Teorema di iosnio90 (/viewuser.php?uid=98446)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il vecchio pensionato ***
Capitolo 2: *** Robert E. Lee - Primo giorno ***
Capitolo 3: *** Ritorno a Fell's Church ***
Capitolo 4: *** L'amara scoperta ***
Capitolo 5: *** Invito ***
Capitolo 6: *** AVVISO ***
Capitolo 7: *** "Angelo" ***
Capitolo 8: *** Bacio di Mezzanotte ***
Capitolo 1 *** Il vecchio pensionato ***
Il
vecchio pensionato
“Quindi?
Cosa ti hanno detto i tuoi genitori nell'ultimo
videomessaggio?”
Bonnie
sbuffò. A ripensarci le veniva da ridere, ma aveva
solennemente
promesso a se stessa che avrebbe fatto la testona arrabbiata per
tutta la durata del viaggio, quindi si limitò a voltarsi
verso il
finestrino perchè l'amica non la vedesse mentre increspava
appena le
labbra.
“Non
te l'ho detto?” - rispose, atteggiandosi a finta tonta
nonostante
la palese inclinazione sarcastica della voce - “Si sono
raccomandati -testuale- di spassarmela, perchè avrei fatto
faville a
Fell's Church. Ti rendi conto? A Fell's Church. Faville. Due parole
che non c'entrano niente l'una con l'altra. Volevano solo evitarsi
l'ennesima ramanzina da parte mia.”
“Ma
dai, smettila di fare la musona! Bonnie e musona, queste
sono due parole che non c'entrano niente l'una con l'altra. Sono
convinta che ci divertiremo, invece.”
“Vogliono
torturarmi...” - si lamentò.
“Io,
invece, credo che vogliano aiutarti. Sai...mandarti in un posto meno
caotico, con meno ricordi. Non è la prima volta che i tuoi
sono
costretti a partire per lavoro per periodi lunghi. Due anni fa sono
rimasti per diciotto mesi in Europa eppure non hanno avuto problemi
nel lasciarci sole a New York sotto la supervisione di quel loro
amico avvocato e dei domestici. Ed eravamo solo delle ragazzine.
Questa volta, però, staranno in Cina solo un anno eppure ci
hanno
spedito a Fell's Church senza nessun diritto di replica. Cosa
è
cambiato? La risposta mi pare ovvia. Possono anche sembrare due
svampiti -senza offesa...”
“Nessuna
offesa.”
“Ecco,
possono anche sembrare due svampiti, ma hanno visto come hai sofferto
negli ultimi mesi per via di...lo sai.”
Bonnie
sospirò, reclinando la testa contro il sedile del passeggero
dell'auto nella quale stavano viaggiando. Per qualche attimo si perse
a guardare le grosse nuvole bianche al di là del finestrino,
perdendo il controllo sulla sua mente che venne subito invasa da
ricordi che aveva deciso di non richiamare più alla memoria.
Scosse
la testa, nel tentativo di scacciarli via e capii in quel momento
che, forse, Meredith aveva ragione; come sempre, del resto.
Lei,
dopotutto, negli ultimi mesi trascorsi a New York non era stata molto
discreta nel sul dolore. Se tornava a pensarci veniva invasa da una
tremenda rabbia, verso se stessa e verso quel...bastardo -solo
così
lo si poteva chiamare- che le aveva inflitto tanti tormenti e
sofferenze.
E
pensare che aveva sempre biasimato quelle ragazze che si lasciavano
definire da un ragazzo! Scoprire che lei non era per niente diversa
da loro era stato un duro colpo per la sua autostima, già
fortemente
messa a dura prova da lui.
Ma era passato -si disse-, i vecchi problemi di cuore
doveva lasciarseli alle spalle. Forse i suoi genitori desideravano
davvero soltanto esserle d'aiuto in qualche modo, regalandole quella
pace che a New York non riusciva più a trovare. Non con
tutti quegli
scorci di paesaggi, quelle strade e quei luoghi che le riportavano
costantemente alla mente i momenti perduti di quello che era stato il
suo primo amore vero, sbocciato e morto nei sei mesi più
intensi
della sua vita.
Doveva
ricominciare. Forse Fell's Church non era esattamente il posto
più
allettante ed esotico sulla faccia del pianeta, ma poteva farselo
andare bene. Chissà, magari avrebbe pure scoperto che la
vita di
provincia era quella che faceva più per lei. E dopotutto
aveva
Meredith, aveva la sua amata danza, avrebbe riavuto con se la Signora
Flowers e, come se non bastasse, aveva l'ultimo anno di liceo a cui
badare. L'avrebbe smessa presto di lamentarsi. Solo qualche altro
gorgoglio fino all'arrivo alla sua nuova casa e poi stop, basta
lamenti, avrebbe accolto a braccia aperte e col sorriso la sua nuova
vita. Non si aspettava di abituarsi subito ai ritmi meno frenetici che
di sicuro avrebbe incontrato, ma avrebbe sfidato chiunque ad
abituarsi in fretta a Fell's
Church dopo
essere nato e cresciuto a Manhattan. Poteva farcela, lo sapeva. Ci
volle poco a convincersi che le avrebbe fatto bene quel cambiamento,
tutto grazie alle parole di sua sorella. Certo, lei e Meredith non
erano sorelle di sangue, ma i signori Sulez, migliori amici dei suoi
genitori sin dai tempi del liceo, avevano perso la vita in
un'incidente stradale quando Mere aveva poco più di quattro
anni e i
suoi si erano subito dati da fare per adottarla. Erano sorelle sulla
carta, quindi, legalmente, ma anche nell'anima, dove entrambe
sapevano di condividere un legame molto più forte di
qualsiasi
parentela. All'epoca della disgrazia occorsa ai suoi genitori,
Meredith era riuscita a ritrovare il sorriso soltanto grazie a quella
buffa bambina coi boccoli rossi che le mise davanti un tubetto di
plastilina verde e le insegnò a modellarla a forma di
lumaca. “Prima
fai un lungo verme, poi arrotoli” - era
nato così il loro rapporto, con quelle assurde istruzioni
copiate
dalla donna che sarebbe stata la loro badante, amica, consigliera e
nonna fino a poco più di un anno prima, quando era andata in
pensione: la Signora Flowers.
“Guarda.
Siamo arrivate.” - fece Meredith, indicando con un cenno
della
testa il cartello su cui campeggiava la scritta semi-sbiadita che
dava il benvenuto a Fell's Church - “Il pensionato di
Teophila non
dovrebbe essere molto distante.”
“Oh,
Toephilia! Giuro che appena la vedo la convinco a prepararmi la sua
deliziosa crostata alle more.”
“E
cominciare con un'abbraccio, no?”
“Ok,
prima l'abbraccio e poi la convinco a farmi la crostata.” -
concesse Bonnie.
Un quarto d'ora dopo, la grossa Range Rover nera, ultimo
regalo che i signori McCollough avevano fatto alle ragazze una volta
che queste avevano comunicato loro il desiderio di affrontare il
viaggio in macchina loro due da sole, svoltò lentamente sul
vialetto
del pensionato al limite della cittadina e si fermò,
permettendo
alle due amiche di scendere dall'auto e sgranchirsi le gambe,
intirizzite per il troppo star sedute.
Mentre Meredith recuperava ed infilava in borsa i
documenti dell'auto, lo stereo e il navigatore satellitare, Bonnie si
guardò intorno e realizzò che, in quella casa,
sarebbero state
addirittura più isolate di quanto avesse immaginato. Il
pensionato,
infatti, si ergeva su un grosso prato, da solo, circondato da un
fitta boscaglia su tre lati e toccato dalla strada principale che
portava nel cuore di Fell's Church sul quarto lato libero. Fatta
eccezione per qualche auto che passava di lì di tanto in
tanto o del
rumore di risate di bambini provenienti dalla fattoria che avevano
intravisto mentre arrivavano, non c'erano altri suoni tranne che per
quelli del bosco e degli animaletti che lo abitavano.
Sarebbe stato un'ottimo scenario da film horror, ma
Bonnie stava pensando a quanto sarebbe stato rilassante prendere il
sole in estate sul giardino che vedeva alle spalle dell'edificio o a
quanto avrebbe potuto godersi finalmente la sua cara musica classica
a tutto volume mentre faceva i suoi regolari esercizi di danza nella
sua stanza. A New York, una pace simile te la sognavi.
Un fruscio tra le foglie di un cespuglio basso su un
lato della casa attirò la sua attenzione. Fece qualche passo
in
quella direzione e si fermò col sorriso, ammirata, quando il
musetto
marrore di una lepre fece capolino e gli occhietti neri dell'animale
la fissarono.
“Mere!
Ci sono le lepri.” - cantilenò.
“Bene.
Vedo che il posto comincia già a piacerti.” - la
stuzzicò
l'altra, affacciandosi dal bagagliaio ormai aperto dal quale stava
tirando fuori valigie su valigie.
“Allora?
Mi aiuti si o no con questi scatoloni? Guarda che è quasi
tutta roba
tua.” - aggiunse.
Bonnie voltò gli occhi al cielo, tornando indietro a
piccoli saltelli, con la coda con la quale aveva legato i ricci rossi
che dondolava da un lato all'altro, dandole ancor di più
l'aria di
una bambina spensierata.
“I
più pesanti, però, sono i tuoi. Pieni di
libri---”
“Che
dovresti leggere, sai? Per una buona cultura. Possono sempre tornare
utili.” - la interruppe Meredith.
“L'ornitologia
dalla A alla Z – a cosa potrà mai tornarmi utile
un libro simile?”
“Gli
uccelli sono animnali estremamente affascinanti. E comunque quello
l'ho preso in quel periodo durante il quale avevavo deciso di darmi
al birdwatching.” - spiegò Meredith.
“Birdwatching.
A New York.”
“Lo
so. Idea folle. Me ne sono resa conto presto. Però, ad
esempio, qui
potrei farlo. E come farei senza quel libro?”
“Mere?
Sono convinta che tu possa trovare qualcosa di più....come
dire....allettante del birdwatching.”
“Ah!
Come al solito tu sottavaluti la cosa. Gli uccelli sono
animali--”
“Estremamente
affascianti. Si, l'hai già detto.”
Scoppiarono entrambe in una risata, tanto da attirare
finalmente l'attenzione della donna in tuta da giardiniere che curava
con attenzione i suoi garofani sul partico alle spalle del
pensionato. La Signora Flowers riconobbe subito le voci sia dell'una
sia dell'altra. Aveva trascorso quindici anni della sua vita in casa
McCollough, a New York, accudendo quelle due ragazze che per lei
erano come delle nipoti da amare e viziare come avrebbe fatto una
vera nonna. L'età, però, ad un certo punto si era
fatta sentire,
così come la nostalgia di casa e, non appena entrambe le
ragazze
avevano raggiunto i sedici anni di età, aveva deciso di
andare in
pensione, ritirandosi nella sua vecchia e tranquilla casa d'infanzia,
a Fell's Church. La felicità era stata immensa quando aveva
ricevuto
la telefonata di Bonnie che l'avvertiva dell'imminente viaggio
d'affari dei genitori in Cina e le chiedeva se lei e Meredith avrebbero
potuto trasferirsi da lei per l'ultimo anno di liceo prima del
college. Accettare, dunque, era stata una scelta quasi obbligata
visto il profondo affetto che nutriva per quella famiglia.
“Ragazze!”
Bonnie e Meredith si voltarono subito non appena quella
voce tanto familiare e cortese arrivò a chiamarle e
osservarono la
donna che, sorridendo, avanzava verso di loro e si sfilava i guanti
da giardinaggio sporchi di terra.
“Signora
Flowers!” - chiamò Bonnie, raggiungendola per
poterla stringere in
quell'abbraccio che tanto desiderava darle. La donna allargò
entrambe le braccia ed accolse sia lei che Meredith, stringendole a
se e accerezzando loro la schiena, delicatamente, come faceva sin da
quando erano due bambine un po' troppo vivaci.
“Bambine
mie, sono così contenta di avervi qui con me! Ditemi,
com'è andato
il vostro viaggio? E i tuoi genitori, Bonnie? Come stanno?”
“Stanno
meglio di noi tre messe insieme, si figuri! Proprio adesso sono su
un'aereo diretti a Pechino. Solo due giorni prima di partire si sono
resi conto che non sanno un'acca di cinese e mio padre è
andato
subito nel pallone, ma mia madre l'ha rassicurato dicendogli che se
sarebbe finiti a preparare involtini primavera nel seminterrato della
cucina di un ristorante cinese, almeno sarebbe stati insieme. Nella
buona e nella cattiva sorte, ha aggiunto. Si sono fatti una risata e
son partiti.” - rispose, scrollandolo le spalle -
“Sempre i
soliti.”
“Il
nostro viaggio, però, è andato bene. Siamo solo
un po' stanche.”
- aggiunse Meredith - “Adesso stavamo tirando giù
le valige
dall'auto.”
“Oh,
bene. Fate con calma, allora e, non appena avete finito, salite al
piano di sopra e sceglietevi una stanza qualsiasi a testa. La mia
è
proprio all'inizio del corridoio al primo piano, ma per il resto sono
vuote, così come quelle del secondo e la soffitta. Scegliete
pure
quella che vi piace di più.” - disse la Signora
Flowers - “Io vi
aspetto in cucina con un buon thè e una bella fetta di
crostata alle
more calda.”
“Crostata
alle more?” - a quel richiamo, Bonnie era saltata subito e
aveva
spalancato gli occhi, illuminati al solo pensiero della delizia che
tra poco sarebbe tornata a mangiare.
“Si,
crostata alle more. E' già pronta, devo solo scaldarla. In
questo
modo, mia cara Bonnie, sia tu che io ci siamo rispiarmiate una buona
ventina di minuti di suppliche. Quindi, salva per qualche altra
occasione i tuoi occhioni da cerbiatto, oggi non ti
serviranno.”
“Ma...ma...lei
è...come---....mi conosce fin troppo, ecco cosa.”
“Puoi
ben dirlo. Conosco entrambe, io.” - sorrise la donna,
allontanandosi verso la porta d'ingresso e sparendo alla loro vista
qualche attimo dopo, mentre ancora rideva.
“Ma..l'hai
sentita?” - fece Bonnie, fissando stranita e divertita il
punto
oltre il quale la Signora Flowers era scomparsa.
“Beh,
sei prevedibile, Bonnie
cara.”
- la prese in giro Meredith.
“Ma
dai! Non ti ci mettere anche tu, adesso!”
“Lo
neghi?”
“Certo
che lo nego! Io sono miss imprevedibilità.”
“Certo.
Come no. Hai assolutamente ragione.”
“Smettila
di assecondarmi!” - rise Bonnie, riportando alla mente
ciò che
aveva suggerito a lei stessa nemmeno un'ora prima: la nuova vita che
l'aspettava non sarebbe stata così male. Si sarebbe lasciata
ogni
dolore alle spalle e sarebbe andata avanti col sorriso.
Perchè
poteva farcela, lo sapeva.
Quando la sirena
arrivò a suonare la fine di quella
prima partita di stagione, Stefan si ritrovò buttato a terra
e
schiacciato sotto il peso dei corpi dei suoi compagni di squadra,
esultanti per la vittoria. Si ritrovò costretto a dare
qualche
spintone per riuscire a liberarsi e a rimettersi in piedi, ma le
risate non abbandonarono il gruppo. Ormai era diventato un rito: al
termine di ogni partita nella quale vincevano, lui si ritrovava ogni
suo compagno addosso. Era una sorta di versione estremizzata di una
normale pacca sulla spalla, interpretata dagli altri ragazzi come una
sorta di ringraziamento per il quarterback che li aveva trainati alla
vittoria e da lui come un supplizio al quale non poteva rinunciare.
Ad ogni modo, preferiva di gran lunga quel momento che
quello che arrivava subito dopo: l'accerchiamento tattico da parte
delle cheerleaders. Stefan apprezzava, davvero, tutto quell'
“affetto” che le ragazze gli dimostravano al
termine delle
partite, tra palpeggiamenti, strusciamenti vari ed inviti sussurrati
a mezz'orecchio, ma non era il tipo di ragazzo che ne approfittava.
L'unica cheerleader dalla quale aveva mai accettato un di quei famosi
inviti era stata Elena, ma allora era diverso, perchè lei
era la sua
ragazza ed erano innamorati l'uno dell'altra -o almeno a Stefan
piaceva pensare che anche lei lo avesse amato tanto quanto lui aveva
amato lei. Da che le cose tra loro erano finite, ed erano ormai
passati quasi due mesi, non era più uscito con nessuna
sebbene le
occasioni non gli mancassero di certo. Quarterback della squadra di
football della scuola, tra i primi in graduatoria in fatto di voti
accademici, figlio del sindaco, poco interessato alla
popolarità
anche se ne aveva parecchia, gentile, educato, il ragazzo che ogni
genitore vorrebbe come genero e, come se non bastasse, neppure
esattamente da buttare neppure a livello esteriore, col suo metro e
ottanta, il fisico asciutto e muscoloso, i capelli scuri e gli occhi
verdi...insomma, come Caroline non faceva che ripetergli in
continuazione, era consapevole del fatto che ogni ragazza a Fell's
Church stava aspettando solo che lui dicesse una parola per cascare
ai suoi piedi, ma era anche altrettanto consapevole del fatto che non
era il tipo da illudere una ragazza solo perchè poteva e
solo per il
gusto di trascorrere una serata divertente. Forse era all'antica, ma
voleva provare interesse, sentimenti, verso una persona prima di
iniziare a frequentarla. Non credeva nelle storie senza amore. Anzi,
non credeva proprio che potesse esserci alcuna storia senza un minimo
di emozione a guidarla, anche se spesso erano proprio le emozioni
più
forti a farti provare i dolori più forti. Come con Elena, ad
esempio. Lui l'aveva amata tanto, a volte credeva che forse l'amava
ancora, ma il tradimento di lei era stato talmente tremendo che il
suo cuore ne portava ancora i segni. Avrebbe potuto mandarla al
diavolo, schioccare le dita e lasciare che quell'esperienza rovinasse
il suo modo di concepire il mondo e le relazioni, ma non l'aveva
fatto, non aveva voluto dare alla sua ex-ragazza tuta quella
risonanza. Quindi aveva sofferto, silenziosamente, ma a poco a poco
le cose erano andate sistemandosi. Tra lui ed Elena c'era ancora un
forte imbarazzo, ma lo rincuorava il fatto di non aver perso se
stesso in seguito a quella cocente delusione. Era una grande
conquista.
“Ehi
voi! Andate a sculettare da qualche altra parte e lasciate in pace il
mio amico troppo educato per mandarvi a quel paese. E' la vostra
signora e padrona che ve lo ordina, altrimenti domani triplo
allenamento per tutte, vi avverto!” - Caroline
avanzò a grandi
passi, gesticolando come un'ossessa mentre scacciava via una
cheerleader alla volta. Lei e Stefan erano amici per la pelle da
quando erano poco più che bambini, ma avevano un modo assai
diverso
di intendere il significato dell'espressione “capitanare una
squadra”. Per Stefan, significava spronare i suoi compagni a
dare
il meglio di se stessi in campo, aiutarli e guidarli durante il
gioco. Per Caroline, essere il capitano delle cheerleaders
significava comandare a bacchetta quella povere disgraziate che
avevano deciso di unirsi alla squadra.
“Su!
Una di voi, portategli un'asciugamano.” - appunto.
“Care?
Non ne ho bisogno, davvero. Vado a fare la doccia tra poco.”
-
tentò lui, cercando invano di porre un freno alle manie di
controllo
dell'amica.
“Beh,
vorrà dire che lo porteranno a me. Tutto quel ballare,
saltare e
urlare quanto Stefan Salvatore sia immensamente figo mi ha
sfiancata.” - come non detto.
“Ecco.
Parliamone. Quei cori....non erano un po' troppo esagerati?”
“E
perchè mai? Non ho detto nulla che non si vero. E poi alle
ragazze
piace decantare la tua sublime perfezione. Ma se è per Elena
che lo
dici, perchè è costretta ad urlare quanto tu sia
fantastico e
quindi ad ammettere pubblicamente quanto sia stata un'idiota a
lasciarti scappare....che dire, è vero che è una
mia amica, ma non
mi pare di aver mai nascosto il fatto di averla odiata per quello che
ti ha fatto. Lei e quell'imbecille di tuo fratello.”
“Ehmm...possiamo
non parlarne?” - già era stato abbastanza
difficile dover fare i
conti col fatto che la ragazza che aveva amato lo avesse ricambiato
con un tradimento, ma era diventato quasi impossibile da superarare
quando aveva realizzato che l'aveva tradito col suo stesso fratello.
Di certo, ora che le cose cominciavano ad andare per il verso giusto,
proprio non gli serviva più nessuno che glielo ricordasse,
neppure
la sua migliore amica.
“Certo,
certo. Scusa. Dicevo solo che è stato un bene che Damon sia
scomparso prima che potessi scattargli via la testa dal collo, ecco
tutto. Scelta saggia la sua.” - commentò Care,
appena in tempo per
stamparsi in faccia un bel sorriso innocente all'arrivo di Elena.
“Allora?
Gliel'hai chieso?” - chiese quest'ultima, lasciando che i
suoi
occhi si spostassero velocemente dalla figura di Caroline a quella di
Stefan per rivolgergli un sorriso e un “Bella
partita!”
imbarazzato come ogni altra conversazione tra loro da un paio di mesi
a quella parte, dalla famosa notte.
“Grazie.”
- rispose Stefan, piuttosto sbrigativo, smanioso di cambiare subito
argomento e riammettere Care nella conversazione -
“Piuttosto...cos'è
che dovevi chiedermi?”
“Ah!
Si, giusto! Mi sono persa nella conversazione e stavo quasi per
dimenticarlo.” - rispose lei - “Mi stavo chiedendo
se ti andasse
di accompagnarci al vecchio pensionato tra poco, non appena sarai
pronto. Sai la festa di inizio anno che organizzo ogni volta nel
bosco dove c'è quel capanno da caccia abbandonato? Ecco,
l'altro
giorno tuo padre mi ha detto che quel capanno praticamente cade a
pezzi e vogliono tirarlo giù, quindi sarebbe stato meglio
trovare
un'altra location per la festa, se proprio ci tenevamo a farla. Ed io
ci tengo, lo sai.”
“Il
pensionato è così isolato che non daremo fastidio
a nessuno ed è
abbastanza vicino al bosco da mantenere di notte quell'aria di
mistero che a Caroline piace tanto.” - continuò
Elena, scoccando
un sorriso all'amica - “Quindi vorremmo farla lì.
Per tuo padre
non ci sono problemi. Dice che è una proprietà
privata, quindi
l'unico permesso che dobbiamo chiedere è alla proprietaria,
quella
donna anziana appassionata di fiori che ci vive da sola, hai
presente?”
“Certo.
La Signora Flowers. Teophilia. Mi offre sempre un bicchiere di succo
d'arancia e dei biscotti fatti in casa deliziosi ogni volta che passo
di lì tornando dal cimitero, la domenica mattina, quando
vado da mia
madre.” - rispose Stefan, mentre Caroline ed Elena si
scambiavano
uno sguardo d'intesa e un sorriso.
“Ecco,
esattamente quello che ha detto tuo padre. E' stato lui a suggerirci
di venire da te. Visto che conosci quella donna, magari se sei
presente anche tu quando andremo a chiederle di lasciarci tenere la
festa in casa sua sarà più disponibile che se ci
andassimo da
sole.” - fece Caroline - “Allora? Ci
accompagni?”
Stefan sospirò, guardando entrambe mentre tentavano
invano di mostrargli la migliore espressione innocente che riuscivano
a fare. Sarebbe stato facile dire loro che la Signora Flowers era una
persona estremamente gentile e che di sicuro le avrebbe ascoltate,
accolte e accordato loro il permesso senza bisogno che anche lui
fosse presente, ma probabilmente sarebbero andati avanti per ore a
discuterne. E se non
fosse così, e se ti sbagliassi, e se invece è
gentile con te, ma una vecchia inacidita col resto del
mondo...Caroline diventata una furia quando si trattava di
una delle
sue feste, non l'avrebbe lasciato andare così facilmente. Di
fatto,
quell' “Allora? Ci accompagni?” non era una vera
richiesta, ma
più un ordine del tipo “Allora? Ti sbrighi ad
accompagnarci o devo
portarti fin laggiù trasciandoti di peso?”. Stando
così le cose,
si limitò ad annuire.
“Va
bene. Aspettatemi qui. Vado a farmi una doccia e arrivo.”
“Non
metterci troppo, eh?” - gli gridò dietro Caroline,
come volevasi
dimostrare.
Circa mezz'ora dopo, Stefan salutò in fretta i suoi
compagni, si caricò il suo borsone in spalle e
lasciò gli
spogliatoi, raggiungendo le due ragzze che, nel frattempo, erano
andate ad aspettarlo nei parcheggi della scuola riservati agli
studenti, accanto alla sua auto.
“Se
non ti scoccia prendiamo la tua. E dopo magari ci dai anche un
strappo a casa.” - avvertì Caroline, salendo dal
lato del
passeggero, mentre Elena prendeva posto sul sedile posteriore,
lasciandogli lo spazio perchè poggiasse il suo borsone prima
di
mettersi al volante.
“Quindi?
Cosa le direte una volta arrivati lì?” - chiese.
“Improvviseremo.”
“Voi
due...mprovvisare? Voi due non avete un piano? Fatico a
crederci.”
“A
dire il vero io e Care un piano ce l'abbiamo.” - contraddisse
Elena
- “Sei tu il nostro piano, Stefan.”
“Oh.
Fantastico.”
“Coraggio.
Devi solo sorridere e abbagliarla col tuo irresistibile
fascino.” -
lo spronò Caroline.
“Hai
sbagliato fratello.” - mugugnò Stefan, a mezza
voce, incapace di
frenare la lingua.
“Assolutamente
no. Io non sbaglio affatto fratello.” - si sentì
rispondere
dall'amica al suo fianco che, evidentemente, aveva problemi a frenare
la lingua tanto quanto ne aveva lui, nonostante avessero entrambi
notato Elena sobbalzare dallo specchietto retrovisore.
Si disse, però, che non doveva sentirsi in colpa per
una semplice frecciatina. Non aveva fatto nulla di male, lui. Se
Elena si sentiva punta sul vivo la cosa doveva scivolargli addosso,
così come a lei era scivolato addosso il fatto di ferirlo.
Non era
solitamente un tipo vendicativo o rancoroso, ma di tanto in tanto
tutta quella rabbia da cui era stato investito in seguito al dolore
doveva pur buttarla fuori in qualche modo. Non poteva semplicemente
sorridere ad Elena e fare come se nulla fosse successo. Di tanto in
tanto, anche a lei, la “regina della scuola”,
doveva essere
recapitato un monito di ciò che era stato e per il quale
doveva
darsi da fare se voleva ottenere il perdono che tanto sosteneva di
agognare.
I restanti minuti di viaggio li trascorsero in silenzio,
ognuno perso in chissà quali pensieri. Si riscossero solo
quando
Stefan accostò al marciapiede e spense il motore.
“Bene.
Andiamo. E mi raccomando, Stefan, mettiti in bella mostra.” -
fece
Caroline, affiancandolo mentre raggiungevano in tre la soglia del
pensionato ed Elena suonavo il campanello.
Attesero qualche istante prima di sentire un rumore di
passi avvicinarsi dall'altra lato della porta. E quando questa si
aprì, rimasero sorpresi tutti e tre nel ritrovarsi davanti
una
ragazza in jeans e maglietta leggera, della loro età, con
una
cascata di indomabili boccoli rossi ad incorniciarle il viso a cuore
invece dell'anziana donna che si erano aspettati di vedere.
“Ehmm...ciao?”
- fece Caroline, a nome di tutti.
“Ciao!”
- salutò la sconosciuta, sorridendo del loro visibile
imbarazzo -
“State cercando la signora Flowers?” - chiese loro.
“Beh,
in effetti si. E' in casa?” - rispose Caroline.
“Certo.
E' al piano di sopra adesso, sta aiutando me e mia sorella a
sistemarci nelle nostre stanze, ma arriva tra un attimo.”
“Cioè...tu
e tua sorella vivete qui? Da quando?” - chiese Elena,
incuriosita
dalla novità.
“Da
oggi, a dire il vero.”
“Oddio.
Aspetta. Tu sei una delle due ragazze che da domani si traferiscono
nella nostra scuola...da New York?” - Caroline era passata
dalla
modalità imbarazzo alla modalità euforica
detentrice di ogni
segreto di quella cittadina troppo in fretta perchè la
ragazza che
avevano davanti non si spaventasse e la classificasse subito come
“pazza”. Stefan si fece avanti non appena sul viso
della
sconosciuta si fece largo l'espressione classica di chi si domandava
come facesse Care a conoscerla se l'aveva appena incontrata.
“La
voce di due nuovi arrivi circola già da una settimana. E' un
paesino
piccolo e ci conosciamo tutti, così fa sempre scalpore
quando
qualcuno si trasferisce qui.” - spiegò -
“In più lei è la
regina dei pettegolezzi.”
“Ehi!
Che figura mi fai fare?” - lo rimproverò Caroline,
assestandogli
una leggera gomitata nelle costole - “Ad ogni modo, io sono
Caroline Forbes, capo cheerleaders. Lei, invece, è la mia
amica
Elena Gilbert. E lui--”
“Stefan.
Stefan Salvatore. Benvenuta.” - s'intromise lui, allungando
una
mano verso la nuova ragazza con un sorriso ad illuminargli lo sguardo
verde e tanto intenso, uno sguardo che sia Caroline che Elena
conoscevano bene. La prima perchè in tutti quegli anni aveva
imparato a memoria ogni cosa si celasse dietro il minimo cambiamento
d'espressione di Stefan e la seconda perchè uno sguardo
simile se
l'era visto rivolgere ogni giorno fino a qualche mese prima.
Entrambe, giunsero alla conclusione che, che se ne fosse reso conto
oppure no, Stefan era rimasto fortemente colpito da quel nuovo arrivo
che, a sua volta, tese una mano a stringere quella del ragazzo,
sorridendogli di rimando con una leggera punta d'imbarazzo,
sufficiente a tingerle le guance di rosso.
“Grazie.
Io sono Bonnie...McCollough.” - si presentò,
quindi, invitandoli
ad entrare quando Caroline le spiegò brevemente il motivo di
quella
loro visita. E fu un bene che la sua amica riprese subito in mano il
discorso, perchè Stefan, per qualche attimo, aveva
completamente
dimenticato il reale motivo che l'aveva spinto con Caroline ed Elena
al vecchio pensionato. Per qualche attimo, aveva percepito di nuovo
la stabiliante sensazione di dimenticarsi di ogni cosa, di ogni
persona, di ogni tormento, fatta eccezione per la mano della ragazza
stretta nella sua. Per qualche attimo, l'unica parola, l'unico nome
che gli risuonò nella mente fu uno solo, accompagnato
all'immagine
di una stupenda ragazza dai capelli rossi e gli occhi più
puri che
avesse mai visto: Bonnie.
NOTE:
Buon sabato sera a tutte!!!^^ *saltella in giro per il fandom*
Oddio, è passato...quanto? Quasi un anno dall'ultima volta
che ho pubblicato una storia? Mi sa proprio di si! XD
Credevate di esservi liberate di me, vero? Ebbene, sono tornata ad
infrangere i vostri sogni U_U
No, serio, dall'ultima volta che ho postato qualcosa tra problemi ad
internet vari e cali d'ispirazione sono uscita quasi fuori di testa XD
Ricordo di avervi promesso questa storia da tempo immemore, ormai, ma
prima di iniziare a scriverla ho cambiato idea trenta volte
perchè c'era sempre qualcosa che non mi convinceva. Alla
fine ho deciso di darmi tempo, aspettare che il blocco passasse e
quindi riprenderla. Ora....ora una trama da seguire sono riuscita ad
impostarla, almeno fino a metà storia, poi il resto lo
vedrò in corso d'opera. Ho già scritto tre
capitoli e non mi sembra esattamente una grandissima schifezza come
pensavo. Ad ogni modo avevo una gran voglia di tornare a farvi leggere
qualcosa di mio, quindi...eccovi qua il primo capitolo.
E' una specie di prologo, vengono un pò descritte le varie
situazioni di ogni personaggio per come sono ora all'inizio della
storia. Se ricordate bene vi avevo detto che in questa storia sarebbero
stati tutti umani (è il primo esperimento per me in questo
senso XD) e infatti così è. Ci sono un bel
pò di modifiche, quindi, rispetto ai libri che tutte
conosaciamo. Qui Bonnie e Meredith sono "sorellastre" e si sono appena
trasferite da New York per il loro ultimo anno di liceo e sono loro a
vivere al pensionato in quanto i Salvatore (Stefan, Damon e Giuseppe)
hanno casa loro XD Bonnie come al solito non riesco a farla fedelissima
ai libri, ma c'è sempre la mia solita nota di forza in
più che tanto mi piacerebbe che avesse. E c'è
Caroline!! Non l'ho mai usata nelle mie storie e mi stuzzicava l'idea
di introdurla. Il fatto è che avendo sempre scritto storie
che si rifacevano in tutto e per tutto ai libri non avevo mai trovato
il modo per infilarcela perchè nei libri il suo personaggio
non è che mi piaccia molto. Ho approfittato di questa
storia, quindi e ne è venuto fuori un miscuglio tra la
Caroline del telefilm (che adoro^^) e una mia reinterpretazione del
tutto personale, ma funzionale alla storia XD
Detto questo...vi lascio. Dovrei riuscire a postare circa una volta
alla settimana visto che dei capitoli sono già pronti e
continuo a scrivere un pò ogni giorno (mi sono data una
tabella di marcia XD), quindi spero che il capitolo vi piaccia, la
storia vi incuriosisca e decidiate di seguirmi in questa nuova
avventura!!!
A sabato prossimo!!! Bacioni....IOSNIO90!!!
PS: Ogni accenno ai fatti passati citati sia da Stefan che da Bonnie
verranno spiegati e chiariti più avanti.
