Can you see me?

di pandamito
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter One ***
Capitolo 2: *** Chapter Two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***
Capitolo 4: *** Chapter Four ***
Capitolo 5: *** Chapter Five ***
Capitolo 6: *** Chapter Six ***
Capitolo 7: *** Chapter Seven ***
Capitolo 8: *** Chapter Eight ***
Capitolo 9: *** Chapter Nine ***
Capitolo 10: *** Chapter Ten ***
Capitolo 11: *** Chapter Eleven ***
Capitolo 12: *** Chapter Twelve ***
Capitolo 13: *** Chapter Thirteen ***
Capitolo 14: *** Chapter Fourteen ***
Capitolo 15: *** Chapter Fifteen ***



Capitolo 1
*** Chapter One ***


 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  O N E –
 
 
Per definire l’ora di quel giorno lontano, potremmo dire che era esattamente il momento in cui tutti erano andati a dormire da poco, ma era abbastanza per non svegliarsi al minimo rumore.
Il silenzio regnava tra quelle stradine fatte di pietra e, mentre nei boschi vi era solo il buio che avvolgeva le sue belve, nelle vicinanze di Arendelle non era poi così difficile vedere, con la luna che sembrava cullare la città con la sua luce perlacea.
L’unico brusio era il vento che si faceva a poco a poco sempre più forte e freddo, ma nessuno poteva udirlo, perché tutti erano rintanati al sicuro nelle loro piccole case, sotto le coperte, al sicuro da ogni male. E un’ombra si divertiva a cavalcare quel vento del nord sopra le loro teste, quando nessuno poteva vederlo, per una ragione e per un’altra. 
La figura snella e lunga veniva trasportata leggera e si spostava in volo con grande maestria, considerando il vento come un saggio amico. Portava i capelli scompigliati di un bianco argenteo, candidi come la neve; gli occhi di un azzurro ghiaccio, intensi, e a proteggerlo vi erano solo una semplice felpa blu coperta di brina e dei larghi e comodi pantaloni. I piedi erano nudi, ma la cosa che più colpiva in quell’essere era il lungo bastone di legno ricurvo che stringeva saldamente in una mano, come un vecchio saggio il quale non era, perché in effetti dal suo aspetto si poteva dedurre fosse un ragazzo che neanche aveva raggiunto la maggiore età.
Lentamente dei piccoli fiocchi iniziarono a scendere dal cielo e a posarsi su ogni cosa che toccavano.
L’albino volava indisturbato, beandosi di quella notte silenziosa e serena, allontanandosi sempre di più dalla città e prendendo quota, quasi a voler toccare la luna. Dall’alto vide un qualcosa ergersi sopra la città, imponente e maestoso, che avrebbe fatto sentire chiunque piccolo e insignificante. Il diciassettenne lo osservò e, deciso, volò velocemente verso la sua meta.
Era vero, ne aveva visti tanti di palazzi, ma quello sembrava il più maestoso di tutti e non per la sua grandezza, bensì per la cura nei piccoli dettagli; sembrava una di quelle dimore calde e invitanti. Si avvicinò ad una delle fineste, ma non vedeva quasi nulla all’interno, era troppo buio.
D’un tratto sentì un rumore leggero di piccoli passi e abbassò il capo per vedere chi fosse. Lentamente scese di quota, avvicinandosi sempre più a quella che riconobbe come una bambina: aveva i capelli così chiari da potersi quasi confondere con la neve che aveva ricoperto il suolo, un paio di grandi occhi azzurri ed era vestita con una piccola vestaglia blu da notte. Era intenta a raccogliere la neve e modellarla per farne una sfera perfetta da appoggiare sopra ad un’altra che aveva già creato.
Lo spirito si appoggiò ad un muro immaginario nel vuoto, guardandola dall’altro verso il basso e sorridendo.
« Non hai i guanti, prenderai freddo » mormorò, convinto che quella bambina non potesse sentirlo.
Improvvisamente quella si fermò e alzò il capo proprio nella direzione del ragazzo, il che gli fece perdere un battito del cuore. No, non era possibile, sicuramente si stava sbagliando.
La bambina spalancò la bocca, sorpresa. « Come riesce a volare? » chiese.
Mancò poco che all’altro venisse un infarto… se non fosse per il fatto che era già morto!
Si guardò attorno, ma non vide nessuno. « Tu… puoi vedermi? » domandò, per sicurezza, puntandosi un dito contro il petto. Era scosso e si sentiva vulnerabile.
La bambina inclinò la testa, un po’ confusa. « Sì » rispose sincera, « perché non dovrei? »
Timorosamente, il ragazzo scese a terra e si avvicinò lentamente verso la minore, inginocchiandosi alla sua altezza e scrutandola, per trovare qualsiasi cosa fosse diversa da una normale altra bambina di quell’età.
« Sei la prima a potermi vedere » confessò il diciassettenne in un sussurro, continuando a fissarla incantato.
La bionda si sentì in soggezione e fece qualche passo indietro, intimorita. « E come mai? » biascicò timidamente, iniziando ad avere paura.
L’altro, accorgendosi dell’effetto che stava suscitando, scosse la testa, per riprendersi immediatamente. Non poteva farla di certo scappare. Era la prima volta in tutta la sua vita da spirito che parlava con qualcuno che potesse sentirlo e vederlo.
Eresse la schiena e tese la mano, cercando di apparire il più allegro possibile. « Sono Jack Frost, lo spirito dell’inverno. »
La bionda aggrottò le sopracciglia, ancora più confusa. « Come, prego? »
Jack ridacchiò, divertito da quella piccola figura che non gli arrivava neanche in vita se si fosse messo in piedi. « Sono uno spirito, ecco perché nessuno mi vede. Sono colui che porta l’inverno, crea il ghiaccio e la neve. »
La bimba ci rifletté un po’ su e poi porse il dorso della mano a Jack, senza stringere la sua, come aveva visto fare a sua madre. « Io sono Elsa, principessa di Arendelle » si presentò, facendo un piccolo inchino. Jack sorrise e sfiorò la sua piccola mano, posandole un delicato bacio sulla pelle chiara. Elsa rispose a quel sorriso, soddisfatta, ma poi tornò la curiosa bambina qual era. « E perché io ti vedo? »
Jack si sedette a gambe incrociate sul terreno bianco e freddo, pensieroso. « Non lo so » ammise, alzando le spalle. « Non mi era mai capitato prima d’ora. »
Il ragazzo spostò lo sguardo su Elsa, che lo fissava incuriosita, e poi sul piccolo pupazzo di neve che prima stava cercando di costruire. Impugnò il suo bastone e lo indirizzò verso il cumulo di neve; da esso fuoriuscì una flebile luce bianca, che sembrava formata da mille fiocchi di neve uniti, e andò a colpire il punto indicato. Subito la neve prese a modellarsi da sola, la bocca si formò con un grosso dente sporgente, dei sassolini si posizionarono al posto degli occhi e dei bottoni, mentre i rametti fecero da capelli e da braccia.
La piccola principessa si coprì la bocca con le mani, meravigliata. « Come hai fatto? » cercò di trattenersi dal gridare per non farsi scoprire, benché fosse visibilmente eccitata e puntasse i piedi nella neve.
« Te l’ho detto: controllo l’inverno. Posso fare tutto quello che mi pare con la neve e il ghiaccio e nessuno può dirmi niente! » esclamò fiero. Non lo disse apertamente, ma chiunque avesse conosciuto Jack Frost – peccato però che nessuno potesse farlo – almeno un po’ poteva capire quanto fosse felice in quel momento: non era più solo, non c’erano più soltanto lui, la luna e basta, ora c’era qualcun altro con cui poteva parlare e non avrebbe voluto smettere per un bel po’.
Elsa si allontanò di poco, correndo a prendere una lunga carota posata sulle scale e aggiustandola sul pupazzo di neve costruito, proprio all’altezza del naso. Sorrise, felice e soddisfatta.
« Come vuoi chiamarlo? » le chiese Jack, tamburellando sulle proprie ginocchia.
La bionda si strinse nelle spalle. « Non lo so. Tu come lo vuoi chiamare? »
« Tu come lo vuoi chiamare? » ripeté l’altro. « E’ tuo, devi decidere tu. »
La bambina fece un piccolo giro attorno al pupazzo e l’abino la seguì.
« Olaf » rispose la minore, timidamente.
Il ragazzo si accucciò dietro il loro “nuovo amico” e mosse piano i rametti delle braccia. « Ciao, sono Olaf e amo i caldi abbracci! » esclamò, cercando di imitare una voce buffa.
Elsa ridacchiò, abbracciando il pupazzo di neve e osservando Jack buttarsi indietro con la schiena ed iniziare a muovere braccia e gambe sul soffice letto bianco. Si avvicinò a lui, buttandosi a sua volta sul terreno innevato e creando un angelo.
L’albino la osservò incuriosito, dando voce alle proprie domande: « Non senti freddo senza guanti e niente? »
La biondina si voltò, scuotendo la testa. « No, mi piace la neve. Non sento mai freddo. »
Jack incrociò le braccia, pensando che era la stessa sensazione che provava lui, che forse andava vestito anche più leggero.
Elsa alzò il busto, fissando timidamente il ragazzo e attirando la sua attenzione. « Come riesci a volare? »
A sua volta il maggiore si tirò su e scrollò le spalle. « Non è che volo, riesco solo a controllare il vento e così lui mi porta ovunque io voglia. E’ più facile spostarmi, sennò come farei a portare l’inverno in ogni città? » spiegò. « Guarda, così. »
Jack puntò il bastone di legno verso la piccola principessa che, neanche se ne accorse, stava fluttuando a qualche centimetro di distanza dal suolo. Elsa sgranò gli occhi dallo stupore, sentendosi indifesa e piccola per quel potere. Fece scattare gli occhi azzurri verso quelli del maggiore, notando che si era avvicinato velocemente e ora entrambi stavano levitando da terra. Il diciassettenne porse la mano alla minore, così fragile e minuscola a confronto, e poi Elsa si lasciò cullare dal vento, stringendosi al petto di Jack e guardando il mondo oltre la sua spalla, che diventava sempre più piccolo e insignificante.
Andavano sempre più in alto, sempre più veloci, fino a che non vide neanche più i tetti delle case, i fiocchi di neve si facevano più violenti, ma lei non obiettava e teneva salda la presa sulla felpa dell'altro, quando per un tratto vide una leggera e umida nebbia avvolgerla e poi sparire. Lì si rese conto che Jack l'aveva portata oltre le nuvole, ma poi fece una capriola su sé stesso e si lasciò cadere in picchiata. Elsa strinse gli occhi dalla paura, cercando di non gridare, e quando sentì cambiare direzione e non udì nessuno schianto, aprì di nuovo gli occhi e si accorse che stava nuovamente volteggiando nell'aria, rasserenandosene.
Sulle labbra della giovane si dipinse un sorriso di felicità; si sentiva immensamente libera a farsi trasportare da quella brezza pungente, ma allo stesso tempo gentile. Volteggiava stretta a quel ragazzo da poco conosciuto, con cui non si sentiva in dovere di comportarsi da principessa; voleva essere libera come lui, fare quello che le pareva, poter controllare il freddo a suo piacimento... Ma ad Elsa, come primogenita dei sovrani di Arendelle, era stato insegnato quando i giochi dovevano finire.
Chiuse gli occhi, facendosi trasportare.
« Puoi portarmi fino a quella finestra lassù? » chiese, indicando una vetrata sul lato destro della facciata.
Jack non obiettò, anzi, la prese in braccio e, una volta arrivati lì, la sostenne per non farla cadere, mentre quella apriva pian piano la finestra, cercando di non fare rumore. Saltò dentro la stanza, facendo cenno a Jack con una mano di entrare, mentre con l'altra gli intimava di fare silenzio. L'albino toccò il tappeto sul pavimento con la punta dei piedi, sporcandolo di neve, mentre il gelido vento che lo accompagnava entrava con esso dall'apertura.
Il diciassettenne portò le mani - e il bastone - dietro la schiena, sfregandosele per bene.
« E' ora di andare a dormire? » chiese Jack in un sussurro e la minore annuì tristemente, guardandosi le punte dei piedi.
Il maggiore si avvicinò furtivo a lei, le sistemò una piccola tiara di ghiaccio cristallino sui morbidi capelli e poi le accarezzò le guance, posandole un bacio sulla fronte.
« Per te, principessa » le fece l'occhiolino.
Elsa toccò la corona, meravigliata, per poi buttarsi sulla felpa del ragazzo e non mollarla più.
« Non andartene, non voglio stare sola » bofonchiò, con il viso immerso nel tessuto che le tappava la bocca.
L'albino sorrise, sentendosi a disagio, e le accarezzò i capelli sperando che lo lasciasse andare.
« Verrò a trovarti anche domani » mormorò.
La biondina fece qualche passo indietro, cercando di trattenere qualsiasi lacrima o sentimento che avesse voluto uscire in quel momento. « Me lo prometti? »
Jack si alzò e fece un inchino verso la piccola principessa e lei rispose al saluto, prendendosi i lembi della vestaglia. Non staccò mai gli occhi da Jack dal momento che spiccò il volo dalla finestra fino a quando non lo vide più in cielo.
Chiuse la finestra, benché non sentisse freddo, e si mise sotto le coperte, imponendosi di dormire, anche se le riusciva maledettamente difficile.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Dovevo studiare storia dell'arte, dovevo guardare GoT, dovevo fare un sacco di cose ed alla fine ho pubblicato ciò... Non so nemmeno se ne sono felice o no. Penso di sì, penso... forse no. Lasciamo stare.
E' solo l'inizio, ma spero vi abbia almeno un po' incuriosito. Per ora so per certo che ci saranno una quindicina di capitoli, o forse più. Non li ho scritti tutti, ma magari, effettivamente solo questo per ora, ma ho fatto il background a quasi tutti per non dimenticarmi cosa voglio scrivere.
Quindi ora ho qualche domanda da porvi: sto scrivendo un crossover AU su Big Four, ambientato ad Hogwarts, e fin qui è tutto ok. Il problema è che non ho la minima idea di che titolo mettere. Perché, sinceramente, The magic rise of the tangled brave frozen dragons mi sembra un po' troppo scontato, anche se è quello che ci starebbe più a pennello. Non ho una canzone d'ispirazione, non ho una parola chiave, nulla di nulla.
Prossimamente dovrei anche iniziare:
  • Una raccolta di quattro drabbles/flashfics sui Big Four, una per ogni stagione.
  • Altra sui Big Four/Super Six, che si svolgerà sia dopo The Brave che molto probabilmente dopo/prima Dragon Trainers 2, ma prima de Le 5 leggende. Il punto è che non so se inserirla prima o dopo Frozen, in fatto di tempo.
  • Modern AU perché i disegni Jelsa ai nostri tempi sono troppo #swag e mi fanno morire. Se avete da consigliarmi, fate pure, della serie "Ommiodio, io vedrei bene Tizio a fare Cotoletta!" (???)
  • Dovrei fare un'altra AU Genderbender sempre sui Super Six. Il problema è che non ho la minima idea del contesto in cui collocarla.
  • Altre tremila cose che ora, ovviamente, non ricordo.
Inoltre ho da poco scritto una Pitch/Elsa *coff* Dark Elsa *coff* che è molto spoilah per questa long, ma dettagli. <3
Sinceramente non vi prometto assolutamente di finirla, ma lo spero, più che altro non contate che io aggiorni presto. Scordatevelo. Quindi o controllate le storie seguite, se decidete di seguirla, sennò arrendetevi al fato.
Ben presto, per mia gioia, ci sarà il banner della storia all'inizio e migliorerò l'html perché così mi fa un po' schifo, ma è molto provvisorio quindi bao.
Ricordate che sono @pandamito su twitter e Come una bestemmia. su facebook. Diffidate dalle imitazioni e se decidete di iniziare a seguirmi, sappiate che vi amerò forevah. <3
Ah, copia-incolla is per sempre the way. #hashtagarplatano
 
Baci e panda, Mito.

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Capitolo 2
*** Chapter Two ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  T W O –
 
 
Il camino era acceso ed era l’unica luce che risplendeva nella sala decorosa, ma Elsa cercava in tutti i modi di stargli lontano, perché di freddo non ne pativa, anzi sembrasse essere quasi disgustata da quel calore. Poggiava contro la finestra, le braccia incrociate al petto e gli occhi azzurri puntati ad osservare il cortile innevato. Olaf era ancora lì sotto, c’era sempre stato da quando quel giorno era arrivato l’inverno ad Arendelle, così com’era arrivato quel ragazzo che aveva rallegrato le giornate solitarie di Elsa. Ma, seppur ancor piccola, la bionda capiva che tra poco sarebbe arrivata la primavera, la neve si sarebbe sciolta e le nuvole avrebbero dovuto dare spazio ai raggi del sole; e ciò non la rallegrava per niente.
Si staccò dal vetro, camminando nervosamente per la sala e chiedendosi perché le domestiche le avessero vietato di entrare nelle stanze dei suoi genitori. Ogni tanto vedeva suo padre più agitato di lei, andare su e giù per il castello, seguito da guardie e così tanto immerso nel lavoro che non l’aveva degnata se non di qualche sguardo. Sua madre, invece, sembrava come scomparsa: oramai erano ore, se non giorni, che era chiusa in camera sua e la servitù si era dimezzava, le domestiche era quasi tutte con lei. Le avevano detto che forse presto avrebbe avuto finalmente un fratello o una sorella, ma lei non era più così tanto convinta di volerlo.
Improvvisamente sentì qualcosa battere alla finestra e si voltò, stringendo gli occhi azzurri a due fessure e vedendo un candido coniglio bianco bussare sul vetro con la propria zampina. Elsa batté le palpebre, mettendo in ordine i pensieri, ma sapeva esattamente a chi apparteneva quell’animaletto fatto di neve.
Come a confermare qualcosa che sapeva esattamente essere una certezza, una testa all’ingiù fece capolino, colpendo piano la finestra col dorso della mano per incitare la bambina ad aprirgli. Con tutti i pensieri che aveva in mente quasi se n’era dimenticata; Elsa andò immediatamente ad aprirgli, facendo entrare nella sala il vento gelido che come al solito lo accompagnava ovunque, ma che stranamente sembrava non scalfirla.
« Ti sono mancato, principessa? » ammiccò Jack Frost, facendole l’occhiolino e parlando col suo solito tono da sbruffone.
Elsa si sforzò di fargli un sorriso gentile, voltandosi verso la porta per accertarsi che nessuno sarebbe entrato nella stanza. Ma sapeva che non sarebbe successo, non quel giorno.
Sentì delle mani sfiorarle una guancia e lei le accarezzò, guardando Jack dritto in quelli occhi azzurri ancor più chiari e glaciali dei suoi. Se solo Elsa avesse saputo patire il freddo, avrebbe detto che quelle dello spirito non erano mani, bensì due lastre di ghiaccio puro.
« Cosa c’è che non va? » le domandò, inginocchiandosi alla sua altezza.
La biondina si guardò la punta delle scarpe, incerta. « Mia madre… » iniziò, titubante, « penso sia per partorite. »
Jack si mise comodo a gambe incrociate, ma non toccava il pavimento, la pungente brezza invernale che era penetrata precedentemente ora lo stava sollevando da terra di qualche centimetro.
« E non sei contenta? » chiese, pensando a tutte le volte che Elsa gli aveva ripetuto che non voleva essere più sola. « Finalmente avrai qualcuno con cui giocare, anche quando io non ci sarò. »
La bambina aggrottò le sopracciglia, colta di sorpresa da quelle parole vaghe, che le infondevano un brutto presentimento.
« Ma tu non te ne andrai » obiettò, « rimarrai sempre con me, vero? »
Jack rimase in silenzio, storcendo il muso. Si sentiva un bambino sorpreso a rubare caramelle e a cui risaliva il groppo in gola prima di chiedere scusa. Non aveva il coraggio di dirle su due piedi la verità, ma era stato sciocco e non aveva dato il giusto peso alle parole che doveva dire.
Gli occhi di Elsa si sgranarono ed i piccoli pugni iniziarono a battere impetuosamente sulla logora felpa blu di lui. « Non puoi andartene! » gridò, agitata. « Avevi promesso che saresti rimasto con me, non puoi andare via! »
L’albino portò un dito sulle labbra, intimandole di fare silenzio, per paura che qualcuno potesse sentirla. E sarebbe stato alquanto strano vedere una piccola principessa parlare da sola. Lì nessuno poteva vedere Jack Frost, perché nessuno credeva in lui. Nessuno tranne Elsa.
« Sei un bugiardo! » continuava a gridare la minore, sull’orlo delle lacrime.
Jack cercò di calmarla, afferrandole gli esili polsi e parlando piano. « Io non ti ho mentito » affermò. « Tornerò. Tornerò sempre, vedrai. Ma oramai sono restato fin troppo a lungo qui, devo portare l’inverno altrove. »
La minore tirò su col naso, fermandosi dal colpirlo ed ascoltando le sue parole per capire se stesse dicendo il vero. Ma, tanto, anche se Jack Frost le avesse mentito, lei comunque non sarebbe mai riuscita a non credere a qualcosa, se detta dalle sue labbra.
« E’ il mio compito come spirito, lo capisci? »
Elsa annuì tristemente e l’albino le accarezzò i capelli, sorridendole dolcemente.
« Ma io sarò sola » protestò la giovane.
Il maggiore ridacchiò, divertito dal sentire quella bambina comportarsi come qualcuno della sua età, quando solitamente era sempre composta ed educata. Lui di certo la preferiva così spontanea.
« No che non lo sarai. Presto avrai qualcuno a cui badare » le ricordò, facendole l’occhiolino.
L’altra tornò a guardarsi i piedi, ritirando il collo fra le spalle e borbottando: « Io non lo voglio. »
Jack ne rimase sorpreso, volteggiando in aria e facendo un giro su se stesso, per poi riscendere e tornare dalla piccola amica. « Come sarebbe a dire? »
Elsa si sedette e il ragazzo prese posto di fianco a lei. « Ho paura » ammise.
L’altro inclinò la testa, confuso. « Di cosa? »
« Io non so come si fa la sorella maggiore » disse in tono preoccupato. « E se non mi piace? Se i miei genitori vorranno più bene a lui e non a me? Se dovessimo odiarci? »
Jack osservò il viso delicato e paffuto della bambina, segnato dai continui timori, e lo accarezzò dolcemente. « Non lo sarai, Elsa » la rassicurò. « Vedrai, basterà comportarti come fai con me. » Strinse la giovane in un abbraccio, posandole delicatamente una mano sul capo ed accarezzandole i capelli. « E ti prenderai cura di lui. » La biondina affondò il viso nella solita felpa blu indossata dallo spirito, stringendolo forte per paura di perderlo. « Te ne prenderai cura come io faccio con te. »
« Io non sono te, io non so farlo » obiettò, allontanandosi di poco da lui e cercando di asciugarsi gli occhi.
Non era intenzione della giovane ferirlo e quelle parole le sembrarono così dure dopo averle dette, ma quando alzò lo sguardo verso l’amico, quello le sorrideva gentile, facendo rotolare il proprio bastone fra le mani.
« Sicura? »
Elsa alzò un sopracciglio, mentre il sorriso sulle labbra del ragazzo si faceva sempre più beffardo. La giovane principessa osservò le mani di Jack Frost sfregarsi fra loro, creando una sfera immaginaria, ma che velocemente si stava tramutando in neve creata dal nulla. Rimase rapita da quei gesti e dal loro continuo movimento, ma proprio quando la palla di neve aveva raggiunto la perfetta forma sferica, il ragazzo la lanciò in aria ed Elsa la seguì con gli occhi, guardandola esplodere in aria e ricadere sulle loro teste come mille scintillati cristalli. Ne rimase estasiata, rivolgendo i palmi delle mani verso il soffitto.
« Fra poco dovrò andarmene » la informò Jack, facendo scattare immediatamente l’attenzione della principessa verso di lui. L’albino era proteso verso di lei, i suoi occhi azzurro ghiaccio erano così vicini da toglierle il respiro. Avrebbe voluto restare così per sempre ed Elsa sentiva la paura invadere il proprio corpo, rinfacciandole che presto sarebbe stata di nuovo sola, o che avrebbe fallito come sorella maggiore. « Però non mentivo, ti dimostrerò che resterò per sempre con te. »
Jack avvicinò il palmo alla propria bocca e soffiò su esso, facendo volare una leggera e scintillante polverina, che finì per spruzzarsi sul viso di Elsa. Appena ne venne a contatto capì che erano dei semplici fiocchi di neve, ma improvvisamente sentì il corpo intorpidirsi ed un brivido la percorse lungo tutta la schiena. Strabuzzò gli occhi, estranea a quella nuova sensazione che pian piano si faceva spazio in lei, rimanendo immobile, ancora scioccata e confusa e non riuscendo a pronunciar parola, limitandosi solamente a guardare Jack con quegli occhi tristi che lo pregavano di non abbandonarlo. Il ragazzo si alzò da terra, aiutandosi col bastone ed Elsa lo seguì con lo sguardo.
D’un tratto qualcosa bussò alla porta, facendo scattare la testa bionda in quella direzione.
« Elsa, sei qui? » la voce di suo padre irruppe, aprendo la porta e neanche dandole il tempo di rispondere.
La sua figura alta e muscolosa fece capolino, posando lo sguardo su qualcosa dietro la piccola principessa. Elsa, per un attimo spaventata che suo padre potesse vedere Jack, si voltò immediatamente indietro, notando però che il suo amico era scomparso e la finestra era ancora aperta.
« Sei impazzita? » domandò suo padre, preoccupato. « Ti prenderai un malanno! »
Immediatamente corse a chiudere le ante di vetro e subito dopo Elsa gli chiese quanti giorni mancavano ancora al prossimo inverno, perché decise che li avrebbe contati fin quando lui non fosse tornato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Sono una cattiva persona perché ancora riesco a fare un banner decente ed anche se ci provo nessuno mi convince perché non riesco a trovare delle immagini adatte per un banner su questa fanfiction. Beh, in realtà non mi riesce nessun banner sui Super Six. C'è qualcosa contro di me.
Comunque io sono una bella persona ed inizierò una una mini-raccolta o qualcosa del genere sui Big Four dove tutti sono diventati dei guardiani/spiriti. <3 Il ragazzo sulla Luna ha pensato bene che esistono quattro stagioni e non solo l'inverno. #ifyouknowwhatImean
Stasera mangio cinese guardando Le 5 leggende e Dragon Trainer con gli amici. <3
Ecco, amicizia è quando si fanno cose del genere. Ed è anche il mio appuntamento tipo, perché mi drogherei di film e divani.
Inoltre ho già iniziato a scrivere una one-shot su una Pirate AU sempre sui Big Four, uh uh uh. Temete! <3
Per non parlare che io e delle mie amiche abbiamo fatto il marchio nero sulla borta del bagno delle ragazze della nostra scuola, ma dettagli. I bagni delle ragazze sono sempre maledetti, Harry Potter ha solo fatto aprire gli occhi alla gente. (???)
Uh, penso che non ci sia nient'altro da dire... forse...
Beh, se volete spulciare altre mie fanfiction io.... ne sarei.... cioè.... mi.... Va bé, basta. *la uccidono per tentato spam*
No, dai, sul serio, non vi elenco le altre mie trecentomila storie, però c'è Visualizzato da Elsa che è una raccolta di chat facebook tra lei e Jack Frost, lolle. E più la scrivo e più mi convinco ad iniziare la Modern AU sui Super Six.
Ho solo una domanda: ...................... me la sono appena scordata, damn.
Va bé, pazienza, era qualcosa sui genderbender sicuro. Quindi mi sembra ovvio che copia-incollerò lo spazio pubblicità e sponsor. (?)
Ricordate che sono @pandamito su twitter e Come una bestemmia. su facebook. Diffidate dalle imitazioni e se decidete di iniziare a seguirmi, sappiate che vi amerò forevah. <3
 
Baci e panda, Mito.

