Into light, into darkness

di Midnight the mad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'Oro dell'Azzurro ***
Capitolo 3: *** Mike ***
Capitolo 4: *** Moto ***
Capitolo 5: *** Parole ***
Capitolo 6: *** Arrow ***
Capitolo 7: *** Sogni ***
Capitolo 8: *** Domanda ***
Capitolo 9: *** Ballo di primavera ***
Capitolo 10: *** Eva ***
Capitolo 11: *** Angelo caduto ***
Capitolo 12: *** Angeli e Demoni ***
Capitolo 13: *** Odio ***
Capitolo 14: *** Dimmi la verità ***
Capitolo 15: *** Fuga ***
Capitolo 16: *** Arciere ***
Capitolo 17: *** Per me si va tra la perduta gente ***
Capitolo 18: *** Waterfire ***
Capitolo 19: *** La voce del diavolo ***
Capitolo 20: *** Ragioni ***
Capitolo 21: *** Il Portavoce ***
Capitolo 22: *** L'albero ***
Capitolo 23: *** Soltanto un morso ***
Capitolo 24: *** Un tuffo all'Inferno ***
Capitolo 25: *** Il figlio di Lucifero ***
Capitolo 26: *** Patto col Diavolo ***
Capitolo 27: *** Il Consiglio ***
Capitolo 28: *** Ho bisogno di te ***
Capitolo 29: *** Lo specchio di Lucifero ***
Capitolo 30: *** Il bacio del fuoco ***
Capitolo 31: *** Ardefiel ***
Capitolo 32: *** Giustizia mosse il mio alto fattore ***
Capitolo 33: *** Il Peccato Originale ***
Capitolo 34: *** La Cattedrale ***
Capitolo 35: *** Non so come fare ***
Capitolo 36: *** Traditore ***
Capitolo 37: *** Fuori dall'Inferno ***
Capitolo 38: *** Conduttore ***
Capitolo 39: *** Perché ***
Capitolo 40: *** Fuoco ***
Capitolo 41: *** L'unica possibilità ***
Capitolo 42: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ciao a tutti! :)
Questa storia è nata da un sogno... e anche da una pagina di diario ;) Spero che vi piaccia, e avverto che le recensioni non mi fanno schifo ;)
P.S. Il prologo è cortissimo, lo so, ma prometto che i prossimi capitoli saranno più lunghi.
P.P.S. Uso un numero incalcolabile di faccine negli "Angoli Autrice". RassegnateviXD

PROLOGO
Era una vecchia stanza. Dico vecchia perché le pareti erano grigiastre, come se la vernice bianca che le ricopriva, negli anni, si fosse sporcata di polvere.
C’erano tante cose, dentro. Penso che fosse una specie di camera da letto, visto che c’era, appunto, un letto. Niente di che, era sfatto, le lenzuola stinte per metà gettate sul pavimento, che quasi non si riusciva a vedere per via della quantità di oggetti, soprattutto vestiti, che c’era sparsa sopra. C’era anche una scrivania, appoggiata su una piattaforma rialzata alla quale si arrivava tramite una scaletta di legno. Anche il legno della piattaforma era vecchio, scolorito, qualcosa di scadente sin dall’inizio, probabilmente.
Ah, e poi c’era l’attaccapanni.
Era stranamente alto, e stracarico di roba. Cappotti, per lo più, ma strani, lunghi, soprattutto. Somigliavano vagamente a quello che ero abituata a vedere addosso a Sherlock Holmes nei film, soprattutto uno, che però era di un assurdo rosa shocking, troppo accesso per una stanza del genere, che in generale era piuttosto spenta. Un altro era un impermeabile beige, o qualcosa di simile. Tutti i cappotti erano abbandonati uno sopra l’altro, accatastati, come se fossero caduti e qualcuno li avesse rimessi tutti sopra l’attaccapanni in fretta e furia, a bracciate.
E dietro l’attaccapanni, quasi completamente nascosta dai cappotti, c’era la porta.
Era piccola, e lievemente sollevata da terra, dipinta di una vernice scrostata blu scuro. Ci si arrivava tramite una scaletta dai gradini così stretti che bisognava stare sulle punte dei piedi per riuscire ad appoggiarcisi senza cadere all’indietro. La porta era bassa, bisognava abbassarsi per passarci.
E, dentro...
Dentro mi svegliavo.

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Capitolo 2
*** L'Oro dell'Azzurro ***


Ed eccomi qui con il primo capitolo, come promesso molto più lungo del prologo :) Spero che vi piaccia.

L’ORO DELL’AZZURRO
Cominciò tutto con L’Oro dell’Azzurro. Joan Mirò, 1967. Ubicazione attuale: Barcellona. Tutto scritto ordinatamente sul retro del quadernetto che mi regalò mia zia per il mio compleanno, e che portava l’opera in copertina. Veniva dal Louvre, uno di quei souvenir che si possono comprare ovunque, a dire il vero. Era in un pacchetto insieme a un poster che non appesi mai e ad alcune cartoline che rappresentavano chissà quali altri quadri. L’unica cosa che ricordo è che in uno dei dipinti mi sembrava vagamente di riconoscere una scimmia, ma non era poi così sicura che fosse la verità, visto che anche L’Oro dell’Azzurro mi sembrava soltanto uno scarabocchio azzurro su uno sfondo giallo con qualche asterisco qua e là. In effetti, quando lo ricevetti io, dieci anni appena compiuti, lo relegai immediatamente nel cassetto degli oggetti che non usavo mai, e lì restò, almeno penso. Una volta o due provai a scriverci sopra usandolo come diario, ma non era così semplice, visto che non aveva le righe stampate, ma solo pagine bianche, e tutte le parole finivano per pendere penosamente verso destra. Alla fine, strappai quelle prime pagine e le buttai via, e il quaderno finì di nuovo nel cassetto, dal quale venne tirato fuori due o tre volte, massimo quattro, nel corso degli otto anni successivi, tanto per fare le pulizie. E sopra, nel tempo, gli si accumulavano altri vecchi diari usati o quaderni scartati per lo stesso motivo.
Intanto, la mia vita andava avanti senza chissà quali problemi, e senza curarsene molto dei quaderni accatastati nel terzo cassetto della scrivania. Avevo diciotto anni compiuti da poco, quinta liceo scientifico alla fine del primo triennio, carriera scolastica non male, compagni di classe simpatici eccetera eccetera. Il mio migliore amico si chiamava Jo, abbreviazione di Giovanni, nome con cui per altro non lo chiamava nessuno. Ci eravamo conosciuti al primo anno di liceo, e all’inizio l’avevo trovato un po’ inquietante. Aveva gli occhi verdi. Non quel castano strano che di solito viene chiamato “verde”, erano proprio color foglia appena nata. A guardarlo, a volte, sembrava di vedere un alieno, però era simpatico. Ci eravamo trovati bene da subito, e all’inizio mi era anche piaciuto proprio nel senso di piacere, ma ormai era acqua passata. Eravamo solo amici, troppo amici per mettersi insieme e rovinare tutto, anche perché effettivamente lui non era mai sembrato interessato a me in quel senso. Come a nessun’altra ragazza, del resto, almeno per quanto ne sapevo io. A dire il vero, stavo iniziando a pensare che fosse gay, anche se non gliel’avevo mai chiesto. In effetti, era il mio migliore amico e basta, quindi che importanza aveva?
La mia migliore amica invece era Marghe, Margherita. Era stata in classe con me fino alla quinta elementare, ma ci vedevamo comunque spesso, visto che l’avevo praticamente costretta a venire con me al corso di nuoto che frequentavo. Era quella a cui parlavo di più di me, essenzialmente. Le dicevo tutti i miei sogni da piccola e tutti i miei pensieri da grande. Ed era bello parlare con lei, visto che non mi chiamava mai “strana”, né dava l’impressione di credere che fossi pazza, neanche quando facevo i discorsi più assurdi. Era bello avere qualcuno a cui potevo dire le cose che mi vergognavo anche a scrivere in un diario. Marghe capiva più della carta, decisamente.
Era gennaio, tardo gennaio, il giorno in cui, alla disperata ricerca di un foglio bianco per stampare una relazione che avrei dovuto consegnare il giorno dopo alla professoressa di fisica, infilai una mano nel terzo cassetto della scrivania. Ne cavai fuori un bel po’ di roba, tra cui nessun foglio da stampante. Il quadernetto dell’Oro dell’Azzurro finì sulla moquette blu insieme a tutto il resto, spiaccicato sotto il vocabolario di latino. Quando mi decisi a tirarlo fuori da lì sotto, aveva la copertina irrimediabilmente piegata. Con un sospiro, cercai di raddrizzarla, e in quel momento mi cadde l’occhio sulla facciata bianca della prima pagina.
O meglio, sulla facciata che sarebbe dovuta essere bianca.
Un po’ stupita vidi che, dopo i segni di un paio di pagine strappate in precedenza, la prima pagina integra era per metà ricoperta di scritte, fatte con una grafia piuttosto frettolosa, ma che senza dubbio era la mia. Era anche piena di abbreviazioni che usavo spesso quando avevo più o meno dodici anni, cosa confermata dalla data in alto a destra, che segnava il ventitré di maggio di sei anni prima.
Ma lo stupore divenne qualcosa di più quando lessi cosa c’era scritto sopra.
 
Sto per morire.
Ok, lo so ke è strano iniziare un diario in punto di morte, ma voglio rendermi meglio conto dell’enorme cazzata ke ho fatto e ripetermi quanto sono scema e ke, se uscirò viva da questa storia (anke se nn credo) nn farò mai + una cosa del genere.
Allora, tutto è cominciato circa 20 minuti fa. E cioè quando Marghe mi ha chiesto… insomma, meglio
 
Stop. Tutto qui. Nient’altro. Per un po’ rimasi a fissare la pagina, quasi allibita. Ma quando cazzo l’avevo scritta, quella roba? E perché? Che mi era preso? L’ennesima delle fissazioni che avevo a quell’età? E perché avrei dovuto scriverla lì? Ma poi, cazzo, “sto per morire”? Seriamente? Sembrava il diario della vittima che viene trovato in un film horror, tanto meglio se con l’ultima frase neanche finita. Decisamente, era un po’ inquietante.
Magari era un racconto che avevo iniziato a scrivere, pensai. In quel periodo, avevo spesso fisse per quel genere di cose. In effetti, l’idea di una vita “strana” mi era sempre piaciuta. Ero la classica bambina fantasiosa che voleva a tutti i costi credere nella magia e roba del genere. Per un periodo mi ero anche fissata con la religione delle streghe e i poteri delle pietre. A dire il vero, adesso mi vergognavo abbastanza. Però quella pagina di diario era davvero piuttosto strana. La fissai per un po’, poi decisi di mandare un messaggio ironico a Marghe, tanto per scherzarci su. Tanto, lei l’aveva sempre saputo che non ero tanto normale. Dopo la mia crisi per non aver ricevuto la lettera da Hogwarts che c’era stata verso la prima media ormai non si stupiva più di nulla, perciò fotografai la pagina e le mandai l’immagine.
Ehi, guarda un po’ qua.
Lei, come al solito, rispose dopo più o meno un paio d’ore.
Cavolo, ma che roba è???
Boh, l’ho trovato in un quaderno del cavolo che non aprivo da secoli. Penso sia tipo una storia che mi stavo inventando o qualcosa del genere, ma a dire il vero quando l’ho vista mi è preso un colpoXD
In effetti è un po’ inquietante. Boh, io non mi ricordo di averti mai detto niente che c’entra con la tua morteXD
No, neanche io. Mi sa che in quel periodo ero proprio svampita del tutto -.-
Tu sei sempre svampita.
Ah. Ah. Ah.
Alzando gli occhi al cielo mollai il cellulare sulla scrivania insieme al quaderno, infilai la relazione nello zaino e mi misi a letto.
-
Erano dietro di me.
Non sapevo come facessi a saperlo, ma era la verità, lo sentivo nelle ossa, e nella paura che sputavo a ogni respiro mentre ansimavo.
Correvo, correvo e basta, il cuore in tumulto. Pensare era troppo difficile, troppo stancante, visto che ero già esausta, terribilmente esausta. Mi sembrava di correre da sempre, a dire il vero.

Ero in un bosco, o qualcosa di simile. Non riuscivo a concentrarmi su niente di quello che vedevo, ma c’era verde sotto e verde sopra, e marrone all’altezza dei miei occhi. E io continuavo a correre, a scappare. Non dovevano prendermi, non dovevano trovarmi, o sarebbe finita male.
La borsa mi sbatteva contro la coscia quasi con furia a ogni passo, mi stringeva il collo con la tracolla di cuoio troppo duro. All’improvviso, qualcosa in me scattò. Ero arrivata.
Mi fermai, e vidi la porta in mezzo agli alberi. Era assurdo che ci fosse una cosa del genere, lì, eppure c’era: una porta di vecchio legno dall’aria solida, sospesa a una trentina di centimetri da terra, che sembrava galleggiare nell’aria.
La aprii e corsi dentro. Non finii dall’altra parte, atterrando di nuovo sull’erba. Tutto il mondo si confuse nel buio.
E poi aprii gli occhi.
-
Mi svegliai di soprassalto. Mi succedeva spesso, dopo sogni particolarmente frenetici, che a dire il vero non facevo quasi mai. Non avevo mai avuto più di tanta memoria per i sogni, di solito me li dimenticavo quasi subito, eppure dubitavo che con quello sarebbe successo. Era così vivido, e avevo anche il fiatone, accidenti. Ma cavolo, proprio un incubo doveva capitarmi? Detestavo gli incubi.
Sbadigliando, mi misi seduta e lanciai un’occhiata alla sveglia. Erano le sei e mezza e dopo un quarto d’ora mi sarei dovuta alzare, perciò non avrebbe avuto molto senso rimettersi a dormire. Mi alzai in piedi e mi stiracchiai ruotando le spalle all’indietro, poi afferrai lo zaino e iniziai a ficcarci dentro le cose che mi sarebbero servite quel giorno a scuola, ovvero troppe. Da quando ero in quinta ed erano cominciate le giornate scolastiche di sei ore due volte a settimana per preparazione alla Maturità il mio zaino era diventato degno di un sollevatore di pesi professionista.
Che palle.
Afferrai il cellulare, che ovviamente era scarico. Con uno sbuffo, lo collegai al caricatore. Possibile che la batteria durasse sempre meno? L’avevo messo a caricare il pomeriggio precedente, accidenti!
Frugai nell’armadio alla ricerca di qualcosa di decente da mettermi, e alla fine optai per il classico abbinamento “felpa e jeans”. Faceva troppo freddo per qualsiasi altra cosa. Nella mia città, per qualche motivo a me ignoto, faceva relativamente caldo – addirittura sui quindici gradi – durante tutto dicembre e la prima metà di gennaio. Poi, non appena arrivava la seconda metà, temperature intorno allo zero. Il tutto cambiava da un giorno all’altro: tu uscivi tranquillamente di casa alla solita ora con la solita giacca e ti ritrovavi a congelare fissando la strada ricoperta di brina. Anche perché l’umidità, lì, non mancava mai.
Mi infilai in bagno e mi diedi una rapida lavata con l’acqua fredda. Non avevo mai voglia di aspettare che si scaldasse, anche se in inverno mi ritrovavo sempre a detestare la mia mancanza di pazienza.
Cercai in qualche modo di sistemare quella matassa intricata a ciocche castane e blu che erano i miei capelli, e alla fine fui costretta a usare della schiuma per renderli presentabili. Odiavo sentirmi appiccicosa di quella roba, ma almeno in quel modo non sembravo qualcuno che aveva appena messo un dito in una presa di corrente.
Entrai in cucina per fare colazione, nonostante lo odiassi. La mattina avevo sempre lo stomaco chiuso, ma sapevo benissimo che, se non avessi mangiato, entro le dieci mi sarei ritrovata a lamentarmi per la fame, e questa volta il mio compagno di banco mi avrebbe uccisa sul serio. Mi limitai a ingoiare una manciata di cereali, poi tornai in bagno per lavarmi i denti. Guardando l’orologio appeso al muro, mi resi conto che erano appena le sette. Non avevo nessuna voglia di restare lì ad aspettare gingillandomi, perciò pensai che magari sarei potuta uscire subito e magari fare un salto al bar accanto alla scuola dove facevano una cioccolata calda con panna che sinceramente valeva il prezzo astronomico a cui era venduta. Non stetti a pensarci troppo; mi infilai un paio di stivaletti e la giacca, afferrai lo zaino e uscii.
Fuori, come previsto, il freddo mi fece rabbrividire. Ficcai le mani in tasca e cercai di camminare il più in fretta possibile fino alla fermata dell’autobus, cosa assolutamente inutile visto che poi dovetti restare lì ad aspettarlo per altri cinque minuti. Quando finalmente riuscii a salire, mi resi conto che qualcosa di buono nel prendere il pullman a quell’ora c’era: il mezzo era praticamente deserto. Mi lasciai cadere su un sedile, cosa che non riuscivo quasi mai a fare in orari normali, e mi ficcai le cuffie nelle orecchie. Isolarmi dal mondo non sembrava una cattiva idea, almeno fino a quando, con la musica, non arrivarono anche le immagini del sogno, che erano decisamente inquietanti, quasi angosciose. Probabilmente mi ero solo fatta un po’ troppo coinvolgere da quella pagina di diario ma ehi, strano era strano, dovevo ammetterlo. Sbuffando, mi sfilai le cuffie e mi rassegnai a passare tutto il resto del viaggio in silenzio.
Quando finalmente fu l’ora di scendere, mi ero praticamente addormentata con la faccia spiaccicata contro il finestrino. Grugnendo mi tirai su e corsi fuori. In effetti, forse sarebbe stata una buona idea restare a dormire un altro po’.
Non appena misi piede nel bar, però, dovetti ricredermi. Valeva sicuramente la pena di passare una mezzoretta lì prima di entrare in quella specie di ospedale dai muri scrostati che era la mia scuola. Da Nadia era un locale su due piani che si affacciava su una delle piazze più frequentate della città, all’angolo della strada che portava alla stazione. Era arredato in modo moderno, ma l’atmosfera era quella di una serata in famiglia davanti al caminetto. Non so perché mi facesse quell’impressione, ma non ero l’unica ad adorare quel posto. In effetti, c’era già un bel po’ di gente, perciò fui costretta a evitare di salire al piano di sopra, dal quale si poteva osservare tutta la piazza, vista l’enorme finestra che correva lungo tutta la parete.
Mi rassegnai a infilarmi in uno dei tavolini della saletta meno frequentata, quella più vicina all’uscita. Era dotata di porte a vetri ma, come in qualsiasi altro posto lì in città, era impossibile evitare gli spifferi. Beh, comunque, la cioccolata era davvero calda, e buona, anche. Pure se costava quattro euro e cinquanta.
All’improvviso qualcosa, anzi, qualcuno – anzi, qualcosa e qualcuno – mi finirono addosso. Io riuscii miracolosamente a evitare che la cioccolata sporcasse la mia giacca preferita, ma in qualche modo quella fece una piroetta e finì direttamente in testa al qualcuno di cui sopra. Seguì un’imprecazione.
In qualche modo riuscii a togliermi di dosso una… valigia, poi mi guardai intorno per valutare i danni.
Ero finita per terra, ma almeno non mi ero fatta male, visto che sotto di me c’era una borsa piuttosto grande ma morbida.
E, accanto a me, c’era Dio.
No, non avevo appena preso una botta in testa. Ero appena caduta praticamente addosso al ragazzo più assolutamente fantastico che avessi mai visto. Era alto, più di me sicuramente, spalle larghe ma non un armadio, capelli nero pece completamente ricoperti di cioccolata, che gli era colata anche sul viso dalla mascella squadrata e gli occhi di un castano scuro anche quello quasi nero. Socchiusi la bocca, poi ingoiai aria. – Ehm. – balbettai.
Lui, a sorpresa, mi fissò quasi preoccupato. – Ti sei fatta male? –
Eh? – No. Scusa per… – aggiunsi, viola dalla testa ai piedi, indicando i suoi capelli.
Dio ridacchiò, e io per poco non rimasi imbambolata a fissare il suo viso perfetto. Cazzo. Non mi ero neanche truccata, quel giorno, e…
Il ragazzo interruppe i miei pensieri pulendosi una macchia di cioccolato dal viso e leccandosi il dito. – Buona. – commentò, ironico, poi tornò serio. – Davvero, mi dispiace. Lo sapevo che non sarebbe stata una buona idea entrare qui dentro con tutta questa roba. – Si tirò su, poi mi spostò la valigia di dosso e mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi. Io per un secondo continuai a fissarlo imbambolata.
- Stai bene? – scherzò lui. – Vabbé che sono figo, ma non c’è bisogno che sbavi. –
Mi riscossi di colpo a quella battuta. – Sì, e sei pure un bello stronzo. – mi uscì, prima che riuscissi a fermarmi. Ma cazzo! Possibile che non riuscissi mai a essere carina con i ragazzi?
- Stronzissimo. – concordò però Dio, senza offendersi. Poi mi tirò su e basta. – Scusa. Odio quando le ragazzine fanno quelle facce. – aggiunse. – Di solito dovrebbero prendermi a schiaffi, quando finisco addosso alla gente in questa maniera. –
- Se vuoi posso prenderti a schiaffi. – ribattei, incrociando il suo sguardo. Era strano, ovviamente bellissimo, nonostante avesse il viso per metà ricoperto di cioccolata.
Ridacchiò. – Sarebbe divertente. – rispose. – Almeno saprei che effetto fa. –
Alzai gli occhi al cielo, ma non ero arrabbiata con lui. In effetti, sembrava parecchio un tipo da botta e risposta. – Magari potresti levarti quella roba di dosso. – osservai.
- Mh. – concordò. – Scusa di nuovo. – Cavolo, ora aveva perso del tutto l’aria da stronzo.
Scrollai le spalle. – Diciamo che non sono io quella ricoperta di cioccolata calda. –
Fece un mezzo sorriso. – Già. Vado a darmi una lavata. – Si guardò intorno.
- Il bagno è lì. –
- Ah, ok, grazie. –
- Vuoi una mano? – chiesi, senza pensarci. Un attimo dopo, avrei voluto prendermi a pugni. Cavolo, non ero io quella che gli aveva appena dato dello stronzo? Però accidenti, era davvero bello, troppo bello.
- Non eri superiori ai fighetti stronzi? – domandò, quasi con sfida.
Alzai gli occhi al cielo e lo spinsi nel bagno.
In effetti, non servii a molto, visto che più che altro quello che fece fu ficcare la testa sotto il rubinetto del lavandino. Dai capelli gli venne via un bel po’ di cioccolata.
- Direi che ho fatto. – commentò, dopo un po’.
- Sì, ma farai meglio a farli asciugare, prima di uscire. – osservai.
- Mh, già. – rispose, uscendo dal bagno con me al seguito. Raccolse sacca e valigia e le appoggiò contro il muro, poi si sedette al tavolo che, durante la nostra assenza, era stato perfettamente ripulito. – Ti va di aspettare un po’ qui con me? –
Io rimasi a fissarlo. Ma che era, adesso si metteva a provarci?
Alzò gli occhi al cielo. – E dai, che palle, non fare la permalosa. Prometto che non farò più il montato idiota, d’accordo? –
Mi sedetti con una scrollata di spalle, guardando l’orologio. Mancava ancora un quarto d’ora all’inizio delle lezioni, e restare lì con quella specie di fotomodello non sembrava una cattiva idea. – Magari già che ci sei puoi dirmi come ti chiami. Così almeno la smetto di chiamarti Dio. –
Lui scoppiò a ridere. – Mike. – rispose. – Micheal, in realtà, ma sono stato chiamato talmente volte “Michelle” per sbaglio che adesso dico a tutti che mi chiamo Mike. –
In effetti, era capitato anche a un mio ex compagno di classe che si chiamava così di essere chiamato “Michelle” per sbaglio. – E sei… in viaggio? – chiesi, guardando la valigia e la borsa.
- Sì, mi sono trasferito da esattamente due ore e sedici minuti. – spiegò, ironico. – Sono venuto qui per l’università. –
- Quale? – In realtà, non lo vedevo in nessuna università. Per qualche motivo, osservando sia lui che il giubbotto di pelle non proprio nuovissimo che indossava – che addosso a chiunque altro sarebbe sembrato perfettamente anonimo, ma che ovviamente addosso a lui era perfetto – me lo immaginavo come una specie di rockstar o roba del genere. In effetti, con quei capelli un po’ lunghi alla Billie Joe Armstrong, ci sarebbe stato bene.
- Ingegneria. Tu, invece? –
- Liceo. Ultimo anno. – risposi, ma sinceramente non avevo chissà quale voglia di parlare di me. – Da dov’è che ti sei trasferito? –
- Milano. Ah, non me l’hai detto come ti chiami, vero? –
Il trucchetto più vecchio del mondo. Che, effettivamente, però, funzionava sempre benissimo. – Eva. – risposi. – Mi dispiace, non ho un nome figo come il tuo. – aggiunsi, scherzando, ma non più di tanto. Lui era un ragazzo fantastico che arrivava da Milano, andava all’università eccetera, io una liceale anonima con i capelli mezzi tinti di blu, un nome stupido e una vita passata sempre nella stessa città alle spalle.
- A me piace, invece. – rispose. – Sa tanto di cattiva ragazza. –
- E a te piacciono le cattive ragazze? –
Ridacchiò. – Sì, direi di sì. – Si passò una mano tra i capelli, scuotendo un po’ la testa per farli asciugare meglio. – Dai, raccontami qualcosa di te. A meno che tu non pensi che io sia un maniaco. –
- In effetti, hai un po’ l’aria da maniaco. – scherzai, ma neanche così tanto. In effetti, il soprannome “Dio” non gli si addiceva per niente. Era bellissimo, certo, ma una di quelle bellezze meravigliosamente pericolose. Sì, c’era qualcosa, nei suoi occhi, un briciolo di sfida e anche di qualcos’altro, che mi piaceva quasi più del suo aspetto. – Diciamo che in questo posto non ci sono solo cattive ragazze. –
Si lasciò scappare un sorriso. – Cosa intendi tu esattamente per “cattivo”? –
- Non lo so neanche io. – ammisi. – Ma direi… sottilmente crudele. Un po’ come me. – In effetti, era abbastanza vero: ero tremendamente sarcastica, e a volte me ne uscivo con cose un bel po’ taglienti. Non avevo un ottimo carattere, insomma.
- Mh… allora dovrei iniziare a preoccuparmi. – rispose, con aria cospiratoria.
- Forse. –
Cavolo, era divertente parlare con lui. Così tanto divertente che non mi accorsi di che ore fossero fino a quando non guardai l’orologio e capii di essere già in ritardo di dieci minuti.
- Cazzo. – sibilai, schizzando in piedi e afferrando lo zaino.
- Ritardo? – chiese lui.
Non risposi nemmeno. – Beh, ciao. – dissi. Era un saluto stupido, ma avevo un compito in classe alla prima ora.
- E dai, te ne vai così? Hai davvero così tanta voglia di andare a scuola? –
Mi bloccai. In effetti, no. Però…
- Magari potresti darmi una mano a trovare casa mia. Sai, non è che io sia molto pratico di questo posto. –
- Che c’è, stai cercando di rimorchiare? – chiesi.
Alzò le spalle, con un mezzo sorriso. Un fantastico e sottilmente crudele mezzo sorriso.
Ci misi circa due secondi a decidere che il compito poteva anche essere tranquillamente saltato. – D’accordo. – 

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Capitolo 3
*** Mike ***


MIKE
- Allora, alla fine non abbiamo mai parlato di te. –
Ed ecco che ci riprovava. Alzai gli occhi al cielo. – Odio parlare di me. –
- E perché? – domandò, fissandomi.
- Beh, non penso di avere niente da dire, ad essere sincera. Cioè, non c’è niente di particolare, nella mia vita. Non vedo cosa potrei raccontare. –
Mike ridacchiò.
Lo guardai. – Che c’è di così divertente? –
Scrollò le spalle. – Comunque, davvero, non sembri la classica ragazzina rose e fiori. –
- Non ho mai detto di esserlo. Sono una punk malata di quasi qualsiasi gruppo rock esistente e non. –
- E ti sembra normale? Cioè, di solito quelle come te non vanno pazze per roba tipo Gagnam Style? – scherzò.
- Non è proprio così. – risposi. In effetti, nella mia classe c’erano un mucchio di ragazze a cui piacevano gli AC/DC o i Guns o gli Stones. Però non credo che fossero fissate come lo ero io. Praticamente vivevo con le cuffie nelle orecchie.
- Qual è la tua canzone preferita? – chiese.
- Sai, è un po’ come chiedere a un bambino di tre anni se vuole più bene alla mamma o al papà. –
Rise. – Questa non l’avevo mai sentita. Comunque… ok, una che ti piace? –
- Non lo so, ce ne sono tante. Più che altro vado su… roba spudorata. Cioè, quelle canzoni che urlano che il mondo fa schifo. Tipo Holiday, o Know your enemy. –
- Anche a me piacciono. E direi che sei fan dei Green Day, eh? – chiese.
- Già. La loro canzone che mi piace di più è… beh, non so se St. Jimmy o Murder City. Mi piace un sacco quando dice… “The clock strikes midnight in the Murder City”. Non lo so, mi sa tanto di… boh, qualcosa che sta per succedere. – Arrossii un po’, rendendomi conto che era una spiegazione stupida. Però era la verità. E ultimamente non riuscivo a smettere di ascoltarla. Tutte le volte che la sentivo, mi sentivo uno strano groviglio di emozione e aspettativa addosso, anche se ovviamente non succedeva mai niente. E poi, quando diceva “Christian sta piangendo nel bagno”, frase che una volta avevo letto tradotta come “Cristo sta piangendo nel bagno”, mi sembrava così… vero. Un Cristo che piange nello schifoso bagno pubblico di una città morta, perché quello che ha cercato di fare, provando a riappacificare il mondo, non è servito a niente.
- Mh. In effetti, forse lo sembra. E secondo te cosa succederà quando gli orologi segneranno la mezzanotte? – scherzò Mike.
- Boh, non lo so. Magari però cambierà davvero qualcosa. – Scrollai le spalle. Tanto non sarebbe successo mai.
- Cambia sempre qualcosa. – osservò lui. – Basta saper aspettare. Pensi che te ne accorgerai quando succederà? –
- Perché non dovrei? –
- Beh, a volte i cambiamenti sono… strani. Arrivano in modo strano. – rispose. – Sì, però questi sembrano discorsi da filosofi. – aggiunse, ridacchiando.
- Sei tu che hai cercato di rimorchiare una filosofa. – scherzai, mentre dal corso svoltavamo in una stradina secondaria.
- Mh. Sempre a dare la colpa a me, tu, eh? –
- E pensa che mi conosci da neanche un’ora. –
- Ok, mi sto preoccupando. – borbottò, ma si vedeva che era ironico. Cavolo, iniziava a piacermi davvero. Non sembrava che gli stessi rompendo le scatole, ed era anche divertente.
- Fai bene. – dissi, in tono lugubre.
Alzò gli occhi al cielo e continuò a camminare in silenzio. – Quanto manca? –
- In realtà non lo so bene. So più o meno la zona, ma il centro in questo posto è una specie di labirinto. – In effetti, non sarebbe stata la prima volta che mi perdevo, nonostante vivessi lì da secoli e secoli amen.
- Ok, diciamo che avrò bisogno di qualcuno che mi faccia strada almeno per il primo mese. –
- Non ci posso credere che tu ci stia provando un’altra volta. Cioè, ma mi hai vista? E ti sei visto? Perché non vai a rimorchiare… che ne so, Emma Watson, invece di me? –
- Beh, Emma Watson sarebbe troppo facile. Lei non mi chiama “stronzo”. – borbottò, con una falsa arroganza che mi fece sorridere. Probabilmente non ci stava provando con me sul serio, era tutto una specie di scherzo. A nessun ragazzo come lui sarebbe mai potuta interessare una come me. Però magari saremmo potuti essere amici. Non sembrava male, affatto. Anzi. Cioè, anzi anzi. Anzi anzi anzi.
“Ma smettila.” borbottò una voce nella mia testa, probabilmente la mia parte razionale che fino a quel momento era finita chissà dove. Sollevai lo sguardo, e improvvisamente lessi il nome di una via sulla targhetta appesa al muro di una casa.
- Ah, ecco, è di là. – dissi, indicando in quella direzione. Mike annuì e accelerò un po’ il passo. Aveva tenuto in mano borsa e valigia per tutto il tempo, ma non sembrava che per lui fosse un problema. Si avvicinò alla palazzina dove avrebbe abitato. Aveva solo due piani e quindi due appartamenti; la maggior parte delle case in centro erano fatte così, con la porta di ingresso che dava direttamente sulla strada.
– Pronta alla grande inaugurazione? – chiese, tirando fuori la chiave.
- Mi sa che non ho portato lo spumante. –
- Cazzo, allora dobbiamo andare a comprarlo. – rispose, a tono, e infilò la chiave nella serratura. Quella girò, e rivelò un interno piuttosto spoglio, come tutti gli ingressi dei palazzi, del resto. Una scala con il corrimano verniciato di fresco – miracolo! – conduceva al piano di sopra, e Mike la imboccò per primo tirandosi dietro borsa e valigia. Lo seguii fino a un’altra porta, dalla vernice un po’ scrostata, e quando aprì anche quella apparve un bilocale abbastanza spazioso, impressione probabilmente accentuata dal fatto che non c’era un mobile neanche a pagarlo.
- I mobili arrivano poi con il camion. – disse, come per prevenire un mio commento. – Però come posto non mi sembra male. Non ci sarà bisogno di imbiancare. – aggiunse. In effetti, la vernice sulle pareti sembrava non avere più di un anno o due.
- Allora, che dici, è la tua casa perfetta? – chiesi.
Lui ridacchiò. – Ovvio che è perfetta, ci abito io! –
- Ma vai un po’ in culo, va’. –
-
Quel pomeriggio, casa mia era stranamente silenziosa. I miei erano entrambi a lavoro, e non avevo la musica sparata a tutto volume nelle orecchie. Il perché? La prof avrebbe sicuramente pensato che avessi saltato il compito di proposito – cosa che effettivamente avevo fatto – e si sarebbe vendicata. Oh, se l’avrebbe fatto. Quelle come lei non te la facevano passare liscia mai.
All’improvviso, il mio cellulare squillò, facendomi sobbalzare. Sullo schermo lampeggiava il nome di Jo. – Ehi. – dissi.
- Ciao. Tutto ok? –
- Sì, perché? – chiesi, giocherellando con una penna.
- Beh, ti ricordo che oggi a scuola non c’eri. A meno che tu non abbia sbagliato classe, direi che o sei malata o sei scappata con il principe azzurro per evitare il compito. – scherzò.
- In effetti, sono scappata. Però non con il principe azzurro. Diciamo con il principe dark e superfigo. –
- Ma che cavolo dici? –
- è la verità! Ho incontrato uno stamattina da Nadia. Beh, diciamo che mi è caduto addosso e io gli ho tirato un bicchiere di cioccolata calda in testa. Comunque è simpatico. –
- E ci sei uscita? –
Alzai gli occhi al cielo. A volte sembrava mio padre. – Diciamo che sono uscita dal bar. E l’ho aiutato a trovare casa sua, visto che si è trasferito ora. Perché? –
- Non hai pensato che sarebbe potuto essere… che ne so, un… –
- Ma devi sempre rompere? – sbuffai. – Ho capito che lo vuoi tutto per te, ma insomma… – aggiunsi, ironica.
Dal modo in cui rispose, sembrava imbarazzato. – Non sono gay. –
- Sì, e io sono l’aiutante segreta di Babbo Natale. Potresti renderti utile e spiegarmi cosa avete fatto oggi? –
Lui sbadigliò. – Beh, niente di che. Dante, sempre Dante. Cosa vuoi fare, con quella rompipalle? Ah, e la Rossi è incazzata nera. –
- Sai che novità. –
- Sì, ma stavolta di più. Ti conviene metterti sotto a studiare. – Sbadigliò di nuovo.
- Scommetto che tu ci hai passato la notte, a ripassare. Stai dormendo in piedi. – notai.
- Veramente sono seduto. E comunque… boh, nottataccia. – Lo disse con un tono strano. – Quando non dormo otto ore di fila poi sono una specie di zombie. – aggiunse.
- Beh, allora fatti un riposino. Ci vediamo domani. – Sorrisi, e riagganciai. Poi il sorriso sparì quando guardai di nuovo il quintale di versioni che avevo da fare per latino. Per perdere tempo, ripresi il cellulare e controllai se c’erano messaggi. Ce n’era uno di Marghe, mandato alle otto e mezza di quella mattina.
Ehi, ma non vieni?
Decisi che rispondere sarebbe stato inutile, perciò stavo per spegnere il telefono quando lo notai. L’ultima nostra conversazione risaliva al pomeriggio del giorno prima.
Al pomeriggio, non alla sera.
Guardai i messaggi, scorrendo un po’ su e giù per esserne sicura, ma quello che avevo notato alla prima occhiata a quanto pareva era vero. Non c’era più la foto della pagina di diario che le avevo mandato, e non c’erano neanche più i miei e i suoi messaggi in proposito.
Ma che cavolo…
Mi guardai intorno, alla ricerca del quadernetto con in copertina L’Oro dell’Azzurro che mi ricordavo di aver lasciato sulla scrivania, ma non lo trovai. Alla fine, pensai di averlo rimesso nel cassetto e provai a cercare lì. Lo ritrovai sul fondo, con la copertina intatta, che sembrava non essere mai stata piegata. Con il cuore in gola, lo aprii, e mi ritrovai di fronte solo una pagina bianca.
-
Per un po’ rimasi imbambolata a fissare il quadernetto. Non c’era scritto niente, assolutamente niente. Sembrava che non fosse neanche mai stato tirato fuori dal cassetto. E non ce n’era segno neanche nei messaggi tra me e Marghe. Ma come era possibile? Mi ero sognata pure quello, oltre al bosco?
Per un secondo pensai di chiederlo alla mia amica, ma quella era una domanda troppo stupida anche per lei. Cioè, era abbastanza ovvio che non ne avessi parlato, la sera prima. Ed era abbastanza ovvio che non ci fosse nulla di cui avrei potuto parlare, accidenti.
“Mi sa che sto iniziando a soffrire di allucinazioni.” pensai. Poi lanciai un’occhiata al libro di latino.
“Sì, e mi sa proprio che è il troppo latino.” aggiunsi tra me.
Perciò chiusi il libro e mi diressi verso la cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare.
-
Sbuffai, rigirandomi nel letto. Per tutto il pomeriggio ero riuscita a non pensare al diario, ma adesso, nel silenzio della notte, non riuscivo a togliermelo dalla testa. Cazzo, mi sembrava di stare andando seriamente fuori di testa.
“Non è che mi sono immaginata pure Mike, eh?” mi chiesi, quasi ironica. No, di quello ero abbastanza sicura. Ma, a dire il vero, ero anche abbastanza sicura di aver visto quella pagina scritta.
Anche se, a senso, era abbastanza strano che ci fosse una cosa del genere scritta da me sei anni prima su un quadernetto che non aprivo mai. No?
Con un sospiro, chiusi gli occhi. Il buio aveva lo stesso colore dei capelli di Mike, pensai, un attimo prima di scivolare nel sonno. Sì, proprio lo stesso colore…
-
- Ehi, Eva! –
Mi girai. Conoscevo quella voce. Incrociai un bellissimo sguardo verde smeraldo, incorniciato in un viso da bambino. Assomigliava a qualcuno, ma non riuscii a capire a chi. Un attimo dopo, stavo precipitando.
-
Mi svegliai, battendo le palpebre. Guardai l’orologio. Era solo mezzanotte, non avevo dormito neanche un’ora. Accidenti. Se avessi continuato così, la mattina dopo non mi sarei retta in piedi.
Afferrai l’MP3 e mi infilai le cuffie nelle orecchie, cercando una canzone, quella canzone, senza sapere neanche perché.
E, fissando la parete, mi sembrò quasi di veder comparire quelle parole scritte nel buio mentre mi risuonavano nelle orecchie.
 
