Lost Childhood

di Kengha
(/viewuser.php?uid=117656)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Ghost of an Old Prophecy ***
Capitolo 2: *** Lost in the Darkness ***
Capitolo 3: *** A Light in the Storm ***



Capitolo 1
*** The Ghost of an Old Prophecy ***


Buona sera a tutti! Ecco che torno a rompervi le scatole con una nuova storia, vi sono mancata? *si sentono dei grilli in lontananza*
Questa storia non stava in nessun conto, mi è venuta in mente così, qualche giorno fa ed ho deciso di incasinarmi. Avevo accennato ad altre storie, arriveranno anche quelle, per adesso, però, mi concentrerò per almeno un paio di settimane su questa mini-long! :)
E' una storia di tre capitoli che mi è venuta in mente pensando a tre cose della storia che mi hanno fatto riflettere parecchio: la profezia* (ci sarà un appunto alla fine del capitolo a proposito), gli abbracci (quindi un po' il rapporto con la famiglia), Olaf (il significato doloroso dietro un simpatico pupazzo di neve).
I capitoli saranno incentrati su Elsa, i fatti verranno tutti narrati in terza persona, ma come se fossero visti dagli occhi un determinato personaggio. La seguenza dovrebbe essere la seguente:

#1 Il Re;
#2 La Regina;
#3 Anna;

Inizialmente doveva uscire una cosa più breve e meno complicata, prima ancora di questo dovevano essere tre one-shot. Ho deciso di fare un'unica storia perché alla fine tutte queste idee avevano come fatto comune il dolore, la sofferenza e/o l'infanzia perduta di Elsa. (A proposito di questo, il titolo mi piace ben poco, ma non avevo altre idee ç___ç). 
Ho riletto il capitolo molto velocemente, quindi potrebbero esserci errori che non ho notato, mi scuso in anticipo.
Spero di non aver fatto il passo più lungo della gamba e di riuscire a rendere la storia così come mi era venuta in mente.
Un ringraziamento speciale a tutti quelli che leggeranno la storia! 

Besos

 

Lost Childhood
The Ghost of and Old Prophecy


Il re stava finendo di leggere un’altra delle innumerevoli lettere ricevute quella giornata, essendo Arendelle in una posizione geografica favorevole e militarmente ben fornita, erano molti i regni che chiedevano di diventare loro alleati commerciali.
Naturalmente, come sovrano, non poteva che esserne lusingato: tante richieste significavano che Arendelle era un regno forte e dai tesori ambiti, che andava sì protetto, ma anche lasciato crescere; come persona, però, il re era molto stanco e, per quanto amasse il suo popolo, alla fine fu costretto a rimandare la parte conclusiva del suo lavoro al giorno successivo. Congedò tutti i suoi servi e si ritirò lentamente nelle sue stanze dove, sicuramente, la regina lo attendeva già da un bel pezzo.
« Perdonami, ho fatto tardi ». Esordì, chiudendo pesantemente la porta di legno intagliato alle sue spalle.
La donna era allungata sul letto e stava leggendo interessata un libro riguardante la cultura e le usanze di un popolo stabilitosi qualche decennio prima ad un centinaio di miglia a Sud rispetto Arendelle.
« Lettura interessante? » Domandò il re mentre si spogliava dei suoi formali abiti da sovrano, per vestire finalmente quelli da marito. Lei annuì in risposta, sorridendo prima di staccare gli occhi dal libro.
« Me lo ha mandato mia sorella*, Corona riesce ad avere sempre i testi migliori ». Constatò la regina, sistemando accuratamente un nastro all’interno della pagina che stava leggendo, prima di chiudere il tomo e posarlo sul comodino al suo fianco.
« Corona è più grande di Arendelle. E più vecchia. Comunque, con un paio di accordi che firmerò domani, anche noi diventeremo una delle mete commerciali per eccellenza ». Spiegò il re, parlando in maniera quasi seccata della grande svolta che si sarebbe verificata di lì a poche ore.
In quei pochi anni passati assieme, la regina aveva avuto modo di conoscere il suo consorte molto meglio di alcune donne che vivevano con i propri mariti da anni. Lei era una donna sveglia e aveva imparato a distinguere le più piccole sfumature dipinte sul volto di suo marito, anche quella volta le ci erano voluti appena pochi istanti per capire quanto stanco e frustrato egli fosse.
« Perché non ti prendi una pausa? Stavo leggendo proprio poco fa che un’altra caratteristica di questo nuovo piccolo regno sia quella che il re abbia una giornata libera ogni settimana da spendere con i suoi figli, per istruirli e stare con loro ». La donna era seduta al bordo del letto e lo osservava mentre finiva di abbottonare la camicia che usava per la notte.
« Quando avremo dei figli comincerò a prendere in considerazione l’idea ». Ribatté senza voltarsi, la regina sospirò: sapeva che il suo carattere burbero era dovuto semplicemente alla stanchezza e allo stress del fatto che, dopo quasi tre anni di matrimonio, ancora non erano stati in grado di dare alla luce un erede. L’argomento della famiglia era un tasto molto delicato e la donna non aveva fatto altro che aspettare tutto il giorno il momento giusto per dare la grande notizia. Decise che quella era l’occasione perfetta.
« Ti conviene iniziare a prendere l’idea in considerazione il prima possibile ». Disse secca, con un tono fermo e autoritario che non le si addiceva per niente. Sorpreso dal cambio improvviso, il re si voltò verso di lei, guardandola a lungo, cercando qualche segno nel volto impassibile e insolitamente freddo della moglie.
La donna sostenne il suo sguardo per appena qualche secondo prima di lasciar crollare la maschera e aprirsi in un gran sorriso, appena in tempo per il grande annuncio:
« Aspettiamo un bambino ».
Il tempo parve fermarsi.
Il cuore del re fece un paio di capriole, gli rimbalzò violentemente contro la cassa toracica, quasi fino a fargli dolere il petto.
Abbracciò forte sua moglie, baciandola ripetutamente sulle labbra, con un sorriso che non accennava a sparire da sotto i suoi baffi e le lacrime che minacciavano di uscire dai suoi occhi.
Ma non gli importava delle lacrime.
Non gli importava improvvisamente più di nulla, fatta eccezione per la minuscola, preziosissima vita che stava lentamente crescendo nel grembo della sua amata.