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Capitolo 3
*** Chapter Three ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  T H R E E –
 
 
Anna era sprofondata nel sonno ed Elsa sorrise dolcemente nell’osservare la sua sorellina iperattiva starsene buona buona e dormire come un angioletto. Le rimboccò le coperte per bene, le diede un bacio sulla fronte e poi spense la luce, chiudendosi la porta della camera alle spalle.
In punta di piedi e con la vestaglia attraversò i corridoi del palazzo, cercando di non farsi seguire dalle guardie notturne.
Erano passati anni e Jack Frost aveva ragione: quando finalmente la regina partorì, Elsa guardò quella piccola poppante sporca e strillante fra le braccia di sua madre. Ne era quasi disgustata, si chiedeva come avrebbe potuto amare qualcosa di così mostruoso. Ma poi, quando si avvicinò, vide quanto fosse effettivamente piccola e il modo in cui Anna smise di piangere e puntò i suoi occhi azzurri, così simili a quelli di Elsa, su di lei. E lì la maggiore capì che non avrebbe mai potuto farle del male.
Scivolò nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle e facendo attenzione a non fare rumore. Scattò una piccola corsetta in punta di piedi e aprì la finestra, facendo entrare il gelido vento d’inverno. Alzò gli occhi verso il cielo notturno, si guardò attorno, ma non vide nulla e così, delusa, se ne tornò dentro, tenendo la finestra spalancata, con un barlume di speranza che potesse venire.
Si sedette per terra, schiena poggiata al letto e gambe al petto.
Non ci sperava, sapeva per certo che sarebbe arrivato.
D’un tratto qualcosa di freddo e bagnato cadde sulla testolina bionda di Elsa, facendola drizzare in piedi. Scrollò il capo, facendo cadere la neve a terra, mentre Jack si slanciò per darle un piccolo bacio sulla punta del naso umido. La piccola principessa rimase di stucco, sia per il fatto che non si era accorta di lui, sia perché quel bacio freddo l’aveva spaesata; ma poi rise, divertita, coprendosi la bocca con una mano. Jack portò l’indice alle labbra in una richiesta muta e l’altra annuì, complice. Si presero la mano ed Elsa lo guidava, guardandosi attorno fuori dalla porta per controllare che non ci fosse nessuno e scivolando nell’ombra dei corridoi per dirigersi verso le cucine.
Sperava solo lì non ci fosse nessuno, ma in fondo chi voleva mettersi a cucinare proprio a quell’ora? C’erano pochi soldati all’interno del palazzo, i più erano di guardia fuori ed era comunque facile aggirarli per qualcuno che era nato lì, conoscendo ogni più piccolo passaggio segreto del palazzo di Arendelle. Qualcuno come Elsa.
Aprì uno spiraglio della porta della cucina, spiando se ci fosse veramente qualche servitore, ma ovviamente aveva ragione: non c’era nessuno. Tirò Jack per la mano, facendolo entrare e socchiudendo le ante, consapevole che dovevano fare il minimo rumore, se non volevano essere beccati.
Lo spirito sfregò le proprie mani, generando una tiara di ghiaccio con la quale incoronò la minore, simile a quella che le fece anni prima, al loro primo incontro. Elsa arrossì soddisfatta di quel regalo, poi imitò l’amico con le mani e da esse generò una corona come quella che portava sempre suo padre. Il ragazzo si inginocchiò in modo che la principessa potesse arrivare alla sua altezza e posargli il gioiello ghiacciato sul capo senza sforzi.
« Ecco, così sei pronto ad essere il mio re » scherzò lei.
Jack fece un inchino, porgendole una mano che la biondina accettò. « Mia regina » disse lui gentilmente, stando al gioco.
L’afferrò per i fianchi, facendola sedere sul bancone da cucina, mentre lui vi salì dandosi una semplice spinta. Elsa alzò il braccio sinuosamente, indicando un barattolo che iniziò a levitare, trasportato da un vento secco. Quando finalmente fu fra le sue mani, la piccola principessa aprì il contenitore, mostrando dei biscotti con le gocce di cioccolato all’amico e invitandolo a servirsi, richiesta di cui il ragazzo fu molto felice e accettò volentieri.
« Non va bene, stai crescendo troppo in fretta » mormorò Jack a bassa voce, seppur con difficoltà per la bocca impastata dai dolci.
« E non è un bene? » domandò la bionda, addentando un pezzo di quella delizia.
Jack Frost corrugò la fronte. « Perché mai dovrebbe esserlo? »
L’altra scrollò le spalle, innocentemente. « Così in poco tempo sarò abbastanza grande da poterti sposare. »
« Vero » concordò l’albino con una piccola risata contenuta. « Ma poi chi sarà la mia principessina? »
Elsa ci pensò un po’ su, rigirandosi un biscotto fra le dita. « Mh, Anna » propose alla fine. « Saremo un po’ i suoi genitori. »
« Tu e lei avete già dei genitori » le ricordò.
« Sì, ma non per sempre » obiettò la minore, al che Jack si spaventò un poco da quella affermazione e prese a fissarla basito. « Prima o poi io diventerò regina. »
L’albino annuì, convincendosi che quelle parole erano dette con innocenza.
« A che gioco giochiamo oggi? » chiese Elsa, facendo dondolare le gambe ancora troppo corte.
« A quello che vuoi » rispose l’altro, aggiungendo: « Ma prima raccontami qualcosa. Mi piace quando mi parli di cosa succede qui al castello. »
« E a me piace quando mi racconti le storie che ti fa vedere il vento » ammise la principessa di Arendelle, riferendosi ai soliti viaggi di Jack, quando si faceva trasportare dalle correnti per viaggiare da un paese all’altro.
Il ragazzo la smentì con un gesto della mano. « Sono solo piccole cose che mi capita di vedere. »
Non lo disse, ma quelle in realtà erano le sue storie preferite; non quelle della buona notte che le raccontavano le balie o quelle della mamma o del papà. Lei amava quando lo spirito le descriveva come un asino mangiava il pane che la fornaia lasciava a raffreddare sul davanzale, che ogni volta dava la colpa al marito, o di come piccoli troll si divertivano a rubare i vestiti di un viandante che si era concesso un bagno nel fiume.
L’aneddoto di quel giorno parlava – come tutte le sue storie, in fondo – di Anna e di ciò che faceva. Seppure avesse Elsa come figura di riferimento, più cresceva e più non le somigliava, se non per i lineamenti del viso. Se Elsa era ghiaccio, Anna era fuoco. Forse era per via del fatto che la maggiore la faceva sempre vincere a tutto, non riuscendo a resisterle.
C’era quella volta in cui era sgattaiolata nelle cucine e si era mangiata un pezzo dell’arrosto che sarebbe dovuto essere servito agli ospiti, quella in cui aveva riempito un sacco di neve e l’aveva disparsa per la sala grande, dicendo che anche lei poteva fare le magie, o quando fece cadere tutte le armature e s’incastrò in una di esse perché voleva provarla, ma poi non riusciva più a togliersela.
« E quindi è saltata sul tavolo per non far mangiare il formaggio a nessuno, credendo che fosse un pezzo di Luna? » ripeté il ragazzo, scoppiando a ridere.
La bionda annuì, proseguendo: « Io stavo solo scherzando quando ho detto che si accorciava perché la gente non faceva altro che prenderla per mangiarla! »
« Tua sorella deve saperne davvero poco della Luna » commentò, quasi orgoglioso di quello speciale legale che lui aveva col satellite.
Elsa saltò giù dal bancone, inclinando il capo. « Ti riferisci al ragazzo sulla Luna? »
L’altro annuì.
« Dimmi qualcosa di più su di lui, Jack! »
Il giovane si siede una spinta e si allontanò leggermente dal tavolo, librando e non toccando il pavimento per qualche decina di centimetri.
« Ma così ci sarà poco tempo per giocare » le fece notare. « Facciamo quando ritorno, va bene? »
La bionda sbuffò, guardandosi i piedi, scocciata, ma allo stesso tempo ragionevole, visto che era dall’inizio della serata che voleva giocare con l’amico e finora non avevano fatto altro che parlare. Non che le dispiacesse, certo, qualsiasi cosa facesse, se c’era Jack era già divertente per principio.
Alzò il capo, gli occhi vispi lo fissavano gongolando. « Giochiamo a nascondino » annunciò infine. Fece uno scatto verso l’albino, gli toccò un braccio e poi corse via. « Conti tu! » si lasciò sfuggire ad alta voce, pentendosene subito, mentre fuggiva dalla cucina.
« Non vale! » rispose Jack, non riuscendo a fingersi offeso e sorridendo divertito. Fece finta di chiudere gli occhi, in realtà sbirciando fra le ciglia e saltando i numeri a grandi passi. « Cento! » esclamò, concludendo la conta.
Uscì con calma dalla cucina, perlustrando i corridoi, guardando dentro armatura per armatura, controllando sotto ogni mobile, dietro ogni tenda o statua. Talvolta gli capitava anche di incontrare delle vere guardie, mezze addormentate, ma passava loro di fronte con tranquillità, beffandosi di loro e facendo qualche scherzo, beatamente immune, visto che nessuno poteva vederlo, mentre lui si divertiva a vedere la confusione sui loro volti.
Continuò la ricerca, fino a quando non vide un portone socchiuso, il che poteva significare o che qualcuno si era dimenticato di chiuderlo, o che qualcuno era entrato senza fare troppa attenzione. Un sorriso furbetto si dipinse sulle sue labbra, avanzando deciso ed entrando in quella che riconobbe come la sala grande del palazzo. Si girò attorno, concedendosi di osservare l’arredamento, consapevole che l’avrebbe rivisto solo l’anno dopo.
Il suo sguardo finì sul drappo di una tenda che aveva una sporgenza simile ad un bozzo e si trattenne dallo sghignazzare per la facile vittoria. Fece finta di guardare sotto i piccoli divani o sotto la lunga tavolta da pranzo posta alla fine della stanza.
« Ah, ma dove si sarà nascosta Elsa? » domandò ai muri, avvicinandosi furtivamente verso il nascondiglio di quella. Si appoggiò al muro con la schiena, facendo finta di nulla, mentre di fianco a lui la bambina era ancora coperta dall’enorme panno. Sollevò la mano in un gesto che fece alzare la tenda, mossa dall’aria. « Ops » si lasciò sfuggire l’albino, trionfante.
Sotto di essa, Elsa rimase come paralizzata, iniziando a comprendere che era stata scoperta. Il capo girò verso l’amico in un’espressione imbronciata. « Non vale! » protestò.
Jack si chinò e le diede un buffetto sul naso, che la fece arretrare. « Certo che vale! » disse, godendosi la vittoria. Stringendo il bastone in una mano, si allontanò, soddisfatto, percorrendo tutta la lunghezza della sala. « Pensavo avessi detto che eri brava a giocare a nascondino. »
« Ti ho fatto vincere » mentì la piccola principessa, correndogli dietro per raggiungerlo.
« E’ questo ciò che dici a tua sorella? » la schernì l’altro.
La verità era che, effettivamente, lei faceva vincere sempre Anna a nascondino, perché sapeva che si divertiva; giocando con Jack, invece, voleva sempre impegnarsi e dimostrargli quanto fosse brava, ma lui quando si trattava di divertirsi era sempre imbattibile. Aveva detto al ragazzo ciò che non rivelava mai ad Anna, con l’unica differenza che l’altro aveva vinto onestamente.
« Quindi la metti così? Vedremo alla rivincita! » ribatté la minore, con aria di sfida.
Elsa allungò una mano, andando a stringere quella libera di Jack e camminando l’uno di fianco all’altra, mano nella mano.
« Purtroppo non posso, principessa. Il vento si sta spostando e io devo seguirlo » le ricordò, dispiaciuto.
« Di già? » si lamentò la bionda, incurvando le labbra verso il basso. « L’inverno è sempre troppo breve. »
« Elsa? Cosa stai facendo? »
Una voce fece voltare di scatto la principessa, che vide la piccola figura di sua sorella sulla soglia del portone della sala. Lo spavento le fece lasciare immediatamente la mano di Jack, imbarazzata.
« Niente » mentì, visibilmente a disagio.
Anna saltellò allegramente verso di lei, d’un tratto tutta eccitata. « Facciamo le magie! » esclamò.
Elsa le fece segno di abbassare la voce, preoccupata che qualcuno potesse essersi svegliato. « Non si può, Anna. Perché non sei a letto? Vai a dormire. »
La rossa gonfiò le guance, imbronciandosi. « Anche tu sei sveglia » le fece notare. Touché, pensò la primogenita, non dandole però la soddisfazione della vittoria. « Stavi parlando. »
La bionda aggrottò la fronte. « Certo, con Jack Frost » spiegò, prendendo nuovamente per la mano il ragazzo e facendola dondolare.
Anna strabuzzò gli occhi, un po’ spaesata. « Jack… Frost? » pronunciò, seppur non con scioltezza. Alzò gli occhi un po’ più in alto, ma la sua espressione, seppur infantile, si fece preoccupata per la sorella. « Elsa, io non vedo nessuno. »
A quella dichiarazione, la maggiore rimane confusa, facendo scivolare via la mano da quella del ragazzo, che incominciò a volteggiarle attorno.
« Lei non può vedermi. Ricordi? Non sa di me, come può addirittura crederci? » spiegò il giovane.
Anna non poteva né vederlo né sentirlo e ciò intristì la primogenita. Voleva che sua sorella facesse parte di quel mondo pieno di divertimento, del quale lei godeva oramai da anni assieme al suo amico.
Piccoli cristalli fuoriuscirono dalle mani dell’albino e un coniglio di neve prese vita, iniziando a saltellare per la sala, attorno alle due bambine.
« Una magia! » esclamò la rossa, al che l’altra fu costretta a tapparle immediatamente la bocca con entrambe le mani.
La minore mugugnò qualcosa ed Elsa la guardò dritto negli occhi, troppo simili ai suoi.
Anna non poteva vedere Jack Frost perché non sapeva della sua esistenza. Ebbene, Elsa si promise che non solo Anna avrebbe imparato chi fosse lo spirito, ma avrebbe fatto di più. Prima o poi la sorella avrebbe giocato con loro, avrebbe aspettato tutti gli inverni alla finestra con lei, sperando nell’arrivo del ragazzo, e poi sarebbero cresciute, avrebbero imparato a cavalcare i venti, si sarebbero spostate con lui e sarebbero rimasti per sempre assieme a divertirsi.
La bionda, con un sorriso, lasciò andare le mani. « Jack Frost è lo spirito dell’inverno » spiegò. « E’ lui che mi ha dato i poteri. »
La rossa spalancò la bocca, meravigliata, per poi tramutare la sua espressione in felicità e incitò l’altra a continuare a raccontare.
Elsa le prese la mano, iniziando a camminare verso la porta, ma l’altra s’imputò con i piedi, trattenendola.
« Io voglio giocare, non voglio andare a dormire! » protestò.
La maggiore rifletté a un modo per convincere quella testa calda, sospirando. « Facciamo così: ora andiamo a dormire e quando sarà mattina giocheremo finché tu vorrai. »
« E faremo un pupazzo di neve? » chiese, facendole gli occhi dolci.
L’altra non poté che annuire e Anna fece finta di pensarci un po’ su, ma poi sorrise, abbastanza soddisfatta di quelle condizioni che era riuscita a ottenere.
S’incamminarono di nuovo per uscire verso i corridoi e stavolta Elsa strinse la piccola mano della sorella, pronta a raccontarle tutto ciò che sapeva su Jack Frost e tutte quelle storie che lui le aveva riportato dai suoi viaggi.
Prima di uscire dalla sala, però, si voltò e, come al solito, lui se n’era già andato.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Ve gusta la grafica? Sì? No? Beh, vi accontentate lo stesso.
Sono quasi riuscita a finire il progetto della Pirate AU, devo solo rifinire alcuni buchi nella trama e poi potrò pubblicare i primi capitoli, che ho già pronti. Si chiamerà... ah, no, non ha ancora un nome decente. Magnifico.
La Hogwarts AU invece un nome ce l'ha, Puff the magic dragon, e anche una trama, solo che ancora inizio a scrivere i capitoli.
Presto, si spera, comparirà anche la Modern AU, che personalmente come idea mi fa impazzire, che si chiamerà Community, visto che è parzialmente ispirata all'omonima serie, solo che devo trovare delle trame, visto che ogni capitolo sarà come un episodio, quindi non ci sarà una rigida continuità, nel senso che la "lezione morale" inizia e finisce in quel capitolo/episodio.
Anche Il diario del magnifico Jack Frost è coming soon e allo stesso tempo work in progress.
Quindi, per finire, se volete potete andare a spulciare Visualizzato da Elsa, la FrostQueen scritta come una chat di facebook, visto che è l'unica pubblicata.
Ringrazio la mia Ivola, che come al solito non serve a un platano, compro una vocale, rifiuto e passo avanti, grazie. #wtf
Ricordate che sono @pandamito su twitter e Come una bestemmia. su facebook. Diffidate dalle imitazioni e se decidete di iniziare a seguirmi, sappiate che vi amerò forevah. <3 Copia-incollah is the way.
 
Baci e panda, Mito.

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Capitolo 4
*** Chapter Four ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  F O U R –
 
 
Elsa non riusciva ad aspettare più, oramai. Con la faccia schiacciata contro il vetro, scrutava l'unica visuale del mondo che le era concessa, sperando di rivedere lo spirito a lei tanto caro e familiare.
Sentì il vetro scricchiolare e si allontanò immediatamente, quando notò che sotto il suo tocco si stavano formando piccoli cristalli di ghiaccio che si arrampicavano velocemente lungo tutta la finesta.
Gli occhi le iniziarono a pizzicare, come ogni volta che non riusciva a controllare il suo potere. Le faceva male ricordare il giorno in cui aveva fatto del male a sua sorella. Era stato tutto un terribile incidente, sì, ma tutti guardavano più in là.
Oramai non le era concesso più di vedere la sorella, non poteva uscire dalla sua stanza se non sorvegliata. Come poteva continuare a vivere così? Quando sarebbe finito tutto ciò?
Si sfregò le mani accarezzate dai guanti che il padre le aveva donato.
Celarlo, domarlo, non mostrarlo.
Si ripeté mentalmente quella formula, dandosi forza e conforto.
Improvvisamente qualcuno bussò tre colpi alla porta. La bionda s'intristì, sapendo perfettamente chi era, come da rituale. Ogni giorno sua sorella bussava alla sua porta e le faceva sempre la stessa domanda. E lei, di conseguenza, la mandava via. Doveva cacciarla.
« Elsa? » la voce di Anna la fece sussultare, incrinando il suo piccolo cuore. « Sei già in piedi oppure dormi? »
Il tappeto della stanza della maggiore iniziò a riempirsi di piccoli fiocchi di neve, che costrinsero la bionda ad arretrare. No! Non doveva avere paura, non doveva avere paura!
Si accucciò, portandosi le ginocchia al petto e stringendo forte la testa fra le mani.
Altri tre colpi giunsero alle sue orecchie.
Voleva che se ne andasse, non voleva sentire la sua voce, avrebbe fatto ancora più male. Non voleva ferire sua sorella, ma se Anna si fosse allontanata da lei, sarebbe stato più facile per tutti. O quasi.
Ma quando i colpi aumentarono, Elsa si accorse che quel rumore non proveniva più dalla porta, bensì dalla finestra. Alzò il capo e i suoi occhi azzurri s'illuminarono nel vedere il suo "vecchio" amico volare al di là del vetro. Scattò in piedi, correndo e aprendo la finestra per farlo entrare, tutta sorridente.
« Come sta la mia principessa? » domandò l'albino, entrando di getto nella stanza e portando un vento gelido con sé, che la bionda non sembrò temere.
Quella gli fece segno di fare silenzio, preoccupata che Anna potesse sentirlo. Oh, che sciocca che era! Solo dopo si ricordò che sua sorella non poteva ricordare chi era Jack Frost. In fondo i troll le avevano tolto tutti i ricordi inerenti ai suoi poteri, tralasciando il divertimento. Ma a cosa serviva il divertimento se ora non potevano più stare assieme?
Jack smise di svolazzare e scese lentamente, incrociando le gambe e arrivando all'altezza della piccola principessa.
« Cosa c'è? » domandò Jack, incuriosito, obbediendo agli ordini e abbassando la voce, sebbene non ne capisse il motivo.
Una voce arrivò dall'altra parte della porta: « Se tu vuoi spiegarmi come, faremo un bel pupazzo insieme. »
Elsa si voltò di scatto e Jack notò il terrore e la malinconia nei suoi occhi. « Vattene via, Anna! » gridò, cercando di assumere un tono duro e sprezzante, sebbene lo spirito potesse notare quanto sforzo e sacrificio stava impiegando la sua piccola amica per riuscire a dire quelle parole.
Ci fu silenzio per qualche istante, poi una voce malinconica si congedò: « Ok, ciao. »
Elsa aspettò qualche secondo per dar tempo alla sorella di andarsene e poi si lasciò sfuggire un respiro di sollievo, crollando a terra e sedendosi scompostamente.
Jack tamburellò il bastone sul pavimento, comprendolo di brina; poi sollevò il mento della bionda, riservandole uno sguardo severo.
« Che cosa sta succedendo? » chiese, volendoci capire qualcosa.
La minore abbassò nuovamente il capo, cercando di trovare la forza per spiegare al ragazzo ciò che era successo dallo scorso inverno. Una lieve brezza la fece lievitare di poco dal suolo.
« E' successo tutto l'anno scorso » iniziò, « io e Anna stavamo giocando, ma poi... e-era troppo veloce! » singhiozzò, cercando di ributtare le lacrime indietro. « Io non volevo! » gridò.
« Sh! » le intimò Jack, abbracciandola e accarezzandole il capo per calmarla. « Tranquilla, va tutto bene » le sussurrò. « Ce la puoi fare. »
Elsa si staccò un poco, tirando su il naso. « L'ho colpita! Potevo ucciderla, Jack! Potevo ucciderla! » La bionda cercò di smettere di respirare pesantemente, mettendosi una mano sul cuore e ascoltando il proprio battito. Prese un bel respiro e poi buttò tutta l'aria infuori. « I miei genitori l'hanno portata dai troll, le hanno tolto la memoria e non ricorderà più dei miei poteri » spiegò. « Hanno detto che sono pericolosa. »
« Ma no » obiettò il maggiore, accarezzandole il viso dalle lacrime. « Tu? Come potresti esserlo? Sei alta due mele e poco più e se metti un passo fuori sprofondi nella neve » la prese in giro, beccandosi un'occhiataccia - seppur divertita - dalla giovane.
Jack rusciva sempre a metterle il buon umore, qualsiasi cosa accadesse; era una sua capacità speciale. Lui, d'altro canto, metteva in gioco tutto se stesso, perché quella piccola bambina dai capelli chiari era l'unica sua amica, l'unica che potesse vederlo e con cui potesse parlare; e ora lei si ritrovava in una situazione simile a quello dello spirito: non poteva vedere nessuno, come Jack non poteva essere visto. Lei era rinchiusa in quella stanza, mentre il ragazzo non aveva una casa propria.
Picchiettò il bastone sul pavimento e d'un tratto dei delfini di neve cominciarono a saltare e nuotare attorno a Elsa, che spalancò gli occhi per la meraviglia e il suo muso lungo si trasformò in un sorriso infantile e sincero. L'albino la guardò dolcemente, soddisfatto come chi compiva una buona azione.
« Allora » interruppe quel momento, « a cosa vogliamo giocare oggi? Nascondino? »
La principessa si guardò attorno, un po' sconfortata. « Non posso uscire e non ci sono molti nascondigli qui » gli fece notare.
L'altro si grattò la nuca, incerto sul da farsi; quando ad un tratto qualcuno bussò alla porta, facendo immediatamente scattare la testa dei due verso di essa.
« Principessa Elsa, le ho portato il tè » fece la voce di una delle cameriere.
Jack smise di farla librare in aria e la bionda, toccando finalmente coi piedi per terra, si affrettò ad aprire la porta, facendo entrare la donna che posò un vassoio sulla scrivania, pieno di biscotti e con una teiera, una tazzina e una zuccheriera. Aspettò che quella uscisse, lasciandoli soli, per poi sfilarsi i guanti e creare un'altra tazza di ghiaccio cristallizzato, mentre Jack col suo bastone innalzava un tavolino circolare con tre sedie. La minore portò il vassoio al centro del tavolo, sedendosi educatamente.
Notando le tre sedie, però, chiese curiosa: « Perché una in più? »
Lo spirito puntò il bastone verso il posto vuoto, creando un piccolo pupazzo di neve senza naso. « Anche il nostro amico partecipa alla nostra cerimonia. »
Elsa ridacchiò, portandosi una mano di fronte alla bocca. « Olaf! »
« E ricordati che ama i caldi abbracci! » esclamò il ragazzo.
Il giorno dell'incidente - la principessa ricordava - aveva proprio cercato di creare Olaf coi suoi poteri, perché gliel'aveva chiesto Anna. Ed ecco com'era finita: rinchiuse nello stesso luogo, ma separate l'una dall'altra.
Cercando di ignorare quei pensieri, Elsa versò il tè nella tazza di Jack e nella propria, ma il maggiore si accorse che qualcosa aveva turbato la sua piccola amica, visto che non gli aveva risposto.
Di scatto Jack prese un biscotto e cercò di costringere la minore a mangiarlo tutto in un boccone.
« Smettila! » gridò, rendendosi conto solo dopo che avrebbe potuto attirare qualcuno della servitù o dei soldati lì fuori. 
« Mangia! » ordinò l'albino, mentre l'altra si dimenava e cercava di allontanarlo.
« Va bene, va bene, lo mangio! » esclamò la giovane, sghignazzando. Afferrò il biscotto e, lanciando un'occhiata all'amico, gli diede un morso, che nel frattempo ne aveva già addentato un altro. Si mise composta, con la schiena dritta e il mento in su, alzando il mignolo mentre portava la tazza di tè alle labbra. « Ehm, sir, questo tè è squisito » disse, cercando di imitare un accento occidentale.
« Oh, non so, milady, quello delle cinque è più soddisfacente, a mio parere » stette al gioco l'altro.
Entrambi risero e, dopo che Jack bevve qualche sorso, Elsa gli domandò: « Parlano proprio così, lì fuori? »
« Non proprio lì fuori » precisò il ragazzo. « Ma in Inghilterra giuro che fanno così. Mentre se passi per le strade della Cina vedi gente che mangia con delle bacchette e non so come facciano! Invece in Francia ho visto chef che cucinavano e mangiavano lumache, lo giuro! »
Elsa restava ad ascoltarlo, sempre rapita dalle storie dell'amico, che le raccontava ogni volta di nuovi luoghi che aveva scoperto o in cui era ritornato, portando con sé mille avventure.
« Raccontami una storia, Jackie! » lo spronò, poggiando il mento sulle sue piccole mani e i gomiti sul tavolo.
La porta si aprì, inaspettatamente, facendo entrare il re di Arendelle, che rimase sconvolto da quella scena.
« Elsa! » gridò, preoccupato, notando il tavolo di ghiaccio. Non badò alla tazzina in più, bensì si precipitò ad afferrare i guanti sulla scrivania. « Cosa avevamo detto? Devi cercare di controllare il tuo potere! »
« Papà, stavo solo giocando! » si giustificò la primogenita, sentendosi in colpa.
L'uomo s'inginocchiò per arrivare alla sua altezza. « Non puoi farlo uscire, devi reprimerlo, o il nostro lavoro non sarà servito a nulla. »
Jack si alzò dal tavolo, osservando la scena, incapace di interagire. Strinse i pugni lungo i fianchi, per qualche ragione quel discorso gli suscitava rabbia e frustrazione. Non era colpa di Elsa, lui lo sapeva e gli dispiaceva che la piccola principessa fosse rimproverata per qualcosa di innocuo.
« Devo andare a far scivolare i bambini con lo slittino in piazza » si congedò, consapevole che tanto nessuno oltre Elsa potesse sentirlo. « La storia te la racconto dopo quando torno, va bene? »
La bionda abbassò il capo, fingendo di rispondere al padre. « Sì, va bene. »
Il re infilò i guanti sulle mani della propria figlia, iniziando quella frase rituale che erano solito dire: « Celarlo... »
« Domarlo, non mostrarlo » concluse la minore.
« Non mostrarlo » ripetè il padre, sorridente. Accarezzò il capo alla bambina, fiero di lei. « Brava la mia principessa. »
Jack uscì da quella stanza, scorrazzando liberamente in giro per il castello, sicuro che nessuno tanto potesse fargli qualcosa. Si ritrovò a passare in un enorme salone e ricordava esattamente i giorni in cui lui ed Elsa avevano giocato lì per ore. Sorrise, per poi accorgersi di una piccola testa rossa distesa sul pavimento, che stringeva sul petto delle bambole. Si avvicinò e riconobbe in lei Anna, coi lineamenti così simili a quelli di sua sorella maggiore. L'albino notò una ciocca bianca fra i suoi capelli e - curioso, ma anche preoccupato - allungò la mano fino a toccarla. Di scatto Anna si alzò, con un brivido di freddo che la percorse lungo tutto il corpo. L'albino ritirò immediatamente la mano, quasi spaventato. Anna si guardò attorno ma non c'era nessuno, o almeno lei credeva così, visto che Jack era proprio di fronte a lei e la stava osservando. La rossa si alzò in piedi e trotterellò via, attraversando come se niente fosse il corpo di Jack, che si accasciò a terra, ansimante.
Ora ne era sicuro: Anna non ricordava nulla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Sono stata al Comicon di Napoli con la mia Ivola. La cosa bella è che ho trovato la serie completa di Capitan America: Ghiaccio - per restare in tema con la fanfiction, insomma -  anche se il terzo già ce l'avevo quindi voglio rivendermelo, yo. Solo che volevo tantissimo un anello con la testa di lupo degli Stark di GoT - e ce l'abbiamo con 'sto inverno - solo che mi andava largo al pollice, per dirvi tutto. Il bello è che il tizio mi ha detto anche che era la misura più piccola, per rendervi conto di che dita ho.
Comunque volevo dirvi che sono "tornata". Il periodo non è comunque uno felice, quindi scusatemi se non aggiorno Visualizzato da Elsa, ma di solito lo facevo quando mi venivano in mente cose stupide e non è questo il caso.
Però voglio seriamente decidere che libro iniziare a scrivere.
E quindi niente, bao.
Ricordate che sono @pandamito su twitter e Come una bestemmia. su facebook. 
#promettimeloned #hashtagsimportanti #hashtagsarplatano
 
Baci e panda, Mito.

