Meet the End

di Michan_Valentine
(/viewuser.php?uid=25850)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chiamate Perse ***
Capitolo 2: *** Fuochi d'Artificio ***
Capitolo 3: *** Di Sangue e Acciaio ***
Capitolo 4: *** Palle di Neve ***
Capitolo 5: *** Faccia a Faccia ***
Capitolo 6: *** Presa di Posizione ***
Capitolo 7: *** Contro il Tempo ***
Capitolo 8: *** L'Uno nell'Altra ***
Capitolo 9: *** Essere Umani ***
Capitolo 10: *** Un Nuovo Inizio ***



Capitolo 1
*** Chiamate Perse ***



"In this bright future, you can't forget your past."

Sedette alla finestra, piegò la gamba e poggiò il piede sul davanzale; l’artiglio disposto fluidamente sul ginocchio. Fuori le nuvole coprivano il cielo, dandogli una tonalità plumbea. Minacciavano pioggia. All’orizzonte, il tramonto non era che una linea di fuoco dai riverberi rosa e arancio, che illuminava debolmente i tetti spioventi di Kalm. Qualcuno ancora si attardava in piazza, approfittando dei minuti rubati al temporale. L’armaiolo stava chiudendo i battenti come tutte le sere e, come tutte le sere, anche il fornaio stava riponendo le pagnotte invendute, strillando ordini alla figlia. Spostò lo sguardo sulla donna che invece raccoglieva il bucato, attorniata da un bambino di sei, massimo sette anni e da un meticcio di taglia piccola. Madre e figlio.

Non conosceva i loro nomi, ma sapeva che il padre del ragazzino si chiamava Riley ed era morto sul campo di battaglia. Un’altra vittima di Sephiroth; o della Shinra, come preferiva pensare. Il piccolo aveva dato il nome del genitore al bastardino che gli andava sempre dietro, col pelo arruffato e la coda svolazzante, e lo gridava spesso ai quattro venti. La madre non aveva piacere che giocasse col randagio e lo scacciava sempre; ma quello tornava puntualmente. Li osservò rientrare e richiudersi la porta alla spalle, la donna carica di biancheria e lenzuola. Tempo cinque minuti, il ragazzino tornò sull’uscio per allungare qualche leccornia al cane. Una scena che si ripeteva tutte le sere, in una rilassante quotidianità di cui lui era mero spettatore. Come sempre.

Un rombo attraversò il cielo e le nubi si caricarono di bagliori. Sollevò lo sguardo e si soffermò ad osservare le pesanti sfumature di grigio, in attesa della pioggia. In breve i secondi divennero minuti. Perfettamente immobile, chiuse gli occhi una volta. Forse due. Lei era lì ad aspettarlo, sotto l’albero nei pressi di Nibelheim. Non indossava il solito camice bianco e i capelli le ricadevano sulle spalle, liberi dal nastro che portava durante le ore di lavoro. “Se dormi non puoi proteggermi”, gli disse. Sorrideva, inclinando leggermente il capo sotto i raggi troppo intensi del sole… 

Un ronzio, cui ne seguirono altri due. Schiuse le palpebre. Le prime gocce di pioggia si stavano già infrangendo sul davanzale, sul mantello rosso e sull’artiglio dorato, producendo decisi ticchettii. Il sole era invece scomparso e all’orizzonte si scorgeva appena una sfumatura livida più chiara. Si alzò, abbandonò la finestra e si guardò lentamente attorno, cercando per la stanza piccola e scarsamente arredata. Non c’era sul tavolo, non lo vedeva sul comodino. Escludeva di averlo messo nell’armadio; ma addosso non l’aveva. In rapide falcate raggiunse il letto perfettamente in ordine e sollevò il cuscino. Sotto stava il cellulare nero, con l’effige argentata di Cerbero impressa sopra. Lo recuperò e lo schiuse.

Cinque chiamate perse e sei messaggi. Le chiamate erano di Reeve. Probabilmente aveva problemi alla WRO e aveva bisogno di qualcuno che facesse il lavoro sporco. Scorse invece la lista dei messaggi e lesse i vari mittenti. Batté le palpebre. Erano da parte dei suoi amici. Nessuno escluso. Strano che si fossero ricordati tutti allo stesso momento, specie quando erano settimane che non sentiva nemmeno Tifa. Sedette sul margine del letto e aprì il primo di questi.

Da: Reeve Tuesti - Ho provato a contattarti. Ci sono alcune questioni urgenti di cui vorrei parlarti. Ti manderò qualcuno per i dettagli, al momento non posso muovermi dal quartier generale. A presto.

Sospirò. Dirgli di lasciarlo fuori dalle sue questioni urgenti era prettamente inutile. L’avrebbe incastrato, in un modo o nell’altro. Non sapeva ancora come e quando, ma non si faceva illusioni.

Da: Yuffie Kisaragi - Sei una vecchia mummia come Godo. Togliti quelle ragnatele di dosso e rispondi al telefono. Lo sai che il cellulare funziona sia in entrata che in uscita? Non voglio diventare come te in attesa di una chiamata! M-U-M-M-I-A!. 

Scosse leggermente la testa. L’ultima volta le aveva risposto con un “ok” e lei aveva immediatamente replicato con “la tariffa telefonica non va a sillabe, Vince”. Passò al successivo sms.  

Da: Cloud Strife - rispondi ai messaggi

Preciso, chiaro e conciso. Senza punteggiatura o maiuscole; ma che ricordasse erano mesi che Cloud non si faceva sentire. Strano che gli avesse intimato di rispondergli.

Da: Barret Wallace - ciao vinnie. è da tanto che non ci vieni a trovare. quando passi da edge mi porti a cavalluccio? tu sei alto! ah, rispondi ai messaggi!

Marlene. La prima volta che gli era arrivato un messaggio del genere dal cellulare di Barret era stato costretto a rileggerlo tre volte. Piano. Poi, con sollievo, aveva capito che si trattava della bambina. Pigiò su “rispondi” e inviò “Ciao, Marlene”. Il successivo messaggio era da parte di Cid.

Da: Cid Higwind - Ohi, Vince! Che fine hai fatto? Rispondi al cellulare. Yuffie vuole che ti scriva un libretto di istruzioni o un manuale tecnico o chessoio del cazzo da mandarti per corrispondenza. Sapessi almeno dove ti sei andato a ficcare!

L’ultimo messaggio gli svelò infine il mistero.

Da: Tifa Lockheart - Ciao Vincent. Come stai? Quando vuoi passa a trovarci, ci farebbe piacere rivederti. Cloud, Denzel… Marlene, poi, non sta più nella pelle! PS: Yuffie sta tempestando tutti di sms chiedendo di dirti di rispondere al cellulare. Fallo per noi: richiamala.

Richiuse la conchiglia e la poggiò sul letto, chiedendosi da cosa dipendesse così tanta premura. Fuori ormai imperversava l’acquazzone; il cielo plumbeo era attraversato da ragnatele di fulmini e i contorni di Kalm apparivano lugubri, appesantiti dall’acqua. Un improvviso rumore di passi si insinuò fra lo scrosciare e ne richiamò l’attenzione. Erano veloci, decisi e stavano avvicinandosi. Eppure la casa era deserta, se si escludeva lui. Tese i muscoli, si alzò e mise rapidamente mano alla Cerberus, sempre al suo fianco. L’inaspettato -indesiderato- visitatore raggiunse la porta e la spalancò con veemenza l’attimo dopo, accompagnato da un roboante, assordante tuono. 

Yuffie si scapicollò all’interno senza tante cerimonie. Effettuò una leggiadra piroetta e accennò a dire qualcosa - forse la solita manfrina che adoperava per le entrate in scena. Tuttavia prima che potesse dar fiato alle trombe tossì, sputò e si piegò letteralmente in due, mani sulle ginocchia. Batté le palpebre e la osservò, senza mutare di un pelo l’espressione. Era fradicia ed ansimava come un mantice. Doveva essere arrivata di corsa. La ninja gli scoccò un’occhiata e sventolò la mano per aria, quasi stesse scacciando una mosca.

-Non ti… scomodare a… darmi il benvenuto…- fece, fra gli ansimi -Bello, il sacrario. A saperlo avrei… portato un cero.- soggiunse poi, osservando la stanza spoglia.

Tralasciò Cerberus e distese il braccio lungo il fianco. Ora tornava tutto. Reeve, la WRO. E Yuffie coi suoi messaggi. “Ti manderò qualcuno”. E bravo Reeve. Stupido lui che aveva pensato a Cait Sith, invece.

-Come mi hai trovato?-

-Con il mio infallibile Vincedetector, ovviamente.- rispose l’altra, sollevando leggermente il busto ma continuando a tenersi il fianco con una mano -Scherzo. Ho solo seguito la scia di lacrime e disperazione. Più le indicazioni di Marlene. Non sembra, ma sono sotto shock! Tu che prendi casa a Kalm. Una casa vera, intendo. Non una grotta. O una cripta. Una casa! Con le finestre. E il letto.-

Yuffie lo sorpassò, ancora affannata, raggiunse il giaciglio e vi guardò sotto, sollevando il margine inferiore delle coperte.

-Ah-ha!- fece, esultante; poi si ingobbì e lasciò penzolare le braccia -Polvere. Ed io che pensavo di trovarci una bara!- si alzò e allungò le mani verso il mantello -Sono fradicia, me lo presti?-

Si scansò dalla traiettoria.

-Yuffie…-

-Tirchio. Mi hai sentito? Tiiiiir-chio. Tirchio! Faresti bene a rimettere quel coso al suo legittimo posto. Alle finestre starebbe d’incanto. Perlomeno daresti un po’ di colore a questo buco.-

-Yuffie.-

-Cosa?!- sbottò con un balzo, puntandolo con iridi scure.

Il petto ancora le si alzava e le si abbassava spasmodicamente in cerca d’aria.

-Respira.-

Convinta, la ninja trasse profonde boccate d’aria -con la grazia di una partoriente- e per alcuni, vitali istanti restò ferma e -finalmente- zitta. Ne approfittò per analizzarla brevemente. I capelli e i vestiti le si attaccavano addosso e cospicui rivoli d’acqua le scendevano lungo il collo, le braccia e le gambe. Gli sembrò che rabbrividisse, complici l’umidità e la temperatura non proprio estiva. Sospirò. Era un tornado di sciocchezze, parole e movimenti superflui. A volte faticava a starle dietro. Avrebbe dovuto registrarla e riascoltarla poi alla moviola. Cid diceva che per lei ci voleva un foglietto illustrativo, come per i medicinali. Yuffie, dosaggio: “Una volta al giorno prima dei pasti per tre giorni. L’uso prolungato può provocare effetti indesiderati. Tenere fuori dalla portata dei bambini.” Nel suo caso erano passati meno di dieci minuti e già percepiva le prime avvisaglie di emicrania. 

Si allontanò, aprì l’armadio e recuperò un grosso panno di spugna che le allungò con un unico, fluido movimento del braccio. Non aveva ricambi adatti a lei, ovviamente, e tanto doveva bastarle. Yuffie gli strappò il telo di mano e se lo avvolse attorno al corpo, detergendosi gli arti. Poi scomparve completamente al di sotto di esso e prese a massaggiarsi anche il capo, asciugando i capelli.

-Ti manda Reeve. Che cosa vuole?- tagliò corto lui.

Yuffie sbuffò e si lasciò cadere sul letto, con l’asciugamani sulle spalle.

-Ciao Yuffie. E’ da tanto che non ci vediamo. Come stai? Lo sai, ti ho pensato spesso in questi mesi. Ah, ma vedo che ti sono cresciute le tette. Sai, stai molto meglio così. La taglia in più ti dona.- fece, indurendo e abbassando il tono di voce in una sottospecie di imitazione; poi puntò gli occhi su di lui -Si chiamano convenevoli, Vince.- gli spiegò con un’alzata di spalle.

Per tutta risposta batté le palpebre e incrociò le braccia al petto. Il silenzio si fece lungo e pesante nonostante fuori imperversasse l’inferno.

-Oooookey.- concluse la ninja, alzando gli occhi al cielo -C’è da dire che se avessi risposto al telefono a quest’ora lo sapresti. E io non sarei fradicia.- puntualizzò, mettendosi più comoda -a gambe divaricate- sul letto -Reeve dice che i cazzoni -cazzoni è una mia aggiunta, suona così bene- della Shinra stanno effettuando ricerche a tappeto nei pressi del Northern Cave. Mah! L’informatore ha menzionato la testa di Jenova. O di Sephiroth? E’ uguale e disgustoso, per quanto mi riguarda. Non so se è vero, ma Reeve vuole che andiamo a vedere.-

Se si trattava di Jenova non c’era da stare tranquilli. E Sephiroth… Ancora. Strinse le labbra. Credeva di aver chiuso con quella storia, di avervi messo la parola fine combattendo assieme agli altri per un nuovo futuro. Non per se stesso, certo. Il suo percorso s’era interrotto molto prima, nel passato; ma il destino tornava comunque a farsi beffe di lui. A cosa era servito sopravvivere, prendere una casa a Kalm e fingere di essere normale? A niente. Come la luna osservava il Pianeta dall’alto e da lontano, mentre gli altri vivevano la propria esistenza. Solo che la luna si muoveva, compieva orbita e rivoluzione. Lui stava fermo.

-Che vada Cloud.-

-Cloud deve fare le consegne e riportare a casa l’onesta pagnotta. Ha un figlio -adottato dice lui, ma io non ci credo- e non può lasciarlo morire di fame. Cid ha Shera. Puoi scegliere se con le tette o con le eliche. Tifa il bar. E Cloud. E Denzel. In sostanza l’onesta pagnotta la procura meglio  lei di Cloud. Barret deve invece occuparsi di AVALANCHE e dei suoi giacimenti di petrolio. E di Marlene, quando non la molla a Tifa. Insomma… è inutile che ci provi. Lo sanno tutti che quelli sfaccendati siamo io e te. Beh, non che io non abbia nulla da fare. Litigare con Godo, lucidare le Materia, andare a zonzo. Ma…-

Yuffie saltò giù dal letto, frugò nelle tasche, estrasse il cellulare e gli scattò una foto a tradimento con tanto di flash, spiaccicandogli praticamente l’obbiettivo in faccia. Suo malgrado strizzò gli occhi e voltò leggermente il capo, infastidito. Quando riacquistò la vista la ninja stava di già contemplando lo scatto.

-Sei venuto un vero schifo, Vince! Gli occhi mezzi chiusi, la bocca storta e l’espressione sofferente… porco Bahamuth, sembri stitico!-  rise e saltellò per la stanza, usando l’asciugamani come mantello -Sono Vincent Valentine e il flash non dona al mio incarnato cadaverico!- proclamò infine.

Poi gli mostrò il display, cui riservò un’occhiata disinteressata. Ciononostante dovette convenire. Yuffie diceva sempre un sacco di fesserie; ma quando aveva ragione, aveva ragione. Era venuto un vero schifo. E sì, in quella foto dava l’impressione di avere il mal di pancia. Curioso. Nemmeno lo sapeva di saper fare quel tipo di espressione.

-Che significa?- domandò, senza sciogliere la morsa delle braccia, rigorosamente incrociate sul petto.

La ninja fece spallucce e tornò a guardare il cellulare. Voleva sembrare disinvolta ma si vedeva lontano un miglio che stava tramando qualcosa. E che ci godeva, anche.

-Niente. Se non vieni con me la mando a tutti. Tifa è gentile e non riderà. Cloud nemmeno, perché è Cloud e non sa divertirsi. Tu ne sai qualcosa. Ma gli altri… e poi Marlene! Le cadrà un mito, povera piccola bamboccia!-

Così dicendo Yuffie fece sparire il cellulare nelle tasche e tornò a fissarlo, in attesa di risposta. Ed ecco perché Reeve non aveva mandato Cait Sith a convincerlo. Con lui sarebbe stato facile, quasi onesto. Sospirò per l’ennesima volta. Mettersi a discutere non sarebbe servito a niente, se non a peggiorare il suo mal di testa. Non era abbastanza loquace per vincere uno scontro verbale con lei. In più gli seccava rifilare l’ennesimo “no” a Reeve. Non capiva perché i suoi amici non potevano semplicemente lasciarlo perdere. In ogni caso doveva scegliere il male minore. E magari al Northern Cave non c’era proprio un bel niente. Né teste, né Jenova. O -peggio- Sephiroth.

Non replicò nulla. Si diresse alla porta della stanza, l’aprì e si avviò all’uscita. Prima partivano, prima tornavano. Dietro di sé sentì soltanto trambusto e imprecazioni.

-Andiamo ORA?! Ma fuori piove a dirotto! E mi sono appena asciugata! Almeno prestami la tendaaaa! Tirchio! Tirchio! Tiiiiirchio!-

Non visto, sollevò impercettibilmente gli angoli della bocca.


Primo capitolo di questa fic a quattro mani. Fateci sapere fin da subito cosa ne pensate!
CompaH e Lilien

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Fuochi d'Artificio ***


Scansò un nugolo di ragazzini che correva verso la spiaggia con il naso per aria, all’inseguimento di un aquilone senza padrone. Sollevò la testa e distinse le vele rosse, blu e gialle riverberare appena nel cielo notturno. Un attimo soltanto. Poi la corrente le spinse via e l’oscurità le inghiottì. Le risa e le strilla concitate dei bambini si spensero di rimando, in lontananza, lasciando il posto alla musica e all’indistinto chiacchiericcio di sottofondo. Se voleva sperare di concludere la chiamata doveva allontanarsi maggiormente.

Costa del Sol era sempre gremita di turisti. Ma nei giorni di festa diventava anche peggiore, quasi asfissiante. Una sfortunata coincidenza che aveva rimandato il proseguimento del loro viaggio di un giorno.

Costeggiò il Bar del Sol e raggiunse il ponte a passo svelto, ponendo quanta più distanza possibile fra sé e la piazza. Lì le luci soffuse delle lanterne colorate non potevano arrivare; e le ombre si proiettavano vischiose al di sotto dell’arco in pietra.

Sprofondò nell’oscurità e prese posto rasente il muro, braccia e gambe incrociate. Il telefono non vibrava più, ora; e per allontanarsi aveva perso di vista Yuffie. Poco male. Si sarebbero ritrovati più avanti, in locanda. In più non ci teneva particolarmente a mangiare zucchero filato. E i “no, grazie” con lei non funzionavano. Intanto l’aveva trascinato fuori dalla stanza. Letteralmente. Al grido di: “Ah-ha! È notte! Niente sole. Neanche uno spruzzetto piiiiiiicolo così! Perciò, caro il mio vampiro –sei un vampiro, vero? Sarebbe fico, se tu fossi un vampiro- non hai scuse. Adesso usciamo e ci divertiamo. Di-ver-ti-men-to. Intendi? Semmai più tardi ti faccio un disegnino.”

Sospirò. Era davvero una ragazzina.

C’erano cose più urgenti cui badare. Congetture, nella migliore delle ipotesi. Con cui fare i conti e scendere a patti. E nemmeno voleva considerare la certezza di determinate situazioni.

Assottigliò le palpebre e osservò la piazza, aspettando che Reeve lo richiamasse. La vita brulicava frenetica, fra le bancarelle addobbate a festa. Troppo veloce, per lui. La luce delle lanterne conferiva all’ambiente dei contorni quasi eterei, ovattati, eppure gli feriva gli occhi. Gli aquiloni invece ondeggiavano, cullati dalla brezza della sera, disegnando in cielo sagome di ogni forma e dimensione. Che non riuscivano a toccarlo con la loro variopinta bellezza.

Si era svegliato dal suo lungo sonno con qualcosa di meno. E con qualcosa di più. In ogni caso con qualcosa di diverso. Ma sembrava che le persone attorno a lui non riuscissero a vederlo. E a comprendere perché il più delle volte corrispondere alle aspettative fosse per lui quantomeno complicato.

Finalmente il telefono vibrò, interrompendo il flusso dei pensieri. Lo recuperò rapidamente e se lo portò all’orecchio con un unico, fluido movimento. Dall’altra parte della cornetta la voce di Reeve rispose squillante.

“Oh! Bene. Sembra che ora sia possibile comunicare. E così Yuffie è riuscita a convincerti, Vincent. Me ne compiaccio. È un’ottima notizia!”

Faticava a credere che fosse genuinamente stupito. Dopotutto l’aveva mandata da lui col preciso intento di incastrarlo. E l’aveva fatto perché sapeva che lei ci sarebbe riuscita. Era un tipo furbo, Reeve.

“So che avete avuto un contrattempo. Mi spiace. Avrei dovuto avvisarvi. Purtroppo nei giorni di festa le tratte sono sospese. Specie per il continente Nord. Ma stai tranquillo. Ho contattato Cid e mi ha garantito che al rientro verrà a prendervi.”

“È vero?” lo interruppe, atono.

Dall’altro capo del telefono imperò il silenzio, cui in lontananza fece eco la risata sguaiata di qualche turista ubriaco.

“Non lo so. È quello che voglio scoprire.” riprese Reeve “Ma non è così semplice approfondire. Ci stiamo muovendo su un campo minato, Vincent. A finanziare le operazioni e le apparecchiature della WRO è qualcuno con grandi mezzi. Qualcuno che si sente in debito con il Pianeta. Purtroppo temo che il lupo abbia perso il pelo, ma non il vizio. Tuttavia ti renderai conto che puntare il dito potrebbe costarci molto caro. E il lavoro che noi svolgiamo è fondamentale per la ricostituzione del Pianeta. Non possiamo esporci troppo.”

Comprendeva quel discorso. E comprendeva perché aveva mandato loro anziché le truppe regolari della WRO. Rufus Shinra, invece, aveva fatto bene i suoi conti. E i suoi investimenti.

“Fortuna che il doppiogioco ti si addice.” commentò.

L’altro rise. “A dire la verità sto cercando di smettere. Ma… Vincent?”

“Mh.”

“Se le informazioni dovessero rivelarsi esatte… Che si tratti dell’una o dell’altra calamità farà poca differenza. La situazione resta delicata. Potrebbe essere l’inizio di una nuova guerra. E ho bisogno che tu e Yuffie prestiate grande attenzione. Che siate discreti, soprattutto. So che per lei non sarà affatto facile.” rise ancora, come se stessero parlando del più e del meno “In ogni caso chi-sai-tu vi sta aspettando ad Icicle. Vi condurrà dal nostro contatto. Buona fortuna!”

La comunicazione s’interruppe quasi bruscamente, lasciando il posto alla musica e al brusio della festa. Allontanò la conchiglia dall’orecchio e la ripose in tasca con la stessa fluidità con cui l’aveva estratta; la mente già dispersa in pensieri.
Per il Pianeta e per l’umanità di certo non avrebbe fatto differenza. Jenova, Sephiroth… erano entrambe calamità dalle grandi potenzialità distruttive. Persino la Shinra l’aveva imparato a caro prezzo sulla pelle. Ciononostante nel suo caso specifico le cose restavano sensibilmente diverse.

Incrociò le braccia al petto, chinò il capo e serrò le labbra in una linea più dura, trincerandosi dietro il collo del mantello. “Non vuoi proprio dirmelo, Vincent?” Gli bastava chiudere gli occhi per rivederla, nella luce soffusa dei cristalli.

Le aveva mentito. Le aveva detto che Sephiroth era morto ancora prima della battaglia finale. Perché le menzogne erano la via più facile. Meno dolorosa. Finché non si era costretti a conviverci. Per l’eternità, magari. Ma era quella la strada che aveva scelto di percorrere. Farsi carico di un peccato in più lungo il cammino non gli avrebbe fatto differenza. Era la sua punizione.

Eppure, a due anni dalla parola fine, la storia che era stata faticosamente chiusa voltava inaspettatamente pagina e si riapriva. Uno spiraglio che lasciava accesso a vecchi, innominabili dubbi…

“Viiiiiince!”

La voce di Yuffie irruppe, sovrastando i restanti rumori. Sollevò il capo, lo sguardo e la vide sopraggiungere di corsa lungo l’acciottolato di Costa del Sol. La ninja frenò in prossimità del ponte, ma s’arrestò malamente solo tre, quattro passi più avanti, dandogli più che altro la sensazione che sarebbe finita faccia a terra.

“Vince! Presto!” fece poi, sbracciandosi.

Aveva la bocca sporca di zucchero. Un dettaglio che le si addiceva. Tutto di lei comunicava urgenza, dal tono di voce all’espressione affannata. Nel caso specifico la gestualità frenetica poteva considerarsi normale, ma, forse per via di quanto Reeve gli aveva appena raccomandato, ogni cellula del suo corpo si mise in allerta. Possibile che qualcuno della Shinra li avesse già…!?

Si distaccò dalla parete e la raggiunse a grandi falcate; tuttavia Yuffie non gli diede il tempo di approfondire. Né gli fornì ulteriori spiegazioni. Semplicemente l’agguantò per il braccio e lo trascinò via, verso la piazza. Di nuovo fra le persone.

“Che sta succedendo?” chiese; mentre la musica e il chiacchiericcio tornavano a coprire la sua voce, assordanti “Yuffie… posso camminare da solo…”

Per tutta risposta la ninja smise di tirare, lo aggirò, gli piantò ambo le mani sulla schiena e cominciò direttamente a spingerlo. Sospirò, mentre la folla si apriva al passaggio. Era fiato sprecato. Tuttavia contraddirla avrebbe provocato lo sgradevole effetto collaterale di richiamare maggiormente l’attenzione. E addio discrezione. Senza contare gli sguardi che avevano già attirato…

Poco dopo si ritrovò innanzi a una delle tante bancarelle. Di rimando la ninja smise di pressarlo, effettuò una piroetta e l’affiancò. Sembrava entusiasta e si passava l’indice sotto il naso. Dal canto suo si limitò a sollevare lo sguardo e ad analizzare quanto gli stava davanti con scarsa convinzione: bersagli, fucili ad aria compressa, peluche.

“Il tirassegno.” constatò.

“Esatto. Mica il patibolo! Perciò –giusto in caso non te ne fossi accorto da palloncini, aquiloni e musica- t’informo che il tuo eterno tormento è attualmente fuori luogo. In più, hai visto il premio in palio? È una All Materia!”

Gli rivolse un sorriso a trentadue denti. Ora capiva tutto. Furbastra.

“È imbrogliare.” obbiettò.

“Dettagli! E poi la lealtà è fuori moda da un pezzo. Roba da sfigati all’ennesima potenza. Anzi, per vecchi sfigati all’ennesima potenza più ennesima! Dai! Fallo per la tua insostituibile –nonché prediletta e simpaticissima- compagna d’avventure! Senza contare che prima sei sparito. Per colpa tua sono stata costretta –a malincuore, guarda, piango- a mangiare due –e dico duuue- porzioni di zucchero filato! Mi verrà il mal di pancia e mi avrai sulla coscienza!” fece, agitandogli praticamente l’indice in faccia.

La guardò ancora per un po’. Poi semplicemente girò i tacchi e se ne andò. Meta: locanda.

“Ah! Fermo! Dove stai andando? Non costringermi a mandare quella foto a tutti!” gli urlò dietro la ninja.

E l’inseguì, anche, almeno a giudicare dai passi. Poco dopo, infatti, l’altra gli tagliò la strada e si frappose tra lui e la locanda a braccia aperte. Di conseguenza fu costretto ad arrestare il passo. Sospirò.

“Yuffie…” fece una pausa e scrollò il capo “Si salpa all’alba, domattina. Dovresti riposare.”

“E tu dovresti rilassarti un po’.” ribatté lei, inarcando il sopracciglio.

“Non è un viaggio di piacere. Dobbiamo mantenere un profilo basso. E invece ci stanno guardando tutti.” continuò.

“Sì. Si chiama “effetto Valentine. È quel misto di “Brrr”, “Oooh” e “Waah” che provochi naturalmente nella gente.” mimò, curando in particolar modo le onomatopee “Vedi quelle due accanto al banco delle mele caramellate? Ecco, potendo ti strapperebbero di dosso la tenda rossa solo per vedere che cosa c’è sotto. A morsi. Ma tu non te ne sei nemmeno accorto. Mentre io ti conosco bene e compenso subito con un grande –colossale, mastodontico- “Uff”. Perché sei vecchio. E barboso. BAR-BO-SO!” concluse, incrociando le braccia al petto “In più stasera ci sono i fuochi d’artificio sulla spiaggia. E nessuno merita di guardarli da solo –nemmeno tu.”

Batté le palpebre e tacque. Tenerle testa gli risultava impossibile, specie quando le circostante lo sfavorivano. Cioè sempre. Al solito, perfino le obiezioni più ragionevoli s’infrangevano contro la personale logica di Yuffie. Poi non aveva ben capito come avesse fatto a rigirare la frittata e a incolpare lui di tutto. Troppe parole. Troppo veloci. Istintivamente diresse lo sguardo al banco delle mele caramellate. Due giovani donne stavano effettivamente guardando lui, ridendo e parlottando fra loro. Una sollevò addirittura la mano e lo salutò.

“Visto? Ti mimetizzi benissimo alla fauna locale. Sei praticamente invisibile. Io dico che è colpa del rosso e del rassicurante artiglio di metallo –gli hai già dato un nome? Io voto per Signor Pungolo. Ma magari mi sbaglio, eh!” rincarò la ninja, col tono palesemente ironico “Ora puoi scegliere. Cammini… o ti spingo fino in spiaggia –e sei pesante, perciò vedi di scegliere bene.”

Restarono a fissarsi ancora per un po’, entrambi a braccia incrociate. Fermi sulle rispettive posizioni. Yuffie sembrava molto determinata, constatò; eppure proprio non capiva perché se la prendesse così a cuore. O probabilmente si era solo intestardita. Dopotutto a lui non importava. Dei fuochi d’artificio, della solitudine. Di se stesso in generale. O forse, realizzò d’improvviso, era semplicemente lei che non voleva rimanere da sola sotto il cielo stellato. Sospirò. Infine scrollò le spalle, il capo e sciolse per primo la morsa delle braccia.

Di rimando la ninja s’aprì in un sorriso così grande e genuino che per poco non gli fece schiudere le labbra dalla sorpresa. Era una reazione talmente spontanea da risultare disarmante. Soprattutto se perpetrata da lei. Per qualcosa concessa controvoglia da lui. Decisamente: non capiva.

Non attese oltre e s’incamminò. Al solito: prima andavano, prima tornavano.

Raggiunsero la spiaggia che un discreto numero di turisti aveva già preso posto lungo il muretto che costeggiava il lido. In sottofondo il mare copriva ogni altro rumore proveniente dalla piazza. In qualche modo ciò lo confortò.
La ninja invece lo distanziò di alcuni passi, forse alla ricerca di un buon punto d’osservazione. Capì che l’aveva trovato quando la vide saltellare in lontananza, agitando entrambe le braccia.

“Viiiince! Da questa parte!” fece, richiamando su di sé l’attenzione di molti.

Reeve non avrebbe approvato.

La raggiunse, mentre l’altra si sedeva a cavallo del muretto come un maschiaccio. Dal canto suo restò in piedi. La brezza risaliva dal litorale e baciava loro la pelle, facendo sventolare dolcemente capelli e vestiti. Sullo sfondo, il mare sembrava un’immensa, vischiosa distesa di buio. Soltanto i raggi della luna riverberavano appena sulle piccole increspature, donando all’ambiente delle sfumature argentate.

“Lo so che sei preoccupato.” esordì improvvisamente Yuffie; e si accorse in quell’istante che era già da un po’ che non parlava “Lo sono anch’io. Beh, naturalmente si nota poco perché io lo faccio con stile –perché io spacco e sono figa. E perché ho passato tutta la tratta da Junon a Costa del Sol piegata in due dalla nausea –ma questo è un dettaglio microscopico, IN-FI-NI-TE-SI-MA-LE!”

Chinò lo sguardo su di lei e si accorse che puntava il mare. O il cielo. Le estremità della fascia le solleticavano la nuca e le spalle, smosse dal vento.

“Sai che credo?” chiese, ma non aspettò risposta “Tu pensi troppo e agisci poco, ecco cosa credo! A fare così ti si frigge il cervello –ed ecco spiegato perché sei così… strano.”

“Tu agisci. E non pensi affatto.” le fece notare, senza mutare espressione.

“Ah-ha! Sapevo che l’avresti detto! Perché sei un pignolo! PI-GNO-LO!” strillò e continuò a puntare verso la distesa scura “E comunque non faccio solo un mucchio di cazzate, come dice Highwind –come se lui fosse un genio, poi. Anche se –lo ammetto- qualche idea è leggermente meno brillante di altre.”

Scosse il capo e trattenne un piccolo sbuffo divertito. Poi diresse a sua volta lo sguardo all’orizzonte. Proprio allora il primo fascio di luce s’innalzò dalla distesa d’acqua e tagliò il cielo. Poi esplose con fragore e si frammentò in mille scintille, che tornarono al mare come pioggia colorata.

Seguirono fischi, altri fasci e nuove esplosioni, che in breve coprirono il cielo per intero. Ora le increspature dell’acqua riverberavano di tutti i colori dell’arcobaleno…

“A Wutai i fuochi d’artificio illuminano tutto il Da-Chao. È uno spettacolo meraviglioso, forse unico.” commentò inaspettatamente la ninja “Beh, naturalmente a Godo non l’ho detto. Il vecchio si monterebbe la testa e l’anno dopo pretenderebbe di scalare la montagna per posizionarli di persona –e lui non si rende conto che non ha più l’età per certe cose!” rise “Quand’ero piccola approfittavo sempre della confusione per sgattaiolare via e nascondermi in qualche buco. Trovavo che fosse divertente –trovo ancora che sia divertente, perché gli scherzi SONO divertenti. Facevo impazzire mia madre!” fece una pausa, frammentata dagli scoppi dei fuochi d’artificio “Poi lei se n’è andata.”

Batté le palpebre, abbassò lo sguardo e incappò ancora nella sagoma della ninja, ostinatamente rivolta verso il mare. Gli sembrò che fosse più piccola, stretta nelle fragili spalle.

“Perciò è importante essere qui adesso. Insieme. È probabile che non ricapiterà più. E ogni istante è prezioso, va afferrato. E la prossima volta che passerai da Costa del Sol –tutto triste e solo- non potrai dire “Accidenti, perché non sono andato sulla spiaggia con quella gran figa di Yuffie? Sono proprio un vampiro pignolo e barboso col cervello fritto!”. Puoi ringraziarmi quando vuoi, eh!” fece, balzando in piedi sul muro “Ah, mi è finita della sabbia negli occhi! Stupida brezza!” esclamò poi, stropicciandosi la faccia.

Ora capiva. Capiva il perché di quel sorriso, capiva il desiderio di non restare sola. Dopotutto le sue emozioni non erano così sbiadite, se riusciva ancora a dimostrare empatia nei confronti di qualcun altro. E in quel momento la figura di Yuffie che tratteneva le lacrime, stagliata sullo sfondo della notte e illuminata soltanto dai fuochi d’artificio, riuscì a toccarlo più degli aquiloni, più del mare e di tutta la musica di Costa del Sol.

Un’ultima, intensa raffica di esplosioni preannunciò il termine dello spettacolo pirotecnico. Poi calò il silenzio e tutt’attorno si levò uno scroscio d’applausi che coprì nuovamente ogni cosa con il proprio, incessante brusio.

“Yuffie…”

La diretta interessata abbandonò il muretto e atterrò sulla spiaggia con un’agile capriola; dopodiché spiccò la corsa verso le onde. La seguì con lo sguardo fin dove possibile, poi il mare la ingoiò.

“…grazie.” sussurrò alla brezza e al rumore delle onde.

Poco dopo la vide riemergere con la testa incassata nelle spalle e con le braccia allacciate al corpo. Scosse il capo.

“Questa è stata una pessima idea!” commentò la ninja quando lo raggiunse, fradicia dalla testa ai piedi “Cioè, volevo dire, meno brillante! Ho detto pessima? No, no. Solo MENO BRILLANTE! Chiaro?!”

Le battevano i denti, complice il clima non propriamente estivo. I capelli e i vestiti le si attaccavano di nuovo al corpo, come la sera in cui era piombata in casa sua a Kalm. Seguì appena la traiettoria di alcune gocce scivolarle lungo le braccia e le gambe…

“Avresti dovuto pensarci. Ma poi ti si sarebbe fritto il cervello.” commentò.

Di conseguenza Yuffie balzò e lo puntò con l’indice.

“Pignolo! Mi hai sentito? PI-GNO-LO! Pignooolo!” strillò “E poi da quando fai le battute? Sono scioccata. E zuppa. Di nuovo.” poi si scrollò l’acqua di dosso come un animaletto selvatico e sfoderò un altro sorriso a trentadue denti “Beh, visto che sei di buon umore –Sei di buon umore, vero?- rientrando possiamo passare dal tirassegno e tu puoi vincere la All Materia per me!”

“No.”

“Tirchio! Tirchio e pignolo! Pignolo e tiiiiirchio! Almeno prestami la tenda! Fa un freddo boia!”