The clock strikes midnight in the Murder City.

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Capitolo 4
*** Moto ***


MOTO
- Ehilà! Terra chiama Evvy. –
Battei le palpebre, sollevando lo guardo dal banco. Ero rimasta per tutta la mattina con la guancia appoggiata sul palmo, assonnata. Avrei voluto dormire, ma decisamente si sarebbe notato troppo, e non mi sembrava una grande idea far arrabbiare un altro professore, oltre alla Rossi. Vabbé che ero brava a non farmi notare, ma ancora non ero riuscita ad addormentarmi senza farmi vedere.
- E dai, usciamo! Dormi quando arrivi a casa! – sbuffò Jo.
Mi tirai su, incrociando il suo sguardo, e… feci un salto.
- Tutto bene? – domandò lui, guardandomi con un’espressione strana. In effetti, non dovevo sembrare tanto normale, in quel momento.
Annuii, iniziando a raccogliere la mia roba puramente per non guardarlo. Cazzo, quegli occhi. Assomigliavano un sacco a quelli del bambino nel sogno, troppo. Cavolo, proprio adesso che stavo cercando a non pensare a sogni strani e roba del genere.
Ficcai tutto nello zaino a casaccio e seguii Jo fuori dalla classe ormai vuota. – Allora, come va? –
- Bene, ma ti ho chiesto circa mezzo miliardo di volte di non chiamarmi “Evvy”. – sbuffai. Già il mio nome era abbastanza ridicolo di suo, e Jo per qualche stupido motivo aveva cominciato a chiamarmi con quell’orrendo soprannome da quando ci eravamo conosciuti. E non aveva mai smesso. Ormai, era quasi un suo segno distintivo, visto che neanche mia madre mi chiamava così, accidenti. Invece Marghe, che a quanto pareva adorava le abbreviazioni e che considerava anche un nome di tre lettere troppo lungo, mi chiamava “Ev”. Si insomma, diciamo che non mi era andata bene con nessuno dei miei due migliori amici.
- Ma perché non dovrei? è carino. –
- No, è obbrobrioso peggio del mio nome. – ribattei, mentre iniziavamo a scendere le scale. La nostra aula era al secondo piano, e ogni giorno arrivarci a piedi con un quintale di roba in spalla era una tortura.
Jo alzò le spalle, ignorandomi come al solito quando parlavo di quello. – Allora, che mi dici di Superman? Alla fine ti ha dato il suo numero o no? –
- No. – risposi, un po’ amareggiata. In effetti, mi ero completamente dimenticata di chiedergli il numero, e lui non si era offerto di darmelo. Evidentemente non gli interessavo così tanto come aveva dato a vedere. – Ma non chiamarlo Superman. – aggiunsi, un po’ infastidita. – Si chiama Mike. –
Di nuovo quel fastidioso alzare le spalle. Lo faceva sempre, quando parlavo di nomi. Mi chiedevo se da piccolo avesse ricevuto qualche trauma infantile che c’entrasse con l’anagrafe.
Finalmente riuscimmo a uscire dal portone d’ingresso, e per la seconda volta nel giro di dieci minuti feci un salto. Fuori dal cancello c’era la moto più fantastica che avessi mai visto in tutta la mia vita. Era una Ducati nera con gli scarichi cromati, un modello su cui sbavavo più o meno da quando era uscito.
E, appoggiato con nonchalance al sedile, con un mucchio di ragazzine intorno che lo fissavano, c’era Mike.
Sorrise, continuando bellamente a ignorare il gregge che gli si era formato attorno, e mi fece un cenno di saluto con la mano. Vidi che indossava dei guanti da motociclista. Io rimasi immobile a fissare prima la moto, poi lui. – Cazzo. – dissi.
- Carina, eh? – chiese, con un mezzo sorriso.
Io ero troppo paralizzata per rispondere. Quella moto era semplicemente un sogno. E anche lui era un sogno. Era tutto un sogno, insomma.
Improvvisamente, mi sentii prendere per un braccio. Mi girai e mi ritrovai a guardare Jo, che con lo sguardo sembrava chiedere “è lui?”. Sembrava quasi preoccupato. Annuii impercettibilmente e tornai a guardare Mike, sperando che non si fosse accorto del nostro silenzioso scambio di battute. – Sai, avresti potuto dirlo che avevi quella. Avrei cominciato subito a sbavarti addosso. – scherzai.
Lui alzò gli occhi al cielo in quel modo sbarazzino e fantastico. – Battuto da una moto. Sai, stai distruggendo la mia autostima. –
- Beh, è sempre stato il mio obbiettivo. – ghignai. – Ma che ci fai qui? –
- Ti aspettavo. – rispose, come se fosse la cosa più normale del mondo. – Te l’avevo detto, no? Ho bisogno di qualcuno che mi accompagni a casa. Allora, ti rompe troppo o ti andrebbe? –
- La moto è una specie di esca? – chiesi, ironica.
- Mh. Può darsi. – scherzò, strizzandomi l’occhio.
Sinceramente, non avevo bisogno di farmelo ripetere due volte.
-
- Beh, a me sembra che tu la sappia, la strada. – scherzai, togliendomi il casco e scendendo da quella specie di meraviglia.
Mike sbuffò. – Sai, pensavo che sapessi l’esistenza di alcune cose dette “scuse”. –
- E perché avresti dovuto avere una scusa per farmi venire qui? –
- Beh, sei praticamente l’unica persona socievole che conosco in questa città, non so se l’hai notato. –
- E io non so se hai notato che potresti rimorchiare qualsiasi ragazza semplicemente passandole davanti! Ma le hai viste, a scuola? – Sinceramente, continuavo a non capire perché gli sarei dovuta interessare proprio io.
- Sai, o pensi che io sia davvero antipatico, o sinceramente non capisco perché sei così. –
- Sono così perché è assurdo! Non mi guardano i ragazzi normali e mi guardi tu? –
- Ma hai davvero un’autostima così inesistente? – chiese, quasi divertito.
- Non ho mai avuto una ragione per cui sarebbe dovuta crescere, direi. –
- E comunque, diciamo che non mi sembri una che si fa guardare. – aggiunse.
In effetti no, non lo ero mai stata. – Beh, lasciamo perdere. Che si fa? –
- Se hai voglia di fare un giro, ti devo una cioccolata calda. – sorrise. – Anzi, a dire il vero magari potremmo pranzare e basta, visto che ormai sono quasi le due. –
Diciamo che uscire a pranzo con uno sconosciuto non era la cosa che avrei fatto tutti i giorni, ma neanche Mike era il ragazzo che si incontrava tutti i giorni. – D’accordo. Però la cioccolata la paghi tu sul serio. –
- Ma come, non basta la mia bellezza a ripagarti? –
- Quando inizierai a sputare soldi andrà benissimo. –
Ci guardammo, poi Mike scoppiò a ridere. – Sai, secondo me non ti interesso davvero così tanto. – disse.
- In che senso? –
- Beh, direi che hai smesso di sbavarmi addosso. –
- Sono troppo permalosa. – ribattei, a tono. – E poi non ti conosco, giusto? –
- No, direi di no. – ammise.
Lo guardai. Mi sembrava quasi di stare giocando, ma a dire il vero volevo conoscere un po’ meglio Mike sul serio, non solo scherzarci. – Comunque, sul serio, non ti conosco. –
- Sì, l’ho capito. E sul serio, se pensi che io ti stia addosso, basta che… –
- Non lo penso! – mi affrettai a mettere in chiaro. – Mi stai simpatico. Però… beh, insomma, mi piacerebbe se… ti potessi conoscere meglio. –
Mike alzò le spalle. – D’accordo. Vai con le domande. –
- Non intendevo questo. – mormorai, arrossendo. – Cioè, dimmi quello che vuoi. Non è che voglio fare tipo inquisizione. –
- Ah, allora… d’accordo. Solo che… non mi viene in mente niente di interessante da dire. – ammise lui, ficcandosi le mani in tasca.
- Neanche a me. –
- Fantastico. – scherzò. – Allora… vediamo. Adesso facciamo che ognuno deve dire una cosa su se stesso, a turno. Una frase sola, niente domande. D’accordo? Ah, ed è meglio se sono cose imbarazzanti. –
- Ehm… ok. – risposi. Non avevo capito bene cosa intendesse dire, in realtà.
- Il mio secondo nome è Cesare. Micheal Cesare Argentario. –
Lo disse con una serietà che mi fece scappare una risata decisamente poco signorile. – Ah… ehm… – Ci pensai per un secondo. – Dormo ancora con il mio pupazzo preferito di quando avevo due anni accanto al letto. – dissi. Era vero, e anche imbarazzante, ma parlarne con uno sconosciuto non era così terribile. Tanto, a chi avrebbe potuto dirlo?
- Quando avevo otto anni ho spennato quasi completamente il canarino della mia maestra. –
- Poverino! – esclamai.
- Niente commenti. – ribatté. – Tocca a te. –
- Ho… ho paura dei tagliaerba. –
Mi fissò con una risatina. – Io dei topi. Mi fanno orrore. –
- Mi sono follemente innamorata di un mio maestro di quarant’anni alle elementari. –
Come da copione, mi guardò in modo strano. – Io… da piccolo di solito davo fuoco alle barbie di mia sorella. –
Stavo per rispondere di nuovo “Poverina!” ma sapevo già cosa avrebbe detto, perciò evitai. – Io penso di stare iniziando a soffrire di allucinazioni. – dissi, senza sapere che altro dire.
Mike si bloccò. – In che senso? – chiese, quasi serio. Cazzo, adesso l’avevo spaventato. Magari pensava che fossi pazza.
- Ehm… nulla. – balbettai. – Scherzavo. è solo che l’altro giorno mi è successa una cosa assurda. –
- Cosa? –
- Non era “niente domande”? – chiesi, ironica, ma poi decisi di spiegarmi. Alla fine lui ridacchiò.
- Cazzo, sembra un film horror. – commentò. – Forse dovrei scappare. Chissà perché, lui è sempre quello che muore. –
- Ah, davvero? A me sembrava morisse sempre la gnocca di turno. – borbottai, sollevata che non fosse corso via urlando.
- Sì, ma qui non c’è nessuna gnocca di turno, e sinceramente mi dai l’idea di una che lo zombie con la motosega lo farebbe a pezzettini. –
Lo guardai. – Ma per favore. –
- Dico sul serio. Comunque… beh, magari ci conviene entrarci, in un posto dove si può mangiare. – aggiunse.
Io mi bloccai. In effetti, mi ero completamente dimenticata del pranzo. Ci infilammo nel primo locale che riuscimmo a trovare, che faceva dei panini che avrebbero fatto vomitare un affamato, ma almeno c’era Mike. Sembrava aver preso la via, e adesso chiacchierava quasi senza pensarci. Per un bel po’ restammo a parlare dei nostri gusti in fatto di musica e libri, e poi anche di religione, e la cameriera si prese un colpo quando arrivò e ci sentì me che dicevo: “Secondo me Dio è un tiranno del cazzo, io stimo Satana!”. In realtà non era che fossi satanista, anzi, ero atea convinta, ma a livello teorico… Sì, insomma, lasciamo perdere.
A Mike la mia idea sembrò quasi piacere, il che decisamente mi stupì parecchio. Quando gli chiesi se credeva, scrollò le spalle. – Che esista o non esista un dio, non vedo come la cosa potrebbe cambiarmi la vita. –
Mi piacque come risposta. E avrei continuato a chiacchierare per ore con lui, se non fossero comparse le esigenze “compiti” e “madre che rompe le scatole chiedendo che fine hai fatto e a cui non puoi rispondere che sei uscita con uno sconosciuto perché ti ucciderebbe”. Perciò mi scusai e mi fiondai alla fermata dell’autobus, stavolta però con il suo numero di telefono.
E con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
-
Because the night,
because the night,
because the night...
 
Aprii gli occhi di scatto, un po’ confusa. Ma che cavolo... poi, subito dopo, capii: il telefono. Sbuffando lo afferrai mentre lanciavo un’occhiata all’orologio alla parete. Le sette di sera. E io mi ero penosamente addormentata con la faccia sul libro di latino.
Ma bene.
- Pronto? – chiesi.
- Evvy! – La voce di Jo era talmente venata di sollievo che sembrava che io fino a quel momento fossi stata in pericolo di morte. – Tutto ok? –
- Eh? – domandai. – Certo che va tutto bene! Cioè... perché? –
- Beh... io... – si bloccò. Sembrava imbarazzato. – Sì, insomma, te n’eri andata con quel tizio. –
- Quel tizio ha un nome, anche se a me sembra che tu abbia qualche problema a chiamare le persone con il loro. – sbuffai. – E poi, che problema c’è? –
- Sì, insomma, non lo conosci granché, no? Non ti è sembrato un po’ stupido fare una cosa del genere? –
Io mi bloccai. In effetti, non era l’idea più brillante del mondo salire sulla moto di uno sconosciuto, ma ehi, insomma, che sconosciuto. E poi, quel qualche motivo, mi fidavo di Mike. E visto che per ora non aveva mai dato segno di essere un maniaco sessuale o roba del genere, personalmente pensavo che non ci fosse niente di cui preoccuparsi. – Beh, non è successo niente. E poi... sì, insomma, ok, forse è stata una cosa non proprio intelligente, però... non è successo niente ieri, e neanche oggi, quindi dire che la fase “cazzo, potrebbe stuprarmi” è stata superata. – scherzai.
- Mh. – mugugnò lui.
- Ehi, Jo, calmati! Ti giuro, non è successo niente! è solo un simpatico universitario che si è trasferito da poco! –
- Ma quanti anni ha? –
- Cazzo, sembri mio padre! – sbuffai, poi aggiunsi, con tono cupo. – Ma quanti anni ha? Da dove viene? Ha un lavoro? Che lavoro fa? Che università frequenta?
- Guarda che non è una cosa su cui scherzare tanto! – protestò. – Sai che a volte succedono... cosa brutte. –
- Sì, lo so, ma non succederà a me, ok? Comunque, dovresti conoscerlo. Secondo me ti piacerebbe. – A dire il vero, non sapevo per niente se Mike sarebbe piaciuto a Jo. Mi sembravano piuttosto diversi. Cioè... Mike era bello, sexy, sempre con la battuta pronta, tagliente al punto giusto. Jo... anche lui non era male, con quegli occhi bellissimi e i capelli castani con sfumature bionde e rossicce, però era... Jo. Insomma, il classico bravo ragazzo che non bucava mai a scuola e che aiutava sempre tutti. Ma non era affatto uno sfigato o un nerd o quella roba lì, no, per niente. Era solo... sì, insomma, se stesso, il mio migliore amico, qualcosa di solido, fermo, su cui sapevo di poter contare sempre. Mike invece non lo conoscevo, non così tanto. Mi fidavo di lui, però tutte le volte che lo guardavo negli occhi riuscivo a vederci quella sfumatura di sfida che in Jo mancava. Non era pericoloso, ma aveva quell’aria da... Insomma, sembrava uno da cui non potevi mai sapere cosa aspettarti. E, nella normalità quasi spenta della mia vita, questo mi piaceva da morire.
Lui grugnì. – In realtà no. Non mi piace granché. –
- Ma se non lo conosci! – Cazzo, non ci si poteva mettere proprio ora a fare il geloso.
- Beh, non mi piace. – ripeté, e poi chiuse la chiamata.

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Capitolo 5
*** Parole ***


PAROLE
- E sì, insomma, siamo andati fuori a pranzo e... Marghe, ma mi stai ascoltando? – sbuffai. Come al solito, era impossibile sapere se la mia migliore amica stesse ascoltando o no quello che dicevo, visto che era costantemente persa nei suoi pensieri, che andavano da “non ho idea di cosa mangiare a cena” a “devo ricordarmi di comprare la bomboletta per dipingere di verde fluo la nuova bicicletta di mia madre”. Di solito la adoravo per le sue idee, e anche per i suoi discorsi contorti, ma non erano quello che desideravo sentire adesso mentre scleravo per un ragazzo.
- Mh, sì. – rispose, e a dire il vero sembrava davvero che avesse ascoltato. Strano. A Marghe i ragazzi non interessavano. E neanche le ragazze. Era un po’ il tipo che se ne fregava parecchio di qualsiasi relazione che non fosse l’amicizia. – Insomma, questo tizio bellissimo sta uscendo con te. –
- Non è che sta proprio uscendo con me. Diciamo che... ci stiamo conoscendo. –
- Il che, tradotto, significa che gli interessi, perché nessun deficiente andrebbe davanti alla scuola di una ragazza che gli ha tirato una tazza di cioccolata calda in testa ignorando il mucchio di altre ragazze, tra cui ce n’è anche qualcuna carina, se la ragazza in questione non gli interessasse, mh? –
Sì, ero abbastanza d’accordo, nonostante fosse stato abbastanza complicato capire il suo discorso intricato. – Il fatto è che non capisco perché dovrei interessargli io. –
- Beh, magari gli piaci. Sei carina, ascolti rock, hai un pessimo carattere. Ai ragazzi questo piace. –
La guardai male. – Sì, infatti è proprio perché ai ragazzi piace che non sono mai riuscita ad avere una relazione seria. – sbuffai.
- Sì, insomma, hai capito cosa intendo. A certi tipi di ragazzi piace. –
- Mike non è un tipo di ragazzo. – ribattei. – Non ho mai conosciuto nessuno come lui. – In effetti, era la verità. Non avevo mai conosciuto nessuno che gli somigliasse neanche vagamente, da nessun punto di vista.
- Ecco perché non hai mai avuto una relazione seria. – concluse lei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. E, come al solito, era appena riuscita a far tornare perfettamente un discorso assurdo. Roba da Marghe.
- Quindi... tu che ne pensi? –
- Beh, non lo so. Se è come lo descrivi tu, ti consiglio di scapparci insieme immediatamente. Ma visto che sei follemente stracotta non so se... –
- Non sono follemente stracotta! – la interruppi. Ma, dopo l’occhiata che mi lanciò, arrossii. – Ok, magari un pochino. – ammisi.
- Ecco. Quindi, io consiglierei di... andarci piano. Sì, insomma, so che sembra il sogno del “per sempre felici e contenti”, ma non farti prendere troppo subito. Insomma, è un tipo strano, chissà cosa gli passa per la testa. Magari un giorno gli prende e decide di non guardarti più. Che ne so io di come pensa quello? –
In effetti, avevo paura anch’io che succedesse all’improvviso una cosa simile. Però... beh, Mike era troppo tutto per andarci piano, nonostante il giorno prima avessi deciso di conoscerlo meglio prima di pensare a qualsiasi altra cosa.
- Ehi, scendi dalle stelle! – sbuffò Marghe. – Hai sentito cosa ho detto? –
- Ehm... no. –
- Ho detto che... beh, diciamo che magari potresti starci attenta anche nel senso di... attenzione vera e propria. Cioè, non lo conosci per niente, che ne sai tu di chi è? –
- Ma vi mettete tutti a farmi la predica, ultimamente? – sbuffai, tirandole un cuscino. Eravamo sedute sul suo letto, teoricamente per studiare, ma a dire la verità nessuna delle due ne aveva voglia.
- Tutti chi? – chiese lei.
- Tu. E Jo. Insomma, se lo dico al mio gatto, anche lui mi dirà che devo stare attenta! –
- Hai un gatto? –
- Era così per dire. –
Marghe scrollò le spalle. – Ci preoccupiamo per te e basta. E poi, magari Jo è geloso. Magari gli piaci. –
- Sì, certo, come no. E se ne accorge solo ora che ho conosciuto un altro. –
- Lo sai come sono fatti i ragazzi. Comunque, se fossi nei tuoi panni e dovessi scegliere, sceglierei Jo. Insomma, lo conosci, e gli vuoi bene, e sai che non ti mollerebbe mai per nessun motivo, e... –
- Jo. Non. è. Una. Scelta. – scandii. – Non gli piaccio, non come più di un’amica, ne abbiamo già parlato. –
- Sì, certo, tipo in prima liceo. –
- Ma tu hai deciso di farmi mettere con lui a tutti i costi? – domandai. – Non è che per caso ha iniziato a volersi mettere con te e non sai come dirgli di no? –
- Con me? – Mi guardò come se avessi detto: “Nel tuo bagno c’è un coccodrillo rosa che sta ballando la samba”. In effetti, per quello che ne sapevo, Marghe e Jo non erano neanche amici. Si conoscevano, ma si erano parlati solo qualche volta ai balli della scuola o cose del genere, almeno per quello che ne sapevo io.
- Beh, ok, no. Però... sul serio, non voglio... insomma, Jo è Jo. –
- Lo dici come se fosse una cosa brutta. –
- No! – esclamai. – No, per nulla. Però non è il mio ragazzo, ok? –
- Neanche quel Mike lo è. –
Sospirai. – Non intendevo dire quello. Perché oggi hai la mania di fraintendere? –
Alzò le spalle. – Capita. –
- Non dovrebbe capitare. – osservai.
- Sì, ma succede. Vuoi uccidermi per questo? –
- Voglio solo che batta la mezzanotte. – risposi, quasi istintivamente.
Lei mi fissò. – Eh? –
- Niente. –
-
Sbuffai. No, decisamente non ero capace di preparare la cioccolata calda da sola. Però accidenti, quella delle bustine si raggrumava sempre da fare schifo. Decisi di lasciar perdere i tentativi di migliorare la consistenza e di bermela così, tanto associata allo studio del Paradiso sarebbe stata comunque atroce. Cazzo, non lo sopportavo, quel libro. Passi l’Inferno, almeno era... misterioso, e poi leggere di tutte le punizioni poteva essere persino divertente, ma il Paradiso era una lagna, cazzo se lo era. E poi, era così falso. Accidenti, non era tutto bianco o tutto nero. Niente era tutto giusto o tutto sbagliato, neanche Dio.
Buttai giù un sorso di quella robaccia e feci una smorfia. Non vedevo Mike da quattro giorni, il che non era poi così strano, visto che ci conoscevamo da pochissimo eccetera, però mi sarebbe piaciuto parlare con lui. Sapevo che aveva da fare perché oltre che alle lezioni da seguire aveva da mettere a posto la casa, e mi sarei anche offerta di dargli una mano se non avessi avuto paura di sembrare troppo invadente.
All’improvviso, il mio cellulare trillò. Un messaggio. Gli lanciai un’occhiata distratta, persa in quel casino che era la Divina Commedia, poi mi resi conto di chi avesse mandato quel messaggio.
Mike.
Ehi, avrei bisogno di un occhio femminile per l’arredamento casalingo, ti va di passare?
Deglutii. In teoria no, non potevo, non avevo tempo, però... Ok, arrivo!
Un attimo dopo, ero fuori casa.
-
Quando entrai nell’appartamento, la prima cosa che notai fu lui. Era bellissimo come sempre, con i capelli scompigliati e dei vestiti piuttosto vecchi addosso, che però per quello che mi riguardava sarebbero potuti essere capi di alta moda. Tanto, addosso a lui, sarebbero stati comunque perfetti.
La seconda cosa che notai, mentre lo salutavo, fu che la stanza era piuttosto cambiata. C’erano dei mobili: un divano, un tavolo con due sedie vicino all’angolo cottura, una televisione non proprio nuovissima e un paio di mensole stracariche di libri. Erano grandi, e piuttosto nuovi: Cussler in qualche edizione speciale, probabilmente, visto che le copertine si assomigliavano quasi tutte.
- Beh, è carino. – dissi, e in effetti lo pensavo sul serio. Era semplice, e un appartamento. Cioè, a chiunque sarebbe sembrato anonimo, però per me non lo era. Lo dicevano i quadri alle pareti, per esempio. Erano belli, e stavano piuttosto bene con l’ambiente. Alcuni li riconobbi. Uno era una copia di Satana semina zizzania di Rops. Un altro era Campo di grano con volo di corvi di Van Gogh, che incupiva l’angolo della stanza dove si trovava. Era sempre stato uno dei miei quadri preferiti.
Lui sorrise. – Grazie. –
- Come hai fatto a sistemare tutto così in fretta? –
- Sono venuti i miei genitori a darmi una mano quando mi hanno portato i mobili. C’è voluta un po’ di fatica, ma alla fine ce l’ho fatta. – sorrise. – Vuoi vedere la camera? –
Annuii. In effetti, ero piuttosto curiosa. Dalla camera si capiva quasi sempre come fosse la persona che ci dormiva, e io avrei davvero voluto sapere qualcosa di più di Mike. Perciò lo seguii fino alla porta della stanza, e lì mi bloccai.
Sul legno, incise con graffi poco spessi che sembravano fatti con un coltellino svizzero, c’erano delle parole che riconobbi subito.
 
Per me si va nella città dolente,
per me si va nell’eterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e il primo amore.
Dinanzi a me, non fur cose create
se non eterne, e io eterna duro:
lasciate ogni speranza, voi ch’entrate.
 
- Cazzo. – dissi.
- Un po’ troppo? – domandò Mike, ironico.
- No, mi piace. Ma... insomma, non mi era mai venuto in mente di fare una cosa del genere. – Passai una mano sulle scritte. Avevo sempre adorato i versi a proposito della porta dell’Inferno, anche se sinceramente non mi era mai venuto in mente di scriverli davvero su una porta. – Sei un appassionato di Dante? –
- Non proprio. Però mi piace questa parte. Allora, vuoi entrare o hai paura, adesso? – chiese, strizzandomi l’occhio.
- Sinceramente, entrerei solo per quello che c’è scritto sulla porta. – ribattei, e la spinsi.
La prima cosa che vidi furono i quadri. Un sacco di quadri. E neanche uno rappresentava qualcosa. No, affatto. Tutti incorniciavano semplicemente parole.
Feci qualche passo, avvicinandomi alla parete. Le cornici erano semplici, scure, per lo più, e si sposavano con il resto della stanza, che era sostanzialmente in bianco e nero. L’unico tono di colore, in realtà, erano gli sfondi dati alle parole.
- Wow. – dissi.
Mike mi guardò, dubbioso. – Davvero ti piace? –
- è fantastico. –
Fissai uno dei quadri. C’era una frase scritta in caratteri svolazzanti, bianchi su sfondo blu scuro.
 
Eppur si muove.
 
- Galileo. – osservai. Poi guardai Mike. Non avevo il coraggio di dire che non capivo quale potesse essere il senso di quella frase, ma lui me lo lesse negli occhi.
- Beh, è tutto così assurdo. Il mondo. è pieno di cose, anche cose brutte. Eppure... continua a girare. Nonostante noi. Oppure... noi siamo uno dei motivi per cui continua a girare. –
Sorrisi. – Sai, in questi momenti mi sento troppo inferiore. – scherzai.
- Non è mia. – rispose lui, scrollando le spalle, poi mi indicò un altro quadro.
 
Succede da sempre, e il mondo gira lo stesso. E se fosse uno dei motivi per cui continua a girare?
 
- Viene da un libro per bambini. Però mi piaceva. In effetti, i libri per bambini di solito sono pieni di cose intelligenti. Perché tanto gli autori lo sanno, che possono dirle senza essere criticati, perché nessuno li prenderà sul serio. Ma le scrivono lo stesso, perché magari qualcuno se ne accorgerà, prima o poi. O almeno, io la penso così. – aggiunse.
- è... beh, è ingiusto. – osservai.
- O forse no. Magari le cose le vede solo chi vuole vederle. – Fece una smorfia. – Ok, adesso penserai che parlo per frasi fatte. –
- E chi ha detto che non è una bella cosa? –
- Non sono molto originale, direi. –
- Per me sì. Le interpreti bene, le frasi fatte. –
- Mh. – commentò lui. – Metto un po’ di musica? –
- Ok. – Solo in quel momento mi accorsi dello stereo appoggiato alla scrivania, rigorosamente nera e lucida. Mike si avvicinò alla libreria, così piena che per un attimo mi chiesi come fosse possibile che non fosse ancora crollato qualche ripiano, e passò un dito su quella che sembrava una collezione di CD in piena regola. – Vuoi scegliere tu? – chiese.
- Ah, ehm... ok. –
Mi avvicinai. Io non avevo poi molti CD, di solito le canzoni le scaricavo – illegalmente – da Internet, o al massimo compravo i vinili, soprattutto scegliendoli a caso dal ciarpame che veniva praticamente regalato nel mio negozio preferito. Perciò quella per me era abbastanza una novità. Almeno, pensai, erano in ordine alfabetico secondo il nome dell’autore. Conoscevo quasi tutti i cantanti che c’erano lì, e che erano di qualsiasi tipo. Musica commerciale, impegnata, vecchia e nuova, italiana e non. C’erano un bel po’ di dischi di roba francese, ma alla fine optai per qualcosa di più patriottico. Quando lo tirai fuori, Mike sorrise. – Sul serio? – chiese.
Io lo guardai. – Pensavo che ti piacesse, visto che ce l’hai. –
- Sì, mi piace, però non credevo che ascoltassi quella roba. –
- Io ascolto tutto. – ribattei, e gli porsi il CD.
Lui lo infilò nello stereo, e dopo qualche secondo la musica partì.
 
