Desclaimer: personaggi
e trame non mi appartengono, sono di proprietà della BBC. Se
lo fossero,
vedrete i miei scleri in tv. Che peccato u_u
TWO
WEEKS NOTICE
4.
Le
labbra si muovevano al rallentatore. Si aprivano
spalancando una bocca dalla dentatura perfetta, poi si stringevano tra
loro,
formando una piega sottile. D’un tratto il suo proprietario
le umettava ed ecco
che la punta della lingua scivolava leggera e veloce.
Altre
parole e quella bocca disegnava altri movimenti… un aprirsi
e un chiudersi, ecco che d’improvviso tacquero… e
poi di nuovo si mossero,
pronunciando un nome, sillabe sfuggite così elegantemente
alle labbra…
“Arthur…
Arthur!”
Tornare
alla realtà fu difficile. Molto difficile. Ma
soprattutto traumatizzante. Tutto quel rallentatore lo aveva stonato.
Arthur se
n’era reso conto quando il Genio gli aveva agitato una mano
davanti agli occhi
e lo aveva richiamato altre due volte.
Lui
aveva scacciato quella mano e aveva assunto la sua
espressione infastidita. Di solito quella funzionava con
tutti… a volte persino
con Gwaine.
“Ho
sentito, non sto dormendo.” Falso bugiardo. Non aveva
ascoltato neanche una parola di quello che gli aveva detto. Le sue
stupide
labbra lo avevano stupidamente incantato facendolo sembrare uno stupido
beota.
Terzo
giorno. Erano passate altre 48 ore, nelle quali
avevano lavorato ininterrottamente per cercare nuovi dati che
confutassero
quelli vecchi che il Genio aveva definito completamente
sballati.
Una
cosa di positivo c’era stata in quei giorni, però.
Da
quando il Genio gli aveva dato dell’idiota, aveva iniziato
anche a chiamarlo
per nome. Ora l’Arthur uscito
da
quelle labbra così carnose era più di quanto
pericoloso conoscesse, perché lo
istigava a pensieri decisamente poco pertinenti alla situazione. Molto
poco
pertinenti. Anzi, per niente pertinenti. A meno che non fossero stati
sul set
di un film porno.
“Allora…
cosa ho detto?”
Un’altra
cosa aveva scoperto Arthur in quei pochi giorni: il
Genio era un infame. Ma un infame patentato. L’avergli dato
dell’idiota non
solo lo aveva portato a chiamarlo per nome ma anche a prendersi delle
libertà
che poche persone si arrischiavano a cogliere. Tipo Gwaine, per
esempio.
Arthur
lo guardò malissimo arricciando le labbra e
incrociò
le braccia sperando di apparire severo con quella posa.
“Ti
ho già detto che ho sentito.”
Non
gliel’avrebbe data vinta, assolutamente no.
Il
Genio lo aveva guardato per alcuni istanti, negli occhi
un guizzo di impudenza che Arthur aveva notato ma anche ignorato,
perché
assieme a quelle stramaledette labbra carnose, faceva un bel duetto per
ben
altre situazioni.
“Bene.
Allora possiamo continuare…” il Genio aveva
interrotto l’intreccio di sguardi e Arthur, certo di aver
vinto, si era
rilassato prendendo in mano il bicchiere colmo di caffè e
portandolo alle
labbra.
“…torniamo
ai due milioni di sterline che dovrai sborsare.”
Arthur
non seppe se fu colpa del caffè bollente contro la
lingua, o il fatto che gli andò di traverso, o ancora la
storia dei due milioni
di sterline. Però seppe che per un momento la vita lo stava
abbandonando quando
l’aria nei polmoni smise di entrare e contemporaneamente il
liquido fuoriuscito
dalla tazza gli ustionava oltre che la trachea, anche una mano e una
gamba.
E
troppo impegnato a tossire sputacchiando caffè e saltando
dalla sedia come un idiota non si era subito accorto della risata del
suo nuovo
dipendente, scoppiata all’improvviso incurante del suo
dramma.