Ciò detto la ninja protese le braccia. Stavolta non obbiettò; né si scansò. Semplicemente lasciò che agguantasse il mantello e ci si avvolgesse per intero con un’unica piroetta. Meglio che stesse coperta. Specie quando Costa del Sol era gremita di giovani e aitanti turisti dall’occhio lungo. E poi quello che non si accorgeva delle cose era lui. Sospirò; poi si avviò lungo il tragitto di ritorno.
 
Salve a tutti. Innanzi tutto mi scuso per il ritardo con cui giunge questo aggiornamento.
Secondariamente devo fare alcune precisazioni. Stendere questo capitolo sarebbe spettato alla Lilien. Purtroppo lei attualmente non può seguire lo sviluppo della storia. Per questo ci ho pensato io. Il punto è che non sono certa del risultato, specie senza il supporto della Lilla (sempre pronta a smentire le mie insicurezze). Perciò boh. Spero di non aver fatto un gran casino! E grazie per essere arrivati fin qui!
CompaH

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Di Sangue e Acciaio ***


Si spostò da un piede all’altro, imperturbabile, e appuntò distrattamente lo sguardo sulle mensole della cucina, dove stavano un’infinità di barattoli colmi di spezie. Non c’era da stupirsi se l’aria sapeva di rosmarino, aneto e menta piperita. Era salubre. Non gli dispiaceva la quiete di quella rustica casetta di legno, ammise.

Di fianco a lui Yuffie stava invece grattandosi la testa, nient’affatto influenzata dall’ambiente circostante.

“Scusa, scusa, scusa… puoi ripetere?” chiese la ninja, mani sui fianchi “No, perché credo di non aver afferrato in pieno. Cioè, ovvio che normalmente capisco sempre tutto –ho gli occhi di un falco, le orecchie di un pipistrello e l’olfatto di un segugio, io. Non mi sfugge niente. Ma magari sei tu che ti sei spiegata –come dire?- male. Anzi. Malissimo.”

“Principessa, a dire il vero…” tentò di mediare Cait Sith, agitando la coda e le piccole mani.

“Taci, gattaccio! È colpa tua se ci troviamo in questa situazione!” strepitò la diretta interessata.

In effetti, quando si erano riuniti ad Icicle, non avrebbe mai immaginato che l’altro li conducesse lì. Non che gli importasse o che facesse differenza, comunque. In più era di strada. Tuttavia le discussioni non facevano per lui.
Lasciò le chiacchiere ai suoi compagni di viaggio e spostò lo sguardo sui fornelli, dove una teiera stava riscaldandosi a fiamma bassa. Di fianco, sul banco della cucina, stava una grossa tazza di ceramica, da cui pendeva il cordoncino del tè. Di certo la padrona di casa non aveva intenzione di offrire loro da bere… né di farli accomodare. Prevedibile, dato che Yuffie non la smetteva di protestare.

“Per la terza volta –come ti chiami? Ah, Yuffie- voglio quei tizi in nero fuori dalle mie proprietà. Siete venuti qui apposta, no? Mandateli via! Scavano buche, urlano ordini e spaventano i miei animali. A Fiocco è venuto addirittura il latte amaro!” ribatté l’altra, senza colpo accusare “Ora è più chiaro?”

Terminò di analizzare le piastrelle della cucina e adocchiò nuovamente l’ospite, che li fronteggiava col piglio determinato di chi sapeva il fatto suo. Trecce rosse, occhi azzurri e una spolverata di efelidi sul viso. Vestiva gli abiti pesanti tipici del luogo. Se ricordava bene aveva detto di chiamarsi Abigail. Era più alta, più robusta di Yuffie e aveva indubbiamente qualche anno più di lei. Ciò non serviva a intimidire la ninja, ovviamente.

Si spostò ancora da un piede all’altro e incrociò le braccia al petto. Cominciava a spazientirsi; e a percepire le prime avvisaglie di emicrania. Dopotutto stavano perdendo tempo con questioni irrilevanti, mentre la Shinra procedeva indisturbata con le sue losche ricerche.

Yuffie puntò il dito contro Abigail e aprì la bocca una, due volte, senza tuttavia fiatare. Probabile che non avesse trovato le parole giuste per controbattere. Strano. Un motivo in più per lasciar perdere e proseguire verso il cratere. Invece la ninja inarcò le sopracciglia, agguantò Cait Sith e si nascose dietro di lui, trascinandosi appresso il gatto. Si spostò appena, assecondando il movimento per puro riflesso condizionato, e il mantello andò a coprirli quasi per intero. Sospirò.

“Ferma! Principessa! Si può sapere che ti prende? Ah! Attenta alla corona! La corona!” protestò Cait Sith.

“Tu –e sottolineo TU, gatto fedifrago e finto- ci hai portati qui perché i cazzoni della Shinra spaventano i pecoroni di questa tizia?!” obiettò la ninja.

Non aveva poi tutti i torti. Ma evitò di esprimersi e prendere così parte al battibecco.

“Sono capre di montagna. E vi sento benissimo anche da lì dietro.” osservò invece la padrona di casa, scuotendo il capo.

Sembrava rassegnata. Un po’ come lui. Non finì di pensarlo che Abigail lo puntò. Normale, visto che gli altri due l’avevano praticamente usato come scudo –più o meno- umano.
Notò che sembrava incuriosita più che intimidita. Evidentemente l’”effetto Valentine” di cui parlava Yuffie non funzionava proprio con tutti. In ogni caso non aveva niente da aggiungere. L’ignorò e cominciò ad analizzare anche il salotto di casa, mentre la ninja e il robot facevano cose non meglio precisate alle sue spalle –di certo c’erano solo gli strepiti di Cait Sith. Con le braccia incrociate, il collo del mantello a coprirgli la faccia e lo sguardo puntato ostinatamente altrove era inespugnabile. O almeno così credeva…

“Senti… Vincent, giusto?” cominciò Abigail, ignorando palesemente il linguaggio del suo corpo “Io vivo di questo. Latte, formaggi. I turisti si fermano ad Icicle, fanno snowboard e comprano i miei prodotti dal droghiere. Di certo non arrivano fin quassù. Nessuno sano di mente arriva fin quassù –senza offesa.” gli spiegò tranquillamente “Funziona così da sempre. Credo. Avevo quattro anni quando mi sono trasferita qui per stare col nonno. E non è mai cambiato. Poi, d’improvviso, due tizi in completo scuro bussano alla porta di casa e mi fanno un sacco di domande strane.”

Quell’ultimo dettaglio accese inaspettatamente il suo interesse; tant’è che la guardò dritta negli occhi. Ciononostante non fece in tempo ad approfondire che Yuffie balzo immediatamente allo scoperto e prese parola per tutti. Stringeva le mani attorno al collo di Cait Sith, notò.

“Ah-ha! Scommetto quello che volete –non le mie Materia, perché quelle non si toccano- che si tratta di quegli avvoltoi –o becchini- dei Turks!”

Abigail si strinse nelle spalle.

“Non conosco i loro nomi. Uno era alto, testa pelata e occhiali da sole. Un tipo silenzioso. L’altro aveva i capelli rossi, la parlantina sciolta… e la faccia da schiaffi, sì. A un certo punto credo di averli minacciati con la padella…”

“Ah!” esclamò Yuffie “Sono loro! Fiammifero e Palla da bowling! Furfanti e codardi! Codardi e furfanti! Ma se li becco assaggeranno i miei pugni. E anche i miei formidabili calci volanti. E il Conformer, ovviamente! Dritti su per il… ehm…”

La ninja si censurò e si grattò la testa, sfoderando il suo solito sorriso a trentadue denti. Cait Sith invece si divincolò e sfuggì alla presa, atterrando con una capriola sul pavimento di legno.

“Principessa! Siamo qui per raccogliere informazioni. Informazioni. L’ultima cosa che ci serve è una baruffa coi Turks. Mantieni la calma! La calma!” soggiunse il robot, agitando le piccole mani.

Fiato sprecato, comunque. E Yuffie stava già menando cazzotti all’aria, blaterando sui mille e più modi in cui avrebbe potuto stendere Rude e chiudere per sempre la bocca a Reno: a occhi bendati, con le mani legate dietro la schiena, etc. A ben pensarci erano già stati fortunati a non averli incontrati venendo; oppure la situazione avrebbe preso una piega controversa fin dal principio. Oltre che estremamente seccante.

“Cosa volevano?” domandò, asciutto.

Abigail batté le palpebre, stupita. Tant’è che si chiese cosa le avesse domandato di così strano.

“Oh, allora sai parlare anche tu!” esordì invece la ragazza; poi rise, per la prima volta da che si erano incontrati “Beh, volevano sapere se avessi visto o sentito qualcosa di particolare. Come se qui, sulle montagne, potesse accadere qualcosa di emozionante. O di strano.” fece una pausa e soggiunse “Dopo la Meteora, s’intende. Quello sì che è stato uno spettacolo mai visto!”

La scioltezza con cui l’altra si riferì alla Meteora lo inquietò. Non c’era da stupirsene, comunque. La maggior parte delle persone non aveva capito fino in fondo l’entità di quanto era accaduto. E di quanto avesse rischiato, soprattutto.
Dei colpi di tosse lo richiamarono all’attenzione. Provenivano dalla stanza attigua.

“Oh, scusatemi.” fece Abigail, correndo ai fornelli.  

La seguì con lo sguardo, mentre afferrava la teiera e versava l’acqua bollente nella tazza di ceramica. Poi la ragazza s’allontano alacremente e scomparve, probabilmente nella camera da letto.

“Che brutta tosse! Non è che la mummia –cioè, l’adorabile e attempato nonnetto- tira le cuoia? Sarebbe quantomeno imbarazzante se succedesse proprio ora!” osservò Yuffie.

Non commentò. Cait Sith invece li fronteggiò entrambi, sventolando la lunga coda.

“Cerchiamo di rimanere concentrati. Innanzi tutto vi ho portati qui perché Abigail conosce il territorio come nessun altro. Anzi, meglio! Sa dove la Shinra sta effettuando le ricerche! Li ha visti!”

“E non potevi dirlo subito?” domandò la ninja, incrociando le braccia al petto “Ci saremmo risparmiati un sacco di fatica –e di fiato, nel mio caso. Il tempo è ovviamente relativo. Meglio passarlo qui che fuori. Lì si gela.”

Scosse la testa. Cait Sith invece scrollò le spalle e s’ingobbì. Farle ovviamente notare che il robot aveva provato a parlarle più di una volta sarebbe stato inutile. Come, d’altronde, sarebbe stato inutile ricordarle che anche il perdere tempo non era affatto relativo, specie considerando la situazione. Dopotutto la logica di Yuffie era inaffondabile. Anche contro l’evidenza e il buon senso.

***

Si sporse appena oltre lo sperone di ghiaccio e adocchiò il fondo della piccola gola. Con la cautela che si adoperava per maneggiare la nitroglicerina, un gruppo di quattro uomini stava rimuovendo le zolle di neve da un’area delimitata da evidenti fasce gialle. Indossavano tute bianche e maschere di protezione. Due Turks sconosciuti presenziavano invece alle operazioni, ricetrasmittente alla mano.

Una raffica di vento improvvisa lo costrinse ad arretrare, tagliandogli le gote e sollevando spolverate di neve tutt’attorno. Il freddo era intenso e le correnti affilate come lame. In più l’immobilità non li aiutava affatto a combattere la temperatura.

“Morirò. D’ipotermia. Ma tornerò a perseguitare Reeve, parola di Yuffie Kisaragi! Gli fregherò le Materia. E i Gil. Pure le mutande. E infine farò la ceretta al suo adorato Mr Perfettino –cioè il suo pizzetto.” protestò la diretta interessata, accucciata lì di fianco e avvolta da capo a piedi nella sua mantella beige “E poi si può sapere che stanno cercando lì sotto? Vanno avanti così da stamattina –ed è da stamattina che continuo a pensare a cose tipo: cioccolata calda, coperta di lana, uccidere Reeve, tè, caminetto acceso, uccidere Reeve, brodo, termosifone… e potrei andare avanti così per ore anch’io! Ho già detto cioccolata calda? Quella sì che mi risolleverebbe l’umore! T’oh, m’è venuta la bava alla bocca.”

Cait Sith lasciò cadere il binocolo, si portò ambo le mani alla testa e si arruffò furiosamente il pelo.

“Aaah! Adesso basta! Non ne posso più! Sei un disco rotto, principessa! Chiudi il becco!”

Sospirò; e nuvole di vapore presero forma davanti alla sua bocca. In effetti era da quando si erano appostati che la ninja non faceva altro che ripetere gli stessi concetti con parole diverse. Tuttavia di quel passo li avrebbero scoperti in meno di un soffio. E senza che avessero potuto cavare un ragno dal buco.

“Fate silenzio o ci individueranno.” redarguì, prima che i due potessero cominciare una nuova diatriba.

Si accaparrò un’occhiataccia da parte della ninja, ma l’ignorò. Poi, mentre i suoi compagni si contendevano –più o meno silenziosamente- il binocolo, appuntò lo sguardo sui dintorni e controllò che non ci fossero movimenti sospetti.
Le nuvole coprivano il cielo e le cime innevate, da cui facevano capolino massicce e affilate creste rocciose. Il riverbero della luce andò ugualmente a ferirgli gli occhi, ridotti a sottili fessure, ma non gli impedì di constatare l’immobilità circostante. Si tranquillizzò appena. Tuttavia non fece in tempo ad assimilare quella sensazione che Cait Sith balzò sul posto e agitò la mano per richiamare l’attenzione.

“Presto! Hanno appena tirato fuori qualcosa… sembra… anzi, quella è…”

La ninja affiancò immediatamente il robot, gli strappò il binocolo di mano e lo usò per dare una lunga occhiata sul fondo della gola.

“La Masamune.” sussurrò.

A quel nome mancò un battito. Allungò il braccio, recuperò il binocolo e si sporse a guardare anche lui. Assottigliò le labbra; mentre i presentimenti, le supposizioni trovavano conferma nell’affilata linea d’acciaio che risplendeva fra le mani degli addetti Shinra. Quella era proprio la Masamune. La spada di Sephiroth. Ma fra i tanti pensieri che gli assillavano la mente, uno in particolare lo lasciò senza fiato.

Avevano sconfitto Sephiroth al Northern Cave. Eppure la sua spada si trovava ben oltre la voragine in questione. Come aveva fatto ad arrivare lì? No. Non poteva, non doveva essere. Analizzò velocemente le altre, possibili circostanze. Forse qualcuno l’aveva rinvenuta sul fondo del cratere e…

“Che poi mi sono sempre chiesta… come faceva a maneggiare quell’arnese lì?” la voce di Yuffie interruppe bruscamente i suoi ragionamenti. “Cioè, dai. È una roba assurda. Così luuuunga! Non si può nemmeno rinfoderare.  È ovviamente scomoda. Scommetto che ogni tanto gli s’impigliava pure nei capelli. E gli s’incastrava sui muri mentre camminava. E negli alberi.”

La ninja ridacchiò fra sé. Dal canto suo batté le palpebre, interdetto. Poi scosse il capo, rilasciò un piccolo sbuffo e restituì il binocolo a Cait Sith. In qualche modo quell’uscita inopportuna aveva allentato la tensione. Certo, c’era da chiedersi come Yuffie facesse a partorire determinate idee alla velocità della folgore. E a dare loro fiato con altrettanta scioltezza a prescindere dalla situazione. Forse sarebbe stato il caso di censurarla prima che...

“Secondo voi aveva una spada così… ingombrante perché doveva compensare qualcosa? È risaputo che chi non ha i capelli si fa crescere la barba, ad esempio.”

Troppo tardi; come al solito. Per certe cose era decisamente più svelta di lui.

“Yuffie…” tentò ugualmente.

“Ora che ci penso anche la spada di Cloud è bella grossa. Chiederò a Tifa se la mia teoria è esatta.”

“Yuffie. Davvero… Soprassiedi.”

“Principessa!” intervenne Cait Sith, agitando le braccia e saltando sul posto “Che modo maleducato d’esprimersi! In più non è né il momento né il luogo adatto!” poi il robot sospirò e indicò oltre la cresta ghiacciata che fungeva da copertura “Guardate… se ne stanno andando…”

Fortunatamente Yuffie desistette e rivolse lo sguardo alla gola. Fece altrettanto e constatò che gli addetti stavano effettivamente recuperando le attrezzature per sgombrare la zona. Uno di essi stava riponendo la Masamune in un lungo, spesso contenitore nero per trasportarla chissà dove. L’accortezza che adoperava nel maneggiarla sapeva quasi di riverenza.

“Mi domando…”

La voce di Yuffie ruppe nuovamente il silenzio, meno squillante del solito. Più esitante. Aggrottò le sopracciglia e la guardò. Il vento le faceva ondeggiare l’improbabile copricapo dotato d’orecchie e la costringeva a raggomitolarsi in cerca di calore. I suoi lineamenti erano nascosti, ma le sembrò stranamente assorta. Distante. Un po’ com’era successo sul bordo di quel muretto a Costa del Sol. Puntava verso il basso, probabilmente su quella spada temprata dal sangue. In qualche modo intuì e provò un senso di vertigine.

“Mi domando se Aeris ha avuto paura. Se ha sentito il freddo acciaio di quell’arma affondare palmo dopo palmo, fino in fondo nel suo petto.” disse infine la ninja; e sentirlo fu ancora peggiore “Mi domando che cosa abbia provato… se è stato rapido come se l’era aspettato. O doloroso. Mi domando quale sia stato il suo ultimo pensiero…”

Quelle parole erano come sassate. Facevano male. Serrò gli occhi, la mandibola per un lungo, intenso istante in cui il peso dei peccati commessi sembrò addirittura schiacciarlo.

“Morire non è mai semplice. O come ci si aspetta.” replicò.

Lo sapeva perché l’aveva provato, in una certa misura. Il dolore al petto. Lancinante. Il corpo torpido, la coscienza che si spegneva inesorabilmente. La vita che scivolava via. Istante dopo istante; inafferrabile come sabbia fra le dita. Una percezione d’inevitabile che faceva spavento. E quando la fine sopraggiungeva tutti i motivi per cui si era disposti a morire divenivano improvvisamente gli stessi per cui si desiderava disperatamente sopravvivere. In un drammatico, quasi beffardo controsenso.

E aveva pensato a lei. Anzi… a loro. Fino all’ultimo. E aveva pronunciato quel nome. “Lu… cre… cia”. Un’estrema preghiera che il cuore ottenebrato di lei non aveva potuto cogliere.
Chinò il capo e cercò di ricordare invece il viso della Cetra. Aveva sorriso. Anche in quel momento.

“Ma credo che Aeris non abbia avuto rimpianti. Perché è riuscita a proteggere coloro che amava.” concluse.

Una magra consolazione.

“Già.” commentò Yuffie; e accennò un sorriso. Cait Sith invece annuì lì di fianco a lei, con le spalle curve e l’espressione contrita di chi si sentiva impotente. Tutti loro si sentivano impotenti.

Il silenzio si stiracchiò nel tempo, sottolineando quanto le parole non potevano esprimere. Poi i primi fiocchi di neve cominciarono a volteggiare giù dal cielo, trascinati dalle correnti.

“Dobbiamo ricongiungerci ad Abigail e rientrare.” osservò Cait Sith  “Mi aveva avvisato che probabilmente ci sarebbe stata una tormenta.  Fra un po’ non si vedrà più niente. È pericoloso attardarsi.”

Annuì. Dacché gli uomini della Shinra erano rientrati non aveva più senso stare lì, esposti alle intemperie. Abbandonarono la postazione e si diressero lateralmente, lungo la parete rocciosa. Fino a casa di Abigal sarebbe stata una lunga discesa. Tuttavia l’istante successivo Yuffie scivolò e lo superò di gran carriera, distesa per lungo sulle lastre di ghiaccio.

“Qualcuno mi fermiii! Non mi sento più i piediii!” strillò la ninja.

Allungò il braccio per afferrarla; inutilmente. Sospirò, osservandola scivolare per il crinale. Per qualcuno sarebbe stata una discesa un po’ meno lunga, considerò. E sperò che almeno non causasse una slavina.

***

Si appoggiò alla parete e incrociò braccia e gambe, lo sguardo fisso sul caminetto. Le fiamme danzavano languide, proiettando fuggevoli ombre tutt’attorno. Di tanto in tanto la legna crepitava e si sfaldava, emettendo piccole, guizzanti scintille.

Con lo stomaco pieno e i vestiti asciutti le intemperie di quel giorno sembravano solo un lontano ricordo. Eppure non si sentiva tranquillo. Né a proprio agio. Al contrario di Yuffie, che se ne stava praticamente sdraiata sul tappeto con la testa nel focolare. Non conosceva mezze misure. Ancora un po’ e si sarebbe pelata la faccia e bruciata i capelli. Scosse la testa.

“E così stavano cercando un ferro vecchio.” commentò invece Abigail, accatastando i piatti sporchi nel lavello “La Shinra ha davvero risorse da sprecare. Dite che ora si toglieranno dai piedi?”

Ne dubitava. Tanto più che puntavano a qualcosa di molto più grosso, almeno stando alle informazioni di Reeve.  La stessa presenza della Masamune in un luogo così distante dal Northern Cave la diceva assai lunga. Non sapeva come avesse fatto ad arrivare lì, ma c’erano poche alternative. Persino lei l’aveva precisato: nessuno sano di mente si avventurava così oltre Icicle. Perciò l’ipotesi che qualcuno l’avesse rinvenuta all’interno del cratere era remota di per sé. Assottigliò le labbra.

“Non saprei. Ma ci sono altri punti che dobbiamo controllare! Ci vuole pazienza. Pazienza!” intervenne Cait Sith, agitandosi tutto “Intanto manderò a chi di dovere le informazioni in nostro possesso. Poi si vedrà. Se non ti dispiace dovresti indicarmi un punto in cui ci sia ricezione.”

“Non è un problema. Ti ci porto subito.” ribatté Abigail “Ma vorrei comunque precisare che non posso ospitarvi per sempre. Specialmente quando c’è qualcuno fra voi che mangia per dieci e fa chiasso per cento!”

“Ehi!” sbottò Yuffie, agitando il pugno per aria “Non mangio così tanto! E poi compenso Vince che è a dieta –per non si sa quale motivo. E il gattaccio finto –dato che è finto, non ha bisogno di mangiare, no? E poi siamo in missione. Non ci tieni alle tue bestiole? Fallo per i pecoroni –e tira fuori il dessert.”

“Capre di montagna.” puntualizzò la diretta interessata “E scordati il dolce.”

Ciò detto la padrona di casa s’avvolse in una lunga, pesante mantella e uscì di casa, seguita a ruota da Cait Sith. La porta si richiuse con un tonfo che la ninja stava ancora con il pugno in aria.

“Tirchia! Tirchiaccia! Tiiiiiiiirchia!” strillò ugualmente.

Dubitava che Abigail l’avesse sentita. E non gli interessava. Distolse lo sguardo e tornò alle fiamme del caminetto, lasciando Yuffie a rosolarsi sul tappeto. Se erano fortunati Reeve avrebbe fornito loro nuovi dettagli, aiutandoli a far luce sulla faccenda. Altrimenti…

“Dormirò sul tappeto. Perciò farò la gentildonna e ti lascerò il divano. Contento? Dopotutto i giacigli comodi sono per i pusillanime -e io sono una vera tosta. E poi il caminetto è il mio nuovo migliore amico, perciò…” la ninja fece una pausa “E ascoltami quando ti parlo! Non startene lì col muso lungo e l’aria da spaventapasseri –anche se saresti uno spaventapasseri perfetto, con la tenda rossa, il musone e tutto il resto.”

In risposta la puntò e inarcò il sopracciglio. Per il resto perseverò immobile. Con le ginocchia, gli avambracci e il mento coperti di cerotti sembrava una bambina troppo cresciuta, altroché. Per contro la ninja mandò gli occhi al cielo.

“Eddai! È tutto il giorno che sei assente –e per un tipo espressivo come te è tutto dire. E poi sono certa che si tratta di una grossa bufala. Chessò, Rufus s’annoiava e ha deciso di recuperare un po’ di chincaglierie dal cratere per inaugurare il suo personale museo degli orrori!” sbottò la ninja, allargando ambo le braccia “Me lo vedo, con la testa di Jenova sulla scrivania. Come –brrr- singolare portapenne o grazioso sottovaso –e non voglio nemmeno considerare l’eventualità che la usi come esclusiva coppa per il vino. In ogni caso nemmeno lui può essere così stupido da ripetere gli stessi errori del suo vecchio –anche se, in quanto presidente, alla Shinra ricopre pur sempre il ruolo di re dei cazzoni!”

Sospirò e scosse la testa. Dei colpi di tosse, invece, si levarono dalla stanza attigua.

“Non è così semplice, Yuffie.” fece, asciutto.

Magari era una bufala, come diceva lei. Ma affrontare il passato, rivangare i ricordi e i vecchi tabù non era affatto piacevole. O indolore. E ogni volta che guardava indietro il ritratto di come avrebbe potuto –o dovuto- essere gli si delineava nella mente. E le sue colpe divenivano più gravi. Insopportabili. Serrò le dita sull’avambraccio, così forte da far crepitare la pelle nera di cui era rivestito.

Yuffie continuò a fissarlo, con l’espressione corrucciata di chi voleva comprendere. Una sagoma minuta disegnata sul chiarore del focolare. Aspettava lui, per qualche strano motivo che non riusciva a comprendere. Ma non c’erano parole per spiegare. Non a lei, ancora così giovane, così piena di aspettative nei confronti della vita. E il desiderio di distogliere lo sguardo, di sprofondare nuovamente fra le fiamme del camino e di lasciarsi ingoiare divenne addirittura impellente. Tanto più che non era mai stato bravo con le parole.

La ninja sembrò intuirlo perché aggrottò maggiormente le sopracciglia, piantò ambo le mani sul tappeto e si protese verso di lui, pronta a replicare. A impedirgli di scappare. Con forza. Fortunatamente dei colpi di tosse più forti ne richiamarono l’attenzione.

“Accidenti!” sbraitò la diretta interessata “La megera se n’è andata proprio quando la mummia –cioè, l’adorabile e attempato nonnetto- tenta di strozzarsi!” osservò, balzando in piedi “Uff. Dato che sono anche dolce e premurosa gli porterò il tè –se prima non sputa entrambi i polmoni e tira le cuoia, ovviamente. Dopodiché niente e nessuno potrà negarmi il sacrosanto dessert!”

Vedendola allontanarsi si rilassò appena. Era un animale solitario, dopotutto. La seguì con lo sguardo, mentre recuperava la tazza di ceramica che stava sul bancone della cucina. Poi spostò l’attenzione sul focolare e tornò a estraniarsi. Inutilmente, perché la voce acuta di Yuffie gli perforò i timpani l’istante successivo.

“Viiiince, ho dimenticato lo zucchero! E il cucchiaino.” fece l’altra, dirigendosi nella stanza attigua con la tazza fra le mani “Su, smetti di star lì a prendere polvere e dammi una mano!”

Sospirò. Poi abbandonò la parete, raggiunse la cucina e recuperò velocemente quanto serviva. Probabilmente Abigail non avrebbe apprezzato lo spirito d’iniziativa, ma fra le due preferiva non contrariare Yuffie. La seguì in camera da letto e la trovò immobile ai piedi del letto, lo sguardo fisso innanzi a sé. Batté le palpebre e inarcò le sopracciglia. Poi diresse le iridi al giaciglio.

Occhi verdi. Capelli lunghi color argento. Carnagione candida. Sephiroth se ne stava sdraiato fra le coltri, con un’espressione interrogativa dipinta sul volto. S’irrigidì. Si dimenticò perfino di respirare, mentre contemplava la figura della calamità che aveva rischiato di distruggere il Pianeta. Un attimo che sembrò eterno. Sospeso.

Poi qualcosa si ruppe e il viso che gli si rivolgeva con stupore trasfigurò in una maschera di sofferenza. L’altro portò ambo le mani alla testa, digrignò i denti e si piegò letteralmente in due. L’urlo che cacciò squarciò il silenzio, la stasi l’istante seguente. Yuffie gli fece immediatamente eco, più acuta; e finalmente trovò la forza per reagire.

Lasciò cadere lo zucchero, il cucchiaio, che s’abbatterono al suolo con un tonfo. Raggiunse la ninja, la trasse a sé e le tappò la bocca con la mano; mentre Sephiroth trovava infine pace e s’abbatteva sul giaciglio, all’apparenza privo di coscienza.

Continuò a fissarlo, occhi grandi, letteralmente incapace di fare altro. Soltanto quando Yuffie mugugnò e si divincolò ricordò di lasciarla respirare. La liberò e fece un passo indietro, stordito. La ninja invece accorciò nuovamente le distanze, l’agguantò per il bavero del mantello e lo puntò dritto negli occhi, sconvolta.

“N-non è adorabile! Non è attempato! Non è un nonnetto!” farfugliò “Vince, p-presto! Io lo tengo fermo e tu gli dai una botta in testa! Anzi, no. Tu lo tieni fermo e IO gli do una botta in testa! Magari due. TRE, per sicurezza! Poi lo avvolgiamo nel tappeto e lo buttiamo giù dalla scarpata!”
 
*parte la One Winged Angel; poi il disco salta con sordo rumore* A-hem. Ciao. Lol. *stuzzica Seph con un legnetto*
Questo capitolo è uscito prima del previsto. Volevo ragionarci un po' sopra, ma poi l'ho postato subito. Un po' per farmi perdonare della precedente attesa e un po' perché sennò non l'avrei postato affatto. Lol. È venuto anche abbastanza lungo, più dei precedenti, e spero sinceramente che non sia stata una lettura pesante. Devo ancora prenderci la mano. Non vorrei andare troppo veloce, né troppo lentamente. Perciò... boh. Spero di essere riuscita a mantenere il giusto ritmo. Grazie per essere giunti fin qui! ^^
CompaH

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Palle di Neve ***


Chiuse gli occhi e rilasciò il fiato. Bastò un attimo. Lei era lì, sotto l’albero nei pressi di Nibelheim. “Sei seduto sul mio posto.” disse. Sorrideva. Era felice. Non c’erano ombre sul suo viso. Né sul suo cuore. E i suoi occhi erano luminosi. Pieni di sentimento. Esattamente come li ricordava…

Sfoggiava il cestino da picnic con l’entusiasmo di una bambina, pur restando la donna bellissima e la brillante scienziata che tutti conoscevano. Anche lui si sentiva così quando lei gli era accanto, a dispetto dell’addestramento da Turk. Impacciato. Emozionato. Indifeso. Proprio come un bambino.

Sollevò il viso e arricciò le labbra di rimando, senza replicare. Il sole le baciava la pelle. La brezza le cullava i capelli. A volte preferiva perdersi a rimirarla, ad ascoltarla. Non c’era suono più bello della sua risata. E ogni volta che lei ricambiava i suoi sguardi e gli sorrideva, sentiva il cuore gonfiarsi e traboccare d’emozione. Una corrispondenza di sensi che non aveva bisogno di parole.

Allora desiderava baciarla. Desiderava sprofondare con le dita fra le chiome castane.  E sapeva, lo sentiva, che lei desiderava altrettanto. Lo leggeva negli occhi che indugiavano nei suoi o sulle labbra morbide che si schiudevano lentamente. In attesa; mentre le distanze e i vestiti divenivano superflui.  Ingombranti; come gli appellativi e i ruoli che ricoprivano rispettivamente ogni giorno. Dottoressa. Guardia del corpo. Ma sull’erba, all’ombra di quell’albero, erano soltanto un uomo e una donna.

Innamorati che vedevano unicamente la bellezza dell’amore. E che s’illudevano, confortati l’uno dalle braccia, dai sospiri dell’altro, che l’incantesimo sarebbe durato in eterno.

L’ululare del vento che sferzava le finestre e s’insinuava negli interstizi gli fece schiudere le palpebre. Nemmeno se n’era accorto, ma stringeva con la mano sulla stoffa, all’altezza del petto. Dove c’era quel buco che percepiva come incolmabile, ormai incapace di emozionarsi come un tempo. Di sentirsi vivo come un tempo. E le sole cose che spiccavano in quel mare di sensazioni sbiadite erano la rabbia, il risentimento e l’amarezza.

L’immagine di Yuffie in piedi sul muretto di Costa del Sol gli attraversò la mente come un lampo, riportando a galla quanto aveva sperimentato nell’istante in cui aveva percepito le lacrime di lei. Istintivamente posò lo sguardo sulla ninja, rannicchiata sulla sedia con le braccia strette alle ginocchia. Dondolava leggermente, forse per via dell’apprensione, e si mordicchiava le labbra. Si soffermò sull’ultimo dettaglio; un attimo soltanto, non visto. E si odiò per questo.

Serrò la mandibola e distolse lo sguardo, appuntandolo invece sulla porta della camera da letto. Dall’altra parte c’era lui. Sephiroth. Il figlio di lei. Al solo pensiero sentì il vuoto farsi più spazioso nel suo petto; e l’angoscia, il dolore inabissare quel piccolo, timido barlume di speranza che s’intravedeva fra le pieghe del sorriso di Yuffie. Un sollievo che non meritava, in ogni caso.

L’entrata s’aprì e la figura d’Abigail si stagliò sull’uscio. La ragazza guardò grevemente i presenti radunati attorno alla tavola, eccetto per lui che stava in piedi lungo la parete; poi richiuse la porta e li raggiunse. Doveva loro delle spiegazioni. E forse anche qualcosa di più…

“Come sta?” domandò Cait Sith, in piedi sulla sedia; le sue orecchie spuntavano di poco oltre il tavolo e si muovevano nervosamente.

Abigail gli riservò un’occhiata. Era tesa come tutti loro. Poi s’accomodò, scrollò le spalle e si concesse un sospiro.

“Riposa. È tranquillo.” commentò, asciutta; e il suo sguardo si fece lontano “A volte, di notte, si lamenta. Ha degli incubi… e suda freddo. Stringe i denti così forte che temo possa spezzarli.” fece una pausa e un tremito le percorse i lineamenti “Non me ne parla, dice di non ricordare. Eppure qualcosa lo tormenta in maniera così… vivida che mi si stringe lo stomaco.”

Ci fu un profondo attimo di silenzio. Perfino Yuffie trattenne il respiro, incapace di replicare. Dal canto suo poteva solo interrogarsi sull’entità di quel tormento, di quegli incubi. Ne aveva avuti anche lui. Molti. Infiniti. Angosciosi. Che fosse… Rimorso…? Quel pensiero faticava persino a concretizzarsi nella mente, tanto pareva irreale. Specie se riferito a colui che aveva tentato di distruggere l’intera umanità. Più probabile che a fargli male fossero la disfatta e le cicatrici lasciate da Cloud. Inconsciamente rafforzò la morsa delle braccia, rigorosamente incrociate al petto.

Tuttavia non poteva negare che l’espressione preoccupata di Abigail, la maniera in cui si stropicciava le mani e in cui parlava di quegli incubi raccontassero una storia diversa. Migliore.

“Abigail, devi dirci come sono andate le cose.” l’esortò Cait Sith; poi il robot si arruffò furiosamente la testa e balzò sul posto “Accidenti! Non ti rendi conto! Lui è…”

“Sephiroth. Il Generale dei Soldier.” concluse la diretta interessata; e accennò un sorriso “Lo sapevo. L’ho sempre saputo. Ma ho finto il contrario… sperando che questo giorno non arrivasse mai.” continuò, scuotendo il capo “Ricordo la prima volta che vidi la sua foto sul ritaglio di un giornale. Pensai che fosse solenne. E malinconico. Non avevo mai visto uno sguardo così… Il connubio lo rese ai miei occhi stranamente fragile.”

Quella descrizione lo colpì. Spesso aveva pensato lo stesso di lei. Bella, talentuosa, appassionata. Eppure altrettanto delicata; come un cristallo finissimo, pronto a infrangersi in mille, microscopici pezzettini alla minima sollecitazione sbagliata. Senza possibilità di riparare.

Yuffie saltò in piedi e assestò una manata sul tavolo. Di rimando Cait Sith emise un urletto stridulo e cadde giù dalla sedia. Abigail invece sussultò.

“Avevi detto di vivere con tuo nonno, porcaccia la miseriaccia!” strepitò la ninja “Ci hai mentito e preso allegramente per il culo! Ci hai tenuto nascosta una cosa così… così… importante! E mi hai fatto quasi venire un infarto! Guarda! Mi vengono le palpitazioni solo se ci ripenso –e credevo che ad avere problemi di cuore fosse Godo!”

La padrona di casa si accigliò.

“Non vi ho mentito. Mai.” precisò, ricambiando lo sguardo acceso dell’altra “Quando avevo quattro anni sono venuta qui per stare col nonno. È questo che vi ho detto. Ed è la verità. Ma lui è morto tre anni fa… e io sono rimasta sola al mondo.” esitò e abbassò le iridi sul piano “Almeno finché…”

“Finché?” incalzò, infrangendo il silenzio. E la sua voce risuonò quanto mai cupa.