PPS: Non vi preoccupate se Damon al momento non è comparso
XD Sta arrivando e, ovviamente, si porterà dietro un bel
pò di scombussolamenti e segreti XD
|
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Capitolo 2 *** Robert E. Lee - Primo giorno ***
Robert E.
Lee – Primo giorno
Meredith
era il tipo di ragazza che teneva particolarmente alla sua carriera
scolastica. Non si definiva una secchiona, ma la spiccata
intelligenza e l'intuitività innata le avevano sempre
permesso di
mantenere una media alta senza rinunciare alla vita sociale. Si
impegnava tanto per se stessa e il suo futuro, certo, ma soprattutto
lo faceva in memoria dei suoi genitori. Aveva appena quattro anni
quando erano venuti a mancare e, nonostante lo scorrere del tempo
avesse deteriorato e perso gran parte dei ricordi che aveva di sua
madre e di suo padre, riusciva ancora a rammentare perfettamente il
fatto che, fin da bambina, l'avevano sempre spronata a dare il
massimo nello studio, a puntare sempre in alto, a superare ogni
ostacolo e a non sottovalutare mai il potere della conoscenza,
l'indipendenza e la stabilità data da un intelletto pronto e
reattivo.
Il
suo sogno era Harvard, era calpestare lo stesso suolo che aveva
permesso ai suoi di crescere insieme e diventare le persone
straordinarie che erano.
Per
questo motivo, non solo si preoccupava della sua media, ma era solita
fare volontariato ed unirsi a quanti più club scolastici
possibili
per riuscire a crearsi un curriculum adeguato. Non amava i ritardi.
Arrivare in ritardo era visto dai professori come una totale mancanza
di interesse verso la loro materia e Meredith non ci teneva per
niente a farsi prendere di mira, consapevole del fatto che esistevano
degli insegnanti particolarmente inclini a sfogare le loro
frustrazioni personali sugli studenti. Oltretutto, non credeva fosse
una buona idea neppure arrivare in ritardo al suo primo giorno di
scuola.
Peccato
che Bonnie non era mai stata del suo stesso avviso. Spesso si era
chiesta come facesse ad essere una ballerina tanto dotata, istruita
nelle migliori scuole, quando era la pigrizia fatta persona. E quella
mattina avrebbero già perso abbastanza tempo in segreteria
per la
consegna di qualche altro documento e del ritiro del loro orario!
“Giuro
che se ci guarderanno male al nostro primo giorno te la farò
pagare
cara.” - minacciò - “Lo sai che ci tengo
parecchio a queste
cose...”
“Si,
lo so. Scusa. E' che ieri sera con quella visita inaspettata io e la
signora Flowers abbiamo finito col fare tardi.” - si
giustificò
Bonnie dal sedile del passeggero mentre Meredith, alla guida, cercava
un posto libero nel parcheggio della scuola.
“Già.
Giusto. Alla fine non mi hai più detto cosa volevano quei
ragazzi.”
“Beh,
pare che la capo cheerleaders ogni anno organizzi una festa in un
capanno nel bosco per l'inizio della scuola. Quest'anno,
però, il
comune ha deciso di smantellare quel capanno dato che cade a pezzi e
allora sono venuti a chiedere alla signora Flowers se potevano tenere
questa festa nel giardino sul retro del pensionato visto quanto
è
isolato.” - spiegò Bonnie, indicandole con una
mano un posto
libero qualche auto più avanti.
Meredith
annuì: l'aveva già visto.
“E
la signora Flowers che ha detto?” - chiese.
“Ha
detto di si. Sembra che questa festa sia una specie di tradizione e
non le dispiace avere un po' di gente in casa, di tanto in tanto.
Oltretutto sostiene che sono tutti dei carissimi ragazzi.
Testuale.”
Meredith
non sapeva che pensare. Da un lato era sinceramente perplessa dalla
cosa, ma dall'altro credeva anche che sarebbe stato un bel modo per
lei e per Bonnie di conoscere meglio i loro nuovi compagni di scuola.
Insomma, avrebbero dovuto trascorrere in quella cittadina il loro
ultimo anno, avere degli amici non avrebbe di certo guastato.
Oltretutto vedeva Bonnie particolarmente elettrizzata all'idea.
Lasciata
l'auto, s'incamminarono entrambe verso l'entrata principale del
liceo, tra le occhiate curiose degli studenti in attesa dell'inizio
delle lezioni. Non ci badò molto. Probabilmente in un
paesino tanto
piccolo si conoscevano quasi tutti e loro rappresentavano la
novità.
Nei primi tempi si aspettava di venire fissata e additata come
“quella nuova”, ma scommetteva sul fatto che tempo
un mese e non
avrebbero più fatto caso a loro. Da questo punto di vista,
la festa
al pensionato forse avrebbe accelerato le cose, favorendo la loro
integrazione al gruppo.
“Ciao
Bonnie!” - la voce squillante di una ragazza bionda e
sorridente in
tenuta da cheerleader attirò la sua attenzione. Vide Bonnie
sorridere di rimando e ricambiare timidamente con la mano anche il
saluto del ragazzo in disparte con la bionda prima di riprendere a
seguirla.
“E
quelli?” - le chiese, accennando ai due ragazzi che ancora le
guardavano mentre mettevano piede nell'edificio scolastico spingendo
con una mano ciascuna le spesse porte in vetro.
“Lei
è la capo cheerleaders di cui ti ho parlato poco fa.
Caroline, mi
pare. Ieri sera è venuta al pensionato insieme ad una sua
amica e al
ragazzo che era con lei. Stefan. La signora Flowers mi ha confidato
di conoscerlo abbastanza, dice che è un vero ragazzo d'oro,
come non
se ne trovano più...”
Merdith,
notato il lieve rossore che tinse le guance della sua amica, si
ritrovò a sorridere, mentre le faceva strada verso l'entrata
della
segreteria in fondo al corridoio.
“Stefan,
eh? Sbaglio o anche a te è venuta voglia di conoscere “abbastanza”
questo ragazzo d'oro?” - insinuò.
“Meredith!”
“Che
c'è? Io parlo soltanto in virtù di ciò
che vedo. E per quello che
ho potuto vedere rientra perfettamente nel tuo tipo ideale. Alto, ben
piazzato, bello, moro....Se non fosse che ispira fiducia e non ha per
niente l'aria del bastardo sarebbe quasi uguale a tu-sai-chi.”
“Meredith?
Smettila.” - fece Bonnie, scuotendo lievemente la testa per
mettere
fine al discorso.
Meredith
annuì.
“Si,
scusami, hai ragione. Dovrei smetterla di tornare su quell'argomento.
E' solo che...a me non piace vederti soffrire e a causa di
quell'idiota ti ho visto soffrire tanto, come non meriti affatto. Non
voglio che ricapiti, quindi tendo a vedere ogni ragazzo che ti passa
accanto come una possibile minaccia da eliminare.” - si
scusò -
“Ex-ter-mi-naaaaate! Dalek docet.” - aggiunse,
sicura di
strappare un sorriso all'amica.
“Ti
adoro, lo sai. Però Stefan non è affatto una
minaccia. Insomma, ci
avrò parlato si e no per due minuti e non ti nego che..beh,
ha fatto
decisamente colpo, ma l'hai visto, no? Riuscirebbe a fare colpo anche
su una cieca. Tuttavia, non è che sto qui a prefissarmi
chissà
quale futuro per noi due, non mi sto struggendo d'amore, ma anche se
fosse...l'hai detto tu stessa: ispira fiducia e non ha l'aria del
bastardo. Inoltre Teophilia sostiene che sia un ragazzo gentilissimo
e sappiamo quanto sia brava a giudicare le persone, quindi...credo
proprio che Stefan non sia una minaccia. Puoi stare
tranquilla.”
“Uhm.
Va bene.” - assecondò Meredith, intrecciando un
braccio a quello
delle rossa per trascinarsela dietro - “Adesso,
però, andiamo. I
ritardi non mi piacciono.”
“Stavolta
sarebbe colpa tua.” - fece notare Bonnie, divertita, aprendo
per
entrambe la porta in legno scuro che dava sugli uffici amministrativi
del liceo.
“Ma...zitta
un po', piccola impertinente!” - il rimprovero scherzoso di
Meredith venne accompagnato da una leggera spinta su una spalla della
rossa che la costrinse oltre la porta aperta, dove una donna di mezza
età, non appena le notò, si allontanò
dall'uomo col quale stava
conversando per farsi loro incontro ed accoglierle entrambe con un
sorriso cordiale anche se un po' tirato.
“E
voi due dovete essere le due nuove alunne da New York. Finalmente
siete arrivate...” - disse loro, allungando una mano per
ricevere
da Meredith gli ultimi moduli da firmare per ufficializzare
l'ingresso nella loro nuova scuola. La donna si portò al di
là di
una alta scrivania e prese a trafficare su un computer un po' datato,
inserendo velocemente gli ultimi dati e preparando ad entrambe una
pila di fogli contenente il regolamento della scuola, una lista dei
club e delle squadre sportive a cui potevano ancora iscriversi, un
foglietto con su scritto tutti i numeri coi quali la scuola poteva
essere contattata per qualsiasi evenienza ed una mappa.
Tornò a
rivolgersi a loro soltanto una volta finito.
“Bene.
E' tutto in regola. Allora...” - abbassò di nuovo
gli occhi e
diede una rapida occhiata al suo monitor - “Meredith Sulez e
Bonnie
McCollough, benvenute al Robert E. Lee. Questo è l'orario
delle
vostre lezioni.” - aggiunse, mandando in stampa dei nuovi
fogli che
consegnò velocemente alle due - “Ditemi. La vostra
prima lezione?”
Meredith
e Bonnie abbassarono gli occhi sui rispettivi orari e poi sorrisero
quando si ritrovarono entrambe a rispondere: “Storia.
Professor
Alaric Saltzman.”
“Oh,
ma è davvero una fortunata coincidenza!” -
esclamò la donna -
“Potete andare con lui stesso a lezione..”
Il
professor Saltzman – notò Meredith – era
l'uomo col quale la
segretaria stava chiacchierando nel momento in cui lei e Bonnie
avevano messo piede nella stanza. Nel momento in cui l'aveva visto,
aveva creduto tutto tranne che si trattasse di un professore. Non
perchè non ne avesse l'aspetto o il portamento, ma
semplicemente
perchè non pareva averne l'età. Sembrava ancora
uno studente
universitario, almeno a lei che era abituata a docenti vecchio
stampo, ultracinquantenni, con problemi di peso e calvizia
incipiente. Quell'uomo, invece, era l'esatto opposto. Era alto,
allenato, probabilmente laureato da poco, con l'ombra di una leggera
barba a contornargli il mento e i capelli di un castano ramato
tendenti al rosso. Avanzò verso di loro con un sorriso
gentile e nei
suoi occhi Meredith riuscì a scorgere quanto, al di
là
dell'aspetto, dovesse essere una persona a modo e cordiale, sveglia
ed istruita.
Si
ritrovò a sorridere, felice di essere sua allieva senza un
reale
motivo per esserlo, non ancora almeno.
“Certamente.
Non si preoccupi signora Douglas, me ne occupo io.” - fece
lui.
La
signora Douglas, la segretaria, annuì contenta.
“Ragazze,
siete assolutamente in buone mani. Il professor Saltzman lavora qui
da un mese circa, dall'inizio di quest'anno scolastico. E' al suo
primo incarico da insegnante, ma si è già
guadagnato i favori del
preside e dei suoi colleghi. Nessuno meglio di lui può
aiutarvi ad
integrarvi in un posto nuovo.” - le rassicurò,
scatenando
l'imbarazzo dell'uomo in questione, che si affrettò ad
intervenire,
esortandole a seguirlo.
“Lei
è troppo gentile, signora Douglas.” - fece -
“Venite pure con
me, ragazze, vi presento alla classe.”
Meredith
e Bonnie, l'una di fianco all'altra, salutarono cortesemente la
segretaria augurandole una buona giornata e seguirono il professore
fuori dall'ufficio e poi lungo il corridoio alla loro destra. Mano a
mano che avanzavano, lui indicava loro questa o quell'aula, nel caso
avessero avuto problemi nel trovare le classi delle successive
lezioni. Meredith ragionò brevemente sul fatto che, munite
di mappa
com'erano, lei non avrebbe avuto alcun problema nel muoversi in quei
nuovi corridoi visto che, tra lei e Bonnie, era la rossa quella che
rischiava di perdersi anche dentro casa propria. Di fatto, la sua
amica si guardava intorno frettolosa e spaesata, dandole
l'impressione che stesse ringraziando mentalmente per il fatto che
almeno a quell'ora fossero nella stessa classe e avessero qualcuno a
guidarle lungo il tragitto fino all'aula.
Giunsero
a destinazione quando la campanella aveva già smesso di
suonare da
qualche minuto. La classe, dall'esterno, sembrava abbastanza
silenziosa, tranne che per un lieve brusio di voci.
“Pronte?”
- chiese loro il professore, sorridendo affabilmente.
Meredith
annuì tranquilla, Bonnie un po' meno e lui se ne accorse.
“Bonnie,
giusto?” - chiese, aspettando fino al cenno affermativo della
rossa
prima di continuare - “Arrivare in un posto nuovo a volte
è
difficile, ma questi ragazzi sono a posto. Scommetto che entro fine
giornata avrete già delle nuove amiche e decine dei miei
studenti ai
vostri piedi.” - scherzò –
“Almeno ai tempi in cui andavo io
al liceo era così che funzionava quando c'erano dei nuovi
arrivi...”
“Non
sembra che sia passato poi così tanto da quando frequentava
il
liceo, professor Saltzman..” - constatò Meredith.
“No,
a dire il vero no. Il che a volte credo che sia un bene e altre volte
che sia un male. Dipende dalle giornate.” - rispose -
“Entriamo,
su.”
Prima
di seguire l'uomo all'interno dell'aula, Meredith si voltò a
guardare Bonnie e le strinse leggermente la mano, tentando di
rassicurare lei e di rassicurare anche se stessa. Solo in quel
momento, a qualche passo dall'inizio della sua prima giornata in
quella nuova scuola, realizzò che era arrivata sul punto di
cominciare un nuovo capitolo della sua vita. Fino a quel momento,
quel concetto non era mai stato così reale, anzi...nella sua
mente
aveva continuato a galleggiare sotto forma di pensiero astratto. Si
sentì preda di una leggera ansia, ma assaporò per
poco quella
sensazione così strana per lei e poi varcò la
soglia. Bonnie la
seguì un passo dopo, mentre l'insegnate le presentava,
fissando
insieme a lei gli occhi sui loro nuovi compagni di classe e sui due
banchi vuoti circa a metà aula, l'uno di fianco all'altro.
Al
suono della campanella che segnava la fine della sua terza ora di
lezione, Bonnie si alzò e si precipitò fuori
dall'aula, in ansia al
solo pensiero di arrivare nuovamente in ritardo a causa del suo
scarso senso dell'orientamento.
Dopo
la lezione di storia, infatti, lei e Meredith avevano impiegato meno
di un minuto per realizzare che non avrebbero avuto più
nessuna
classe da condividere fino all'ora di ginnastica, nel pomeriggio. A
quel punto, mentre la sua amica la salutava e si allontanava convinta
della direzione da prendere, Bonnie era entrata nel panico. Non
sapeva che fare e si sentiva troppo impacciata per chiedere aiuto a
qualcuno. Fortuna aveva voluto che l'aula di chimica fosse appena a
qualche passo da lì, ma quando si era trattata della
successiva
lezione d'inglese aveva impiegato dieci minuti buoni prima di capire
che si trovava dall'altra parte dell'istituto. Aveva corso a
perdifiato nei corridoi quasi del tutto vuoti, quindi, prima di
presentarsi alla nuova insegnante in preda all'affanno. Questa
l'aveva giustificata con un abbozzo di sorriso, ma Bonnie faticava a
credere che la scusa del “sono
nuova e non riuscivo a trovare
l'aula” avrebbe retto ancora a lungo.
Distratta
com'era, aveva appena dato un'occhiata alla lista di libri da leggere
per quel corso e non si era accorta della presenza di Stefan qualche
banco più indietro nella fila al suo fianco, fino a che non
se lo
ritrovò davanti, appena uscito dalla sua stessa classe.
Le
poggiò una mano su una spalla per attirare la sua attenzione
e le
sorrise, tirandola appena indietro di un passo per spostarla dalla
traiettoria di una grossa palla di carta lanciata da chissà
chi e
finita chissà dove.
“Grazie.”
- ringraziò lei. Non si era accorta di niente tanto era
presa nel
districarsi tra il suo orario e la mappa che le era stata consegnata
quella mattina e che adesso si afflosciava tra le sue mani senza dare
segno di voler collaborare.
“Sembri
un po' in difficoltà...” - commentò lui.
Bonnie
alzò sul ragazzo i suoi occhi già stanchi.
Avrebbe voluto
rispondergli “Solo
un po'?”, ma temeva che la voce le sarebbe
venuta fuori più astiosa di quanto intendesse, quindi
restò zitta,
lasciando che fosse il suo sguardo rassegnato a parlare per lei.
Stefan
annuì. Probabilmente aveva capito il suo disagio e le si
avvicinò
ulteriormente per sbirciare sul suo orario. Alla fine sorrise.
“Hai
matematica col professor Turner. Sei fortunata. Pare che si sia preso
l'influenza da suo figlio e la classe resta scoperta fino a
domani.”
“Davvero?
Ne sei sicuro?”
“Sicurissimo.
Adesso anch'io avrei avuto lezione con lui.”
Bonnie
sospirò, rilassando le spalle a mano a mano che la folla di
studenti
intorno a loro cominciava a diradarsi. Un'ora libera, quindi. Se
fosse stata nel suo vecchio liceo avrebbe sicuramente avuto un'idea
su come impiegarla, magari rintanandosi sui gradoni nel campo da
football per provare qualche piroette, ma in quel posto nuovo non
aveva la più pallida idea di che fare o dove andare. Forse
poteva
cercare il suo armadietto. Tra una lezione e l'altra non ne aveva
avuto il tempo. O meglio, ne avrebbe avuto il tempo se fosse stata
come Meredith, il tipo di persona che riesce a decifrare una mappa e
ad aggirarsi in un posto sconosciuto con la stessa disinvoltura degli
avventori abituali di un supermarket, ma lei non era affatto quel
tipo di persona, purtroppo.
Dopo
qualche attimo di silenzio, fu Stefan a parlare per primo,
dimostrando ancora quanto fosse gentile e attento. A Bonnie tornarono
subito in mente le parole “ragazzo d'oro” e si
ritrovò a
sorridere.
“Posso
mostrarti un po' la scuola, se vuoi. Magari può esserti
d'aiuto un
piccolo tour.”
Annuì.
“Sempre che tu non abbia nient'altro da fare. Non vorrei
prenderti
troppo tempo...”
“Figurati!
Il programma era di aiutare Caroline a scegliere il carattere di
scrittura adatto per i volantini della sua festa, ma ne faccio
volentieri a meno.” - rispose lui -
“Andiamo?”
Trovarono
l'armadietto di Bonnie. Venivano assegnati in base all'iniziale del
cognome, quindi era lontano sia da quello di Meredith che da quello
di Stefan, ma restava abbastanza vicino all'uscita d'emergenza
contraddistinta dalla luminosa scritta “Exit” e da
due spesse
porte di un rosso brillante impossibili da non notare.
“Sarà
facile ritrovarlo.” - commentò Stefan, scatenando
l'ilarità sua e
di Bonnie.
Messi
al loro posto tutti gli spessi libri che si era costretta a portare
da una lezione all'altra, continuarono a camminare lentamente tra i
vari corridoi ormai vuoti. Stefan si fece passare il suo orario e le
mostrò una ad una tutte le varie aule in cui si sarebbero
tenute le
lezioni che avrebbe dovuto seguire, segnandole a penna sulla mappa i
percorsi più brevi da fare tra una lezione e l'altra. Poi le
mostrò
la piscina interna, la mensa, la palestra coi rispettivi spogliatoi e
arrivarono al teatro, dove fu più che d'accordo
nell'assecondarla
nel suo desiderio di salire sul palco. Accese uno dei faretti e la
lasciò fare, prendendo posto su una delle poltrone della
prima fila
in platea.
Bonnie
salì di corsa la scalinata di legno scricchiolante, diede
un'occhiata veloce alle piccole quinte e avanzò fino al
centro del
palco, sfiorando con le mani le assi di legno chiaro sotto i suoi
piedi. Non era un gran teatro, di certo non era neppure paragonabile
a quello della sua vecchia scuola di danza o a quello della sua
scuola a New York, ma la fece sorridere il modo in cui era ben
tenuto, con le luci luminose, il sipario pulito e le assi di legno
levigate e lucenti. Camminò fino al fondale di drappo bianco
che
toccò con le mani, sentendone la familiare tensione sotto le
dita,
poi si sentì cogliere improvvisamente dal forte desiderio di
approfittare di quel palco vuoto e corse, esibendosi nei suoi
migliori salti davanti agli occhi verdi di Stefan, colti di sorpresa
e meravigliati.
“E
quello?” - le chiese.
“Sono
una ballerina.” - spiegò lei, andando a sedersi
sul bordo del
palco - “O almeno mi piacerebbe diventarlo. Studio danza da
quando
ho memoria. Nel mio vecchio liceo ho partecipato ad ogni
rappresentazione teatrale che abbiano mai messo in scena.”
Stefan
si alzò dal suo posto e la raggiunse, poggiando le mani
sulle assi
del palco proprio accanto al punto nel quale si era seduta lei, con
le gambe penzoloni.
“Qui
di spettacoli non ne fanno molti. Mio padre dice che ai suoi tempi
mettevano in scena un musical una volta l'anno e c'era un club del
teatro a cui tutti volevano iscriversi. Poi, con gli anni, gli sport
hanno acquisito sempre più importanza e il teatro
è diventato roba
da femminucce. Adesso ci fanno soltanto i concerti di Natale della
banda della scuola, le assemblee d'istituto quando fuori è
brutto
tempo e non possono usare il campo da football e viene occupato una
volta al mese da una delle proiezioni aperte a tutti del club dei
patiti del cinema.”
“E'
un peccato. E' davvero un teatro molto carino.”
“Già.”
- convenne lui - “Però in paese c'è una
scuola di danza...” -
aggiunse.
Bonnie
annuì, voltandosi per guardarlo in viso.
“La
signora Flowers mi ha fatto avere il numero qualche settimana fa. Ho
chiamato da New York e si sono occupati dell'iscrizione. Ho fatto
anche una chiacchierata con l'insegnante e oggi pomeriggio sul tardi
ho la mia prima lezione.”
“Peccato.
Quindi non avrò l'onore di vederti ai miei allenamenti di
football
mentre gridi il mio nome a squarciagola mandandomi baci a
ripetizione dagli spalti?” - scherzò lui,
assottigliando
teatralmente gli occhi.
“Mi
dispiace, ma il football non è esattamente il mio
genere.”
“Questo
mi ferisce.”
Risero
nuovamente, ascoltando l'eco delle loro voci che rimbombava nel buio
spazio vuoto di fronte a loro. Bonnie si sentì felice di
aver
accettato la proposta di Stefan per quel piccolo tour del liceo. Di
solito si sentiva sempre preda di un profondo imbarazzo quando si
trattava di parlare di lei con persone nuove, specialmente se erano
ragazzi in gamba e belli quanto Stefan, ma lui aveva la straordinaria
capacità di mettere le persone a suo agio con i suoi occhi
limpidi e
quel sorriso sincero e cordiale che non sarebbe mai stato in grado di
nascondere nulla. E Dio solo sapeva quanto Bonnie ne avesse le
scatole piene di tipi problematici dagli occhi impenetrabili e il
sorriso pari ad una maschera! Era contenta di aver incontrato una
persona come Stefan. Dopo tanto dolore causato da colui che sembrava
il suo esatto opposto, sentiva di meritare di passare qualche ora in
compagnia di una persona tanto trasparente, della quale non dovevi
temere i possibili giudizi, sulla quale non dovevi interrogarti ad
ogni passo per ciò che poteva o non poteva passargli per la
testa.
Forse il gioco del mistero era interessante, lei stessa ne era stata
catturata neppure troppi mesi prima nel suo ultimo anno a New York,
ma a lungo andare faceva soffrire e stancava, non ne valeva la pena.
“Posso
farti una domanda?” - chiese Stefan dopo qualche attimo di
tranquillo silenzio, riportando su di sé l'attenzione.
Bonnie
annuì.
“Quella
che stamattina era con te era tua sorella, giusto?”
“Si.
Meredith.” - confermò.
“Ecco,
non vorrei essere invadente, ma mi chiedevo come---”
“Come
fosse possibile che sia tanto diversa da me?” - interruppe
Bonnie.
Stefan,
imbarazzato, si portò una mano a scompigliare i capelli
scuri.
“Si.
E anche come mai i vostri armadietti non siano l'uno di fianco
all'altro.”
“Meredith
è la mia migliore amica e mia sorella adottiva. I suoi
genitori
erano grandi amici dei miei e sono venuti a mancare quando eravamo
due bambine. Non aveva altri parenti tranne i nonni materni troppo
anziani per prendersene cura, quindi i miei genitori la presero con
loro, ma lei ha mantenuto il suo cognome: Sulez.” - rispose.
“Oh.
E' triste.” - commentò Stefan.
“Già.
Ma lei è sempre stata forte...”
“Anch'io
ho perso mia madre da bambino.” - confessò lui, di
getto - “Di
malattia. Da allora sono rimasto solo con mio padre e mio fratello
maggiore. Poi lui è andato finalmente via di casa, al
college.”
“Finalmente?”
- chiese lei, alla quale non era sfuggito il lieve cambio di tono nel
sentirlo parlare di suo fratello.
“Finalmente,
si. Sin da bambino mio fratello non ha mai fatto altro che litigare
con nostro padre. A volte mi chiudevo in soffitta pur di non sentire
le loro urla. A scuola dicevano che era una ragazzino problematico e
che non bisognava fargliene una colpa perchè sentiva
soltanto la
mancanza di nostra madre, perchè stava soffrendo ed era
arrabbiato
per la sua morte quindi se la prendeva col mondo, con nostro padre e
con me. E ci credevo davvero, ci credevo e non me la prendevo per
nessuno dei suoi scherzi o delle sue offese. Gli volevo bene.”
“E
poi?”
“Poi
ho capito che in realtà è soltanto un grosso
bambino viziato,
un'egoista che prova piacere nel vedermi star male.”
Bonnie
si ritrovò senza parole. Evidentemente – e lo
aveva capito dal
tono amareggiato e deluso di Stefan - quello non era un argomento di
cui aveva molta voglia di parlare sebbene fosse stato lui stesso a
cominciare il discorso. Pensò che forse anche per lui era lo
stesso
che per lei, che sentiva di potersi aprire e parlare di tutto, per
quel motivo non aveva mostrato alcuna reticenza nel rispondere alle
sue domande curiose. La cosa, segretamente, la lusingò.
Tuttavia,
non conosceva né la situazione né questo fratello
di cui parlava,
quindi ogni cosa la sua mente le suggerisse di dire le sembrava
banale e poco appropriata. Decise, quindi, di rimanere in silenzio,
ma alzò un braccio per posargli delicatamente una mano sulla
spalla,
attirandone l'attenzione, per poi sorridergli e accarezzargli
dolcemente il viso, forzandolo con la tenerezza a distendere i
lineamenti tesi e a sorridere.
“Ti
sto annoiando. Scusa.” - fece lui.
Bonnie
scosse la testa. “Affatto.” - assicurò.
Arrivò
il suono dell'ennesima campanella a rompere il momento. Bonnie, col
viso improvvisamente in fiamme, tossì e spinse sulle mani
per
scendere dal palco. Stefan, nel frattempo, si riavvicinò al
pannello
elettronico e spense il faro ancora acceso sul palco, facendole poi
strada lungo la scalinata che portava alla porta di accesso al
teatro...
“Stefan
mi ha dato buca! Gliela farò pagare cara!”
Elena
non aveva neppure messo piede fuori dall'aula che si era ritrovata
addosso Caroline, saltata fuori al nulla con quel discorso che la
lasciò non poco confusa.
“Come,
prego?”
“Mi
hai sentita! Doveva aiutarmi con i volantini per la festa durante la
nostra ora libera e mi ha dato buca.”
Elena
annuì, lentamente, una volta sola, sgranando leggermente gli
occhi
azzurri. Adesso capiva.
“Sarà
stato trattenuto. O avrà avuto da fare.” - lo
giustificò - “Nel
pomeriggio ti aiuto io. Promesso.”
Caroline
le acciuffò un braccio con la stessa luce negli occhi di una
bambina
contenta davanti ad un'enorme cono al cioccolato con granella di
nocciole e sembrò magicamente dimenticare del tutto lo
sconcerto per
il fatto che Stefan non si fosse presentato al loro appuntamento.
Elena
scosse la testa e presero a camminare insieme vero i loro armadietti,
con le fila di ragazzi e ragazze che si aprivano in due per favorire
loro il passaggio. A volte si sentiva stupida a pensarlo, di certo
sapeva che il suo era un atteggiamento a dir poco infantile, ma amava
i momenti tra una lezione e l'altra, amava attraversare quei corridoi
affollati con le stesse falcate sicure di sempre, amava le attenzioni
e l'ammirazione che le venivano riservate da cinque anni a quella
parte. Amava quella popolarità di cui aveva sempre goduto e
che
aveva guadagnato con un semplice sorriso già al primo giorno
in cui
aveva messo piede tra quelle mura.
Le
sarebbe mancato il liceo. Sapeva con certezza che la sua carriera da
“reginetta della scuola” sarebbe finita nello
stesso istante in
cui avrebbe lanciato in aria il tocco il giorno del ritiro dei
diplomi e, per questo motivo, aveva sempre creduto che il suo ultimo
anno sarebbe stato il più bello di sempre.
Questa era la sua
assoluta convinzione fino a qualche mese prima, quando si era giocata
con le sue stesse mani la chance di un ultimo anno meraviglioso verso
il finire dell'estate, quando aveva ceduto a Damon e Stefan l'aveva
scoperto.
Aveva
dato la colpa a tante cose – al caldo, a Damon stesso
– prima di
realizzare che la colpa era stata soltanto sua se era andata a finire
in quel modo e se il suo rapporto con Stefan si era rovinato senza
possibilità di rimettere davvero a posto ogni cosa.
Da
che ricordava era sempre stata fortemente legata a Stefan, aveva
sempre saputo di amarlo, per quello che era e per come la faceva
sentire. Nel momento in cui era cresciuta, però e la sua
bellezza
era fiorita del tutto, trasformandola nella ragazza che era
diventata, aveva cominciato ad attirare su di se anche le attenzioni
di quel fratello maggiore di Stefan col quale da bambina aveva avuto
molto poco a che fare. E lei, vanitosa come si era scoperta di
essere, aveva provato piacere nell'essere contesa tra i due ragazzi
più belli di Fell's Church.
Le
cose erano andate avanti così per anni. Damon la
punzecchiava di
continuo e cercava di rimanere da solo con lei ad ogni costo. Elena,
quando era con lui, si sentiva avvolgere ed ammaliare da quel suo
fascino fuggevole e malizioso, ma nel suo cuore aveva sempre sentito
ancorata la certezza che, alla fine dei conti, sarebbe sempre tornata
da Stefan, nel suo amorevole abbraccio. Quindi si tirava indietro,
faceva da preda in quel gioco in cui Damon non si preoccupava di
coinvolgerla, ma alla fine tornava sempre a tirarsi indietro un
attimo prima di cedere, credendo di mantenere così la sua
coscienza
pulita, ma ben consapevole del fatto che, in quel modo, non faceva
altro che aumentare l'insoddisfazione del maggiore dei fratelli che
alla volta successiva tornava ad insediarla con le sue piacevoli
moine con ancora maggiore forza e vigore di quanto non avesse fatto
in precedenza.
Poi,
a metà agosto, lui era tornato improvvisamente a casa e si
era
presentato da lei in uno stato d'animo così tormentato che
quasi
l'aveva spaventata con la sua irruenza, perchè mai l'aveva
visto in
quel modo. Aveva tentato di respingerlo, ancora, ma lui l'aveva presa
e baciata con tanta veemenza e passione che ne era rimasta travolta.
Aveva cercato di pensare, di resistergli, di dire a se stessa che era
sbagliato, completamente sbagliato perchè aveva finalmente
una
relazione col suo Stefan e che era importante, che stavano facendo
addirittura piani per il college e per il loro futuro insieme, ma un
secondo pensiero le si era insinuato nella mente a mano a mano che
Damon la toccava, una seconda voce che le sussurrava che, invece,
tutto ciò che stava succedendo in quel momento poteva andare
bene,
che nessuno l'avrebbe mai scoperto e che poteva godersi il momento,
che addirittura potevano essercene altri di momenti come quello, sia
con Damon che con Stefan. Chi o cosa le impediva di averli entrambi,
dopotutto?
Era
stata debole, egoista e vanitosa. Lo sapeva, lo sapeva così
come
sapeva che, se Stefan non l'avesse scoperta quel giorno stesso tra le
braccia del fratello, avrebbe mantenuto il silenzio e continuato su
quella strada, seguendo quell'infimo suggerimento della sua parte
più
oscura.
Persino
in quel momento, a posteriori, quando ci pensava non sapeva decidere
se fosse più dispiaciuta per ciò che aveva fatto
o per il fatto che
Stefan l'avesse scoperto.
Che
razza di persona era? Era dal giorno in cui Caroline stessa le aveva
urlato addosso quella domanda in difesa dell'amico col cuore a pezzi
che tentava di darsi una risposta senza mai riuscirci.
Almeno
– si diceva – non era rimasta del tutto sola. Gli
stessi Caroline
e Stefan, per quanto fosse imbarazzante, continuavano a comportarsi
come se fossero ancora gli amici di un tempo. Lui pareva sulla strada
del perdono ed era esattamente questo, questo tipo di gentilezza da
parte del ragazzo i cui sentimenti aveva tradito e calpestato, che
riportavano più frequentemente a galla quella famosa
domanda. Che
razza di persona era? Cosa aveva fatto? Che tipo di problema aveva?