E la luna bussò alle porte del buio: 
"Fammi entrare", lui rispose di no! 
 
Iniziai a canticchiare, ma mi bloccai subito quando mi resi conto che la mia voce e quella di Loredana Berté erano incompatibili. Cosa che tradotta significava che la sua era meravigliosa e la mia faceva schifo. Mike mi lanciò uno sguardo incoraggiante. Io scossi la testa, e allora si mise a cantare lui.

E la luna bussò dove c'era il silenzio 
ma una voce sguaiata disse: 
"Non è più tempo",
quindi spalancò le finestre del vento 
e se ne andò a cercare un po' più in là 
qualche cosa da fare 
dopo avere pianto un po' 
per un altro no, per un altro no 
che le disse il mare, che le disse il mare...

 
Ovviamente, la voce di Mike era bellissima. Cioè, non che non me ne fossi accorta prima, ma adesso ne avevo la conferma. Cazzo, ma c’era qualcosa in cui non fosse perfetto, accidenti?
Lui ghignò, poi però si zittì fino alla fine della canzone.
 
E allora giù 
quasi per caso, 
più vicino ai marciapiedi 
dove è vero quel che vedi;
tra le ciglia di un bambino 
per potersi addormentare 
c'è bisogno della luna...

 
- Vicino ai marciapiedi. – commentò, all’improvviso. – Secondo te... è vero quello che vedi? –
Scossi la testa. – Mi dispiace, ma stavolta cito anch’io: Avvicinatevi, perché più credete di vedere, più sarà facile ingannarvi. –
Mike ridacchiò e mi indicò qualcosa con un cenno del mento. Un altro quadro, con scritto sopra esattamente quello che avevo appena detto.
- Sei fan di Now you see me? – chiesi.
- Beh, non esattamente. Come film in sé non è proprio fantastico, però ammetto che alcune cose... belle ce le ha. E i trucchi... vorrei saperli usare. – Fece un mezzo sorriso.
- Mh. Capisco. Se vuoi ti insegno qualcosa. – aggiunsi. Mi erano sempre riusciti benissimo i trucchi di magia, soprattutto quelli in cui bisognava far sparire le cose, solo che poi anch’io avevo qualche problema a ritrovarle. Una volta avevo fatto sparire un fazzoletto e l’avevo ritrovato... sì, insomma, lasciamo perdere.
- No, non importa. – scrollò le spalle. – Dopotutto, sono solo trucchi, no? –
- Però devi ammettere che spesso hanno quel loro non so che di figo. –
- Sì, in effetti sì. – Scrollò le spalle, poi mi guardò. – Ti va di fare qualcosa? –
- Tipo? – chiesi.
- Boh, non so, decidi tu. Basta che non sia giocare a scarabeo. –
Risi. – Ma come? Era proprio quello che avevo voglia di fare. Beh, comunque... non lo so. Andiamo al mare? – chiesi, all’improvviso.
- Al mare? – domandò lui, stupito. – Ti piace il mare di inverno? –
- Ehm... no, ok, lascia per... –
- Guarda che non volevo dire questo. Volevo dire che pensavo di essere l’unico. –
- Sul serio? – chiesi. – Non è un’altra scusa stupida? –
- Un’altra? – fece, quasi divertito.
Arrossii. – Ehm... –
Mike ridacchiò. – Mettiti la giacca. Conosco un posto carino, lì. –
-
Sbadigliai. Non sapevo che ore fossero. Tardi, sicuramente. Per lo meno, il giorno dopo sarebbe finalmente stato sabato.
Quel pomeriggio mi ero divertita un sacco. Al mare era quasi buio, ma Mike mi aveva portata in un bar vicino alla spiaggia che non avevo mai visto, e che faceva dei dolci fantastici. Avrei mangiato metà della roba in esposizione se non fosse stato per la vergogna di ingozzarmi come un’affamata davanti a lui.
Mi tirai le coperte sopra la testa e chiusi gli occhi. Non avevo voglia di dormire, nonostante la stanchezza. Alla fine, mi costrinsi con uno sbuffo a smettere di pensare e scivolai nel buio.
-
La chiesa era di marmo bianco, talmente pulito e perfetto che quando rifletteva la luce faceva male agli occhi. Me li parai con una mano, mentre fissavo la costruzione in contrasto con il verde acceso dell’erba del prato. In quel momento, nonostante fosse bellissima, con le sue guglie e le pareti lavorate, mi sembrò fatta di ossa.
Rabbrividii, e feci qualche passo in avanti. Da dietro la chiesa, in un punto che non riuscivo a vedere, provenivano delle voci. Seguendole svoltai l’angolo, e rimasi paralizzata.
Per terra c’era un uomo. Un uomo morto. Era immobile in posa scomposta, attorniato da altre persone. Ma non fu questa la cosa più sconvolgente. La cosa più terribile era il sangue.
Ce n’era tanto, a imbrattare la superficie perfetta del marmo, e a formare quelle che sembravano parole incomprensibili. Eppure, avevano qualcosa di familiare, come poteva averlo per me il latino: una lingua che assomigliava vagamente a un’altra che conoscevo. Mi sforzai di capire qualche parola, ma in quel momento mi sentii afferrare per un braccio. Sollevai lo sguardo, incrociando quello di un uomo alto, molto più alto di me, dai capelli biondo oro e lo sguardo freddo. – Vattene, Eva. –
Esitai. Lui mi faceva paura, e in un certo senso sapevo di dover fare quello che mi diceva, però dovevo anche capire cosa ci fosse scritto su quella parete. Era importante, più che importante.
- Vattene! – ripeté lui, e stavolta la sua voce fu quasi un ringhio.
Mi girai e corsi via, lasciandomi alle spalle la chiesa di marmo bianco

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Capitolo 6
*** Arrow ***


ARROW
- Ti va di andare in un posto? C’è una cosa che vorrei farti vedere. –
Guardai Mike. Ero in ginocchio sul suo letto e stavo cercando di riappendere un quadro che in qualche modo ero riuscita a far cadere, senza successo.
- Una... cosa? – domandai, infilando per l’ennesima volta il chiodo nel buco.
- Sì, una cosa. – rispose, con un mezzo sorriso. Poi mi prese il quadro dalle mani e lo attaccò al suo posto. – Fatto. Ci voleva tanto? – chiese, con uno sbuffo ironico.
Il chiodo non resse e il quadro venne giù di nuovo. Gli feci la linguaccia.
-
- Ok, c’è una cosa che vuoi farmi vedere nell’ippodromo? – domandai, guardandomi intorno. Quel giorno faceva freddo e c’era vento. Nuvole grigie e cariche di pioggia correvano nel cielo sopra le nostre teste. Non promettevano bene, affatto. Osservai l’erba del prato, perfettamente tagliata. Eravamo appena fuori città, ma quello sembrava un altro mondo: era un ippodromo vicino al limitare del bosco, a cui conduceva una strada fiancheggiata da pini enormi.
Mike scrollò le spalle. – Sì, perché? Dai, ti piacerà. –
- Ma me lo puoi dire che cos’è? –
- No, deve essere una sorpresa. – rispose, con una perfetta faccia da schiaffi, poi ripartì a passo svelto prima che potessi insistere. Superammo la staccionata che separava le piste dal lastricato e arrivammo fino all’altro capo dell’ippodromo, dove c’erano le scuderie. Io per un secondo mi bloccai. Una volta c’ero rimasta bloccata, lì dentro, più o meno a dieci anni, con intorno tutti quei cavalli enormi. E non è che fossi così entusiasta di rischiare di ripetere l’esperienza.
Mike si girò, rendendosi conto che mi ero fermata. – Tutto ok? – chiese.
- Ehm... dobbiamo proprio entrare? – domandai. Già da lì sentivo lo sbuffare dei cavalli, e qualche sporadico battere di zoccoli. Mi facevano accapponare la pelle, cazzo.
- Hai paura? – domandò. Sembrava quasi stupito.
Esitai. Non volevo farci la figura dell’idiota, però... – Non mi piacciono molto i cavalli. –
Mike si morse il labbro. Poi sorrise. – Beh, sono sicuro che lui ti piacerà. Però non siamo costretti a passare di qui, se non vuoi. –
Quel “lui” era piuttosto sospetto e per niente rassicurante, ma in quel momento mi concentrai sulla possibilità di non passare in mezzo a due file di box pieni di cavalli. Poi, però, mi feci coraggio. Cazzo, erano soltanto dei cavalli! E poi non volevano farmi del male, no? – Passiamo da qui. – mormorai.
- Sicura? – domandò Mike.
Annuii velocemente, infilandomi in quella specie di assurdo corridoio prima di poterci ripensare. Tra le travi del tetto, qualche piccione mi guardò insonnolito. I cavalli mi lanciarono qualche occhiata, ma niente di eccessivamente minaccioso, fortunatamente.
Uscimmo sul retro. C’erano dei recinti con dei cavalli all’interno, e un ragazzo sui vent’anni che sembrava occupato a controllarli. Mike lo salutò con un cenno, poi si diresse verso il recinto più lontano. Io lo seguii fino a quando non si fermò. – Non è splendido? – chiese.
Io guardai oltre la sua spalla, e rimasi quasi paralizzata. Nel recinto, da solo, intento a brucare l’erba del prato, c’era un meraviglioso stallone dal manto nero, nero come l’inchiostro, senza neanche una macchia più chiara sul muso. Era letteralmente enorme. Splendido. Sì, cavolo, lo era. Splendido, e terribile.
- Wow. – sussurrai. Lui sembrò sentire la mia voce, perché sollevò la testa e mi puntò addosso gli occhi. Erano neri esattamente come il suo pelo, altrettanto belli.
E altrettanto spaventosi.
Mike sorrise e si avvicinò all’animale, mentre io restavo lì. Il cavallo emise uno sbuffo come per salutarlo quando lui gli passò la mano sul muso. Per un secondo non riuscii a evitarmi di pensare che quei due si assomigliavano: erano bellissimi e pericolosi nello stesso identico modo.
Mike si girò e mi fece cenno di avvicinarmi. Io esitai, ma poi feci qualche passo esitante. Il cavallo continuava a guardarmi, e il suo sguardo era quasi magnetico. Mi faceva paura, ma in un certo senso avevo voglia di accarezzarlo, di salirci sopra, di spronarlo a tutta velocità urlando. Mi sentii strana da sola subito dopo averlo pensato. Cazzo, ma che mi stava prendendo? Non ero mai neanche salita su un cavallo.
Quando fui accanto a Mike, lo sguardo di quell’animale stava iniziando a diventare piuttosto inquietante. – Vuoi accarezzarlo? – domandò lui.
Io esitai. – Sei... sicuro che sia buono? –
- Non farebbe male a una mosca. – disse, anche se qualcosa mi fece pensare che non fosse proprio la verità.
- Sicuro? – chiesi.
- Ok, non proprio. Però tu gli piaci. E non è pericoloso. – Questa volta sembrava sincero, perciò cercai di non farmi prendere dal panico e appoggiai una mano sul muso del cavallo. Aveva il pelo incredibilmente morbido, e caldo, anche. Sembrava che sotto ci fosse una fiamma viva.
- Si chiama Arrow. – disse Mike.
Io mi girai a guardarlo. – Arrow come quello del telefilm? –
Alzò gli occhi al cielo. – Veramente non è per quello. Arrow significa “freccia”, non lo sai? –
- E' così veloce da chiamarsi "freccia"? – chiesi, stupita.
Mike scrollò le spalle.
Cambiai discorso. – è tuo? –
Annuì. – è arrivato l’altro ieri. –
- Ma tu sei qui già da due settimane. – osservai.
- Sì, beh, c’è stato qualche problema di trasporto. Ma adesso eccolo qui. –
- Non mi avevi detto che cavalcavi. –
Ghignò. – Oh, beh, dicono che io sia fantastico. – commentò.
Sbuffai. – Cazzo, ma voi uomini pensate costantemente a quello? –
- Cerco di non farlo, con te. Ho sempre paura di prendermi un calcio in culo. – scherzò.
- Ecco, bravo, continua a non pensarci. – ribattei.
- Vuoi provare a salire? –
Quella domanda mi fece quasi fare un salto. Arrow mi fissò di nuovo. – Ehm... io non... so... cioè... –
- è buonissimo, sul serio. Sono sicuro che ti piacerà. – Sorrise, incoraggiante.
- Ok. – Lo dissi prima di riuscire a pensarci. Cavolo, ma che mi stava succedendo, quel giorno? Iniezioni di coraggio a volontà?
Ci volle un po’ per sellarlo, poi Mike mi disse di salire, aggiungendo che avrebbe tenuto lui le redini. Questo mi faceva sentire un po’ meglio, vista l’intesa che sembrava esserci tra quei due. Perciò infilai un piede nella staffa e mi diedi una spinta. Mi ero appena seduta sulla sella che sentii una specie di scossone.
E un attimo dopo Arrow stava correndo.
Lanciai un urlo, praticamente paralizzata dal panico. Non avevo neanche le redini. Mi strinsi al collo del cavallo sperando – pregando – di non cadere, mentre lui continuava a correre. Saltò la staccionata senza problemi e continuò ad andare avanti, verso le piste dell’ippodromo. Avrei voluto chiudere gli occhi, ma ero così terrorizzata che non ci riuscivo. Perciò mi limitai a stringermi a quella criniera lunga e nerissima e a sentire l’animale che correva e correva e correva. Lentamente, mi resi conto che il ritmo era piuttosto regolare, e iniziai a calmarmi. Cioè, ero su un cavallo praticamente impazzito, ma almeno non gli era ancora venuto in mente di sbalzarmi di sella, e neanche aveva fatto movimenti bruschi. Perciò cercai di calmare il respiro, e mi resi conto che quello che aveva fatto essenzialmente Arrow era stato girare in tondo, perciò non ero finita chissà dove. Quando riuscii a calmarmi, iniziai a pensare che potesse persino essere divertente andare a tutta velocità in quel modo, però il problema restava: non avevo idea di come fare per farlo fermare. Mi tirai su, in modo da essere seduta e non sdraiata sulla sua schiena, poi provai. – Ehm... –
Niente. Ovviamente. Solo che, cazzo, avevo paura di alzare la voce. E se si fosse spaventato e fosse partito ancora più forte? Presi un respiro. – Arrow, fermo! – mormorai.
Lui si bloccò di colpo e io finii sbalzata in avanti. Riuscii a restare appesa a lui per un pelo. Presi un respiro, sentendo i suoi, che gli facevano allargare ritmicamente la gabbia toracica. Ok, adesso si trattava di scendere. Ma potevo farlo senza spaventarlo oppure no? Accidenti, mi sentivo un’incapace. Un’incapace miracolosamente non in preda a una crisi di panico. Wow, iniziavo a stupirmi di me stessa.
Improvvisamente, sentii una voce affannata. – Eva! –
Mi girai di scatto. Davanti a me c’era Mike, che sembrava aver appena fatto una corsa. – Cazzo, mi dispiace. – mormorò, afferrandomi per la vita e facendomi scendere apparentemente senza il minimo sforzo. – Non l’aveva mai fatto, non so cosa... –
- è tutto ok. – risposi, assurdamente calma. – Però mi sa che non gli piaccio così tanto. – aggiunsi, scherzando.
Il suo sguardo tornò alla solita leggerezza mentre mi sorrideva e prendeva le redini di Arrow. – Quindi tutto ok? Sicura? Non ti verrà una crisi isterica fra dieci secondi? –
- Mh... no, penso di no. Comunque, decisamente ubbidisce. Gli ho detto di fermarsi e si è fermato. –
- Beh, è addestrato a farlo. – osservò.
- Sì, però... insomma, lascia stare. –
Ridacchiò al mio discorso maldestro e riportò il cavallo al recinto. Poi salutò il ragazzo e tornò verso di me. – Ti riporto a casa? –
Annuii, poi mi ricordai di una cosa e mi sbattei una mano sulla fronte. – Cazzo, ho lasciato il cellulare da te. –
- Beh, ti accompagno a prenderlo e poi ti porto a casa, ok? –
- Non ti rompo? –
Sorrise. – Tu non rompi mai. –
-
Trovai il telefono sul letto, sotto il quadro che avevamo abbandonato lì per disperazione. C’erano tre chiamate perse, tutte e tre di Jo. Decisi che l’avrei richiamato a casa, e mentre mi infilavo il cellulare in tasca guardai di nuovo il quadro. Non avevo letto esattamente cosa ci fosse scritto, e me ne accorsi solo in quel momento. Era una frase piuttosto inquietante, in realtà.
 
Se non posso muovere i celesti, muoverò gli inferi.
 
- Viene da Shadowhunters? – domandai, riconoscendola.
Mike rise. – In realtà è Virgilio. Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo. Comunque sì, c’è anche il Shadowhunters. Quei libri sono pieni di citazioni... interessanti, no? –
- Sì, ma non so se sia più inquietante la frase in sé o il fatto che tu la sappia a memoria in latino. – scherzai. – Che cosa... significa? – aggiunsi.
Scrollò le spalle. – Secondo me, vuol dire che il cielo è così... irremovibile. Ed è per questo che un sacco di persone si affidano all’inferno. –
- Pensavo che le persone si affidassero a Dio. – osservai.
- Sì, i codardi. – rispose, quasi con durezza. Notò la mia occhiata perplessa e aggiunse: - Sì, insomma, è un po’ come se l’inferno fossimo... noi stessi, il nostro mondo. Quello che c’è di corrotto e di imperfetto. E invece che affidarsi a questo, invece che accettarlo, la maggior parte della gente preferisce chinare la testa e pregare un dio a cui non importa niente di noi. –
- Pensavo che non credessi in Dio. –
- Che importa se ci credo? A volte non si crede semplicemente perché si sa che pregare sarebbe inutile. A volte non si crede per non odiare. – aggiunse. – Per non essere costretti a pensare che Dio, se esistesse, sarebbe un bastardo menefreghista. –
Quel discorso mi stupì, e mi stupì anche il fatto che avesse perfettamente senso. Poi, però, il mio cellulare squillò di nuovo, facendomi fare un salto. Di nuovo Jo. Risposi. – Pronto? –
- Ehi. – La sua voce sembrava strana, nervosa.
- Tutto ok? – domandai.
- Sì, certo. Tu? –
- Ho appena fatto un giretto su un cavallo fuori di testa, ma a parte questo sto benissimo. – scherzai.
- Eh? – chiese. Il nervosismo nella sua voce non era ancora sparito.
- Lascia perdere. Che volevi? – chiesi.
- Nulla, solo... sapere se era tutto a posto. –
- Jo. – sbuffai. – Cazzo, ma cosa hai di questi tempi? –
- Lo sai benissimo che cos’ho. Non mi piace quel tipo. –
- Si chiama Mike, se proprio vuoi saperlo. – risposi, infastidita. Ma che cazzo, erano due settimane che rompeva! – E comunque sono da lui. Perciò, se proprio vuoi farmi la predica, fallo in un altro momento! – sbuffai, e chiusi la chiamata. Ero arrabbiata sul serio. Ultimamente Jo mi chiamava almeno un paio di volte al giorno, e sempre per lo stesso motivo: Mike. Ma che problemi aveva? Sembrava un idiota psicopatico.
- Tutto ok? – domandò lui, scostandosi una ciocca di capelli neri dal viso.
- Solo il mio migliore amico che è convinto che tu sia un maniaco sessuale. – sbuffai. – Paranoico del cazzo. – Non parlavo mai male di Jo, però in quel momento...
Mike si morse il labbro. – Ho fatto qualcosa di sbagliato? –
- No! Non sei tu il problema. è lui. –
- Ma è tuo amico proprio nel senso di “amico”, o... –
- Amico nel senso di “amico”. Nient’altro. Sul serio. Solo che a quanto pare adesso si è messo in testa di rovinare la mia vita sociale. Accidenti, però, sono stata con certi tizi che sembravano appena usciti da un carcere e adesso si mette a rompere perché tu... – Mi bloccai. – Cioè, non nel senso che noi... – Mi bloccai di nuovo.
Mike ridacchiò. – Sì, ho capito. Beh, dai, andiamo, sennò mi sa che prendiamo l’acqua. Sta per venire giù un bel diluvio. –

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Capitolo 7
*** Sogni ***


SOGNI
Ero di nuovo vicino alla chiesa, ma stavolta non c’era il sole a riflettersi sulla superficie perfetta del marmo: era notte. La luna era calante, e occupava il cielo con quello che sembrava un ovale deformato. Feci qualche passo fino a raggiungere il punto dove avevo visto l’uomo morto.
Adesso per terra non c’era niente, solo una macchia più scura sull’erba, che non era ancora stata lavata via. I simboli sul muro non c’erano più, o almeno non erano più scritti col sangue, ma in qualche modo erano sempre lì, tracciati con quello che sembrava un inchiostro quasi invisibile che luccicava alla luce della luna. Mi avvicinai, fissandoli. Non riuscivo a capire che significato avessero, ma a loro modo erano belli, di una bellezza strana, diversa. Passai una mano su uno dei segni. Mi sentii graffiare il palmo e il mio sangue macchiò la pietra. Il simbolo sembrò accendersi, o meglio, spegnersi: smise di brillare e divenne nerissimo, di un nero che però non era fermo, ma vorticava. Sembrava una crepa aperta, una specie di voragine. E, improvvisamente, ebbe un senso.
 
Dolente.
 
Lo guardai senza capire, poi sfiorai un altro simbolo a caso. Riuscii a leggere anche quello subito dopo, nonostante non fosse cambiato affatto, almeno all’apparenza.
 
Eterno.
 
Avrei continuato così, qualcosa mi diceva che dovevo farlo, ma avevo paura. Una paura lontana, bruciante, che scintillava negli occhi gelidi dell’uomo che mi aveva impedito di avvicinarmi alla parete la prima volta.
Alla fine, il bisogno di andare avanti ebbe la meglio. Iniziai a sfiorare i simboli. Ognuno significava una parola, ma erano disposti in un ordine che non aveva nessun senso. E mancava un pezzo, anche. Per qualche motivo, seppi che l’uomo morto era stato ucciso prima di riuscire a finire di scrivere sul muro con il suo stesso sangue. L’avevano ucciso per impedirglielo.
Un brivido mi percorse la spina dorsale, mentre fissavo il simbolo davanti al mio viso. Significava Giustizia, e sembrava che mi stesse guardando.
All’improvviso, dei passi.
Mi girai di scatto e iniziai a correre.
-
Mi svegliai con un urlo, fradicia di sudore. Il cuore mi batteva a mille. Cazzo, ma che accidenti...
Presi un respiro. Non era reale. Non era reale. Era solo un sogno. Un brutto sogno, ma solo un sogno.
Eppure, non riuscivo a togliermelo dalla testa. Già era stato complicato farlo con quello precedente che riguardava la chiesa, e quello della persona con gli occhi verdi, e quello del bosco. Ma questo per qualche motivo era anche peggio.
Tremando lievemente, buttai le coperte sul pavimento e scesi dal letto. La moquette non era abbastanza fredda, perciò aprii la finestra. Una ventata fredda mi arrivò in faccia e presi un respiro. Solo un sogno. Era solamente un sogno.
Mi lasciai cadere di nuovo sul letto, con un sospiro. Cavolo, non ne potevo più. Perché non avevo mai incubi e li stavo facendo tutti adesso, accidenti?
Mi passai una mano tra i capelli, poi mi misi seduta. E solo in quel momento mi resi conto del liquido denso che mi stava colando sul viso.
Mi guardai la mano. Non me n’ero accorta, ma mi faceva male. E, al centro, c’era un taglio che stillava sangue.
-
Il giorno successivo fu terribile. A scuola non parlai con nessuno, continuavo a fissarmi la mano. Quando mi ero tagliata? Quando ero andata a letto il palmo era a posto, ne ero sicura. L’unico momento in cui avrei potuto farmi male era quando avevo...
Mi bloccai. No. Non potevo essermi tagliata con la parete della chiesa, perché quella chiesa non esisteva, cazzo. Non esisteva! Era stato solo un sogno, no?
Iniziai a scarabocchiare nervosamente sul quaderno. Il taglio si era rimarginato, e mi ero resa conto che era meno profondo di quanto fosse sembrato all’inizio con tutto quel sangue, ma comunque tenerci la penna appoggiata sopra faceva male. Ignorai il dolore. Non avevo detto a nessuno che cos’era successo, neanche a Marghe. Insomma, un conto era il diario, che potevo aver anche scritto per... Mi bloccai. No, neanche il diario era mai esistito. Non avevo mai scritto quella pagina.
Mi sembrava di stare impazzendo.
Quasi con rabbia, posai la penna, e solo in quel momento mi resi conto che i ghirigori che avevo scritto sulla pagina non erano affatto scarabocchi a caso. Quando ne riconobbi uno, fu come un pugno in faccia.
 
Giustizia.
 
Chiusi il quaderno di scatto, sentendo arrivare di nuovo il panico. Stavo diventando pazza, davvero pazza.
Jo mi lanciò un’occhiata, e io risposi con una scrollata di spalle, sperando di essere convincente. Non potevo dirglielo, cazzo, mi avrebbe portata in un manicomio.
Non potevo dirlo a nessuno.
Non appena suonò la campanella, uscii a passo svelto e tornai a casa. In camera mia, strappai quella pagina dal quaderno e la buttai via.
Ma era impossibile buttare via la paura.
-
La grotta era vuota, fredda e umida. Gocce d’acqua ticchettavano intorno a me precipitando dal soffitto sul pavimento frastagliato. Era buio, e non c’era niente tranne una torcia a illuminare la strada.
Mi girai. Dietro di me c’era una donna. Era piuttosto alta, e non proprio magra. Aveva braccia tornite e una crocchia di capelli scuri sulla testa. – Dove stiamo andando? – chiesi. La voce mi uscì strana, quasi infantile, e la domanda rimbalzò tra le pareti.
- Fuori da qui. – rispose li, semplicemente.
- Perché? – chiesi. Per qualche motivo, non avevo paura della grotta. Era un posto strano, persino bello.
- Perché questo non è un posto adatto a una bambina. – rispose lei, quasi con freddezza.
Avrei voluto protestare che non ero una bambina, ma mi bloccai. Io ero una bambina, nel sogno. Avevo sei anni, o forse persino di meno. Ma come c’ero arrivata, lì? E cosa...
Mi bloccai di colpo, e la torcia mi cadde di mano. Per terra c’era una macchia di sangue. Era enorme, e il liquido scuro sembrava avanzare verso di noi. La donna che era con me sobbalzò, poi mi afferrò per un braccio e prese a correre nella direzione opposta. Ma non fece in tempo. Qualcosa sibilò nell’aria, e un sottile stilo di metallo – una freccia – le trafisse la gola.
Urlai.
-
Il sole sembrava bruciare nel cielo. Era grande, troppo grande. Il caldo era insopportabile. Mi passai una mano sulla fronte per asciugare il sudore che mi stava colando negli occhi e mi guardai intorno. Ero in mezzo a una distesa di terra brulla disseminata di sassi e arbusti bassi e secchi. Sembrava quasi un deserto, però sapevo benissimo che non poteva esserlo, perché era solo uno spiazzo di circa un centinaio di metri quadrati circondato da ogni lato da una foresta fitta, di un verde cupo.
Feci qualche passo in avanti. Era assurdo che ci fosse una cosa del genere in mezzo al bosco. Come era possibile? Sembrava che la terra fosse stata letteralmente bruciata, distrutta in modo che non potesse più crescerci nulla sopra. E non riuscivo a capire perché, o come fosse successo.
Mi inginocchiai, e sentii la spina affilata di un arbusto pungermi la gamba. Cercai di estrarla, e mi tagliai. Il mio sangue macchiò la terra polverosa e morta, e all’improvviso successe qualcosa. Sembrò sprofondare giù, sempre più giù, come a formare un buco infinito.
Improvvisamente capii. Capii tutto.
Ma, un attimo dopo, il mondo divenne nero.
-
Mi svegliai quasi urlando e quasi d’istinto raccolsi le ginocchia al petto. Era il terzo giorno di fila che facevo sogni simili a quelli. Sangue, tanto sangue, e paura. Per quanto non sempre succedesse qualcosa di terribile come la morte della donna o i cadaveri per terra, in tutti i sogni provavo un terrore tale che poi me lo trascinavo dietro anche da sveglia. Ovviamente, dopo quei sogni non riuscivo più a dormire per tutta la notte, e il giorno successivo era anche peggio. Avevo sonno, ma non riuscivo mai a dormire. Continuavo a portarmi dietro quella paura enorme e assurda. Non capivo da cosa provenisse, in realtà. Nei sogni sembrava quasi quella di una persona in fuga che sa che finirà male se verrà trovata. E, nella realtà, a volte non riuscivo a non sentirmi osservata, in pericolo. Mi ritrovavo a fissare delle persone, convinta che fino a un attimo prima loro stessero osservando me.
Stavo diventando decisamente paranoica.
Mike se n’era accorto, e anche Jo e Marghe e i miei genitori. Continuavano tutti a chiedermi se ci fosse qualcosa che non andava, e io rispondevo continuamente di no. Anche perché, effettivamente, non c’era niente che non andava. Erano solo sogni, che erano arrivati all’improvviso e avevano iniziato a tormentarmi sempre più spesso. E io non capivo perché. Sembrava che fossero cominciati quando avevo trovato il diario... quando avevo pensato di aver trovato il diario. Forse anche quello era un sogno. Cioè, no, lo era sicuramente.
Oddio. Non ce la facevo più. Avevo bisogno di parlarne con qualcuno, sentirmi dire che andava tutto bene.
Perciò afferrai il telefono e trovai il numero.
Poi premetti il tasto di chiamata.
-
Mike rispose al secondo squillo. La sua voce non era per niente assonnata quando disse: - Pronto? –
- Mike, sono Eva. Scusa se ti ho svegliato, ma... – Deglutii. Mi sentivo incredibilmente stupida, in quel momento. Ma avevo ancora paura, troppa paura.
- Eva, ma stai bene? – domandò. Sembrava preoccupato. Cazzo, chissà cosa avrebbe pensato adesso. Che ero una povera pazza che si faceva sconvolgere da dei sogni.
- No. – sussurrai. – Mi sta scoppiando la testa. Non capisco più niente. Mi sembra di essere pazza. –
Quando rispose, la sua voce era incredibilmente calma. – Che vuoi dire? –
- Faccio dei sogni. E nei sogni ho paura e sembrano veri. E quando mi sveglio ho ancora paura e... mi sembra che ci sia qualcuno che mi segue e... –
Lo sentivo respirare nel ricevitore. Per qualche motivo, sentire il ritmo regolare con cui lo faceva mi fece stare un po’ meglio.
- Eva... – disse alla fine. – Fai... incubi, quindi? –
- Non proprio. Cioè, non sempre. Alcuni sono incubi, ma altri... in altri non capisco perché dovrei avere paura. –
- In che senso? –
Gli raccontai il sogno dello spiazzo di terra bruciata in mezzo al bosco e quello dei simboli sul muro della chiesa.
Mike rimase in silenzio un po’ prima di parlare di nuovo. – Eva, cerca di stare calma. Non sta davvero succedendo mentre lo sogni, ok? Sono solo sogni. –
Un modo un po’ strano di dire “non è reale”, ma non ci feci molto caso. – Io però ho paura lo stesso. – mormorai.
- Lo so. Però devi convincerti che va tutto bene, ok, Eva? Perché va tutto bene. D’accordo? –
- Ehm... ok. –
- Ti mando una cosa. Ascoltala. –
- Cosa? –
- Beh, quando ho gli incubi mi fa stare meglio. –
- Dimmi che non è l’audio di un film porno. –
Mike rise. – Ma sei acida anche quando sei terrorizzata? –
Anch’io ridacchiai. – Sempre. – dissi. Un po’ di tensione si era sciolta, e adesso stavo davvero meglio.
- Dai, che adesso mi sa che è meglio se vado a dormire anch’io. Te la mando subito, ok? –
- Va bene. Buonanotte, Mike. –
- Buonanotte. E... ti prometto che ora dormirai meglio. –
Un attimo dopo, la chiamata si chiuse, ma l’aria fu scossa dalla vibrazione di un messaggio. Lo aprii, ed era un file musicale. Mi infilai le cuffie del cellulare e premetti “play”.
 
When the days are cold
and the cards are fold
and the saints we see
are all made of gold…
 
Chiusi gli occhi, continuando ad ascoltare. All’improvviso, la canzone si impennò, divenne più forte, più viva. E, in qualche modo, la sentii assurdamente mia.
 
No matter what we breed,
we still are made of greed;
this is my kingdom come,
this is my kingdom come...