Gli occhi di tutti gli si appuntarono addosso. Non si mosse, né mutò espressione. Semplicemente ricambiò lo sguardo di Abigail e attese le spiegazioni di cui necessitava. E che gli spettavano di diritto. La ragazza non sfuggì al contatto visivo.

Yuffie tornò invece a sedere e Cait Sith si arrampicò nuovamente sulla sedia.

“Circa due anni fa Fiocco s’allontanò dal gregge e si smarrì. Per cercarla mi spinsi abbastanza in alto.” cominciò quindi la padrona di casa “Quando la trovai, la capra stava masticando i capelli del Generale.” sorrise e s’illuminò brevemente “Era riverso nella neve ed era freddo come il ghiaccio. Pensai subito che fosse morto. Dietro di lui c’era una lunga scia d’orme. E le chiazze di sangue spiccavano tutt’attorno sulla neve, come fiori scarlatti.” scosse la testa “Non so per quanto abbia camminato. Non so che cosa lo abbia portato lì. Davvero. Sul momento non mi feci domande sul come e sul perché. Lo aiutai e basta. E quando scoprii che non ricordava chi era e che cosa era successo, pensai che non fosse così importante…”

Quell’ultima rivelazione gli fece schiudere le labbra dalla sorpresa. Dunque Sephiroth non ricordava. Si era aperto un varco per sé e si era fatto strada nel mondo lasciandosi dietro una scia di sangue; eppure per due, lunghi anni era rimasto quieto fra le montagne in compagnia di quella giovane donna. Ignaro di tutto. Una situazione che aveva dell’irreale e che lo frastornava con le possibili implicazioni.

Una morsa gli si strinse alla bocca dello stomaco. No, non poteva essere vero. Senza contare gli incubi che tormentavano l’altro durante l’incoscienza…

Tuttavia Abigail non mentiva. Il tono di voce, il linguaggio del corpo. Tutto di lei indicava un sincero coinvolgimento.  E una genuina preoccupazione. Dopotutto non faceva parte della Shinra e non aveva nulla da guadagnare da una possibile messinscena. Anzi, era fortunata a essere ancora viva.

“Davvero, non volevo ingannarvi.” riprese la ragazza “Solo…” poi esitò e si umettò le labbra, forse alla ricerca delle parole giuste “Noi stiamo bene qui. Abbiamo poco, ma ci basta.” scosse la testa “So che è sbagliato. So che lui è una persona importante, che ha delle responsabilità. So che dovrei dirgli la verità… Ma non voglio che gli uomini della Shinra, quei Turks, lo portino via.”

La voce le tremava…

Noi? Quindi è di questo che si tratta?!” sbottò ancora Yuffie, stavolta artigliando il tavolo “Non è abbastanza! Tu non ti rendi conto! C’è gente che ha sofferto! C’è gente che è morta! Compagni, amici, famigliari! E tu ti preoccupi solo di te stessa! Non l’accetto! Lui è… è… pericoloso! PE-RI-CO-LO-SO!”

“Pericoloso?!” ribatté Abigail, alzando di rimando il tono di voce “Pericoloso!” reiterò ancora, come se facesse fatica persino a concepire il termine “È un eroe! Ha combattuto per noi in molte battaglie! È ammirato da tutti e… E non è affatto pericoloso! Io lo conosco bene! È una brava persona!”

“Certo, come no! L’amante delle stelle candenti e della carne allo spiedo –e detta così sembra davvero una cosa innocua. Pure romantica! E invece NO! Ha corroborato la sua fama col sangue della mia gente! E non m’importa un cazzo se ha battuto il cocomero e si crede un kyaktus, l’imperatore di Wutai o l’allegro pastorello dell’ultim’ora!” ribatté la ninja “E sai cosa ti dico? Che tu non lo conosci affatto! Non sai come sono andate le cose… lui… lui…”

“Yuffie… adesso basta.” intervenne, cupo.

Prendersela con Abigail non serviva a niente. Dopotutto lei non poteva sapere come si erano svolti i fatti due anni prima. E sembrava già abbastanza sconvolta, oltre che determinata a proteggere l’uomo che… amava? A maggior ragione sbatterle la verità in faccia sarebbe stato crudele. E quel sentimento di per sé rendeva ciechi. E vulnerabili. Scosse la testa. La ninja invece tacque, affannata, ma continuò a fissare l’altra con rabbia. Con le unghie aveva quasi scavato dei solchi sul piano di legno, notò. Doveva essere dura anche per lei.

Cait Sith mandò freneticamente lo sguardo dall’una all’altra, forse aspettandosi ulteriori strilli. Tuttavia il silenzio si protrasse, teso.

“Che cosa avete intenzione di fare, adesso?” domandò infine Abigail.

“Innanzi tutto restiamo calmi. Calmi!” sottolineò il robot “Dobbiamo tenere d’occhio la Shinra. Di certo non possiamo permettere che lo scoprano. Poi bisognerà avvisare gli altri, decidere tutti assieme cosa fare… e, infine…” puntò Abigail “…vorrei parlare con Sephiroth, se non ti dispiace.”

La ragazza annuì per dirsi d’accordo.

“Buona morte. Fortuna che sei solo un gatto finto!” commentò Yuffie, caustica; poi incrociò le braccia al petto e soggiunse “Allora io e Vince andiamo a Edge. Lì saranno d’accordo con me. E poi voglio proprio vedere la faccia del chocobo quando apprenderà la notizia –e immortalarla adeguatamente sul cellulare, ovviamente. Non si sa mai che in seguito possa ricattarlo in qualche modo!”

“No.” ribatté, attirando nuovamente lo sguardo di tutti su di sé “Andrò io. Da solo.”

Era suo dovere, dopotutto. Com’era stato suo dovere dire a Lucrecia che Sephiroth era morto; anche se le aveva mentito. E mai come allora quel peccato gli gravò sulla coscienza. Cait Sith annuì.

“Avviserò Cid.” confermò. Yuffie invece balzò in piedi come punta da un ago arroventato.

“Vince! Noi siamo una squadra! Un magico duo –ok, lo ammetto, io sono quella magica e tu fai numero per raggiungere la quota. Ma nella stanza di fianco c’è Sephiroth. SEPHIROTH! L’amante delle stelle cadenti e della carne allo spiedo di cui sopra! Non puoi lasciarmi qui –e bada che NON ho affatto paura di lui! Chi, IO? Giammai! E poi insieme ce la caviamo alla grande, no?”

Le riservò una breve, intensa occhiata; e l’espressione speranzosa dell’altra quasi gli ferì gli occhi. Poi semplicemente si distaccò dalla parete e s’incamminò fuori. Aveva bisogno d’aria. E di tempo per riflettere.

Aprì la porta che Abigail e Cait Sith stavano mettendosi d’accordo. Un refolo s’insinuò nello spiraglio e portò con sé una spolverata di neve. Fuori era freddo e all’orizzonte, dietro le sagome delle montagne, il cielo appariva come una distesa uniforme e grigia. Si allontanò, muovendo i primi passi su un manto immacolato; mentre pigri fiocchi di neve scendevano dall’alto e gli si depositavano sulle spalle.

Sospirò; e nuvole di vapore gli sfumarono innanzi, disperdendosi nell’ambiente gelido. Alla fine i presentimenti e le congetture si erano rivelati giusti. Concreti; e stavolta non ci sarebbe stata nessuna comoda menzogna o eroe predestinato a rendere il tutto più semplice. Senza contare che in passato era stata dura comunque. Affiancare Cloud, affrontare Sephiroth e distruggere una parte di lei. Sapendo di commettere un altro peccato. Non aveva la forza di ripetere tutto daccapo…

Quando la voce di Yuffie lo raggiunse, di fatto aveva percorso solo pochi metri.

“Aspetta! Dove stai andando?”

Non rispose. Né si voltò. E continuò a camminare. Senza meta, senza scopo; eccetto per il bisogno d’allontanarsi. Da lei soprattutto.

“Fermati! Posso sentire quel tuo stupido cervello sfrigolare anche da qui, sai?” sbraitò l’altra; e a giudicare dal rumore attutito dei passi sulla neve stava anche inseguendolo “E dato che io sono quella che agisce scordati che possa restarmene qui con le mani in mano, ad annoiarmi sul cucuzzolo della montagna assieme ai pecoroni della megera -e solo perché tu hai le mestruazioni!”

“A Cait Sith servirà supporto.” si giustificò, spiccio.

Stronzate.” replicò l’altra “Immani, gigantesche, fetenti stronzate!”

“Fa freddo. Torna dentro, Yuffie.” perseverò, continuando per la propria strada.

“Sì, hai ragione. Sto congelando –e per la fretta ho dimenticato pure la mantella! Dovresti apprezzare lo sforzo e l’intraprendenza!” strillò la ninja alle sue spalle “Intanto potresti fermarti, porco Bahamuth, guardarmi in faccia e dirmi cosa diavolo ti passa per quel cervello fritto –possibilmente prima che muoia d’ipotermia! Mi hai sentito? Fermati! Brutto tirchio di un vampiro!”

Qualcosa gli colpì la schiena e si frantumò: una palla di neve. Si fermò; ma non si voltò. Poteva sentirla ansimare, dietro di lui; e se l’immaginò perfettamente, piegata in due con le mani sulle ginocchia a riprendere fiato. Con gli occhi accesi di determinazione. Accennò un sorriso. Era sempre così con lei: non riusciva a ignorarla. E lei non riusciva a ignorare lui, per qualche strano motivo che non comprendeva.

O che fingeva di non comprendere, realizzò d’improvviso; e il sorriso gli morì sulle labbra.

Perché quanto stava accadendo era sbagliato. Non c’era altro modo per descriverlo. Lei era ancora così giovane, così inconsapevole. Sarebbe stato troppo facile, troppo comodo assecondare le sue aspettative, voltarsi, guardarla… Il solo pensiero era un balsamo per l’anima. Forse si sarebbe perfino sentito vivo come un tempo, se le avesse permesso di avvicinarsi. Di capirlo. Ma a quale prezzo? Lui non aveva nulla da darle. Non era in divenire. E il buco nel suo petto era nero e incolmabile. E quando l’avrebbe prosciugata di ogni cosa, delle speranze, dell’allegria, della gioventù e di un futuro degno di definirsi tale sarebbe rimasto vuoto, profondo e nero. Per l’eternità.

Serrò gli occhi, la mandibola e scosse la testa.

“Non ho tempo da perdere con i capricci di una ragazzina.” sibilò, più duramente di quanto avrebbe voluto “Vattene, Yuffie.”

Il silenzio imperversò fra loro per lunghi istanti d’immobilità, interrotto unicamente dal fischio del vento. E seppe di averla ferita.

“Questo sì che è un colpo basso, Valentine.” replicò la ninja; e il tono di lei gli sembrò stranamente atono “Non me lo sarei aspettato dal bacchettone che snobba il tirassegno.” rise, nervosa “Del resto non pensavo nemmeno che saresti scappato.”

S’irrigidì.

“Perché non sei andato a parlare con lui?”

Sulle prime la domanda lo stordì, sferzante. Poi serrò anche i pugni e si costrinse a scendere a patti con se stesso. Aveva ceduto l’onere a Cait Sith, sì. E l’aveva fatto con sollievo; perché aveva avuto il timore di incontrare il nuovo Sephiroth e di scoprire che in realtà era identico a quello vecchio. Chinò il capo.

“È perché è il figlio di Lucrecia, vero?” soggiunse improvvisamente Yuffie; e il solo sentire quel nome gli provocò un senso di vertigine non indifferente “Perché si tratta sempre di lei, non è così? Lucrecia qui, Lucrecia lì. Su, giù. A destra e pure a sinistra! Ma Lucrecia è morta. È morta, porco Bahamuth e pure Leviathan! E tu sei…”

Non voleva ascoltare.

“Basta!” sentenziò; e fremette da capo a piedi, animato da un’ira che gli apparteneva solo in parte.

“Oh-ho! Wow, sono emozionata!” esclamò invece la ninja “Ho fatto incazzare l’impassibile Vincent Valentine! Avanti, non trattenerti! Mi va bene tutto, anche la rabbia. Sarebbe pur sempre qualcosa. Anzi, sai che ti dico? Che forse dovresti proprio sfogarti un po’. Ti farebbe bene.”

Invece doveva allontanarsi. E in fretta. Perché qualcosa dentro di lui s’agitava. Lo sentiva nelle viscere, nelle ossa, in ogni fascia muscolare o cellula del corpo. Ruggiva, graffiava e premeva per uscire, inebriato da ciò che gli macerava l’animo. L’ira di una vita spezzata che bruciava, consumava, anneriva come l’altra non poteva nemmeno immaginare. Impregnandosi d’odio. E non voleva che la vedesse.

Riprese la marcia senza nulla replicare e puntò lo sguardo dritto innanzi a sé, sulla distesa bianca e perfetta. Troppo bianca. Troppo perfetta. Di rimando una seconda palla di neve lo colpì in mezzo alla schiena. Compì un altro passo e una terza gli si schiantò sul capo, accompagnata dalle strilla di Yuffie.

“Andiamo! È tutto qui?” lo provocò la ninja “Nei tuoi panni sarei così incazzata, ma così incazzata… che butterei all’aria il mondo intero, altroché!” una quarta palla di neve gli colpì la spalla “Anzi, sai che ti dico. Che sono incazzata comunque anche nei MIEI di panni –che sono pure più fighi e alla moda! Perché sei davvero un vecchio barboso e pignolo col cervello fritto! E non capisci un cazzo! E vorrei proprio odiarti! Ma TANTO! E romperti la testa! E ficcarci dentro che se ti butti a volte puoi cadere sul morbido, invece di stare lì a preoccuparti per l’altezza! E invece niente! Mi hai sentito? Eeeeeeehi!”

Qualcosa atterrò poco dietro di lui con un lieve tonfo. Forse la quinta palla di neve. Non si fermò; né si voltò a controllare. L’ultimo suono che percepì fu inarticolato. Un urlo di frustrazione che si disperse fra le montagne, in lontananza. Poi il silenzio coprì ogni cosa assieme alla neve. E il freddo divenne più pungente.
 
... oo'' Ok, lo so. Vi aspettavate più Sephiroth! xD Ci sarà, non temete. Ciononostante ho voluto dedicare questo capitolo alle dovute spiegazioni. Alle motivazioni di Abigail, anche. E ovviamente alla reazione dei vari personaggi. Sono tutti sconvolti dal redivivo Seph, ognuno a modo suo. E Yuffie e Vincent litgano. oo' Diamogli tempo... e Cloud ancora ignora tutto. Lol. *immagina Cloud spensierato che saltella per i campi fioriti; poi inciampa su una pietra con su scritto "by Seph" e si spacca il cranio* Poverino. ;_; E non randellatemi. °A° Coooomunque. Spero che il risultato non sia troppo... caccapupù, ecco. ^^''
CompaH

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Faccia a Faccia ***


Aprì la porta e varcò l’uscio di casa. Di rimando l’odore d’aneto e menta piperita gli solleticò le narici. Spaziò con lo sguardo all’interno. Non c’era nessuno e il silenzio regnava sovrano. Eppure la teiera era disposta sul fornello della cucina, a fiamma bassa, e le braci si consumavano lentamente sul fondo del camino.

Yuffie non c’era di sicuro, comunque. Altrimenti l’avrebbe sentita a un miglio di distanza. Probabilmente lei e Cait Sith erano andati a perlustrare i dintorni senza aspettarlo. Sospirò e incurvò le spalle, cercando di scacciare il sapore di quanto si erano detti ore prima.

“Se cerchi il gatto strano e la ragazza rumorosa sono usciti più di un’ora fa.”

Sollevò lo sguardo e intercettò la figura che si stagliava sull’uscio della camera da letto. Sephiroth. S’irrigidì appena: non l’aveva sentito arrivare. Era silenzioso. Veloce. E letale, non doveva mai dimenticarlo. Si analizzarono vicendevolmente per qualche istante; poi l’altro infranse l’immobilità e si diresse in cucina come niente fosse.

“Abigail è fuori. Si sta occupando degli animali.” continuò “Gradisci una tazza di tè…- esitò -Vincent, giusto?”

Sephiroth voltò il capo e ne incrociò le iridi. Stava aspettando una risposta. I suoi occhi erano limpidi e non trasudavano né odio, né disprezzo. Il tono di voce era pacato. E le sue labbra erano distese in una linea neutra che poco aveva a che vedere col sogghigno crudele o malizioso che in passato ne aveva sfregiato i lineamenti.

“No, grazie.” rispose.

Si rilassò un po’ e continuò a studiarlo, mentre l’altro recuperava una tazza di ceramica dagli scaffali. Gli dava la schiena e tossiva di tanto in tanto, portandosi la mano davanti alla bocca. Una scena di vita quotidiana che cozzava tanto con l’immagine del Generale dei SOLDIER quanto con l’idea della calamità pronta a devastare il Pianeta. Eppure tutti e tre gli aspetti erano reali e riconducibili alla stessa persona. L’uomo che Abigail amava, il Generale che tutti ammiravano e che la gente di Wutai disprezzava, la calamità che Cloud aveva affrontato e battuto.

“Sei un tipo silenzioso.” osservò Sephiroth d’improvviso “È una qualità che apprezzo.”

Non rispose e continuò a seguirlo con lo sguardo. L’altro si spostò dalla cucina al tavolo, tazza fumante alla mano, e sedette; poi tornò a fissarlo con quei suo occhi alieni. E inquietanti. Verde nel rosso.

Aveva temuto e rifiutato il confronto, ma ora che si trovavano l’uno di fronte all’altro non c’era tempo per pensare. O per tirarsi indietro. Anzi, qualcosa dentro gli suggerì che stava aspettando quel momento da ormai trent’anni. Di rimando tralasciò l’ingresso e lo raggiunse, assecondando la tacita richiesta. Ciononostante ignorò il piano di legno e prese posto lungo la parete dirimpetto, braccia incrociate al petto.

“Gli uomini che sono venuti qui giorni fa…” cominciò Sephiroth “Stanno cercando me.” non era una domanda, ma una pura constatazione “Perché?”

“Dimmelo tu.” ribatté.

Sephiroth scrollò il capo; e i suoi lunghi capelli ondeggiarono.

“L’ho detto anche a quel gatto. Non ricordo niente.”

“Non hai risposto alla domanda.” gli fece notare, senza battere ciglio.

Tanto più che non gli credeva. Non fino in fondo; perché c’era qualcosa la notte che tornava a tormentarlo. Sephiroth gli riservò una lunga, intensa occhiata. Stava riflettendo, tirando le somme. Poi inclinò il capo e arricciò gli angoli della bocca.

“D’accordo.” convenne “Il mio nome è Sephiroth. L’ha scelto Abigail. Dice che le ricordo l’omonimo, famoso SOLDIER della Shinra.” spiegò; poi si strinse nelle spalle “Non credo che si tratti di una coincidenza. Questo spiegherebbe i Turks sulle montagne.”

Sorseggiò lentamente il suo tè, poi tornò a puntare lui.

“Ma non la vostra presenza.” concluse quindi; e poggiò la tazza sul tavolo, in attesa.

Sephiroth aveva fatto bene i suoi conti, non c’era che dire. Eppure non sembrava turbato dall’eventualità che Abigail gli avesse taciuto la sua vera identità. O quantomeno quella ufficiale; ma voleva sapere. Glielo leggeva negli occhi. E voleva sapere da lui. Ironia della sorte. Come se fosse facile… Sospirò.

“Dovresti prendere in considerazione l’idea del turismo estremo.” fece.

L’altro si concesse una bassa, parca risata. Sembrava davvero diverso dall’uomo che avevano affrontato due anni prima. Ma poteva trattarsi di un inganno. O di una condizione transitoria. Pertanto non poteva farsi prendere dal sentimentalismo. O abbassare la guardia.  Raccontargli come si erano svolti i fatti era naturalmente da escludersi, ma scoprire fino a che punto si spingevano i suoi ricordi o le sue supposizioni sarebbe stato utile. Soprattutto per capire come affrontare la situazione.

“A quanto pare non sono l’unico a eludere le domande.” commentò Sephiroth, studiandolo con occhi curiosi; poi soggiunse “Ma io so di conoscervi. L’ho visto.”

Batté le palpebre e si accigliò. L’altro interpretò quella reazione come un’implicita richiesta perché gli fornì ulteriori spiegazioni.

“Quando siete entrati in camera da letto, ieri sera.” continuò, senza mai smettere di fissarlo dritto negli occhi “Immagini, perlopiù. Ma anche qualche suono. E odore. Mi hanno attraversato la mente come un flash...”

Deglutì. E ricordò velocemente quanto era accaduto la sera prima. Di come Sephiroth avesse stretto le mani alla testa, di come avesse digrignato i denti e urlato fin quasi a perdere il fiato. Vittima del tormento.

“Che hai visto?” domandò.

Lo sguardo dell’altro si fece distante.

“Una donna… dai lunghi capelli castani. Pregava. E ho sentito il suono cristallino dell’acqua…” esitò “…L’odore acre del sangue. Mi chiedo cosa significhi…”

Le parole sfumarono e un brivido gli risalì lungo la schiena, riportando alla memoria il preciso istante in cui la Masamune aveva trafitto il petto di Aeris.

Distolse lo sguardo e serrò la mandibola. Senza nemmeno saperlo avevano innescato un rischioso processo; e Sephiroth aveva ricordato. Dettagli, fortunatamente. Seguì il silenzio, greve; poi l’altro prese nuovamente parola.

“E mi è tornato alla mente un nome. Credo che appartenga a mia madre.” fece; e i lineamenti del suo viso si distesero appena “Jenova…”

Inarcò le sopracciglia. E l’ira tornò nuovamente ad animarlo, simile a quella provata lungo il sentiero innevato. Sciolse la morsa delle braccia e serrò invece i pugni, così forte da farsi sbiancare le nocche.

Era stato quel verme. Hojo. Nella sua malata, visionaria smania di grandezza aveva inculcato la menzogna nella mente di Sephiroth. Gli aveva impedito di essere figlio. Aveva impedito a lei di essere madre. E il nome Jenova si poneva ancora nel mezzo come un muro invalicabile contro la verità. O come consolazione per l’anima solitaria di un bambino.

Ma l’odio, quello viscerale, era diretto soprattutto nei confronti di se stesso, che non era riuscito a impedire a quell’uomo spregevole di far loro del male. Lì dov’erano più vulnerabili.

“Jenova non è il nome di tua madre.” ribatté, più duramente di quanto avrebbe voluto.

Sephiroth batté le palpebre e lo fissò stupito, quasi stordito dal significato di quelle parole. Smarrito. Poi la tazza di ceramica si ruppe, tanto l’aveva stretta fra le dita. E per un attimo pensò che invero ricordasse ogni cosa.

Si fissarono ancora per un po’, in silenzio, mentre il tè bollente si allargava indisturbato sul tavolo e fra i cocci. Poi l’altro aprì la bocca e fece per rispondere. Tuttavia la porta di casa si spalancò e l’interruppe, costringendolo a dirigere l’attenzione da quella parte.

Abigail entrò in casa di gran carriera, con il capo e le spalle incrostati di ghiaccio.

“Che freddo!” esclamò la ragazza, scrollandosi il gelo di dosso.

Rilasciò l’aria e sciolse i pugni, mentre quell’interruzione andava a dissipare la tensione residua. La ragazza, ignara, andò con lo sguardo dall’uno all’altro.

“Tu!” sentenziò infine, puntando Sephiroth con iridi accese “Che cosa ci fai in piedi? Devi riposare o quella brutta tosse non andrà mai via! Non ti avevo detto di restare sotto le coperte?”

“Sto bene. Davvero.” ribatté il diretto interessato “Ho la scorza dura.”

“E la testa anche di più.” sottolineò la padrona si casa, disfacendosi velocemente di guanti e mantella.

Li osservò in silenzio, dalla sua postazione dimessa. Sephiroth sorrideva come non l’aveva mai visto fare. Abigail invece tentava di tenere il broncio, ma s’intuiva lontano un miglio che stava tentennando; e le sue labbra già faticavano, forzatamente piegate verso il basso. Gli occhi di entrambi, poi, s’illuminavano ogni volta che s’incontravano. Sembravano una coppia di novelli sposi, considerò. Ma, soprattutto, sembravano sereni. Ciò contribuì a scacciare l’inquietudine e a restituirgli la proverbiale calma che lo contraddistingueva nella maggior parte delle occasioni.

Infine la ragazza cedette. S’aprì in un radioso sorriso e li raggiunse, ponendosi tranquillamente accanto a Sephiroth. Passò la mano sulla fronte e fra i capelli dell’altro, probabilmente per controllarne la temperatura corporea, e l’osservò con grande attenzione. E premura. Sephiroth invece allungò con scioltezza il braccio e ricambiò lisciandole una delle trecce.

“La febbre è scesa.” constatò la padrona di casa; poi adocchiò il tavolo e notò i cocci “Accidenti! Il tè è arrivato fino a terra!”

“Hai legato di nuovo i capelli.” osservò Sephiroth, incurante.

“Non ti sarai tagliato?!” si preoccupò la ragazza, afferrandogli la mano e controllandone accuratamente anche il palmo.

L’altro la lasciò fare e continuò: “Mi piace quando li lasci sciolti.”

Abigail gli assestò uno scappellotto.

“Noto che mi ascolti.” rimbrottò, sopracciglio alzato “Vorrà dire che le trecce le farò a te, la prossima volta. Contento?” concluse, poggiando le mani sui fianchi; poi si rivolse a lui, che se ne stava immobile lungo la parete alla stregua di un’ombra “È talmente un testardo! Vincent, sai come ha fatto a prendersi quest’assurda tosse?”

Scosse la testa e trattenne uno sbuffo divertito.

“Ha deciso che poteva sistemare la staccionata anche a petto nudo! Ed ecco il risultato…” spiegò Abigail, scuotendo il capo con rassegnazione.

“A essere precisi è stata tutta colpa di quella capra malefica.” si difese Sephiroth “Le ho dato le spalle per un attimo –e sottolineo un attimo- e mi ha caricato. Dritta sulle ginocchia. Ed ecco come sono finito nell’abbeveratoio. Non potevo tenere addosso la maglia fradicia!”

“Fiocco è un po’ gelosa, l’ammetto.” convenne Abigail “Ma esistono i ricambi d’abito, caro il mio testone!”

“Gelosa? È un’assassina. Dovremmo farla al forno, altroché.”

Abigail saltò sul posto, come punta da un ago arroventato.

“Non osare!” replicò, pronta a dargli battaglia.

A giudicare dall’espressione di Sephiroth, un misto fra il soddisfatto e il divertito, adorava punzecchiarla. Abigail invece sembrava saperlo, accontentandolo di buon grado. E, mentre bisticciavano per nonnulla, il sorriso faceva in fretta a spuntare sulle labbra di entrambi.

Scosse nuovamente la testa, non visto. Era un quadretto assurdo. E completamente inaspettato. Spiegare la situazione a Cloud e agli altri sarebbe stato difficile. Come sarebbe stato difficile parlarne con lei
…che aveva sofferto così tanto per le proprie scelte. E per l’esistenza di un figlio tanto amato di cui aveva solo potuto sognare, colma di rimpianto…

“Non ho potuto stringerlo a me neppure una volta. Non posso definirmi sua madre… questo… questo è il mio peccato…”

Quell’ammissione gli risuonò dolorosa nella coscienza, perché così vera, vivida e comprensibile. Lasciò andare le iridi sull’uomo che gli stava di fronte, che sorrideva, che parlava con la donna di cui era innamorato. Ignaro di tutto. Qualcosa andò inevitabilmente a opprimergli il petto.

Sephiroth non era ancora nato, quando Hojo aveva premuto il grilletto. E ora era un uomo fatto e finito; che aveva vissuto, che aveva lasciato la propria impronta nel mondo. Nel bene o nel male. Senza conoscere le proprie origini o il conforto dell’amore. Erano passati più di trent’anni… ciononostante, uno di fronte all’altro, erano come coetanei. E come due estranei. Quando invece avrebbe potuto essergli…

Serrò la mandibola e allontanò quel pensiero. Aveva sbagliato così tante cose. Altri avevano pagato il prezzo dei suoi errori… e ora era troppo tardi. Eppure…

“Oh, insomma! Lasciami dare una sistemata al tavolo, almeno!” protestò Abigail, spezzando il suo flusso di coscienza; e fece per raccogliere i pezzi di ceramica sparsi sul tavolo.

Tuttavia Sephiroth l’afferrò per la vita e la trasse a sé.

“Ci penso io.” affermò, guardandola dal basso verso l’alto “Sei fredda. E intirizzita. Rischi di ammalarti anche tu. Perché invece non ti godi un bel bagno caldo?”

La padrona di casa scrollò il capo e si concesse un piccolo sospiro.

“D’accordo.” fece poi “Non sia mai detto che sono testarda come te!” lo rimbeccò poi.

Abigail assestò un bacio sulla fronte di Sephiroth e si dileguò dall’altra parte della casa. Di conseguenza il silenzio riempì l’ambiente, interrotto solamente dal rumore delle braci, che di tanto in tanto scoppiettavano nel camino.

Quando dal bagno si levò il chiaro scroscio dell’acqua, Sephiroth tornò a puntarlo. Gli sembrò che esitasse, forse ponderando su quanto aveva ancora da dirgli.

“Due anni fa lei mi ha salvato. Non mi doveva niente. Eppure l’ha fatto.” esordì “Ero congelato. Ero solo. Ma lei mi ha tenuto stretto per tutto il tempo. Mi ha scaldato… e dentro di me ho compreso il significato di calore.” scosse il capo e accennò un sorriso “La mattina, mi sveglio sempre prima di lei e la guardo dormire. Finché il sole entra dalle persiane e le illumina i capelli. Sembrano di fuoco… e sono bellissimi. Bruciano.” esitò ancora “So di essere diverso dagli altri. Lo sento. Ma non voglio che i Turks mi trovino. Voglio continuare a svegliarmi ogni mattina per guardare quello spettacolo.”

Gli occhi che gli si rivolgevano erano colmi di speranza, di determinazione; ma dentro di essi c’era una luce più oscura che non riuscì a determinare. Non si mosse, non rispose; semplicemente lasciò che finisse.

“Per la prima volta nella vita, sento che tutto è esattamente come dovrebbe essere. E non permetterò a nessuno di mettersi in mezzo.” proclamò l’altro, stringendo anche i pugni “A nessuno.” ribadì; e un altro brivido gli scivolò lungo la schiena.

Era un uomo innamorato. Comprendeva quel sentimento; e il desiderio di proteggere quel legame. Tuttavia Yuffie aveva ragione: era pericoloso, di sicuro instabile. E delle persone erano morte. Amici, famigliari, compagni. Una consapevolezza che gli gravava sul cuore come un macigno. Non avevano il diritto di aspirare a una seconda occasione, non dopo tutto il veleno sparso. Eppure, nel profondo di sé, la domanda gli sorse spontanea. Irreprimibile. A dispetto di qualsiasi cosa.

Non è questo il futuro che avresti sperato per lui, Lucrecia?
 
Ok, questo capitolo fa cagare. °A° Mi spiace, non ho saputo fare di meglio per rendere Sephiroth. E la questione Sephiroth/Vincent. E la questione interiore Vincent. E il rapporto Sephiroth/Abigail. °A° *implode*
A quanto pare Seph se ne sbatte di tutto e tutti. Quel che vuole è essere lasciato in pace con la sua salvatrice. ùù' D'altro canto ignora (o forse no?) tutti i retroscena. oo E Vincent non sa di preciso da che parte stare. xD Lol. Che casino! °A° Spero che la lettura non sia stata una noia atroce. ç_ç

A parte ciò, dato che FortiX vuole sapere la mia posizione riguardo la relazione che intercorre fra Seph e Vince, qui di sotto la esporrò per intero. Perciò, chi non è interessato può tranquillamente saltare la parte, dato che potrebbe essere un papiello enorme. oo''

Duuuunque. Io non ho letto l'intervista in questione, perciò non posso metterci la mano sul fuoco, ma sembra che Nomura abbia affermato esplicitamente che Hojo è il padre di Sephiroth. Ne consegue che: Hojo è il padre di Sephiroth.  Punto. E basta? No. Perché dando per buona quest'informazione c'è da aggiungere che la Square Enix resta comunque ambigua nell'esposizione dei fatti. E sembra calcare la mano su determinate ambiguità. Di proposito. Basta giocare ai videogiochi per rendersene conto; e mi riferisco a Final Fantasy VII e a Dirge of Cerberus.

Intanto quando Sephiroth, nel titolo principale, menziona suo padre lascia il discorso in sospeso. Affermando qualcosa del genere: "Mio padre, invece... bah, lasciamo perdere..."
Qualcuno potrebbe pensare che, riferendosi a quel mostro di Hojo, preferisca soprassedere per decenza. Invece, sempre in FF VII, Hojo proclama sul Sister Ray che Sephiroth non sa che è lui il suo vero padre. Quindi di chi pippola stava parlando Seph? Mistero!

Sempre sul Sister Ray Hojo rivela che Seph è suo figlio. Da qui in poi tralascerò la versione di Nomura, che è quella ufficiale e insindacabile. Ciò considerando, quanto dice lo scienziato potrebbe essere una mera menzogna. Un vaneggiamento o un modo di dire. Innanzi tutto perché il personaggio all'interno della storia ha la possibilità di mentire per motivi suoi. (Ad esempio: Lucrecia era la sua donna, ma amava Vincent. Hojo, palesemente affetto da disturbo narcisistico di personalità, non avrebbe mai e poi mai ammesso altra paternità all'infuori della sua. Nemmeno se Seph avesse avuto la scritta in fronte "figlio di Valentine". Lol. Tanto più che disprezzava Vincent.) Secondariamente perché Hojo è uno scienziato e il suo "è mio figlio" potrebbe essere interpretato come "è una mia cratura", "il mio esperimento". Dopotutto anche la fanfiction che sto scrivendo è "mia figlia".
In più, a scontro ultimato, Tifa si pone il fatidico interrogativo: "Hojo è davvero il padre di Sephiroth?" Non si fida manco lei... e nessuno le offre risposta. Nemmeno Vincent. Lol.

A tal proposito riporto l'attenzione su Vincent Valentine. Quando lo si trova nei sotterranei di Nibelheim, sempre nel gioco principale, il nostro pistolero non si fa scrupoli a dire che Spehiroth è figlio di Lucrecia. Tuttavia non menziona Hojo. Perché? Dopotutto lui era lì e sapeva di chi era figlio Sephiroth. O forse no? Qui gatta ci cova... e intanto si è chiuso in una bara per trent'anni per espiare il suo peccato.
Sul Sister Ray, dopo le rivelazioni di Hojo, Vincent reagisce con un pregnante: "...!?" È sorpreso. E poi aggiunge: "Mi sono sbagliato. Tu avresti dovuto restare chiuso in una bara." Cioè, Vincent non sapeva che Hojo era il padre di Sephiroth... Mistero!

Veniamo a Lucrecia. Innanzi tutto lei amava Vincent. E stavano insieme. Lo sapeva pure Hojo, tant'è che quando lei va da lui le dice: "Finalmente sei rinsavita e hai scelto me". Ciò significa che Vince e Lu non avevano una storiella sottobanco. In più i due avevano un "posto speciale"; e un posto non diventa speciale se ci si va una sola volta per un picnic. Secondariamente lei e Hojo non si amavano. In più, nei giochi non c'è nessun riferimento al fatto che siano sposati (anche se forse è scritto nei data book, che io non ho mai letto). 
In ogni caso la Crescent dice che il suo peccato è quello di non essere stata una madre per Sephiroth. A questo punto vien da sé, se consideriamo le affermazioni sopra elencate di Vincent, che il suo peccato è quello di non essere stato un padre per Sephiroth. E di non essere riuscito a fermare Lucrecia, certo. Tuttavia le parole che rivolge a Hojo sul Sister Ray riguardano la paternità (e non l'amore per Lucrecia), incluso il discorso della bara.
E riguarda la paternità il famoso discorso fra Lucrecia e Vincent in Dirge of Cerberus, quando lei pronuncia la fatidica frase: "Se sono sicura? Se sono sicura? Se la domanda riguarda solo me, allora sì, sono sicura!"
Cioè, stanno parlando di Sephiroth. E la domanda di Vincent "Sei sicura?" è riferita all'utilizzo del feto come cavia. Le implicazioni amorose sono relative. Ciò considerando, perché Lucrecia gli dice "se la domanda riguarda solo me"? Chi altri dovrebbe riguardare? Hojo (il presunto padre) era più che d'accordo; e lo sapevano pure i muri. Perciò è ovvio che lei si riferisce a Vincent, un po' come se gli dicesse: "È pure figlio tuo, perché lo chiedi solo a me? Tu non hai nulla da dire a riguardo?".
Più avanti nel videogioco Shelke dirà di Vincent: "Per quanto sia adulto, resta ancora una bambino. Ora capisco perché Lucrecia ha avuto così tante difficoltà." E infatti il Vincent Turk era impacciato e timido. Immaturo. Forse troppo per riuscire a gestire una situazione così complessa... e per assumersi in toto determinate responsabilità. 