“...e
devi aiutarmi a scegliere il tema.”
Elena
si voltò improvvisamente verso Caroline. Erano arrivate di
fronte al
suo armadietto e non se n'era neppure accorta, così come non
aveva
ascoltato una sola parola di ciò che l'amica aveva detto.
“Cosa?”
Caroline
sbuffò.
“Incredibile!
Non hai sentito nemmeno una virgola.” - rimarcò -
“Dicevo che,
tra le altre innumerevoli cose di cui dobbiamo occuparci per la
festa, la più importante è il tema. Devi aiutarmi
a sceglierlo.”
“Oh.
Il tema. Che ne dici dei dinosauri?”
Caroline
inarcò un sopracciglio. “Stai ancora guardando la
maratona di Glee
in televisione, confessa.”
Elena
si voltò verso il lucchetto del suo armadietto e lo
aprì
velocemente lanciando una smorfia all'amica, impegnata qualche metro
più in là nel suo stesso cambio di libri.
Ripresero a camminare
entrambe verso la loro successiva lezione.
“Sentiamo,
invece, tu che idee avresti?” - chiese.
“Io
ne avrei molte. Coppie storiche, ad esempio.”
“E
così hai eliminato dagli invitati metà della
scuola, noi due
incluse visto che non ce l'abbiamo il ragazzo per mettere in scena
una coppia.”
“Allora....potrebbe
essere un decade dance! Anni '50, anni '80....uno a caso e
via.”
“Fa
troppo teen-drama sui vampiri.”
“Già.
Hai ragione.” - corcordò Caroline -
“Quindi?”
“Che
ne pensi dei supereroi? Vanno di moda adesso. E saremmo tutti in
costume con maschere annesse.”
“Ma...sai
che non sarebbe male come idea? Dovrei parlarne col “club dei
nerd
che più nerd non si può” per i
suggerimenti su una scenografia
appropriata, ma si potrebbe fare...”
Elena
sorrise, ma neppure diede troppo peso alla faccenda. Ora che Caroline
aveva preso a fantasticare sul modo migliore e più
spettacolare per
rendere memorabile la sua festa, neppure farle presente che
aggiungere al tutto una scenografia per una festa privata non era
necessario. Dopotutto, si trattava sempre della ragazza che l'anno
prima aveva deciso che il tema dovesse essere il Natale in anticipo e
aveva fatto – Dio sa come – nevicare a Fell's
Church coi 25° che
c'erano stati nel caldo fuori stagione dell'inizio autunno dell'anno
precedente! E, ad ogni modo, non si poteva dimenticare la fissazione
che aveva per le feste in maschera.
Raggiunsero
il corridoio che portava alla loro classe di biologia mentre Caroline
stava ancora farfugliando. Nell'attraversarlo, però, gli
occhi di
entrambe vennero catturati dalla figura di Stefan che usciva ridendo
dal teatro insieme ad una delle nuove ragazze appena trasferitesi,
quella che avevano conosciuto la sera prima, Bonnie.
Caroline
rimase a fissarli per qualche attimo, ma poi si avvicinò,
trascinandosi dietro Elena, del tutto indifferente alla crisi di
gelosia che questa si era sentita esplodere dentro nel vedere il suo
ex-ragazzo così felice e tanto attento nei confronti di
un'altra.
Appena conosciuta, oltretutto.
“Quindi
è per questo che mi hai dato buca, eh?”
Quella
frase di Caroline servì ad attirare l'attenzione dei due su
di loro.
“Scusa
tanto, Care, ma ho trovato decisamente più allettante l'idea
di
mostrare a Bonnie la scuola.” - rispose lui, tanto
prontamente
quanto divertito.
“Mmhh...ok!
Ti perdono.”
Elena
si voltò a guardarla. Come, come? Lo perdonava? Ma se fino a
pochi
minuti prima pareva terribilmente scocciata dal fatto che lui non
l'avesse aiutata?
“Ma
non hai detto due minuti fa che gliel'avresti fatta pagare
cara?”
“Si,
l'ho detto.” - confermò l'amica - “Ma
era con Bonnie. E come non
perdonarlo se era con Bonnie?”
Elena
sentì qualcosa spingerle dal basso dello stomaco,
un'irritazione
forte verso tutta quella situazione, per il fatto che Stefan
– il
suo Stefan – avesse trascorso tutto quel tempo da solo con
quella
rossa sconosciuta e per il fatto che Caroline ne sembrasse
addirittura contenta.
Lei
aveva sbagliato si, lo ammetteva. Lo aveva fatto soffrire, ma
ciò
non significava che....che? Che cosa non significava?
Era
confusa dai suoi stessi pensieri, ma l'irritazione non scemava.
“Già.
Giusto. E' nuova. Ha bisogno di una guida.” -
sbottò, trattenendo
il fastidio - “Anzi, sai che c'è? Dovresti venire
a pranzo con
noi. Per fare amicizia.”
“Elena.”
- il richiamo venne da Stefan. Lei non se ne curò e lo
liquidò in
fretta con una mano.
“Che
c'è? Se è amica tua allora può essere
anche amica nostra, no?” -
rispose, voltandosi poi verso la rossa - “Sei con tua
sorella,
giusto? Porta anche lei. Sia mai che finite col magiare da sole ad un
tavolo vuoto.”
Aveva
messo in imbarazzo la nuova arrivata, lo vedeva: le si erano tinte le
guance di rosso e prese a mordersi un labbro, continuando pensierosa
per qualche attimo prima di risponderle con un cenno affermativo del
capo.
Elena
non aspettò oltre e al suono della nuova campanella
salutò in
fretta con una mano e si avviò verso la sua aula, prendendo
posto
nello stesso istante in cui Caroline la raggiungeva lanciandole
un'occhiata d'ammonimento che, per lei, voleva dire tutto e niente.
Ormai era fatta, la rossa aveva accettato: perchè rimarcare?
La
conoscevano, avrebbero dovuto aspettarselo.
All'ora
di pranzo riempì il suo vassoio alla mensa con una fetta di
pizza,
dell'acqua ed un'arancia e si avviò al suo solito tavolo.
Gli altri
quattro erano già lì e le avevano lasciato un
posto vuoto accanto a
Care. Stefan, che di solito le prendeva posto di fianco, quel giorno
si era seduto tra Bonnie e sua sorella e pareva avere occhi solo per
la rossa.
Poggiò
il vassoio sul tavolo con più forza di quanta intendesse.
“Oh.
Elena!” - l'accolse Caroline - “Bonnie la conosci.
Lei, invece, è
Meredith. Ci stava raccontando che solo in questa prima mezza
giornata ha fatto domanda d'iscrizione a metà dei club
studenteschi
e grazie alla sua davvero davvero incredibile media i geniacci del
decathlon praticamente già la supplicano per unirsi a
loro.”
“Supplicare,
adesso. Non esageriamo. Che siano diventati parecchio insistenti,
però, è vero.” - scherzò la
mora -Meredith- allungando una mano
verso di lei mentre prendeva posto - “Piacere di conoscerti,
ad
ogni modo.”
Elena
ricambiò la stretta con un sorriso: “Piacere
mio.”
“Tu
devi essere l'altra ragazza che ieri ha fatto irruzione al pensionato
con Caroline e Stefan per il permesso per la festa, giusto?”
“Sono
proprio io. Elena Gilbert.”
“Bene.
Almeno adesso conosco anche i vostri nomi. Stamattina Bonnie mentre
raccontava ricordava alla perfezione soltanto quello di Stefan,
mentre sui vostri era abbastanza incerta.”
“Mere!
Ma che dici?” - intervenne la diretta interessata,
allungandosi per
schiaffeggiare leggermente una mano della sorella.
“Cosa?
E' vero!”
“Beh,
se in piena notte avessi aperto la porta di casa e mi fossi ritrovata
davanti uno sconosciuto tanto figo quanto Stefan...probabilmente
anch'io avrei dimenticato chiunque altro fosse con lui.” -
Caroline
intervenne in quel modo, dal nulla, suscitando un riso leggero e
d'intesa in Meredith e scatenando una furiosa tosse da parte di
Bonnie, che per poco non si strozzava con l'acqua che le era andata
di traverso. Stefan cominciò a darle leggere pacche sulle
spalle e,
quando si calmò, la sua mano prese a muoversi delicatamente
in
cerchi concentrici sulla schiena della rossa mentre lui si sporgeva a
chiederle con accortezza se stesse bene.
In
quel momento, Elena sentì il cellulare squillarle nella
borsa in
sincrono a quello di Stefan, che prese a vibrare al centro del
tavolo.
Lui
fece un cenno a tutte e rimase al suo posto mentre rispondeva,
giustificandosi con un: “E' mio padre.”
Mano
a mano che la telefonata di Stefan prendeva consistenza, Elena si
abbassò di lato per riuscire a leggere il messaggio che le
era
appena arrivato.
Freddò
sul posto. Due sole parole ed un'iniziale troneggiavano sullo schermo
bianco del suo cellulare: Sono
tornato. D.
Alzò
gli occhi, ma già sapeva cosa avrebbe trovato. Mentre
leggeva e
rileggeva, infatti, aveva sentito il tono di Stefan aumentare e
l'irritazione nella sua voce crescere. Sapeva che i suoi occhi verdi
erano direttamente puntati su di lei, freddi e delusi come solo
un'altra volta li aveva visti: quella
notte.
“Va
bene, papà. Ho capito. Torno a casa presto, oggi.”
Stefan riagganciò poco dopo. Elena fece appena in tempo
a trovare il coraggio per ricambiare il suo sguardo che lui si
alzò
e raccolse il suo vassoio, ancora quasi del tutto intatto.
“Scusate.”
- fece - “Mi è passata la fame.” -
lanciò uno sguardo
dispiaciuto a Bonnie, poi si voltò e andò via,
lasciando
direttamente la mensa.
Caroline fece cadere la forchetta che reggeva tra le
mani e si sporse verso di lei.
“Si
tratta di chi penso che si tratti?”
Elena annuì a testa bassa. Caroline le soffiò
accanto
un sospiro e poi si alzò anche lei, sicuramente per
raggiungere
Stefan. Le aveva sempre messo bene in chiaro che, se mai si fosse
trovata a scegliere, avrebbe sempre preferito lui a lei, quindi Elena
non se ne dispiacque neppure più di tanto quando la vide
allontanarsi.
Alzò gli occhi soltanto per trovarsi da sola a dover
fronteggiare gli sguardi carichi di perplessità delle due
nuove
arrivate. Loro non sapevano e si trovò a domandarsi cosa
avrebbero
pensato di lei se avessero saputo.
Decise che avrebbe di gran lunga preferito non conoscere
mai la loro risposta.
NOTE:
Ciao
a tutti!! E buon sabato sera^^
Innanzitutto,
voglio ringraziarvi tantissimo per la bellissima ri-accoglienza *D*
Siete fantastiche, girls! Vi lovvo un sacco *D*
Passando al
capitolo....beh, siamo ancora all'inizio della storia e si vede, stiamo
ancora conoscendo i personaggi quindi non è successo un
granchè xD
Tuttavia qualcosa c'è. Primo tra tutti: Alaric!!
Giuro,
sono in ansissima a causa sua xD L'altro giorno, proprio rispondendo ad
una della vostre fantastiche recensioni, ho realizzato che è
la
primissima volta che comincio una storia senza che Meredith e Alaric
stiano già insieme O_O Questo vuol dire che è
anche la prima volta che
devo affrontare la faccenda "professore e allieva che si innamorano"
O_O Amore proibito! Ci piace! Io, però, ho sempre fatto la
furba,
saltando direttamente a loro che stanno già insieme da anni
xD Ebbene,
sarà una sfida! U_U E ormai mi conoscete: parto con un'idea
semplice
per le mie storie e poi se non me le complico smetto di chiamarmi
Valeria (è il mio nome, non so se ve l'ho mai detto xD).
Andando
avanti, abbiamo trovato Bonnie e Stefan che cominciano a fare
conoscenza. Mi pare ovvio che i ragazzi siano rimasti decisamenti
colpiti l'uno dall'altra xD Per questa storia -vi avverto- non vi
aspettate niente di solo platonico tra questi due. Avranno un bel
cammino da fare insieme se riesco a non rovinarmi le mie stesse idee al
momento di scriverle xD Ad ogni modo, abbiamo avuto un assaggio di
com'è la vita di Stefan grazie al suo breve racconto e
abbiamo scoperto
qualcosa in più su Bonnie, la mia rosha ballerina xD
Infine...Elena!!!
Lascio a voi giudicarla xD Almeno, però, abbiamo capito un
pò di più di
quello che è successo tra lei, Stefan e Damon qualche mese
prima.
Mi
sembra superfluo aggiungere che Damon arriverà nel prossimo
capitolo.
E, per chi fosse interessato, nel prossimo capitolo capiremo anche
qualcosa in più su chi ha fatto soffrire tanto Bonnie mentre
era a New
York. Incontreremo questa persona? La risposta è si! E'
stato il primo
grande amore di Bonnie e le deve un pò do spiegazioni. Idee
su chi sia?
Personaggio nuovo o qualcuno che nei libri già
c'è? Se si, chi? Fatemi
sapere, se vorrete, su chi puntate xD
Adesso vi lascio....Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che
decidiate di recensirlo *shy*
Alla prossima settimana...BACIONI...IOSNIO90!!!
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Capitolo 3 *** Ritorno a Fell's Church ***
Ritorno a
Fell's Church
Il giorno dopo Stefan non si
presentò a scuola. Bonnie
aveva provato a cercarlo prima dell'inizio delle lezioni per
chiedergli come stesse, preoccupata per lui per come l'aveva visto
andare via il giorno prima a pranzo, ma non era riuscito a trovarlo e
nelle ore che, da orario, avrebbero dovuto condividere il suo banco
rimase vuoto per tutta la mattina.
Ricordava perfettamente la tensione che aveva percepito
nell'aria a mensa mentre Stefan parlava al telefono con suo padre e
non le era piaciuta. Sia lui che Elena e anche Caroline avevano
cominciato subito a comportarsi in modo strano e la cosa l'aveva un
po' agitata.
Bonnie era il tipo di ragazza che tendeva ad
affezionarsi subito ed era innegabile il fatto che fin dalla loro
chiacchierata in teatro aveva avvertito una forte empatia nei
confronti di quel ragazzo tanto gentile. Le interessava, quindi,
sapere come stesse, ma non aveva avuto il coraggio di andare da Elena
o da Caroline per chiedere loro notizie. La prima aveva mostrato fin
da subito di non apprezzarla granchè e Bonnie non ci teneva
particolarmente a trovarsi a fare quattro chiacchiere in privato con
lei. Invece, per quanto riguardava la seconda, era convinta che
Caroline si sarebbe di sicuro mostrata più aperta e
cordiale, ma le
uniche volte in cui l'aveva vista l'aveva trovata troppo impegnata a
lanciare sguardi in cagnesco ad Elena e non le era parso il caso di
mettersi in mezzo.
Una cosa era certa, però: la situazione tra quei tre
non era tutta rosa e fiori come poteva apparire. A detta di Meredith,
in passato doveva essere successo qualcosa di brutto tra Stefan ed
Elena e Caroline si era schierata con l'amico; ora le cose andavano
meglio, ma la tensione e le fazioni tornavano quando l'argomento
risbucava fuori. A nessuno era sfuggita la frase che Caroline aveva
sussurrato ad Elena poco prima di seguire Stefan fuori dalla mensa,
quindi Bonnie era giunta alla conclusione che sua sorella non avesse
poi tutti i torti, sebbene conoscesse quei ragazzi ancora meno di
quanto non li conoscesse lei. Ma Meredith era Meredith e raramente
sbagliava nel giudicare le persone: Bonnie le aveva sempre invidiato
questa capacità.
Ad ogni modo, non le interessava cosa fosse o non fosse
successo tra quei tre, non voleva alcun dettaglio in merito, le
avrebbe solo fatto piacere sapere che Stefan stava bene. Forse
Meredith aveva avuto ragione, forse quel ragazzo l'aveva colpita
più
del dovuto, ma continuava a credere che non ci fosse nulla di
sbagliato: Stefan era un ragazzo a posto e sapeva che, anche se fosse
caduta preda del suo solito innamoramento facile, lui non era tipo da
illuderla.
Dopo la sua ultima grandissima delusione, ne era uscita
col cuore così a pezzi che aveva cercato sempre, da quel
momento in
avanti, di tenere a freno il suo eccessivo romanticismo, guardando
con sospetto alle lusinghe o alle attenzioni che ragazzi vari
potevano avere nei suoi confronti. Con Stefan, però, non le
era mai
passato per la testa il dubbio che ogni parola gentile potesse avere
un secondo fine atto solo a prendere in giro i suoi sentimenti. Nel
verde intenso degli occhi del ragazzo aveva sempre scorto
un'incredibile sincerità dietro ogni singolo gesto. Si
fidava,
quindi. Ed era una gran cosa per lei che aveva giurato che non si
sarebbe più fatta trarre in inganno da nessun esponente del
sesso
opposto.
Dopo la fine delle lezioni, Meredith era filata dritta
al pensionato, mentre lei si era attardata ancora un'ora in
biblioteca, alla ricerca di un paio di libri da dover leggere per il
corso di letteratura. Fece appena in tempo a trovarli entrambi che fu
costretta a correre via se non voleva arrivare in ritardo alla sua
seconda lezione di danza. Recuperò dall'armadietto il
borsone che
preventivamente Meredith le aveva fatto portare via fin dal mattino,
ci ficcò dentro i nuovi libri e marciò fuori
dall'edificio e quindi
via verso il centro di Fell's Church.
Attraversò una stradina costeggiata sui due lati da una
serie di villette a schiera prima di svoltare sulla strada principale
che attraversava la cittadina da parte a parte, tagliandola in due
metà quasi perfette. Visto il traffico pomeridiano che
affollava
quell'unica grande strada e teneva bloccati i pedoni ai semafori per
dieci minuti ad ogni incrocio, decise di entrare nel parco e tagliare
da lì, come le aveva consigliato di fare la Signora Flowers
quella
stessa mattina.
All'uscita dal parco, individuò la sua scuola di danza
dall'altra parte della strada e rimase stranita nel notare chi c'era
lì davanti.
“Stefan?”
- chiese.
Il ragazzo si scostò dall'auto -una Jaguar grigia-
alla quale era appoggiato e le rivolse un sorriso imbarazzato,
infilando entrambe le mani nelle tasche dei jeans scuri.
“Ciao.”
- la salutò lui - “Ti ho...fatto
un'improvvisata.”
“Lo
vedo. Sono...sorpresa.”
“Si,
scusa. So che non sarei dovuto piombare qui fuori così, ma
volevo
scusarmi. Per ieri a mensa. Dev'esserti sembrato strano.”
Bonnie sospiro e abbozzò un sorriso. Non voleva
mentirgli e neppure le pareva il caso di farlo.
“A
dire il verso si, un po' strano mi è sembrato.” -
confermò - “Ma
non deve scusarti né devi spiegarmi niente. Tu stai bene,
piuttosto?
Ieri parevi un po' sconvolto.”
“Mio
fratello torna a casa. Dovrebbe arrivare da un momento all'altro.
Pare che si sia fatto cacciare dall'università o se ne sia
andato
lui, non ho ben capito.” - spiegò Stefan,
scrollando le spalle con
un amaro sorriso - “So solo che mio padre è fuori
di sé dalla
rabbia e che adesso ricominceranno le lite tra quei due a causa di
questo ritorno.”
Bonnie riportò alla mente il tono col quale lui le
aveva parlato di questo suo fratello il giorno prima e le cose che le
aveva detto. Per quello che sapeva, credette di capire in parte
l'improvviso sbalzo d'umore di Stefan del giorno prima.
“Mi
pare di aver capito che...tuo fratello non ti piaccia molto.”
-
azzardò.
Stefan aggrottò la fronte: “Non è
che...non mi
piaccia. Sicuramente sono io a non piacere a lui, ma non è
che lui
non mi piaccia. E' un rapporto complicato, sempre stato. E sono
successe delle cose ultimamente che l'hanno complicato ancora di
più.
Non penso che averlo intorno adesso mi renda molto felice,
però.
Speravo che sarebbe passato più tempo...”
Bonnie gli poggiò una mano su un braccio e scosse
lievemente la testa. Non voleva che lui si sentisse in dovere di
raccontarle cose alle quali magari neppure voleva pensare.
“Ascolta.
Adesso ho la lezione, ma, se non ti va di esserci mentre tuo padre e
tuo fratello si rivedono,
potresti tornare qui quando ho finito. Potremmo fermarci ancora un
po' a parlare oppure potresti mostrarmi come muovermi in
città così
come hai fatto con la scuola. Oggi, ad esempio, me la sono cavata
alla grande con le tue istruzioni.” - propose, quindi, senza
non
poco imbarazzo, visibile soprattutto dalle sue guance improvvisamente
rosse.
“Mi
chiedo...come tu abbia fatto a sopravvivere a New York se hai un
senso dell'orientamento davvero così scarso.” -
scherzò lui,
aiutandola, forse involontariamente o forse no, a smorzare l'ansia.
“Meredith
lo considera uno dei grandi misteri della vita.” - rispose
lei,
assecondandolo.
Stefan fece un passo indietro e tirò fuori le chiavi
dell'auto da una delle tasche.
“Ok.
Allora...a dopo?”
“Finisco
tra un paio d'ore.” - annuì Bonnie.
La Ferrari nera tirata a lucido
svoltò lentamente nel
vialetto di ghiaia di Villa Salvatore e si fermò a qualche
metro dal portellone chiuso dell'imponente garage sul lato destro della
costruzione. Damon sfilò gli occhiali da sole e scese
dall'auto,
facendo vagare per qualche attimo i suoi occhi scuri sulla distesa
verde del parco e poi in alto, sulle cime degli alberi secolari
illuminate dall'arancio tenue del tramonto. Era Ottobre e le giornate
cominciavano a perdere ore di luce: erano appena le sei del
pomeriggio eppure il sole già era quasi calato del tutto e
la
frescura serale cominciava a farsi sentire, soprattutto sulla piccola
collinetta sulla quale si ergeva la villa e il parco che avevano
sempre ospitato la sua famiglia da generazioni, come amava ripetere
suo padre in continuazione con quel cipiglio tanto orgoglioso e la
voce impostata.
Fosse stato per Damon, quella casa sarebbe stata
demolita già molti anni prima. Di fatto, tendeva a passarci
meno
tempo possibile e il fatto di esserci dovuto tornare per forza lo
disturbava nel profondo. Ma aveva bisogno di liquidi e,
finchè non
avesse trovato un nuovo posto dove stare, aveva deciso che si sarebbe
divertito a mettere di malumore suo padre e a rendere la vita di suo
fratello impossibile. Già se li vedeva entrambi: Giuseppe
tutto
impostato che gli ricordava ancora quanto l'avesse deluso e quanto
fosse un totale fallimento e poi Stefan, che probabilmente ce l'aveva
ancora su a morte con lui per quello che era accaduto con Elena
qualche mese prima. Non era stata sua intenzione tornare allora,
così
come non era dipeso dalla sua volontà il fatto di essere
tornato
adesso. Era successo ciò che era successo forse neppure per
i motivi
giusti, ma queste erano questioni che non avrebbe mai discusso col
suo fratellino anche se avrebbero potuto portare un po' di sollievo
al suo fragile cuore ferito e spingerlo verso la riconciliazione.
Neppure Damon, dopotutto, sapeva se voleva oppure no una sorta di
riconciliazione e neppure gli interessava chiederselo
perchè, ad
ogni modo, non sarebbe servito a niente. Non prevedeva di rimanere
molto a Fell's Church, ma aveva già una mezza idea di
riprendere con
la bionda il discorso bruscamente interrotto a suo tempo. Se c'era
una cosa che aveva capito dalle esperienze del suo ultimo anno di
vita era che Elena era tutto ciò che avrebbe mai potuto
avere ed era
già più che abbastanza, quindi perchè
sprecare il suo tempo a
desiderare di più o a guardare altrove? Che ci guardassero
gli altri
altrove! Che ci guardasse Stefan! Lui il suo obiettivo l'aveva
già
maturato e deciso.
Aprì il bagagliaio e tirò giù le due
valige
contenenti tutti i vestiti di cui avrebbe avuto bisogno. Il resto
glielo avrebbero spedito per aereo tra qualche giorno, dritto dritto
dall'ultimo college dal quale si era fatto espellere.
Era
una sorta di gioco. Almeno per lui. Suo padre, il sindaco Giuseppe
Salvatore, non faceva altro che ripetergli che avrebbe dovuto mettere
la testa a posto, che avrebbe dovuto fare qualcosa della sua vita.
Damon non era lo scemo che quell'uomo credeva che fosse, sapeva
benissimo che avrebbe dovuto scegliere una sua strada un giorno e
percorrerla fino alla fine. E lo avrebbe anche già fatto se
suo
padre non fosse sempre stato lì pronto a spingerlo verso
ciò che
lui
voleva
e ciò che lui
credeva che fosse meglio o adeguato. L'aveva fatto per anni, poi
aveva cambiato tattica: aveva provato a lasciarlo scegliere da solo e
l'aveva appoggiato. A quel punto in Damon era scattato
automaticamente qualcosa di molto simile all'isterismo infantile e
aveva cominciato ad opporsi anche a quello. Voleva soltanto essere
lasciato in pace. Non voleva che suo padre gli dicesse cosa fare, ma
non voleva neppure il suo appoggio quando decideva con la sua testa.
Voleva essere lasciato solo, completamente solo. Solo coi suoi
pensieri e le sue decisioni. Solo.
In casa non c'era nessuno, solo la vecchia domestica che
suo padre aveva assunto alla morte di sua madre e che ancora veniva a
passare l'aspirapolvere in giro tre volte alla settimana. Lei gli
aprì la porta, lo salutò con un sorriso e un
bentornato, si premurò
di accertarsi che non volesse nulla né da mangiare e
né da bere,
quindi prese la sua borsa e se ne tornò a casa propria, dove
l'aspettavano i suoi figli coi suoi nipoti -così aveva detto.
Damon portò le valige direttamente al piano di sopra,
nella sua vecchia camera. Le finestre erano spalancate -
probabilmente per cambiare aria all'ambiente in vista del suo ritorno
– e le lenzuola erano state cambiate di recente. Le pareti di
poster e fotografie erano state spolverate così come i
mobili ed
ogni elemento d'arredo. Il pavimento in marmo scuro era lucido sotto
i suoi piedi. Se non avesse ben conosciuto la realtà dei
fatti,
avrebbe pensato che qualcuno in quella casa era felice di quella sua
improvvisata.
Il suono di un'altra auto che si fermava sul vialetto di
casa attirò presto la sua attenzione. Dalla finestra, vide
la
Jaguar di suo fratello parcheggiare direttamente alle spalle della
Ferrari. Stefan spense il motore, scese dall'auto e rimase ad
osservare l'auto davanti alla sua per qualche istante subito dopo i
quali sospirò, con tanta rassegnazione che Damon se ne
sentì
investito persino dalla sua privilegiata posizione dall'alto.
Lasciò la stanza e andò incontro alla porta che
si
apriva dopo solo una mandata di chiave.
“Fratellino.”
- salutò, fermandosi sull'ultimo scalino con la ringhiera in
spesso
e rifinito legno scuro che gli faceva d'appoggio al gomito.
“Damon.
Credevo avessi detto che arrivavi in serata, forse addirittura in
piena notte.”
“Attento,
Stef. Potrei pensare che tu non sia felice di vedermi.” - il
tono
ironico, però, non sembrò scalfire affatto il
fratello, che scrollò
le spalle e lo sorpassò con un gelido - “Infatti
non lo sono.”
Damon alzò gli occhi al cielo. Tanta brutale
sincerità
da parte del perfettissimo Stefan era una novità troppo
grossa per
non stuzzicarlo ancora. Quanto ancora poteva reggere la messinscena
di quello a cui poco gliene importava? Poco, molto poco –
decise –
trattandosi del suo sensibile fratello.
“Oh,
andiamo! Non dirmi che ce l'hai ancora su con me per la faccenda di
Elena.” - fece, in un finto lamento, seguendo Stefan fin
dentro la
camera di quest'ultimo - “Eppure lei mi ha detto che ormai
siete
amici come prima voi due, che non ti interessa più cosa
è
successo.” - aggiunse, quindi, inarcando le labbra in un
sorriso
meschino, ben consapevole di ferire il fratello insinuando che tra
lui ed Elena, dopo quella notte e le suppliche di perdono da parte di
quest'ultima, non fosse mai cambiato niente nonostante le belle
promesse.
Stefan si fermò davanti al suo armadio, ne tirò
fuori
una leggera giacca sportiva color sabbia e la infilò
velocemente al
di sopra della maglietta nera a mezza manica. Davanti allo specchio
mise a posto i capelli e si voltò a sistemarsi il cappuccio
grigio
chiaro della stessa giacca, poi diede un'occhiata all'orologio e fece
per marciare fuori.
Damon, per tutta risposta, gli sbarrò la strada.
“Allora?”
“Allora
cosa?”
“Allora
non hai nulla da dirmi?” - chiarii.
Stefan sbuffò.
“Cosa
vuoi che ti dica, Damon?” - fece - “Elena pensa che
tutto sia
tornato come prima? Beh, è un'illusa. Ma su una cosa ha
ragione: non
mi interessa.” - chiarii - “Adesso, se non ti
dispiace, avrei da
fare.”
Gli scostò via il braccio e si avviò lungo le
scale.
“Appuntamento?”
- ghignò Damon - “E' carina?”
“Fuori
dalla tua portata.” - si sentì rispondere, mentre
la porta
d'ingresso tornava a richiudersi alle spalle di Stefan.
Ecco,
quello
era stato una sorpresa. Più del tono indifferente,
più delle parole
sprezzanti. Ciò che non si era aspettato era ritrovare suo
fratello
tanto...sereno dopo così appena poco tempo dalla notte in
cui
sembrava che gli avesse distrutto l'intero mondo. La cosa, per
più
di un motivo, lo irritò. Aveva raggiunto un vantaggio su suo
fratello, lo aveva ferito nel profondo, ne aveva addirittura tratto
piacere e alla fine si era rivelato tutto prettamente inutile,
perchè
Stefan sembrava stare anche meglio di prima.
Aveva bisogno d'aria.
“Gelato?”
Bonnie sobbalzò, colta alle spalle dalla voce di Stefan
non appena mise piede fuori dalla sala prove.
“Ti
ho spaventato!” - si stupì lui, sorridendole -
“Questa è nuova!
Di solito non spavento mai nessuno.”
“Ero
sovrappensiero.” - si giustificò lei -
“Sai com'è, cercavo un
amico col quale avevo un--”
“Appuntamento.”
- finì lui.
Bonnie rispose con un sorriso, nascondendo per un attimo
il viso nei lunghi boccoli rossi che aveva lasciato sciolti sulle
spalle. Si era fermata poco prima di pronunciare la parola
“appuntamento” perchè non sapeva come
sarebbe suonata dopo una
conoscenza così breve e non voleva che Stefan la ritenesse
una
ragazza sfacciata e spocchiosa quando, magari, per lui si trattava
soltanto di un paio d'ore in compagnia giusto per scacciare i cattivi
pensieri e trascorrere la serata in modo diverso dal solito. Il
fatto, quindi, che fosse stato lui stesso a chiarire che sì,
si
trattava di un appuntamento -improvvisato, ma pur sempre
appuntamento- la lusingò ancora più di quanto
avesse creduto
possibile.
Lui le si avvicinò e le prese educatamente il borsone
da una spalla.
“Possiamo
appoggiarlo nella mia auto fino a che non ti riporto a casa.”
-
propose, muovendosi solo dopo un cenno affermativo di lei.
“Ti
sei cambiato.” - si ritrovò a notare, in un
momento di assordante
silenzio.
Stefan scrollò le spalle. Faceva l'indifferente, ma il
sorriso era caldo e sincero.
“Ho
solo messo una giacca, ma avevo un appuntamento e volevo essere
carino.”
Bonnie
si morse un labbro e scosse la testa. Stava per lasciarsi scappare
quanto in realtà lo trovasse sempre
carino, anzi più che carino. Per quanto potesse ritenersi
una
ragazza timida soprattutto nei rapporti con l'altro sesso, aveva una
vista abbastanza buona da aver classificato Stefan come “figo
da
paura” nell'istante stesso in cui l'aveva conosciuto, qualche
sera
prima al pensionato. E ancora non riusciva a credere a quanto lui si
dimostrasse sempre gentile e disponibile, educato oltre ogni
immaginazione. Un gentiluomo, quello era. Il principe azzurro
impacchettato con un bel fiocco rosso sulla testa e posto dritto
sulla sua strada: cominciava a credere che forse qualcuno
lassù le
voleva bene. Soprattutto da quella sera, mentre Stefan chiariva
esplicitamente di essere almeno un po' interessato a lei. Bonnie non
credeva, infatti, che fosse quel tipo di ragazzo da accettare di
uscire per un appuntamento con qualsiasi bella donna gli capitasse a
tiro, benchè avrebbe tranquillamente potuto permetterselo.
Si poteva
essere più perfetti di così?
“Quindi...siamo
amici?” - le chiese, tornando verso di lei.
“Direi
di si.”
“E
se dovessimo uscire per un altro appuntamento, stavolta organizzato a
dovere, con cena, fiori e tutto il resto? Saremmo...sempre comuni
amici?”
“Beh,
in quel caso suppongo che potremmo ridiscuterne.”
Cosa stava facendo? Stava flirtando? Davvero? Bonnie non
se ne era mai ritenuta capace. Nemmeno a New York, nemmeno
con...l'idiota che le aveva spezzato il cuore mesi prima. Era lui che
flirtava, lei non ci era mai riuscita. Forse la differenza stava nel
fatto che lui la intimidiva, Stefan no, con lui era diverso, si
sentiva completamente rilassata, serena e sicura di sé.
