Le dodici fatiche di Ernesto

di donalbain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di qualcosa ***
Capitolo 2: *** Il grazioso gattino ***
Capitolo 3: *** Frutti di mare ***
Capitolo 4: *** Cervo quattroperquattro ***
Capitolo 5: *** Festa mondana ***
Capitolo 6: *** Problema di flusso ***
Capitolo 7: *** Pennuti inutili ***
Capitolo 8: *** Il toro dell'uomo ***



Capitolo 1
*** L'inizio di qualcosa ***


Ernesto,come suo solito,ritornava dal lavoro alle cinque di sera. Era un operaio quarantacinquenne di una ditta metallurgica,aveva un buon stipendio e viveva con la moglie in un trilocale in centro città. Ernesto con le grandi mani bussò violentemente contro la porta per poi massaggiarsi la testa sprovvista di capelli;la moglie dopo poco gli aprì,la moglie di Ernesto era una donna bassa e gracile,per questo stonava con i due metri e la mole robusta del marito,anche se da poco aveva cominciato ad andare in palestra. La moglie non lo salutò neanche e corse svelta verso il soggiorno,il marito la seguì domandandosi il perché di questo comportamento. Lei si sedette sul divano e fece un gesto al marito di sedersi accanto a lei,il marito lo fece. La moglie di Ernesto gli disse con voce agitata ma sicura di sé:”Ernesto,ti voglio un bene dell’anima,ma …” continuò ”ho una relazione …”.Silenzio. Ernesto guardava le sue mani callose e con voce stroncata,chiese: ”Chi è?”

"Lisandro"

“Il tuo personal trainer?”

“Sì …”

Ernesto cominciò a piangere,non era intenzionato a fermarsi;la moglie lo guardò impietosita,si alzò e con un vecchio bagaglio a mano uscì dalla porta.Ernesto stette lì sul divano solo per pochi minuti,poi si alzò si asciugò le lacrime con la manica destra della camicia e si diresse verso la porta;uscì e la casa rimase vuota. Percorreva la piazza con passo lento e testa bassa. Decise di fermarsi al primo bar che vide,”Il nettare degli dei”,era un posto pulito,illuminato bene,c’erano solo tre persone,il barista che stava servendo una birra alla spina a un presumibile uomo d’affari e un cameriere appoggiato con la schiena al bancone. Ernesto si sedette,appoggiò le grandi mani al bancone e ordinò un whisky che gli fu servito con estrema velocità, ringraziò;finito il drink ne ordinò un altro,poi un altro ancora e così via. Si accasciò sul bancone e dormì colto dalla sbronza. Improvvisamente un nano strattonò la camicia di Ernesto,ma questo non diede risposta,allora il nano ripeté il gesto e finalmente l’operaio con gli occhi ancora socchiusi alzò la pesante testa.                                                       Il nano aveva un viso giocondo e paffutello scavato da enormi e vistose rughe d’espressione,e attirata l’attenzione di Ernesto,con voce squillante gli domandò:”Mi aiuti?” ed Ernesto ubriaco rispose(il suo fiato fognario stordì il povero ometto):”Ma certo piccolo folletto magico” così lo alzò e lo fece sedere sullo sgabello accanto al suo,l’ometto ribatte:”Ma no,cosa fai?! Non mi serve questo tipo di aiuto” ed Ernesto con un naso rosso simile a quello di un pigliaccio gli mise l’indice davanti alla sottile bocca e disse:”Zitto … tu adesso da bravo folletto magico mi esaudisci tre,dico tre desideri. Ok?”,il nano contrariato:”Quelli sono i geni,quelli delle lampade magiche,sai? E comunque io non sono un folletto! Mi dai una mano adesso?!”,Ernesto li porse la grande mano,l’ometto le diede uno schiaffo;il barista guardava divertito la scena mentre puliva il bancone. Il nano davanti al caso disperato dell’operaio non si arrese e con le piccole mani rugose gli prese le guance e li disse con tono calmo e tranquillo:”Tu mi servi per compiere dodici fatiche che mi hanno assegnato” ed Ernesto annuì con il sussidio delle piccole mani che poi si levò dalle guance con un movimento sgraziato,e domandò:”Ma non puoi compiertele da solo,mio piccolo folletto?” il nano rispose:”Ma mi hai visto? Sono piccolo e gracile non c’è la farei mai!” Ernesto allora alzò il braccio e con voce solenne esclamò:”Io Ernesto ti aiuterò a compiere queste dodici fatiche,ma in cambio voglio un premio!” e lo pseudo folletto annuì con il calvo capo,allora Ernesto preso dall’euforia (mischiata con quella del whisky) emise un urlo di gioia,l’euforia era talmente tanta che cadde dallo sgabello e si addormentò nuovamente baciando il parquet. Il nano lo svegliò dandogli qualche calcio con le tozze gambe,Ernesto con agilità felina si alzò e disse all’amico:”Sono pronto!!! Dove andiamo?” e il nano estrasse dalla tasca della giacca color verdone una vecchia carta giallastra dov’erano evidenziati dodici punti con dell’inchiostro blu,e dalla stessa tasca tirò fuori dei vecchi occhiali ed esclamò:”Amico mio,qua c’è scritto che dobbiamo abbattere un enorme felino che si aggira per le caverne” l’operaio annuì goffamente,il nano continuò:”Ernesto aspetta c’è altro … tutte le fatiche devono essere concluse entro le sei di domani mattina”il nano guardò il vecchio orologio da polso ed esclamò”Adesso sono le sei di sera,questo vuol dire che possiamo dedicare un’ora a ogni fatica! Sbrighiamoci!” e il nano a piccoli passi avanzò verso l’uscita,Ernesto lo seguì. Il barista vide il portafoglio dell’operaio a terra e soddisfatto lo prese per poi continuare a pulire. I due correvano ed Ernesto ansimando per la corsetta e barcollando per gli alcolici chiese:”Ma come ti chiami?” il piccoletto rispose:”Lino,chiamami Lino”. Arrivarono al parcheggio sul retro del bar e l’ometto salì su una vecchia ape logorata dal tempo in tinta con la sua giacca,Ernesto si sedette accanto a lui e schiacciati uno contro l’altro partirono alla velocità di 30 km/h,il nano dava tutto gas all’acceleratore rialzato,ma quello era il massimo per quel rudere. Dopo pochi minuti Lino disse ad Ernesto:”Dimmi te dove possiamo trovare un enorme felino che si aggira per le caverne?” Ernesto con aria da intellettuale sembrava esaminare attentamente le strade,e poi gridò:”Fermati!” e il nano inchiodò davanti a “Il leone delle caverne” Ernesto scese di tutta fretta dalla macchina si mise dietro un cestino dell’immondizia e vomitò tutto quello che aveva in corpo,ancora intontito disse a Lino:”Ecco fatto,adesso possiamo ripartire” ma Lino lo interruppe e disse:”Stiamo qua mi sembra un buon posto per trovare il nostro felino”. 