Se prendiamo ciò per buono, ne viene che da amanti Vincent e Lucrecia sono diventati complici nello stesso peccato. Ed entrambi hanno reagito con biasimo nei confronti di se stessi. Il primo si è chiuso in una bara, accettando il proprio corpo mutato come punizione e negadosi qualsiasi forma di perdono. La seconda ha tentato il suicidio e poi s'è rinchiusa a sua volta in un cristallo. Entrambi a vergognarsi e a chiedere scusa. Solo per come si sono comportati l'uno nei confronti dell'altro? O forse perché avevano responsabilità leggermente più grandi? Uhm... Mistero!
Intanto quando Vincent è sull'areonave, poco prima della battaglia finale, dice: "Uccidere il figlio della donna che amo. Sono sulla strada per commettere un altro peccato?". Beh, uccidere il proprio figlio non dev'essere bello... ùù'
 
Ultimo e meno importante: il fattore fisico. Eccetto alcuni tratti palesemente ereditati da Jenova, ovvero il colore di occhi e capelli, Sephiroth è la fotocopia di Vincent. Vedere per credere: 

http://fc00.deviantart.net/fs70/f/2010/187/c/f/sephiroth_vincent_overlay_by_acmangalover.jpg

http://fc04.deviantart.net/fs71/i/2013/188/a/b/sephiroth_and_vincent_father__by_rubiadmc-d6cecw4.jpg

Sì, ok. Magari alla Square Enix hanno reciclato i modelli facciali. Perché... boh, sono pigri. Ma sinceramente, data l'importanza di ambedue i personaggi (mica comparse, neh!) mi sembra un po' troppo spiccia come spiegazione. Specie perché non condividono solo alcuni tratti, chessò, la bocca e l'ovale. E basta. NO! Hanno tutti i tratti in comune! °A° E che cavolo! E poi, se proprio vuoi reciclare i modelli, perché farlo fra due personaggi che potrebbero suscitare ambiguità di una certa rilevanza data la trama? Perché non condividere i modelli fra Cid e Barret? Lo stai facendo di proposito maledetta Square Enix truffaldina! *w* *picchia Square* ùù
E ci si mette pure Lucrecia con le sue affermazioni: "Vincent, lo sai che i tuoi occhi sono identici a quelli di tuo padre?". E gli occhi di Sephiroth sono quelli di Vincent. <-<''' E mi spunta nel cervello John Arryn da "Il Trono di Spade" che mi dice: "Il sangue è forte!". Lol.
In compenso Seph non ha nulla a che vedere con Hojo. <-<' E se qualcuno mi dice che sono "pazzi" uguale, gli rispondo che no, Sephiroth sarà pure matto come un cavallo, ma è matto come quella cavalla(?) di sua madre Lucrecia. ùù'' Che è più folle di Hojo! xD 

Perciò, per fare il sunto del mio pensiero: i fatti mi dicono che Vincent è il padre di Sephiroth. Le affermazioni di Hojo e di Nomura no. oo Lol. (E non potervi dirlo così in due righe e basta? °A° ndTutti *e venne randellata*) Nella fic la questione è ancora indefinita... ma se dovessi puntare, probabilmente lo farei a seconda della mia interpretazione. ^^ E poi chi lo vuole Hojo come padre? <-<'' *picchia il cesso* Lol. Comunque perdonate lo sproloquio... è praticamente più lungo del capitolo! °A° Alla prossima. =w=
CompaH

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Presa di Posizione ***


Trasse un profondo respiro, poggiò la schiena contro la parete metallica della Shera e distese i muscoli, ritagliandosi il solito angolino di solitudine ai piedi della postazione sopraelevata del Capitano. Tuttavia la tranquillità restava un mero miraggio ed estraniarsi completamente gli risultava impossibile; specie prima della partenza.

“Visibilità frontale approssimativa: 95%. Canali di comunicazione: Chiari. Funzionamento radar: Normale.”

Tutt’attorno gli addetti s’affaccendavano agli indicatori e agli strumenti di controllo, intenti a supervisionare i parametri della Shera. Qualcuno fra loro gli sfrecciò innanzi, urlando ordini. La voce dell’operatore sfumò e si unì alle altre quando l’uomo raggiunse i colleghi in plancia. Subito dopo l’intenso brusio venne interrotto dall’altoparlante, che da prassi riferiva le comunicazioni di volo degli ingegneri.

“Modifica impostazioni da 6281 a 7129. Diversione energia AM ai sistemi di sicurezza. Avvio al test delle linee nei settori da 2 a 6. Livello potenza: 128%. L’asse L3 ha bisogno di olio.” silenzio; e poi ancora “Valvola inferiore operativa. Propulsore principale: 80%. Velocità di propulsione aumentata dello 0.3%.”

Incrociò le braccia al petto, socchiuse le palpebre e aspettò, convogliando l’attenzione sui restanti, più piacevoli rumori. L’aeronave rispondeva alla messa a punto. Vibrava, ticchettava, ondeggiava come fosse viva, muovendo all’unisono gli intricati meccanismi interni. Perfetti e precisi come quelli di un orologio. Se si concentrava abbastanza sui suoni del motore o dei rotori, poteva quasi immaginarli parte integrante di una sinfonia vera e propria. Che lo avvolgeva, lo cullava; stranamente rassicurante. Per un attimo dimenticò il perché di quel viaggio.

Le urla di Cid Highwind sovrastarono qualsiasi altra cosa e lo richiamarono all’attenzione l’istante successivo. Con la delicatezza che contraddistingueva l’altro da sempre e che glielo rendeva inevitabilmente familiare.

“Non ho intenzione di stare qui a ghiacciarmi le palle! Muovete il culo! E che qualcuno mi ragguagli sui fottuti motori!”

Scosse leggermente la testa. L’altoparlante invece tacque per un po’, lasciando spazio al brusio degli operatori in plancia. Poi la comunicazione riprese e le informazioni che tanto stavano a cuore al capitano arrivarono.

“Rendimento motore principale: Normale. Commutazione ai sensori automatici. Motore secondario, controllo funzionalità: Pronto.”

Ciò sentito, il capitano della Shera affermò: “Bene, gentaglia! Si parte! Togliamoci da questo cazzo di buco fatto di ghiaccio e portiamo i nostri bei culi al caldo! E ‘fanculo! Se qualcuno s’azzarda ad aggiungere questo o quello, lo mando a spalare la neve che s’è accumulata sulle turbine!”

Da dove si trovava non poteva vederlo, ma se l’immaginava perfettamente; con le mani sul timone, la sigaretta sull’orecchio e l’immancabile sogghigno disegnato sulle labbra. In pratica, il fedele ritratto del Cid Highwind che ricordava.

Incrociò anche le gambe e aderì maggiormente con la schiena alla parete della Shera; mentre i motori accumulavano potenza e l’immancabile senso di vertigine andava a stringergli lo stomaco, preannunciando la partenza. Di rimando il suo pensiero corse a Yuffie, spontaneo.

Assottigliò le labbra e fissò il pavimento vibrante dell’aereonave; invero richiamando alla memoria il suono delle lamentele, la figura piegata in due della ninja e quell’assurda borsa del ghiaccio che metteva sempre sulla fronte per scongiurare il mal d’aria. Rilasciò un piccolo sbuffo: dopo tutti i controlli effettuati, sulla Shera mancava ancora qualcosa.

Infine l’aereonave s’innalzò e partì, contrastando le violente raffiche del vento e perforando lo spesso strato di nuvole che copriva il cielo invernale di Icicle. Abbaglianti filamenti s’aprirono e fluirono lungo le vetrate della Shera alla stregua di dense onde bianche; finché riemersero  dal cumulo e l’azzurro tornò a stendersi a perdita d’occhio. Così intenso da ferire lo sguardo.
Socchiuse le palpebre e accusò una stretta più intensa allo stomaco, allorché il velivolo s’assestò alla giusta quota e cavalcò l’ennesima, inclemente raffica. Inaspettatamente, il cellulare vibrò.

Aggrottò le sopracciglia. Poi infilò la mano in tasca e aprì la conchiglia. Il display segnava una chiamata persa e tre messaggi. Approfondì. La chiamata era di Reeve, al solito. Tuttavia poteva intuire il contenuto della comunicazione anche senza parlargli; pertanto l’ignorò. Due dei messaggi appartenevano invece a Yuffie. L’ultimo era di Barret; più probabilmente di Marlene.

Da: Barret Wallace – ciao vinnie! ho sentito che stai venendo a edge. sono contenta! io e tifa abbiamo fatto una torta di mele. papà si è offeso perché non gliel’ho fatta assaggiare… ma non è mica per lui!

Batté le palpebre e rilesse le poche righe. Poteva comprendere Barret. Un po’ meno la piccola Marlene, che si entusiasmava senza motivo. Soprattutto quando il motivo che lo spingeva a far loro visita era ben lungi dall’essere cortesia. Di certo non avrebbe potuto portarla a cavalluccio come sperava. Sospirò. Tuttavia pigiò il tasto rispondi e inviò il messaggio: “Grazie.” Dopodiché aprì il primo sms di Yuffie.

Da: Yuffie Kisaragi – Ehi, come va la muffa? M-U-M-M-I-A! Ricordati di scattare quella foto a Cloud. Me la devi! Tiiiiiirchio! PS: Guarda nel portaoggetti.

Inarcò il sopracciglio. Sentiva puzza d’imbroglio lontano un miglio. Ciononostante aprì il portaoggetti che teneva alla cintura e vi guardò dentro come da istruzioni. Era vuoto. Niente Materia; niente Gil. Sospirò, scrollò il capo e visualizzò il secondo sms con una buona dose di rassegnazione. Questo era breve, preciso e dannatamente efficace. Appropriato.

Da: Yuffie Kisaragi – Sceeeeeemo!

Ripose il cellulare in tasca e tornò a poggiare immoto lungo la parete, braccia e gambe incrociate. Decisamente: tenere testa a Yuffie gli risultava impossibile. E quella ladruncola era sempre un passo avanti a lui. Strano che non avesse già mandato quella foto a tutti…

Il familiare ticchettio degli artigli sul pavimento lo strappò dai ragionamenti. Sollevò lo sguardo e intercettò senza indugi la sinuosa, maestosa figura di Red XIII andargli incontro. Ad ogni passo la coda del felino tracciava sfavillanti scie di fuoco, compiendo ampi archi nell’aria. Dall’ultima volta che si erano visti era diventato leggermente più robusto. Più adulto. E i suoi penetranti occhi ambrati esprimevano una maggiore maturità; oltre che la consueta, spiccata intelligenza.

“Da quanto tempo, Vincent.” esordì l’altro; e sedette sulle zampe posteriori.

Red XIII scrollò la criniera e i piccoli, colorati oggetti decorativi che gli adornavano il capo tintinnarono all’unisono, musicali. Poi tornò a fissarlo dal basso con tranquillità.
Arricciò leggermente i margini della bocca; e un pensiero lo folgorò, inaspettato: gli faceva piacere rivederlo.

“Un anno.” confermò; poi ricordò i convenevoli di cui Yuffie aveva sbraitato a Kalm e soggiunse “Ti trovo bene.”

Il felino lo fissò per un po’ in silenzio. Intuì che lo stava analizzando attentamente e si chiese se avesse fatto o detto qualcosa di sbagliato. O di strano.

“Stai bene anche tu, vedo.” ribatté infine l’altro “Sei diverso. Ma in modo migliore.” specificò; e gli sembrò che sorridesse “A dire il vero quando non ti sei presentato sul luogo dell’appuntamento, a Midgar, ho temuto che ti fosse successo qualcosa.” continuò poi, senza mai smettere di fissarlo “E invece ti ritrovo qui.”

Batté le palpebre e per un lungo attimo non capì a cosa l’altro stesse riferendosi, di già confuso dalle precedenti affermazioni che lo vedevano “diverso” e “migliore”. Infine realizzò; e schiuse le labbra. L’aveva dimenticato! Per la prima volta da che si erano scambiati la promessa di rivedersi a Midgar una volta l’anno per mitigare l’amara, angosciante presenza di “Gilligan”. Scosse il capo e sospirò, cercando di fare mente locale. Reeve prima, Yuffie poi. Infine Sephiroth. In quegli ultimi giorni gli avvenimenti si erano susseguiti a una velocità vertiginosa e l’avevano letteralmente travolto. E sconvolto. In maniera imprevedibile, inarrestabile; specie per lui, abituato a osservare sempre dall’alto senza mai prendere parte.

“Mi dispiace.” fece, forse un po’ troppo spiccio; tuttavia le parole non erano mai state il suo forte.

Red scrollò il capo.

“Se Vincent Valentine viene meno alla parola data, vuol dire che ha le sue buone ragioni.” ribatté serenamente “Parleremo dei miei viaggi un’altra volta.” propose quindi “Ma ammetto di essere turbato. Tu che dimentichi il nostro appuntamento, Reeve che ci chiama d’urgenza e ci chiede di riunirci come ai vecchi tempi…” il felino esitò; e percepì la domanda che gli indugiava sulla lingua ancora prima che la formulasse “Che sta succedendo, Vincent?”

Indurì l’espressione. Red XIII non era uno stupido. Anzi. Forse aveva già capito tutto, dato il riferimento ai vecchi tempi… Tuttavia non poteva dargliene conferma; non ancora.

“Vi spiegherò tutto quando arriveremo a Edge.” disse; e il silenzio seguì l’affermazione, interrotto unicamente dall’energico vorticare dei rotori.

Poi le urla di Cid Highwind sovrastarono nuovamente ogni cosa, costringendo entrambi a sollevare il naso per aria.

“E voglio ben vedere!” sbraitò il capitano, affacciandosi dalla postazione sopraelevata che gli spettava di diritto “Se prendo Reeve stavolta lo butto a mare! Mi ha fatto scapicollare da Rocket Town ad Icicle come se a qualcuno fosse venuta la sciolta! Passa a prendere Red XIII, fermati ad aspettare Vincent Valentine! Mi ha forse preso per un fottuto taxi?!” il pilota scosse la testa, si concesse uno schiocco stizzito di labbra e soggiunse “E visto che ci sei, Valentine, spiegami pure perché cazzo non sei ancora passato a prenderti quella fottuta tazza di tè! Sai com’è fatta Shera, ci tiene a queste cose. E a chi pensi che gonfi le palle, poi?” l’altro incrociò le braccia al petto e inclinò il capo, improvvisamente pensieroso; dopodiché soggiunse “E, dato che le ho già piene, se mi arriva un altro sms dalla tua ragazza giuro che te lo scrivo per davvero quel manuale per vecchi rincoglioniti! Quindi te lo dico anche di persona, da uomo a uomo: quando Yuffie chiama muovi il culo e rispondi al telefono!”

Quell’ultima questione lo colse talmente alla sprovvista e nel vivo che si dimenticò perfino di respirare.

“Non è… la mia…” farfugliò; e Red XIII si concesse una bassa, profonda risata.

Non fece in tempo a puntualizzare fino in fondo che la Shera ondeggiò violentemente. Venne sbalzato via dalla parete e fu costretto a fare appello a tutti i suoi riflessi per mantenere una parvenza d’equilibrio; e, a dispetto delle correnti impetuose, quasi temette un attacco aereo. Accanto a lui, saldo sulle quattro zampe, Red XIII si spostò appena. Cid invece rischiò direttamente di cadere oltre il parapetto.

“Capitano! Il timone!” strillò disperatamente uno degli addetti, svelando il mistero.

La pronta risposta del diretto interessato fu: “Ah, sì. Scusa. È che i discorsi sono importanti. E ‘fanculo, ce n’era uno che andava fatto!”
 
***
 
Tacque; e il silenzio divenne ancora più greve delle parole. Assordante. Aveva percepito Cloud irrigidirsi, seduto a uno dei tavoli; aveva notato il sorriso di Tifa spegnersi e morire su quel viso solitamente dolce. In prossimità del bancone, Cid aveva trattenuto il fiato e si era passato la mano sul collo. Se possibile, aveva visto Barret divenire bianco come un cencio. Red XIII invece non aveva mai smesso di fissarlo, ammantato di una calma che sapeva di consapevolezza.

Vagò con lo sguardo per la sala del Seventh Heaven, vuota dopo l’orario di chiusura. Nella penombra dell’ambiente le facce dei suoi vecchi compagni apparivano confuse e preoccupate. Anche un po’ incredule. E la torta di Marlene giaceva in un angolo del tavolo, integra e dimenticata; mentre l’infausta novella si spandeva, acquisiva man mano di concretezza e gravava sulle membra, nella coscienza di ciascuno alla stregua di una condanna.

“Le fottute previsioni del tempo non dicevano che sarebbe piovuta merda a catinelle.” attaccò Cid, squarciando per primo la cappa di silenzio “E tu hai lasciato la marmocchia stracciacazzi lì. Con Sephiroth. Quello della Meteora. Quello che ha quasi mandato a puttane capre, cavoli e Pianeti vari. E che ci ha fatto il mazzo a tarallo.”

Lo sguardo del pilota gli si appuntò addosso come una spilla. Pungente. Depositario di una silente accusa. Non se ne stupì. Era una reazione legittima e perfettamente comprensibile. Dopotutto l’altro non poteva immaginare come si erano svolti i fatti e cosa l’avesse spinto ad allontanarsi da solo.

“A Cait Sith serviva supporto.” si giustificò; e in quel momento sembrò una misera motivazione perfino a lui “E Sephiroth non rappresenta un pericolo, al momento.”

A quelle parole Barret balzò in piedi, si erse in tutta la sua considerevole altezza e piantò ambo i palmi sul piano orizzontale. Il tavolo traballò violentemente e per poco la torta non finì a terra.

“Porco mondo! Come cazzo fai a dire che non rappresenta un pericolo!?” urlò l’altro, due tizzoni ardenti al posto degli occhi “Stiamo parlando di Sephiroth! Non possiamo starcene qui con le mani in mano ad aspettare che porti a termine il suo folle genocidio! Dici che non ricorda niente?! Cazzate! Per me mente! E anche se fosse vero, si tratta comunque di una fottuta bomba a orologeria!”

Quelle affermazioni gli piovvero addosso come una selva di frecce. Tuttavia non rispose. Assottigliò le labbra e perseverò impassibile. Barret invece lo squadrò da capo a piedi, alla ricerca di una reazione o di una risposta che avrebbe potuto quantomeno soddisfarlo. Rassicurarlo, forse. Non ce n’erano; e tutte le obiezioni restavano più che ragionevoli. Tant’è che percepì chiaramente la frustrazione crescergli in corpo istante di silenzio dopo istante di silenzio, fino a che il viso di Barret divenne una maschera di furore.

Non si stupì quando l’omaccione calciò la prima sedia a disposizione e imprecò.

“Cazzo, Valentine! Come fai a startene così tranquillo?! Mi fai proprio incazzare! Certe volte non sembri nemmeno…”

Barret si morse il labbro inferiore; mentre la parola “umano” arrivava ugualmente forte e chiara. Di nuovo, non reagì. Anche in questo caso non poteva contraddirlo.

“Io ho una figlia, dannazione. Devo proteggerla.” riprese l’omaccione con più calma “Accidenti! Non dovremmo nemmeno stare qui a discuterne! Cloud, dì qualcosa!”

Gomiti puntati sul tavolo, Cloud Strife se ne stava già da un po’ con le dita incrociate sotto il mento, testa e sguardo bassi. Ascoltava; e valutava, probabilmente.
L’ex Soldier non si mosse, né replicò. In compenso Tifa inarcò le sopracciglia e strinse i pugni. Negli occhi della ragazza lesse la determinazione e un pizzico di risentimento. Uno sguardo che diceva assai più delle parole e che lasciava ben poco ai dubbi. O alle speranze…

“Sephiroth è pericoloso.” proferì infatti la barista, senza indugi “Ho visto il mio villaggio bruciare, i miei compaesani morire… e mio padre…” la ragazza lasciò in sospeso e si umettò le labbra, forse cercando di contrastare la rabbia, il dolore “Che cosa succederà quando quelli della Shinra lo troveranno?” chiese poi; ma non aspettò risposta “Non m’interessa se Reeve perderà i suoi finanziamenti, non possiamo rischiare. Né aspettare. Rufus va fermato subito. E Sephiroth anche.”

I presenti si guardarono l’un l’altro, probabilmente cercando riscontri e pareri nei compagni. Tuttavia il silenzio si dilungò e nessuno replicò. Dal canto suo non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo se la Shinra avesse trovato Sephiroth. Quest’ultimo era stato chiaro, in proposito: non avrebbe permesso a nessuno di mettersi in mezzo. Inaspettatamente Cloud si alzò e abbandonò il tavolo senza dire una parola, chiuso nelle proprie riflessioni. Di rimando Cid fece un passo avanti e l’apostrofò.

“Ehi, ehi, frena la moto, ragazzino!” fece “Dove credi di andare? Non abbiamo ancora finito, qui.”

Cloud esitò, con la schiena rivolta al gruppo. Poi scrollò il capo, le spalle e si voltò leggermente. Di rimando il suo profilo si disegnò nella penombra.

“Vado ad affrontarlo.” disse semplicemente, con una calma che, lo percepiva, non gli apparteneva affatto “Non me ne starò qui ad aspettare che distrugga tutto. Il Pianeta ha già sofferto abbastanza. Noi abbiamo sofferto abbastanza.” continuò l’ex Soldier; e chinò il capo, strinse i pugni “Aeris è morta per difendere tutto questo. Per difendere le persone che amava e il futuro in cui credeva. È stato Sephiroth a ucciderla. E ora vive, quando lei non può più sperare, non può più sognare...” fremette appena, palesando un pizzico di quanto gli sconquassava l’animo “Non riesco ad accettarlo.” sputò infine; e serrò anche la mandibola.

Tifa si portò la mano davanti alla bocca, mentre gli occhi le si inumidivano: “Cloud…”

“Non vi costringerò a seguirmi, a rischiare le vostre vite.” proseguì l’ex Soldier, senza guardare nessuno in particolare “Perciò sentitevi liberi di scegliere la strada che preferite.”

“Io vengo.” gli fece eco Barret, annuendo profondamente a braccia conserte.

Cid Higwind pose la mani sui fianchi e scrollò il capo, concedendosi un lungo, mesto sospiro. Poi recuperò la sigaretta che teneva sopra l’orecchio e se la rigirò lentamente fra le dita.

“E suppongo che mi toccherà scarrozzarvi fin lassù…” soggiunse quindi il pilota, infilandosi la cicca fra le labbra.

In qualche modo, considerò, si era infine giunti a una soluzione; e ancora una volta l’eroe predestinato avrebbe affrontato la sua nemesi assieme ai fidi compagni. Chinò il capo, assottigliò le labbra e serrò l’artiglio sul proprio braccio, trincerandosi nel silenzio e dietro il collo del mantello. Dunque non gli restava che da scegliere. Restare in disparte, schierarsi con i suoi amici. Oppure…

Red XIII si spostò fluidamente fra i presenti e si pose nel mezzo. Diresse l’attenzione da quella parte e si accorse soltanto in quel momento che il felino era stato l’unico a non esprimersi. Ancora.

“Comprendo le vostre motivazioni.” esordì infatti Red XIII, attirando gli occhi di tutti su di sé “Anch’io ho qualcosa che voglio difendere ad ogni costo. Ma prima di decidere dovremmo riflettere attentamente.” obbiettò “Sono passati due anni dalla Meteora. Eppure non è successo niente, abbiamo mantenuto la pace e una sorta di equilibrio. Qualcosa che vale la pena di preservare.” fece una pausa; poi scrollò la criniera e si fece più cupo “Contrastare Rufus Shinra e attaccare il nostro vecchio nemico, invece… beh, questo significa indubbiamente scendere in guerra. Perché è ovvio che Sephiroth si difenderà. E a subire la sua furia sarà il Pianeta. E chi lo abita.”

Barret aprì la bocca e fece per ribattere qualcosa, animato dal suo consueto, rude cipiglio; tuttavia tacque, forse a corto di assennate obiezioni. E il silenzio si stiracchiò ancora una volta, a sottolineare la gravità della prospettiva.

“Vincent, tu che cosa suggerisci?” chiese d’improvviso Cloud.

Quella domanda risuonò come un fulmine a ciel sereno. Schiuse le labbra, ma non proferì suono, ancora incerto sul da farsi. Sapeva che Cloud nutriva del rispetto nei suoi confronti e che si aspettava da lui sempre il massimo della sincerità. E del giudizio. Tuttavia prendere una posizione in merito gli risultava quasi impossibile. In quel momento più che in passato. Ciononostante restava l’unico che potesse dirgli come stavano esattamente le cose.

“Red ha ragione. Ma Sephiroth non si aspetta un attacco. È vulnerabile. Forse potresti persino ucciderlo, prima ancora che se ne accorga.” rispose quindi, senza palesare emozioni di sorta “Ma se fra le montagne credi di trovare un mostro, ti sbagli.” soggiunse prontamente, accaparrandosi le occhiate titubanti e un po’ soprese dei presenti “Affrontare un uomo che non sa di meritare la morte non è lo stesso che affrontare in battaglia il proprio, mortale nemico. Perciò, prima di partire, c’è una domanda cui devi rispondere. Tu sei il tipo di uomo che uccide a sangue freddo, Cloud Strife?”

Un uomo che uccideva alla stessa maniera di Sephiroth. Ne sapeva qualcosa. Eseguire gli ordini, puntare la pistola e premere il grilletto per fare un po’ di pulizia rientrava nei compiti di un Turk. Colpire bersagli inconsapevoli, magari inermi era differente dal combattere  sul campo di battaglia contro soldati addestrati. E negli occhi degli obbiettivi, l’istante prima di morire, era impressa sempre la medesima, angosciante domanda: “Perché?” Un quesito che tormentava l’animo fino a logorarlo, anche dopo che il rombo dello sparo si era chetato. Lasciandosi dietro un silenzio ancora più agghiacciante.

Cloud serrò le labbra e abbassò lo sguardo, forse ponderando una risposta. Barret invece sciolse la morsa delle braccia e urlò: “Ma si può sapere da che cazzo di parte stai?!”

Guardò nuovamente i compagni lì riuniti. Tifa, Cid, Red XIII. Ognuno di loro lo stava fissando; e ognuno di loro aspettava molto probabilmente di sapere. Di capire. La prospettiva lo stordì; perché non c’erano parole adatte o sufficienti per esprimere l’incertezza, l’amarezza… e l’annichilimento che provava in quel momento. Nuovamente innanzi al suo più grande, spaventoso e innominabile tabù. E alla storia che sembrava ripetersi sempre nella stessa, dolorosa maniera. Semplicemente tacque, impassibile; e il silenzio imperò per lunghissimi istanti, pesante come un macigno.

Poi Tifa lo infranse e disse: “Concordo anch’io con Red XIII. Prendiamoci del tempo per valutare le conseguenze. E la linea d’attacco più appropriata.”
 
Barret grugnì per dirsi d’accordo. Cid rilasciò il fiato e scrollò le spalle. Di rimando distese il braccio, scansò da sé il lembo del mantello e si diresse alla porta. Aveva nuovamente bisogno di aria. E di tempo per riflettere. Si sentiva come un flutto, disperso nella corrente. Trascinato e sbattuto, senza avere la minima idea di dove sarebbe approdato alla fine della tempesta. Una sensazione che, suo malgrado, aveva già sperimentato in passato… quando era stato un giovane e sprovveduto uomo travolto dagli eventi e dalle scelte altrui. Insopportabile.

La replica di Cloud arrivò che stava per oltrepassare l’uscio del Seventh Heaven.

“Non c’è una risposta giusta. In ogni caso, dovrei convivere con il peso delle mie azioni. Non è così?” fece l’ex Soldier; e poteva sentire gli occhi color Mako dell’altro scavargli nella schiena “Ma tu saresti disposto ad assumerti la responsabilità di averlo lasciato andare?”

Indugiò, scosse la testa e rilasciò un piccolo, liberatorio sbuffo. Aveva ragione Yuffie: pensava troppo e agiva poco. E a ben vedere la risposta a quella domanda era fin troppo facile e scontata.

“Sì.” disse; e si richiuse la porta alle spalle.

Le urla di Barret lo inseguirono; ma fra il mare d’improperi riuscì a distinguere soltanto la parola “pazzo”. Forse lo era. O forse era appena rinsavito. Difficile a dirsi. In ogni caso aveva preso una decisione. O meglio: aveva ignorato l’altezza e si era buttato. E non era mai stato così lucido.

Sollevò lo sguardo sulle facciate delle case, sui viali di Edge e sul via vai di persone che s’intravedeva in lontananza, fra gli scorci della città. La luce, il brusio e le risate lo investirono. Assottigliò le palpebre. Non avrebbe messo a rischio quella gente, né quella città che solo da poco aveva iniziato a respirare. O qualsiasi altra città del Pianeta. Non avrebbe permesso che altri bambini restassero orfani, come il figlio di Riley. Un uomo di cui restava solo il nome dato a un cane. Ciononostante non poteva reprimere il piccolo barlume di speranza che si agitava sul fondo di quel buco nero e profondo che gli lacerava il petto. Non meritavano una seconda possibilità, ne era consapevole; ma non era necessario uccidere Sephiroth per consentire agli altri di vivere. Non stavolta.

La porta del Seventh Heaven si aprì. Si girò da quella parte e schiuse le labbra, sorpreso. Fermo sull’uscio stava Cid Higwind, che reggeva l’anta a Red XIII. Il felino lo raggiunse e sedette sulle zampe posteriori. Il pilota invece trasse una profonda boccata di fumo sull’uscio del bar. Poi ricacciò dalle narici una sottile scia grigiastra e piegò la bocca in un sogghigno sghembo.

“Accidenti a te, Valentine! Non apri mai quella cazzo di bocca… e poi, tutto di botto, dai aria al cannone e sganci delle fottutissime bombe atomiche!” osservò, con fare bonario “Wallace avrà bisogno di un calmante. Se prima non gli viene un infarto e tira le cuoia.”

Red XIII inclinò il capo e lo guardò con tranquillità dal basso.

“Che cosa ti prende, Vincent? Per tutto il tempo, mi è parso come se avessi un peso sullo stomaco.” fece.

Scosse il capo. A quanto pare non si poteva nascondergli niente…

“Sephiroth… lui… Potrebbe essere mio figlio.” confessò quindi, senza preamboli.

Dirlo non l’angosciò come aveva sempre immaginato. Anzi, si sentì improvvisamente leggero, come se un peso gli fosse scivolato giù dall’anima. E quella possibilità taciuta per anni gli sembrò decisamente meno terrificante una volta esposta alla luce del sole.

Cid invece spalancò la bocca e si lasciò sfuggire la sigaretta dalle labbra. La cicca cadde a terra e rotolò sull’asfalto di Edge ancora accesa.

“Rettifico: questa è una fottuta bomba atomica.” commentò il pilota, strabuzzando gli occhi e passandosi le mani nei capelli “E la merda non scende a catinelle. Direi piuttosto a barili!”

“Ne sei sicuro?” chiese invece Red XIII, nient’affatto sorpreso.

Accennò un sorriso.

“Non ha importanza.” ribatté.

Sephiroth era il figlio di lei, di Lucrecia. E non c’era universo parallelo in cui avrebbe potuto ignorarla. L’avrebbe stretta fra le braccia in ogni caso, avrebbe accettato tutto di lei. Se soltanto gliene avesse dato la possibilità, le avrebbe accarezzato il ventre, le avrebbe tenuto la mano e l’avrebbe rassicurata, protetta, baciata ancora e ancora fino a perdere il fiato, fino alla fine della gravidanza. E avrebbe sussurrato alla creatura che portava in grembo dolci parole, aspettando pazientemente il giorno in cui sarebbe venuta al mondo. E avrebbe provato gioia; e li avrebbe amati entrambi, più di qualsiasi altra cosa al mondo; e sarebbero stati una famiglia; e…

Deglutì e serrò i pugni, allontanando le prospettive mancate. Non c’era tempo per i rimpianti, non ora che aveva una strada da percorrere dritto innanzi a sé…

“Che cosa hai intenzione di fare?” gli domandò Cid, quasi gli avesse letto nella mente; e nel suo sguardo lesse solidarietà e determinazione “Va da sé che per prima cosa andiamo a recuperare la marmocchia stracciacazzi.” soggiunse poi; e gli fece l’occhiolino.

Red XIII annuì per dirsi d’accordo. Di rimando si concesse un piccolo sbuffo e scosse la testa. Non se l’era spettato da parte loro, ma, sebbene non riuscisse a esprimerlo a dovere, era grato a entrambi. In qualche modo sapeva ancora provare emozioni; e la parola amici aveva infine acquisito maggiore spessore nelle sue sbiadite, quasi dimenticate concezioni.

“Io…” iniziò; ma la porta del Seventh Heaven s’aprì bruscamente, interrompendolo.

Ad affacciarsi fu Tifa. I capelli le scendevano disordinatamente sul collo, sulle spalle e l’espressione del suo viso comunicava soltanto una cosa: premura.

“Presto! C’è una comunicazione da parte di Cait Sith!” riferì la barista; e rientrò così com’era venuta.

Scattarono all’unisono e la seguirono da presso. All’interno del locale, Barret e Cloud stavano in piedi attorno al tavolino, le mani poggiate sul piano, le spalle curve e le espressioni dure, concentrate. Al centro stava il cellulare di Cloud. Li raggiunsero e si disposero chi da un lato e chi dall’altro, le orecchie tese alla comunicazione. Il segnale era disturbato e di sottofondo si sentivano urla e deflagrazioni.

“È un'emergenza! La Shinra…” rumore bianco inframmezzato da parole incomprensibili “…di sorpresa. Yuffie…” ancora interruzioni; e solo sentire quel nome gli provocò un tuffo al cuore del tutto inaspettato “…per quanto possibile. Ci occorre suppor…” serrò le labbra in una linea sottile, severa e cercò di mantenere la calma “…Sephiroth… ha ucciso… non so per quanto… resistere… Aaaaaaaaaah!!!”

La comunicazione s’interruppe bruscamente e il sordo segnale di occupato pervase sinistramente l’ambiente, alla stregua di una campana che rintoccava a morte. Poi il silenzio calò come una coltre di ghiaccio e la preoccupazione gli strisciò sottopelle. Qualcuno gli parlò, qualcun altro lo scosse urgentemente per la spalla. Non capì, come se i suoi compagni fossero ormai una lontana consapevolezza. Soltanto un pensiero gli attraversò chiaramente il cervello, impellente: “Yuffie!”
 
Salve. oo' Dunque... ùù'' Sappiate che io e questo capitolo abbiamo litigato violentemente. E io lo odio. °A° Non lo so. Per quanto l'abbia scritto e riscritto non riesce mai a convincermi pienamente. Questa versione è ovviamente quella che più mi soddisfa, ma sinceramene ho ancora paura che Vincent sia OOC. =_=' Insieme a tutti gli altri! °A° Giuro che ho fatto del mio meglio, anche se ammetto di averlo pubblicato per disperazione e perché sennò non sarei mai andata avanti. oo E un po' pure perché mio marito s'era scocciato di sentirmi! xD
A parte ciò, per il momento Vincent ha preso una decisione, anche se gli eventi non gli sono propriamente favorevoli. ùù''' E ha ammesso che Seph potrebbe essere suo figlio. Come nel videogioco originale, ha questo dubbio. Ma ha anche ribadito che per lui non ha importanza. Se anche fosse stato di Hojo, l'avrebbe amato comunque. Io infatti credo che Vince sia un padre mancato a prescindere! xD Comunque faccio il Nomura della situazione e vi dico che  in questa fic Vincent sarà il padre biologico di Seph. Spero che vi stia bene. oo Anche se al momento i nostri eroini(?) non lo sanno. oo (Ciao, mamma. ùù ndSeph *fissa Yuffie*;  °A° ndYuffie, alias la matrigna di Seph;  ... ndVincent *sospiro e facepalm*) Looool. Ok, la smetto e smammo. ùù''
CompaH

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Contro il Tempo ***


Controllò le cinghie del paracadute, tirandone l’estremità con decisione. Erano salde. Si spostò nuovamente sul sedile e tornò con lo sguardo al portellone posteriore della Shera, irrequieto. Mancava poco ma l’attesa, la tensione e il silenzio lo stavano letteralmente consumando da più di sei ore, ormai. Barret ne sarebbe rimasto sorpreso: aveva i nervi a pezzi. Un dato di fatto che stupiva lui in primis. Tuttavia c’era poco che potesse fare, se non continuare ad aspettare… nella speranza di arrivare in tempo. Per cosa non sapeva nemmeno dirlo. E, soprattutto, non voleva immaginarlo. Indurì l’espressione e scacciò gli orribili scenari che gli affollavano la mente e che comprendevano Yuffie. Morta per mano di Sephiroth. Scosse la testa: doveva restare lucido. Istintivamente poggiò le dita sul calcio della Cerberus, quasi la solida consistenza della pistola potesse offrirgli conforto.