Perchè
diamine non si era trasferita a Fell's Church anni prima? Si sarebbe
risparmiata un bel po' della classica crisi da adolescente
complessata.
Seguendo l'indicazione iniziale di Stefan, Bonnie si
lasciò guidare attraverso il parco e poi verso la piazza
centrale
della cittadina, animata a sera da allegre famiglie di ritorno da una
passeggiata e ragazzi appena usciti di casa per andare
chissà dove a
divertirsi. Qualche coppia già occupava le panchine sparse
in giro,
godendosi il romanticismo offerto dai lampioni accessi in supporto
alla luna appena sorta.
Era...carino, caratteristico. Decisamente molto meno
caotico delle sarete tipo che avevano fatto da sfondo alla sua vita
fino ad una settimana prima.
Si diressero verso l'unico locale presente, il Black
Magic, che faceva da bar, ristorante e pasticceria tutto in uno per
l'intera Fell's Church. Potevano prendere lì i loro gelati e
poi
spostarsi altrove, magari tornare al parco e chiacchierare ancora,
per ore, come avevano fatto a scuola durante il loro tour. Bonnie non
poteva essere più d'accordo col piano.
“Sembri
più rilassato rispetto ad oggi pomeriggio.” -
commentò lei.
Stefan scrollò le spalle.
“Mio
fratello è tornato in anticipo, l'ho già
incontrato, lui non ha
perso tempo nel punzecchiarmi con vecchie faccende non proprio facili
da superare, ma mi sono accorto che forse non do più tanto
importanza alla cosa come credevo di fare ancora.” - rispose
lui -
“Pensavo solo a non arrivare in ritardo da te. Credo proprio
che tu
mi faccia bene, Bonnie McCollough. Mi chiedo perchè sei
arrivata
solo adesso..”
“Già.
Me lo chiedo anch'io.”
Bonnie ricambiò lo sguardo intenso del ragazzo ed
accettò l'offerta della sua mano tesa che la invitava a
seguirlo
all'interno del locale. La porta alle loro spalle si chiuse con un
struscio ovattato e lei si ritrovò immersa in una nuova
realtà,
fatta di risate, musica di sottofondo e il delizioso odore delle
torte appena sfornate che un cameriere dall'aria concentrata stava
esponendo in uno dei banconi. I ragazzi presenti giocavano a biliardo,
le ragazze chiacchieravano tra loro e i pochi adulti erano agli
sgabelli del bar e bevevano alcolici; nessuno fece caso a loro,
nessuno diede retta alla nuova arrivata mano nella mano col
quarterback del liceo. Bonnie, per la prima volta da quando aveva
lasciato il suo microverso a New York, non si sentì persa,
sentì di
appartenere a quel nuovo mondo.
“Vado
a prendere i nostri gelati. Se vuoi puoi aspettarmi qui, torno
subito.” - l'avvertì Stefan.
Bonnie annuì: “Certo.” - fece -
“Per me al
cioccolato.” - istruì poi.
“Golosa.”
- dedusse Stefan - “Cioccolato sia.” - e lo vide
allontanarsi per
andare dritto dallo stesso cameriere addetto ai dolci col quale
scambiò poche parole prima che questi cominciasse a
trafficare con salviettine e coni.
Bonnie diede una nuova occhiata in giro e si premurò di
spostarsi di lato non appena sentì il fruscìo
della porta che
tornava ad aprirsi alle sue spalle. Due ragazze la sorpassarono e le
lanciarono un sorriso e un cenno di saluto: evidentemente dovevano
averla vista in quei giorni per i corridoi del Robert E.Lee e,
sebbene non le ricordasse minimamente, ricambiò il saluto
con la
stessa simpatica cortesia.
“Bonnie?”
Tornò a guardarsi indietro quando quella nuova voce le
arrivò alle spalle e raggelò sul posto,
trovandosi davanti a due
occhi neri impossibili da dimenticare benchè negli ultimi
mesi
l'avesse desiderato con tutta se stessa. Erano quegli stessi occhi
che l'avevano fatta sognare nel suo ultimo anno a New York,
spedendola letteralmente in paradiso per poi sbatterla crudelmente
all'inferno da un giorno all'altro, trasformando tutto quel romantico
sogno in un atroce incubo.
Non poteva essere. Cosa diavolo ci faceva Damon Lawson a
Fell's Church? Era uno scherzo? Evidentemente chiunque le avesse
voluto così bene da volere che conoscesse Stefan, aveva
già cambiato
idea.
“Bonnie.”
- Stefan tornò prima che potesse cominciare ad urlare in
preda ad
una crisi isterica. Glene fu profondamente grata. - “Ecco,
tieni.”
- fece, consegnandole quella delizia di cui aveva davvero bisogno per
tirarsi su il morale andato a farsi benedire.
Damon, nel frattempo, non si era mosso di un centimetro
ed era ancora lì, a qualche passo davanti a lei, intento a
fissare
lei e Stefan con una confusione negli occhi che non era abituata a
vedergli.
Stefan ricambiò lo sguardo di Damon e alzò gli
occhi
al cielo.
“Ecco,
avrei preferito farlo in un secondo momento o non farlo affatto, ma a
questo punto le presentazioni sono d'obbligo.” - disse,
poggiandole
una mano alla base della schiena a voltandosi a guardarla -
“Lui è
quel mio fratello maggiore di cui ti ho parlato, quello appena
tornato in città. Damon Salvatore.”
Bonnie
sbarrò gli occhi. Adesso quella confusa era decisamente
lei.
Che
significava che erano fratelli?
Non
poteva essere! Non poteva assolutamente essere vero. Stefan era
così....e Damon...Impossibile. Impossibile che la vita fosse
tanto
dispettosa. Non poteva né voleva crederci che un tiro tanto
mancino
fosse proprio stato riservato a lei. No no e no.
“Damon...Salvatore?”
- si ritrovò a chiedere puntando gli occhi sul ragazzo in
questione
che rimase impassibile. Quindi...cosa? Non si chiamava Lawson? Le
aveva mentito anche su questo? Era come sentirsi pugnale al cuore
un'altra volta. In cuor suo, nonostante il modo in cui era andata a
finire, aveva continuato a credere che non tutto fosse stato una
finzione, che i sentimenti che gli aveva sempre visto riflessi negli
occhi scuri nei loro momenti insieme fossero stati veri. Scoprire,
invece, che addirittura le aveva mentito sul suo nome non faceva
altro che avvalorare quelle che erano state le sue ultime parole e
cioè che tutto ciò che avevano vissuto era stato
tutto un gioco fin
dal principio, divertente all'inizio, ma che l'aveva presto stancato.
Era stata tanto insignificante per lui che non si era neppure
scomodato a dirle come si chiamava realmente. Visto come stavano le
cose faticava a credere che lui, invece, ricordasse ancora il suo di
nome.
Desiderò dimenticare come non aveva mai desiderato
prima di allora. Desiderò cancellare ogni cosa del tempo
sprecato in
quella vecchia storia che non era stata nient'altro che la stupida
illusione di una ragazzina immatura, troppo ingenua per riconoscere
un ragazzo che non aveva fatto altro che prendersi gioco di lei.
Damon, il solo averlo davanti agli occhi, la faceva sentire una
perfetta stupida e non voleva, non voleva che lui avesse tutto quel
potere su di lei. Voleva...che nella sua vita non fosse mai esistito.
Non voleva affrontarlo e neppure voleva che lui la affrontasse, che
rivelasse quanto ingenua fosse stata. Non voleva vedersi rovinata
quella nuova vita che proprio ora stava cominciando a piacerle. Damon
doveva starne fuori, il più fuori possibile, doveva essere
un
estraneo.
Quindi
prese un respiro e si forzò a sorridere. Non lo voleva nella
sua
vita e ci teneva che lo capisse fin da subito. Il fatto che fosse
fratello di Stefan, cosa della quale ancora non riusciva a
capacitarsi, non significava niente. Non doveva
significare un bel niente.
Sapeva che avrebbe dovuto guardare Stefan negli occhi e
rivelargli tutto subito, ma non ci riusciva, non ancora. Se e quando
quella faccenda sarebbe venuta fuori Bonnie voleva essere sicura di
essersene distaccata del tutto e al momento provava ancora troppa
delusione e troppa rabbia per riuscire a confessare. Sarebbe arrivato
il momento -si disse. Forse stava per sbagliare tutto, ma il dolore,
inconfessabile, era ancora troppo grande. E allora si, sorrise, un
sorriso tanto finto che fece scattare un piccolissimo cambiamento
nell'espressione di Damon, che aggrottò leggermente la
fronte.
“Oh.
Piacere di conoscerti, Damon. Io sono Bonnie, un'amica di tuo
fratello.”
“E
noi stavamo giusto andando, vero Bonnie?”
Damon continuò a fare scena muta. Bonnie allora
annuì
e si lasciò portare via da Stefan.
NOTE:
Ciao
a tutti e buon sabato sera!! Grazie a tutti coloro che hanno letto e/o
recensito lo scorso capito. Sono contenta che vi sia piaciuto
nonostante succedesse poco e niente xD In questo è successo
decisamente di più: è finalmente sbucato fuori
Damon. E si, Damon è anche lo stesso che mesi prima ha
spezzato il cuore a Bonnie mentre ancora era a New York.
Giuro, il fatto che l'abbiate indovinato praticamente quasi tutte mi fa
sentire terribilmente prevedibile ç_ç
La vedrò con ottimismo xD Sperando che l'idea non
vi dispiaccia e non vi sentiate deluse da questo risvolto.
Il fatto è che, quando ho impostato la storia, mi sono detta
fin da subito di voler fare qualcosa di diverso da tutto quello che
finora avevo scritto. Quindi ho pensato che modificare uno
pò il classico schema di fondo delle coppie poteva essere
un'idea fattibile. Insomma, fino ad adesso ero sempre partita da una
situazione in cui Stefan era in gara col fratello per Elena e Bonnie
veniva considerata poco e niente da Damon. Classico.
Allora mi sono chiesta: come andrebbe a finire se Stefan ed Elena
fossero già stati insieme e si fossero poi lasciati,
così come anche Damon e Bonnie? Sicuramente mi sembrava un
qualcosa di diverso. O almeno non mi è mai parso di leggere
in giro niente in cui soprattutto Damon e Bonnie fossero già
stati una coppia in passato e poi fosse finita. Ma forse sbaglio, no so
xD
Ad ogni modo ecco il fatto: Stefan stava con Elena, erano
innamorati, lei ha fatto la cretinata con Damon e si son mollati. Damon
stava con Bonnie, erano innamorati, lui ha fatto una cretinata e si son
mollati. Caso vuole che Stefan e Bonnie si conoscano, si piacciano,
condividano senza saperlo la stessa delusione e comincino a provare dei
sentimenti l'una per l'altro. Nel frattempo Elena resta la solita oca
di sempre e Damon è deciso a riprendersela perchè
-facciamo caso a questo- come lui stesso dice "Se c'era
una cosa che aveva capito dalle esperienze del suo ultimo anno di
vita era che Elena era tutto ciò che avrebbe mai potuto
avere ed era
già più che abbastanza, quindi perchè
sprecare il suo tempo a
desiderare di più o a guardare altrove?", che
è molto diverso da dire di volerla perchè
innamorato di lei U_U
Come andrà a finire lo scopriremo solo leggendo voi e
scrivendo io xD
Nel prossimo capitolo cominceranno i flashback e ci sarà
Damon in tutte le salse: con Giuseppe, con Elena e il primo vero faccia
a faccia con Bonnie. Oltre, ovviamente, al proseguo dell'appuntamento
tra Stefan e Bonnie, che ancora non vuole dirgli di lei e Damon. Questa
cosa finirà male, me lo sento xD
Scusate se non ho risposto alle vostre recensioni, ma sicuramente mi
rifarò con le prossime, se avrete voglia di commentare *D*
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!!!
A sabato prossimo...BACIONI...IOSNIO90!!!
|
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Capitolo 4 *** L'amara scoperta ***
L'amara
scoperta
Il karma. Ma quanto
poteva essere bastardo?!
Avrebbe
fatto volentieri i conti con chiunque, chiunque tranne Bonnie. Si era
fatto espellere dalla Columbia consapevole del fatto che sarebbe
direttamente incorso nelle ire di suo padre, aveva fatto tutto col
chiaro intento di mollare New York una volta e per sempre, per
lasciarsi ancora una volta ogni cosa alle spalle, e invece? Invece ne
risultava che metteva piede in quel fottutissimo buco di mondo che
era Fell's Church e ci ritrovava lei, palesemente decisa a tenerlo
fuori, probabilmente disgustata alla sola idea di dire in giro che
era stata la sua ragazza e ben felice di uscire col suo fratellino.
Era troppo. Decisamente
troppo.
Da quando la vita aveva preso ad architettare simili
scherzi alle sue spalle? E poi perchè proprio Bonnie?
Damon si sentiva irritato e confuso, due sensazioni che
combinate non gli avevano mai portato niente di buono. Alla fine, era
proprio stato nel suo ultimo momento di irritazione e confusione che
aveva perso Bonnie.
No. No –si corresse- Bonnie aveva già cominciato a
perderla da prima. Perchè tutto era in grado di fare, tranne
che
dare a lei ciò di cui aveva bisogno. Una normale relazione
non
faceva per lui, quindi urlarle addosso, umiliarla e scappare era
stata la cosa più logica da fare dal suo personalissimo
punto di
vista. Solo in seguito aveva ragionato sul fatto che avrebbe potuto
parlarle molto più civilmente, ma ormai la
frittata era fatta e non era mai stato il tipo che tornava indietro a
chiedere scusa. Avrebbe voltato pagina, cambiato vita, cambiato
città
e in men che non si dica si sarebbe dimenticato di ogni cosa fosse
mai avvenuta tra lui e la rossa. Un gran bel piano, che avrebbe
sicuramente dato i suoi meravigliosi frutti se il dannato karma non
si fosse messo di mezzo. Perchè di quello si doveva
trattare, non
poteva essere altrimenti. Qualcuno di molto in alto aveva dovuto
decidere che l'aveva passata liscia fin troppe volte e l'aveva
punito, rimettendogli sulla strada l'essere più dolce che
avesse mai
incontrato in vita sua e dandogli fin da subito la certezza che non
l'avrebbe mai riavuta indietro perchè non ne era affatto
degno,
perchè forse lui era stato soltanto una misera tappa nella
vita di
Bonnie fatta solo per convincerla a lasciare Manhattan così
da
incontrare il suo perfetto fratello.
Cos'è che aveva pensato qualche ora prima? Che era
meglio se Stefan lasciasse in pace Elena e guardasse oltre? A sapere
che quell' “oltre” era rappresentato da Bonnie, gli
avrebbe
piuttosto augurato di finire sotto un tram.
Si era fregato con le sue mani, fin dal principio e se
ne rendeva conto solo in quel momento, col sangue che gli andava al
cervello.
L'unica cosa a cui riusciva a pensare che gli desse un
po' di sollievo? A quanto sarebbe stato divertente rivelare a suo
fratello del suo passato con Bonnie visto che lei era parsa
più che
decisa a non farne ancora parola. D'altra parte, però, c'era
da
tenere in considerazione il fatto che se avesse aperto bocca solo per
sfregio nei confronti di Stefan, Bonnie non si sarebbe neanche
più
degnata di rivolgergli la parola anche solo per inutili convenevoli
atti a portare avanti la messinscena secondo la quale si erano appena
conosciuti.
Domanda: Quindi voleva che Bonnie tornasse a parlargli?
Che facesse di nuovo parte della sua vita?
Gli sarebbe tanto piaciuto riuscire a dare almeno a se
stesso qualche risposta sincera, ma non ne aveva. Quella ragazzina
aveva sempre avuto uno strano effetto su di lui: restava tutto a
posto fino a che lei non rientrava nel quadro generale che era la sua
vita, ma non appena vi rimetteva piede calamitava tutta l'attenzione
su di sé e, che lo volesse o meno, Damon si ritrovava a
cercarla e
desiderarla con insistenza. I suoi boccoli rossi, il suo profumo, la
sua risata....era stato così fin dall'inizio....
6
mesi prima. New York. Columbia University.
Damon
sbuffò, lasciando la presa sui fianchi della ragazza che gli
si era
attaccata addosso per poter seguire in un angolo della stanza Scott e
Josh, due dei suoi migliori amici.
Era
infastidito. La festa andava a gonfie vele e se la stava spassando
alla grande, ancora qualche minuto e si sarebbe portato la mora di
poco prima dritto in una delle camere del piano di sopra della villa
di Scott, eppure quei due erano arrivati a rompergli le uova nel
paniere.
“Spero
abbiate una buona scusa.” - avvertì.
Scott
annuì, lanciandogli uno sguardo che stava a significare che
era
dispiaciuto quanto lui, ma che non poteva fare altrimenti.
“Dobbiamo
fermare la festa.”
“Come,
come?” - Damon non riusciva a credere alle sue orecchie.
Davvero il
mago dei party voleva interrompere una delle sue benedettissime feste
tanto osannate in tutto il campus?
“Lo
so, ma pare che si siano infiltrati dei liceali.” - gli
spiegò.
“E
cosa te lo fa credere?”
“Non
so, forse il fatto che ne ho appena beccato uno mentre tagliava la
recinzione sul retro per riuscire a svignarsela?”
“E
che ne hai fatto?”
“L'ho
sbattuto fuori, ovvio.”
Damon
alzò gli occhi al cielo, buttando giù l'ennesimo
sorso di birra
dalla bottiglia che teneva in una mano.
“E
allora è andata, no? Che bisogno c'è di rovinare
il divertimento?”
“Certo,
perchè tu vuoi farmi credere che al liceo ti imbucavi alle
feste
degli universitari da solo.”
Damon
annuì. “Si.” - era la pura
verità. E mai una volta che fosse
stato sgamato! Anzi, spesso e volentieri era anche riuscito a
soffiare la tipa al bellone di turno quando aveva ancora appena
diciassette anni o meno.
Scott
roteò gli occhi.
“Giusto!
Dimenticavo chi ho davanti.” - fece - “Ad ogni
modo, per noi
comuni mortali le cose funzionano in maniera diversa. Ne ho preso
uno, ma devono essercene di sicuro degli altri.”
“E
tu lasciali stare! Quando mai ti è importato di chi si
imbucava alle
tue feste?!”
“Mi
importa da quando questo qui...” -e indicò un
mortificatissimo
Josh al suo fianco - “...quasi non si becca una denuncia per
tentata violenza sessuale su minore da parte del fratello maggiore
della liceale che si stava per portare a letto alla scorsa
festa.”
“Lei
ci stava!” - si difese Josh.
“E
non ne dubito. L'ho visto.” - rimarcò Scott -
“Ma vorrei evitare
un'altra situazione simile, amico. Le mie feste hanno una reputazione
e, non te la prendere, ma tu sei un po' tonto quando si tratta di una
bella tipa che te la sbatte davanti.”
Damon,
afferrata l'antifona, sbuffò nuovamente.
“Spegni
la musica e dì a tutti che sta arrivando la
polizia.” - istruì -
“Se si viene a sapere che hai stroncato la festa per via di
qualche
liceale la reputazione te la rovini comunque.”
Dieci
minuti dopo la casa era vuota.
Era
una villa su due piani di proprietà della famiglia di Scott
da
generazioni e si trovava ad un paio di chilometri dalla Columbia.
Scott e Josh vivevano lì; per un paio di mesi ci aveva
vissuto anche
lui, ma poi aveva avuto la bella idea di portarsi a letto la sorella
di Scott durante l'addio al nubilato di quest'ultima e il padre del
suo amico aveva deciso di sfrattarlo, rispedendolo di conseguenza in
uno dei dormitori al campus. Damon non si lamentava, comunque,
né
rimpiangeva niente: quel pomeriggio in barca con la quasi sposa era
stato davvero divertente. E Scott non gli aveva tolto il saluto, anzi
l'aveva praticamente ringraziato per aver fatto scomparire dalla sua
vita quel noioso di un quasi cognato che si sarebbe ritrovato se non
fosse arrivato lui a rovinare ogni cosa.
“Sono
tutti fuori?” - chiese, dopo l'ennesimo giro di ricognizione
in
casa.
“Pare
di sì.” - rispose Scott - “Grazie
dell'aiuto, amico.”
“Sappi
che me ne devi una. Mi hai rovinato la nottata.”
“Non
ti fa mica male passare una notte da solo di tanto in tanto.”
“Disse
colui che giusto ieri sera ha organizzato due appuntamenti con due
ragazze diverse allo stesso posto e alla stessa ora nella speranza di
fare una cosa a tre.”
“Questa
è classe.”
“Questa
è idiozia.” - corresse Damon, congedandosi con un
cenno del capo
prima di lasciare la casa e raggiungere il giardino sul retro, dove
era parcheggiata la sua moto: una Ducati nera appena lanciata in
commercio.
Infilò
il giubbotto di pelle nera e sfilò il casco agganciato al
manubrio.
Fece per metterselo, quando sentì distintamente dei fruscii
provenire da dietro un gruppo di cespugli alle sue spalle. Poi un
gridolino.
Aggrottò
la fronte e decise di avvicinarsi: dalla voce che aveva sentito
pareva una ragazza.
“Chi
c'è?” - chiese.
“Non
ti avvicinare.” - rispose la stessa voce -
“Sono...ehmm...armata.”
- aggiunse ed una mano munita di spray al peperoncino fece capolino
da uno dei cespugli.
“Lo
vedo.” - assecondò Damon, facendo qualche altro
passo ancora.
“Sei
delle polizia?” - gli chiese la ragazza misteriosa.
Damon
riflettè qualche attimo sulla risposta migliore da dare, poi
decise
di mentire.
“Si,
esatto. Agente Lawson.” - il cognome di sua madre era sempre
quello
che gli veniva in mente prima. Di fatto, stava persino meditando di
adottarlo definitivamente.
“Non
ho sentito le sirene spianate e tutto il resto.”
“Beh,
quando arriviamo ad interrompere una festa ci piace arrivare di
soppiatto. I ragazzi d'oggi sono furbi, sono già via prima
del
nostro arrivo.” - inventò sul momento, trattenendo
a stento una
risata.
“Io
non ero alla festa.” - si difese lei.
“Ah
no?”
“No.
Ero con un gruppo di amici, ma li ho persi quando mi sono rifiutata
di entrare. Andiamo al liceo e ci hanno sfidati ad imbucarci qui. Mi
sa che io ho perso la sfida visto che sono rimasta qui seduta tutta
la sera.” - raccontò lei, ritirando il minaccioso
spray e
rimettendosi piano in piedi, cacciando via con una mano le foglie che
le si erano attaccate al vestito di cotone blu, senza spalline e
lungo solo fino al ginocchio, ma che le metteva in risalto i capelli
rosso fragola e i punti forti del suo corpo, come la vita sottile e
le gambe toniche.
Le
guance le si imporporarono all'istante quando alzò gli occhi
nocciola in quelli neri di Damon e deglutì un paio di volte
prime di
tornare a parlare.
“Non
mi sembri proprio un agente di polizia.” - fece.
“Eh
già. Ma almeno hai messo via quel tuo spray: non
è molto
piacevole.”
Lei,
per tutta risposta, non appena lo vide muoversi nuovamente nella sua
direzione, afferrò di scatto la borsetta dal prato e prese a
rovistarci dentro. Damon, capite le sue intenzioni, la raggiunse con
due falcate e le bloccò il polso con una mano.
“Non
voglio farti niente.” - chiarì subito.
“Ma
mi hai mentito poco fa!” - obiettò lei.
“Si,
perchè sei dentro la proprietà dei miei amici e
non ho la più
pallida idea di chi tu sia. Dovevo pur capire se chi si
nascondeva dietro il cespuglio aveva brutte intenzioni oppure no, ti
pare?” - le fece notare - “Coraggio, vieni fuori di
lì.”
La
ragazza annuì appena, decisamente poco convinta, ma mansueta
abbastanza da lasciarsi guidare al di là di quel groviglio
di rami e
foglie.
“Non
ho brutte intenzioni.” - disse.
“Lo
so.”
“Davvero?
E come fai ad esserne così convinto?”
“Perchè
ho capito che non sei il tipo di ragazza che mente quando dice
qualcosa. Ed hai appena detto di non avere cattive
intenzioni.”
“Non
sono quel tipo di ragazza? Perchè, quanti tipi di ragazze
conosci?”
Damon
si ritrovò a sorridere. Abbassò la testa per
qualche attimo, poi
puntò gli occhi su di lei e la squadrò dall'alto
in basso, ben
consapevole di imbarazzarla facendo a quel modo.
“Beh,
abbastanza da sapere che se faccio così...” - e le
si avvicinò di
un altro passo, passandole un braccio intorno alla vita per
stringerla contro di sé e accostare il suo viso a quello di
lei -
“...tu non approfitti subito della situazione ravvicinata per
strofinarmiti addosso in cerca di un'intimità ancora
maggiore, ma
tieni le mani lungo i fianchi, tiri indietro il busto per mettere
distanza e la testa per evitare che ti baci, proprio come stai
facendo adesso. Perchè tu non sei il tipo di ragazza che
bacia il
primo ragazzo carino che le capita a tiro. Hai bisogno di conoscere
un minimo una persona prima di deciderti, eventualmente, a
cedere.”
Lei,
dal canto suo, pareva rimasta senza parole. Voltò la testa
prima a
destra e poi a sinistra, cercando di capire come fosse possibile che
lui le avesse appena descritto per filo e per segno la sua naturale
reazione a quell'avvicinamento improvviso da parte di uno
sconosciuto, poi tornò a guardarlo negli occhi,
più rossa di prima.
“Allora?
Vuoi dirmelo o no come ti chiami?” - chiese Damon.
Ancora
qualche attimo di silenzio, poi lei sospirò.
“Bonnie.”
- fece.
Damon
le sorrise ancora, senza mollare la presa sul suo corpo minuto, ma
perfetto così com'era, dall'incredibile profumo di fragoline
di
bosco.
“Bene,
Bonnie. Io sono Damon.” - si presentò, alzando
l'altra mano ad
accarezzarle la pelle delicata del viso - “Direi che adesso
ci
conosciamo abbastanza.” - decretò quindi,
sporgendosi in avanti ad
annullare la distanza rimasta tra i loro visi, catturando quelle
labbra dolci e naturalmente rosse con le sue in un primo bacio che
era solo la promessa di numerosi altri baci a venire.
Il tocco di una
mano sulla spalla destra lo distrasse
dai suoi pensieri che ormai correvano a briglia sciolta. Si
voltò e
la delusione fu talmente tanta da rivoltargli lo stomaco; un po'
perchè si trattava di suo padre e suo padre era sempre una
visione
deludente, un po' perchè, spinto da quei pensieri, aveva
quasi
sentito nascere dentro di sé la speranza che si trattasse di
Bonnie,
tornata da lui anche soltanto per prenderlo a schiaffi come si era
sempre trattenuta dal fare.
Si
ricompose. Non era il momento di lasciarsi andare a stupidi sogni
romantici che a niente avrebbero mai potuto portare. La sua vita non
era così, non prevedeva nulla di così giusto.
“Sei
arrivato prima.” - notò Giuseppe, guardandolo
dall'alto in basso
col suo cipiglio severo.
“Non
fate che ripetermelo. Scusate se la cosa vi amareggia tanto, la
prossima volta tornerò con qualche giorno di ritardo,
può andar
bene?” - s'infastidì Damon.
“L'unica
cosa che potrà mai andarmi bene è il non vederti
tornare affatto.
E' il vederti scegliere una strada e percorrerla fino alla fine senza
i tuoi soliti colpi di testa. Vedere che ti impegni veramente per
raggiungere un obiettivo, questo
mi andrebbe davvero bene.” - il tono di Giuseppe era il
solito,
tirato e marziale, come quello di un generale decorato.
“Non
ne saresti contento comunque.” - rispose - “Come
non lo sei mai
stato fino ad ora.”
“E
di cosa avrei dovuto essere contento, Damon? Mai una volta che mi
dessi una qualche piccola soddisfazione. Fintanto che eri un bambino,
accettavo e giustificavo il tuo comportamento, ma adesso si
presuppone che tu sia un uomo, ormai, e a quest'ora avresti
già dovuto
avere bene chiare quali sono le priorità nella
vita.” - ribattè
Giuseppe - “La cosa triste è che tu sei
intelligente, Damon. Sai
esattamente cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma
ti ostini a
prendere sempre la decisione peggiore solo per fare dispetto a
me.”
“Certo,
perchè tu mi conosci nel profondo, vero, papà?”
- ironizzò Damon.
“E
di chi è la colpa? Non puoi dire che io non ci abbia mai
provato,
Damon. Non penso proprio di essere un cattivo padre soltanto
perchè
voglio il meglio per te!”
Damon, dal canto suo, scosse la testa e lo liquidò con
un gesto secco della mano.
“Lasciami
perdere.”
Non voleva più rispondergli, nemmeno voleva tornare a
guardarlo in faccia per quella sera. Tante, troppe erano le
motivazioni per le quali disprezzava suo padre. Stare lì a
ripetergliele sarebbe stato soltanto uno spreco di tempo. Cosa potevi
dire ad un uomo che aveva passato metà della tua vita ad
ignorarti e
l'altra metà a guardarti con biasimo quando veniva a dirti
che era
più che convinto di essere l'esempio perfetto del padre
modello? Un
paio di idee ce le aveva, ma i rapporti erano già quelli che
erano e
non gli sembrava il caso di rovinarli ulteriormente.
Quindi gli voltò le spalle. Così, senza dargli la
possibilità di opporsi e fermalo. E uscì nella
notte.
“Sembri
distratta. Qualcosa non va?”
La voce di Stefan arrivò come un fulmine a ciel sereno,
riportandola sul pianeta chiamato Terra. Non ricordava poi molto da
quando avevano lasciato il Black Magic, solo che, troppo presa dai
suoi stessi pensieri, si era lasciata guidare da Stefan di nuovo
verso il parco e poi fino ad una panchina che dava direttamente sul
piccolo laghetto al suo interno. Si riprese di soprassalto a si
ritrovò a fissare i rimasugli sciolti del gelato sul fondo
della
coppetta che stringeva tra le mani.
Era terribile, davvero terribile. Si sentiva una persona
pessima. Stefan era lì con lei, tanto gentile e accorto
eppure non
riusciva a non lasciarsi distrarre dalla sua stessa rabbia per la
scoperta che suo fratello maggiore e niente meno che Damon, lo stesso
che l'aveva fatta innamorare come una stupida a New York, che le
aveva regalato gli attimi più felici e spensierati della sua
vita,
al quale aveva donato ogni cosa di sé e che poi aveva
calpestato
tutto senza il minimo riguardo, ferendola e umiliandola, a parole e
coi fatti.
Non riusciva a crederci di poterci stare ancora così
male. Erano trascorsi mesi, aveva pianto, si era presa il suo tempo
rinchiudendosi in se stessa e nel suo personale dolore, tentando di
capire come fare per riempire il vuoto che, nonostante tutto, lui
aveva lasciato nel suo cuore e, alla fine, senza farsi alcuna
pressione, era arrivata quasi a credere di aver superato il peggio.
Si sbagliava. Non aveva ancora fatto i conti con la furia e l'odio
che erano derivati dal rivederlo. Ingenuamente aveva creduto
-sperato- che non l'avrebbe mai più incontrato e che, se mai
fosse
successo, per allora lui sarebbe stato soltanto un ricordo lontano a
cui guardare con perfetta e composta indifferenza. Invece no, la
ferita quasi rimarginata ed in procinto di trasformarsi in cicatrice
era stata grattata di nuovo e nel giro di qualche attimo era tornata
aperta e sanguinante. E bruciava, tutto dentro Bonnie bruciava, di
sofferenza, rabbia e disillusione.
Si sentiva così in colpa verso quel ragazzo perfetto
che aveva di fianco, in colpa perchè non riusciva ancora a
spiegargli cosa le fosse accaduto, perchè era ancora troppo
presto
per rivelargli una parte tanto grossa della sua storia personale,
sebbene avesse a che fare con suo fratello.
Glielo avrebbe detto, quello sì, perchè non
voleva che
Stefan scoprisse tutto da qualcun altro, ma in quel momento non
poteva. Un po' perchè non ne aveva la forza, un po'
perchè lo
conosceva appena da tre giorni e, per quanto si sentisse in sintonia
con lui, era davvero troppo poco.
Che poi...com'era possibile? Quanto poteva essere
meschino il destino che l'aveva spinta dritta tra le braccia del
fratello di Damon? E quanto poteva essere assurda la vita che aveva
dato lo stesso patrimonio genetico a due persone talmente diverse da
risultare totalmente opposte?
Si voltò a guardare Stefan e tentò di
rassicurarlo con
un sorriso. Ora che ci faceva caso, però, al di
là degli occhi
straordinariamente verdi rispetto a quelli neri come la più
profonda
notte di Damon, i due si somigliavano molto. Damon era leggermente
più basso, mentre Stefan aveva i tratti del viso tipici dei
diciassettenni, quindi non ancora del tutto definiti, ma
condividevano la stessa carnagione chiara in contrasto coi capelli
neri, lo stesso portamento e persino lo stesso profilo. La differenza
maggiore di certo non era fisica, ma stava nella luce diversa che
c'era negli occhi di entrambi. Stefan aveva lo sguardo ingenuo e
meravigliato dei sognatori, incapaci di accettare il male nel mondo,
sempre pronti a vedere il buono negli altri. Ti dava sicurezza,
certezza, stabilità. Gli occhi di Damon, invece, erano
illuminati
dalla consapevolezza che il male è in ognuno di noi, si
annida
ovunque, che la vita non è giusta, che bisogna mordere prima
di
essere sbranati vivi, che bisogna uccidere prima di venire uccisi.
Lui ti dava mistero, rischio, incertezza. Completamente all'opposto.
“Tutto
bene?” - tornò a dire Stefan.
Bonnie annuì.