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Capitolo 2
*** Il grazioso gattino ***


L’entrata del ristorante era cupa,priva di vita; entrarono. Il locale era desolato, l’unico segno di vita era una luce che usciva dallo spiraglio di una porta socchiusa che dava al vicolo sul retro,entrambi decisero di uscire. Ernesto fece cadere un paio di cestini per l’immondizia disturbando Lino e la quiete del puzzolente vicolo. Lino tremava, Ernesto dondolava per la sbronza che intendeva continuare tutta la serata. Stettero lì fermi per una decina di minuti, poi all’improvviso sentirono cadere una lattina, seguita da una bottiglia di vetro che si ruppe in mille pezzi e infine nella penombra videro un topo privato della vita. Lino si nascose dietro il gigante che continuava a dondolare. Ernesto vide luccicare tra l’immondizia due luccichii gialli e attratto da questi si avvicinò,l ’ometto lo teneva per la camicia dicendo:”Fermo! Non farlo stai qui!” ma Ernesto avanzando praticamente indisturbato rispose:”Cosa c’è?! Voglio solo vedere! Guarda sono due occhi di un grazioso gattino”. Ernesto guardò più attentamente, sì era proprio un gatto,ma il grazioso gattino immediatamente lo assalì e gli affondò i lunghi artigli guance emettendo continui miagolii,l’operaio nel panico si continuava a dimenare imprecando e maledicendo il gatto inarrestabile; il piccoletto saltava nell’invano tentativo di scacciarlo. Continuarono per diversi minuti così: con i continui tentativi di scalfire il gatto da parte di Ernesto,ma ahimè inconcludenti, e i tentativi inutili del nano per aiutare il gigante. Allora Ernesto per liberarsene una volta per tutte si fece coraggio e con tutta la rabbia a sua disposizione se lo strappò di dosso e tra le grandi mani lo strangolò; i due occhi gialli scintillanti del felino pian piano si spensero. Ernesto cadde a terra con il viso graffiato e straripante di sangue, Lino li diede una pacca sulla schiena e li porse un fazzoletto. L’ometto guardò il cadavere del gatto, non era poi tanto grazioso, aveva un pelo tappezzato,grigio e sporco. Lo punzecchiò con un bastone trovato lì vicino,e disse:”Adesso lo carico” Ernesto curioso chiese:”Perché mai?” e il nano:”Devo portare la prova della fatica compiuta” così prese il gatto e lo caricò in spalla, ma Ernesto lo fermò e gli domandò:”Posso tenerlo?” il nano comprensibile glielo porse e gelosamente l’amico lo prese; poi tenendo l'animale sotto braccio andò a frugare nei bidoni; poco dopo ne uscì con in mano un pezzo di spago che magistralmente legò intorno al gatto e il tutto intorno al suo capo. L’animale vittima delle sue grandi mani diveniva così il suo copricapo che sfoggiava con estrema eleganza e mettendosi di profilo chiese al nano:”Ti piace?” Lino rispose:”Almeno così sembra che hai i capelli “ ed entrambi scoppiarono a ridere fragorosamente. Il campanile scoccava le sette.