“Mer-lin!” esclamò
infuriato, la gola che ancora ardeva e gli faticava il respiro. Il
Genio
continuava a ridere senza ritegno, mentre lui cercava i kleenex nel
cassetto
della scrivania per tentare di ripulirsi. Ma quanto era bollente quel
maledetto
caffè?!
“Lo…hahaha
lo sapevo hahaha che non mi ascoltava! Hahaha!”
Adesso
assomigliava in maniera inquietante a Gwaine e il
pensiero per un attimo lo fece rabbrividire… non ne bastava
già uno?!
Ci
vollero altri colpi di tosse e una danza indiana del
caffè ustionante, prima che la trachea tornasse ad un
normale quanto rispettoso
funzionamento e le varie parti del corpo smettessero di bruciare. Solo
quando
fu certo di essere ancora vivo – oltre che di non dover
correre al reparto
grandi ustionati – Arthur controllò lo stato dei
suoi pantaloni. Strinse i
denti con forza, quando si rese conto dell’enorme macchia
scura che colorava la
stoffa. Un’orrenda macchia scura che deturpava la stoffa, per
essere precisi.
Una catastrofe.
“Merlin…”
un soffio venato di istinti omicida, gli sfuggì
dalle labbra e pare che servì a zittire quel beota che non
aveva mai smesso di
ridere per un momento.
“Hai
cinque minuti di tempo, per trovarmi un altro paio di
pantaloni.”
“Ma…”
“Hai
cinque minuti di tempo.”
“Io
non sono il tuo servo.”
“Cinque
minuti.”
Forse
il suo tono era davvero spaventoso. Perché vide il
Genio deglutire e guardarlo preoccupato per alcuni istanti.
“Potrei
darle i miei.”
Arthur
chiuse gli occhi per un momento. L’immagine del Genio
che si denudava gli attraversò il cervello ma la
scacciò immediatamente. Aveva
una riunione con suo padre nel primo pomeriggio e non poteva perdersi
in
chiacchiere con le sue fantasie.
“Non
essere idiota. Ci entra appena un quarto di me nei tuoi
pantaloni.”
“Ehi,
ma-“
“Sei
troppo secco, Merlin!”
Il
Genio sollevò le mani in segno di resa.
“D’accordo,
d’accordo, ho capito! Ci penso io!” si era alzato
in piedi e aveva raggiunto la
porta, prima che Arthur potesse rendersene conto. Che
l’ustione fosse arrivata
fino al cervello?
Lo
vide salutare con la mano e sorridere incoraggiante.
“Torno subito!”
Un
attimo dopo era da solo, pieno di caffè, mezzo bruciacchiato
e con in mano un kleenex che sgocciolava.
Dannato
lui e quelle maledette labbra!
««»»
Il
riflesso nello specchio diceva tutto. Arthur sedeva
impettito sulla tazza del water e fissava la sua stessa espressione
corrucciata,
rimandata dal grande specchio che ricopriva la parete del bagno. E
guardava, un
po’ la sua faccia irritata, un po’ i suoi nuovi
pantaloni.
Marroni.
L’Idiota – perché chiamarlo Genio in
quel frangente
gli sembrava impossibile – aveva scelto dei pantaloni
marroni.
Dopo
un tempo che lui aveva qualificato come interminabile –
e nel quale aveva vagato come un disperato nel suo ufficio e si era
pure
guadagnato una sequela di battutacce da parte di Gwaine che lo aveva
beccato in
quelle condizioni – Merlin l’idiota era ricomparso
tutto sorridente e
trionfante con una serie di sacchetti di carta appresso.
Gli
aveva consegnato una busta spiegando di avergli trovato
un paio di pantaloni in sostituzione e che per farsi perdonare, aveva
anche
portato il pranzo.
“Avanti,
si vada a cambiare.” Lo aveva esortato
allegramente. Buffo come passasse dal “tu” al
“lei” almeno venti volte diverse quando
apriva bocca.