“Si,
scusami. Mi ero lasciata prendere dai miei pensieri. Nulla di grave,
non preoccuparti. Ti prometto che presto ti racconterò
tutto.”
Stefan scosse la testa, sorridendole tranquillo mentre
le prendeva una mano e la intrecciava alla sua, lasciandole un bacio
lieve sulla punta delle dita.
“Non
devi dirmi niente se non vuoi. Ci conosciamo da così poco,
è
normale. Neppure io ti ho raccontato ogni cosa di me.” - fece
notare, toccandole una spalla con la sua, scherzoso - “Se ci
dicessimo tutto adesso che gusto ci sarebbe poi ad uscire
ancora?”
“Giusto!
I nostri appuntamenti!” - fece Bonnie, stando volentieri al
gioco.
“Eh
già! Non dirmi che te n'eri già dimenticata!
Insomma, non vorrai
mica giocare coi miei sentimenti, giusto?”
Stefan continuava a scherzare, era evidente, ma Bonnie
si sentì punta sul vivo lo stesso.
No, non voleva giocare coi suoi sentimenti. Sapeva come
ci si sentiva e non sarebbe mai stata capace di infliggere un dolore
simile a Stefan. Non poteva.
Si girò di scatto e si voltò sulla panchina,
ritraendo entrambe le gambe per riuscire ad inginocchiarsi
lì al suo
posto. Poi tese le mani e le portò entrambe ad accarezzare
il viso
del ragazzo, che a sua volta tornò serio e girò
il busto per
riuscire a guardarla direttamente in viso.
“Non
voglio giocare coi tuoi sentimenti.” - fece lei, trattenendo
un
magone improvviso che le serrò la gola.
Stefan la guardò a lungo. Bonnie ebbe l'impressione di
vedere in quegli occhi verdi il susseguirsi di nuove luci, di vecchie
immagini, di tante emozioni in contrasto tra loro. Sembrava in
conflitto, sembrava che una lotta interiore si stesse svolgendo
silenziosa in quel momento nell'animo del ragazzo. Non sapeva a cosa
era dovuta, cosa gli passasse per la mente, forse riguardava una di
quelle cose che non le aveva ancora raccontato, ma aveva la strana
certezza che, dall'esito di quella battaglia interiore, sarebbe
dipesa ogni cosa sarebbe mai potuta accadere tra lei e Stefan da quel
giorno in avanti.
“No.
Non lo farai.” - decretò lui, alla fine,
portandole le mani sulle
spalle per poi farle scendere lungo la sua schiena e poi fino alla
vita, dove si serrarono e scivolarono all'indietro fino a
racchiuderla in un abbraccio dal quale non avrebbe mai più
voluto
scappare.
Era
sola in casa. Era la serata cinema e gelato di Margareth, ma aveva
preferito saltarla invece di rovinare col suo malumore quell'uscita a
cui la sua sorellina tanto teneva.
Erano
stati due giorni terribili per Elena. Prima Stefan fatalmente colpito
da quella nuova ragazza, Bonnie, e poi Damon che l'avvertiva del suo
ritorno improvviso, gettando nuova ombra anche sul suo rapporto con
Caroline che aveva fatto in modo di evitarla per tutto il giorno.
Elena
sapeva il perchè, sapeva quanto la sua amica disapprovasse
quello
che definiva il “suo comportamento ignobile” coi
due fratelli per
via di quanto questo avesse fatto soffrire Stefan e sapeva
altrettanto bene che quella lontananza era voluta da Caroline
essenzialmente perchè si conosceva abbastanza da sapere che
se
fossero anche state a meno di due metri di distanza allora le avrebbe
inveito contro. Tuttavia, Elena avrebbe davvero tanto voluto
qualcuno che stesse dalla sua parte, che la capisse e l'appoggiasse.
Nonostante sapesse quanto Caroline avesse ragione circa il suo
“comportamento ignobile”, non poteva fare a meno si
sentirsi
tremendamente sola e trascurata. E questo era un qualcosa che andava
al di là delle situazione con Damon, che era cominciata da
poco e si
stava sviluppando in fretta, con Caroline tutta presa dalla sua festa
e tanto abbagliata dalle due nuove arrivate e Stefan....perso dietro
quella assurda chioma rossa.
Al
solo pensarci si sentiva ribollire dalla rabbia.
Avrebbe
voluto chiamare Stefan, accertarsi che fosse da solo in casa sua.
Avrebbe pagato oro pur di sapere dove fosse lui in quel momento,
anche a costo di farsi sbattere il telefono in faccia. La furia
l'avrebbe accettata più dell'indifferenza che le stava
riservando in
quei giorni, perchè almeno così avrebbe saputo
che ancora gli
importava di lei, molto più di quanto non paresse
importargli di
Bonnie.
Non
aveva mai pensato al fatto che un giorno avrebbe dovuto competere con
altre per il cuore di Stefan, aveva sempre confidato nel fatto che,
per quanto potesse averlo martoriato, quel cuore sarebbe sempre
rimasto suo. Scoprire così che si era sbagliata era stato
scioccante.
Aveva
appena messo nel lavello il piatto in cui aveva consumato la sua cena
quando il campanello suonò. Si sciacquò
velocemente le mani, le
riasciugò con uno straccio e corse ad aprire, certa che
fossero
Maggie e sua zia.
Si
sbagliava.
“'Sera
Angelo. Ti sono mancato?”
“Damon!”
“Già.”
- le sogghignò e si fece spazio, entrando in casa senza aver
ricevuto alcun permesso, praticamente come faceva ogni volta.
Elena
si ritrovò spiazzata. Guardò Damon che si
allontanava fino al suo
soggiorno e poi la porta che teneva ancora aperta. Alla fine,
lanciò
un'occhiata all'esterno e si decise a chiudere e a raggiungerlo.
“Quindi
sei tornato per davvero.” - fece.
Damon
inclinò leggermente la testa di lato, divertito.
“Ne
dubitavi?” - rispose - “Io non mento mai.”
Elena
incrociò le braccia al petto e alzò gli occhi al
cielo, sbuffando
una risata, palesemente scettica.
“Hai
appena mentito dicendo di non mentire mai.” - fece notare.
“Cambiamo
argomento. Non hai ancora risposto alla mia domanda, Angelo. Ti sono
mancato?”
Sospirò.
Non ce l'aveva davanti neppure da cinque minuti e già era in
piena
difficoltà. Una risposta da dargli ce l'avrebbe anche avuta,
ma
temeva le conseguenze che questa avrebbe potuto portare. Damon era in
grado di andare a stuzzicare con quelle sue occhiate e quel solito
tono che sottintendeva tutto e niente anche con le più
innocenti
frasi il suo lato più oscuro e nascosto. Aveva
già ceduto una volta
e sarebbe stato semplice cedere ancora, lì e subito, senza
stare di
nuovo a girarci intorno, ma nemmeno il ritorno di Damon riusciva a
scacciare il senso di gelosia che sentiva nel non sapere dove fosse
Stefan.
Avrebbe
dovuto smetterla, lo sapeva. Decidersi una buona volta sarebbe stato
l'ideale per tutti, ma se avesse scelto Stefan e lui l'avesse
respinta perchè innamorato di un'altra? Che male c'era a
desiderare
prima di sapere che qualsiasi scelta sarebbe stata certa? Era davvero
così egoista? Reputava impossibile il fatto che prima di lei
nessun'altra donna contesa tra due uomini avesse fatto lo stesso
ragionamento. Impossibile.
“Smettila,
Damon.”
“Di
fare cosa, Angelo?”
“Questo.
Quello che fai sempre. Provocare.” - chiarii -
“Sono contenta che
tu sia tornato, ma oggi proprio non sono in vena...”
Si
voltò a guardarlo, cercando nel suo sguardo tracce
dell'irritazione
che si era aspettata di vedere. Si ritrovò confusa
nell'osservare
negli occhi di Damon qualcosa di diverso dall'irritazione, qualcosa
di simile alla curiosità mista a qualcos'altro che non
riusciva a
decifrare. Interesse, forse? Sicuramente per qualcosa di cui lei non
era a conoscenza.
“Scommetto
che riguarda il mio fratellino.” - indovinò -
“E il fatto che
invece di essere in camera sua a struggersi pensando a cosa potremmo
mai combinare noi due da soli in casa tua, è...ad un
appuntamento.”
Elena
inarcò entrambe le sopracciglia, colta alla sprovvista da
quella
rivelazione apparentemente buttata lì a caso, anche se con
Damon
nulla mai era buttato lì a caso. Tuttavia, non riusciva a
pensare in
quel momento a ciò che poteva nascondersi dietro le parole
del
ragazzo, preferiva avere altre di quelle delucidazioni che -lo vedeva
chiaramente- Damon non vedeva l'ora di darle.
“Appuntamento?”
- chiese.
“Esatto.”
- confermò lui - “Un po' più bassa di
te, piccolina, capelli
rossi...bella. La conosci?”
“Credi
che sia bella?”
“Devo
dedurre che la conosci?” - sogghignò Damon.
Elena
si arrese e annuì, passandosi una mano tra i lunghi capelli
biondi
sciolti per portarli tutti su una spalla sola.
“Si
chiama Bonnie, è arrivata da poco da New York con sua
sorella. Vive
al pensionato Flowers.”
Quando i fari di un auto sul vialetto sul retro illuminarono il
corridoio buio che dava sulla cucina, Damon
annuì, lentamente, avvicinandosi per sfiorare con una mano
il suo
braccio e percorrerlo tutto, dal polso alla spalla, per poi chinarsi
a baciare quest'ultima.
“E'
stato...un vero piacere rivederti, Angelo. Come sempre.” - le
disse, lasciandola per avviarsi alla porta.
“Resterai
in città per molto?”
“Tutto
il tempo necessario.”
Si
sentiva più tranquilla, quasi come se Stefan fosse riuscito
a
guardarla dentro e a rassicurarla senza neppure sapere di farlo. O
forse tentava di rassicurare se stesso. Era un mistero, quello, che
restava ancora irrisolto, ma avrebbero avuto tempo per parlare di
tutto con calma. Non doveva farne una tragedia, quella faccenda di
Damon sarebbe venuta a galla e avrebbe affrontato tutto a testa alta,
perchè non poteva permettergli di rovinarle ancora la vita e
perchè
meritava di essere felice. Anche con Stefan si! Non doveva farsi
condizionare dal fatto che fossero fratelli.
Era
quasi mezzanotte quando tornò al pensionato. Meredith era
già a
letto e così la signora Flowers, ma Bonnie sentiva ancora
tutto lo
stomaco in subbuglio per il suo appuntamento per riuscire a prendere
sonno così facilmente, quindi, nonostante il giorno dopo
avesse
scuola, decise di prepararsi una buona camomilla, che le conciliava
sempre il sonno, e andò a sedersi sul dondolo sul portico
che dava
sul giardino sul retro del pensionato per sorseggiarla
tranquillamente.
Guardava
il cielo ed era completamente persa nei suoi pensieri e nelle sue
fantasie quando sentì un fruscio tra le foglie di un
cespuglio.
“Chi
c'è?” - chiese, sulla difensiva.
In
risposta ricevette soltanto una risatina che avrebbe riconosciuto tra
mille e le mandò il cervello in tilt. Pochi istanti e Damon
si fece
vedere.
“Carino
il deja-vù.” - commentò.
Bonnie
sapeva perfettamente a cosa si riferiva, ma scacciò in
fretta il
ricordo che si stava facendo strada tra i suoi pensieri a suon di
spintoni e tornò a focalizzare la sua attenzione su Damon,
che nel
frattempo si era fatto avanti fino al gradino del portico e ci aveva
già alzato un piede su, tenendo lo sguardo fisso su di lei.
Bonnie
non si lasciò intimidire e lo fissò a sua volta,
severa come mai lo
era stata.
“Cosa
vuoi?” - chiese, lapidaria.
“Beh,
credo che come minimo dovremmo fare due chiacchiere.”
“Io
non credo affatto, invece.” - liquidò -
“Anzi, non azzardarti
più a venire qui, a cercarmi così o anche solo a
parlarmi. Non ti
voglio nella mia vita.”
“Un
po' difficile visto che esci con mio fratello.”
“Smettila,
Damon!”
“Voglio
solo parlare.”
“Di
che? Ti ricordo che sei stato tu quello che mi ha umiliata e mollata,
non io. Tu per primo sei venuto a dirmi che avrei dovuto dimenticarmi
di te, che se mai ti avessi rivisto non mi sarei neppure dovuta
sprecare a salutarti perchè tu non l'avresti fatto di
certo.” -
ribattè - “Io l'ho fatto. Adesso vedi di
ricambiarmi la stessa
cortesia.”
Non
aggiunse altro e non gli diede tempo di rispondere nulla. Non voleva
che la coinvolgesse in una discussione che a nulla avrebbe mai
portato, non voleva dargli l'occasione di confonderla di nuovo
proprio adesso che aveva le idee così chiare su
ciò che era giusto
e sbagliato per se stessa.
Gli
voltò le spalle e tornò dentro.
NOTE:
Ciao
a tutti!!! Chiedo ancora scusa per il ritardo, ma spero di essere
riuscita a farmi perdonare con questo capitolo finito in tempo record
ora ora xD
Beh, dai, vi avevo promesso che Damon avrebbe avuto non poche persone
da incontrare e così è stato.
Abbiamo
avuto un assaggio di quello che è il suo rapporto col padre,
nel quale
mostra tutto il suo essere capriccioso e infantile. xD Abbiamo visto un
accenno di un primo approccio con Elena e abbiamo visto di nuovo i
pensieri di quest'ultima, incapace di prendere una decisione sensata
che sia una.
D'altra parte abbia avuto i pensieri di Bonnie e
spero di aver reso almeno un minimo la differenza che esiste tra le due
ragazze nonostante la situazione in cui si trovano sia speculare.
Infine,
il primo flashbak (a cui naturalmente ne seguiranno altri) col primo
incontro tra Damon e Bonnie sei mesi prima e il primo faccia a faccia
vero tra i due nel presente, deciamente molto diverso da quello che li
aveva visti protagonisti a New York.
Spero che il capitolo vi sia
piaciuto. Come ho già detto nelle risposte alle recensioni,
è ancora
presto perchè Bonnie e Stefan si sentano sicuri di
raccontarsi ogni
aspetto del loro passato, ma la verità verrà a
galla. Di certo, ci sarà
da tenere d'occhio la famosa festa di Caroline che arriverà
più o meno
verso i capitolo 9 o 10, non ne sono ancora certa xD
Per il momento godetevi Damon ed Elena che rosicano e Stefan e Bonnie
che più pucciosi non si può *D*
Nel
prossimo capito, che arriverà regolarmente questo sabato
sera, ci sarà
un nuovo flashback, Caroline tornerà a rompere l'anima a
tutti con la
benedetta organizzazione della festa e avrà un bel momento
in amicizia
con Stefan che, a sua volta, condividerà l'ennesima scena
dolcissima
con Bonnie. Elena sarà idiota come sempre xD E..ah!
C'è Matt! Un
piccolissimo assaggio di quello che sarà il suo ruolo in
questa storia
*D*
Ringrazio tutti per le splendide recensioni e altrettanto chi legge
silenziosamente!
Alla prossima...BACIONI...IOSNIO90!!!
|
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Capitolo 5 *** Invito ***
Invito
“Questa
è per te.”
Era a metà giornata, era appena uscito dalla sua classe
di biologia e camminava a passo spedito verso la mensa. La sera
prima, nel riaccompagnarla a casa, era rimasto d'accordo con Bonnie
che avrebbero pranzato insieme il giorno dopo e, possibilmente,
-così
come era nelle intenzioni di Stefan- anche quello dopo ancora e
ancora.
Aveva passato una serata splendida e soprattutto
tranquilla. In compagnia di Bonnie era stato semplice dimenticare
qualsiasi problema potesse scatenare il ritorno di Damon e
rilassarsi, rimandando ogni pensiero angosciante a data da definirsi.
Si sentiva libero con lei, libero come non si era mai sentito neppure
con Elena. Nel suo rapporto con la bionda, infatti, si era sempre
sforzato troppo e adesso lo capiva; si era sforzato per mantenere la
sua popolarità, si era sempre sforzato per trovare i
ristoranti
migliori in cui portarla, gli argomenti più adatti di cui
parlare,
come se avesse costantemente bisogno di fare colpo ogni giorno che
passava perchè sapeva bene, per quanto Elena stessa negasse,
di
doversi mettere in competizione con suo fratello per lei e che
avrebbe potuto perdere il vantaggio sul cuore della sua stessa
ragazza ad ogni secondo che passava senza dimostrarle quanto fosse
lui la scelta migliore.
Si
era dato da fare sì, si era sforzato e i fatti avevano poi
dimostrato che era stato tutto inutile, che si era decisamente
impegnato un po' troppo in qualcosa che forse neppure gli avrebbe mai
dato la felicità che voleva e la serenità a cui
aspirava.
Con Bonnie il problema non si poneva neppure. Non la
conosceva da molto, infinitamente poco sapeva di lei, ma già
sapeva
che dietro quegli occhi limpidi non poteva nascondersi una persona
diversa da quella che mostrava, solare e sincera. C'erano molte cose
di cui avrebbero dovuto parlare, lei stessa gliel'aveva confermato,
ma Stefan era più che deciso a fare le cose con calma,
secondo i
tempi giusti per entrambi e senza forzare nulla e pretendere niente.
Per una volta in vita sua, voleva godersi il momento.
Si fermò, fissando gli occhi sulla busta chiusa che
Caroline, sbucata come al solito dal nulla e appoggiata ad una sua
spalla, gli stava sventolando sotto il naso.
“Cos'è?”
- chiese.
“Apri
e lo vedrai.”
Per come era entusiasta e a causa del cumulo di altre
buste tutte uguali che le vide nello zainetto aperto che portava con
sé non appena si voltò a guardarla,
immaginò che si trattasse di
qualcosa che avesse a che fare con la sua adorata festa al
pensionato.
“E'
l'invito alla festa?” - indovinò.
Caroline cambiò espressione in un attimo. Da felice che
era mise su un broncio corrucciato e roteò gli occhi.
“Smettila
di fare il guastafeste e apri ti ho detto!”
Stefan le rivolse un sorriso, si rigirò ancora la busta
tra le mani e alla fine si decise ad aprire.
“Voglio
vedere la tua faccia...” - rincarò Caroline.
Beh, Stefan non aveva la certezza di come fosse la sua
faccia nel momento in cui si ritrovò l'invito tra le mani,
ma poteva
dire di sentirsi un po' perplesso.
“Ma...perchè
l'invito è a forma di pipistrello? Il tema non erano i
supereroi,
che c'entra Halloween?”
Si beccò un cazzotto su un braccio, un cazzotto che
arrivò persino a fargli male perchè Caroline,
sì, sapeva essere
violenta. E manesca. Oltretutto con tutto l'esercizio che faceva da
che era una ragazzina per via delle cheerleaders era anche diventata
forte nel tempo.
“Ma
ti senti! Dovresti davvero farti una cultura di base prima della
festa, Stef.” - lo rimproverò -
“Pipistrello-uguale-Batman.
Batman-uguale-supereroe.” - gli spiegò -
“Hai presente? Quel
tizio noiosissimo sul quale hanno fatto quei noiosissimi
film.”
Stefan si accigliò.
“Se
credi che sia tanto noioso, perchè gli hai dedicato gli
inviti?”
“Mi
sembra ovvio. Perchè è famoso, perchè
farli a forma di ragnatela
senza l'aiuto di nessuno
mi veniva un po' difficile e perchè Christian Bale
è figo.”
E certo! Come aveva fatto a non pensarci?
“Ti
ho già chiesto scusa infinite volte durante le tue infinite
telefonate per non esserti stato di grande aiuto.” - le
ricordò -
“Ma avevi comunque l'aiuto di Elena, no?”
“Elena?
Ma andiamo! Praticamente dopo due giorni di silenzio totale sono
tornata a parlarle soltanto oggi.” - gli rivelò,
incrociando le
braccia al petto, particolarmente scocciata.
Stefan sospirò. Conosceva Caroline da che andavano
all'asilo e lui impediva agli altri maschietti della classe di
attaccarle la gomma nei capelli, la conosceva da anni prima che
conoscesse Elena ed erano sempre stati ottimi amici, quasi fratello e
sorella. Si aiutavano a vicenda, si spalleggiavano, si urlavano
contro se era necessario, ma poi tornavano a far la pace e tutto
andava ancora meglio di prima. Erano stati il primo bacio l'una per
l'altro, perchè dopo tanti anni d'amicizia, dopo essersi
visti
entrambi trasformarsi da bambini ad adolescenti, si erano quasi
sentiti in dovere di provare a capire se poteva esserci qualcosa in
più di una sincera amicizia tra loro. Stefan non rinnegava
ciò che
era stato e così neanche Caroline, non avrebbero cambiato
quel
ricordo per niente al mondo, ma erano più che consapevoli
che
davvero non avrebbero mai corso il rischio che ciò che li
univa
sarebbe sfociato in qualcosa di più, come l'attrazione o
l'amore
stesso. All'epoca era stato bello sì, delicato ed innocente,
ma era
stato come baciare una persona di famiglia, niente in confronto alle
esperienze che avevano avuto dopo con ragazze e ragazzi che, sebbene
li avessero fatti soffrire, avevano almeno rappresentato qualcosa
nella vita di entrambi.
Si conoscevano profondamente, addirittura era capitato
che buttassero lì l'argomento “piani per il
college” nei loro
discorsi, perchè, ora che il giorno del diploma di faceva
vicino,
non erano del tutto certi di essere disposti a voler affrontare
l'esperienza universitaria da soli e distanti. E dopotutto avevano
passato così tante cose insieme....
Stefan riusciva ad interpretare ogni minima espressione,
ogni gesto di Caroline. Ne percepiva i cambiamenti d'umore e i
pensieri. Sapeva quanto fosse legata ad Elena e non avrebbe mai
voluto crearle dei problemi con lei solo a causa di quelli che erano
stati i suoi personali drammi con la bionda.
Caroline, però, era testarda. Tutte le volte che le
aveva fatto notare che non c'era alcun bisogno che rischiasse
l'amicizia con Elena a causa sua, lei gli aveva sempre risposto che
non poteva fare altrimenti, che biasimava l'amica e che era giusto
che lei lo sapesse, che capisse il suo punto di vista e la sua
posizione, perchè mai sarebbe riuscita a dare conforto a chi
lo
faceva soffrire coi suoi capricci.
In fondo, Stefan non poteva che capire. Probabilmente,
se si fosse trovato nella stessa situazione, ad essere amico di un
ragazzo che le aveva fatto del male, neanche lui sarebbe riuscito a
non schierarsi ciecamente dalla sua parte, al diavolo il resto.
Quindi preferì non metterci bocca neppure in quel caso.
Le si accostò e le passò un braccio intorno alle
spalle, facendo sì
che lei si aprisse in un sorriso e ricambiasse l'abbraccio,
scoccandogli un bacio su una guancia.
“Tu,
piuttosto? Come va?” - gli chiese - “Damon
è già tornato?”
Stefan annuì, riprendendo a camminare insieme a lei,
mentre infilava l'invito nella tasca posteriore dei jeans.
“Si,
ieri nel pomeriggio. L'ho visto poco, comunque, ho preferito passare
tutta la sera con Bonnie.”
Ecco. Si zittì all'istante, serrando occhi e labbra
perchè, preso dalla risposta, aveva per un attimo
dimenticato che
quella era Caroline, Caroline l'impicciona. Lei, ovviamente, glielo
fece presente all'istante.
“Con
Bonnie??”
“Non
farne un affare di Stato, te ne prego.”
Altro cazzotto, stavolta in un fianco. Di quel passo
sarebbe arrivato al punto di dover indossare le protezioni che usava
in campo ad ogni discorso con Care.
“Raccontami,
raccontami, raccontami....”
“Cosa
vuoi che ti racconti? Abbiamo preso un gelato e siamo rimasti tutta
sera al parco a parlare. Non c'è nient'altro da
dire.” - in realtà
ci sarebbe stato tanto altro da dire. Avrebbe voluto raccontarle di
quanto si era sentito in leggero, di quanto aveva riso, della
sensazione di calore e gelo insieme che aveva avvertito alla bocca
dello stomaco quando Bonnie gli aveva preso il viso tra le mani. Ma
si era trattato soltanto di una specie di primo appuntamento
abbozzato che non sapeva ancora a cosa avrebbe portato. E lei era
Caroline! Per quanto l'adorasse, sapeva benissimo che se le avesse
detto tutte quelle cose avrebbe già afferrato un calendario
e
fissato la data delle nozze. Meglio di no, quindi, meglio non aprire
bocca e rimanere ancora sul vago.
“Ti
piace?” - gli chiese.
“Caroline!”
- le intimò lui, indicandole con un cenno la figura di
Bonnie ad una
decina di metri da loro, che l'aspettava sulla soglia della mensa
accanto a sua sorella Meredith.
“Oh
mio Dio. Ti piace!!!” - fece lei, in un sussurro concitato,
cominciando a saltellare sul posto.
Stefan, divertito ed imbarazzato davanti a tutti gli
sguardi che i loro compagni cominciarono a lanciare nella loro
direzione da ogni dove, le afferrò i polsi e la trattenne,
pregandola di smetterla.
“Ok,
si, aspetta un attimo.” - Caroline riafferrò lo
zainetto
contenente gli inviti e ne prese un altro, infilandoglielo
direttamente nella tasca dei jeans insieme a quello che gli aveva
già
dato in precedenza - “Tieni anche questo.”
“Un
secondo invito?”
“Certo!
E' quello di Bonnie. Lo do a te così puoi consegnarlo tu
stesso e
invitarla ad andarci insieme.” - gli spiegò.
“La
festa è in casa sua.” - le ricordò -
“Sarà già lì.”
“Oh,
andiamo, Stefan, un po' di inventiva!” - lo esortò
- “Puoi
approfittarne per invitarla prima a cena fuori.”
“E'
una festa in maschera. E il tema sono i supereroi. Dove credi che ci
farebbero entrare conciati in quel modo?” -
obiettò ancora.
“Beh,
ancora meglio. Usi la scusa del “dove ci faranno mai entrare
conciati così” per organizzare la cena, voi due
soli, in casa
tua.”
Stefan inarcò entrambe le sopracciglia e la fissò
per
qualche attimo, interdetto.
“Sei
diabolica.” - commentò.
“E'
per questo che mi adori.”
Non sapeva che
pensare. Di certo era sicuro che la
pronta risposta di Bonnie e la porta in faccia che si era beccato
l'avevano infastidito non poco, ma non sapeva ancora che pensarne
né
che fare in proposito. Dopotutto, ciò che lei gli aveva
rinfacciato
la sera prima era vero. Era vero che le aveva detto di non cercarlo
più, era vero che le aveva detto di far finta che non si
fossero mai
conosciuti, era vero che le aveva detto che se la sarebbe dimenticata
presto al punto tale da non associare più il suo volto al
suo nome
semmai l'avesse rivista. Era vero che aveva detto quelle cose, ma a
conti fatti la realtà era ben distinta. Non si era
dimenticato
niente, appena avuta l'occasione l'aveva afferrata al volo e aveva
mollato Elena per andare a cercarla lui stesso e lo faceva incazzare
non poco il fatto che lei neppure avesse voglia di parlargli, che non
si era neppure degnata di smentire quando aveva insinuato che usciva
con suo fratello.
Bonnie non era quel tipo di ragazza, lo sapeva. Bonnie
non faceva giochetti, non si era avvicinata a Stefan per attirare la
sua attenzione e non restava con suo fratello per fargli dispetto. Se
usciva con Stefan era solo perchè lui le piaceva davvero, se
era
decisa a continuare nonostante avesse scoperto la loro parentela era
solo perchè suo fratello le risvegliava dentro reali
sentimenti che
avrebbero potuto crescere e consolidarsi, trasformandoli nella coppia
più affiatata che avesse mai visto. E il tutto sotto i suoi
occhi.
La cosa non gli piaceva, non gli piaceva affatto.
Aveva capito da tempo che Bonnie non era roba per lui,
che vivevano su due pianeti diversi, che, per quanto lei fosse stata
affettuosa e paziente, lui non sarebbe mai stato all'altezza delle
aspettative. Sapeva con assoluta certezza che reclamarla di nuovo per
se sarebbe stato da bastardo egoista e aveva accettato il fatto che
si rifacesse una vita lontano da lui, che trovasse l'amore che
meritava stretta in braccia non sue. Ma Stefan....diamine! Quella non
riusciva proprio a mandarla giù. Tra tanti, si era dovuta
scegliere
proprio l'unico che non sarebbe mai riuscito ad accettare?
La notte precedente, dopo il rifiuto di Bonnie di
parlargli, aveva vagato in giro. Era troppo su di giri
perchè
riuscisse a tenere a freno l'istinto che gli urlava di correre da
Stefan e sbattergli in faccia il suo passato con Bonnie al solo scopo
di allontanarli, quindi aveva deciso che rinfrescarsi le idee in
sella alla sua moto era decisamente meglio. Dell'odio che avrebbe
scatenato in Stefan poco si preoccupava, ma non voleva umiliare
Bonnie, non più di quanto avesse già fatto in
passato. Oltretutto,
conoscendola, non sarebbe passato molto prima che lei si decidesse a
vuotare il sacco, soprattutto se lui restava nei paraggi, e allora
forse sarebbe stato lo stesso Stefan ad allontanarsi di sua spontanea
volontà, rivedendo nella faccenda la stessa situazione che
si era
creata a suo tempo con Elena. Sarebbe stato perfetto. E lui per una
volta non sarebbe passato per il cattivo di turno. Si era convinto ad
aspettare, quindi, almeno fino a quando non si sarebbe stancato. In
quel caso, se per allora Bonnie non avesse ancora detto niente, ci
avrebbe pensato lui a trovare il modo per esporre tutto. Problemi di
sorta proprio non poteva farsene. Per il resto, si sarebbe attenuto a
quelli che erano i piani originali e si sarebbe preso Elena. E a tal
proposito...
Non vedeva il Robert E. Lee da anni, praticamente da che
si era diplomato. Non era cambiato niente: l'edificio era sempre lo
stesso, gli striscioni recitavano sempre gli stessi incitamenti alle
squadre sportive, il professor Ross se ne andava ancora in giro col
suo macinino risalente al dopoguerra e il parcheggio, concluse le
lezioni, era affollato e rumoroso a causa del vociare dei ragazzi e i
clacson delle auto in attesa di andarsene.
Era
stato un bene prendere la moto anche quel giorno. Oltre che
garantirgli un'entrata niente male e qualche occhiata di troppo che
era sempre apprezzata, gli consentiva anche maggiore
mobilità.
Parcheggiò ad un centinaio di metri dall'entrata principale,
abbastanza per essere notato da chiunque
uscisse.
Stefan gli passò di fianco poco dopo, sicuramente di
ritorno dal campo dagli allenamenti di football.
“Hai
fatto tardi ieri sera.” - commentò, attirando
l'attenzione del
fratello che alzò gli occhi al cielo.
“E
esattamente come faresti a saperlo se al mio rientro neppure
c'eri?”
Damon scrollò le spalle.
“Ti
ho visto in giro intorno a mezzanotte con quella tua amica...
-com'è
che si chiamava? Bonnie?”
“Non
azzardarti a metterle gli occhi addosso, Damon.”
“E
chi si azzarda.” - rispose, alzando le mani in segno di resa
-
“Piuttosto, torniamo a parlare della nostra eterna faida, ti
va?
Sono venuto a prendere Elena.”
Stefan si fermò a fissarlo per qualche lungo attimo di
silenzio, poi abbozzò un sorriso e si chiuse nelle spalle.
“Fà
pure. Non c'è nessuna faida. Ormai quello è un
gioco a cui giocate
voi due da soli.”
Damon aggrottò la fronte e lo guardò mentre gli
dava
le spalle e si allontanava, raggiungendo direttamente Bonnie, ferma
sui primi scalini dell'entrata principale. Li vidi cercarsi, toccarsi
le mani e sorridersi. Stefan addirittura si spinse a poggiarle una
mano sul viso e a scostarle i capelli dalla fronte, rigirandosi
distrattamente tra le dita un boccolo rosso, con tutta l'innocenza
che lui non aveva mai messo nel compiere il medesimo gesto....
6
mesi prima. New York.
Trovare
quel liceo era stato complicato. Essenzialmente perchè a New
York di
licei ne esistevano a centinaia e neppure sapeva da che zona della
città venisse la ragazza dai capelli rossi incontrata dopo
la festa:
Bonnie.
Aveva
lasciato passare un paio di giorni da quella notte. Aveva conosciuto
gente, visto ragazze e baciato un paio di queste prima di realizzare
che non erano abbastanza, che per quanto esperte e navigate potessero
essere, nessuno dei loro baci era assolutamente paragonabile a quello
che quell'ingenua e dolce ragazza gli aveva donato. Ok si, lui le si
era praticamente avventato sulle labbra, ma lei non si era tirata
indietro, anzi, aveva ricambiato e anche con una certa urgenza.
Fortunatamente
Scott, che aveva scoperto essere molto più intransigente con
le sue
feste di ciò che dava a vedere, gli era stato d'aiuto.
Quella notte,
infatti, aveva chiesto al ragazzo imbucato che aveva beccato chi
fosse e da dove venisse; questi, impaurito, gli aveva risposto con
nome, indirizzo, numero di telefono dei suoi e nome del liceo,
ovviamente.
Quel
giorno Damon si sentiva piuttosto sicuro di rivederla, quindi, mentre
accostava la sua moto dall'altro lato della strada e camminava
spedito fino al tronco dell'albero al quale si appoggiò, a
qualche
metro dall'entrata della Saint Jules High School. Dopotutto ricordava
perfettamente che Bonnie gli aveva parlato di una sorta di scommessa
tra lei ed altri suoi compagni di scuola.