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Capitolo 3
*** Frutti di mare ***


Lino disse di sbrigarsi ma Ernesto non volle proseguire,aveva fame,così domandò:”Ci fermiamo a mangiare un piatto di spaghetti e bere un bicchiere di vino?” il piccoletto era restio ma dopo varie discussioni l’ebbe vinta l’operaio,però il nano ordinò:”Solo dieci minuti!” l’operaio annuì felice. Entrarono nel ristorante,non c’era ancora nessuno,ma gli amici incuranti si sedettero a un tavolo che era illuminato da una lampada. Seduti, Lino disse:”Ma non ti puoi togliere quel gatto morto dalla testa?” Ernesto non volle saperne, diceva che era il suo gatto-copricapo e nessuno glielo avrebbe portato via come la moglie; Lino così capì la situazione sentimentale di Ernesto e non gli sembrava il caso di continuare. Cambiò discorso dicendo:”Dai,leggiamo il secondo punto … allora dobbiamo uccidere senza pietà un essere,il quale ha nove … (qua il punto si interrompe bruscamente) … e un enorme crostaceo,perché loro non ne avranno di voi” Ernesto annuì indistintamente e gridò:”Ma il cameriere! Adesso vado in cucina e mi sentono!” Lino:”Non abbiamo tempo! Non perderlo in queste cose!”, ma il gigante si recò in cucina con passo deciso,aprì la porta e il piccoletto la chiuse dietro di sé. Non c’era nessuno nemmeno in cucina. Subito Ernesto prese da una piccola credenza un vino Franciacorta e si attaccò alla bottiglia e ne bevve la metà, poi la ripose e lesse il menù:”Allora folletto,c’è un buonissimo polpo dai nove tentacoli e un granchio reale con un buon contorno di patate lesse, non ti viene l’acquolina in bocca?” il piccoletto notò immediatamente la somiglianza del menù con il secondo punto, eccetto le patate lesse, e allarmò subito l’amico,ma questo colto dalla sbronza del vino non lo ascoltò, anzi frugò tra le pentole in cerca di cibo. Una pentola era coperta,ed Ernesto,la quale curiosità non ha limiti,la aprì; c’era il granchio reale,sembrava morto,così lo prese dalla zampe e guardò l’enorme corazza,sembrava un vero e proprio chef, anche se al posto del tipico capello c’era un gatto sporco. Ernesto stava mettendo a cuocere il granchio,ma questo agitato si mosse nelle sue mani e la chela destra gli prese l’indice,cercò di sbarazzarsene,ma la presa del granchio era debole e subito lo mollò, cadde a terra, prese il coperchio della pentola e senza pietà glielo scagliò contro; l’impatto fu talmente forte che la maestosa corazza si divise in due. Nel frattempo Lino aveva svuotato il sacco delle patate e ci mise dentro il granchio ormai stecchito. Ernesto era in piedi, fiero del suo operato, l’indice gli sanguinava ma non pareva dargli importanza, Lino esultò:”Grande Ernesto,sei stato formidabile! Adesso manca il polpo dai nove tentacoli” l’operaio disse:”Caro amico, adesso libereremo questo ristorante, ma prima un po’ di zuppa” e aprì un’altra pentola e ne fuoriuscì il polpo: era terribilmente grande e i tentacoli presero le braccia di Ernesto,era immobilizzato, si dimenava, ma tutto era inutile. Poi il polpo attorcigliò uno dei suoi tentacoli intorno alla sua gola, più che un polpo sembrava un serial killer. La faccia del gigante divenne violacea, stava stramazzando a terra soffocato, ma Lino vedendo la situazione che andava peggiorando prese un coltello da macellaio e tagliò il tentacolo che soffocava l’amico e subito dopo gli altri,il polpo killer, inerme, finì nel sacco di Lino. Ernesto era tramortito, ma Lino senza esitazioni con il sacco si diresse verso l’ape, lo seguiva l’amico barcollando. Caricarono il bottino e lasciarono il ristorante:erano le otto e un quarto.

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Capitolo 4
*** Cervo quattroperquattro ***