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Capitolo 5
*** Chapter Five ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  F I V E –
 
 
« No! » gridò Elsa, scacciando con un gesto i suoi genitori, preoccupati quanto lei.
Si ritirarono lentamente, coi volti segnati dal dispiacere per la propria primogenita. 
Elsa si rannicchiò in un angolo della propria camera, distogliendo lo sguardo dalla neve sparsa per tutto il pavimento e sugli oggetti. Chiuse le mani a pugno, stringendole forte al petto, come se tenere quei candidi guanti ne valesse della sua vita... o quella di qualcun altro. Aveva paura come non mai, tutto ciò che faceva andava solo a danneggiare le vite di quelli che la circondavano, non combinava nulla di buono a stare lì, non sarebbe mai riuscita a diventare una brava regina se non riusciva a governare neanche se stessa e quello stupido potere. Perché più passavano gli anni e più peggiorava? Cosa c'era che non andava in lei? Era uno sbaglio, Elsa, un mostro che doveva essere rinchiuso.
Qualcosa di freddo le sfiorò una guancia, facendola sussultare e schiacciare contro il muro. Non che la bionda patisse il freddo, anzi, solo che così assorta nei suoi pensieri si era quasi dimenticata che Jack era nella sua stanza, prima disteso ad ascoltare sul suo letto, e ora qui di fronte a lei, cercando di darle conforto. Cercò di tranquillizzarsi, accettando l'abbraccio protettivo nell'amico e lasciandosi coccolare con il capo poggiato sul suo petto, ad ascoltare il respiro e il battito di lui. Da piccola era convinta che gli spiriti non avessero un cuore, invece lei riusciva a sentire quello di Jack e le infondeva una strana sensazione. 
Mentre l'albino le accarezzava dolcemente i capelli, alla dodicenne passò il lampo di un ricordo nella propria mente: erano passati, ma ricordava com'era felice il giorno in cui lo spirito dell'inverno le avesse fatto dono di quei poteri. Se glieli aveva dati, poteva anche toglierglieli? E perché proprio lei era stata la prescelta? Perché aveva condiviso con lei quel potere? Cosa voleva che facesse? E se invece Jack aveva in mente un piano? Se aveva progettato tutto? Se in realtà la stava davvero trasformando in un mostro?
La testa di Elsa si fece d’improvviso talmente pesante che dovette portarsi una mano alla fronte per sorreggerla.
« Che succede? » domandò la voce familiare che continuava ad essere al centro dei suoi pensieri.
A sentirla, la minore si staccò subito dal ragazzo, spingendolo via, spaventata, col timore che magari quello potesse farle del male. Jack? Farle del male? Nel profondo del suo cuore, Elsa sapeva che Jack non le avrebbe mai torto neanche un capello, eppure in quel momento quasi non riconosceva la figura amica che le era stata accanto tutti quegli inverni, rimanendo la sua unica e ultima ancora di salvezza.
« Cosa c'è? » continuò il maggiore, notando che la bionda indietreggiava a ogni passo che lui avanzava, come se avesse paura di lui. Quel pensiero le suonava così assurdo…
La principessa si fece coraggio, fermandosi, prendendo un bel respiro, drizzando schiena e mento e cercando di pronunciare nel tono più autoritario che riuscisse: « Devi togliermi i poteri. »
Quella richiesta fu peggiore di mille schegge che in un attimo ti trafiggono il corpo. Restò immobile, non proferendo parola. 
La bionda s'irritò nel non sentirsi rispondere. « Voglio che tu mi tolga i poteri » ripeté, stavolta più simile a una supplica.
Fu l'albino ad arretrare, come un bambino capriccioso. « No. »
Elsa sgranò gli occhi, non potendo credere alle proprie orecchie. « Come sarebbe a dire no? » chiese, cercando di mantenere la calma e di non alterarsi. « Io non lo voglio più questo stupido potere! Fa schifo! » esclamò, sull'orlo delle lacrime per il nervoso.
Il maggiore scosse la testa, obiettando. « No, Elsa, i poteri non sono una maledizione. Te li ho dati perché potessi fare del bene, come me. »
L'altra alzò un sopracciglio, sentendosi presa in giro da quelle parole per l'orribile destino che le era toccato. « Tu vai in giro per le città a combinare guai e a fare quello che ti pare... »
« Faccio divertire la gente! » precisò lo spirito, cercando di farla ragionare.
« Tu sei libero! Io invece sono rinchiusa qui, non posso uscire, non posso vedere nessuno... Mi hai rovinato la vita! » si lamentò, disperata, scoppiando a piangere. 
« No, non è vero, tu puoi fare del bene... » Jack cercò di avvicinarsi a lei con cautela, ponendo le mani in avanti. Non aveva paura di farle male o che lei facesse del male a lui; la sua unica preoccupazione era che Elsa lo odiasse e se così fosse stato, non riusciva a capacitarsi di come avrebbe fatto ad andare avanti. « Devi solo imparare a controllarlo. »
La minore, vedendolo avanzare, si fece prendere dal panico. « Non ti avvicinare! » gridò, sbattendo contro la porta. Quando tutto attorno a lei prese a ghiacciarsi, si rese conto di aver alzato troppo la voce, ora timorosa che qualcuno sarebbe potuto accorrere da lei. Si voltò verso la porta, notando come per sbaglio l'aveva sigillata col ghiaccio. Si strinse nelle spalle, continuando a piangere e sentendo anche le lacrime farsi dure e cristalline. « Jack, io ho quasi ucciso mia sorella... » sussurrò, quasi priva di forze, e continuando: « e va sempre peggio. Gli altri non fanno altro che soffrire a causa mia. Sono stanca. Andrebbe meglio se non ci fossi... » Elsa si andò a sedere sul proprio letto, sospirando e rivolgendo uno sguardo triste e al limite verso il proprio amico. « Ti prego, Jack, toglimi i poteri. » L'altro scosse la testa, sentendosi immensamente in colpa. Elsa strinse i pugni, abbandonandosi di nuovo ai lamenti. « Perché non vuoi farlo? »
« Non posso! » obiettò lo spirito, interrompendola. Strinse le mani attorno al suo bastone, in difficoltà. « Non so come fare. Non ho questa capacità. »
Trascorse qualche istante prima che la minore parlasse di nuovo. Quei secondi sembrarono infiniti e così carichi di tensione che all'albino sembrò di morire... di nuovo, benché non potesse ricordare il proprio passato.
« Tu menti. » La voce di Elsa non era la stessa, non aveva mai sentito quel tono di lei così intriso di odio e astio. Verso di lui. Quando alzò lo sguardo su di lei, il maggiore poté vedere gli occhi azzurri dell'amica farsi sottili e cupi, il volto teso, le labbra strette, i pugni contratti fino a scavarsi nei palmi con le unghie. Si alzò di scatto, avanzando rapidamente verso di lui, quasi che Jack per un istante fu percorso da un brivido di paura verso quella ragazzina così piccola e dolce. « I tuoi occhi non riescono mai a mentirmi. Perché vuoi farmi restare così per sempre? » Era di fronte a lui, in piedi, con lo sguardo fisso nei suoi occhi, mettendolo a nudo, in soggezione. Jack si sentiva ferito, anzi era stato lui a ferirla, ma non riuscì a reggere quello sguardo, costretto così a volgere il capo da un'altra parte per non essere in dovere di affrontarla. « Ho capito... Tu vuoi che io resti un mostro. Tu mi vuoi usare! »
Il maggiore sgranò gli occhi, notando come la bambina stesse arrivando al lume della ragione. Lo prese a colpire forte sul petto, piangendo, insultandolo.
« Sai che non è così! » continuava a gridare il giovane, cercando di farsi ascoltare. Ma era tutto inutile. Afferrò i polsi della minore, cercando di immobilizzarla, ma quella continuò a dimenarsi e ad urlare. La strinse così forte al suo petto che le impedì di muovere le braccia, mentre lui premeva le sue labbra sulla fronte della minore. Sentiva i suoi singhiozzi, i suoi gemiti, il suo respiro corto e il suo battito accellerato. La piccola Elsa che aveva giurato di proteggere, ora stava piangendo fra le sue braccia a causa sua. Le posò un lungo bacio sulla fronte e sciolse la presa una volta assicuratosi che la ragazza non aveva più alcuna intenzione di colpirlo, allo stremo delle forze. Le afferrò il viso fra le mani, premendo le loro teste l'una contro l'altra e facendo sfiorare i loro nasi. « Sai che io non ti farei mai del male » le sussurrò con voce incrinata, così come lo era il suo cuore. 
« Ma me ne hai già fatto... » mormorò la bionda, sentendosi debole e afflosciandosi, sorretta dalle braccia di Jack e cercando di stringersi alle sue spalle per non cadere. 
Gli occhi gli pizzicavano, mentre avvolgeva quell'esile e piccola figura. Non voleva privarla dei poteri, ma non voleva nemmeno che lo odiasse. Si vergognava a dire la verità. Alla fine Jack Frost si era dimostrato il terribile egoista qual era e come veniva conosciuto da tutti.
Non era meglio farla finita? Erano questi i pensieri di Elsa in quel momento. Meglio non vivere, che una vita così. Ma poi come sarebbero stati i suoi genitori? E Anna? Meglio, le suggerì una voce nella sua testa. Ecco qual era la risposta. Chissà se la morte era così dolce come quel tocco che riusciva a confortarla.
Improvvisamente si risvegliò dai propri pensieri e la principessa spinse brutalmente via la figura del proprio protettore, allontanandosi velocemente da lui, spaventata, disperata, inorridita. Si strinse nelle spalle, a braccia conserte sotto al petto, cercando di afferrarsi le braccia come artigli di un animale famelico sulla propria preda, per sentirsi al sicuro, benché le proprie dita fossero protette dai guanti. Gli occhi guizzavano da un punto all'altro nella stanza, sgranati, instabili, osservando quella figura un tempo amica e che ora le sembrava il peggior aguzzino potesse esserci al mondo.
« Vattene! » urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Jack non poteva credere a quella parole, a quella reazione così esagerata. Cosa stava accadendo alla sua piccola Elsa? In cosa l'aveva trasformata? Provò a tenderle una mano. « Elsa, ti prego... »
« Vattene! » continuò quella ancora più forte, spingendosi contro la parete e chiudendo gli occhi per il terrore che provava. 
Lo spirito dell'inverno sobbalzò per quel grido e poi schegge appuntite vennero sprigionate involontariamente dal corpo della bionda, come saette; e l'avrebbero di certo colpito, se prontamente non avesse avuto il suo bastone a difenderlo. Fissò per un'istante quella figura smarrita, ma poi fuggì dalla finestra, accompagnato dal vento. Gli occhi gli bruciavano, a lui che da quando ricordava non aveva conosciuto altro che il gelo.
Era frustrato per tutta quella situazione. Non era altro che un egoista. Possibile che mettesse a repentaglio la vita di così tante persone unicamente per la propria felicità? Voleva che Elsa restasse con lui, che lo capisse come aveva sempre fatto, voleva... Effettivamente voleva che diventasse come lui, in modo da poter viaggiare assieme, vivere avventure e andare a fare quello che volevano per sempre. Ma così la stava trasformando in una reclusa, come lui era destinato ad essere. Le aveva rovinato la vita solo perché voleva migliorare la sua e ora lei lo odiava. In fondo Jack Frost non sapeva far altro che rompere le cose e portare il caos ovunque quandasse.
Si concesse di guardare la finestra della camera di Elsa un'ultima volta.
Era veramente tutto finito in quel modo? Non l'avrebbe voluto più con sé? No, non poteva finire così, si disse. Avrebbe trovato una soluzione a tutti i costi, qualcosa che magari poteva accontentare entrambi. Si diede una spinta, lasciandosi trasportare dal vento del nord. Forse avrebbe trovato qualcosa in giro per il mondo.
Quando riaprì gli occhi, però, Elsa non vide veramente nessuno, solo la brina che ricopriva la sua stanza e la finestra spalancata. Se n'era andato veramente? O forse non era mai esistito? La bionda si prese la testa fra le mani, le sembrava stesse per scoppiare, confusa com'era. E se si fosse immaginata veramente tutto? Si osservò immediatamente le mani guantate e il respiro si fece più corto e faticoso. 
« Principessa Elsa, tutto bene? » domandò la voce di una cameriera, che cercava di aprire inutilmente la porta ghiacciata. « Principessa Elsa, risponda, per favore! Apra la porta! »
E invece la principessa di Arendelle fuggì come ogni volta che non voleva affrontare qualcosa, l'unica soluzione che conosceva. Si rifugiò sotto al letto, rannicchiandosi nell'oscurità e sperando che più nessuno la trovasse. Voleva rimanere lì, al sicuro, lontana da tutti.
Sentì più voci provenire dall'esterno e discutere. Ci furono vari colpi, poi il rumore di qualcosa che veniva forzato, il tintinnio dell'armatura delle guardie, il ticchettio delle scarpe delle cameriere.
« Principessa Elsa! » gridò qualcuno. « Dov'è finita? Per favore, risponda! »
« Ho sentito qualcosa » disse un'altra voce, incitando gli altri a fare silenzio.
Quando nessuno fiatò, persino la bionda poté riconoscere il suono indistinto del proprio respiro pesante. Si tappò immediatamente la bocca con una mano, ma era troppo tardi. Qualcuno sollevò le coperte del letto, accucciandosi e facendo filtrare la luce in quell'oscurità in cui si era rifugiata.
« Principessa Elsa » sospirò la sua cameriera, preannunciando un rimprovero, « se continua a nascondersi sotto al letto, la verrà a trovare l'uomo nero. Quante volte gliel'ho detto? »
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Sono diventata Borgiacest dipendente, ma questo non c'entra nulla.
E' quasi finita la scuola, yo, ma mi ritrovo ad affrontare il grande dilemma che afflige tutta l'umanità: riuscirò a non avere il debito a matematica? Compatitemi.
Uhm, non ho voglia molto di parlare perché sto passando un periodo difficile, quindi ringrazio tutti quelli che mi sono vicino (sembra che sto a fa il discorso per il premio Nobel, io boh) specialmente la mia Macky e la mia Ivola, che oltretutto mi ha anche betato il capitolo... In realtà è un suo dovere, ma dettagli.
Ricordate che sono @pandamito su twitter e Come una bestemmia. su facebook.
Ah, per ora questo è il capitolo che mi piace di più, però ammetto che non volevo l'ora di scrivere il prossimo capitolo perché inserirò tutti i miei peggio headcanons. (?)
Bao.
 
Baci e panda, Mito.

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Capitolo 6
*** Chapter Six ***


 

 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  S I X –
 
 
Era così buio che non riusciva a distinguere più neanche il proprio corpo. Era piccolo e terribilmente debole, costretto a restare in quei meandri umidi e oscuri, senza nessuno. A volte un debole vento soffiava nella caverna, facendo oscillare le gabbie di ferro sospese in aria e provocando strani rumori. Avrebbe tanto voluto che quelle fossero voci vere, che qualcuno fosse venuto a parlargli per davvero, in modo da non restare ancora solo. 
Ma chi voleva prendere in giro? Oramai l'avevano abbandonato tutti, troppo felici e spensierati, troppo impegnati a preoccuparsi solo di se stessi e non di lui, dimenticato e allontanato dalla realtà.
Non era capace neanche di muoversi, strisciava a fatica, cercando di aggrapparsi a qualcosa, ma si sentiva perennemente stanco. Da quanto tempo era lì per terra, disteso, senza qualcuno che lo aiutasse? Gli sarebbe piaciuto tanto dire che fossero stati mesi o addirittura anni, ma lui sapeva che erano passati secoli oramai dall'ultima volta in cui aveva camminato con fierezza e forza fra quelle pareti, eretto in tutta la sua altezza, capace di trasformare quella caverna nella sua più calorosa dimora.
Ora aveva l'aspetto rinsecchito, pareva un bambino, curvo su se stesso; era felice di non potersi vedere in quelle tenebre.
D'un tratto un suono gli arrivò alle orecchie, dapprima flebile. Pensò fosse il vento; poi, però, cominciò a farsi strada fra gli echi che generavano quelle pareti. 
Che cos'era? 
Un pianto.
Ma di chi?
Quel rumore fastidioso gli riempì la testa, era diventato così forse che l'essere non distingueva più nessun altro suono – non che ce ne fossero chissà quanti da ascoltare. Cercò di tapparsi le orecchie con le mani, ma il suono sembrava radicato dentro la sua mente. Gridò, un grido strozzato, acuto, disperato, ma tanto nessuno sarebbe arrivato in suo soccorso.
Eppure dopo il dolore fu pervaso da un senso di tepore, si sentì protetto da qualcosa, non sentiva più niente, ma pian piano riusciva di nuovo a controllare il proprio corpo, come se stesse nuovamente riacquistando le forze. 
A fatica si fece leva sui gomiti, riuscendo a mettersi in piedi. Le gambe gli tremavano, restava ancora un po' con la schiena curva per paura di sbilanciarsi e doveva abituarsi di nuovo a muovere gli arti, ma in qualche modo stava ritornando un essere normale. Si guardò istintivamente le mani, rigirandole; la magia che aveva acquisito era poca, ma tanto bastava per creare un fumo nero con un movimento del polso, il quale si solidificò in un appoggio simile a un bastone. Con quello si aiutò ad uscire dal suo nascondiglio, girovagando lentamente e con fatica attraverso quelle pareti rocciose e tetre.
Una tremula luce proveniva da un punto lontano e in alto alla caverna. L'uomo alzò il capo, cercando di capire da cosa fosse causata e decise di raggiungerla senza neanche soffermarsi troppo a pensarci; gli venì quasi istintivo, come se ne fosse attratto.
Fu costretto a strappare la sua veste di stracci per non rimanere impigliato negli spuntoni di roccia, i piedi sporchi e nudi gli dolevano a contatto col suolo duro e imperfetto, venivano ripetutamente graffiati, fin troppo deboli per potersi permettere di continuare. Ma desiderava troppo arrivare a quella luce per concedersi una pausa per riposare, aveva paura che se l'avesse fatto quella sarebbe volata via e lui non avrebbe mai più potuto rivederla. Arrivò dinanzi a una ripida scalata, titubante e affaticato, ma non si arrese. 
Fece scomparire il bastone d'appoggio, che tornò ad essere fumo, e si aggrappò alle sporgenze per risalire il muro, mentre le sue mani venivano ferite tanto più si spingeva in alto. Era costretto a fermarsi e stare appeso finché non riusciva a riprendere fiato, cercando di non guardare giù per perdere l'equilibrio e schiantarsi al suolo.
Arrivò in cima alla parete, tirandosi su e rotolando stremato sulla pietra. Respirava velocemente, prendendo piccole boccate d'aria e rilasciandole. Aprì gli occhi e vide il soffitto della caverna poco distante da lui, con appuntite stalattiti protese verso di lui. Si costrinse a mettersi su e notò una fessura nel soffito, un piccolo buco nero da cui fuoriuscivano assi di legno spezzate. 
Alzandosi in piedi, l'uomo sbattè la testa e così fu costretto a piegarsi, ma in tal modo gli fu più semplice darsi un piccolo slancio per aggrapparsi ai margini del buco da cui proveniva quella luce. Fece leva con le braccia, ma dove sbucò continuava a essere buio, se non per una piccola fessura in basso.
L'essere rinsecchito si sentì chiuso e stretto e di fatti sotto di lui vi era un pavimento di legno, sopra altre assi di legno e qualcosa di morbido e soffice, da un lato un muro - ma non duro e ruvido come quello a cui era abituato - e dall'altro lato una leggera coperta che faceva filtrare lo spiraglio di luce. La scostò e strisciò via da quel nascondiglio.
La luce che lo colpì gli fece male agli occhi, costringendolo a chiuderli con le mani di fronte al volto, ma poco a poco tentò di aprirli, abituando la propria vista. Era la luce argentea della Luna che se ne stava maestosa in cielo, filtrando i suoi pallidi raggi dalla finestra e illuminando la stanza. L'ombra la guardò come si guarda una vecchia amica, con inspiegabile nostalgia e malinconia.
Osservò tutto ciò che lo circondava nei minimi dettagli: la scrivania in quercia, i libri dalle copertine colorate sugli scaffali, l'enorme porta, l'alto e ampio armadio con le ante incise di ghirigori, le vetrate della finestra, decorata con delle tende in tonalità pastello e, infine, il soffice letto su cui vi era rannicchiata una giovane, supina e in lacrime.
Non aveva mai visto tanti colori tutti assieme, lui aveva sempre vissuto in nient'altro se non nel nero con le sue varie tonalità di grigio.
Si accucciò, pieno di timore, ma curioso nell'osservare da vicino quella piccola fanciulla, coi capelli tinti dello stesso color della Luna.
Lo riconosceva, quel pianto... era il suo, non vi erano dubbi.
E così era lei che doveva ringraziare per avergli dato un po' di speranza, alleviando le sue sofferenze?
Lo spirito le sfiorò i capelli platinati, ritraendo immediatamente la mano al minimo sussulto della giovane. Le sue ciglia sbatterono, rivelando le iridi azzurrine e l'uomo indietreggiò, spaventato, cercando di nascondersi sotto la scrivania, nuovamente nel buio, l'unica protezione che conosceva.
La ragazza lo notò, drizzando il busto e osservandolo. « Jack? » lo chiamò, sentendosi un po' in colpa. No, non era lui. L'ombra rimaneva in allerta, lontana da lei. Non ne era spaventata, bensì curiosa. « Chi sei? » chiese piano, temendo davvero che stavolta l'uomo nero fosse venuta a prenderla.
La figura gracile dell'uomo avanzò, mentre Elsa tentò di accendere una candela per avere maggior luce. Per qualche istante, la principessa riuscì a scorgere il viso lungo e scavato di quell'essere, ma subito dopo la fiamma si congelò, assieme allo stelo della candela. Elsa la posò di nuovo sul mobile accanto al letto, sospirando rassegnata e con le lacrime che ancora spingevano per uscire.
« Da dove vieni? » provò nuovamente la giovane.
Gli occhi dorati dell'ombra risplendevano, fissi su di lei. Avanzò di poco e lentamente, prendendo coraggio nel risponderle. Non aveva idea di chi fosse quella ragazza, tanto meno si fidava di lei. Eppure scorgeva qualcosa che lo legava a lei, un sentimento in comune. E poi c'era stato quel barlume di potere... 
« Da sotto il letto » rispose, sincero.
Elsa non osò fare domande a riguardo, perché di cose strane ne aveva sentite dalle storie che Jack Frost le raccontava; così tentò con qualcos'altro: « Ce l'hai un nome? »
Ce l'aveva un nome? Bella domanda. Forse, ma era tanto - troppo - tempo che qualcuno non lo chiamava. Com'è che lo appellavano gli altri? « Pitch » disse freddamente, i denti aguzzi stretti fra loro. Un freddo diverso da quello che Elsa aveva conosciuto fino ad allora, sia da quello naturale che da quello magico. Un suono che la fece veramente rabbrividire. Ma continuava a non temere quella creatura che ai suoi occhi pareva sola e spaventata.
« E tu? »
L'uomo si era eretto un poco, ma la ragazza poteva già capire che di certo era molto più alto di lei. Entrambi, però, furono un po' spiazzati da quella frase, lui per essere riuscito a trovare il coraggio necessario, lei perché non credeva che ci sarebbe riuscito.
« Elsa. » Il suo nome era qualcosa di delicato, quasi fragile, che spinse lo spirito ad avvicinarsi a lei, stavolta abbastanza da aggrapparsi al margine del letto con le lunghe dita. « Sei venuto a prendermi? » Pitch scosse la testa, non capendo di cosa l'altra stesse parlando. « Posso toccarti? » Stavolta Pitch non si mosse, ma poi lentamente acconsentì con un cenno del capo.
Elsa tese le mani verse di lui, piano, in modo da non farlo spaventare. 
L'ombra scrutava coi suoi piccoli occhi dorati quelle mani candide che si avvicinavano al suo viso, quasi a sfiorarlo, e poi le dita della principessa si posarono sulla sua pelle spenta e rovinata. Sentì un flusso di potere penetrargli nel corpo, arrivando come un getto incontrollato e inesauribile. Pitch scansò le mani della minore, allontanandosi, spaventato ma al tempo stesso meravigliato.
Elsa non capiva cosa gli avesse fatto o perché fosse arretrato, ma Pitch prese a fissarla stupefatto: era lei la sua fonte di energia, era lei che poteva fargli riacquistare le forze. Tutto prese una prospettiva diversa, si concentrò e riuscì chiaramente a sentire il potere scorrere nelle vene della bionda. Un brivido di freddo lo investì, ma ne valse la pena, perché subito dopo si sentì rinato, riacquistando un altro po' delle proprie forze. 
« Non te ne andare » lo implorò la ragazza, risvegliandolo dai suoi pensieri. Aveva gli occhi gonfi e arrossati, sia dal pianto precedente che da quello in cui stava per scoppiare. « Tutti se ne vanno via da me. »
Quelle parole rimbombarono così familiari nella testa dell'uomo nero, che si sentì circondato da uno strano tepore di cui non si dispiacque affatto. Riandò vicino alla ragazza, stavolta azzardandosi lui stesso a prendere le piccole mani di lei con delicatezza. Pian piano sentì il potere che si trasferiva in lui, rendendolo più forte ogni istante che passava.
« No » sibilò con la sua voce roca, « non me ne andrò, piccola. » Puntò gli occhi su di lei, abbozzando un piccolo sorriso tirato, a cui Elsa rispose con gentilezza, regalandogli uno dei suoi. 
Pitch le stringeva ancora una mano, ma liberò l'altra, rigirandosela davanti agli occhi per notare come la sua pelle stesse riacquistando vigore. Roteò il polso e un fumo nero fuoriuscì dalla punta delle proprie dita, dissolvendosi quasi immediatamente. L'ombra ghignò, mostrando il palmo della mano verso l'alto e soffiando su di esso, provocando una polvere nera che investì appieno il viso angelico di Elsa. Le palpebre della principessa si fecero sempre più pesanti, fino a chiudersi, e il suo corpo cadde sul soffice materasso, abbandonato al sonno. « Ma adesso è ora di dormire. »
L'uomo nero passò una mano sul capo di Elsa, in modo tale da rivelare i suoi sogni. I suoi incubi. La ragazza non aveva bisogno della paura, l'aveva già, la possedeva, così come era presente nelle sue notti, facendole sognare nient'altro che grida soffocate dallo stesso ghiaccio che riusciva a generare. 
Pitch si abbassò per posare un piccolo bacio sulla fronte della sua nuova amica, ma le sue labbra diventarono improvvisamente gelide. Le tastò, ma non sentì nulla di strano.
Sorrise, accarezzandole i capelli e pensando che forse quello era il potere di cui aveva bisogno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Stiamo entrando nei capitoli che amo di più e finalmente è arrivato Pitch, che a mio parere è un piccolo bribi. <3 Diciamo che ho cercato di non stravolgere né le storie di Frozen e de Le 5 leggende, bensì di dare una spiegazione sull'antefatto(?) e su come le due storie si intreccino. Spero vi piaccia il lavoro che ho fatto e che continurò a fare nei prossimi capitoli.
Ah, ho dovuto cambiare html, come avete potuto notare, perché Erika - l'amministratrice - mi ha detto che le era stato segnalato che col vecchio html qualcuno non riusciva a leggere le storie dal cellulare. Io non ne sapevo nulla, sarà che non leggo mai dal cellulare, però la prossima volta avvisatemi così cambio direttamente io e non ho paura che per sbaglio venga cancellato qualcosa. Più che altro mi dispiace tantissimo perché amavo il mio vecchio html e lo uso praticamente per quasi tutte le mie storie. Non ho ancora trovato la canzone adatta per Pitch ed Elsa, visto che quella Jelsa è Winter Sleep di Olivia Lufkin.
Ricordate che sono @pandamito su twitter e Come una bestemmia. su facebook.
 
Baci e panda, Mito.

