioso, non trovi?» mi disse James, un altro dei miei fratellastri. «I figli
di Ade sono tipi solitari, ma non tra di loro.»
Annuii sorridendo.
Ad un tratto quattro figure varcarono l’arco d’ingresso, correndo. Una quinta fu
spinta fuori. Gli altri continuarono a correre, ma poco dopo rallentarono.
Mentre si avvicinavano al falò, vidi che si trattava di una ragazza, due
ragazzi più giovani e un uomo. Smisi di cantare, insieme agli altri.
«Ehm, buonasera.» disse la ragazza, imbarazzata. Se era riuscita a varcare la
soglia era certamente una mezzosangue o una dea, (e dalla sua bellezza non ne
avrei dubitato) mentre l’altra figura che non aveva varcato l’ingresso era
umana.
«Buonasera.» rispose Chirone, avvicinandosi.
«Ma lei è...»
«Sono Chirone, direttore delle attività del Campo. Tu, invece, sei...?» domandò
gentilmente il centauro, lasciando la domanda sospesa.
«Thara Iris.» disse la ragazza. Si avvicinò al fuoco, e i due ragazzi fecero lo
stesso. «Loro invece sono Ludkar, Clive e Kolor.»
Thara e Clive avevano entrambi gli occhi viola e i capelli candidi con le punte
color biondo cenere. Ludkar invece aveva i capelli rosso sangue, un lungo
cappotto nero e un foulard a spina di pesce nero e rosso, Kolor era calvo e
indossava vestiti neri ed entrambi avevano un colorito pallido.
«Siete dei o mezzosangue?» domandò il signor D, guardandoli con diffidenza.
«Che cosa?! Ma dove ci hai portati, Ludkar? Bella idea che ho avuto, a seguirti
in questo posto di matti» sbottò Clive.
«Senti, signorino Cliff, qui nessuno è matto, a parte voi quattro.» replicò il
signor D. Clive tentò di correggerlo, ma il dio continuò spedito a parlare. «Qui
siamo al Campo Mezzosangue, il posto in cui i semidei sono al sicuro.
Evidentemente lo siete anche voi, a meno che non siate mostri evocati
dall’interno del Campo oppure -ma dalla faccia che avete lo escluderei-
divinità.»
«Bè, io sono una specie di Mezzosangue.» disse Thara. «Lo è anche Clive.»
«E di chi siete figli?» chiese Chirone, senza perdere la sua gentilezza.
«Siamo entrambi figli di un Nocturno e un’umana. Siamo Crepuscolari. Ludkar e Kolor,
invece, sono dei Nocturni.»
«Cosa sarebbero questi Noct-» fece per chiedere il signor D, stizzito, ma Teri
lo interruppe.
«I Nocturni sono umani che non volevano assolutamente morire, che erano
talmente spaventati dalla morte che le sono sfuggiti.» disse.
«Allora sono i Nocturni che continuano ad aumentare creando quella confusione
negli Inferi. Sono loro i colpevoli!» esclamò Percy. Sbiancai in viso,
ricordando il trambusto negli Inferi di cui Gregor, Nico e Teri avevano
parlato.
Cercare di capire cosa fossero, okay. Combatterli, okay. Ma ritrovarseli
proprio all’interno del Campo, no.
«Senti, coso, intanto ti calmi. E poi io non ho niente a che vedere con
confusioni nelle discoteche.» replicò Ludkar.
«Gli Inferi non sono
una discoteca.» sibilò Nico, rivolgendo un’occhiata fulminante al Nocturno.
Kolor aggrottò la fronte.
«Oh no, i Nocturni non stanno aumentando affatto. Altrimenti lo saprei.»
replicò.
«La Benedizione della Notte. È opera di Ade. Qualche volta è generoso e dona ad
alcuni la possibilità di sfuggire alla morte.» affermò Teri, con una specie di
ghigno disegnato sul volto. Quella ragazza era quasi più inquietante di Ludkar.
«Non ci sarebbe un modo per far entrare un umano?» domandò Thara, preoccupata.
«Sì, basta che Dioniso lo voglia.» disse Annabeth.
«Dioniso? Ma che cos...» fece per chiedere Clive.
«Okay, qui ci vuole un chiarimento.» disse Grover. «Antica Grecia. Mitologia.
Avete presente? Bene, è tutto reale e non chiuso nei libri di scuola. Qui al
Campo ospitiamo i semidei, ovvero i figli che le divinità hanno avuto con gli
umani.»
I quattro rimasero sorpresi, ma non sotto shock. Anche loro erano parte di un
mondo strano.
«Figo.» disse poi Clive. «Noi siamo di Boston, e lì fuori c’è Nate, il ragazzo
di Thara. È in pericolo anche lui. Abbiamo bisogno di un posto in cui stare. Vi
chiediamo ospitalità, in qualità di mezzosangue e di benedetti da Ade.»
Dioniso fece un gesto con la mano, e subito l’altra figura fuori dall’arco
raggiunse il falò. Era un ragazzo, che intrecciò la sua mano a quella di Thara
non appena furono vicini. La Foschia non aveva effetto su di lui, come su
Rachel, la ragazza che portava lo spirito dell’oracolo di Delfi. Erano umani particolari.
«E lui è Nate.» disse Thara.
«Ma adesso dove dormono loro?» chiese Travis. «Sarebbero indefiniti per
sempre.»
«Non lo sono.» rispose il capo della casa di Iride, Butch. «I Crepuscolari e Nate
dormono nella nostra casa.»
«I Nocturni dormono nella nostra casa, invece.» disse Nico, come se quello che
aveva appena detto gli costasse un occhio. Teri studiava i Nocturni,
soprattutto Ludkar, con aria sospettosa. Quella ragazza non si fidava di
nessuno, ma qualcosa in quel ragazzo metteva in allarme anche me. Avevo la
sensazione che non avrebbe portato a niente di buono.
Spazio autrice Ed ecco il settimo capitolo! Non è molto
lungo, ma è piuttosto pieno. Qui si intreccia anche un altro mondo, quello di
Iris. Vi consiglio di leggere la trilogia, è davvero stupenda, anche se è poco
famosa.
L’autore è Maurizio Temporin, per chi fosse
interessato. Anyways, che ne pensate dei nuovi arrivati al Campo? E se non sono
i Nocturni a creare questo ‘disturbo’ negli Inferi, cosa sarà?
Ringrazio nuovamente Kalyma P Jackson
e vi consiglio di andare a leggere la sua bellissima storia, sempre più
avvincente. Le recensioni saranno ben gradite, comprese le critiche.
A sabato prossimo!
L’atmosfera era così tranquilla che stavo per addormentarmi. Ero
in riva alla baia, con Niall, Teri e Mel. Avevamo finito di allenarci, quindi
ci stavamo rilassando mangiando delle fragole coltivate dai figli di Demetra e
chiacchierando, stesi sull’erba fresca.
Ero al Campo da circa una settimana, e avevo visto più cose straordinarie in
quel tempo che non in tutti i miei tredici anni. Per prima cosa, Chirone mi
aveva donato una borsa nuova per il mio kit per fare scherzi.
Era decisamente più piccola, più leggera ma ci andavano un sacco di cose. Roba
magica, sicuramente. Avevo anche della roba nuova per fare scherzi. O meglio,
per attuare vendette. Chirone si era raccomandato di usarle solo in casi
davvero estremi. E in più, come seconda cosa straordinaria, (almeno per me) Arika,
la figlia di Zeus, mi aveva già insegnato a maneggiare il coltello avvelenato
ed ero diventata piuttosto brava.
Arika era come la sorella maggiore che non avevo mai avuto, anche se era di una
casa diversa. Eravamo entrambe sole nelle nostre cabine, quindi avevamo fatto
amicizia sin dal primo istante.
«Teri non ti farebbe male prendere un po’ di sole. Sei cadaverica» disse Niall
alla semidea che era ben attenta a tenersi lontana dalle zone di sole.
«Meglio» replicò la ragazza, stringendosi nelle spalle.
«Perché meglio?» ribatté il satiro. «Rappresenti meglio il settore di tuo padre?»
«Visto che ci arrivi da solo?»
Niall scosse la testa, spazientito.
«Sei impossibile, ragazza. Come tuo fratello Nico, d’altronde. Viva la
felicità». Io e Mel ridacchiammo, mentre Teri chiuse gli occhi, indifferente. Mel
la guardava quasi scandalizzata dal suo comportamento. Quelle due erano davvero
agli antipodi. Mel era la brava ragazza studiosa e perfetta. La conoscevo di
vista prima dell’arrivo al Campo e l’avevo sempre vista con le camicette di
pizzo stirate, i capelli ricci tenuti da una frontiera, le scarpe lucidate e
niente buchi alle orecchie. L’armadietto era sempre in ordine, i libri in cui
teneva sempre il naso ognuno con la propria etichetta e ricoperti da una
pellicola trasparente per proteggerli. Ed era circondata dai secchioni, sempre
a parlare di un libro o di un film e dei loro significati connotativi e denotativi.
Da quando era arrivata al Campo sembrava meno seriosa, con la maglietta
arancione e i capelli sciolti e l’avevo vista arrossire spesso per l’imbarazzo.
Poi c’era Teri. Da capo a piedi dark e ogni poro della sua pelle diceva una
sola chiara cosa “Cattiva ragazza”. Capelli rasati da entrambi i lati, tre
buchi per orecchio, jeans strappati, felpe, Converse logore e polsi accerchiati
da braccialetti con le borchie che coprivano a stento il tatuaggio di un teschio
inquietante, fatto sicuramente in un centro non autorizzato, visto che era
minorenne. Era sempre sola. I ragazzi non si avvicinavano nemmeno più per
prenderla in giro per paura di ritrovarsi le sue nocche contro la mascella. La
maglietta arancione non smorzava più di tanto la sua aria un po’ tenebrosa.
L’unica cosa che accomunava la figlia di Atena e la figlia di Ade era il viso
acqua e sapone ma se su Mel dava l’effetto della brava ragazza, su Teri
succedeva il contrario perché non c’era niente a camuffare la sua espressione
dura.
Stavo pensando a quanto Teri sembrasse anche quattro o cinque anni più grande
di Mel quando mi venne in mente una domanda, guardando verso l’oceano.
«Finnick è il semidio più grande qui o sbaglio?»
Niall sbadigliò e si mise a sedere.
«Sì, ha ventiquattro anni e una brutta storia alle spalle.»
«Cioè?» chiese Mel, incuriosita anche lei.
«Stava per essere divorato da grandi lucertoloni, che lui ha definito ibridi,
in una fogna.» raccontò Niall.
Spalancai gli occhi e mi portai una mano alla bocca. Ora si spiegava perché la sua
bellezza sembrava sfiorita. Era sempre affascinante, ma con un che di spento
dentro quegli occhi stupendi.
«Probabilmente il suo corpo sarebbe rimasto lì sotto per
sempre se non fosse stato per Percy. Lo salvò proprio nel momento in cui uno
degli ibridi stava per finirlo. E Percy capì all’istante che fosse figlio di
Poseidone.»
«Per gli occhi.» disse Teri, mentre il suo sguardo brillava.
«Oltre. Aveva anche un tridente come arma. Lo portò al Campo,
e la cosa incredibile è che Finnick proviene dal futuro. Percy e Finnick non sono
riusciti a ritrovare mai la fogna, ma a quanto pare ha trasportato Finnick
indietro nel tempo. Era sicuramente il Labirinto di Dedalo, probabilmente dove
Crono, Titano del tempo, aveva lasciato parte del suo potere, trasportando
Percy nel futuro per salvare suo fratello.»
«Che strano destino» dissi.
«Che orribile destino, vorrai dire» mi corresse Niall. «Ha lasciato nel futuro
sua moglie e suo figlio, che non ha mai visto.»
«Nemmeno i messaggi Iride funzionano?» chiese Mel.
«Purtroppo no.» rispose Niall.
Mi morsi il labbro, e tornai a guardare il cielo. Restammo in silenzio.
Alla fine mi ritenni fortunata. Mio padre e mio fratello stavano bene, e potevo
vederli tramite l’iPhone ogni volta volessi.
Il ragazzo dai capelli rossi arrivato la sera prima si avvicinò a noi. Com’è
che l’avevano definito i figli di Ade? Ah sì, Nocturno.
«Ciaaaao» disse, prolungando eccessivamente la ‘a’.
«Ehm, ciao.» risposi. Niall sembrava turbato dalla sua presenza. Si mise
seduto, ma le zampe erano pronte a scattare.
«Nervoso?» gli domandai. Niall scosse la testa, per poi prendere la mia lattina
di coca cola e cominciare a mangiarla.
«No, infatti. Non sei nervoso» mi risposi da sola.
«Disturbo?» domandò il Nocturno, senza togliersi quel sorriso dalla faccia
sporca di nero.
Scossi la testa e gli feci cenno di sedersi.
«Cercavo un po’ di compagnia.»
«Ehm, scusate se ve lo chiedo, signor Nocturno...» iniziò Mel.
«Chiamami Ludkar.» rispose lui, facendole un sorrisetto. Vidi
Mel arrossire, ma cercò subito di darsi un contegno.
«Okay, ehm...Ludkar. Ma i Nocturni non si cibano di sangue?»
Niall strozzò un belato impaurito, mentre il Nocturno sembrava pensarci su,
nemmeno fosse una domanda in greco antico. Gli aveva chiesto la sua dieta!
Terminata la lunga meditazione ci degnò di una risposta.
«Sì.»
«Beee» disse Niall. Concordavo. Il
satiro passò a mangiare la lattina di Coca Cola di Teri che sembrò non farci
caso.
Ludkar si allungò verso Mel, sfiorandole il collo con il naso.
«Poi il sangue di voi semidei ha davvero un odorino invitante.» disse Ludkar,
abbassando il tono di voce per renderla suadente, ma il risultato fu solo di
farmi accapponare la pelle.
Mel si ritrasse, e io infilai una mano nella Borsa delle Vendette, (non aveva
senso continuare a chiamarla borsa degli scherzi, perché gli scherzi dovrebbero
far ridere e quello che c’era nella mia borsa non faceva assolutamente ridere)
prendendo il coltello avvelenato. Ma non lo sfoderai perché Teri scoppiò a
ridere. Si alzò in piedi e rise come se le fosse stata raccontata la battuta
del secolo. Ludkar si voltò verso di lei aggrottando la fronte, e mi accorsi di
averlo fatto anch’io, seguita da Niall e Mel. Non era normale che Teri sghignazzasse.
«Molto divertente.» disse lei, continuando a ridere. Sfoderò una spada nera da
una fodera, smise di ridere all’improvviso, e la puntò verso Ludkar. Era la
spada di Nico.
Ludkar si mise in piedi con un balzo e indietreggiò.
«Non vorrai mica...» cominciò a dire, balbettando. «Tu non puoi...»
«Spedirti negli Inferi? Mh, fammi pensare.» Alzò lo sguardo con fare teatrale.
«Ci ho pensato.» tornò a guardarlo dritto negli occhi. «Sì, direi che posso.
Sai, i figli del dio degli Inferi hanno questo potere.» continuò Teri. «So che
i Nocturni sono immortali e si ricompongono, ma separare la tua anima dal tuo
corpo e spedirla negli Inferi, anziché in quel patetico posto chiamato
Cinerarium, facendoti patire un bel po’ di fatiche sarebbe un buon modo per
farti desiderare di non aver mai ricevuto la benedizione di Ade.» Alla luce del
sole i suoi occhi marrone scuro sembravano quasi rossi, come se le fiamme degli
Inferi bruciassero nei suoi occhi dandole la forza.
«Cercavo solo di sedurre la Riccia.» disse, alzando le mani e facendo un cenno
verso Mel. La ragazza arrossì.
«Bel modo di flirtare, dicendole che le berresti il sangue!» esclamai.
«E poi potresti essere suo trisnonno.» affermò Niall, schifato.
Teri continuò a fissare il Nocturno senza dire una parola. Il terreno sotto i
piedi di Ludkar si aprì in crepe sottili, mentre la spada era sempre contro il
suo petto. Ludkar rivolse un’occhiata spaventata a Teri, che socchiuse gli
occhi, studiandolo.
«Toccala un’altra volta e ti faccio sprofondare negli abissi del Tartaro.»
sibilò, facendo ricadere il braccio lungo il fianco. Rinfoderò la spada.
Ludkar tolse il disturbo pochi secondi dopo.
«Wow.» disse Mel. «Grazie Teri.»
La ragazza si voltò verso di lei.
«Dovevo pur trovare un modo per ringraziarti a sufficienza per averci salvati tutti
dal Ciclope.» replicò la figlia di Ade, facendo anche un cenno verso di me e
verso Niall.
«Ma che roba è il Cinerarium?» domandai. Sulle labbra di Teri comparve un
ghigno. Ora la riconoscevo.
«Il Cinerarium è un’altra vibrazione della realtà. È il luogo in cui finiscono
le cose bruciate, le persone in coma, le persone morse da un Nocturno e i
Nocturni quando vengono infilzati con qualcosa, che non sia una spada fatta di
ferro dello Stige. I Crepuscolari, ovvero i figli di un Nocturno e un umano,
possono viaggiare attraverso questa vibrazione annusando gli iris.» spiegò
Teri.
«Ma è inquietante!» esclamò Mel.
«È un luogo di cenere. C’è qualche uomo grigio, ma è ceco. Roba piuttosto da
smidollati. Un Nocturno come Ludkar non avrebbe nessun problema. Forse la cosa
davvero più inquietante lì è il cielo bianco con una luna nera» disse Teri.
«Io...io...credo di...di...esserci stata. Dopo aver combattuto il Ciclope.
Credo di averci vagato per un bel po’» mormorò Mel.
«Mi auguro che tu non abbia incontrato Ludkar» disse Niall.
«No, credo di non aver incontrato proprio nessuno. Però lui è affascinante...»
sussurrò la ragazza, sorridendo e sistemandosi una frontiera che non portava
più. Quando se ne accorse modificò il gesto nell’allisciarsi i capelli.
«Oh, per favore!» esclamò Niall.
«Sei sicura che non siano loro la causa di tutto quello scompiglio negli
Inferi?» domandai a Teri. Ludkar sembrava tipo da mettere in subbuglio un regno
gigantesco come gli Inferi e un dio potente come Ade.
«Nah. Sono sempre esistiti, e poi sono benedetti da mio padre. Forse è meglio
che riporti la spada a Nico.» rispose.
Niall emise un belato di saluto. Ora che eravamo al Campo lo faceva sempre più
spesso.
«Ci serve un’impresa.» disse Mel, portando una mano al suo elastico azzurro.
«Sono certa di essere destinata a scoprirlo. E vorrei scoprire cosa ci facesse
quel topo enorme nella Foresta».
«Questo dovresti chiederlo a Rachel.» replicò Niall.
«Di chi è figlia? Così vado a trovarla nella sua Casa» chiese Mel.
«Dei suoi genitori.» rispose il satiro.«Lei è semplicemente umana, e per essere più precisi è il nostro
Oracolo. In lei c’è lo spirito dell’Oracolo di Delfi, sacro ad Apollo.»
«Quindi sta nella casa di Apollo?». A giudicare dalla smorfia che fece Mel non
ne era felice, perché nella casa di Apollo c’era anche Eles, troppo
spregiudicata e popolare per i gusti di Mel. La figlia di Atena aveva decisamente
troppa puzza sotto il naso.
«Oh, no. È umana, quindi frequenta una scuola fuori dal Campo. Ci viene a
trovare ogni tanto e alloggia nella Casa Grande. Non sappiamo quando arriverà e
il solstizio d’estate si avvicina».
«E cosa succede al solstizio d’estate?» chiesi.
«Gli dei si riuniscono sull’Olimpo per un Consiglio» rispose Mel.
«E quindi? Ade non potrebbe tipo spiegare il problema e farsi aiutare?» dissi.
Niall rise.
«Sei piuttosto ingenua per essere una figlia di Nemesi, ma ti perdono, visto
che è la tua prima estate al Campo e non sai ancora molte cose. Devi sapere che
gli dei non sono fatti così. Ade accuserà Poseidone e Zeus di aver
sguinzagliato queste creature per spodestarlo. Potrebbe esserci una guerra. Capirai,
sono sempre su piede di guerra. No, se volete un’impresa dovete sbrigarvi e
risolvere tutto prima del solstizio».
«Cosa facciamo, allora?» domandò Teri.
Niall sorrise.
«Parlatene con Chirone. Ma prima raccogliamo le lattine o la parte che non ho
mangiato».
Spazio autrice
Ed ecco l’avvio della trama vera e propria, ovvero l’impresa
per scoprire questo ‘Tormento infernale’. Come avevate giustamente capito,
Ludkar non è un tipo raccomandabile e vi anticipo che non si sopporterà
minimamente con Teri anche nei prossimi capitoli. Vi ringrazio per le
recensioni e vi consiglio di leggere la fan fiction di Kalyma P Jackson
che diventa più avvincente di capitolo in capitolo. Spero di ricevere
altrettante recensioni come la scorsa volta, e ovviamente sono accettate le
critiche! Grazie in anticipo, e ci vediamo la prossima settimana.
Bacioni
Ero decisa a parlare con Chirone dopo cena e a esporre le mie
ragioni. Ero certa di poter scoprire l’origine di quello scompiglio che i figli
di Ade avvertivano negli Inferi. Prima, però, decisi di parlarne con Annabeth,
durante la cena. Era più grande e aveva più esperienza di me. Pensai parecchio
a come iniziare la conversazione senza sembrare desiderosa di partire.
«Curioso lo scompiglio che c’è negli Inferi.» buttai lì. Annabeth si voltò
verso di me, aggrottando la fronte.
«Mh, già. Quel topo gigante è una delle conseguenze. È una creatura infernale
sfuggita al controllo di Ade». Qualcosa mi diceva che non credeva nella mia
semplice curiosità e faceva bene: nemmeno io mi sarei creduta.
«Hai qualche idea su cosa potrebbe averlo scatenato?» chiesi, tentando di dissimulare
la mia impazienza addentando un pezzo di pane.
«Ho fatto alcune ricerche su anime che non raggiungono mai gli Inferi.» disse.
«Ma i risultati sono stati piuttosto deludenti. Sono solo antiche leggende
medioevali.»
Mi morsi il labbro inferiore e abbassai lo sguardo. Avrei potuto
informarmi meglio sull’argomento. Esseri morti ma che continuano a vivere. Non
aveva assolutamente senso, ma non era da sottovalutare visto che i figli di Ade
erano visibilmente preoccupati. Parlavano spesso con Chirone, e sul volto del
centauro comparivano delle piccole rughe che sembravano invecchiarlo di secoli.
Dovevo saperne di più.
«Non avrai intenzione di ottenere un’impresa, vero?» mi chiese Annabeth,
spiazzandomi.
«Come? Oh, no, no. Gli dei sanno quanto mi piacerebbe, ma penso di non essere
ancora pronta per una cosa del genere. Non verrei scelta.» risposi. In verità
mi sentivo piuttosto sicura di me.
«Percy ha ottenuto un’impresa la sua prima estate.» replicò mia sorella,
sorridendo. «Hai la stoffa per farcela anche tu, Mel.»
«Dici sul serio?» sorrisi anch’io, probabilmente arrossendo.
Annabeth annuì.
Mi sentii fiduciosa. Ringraziai mia sorella, e mi avviai verso Chirone mentre
gli altri semidei si mettevano in cerchio intorno al falò e i figli di Apollo
cominciavano a cantare e suonare.
«Chirone, vorrei...»
«Ah, voi figli della dea della saggezza. Pensate di potercela fare in qualunque
impresa.» borbottò il signor D.
Mi sentii avvampare, e la mia sicurezza traballò.
«Oh, non farci caso, Mel. Cosa volevi dirmi?»
Mi decisi a farmi coraggio. Non potevo buttarmi giù per una battuta di Dioniso.
Così feci un respiro profondo.
«Io credo di sapere ciò che crea il caos negli Inferi. O meglio, credo di
poterlo scoprire.»
Chirone assunse un’aria incuriosita.
«Non ne dubito, Mel.» rispose, sorridendo e aspettando che proseguissi. Il suo
sorriso mi infuse coraggio.
«Sono certa di poter localizzare con esattezza la causa del tormento di Ade, e
poi potrei raccogliere informazioni sufficienti per sconfiggerla.» continuai.
«Purtroppo la biblioteca della casa di Atena è scarsa, quindi vorrei consultare
qualche volume nella Casa Grande. Quando avrò raccolto informazioni necessarie
penso che sarei capace di combattere...»
«Mel, il tuo coraggio è davvero notevole. Ma sai che devi ottenere un’impresa,
vero?» Chirone continuava a sorridermi con dolcezza.
«Sì che lo so. So anche di essere pronta.» replicai prontamente.
«Il caos viene dagli Inferi, e non sono particolarmente connessi con il resto
dell’Olimpo. Quindi mandare una figlia di Atena non è quel che si dice
prudente, Mel.» mi scrutò con i suoi occhi scuri e mi sentii stupida.
Il problema era di Ade e del suo regno, quindi il destinato a compiere
l’impresa era un figlio di Ade, oppure una figlia. Rivolsi uno sguardo al
tavolo di Ade,dove Nico raccontava qualcosa a Teri che ascoltava affascinata,
mentre Gregor non faceva altro che rivolgere occhiate affettuose al fratello e
alla sorella adottivi.
«Inoltre» proseguì Chirone, riportando la mia attenzione su di lui «C’è una
data di scadenza da rispettare».
«Lo so, il solstizio d’estate. Ma al figlio di Ade servirà pure un aiuto per
capire cosa sono queste creature!» esclamai.
«Teri è una ragazza molto intelligente. Se la caverà egregiamente». Bé, se
avesse fatto gara di broncio o di sarcasmo con quelle creature avrebbe
sicuramente vinto.
«Teri partirà per quest’impresa da sola? Lei lo sa?»
«Lo saprà quando consulterà l’Oracolo di Delfi, Rachel. Ma sono quasi certo che
non lascerà il Campo da sola».
Sorrisi, sperando che stesse per dirmi che sarei partita con lei, anche se la
mia ragione mi diceva che non poteva essere.
«Niall l’accompagnerà» concluse Chirone.
Ah. Ecco.
Rachel arrivòquel week-end. Era una bella ragazza sui sedici
anni, con i capelli rossi e i jeans sporchi di colore.
Si sedette al tavolo con Chirone e il Signor D. Avevo deciso di provare a
chiederle di quell’impresa e se vedesse me compierla accanto a Teri.
Non avevo idea di come avvicinarmi. Mi incuteva un po’ timore, essendo più
grande di me, e portava in sé lo spirito di Delfi.
«Com’è andata?» mi chiese Eles, avvicinandosi, al falò dopo la cena. Corrugai
la fronte.
«Come sarebbe?» replicai, accigliata.
Eles sorrise e si sedette accanto a me.
«Hai parlato con Chirone, no?» rispose lei, naturale. Possibile che fosse
solare e bella nonostante la stanchezza di una giornata di allenamento?
Sembrava ancora più abbronzata di quando la vedevo a scuola e mi diede ai
nervi. Io diventavo solo rossa come un peperone senza prendere un briciolo
quella bella sfumatura ambrata.
«Chi te l’ha detto?» sbottai, evidentemente scocciata.
«Ti ricordo che mio padre è il dio delle arti. Non sono mica scema come tutte
le mie ex amiche» rispose senza scomporsi.
Ammetto che mi colpì come risposta.
«Sì, ci ho parlato e mi ha fatto capire che Teri ci andrà da sola, al massimo
con Niall. Ma voglio provare a chiedere a Rachel se mi vede nel futuro più
prossimo compiere quest’impresa accanto a Teri e a Niall.»
«Woah!» esclamò Eles, evidentemente sorpresa. «La prima impresa di Teri e,
forse, anche la tua. Quando hai intenzione di andare a parlare con Rachel?»
«Non ne ho idea. Mi mette un po’ di soggezione.»
Eles annuì, comprensiva. Decisi che forse, in fondo, non era così antipatica
come l’avevo sempre ritenuta.
«Bé, tentar non nuoce, no?»
Si alzò e fece per andarsene.
«Vai a suonare?» le chiesi. Eles parve stupita dalla domanda, poi annuì.
«Siete forti, sai? Avete delle voci davvero belle».
«Grazie» sorrise e si avviò verso i suoi fratelli.
Mi rilassai sul mio posto, guardando il falò che scoppiettava alto, segno che
l’umore generale dei campeggiatori era positivo.
Clive, Thara, il suo ragazzo e i due Nocturni stavano chiacchierando con alcuni
figli di Afrodite. Sembravano piuttosto a loro agio, e decisamente più riposati
rispetto alla sera in cui erano arrivati. Alcuni figli di Apollo cantavano e
suonavano, mentre i miei fratelli e le mie sorelle erano immersi in una
conversazione riguardo un libro a cui, però, non volevo aggiungermi. Amavo quel
posto. Vorrei dire che il Campo era la mia nuova vita, ma per me non lo era.
Non la sentivo nuova perché sentivo
di appartenerci, di essere fatta per stare lì, di trovarmi nel posto giusto al
momento giusto e soprattutto con le persone giuste.
James, il figlio di Apollo che mi aveva detto di essere figlia di una dea, si
sedette accanto a me, sorridendomi.
«Hey.» mi salutò.
Non l’avevo mai visto così da vicino. O meglio, quando era così vicino avevo la
mente offuscata dallo shock...com’è che l’aveva chiamato Niall? Ah,
“post-trauma da incontro con ciclope”.
Gli occhi verdi di James sembravano quasi due pietre preziose alla luce del
falò, i suoi capelli biondi sembravano setosi e morbidi da toccare, e il suo
sguardo, il suo viso, il suo corpo che si intravedeva dalla maglietta un po’
aderente gli donavano proprio l’aria di una scultura greca. Per non parlare
dell’abbronzatura perfetta e del sorriso che se su Eles mi innervosiva, su di
lui mi faceva sentire come una gelatina. Okay, la smetto.
«Ciao» cercai di sorridere senza sembrare impacciata.
«Figlia di Atena.» pronunciò quelle tre parole con aria solenne. «L’avevo
pensato, sai?»
«Ah, sì? E da cosa te ne saresti accorto? Dalla civetta che mi è spuntata sulla
testa?» Avevo come la sensazione che volesse vantarsi di essere estremamente
intelligente da capire di chi fossi figlia ancora prima di essere riconosciuta.
«Bè, dai tuoi occhi grigi, per prima cosa. E poi dall’arroganza di una tipica
so-tutto-io con cui mi hai risposto la prima volta che ci siamo parlati»
rispose, ridacchiando.
Sperai di non essere diventata rossa, ma ne dubitavo. Perché arrossivo così
facilmente?
«Tu mi avevi detto di essere un figlio di Apollo, e io non sapevo niente di
tutto questo mondo. Cosa ti aspettavi?» replicai.
«Esattamente la risposta che mi hai dato; la classica risposta da figlia di
Atena.»
Alzai un sopracciglio.
«Gli altri semidei, solitamente, mi guardano con aria confusa e passo
direttamente alla spiegazione della mitologia greca che è reale e che sono
figli di un dio o di una dea dell’Olimpo, eccetera. Ogni figlio o figlia di
Atena, invece, mi dà dell’idiota, quando è gentile.» spiegò.
Ridemmo insieme.
«Sei un’incredibile arciere, sai?» disse.
«Detto da un figlio di Apollo, penso sia un enorme onore.» replicai.
Si strinse nelle spalle. «Sì, soprattutto da me.»
«Che presuntuoso!» esclamai. Cercai di usare un tono scandalizzato ma non
riuscii a trattenere una risata.
«Tu non ti alleni mai?» chiesi. «Sei sempre in infermeria?»
James si morse il labbro inferiore, poi sorrise.
«Bé, mi piace occuparmi degli eroi feriti e molti fanno sempre affidamento su
di me, ma dobbiamo fare i turni. Non posso permettermi di non allenarmi. Quando
esco da lì» e indicò l’entrata del Campo «non sono al sicuro».
«Possibile che io non ti abbia mai visto allenarti?» domandai ancora.
«Oh, questo è un vero peccato. Prima che tu parta per l’impresa devi vedermi,
sono uno spettacolo!» James mi rivolse un sorriso sgargiante ma per poco non mi
strozzai.
«Come sai dell’impresa?» poi diedi uno sguardo alle sue spalle e vidi i figli
di Apollo cantare e suonare.
«Eles!» esclamai. Come non detto, era pettegola come a scuola. Maledetta me che
avevo aperto bocca.
«Veramente Eles non mi ha detto proprio niente. Ti ho vista parlarne con
Chirone».
«Oh».
Certo che ero proprio stupida per essere una figlia di Atena. Avrei dovuto
vergognarmi. Era ovvio, tutti mi avevano vista andare a parlare con il centauro
e, probabilmente, da come mi avevano vista gesticolare avevano capito che stavo
cercando di convincerlo a farmi ottenere l’impresa.
«Non cambiare discorso» riprese James. «Voglio che tu mi veda allenarmi. Sono
un ottimo arciere e anche uno spadaccino niente male». Lo guardai dritto negli
occhi.
«Affare fatto».
Spazio
autrice Ed ecco il nono capitolo! Mel vuole proprio mettersi nei
guai, a quanto pare, lol. Ringrazio Kalyma P
Jackson per le sue recensioni, e continuo a ripetere di leggere la sua fan
fiction, che è davvero la meraviglia. Ringrazio tutti quelli che hanno
recensito le volte precedenti e hanno messo questa storia tra le
ricordate/seguite/preferite, siete fantastici.
Spero di ricevere altre recensioni, critiche comprese. Un bacio, e alla
prossima! x
Gregor si era ormai addormentato da un pezzo sulla mia spalla
sinistra. Non potevo biasimarlo: l’atmosfera era davvero paradisiaca, e dopo
una giornata di allenamenti era davvero difficile non chiudere gli occhi. Nico,
invece, si era appena rilassato sulla mia spalla destra, e mi stringeva forte a
sé come se fossi un peluche. Accarezzai delicatamente i suoi capelli neri, e
poco dopo sentii il suo corpo rilassarsi e la sua presa allentarsi appena. Risi
al pensiero che, appena mi aveva conosciuta, stava per prendersi una cotta per
me. Nessuno mi aveva mai desiderata. A scuola tendevo a essere sempre molto
invisibile e ai ragazzi non piaceva il mio stile fatto di vestiti neri, capelli
rasati e molteplici buchi alle orecchie. Immagino che anche il fatto che
sapessi prendere a pugni non contribuiva a farmi avere ammiratori. Tuttavia
essere corteggiata non era qualcosa che mi mancava, anzi. Stavo benissimo così.