Arthur
si era incantato ancora un attimo su quelle labbra
sorridenti, poi aveva scosso il capo, e afferrata la busta, era andato
in bagno
a cambiarsi.
Ora
fissava il riflesso nello specchio che gli mostrava la
sua faccia disperata e quegli orrendi pantaloni marroni.
“Come
faccio?” gemette, lanciando uno sguardo alla giacca
blu che era perfettamente in tinta con la camicia celeste chiaro che
aveva
scelto al mattino ma che stonava terribilmente con quegli odiosi,
schifosissimi
pantaloni marroni.
Prese
un lungo respiro. Doveva trovare una soluzione, a
momenti avrebbe avuto la riunione con suo padre e lui non poteva farsi
vedere
in quello stato. Già suo padre era abbastanza critico sul
suo lavoro, ci
mancava soltanto che lo rimproverasse davanti a tutto lo staff
amministrativo
su come vestiva.
“Ohhhh
sei un amore!” l’esclamazione non poteva
– ovviamente
– che non arrivare dall’ultima voce che Arthur in
quel momento avrebbe voluto
sentire.
Gwaine
entrò spavaldo nel bagno a braccia aperte e con il
suo solito sorriso storto. Arthur strinse i pugni: oggi forse lo
avrebbe
licenziato, sì.
“A
quanto pare il tuo Genio non è poi così bravo con
gli
abbinamenti.”
“Sta’
zitto, Gwaine! Sono in riunione con mio padre dopo
pranzo! Come pensi che possa fare a presentarmi conciato
così?”
“Effettivamente,
sei più da Centro Anziani che da
Amministratore Delegato.”
“Ti
odio.”
“Arthur!
Queste dichiarazioni così! E se qualcuno ci
scoprisse?”
Arthur
lo fissò con astio per alcuni lunghi istanti. Gwaine
in quel momento proprio non ci voleva e sospettava che quel bastardo
avesse
monitorato di proposito i suoi movimenti per continuare a sfotterlo.
Mentre
lo guardava avvelenato però, qualcosa colpì la
sua
attenzione. La camicia dell’amico quella mattina era di una
piacevole tinta
beige. Tinta che coi suoi pantaloni marroni… si intonava
perfettamente. E che
dire della cravatta?
L’espressione
di Arthur cambiò improvvisamente e un angolo
della bocca si sollevò senza che lui potesse evitarlo.
Gwaine si accorse di
quella differenza, perché di colpo smise di ridere e il suo
capo seppe
perfettamente cosa gli passasse per quella testa bacata.
Perché
erano pochissime le espressioni che funzionavano con
Gwaine e quella furba che gli stava mostrando in quel momento, era una
delle
elette.
L’amico
arretrò di istinto di un passo, sollevando le mani
quasi a protezione. Chissà perché aveva fiutato
il pericolo.
“Ehi,
che intendi fare?”
“Oh,
adesso lo vedrai.”
Un
quarto d’ora dopo, un Gwaine in canottiera si massaggiava
un braccio dolorante con aria imbronciata mentre Arthur sistemava allo
specchio
la sua nuova cravatta sotto al colletto della sua nuova camicia. Premi
di
guerra che si intonavano perfettamente su quei pantaloni marroni che
d’improvviso non gli erano parsi mai così belli.
“Mi
rivolgerò al sindacato.” Si lamentò
l’amico, ben
consapevole di non aver avuto alcuna chance nello scontro corpo a corpo con il suo
capo. Arthur era
troppo imponente e troppo forte e sebbene non fosse mai un tipo
violento,
quando c’era da salvare il suo orgoglio ed evitare di
andarsene in giro
conciato come Pippi Calzelunghe,
tirava fuori tutta la sua maschia virilità.
“Fa’
pure. Dì loro che ti ho costretto ad indossare una
camicia blu al posto di quella beige. Ti prenderanno sicuramente sul
serio.”
Uscì
dal bagno, felicemente soddisfatto, ignorando i mugugni
di Gwaine che non gli erano parsi mai così tanto celestiali
come in quel
momento.