Ciao a tutti! :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto; come potete vedere, le cose iniziano a "movimentarsi" :) 
P.S. Vi consiglio di ascoltare la canzone, è "Demons" degli Imagine Dragons ed è mitica :)

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Capitolo 8
*** Domanda ***


DOMANDA
- No che non possiamo, idiota! Ma ti capita mai di pensare, prima di parlare? –
Ero sulla porta della classe quando sentii quella voce. Era appena un bisbiglio, e proveniva dall’interno della stanza. Guardai l’orologio. Erano le sette e quarantacinque, chi sarebbe entrato in classe così presto? Cioè, io l’avrei fatto, ma io mi ero appena svegliata da una notte meravigliosamente senza incubi, perciò avevo il diritto di alzarmi presto sentendomi come appena uscita da un centro benessere. La canzone di Mike faceva miracoli. Ormai la ascoltavo tutte le sere, ed ero quasi riuscita a dimenticarmi degli incubi che mi avevano perseguitata nell’ultimo periodo. Dimenticarsi del taglio sulla mano era più difficile, ma ci stavo lavorando. Dopotutto, potevo essermi tagliata con qualsiasi cosa, no?
Intanto, mentre pensavo ai miracoli che a quanto pare sapeva fare Mike, la voce aveva continuato a parlare, imperterrita. – Se li avvertissimo sarebbe un gran casino, lo sai, vero? Chissà cosa farebbero. –
- Secondo me se ne sono già accorti, è questo il problema. – rispose un’altra voce. – Dobbiamo fare qualcosa prima che scoppi il caos. –
Improvvisamente, riconobbi la voce di Jo. Ma con chi stava parlando? E di cosa? –
- Sì, ma cosa? Non puoi andare da lei e portarla via a forza! Ti prenderebbe a calci! –
Marghe? Ma che cavolo... Entrai in classe mentre Jo rispondeva: - Lo so, ma decisamente è meglio farsi prendere a calci piuttosto che... – Si bloccò non appena mi vide, e deglutì. – Sì, comunque, ciao. –
Marghe lo salutò rapidamente, poi mi oltrepassò e sparì nel corridoio con un cenno.
Io rimasi immobile sulla porta, fissandolo. – Eh? – domandai.
Scrollò le spalle. – Lascia perdere. – Era pallido.
- Tutto ok, Jo? –
- Sì, davvero. –
- Non sapevo che conoscessi bene Marghe. – osservai.
- Non... la conosco bene, parlavamo e basta. – Sembrava nervoso. Molto nervoso.
- Ma che è successo? Qualcuno è nei guai con la polizia? – Non avevo altra idea su come interpretare quello che avevo sentito.
Scosse la testa. – No, davvero. è tutto a posto. Tu, piuttosto? Come va? –
- Meglio. – risposi, un po’ disorientata da quel cambiamento di argomento improvviso. Ma che aveva Jo ultimamente? – Ho trovato un modo per dormire decentemente, qualche giorno fa. – aggiunsi. Alla fine, gli avevo detto che non ero riuscita a dormire per un po’ per spiegare il modo in cui ero intrattabile tutti i giorni.
- E cioè? – chiese.
- Mike mi ha fatto sentire una canzone, è piuttosto... rilassante. –
I suoi occhi ebbero un guizzo, poi mi fissò. – Che canzone? –
- Demons degli Imagine Dragons. – risposi. – Ti consiglio di ascoltarla, comunque. è carina. –
- Uhm... ok. – mormorò lui, ma sembrava sovrappensiero. In quel momento entrò in classe qualcun altro e io andai a posare lo zaino sul mio banco.
Per tutta la mattina continuai a fissare Jo, che sembrava ancora nervoso in modo preoccupante. Era nei guai? O qualcuno che conosceva lo era? C’entrava con la droga o roba del genere?
A quel pensiero mi bloccai. No, ok, stavo esagerando. Magari erano solo fatti suoi. Ultimamente, Jo sembrava piuttosto facilmente impressionabile. Già, ma che cazzo. Tutte ora dovevano succedere? Stavamo andando tutti fuori di testa?
Sbuffai. L’unica cosa che avevo voglia di fare, adesso, era uscire da quella specie di prigione. C’era anche il sole, ed eravamo a metà febbraio. Ciò significava... inizio prevendite.
Il ballo di primavera era probabilmente la festa più insulsa della scuola, ma ci andavano tutti. Probabilmente era solo un bisogno disperato di avere qualcosa da festeggiare. Si teneva sempre il ventuno marzo sera, ed era divertente, a dire il vero. La stanza dove si ballava veniva decorata con fiori – finti – e c’era musica di tutti i generi messa dalle persone più disparate, visto che chiamare un dj costava troppo e non ne valeva la pena per una festa del genere.
Io di solito non andavo ai balli di primavera, ma magari quell’anno avrei potuto fare un’eccezione. Insomma, era il mio ultimo anno – si sperava – e poi magari avrei potuto...
No. Fantasia, fermati, non correre tanto. Non ci sarei andata con Mike. Certo che no. Non stavamo mica insieme.
Però cavolo, era simpatico, e divertente, e carino... No, carino era un eufemismo. Bello, bello, bello. Ecco cos’era Mike. E fantastico. E perfetto.
“Cazzo, voglio andarci con lui, a quel ballo.”
-
- Dovresti smetterla di frequentarlo. –
Alzai gli occhi al cielo. – Jo, piantala di rompere i coglioni. Non mi sembra di aver mai criticato le ragazze che frequenti tu. Ah, no, aspetta, tu non frequenti ragazze. – aggiunsi, acida, con lo scopo di infastidirlo. Cosa che, d’altro canto, sembrava essere diventata la sua priorità. Dopo che l’avevo sentito parlare con Marghe in classe, era tornato alla carica più determinato di prima. Non dovresti vederlo così tanto, Non lo conosci, Ma cosa ci trovi in lui eccetera eccetera. Anche Marghe criticava. Sembrava che tutti ce l’avessero con me.
E il fatto era che non riuscivo a capire quale fosse il problema. Mike era fantastico. Era gentile, era un bravo ragazzo, andava all’università e tutto il resto. Cosa ci vedevano di male in lui, accidenti?
Alla fine, dopo una quindicina di giorni passati in questo modo, smisi di parlare con entrambi. Non rispondevo ai messaggi o alle chiamate. L’unica volta che lo feci fu con Jo, e mi limitai a mandarlo a quel paese prima di sbattergli la cornetta in faccia.
Intanto, ormai era passata la prima settimana di marzo. Il tempo era fantastico, e la maggior parte delle volte che avevo il pomeriggio libero andavo con Mike a trovare Arrow.
Quello era uno di quei pomeriggi. Il sole si rifletteva sulla pelliccia nera di Arrow, facendola quasi luccicare. Mike lo accarezzava tranquillamente, in silenzio. Era strano: di solito parlavamo sempre, quando stavamo lì. Ma, stavolta, lui sembrava pensieroso, e io approfittavo di quel momento per guardarlo. Era bellissimo, davvero bellissimo. Mi sarebbe piaciuto fargli un ritratto, se solo avessi avuto un minimo di capacità. Nel disegno ero totalmente negata. L’unica cosa che riuscivo a fare con qualsiasi tecnica e qualsiasi colore era il fuoco. Ma, a parte quello, e in alcuni casi il mare, ero una negata totale.
Lui si scostò una ciocca di capelli, dello stesso colore del pelo di Arrow, dal viso e sorrise. – Allora, che ti va di fare? –
Ci pensai per un secondo. – Posso riprovare a salire su Arrow? – chiesi, di getto.
“Ma che cazzo ti è venuto in mente?”
La faccia di Mike sembrò rispecchiare alla perfezione quello che avevo appena pensato. – Sul serio? Non hai paura? –
- Ehm... un pochino. Però... beh, alla fine nessuno si è fatto male, no? – chiesi, con una risatina – isterica – per cercare di sembrare convinta.
- Sì, se la vuoi mettere così... – Mike si morse il labbro. – Però stavolta niente viaggetti fuori programma, eh? – chiese, rivolto ad Arrow. Gli parlava con così tanta convinzione che per un secondo fui quasi sicura che il cavallo potesse capire ogni parola. Ok, magari ogni parola no, ma da come sbuffò pensai che almeno avesse intuito il concetto.
Lo sellammo velocemente e poi salii, dandomi una spinta sulla staffa per scavalcarlo con una gamba. Atterrai sulla sua schiena. Fin qui tutto bene. Per un secondo mi aspettai quasi che il cavallo partisse a tutta velocità come l’ultima volta, ma non successe. Arrow rimase fermo a brucare piuttosto indifferente al fatto che fossi seduta sopra di lui. Beh, nonostante fosse poco emozionante, come seconda volta andava benissimo.
Mike tirò lievemente Arrow per le redini e lui sollevò la testa, iniziando a camminare lentamente, come se sapesse benissimo che non ero un’esperta. Un punto di merito per lui, insomma.
Mentre mi faceva fare il giro del recinto, Mike mi guardò. – Sai, è stato bello... conoscerti. Cioè... una bella fortuna. –
Sentii il cuore che accelerava. Me lo stava dicendo sul serio? – Di solito la gente non dice questo, quando mi conosce. –
Mi guardò, quasi divertito. – E cosa dice? –
- “Povera spostata”. –
Rise. – Non sei una spostata. No, affatto. Sei la persona più... intelligente che conosca. –
- Ma in che mondo vivi? – domandai, ironica. – Mi dispiace per te. –
Mike alzò gli occhi al cielo. – Guarda che non te li faccio più, i complimenti, se reagisci così. –
Scrollai le spalle. – Non ho mai voluto complimenti. –
- E perché no? Cioè... sei carina, sei divertente, fai discorsi degli di Orwell... insomma, qualche complimento potresti anche chiederlo. –
- Non sono d’accordo con niente di quello che hai detto tranne i discorsi da Orwell. – risposi, sbuffando.
Lui sospirò. – Ma per favore. Hai voglia di provare ad andare un po’ più forte? –
Deglutii. – Non sono proprio sicura di saperlo fare. –
- Infatti non dovrai farlo tu. – rispose, con un sorriso. Un attimo dopo appoggiò un piede nella staffa, si diede la spinta e atterrò dietro di me, le redini in mano.
Io divenni viola. Aveva il petto premuto contro la mia schiena, e sentivo il suo respiro tra i capelli. Diede una lieve tirata alle redini e Arrow partì al trotto, che divenne subito dopo un galoppo leggero. Non avevo paura, affatto. Ero ancora troppo imbarazzata e sconvolta e con il cuore a mille. Mi girai a guardare, Mike. O, almeno, ci provai.
Ma, prima che ci riuscissi, lui mi stava già baciando.
-
Quando ci fermammo, mi sembrava ancora di stare cavalcando a tutta velocità verso l’infinito. Di stare volando. Mike aveva gli occhi neri che brillavano e l’espressione seria. Mi guardava, come in attesa. Era una domanda, una domanda muta.
Per tutta risposta, fui io a baciare lui.
-
- Sai, all’inizio pensavo che mi avresti preso a schiaffi. – disse, con un sorriso, mentre portavamo Arrow e i finimenti nella scuderia.
- Mh, ci avrei pensato. Ma sono troppo buona, a quanto pare. – risposi, ironica.
Mike alzò gli occhi al cielo mentre chiudeva il box di Arrow, poi si girò e a sorpresa mi prese in braccio.
Lo baciai. – Scemo. – sbuffai.
- Tantissimo. – rispose, con un sorriso. – Però mi hai baciato. Forse essere scemi non è così male. –


So che il titolo è osceno e non c'entra niente con il capitolo, ma non potevo mettere "Bacio"XD
A parte questo, nel prossimo capitolo la storia entrerà nel vivo :)

 

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Capitolo 9
*** Ballo di primavera ***


BALLO DI PRIMAVERA
Fissai il vestito. Era appeso sopra lo specchio che c’era nell’armadio, e sembrava che mi guardasse. Fisso. Io deglutii. Non riuscivo a prendere l’iniziativa e a indossarlo. Quando l’avevo comprato mi era sembrato fantastico – soprattutto il colore. Cazzo, adoravo quel colore – però...
All’improvviso, il mio cellulare vibrò. Guardai il display e vidi che era un messaggio di Mike.
A che ora ci troviamo là?
Ingoiai aria. Il ballo cominciava alle dieci, ma non era una grande idea arrivarci subito. Meglio aspettare che la gente si disperdesse un po’.
Alle dieci e mezza va bene?
La sua risposta arrivò dopo neanche mezzo minuto.
Certo! Non vedo l’ora di vederti. Sono sicuro che sarai bellissima.
Ingoiai di nuovo aria e guardai l’orologio. Ok, erano le nove e mezza. Avevo solo quarantacinque minuti per rendermi decente, più altri quindici di viaggio, nonostante sapessi benissimo che accanto a lui sarei sembrata comunque totalmente insignificante. E che non sarei mai, mai stata bellissima. Cioè, “bello” era qualcosa che poteva essere Mike, o magari anche Jo, ma io? Ero una comunissima ragazza con la testa stracolma di riccioli castani e gli occhi troppo piccoli. Odiavo i miei occhi. Anche perché non riuscivo mai a capire sul serio di che colore fossero. Ogni tanto erano così chiari da essere quasi nocciola, altre erano color cioccolato fondente. Dio santo, ma non erano gli occhi azzurri che cambiavano colore con la luce?
Decisi di smettere di farmi complessi mentali e indossai il vestito. Era piuttosto corto, aderente, un tubino che però aveva le maniche di nudo rosso tempestate di brillantini. Qualcuno avrebbe potuto dire che era di un colore da capodanno. Sbagliato. Quello era... Candy Apple. Il mio colore preferito in assoluto.
Filai in bagno a truccarmi. Non feci più di tanto perché odiavo le patacche sulla faccia e comunque non sarei mai riuscita a sembrare davvero bella. Mi infilai le scarpe e mi lasciai cadere sul letto con un sospiro. Ok. Quella sera sarei andata al ballo. Con Mike.
Cavolo, cavolo, cavolo.
All’improvviso, sentii vibrare il cellulare di nuovo. Era un altro messaggio, questa volta di Jo. Evvy, ci vieni al ballo? Per favore, rispondi. Dobbiamo parlare.
Non risposi. Non lo facevo più da settimane, e non gli avrei permesso di rovinarmi la serata proprio adesso. Non sapevo se avesse intenzione di scusarsi, ma io sicuramente non ne avevo neanche una di perdonarlo. Non subito.
Scesi al piano di sotto, dove mio padre fece un fischio ironico quando mi vide. Poi partì con le solite raccomandazioni del tipo “stai attenta”, “non allontanarti con nessuno, resta nella sala”... insomma, le solite raccomandazioni da padre. Peccato che ultimamente mi sembrasse di averne tre o quattro, di padri.
Salii in auto. Prima che riuscissi pienamente a realizzare che stava succedendo davvero, partimmo.
-
Quando l’auto frenò sul marciapiede accanto al locale, Mike era già lì. Era vestito in jeans e camicia bianca, ed era bellissimo come sempre. Mio padre lo squadrò da capo a piedi, poi guardò me. Io arrossii, salutai e scesi rapidamente dalla macchina. Dopo un paio di secondi – lunghissimi – lui ripartì.
Mike mi guardò, sorridendo. – Sei bellissima. – disse, cingendomi la vita con le braccia. – Candy Apple? – aggiunse, subito dopo.
Lui guardai, stupita. – Sei il primo che sa come si chiama. – dissi.
Sorrise di nuovo. – Beh, come si fa a non conoscerlo? Il colore della tentazione e del peccato... – Mi baciò, quello che fu tutt’altro che un bacio casto. – Ti sta bene. –
- Grazie. Ma tanto lo so che non è vero. –
Mi baciò di nuovo. – Oh, invece sì. Credo che non esista al mondo una tentazione più grande di te. – Detto questo, mi prese in braccio e si infilò dentro la sala, mentre io ridevo. In quel momento, però, incrociai uno sguardo puntato su di me. Uno sguardo verde smeraldo.
Jo era immobile su un lato dell’ingresso, e mi guardava. O meglio, guardava me e Mike. C’era qualcosa, nei suoi occhi, qualcosa che mi fece quasi paura. Dolore. E rabbia, anche.
Fece per avvicinarsi, ma io saltai giù dalle braccia di Mike, lo afferrai e lo trascinai in pista.
-
- Tutto ok? – domandò Mike, mentre ballavamo con la musica spaccatimpani che esplodeva dalle casse. Stavo cercando di divertirmi, ma non riuscivo a togliermi dalla testa l’espressione di Jo. Guardai Mike. – Non... non è niente. Sto bene. –
- Sicura? Sembri preoccupata. –
Deglutii. – Hai visto quel tipo, prima? –
- Quello con la camicia rossa? –
Non avevo idea del se Jo avesse o meno una camicia rossa, quella sera, ma sapevo che sembrava... un’altra persona. Mi ricordai del suo messaggio.
Per favore, rispondi. Dobbiamo parlare.
E se fosse stato davvero qualcosa di importante? Se avesse avuto a che fare con quella conversazione che avevo sentito in classe? Era nei guai? Se sì, come c’era finito? E cosa cavolo...
Presi un respiro, ma con l’aria viziata che c’era lì dentro non servì a molto. – Ha gli occhi verdi. – mormorai. – Ed è il mio migliore amico. Ma non so cosa gli sia preso, negli ultimi tempi. è... strano. E... –
- ...mi odia? – concluse Mike.
- è solo che... –
- Senti, Eva, l’ho visto come mi guardava, ok? Solo che... beh, insomma, avevo pensato... avevi detto che lui era un amico, non che... –
- Ma il fatto è che io non gli piaccio! Non in quel senso! Ci conosciamo da cinque anni e non gli sono mai interessata per quello. Sinceramente, mi stavo convincendo che fosse gay! E poi... ora si sta comportando così. E non capisco! Mi rompono tutti le scatole perché... perché sto con te. A un certo punto ho smesso di parlarci, con lui. E con un’altra. Pensavo fossero... miei amici. Non so perché si comportano così. – Era assurdo buttare fuori tutto dopo così tante settimane di silenzio opprimente. Assurdo, e non mi diede affatto sollievo. Mi resi conto di stare piangendo.
Mike mi abbracciò piano. – Calmati. – sussurrò. – Senti... sono sicuro che c’è una spiegazione. –
- Ma quale cazzo è? Non riesco a capire! Magari sono io che sono stupida, ma non riesco a capire! – Lo spinsi via, cosa che non avevo mai pensato che sarei riuscita a fare. Adesso non avevo voglia di stare con nessuno, neanche con lui. Mi girai e mi misi a correre tra la folla, spintonando da tutte le parti. Qualcuno si girò per protestare, ma lo ignorai. Continuai a correre il più velocemente possibile sui tacchi fino all’uscita, e una volta fuori sentii l’aria fresca della sera primaverile venirmi in faccia. Rabbrividii mentre continuavo a camminare. Avevo lasciato la giacca nel guardaroba e il vestito che avevo addosso era troppo leggero, ma non avevo nessuna voglia di tornare dentro. Anzi, non avevo nessuna voglia di fare niente. Mi lasciai scivolare con la schiena al muro fino a ritrovarmi seduta sul marciapiede e chiusi gli occhi.
- Evvy! –
Sollevai la testa di scatto, incrociando lo sguardo verde di Jo. Adesso era più normale, più suo. Sembrava preoccupato. – Stai bene? –
Mi alzai di scatto, rischiando di cadere e riuscendo miracolosamente a restare in equilibrio. Lo spinsi contro il muro. – Tu devi spiegarmi che problemi hai. Adesso. – sibilai.
Lui deglutì. – Evvy... –
- No, Evvy un cazzo! – ringhiai. – Tu adesso mi dici qual è il problema! –
Jo prese un respiro. – Senti, io... –
- Tu – dissi, la voce che tremava dalla rabbia. – adesso mi dici che cazzo c’è. Hai capito? –
Lui mi guardò. Sembrava quasi spaventato. – Evvy, senti, il fatto è che... te l’ho detto, non dovresti frequentare quel tipo. –
Non decisi io di farlo. Oppure sì, non lo so. In quel momento, non ci pensai neanche. Gli diedi uno schiaffo. Forte. Non sapevo perché, ma ero sempre più arrabbiata. Mi sembrava di esplodere. L’unica cosa che avevo in testa erano quelle settimane di silenzio e critiche, sempre e solo infinite critiche. Afferrai Jo per il collo. – Dimmi. Qual. è. Il. Tuo. Problema. – urlai.
Lui sollevò la testa, ansimando. Aveva la guancia arrossata, che sanguinava. Probabilmente l’avevo graffiato, ma non m’importava. – Evvy... lui... senti, so che non... Evvy, per favore, tu non devi vederlo mai più. –
Lo sentii in mezzo al petto come non mi era mai capitato prima. Odio. Ma cosa cazzo pretendeva? Di rovinarmi la vita e di non spiegarmi neanche il perché? Per quanto mi riguardava, poteva anche andare a farsi fottere. – La sai una cosa? – dissi, allontanandomi da lui. Non volevo neanche toccarlo. Mi faceva schifo. – Sei tu che non dovrai più vedere me. – Quasi gli sputai quelle parole in faccia. – Non ti voglio parlare, mai più. Stammi lontano. E se provi di nuovo a dirmi cose come questa o anche solo ad avvicinarti ti denuncio, cazzo! –
Detto questo, mi girai e corsi via. Mi accorsi troppo tardi di aver attraversato la strada. E mi accorsi troppo tardi della macchina.
Urlai, rendendomi conto che non sarei riuscita a scansarmi in tempo.
E poi la macchina volò.


So che il capitolo non è molto lungo, ma più che altro quello che volevo era che fosse abbastanza "intenso"... Beh, ditemi che ne pensate! :)
P.S. Grazie mille a tutti per le recensioni! 

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Capitolo 10
*** Eva ***


EVA
L’auto si sollevò da terra a neanche un metro da me e mi oltrepassò, ricadendo poco lontano. Poi si allontanò a tutta velocità, come se il guidatore fosse stato in preda al panico.
E lo ero anch’io. Oh, se lo ero. Quello che era appena successo non poteva essere vero. Era assurdo. Le macchine non volavano. Le macchine non...
Mi sentii sfiorare, e lanciai un urlo. Sentii un altro grido, ma non mio, e mi girai appena in tempo per vedere Jo che volava in aria e si schiantava contro un muro per poi ricadere a terra.
Tremando, feci un passo indietro. No. Non era possibile. Non era...
Jo sollevò la testa. Sembrava frastornato, ma almeno stava bene. Si alzò, quasi barcollando, e mi si avvicinò. – Eva... –
Per qualche motivo che neanche io riuscii a capire, mi fece paura. Urlai di nuovo e iniziai a correre. Non sapevo dove stavo andando, dovevo solo scappare.
All’improvviso, però, sbattei contro qualcosa. Finii a terra, e mi resi conto che davanti a me non c’era assolutamente nulla. Mi rialzai e provai di nuovo a correre, ma sbattei di nuovo contro... l’aria? Sembrava che davanti a me ci fosse un muro invisibile.
Sentii una voce. Una voce preoccupata. – Eva, per favore, aspetta! –
Urlai e diedi un pugno a quella specie di muro invisibile. Mi sentii come attraversare da una scossa elettrica, e un attimo dopo quello esplose, disintegrandosi in mille pezzi che scintillarono alla luce dei lampioni. Io ripresi a correre, terrorizzata. Non capivo, non aveva senso. Tutto quello non aveva il minimo senso.
Mi ritrovai a piangere istericamente mentre scalciavo via le scarpe e ricominciavo a correre scalza sull’asfalto. Non sentivo neanche il dolore, solo il panico.
Di nuovo quella voce. Stavolta stava urlando. – Eva, ti prego, fermati! –
Non mi fermai. Non che non volessi farlo, semplicemente non ci riuscivo.
All’improvviso scivolai e caddi a terra. Mi ritrovai seduta in mezzo alla strada a singhiozzare, tremando, senza sapere neanche cosa stesse succedendo, senza riuscire a spostarmi. Nella testa avevo solo paura, paura, paura. Continuavo a rivedere l’auto che saltava e poi Jo che si schiantava contro il muro e quella specie di parete invisibile in mezzo alla strada che esplodeva e...
- Eva! –
Sollevai la testa di scatto, e vidi Jo. Aveva il fiatone, e il sangue gli stava macchiando i capelli. Probabilmente quando era finito contro la parete aveva picchiato la testa. Io ingoiai aria. Per qualche motivo, mi sentivo terrorizzata da lui. Indietreggiai senza neanche riuscire ad alzarmi quando provò ad avvicinarsi. Lui si fermò, e anch’io mi fermai. – Eva... calmati, per favore... –
Scossi convulsamente la testa e continuai a indietreggiare.
Jo alzò le mani. – Ok, sto fermo, d’accordo? Ma... per favore, non... stare lì. Vai sul marciapiede. –
Io battei le palpebre per cercare di vedere oltre il velo delle lacrime e mi resi conto che aveva ragione. Mi tirai su e barcollai fino al marciapiede, crollando di nuovo seduta per terra non appena lo raggiunsi.
Il freddo tornò a farsi sentire, e presi a tremare ancora più forte.
Jo era ancora immobile a qualche metro da me, le mani sempre alzate come se gli stessi puntando una pistola contro.
O come se avesse voluto convincermi che non voleva farmi del male.
Cercai di riordinare le idee, escludendo per il momento le cose assurde che stavano succedendo. Perché mi sentivo così terrorizzata da Jo, quasi più che dall’aver visto una macchina volare? Che senso poteva avere? Jo... Jo era solo un mio amico, no?
Sì, ma se era solo un mio amico, perché si stava comportando così? Perché non sembrava per nulla sconvolto?
- Che... che succede? – riuscii a balbettare.
- Eva... Eva, calmati. Respira. Va tutto bene. –
- No! – strillai. – Non va tutto bene! Che sta succedendo? –
Jo continuò a fissarmi. Sembrava quasi spaventato. – Per favore. Cerca di calmarti. Posso spiegarti tutto. – Parlava lentamente, con calma, come con una bambina terrorizzata. E, in effetti, era proprio così che mi sentivo: una bambina terrorizzata.
Io mi strinsi le braccia attorno al corpo. Avevo sempre più freddo. Prima che potessi rendermene conto, Jo mi si avvicinò e mi mise la giacca sulle spalle. Continuava a guardarmi, un’espressione strana sul viso. – Eva, va tutto bene. Fra poco tornerà a posto, ok? –
Lo fissai. – Che... che vuol dire che... fra poco tornerà a posto? –
Sembrava quasi addolorato. – Farò in modo che non ti facciano del male. Te lo prometto. Tornerà tutto come prima. –
- Come... prima? – balbettai. Che voleva dire? Come era possibile che tutto tornasse... come prima?
- Eva, guardami. –
Lo fissai negli occhi. Erano i soliti, i soliti occhi verdi. Anzi, no. Non lo erano. Erano troppo verdi. Troppo chiari. Stavano diventando quasi bianchi, e brillavano. Mi sentii girare la testa, come se tutto il mondo si stesse annebbiando.
E poi sentii di nuovo quella specie di scossa.
Urlai, e Jo letteralmente prese fuoco. Fu avvolto da una fiammata che però non illuminava, ma sembrava dello stesso colore dell’asfalto, anzi, ancora più scura, praticamente nera. Lo sentii gridare, ma quando guardai attraverso il fuoco mi resi conto che le fiamme non lo stavano ustionando. Eppure, sembrava che stesse soffrendo. Ormai aveva la bocca aperta e ansimava, il suo grido era diventato muto.
All’improvviso, qualcosa mi riempì la testa, scaraventandomi fuori dalla realtà.
-
Ridevo. Il sole mi picchiava sulla testa, ed era bello. Stavo correndo, stavo scappando, ma non avevo paura. Era solo un gioco, dopotutto, nient’altro.
Sentii una voce, una voce che conoscevo. – Ehi, Eva, aspettami! –
Mi girai, e vidi un bambino dagli occhi verdi come il prato che arrancava per raggiungermi. Io risi di nuovo e gli feci la linguaccia. – Tanto non mi prendi! –
Lui urlò qualcos’altro che non sentii, ricominciando a correre il più velocemente possibile. Non potevo permettergli di acchiapparmi, ne andava del mio orgoglio. Però iniziavo a sentirmi stanca. A un certo punto, lo sentii avvicinarsi troppo. No, pensai, frustrata, non doveva prendermi.
Improvvisamente, qualcosa mi colpì. Un lampo bianco. Finii per terra. Non mi ero fatta male, ma non era leale, affatto. Arrabbiata, mi tirai su e lo fissai. Beh, se voleva il gioco pesante...
Tesi una mano avanti. Mi avevano insegnato a lanciare lampi come aveva fatto lui, ed era facile. Mi concentrai per un secondo, poi sentii quella specie di scossa elettrica così familiare. Sorrisi.
Ma poi qualcosa andò storto.
Dalle mie mani era scaturita una fiammata, una fiammata nera. Una fiammata che si precipitò verso di lui, ruggendo, terribilmente spaventosa.
Jo urlò, e anch’io.
E, un attimo dopo, tutto sparì.
-
Non appena aprii di nuovo gli occhi, il fuoco scomparve come se non fosse mai esistito. Eppure, Jo sembrava stare malissimo. Jo. Anche il bambino di quel... cosa? Sogno? Visione? Insomma, anche lui era Jo. E anche quello che avevo sognato qualche tempo prima era lui. Ma che senso poteva avere? E che stava succedendo?
Qualsiasi cosa fosse, quel fuoco veniva da me. Ero stata io a farlo comparire, e probabilmente anche a farlo scomparire.
Del come, però, non ne avevo idea.
Jo ansimava, ma sembrava che si stesse riprendendo. Io non sapevo cosa fare. Avevo quasi paura a toccarlo. Quando sollevò la testa, istintivamente scattai indietro.
Lui aveva le lacrime agli occhi, e non riuscii a capire se fosse per via del dolore o per qualcos’altro. – Eva... – balbettò.
- Non toccarmi. – sussurrai. Paura. Paura istintiva, bruciante. La sentivo fin dentro le ossa.
Una lacrima gli rotolò sulla guancia. – Va... va bene. Eva, scusami. Ma... è la cosa migliore, te lo giuro. Loro potrebbero ucciderti se... –
- Cosa è la cosa migliore? – balbettai.
Jo prese un respiro. – Eva, tu devi dimenticare tutto questo. Te l’ho detto, tornerà tutto come prima. Devi solo... lasciarmi fare. Adesso ti hanno persa di vista, ma ti troveranno. E quando sapranno che... –
- Chi mi ha perso di vista? E che sta succedendo? – domandai, quasi urlando. Mi sentivo praticamente isterica.
- Eva, è meglio che non te lo dica davvero. Te l’ho detto, tu... –
- Io devo dimenticare tutto questo, secondo te? Jo, quell’auto volava! Tu non puoi chiedermi di... –
- Non ti sto dicendo che tu devi dimenticartelo. Te lo faremo dimenticare. Come... come sei anni fa. –
Come sei anni fa? Ma di che stava parlando? Rimasi paralizzata a fissarlo, fino a quando non mi ricordai del diario. Visto così sarebbe potuto sembrare qualcosa di incomprensibile e stupido, ma ora... Mi uscì un verso strozzato. – Il diario... – balbettai.
Lui abbassò la testa. – Non sapevamo che tu fossi riuscita a scriverlo. Non avresti dovuto. Abbiamo dovuto far sparire tutto. L’accordo era che se tu non ricordavi non ti avrebbero fatto del male. –
Io non capivo. Era tutto assurdo, tutto incomprensibile. – Jo, non... non capisco. – mormorai. – Tu devi spiegarmi! –
- No, Eva, è meglio di no, davvero... –
Successe prima che potessi deciderlo. Una fiammata nera ci chiuse in un cerchio così piccolo che Jo dovette premersi contro di me per non scottarsi. A me, invece, quelle fiamme non facevano per niente male.
Guardai Jo, e la voce mi uscì quasi con cattiveria. – Tu adesso mi spieghi che cosa è successo, oppure per quanto mi riguarda puoi restare qui a bruciare. –
Non volevo minacciarlo, ma ero stanca e furiosa e sconvolta e non sapevo cosa fare. Però avevo bisogno di una spiegazione. Anche la più assurda sarebbe andata bene.
Jo esitò. Sembrava quasi disperato. – Eva... –
Le fiamme si strinsero attorno a noi, e lui gridò. – Va... va bene. – balbettò. – Va bene. Ti spiegherò tutto. –
Il cerchio divenne lievemente più largo. Fissai Jo negli occhi.
Lui deglutì. – Ok. Tu... tu non te lo ricordi, ma... tu prima lo sapevi. Di poter fare questo. Far volare le cose e... il fuoco e... il resto. –
- In che senso prima lo sapevo? – lo interruppi. In effetti, però, nel sogno lo sapevo. Mi bloccai. Sogno. E se... No, era assurdo, però... – Noi... ci conoscevamo anche prima, vero? – chiesi. – Quando eravamo piccoli? –
- No. – disse. Sembrava sincero, ma in qualche modo seppi che stava mentendo. Il fuoco si strinse di nuovo attorno a lui. – Ok, hai ragione. Sì, ci conoscevamo. Anche da piccoli. Come... come fai a saperlo? –
Non sapevo se dirgli la verità, ma alla fine decisi di sì. – Ho fatto dei sogni, nell’ultimo periodo. E sembravano... veri. E in alcuni dei sogni c’eri tu. –
Jo sembrò stupito, ma non commentò. – D’accordo. è vero, ci conoscevamo. E conoscevi anche Margherita. –
- Ma che vuol dire... conoscevo? Ha a che fare con quello che è successo sei anni fa? –
Annuì. Sembrava sempre più nervoso, ed era come se parlare lo facesse stare male. – Eva, io non dovrei dirti queste cose. – balbettò.
- Oh, invece io dico di sì. No, perché sai, direi che mi riguardano abbastanza. – ringhiai.
Incassò la testa nelle spalle. Adesso era quasi sul punto di correre via urlando, me ne rendevo conto. Davvero aveva così tanta paura di me?
- Insomma, ci conosciamo da un sacco di tempo. Quando... quando sei nata tu... tua madre è morta. E... tuo padre se n’era andato già da mesi. Sei rimasta a vivere da me. All’inizio... volevano ucciderti. Ma poi si convinsero che... che sarebbe stato disumano farlo. Insomma, eri solo una bambina. Tua madre... aveva fatto quello che aveva fatto di proposito, ma tu... –
- Che cosa aveva fatto mia madre? – lo interruppi. – E poi... non è possibile! I miei genitori sono vivi! –
- Quelli... non sono i tuoi veri genitori. – mormorò Jo. – Quelli veri... insomma, tua madre... ha avuto te. è stato questo il problema. –
Io continuavo a non capire. – Ma che cavolo significa? è morta... Cioè... l’hanno uccisa – non l’aveva detto esplicitamente, ma l’avevo capito – perché ha avuto una figlia? E poi, chi l’ha uccisa? –
Jo sembrava praticamente disperato. All’improvviso, sembrò prendere una decisione. – Guarda. – disse, poi ruotò il palmo della mano verso l’alto. Ne vidi scaturire una fiamma di un bianco puro, quasi accecante. – Eva... questo sono io. Questo è... quello che sono. Lo capisci? –
No. In realtà, non capivo affatto. E Jo sembrò rendersene conto. – Si tratta di... una specie di dono. Eva, quelli come me non  sono... umani. Siamo... angeli per metà. –
Io rimasi di sasso. Probabilmente avevo un punto interrogativo stampato in faccia.
- So che sembra assurdo. Ma è la verità. è il motivo per cui possiamo fare cose come questa. – aggiunse, indicando la fiamma che aveva sulla mano con un cenno del mento. – Tua madre... era come me. Però lei... insomma... tuo padre invece non lo era. Lui era... dall’altra parte. –
- In che... in che senso “dall’altra parte”? – balbettai. Con quella spiegazione lo sconvolgimento non se ne stava andando affatto, anzi.
Jo mi guardò. – Fallo anche tu. – mormorò. Gli tremava la voce.
- Faccio anche io cosa? –
- Questo. – rispose, indicando la sua mano.
Io continuai a fissarlo. E come cavolo dovevo fare?
Lui prese un respiro. Sembrava davvero spaventato, ma in modo diverso da prima. – è dentro di te, Eva. Sei tu. –
Se fosse stata una situazione normale, gli avrei dato dell’idiota. Ma, dopo tutto quello che era successo, in qualche modo gli credevo. E poi sapevo che stava dicendo la verità. Perciò aprii la mano, e subito una fiamma mi guizzò tra le dita. Era strana, per metà dello stesso colore di quella di Jo, e per l’altra invece di quello del fuoco che ci avvolgeva. Lui tirò un sospiro che mi sembrava di sollievo, e io lo guardai senza capire.
- Pensavo che... fosse... scomparsa. – sussurrò, sfiorando la parte di fiamma candida come la neve. – Insomma, Eva, il fatto è che non esistono solo discendenti... dagli angeli. Ce ne sono alcuni che sono discendenti... dagli angeli caduti. Tuo padre era un di loro. –
Lo fissai. – E... e quindi? –
- Le... unioni di questo tipo sono proibite, Eva. E lo sono proprio perché... perché tutti hanno paura che nascano persone come te. –
- Come... me? –
- Beh... in teoria... con una cosa come quella tra tuo padre e tua madre dovrebbe nascere un essere umano normale. Il Paradiso più l’Inferno... dovrebbe esserlo. Ma c’è anche un’altra cosa che è composta da Paradiso e Inferno. Che è nata dal Paradiso, ma che però ha deciso di lasciarsi corrompere da Lucifero. E quella persona... è il motivo per cui tu ti chiami così. –
Improvvisamente capii dove cercava di arrivare. – Eva? – balbettai. – Quella Eva? –
Annuì. – Si dice che nel sangue di Eva ci fosse la chiave per aprire le porte dell’Inferno. E il tuo sangue è come il suo. Non si sa come, ma invece che mescolarsi i poteri dei tuoi genitori si sono fusi solo in parte, e tu... a quanto pare puoi usarli entrambi. – Lanciò un’occhiata al fuoco che ci circondava. – I discendenti degli angeli caduti ti vogliono. Vogliono farti aprire l’Inferno e liberare Lucifero. Per questo sei... pericolosa, lo capisci? –
All’improvviso, mi ritrovai davanti quei simboli. E il mio sangue, che sembrava scavare la pietra, affondare fino all’infinito...
- Ti avevamo detto che non dovevi farlo. Che non dovevi mai cercare di fare una cosa del genere. Però... un giorno... Avevamo fatto un prigioniero. E lo stavano... torturando. E tu hai cercato di liberarlo... provando ad aprire l’Inferno. –
Rimasi di sasso. Non mi ricordavo assolutamente niente di quello che stavo dicendo, eppure era tutto stranamente familiare.
- Pensarono di uccidere. Alla fine, però... li convincemmo a non farlo. Ti cancellarono la memoria e ti mandarono qui, con me e Margherita a controllarti, visto che... eravamo i tuoi migliori amici, prima. E c’erano anche altre persone che ti tenevano d’occhio, lo fanno da sei anni. –
Fu come ricevere un pugno in faccia. – Quindi... questa è stata tutta una bugia. – mormorai. – Io... per sei anni ho vissuto in una bugia. – Mi tremava la voce.
- Eva, è stato per proteggerti. E il problema è cominciato quando... hai trovato il diario. Perché subito dopo è arrivato lui. Probabilmente è riuscito a sentire che stava cambiando qualcosa, non lo so. Loro non dovrebbero sapere che sei qui, però... Mike lo sapeva. Ed è venuto a prenderti. –
Rimasi paralizzata. Mike. Quindi Mike era...
Nello sguardo di Jo, lessi una conferma muta, sentii come una pugnalata allo stomaco. Una bugia. Tutta la mia vita non era stata altro che una stupida bugia.
Una lacrima mi rotolò sulla guancia, una lacrima di rabbia. – Perché non me l’hai detto prima? – domandai, la voce che tremava.
- Eva, non potevo farlo! Ti rendi conto che ti avrebbero uccisa? –
- Ma era la mia vita! – urlai. Mi sembrava inconcepibile che mi avesse mentito per anni. Dannazione, io pensavo che... – Pensavo che tu fossi mio amico, Jo. –
- Eva, lo sono! Io ho sempre cercato di proteggerti! –
- Sì, ma io non ho mai saputo niente di me stessa! Ti sembra giusto? –
- Per proteggere te. E' per questo che l'ho fatto, dannazione! -
- Ah, davvero? Secondo me non è la verità. Secondo me l'hai fatto solo per proteggere te stesso, la tua felicità. Non ti è mai importati di quello che ne sarebbe stato di me. Che cosa è successo? Avevi paura che ricordassi perché avevi paura che io ti odiassi? Avevi paura di quello che sono? –
- No! Eva, tu non... –
- Io non sono come te, ecco la verità. Ed è per questo che non mi hai mai detto niente. – Mi sentivo la rabbia bruciare dentro, ero sul punto di esplodere per l’ennesima volta.
- Loro volevano ucciderti. – sussurrò Jo, gli occhi lucidi.
- Anche tu mi hai uccisa. Non sono più io, questa, accidenti! Come fai a non rendertene conto? Non mi ricordo nulla di me stessa, del mio passato, di niente! Sono una persona che non esiste, ecco che cosa sono diventata per colpa tua! – ringhiai.
Jo mi guardò. Sembrava disperato. – Eva, ti prego. Ti giuro che l’ho fatto per proteggerti. Era l’unica possibilità che avevo. –
Improvvisamente lo seppi: dovevo scappare da lui. Non lo volevo più vedere, mai più. Non dopo tutto quello che mi aveva fatto. Mi aveva mentito per una vita, si era finto mio amico per controllarmi. Ecco che cos’era, nient’altro che un bugiardo.
Ma mi resi anche conto che non mi avrebbe mai permesso di andarmene. Dovevo trovare un altro modo, e alla fine scelsi l’unica via possibile. Mi sforzai di cancellare la rabbia dalla mia espressione e dalla voce. – Che cosa... che cosa devo fare adesso? – domandai.
- Eva, l’unica possibilità è farti dimenticare di nuovo tutto. Lo capisci? –
Io ingoiai aria, poi annuii lentamente. Ma una cosa la sapevo: non avrei dimenticato, mai più. E, anzi, avevo tutte le intenzioni di ricordare. Non sapevo in che modo, ma l’avrei fatto.
Perciò, quando Jo si distrasse un secondo per alzarsi, gli feci piombare il fuoco addosso. Sperai di non avergli fatto troppo male e mi alzai di scatto, correndo via mentre lo sentivo urlare.
Andando nell’unico posto dove speravo di poter trovare qualcuno che, almeno, avesse qualche interesse nell’aiutarmi. 