La
campanella suonò nel giro di un quarto d'ora circa e gli
studenti
presero a riversarsi all'esterno. I ragazzi gli lanciavano occhiate
curiose e le ragazze sguardi languidi, tutta roba che aveva
già
visto succedere e che si aspettava anche lì. Non si
lasciò
distrarre. Attese pazientemente a braccia incrociate fino a che la
sua attenzione non venne catturata da una chioma rossa che ricordava
perfettamente, che addirittura splendeva sotto la luce del sole
battente di quel giorno di fine marzo.
Sfilò
via gli occhiali da sole e puntò gli occhi su di lei. Non
fece
altro, perchè non credeva affatto che servissero gesti
perchè si
accorgesse della sua presenza lì. Di fatto, erano
così tanti i
bisbiglii che sentiva lui stesso circa il ragazzo sconosciuto
appostato all'entrata che non dovette attendere molto perchè
anche
Bonnie lo vedesse e le si imporporassero le guance.
Sorrise
e le fece un cenno. Un chiaro invito a raggiungerlo.
Lei
temporeggiò qualche attimo, scambiò qualche
parola con la ragazza
mora e il ragazzo biondo che aveva ai lati e poi si decise ad
avvicinarsi.
“Ciao.”
- lo salutò, timidamente.
“Ciao.”
- rispose lui, decisamente più divertito.
“Cosa...ehmm..ci
fai qui?”
“Credo
che questa sia una domanda un po' troppo stupida per una ragazza
tanto intelligente.” - commentò lui in risposta -
“Sono venuto
per te, ovviamente.”
Bonnie,
se possibile, diventò dello stesso colore dei suoi capelli.
“Oh!”-
fece - “Ma come hai...insomma, il mio liceo...”
“Ho
le mie fonti.”
Bonnie
annuì. Gli sorrideva, ma era visibilmente a disagio. A causa
sua e
sicuramente anche a causa di tutte le occhiate che stavano ricevendo.
Damon,
malgrado tutto, si fece comunque avanti di un passo e la tenne contro
di sé, poggiandole le mani sui fianchi.
“Sono
venuto per un motivo.”
“Si?”
“Uh-uh.”
- confermò - “Voglio un altro bacio.”
Bonnie
strabuzzò gli occhi.
“C-cosa?”
“Dalla
sera della festa, non faccio altro che pensarci.” - ammise -
“Ne
voglio un altro.”
Una
mano risalì da un fianco e le accarezzò una
spalla prima di
fermarsi sul suo viso, ravviandole all'indietro i capelli
perchè
riuscisse, con la punta delle dita, ad afferrarle un boccolo col
quale prese a giocare.
La
sentì rabbrividire e la vide socchiudere gli occhi al
contatto.
“Bonnie?”
- chiamò, in un sussurro sul suo viso.
Lei
non rispose ancora per qualche attimo, ma gli poggiò le mani
sulle
spalle e poi gli si strinse addosso, allacciandogliele dietro la
nuca.
“Ne
voglio un altro anch'io.” - confessò poi,
sottovoce, perchè solo
lui riuscisse a sentire, dandogli di fatto il via libera che sperava
di ottenere fin da quando aveva preso la decisione di cercarla e
trovarla.
Poggiò
le labbra su quelle di Bonnie, delicatamente, assaporandole come
neppure la prima volta aveva fatto, perchè troppo preso
dalla foga.
Bastò qualche attimo per tornare a risentire ancora quella
sensazione che non era più riuscito ad avvertire con nessun
altra
ragazza, una sensazione di calore all'altezza del petto e chiusura
alla bocca dello stomaco, che aumentava a mano a mano che la sentiva
arrendersi nel suo abbraccio, aggrapparsi letteralmente a lui
perchè
la sorreggesse. La sentii gemere sommessamente nella sua bocca, tanto
contenuta ed innocente da scatenare in lui ogni sorta d'istinto. Il
bacio crebbe, inevitabilmente. Si fece largo tra le sue labbra e le
accarezzò il palato con la lingua, estraniandosi da ogni
altra cosa
tranne che dal suo sapore che -lo sapeva- da quel giorno in avanti lo
avrebbe tormentato come nient'altro aveva mai fatto in vita sua.
Erano
a corto di fiato quando si separarono, ma Damon continuò a
tenere il
viso abbastanza vicino a quello di Bonnie perchè potesse, di
tanto
in tanto, sfiorarle ancora le labbra con piccoli baci fuggevoli.
Bonnie
riaprì gli occhi qualche istante dopo e, realizzando
ciò che era
appena accaduto alla mercè degli occhi di tutti i suoi
compagni di
scuola, tornò a chiuderli nuovamente, a serrarli del tutto,
facendolo ridere tanto era buffa.
“Ti
accompagno a casa.” - le propose.
Lei
annuì, senza stare troppo a pensarci, probabilmente a causa
della
troppa vergogna che sentiva.
“Devo
avvertire mia sorella, però.”
Damon
la lasciò fare e restò a guardare mentre si
avvicinava di nuovo
alla ragazza mora che aveva scorto poco prima e che adesso lo fissava
come se fosse un alieno da abbattere uscito dal nulla. Le due
scambiarono qualche parola, poi Bonnie tornò da lui.
“Sei
mai stata in moto?” - chiese, indicandole con un cenno la
Ducati
dall'altra parte della strada.
“A
dire il vero, no.”
Damon
annuì, le passò un braccio intorno alla vita e la
esortò a
seguirlo.
“Allora
dovrai abituartici, perchè con la bella stagione esco solo
con
quella.” - aveva parlato prima di pensarci, rendendosi conto
solo
in un secondo momento che, praticamente, le aveva appena detto che ci
sarebbero stati altri incontri come quello, che si sarebbero rivisti
ancora. Ma non si rimangiò nulla, anzi annuì di
nuovo, a conferma
di ciò che aveva detto e sottinteso.
Non
staccò gli occhi da quei due fino a che non li vide
allontanarsi
verso l'auto di Stefan. Inconsciamente, stava aspettando di vedere se
sarebbe scattato il bacio anche per loro, ma non fu così,
almeno non
davanti all'intera scuola. Gli passò per la mente l'idea che
non
poteva di certo sapere fin dove si sarebbe spinto suo fratello una
volta da solo con lei al riparo della sua auto, ma poi
ricordò che
lo sapeva eccome, che lui era Stefan il santo e che era completamente
il suo opposto, quindi non si sarebbe avventato su di lei come aveva
fatto lui, ma avrebbe atteso il momento
giusto.
Fosse riuscito a rovinare ogni momento potenzialmente giusto sarebbe
stato più contento.
“Damon?”
Si voltò. La Jaguar stava lasciando il parcheggio e non
aveva senso continuare con le sue stupide supposizioni, non quando
aveva Elena a qualche passo da lui. Oddio, Caroline se la sarebbe
anche evitata, ma a quanto pareva il suo Angelo proprio non voleva
rinunciare all'amicizia di quella pettegola incallita.
“Angelo.”
- salutò, esibendosi nel suo miglior sorriso, che si
trasformò in
un ghigno beffardo quando si posò sulla migliore amica di
Stefan -
“Caroline! Non credevo ti saresti mai degnata di venire a
salutarmi.”
“Non
volevo, infatti. Ma ho promesso ad Elena un passaggio e tu ti sei
messo giusto davanti alla mia macchina.” - gli rispose,
piccata
come al solito, non preoccupandosi minimamente di nascondere neppure
una briciola del disprezzo che provava nei suoi riguardi. Non che la
cosa gli importasse, ovviamente.
Scrollò le spalle.
“Non
l'ho fatto di proposito.” - fece, sincero come poche altre
volte
quando si trattava di scherzetti ai danni di Caroline -
“Aspettavo
Elena. Ti riporto a casa, Angelo, ti va?” - propose.
“Stefan
ti ha visto?” - s'intromise, ancora una volte, Care.
“Si.”
“E
sa perchè sei qui?”
“Ovviamente,
ma ha preferito andare via, invece di restare a fare quattro
chiacchiere.”
“Era
con Bonnie?” - Elena parve parecchio infastidita nel fargli
quella
domanda, non si curò neppure dell'occhiataccia che le
tirò la sua
amica.
Damon non rispose neppure e Caroline aprì bocca
soltanto per rincarare la dose con un: “Stefan è
liberissimo di
andare via con chi vuole.” - corredato da un sorriso un po'
troppo
luminoso, che esprimeva a pieno tutta la sua approvazione per la
relazione nascente tra suo fratello e Bonnie. C'era da aspettarselo
da Caroline, dopotutto. Peccato che non aveva fatto i conti con lui.
Era un bene, comunque. Più quella ragazzina restava
all'oscuro, meno probabilità c'erano che gli rompesse le
scatole
mentre cercava il modo più adatto per allontanare suo
fratello dalla
rossa. Già avrebbe avuto abbastanza da fare con Meredith,
senza che
ci si mettesse di mezzo anche lei.
“Allora?
Vieni?” - fece ancora, allungando il secondo casco ad Elena.
Lei neppure se lo fece ripetere.
“Elena!”
“Non
mi interessa Care.” - rispose al rimprovero, salendo in sella
e
allacciandogli le braccia intorno alla vita - “Andiamo pure,
Damon.”
La moto riprese vita subito dopo quelle parole,
sopprimendo del tutto le ennesime proteste di Caroline.
“Grazie
mille del passaggio.” - sorrise Bonnie, mentre si sporgeva
per
recuperare la sua borsa dal sedile posteriore.
“Di
niente.” - fece Stefan - “Tanto è di
strada.”
“Non
è vero.”
“Beh,
lo sarà da oggi in poi.”
Si ritrovò a ridere, sporgendosi per poggiare una mano
sulla spalla di Stefan e lasciargli un bacio su una guancia.
“A
domani, allora.” - lo salutò e fece per scendere
dall'auto, ma il
ragazzo le afferrò prontamente una mano e la trattenne.
“Aspetta.
Prima vorrei...” - lasciò cadere la frase, ma si
mosse sul sedile
per riuscire ad infilarsi una mano in tasca, estraendone una busta
che poi le porse.
Bonnie l'afferrò, curiosa.
“E'
l'invito alla festa di Care.” - le spiegò.
“Quella
che farà in casa mia e per la quale vedo un po' superfluo
l'invito?”
“Proprio
quella.” - assecondò Stefan - “Ho
provato a farglielo notare, ma
lei ha rigirato la frittata come suo solito e ha fatto notare una
cosa a me.”
“Ah
si? E cosa?”
“Hai
presente quei nostri futuri appuntamenti di cui abbiamo parlato ieri
sera?”
Bonnie annuì, decisamente contenta che Stefan tornasse
sul discorso.
“Certo.”
“Che
ne pensi di cenare insieme e poi tornare al pensionato per la
festa?”
Stefan sembrava titubante, come se sentisse di stare
azzardando un po' troppo con quella proposta. Bonnie, dal canto suo,
la trovava invece perfetta. Aveva già sperato di trascorrere
quella
serata con lui, ballando pur vestiti come due fuori di testa. Cenare
prima insieme avrebbe fatto sembrare il tutto molto
più...ufficiale,
però. E la cosa le piaceva.
“Ci
sto.” - fece - “Accetto volentieri.”
Si
salutarono senza aggiungere molto altro, concordando sul fatto che
avanzavano ancora due settimane alla festa di Caroline a avrebbero
potuto mettersi d'accordo sui dettagli nei giorni a seguire, come
sull'ora in cui vedersi e sui costumi da indossare. Sarebbe
stato carino avere costumi abbinati, magari quelli di una coppia –
quello era stato un pensiero di entrambi.
Al rientro in casa era sola. La signora Flowers pareva
non essere ancora tornata dalla sua gita fuori porta a casa di
un'amica e Meredith le aveva già detto che si sarebbe
attardata un
paio d'ore al liceo col club degli scacchi. Salì in camera
sua,
quindi, con una manciata di biscotti fatti in casa: avrebbe
approfittato del fatto che non aveva prove quel giorno per studiare
per il primo test di algebra che aveva la settimana successiva.
Prima, però, decise di fare una telefonata.
Afferrò il cellulare,
compose il numero e si buttò sul letto in attesa della
risposta.
Dopo tre lunghi squilli finalmente arrivò una voce.
“Ehi
Bon Bon! Finalmente!”
“Ciao
Matt. Spero di non disturbare.” - salutò,
altrettanto entusiasta
di sentirlo.
Matt Honeycutt era il suo più grande amico dai tempi
delle medie. Insieme a Meredith, avevano formato un trio inseparabile
fino al momento del loro trasferimento a Fell's Church. Alto, biondo,
occhi azzurri, gentile ed educato, frequentava il primo anno di
college alla NYU grazie ad una borsa di studio per lo sport che si
era guadagnato col football. A volte, negli anni, si era chiesta come
avesse fatto a non innamorarsi di lui che sembrava il prototipo del
principe azzurro che ogni ragazza sogna di incontrare, ma Matt era
come un fratello per lei. C'era stato un tempo in cui le cose non
erano state rilassatissime in quanto lui le aveva confessato di
provare una certa attrazione nei suoi riguardi che andava ben oltre
l'amicizia, ma la cosa era passata in fretta, era durata appena
un'estate, poi aveva incontrato quella che era stata la sua ragazza
fino a qualche mese prima e avevano dimenticato in fretta ogni
spiacevole cosa ci fosse stata tra loro.
Ad oggi, era l'unica persona, oltre a Meredith, con la
quale sentiva di poter parlare di tutto, di potersi confidare senza
paura di un giudizio. Perchè Matt non giudicava, lui
ascoltava e
offrivaconforto e supporto incondizionato. Le mancava da matti.
“Disturbare
tu? Non dire cretinate.” - si sentì rispondere -
“Piuttosto
dimmi: com'è Fell's Church? Piena di vita come i tuoi
avevano
detto?”
Lui scherzava, ma Bonnie non era molto in vena circa
quell'argomento.
“Fin
troppo piena di vita, Matt. Qualcuno dovrebbero sopprimerlo per
purificare l'aria.”
“Addirittura!”
- si stupì lui - “Che è successo?
Qualche oca bionda ti dà il
tormento?”
Lui scherzava ancora, ma a Bonnie vennero subito in
mente le battutine al vetriolo di Elena Gilbert e le occhiate che le
lanciava. Ah, se gli sguardi potessero uccidere.....lei di sicuro
sarebbe già morta.
“A
parte quello...” - fece.
“Quindi
una bionda insopportabile c'è davvero.”
“Si,
ma non è lei il problema. E la conosco davvero troppo poco
per
definirla insopportabile.” - non le piaceva sparare a zero,
nemmeno
su chi ovviamente non la trovava molto simpatica. Elena -si diceva-
non sembrava stupida, doveva sicuramente avere i suoi buoni motivi. E
lei non poteva pacere a chiunque.
“Quindi
il problema è...”
“Ho
conosciuto un ragazzo. E' gentile, bello, un vero cavaliere. E mi
piace molto. Passiamo molto tempo insieme, poco fa mi ha invitato ad
un appuntamento e già non vedo l'ora.”
“Questo
non mi sembra un problema.” - commentò Matt,
confuso.
“Infatti
non lo è. Lui non è assolutamente un
problema.” - chiarì Bonnie
- “Suo fratello è il problema.”
“Suo
fratello?”
“Damon.”
“Che?”
“Hai
sentito. Ho detto “Damon”. E' il fratello maggiore
del ragazzo
che mi piace.”
“Damon....quel
Damon?”
“Si,
lui. L'ho incontrato ieri sera. A quanto pare, tra tutti i posti
possibili e immaginabili in cui potevo andare a vivere, sono venuta
dritta dritta nel paesino da cui viene lui.” -
spiegò, esasperata
- “Non ci credo! Mi ha sempre fatto pensare che fosse di New
York e
invece me lo ritrovo qui.”
“L'hai
già detto a Meredith?”
“Ancora
no. Glielo dirò quando arriva, tra poco.”
“Tienila
al guinzaglio.” - l'avvertì.
“Lo
so.”
“E
il fantastico fratello?” - chiese ancora Matt -
“Lui lo sa?”
Bonnie sospirò.
“No,
ma conto di dirglielo presto.” - assicurò -
“Guarda, se non
fosse così assurdamente perfetto non gli avrei detto niente
e me la
sarei data a gambe, ma Stefan è davvero assurdamente
perfetto. Lo
conosco da poco eppure è evidente che non c'entra un bel
niente con
quel miserabile del fratello. Non voglio gettare all'aria qualcosa
che ha tutte le potenzialità per diventare l'amore che ho
sempre
sognato d'avere, a causa di Damon. Ha già fatto abbastanza
in
passato lui, ha già rovinato pure troppo.”
Matt rimase in silenzio per qualche istante,
probabilmente riflettendo su ciò che aveva appena appreso.
Alla
fine, sospirò e Bonnie potè immaginarlo sorridere
dall'altro capo
della linea.
“E'
giusto.” - disse - “Ma non far passare troppo
tempo. Lo sappiamo
com'è fatto Damon.”
Bonnie annuì: Matt aveva ragione.
“Farò
come dici.” - confermò.
“Stai
bene, Bon Bon?”
Prese qualche attimo per sé prima di formulare la
risposta. Con lui poteva essere sincera e non affrettata, quindi
valutò la sua situazione, bilanciò i pro e i
contro di ciò che
probabilmente si sarebbe trovata ad affrontare e poi parlò.
“Sono
arrabbiata, terribilmente arrabbiata.” - disse -
“Ma, tolto
questo, sì, sto bene.”
NOTE:
Ciao a tutti!! E buon sabato sera ^_^
Come
promesso, ecco qui il nuovo capitolo. E' un capitolo di passaggio,
purtroppo ce ne saranno un pò così fino a questa
benedetta festa in cui
si "consumerà la tragedia" xD Ma sono un male necessario, in
quanto
servono per preparare il terreno e delineare un pò le
posizioni di
tutti i personaggi, le loro storie passate, i loro pensieri, i loro
sentimenti e via dicendo. Spero di non annoiarvi, comunque.
In
questo capitolo ritroviamo Caroline, decisamente una fan di Stefan e
Bonnie xD E mentre il primo sembra ormai del tutto oltre il passato con
Elena, infatti non manca di farlo presente anche a Damon, la seconda
sembra più che decisa a darsi una chance con lui, sebbene
resti ancora
più che furiosa con Damon e per ciò che in
passato le ha fatto.
A
tal proposito, visto che Amy in Wonderland mi ha chiesto di avvisarla
per tempo, il flashback del prossimo capitolo sarà
decisamente meno
romantico di questo, riguarda esattamente ciò che tu mi hai
chiesto Amy
xD E c'entrerà con Elena, perchè torneremo su
ciò che è successo tra
Stefan, Elena e Damon e vedremo come la bionda è stata in
grado di
creare casini a Bonnie pur senza conoscerla xD
E poi c'è Matt!! Lo
troveremo spesso da ora in avanti. E', di fatto, uno dei protagonisti
della storia, sebbene per il momento resti ancora a New York. In tante
mi avete anche chiesto cosa ne pensa Meredith di tutta la faccenda e,
come vedete, pure Damon se ne preoccupa xD Beh, nel prossimo capitolo
ci sarà nuovamente il suo POV xD
Adesso vi lascio. Grazie ancora a chi leggere e/o recensisce xD Vi
lovvo tutti!!!
A sabato prossimo....BACIONI...IOSNIO90!!!
|
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Capitolo 6 *** AVVISO ***
Buon pomeriggio a tutte! ^_^
Questa settimana, purtroppo, il capitolo salta. Sono a Napoli con mia madre per la festa di laurea di mia cugina e mi sono resa conto che, nella fretta di partire (perchè è stata una decisione un pò improvvisa xD), mi sono dimenticata di passare il capitolo nuovo dal pc fisso al portatile per poterlo postare. Ergo ci rivediamo col prossimo capitolo sabato prossimo, così ne approfitto anche un pò per rivedere alcuni punti che non mi convincono!
Però, per farmi perdonare, come piccolo spoiler vi lascio il titolo: "Angelo" (leggetelo come se fosse scritto in corsivo, prendete per buone le due virgolette ai lati e guardatelo con tanto tanto cinismo ed ironia xD)
A sabato prossimo...BACIONI...IOSNIO90!!! |
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Capitolo 7 *** "Angelo" ***
Previously
on Teorema:
Bonnie
e Meredith, diventate sorelle quando i genitori di Bonnie hanno
adottato Meredith da bambina in seguito alla dipartita dei signori
Sulez, si trasferisco per il loro ultimo anno di liceo da New York,
dove hanno sempre vissuto, a Fell's Chirch, sotto la custodia della
loro vecchia tata in pensione: la signora Flowers. L'intenzione delle
ragazze è vivere il loro ultimo anno in serenità
e divertendosi,
soprattutto Bonnie che, a causa di una cocente delusione d'amore a
NY, ha sofferto molto. Qui conoscono Stefan, quarterback del liceo,
la sua migliore amica Caroline, capo cheerleaders, ed Elena,
ex-ragazza di Stefan con cui il raporto è terminato quando
lui ha
scoperto il tradimento della ragazza con suo fratello Damon,
attualmente all'università. Bonnie e Stefan si conoscono e
tra i due
si instaura subito un bel feeling, appoggiato da Meredith e Caroline
e visto con odio dalla gelosa Elena.
Questo, fino al ritorno in città
di Damon, dopo essere stato espulso dall'ennesima
università. Questo
ritorno causa nuove tensione tra lui e Stefan a causa di Elena e
porta scompiglio anche nella nuova tranquillità di Bonnie
perchè
Damon è esattamente lo stesso ragazzo che le aveva spezzato
il cuore
mesi prima. Non sa come affrontare la cosa, il suo amico Matt le
consiglia di raccontare tutto a Stefan e lei si convince che
è la
cosa più giusta visto anche il modo in cui Damon comincia a
seguirla
e a cercarla.
La festa di inizio anno organizzata da Caroline al
pensionato si sta avvicinando, cosa succederà?
Bonnie farà in tempo
a spiegare a Stefan del suo passato oppure Damon, pur di far soffrire
ancora suo fratello, intralcerà i suoi programmi?
"Angelo"
“Non
è possibile!”
“Ti
dico di sì, invece.”
“Non
riesco a crederci.”
“E
lo dici a me?”
“No,
sul serio, come osa
venire qui a Fell's Church?”
“Tecnicamente,
questa sarebbe casa sua, può tornarci quando vuole.
L'estranea
venuta da fuori sono io.”
“Non
mi sembra una giustificazione adeguata, ma se proprio ci tieni a
puntualizzare, allora rettifico: come osa
presentarsi qui da te al pensionato?”
Bonnie scrollò le
spalle e quel gesto, se possibile, fece esplodere ancora di
più
tutta la voglia che Meredith sentiva di correre alla villa dei
Salvatore e prendere a calci Damon, per il puro gusto di vederlo
mortificato e ridotto a pezzi da una donna.
Meredith non era mai
stata un tipo eccessivamente impulsivo e irascibile. Tra lei e
Bonnie, era di certo la rossa quella più incline a divenire
preda
dei suoi stessi sentimenti. Per quanto la riguardava, lei amava
riflettere sulle sue azioni, sulle conseguenze che queste avrebbero
portato. Se qualcosa la coglieva di sorpresa lei si fermava e cercava
di analizzare il motivo che l'aveva portata a provare tanta
meraviglia, dopodiché tirava avanti dritto. A vederla dal di
fuori
sembrava una ragazza fredda, calcolatrice, ma in realtà, chi
la
conosceva bene, sapeva che era in grado di provare forti sentimenti,
sia positivi che negativi, solo senza tutta l'impulsività
che di
quei tempi pareva tanto andare di moda. A detta di Meredith,
impulsività e sentimento puro non sempre andavano a
braccetto, anzi,
spesso proprio per affrettare le cose e seguire l'impulso di un
momento, si commettevano grossi errori. E lei, che a soli quattro
anni aveva vissuto il dolore più terribile di tutti alla
morte dei
suoi genitori, era cresciuta con la convinzione che una buona
conoscenza di se stessi, una buona analisi di tutte le situazioni e
delle variabili coinvolte, avrebbe aiutato a non venire più
così
tanto travolta da sofferenze così terribili. La ragione le
faceva da
scudo, e questo le andava più che bene.
Esistevano, però,
delle eccezioni. Bonnie, la sua felicità, era una di queste.
Provava nei
confronti di quel Damon che tanto male aveva fatto a quella ragazza
che era praticamente sua sorella una rabbia difficile da contenere,
tanto violenta da lasciarla sfinita anche solo a sentirla. Lo
disprezzava come poche altre volte le era capitato nella vita e mai
-mai- era riuscita a convincersi del fatto che, forse, stesse
esagerando un po' con tutto quell'astio.
Damon non le era mai
piaciuto, fin dall'inizio aveva avvertito una stranissima sensazione
collegata a quel ragazzo e avrebbe mentito se avesse detto che si
sentiva tranquilla a vederlo ronzare intorno a Bonnie. Tuttavia,
vedendo la sua amica tanto felice e così innamorata, si era
tenuta
per sé tutte le sue perplessità, non le aveva
raccontate neppure a
Matt, onde evitare di creare problemi lì dove parevano
ancora non
esserci. E che grande errore era stato quello di non intromettersi!
Forse -si diceva- se avesse insistito di più per allontanare
la sua
dolce amica da quel ragazzo che pareva urlare
“Pericolo” da ogni
lato lo si guardasse, Bonnie le avrebbe dato ascolto e non sarebbe
finita col soffrire così come aveva fatto.
Non la biasimava,
eh! Pur essendo una ragazza razionale, era convinta che se arrivava
l'amore allora c'era ben poco che si potesse fare per contrastarlo e
fuggire, ma ancora si chiedeva perchè un'esperienza tanto
brutta e
con un simile e spregevole essere fosse capitata proprio alla rossa.
E pensare che, ai tempi, per un certo periodo, vedendo tutte le
attenzioni che Damon dedicava a Bonnie, si era quasi convinta a
dargli un po' di fiducia! E invece non era stata altro che una farsa,
l'aveva addolcita all'inizio, ci si era divertito e poi l'aveva
scaricata senza una ragione valida. E quando una cosa simile
succedeva alla persona più importante della tua vita, come
potevi
non odiare chi le aveva inflitto tanta pena?
Meredith aveva un
nuovo obiettivo: trovare Damon e assestargli un cazzotto atto a
rompergli il setto nasale, preferibilmente davanti ad una bella
folla, e se questa folla avesse poi cominciato a ridere di lui allora
la cosa avrebbe raggiunto dei picchi di perfezione assoluta che forse
le avrebbero dato addirittura un briciolo di soddisfazione.
“E
Stefan? Che ne pensa?”
“Non
gli ho ancora detto niente di questa faccenda con Damon.” -
confessò Bonnie.
Meredith inarcò un
sopracciglio.
“Bonnie...”
“Lo
so. Davvero. Ho già deciso di dirglielo alla prima
occasione.
Prima...volevo riflettere un po' sulla cosa, metabolizzarla. Ti
confesso che ero ancora un po' indecisa sul da farsi, ma ne ho
parlato ieri con Matt e lui mi ha fatto notare che è di
Damon che
stiamo parlando, e che di lui non c'è da fidarsi. Non voglio
che
vada da Stefan a raccontargli chissà cosa, voglio dirglielo
io.”
“E'
giusto. Capisco che può essere difficile, ma è
giusto così.”
Cercò di essere
incoraggiante, rivolgendo un sorriso a Bonnie, seduta su uno sgabello
dall'altro lato dell'isola della cucina. Si trovava in una posizione
difficile e Meredith credeva che stesse facendo del suo meglio per
uscirne. Onestamente, non sapeva cosa avrebbe fatto lei se si fosse
trovata in una situazione simile. Sperava, però, che Stefan
riuscisse a comprendere la situazione e a capire il motivo che aveva
spinto Bonnie a prendersi qualche giorno prima di farsi avanti e
parlare. Era un bravo ragazzo, le aveva fatto da subito una buona
impressione. Dai racconti di Bonnie non sembrava che fosse in buoni
rapporti con suo fratello, ma si augurava che non fosse il tipo da
proiettare quel rancore anche sulla rossa. In fondo insieme, Stefan e
Bonnie, stavamo bene, si vedeva che erano riusciti a far sbocciare
qualcosa di bello nonostante si conoscessero da poco e quel nuovo
rapporto le potenzialità per trasformarsi in qualcosa di
importante
e duraturo ce le aveva tutte, quindi proprio non le andava di veder
spazzato via tutto da un brutto e fastidioso fantasma del passato che
proprio non voleva saperne di scomparire. Bonnie non se lo meritava.
“Giuro,
quando al primo giorno di scuola scherzavo dicendo che Stefan pareva
somigliare a Damon...non volevo portarti sfiga.”
Quella battuta aiutò
entrambe a rilassarsi e a ritrovare il sorriso. Bonnie, ripresasi
così dalla tristezza derivatale dal raccontarle tutta quella
faccenda in cui si era trovata invischiata, ritrovò l'umore
adatto a
saltare giù dallo sgabello, afferrare il suo borsone e
uscire dal
pensionato per tornare a scaricare un po' di stress emotivo
all'ennesima prova di danza.
Rimasta sola, a
pomeriggio inoltrato, senza nulla da fare e coi compiti già
finiti
da un pezzo, Meredith non riuscì a pensare a niente di
meglio che
non fosse qualche ora sul divano a giocherellare col pc, aggiornando
il vecchio profilo facebook e rispondendo alle e-mail inviatele da
qualche amica di New York.
Erano passati appena
venti minuti quando il campanello alla porta principale
suonò.
“Caroline!”
- fece, sorpresa, rivolgendo un sorriso alla bionda accovacciata
sulla veranda accanto a tre grossi scatoloni chiusi.
“Meredith,
devo chiederti un grosso favore.” - esordì l'altra.
“O—okay?”
- rispose, perplessa - “Che posso fare? E cosa c'è
in quelle
grosse scatole?”
“Brava.
Tu sì che fai sempre le domande giuste!” - si
complimentò la
bionda, lasciandola ancora più confusa di prima. Meredith,
nonostante la conoscesse da qualche giorno appena, aveva ormai capito
che Caroline Forbes era un tipetto un po' strano, ma forse doveva
ancora farci l'abitudine - “Sono tutte cose che serviranno
per la
festa. Addobbi, festoni vari... lì sotto dovrebbero esserci
dei
bicchieri avanzati dall'anno scorso. Mi chiedevo se potevo cominciare
a lasciarli qui, sempre se non è un grosso disturbo,
ovviamente. E'
per non essere costretta a portare tutto all'ultimo minuto.”
- le
spiegò.
Meredith abbozzò un
nuovo sorriso e scrollò le spalle.
“Figurati,
nessun disturbo. Possiamo portarle giù in cantina e tirarle
su
appena serviranno.”
Ci misero poco,
dieci minuti al massimo. E, appena finito, si fermarono entrambe a
bere del succo d'arancia.
“Non
c'è nessuno in casa?” - chiese Caroline.
“A
dire il vero, no. Bonnie è a lezione di danza e ne
avrà ancora per
qualche ora, mentre la signora Flowers...sai che non lo so?”
“Non
lo sai?”
Meredith scrollò le
spalle.
“Lei
è un po' uccel di bosco, è sempre in giro e a
volte non dice
neppure dove va. Esce al mattino presto e torna a sera, giusto in
tempo per preparare la cena o per aiutare me. Bonnie fa un po' schifo
in cucina.” - a quella piccola confessione scoppiarono a
ridere e
Caroline scosse la testa.
“Beh,
allora menomale che Stefan, invece, è un mago ai fornelli.
Almeno
quando finiranno con lo sposarsi non moriranno di fame.” -
commentò.
“Sposarsi?”
“Certamente!
Non so te, Meredith, ma io posso dirmi una grande fan della loro
coppia. Li shippo particolarmente. Anche se, lo ammetto, shipperei
qualsiasi ragazza che rendesse felice il mio amico.”
In quel momento,
Meredith si rese conto che lei e Caroline avevano molte più
cose in
comune di quello che poteva sembrare. E che, se anche le loro storie
erano diverse, tenevano ai loro amici allo stesso modo.
“Concordo
con te. Su ogni parola.”
Il portatile nel
frattempo era rimasto acceso in salotto e lo squillo di una chiamata
in arrivo tramite skype arrivò a distrarle entrambe.
Meredith si
scusò un attimo ed andò a recuperare il pc,
poggiandolo sul ripiano
tra lei e Caroline. L'idea era quella di rifiutare la chiamata e
scrivere velocemente a chi l'aveva contattata che al momento era
impegnata e ci avrebbe pensato lei in serata a farsi viva, ma si
trattava di Matt. E non poteva rifiutare una chiamata da Matt.
“Se
vuoi...” - Caroline indicò con pollice alle sue
spalle, come a
dirle che, se era impegnata, lei poteva andare e si sarebbero riviste
il giorno dopo a scuola, ma Meredith scosse la testa.
“Puoi
restare qui, se ti va.” - le disse - “E' Matt, il
migliore amico
mio e di Bonnie. Sono sicura che sarebbe felice di conoscerti, gli
abbiamo parlato molto di te, di Stefan, della nuova scuola, della
festa...” - spiegò - “Resta. A meno che
tu non abbia altro di
meglio da fare, ovvio.”
“Oh
no. Nient'altro da fare per oggi. Resto volentieri.”
Meredith, allora,
diede l'avvio alla videochiamata e attese di vedere l'immagine di
Matt sullo schermo, con un gran sorriso piazzato sul volto.
Lei e Matt erano
diventati amici essenzialmente per Bonnie. Lei era sua sorella, lui
il ragazzino con cui la rossa condivideva il banco durante il
laboratorio d'arte. Avevano preso a frequentarsi così, per
far
piacere a Bonnie, ma alla fine proprio il comune affetto per la rossa
aveva fatto sì che anche tra di loro si instaurasse una
bella
amicizia. Era un rapporto diverso da quello che Bonnie aveva con
Matt. Per Meredith lui non era una persona a cui chiedere appoggio e
consiglio, quanto più qualcuno con cui poter sempre parlare,
con cui
poter anche litigare e con cui confrontarsi. Le mancavano molto le
ore intere trascorse sotto la neve a bere cioccolata calda mentre
aspettavano Bonnie all'uscita della sua vecchia scuola di danza a New
York.