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Capitolo 7
*** Chapter Seven ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  S E V E N –
 
 
Elsa camminava aggrappandosi agli speroni di roccia. Al suo tocco quelli si ghiacciavano immediatamente, alcuni addirittura si frantumavano, spaventandola e facendola arrestrare.
Quel posto era angusto e le parve di non aver mai visto un ambiente più buio di quello. Ma dove si trovava di preciso?
Dopo un altro passo la terra frenò sotto i suoi piedi, facendola sprofondare. Si sentì sospesa in aria, il respiro le si mozzò e cercò invano di gridare, ma la voce le era morta in gola; tendeva le braccia verso l'alto, in cerca di un appiglio, ma nessuno l'avrebbe afferrata, evitandole la caduta. Il tempo parve fermarsi. Alla fine riuscì ad emettere un grido, ma non toccò mai terra, non si schiantò riducendosi a una poltiglia di principessa, bensì cadde in due forti braccia che la strinsero.
Alzò lo sguardo verso il suo salvatore e incrociò quegli occhi dorati che la rassicuravano. La pelle era spenta, ma non più rovinata, il viso scavato e spigoloso, ma il corpo era forte e fiero, non più curvo e rinsecchito. Vestiva di nero, ma stavolta non erano stracci, era come se una coltre di fumo lo avvolgesse, proteggendolo. 
« Stai bene? » le domandò l'uomo e solo quando la bionda gli diede conferma con un cenno del capo, si decise a poggiarla a terra. Le cinse le spalle con un braccio, attirandola a sé, con un gesto della mano materializzò il bastone che un tempo l'aveva aiutato a reggersi e lo porse a Elsa. La minore lo accettò, osservando come si ghiacciava il legno scuro vicino la sua mano. « Restami vicino » proferì l'altro, proseguendo il cammino.
La tortuosa strada sembrava meno faticosa di fianco a Pitch, o almeno così parve a Elsa, che si aiutava col bastone come le aveva suggerito. In quell'oscurità iniziò a distinguere delle forme: quella grotta era piena di cunicoli che portavano chissà dove, con rovine romane dall'aspetto così antico che la principessa si chiese se fossero davvero originali.
« Sei stanca? » domandò l'ombra, risvegliandola. Elsa non rispose, sentendosi un po' spaesata, ma si limitò solamente a guardarlo mentre richiamava qualcosa. Un nitrito di cavalli provenne dal fondo della caverna, il rumore degli zoccoli sulla roccia si fece sempre più forte fino a che la giovane vide un cavallo nero come la pece emergere dalle tenebre, avvolto nel fumo e con gli occhi dorati, e fermarsi proprio accanto a lei. Era imponente, eppure percepì che non le avrebbe fatto del male. Le grandi mani di Pitch l'afferrarono per i fianchi e la sollevarono, facendola montare sul cavallo. L'aveva sollevata come se pesasse meno di una piuma, benché fosse cresciuta, eppure Elsa ricordava che tempo addietro quell'uomo che ora l'aiutava non riusciva neanche a reggere se stesso in piedi, se non fosse stato per lei. O almeno così diceva lui. Ma cosa faceva in realtà Elsa per lui? Credeva che solo Pitch riuscisse a confortarla, invece lui diceva che era il contrario, che gli piaceva la sua compagnia, così come a lei piaceva la sua. Perché, in fondo, senza Pitch, Elsa non aveva nessun altro.
Mentre era al trotto, alzò lo sguardo verso l'alto; più si avvicinavano al piazze dove vi erano le rovine, più riusciva a distinguere le forme di quella tana: dal soffitto pendevano gabbie di ferro gigantesche, di diverse forme e dimensioni, ma pur sempre agghiaccianti. Si trattenne dal chiedere a cosa servissero, benché la tentazione fosse tanta, però Pitch si accorse lo stesso a cosa la minore stesse rivolgendo il suo sguardo e i suoi pensieri.
Passo dopo passo la giovane sentiva le forze abbandonarla lentamente e neanche si accorse che stava tremando, benché non sentisse freddo.
Arrivarono nel piazzale, dove Elsa si accorse che oltre le rovine vi era anche una grande varietà di specchi, rotti o meno, ma ciò che l'attirò di più era proprio davanti a lei: aveva tutta l'aria di essere un trono, imponente e scuro come tutto ciò che la circondava all'interno di quella tana.
« Faresti una cosa per me, principessa? » domandò Pitch, una volta che l'ebbe messa a terra e fatto allontanare il cavallo.
La bionda sentiva il peso dei suoi occhi dorati su di lei, tremava ancora e si arrestò solo quando l'uomo le prese delicatamente le mani guantate fra le sue e si inginocchiò al suo cospetto. Elsa annuì, convincendosi. Non avrebbe mai potuto pensare di rifiutare una sua richiesta. « Che cosa devo fare? »
Pitch alzò lo sguardo verso il soffitto e poi le sorrise dolcemente. « Useresti la tua magia per fare un po' di luce? »
La minore ritirò immediatamente le mani, sgranando gli occhi, spaventata da quella richiesta. « Non saprei come fare » si giustificò.
« Oh, non penso ce ne sia bisogno » affermò, riprendendole delicatamente le mani e sfilandole lentamente i guanti per liberare le mani sottili e affusolate della bionda. « Sono sicuro che ti verrà naturale, principessa. »
Elsa tentennò e piano alzò una mano verso l'alto, esitando. Non usava la magia volontariamente da molto tempo oramai e aveva paura di cos'avrebbe potuto fare. Se avesse fatto del male a Pitch? Se avesse seppellito entrambi sotto un cumulo di neve? Improvvisamente la mano di Pitch afferrò la sua, dandole conforto. Si scambiarono un'occhiata ed Elsa ritrovò improvvisamente il coraggio. Un fascio di piccoli cristalli si sprigionò dalla punte delle sue dita e venne sparato verso l'altro. Per un momento sembrò non fosse accaduto nulla, ma con uno scoppio si sprigionarono altri cristalli sul soffitto fino a creare un gigantesco lampadario di ghiaccio che illuminava finalmente la grotta.
La bionda si sentì felice per qualche istante, ricordando come la faceva sentire bene realizzare ciò che le passava per la mente coi suoi poteri. Un sorriso di Pitch le fece credere che quella era la cosa giusta, ma poi la tristezza tornò a prendere il sopravvento sul suo viso delicato: ricordava cosa le avevano detto, il suo potere poteva portare dolore se non imparava a controllarlo.
Pitch le sollevò il viso, sorridendole gentilmente come faceva sempre per confortarla. Prese a girarle in tondo ed Elsa non capì a cosa stesse pensando, ma poi prese un lembo della sua vestaglia fra le dita e, scuotendo la testa, disse: « No, non sono abiti adatti a una regina, questi. Non nella sua dimora. »
Abbassò lo sguardo lì dove Pitch aveva posato le sue dita e vide un fumo denso che stava divorando la sua veste, risalendo. Provò a scacciarlo con le mani, ma più si dimenava e più quello la circondava, soffocandola. La minore si sentì stringere al collo e con le mani cercò di togliere il collare invisibile che la stava strozzando. Ma non c'era nulla, solo fumo. Non riusciva neanche a gridare, come se il fumo le fosse entrato in gola e l'avesse privata della parola. Con occhi sgranati e pieni di lacrime e terrore osservò Pitch, domandandosi cosa stesse accadendo e perché. Pitch non avrebbe mai potuto farle del male, ne era convinta. L'uomo nero le prese ancora una volta le mani, intimandole di fare silenzio, come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. D'un tratto il desiderio di respirare la abbandonò, come se improvvisamente fosse un bisogno inutile. Tornò a guardarsi le vesti: erano diverse, scure, non c'era più la leggera stoffa bianca da notte, era un abito che non aveva mai visto nel suo armadio. Inoltre, riusciva a respirare, il fumo non c'era più, né sentiva il dolore di cui prima stava soffrendo.
Pitch la scortò fino all'imponente trono scuro fatto di ferro e roccia ed Elsa si sedette, benché titubante.
« Ora va meglio » si complimentò l'uomo, osservando la figura della giovane e constatando che ciò che vedeva gli piaceva molto. Prese uno degli specchi meno malandati buttati vicino le rovine e lo mise di fronte alla ragazza, in modo che anche lei potesse ammirarsi. « Ti piace? » chiese.
In quello specchio pareva addirittura più grande, ma forse era semplicemente quel vestito che le dava un'aria autoritaria. Il corpetto aderente era fatto di cristalli neri lucenti, la gonna nera le ricadeva morbida sulle gambe, era aperta con degli spacchi che le lasciava scoperta la pelle e delle piume di corvo erano appuntate su di essa, le braccia infine erano ricoperte da un lungo mantello quasi trasparente che le dava una sensazione di protezione, ma era leggero e pareva scomparire da un momento all'altro, proprio come se fosse fumo.
Avrebbe tanto voluto essere la figura nello specchio, ma si rese conto che era proprio lei.
Pitch le accarezzò i capelli, aggiustandole una ciocca dietro l'orecchio e spostandole la chiara chioma da un lato. 
« È bellissima... » mormorò la minore, estasiata, rapita da quell'immagine riflessa.
« Sei tu » rispose l'uomo, confermando ciò che Elsa ancora non riusciva a credere. « E potrai avere ancora di più. »
A quell'ultima frase, però, gli occhi azzurri della giovane guizzarono verso quell'ombra che riteneva proprio amico. « In che senso? » domandò.
Il viso scavato di Pitch si fece più serio e triste. « Sono stato solo per tanto tempo, esiliato da tutti e senza nessuno... » iniziò e quelle parole suonarono tremendamente familiari alle orecchie della bionda, poteva rispecchiarvi la sua vita. « Se tu restassi con me non dovremmo temere nulla, nessuno potrà limitarci, potremmo essere finalmente noi stessi, senza problemi. »
La principessa di Arendelle ora tornava ad avere paura. Desiderava essere liberata dai pesi che continuava a portare ogni giorno, ma cos'avrebbe comportato? Cosa avrebbero pensato i suoi genitori? E Anna? Anna... Da quanto tempo non la vedeva? Da quanto non le parlava? Era come se lei stessa non esistesse in quel castello, o almeno se fosse stato davvero così sarebbe stato meglio per tutti, sicuramente. Nessuno si sarebbe dovuto più preoccupare per lei. Avrebbero potuto vivere tutti normalmente e lei... lei sarebbe potuta essere finalmente ciò che era davvero. Se era veramente un mostro, almeno lontano da tutti non avrebbe più avuto timore di essere giudicata. 
Pitch era il solo con cui parlava, che le era rimasto accanto. Cosa doveva temere? Lui poteva renderla felice, l'aveva dimostrato. 
« Tu sei nata per governare » continuò l'uomo nero.
« Lo pensi davvero? » chiese l'altra, lasciandosi ammaliare. Il suo punto debole era che gli credeva sempre, ma in fondo Pitch non le aveva mai mentito.
« Sì, senza dubbio. » L'ombra acconsentì, cingendole le spalle e accarezzandole il viso, mentre osservava il riflesso nello specchio. Unì le proprie mani e quando le distanziò un fumo nero prese a condensarsi, fino a scolpire quella che aveva l'aria di essere una corona. La poggiò delicatamente sul capo di Elsa e l'ammirò. « Lasciami solo far di te la mia regina e poi potremmo essere entrambi liberi. »
Elsa fissò lo specchio e qualcosa sembrò essere cambiato nei suoi occhi, ma non distolse lo sguardo, non accennò a un fremito di paura, rimase rigida e impassibile come il ghiaccio. « Me lo prometti? » chiese con voce stanca di tutte le pressioni che la circondavano.
« Te lo prometto » rispose Pitch. E come al solito la futura regina di Arendelle gli credette senza esitazione.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Più o meno siamo a metà storia. Più o meno.
In realtà questo capitolo non doveva neanche esistere, ma l'ho voluto aggiungere per non far passare troppo tempo tra un avvenimento e l'altro. Il prossimo sarà forse uno dei capitoli più difficili che dovrò scrivere, quindi spero di cavarmela.
Inoltre vi lascio il link della mia one-shot Nightmare King & Snow Queen, su Pitch ed Elsa, che sarebbe un capitolo intermedio fra l'otto e il nove, ma che non verrà scritto all'interno di questa storia, potete considerarlo uno spin-off.
Che poi io non shippavo Pitch ed Elsa assieme prima, davvero, mi sono iniziati a piacere solamente quando ho dovuto scrivere su di loro. Ah, la magia delle parole, altro che ghiaccio! *la trascinano via*
Il betaggio di questo capitolo stranamente stavolta non va a Ivola, che l'ho costretta a lavorare, bensì a Martichan97 quindi se trovate qualche errore fatela sentire in colpa. No, dai, forse no. Forse.
Sta piovendo e non so se dovevo andare a un saggio di danza o no. Bello, vero? Beh, le piogge estive mi piacciono, il dubbio del dover lavorare come fotografa o no stasera un po' meno. Aiuto.
In più sono in crisi cosplay per il Lucca Comics già da ora. Non è una cosa bella.
Però mi sto concentrando sui libri che vorrei scrivere in futuro in questo periodo, almeno questo.
E ci sono altre cose ancora che non mi va di dirvi perché è meglio se la smetto a scrivere e pubblico, bao.
Ricordate che sono @pandamito su twitter e Come una bestemmia. su facebook.
 
Baci e panda, Mito.

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Capitolo 8
*** Chapter Eight ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  E I G H T –
 
 
Era stato via per troppo tempo, si diceva Jack Frost mentalmente. Per quanto tempo era mancato? Aveva visto passare molti inverni, eppure non era mai tornato ad Arendelle. Chissà cos'aveva pensato la gente su quegli inverni senza neve.
Ma lui cosa ne poteva sapere che gli sarebbe capitato tutto quello?
Sollevò il capo mente era in volo, rivolgendo gli occhi chiari alla luna che compariva in cielo.
Dannato Uomo nella Luna, lo malediceva. Perché ogni volta che si rivolgeva a lui, quello non gli rispondeva mai? Jack Frost voleva solo sapere da dove veniva, perché era nato dal nulla, dal fondo di un lago ghiacciato. Cos'era lui esattamente? Cos'era stato prima? Avrebbe tanto voluto saperlo, ma sembrava che nessuno conoscesse la risposta.
Ma quei... quei Guardiani gli avevano detto che l'Uomo nella Luna aveva scelto lui come prossimo Guardiano. Era una cosa impossibile, lo credeva lui così come lo credevano tutti. Perché lui? Cos'aveva di speciale? Cosa si aspettava che facesse?
La sua testa era piena di domanda a cui non sapeva rispondere; si era ritrovato improvvisamente immischiato in qualcosa che non poteva controllare. Insomma, un essere oscuro e malvagio che si nutre degli incubi dei bambini? Ridicolo. Chi crederebbe mai a una storia del genere? Nessuno, come nessuno credeva in lui. Ma come potevano anche solo pensare che Jack volesse farne parte? No, proprio non era per lui, non aveva la minima intenzione di prendere parte a quella follia, tanto meno gli altri Guardiani lo volevano fra i piedi. Quella era la decisione migliore per tutti.
Stava tornando ad Arendelle, Jack, cavalcando velocemente il freddo vento del Nord. Avrebbe rivisto la sua Elsa e si sarebbe scusato. Forse avrebbe accettato addirittura di toglierle i poteri, se ciò avrebbe significato riavere indietro la loro amicizia.
Chissà com'era cresciuta, chissà cos'aveva fatto in tutto quel tempo, chissà se aveva sentito la sua mancanza... Per egoismo, lo sperava, immaginandosi che sarebbe corsa alla finestra per abbracciarlo non appena l'avesse visto.
Ma quando finalmente arrivò, quando rivolse lo sguardo all'interno della camera di Elsa, non vide altro che candidi fiocchi di neve sparsi ovunque. Il sorriso - che s'era dipinto per via dei pensieri che gli erano passati precedentemente in testa - gli era morto, lasciando il posto a un'espressione preoccupata. Vide la sua giovane amica rannicchiata contro la porta e si chiese cosa le fosse accaduto.
Bussò contro il vetro della finestra e la chiamò, ma quella sembrò non accorgersi di lui.
« Elsa! » continuò più forte. Si accorse che piangeva e che un'aura scura l'avvolgeva. Batté i pugni sul vetro con disperazione. « Elsa! Elsa, guardami! Elsa! » Ma pure con tutta la voce che aveva in corpo, mai una volta la sua principessa si voltò nella sua direzione.
La finestra si ghiacciò improvvisamente, quasi impedendogli la vista. Prese coraggio e attraversò le mura del castello da bravo spirito qual era, precipitandosi in quella stanza gelida. Si scrutò attorno, cercando di riconoscerla sotto il sottile strato di neve che ricopriva ogni cosa. Candidi fiocchi scendevano ancora per la camera, sprigionati dalla ragazza con le ginocchia al petto e la schiena contro la porta.
« Elsa... » stavolta la voce di Jack era un sussurro incredulo e triste, la stava implorando di smetterla e di dirgli cosa non andava; si avvicinò lentamente, preoccupato per cosa le fosse capitato, ma allo stesso tempo stava studiando quanto fosse cresciuta.
Non era più la sua piccola principessa, ora era una donna, forse d'aspetto era persino più grande di lui; si era alzata, il suo corpo aveva assunto delle forme, ma era sempre lei, l'avrebbe riconosciuta in capo al mondo. La sua piccola, fragile, gentile e bella principessa. Ora però era fragile più che mai, con le guance rigate e scossa dai singhiozzi.
« Elsa... » sussurrò, asciugandole una lacrima col polpastrello, che con quella temperatura là dentro si sarebbe sicuramente ghiacciata sul viso. Ma come tentò di toccarla, la mano di Jack trapassò il viso della giovane. Il ragazzo la ritirò immediatamente e lanciò un urlo, spaventato. Elsa non si mosse di un millimetro.
Che cos'era successo? Perché non riusciva più a toccare la sua amica?
Ci riprovò una, due, tre volte, sembrava quasi volerla graffiare, ma ogni volta non riusciva a toccarla, le passava attraverso, come facevano tutti quel bambini che non credevano in lui.
Un angusto pensiero gli balenò in testa, terrorizzandolo.
« Elsa! » le gridò in faccia, scosso dalla paura. « Elsa! Guardami, sono io! Sono Jack! » Tentò di afferrarle le spalle per scuoterla, ma non ci riuscì. « Elsa, rispondimi, ti prego! Guardami! »
Era di fronte a lei, eppure non riusciva a vederlo. Gli occhi dell'albino si riempirono di lacrime, come quelle che ora stava versando la bionda.
Si era dimenticata di lui. Non ci credeva più.
« No... no! » continuava a gridare lo spirito, sconvolto. Era sicuro che Elsa non si sarebbe mai potuta dimenticare di lui; eppure eccola lì, che non riusciva a vederlo, né sentirlo.
Cadde in ginocchio e sentì improvvisamente gli occhi pizzicarli. Si trattenne dal lasciarsi andare, ma perché mai avrebbe dovuto farlo? Oramai nessuno poteva vederlo o sentirlo, a nessuno sarebbe importato se avesse pianto un po’. Sbatté i pugni a terra, poggiando la fronte sul pavimento come un disperato, proprio ai piedi della sua adorata principessa.
Improvvisamente una voce raggiunse le sue orecchie. Si alzò lentamente quando capì che stava cantando e si avvicinò alla porta, poggiandovi un orecchio e notando che la voce proveniva dall’altra parte. Lanciò un ultimo sguardo addolorato verso Elsa e poi, facendosi coraggio, attraversò la porta come un fantasma, sbucando dall’altra parte e riconoscendo la principessa Anna che oramai si era fatta grande di parecchi anni rispetto a come se la ricordava.
Piangeva anche lei, si accasciava contro la porta con le guance bagnate e completamente vestita di nero e a quel punto Jack capì che doveva essere successo qualcosa di ancor più grave a quello che si aspettava.
Indietreggiò, prendendo a correre molto velocemente e percorrendo quei corridoi che anni e anni prima aveva esplorato bene, nei giorni trascorsi assieme ad Elsa a giocare in quel castello. Voleva vedere com’era cambiato il castello, ma non c’era nulla di insolito a suo parere, era come se lo ricordava e oramai porte e finestre erano chiuse da molto tempo.
Fino a quando non fu costretto a fermarsi di fronte a un quadro appeso nel salone. Era coperto da un velo nero, eppure Jack riconosceva le due figure che erano state ritratte; lo sollevò comunque per sicurezza e i tuoi timori si fecero certezze. Il re e la regina di Arendelle erano morti.
Quella scoperta lo paralizzò, stringendo i pugni e contrando la mascella. Avrebbe tanto voluto chiedere in che modo, ma nessuno era in grado di poter parlare con lui e dargli una risposta. In quel momento l’unico pensiero che prese possesso della sua mente fu la realizzazione che Elsa sarebbe presto diventata regina una volta arrivata l’età adatta.
Il suo petto era un contrasto di emozioni tutte assieme. Felicità per quel momento che sarebbe arrivato, orgoglio per quella bambina che oramai era diventata una donna, tristezza per non poterle essere accanto e non poterla incoraggiare, paura per le sue stesse paure di non riuscire a governare, gelosia per l’uomo che un giorno avrebbe dovuto sposare e non per amore, ma solamente per ambito politico. Tutto quello si riversava nel corpo secco e lungo di Jack, non potendo fare a meno che stringere con forza il suo bastone per controllarsi.
Si concentrò nell’osservare la figura della regina nel dipinto: i lineamenti dolci, il naso piccolo e gli occhi grandi, bella proprio come Elsa, la giovane doveva aver ripresto tutto da lei, se non fossero stati per i colori… Sua madre aveva dei graziosi capelli castani che nessuno sembrava avere ereditato.
Con decisione, uscì immediatamente da quelle mura, per tornare a librare nel cielo e a volare lontano da quella città. Sapeva che da una parte si sarebbe pentito di ciò che stava per affrontare, ma gli bastava pensare per cosa… per chi lo faceva e nessun ostacolo sembrava potesse intralciarlo. Non avrebbe accettato il compito di Guardiano perché voleva salvare un mondo che non credeva in lui, l’avrebbe accettato per trovare un modo con cui salvare e farsi ricordare dall’unica persona che aveva mai creduto veramente in lui. Doveva riportarle i suoi ricordi, così come avrebbe tanto voluto recuperare i suoi; e solo quelle persone potevano aiutarlo. Affrontare quel Pitch – o come l’avevano chiamato – era solo un piccolo pezzo da pagare per salvare la sua Elsa.
E mentre Jack Frost si allontanava con questi pensieri, l’aura nera attorno alla futura regina accresceva, pareva quasi la stesse circondando in un abbraccio.
Pitch le accarezzò il viso col dorso di una mano, asciugandole un paio di lacrime e baciandola su una tempia con dolcezza.
« Vuoi dormire, mia regina? » domandò Pitch, sussurrandoglielo in un orecchio.
La bionda rispose con un cenno affermativo della testa, abbandonandosi stremata fra le braccia di Pitch, che la sollevavano senza fatica per poggiarla sul letto.
« Sono stanca di tutto questo… » mormorò la minore, chiudendo gli occhi e cercando di riposare.
« Lo so » rispose Pitch, riuscendo a sentire cosa l’altra stesse provando. « Ma ti prometto che un giorno anche noi finiremo di soffrire. »
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Esattamente dopo questo capitolo dovrebbe andarci la mia one-shot Nightmare King & Snow Queen, potete considerarlo uno spin-off su Pitch ed Elsa prima dell'incoronazione di lei.
Sono molto nervosa a scrivere questi capitoli perché sono quelli in cui dev riusciva ad incastrare bene le due storie fra loro e ho paura di non riuscirci.
A tal proposito vorrei fare due precisazioni:
  • Sinceramente non mi ricordo di aver visto Jack attraversare i muri durante il film de Le 5 leggende, però essendo uno spirito e vedendo come i bambini gli passano attraverso, ho dedotto che più nessuno crede in uno spirito e più quello sia simile a un fantasma.... più o meno, la gente talvolta vede i fanta- ehm, sì, va bene, avete capito insomma. Invece più la gente crede in uno spirito/guardiano e più quello diventa... reale. Prendete Babbo Natale come esempio o il Coniglio Pasquale. 
  • Altra cosa, so perfettamente che Frozen e Le 5 leggende si svolgono in due tempi completamente diversi, ma lasciatemi passare questa piccola "licenza" (?) perché la storia mi piaceva così.
E niente, volevo dire questo e che ho di nuovo il mio portatile su cui scrivere. E che oggi c'è Dylan O'Brien al Giffoni e io non sono lì a dichiarargli il mio amore quindi il mondo è ingiusto.​
Ricordate che sono @pandamito su twitter e Come una bestemmia. su facebook.
 
Baci e panda, Mito.

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Capitolo 9
*** Chapter Nine ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  N I N E –
 
 
Ce l’aveva fatta. Finalmente Jack Frost aveva scoperto chi era veramente, era riuscito a conoscere il suo passato prima che l’Uomo nella Luna gli concedesse un’altra opportunità. L’aveva sempre maledetto prima di allora, lui e quello strano legame che vi era fra loro, mentre ora sorrideva rivolto a quella sfera argentea nel cielo, con immensa gratitudine nei suoi confronti.
Non riusciva a non essere felice, perché lui si era sacrificato per salvare sua sorella e sapeva che ciò che aveva fatto era giusto e non si pentiva neanche un po’ di essere morto.
Subito il suo pensiero corse ad Elsa e un sorriso malinconico incrinò il suo volto. Ora capiva ciò che non era mai riuscito a spiegarsi, finalmente sapeva perché era sempre stato attratto da Elsa come una calamita naturale che gli suggeriva che lei era predestinata ad essere parte della sua vita e un po’ era proprio così. Ma la sua mente scattò al sangue che le scorreva nelle vene, al quadro coperto dal velo nero appeso lungo il corridoio principale. Quando si era impossessato dei suoi ricordi passati, Jack aveva subito riconosciuto la figura di quella bambina dai capelli castani, semplicemente perché lui l’aveva già vista nella sua attuale vita, ma da grande.
Com’era stato strano il destino con lui…
Ma ora doveva accantonare tutte le gioie di cui avrebbe voluto godere in quel momento, perché di fronte a lui c’era quella figura alta e scura, dalla pelle grigia e gli occhi d’oro che tormentava la gente coi suoi incubi.
Pitch.
Se gliel’avessero chiesto un anno prima, non gli sarebbe importato proprio nulla se quel tizio avesse voluto impossessarsi del mondo o meno. Non sarebbe cambiato nulla per lui, avrebbe continuato a viaggiare per il mondo e portare l’inverno ovunque andasse. Ma ora qualcosa era cambiato, aveva incontrato finalmente qualcuno che credeva in lui e non era la sua Elsa.
Anche perché la sua Elsa non credeva più in lui.
Aveva deciso alla fine di unirsi ai Guardiani perché voleva trovare il modo per aiutarla, ma ora avrebbe dovuto farla aspettare ancora un po’, perché aveva trovato qualcosa per cui combattere, qualcosa in cui non si sentiva completamente inutile. Voleva restituire il sorriso alle persone, come un giorno l’avrebbe restituito alla sua principessa.
Pitch, di fronte a lui, accarezzò il suo nero destriero e poi, dandogli una pacca sul dorso, lo fece allontanare.
Jack, agguerrito, strinse più forte a sé il suo bastone e balzò in avanti, picchiando il suolo da cui si sprigionò una lunga scia di stalagmiti di ghiaccio. L’avversario arretrò velocemente, evitando gli spuntoni che volevano infilzarlo. Il giovane spirito ripartì immediatamente all’attacco, roteando su se stesso e lanciando ancora affilate lame di ghiaccio. Stavolta Pitch alzò bruscamente la mano, innalzando un muro di denso fumo nero, che frantumò le lame di ghiaccio.
Jack digrignò i denti, mentre l’uomo nero sbuffò e parlò in tono pacato: « Perché ti ostini a combattere? Non potremmo rendere tutto più pacifico? » domandò, quasi sembrando sincero e alzando in alto le braccia per dimostrare che non aveva cattive intenzioni. L’albino non abbassò la guardia e continuò a puntargli contro il bastone di legno, assottigliando lo sguardo chiaro. Un ghigno si dipinse sulle labbra di Pitch, che continuò: « Perché non ti unisci a me? Potremmo fare grandi cose assieme coi nostri poteri. »
« Mai » rispose prontamente il ragazzo, in tono duro.
« Mai? » ripeté l’uomo nero, simulando un’espressione di stupore. « E perché? Cos’ha il mondo da offrirti? I Guardiani? La gente? Tutti ti disprezzano, Jack Frost. Mentre io sono disposto a darti una possibilità. »
« Possibilità? » sputò il minore, ritenendo totalmente assurda la proposta che l’uomo gli aveva fatto. « Vedere il terrore negli occhi degli altri? E’ questo che mi aspetta? No! » gridò, proseguendo: « Potranno sempre non vedermi e non credere in me, ma almeno sarò in pace sapendo che gli altri sono felici. »
« Ed è questo che hai sempre fatto? Cercare di rendere felice la gente? » domandò il maggiore con un’espressione indecifrabile in volto. Sembrava serio, ma Jack non riusciva a capire dove volesse andare a parare con quelle domande.
Lo spirito dell’inverno ci rifletté per qualche istante e ancora una volta i suoi pensieri si spostarono su Elsa. Lei… lei non era più felice. « Io… » tentò di parlare, chinando leggermente il capo, mortificato.
« No » obiettò prontamente l’altro. « Ti burlavi degli altri, non ti importava di niente, facevi tutto per il tuo puro divertimento. Sei egoista. Non puoi negarlo. Ma la realtà è che ti senti escluso da tutti, sei solo, non hai nessuno accanto a te. Sei tu quello ad aver paura. Ma di cosa? »
Aveva ragione su tutto e Jack si chiese come avesse fatto ad indovinare tutte quelle cose. Ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di una vittoria, così ribatté, colpendo il suolo col bastone e creando delle crepe sul terreno ghiacciato: « Io non ho paura. Men che meno di un essere misero come te. »
Pitch tremò assieme al suolo, spostandosi cautamente di qualche passo per non cadere. « Ah, davvero? » fece, alzando un sopracciglio e ghignando. Sapeva perfettamente di aver detto prima tutte cose veritiere, ma purtroppo quel ragazzo non gli avrebbe mai dato ragione. Pitch sapeva esattamente come si sentiva perché erano anni oramai che conviveva con sentimenti simili. I sentimenti della sua Elsa. Meditò un po’ sulla sua futura sposa, per poi ricominciare a parlare: « Mi ricordi tanto una persona che conosco. Una ragazza amabile, davvero, la più preziosa che abbia mai incontrato. Ma terribilmente sola. Tutti l’avevano abbandonata nel suo dolore e nella sua paura per se stessa. »
Quelle parole lo colpirono dirette al cuore e istintivamente un nome si posò sulle sue labbra. « Elsa… » sussurrò, più a se stesso che a chiunque altro, riconoscendo in quelle frasi la sua principessa.
Pitch alzò un sopracciglio, sorpreso. Era riuscito a sentire quel sussurro. « La conosci? » domandò, curioso, ma anche protettivo nei confronti della ragazza.
Lo sguardo azzurro di Jack saettò su di lui, ancora confuso. Quindi quelle frasi si riferivano veramente a lei? E come faceva Pitch a conoscere la sua Elsa? « Lei… Che cosa le hai fatto? » ringhiò, minaccioso.
« Niente, Frost. Non potrei mai farle del male » rispose seriamente e quel tono suonò assolutamente veritiero alle orecchie di Jack, ma si ripeté mentalmente che non poteva lasciarsi ingannare. Pitch, per divertirsi, però, si sforzò di sorridere e rimanere sul vago riguardo alla relazione che aveva con la fanciulla. « L’ho aiutata e lei ha aiutato me. »
« Bugiardo! » urlò il minore, furibondo alla sola idea che quell’essere potesse essersi avvicinato alla sua Elsa.
« Bugiardo? » Pitch si finse sorpreso e addirittura offeso, mettendosi una mano sul cuore. Scosse la testa. « No, ti sbagli, non ho mai mentito né a te né tanto meno a lei. Tu, piuttosto, cosa le hai fatto? » chiese, puntandogli un dito contro, accusatorio.
Jack si zittì a quella domanda, aprì bocca per parlare, ma la richiuse immediatamente, chinando il capo mortificato. Il senso di colpa ancora lo perseguitava per quello che lui le aveva fatto, per averla lasciata da sola.
« Ecco » riprese Pitch, « tu le hai fatto del male. Tu non le sei stato accanto quando soffriva, mentre io sì. Non hai asciugato le sue lacrime, non l’hai abbracciata la notte, tu… tu dov’eri, Jack Frost? Perché non eri con lei? » domandò, penetrandogli l’animo con quei suoi piccoli occhi dorati.
La rabbia ribollì nelle vene del ragazzo, che con un grido scattò in avanti e balzò, lanciando un colpo col suo bastone. « A fermarti! » urlò, ricadendo lì dove sarebbe dovuto essere Pitch.
Il maggiore riuscì ad arretrare appena in tempo per non essere spazzato via da quel colpo, ma alcune schegge gli ferirono il volto, ma lui non vi badò. Si rimise eretto con la sua altezza imponente e si finse sorpreso. « Sono così importante? Più importante di lei? »
Lo sguardo di Jack si assottigliò, fulminandolo. « No! » urlò, lanciando dardi ghiacciati verso il suo nemico.
Con un gesto della mano, Pitch si difese, parandoli con una cortina di fumo nero. « L’hai abbandonata » proseguì.
« Non è vero! » obiettò l’altro, pronto a un nuovo attacco. Una lingua di fumo denso gli colpì inaspettatamente il braccio, disarmandolo e facendo finire il suo bastone qualche metro lontano da lui.
Pitch non aspettò un secondo e stavolta fu lui ad attaccare, gettando sabbia nera e fumo addosso al guardiano. « Lei soffriva e tu non c’eri. »
Jack evitò il colpo rotolandosi a terra di lato e riuscendo a recuperare il proprio bastone. Si alzò, ansimante. « E’ colpa tua! » gridò, con rabbia.
Il maggiore parò le palle di neve che l’altro gli aveva lanciato, ad eccezione di una che riuscì a colpirlo in volto. Si pulì, innervosito da quel gesto.
Era giusto sfruttare la sua Elsa per indebolire Jack Frost e spingerlo a seguirlo nel suo piano? L’idea di tirare in ballo la sua futura sposa in quel discorso, in realtà, non lo allettava. Avrebbe preferito lasciarla fuori, lontana da quel mondo crudele. Ma la consapevolezza che in quel momento Elsa si trovava al sicuro nel suo palazzo, gli diede un nuovo vantaggio che avrebbe potuto sfruttare.
« Mia? Se non ci fossi stato io, la mia dolce principessa sarebbe morta di dolore. Ma d’altro canto se tu non le avessi spezzato il cuore, ora io non sarei qui. Dovrei ringraziarti, forse. Sembra che la colpa di tutto sia tua. » Pitch fece un leggero inchino verso l’altro spirito, aspettando la sua reazione.
Jack si gettò addosso all’uomo nero, colpendolo in pieno viso col suo bastone, ma prontamente Pitch si aggrappò all’oggetto dopo aver subito il colpo, cercando di strattonarlo. L’albino aveva la presa salda sulla sua arma e non se la fece sfuggire, ma ora lui e il suo avversario si trovavano faccia a faccia.
« Lei non è tua » sibilò minaccioso a denti stretti.
Velocemente, Pitch gli diede un calcio, che lo fece cadere a terra, con un dolore alla pancia.
« Ah, no? E’ tua, magari? Di qualcuno che l’ha condannata a una maledizione che non voleva? Che l’ha fatta soffrire? Tu non la meriti. Perché mai dovrebbe essere tua? »
« Sei tu quello a non meritarla » obiettò, cercando di rialzarsi. « Non permetterti di toc- »
Pitch lo interruppe. « E’ vero. Io non la merito, forse nessuno è abbastanza per lei. Ma lei ha scelto me. »
Jack sgranò gli occhi, ferito stavolta al cuore, ma ancora più furioso di prima. « Non ti ha scelto. L’hai costretta, l’hai ingannata! » gridò, rimettendosi in piedi.
« Te l’ho detto, Frost, non le ho mai mentito, devi credermi! Eppure sarò io quello a sposarla. »
Lo spirito dell’inverno si sentì improvvisamente le gambe molli e si appoggiò al suo bastone per non cadere. Sgranò gli occhi e credé di non aver sentito bene. Non poteva aver sentito bene. « Come? »
« Hai sentito bene » disse il maggiore, come a confermare la sua maggiore paura. « Vorresti essere al mio posto, forse? Ma tu praticamente non esisti. Nessuno ti vede » lo schermì, centrando esattamente il suo punto debole e cominciando a girargli attorno.
« Ti sbagli » obiettò prontamente l’altro.
« No, lei non crede più in te. Non sei più niente per lei ed è colpa tua, tu te ne sei andato, tu l’hai fatta soffrire. »
Jack si tappò le orecchie con le mani, sentendosi improvvisamente debole. « Basta! Smettila! » urlò, con un forte dolore al petto. Chiuse gli occhi e si concentrò, sprigionando attorno a lui una serie di fulmini di ghiaccio.
Pitch sollevò una coltre di sabbia nera che bloccò i fulmini, trasformandoli in spuntoni ghiacciati che si ergevano poco distanti da lui. Jack riaprì gli occhi e si sorprese di cosa aveva fatto.
« Fa male? E a lei? Quanto pensi abbia fatto male? » continuò il Re degli Incubi, giocando con la sua mente. « Io posso renderla felice. »
Jack fece una smorfia. « No, con te sarà ancora più triste! » Spiccò una rincorsa e balzò sugli spuntoni, lanciando un colpo verso il nemico.
Pitch colpì invece la base su cui Frost era appoggiato, mandandola in frantumi e facendolo cadere. Il colpo però lo beccò in pieno, mandandolo a terra qualche metro più in là. Si rimise in piedi a fatica, alzandosi cautamente e osservando come Frost faceva lo stesso, fra le macerie di ghiaccio su cui era atterrato.
« Una tristezza che tu le hai causato e che io posso curare. Ma se ti unissi a noi… Lei potrebbe perdonarti, potrebbe ricominciare a guardarti. Non ti manca il suo sorriso? »
L’immagine del dolce sorriso di Elsa si materializzò nella sua mente, infondendogli un’immensa nostalgia. Scosse la testa, imponendosi che non doveva pensare a lei in quel momento, perché Pitch aveva capito che lo rendeva debole.
« Non mi unirò mai a te. E lei non ti sposerà mai. Io me la riprenderò! » si impose, attaccandolo di nuovo.
Pitch lanciò un attacco di sabbia nera, che stavolta annullò il suo ghiaccio. « Ne parli come se fosse un oggetto. Non mi stupisco che ti abbia voluto dimenticare. Ma con me… La gente mi vede, Jack. Ha paura di me ed è la paura a rendermi reale ai loro occhi, è la paura che li fa credere in me. Ma tu? Tu chi sei per il mondo, Jack Frost? »
Le sue parole si insidiarono nella testa del minore, avevano la capacità di confonderlo, di aumentare i dubbi che credeva di aver rimosso quando aveva riacquistato la memoria. Ma ovviamente Pitch sapeva come manipolare la mente delle persone e lui doveva aggrapparsi alle sue verità, doveva respingerlo, non doveva cedere, non doveva stare al suo gioco. Per qualsiasi motivo, non doveva assolutamente credere alle sue parole o permettergli di scalfirlo.
« E’ questo che hai da offrirle? La paura? » Tentò di fare il suo stesso gioco, di metterlo in cattiva luce, dimostrare che era lui quello che si stava sbagliando.
Stavolta fu Pitch ad attaccare per primo, con una strana rabbia che gli pervase il corpo. Si alzò grazie al fumo e centinaia di saette nere si riversarono contro Jack.
L’albino sgranò gli occhi, impaurito, ma batté il bastone a terra e poi lo puntò dritto contro quel muro nero che avanzava verso di lui. Un candido lampo fuoriuscì dalla punta del bastone, ghiacciando l’attacco di Pitch e facendolo frantumare in milioni di schegge che esplosero in ogni direzione.
« No, la tratterò come la regina che è. Le darò quello che ha sempre meritato: un intero mondo ai suoi piedi che la amerà. E io sarò al suo fianco. E tu, Jack Frost, dove sarai? » rispose, frustrato. Stavolta era lui a digrignare i denti e guardarlo furente.
Il minore ruotò su se stesso, controllando l’aria e spingendo le schegge verso l’uomo nero attraverso il vento.
« Ti ho detto che non mi unirò mai a te! »
Il maggiore venne ferito, non potendo bloccare tutti quei dardi ghiacciati. La sua veste nera venne strappata in alcuni punti, il suo viso e le sue braccia furono coperti da piccoli tagli.
« Così hai deciso? » Il suo tono era fermo, serio, sembrava stesse riflettendo sul da farsi. Il suo sguardo dorato era fisso su quello azzurro del guardiano. « Che peccato, davvero… Vorrà dire che non potrai fare nulla. Presto diventerà una vera regina, la mia. E quando accadrà, tu non potrai fare più nulla per fermarci. »
Un nitrito squarciò l’aria, accompagnato da un rumore di zoccoli al galoppo.
Jack però non badò a nulla, preso com’era dalla rabbia che gli avevano provocato quelle parole. Esplose. Il terreno si spaccò, stalagmiti appuntite riempirono il suolo velocemente, fulmini schizzarono da ogni parte. Ma Pitch era salito al volo sul dorso del suo cavallo e si era dissolto come una nube, lasciando Jack Frost da solo. Aveva deciso che non era ancora arrivato il momento del loro scontro.
Ma Jack Frost gliel’avrebbe fatta pagare ed era più che deciso a sconfiggerlo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Oramai ho fatto così tanta confusione coi capitoli che non so dove debba piazzarsi Nightmare King & Snow Queen, quindi ve la rilinko perché fa sempre bene leggerla.
Mi prendo come sempre la licenza di molte cose, tipo del tempo che scorre, perché inizialmente doveva passare meno, ma ho deciso che dalla morte dei genitori di Elsa e Anna allo scontro Jack Frost vs Pitch Black passa un anno.
Ma quindi Pitch è parente di Sirius Black? E Jacob Black è il figlio di Sirius e Remus Lupin?
Ivola ha detto che è fiera di me perché sono a metà storia.
Voce fuori campo: ma non eri a metà storia allo scorso capitolo?
Eh, sì, solo che ho sognato un epilogo diverso e quindi si sono aggiunti dei capitoli.
Comunque nomino troppe volte Ivola negli spazi autori delle mie storie. Ivola unico e solo mio dio. Seeeh, bao. E' più tipo animaletto da compagnia, ora la trasformerò in un animaletto e sarà sempre nei miei spazi autori. Dì bao al pubblico, Ivola!
Ivola: baaaao.
Se sapesse che faccio tutto ciò forse mi ucciderebbe... Ma lei lo sa, perché mi stalkera. Bao Ivy, ily. Quindi ora andate a leggere la sua storia, Blur - che non ho voglia di linkare - perché ve lo dice Zio Orlie.
In questi giorni ho in mente un OC su HP bellissimo che non so dove e perché è nato nella mia mente. Così. Random. Vorrei tanto un'interattiva in cui sfogare i miei OC. Ma a voi che frega? Niente!
Mi prendo un'altra licenza perché in realtà Pitch aveva una moglie e pure una figlia, ma fotteplatano perché nel film non vengono menzionate e quindi Pitch si cucca Elsa perché qui la storia la scrivo io.
Ivola verrà da me per un po' di tempo futuramente quindi party hard... Che c'entra? Ancora nulla, voglio rendere partecipi le persone della mia vita. Per esempio in quest'ultimp periodo ho nostalgia di Harry Potter e sto studiando la Ribellione dei Blackfyre in Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Ancora non fotte niente a nessuno, solo a me. Che sfigghy che sono. Ah, ho visto La ragazza con l'orecchino di perla tipo 9274023840974810 volte in questi giorni e ringrazio Scarlett Johansson e Colin Firth perché mi hanno ispirata molto.
Ricordate che sono @pandamito su twitter e Come una bestemmia. su facebook.
 