Nico si agitò nel sonno. Mormorò un nome: Bianca.
La sera in cui Nico era arrivato al Campo mi ero offerta
volontaria per accompagnarlo in infermeria, per avere una scusa per visitare
Mel. Mi sentivo in dovere nei confronti della figlia di Atena, mi aveva salvato
la vita. Avevo preso Nico e l’avevo trascinato in infermeria, e mi aveva
chiamata “Bianca”. Durante la notte in infermeria (ero rimasta sveglia tutto il
tempo), circa un paio d’ore averlo portato in infermeria, Nico si era svegliato
da un incubo.
«Tutto bene?» gli avevo chiesto. Lui mi aveva guardata per un po’, confuso, poi
aveva sorriso e aveva annuito. Gli avevo chiesto chi fosse Bianca.
«Perché vuoi saperlo?» aveva ribattuto, sulla difensiva.
«Calmo, amico. Mi hai chiamata così mentre ti accompagnavo qui, ma se ti da
così fastidio non voglio saperlo» avevo risposto. Nico aveva scosso la testa e
si era messo a sedere sul letto, guardandomi con i suoi occhi tristi. E mi
aveva raccontato di Bianca, sua sorella, morta pochi anni prima. Aveva pianto
parecchio, e mi ero sentita in difficoltà. Odiavo quando le persone piangevano.
Mi facevano sentire impotente. Ma quando Nico aveva pianto, quella notte,
sembrava un piccolo cucciolo indifeso e spaventato. Così mi ero alzata dalla
sedia accanto al letto di Mel e mi ero seduta sul letto di Nico, dandogli delle
pacche leggere sulle spalle. Il ragazzo si era buttato nelle mie braccia,
piangendo sulla mia spalla e stringendomi forte. Poco dopo si era allontanato,
imbarazzato.
«Scusami, non volevo. Non so nemmeno il tuo nome, la tua età, non so niente e
ti abbraccio. Scusa»
«Se l’hai fatto ne avevi bisogno, non scusarti. Gli abbracci non sono un
crimine» avevo replicato. «Comunque io sono Teri e ad aprile ho compiuto
quindici anni».
Nico si era asciugato le lacrime con le mani e aveva sorriso.
«Piacere di conoscerti. Siamo coetanei. Appena arrivata al Campo?» E poi ci
eravamo messi a chiacchierare del più e del meno, per tutta la notte. Mi aveva
confessato che non si trovava bene tra la gente, preferiva i fantasmi. E gli
avevo detto che io assomigliavo ad un fantasma, visto che ero sempre stata
invisibile. Ridemmo tanto quella notte, nonostante le lacrime con cui era
iniziata.
«Devi essere comoda» disse una voce accanto a me. Mi voltai, trovando un
ragazzo che mi guardava incuriosito. Era magrolino, aveva i capelli ricci, gli
occhi scuri e una cintura per attrezzi attorno al bacino.
«E a te che interessa?» risposi, alzando un sopracciglio.
«Così, ho visto Mister MaiNaGioia dormire e mi sono chiesto se dipendesse da te
che sei comoda o da lui che ha finalmente deciso di curarsi le occhiaie».
Trattenni un sorriso. Quel tipo non sembrava il solito idiota della situazione,
piuttosto un ragazzo davvero simpatico.
«E tu chi saresti?» chiesi.
«Leo Valdez, figlio di Efesto. Al tuo servizio, baby. Io invece ti conosco. Sei
Teri, la figlia di Ade che ha fatto sprofondare quel topo gigante, l’altro
giorno»
«Già, sono proprio io» mormorai.
«Senti, non è che potresti liberarti dai tuoi fratellini e chiacchierare un po’
con me?»
«Se mi liberassi dai miei fratellini, come li chiami tu, sarebbe solo per darti
un pugno»
«Immaginavo che avresti accettato» replicò il ragazzo, rivolgendomi un
sorrisetto furbo.
Aprii bocca per rispondergli per le rime, ma non ce ne fu bisogno.
Rachel, la ragazza dai capelli rossi che era appena arrivata al Campo, si alzò
in piedi e mi fissò. I suoi occhi divennero vitrei e verdi, mentre dalla sua
bocca uscì un fumo dello stesso colore. La sua postura era rigida ed
innaturale. Tutti quanti sembrarono porre molta attenzione. Tutte le
chiacchiere si smorzarono e anche i figli di Apollo smisero di suonare.
La sua voce rimbombava, e mi sembrava come se venisse direttamente dalla mia
testa. Nico e Gregor sobbalzarono, svegliandosi. Rachel parlò.
Uno con il molle cerchio, uno con la
borsa,
e uno con il sole chiuso in
una morsa,
con il Prescelto partiranno
per il posto da cui parte il
Tormento.
Pioggia e freddo troveranno,
ma non il fallimento
solo uno si sa orientare,
solo uno può la difesa
organizzare,
uno diventerà l’obiettivo,
del grande e straordinario
arrivo
La luce verde si spense, e la ragazza svenne. Capii che aveva
appena pronunciato una profezia. I campeggiatori cominciarono a parlottare tra
loro, stupiti e il falò rifletteva con una luce più forte e alta il loro umore.
Scorsi Mel alzarsi in piedi.
«Si riferiva al Tormento di Ade, no? Al Tormento che c’è negli Inferi!»
esclamò.
Chirone annuì, silenzioso.
«Chi è il Prescelto?» chiese Percy.
«O la Prescelta» aggiunse Annabeth. «Non è così difficile da interpretare. Il
molle cerchio è chiaramente un elastico. L’arma di Mel è un elastico.»
proseguì, guardando la sorella.
Mel raddrizzò le spalle e assunse un’aria soddisfatta e onorata.
«Il sole chiuso in una morsa. Eles ha l’arco di Apollo.» disse Will Solace.
Eles corrugò la fronte, poi abbassò lo sguardo e si portò una mano alla testa,
riflettendo su qualcosa.
«Per borsa si riferisce alla Borsa delle Vendette di Ria.» continuò Arika, la
figlia di Zeus. Ria, che era seduta accanto a lei, fece indugiare lo sguardo
prima sulla sua borsa, poi su Arika e infine guardò Mel e Eles.
«E per Prescelta si riferisce a Teri.» concluse Nico, con i
capelli spettinati dal lato su cui si era appoggiato per dormire. Strabuzzai
gli occhi. Se non fossi già stata seduta, sarei caduta per terra.
«Perché proprio io?» domandai, con la voce più acuta del solito.
«Gregor e Nico sono rientrati da poco da un’impresa, e Rachel guardava proprio
te» disse Chirone.
Annabeth e Piper, il capogruppo dei figli di Afrodite stavano cercando di
rianimare Rachel.
Sentii, nel profondo del mio cuore e a malavoglia, che Chirone aveva ragione.
Ero io la Prescelta. Suonava così strano. Ero arrivata in quel
mondo da così pochi giorni ed ero molto in vista, non solo come figlia di uno
dei Tre Pezzi Grossi, ma anche come Prescelta per combattere il Tormento degli
Inferi. Non ci ero abituata e non volevo abituarmici.
Incrociai lo sguardo di Leo, che mi sorrise, solare. Accennai un sorriso, per
poi chinare la testa e coprirmi con i capelli.
«Direi che è il caso di andare a dormire, eroi. Domani ne riparliamo, ragazze.»
disse, per poi rivolgere a Ria, a Mel, a Eles e a me un’occhiata di intesa.
Rientrare nella Cabina Tredici fu un sollievo. Ludkar e Kolor non erano ancora
rientrati ed c’eravamo solo io, Nico e Gregor.
Mi sedetti sul letto, sentendo come un peso che mi si piantava sulle spalle. Io
avrei dovuto affrontare l’impresa e come aiuto avevo tre ragazze appena più
piccole di me. Certo, due erano brave con l’arco e una era una furia con il
coltello, ma che speranze avevano quelle armi in confronto a dei mostri capaci
di scuotere l’equilibrio degli Inferi?
Gregor appoggiò una mano sulla mia spalla.
Mi voltai di scatto verso di lui.
«Stai bene?» chiese, guardandomi dritta negli occhi.
«Certo» risposi, raddrizzando la schiena e fingendo un’aria tranquilla. Gregor
scosse la testa e si sedette accanto a me.
«Ti trema la voce. Non puoi nasconderti sempre dietro l’aria da dura». Non mi
ero nemmeno accorta del tremolio della voce. Sentirmi vulnerabile non mi
piaceva e quando era un ragazzo più piccolo di me a notarlo era ancora peggio.
Sospirai e mi strinsi nelle spalle.
«Non sono pronta, ma devo farlo per il Campo e per mio padre» replicai. Gregor
strinse le braccia intorno al mio corpo. I suoi capelli ricci mi solleticavano
il viso. Fu come se quel gesto mi riscaldasse. Era strano, però. Non ero
abituata ad abbracciare. Mia zia non mi aveva fatto mancare l’affetto ma quando
avevo raggiunto i quattordici anni aveva cominciato ad educarmi più al lavoro
nei campi e allo studio. Ero riuscita a convincerla a mandarmi in palestra proprio
dicendo che i muscoli mi sarebbero tornati utili per aiutarla nei campi. La
sera eravamo stanche e non c’era tempo per troppe coccole, anche perché io non
le accettavo molto.
Il gesto di Gregor, però, mi fu di conforto e mi accorsi di quanto mi era
mancato quel contatto fisico da parte di qualcuno che ti vuole bene.
Ricambiai l’abbraccio prima che potessi accorgermene.
«Non li deluderai» sussurrò Gregor, poi sciolse l’abbraccio e mi guardò con i
suoi occhi color cioccolata.
«Lo so che non lo farai».
Incredibile, ma quella notte presi subito sonno. Quando mi ero infilata il
pigiama mi ero già preparata mentalmente ad una notte insonne, ma non appena
appoggiai la testa sul cuscino mi addormentai. E sognai.
Mi dolevano le braccia e sentivo freddo. Ero circondata dal verde, mentre
sentivo l’acqua che non faceva altro che infreddolirmi di più. Il vento mi
fischiava forte nelle orecchie, e vedevo una casa in lontananza. Cercai di
avvicinarmi, ma il mio istinto diceva che era sbagliato, che era meglio morire
di polmonite. La porta si spalancò, ma prima che potessi vedere chi ci fosse
sull’uscio, mi risvegliai nel mio letto.
Kolor, il Nocturno, era accanto a me.
Per poco non urlai dallo spavento.
«Scusami, Teri, ma mi stavi preoccupando. Ti agitavi molto.» disse, abbassando
lo sguardo.
«Ho parlato nel sonno?» domandai.
«Solo parole che non sono riuscito a capire, ma sembravi molto scossa.»
“Ci credo.” Pensai. Sentivo ancora
l’orrenda sensazione di freddo addosso, nonostante fossimo a metà giugno.
«Capisco. È ora di colazione?» domandai, cambiando argomento.
«No, è ancora presto. Riposati.» Mi sistemò il lenzuolo e me lo rimboccò come
se fosse il padre che non avevo mai avuto. Chissà se un giorno avrei incontrato
il Signore degli Inferi. I miei fratelli l’avevano fatto, ma non avevo mai
aperto l’argomento e, conoscendoli, non l’avrebbero mica fatto loro.
Mi girai dall’altro lato per riaddormentarmi. Kolor si era già allontanato da
un pezzo, quando Gregor si avvicinò al mio letto.
«Teri?» chiese, sottovoce. Sembrava un po’ intimidito.
Mi voltai verso di lui.
«Hey.» gli sorrisi. Con lui sorridere non era difficile, lo sentivo come mio
fratello. «Incubo?» domandai.
Mio fratello annuì, abbassando un po’ lo sguardo. Scostai il lenzuolo e gli
feci spazio nel mio letto. Le labbra di Gregor si allargarono in un sorriso che
gli illuminò il volto. Si infilò sotto il lenzuolo, e si aggrappò a me. Quel
ruolo della sorella maggiore mi faceva uno strano ma piacevole effetto.
«Cosa hai sognato?» domandai, accarezzandogli i capelli ricci.
«Te. E faceva tanto freddo.» rispose, stringendosi ancora di più a me. Sentii
un brivido percorrere la sua schiena.
«Tranquillo. È stato solo un brutto sogno.»
Vidi Nico agitarsi nel sonno, nell’altro letto. Che stesse sognando la stessa
cosa?
Mi ero quasi assopita di nuovo, quando Nico gridò, svegliando tutta la cabina
Tredici.
«BIANCA!» gridò, con tutto il fiato che aveva in gola. Scattai in piedi, accesi
la luce e corsi al suo letto.
Era madido di sudore e visibilmente agitato.
«Nico, hey, calmo.» dissi, abbracciandolo. Gregor si stropicciò gli occhi e si
avvicinò. Avvolse le sue braccia intorno a Nico, mentre io abbracciavo
entrambi.
Nico cominciò a piangere silenziosamente sulla mia spalla, senza farsi pregare.
«Non la rivedrò più» mormorò contro la mia spalla. Non riuscii a trovare
nessuna parola che potesse essergli di conforto. Non se ne faceva niente del
mio dispiacere, seppur grande, perché non avrebbe rimpiazzato la sorella.
«Tutto bene?» chiese Kolor.
In quel momento mi sentii come se avesse interrotto qualcosa di speciale.
Volevo che fossimo solo noi tre, io e la mia famiglia.
Ma Kolor non era niente in confronto a Ludkar.
Davvero niente.
Ludkar saltò giù dal letto lasciandosi sfuggire un’ imprecazione.
«Ludkar, datti una calmata.» disse Kolor.
«Ho il diritto di rilassarmi o no?» sbottò l’altro. Avvertii immediatamente
l’irrigidirsi del mio corpo, ma lasciai che le mie braccia circondassero i miei
fratelli ancora per un po’.
«Abbiamo finito con questo piagnisteo?!» sbraitò Ludkar.
Mi staccai dai miei fratelli e mi posizionai davanti a loro. Ludkar mi guardò
scocciato.
Cercai i suoi occhi e indirizzai la rabbia nel mio sguardo. Ludkar sembrò
turbarsi appena, ma mantenne la sua solita faccia di bronzo.
«Non guardarmi così, ragazzina. Non mi fai paura».
«Ah no?» Afferrai la spada di Nico e la feci roteare fendendo l’aria. Per
essere una ragazza solitaria e solitamente invisibile ero abbastanza teatrale.
«Ti abbiamo accolto in questa casa per farti un favore. Così come ti abbiamo accolto,
così ti cacciamo. E per cacciarti, intendo molto giù. Non ti piace come
prospettiva di eternità, vero? Quindi se preferisci questa Cabina dovrai
sopportare anche i piagnistei di due ragazzi che in quindici e tredici anni
hanno sopportato e fatto molto più di te» replicai. Ludkar si rabbuiò in viso,
e fece un passo indietro, tornando nel suo letto. Avevo colto nel segno. Teri
2, Ludkar 0.
Kolor sorrise ammirato, poi si avvicinò al suo letto. Ebbi l’impressione che mi
avesse fatto l’occhiolino, ma non ne fui sicura.
Spostai il mio letto accanto a quello di Nico, e mettendomi al centro, lasciai
che i miei fratelli mi abbracciassero in un letto matrimoniale improvvisato.
Nico mi sorrise e mi stampò un bacio sulla guancia, per poi accucciarsi accanto
a me. Gregor avvolse le sue braccia intorno al mio corpo, sorridendo.
«Sei la sorella maggiore migliore del mondo» mormorò. Sorrisi, per l’ennesima
volta in quella giornata. I muscoli delle mie guance non erano abituati, e
tanto meno io stessa, ma immagino che è questo ciò che significa famiglia. Gli
baciai la fronte.
«Voi i fratelli migliori che potessi mai desiderare» risposi.
E così arrivammo alla mattina successiva senza altri incubi.
Spazio autrice
Non lanciatemi i pomodori, questo capitolo è solo di passaggio
ed è noioso, ne sono cosciente. Volevo solo inserire un po’ del rapporto che si
crea tra Teri e i suoi fratelli, visto che non mi sembrava di averne parlato
molto e la rivalità tra Teri e Ludkar è importante per la trama, anche se per
ora non sembra. Comunque, qualcosa c’è in questo capitolo! L’Oracolo di Delfi
ha parlato, yay!
Ringrazio per le recensioni, come sempre siete gentilissimi, soprattutto Kalyma
P Jackson, e vi consiglio la sua storia stupenda!
Spero di ricevere altre recensioni, anche critiche.
Un bacione e a presto!
Feci molta fatica a mangiare, quella mattina. Mi sentivo ancora
molto scombussolata da tutta quella faccenda della Profezia e di partire per
un’impresa. Con l’arco me la cavavo, sapevo correre veloce, ma facevo fatica a
maneggiare una spada o un coltello.
Ero al Campo da troppo poco tempo e guardandomi allo specchio non vedevo altro
che una ragazzina di poco più di quattordici anni, capelli lisci e castani,
carnagione ambrata, costretta dalla sua nuova vita a tenere un arco in spalla.
Il succo d’arancia che avevo bevuto sembrava acqua un po’ troppo fredda, i
biscotti sembravano pezzi di legno senza sapore e difficili da masticare. La
profezia mi aveva sconvolta. Stavo cantando con i miei fratelli quando la
ragazza dai capelli rossi si era alzata e guardando verso Teriaveva parlato con quella voce strana
annunciando una nuova profezia di cui non avevo capito quasi niente. Che
diavolo significava “diventerà l’obiettivo del grande e straordinario arrivo”?
L’obiettivo nel senso del bersaglio? Non avevo risposte. Will e Michael mi
avevano incoraggiata, dicendo “Hey, che figata! Un’impresa la tua prima
estate!” ma tra impresa e la tua prima estate sentivo aleggiare la
parola “suicida”.
Dopo colazione vidi Teri, Mel e Ria alzarsi contemporaneamente e mi accorsi di
averlo fatto anch’io. Ci avviamo verso Chirone.
«Bene, vedo che avete finito di fare colazione.» iniziò il centauro. «Avete
molto poco tempo. Dovete risolvere questo problema negli Inferi entro il
solstizio d’estate. È una data di scadenza che dovete rispettare.»
«Abbiamo una settimana di tempo?» domandò Teri, incredula. «Abbiamo una minima
idea di dove sia questo posto di “Pioggia
e freddo”?»
«No, ma non credo sia quella la parte difficile» replicò Mel.
«Ma urge partire al più presto» rispose Chirone.
«La profezia diceva che non troveremo il fallimento.» disse Mel. Mi sembrò
troppo strana una cosa del genere. Cercai di ricordare la Profezia, recitandola
mentalmente dall’inizio, ma Ria mi interruppe, chiedendomi se la ricordassi.
«Sì, ho una buona memoria» risposi, sorridendole.
«Dunque, dice Uno con il molle cerchio, uno con la borsa e uno con il sole
chiuso in una morsa, con il Prescelto partiranno per il posto da cui parte il Tormento.
Pioggia e freddo troveranno...»
«...Ma non il fallimento» mi interruppe Mel, lanciandomi uno sguardo
fulminante. Sbuffai e decisi di ignorarla mentre recitava il resto della
Profezia.
«Oh sì, ora ricordo!» esclamò Ria. «Abbiamo la vittoria in tasca e non ci ho
fatto caso!»
Ma non facemmo in tempo a tirare un sospiro di sollievo.
«Non interpretatela così alla leggera. Non trovare fallimento non significa che
non ci saranno pericoli. E magari per fallimento intende che non troverete il
fallimento di Ade, quindi sarete voi a fallire perché non lo scoprirete» intervenne
Chirone. «Dovrete comunque prestare attenzione. E tanta.»
«Il posto.» ribadì Ria, senza nascondere troppo la sua impazienza.
«Lo so che lo sai, Chirone.»
Fissava dritto negli occhi il direttore delle attività del Campo.
Una ragazzina coraggiosa, annotai mentalmente.
«Sì. Venite nella Casa Grande.» replicò il centauro, senza batter ciglio
davanti all’impazienza della figlia di Nemesi.
Spostò la sedia a rotelle in cui era nascosta la sua parte del corpo da cavallo
e si avviò verso la grande casa azzurra. Teri fu la prima a muoversi, subito
dopo seguita da Ria e Mel. Presi un respiro profondo e le seguii. Come faceva
Ria ad essere impaziente? E come faceva Mel a restare ragionevole? E Teri, che
nonostante le occhiaie violacee sotto gli occhi e il pallore (come se fossero
una novità) sembrava calmissima?
Seriamente, come diavolo facevano? Io stavo palesemente tremando e avevo il
respiro corto. Inoltre avvertivo la saliva praticamente prosciugata, cosa che
non mi aiutava a deglutire.
«Bene, ragazze.» disse Chirone, entrando nell’ufficio di Dioniso. «Il signor D
ha qualcosa da dirvi.»
Dioniso camminava nervosamente avanti e dietro.
«Sedetevi, ragazze.» disse, fermandosi dietro la propria scrivania. Mi sembrava
un po’ strano che il dio dei divertimenti stessi dietro una scrivania. Era come
vedere un gatto che flirtava con un cane. Non che mi fosse capitato. Mi sedetti
accanto a Ria.
«Se vi aspettate che mi congratuli con voi per aver ottenuto un’impresa vi
sbagliate di grosso.» incominciò il signor D. «Ma vi aiuterò.»
«Ci dirà dove siamo dirette?» chiese Mel.
«Sì, Nel. La profezia ha parlato chiaro. Dice chiaramente pioggia e freddo troveranno.»
«Mi chiamerei Mel, signore.»
«È lo stesso. Come dicevo, il posto più umido degli Stati Uniti è lo stato di
Washington» Aprì una mappa davanti a sé e indicò un minuscolo puntino dorato,
che doveva essere Seattle.
«Iniziate le vostre ricerche da lì.» proseguì Chirone.
«Ne siete sicuri?» domandò Teri.
«Signorina Pari Nasica, mi sento offeso. Sta parlando con persone che hanno
vissuto secoli e secoli più di lei. Si ricordi il rispetto!» ribatté Dioniso.
«Teri Nabaci, signore. Comunque questa è una sola città e gli Inferi sono un
regno sconfinato!» replicò Teri.
«Giusto! Come può una forza tanto forte da destabilizzare Ade provenire da qualche
grattacielo?» aggiunse Ria.
«Sta sottovalutando Seattle, signorina Jackson. Ed è l’unico posto che
corrisponde meglio alla descrizione della Profezia.»
«Non fa una grinza.» disse Mel, sicura di sé. «Seattle è la nostra meta.»
Un posto di pioggia e umidità. L’ideale per una figlia del dio del Sole. Avevo
come la sensazione che Mel lo facesse di proposito. Io non la conoscevo neanche
prima dell’arrivo al Campo, ma lei mi aveva sempre trattata male, sin da quando
eravamo usciti dalla palestra della scuola per scappare dal Ciclope. Cercavo di
essere gentile e per un po’ sembrava che le stessi più o meno simpatica, poi mi
trattava così. Decisi di rinunciarci e di ignorarla.
«Bene. È tempo di prepararvi, ragazze. Andate a prepararvi gli zaini. Partirete
domani mattina, all’alba. Godetevi almeno la festa di oggi, ma non fate tardi.»
«Non faremo colazione qui?» chiese Teri.
«Non c’è tempo.» replicò Mel. «Io preferirei partire adesso. Si potrebbe fare
se voi siete d’accordo.»
«No.» risposi. «Io ho bisogno di almeno un altro giorno qui.»
Dovevo salutare i miei fratelli, oltre che a preparare lo zaino. Volevo anche
fare allenamento con la spada e nell’arrampicata. Avevo bisogno di altro tempo.
Mel tentò di nascondere una smorfia.
«Certo, sua Altezza.» disse, canzonandomi. «Non si dimentichi di mettere
fondotinta e tacchi a sufficienza nella sua valigia.» Avevo sempre tentato di
essere gentile con Mel. Mi aveva salvato la vita, le ero debitrice. È vero,
nella scuola avevo la fama di una ragazza vanitosa e superficiale solo perché
ero popolare, ma perché non provare a conoscermi per quello che ero davvero e
non per ciò che gli altri dicevano di me? Quindi non seppi trattenermi e mandai
al diavolo la decisione di ignorarla. Scattai in piedi.
«Senti, razza di so-tutto-io che non sei altro, se dobbiamo affrontare
un’impresa insieme devi imparare a conoscermi per quella che sono davvero e non
per uno stupido luogo comune che dice che le ragazze popolari siano anche
superficiali, chiaro? Se sei intelligente, supera questo stereotipo idiota!»
E girai i tacchi per andar via, senza aspettare la risposta.
Ero sempre stata una ragazza tranquilla, sin da piccola, nonostante il
carattere aggressivo di mia madre. Faceva la poliziotta, era una tosta. Lei mi
aveva raccontato che ero sempre stata una bambina tranquilla, niente capricci o
piagnistei. Non litigavo mai con le amiche per le bambole. Ma dopo così tanta
presunzione sfido chiunque a restare calmo.
Raggiunsi l’arena, la parte del Campo adibita all’allenamento
con la spada. Scelsi la spada più facile da manovrare e cominciai ad allenarmi
contro un fantoccio.
L’avevo quasi fatto a pezzi per la rabbia. La lama squarciava il tessuto mentre
le piume continuavano a volare ovunque, alcune appiccicandosi anche sulle mie
braccia sudate, altre impigliandosi nei capelli.
«Vacci piano, ragazza. Lascia qualche fantoccio per far allenare anche gli
altri.» disse una voce alle mie spalle.
«Hey, sono piuttosto nerv...» Mi voltai e vidi Liam che mi sorrideva, così mi
interruppi.
«Scusa» mormorai.
«Tranquilla» rispose, sorridendo.
Ricambiai il sorriso e cercai di recuperare il respiro. Liam mi porse un
bicchiere di succo d’arancia.
«Grazie.» dissi, per poi finirlo tutto in un sorso. «E scusa ancora».
«Non preoccuparti. Immagino che tutta questa questione dell’impresa ti abbia
scossa parecchio».
«Abbastanza» ammisi, appoggiando il bicchiere su un tavolino lì vicino.
«Ti va di allenarti con una persona in carne ed ossa?»
Mi sentii spavalda e molto più tranquilla. La rabbia stava sfumando lasciando
posto alla mia solita pacatezza.
«Sei sicuro di volerti allenare con qualcuno che potrebbe farti a pezzi?»
replicai, facendogli un sorrisetto e indicandogli il fantoccio. Liam rise e mi
si avvicinò. Vedevo i miei occhi dorati specchiarsi nei suoi azzurri. Si chinò
appena su di me e dopo avermi sfiorato i capelli si ritrasse.
«Certo che voglio, tu fai a pezzi i fantocci.» ribatté, sempre sorridendomi e
porgendomi una piuma che aveva tolto dai miei capelli. Ridemmo e poi cominciammo
ad allenarci.
Nel pomeriggio andai sulla riva di Long Island, da sola. Mi
resi conto che era la prima volta da quando ero arrivata al Campo che mi
prendevo un attimo per me e per i miei pensieri. Mi stesi sull’erba fresca,
aprii la sacca in cui avevo messo delle fragole appena raccolte, un blocco da
disegno con una matita e mi guardai intorno. Era il primo pomeriggio, quindi
non era consigliabile stare alla luce del sole. Mi abbandonai sotto un albero e
respirai l’aria fresca, chiudendo gli occhi.
Il rumore delle fronde mi stava pian piano cullando. Pensai che non avrei
mangiato più le fragole e non avrei disegnato più niente, ma non m’importava
molto. Era molto probabile che avrei fatto notte insonni dal giorno dopo fino
al solstizio d’estate, quindi meglio approfittare di quel momento libero.
Riaprii gli occhi e la luce e i colori del paesaggio mi avrebbero quasi
investita se non fossi stata una figlia di Apollo, i cui occhi resistono ai
raggi solari. Ma quella sensazione che avvertii rivedendo il paesaggio dopo
pochi minuti di buio era nuova. Sentivo le mani prudere per il desiderio di
muovere la matita sul foglio.
Michael mi aveva spiegato che alcuni figli di Apollo sono portati per la
medicina, altri per l’arte, altri per la musica, ma la maggior parte per un po’
di tutto.
Presi la matita dalla sacca e aprii il blocco appunti. Iniziai così a disegnare
il paesaggio di Long Island, senza fretta, come se avessi tutto il tempo del
mondo e il giorno dopo non dovessi partire per un’impresa nello stato più
piovoso d’America. Avevo già detto che era perfetto per una figlia del dio del
Sole?
Avevo ormai occupato tutto il foglio e stavo cominciando a sfumare le ombre
quando fui bruscamente interrotta.
«Disturbo?» chiese una voce maschile e adulta. Sobbalzai e mi voltai. Finnick
mi osservava da dietro l’albero con i suoi grandi occhi verde mare.
Sorrisi e gli feci cenno di accomodarsi.
«Vuoi?» domandai, porgendogli la sacca di fragole. Annuì e ne prese una.
Continuai a disegnare, nonostante la sua presenza mi intimorisse un po’. Era
pur sempre un bel ragazzo più grande di me.
«Ad un mio amico piaceva tanto disegnare» disse, ad un tratto. Si trattava di
qualcuno dei suoi amici del futuro.
«Come si chiama?» chiesi, alzando lo sguardo dal blocchetto.
«Peeta. Chissà come sta...» mormorò, più a sé stesso che a me.
«Mi dispiace, Finnick. Vedrai che si troverà un modo per riportarti nel futuro»
dissi, cercando di suonare il più convincente possibile.
Finnick annuì.
«So che ci tornerò». Continuavo a chiedermi perché stesse lì. Non ci eravamo
mai parlati. Calò un silenzio imbarazzante.
«Ecco, mi chiedevo se...Insomma, se potresti insegnarmi a usare l’arco».
Risi a quella proposta.
«Era solo questo il problema?» domandai, sorridendo e riponendo il blocchetto e
la matita. Il figlio di Poseidone li prese dal prato e me li porse di nuovo.
«No, c’è altro» ammise Finnick, abbassando lo sguardo. Prese un bel respiro,
come per darsi coraggio. Alzò lo sguardo e mi guardò negli occhi.
«Vorrei che disegnassi una cosa per me».
«Va bene così?» domandai, porgendogli il blocchetto. Osservò per un po’ il
disegno. Era passata circa un’ora da quando mi aveva chiesto di disegnare “una
cosa per lui”. Io avevo detto che avrei potuto provarci, e lui aveva accennato
un sorriso. Poi il figlio di Poseidone, il semidio più grande del Campo, aveva
iniziato a raccontare come era stato salvato da Percy e degli ibridi che
volevano finirlo. Poi aveva aggiunto che voleva che disegnassi gli ibridi così
come lui me li descriveva. Pensavo che sarebbe scoppiato a piangere, invece
sembrava sereno.
«Sì, va benissimo» rispose Finnick. Staccai il foglio dal blocchetto e glielo
porsi.
«Oh, no. Non è per me. È per te» disse, sorridendo. Lo guardai senza capire.
Perché mi aveva fatto fare un disegno per poi farmelo tenere?
«Ho sognato che li avreste incontrati» spiegò. «Sono riusciti a passare
attraverso un portale, ma sono deboli. State attente».
Finnick sorrise, poi si alzò in piedi e si allontanò, mentre io ero ancora
sotto shock.
Riposi il blocchetto e tornai alla Cabina Sette per preparare lo zaino.
La faretra ci stava tutta e al suo interno avevo messo l’arco a cui avevo
ordinato mentalmente di prendere la forma di un cilindro sottile lungo poco più
di dieci centimetri.
Ci misi il blocchetto, la matita e la gomma, alcune magliette pulite, una bella
scorta di ambrosia e nettare, dracme d’oro e soldi mortali. Infine presi il ritratto
dell’ibrido - lucertola che Finnick mi aveva fatto disegnare. Il foglio era
rovinato dalle cancellature, ma il ritratto era ben definito. Lo piegai a metà
e lo misi nella tasca esterna dello zaino. Chiusi la zip. Mi sentii pronta per
l’impresa, pronta per combattere, pronta per essere degna di Apollo.
Spazio autrice Chiedo umilmente scusa per il ritardo! Purtroppo ieri il mio computer si è
rifiutato di funzionare, mi dispiace tantissimo! Anyways, ecco che la
responsabilità dell’impresa comincia a incombere sulle protagoniste.
Ringrazio Kalyma P
Jackson per le sue adorabili recensioni, e vi ripeto di leggere la sua
storia, che diventa più bella in ogni nuovo capitolo. Un enorme grazie anche
agli altri che recensiscono e che mi aggiungono come autrice preferita o
mettono questa fan fiction tra le preferite-seguite-ricordate. Spero di
ricevere altre recensioni, -sono accettate anche le critiche-.
Un bacione e a presto!
Entrai nella mia cabina, la sedicesima del Campo e una delle
più vuote. Essendoci solo io, la notte sentivo sempre di più la mancanza di
casa. Mi mancava il mio papà brontolone che non voleva vedere i cartoni che
Onny insisteva per vedere. Mi mancavano le patatine fritte un po’ bruciate che
mio padre preparava. Mi mancava la sua espressione corrucciata quando lavorava
ad un caso giudiziario particolarmente complicato.
Avrei voluto un fratello lì, con me. Avrei voluto Ethan.
Nemesi non si dava da fare quanto Afrodite, evidentemente, oppure i suoi figli
non erano ancora giunti al Campo. Presi la borsa delle Vendette, ci misi dentro
il coltello di Ethan, un sacchetto di ambrosia e un paio di magliette e jeans
puliti. Mi avviai verso l’uscita della cabina, poi mi voltai a guardare il muro
opposto. Il ritratto del fratello che avrei voluto mi guardava, e sentii una
scintilla di orgoglio nel petto. Se fossi tornata viva e vittoriosa, avrei
onorato Ethan e soprattutto Nemesi. Ma dovevo ancora lavorare sul ‘viva’,
quindi preferii non viaggiare troppo con la mente.
Mi obbligai a smettere di fissare la foto di Ethan e a uscire da lì.