Una
volta alla porta del suo ufficio, si fermò incerto. Non
aveva ancora deciso se presentarsi al Genio ancora arrabbiato per tutta
la
faccenda dei pantaloni oppure fare finta di niente. In fondo non era
certo di
voler tirare ancora molto la corda, se continuava a rimproverarlo, come
avrebbe
fatto ad entrare nelle sue grazie?
Prese
un respiro e si preparò a sorridere – anche se a
momenti aveva ancora voglia di strozzarlo per averlo messo
così in ridicolo –
quando sentì la sua voce provenire da dietro la porta
accostata quanto bastava
perché i suoni fossero ben distinti.
“Sì…
sì. Non mancherò. Certo, te lo avevo promesso.
Stasera
sono tutto tuo.”
Arthur
si accostò maggiormente impennando le antenne. Tutto
suo? Tutto suo di chi?
Chi
c’era dall’altro capo del telefono? E
perché aveva
quella voce così… dolce?
“Dai
non fare così. Stasera ne parliamo per bene.
Sì… sì, lo
sai che ci tengo. No, non è vero. Dai, ci vediamo alle nove
alle Mac Laren’s, adesso
devo tornare a lavoro. Va bene… anche a te. Ciao.”
Che
rumore fa la curiosità? Arthur non era sicuro che la
citazione fosse quella ma era di certo pertinente alla situazione.
Perché nella
sua testa la curiosità faceva un gran fracasso sottoforma di
una lunga serie di
domande senza risposta mischiate ad improperi più o meno
coloriti.
Che
fosse già impegnato? Per quello allora, era così
ritroso! Altrimenti con chi parlava? Con… la mamma?
Beh…
era una possibilità. O magari era la sorella o un
cugino, o un amico che lo voleva tutto per sé.
Diamine!
Doveva saperlo!
Attese
alcuni istanti, poi con mosse decise si aggrappò alla
maniglia per aprire la porta ed entrare nell’ufficio con
noncuranza. Come se
non fosse mai stato lì dietro tutto quel tempo ad origliare.
Per fortuna la sua
segretaria era scesa per il pranzo e nessuno lo aveva visto.
Il
Genio lo accolse con un sorriso, dopo aver cambiato la
sua espressione che prima – Arthur lo notò bene
– era tutta seria e assorta in
chissà quali pensieri.
Avrebbe
potuto fare qualche battuta sul suo nuovo
abbigliamento ma non lo fece: Arthur ebbe come la sensazione che il
pensiero
che aveva interrotto con il suo arrivo fosse ancora sospeso nella sua
testa e
gli impedisse di dargli totale attenzione.
Forse
fu quindi questa la causa di quei lunghi istanti di
silenzio che seguirono, nei quali Arthur si sentì vagamente
a disagio, come se
si fosse insinuato in una cosa privata. E quando l’imbarazzo
fu insopportabile,
sbuffò rumorosamente e si apprestò verso la
scrivania.
“Allora…
il mio pranzo?” domandò con un tono un
po’
scorbutico guardando ovunque tranne che verso il Genio.
Quello
parve scuotersi e finalmente si degnò di dargli
retta. “Oh… ah, sì. E’ in
quel sacchetto. Aspettavo lei per cominciare.”
Mentre
rovistava nella sua di busta, Arthur acchiappò quella
che gli aveva indicato e ci ficcò dentro il naso. Dopo un
attimo lo ritrasse
scioccato, lasciandosi sfuggire un lamento.
“Eh…
che cosa diavolo è?!”
La
domanda era retorica, molto retorica. Perché aveva capito
perfettamente cosa contenesse il suo sacchetto e quando raccolse la
confezione
di plastica trasparente e la sollevò alla luce del sole,
seppe con certezza di
non essersi sbagliato.
“E’
il suo pranzo.” Rispose il Genio con serafica
cattiveria.
Un’insalata.
Una
piccola, misera, striminzita, ipocalorica insalata.