Proprio allora l’aereonave vibrò e scricchiolò. S’irrigidì. Doveva trattarsi di una corrente d’aria. Dopotutto i cieli di Icicle erano famosi per le turbolenze; e il più delle volte le areonavi evitavano di spingersi oltre la zona turistica. Riportò l’attenzione al vano di carico dove stavano già da un po’ in attesa di lasciarsi e adocchiò i propri compagni, mentre il vuoto gli riempiva lo stomaco a ogni sobbalzo imprevisto. Accanto a lui, Tifa Lockheart si allacciò alacremente la cintura di sicurezza e piantò le unghie nel sedile, preoccupata dagli scossoni. Seduti lì di fronte, invece, Cloud e Barret si scambiarono una rapida, eloquente sbirciata e convennero con la barista, affrettandosi a recuperare le cinghie.

L’imitò. Tuttavia una raffica più impetuosa fece letteralmente sbandare la Shera e gli impedì di terminare l‘azione. Perse il contatto visivo, ondeggiò a sua volta e sbatté contro la parete metallica, prima a destra e poi a sinistra. Impattò con la spalla, frappose il braccio nel mezzo e attutì per quanto possibile il secondo colpo. Un sordo formicolio gli risalì l’arto a partire dalle dita; ma il suo corpo mostruoso registrò il dolore soltanto in una blanda parte di sé. Assurdo e insopportabile che dovesse ringraziare quel verme per la propria, innaturale resistenza. Non ebbe il tempo di recriminare; una frazione di secondo più tardi si sentì sbalzare nuovamente dall’altro lato. Fece pressione sui piedi, piantò l’artiglio sul pannello e, fra stridii e scintille, smorzò per quanto possibile la rovinosa caduta. Lunghi, irregolari graffi si disegnarono sulla parete. Ciononostante ci mancò poco che finì addosso alla barista. Si accertò che la ragazza stesse bene; poi grugniti, gemiti e tonfi richiamarono la sua attenzione lungo il vano di carico.

“Barret!” soggiunse Tifa; e nel tono della barista percepì la paura.

Sollevò il capo, allarmato. Vide l’omaccione perdere l’equilibrio e scivolare malamente lungo il vano e verso la parete alla stregua di un pupazzo sballottato dalla corrente. Contrasse i muscoli delle gambe e si preparò al balzo. Tuttavia Cloud agì per primo. Aggrappato saldamente a una delle maniglie di sicurezza, l’ex Soldier si protese da quella parte e afferrò il compagno al volo tramite un lembo della giacca; dopodiché lo trasse faticosamente a sé, nuovamente verso i sedili. Quasi poté scorgere il sudore scivolare lungo la fronte dell’altro o sentire lo scricchiolio dei suoi denti serrarsi in una morsa sempre più dura. Barret invece slittò una, due volte con i piedi sul pavimento nel tentativo di alzarsi e di raggiungere il posto a sedere; inutilmente. Ciononostante l’omaccione riuscì quantomeno ad aggrapparsi al sedile, alle cinghie e a scongiurare così la rovinosa caduta.

Tifa sospirò di sollievo. Di rimando rilassò le membra e si concesse a sua volta un piccolo sbuffo. Tanto più che la Shera era tornata in asse e le vibrazioni s’erano affievolite. Ne approfittò per sistemarsi meglio sul sedile e per allacciare la cintura di sicurezza, in previsione di altre turbolenze. L’altoparlante invece si attivò e riferì il messaggio del Capitano.

“Ci siamo, gente! Tenete il culo incollato al sedile perché la danza si fa movimentata. Il radar di bordo ha rilevato l’avvicinamento di una fottutissima tormenta. Perciò, anche se sono un provetto ballerino, non vi garantisco niente. E sappiate che non accetterò…”

Le urla di Barret coprirono il resto del messaggio.

“E perché cazzo non l’hai detto prima?!” urlò l’omaccione, agitando il pugno in direzione dell’altoparlante “Allacciate le fottute cinture! Non ci vuole la laurea in ingegneria per dire ‘ste quattro stronzate!”

“Non ti sente…” gli fece notare Cloud, atono.

“Porco mondo, Highwind! Per poco non mi spaccavo la testa! Ti rendi conto che a casa c’è Marlene che mi aspetta?! Sono quasi morto e nemmeno ho visto Sephiroth! Devo venire io a guidare ‘sto cazzo di trabiccolo infernale?!” perseverò l’altro, passandosi la mano sul capo e sul collo con evidente frustrazione “‘Fanculo! Quel pagliaccio di Strife mi ha pure salvato il culo!”

“…io sì, invece.” continuò di sottofondo l’ex Soldier; e scansò il capo per quanto possibile, forse contuso dalle urla dell’omaccione “E comunque sei pesante. Perciò allacciati la cintura e smettila di urlarmi nelle orecchie.”

“Benvenuto nel mio mondo.” soggiunse Tifa; e si concesse una calorosa risata.

“Ehi!” protestò Barret, adocchiando prima l’uno e poi l’altra “Ho appena rischiato di morire! Potreste mostrare un po’ di comprensione?! E chiudete le fottute bocche! Non si sente un cazzo di quello che Highwind sta blaterando!”

La barista replicò con un’occhiataccia. Cloud sospirò. Dal canto suo, invece, scosse appena il capo. Far notare a Barret che era stato il primo ad alzare il tono di voce e a coprire il messaggio del Capitano con le proprie urla sarebbe stato inutile, comunque. Anche se, a ben vedere, quel piccolo e imprevisto intermezzo aveva aiutato tutti ad allentare la tensione.

“…in avvicinamento. Comincio la discesa.” stava dicendo il Capitano nel frattempo “Al momento giusto aprirò il portellone. Lanciatevi al termine del count down. All’uno, semmai a qualche cervellone dovesse venire il dubbio. Capito, Wallace?” Cid rise; il diretto interessato invece imprecò e mandò a quel paese il pilota “Io e Red XIII vi raggiungeremo il prima possibile. Mi raccomando, non fatemi incazzare: prendeteli a calci nel culo e restate interi. E, perché no, lasciatemi qualche cazzone da strapazzare un po’!”

La comunicazione si chiuse con il commento di Barret: “Puoi scordartelo! Prendere a calci in culo quelli della Shinra è il mio mestiere!”

Subito dopo un’altra, poderosa raffica percorse l’aereonave da prua a poppa e li mise in allerta. Le lamiere vibrarono, sbandarono ed emisero sinistri scricchiolii. Lamenti. I neon tremarono, si spensero e per lunghi istanti le luci d’emergenza conferirono all’ambiente delle sfumature rossastre, che si riflettevano sulle pareti metalliche a intermittenza. Si sbilanciò appena, trattenuto dalle cinghie, e lo stomaco sembrò arrivargli direttamente in gola, mano a mano che la Shera perdeva quota e le correnti la investivano da tutte le direzioni.

Barret imprecò ancora, Tifa si portò la mano sulla bocca e trattenne un conato di vomito; e la discesa sembrò protrarsi all’infinito. Poi le vibrazioni s’attenuarono, il mezzo tornò in asse e i neon si riaccesero. La luce l’accecò. Strinse le palpebre, portò le dita alla fibbia della cintura e puntò il portellone. Contemporaneamente partì il conto alla rovescia preannunciato.

Lancio in tredue…” scandì la voce preregistrata; e l’ingresso si schiuse, rovesciando all’interno raffiche di vento gelido.

Al tre slacciò la cintura, raggiunse il varco e si lanciò oltre senza aspettare i compagni. Il vuoto s’aprì sotto di lui e l’accolse, inconsistente. Sfrecciò verso il basso, in caduta libera fra le nuvole e le correnti, il mantello che sbatteva e turbinava dietro di lui alla stregua di una banderuola. La rigida temperatura gli artigliò le carni; mentre l’aria gli tagliava le gote, gli sferzava la pelle, i capelli e lo sballottava qua e là. Soltanto la velocità di discesa l’aiutò a mantenere la traiettoria. Non vi badò. Scandagliò il paesaggio innevato alla ricerca di quanto bramava, invece, e poco dopo scorse l’abitazione di Abigail delinearsi sullo sfondo, fra le rocce e il ghiaccio. Sembrava intatta, constatò. Portò la mano alla cinghia del paracadute e attese, mentre i metri che lo separavano da terra s’accorciavano ad ogni secondo di più. Le vette delle montagne gli sfrecciarono accanto. 500 metri. 300. Strinse i denti e aspettò ancora per coprire più distanza nel minor tempo possibile. Dopotutto non era umano; e poteva prendersi il lusso di rischiare.

Aprì il paracadute che aveva raggiunto all’incirca i 100 metri d’altezza. L’attrito lo sballottò verso l’alto, poi le correnti lo trascinarono a destra e infine a sinistra. Qualcosa lampeggiò fra le creste rocciose. Spari. Automaticamente mise mano alla Cerberus e puntò da quella parte, pronto a captare qualsiasi movimento. Distinse uno dei cecchini e premette il grilletto. Quello s’accasciò fra la neve. Altri proiettili fischiarono nell’aria, stavolta più vicini. Strinse i denti e sparò su un altro soldato Shinra: da quanto sembrava, avevano circondato la zona. Evidentemente avevano incontrato strenua resistenza. Ciò gli diede speranza. Poi dei colpi ben mirati andarono a perforagli il paracadute in più punti e si ritrovò a precipitare. Nuovamente in caduta libera per gli ultimi 20 metri che lo separavano da terra.

Poco male. Sganciò le cinghie, si disfece dell’ingombro svolazzante e sfrecciò incurante verso il basso. Atterrò con un’agile capriola, sollevando spolverate di neve tutt’attorno, e accusò un sordo, doloroso formicolio alle gambe. Nient’altro; merito di Hojo anche quello, considerò con disprezzo. Si rimise in piedi e puntò il primo uomo sulle creste. Sparò, ma quello si riparò dietro la copertura e sfuggì di stretta misura ai proiettili della Cerberus. Svuotò il caricatore, mentre fruscii, grugniti e gemiti si levavano alle sue spalle. Non aveva bisogno di controllare, sapeva chi era appena arrivato. Ricaricò l’arma, mentre una scarica di mitragliatore lo sorpassava e s’abbatteva senza pietà sul nascondiglio dei soldati Shinra.

Si fece strada fra la neve che gli arrivava ai polpacci e avanzò in direzione della casa di Abigail. Qualcuno fece capolino dietro gli speroni di ghiaccio, pronto a far fuoco. L’anticipò e quello s’accasciò al suolo fra le urla, reggendosi il braccio sanguinante.
Con la coda dell’occhio individuò Cloud. L’ex Soldier atterrò, sfoderò lo spadone e si scagliò sugli uomini appostati. Quelli gli spararono addosso. Cloud si abbassò e schivò, parò con la lama e assestò un deciso sgualembro al primo bersaglio disponibile. Una scia di neve e ghiaccio si sollevò tutt’attorno, disegnando la traiettoria del poderoso colpo; mentre il malcapitato veniva scaraventato metri più avanti e addosso ai  compagni. Uno dei cecchini mirò alle spalle dell’ex Soldier, posizionato poco più sopra, sulla scarpata. Automaticamente distese il braccio e lo puntò. Un’altra scarica di mitragliatore s’abbatté sulle creste e scongiurò il pericolo prima ancora che potesse premere il grilletto. Cloud nemmeno se ne accorse, di già proiettato verso il bersaglio successivo. Si voltò da quella parte.

“Ci penso io a parargli il culo! Raggiungi la casa!” gli urlò Barret.

Annuì, tornò con lo sguardo alla meta e proseguì. Poco più avanti Tifa era appena atterrata e stava combattendo col paracadute, che le ricadeva sulle spalle e sulla testa, coprendole la visuale. Uno degli avversari sbucò da dietro una roccia innevata, sollevò il fucile e fece per colpirla col calcio dell’arma fra capo e collo. Strinse i denti e puntò la Cerberus con tutta l’intenzione di impedirglielo; inutilmente, perché la barista assestò una decisa gomitata sul grugno del tizio. Quello mugugnò di dolore, barcollò indietro e cercò per quanto possibile di puntare l’arma e contrattaccare. Troppo tardi. Tifa incalzò l’avversario e, incurante dell’impaccio costituito dalla neve, gli rifilò un calciò dritto sotto la mascella… per poi ritirare la gamba e calare con il tallone sul cranio dell’uomo, mandandolo direttamente al tappeto. La ragazza atterrò sul manto bianco, fra ampie spolverate di neve, e con un rapido, elegante movimento del capo scansò i capelli che le erano ricaduti sul viso.

“Bella, Lockheart! Insegnagli a tenere le mani a posto!” commentò Barret, chissà dove dietro di lui.

Conveniva. E Cloud avrebbe fatto bene a non farla arrabbiare. Mai. Sfrecciò accanto alla barista e se la lasciò alle spalle, certo che non avesse bisogno del suo aiuto. Ormai mancavano pochi metri. Sì fece strada sparando e schivando i proiettili, raggiunse l’uscio posteriore dell’abitazione e lo spalancò, ansioso di controllare l’interno. E per poco non si prese una padellata dritta in faccia.

Balzò indietro e schivò il colpo per un soffio, completamente preso alla sprovvista, mentre l’arma impropria andava a schiantarsi contro lo stipite della porta con grande violenza. E frastuono. Di rimando una manciata di neve cadde giù dal cornicione e gli finì addosso.

“Vincent!” strillò Abigail, ferma sulla porta, dita strette al manico dell’utensile ed espressione sconvolta dipinta in volto “S-scusami… Non credevo che…”

Aveva il viso sporco di polvere da sparo e i capelli rossi che le ricadevano liberamente sul collo e sulle spalle in una cascata di fuoco. Così come piacevano a Sephiroth, considerò. Doveva aver combattuto anche lei. Ma l’aria stravolta della ragazza la diceva lunga e le lacrime dovevano esserle scese giù dagli occhi in abbondanza, almeno a giudicare dalle strisce più chiare che le rigavano le gote ingrigite dalla sporcizia. Non poté chiedersene la ragione. Altri proiettili si schiantarono sull’uscio, sullo stipite della porta e lo costrinsero a ignorare perfino le buone maniere. Tant’è che spinse la ragazza all’interno senza nessuna delicatezza.

“Stai giù.” ordinò; e ricambiò gli assalitori con la stessa moneta.

Ne abbatté due. Poi entrò, si richiuse la porta alle spalle e andò con lo sguardo in un lungo e in largo per l’ambiente che ricordava caloroso e accogliente, ma che in quel momento appariva devastato dall’assalto armato dei soldati.
Il tavolo e le sedie erano stati divelti e giacevano abbandonati a terra. Le finestre erano rotte. Gli scaffali una volta pieni di spezie erano ora colmi di cocci e mostravano i chiari segni dei proiettili. Detriti di ogni genere spiccavano sul pavimento e in un angolo, accanto al camino, giaceva inerte il corpo meccanico di Cait Sith. Stesi sull’uscio, invece, stavano i cadaveri di tre soldati. Si accigliò e serrò la mandibola. Di Sephiroth non c’era traccia. E di lei…

“Vince!” il suono squillante di quella voce lo travolse, lasciandolo a boccheggiare per qualche istante “Vince, meno male che sei qui!” la cercò con lo sguardò e la ritrovò accucciata sotto una delle finestre, fra il muro e il divano; in mano teneva una granata e la agitava da una parte all’altra, gesticolando furiosamente per attirare la sua attenzione “E meno male che ti ho fregato tutte le Materia! Non puoi capire quanto mi sono tornate utili! Ma se sei qui per farmi una ramanzina… ecco, sappi che non è il momento. E che ho già speso parte dei tuoi Gil –o meglio, li ho persi giocando a carte con Abbie, alias la megera. Perciò tieniti pignoleria e tirchiaggine per dopo e dammi una mano. Anzi no. Dammi una mano e tieniti il resto. Per sempre.”

Per qualche istante restò col fiato sospeso, certo che avrebbe fatto cadere quella bomba e combinato un disastro. Poi una scarica di proiettili irruppe dalla finestra e costrinse la ninja a ripararsi sotto il davanzale. Scattò da quella parte per darle manforte. Raggiunse la finestra, si sporse e mirò. I suoi colpi costrinsero i soldati ad arretrare dietro gli speroni di roccia e ghiaccio.

“Aaaah! Le vostre mamme sono delle grandissime testa di chocobo col culo arruffato!” strillò invece la ninja; e lanciò la granata fuori dalla finestra.

Si acquattò accanto a lei.  La bomba deflagrò; e pezzi di vetro e legno si spansero dappertutto. Il boato si quietò subito dopo e un fastidioso, insistente ronzio gli invase le orecchie. Si sporse poco oltre il margine della finestra e controllò la situazione. I soldati stavano ancora asserragliati dietro le coperture, annerite dall’esplosione; ma a giudicare dalle urla e dai lamenti qualcuno non era riuscito a sfuggire completamente alla detonazione. Nonostante la sorte di Cait Sith, Yuffie era stata brava a mantenere la posizione.

“È tutta colpa mia.” commentò inaspettatamente la ninja, quasi gli avesse letto nella mente “Ho fatto un casino, altroché. Hanno bussato. La megera ha detto che ci andava lei. Ma io no! Mi annoiavo troppo, ero incazzata nera e ho aperto la porta. E quelli mi hanno riconosciuto. Non so come. Io non li avevo mai visti prima! Si sono insospettiti e sono voluti entrare. Abigail ha detto che invece dovevano andarsene… ma loro niente. E le hanno messo le mani addosso… e allora Sephiroth è venuto fuori. E si è incazzato. Un botto –e decisamente più di me. E poi Cait Sith si è rotto… E io…”

“Yuffie…”

“…che poi, porco di un Leviathan, ma perché Reeve è fissato con ‘sti robottini carini carini quando potrebbe procurarsene uno coi controcazzi?! Chessò… un modello corazzato con laciarazzi e motosega incorporati, ad esempio! Tornerebbe decisamente più utile e…

“Yuffie.”

“Cosa?!” sbottò infine l’altra, puntandolo con i suoi grandi occhi castani; e per la prima volta si accorse di quanto stanchezza e preoccupazione fossero evidenti sui lineamenti del suo viso.

“Sei stata in gamba.” le disse.

Aveva commesso un’imprudenza, sì; ma se c’era qualcuno da biasimare quello era lui. E mai avrebbe dovuto lasciarla da sola ad affrontare una situazione del genere.

“D-davvero?”

Sulle prime la ninja batté le palpebre e lo fissò stranita. Col viso sporco di polvere da sparo, gli occhi grandi e l’espressione contrita sembrava ancora più minuta. Poi l’altra sfoderò un sogghigno sghembo e si passò l’indice di traverso sotto il naso, impettendosi tutta.

“Certo. È ovvio. È proprio quello che stavo dicendo.” confermò “Chi meglio di me? La Rosa Bianca di Wutai non sbaglia mai. E fa quasi rima! Visto che brava? Dovrebbero farmi un altarino. Figo. Perché io sono figa. Fighissima. E portarmi Materia come omaggio nei festivi. Ma pure nei feriali andrebbe benissimo! Intanto potrei tenermi le tue come indennizzo –perché mi hai lasciato qui e perché ti sei accorto solo ora di quanto io sia figa. Sì, sì. Ti ho già detto che sono figa? Ma tanto!”

Rilasciò un piccolo sbuffo. Purtroppo non c’era tempo per ulteriori considerazioni.

“Dov’è Sephiroth?” chiese quindi, senza mai smettere di tenere d’occhio la situazione fuori dalla finestra.

A rispondergli fu Abigail, stavolta; e percepì chiaramente la voce tremarle: “Ne ha uccisi due… ed è scappato via. La maggior parte dei soldati gli è andata dietro…”

Saettò con lo sguardo sui corpi riversi a terra, accanto alla porta. Doveva averlo fatto di proposito, nella speranza che smettessero di attaccare l’abitazione e chi ci viveva. Si sarebbe comportato nella stessa maniera, considerò. Tuttavia in quella storia c’era qualcosa che non gli quadrava. Intanto non capiva né l’accanimento, né il consistente dispiegamento armato del nemico, specie per una semplice missione di ricerca. Tanto più che gli unici a sapere di Sephiroth erano loro. O forse no; e a ben vedere quelle indossate dai cadaveri non sembravano divise Shinra… Aggrottò le sopracciglia e assottigliò le labbra. Tuttavia non ebbe il tempo di indagare.

L’ingresso posteriore s’aprì d’improvviso. Abigail sussultò. Si girò da quella parte e vide Cloud e gli altri entrare di corsa, richiudendosi la porta alle spalle.

“Yuffie! Sei tutta intera, per fortuna!” esclamò la barista, squadrando l’amica da capo a piedi.

“Tifa!” strillò Yuffie di rimando; e si spalmò sulla spalliera del divano, allungando le braccia da quella parte come se volesse abbracciarla “E chocobo spettinato. E scimmione, ovviamente. Vi trovo bene. Un po’ sbattuti, forse. Com’è andato il viaggio? Una pacchia, sembra! Lei è la meger… cioè, Abigail. Per gli amici intimi Abbie.” soggiunse la ninja.

La diretta interessata mandò gli occhi al cielo e commentò semplicemente con: “Temo che non potrò offrirvi tè e pasticcini. Chiunque voi siate.”

L’ultima precisazione indusse Tifa a presentarsi prima e a scusarsi poi per l’irruzione improvvisa; Barret invece si soffermò su altri punti della questione.

“S-scimmione?! A me?!” sbottò l’omaccione “Cazzo, Kisaragi! E dire che dovresti essere una principessa beneducata! Ma almeno sei femmina? Ringrazia che non c’è tempo per insegnarti le buone maniere!” soggiunse “E dato che di là abbiamo finito, andiamo a rompere il culo agli altri qui fuori!”

“Vorrei far notare che in qualità di scimmione non sei credibile, quando parli di buone maniere. E per la cronaca –giusto in caso ci fosse qualche altro scettico- ho le tette e tutto il resto dell’armamentario. Quindi sì, sono in regola -e femmina.” rispose Yuffie “Per il resto sono d’accordo. Usciamo e sistemiamoli. È ora di fargli assaggiare un po’ di sana violenza alla Yuffie!”

“Mi piace!” convenne Tifa, sollevando il pugno per aria.

Cloud si concesse un piccolo sbuffo e si avviò alla porta senza perdere tempo. Barret imprecò, rise e lo seguì. Fece altrettanto. Abbandonò la copertura del davanzale, ricaricò la Cerberus e si diresse all’uscita. Istintivamente lanciò un’occhiata indietro, a Yuffie. Di rimando la ninja frugò nel portaoggetti e gli lanciò la Materia Fire. L’acchiappò al volo; poi l’altra gli rivolse un sogghigno a trentadue denti, recuperò il Conformer e lo sorpassò saltellando. La ninja raggiunse gli altri, ma sull’uscio si voltò e indugiò appena.

“Se vuoi indietro le altre devi guadagnartele. Non so. Sii creativo. Stupiscimi!” disse; poi ci pensò su e precisò “La proposta non è retroattiva, ovviamente. Perciò che tu abbia preso casa –non un grotta, una casa!- a Kalm e che non abbia nascosto la tua adorata bara sotto il letto non vale.” ciò detto, fece roteare il braccio, il Conformer e si lanciò fuori.

Scosse la testa: era sempre la solita. E non gli dispiaceva nemmeno un po’. Si rigirò la sfera rossa fra le dita e per un attimo si chiese cosa avesse fatto o detto per meritarsela; senza esito.
Proseguì verso l’uscita, mentre dall’esterno arrivavano i primi rumori di battaglia. Tuttavia Abgail gli tagliò la strada e lo costrinse ad arrestarsi, frapponendosi fra lui e l’ingresso con grande decisione. Batté le palpebre, stupito e un po’ confuso. La ragazza invece si morse il labbro inferiore e palesò il tormento che celava dentro.

“Vengo anch’io.” affermò poi, guardandolo dritto negli occhi con una determinazione che poco aveva a che vedere con le lacrime secche sulle guance.

“C’è poco che puoi fare con quella.” rispose, lapidario.

Abigail rafforzò la stretta delle dita sulla padella.  “Lo so. Io mi occupo di latte. Di formaggi. E questo… questo è semplicemente troppo per me. Non è così? È qualcosa che a stento riesco a concepire. Mi sento… schiacciata e impotente. Annichilita. E ho paura. Paura da impazzire, perché lui non è qui con me. Perché non capisco che sta succedendo e non c’è niente che io possa fare…” la ragazza scosse la testa, deglutì; e si accorse che aveva nuovamente gli occhi lucidi “Ma questa è pur sempre casa mia. Devo difenderla, non posso starmene con le mani in mano mentre lì fuori tu, Yuffie e i vostri amici combattete, rischiate la vita.”

Era retta, coraggiosa. E forte, nonostante tutto. Poteva immaginare come si sentiva: stiracchiata nell’incertezza; divisa fra speranza e angoscia; sopraffatta da una realtà sconosciuta e più grande, più forte di lei. Smarrita. Senza più punti di riferimento e con la sola forza di volontà a sostenerla. L’aveva provato, anni a dietro… ma tanta determinazione poteva rivelarsi fatale, specie in battaglia; perché di sicuro non avrebbe sopperito alla mancanza di addestramento militare.

“Ci saresti unicamente d’intralcio.” continuò, impassibile; e se la lasciò alle spalle “Devi restare al riparo. E sopravvivere. È per questo che lui è andato via. Lascia il resto a me.”

Sapeva che Abigail avrebbe fatto la cosa giusta. Uscì senza guardarsi indietro. Il vento e il rumore del mitragliatore di Barret l’accolsero. Adocchiò la situazione. Cloud e Tifa avevano già raggiunto le creste innevate e stavano contrastando i cecchini lì appostati. Barret e Yuffie, invece, li coprivano dalla distanza. Andò da quella parte; ma il vorticare in avvicinamento lo costrinse a sollevare la testa. Strinse le palpebre e con preoccupazione scorse l’elicottero nemico stagliarsi fra il livore e le nubi sempre più spesse, ondeggiando malamente a causa delle correnti. Abbozzò una smorfia, mentre i capelli e il mantello gli sbattevano addosso mano a mano che il mezzo militare si faceva più vicino, sollevando neve e polvere tutt’attorno; poi altri soldati calarono dall’alto. Atterrarono in breve, col solo ausilio di un cavo metallico, e li circondarono coi fucili spianati.

“Aaaaah! Rinforzi! Rinforzi! Non finiscono più! Ma dove cavolo li prendono? Per caso c’è un distributore automatico fra le montagne? Infili la monetina ed ecco che calano soldati come fossero fiocchi di neve!” strillò Yuffie “Nel caso io voglio un caffè caldo. E una barretta di cioccolato. Anche un paio di carrarmati non sarebbero male.”

“Chiudi la fottuta ciabatta e dacci dentro, Kisaragi!” rimbrottò Barret.

Convenne. Tant’è che distese il braccio, puntò la Cerberus e sparò. Una, due, tre volte. Il suono dello scoppio sfumò nel vento e due soldati andarono a terra. Gli altri aprirono il fuoco l’istante successivo. Vide Yuffie schivare, saltare indietro e lanciare il Conformer. L’arma descrisse un ampio arco, impattò contro altri due uomini e tornò indietro, dalla proprietaria. La ninja l’afferrò al volò e arretrò ancora.

“Al riparo!” urlò Barret, coprendo la ritirata a suon di mitragliatore “Dietro le rocce!”

Andò per ultimo, inseguito dai soldati. I proiettili gli fischiarono nelle orecchie, gli perforarono il mantello e lo mancarono di stretta misura. Vide Yuffie e Barret raggiungere Cloud e Tifa, dietro la copertura naturale offerta dal paesaggio. Afferrò la Materia Fire e ne attinse al potere. Distese il braccio e lo direzionò verso gli uomini armati. Le fiamme avvolsero i primi a disposizione e costrinsero gli altri a farsi da parte, dipanandosi tutt’attorno e annerendo quanto toccavano. Urla e odore di carne bruciata si dispersero nell’aria. Non aspettò oltre; scavalcò agilmente le rocce e si ricongiunse ai compagni.

“Attenzione! Lassù!” urlò Tifa.

Sollevò lo sguardo da quella parte, mentre i proiettili nemici fischiavano e rimbalzavano tutt’attorno, sulle rocce. Serrò la mascella e aggrottò le sopracciglia quando scorse l’elicottero scendere ulteriormente e azionare il meccanismo di propulsione dei missili. Dietro ne seguiva un altro, pronto a scaricare altri soldati. Schiuse le labbra. Ma che accidenti stava succedendo?

“Vincent!” a riscuoterlo ci pensò Cloud “L’elicottero. Dobbiamo abbatterlo!”

Annuì. Puntò e sparò, dritto sul rotore. I proiettili della Cerberus impattarono contro le parti metalliche in questione e le pale rallentarono l’intensità di movimento. Di rimando il mezzo s’inclinò e perse quota. Strinse i denti: non era sufficiente. Barret andò a dargli manforte, puntò il cannone e sparò. Il globo d’energia verde irruppe nel suo campo visivo e impattò laddove aveva colpito, ma con più forza. Tant’è che l’elicottero vorticò su se stesso e precipitò… troppo tardi, in ogni caso; e il missile si sganciò malamente. Ne seguì la traiettoria con lo sguardo, mentre impattava molto più in alto, sulle montagne, fra le rocce congelate e la neve. Seguì un boato, una slavina e un’enorme stalattite di ghiaccio si staccò dalle creste, precipitando vertiginosamente lì dove loro stavano asserragliati. Dritta su Yuffie, che se ne stava col naso per aria. Evidentemente paralizzata dalla paura.

Non pensò. Semplicemente diede l’impulso alle gambe e spiccò il balzo da quella parte. La spinse malamente sulle rocce. La ninja cadde, rilasciò un gemito strozzato e si rannicchiò a terra. La coprì col suo corpo. Poi la punta della stalattite gli trapassò il petto, si conficcò al suolo e lo inchiodò sul posto, mentre la neve gli pioveva addosso. Il dolore l’invase. Sordo. Pulsante. Ardente. Qualcosa di caldo gli inzuppò i vestiti, lì dove il ghiaccio s’innestava nella carne. Serrò gli occhi, la mandibola. Inutilmente. L’istante successivo tossì, gemette e sputò sangue; e tutto il suo corpo tremò, ondeggiò e perse di consistenza. Stava morendo… solo che lui non poteva morire. Sotto di lui Yuffie lo fissava impietrita, con la bocca aperta, le palpebre sbarrate e le sopracciglia corrucciate. Aveva gli occhi colmi di lacrime. E si era sbucciata i gomiti e le ginocchia. Di nuovo. Era proprio una mocciosa. Sputò altro sangue, mentre la vista, l’udito e gli altri sensi venivano meno. Percepì delle urla in lontananza. Forse Cloud e gli altri… ma c’era qualcosa che sarebbe sopraggiunto ancora prima di loro. Qualcosa che urlava, graffiava e sbatteva dentro di lui, in ogni cellula del suo corpo, in ogni recesso della sua mente. Poteva già percepirne la rabbia. Strinse i denti nell’inutile tentativo di resistergli.

“Sca… scappa…” farfugliò; poi sentì un lugubre, vibrante ruggito e si accorse di aver perso coscienza di sé. Infine arrivò il buio.
 
Ma salve a tutti. ^^ Dunque, questo capitolo è incentrato sull'azione, anche se alcuni dettagli di trama sono venuti fuori ugualmente. Inaspettati. Mi rendo conto che è scritto un po' coi piedi. E me ne scuso. Tra l'altro ho fatto un po' di fatica perché non sono né un'esperta di paracadutismo, né un'esperta di combattimento. Né, tanto meno, un'esperta di fenomeni sovrumani. oo Perciò, dato che in AC i personaggi zompano e volano rispettivamente come grilli e rondinelle, non mi sono preoccupata di essere troppo verosimile. Lol. Anche se, mi sa, alla fine mi sono anche contenuta. oo' Spero che il risultato sia comunque accettabile. E sì, sto mettendo le mani avanti. Anche perché in questo periodo mi sono demoralizzata moltissimo. Da sola. ^^' No comment. E mi sto praticamente costringendo a scrivere per non mollare le cose a metà. Cosa che mi farebbe stare pure peggio. =_=' Sì, sono idiota. ^^' A parte ciò ringrazio tutti quelli che commentano e che leggono. Grazie per essere giunti fin qui! Spero che questa storia non sia stupida, scontata o noiosa. >-<
CompaH

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** L'Uno nell'Altra ***


“Vincent…?”

Roteò gli occhi, le palpebre chiuse, e i lineamenti del suo viso percepirono un tremito. Nel dormiveglia avvertì il pulsare del cuore, ritmico, intenso, poi la voce di qualcuno in lontananza: un indistinto rimbombare, più simile a un tuono che a delle parole vere e proprie. Si concentrò su di esse e combatté contro il torpore della mente, degli arti. Non ricordava cos’era successo ma sapeva, lo sentiva, che doveva svegliarsi.

“…rinforzi, al più presto.” stava dicendo la voce; e il discorso gli arrivò di lontano, ovattato ma abbastanza comprensibile “Li abbiamo sistemati, sì. Elicotteri sventrati come pesci. Perciò fidati quando ti dico che non è stato un lavoro… pulito, ecco. Ehi! Pronto?! Porca di una vacca baldracca! Ah, no, non dicevo di tua madre! E poi manco la conosco!”

Cid Highwind, intuì. Schiuse gli occhi. Troppo in fretta; e sulle prime la luce l’infastidì. Corrugò la fronte, strizzò le palpebre e aspettò di mettere a fuoco. Principalmente per fare mente locale. Man mano i contorni dell’ambiente acquisirono colore, consistenza e delinearono l’abitazione in subbuglio di Abigail. Riconobbe il camino, in quel momento acceso, il divano su cui era sdraiato e le rustiche travi di legno che sostenevano il tetto dell’abitazione. Il tavolo era di nuovo in piedi, notò, ma in ogni dove c’erano polvere, detriti; e i segni dei proiettili ricoprivano tutte le superfici come piccole e sbafate macchie d’inchiostro. Sì, ora ricordava. Si era lanciato col paracadute e i soldati…
 
Diresse lo sguardo più in là, inseguendo la voce. In prossimità della finestra stava il Capitano della Shera, in piedi fra i vetri e la neve, con la schiena poggiata contro il muro. Il vento turbinava all’interno attraverso le ante in frantumi e l’investiva, strappandogli tremiti e sbuffi di vapore ad ogni fiato. Incurante, l’altro si sporgeva oltre il margine della copertura e di tanto in tanto adocchiava l’esterno, mandibola contratta e occhi attenti. Teneva il cellulare fra l’orecchio e la spalla, così da tenere le mani libere e pronte a imbracciare la lancia. Non sapeva con chi stava parlando, ma data la mancanza quasi totale di campo dubitava che sarebbe riuscito a concludere la chiamata.
 
“E comunque potrebbero arrivarne altri –uscivano dalle fottute pareti, Tuesti!” sottolineò Cid, rivelandogli anche l’identità dell’interlocutore “Perciò inventati quel cazzo che ti pare, ma manda qui quanti più sbarbatelli della WRO riesci a racimolare! E sai che ti dico? Contatta pure il tuo misterioso benefattore e digli che… Pronto? Pronto?! Cazzo! Linea di merda!”
 
Il pilota sollevò il braccio e quasi lanciò il cellulare contro la parete dirimpetto. Poi lo ripose nella tasca sinistra dei pantaloni e recuperò una sigaretta dalla destra. Infilò in bocca la cicca, tornò a frugare fra la stoffa, probabilmente alla ricerca dell’accendino, e gettò nuovamente lo sguardo all’esterno. Dal canto suo ricordava la battaglia, gli elicotteri… e poi? Doveva essere trascorso del tempo da allora, dato che Cid Highwind aveva avuto modo di sistemare la Shera e di raggiungerli.
 
Serrò la mandibola e notò che gli avevano steso addosso una trapunta. Si sentiva pesante come un macigno. Piegò leggermente le dita, voltò appena il capo e constatò che non si trattava di una semplice sensazione: era pesante come un macigno. E perfino i più basilari movimenti gli costavano impegno e fatica. Conosceva quella spossatezza. E ancora meglio conosceva da cosa derivava: l’altro aveva preso il controllo e l’aveva rivoltato come un calzino. E chissà cos’altro aveva fatto nel frattempo…
Un brivido gli scivolò lungo la schiena al solo pensiero. E un’improvvisa, inaspettata sensazione gli attraversò il cervello. Qualcuno l’aveva chiamato per nome. Non sapeva né dove né quando. Ma era successo. E si era svegliato, per questo. Lucrecia…? No. Era stato qualcun altro, qualcuno di concreto, che aveva allungato la mano e gli aveva descritto la guancia con dita leggere e tremanti. Poteva ancora percepirne il tocco sulla pelle…

Schiuse le labbra, senz’aria, e saettò con lo sguardo in lungo e in largo, stavolta alla ricerca di Yuffie. Niente. Contrasse i muscoli e piegò il busto, nel tentativo di alzarsi. Stilettate di fuoco gli affondarono nel petto. Strinse i denti, serrò le palpebre e ricadde pesantemente sul divano, in posizione supina. Il sudore gli imperlò la fronte e la schiena, freddo come il ghiaccio.