Appesi la borsa al letto e poi uscii fuori per l’allenamento. Mancavano ancora
venti ore al momento in cui saremmo dovute partire e sentivo già il nervosismo
prendere possesso di me. Non dovevo, non potevo e non volevo sentirmi così
vulnerabile. Contemporaneamente ero impaziente di mettermi alla prova, di
dimostrare il mio valore di semidea.
Presi un’inoffensiva spada di legno e, dopo aver tentato di tranquillizzarmi,
cominciai ad allenarmi con un fantoccio. Quell’attività di concentrazione,
fatta di fendenti e sudore, riuscì a farmi dimenticare il nervosismo per
l’impresa.
Sentivo i muscoli bruciare, ma non ci facevo caso. Volevo essere in piena
forma, impresa o meno. Ero una semidea e dovevo avere l’aspetto e l’anima di
una semidea degna di Nemesi. Avevo deciso di non chiamare Arika per allenarci insieme.
Preferivo mettere in pratica da sola dei suoi insegnamenti, e poi lei si stava
allenando nelle arrampicate. Mi stavo beando nella fatica e nell’impegno,
quando, venti minuti dopo, delle voci mi interruppero.
«Hey bambina.» Riconobbi la presunzione e l’infinita voglia di prendere in giro
e far arrabbiare tipica del dio della guerra e dei suoi discendenti.
Erano Daniel e Rupert Ripton, i due gemelli figli di Ares. Non avevo voglia di
farmi prendere in giro per poi togliermi il sassolino dalla scarpa, cosa che
facevo sempre. Ero semplicemente troppo in ansia.
Andai a riporre la spada di legno e feci per allontanarmi, ma quei due mi si
piazzarono davanti.
«Levatevi. Non sono dell’umore» sbottai.
«Non ci pensiamo nemmeno per un secondo.» replicò Daniel.
«Perché, voi pensate?»
Rupert alzò gli occhi al cielo, mentre Daniel ridacchiò. Mi si
avvicinò. Era poco più alto di me, ma molto più muscoloso.
«Sei coraggiosa, Johnson.» disse Rupert. I suoi occhi che sembravano ambrati
alla luce del sole brillavano di ammirazione. Ed era sospetto.
«Per questo abbiamo deciso di darti questo.» proseguì Daniel.
Sollevò il braccio e lo fece avvicinare a velocità della luce al mio viso.
Pensai stesse per sferrarmi un pugno, così feci un salto indietro, per istinto.
Invece mi porse semplicemente un disco di bronzo.
«Che cos’è?» domandai, dubbiosa.
«Prova a lanciarlo.» replicò Daniel.
Lo presi dalla mano di Rupert. Lo analizzai per un po’. Era simile ad un cd
senza buco al centro, ma completamente di bronzo. Era leggero e lucido.
Immaginai cosa sarebbe successo se l’avessi lanciato. Liquido puzzolente e non
lavabile, molto probabilmente. Oppure un rumore imbarazzante.
«Non è come uno dei tuoi giochetti.» disse Daniel, sorridendo. Sarebbe stato
anche un bel ragazzo se non fosse stato così stupido.
Lo lanciai, ma non atterrò da nessuna parte. In realtà non si mosse nemmeno di
un millimetro. Si trasformò in uno scudo. Il cambiamento repentino di peso sul
braccio mi fece perdere l’equilibrio e caddi sull’erba.
«Accidenti.»
I due gemelli risero. Mi rimisi in piedi, cominciando a pensare a come avrei
potuto organizzare la figuraccia del secolo in meno di un giorno. Ma per quel
momento preferii ribattere.
«Ah - ha. Che divertente.» dissi, buttando per terra lo scudo. Lo scudo
cominciò ad assottigliarsi sempre di più, poi si ridusse di dimensione e tornò
ad essere un innocuo disco.
«Hey! Ma che fai? Quello è il mio scudo!» esclamò Rupert.
«Sì, il tuo scudo che fa gli scherzi. Che biricchino.»
ribattei, senza sorridere.
«Sono serio.» disse Daniel, cercando il mio sguardo. Mi afferrò per le spalle e
mi costrinse a guardarlo negli occhi. Poi guardò il fratello e aggiunse: «Siamo
seri.»
«Te la cavi con quel coltello, ma una protezione in più non fa mai male.»
aggiunse Rupert. «Devi solo fare pratica con l’apertura. È un po’...brusca.»
“Decisamente troppo brusca.” Avrei voluto aggiungere. Ripresi il disco da terra
e lo misi nella mia borsa delle Vendette.
«Grazie.» dissi. I due fratelli sorrisero. Rupert si allontanò, mentre Daniel
esitò per qualche secondo, guardandomi. Poi si avvicinò e mi diede una pacca
sulla spalla.
«Sta’ attenta, Ria.» disse, puntando i suoi occhi fissi nei miei. Era la prima
volta che mi chiamava per nome.
«Lo farò.» risposi, senza distogliere lo sguardo.
Il ragazzo si allontanò e raggiunse il fratello. Poi si girò una seconda volta
a guardarmi.
Quella sera era la serata dei fidanzatini. C’erano i ragazzi più piccoli, come
me, che non erano ancora fidanzati ma non era tanti quanto le coppiette che si
tenevano per mano – per menzionare l’esempio più casto.
Mi limitai ad osservare molto, quella sera, cosa che non mi pesava e non mi
annoiava.
Scorsi Eles e Liam, poco più lontani, intenti a parlare di musica. Non si
capiva cosa ci fosse tra quei due, un secondo prima sembravano due amici che
scambiavano due chiacchiere e un secondo dopo qualche gesto o uno sguardo particolare
sembrava significare altro, ma è probabile che fosse una mia impressione. Solo
perché Eles non lo snobbasse come faceva con i tizi di scuola non significava
che avesse interesse.
Teri, Gregor e Nico erano insieme, come sempre, ma Teri si era tenuta
lievemente in disparte, lasciando spazio accanto a lei, spazio che Leo riempì
subito. Se per Liam e Eles c’era un dubbio, per Leo non c’era bisogno nemmeno
di porsi la domanda. Era da quando era ritornato al Campo, poco dopo che Teri
era stata riconosciuta, che lui le aveva messo gli occhi addosso. Li avevo
visti allenarsi insieme con la spada, nell’arena. Arika me li aveva indicati
quando si erano seduti insieme e aveva annunciato la cotta giornaliera di Leo
Valdez. Una settimana dopo, però, Leo girava ancora intorno alla figlia di Ade.
Teri non era mai stata loquace, con Leo ancora di meno, ma lo ascoltava. Se non
avessi saputo che avesse sangue in comune con Nico li avrei visti come la
coppia perfetta.
James e Mel erano seduti vicini, anche se erano nel gruppo dei ‘single’. La
ragazza non faceva altro che spintonarlo via scherzosamente quando lui le si
avvicinava imitando un bacio.
«Guarda Annabeth e Percy, vedi, così fanno!» esclamava e Mel replicava con un
“Imitali senza la mia collaborazione”.
Gli occhi verdi del ragazzo e quelli grigi della ragazza brillavano di una luce
che non avevo mai visto, o almeno non avevo mai visto a loro. Sentivo già i
mormorii dei figli di Afrodite su “quanto fosse inadatta (o poco truccata) la
secchiona per quel fusto di James” e “hey, ma hai visto che capelli?”.
Tutti spensero le lanterne quando i fuochi d’artificio cominciarono a esplodere
nella notte. I rumori degli sbaciucchiamenti non si sentivano più. Tutti
guardavano quello spettacolo di luci e colori davanti a sé.
Daniel e Rupert erano dietro di me, e non facevano altro che tirarmi dei fili
d’erba tra i capelli. Sbuffai, spazientita e lanciai direttamente una zolla di
terra bagnata sulle loro magliette arancioni. Smisero di farmi le meches color
prato all’istante. Perché, nonostante fossero un anno più grandi di me, erano
così stupidi e infantili?
Il botto finale esplose in strisce azzurre, rosse e bianche. Seguì un momento
di buio totale, poi le urla e gli applausi. Le lanterne si riaccesero.
Eles e Liam si sorrisero, poi si guardarono le scarpe, come se fossero intimiditi.
Mel e James continuarono a chiacchierare come se nessuno li avesse interrotti e
io mi girai verso i gemelli Ripton che continuavano a ridere.
«Che avete in mente, voi due?»
«Niente.» risposero in coro, trattenendo invano una risata.
«Certo. E io ci credo.» li studiai con attenzione, cercando di carpire
qualsiasi movimento strano.
«Hey, ma dov’è Leo?» chiese Daniel.
«E Teri?» aggiunse Rupert, con una disinvoltura tanto finta quanto la loro
stupidità. Ma mi guardai intorno cercando Teri e Leo, come fecero gli altri
mezzosangue che avevano sentito i gemelli fare quelle domande. Nessuno vedeva
da nessuna parte la figlia di Ade e il figlio di Efesto. Trattenni una risata
anch’io. Non era una mia impressione, quindi Teri non era maleducata con Leo,
ma nemmeno estroversa. Era piuttosto misteriosa, ecco, e dopo averla sempre
vista sola il pensiero di vederla accanto a Leo, quel ragazzo basso e magrolino
che le stava sempre dietro, mi sembrava strano. Bè, più che vederla,
immaginarla. Non era di certo una di quelle ragazze che scrivono il nome del
proprio ragazzo ovunque circondato dai cuoricini.
Nico serrò le mascelle. Aveva l’aria di chi avrebbe sguinzagliato qualche anima
e segugio infernale nella cabina di Efesto.
Ognuno tornò alla propria cabina. Molti facevano battute su Valdez e Nabaci, ma quando Nico e Gregor
entrarono nella cabina Tredici smorzarono l’entusiasmo dei figli di Afrodite. E
un po’ anche il mio.
«Teri sta già dormendo!» esclamò Nico, con aria più tranquilla.
«E Leo è con lei?» chiesero alcuni figli di Afrodite, sorridendo speranzosi.
Nico lanciò loro un’occhiata truce.
«Leo è in laboratorio.» disse Nyssa. «L’ho appena visto. Spiacente, figli di
Afrodite, niente fantasie sulla Tereo.»
I figli di Afrodite sembrarono dispiaciuti.
Andai nella cabina Sedici, ancora ridendo. I figli di Afrodite erano
davvero...particolari.
Qualcuno bussò alla mia porta.
Andai ad aprire togliendomi la bandana bianca dai capelli e pettinandomeli con
le dita.
Sull’uscio c’era Rose, la figlia di Dioniso. Avevo parlato qualche volta con
lei e ci eravamo divertite a rovinare i vestiti dei figli di Afrodite.
Ovviamente non eravamo state scoperte, erano i figli di Ermes quelli con la
brutta reputazione.
«Hey Johnson!» esclamò Rose, sorridendo.
«Non essere così felice. Sono così triste per la Tereo. Chissà quanti viaggi
mentali si erano già immaginati i ragazzi della Cabina Dieci ma quei viaggi
resteranno nelle loro noccioline di cervelli» dissi, con finto tono grave.
Rose sospirò e scosse la testa, muovendo i suoi capelli ricci e lunghi con fare
teatrale.
«Comunque, hey Cespuglio!»
Rose mi fulminò con lo sguardo.
«Non chiamarmi Cespuglio. C’è chi invidia i miei capelli» replicò la figlia di
Dioniso. Chissà che effetto faceva avere il padre nel Campo. Preferii non
chiederglielo.
«Okay scusa, Cespuglietto» replicai, scompigliandole i capelli.
«Ad ogni modo» disse Rose, cercando di sistemarsi i capelli con le dita. «Sono
venuta qui per darti questo».
Mi porse un braccialetto di perline rosso scuro, del colore del vino.
«Oh, grazie. Lo mostrerò ai mostri che disturbano gli Inferi e dirò “Temete,
questo è il braccialetto di un Cespuglietto!”» dissi ridendo. Rose rise.
«Idiota, è solo un segno del mio incoraggiamento» disse la ragazza.
«E io lo apprezzo» risposi, guardandola negli occhi e sorridendo. Rose mi
abbracciò.
«Detesto questi momenti» borbottò. Ridacchiai.
«Tranquilla, Cespuglietto, tornerò presto».
Rose annuì e sorrise. Mi augurò la buona notte e la buona fortuna, lasciando la
Cabina Sedici.
Mi sedetti sul letto e svuotai la mia borsa per controllare, per l’ennesima
volta, che ci fosse tutto. Quei gesti maniacali servivano a controllarmi. Indugiai
sul disco di bronzo che mi avevano regalato i fratelli Ripton. Ci tenevano
davvero molto a me, evidentemente. O forse quel coso nascondeva qualche
inganno. Notai sul disco dei bellissimi decori circolari che riflettevano la
luce. Pensai ai due gemelli e che forse, un giorno, saremmo potuti andare d’accordo.
Accarezzai il coltello avvelenato di Ethan, ben avvolto nella sua fodera, poi il
braccialetto donatomi da Rose e infine una foto mio padre e mio fratello
addormentati sul divano che avevo scattato io il Natale precedente. Presi un
respiro profondo, appesi la borsa al letto e mi infilai sotto le lenzuola.
Avrei dovuto affrontare quella missione, e avrei dovuto farcela per il bene di
tutta la mia famiglia, sia per mio padre e mio fratello che per Daniel, Rupert,
Arika, Chirone, Niall e tutti gli altri. Dovevo dare il mio meglio, non volevo
deludere le mie compagne di avventura. Dovevo portarla a termine e onorare il
nome di Nemesi. Rivolsi uno sguardo alla foto di Ethan e sussurrai ma con voce
decisa:
“Non ti deluderò.”
Spazio autrice Okay, ecco il dodicesimo capitolo. Sono riuscita finalmente a postarlo, yay! Ringrazio, come sempre, Kalyma P Jackson
per la sua recensione e vi invito a leggere la sua storia stupenda cliccando
sul suo nickname. Ne vale davvero la pena. Ringrazio altresì gli altri
giovincelli che recensiscono e che recensiranno, sia positivamente che
negativamente.
Un bacione e alla prossima! x
Il giorno dopo mi svegliai un secondo prima che Ria venisse a
bussare alla porta della Cabina di Atena. Aprii gli occhi e mi guardai intorno.
I miei fratelli si rigirarono nei letti. Così mi infilai le scarpe – avevo dormito
vestita – e presi lo zaino, cercando di essere il più silenziosa possibile.
Feci per aprire la porta e filare fuori, quando Annabeth scese dal suo letto.
«Hey, non credere di andartene senza salutarmi.» disse, sorridendo.
«Non volevo svegliarti» mi giustificai. Ma ero felice che fosse già sveglia.
«Ma taci.» Mi abbracciò forte e ricambiai il suo gesto.
«Mi mancherai.» dissi. Mi guardò con i suoi grandi occhi grigi, uguali ai miei.
«Anche tu, ma ci rivedremo presto, no?» mi sorrise. Ricambiai il sorriso,
nonostante il nodo in gola e allo stomaco. «Ce la farai, Mel. Sei in gamba. Non
sei in questa Cabina per caso. Sono certa che onorerai nostra madre.»
Sorrisi, sentendomi onorata.
«Annabeth, quando mi dicesti che avevi già un’idea su di chi fossi figlia,
prima che venissi riconosciuta,...» iniziai, ma lei mi rispose subito.
«Sì, pensavo proprio che fossi mia sorella.» La abbracciai nuovamente.
«Buon viaggio, Mel. E possano gli dei essere con te.»
La ringraziai e poi uscii dalla Cabina. Ria, Teri e Eles mi aspettavano
impazienti.
«Vi ho fatto aspettare molto?» domandai, cauta.
«No, non molto.» replicò Eles.
Misi lo zaino in spalla e cominciammo ad incamminarci fuori dal Campo. Sentivo
il cuore che mi batteva forte a causa di un sentimento che non riuscivo ad
identificare. Paura? Impazienza? O la solita iperattività?
Varcammo l’arco d’ingresso al Campo, e sentii il senso di protezione che mi
abbandonava. Mi voltai, e mi accorsi che anche le altre l’avevano fatto. Era il
nostro istinto, ormai, che associava la protezione di una casa al Campo. Poi ci
guardammo. Teri guardò tutte dritte negli occhi e annuì, incoraggiandoci.
Facemmo appena dieci passi fuori dal Campo quando una voce ci fermò.
“Iniziamo bene.” Pensai.
«Dove pensate di andare senza di me?». Ci girammo verso la voce e ridemmo.
Niall era lì, in piedi vicino all’arco d’ingresso, sorridente. Indossava i
jeans e delle scarpe finte a coprirgli gli zoccoli e il cappuccio di una felpa
gli copriva le corna caprine e mostrando solo il suo ciuffo rossiccio.
«Niall!» esclamai. Da quando eravamo arrivate al Campo l’avevo visto molto più
raramente. Stava quasi sempre con i suoi amici satiri e io stavo quasi sempre
con Annabeth. Ci abbracciammo.
«Io ti vorrei con noi, ma la Profezia parlava chiaramente di quattro semidei.»
dissi.
Niall fece per ribattere qualcosa, ma Eles lo precedette.
«Bè, ma la Profezia non escludeva altre creature.» disse.
«È comunque pericoloso portarlo.» ribattei. Avevo riflettuto sulle parole di
Eles dopo che si era arrabbiata, e aveva ragione. Ero intenzionata a chiederle
scusa durante l’impresa, ma mi stava facendo cambiare idea.
«Forse dovrebbe scegliere la Prescelta. È anche la maggiore del gruppo.»
intervenne Ria, con diplomazia. Ah sì, giusto. Nemesi era anche la dea della
giustizia.
Tutte ci voltammo verso la figlia di Ade.
Teri aggrottò la fronte per un istante, poi sembrò ricordarsi di essere la
Prescelta e inarcò le sopracciglia e si portò una mano dietro i capelli neri.
«Un satiro ha ottimo senso dell’orientamento» disse. «E non ho altro tempo da
perdere. Quindi, Niall, vieni con noi.»
Eles mi scoccò un’occhiata vincente.
«Comunque non ha dato ragione né all’una né all’altra.» replicai. «Ha fatto un
ragionamento tutto suo, niente a che vedere con la Profezia.»
Eles alzò gli occhi al cielo.
«La solita precisina.» borbottò.
Ria sbuffò. «Smettetela.» disse.
«Non ti mettere in mezzo, tu.» replicammo Eles e io, in coro. La fulminai con
uno sguardo.
«Ora basta!» esclamò Teri. Non l’avevo mai sentita alzare la voce. «Non ho
nessuna intenzione di sentirvi bisticciare per tutta la durata dell’impresa. E
tanto meno il fatto che il vostro genitore divino sia uno dei dodici dei
dell’Olimpo non vi autorizza a fare le prepotenti nei confronti di una
discendente di una divinità minore!» Ci guardò dritte negli occhi con i suoi
occhi che brillavano di una luce tendente al rosso. Poi guardò Ria, e la sua
espressione si addolcì. «Ria, tu che sei la più matura qui, cammina accanto a
me. Niall, mettiti tra Eles e Mel. Magari riesci a farle stare zitte...»
Mi lasciai sfuggire un sospiro colpevole.
«Scusami, Teri.» disse Eles.
«Non mi devi delle scuse» replicò l’altra, senza girarsi a guardarla. «Non hai
fatto la prepotente con me.»
Eles rimase sorpresa da quella risposta, ma non aggiunse altro. Stavamo raggiungendo
la fermata del bus, quando, con un rumore assordante, qualcosa ci piombò
davanti. Era un essere umanoide, peloso. Camminava su quattro zampe e la sua
coda terminava con due tenaglie acuminate. Una manticora. Fu un attimo.
Niall belò.
«Scappiamo!» gridò. Ci voltammo dall’altro lato della strada, quando altre due
manticore, con il viso felino e gli occhi rossi uscirono dai cespugli ai lati
della strada. Afferrai un cappio di Oxypetes che si trasformò nel mio arco
color argento ma fatto di bronzo celeste. Solo poco dopo mi accorsi che anche
Teri, in contemporanea a me, aveva preso una sciabola nera dall’elsa d’oro.
Avevamo la schiena l’una contro l’altra, a proteggerci a vicenda.
La manticora che avevo di fronte fece scattare la tenaglia e digrignò i denti.
Poi, quando saltò per venirmi addosso rilasciai l’arco, e la freccia gli finì
in bocca, facendola esplodere in polvere giallognola. Ria si difendeva bene
contro l’altra manticora, parando i colpi di tenaglia con il suo scudo bronzeo.
Mentre la manticora cercava di attaccarla, Eles conficcò una freccia sul dorso
del mostro. La freccia rimbalzò e il mostro si girò verso di lei, ringhiando.
Ria, così, pugnalò con il coltello la zampa posteriore, più e più volte. Una
nuova freccia era già apparsa su Oxypetes. La scoccai e finì dritta sulla
fronte della manticora che sparì in una nuvola giallognola.
«Bel lavoro di squadra.» disse Niall.
«Grazie.» rispondemmo tutte, in coro.
«Soprattutto Teri e Mel. Siete scattate nello stesso istante e vi siete
protette le spalle a vicenda. Incredibile.»
Guardai Teri che, a sua volta, mi rivolgeva uno sguardo confuso. Si strinse
nelle spalle e si portò la sciabola al collo, come se volesse decapitarsi.
Appoggiò di taglio la lama nera come la pece al collo ed essa si assottigliò
fino a diventare un laccetto di cuoio nero mentre l’elsa dorata si ridusse a
quattro perline dorate.
«Figa la tua arma.» disse Ria.
Mi accorsi del rossore improvviso sulle guance di Teri, nonostante il colore
grigio dell’alba. Probabilmente quella spada le ricordava qualcosa di
speciale...o meglio, qualcuno.
«Grazie.» rispose. Il pullman arrivò proprio in quel momento.
«Pregate gli dei che non incontreremo mostri anche qui sopra» disse Niall.
«Preghiamo gli dei che non ne incontreremo mentre siamo in viaggio. Soffro mal
d’auto e mal d’aria» replicò Ria. «A proposito, quant’è che ci metteremo in
aereo?».
Dieci ore dopo arrivammo a Seattle, dove trovammo la pioggia.
Ci fermammo al bar dell’aeroporto.
«Dovremmo chiamare un taxi per raggiungere il paesino che mi ha indicato
Chirone. Oppure un pullman» disse Niall.
«No.» dissi, sorprendendomi della risolutezza della mia voce.
I miei compagni d’avventura mi guardarono con sguardi interrogativi.
«Voglio fare delle ricerche qui, prima.» spiegai. Non riesco a spiegarvi la
sensazione che sentivo, ma sapevo che per capirci qualcosa dovevamo restare lì,
a Seattle.
«Forse dovrebbe scegliere il capo di quest’impresa.» disse Niall, guardando
Teri.
La figlia di Ade si scurì in volto.
«Smettetela. Non sono il capo di quest’impresa e le decisioni non spettano a
me. Si decide insieme.» disse, con voce controllata.
«Ma tu sei la Prescelta...» replicò Niall.
Teri ebbe un sussulto, chiuse gli occhi e strinse i pugni. Prese un respiro
profondo e poi riaprì gli occhi per guardarci.
«Proprio perché sono la Prescelta sento già molta pressione addosso.» rispose,
scandendo ogni parola lentamente. Cercava chiaramente di darsi un contegno.
Niall l’abbracciò, stringendola forte tra le sue braccia. Teri nascose il viso
nel petto di Niall e aiutandosi con i capelli.
«Andrà bene, okay?» le sussurrò Niall. «Calmati. Nessuno si aspetta niente da
te.»
«Non è vero.» mormorò Teri. «Tutto il Campo ha sentito Chirone quando ha detto
che la Prescelta sono io. Anche i miei fratelli si aspettano che risolva tutto
questo. E io devo farlo.» Si staccò da Niall e si voltò verso di noi.
«D’ora in poi si decide insieme. Mel, da dove vorresti iniziare?»
Sapevo esattamente da dove iniziare, ma non ero sicura di come arrivarci.
«Prima di tutto usciamo di qui. A meno che non troviamo ciò che causa questo
scompiglio negli Inferi davanti agli occhi vorrei orientarmi, prima.»
«Bene.» disse Eles, alzandosi dalla sedia del bar. «Andiamo.»
La seguimmo fuori dall’aeroporto.
«Ehm, io non ho portato né impermeabile e né ombrello.» disse la figlia di
Apollo, imbarazzata. Solita egocentrica.
Aprii bocca per dirle che non c’erano ragazzi disposti a darle la loro giacca
per non farle bagnare la messa in piega, ma la figlia di Nemesi mi interruppe.
«Tranquilli.» intervenne Ria. «Ci ho pensato io.» Frugò nella sua borsetta
minuscola e vi prese quattro ombrelli, per poi lanciarli a ognuno di noi.
Infine ne prese uno per sé e lo aprì. Mi risparmiai la battuta alla figlia di
Apollo. Definirla così mi faceva ancora uno strano effetto. Apollo era il dio
delle arti. Come faceva lei a essere sua figlia? Ma non potei rimuginare troppo
su quel pensiero.
«Oh miei dei!» esclamò Teri, con un gemito, uscendo dall’aeroporto per ultima.
Chiuse gli occhi istintivamente e si resse alla maniglia della porta per non
cadere.
«Che succede?!» chiedemmo io, Eles e Ria in coro.
«Sente la presenza più forte di ciò che disturba gli Inferi.» rispose Niall.
«E tu come fai a saperlo?» domandò Ria.
«I custodi riescono a sentire le emozioni dei propri protetti.» spiegai. Quel
libro sulla mitologia che Connor aveva rubato dalla Casa Grande aveva risposto
a tantissime delle mie domande e ora ne sapevo quanto Annabeth. Il che era
tutto dire.
«Ma perché nell’aeroporto non sentiva questa presenza?» chiese Eles.
«La sentiva, eccome se la sentiva. Non l’ha dato molto a vedere, ma lo
sentiva.» replicò Niall. Sollevai le sopracciglia, sorpresa. Quindi quando Teri
aveva chiuso gli occhi e aveva chiuso i pugni non era per rabbia. Sentiva
quella presenza. Era inutile negarlo, lei era la più forte tra noi. E se quelle
creature destabilizzavano lei con solo l’odore, chissà cosa avrebbero fatto a
noi. Dovevo informarmi. Avevo già detto che odiavo non sapere qualcosa?
Teri riaprì gli occhi e si staccò dalla maniglia della porta. «Va meglio. Mi ci devo solo
abituare.» disse.
Raddrizzò la schiena e aprì l’ombrello. «Sicura che non ti serva aiuto?» domandò Niall, preoccupato.
«No, grazie» rispose. «Andiamo.»
«Ma tu non conosci Seattle.» ribatté Ria.
«Ma so dove si trovano quelle fecce.» emise l’ultima parola con un sibilo. Ne
parlava come io parlavo dei film che uccidevano i libri da cui erano tratti. Il
che significava che quelle creature dovevano avere tutto il suo disprezzo più
profondo.
«Sai cosa sono?» chiesi.
«No. Ma voglio trovarle e scoprirlo.»
«Dobbiamo prima documentarci.» dissi. «Tu mi hai chiesto da dove volessi che
iniziassimo.»
«Te l’ho chiesto quando non sentivo la loro puzza così forte e chiara.»
«Vorresti affrontarli senza un minimo di idea di ciò che ci troveremo davanti?»
ribattei. Affrontare qualcosa senza sapere equivaleva a buttarsi nelle braccia
della morte.
«Non ho intenzione di perdere altro tempo prezioso per andare in una libreria!
Ti ricordo, secchiona, che tra meno di sei giorni dovremo aver portato a termine
quest’impresa!» esclamò.
«E io non ho intenzione di andare incontro a morte certa combattendo senza
sapere come uccidere il mio nemico!»
«Calmatevi!» intervenne Eles. «Votiamo!»
Io e Teri ci guardammo per un attimo e sospirammo. Ad un tratto ricordai la
profezia.
“Solo una si può orientare.” Diceva. E quella era Teri.
«Scusa.» dissi.
«Scusa tu.» replicò. Ci sorridemmo. O meglio, io le sorrisi e lei tirò un
sorriso. Non era una ragazza difficile come sembrava. Sarebbe stata un’amica
fantastica.
«Okay. Votiamo.» disse. «Chi è a favore di documentarci in una libreria prima
di trovarli?»
Alzai la mano che non reggeva l’ombrello, seguita da Niall.
«Chi è a favore di raggiungerli adesso e osservarli meglio da vicino?» Teri,
Eles e Ria alzarono le mani. «Bene.» disse Ria, estraendo dalla borsa il
proprio coltello, con un sorrisetto furbo, così fuori luogo su un viso di
tredici anni.
«Andiamo.»
Spazio autrice
Ed ecco che le ragazze e il loro satiro sono partiti! Ringrazio le dolcezze che
recensiscono sempre, mi fate sentire davvero orgogliosa di ciò che faccio,
anche se non è un’opera di letteratura.
Come sempre, vi consiglio di leggere la fan fiction di Kalyma P
Jackson, ne vale davvero la pena! Spero di ricevere altrettante
recensioni.
Bacioni, e a presto!
Il tanfo che quelle creature producevano era stomachevole. Non
mi ero mai sentita così disgustata in tutta la mia vita. L’odore era simile ad
uno zucchero filato immerso nella naftalina per poi stare a contatto con l’olio
delle auto. Un mix non raccomandabile.
Seguire quella scia era facile per gli altri, che non sentivano niente, ma non
per me. Dovevo condurre i miei compagni d’avventura fino alla tana di quelle cose e a ogni passo sentivo quella puzza
farsi più forte e schiacciarmi le tempie. Non sarei mai stata capace di
affrontarli se mi rendevano così debole.
«Non ti indeboliranno.» disse Niall. «Ce la farai. Quando arriveremo sono certo
che starai meglio.»
Riuscii solo ad annuire e a proseguire. Ogni passo era una tortura. La pioggia
era fredda, i capelli erano umidicci e non facevano altro che finirmi sul viso
e avevo le mani congelate. Lo sforzo di reggere l’ombrello mi sembrava immane e
quella puzza che mi provocava il voltastomaco non era di aiuto. Come se tutto
questo non bastasse, Eles cominciò a lamentarsi.
«Ho freddo ai piedi e muoio di fame.» cominciò.
«Quando saremo abbastanza vicini mangeremo qualcosa.» risposi. «E per i piedi
non posso far niente, visto che sei così intelligente da esserti messa un paio
di scarpe di tela invece che degli stivali di gomma.»
«Che ne potevo sapere?» domandò. «È estate, per l’amor degli dei! Non mi
aspettavo la pioggia.»
«Sapevi che saremmo partite per lo stato di Washington!»
replicai.
«Sì, ma non sono mai stata qui!» ribatté Eles. «Non immaginavo una pioggia così
torrenziale.»
Mel e Ria intervennero.
«Okay, calma!» gridarono.
«Non sopporto i battibecchi.» disse Ria. Avevo ragione quando dicevo che era la
più matura del gruppo.
«Abbiamo litigato fin troppo per oggi. Anzi, direi che abbiamo litigato
abbastanza per tutta la durata dell’impresa.» aggiunse Mel.
Sbuffai sonoramente.
«Avete ragione.» mormorai. «Scusatemi, ragazzi. E soprattutto a te, Eles.»
Eles mi diede una pacca sulla spalla.
«Ti abbraccerei, ma devo mantenere l’ombrello.» disse, ridacchiando e io le
sorrisi.
Continuammo a camminare per le strade di Seattle.
«Effettivamente ho fame.» ammisi.
«Il mio stomaco ha brontolato così tanto che il nano di Biancaneve ne sarebbe
invidioso.» rispose Niall.
Ridemmo, e in quel momento passammo davanti ad un fastfood. Una famiglia aprì
la porta e vi uscì, portando con sé una scia di pollo e patatine fritte,
proprio sotto il nostro naso.
«Credo non ci sia bisogno di metterlo ai voti.» disse Mel.
Ci fiondammo nel fastfood.
Il fastfood non era grandissimo. Il pavimento era nero, a
contrasto con i tavoli bianchi e rossi e le pareti giallo canarino. Era vuoto,
ma sentivo delle voci non molto chiare provenire da qualche parte.
Probabilmente qualcuno stava guardando un film nella cucina o nell’ufficio.
Scegliemmo un tavolo e ci accomodammo. Una cameriera cicciottella si avvicinò
con un taccuino e ci sorrise, cordiale. Indossava una t-shirt bianca sudata che
era talmente aderente da far vedere le striscia del reggiseno che le stava stretta.
Sopra la t-shirt portava un grembiule rosso e un cartellino indicava il suo
nome: “Maia”. No, non era una m. “Fata.”
No, scusate. “Paia” Oh, accidenti. “Faia.” Ecco, sì. Faia. Ora che eravamo
fuori dal Campo e le iscrizioni non erano più in greco cominciavo di nuovo ad
avere problemi con la mia dislessia.
«Cosa desiderate, ragazzi?» ci domandò la ragazza. Il suo viso era tondo, il
naso largo e gli occhi piccoli e neri,«Un cheeseburger e una cola.» risposi.
«Lo stesso.» aggiunse Mel.
«Uhm, un hamburger classico e una cola, anche per me.» ordinò Eles.
«Per me un’insalata e due lattine di cola» disse Niall.
«Due hamburger e un cheeseburger, una pizza margherita, un piatto di bocconcini
di pollo impanati con maionese e una Cola Light, grazie. Anzi no, una Cola
Zero, meglio. Più dietetica.» concluse Ria.
La cameriera finì di appuntare i nostri ordini sul taccuino e poi si avviò verso
il frigorifero delle bevande.
«Finalmente si mangia...» borbottò Ria, sfilandosi la giacca a vento bagnata
dalla pioggia.
«Mangiare? Hai ordinato quasi tutto il menù!» esclamò Eles, legandosi i capelli
in una coda alta.
«Bè, dovrò pur essere in forma per l’impresa, o no?» replicò.
«Eccovi le bevande.» disse Faia, appoggiando sei lattine di Cola sul tavolo.
Aprii la mia Cola e feci per bere, come stavano facendo le altre, quando Niall
ci fermò, facendoci sobbalzare.
«Aspettate!» gridò. «Poi mi date le vostre lattine, vero?» chiese, guardandoci
speranzoso.
Trattenni a stento una parolaccia.
«Ne hai già due per te, ma certo, come no, mio caro Niall.» risposi,
sorridendogli e mettendo a tacere il desiderio di lanciargli la Cola in faccia.
Niall mi lanciò uno sguardo innocente. Ovviamente sapeva cosa stavo pensando.