Arthur
sollevò un angolo della bocca, stupito. No, forse
c’era il trucco, agitò il contenitore certo che
tra quel mucchio di insulse
foglioline verdi uscisse fuori qualche bocconcino di carne…
ma anche di pollo sarebbe
andato bene… dove diavolo erano i bocconcini?
“E’
tutto qui…?” domandò preoccupato, dopo
aver shakerato
l’insalata fino allo stremo manco avesse avuto in mano un
paio di maracas.
Il
Genio intanto aveva aperto già la sua di misera insalata
e ci si era avventato in maniera così famelica che Arthur
per un attimo si era
chiesto se non fosse il caso di agitare anche la sua in cerca dei
bocconcini.
Quando aveva sentito la domanda, aveva sollevato il capo ruminando come
una
capra e allargando i suoi occhi azzurri.
“Non
va bene?”
“Merlin…”
lo richiamò Arthur, un nome che sembrava quasi una
minaccia. “Per caso pensi che io debba mettermi a
dieta?”
Il
Genio sorrise dopo aver deglutito. “Beh….
Sì.”
Bang!
“Da
quello che ho visto ieri mangi malissimo ed effettivamente
il tuo fisico ne risente.”
Bang! Bang!
“Insomma,
hai detto tu prima che non entra nemmeno un quarto
di te nei miei pantaloni… quindi sei grasso!”
Bang! Ba-bang!
Eccolo
qui. L’orgoglio di Arthur Pendragon, crivellato di
colpi. Una tragica e inaspettata esecuzione, che lo aveva ridotto a
brandelli agonizzante
sul pavimento. Arthur poteva quasi vederlo, lì, tutto
sanguinolento…
Il
Genio incurante del suo eccidio, continuò serenamente a
mangiare la sua misera insalata, permettendo ad Arthur di riacquistare
lucidità
mentale.
“Merlin…”
“Dica…”
“Io
non sono grasso.”
Il
Genio sorrise furbo e Arthur potè notare perfettamente il
pezzetto di insalata verde scuro incastrato tra i denti. “Il
primo passo per
guarire è accettare di avere un problema, non lo
sai?”
Probabilmente
spiaccicargli sulla testa l’insalata non
sarebbe stata una mossa vincente, per il suo corteggiamento,
soprattutto ora
che forse c’era pure un signor
fidanzato
– conta fino a dieci… conta fino a
dieci… - perciò prese dei lunghi,
lunghissimi…. Ma proprio lunghi respiri, immaginando scene
alquanto truculente
con protagonisti la coppetta dell’insalata e la sua faccia.
Dopo
aver sfogato mentalmente tutta la sua vena omicida,
Arthur posò il contenitore sulla scrivania e si sedette
buttandosi sulla
poltrona girevole a peso morto. Era passata solo metà
giornata ma era già
esausto.
“Mi
è passata la fame”… e
voglio un cheeseburger!
Il
Genio non fece una piega, anzi quando finì lo pseudo
pranzo chiese al suo capo di poter consumare anche il suo di pasto, se
lui non
lo voleva. Arthur, ormai senza parole lo lasciò fare e
cercò disperatamente di
ignorare i gorgoglii del suo stomaco che reclamava cibo vero.
“Tu
non sai mangiare.” Sentenziò, osservandolo
sbafarsi la
seconda coppetta di insalata.
“Io
mangio sano.”
“Tu
mangi triste.”
Il
Genio ridacchiò. “Forse… ma fa
bene!”
“Una
volta però, devi provare a mangiare come dico io.
Vedrai se dopo torni alle insalatine.”
“Sfida
accettata.” Era particolarmente allegro quella
mattina, il Genio. E poi con quelle labbra adesso unte di olio
– Arthuuuur!
Contegno! –
“Beh...”
Arthur tentennò per un attimo ma ormai non poteva
tirarsi indietro, la conversazione del Genio al telefono era ancora la
sua
priorità e lui doveva sapere! “…che ne
pensi di stasera? Io, Gwaine e alcuni
del reparto contabilità andiamo a cenare assieme dopo il
lavoro.”