Sentì il familiare ticchettio delle zampe di Red XIII sul pavimento e un leggero spostamento d’aria solleticargli la pelle. Voltò il capo da quella parte e incontrò la figura del felino, che l’osservava di rimando proprio accanto al divano.

“Adagio.” disse l’altro “Fino a poco fa avevi un buco enorme nel petto.”

Quella menzione gli riportò alla memoria il dettaglio del missile che impattava sulle creste innevate, provocando il distaccamento di un grosso, appuntito sperone di ghiaccio. Accusò un’altra fitta al petto. Istintivamente portò le dita lì dove sentiva dolore e incappò nella stoffa lacera del vestito.

Trattenne un gemito e domandò: “Che cosa è successo?”

Le domande a proposito di Yuffie e di Sephiroth, invece, gli morirono in gola, vuoi per la stanchezza, vuoi per la preoccupazione. Tuttavia il felino non fece in tempo a spiegargli la situazione che il Capitano della Shera richiamò l’attenzione su di sé.

“Cazzo, Valentine!” esclamò; Cid poggiò la lancia contro il muro, abbandonò la finestra e gli corse incontro. Il fumo gli usciva dalle narici, notò, e spesse linee di apprensione gli attraversavano la fronte. “Vacci piano! Non so tu, ma io ho ancora le budella sottosopra!” il pilota gli passò il braccio dietro la schiena e lo aiutò a sollevare il busto “E chiedi aiuto quando ti serve! Testa di cazzo che non sei altro!” lo rimproverò “Ci hai già fatto prendere un colpo! E ‘fanculo! Fortuna che sei come sei… altrimenti saresti già bello che morto. Stecchito. Fra te e quella mocciosa stracciacazzi non so proprio chi sia il più suonato! E sconsiderato. Certo, da lei me l’aspetto. Ma tu, porco di un cagnaccio, sei grande, grosso e vaccinato!”

Batté le palpebre, come sordo all’invettiva, mentre quell’allusione andava a rinfrescargli ulteriormente la memoria. E a concretizzare sensazioni e timori. Si era frapposto fra Yuffie e lo sperone di ghiaccio, sì; ed era stato in quel momento che Chaos aveva preso il sopravvento. Possibile che lei…!?

Ingollò a vuoto e sentì una tenaglia serrarsi attorno alla bocca dello stomaco. Di rimando allungò il braccio, afferrò Cid per il bavero e lo trasse vigorosamente a sé. Quello sobbalzò, colto alla sprovvista.

“Dov’è lei?” l’altro strabuzzò pure gli occhi e s’irrigidì “Dov’è Yuffie.” precisò quindi, tono e sguardo fermi. Cupi.

Il pilota schiuse le labbra, senz’aria, e restò interdetto per lunghi attimi. Poi diresse lo sguardo altrove, come se stesse riflettendo sul da farsi. Infine serrò la mandibola, ridusse le labbra a una linea sottile, dura e tornò a guardarlo dritto negli occhi, senza tuttavia dargli l’impressione di voler rispondere. Si accigliò.

“Di là, con Tifa.” intervenne prontamente Red XIII; e Cid schioccò la bocca, seccato.

“Vince...” soggiunse; e scrollò il capo, le spalle “Dovresti…”

Per tutta risposta rafforzò la stretta delle dita.

“Portami da lei.” stabilì; e seguitò a trafiggerlo con lo sguardo finché l’altro cedette e annuì.

Gli lasciò andare il bavero, si disfece della trapunta e poggiò i piedi a terra. Gli stivali si abbatterono sul pavimento di legno con un tonfo, gravosi come non li aveva mai sentiti. Cid gli passò il braccio attorno alla vita. Di rimando gli avvolse il proprio sulle spalle e si lasciò issare quasi di peso, rassegnandosi all’aiuto. Le sue gambe erano insensibili e rigide come pezzi di legno, saggiò; ma sapeva che quel torpore non sarebbe durato a lungo. Dopotutto era indistruttibile. Sostenuto dall’altro, mosse i primi, esitanti passi in direzione della stanza da letto, mentre Red XIII si faceva da parte e lasciava loro il cammino libero.

Strinse i denti e ignorò il dolore al petto. Barcollando abbandonò il divano, attraversò il salotto e imboccò il breve corridoio che conduceva alla zona notte. Tuttavia quando fu a pochi passi dalla meta la sua determinazione venne meno, congelato nell’incertezza di quanto l’attendeva al di là della soglia; e per lunghi istanti restò fermo, addossato all’amico, a fissare come stranito il fascio di luce che dall’interno si proiettava lungo il corridoio in penombra. Poi, inaspettatamente, il tono acuto della ninja proruppe e andò a perforargli i timpani.

“Ahi, ahi, ahiiiiiii!” protestò Yuffie “Questa è tortura! Tor-tu-ra! Che roba è? Acido solforico?”

Seguì un sospiro; probabilmente di Tifa.

“Disinfettante…” puntualizzò l’altra “Purtroppo la mia Cure è appena nata. Ora ‘sta ferma, o finirò per versartelo ovunque. Sopporta un pochino, ok?”

“Ehi, con chi credi di parlare?” ribatté la ninja “Ti ricordo che ho girato per tutto il Pianeta a bordo dell’Highwind prima e della Shera poi –e fino a prova contraria non ho ancora inaugurato il ponte.” fece una breve pausa; poi confessò “Anche se la volta in cui ho mangiato uova fritte e pancetta a colazione ci sono andata mooooooolto vicina.” disse “Ma non è questo il punto! Dovrebbero darmi una medaglia al coraggio! Sono un esempio leggendario di sopportazione, io. Una roccia! Lo stoicismo incarnato! Nessuno soffre dignitosamente come me. Strife e Valentine sono miei allievi, e… Aaaaaah! TRADIMENTO! Se volevi versarlo potevi anche avvisarmi! O almeno contare fino a tre!”

“Per darti il tempo di scansarti? No, grazie. Mi sono già inzuppata abbastanza le prime tre volte.” soggiunse la barista in tono piatto.

Sentì il pesante blocco di timore scivolargli giù dal petto, dallo stomaco e cedere il posto all’originario desiderio di incontrarla, di verificare con i suoi occhi che fosse tutta intera. Si staccò da Cid e barcollò per gli ultimi passi che lo separavano dallo stipite della porta, cui si poggiò non appena possibile. Non visto, osservò all’interno. Yuffie se ne stava fra le coperte, con la schiena sorretta da due cuscini e la maglietta arrotolata fin sopra la pancia. L’espressione imbronciata la faceva rassomigliare a una bambina capricciosa. Sopra di lei, notò, il soffitto era stato sfondato e temporaneamente rattoppato con un telo impermeabile, sostenuto da assi e da una manciata di chiodi. Accanto al letto, sul comodino, stavano invece accatastati dei piattini. Uno di essi mostrava ancora una fetta di torta mezza mangiucchiata. Accennò un sorriso, mentre tornava ad analizzare le condizioni della ninja. Aveva abrasioni sul mento, sui gomiti e lungo gli avambracci. Normale amministrazione, nel caso di Yuffie. Più preoccupante era invece la ferita all’addome. Tuttavia Tifa le stava fasciando il ventre e ciò gli impedì di saggiare l’effettiva gravità del danno. Sul momento, almeno. Batté le palpebre quando vide delle strisce rosse allargarsi sul candore della stoffa, parallele fra loro; e riconobbe gli inequivocabili segni di un’artigliata. Il sollievo svanì con la stessa rapidità con cui era arrivato e quasi sentì la consistenza vischiosa del sangue sulle dita…

Nemmeno si accorse dei passi di Cid, congelato lungo lo stipite della porta e schiacciato dai sensi di colpa.

“Ti è corsa dietro incurante di tutto. E ancora mi chiedo se ha fegato da vendere… o se invece si è semplicemente bevuta il cervello.” disse il pilota; e gli poggiò la mano sulla spalla “Starà bene.”

Il tocco inaspettato lo riscosse appena, ma non lo rassicurò. Strinse le labbra, serrò le palpebre e scrollò il capo, mentre le sensazioni e i dubbi si trasformavano in ricordi e certezze. Pesanti come macigni. La carezza sul viso. Il suo nome pronunciato da Yuffie. Un dolce sussurro incrinato dall’insicurezza, dalla sofferenza… Dagli artigli di Chaos, che le erano affondati nella carne senza remore e le avevano strappato perfino l’aria dai polmoni. Avvertì una stretta alla gola, allo stomaco, bisognoso di scacciare quell’ultimo dettaglio dalla mente. E di allontanarsi. Un sollievo che non meritava, in ogni caso. Deglutì e perseverò immobile. Poi, a dispetto della stanchezza, dell’angoscia crescente, a prendere il sopravvento fu la mera rabbia. Che stupida! Che cosa aveva creduto di fare? Aveva solo rischiato di essere… non riuscì nemmeno a pensarlo. Chinò la testa, fremette e si artigliò allo stipite della porta col guanto di metallo. Solo poi tornò a puntare ostinatamente la fasciatura bianca: uno spettacolo che lo straziava, ma cui meritava d’assistere. Per imprimersi a fuoco nella coscienza l’ennesimo motivo per il quale avrebbe dovuto starle lontano. Da lei e da qualsiasi altro essere umano, probabilmente.

Improvvisamente Yuffie sollevò lo sguardo su di lui e lo notò. Di rimando la bocca della ninja si trasformò in una perfetta “o”: un’esclamazione muta che diceva assai più delle parole. Specie perché si affrettò a ricoprirsi la pancia e a puntargli l’indice contro, come se dovesse urlargli dietro questo e quell’altro.

“Ah! L’alba dei morti viventi!” strillò; poi richiuse la bocca, s’accigliò e diresse le iridi sul pilota alle sue spalle “Non ti avevo forse detto di incatenarlo al divano, se necessario? Stupi-inuti-Highwind!”

Per tutta risposta Cid affermò: “Punto primo: se voi foste due esseri raziocinanti non starei qui a giustificarmi. Punto secondo: non volevo prendermi un cazzotto in faccia. Punto terzo, quarto e quinto: non sono né un taxi, né un centralinista, né un fottutissimo consulente matrimoniale!”

Il tocco del pilota si ritrasse e sentì i suoi passi allontanarsi, assieme all’odore di tabacco e a qualche bestemmia riguardo la Shera e la pancetta. Dal canto suo non mutò né posizione né espressione, in piedi lungo lo stipite della porta. Tifa invece andò con lo sguardo da lui a Yuffie, in silenzio; poi recuperò le medicazioni, si alzò dal capezzale della ninja e lo raggiunse alacremente alla porta, probabilmente con l’intenzione di uscire. Nel passargli accanto gli riservò il sorriso.

“Sono contenta di vederti in piedi.” disse; e proseguì oltre.

Ricambiò con un’occhiata in tralice; dopodiché tornò a puntare la ninja, che lo fissava di rimando dal letto, con le braccia incrociate al petto, le sopracciglia inarcate e le labbra ostinatamente piegate verso il basso in un broncio perfetto. Sembrava che stesse rimproverandolo. O facendogli il verso, non seppe distinguere con precisione. E con Yuffie tutto era possibile e nulla da escludere. Non vi badò, comunque, e andò dritto al punto che gli premeva: “Perché l’hai fatto?”

L’altra mandò gli occhi al cielo.

“Oh, Yuffie!” esclamò poi, indurendo e abbassando il tono di voce in una sorta d’imitazione “Sono felice anch’io di vederti, sì, sì. Ti trovo in gran forma! E che ventre piatto che hai! Addominali da paura! PA-U-RA!” sottolineò; fece una piccola pausa e soggiunse “Oh, a proposito, grazie per avermi parato il culo.” disse, senza sciogliere la morsa delle braccia; poi riacquistò il solito tono, scosse il capo e commentò “E io che credevo ti fosse passato il mestruo!”

“Avrebbe potuto ucciderti.” ribatté.

Stronzate.” disse Yuffie “Tanto per cominciare gli ho detto il fatto suo a quello lì.” fece; e mimò un paio di pugni che quasi la costrinsero a piegarsi in due sul letto. Tuttavia l’altra sfoderò un sogghigno tirato e continuò come nulla fosse: “E se voglio so ringhiare e sbavare meglio di lui, altroché. Vuoi vedere? Tanto le coperte sono già fradice di acido solforico! Poi ho nove vite come i gatti, io. Mica poco!”

Sospirò. Non era in vena di sciocchezze. Né di assecondarla e di far finta che fosse tutto a posto. Era stata fortunata, nulla di più. E in ogni caso non sarebbe bastata la Materia Cure più potente del mondo per cancellarle i segni degli artigli dalla pelle.

“Adesso basta, Yuffie.” stabilì quindi “Voglio che tu stia lontana da me.”

Il silenzio seguì l’affermazione, mentre gli occhi della ninja si sgranavano di rimando e gli si appuntavano addosso carichi d’interrogativi. E di un languore che trovò addirittura insopportabile, impresso in quelle pupille altrimenti luminose e vivaci. Cercava di capire, sopracciglia e labbra corrucciate, come se il motivo delle sue affermazioni non fosse di per sé evidente.

“Perché?” chiese infatti; e percepì la voce tremarle “Perché sono una ragazzina petulante? Perché non sto né ferma, né zitta e ti faccio venire il mal di testa? Perché combino solo disastri o perché…”

“Perché non sono una bella persona.” l’interruppe “Perché non ho niente da darti. Perché sono già morto una volta e nemmeno ricordo come sia essere vivi. O umani. Perché sono pericoloso. Perché tu hai tutta la vita davanti…”

…e non potrei mai perdonarmi se ti succedesse qualcosa; ma questo non riuscì a pronunciarlo. Serrò la mandibola e chinò il capo, invece, certo che addurre altre motivazioni sarebbe stato superfluo. Il silenzio si stiracchiò per attimi che parvero infinti, interrotto unicamente dal sibilo del vento che s’insinuava fra gli interstizi. Non poteva vederla da quell’angolazione, ma ne sentiva ancora gli occhi addosso. Poi l’altra infranse la quiete; ma a differenza di quanto aveva sperato non percepì alcuna comprensione nel suo tono di voce. Anzi.

“Tipico discorso di chi ha il cervello irrimediabilmente… fritto.” commentò, sferzandolo col rimprovero implicito “Certo, è comodo.” convenne “Ma resta il fatto che mi fa davvero, ma davvero incazzare! Perché, se non te ne fossi ancora accorto –la vecchiaia è carogna!- è troppo tardi per i ripensamenti e gli esami di coscienza!”

Ne era perfettamente consapevole, invece. Se n’era accorto quando si era presentata in casa sua, fradicia dalla testa ai piedi. E a Costa del Sol, quando l’aveva vista piangere, stagliata sulle onde del mare e sui fuochi d’artificio. Se n’era accorto quando aveva disegnato di lontano il morbido contorno delle sue labbra. O quando aveva visto quella stalattite di ghiaccio precipitarle addosso. Eppure, era proprio l’inevitabilità di quel legame a preoccuparlo. Era nato talmente in sordina che sembrava esserci da sempre e perfino i suoi compagni sembravano esserne consapevoli. Ciononostante non riusciva ad accettarlo con semplicità. Sarebbe stato… sbagliato. E ingiusto. Scosse la testa, scrollò le spalle e tornò a guardarla.

“Yuffie…” fece; ma l’altra non gli permise di parlare.

“Non ci provare!” l’ammonì “Adesso apri quelle stupide orecchie piene di ragnatele e stai a sentire me! Fino alla fine. E se ti azzardi a uscire da quella porta senza congedo, stavolta ti lancio appresso il letto! E le sedie. E il comodino, sì!” minacciò; e si portò una mano al ventre dolorante.

Quel dettaglio gli provocò una fitta al petto; e tornò a raggelarlo lungo lo stipite della porta. Ammesso e non concesso che avesse intenzione di andarsene.

“Mi hai chiesto perché l’ho fatto.” continuò invece la ninja, come insensibile al dolore “Bene! Adesso te lo spiego io, brutto sfigato di un vampiro!” proclamò, piantando ambo le mani sul letto, gli occhi colmi di determinazione “L’ho fatto perché mi fido di te. Perché sapevo che non avresti permesso a nessuno di farmi del male. Nemmeno al pipistrello gigante –e i graffi non si contano.” disse; e strinse le dita sulle coperte “E perché se non ti avessi fermato, se ti avessi permesso di fare delle persone quello che hai fatto degli elicotteri, adesso i nuvoloni neri che hai nel cervello ti sarebbero usciti direttamente dal naso. E perché siamo un magico duo. E perché, porco di un Leviathan, che ti piaccia oppure no ho agito per lo stesso motivo che ha spinto te a prenderti quel ghiacciolo nel petto! Perciò invece di stare lì come uno stoccafisso-bacchettone a fare domande inutili e a inventare scuse perché te la stai facendo nei pantaloni, fattene una ragione! Perché certe cose accadono e basta e tu non puoi farci proprio niente!”

Yuffie s’incurvò su se stessa e ansimò, sfinita, vuoi dal dire deciso, vuoi dal fisico prostrato. Parimenti, si accorse di essere a corto di fiato. E di argomentazioni. Perfino la rabbia, l’angoscia provate fino a qualche istante prima avevano perso di mordente, cedendo il posto alla confusione.

“Tutti sono imperfetti. Ma nessuno merita di stare da solo –nemmeno tu.” disse la ninja, passandosi ambo le mani sulla faccia “Che testa di cazzo che sei, Vincent Valentine!” esclamò infine; e si accorse di averla nuovamente ferita.

Assottigliò le labbra e deglutì, senza sapere cosa fare di preciso. Cosa ribattere a così tanta determinazione. E dolcezza. E si sentì sciocco, perché la persona che aveva di fronte non aveva bisogno di essere protetta. Anzi. Era di una tempra ben più resistente della sua. E probabilmente era solo lui che aveva il timore di mettersi in gioco. Di rischiare. E nella confusione che lo governava in quel momento l’unica osservazione degna di nota che gli salì alle labbra fu: “Deve esser vero. Me l’ha detto anche Cid.”

“Cid ha ragione da vendere.” concordò lei, continuando a stropicciarsi gli occhi “Ma lui non deve saperlo. Perciò non dirgli che l’ho detto.”

Si concesse un piccolo sbuffo liberatorio e si accorse che il cuore gli scalpitava nel petto. Una sensazione che quasi lo stranì, tanto era inusuale. Non sapeva da cosa dipendesse di preciso, se dalle sole dichiarazioni di Yuffie o se dallo scampato pericolo in generale, ma doveva calmarsi. Tralasciò l’uscio e si avvicinò al letto. Gli arti erano ancora torpidi, ma non pesanti come in principio. Raggiunse la sedia lì accanto, poggiò la mano alla spalliera e lentamente prese il posto di Tifa al capezzale di Yuffie. La ninja non lo guardava più, notò, quasi scevra della combattività che aveva appena usato per rimetterlo in riga. Da così vicino, poi, poteva tranquillamente notare le lacrime che le imperlavano le ciglia, nonostante avesse tentato di strapparle ripetutamente via dal viso. Col solo risultato di arrossarsi maggiormente le gote.

Si concentrò su quel dettaglio e pensò che fosse tenera. E graziosa. Rise internamente di sé. Non gli piaceva quello provava e si odiava per un mucchio di motivi diversi. Per averla lasciata da sola, per averla ferita e messa in pericolo. Eppure non poteva che desiderare di stringerle la mano con cui stava torturandosi la faccia. Ingollò a vuoto. Aveva ragione lei: era troppo tardi e rimuginarci sopra non aveva alcun senso. Poteva continuare a osservare la vita dalla finestra della sua dimora, crogiolandosi nei malinconici, sbiaditi ricordi di un’esistenza interrotta. O poteva semplicemente ricominciare a vivere. Anche se non era facile. Anche se non lo meritava. Anche se spesso faceva male.

Allungò il braccio e le afferrò la mano, scansandogliela delicatamente dal viso. Delineò rapidamente ciascuno dei suoi lineamenti, mentre gli occhi grandi della ninja gli si appuntavano addosso, colmi di sorpresa. Abbozzò un sorriso.

“Grazie, Yuffie.” le disse, così come avrebbe voluto fare sulla spiaggia.

L’altra lo fissò ancora per un po’, in silenzio. Ma quando accennò a lasciarle la mano fra le coperte, le dita di Yuffie si strinsero di rimando e gli impedirono di sottrarsi. La lasciò fare. E la vide aprirsi in un luminoso sorriso. Di quelli veri, privi della malizia che solitamente animava quelle labbra impertinenti. E se a Costa del Sol era rimasto confuso da quella reazione così spontanea, quasi infantile, in quel momento penso solo che non ci fosse niente che le donasse di più.

“Quando te ne sei andato ero davvero furiosa.” disse “Con te, con me stessa, con i pecoroni della megera… col mondo intero!” ridacchiò e scosse la testa “Alla fine ero solo frustrata. Impotente, confusa. E spaventata da quello che provavo. Perché avrei tanto voluto ignorarti e scappare anch’io il più lontano possibile.” confessò; poi il suo sguardo si fece distante “Lei… Lucrecia... Devi averla amata moltissimo.” disse “Ma ad amare troppo intensamente qualcuno si finisce col perdere se stessi, non è così?”

“Non conosco alternative.” ammise.

“È bellissimo... e spaventoso allo stesso tempo.” commentò Yuffie; poi rinforzò la stretta delle dita e soggiunse “Ma tu sei tornato!” fece “Ed, ehi, ci hai pensato? Finché siamo insieme potremo sempre ritrovare noi stessi l’uno nell’altra! Se la guardi da qui, non è poi così male.” disse; e sorrise, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

E la naturalezza con cui lo sostenne la fece sembrare semplice e priva di ombre perfino a lui. Non sapeva se a parlare per lei fosse l’ingenuità tipica della giovinezza o se, effettivamente, ci avesse visto giusto e molto più lontano di lui. In ogni caso dovette ammettere che la logica di Yuffie, per quanto spesso in contrasto col comune buon senso, restava inaffondabile. E per una volta decise di farla propria.

“Sembrerebbe di sì.”

L’altra batté le palpebre e considerò: “Ora si spiega perché il mondo sta per finire: Vincent-mummia-Valentine è d’accordo con la Rosa Bianca di Wutai!” lo canzonò “Dovremmo metterlo nero su bianco! Oppure fare una foto commemorativa –anche se tu e il flash non andate d’accordo. E dimmi, com’è andato il risveglio dal mondo dei morti?”

“Sto bene.”

In realtà si sentiva ancora impacciato nei movimenti, ma non c’era tempo per riposare e riacquistare le energie. Tanto più che, anche se la situazione sembrava sotto controllo, non sapeva né se ci fossero altri nemici in arrivo, né che fine avesse fatto Sephiroth.

“Buon per te, allora.” osservò Yuffie “Perché io la mia parte l’ho fatta –e Tifa ha minacciato di togliermi il dessert se non me ne sto a letto buona buona ad annoiarm… cioè, a riposare. RIPOSARE. Ci pensi? Proprio ora che Abigail si è decisa a scucire la torta ricotta e limone che nascondeva sotto al mattone -perché è tirchia quasi quanto te. E t’informo che Cloud e Barret sono già sulle tracce di Sephiroth…”

Strinse le labbra, la mascella, nient’affatto stupito.

“…perciò –e lasciamelo dire alla Wallace perché fa più fico- alza quel culo secco e raggiungili. Stare qui a fissarmi –in maniera un po’ inquietante, dato che si tratta di te- non mi farà guarire prima.” concluse la ninja “E anche se non posso capire quello che provi… credo che tu debba esserci quando lo troveranno.”

Yuffie gli riservò un’eloquente occhiata. Di rimando indugiò sulla mano di lei e annuì. Lanciò un ultimo sguardo alle fasciature della ninja e si alzò dal capezzale. Si voltò, il mantello svolazzò dietro di lui e uscì dalla stanza. Percorse il tragitto al contrario e tornò in salotto. Tifa sedeva sul divano, stropicciandosi le dita. Cid invece era tornato alla finestra, lancia fra le mani e sguardo perso all’orizzonte.

“A quella ragazza si gelerà il culo, se non si decide a rientrare…” stava dicendo.

Entrambi sollevarono lo sguardo su di lui appena sentirono il metallo dei suoi stivali impattare sul pavimento di legno. Di Red XIII non c’era più traccia.

“Stai andando?” chiese Cid.

Annuì.

“Io resterò qui fino all’arrivo di Reeve.” spiegò il Capitano della Shera “In bocca al lupo.”

Esitò, senza sapere di preciso cosa rispondere; poi optò per un semplice: “Grazie.” Di rimando il pilota ridacchiò, si arruffò la chioma bionda con la mano e borbottò qualcosa del tipo “Non c’è di che. Ma la prossima volta vada per un crepi. Suona meglio!”

Tifa abbandonò il divano e gli andò incontro.

“A Yuffie ci penso io. Non le permetterò di alzarsi. Né di ingozzarsi fino a scoppiare. Perciò stai tranquillo.” disse, portandosi elegantemente i capelli dietro le orecchie “Mi raccomando, fai attenzione anche tu.” soggiunse; e tornò in camera da letto.

La seguì con la coda dell’occhio. Poi riprese il cammino, aprì la porta e uscì. Vento e neve gli si rovesciarono addosso, tagliandogli la pelle e insinuandosi ovunque, fra i capelli, nel collo del mantello e al di sotto di esso. Rabbrividì, barcollò e quasi finì contro la porta. L’orizzonte si stendeva a perdita d’occhio come un ammasso bianco e compatto di piccoli fiocchi di neve che veniva sballottato da una parte all’altra, impazzito. Oltre le montagne s’intravedevano appena, delineandosi grigie sullo sfondo come unico punto di riferimento. I corpi dei soldati, le carcasse degli elicotteri erano invece appena distinguibili, ormai ricoperti da uno strato di neve spesso diversi centimetri. Come se la furiosa battaglia che avevano combattuto fosse già nient’altro che un vecchio, dimenticato ricordo.

Dei colpi secchi e cadenzati lo spinsero a volgere il capo sulla sinistra. Accucciata fra la neve, in prossimità dell’abbeveratoio per gli animali, stava Abigail. Attorno a lei c’erano alcune delle capre che allevava. Il vento le scompigliava i capelli, i vestiti, facendola rassomigliare ad un pupazzo in balia della tormenta. Le spalle le tremavano, ma non seppe dire se fosse per il freddo o per i singhiozzi. Strinse le labbra, le palpebre, cercando di distinguere i dettagli, e s’accorse che impugnava un martello; ma l’asse che cercava in tutti i modi di sistemare proprio non voleva saperne di stare al suo posto sulla staccionata. Era un gesto insensato, dato il momento e la distruzione circostante. Ma intuì che doveva servirle, quasi in quel modo potesse trovare un senso a ciò che era accaduto e a quanto aveva perso. E all’impotenza che provava.

Un fruscio improvviso lo richiamò all’attenzione e puntò dritto innanzi a sé, lungo la strada che l’attendeva. Per un attimo pensò di esserselo immaginato, dacché il fischio del vento copriva o rendeva indistinguibili la maggior parte dei suoni. Tuttavia vide un punto rosso avanzare a balzi verso di lui. Poco dopo riconobbe le fattezze animali di Red XIII che si faceva largo fra i cumuli di neve. Il felino lo raggiunse in breve e l’affiancò, scrollandosi vigorosamente l’umidità dal pelo.

“Presto!” urlò; e le intemperie dispersero in breve il suono della sua voce “Più avanti il vento s’intensifica. Acceca e disorienta. Inoltre le tracce sono scomparse…” comunicò “Perciò se vuoi raggiungerli, avrai bisogno del mio olfatto. Io vengo con te.”

Il felino non aspettò risposte. Così com’era venuto, riprese a balzare fra la neve, in direzione delle montagne. Lo seguì, ma di fatto fece solo qualche passo perché le strilla di Abigail lo raggiunsero di lontano, trascinate dal vento. Faticò a capire persino cosa stesse dicendo, ma gli sembrò che lo chiamasse. Si voltò di tre quarti, il mantello che gli si avvolgeva addosso e sbatteva in ogni dove. La individuò fra la neve: una sagoma avvolta da fiocchi bianchi imbizzarriti.

“Rientra in casa.” le disse; inutilmente.

La ragazza si piegò letteralmente in due, le braccia stretta attorno al corpo, e crollò in ginocchio sulla coltre bianca. Attraverso il vento, le sue urla gli giunsero ugualmente forti, chiare e strazianti: “Riportalo a casa.”
Non sapeva quanta forza e quanta determinazione possedesse, ma di una cosa era certo: era intenzionato a scoprirlo. Strinse i pugni, voltò le spalle alla sagoma prostrata dietro di sé e riprese il cammino, lo sguardo fisso all’impervio percorso che conduceva alla vetta.
 
... Salve. ùù'' Sì, lo so, è passata una eternità! °A° Chiedo venia a tutti quelli che aspettavano il proseguo della storia. >< Anche perché non è che sia convinta di ciò che c'è qui sopra. oo Al solito, insomma. xD Ma il marito ha detto che andava bene. E siccome continuavo a rivederlo mi ha obbligata a postarlo prima che passassero altri due mesi. ùù'' Perciò, se fa troppo schifo, prendetevala con lui! *w* Per il prossimo spero di non farvi aspettare troppo. >-< Prometto che risponderò a tutti in questi giorni!  °A° Anche perché in questo periodo non ho avuto molto tempo per stare su EFP... e probabilmente fino a Gennaio sarà lo stesso. >-< Uff. <-<' Intanto ne approfitto per ringraziarvi tutti per le bellissime parole che mi lasciate ogni volta. Non sapete quanto mi siano d'ispirazione! *w* Naturalmente sono bene accette anche le critiche! Perciò se avete consigli su come migliorare 'sto capitolo qui, fatevi avanti! °A° Grazie! ><
CompaH

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Essere Umani ***


Si strinse nelle spalle, si allacciò le braccia al corpo e continuò a salire lentamente lungo il crinale, sfidando la tormenta a testa bassa. Il vento ululava e gli riversava addosso turbinanti fiocchi bianchi, infrangendosi su di lui come un’onda impetuosa, talora rallentandolo, talora spingendolo indietro lungo il cammino. Una sferzata più violenta delle altre sollevò da terra cospicue spolverate di neve che gli s’infilarono fra le pieghe dei vestiti, fra le labbra secche e negli occhi, disorientandolo ulteriormente e costringendolo a fermarsi.

I capelli ondeggiarono e gli coprirono il volto, la visuale, per attimi che parvero infiniti. Il mantello sbatté da una parte all’altra, trascinato dalle correnti impietose, e andò ad avvolgergli le gambe, i polpacci in un’infida morsa; mentre l’aria gelida gli trafiggeva le membra e gli tagliava le gote alla stregua di un coltello. In un simile contesto perdere i punti di riferimento e finire sul fondo di un crepaccio era quanto di più facile, considerò.

Riprese la marcia e tornò ad arrancare, a sprofondare i piedi nella neve a ogni passo, curvo sotto il peso delle intemperie. La coltre gli raggiungeva le ginocchia, ormai, e il ghiaccio gl’incrostava la fascia attorno alla testa, i pantaloni e la parte superiore del soprabito, rendendo la stoffa rigida e poco confortevole. Perfino respirare era doloroso ed estenuante. La gola e i polmoni bruciavano dal freddo a ogni respiro; mentre il fiato andava via via accorciandosi, vuoi per la fatica, vuoi per la rarefazione dell’ossigeno. Per chi era meno resistente di lui doveva essere addirittura insopportabile; e il pensiero volò alla sua guida.

Si scansò i capelli dalla faccia, una, due volte; poi si schermò il viso con il braccio e mandò lo sguardo al pendio, gli occhi ridotti a due fessure. Innanzi a sé, a stento distinguibile attraverso la cortina di nevischio, Red XIII si muoveva faticosamente, solcando la bianca e gelida distesa come una barca avrebbe fatto con l’acqua. Tuttavia non sembrava in difficoltà, ben piantato sulle quattro zampe. Si tranquillizzò appena e spostò l’attenzione altrove. Più sopra, sullo sfondo e fra le cime aguzze delle montagne, s’innalzavano i bordi irregolari del cratere che era stato teatro dello scontro che aveva deciso le sorti di tutto il Pianeta. E dell’umanità. Una sagoma scura che svettava minacciosa sul candore del paesaggio. E il dubbio s’insinuò rapido nella mente, gravando il corpo più della bufera: possibile che Sephiroth stesse tornando proprio lì? Nel buco da cui era uscito tre anni prima…

Si umettò le labbra riarse dal gelo e non trovò risposte, solo altre domande; e, ammesso che fosse diretto proprio lì, si chiese il perché di una simile follia. Forse l’interrogativo più importante e insidioso di tutti. Un brivido gli risalì la schiena, ma non seppe se attribuirlo al freddo lancinante o alla pura inquietudine. Scacciò le congetture e si concentrò sul cammino di per sé impervio. Non poteva restare indietro. Doveva mettere un piede innanzi all’altro, farsi largo fra la neve e seguire la macchia rossa nella foschia. Doveva trovare Sephiroth. Di conseguenza tutto avrebbe acquistato di senso. Perciò strinse i denti, rafforzò la stretta delle braccia e continuò a salire lentamente, accompagnato dal sordo fischio del vento.

Più avanti deviarono dal percorso e sorpassarono un cumulo di grosse rocce, appena riconoscibili dalle creste che tagliavano il ghiaccio soprastante. Se lo lasciarono alle spalle; e per un tratto costeggiarono un pericoloso dislivello di cui nemmeno si scorgeva il fondo finché sbucarono nuovamente lungo il pendio da cui si intravedeva la cima, senza che potesse quantificare il tempo passato. E il rischio corso. Spaziò con lo sguardo, alla ricerca di lui, ma incappò sempre e soltanto nella bianca, quasi accecante foschia che rendeva tutto indistinto. E frustrante. Ciononostante notò che la sagoma rossa innanzi a sé era diventata improvvisamente più grossa e definita. Red XIII si era fermato, realizzò. Di rimando si schermò col braccio, assottigliò le palpebre e cercò di ricavare quante più informazioni possibili. Vide il felino chinare il capo e analizzare attentamente la coltre; poi sollevare il muso e scandagliare l’aria circostante, forse alla ricerca di odori trascinati dal vento. Probabile che avesse fiutato qualcosa. Riacquistò determinazione e accelerò il passo, combattendo strenuamente la corrente che lo spingeva indietro. Tuttavia non fece in tempo a coprire la distanza che li separava, perché l’altro voltò il capo e lo puntò di lontano.

“Da questa parte!” urlò; e si gettò all’inseguimento senza dargli il tempo di dirsi d’accordo.

Vide Red XIII balzare in avanti e gettarsi all’inseguimento, creando dei profondi buchi nella neve a ogni, poderoso salto. Poco dopo il nevischio l’inghiottì, celandolo alla vista. Soltanto la coda di fuoco del felino s’intravedeva ancora oltre la cortina, descrivendo ampi archi e lasciando dietro di sé lunghe scie luminose. Balzò a sua volta in quella direzione e sfruttò le tracce lasciate dal compagno per muoversi più velocemente. Di rimando le raffiche l’investirono con maggiore violenza e il ghiaccio gli s’infranse addosso senza clemenza, scivolandogli sulla pelle come vetro.

Quando raggiunse il felino, il fiato gli mancava e il petto gli bruciava terribilmente. Persino la ferita risentiva dell’aria gelida e pulsava dolorosamente al di sotto dei vestiti. Suo malgrado accusò un giramento di testa. Ondeggiò, complici le correnti, ma perseverò in piedi. Lì di fianco, invece, Red XIII stava scavando fra la neve con le zampe anteriori.

“Qui.” comunicò; e il vento si portò via le parole.

Piegò le ginocchia e sedette sui talloni, protendendosi da quella parte con il busto. Sotto la neve caduta di fresco s’intravedeva il corpo di uno dei soldati che aveva attaccato casa di Abigail. Era riverso a terra accanto al proprio fucile, la faccia sprofondata nella coltre. Sotto al cadavere s’allargava una pozza scura, che spiccava terribilmente sul restante candore. Sangue. Una zaffata dolciastra gli raggiunse le narici, ma non palesò disgusto. Strinse le labbra, invece, protese le braccia da quella parte e aiutò Red XIII a portare il cadavere allo scoperto, spalando la neve con ambo le mani. Appena possibile afferrò l’uomo per le spalle e lo voltò, ponendolo supino. La testa del cadavere s’inclinò appena, rigida come legno. Il casco era munito di visore e gli copriva il viso per metà, dacché si era spaccato all’altezza di labbra e mento. Un cospicuo rivolo di sangue scuro gli imbrattava la bocca e gli scendeva fin sotto il collo, rappreso. La pelle del soldato era invece bluastra e lasciava intendere che il sangue gli si fosse già congelato nelle vene. Date le condizioni atmosferiche, comunque, era difficile stabilire da quanto fosse deceduto.