La primogenita del re e della regina di Arendelle venne alla luce una burrascosa notte d’inverno: il più rigido che il fiordo avesse mai visto. Il vento ululava e la neve turbinava violenta tra le strade ormai deserte del regno, nemmeno un’anima era sveglia, tra i cittadini.
Al contrario, il castello, stava vedendo il suo momento di massima attività, i domestici non facevano altro che correre da un’ala all’altra della struttura, portando acqua calda, coperte e panni puliti per il bambino che sarebbe nato di lì a poco.
Il re era inquieto, per la prima volta da quando aveva ricevuto la notizia della gravidanza di sua moglie, era ridiventato schivo e solitario, l’energia che l’aveva posseduto per quei mesi era stata sostituita dalla consapevolezza e dalla paura, che si erano abbattute violente e spietate contro di lui.
Poco ancora e sarebbe diventato padre.
Le urla della regina arrivarono alle sue orecchie come un centinaio di coltelli affilati, il momento era sempre più vicino.
Era davvero pronto?
No. Non lo era. Probabilmente non lo sarebbe mai stato.
Passarono minuti, forse ore, in un momento poté giurare che fossero passati anni. Poi finalmente lo sentì.
Un vagito echeggiò tra i corridoi del castello come la più dolce delle melodie ed in quel preciso istante, la tempesta che aveva infuriato per giorni, cessò. Il vento smise di soffiare e la neve di cadere, le nuvole scomparvero e tanto improvvisamente come s’era rabbuiato, il cielo ridivenne sereno.
La mente del re era però troppo occupata e il tempo, in quel momento, era l’ultima delle sue preoccupazioni.
Il maggiordomo era ancora sulla porta del suo studio, pronto per dare l’annuncio, quando il sovrano di Arendelle si precipitò correndo verso la stanza dove era sua moglie, privandolo di ogni occasione.
Non voleva annunci, non voleva parole, voleva solamente poter vedere con i suoi occhi il miracolo a cui la regina aveva appena dato vita.
Entrò col fiatone e, istintivamente, cercò ovunque nella stanza quel minuscolo fagottino che doveva essere suo figlio. La balia di corte, Joanna, gli sorrise dolcemente e mise il bambino tra le sue braccia con estrema delicatezza, come se stesse maneggiando un cristallo.
« E’ una femmina, Vostra Maestà ». Disse la donna mantenendo il sorriso, inchinandosi appena prima di indietreggiare di qualche metro.
Quando il re guardò per la prima volta in quelle pozze cerulee profonde come gli abissi, si sentì rinascere.
In quel momento, stringendo sua figlia tra le braccia, osservando con il sorriso più dolce e fiero la sua pelle candida, i suoi occhioni azzurri e i meravigliosi capelli argentati, seppe con certezza che nulla al mondo contava più della bambina che stava stringendo tra le braccia.
« Avete già pensato un nome, Vostra Maestà? » Domandò educatamente uno dei maggiordomi, guardando con un sorriso il sovrano.
L’uomo sorrise, il sorriso più grande che il suo volto avesse mai visto, più luminoso di tutti quelli rivolti a sua moglie fino a quel momento. Un sorriso dedicato unicamente a sua figlia. Annuì all’uomo, senza staccare però gli occhi dalla sua bambina.
« Lei è la principessa Elsa di Arendelle ». Annunciò solennemente, presto un paio di uomini corsero fuori per dare la grande notizia.
Quando il re camminò verso il letto dove era ancora stesa sua moglie, anch’ella sorridente, strinse Elsa senza toglierle mai gli occhi di dosso.
Perché lei non era un cristallo, era il più bello e raro di tutti i diamanti.

Iniziarono ad accadere cose strane: furono innumerevoli le volte in cui i sovrani ritrovarono la loro bambina che agitava le manine per cercare di afferrare candidi fiocchi di neve provenienti dalla cupoletta della sua culla; altrettante le volte in cui la videro stringere nella bocca ancora senza dentini dei pupazzi che sembravano esser fatti di ghiaccio; infine, cosa più impressionante di tutte, la principessina era sempre fredda. Anche l’estate, anche sotto il sole. E nonostante questo non si ammalava mai.
Per mesi avevano cercato delle soluzioni logiche, razionali. Alla fine, però, si erano dovuti arrendere di fronte all’evidenza.
Elsa aveva dei poteri magici.
Subito dopo la scoperta, il re iniziò a diventare strano, passava ore ed ore in biblioteca ed era tornato cupo come un tempo.
Un giorno di primavera, le sue silenziose ricerche vennero interrotte da una vocina che amava e che ormai aveva imparato a riconoscere.
« Pa-ppa! Io ‘ammino da ‘ola! » La piccola Elsa arrivò correndo in equilibrio piuttosto precario, le braccine aperte in un tentativo di rimanere bilanciata. Il re non riuscì a trattenere un sorriso e la prese in braccio non appena le fu vicino, la lanciò in aria un paio di volte, la bambina urlò di gioia.
« Sei bravissima! E stai crescendo davvero in fretta, tra non molto sarai tu a portare in braccio me ». Le disse con un sorriso, prima di farle una giocosa pernacchia sotto il collo, facendola scoppiare in una meravigliosa risata.
La regina li raggiunse presto e istintivamente gettò un’occhiata ai volumi e ai fogli che suo marito stava leggendo e rileggendo da mesi, ormai. Un sospiro addolorato le uscì incontrollato dalla gola, mentre nella sua testa prendeva il largo un’intuizione.
«Elsa, tesoro, perché non fai vedere quanto sei brava anche a Joanna? Sono sicura che sarà orgogliosissima di te». Propose la regina, sorridendo dolcemente a sua figlia che, appena udito il nome della sua balia, saltò giù dalle ginocchia del padre e corse fuori dalla biblioteca, urlando un “Sììì” pieno di gioia.
« Non correre! » Le urlò dietro il re, la voce colma di apprensione.
«Dovresti stare più tranquillo. È forte ». Disse pacatamente la regina, accomodandosi al suo fianco.
« Lo so ». Annuì il marito, tenendo gli occhi bassi.
« No, non lo sai, altrimenti non ti staresti dannando dietro quelle sciocche leggende! ». Esclamò la donna, il tono di voce improvvisamente altero.
« Sono solo supposizioni ». Tentò di spiegare l’altro.
« Supposizioni?! Sei terrorizzato da questa cosa e stai perdendo tua figlia! Trascorri tutto il giorno chiuso qui dentro e ti stai lasciando sfuggire i suoi momenti più importanti. I suoi primi passi, le sue prime parole. Lascerai davvero che la paura ti porti via da tua figlia? Ti porti via da tutti noi? ». La regina aveva praticamente urlato quelle parole, gli occhi lucidi per via delle lacrime che minacciavano di uscire da un momento all’altro. Con un sospiro rassegnato, la donna riacquistò la sua compostezza e si rimise in piedi.
« Non posso impedirti di avere paura. Ti chiedo solo di non farle questo: non passare le tue paure anche a lei ».

Era una calda giornata di Agosto e il re stava costruendo un pupazzo di neve con Elsa –vicina al suo terzo compleanno- nella sala da ballo. Aveva scoperto che giocare con la neve era un’ottima distrazione per lui e un gran divertimento per la bambina stessa, che poteva dare libero sfogo ai poteri che veniva continuamente esortata a nascondere. Pochi nel castello ne erano a conoscenza. Joanna naturalmente sapeva, dovendo occuparsi della principessina diverse ore al giorno aveva finito per scoprirlo da sé. Dopo aver fatto un voto di silenzio, inevitabilmente la domestica divenne la persona più vicina alla casa reale.
« Vostra Maestà! » La vecchia balia entrò nella sala da ballo ancora piena d’affanno, un sorriso colmo di gioia dipinto sul volto paffuto.
« E’ nata ».
La gioia negli occhi di Elsa quando prese in braccio per la prima volta la sua sorellina era evidente, le si era presentata con un gran sorriso, che non aveva abbandonato il suo volto pallido nemmeno per un solo istante, mentre i suoi occhi erano persi in quelli verde acqua della neonata dai capelli fulvi.
Per il re e la regina, la visione delle loro bambine per la prima volta insieme fu la cosa più bella a cui ebbero mai assistito.

Anna adorava la sua sorellona. La seguiva ovunque e le chiedeva continuamente di giocare, a volte anche in maniera eccessivamente euforica. Elsa, dal canto suo, sembrava non farvi caso e mai una volta si era dimostrata infastidita o seccata dalle richieste e dalle attenzioni della sorella minore.
Il re aveva scoperto che Anna era solita svegliare Elsa molto presto (alcune volte persino a notte fonda) per chiederle di giocare insieme.
Per  fare un pupazzo di neve.
Il sovrano aveva provato a spiegare alla figlia più piccola che doveva lasciare sua sorella dormire, perché studiava molto e aveva bisogno di riposo, ma non c’era stato alcun verso di farle cambiare abitudini.
Nessuno sapeva, però, che l’ostinazione di Anna sarebbe presto diventata la rovina di sua sorella.
Si sconvolse tutto in una notte, in pochi secondi Elsa si ritrovò nel bel mezzo di un incubo e prima ancora che il sole sorgesse su Arendelle, la mattina seguente, l’infanzia era già stata strappata via brutalmente dalle sue mani.
Il re non aveva potuto fare altro che dare alla maggiore delle sue figlie una nuova camera, dove confinarla, all’unico fine di proteggere sia Anna che lei stessa. La bambina non aveva obbiettato, era sempre stata molto matura, molto obbediente, aveva sempre capito qual era il momento giusto di uscire di scena.
Se mai il re avesse avuto idea di tutto ciò che questo avrebbe creato nella mente della piccola Elsa, probabilmente avrebbe cercato un’altra soluzione. Perché se lei si stava trasformando in un essere così fragile, era soprattutto colpa sua.
In verità, era lui il primo ad avere paura.
Quell’incidente aveva risvegliato in lui vecchi sospetti e vecchi timori. Questa volta silenziosamente condivisi anche dalla moglie.
« Sei davvero convinto? Credi davvero che chiuderla per sempre in una stanza sia l’unico modo per salvarla? » Domandò la regina, sull’orlo del pianto.
« Non dovrà rimanere lì per sempre. Solo fino a quando non sarà in grado di controllare i suoi poteri, non posso lasciare che porti questo fardello ».
« Lei non può essere la persona di cui parla la profezia**. È buona, è altruista, la conosci! »
La regina non trattenne più le lacrime e si abbandonò contro il petto del marito, soffocando a fatica i singhiozzi, stringendo forte la giacca rifinita.
« Proprio per questo, devo fare di tutto per salvarla ».