Feci per bere finalmente la mia Cola, ma questa volta fu Mel a fermarci.
«Non bevete, non parlate e non muovetevi.» sibilò.
Tutti guardammo la Cola, e il silenzio calò sul nostro tavolo. Il marrone scuro
tipico della Cola era rimpiazzato da un verdognolo poco invitante.
L’unico rumore fu la voce di Faia.
«Tutte le salse che avete a disposizione, ragazze!» esclamò. «Oggi mangiamo quattro
semidee e un satiro!» e concluse con un grugnito da maiale.
«Scappiamo!» urlò il satiro più coraggioso del mondo, balzando in piedi e
correndo all’uscita. Afferrai il mio zaino e feci per seguirlo, ma in quel
momento le porte si bloccarono, lasciando solo noi ragazze dentro. Per quanto
picchiassi sulla porta non c’era modo di romperla. La famigliola che avevamo
visto all’ingresso del fastfood accerchiò Niall. I loro volti cominciarono a
sciogliersi come se fossero fatti di cera. I vestiti caddero al suolo, poi
cominciarono a tremare. Degli artigli li strapparono e uccelli enormi dal becco curvo e gli occhi iniettati di
sangue volarono in alto, per poi scendere di nuovo a bassa quota, proprio sulla
testa del satiro. Le ali grigie erano così grandi che avrebbero potuto
nascondere sia me che le mie tre compagne d’impresa senza problemi. Giravano intorno
a Niall, circondandolo.
«Sono stinfalidi!» gridò Mel. «Si nutrono di carne umana!»
Mi portai una mano al collo e non appena tirai le perline dorate verso di me
esse si tramutarono in un’elsa dello stesso colore e il laccetto nero diventò
la lama nera della mia sciabola. Partii alla rincorsa e saltai verso il vetro,
ruotando la lama più veloce che potevo. Contemporaneamente una freccia scura e
una freccia argentata raggiunsero il punto a cui io puntavo. Il vetro si crepò,
formando una ragnatela.
«Spostati.» mi intimò Ria. Feci come mi aveva detto e mi preparai allo scontro
con Faia e le ragazze con cui aveva
parlato. Chissà che razza di mostri erano. L’avrei scoperto presto.
Ria lanciò il disco di bronzo contro il vetro che esplose in mille pezzi. Qualcosa
mi fece sbalzare indietro e mi disarmò, forse un campo di forza che era esploso
con il vetro.
Niall belò, impaurito. Non osava muoversi, ma aveva le zampe pronte a scattare
e le braccia erano in posizione di lancio di stampelle. Qualcosa mi diceva che
non erano fatte di bronzo celeste, ma a mali estremi...
Mi sembrò che gli uccellacci ci avessero guardati. Dopo un altro giro intorno a
Niall scesero in picchiata verso di noi. Sì, ci avevano guardati, ma Eles fu
più rapida.
Allungò la mano dietro la schiena e prese una delle frecceche si trovavano nella parte sinistra della
faretra. La incoccò e la lanciò. La freccia si illuminò così tanto che sentii
gli occhi lacrimarmi, e mi portai una mano davanti al viso, come se stessi
guardando il sole. La freccia puntò dritto sotto l’ala di uno dei quattro
uccellacci, il più grande e grosso. Il mostro gracchiò, poi si sbriciolò in una
nuvola di piume grigie e polvere.
La porta della cucina si spalancò. Faia era lì, e dietro di lei due donne dalle
zampe da gallina. I loro capelli erano fatti di serpenti, e avevano delle
minuscole ali di pipistrello sulle spalle. “Gorgoni” pensai.
Faia grugnì, poi lanciò il verso stridulo di un maiale irritato e si gettò a
terra. Al suo posto una scrofa piuttosto arrabbiata e coperta da un grembiule rosso
batteva le zampe per terra e sbuffava come un toro.
«Bene, bene, bene.» disse una delle due Gorgoni, rivolgendomi un sorriso
sghembo e orripilante. Era Euriale, “colei
che è del vasto mare”. Che razza di epiteto.
Non potevo fare niente contro di lei, ero disarmata. Così mi limitai ad
indietreggiare. Continuò a ripetere “bene, bene, molto bene” fino a quando non
mi ritrovai contro il muro. Afferrai una sedia e gliela lanciai contro, ma la
sedia le passò attraverso. “Bene” pensai. “Disarmata, attaccata ad un muro e
impotente davanti ad una Gorgone che non viene nemmeno toccata dalle sedie.”
Mi afferrò dal collo con i suoi artigli affilati e mi sollevò da terra. Sentii
i polmoni protestare e il campo visivo diventare viola mentre le mie gambe
scalciavano senza colpire altro che aria. Perché io non riuscivo a colpirla e
lei sì?
Il suo alito era raccapricciante. Puzzava di fritto e di morto. Un mix che non
consiglio a nessuno. Quelle voci che avevo sentito non appena ero entrata nel
fastfood si fecero più forti e chiare. “Semidea, semidea, uccidi la semidea.”
E fu allora che capii. Erano i capelli delle Gorgoni che parlavano. Bè, i
serpenti. Ero figlia di Ade, il protettore dei serpenti, ecco perché sentivo i
loro pensieri.
«Dovresti sentirti onorata, Teri Nabaci. Sei la prima figlia di...»
s’interruppe, e un gemito di dolore lasciò la sua bocca. Il coltello di Ria era
infilzato nella schiena del mostro che si disintegrò all’istante in una polvere
giallognola. Mi massaggiai il collo, dove sentivo che i suoi artigli avevano
lasciato dei graffi.
Prima figlia di...? Di chi? Non ero la prima figlia di Ade, impossibile.
C’erano Napoleone, Hitler, Nico e Bianca e chissà chi altro prima di me. Prima
figlia di chi? Forse ero la prima figlia di Ade che Euriale stava per mangiare.
Avrei voluto rimproverare Ria per averla uccisa prima che continuasse la frase,
ma non lo feci. Mi aveva salvato la pelle.
«Grazie.» dissi a Ria. L’altra Gorgone era impegnata in un duello con Mel e il
suo arco argentato. Mel era in piedi su un tavolo e le lanciava frecce sulle
zampe, ma non servivano a molto.
«Preferisci la maionese, il ketchup o la senape nel tuo panino?» domandò la
Gorgone.
«Che?» chiese Mel, aggrottando la fronte. Quell’istante in cui si fermò le fu
quasi fatale. La Gorgone la prese dal collo così come la sorella aveva fatto
con me. Mel lasciò la presa sull’arco e la Gorgone lo spezzò in due con una
zampa da gallina. Recuperai la mia sciabola dai pezzi di vetro, ferendomi il
palmo della mano destra, ma l’obbligo che sentivo di salvare la ragazza che
aveva già salvato me una volta era molto più forte. “Uccidere la figlia di Atena, uccidila,
uccidila, uccidila. Il suo sangue è il più buono che ci capita da secoli!”
continuavano a dire le voci dei serpenti. Quelle parole continuavano a rimbombarmi
nella testa, il puzzo delle ‘creature’ mi nauseava. Non ero sicura di reggermi
in piedi ancora per molto.
«Smettetela!» gridai. Steno mi guardò, confusa e i suoi serpenti sibilarono un “Chi osa?” verso di me.
«Come scusa?» chiese Steno.
In quel momento Mel si liberò dai suoi artigli e saltò giù. “Maledetta mezzosangue!” sibilarono i
serpenti, verso di me. “La pagherai, prima
figlia di...” Una freccia argentata trapassò il collo di Steno. Per la seconda volta in
quel giorno ero vicina a scoprire cosa intendessero con ‘prima figlia’, ma una
delle mie compagne d’avventura decideva di salvarmi la pelle. E se non fossi
stata figlia di Ade? O se ci fosse stato un errore? Sarei stata persa. Ormai
Gregor e Nico erano la mia famiglia. Sentii le lacrime bruciarmi gli occhi,
così mi voltai a guardare in che situazione fossero Niall e Eles.
Eles era appoggiata al muro, ansimante. La sua faretra era quasi vuota, ma i
Stinfalidi erano solo un mucchietto di polvere giallognola, vestiti stracciati
e piume sul marciapiede.
«Bel lavoro!» esclamò Ria.
«Un momento. Dov’è Faia?» chiesi, guardandomi intorno.
Ria mi rivolse un sorrisetto furbo. Strappò un pezzo di stoffa dal grembiule
rosso e pulì il suo coltello insanguinato.
Sorrisi, ammirata.
«Dammi il cinque.» dissi, e lei batté la mano contro la mia.
Mel mi si avvicinò e mi strinse in un forte abbraccio. Dopo un attimo di
confusione, ricambiai.
«Teri, lo scopriremo.» disse, guardandomi con i suoi grandi occhi grigi.
«Come fai a saperlo?» chiesi.
«Non saprei...è difficile da spiegare. Ho capito cosa è successo dalla tua
espressione» replicò, stringendosi nelle spalle.
Niall ci interruppe, porgendo a Mel l’elastico azzurro brillante.
«Non dimenticare Oxypetes.»
Mel era sbalordita.
«Ma Steno l’aveva...»
«Lo so. Ma la tua è un’arma speciale» poi il satiro annusò l’aria.
«Meglio filarcela, prima che arrivi la polizia. Sapete, sarebbe un po’ difficile
spiegare cosa è successo a questo fastfood senza sembrare dei pazzi criminali.»
Spazio autrice Direi
che questo è il capitolo in cui la trama comincia a essere più evidente. Queste
creature che fanno sentire male Teri, e questa cosa che le hanno detto le Gorgoni
“prima figlia”. Sarà solo una coincidenza? Magari si riferiscono a qualcos’altro
che non centri con Ade? O forse Teri è figlia di un altro dio? Anyways,
ringrazio Kalyma P
Jackson per le sue dolcissime recensioni (cliccate sul suo nome e andate a
leggere la sua bellissima storia!), ringrazio chi recensisce e ringrazio
chiunque abbia letto il capitolo e speso tempo per me.
Lo apprezzo.
Baci, e alla prossima!
Decidemmo di rinunciare, almeno per quel giorno, a seguire la
scia di quelle cose. Percorremmo una
delle strade principali della città e scegliemmo un hotel a due stelle.
«Ha l’aspetto economico.» disse Niall. I suoi capelli rossi e lisci erano
spettinati e umidicci, il viso era graffiato e sudato e i suoi vestiti erano
stracciati. Non aveva l’aspetto migliore per presentarsi in un hotel, se pure
di due stelle.
«Anche tu hai l’aspetto economico, Niall, e anche troppo. Non credo che
accetteranno la nostra presenza.» disse Mel.
«Bè, non che voi siate da meno.» ribatté Niall, ridendo. Aggrottai la fronte e
mi avvicinai ad una vetrina per capire a cosa si stesse riferendo. Quasi non
riconobbi la ragazza dalla coda spettinata, con l’aspetto stanco e i vestiti
sporchi di ketchup e polvere giallognola riflessa su quel vetro. Teri e Mel non
erano da meno, con il viso impiastricciato di sudore e pioggia, il collo
graffiato e le mani ferite. Ria era quella che sembrava aver riportato meno
danni: aveva lo stesso aspetto di sempre, a parte per gli occhi stanchi: i
capelli biondo cenere tirati indietro da una bandana rossa, maglietta bianca,
giacca di pelle e jeans a fantasia militare. E, ovviamente, la sua borsa a
tracolla. Ammiravo quella ragazza. Era la più piccola tra noi ma era la più
coraggiosa, la più divertente e la meno irritabile. Ma qualcosa mi diceva che
non era tranquilla come dava a vedere.
«Ma il receptionist non avrà da ridire quando vedrà i soldi che gli sbatterò
sotto il naso.» continuò Niall. «E fidatevi che quello che ho in tasca non è
niente di economico.»
Mi sciolsi la coda, spazzolai i capelli con le dita e li legai nuovamente,
sperando in un miglioramento dell’aspetto. Poi sfiorai l’arco e gli ordinai
mentalmente di chiudersi. Così fece, si assottigliò fino a diventare un
cilindro sottile lungo poco più di trenta centimetri e potei metterlo nella
faretra, accanto alle poche frecce che mi erano rimaste e che ero riuscita a
recuperare. Mi misi la faretra in spalla, insieme allo zaino, e dopo che mi fui
assicurata che anche gli altri si fossero sistemati entrammo nell’hotel.
Il receptionist che ci accolse era un ometto sulla cinquantina, dalle spalle
curve, le orecchie a sventola e un paio di grossi occhiali neri appoggiati su
un naso adunco.
«Ditemi.» disse, senza alzare gli occhietti neri e vispi dal computer.
«Vorremmo una stanza per cinque persone.» rispose Niall. Preferivamo non
separarci per ovvi motivi: per poter parlare, per sicurezza e per non litigare
ancora su come dividerci. Avevamo avuto davvero liti sufficienti per tutta la
durata dell’impresa.
L’ometto sollevò gli occhi e aggrottò la fronte.
«Non ne abbiamo.» replicò, e tornò a guardare il computer e a digitare
qualcosa.
Niall tossì, per attirare – di nuovo – l’attenzione dell’ometto.
«Ho detto che vorremmo una stanza per cinque persone.»
L’ometto smise di guardare il monitor a tubo catodico e rivolse uno sguardo
scocciato a Niall.
«E io ti ho detto che non ne abbiamo. Se si vuole accomodare fuori...» E come
se non l’avessimo affatto interrotto, riprese a digitare sulla tastiera.
Niall sbuffò, spazientito. Dopo quella giornata infernale ci mancava un
receptionist scansafatiche.
«Ma ci sono molti modi per fare stanze per cinque persone. Tipo aggiungere tre
brande ad una matrimoniale!» esclamò Niall, alzando la voce e sbattendo sul bancone
un mazzetto di banconote mortali.
Il receptionist non sobbalzò. Studiò Niall solo per qualche altro istante, poi
afferrò le banconote e le contò avidamente. Ci rivolse l’ennesimo sguardo.
«Bene, se i signori vogliono accomodarsi mentre vado a sistemare personalmente
la stanza...» disse, facendo un ampio gesto con il braccio verso dei divanetti
impolverati.
Ringraziammo, e l’uomo si allontanò.
Aspettammo per dieci minuti, nel silenzio assoluto e senza osare sederci su
quei divanetti che non sembravano essere in grado di reggere più di due chili
di peso.
Diedi un’occhiata in giro. Subito accanto ai divanetti c’era una libreria con
vecchi tomi talmente impolverati che non vi si leggevano nemmeno i titoli.
Sulla destra c’era la sala da pranzo che era costituita da una saletta con
tavoli rotondi ricoperti di tovaglie che una volta, forse, erano bianche. Il
candelabro d’argento era la parte più bella, ma era spento e aveva uno strato notevole
di polvere e si era ossidato da un pezzo. Sui muri c’erano alcuni quadri di
paesaggi dai colori tenui. Mi incantai per un po’ a guardarli. Mi sarebbe
piaciuto andare in uno di quei posti dall’aria tranquilla, sedermi ad uno
sgabello con la tela davanti, nel balcone del mio appartamento, magari, e
dipingere il panorama mozzafiato che si apriva davanti a me, senza
interruzioni, con il solo cinguettio degli uccellini come sottofondo. Poi
pulirmi le mani sporche di tempera, bere un tè e rientrare a casa e ascoltare
musica, accanto a Liam, bello come sempre...Eh? Cioè, no, questo no. Voglio
dire, no. No. Okay, no. Mi ero lasciata prendere dalla fantasia, scusate.
«La stanza è pronta!» la voce nasale del receptionist mi riportò, purtroppo,
alla realtà.
«Oh, bene.» Mi accodai a Niall e alle altre, seguendo il receptionist.
Salimmo due rampe di scale di marmo grigio e arrivammo in un corridoio
ricoperto di moquette rossa. Tra una porta e l’altra c’erano alcuni busti di
donne greche ricoperti di ragnatele.
«Le altre stanze sono occupate?» domandò Niall.
«Quelle del primo piano sì, qui siete soli.» rispose il receptionist. Notai il
cartellino appeso al taschino della camicia che non avevo notato subito, visto
che era seduto dietro la scrivania. Si chiamava Bob.
«Ma questo non vi autorizza a fare confusione, ragazzacci.» disse Bob, poi rise
e pizzicò la guancia di Niall.
Ci porse la nostra chiave con il numero 104 inciso su un piccolo disco di
metallo.
«Buonanotte.» ci augurò Bob, poi si allontanò per le scale.
Tirai un sospiro di sollievo e Mel aprì la porta della camera.
Mi aspettavo che la camera fosse impolverata come il resto dell’hotel. Invece
c’era un gradevole profumo di limone all’interno. C’era un letto matrimoniale
al centro della stanza, e da ogni lato c’erano due abat-jour. Accanto ad ogni abat-jour
c’era un letto singolo. Sulla destra della stanza c’era il quinto letto,
accanto ad un armadio e ad una scrivania con una televisione LCD. Sulla parete
sinistra c’era una porta dietro cui c’era un bagno piccolo ma pulito.
«Okay, io dormo qui.» annunciò Niall, sedendosi sul letto nella parte destra
della stanza. Si tolse le scarpe finte.
«Finalmente posso togliermi questi cosi.» disse, togliendosi anche i jeans.
«Muoio di caldo con questa roba.»
Teri appoggiò lo zaino sul letto dalla parte sinistra del matrimoniale, Mel
fece lo stesso sul letto dalla parte destra.
«Bene, quindi io e te dormiamo insieme.» dissi a Ria, che mi sorrise.
«Dimmi che non scalci!» esclamò.
«Non di solito.»
«È di quel di solito che ho paura!»
Ridemmo. E fu bello, perché non era una risata forzata. Era una risata
liberatoria, dopo lo stress di quella giornata, ed era una risata innocente,
completamente estranea al resto, come se fossimo normali ragazze in gita. Eravamo
poco più che adolescenti che fino ad un mese prima credevano di essere normali
e che i mostri ci fossero solo nelle storie per bambini, e avevamo la
responsabilità di un regno grande come gli Inferi sulle spalle.
Andammo in bagno a turni e una volta che tutte ci fummo lavate e preparate per
la notte ci sedemmo sui nostri letti.
«Direi che sia il caso di parlare di ciò che ti è successo, Teri.» disse Mel.
Teri le lanciò un’occhiata stupita, come a dire “vuoi davvero parlarne?”.
«Non guardarmi così.» replicò Mel. «Se vuoi capirci qualcosa devi parlarne con
tutti noi.»
«Euriale mi ha chiamata prima figlia di qualcuno. Ha detto “Sentiti onorata.
Sei la prima figlia di...” ma poi Ria mi ha salvata. Anche i serpenti di Steno
hanno detto “La pagherai, prima figlia di...” ma poi Mel ha ucciso anche Steno
e i suoi serpenti.» spiegò Teri.
«Forse tua madre è stata un’eroina valorosa, quindi ti stava per chiamare prima
figlia di tua madre. Forse hai fratelli minori che non sono figli di Ade.»
ipotizzai. Era poco più che un’ipotesi.
«Può essere.» disse Niall, annuendo.
«Suona strano e contorto, però.» replicò Mel. «Anche Chirone era dubbioso dopo
il riconoscimento di Teri. C’è qualcosa che non torna.»
«Ma ha i poteri che un semidio figlio di Ade potrebbe avere. Parla con i serpenti,
caccia strane creature spedendole negli Inferi...È figlia di Ade e Ade ha
tradito il patto!» esclamò Ria.
«Vacci piano con i nomi.» la rimproverò Niall. «Hai detto il nome del dio degli
Inferi per tre volte in una sola frase.»
«Oppure» ribatté Mel «Teri ha più anni di quelli che si ricorda di aver vissuto
e non li dimostra.»
Ci voltammo verso Teri, per studiarla ma vidi solo una ragazza con troppe
responsabilità. Dimostrava più anni di quelli che aveva, ma non sembrava essere
un’ ultracentenaria. Ora che aveva più muscoli e più stress poteva essere
scambiata per una di diciassette, diciott’anni.
Teri ricambiò il nostro sguardo, poi lo distolse con una smorfia.
«Non guardatemi con pietà. È l’ultima cosa che voglio, per favore.» Non lo
disse con stizza. Lo disse come se ci stesse pregando.
Mel le diede una pacca rassicurante sulla spalla.
«Non è poi così importante di chi sei figlia o quando sei nata. L’importante è
che tu sia stata scelta per quest’impresa e che tu resti la ragazza coraggiosa
che ha protetto Ria con il proprio corpo quando un ciclope minacciava di
ucciderla, la stessa ragazza che ha vinto la Caccia alla Bandiera dell’altro
giorno e che mi ha difesa da un Nocturno mal intenzionato. Tu sei quella
ragazza, Teri, e non dipende da chi sai di essere figlia.»
«Se non sei figlia di A-» fece per dire Ria, ma Niall le lanciò un’occhiata
fulminante e la figlia di Nemesi si corresse all’istante. «Ehm, volevo dire di
quel dio della cabina Tredici, Nico ne sarà contento, immagino.»
Teri rise. «Grazie ragazzi. ‘Notte.» disse, infilandosi sotto il lenzuolo. «È
bello avere degli amici». Pronunciò l’ultima frase più a sé stessa che a noi.
Niall si alzò dal suo letto e si sedette su quello di Teri, sussurrandole una
canzone in greco. Era una ninna nanna stupenda. Poi il satiro tornò sul suo
letto, vi si sdraiò e si addormentò qualche secondo dopo.
Diedi un’occhiata all’orologio appeso al muro. Erano le nove e trenta. Al
Campo, probabilmente, stavano intorno al falò. Pensai a Will, Michael, James e
a tutti i miei fratelli, pensai a Gregor e Nico, nella cabina Tredici, che
erano in pensiero per Teri, pensai ad Annabeth e ai fratelli di Mel e pensai
anche ai satiri che volevano bene a Niall, nella Foresta. E quasi involontariamente
pensai anche a Liam e ai suoi occhi azzurri, ai suoi capelli castani e...No.
Basta. Continuavo a non capire perché mi tornasse di continuo in mente.
«Devo fare una ricerca.» annunciò Mel, alzandosi dal letto. «Vado a vedere se
quei libri nell’ingresso possono essermi d’aiuto.»
Per quanto non adorassi la figlia di Atena non avevo intenzione di lasciarla
andare da sola per l’hotel.
Cercai lo sguardo di Ria che ricambiò l’occhiata, capendomi al volo.
«Veniamo anche noi.» disse Ria, prendendo la sua borsa.
«Non ho bisogno del vostro aiuto.» replicò Mel, sottintendendo
un “Non ne siete capaci”.
«Non saremo figlie di Atena» ribatté Ria «Ma siamo pur sempre semidee che hanno
il combattimento nel sangue e che hanno ricevuto lo stesso addestramento che
hai ricevuto tu. Magari non sarò intelligente come te, sono figlia della dea
della giustizia e della vendetta, non dell’intelligenza o della saggezza. Ma
qui c’è una figlia di Apollo degna di suo padre che dovresti smettere di
giudicare in base a ciò che era prima di arrivare al Campo, se sei degna di tua
madre.»
Mel spalancò gli occhi, incredula. E mi accorsi di essere anch’io piuttosto
sorpresa e scioccata.
Ria non poteva avere davvero tredici anni. Sarebbe potuta essere figlia di
Atena senza problemi, era saggia e intelligente, ma soprattutto era giusta.
Già, l’aveva appena detto. Figlia della dea della giustizia. E aveva detto con
assertività ciò che avrei voluto dire io a Mel. Fu la prima volta che vidi la
figlia di Atena senza parole. Rifletté per qualche secondo su ciò che Ria le
aveva detto, guardandosi le scarpe. Poi puntò gli occhi grigi nei miei dorati.
Non era il solito sguardo sprezzante, assomigliava di più ad uno
sguardo...dispiaciuto? Umile? Possibile?
«B-bé, i-immagino...Immagino che, magari...forse potremmo andare d’accordo.»
balbettò. «E mi dispiace, Eles.»
Mi porse la mano e gliela strinsi senza esitare. Non volevo avere una rivale
nell’impresa. Avevamo già troppi nemici senza bisogno di aggiungerne altri
all’interno del gruppo.
«Tranquilla. Ora andiamo. Abbiamo una ricerca da fare e poco tempo.»
Spazio
autrice
Auguri di buona Pasquetta, yay!
Scusate il ritardo, ma nel week-end ho avuto a che fare con la crisi da pranzo
di Pasqua di mia madre e la ventola del mio pc che si
surriscaldava troppo. Ringrazio, come sempre, Kalyma P Jackson e Ema_Joey per le
loro recensioni gentilissime ad ogni capitolo, e ringrazio chiunque legga
questa fan fiction.
Un bacione, e a presto!
Raggiungemmo l’ingresso. La libreria era piena di libri
dall’aspetto pesante, e non solo di peso. Ma non avrei mai lasciato che una di
noi si avventurasse per l’hotel da sola, quindi seguii Mel senza proferire
parola. La saletta era scarsamente illuminata ma la figlia di Atena riuscì a
leggere i titoli sui dorsi dei libri e ne scelse un paio. Poi li appoggiò su
uno dei divanetti impolverati e tornò alla libreria. La luce del lampadario si
faceva sempre più flebile e Mel cominciava a strizzare gli occhi per leggere i
titoli. Frugai nella mia borsa e le mie dita si strinsero intorno ad una
torcia. La tirai fuori e la porsi a Mel che mi guardò stupita, per l’ennesima
volta in quel giorno. Fece per accenderla ma dopo aver lampeggiato un po’ la
torcia si spense definitivamente. Aggrottai la fronte.
«Strano.» dissi «Le pile sono nuovissime».
«Tranquilla, faccio senza.» replicò Mel, sorridendomi.
Mi strinsi nelle spalle.
Diedi un’occhiata alla reception. Bob, quell’ometto strano che ci aveva
“accolti”, aveva gli occhi fissi sullo schermo del computer. La saletta da
pranzo era vuota. Dov’erano gli ospiti del primo piano? C’era qualcosa che non
tornava nell’intero hotel.
Mel scelse altri tre libroni e il divanetto cigolò sinistramente quando ve li
appoggiò.
«Siamo state molto fortunate» disse «Trovare libri sulla mitologia greca è
davvero difficile in un hotel. Suona strano, effettivamente». Si portò una mano
all’elastico azzurro al suo polso, ma non disse e non fece altro. Aprì il primo
libro della pila e me lo porse.
«Potresti cercare qualche dio greco che non ha i figli?» mi domandò.
«Mel, tu mi sopravvaluti. La mia dislessia è peggiore della tua, figlia della
dea della saggezza. E di sicuro è peggiore anche di quella di una figlia del
dio delle arti. E poi siamo scese con te per sicurezza, non per metterci a
studiare. Almeno una di noi deve tenere la guardia alta.» risposi. Mel si
strinse nelle spalle.
«Sì, hai ragione. Meglio che quella che non terrà la testa china sui libri sia
tu, Ria. Eles, ti dispiacerebbe cercare qualche dio greco con poteri sulle
creature infernali? A parte Ade, s’intende.»
«No, non mi dispiace. Cerco anche qualche dio greco che non ha figli?» chiese
la figlia di Apollo.
Mel annuì e le porse due libroni. Sfoderai il mio coltello dalla tasca interna
della mia giacca militare e mi preparai a stare attenta.
«Mel...» mormorò Eles «C’è qualcosa che non va.»
«Cosa?»
«Riesco a leggere i libri senza problemi.» disse Eles «Sono scritti in greco
antico.»
Mel si bloccò.
«Ecco perché mi sembravano più facili da leggere del solito.» sussurrò. Sembrò
innervosirsi di colpo, e sentii irrigidirsi anche il mio corpo.
«Ria, possiamo mettere questi libri nella tua borsa oppure rischiamo di
romperti una spalla?» mi chiese Eles.
«No, tutto diventa leggero quando sta qui dentro.» replicai, indicando la mia
borsa. Aprii la cerniera e afferrai il libro rimasto sul divanetto, buttandolo
alla rinfusa nella borsa. L’avrei sistemato più tardi. Eles e Mel ci infilarono
gli altri.
«Dobbiamo andarcene di qui.» disse Eles. Non appena ebbe finito di pronunciare
questa frase Bob staccò gli occhi dal computer e si alzò dalla sedia.
Si tolse gli occhiali e con mio grande orrore gli occhi restarono attaccati
alla montatura. Sul viso, al posto degli occhi, aveva due fessure nere.
«Oh, dove credete di andare, ragazzine, senza aver pagato il conto?» chiese,
con la sua voce nasale.
Sentii l’elastico di Mel trasformarsi in un arco con un fruscio. Eles afferrò
dalla faretra un cilindro bianco che si allargò e allungò fino a trasformarsi
nell’arco di Apollo, con una freccia lucida già incoccata. La mia mano era
stretta intorno al coltello di Ethan.
«Stia tranquillo, provvederemo a pagare fino all’ultima dracma.» rispose Mel.
«Oh, ma no. Io non tocco qualcosa di banale come le dracme da secoli, ormai.»
«Dobbiamo salvare Teri e Niall.» sussurrò Eles.
Mel scosse la testa. «Teri sa come muoversi.»
Era assurdo. Che diavolo prendeva a Mel? Teri e Niall stavano dormendo. Ma non
feci in tempo a protestare.
Sentii uno strano ticchettio insistente provenire dalle scale. «E come dovremmo
pagarla? In dollari? Il nostro amico gliene ha già date abbastanza.» dissi a
Bob.
«Amico? Da quando creature ignobili come gli ibridi sono pari agli eroi? Ah,
com’è andato in rovina questo mondo. E per rispondere alla tua domanda, figlia
di Nemesi, io mi faccio pagare in sangue.»
Sentii la mia pelle accapponarsi e il ticchettio farsi più forte. Dalle scale
scese una mandria di lucertole giganti dalle scaglie rosse e dagli occhi dorati.
Camminavano su due zampe. Un odore nauseante di rose mi invase le narici. Non
assomigliavano affatto a mostri della mitologia greca.
«Mel, che cosa sono?» chiesi, sorprendendomi di aver mantenuto la voce ferma.
«Non lo so» rispose, con voce tremante.
Eles spalancò gli occhi.
«Io conosco queste creature.» Deglutì rumorosamente mentre le lucertole si
posizionavano dietro a Bob.
«Sono ibridi - lucertola, quelli che hanno quasi ucciso il fratello di Percy.
Me li ha descritti con colori diversi, però.»
«Tu e Finnick?» domandò Mel, scandalizzata «Ha dieci anni più di te!»
Eles alzò gli occhi al cielo.
«Mel, non c’è niente di romantico tra me e Finnick. Abbiamo solo scambiato due
chiacchiere.»
«Su un argomento molto allegro, vedo.» replicò la figlia di Atena.
«Non mi sembra il momento per parlarne!» gridai.
«Oh, figlia di Nemesi, è proprio il momento per parlarne. Vedete, questi ibridi
vengono dal futuro, ma il viaggio attraverso il portale li ha spossati. Così li
ho nutriti con sangue umano e la loro pelle ha preso questo colore. Sono
riuscito a procurarmi con molta fatica, non ve lo nascondo, l’icore divina che
li ha completamente rafforzati. E ora sono il mio esercito personale.»
«Quale dio ha ferito per procurarsi l’icore?» domandò Mel.
«Oh, vuoi farmi perdere tempo, eh, figlia di Atena? Peggio per te, più tempo mi
fai perdere, più lenta sarà la tua morte. Proprio come stava per accadere a
quel vostro amichetto del Campo, Finnick, e come è già accaduto ai vostri
amichetti, quell’insulso uomo capra e alla figlia di Ade. Ops, non lo sapevate?»
«Come sarebbe a dire?» domandò Mel, confusa. «Niall, Teri...Non possono essere
morti!»
«Oh, peccato, lo sono. La ragazza è morta per difendere quella feccia di
satiro.»
Mi rifiutai di credergli. Teri era una delle semidee più forti del Campo, dopo
Clarisse e Arika. Come poteva essere possibile? E Niall? Non poteva essere
successo davvero. Sentii le lacrime bruciarmi negli occhi.
Gli ibridi partirono all’attacco e sentii una fitta al cuore. Erano loro che
avevano ucciso i miei amici e non l’avrebbero passata liscia.
Un lucertolone si scagliò contro di me, ma non fu abbastanza veloce. Gli ficcai
il coltello in un occhio e il mostro si sbriciolò in schizzi di sangue dorato,
sangue rosso e polvere gialla.
Bob guardava la scena divertito. Che cos’era? Un fantasma? Un mostro anche lui?
Che razza di creatura poteva aver evocato un esercito di quei lucertoloni?
Accanto a me sentivo le frecce di Mel e Eles sibilare contro gli ibridi.
Due mostri mi si avvicinarono. Afferrai il coltello e saltai,mozzando la testa ad uno mentre sferravo un
calcio ad un altro che restò confuso. Approfittai di quell’attimo di confusione
per ficcargli il coltello nel palato.
All’improvviso mi ritrovai un ibrido davanti che partì all’attacco senza
indugio. Mi diede uno schiaffo così forte da farmi perdere la presa sul
coltello. Mi afferrò per una gamba e mi mise a testa in giù. Cercai la cerniera
della borsa per prendere lo scudo di bronzo ma l’ibrido cominciò a scuotermi
come se fossi un salvadanaio da cui far uscire le ultime monetine.
I polmoni cercavano disperatamente ossigeno mentre il sangue continuava ad
andare verso il cervello. Il campo visivo diventò prima violaceo, poi si riempì
di pallini gialli.
Sentii le lacrime agli occhi, lacrime che volevo versare da tanto tempo.
Lacrime per la lontananza da mio padre e da Onny, lacrime per la prima volta
che avevo visto la morte in faccia, quella sera dell’attacco del ciclope,
lacrime per la gioia di una nuova famiglia al Campo, lacrime per Teri e Niall,
i cui cadaveri giacevano due piani sopra di me e infine lacrime per non essere
stata degna di Nemesi come lo era stato Ethan.
Quando pensai di essere ormai pronta a morire l’ibrido smise di scuotermi e
lasciò la presa sulla mia gamba. Riuscii a vedere solo polvere giallognola
esplodere nell’aria.
Sentii una mano rimettermi in piedi.