Si focalizzò sui restanti dettagli. Uno squarcio insanguinato s’apriva sul costato dell’uomo. Netto, regolare. Un colpo unico che gli aveva spezzato lo sterno e attraversato tanto il cuore quanto i polmoni. La divisa del soldato invece era blu e grigia, con particolari rifiniture blu elettrico che percorrevano la stoffa di maniche e pantaloni in tutta la lunghezza. Tuttavia non c’era nessun segno distintivo o logo riconducibile alla Shinra; tanto più che non aveva mai visto simili uniformi, di certo non fra i Turk. Dunque durante lo scontro ci aveva visto giusto. E ora che i dubbi erano divenuti certezze la presenza di Reno e Rude sulle montagne acquisiva delle nuove, misteriose sfumature che prescindevano dall’obbiettivo dei nemici sconosciuti; e l’ennesima domanda gli si delineò nella mente senza risposta: che cosa c’entrava Rufus Shinra in tutta la faccenda? Dopotutto aveva visto con i suoi occhi la squadra di ricerca della Shinra estrarre la Masamune da sotto la neve…

Si alzò e il vento s’infranse su di lui in un turbinio di neve, strattonandolo per il mantello.

“Proseguiamo e ricongiungiamoci a Cloud.” incalzò, coprendosi gli occhi con la mano.

Tuttavia la sua guida disattese le aspettative e perseverò immobile, a dispetto del coraggio e del vigore dimostrati fino a quel momento. Poi scosse il capo, rilasciò un piccolo sbuffo di vapore e lo fissò dal basso con espressione greve, le orecchie basse. Il ghiaccio gl’incrostava il manto e il vento gli faceva ondeggiare violentemente coda e criniera, ma, fermo sulle robuste zampe e col capo eretto, Red XIII appariva ugualmente fiero.

“Mi dispiace, Vincent.” interloquì “Ma Cloud e Barret non sono passati di qui.”

Considerò l’eventualità che i due fossero dispersi fra le creste ghiacciate, ma non capì il senso di quelle implicite scuse; almeno finché l’altro soggiunse: “Ce li siamo lasciati alle spalle tempo fa. Quando abbiamo costeggiato il crepaccio.”
Schiuse le labbra. E se l’avesse… no, non era una possibilità. Era una certezza; e in quel punto Red XIII aveva deviato di proposito dal percorso per evitarli.

“Perché?” domandò.

Speranza.” replicò il felino “Siamo così abituati a combattere per la sopravvivenza da essercene dimenticati.” disse; e lo guardò dritto negli occhi “Non preoccuparti per Cloud e Barret. Li condurrò qui, vedrai. Nel frattempo tu vai avanti. Trova Sephiroth.” sottolineò “Non c’è vittoria nella guerra, Vincent. Né individuo che non lotti fino all’ultimo per sopravvivere. Dovremmo imboccare la strada del conflitto unicamente se necessario, come ultima risorsa. Non si tratta di giustizia. Né d’indulgenza. È una questione di preservazione della specie. E il Pianeta ha appena cominciato a rimarginare le vecchie ferite…” esitò “…se Sephiroth dovesse incontrare Cloud, non credo ci sarebbe altra via. Rischieremmo una seconda meteora, o peggio. E stavolta non ci sarà Aeris a proteggere il futuro dell’umanità.”

Scosse la testa, abbassò lo sguardo, mentre il significato di quelle parole gli gravava sulle membra più del ghiaccio. E la prospettiva acquisiva di concretezza a ogni istante sempre più. Quando avevano messo piede nella stanza di Sephiroth, egli aveva ricordato vecchi dettagli riguardanti la Cetra e la Città degli Antichi. Molto probabilmente, se si fosse trovato faccia a faccia con Cloud…

Scrollò le spalle e si concesse un profondo, mesto sospiro che sfumò nel vento.

“La speranza non mi si addice granché.” commentò; e puntò gli occhi all’orizzonte, sui contorni scuri e minacciosi del cratere “Sephiroth si sta dirigendo al Northern Crater. Non so che intenzioni abbia, né se esiste una possibilità che io possa…”

“Se esiste…” s’intromise Red XIII “…sei l’unico che possa coglierla. Vale la pena fare un tentativo. Dopotutto… potresti essere suo padre.” soggiunse; e gli sembrò di scorgere il sorriso sul muso dell’altro.

Accusò una fitta al petto; ma quel concetto andò a rimarcare unicamente quanto l’aveva spinto a schierarsi, a sfidare la tormenta e ad arrivare fin lassù. Speranza. Scosse nuovamente il capo e quasi rise dell’ironia implicita. Ciononostante non avrebbe esitato, non più; e gli errori del passato, i suoi peccati, in quel momento gli bruciavano sulla coscienza come inaspettata fonte di determinazione.

Serrò la mandibola, indurì lo sguardo e annuì; dopodiché riprese la marcia in direzione della voragine, lasciandosi l’amico alle spalle senza commiato. Non era mai stato bravo con le parole, ma sentiva che non ce n’erano di sufficienti per esprimere la gratitudine nei confronti di chi gli era stato vicino.

Si scansò i capelli dalla faccia e scandagliò i dintorni alla ricerca di punti di riferimento che esulassero dalla mera, oscura presenza che si disegnava più in alto, sovrastando l’intero paesaggio; senza esito. Le raffiche di neve rendevano i dintorni tutti uguali e s’insinuavano fra i vestiti, negli occhi a ogni folata più forte, costringendolo spesso a curvarsi e a distogliere l’attenzione dal cammino. Ciononostante continuò a spingersi oltre, a salire alla cieca, talvolta assecondando la corrente, talvolta rallentando l’andatura e tagliandola di netto come uno spartiacque. Affondò con i piedi nella neve sempre più alta, passo dopo passo, finché le estremità persero di sensibilità e i minuti divennero ore. Non seppe dire quanto tempo fosse passato o quanta distanza avesse percorso, ma improvvisamente nuovi cumuli si delinearono all’orizzonte e attirarono la sua attenzione. Si schermò gli occhi con il braccio, aguzzò la vista e identificò altri corpi sepolti sotto la neve. Erano morti da meno dei precedenti, se si considerava che la coltre non era riuscita a coprirli per intero. E stivali, armi e caschi spuntavano qua e là sulla bianca distesa, affatto riconoscibili. Affrettò il passo: Sephiroth non doveva essere lontano.

Non si stupì quando intercettò delle macchie scure che si stendevano a perdita d’occhio, susseguendosi l’una all’altra oltre la foschia che avvolgeva le lande. Che fosse… sangue? Probabile. Così come ne era uscito, ferito, probabilmente disperato, Sephiroth stava tornando al cratere… lasciando dietro di sé una sanguinosa scia. Serrò le labbra in una linea dura e andò da quella parte, senza sapere cosa aspettarsi; e la successiva domanda gli balzò alla mente, angosciante. Chi era la persona che stava inseguendo? Il Generale dei SOLDIER, l’uomo che Abigail amava e che preparava il tè, oppure…

Allontanò quel pensiero, avanzò e cercò di distinguere maggiori dettagli, gli occhi ridotti a due fessure. Tagliò il vento, si scansò i capelli dalla faccia e combatté contro il suo stesso mantello, che gli sbatteva addosso senza tregua. Infine intercettò il solco fra la neve. Passi. Più in là, oltre il nevischio, una sagoma si muoveva lentamente in direzione del cratere.

“Sephiroth!” chiamò; senza esito.

Il vento trascinò via con sé le parole, ululando in risposta. Strinse i denti e accelerò l’andatura a dispetto della neve alta. Voleva, doveva raggiungerlo al più presto e trovare delle risposte. Scavò e si aprì la strada nella candida distesa finché raggiunse il solco che Sephiroth aveva lasciato dietro di sé; dopodiché spiccò la corsa, il fiato che s’accorciava e l’aria gelida che gli graffiava la gola, i polmoni a ogni sforzo sempre più. Tuttavia a pochi passi dalla meta Sephiroth si voltò inaspettatamente verso di lui, tese il braccio e con estrema freddezza frappose l’accetta nel mezzo. Un’arma di fortuna che poco s’addiceva a colui che in passato aveva brandito la Masamune. Assecondò l’avvertimento e s’arrestò lungo il pendio, a corto di fiato, mentre nuvole di vapore gli si formavano innanzi al viso e venivano spazzate via dalla corrente. Andò con lo sguardo dall’arma insanguinata al viso di Sephiroth e sollevò ambo le mani in segno di pace. Non sapeva dire perché lo tenesse a distanza, ma l’altro non l’aveva attaccato e ciò era buon segno… Ne cercò le iridi, inutilmente; perché l’altro teneva il capo basso e non lo guardava.

“Vincent…” proferì soltanto; e gli sembrò lontano mille miglia “Che cosa ci fai qui…?” domandò.

“Puoi immaginarlo.” rispose “La battaglia è finita, Sephiroth...” continuò, cercando invero di sondare le sue intenzioni “…e sai benissimo che c’è qualcuno che ti aspetta.” sottolineò quindi.

I lineamenti impassibili dell’altro accusarono un tremito alla sola menzione. Poi Sephiroth sospirò e incurvò le spalle, come gravato da quella consapevolezza.

Loro…” cominciò; e non ebbe bisogno di chiedere a chi stesse riferendosi “…stavano cercando me.” scosse il capo “Sono entrati in casa con la forza. Le hanno messo le mani addosso! Le hanno puntato il fucile in faccia!” sputò infine; e digrignò i denti, serrò maggiormente le dita sull’impugnatura dell’accetta. Persino le sue iridi si accesero, dismettendo l’innaturale opacità in favore di una più vibrante, cocente rabbia. “Dovevano morire.” sentenziò; e stavolta andò a fissarlo dritto negli occhi.

E per lunghi istanti non seppe dire se volesse sfidarlo o semplicemente giustificarsi. Deglutì e prese tempo. Escludeva che avesse ricordato gli avvenimenti di tre anni prima, non del tutto almeno; ma si vedeva lontano un miglio che era sconvolto, sebbene non sapesse di preciso in che misura o da cosa in particolare. Doveva dimostrarsi cauto. E attento. Ne analizzò velocemente le condizioni e notò che la sua maglia era lacera e lasciava intravedere la spalla. Era ferito. Un foro di proiettile, netto, da cui si dipanava una scia di sangue ormai secco. E a ben vedere la ferita aveva già cominciato a rimarginarsi.

“Dovevi difenderti.” ribatté in tono calmo e fermo “Ma non c’è più motivo di allontanarsi. Di arrivare fin lassù.” soggiunse.

Sephiroth non si mosse. Né replicò. Si limitò a fissarlo dall’alto del pendio con l’espressione assorta e un po’ distante di chi stava analizzando, valutando; e traendo conclusioni di cui lui poteva solo temere l’entità. Poi l’altro infranse la stasi, arricciò le labbra in un sogghigno sghembo e scosse la testa, quasi dolente. Ma era la beffa a fare da padrona sui tratti altrimenti alteri del suo viso. Di rimando si accigliò, serrò la mandibola e distese lentamente le braccia senza mai perderlo di vista. Strinse anche i pugni e indugiò nei pressi della Cerberus; mentre le spalle di Sephiroth sobbalzavano, dapprima piano e poi sempre più forte. Poco dopo la risata dell’altro sovrastò perfino l’imperversare del vento; e quel suono così lugubre lo raggelò, rimandandolo a un passato di combattimenti nient’affatto distante.

Difendermi?” domandò infine l’altro, retorico “Li ho uccisi perché erano vermi che si dibattevano ai miei piedi.” spiegò quindi “Li ho uccisi perché potevo farlo. Volevo farlo.” continuò; e allargò le braccia, ergendosi fra la tormenta e ai piedi della montagna come un Dio pronto al giudizio “L’ho capito nel momento in cui ho affondato la lama nella carne del primo di essi e ho sentito il rumore d’ossa rotte invadermi le orecchie. Ho capito perché sono diverso dagli altri. Migliore degli altri. E ho insegnato loro che nessuno può sfuggire al mio castigo…”

Deglutì e batté le palpebre, a corto di fiato, mentre quel dire impietoso lo colpiva con la violenza di un maglio. Tuttavia l’amarezza scalzò in breve lo stordimento, profonda, dilagante.

“C’è molto di più. E di più importante.” ribatté, mesto e un po’ cupo, gli occhi dritti in quelli color giada dell’altro “Speravo che l’avessi compreso, Sephiroth.”

Il diretto interessato non cambiò espressione. Si limitò a riposizionare l’arma nel mezzo, invece, e a ribadire le rispettive distanze e collocazioni, mentre i lunghi capelli argentati gli si avvolgevano addosso alla stregua di serpi.

“Parli come se mi conoscessi da una vita.” osservò poi, senza mai abbassare la guardia “E forse è proprio così.” sottolineò “Non sembri sorpreso. E dire che finché non ho afferrato l’ascia nemmeno io credevo di essere capace di tanto. Di possedere simili pulsioni, simili pensieri. Credevo si trattasse di… incubi.” disse; e indugiò coi denti sul labbro inferiore “Lo pensava anche lei, perché quando ha visto il sangue allargarsi sul pavimento è rimasta immobile. E il modo in cui mi ha guardato…”

Sephiroth s’interruppe. Poi serrò la mandibola e distolse anche lo sguardo, palesando inaspettato turbamento. Un attimo soltanto; che tuttavia gli permise di scorgere una breccia nelle sue difese. E un barlume di speranza. Non sapeva come si fossero svolti i fatti al momento dell’attacco. Né cosa avesse scatenato una simile reazione da parte sua, ma forse arroganza, aggressività e bisogno d’allontanarsi non erano che il modo per schermirsi di un uomo confuso. E sconvolto da se stesso in primis, per quelle pulsioni, quegli incubi di cui parlava con così tanta noncuranza; ma che nel silenzio e nella solitudine della notte andavano a tormentarlo con chissà quali, terribili immagini. Vivide. Proprio come aveva detto Abigail attorno al tavolo di casa sua il giorno in cui l’avevano ritrovato, fra lo sgomento di tutti.

Deglutì, mentre le ragioni che tanto aveva cercato iniziavano a delinearsi nella sua mente. Ma non gli avrebbe permesso di voltare le spalle al mondo. Non stavolta. Lentamente sciolse la morsa dei pugni e allontanò la destra dal calcio della Cerberus.

“Andare via non è la soluzione.” osservò quindi, con rinnovata determinazione; e si stupì che a dirlo fosse proprio lui “Che cosa speri di trovare sul fondo di quel cratere? Che cosa ne sarà di Abigail?” domandò ancora, incalzandolo con le argomentazioni.

Gli occhi dell’altro si accesero d’ira al solo riferimento, dandogli conferma a quanto presupposto.

“Togliti dai piedi, Vincent.” sentenziò “O mi sbarazzerò di te con la forza!” lo minacciò poi, rafforzando la stretta sull’arma improvvisata “Dopotutto sai benissimo di cosa sono capace. L’hai visto.” soggiunse; e si aprì in un altro sogghigno.

Indurì l’espressione e inarcò il sopracciglio, senza tuttavia muovere un solo, singolo muscolo. Non sapeva dove volesse andare a parare, ma se sperava di confonderlo, destabilizzarlo e di indurlo alla resa si sbagliava di grosso. L’altro l’intuì perché si affrettò ad aggiungere altre argomentazioni, altri dettagli, adoperando le parole come coltelli.

“C’eri anche tu quando quella donna è morta, non è così?” gli disse “Quando le ho trafitto il petto con la lama della mia spada.” sottolineò.

La precisazione giunse inaspettata. S’irrigidì suo malgrado, serrò la mandibola e chinò il capo, mentre la morte della Cetra andava a gravargli sulla coscienza per entrambi.

“Si chiamava Aeris.” puntualizzò.

“Aeris…” ripeté l’altro, accarezzandone il nome con la lingua “Sì, adesso mi ricordo di lei. Mi stava aspettando. Sapeva che sarei arrivato, che non le avrei dimostrato pietà, che non sarebbe stato piacevole.” elencò “Eppure mi ha sfidato lo stesso. Per disperazione o speranza, quale delle due?” lo sguardo di Sephiroth si fece nuovamente distante, il sogghigno si spense sulle sue labbra e perfino le sue membra sembrarono perdere di vigore, tant’è che l’accetta s’abbassò di qualche centimetro “Ricordo che cosa ho provato nel vedere il suo corpo privo di vita ai miei piedi.” disse; e i suoi occhi brillarono di malizia “Soddisfazione.” scandì “E invulnerabilità. Perché quale che fosse la risposta a quella domanda non aveva più importanza.”

Deglutì, cercando di trovare un senso a quella specie di confessione. Aeris aveva regalato una speranza al Pianeta e all’umanità tutta. Ma si era eretta sola contro la minaccia incombente; e forse entrambi i responsi avanzati da Sephiroth corrispondevano al vero. Eppure restava un interrogativo spinoso, insolubile, che aveva minato alla sicurezza della più temibile calamità sul Pianeta. E a ben vedere anche Sephiroth si era eretto solo contro l’umanità, in un oscuro rovescio della medaglia; forse animato dai medesimi, inscindibili propositi. Una consapevolezza che faceva spavento e lacerava l’animo. Ciononostante erano altre le risposte che gl’interessavano in quel momento, al di là delle provocazioni attuate da Sephiroth. O dal suo schermirsi dietro le azioni compiute in passato.

“Non hai ancora risposto alle mie domande.” gli fece notare, impassibile; continuando a metterlo di fronte a quanto cercava di evitare.

Di rimando la maschera di superiorità si ruppe e il sogghigno morì sulle labbra dell’altro per cedere il posto a una smorfia nient’affatto rassicurante; e nei suoi occhi lesse rabbia, frustrazione e… qualcos’altro che non riuscì a identificare.

“Che cosa vuoi che ti risponda!?” gli urlò contro l’istante seguente “Perché ci tieni così tanto!?” continuò, senza che potesse corrispondere al suo desiderio di sapere; non in quel momento, almeno “Non c’è niente da dire! Niente da fare! Ho già provato a ignorarli, a fingere che fossero soltanto sogni, scherzi della mente! E poi… quei soldati hanno fatto irruzione in casa nostra e io… io…” esitò; e si portò la mano libera alla testa, intrecciando le dita fra i capelli “…chi mai proverebbe un così terribile desiderio di morte?” domandò; forse più rivolto a se stesso che ad altri “Non c’è soluzione! Devo… devo andare. Devo allontanarmi da lei. Perché nei miei incubi più vividi le immagini si confondono, si prendono gioco di me! E il viso di Aeris è il viso di Abigail.” confessò “No. Non posso restare… devo raggiungere la montagna… devo… capire…” farfugliò, come schiacciato dagli agghiaccianti scenari che la sua mente gli figurava nell’inconscio.

Avrebbe voluto risparmiargli l’agonia, ma non poteva esitare, non finché non avesse tirato fuori quanto gli macerava l’animo. E al suo tumulto interiore contrappose la propria, ferrea calma.

“Che cosa?” scandì quindi, pur conoscendo la risposta. La più ovvia.

“Che razza di mostro sono!” gli sputò contro Sephiroth, ammettendolo finalmente ad alta voce; e nello sguardo colmo d’odio che gli rivolse distinse infine le chiare sfumature dell’amarezza.

Ammorbidì l’espressione, rilasciò il fiato e quasi gli sembrò di trovarsi innanzi a uno specchio, che rifletteva chiari i suoi più reconditi timori. Eppure non c’era nessun mostro. Nessuna calamità pronta a devastare il Pianeta. E quello che aveva innanzi era solo un uomo confuso, stordito da ricordi fin troppo intensi e dolorosi cui non poteva, complice l’amnesia, attribuire un senso vero e proprio e un’adeguata collocazione. All’interno di un quadro ben più grande e gravoso di cui fortunatamente non aveva memoria.

Scosse la testa. Era così simile a sua madre. E in quel momento vedeva solo quello che voleva vedere. Senza tener conto delle alternative. Dopotutto anche lui ci aveva messo un po’ per capire; ma da quando Yuffie era piombata in casa sua, a Kalm, era stato letteralmente travolto dagli avvenimenti. E da emozioni di cui aveva perfino dimenticato l’esistenza.

“Tu hai solo paura.” disse; e fece un passo in avanti, incurante dell’accetta che l’altro stringeva fra le dita.

Gli occhi di Sephiroth tornarono ad accendersi, pungolato da quell’insinuazione forse inaspettata.

“Ti sbagli!” ringhiò di rimando; e fece un passo indietro.

“Nient’affatto.” ribadì, fermo nel tono e nelle intenzioni “Possibile che tu non te ne sia accorto?” chiese, continuando ad avanzare “Il timore, il rimorso, i dubbi, la confusione… perfino la rabbia. Sono tutte emozioni che ci rendono fragili. Vulnerabili. A dispetto della resistenza innaturale che possediamo.” disse, e guardò la spalla dell’altro, dove il foro del proiettile si era quasi del tutto richiuso “E umani, Sephiroth. Semplicemente, drasticamente umani.”

L’altro s’irrigidì maggiormente, fece un altro passo indietro e tornò a frapporre l’arma nel mezzo, lo sguardo smarrito. Non vi badò.

“Puoi raggiungere il fondo di quel cratere e trovare quello che cerchi. Capire che razza di mostro tu sia.” riprese “Ma sei sicuro che è questo che vuoi?” chiese; e si accorse in quel momento che il vento, la neve si erano inspiegabilmente calmati. Non aspettò risposta, comunque. Non questa volta. “Sei stato tu a dirmelo. Non è così? Tutto quello che vuoi è continuare a vedere i capelli di lei che s’illuminano al sorgere del sole.” fece; e compì gli ultimi passi che lo sparavano da Sephiroth. Allungò il braccio e gli tese la mano.  “Perciò puoi continuare per la tua strada, da solo. Oppure afferrare la mia mano, tornare da lei e scoprire piuttosto che tipo di uomo puoi essere.” concluse.

Il silenzio calò improvviso per attimi che parvero infiniti, mentre la corrente li lambiva con improvvisa indulgenza, facendo loro ondeggiare i capelli, le vesti e dando tregua alle membra intirizzite. Vide il petto di Sephiroth gonfiarsi, le sue labbra stringersi, gli occhi abbassarsi e rivolgersi altrove, forse in cerca di risposte. Stava esitando, forse combattendo contro quella parte di sé che ancora gli suggeriva di scappare. Di intraprendere forse la strada più facile. Poi, d’improvviso, l’accetta cadde al suolo con un rumore secco, sprofondando diversi centimetri sotto la neve. E le dita di Sephiroth andarono a serrarsi con vigore sulla mano che gli tendeva con fermezza.

Rilasciò un sospiro e strinse a sua volta, quasi temesse di perderlo da un momento all’altro. Poi, senza preavviso alcuno, una pioggerellina sottile e leggera prese il posto del nevischio e andò a lambirgli il viso, i capelli e le spalle, ticchettando allegramente. Istintivamente sollevò il capo e appuntò lo sguardo sulla coltre grigia e bianca che si stendeva a perdita d’occhio su di loro. Quasi non si stupì quando uno squarcio s’aprì fra le nubi e un raggio di luce andò a investirli. Arricciò leggermente gli angoli della bocca e assaporò quel leggero tepore sulle gote.
Tornò a puntare Sephiroth. Col naso per aria, l’altro stava sotto la pioggia e fissava il cielo. Non seppe dire se fosse colpa dell’acqua, ma percepì qualcosa scivolargli giù dagli occhi. E forse anche giù dal cuore.
 
***

Arrestò il passo e analizzò i dintorni. Il cielo era ancora coperto e la neve cadeva lenta. Tuttavia il vento aveva smesso di imperversare sulle lande e i contorni della montagne apparivano netti al di là dei fiocchi bianchi. Le impronte lasciate durante la scalata erano sparite, ma non gli fu difficile individuare la strada da percorrere per raggiungere l’abitazione di Abigail.

Riprese la marcia affondando nella neve e il suo pensiero andò a Yuffie. Chissà come stava…

Un vociare indistinto gli raggiunse le orecchie e lo spinse a guardare in quella direzione. Tre sagome si delineavano all’orizzonte. Due uomini e un quadrupede. Red XIII, accompagnato da Cloud e Barret. Deviò appena dal percorso e andò loro incontro. Barret lo notò in fretta, dacché sentì urlare il suo nome e vide la sagoma più grossa sbracciarsi in lontananza. Rilasciò un piccolo sbuffo. Probabilmente non sarebbe stato altrettanto entusiasta di vederlo, se solo avesse saputo come si erano svolti i fatti.

“Vincent!” chiamò Red XIII quando furono abbastanza vicini da poter parlare “L’hai trovato?” domandò subito dopo; e gli sembrò di percepire dell’apprensione nel suo tono solitamente pacato.

Annuì. Barret si fece avanti e rincarò: “Dov’è adesso?”

Lasciò andare lo sguardo su ognuno di essi, finché intercettò gli occhi di Cloud.

“Lontano.” disse.

L’omaccione aggrottò le sopracciglia, raddrizzò la schiena e sfoderò una smorfia. Poi inspirò a fondo e fece per aprire la bocca, molto probabilmente per esprimere il proprio disappunto come già successo a Edge. Ciononostante Cloud ne troncò l’impeto, frapponendo un braccio nel mezzo.

“Quindi hai davvero deciso di lasciarlo andare.” commentò.

“Non è più una minaccia.” disse “Né una tua responsabilità.”

Cloud serrò le labbra, i pugni, ma non replicò. Barret invece eruppe in un tripudio di urla come al solito.

“Ma che cazzo vuol dire?!” sbraitò, allargando le braccia “Che dovrei tornarmene a Edge come niente fosse e far finta che non ci sia un pazzo genocida a piede libero?! E solo perché a dirlo sei tu?! Preferivo quando per tirarti fuori le parole servivano le cazzo di tenaglie!”

Barret si passò ambo le mani nei capelli e strabuzzò pure gli occhi, le narici divaricate. Per tutta risposta sprofondò nel collo del suo mantello, aggirò il gruppo e proseguì la discesa.

“Non smetterò mai di combatterlo, Vincent.” dichiarò Cloud; e immaginò perfettamente la determinazione nei suoi occhi color Mako.

Sorrise. “Lo so.” Ammise. “E ti ringrazio, per questo.” 
 
Ok... ora lo dico alla Fantocci syle: è una cagata pazzesca! E no, non mi riferisco alla Corazzata Potemkin. ùù'' Cioè, sul serio. <<'' Stavolta fa cagare davvero. Anzi, mi scuso con voi perché in alcuni tratti è pure raffazzonato. ^^''' E meno male che doveva essere il capitolo decisivo! La summa di quanto scritto fin'ora! Il capitolo della pseudo-redenzione di Sephiroth! °A° *si da a capate*
Ok, la smetto. ^^' Però sul serio: sono accettati consigli per migliorarlo. ^^'''''' Intanto, dato il tempo trascorso, specifico che alcuni degli argomenti trattati si ricollegano ai capitoli quattro e cinque della storia. Così magari non sembra così campato per aria com'è! °A°
Bene. A questo punto vorrei dirvi che vado a darmi all'ippica. Lol. Ma purtroppo per voi manca ancora un capitolo, ovvero il prossimo. Il bello è che si tratta dell'ultimo di Meet the End, ma non della storia, che nella mia testa è suddivisa in tre parti. Perciò... boh. Intanto vi saluto. E alla prossima!
CompaH

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Un Nuovo Inizio ***


Deepground.” ripeté, poggiato contro la parete vibrante della Shera; l’orecchio al telefono con l’effige di Cerbero.

Dall’altra parte della cornetta pervenne il sospiro di Reeve.

“Non sappiamo molto altro, al momento. Ma sembra che qualcosa si stia muovendo sotto le rovine di Midgar.” soggiunse l’interlocutore “Ci stiamo lavorando. Rufus Shinra ha dato il suo appoggio e ci consentirà di accedere alle informazioni private del vecchio Presidente.”

Assottigliò le labbra, nient’affatto convito. Rufus Shinra aveva spiegato la presenza dei Turk sulle montagne dicendo che stavano indagando sui movimenti dei Deepground già da un po’. Forse era vero. O forse era una mezza e comoda verità. E Shinra e Deepground stavano semplicemente contendendosi la fava come due piccioni. Di certo il ritrovamento della Masamune in un posto così insolito doveva aver destato sospetti. E domande. Cui la risposta era ormai ovvia.

“Non mi fido.” disse.

“Ti comprendo perfettamente.” convenne Reeve “Ma rifiutare di collaborare e metterli sulla difensiva non ci conviene. Aspettiamo e valutiamo i prossimi sviluppi. È probabile che si tratti d’informazioni irrilevanti, ma al momento è sempre meglio di niente.”
Poco ma sicuro: Rufus Shinra avrebbe condiviso solo quanto gli faceva comodo condividere. Ma questo Reeve l’immaginava, perché si affrettò a soggiungere: “Nel frattempo non ce ne staremo di certo con le mani in mano. Ho già dato disposizioni qui alla WRO. E avvisato Cloud. Ma… ecco, in caso d’imprevisti mi tornerebbe utile anche il tuo supporto, Vincent.”

L’aveva sempre detto che era bravo a fare il doppio gioco. E per quanto riguardava la questione del supporto… Scrollò le spalle e sospirò, senza tuttavia rifiutarsi. Dopotutto voleva arrivare in fondo alla faccenda e capire innanzi tutto chi fossero i Deepground e perché avessero attaccato Sephiroth. Senza contare che Reeve avrebbe trovato il modo d’incastrarlo in ogni caso, per cui era inutile fargli presente che non era –e non sarebbe mai stato- parte integrante della WRO. Il silenzio di stiracchiò per qualche secondo, appena interrotto dal fruscio di sottofondo della comunicazione e dai rotori in movimento della Shera. E poteva ben immaginare perché l’altro non avesse ancora chiuso la chiamata…

“Vincent?” fece d’improvviso; e gli sembrò di captare un pizzico d’apprensione nel tono di Reeve.

“Mh.”

“Dove vi trovate, adesso? È vero che Sephiroth…”

“Sì.” rispose, senza dargli nemmeno il tempo di formulare la seconda, prevedibile domanda “Me ne assumo la completa responsabilità.” soggiunse poi, senza tuttavia accennare a dove si trovassero; e il silenzio tornò a imperversare nella comunicazione.

“Capisco…” osservò Reeve dopo un po’, laconico “E Yuffie? Ho saputo che è rimasta ferita. Come sta?”

Schiuse le labbra e fece per rispondere; ma le urla della diretta interessata irruppero per prime, fugando qualsiasi dubbio.

“Viiiiiince!” chiamò la ninja; e percepì distintamente anche il rumore dei suoi passi in avvicinamento.

Arricciò leggermente le labbra verso l’alto e disse: “Al solito.”

Reeve rise. Yuffie invece spuntò da dietro l’angolo tutta trafelata e per poco non l’investì. La ragazza piantò i piedi a terra e frenò malamente, proiettandosi in avanti e agitando le braccia. S’irrigidì, in dubbio se lasciarla fare o se offrirle aiuto prima che finisse di lungo sul pavimento. Non ce ne fu bisogno, perché la ninja riacquistò l’equilibrio, si concesse una piroetta e saltò sul posto, scoccandogli uno smagliante sorriso e ponendosi mani sui fianchi tutta soddisfatta. Solo per portarsi la mano davanti alla bocca e piegarsi in due l’istante successivo, col colorito del viso tendente al verde bile. Sospirò. Se si agitava sempre in quel modo non c’era da stupirsi se sulla Shera le veniva sempre il mal di mare…

“Oh, santo Leviathan!” esclamò la ninja, strabuzzando gli occhi “Mi sta per risalire tutto –guarda, guarda, arriva a spruzzo! E a colazione ho mangiato solo due –e dico duuuue- hamburger con patatine fritte! A questo punto mi chiedo che sarebbe successo se avessi mandato giù pure il terzo!”

Scosse la testa, distolse lo sguardo e tornò alla comunicazione telefonica.

“Devo andare.” disse, spiccio.

Dall’altra parte della cornetta percepì appena la voce di Reeve, che cercava di trattenerlo al telefono con argomentazioni cui non prestò attenzione. Chiuse la conchiglia e se l’infilò in tasca. Dopodiché puntò la ninja e domandò: “Abigail è pronta?”

Yuffie gli scoccò un’occhiataccia.

“Ehi! Se non te ne fossi accorto –chessò, nel frattempo ti si è abbassata la vista di due o tremila diottrie- sto per ricacciare perfino l’anima in forma liquida. Perciò potresti almeno –e come minimo- dimostrare un po’ di… preoccupazione? Mi sa che devo aggiungere la voce al manuale per vecchi rincoglioniti che sta scrivendo Cid. Prima de “il cellulare funziona anche in uscita” e subito dopo “i convenevoli, piccoli grandi amici delle relazioni interpersonali”!” la ninja si passò l’indice sotto il naso “Ti piace? I titoli li ho scelti da me!”

Batté le palpebre. Che stessero scrivendo davvero quel manuale? Per quanto la sola idea gli sembrasse assurda, scoprì che aveva paura di conoscere la risposta. E sperò che l’altra non si aspettasse davvero un parere in proposito.

“Yuffie… come va lo stomaco?” domandò quindi, retorico.

L’altra inarcò il sopracciglio.

“Ci hai provato, l’ammetto. Ma questo estintore…” e indicò col pollice l’antincendio accanto a sé “…è più espressivo di te. Perciò saltiamo questa parte e scendiamo da questa maledetta aereonave. Abigail ci sta aspettando al portellone.”

***

Saltò giù dalla scaletta e atterrò sulla roccia, accompagnato dal rumore metallico dei suoi stivali. Seguì un altro tonfo; poi Yuffie lo sorpassò di corsa e si posizionò poco più in là, a stiracchiarsi languidamente. Una sagoma che si stagliava contro la linea frastagliata delle montagne. La Shera era ormeggiata sopra le loro teste, impossibilitata ad atterrare per via della conformazione del terreno, e li investiva con la sua grossa, netta ombra, ondeggiando blandamente. I rotori giravano e il motore ruggiva dall’alto, ciononostante entrambi i suoni restavano che una vaga consapevolezza, sovrastati dall’impetuoso imperversare delle cascate.

Respirò a pieni polmoni l’aria umida e salubre, descrivendo brevemente quel luogo a lui tanto famigliare. Le creste s’innalzavano ad avvolgere l’insenatura, illuminate dal sole e carezzate dall’acqua. Le cascate rilucevano allegre e si gettavano nel baratro, fra la vegetazione, fino a scomparire alla vista, sollevando schizzi e nuvole di vapore tutt’attorno. Era passato del tempo dall’ultima volta, ma ricordava ogni dettaglio di quel posto e del cammino che conduceva a lei. Avrebbe potuto descriverlo nella mente, a occhi chiusi, pennellare ogni dettaglio, ogni sfumatura di luce o di colore per ricavarne un’impeccabile rappresentazione. Così nitida da strappargli il fiato; perché a prevalere sul resto era sempre e soltanto il volto di Lucrecia, immoto e bellissimo nel suo sonno eterno…

Lo scalpiccio di passi alle sue spalle e la pronta bestemmia di Cid Highwind lo richiamarono all’attenzione e gli lasciarono intendere che anche gli altri avevano raggiunto terra. Abigail l’affiancò. Teneva Fiocco sotto il braccio e lo sguardo puntato all’orizzonte, inquieto. Per contro la capra sembrava tranquilla e si limitava ruminare il pezzo di stoffa che aveva strappato dalla giacca di Cid solo qualche tempo prima. D’un tratto la ragazza appuntò le iridi in un punto preciso e gli sembrò che avesse trattenuto perfino il respiro. Ne seguì lo sguardo e l’incontrò. Sephiroth emerse dalla foschia a andò loro incontro a passo sicuro e cadenzato, attraversando le piccole goccioline in sospensione alla stregua di un’apparizione.

“Oh, Leviathan! Che impressione.” la ninja si fece indietro e s’incurvò su se stessa “Non mi ci abituerò finché campo, parola di Yuffie Kisaragi!”

Cid invece riassunse tutto in un sonoro, preciso e incisivo: “Cazzo!”

Non c’era da stupirsene. Come reazione era del tutto naturale e perfino lui doveva ancora abituarsi alla situazione… particolare. Una prospettiva che sembrava irreale perfino a pensarla, figurarsi ad averla innanzi agli occhi in carne e ossa sotto forma del vecchio, mortale nemico. Era già tanto che alcuni dei membri di AVALANCHE fossero disposti a mettere da parte il rancore e a concedere il beneficio del dubbio. A rischiare. E ad averli accanto si sentiva… più forte. Come non lo era mai stato in passato, realizzò.