Tornò nella camera di Elsa la mattina dopo, per trovarla rannicchiata contro una parete, le ginocchia strette al petto, il davanzale della finestra coperto di ghiaccio.
Istintivamente le corse incontro e la prese tra le braccia.
« Stai bene? »  Domandò, guardandola preoccupato.
Elsa scosse la testa, gli occhi blu che guardavano a terra, i piedini che dondolavano nervosamente.
« Sarò io il sovrano dal cuore di ghiaccio, non è vero? Quello di cui parla la profezia ». Biascicò con un filo di voce, alzando finalmente lo sguardo sul padre, cercando una risposta nel volto che per molto tempo le era parso così rassicurante.
La realtà travolse il re come un’onda. La bambina che Elsa era stata fino a qualche giorno prima stava scomparendo rapidamente, per lasciare spazio alla versione spezzata e consapevole di sua figlia.
Il re l’abbracciò forte, cullandola tra le sue braccia per diversi minuti. Se avesse saputo che quello sarebbe stato il loro ultimo abbraccio, prima che la paura prendesse così tanto il largo in Elsa da farle rifiutare un qualsiasi contatto umano, probabilmente l’avrebbe stretta per ore.
« Come sai della profezia? » Domandò l’uomo dolcemente, scostando una ciocca di capelli argentei dietro l’orecchio della bambina.
« Avevo letto la storia di Arendelle qualche mese fa in biblioteca… e ieri notte vi ho sentito discutere ». Confessò la principessa, con un filo di voce. Il re sospirò amaramente, pentendosi di aver parlato probabilmente a voce troppo alta, di essersi illuso che anche la maggiore delle sue figlie stesse dormendo.
« Elsa, voglio che tu sappia una cosa, ascoltami bene perché è importante che tu non lo dimentichi mai ».
La bambina annuì, guardandolo intensamente.
« Tu sei buona. Non avrai mai un cuore di ghiaccio ». La fissò a lungo, tornando per un breve istante alla prima volta in cui l’aveva stretta tra le sue braccia: così piccola, così fragile.
Esattamente com’era in quel momento.

Qualche settimana dopo le regalò un paio di piccoli guanti bianchi, sperando che potessero esserle almeno un po’ di aiuto, le strinse dolcemente una mano e insieme ripeterono una filastrocca importante, attorno la quale avrebbe presto iniziato a girare tutta la vita di Elsa.
« Celarlo, domarlo, non mostrarlo ».
Nascondendo il suo potere forse Elsa sarebbe stata in grado di fuggire dal suo destino?
Entrambi ne dubitavano fortemente: prima o poi la profezia si sarebbe avverata e, in qualche modo, ormai era chiaro, la ragazza ne sarebbe rimasta coinvolta. Ciò che importava, era cercare di rimandare il più a lungo possibile quel momento, facendo guadagnare ad Elsa tempo prezioso.
Pregando che imparasse a controllarsi in fretta


 


*Sorella: Circolava voce, probabilmente una storia messa su dai fans, che la madre di Rapunzel e la madre di Elsa ed Anna fossero sorelle. A prescindere dal fatto che sia vera o meno, l'idea mi piace un sacco, quindi ho deciso di utilizzarla nella storia!

**Profezia: Un'antica profezia dei troll parlava di un sovrano col cuore di ghiaccio che avrebbe portato un inverno perenne ad Arendelle. Secondo questa "versione" della storia, Elsa fugge dal regno perché non vuole essere il sovrano della profezia. Perché è buona. Troviamo riferimenti a questa predizione nelle canzoni "Spring Pageant" e "Life's Too Short", che vi consiglio vivamente di ascoltare! :)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Lost in the Darkness ***


Buona sera a tutti, eccomi tornata col secondo capitolo di questa storiella, che devo dire è riuscita a sorprendermi! 
Non immaginavo potesse avere così tanto "successo", è stata una piacevolissima sorpresa. 
Certo, il sito mi ha fatto anche sclerare non poco. Qualche giorno fa, durante lo spostamento (che bello, abbiamo una sezione tutta nostra *^^*) l'introduzione di questa FF è andata completamente perduta e, non avendola appuntata da nessun altra parte, ho dovuto riscrivere di sana pianta gli "spezzoni" tratti dal secondo e dal terzo capitolo, cercando di non renderli troppo diversi da quelli originali.
Anyway, ecco a voi il secondo chappy che, come avevo già annunciato, verrà "narrato" -salvo l'ultimo paragrafo- dalla regina (che tipo ho realizzato solo l'altro ieri che lei e il marito sono Lilian e Walt Disney!), vi anticipo che la trama è un po' cambiata rispetto l'idea originale, non si soffermerà dunque molto sugli abbracci, bensì sul dolore in generale. :)
Ormai manca solo il capitolo di Anna all'appello! Vi prometto che non tarderà ad arrivare :3
Ringrazio di tutto cuore le persone che hanno recensito, inserito tra le seguite e tra le preferite la mia storia (vi ringrazierò uno per uno la prossima volta, promesso) e vi chiedo perdono per gli eventuali errori e/o sviste che troverete nel capitolo seguente.
Confesso di non essere pienamente soddisfatta dal capitolo, spero solo non sia troppo deludente! 

Besos 

PS: I dialoghi riportati sono la traduzione di quelli in lingua originale, potreste dunque trovarli leggermente diversi :)

 