Arthur
lesse subito l’imbarazzo nei suoi occhi. Il modo con
cui si tirò indietro col busto e sospirò
impacciato cercando le parole.
“Mi
spiace ma…”
“Guarda
che non ti sto chiedendo un appuntamento.”
“Mi
pare ovvio, altrimenti avrei rinunciato a priori.”
Ba-ba-bang! Per un
attimo il suo orgoglio aveva tentato di rialzarsi, giustamente
bisognava dargli
il colpo di grazia.
“Ma
non è per questo…” continuò
il Genio. “Ho già un
impegno. Magari un’altra volta.” Gli rivolse un
sorriso di circostanza che ad
Arthur non piacque per niente.
Tutta
quella faccenda non gli piaceva. Pretendeva di sapere
con chi il Genio sarebbe uscito quella sera.
««»»
“Potrei
sapere dove andiamo?”
“Al
Mac Laren’s.”
“E…
sarebbe?”
“Un
pub, credo. Boh, ora che arriviamo vediamo.”
“Ma
sai almeno dov’è?”
“Da
queste parti credo… “
“Credi?!”
“Gwaine,
fai silenzio!”
Arthur
lanciò un’occhiata omicida verso
l’amico, che
nonostante non si fosse minimamente spaventato, ebbe almeno la decenza
di
chiudere la bocca.
Erano
trascorsi venti minuti buoni da quando avevano
posteggiato l’auto e si erano messi in cerca del locale
giusto. O meglio,
Arthur si era messo in cerca, Gwaine aveva continuato a seguirlo con la
sua
camminata ciondolante lamentandosi e facendo domande inutili per tutto
il
tempo.
Arthur
in effetti, non gli aveva spiegato esattamente dove
stessero andando né il perché. Si era limitato ad
arpionarlo nel bel mezzo del
corridoio dell’azienda appena finita la riunione con suo
padre – che si era
protratta per delle ore – e a portarselo dietro verso luoghi
sconosciuti.
Voleva
trovare quello stupido locale dove lo stupido Genio
doveva incontrarsi con chissà chi. Perché doveva
sapere.
Arthur
motivava quelle azioni come pura curiosità. Insomma,
per il bene del suo orgoglio – già abbondantemente
trivellato
dall’insensibilità del suo nuovo dipendente
– doveva sapere se l’uomo dagli
zigomi sporgenti ma soprattutto dalle labbra più carnose e
sensuali del mondo –
e ora che ci pensava anche quelle potevano rientrare nella categoria
carichi
sporgenti – lo avesse rifiutato un numero ormai imprecisato
di volte, per un
motivo molto semplice: era fidanzato.
In
quel caso molte spiegazioni avrebbero avuto un senso e
Arthur, oltre che a darsi una calmata, si sarebbe anche convinto che se
fosse
stato single, difficilmente si sarebbe comportato in quel becero modo.
“Non
sarà che stiamo facendo un appostamento?!”
Bingo.
Chissà perché quando c’era da pensare
male, Gwaine
capiva subito il punto. E l’occhiata che gli
lanciò Arthur non lasciava dubbi,
perché l’amico subito sorrise sornione e
sollevò un dito per indicarlo con
sarcasmo.
“Tu
sei fuori.”
“E
anche tu, quindi puoi capirmi.”
“Io
non ho mai pedinato nessuno.”
“No
ma sei andato dalla mia segretaria oggi per dirle che ti
avevo maltrattato e farti consolare.”
“E
come cavolo…”
“Io
so tutto, Gwaine. Sempre, ricordalo.”
“Bene!”
replicò piccato l’amico, imbronciando le labbra e
fermandosi di colpo sul posto, pronto a non muoversi più dal
marciapiede. “E
allora saprai anche che stava funzionando! E che stavo quasi per
spillarle un
appuntamento!”
“Che
lei avrebbe rifiutato! Avanti Gwaine ormai ti conosce!