Baci e panda, Mito.

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Capitolo 10
*** Chapter Ten ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  T E N –
 
 
Tornare ad Arendelle divertendosi a fare capovolte in aria era stata una delle sue piccole gioie dopo aver finalmente concluso ciò che aveva capito essere il suo dovere. Pitch non c’era più, era… scomparso, ma gli avevano assicurato che non sarebbe più tornato. A Jack, in realtà, aveva fatto pena quella creatura che si cibava di ombre e incubi. Chissà come poteva essere stata la vita – o la morte – di quell’uomo per renderlo così.
Ma ora la mente di Jack si era svuotata del tutto, perché l’unica cosa a cui riusciva a pensare era la sua Elsa.
Già, la sua Elsa, che non riusciva più a vederlo.
In uno dei loro ultimi incontri, Pitch l’aveva avvertito che il giorno dell’incoronazione della regina sarebbe accaduto qualcosa, lui sarebbe diventato re e con quell’unione avrebbe potuto avvolgere il mondo intero fra le sue tenebre. Ma ciò non poteva accadere, perché Pitch era stato sconfitto, non avrebbe potuto più avvicinarsi alla sua Elsa, tanto meno sposarla e quel pensiero rincuorò il giovane spirito dell’inverno.
Quel giorno la principessa era diventata regina e non era successo proprio un bel niente. Ma lui era ancora ignaro che nel salone della sala da ballo, Elsa rivolgeva i suoi pensieri a quell’amico avvolto dal buio che le era rimasto a fianco per tutti quegli anni, quando Jack invece l’aveva abbandonata. Era passato troppo tempo, lei non poteva ricordarsi di quel ragazzo dai capelli come la neve che le raccontava storie provenienti da tutto il mondo; era stato frutto della sua immaginazione, si ripeteva, erano stati i poteri a farglielo immaginare… Gli stessi poteri che doveva imparare a reprimere.
Camminava beatamente per i corridoi del palazzo, col bastone in spalla, tranquillo che nessuno potesse vederlo; si guardava attorno, ammirando i quadri appesi alle pareti, ma in realtà non stava facendo una felice passeggiata, si stava dirigendo in un posto ben preciso. E così si ritrovò di fronte alla parete dove l’unico quadro appeso era coperto da un velo nero.
L’espressione di Jack s’incupì, ma prendendo coraggio decise lo stesso di sollevare il panno e a quel punto i suoi occhi s’incatenarono a quelli dipinti della donna raffigurata. Ora la riconosceva, finalmente, dopo tutto quel tempo in cui erano stati divisi. Jack finalmente riconobbe la figura di sua sorella, la bambina che salvò tanti anni prima.
Un sorriso gli s’increspò sulle labbra e gli occhi gli divennero lucidi. Nonostante tutto, era felice. Forse era stato il destino, rifletté, che lui avesse trovato un così forte legame con Elsa, pur non sapendo a quel tempo chi fosse sua madre.
Abbassò la mano e il telo nero ricadde pesantemente a coprire il quadro. Jack si voltò e riprese a camminare fra i corridoi, lasciandosi alle spalle il volto di sua sorella, che però sarebbe rimasto per sempre impresso nella sua mente. Arrivò nel salone da ballo e una luce accecante lo investì, riversandosi su nobili coppie che danzavano, altri che chiacchieravano in compagnia, discutevano, bevevano cercando di tenere un contegno, ma il tutto era legato da un comune senso di allegria e festività.
Jack sorrise fra sé e sé, giocherellando col bastone, ma quando i suoi occhi si posarono sulla figura composta e dai capelli chiari raccolti ordinatamente, il suo cuore perse qualche battito. In testa portava una corona.
« Elsa! » chiamò a gran voce, agitando una mano, ma nessuno si voltò verso di lui. Nemmeno lei.
Abbassò il braccio, affranto, ricordandosi che lei non riusciva più a vederlo. Per qualche istante, vedendola, se ne era dimenticato e ora la gioia di prima sembrava completamente svanita.
La musica tutt’attorno si fermò bruscamente, facendo risvegliare il diciassettenne da quei pensieri e portando la sua attenzione alla scena che stava avvenendo in quel momento: Elsa attraversava la sala a testa bassa, stringendosi nelle spalle, come se ogni passo le richiedesse una fatica enorme; dietro di lei vi era una ragazza dai capelli rossi che la inseguiva e la implorava. Riconobbe immediatamente quei lineamenti così simili alla nuova regina di Arendelle e quella ciocca bianca fra i capelli che la sorella le aveva procurato da piccola ma che lei non poteva ricordare; altri non era che Anna. Ma le stava urlando contro e Jack assottigliò lo sguardo, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Elsa avanzava verso la porta cercando di ignorarla e Jack si spostò verso la minore, osservando la bionda che si accingeva a lasciare la sala.
« Ma che cosa ti ho mai fatto? » esplose Anna. Era come una bolla, si era tenuta dentro troppo a lungo i sentimenti di rancore verso la sorella maggiore e ora stava scoppiando, lasciandosi scivolare via tutto ciò che aveva sempre voluto dirle, domande su domande sul perché si fosse estraniata dal mondo e perché avesse allontanato tutti. Lei non poteva sapere, ma Jack sì. Se solo Anna avesse saputo perché Elsa aveva rinunciato a lei… Si era sacrificata, l’aveva fatto per il suo bene, per proteggerla, ma Anna ignorava tutto questo e continuava solamente a biasimarla.
« Perché? Perché mi respingi? Perché respingi tutti? Di che cosa hai tanta paura? »
« Ho detto basta! » l’urlo di Elsa echeggiò per la sala.
Una delle due mani era senza un guanto – che Anna stringeva fra le sue – e da essa fuoriuscì una barriera di spuntoni ghiacciati, che si frapposero fra lei e il resto degli invitati, i quali indietreggiarono spaventati fra mormorii di stupore e terrore. Alcuni gridavano addirittura « Stegoneria! » ed esclamazioni simili. La paura era dipinta negli occhi azzurri di Anna – così simili a quelli della sorella – ma ancor di più si poteva percepire la confusione che ora riempiva la sua mente. Quella… magia… l’aveva veramente fatta sua sorella? Perché lei non ne sapeva nulla? Pian piano i pezzi del puzzle andavano a incastrarsi al loro posto e iniziava a comprendere, ma si sentiva comunque ferita dalla maggiore, che l’aveva esclusa dalla sua vita per tutti quegli anni. Lei, in fondo, avrebbe potuto aiutarla; perché non gliel’aveva mai confessato?
Jack indietreggiò d’istinto, assieme al resto dei presenti e fissò Elsa sconcertato. La nuova regina aveva paura, si sentiva insicura e indifesa e lui lo sapeva bene. Si malediceva, perché per tutto quel tempo lui non c’era stato per lei, non l’aveva confortata come avrebbe dovuto e le parole di Anna non avevano fatto altro che ferirlo ancor più nel profondo. In fondo potevano riferirsi anche a lui: era stato via troppo a lungo, l’aveva abbandonata e ora Elsa aveva allontanato anche lui. Lei lo faceva solo per non far del male agli altri, ma dimenticarsi di lui… quello l’aveva fatto per proteggere se stessa, in modo che fosse Jack il solo a soffrire per la perdita del loro rapporto.
La ventunenne scappò via, lasciandosi la sala alle spalle. Gli invitati sembravano ancora congelati da quell’inaspettato colpo di scena. Jack, invece, dopo qualche istante di esitazione per assimilare il tutto, scattò in avanti per rincorrerla e raggiungerla. Ma anche se l’avesse fatto, cosa avrebbe potuto fare? Lei non poteva sentirlo.
Sfrecciava fra i corridoi del castello, non curandosi del fatto che il suo passaggio sollevava un insolito vento gelido. Uscì dalla prima finestra aperta che trovò, consapevole che di certo Elsa non si sarebbe nascosta all’interno del castello, ma avrebbe cercato di fuggire. Ed era così; se ne stava esitante sulla riva del lago, dando un’ultima occhiata al castello.
« Elsa! » gridò il ragazzo, seppur invano.
Di fatti Elsa tornò a puntare lo sguardo di fronte a sé e, prendendo coraggio, attraversò il lago correndo, mentre l’acqua si ghiacciava a contatto con i suoi piedi.
Jack ansimò per la corsa in volo, osservandola allontanarsi. Eppure non riusciva a far altro che criticare se stesso per ciò che era successo, continuava a ripetersi nella mente che non sarebbe accaduto se solo lui le avesse dato ascolto…
Gonfiò il petto, prese un bel respiro e spiccò di nuovo il volo, sfiorando il lago con la punta del bastone, in modo che la superficie dell’acqua si tramutasse in una lastra di ghiaccio. Si levò più in alto, sorvolando le cime sempreverdi degli abeti e scrutando fra le fronde per cercare Elsa. Doveva trovarla a qualunque costo, doveva riuscire a parlarle, in un modo o nell’altro.
Se solo Anna avesse ricordato, forse avrebbe potuto aiutarlo a sistemare le cose... Sì, ma come?
Si bloccò improvvisamente, sorridente. Ma certo, la Fata dei Denti! In fondo anche lui fino a poco tempo fa ignorava completamente quale fosse il suo passato, fino a che non aveva ritrovato tutti i denti che aveva perso nella sua vita passata e i ricordi che vi erano imprigionati dentro. Una strana sensazione di calore gli riempì il cuore e il pensiero di essersi sacrificato per salvare sua sorella glie diede nuovamente speranza.
Ripartì alla ricerca, più veloce di prima e con più determinazione, quando man mano che avanzava il vento si faceva sempre più tempestoso e pungente. Doveva essere vicino.
Sorpassò la foresta, trovandosi i grandi fianchi innevati delle montagne e lì la vide, col suo lungo mantello viola che svolazzava in preda alla tormenta.
La bionda gettò qualcosa di azzurro al vento, che finì dritto in faccia a Jack che non si aspettava qualcosa del genere. Riuscì a liberarsene e constatò finalmente che quello era uno dei guanti di Elsa. Aggrottò le sopracciglia, confuso, consapevole che la principessa – o meglio, la nuova regina – non si toglieva mai i guanti, perché essi la aiutavano a controllare la maledizione.
Maledizione…
Lui gliel’aveva inflitta, pensando che sarebbe stato un dono e invece ecco cos’aveva combinato. Era tutta colpa sua.
Con rammarico, si avvicinò lentamente verso la ventunenne, notando però che ora le sue mani sprigionavano graziosi fiocchi di neve che si libravano nell’aria, indirizzati ovunque. Con un gesto della mano creò un piccolo pupazzo di neve, ma d’un tratto tutto divenne buio, perché nuovamente qualcosa era andato a sbattere in faccia a Jack. Cercando di non soffocare, cercò di togliersi il grosso panno che gli copriva gli occhi, accorgendosi che altro non era che il mantello viola di Elsa, per poi gettarlo nuovamente al vento e boccheggiando. In quel momento avrebbe voluto denunciarla per inquinamento dell’ambiente con tutti i suoi indumenti, sperando non si denudasse, ma si ricordò che la bionda non riusciva più ad ascoltare neanche quando voleva prenderla in giro.
Elsa saltellava allegramente, lasciandosi dietro una lunga scia di impronte nella neve, che si sollevava ad ogni suo gesto e danzava armoniosamente nell’aria. Jack in quegli istanti rivide per la prima volta dopo molti anni la bambina che lui aveva sempre conosciuto, quella allegra e giocosa che amava scherzare e voleva sempre ascoltare storie di avventura.
Lo spirito d’inverno toccò il suolo, osservando una scalinata che si cristallizzava sotto il tocco della nuova regina, che si arrampicava su di essa con le braccia aperte al cielo, come se da un momento all’altro potesse volare anche lei. La risata serena e cristallina della ragazza riecheggiò fra il silenzio delle montagne e Jack, poggiandosi col suo bastone, le rivolse uno sguardo dolce e nostalgico, prendendo a salire i gradini uno ad uno, mentre l’altra era già arrivata in cima.
Sfiorava la ringhiera di ghiaccio, un elemento così familiare per lui, e sorrise pensando che aveva donato quei poteri ad Elsa proprio per infonderle la stessa felicità che provava ora. Sperava che un giorno lei si accorgesse delle cose meravigliose che riusciva a creare.
Qualcosa però iniziò ad ergersi maestoso oltre il baratro fra le montagne e Jack si affrettò a percorrere le scale per vedere la creazione di un enorme ed immenso castello di cristallo che si innalzava in quella landa sperduta e desolata. Rimase a bocca aperta, immobile, colpito da tanta meraviglia. No, di certo non se lo aspettava, neanche lui era a conoscenza che potesse riuscire a creare qualcosa del genere.
Era così… dettagliato, le torri spiccavano così in alto che sembravano poter toccare il cielo e il portone era così grande che ci sarebbero potuti passare quattro uomini delle nevi tutti insieme. Premette le mani su di esso, spingendo, e quello si aprì, rivelando l’interno del castello: era semplice, tutto era interamente fatto di ghiaccio come all’esterno, la sala circolare era ornata con piccoli motivi raffiguranti fiocchi di neve e da essa partivano varie scalinate che portavano ai livelli superiori.
La sua testa si voltava da un capo all’altro, intenta a osservare l’ambiente, e lentamente prese di nuovo a scalare i gradini di una rampa, che lo portarono in un'altra sala circolare e simile alla precedente, ma leggermente più piccola.
Elsa era in piedi, al centro, avvolta da una strana brina; presto si accorse che il suo vestito stava facendo posto a un altro su una tonalità di azzurro chiaro, che scintillava come neve al sole. La gonna lunga le ricadeva a terra, il corpetto era stretto e le maniche lunghe e aderenti. Gettò via la corona a terra in un impeto di liberazione, facendo ricadere sulla propria spalla una lunga treccia bionda. Si scostò i capelli dalla fronte e li gettò all’indietro, mentre alle spalle compariva un lungo strascico leggero e quasi trasparente.
Jack non aveva mai visto qualcosa di più bello in tutta la sua lunga vita da spirito dell’inverno.
Avanzò lentamente verso il balcone, dove si trovava anche lei, illuminata dalla luce del sole che rifletteva vari colori sulle pareti di ghiaccio levigate. Allungò una mano, desideroso di toccarla e dirle quanto fosse bella in quel momento, ma la sua mano la trapassò, trasmettendogli quell’orribile sensazione di vuoto. La ritrasse immediatamente, malinconico.
Voleva poterla toccare di nuovo, voleva poterle parlare, sentire la sua voce indirizzata unicamente a lui, sentire la sua risata, vedere il suo sorriso, prenderle la mano e farla danzare trasportata dal vento… Era tutto ciò che desiderava.
Strinse i pugni con decisione e improvvisamente gli occhi chiari di Jack Frost s’illuminarono di una luce decisa e piena di speranza e determinazione.
Spiccò il volo, lasciandosi Elsa e il suo castello alle spalle e volando velocemente nel cielo. Doveva andare da Dentolina, sperando che fosse riuscita a mettere di nuovo tutti i denti in ordine; doveva trovare quelli di Anna e farglieli avere, così che potesse ricordare la sua infanzia, così che potesse aiutare Elsa.
D’un tratto si fermò, scorgendo qualcosa di piccolo e concreto, diverso dal bianco immacolato che governava il pendio di quella montagna. Scese in picchiata e si sorprese di vedere il piccolo pupazzo di neve che Elsa aveva creato prima. Ma lo stupore fu ancora di più quando riconobbe chi era realmente.
Olaf, il pupazzo di neve che aveva popolato l’infanzia di Elsa, era lì, sorridente e senza naso. Jack tirò in alto le labbra, felice, perché voleva dire che forse, dopo tutto, non si era dimenticata completamente di lui.
Con l’estremità del bastone diede un leggero buffetto sulla testa del pupazzo e poi schizzò nuovamente su nel cielo.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Prima di questo capitolo dovrebbe piazzarsi la one-shot Nightmare King & Snow Queen, che fa sempre bene linkarla.
Se tutto va bene in tutto ci saranno 17 capitoli o poco più. Verso la fine molto probabilmente allungherò, ma dettagli.
Ehm..... non so che dire, a parte che non sono molto soddisfatta di questo capitolo, la scuola è riniziata, ho tremila cose da scrivere e prima di iniziare altre long devo assolutamente finire questa. Però, sul serio, sono tantissime le storie che voglio scrivere. Quasi tutte interattive, poi. Game of Thrones, Harry Potter, Rozen Maiden, Community, Misfits, L'Inganno della Morte, Avatar e chi più ne ha più ne metta. Aiuto.
E quest'anno ho gli esami e sono una poveraccia.
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Baci e panda, Mito.