I due saltellavano nell’ape ritmicamente, la strada era piena di dossi. Erano entrambi eccitati ed Ernesto chiese:”Leggiamo il terzo punto?” “Certo … ” e il nano sfilò dalla giacca la vecchia carta e lesse:”Un cervo dovete prendere,essa correrà e sarà prova ardua prenderla” e il gigante rise dicendo:”Facile trovare un cervo in libertà in pieno centro”, ma il piccoletto non si depresse e disse di aguzzare bene la vista. Il sole era calato e le gialle foglie cadevano dai rinsecchiti alberi. I fanali illuminavano poco e i due non riuscivano a vedere granché, così accostarono per rinfrescarsi la memoria. Lino rifletteva con Ernesto:”Il cervo deve correre velocemente … “ l’operaio ripeteva a voce alta:”Cervo,cervo,cervo … il cervo …” poi esclamò a gran voce:”Il cervo!!!”, stava passando una grossa jeep con una testa di cervo imbalsamata sul portabagagli. Lino vide la jeep, accelerò e la seguì fino a quando non accostò e il conducente scese per aprire il cancello dell’abitacolo. Lino incitò Ernesto a scendere a gran velocità e prendere la testa del cervo. Ernesto scese e goffamente corse alla jeep e agitato cercava di slegare la testa del cervo dal portabagagli. Il cancellò si aprì, Ernesto sudava sempre più ,ma ce la fece. Era entusiasta e per la gioia alzò il cervo al cielo,il proprietario vide la scena, i due si guardarono pochi secondi ammutoliti ,il proprietario con le chiavi in mano e il ladro con le mani in alto che reggeva la testa imbalsamata. Poi l’operaio fece uno scatto olimpionico e si buttò con la testa nell’ape; ci stavano a malapena. Lino accelerò nella strada illuminata dai lampioni, esultarono. Ma per la sfortuna dei due il proprietario del cervo non era una persona qualunque, era il famoso cacciatore Artemio Diano e non lasciava mai le sue prede facilmente, così prese il fucile dal sedile posteriore e cominciò a sparare all’ape in corsa. Il primo colpo prese la ruota posteriore ,Ernesto urlò:”Moriremo tutti!” il secondo colpo partì dalla canna, prese il gatto sopra la testa di Ernesto, il sangue sprizzò e andò in faccia ai due passeggeri e sul cervo e imbrattò la macchina la quale si fermò con il carico. Vedendo il sangue della preda in lontananza, Diano ripose il fucile e avanzò verso la macchina. L’ape era bloccata in mezzo alla strada. Il cacciatore si porse verso il finestrino dicendo:”Bastardi,volevate rubarmi la testa del cervo,per il 40esimo anniversario dei coniugi Del Manto,eh?” nessuno rispose, tutti e due erano fermi, ed Ernesto cingendo tra le braccia la testa rispose:”Sì” e gli mollò un pugno. Artemio stramazzò a terra, svenuto. Lino si pulì il viso con un fazzoletto,l’amico scese e frugò nelle tasche del cacciatore. Prese una busta, era un invito per il 40esimo anniversario dei coniugi Del Manto, Ernesto lo prese, ripose la testa di cerva nel sacco delle patate, salì sull’ape e partirono. Lino guardò l’orologio da polso: erano le nove e dieci.

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Capitolo 5
*** Festa mondana ***