«Riri, stai bene?» chiese una voce. Mi accorsi che non ero più nell’ingresso
dell’hotel, ma nella sala da pranzo. L’ibrido mi aveva portata via e non me ne
ero nemmeno accorta. Cercai di mettere a fuoco la persona davanti a me. Sbattei
più volte gli occhi fino a quando non vidi una chioma rossa e liscia, due corna
caprine e due occhi azzurri che mi guardavano allarmati.
«Niall!» gridai, sentendo nuove
lacrime bagnarmi le guance «Sei vivo! Sei vivo!»
Lo abbracciai forte.
«Sì, direi di sì. Avevi dubbi?» chiese, confuso.
«Bob, lui...Ha detto che gli ibridi...Tu e Teri...» farfugliai.
«Teri ti ha salvata.» rispose, sorridendomi. «Non ho ancora capito come abbia
avvertito il pericolo mentre dormiva, immagino che l’abbia sognato o qualcosa
del genere. Comunque sia non possiamo restare qui a cincischiare. Tieni il tuo
coltello.»
Strinsi le dita intorno all’impugnatura e sorrisi. Ero pronta per sterminare
quegli ibridi.
«Tu resta al sicuro.»
Niall ridacchiò. «Sono più in gamba di quello che tu creda.»
Afferrò una stampella e premette un bottone rosso sull’impugnatura. La
stampella si tramutò in una spada dalla lama appuntita, lunga circa trenta
centimetri. La forma era un po’ strana. Era stretta per i primi venticinque
centimetri, poi si allargava, formava una specie di ovale di quattro centimetri
e si stringeva di nuovo per chiudersi in una punta. L’altra stampella si trasformò
nella sua gemella.
«Le tue stampelle sono delle spade?»
«Questo è uno xiphos, per essere più
precisi.»
«Perché non li hai sfoderati quando c’erano gli stinfalidi?»
«Se li avessi sfoderati mi avrebbero attaccato di sicuro ed ero certo che non
ce l’avrei fatta. E noi satiri non siamo tipi violenti. Comunque, basta
chiacchiere. Andiamo ad aiutare Eles, Mel e Teri.»
«Andiamo.»
Spalancai la porta tra la saletta e l’ingresso con un piede. Davanti a me
trovai ciò che speravo. Bob cercava di proteggersi dietro la scrivania. Strinsi
i pugni così forte che mi feci dei solchi nella pelle con le unghie.
Gli ibridi erano stati decimati. Teri ne aveva appena decapitato uno quando
scansai altri due lucertoloni, ne pugnalai un terzo e infine lanciai il mio
coltello verso Bob, prendendolo dritto in fronte. Pensavo che si sarebbe
dissolto il polvere, invece dalla sua fronte fuoriuscì sangue scuro. Spalancai
gli occhi.
Era umano. Avevo ucciso un essere umano. Ma come si spiegavano le orbite vuote?
Mi guardò con gli occhi vuoti e con un rantolo lasciò il mondo. Afferrai subito
il mio coltello, ripulendolo addosso alla camicia della mia vittima.
«Ria! Giù!» gridò Niall. Mi
abbassai appena in tempo per evitare un altro schiaffo di lucertola.
Non appena mi abbassai accoltellai alle gambe l’ibrido, l’ultimo. Il mostro
urlò. Non era ancora morto, così gli ficcai il coltello in gola.
Mi voltai verso Bob quando vidi che si dissolse in polvere gialla.
Era un mostro, allora. Ma quel sangue che era sgorgato dalla sua fronte? Ero
sempre più confusa.
Gli ibridi erano tutti morti e noi eravamo tutti vivi. Teri si avviò verso le
scale e prese il proprio zaino e quelli di Eles, Mel e Niall. Io avevo tutto
nella mia borsa che mi tenevo stretta. Pulii il coltello avvelenato sul tappeto
logoro dell’ingresso e lo rinfoderai.
Teri si portò al collo la lama della sua sciabola, facendola tornare
un’innocente collanina, Mel tirò una piccola cordicella azzurra sull’estremità
dell’arco che lo fece tornare ad essere un elastico azzurro, l’arco di Eles
tornò ad essere un cilindro da mettere nella sua faretra accanto allo zaino e
Niall premette un pulsante rosso sui pomoli dei suoi xiphos che tornarono ad essere normali stampelle.
«Che cos’era?» domandò Teri. «Bob, dico. Non era umano.»
«No, non lo era. Era un demone» spiegò Niall. «Ria, non devi sentirti in colpa.
Hai ucciso una creatura ignobile.»
Mi sentii sollevata.
«Dovremmo cercare un posto in cui dormire.» mormorai, massaggiandomi la testa.
«Già.» disse Eles, sbadigliando «Spero che il prossimo hotel che troviamo non
abbia come ospiti dei mostri.»
Teri andò dietro alla scrivania di Bob, si tirò di nuovo la collana facendola
diventare la sua arma e ruppe con l’elsa della sciabola un cassetto che fungeva
da cassa, prendendo tutti i soldi che c’erano.
«Teri! Si chiama furto ed è punibile con il carcere, lo sai?» esclamò Mel,
scandalizzata.
«Bé, non se ne farà
molto il suo proprietario.» replicò Teri, stringendosi nelle spalle mentre
svuotava il contenuto della cassa nel proprio zaino. «Andiamo a cercare un
posto in cui dormire.»
Spazio autrice Saaaalve!
In questo capitolo vediamo un po’ di azione per le ragazze e per il satiro. Vi
aspettavate che Niall avesse delle armi nascoste dietro quelle stampelle?
Carini gli ibridi, vero? E che ne pensate del gesto di Teri di rubare i soldi?
Concordate con Mel?
Spero che questo capitolo vi piaccia e spero di avere qualche recensione, sia
positiva che negativa.
A presto!
Alle undici di sera trovammo, per chissà quale miracolo, un
hotel a tre stelle aperto.
Ricordo ben poco di quella notte. Troppi eventi in una sola giornata mi avevano
spossata e dormii come un sasso. Il mattino dopo uscimmo dall’hotel ben
riposati e con lo stomaco pieno, ma Teri sembrava inquieta. Mancavano cinque
giorni al solstizio d’estate e non sapevamo nemmeno cosa causasse il Tormento
degli Inferi.
«Io ho bisogno di nuove frecce.» disse Eles. «Le ho perse tutte ieri.»
«So dove possiamo procurarcele.» rispose Niall.
Stavamo percorrendo una strada principale di Seattle quando il nostro custode
si fermò all’improvviso davanti ad un negozietto dall’aspetto abbandonato.
«Eccoci!» esclamò.
«Ma è chiuso!» ribatté Ria, togliendomi le parole di bocca.
«Oh, la Foschia vi fa vedere un negozio abbandonato. Concentratevi.» ci suggerì
Niall.
Mi concentrai sulla vetrina impolverata del negozio e ad un tratto la polvere
sparì e in esposizione, nella vetrina, c’erano spade, scudi e archi. Il negozio
non aveva più l’aspetto abbandonato. La vernice bianca era pulita, la porta
d’ingresso era nuova e le armi in esposizione nella vetrina splendevano.
Anche le mie compagne di impresa esclamarono di stupore.
Niall aprì la porta e ci lasciò entrare per prime.
All’interno era molto più grande di quello che sembrava da fuori.
Su ogni parete c’erano spade di ogni dimensione e materiale, frecce, faretre, archi,
scudi. Dal soffitto pendeva un cartello che diceva «Vuoi decorare la tua faretra con una scritta originale? Qui puoi e
ottieni uno sconto del 20% su un arco a tua scelta!»
«Ma è stupendo!» esclamò Eles.
«Oh, lo so cara!» replicò una donna alta e muscolosa dietro ad una scrivania di
mogano. «Ciao Niall, caro! In cosa posso esservi utile?»
Niall la salutò con un sorriso.
«Ciao Roxy. Abbiamo bisogno di un po’ di frecce.»
Roxy afferrò con un gesto fulmineo un catalogo da una scrivania e lo porse ad
Eles.
«Scegli pure di che tipo vuoi le tue frecce, cara. Esplosive, BOOM! Oppure
fulminanti, per rizzare i capelli a qualcuno? ZZZZH! Preferisci semplici, vero?
Sei una semidea giovane, mi sembra anche giusto. Come le vorresti? Appuntite,
ZAP! Un bel rivolo di sangue, o arrotondate solo per fare qualche livido? Di
alluminio, di acciaio, di rame? Eh? Quale preferisci? Vuoi delle frecce
decorate?»
Continuò il suo elenco di materiali e tipi di frecce -che non sto qui a dirvi-
sfogliando il catalogo e indicando varie immagini ad Eles, che la guardava
ammirata.
Quando ebbe finito le sorrise con le sue labbra cariche di rossetto lilla.
«Quale scegli, cara?» domandò ad Eles.
«Oh, delle frecce appuntite di alluminio andranno benissimo, ma vorrei anche
delle frecce-raggi di sole.»
Roxy assunse un’aria dispiaciuta.
«Mia cara, non sei la prima giovane semidea che mi chiede quel tipo di frecce,
ma, vedi le frecce-raggi di sole sono compatibili con un solo arco che è quello
che Apollo ha donato al Campo Mezzosangue in attesa che arrivi il suo
discendente speciale capace di usarlo. Se ti dessi quelle frecce il tuo arco si
consumerebbe, o peggio s’incendierebbe e ti scoppierebbe in faccia.»
«Io ho l’arco di Apollo» disse Eles «Io posso usarlo.»
Roxy spalancò gli occhi contornati di ombretto fucsia.
«Tu sei Eles McTemar?» chiese, incredula.
Eles annuì.
«Perché? Ci conosciamo?» domandò.
«Oh, no...Non ci conosciamo, cara.» Roxy sembrò diventare, se possibile, ancora
più pimpante di prima. Anche la figlia di Apollo la guardò sospettosa. Nemmeno
lei credeva che quella donna non la conoscesse.
Roxy tossì.
«Ehm, dicevamo? Ah sì. Vado a prenderti i raggi di sole, cara.» Si allontanò di
fretta.
«Niall, chi è quella donna?» chiesi.
«Roxy è stata la prima semidea che ho accompagnato al Campo.»
«Cosa? Avrà ventidue, anche ventitré anni, se non di più! Tu ne hai quindici,
anche se sembri grande per via della barba» disse Ria.
«Noi satiri dimostriamo la metà degli anni che abbiamo. Io in realtà ho trentotto
anni. E comunque Roxy ne ha venti, ma sembra più grande perché è muscolosa. È
figlia di Ares.»
«Non assomiglia per niente a Clarisse.» affermò Teri.
«No, per niente.» concordò Niall. «So perché è così felice di aver incontrato
Eles».
«Quindi mi conosce?»
«Sì e no»
«Spiegati meglio»
Ma Niall non fece in tempo a spiegarsi meglio perché in quel momento Roxy
ritornò nella stanza con un mazzo di frecce in alluminio in una mano e un mazzo
di frecce lucide color marroncino chiaro nell’altra.
Le porse ad Eles.
«Oh, grazie, grazie tante, cara. Tieniti le tue dracme e buona fortuna per il
vostro viaggio!» esclamò.
Eles appariva pensierosa, ma quando le chiesi se stesse ancora pensando alla
reazione di Roxy, sorrise e mi assicurò che non c’era niente a cui pensare se
non all’impresa. Sicuramente la mia espressione dovette sembrarle sospettosa,
quindi cambiò argomento.
«Teri, tu senti ancora la puzza di quelle creature?» chiese.
Teri annuì.
«Bene, seguiamo te.» disse Ria.
«Perfetto.» replicò Teri.
Fece qualche passo davanti a noi, poi si guardò intorno.
«Ah, dannazione!» esclamò, frustrata.
«Che succede?» chiese Eles. Io sapevo cosa stava succedendo. Teri era confusa.
Le creature avevano diffuso la scia ovunque e Teri non sapeva più quale
seguire. Non so dirvi perché lo sapessi.
«Sono potenti, Teri. Sarai anche una semidea potente, ma hai pur sempre
quindici anni e sei solo tu che puoi sentirli»
Teri mi rivolse uno sguardo che era un misto tra stupore e gratitudine. Gli
altri mi guardarono confusi.
«Si sono sparsi ovunque nella città» rispose Teri «Mi dispiace, ma non riesco a
capire dove siano» Niall sorrise, appoggiandole una mano sulla spalla.
«Tranquilla, perché io so benissimo dove andare.»
Forks era sorprendentemente (non davvero) piovosa.
“Già, la città più umida degli Stati Uniti.” Pensai aprendo l’ombrello.
Chiesi ai miei amici di restare in stazione per poter leggere quei tomi che
avevo preso dall’hotel.
«Sì, io ho fame. Fermiamoci» disse Teri. Gli altri concordarono. La stazione
era deserta, non c’era nemmeno un capostazione o un inserviente. Niall era un
satiro, quindi più esperto nel sentire l’odore dei mostri ed era riuscito a
distinguere qualcosa seguendo le indicazioni di Teri sull’odore di quelle
creature.
Mentre Niall, Ria e Teri mangiavano dei pacchetti di patatine io e Eles
leggevamo quei tomi enormi in cerca di qualche dio greco senza figli. I
risultati furono piuttosto scadenti. Il tomo che avevo sfogliato fino a quel
momento comprendeva solo le dodici divinità dell’Olimpo più Ade.
«Trovato niente?» Avevo deciso di fidarmi di Eles e scoprii che era molto più
facile di lanciarle occhiatacce e darle risposte cattive. Non era affatto male.
«I semidei che hanno poteri sui serpenti e sulle creature infernali sono solo i
figli di Ade. Siamo al punto di partenza.» rispose Eles, scuotendo la testa.
«E gli unici dei che non abbiano avuto figli sono Artemide ed Estia, almeno
secondo questo libro»
«Quel libro è vecchio di almeno quindici anni. Estia ha una figlia» intervenne Niall,
masticando una lattina.
«Davvero? Non aveva scelto di restare vergine?» chiesi.
«Sì, in teoria». Spalancai gli occhi e sorrisi. Probabilmente era Teri la prima
figlia di Estia. Le lanciai un’occhiata per vedere se avesse sentito, e la
trovai a giocherellare nervosamente con una lattina spaccandola a metà con le
mani.
I capelli neri erano umidicci e le ricadevano sul volto, dandole un’aria cupa.
Non potei fare a meno di soffermarmi sul tatuaggio a forma di teschio che aveva
sul polso.
«No» disse Niall, intercettando il mio sguardo. «Estia ha solo una figlia ed è
arrivata al Campo il giorno dopo che noi ce ne siamo andati. Me l’ha raccontato
Grover. Si chiama Savannah»
«Sì, avevo immaginato che Teri non potesse essere figlia della dea del focolare
domestico. Dobbiamo cercare ancora se c’è qualche tipo di incantesimo o veleno
che fa avere la sensazione ad una persona di aver vissuto solo pochi anni
invece che secoli.» mormorai.
Eles prese un altro tomo e lo aprì, tossendo per la polvere delle pagine.
Feci per prendere un quarto libro ma nella stazione entrò uno strano ma
affascinante ragazzo. Non appena lo vide Teri scattò in piedi e trasformò la
sua collana in una sciabola.
«TU!» gridò.
Il ragazzo aggrottò la fronte e si ritrasse dalla spada. Aveva gli occhi dorati
puntati su Teri.
«Hey, stai calma.» disse.
Teri sembrò rilassarsi. Ma come? Bastava che lui glielo dicesse e lei si
calmava? C’era qualcosa di strano. Tirai il cappio al mio elastico e Oxypetes
mi comparve tra le braccia. Mi tenni pronta.
«Calma anche tu.» disse il ragazzo. Sentii i muscoli del corpo rilassarsi. Ma
che mi succedeva?
«Che diavolo mi stai facendo?» gridammo io e Teri in coro.
«Che cosa siete?» chiese il ragazzo.
«Che cosa sei tu!» gridò Teri. Fece per partire all’attacco ma il ragazzo si
spostò in pochi secondi e Teri cadde per terra.
Teri era chiara di carnagione ma quel tizio sembrava non avere sangue.
Probabilmente non lo aveva.
«Io sono Jasper» disse il ragazzo, sorridendo a Teri e porgendole una mano per
aiutarla ad alzarsi.
Teri sibilò una parolaccia e rifiutò la mano, mettendosi in piedi con un balzo.
Jasper sfoderò una spada argentata dalla cintura e guardò la figlia di Ade.
«Ti sfido, chiunque tu sia. Sei un’umana un po’ speciale per aver capito che
non sono un umano come te.»
«No, non lo sei.» disse Teri, guardandolo con disprezzo. «Sei la causa di ciò
che sta succedendo nel regno di mio padre, gli Inferi. Sei un essere immondo,
né vivo e né morto, un’anima mozzata.»
Jasper la guardò confuso e Teri ruotò la sciabola con fare teatrale, poi menò
un fendente che il ragazzo parò senza problemi. Teri lo studiò con i suoi occhi
che sembravano rossi, come quando mi aveva difesa da Ludkar. Forse i suoi occhi
prendevano quella strana sfumatura quando si sentiva minacciata.
Il ragazzo attaccò ma questa volta Teri fu più veloce. Parò il colpo e
ricominciarono.
Erano entrambi velocissimi. Pensai di colpire Jasper ad una gamba con una
freccia così che Teri potesse disarmarlo.
«Non farlo» disse Jasper «Non ti conviene.»
Stava parlando con me e sobbalzai. Mi leggeva nel pensiero?
«Posso percepire e modificare le emozioni»mi spiegò.
«Oh, davvero?» disse Teri. In un lampo gli colpì il polso e afferrò la spada
argentata di Jasper.
Il ragazzo non aveva nemmeno il fiatone, ma indietreggiò quando Teri gli puntò
la sciabola nera al collo. La ragazza, al contrario era sudata e aveva il fiato
corto.
«Di che cosa è fatta la tua arma?» chiese Jasper.
La ragazza rise, poi smise all’improvviso e gli rivolse uno sguardo fulminante,
pungolandogli il collo con la sciabola.
«Non hai risposto alla mia domanda, feccia. Che cosa sei?»
Jasper la guardò dritta negli occhi.
«Ah, no!» esclamò Teri, stizzita. «Non provare di nuovo a calmarmi. Rispondimi
o ti faccio bruciare nelle fiamme degli Inferi per sempre.»
Jasper sospirò rassegnato.
«Sono un vampiro.»
«Non dovrebbero diventare cenere alla luce del giorno?» chiese Niall.
«Stupide leggende. Meglio che vi faccia un piccolo sommario. Alla luce del sole
la nostra pelle brilla. Io mi nutro di sangue animale, ecco perché ho gli occhi
dorati. I vampiri che si nutrono di sangue umano hanno gli occhi rossi. Ho un
dono speciale, come vi ho già detto. Sono immortale, mantengo il mio aspetto di
quando sono stato morso. Ora, che sapete tutto su di me, mia cara signorina,
direi sia il caso di rispondere alla mia di domanda.» Manteneva una calma
snervante.
«Sono una semidea. Qui tutte lo siamo, tranne il mio amico, Niall, che è un
satiro. Mezzo uomo e mezzo capra, tieni presente? Io sono Teri, figlia di Ade»
pronunciò il nome del suo genitore divino con poca convinzione «Loro sono Mel,
figlia di Atena, Ria, figlia di Nemesi ed Eles, figlia di Apollo. Per quanto
riguarda il materiale della mia arma, questo è ferro dello Stige. Roba fatale
per un morto ambulante come te.» rispose Teri.
Jasper spalancò gli occhi. «Siete voi!» esclamò.
«Perché? Ci conosci?» chiese Eles. Immaginai come si sentisse. Tutti la
conoscevano ma lei non conosceva nessuno.
«La mia ragazza vi ha visti, tutti e cinque. È una vampira con un dono
speciale, come me, ma lei vede nel futuro. Non sono visioni esatte, possono
cambiare. Ma vi ha viste arrivare. Ha visto la stazione, un ragazzo e quattro
ragazze di cui una diceva che la sua arma era fatta di qualcosa che era roba
fatale per un morto vivente. Mi ha detto di ricordare questa frase e ora che me
l’avete detta, signorina, ho capito che siete voi. Voi dovete aiutarci.»
«Allora se noi eravamo quelle che la tua ragazza ha visto come aiutanti perché
ti sei portato quella spada?» domandai.
«Perché la mia ragazza ha visto Teri dire quella frase con due spade in mano,
una nera e quella del mio patrigno.»
Teri abbassò la sciabola e porse a Jasper la spada del patrigno.
«Grazie, signorina» disse Jasper, sorridendole. «E complimenti per aver vinto
la sfida che le ho porto.»
Capii perché parlasse come se provenisse da un’altra epoca. Era immortale,
quindi chissà quanto fosse vissuto. Dimostrava vent’anni, ma probabilmente ne
aveva duecento. Preferii non chiedere perché mi metteva alquanto a disagio.
«Dacci un taglio, tanto non mi incanti» sbottò Teri. Mi guardò e capii subito cosa
volesse chiedermi.
Tirai un cappio a Oxypetes che tornò ad essere un elastico per capelli attorno
al mio polso e mi rivolsi a Jasper.
«Portaci dalla tua famiglia.»
Spazio autrice
Ed ecco che il crossover si completa con la saga di Twilight, yaaaay! Non lanciatemi i pomodori, so che è una saga
piuttosto detestata, ma cercherò di renderli più interessanti possibili e,
comunque, verranno spesso e volentieri presi in giro.
Farò un sacrificio agli dei affinché Mi auguro che mi lasciate una recensione,
anche se piccolina.
Bacioni e alla prossima! x
Il vampiro ci portò in un SUV fino alla sua abitazione. Ria si
sedette accanto a lui e gli teneva il coltello avvelenato puntato al collo.
Mel, Eles, Niall e io eravamo seduti sui sedili posteriori ma con le armi
sguainate. Lo xiphos di Niall era puntato
sulla nuca di Jasper.
«Provateci voi a guidare con due lame puntate al collo!» borbottò Jasper.
«Ringrazia gli dei che non ci sono io al posto di Ria con la mia lama mortale»
replicai.
«Se non vi fidate perché lasciate che vi porti dalla mia famiglia? Siamo in
maggioranza numerica.»
«Oh, e chissà cosa potranno farci delle creature senza né armi né sangue che
brillano al sole come delle fatine!» esclamò Niall.
«Ci sottovalutate» borbottò Jasper.
«Ah sì?» replicò Ria, pungolandogli il collo con la lama del coltello
avvelenato.
Jasper non rispose e continuò a guidare. Ad un tratto svoltò in un sentiero in
un bosco. Alla fine del sentiero vidi una splendida casa completamente immersa
nel verde. Ricordai il sogno che avevo fatto. Il viso inzuppato di pioggia, la
sensazione di freddo e quella casa, identica a quella che avevo davanti. Aveva
tutto senso, adesso e capii che dovevo fidarmi di Jasper. Il vampiro
parcheggiò.
«Ria, togli quel coltello...» mi interruppi. Mi stavo comportando da capo e non
volevo. «È meglio» aggiunsi.
Mel e Eles chiusero i loro archi, Niall ritrasformò i suoi xiphos in stampelle
e Ria rinfoderò il coltello. Mi avevano capita.
Jasper mi guardò stupito.
«Non fare quella faccia da pesce lesso, tu. Vi ho sognati anch’io. Possiamo
fidarci, immagino.»
Jasper mi sorrise e ci condusse in casa.
All’ingresso ci accolse un gruppo piuttosto singolare.
«Oh, Jasper!» esclamò una ragazza bassa e magra, con gli stessi occhi dorati di
Jasper e la stessa carnagione morta. Corse ad abbracciarlo. Più che correre mi
sembrò danzasse.
Un uomo che non dimostrava più di trent’anni, biondo, pallido e con quegli
occhi dorati ci sorrise.
«Ciao, io sono Carlisle Cullen. Grazie per aver accettato di aiutarci.»
«Hey, hey, hey, amico!» disse Niall «Noi non abbiamo ancora accettato un bel
niente. Siamo qui solo per parlarne.»
«Oh, capisco.» rispose Carlisle, mantenendo un’espressione
cortese. «Lei è Esme, mia moglie.»
Una donna dai capelli lunghi e mori, che non poteva avere più di vent’anni, mi
porse la mano.
«Piacere di conoscervi».
«Piacere nostro, io sono Mel.» rispose Mel, cortese.
Mi presentai mantenendo un tono più gentile possibile, nonostante l’odore
nauseante che emanavano. Era un odore diverso, però, da quello che sentivo a
Seattle. Era molto meno forte e dopo un po’ mi ci abituai.
Una ragazza bionda si presentò come Rosalie. Da come mi sorrise sembrò che le
stessi simpatica.
Un ragazzone alto, moro e muscoloso mi strinse la mano con un sorriso da foto.
«Emmett» disse. Mi presentai a mia volta.
Poi mi girai e vidi Ria abbracciata dalla ragazza che aveva accolto Jasper.
La ragazza mi guardò e mi sorrise.
«Tu devi essere Teri!» esclamò. Mi strinse forte tra le sue
braccia.
«Siete insensibili al sangue umano?» chiese Mel.
«Oh, non completamente.» disse un ragazzo che scese dalle scale. Aveva i
capelli bronzei e le caratteristiche che accomunavano tutti lì, occhi dorati e
pelle marmorea. Piuttosto omologati.
«Ci vuole allenamento per diventare insensibili, per non parlare di voi che
avete icore divina e sangue umano mischiati nel vostro sangue e l’odore è
piuttosto invitante, ma siamo ben allenati.» continuò. “Odore invitante” come
aveva detto Ludkar. Gli avrei riservato lo stesso trattamento se avesse provato
ad avvicinarsi ad uno qualsiasi di noi. Il vampiro ci sorrise.
«Io sono Edward. Voi siete Teri, Ria, Eles, Melissa, oh, meglio Mel, vero? E
infine il vostro custode, Niall.»
«Come fai a sapere che non mi piace il mio nome completo?» chiese Mel «Che
potere hai?»
«Vedo che Jasper vi ha spiegato tutto. Io posso leggere nel pensiero.»
Tra tutti i poteri che quei vampiri avevano il potere di Edward era quello che
mi metteva più a disagio, come quando Niall percepiva le emozioni che provavo. Aveva
sentito anche il mio pensiero su Ludkar, ma alla fine era meglio così. Si
poteva ritenere avvertito.
Quelle creature erano assurde e fredde. Ogni volta che avevo stretto la mano ad
uno di loro sentivo il freddo arrivarmi fino alle ossa.
«Vi presento la mia ragazza, Bella.» annunciò Edward, e una ragazza dal
colorito pallido ma non morto come quello del suo ragazzo ci rivolse un sorriso
tirato e si presentò. La sua mano era calda e i suoi occhi erano marroni. Era
umana.
Edward ci fece accomodare sul divano.
«Bene, la questione non è difficile» iniziò Carlisle. «Il problema è che è un
po’ lunga da raccontare ma cercherò di essere il più conciso possibile. Allora,
un paio di anni fa Bella e Edward si sono conosciuti e innamorati ma,
purtroppo, ci siamo imbattuti in due vampiri cacciatori, James e Victoria.
James voleva uccidere Bella, ma non ha fatto in tempo perché siamo intervenuti
noi e Edward l’ha ucciso. Victoria ora vuole vendicarsi e pensiamo che stia
preparando un esercito di vampiri neonati a Seattle.»
«Cioè appena morsi?» domandò Mel.
«Esatto» confermò Jasper.
«Ma se sono appena morsi non sono tipo un po’ scombussolati e quindi deboli?»
chiese Ria.
«No, affatto. Proprio perché sono appena morsi hanno una fame
più irrefrenabile e sono più forti di un vampiro più vecchio.» Fu allora che i
tasselli si ricomposero.
Quell’esercito di neonati era il motivo per il quale gli Inferi erano così in
subbuglio. Aiutando i Cullen avremmo aiutato anche Ade. Edward sorrise. Mi
guardò con i suoi occhi dorati e annuì. Avevo ragione.
«E noi cosa centriamo? Siamo umane anche noi» replicò Eles.
«Non completamente» disse Carlisle.
«In voi scorre il sangue di un dio dell’Olimpo. Siete più forti e preparate di
quanto non crediate. Tu, Eles, con quell’arco e quelle frecce-raggi di sole puoi
aiutarci più di quanto tu creda.» proseguì Alice.
Trattenni una risata.
«Non vi fa brillare tutti come delle fatine?» domandai.
Pensai che mi rivolgessero un’occhiata scocciata ma ridacchiarono anche loro.
«Non proprio. Quelle frecce sono davvero potenti.»
Vidi Eles farsi pensierosa. Pensava, probabilmente, quello che pensavo io.
Dietro quell’arco c’era una storia molto più complicata che un semplice ordine
di Apollo di donarlo al Campo.
«Per noi vampiri l’arma di Teri è una condanna a morte fatta a spada, quella di
Ria è impregnata di un veleno che è un antidoto al veleno che scorre nelle
nostre vene. Ci uccide lentamente, non occorre nemmeno decapitarci. Il
materiale di Oxypetes è così nobile che ci brucia dall’interno e ci fa perire
malattie per poi portarci alla morte» continuò Carlisle.
«Se non vi fate uccidere, con voi abbiamo già vinto» disse Jasper.
«Io accetto» dissi senza esitare. Non volevo parlare al posto dei miei amici,
così lasciai che fossero loro a decidere. Sarei stata a contatto con quei tipi
strani, anche se mi vedevano nel futuro, mi cambiavano l’umore e mi leggevano
la mente. Questo ed altro per Ade. Non era una coincidenza che avessi sognato
la casa dei Cullen. Non ero lì senza un motivo. Forse ce l’avremmo fatta entro
quattro giorni a sconfiggere ciò che disturbava gli Inferi e a evitare la
guerra tra gli dei.
Mel mi appoggiò.
«Sì, anch’io.»
«Io devo restare con loro, sono il loro custode» disse Niall.
«Se il mio arco è così importante io ci sarò» affermò Eles.
Ria si strinse nelle spalle. «Anche se per la mia filosofia sarei da parte di
Victoria, appoggerò i miei amici.»
Quelle parole fecero trasalire Bella.
«Non sono da parte del cattivo, carina. Sono figlia della dea della vendetta e
della giustizia, cosa ti aspettavi? Per me esiste chi fa i torti e chi li
subisce e io sto sempre con chi ha subito un torto»
«E Victoria avrebbe subito un torto? Per colpa del suo ragazzo Bella è quasi
morta» sbottò Alice.
«E tuo fratello ha ucciso il suo ragazzo. La vostra amichetta ha solo un brutto
ricordo ma ora potrebbe vivere felice e contenta, mentre Victoria avrà passato
mesi infernali senza la persona che amava. Nemesi darebbe ragione a lei»
ribatté Ria, senza scomporsi. Emanava un alone di potenza così forte che al
posto dei vampiri non mi sarei mossa.
«Ringrazia che quell’esercito sta creando problemi anche nel nostro mondo e
quindi il torto lo sta facendo anche a noi. Altrimenti puoi scordarti il mio
aiuto e ti ritroveresti il mio coltello avvelenato dritto in un occhio»
proseguì Ria, lanciando uno sguardo truce ad Alice.
«Uh! Scontrosa la ragazzina!» esclamò Emmett.
Edward ridacchiò. Sapeva che Ria si era sentita in colpa per aver ucciso Bob,
quel tizio dell’hotel, quando il sangue gli era sgorgato dalla fronte. Io
l’avevo vista. Era andata in panico, ma poi il corpo si era dissolto in polvere
gialla e si era sentita sollevata di un peso enorme. Edward aveva intuito che
Ria non avrebbe mai avuto il coraggio di uccidere Alice.
«Non lo farai» replicò Alice.
«Il tuo ragazzo ci ha detto che le tue visioni non sono sempre le stesse.
Potrei sempre cambiare idea» ribatté Ria.
«E io lo saprò!» esclamò la vampira. «Dannazione, sei la prima bambina che mi
rende così nervosa!»
Alice si allontanò borbottando qualcosa. I vampiri cominciarono
a ridere e noi facemmo lo stesso senza quasi accorgercene.
«Bene» disse Jasper. «Domani siete dei nostri per l’ allenamento
alla battaglia?»
«Jasper è un esperto di vampiri neonati» spiegò Esme.
«Visto?» mi disse Jasper, sporgendosi verso di me e sorridendomi sornione.
«Entrambi siamo bravi con le creature morte».
«Ma davvero?» dissi, giocherellando con la mia collanina. Jasper si ritrasse.
I miei amici erano d’accordo per l’allenamento alla battaglia e lo ero anch’io.
«Fantastico» continuò il vampiro idiota. «Rifocillatevi e riposate. Domani vi
aspetta una giornata d’allenamento».
I vampiri ci offrirono un comodo posto per dormire. Loro non
lo facevano. Esme e Rosalie ci prepararono anche da mangiare. Una volta lavati
e cambiati ci avviammo verso la Foresta. Grazie a Zeus non pioveva, ma l’aria
era umida e i capelli mi si appiccicavano sulla fronte.
Ria indossava sempre quella fascia rossa, nonostante fosse consumata, che le
teneva i capelli in modo che non le ricadessero sulla fronte, mentre io, Eles e
Mel ci toccavamo di continuo la faccia per scacciarli via.
«Non guardatemi» disse Ria. «Non ho elastici nella mia borsa». Mel, Eles e io
sbuffammo all’unisono.
Rosalie lo notò e si avvicinò con degli elastici per capelli e delle spazzole.
«Grazie.»
La bionda mi guardò con i suoi occhi dorati e tristi e sorrise.
«Volete che vi aiuti?» chiese, gentile. Sembrava sperare tanto in un sì, così
annuii. «Avrei voluto dirvi di legarvi i capelli stamattina, ma non volevo
sembrare una rompiscatole».
«Non saresti sembrata rompiscatole, tranquilla» disse Mel.
Rosalie le sorrise e si avvicinò a me, con la spazzola e un elastico. Ero più
bassa di lei, quindi non ci fu bisogno di sedermi da nessuna parte.
Mi voltai e lasciai che mi pettinasse i capelli.
«Come mai hai i capelli così corti solo sulla nuca e ai lati?» chiese,
pettinando la parte lunga dei capelli.
«Sono molto comodi» replicai.
«Come sono neri!» esclamò. «Li porti piuttosto lunghi per essere una guerriera».
Quella parola, “guerriera”, suonò un po’ strana ma in modo piacevole.
«Bè, questa è la mia prima impresa...Non sono una guerriera, non ho nemmeno
partecipato ad una battaglia»
«Oh, hai disarmato Jasper. È notevole. Sono certa che ti difenderai bene in
questa. Così sei figlia di Ade, eh?»