Lost Childhood
Lost in the Darkness


Quando Pabbie aveva predetto il futuro di Elsa e dei suoi poteri, la bambina era corsa ad abbracciare il padre, terrorizzata. La regina era rimasta ferma, tra le braccia stringeva ancora la piccola Anna, profondamente addormentata.
Dopo quella notte, le cose erano cambiate tanto velocemente quanto irrimediabilmente e lei si era ritrovata completamente impotente. Sia come regina, che come madre, non aveva potuto fare altro che guardare una delle sue due amate bambine scivolare velocemente all'interno di un baratro.
Col senno di poi, avrebbe voluto avere la forza di reagire.
Elsa era sempre stata molto obbediente e, conseguenza del suo isolamento, era diventata anche molto matura.
Troppo, per avere soltanto otto anni.
Aveva iniziato ad uscire solamente per i pasti, poi, dopo qualche mese, nemmeno più per quello, ormai era la regina stessa a portarle i vassoi durante le ore di pranzo e di cena.
Come sovrana, doveva essere forte per la sua famiglia e, di conseguenza, il suo regno. Come madre, soffriva ogni volta che vedeva la piccola Anna seduta fuori dalla porta della sorella maggiore, sempre rigorosamente chiusa.
« Anna, perché non vai a giocare? ». Provò cautamente, accennando un sorriso stanco, celando il dolore.
« E’ brutto giocare senza Elsa ». Sbuffò la bambina, lanciando alla porta un’occhiata truce, come se fosse la colpevole di tutto.
« Credo sia arrabbiata con me ». Aggiunse poco dopo la principessina, un’ombra scura le attraversò il viso lentigginoso.
La donna sospirò amaramente e posò il vassoio su un tavolino vicino, prima di chinarsi per essere alla stessa altezza di sua figlia. Le posò entrambe le mani sulle spalle e si sforzò di sorridere, ottenendo come risultato solo una smorfia triste.
« Anna ». Sospirò, prima di pronunciare parole difficili che non sarebbero potute essere spiegate, che sarebbero suonate così false. « Tua sorella non è arrabbiata con te. Mai, in tutta la tua vita, devi pensare una cosa del genere ».
La bambina, chiaramente, non era convinta e con un adorabile broncio e la voce tremante ribatté:
« Ma allora, se non è arrabbiata, perché non viene a giocare con me? »
La donna si rimise in piedi e si sforzò di ricacciare indietro le lacrime. Non poteva spiegarle e, soprattutto, non poteva cedere. Doveva resistere per la sua piccola Elsa.
Riprese il vassoio, sperando che occupando le mani quest’ultime smettessero di tremare, infilò lentamente la chiave nella toppa e fece scattare la serratura -non che ci fosse un reale bisogno di chiudere a chiave la figlia: la bambina era troppo ubbidiente e, soprattutto, spaventata per uscire. Più che altro, il re e la regina erano preoccupati da Anna, che pur di raggiungere la sorella avrebbe potuto fare di tutto-.
La principessina, infatti, non perse tempo e cercò di guardare all’interno della stanza della sorella, la visuale le fu prontamente coperta dalla regina.
« Tua sorella è cresciuta, Anna ». Sussurrò, con un groppo in gola, la verità di quelle sue stesse parole la schiaffeggiò brutalmente. Elsa non era cresciuta, era stata costretta a crescere.
Non ebbe il coraggio di aggiungere altro, il timore di distruggere anche i sogni e le speranze di Anna era troppo forte.
Si chiuse la porta alle spalle e si affrettò ad asciugarsi una lacrima prima che Elsa potesse vederla piangere. In un secondo mutò espressione -ormai era così abituata a farlo- e messa nuovamente su la solita facciata di sorrisi si rivolse finalmente alla figlia maggiore.
« Elsa, ti ho portato il pran- ». S’interruppe bruscamente, il vassoio cadde a terra e la ciotola col cibo s’infranse con un tonfo sordo. Una vera e propria bufera di neve turbinava nella stanza, la principessa era rannicchiata in un angolo, in preda alle lacrime e alla disperazione.
La regina si addentrò nella camera a passo svelto, schermandosi il volto con un braccio. Il vento e la neve le sferzavano il viso, tuttavia non le impedirono di raggiungere sua figlia e di stringerla in un forte e caldo abbraccio.
« Tesoro, calmati! Sono qui, va tutto bene ». Riuscì a dire e, lentamente, tra le braccia materne e accoglienti, Elsa smise di piangere e la tormenta diminuì fino a cessare completamente.
« Anna crede che io la odi, madre! » Esclamò, il dolore chiaro ed evidente nelle sue taglienti parole. Si staccò dall’abbraccio della madre e dopo essere indietreggiata di un paio di passi guardò alle sue mani con disprezzo, gli occhi azzurri erano ardenti e l’espressione profondamente contrariata. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito, incapace di formulare una frase senza veleno. La regina sospirò e deglutì amaramente, tutto quello era troppo per lei. Si fece avanti e decise di parlare con la maturità che Elsa meritava.
« Tua sorella ti ha vista scomparire improvvisamente dalla sua vita, è soltanto molto triste. Quando tutto questo sarà risolto, finalmente capirà quanto in realtà tu la ami ».
La bambina scosse la testa, la frangetta argentea le dondolò sulla fronte e un filo di voce uscì dalla sua bocca:  « Non cambierà mai nulla ».
La donna si sforzò di ricacciare indietro le lacrime e, questa volta, lo ritrovò davvero difficile, a soli nove anni sua figlia aveva già perso ogni speranza, si era arresa.
Elsa non viveva più, sopravviveva e basta.
Camminò lentamente verso la specchiera che era al lato della stanza e raccolse la spazzola che vi era posata sopra, avvicinò al mobile una sedia e vi batté sopra la mano libera un paio di volte.
« Vieni, ti pettino i capelli ».
La principessa obbedì e, senza dire una parola, si accomodò davanti la madre, che iniziò a passare dolcemente la spazzola tra le sue lunghe ciocche argentee.
La regina canticchiò una vecchia ninna nanna che la balia di corte era solita cantare a lei e a sua sorella quando erano bambine, sperando di riuscire a distrarre almeno un poco la piccola Elsa.
Sperando di riuscire a distrarre sé stessa.
Non poté fare a meno di sentirsi egoista: sua figlia non aveva bisogno di essere pettinata, o di ascoltare canzoni che le facevano promesse completamente prive di significato.
Elsa aveva bisogno di qualcuno di forte sempre accanto a lei, qualcuno in grado di trasmetterle coraggio e di darle amore nei suoi momenti più cupi, qualcuno pronto ad abbracciarla e a tirarla fuori dai suoi incubi, qualcuno che l’avrebbe amata sempre ed incondizionatamente.
Sia lei, che il re suo marito, avevano provato ad aiutarla in quegli ultimi mesi, ma la bambina era troppo persa e troppo distante persino per i suoi stessi genitori.

« La stiamo perdendo! » Urlò la regina tra le lacrime, appoggiandosi stancamente e disperatamente contro il grande armadio in mogano che era nella sua camera da letto. Il re era a pochi passi da lei, in piedi, immobile e completamente incapace di consolarla.
Elsa aveva ora undici anni e della bambina allegra e spensierata che era stata fino a pochi anni prima non era rimasta neanche la più debole traccia, passava la giornata sui libri nel disperato tentativo di ignorare Anna, che continuava instancabilmente a chiederle di giocare, a bussare alla sua porta. In quei tre anni di isolamento, la ragazzina non aveva fatto ancora l’abitudine ad una sola cosa: dover dire sempre di no alla sua sorellina.
Il re e la regina passavano da lei tutti i giorni… ed ogni giorno la trovavano un po’ più distante e un po’ più sola. La luce che aveva emanato da bambina si era spenta quasi del tutto, il suo diamante si era opacizzato e lei si stava smarrendo nell’oscurità e nella paura. Quando le parlavano rispondeva a malapena, gli occhi azzurri erano ormai privi di emozione ed era esitante ad ogni manifestazione di affetto.
Le lacrime, però, non solcavano più il suo volto da parecchio. Aveva smesso di piangere da tempo, ormai.
« Io n-non posso rimanere ferma a guardarla morire in questo modo! Non posso! » Urlò ancora la donna, i singhiozzi la facevano balbettare, gli occhi le bruciavano da ore.
Il re le si avvicinò lentamente e non poté fare altro che avvolgerla in un abbraccio. Le parole non servivano più, ma tentò ugualmente.
« Domani andremo a parlarle, cercheremo di risolvere tutto questo. Non l’abbandoneremo, te lo prometto ».
La porta alle loro spalle cigolò e i sovrani si voltarono con un sussulto, notando Anna in piedi sulla soglia.
« M-mamma… stai piangendo? » Balbettò con voce tremante la bambina, fissando gli occhi chiari in quelli ancora bagnati della regina.
Questa si ricompose rapidamente e scosse la testa, asciugandosi le lacrime con una mano.
« Sono solo molto stanca ». La rassicurò, avvicinandosi per stringerla in un abbraccio necessario, che la bambina non esitò a ricambiare.
« Tesoro, perché sei sveglia a quest’ora? » Domandò il re posando una mano sulla spalla della figlia minore, la voce dolce leggermente preoccupata. Da quanto tempo Anna li stava ascoltando?
« Ho fatto un incubo ». Biascicò la principessa, tenendo la testolina rossa ancora stretta sulla spalla di sua madre.
« Stavo cadendo nel vuoto, di nuovo ».
Il re e la regina si lanciarono furtivamente un’occhiata eloquente. Erano passati tre anni, ma Anna sognava ancora molto spesso di cadere.
« Era solo un brutto sogno, nessuno ti farà mai del male ». La rassicurò il padre, sorridendole calorosamente. La piccola ricambiò il sorriso e si staccò lentamente e controvoglia dall’abbraccio di sua madre, iniziando a guardare il pavimento nervosamente, il volto paonazzo.
« L-lo so… ma… ecco, magari per questa notte… se non vi sta bene anche solo per qualche ora… insomma, so che ormai sono grande e…»
« Anna ». La richiamò dolcemente il re, la bambina alzò lo sguardo e trovò entrambi i genitori a sorriderle.
« Sì, puoi dormire con noi questa notte ». Asserì, togliendo la figlia dall’imbarazzante situazione.
« Davvero? » Domandò allegra, gli occhi scintillanti e un sorriso luminoso sul suo volto.
« Davvero ». Confermò la regina che, dopo aver raggiunto il grande letto a baldacchino, alzò un lembo della coperta per lasciare a sua figlia lo spazio necessario per sgattaiolare dentro.
Quante volte, negli ultimi anni, Elsa si era svegliata nel cuore della notte in preda ad un incubo? Quante volte aveva dovuto sopprimere la voglia di gridare, consapevole che non sarebbe potuta correre dai suoi genitori?
Con un sospiro colmo di dolore, sia lei, che il marito, imitarono quasi immediatamente la figlia e si misero al letto. La bambina non perse tempo ad accoccolarsi contro il petto della madre, beandosi del suo calore e del suo profumo famigliare e rassicurante.
La regina ringraziò il Signore per quel dono, perché le stava ricordando che aveva ancora qualcuno da proteggere,  perché le stava dicendo che c’era ancora qualcuno in quel castello ad aver bisogno di lei.
Perché aveva ancora Anna.
Un singhiozzo le morì in gola quando realizzò che sua sorella Primrose, a Corona, non aveva più nemmeno una figlia da consolare.