Ed ecco finalmente svelati un bel po' di misteri, ma la storia è ancora ben lontana dall'essere conclusa... anzi, per Eva l'avventura è appena iniziata! :)

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Capitolo 11
*** Angelo caduto ***


ANGELO CADUTO
Ormai conoscevo la strada per arrivare a casa di Mike come le mie tasche, perciò non ci misi molto ad arrivarci. Sperai che lui fosse lì e non ancora al ballo, o magari a cercarmi, altrimenti non avrei saputo cosa fare.
Suonai il campanello prima di permettermi di pensarci. Perché, se l’avessi fatto, sarebbe tornato il dolore. E la paura, soprattutto. Mentre, in quel momento, non mi serviva né l’uno né l’altra.
No, in quel momento quello che mi serviva era una risposta.
Il portone si aprì con uno scatto senza neanche che qualcuno rispondesse al citofono. Salii le scale praticamente di corsa, e quando arrivai sul pianerottolo mi trovai davanti lui. Era immobile sulla porta, bello come era sempre stato, ma adesso sapevo dare un nome a quello che c’era nei suoi occhi neri, a quella specie di fuoco nascosto.
Non appena lo vidi, sentii come il cuore spegnersi nel petto. Mike era stata l’unica certezza di quelle ultime settimane, e invece anche lui era semplicemente l’ennesima bugia. Però, riflettei, qualcosa di positivo c’era. Lui aveva bisogno di me, mi voleva. E magari, in cambio di me, mi avrebbe dato quello che cercavo. Il racconto di Jo non mi era bastato, neanche un po’. E poi, non riuscivo a odiare Mike come odiavo lui. Anche Mike mi aveva mentito, ma l’aveva fatto con uno scopo. L’aveva fatto sapendo alla perfezione quello che stava facendo. Invece, Jo sembrava ancora convinto che quella che aveva fatto fosse la cosa giusta nei miei confronti.
Mike sembrava stupito di vedermi. Continuava a fissarmi, serio, la mano appoggiata allo stipite della porta.
Lo guardai. – Sai perché sono qui. – mormorai. Non era una domanda.
Annuì lentamente, quasi con cautela. – Dov’è finito lui? –
Strinsi i pugni, sentendo le lacrime pungermi gli occhi. – Beh, spero di non averlo ucciso. – dissi, la voce che tremava. Non sapevo se di rabbia o di dolore. Mi chiesi se ci fosse davvero una differenza, ormai.
Mike si scostò dalla soglia. – Entra. –
-
Qualche minuto dopo, ero rannicchiata sul divano di casa di Mike con una tazza di tè bollente tra le mani. La giacca di Jo mi teneva abbastanza calda, ma non riuscivo a smettere di tremare. Presi un respiro e guardai Mike. Era seduto su una poltrona davanti a me, e mi osservava. Era così incredibilmente lui, nonostante quello che mi aveva detto Jo. Ripensai ai suoi occhi così dannatamente profondi, esattamente come i buchi scavati dal mio sangue nella pietra della chiesa. Poi alla porta della sua camera. Adesso tutti i tasselli stavano andando al loro posto. Mormorai quelle parole tra me, gli occhi puntati sul liquido nella tazza.
- Per me si va nella città dolente... –
Lui mi interruppe quasi subito. – Quanto ti ha detto lui? – domandò.
- Non lo so quanto. Diciamo che adesso so... cosa sono. E cosa sei tu. – Lo dissi quasi come un’accusa. – Non avevi nessun diritto di mentirmi. – aggiunsi. Non ero davvero arrabbiata. Mi sembrava di non essere più capace di provare niente.
- Beh, non l’ho fatto. Non nel vero senso del termine. Altrimenti te ne saresti accorta. Io ho solo... omesso dei particolari. –
Ricordai quello che era successo poco prima, quando Jo mi aveva detto una bugia. L’avevo sentito subito, come se qualcuno me l’avesse urlato chiaro e tondo nell’orecchio. – Beh, particolari piuttosto importanti. – dissi, stringendo le mani attorno alla tazza.
- Dipende da che punto di vista guardi le cose. – ribatté. Ma come faceva a essere così calmo? – Comunque, sei venuta perché...? – Mi scrutò. – Sai, pensavo che il tuo amichetto ti avesse detto di stare lontana dai cattivoni come il qui presente. –
- Sì, l’ha fatto. Ma non l’ho ascoltato. –
- E perché no? –
- Beh, mi sono fidata di lui per sei anni, e adesso ho scoperto che mi ha sempre tenuta nascosta la verità su di me. Diciamo che non avevo queste grandi ragioni per dargli ascolto. –
Mike fece una smorfia divertita. – Mh, in effetti lo capisco. Quindi, immagino che tu sia venuta qui per... sapere qualcosa di più. O sbaglio? –
- No, non sbagli. –
Sospirò. – D’accordo. Vai pure con le domande. –
Mi morsi il labbro, improvvisamente indecisa su cosa chiedere. – Chi è che ha ucciso mia madre? E che mi stava controllando fino ad ora? Chi sono quelle persone? – domandai, alla fine.
- Beh, sono... angioletti come il tuo amico. Candidi solo fino a quando qualcuno non va contro i loro interessi. – Lo disse quasi con disprezzo. – Come hai detto tu, hanno ucciso tua madre. E poi si definiscono anche “portatori della luce divina”. Cioè, hanno ragione. Dio è un tiranno, Dio distrugge chiunque gli vada contro. Lo dimostra quello che ha fatto... a Lui. –
Pronunciò quell’ultima parola quasi con venerazione, ma anche con uno strano distacco che non capii. – Con... “Lui” intendi... Lucifero? –
Mike annuì lentamente. – Fece un errore, sai? – domandò, quasi distrattamente. – Non valutò che Dio potesse essere così... meschino. Ma la storia della sua caduta non è quella che interessa a te, vero? –
Deglutii. – Quindi... voi pensate che siano veri. Dio e Lucifero e... Eva. –
- Se lo pensiamo? Dannazione, rifletti. Mi hai raccontato dei tuoi sogni, e credo che tu sappia perché volevano ucciderti. Come faresti ad aprire la porta dell’Inferno, se non esistesse nessun Inferno? –
- Quindi... quindi è vero. Io posso... farlo. – balbettai. Sembrava impossibile.
Mike mi guardò dritta negli occhi. – Eva, quelli che facevi non erano semplici sogni. Erano ricordi. –
Io ingoiai aria. In un certo senso, dopo quello che era successo con il fuoco su quel marciapiede, l’avevo già capito. – E perché era sempre tutto così... terribile? – domandai.
- Eva, tu avevi paura. Lo sapevi cosa ti avrebbero fatto se avessi aperto l’Inferno, se anche solo avessi tentato di farlo. Lo sapevi benissimo. –
Presi un respiro. – Magari hanno ragione, però. Magari la cosa giusta non è aprire l’Inferno. –
Lui sospirò. – Sì, puoi pensarla così. Eva, se c’è qualcosa che nessuno di noi può fare è cambiare quello che pensi. Ma devi decidere, Eva. O sei con loro, o sei con noi. Non c’è una via di mezzo. Se ti rifiuti di collaborare con loro, ti uccideranno a meno che tu non sia sotto la nostra protezione. –
- E viceversa? – domandai.
Scrollò le spalle. – Probabilmente no. Non abbiamo nessun interesse nell’ucciderti. Non sei particolarmente potente, non potresti farci nulla più degli altri. E poi, nessuno di noi si azzarderebbe a toccare la prediletta di Lucifero. Invece, loro ti vedono come la traditrice del Paradiso. Al primo passo falso ti faranno fuori, e visto quello che hai combinato stasera direi che quel passo falso l’hai già fatto. –
Io strinsi ancora di più la tazza. Iniziavo a perdere la sensibilità nelle dita. – Ma non sono stata io. – mormorai. Mi resi conto che mi tremava la voce. – Non sono stata io a... – Mi interruppi. Non sapevo neanche cosa dire.
Mike annuì. – Lo so. Ma è così che ti vedono, Eva. Ed è questo che sei, in realtà. Altrimenti, non saresti capace di fare... questo. –
Battei le palpebre. Quella parte era ancora troppo assurda per essere vera, perciò cercai di cambiare argomento. – E tu, invece? Come ti ci sei infilato, in questa storia? –
- Beh... mi hanno mandato. Abbiamo... sentito che stava cambiando qualcosa. Per tutto questo tempo eri praticamente scomparsa, poi all’improvviso ti abbiamo sentita. – Non gli chiesi cosa intendesse per “sentita”, sinceramente non pensavo di essere ancora pronta per questo. – Perciò sono venuti a darti un’occhiata, ma quando sono arrivati si sono resi conto che c’erano alcuni di loro che ti stavano controllando e che tu... non lo sapevi. E che non ti ricordavi assolutamente niente di prima. Perciò mi hanno mandato quasi subito qui per... cercare di sistemare questo casino. –
Strinsi i pugni. Quindi, Mike era una specie di esca. E io avevo abboccato come un’idiota. – Stronzo. – sibilai.
Lui incassò la testa nelle spalle. Era imbarazzato, ma sembrava che cercasse di non darlo a vedere. – Beh... insomma, quello che dovevo fare era fare in modo che... tu ti avvicinassi a me. E poi... avremmo trovato la maniera di farti ricordare. –
Io per un secondo ero troppo arrabbiata con lui per rendermene conto, ma poi mi venne in mente. – Però tu... tu li hai fermati. I sogni... cioè... i ricordi. Non so come hai fatto, ma... da quando te l’ho detto sono spariti! –
Mike deglutì. – Tu avevi detto che... ti facevano stare male. – mormorò. Sembrava quasi spaventato. – Non... dirlo a nessuno. Che l’ho fatto. Per favore. –
Quella richiesta mi stupì. Quindi, far smettere i sogni non era nei piani. Ma allora perché avrebbe dovuto farlo? Che gliene fregava di me? Aveva finto per tutto il tempo. Già, era ovvio. Perché uno come lui si sarebbe dovuto interessare a una come me così per caso? Ero stata un’idiota.
Mi alzai di scatto, e la tazza di tè ormai freddo si rovesciò sul pavimento.
Corsi verso il bagno e mi ci chiusi dentro, crollando contro la parete della doccia e singhiozzando convulsamente. Mi sentivo male, male, troppo male. Era tutto assurdo, tutto privo di senso, sbagliato.
Iniziai a sentire dentro un calore soffocante. Mi sembrava quasi di esplodere. Ansimando, mi rannicchiai su me stessa, ma quel senso di oppressione non passò, e neanche il tremore. Spalancai gli occhi. Non sapevo cosa stesse per succedere, ma era qualcosa di brutto. Qualcosa di assurdo che non riuscivo a controllare.
All’improvviso, sentii una voce dietro la porta. – Eva! –
Scoppiai di nuovo in lacrime, tremando sempre più forte. Sentii un colpo, e la maniglia si piegò in modo innaturale. Subito dopo, Mike si precipitò dentro e corse verso di me. Io urlai. – No! – balbettai, subito dopo. – Non... non toccarmi... –
Non mi ascoltò. Si accovacciò davanti a me e mi prese per le spalle. Io mi divincolai.
- Eva. – mormorò. – Eva, per favore. Sto cercando di aiutarti. –
Scossi la testa, piangendo. Mi sentivo sempre peggio, e la cosa più terribile era non capire cosa stesse succedendo. Mike mi afferrò di nuovo e mi premette la guancia contro il suo petto. – Ascolta. – mormorò.
Io all’inizio non capii cosa intendesse dire, poi mi resi conto che parlava dei battiti del suo cuore. Erano calmi, regolari, a differenza dei miei che sembravano impazziti. – Li senti? – chiese.
Annuii.
- Concentrati solo su quelli. Seguili. D’accordo? –
Io battei le palpebre. Non capivo a cosa potesse servire, ma in quel momento non sarei stata capace di dirgli di no. Mi rannicchiai contro il suo petto, continuando ad ascoltarlo.
Tum-tum. Tum-tum. Tum-tum...
Lentamente, quasi senza che me ne rendessi conto, anche il mio cuore iniziò a rallentare. Il senso di oppressione si allentò e poi sparì del tutto, ma io non mi mossi. Era bello stare lì, quasi troppo bello.
Sì, esattamente. Perché non significava nulla, niente di quello che era successo con Mike significava nulla.
Mi staccai rapidamente, e lui non mi fermò. Continuava a guardarmi. – Va meglio adesso? – chiese, con delicatezza.
Annuii. – Grazie. –
Mike si alzò, aiutandomi a tirarmi su. – Sei stanca? – chiese.
- Un po’. – mormorai, anche se l’idea di dormire era fuori discussione. Non sarei riuscita a farlo, in una situazione del genere.
All’improvviso, un pensiero mi colpì come un ariete. – I... i miei genitori. – balbettai. – Saranno fuori di testa. Che... che cavolo devo... –
Mi bloccai quando vidi la sua espressione. Sembrava quasi... addolorata. – Eva, quelli non sono i tuoi veri genitori. – mormorò.
- Lo so! Ma... –
- No, intendo che loro non sono neanche persone. –
Io rimasi paralizzata. – Cosa? –
- Quando... ti hanno cancellato la memoria... avevano bisogno di darti... una famiglia con cui vivere. Insomma, avevi dodici anni. Ma probabilmente non sapevano di chi fidarsi, insomma, non lo so. Comunque... hanno creato quei due... non so come chiamarli, a dire il vero. Direi che sono degli spiriti, ma non sono qualcosa di naturale. Comunque, quelli non sono umani, e dubito che... provino sentimenti. Probabilmente spariranno tra poco, o forse l’hanno già fatto. Dopotutto, direi che hanno finito con le bugie, da stanotte. –
Io ero sconvolta. Avrei potuto sopportare quasi tutto, ma non quello. Dannazione, erano i miei genitori!
Una lacrima mi rotolò sulla guancia, e Mike me la asciugò con un gesto. Adesso sembrava davvero diverso, quasi impacciato, come se non sapesse cosa fare. Alla fine, sembrò ricordarsi di qualcosa. – Eva, hai bisogno di dormire un po’. –
Scossi la testa. Davvero pensava che avrei potuto dormire? Nella... nella casa di un...
Mi guardò negli occhi. – Eva, ti prego. So che mi odi per quello che ti ho fatto, ma ti prometto che non ti farò del male. –
Diceva la verità. Però avevo comunque paura a dormire da sola. Presi un respiro. – Lo so che non... non c’è niente di vero. In quello che... che è successo tra noi, intendo. Però... – Battei le palpebre. – Mike, resti con me? –
Esitò. – Va... va bene. – mormorò. Si avviò verso la porta della camera ed entrò. Io per un secondo rimasi a guardare le scritte sul legno, poi lo seguii. Mike girò il cuscino e scostò le lenzuola dal materasso per farmi stendere. Io mi infilai lì dentro, e per la prima volta da quando ero arrivata lì mi resi conto di avere freddo. Chiusi gli occhi, ma subito sotto le palpebre mi si affollarono le immagini di tutto quello che era successo quella notte.
- Mike? – mormorai.
- Dimmi. –
- Mi canti qualcosa? –
Lui per un secondo rimase in silenzio. Poi sentii la sua voce. Era bella, morbida, più calda delle coperte.
 
Terra di betulla,
casa del castoro,
dove il lupo
ancora errando va...
 
Mi scappò un sorriso. Quella la conoscevo, era una vecchia canzone scout. Iniziai a cantare con lui fino a quando non arrivammo all’ultima strofa.
 
Là tra gli abeti
la luna appare,
Mamma, il tuo viso,
io rivedo ancora..

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Capitolo 12
*** Angeli e Demoni ***


ANGELI E DEMONI
Quando mi svegliai, fu per via del suono del campanello, e capii subito che non potevano essere passate più di un paio d’ore da quando mi ero addormentata. Aprii gli occhi, le palpebre pesanti, e vidi che Mike era già in piedi. Sembrava quasi all’erta.
- C’è uno di loro. – mormorò. Non avevo idea di come facesse a saperlo, ma ero abbastanza certa che fosse la verità. Rimasi paralizzata per un secondo, il cuore che mi pulsava nelle orecchie. Paura, di nuovo paura, e di nuovo quella strana oppressione nel petto.
Mike mi guardò. Mi sfiorò la guancia. – Calmati. – mormorò. – è probabile che siano qui per trattare, visto che hanno suonato alla porta. Ci sono delle protezioni, qui, i loro poteri non funzionano bene; e poi chiunque sia è da solo. Ti prometto che non ti faranno del male. Ok? –
Annuii piano.
- Resta qui. – disse lui, poi si avvicinò alla porta della camera e la aprì, uscendo e richiudendosela alle spalle. Nonostante quello che aveva detto, io mi alzai e gli sgattaiolai dietro. Non sapevo chi fosse, ma se era venuto da solo... probabilmente era Jo. E io non volevo che...
Mi bloccai. Davvero stavo pensando che non volevo che si facesse male? Dopo quello che era successo?
Riuscii a entrare in salotto subito prima che Mike aprisse la porta, ma la persona che si ritrovò davanti non fu chi mi aspettavo.
Una ragazza fu scaraventata dentro e atterrò sul pavimento con uno schianto che mi fece percorrere la spina dorsale da un brivido. Mike si limitò a tendere una mano, e lei fu sollevata a mezz’aria, finendo contro il muro. Quando fu con la schiena contro la parete, un semicerchio di fiamme nere la circondò, impedendole di muoversi.
Era successo tutto in un paio di secondi, mentre io ero ancora paralizzata sulla porta. Mi uscì una specie di grido strozzato e Mike si girò di scatto verso di me. C’era qualcosa di strano, in lui. I suoi occhi erano ancora più neri del solito, e profondi fino all’infinito come se...
Come se in fondo ci fosse l’inferno.
Ingoiai aria mentre battevo le palpebre. Lentamente, lui tornò normale, semplicemente un ragazzo. Eppure, in fondo alle pupille, continuavo a vedere quell’infinito. C’era sempre stato, capii, solo che io non l’avevo mai visto.
Cercando di non pensare alla paura, guardai la ragazza.
Marghe.
Mi fissava. Sembrava ancora stordita dal colpo, eppure non prestava affatto attenzione a Mike. – Eva... – mormorò.
Io non riuscii a rispondere. Avevo il cuore in gola, che batteva troppo veloce. Marghe, l’ennesima bugia. Ecco che cosa avevo davanti.
- Che ci fai qui? – riuscii a mormorare.
Mike non ebbe nessuna reazione, perciò capii che sapeva chi era. Eppure, non sembrava che si fidasse. Continuava a guardarla, immobile, una mano tesa verso le fiamme.
In effetti, neanche io mi fidavo di lei. Semplicemente, non ci riuscivo.
- Jo mi ha detto che... sei scappata. – disse lei. Adesso aveva almeno avuto la decenza di abbassare lo sguardo. – Eva, ti giuro, questo è un errore. è il più grosso errore che tu... –
Le fiamme le si strinsero intorno, e Marghe fu costretta a raccogliere le ginocchia al petto con un gemito.
- Chiudi quella bocca. – sibilò Mike. – Lo sai benissimo che non è così. –
Lei neanche lo guardò. Continuava a fissare me. All’improvviso, capii cosa dovevo fare. Cosa avevo bisogno di fare.
- Mike, lasciaci sole cinque minuti. –
Mi uscì con un tono calmo, quasi neutro. Lui mi guardò stupito. – Ma... –
- Non farà niente. Al massimo ti chiamo se ho problemi. – “Ma non ne avrò.”
No, sapevo che sarei stata capace di difendermi, se fosse stato necessario. La odiavo troppo per sentirmi ancora sua amica, per essere vicina a lei in qualsiasi modo.
Mike per qualche secondo rimase ancora immobile, poi lanciò un’ultima occhiata a me e a lei e andò a chiudersi in camera. Sapevo che avrebbe sentito tutto comunque, ma almeno avevo l’impressione di essere sola con Marghe.
Le fiamme non sparirono, comunque. Provai a smuoverle, ma non successe nulla. A quanto pareva, Mike non si fidava nemmeno di me.
“E perché dovrebbe?” disse una voce nella mia testa. “E poi, perché tu dovresti fidarti di lui?”
Ignorai quel pensiero, o almeno ci provai. Avevo bisogno di fidarmi di Mike, visto che non potevo farlo con nessun altro. Almeno, lui aveva intenzione di proteggermi.
Io e Marghe ci guardammo. Dopo quasi un minuto di silenzio, lei aprì la bocca. – Eva... –
- Che cazzo ci fai qui? –
Mi era uscito con tono rabbioso, quasi cattivo. Marghe sembrò stupita. – Io... –
- Tu – la interruppi, avvicinandomi lentamente e stringendo i pugni. – mi hai mentito per sei anni quando io pensavo che tu fossi la mia migliore amica. Ecco che cosa hai fatto tu. –
La sua espressione cambiò come se avesse ricevuto uno schiaffo. – Senti... Eva, so che sei arrabbiata, ma... –
- Arrabbiata? – chiesi, quasi sconvolta. Pensava davvero che il problema fosse la rabbia? – Ti rendi conto che io non so niente di me stessa? Che non mi ricordo nulla? Ti rendi conto che so di aver vissuto una bugia per anni? Che so di essere inseguita da dei pazzi fanatici che vogliono uccidermi? Ti rendi conto di come potrei sentirmi in questo momento? –
Abbassò la testa ancora di più. – Eva, mi... mi dispiace. Davvero, pensavamo che fosse l’unico modo di tenere le cose sotto controllo. Se non avessimo accettato questo compromesso, saresti morta. –
- E, tanto per sapere, qualcuno l’ha chiesto a me, se accettavo il compromesso? –
Mi lanciò un’occhiata. – No. – ammise. - Ma... –
- “Ma” un cazzo! Non sarebbe stato almeno mio diritto? –
- Non volevamo che tu ti facessi ammazzare. –
Serrai ancora di più i pugni, e sentii le unghie conficcarsi nei palmi. – Era un mio diritto, dannazione! – urlai. – E voi non ne avevate nessuno di restarmi intorno! Mi avete fatto questo, e adesso avete ancora la faccia tosta di dire che mi volete bene, che era per proteggermi! Siete dei fottuti stronzi! – Mi avvicinai ancora, e alle fiamme di Mike se ne sommarono delle altre, più alte e più calde. Marghe si spinse ancora di più contro la parete. – Almeno avreste potuto avere la decenza di sparire dalla mia vita! Ed è questo che voglio che tu faccia adesso! Non voglio vederti mai più, né tu né lui! –
Stavo ancora gridando, e non riuscivo ad abbassare la voce. Mi sentivo di nuovo sul punto di esplodere, e improvvisamente desiderai di farlo. Desiderai di prendere fuoco, di urlare all’infinito. Almeno sarebbe servito a sfogarmi.
Marghe mi guardò di nuovo. Aveva le lacrime agli occhi. – Eva... non mi aspetto che tu mi perdoni, ok? Ma ti giuro che stai facendo una cosa... sbagliata. Tu non sai per cosa... –
- ...per cosa mi stavano cercando quelli... dall’altra parte? – terminai. – Oh, certo che lo so. E, se proprio vuoi saperlo, so anche un’altra cosa. –
No, in realtà non la sapevo. In realtà, l’avevo capita in quel preciso momento. Mi avvicinai all’angolo cottura e afferrai un coltello. Ero così arrabbiata che quasi non sentii dolore quando mi ferii il palmo della mano. Poi mi chinai sul pavimento, e con il dito insanguinato disegnai quel simbolo. Giustizia. Vidi l’espressione di Marghe tingersi di terrore mentre il mio sangue sprofondava nel pavimento, proprio come nei sogni. – So di poter fare questo. E forse potrei anche farlo. Sai, se servisse a fare a pezzi quelli come te, lo farei! –
Adesso il suo viso era bianco come quello di un cadavere. Passai rabbiosamente una mano sul sangue per terra, cancellando il simbolo. Immediatamente, anche quella strana voragine sparì. – Mi avete fatto a pezzi la vita. Mi puoi spiegare perché non dovrei fare lo stesso con la vostra? –
A questo lei non seppe rispondere. 