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Capitolo 11
*** Chapter Eleven ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  E L E V E N –
 
 
Stringeva il contenitore fra le proprie mani, rigirandoselo ogni tanto per nessun motivo in particolare. Sapevo solo che averlo gli ricordava tremendamente quando era stato in possesso dei propri ricordi, quando aveva scoperto finalmente il suo passato. Il volto di Anna era disegnato sul lato del cilindro dorato, col viso paffuto e sorridente e i capelli rossi divisi in due trecce. Dalla tasca della felpa blu, però, tirò fuori un altro contenitore identico, ma stavolta vi era impresso il volto di Elsa, i capelli biondo chiaro sempre ordinati e il sorriso incerto ma gentile.
Quando era arrivato da Dentolina, non era stato difficile trovare i denti di Anna, oramai aveva riordinato quasi tutto l’archivio del suo palazzo, ma poi gli era balenata in mente l’idea di poter restituire la memoria anche ad Elsa. Se entrambe avessero ricordato, se entrambe avessero accettato quella realtà… Alla fine sarebbe potuto rimanere per sempre lì con loro, l’idea non gli dispiaceva affatto, restare fisso in un posto per una volta. Forse, si disse, avrebbe anche potuto togliere i poteri ad Elsa…
Scosse la testa, per l’ennesima volta l’egoismo prese il sopravvento su di lui e quel pensiero gli fece male, facendolo sentire ancora una volta abbandonato. Perché per una volta non poteva essere felice anche Jack Frost? Gli si strinse il cuore al pensiero che forse Elsa non aveva bisogno di recuperare la memoria su di lui, forse dimenticarlo le aveva fatto bene, vista la discussione accaduta l’ultima volta che si erano potuti parlare.
Una strana sensazione si insidiò in lui, come un brutto presentimento. Vagava fra i corridoi del palazzo, ma finora aveva incontrato solo servitù e qualche ospite rimasto dalla festa, molto probabilmente bloccato dal freddo.
Appena tornato ad Arendelle aveva notato che tutto si era trasformato in un’immensa landa di ghiaccio, la neve continuava a scendere incessantemente, faceva sempre più freddo, il vento si faceva più pungente e la gente soffriva.
Pensava che una volta scomparso Pitch non avrebbe più rivisto la sofferenza nei volti delle persone, invece si sbagliava. Sapeva di dover fare qualcosa e per questo era ancora più determinato a ritrovare Anna.
Col bastone in spalla, si fermò ancora una volta di fronte al dipinto di quella che in una vita passata era stata sua sorella. Fissò la donna dal sorriso gentile e allungò una mano verso di lei, come se sperasse che da un momento all’altro quella si animasse, uscisse dal quadro e lo abbracciasse.
Ma sapeva che una cosa del genere era impossibile e Jack Frost ne aveva viste di cose assurde. Tranne che nei sogni, però. Lì poteva accadere ogni cosa. Lì lui e sua sorella non si erano mai separati, lì Elsa gli rivolgeva ancora i suoi sorrisi sinceri e timidi.
Abbassò lentamente il braccio, con un senso di amarezza che si disperdeva per il suo corpo, facendolo stare ancora più male. Fece un bel respiro, ma poi si riprese, stringendo in mano i due cilindri dorati contenenti i ricordi e poi li ripose all’interno della tasca della felpa, al sicuro. Spiccò un balzo e si librò in aria, percorrendo più velocemente i corridoi. Tutte le persone che incontrava al suo passaggio avevano la stessa identica espressione sconfortata e addolorata.
Da una stanza proveniva la voce stridula di un ometto che non aveva mai visto, vestito per bene, basso e magro come uno stecco, con corti capelli grigi e lunghi baffi, che strillava a destra e a manca e non faceva altro che lamentarsi.
« E’ una strega! » gridava e Jack improvvisamente ricordò di averlo visto, più che altro sentito alla festa. Parlavano di Elsa.
Sbraitava contro un ragazzo alto e muscoloso, con spalle larghe, folti capelli rossi e delle grosse basette; questi sembrava infastidito dal comportamento del piccolo uomo e qualcosa suggerì a Jack che non voleva essere lì a parlare con quello stecchino, voleva evidentemente svignarsela da quella situazione, eppure cercava di non essere scortese e avere pazienza.
« Vedremo » commentò evasivo il ragazzo dai capelli rossi.
« Ha visto anche lei i suoi poteri! E’ pericolosa! » ribatté l’altro.
Jack strinse i pugni, aveva una gran voglia di colpire quell’uomo in faccia. Poi, però, come un lampo un ricordo si accese nella sua mente e improvvisamente si ricordò del ragazzo: aveva visto anche lui, sempre alla feste d’incoronazione, si trovava esattamente al fianco di Anna quando era accaduto… beh, tutto. Ma chi era?
« Vedremo » ripeté, duramente. Poi il suo volto perse tutta quella rigidità e la sua espressione si trasformò in un misto di preoccupazione e angoscia. « Non posso condannare così una persona. Non è semplice. Pensi a sua sorella… »
L’altro fece una smorfia disgustata. « Potrebbe essere una strega anche lei, per quanto ne sappiamo! »
Il ragazzo gli lanciò un’occhiata trucida, ma poi qualcosa nella sua voce si incrinò e da essa sembrava trapelare il disprezzo per quell’uomo. « La principessa Anna sta morendo. »
La punta di dolore in quella frase fece capire a Jack che non stava mentendo e, forse per la prima volta in vita sua, si sentì gelare. Non aveva mai conosciuto veramente il freddo, anzi, era l’unico ambiente in cui si sentisse a proprio agio, ma ora… Ora era come avere mille spuntoni di ghiaccio conficcati in un corpo rigido e incapace di muoversi. Scosse la testa impercettibilmente, con gli occhi sgranati e il rifiuto di credere a simili parole. Come poteva essere accaduto? Era stato via solo un giorno, solo uno!
Non aspettò altro e si fiondò a controllare ogni singola stanza che incontrava sul suo cammino. Doveva trovare Anna a qualunque costo, doveva vederla con i propri occhi. Ma di lei non c’era nessuna traccia nel castello. Voleva prendere a pugni ogni cosa per la frustrazione, si sentiva inutile, non era riuscito a salvare nessuno, Elsa era scappata e ora Anna stava morendo. Che cosa diavolo era successo? Strinse i pugni, ma non si sarebbe calmato con poco.
Poi, però, i suoi occhi azzurri notarono una rampa di scale che portava al piano di sotto, erano in un’ala remota del castello, non vi era praticamente più personale, sempre meno porte e finestre. Le scese e man mano che avanzava, c’era sempre meno luce. Era un lungo corridoio, ai lati vi erano poche stanze, ma nessuna porta, solo pareti fatte di sbarre e capì che quella doveva essere una prigione. Alla fine di quel lungo corridoio angusto, proprio in fondo, vi era l’unica porta in quel posto, ma era fatta interamente di metallo.
Si avvicinò e notò che vi era solo una finestrella, quasi una fessura per quanto fosse piccola e da quella sbirciò cosa vi fosse tenuto all’interno, preso dalla curiosità. Indietreggiò sgranando gli occhi quando riuscì finalmente a vedere di chi si trattasse.
Elsa.
Cercò di calmarsi, di respirare, ma aveva paura per cosa stesse succedendo. Anna in punto di morte ed Elsa rinchiusa in una segreta? Non gli piaceva per niente quella storia.
Attraversò la porta e si ritrovò nuovamente vicino alla nuova regina. Era accasciata contro il muro, sembrava notevolmente stanca, il volto rigato da lacrime già versate e… delle catene. No, quelle non erano catene qualsiasi, erano come guanti senza dita, le avvolgevano completamente le mani, impedendole di muoverle. Impedendole di usare i suoi poteri.
Elsa si mosse, cercando debolmente di strattonare quelle catene, ma sembrava averci già provato, oramai pareva essersi rassegnata.
Jack allungò la mano fino a sfiorarle il viso, ma ancora una volta la mano passò attraverso di lei e lui la ritrasse immediatamente, addolorato. Voleva toccarla, poterla toccare per davvero, di nuovo.
Perché l’avevano rinchiusa? Perché le avevano fatto tutto quello? Che cos’era successo?
La mente del diciassettenne balenava di domande, ma in quel momento nessuno gli avrebbe dato delle risposte.
Le sue dita frugarono nella tasca della felpa, estraendo la scatola dei ricordi. La fissò per un momento, ma poi la rimise a posto. Qualcosa gli diceva che non era ancora arrivato il momento, prima doveva trovare una soluzione a tutto quel casino. Doveva tirar fuori Elsa da quella cella. Sì, ma come?
Improvvisamente la testa della bionda scattò, gli occhi azzurri fissi su di lui, tanto che per un attimo ebbe la falsa speranza che potesse vederlo. Ma non doveva illudersi. Si accorse che effettivamente in realtà Elsa stava guardando la porta di metallo e Jack a sua volta si mise in ascolto.
Delle voci. Provenivano dal corridoio e avanzavano. Stava arrivando qualcuno e dal terrore sul volto della ragazza capì che di certo non era nulla di buono.
Doveva sbrigarsi a farla uscire da lì, doveva trovare una soluzione.
« Pensa, pensa! » farfugliò contro se stesso, picchiettandosi la testa per la frustrazione e la tensione che gli provocava quella situazione.
Afferrò le catene che tenevano legate la bionda al muro, ma sembravano molto resistenti. Si fermò un istante, lanciando una rapida occhiata nuovamente alla porta, poi con determinazione mise le sue mani attorno alle catene di Elsa. Avrebbe voluto toccare le sue mani, in realtà, ma in quel momento non poteva permettersi di perdere tempo in certi pensieri. Al suo tocco, le catene iniziarono a ghiacciarsi, fino a spezzarsi e la serratura delle strane manette si ruppe, facendole cadere a terra con un tintinnio.
Elsa sgranò gli occhi, incredula. Era stata lei a farlo? Com’era possibile? Non se ne era neanche accorta. Fissò le sue mani, finalmente libere e capaci di muoversi.
Improvvisamente alle sue spalle scoppiò un boato, che la fece sobbalzare. Ma non si girò. Rimase rigida dov’era prima, tenendo gli occhi chiari ben fissi sulla porta di fronte a sé.
Poi dalle sue labbra fuoriuscì qualcosa di quasi impercettibile.
« Jack… » Un sussurro.
Lei ricordava. Ricordava improvvisamente tutto e si chiedeva come fosse possibile che si fosse dimenticata proprio di lui. Di tutti quei momenti passati assieme, delle storie, dei giochi, delle promesse, delle risate… Aveva appena provato cosa significava perdere la memoria, come Anna. Solo che Elsa aveva dimenticato il divertimento e non i poteri, al contrario della sorella.
Si sentiva una stupida ad aver permesso che accadesse una cosa del genere. Per quanto si fosse sentita abbandonata e incompresa, non avrebbe dovuto dimenticarlo, avrebbe dovuto cercare di affrontarlo, di risolvere il problema, di ragionarci… E invece non aveva fatto altro che urlargli contro quasi avesse rovinato la sua vita.
Però ora, dopo tutto quello che era successo, finalmente ricordava. Non sapeva neanche perché, come potesse essere possibile, eppure percepiva la presenza di Jack, era come se una consapevolezza assopita si fosse risvegliata nel suo corpo. Era sempre stata lì, ma era andata così a fondo nel suo cuore che si era persa.
Un po’ come l’amore che aveva abbandonato Pitch.
Pitch…
Quel nome riecheggiò nella sua mente, chiedendosi dove fosse in quel momento e perché non fosse lì con lei. Aveva promesso che sarebbe tornato per la sua incoronazione e invece sembrava svanito nel nulla e lei aveva perso la testa, provocando tutto quel caos.
Accantonò per qualche istante la nostalgia, rendendosi conto che ora aveva una speranza: forse Jack poteva aiutarla a riaggiustare le cose.
Ma quando si voltò vide la parete della cella crollata e, oltre, solamente una landa innevata. Non c'era nessuno in quella stanza, eccetto lei.
Alzando lo sguardo, vide qualcosa in lontananza volare nel cielo.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Ho scoperto che invece di allungare, i capitoli si sono accorciati. Sì, modifico sempre le scalette, ma comunque ciò significa che non siamo lontani dalla fine.
Inoltre la mia Ivola mi ha fatto scoprire che probabilmente, se riesco a finirla in tempo, riuscirò a partecipare agli Oscar EFPiani. Forse.
Altro da dire? Ah, sì, ho ricominciato la scuola, devo ancora ordinare i libri, non voglio dipingere quadri fiamminghi, ho gli esami, ho le ansie, ho l'iscrizione all'università, ho la patente che non prenderò tanto presto, ho dei viaggi da pagare, ho voglia di iscrivermi a recitazione, ho il bisogno nonsocosa di scrivere un libro al più presto, ho la strada di casa che si allaga facilmente, ho della philadelphia nel frigo, poi non ricordo cosa ho, ma c'era qualcos'altro. Però non ho i soldi per andare al cinema... Mh, non è bello. Devo andare a vedere Posh. Voglio vederlo. Ma per il cast femminile; no, non sto scherzando. Solo che non si trova in streaming.
E comunque sto per finire l'ultimo di The Maze Runner, quindi le doppie peggio ansie. (?)
Quando finirò questa storia però sarà un traguardo per me. Semplicemente perchè avrò più tempo per dedicarmi ad altro. E con altro intendo che dovrò iniziare altre storie. Probabilmente su GoT (ma chi me lo fa fare...) oppure interattive random, tipo su A Tutto Reality, Misfits, forse The Selection, etc...
Uhm, dai, la finisco qui. Bao.
Ricordate che sono @pandamito su twitter e Come una bestemmia. su facebook.
 
Baci e panda, Mito.

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Capitolo 12
*** Chapter Twelve ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  T W E L V E –
 
 
« Devo andare » aveva risposto semplicemente alle domande di Anna, col sorriso gentile in volto che l’aveva tanto caratterizzata da piccola.
Capiva la preoccupazione della minore, in fondo si erano praticamente appena ritrovate dopo anni di solitudine, parole mai dette e momenti mai condivisi.
Quando Elsa era fuggita in quella tormenta, inseguita da Hans, si era sentita morire quando il ragazzo le aveva detto che sua sorella era morta. Morta a causa sua. Ma poi aveva visto la statua di ghiaccio dietro di sé, Anna che si era sacrificata per proteggerla quando a lei non importava più della sua vita. Era veramente morta a causa sua.
Ma poi, l’imprevedibile, la statua di ghiaccio si era sciolta fra le sue braccia, riprendendo vita. Ed Elsa aveva capito qual era il segreto per controllarsi, per porre fine a quell’inverno: l’amore. E ci era riuscita.
Ma aveva una questione ancora in sospeso. Lì, in quella cella, si era ricordata di lui, sapeva che era stato lui ad aiutarla, ma poi… poi se n’era andato, volato via chissà dove; e la nuova regina sapeva che era compito suo ritrovarlo.
Non aveva voluto spiegare di più ad Anna, le aveva solo promesso che sarebbe ritornata il prima possibile, perché doveva fare un’ultima cosa prima di tornare definitivamente ad Arendelle; e la minore, seppur contrariata, la lasciò andare.
Non sapeva in realtà dove si potesse trovare lo spirito d’inverno, ma qualcosa nel suo petto le diceva che doveva tornare al castello di ghiaccio fra le montagne e per una volta Elsa si fidò del proprio istinto. Aveva passato anni a seguire i consigli degli altri, a pensare dalle parole di suo padre, a pensare sempre a cosa fosse giusto dire o fare, ma aveva capito che talvolta bisognava semplicemente seguire il proprio cuore. E così avrebbe fatto.
Era partita la mattina con un cavallo sellato e non aveva fretta di arrivare; ora che le nevi si erano sciolte, era molto più facile procedere fra le strade, fino a che la ragazza si trovò a quota abbastanza alta da riuscire a sentire l’aria farsi più pungente e la neve candida coprire lentamente i pendii delle montagne senza che lei ne fosse la causa. Lasciò il cavallo in una locanda, rifiutando un pasto caldo e ricominciando a camminare. Non aveva fame in quel momento, ci avrebbe pensato al ritorno; se Jack non era al castello, allora sarebbe ritornata indietro e avrebbe pensato a qualche altro posto dove trovarlo.
Si arrampicava su quei calanchi, ripercorrendo la stessa strada che qualche giorno prima aveva fatto di corsa, per scappare da tutto e tutti, per essere lasciata in pace, per essere libera. Ma ora lo era? Sì, si rispose. Ora aveva tutto ciò che aveva sempre desiderato: una famiglia. O quasi. Mancava ancora qualcuno.
La neve si cristallizzava al suo passaggio, in modo da non farle affondare i piedi nella neve, e il mantello svolazzava mosso dal vento, ma lei non sentiva freddo, non aveva mai provato veramente quella sensazione.
Continuava ad avanzare, fino a che, risalendo un pendio, non vide ergersi più avanti l’imponente castello di ghiaccio che lei stessa aveva innalzato. I raggi del sole battevano su di esso, facendolo brillare di sfumature d’azzurro.
La regina diede un profondo respiro, sentendosi più tranquilla, come se quel posso fosse capace di allontanare tutte le sue paure. Avrebbe veramente voluto vivere lì, circondata dalla calma; ma dall’altra parte c’era sua sorella e non voleva separarsi mai più da lei.
Decisa, avanzò, andando incontro alla scalinata di ghiaccio che aveva creato e salendola fino ad arrivare al gigantesco portone. Spinse l’anta di ghiaccio e quella si aprì, permettendole di entrare. Si guardò un po’ attorno, ma sembrava tutto rimasto come l’ultima volta che vi aveva messo piede. Camminò lentamente per soffermarsi a guardare in giro, avviandosi verso la lunga e alta scalinata. Nella sala principale non vi era nessuno, così proseguì al piano di sopra.
Arrivò alla sala dove aveva colpito al cuore Anna e il ricordo le provocò una fitta nel petto. Poi ricordò quando aveva quasi ucciso quelle due guardie e si sentì un mostro. No, non era lei il mostro, si disse nella mente. Non era lei che aveva fatto tutto quello per il potere, non aveva mai voluto uccidere intenzionalmente. Lei aveva solo e sempre voluto essere libera.
Ricordò gli spuntoni di ghiaccio che fuoriuscivano dalle pareti, l’imponente lampadario che si frantumava a terra, mentre lei fuggiva via, inciampava e cadeva a terra, priva di sensi, per poi ritrovarsi imprigionata in una cella.
Ma ora non c’erano spuntoni, più nessuna traccia del lampadario in frantumi, che invece era di nuovo grande e splendido, pendente dal soffitto, così come le pareti erano intatte. Era tornato tutto come prima, quando l’aveva appena costruito. L’unico dettaglio diverso era la figura di un diciassettenne che se ne stava appoggiato alla finestra, guardando il paesaggio.
Elsa si bloccò, le sembrò di non essere più capace di respirare, come se si fosse dimenticata come fare. Poi il cuore, da fermo che pareva, cominciò a battere all’impazzata. Se non fosse morta per infarto, pensò, sarebbe stato perché il cuore le era scoppiato via dal petto.
La gola le si era fatta improvvisamente secca, aprì la bocca, non sicura di riuscire ad emettere alcun suono.
« Jack… » Ciò che le uscì dalle labbra fu solamente un sussurro, incapace di dire altro o solamente di ripetere quel nome ad alta voce. Ma la sua voce bastò a far girare il ragazzo verso di lei.
Jack la osservò meravigliato, così come si osserva un’opera d’arte, senza fiato e cercando di concepire come qualcuno possa aver creato una cosa tanto bella. Elsa era di fronte a lui, coi capelli di nuovo in ordine e perfetti, il lungo abito azzurro e il mantello sulle spalle, che lo fissava con gli occhi chiari sgranati, in attesa di una sua risposta.
In quell’istante Jack realizzò che non era ancora pronto affinché ciò accadesse. Aveva così tanto fantasticato sul fatto che Elsa finalmente potesse ricordarsi di lui, che doveva ancora metabolizzare che le sue fantasie erano divenute realtà, che quello stava accadendo davvero, ma che lui non sapeva assolutamente cosa dire, se non rimanere impalato ad ammirarla. Dall’altra parte, Elsa sembrava una statua, mentre dentro di sé veniva corrosa dall’ansia, pregando di sentire anche solo un’unica parola da parte del ragazzo, per farle capire cosa aveva in mente.
« Tu… » cominciò lui, balbettando e cercando di non accavallare le parole, « puoi vedermi? » domandò.
Elsa annuì con la testa, ancora meravigliata. « Sì » rispose, ma la parole le uscì più acuta del previsto. Quell’unica affermazione sembrava scioglierle tutta la tensione che aveva accumulato dentro di sé e si rilassò, sfoggiando finalmente un sorriso dolce e nostalgico. « perché non dovrei? »
Jack ricordò quelle parole, le stesse che aveva pronunciato la bionda al loro primo incontro e sembrava addirittura averle dette apposta.
D’istinto, scattò in avanti, non potendosi più trattenere, ma prima che potesse accorgersene, anche Elsa stava correndo verso di lui, fino a che non sentì le mani di lei gettarsi attorno al suo collo, mentre lui la circondava in un abbraccio e affondava le mani nei suoi lunghi e biondi capelli.
Gli occhi gli si velarono, ma non gli importava, stava tenendo stretto la sua Elsa fra le braccia. Poteva finalmente toccarla di nuovo; erano così stretti l’uno all’altra che non importava se si sarebbero fatti male a vicenda, non volevano lasciarsi andare mai più.
« Mi dispiace, Jack. »
Sentì il suo sussurro vicino l’orecchio, poteva percepire il suo respiro, la sua voce rotta e sapeva che stava piangendo, ma lui non le voleva le sue scuse, lei non doveva dirgli nulla, era stato lui lo stupido, quello ad averla trattata male, ad averla abbandonata nel momento del bisogno, l’egoista che la voleva tutta per sé.
Senza pensarci, le prese il viso fra le mani e la baciò possessivamente. Non era uno di quei baci che i principi danno alle proprie principesse per spezzare un sortilegio, era forte, quasi prepotente, indelicato; ma, sì, a modo suo era anche dolce, perché racchiudeva tutti gli anni passati assieme, tutto il tempo perduto, e la gioia di essersi ritrovati. Sentimenti che Elsa conosceva benissimo e aveva già provato. Le infondevano una piacevole sensazione di calore nel petto. E quando le labbra di lei andarono in cerca delle sue, Jack capì che Elsa corrispondeva i suoi sentimenti, con le mani affusolate strette sulla sua felpa, mentre lui la attirava a sé con una mano sulla vita e una nei capelli.
Elsa aveva un profumo dolce, come quello dei biscotti, mescolato però a quello forte dei sempreverdi e al salato delle lacrime. Gli piaceva.
Si resero contro che quel bacio non era freddo come si aspettavano, ma era caldo, come se all’improvviso riuscissero a generare anche il calore.
Il ragazzo le sfiorò il collo con le dita, baciandole lo stesso punto poco dopo, mentre lei gli accarezzava la nuca, facendosi sfuggire un singhiozzo.
« Mi dispiace, Jack » ripeté, ancora scossa.
Lo spirito dell’inverno sospirò e la strinse ancor di più fra le sue braccia, facendo combaciare le proprie fronti. I loro respiri si mescolavano, i visi a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro. Jack teneva gli occhi chiusi, accarezzandole la testa e intimandole di fare silenzio, di smetterla.
« Shh, no » sussurrava, sebbene non ci fosse nessuno ad ascoltarli, « è colpa mia. »
« No! » protestava lei fra i singhiozzi, abbandonandosi sulla spalla di lui.
« Sono stato uno stupido, perdonami » cercò di scusarsi, posandole un piccolo bacio sul capo.
« Io… » tentò ancora di protestare l’altra, ma Jack non gliene diete il tempo. Unì nuovamente le loro labbra, non voleva ascoltare cosa aveva da dire, non gli importava più di nulla, perché in quel momento stava bene e avrebbe fermato il tempo, se solo avesse potuto. Rimanere intrappolato in quell’istante sarebbe stata la più dolce prigione mai costruita.
« Io ti amo » confessò velocemente, nell’istante in cui si separarono.
La bionda sgranò gli occhi, arrossati e gonfi per il pianto, sbattendo le ciglia e non capendo, credendo di aver sentito male. « Cosa? »
All’albino si formò un nodo alla gola. L’aveva detto di getto, perché lo pensava veramente e voleva togliersi finalmente quel peso; ma ripetere quelle parole… significava ammetterlo una volta per tutte, mettersi a nudo davanti ad Elsa e rischiare di compromettere tutto il loro rapporto. Ma in fondo che senso aveva continuare a nascondersi. Se l’avesse fatto, comunque non sarebbe mai stato felice.
« Io ti amo » ripeté, più lentamente e forse troppo chiaramente. Si morse le labbra nervosamente, credendo di aver fatto una cazzata. C’era troppo vuoto che ne seguiva, un silenzio che non riusciva a gestire e lo travolgeva più di una folla inferocita. Sentiva il bisogno di colmarlo, di aggiungere qualcosa per non sentirsi così stupido, ascoltando l’eco delle proprie parole che rimbombava nella sua testa. « E non mi importa del resto. Non mi importa di nulla! »
Si staccò da quell’abbraccio in cui si erano avvinghiati precedentemente, ora sentendosi a disagio, come se toccarla gli sembrasse un oltraggio. Ma la mano di Elsa si protese velocemente ad afferrargli la manica della felpa e con una stretta lo attirò verso di sé, facendolo sbilanciare.
Era sospeso in aria, la bocca di Elsa premuta sulla sua, si sentiva cadere, lo stomaco in subbuglio, ma avvolto in un abbraccio e in uno strano tepore che gli partiva dal petto. Caddero assieme sul pavimento ghiacciato del palazzo, mentre rotolava sulla schiena ed Elsa lo sormontava, afferrandogli il viso e baciandolo nuovamente.
Dimenticò come le persone riuscissero a vivere senza il contatto di quelle labbra.
Cercò di asciugarle le lacrime che continuavano a scendere sulla sua pelle diafana e poi Elsa si accoccolò sul petto del ragazzo, rimanendo stretti e in silenzio per un lasso di tempo indefinito, soppesando e godendosi la realizzazione di quel momento.
Non serviva parlare, non serviva neanche pensare, perché tutti i pensieri convergevano su di loro. Ora c’era solo da realizzare, era strano anche il solo pensare che non fosse stato sempre così prima.
Dopo un tempo infinito, fu proprio Jack a rompere il silenzio.
« Hai mai sentito parlare di… un essere chiamato Pitch? »
Il sangue di Elsa si raggelò e Jack l’avvertì irrigidirsi accanto a lui. Subito si pentì di quella domanda, ma aveva avuto l’impressione che fosse necessaria, che dovesse schiarirsi i dubbi prima di ogni altra cosa. Durante la loro battaglia, Pitch aveva nominato Elsa, aveva parlato della sua incoronazione, aveva detto che dopo di essa sarebbe stato invincibile, che lei gli serviva. Ma ovviamente il suo piano non si era avverato.
« Sì » affermò Elsa, alzandosi col busto e fissandolo con uno strano luccichio negli occhi che Jack non seppe come interpretare. « Lo conosci? » chiese timidamente dopo.
L’albino non sapeva cosa dire esattamente, ma si limitò a costringersi a sedere e a sospirare sonoramente. « Penso di doverti raccontare un bel po’ di cose. »
E così fece, come ai vecchi tempi, quando ritornava l’inverno successivo e nella stanza della principessa le raccontava le storie che aveva visto e sentito durante i suoi viaggi. Ma quella storia parlava di Jack Frost, di come era stato scelto dall’Uomo nella Luna per diventare un Guardiano, di come lo era diventato. E parlò di Pitch, sì, e vide la tristezza dipinta negli occhi chiari della giovane che non riusciva a credere alle sue parole, che non aveva conosciuto lo stesso Pitch che lui aveva affrontato. Ma tralasciò tutto quello che era accaduto nella battaglia, non le confessò di aver combattuto contro Pitch, di averlo sconfitto, perché non voleva che Elsa lo vedesse sotto una diversa luce, aveva paura di ciò che avrebbe potuto pensare. Così le disse semplicemente che era sparito, se ne era andato per sempre.
« Per sempre? » ripeté la bionda, portandosi una mano sul petto, sperando che Jack le dicesse che quello non era nient’altro che un incubo da cui doveva svegliarsi. Invece lui annuì, confermando le sue paure.
Com’era possibile che Pitch – l’uomo che aveva idealizzato come la sua ancora nei momenti bui e spaventosi della sua vita – in realtà avesse potuto fare tutto quello? Come aveva potuto andarsene via senza neanche dirle addio? Ma lei non avrebbe mai voluto dirgli addio, sapeva che non gliel’avrebbe mai permesso, ma forse così era anche peggio.
Jack si sentì incredibilmente in colpa, notando come alcune lacrime silenziose avevano ripreso a scorrere sul viso della giovane.
Era di nuovo colpa sua, lo sapeva.
Cercò di far camminare il cervello, inventarsi magari qualcosa con cui poteva distrarla e magari farla sorridere, quando, tastandosi la tasca della felpa, si ricordò di cosa ancora custodiva. Estrasse da essa due cilindri dorati e li osservò, mentre sul suo volto si dipingeva un sorriso sbarazzino. Tese la mano verso la ragazza e quella, sollevando lo sguardo, notò i due oggetti luccicanti.
« Cosa sono? » domandò, prendendone uno in mano.
Lo rigirò e su un lato trovò raffigurato un volto paffuto e infantile, con un piccolo naso pieno di lentiggini, due grandi occhi azzurri e capelli rossi raccolti in due trecce, contaminati da un’unica ciocca bianca che lei le aveva procurato. Anna.
« Ricordi » rispose Jack, anticipando i suoi dubbi. Elsa alzò la testa e i suoi grandi occhi azzurri lo spronarono a continuare. « Dopo aver ricordato della mia vita passata, ho pensato che magari anche voi due poteste fare la stessa cosa. Non volevo che ti allontanassi da tua sorella e non volevo rimanere per sempre… invisibile. Non a te. »
Elsa gli accarezzò una guancia, pensierosa. « Quindi ora alcuni riescono a vederti? » L’altro annuì. « Credono in te? » Di nuovo un cenno affermativo. La bionda continuò a fissare i due cilindri nelle sue mani, osservando anche il ritratto di se stessa da piccola sul secondo.
« Sai, ho salvato mia sorella da un lago ghiacciato prima di morire » iniziò l’albino, torturandosi le mani per l’agitazione.
« Lo so » rispose l’altra con poco entusiasmo, immersa nei propri pensieri. Poi si fece sfuggire una risatina. « Me l’hai detto tipo qualche minuto fa, Jack. Non ho riperso di nuovo la memoria. »
Il ragazzo si sforzò di fare un sorriso, ma pareva piuttosto agitato. Stava per rivelare alla neo-regina qualcosa che aveva omesso.
« Era tua madre. Mia sorella. Era tua madre e l’ho salvata, capisci? »
A quel punto lo sguardo di Elsa saettò verso lo spirito, gli occhi le si fecero ancora più grandi se possibile e si tinsero di assoluto stupore. Si era sempre fidata di Jack, ma quel giorno pareva volesse metterla alla prova, perché aveva difficoltà a credere a tutto quello che le aveva raccontato, seppur sapeva che fosse la verità, che non le avrebbe mai mentito per prenderla in giro.
« Cosa? » chiese in un sussurro, sdraiandosi sul pavimento di ghiaccio e guardando il soffitto. « E’… assurdo. »
« Lo so » confermò l’altro. « Forse è per questo che sono sempre stato attratto da te. »
« Jack! » trillò l’altra, quasi scandalizzata. « Come puoi dire una cosa del genere? Era tua sorella! Era mia madre! Questo non è… non è giusto, non… » borbottò, coprendosi gli occhi e sentendosi la testa scoppiare.
« Era » la corresse lo spirito, chinandosi a baciarla dolcemente. Un guizzo di gioia gli inondò il cuore quando sentì che alla giovane non era stato difficile lasciarsi andare e corrispondere a quel bacio. Si staccò lentamente, osservandola dall’alto verso il basso. « Era la mia vita passata. »
« E ora? » domandò la bionda, titubante.
« E ora tu sei la mia » rispose l’albino, accarezzandole il viso.
L’altra scoppiò a ridere, sebbene le guance le si fossero imporporate. « No, idiota! Che cosa facciamo ora?! »
Jack si grattò dietro la nuca, arrossendo per la figuraccia, ma si alzò e aiutò la giovane a tirarsi su. « Pensavo che tu e Anna potreste vederli, recuperare tutto. »
Elsa soppesò quelle parole, ma poi sorrise. « Sì, lo faremo insieme. »
« Insieme? » ripeté il ragazzo, notando come la maggiore lo stesse guardando, con una luce diversa negli occhi.
« Sì, Jack, insieme » confermò e stavolta finalmente lo spirito capì che si stava riferendo al famoso loro. Poi gli prese le mani e aggiunse, come a mettere un lieto fine: « Andiamo a casa. »
Ma quella non era la fine, non ancora. Era soltanto un inizio. Il loro.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Questo capitolo non l'ha betato la solita Ivola, ma Tinkerbell92, yo. 
Io e un gruppo su facebook siamo andate in fissa con un gioco di ruolo chiamato Licantropi su cui devo per forza scrivere qualcosa perché sembra Beautiful.
Uhm... sinceramente non so molto cosa dire, a parte essere in fissa per la trilogia di The Maze Runner, essere una piccola incompresa di ship, odiare sempre di più il mondo ma al tempo stesso amarlo, bla bla bla.
Effettivamente in 'sto periodo odio quasi tutti, però amo anche tutti, quindi niente. Dovete sapere che ho tosse, più mi si è gonfiato un occhio e sembra mi abbiano menato, più ho il ciclo. Tutto contemporaneamente, ma che bello.
Non so se ho altro da dire, quindi la finisco qui perché sto male.
Ah, no, aspettate, probabilmente finirò la storia entro Dicembre. (E detto questo mi portai sfiga...) Insomma, mancano tipo un paio di capitoli più epilogo, quindi spero di riuscirci così potrò partecipare agli Oscar EFPiani. Supportatemi, su!