Era l’alba quando Anna venne svegliata a causa di un grido proveniente dalla camera di sua sorella. I suoi genitori dovevano già essersi alzati da un po’, lasciandola profondamente addormentata nel loro letto.
Da quando non giocava più con Elsa aveva smesso di svegliarsi assieme al cielo.
La bambina saltò giù dal letto e spalancò la porta, volando nel corridoio, i suoi piedini scalzi sul tappeto non erano l’unico rumore di passi che poteva udire.
Il re e la regina stavano correndo su per le scale, con la chiave della camera di Elsa già tra le mani e dei volti terrorizzati. La madre trasalì quando notò la minore delle sue figlie proprio davanti a loro, lo sguardo ancora assonnato ma l’espressione preoccupata.
« Anna, va’ in camera tua ». Riuscì a dirle, sperando di essere convincente.
« Ma io voglio sapere che succede ». Protestò la bambina, incerta « Perché Elsa ha urlato? » Chiese, il labbro tremante preannunciavano già il fatto che fosse sull’orlo delle lacrime.
« Tesoro, per favore, ubbidisci a tua madre. Qui è tutto apposto ». Insisté il padre, non sapendo nemmeno lui quali altre parole dire ad una bambina di otto anni. Non riuscendo ad immaginare ciò che avrebbe potuto trovare una volta aperta la porta della stanza della sua figlia maggiore.
Un altro rumore e un secondo gridolino di Elsa gli fecero capire che il tempo era scaduto, non potevano rimanere lì fuori un secondo di più. Il re girò la chiave nella toppa, ignorando Anna che era ancora lì fuori a fissarli, aprì la porta con forza e si precipitò dentro, chiamando a gran voce la figlia.
« Torna in camera tua, Anna ».
Concluse la regina, lanciandole uno sguardo addolorato, prima di seguire suo marito e chiudersi la porta alle spalle.
La bambina si arrese e si allontanò dal corridoio, incamminandosi verso il salone del castello. Si buttò a terra senza forze e prese a fissare il grande orologio a pendolo, afflitta.
« Ho paura! Sta diventando più forte! » Esclamò Elsa, indietreggiando, lanciando un’occhiata spaventata al muro ghiacciato alle sue spalle.
« Reagire in questo modo peggiorerà solo le cose, calmati ». Azzardò il re, allungando le braccia in direzione di Elsa, avvicinandosi lentamente. La regina era poco dietro di lui, osservava la scena in silenzio, non sapendo bene cosa fare.
« No! »
E quando Elsa respinse suo marito, tutto ciò che riuscì a fare fu portarsi le mani sul volto, sgranando gli occhi colmi di lacrime.
« Non toccatemi, per favore. Non voglio farvi del male ». Biascicò la bambina, la voce spezzata mentre si portava le mani guantate al petto. Spaventata da una nuova probabile ricaduta.
La regina vide il re rimanere immobile, la testa ancora leggermente chinata in direzione della figlia, spiazzato dalla sua reazione drastica e inaspettata. Si avvicinò a lui lentamente e gli posò una mano sulla spalla, intendendo che non ci fosse più nulla che potessero fare.
Rivolse a sua figlia un’ultima lunga occhiata colma di dolore, Elsa era ancora rannicchiata contro il muro ghiacciato, tremante e con gli occhi azzurri spalancati, la copia esatta di un animale spaventato.
Avevano aspettato troppo. L’avevano già persa.

Anna chiese per diversi mesi cosa fosse accaduto, alla fine si arrese al fatto che non avrebbe mai avuto una vera risposta.
Elsa, dal canto suo, non si fece più toccare da nessuno a partire da quel giorno.

Il re e la regina sarebbero partiti a breve, ormai. Il giorno del quindicesimo compleanno di Rapunzel era arrivato e quest’anno anche loro avevano deciso di prendere parte alla cerimonia e di lanciare le lanterne al fianco dei sovrani di Corona. Le ragazze erano ormai abbastanza grandi per essere lasciate da sole un paio di settimane.
Il cielo era tinto di rosa e i sovrani di Arendelle stavano finendo di mettere le ultime cose in valigia quando un uragano con due lunghe trecce fulve si precipitò nella stanza per abbracciarli calorosamente.
La regina la strinse tra le sue braccia prima ancora che Anna si fermasse, il re allargò le proprie avvolgendo sia la figlia che la moglie.
« Ci vediamo tra due settimane! » Esclamò la ragazza con un sorriso che venne immediatamente ricambiato da entrambi i genitori. La solarità della ragazza era contagiosa ed era stata una vera e propria ancora di salvezza per i sovrani, in quegli ultimi anni.
Quando scesero le scale, pochi minuti dopo, trovarono Elsa ad accoglierli con un dolce inchino. Entrambi si fermarono ad un paio di passi da lei e le rivolsero un sorriso.
Avevano imparato a rispettare i suoi desideri –per quanto dolorosi-, glielo dovevano dopo ciò che le avevano fatto.
Da quell’ultimo incidente nella stanza della ragazza, non era passato un solo giorno senza che il re o la regina non si fossero sentiti in colpa per essere stati la causa principale della trasformazione drastica della loro figlia maggiore.
La regina, in particolare, era riuscita ad adattare il proprio carattere e a dimostrare il suo affetto ad Anna e ad Elsa nel modo esatto in cui le due figlie desideravano. Rispettare gli spazi di Elsa era doloroso, vederla sola in quel baratro di desolazione era anche peggio, ma la distanza era tutto ciò che la ragazza avesse mai chiesto loro.
« E’ necessario che voi andiate? » Azzardò la platinata, guardandoli con rispetto dal basso verso l’alto, la voce tremolante anche in quelle poche parole.
La paura era ormai il suo carattere distintivo.
« Starai bene, Elsa ». Le promise il re, guardandola con un dolce sorriso.
La ragazza rimase a guardarli andar via dalla finestra della sua stanza, assisté in silenzio mentre la nave si allontanava dal fiordo e prendeva il largo.