“Matt!”
- chiamò.
“Ehi,
Mere!” - salutò l'altro, che pareva seduto ad una
scrivania nella
minuscola stanza nei dormitori della NYU che condivideva con un altro
studente - “Credevo non rispondessi più. Quasi
cominciavo a
disperare.” - scherzò.
“Scemo!”
- gli fece il verso lei - “Stavo solo convincendo la qui
presente e
bellissima Caroline Forbes, capocheerleaders al Robert E.Lee di
Fell's Church, a fermarsi qui e a degnarti di qualche parola.
Dovresti ringraziarmi.”
“Beh,
se stanno così le cose, allora non posso che
cedere.” - rispose
lui - “Ciao, davvero bellissima Caroline Forbes. Io sono
Matt.
Honeycutt. ”
Meredith spostò lo
sguardo sulla bionda e giurò di averla vista arrossire,
appena per
un attimo. Subito, però, Care si riprese a
sventolò le dita davanti
alla videocamera, sorridendo.
“Ciao
a te, Matt.”
Aveva il fiatone,
Bonnie. Restando a parlare con Meredith non si era resa conto del
tempo che passava e, da che si era ritrovata ad essere in anticipo
per le prove, adesso aveva già cinque minuti di ritardo e
doveva
ancora svoltare l'angolo. Incredibile quanto i suoi stessi pensieri
la distraessero da quello che era sempre stato il sogno di una vita.
Aveva cominciato a danzare quando aveva appena quattro anni grazie a
sua madre, perchè desiderava che sua figlia si cimentasse
presto in
un qualche sport e aveva notato una sua certa inclinazione a tenere
perfettamente il ritmo battendo le mani e i piedi a tempo con la
musica trasmessa alla radio che suo padre teneva accesa a tutto
volume ogni domenica mattina perchè si sentisse bene in
tutta casa.
Era stato un gioco, all'inizio, uno sfizio di sua madre, ma che
presto era diventata la sua più grande passione. In sala
prove si
sentiva potente, importante e bellissima. Era come se, danzando,
perdesse tutta la sua naturale e solita goffaggine e si trasformasse,
per quelle poche ore, da brutto anatroccolo in cerca di attenzioni a
meraviglioso cigno in grado di guardare avanti da sé e a
testa alta,
senza il bisogno o l'appoggio di nessuno. Si sentiva indipendente,
libera di fare ed essere qualsiasi cosa. Mai nella vita vera si era
sentita così, lei che era sempre stata la ragazzina timida
ed
impacciata della porta accanto, quella carina sì, ma che di
certo
non poteva competere in bellezza con le top model alte un metro e
ottanta che vedeva passeggiare nei cortile dei licei e che, purtroppo
per la sua autostima, non esistevano affatto soltanto nei film. Elena
Gilbert, ad esempio, era un'esponente di quella categoria
più che
reale.
Ma Bonnie non era
mai stata il tipo da mettersi a competere, un po' perchè
credeva che
non ne sarebbe uscita affatto bene e un po' perchè non era
affatto
nella sua indole e non le andava. Lei era così com'era,
faceva
ancora un po' fatica a non osservarsi allo specchio con sguardo
prettamente critico, ma almeno il problema era molto meno
preoccupante di quanto non lo fosse stato anni prima, durante la
prima adolescenza. Inoltre, credeva di avere anche lei qualche carta
da giocare nella partita della vita. Se aveva attirato le attenzioni
di un ragazzo come Stefan, allora non poteva essere del tutto da
buttare.
Damon non contava,
se ne rendeva conto adesso più che mai. Se un tempo si era
sentita
forte e sicura stretta nel suo abbraccio, ora che sapeva che non si
era trattato di nient'altro se non di uno scherzo, tutta quella
sicurezza si era trasformata in biasimo verso se stessa e la sua
stupidità e poi, una volta superata la sofferenza iniziale
per
l'umiliazione subita e l'abbandono, in una cocente rabbia. Mai, mai
lo avrebbe perdonato, perchè perdonarlo significava ridargli
il
potere di ferirla di nuovo e non voleva permetterglielo. Se c'era una
cosa che la sua esperienza con Damon le aveva insegnato, era l'amor
proprio.
Per questo motivo,
benchè titubasse ancora e non si sentisse del tutto pronta,
aveva
deciso di parlare con Stefan ed essere sincera con lui,
perchè ad
aspettare ancora non si fidava. E, riflettendoci, si era ritrovata ad
odiare la situazione in cui lei stessa si era infilata tacendo sulla
sua storia passata, perchè era come se lei e Damon
condividessero un
segreto, qualcosa che ancora li univa e che teneva tagliato fuori
Stefan dalla sua vita. Era insopportabile.
“Sapevo
di trovarti qui. Questa è l'unica scuola di danza nel raggio
di
chilometri, e tu senza la tua danza non vivi.”
Ritrovarselo così,
davanti agli occhi, all'improvviso, era l'ultima cosa che Bonnie si
aspettava da quella giornata. Ma, soprattutto, la irritava il fatto
che lui si permettesse ancora di fingere di conoscerla.
“Sono
già in ritardo, Damon.” - tagliò corto,
o almeno tentò.
“Appunto.
Quindi puoi anche prenderti qualche altro minuto da perdere con
me.”
- lui si scostò dalla sua moto semplicemente per sbarrarle
la strada
e, nel momento in cui lei si fece avanti con la forza e lo
sorpassò
assestandogli una spallata leggera su un braccio, lui si
lasciò
sfuggire una risatina e prese a seguirla, camminandole di fianco.
“Mi
sembrava di essere stata abbastanza chiara con te l'altra sera al
pensionato.” - disse - “Devi lasciarmi in pace,
Damon.”
“Oh,
andiamo, Bonnie! Cosa sarà mai una chiacchierata tra due
vecchi
amici?”
Bonnie alzò gli
occhi al cielo. Tutta quell'insistenza la irritava più della
sua
presenza stessa, perchè davvero non la capiva, molto
più di quanto
non avesse mai capito tante altre cose di Damon.
“Io
e te non siamo mai stati amici. E non lo saremo mai.
Scordatelo.”
“Allora
possiamo fare quattro chiacchiere da vecchi amanti.” -
propose in
cambio lui, con solito tono ammiccante - “E chissà
che dalle
chiacchiere non si passi ad altro...”
Bonnie si bloccò
lì, a qualche passo dall'entrata della scuola di danza. Non
sapeva
dire se era perchè quella frase l'aveva pronunciata proprio
Damon
oppure se avrebbe reagito allo stesso modo anche se se la fosse
sentita rivolgere da qualcun altro, ma si sentì offesa,
profondamente.
“Il
massimo che ricaveresti da una chiacchierata con me a questo punto
sarebbe un pugno in faccia.” - puntualizzò -
“Forse ti sei
dimenticato con chi hai a che fare, Damon. O forse hai sempre
sovrastimato la tua capacità di capire le persone e, in
realtà, non
hai mai capito niente di me.” - continuò -
“E ora vattene, ti ho
detto. Ti ricordo che sei stato tu a mollarmi, tu a dirmi di non
volermi più vedere. Io mi sono adeguata di conseguenza, e
adesso
tutta questa insistenza da parte tua è sgradevole e
decisamente
fuori luogo. Non abbiamo nulla di cui parlare noi due. Un tempo,
forse, ma adesso non ne vale più la pena.”
“Perchè?”
- stavolta, per una volta, si era fatto serio persino lui -
“Perchè
adesso non ne vale più la pena? Per Stefan?”
“No,
non per Stefan. E' molto più semplice di
così.” - gli rispose -
“Dipende solo dal fatto che, finalmente, ho capito di volermi
bene
abbastanza da non voler fare la parte del tuo giocattolino, che lasci
quando vuoi e riprendi per capriccio.” - gli
spiegò - “Ma sai
qual è il colmo in tutto questo? Che sono stata
così male a causa
tua che fino a qualche tempo fa mi sarei abbassata addirittura a
tanto
pur di riaverti con me.”
Non aspettò una
risposta, non aggiunse nient'altro. Gli voltò le spalle,
ancora una
volta.
Elena si rigirò per
l'ennesima volta tra le mani l'invito che Caroline le aveva
consegnato il giorno prima. Era praticamente tutto, tranne
ciò che
le aveva sembrato di aver capito che dovesse essere dagli
interminabili sproloqui di Care sull'organizzazione di quella festa,
ma era simpatico, e al liceo non si parlava ormai d'altro. Erano
stati invitati tutti, Caroline non era il tipo da fare
discriminazioni quando si trattava di invitare persone ai suoi party,
anzi per lei il detto “più siamo, meglio
è” era una regola di
vita che seguiva come meglio poteva. Chiunque poteva portare chi
voleva, che andasse al liceo con loro oppure no. Così
facendo, il
numero di presenze tendeva sempre a triplicarsi. E Caroline era
contenta.
Elena non faceva
fatica ad immaginare che anche quella festa, come tutte le precedenti
organizzate dalla sua amica, si sarebbe rivelata un successo.
Sicuramente si sarebbero divertiti tutti; era sul fatto che si
sarebbe divertita anche lei che cominciava ad avere qualche dubbio.
Fino a qualche mese
prima non avrebbe avuto alcuna incertezza, avrebbe saputo che si
sarebbe recata a quella festa accompagnata sicuramente da Stefan e
che avrebbe trascorso una serata fantastica, ma adesso.... Stefan
neppure la guardava più. Adesso lui pensava soltanto a
Bonnie,
parlava soltanto con Bonnie, pranzava con Bonnie, accompagnava a casa
Bonnie, tutto faceva intendere che anche quella serata l'avrebbe
trascorsa con Bonnie. E lei proprio non sapeva quanto sarebbe
riuscita a tollerare l'immagine di Stefan che ballava con la rossa,
con le sue braccia attorto alla vita di lei e coi visi così
vicini
che, col lento adatto che Care avrebbe sicuramente scelto apposta
visto quanto appoggiava la nuova coppia nascente, avrebbero anche
potuto finire in un bacio.
Andare oltre quella
stupida gelosia e non pensarci più? Non sapeva se era poi
tanto il
caso di farlo. E se tra Stefan e Bonnie le cose non fossero andate
bene e lei non fosse stata più lì, pronta a
mettersi nel mezzo e a
riprendersi il suo ragazzo? In fondo si conoscevano da troppo poco
quei due per fare sul serio e, in cuor suo, Elena aveva sempre
trovato confortante l'illusione che la vedeva di nuovo con Stefan,
una volta che il ricordo del suo cedimento con Damon fosse scemato
del tutto.
Certo, a proposito
di Damon, lui rappresentava ancora e comunque una seconda opzione.
E se la scelta
migliore era lasciar andare Stefan e dare una possibilità a
Damon?
Non ci aveva mai riflettuto seriamente, forse perchè non si
era mai
vista in una relazione seria col maggiore dei fratelli. Lui era
così....libertino. Sarebbe riuscito a stare con lei e a
darle tutto
ciò di cui aveva bisogno? Stefan sicuramente sì,
con Stefan c'era
sicurezza. Ma adesso Stefan pareva voler Bonnie.
Inutile. Proprio non
riusciva a venirne a capo. Si sentiva confusa e spiazzata da quelli
che, a tutti gli effetti, erano stati veri scombussolamenti nella sua
vita di sempre, quella alla quale si era abituata. Scombussolamenti
come il ritorno di Damon e l'arrivo di una ragazza che era stata
capace di prendere il suo posto nei pensieri di Stefan. Forse, se
fosse stata meno egoista, avrebbe preso l'arrivo di Bonnie come una
benedizione dal cielo, come un segnale che quello giusto per lei era
Damon e che poteva stare con lui senza far soffrir Stefan, impegnato
nel suo nuovo amore. Ma Elena si era riscoperta profondamente
egoista, e non riusciva a rinunciare al ragazzo migliore che avesse
mai incontrato, sebbene non poteva negare di nutrire da sempre una
forte attrazione per Damon e forse qualcosa che andava ben oltre.
Si sentiva
intrappolata da se stessa e dai suoi desideri. Ed era così
arrabbiata con Bonnie McCollough! Non riusciva a farsela piacere e
nemmeno ci provava.
“Elena!
Elena, vieni!” - la voce della sua sorellina
arrivò a distoglierla
dai suoi pensieri. Le aveva promesso di aiutarla ad impacchettare il
regalo di compleanno per la sua amichetta del cuore e Dio solo sapeva
quanto diventata insistente la piccola Maggie se non tenevi fede ad
una promessa fattale.
“Arrivo!”
- rispose, lasciando l'altalena in giardino per poter rientrare in
casa. A pochi passi dall'ingresso, però, si accorse di aver
dimenticato l'invito alla festa di Care sul sediolino in legno di
fianco a quello su cui aveva dondolato piano lei fino a qualche
istante prima e tornò indietro a prenderlo. Fu allora che
notò,
dall'altra parte della strada, Stefan intento a litigare con un
enorme scatolone che proprio non voleva saperne di restare chiuso.
Sapendo che Caroline quel giorno aveva intenzione di darsi da fare
per scavare tra i vecchi addobbi qualcosa di ancora riciclabile per
la festa che stava organizzando, pensò che avesse coinvolto
anche
lui e lo raggiunse.
“Addobbi
per Caroline?” - chiese, per farsi notare - “Se
vuoi ti portò
altro scotch per chiuderlo.”
Stefan, al suono
della sua voce, sobbalzò leggermente, colto alla sprovvista,
ma nel
guardarla abbozzò un sorriso e sospirò.
“A
dire il vero qui dentro ci sarebbe il mio travestimento per la
festa.”
“L'hai
già scelto? - si stupì.
“Non
io. E' stata...Bonnie.”
Quella risposta la
confuse.
“Bonnie?
E perchè mai lei dovr---” - si interruppe da sola,
perchè era
ovvio il motivo per cui era stata la rossa a scegliere il costume
anche per Stefan - “Allora vai alla festa con lei. Non me
l'avevi
detto.”
Stefan, per tutta
risposta, scrollò le spalle.
Ecco, era
esattamente tutto quel tipo di nuova indifferenza che la irritava
parecchio. Come se lui desse per scontato che quella cosa non la
ferisse o come se addirittura lo sapesse e non gli importasse. E
questo perchè era stata prima lei a ferire lui? Non l'aveva
mai
fatto un tipo così rancoroso. Di quel passo, come potevano
far
tornare di nuovo le cose come prima?
Sentiva la testa
scoppiarle tanta era la gelosia.
“Beh,
buon divertimento allora.”
“Elena...”
Era già di ritorno
verso casa, quando si voltò di nuovo.
“E,
ora che ci penso, mi sa che forse lo scotch l'ha finito ieri Maggie.
Scusa tanto, dovrai arrangiarti.”
Aggiunta infantile,
davvero molto infantile, ma non era riuscita a trattenersi dal
prendersi almeno quella piccola rivincita. L'aveva fatto per ripicca
sì. E, parlando di ripicca, se Stefan non si era fatto poi
così
tanti problemi nell'invitare un'altra, allora proprio non vedeva per
quale motivo dovesse farsene lei. Non se n'era forse già
fatti
troppi?
Mentre rientrava a
casa, infilò la mano nella tasca posteriore dei pantaloni e
ne
estrasse il cellulare. Compose in fretta un numero, avviò la
chiamata e attese la risposta dall'altro lato.
“Ma
guarda che sorpresa!”
“Damon?
Ho una cosa da chiederti...”
Il solito sorriso
che Bonnie aveva stampato sul viso stanco dopo ogni sessione di prove
morì nell'istante in cui, messo piede in strada,
notò che Damon era
ancora lì, a poco più di un metro da lei, ancora
incollato alla sua
moto. L'aveva aspettata lì, non riusciva a crederci.
Era sicura che dopo
il loro ultimo scambio di battute di tre ore prima se ne fosse andato
via così come gli aveva caldamente consigliato di fare, e
invece no,
invece si ostinava a mettersi sulla sua strada. Ancora un po' e
sarebbe esplosa.
-E'
di spalle! - pensò
all'improvviso, e considerato il fatto che era oltretutto
così
impegnato a parlare con qualcuno al telefono, se fosse stata brava a
non urtare niente, a non fare rumore e a filare via alla svelta,
avrebbe potuto andarsene senza essere vista.
-Bel
piano, Bonnie.- si
complimentò con se stessa, addirittura con una punta di
orgoglio, e
se avesse potuto si sarebbe data il cinque da sola. Forse non stava
facendo esattamente la figura della donna matura e coraggiosa che
tanto voleva essere, ma avrebbe sfidato chiunque, nella sua
situazione, a cimentarsi nell'ennesimo confronto con Damon. No,
grazie, per quel giorno ne aveva avuto anche abbastanza.
Si assicurò il
borsone in spalla e mosse alcuni passi lenti proprio alle spalle di
Damon, ma purtroppo era quella la strada da fare per arrivare al
parco e tagliare poi da lì per il pensionato.
Beh, l'avesse mai
fatto! Gli era arrivata così vicina da riuscire ad ascoltare
ciò
che mai avrebbe voluto ascoltare, non in quel momento.
“Va
bene, va bene.” - stava dicendo Damon -
“Festicciole del genere
non sono esattamente il mio genere, ma per te faccio questo ed altro
ancora, Elena. Quindi va bene, ti ci accompagno, un modo come un
altro per passare una serata in compagnia del mio Angelo. Ma
ricordati che mi aspetto qualcosa in cambio dopo.”
Il succo, quindi,
era che Elena aveva chiesto a Damon di accompagnarla alla festa di
Care e lui aveva accettato. Bene, anzi benissimo. Tutto stupendo, se
non fosse stato per il fatto che Bonnie si era bloccata lì,
a quella
parola -Angelo-, la parola che, mesi prima, aveva distrutto ogni
briciolo di felicità.
2
mesi prima. New York.
“No...aspetta...che
significa. Devi spiegarti meglio, perchè...è
assurdo. Te ne rendi
conto? E' assurdo!” - Bonnie balbettava, sentiva le lacrime
affiorarle agli occhi e scenderle copiose lungo le guance. Avrebbe
voluto urlare, cadere e svegliarsi di colpo, scoprire che si trattava
soltanto di un brutto sogno, perchè no...non poteva essere,
non
riusciva a crederci né tantomeno riusciva a capire.
Cosa
era successo a Damon? Al suo Damon? Perchè all'improvviso le
faceva
questo?
“Sei
scomparso per tre giorni, Damon. Ero preoccupata. Tanto preoccupata.
Ti ho aspettato tutta la sera per la festa di diploma di Matt e non
ti sei presentato, mentre mi avevi promesso di passare. Non sapevo
dove fossi, cosa ti fosse successo. Ho provato a chiamarti, ma non
rispondevi mai. Ho provato addirittura a chiedere ai tuoi amici, ma
neanche loro hanno saputo dirmi niente.” -
continuò, quasi
isterica - “E adesso torni e...non capisco. Che stai cercando
di
dirmi?”
Lui
alzò gli occhi al cielo, freddo come mai era stato con lei.
“Ti
sto scaricando, Bonnie. Non è così
difficile.” - fece - “E
smettila di piangere, per cortesia. Guardati! Sei ridicola. Una
stupida e patetica ragazzina.”
Si
sentiva ferita, nel profondo sentiva la sua anima stappata in due.
Non riusciva a capire il motivo di tanto astio quando fino ad una
settimana prima erano così felici...
Perchè?
Perchè adesso faceva così? Perchè le
diceva quelle cose? Perchè
le faceva del male a quel modo, nel modo peggiore?
Tentò
di avvicinarsi, tese le mani per toccarlo, ma lui le afferrò
i polsi
e la respinse indietro, scostandosi malamente.
“Damon...no.
Ascolta, qualsiasi cosa sia successa...possiamo risolverla insieme,
noi due. Io... farò quello che vuoi, davvero. Io ti
amo.” - aveva
immaginato tante volte il momento in cui gli avrebbe detto che lo
amava -il primo “ti amo” della sua vita-, ma mai
aveva pensato
che sarebbe successo così.
Damon,
però, non parve minimamente toccato dalla cosa. E se lo fu,
non lo
diede a vedere.
“Mi
ami? Parli di amore? Ma con chi ti credi di avere a che
fare?” - la
derise - “Cosa speravi? Che saremmo stati insieme per sempre?
Sei
stata un passatempo, ragazzina. E' stato divertente sì, ma
adesso
basta, mi sono stancato.”
“No,
no no no no, non ci credo. Non ci credo!”
“E
invece devi crederci! Anzi, fatti un favore, Bonnie, e dimenticami
del tutto, dimenticati che esisto perchè io di sicuro mi
dimenticherò presto che esisti tu. Arriverà il
giorno in cui non
ricorderò più nemmeno il tuo viso,
così come è successo con altre
decine di ragazze prima di te e così come
succederà con altre. E
sai perchè? Perchè io non amerò mai
nessuna di voi, non amerò mai
te. Non hai mai avuto davvero nessuna chance per tenermi con te,
Bonnie, sono sempre stato io a dirigere il gioco. E il motivo
è
semplice: esiste una ragazza che amo, l'unica per la quale
varrà mai
la pena e quella ragazza non sei tu, non lo sarai mai. Lei è
il mio
Angelo, e con lei non potrai mai competere, non sei
all'altezza.”
“Angelo.
Il tuo Angelo.” - si ritrovò a ripetere, come
un'accusa, attirando
subito l'attenzione di Damon che, messo via il cellulare, si
voltò a
guardarla. Dalla sua espressione, era evidente che non si aspettava
che avesse ascoltato tutto.
“Bonnie...”
“Il
tuo Angelo.... Elena...” - collegò - “E'
lei. Quindi durante
quei tre giorni in cui eri scomparso, tu eri semplicemente tornato
qui. Da lei. Dal tuo Angelo Elena. Elena Gilbert.” - che di
amorevole, almeno con lei, non aveva ancora dimostrato di avere un
bel niente. Ma, in fondo, c'era da aspettarselo che il famoso Angelo
di Damon fosse una ragazza del genere - “Tutto questo
è...ridicolo.” - scosse la testa, quasi le venne
da ridere, ma si
trattenne. Preferì girarsi e tornare sui suoi passi,
allontanarsi da
lì.
Damon, dal canto
suo, però, si fece avanti e le afferrò un
braccio. Stavolta fu
Bonnie a sottrarsi malamente alla sua presa.
“Dobbiamo
parlare, Bonnie.”
“E
di che? Di cosa io e te dovremmo mai parlare, Damon?” -
ritorse -
“Per quanto mi riguarda, ribadisco che non c'è
assolutamente più
niente da dire. Piuttosto, perchè sei qui? Perchè
ti ostini a
starmi tra i piedi? Vai da Elena! Insomma, è per lei che sei
tornato, no? Quindi che ci fai qui? Vai dal tuo Angelo, Damon. Ti ho
già detto che io non voglio avere niente a che fare con te,
quindi
se è questo che ti preoccupa, sta pure tranquillo: non ho
nessuna
intenzione di essere un problema tra voi due.”
NOTE:
*Si prepara
a ricevere le tonnellate di pomodori e ortaggi vari che le
verranno lanciati contro*
Oddio.....Scusate, scusate, scusate,
scusate, scustate, scusate tantissimo!!!! Sono passati 4 mesi, lo so,
ed è imperdonabile, so anche questo. Ora, non voglio
giustificarmi e
capirò se mi prenderete a male parole e/o snobberete del
tutto le
mie storie da ora in avanti, ma è stato un periodo un
pò così per
me, per quanto riguarda la scrittura. Vabbè, prima
c'è stata
l'estate che mi ha tenuto fuori per parecchio, quasi un mese e mezzo
intero, poi recentemente mi son fatta un altro mese senza ADSL per
via di casini vari e, nel frattempo, la mia voglia di scrivere ha
raggiunto i minimi storici. Forse ho troppe robe in ballo, non so,
fatto sta che sono del tipo che se non ho voglia di scrivere allora,
pur di non scrivere della assurde stupidaggini tanto per fare,
preferisco non scrivere affatto e lasciare le cose come stanno.
Tuttavia, mi sento leggermente in ripresa e, vi dirò,
pensare a
continuare la ff decisamente mi alleggerisce la testa, prendendolo un
pò come uno svago. Spero veramente che mi perdonerete per
l'immensa
assenza, non mi è mai capitato prima, ho sempre cercato di
essere
puntuale con gli aggiornamenti e non sono mai sparita così
dalla
circolazione, quindi sono un pò leggermente in ansia
all'idea che vi
siate dimenticate di tutto quello successo fino ad ora nella ff e non
mi filerete di striscio. E avreste ragione! Sul serio, ma spero non
lo farete e riprenderete a seguirmi.
Questo capitolo è anche un
modo per farmi un pò perdonare, perchè racchiude
in sè un pò di
cose che mi avete chiesto.
POV Meredith e l'inizio della sua
voglia di vendetta contro Damon: c'è.
Più Meredith e Caroline
BFF: c'è.
Nuovi assaggi di Matt e la costruzione di una storia
tutta sua: c'è.
Elena che, metaforicamente, le prende da Stefan
xD : c'è.
Flashback su cosa è successo al momento della rottura
tra Damon e Bonnie: cè e non sarà l'unico, manca
il punto di vista
di Damon.
Bonnie che realizza quanto sia veramente una -passatemi
il termine- cagna Elena in questa storia: c'è.
Non c'erano Bonnie
e Stefan, ma nel prossimo capitolo, già in lavorazione, ci
saranno e
alla grandissima, perchè so quanto alla maggior parte di voi
piacciano insieme e perchè...ci devono essere,
sennò la storia non
può andare avanti xD
Spero tanto tanto tanto che il capitolo vi
sia piaciuto e che riprenderete a seguirmi. Per qualsiasi cosa -non
vi è piaciuto il cap, insulti vari, suggerimenti su
ciò che vi
piace o no oppure su ciò che vi aspettate o no- io sono qui
e sapete
dove trovarmi. In caso, per insulti e reclami in via
più diretta,
trovate il link per il mio facebook nella mia pagina autore oppure
potete anche mettere una taglia sulla mia testa nel gruppo Bamon su
fb in cui milito, quello di SerenaEbe e Little Redbird tra le altre,
per intendersi.
Prometto che il prossimo capitolo arriverà
presto. Non vi dò una data di scadenza perchè ora
come ora non so
se sarei in grado di rispettarle, quindi, seguendo l'esempio di altre
fatastiche autrici qui nel fandom, vi dico che dovrei riuscire a
postare per settimane prossima, massimo 1 Dicembre.
Ripeto: spero
che riprenderete a seguirmi. Grazie a tutti coloro che hanno letto e
recensito in questi mesi di assenza e vi aspetto, se vorrete,
prossima settimana col prossimo capitolo.
A
presto....BACIONI....IOSNIO90!!!
|
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Capitolo 8 *** Bacio di Mezzanotte ***
Bacio di
mezzanotte
Matt
Honeycutt aveva poche certezze nella vita e sapeva che le persone
sulle quali poteva davvero fare affidamento poteva contarle sulle
dita di una mano sola. Era un ragazzo responsabile, forse fin troppo
per la sua età. Ad appena diciannove anni avrebbe dovuto
interessarsi a feste e ragazze, così come la grandissima
maggioranza
dei suoi compagni di corso, ma aveva trascorso l'adolescenza a
preoccuparsi per sua madre e sua sorella e questo gli aveva
inevitabilmente portato via gran parte di quel sacrosanto diritto al
menefreghismo che i ragazzi comuni avevano. Non si lamentava, sapeva
che, nella disgrazia, era stato molto più fortunato con quel
poco
che aveva di molte altre persone lì fuori nel mondo, ma a
volte gli
veniva da pensare che un po' di spensieratezza in più non
gli
avrebbe fatto male, forse l'avrebbe aiutato ad affrontare
l'esperienza del college nel modo migliore, prendendola non solo come
l'opportunità di costruirsi un degno futuro, ma anche come
la
possibilità di tirare un sospiro di sollievo e rilassarsi.
Con sua
madre che aveva trovato finalmente un lavoro stabile e sua sorella
che, trasferitasi da alcuni zii a Boston, aveva trovato la voglia per
terminare gli studi al liceo, ora Matt poteva vivere semplicemente
per se stesso. Aveva un lavoro alla caffetteria interna del campus,
l'NYU gli aveva garantito una borsa di studio completa per il
football e i suoi voti erano abbastanza buoni da riuscire a mantenere
una media adeguata affinchè quella borsa di studio non gli
venisse
revocata, poteva effettivamente
rilassarsi, eppure non era certo di riuscire a farlo, non era certo
neppure di sapere come si facesse di preciso a rilassarsi.
Negli
anni precedenti, Bonnie e Meredith erano state la sua unica valvola
di sfogo. Il rapporto con loro era profondo e sincero, stare in loro
compagnia gli permetteva di distrarsi e, adesso, ne sentiva la
mancanza. Aveva degli amici, certo, ma non era la stessa cosa, con
nessuno di loro poteva parlare liberamente ed era questo ciò
che più
lo aveva stranito del college: il fatto che non fosse ancora riuscito
a trovare nessuno con cui legare subito, che condividesse il suo modo
di vedere le cose e i suoi interessi, i suoi altri
interessi,
quelli che andavano al di là dello sport. Tantomeno era
riuscito a
trovare una ragazza a cui interessarsi sul serio. Matt non era tipo
da storie lampo o da un notte e via, a lui piacevano il romanticismo
e l'attesa, le cose fatte per bene, e questo non potevi pretenderlo
da qualsiasi ragazza ti capitasse a tiro. Forse, si diceva, neppure
avere come migliori amiche di una vita due ragazze come Bonnie e
Meredith era d'aiuto nella sua ricerca dell'anima gemella,
perchè,
inevitabilmente, finivi col fare paragoni. E quindi una era
troppo...eccessiva, l'altra era troppo superficiale, l'altra ancora
era troppo vanesia e così via per una serie interminabile di
difetti
che non riusciva a non notare subito.
Gli piaceva essere presente
per loro e sostenerle, era stato il primo, al momento dei saluti, a
dire che la lontananza non avrebbe rovinato nulla e che avrebbero
continuato a sentirsi e ad essere sempre gli stessi gli uni con gli
altri perchè in quel loro rapporto avrebbero sempre potuto
essere
semplicemente Matt, Bonnie e Meredith, quei tre ragazzini che erano
cresciuti insieme giocando a tirarsi le palle di neve d'inverno, le
foglie secche in autunno, i fuori in primavera e i palloncini pieni
d'acqua d'estate. Quindi attendeva con ansia chiamate e videochat, le
attendeva come le sue personali boccate d'aria fresca. E trovava
conforto nell'ascoltare Meredith e Bonnie, trovava conforto
nell'ascoltare i loro problemi e pensare a quelli piuttosto che ai
suoi che, in sostanza, potevano essere racchiusi in un semplice:
malgrado ciò che aveva dato a bere alle sue migliori amiche,
lui non
si stava integrando per niente al college né viveva la sua
nuova
vita al massimo come diceva di fare.
In parte, si sentiva in colpa
per il fatto di non aver detto nulla e, forse, avrebbe trovato la
forza di parlare se non fosse saltata di nuovo fuori tutta quella
faccenda di Damon che aveva travolto così duramente Bonnie.
Ora come
ora, però, non credeva che le sue stupide insicurezze
fossero
importanti. Quelle poteva risolversele da solo col tempo e qualche
uscita in più magari, al momento doveva occuparsi del dolore
della
sua amica.
“Quindi, stavamo pattinando, e Meredith -che si
presupponeva avesse preso lezioni di pattinaggio- cade a capitombolo
dopo appena mezzo giro...” - stava raccontando. Dall'altro
lato
della webcam, Caroline Forbes faceva di tutto per trattenersi dal
ridere e Meredith si copriva il naso con entrambe le mani.
“Dio,
Matt, è così imbarazzante...” -
mormorò, la diretta
interessata.
“Ma non è finita qui!” -
continuò lui, con un
mezzo sorriso, sordo alle suppliche dell'amica - “Non solo
è
caduta, ma si è rialzata e, per darci dimostrazione del
fatto che si
era trattato di un caso isolato e che lei era davvero una gran
pattinatrice pronta per le Olimpiadi, si è data una nuova
spinta,
ennesimo mezzo giro, resta bloccata con la punta di uno dei pattini
nel ghiaccio e...BAM....viene giù dritta, batte la faccia e
si rompe
la bellezza di due denti!”
“Noooo. Due denti?” - Caroline,
impressionata, si voltò a guardare Meredith che, per tutta
risposta,
mise in mostra la dentatura e battè un'unghia sui due
incisivi in
alto, annuendo.
“Ebbene si. Si ruppero a metà, così il
dentista dovette ricostruirli.” - confermò.
“Ti lascio
immaginare come era stravolta la nostra insegnante.” -
riprese Matt
- “La signora Jones. Noi andavamo alle medie e lei
avrà già avuto
sessant'anni all'epoca. Credo che ne perse altri cinque soltanto a
vedere Meredith che si risiedeva sul ghiaccio e, impassibile, senza
versare neppure una lacrima, guardava le metà mancanti dei
suoi
denti e si diceva che doveva dire ai signori McCollough di cambiare
dentifricio perchè, ovviamente, quello che usavano non
rafforzava i
denti.”
“Non. Ci. Credo.” - Caroline scoppiò
allora
nell'ennesima risata della sera, non riuscendo più a
trattenersi -
“Questa è la cosa più assurda che abbia
mai sentito.” -
commentò.
“Beh, cara capo-cheerleader, questa è Meredith
Sulez
e questo è il suo proverbiale stoicismo.”
“E come sempre ti
ringrazio, Matt, per aver reso alla perfezione la mia persona con uno
dei tuoi fantastici racconti.”
“Sei materiale da racconto,
Mer.”
“Da libro di barzellette, magari.” - intervenne
Caroline, coprendosi subito la bocca con la mano.
Matt rilasciò
una potente risata e Meredith, dopo un attimo di meraviglia, diede
una leggera spinta a una spalla di Caroline e non potè far
altro che
mettersi a ridere anche lei, concludendo in bellezza quel pomeriggio
fatto di storie raccontante ai suoi danni.