Cominciò ad intrecciare ciocche di capelli.
«Sì. Così si dice.»
«Non ne sembri convinta.»
«Non lo sono. Molti mostri che ho incontrato mi hanno chiamata prima figlia di
qualcuno e sono quasi certa di non essere figlia di Ade, tantomeno la prima. Ma
ho i poteri che un semidio figlio di Ade potrebbe avere. È molto strano.»
Non sapevo nemmeno perché le stavo dicendo i fatti miei, ma mi rassicurava e mi
fidavo di Rosalie.
«Già, strano» concordò la vampira. «Hai un ragazzo che ti aspetta al Campo?»
Diamine, no. Proprio quella domanda no! Sentii le guance avvampare al solo
pensiero del ragazzo.
«No» risposi, sperando di non aver fatto trasparire l’imbarazzo. Mel e Niall
ridacchiarono. Avevano capito.
«Da come arrossisci non si direbbe» disse Rosalie, con una nota canzonatoria
nella voce. Legò la treccia con l’elastico e poi mi guardò.
«Non preoccuparti, Teri, ho fatto una domanda troppo invadente.»
Non dissi altro per paura di morire per la vergogna. Come diventavo idiota
quando pensavo a lui!
«Stai benissimo» disse Rosalie, sorridendomi e sistemandomi la treccia che
partiva dalla nuca e lasciava in vista i capelli rasati. Ringraziai la vampira
e mi allontanai dal gruppo, cercando di far sparire il rossore dalle guance e
scacciare i ricordi. Ad un tratto vidi spuntare nella radura un gruppo di lupi
ben cresciuti. Erano enormi, molto di più di come ricordavo fossero i lupi. Mi
portai una mano al collo istintivamente, ma non sguainai la sciabola. Non avevo
possibilità davanti a quel branco, ma mi tenevo pronta in caso di necessità. Sentii
un belato e pochi secondi dopo Niall era vicino a me.
«Allontaniamoci» sussurrò al mio orecchio. Mi prese per un braccio e tornammo
vicino al gruppo di vampiri.
Bella guardò verso il branco come se avesse sperato che arrivassero.
«Non si fidano abbastanza da venire in forma umana» disse Edward a Carlisle.
«Sono venuti, questo è l’importante» replicò l’altro.
Carlisle diede il benvenuto a tutti e spiegò alcune cose sui neonati che noi
sapevamo già. Mi chiesi perché diavolo le stesse ripetendo rivolto ai lupi. Uno
di quei grizzly enormi, dal pelo rossiccio, si avvicinò a Bella e lei gli
gratto dietro le orecchie.
Eles mi precedette nel porre una domanda che sorgeva spontanea.
«Ma sono i vostri animali da compagnia o cosa?» domandò la figlia di Apollo,
prendendo il suo arco chiuso in un cilindro e facendolo aprire con il pensiero.
I lupi ringhiarono verso di lei.
«Hey, calmi!» replicò Niall «Non facciamo parte del vostro mondo, belli, quindi
spiegateci tutto senza innervosirvi!»
«Loro sono licantropi. Sono umani ma si possono trasformare in lupi, come
potete vedere, e hanno deciso di assistere al nostro allenamento contro i
neonati. E direi che sia anche il caso di iniziare.» spiegò Edward.
Jasper prese parola.
«Due cose importanti. Non permettetegli di stringervi le braccia intorno al
collo. Vi stritolerebbero. Secondo: non cercate una strada ovvia per ucciderli.
Non aspettano altro.»
Mi rivolse un sorriso sornione e gli scoppiai a ridere in faccia, seguita da
Niall. Jasper aggrottò la fronte.
«Che avete da ridere?»
«Ma ti sei visto?» disse Niall. «Hai duecento anni, una bella ragazza e ci
provi con una ragazza che preferirebbe staccarti la testa piuttosto che stare
con te»
Gli altri vampiri risero, Alice compresa. Jasper alzò un sopracciglio e diede
inizio all’allenamento.
L’allenamento fu piuttosto confusionale. I lupi si limitavano a guardarci e ad
ascoltare le spiegazioni di Jasper sui vampiri neonati.
«Potete ucciderli staccando loro la testa, ma i qui presenti
semidei non sono abbastanza forti, quindi loro useranno le loro armi. State ben
attenti a non avvicinarvi a queste armi, non toccatele nemmeno. Potrebbero
esservi fatali come lo sono per noi. Ria, ti dispiacerebbe mostrare a tutti il
tuo coltello?»
Ria rivolse a Jasper uno sguardo scocciato.
«E come dirti no...» borbottò Ria, sfoderando il coltello. Uno dei licantropi
si avvicinò e annusò il coltello. Poi si ritrasse come se puzzasse.
«Come potete vedere queste ragazze non sono semplici umane, quindi non
sentitevi in dovere di proteggerle dai vampiri. Bene, ora vi faccio vedere come
i vampiri combattono corpo a corpo».
Non fu facile vedere il combattimento. I vari membri della famiglia mostrarono
ai lupi cosa significava un corpo a corpo tra immortali.
Prendevano la rincorsa e poi non li vedevo più per la loro velocità. Mi
scocciai subito. Così improvvisammo un bersaglio in modo che Eles e Mel
potessero esercitarsi con l’arco mentre io, Ria e Niall ci allenammo con le
spade. Niall prestò a me e a Ria i suoi xiphos e ci esercitammo anche con
quelli. Mi sorpresi di quanto fossimo diventati più veloci, tutti quanti, nel
maneggiare le armi. Mancavano quattro giorni al solstizio d’estate ma non ero
in ansia come prima. Sapevamo ciò che causava il Tormento di Ade e avevamo
dalla nostra parte una famiglia di vampiri forti e un branco di licantropi.
Una volta che l’allenamento fu finito i vampiri conservavano un aspetto
tranquillo e riposato mentre noi eravamo sudati e stanchi.
Riponemmo le armi. Feci per seguire i vampiri e tornare in casa ma Mel mi
fermò.
«Aspettate. Dobbiamo comunicare con il Campo e solo ora è spuntato un po’ di
sole» disse.
Già, avevamo bisogno dell’arcobaleno. Dovevamo comunicare tramite un messaggio Iride.
Usare un cellulare sarebbe stato pericoloso. Eravamo già circondate da troppi
mostri.
Mel era qualche passo davanti a me e riuscì a collegarsi con il Campo e con
Chirone che la salutò, felice di vederla. Mi misi accanto a Ria e salutai il
centauro.
«Ciao ragazzi»rispose lui.
«Chirone, abbiamo delle novità»
«Lo immaginavo. Ditemi pure.»
Vidi che dietro di lui c’erano i tavoli e i ragazzi seduti a mangiare. Era ora
di pranzo lì. Una parte di me sperava che uno in particolare dei mezzosangue,
il cui solo pensiero mi aveva fatta arrossire alla domanda di Rosalie, sbucasse
accanto a Chirone e mi salutasse.
«Abbiamo scoperto cosa causa tutta quella confusione negli Inferi» disse Eles
«Un esercito di vampiri neonati che continua a crescere. Ma abbiamo incontrato
un clan di vampiri più vecchi che vuole uccidere quest’esercito e salvare la
città di Seattle e anche una loro amica umana che è in pericolo.»
Mel intervenne e spiegò com’erano fatti questi vampiri e parlò anche
dell’allenamento di quel giorno. In quel momento era più figlia di Atena del
solito.
«Presto ci sarà una battaglia, questione di qualche giorno» concluse la figlia
di Atena.
«Allora sarà il caso di mandarvi rinforzi» disse Chirone. «Vi trovate sempre a
Forks?»
«Sì, ma non è il caso» feci per rispondere, ma Chirone mi interruppe.
«Tranquilla Teri. Rachel ha detto di aver sognato tre semidei che dovevano
raggiungere voi cinque in una radura. Lei sogna spesso ciò che deve accadere.
Domani vi raggiungeranno tre semidei.»
«E chi sarebbero?» chiese Niall, ma accanto a Chirone comparve Leo Valdez, il
figlio di Efesto.
«Hey ciao, belli!» esclamò, sorridendo. «Come sta andando la vacanza?
Ovviamente sto scherzando, spero che riusciate a tornare presto al Campo.»
«Leo, torna dai tuoi fratelli» disse Chirone.«Non puoi sapere cosa succede nelle imprese inconcluse degli altri.»
«Oh, peccato. Buona fortuna, ragazzi. Ci vediamo presto!» fece un occhiolino. «Oh,
no aspettate! Arriva il fratellino, qui, Teri!»
«Hey, c’è Teri!» esclamò la voce di Gregor che raggiunse Chirone con Nico.
«Teri, come stai?» domandò Nico, apprensivo. Rivederlo mi fece sorridere.
«Sì, Teri, come stai? È in ansia, povero bimbo» lo schernì Leo. Nico lo
spintonò via, anche se sulle sue labbra c’era una parvenza di sorriso. Sorrisi
anch’io.
«Sto benissimo, Nico. Tornerò presto al Campo. Voi come state?»
«I miei incubi continuano» borbottò Gregor. «E quando mi sveglio non c’è la mia
sorellona che mi consola e mi lascia dormire con lei»
Le sue parole fecero suonare un campanello d’allarme nel mio cervello.
«Su cosa sono questi incubi?» chiesi.
«Sogno sempre strani...» La voce di Gregor fu coperta da strani fruscii e la comunicazione
si interruppe.
Poi il boato di un tuono.
Spazio autrice
Ed ecco il diciottesimo capitolo. Succedono parecchie cose in
questo capitolo, effettivamente. Me ne sono accorta solo rileggendolo. Anyways,
chiedo scusa per il ritardo, anche se non so a quanti interessi davvero lol. Purtroppo ho avuto una certificazione da conseguire,
sono stata senza Internet e ho tuttora un sacco da studiare per gli ultimi
compiti e interrogazioni. Menomale che alla fine dell’arena manca davvero poco.
Spero mi lasciate delle recensioni, anche critiche. Mi
farebbero davvero piacere.
Bacioni
Raggiungemmo i vampiri nella loro casa e ci sedemmo sui
divani, sfiniti.
Teri sembrava turbata da quando Gregor aveva parlato di quei suoi incubi, ma
non ne parlò e io non le feci domande. Ne avrebbe parlato se l’avesse voluto.
Mel mi chiese di cercare in uno di quei tomi che aveva preso dall’hotel di
Seattle qualche malattia o veleno che faceva pensare ad un semidio di aver
vissuto solo pochi anni invece che secoli interi.
«Io cercherò se la Foschia può fare una cosa del genere» disse la figlia di
Atena. Era davvero iperattiva, quella ragazza. Non riusciva a non fare niente e
ad oziare, mentre io ci riuscivo benissimo, ma non glielo dissi e la aiutai
nella sua ricerca. Doveva solo ringraziare che quei libri erano in greco e non
avevo difficoltà a leggerli.
Ovviamente Tyche, la dea della fortuna, non era dalla nostra parte e i libri
erano solo un vicolo cieco.
E poi Teri non parlava come se provenisse da un’altra epoca e aveva
un’espressione adulta ma non centenaria come quella di Chirone. I sintomi per
riconoscere una ragazza che ha vissuto attraverso secoli e secoli non c’erano.
Chiusi il libro, un po’ frustrata per non essere riuscita ad aiutare Mel.
«Mi dispiace, non ho trovato niente che potrebbe aiutarci»
Mel annuì, rassegnata e chiuse il libro, riponendolo nella borsa di Ria che
stava sonnecchiando sul divano.
Esme ci portò degli hamburger e delle lattine di Coca Cola.
«Oh, grazie tante!» esclamò Niall, fiondandosi sulle lattine.
«Aspetta che le finiamo, almeno!» ribattei, afferrando la mia lattina prima che
finisse tra i denti del satiro.
Emmett guardò ammirato Niall divorare lattine di Coca Cola e si sfidarono a chi
ne mangiava di più in meno tempo.
Nonostante la battaglia imminente i Cullen sembravano tranquilli. Forse era
solo la loro capacità di mantenere la calma a darmi quell’impressione, o Jasper
aveva influito su di loro in qualche modo.
Trascorremmo la giornata nell’ozio più totale. Prima di andare a dormire Teri
annunciò che mancavano tre giorni al solstizio d’estate.
Il giorno dopo fu il campanello a svegliarci. Andai al piano inferiore di corsa
per aprire la porta, ma fu Edward ad aprire.
Finnick, il fratello di Percy, Aurora, figlia di Afrodite e Rose, figlia di
Dioniso erano sull’uscio, e non appena videro Edward aggrottarono la fronte.
«Oh, voi siete i rinforzi!» esclamò il vampiro.
Finnick si piazzò davanti alle due ragazze con fare protettivo.
«Tu chi sei?» domandò, sospettoso. Edward trattenne una risata.
«Ragazzi!» esclamai, andando alla porta. «Avete fatto un buon viaggio?»
Edward si fece da parte e fece cenno ai nuovi arrivati di entrare. Finnick
entrò e mi abbracciò.
«Noi stiamo bene. Voi, piuttosto. Vivete con questi cosi?» chiese, preoccupato.
«Loro sono un clan di vampiri...ehm...buoni» spiegai. «Loro vogliono uccidere
l’esercito di neonati che sta causando disagi negli Inferi.»
Finnick guardò sospettoso Edward, poi si strinse nelle spalle. Edward si
allontanò nell’altra camera, ridacchiando.
«Se lo dici tu»
Poco dopo scesero dal piano superiore Teri e Ria.
«Oh, siete arrivati!» esclamò Ria.
«Sei davvero una grande osservatrice, Capitan Ovvio!» rispose Rose, ridendo.
Ria rise e poi le scompigliò i capelli ricci.
«Ti sei tagliata i capelli!» disse la figlia di Nemesi.
«No, li ho mangiati.» ribatté Rose.
«Okay, scusa, ho la sindrome di Capitan Ovvio. Sembri un barboncino, ora. Bau!»
Rose le rivolse uno sguardo scocciato, ma poi rise.
Teri salutò i tre nuovi arrivati e quando abbracciò Aurora, la figlia di
Afrodite esclamò: «Piccolo panda-corno!»
Teri rise e abbracciò Aurora, contenta di vederla. Non sapevo
che fossero amiche.
Mel e Niall ci raggiunsero e salutarono i nuovi arrivati.
«Hey, perché avete tutte la treccia?» chiese Finnick.
«Una vampira ci ha pettinate così, ieri, e si è rivelata comoda come
pettinatura.» spiegai.
«Mi ricordate...Oh, lasciamo perdere. Bene. Ora che ci siamo tutti devo
parlarvi di una cosa» annunciò Finnick.
«Frena» disse Mel. «Vuoi che i vampiri la sappiano?»
«Preferirei di no» replicò il figlio di Poseidone.
«Bene, allora andiamo via di qui. I vampiri hanno orecchie piuttosto potenti.
Stasera rientreremo»
Prendemmo i nostri zaini e ci avviammo fuori. Non c’era bisogno di avvisare i
vampiri. Ci avevano già sentiti.
Una volta lontani abbastanza, ci sedemmo su un marciapiede vuoto.
«Allora?» chiese Teri.
«Abbiamo bisogno di altri due guerrieri. La profezia di Rachel diceva che due
persone presenti e tre future porteranno alla vittoria la battaglia. Aurora e
Rose sono persone presenti, io sono futuro. Ci servono altri due guerrieri
futuri, e sono le mie amiche del futuro, Katniss e Johanna.» spiegò Finnick.
«E come diavolo facciamo a chiamarle? I messaggi Iride non funzionano ed è
impossibile trovare lo stesso punto nel Labirinto di Dedalo» ribattei.
«Non ricordate la vostra profezia?» replicò Rose. «Solo una può la difesa organizzare»
«Una di voi può ritrovare quel punto del Labirinto dove Crono ha lasciato il
suo potere e chiamare Katniss e Johanna dal futuro.» continuò Aurora.
«E come facciamo a sapere chi di noi è?» chiese Ria.
«Lo sapremo non appena arriveremo nel Labirinto. La destinata a organizzare la
difesa saprà dove andare e cosa fare per creare un portale» rispose Mel.
«Ora il problema è trovare uno degli ingressi del Labirinto.» replicò Niall.
«Ci ho già pensato io» intervenne Finnick. «Seguitemi»
Finnick noleggiò due auto con un documento falso. Il noleggiatore sembrava
sospettoso quando vide che eravamo sei ragazze più piccole e due ragazzi di
diciotto e venticinque anni ma non fece storie quando Niall gli diede i soldi.
Andai in macchina con Finnick, Aurora e Rose. Gli altri quattro viaggiavano
nell’altra macchina e ci seguivano.
Finnick guidò fino alla riserva del posto, La Push.
Anche se piovoso, lo stato di Washington era affascinante. Tutto quel verde mi
piaceva e l’Oceano dall’altro lato mi incantava. Sentivo prudere le mani per il
desiderio di sedermi lì, con l’infinito davanti e ritrarlo con i miei pastelli.
Il viaggio durò troppo poco tempo. Finnick parcheggiò e scendemmo dall’automobile.
Gli abitanti del posto sembrarono non fare troppo caso a noi.
Finnick si avviò verso una capanna degli attrezzi abbandonata.
«Sei sicuro?» chiese Niall.
«Sì, me l’ha mostrato Chirone» replicò l’altro.
Entrò nella capanna e si guardò intorno.
«Ci siamo!» esclamò, indicando una parete. Il simbolo del delta era intagliato
nel muro.
Finnick lo sfiorò e il delta si illuminò di una lieve luce dorata. Il pavimento
si piegò in modo strano e si trasformò in una scalinata che scendeva verso il
buio.
«Che figata!» esclamai.
Finnick si tolse lo zaino dalle spalle e lo aprì. Prese il suo tridente senza
manico.
«Ciao» disse Finnick, e il tridente vibrò appena e il manico si allungò.
«Vi conviene fare lo stesso con le vostre armi» ci suggerì.
Presi dalla faretra il cilindro che era il mio arco e gli ordinai di aprirsi.
Ria sfoderò il coltello, Niall trasformò le stampelle, Mel tirò il cappio
ritrovandosi Oxypetes tra le mani,
Teri sguainò la sua sciabola.
«Sembrate così fighi quando prendete le vostre armi!» esclamò Rose, prendendo
l’elsa dorata di una spada dallo zaino. La agitò appena e ne sbucò fuori una
lama dello stesso colore.
«Ma solo io ho una spada che non si apre in modo così figo?» chiese Aurora,
prendendo una spada simile a quella di Rose dalla sua fodera.
«Anch’io ho una normalissima fodera» disse Ria, ridendo.
«Ah, menomale. Pensavo di essere una sfigata anche nella mia nuova vita»
«Una figlia di Afrodite non può essere una sfigata!» esclamai.
«Io lo ero!» replicò Aurora. «Sono sempre stata troppo alta per qualsiasi
ragazzo. È frustrante.»
Effettivamente Aurora era alta quanto Finnick, ma aveva un bel viso, niente aria
da sfigata. Aveva i capelli castani con le punte verde acqua, gli occhi grandi
e scuri e una spruzzata di lentiggini che la rendevano dolce come i panda che
tanto amava. Il suo viso era delicato e gentile. Aurora scherzava sempre e a
volte era un po’ infantile per i suoi diciassette anni, ma non appena prese la
sua spada e entrò nel Labirinto assunse un’aria seria e determinata.
«Qualcuna di voi sa dove andare?» chiese Rose.
«Non ancora» risposi.
«Peggio che andar di notte» replicò Teri.
«Niente da fare» aggiunse Ria. Mel scosse la testa.
Percorremmo un corridoio lungo trenta metri e svoltammo a sinistra.
Camminammo per altri venti metri guardandoci intorno quando sentimmo un sibilo
nell’oscurità.
Niall si tappò il naso.
«Qui la puzza di mostri si fa molto più forte» disse.
«Oh, andiamo bene!» esclamò Finnick. «Venite fuori e facciamola finita!».
I mostri di solito non tendono ad ubbidire ai semidei. Ma evidentemente il fascino
di Finnick aveva influenza anche su di loro. Fummo circondati da più di dieci
basilischi, strani serpenti con una corona a circondare la loro testolina.
Uno di loro sibilò contro di me e gli scoccai una freccia in gola, facendolo
sparire in una nuvoletta di polvere.
Finnick ne infilzò due con il suo tridente, Teri ne mozzò tre con un solo
fendente. La spada di Aurora ne trapassò un altro.
In otto fu facile ucciderli subito.
«Ben fatto!» esclamò Niall. Ma lo disse troppo presto. I basilischi cominciarono
a piovere dal soffitto.
E non erano un gruppetto da dieci. Ci spostavamo come potevamo, ma il corridoio
era troppo angusto e i basilischi ci sbarravano la strada sia da destra che da
sinistra.
«Sono troppi!» disse Ria, proteggendosi la testa con il suo scudo. Un basilisco
mi cadde sulla spalla e il tessuto arancione della maglietta fumò e la pelle
sfrigolò. Una fitta lancinante mi prese la spalla e sentii le lacrime riempirmi
gli occhi e i conficcai i denti nella lingua per non urlare. Niall trafisse due
basilischi contemporaneamente con i suoi xiphos
e Finnick lo aiutava con il tridente, ma non serviva a molto. Più basilischi
uccidevano più ne cadevano dal soffitto.
Aurora mi porse veloce un cubetto di ambrosia. Lo ingoiai. Aveva il sapore
delle focaccine farcite di mia madre e il dolore alla spalla si affievolì. Non
feci in tempo a sorridere per il sollievo che un altro basilisco mi cadde sulla
gamba. Lanciai un urlo. Rose si proteggeva il viso, Ria cercava ancora di ucciderli
ma era stanca. I serpenti continuavano a cadere e a ferirci.
«Basta!» gridò Teri. «Andate via, basta!»
I serpenti sibilarono qualcosa all’unisono.
«Bonjour finesse!» esclamò Teri, alzando gli occhi al cielo.
«I basilischi ti parlano? E ti dicono parolacce?» chiese Finnick.
Teri ignorò la domanda e si rivolse di nuovo ai serpenti.
«Continuate a ostacolarci e dirò a mio padre di trasformarvi in scarpe per
Caronte»
I basilischi sembrarono disgustati all’idea e strisciarono via, smettendo anche
di piovere dal soffitto.
Aurora e Ria diedero un cubetto di ambrosia a tutti.
Aurora me ne diede un altro spezzato a metà.
«Non dovremmo esagerare, ma prendilo. Non puoi andare in giro con quella gamba»
Ringraziai la figlia di Afrodite e ingoiai la metà del cubetto. La ferita
guarì, ma i jeans restarono bruciacchiati.
Quando mi rialzai fui investita da una strana sensazione.
«Seguitemi. So dove andare» dissi. Ebbi la consapevolezza che fossi io a dover
organizzare la difesa e a sapere dove si trovasse la parte del Labirinto in cui
Crono aveva lasciato parte del suo potere.
Mi sentii fiera e contemporaneamente troppo debole per una responsabilità così
grande.
Niall camminò accanto a me e mi sorrise. Non mi disse niente, ma mi sentii
rassicurata dalla sua presenza.
Quando ero in quella scuola era l’unico che mi parlava come se fossi una
persona normale, non una popolare a cui leccare i piedi. La maggior parte dei
ragazzi tentava di iniziare una conversazione facendomi i complimenti, Niall
no. Mi accorsi subito che sarebbe stato una persona importante per me, ma non
in quel senso. Sarebbe stato importante come amico, quasi come un fratello.
Mentre camminavo e mi avvicinavo al posto in cui avremmo fatto un portale, mi
resi conto di non ricordare più nemmeno uno dei nomi delle amiche che mi
circondavano quando frequentavo quella scuola. In due settimane avevo
dimenticato i loro nomi. Forse due mesi dopo avrei dimenticato anche i loro
volti. Mi sentii un po’ cattiva nei loro confronti, ma non potevo farci niente
se le loro personalità e le cose che dicevano erano sempre le stesse e le
rendevano così banali e facili da dimenticare.
Il Labirinto si faceva sempre più freddo e puzzolente. Sembrava
di stare in una fogna. Gocce di umidità ci cadevano addosso e facevano
rimbombare un fastidioso ticchettio nei corridoi.
«Eles, sei sicura?» mi chiese Rose. «Non ci stiamo perdendo, vero?»
«No. Sono sicura che sia per di qui.» replicai. Era difficile da spiegare.
Sapevo quale corridoio prendere, quale direzione seguire come se avessi fatto
quel percorso già più volte.
Mezz’ora dopo mi fermai ad un incrocio.
«È qui» annunciai.
Finnick si guardò intorno.
«Sì, riconosco questo posto ma non sarei stato capace di ritornarci»
«Bene» disse Teri «Ora come si evoca un portale temporale?»
«Ho letto da qualche parte che ci vuole stabilità e forza emotiva per farlo»
rispose Mel.
«Bè, allora io mi tiro fuori!» esclamò Finnick.
«Eles, tu devi farlo» affermò Niall. «Tu sei quella di cui parla la profezia e
tu devi aprire il portale»
Annuii senza dire altro.
«Sai come fare?» chiese Aurora, sorpresa.
Non le risposi. Mi concentrai sulla parete, poi chiusi gli occhi.
Sentii il vento muoversi dalle fessure del muro e una luce accendersi,
accecante. Poi caddi all’indietro.
Spazio autrice Salve! Mi sento leggermente più soddisfatta dei capitoli, probabilmente
perché l’azione comincia a muoversi.
Che ne pensate di questo crossover? Mi piacerebbe una recensione.
Ringrazio Kalyma P
Jackson per le sue recensioni sempre gentili, e come sempre, invito a
passare a leggere la sua fan fiction.
Un bacione e buone vacanze!
L’impatto del corpo di Eles contro il mio non fu piacevole.
Sbattei la schiena contro la parete opposta e trattenni un’imprecazione.
La figlia di Apollo mi porse la mano e l’accettai, lasciando che mi aiutasse a rialzarmi
in piedi. Sulla parete la luce accecante era sparita e al suo posto c’era un
cerchio dorato.
Due ragazze comparvero nel cerchio. Sembravano essere in una stanza e noi
vedevamo da fuori alla loro finestra.
Una aveva i capelli mori legati in una treccia, gli occhi grigi e la carnagione
olivastra. L’altra aveva i capelli corti e neri, i lineamenti più duri. Quella
con la traccia cullava un neonato dagli occhi verdemare e gli cantava una
canzone su un salice ombroso in fondo al prato.
«Finnick, ma quello è...» sussurrò Aurora, sorridendo.
Finnick si avvicinò al cerchio e guardò quel bambino tra le braccia della
ragazza.
«Katniss! Katniss, sono qui!» gridò Finnick.
Le due ragazze non si voltarono. Finnick fece per prendere la rincorsa e
saltare nel portale.
«No, Finnick!» urlò Mel. «Se
entri nel portale non potrai più tornare indietro!»
Niall e Teri fermarono Finnick, che piangeva e si dimenava. «Lasciatemi!»
Nonostante tutte le urla di Finnick le due ragazze e il bambino sembravano
tranquilli.
«Sai, Finnick, tuo padre è stato un grande eroe» disse la ragazza con la treccia
al bambino. «Porti il suo stesso nome, sai? Sono certa che sarebbe stato così
felice di vederti. Hai i suoi stessi occhi.»
Le guance della ragazza erano solcate dalle lacrime, e anche Finnick non
smetteva di singhiozzare.
«Perché non ci sentono?» chiesi a Mel.
«Eles, devi essere tu a parlare. Tu hai evocato il portale e se tu parli loro
vedranno noi e ci sentiranno.»
«Oh, wow.» disse Eles. Le due ragazze si guardarono con aria interrogativa.
«Hai detto qualcosa?» chiese quella con la treccia all’altra.
«No, credevo che tu avessi parlato» ribatté l’altra.
«Ehm, sono qui. Katniss, Johanna, io sono Eles. Vengo dal passato.»
Katniss e Johanna si voltarono verso di noi e sbiancarono in volto. Johanna si
portò le mani alla bocca e Katniss si affrettò ad appoggiare il bambino nella
culla.
«F-Finnick?» balbettò Johanna.
«Johanna, Katniss! Mi hanno salvato. Mio fratello mi ha salvato dagli ibridi e
mi ha riportato nel passato e ora sono intrappolato qui» spiegò in fretta
Finnick.
«Tuo fratello?» chiese Katniss, con aria interrogativa. «Non sapevo nemmeno che
ce l’avessi, un fratello. E come sei ritornato nel passato?»
«Non c’è tempo per spiegarvelo. L’unico modo per tornare nel futuro è che voi
veniate qui, combattiate con me contro alcune...creature e poi potrò tornare
con voi a Panem, vedere mio figlio e riabbracciare Annie. Vi prego, ragazze. Ho
bisogno di voi»
Johanna e Katniss si guardarono.
«Lascio il bambino a Peeta e vado a prendere l’arco.» disse Katniss.
«La mia ascia è sempre qui» replicò Johanna, prendendo la sua arma.
«Bene!» esclamò Finnick, speranzoso. Katniss prese il bambino e uscì dalla
camera. Tornò pochi minuti dopo e al posto del bambino aveva un arco e una
faretra.
«Come funziona questa merda?» chiese Johanna, avvicinandosi al portale.
Sembrava che ci separasse solo un vetro.
«Saltateci dentro» rispose Mel. «Prendete la rincorsa e saltate. Non vi
schianterete.»
Katniss e Johanna studiarono un po’ sospettose Mel, ma poi fecero come aveva
detto.
Mentre prendevano la rincorsa noi facemmo qualche passo indietro.
Katniss e Johanna uscirono letteralmente dalla parete mentre il cerchio dorato
dietro di loro si chiudeva.
Caddero in piedi e poi si fiondarono ad abbracciare Finnick. Entrambe
singhiozzavano. Doveva essere importante per loro.
Quando si staccarono dal figlio di Poseidone, si presentarono.
«Dobbiamo andare via» disse Niall. «Non è saggio restare qui».
Eles ci condusse per altri corridoi, diversi da quelli che avevamo già
percorso, o almeno così mi sembrava.
«Eles, forse tu sapevi dove andare fino al punto in cui Crono ha lasciato il
suo potere...Magari ora non...» dissi.
La figlia di Apollo mi guardò torva.
«Scusa!» replicai, ridendo.
Ad un tratto la terra tremò.
«Dobbiamo correre» annunciò Eles. Come se fosse una novità. Dietro di noi un
rumore di ciottoli che cadevano si faceva sempre più forte. Imboccammo un
corridoio. Le mie gambe ormai andavano da sole.
Ringraziai le driadi per aver insistito nel allenarmi alla corsa.
Eles frenò all’improvviso, e per poco non cademmo tutti.
Era un vicolo cieco e i ciottoli continuavano a cadere, bloccando il percorso
dietro di noi.
Sul muro c’era una scritta in greco antico.
«Che diavolo è scritto?» chiese Johanna.
«Lasciate le armi se dall’ombra volete liberarvi.» leggemmo in coro.
«Impressionante» sussurrò Katniss. «Finnick, da quando sai una lingua antica?»
Ricordai che le due ragazze non sapeva che fossimo semidee. Gliel’avremmo
spiegato presto.
«È la lingua parlata in un posto chiamato Grecia, ma era parata tantissima anni
fa. Si chiama greco antico. Te lo spiego dopo» replicò Finnick.
«Dobbiamo lasciare le armi» disse Mel. «Altrimenti resteremo bloccati qui»
«Sì, ma dovremmo combattere una battaglia là fuori e le armi ci servono!
Stupido muro» ribatté Niall.
Dieci punti dorati si illuminarono in cerchio sulla parete.
Una voce cortese rimbombò nel corridoio, mentre il soffitto continuava a cadere
a pezzi.
«Dieci, nove...» cominciò a contare la voce femminile.
«Dobbiamo lasciare le armi!» gridai, cercando di sovrastare il rumore dei
mattoni e la voce. «Altrimenti ce le toglierà e moriremo qui! Dobbiamo
conficcare le armi nel muro, in corrispondenza dei punti dorati.»
«Otto, sette...»
Una freccia si conficcò in uno dei cerchi. Mi girai e vidi Katniss che
riportava il braccio lungo il fianco e sorrideva per aver fatto centro.
Mel e Eles si affrettarono a fare lo stesso. Dalla freccia che aveva scoccato
Eles cominciò a brillare un raggio di sole. Johanna, invece ficcò la sua ascia
nel puntino dorato.
«Sei, cinque..»
Conficcai il coltello avvelenato nel punto dorato, mentre una sciabola nera
sibilò accanto al mio orecchio e trafisse un altro dei punti dorati.
«Quattro...»
«Finnick!» gridai. «Lascia il tridente!»
Il figlio di Poseidone guardò il suo tridente, titubante, mentre Aurora e Rose
trapassarono altri due punti della parete con le loro spade dorate.
«Niall, che aspetti?»
«Tre, due...»
Niall e Finnick conficcarono lo xiphos e il tridente nei due punti dorati
rimasti giusto in tempo.
«Uno» concluse la voce.
I mattoni continuavano a cadere e ad avvicinarsi, murandoci vivi, mentre le
nostre armi scivolavano nella parete come se stessero scendendo nelle sabbie
mobili.
«Bella idea!» urlò Niall, guardandomi arrabbiato.
Ormai le frecce erano state sommerse dal muro, si intravedevano i pomoli delle
else delle spade e il manico del tridente di Finnick.
«Mi dispiace!» gridai. «Vedevi un’idea migliore? Con nessuna delle nostre armi
saremmo riusciti a sopravviver...»
Non finii la frase. La parete esplose tra polvere e ciottoli e volai in aria.
Il mio coltello fu spinto via dall’esplosione, ma fu come se il tempo
rallentasse. Riuscii a chiudere le mie dita intorno all’impugnatura. Poi caddi
per terra.
Quando riaprii gli occhi vidi il cielo scuro. Chissà per quanto ero rimasta
svenuta. Un altro giorno andato, pensai. Ma avevamo trovato altre due
guerriere.
«State tutti bene?» chiese una voce femminile. Mi sembrò fosse Rose. Tenevo
stretto tra le mani il mio coltello.
«Credo di avere ancora la testa attaccata al collo» mormorai, cercando di
alzarmi.
La schiena protestò per lo sforzo, ma mi rimisi in piedi.