Il vascello non arrivò mai a Corona.
Quando al castello giunse l’annuncio del decesso dei sovrani di Arendelle –i cui cadaveri erano stati da poco ritrovati su una spiaggia poco distante, una mano del re a stringere ancora quella della regina, per via di un pessimo scherzo del destino-, Elsa non riuscì a dire nulla, strinse tra le mani la pietra preziosa* che sua madre era solita portare al collo e che i soldati erano riusciti a riportare indietro e si trascinò nelle sue stanze. Sedette in silenzio ad un angolo del letto e rimase immobile, in meditazione, finché non sentì sua sorella urlare e scoppiare a piangere.
Doveva aver saputo.
I singhiozzi di Anna, le sue grida disperate, investirono Elsa come una doccia fredda e, finalmente, riuscì ad elaborare le notizie che aveva ricevuto in quella giornata.
Tutto divenne improvvisamente reale.
Furente e fuori di sé non si preoccupò più di celare e di non mostrare il suo potere, anzi, lo scatenò in tutta la sua irruenza, gelando ogni cosa nella sua stanza, sentendosi impotente e improvvisamente responsabile sia del regno, sia della sorellina che non avrebbe mai potuto confortare con un abbraccio.
Alla quale non avrebbe potuto neppure dire “Sono qui, per te”.
Si accanì brutalmente contro il grande dipinto dei suoi genitori attaccato alla parete e colpì entrambi i sovrani più volte sul petto, sul volto, fino a quando il ghiaccio non squarciò completamente la tela.

Diverse ore più tardi, la ragazza si lasciò cadere in ginocchio, stremata, le lacrime che aveva per anni trattenuto si riversarono sul suo candido volto come un fiume in piena. Con un ultimo grande sforzo lanciò un’occhiata colma di rancore alla figura sfigurata di suo padre.
« Avevi promesso che sarei stata bene ».


 

*Pietra preziosa: Ho notato che Elsa e sua madre indossano la stessa spilla (?) sotto il collo. La prima la usa per tenere il mantello, la seconda probabilmente solo come abbellimento. Quando il re e la regina sono salpati da Arendelle per l'ultima volta, la donna aveva quella spilla sul petto. Quella che usa Elsa il giorno dell'incoronazione, in questa storia, è la stessa che aveva usato sua madre per anni.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** A Light in the Storm ***


Buona sera a tutti! A voi finalmente l'ultimo capitolo di questa storia :D
Scusate, so di essere in ritardo, ma si sono sovrapposti una serie di imprevisti e davvero non ho potuto finire di scrivere prima di adesso. Al momento non ho molto da dire, vi avviso solamente che questo capitolo è diverso dai due precedenti. La "visione" di Anna è più generica e ampia rispetto quella del re e della regina, inoltre quasi l'intera storia è ambientata successivamente agli eventi del film. 
Ora vi lascio in pace, ci ri-leggiamo a fine capitolo! ^^

 

Lost Childhood
A Light in the Storm


Si accasciò sconfortata tra le braccia fredde d’acciaio dell’armatura su cui era appena precipitata. Scendere le scale con la bicicletta, senza che ci fosse nessuno a guidarla, non era stata una delle sue migliori idee. Saltò a terra con un piccolo balzo, non cadendo di nuovo per puro miracolo.
Era così maldestra.
Così sola.
Sistemò le treccine rosse davanti il petto, accarezzandole per qualche secondo, prendendo tempo. Magari Elsa sarebbe uscita a controllare: aveva sicuramente sentito il suo tonfo.
Improvvisamente, l’idea di essere caduta non le sembrò poi tanto male, anzi, il pensiero di sua sorella preoccupata per lei non poté che farla sorridere di gioia. Si guardò attorno per qualche istante, assicurandosi che nessun domestico fosse nei paraggi, poi si accasciò teatralmente al suolo, portandosi una mano sul volto e fingendo un’espressione afflitta e dolorante.
Non passò molto prima che sentì il cigolio di una porta e a quel punto non riuscì davvero a trattenere un piccolo sorriso. Trascorsero forse un paio di minuti e sentì dei passi correre nella sua direzione.
Finalmente, dopo tutto questo tempo.
Si stava precipitando giù dalle scale, per lei.
Elsa… « Vostra Altezza! Vi siete fatta male?! » … non sarebbe uscita dalla sua stanza per soccorrerla.
La voce di Gerda* era dolorosamente riconoscibile.
La vecchia balia la guardò con occhi preoccupati e, solo dopo essersi assicurata che la principessa non avesse nulla di rotto, l’aiutò a rimettersi in piedi.
« State bene?! Vostra sorella mi ha avvertita appena vi ha sentita cadere ».
Naturalmente, l’aveva avvertita.  Non aveva fatto altro.
La bambina si stirò i lembi sgualciti del vestito e guardò la donna dal basso, sforzandosi di risponderle trattenendo le lacrime.
« Sì, non è stata una caduta così rovinata ». Biascicò, sentendo il suo cuore a pezzi.
Quello faceva ben più male di un braccio rotto.
« Forse voleva dire rovinosa, Vostra Altezza ». La corresse Gerda mentre le risistemava abilmente le gonne, un sorriso rassegnato disegnato sul volto rugoso.
« Il Vostro vestito è stato sistemato, potete andare… magari fate più attenzione, questa volta ». Aggiunse dopo poco, dandole un’amorevole pacca sulla testolina fulva, incitandola a riprendere i suoi giochi.
Anna annuì con rassegnazione e si diresse con passi strascicati verso la galleria del castello, l’unico luogo in grado di darle ancora un po’ di allegria.
« Principessa Anna! »
La voce della donna alle sue spalle la costrinse a fermarsi, si voltò, sforzandosi di abbozzare un mezzo sorriso in direzione della sua balia, che non aveva smesso di fissarla scetticamente.
« Sicura di star bene? » Domandò nuovamente la donna, alla quale non era chiaramente sfuggito il suo umore.
La bambina annuì, i tristi occhi cerulei a tradirla « Non preoccuparti. Dì solamente a mio padre che non credo ci sia più bisogno di avere un tandem** ».
Fu allora che Gerda capì tutto.