Quel clima divertito
raggelò nello stesso istante in cui la porta d'ingresso al
pensionato si aprì e si richiuse con un tremendo tonfo. La
voce di
Bonnie arrivò poco dopo.
“Non ci credo! Meredith! Devi
insegnarmi subito quel calcio rotante in aria che hai imparato a
karate che devo darlo in faccia a chi dico io!” - le urla si
disperdevano per tutto l'edificio, lasciando particolarmente
perplessa soprattutto Caroline.
“Sembra un po' alterata....” -
il commento di Matt venne accolto con un'occhiataccia da parte di
Meredith che, però, non ebbe il tempo di rispondere che
Bonnie si
presentò nel vano della porta aperta che dava sulla cucina.
Era
rossa in volta e i riccioli, sempre a posto, erano del tutto
scombinati. Probabile -pensò Matt- si fosse messa le mani
nei
capelli lei stessa mentre urlava poco prima, così come le
aveva
visto fare ogni volta che si arrabbiava tanto da sfuriare. Era pronta
a rifarlo, si vedeva lontano un miglio, ma la presenza inattesa di
Caroline la trattenne.
“Oh. Caroline.”
“Bonnie.” -
salutò l'altra, cauta - “Ero venuta a portare
delle cose per la
festa e mi sono trattenuta con Mere in video col vostro
amico...”
Solo allora Bonnie, particolarmente distratta dai suoi
stessi pensieri, sembrò accorgersi del viso di Matt e della
sua mano
che sventolava in segno di saluto dall'altra parte dello
schermo.
“Matt! Stavo per chiamarti io.”
“C'avrei
scommesso.” - rispose lui.
“Sicura di star bene?” -
intervenne Meredith.
Bonnie, alle strette, guardò prima l'una,
poi l'altro, infine portò di nuovo gli occhi su Caroline ed
abbozzò
un mezzo sorriso, cominciando a tamburellare col piede sul
pavimento.
“Assolutamente si. Benissimo.”
Pura menzogna. E
quel continuo tamburellare quasi isterico rese palese a tutti che
mentiva e che avrebbe voluto un po' di privacy coi suoi due
più cari
amici per sfogarsi. Caroline non se la prese, la capiva, quindi prese
tra le mani la borsa attaccata alla sedia e si rialzò.
“Dio, è
tardissimo. Devo cenare con mia madre, stasera.” - fece -
“Quindi
direi che è meglio andare. Oltretutto devo finire la nuova
coreografia per le cheerleaders in vista della prossima
partita.” -
si scusò - “Grazie per il pomeriggio Meredith, ci
rivediamo a
scuola. Anche con te, Bonnie, ovvio. Matt è stato bello
conoscerti,
spero verrai a farci visita presto o tardi.”
“Contaci. Ho
mille altri aneddoti imbarazzanti su Meredith da sbandierare ai
quattro venti.” - rispose lui, cercando di stemperare un po'
la
tensione del momento.
Caroline, passando di fianco a Bonnie le
toccò il braccio e le sorrise, quindi si
allontanò verso la porta.
La rossa si decise a parlare solo quando sentirono il rombo del
motore di un auto che prendeva vita e si allontanava.
“Allora?
Ce lo dici che è successo?” - fece Meredith.
Bonnie, finalmente
libera di sfogarsi, sbuffò sonoramente, entrò del
tutto in cucina e
prese a fare su e giù da una parte all'altra.
“Voi non potete
capire. Neanch'io riesco a crederci. Voi non avete idea di
ciò
che....quello lì ha osato dire e fare oggi.”
“Aspetta.
Soggetto della frase? Damon?” - interruppe Matt.
Bonnie
annuì.
“Si. Lui. Sempre lui. Quel dannato! Si è fatto
trovare
fuori le porte della mia scuola di danza, come se ne avesse il pieno
diritto. Onestamente? Neppure ho capito che diavolo ci faceva
lì.”
“Dio, quando la smetterà di essere un tormento? Lo
prenderò presto a sberle, sei avvisata.” - decise
Meredith.
“Fà
pure. Ma aspetta che solo adesso viene il bello, perchè voi
non
avete idea di cosa ho scoperto!”
Bonnie raccontò, confusionaria
come sempre, a grandi linee ciò che aveva scoperto dalla
telefonata
che aveva involontariamente ascoltato tra Damon ed Elena e ci
aggiunse, ovviamente, tutte le sue supposizioni del caso, tutto
ciò
che aveva detto a Damon dopo e che lui non aveva neppure tentato di
ritrattare. Meredith pareva addirittura presa in contropiede dalla
notizia, sembrava confusa. Matt, che sapeva poco e niente di questa
Elena, non sapeva che pensare tranne che avrebbe volentieri anche lui
spaccato la faccia a quel Damon. Come, come si poteva tradire
così
una persona come Bonnie? Specie se innamorata come sapeva che Bonnie
era stata innamorata di quel vigliacco?
“Elena Gilbert.” -
fece Meredith - “Sicura di aver sentito bene? Che si trattava
realmente di lei?”
“Ovvio che sono sicura. Oltretutto io
stessa poi l'ho nominata nell'accusarlo, se si fosse trattata di
un'altra Elena l'avrebbe detto.....credo.”
“E che lo trovo
strano.” - continuò Meredith -
“Insomma...a me era parso che a
lei interessasse Stefan, a dirla tutta.”
Matt sgranò gli
occhi.
“Che? Stefan, il fratello minore? Stefan, il ragazzo
perfetto? Stefan, quello che piace a Bonnie?”
“Si, Matt. Lui.
Non conosco molti altri Stefan. Tu?”
“Beh, Mer, io non conosco
neanche lui, figurati!” - risposi - “Mi chiedevo
solo...cosa te
lo fa pensare? Da quando ne sento parlare non mi pare sia mai venuto
fuori che questo Stefan abbia avuto qualcosa a che fare con questa
Elena. Bonnie?”
Ma la sua amica aveva appena perso tutta la
rabbia sfoderata fino a qualche istante prima che Meredith avanzasse
con quella sua teoria e si era lasciata cadere sulla stessa sedia che
poco prima aveva occupato Caroline, affranta.
“La mia vita è un
disastro.” - sospirò - “Cosa volete che
ne sappia io? Stefan non
ne ha mai parlato. Anche se, se davvero lui interessa ad Elena,
almeno questo spiega perchè lei è stata odiosa
con me fin dal primo
giorno.” - sospirò nuovamente - “Ho
bisogno di un bagno caldo.
Devo rilassarmi.”
“Si.” - concordò Meredith -
“Io ti
preparo qualcosa da mettere nello stomaco, nel frattempo.”
Bonnie
annuì e poi si rivolse a Matt.
“Ci risentiamo domani?” -
chiese.
“Certamente.” - rispose lui - “Tu cerca
di calmarti,
io adesso stacco che tra poco devo uscire per il turno serale alla
caffetteria.”
“Va bene. A domani, Matt.” - Bonnie.
“Ciao,
Matt.” - Meredith.
“A domani, ragazze. Tienila d'occhio anche
per me, Mere.”
“Sempre.”
E dopo quella risposta lanciò
un ultimo sorriso quindi chiuse la videochiamata. Si ritrovò
nella
sua stanza, da solo. Aveva un compagno di stanza, ma praticamente era
più le volte in cui lo beccava nei corridoi che quelle in
cui lo
aveva in stanza. Si chiamava John e amava le ragazze –
così gli si
era presentato il primo giorno. Da allora, la loro conversazione
più
lunga era durata circa tre minuti -durante i quali John gli aveva
spiegato il percorso più breve per la lavanderia- prima che
una
delle tante ragazze del suo coinquilino non venisse a portarselo via
per una festa, un appuntamento, una gita tra amici e Dio solo sa
cos'altro. Matt si era abituato presto alla solitudine, inoltre aveva
comunque il lavoro e lo studio che gli tenevano la mente occupata e
gli riempivano le giornate insieme agli allenamenti di football.
Usò
come distrazione il pensiero del lavoro anche quel giorno, per non
pensare alla sua migliore amica ancora messa alle strette da quel
Damon che non gli era mai piaciuto granchè. Troppo
misterioso,
troppo saccente, troppo vanaglorioso. Sapeva che avrebbe fatto
soffrire Bonnie e così era stato. Ma poi lui aveva mantenuto
almeno
la sua ultima promessa ed era scomparso, Bonnie aveva sofferto, ma
Matt aveva sperato che almeno quel trasferimento servisse a tirarla
di nuovo su e, quando aveva ascoltato il tono che l'amica aveva nel
parlargli di Stefan, aveva creduto davvero che lei avesse ritrovato
la serenità. E ovviamente Damon era tornato in gioco,
addirittura
era il fratello maggiore del nuovo quasi ragazzo di Bonnie. Era
normale che lei si sentisse turbata e frustrata, logico,
perchè la
cosa cominciava ad apparire quasi ridicola, a detta di Matt. Era il
fatto di non riuscire ad aiutarla come avrebbe voluto che lo
infastidiva.
Sì, qualche ora a servire caffè lo avrebbe
aiutato
a distrarsi.
Si cambiò velocemente, afferrò il suo borsone ed
uscì dalla sua stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
La
vide già da qualche metro di distanza, mentre avanzava a
passo
fermo, tenendosi giusto al centro del cortile interno, come stesse
affrontando una passerella. Il naso all'insù, l'espressione
altezzosa, i capelli biondi che ricadevano ad onde sul giacchetto di
pelle scura che indossava. Non appena anche lei si accorse di lui si
fermò ed esibì la stessa espressione di Matt, con
un sopracciglio
alzato e gli occhi pieni soltanto di diffidenza. Matt, però,
fece il
primo passo e le si avvicinò.
“E tu che ci fai qui?”
“Ho
deciso di seguire qualche corso.”
“Ma davvero?” - lo
scetticismo era palese - “Non dovevi diventare una grande
etoille,
Bex?”
“Rebekah, prego. Ti sarei grata se usassi il mio nome
per intero e scandito correttamente, Honeycutt.” - lo riprese
subito - “Ricordati che gli amici di Bonnie McCollough non
sono
anche miei
amici.”
Si
era messo senza neppure rendersene conto nel più grande
impiccio in
sui si potesse mettere. O almeno questo era ciò che gli
suggeriva la
coscienza.
Dannata! Tornava sempre a farsi sentire nei momenti
meno opportuni. E lo spingeva a fare e dire cose che altrimenti non
avrebbe fatto e non avrebbe dovuto fare affatto, a prescindere. Tipo
seguire Bonnie e cercare di parlarle. A che pro? Non aveva intenzione
di tornare con lei, troppo impegnativo e troppo complicato, quella
ragazza era capace di portare le cose ad un tale livello di
profondità che finiva col sentirsi a disagio. Lui, a
disagio: quando
mai si era visto?!
Quindi era colpa di Stefan, come sempre. Se non
gli fosse presa quella strana fissazione con la sua ex probabilmente
di Bonnie gli sarebbe fregato molto poco. Però il fratellino
si era
messo in mezzo, e adesso usciva con Bonnie, parlava soltanto di
Bonnie, e Damon scommetteva che quando lo beccava assorto in silenzio
in chissà quali grandi riflessioni in realtà
stava pensando a
Bonnie. E neppure si azzardava a pensare al modo in cui la pensava
perchè, per quanto santo, Stefan restava comunque un
diciassettenne
maschio. Ovviamente era questo a spingerlo, il pensiero che fino a
qualche tempo prima Bonnie era sua e che adesso suo fratello stesse
cercando di prendersela. Perchè -ancora- la sua intenzione
non era
quella di tornare con Bonnie, ma solo di far sì che Stefan
non
l'avesse. Non Stefan. Per il resto, che la rossa andasse pure con chi
voleva. Aveva altri obiettivi lui, e Bonnie si meritava e aveva tutto
il diritto di trovare qualcuno come lei, che andasse bene. Tutti, ma
non suo fratello.
Quando rientrò in casa era ormai sera. Ad
aspettarlo trovò in un angolo all'ingresso una pila di
scatoloni col
suo nome.
“Tutta roba tua, immagino. Da New York. Metà l'ho
già
portata di sopra.” - Stefan se ne stava appoggiato a braccia
incrociate allo stipite della porta che conduceva nella biblioteca al
primo piano della villa, a qualche metro di distanza.
“Uhm. E a
cosa devo tanta gentilezza?”
“Al fatto che quelle scatole
ostruivano il passaggio fino alle scale. Ho dovuto spostarne alcune
per forza.”
“A queste ci penso io.” - annuì Damon e
Stefan
alzò li occhi al cielo -un “grazie” da
parte sua non l'avrebbe
mai ricevuto nella vita.
“Non avevo intenzione di metterci
mano.” - rispose, quindi fece per andarsene. Tuttavia, tutta
quell'accortezza e quel riguardo da parte sua avevano sempre avuto
uno strano effetto su Damon, lo infastidivano. Sapeva, in fondo, che
Stefan non lo faceva a quello scopo, che semplicemente era nella sua
perfetta natura fare sempre la cosa giusta e prodigarsi per gli altri
-perchè lo conosceva fin troppo bene da sapere con certezza
che,
nonostante la ridicola scusa che gli aveva rifilato, suo fratello
aveva messo a posto quegli scatoloni perchè voleva-, ma
nonostante
questo proprio non riusciva semplicemente ad accettare la cortesia
così, a testa basta, senza vederla come l'ennesima
dimostrazione di
quanto fosse moralmente inferiore al suo fratellino, che lo aiutava
anche se gli aveva dichiarato apertamente guerra.
E allora
attaccò, con l'unica arma che aveva. Perchè,
sebbene Stefan facesse
il superiore e l'indifferente, credeva che stuzzicandolo un giorno
sì
e l'altro pure alla fine avrebbe ceduto.
“Ieri ho visto la tua
amica, la sempre simpatica Caroline.” - buttò
lì, sfilandosi la
giacca di dosso per lasciarla cadere in cima alla pila di scatole -
“Non mi sembrava così felice di rivedermi. Spero
che la mia
presenza alla sua festa non la disturbi troppo...”
“Come se la
cosa ti importasse.” - fece Stefan, di getto, processando
solo dopo
qual era la reale informazione che Damon gli aveva appena passato -
“Perchè, vieni alla nostra festa?” -
chiese, quindi.
Damon
scrollò le spalle.
“Elena ha chiamato nel pomeriggio per
invitarmi e allora...”
“Nel pomeriggio.”
“Già.”
E
Stefan abbassò la testa e curvò la bocca in una
smorfia che tanto
ricordava un accenno di sorriso.
Damon lo fissò a lungo, in
silenzio, con gli occhi ridotti a due fessure e le labbra atteggiate
nello stesso sorrisino del fratello prima di parlare.
“Lo trovi
divertente?”
“Un po'. Sì.” - fece Stefan, ritrovando
compostezza - “Ma spero che vi divertiate. Caroline non
farà
problemi, vedrai, me ne occuperò io.”-
assicurò - “Ho solo una
domanda: quel giorno tu ed Elena avete intenzione di uscire
direttamente per la festa oppure vi vedrete da prima?”
“Usciremo
prima. Noi due da soli.” - fu la pronta risposta di Damon.
“Bene.
E tornerete prima a casa a cambiarvi oppure andrete dal vostro
appuntamento alla festa?”
“Non ne ho idea. Non so i dettagli,
ancora.” - tutte quelle domande cominciavano a dargli alla
testa e
il tono di Damon, così come l'espressione, inevitabilmente
si era
indurito - “Perchè vuoi saperlo?” -
pretese.
“Perchè mi
serve sapere se avrò casa libera tutta sera prima della
festa oppure
no.” - Stefan scrollò le spalle, con
semplicità, come fosse una
risposta talmente ovvia la sua che Damon avrebbe dovuto arrivarci da
solo. E il punto era quello: lui ci era arrivato al punto in cui suo
fratello era poi effettivamente andato a parare e la cosa non gli
piaceva affatto.
“Ah! Hai invitato i tuoi amichetti qui così
potete travestirvi tutti insieme?” - fece.
“Pensavo più ad
una cena con Bonnie, a dire il vero.” - rispose Stefan -
“Te l'ho
detto, Damon: quello che state facendo adesso tu ed Elena è
un gioco
a cui giocate da soli. Io a quella festa ci vado con Bonnie, e l'ho
detto anche alla stessa Elena proprio nel pomeriggio, poco prima che
parlasse con te. Non mi interessa ciò che fate voi, sono
serio.”
“E
questo grazie a Bonnie? La rossa che ho visto con
te?”
“Esattamente.”
“Non è tanto eccezionale.” -
fece Damon - “Se ti affretti fai ancora in tempo ad invitare
un'altra.”
“E perchè mai dovrei?” - il cellulare di
Stefan
cominciò a suonare in quel momento e lui lo sfilò
dalla tasca dei
pantaloni, dando un'occhiata veloce al display.
“Pensavo
puntassi più in alto, a qualcosa di meglio.”
“Non esiste di
meglio. Fidati, tu non la conosci.” - poi si
allontanò e lo sentì
rispondere alla sua chiamata.
Damon, rimasto solo con se stesso e
le ultime parole di suo fratello, ripensò alla lite che nel
pomeriggio aveva avuto con Bonnie, ripensò a tutto
ciò che lei gli
aveva detto da quando si erano rivisti lì a Fell's Church,
al modo
in cui gli aveva tenuto testa e al modo in cui l'aveva vista
relazionarsi a Stefan, ridere e scherzare con lui. E poi
ripensò di
nuovo a quella ragazzina timida ed impacciata dai capelli di fuoco
che aveva conosciuto sei mesi prima a New York, alla ragazzina che
arrossiva ad ogni suo sguardo, a quella che parlava con un filo
così
sottile di voce che era quasi impossibile per lui sentirla.
Ripensò
a quella ragazzina che aveva distrutto e ridotto in lacrime quando
l'aveva lasciata e poi ancora alla ragazza che qualche ora prima gli
aveva urlato a chiare lettere ciò che pensava di lui. E
capì che
Stefan aveva ragione: forse, una volta, lui conosceva davvero Bonnie,
ma adesso non più. Era diversa, era cambiata, in bene o in
male non
lo sapeva, ma sapeva che era colpa sua.
Ad
Elena interessava Stefan -così aveva detto Meredith. E
quella era
esattamente l'ultima cosa che Bonnie avrebbe voluto sentire quel
giorno.
Non si era mai sentita più frustrata in vita sua, e
neppure più arrabbiata. Arrabbiata con la vita, col mondo e
con la
Gilbert, una ragazza con cui aveva si e no scambiato quattro parole in
croce, ma che si era scoperta essere la rovina della sua
felicità
passata e, se non stava attenta, anche di quella futura.
Quel
trasferimento avrebbe dovuto facilitarle la vita, crearle nuove
opportunità per nuove amicizie, invece, per quanto
effettivamente
avesse conosciuto davvero delle persone nuove, in realtà
queste non
facevano altro che incastrarla sempre più nel momento
più brutto
della sua vita, quello che si era decisa a dimenticare. Forse era un
tantino melodrammatica, forse era davvero esagerata nelle sue
reazioni, ma Bonnie, in fondo, si conosceva abbastanza da riconoscere
in se stessa un animo romantico, di quelli che ti fanno prendere una
cocente delusione d'amore a diciassette anni come un affronto
durissimo da superare. Avrebbe dovuto fregarsene di
meno? Forse sì, forse si sarebbe risparmiata tanti casini e
tanti
pensieri, ma proprio non ci riusciva. Ricordava ancora troppo
vividamente come si era sentita quando Damon.... -bè si,
adesso
poteva dirlo- ...quando Damon l'aveva lasciata per correre dietro ad
Elena e non voleva più trovarsi in una situazione del
genere. Non
l'avrebbe sopportato, non di nuovo. E se Meredith aveva ragione su
Elena e Stefan allora ne stava correndo nuovamente il rischio e non
era accettabile. Non che potesse dirsi di già innamorata di
Stefan
così come era stata innamorata di Damon nel momento in cui
l'aveva
lasciata, lo conosceva troppo poco, ma poteva ammettere di star
cominciando a provare qualcosa, qualcosa che poteva trasformarsi
sì
in quel genere d'amore intenso che desiderava da sempre, che aveva
già creduto di aver trovato per poi essere amaramente
delusa. Non
voleva che succedesse ancora, non voleva essere ferita nuovamente,
quindi si avvicinò allo specchio nella sua camera, si
guardò
risoluta e confermò a se stessa che era giunto il momento di
parlare
apertamente con Stefan, del passato di entrambi e di come affrontare
il presente.
Un ticchettio alla finestra la colse alla sprovvista.
Si guardò intorno, convinta di aver sentito male, ma poco
dopo vide
chiaramente un piccolo sassolino che colpiva il vetro chiuso della
finestra che dava sul giardino sul retro del pensionato, rimbalzava e
ricadeva giù. Si avvicinò, allora, cauta. Per un
attimo le passò
per la mente che potesse trattarsi dell'ennesima bravata di Damon e
stava già lì lì per urlargli di
andarsene e spegnere la luce,
quando scorse la reale figura che le sorrideva dal giardino e allora
si rilassò, sorridendo di rimando, addirittura con un
pizzico
d'imbarazzo visto il ridicolo pigiama che indossava: maniche corte,
pantaloni lunghi, in cotone rosa e ricoperto di stampe a forma di
fragole e lamponi. Non esattamente l'emblema della
sensualità fatta
persona, insomma.
Gli fece cenno di aspettare, infilò sul pigiama
la leggera e morbida vestaglia che le aveva regalato la signora
Flowers qualche anno prima e scese di sotto, attenta a non fare
rumore e a non svegliare né Meredith né Teophilia
vista l'ora tarda
. Si accorse di essere a piedi nudi soltanto quando uscì in
giardino
e sentì l'erba fresca e bagnata sotto la pelle.
“Stefan.” -
salutò, trattenendo a stento l'entusiasmo per la piacevole
sorpresa.
Entusiasmo e preoccupazione, anche, perchè non se
l'aspettava e
temeva che fosse successo qualcosa di spiacevole o che Damon avesse
parlato dopo la sfuriata che gli aveva fatto nel pomeriggio, per puro
dispetto - “Cosa...cosa ci fai qui?”
Lui parve improvvisamente
in imbarazzo. Si portò una mano sulla nuca e scosse i
capelli,
chiaro segno di nervosismo.
“E' tardi. Hai ragione. E'
che...volevo sapere come stavi.”
Che? Ecco, quella Bonnie non
l'aveva prevista. A cosa si riferiva?
“Come sto?”
“Sì,
Caroline mi ha telefonato prima di cena e mi ha detto che ti ha vista
oggi e le eri sembrata un po'...sconvolta. Ma non prendertela con
lei. Non voleva fare l'impicciona. In realtà mi ha chiamato
perchè
credeva che fosse colpa mia e voleva farmi la ramanzina.”
Bonnie
avrebbe voluto scoppiare a ridere, ma non riuscì a fare
altro se non
abbozzare un sorriso. Improvvisamente l'aria si era fatta
più fredda
e carica di una tensione che non riusciva a spiegarsi e non sapeva se
fosse un bene oppure solo il presagio di qualcosa di brutto.
“Sto
bene.” - rispose, soltanto.
“Sicura?”
“Si. Certo. Tu
non c'entri, davvero.”
“No?”
Bonnie scosse la testa, ma
in realtà la mente le si era affollata di domande e dubbi.
Eppure,
stranamente, guardando in quegli occhi verdi si sentiva coraggiosa
come mai lo era stata prima, si sentiva pronta ad affrontare con
Stefan quel discorso che rimandava da giorni, battendo sul tempo
Damon e qualsiasi cosa avesse in mente di fare. Stefan l'avrebbe
capita, e insieme avrebbero affrontato la cosa. Capì che
quella
tensione che avvertiva non era dettata dalla paura, ma dall'euforia,
era il suo corpo che l'avvertiva che era emotivamente pronta, che ne
aveva la forza. Di certo non poteva immaginare che anche Stefan
stesse facendo più o meno gli stessi pensieri in quello
stesso
momento.
“Stefan devo dirti una cosa...”
“No, aspetta, fa
parlare me per primo.” - la fermò lui -
“Se non lo faccio ora ho
il timore di non riuscire a parlarne più in
seguito.”
Bonnie,
stranita da quella svolta inattesa, annuì.
“E' tutto apposto?”
- chiese, incerta.
Stefan sospirò.
“Non proprio.” - ammise
- “Cioè sì, è tutto apposto
e vorrei che le cose continuassero a
rimanere così, ma oggi ho parlato con mio fratello e...non
so, non
mi è piaciuto. Ci penso da un po', ho paura che possa
venirti a dire
qualcosa che possa allontanarti da me solo perchè sa che con
te sto
bene e vuole rovinarmelo. Lui è fatto così. Mi
odia, credo.”
Ecco,
quello....quello era del tutto inaspettato. Non era lei quella che
aveva paura che Damon potesse raccontargli cose che potevano
allontanare Stefan? E invece veniva fuori che per lui era lo
stesso. E che Damon conosceva un po' troppi segreti per i suoi gusti.
Tuttavia....cosa poteva dirle di un ragazzo tanto gentile e a modo
come Stefan da convincerla a lasciarlo perdere? Le veniva in mente
soltanto una cosa: la teoria di Meredith.
“Vuoi parlarmi
di....Elena, per caso?” - tentò, cauta, ma lo
sguardo sbigottito
che ricevette in risposta fu più che sufficiente a farle
capire che
aveva centrato il punto.
“Tuo fratello non mi ha detto nulla.”
- chiarì subito - “In realtà
è stata Meredith. Lei ha occhio per
le persone, anzi per ogni cosa a dire il vero. E mi ha detto che le
sembrava che Elena fosse interessata a te...”
“Non lo
chiamerei interesse. Io preferisco definirlo un capriccio.”
Bonnie
annuì e serrò le labbra, in attesa,
perchè onestamente non sapeva
come e se continuare il discorso. Stefan, però, le prese le
mani e
riprese a parlare.
“E' una faccenda un po' lunga. Ma il succo è
abbastanza semplice. Conosco Elena fin da quando eravamo ragazzini,
siamo cresciuti insieme, è stata il mio primo amore e,
diventati
abbastanza grandi, decidemmo di metterci insieme. Siamo stati una
coppia
fino a qualche tempo fa. E in tutto quel tempo ho sempre saputo che
anche Damon era interessato a lei. Era bella, spigliata, stava sempre
in casa nostra, era naturale che anche lui, visto il carattere, si
facesse avanti e non me la sono mai presa neppure quando lei ci
faceva un po' la civetta perchè sapevo che in
realtà era innamorata
di me e perchè non sapevo che quelle scenette tra loro due
si
ripetevano anche fuori da casa, quando si incontravano tra loro. Poi
Damon è partito per l'università e tutto
è filato liscio fino a
due mesi fa, quando sono andato da Elena, sono entrato in casa sua e
l'ho trovata con mio fratello, a letto. Non è stato uno
spettacolo
piacevole. E lì ho perso ogni speranza con lui e ho capito
che lei
non mi ha mai amato davvero, che era innamorata solo dell'idea di
averci in due ai suoi piedi.” - le raccontò, e
nella sua
voce Bonnie potè scorgere ancora una leggera nota della
passata
tristezza e del vecchio rancore- “Ora lui è
tornato e non fa che
stuzzicarmi. Ho visto Elena, ho parlato con Elena, uscirò
con Elena,
andrò alla festa con Elena.... Ma non mi tocca e lo sa, non
mi tocca
grazie a te e la cosa lo deve infastidire parecchio perchè
oggi ha
usato un tono che...non lo so...mi ha fatto temere che potesse venire
a dirti chissà cosa e non volevo. Non voglio che ti faccia
pensare
che tra me ed Elena ci sia ancora qualcosa perchè non
è così,
davvero. E' una storia finita. Per quanto possano dire e possano
fare, io sto bene con te.”
C'erano lacrime negli occhi di
Bonnie. Non sapeva spiegare come si sentisse in quel momento
né
poteva tentare di spiegarlo a Stefan, non ancora. Ma provava
così
tanta empatia nei suoi confronti, una connessione così
grande e così
profonda...perchè avevano vissuto, senza saperlo, lo stesso
dolore,
perchè erano stati feriti, senza saperlo, nello stesso
momento e
dalle stesse persone. Eppure eccoli lì, si erano trovati,
per chissà
quale scherzo del destino. E stavano bene. Stefan aveva ragione.
Non
rispose, non sapeva cosa dire o come dirlo. Piuttosto
preferì
lasciarsi trasportare dalle sensazione del momento e lì,
sotto la
luna di una nuova mezzanotte, si spinse sulle punte dei piedi,
portò
le mani sul viso del ragazzo che aveva davanti e poggiò le
labbra
sulle sue, lasciandosi completamente andare quando le braccia di lui
le circondarono la vita. C'era dolcezza in quel bacio, tenerezza e
serenità. Niente irruenza o sfrenata passione, ma una
languida
lentezza e un'intensità tale da riuscire a toccare ogni
recesso
dell'anima. Bonnie si sentiva sicura e tranquilla, protetta come mai
prima di allora.
“Devo dirti anch'io una cosa di me, del mio
passato....” - mormorò, scostandosi dopo attimi
che erano parsi
ore, tenendo però ancora la fronte contro quella di Stefan.
“Non
adesso. Per stasera ne abbiamo avuto fin troppo di passato.”
-
rispose lui.
“Devo farlo. È importante.”
“Nel weekend.
Ci vedremo per la festa e passeremo tutta la sera insieme. Saremo
soli e parleremo di ciò che vorrai.”
“Nel weekend?”
Stefan
annuì, cercando ancora le sue labbra per un bacio leggero e
fugace.
“Però prometti che mi ascolterai fino in fondo e
che mi
capirai, qualsiasi cosa io ti dica?”
“Farò di più. Ti
prometto che, qualsiasi cosa tu mi dica, io ti risponderò
con un
bacio.”
NOTE:
Allora,
allora, allora.... altri due mesi, lo so, sono imperdonabile, sarei
da prendere a bastonate, scusatemiiiiiiii!!!! Ma, stavolta, ho dei
motivi piuttosto validi per spiegare il mio ritardo. u.u
Punto
primo: A Natale ho avuto parenti a casa e dopo Capodanno son stata
via quasi due settimane senza pc, diciamo che l'ho riavuto giusto
oggi xD
Punto secondo: Ho rivisto tipo...enormemente i miei piani
originari per la storia e di conseguenza ho rifatto un pò le
vecchie
trame. Ho inserito nuovi pg, cioè...non pg nuovi, ma pg di
cui non
ho mai scritto, un po' come ho fatto per Caroline, presi dalla serie
TV. E penso che trovandovi improvvisamente Rebekah spuntata fuori dal
nulla tra le strade di New York possiate capire a chi mi riferisco.
Di questo possiamo dare la colpa (xD) o il merito a Klaroline99 con
la quale ho chiacchierato a lungo in chat su fb e che mi ha incitato
a continuare coi vari cambiamenti.
Punto terzo: Ho avuto un po' la
testa occupata per l'arrivo, giusto prima di Natale, di una
fantastica notizia: insieme alla mia migliore amica sto per
pubblicare il mio primo libro scritto a quattro mani!!!! Il titolo
è
Doppelganger (non ha nulla a che vedere coi vampiri, né con
TVD,
chiariamo xD) e racconta la storia di indagine, amore e morte di una
giornalista che si troverà coinvolta negli intrighi delle
tre
famiglie più in vista di Città del Messico. Che
dire....devo molto
al sito per questo traguardo, perchè credo che senza EFP non
mi
sarei mai decisa a scrivere nulla di mio e a permettere ad altri di
leggerlo. E ovviamente devo molto a voi che mi avete sempre spronata,
spesso e volentieri, anche proprio a cimentarmi con qualcosa di
originale!!! Quindi...milioni di Grazie!!!!
Ma tornando al
capitolo.... non è un capitolo al cardiopalma, ma rimane
ricco di
cose. C'è l'introduzione di Rebekah e quindi della nuova
fase della
storia e anche del POV Matt, che apre il racconto anche alle vicende
che succederanno ai pg ancora a New York che, quindi, non
sarà solo
più di ambientazione ai flashback Bamon. Mentre le due scene
successive mostrano, da un lato Damon e tutta la frustrazione che si
porta dietro, e dall'altro Stefan e Bonnie al momento della
confessione di lui, della decisione di lei di rivelargli del suo
passato e del loro primo bacio. A questo punto è logico
quindi
pensare che Stefan scoprirà tutto a breve e, in effetti,
così sarà,
è possibile immaginare quando, ma per il come....diciamo
solo che
Elena non starà così ferma nei prossimi capitoli.
Qualcuno in una
recensione mi ha scritto che, mentre di solito tendevo sempre a
lasciare uno spiraglio per una possibile redenzione di Elena, in
questa storia pare che non ci sia. Beh...forse sarà proprio
così
xD
Per la famosa festa bisogna aspettare i capitoli 10 ed 11,
mentre le cene qui preannunciata tra Damon ed Elena e quella tra
Stefan e Bonnie avverranno nel capitolo 9. Se vi state chiedendo cosa
succederà quindi nel prossimo....beh....Rebekah non arriva
mica da
sola nella ff xD Altri arrivi, ragazze! Ben tre; uno per Alaric, uno
per Caroline e l'altro per Elena. Idee??
Ora vi lascio che ho
scritto un papiro xD Il prossimo capitolo arriverà a breve,
tempo
dieci giorni se non di meno. E stavolta è vero!!! Giuro!!! xD
Qui
sotto vi lascio qualche link, se volete contattarmi o dare
un'occhiata agli spoiler del mio libro.
Mia pagina facebook, son
sempre là: https://www.facebook.com/valeria.cosentino.180
Pagina Facebook dedicata al libro in uscita, con, tra le altre
cose, schede pg e scritti vari, vi aspetto:
https://www.facebook.com/langolo.di.goethe.8890
Alla prossima....Grazie mille a chi ha letto e/o recensito lo
scorso capitolo....BACIONI...IOSNIO90!!!
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