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Capitolo 13
*** Odio ***


ODIO
Mi sentii afferrare per un polso, e quasi feci un salto. Mi girai di scatto, e mi ritrovai a incrociare lo sguardo di Mike. Era serio, e la sua presa era delicata ma ferma. – Eva, calmati. Potrebbe essere pericoloso se tu... perdessi il controllo adesso. –
“Se tu perdessi il controllo”. Non sapevo bene cosa volesse dire, a pensarci così a freddo, ma non suonava granché bene. Presi un respiro. – è... tutto ok. – mormorai, anche se a dire il vero non lo sapevo. Affatto.
Lui continuò a guardarmi per un paio di secondi, poi annuì lentamente e mi lasciò il polso. Lanciò rapidamente un’occhiata alle macchie di sangue per terra, ma non commentò. – è meglio se ti fasci la mano. – disse, indicandola con un cenno del mento. Io la guardai, e mi resi conto che era completamente rossa. Non mi ero accorta di essermi fatta così male. Lo seguii nel bagno senza riuscire a guardare di nuovo Marghe, che era ancora seduta per terra.
Mike tirò fuori da un cassetto delle bende, del cotone e del disinfettante. Me ne versò un po’ sul palmo, che iniziò subito a bruciare. Deglutii. – Mike... –
- Dimmi. – Non mi stava guardando, e sembrava che lo stesse facendo di proposito.
- Beh, ora... ora che... succede? –
Era la domanda che aveva iniziato ad assillarmi non appena lo shock per tutto quello che era successo era passato. E, adesso, era tornata la paura. Non avevo idea di quello che sarebbe successo, da lì a praticamente sempre.
- Beh, ho chiamato gli altri. Arriverà il prima possibile qualcuno a portarci via da qui. Dobbiamo raggiungere un portale. Quello più vicino e in casa del tuo... amico, ma dubito che potremmo usare quello. Troppo pericoloso. –
- Un... cosa? – domandai, senza capire, mentre iniziava a fasciarmi il palmo dopo averlo sciacquato.
- Ah, giusto, mi ero dimenticato che tu... non lo sai. Scusa. – Esitò. – Sì, insomma, i portali servono... per passare da un mondo all’altro. Noi... non viviamo qui. Infatti nessuno aveva pensato di cercarti ad Altrove, quando... –
- Altrove? – lo interruppi.
- Sì, beh... la Terra per noi si chiama così. Altrove. è un po’ un modo di dire. Quelli come noi vivono... da un’altra parte. Si chiama... Elgrandir. Nella lingua antica della nostra terra significa... –
- Paradiso e Inferno. – mormorai, improvvisamente colpita da quel pensiero. Tradurre quella parola era stato semplice come leggere i simboli sul muro della chiesa. Come se per me fosse qualcosa di naturale.
E, in effetti, magari lo era. Non avevo idea di che cosa fosse successo, prima, di che cosa sapessi o non sapessi fare.
Mike annuì. Non sembrava stupito. – Ovviamente, non sono il vero Paradiso e il vero Inferno. Però ci viviamo noi, che veniamo da un posto o dall’altro. Oppure da entrambi. – aggiunse, guardandomi per la prima volta da quando eravamo entrati nel bagno.
- Quindi... il bosco, e la chiesa erano... – Mi bloccai. – I portali sono come... sì, insomma, delle porte? Cioè, tu le attraversi e invece di arrivare in un’altra stanza vai in un altro mondo? –
- Sì, più o meno sì. –
Mi ritornò alla mente uno dei primi sogni che avevo fatto, quello in cui correvo nel bosco. E poi anche quello della camera da letto. Era uno dei più ricorrenti, e oltretutto mi sembrava di farlo da sempre. Forse anche quella porta blu era un portale.
Mi sentii frustrata al pensiero di quanto poco sapevo. Era assurdo, eppure ero più estranea alla mia vita di tutte gli altri, in quella casa.
- E Marghe? – domandai, all’improvviso. – Lei cosa... Cioè... –
Mike mi guardò sottecchi. – Beh, penso che la lasceremo qui. Prima o poi la troveranno. Io non credo che tu voglia che... che la uccida, vero? –
Quindi, se fosse stato per lui, lei sarebbe morta. Non mi sarei dovuta stupire, dopo aver saputo quello che era successo a mia madre, ma l’odio che sembrava esserci tra quelle due... fazioni era qualcosa che non mi era mai capitato di vedere, non sul serio.
Eppure, Mike sembrava così dannatamente calmo, e probabilmente lo era per me. Forse aveva paura di spaventarmi, forse pensava che comportandosi bene con me sarebbe stato più facile farmi fare quello che voleva. Beh, per quanto mi riguardava, “quello che voleva lui” avrebbe potuto significare qualsiasi cosa. La rabbia che avevo provato mentre parlavo con Marghe era sparita e, in effetti, non volevo che qualcuno le facesse del male. Come non riuscivo a volere che qualcuno ne facesse a Jo. Li avevo considerati amici per troppo tempo. è assurdo come le illusioni a volte siano più forti della realtà.
Già, proprio, pensai tra me, fissando Mike. Mike, che era sempre lo stesso ragazzo, che si comportava nello stesso identico modo, che era bello da morire, che avrei voluto baciare. Sì, eccome se l’avrei voluto. Lui sapeva farlo in quel modo bello che ti trascinava via, che non ti faceva sentire niente a parte la felicità.
Ma Mike non mi amava, per lui ero solo uno scopo. E neanche i miei amici erano davvero miei amici, per loro ero solo un pericolo.
E io, per me stessa, che cos’ero?
A questo non seppi rispondere.
-
Quando tornammo in salotto, Marghe era ancora lì, immobile in mezzo alle fiamme. Le guardava, e sembrava che ci si fosse persa con gli occhi, ma sollevò la testa appena ci sentì. Era pallida, e seria. Non spaventata, no, affatto. Semplicemente seria. Ci fissammo per un secondo, e mi venne voglia di piangere. Non so come riuscii a trattenermi.
Lei osservò prima me, poi Mike. – Beh, non penso di avere molto da dire, anche volendo. Sono rimasta qui per sei anni, e lo sai benissimo. Perciò penso che sia abbastanza inutile che tu mi chieda chissà che. – disse. Era ancora calma, o almeno lo sembrava. Ma stava fingendo, lo sapevo benissimo. Aveva paura.
E anch’io ne avevo. Tanta. Troppa.
Sentii le dita di Mike sfiorare le mie, piano, quasi un gesto casuale. Ma non lo era. Era un modo per dire “Calmati, andrà tutto bene.”
E io decisi di credergli, perché non sapevo in cosa credere.
Lui si avvicinò a Marghe. – Ti lasceremo qui. Ti troveranno, prima o poi. Se non altro, penseranno che ti ho uccisa e verranno a riprendersi il cadavere. – Lo disse con una freddezza che mi fece quasi paura, anche perché era venata di quell’odio strano e insopportabile.
Lei lo fissò con sfida. – Non ho bisogno della tua pietà. –
Mike rise. Una risata quasi cattiva. – Mia? Pensi davvero che ti stia lasciando vivere perché importa a me? – La fissò dall’alto in basso, poi si girò e si infilò in camera sbattendosi la porta alle spalle.
Io restai immobile sul posto. Forse avrei dovuto seguirlo, forse correre via, forse mettermi a piangere. Non riuscii a fare nessuna di queste cose. Riuscii solo a fare una domanda.
- Perché? –
- Lo sai perché, Eva. –
- Sai qual è la cosa peggiore? – domandai, avvicinandomi. – è che pensi ancora che sia stata la cosa giusta. E anche lui lo pensa. –
- Magari lo era. –
- O forse no. Non ci hai mai pensato? –
Silenzio.
- Era bello, in un certo senso, sai? – Adesso avevo iniziato a piangere. Le lacrime mi rotolavano sulle guance, bollenti. Avrei voluto fermarle, ma non ci riuscivo. – Era bello pensare di potermi fidare di qualcuno. – La voce mi si strozzò in gola.
- Eva, lo sai che di lui non puoi fidarti. è pericoloso. – Aveva gli occhi bassi, come se non fosse stata davvero certa di quello che stava dicendo. E, in effetti, mentiva. Mike non era pericoloso, almeno non per me.
- Invece lui è l’unica persona di cui mi posso fidare. Sai, almeno ha qualche interesse a mantenermi in vita. – dissi, sentendo la rabbia tornare. Ma era una rabbia debole, spenta. Ormai non avevo più niente, quella notte aveva già bruciato tutto di me.
Prese un respiro. – Hai ragione. – ammise.
Rimasi di sasso.
- Hai ragione. – ripeté. – è vero. Lui è l’unico modo che hai per... evitare che qualcuno ti faccia del male. – Sembrava che, dopo aver gettato la maschera di persona normale, adesso avesse anche gettato quella di angelo. Adesso, uno strato ancora più sotto, era di nuovo un’amica. Qualcuno a cui importava di me. – Lo so che non dovrei dirlo. Lo so. Ma... lui può salvarti e io no. Noi no. E devi promettermi che non crederai mai a tutte quelle stronzate del tipo “meglio morire che l’Inferno”. Non è meglio, o se anche lo fosse come farebbero a saperlo, le persone che hanno detto tutte queste cazzate? – Aveva i pugni stretti, e piangeva. – Però... mi devi promettere una cosa. Mi devi promettere che penserai con la tua testa. In qualsiasi momento, non lasciarti trascinare. Se vuoi farlo... va bene. Ma... –
- Tu non hai mai voluto che io pensassi con la mia testa. – la interruppi. – Tu mi hai sempre... controllata. –
- Ti ho controllata. Ma tu hai sempre pensato con la tua testa. –
Di nuovo silenzio. Già, perché io adesso non ne ero capace, di pensare con la mia testa. No, per niente. La mia testa era nel caos. – Ti odio. – mormorai. Sì, la odiavo, ma contemporaneamente non la odiavo affatto. Odiavo tutti e nessuno, in quel momento. Odiavo lei, Jo, Mike, odiavo le persone che mi avevano strappato tutto, odiavo quel mondo ingiusto, odiavo le bugie.
E, più di tutto il resto, odiavo me stessa. Per non aver mai capito, per sentirmi così terribilmente stupida.
Mi girai di scatto e corsi in camera, praticamente buttando a terra Mike. Mi infilai nel letto e serrai le palpebre.
E poi stavo dormendo.
-
Mi svegliai al suono di alcune parole appena bisbigliate. Battei le palpebre e guardai la sveglia sul comodino. Di nuovo, era passata poco più di un’ora. Quella notte sembrava non dover finire mai.
Mi alzai, barcollando, e mi avvicinai alla porta della camera. Nel salotto la luce era accesa, e mi ferì gli occhi. Osservai la scena che avevo davanti quasi con stupore. Già, se fossi stata capace di provare ancora qualcosa, mi sarei stupita.
Mike era seduto sulla spalliera del divano, e mi dava la schiena. Marghe invece era ancora seduta per terra nel suo cerchio di fiamme. Stavano parlando, parlando in modo normale.
- ...per favore. – Marghe concluse un discorso che non ero riuscita ad afferrare e rimase in attesa.
- Non capisco cosa ci guadagni tu. – rispose Mike, con freddezza.
- Perché dovrei guadagnarci qualcosa? –
- Perché quelli come te fanno sempre le cose per guadagnarci. –
Silenzio. Un silenzio teso, eppure ancora nessuno dei due sembrava arrabbiato o disperato come mi ero sentita io, come ci eravamo sentiti tutti e tre poco prima.
- Comunque, lo sai già. La proteggerò a costo della mia vita. Perché non dovrei farlo? –
Marghe prese un respiro. Sembrava quasi sollevata. – Non lo so. Era per... essere sicuri. –
Mike emise uno sbuffo nervoso, poi si girò e si diresse verso la camera. Io mi fiondai nel letto, il cuore a mille.
Marghe aveva appena chiesto a Mike di proteggermi.
Era assurdo, nonostante quello che mi aveva detto. E altrettanto assurdo mi sembrava il fatto che lui avesse accettato, ma poi ripensai a quello che ero io per lui.
Tenni le palpebre serrate mentre Mike entrava e si chiudeva la porta alle spalle. Mi aspettavo che si sedesse o si mettesse a dormire, invece non fece niente di tutto questo. Si inginocchiò accanto al letto e mi passò una mano tra i capelli. – Non ti faranno del male. Mai. Te lo prometto. – mormorò, poi sentii qualcosa sulla fronte.
E mi resi conto solo quando sparì che quel qualcosa erano le sue labbra.

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Capitolo 14
*** Dimmi la verità ***


DIMMI LA VERITA’
Aprii gli occhi qualche minuto più tardi, sperando che Mike non mi vedesse. Non volevo che sapesse che avevo ascoltato la sua conversazione con Marghe, soprattutto perché ancora non avevo idea di cosa pensare al riguardo. Subito dopo, mi diedi della stupida. Su cosa avevo idea di cosa pensare, in quel momento?
- Penso che dovresti dormire un altro po’. Sei stanca, e c’è ancora tempo prima che arrivino. –
Io sollevai la testa di scatto, sentendo la voce di Mike. Come era possibile che mi avesse vista aprire gli occhi? Era tutto completamente buio!
- Concentrati. Puoi farlo anche tu, credo. Vedere al buio. –
“Eh?” Potevo fare anche io cosa?
Beh, riflettei, non era poi molto più strano di sparare fiamme nere o far volare gli oggetti. Solo che, come entrambe le altre cose, non avevo la più pallida idea di come fare. Insomma, quando c’ero riuscita era successo per caso. Avevo agito d’impulso nei momenti in cui praticamente mi sentivo esplodere. Adesso, invece, mi sentivo stranamente calma. – Non so come fare. – mormorai, a mezza voce. E non avevo neanche chissà quale voglia di farlo, in realtà. Probabilmente Mike lo sapeva benissimo, che avevo sentito tutto. E io non volevo assolutamente parlare di quello.
- Beh, è un po’ come se... tu provassi ad aprire di nuovo gli occhi anche se sono già aperti. –
Quella spiegazione mi fece venire voglia di sbuffare e dire: “Cosa?!”, però poi decisi che provare non sarebbe costato granché. Dopotutto, al massimo ci avrei fatto la figura dell’idiota davanti a Mike, ma probabilmente ce l’avevo già fatta un paio di volte per via dei miei attacchi isterici. E poi, a dire il vero, chi cavolo se ne fregava di fare la figura dell’idiota in un momento del genere?
Tenendo gli occhi ben aperti, provai ad aprirli di nuovo. All’inizio, l’unico risultato che ottenni fu spalancarli ancora di più, poi successe qualcosa. Sentii come un’altra palpebra che si sollevava, e all’improvviso la stanza, per quello che ne sapevo io, sarebbe potuta essere tranquillamente immersa nella luce di uno splendente mattino estivo. Riuscivo a vedere tutto, comprese le scritte nei quadri. E Mike. Era seduto sulla sedia della scrivania, che però era girata verso il letto. La testa era sorretta dai gomiti puntati sulle ginocchia, e mi stava guardando.
- Come... va? – domandò, esitando.
- Tutto ok, credo. –
- Te l’ho detto, ci vorrà ancora un’oretta prima che arrivi qualcuno. I portali non sono sempre dove servono, e poi l’equinozio di primavera non è un gran momento per muoversi tra i mondi. Normalmente ci avrebbero messo molto meno. –
Presi un respiro. – E quando arrivano... che facciamo? –
- Beh, andiamo via da qui. Ti portiamo al quartier generale. Lì non ti potranno fare nulla, sicuramente. E poi... beh, lo sai. – Sembrava quasi in imbarazzo all’idea di dirlo ad alta voce.
Io lo fissai. – Mike... –
- Dimmi. –
- E se io non volessi farlo? –
Silenzio. Lui esitò di nuovo. – Non lo so. Penso che comunque ti proteggerebbero e cercherebbero di farti cambiare idea. Il fatto è che non possiamo costringerti a farlo. L’Inferno si apre solo se tu lo vuoi, non basta il tuo sangue. –
- E questo è un modo per dirmi che posso fare quello che mi pare? – domandai, senza capire. Che motivo poteva avere per dirmi una cosa del genere? Avrebbe potuto minacciarmi per convincermi a farlo.
- No, è un modo per dirti che tu l’hai sempre voluto. –
Il mio cuore accelerò.
- Magari non te ne accorgevi. Ma quello che succedeva parlava chiaro, Eva. Ed è per questo che avevano paura di te, che sei stata fortunata che non abbiano scoperto i segni sulla chiesa o nel punto dove è caduto Lui. Se l’avessero fatto ti avrebbero giustiziata subito come traditrice. –
Quasi non sentii quelle ultime parole. – Hai detto... nel punto dove è caduto Lui? Intendi... –
Mike annuì. – Lucifero non è mai caduto sulla Terra. Lo dicono, ma non è la verità. è caduto ad Elgrandir, e il punto dove ha toccato terra si è aperta la prima porta dell’Inferno. Si è richiusa subito, però in quel punto il fuoco ormai aveva bruciato tutto. Non ci è mai più cresciuto niente. –
Deglutii. Un fuoco che riusciva a rendere sterile una terra per migliaia di anni. – Ma... se... se Lucifero è... caduto in quelle... fiamme... non potrebbe essere morto? –
Lui teneva gli occhi fissi sul muro dietro di me. – Potrebbe. – ammise. La voce gli tremava, quasi. – Però... molti credono di no. Insomma, quello che successe nell’Eden... lui era già all’Inferno. Riuscì a materializzarsi come serpente e... beh, fece quello che fece. Quindi probabilmente non è morto. Ma non lo sappiamo. Quello che ci è arrivato per lo più sono leggende. Nessuno sa se siano vere oppure no. –
Io annuii lentamente. Quindi, non c’era niente di certo. E, quindi, avevo ancora tempo per pensarci. – E... che cosa succederà, dopo? –
Lui mi guardò. – Se davvero è vivo, ci sarà una guerra. Se non lo è... non lo so. –
- Quindi... non c’è nessun piano di riserva. –
- No. è strano come non siano riusciti a trovarne uno in migliaia di anni, eh? – borbottò. Sembrava quasi ironico, e mi scappò una risatina nervosa. Beh, almeno, era pur sempre una risata.
- Ehm... Mike... –
- Sì? –
- Non è che avresti qualcosa... che potrei mettermi? Cioè... – Lanciai un’occhiata a quello che indossavo. Il vestito era sporco e strappato in più punti, e l’unica cosa decente che avevo addosso ormai era la giacca di Jo, visto che avevo perso le scarpe.
Lui annuì. – Sì, certo, scusa. Non ci avevo pensato. – Si alzò e si diresse verso l’armadio, iniziando a frugarci dentro. – Guarda se questa non ti va troppo grande. – disse, porgendomi una maglietta. Io mi tolsi il vestito finché lui se ne stava girato e la infilai. Era una t-shirt di un vecchio gruppo musicale, abbastanza stinta, probabilmente lavata troppe volte, ma almeno era più o meno della mia taglia, adesso. Mi passò anche un paio di jeans senza guardarmi. Erano troppo lunghi, perciò li arrotolai intorno alle caviglie. Riuscii a sistemare la vita con una cintura, però per le scarpe non ci fu niente da fare.
- Beh, quando arriveremo là penso che te ne troveranno un paio. – disse lui.
- Non sapevo che i satanisti avessero una scorta di scarpe per eventuali persone ripudiate dal Paradiso. – ironizzai, poi mi bloccai, pensando di averlo offeso. Invece, lui scoppiò a ridere.
Mi piaceva quella leggerezza, dopo tutto quello che era successo quella notte ne avevo bisogno. Forse fu grazie a quella che trovai la forza di dire: - Ho sentito... quello che hai detto a Marghe. –
Batté le palpebre. – E... quindi? – chiese.
- Grazie per... volermi proteggere. –
- Lo faccio per la causa. – disse, nervosamente. C’era qualcosa, nella sua voce, qualcosa che non tornava. Non stava mentendo, ma neanche dicendo la verità. O, per lo meno, non tutta.
Lo guardai. - Credo che tu non pensi davvero quello che stai dicendo. -
- E come fai a saperlo? Sai che non ho mentito. -
- Sì, ma so anche che non l'hai fatto neanche prima. Non hai mentito, quando hai detto che mi amavi. –
Non so dove trovai il coraggio di dirlo, ma me ne pentii subito dopo. Ingoiai aria.
- Io non ho mai detto di amarti. – rispose lui. Neanche stavolta stava mentendo.
Lo fissai negli occhi. I miei li sentivo pieni di lacrime, lacrime che pungevano. Mi sentivo stupida, stupida, troppo stupida. E patetica.
- Dillo. – mormorai, con il poco di voce che mi restava. – Dillo. –
- Perché? –
- Perché voglio saperlo, che non è vero. –
- Non ti accontenti del fatto che te l’abbia detto io? –
- Tu non me l’hai mai detto. –
Silenzio. Mike aprì la bocca per parlare.
E, in quel momento, il campanello suonò.
-
Rimasi paralizzata sul posto. Chi poteva essere? Dall’espressione sul viso di Mike, capii che non erano buone notizie.
- è... lui. – mormorò.
Io sentii il panico travolgermi come un fiume in piena. Jo. Jo era venuto qui. Ma perché?
Sentii dei rumori, poi dei passi su per le scale, quasi di corsa. Dei colpi alla porta, sempre più forte. Mike corse in salotto, e io lo seguii. Marghe adesso era in piedi nel suo cerchio di fiamme.
Altri colpi. – Apri! Dannazione, apri! – urlò qualcuno da fuori. Jo. Sembrava terrorizzato, così tanto che Mike tese una mano in avanti e la serratura scattò. La porta si aprì, e Jo finì per terra. Aveva il fiato corto, ed era pallidissimo. Guardò Marghe, poi me. – Dobbiamo andare via da qui. – ansimò. – Eva, devi andare via adesso, o... –
Non fece in tempo a finire di parlare.
Perché, in quel momento, il mondo esplose.


Ed ecco che la situazione, che si è appena calmata, "esplode" letteralmente di nuovo...XD Spero che il capitolo vi sia piaciuto, grazie a tutti per le recensioni! :)

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Capitolo 15
*** Fuga ***


Ecco a voi un altro capitolo un po' pieno... spero che vi piaccia :)
P.S. Grazie a tutti per le recensioni! :D

FUGA
Vidi un muro di fuoco arrivarmi addosso, e urlai. Le fiamme, alte e ruggenti, così bianche da fare male agli occhi, improvvisamente erano ovunque. Non riuscivo a vedere niente, sentivo solo il calore delle fiamme. Calore che, però, non bruciava. Quando una lingua di fuoco mi arrivò addosso mi sentii scaraventare a terra, ma non sentii dolore se non quello per la botta.
Mi guardai intorno, terrorizzata. Non vedevo niente, a parte fuoco, fuoco e ancora fuoco. E non sentivo niente tranne il ruggire delle fiamme.
O, almeno, finché non ci fu quell’urlo.
Mi girai di scatto, nella direzione da cui proveniva, riconoscendo la voce a stento. Era un grido di dolore, strozzato, disperato.
E a urlare era stato Mike.
Mi mossi alla cieca in quella direzione, gridando il suo nome. Non ottenni risposta se non dei gemiti di dolore. Le fiamme continuavano a sbatacchiarmi da una parte all’altra, come se fossero state fatte di pietra. Ogni colpo era come un pugno, ma non riuscivo a fermarmi. Barcollai per qualche altro metro, e poi improvvisamente lo vidi.
Mike era per terra, e stava bruciando. Le fiamme, che non sembravano avere alcun effetto su di me, avevano attecchito sul suo corpo come le mie su quello di Jo. E, adesso, lui era lì, immobile, a contorcersi dal dolore. Io rimasi paralizzata. Non sapevo cosa fare. Dovevo aiutarlo, ma non sapevo come.
Lui, all’improvviso, sembrò vedermi. – Eva... scappa... – rantolò, le mani strette attorno alla gola. Stava soffocando. Mi uscì un gemito strozzato, e mi sentii afferrare per un braccio.
Mi girai di scatto. Era Jo, con gli occhi venati di panico, ma che sembrava sicuramente più lucido di me. – Andiamo via. – disse. La sua voce non ammetteva repliche. – Subito. –
- No. –
Non capii dove avessi trovato la forza di rispondergli in modo così tagliente, ma sicuramente lui capì perché l’avevo fatto. Guardò Mike, che gemette di nuovo. I suoi occhi, adesso, facevano quasi paura. Erano gli stessi di quando aveva evocato il fuoco, pozzi senza fondo che portavano all’Inferno.
Ma, se Mike era davvero l’Inferno, allora l’Inferno valeva la pena di essere salvato.
Cercai di concentrarmi, di capire come spostare quelle dannate fiamme. E, all’improvviso, successe.
Solo che non ero stata io.
Mi voltai di scatto verso Jo, che però si era già mosso, un’espressione cupa sul viso. Afferrò Mike, che sembrava svenuto, per la vita, e iniziò a trascinarlo sul pavimento per tirarlo fuori da quella specie di incendio. Io non avevo idea di come facesse a orientarsi, visto che non era mai stato lì e non si vedeva assolutamente niente, ma lui, anche se ogni tanto barcollava per via delle spinte delle fiamme, continuò a muoversi con decisione in una direzione. Io ero troppo stupita per non seguirlo. Jo stava cercando di salvare Mike.
E, visto che dubitavo che lo stesse facendo per lui, visto quanto lo odiava, mi resi conto di quale fosse l’unico motivo per cui aveva deciso di farlo.
All’improvviso, qualcosa mi sbatté addosso. Lo spinsi via, pensando che fosse semplicemente un’altra di quelle fiamme innaturali, ma poi mi resi conto che era una persona. Anzi, più precisamente, che era Marghe. Io e lei ci guardammo, poi la afferrai per il polso e iniziai a tirarmela dietro, seguendo Jo. Aveva la pelle arrossata in più punti, come se si fosse scottata. Probabilmente aveva dovuto toccare il fuoco nero per cercare di scappare. Mi venne dietro senza una parola, anche se dubitavo che l’avrei sentita: il ruggire delle fiamme era sempre più alto, quasi assordante. All’improvviso, ci fu una scossa e il pavimento mi mancò sotto i piedi. Finii per terra, sbattendo la faccia, e sentii sapore del sangue in bocca. Marghe mi tirò su e ci mettemmo a correre alla cieca. Mike e Jo non si vedevano più. Noi barcollammo in avanti, mentre la terra continuava a tremare sempre più forte. Alla fine, sbattei contro qualcosa di immobile. Una parete.
Un urlo: - Eva! –
- Jo... – balbettai, guardandomi intorno, senza osare lasciare la mano di Marghe. Senza quella, sarei stata completamente sola in quella specie di vuoto fatto di fuoco. – Jo, dove sei? –
- Vai verso la finestra! –
Sì, certo, facile a dirsi. Strisciai verso destra – la direzione da cui mi sembrava di aver sentito provenire la sua voce – con la schiena al muro, e alla fine riuscii ad aggrapparmi alle tende. Non erano bruciate, notai. A dire il vero, però, neanche i miei vestiti lo erano. A quanto pareva, quel fuoco non bruciava le cose normali. Mi chiesi se avrebbe bruciato un essere umano, toccandolo, ma quello non era il momento di fare domande.
Mike sembrava ancora svenuto, e adesso era appoggiato contro la parete. Io mi chinai accanto a lui, afferrandogli il polso. Il suo cuore batteva impazzito. – Che... che facciamo? – balbettai, rendendomi conto che mi tremava la voce. Era tutto troppo assurdo.
- Sono arrivati prima di quanto pensassi. – mormorò Jo. – E, da quello che stanno facendo, direi che non hanno intenzione di parlare. – aggiunse, nervosamente. – Dobbiamo uscire da qui. Fra poco entreranno e saremo davvero nei guai. –
- Ma dove cazzo possiamo andare? E poi... siamo al primo piano! è un bel salto, con una specie di peso morto da trasportare. – commentò Marghe. Sembrava agitata, ma piuttosto lucida.
A differenza di me. Io avevo solo voglia di mettermi a urlare. Provai a scuotere Mike, che però non reagì. Sentii montare il panico. – Che... che cosa ha? – balbettai, fissando Jo.
- Questo fuoco gli fa male. è fuoco del Paradiso. – spiegò lui, guardando fuori dalla finestra. – Eva, dobbiamo lasciarlo qui. Se non lo facciamo moriremo tutti. Dobbiamo sbrigarci. –
- Ma se lo lasciamo qui morirà! –
Silenzio. Io ripresi a guardare Mike. “Ti prego. Ti prego, dannazione, svegliati!” Gli ripresi il polso, e nei suoi battiti sentii lo stesso vuoto infinito che c’era stato prima nei suoi occhi. Qualcosa dentro di me scattò. In un battito, sembrò che il fuoco mi si fosse diffuso nel sangue.
Sangue.
Mi strappai la fasciatura dalla mano e affondai le unghie nel taglio nel palmo. Fece male, ma quasi non lo notai. Quando sentii quel liquido rosso e appiccicoso scivolarmi tra le dita, Mike improvvisamente spalancò gli occhi. Erano diversi, ancora più vuoti di prima, e sembravano quasi impazziti. Emise una specie di ringhio, e Jo urlò. – Eva, no! –
Mi sentii scagliare per terra, travolta da qualcosa che era troppo forte per essere semplicemente Mike. O almeno, quello che conoscevo come Mike. Un ginocchio mi affondò nel costato e mi tolse il respiro, facendomi rantolare.
 E poi sentii una sferzata di dolore alla mano, come se qualcuno ci stesse affondando di nuovo un coltello. Avrei voluto urlare, ma mi uscì solo un gemito. In qualche modo riuscii a sollevare la testa, e mi resi conto che la cosa sopra di me non era affatto umana. Le mani che mi tenevano le spalle ancorate a terra erano più simili ad artigli, e le vene sotto la pelle sembravano nere. E poi c’era il viso. Stravolto, impazzito, con denti affilatissimi al posto del sorriso che ero abituata a vedere. Denti affondati nella mia mano.
Mike, o qualsiasi cosa fosse quel mostro, stava bevendo il mio sangue.
In qualche modo, riuscii a non farmi prendere dal panico. Sentivo ancora il corpo in fiamme, e qualcosa mi diceva che era la cosa che dovevo fare. Che era giusto.
E che era l’unico modo per aiutarlo.
Poi, però, successe qualcosa. Un urlo, e Mike mi fu strappato di dosso. Poi ci fu uno schianto. Un ringhio. Qualcuno mi arrivò accanto, tirandomi su. – Eva, stai bene? – domandò Marghe.
Io la guardai un po’ disorientata, e in quel momento sentii un altro ringhio. Vidi Mike volare letteralmente contro il muro. Adesso sembrava ancora meno umano di prima. Faceva paura. La pelle aveva iniziato a ricoprirsi di quelle che sembravano squame nere, e gli occhi erano fuori fuoco, impazziti e fissi su di me come quelli di un animale affamato su una preda. Fece per saltarmi addosso, ma qualcuno lo bloccò a mezz’aria ed entrambi rotolarono sul pavimento. Mi resi conto che quel qualcuno era Jo nel momento in cui sentii Mike che urlava di nuovo di dolore.
- Jo! – gridai. Lui si girò verso di me per un secondo, e Mike lo scagliò contro il muro. Sembrava impazzito, così dannatamente non lui. Ma, per qualche motivo, continuavo a vederlo, da qualche parte in quella specie di belva inferocita. Gli corsi incontro. – Mike... – Mi afferrò per i polsi. Non riuscivo a guardarlo negli occhi. Sentii i suoi denti graffiarmi la pelle del collo. Poi, improvvisamente, lui si fermò.
E poi stavo precipitando.
-
Atterrammo sul tettuccio di un’auto, che si piegò sotto il nostro peso. Non sbattei da nessuna parte, però, c’era qualcosa sotto di me. Qualcosa che mi tenne stretta fino a quando non rotolammo sul marciapiede, e che poi mi afferrò per una mano, costringendomi ad alzarmi, e prese a correre all’impazzata verso l’intrico di vicoli che era il centro della città.
Io non riuscii a fare altro che seguirlo, ansimando. La mano mi faceva un male cane, soprattutto perché lui – Mike – me la stava stringendo così forte che per un attimo temetti che avrebbe potuto romperla. Ma non successe. E lui sembrava molto più... lui. Per quello che riuscivo a vedere, era semplicemente umano.
Altri passi, affannati, veloci. Cercai di accelerare, nel panico, poi mi resi conto che la persona che correva accanto a me era Jo. Riuscii a vederlo solo per un secondo prima che lui mi spingesse di lato e facesse fermare Mike con uno strattone. Si diresse verso la finestra sbarrata di una casa disabitata e in qualche modo riuscì a strappare le assi a mani nude. Qualcun altro, Marghe, mi spinse dentro. Io rotolai sul pavimento polveroso, tossendo, poi qualcun altro mi atterrò accanto. Un altro tonfo, più attutito. Sollevai la testa e vidi Jo che in qualche modo riattaccava le assi di legno dall’interno e poi correva verso di noi a velocità inumana, spingendo Mike via. Lui si accasciò sul pavimento senza reagire. Stava ancora ansimando. Jo gli tirò un pugno in pieno viso, con una rabbia tale da farmi paura. – Tu... – La sua voce era un sibilo. – Tu, brutto... –
- Jo! – balbettai. Lui si girò verso di me. Aveva le mani sporche di sangue, sangue nero. Il sangue di Mike. Batté le palpebre e prese un respiro, come se stesse cercando di calmarsi.
Troppo sconvolta per alzarmi, feci i pochi metri che ci separavano carponi. Per qualche motivo, però, non riuscii a fermarmi a Jo. Continuai ad andare avanti. Mike era pallidissimo, gli occhi spalancati però almeno erano i suoi. Gli sfiorai il viso, e lui sembrò risvegliarsi di colpo. Scattò a sedere e indietreggiò, strisciando per terra. Sembrava terrorizzato. – No, non... –
- Eva. – Mi sentii tirare via da mani delicate ma ferme. Marghe. Mi voltai a guardarla. Non avevo idea di cosa fosse successo a Mike, ma avevo bisogno di saperlo.
- Che... – iniziai, ma lui mi interruppe subito.
- Mi dispiace. – mormorò. Sembrava quasi sul punto di piangere. – Mi... mi dispiace... io... non volevo... ho... –
- Sta’ zitto! – sibilò Jo. Era di nuovo terribilmente infuriato. Mike non reagì, non lo guardò nemmeno. Se ne stava immobile, a testa bassa, fissando il pavimento. – Dobbiamo andarcene da qui appena sono abbastanza lontani. Se ci trovano siamo tutti morti. – aggiunse, poi, senza parlare con nessuno in particolare. Non avevo mai visto Jo comportarsi in quel modo, non l’avevo mai visto così fermo.
- Dove cavolo andiamo? Entro un paio d’ore ci staranno cercando tutti. Quasi sicuramente la città sarà piena, e sanno dove abitiamo. Non possiamo nasconderci da nessuna parte. – disse Marghe, alzandosi e tormentandosi nervosamente il pollice.
 Jo si morse il labbro. – Forse siamo ancora in tempo. Possiamo andare al portale. –
- No, non credo. è da lì che sono passati. Da dove, se no? –
- Io so dove cercare aiuto. –
Ci girammo tutti verso Mike. Non stava guardando me, fissava semplicemente Jo. Aveva lo sguardo spento, ma deciso. – Ci sono delle persone... erano venuti a prenderci. Ma immagino che non ci troveranno. Probabilmente ci saranno degli scontri in città. Possiamo approfittarne per scappare. Non ci sono portali vicini a parte quello a casa tua, ed è l’equinozio. è un problema farli funzionare. Perciò... credo che dovremo arrangiarci alla vecchia maniera. –
- Tu non farai proprio n... – iniziò Jo, ma Marghe lo fermò prendendolo per un braccio.
- Che cosa vuol dire che sai dove cercare aiuto? –
- C’è qualcuno. Qualcuno che può proteggerci fino a domani a mezzanotte. –
- Qualcuno? – ripeté Marghe.
- Dovete fidarvi di me. –
Jo fece una smorfia gelida. – Sì, certo. Immagino che sia abbastanza chiaro che non possiamo assolutamente fidarci di te. – Gli puntò addosso uno sguardo accusatore. Io ancora non avevo capito cosa era successo a Mike prima, ma decisamente era qualcosa di pericoloso. E, in qualche modo, ero stata io a scatenarlo cercando di salvargli la vita.
- Io mi fido. – mormorai. Lui mi guardò per un secondo, stupito, poi abbassò immediatamente gli occhi.
- Jo, non penso che abbiamo molte altre possibilità. Siamo ricercati. Pensano che siamo traditori. E... beh, lo siamo. –
- Io non collaboro con un mostro. – ringhiò lui.
- Lo sai benissimo come funziona. – ribatté Marghe. Era terribilmente seria. – Quello che è successo è stato un incidente. E non si ripeterà. – Guardò Mike. – Almeno non immediatamente. –
Almeno non immediatamente. Che voleva dire?
- Beh, allora vediamo di sbrigarci. – disse Jo, alla fine, gelido.
Mike fece un sorriso stanco. – Avete qualcosa contro i furti d’auto? –
-
Evidentemente, nessuno aveva niente in contrario, perché dopo dieci minuti stavamo viaggiando a velocità moderata cercando di uscire dal centro su un’auto rubata che puzzava di fumo di sigaretta. Io e Marghe eravamo sedute sui sedili posteriori, Jo guidava e Mike se ne stava seduto accanto a lui, accasciato contro lo schienale. Sembrava che non stesse affatto bene, e dava istruzioni all’altro con voce atona.
Io guardai Marghe. Aveva ancora la pelle segnata dagli aloni rossi delle ustioni, i vestiti erano macchiati di sangue e polvere in più punti e i capelli erano una matassa aggrovigliata. Io non dovevo essere meno un disastro di lei. Ero ancora scalza, e i piedi mi facevano male per aver corso tutto quel tempo sull’asfalto. Mi proteggevo dal freddo stringendomi addosso la giacca di Jo, ma stavo ricominciando a tremare.
Cercai di calmarmi prendendo un respiro. Quella situazione era paradossale, assurda e terrificante, ma non potevo farmi prendere dal panico adesso, se volevo uscirne viva.
Guardai di nuovo Marghe. Avrei voluto chiederle qualcosa a proposito di Mike, ma non volevo farlo con lui abbastanza vicino da sentire, perciò rimasi in silenzio, con la fronte appoggiata contro il finestrino. Dopo poco, mi resi conto della direzione che stavamo prendendo, e mi stupii, ma non riuscii ad aprire bocca fino a quando l’auto non si fermò davanti all’ippodromo.
Il posto era deserto, e il cancello era chiuso. Mike scese dalla macchina, sbattendosi la portiera alle spalle. Arrivò davanti alla catena che bloccava il le sbarre di ferro, e un attimo dopo quella era rotta. Si avviò rapidamente in direzione della pista per le corse, e Jo lo seguì. Gli stava appiccicato come una guardia del corpo, solo che invece che pronto a proteggerlo era pronto a ucciderlo.
Deglutii. Quello era il momento buono per parlare con Marghe senza farmi sentire. – Marghe... –
Lei mi guardò. – Sì? –
- Cosa... cosa gli è successo prima? –
Capì immediatamente di cosa stavo parlando, me ne resi conto da come mi guardò prima di iniziare a fissare il terreno. – è... complicato da spiegare. –
- E tu fallo. –
Silenzio.
- Marghe... –
- Ok. – mormorò. – Il fatto è che... lo sai cosa è lui, no? Beh, ecco... quelli come lui... gli angeli caduti sono stati sfigurati quando sono precipitati dal cielo. Sono diventati dei mostri. è per questo che... cioè, tu l’hai letto l’Inferno, no? Lucifero è descritto come un essere terribile e orrendo. è perché era quella la sua forma, quando Dante l’ha visto. –
Mi bloccai. – Aspetta... cosa? Vuoi dire che la Divina Commedia è... vera? –
Lei si morse il labbro. – Non si sa se sia tutto vero. Anzi, per la maggior parte non lo è. è una specie di metafora. Ma Dante c’è stato davvero, all’Inferno. Era... come me e Jo. –
- Era un... una specie di angelo, quindi? –
- Un discendente degli angeli, sì. Ma... molti dicono che... fosse dalla parte degli altri. Non so perché, ma tutti ne parlano male. Come se fosse stato un traditore. –
Beh, non aveva nessun senso, ma cosa aveva senso, in quel momento? – Sì, insomma... quindi Mike è... quella cosa? –
- Non sempre. Non del tutto. Non si sa, in realtà. Dicono che gli angeli caduti siano la cosa più bella e più orribile del mondo contemporaneamente. E... anche per i loro discendenti sembra che sia così. – Lanciò un’occhiata ai due ragazzi che ci camminavano davanti. – Quello che hai fatto tu... gli hai salvato la vita. è Dio a dare la vita, infatti, e... gli angeli caduti sono stati ripudiati da lui. Tutto ciò che viene dal Paradiso li ferisce, a volte li uccide. Per quelli come Mike è lo stesso. Ma... tu non sei come qualsiasi altra cosa che viene dal Paradiso. Tu hai sangue del cielo... che però è stato corrotto. Hai la vita nelle vene, una vita che però scorre verso l’Inferno. – Lo disse come se stesse ripetendo qualcosa, una frase già sentita mille volte. – Tu... l’hai curato dandogli vita. Ma il tuo sangue li attira... troppo. Lo vogliono nel profondo, più di qualsiasi altra cosa. Si controllano perché devono, perché tu... sei la prescelta del loro signore. – La voce quasi le tremava. – Ma non desiderano altro. Bevendolo possono... provare qualcosa di sacro, qualcosa che li ucciderebbe in qualsiasi altra situazione. E ne hanno bisogno, perché anche loro sono angeli. –
Rimasi in silenzio per qualche secondo. – E... pensi che Mike lo farà di nuovo? –
- Non lo so. – ammise Marghe. – So che prima non voleva farlo. Ha perso il controllo. Era praticamente in fin di vita, e ha sentito il sangue e... ha perso la testa. In condizioni normali non lo farebbe. Se l’hanno mandato da te significa che è capace di resistere. – Deglutì. – Ma... te l’ho detto, nessuno degli angeli caduti è mai riuscito a bere il tuo sangue, però lo vogliono. E credo che gli sia piaciuto. Qualsiasi parte di lui sia stata a fare in modo che ti assalisse per averlo... adesso ne vuole ancora. –