Lino domandò: ”Cos’hai preso?” Ernesto rispose:”Un biglietto per il paradiso,una festa per soli V.I.P.!” Lino contrariato:”Non ci possiamo andare dobbiamo …” estrasse la solita carta: ”…. abbattere un imponente cinghiale” l’operaio non si arrese e leggendo l’invito disse che la festa era già incominciava dalle nove e lui non aveva ancora mangiato. Lino, anche lui affamato, accettò la proposta del gigante e con l’ape, che non avrebbe resistito ancora molto, si recarono all’indirizzo citato nel biglietto. Parlavano mentre girarono l’angolo e videro una maestosa villa; entrarono dal grande cancello. Lino guardava ammaliato la grandezza della residenza, Ernesto aprì la portiera e si catapultò fuori,cadde sul giardino irrigato rotolando e appena alzato ballò sotto l’acqua gioendo. Il nano parcheggiò poco avanti e venne subito a prendere l’amico bagnato. Lino preoccupato disse:”Ma come farai a spacciarti per Artemio Diano?” Ernesto disse di calmarsi, aveva tutto sotto controllo, gli bastava solo l’invito. I due con passo lento si avvicinarono al portone di legno intagliato a mano che rappresentava le grandi imprese del signor Del Manto e la vita della signora; davanti c’erano due guardie con smoking e occhiali da sole, nonostante le nove e mezza di sera; appena la strana coppia si avvicinò le guardie contemporaneamente domandarono con tono deciso:”L’invito?”, Ernesto sorrise ai due, che non ricambiarono, e porse a loro l’invito. La guardia di destra lo prese lo esaminò e ne certificò l’autenticità, poi lo passò al collega, questo controllò sulla lista e fece un cenno all’altro di approvazione; aprirono il portone e svelarono un’immensa sala con un pavimento marmoreo tanto lucido da specchiarsi dove ballavano un valzer uomini con smoking e donne con vestiti all’ultima moda. Gli amici entrarono stupefatti. Ernesto sorrideva e non si sentiva affatto a disagio tra la gente elegante, nonostante portasse un gatto-copricapo putrefatto e i suoi vestiti erano bagnati fradici; Lino invece si sentiva un pesce fuor d’acqua e si nascose dietro l’inzuppato amico e si fece più piccolo di quello che era. Ernesto non si curò di niente e di nessuno e si buttò a capofitto nel buffet, ne svaligiò la metà, mentre Lino, sapendo che la sua macchina non avrebbe resistito ancora molto, cercava si sfilare dalle tasche di qualche invitato le chiavi di una nuova macchina che sostituisse l’ape. Qualcuno nella sala si domandava chi fosse quell’omone che non si staccava un minuto dal buffet, fino a quando un anziano rotto delle continue ipotesi della moglie si recò alle guardia del portone e chiese chi fosse quell’uomo; le guardie con la solita perfetta sincronia risposero:”L’illustre cacciatore Diano Artemio”, il marito esausto lo comunicò alla moglie e questa, dopo aver perso ogni hobby nella sua vita, lo disse a tutte le signore e signori in sala e qualcuno disse sottovoce:”Ma è lui?!Com’è ingrassato e ha perso anche i capelli!”. Ernesto ignaro delle voci che circolavano in sala si continuava ad abbuffare, ma fu interrotto da Lino che felice mangiava del caviale e sventolava le chiavi della nuova macchina, il finto Diano annuì con la bocca piena. Improvvisamente sentì una pacca da dietro, dietro di lui si ergeva un signore alto e robusto di mezz’età e chiese cordialmente:”Salve Artemio come sta?” Ernesto ingoiò il boccone e disse bene con aria abbastanza signorile. L'uomo non intenzionato a finire così la conversazione continuò:”Qual’ è stata la sua ultima preda?” Ernesto massaggiandosi la pancia:”Un cervo … ” “Ma non mi dica che era più bella di quella catturata nel ‘89” “No”rispose improvvisando. “Se la ricorda, vero?” domandò il signore. “Ma certo” rispose agitato, cominciava a sudare. Fortunatamente il gigante fu salvato dalla campanella, anzi dalla greve voce del padrone di casa che annunciava la cena. Ernesto corse via con Lino a suo seguito, entrambi furono travolti dall’ammucchiata di gente che sgomitava per assicurasi un posto vicino a due coniugi per tentare di avere dei favoritismi in futuro. Alla fine Ernesto si trovava in fondo sul lato destro della tavola imbandita,vicino al chirurgo Fresoli e al regista Volta; Lino che si intravedeva solo la testa, era sul lato sinistro di fronte all’amico. I Del Manto erano entrambi a capotavola. Il signor Del Manto si alzò in piedi e ci furono un succedersi di applausi, l’uomo prese un coltello e con il manico tintinnò sul bicchiere di cristallo e disse:”Sono lieto della vostra presenza ,cari amici, oggi festeggiamo il 40esimo anniversario del matrimonio tra me e questa bellissima signora” porse la mano alla signora Del Manto che fingeva un sorriso. In quarant’anni di matrimonio il marito l’aveva sempre tradita con la segretaria, poi con l’istruttrice della palestra e così via, ma la moglie lo sopportava e lasciava sempre correre per l’enorme fortuna di cui disponeva; dopo questo breve viaggio nella mente della signora Del Manto, i due si abbracciarono e il signore Del Manto a squarciagola:”Portate il cinghiale maremmano!” e dalla cucina uscirono quattro camerieri che sul vassoio di argento ergevano l’animale arrostito a perfezione agghindato appositamente per la festa e lo posero davanti ai festeggiati. Ci fu un silenzio d'ammirazione. Il signor Del Manto si accingeva a tagliare l’imponete cinghiale. Lino ed Ernesto si scambiarono una rapida occhiata. L’operaio saltò sulla tavola e Lino si diresse fuori dalla villa. Ernesto corse per cento metri sulla tavola imbandita e di tutta fretta prese il cinghiale e slittò via sul marmo pulito, tutti gli invitati lo inseguirono. Il nano non aveva impresa meno ardua, caricò sulle spalle il sacco di patate, con dentro le altre testimonianze delle fatiche, preso dall’ape sfasciata e poi pensò che adesso doveva solo trovare la sua macchina. Il parcheggio era pieno di macchine. Allora corse di tutta fretta e cercò la macchina. Dopo vari tentativi la trovò, caricò il sacco sul sedile posteriore e si mise al volante troppo alto per lui, Lino guidava alla cieca. L’amico correva su è giù per la villa, tutti lo inseguivano poi quando Del Manto esclamò che avrebbe dato cento mila euro a chiunque lo avrebbe preso vivo o morto, allora tutti gli invitati, chi armato di coltello, chi di pistola o di semplici pentole, lo inseguirono senza sosta. L’inseguimento terminò nella sala da ballo, Ernesto era accerchiato da tutti gli invitati e la strada per il portone era sbarrata dalle due guardie. Il gigante stette per lasciare il cinghiale arrostito, ma all'improvviso si sentì dal giardino un suono di un clacson che persisteva così tutti si girarono verso il portone che venne sfondato da Lino con la sua nuova macchina. Ernesto corse verso la macchina, ripose di tutta fretta il cinghiale sul retro e cercò di salire alla Starsky e Hutch dal finestrino anteriore, ma si incastrò. Il piccoletto non accortosi dell’inconveniente dell’amico fece retro marcia e uscì dalla villa urtando contro alberi, fontane, statue e persone, lasciandosi così dietro la facciata della villa distrutta e le imprecazione dei coniugi e degli invitati. Lino si fermò dopo qualche centinaio di metri ed Ernesto riuscì a liberarsi. I due cambiarono di posto, poiché Lino non riusciva a guidare la macchina, i pedali troppo bassi per i suoi piedi e il volante troppo alto per le sue mani. Il campanile scoccava le dieci e mezza.