Eravamo fuori dal Labirinto, nella riserva dei Quileute, La Push. C’era un falò
acceso in lontananza e molte persone erano lì intorno. Pensai a qualche
tradizione della riserva. Guardai i miei amici. Finnick, Teri, Katniss e
Johanna erano ancora svenuti, ma tenevano stretti tra le mani le loro armi.
«Solo io sono riuscita a recuperare la mia spada nell’esplosione?» chiese Rose,
mettendosi seduta sul prato e massaggiandosi le spalle.
«No, anch’io ci sono riuscita.» rispose Aurora, guardando ammirata la sua
spada.
Niall si alzò con non poca fatica.
«Dobbiamo tornare dai Cullen» disse. «Siamo rimasti molto nel Labirinto. Lì il
tempo passa più in fretta anche se non ci si diverte. Sbrighiamoci».
«Niall, non sarà facile trasportare quattro ragazzi svenuti alti e muscolosi»
osservò Mel, alzandosi in piedi e pulendosi i jeans.
Eles mise la sua freccia un po’ bruciacchiata sulla punta nella faretra e
controllò lo stato del suo arco. Sorrise. Non l’aveva rotto.
«Sono ancora privi di sensi?» chiese Eles. «Fammi dare un’occhiata.»
Eles si avvicinò a Katniss e le misurò il battito cardiaco dal polso. Poi fece
lo stesso agli altri tre.
«Il battito cardiaco è rallentato, ma stanno recuperando. Noi siamo rimasti
svenuti solo per qualche minuto perché siamo più piccoli. L’esplosione sembra
aver avuto un effetto più forte sui più forti del gruppo. Teri sarà la prima
svegliarsi, Finnick l’ultimo»
«Complimenti, dottoressa!» esclamò Niall, sorridendo. Eles ricambiò il sorriso,
un po’ imbarazzata.
Teri si risvegliò in modo più brusco rispetto agli altri. Borbottò dei “no” e
poi aprì gli occhi di scatto e urlò: «Gregor!»
La sua mano era stretta intorno alla sua spada.
Si guardò intorno, con il fiatone.
«L’esplosione...» mormorò. «Sono riuscita a recuperare la sciabola mentre
saltavo via»
«Sì, tutti ci siamo riusciti. Ho recuperato la freccia al volo» disse Mel,
dandole pacche rassicuranti sulle spalle.
Teri guardò Mel e poi l’abbracciò forte. La figlia di Atena restò un po’
sorpresa per quell’abbraccio. Teri non era una ragazza affettuosa.
Teri si alzò, un po’ barcollando, e abbracciò tutti.
«Siete vivi» sussurrò.
«Hai chiamato Gregor» dissi. La figlia di Ade annuì.
«Il Campo era stato attaccato da strani ragni enormi. Mi catturavano e mi
costringevano a vedere ogni singolo Mezzosangue ucciso.»
Anche Katniss, Johanna e Finnick si risvegliarono urlando un nome, ma non ci
spiegarono cos’altro avessero visto nel sogno.
Si pulirono i vestiti e poi tornammo nelle auto, diretti al noleggio.
Andai in macchina con i tre guerrieri futuri
e con Eles.
Finnick raccontò tutta la storia, degli ibridi, di Percy, del Campo Mezzosangue
ma la cosa che sorprese di più le sue amiche fu la sua discendenza da
Poseidone.
«Io ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di divino in lui» disse Johanna,
facendoci ridere.
«Bene, ragazze. Siamo arrivati al noleggio» annunciò Finnick. «Riponete le
armi.»
Tornammo a casa Cullen a piedi. Rosalie e Esme furono felici di rivederci,
Alice di meno. Bé, non potevo mica essere simpatica a tutti. Ci accomodammo sul
divano mangiando la pasta che Rosalie aveva preparato.
Carlisle, Emmett, Edward e Jasper raggiunsero il salotto.
«Così sono queste le creature che seguono le mode di Capitol City?» chiese
Johanna. «Si modificano la pelle geneticamente così che possa brillare?»
Finnick per poco non si strozzò con il cibo per trattenere le risate e Katniss
rise così forte che finì per lacrimare.
«Oh, andiamo!» esclamò Jasper. «Smettetela con queste battute sulla nostra
pelle!»
«Scusate» disse Finnick. «Ma è una cosa che voi vampiri capirete nel futuro,
quando gli Stati Uniti diventeranno Panem. Effettivamente voi a Capitol City vi
trovereste bene.»
«Okay, cambiamo discorso!» intervenne Emmett. «Voi siete i rinforzi?»
«Con loro vinceremo» risposi. «Loro sono quelli di cui parla la Profezia.»
«Fantastico. Allora sarà meglio che vi spieghi il piano.»
«Il nostro obiettivo è proteggere Bella, il vostro uccidere i
neonati affinché negli Inferi tutto torni normale.» iniziò Edward.
«Collaboreremo con i nostri nemici mortali, i licantropi, per adempiere al
nostro obiettivo. Bella starà in montagna con me e uno dei licantropi, Jacob
che coprirà il suo odore, ma Alice sa già che non basterà.»
«Non ci interessano i tuoi drammi, abat-jour» disse Johanna. Edward sembrò
trattenersi da alzare gli occhi.
«Noi uccidiamo l’esercito di Victoria e magari anche lei, ma se la tua ragazza
è indecisa tra un ghiacciolo fatto di glitter e un lupo un po’ troppo cresciuto
non sono problemi nostri»
Per la prima volta vidi sul volto di Edward un’espressione sbigottita. Ma si
riprese subito.
«Victoria cercherà noi ed è affamata di vendetta. Non affrontatela da soli. Non
vi sto sottovalutando, Katniss, so quanto forti e preparati siate ma
concentratevi sui neonati. Voi siete un esercito formidabile, molto di più di
quello che ci aspettavamo e vi ringraziamo per aver attraversato un intero
continente o un portale temporale per aiutarci. Ve ne sono davvero grato».
I suoi occhi dorati erano tristi ma determinati. Mi dispiacque per lui e sperai
che andasse tutto come voleva, anche se la mia opinione su chi avesse subito il
vero torto non cambiava.
Mi sentii comunque molto onorata dalle sue parole. Edward ci sorrise appena,
poi riprese la sua espressione dura.
«Attireremo i neonati con l’odore di Bella nella radura. Sarà più facile per
tutti combatterli» proseguì il vampiro.
«La battaglia sarà domani».
Spazio autrice Rieeeccomi, pepz!
Scusate per il ritardo, ma c’è una serie tv che mi sta prendendo e mi dimentico
sempre di aggiornare.
La storia sta più o meno per finire. Dopo il prossimo capitolo, restano solo
due o tre capitoli di conclusione, che pubblicherò tutti insieme.
Ringrazio la mia costante lettrice Kalyma P Jackson e vi invito a leggere la
sua fan fiction, che è davvero stupenda e originale.
Bacioni!
Quella mattina svegliarmi non fu difficile. Avevo dormito
pochissimo per colpa delle parole di Edward per darci la buona notte. “La
battaglia sarà domani”. Bel modo di augurare sogni d’oro! Per lo meno avremmo
distrutto ciò che causava il Tormento di Ade in tempo per il solstizio.
Aprii gli occhi un secondo prima che suonasse la sveglia.
Tutti i non vampiri si alzarono di scatto, me compresa. Ci augurammo un buon
giorno e poi scendemmo in cucina per mangiare. Esme e Rosalie erano state
gentilissime anche quel giorno. Sentivo lo stomaco chiuso e un nodo in gola, ma
mi sedetti a tavola con gli altri.
Johanna, Katniss e Finnick non fecero tanti complimenti e divorarono il proprio
piatto di uova, bacon e salsicce.
Mi concentrai sull’uovo, ma non appena ne misi in bocca un pezzo sentii lo
stomaco brontolare. Lasciai il piatto lucido e quando alzai gli occhi mi
accorsi che tutti avevano mangiato tutto.
«Sono contenta che vi piaccia la mia colazione» disse Esme. «Avete bisogno di
energia».
«Grazie tante. Sei stata gentilissima, Esme» risposi, sorridendole. La vampira
mi accarezzò una guancia con fare materno, poi si allontanò per andare a
vestirsi.
«Rosalie, ti dispiacerebbe rifarmi quella bella treccia che mi hai fatto
l’altro giorno?» chiese Teri.
«Hey, la voglio anch’io!» esclamai.
«Anch’io!» si aggiunse Eles.
Rosalie rise.
«Certo, bambine, vado a prendere la spazzola. Voi sedetevi allo sgabello
accanto al divano.»
«La treccia piace a tutti» disse Katniss, sistemandosi la propria.
Due minuti dopo Rosalie era di ritorno con la spazzola.
Mi sciolse la treccia ormai sfatta e mi pettinò i capelli ricci, per poi
intrecciarli in una perfetta treccia castana che mi ricadeva sulla spalla
destra.
Quando fummo tutte pettinate, facemmo a turno per andare in bagno e lavarci.
Sembrava che ci stessimo preparando per un giorno qualsiasi.
Il nostro abbigliamento da battaglia era lo stesso dei giorni precedenti, ma
rinunciammo alla giacca a vento che avevamo indossato sempre in quei giorni
nello stato di Washington.
Noi semidei indossavamo la maglietta arancione del Campo Mezzosangue, i jeans e
le scarpe da ginnastica. Aurora e Rose avevano al collo un laccetto di cuoio
con due perline di argilla, simbolo delle estati che avevano trascorso lì,
invece Niall aveva tante perline al collo, ma la maglietta era la stessa. Quel
giorno non mise i piedi finti, preferiva mostrarsi nella propria natura.
Mi chiesi se Teri avrebbe dovuto indossare due collane, quella del Campo e la
sua sciabola camuffata, alla fine dell’estate.
Johanna e Katniss indossavano pantaloni neri aderenti, una canotta nera di
pelle e stivali dello stesso colore e dello stesso materiale.
I Cullen erano pronti già da un pezzo.
«Pronti?» ci chiese Jasper.
Johanna sollevò la sua ascia e se la mise in spalla come se fosse uno zaino.
«Sono nata pronta, biondino».
Jasper alzò un sopracciglio e rivolse il suo sguardo alla finestra.
«Sarà meglio per voi. Andiamo».
Carlisle aprì la porta e, da bravo gentiluomo, lasciò che fossero prima gli
ospiti ad uscire dalla casa.
Raggiungemmo la radura a piedi, seguendo i vampiri che si
stavano trattenendo per non correre.
Dopo dieci minuti di cammino tra i boschi arrivammo nella radura, che era
deserta.
«Preparate le armi. Stanno arrivando» annunciò Carlisle.
Sentii lo stomaco serrarsi e i muscoli irrigidirsi. Soffiava un vento leggero
che muoveva appena la mia maglietta. Strinsi le dita intorno al cappio
dell’elastico e lo tirai. La sensazione familiare del mio arco argentato mi
rassicurò appena.
Oxypetes era uno degli archi più comodi del mondo. L’unica freccia ricompariva
non appena ne veniva scoccata una e non perdevo nemmeno tempo nel allungare una
mano nella faretra e incoccare una nuova freccia.
I Cullen erano vestiti di nero, fermi ma pronti a scattare. Nonostante fossero
creature inquietanti da un lato e un po’ ridicole dall’altro in quel momento
sembravano modelli sexy pronti per girare la pubblicità di un profumo.
«Eles, Mel, Katniss» ci chiamò Jasper. «Voi non avvicinatevi troppo alla
battaglia. Siete arcieri, potete uccidere da lontano»
Annuii. Sentivo la foresta dall’altro lato della radura che tremava.
«E se li facessi ubriacare?» chiese Rose, ridendo. «Oh, giusto. Voi bevete
sangue, non vino. Il sangue non è il settore di Dioniso».
«Chissà se qualcuno di loro ha mai ucciso un panda» disse Aurora. «Potrei
chiederglielo. “Mi scusi, signor vampiro, ma lei si nutre di panda?” Perché se
hanno mai bevuto sangue di panda è probabile che siano dolci come loro e me ne
potrei adottare uno come animale domestico. “Hey Larry, non bere il sangue dei
tuoi amichetti!”».
Ridere mi venne più facile di quello che mi aspettassi. Poi Aurora notò il
tremolio della foresta e aggrottò la fronte.
Non era un esercito, era una mandria sparpagliata.
«Oh, molto bene, iniziamo!» esclamò la figlia di Afrodite.
I neonati partirono all’attacco. Io seguii il suggerimento di Jasper e mi
arrampicai su una roccia ai confini della radura.
Scoccai due frecce consecutive in fronte a due vampire dai
capelli biondi. Forse erano modelle prima di diventare succhia - sangue a
tradimento.
I Cullen si muovevano in fretta quanto i neonati e saltavano atterrando altri
vampiri come se non avessero fatto altro nella vita.
Esme afferrò per il collo una vampira e Carlisle la decapitò con un pugno.
Scorsi Ria dall’altro lato della radura che infilzava il coltello nel braccio
di un vampiro che a sua volta aveva afferrato Rose per una gamba.
Finnick, che con la maglietta del Campo aveva un’aria più giovane, colpì con il
bastone del tridente un vampiro dietro di lui per poi infilzare quello davanti
a lui con le tre punte acuminate della sua arma. Poi con un solo braccio spezzò
la testa a quello che stava dietro di lui.
Quando staccavano parti del corpo ad un vampiro si sentiva un rumore simile a
quello degli alberi sradicati e pestati.
Vidi Teri correre verso di me.
«Mel, no!» gridò. Capii
all’istante ciò che voleva dire.
C’era una vampira dai capelli lunghi e neri dietro di me. Non feci in tempo a
far scoccare la freccia. Fece volare via l’arco e mi atterrò con un pugno.
Sentii il sangue riempirmi la bocca e dei puntini gialli danzare davanti agli
occhi.
La vampira rise, crudele, ma poi spalancò gli occhi e con un gemito cadde a
terra. Sputai il sangue.
Teri sfilò la sua sciabola nera dallo stomaco della vampira e mi diede una mano
ad alzarmi.
«Grazie» dissi.
«Se muori tu, muoio io» rispose, porgendomi l’arco che era finito in un cespuglio.
Afferrai Oxypetes.
«Intendi che si è creato un collegamento empatico tra me e te?» le chiesi.
Teri ignorò la domanda e guardò oltre le mie spalle, verso la battaglia. Mi
aveva praticamente risposto.
«Io li colpisco con le frecce e tu li infilzi come spiedini. Le nostre armi
bastano da sole per ucciderli, ma avere una certezza in più non è un male»
dissi, dando un’occhiata ai neonati che sembravano non finire mai.
Alice ne atterrò e decapitò uno con un pugno.
«Andiamo» rispose Teri.
Scese dalla roccia con un balzo. Un vampiro che correva verso di lei ricevette
una freccia argentata dritta in un occhio e subito dopo fu spezzato a metà da
una sciabola nera.
Sentii un’esplosione a qualche metro dalla roccia su cui mi trovavo io.
Katniss aveva fatto appena esplodere due vampiri con le sue frecce esplosive.
Alcuni raggi di sole illuminavano la radura, ma non venivano dal cielo. Non
appena le frecce di Eles centravano il bersaglio le vittime urlavano dal dolore.
Rose e Aurora si proteggevano le spalle, Johanna liberò un licantropo dalla
stretta di un vampiro mozzandogli la testa con l’ascia.
Mi guardai intorno, cercando Niall e il panico prese possesso di me. Non vedevo
il satiro da nessuna parte.
Scesi dalla roccia e corsi nella radura, scansando neonati morti e cercando il
mio migliore amico. Quando lo vidi gridai con tutto il fiato che avevo nei
polmoni.
Un vampiro lo prese dalle zampe e l’altro circondò il suo collo con le braccia.
«No, lasciatelo, bastardi!» gridai. Scoccai una freccia verso la tempia del
secondo. Teri squarciò la gola all’altro.
Niall si massaggiò il collo.
«Grazie ragazze» mormorò. Teri gli diede una mano a rialzarsi e io presi i suoi
xiphos dal prato per restituirglieli ma non appena appoggiò una zampa sul
prato, belò per il dolore.
La sua zampa era piena di sangue. Uno di quei neonati l’aveva morso. E il
veleno di vampiri su un satiro o su un mezzosangue non aveva l’effetto che
aveva sugli umani. Era fatale. Ritrasformai Oxypetes in un elastico.
«No, lasciatemi qui!» gridò. «Voi siete quelle preziose, non io!»
«Non dire queste cose!» esclamai, soffocando le lacrime.
«Niall, ti riporteremo al Campo e i figli di Apollo ti cureranno!»
Il mio pensiero andò subito a James, poi mi obbligai a concentrarmi. Niall tossì.
«Siete così testarde...Mel, attenta!»
Abbassai la testa appena in tempo per evitare il colpo di un neonato. Afferrai
lo xiphos di Niall e feci per affondarlo nel braccio di quel mostro, ma riuscì
a placcare il fendente.
Continuavo a lottare con quel vampiro con i fendenti dello xiphos e lui con le
sue braccia. Era molto più alto di me e io cominciavo ad essere stanca e a
perdere colpi. I suoi occhi rossi mi guardavano come se fossi il suo cibo
preferito.
Teri stava spostando Niall dalla radura alla foresta e non mi avrebbe salvata.
Inciampai e caddi all’indietro. Il vampiro mi prese dalle gambe e ridacchiò.
«Hai un buon odore» disse con voce roca. Il suo alito puzzava di sangue. Era
l’unico odore che sentivo. Le mie orecchie percepivano ancora i rumori di
alberi spezzati intorno a me. Pregai gli dei che tutti gli altri stessero bene.
La morte in battaglia era onorevole, ma essendo appena la prima non ci vedevo
poi tutto questo onore. Teri sarebbe morta per colpa mia.
Nonostante stessi a testa in giù riuscii a pensare. Se fossi riuscita a
incastrare il cappio dell’elastico vicino a quella sporgenza della roccia sarei
riuscita a liberarmi dal troglodita che mi teneva a testa in giù.
I pallini gialli riempirono di nuovo il mio campo visivo. Ne avevo visti così
tanti durante quell’impresa che avrei potuto decorarci l’albero di Natale.
Mi sporsi appena in avanti e incastrai il cappio di Oxypetes nella roccia.
Tirai con tutta la mia forza e l’arco argentato mi comparve di nuovo tra le
braccia. La freccia partì all’istante, centrando la milza del vampiro che mi lasciò
andare come se scottassi.
Vidi il fumo uscirgli dalle orecchie. Stava letteralmente bruciando dentro. Mi
rimisi in piedi.
Scorsi Esme che lottava con una neonata ed era in serie difficoltà. Tirai
l’arco e la freccia partì, trafiggendo la gola della neonata. Esme si voltò
verso di me e mi sorrise.
I neonati sembravano essere molti di meno, ma non per questo meno forti. Vidi
un licantropo dal pelo rossiccio mugolare quando uno di quei mostri gli sferrò
un pugno.
Teri corse dalla foresta e mi guardò per un solo istante, annuendo. Aveva messo
in salvo Niall.
Quel collegamento empatico era una figata, ma dovevo stare attenta a non farmi
uccidere.
Avevo tirato così tante frecce che ormai le dita si erano indolenzite. I corpi
definitivamente morti dei vampiri giacevano sul prato. Cullen, licantropi,
Mezzosangue e guerrieri dal futuro: eravamo ancora tutti vivi.
Johanna aveva il viso sporco di terreno e di graffi, ma la sua ascia era ancora
affilata e fatale per qualsiasi neonato che le si avvicinava. Ammiravo quella
donna.
I neonati non osavano più nemmeno avvicinarsi a Ria e a Teri, ormai etichettate
come “pericolo vivente”. Katniss e Eles non tiravano più frecce, ma gli archi
erano sempre tesi e le loro dita in posizione. Finnick sorrideva e ruotava il
tridente con fare teatrale. La battaglia era vinta.
Peccato che lo pensai troppo presto. Ci stavamo riavvicinando ai Cullen quando
due neonati, un uomo e una donna, corsero nella nostra direzione, urlando. Fu
un attimo. Troppo veloce.
La donna prese Rose per i capelli e la sbatté a terra.
Puntai l’arco e scoccai la freccia, contemporaneamente a Eles e a Katniss. Le
tre frecce non diedero la minima speranza alla vampira.
Un nuovo gruppo di neonati, circa dieci o quindici, spuntò dalla foresta e
attaccò. Sembravano più forti e più veloci degli altri, o forse noi eravamo
troppo stanchi. I Cullen partirono veloci come razzi. Teri e Finnick ne fecero
fuori due con un solo colpo contemporaneo.
Furono spacciati in poco tempo, ma non abbastanza.
Aurora era china su Rose e la scuoteva.
«Idiota, svegliati!» disse la figlia di Afrodite. Le sue ultime parole prima
che un vampiro l’afferrasse dal collo. Jasper balzò e gli ruppe la testa con un
pugno. Il corpo del vampiro cadde in avanti e Aurora con lui, sbattendo la
testa contro la roccia. Non volevo credere a ciò che era appena successo.
Come poteva essere successo in così pochi secondi? E perché i vampiri, pur
essendo veloci, non avevano fatto niente? Solo un secondo dopo mi accorsi di
Esme accanto ad Aurora, ma non aveva fatto in tempo, nonostante tutta la
velocità che ci aveva messo.
Ria lanciò un urlo disperato. Afferrò Rose e abbracciò il suo corpo.
«No, Rose, non puoi...Non ti azzardare, barboncino!» disse la figlia di Nemesi,
accarezzandole i capelli. Ma quando spostò la mano dai ricci della figlia di
Dioniso si ritrovò le dita insanguinate e cacciò un altro urlo, scoppiando in
lacrime.
Teri cadde in ginocchio accanto ad Aurora.
«Mi dispiace» mormorò, chinando la testa sul corpo della figlia di Afrodite.
«Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace...»
Mi avvicinai alla figlia di Ade e appoggiai una mano sulla sua spalla.
«Teri, non avresti mai fatto in tempo» mormorai.
Teri non rispose e capii che voleva essere lasciata in pace.
Ricordai la profezia che diceva che non avremmo trovato il fallimento. Chirone
ci aveva detto che non avremmo dovuto interpretarla così alla leggera. Ed aveva
ragione. Non avevamo fallito nella nostra missione. I neonati erano morti, quindi
negli Inferi tutto andava per il meglio e non ci sarebbe stata nessuna guerra
tra gli dei.
“Non abbiamo vinto” pensai, guardando Teri, Ria e Finnick piangere sui corpi di
Rose e Aurora. “Abbiamo perso due eroine”.
Spazio autrice
Mancano solo pochissimi capitoli finali, che pubblicherò tutti insieme perché
sono piuttosto corti e poveri di trama vera e propria.
Questa battaglia non mi piace come l’ho raccontata, è la prima volta che ci provo.
Anyways, the end iscoming.
Non salutammo i Cullen. La famiglia si fermò a parlare con una
vampira neonata che sembrava molto spaventata. Così prendemmo i corpi di Aurora
e Rose e li seppellimmo vicino ad un albero.
«Sono certa che andranno nei Campi Elisi» dissi. Gli altri mi guardarono con
espressioni interrogative.
«Sento che le stanno giudicando, negli Inferi» spiegai. Era il funerale più
brutto che potessimo fare. Non una tomba, non una parola da dire. Solo
tristezza.
Mi asciugai una lacrima, quando successe una cosa strana.
Sulla terra smossa nacquero dei fiori bianchi.
«Wow» mormorò Katniss.
«È straordinario» dissi, ammirata. Sembravano essere nati dal nulla.
«Mi mancheranno» intervenne Ria, fissando le tombe.
Katniss si portò le tre dita centrali della mano sinistra alla bocca, vi lasciò
un bacio e poi tese il braccio in aria.
Finnick e Johanna fecero lo stesso.
«Che significa?» chiese Mel.
«Significa grazie, significa ammirazione, significa addio a qualcuno che ami»
rispose Katniss.
Feci lo stesso gesto, mentre le lacrime mi pizzicavano gli occhi. Era quello
che provavo per Aurora e Rose.
«Ragazzi, è ora di andare» disse una voce alle nostre spalle. Mi voltai di
scatto e vidi una donna. Aveva i riccioli castani e un vestito dai colori tenui
che cambiavano ad ogni suo passo. I suoi occhi cambiavano come il suo vestito.
Mi accorsi che ogni volta che si muoveva i fiori nascevano accanto a lei.
«Persefone» dissi. Una delle dee che non era affatto a mio favore. Ero figlia
del tradimento di suo marito, non potevo mica essere la sua migliore amica. Era
lei ad aver fatto nascere quei fiori sulle tombe di Rose e di Aurora.
«Prendete questi fiori e tornerete al Campo» proseguì Persefone. Ai nostri
piedi nacquero papaveri rossi e crebbero così alti che mi sfioravano le mani.
«No, dobbiamo prima prendere Niall. Stava quasi morendo!» ribatté Ria.
Persefone sorrise, cortese. «Tranquilla, piccola semidea, il tuo satiro è
tornato al Campo, dove lo stanno curando. Non avrebbe mai resistito a nove ore
di aereo per tornare a New York. Ora, sbrigatevi. Finnick, se vuoi salutare tuo
fratello devi muoverti. Presto tornerai nel futuro con Katniss e Johanna».
Finnick annuì e ringraziò la dea.
«Siete tre eroi sia nel presente che nel futuro. Ma qui non potete fare più
niente. Nonostante il vostro aiuto sia stato utile, non siete riusciti a
risolvere il problema che affligge questo mondo»
«Come sarebbe a dire?» mi intromisi. «I neonati sono morti»
Persefone mi guardò dritta negli occhi, ma non aveva uno sguardo infastidito,
come mi aveva raccontato Nico. Non trasparivano emozioni.
«I neonati non erano la causa del Tormento degli Inferi. Servivano per
distrarre dal vero problema che, purtroppo, Ade non è ancora riuscito a
identificare. Tuttavia, siete stati coraggiosi e avete aiutato chi aveva
bisogno di voi. Ora, però, è tempo di andare. Reggetevi forte» concluse la dea,
prima che afferrassimo i papaveri. Poi un vento forte si alzò e ci spinse in un
vortice di luce e fiori.
Riaprii gli occhi e mi ritrovai al Campo. Varcai l’ingresso e vidi che gli
altri campeggiatori stavano pranzando.
«Bentornati a casa» mormorò Eles.
«Già» risposi, con un sorriso accennato.
«Coraggio» disse Mel. «Andiamo».
«Vengo anch’io, se non vi dispiace!» esclamò un’altra voce.
Mi girai e vidi che Persefone era venuta con noi.
«Lei è la benvenuta, divina Persefone» rispose Finnick.
Quel ragazzo aveva proprio il savoir faire. Superammo l’anfiteatro e
raggiungemmo gli altri Mezzosangue. Non appena ci videro tutti corsero a salutarci,
come avevano fatto per Leo e Gregor o per Arika, Finnick e Nico quando erano
rientrati dall’impresa. Ero ormai una di loro e questo mi rendeva felice.
Alcuni figli di Apollo insistettero per portarmi in infermeria, ma io non mi
ero mai sentita così bene.
Poi videro Persefone dietro di noi e le rivolsero un inchino.
Quando Chirone la vide, sorrise. Sembrò come se avesse risolto un problema
particolarmente difficile.
«Okay, okay, tornate a pranzare e date aria ai vostri amici!» esclamò il signor
D, facendosi spazio tra i semidei che, ovviamente, non lo ascoltarono.
Poi ci guardò, come se cercasse qualcuno.
«Dove sono le altre due semidee? Pandora e Rose?»
«Aurora, signore».
«È lo stesso. Dove sono?»
Le lacrime mi riempirono gli occhi per la seconda volta in quel giorno. Come
avrei fatto a dire ad un padre, seppur divino, che sua figlia era morta?
«Mi dispiace...» mormorai, abbassando lo sguardo.
Dioniso annuì, come se si aspettasse quella risposta.
«Non è colpa tua, Teri». Poi si allontanò senza dire altro e andò nella Casa
Grande.
Aveva davvero azzeccato il mio nome? Sentii una fitta di pietà nei confronti
del signor D.
I figli di Afrodite tornarono ai loro posti, in silenzio.
Sentii delle braccia che mi stringevano forte e poi una massa di capelli neri
spettinati.
«Sei viva!» esclamarono Nico e Gregor. Ricambiai il loro abbraccio e ricacciai
le lacrime indietro.
Accanto a me Percy stringeva Finnick, contento di vederlo.
«Percy, loro sono Katniss e Johanna. Sai, le mie amiche del futuro.»
Percy annuì e sorrise, presentandosi.
«Finnick mi ha parlato molto di voi» disse.
Katniss e Johanna sorrisero.
«E lui ci ha parlato di te, Percy» replicò Katniss. «Ti portiamo i
ringraziamenti di Annie per averlo salvato, oltre che i nostri. Sei davvero un
eroe».
«Non avrei mai lasciato morire mio fratello».
Finnick sorrise e Katniss e Johanna si allontanarono, capendo che era il
momento di andare.
Mi avvicinai a loro, seguita da Eles, Mel e Ria.
«È stato un onore conoscervi» disse la figlia di Nemesi.
«Grazie per aver salvato lo Stato nel futuro» aggiunse la figlia di Atena.
Katniss e Johanna accennarono un inchino.
«Anche per noi è stato un onore entrare, anche se per appena un giorno, in
questo meraviglioso mondo di eroi» rispose Johanna.
«E voi, ragazze, continuate così. Siate forti e non permettete a nessuno di
rovinare la vostra amicizia» continuò Katniss.
Scambiai uno sguardo con le mie tre compagne d’impresa e sorrisi. Erano davvero
diventate le mie amiche.
«Andiamo a sentire cosa dice Finnick a Percy» propose Katniss.
Così ci avvicinammo ai due figli di Poseidone.
«Percy, grazie per avermi salvato. Ti porterò per sempre nel mio cuore, anche
se sei tanto più vecchio di me» Percy fu travolto da ciò che quelle parole
significavano e strinse Finnick in un altro abbraccio. Finnick ricambiò
l’abbraccio, senza trattenere troppo le lacrime.
«Mi mancherai» mormorò Percy. «Possano gli dei essere sempre a tuo favore».
«Anche tu, fratellone. Grazie di tutto. Credo proprio che il secondo nome di
mio figlio sarà Perseus».
Percy rise tra le lacrime.
Finnick, Katniss e Johanna si avvicinarono e le due ragazze gli diedero una
pacca rassicurante sulla spalla.
Poi diventarono dorati e si sollevarono di qualche centimetro da terra, come se
volassero.
Le tre sagome dorate alzarono le tre dita centrali della mano sinistra verso di
noi e poi sparirono.
Arika era andata ad abbracciare Ria quando vidi un ragazzo dai capelli ricci
correre verso i tavoli. Veniva dalle fucine.
«Hey, ma non si mangia og...» fece per chiedere, ma si interruppe non appena mi
vide.
«Teri!» esclamò Leo, sorridendo e spalancando le braccia.
Corsi ad abbracciarlo. Mi aggrappai forte a lui, per paura che svanisse come
era successo nei miei incubi della notte precedente, ma le sue braccia erano
reali e mi stringevano al suo corpo.
«Mi sei mancata» sussurrò al mio orecchio. «Sei stata contenta quando ti ho
salutata nel iPhone?»
«Speravo lo facessi, sai?» risposi, respirando il suo profumo.
Sentii le sue dita giocare con la mia treccia.
«E questa?» chiese.
«Me l’ha fatta Rosalie, una vampira» spiegai. Già, Rosalie.
Mi sentii un po’ in colpa per non averla salutata. Le avrei anche detto che sì,
c’era un ragazzo che mi aspettava al Campo ed era quello che mi stava
stringendo tra le sue braccia.
«Non ti ha tipo succhiato il sangue, vero?» domandò Leo.
«Se l’avesse fatto non sarei qui» risposi, guardandolo negli occhi. Lui sorrise
e percorse il profilo del mio zigomo con un dito, sfiorò la guancia e arrivò
alle labbra. Sentivo il cuore battere forte, ma non di paura, come mi era
successo in tutti quei giorni.
Leo si chinò appena e io chiusi gli occhi, aspettando di sentire le sue labbra
premere sulle mie.
«Scusate se vi interrompo»
Riaprii gli occhi e mi voltai. Persefone era lì, che guardava la scena
divertita.
«Perdonami, figlio di Efesto, ma ho bisogno di parlare con Teri».
Leo studiò la dea per qualche secondo, poi una lampadina sembrò accendersi
sulla sua testa.
«Oh, lei è...Accidenti! Salve Persefone!» esclamò, inchinandosi. Poi si rivolse
a me. «Teri, ci vediamo dopo?»
«C-certo» Leo mi stampò un bacio sulla guancia e si allontanò. Mi voltai verso
la dea.
«Sediamoci» disse Persefone, sedendosi per terra. Mi sedetti di fronte a lei,
sentendomi un po’ in imbarazzo.
«È grave?» chiesi.
«Dipende da come la prendi» rispose la dea, sorridendo.
«Bè, allora mi dica, divina Persefone»
«Leo è la tua prima cotta, Teri?» domandò.
Sentii le guance avvampare come quando Rosalie mi aveva fatto la domanda sul
ragazzo che mi aspettava al Campo.
Il mio rossore le diede la risposta.
«Ci tenete molto l’una all’altro e si vede» commentò.
Parlare di me mi metteva in imbarazzo e parlare di me e Leo ancora di più.
«Mi scusi, ma questo che centra?» chiesi.
«Oh, per tutti i pistilli, sei proprio uguale a tuo padre con
quell’espressione!». Non sembrava arrabbiata, piuttosto malinconica.
Considerando che non sapevo nemmeno se Ade fosse davvero mio padre pensai fosse
un complimento. Poi capii. Guardai Persefone negli occhi e tutto fu chiaro. Ma
non riuscii a crederci fin quando non me lo disse.
«Sono tua madre, Teri».
Scattai in piedi e mi portai una mano ai capelli, incapace di formulare un
pensiero e tantomeno una frase coerenti.
«Lascia che ti racconti» disse la dea. Riuscii solo ad annuire, ma non mi risedetti.