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Capitolo 16
*** Arciere ***


ARCIERE
- Allora, vuoi spiegarmi cosa ci facciamo qui? –
La voce di Jo mi fece riscuotere dalla sensazione di vuoto nello stomaco che mi avevano provocato le parole di Marghe. Io sollevai la testa, riuscendo in qualche modo a non guardare Mike, e fissai Jo. In effetti, che accidenti ci facevamo lì all’ippodromo?
- Te l’ho detto. C’è qualcuno che può aiutarci. – rispose Mike. Aveva la voce stanca, quasi persa. In effetti, solo poco tempo prima era praticamente morto. Era quasi impossibile credere che stesse già così bene.
- Qualcuno... chi? – domandai.
Lui probabilmente stava per rispondermi, ma in quel momento sentii Jo emettere una specie di sibilo. – Merda! –
Mi sentii afferrare per una mano e trascinare dietro le scale per gli osservatori delle corse. Io lo fissai, senza capire. – Che succede? –
- Sta’ giù! – sussurrò lui. Poi si rivolse a Marghe, che era sgattaiolata dietro di noi. – Tu resta con lei. Io vedo di tenerli lontani da qui. Ci hanno già trovati, a quanto pare. –
Sparì prima che potessi dire alcunché. L’unica cosa che vidi fu un lampo fugace nella direzione in cui era poco prima Mike, poi neanche quello. Mi girai verso Marghe, il panico che tornava. – Che vogliono fare? – balbettai.
- Distrarli. Se riescono a portarli abbastanza lontano da qui potrai scappare senza che ti vedano. Con un po’ di fortuna. – Sembrava calma, innaturalmente calma. Era sempre più diversa dalla ragazza che ero abituata a conoscere.
- Ma si faranno ammazzare! – balbettai, mentre mi rivedevo davanti le immagini di Mike in preda alle fiamme.
Lei esitò. – è difficile che dei discendenti degli angeli riescano a fare davvero del male a uno di loro. – disse, alla fine.
- E Mike? –
Capii immediatamente di aver toccato un tasto dolente, e il panico aumentò ancora. Lei mi guardò in un secondo di silenzio teso. – Sono sicura che... se la caverà. –
- E tu lo vuoi? –
Mi era uscito quasi con rabbia, senza che me ne rendessi conto. Marghe mi fissò, e io mi resi conto che era troppo tardi per rendere quella frase meno aspra. – Vuoi che sopravviva oppure no? –
Incassò la testa nelle spalle. – Non... non lo so. – rispose, alla fine. – Non voglio... morti... inutili. è pur sempre... una persona. –
- Non lo pensi davvero. – dissi, anche se in realtà mi sembrava abbastanza sincera. Era semplicemente assurdo che lo pensasse. – Tu pensi che sia un mostro. –
Marghe non rispose, ma non mi decisi a prendere il silenzio come un segno di assenso. Mi limitai semplicemente ad aspettare, senza sapere neanche esattamente cosa.
Comunque, non ci volle molto.
Ci fu un suono simile a un’esplosione. Poi urla. Silenzio. Di nuovo urla. E fiamme ovunque, ancora. Mi sembrava di stare iniziando a odiarle sul serio.
Un attimo dopo l’inizio di quel caos, mi resi conto di non poter stare semplicemente lì ad aspettare. All’idea di Mike di nuovo sul punto di morire mi sentivo terribilmente male. Cercai di ripetermi le parole di Marghe, cercai di pensare all’immagine dell’essere mostruoso che era diventato, tutto inutilmente. Subito dopo, stavo già pensando a cosa fare.
Ci doveva essere un motivo per cui eravamo venuti lì all’ippodromo. Mike non poteva averci portati lì per caso. E, quasi sicuramente, non ci aveva portato per caso me neanche tutte le altre volte.
Capii all’improvviso, e quasi feci un salto. Marghe mi guardò. Ci fu un altro secondo di silenzio teso, un silenzio in cui i suoi occhi mi imploravano di non fare qualsiasi cosa avessi in mente.
Poi ci fu un'altra esplosione, e io corsi verso le scuderie.
-
Era tutto in fiamme. Il fuoco non attecchiva al fieno o al legno, fortunatamente, però era ovunque. E i cavalli erano terrorizzati. Scalciavano nei box, nitrendo come disperati, anche se sembrava che le fiamme non facessero loro alcun male. Ci riflettei per un secondo, poi decisi che ne valeva la pena e iniziai ad aprire le porte dei box. Gli animali si precipitarono fuori, scatenando il caos più totale.
“è un bene.” provai a dirmi. “Devi creare un diversivo, no?”
Cercai di concentrarmi su quello che stavo cercando, ma in quel momento mi sentii afferrare. – Ma sei impazzita? – sibilò Marghe. – Che cazzo ti è venuto in mente? –
- So perché Mike ci ha fatti venire qui. – risposi, senza smettere di guardarmi intorno. Dannazione, dov’era? Con quelle fiamme, non riuscivo a vedere niente. Decisi di rischiare di farmi sentire e urlai: - Arrow! –
Per un secondo non successe niente. Poi, un attimo dopo, un’enorme macchia nera si impennò davanti a noi in mezzo a tutto quel bianco. Gridai di nuovo, questa volta di paura, mentre Arrow ricadeva sulle quattro rampe e nitriva. I suoi occhi neri sembravano più profondi del solito, come quelli di Mike. Capii subito di aver fatto centro e tesi una mano verso di lui. Arrow sbuffò rumorosamente. Le fiamme si tenevano lontane da lui, sembravano quasi spaventate. Qualsiasi cosa fosse davvero, lui era molto più forte di noi.
Sentii Marghe emettere un grido strozzato, e mi girai di scatto. Era pallidissima, e sembrava terrorizzata.
- Marghe? – domandai, senza capire. Arrow non mi sembrava pericoloso, non per me, almeno. Mi guardava, e sembrava in attesa.
- Quello è un... uno... – Batté le palpebre.
Non fece in tempo a finire di parlare. Ci fu un grido fatto di parole incomprensibili, poi dei passi in mezzo al ruggito delle fiamme. Arrow si abbassò di scatto e io gli salii sopra di slancio, tendendo una mano a Marghe. – Sali! –
Scosse convulsamente la testa.
Altri passi. Delle figure apparvero in mezzo alle fiamme.
- Marghe, sali, ora! –
Afferrò la mia mano dopo un secondo di esitazione, e un attimo dopo Arrow stava già correndo. Io mi strinsi alla sua criniera, senza sapere cosa fare. Non avevo mai cavalcato a pelle, ed era terribilmente scivoloso. Oltretutto, anche il cavallo sembrava agitato. Correva così velocemente che neanche riuscivo a capire dove stessimo andando, e Marghe urlava a ogni sobbalzo. Non sapevo perché fosse così terrorizzata, visto che fino a poco prima sembrava perfettamente calma nonostante la situazione assurda.
Varcammo il cancello dell’ippodromo, e Arrow prese a correre nel lungo viale che passava in mezzo agli alberi e che portava al bosco che ospitava la riserva naturale che si estendeva per chilometri e chilometri in ogni direzione. Forse era lì che dovevamo andare. Per lo meno, trovarci in mezzo agli alberi e al buio sarebbe stato più complicato. Sì, ma sarebbe stato più complicato anche muoversi. Quindi che...
Marghe lanciò l’ennesimo urlo.
- Zitta! – sibilai. Se c’era anche la minima possibilità che riuscissimo a sparire, lei l’avrebbe allegramente mandata a puttane se avesse continuato a strillare.
- Ma è uno spirito infernale. – balbettò lei. – Stiamo scappando con uno sp... –
Non riuscì a finire la frase, che qualcosa mi passò sibilando sopra la testa nello stesso istante in cui sentivo il rumore di uno sparo.
A quanto pareva, avevano deciso di usare armi più tradizionali. Arrow scartò di lato e io caddi a terra di schiena, con Marghe addosso. Sollevai la testa, e mi resi conto che stavano arrivando delle auto. Puntavano dritte verso di noi. Io mi girai per cercare Arrow con lo sguardo, ma lui sembrava scomparso nel nulla.
Eravamo finite.
La prima auto frenò a neanche mezzo metro da noi, e scese qualcuno. Era un uomo alto, con una pistola in mano. L’avevo già visto, capii. Era quello che mi aveva trascinata via dalla chiesa nel sogno. Adesso emi sembrava più basso di prima, a dire il vero, ma probabilmente era solo perché nel sogno ero molto più piccola. Adesso, alla luce dei fari della macchina, riuscivo a vedere la sua espressione contratta dalla rabbia mentre mi puntava contro l’arma. – Eva. – disse, la voce così fredda da farmi attraversare da un brivido. – Sai, me l’aspettavo che sarebbe finita così. –
Qualcosa mi attraversò la mente. Un lampo. Qualcosa mi spinse a sorridere. – Oh, ma non è affatto finita. –
E poi mi abbassai.
Qualcosa, qualcosa di sottile, nero e incredibilmente affilato, si piantò nello stomaco dell’uomo, che urlò mentre crollava a terra. Sentii dei passi di corsa mentre Marghe ricominciava a urlare, e poi l’aria si riempì di... frecce. Quelle erano frecce.
Sembravano provenire da tutte le direzioni, e ognuna puntava contro una persona. Qualcuno riuscì a scansarsi, ma molti finirono per ferirsi anche solo prima che riuscissi a capire chi stesse tirando.
E poi lo vidi.
Sembrava fatto di fumo nero, e si confondeva con la notte come le nuvole nel cielo scuro. Aveva una forma solo vagamente umana, e teneva in mano un arco da cui scoccava ripetutamente e senza sosta. Sembrava che non mirasse neanche, eppure era incredibilmente preciso.
Arrow. Freccia.
A un certo punto, uno degli uomini non fece in tempo a spostarsi, e un sottile stilo nero gli trafisse la gola. Vidi qualcosa spegnersi nei suoi occhi mentre crollava a terra, e una strana fitta allo stomaco, ma non mi sentii come avevo pensato che mi sarei sentita vedendo morire qualcuno. Fu come subire un contraccolpo a cui ero abituata, che ormai non mi faceva più male come prima. Chissà quante persone avevo visto morire.
Eppure, non riuscii a guardare. Afferrai la mano di Marghe e iniziai a correre, mentre intorno a noi risuonavano gli spari. 

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Capitolo 17
*** Per me si va tra la perduta gente ***


PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE
Riuscivo quasi a percepire le pallottole che ci sibilavano attorno. Correvo e correvo e correvo, battendo le palpebre nel buio che si faceva più fitto man mano che ci allontanavamo dai fari delle macchine. All’improvviso mi resi conto di essere di nuovo capace di vedere al buio. Beh, meglio così, pensai, senza fermarmi. Probabilmente non ci sarei riuscita neanche se avessi voluto farlo.
- Dove... stiamo andando? – ansimò Marghe.
Non risposi. Non ne avevo idea. L’unica cosa che sapevo era che dovevamo andarcene finché Arrow riusciva a tenere impegnate quelle persone. Già, ma quante erano esattamente? Nel caos, non ero neanche riuscita a fare una stima di qualche tipo.
All’improvviso, mi resi conto del respiro affannoso di qualcuno accanto a me. Non feci in tempo a girarmi che mi sentii afferrare e tirare in mezzo ai cespugli del sottobosco. Provai a divincolarmi, ma una mano mi tappò la bocca. – Eva, sono io. – sussurrò Mike. La sua voce era strana, tesa.
Mi girai a guardarlo. – Che... –
- Venite. –
Si gettò per terra e iniziò ad avanzare quasi strisciando. Dopo un paio di secondi, divenne quasi impossibile vederlo. Mi gettai dietro di lui, sperando che da fuori fossimo altrettanto invisibili.
- Dov’è Jo? – bisbigliai. Ero terrorizzata all’idea che potesse essere...
- Non lo so. – rispose lui. – Ci siamo divisi per confondere loro le idee, ma ora non so dove sia. – Era nervoso, e si vedeva.
Non riuscii a chiedere altro, perché lui accelerò. Io e Marghe gli stavamo dietro a stento. Quando ci fummo abbastanza inoltrati tra la vegetazione e il sottobosco iniziò a trasformarsi nel bosco vero e proprio, Mike si fermò e si girò a guardarci. – State bene? – chiese.
Io annuii con il cuore in gola, mentre mi giravo a guardare. Tra gli alberi fitti si riusciva ancora a intravedere la strada, e le luci che la percorrevano. Non ci avrebbero messo troppo a trovarci. – Arrow? – domandai.
- Se la caverà. – rispose lui. Non sembrava preoccupato, o almeno non per questo, perciò decisi che doveva andare tutto bene.
- Ma... che cosa... è? – domandai, senza sapere come altro chiederlo.
- è uno spirito infernale. – rispose Marghe. – Vero? – aggiunse, rivolta a lui.
Mike annuì.
- Sei davvero così pazzo da portare uno spirito infernale qui. – ribatté lei, la voce aspra. – Ma che genio. Quei... quei cosi sono pericolosi! –
- Non lui. Lo conosco da anni. Non ci avrebbe mai fatto del male. E sicuramente gli spiriti infernali non ne farebbero mai a lei. – aggiunse, indicandomi con un cenno del mento.
- Era comunque un rischio! Che cosa pensi che sarebbe successo se gli fosse venuta fame? – sibilò Marghe.
- è uno spirito anziano. Non mangiano praticamente mai. –
- Ma... –
- Ehm... qualcuno potrebbe tradurre in linguaggio umano? – mi intromisi.
Mike mi lanciò un’occhiata, poi abbassò la testa. Stava ancora cercando di non guardarmi. – Gli spiriti infernali... beh, sono spiriti. Diventano materiali sotto forme diverse, per esempio... Arrow come cavallo. E... di solito vivono tra l’Inferno ed Elgrandir. Sono l’unica cosa capace di passare da un luogo all’altro, anche se si materializzano raramente. A volte... li catturiamo. Riusciamo ad addomesticarli... più o meno. L’unico problema è che... si nutrono di carne umana. Ma non mangiano spesso. E più invecchiano, meno ne hanno bisogno. Arrow è veramente vecchio. Ha qualcosa come cinquemila anni. –
Ci avevo capito poco e nulla, ma non mi sembrava quello il momento adatto alle domande. – Dobbiamo trovare Jo e andarcene da qui. –
Mike annuì. Vidi la sua mascella contrarsi, poi sollevò la testa. – Vado a cercarlo. Voi intanto allontanatevi il più possibile. –
- No. –
Mi voltai di scatto verso Marghe. Aveva un’espressione strana, ma determinata. Solo che non capivo dove volesse arrivare. Che accidenti voleva dire “no”?
- è... una fuga nel bosco di notte. – disse, vedendo che tutti e due la stavamo fissando senza avere idea di che cosa avesse in mente. – Io non vedo al buio. E neanche Jo. Voi due sì, però. E potete rendervi invisibili. E poi... a noi non possono fare davvero male. Sarebbe molto più sicuro se voi due scappaste da soli e ci trovassimo da qualche parte. –
Io rimasi di sasso.
- Ti ammazzerà. Lo sai, vero? – domandò Mike.
- Senti, a rigor di logica è l’unica cosa che... –
- ...A rigor della tua logica – la interruppe lui. – io sarei pericoloso. –
Calcò abbastanza la voce su quella parola da farmi capire che non parlava solo della rivalità tra lui e quelli come Marghe. No, voleva dire anche altro. Lo osservai, i muscoli del collo tesi, gli occhi che continuavano a rifiutarsi di guardarmi.
Qualsiasi parte di lui sia stata a fare in modo che ti assalisse per averlo... adesso ne vuole ancora.
- Va bene. – mi intromisi. – Dobbiamo decidere dove incontrarci, però. –
Mike si morse il labbro. – Preferirei di no. – disse, scandendo lentamente le parole.
Marghe lo guardò. – Beh, immagino che un altro paio d’ore tu possa reggerle. Con un po’ di fortuna, dopo riusciremo a riposarci. Dobbiamo trovare un posto per nasconderci. –
Io deglutii. Mi sembrava assurdo che lei mi stesse lasciando con Mike. Magari si fidava davvero di lui, a differenza di quello che avevo creduto. O, magari, pensava che quella fosse la nostra unica possibilità.
- D’accordo. – mormorò Mike, alla fine. – Arrow li terrà impegnati ancora per un po’, ma non per sempre. Credo che la cosa migliore da fare sia avvicinarci a un portale. –
- Non avevi detto che... c’erano delle persone che erano venute a prenderci? – domandai, guardandolo.
Lui mi lanciò un’occhiata. Per un attimo vidi qualcosa nei suoi occhi, un lampo che non mi piacque per niente, ma che sparì prima che potessi capire che cosa volesse dire. – Non ci troveranno in tempo. E non abbiamo modo di metterci in contatto con loro, almeno non subito. – disse, la voce tesa. – Dobbiamo cavarcela da soli almeno per qualche altra ora. –
Marghe sembrò stupita da quella risposta, ma non commentò. – Allora ok. La città è impraticabile, almeno per ora, ma... l’unica possibilità è tornare lì. Dobbiamo prendere un treno e allontanarci. Il portale più vicino non è a Roma? –
Mike sembrava nervoso, quasi arrabbiato. – Ma non possiamo andare a Elgrandir! Staranno controllando qualsiasi portale. Tanto vale che ci gettiamo allegramente tra le braccia di quegli idioti. –
Io ingoiai aria. Sembrava che non ci fosse via d’uscita.
All’improvviso, però, Marghe sembrò ricevere un pugno in faccia. – E se lo facessimo sul serio? –
La fissai senza capire. – Cosa? –
- Usare il portale a casa di Jo. Sicuramente non si aspettano che andiamo là. E finché è ancora l’equinozio i portali funzionano male. Quasi sicuramente starà deviando, e loro stanno facendo un bel po’ di fatica per tenerlo fermo. Con un po’ di fortuna finiremo chissà dove ad Elgrandir, non dove ci stanno aspettando. –
Io avevo capito poco e nulla, ma almeno era un’idea. – Ehm... ok? – azzardai.
Mike esitò, poi annuì. – è un rischio, però. Potremmo finire veramente chissà dove. –
- Beh, più nella merda di così la vedo buia. – osservai.
A sorpresa, lui ridacchiò. – Sì, in effetti... Allora... abbiamo fatto tutta questa strada solo per tornare nella tana del lupo? –
- Beh, almeno i lupi adesso ci stanno cercando qui. Allontanatevi il più possibile rimanendo tra gli alberi, poi prendete un’altra macchina quando arrivate alla strada e andate a casa sua. Eva sa l’indirizzo. Noi vi raggiungeremo il prima possibile, ma prima cercheremo di portarli ancora più lontano. Dovrebbe funzionare. – Marghe sembrava determinata, molto più di quanto lo fossi io. Le afferrai la mano, improvvisamente presa dal panico. Ci guardammo per un secondo, poi lei mi abbracciò dopo un secondo di esitazione. – Ehi. Andrà tutto bene. Hai affrontato cose peggiori di questa. So che non te lo ricordi, ma ti giuro che è la verità. –
- O...ok. – balbettai, poi mi staccai da lei e guardai Mike. Ero stanca, terrorizzata e mi sembrava di essere sul punto di impazzire, ma non potevo fermarmi adesso. – Andiamo. –
Lui annuì, nel momento stesso in cui Marghe si girava e spariva di nuovo tra i cespugli. Poi mi guardò, questa volta senza spostare gli occhi subito dopo. – Hai paura? – domandò.
Sì. Sì, ne avevo. Ma sapevo che non era quella la paura che intendeva. – Non di te. – risposi. Era la verità. Per qualche motivo, non riuscivo ad avere paura di lui. Non ne avevo mai avuta, neanche quando mi era saltato addosso in casa sua. – Io mi fido di te. –
Quelle parole sembrarono infastidirlo, ma non commentò. Mi afferrò la mano. – Allora andiamo. –
-
Il bosco di notte era diverso da come me l’ero sempre immaginato. Nelle mie fantasie, anche in quelle più assurde, in qualche modo si riusciva a vedere. Grazie alla luce della luna, o... non lo so, ma insomma, non si pensa mai di trovarsi nel buio più completo. Quella notte, invece, era esattamente in quella situazione che eravamo. E la capacità di vedere al buio sembrava andare e venire come pareva a lei, perciò ogni tanto mi ritrovavo a inciampare e ruzzolare per terra, i piedi nudi sempre più doloranti. Mike mi aiutava senza parlare e senza lamentarsi del fatto che probabilmente lo stavo rallentando un sacco. Lui si muoveva con una sicurezza tale da far pensare che non avesse fatto altro per tutta la vita. Era così silenzioso da fare paura e non si era mai fermato se non per emettere un fischio quasi impercettibile a un certo punto. Io non avevo capito perché l’avesse fatto, ma quando gliel’avevo chiesto aveva risposto con una scrollata di spalle.
Ci eravamo lasciati alle spalle da un po’ le urla e le luci delle auto che inseguivano Arrow, ed entro poco saremmo stati costretti a uscire dal bosco per andare sulla strada. Prendere l’auto con cui eravamo arrivati era fuori discussione, perciò ci saremmo dovuti arrangiare, o almeno così credevo. Invece, una volta fuori dal parco, quando raggiungemmo l’autostrada deserta, rimasi di sasso. Parcheggiata sul ciglio della strada, come se fosse stata la cosa più normale del mondo, c’era la moto di Mike.
- Come... come cazzo fa questa ad essere qui? – balbettai.
Scrollò di nuovo le spalle, ma qualcosa mi diceva che avesse a che fare con il fischio di poco prima. Quando mi porse un casco, lo fissai. – L’hai chiamata tu prima? –
Annuì. – Non è così semplice trovare una macchina qui. Ho pensato che così sarebbe stato più facile. –
Ah. Bene. Non sapevo da quanto le moto sapessero muoversi da sole e attraversare mezza città dopo essere state chiamate con un fischio che praticamente non avevo sentito neanche io che ero accanto a lui, ma bene.
Lui salì e io feci lo stesso, stringendogli le braccia attorno ai fianchi e costringendomi a non tremare. Con la calma, era tornato anche il freddo.
- Stai bene? – chiese, girandosi a guardarmi. Sembrava che gli desse fastidio che lo toccassi, ma non commentò.
Annuii rapidamente, e lui diede gas. All’inizio la moto partì praticamente in silenzio, e il motore iniziò a fare rumore solo quando fummo abbastanza lontani da essere sicuri di non essere sentiti. – Incantesimo del silenzio. – spiegò Mike, prima che glielo chiedessi. – Non dura molto, ma è utile. –
Non risposi, però avevo una domanda. – Mike... –
- Mh-mh? –
- Come... funzionano i portali? Che vuol dire che... “sta deviando”? –
Lui per un secondo rimase in silenzio. – I portali sono... come porte, come avevi detto tu. Tu le attraversi, solo che invece che passare da una stanza all’altra passi da un mondo all’altro. Dovresti immaginare la realtà come se ci fossero due strati paralleli che a volte si intersecano: quelle intersezioni sono i portali. Sono piuttosto piccole, e anche abbastanza instabili: la realtà non è così fissa come sembra. Essenzialmente, i portali si trovano nei punti di congiunzione tra le linee di magia che attraversano Elgrandir e quelle che attraversano la Terra. Ma queste linee a volte subiscono degli spostamenti, principalmente nei momenti come gli equinozi, o i solstizi. Ancora non si sa se dipenda dalla magia, dalla gravità o da qualsiasi altra forza, fatto sta che in questi periodi le linee sono molto... tendenti a spostarsi. I portali non si possono spostare, ma normalmente ogni portale ha una destinazione, che è solo e soltanto quella: è una specie di porta, appunto, ci sono due stanze, non è possibile arrivare in una terza stanza passando da quella porta. Solo che, visto che nei portali ci si muove grazie alle linee di magia, se l’incrocio si sposta anche l’arrivo si sposta. Essenzialmente, è come se tu avessi una porta che va alla cucina e attraversandola entrassi nel bagno. è cambiato il modo in cui si sovrappongono i mondi, perché uno si è spostato. Con la magia è relativamente possibile mantenere un portale nel punto in cui si vuole, ma non è semplice, affatto. Serve parecchia energia e anche un bel po’ di fortuna. Quindi, se distraiamo chiunque si stia occupando di controllare i flussi delle linee di magia, possiamo tranquillamente attraversare il portale e arrivare... beh, chissà dove. Almeno, loro non possono prevederlo. –
- Sì, ma neanche noi. – osservai.
- Lo so. – ammise. – Ma non credo che abbiamo altre possibilità. –
Già. A quanto pareva, non ne avevamo neanche una. Sempre che non considerassimo morire una possibilità.
Il viaggio continuò in silenzio, fino a quando Mike non parcheggiò in periferia. – è meglio lasciare la moto qui. Se ci muoviamo a piedi sarà più difficile che ci trovino. – disse, togliendosi il casco. La luce dei lampioni gli scolpiva i lineamenti del viso, rendendo la sua espressione tesa, quasi contratta.
- Stai... stai bene? – domandai, guardandolo.
Annuì rapidamente – mentendo – e tese una mano per farsi dare il casco. Io me lo tolsi e glielo porsi. Lui li infilò entrambi sotto la sella, poi si avviò senza parlare per le strade buie, mentre io gli andavo dietro. Non sapevo cosa dire, però quel silenzio iniziava a farmi impazzire. Alla fine, decisi di fare una domanda che riguardasse più me che lui. – Mike... secondo te c’è qualche possibilità che io... recuperi la memoria? –
Esitò. – Non lo so. – ammise. – Sicuramente non può fartelo fare uno... come me. Ma forse loro ne sarebbero capaci. La magia funziona in modo strano: gli incantesimi possono essere sciolti solo da chi ha lo stesso potere di chi li ha lanciati. Gli altri possono solo spezzarli, ma spezzare un incantesimo può essere pericoloso. Se lo facessi io, rischierei di ucciderti. –
Annuii rapidamente, sentendo un groppo alla gola. Stavo ricominciando ad avere paura, troppa paura. Una lacrima mi scivolò sulla guancia e mi passai una mano sul viso per asciugarla. Mike si girò di scatto, come se mi avesse sentita piangere, anche se non avevo emesso neanche un suono. Sentii le sue braccia stringermi prima di vederlo muoversi, poi lui si bloccò. – Scusa. – mormorò, allentando la presa.
Ma io non volevo che lo facesse. Affondai il viso nel suo petto e gli passai le braccia attorno alla schiena. Non sapevo se Mike provasse qualcosa per me, non sapevo se avesse senso o no, ma lì mi sentivo al sicuro. Meravigliosamente al sicuro.
Lui per qualche secondo rimase rigido, poi piegò il collo e mi appoggiò il mento sulla spalla. Io gli passai una mano tra i capelli, e sentii le sue labbra premermi sul collo.
Si irrigidì di nuovo di colpo, mentre mollava la presa e cercava di allontanarsi, ma io lo tenni lì. Non volevo che se ne andasse. Poteva farmi quello che voleva, ma io avevo bisogno di lui. E poi, era tornata quella strana impressione che avevo avuto nella casa. Che fosse giusto fare tutto il possibile per farlo stare bene.
- Eva... – balbettò. Lo guardai. Teneva le palpebre serrate e stava quasi tremando. Probabilmente si sarebbe potuto staccare, se avesse voluto. Era molto più forte di me. Eppure, non lo stava facendo.
- Ti serve. – mormorai. – Lo so che ne hai bisogno. Fallo. –
Scosse convulsamente la testa, ma neanche questa volta si spostò.
- Mike, non fare l’idiota. Sei a pezzi. –
- Ti farò del male. Non mi so fermare. Tu non hai idea... – si bloccò. Deglutì. – Sono orribile. –
- Mike... non è vero. Senti, ti... ti prego. Io non vado avanti da sola. E tu stai male. –
- Ma... –
- Ho bisogno di te. –
Sentii un gemito sfuggirgli dalle labbra. Un gemito di resa. Lentamente, abbastanza da farmi percepire il dolore, sentii qualcosa affondarmi alla base del collo. Mi sforzai di restare immobile mentre mi spingeva contro una parete senza staccare le labbra dalla ferita. Deglutiva piano, e stava bevendo molto meno di quello che sarebbe potuto sembrare. La sua espressione non era per niente rabbiosa, sconvolta o anche solo distorta. Era semplicemente lui, e sembrava che stesse benissimo.
All’improvviso, però, sembrò che avesse preso la scossa. Si irrigidì e fece un passo indietro, cadendo a sedere per terra. Lo guardai. – Stai... stai bene? – balbettai.
Lui non rispose. Continuava a fissarmi con uno sguardo perso, strano. Anzi, non stava fissando me. Stava fissando la ferita che avevo sul collo. La coprii con il colletto della giacca di Jo, e Mike lentamente abbassò lo sguardo, prendendo un respiro profondo. – Scusa. – mormorò. Gli tremava la voce. Quando lo guardai di nuovo negli occhi, mi resi conto che stava piangendo.
- è... tutto ok. – risposi. – Tu stai bene? –
- Mai stato meglio. – disse, e mi resi conto che non era un eufemismo. – è... wow. – aggiunse. Poi si bloccò di nuovo. – Scusa. – ripeté.
- No, è ok. è solo che... sembri tipo allucinato. –
Ridacchiò nervosamente. – In effetti mi sento un po’ su di giri. Te l’ho detto... è... diverso da qualsiasi altra cosa. Ed cazzo se ricarica. –
Anche a me scappò un sorriso. – Andiamo? – domandai.
Annuì, tirandosi su. Adesso sembrava di nuovo serio, e anche di nuovo piuttosto... incazzato con se stesso. Iniziò a camminare silenziosamente nel buio, e io lo seguii.
- Tu lo sai da dove vengono le leggende sui vampiri? – domandò, all’improvviso.
Lo fissai, stupita. – Da questo? –
- Beh, sì. Diciamo che nell’antichità a volte veniva usato il sangue umano per... aumentare i nostri poteri. Cioè, un po’ serviva, però ce ne voleva parecchio. Non è potente neanche un decimo di quello che è il tuo. E l’effetto non dura granché. – Mi guardò. – Fa piuttosto... schifo, vero? –
Già. Faceva piuttosto schifo. Scrollai le spalle. – Quando arriviamo a casa di Jo... qual è il piano? – Mi sentivo piuttosto bene, non stanca come dopo aver perso un bel po’ di sangue. A quanto pareva, Mike ne aveva bevuto anche meno di quello che mi era sembrato.
- Non c’è un piano. Aspettiamo loro due e poi... improvvisiamo. –
- Carina come idea. – sbuffai.
Si girò a guardarmi, infastidito. – Ehi. Guarda che è a te che stiamo salvando il culo. –
- Non solo a me. – gli feci notare.
Fu costretto ad annuire. – Comunque... –
All’improvviso, qualcosa mi travolse. Finii per terra, feci per urlare e... mi bloccai. In piedi davanti a me, sbilanciato in avanti come se mi avesse preso in pieno correndo a cento all’ora, c’era Jo. In qualche modo riuscì a non cadere e mi tirò su afferrandomi da sotto le ascelle. – Tutto... ok? – domandò. Aveva il fiatone, e uno sguardo piuttosto truce. Mi dispiacque per Marghe. Chissà quanto le aveva urlato contro. Annuii, girandomi a guardare la mia... amica? Non sapevo se lo fosse ancora, a dire la verità. – Avete fatto presto. –
- Beh, meglio fare presto. – ribatté lei, ma qualcosa mi disse che era stato Jo, più che altro, ad avere fretta. Marghe era paonazza e sembrava sul punto di svenire.
Io mi divincolai dalla sua presa, e in quel momento il colletto della giacca mi scoprì la base del collo.
Calò il gelo più assoluto. Jo si girò lentamente verso Mike, che indietreggiò di un passo come aspettandosi già una nuova esplosione di furia. – Tu... – ringhiò. – Tu, brutto lurido bastardo... –
- Jo! – Lo afferrai per un braccio dandogli uno strattone. – Guarda che gliel’ho detto io di farlo. –
Si girò di scatto verso di me, sconvolto. – Tu hai... ma perché? –
Bella domanda. Scrollai le spalle. – Muoviamoci. – dissi, cambiando argomento.
- Già. – concordò Marghe. – Prima facciamo meglio è. –
- Beh... non c’è bisogno che lui venga con noi, però. – sibilò Jo, guardandoci come se avesse voluto ucciderci.
Non c’era bisogno? Verissimo. A livello teorico, almeno. Ma in pratica... io avevo bisogno di Mike. – Io voglio che venga. – dissi, cercando di sembrare più decisa di quanto non fossi.
- E perché? –
- Perché non ho nessun motivo di fidarmi di te. – Faceva quasi male dirgli quelle parole, e fingere rabbia dicendole. – No, proprio nessuno. Tu non hai alcun fottuto interesse a tenermi in vita, perciò diciamo che al momento mi sento molto più al sicuro con qualcuno che almeno trarrebbe qualche vantaggio dal salvarmi la vita. Sai, le buone azioni incondizionate non sono così ovvie. Non ho più cinque anni. –
Jo rimase in silenzio, fissandomi. C’era dolore, nei suoi occhi. Mi chiesi se anche lui fosse capace di capire chi stava mentendo o no, mi chiesi anche se avessi davvero mentito o se fosse quello che pensavo davvero. Ma, adesso, non avevamo tempo di rifletterci su. Lui batté le palpebre e deglutì. – D’accordo. Allora muoviamoci. –
Detto questo, si girò e iniziò a camminare in silenzio.
-
Jo divenne più cauto già a parecchi isolati da casa sua. Si muoveva in perfetto silenzio, come Mike e Marghe. Io riuscivo a non fare troppo rumore solo perché non avevo le scarpe, anche se in effetti avevo degli strani riflessi – come il sapere alla perfezione quando e come appoggiare i piedi per essere silenziosa – che non avevo mai avuto prima. Ogni tanto, a un cenno di qualcuno, ci nascondevamo dietro il muro di una casa e aspettavamo in silenzio. Io stavo sentendo di nuovo la paura crescere, il cuore che accelerava i battiti a ogni soffio di vento. Alla fine, però, riuscimmo ad arrivare a casa di Jo indenni.
Non ero mai entrata in quella casa. Lo notai solo in quel momento. C’ero passata davanti un sacco di volte, ma dentro non c’ero mai stata. Chissà se era per via del portale. Chissà com’era un portale.
Beh, l’avrei scoperto presto.
Davanti alla porta c’erano due persone. Saremmo dovuti arrivare al secondo piano per riuscire ad entrare, e non sembrava facile.
- Dobbiamo creare un diversivo. – mormorò Marghe. – Poi avremo pochissimo tempo per passare dall’altra parte prima che ci prendano. – Si rivolse a me. – Dobbiamo anche stare uniti mentre passiamo, altrimenti potremmo finire un po’ da una parte e un po’ dall’altra. –
Annuii. Come possibilità non era molto rassicurante.
- Come cavolo facciamo a creare un diversivo? – bisbigliò Jo, osservando le due guardie. – Ce ne sono anche altri di ronda. Dovremo fare un bel po’ di casino. –
Mike sembrò rifletterci un secondo. Poi si accovacciò sull’asfalto. – State indietro. – disse, mentre appoggiava una mano a terra, il palmo aperto.
Jo lo afferrò per un braccio. – Non puoi farlo! – sibilò. – Sei pazzo? –
- Beh, direi che è la nostra unica possibilità! – ribatté Mike.
- Ma... sarebbe uno spirito giovane! Selvatico! è pericoloso! –
- Sarà piccolo. Ci metteranno poco a rispedirlo indietro. Però farà il casino che ci serve. – rispose Mike. Sotto la sua mano, sembrava che le ombre si stessero addensando.
- Ha ragione. – si intromise Marghe. – Non abbiamo altre possibilità. –
Non sentii la risposta di Jo, perché in quel momento Mike emise un suono, una specie di strano verso gutturale che mi fece attraversare da un brivido. Teneva gli occhi chiusi, e le ombre continuavano ad addensarsi davanti a lui. Stavano prendendo lentamente forma. La cosa che era comparsa sembrava una persona fatta di fumo nero, come Arrow, solo molto più piccola. Era alta meno di un metro, eppure sembrava comunque piuttosto forte. All’improvviso, su quello che sarebbe dovuto essere il viso si accesero due fiammelle rosso sangue.
Mike mormorò di nuovo qualcosa.
E poi lo spirito infernale si scaraventò verso le guardie.
-
Sentii le urla prima di riuscire a guardare. In effetti, non lo feci mai. Mi sentii afferrare per un braccio e trascinare su, su e su per le scale. Altri passi, passi non miei che ci venivano incontro. Vidi dei lampi candidi volare nell’aria, e poi di nuovo fuoco. Delle urla, anche se nessuna era di qualcuno che conoscevo. Entrammo in un appartamento. Vidi subito delle persone venirmi incontro, poi nero. Quando riaprii gli occhi, c’erano degli altri spiriti infernali. Urlai. Sentii Jo che mi gridava qualcosa, ma non capii una parola. Mi sentii afferrare di nuovo. Corremmo fino a un’altra porta, gli spiriti che ci volavano intorno. C’era sangue, sangue ovunque. All’improvviso inciampai in qualcosa, e mi resi conto che era un cadavere dalla gola dilaniata. Mi sfuggì un urlo soffocato, ma continuai a correre, trascinata da qualcuno che neanche vedevo.
Entrammo in una stanza. No, non una stanza. La stanza. La stanza dei miei sogni. Era diversa, ma contemporaneamente perfettamente identica. La porta blu era perfettamente identica.
Mike corse su per la stretta scaletta e tirò il pomello verso di sé. Davanti a lui si spalancò un mondo di vortici di colori, luci, ombre, caos. Non feci in tempo a guardarlo. Mi sentii afferrare da altre mani, poi stavamo saltando lì dentro.
Mentre precipitavo, sentii la voce di Mike. – Benvenuta nel mondo perduto. –