Quella notte, Anna si era svegliata a causa dell’insistente brontolio del suo stomaco, aveva passato tutto il giorno con Kristoff a passeggio per Arendelle e quando era tornata al castello aveva chiesto a sua sorella il permesso di saltare la cena e poter andare direttamente al letto, tanto era stanca. Elsa, ovviamente, non aveva avuto nulla da obbiettare.
Chiuse lentamente la porta della sua camera da letto, cercando di fare il minor rumore possibile, iniziò poi a percorrere i vasti corridoi del castello, in punta di piedi.
Era tardi e non erano le circostanze più opportune per svegliare qualcuno pur di avere un po’ di cioccolata. Anche perché, in quel caso, un bel rimprovero da parte di Gerda non sarebbe stata in grado di evitarglielo neppure la regina. Non poté  trattenere un risolino al pensiero di sua sorella che si sottometteva alla loro balia, tanto ne era intimorita. Con il potere che aveva avrebbe potuto tenere il mondo tra le mani... se solo lo avesse voluto.
Ma Elsa non era così.
Era buona, altruista e non era il sovrano di cui parlava la profezia. Si rammaricò, ricordando che anche lei l’aveva ingiustamente accusata di ciò***… e, nel bilancio di tutto, forse avrebbe dovuto tacere.
Lei però era Anna, questo voleva dire che parlava, parlava sempre, spesso fin troppo.
Presto o tardi avrebbe chiesto perdono a sua sorella, che decisamente non meritava di dover portare quest’ulteriore fardello. Stava ancora pensando ad Elsa quando si ritrovò a passare davanti la sua camera da letto, istintivamente sorrise e alleggerì ancor di più il passo, diventando sorprendentemente silenziosa per una come lei. Un brivido le attraversò velocemente la schiena, venendo seguito presto da un altro e un altro ancora: il suo abito da notte era leggero, ma erano comunque ad Agosto inoltrato.
Quasi come per riflesso si trovò a volgere lo sguardo in direzione della porta di Elsa e i suoi occhi si spalancarono dopo aver scorto una sottile lastra di ghiaccio sotto di essa.
Dimenticandosi delle proteste del suo stomaco e di qualsiasi altra cosa a cui aveva pensato fino a pochi minuti prima –incluso il tentativo di essere silenziosa-, si precipitò davanti la stanza di sua sorella e la chiamò con un evidente tono di preoccupazione « Elsa! ».
Non arrivò alcuna risposta e presto il panico prese il largo dentro di lei. Senza pensarci troppo si ritrovò a combattere con la maniglia, che non aveva alcuna intenzione di sbloccare l’uscio gelato. Ci vollero un paio di minuti di inutili lotte prima che Anna si rendesse conto che sarebbe stata costretta a passare alle maniere forti, prese dunque una piccola rincorsa e diede un paio di forti spallate alla porta, riuscendo finalmente a spalancarla.
Alla faccia di chi le aveva insegnato a chiedere il permesso e a bussare prima di entrare nelle stanze altrui.
La camera era nel più totale caos: dello spesso ghiaccio scuro ricopriva tutte le superfici dei mobili e un vento gelido ululava tra le pareti, sul grande baldacchino vi era uno strato di candida neve e lì, proprio nel mezzo del letto, la regina si contorceva in lacrime, preda di profondi e terribili incubi.
Anna si precipitò da lei e salì sul letto ignorando il bruciore provocato dal ghiaccio gelido sulla sua pelle nuda, la afferrò per le spalle e la scosse un paio di volte, richiamandola con voce ferma.
« Elsa! Elsa, svegliati! »
 La platinata spalancò gli occhi e si ritrasse bruscamente, il corpo pallido tremante e il viso perfetto trasfigurato dalle lacrime e dalla paura.
« Va tutto bene, Elsa. Sei al sicuro. Era solo un incubo ». Ripeté con calma, il tono dolce e un sorriso rassicurante sul volto lentigginoso, mentre accarezzava una guancia fredda della sorella maggiore.
La regina si gettò tra le braccia della rossa, aggrappandosi a lei con forza, affondando il viso contro il suo petto, piangendo e singhiozzando forte.
Anna rimase imperterrita per qualche istante: non era mai successo. Anche quando erano bambine, Elsa aveva sempre messo il bene e le priorità di Anna davanti i propri, perché era la sorella maggiore; perché proteggere Anna dal dolore l’aveva sempre sentito come un dovere; perché l’amava più di sé stessa.
Quella notte, aveva tuttavia smesso di essere forte per poter aprire il suo cuore alla sorellina, mostrando tutte le sue debolezze, facendo riemergere tutti gli scheletri del suo passato. Aveva smesso di essere la regina ed era ritornata la ragazza di ventuno anni costretta a crescere troppo in fretta, quella che aveva passato anni della sua vita in balia del dolore e dei poteri che l’avevano a lungo perseguitata come una maledizione. La principessa ricambiò l’abbraccio capendo che, in quell’occasione, per la prima volta, toccava a lei essere la sorella maggiore.
Accarezzò dolcemente i capelli argentei di Elsa e le lasciò un delicato bacio sulla testa, sorridendo al contatto con le sue membra fredde.
« E’ tutto apposto, era solo un brutto sogno, ci sono qui io per te. Sarò sempre qui per te ».
Proteggersi. Non era quello che avevano sempre cercato di fare, del resto?
La regina pianse ancora molto tra le braccia calde e accoglienti della sua sorellina, senza preoccuparsi di dover più celare e nascondere nulla.
Si erano abbracciate diverse volte da quando Elsa aveva imparato a controllare i suoi poteri. Abbracci affettuosi ma delicati, strette attente, guidate ancora dalla razionalità e dalla paura che avrebbe impiegato anni a scomparire e che forse non avrebbe mai abbandonato del tutto la bionda.
Quell’abbraccio, però, era diverso. Era forte e disperato, doloroso e necessario.
Quanti anni erano passati dall’ultima volta che Elsa aveva abbracciato qualcuno così?
Non c’era neanche bisogno di cercare una vera e propria risposta, semplicemente ne erano trascorsi troppi.
Lei che era sempre stata dolce, che era sempre stata così altruista e solare, che non aveva mai avuto la forza di dire di no, era stata improvvisamente privata di tutto, costretta dalla paura a rifiutare anche i gesti di affetto più semplici. Affetto che aveva sempre respinto ma che aveva più di tutti bramato, perché per quanto Elsa potesse essere fredda, amava il calore più di chiunque altro.
Anna sorrise mentre si correggeva mentalmente “No, forse non tanto quanto Olaf”.

E in quel momento, la verità la schiaffeggiò e la ferì più in profondità del ghiaccio che aveva gelato il suo cuore.
Olaf, un simpatico e allegro pupazzo di neve che camminava per le strade di Arendelle con la sua nevicata personale, che giocava con i bambini e stringeva amicizia con chiunque, un esserino così semplice eppure così tenero ed estroverso, sempre alla ricerca di affetto e contatto. Sempre pronto a donare amore e a cercare di creare un approccio anche con i tipi più scontrosi, straordinariamente capace di farsi accettare pur essendo così diverso.
Olaf che continuava ad amare incondizionatamente il calore, pur sapendo lo avrebbe ucciso.
Per la prima volta in tutta la sua vita, Anna si rese conto della drammaticità nascosta dietro quella maldestra figura. Non era mai stato solo un pupazzo di neve, questo lo aveva sempre saputo. Mai, fino a quel momento, tuttavia, si era resa conto del dolore e delle disperate speranze che in realtà esso nascondesse. Era stato creato da sua sorella, una ragazza rinchiusa all’interno di quattro mura per oltre un decennio, i cui contatti con le persone erano strettamente limitati e che non aveva mai potuto donare o ricevere l’amore che avrebbe voluto.
Lui era l’incarnazione dell’infanzia perduta e dei sogni proibiti di Elsa. Lui era i suoi ricordi e i suoi desideri più profondi.

Era stata così cieca. Avrebbe voluto scoprirlo prima, avrebbe dovuto aiutarla dal principio, quando le barriere erano state da poco innalzate e gli incubi erano appena iniziati. Ma per troppi anni le era stata negata qualsiasi possibilità di creare un legame con sua sorella e aveva imparato a capirla, aveva iniziato a conoscerla per davvero, solo in quell’ultimo mese, con la consapevolezza che non avrebbero mai recuperato del tutto gli anni persi. Perché in realtà non sapevano più niente l’una dell’altra.
Erano legate dal sangue, l’amore e pochi bellissimi ricordi di un passato che le aveva da tempo abbandonate. Nulla di più. Non c’era nulla di presente.
Era così iniziata una lenta riscoperta, caratterizzata da errori e domande sciocche, che rappresentavano solo un piccolo prezzo da pagare. Entrambe erano più che ben disposte a percorrere la tortuosa strada che ancora le separava, nel tentativo di riuscire presto ad incontrarsi per davvero.

« Ti senti meglio? ». Domandò Anna dopo quasi mezz’ora dal suo arrivo nella stanza. Elsa era ancora rannicchiata contro di lei, ma aveva smesso di singhiozzare, limitandosi a piangere mestamente.
La regina annuì in risposta, trovando finalmente la forza di sciogliere quell’abbraccio che avrebbe voluto far durare per sempre. Si sedette sulle ginocchia e raddrizzò la schiena, mettendosi esattamente di fronte alla sorellina, guardandola leggermente imbarazzata.
« Perdonami, Anna. Non so davvero cosa mi sia preso ». Si giustificò con un filo di voce, essendosi appena resa conto della ridicola situazione in cui la sorella doveva averla ritrovata. Con un gesto rapido sciolse tutto il ghiaccio nella sua stanza
« Va tutto bene. E’ giusto sfogarsi, di tanto in tanto. Io non sono molto brava con le parole e capisco che tu sia sempre stata abituata diversamente… ma non ci si può tenere tutto dentro per sempre ».
Voleva che si fidasse di lei, voleva poter conoscere le sue paure ed essere in grado di aiutarla e trascinarla via da esse durante i suoi momenti più cupi. Semplicemente, voleva essere il faro nella tempesta per quella nave che troppo a lungo era stata dispersa tra gli oceani e che lentamente stava ritrovando la via di casa.
« Io non ti giudicherò mai, Elsa ». Aggiunse con un filo di voce.
Quelle parole parvero colpire profondamente la regina che chinò il capo e finalmente lasciò che tutto andasse.  Anna le prese le mani, carezzandone dolcemente il dorso, evitando contatti più intimi solo per lasciare alla sorella un po’ di spazio. Ora che Elsa aveva ripreso a pensare razionalmente aveva bisogno di un po’ di tempo per rendersi conto di non essere più sola, di non doversi vergognare delle sue lacrime, perché la sua sorellina non l’avrebbe mai abbandonata.
Perché erano una famiglia.