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Capitolo 6
*** Problema di flusso ***


“Dove andiamo adesso?” chiese Ernesto mentre guidava. Lino tirò fuori dal taschino la solita carta giallastra e lesse il sesto punto:”Pulire delle stalle mai pulite prima” Ernesto come illuminato svoltò a sinistra, Lino innervosito domandò:”Ma cosa fai?!” ed Ernesto con il sorriso rispose:”L’ippodromo” il nano si complimentò con lui. Parcheggiarono e scesero,il piccoletto era proprio contento della sua nuova macchina e la guardava commosso. Lino incuriosito chiese all’amico:”Ma perché ti è venuto in mente l’ippodromo?” Ernesto rispose con un po’ di magone:”Sai,io e mia moglie,anzi la mia ex moglie, ci siamo conosciuti qui … io ero un giocatore incallito,ma lei mi ha portato sulla retta via” l’amico annuì un poco impacciato. All’ippodromo c’era un bel po’ di gente, c’era chi urlava il nome del cavallo, chi sventolava allegro il biglietto della vincita e chi dalla rabbia strappava quello della sconfitta. Lino non era mai stato in un ippodromo e guardava divertito le scene. Ernesto guardava dritto senza guardarsi mai indietro e camminava spedito,sapeva benissimo dove erano le stalle; aveva passato interi giorni in quell’ippodromo. Il padrone dell’intera struttura era Augusto Eliandro, ereditò tutto dal padre che aprì una delle prime centrali eoliche in Italia e divenne milionario, ma il figlio poco dopo la sua morte scialacquò tutto e li rimase solo l’ippodromo che non curava con il minimo ritegno. Ernesto non aveva mai visto ripulire le stalle. Scesero una ripida scalinata, c’erano una decina di stalle, nessun cavallo al loro intero, una puzza insopportabile penetrava nelle narici degli amici. Lino si mise la manica della giacca davanti al naso, Ernesto era immobile, guardava le stalle e respirava profondamente, ma i suoi occhi lacrimavano per l’odore nauseabondo. Lino domandò:”Ma come facciamo a ripulire le stalle di tutto questo letame?” “Non lo so” rispose Ernesto. “Mi sa che dobbiamo spalare” disse Lino amareggiato. “Mi sa di sì” ed Ernesto prese il badile appoggiato alla prima stalla con le sue grandi mani,Lino fece lo stesso ma riusciva a malapena a reggere il badile per lui enorme. L’operaio spalò per pochi minuti e si rese conto che ci avrebbe messo dei giorni per finire l’intero lavoro ed esclamò:”Non c’è la faremo mai!” e scaraventò il badile contro il muro; dalla crepa provocata dal badile fuoriusciva dell’acqua, il gigante si avvicinò, il tubo perdeva e cominciò con il badile a spaccarlo. Lino domandò:”Ma cosa stai facendo?” ed Ernesto rispose:”Vedrai mio piccolo amico!” il tubo liberò un’ondata d’acqua, l’operaio corse in tutte le stalle e fece lo stesso. Dopo pochi minuti tutte le stalle erano sommerse dalle acque e spazzarono via tutto il letame nel circuito. Le acque che trasportavano il letame investirono i cavalli con i fantini e la gente urlava e chiedeva con forza il rimborso delle scommesse. Augusto Eliandro vide la scena dalle tribune e si recò nelle stalle; nel frattempo Lino ballava per la gioia ed Ernesto si accasciò sulla terra bagnata. Lino gli diede una mano a rialzarsi e gli disse:”Adesso prendi un po’ di letame come prova della nostra fatica compiuta” “Ma scusa io? Ma prendilo tu, la fatica è tua” allora Lino schifato prese tra le piccole mani il letame bagnato. Ernesto guardò in alto sollevato per l’impresa compiuta e in quel momento che vide scendere dalle scale il vecchio muso di Augusto, così senza esitare prese Lino sotto braccio e corse via. Eliandro li vide e urlò di fermarli,ma ovviamente nessuno lo fece, tutti erano troppo impegnati a lamentarsi per il rimborso. Gli amici raggiunsero vittoriosi il parcheggio. Lino depose il suo letame nel sacco sul sedile posteriore ed Ernesto fiero di se si mise alla guida e partirono, lasciandosi un frastuono alle spalle, mentre arrivavano pompieri e ambulanze per soccorrere i fantini travolti dall'ondata di acqua e letame. Erano le undici e cinque.

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Capitolo 7
*** Pennuti inutili ***