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Baci e panda, Mito.

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Capitolo 13
*** Chapter Thirteen ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  T H I R T E E N –
 
 
La ragazza – donna, oramai – passeggiava tra il verdeggiante giardino nel retro del castello, passando vicino al roseto e godendosi il paesaggio che la circondava: gli alberi in fiore, qualche papera che sguazzava nello stagno, il profumo dell’erba tagliata…
Sembrava passata un’eternità da quando Elsa era costretta a privarsi di tutti quei piaceri, rinchiusa nella sua camera, uscendo poco persino all’interno delle mura del castello. Invece ora vagava per le strade senza timore, si fermava nella piazza a giocare coi bambini, ammirava la bancarella colorata del fioraio in primavera…
Si avvicinò ad una rosa, sfiorandone delicatamente i petali bianchi, quando d’un tratto qualcosa di soffice e ancor più candido cadde sopra la sua mano.
Un fiocco di neve.
Neve in primavera? Elsa sorrise maliziosa, alzando lo sguardo verso il cielo e scrutandolo. L’azzurro stava facendo spazio a nubi grigie.
Qualcosa picchiettò su una sua spalla ed Elsa roteò gli occhi, stando al gioco. Si chiedeva come mai si divertisse ancora a fare certe cose, ma in fondo non poteva pretendere di crescere proprio da lui.
Si voltò, ma alle sue spalle non c’era nessuno. Assottigliò lo sguardo e strinse le labbra. Di nuovo qualcosa le puntellò sulla spalla. Sospirò e si voltò di nuovo, ma neanche stavolta si fece vedere.
«Jack, smettila» disse cercando di fingersi spazientita, ma il suo tono tradiva una nota di divertimento. Ancora una volta, qualcosa – o meglio, qualcuno – la picchiettò sulla spalla. Elsa incrociò le braccia al petto, ma non si mosse. «Non mi girerò stavolta, Frost. Tu continua pure» lo avvertì. Ma una figura le spuntò all’improvviso di fronte al viso, stampandole un bacio così veloce sulle labbra che la bionda per lo spavento lanciò un grido e cadde a terra sull’erba.
Jack Frost era sospeso in aria a testa in giù e scoppiò in una fragorosa risata, esibendosi in una piccola capriola.
Elsa strabuzzò gli occhi, cercando di riprendersi da ciò che era appena successo. «Jack!» gridò, fingendosi contrariata e cercando di rialzarsi col busto, puntando i gomiti a terra.
L’albino fece un inchino esagerato per schernirla. «Sì, mia regina?» chiese facendo il vago e marcando le ultime due parole.
Approfittando della distrazione del ragazzo, che in quella stupida posa non poteva vederla perché doveva sempre esibirsi e fare lo sciocco come di sua natura, Elsa con un gesto della mano creò una palla di neve perfettamente sferica e gliela lanciò, colpendolo in pieno e facendolo arrancare all’indietro, ritrovandosi un po’ spaesato.
La regina ridacchiò, soddisfatta della sua piccola vendetta. «Far nevicare in primavera non è per niente originale, oramai» disse con una punta di superiorità.
Jack scrollò le spalle. «Non qui, magari. Ma oramai ad Arendelle nessuno più si stupisce se vede la neve a luglio.»
E quello era vero. Da quando Elsa era riuscita finalmente a controllare i suoi poteri e si era ricongiunta finalmente con il suo vecchio amico, quello non aveva lasciato il suo fianco neanche una volta. Potevano giocare come ai vecchi tempi, ora, uscendo anche all’aperto e rendendo tutti partecipi. D’estate più nessuno sentiva caldo se la regina era nei paraggi.
E pian piano tutti iniziavano a credere nello spirito dell’inverno. Elsa aveva così tanto predicato nelle strade e raccontato storie su Jack Frost ai bambini – le stesse che da piccola lui le raccontava al ritorno dei suoi viaggi – che avevano iniziato anche loro a vederlo e oramai non si stupiva più se quando volava alcune persone alzavano lo sguardo verso il cielo e lo indicavano.
Elsa si alzò, roteò su se stessa e improvvisamente l’erba e le piante furono coperte da uno strato di candida neve bianca. Ma, prima che potesse anche solo iniziare la battaglia, Jack la colpì in successione con delle palle di neve. La bionda indietreggiò, colta di sorpresa, ma poi si riparò innalzando una lastra di ghiaccio di fronte a lei e con un gesto della mano ghiacciò quelle di Jack, che se le guardò sbigottito. La regina rise e lo stupore dello spirito si trasformò in un piccolo ghigno. Ruppe le catene di ghiaccio facendole sbattere fra loro e poi si mise a rincorrere la ragazza, che rideva serenamente mentre sfuggiva alla presa dell’albino, correndo per tutto il giardino.
Quando Jack riuscì finalmente ad agguantarla, caddero sul soffice suolo. Lo spirito le diede un delicato bacio sulla punta del naso e poi uno ancora più dolce sulle labbra, che Elsa non si fece pregare di corrispondere; poi si spostò di lato, i loro corpi giacevano l’uno di fianco all’altro ed entrambi mossero braccia e gambe fino a creare le sagome di due angeli, continuando a ridere come bambini.
Elsa diede un sospiro e avvicinò il dorso della sua mano contro quella di Jack, sfiorandola. Il ragazzo intrecciò le loro dita e coi polpastrelli accarezzò la pelle dell’amata. Rimasero così per un po’, nel silenzio, l’uno accanto all’altro, godendosi semplicemente quel momento.
Improvvisamente, però, l’espressione di beatitudine sul volto del ragazzo si appassì. Fissò il cielo dal colore indefinito, immergendosi nei suoi pensieri, nei suoi ricordi… nei suoi desideri.
«Stavo pensando…» cominciò, mordendosi le labbra ed esitando per qualche istante, «che grazie a te la gente sta cominciando a credere in me.»
Elsa chiuse gli occhi, ascoltandolo, mentre le sue labbra s’inarcarono verso l’altro. «Già» mormorò, stringendo ancor più la mano dell’altro nella sua. «Ma è anche merito tuo. Non te ne accorgi perché il tuo cervello è congelato là dentro» insinuò, voltandosi verso di lui e dandogli un buffetto sul capo, «sempre se ce ne sia uno.»
«Ehi!» esclamò l’altro, fingendosi risentito.
«Che c’è?» chiese innocentemente la bionda, divertita. Poi il suo sguardo si fece improvvisamente più dolce. «Ma riesci sempre a rendere felice la gente, Jack Frost. E a quando mi hai detto hai salvato anche un bel po’ di festività tempo fa.»
«Lo pensi sul serio?» domandò lo spirito, quasi in imbarazzo. La donna annuì e questo diede a Jack il coraggio di continuare: «Io… Vorrei convincere anche il resto del mondo a credere in me» confessò. Spostò lo sguardo nuovamente verso il cielo, iniziando a gesticolare e torturandosi le mani, parlando velocemente. «E… lo so della promessa che ti ho fatto, ma tornerò, non starò via per sempre, tornerò così spesso che ti stuferai di me e…»
Non fece in tempo a finire la frase, che la bionda si lanciò a lasciargli un bacio sulla labbra. Si staccò lentamente, guardandolo comprensiva e accarezzandogli il volto con le dita sottili. Jack rimase incantato per un po’, ipnotizzato dai suoi occhi chiari.
«Va bene» affermò la ragazza alla fine.
«Cosa…? C-Come, va bene?» domandò Jack, ora un po’ stordito.
Lei annuì. «Sì. Voglio che tutti credano in te. Lo faranno, un giorno, ne sono convinta. Partiremo in giro per il mondo e assieme potremo farcela. E così magari mi farai vedere tutti i luoghi di cui mi hai sempre raccontato nelle tue storie.»
A quelle parole, Jack notò che vi era qualcosa di strano, qualcosa che avrebbe suscitato le farfalle nello stomaco a chiunque innamorato, ma che fermò lui e gli fece aggrottare le sopracciglia. «Aspetta… “assieme potremo farcela”?»
«Sì» confermò Elsa con tranquillità. Poi si fermò per un istante, giusto il tempo di capire che qualcosa non andava. Cercò di mantenere la stessa serenità di prima, ma i suoi occhi si strinsero un poco, cercando di afferrare qualche risposta nello sguardo chiaro di Jack. «Perché?» chiese, dubbiosa.
Qualcosa si strinse nella gola del ragazzo, un nodo che non riusciva a mandar giù. Abbassò gli occhi sulle proprie mani, giocherellando distrattamente. Elsa aveva detto che sarebbe venuta con lei, ma non riusciva a collegare nella sua mente come fosse possibile con un regno a carico. Avrebbe voluto portarla ovunque, stringerle la mano e danzare assieme facendosi trasportare dai venti. Eppure una morsa allo stomaco, una minuscola vocina che si insinuava nella sua testa, gli suggeriva che quel desiderio era terribilmente sbagliato, che stava pensando egoisticamente come tutte le volte in cui aveva sbagliato e i suoi errori erano sempre pesati sulle spalle degli altri.
«Tu devi rimanere qui. Il regno non può restare senza la sua regina» disse liberando i suoi pensieri e permettendo che si trasformassero sottoforma di parole concrete.
«Lo so» disse Elsa con una dolcezza immane. Un sorriso comprensivo sulle labbra e quasi un briciolo di eccitazione nel rivelargli il suo piano. Allungò una mano e con le dita sottile accarezzò il viso di Jack, costringendolo ad alzare il capo ancora chino e a guardarla dritta negli occhi. «Per questo non lo sarò più fra un po’.»
A quella confessione Jack sgranò gli occhi. «Cosa?» si lasciò sfuggire immediatamente, non riuscendo completamente a realizzare il pesante significato di quelle parole, o semplicemente pensando che stesse sognando o che fosse uno scherzo.
La bionda alzò le spalle e arrossì leggermente sulle gote, sentendosi un po’ in colpa per aver taciuto a lungo quell’idea che aveva meditato già da un bel po’. «Scusa se non te ne ho parlato, ma volevo che fosse una sorpresa, proprio come ora» confessò con una punta di imbarazzo. Si fece coraggio e allungò il collo, per tornare a spiegare il resto dei dettagli. «Lascerò il regno ad Anna.» Jack non disse nulla, il silenzio calò fra i due e lui si limitò semplicemente a fissarlo, stavolta con uno sguardo tremendamente serio. Stava realizzando a cosa Elsa stesse rinunciando per lui. Così la fanciulla continuò, con un piccolo sospiro. «Non voglio essere una regina, capisci? Amo la mia gente, la amerò sempre, ma io voglio essere libera, voglio visitare il mondo e vivere tutte quelle avventure di cui mi hai sempre parlato… con te» concluse, liberandosi del peso dei propri pensieri e parlando con voce sognante e piena di desideri.
Jack rimuginò su quelle parole, puntellandosi le dita sulle proprie ginocchia e fissando un punto indefinito del prato, con espressione cupa. «Elsa… non credo sia una buona idea.» La sua voce non era dura, ma era comunque triste, priva di entusiasmo e in totale disaccordo con l’armonia che sprigionava la giovane donna al suo fianco.
«Come?» chiese piano l’altra, mentre il sorriso gentile sulle sue labbra spariva, facendo spazio alla delusione di quella reazione.
Jack alzò le spalle e stavolta puntò gli occhi al cielo. «Non puoi dire sul serio. Non puoi lasciare un incarico del genere a tua sorella.»
«Perché no?» domandò quella, ferita.
Jack sospirò, passandosi una mano fra i capelli e tornando a fissarla. «Perché lo fai?» I suoi occhi si assottigliarono e nella sua voce c’era veramente il desiderio di capire cosa spingesse la fanciulla a rinunciare a tutto pur di viaggiare il mondo.
Elsa sbatté le palpebre, come se la risposta fosse la più ovvia del mondo e quella domanda sfiorasse l’incredulità. «Perché voglio stare con te, lo sai.»
Di nuovo il silenzio calò fra i due. Jack portò le ginocchia al petto e affondò una mano nella neve sul prato, in cerca di afferrare i ciuffi d’erba bagnati sotto di essa.
Gli sembrava d’essere tornato a quando la giovane era fuggita per rifugiarsi tra le montagne per non essere giudicata e creare danni. Ma oramai quei giorni erano lontani da quelli che stavano vivendo. Eppure era come se Elsa stesse fuggendo di nuovo, stava abbandonando di nuovo tutto per… lui?
Chi era lui, esattamente? Jack Frost. Ragazzo morto per salvare la propria sorella. Persona a cui piace molto scherzare, giocare, divertirsi, prendere la vita al balzo e stare sempre in movimento. Attualmente un Guardiano. Spirito che porta l’inverno.
Ecco cos’era realmente: un ragazzo morto. Uno spirito.
E ora se ne rendeva veramente conto di cosa comportava: le avrebbe regalato solo una vita infelice, sarebbe stata condannata a invecchiare e a guardare ogni giorno come il tempo non scalfiva minimamente la pelle del giovane. E poi un giorno sarebbe morta e Jack sarebbe stato esattamente come ora, niente all’esterno sarebbe cambiato in lui, solo il suo petto sarebbe stato rimpiazzato con un enorme vuoto incolmabile.
Egoista, egoista, egoista, continuava a ripetersi nella mente.
Lei meritava qualcuno con cui passare i giorni a crescere e maturare insieme, qualcuno che potesse stare sempre al suo fianco e che l’aiutasse a governare il regno, qualcuno che avrebbe amato tutti i suoi sudditi come loro avrebbero rispettato lui. Qualcuno che tutti potevano vedere, senza aspettare di crederci veramente.
L’accenno di un sorriso infranto si posò all’angolo della sua bocca. «Non è possibile, vero?»
Elsa strabuzzò gli occhi, incredula di ciò che sentiva e allo stesso tempo preoccupata dei pensieri del giovane. Tese la sua mano fino a stringere quella di lui, accarezzandola. «Certo che lo è.» E ci credeva. Lei ci aveva sempre creduto.
Jack si lasciò sfuggire una smorfia. «Non puoi dire sul serio.» Elsa s’irrigidì e lentamente la mano del ragazzo scivolò dalla sua. Si passò una mano fra i capelli bianchi, quasi argentei come la luna che brilla di notte, e sospirò, tentando di trovare le parole giuste per esprimersi. «Meriti…»
«… di meglio?» concluse l’altra, infastidita. «Cosa c’è di meglio, Jack?»
Fece spallucce. «Non lo so. Qualcuno che stia al tuo fianco per sempre, magari» suggerì e la sua voce nascondeva la dura e infelice verità di cui aveva preso atto.
«Tu sarai al mio fianco per sempre. E lo farai. Lo sappiamo entrambi» affermò convinta la donna.
Jack si morse l’interno della guancia e le sue mani puntellavano ancora più veloci sulla propria gamba, sintomo che quel discorso lo stava rendendo nervoso. Eppure voleva veramente che Elsa comprendesse le sue parole, che non commettesse sbagli di cui poi si sarebbe potuta pentire. «Ma… non come dovrebbe essere, capisci?»
«No. Non capisco» obiettò duramente.
Qualcuno arrivò alle loro spalle, avanzando lentamente. «Regina Elsa» la chiamò una voce femminile e cauta. «Il Consiglio ha indetto una riunione.»
Elsa si voltò, una donna della servitù era venuta a portarle l’annuncio e lei annuì col capo senza dire una parole, congedandola. La donna fece un inchino e poi tornò indietro verso l’interno del castello.
La regina sbuffò, contrariata. «Parli come loro.»
«Quindi non sono l’unico a pensarlo» dedusse lui.
Lei fece una smorfia, frustrata. «Ti prego, smettila.»
«È la verità.»
«No.»
«Ascoltami.»
«No. Basta.» La sua voce era dura, come ogni volta che voleva mettere fine a un discorso.
Jack inspirò e poi buttò tutta l’aria fuori dai polmoni. «Elsa» la chiamò gentilmente, sfiorandole un braccio. La ragazza non lo guardava, si era voltata dall’altra parte a guardare un punto indefinito, non volendo più ascoltare. «Sarò sempre con te, ma hai bisogno di qualcuno che possa aiutarti a mandare avanti questo regno e quello non sono io.»
La testa di Elsa scattò velocemente nella sua direzione, lo sguardo ferito e gli occhi umidi. «E se io non volessi?»
Il giovane si ritrasse un poco, sentendosi in colpa e non sapendo più come continuare.
La bionda sospirò, cercando di calmarsi, e poi si alzò, passandosi le mani sulla gonna per allisciarla.
«Vado alla riunione» disse, mettendolo in lista d’attesa come uno dei suoi sudditi. Se ne rese subito conto e aggiunse: «Continuiamo dopo.» Cercò di metterci dolcezza, sfiorando con le dita una sua spalla, ma una punta di tristezza nella voce la tradì.
Lentamente e con sguardo malinconico si allontanò, dirigendosi verso il castello. Jack si voltò appena, seguendola con gli occhi fino a che non scomparve dalla sua vista. Solo una volta Elsa si voltò a controllare che fosse ancora lì e le loro iridi azzurre si scontrarono.
Non appena la figura esile e sinuosa della regina scomparve dietro le mura del palazzo, lo spirito afferrò il suo bastone di legno poco lontano sull’erba, si tirò su e spiccò cautamente il volo, avvolto nei suoi pensieri. Poggiò una guancia sul bastone, risalendo in tranquillità le alte mura del palazzo, fino a che non si trovò di fronte alla finestra che cercava.
Cercò di non farsi vedere e sperò che nessuno lo notasse. Dentro la sala era grande, con un ampio tavolo massiccio in legno proprio al centro e tutti attorno, parlottando animatamente fra loro, vi erano i membri del Consiglio, tutti rivestiti per l’occasione. Jack non riusciva a capire bene cosa stessero dicendo, le voci erano confuse, si confondevano, ma immaginava quale fosse l’argomento del discorso.
Cautamente si spostò più a lato, con la schiena adiacente al muro, le mani strette attorno al suo bastone, lo sguardo malinconico perso nel vuoto e le orecchie tese in ascolto. Qualche istante dopo il portone della sala si spalancò e tutti all’interno sprofondarono nel silenzio. Era entrata la regina.
Le voci ora erano basse, ma nessuno osava più parlare sopra l’altro o interrompere la loro sovrana. Ma Jack oramai aveva preso coscienza di ciò che stava accadendo e la voce di Elsa che si fece più alta lo confermò.
«Vi ho già detto di no!» affermò a gran voce, solenne, col solito tono di quando si innervosiva e reputava conclusa la faccenda, decisa a ogni costo a metterne fine e ad avere l’ultima parola.
«Ma il regno ha bisogno di un re, maestà!» esclamò qualcun altro facendosi coraggio, la voce un po’ più alta rispetto ai soliti sussurri, ma lo stesso un po’ tremante per la paura di affrontare quella discussione – di nuovo, a quanto pareva – con la regina.
«L’avrà. In un modo o nell’altro» dichiarò autoritaria e l’albino, seppur non la stesse vedendo, chiudendo gli occhi poteva immaginarsi perfettamente ogni suo minimo dettaglio mentre le sue labbra si dischiudevano emettendo i suoni di quelle parole che dette da lei gli sembravano sempre così belle. Pensava che persino l’odio o la guerra potessero avere un suono dolce sulla sua bocca, ma lei non conosceva tali espressioni, non facevano parte della sua natura.
«Pensavamo solo che potesse riconsiderare altr-»
«Ho già detto di no!» lo interruppe bruscamente. «Ho già preso la mia decisione.»
Jack strinse più forte le mani sul proprio bastone e poggiò la fronte su di esso, chiudendo gli occhi. Di nuovo sentì quella sensazione che gli stringeva lo stomaco, la stessa che gli urlava contro di essere solamente un egoista. E ci si sentiva, terribilmente. Quella situazione lo faceva star male, convincendolo che stava rovinando la vita della persona che amava, che la stava spingendo verso qualcosa che non l’avrebbe resa felice come si aspettava.
Lei non meritava la vita che voleva scegliere a causa sua, eppure non riusciva a capirlo.
Ma Jack doveva dimostrarglielo, doveva provarle che poteva essere felice, solo non nel modo che credeva, ma in quello che forse era il più giusto.
Risalì ancora più su le mura del castello, sempre con la schiena spiaccicata contro la parete. E poi su, ancora più su, acquistando velocità, sentendo il vento alzarsi e avvolgerlo e spiccando il volo verso il cielo, mentre giù, sotto i suoi piedi, i tetti delle case si facevano sempre più piccoli.
Aveva una missione da compiere: far sì che la gente credesse in lui in tutto il mondo. E nel frattempo Elsa avrebbe capito cosa aveva cercato di spiegarle poco fa. In questo modo le avrebbe donato una vita meritata e senza sacrifici.
Volò lontano, sempre più veloce, cercando di non pensare, di non farsi prendere dall’istinto e tornare indietro ancora una volta per il suo egoismo che l’aveva sempre fatto commettere gravi errori in passato, che aveva sempre ferito le persone che lo circondavano. Aveva bisogno di tempo lontano da quel luogo, avrebbe portato l’inverno in giro per il mondo come aveva fatto per tanti anni, avrebbe ricoperto il suo ruolo di Guardiano e magari solo un giorno lontano sarebbe ritornato ad Arendelle, pronto ad affrontare la realtà, immaginando magari di trovare piccoli pargoli dai chiari capelli biondi come la luna quando assume il suo pallore giallo che scorrazzano in giro per il castello e pronto nuovamente a proteggere loro e la donna di cui sarebbe per sempre rimasto innamorato.
E quando Elsa sarebbe tornata in giardino, convinta di trovarlo, non ci sarebbe stata più la neve ad Arendelle, perché Jack avrebbe portato il grigio inverno specchio della sua tristezza altrove; o magari Arendelle avrebbe rivissuto un altro inverno perenne non appena Elsa avrebbe realizzato che l’uomo che amava non si stava nascondendo per tenderle un altro dei suoi scherzi, che se n’era veramente andato senza dirle nulla, senza un addio, che l’aveva abbandonata. Di nuovo.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
Questo capitolo non l'ha betato nessuno, yo. Questo capitolo è anche più lungo del solito, ma non mi dispiace e spero non dispiaccia neanche a voi perché alla fine non faccio capitoli lunghi, non per questa fanfiction. Se invece mi piace... boh, non so, non è nei miei preferiti, proprio no, e avevo proprio il blocco dello scrittore e mi ha fatto veramente sudare. 
Prima di tutto mi scuso per il mio enorme ritardo, non so proprio cosa mi sia successo. Un po' per gli impegni, un po' perché proprio non avevo voglia di scrivere, lo ammetto. Vi ho fatto aspettare, la colpa va a me e va anche a mio discapito perché mi sono portata al limite dei tempi e non posso partecipare nemmeno agli Oscar EFPiani. Potrei se finissi tutta la storia entro il 31, cioè tipo tre giorni, ma non penso proprio di riuscirci. Cioè, oddio, ce la potrei pure fare..... no, ok, non mettetemi strane idee in mente, è un suicidio per i tempi che ci metto io.
Ora mi odierete pure perché: "Ma come? Nello scorso capitolo finalmente si erano ritrovati e ora questo finale?" Ebbene sì, sento già i vostri forconi sotto casa mia, quindi vengo ad aprirvi la porta con camomilla e biscotti allo zenzero, vi va? 
Effettivamente sono cattiva, ma perdonatemi, su, cuore. Ok, non lo farete mai e sapete qual è l'atra notizia per cui mi ucciderete? Che mancano due capitoli. E quindi ora il vostro cervello scoppierò perché vi state tutti chiedendo come finirà.
Ok, in realtà non mi caga nessuno e non sono riuscita a creare la suspance, perfetto. Allora passo a farmi pubblicità, tanto non mi caga nessuno lo stesso, per non parlare del fatto che è esattamente un mese che sono in lutto per la morte del mio personaggio preferito di TWD per non parlare del fatto che con esso è morta anche la mia OTP. Va be', vado a piangere che seriamente io piango ancora come se fosse il primo giorno, invece è passato un maledettissimo mese.
Se volete seguite i miei aggiornamenti o fangirlare e piangere con me, potete mettere mi piace alla mia pagina facebook, seguirmi su twitter, o su tumblr, o sul mio secondo tumblr, e se vi piacciono The Maze Runner e i Libri dell'Inizio, ho pagine facebook pure per loro due. Aiuto.
Hey, non ho fatto copia-incolla per una volta! O forse sì? Uhm, dunno.
Comunque mi sto accorgendo che a volte mi dimentico i numeri in inglese. Bao.
 
Baci e panda, Mito.

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Capitolo 14
*** Chapter Fourteen ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  F O U R T E E N –
 
 
Solo silenzio vi era nelle strade di Arendelle. Non c’era quella solita aria gioiosa che caratterizzava la città, con tutta la baraonda di gente indaffarata, i mercanti intenti a fare a gara a chi grida di più per attirare i clienti. Non ci sono i profumi dei fiori o del pesce o della frutta per le strade, né quello del sapone delle donne che lavano i panni e li stendono sui propri balconi.
Nulla di tutto questo accadeva quel giorno. La maggior parte della gente se ne stava in casa e chi aveva deciso di lavorare o uscire se ne stava zitto zitto al proprio posto, con la testa bassa e intento solo a svolgere il proprio dovere, nulla di più, con la bocca serrata e il volto segnato da un’espressione dura e triste.
Neanche le campane suonavano, perché sapevano che presto vi sarebbero stati un bel po’ di rintocchi sprecati.
Persino il tempo si era ingrigito, il vento si era alzato gelido e piccoli e candidi fiocchi iniziavano a scendere lentamente fino a ricoprire il suolo. Ma quella non era la magia proveniente da una donna a cui da bambina era stato fatto un dono. Era semplicemente l’inverno.
Lei non era triste, non come lo erano tutti quelli che se ne andavano in giro con abiti scuri, o che non giravano per niente. Non era triste come la sua famiglia, che indossava abiti neri. Sapeva solamente che oramai era arrivato il suo momento.
A sua sorella non era mai piaciuto il nero, ma lo indossava lo stesso, così come l’aveva indossato il giorno del funerale dei loro genitori. Ricordava bene quel giorno come il più triste della sua vita: sola, senza nessuno al suo fianco, rinchiusa in quella camera senza poter spiegare nulla a sua sorella, senza poterla confortare realmente, negandole l’affetto che avrebbe voluto dimostrarle.
In quei giorni solo la figura di Pitch le era stata affianco. Ma ora non le dispiaceva la sua assenza, o forse solo un po’, ma quell’uomo ora rimaneva comunque un ricordo lontano.
Le mani piccole e rugose di Anna venivano strette da quelle più grandi e callose di Kristoff, tipiche di un uomo che prima di tutto quello aveva lavorato duramente. Di fianco a loro vi era la loro stirpe dai capelli biondo-rossicci, prima di tutti il loro primogenito maschio – con la corona saldamente posata sul capo, la stessa corona che aveva indossato il suo adorato padre prima di morire – e al fianco sua moglie e i suoi figli, i suoi nipoti. Tutta la sua famiglia era lì, eppure non vi era un singolo bambino che fosse uscito dalla sua pancia, ma andava bene così, l’aveva voluto lei e non se ne pentiva.
E poi, vicino al suo letto, più vicino di chiunque altro, vi era quel piccolo e paffuto pupazzo di neve che le era stato sempre al suo fianco. Chiacchierone sì, pasticcione altroché, ma dal gran cuore, seppur coperto di neve. Una piccola nuvola grigia galleggiava sopra la sua testa, mantenendolo al fresco. Fresco, sì, perché oramai era troppo debole per rimanere ad una temperatura troppo bassa.
La mano di legno di Olaf sfiorò l’interno del palmo di quella di Elsa, che penzolava fuori dal letto. Le iridi azzurre, ancora più chiare di quanto fossero state nei suoi anni migliori, lo guardarono con la dolcezza che aveva sempre dimostrato di avere.
«Mi dispiace» sussurrò. Un sussurro strozzato e così basso da essere quasi impercettibile da udire.
Ma Olaf capì e sorrise gentilmente come solo lui sapeva fare in rari momenti, quando capiva che qualcosa non andava, ma lo accettava lo stesso, senza rimorsi.
«Va bene così» disse solamente, non aspettandosi che la donna avesse abbastanza forze da chiudere le sue dita attorno alla sua mano di legno.
Restò così, premendo lo stecco di legno contro il palmo della mano della donna che lo aveva creato, consapevole che assieme a lei se ne sarebbe andato anche lui: la sua nuvola sarebbe svanita e lui si sarebbe sciolto velocemente in una pozza d’acqua, stavolta per sempre, senza nessuno che lo potesse mantenere al fresco.
E dopo il periodo di silenzio che tutti avevano vissuto nel dolore comune, ad Arendelle rintoccarono nuovamente le campane.
 