« Sono così spaventata, Anna ». Confessò la regina, la voce ancora rotta e tremolante.
« Cosa ti fa paura? » Chiese cautamente la rossa, non sapendo bene fin dove potesse spingersi, fin dove Elsa le avrebbe permesso di arrivare in una sola notte.
Il breve silenzio che seguì la domanda intimorì leggermente la principessa ed era già pronta a chiedere perdono per la sua invadenza alla sorella quando quest’ultima, in seguito ad un profondo respiro, biascicò due sole parole «La profezia ».
Era stato poco più di un sussurro, ma questa prima liberazione bastò ad infondere un po’ di coraggio alla regina, che continuò come un fiume in piena « Tutti questi anni passati a cercare di sfuggirvi, a tentare di ingannare il mio destino, tutti i sacrifici vani, sarei arrivata a questo punto anche senza il bisogno di chiuderti sempre la porta in faccia. L’inverno perenne, il sovrano dal cuore di ghiaccio… non faccio altro che pensarci! Quelle parole mi tormentano quando c’è silenzio, quando sono sola e spesso anche mentre dormo ». Anna s’incupì, quanti anni di terrore avevano perseguitato sua sorella? Per quanto tempo ancora la profezia l’avrebbe inseguita anche nei sogni, rendendo spaventoso anche quel mondo che teoricamente dovrebbe essere una scappatoia dai problemi terreni?
Elsa non aveva alcuna via di fuga, non l’aveva mai avuta, eppure aveva sempre resistito. Istintivamente, la rossa si chiese quale desiderio potesse aver spinto una ragazza che aveva ormai perso tutto ad andare avanti.
La regina sospirò « Non dovrei angosciarti con queste cose ».
L’improvvisa ripresa di sua sorella, la sua semplice frase, diede ad Anna la risposta che cercava e, quando la verità le fu chiara, solo a stento trattenne le lacrime. Elsa era andata avanti per lei, per non lasciarla sola.
Era il suo faro nella tempesta già da tempo.
La principessa scosse la testa e guardò alla regina col volto colmo di commozione.
« Se ci sei dentro tu, ci sono anche io. Siamo sorelle e se la profezia dovesse avverarsi l’affronteremo, insieme. Non uscirò dalla tua vita tanto facilmente! ».
La maggiore sorrise e nuove lacrime le rigarono le guance, le mani le tremavano dall’emozione e il cuore le batteva forte contro il petto, mentre un insolito torpore si diffondeva in tutto il suo corpo.
Era forse questo il calore?
Si ritrovò ad abbracciare di nuovo la sorellina, ma questa volta -per la prima volta- non versò una sola lacrima di dolore. Pianse solo lacrime dolci e calde, piene di gioia.
« Non lascerò che tu affronti tutto questo da sola e qualunque cosa accada voglio che tu ricordi sempre una cosa ». Le sussurrò Anna in un orecchio, un sorriso dolce sul viso lentigginoso mentre stringeva Elsa a sé.
« Cosa? » Biascicò la regina.
« Tu non hai un cuore di ghiaccio ».

“Elsa aveva bisogno di qualcuno di forte sempre accanto a lei, qualcuno in grado di trasmetterle coraggio e di darle amore nei suoi momenti più cupi, qualcuno pronto ad abbracciarla e a tirarla fuori dai suoi incubi, qualcuno che l’avrebbe amata sempre ed incondizionatamente”.
Il re e la regina avevano pregato per anni l’arrivo di quella persona, avevano per lungo tempo atteso colui che sarebbe stato in grado di rendere la maledizione della loro bambina un dono, ma erano entrambi stati così presi dal futuro da non essersi mai resi conto di avere già trovato la soluzione di tutto da molto tempo.
Una soluzione che era nata con la prima risata di Anna.

Le due sorelle si addormentarono strette l’una all’altra, appena poco prima che si svegliasse il cielo.
Quella fu la prima notte in cui gli incubi non tormentarono il sonno della regina.
 


 
« Starai bene, Elsa ».
Alla fine, il re aveva mantenuto la sua promessa.



 

*Gerda: Il nome della tenace ragazza nella storia originale de "La Regina delle Nevi", attribuito poi ad una delle domestiche del castello di Arendelle, in onore alla fiaba di Andersen (guardare su Wikipedia per credere! xD)
**Tandem: SI! AVEVANO UN FOTTUTISSIMO TANDEM! Tumblr mi ucciderà prima o poi con tutti questi particolari. Qui il link dello screen: LINK
***l'aveva ingiustamente accusata di ciò: Nella canzone "Life's too short", che ho citato già nei capitoli precedenti, Anna -in un momento di rabbia e delusione- accusa Elsa di essere il sovrano della profezia. A causa del successivo taglio e dell'esclusione della predizione dal film non si sa effettivamente di chi parlassero i troll nella profezia. IO credo si trattasse di Hans, l'inverno perenne è stato sì provocato da Elsa, ma solo in seguito agli avvenimenti turbolenti e alla notizia shockante del fidanzamento di sua sorella con un uomo che non conosceva affatto. Il resto non credo sia necessario spiegarlo: Hans ha "governato" su Arendelle mentre Elsa ed Anna erano via e come sovrano ha messo su una temporanea facciata, che sarebbe crollata una volta sbarazzatosi delle due sorelle. Nella prima versione di questo capitolo, Anna tranquillizzava Elsa spiegandole queste teorie, alla fine ho cancellato il paragrafo che mi suonava un po' troppo "costruito" e "superficiale" rispetto l'intensità che avrei voluto raggiungere nella parte finale della storia.

 

E posso dire questa storia conclusa! Spero che il capitolo non vi abbia delusi (e che non ci siano troppi errori, l'ho riletto... ma sono un po' fusa oggi), so che probabilmente non è proprio come ve l'aspettavate, ma a qualcuno avevo già anticipato sarebbe stato diverso, rispetto i precedenti! :)
Avrei voluto scrivere un po' di più su Olaf, ma alla fine ho esaurito i miei pensieri più rapidamente di quanto avevo programmato di fare ed ho dovuto adattarmi, modificando anche parte della trama originale facendo tagli e aggiunte. Se fossi riuscita a concentrarmi più sul legame che c'era tra Elsa e il suo pupazzo di neve avrei probabilmente concluso questa storia con: "Elsa, il cielo si sta svegliando. E' ora di giocare". O qualcosa del genere.
Ho deciso di "riclare" parte del capitolo precedente per concludere quest'altro e spero di non aver avuto un'idea sbagliata o banale. Accidenti, devo ammettere di essermi dannata a scriverlo e mi piace ancor meno di quello sulla regina.
Devo decisamente tornare a dedicarmi alle one-shot.
Ancora un paio di righe per ringraziare di tutto cuore le persone che hanno letto questa storia, sopportandomi per tre capitoli; un ringraziamento speciale va
Kaninchen, _violetgirl_, _Uprising_, Lizzie Pazzotta, Stella Cadente, Set_WingedWarrior e alle carissime Feisty Pants, AngelVidel14 e Calime. Nove lettrici che mi hanno lasciato recensioni chilometriche, meravigliose ed apprezzatissime ai capitoli precedenti. Non avete idea di quanto vi adori, ragazze! 
Un altro grande ringraziamento alle
12 persone che hanno inserito la storia tra le preferite e alle 15 persone che l'hanno inserita tra le seguite.
Significa davvero molto per me.
Credo di avervi rotto abbastanza le scatole, ci leggiamo sicuramente in giro!
Ancora grazie a tutti! A presto,

Besos



 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2413724