Ernesto abbassava il finestrino per sputare l’acqua ancora in bocca,Lino invece era asciutto, poiché si rifugiò sulla scalinata durante l’inondazione. Il nano tirò fuori la carta e senza avvisare l’amico lesse ad alta voce il sesto punto:”Allora dobbiamo … trafiggere degli uccelli che si rispecchiano nell’acqua e rendono la vita impossibile alla gente”. Ernesto stremato disse:”Io mi fermo non ce la faccio più a continuare! Ho bisogno di sedermi e bere un goccio” Lino comprensibile accettò la sua proposta. Si fermarono in una piazza con una fontana al centro e un bar al lato; Ernesto si diresse subito lì,Lino anch’egli stremato si sedette su una panchina. C’era poca gente, neanche dei giovani di passaggio, c’erano solo due vecchi seduti che parlavano della loro gioventù. L’operaio raggiunse l’amico con una cassa di birra in mano, guardavano la fontana ed Ernesto sorseggiava una delle birre. Improvvisamente uno dei due vecchi urlò:”Maledetti uccelli!” un piccione gli aveva defecato sui pantaloni che cercava di pulire con un fazzoletto, l’amico rideva a crepapelle. Il maledetto uccello nel frattempo si era posato sulla fontana e guardava il suo riflesso nello specchio d’acqua. Lino guardava la scena e i suoi occhi attenti si posarono sul piccione, senza esitare corse verso l'animale, ma questo volò via, intanto Ernesto era passato alla seconda bionda e gridò:”Cosa fai folletto?” gli anziani si sistemarono l’apparecchio acustico, Lino rispose:”Prendi quel dannato piccione!”. Ernesto si alzò con la cassa di birra in mano e vide il pennuto posatosi su un lampione. Emise un lungo respiro e cominciò ad arrampicarsi grazie ai rampini con la cassa in mano. La salita era dura, oltre i suoi quarantacinque anni aveva una mano occupata e ti minacciava se li chiedevi di mollare la birra. A metà percorso gli scivolò e gridò:”Perché questo?! Prendi la mia di vita!” Lino lo incoraggiava di continuare la strada, al tifo del nano si aggiunsero anche i vecchi che volevano cacciare via dalla città quei maledetti uccelli, allora Ernesto si fece forza; scalò ancora ed ancora,quasi alla cima scivolò ma si tenne ancorato con una mano mentre l’altra mano impediva che il copricapo cadesse. L'uccello guardava Ernesto. Il piccione poi si rivolse ad Ernesto:”Uomo cosa fai? Mi vuoi forse uccidere?” l’operaio adirato:”Non fare il presuntuoso con me! Piccione io ti ammazzo!” i vecchietti dal basso si chiedevano che stesse facendo forse parlava con il piccione, Lino si faceva le stesse domande. Ernesto ansimando raggiunse la cima e guardò l’uccello, l’uccello guardò lui, lentamente il gigante protese le sue grandi mani verso esso, ma questo volò via e si posò a terra. Ernesto gli urlò contro e il piccione lo guardò, l’operaio scese velocemente dal lampione e riguardò il piccione, il piccione riguardò lui,il pubblico poco numeroso guardò loro, sembrava di essere in un film di Sergio Leone prima di un duello a fuoco. Ernesto fece un passo in avanti, il piccione uno indietro e così via, dopo cinque passi si fermò. Ernesto stufo si accovacciò mentre si prepara a compiere uno scatto felino. All’improvviso si sentì un rumore e il piccione cadde a terra, Ernesto vittorioso si avvicinò e lo prese nelle sue grandi mani, lo esaminò e vide che era stato trafitto da una pallottola. Lino si guardava intorno, gli anziani scapparono lentamente. Ernesto si voltò e vide Artemio Diano con il fucile in mano. La voce greve di Ernesto divenne stridula ed emise un grido di terrore, il nano correva verso la macchina, l’amico fece lo stesso. Artemio gridò:”Bastardi! Per colpa vostra mi hanno assalito due guardie a villa Del Manto o quello che ne rimane!” e sparò il secondo colpo che riprese il gatto morto, Ernesto si girò e disse:”Ma c’è l’hai per vizio allora!” e si rimise subito a correre. Diano sparò il terzo colpo e prese il tallone di Ernesto che continuò a correre con il volatile in mano, finalmente riuscì a salire in macchina con l’amico di fianco. Ernesto fece retromarcia, accelerò e puntò Diano, questo in preda al panico sparò alla macchina disintegrando il vetro posteriore; ma l’operaio non si fermò. Artemio divenuto preda si buttò dietro la fontana, Ernesto la prese e ne spaccò buona parte, poi uscì dalla piazza e lasciò Diano incolume a terra ma in preda al panico che non aveva mai provato. L’operaio dopo poche centinaia di metri si fermò, mise il piccione nel sacco e poi disse all’amico pallido in volto:”Lino, sto morendo …” e scoppiò a piangere. Lino gli tirò fuori il piede dalla scarpa che celava un taglietto che sanguinava a malapena:”Achille ti ha solo sfiorato, per oggi sopravvivi” Ernesto si asciugò le lacrime e ripartirono. Lino diede una pacca sulla schiena all’amico che sorrise nuovamente. Il campanile scoccava mezzanotte.