«Mi sono innamorata di tuo padre nell’agosto di sedici anni fa. Ero qui sulla
Terra con mia madre Demetra, e lo incontrai. Alto, muscoloso, carnagione di
porcellana, capelli lunghi, occhi tristi, molto chiuso in sé stesso. Assomigliava
molto ad Axl Rose*. Un rocker tenebroso, insomma. E
io decisi di farlo uscire dal suo guscio. E ci riuscii, innamorandomi. Una sera
Demetra non c’era e lui venne a trovarmi. Puoi immaginare cosa successe. Ma
quella sera, quando tuo padre andò via da casa mia per tornare nel suo
appartamento fece un incidente che gli è costato la vita. Era un segno delle Parche,
io non dovevo avere figli con i mortali. Poco meno di un mese dopo tornai negli
Inferi. Non potevo nasconderti per sempre, così ne parlai con Ade.
«Io amo tanto Ade, al contrario di quello che gli altri pensano.
Mi sono fatta rapire per trascorrere la mia vita con lui, mia madre non
approvava e così scendemmo al compromesso di passare sei mesi con mio marito e
sei mesi con mia madre. Tornando ad Ade, la prese abbastanza bene perché mi ama
e non ha avuto il coraggio di cacciarmi. Ha detto che ti avrebbe protetta e,
una volta arrivata al Campo, ti avrebbe riconosciuta come propria figlia.
Sapeva che avresti avuto sia i miei poteri di quando sono sulla Terra con mia
madre che quando sono negli Inferi con lui.
«Il ventisette aprile ero sulla Terra da ormai un mese e tu nascesti. Sei stata
la mia prima figlia, ecco perché i mostri ti stavano per chiamare “prima figlia
di”. Tornando alla tua nascita. Tua nonna, Demetra, ti adorava. Ade lasciò gli
Inferi, cosa che ha fatto davvero poche volte nella sua vita, e venne a
vederti. Mentre io non c’ero Demetra e Ade hanno deciso di trovare una persona
che ti avrebbe cresciuto. Io, ovviamente, non avrei potuto farlo giù, negli
Inferi. Saresti morta. Così Demetra trovò una contadina spagnola figlia di
semidei e le promise di farle avere un raccolto fertile per il resto della sua
vita se ti avesse cresciuta. Così sei cresciuta con zia Pia e hai preso il suo
cognome, Nabaci. Sei una semidea potente quanto Nico, il figlio di Ade, ma in
più hai poteri anche sulle piante, come un figlio di Demetra. Non molto forti,
certo, perché Ade ha fatto in modo che prevalessero i suoi, per non destare
sospetti. Purtroppo, in questo piano perfetto, non avevamo pensato ai mostri,
che avvertono certe cose. Tu sei la mia prima figlia, Teri, e quei fiori sulle
tombe di quelle due ragazze li hai fatti nascere tu».
Persefone finì di parlare e mi guardò negli occhi.
Mi accorsi di aver trattenuto il respiro per tutto quel tempo.
«Perché me l’hai detto solo adesso?» chiesi.
«Adesso è il momento giusto».
«È stato brutto perdere mio padre?».
Gli occhi della dea si riempirono di lacrime, o forse era solo un effetto dei
suoi occhi che cambiavano colore.
«Noi divinità non possiamo permetterci di rimuginare a lungo sul dolore».
Mi inginocchiai. Appoggiai una mano sul prato soffice e vi spuntò un papavero.
«Era il fiore preferito di tuo padre» disse la dea. Guardai Persefone e mi
sorrise.
«Gli somigli molto» proseguì.
«Cosa dovrei farci con questa?» chiesi, indicando la mia collana – sciabola.
«Ha il simbolo di Ade, non quello tuo».
«Ade sarebbe felice che la tenessi. Leo l’ha realizzata con tanto di
quell’impegno e ci ha addirittura fatto il simbolo di Efesto dall’altro lato!»
esclamò, per poi pizzicarmi appena la guancia. Sorrisi.
La dea si alzò in piedi con grazia.
«Grazie per avermelo detto» riuscì a dire.
«Lo meritavi, Teri. Tutti meritano la verità. E ti porto anche i complimenti di
Ade per come ti sei battuta con i mostri che hai incontrato. E ha detto che
puoi continuare a comportarti come sua figlia per minacciare i mostri».
«Ringrazialo da parte mia».
Persefone mi porse una mano e con un po’ di titubanza la strinsi. Era tiepida,
soffice ma forte.
Avevo ritrovato mia madre.
Spazio
autrice
Ed ecco risolto l’enigma delle origini di Teri, yay!
Figlia di un umano se pur rockettaro e di Persefone: stappiamo lo spumante! No,
okay. ‘Sto capitolo mi pare una lagna, ma c’era da spiegare le origini di questa
figlia di Ade/Persefone/Rocker a cui non ho dato un nome (povero).
Una recensione non sarebbe schifata, adieu.
Dopo una settimana
di pioggia, stress e terrori ero finalmente a casa. Appena arrivata i miei
fratelli mi accolsero calorosamente.
Michael e James mi presero in braccio, urlando «Per Eles, Hip- Hip» e gli altri
ragazzi della Cabina Sette urlavano «Hurrà!».
Will ci raggiunse più tardi, ma non appena mi vide mi abbracciò.
«Dov’è Aurora?» chiese, entusiasta. Fu allora che capii tutto. Ecco a chi era
destinato lo sguardo al tavolo Dieci durante il pranzo. Will guardava
Aurora.Mi si strinse il cuore. Come
facevo a dirgli che la sua cotta era morta? Non c’è ne fu bisogno. Chirone ci
disse di accomodarci ai tavoli per il pranzo.
Durante il pranzo regnava il più totale silenzio. Non c’erano nemmeno Ludkar e
Clive che bisticciavano come al solito, il che era strano. Non riuscii a
cercarli con lo sguardo, così chiesi a Butch, il capogruppo della cabina di
Iride, dove fossero i Crepuscolari e i Nocturni.
«A quanto pare Thara e Clive dovevano andare nel Cinerarium per controllare una
certa cosa, ma Ludkar e Kolor hanno insistito per accompagnarli. Nate ha
preferito restare solo» spiegò.
«Sta succedendo qualcosa lì, vero? In quel Cinecoso»
«Cinerarium. Sì, credo che presto chiederanno al Campo un aiuto più concreto
dell’ospitalità» rispose Butch. Tornai a sedermi e dopo alcuni minuti di
silenzio, Chirone ci chiese di parlare dell’impresa.
Le uniche voci erano quelle di Mel, Teri, Ria e la mia che raccontavamo la nostra
impresa: la pioggia perenne, Faia, le Gorgoni, i litigi, Roxy, il duello tra
Jasper e Teri, l’alleanza con i vampiri, il Labirinto e il portale, la
battaglia di quella stessa mattina e la morte di Rose e Aurora. Fui io a
parlarne, perché le voci di Teri e Ria si erano spezzate. Quando ebbi finito di
parlare aggiunsi “Mi dispiace, Will.”
Mio fratello scosse la testa e mi diede una pacca sulla spalla. Poi scostò il
piatto e si alzò, correndo via. Immagino fosse ragionevole non avere fame.
Aveva appena perso la ragazza che amava e avrebbe portato con sé il rimpianto
di non averglielo detto prima.
«Persefone mi ha parlato e mi ha raccontato la verità. Non sono figlia di Ade,
quindi lui non ha mai tradito il patto. Sono figlia di Persefone».
Nico spalancò gli occhi, e non fu l’unico. La mensa tremava di stupore.
«Significa che dovrai stare in un’altra cabina?»
Teri sorrise. «No, resto sotto la protezione di Ade, quindi sarò ancora tua
sorella».
Nico e Gregor sembrarono sollevati e gli altri Mezzosangue applaudirono, me
compresa. Poi si alzarono e fecero un inchino.
«Alla figlia di Persefone!» esclamarono. I figli di Demetra dissero
scherzosamente a Teri che ora erano tutti suoi zii.
Teri lasciò la parola a me, facendomi un cenno e parlai di Johanna, Katniss e Finnick
e del loro ritorno nel futuro.
Quando ebbi finito, Piper, il capogruppo della Cabina di Afrodite, si alzò in
piedi.
«Al tramonto bruceremo la bandiera per Aurora e Rose, nell’anfiteatro»
annunciò. «Immagino che volevate saperlo» concluse, guardando Teri e Ria e
accennando un lieve sorriso di cortesia. Le due ragazze annuirono e
ringraziarono.
Dopo pranzo andai alla parete per le arrampicate.
Sentire i muscoli e la mente collaborare per raggiungere un obiettivo mi
aiutava a non pensare al momento del funerale. Non ero fatta per stare lì,
immobile, a sentire belle parole in onore di persone che avevo visto morire. Il
solo pensiero mi faceva sentire inutile e piccola.
«Hey Eles!» mi chiamò una voce. Girai il collo senza staccarmi dalla parete e
vidi Liam. Per un attimo ricordai il panorama del quadro dell’hotel di Seattle
e il mio viaggio mentale a riguardo e per poco non mi ustionai con la lava che
scorreva dalla parete.
«Ciao Liam!» salutai, sorridendo.
«Ti va di allenarci con la spada? Non c’è nessuno di disponibile, quindi ho
chiesto a te» chiese, ridendo. Non capivo perché gli piacesse tanto prendermi
in giro. Bastava dire che gli piacevo.
Staccai una mano dalla parete e alzai il pollice in aria.
Mi lasciai scivolare lungo la parete e mi staccai dall’ imbracatura,
raggiungendo Liam.
«Fammi indovinare» dissi. «Non ti sono mancata».
Liam aggrottò la fronte.
«No, stupida. Non è vero»
«Non sapevi nemmeno che me ne sarei andata?» provai a indovinare. Liam scosse
la testa e mi abbracciò.
«Mi sei mancata, idiota» disse. Quella risposta era gentile e sospetta. E anche
il fatto che mi fosse così vicino era sospetto. Quanto distava tra le sue
labbra e le mie? Cinque, sei centimetri? Ma non poteva succedere davvero.
Avvertii il mio respiro farsi più corto e il cuore battere così forte da rimbombarmi
nelle orecchie.
«Non avevo nemmeno un altro avversario facile da battere e ho dovuto faticare
per vincere» sussurrò.
Lo spinsi via, ridendo.
«Ora ti riconosco, scemo! Mi stavi facendo preoccupare»
Liam rise, e vedendo il suo sorriso non potei fare a meno di fare lo stesso.
Pensai che se solo mi fossi sporta in avanti appena di più avrei potuto
baciarlo. Scacciai subito quel pensiero, dandomi dell’idiota.
«Ti piace?» domandò,
mostrando l’interno dell’avambraccio. Vi era tatuato il caduceo di Ermes.
«Dove l’hai fatto?»
«In città» rispose Liam, avviandosi verso l’armeria per prendere due spade.
«E sei uscito dal Campo per un tatuaggio?»
«Non ti piacciono i tatuaggi, vero?» Ero una ragazza all’antica, e davanti ai
tatuaggi e ai piercing storcevo il naso. Sì, ero strana, ma era una mia
caratteristica. Mia madre aveva tanti tatuaggi rappresentanti simboli un po’
strani sulle braccia, sul petto e sui fianchi quindi non avevo preso da lei.
Forse Apollo era contrario ai tatuaggi, ma se fosse stato così non si sarebbe
innamorato di mia madre che ce li aveva sin da giovane (avevo visto le sue
foto). Ero un’eccezione e non me ne vergognavo.
«Come fai a saperlo?»
Liam rise. «Sei una ragazza acqua e sapone» rispose, scrollando le spalle. «E
si vede». Era la prima volta che qualcuno mi diceva una cosa del genere.
Nessuno mi aveva mai definita “acqua e sapone”.
Raggiungemmo l’armeria e prendemmo una spada per ciascuno.
«Sì, una ragazza acqua e sapone capace di menartele» replicai, sorridendo e
ruotando la spada.
«Sì, certo. Staremo a vedere» rispose, sorridendomi sornione.
Scegliemmo una zona
d’ombra dell’arena per il duello e iniziammo l’allenamento. Liam era forte e
veloce, mentre io ero sempre tentata di allungare la mano dietro la schiena per
prendere una freccia che non c’era. Ma non per questo ero debole. Riuscivo a
parare i suoi colpi ma dopo alcuni minuti di fendenti e sudore abbassai la
guardia per la stanchezza e Liam mi puntò la spada al collo.
«Capace di menarmele, eh?» mi schernì.
«Proviamo a usare l’arco e vediamo chi vince» ribattei, ignorando la lama al
collo.
Liam rise e lasciò ricadere il braccio lungo il fianco. Riponemmo le spade e
poi andammo in giro per il Campo, fino ad arrivare alla riva di Long Island.
Ci stendemmo sull’erba che mi solleticava le braccia nude.
Ricordai quel pomeriggio, proprio sotto lo stesso albero, quando Finnick mi
aveva chiesto del disegno. Sembrava essere passato un sacco di tempo, invece
erano passati poco più di otto giorni.
Ero contenta anche di avergli dato il disegno del panorama di Long Island pochi
minuti prima che tornasse a Panem. Sperai che l’avesse conservato, e
soprattutto che conservasse il ricordo del Campo Mezzosangue così come io avrei
ricordato lui e il suo aiuto nell’impresa. Osservai un fiore ai piedi
dell’albero e ricordai Niall.
«Ti va di andare in infermeria?» chiesi. Liam si voltò verso di me e mi guardò
con quei meravigliosi occhi azzurri.
«Non è quello che definisco un appuntamento romantico» rispose, ridendo.
Repressi un sorriso ebete e pregai gli dei di non farmi arrossire. Ero abituata
ai complimenti e a quelle frasi per flirtare ma dette da Liam suonavano in modo
diverso.
«Infatti non lo è, idiota. Voglio andare a trovare Niall e mi chiedevo se volessi
accompagnarmi».
Liam aggrottò la fronte.
«E Niall sarebbe...?»
«Il mio custode, è un satiro» risposi, per poi ridere.
«Oh, bene. Allora andiamo». Mi alzai e lui mi seguì.
All’ingresso dell’infermeria trovai mio fratello James.
«Hey» lo salutai.
Jamesmi sorrise e si congratulò con me
per l’impresa. Quelle congratulazioni suonavano ancora strane alle mie
orecchie.
«Immagino tu voglia vedere Niall» disse, con la sua voce gentile. Annuii e
seguii mio fratello in un’altra stanza.
Liam era ancora dietro di me. La sua presenza mi confortava.
Mi avvicinai al letto di Niall, che dormiva. Le sue zampe erano coperte da un
lenzuolo che preferii non scostare. Davanti agli occhi avevo ancora l’immagine
del sangue che sgorgava dal morso di quel vampiro neonato.
«Come sta?» chiesi, sussurrando per non svegliare il satiro.
«Devi ringraziare Persefone. Se non l’avesse portato qui al Campo subito dopo
il morso, probabilmente non ce l’avrebbe fatta. È fuori pericolo».
Un’onda di sollievo mi invase dal petto in tutto il corpo. Sentii le spalle
liberarsi da un peso. Perdere il mio migliore amico avrebbe segnato la mia
vita. Avvertii come se i muscoli del mio viso si fossero rilassati e non potei
fare a meno di sorridere.
Abbracciai Liam per la felicità. Sembrò un po’ sorpreso, ma ricambiò.
Abbracciai anche James, ringraziandolo per averlo salvato.
«È il mio dovere curare, sorellina. Comunque Niall si risveglierà presto, ma
deve recuperare le forze. Ora meglio che andiate» ci disse James.
Lo ringraziai per l’ennesima volta e uscii dall’infermeria, felice. Liam mi
sorrise.
«Grazie per avermi accompagnata» dissi.
«Figurati» rispose, imbarazzato. Ricordai di averlo abbracciato e forse per
quello stava così. E se non avesse ricambiato? Nella mia popolarità avevo
sempre dato per scontato che piacessi ai ragazzi. Liam non ricambiava e quindi
voleva farmi il classico discorso “Restiamo amici, forse io ti ho fatto capire
qualcosa di sbagliato, ma tu per me sei come una sorella più piccola”. Per
evitare, parlai per prima. Se c’era una cosa che non avrei sopportato era
essere rifiutata.
«Ehm, scusa se ti ho abbracciato, prima, ma ero davvero troppo contenta. Se
Niall fosse...» mi mancò il fiato e mi rifiutai di dire quella parola. Non
sarebbe successo e basta. «Se gli fosse successo qualcosa di brutto io...io
sarei stata distrutta». Liam sorrise e mi scompigliò i capelli.
«Tranquilla, mi ha fatto piacere abbracciarti. È che non me lo aspettavo».
Mi sentii sollevata da quella risposta. Forse non era detto che non ricambiasse
i miei sentimenti. Ma preferii accantonare l’idea. Aveva tre anni più di me e
non ci conoscevamo tantissimo.
Mi sedetti all’ombra di un albero e Liam fece lo stesso.
«È successo qualcosa di speciale al Campo mentre non c’ero?»
«Mi sono fatto il tatuaggio» rispose, ridendo.
«Come sei narcisista» ribattei, dandogli uno schiaffo nello stomaco.
«Hey, vacci piano. Bè, quel tizio strano dai capelli rossi ha partecipato ad
una Caccia alla Bandiera e poi al falò serale si buttava nel fuoco senza morire.
Sembrava sparire per un attimo nelle fiamme e poi PUFF! Eccolo lì.».
«Ludkar? Certo che è strano».
«Già. Non è finita qui! Ha insultato Teri durante il falò e per poco Leo, Nico
e Gregor non lo prendevano a schiaffi».
«Wow. A parte Ludkar e il suo egocentrismo non è successo niente di
interessante?»
«È stata una settimana piuttosto normale per il Campo» disse Liam.
«Eles!» mi chiamò qualcuno. Alzai lo sguardo e vidi Ria, Teri e Mel che mi
raggiungevano.
«Ciao ragazze. Sedetevi pure».
«Veramente volevamo chiederti se ti andava di mandare un messaggio Iride ai
vampiri» disse Mel.
«Oh, certo!» risposi, entusiasta. Mi sarebbe piaciuto ringraziare i Cullen.
Erano stati gentili con noi e non avevamo nemmeno fatto in tempo a salutarli.
«Quanti ragazzi ci sono tra questi vampiri?» chiese Liam, con finta disinvoltura.
«Quattro, ma hanno tutti la ragazza» rispose Teri, spostando lo sguardo da me
al figlio di Ermes. Cercava di capire se stessimo insieme. “Magari” avrei
voluto dirle. Se avessi iniziato a viaggiare mentalmente sarebbe stata la fine.
«Fantastico, hanno dei sentimenti!» esclamò Liam, sarcastico.
«Non sono poi così male» dissi. «Erano bei ragazzi sia fuori che dentro. Jasper
era un po’ strano, però.»
Teri alzò gli occhi al cielo.
«Decisamente strano» ribatté.
«Come sarebbe a dire che erano bei ragazzi?» chiese Liam.
Le mie amiche stavano a stento trattenendo una risata.
«Bé, mi hanno spiegato che fa parte della loro natura essere attraenti. Serve
per attirare le vittime» spiegai.
Liam scrollò le spalle. «Non sono poi così straordinarie come creature».
«Ehm, andiamo a mandare questo messaggio, che ne dite?» mi affrettai a dire,
prima che le mie amiche soffocassero per le risate.
«A dopo, Liam». Esitai nel dargli un bacio sulla guancia, poi decisi che era
meglio dino. Balzai in piedi e mi
avviai verso una fontana con le mie amiche.
Spazio autrice
Okay, capitolo lento e stupido. Giusto per scrivere qualcos’altro sulla Liles, lol.
Il prossimo sarà il conclusivo, quindi non mi dilungo qui. Sciau :3
Dopo che ebbi lanciato la dracma nell’arcobaleno, il viso di
Rosalie comparve nell’iPhone.
«Rosalie!» la chiamò Teri, sorridente. Aveva ancora la treccia che la vampira
le aveva fatto.
Rosalie si guardò intorno, poi finalmente ci vide.
«Hey, ma che cos’è?» chiese.
«È un messaggio Iride» spiegò Mel.
«Wow. Fingerò di aver sapere esattamente ciò di cui state parlando. Ad ogni
modo, come state, ragazze? Siete praticamente sparite dopo la battaglia».
«Chi è?» chiese una voce accanto a Rosalie.
«Sono le semidee»
«Oh, ciao!» Esme comparve nell’iPhone.
«Ciao Esme!» rispondemmo all’unisono. Era praticamente una videochiamata e la
ritenevo una grandissima figata.
«Qui stiamo tutti bene, a parte qualche licantropo che è stato ferito. Carlisle
lo sta curando, ma sono certa che vi porti i suoi saluti. E voi?»
«Salutacelo anche tu» disse Eles. «Noi stiamo abbastanza bene. Finnick, Johanna
e Katniss sono tornati nel futuro e Niall è fuori pericolo».
Esme e Rosalie sorrisero.
«E i ragazzi che vi aspettavano sono stati felici di vedervi?» chiese Rosalie.
Le mie compagne arrossirono, e anch’io mi sorpresi a pensare ad un ragazzo del
Campo in particolare, ma scacciai immediatamente quel pensiero. Non potevo
seriamente pensare ai ragazzi, non a tredici anni. E poi era più facile fare
scherzi che provare a conquistare un ragazzo.
«Sì, è stato molto felice di riabbracciarmi» rispose Teri.
«Solo riabbracciarti?» domandò ancora Esme, facendo un sorrisetto. Teri rise,
ma non arrossì. Forse ci stava facendo la pelle a quelle allusioni.
«Esme, saranno fatti loro!» replicò Rosalie, ridendo.
«Volevamo ringraziarvi per averci accolte» dissi, prima che la connessione
decidesse di andare a farsi un giro. «E dite ad Edward che mi sbagliavo su
Victoria. Una donna capace di fare ciò che ha fatto a quei neonati, togliendo
loro la possibilità di vivere una vita felice, è davvero crudele e merita ciò
che le è successo».
«Come fate a sapere che è morta?» chiese Esme.
«Oh, io certe cose le sento» spiegò Teri. Infatti era stata proprio lei a dirci
che la sua morte si era completata. Nonostante fosse figlia di Persefone aveva
tutti i poteri di un figlio di Ade, mentre i poteri di sua madre erano limitati
a far sbocciare dei fiori. Mel aveva detto che non ci sarebbe mai arrivata
attraverso i libri.
«Bella come sta?» domandò la figlia di Persefone.
«Un po’ preoccupata per il licantropo, ma sta bene. Supererà anche questo»
rispose Esme.
Alzai lo sguardo verso il cielo e vidi che il sole era arrivato all’orizzonte.
«Dobbiamo andare» intervenni, sentendo un nodo serrarmi la gola. Il
braccialetto rosso vino che Rose mi aveva regalato quella sera di una settimana
fa o poco più sembrava essersi fatto più pesante. Adesso era un po’ scolorito
per via dell’acqua e del sudore, ma non l’avrei mai buttato.
Esme e Rosalie sembrarono capire all’istante.
«Ci dispiace» dissero. «Avremmo dovuto essere più veloci.»
«Non è dipeso da voi» replicai. «Ma da quei bastardi spuntati all’ultimo
minuto»
Esme sorrise. «Hanno avuto ciò che si meritano, Ria.»
«Lo so» borbottai. Ma non mi avevano restituito Rose.
«Buona fortuna per la vostra vita, ragazze, Alice ci ha detto che ne avrete
bisogno».
Mel fece per chiedere che cosa intendesse ma il messaggio Iride si chiuse.
Ci scambiammo degli sguardi interrogativi.
«Bé, la vita di noi semidee è fatta così» dissi. «Prima ci rassegniamo e meglio
è». Era probabile che non sarei arrivata nemmeno ai diciott’anni. Morire, però,
non mi sarebbe dispiaciuto perché, in fin dei conti, avevo portato già a
termine un’impresa. Ma veder morire le mie amiche...quello sarebbe stato
difficile da sopportare e non mi ero ancora rassegnata all’idea. Mi impedii di
pensare ad altro.
«Sarà meglio andare» disse Eles, dando un’occhiata al sole.
Ci avviammo, così, per l’anfiteatro.
Sentivo il cuore farsi sempre più pesante a ogni passo. Mi sembrava di
respirare acido e non ossigeno. Avevo affrontato neonati, minacciato una
vampira di ficcarle il coltello in un occhio, infilzato basilischi e combattuto
una scrofa piuttosto arrabbiata. Ma quello sembrava impossibile da affrontare.
«Hey, ragazze! Aspettate!»
Mi voltai e vidi Arika che correva verso di noi. Vederla fu un sollievo.
Aspettai che ci raggiungesse e facemmo la strada con lei.
I suoi occhi blu mi rassicurarono con una sola occhiata.
Strinsi le mani in pugni e cercai di non tremare. Arika se ne accorse perché mi
prese per mano e mi sorrise, cercando di infondermi coraggio.
Entrammo nell’anfiteatro quasi vuoto. Due stendardi, uno rosa con il simbolo
della colomba e uno viola, con il simbolo di un calice di vino erano appoggiati
alla parete. Ricacciai le lacrime e seguii Arika tra i posti. Ci sedemmo.
«Dì un po’» iniziò la figlia di Zeus. «Quanti mostri hai ucciso?». L’avrei
quasi abbracciata. Arika mi capiva così bene che avrebbe potuto essere mia sorella.
«Bè, non quanti avrei voluto» risposi, accennando un sorriso.
«Ma è vero che i vampiri ti leggono nella mente? L’ho sentito dire da qualche
figlio di Demetra mentre mi allenavo nell’arena».
«No»risposi aggrottando la fronte. «Ma
tutti possono brillare alla luce del sole».
«Forse sono discendenti di Trilli» disse Arika. Ridere mi fece bene, ma il peso
che mi sentivo addosso e che mi impediva di respirare non si alleggerì.
«Abbiamo anche incontrato degli ibridi che si erano nutriti sia di sangue umano
che di sangue divino. Erano qualcosa di disgustoso. ».
«Oh miei dei, e come li avete uccisi?»
«Non erano diversi dai soliti mostri, però uno stava per uccidere me. Il
loro...come lo posso definire? Padrino, ecco, era riuscito ad evocarle dal
futuro ma aveva fatto un mezzo disastro e le aveva nutrite con sangue umano e
sangue divino per rinvigorirle. Erano davvero qualcosa di orrendo. Ho ucciso il
tizio. Era un mostro crudele che si era nutrito anche lui di sangue umano e
divino e quando l’ho ucciso sembrava essere morto da umano. Mi sono sentita in
colpa, ma quando mi sono girata era sparito in una nuvola gialla».
Continuai a parlare con Arika delle tecniche che avevo usato per uccidere i
basilischi e gli ibridi. Avevo capito che lei stava cercando di distrarmi in
tutti i modi e lo apprezzavo. Mi accorsi che l’anfiteatro si stava riempiendo
intorno a noi. Quando tutti i posti furono occupati, smisi di parlare e guardai
verso lo stendardo viola. Mai la morte mi era sembrata reale come in quel
momento, nemmeno quando avevo visto i corpi avevo capito l’effetto come la
morte ha. Ora, ritratta nei volti dei mezzosangue, si riusciva facilmente a
cogliere. In prima fila erano seduti i figli di Afrodite e i figli di Dioniso.
Piper e Lucy, un’altra figlia di Dioniso, si alzarono e si avvicinarono agli
stendardi per poi appiccare il fuoco.
Tornarono al loro posto, senza versare una sola lacrima ma con lo sguardo
distrutto.
I miei buoni propositi di apparire fredda e arrabbiata andarono a farsi
benedire. Le lacrime scorrevano lungo le mie guance e un secondo dopo
abbracciai Arika e singhiozzai sulla sua spalla. La figlia di Zeus mi abbracciò
e mi accarezzò la schiena. Mi sentivo piccola e lagnona, ma mi beavo di quella
sensazione. Avevo avuto sin troppe responsabilità in quella settimana.
«Vuoi andar via?» chiese Arika, sottovoce.
Scossi la testa e mi asciugai le lacrime con le mani.
In lontananza scorsi Teri e Leo seduti vicini, con le mani intrecciate. Lei
aveva il volto rigato di lacrime, ma non singhiozzava.
Gli stendardi bruciavano lentamente, ma nessuno diceva una parola e io sapevo
perché. Non c’erano parole sufficienti a descrivere la crudeltà di ciò che era
successo. Erano giovani e buone, ma per le Parche non era abbastanza. Tutto
questo era scontato, ma non per questo riuscii a farmene una ragione.
Quando il fuoco fu spento, Eles si alzò in piedi.
«Non è una tradizione greca» disse. «Ma ce l’hanno insegnato i guerrieri dal
futuro. Significa grazie, significa ammirazione, significa addio a qualcuno che
ami» ripeté le stesse parole di Katniss.
Si portò le dita centrali della mano sinistra alle labbra e poi lanciò il
braccio in aria, indirizzandolo agli stendardi.
I Mezzosangue sembrarono un po’ sbigottiti, ma poi imitarono Eles.
Quel gesto riassumeva tutte le parole.
Uscire dall’anfiteatro fu un sollievo. Il sole era ormai tramontato e i semidei
si affrettavano a raggiungere i tavoli per la cena. Anche i gemelli Ripton
sembravano un po’ giù di corda. Meglio così. Non avevo voglia di pensare a come
vendicarmi. Mi sorpresi a guardare Daniel un po’ troppo a lungo.
«Sai, Ria» disse Arika, facendomi distogliere lo sguardo dal figlio di Ares.
«Credo che tu gli piaccia».
«Di cosa stai parlando?» risposi troppo in fretta per apparire sincera.
Ringraziai l’oscurità del crepuscolo che nascondeva le mie guance che si
tingevano di rosso. Come faceva Teri a controllare il rossore? Ah no, giusto.
Nemmeno lei ci riusciva così bene.
«Figlia di Nemesi, non stai parlando con un’idiota!» esclamò Arika, ridendo e
scompigliandomi i capelli.
«Sono piccola per pensare ai ragazzi» replicai, fingendo indifferenza.
«Tra tre mesi compirai quattordici anni»
«Non sono mica così grande»
«Sono tutte scuse, le tue! Vieni qui!»
Mi spinse a terra e cominciò a farmi il solletico sulla pancia.
Cominciai a ridere a crepapelle.
«Ba-ba-sta!» riuscii a dire, tra le risate. Dimenarmi era inutile, Arika era
troppo alta e troppo forte per me.
Quando si interruppe mi facevano male le guance per le risate.
«Hai scoperto il mio punto debole» dissi, alzandomi in piedi.
«Non è mica il solletico il tuo punto debole» replicò, guardandomi con i suoi
enormi occhi blu.
«E quale sarebbe?»
«Daniel» rispose, imitando una vocina stridula che non assomigliava affatto
alla mia.
«Oh, andiamo!»
«Ragazze, scusate il disturbo, avete per caso visto Teri?» chiese Leo,
interrompendoci.
«Era con te» replicai.
«Lo so, ma all’uscita dall’anfiteatro l’ho persa di vista e non la vedo»
«Starà con Nico e Gregor» ipotizzò Arika. Leo sembrò essersi convinto e andò a
cercare i fratelli della sua ragazza.
Raggiungemmo i tavoli per la cena. Feci per sedermi, ma la Crepuscolare di cui
non ricordavo il nome, si avvicinò al mio tavolo.
«Scusami, Ria, immagino tu preferisca stare da sola, ma vorrei farti una
domanda».
«Dimmi pure». Mi sentii in imbarazzo visto che lei sapeva il mio nome e io non
ricordavo nemmeno la lettera iniziale del suo.
«Hai visto Ludkar e Kolor? Non li vedo da un po’ in giro».
«No, mi dispiace Thara» risposi. Una lampadina si era accesa mentre parlavo e
mi ricordai il suo nome.
«Oh, d’accordo. Grazie lo stesso». Thara si allontanò delusa dal mio tavolo e
passò al successivo, chiedendo dei due Nocturni. Teri e i Nocturni. C’era
qualcosa che non quadrava.
Mi ero appena seduta quando un uccellaccio volò sul falò. Stringeva qualcosa
negli artigli, ma non riuscii a capire cosa fosse. Forse un topo morto. Stavo
per alzarmi per bruciare una parte del cibo nel falò in onore di mia madre,
quando la cornacchia lasciò ciò che teneva stretto proprio ai miei piedi. Poi
volò via.
Lasciai la presa sul piatto che si ruppe in mille pezzi nell’erba.
Tutti smisero di mangiare e calò un silenzio tombale.
L’uccellaccio aveva lasciato una treccia nera tagliata e bagnata.
«Ma quella è...» disse Mel, alzandosi in piedi e raggiungendomi.
Riuscii solo ad annuire. Mi inginocchiai e allungai una mano tremante verso i
capelli tagliati. Strinsi le dita intorno alla treccia e poi ritrassi la mano.
La treccia era impregnata di sangue.
Mi sembrò di essere ancora in quella radura, a Forks, quando avevo accarezzato
i capelli di Rose per l’ultima volta e mi ero ritrovata le dita insanguinate.
Non riuscii nemmeno a piangere. Urlai, inorridita. Eles mi prese per mano e mi
fece rialzare. Se non ci fosse stata lei sarei caduta.
«Maledetti! Maledetti! Questo è il ringraziamento dopo ciò che Ade ha fatto per
loro!» sbraitò Nico, prendendo la spada nera dalla cintura e puntandola verso
Nate.
Il povero umano indietreggiò, alzando le mani.
«Io non ne so...»
Ma Percy e Annabeth afferrarono Nico per le braccia e lo allontanarono dal
mortale, cercando di farlo ragionare.
Nico per tutta risposta conficcò la spada nel terreno e si buttò per terra,
coprendosi il viso con le mani.
Gregor era rimasto fermo al suo tavolo e fissava un punto nel vuoto.
Alcuni figli di Apollo si avvicinarono a lui e lo portarono via.
«Oh miei dei» disse Eles. «È sotto shock».
La cornacchia tornò sul falò e lasciò cadere un altro oggetto ai piedi di Leo.
Una collana nera con quattro perle dorate.
Il figlio di Efesto cadde sulle ginocchia davanti a quel laccetto. Lo prese con
le mani tremanti, sporcandosele di sangue. Si portò al cuore il laccetto,
mentre lacrime salate gli rigavano il volto e urlò il nome di lei, squarciando
la notte.
Spazio autrice
Okaaay! Questo è il finale, e, ovviamente,
scriverò il continuo (che è già mezzo pronto). Credo che lo pubblicherò verso
Ottobre/Novembre.
Spero vi sia piaciuta, e delle recensioni non sarebbero assolutamente schifate,
anzi.
Un bacio e ci sentiamo presto!