* * *
 
La neve cadeva da un po’ di giorni e la colpa era tutta sua. Era un omaggio, si ripeteva nella mente, perché era con essa che tutto era iniziato e quindi con essa tutto doveva finire.
Solo ora si rendeva conto quanto fosse stato stupido ad andarsene via, a lasciarla di nuovo, credendo di farle solamente del bene. Invece Elsa aveva mantenuto fede alle proprie promesse, aveva dimostrato che era lui quello a sbagliarsi.
Jack era ancora convinto che la donna avrebbe potuto avere una vita felice, se solo lei l’avesse voluto, se si fosse buttata tutto alle spalle e fosse andata avanti con la propria vita. Invece non l’aveva fatto. Aveva deciso di rimanere legata a lui. Per tutta la vita.
Avrebbe potuto sposarsi, fare dei figli, rimanere regina di Arendelle, invece nulla di tutto questo faceva parte della strada che lei aveva deciso di intraprendere. Aveva rinunciato alla sua corona, concedendola serenamente alla propria sorella minore, augurandole il futuro che magari lei avrebbe voluto; non aveva preso in matrimonio nessun uomo e, se non per far visita alla sua famiglia e alla sua gente, si era rifugiata in quel vecchio castello di ghiaccio nascosto tra le montagne, che un tempo era stato la sua dimora e che a ogni ora brillava dei colori del sole che si riflettevano sui cristalli. E lì, in quella solitudine da lei scelta, era rimasta, aspettando… aspettando… aspettando lui. Ma lui in tutti quegli anni si era limitato solamente a guardarla da lontano, di nascosto, aspettando anche lui il momento in cui Elsa si sarebbe resa conto della realtà dei fatti e avrebbe voltato pagina. Momento che non era mai giunto.
A volte si chiedeva se l’avesse notato, lì accucciato tra i pendii delle montagne, o librante nel cielo, gettando sguardi alla sua finestra. Forse sì, ma non aveva mai fatto nulla per avvicinarlo, pensando forse che dovesse essere lui quello a sentirsi sicuro e prendere il coraggio per bussare alla sua porta.
Dopo anni passati ad osservarla – anni in cui aveva viaggiato nuovamente il mondo svariate volte e in cui era riuscito a far credere la gente nella sua esistenza, anni in cui si era sentito triste e felice allo stesso tempo, un po’ per la gioia nei volti dei bambini e ciò che faceva per loro e loro per lui, un po’ perché gli mancava la sensazione di sfiorare Elsa e sentirla fra le sue braccia più di qualsiasi altra cosa – aveva finalmente concluso che più nulla avrebbe fatto cambiare idea alla donna. Non avrebbe mai seguito il suo consiglio e avrebbe continuato a fare di testa propria. Ma quando si decise in mente che forse poteva tornare da lei, pentirsi, chiederle scusa, implorare il suo perdono e magari riniziare quel che c’era stato tra loro… Quando finalmente il vuoto che la mancanza di Elsa aveva lasciato nel suo petto era diventato così grande da non poter essere più controllato né sopportabile, si accorse di quanto tempo realmente fosse passato: la figura di Elsa era più alta e slanciata, i tratti dolci e gentili che l’avevano sempre caratterizzata erano più maturi, di una donna già fatta, e i capelli andavano via via facendosi ancora più chiari di quel che già erano.
Era cresciuta, mentre Jack era rimasto sempre lo stesso ragazzino magro e vispo, col volto appuntito, le orecchie un po’ a sventola e i capelli sbarazzini.
E non ce l’aveva fatta, con quella consapevolezza determinata dal tempo – anzi, dalla differenza di tempo che era trascorsa nei loro due corpi – non era riuscito ad avvicinarsi più a lei ed aveva preso atto che era meglio se lasciava le cose così.
Se da un lato si pentiva di aver lasciato Elsa e con tutto se stesso voleva tornare da lei ed averla vicina come prima, dall’altro si era reso conto di quanto quella relazione li avrebbe fatti soffrire in un modo o nell’altro.
Vedere Elsa invecchiare accanto a lui – dotato della giovinezza eterna – era una cosa che non poteva permettere che accadesse.
Fissò la grande lapide di pietra con inciso il nome della donna che tanto amava, lo stesso nome che lui stesso aveva amato pronunciare, ma che il suono evocato da labbra che non fossero quelle della stessa fanciulla gli sembrava così impuro.
Sfiorò la pietra con le dita lunghe e poi lasciò che il braccio penzolasse morto sul suo fianco, vivendo nel silenzio che lo circondava. La tomba era piena di fiori: dei cari, della famiglia e anche dei cittadini. Era un piccolo spazio ricoperto di fuori variopinti su cui si ergeva questa massiccia lapide di pietra, molto simile a quelle con cui i troll delle montagne amavano nascondersi.
Poi… il suo sguardo azzurro si perse nel vuoto.
Chiuse gli occhi per qualche istante e ricordò la risata cristallina di lei, le sue mani affusolate che stringevano le sue, i morbidi e lunghi capelli biondi così chiari da rubare la luce alla luna di notte, fili luminosi che le ricadevano sulla spalle nude senza timore, non quando c’era solo lui a stringerla fra le sue braccia. La luna la invidiava e Jack sorrideva sempre a quel pensiero, perché finalmente per una volta era l’Uomo nella Luna a fargli domande, a volere delle risposte da lui. Ma non c’erano risposte sul come e perché Elsa fosse così bella. Era così e basta e Jack amava pensare che fosse un raggio di luna rubato da qualcuno e portato di nascosto sulla Terra per far conoscere la vera bellezza ai mortali.
Ricordava il tocco delicato dei suoi polpastrelli sulla sua pelle, il sapore delle sue labbra morbide che premevano sulle proprie, la sensazione delle farfalle nello stomaco ogni volta che la vedeva, i loro giochi, il loro stare semplicemente sdraiati a parlare e magari abbracciarsi e sentire che andava tutto bene. Gli mancava tutto quello e ora non c’era più un modo per tornare indietro. Era tutto finito e nessuno gli avrebbe più ridato momenti del genere. Era tutto semplicemente rinchiuso nella propria memoria.
Jack avrebbe continuato a vivere per l’eternità ed Elsa non sarebbe più stata al suo fianco, era solo una dolce briciola nel suo infinito.
Aprì gli occhi chiari e le sue iridi continuarono a fissare intensamente la pietra fredda, come se vi potesse leggere il proprio destino lì sopra, stando semplicemente in piedi, dritto di fronte alla tomba della sua amata.
Poi, lentamente, sollevò la sua mano in un piccolo gesto rotatorio. Dal suolo si librò un piccolo strato di neve comparso dal nulla che prese a ruotare come un minuscolo e basso tornado ai suoi piedi. Velocemente andò a solidificarsi e la neve si fece più compatta, prendendo la forma di un buffo pupazzo di neve col corpo basso e paffuto, due minuscoli piedi su cui bilanciare tutto il corpo, due stecchetti di legno presi da terra come braccia e mani, una testa ovale, un enorme dente sporgente su un’altrettanto enorme bocca, due curiosi occhi neri e tre corti ramoscelli in testa.
Lo guardò con nostalgia, ricordandosi la prima volta che quel pupazzo di neve aveva preso forma: proprio fuori dalla mura del palazzo reale, con la prima neve dell’anno, e Jack che per la prima volta in vita sua aveva incontrato qualcuno capace di vederlo. A quel tempo Elsa non era altro che una bambina – una bambina speciale – che non gli arrivava neanche alla vita per quanto era piccola e invece ora eccola lì a giacere immobile in una tomba, con un bel vestito e i capelli bianchi spazzolati accuratamente per essere deposta sotto terra. Per sempre.
Le sue dita si strinsero violentemente attorno al suo bastone e il suo viso fu attraversato da un lampo di dolore. Lo sguardo si assottigliò e dagli occhi già umidi scesero lente lacrime che non riuscì a fermare. Poggiò la fronte sul bastone, chinando il capo e rifugiandosi per qualche istante tra i suoi stessi singhiozzi, lasciando che tutti fluisse dal suo corpo. Ne aveva bisogno.
Prese un respiro profondo e si tirò su, mentre le lacrime si congelavano sul proprio viso, ma non gli davano fastidio. Sbatté le palpebre un paio di volte in più del necessario e tornò a posare lo sguardo sul pupazzo di neve inanimato ai piedi della tomba. Allungò il bastone come se fosse la prolunga del proprio braccio e toccò con la punta la testa del pupazzo, sprigionando una tenue luce chiara e fredda, che avvolse tutte il corpo di quel che era stato un piccolo e vecchio compagno di giochi per le due sorelle reali di Arendelle.
Quando la luce scomparve, dissolvendosi nell’aria così come era nata, il pupazzo di neve ebbe un tremito che lo fece scuotere tutto e un attimo dopo eccolo lì a muovere come per la prima volta braccia e gambe, sbattendo ora gli occhietti neri e guardandosi attorno. Prima di tutto il suo sguardo fu rivolto alle mani, muovendo le corte dita di legno, poi iniziò a tastarsi il corpo, la testa, i capelli e poi le sue mani tastarono la spazio vuoto sopra il suo dente, in mezzo agli occhi. Non vi era nulla se non neve.
Gli occhi neri di Olaf ora puntarono verso Jack, riconoscendolo, ma non disse ancora nulla come invece era suo solito intervenire sempre.
Lo spirito alzò le spalle e lo guardò con comprensione e serenità. «Non ce l’ho una carota per te, amico» si scusò.
Olaf scrollò le piccole spalle, sfoggiando uno dei suoi grandi sorrisi. «Oh, non fa niente. Grazie lo stesso.»
L’albino alzò il braccio col bastone alle sue spalle, puntando verso il castello. «È meglio se vai a casa ora, ti staranno aspettando.»
Olaf si voltò verso la direzione indicata, avanzando di qualche passo; ma poi si arrestò, tornando a guardare il suo creatore. «E tu?»
Ma Jack si limitò ad alzare lo sguardo verso la pallida luna che si faceva spazio al crepuscolo, attendendo il buio della sera per poter brillare.
E fu proprio alla luna che Jack espresse un desiderio.
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
"Ommiodio ma cos'è successo? Mito ha aggiornato il giorno dopo?" Ehm... sì, non so che mi è preso, per una volta ero ispirata e meglio approfittarne, sinceramente, anche perché a Capodanno parto, gh.
E quindi diciamo che.. sì, mi odierete ancora di più. Elsa è morta. Oddio, dirlo così fa proprio brutto...
E manca solo un capitolo, il prossimo, che è una sorta di epilogo e non ho la minima idea di quando uscirà........ Forse sono in tempo per partecipare agli Oscar EFPiani, non so.
Se volete seguite i miei aggiornamenti o fangirlare e piangere con me, potete mettere mi piace alla mia pagina facebook, seguirmi su twitter, o su tumblr, o sul mio secondo tumblr, e se vi piacciono The Maze Runner e i Libri dell'Inizio, ho pagine facebook pure per loro due. Aiuto.
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Baci e panda, Mito.

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Capitolo 15
*** Chapter Fifteen ***


 

 
 
 * Can you see me? *
 
– C H A P T E R  F I F T E E N –
 
 
Era buio. Nero. Non riusciva a vedere altro, non sapeva neanche se i suoi occhi fossero veramente aperti, ma sapeva che non aveva mai visto nient’altro se non quel colore. Qualcosa la circondava, ma non era solo quel manto scuro, era una corrente che la trasportava, una sensazione di freddo e bagnato che le penetrava nelle ossa, ma non sapeva riconoscere quelle sensazioni, né distinguerle da qualsiasi altra, perché non aveva conosciuto niente se non quella realtà che la circondava. Il suo mondo era sempre stato freddo e bagnato, così tanto che non sapeva cosa significassero quelle parole, non sapeva cosa fosse il caldo né l’asciutto, né riusciva ad avere una concezione di esse nella sua immaginazione.
Era immobile, non riusciva a muovere nulla, non sapeva neanche di esserne capace; ma aveva la consapevolezza che una forza che non riusciva a vedere la stesse trasportando verso l’alto. Forse era una corrente d’acqua che cercava di risalire pian piano in superficie, o forse era quella sfera grande e luminosa che l’attirava.
Sentì le palpebre tremare, la bocca dischiudersi e violentemente una luce l’accecò senza darle la possibilità di ripararsi. Ma i suoi occhi pian piano si abituarono, riuscendo a distinguere cosa avesse attirato la sua attenzione: di fronte a lei, in lontananza, oltre uno spesso muro semi-trasparente, vi era sfocato un grande globo di luce bianca che sembrava illuminare proprio nella sua direzione. Le trasmise un senso di protezione e tranquillità.
La sfera di luce si faceva sempre più grande… sempre più grande…
Il suo corpo fu a contatto con qualcosa di duro e spesso, una barriera che la separava da quella luce, ma che si frantumò in un istante. Il ghiaccio ora pareva una sottile lastra di vetro che si sgretolava velocemente.
Sentì il suo corpo sospeso in aria, che veniva ancora attratto verso il cielo.
Ora lo vedeva il cielo, somigliava al buio che l’aveva sempre circondata, lì nelle profondità di quelle acque, ma era cosparso da un manto di polvere luminosa che brillava attorno a quel globo.
Ecco, il solo osservarlo le suggerì il suo nome: Luna.
Era come una vecchia amica, qualcosa che le sembrava di conoscere da sempre, lei sapeva di conoscerla da sempre, ma non vi era nessun dettaglio concreto nella sua mente.
Ora però iniziava a conoscere cos’era l’aria fredda della notte che si abbatteva sui suoi vestiti, riusciva a capire la differenza fra acqua e aria, ma non si sentiva bagnata, era come se l’acqua non l’avesse neanche sfiorata, ma solo protetta, avvolta, mentre lei era rimasta asciutta al suo interno.
Non sentiva freddo, benché percepisse l’aria pungerle contro la pelle. Si sentiva bene, come se fosse abituata, come se fosse stata creata per quel freddo.
Sentì il ghiaccio duro sotto la sua schiena, ma non sapeva come ci era finita lì sdraiata sul ghiaccio, quando prima aveva sentito la chiara sensazione di essere sospesa nell’aria, immaginando che se avesse provato ad allungare una mano verso il cielo sarebbe riuscita a toccare la luna, che cantava, le sussurrava parole e mormorii nella mente.
Si alzò lentamente, guardandosi attorno: era al centro di quello che sembrava un lago ghiacciato. Tutto attorno non vi erano altro che alti e innevati sempreverdi. Nient’altro. Abbassò il capo, ma non vi era nessuna frattura nel ghiaccio, niente che facesse intendere che lei proveniva dal fondare di quella conca d’acqua e che fosse risalita infrangendosi contro la superficie di ghiaccio. Eppure aveva la consapevolezza di questo ricordo. Il suo primo ricordo.
Dalle narici risucchiò l’aria notturna, sentì il petto gonfiarsi, e poi soffiò via dalla bocca il profondo respiro che aveva inalato.
Aveva iniziato a vivere. Era nata.
Si specchiò nel ghiaccio e tutto ciò che vide fu una giovane ragazza dalla pelle chiara, i grandi occhi azzurri e i lunghi e lisci capelli bianchi.
Alzò di nuovo lo sguardo verso la luna e lentamente si mise in piedi, per poi osservare il suo corpo: indossava un lungo vestito bianco, di un tessuto sottile che pareva velo, la gonna era morbida e le scendeva fino a terra, coprendole i piedi scalzi, le maniche erano strette e quasi trasparenti, che le lasciavano scoperte le spalle e il corpetto brillava di riflessi color blu notte.
Si osservò, si studiò, muovendo le mani di fronte al suo viso e rigirandole, prendeva un lembo della gonna, lo alzava, e poi lo lasciava, guardandolo cadere giù di nuovo a coprirle completamente le gambe; si tastò i capelli, si passò le dita fra di essi e l’unica cosa che notò è che parevano bianchi come la neve che la circondava tutt’intorno.
Non sapeva dove si trovava. Non sapeva chi era. Non sapeva perché era nata.
Tutto ciò che poteva fare era alzare il capo e guardare la luna con un’espressione interrogativa, pretendendo che da un momento all’altro l’Uomo che viveva lassù rispondesse a tutti i suoi dubbi. Ma non l’aveva mai fatto con nessuno, non l’avrebbe fatto neanche con lei, solo che ancora non lo sapeva.
Tornò a guardarsi attorno, scrutare tra i sempreverdi qualche indizio inesistente. Avanzò lentamente, sia con timore che con curiosità. Si avvicinò alla corteccia di un albero, osservando gli strani lineamenti su di essa; così allungò una mano, accarezzando il legno e seguendo con le dita i disegni che la natura aveva creato su di esso con gli anni, ma dal tocco delle sue dita fuoriuscirono piccoli cristalli di neve che andarono a ghiacciarsi sul tronco.
La ragazza ritirò immediatamente la mano, spaventata. Restò qualche istante immobile, aspettando che accadesse qualcosa, ma niente. Si guardò ancora una volta attorno e poi si avvicinò di più a ciò che aveva fatto: sembrava ghiaccio, lo stesso che ricopriva il lago. Con un po’ di coraggio allungò nuovamente la mano e anche stavolta dal tocco delle sue dita sul tronco dell’albero si sprigionarono altri cristalli che andarono a ricoprire di ghiaccio la corteccia.
Il viso della ragazza si illuminò e vi si dipinse un primo grande sorriso d’eccitazione infantile. Il suo sguardo azzurrò guizzò su un altro albero e con uno slancio e una mano protesa si gettò a toccarlo e anche su quello nacque un sottile strato di ghiaccio che andava a espandersi. Poi fece la stessa cosa su un altro, un altro e un altro ancora.
La ragazza spalancò entrambe le braccia e iniziò a correre tra la foresta, toccando con le dita tutto ciò che incontrava, che subito veniva ricoperto da brina, neve e ghiaccio, mentre la risata cristallina della ragazza echeggiava nel bosco. E correva, correva, correva e rideva senza fermarsi, eccitata dal gioco che aveva scoperto, da ciò che era in grado di fare.
Non si fermò fino a quando non vide qualcosa di diverso: delle luci. Non come quella emanata dalla luna, non così chiara e pura. Erano luci… calde, fioche, gialle e rosse. Ora cominciava a scoprire i colori. Erano come se fossero sempre stati dentro di lei, come se stesse solo ricordando qualcosa che neanche sapeva di… di sapere. Era una sensazione strana, stava iniziando a conoscere un mondo che le sembrava già di aver visto.
Si arrestò, ipnotizzata da quei… fuochi, ecco. Avanzò lentamente, sempre col solito timore e con la solita curiosità.
Era un piccolo villaggio tra le montagne, fatto di povere case dai tetti di legno e varie candele erano sparse ad illuminarlo nella notte. Poche persone gironzolavano ancora fuori dai loro letti, chi sbrigava gli ultimi lavori prima di andarsi a godere una bella cena a base di zuppa calda, o bambini che correvano pieni di gioia e giocavano fra di loro prima che fosse troppo tardi e che le madri uscissero a richiamarli.
La bocca della ragazza si allargò in un ampio sorriso pieno di felicità. Era la prima volta che vedeva un villaggio, la prima volta che vedeva delle persone o dei bambini coi loro giochi e le loro risa, ma le piaceva, le piaceva molto. Subito capì che sarebbe voluta rimanere lì, in quel momento, per sempre.
Presa da un nuovo coraggio e da quel nuovo sentimento di gioia, si addentrò nel villaggio con passo sicuro, sorridendo ai passanti, che però sembravano tutti presi dai propri lavori.
Sventolò la mano qua e là per salutare i paesani, ma nessuno rispondeva al gesto. L’albina però non si perse d’animo, continuò a guardarsi attorno e a sorridere, estasiata.
«Ciao!» esclamò a un gruppo di bambini intenti a correre nella sua direzione, desiderosa di partecipare al loro gioco.
Ma fu un attimo e l’uno dopo l’altro quei bambini andarono a sbattere contro di lei, ma non la urtarono, la trapassarono, come se non esistesse, come se non fosse lì. Le passarono attraverso e la ragazza provò una strana sensazione di vuoto, come un brivido che la scosse da capo a piedi.
Le smorzò il respiro e si portò immediatamente una mano al petto, pensando di morire. Sgranò gli occhi per lo spavento e indietreggiò, lanciando occhiate tutt’attorno. La gente camminava e invece di urtarla la attraversava.
Aveva paura, continuò a indietreggiare, non volendo essere toccata, non volendo provare di nuovo quell’orribile sensazione.
Diede le spalle al villaggio e prese di nuovo a correre, stavolta presa dal terrore, tornando indietro nella foresta e attraversandola, non ridendo più, senza divertirsi ogni volta che toccava un albero e ghiacciandolo. No. Correva solamente per allontanarsi il più possibile da lì.
Quando di nuovo spuntò nello spiazzo dove vi era il lago, decise di arrestarsi, buttandosi a terra sulle ginocchia e posando una mano sul cuore, cercando di calmarsi. Prese dei profondi respiri, ma la sensazione di vuoto che aveva provato non voleva accennare ad andarsene. Si afferrò la testa fra le mani e la scosse violentemente, trattenendosi dal gridare e cercando di ricacciare indietro le lacrime che premevano per uscire.
Si tappò le orecchie e per qualche istante si concentrò solamente sul silenzio, come quello che ricordava che l’aveva avvolta quando era nata. Solo buio e silenzio.
Prese di nuovo un bel respiro e lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi, calmandosi.
Improvvisamente, il rumore di passi leggeri fece scattare la testa della fanciulla nella direzione da cui provenivano.
Vi era un ragazzo tra gli alberi: era alto e mingherlino, il volto appuntito, le orecchie un po’ a sventola, la pelle chiara e i piccoli occhi azzurri; indossava dei pantaloni stracciati marroni, una felpa blu piena di brina e aveva dei corti capelli bianchi sbarazzini, mentre in una mano reggeva un lungo bastone ricurvo di legno e nell’altra quello che sembrava un vecchio mantello ripiegato.
E la fissava. La fissava in un modo che la ragazza sembrava ricordare. Nostalgico.
Il ragazzo avanzò tranquillamente e quando la fanciulla si rese conto che stava venendo proprio verso di lei, si ritirò velocemente indietro, arrancando, spaventata all’idea che anche lui potesse attraversarla.
Subito l’albino alzò le mani, le protese in avanti coi palmi aperti e si arrestò, intimandole di calmarsi, che non avrebbe osato avvicinarsi ancora. «Va tutto bene» disse e pareva un’affermazione più che una domanda, sembrava volerla rassicurare.
A quelle parole, la ragazza strabuzzò gli occhi, incredula. Il ragazzo le aveva parlato. Il ragazzo sembrava… accorgersi della sua esistenza.
«Tu… puoi vedermi?» mormorò incerta, puntando i grandi occhi azzurri in quelli più piccoli e altrettanto chiari di lui.
Il giovane accennò un sorriso nell’angolo della bocca. Un’altra cosa che le sembrava di ricordare. «Sì» rispose sincero, per poi aggiungere, ricordando il loro primo vero incontro: «perché non dovrei?»
La fanciulla alzò le spalle, confusa. «Sei il primo a potermi vedere» confessò.
«Lo so» rispose lui, consapevole.
Si avvicinò di nuovo e stavolta la ragazza non sembrò volerlo allontanare; si mise in ginocchio e avvicinò il viso al suo, presentandosi: «Sono Jack Frost, lo spirito dell’inverno.»
La ragazza aggrottò le sopracciglia, ancora più confusa. «Come, prego?»
Jack ridacchiò, divertito da come quella scena di tanti anni fa ora stesse di nuovo prendendo vita sotto i suoi occhi. «Sono uno spirito. Siamo due spiriti» precisò, «ecco perché nessuno ci vede. Sono colui che porta l’inverno, crea il ghiaccio e la neve.»
La giovane chiuse gli occhi per qualche istante e si portò una mano a reggere la testa, che sembrava scoppiarle. «Io… io non capisco.»
«Lo so» mormorò comprensivo lui. Attese qualche istante, non volendo spaventarla ancor di più. «Ma riesci a fare questo, giusto?» Con un fluido movimento di mano creò un piccolo coniglio di neve, che prese a saltellare in aria attorno a lei, finendo per dissolversi nel nulla così come era nato, mentre i fiocchi di cristallo dei suoi resti scendevano lentamente a toccare il suolo.
La ragazza rimase incantata a fissare quell’animale di neve, estasiata. I suoi occhi azzurri incontrarono nuovamente quelli di Jack, stavolta rivolgendogli ammirazione, meraviglia, curiosità, stupore. «Credo di sì» rispose in fine.
Jack accennò un piccolo sorriso gentile. «Bene. L’Uomo nella Luna ti ha detto il tuo nome?»
La fanciulla alzò lo sguardo e lo rivolse verso la sfera perfetta e luminosa che irradiava la foresta. «Sì» affermò, rendendosi conto solo in quel momento che l’aveva effettivamente fatto quando era nata. «Elsa. Il mio nome è Elsa.»
«Bene, Elsa» disse Jack, sorridendole. Si alzò in piedi e le tese una mano. Elsa la fissò, facendo vagare il suo sguardo da essa al volto del ragazzo. Le era così familiare, un’altra di quelle sensazioni che non sapeva spiegarsi.
Allungò la mano, titubante, ma poi le sue dita sfiorarono quelle del ragazzo e si strinsero attorno alla sua mano, palmo contro palmo, sentendo come se quel contatto fosse… giusto.
Jack la tirò su e in uno slancio Elsa fu tra le sue braccia, in piedi, una mano sul petto piatto di lui, l’altra andò a stringersi attorno al bastone che reggeva il ragazzo dai capelli bianchi come i suoi. La mano libera di lui andò ad accarezzarle la schiena, facendola rabbrividire, o forse no, quasi come se le stesse trasmettendo… calore, qualcosa che non pensava di poter provare in mezzo a quel gelo che le sembrava così naturale. I suoi occhi azzurri erano immersi in quelli di lui, nessuno dei due sembrava intenzionato a distogliere lo sguardo e i loro respiri si infrangevano e mescolavano, condensandosi nell’aria.
Poi, all'improvviso, il ragazzo sfilò il mantello marrone e logoro che aveva appeso al braccio e con esso circondò le spalle della ragazza.
La giovane si strinse nelle spalle. Quel caloro inusuale le piaceva. Le sue goto si imporporarono leggermente e le sue iridi continuarono a fissare quelle dell'altro. «Noi ci conosciamo?» chiese piano, con timore.
Jack si soffermò a guardare come l’Uomo nella Luna l’aveva riportata indietro da lui, esprimendo il suo desiderio: rendendola giovane e eterna, proprio come lui, schiarendo i suoi capelli e rendendoli lo stesso colore della neve. Gli era mancato stringerla fra le sue braccia, averla vicino al proprio corpo, o anche solo parlarle e ascoltare il suono della sua voce, gli era mancato avere quei grandi occhi azzurri solo per lui.
«Sì» ammise, sfiorandole una guancia con la punta delle dita.
A quel tocco Elsa ebbe un fremito, ma subito dopo chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel contatto ancora troppo familiare. Li Riaprì e li puntò nuovamente in quelli di Jack. «Ma io non ricordo nulla.»
«Lo so» si lasciò sfuggire l’altro. Ma non c’era malinconia nella voce, solo pura e sincera comprensione. Elsa attese che aggiungesse qualcosa e lui fece tornare nuovamente la sua mano a stringere il fianco dell’amata. «E pian piano ti racconterò tutto, te lo prometto. Ma ci sono alcune cose che dobbiamo fare prima» sussurrò, controllando i propri impulsi per non azzerare le distanze fra di loro, per non stringere la ragazza più a lui e premere le sue labbra su quelle di lei, assaporandole di nuovo dopo anni in cui era rimasto con solo il ricordo di esse ancorato dentro di sé.
Elsa sbatté le palpebre, curiosa, non capendo cosa l’altro volesse dire. «Che cosa?»
Jack sorrise, un sorriso divertito e pieno di sorprese, come quelli che era solito rivolgerle. Prese la mano di lei nella sua, facendo intrecciare le proprie dita, mentre le altre erano ancora salde sul bastone. Si avvicinò più al suo viso, sussurrandole direttamente nell’orecchio: «Ti piacerebbe imparare a cavalcare i venti?»
Quando si allontanò leggermente, un ampio sorriso era stampato sulle labbra della giovane, percorsa da un fremito di eccitazione e meraviglia. «Sì.»
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
PANDABITCH.
"Ommiodio ma cos'è successo? Mito ha aggiornato il giorno dopo? Di nuovo?"  Ehm... sì, di nuovo. Perché? Perché mi sono messa proprio sotto a scrivere e posso partecipare agli Oscar EFPiani! Ringraziamo Ivola quindi che mi ha convinto a partecipare, anche se poi lei alla fine ha rinunciato perché è la persona più brutta del mondo. 
Invece di "Pandabitch" dovrei scriverci tipo "Ivolsbitch" alle note autore, tanto oramai parlo solo di lei e alla gente non frega nulla.
Ma dettagli. Passiamo alle cose importanti: la verità è che quando ho pensato alla storia, agli inizi dei tempi, quindi tipo un anno fa, tipo alla fine di Gennaio 2014, la storia sarebbe dovuta finire con la morte di Elsa e basta perché sono una persona veramente orribile. Poi, però, tipo quando sono arrivata a metà fanfiction, mi è venuta un'idea. Sicuramente l'idea l'avrò avuta andando al cesso, che tanto lo sappiamo che le idee migliori vengono lì. E quindi è stato come un lampo #theflash e mi è venuta in mente questa cosa, l'ho detta a Ivola, lei ha approvato e quindi eccoci qua alla vera fine, quella proprio vera vera vera tipo epilogo. 
Quindi sì: dopo tutto il casino che hanno dovuto affrontare e il super angst e fluff e angst, alla fine l'Uomo nella Luna decide di far diventare anche Elsa uno spirito dell'inverno, in modo che possa stare per sempre assieme a Jack che, avendola conosciuta nella sua vita precedente, le può raccontare chi è realmente senza dover patire tutto quello che ha patito lui prima di sapere chi fosse. (????) Non ho voglia di rileggere se ho scritto bene, vi dico la verità. Però... però sì, è una cosa bellissima, io li amo, basta, staranno per sempre insieme e fine.
Che poi possono figliare. Perché nei libri de Le 5 leggende Pitch aveva una moglie e pure una figlia...........
Ah, inoltre vorrei ribadire che Elsa prima era bionda... ma poi quando è rinata i suoi capelli sono diventati bianchi come quelli di Jack.
E... e... io non ho nient'altro da dire, penso, a parte che ho finalmente concluso questa storia e che ora potrò dedicarmi agli altri tremila progetti che ho in mente, che dovrei studiare per gli esami, dovrei capire un po' cosa voglio fare e le solite cose......
Però vorrei ringraziarvi tutti dal profondo del cuore, voi che mi avete seguito fino alla fine neanche fossi Harry Potter (?) e che quindi un merito speciale va a tutti voi che avete continuato a leggere la fanfiction e che sicuramente al capitolo precedente mi volevate morta. Grazie. Grazie e ancora grazie.
Ah, sì, il banner nuovo è un regalo(?) per la fine della storia e anche perché è come se fosse un "nuovo inizio", quindi il vecchio banner non mi sembrava più appropriato, perché è come se iniziasse una nuova storia.
Se volete seguite i miei aggiornamenti o fangirlare e piangere con me, potete mettere mi piace alla mia pagina facebook, seguirmi su twitter, o su tumblr, o sul mio secondo tumblr, e se vi piacciono The Maze Runner e i Libri dell'Inizio, ho pagine facebook pure per loro due. 
Comunque, seriamente, devo ripassarmi i numeri in inglese che ho i vuoti di memoria. Bao.
 
Baci e panda, Mito.

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