Abigail agì per prima. Lasciò andare Fiocco a corse da quella parte. La capra saltò agilmente sulla roccia e seguì la padrona sgambettando, gli zoccoli che batteva sul nudo terreno. Poteva solo immaginare il tumulto che la ragazza aveva nel cuore. La paura, la tensione, il desiderio di riabbracciare l’uomo di cui era innamorata. E che forse dentro di sé aveva temuto di aver perso per sempre... Tuttavia quando Abigail raggiunse Sephiroth sollevò il braccio e gli assestò uno schiaffo in pieno volto. Lo schianto si levò stentoreo per l’insenatura e sovrastò addirittura il rombo delle cascate, mentre Sephiroth voltava leggermente il capo da una parte e la sorpresa si propagava fra gli astanti. Batté le palpebre. In effetti non era così che si era immaginato il loro romantico ricongiungimento…

“Ahi ahi, amico! Questa l’hai sentita, eccome se l’hai sentita. Benvenuto nel club delle palle piene, delle tavolette abbassate e dei filmini strappalacrime del cazzo. E della merda pure! Oh, e della leggendaria sindrome pre, peri e post mestruale!” sentì Cid commentare a mezza voce dietro di lui.

Arricciò leggermente le labbra. Sephiroth invece chinò il capo, ignaro dei commenti, ed esordì con: “Mi dispiace, Abigail. Io…”

L’altro non fece in tempo a finire la frase che la ragazza l’avvolse fra le braccia e sprofondò sul suo petto, soffocando con la tenerezza e il calore di quell’abbraccio qualsiasi, superflua spiegazione.

“Sta’ zitto. Mi hai fatta preoccupare da morire! Pensavo che non ti avrei più rivisto, che quei soldati…” esitò, rafforzò la stretta delle braccia “La prossima volta che vai via così, ti prendo a padellate su quella zucca vuota e dura che ti ritrovi.”

“D’accordo.”

Sephiroth ricambiò l’abbraccio e affondò con le mani, con le labbra nella chioma rosso fuoco di Abigail. A guardarli così, l’una stretta all’altro, provò una piacevole, calorosa sensazione pervadergli le membra, e si sentì più tranquillo. E leggero. Il viso di Sephiroth appariva disteso e privo di ombre come era stato il giorno in cui gli aveva offerto il tè sulle montagne. E gli occhi luminosi con cui carezzava i lineamenti di Abigail erano gli occhi di un uomo innamorato, che conosceva e aveva saputo far proprio il significato di calore; e che aveva trovato quello di cui aveva bisogno nella persona che stringeva fra le braccia. Forse, considerò, il passato si poteva davvero superare in favore del cambiamento. E di un futuro diverso. Migliore, di sicuro meno doloroso. Anche per loro.

Proprio allora Fiocco abbassò il capo, raspò a terra con l’anteriore destra e si scagliò contro le ginocchia di Sephiroth. Impatto prontamente accompagnato da un sonoro, acuto fischio di Cid Highwind; che terminò il tutto con un suggestivo e calzante “kabooom”. Sephiroth invece barcollò indietro, si discostò da Abigail e commentò: “Ciao, Fiocco. Mi sei mancata tanto –ma proprio taaanto- anche tu.” poi si rivolse alla ragazza “Come fa ad essere ancora viva?”  

Abigail incrociò le braccia al petto, abbassò il capo e fissò l’ex Generale di SOLDIER dritto negli occhi.

“Le vuoi subito quelle padellate?” domandò “Anche Fiocco è arrabbiata con te. E ne ha tutto il diritto, visto come te ne sei andato!”

“Quel… mostriciattolo a quattro zampe è sempre arrabbiato con me.” si difese il diretto accusato; e la capra gli diede un’altra testata, spingendolo ancora indietro e lontano dalla padrona “Visto?”

Yuffie si girò verso di loro e si schermò la bocca con la mano, strizzando gli occhi e arricciando il naso.

“Gli animali percepiscono il male.” sussurrò.

Cid rise. Dal canto suo scosse leggermente il capo e infranse l’immobilità. Sorpassò la ninja e si approssimò ai due innamorati. Di rimando Sephiroth e Abigail sollevarono gli occhi su di lui; ma a interloquire fu soltanto il primo, conscio dell’implicito invito.

“Andiamo.” affermò.

Annuì e proseguì oltre. Dopotutto spettava a lui fare strada. Quante volte aveva percorso quello stesso tragitto? Quante volte si era presentato innanzi a lei con l’amarezza e il rimpianto nel cuore? E la rabbia, compagna inseparabile e bruciante. In agguato sul fondo di quel buco che aveva sempre ritenuto incolmabile. Nemmeno se le ricordava tutte, comunque, e da qualche parte dentro di sé poteva ancora percepire l’eco di quelle gravose emozioni. Ciononostante qualcosa si era modificato e non era con vergogna che s’affacciava ora in quell’antro, un tempo freddo mausoleo e in quel momento teatro d’incontri troppo a lungo rimandati.

Varcò l’arco roccioso e sprofondò nella penombra, lasciandosi dietro i tiepidi raggi del sole. Il rombo delle cascate s’attutì, mano a mano che si addentrava nella grotta; e laddove l’oscurità s’addensava i cristalli luminosi facevano in fretta a diradare le ombre, donando all’ambiente un’atmosfera soffusa dalle sfumature grigie e azzurre. L’aria era fredda, umida, e il suono delle gocce riecheggiava fra le rocce assieme a quello dei passi. Sul fondo stava lei, la fonte luminosa più bella e più intensa di tutte. Immota nel suo feretro, col vestito bianco e il viso disteso in un’espressione serena, Lucrecia appariva perfetta. E intatta. Come se dal giorno in cui si erano lasciati, sotto l’albero nei pressi di Nibelheim, non fosse trascorso un solo, singolo giorno. Suo malgrado deglutì e fremette, sopraffatto dai vecchi ricordi. Soltanto il passo deciso della persona che lo seguiva riuscì a distrarlo, a richiamarlo al presente.

S’arrestò innanzi al cristallo di Lucrecia, gli occhi fissi su di lei, sul suo viso, ed attese. Sephiroth l’affiancò poco dopo, a sua volta concentrato sulle fattezze della donna, dell’amante e della madre cui avevano ambedue anelato da sempre. C’era sorpresa, curiosità in quegli occhi e desiderio di sapere. Sospirò. L’altro invece schiuse anche le labbra, in contemplazione.

“Lei… è…?”

Percepì la voce tremargli leggermente e ciò gli lasciò perfettamente intuire quanto grande fosse l’emozione di quel figlio di nessuno, messo faccia a faccia con la persona di cui aveva solo potuto sognare da bambino. In qualche modo ciò lo colmò d’amarezza.

“Tua madre.” confermò “Si chiamava Lucrecia Crescent, ed era una brillante scienziata.” scosse il capo, trasse un profondo respiro e soggiunse “Ma era anche una donna gentile, premurosa... E sensibile. Più di quanto lei stessa immaginasse…”

Ed era stata proprio quella sua fragilità d’animo a causarle così tanta sofferenza, a permettere alle ombre di offuscarle la mente. E il cuore. Serrò le labbra e strinse i pugni, perché lui era stato così cieco, così innamorato e stupido, da non capire quello che stava succedendo. Se non troppo tardi.

“Amava sognare a occhi aperti. E si emozionava come una bambina anche davanti alla più piccola scoperta… la sua risata era come musica…” commentò; e si guardò attorno “A volte, nel silenzio di questo luogo… si può ancora avvertire la sua presenza. Come un’eco…”

Tacque; e percepì i sussurri rincorrersi sulle pareti rocciose, lungo i cristalli e sopra la superficie delle polle cristalline, senza che potesse afferrarne il senso.

“Com’è successo…?” domandò invece Sephiroth, incapace di staccare gli occhi dall’immagine di sua madre.

Si umettò le labbra.

“È stato il suo più grande rimpianto a ucciderla.” rispose; e solo allora le iridi di giada dell’altro si appuntarono su di lui, avide di sapere “Non ha potuto stringerti a sé nemmeno una volta.” rivelò “Ma ti amava immensamente, più di qualsiasi altra cosa al mondo…”

più di quanto potesse capire, pensò. E quando la consapevolezza l’aveva raggiunta, troppo tardi, l’aveva schiacciata assieme alla perdita della cosa più preziosa. Ma non ebbe il cuore di dirlo a voce alta.

“Il pensiero di non essere stata la madre che avresti meritato l’ha distrutta.” concluse; e chinò il capo, mentre il peso di quanto era stato andava a gravargli sulle spalle.

Sospirò nuovamente.

“Eri innamorato di lei.”

Le parole risuonarono come un fulmine a ciel sereno, strappandogli il fiato dai polmoni e costringendolo a riportare l’attenzione sul giovane uomo lì presente. Tanto più che non si trattava di una domanda. Le espressioni, il tono di voce, qualcosa doveva averlo tradito, rivelando più di quanto intendesse. Dopotutto Sephiroth non era uno stupido e aveva il diritto di sapere. E non c’era nessuno altro che avrebbe potuto dirgli come stavano le cose. Perciò lo puntò dritto negli occhi, senza indietreggiare di fronte alla possibilità.

“Tutto quello che volevo era vederla sorridere.” ammise “Questo è il mio rimpianto.”

E per lungo tempo era stato quel pensiero a ucciderlo, più del proiettile nel petto, più della sperimentazione o dell’oblio nella bara. Sephiroth scrollò il capo, le spalle, sorpreso, probabilmente confuso da quell’eventualità.

“Questo… non ha senso…” mormorò “Sono passati così tanti anni… Il cristallo deve averla conservata intatta… ma tu… tu…” tornò a puntarlo “…tu cosa… chi sei?”

Arricciò leggermente le labbra verso l’alto.

“Un’ombra dal passato.”

Con qualcosa di meno di quello che era. E qualcosa di più. Qualcosa di diverso di sicuro. E ancora doveva scoprire dove il cammino che aveva deciso di percorrere l’avrebbe condotto. L’altro corrucciò le labbra, le sopracciglia, forse insoddisfatto dalla risposta.

“Non è una bella storia. È lunga. E complessa.” soggiunse quindi “Un giorno o l’altro te la racconterò. Ma non qui, non ora. I ricordi…” esitò e si umettò nuovamente le labbra, scegliendo le parole giuste “…ti torneranno, Sephiroth. E c’è così tanto che devi sapere… che devi comprendere…”

Affrontare il passato tutto in una volta sarebbe stato straziante e controproducente, specie per qualcuno che aveva appena cominciato a scendere a patti con la propria identità. E molto di quanto avrebbe potuto dirgli sarebbe servito unicamente a sconvolgerlo, minando alle fragili basi da poco costruite. Sephiroth inarcò maggiormente le sopracciglia, determinato, e schiuse le labbra, pronto a far valere le proprie posizioni e il proprio desiderio di conoscenza; ciononostante lo precedette, smorzandone la foga.

“Non ti ho portato qui per parlarti di me.” disse “L’ho fatto perché c’è qualcosa di più importante che devi sapere e che devi sempre tenere presente. Perché qualsiasi cosa sia accaduta in passato, qualsiasi ricordo dovesse mettere in discussione quanto sto per dirti, devi sempre ricordare a te stesso che sei stato concepito dall’amore. E che qualsiasi cosa accada in futuro, qualsiasi emozione dovesse minare al tuo autocontrollo, non devi mai dimenticare da dove vieni…” disse e andò col capo all’immagine impeccabile di Lucrecia, bellissima nel suo candido abito “…e dove sei diretto.” concluse, voltandosi invece verso l’ingresso della grotta.

Oltre il velo d’acqua cristallina, s’intravedeva la sagoma di Abigail, intenta a chiacchierare con Yuffie. Di tanto in tanto una delle due alzava la voce e andava a disturbare la quiete di quel luogo. Rilasciò il fiato e tornò con lo sguardo a Sephiroth.

“I ricordi torneranno.” ribadì; e stavolta indurì l’espressione “Quando accadrà vieni a cercarmi. Risponderò a tutte le tue domande. In alternativa accoglierò la tua acredine.”

L’altro continuò a scrutarlo con attenzione, forse ponderando sulla proposta; poi scosse il capo, gli scoccò un’occhiata maliziosa e si aprì in un sorriso sghembo.

“Potrei non venire a cercarti.” lo provocò “Potrei… trarre le conclusioni da me. E agire di conseguenza…”

“Allora sarò io a trovare te. E in quel caso sarò costretto a usare qualsiasi mezzo a mia disposizione per fermarti.” disse senza battere ciglio.

“Potrebbe non bastare.”

Era una prospettiva possibile. Ma non c’era altro che lui potesse fare in proposito, se non confidare nella tenacia e nella forza altrui. Un po’ come aveva fatto in passato.

“La possibilità non mi preoccupa.” disse; e scrollò le spalle “Dopotutto… c’è qualcuno che non smetterà mai di combatterti, Sephiroth.” l’affermazione sfumò nel silenzio, greve; poi abbozzò un sorriso “E spero che per arrivare fin qui tu non abbia dirottato un sottomarino.”

A dispetto di tutto, Sephiroth scosse il capo e si concesse una bassa, parca risata che poco aveva a che vedere con il sorriso freddo e sprezzante di poco prima.

“Siamo d’accordo, allora.” disse l’altro; e lo guardò dritto negli occhi.

Sephiroth allungò anche il braccio e gli tese la mano, così come lui aveva fatto sulla vetta della montagna. Non esitò; afferrò l’arto, ricambiò con una vigorosa stretta di mano e suggellò quella sorta di patto. E forse anche l’inizio di un legame…

“Eeeeeehi!” il richiamo riverberò sulle pareti della caverna, inducendo ambedue loro a dirigere l’attenzione all’ingresso.

Dall’apertura Yuffie e Abigail li fissavano di rimando con grande insistenza. Sul viso di Abigail, poi, si distingueva perfettamente lo stupore e la curiosità di trovarsi in quel posto così particolare. Per qualcuno come lei, nato e cresciuto fra le montagne di Icicle, doveva effettivamente essere uno spettacolo affascinante. Dopotutto era rimasta a bocca aperta anche di fronte alla Meteora, ignara di cosa rappresentasse…

“In caso ve ne foste dimenticati –lì nel club degli uomini emancipati- ci siamo anche noi. E la povera meger… Abbie, qui, sta letteralmente morendo di curiosità!” comunicò la ninja, assestando una decisa pacca sulla spalla della ragazza lì di fianco.

Abigail sussultò, forse colta alla sprovvista; dopodiché inarcò le sopracciglia e si portò le mani ai fianchi, gli occhi ridotti a due fessure.

“Ma se eri tu che dicevi di sgattaiolare dentro e di prenderli alle spalle!”

Dettagli.” ribatté la ninja, sventolando la mano “E coooomunque Cid dice che i rotori e le sue balle si consumano e che non ci sono più le mezze stagioni e che si stava meglio quando si stava peggio – in pratica l’ha chiamato Shera. Ops, questo non dovevo dirlo! In ogni caso bisogna ripartire. Perciò…”

Aveva perfettamente afferrato il messaggio; e c’erano ancora molte, troppe cose di cui occuparsi. E dubitava che il solo Red XIII sarebbe riuscito a far ragionare Barret, tanto per dirne una. Tanto più che doveva delle spiegazioni più accurate a ciascuno di loro. Rilasciò il fiato, scrollò il capo e scoccò una lunga, intensa occhiata a Sephiroth.

“Cerca di tenerti lontano dai centri abitati. Mantieni un profilo basso e non attirare l’attenzione per nessun motivo, almeno finché non ne sapremo di più sui Deepground e su cosa vogliono.” raccomandò, sebbene l’avesse già fatto allorché si erano lasciati sulle cime innevate.

Sephiroth annuì di rimando per dirsi d’accordo; dopodiché soggiunse: “In bocca al lupo, Vincent.”

“Crepi.” replicò.

Gli diede le spalle che Sephiroth stava nuovamente col naso per aria e gli occhi fissi sul cristallo e sull’immagine di Lucrecia, come in adorazione. Una consapevolezza che riusciva a riempirlo di soddisfazione, ora che il muro della menzogna era crollato innanzi alla verità.

“Abigail… c’è qualcuno che vorrei presentarti…” gli sentì dire, mentre s’allontanava.

La ragazza s’illuminò, abbandonò l’entrata della grotta e corse da quella parte. Gli sfrecciò accanto, gli lanciò un sorriso e passò oltre. Contemporaneamente il suono di quella voce rimbalzò lungo le pareti rocciose, sulla superficie luminescente dei cristalli e si amplificò all’infinito in una sorta di armonico eco. Eppure stavolta alle orecchie, nella coscienza, gli arrivò chiaramente il messaggio.

“Grazie… e addio.”

Sentì il petto gonfiarsi e poi qualcosa di pensante scivolargli giù dall’anima, mentre la consapevolezza gli si delineava spontanea e ineluttabile nella mente: una parte di lui non avrebbe mai smesso di amarla e, di tanto in tanto, avrebbe riguardato ai pomeriggi assolati passati sotto all’albero di Nibelheim. E avrebbe provato nostalgia.

Ciononostante continuò a puntare avanti, sull’ingresso luminoso che dava sull’insenatura. Sulla luminosità abbacinante dell’esterno, fra i rivoli d’acqua scrosciante, si stagliava la sagoma minuta di Yuffie, che l’aspettava dondolando avanti e indietro sui piedi, le braccia tese e le dita incociate dietro la schiena. Sul viso, invece, aveva quel sorriso grande e luminoso che riusciva sempre a sorprenderlo. Perché era diretto a lui. E perché, dopotutto, desiderava soltanto proteggerlo.

“Sei pronto?” gli chiese Yuffie.

Arricciò le labbra verso l’alto. Finalmente conosceva la risposta a quella domanda.

“Sì.”
 
***
Poggiò le mani sul parapetto della Shera e si soffermò a guardare l’orizzonte. Una meta che si allontanava a ogni istante sempre più. L’aria era fresca, pulita e il vento gli lambiva le gote, facendogli oscillare dolcemente capelli e mantello. In lontananza poteva ancora intravedere la caverna di Lucrecia, come un punto scuro fra l’azzurro del mare e il verde delle montagne; e il suo pensiero andò a Sephiroth, ad Abigail e al tempo che sarebbe venuto.

Fece per rilasciare il fiato; ma Yuffie, posizionata accanto a lui e poggiata alla balaustra, sospirò per prima e lo richiamò all’attenzione. Diresse le iridi da quella parte e la studiò attentamente. Teneva gli occhi puntati allo stesso orizzonte che vedeva lui. I capelli le solleticavano la nuca e la fronte, ondeggiando appena al cullare del vento, mentre le estremità della fascia le carezzavano le scapole scoperte. Teneva i gomiti sul piano e il ginocchio piegato contro il parapetto. Tamburellava con la punta del piede sul pavimento, forse incapace di stare ferma, forse semplicemente bisognosa di sfogare il nervosismo residuo, ma quando incappò nei segni che s’intravedevano oltre la stoffa dei pantaloncini e del top a fiori, avvertì un tuffo al cuore. Serrò la mandibola e incupì lo sguardo. Era stata dura per tutti. Soprattutto per lei.

“Così… questa è la fine.” osservò d’un tratto la ragazza “Cioè… sì, insomma, è così che finisce. Giusto? È finita. Fine. Caput. The end. Basta casini!”

Continuò a guardarla, a godere di ogni suo piccolo dettaglio, e di quell’incrollabile forza d’animo che sembrava guidare ciascuna delle sue azioni.

“Direi piuttosto… che è così che comincia.” affermò poi; e ammorbidì l’espressione.

Si stupì in primis di quelle parole, ma aspettò ugualmente la reazione dell’altra. Yuffie non lo deluse. Difatti strabuzzò gli occhi, raddrizzò la schiena e si distaccò dal parapetto. Lo puntò dapprima con espressione allibita… e poi col classico indice accusatore, sfoderando una teatralità e tutta una serie di micromovimenti del viso che lui poteva solo sognarsi. In un trip allucinogeno, probabilmente.

“Cosa odono le mie orecchie?” domandò la ninja, agitandogli quello stesso dito sotto al naso “Tu che fai ragionamenti positivi! Tu che pronunci frasi ottimistiche come se niente fosse?! Ha ragione Cid. Non ci sono più le mezze stagioni! Che fine hanno fatto i nuvoloni neri nel cervello? Cioè, qui la pessimista sembro io –io, quella che mangia due hamburger di fila e poi sale sulla Shera pensando che stavolta la passerà liscia!”

Tacque e continuò a studiarla, mentre l’altra sospirava una seconda, più intensa volta, poneva le mani sui fianchi e scrollava mestamente il capo. Un po’ come avrebbe fatto una madre di fronte ai capricci del figlio. In un bizzarro e inaspettato capovolgimento dei ruoli.

“Beh, non ho dello champagne con me, ma a questo punto…” continuò la ninja “…mi è venuta un’idea per inaugurare questo nuovo inizio! Perché si dice che chi ben comincia è all’opera! O finisce l’opera –o giù di lì, ma chissene!-

Si spostò da un piede all’altro, tralasciò la balaustra con la sinistra e la fronteggiò, chiedendosi a cosa stesse riferendosi. Per tutta risposta l’altra si allargò in un sorriso furbastro e qualcosa dentro –cioè ogni cellula del corpo- gli lasciò intuire che stesse per combinarne una delle sue… perlomeno finché Yuffie fissò un punto impreciso alle sue spalle, sbiancò, sgranò gli occhi e puntò l’indice da quella parte, improvvisamente scevra di quell’aria furbastra che ben conosceva. Pericolo. Di rimando andò con le dita alla Cerberus, si voltò e fronteggiò l’imprevista e sconosciuta minaccia. 

Oltre la balaustra, il mare sembrava una tavola piatta e blu che scintillava sotto i raggi del sole. E le nuvole continuavano a scorrere tranquille lungo il cielo mano a mano che la Shera proseguiva il suo lento viaggio. In pratica: niente. Batté le palpebre, confuso; ma quando realizzò di esserci finito dentro con tutte le scarpe e il mantello era ormai troppo tardi.

Qualcosa –che aveva di sicuro la forma di una giovane furfante- l’agguantò per le lunghe ciocche di capelli che gli incorniciavano il viso e lo tirò a sé. Suo malgrado si sbilanciò, assecondò il movimento e si chinò da quella parte. Solo per incontrare il viso di Yuffie e finirci inesorabilmente contro. In un impatto forse più violento di quello che l’altra aveva preventivato. Per lunghi istanti vide tutto nero e quasi pensò che gli fosse saltato via un incisivo, o anche due. Gemette, indietreggiò appena e si portò ambo le mani sulla bocca. Sentì la ninja strepitare e condivise in pieno quella manifestazione di dolore, sebbene non dubitava che si sarebbe ripreso nettamente prima di lei.

Appena possibile schiuse le palpebre e l’osservò, piegata in due, le mani sulla faccia anche lei e le lacrime agli occhi.

“Cazzo, Valentine!” sbraitò la diretta interessata, in perfetto stile Highwind “Per una volta che dovevi fare il ritroso! Pensavo che avresti opposto una resistenza –e nel tuo caso non è un modo di dire- sovrumana! E invece… BAM! Credo di essermi rotta il naso –il mio fantastico naso! Ahi, ahi… aaaaaaahi!” strillò, tastandosi la parte in questione, in quel momento di colore rosso acceso.

Restò interdetto per qualche istante ancora, cercando di capire cos’era realmente successo. Quindi Yuffie non aveva cercato di mandarlo “knock-out” con una testata. Aveva tentato di… baciarlo? Probabilmente per inaugurate il nuovo inizio insieme. Scosse la testa, sospirò e si obbligò a non arricciare le labbra verso l’alto. Era rumorosa, goffa e nient’affatto femminile. Ma era anche buffa. E tenera, sì. E aveva una testa colma d’idee assurde e così dura che per poco non gli aveva fatto saltare via i denti davanti. Eppure, riusciva solo a pensare che fosse perfetta così, in un’unica ed esplosiva miscela d’ingredienti.

Non attese oltre. Coprì in breve la distanza che lo separava dalla ninja e le passò la destra lungo la vita. Indugiò appena sulla pelle in rilievo, laddove le sue dita, i suoi artigli, avevano lasciato il segno in un precedente, meno caloroso contatto. La trasse a sé con decisione. L’altra frappose le mani nel mezzo, sollevò il capo e lo puntò con due grandi, bellissimi occhi scuri e colmi d’interrogativi; ma non c’era altro modo per spiegarle come si sentiva in quel momento. E che effetto gli faceva sentire il suo calore su di sé. Se non accorciando ulteriormente le distanze. Con una delicatezza impensabile per quell’arto mostruoso, le passò l’artiglio lungo la mandibola, le sfiorò l’orecchio e le avvolse la nuca, in un implicito invito. Cui l’altra non si sottrasse. La sentì abbandonarsi e piegare il collo, la sentì fremere appena sotto le sue dita, contro il suo corpo e percepì perfino il fiato mancarle per qualche istante; mentre calava su quelle labbra dischiuse soltanto per lui, come i petali appena sbocciati di un fiore.

Le sfiorò con delicatezza, assaporandone la morbidezza e il sapore con la dovuta calma; e si stupì nel riscoprire tutta quella gamma di emozioni che per lungo tempo aveva represso dentro di sé. E si accorse che ne voleva di più. Senza nemmeno accorgersene si fece più audace, rafforzò la stretta delle dita sulla nuca, sulla vita di lei e vinse la blanda resistenza dei denti per approfondire il contatto. E la pronta risposta, le braccia di Yuffie attorno al collo, le dita affusolate affondate fra i capelli e le labbra roventi, bramose di lei che l’accoglievano, andarono a rafforzare e ad accrescere la passione, in uno scambio di sensi di cui riscoprì in quel momento l’ebbrezza.

Quando si staccò gli mancava il fiato; ma non si soffermò sul turbamento della mente, del corpo e corse con le iridi al viso di Yuffie, ritrovando nei suoi occhi tutte le ragioni di cui aveva bisogno. E con le labbra rosse, tumide di piacere, gli occhi liquidi e le guance accese era il ritratto della ragazzina pestifera che conosceva… e della donna forte e determinata che da poco aveva imparato a conoscere. Quella che, a dispetto di tutto, sapeva guardare oltre. E molto più lontano di lui. Ciò pensando indulse in un’ultima, accorata carezza; dopodiché sciolse la stretta delle braccia e si ritrasse, lasciando scivolare le dita artigliate lungo la spalla e il braccio dell’altra.

La ninja vacillò, leggermente stordita, e fece due lunghi passi indietro. La vide allungare la mano e cercare sostegno nella balaustra. Dopodiché l’altra gli scoccò un’occhiata dal basso, le labbra piegate maliziosamente verso l’alto.

“Sei un gran figo, Vincent Valentine.” affermò quindi “E non perché hai delle chiappe da paura –da PA-U-RA, e tutte coperte di pelle nera, non so se mi spiego- e quegli occhi intensi e quella voce profonda che –e Leviathan mi è testimone- incitano all’aggressione –e ad altre cose che non sto qui a elencare.” continuò, annuendo fra sé alle digressioni; e quasi temette di sapere a cosa stesse riferendosi “Ma perché sei caldo. E solido come una roccia. Rassicurante. E quando ci sei non c’è niente che riesca a spaventarmi. “È tutto a posto, adesso.” È questo che ho pensato quando sei piombato in casa di Abigail dalla porta sul retro. Perciò te lo ridico, Vincent-figo-Valentine. Quello che hai fatto su quelle montagne spacca! È stata una cosa fighissima. E tu sei un grande, grandissimo figo. E se non te ne sei ancora accorto, sei solo un vecchio sfigato senza speranze!”

Yuffie tacque per un attimo, apparentemente assorta –e pensò che avesse perso il filo del discorso, data la mole di parole vomitate al secondo. Invece l’altra sfoderò un’espressione incredula a soggiunse: “E per amore della scienza, svela il mistero! Dove la nascondevi così tanta audacia? Sotto la tenda rossa? Dovresti usarla più spesso quella lingua, sì, sì. E in questo caso lascia perdere i convenevoli!”

“Sei stupita.” osservò quindi.

“E me lo chiedi? Hai presente cos’è appena successo? Eppure mi sembrava che ci fossi anche tu!” replicò l’altra, con le guance ancora rosse e gli occhi grandi dalla sorpresa.

Sprofondò col viso nel collo del mantello e trattenne un sorriso. Si limitò invece a tendere il braccio e a mostrare il palmo della mano.

“Allora restituiscimi le mie Materia.” puntualizzò.

Yuffie batté le palpebre e aprì la bocca. La rischiuse. E l’aprì di nuovo, forse cercando di capire. O le parole adatte con cui controbattere, dacché quando schiuse le labbra per la terza volta, l’indignazione aveva già soppiantato la sorpresa sul suo viso.

“Ah!” esclamò infine “Fu… Furfante! Questa poi è la più assurda di tutte! TU che fai fessa ME! Il bacchettone, barboso e pignolo che snobba il tirassegno perché non può barare! Bene, t’informo che hai appena usato un vile mezzuccio per…”

“Ho seguito le tue regole, mi sembra.” precisò quindi, senza battere ciglio. O spostare la mano in attesa del maltolto.

La ninja gli scoccò un’occhiataccia. Poi si frugò nelle tasche e gli restituì quanto gli spettava, spiattellandogli le Materia in mano con somma stizza.

“Te l’ho già detto che sei pignolo? Ma tanto! A questo punto pretendo un altro bacio. Ah-ha! Ma non qui. A Costa del Sol, in riva al mare, sotto i fuochi d’artificio!” ribatté; e sfoderò un’aria risoluta e indispettita che si addiceva particolarmente al suo ruolo di Principessa capricciosa.

“Vedremo.” rispose.

“E magari poi ci fermiamo al famoso tirassegno e tu…”

“No.”

Yuffie saltò sul posto, come punta da un ago, inarcò le sopracciglia, strinse i pugni e diede fiato alle trombe. E che trombe!

“Tirchio! Mi hai sentito? TIR-CHIO! Tirchio! Tiiiiiiiiirchio! E pure spilorcio! Ah! Mi è tornato il mal di mare…”

Ricacciò uno sbuffo divertito, ripose le Materia nel portaoggetti e puntò nuovamente l’orizzonte. Come inizio era rumoroso e confusionario, ma non era affatto male.

***

Percorse il corridoio a passo svelto, seguita a ruota dall’ufficiale Deepground di stanza al dipartimento di ricerca. I neon sopra la sua testa ronzavano e rendevano le pareti bianche della struttura ancora più luminose, quasi asettiche. Alle sue spalle, l’uomo in uniforme riferiva i progressi effettuati, la voce appena alterata dal casco visore.

“…il diversivo ha funzionato e siamo riusciti a portare a termine la missione con successo, Dottoressa. I dati sugli avversari si sono rivelati corretti. Il gruppo AVALANCHE si è rivelato ostico e abbiamo riportato ingenti perdite che ammontano…”

“Non m’interessa. Risparmiati questi dettagli per chi di dovere. Che mi dici di Sephiroth?”

“Signorsì signora!” rispose l’altro, marciando sonoramente dietro di lei “Sephiroth è stato sviato, signora. Una fortuita coincidenza che ci ha permesso di raggiungere il fondo del cratere per primi e di recuperare il carico senza intoppi.”

Assottigliò lo sguardo. E così qualcosa aveva guidato Sephiroth verso il cratere. Interessante. Peccato che il fato ci avesse messo lo zampino, favorendo lei e i Deepground. Ma le considerazioni erano superflue, specie quando di lì a poco avrebbe messo gli occhi e le mani su quanto stava cercando da anni.

Raggiunse le porte sul fondo del corridoio, spinse sulle maniglie e aprì l’accesso al laboratorio vero e proprio. La stanza le si profilò alla vista nella sua interezza, esattamente come l’aveva lasciata. Tranne che per un piccolo, significativo dettaglio. Addossata alla parete, oltre la scrivania colma di fascicoli, cartelle e monitor, stava la vasca di contenimento. Al suo interno galleggiava la testa della cavia, con il cervello scoperto, i bulloni di metallo innestati nel cranio e i capelli bianchi che le fluttuano attorno al viso, come i fili di una ragnatela. L’occhio brillante dell’aliena, invece, sembrava fissarla di rimando con estrema, sinistra intensità.

Quasi trattenne il respiro innanzi a quello spettacolo. Era eccitata e i brividi le risalivano lungo la colonna vertebrale al solo pensiero di quello che avrebbe potuto fare con siffatte cellule. Lentamente si avvicinò alla vasca, pose la mano sul vetro e puntò la cavia dritta negli occhi.

“Finalmente ci incontriamo, Jenova.” disse; e un sogghigno andò a sfregiarle le labbra.
 
 
 
 
Eeeeeeeh! Saaaaagra! Non so come, ma ce la feci! *w* Ammetto che sono servite randellate, minacce e una buona dose di masochismo da parte mia, ma ecco l'ultimo capitolo di questa storia. *w* E sì, l'informatore di Reeve ci aveva provato a dire loro che secondo le sue informazioni stavano cercando la testa di Jenova... ma che volete farci? Si sono distratti! xP E spero di averla fatta anche a qualcuno di voi lettori. oo Lol.
Stavolta vi faccio un favore e vi risparmio le mie paturnie. Lol. Però c'è qualcosa che devo dire. Questa storia, nel bene o nel male, mi ha accompagnata per più di un anno. Per qualcuno sarà poco tempo, dacché ci sono autori e autrici che su questo sito scrivono da molto più, ma vi assicuro che per me è un record. Innanzi tutto perché non sono mai riuscita ad arrivare oltre l'ottavo capitolo di una long. E poi perché sono riuscita a finire il progetto, a dispetto dell'insicurezza cronica e dei momenti "no". Cioè, per me è una cosa importantissima. E sono davvero, davvero contenta di essere riuscita a non mollare. *w* Parte del merito è anche di chi mi ha sostenuto e mi ha accompagnato durante il tragitto, rendendo il tutto più bello e divertente. In particolare vorrei ringraziare la Lady 666, che è sempre disposta a randellarmi con amore quando la situazione lo richiede. Lol. E la One Winged Angel, con i suoi "corsi intensivi per l'autostima". xD Manila, che nonostante tutto ha trovato il tempo d'incoraggiarmi, fra un impegno e l'altro. ^^ E poi tutti gli altri lettori, naturalmente. Grazie per i commenti, per le belle parole e gli incoraggiamenti. Sembra poco, ma per chi scrive è tantissimo. Grazie per aver letto e per aver resistito fino a qui.
Spero davvero di aver sviluppato bene i contenuti che volevo esprimere nel corso dei dieci capitoli e di aver reso credibili i personaggi, i dialoghi, le situazioni. Vi assicuro che mi hanno dato moltissimi grattacapi! °A° E se qualcuno vorrrà farmi sapere cosa ne pensa della storia nel suo complesso, mi renderà davvero un grande, inestimabile favore. Giusto per sapere se sono stata in grado di bilanciare il tutto. xD Al solito, ovviamente, anche le critiche sono benaccette. Qui nessuno si scandalizza! xD *e si prese sedie, insalate e teste di Jenova volanti* °A°
Per il resto vi ricordo che trovate tutte le mie storie sul mio account principale, nel caso vi andasse di buttarci un occhio: http://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=25850
E vi lascio con le anticipazioni sul prossimo delirio! xD Anche se, probabilmente, qualcosa potrebbe cambiare durante la stesura del soggetto, cui mi dedicherò più avanti. Per ora ci risentiamo su "I 5 Modi più Veloci per Portarsi a Letto il Generale, by Genesis Rhpsodos". Lol. O sulle mie originali, se vi va. °A° Alla prossima!
CompaH
 
 
Prossimamente: Yuffie ha deciso che è ora di passare al livello successivo della sua relazione. Ovvero cogliere il fiore proibito del suo –quasi- ragazzo. Sephiroth invece è stanco di aspettare e vuole conoscere la verità che si nasconde dietro i suoi incubi e dietro l’identità dell’uomo che gli ha teso la mano. Perciò decide di parlarne con il suddetto. Ma c’è un problema: la persona che entrambi cercano è sparita senza lasciare tracce. E ciò potrebbe implicare il nuovo, misterioso nemico che hanno affrontato e sconfitto sulle montagne. Riusciranno Yuffie Holmes e Sephiroth Watson a risolvere il mistero e a rintracciare l’adorato Vincent Valentine? Cloud non ha una risposta, ma di una cosa è certo: non può ignorare quanto sta succedendo, né lasciare a piede libero Sephiroth; perciò preferisce stare alle calcagna dei due investigatori, pronto a ficcare uno spadone nel sedere al suo più acerrimo e atavico nemico!

Per dirla alla Yuffie: “Bando alle ciance e ciancio alle bande! Voglio che entriate nel laboratorio di quella stronza e che facciate un macello –e stavolta non intendo in senso figurato.  Perciò, mie care Miss “io ce l’ho più lunga” e Miss “ma la mia è più grossa” basta tirarsi i capelli a vicenda. È il momento di andare a riprenderci il nostro Vincent Valentine –più mio che vostro, beninteso. E di lanciare un messaggio. Un messaggio che resti indelebile nella mente di tutte le stronze del Pianeta: l’uomo di Yuffie Kisaragi non si tocca nemmeno con un dito!”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2426985