Fai più bella figura se per un po’ la smetti di
chiederle di uscire ogni volta
che la incontri!” lo acchiappò per un braccio e
prese a tirarselo dietro. Lo
sentì sbuffare e mugugnare qualcosa come “principino
sottuttoio” e “pazzo
psicotico”
ma lui lo ignorò. Dove diavolo era quello stupido pub?
“Ovviamente
è con il mago del marketing che stai facendo lo
stalker.” Non era una domanda. Arthur non si prese nemmeno la
briga di
rispondere, anche perché poco dopo lesse l’insegna
che cercava. Ecco perché non
riusciva a vederlo: il locale era sotterraneo, vi si accedeva da una
scaletta
che portava verso il basso e l’insegna, dorata su sfondo
verde, era incassata
nel muro appena sopra l’entrata.
“Andiamo.”
Affrettò il passò controllando
l’orologio. Erano
le nove e mezzo, quindi stando alle parole del Genio dovevano essere
già lì da
mezzora. Santo cielo… forse, era diventato davvero uno
stalker.
Ignorò
il pensiero con una scrollata di spalle e molto
lentamente aprì la porta del locale, Gwaine intanto che lo
seguiva fischiettava
allegramente e canticchiava divertito qualcosa come: “adesso,
ci arrestano…
adesso ci arrestano…”
Ed
eccolo lì. Arthur poté notarlo subito, lui e chi
lo
accompagnava. Erano seduti al bancone, forse in attesa di un tavolo e
conversavano sommessamente. Il Genio era impeccabile come sempre,
giacca e
cravatta così come lo aveva lasciato al mattino. Anche
l’altro vestiva elegante
ma decisamente non appariva così brillante nel suo completo
come invece lo era
il signor Ho le labbra come un canotto e
me ne vanto.
Aveva
gli occhi piccoli e vicini, i capelli color paglia
sparati in tutte le direzioni e la mascella così quadrata da
far concorrenza a
Ridge di Beautiful. Insomma, per Arthur, abituato a circondarsi di cose
belle,
era decisamente brutto.
Davvero
il Genio stava con quel tipo?
A
quanto pareva sì. Perché d’un tratto lo
vide posargli la
mano su una spalla e lisciarla con affetto. Ridge
sorrise sommessamente e sfiorò con la sua mano quella che lo
accarezzava.
“Il
nostro Geniaccio, ha pure il fidanzato…”
cantilenò
Gwaine dietro di lui e quello fu troppo.
Fece
dietrofront e uscì di corsa dal locale prima di essere
visto e dimenticandosi pure di aver lasciato lì
l’amico.
Ora
aveva finalmente una spiegazione. Ma chissà
perché, la
cosa invece di tranquillizzarlo, lo infastidiva ancora di
più.
Continua…
Ehilàààà!!
Buongiorno a tutti!! Voglio scusarmi se questo
aggiornamento arriva con qualche giorno di ritardo ma ho avuto delle
settimane
parecchio impegnate per cui mi è stato difficile mettermi a
scrivere. Prometto
per chi segue l’altra mia storia “Il Momento
Giusto” che arriverà anche
quell’aggiornamento
lunedì, puntuale!!
Tornando
a noi e a questi due… beh. Complichiamo le cose,
ovviamente! Mica poteva essere tutto rose e fiori u_u Merlin ha di
nuovo
rifiutato Arthur, gli ha dato del grasso, lo ha ustionato e fatto
disperare
abbastanza XD hahaha per una volta è il nostro re a soffrire
invece che il mago
^^ come sono contenta!
Ogni
spiegazione ovviamente arriverà a tempo debito, ma
intanto pretendo le vostre teorie a riguardo! Hahahaha
In
questo capitolo inoltre, ho inserito una citazione, che
spero abbiate intuito! ;) il primo che la trova, vince un premio! XD
Ringrazio
con il cuore tutti coloro che leggono questa
storia, anche i silenziosi e in particolare coloro che la commentano
sempre con
entusiasmo! Un
abbraccio
stretto a LucyLu, One Day_Painless, areon,
Lunaris, brin leah, BBecks e shipalltheships! Vi adoro!! *-*
Al
prossimo capitolo mie care!
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