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Capitolo 8
*** Il toro dell'uomo ***


Ernesto guidava tranquillamente dopo la rassicurazione di Lino sulla ferita, invece il nano era abbastanza agitato e pallido in volto, ma questo non lo trattenne da leggere il settimo punto della sua lista giallastra:”Dobbiamo … catturare un toro inferocito”. Ernesto disse mentre rideva:”Come sempre è facilissimo” Lino rispose anch’egli ridendo:”Hai ragione, amico”. Guidavano nella notte senza una metà precisa, ma poco dopo il nano volle scendere per vedere i danni provocati alla macchina nello scontro precedente. Ernesto si fermò. Lino scese; in effetti la fiancata sinistra era praticamente distrutta, ma per il resto era tutto apposto, scese anche il gigante, si sgranchì le gambe stanche e guardò la zona circostante. C’era un bar, una banca e l’ufficio delle poste. Fuori dal bar c’era un po’ di gente, due pakistani che sedevano ai tavolini, un uomo all’entrata che fumava una sigaretta, due signore che sorseggiavano un aperitivo e un gruppo di ragazzi che discuteva. Ernesto disse:”Vado a bere un goccio” “Ancora?!” “Ne ho bisogno!” “Allora vai!” Ernesto entrò e ordinò una birra fredda, il barista gliene diede una abbastanza seccato. L’operaio uscì, vide Lino sconvolto che guardava la fiancata distrutta. Ernesto si sedette accanto ai due pakistani che guardarono divertiti il suo singolare copricapo. L’operaio invece guardava i ragazzi discutere, gli ricordava la sua gioventù volata come niente. I ragazzi dicevano così: “Non c’è la farai mai, è impossibile!” disse il ragazzo con il casco. “Io ci riuscirò" esclamò il ragazzo con gli occhiali da sole. “Ti ho detto di no! Conosci Filippo?” domandò quello con il casco. “Ma certo” rispose quello con gli occhiali da sole. “Ecco non ci è riuscito nemmeno lui a resistere un minuto sul quel dannato toro meccanico! Ma per me c’è sotto un trucco, perché il proprietario mi ha detto che se resisti più di un minuto lo vinci!” esclamò quello con il casco. Ernesto sentita la parola “toro” scattò in piedi e si diresse verso i ragazzi dicendo:”Ehi ragazzi! Dove si trova questo toro meccanico?” il ragazzo con il casco:”Si trova in un bar poco avanti,il locale si chiama “da Mimmo”, ma se vuoi provare fai pure, ma vincere è praticamente impossibile” “Grazie,ragazzi” disse Ernesto e se ne andò,Lino lo vide e lo seguì correndo. Raggiunto l’amico domandò:”Ernesto ma dove andiamo?” “A prendere il toro” “Dove?” “Da Mimmo” entrambi videro l’insegna luminosa. Entrarono. Era stracolmo di gente che incoraggiava il temerario che aveva osato combattere contro il toro meccanico. “Peccato! Sarà per un’altra volta. Adesso chi vorrà sfidare l’imbattibile toro? Fatevi avanti cinque euro tre tentativi per dominare questa bestia selvaggia e portarsela a casa!” disse Mimmo. Era di origine greca trasferitosi in Italia nel ’95, infatti parlava benissimo l’italiano e accennava di tanto in tanto qualche parola in dialetto. Davanti alla sua proposta si fece avanti un omone rosso in viso, gli diede i cinque euro che avidamente il proprietario si mise in tasca e salì sul toro. Mimmo fece partire il cronometro. Dopo dieci secondi era a terra. Secondo tentativo:dopo nove secondi era a terra. Terzo tentativo, dopo dodici secondi era a terra. La gente applaudiva come matta e Mimmo esclamò:”Peccato! C’è qualcun’altro che vuole provare? Signori fatevi avanti!” il concorrente precedente si rialzò e disse all’amico:”Questo non è un toro come gli altri”. Ernesto si diresse verso Mimmo e gli diede i cinque euro e Mimmo esclamò nuovamente:”Un nuovo concorrente!” nel frattempo Lino faceva a gomitate con la folla per vedere l’amico, ma era inutile, così uscì. L’operaio salì sul toro e partì. Era indomito, Ernesto resisteva, ma a fatica. Dopo trenta secondi cadde. Mimmo applaudì dicendo:”Notevole signore. Un applauso a gatto morto!” e tutti applaudirono gridando in coro:”Gatto morto!”. Secondo tentativo. Il gigante era determinato più che mai ,ma il toro era furioso: cadde dopo quarantatre secondi. Tutti lo incitavano con il suo nome di battaglia ,il proprietario disse:”Ultimo tentativo!” Ernesto prima di salire guardò le sue grandi mani e si convinse di farcela. Il toro era nervoso come al solito, ma le sue mani lo tenevano stretto come non aveva mai fatto con il suo matrimonio. La sfida era ardua, era su quel toro meccanico da cinquanta secondi. Il pubblico lo incitava, la presa veniva a mancare, stava per cadere, ma proprio quando stava cadendo a terra il minuto scoccò. Ernesto scese vittorioso,tutti gli andarono intorno dicendo:”Gatto morto!”. Mimmo era ammutoliti. Come aveva fatto a farcela? Non lo sapeva neanche lui, ma una cosa la sapeva. Doveva per forza dargli quel dannato toro. Un paio di uomini lo portarono fuori e lo caricarono in macchina; abbassarono i sedili posteriori per farcelo stare apposta. Lino era seduto in macchina da un po’ con una birra in mano, Ernesto si sedette alla guida, guardò il piccoletto sorridente che gli porse la birra, Ernesto ringraziò e la bevve. Partirono con il toro che occupava l’intera macchina. Il campanile segnava l’una e un quarto.

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