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Capitolo 18
*** Waterfire ***


Ed eccomi di nuovo qui... Mi scuso per l'assenza e anche perché la pubblicazione non sarà regolare, purtroppo. Spero comunque di riuscire ad aggiornare abbastanza spesso. Buona lettura, e benvenuti... al lago di Waterfire! :)

WATERFIRE
Buio. Buio. Buio. Poi, qualcosa. Luce, luce strana, però. E, in mezzo alla luce, c’era qualcosa. In mezzo alla luce c’ero io.
Qualcosa mi mozzò il respiro quando una mano mi afferrò per un braccio. Una sferzata di dolore mi attraversò l’articolazione della spalla e mi scappò un mezzo grido.
- Eva! –
Sollevai la testa come potevo verso la voce, e vidi Mike. Si trovava su una sporgenza di roccia, simile a pietra lavica. Aveva il fiatone, e sembrava quasi spaventato. Batté le palpebre e mi diede uno strattone. Gli bastò quello per tirarmi su, ma quando mi voltai verso di lui era cambiato. Fissai di nuovo la pelle, quella pelle che si stava dipingendo di squame scure, mentre lui crollava a sedere per terra, la schiena appoggiata a una parete di roccia. Mentre riprendeva fiato, io mi guardai intorno.
Eravamo in una specie di grotta, un’enorme grotta con il soffitto a cupola, tutta fatta di pietra lavica. Oltre alla sporgenza di roccia dove eravamo noi, ce n’erano anche parecchie altre. Non c’erano lampade, né sbocchi sull’esterno, eppure c’era abbastanza luce da permettere di vedere alla perfezione. E quella luce, di uno strano colore tra il dorato e l’azzurro, proveniva dal basso.
Mi affacciai con cautela, e mi resi conto del perché poco prima mi era sembrato di vedere il mio viso in mezzo alla luce. Sotto di me c’era quello che sembrava un lago, e l’acqua limpidissima scintillava di luce propria. Era una visione incredibile, abbastanza bella da farmi restare senza parole, eppure non nuova. Qualcosa scattò dentro la mia testa. Io lì dentro c’ero già stata.
Mi girai verso Mike. Sembrava essersi ripreso quasi del tutto, perciò in qualche modo trovai il coraggio di parlargli. – Che... che cos’è? – domandai.
Lui si lasciò scappare un sorriso stanco. – Beh, sei appena capitata nel posto più bello di questo mondo, almeno secondo me. Benvenuta al lago di Waterfire. –
- Waterfire? – ripetei, senza capire, poi mi bloccai, rendendomi conto di un’altra cosa. Jo. E Marghe. Dov’erano?
Fissai Mike, sperando in una risposta, ma lui non disse niente. Si stava guardando attentamente intorno, come alla ricerca di qualcosa. Feci lo stesso, ma non riuscii a vedere né l’uno nell’altra. Eppure, eravamo entrati insieme nel portale. Dove potevano essere finiti?
- Sono... caduti in acqua? – domandai.
Mike scosse la testa rapidamente. – Non credo. Non ho sentito rumori, ed erano dietro di noi. L’unica possibilità è che il portale si sia spostato dopo che siamo arrivati qui, e loro sono finiti da un’altra parte. Anche perché, se sono caduti in acqua, sono già morti. –
- Morti? – domandai. – Perché? –
- Ti ho detto che siamo al lago di Waterfire. – rispose Mike. – Quella non è acqua qualsiasi. è come fuoco liquido. –
Io fui assalita dal panico. Se i miei amici erano finiti lì dentro allora loro...
Lui sembrò rendersi conto di come mi sentivo e mi abbracciò piano. – Ehi. Ti ho detto che non ho sentito nessuno cadere in acqua. Saranno finiti da qualche parte, probabilmente neanche lontano da qui. Li troveremo. –
Ingoiai aria. – A te importa davvero, di trovarli? – domandai, senza riuscire a evitarmelo.
Mike si irrigidì per un secondo, ma non rispose.
Mi salirono le lacrime agli occhi. – Scusa. – balbettai.
Neanche stavolta rispose, si limitò a stringermi più forte. - Andrà tutto bene. – promise e, anche se sapevo benissimo che era una promessa che non poteva mantenere, mi sentii un po’ meglio.
Mi tirai su. – Come ce ne andiamo da qui? – chiesi.
- Dovremmo raggiungere la cima della cupola. Lì c’è un foro, possiamo uscire. Credo che l’unica possibilità di arrivarci sia volando. –
- Volando? –
- Ehm... sì. Ok, probabilmente tu non... non ti ricordi come si fa. Posso portarti io, ma... – abbassò lo sguardo. – Non sarà un bello spettacolo, ti avverto. –
- In che senso non... non sarà un bello spettacolo? –
Il suo sguardo si incupì. – Hai visto come... come divento. Quando... quando usiamo... i poteri, noi... di solito... non riusciamo a restare in forma umana così facilmente. Diventiamo... più come... dei demoni. è quello che è successo a Lucifero quando è finito all’inferno. –
Io esitai. Poi, però, cercai di convincermi che non era una cosa che dipendeva da lui. E che, comunque, era la nostra unica possibilità. Mi affacciai per l’ultima volta, guardando l’acqua. Era uno spettacolo meraviglioso, non c’era che dire. Mi fermai per un secondo a guardare il mio riflesso, avvolto, in un’aureola di luce. Poi, però, mi accorsi dell’errore. Quello non era il mio viso. Era un viso bellissimo, che non avevo mai visto prima, ma che sembrava così assurdamente familiare.
- Mike... – balbettai. – Cos’è quello? –
Lui mi si avvicinò. – Quello cosa? – chiese.
- Il viso del riflesso. –
Mike lo guardò. – Beh, è il tuo viso riflesso. Che c’è di strano? –
- Non è il mio viso. – mormorai, mentre osservavo con il panico che cresceva le labbra della persona del riflesso che formavano una parola.
Salta.
Ma che... Battei le palpebre, sperando che quella cosa sparisse, ma non lo fece.
Salta. continuava a ripetere. Salta, salta, salta.
Io non sapevo che cosa fare. Quell’acqua era mortale, lo sapevo. Eppure...
La figura mi guardò dritta negli occhi. Rabbrividii, rendendomi conto che erano occhi strano, occhi gialli, da serpente.
Salta, se vuoi vivere.
Per qualche motivo, per qualche assurdo motivo, mi fidai di lui. Serrai le palpebre, e saltai.
-
Sentii un urlo dietro di me, mentre precipitavo a tutta velocità verso l’acqua. Riuscivo a sentirne il calore addosso, sempre più forte.
E poi, all’improvviso, qualcuno mi afferrò.
Spalancai gli occhi di scatto, e mi ritrovai immobile a meno di un metro dall’acqua, a fissare il mio riflesso – stavolta ero sicura che fosse il mio.
Sentii la voce di Mike, sconvolta. – Ma sei pazza? – urlò. Il suo grido rimbombò tra le pareti di roccia. Dietro di me, sentivo degli spostamenti d’aria, come lo sbattere di un paio di enormi ali.
Ma, quando vidi le braccia che mi tenevano stretta, mi resi conto che sembravano perfettamente umane. Non c’era traccia di squame nere da nessuna parte.
- Mike... – mormorai.
- Che cosa... – Iniziò lui, quasi arrabbiato, ma poi si bloccò, fissando il proprio riflesso nell’acqua.
Non sapevo bene cosa avesse voluto dire Mike quando aveva parlato di “non un bello spettacolo”, ma se quello non era lo spettacolo più meraviglioso del mondo allora stavamo freschi. Mike era... lui, solo con un paio di enormi ali fatte di piume nere sulla schiena. Sembrava quasi avvolto da una luce strana, che contrastava quella dorata dell’acqua e che sembrava più tendente a un colore scuro, cupo. Più che una luce, in effetti, sembrava un’ombra. Fissando i suoi occhi nel riflesso, riuscii a vederci l’inferno.
Eppure era la cosa più bella che avessi mai visto. Bellissimo e terrificante.
Mike rimase per un secondo immobile a fissare quell’immagine, poi sollevò la testa di scatto e iniziò a volare verso l’alto, sempre più in alto. Troppo sconvolta per pensare, mi resi conto soltanto del fatto che adesso si riusciva a intravedere una piccola apertura sulla sommità della cupola. La attraversammo, e un’ondata di freddo mi colpì. Mi guardai intorno, stupita. Ci trovavamo sulla sommità di quella che sembrava una collina. Decisamente, la maggior parte della grotta si trovava sottoterra.
Il paesaggio in lontananza sembrava fantastico – una distesa di boschi illuminati dalla luna piena – ma riuscii a guardarlo solo per un secondo prima di girarmi di nuovo verso Mike. Era seduto per terra e si fissava le mani. Sembrava sconvolto. Le ali non erano ancora sparite, ed erano spalancate sulla sua schiena. Sembrava che la sua figura attirasse le ombre della notte. Quando sollevò la testa, aveva gli occhi lucidi.
- Che cosa è successo? – domandai. Qualcosa mi diceva che quello non era affatto normale. E che doveva avere a che fare con il viso che avevo visto riflesso nell’acqua.
Mike si passò lentamente una mano sul viso, ripiegando le ali. – è stato lui. – sussurrò. – è... è vivo. Ed è più forte di quello che credevamo. – Deglutì, mentre io realizzavo il senso di quello che avevo appena detto.
Lucifero. Lucifero era vivo.
E, a quanto pareva, anche potente. Nonostante fosse rinchiuso all’inferno, era stato capace di far succedere quello a Mike.
A quel pensiero, sentii la paura farsi strada nel mio stomaco, ma cercai di ignorarla. – Mi ha detto... di saltare, credo. – dissi, quasi pensando ad alta voce. – Ho visto un viso nell’acqua. Mi ha detto... “Salta, se vuoi vivere”. –
Dalle labbra di Mike uscì un gemito strozzato. Io capivo sempre meno. – Mike, che succede? –
Adesso stava piangendo. – Ti giuro... Eva, ti giuro, io non... non avrei mai... Non... –
Io gli afferrai le mani e lo costrinsi a guardarmi. – Mike, che succede? – ripetei.
Esitò. Quando rispose, gli tremava la voce. – Era una possibilità. – sussurrò. – Se Lucifero fosse stato... troppo debole, o morto... Tu hai visto cosa... cosa succede a me quando... – Si interruppe, sfiorandomi la cicatrice sul collo. – Volevano usarti. Per... dargli forza. Volevano... sacrificarti. –
A quelle parole, rimasi di sasso, anche se per qualche motivo non mi sorpresero quanto avrebbero dovuto. Mi era sembrato strano da subito che non ci fosse un piano B a proposito dell’evocazione di Lucifero. Ma era... assurdamente orribile che Mike non me l’avesse detto.
Poi, però mi bloccai. Ripensai al fatto che per tutto il tempo sembrava quasi che avesse cercato di evitare di incontrare altri angeli caduti. In quel momento non ci avevo fatto troppo caso, ma adesso sembrava quasi lampante. Non aveva mai accennato al fatto di portarmi da loro, neanche quando avevamo attraversato il portale. Mike sapeva, e non mi aveva mai voluta morta.
Prima di potermene rendere conto, lo baciai.
Quel bacio fu strano, assurdo. Fu come precipitare all’inferno e salire fino al paradiso contemporaneamente. Il mio cuore accelerò, mentre sentivo le sue braccia stringermi, le ali avvolgermi come un mantello.
Stavo baciando un angelo caduto, ed era la cosa più bella che mi fosse mai successa.
Quando si allontanò da me, Mike aveva il fiatone. Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi, ma le sue ali ci avvolgevano ancora entrambi. Adesso stava piangendo. – Eva, mi dispiace. – sussurrò, la voce roca.
Io lo guardai. Sapevo che non mentiva. L’unica cosa che avrei voluto, in quel momento, sarebbe stato sentirgli dire qualcos’altro sapendo che non stava mentendo.
E lui lo disse.
- Ti amo. –
-
Eravamo immobili da quello che sembrava più di un minuto. Sapevo che dovevamo muoverci, cercare Jo e Marghe, eppure una parte di me sarebbe voluta rimanere lì per sempre.
- è stato lui. – sussurrò Mike, all’improvviso. – Ha voluto... dimostrare di essere vivo, facendo... questo. Così, se gli altri ti trovassero e volessero... ucciderti... – pronunciare quella parola sembrò quasi costargli dolore. - ...avrebbero la dimostrazione che non è necessario. –
Io esitai. – Mike... –
- Dimmi. –
- Io non lo so se voglio farlo. – balbettai, sentendo una strana stretta allo stomaco. L’idea di aprire l’inferno mi faceva terribilmente paura.
Annuì lentamente. – Lo so. – disse. – Lo capisco. Eva, non pretendo niente. Voglio che tu... faccia quello che pensi che sia giusto. –
- Quindi... non andremo da loro? –
- No. Credo che sia meglio di no, ancora. Prima di tutto dobbiamo trovare quei due. – aggiunse.
In un battito di ciglia, mi ritrovai davanti il Mike “normale”. Non aveva più le ali e non sembrava attirare le ombre attorno a sé come prima, però era sempre bellissimo.
E aveva sempre l’inferno negli occhi. 

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Capitolo 19
*** La voce del diavolo ***


LA VOCE DEL DIAVOLO
Camminavamo in silenzio già da un po’, ormai, in un mondo che sembrava fatto di ombre notturne. Mike si muoveva con sicurezza, e io seguivo lui. Probabilmente sarei riuscita a vedere per bene al buio, se ci avessi provato, ma quei boschi illuminati solo dalla luce della luna erano uno spettacolo fantastico, che non mi era mai capitato di vedere prima.
Procedevamo lungo un sentiero piuttosto largo e completamente deserto. A dire il vero, sembrava che non ci fosse nessuno nel raggio di chilometri. Come avremmo fatto a trovare Marghe e Jo? Non potevo neanche chiamarli, accidenti, avevo perso il telefono chissà quando durante quella nottata assurda, che sembrava non dover finire mai. Quando guardai l’orologio, mi resi conto che non doveva mancare troppo all’alba.
E io stavo camminando scalza da praticamente tutta la notte. Cavolo, i piedi mi facevano male da impazzire.
Quando pestai accidentalmente un ramoscello, mi scappò un gemito, che risuonò come un grido nel silenzio assoluto. Mike si girò verso di me. – Stai bene? – domandò.
Annuii rapidamente, ma si vedeva che non mi credeva. In meno di un secondo, mi aveva presa in braccio.
- Ehi! – protestai.
Lui alzò gli occhi al cielo e riprese a camminare. Io ero troppo stanca per lamentarmi, perciò lasciai perdere. Gli appoggiai la testa sul petto e chiusi gli occhi. Ero terribilmente stanca, avevo solo voglia di dormire per tutto il giorno successivo, eppure chissà quante cose mi aspettavano, ancora, prima di potermi riposare sul serio. A quel pensiero sentii una stretta allo stomaco, ma in qualche modo riuscii a calmarmi di nuovo.
Un respiro dopo l’altro, il battito del cuore di Mike che mi risuonava nelle orecchie, mi addormentai.
-
Mi svegliai di soprassalto quando Mike sobbalzò, e un attimo dopo ero in piedi, il cuore a mille. Ma che cavolo...
Sentii una mano stringere la mia, e riconobbi quella presa. L’avevo sentita per anni.
Jo.
Mi girai verso di lui e incrociai i suoi occhi. Alla luce della luna sembravano più argentei che verdi.
Aveva l’aria stravolta. I capelli sembravano sporchi di fango, e così i vestiti. Era riuscito a ripulirsi un po’ la faccia, ma i risultati non erano stati proprio il massimo.
Mi ritrovai ad abbracciarlo. Cavolo, ero stata talmente terrorizzata all’idea che fosse morto che adesso mi sembrava che mi si fosse sollevato un peso dallo stomaco.
- Dove eravate finiti? – domandò la voce di Marghe. Mi staccai da Jo per abbracciare anche lei. – Vi abbiamo cercato per un sacco di tempo! –
- Beh, qualcuno ha rischiato di fare un tuffetto nel lago di Waterfire, ma a parte questo tutto bene. – borbottò Mike, lanciandomi un’occhiataccia.
Sembrò che a Marghe fosse preso un colpo. – Cazzo. In effetti, hai avuto fortuna a non finirci. Ma insomma, tra tutti i posti che ci sono... – sbuffò. – Ma che cavolo. Comunque, mi ero dimenticata di quanto fosse umido il terreno, qui. Noi ci siamo trovati in cima a un albero. Ramo spezzato, tutti giù per terra! – lo disse con un tono che avrebbe fatto scappare via un bambino urlando. – Bene, adesso che si fa? –
Ci guardammo in silenzio. Bella domanda. Per quanto mi riguardava, non avevo neanche idea di dove fossimo esattamente.
- Non... lo so. – ammise Jo. – Non possiamo andare dagli altri, questo è fuori discussione. – Lo disse fissando Mike con un’espressione piuttosto eloquente. – Però in qualche modo dobbiamo risolvere questo casino. Insomma, non possiamo restare nascosti per sempre. –
Mike esitò. – Forse lo so, un posto. – mormorò. – Qualcuno che potrebbe... darci una mano. –
Silenzio. – Noi non andremo da nessuno dei tuoi amichetti. – sibilò Jo.
Lui prese un respiro. – Lo so. Ma non è un mio “amichetto”. è qualcuno che può darci una mano sul serio. –
- Sì, certo. E, tanto per sapere, per caso ti sei dimenticato anche stavolta di dirci che quel “qualcuno” è uno spirito infernale? –
Mike non rispose, si limitò a fissarci, in attesa. Io lo guardai. In effetti, non credevo che avessimo molte alternative.
- Chi è questa persona? – domandò Marghe.
- è... sì, insomma, quello della montagna. –
Jo rimase di sasso, poi si riscosse. – Non esiste quel tizio. è solo una leggenda. –
Mike lo guardò di rimando. – Beh, a meno che non sia morto negli ultimi tre giorni, è vivo e vegeto ed esiste. –
- Perché non dovrebbe esistere? – mi intromisi.
- Beh, c’è una leggenda che dice che c’è un uomo che vive in una grotta alle pendici della Montagna del Sole, ma nessuno l’ha mai visto né ha mai visto la grotta. – rispose Marghe, lanciando un’occhiata di sbieco a Mike. – O, almeno, pensavo che fosse così. –
Lui abbassò lo sguardo. – A volte parla con... noi. Non con tutti, qualcuno gli va a genio e qualcuno no. è un tipo strano. E non credo che ti verrebbe da chiamarlo “vecchio della montagna”, se lo vedessi. –
Marghe sembrò non capire, ma rimase in silenzio. Dopo un paio di secondi, decisi di fare lo stesso. – Quanto è lontana la Montagna del Sole? – chiesi, pensando a quanta altra strada i miei poveri piedi avrebbero dovuto sopportare senza scarpe. O magari... potevamo volare. Già, forse.
Marghe guardò l’orologio, poi indicò il profilo di una montagna che sembrava a qualche decina di chilometri di pianura prima boscosa e poi erbosa da lì. La osservai in silenzio, mentre lei diceva: - Se voliamo, per un po’ possiamo andare avanti senza essere visti, ma non manca molto all’alba e quando ci sarà il sole dovremo camminare, quindi sbrighiamoci. –
Annuii distrattamente, lo sguardo catturato da qualcosa, qualcosa che non tornava. All’inizio non capii neanche cosa fosse, poi me ne resi conto.
Era una specie di radura in mezzo al bosco, ma era enorme, e il terreno era secco, arido. Battei le palpebre, credendo che fosse un’illusione, ma era vero. – Cos’è quello? – domandai.
Mi resi conto subito che era una domanda sbagliata, visto che tutti e tre rimasero in silenzio. Quando Mike aprì bocca, io avevo già capito di averla già vista. – Ci sono già stata, vero? – domandai. – Ero da sola. E... e a un certo punto mi sono tagliata e... e sembrava che il sangue scavasse il terreno. Sembrava che sotto ci fosse... – Ci arrivai, a cosa c’era, lì sotto. Fu come uno scatto nella mia testa. – è lì che è... caduto? –
Mike annuì lentamente. – Te lo ricordi? – domandò.
Annuii. Sì, può o meno me lo ricordavo, se così si poteva dire, anche la sola idea di aver perso i ricordi di metà della mia vita continuava ad essere insopportabile e preferivo cercare di non pensarci. Perciò deglutii. – Andiamo. Però... ecco, io... non so... –
- ...volare. – concluse Jo. – Non è strano. Non l’hai mai saputo fare. –
Mi girai a guardarlo. Ah no?
- Sì, beh... non credo che tu abbia le ali. – spiegò, imbarazzato. – Non... sei... cioè... –
Né un angelo né un caduto. Non ero... niente di niente. Ecco cosa voleva dire.
- Beh, vorrà dire che ti porteremo noi a turno. – disse Marghe, sforzandosi di sorridere, poi chiuse gli occhi. Un attimo dopo, aveva due ali candide spalancate sulla schiena. Io rimasi a fissarla per qualche secondo. Cavolo, probabilmente non mi ci sarei mai abituata, pensai, mentre a Jo succedeva lo stesso.
Fissai Mike. Lui era ancora immobile. All’idea di vederlo di nuovo... in quel modo mi si contorceva lo stomaco, anche se sapevo che non avevamo scelta.
Mike prese un respiro, e poi aprì le ali.
Sentii Marghe emettere una specie di urlo di sorpresa, che risuonò nel silenzio del bosco. Jo era paralizzato. Sembravano tutti e due sconvolti.
- Come è... possibile? – balbettò lei, dopo qualche secondo.
Io battei le palpebre. Avrei voluto spiegarlo, ma non sapevo come farlo. Qualcosa mi diceva che a loro non sarebbe piaciuto affatto sapere di Lucifero.
E a me? A me era piaciuto saperlo? Che cosa avevo pensato quando era successo, che cosa ne pensavo?
Da che parte stavo?
Mi resi conto che non lo sapevo. Era come se fossi una persona qualsiasi infilata nel corpo e nella vita di un’altra. Quella non ero io, non mi sentivo io. Mi sembrava ancora impossibile che tutto quello stesse succedendo per davvero.
- Lucifero. – disse Mike, semplicemente, puntando quegli occhi che sembravano portare all’inferno verso Marghe. – E chi altro, se no? –
Lei deglutì. Era pallidissima. – Quando? – domandò.
- Al lago. – sussurrai. – Era... nell’acqua. E parlava. –
Nessuno disse niente, di nuovo. All’improvviso, Jo strinse i pugni e aprì le ali, sbattendole e sollevandosi in aria in direzione della montagna. Marghe esitò, poi lo seguì, mentre Mike mi prendeva in braccio.
- Non dovevo dirlo? – domandai.
Lui scrollò le spalle. – L’avevano già capito. –
Poi si sollevò in aria.
-
Allora, volare. Decisamente, non la cosa più normale del mondo. Oh, no, proprio no.
Stavamo bassi, probabilmente per non farci vedere. Ci muovevamo veloci tra le chiome degli alberi, e io non riuscivo a non sentirmi sia in preda al panico che elettrizzata.
Mi resi conto solo dopo un po’ di essere avvinghiata a Mike come una piovra, ma quando riuscii a capirlo staccarmi mi risultò impossibile. Eppure, in qualche suo modo strano, volare era incredibilmente fantastico.
Prima che arrivasse il momento di “fare a cambio”, però, l’alba era già spuntata, tingendo il cielo di un meraviglioso rosa chiaro misto a giallo, perciò dopo quelli che sembrarono pochi chilometri atterrammo in mezzo agli alberi. Di strada ce n’era ancora da fare parecchia, ma mentre ci avviavamo nessuno cercò di avviare una conversazione, neanche io. Marghe si teneva a distanza da Mike, Mike fissava il sentiero sotto i nostri piedi.
E Jo fissava me.
Mi sentivo quasi scavare da quello sguardo, così tanto che dopo qualche secondo cercai disperatamente di ignorarlo. Sentii le lacrime salirmi agli occhi. Jo. Possibile che adesso mi sembrasse così... così lontano?
Eva...
Battei le palpebre, sollevando la testa di scatto. Che... che cos’era stato?
Eva, sono Jo.
Mi girai verso di lui. Ma... non avevo sentito la sua voce! Era come se...
Qualcosa scattò nella mia testa. All’improvviso, aveva perfettamente senso. Stavamo parlando col pensiero. Avevamo sempre saputo farlo.
Ehm... ciao? chiesi, senza sapere che altro fare. Fu più naturale di quanto immaginassi.
Il suo viso per un secondo sembrò accennare un sorriso, poi però tornò serio. Eva, che cosa è successo esattamente al lago?
Io non sapevo cosa dire. Dovevo raccontargli la verità oppure no? Che cosa significava quella verità? Per me, per lui, per Mike?
Rimasi in silenzio. Jo continuò a fissarmi, ma lo ignorai. Volevo capire, dovevo farlo, ma lui non mi avrebbe spiegato. Non l’aveva mai fatto per una vita intera, perché avrebbe dovuto iniziare ora?
Eva, per favore...
Nonostante quelle parole le stesse solo pensando, riuscii a sentire che c’era qualcosa di strano in lui. Sembrava quasi che mi stesse implorando.
Io guardai Mike. Non sapevo davvero che fare.
Mike? domandai, sperando di non stare ancora parlando con Jo.
Lui sobbalzò, quindi probabilmente mi aveva sentita. Sei tu? chiese, lanciandomi un’occhiata.
Mike, che devo... dirgli?
Che cosa vuole sapere? ribatté.
Non lo so. E il fatto è che... non so perché, soprattutto.
Qualcosa nella sua espressione mi fece capire che lui invece lo sapeva, eccome, ma Mike non si spiegò. Incassò la testa nelle spalle e continuò a camminare. Io feci lo stesso. Non credevo di avere altre possibilità.
Silenzio, silenzio, silenzio. Iniziava a diventare opprimente, mentre seguivamo il sentiero a passo piuttosto rapido. Io ero stanca, ma avevo il terrore di fermarmi. Se l’avessi fatto, avrei ricominciato a pensare troppo, e in quel momento stavo cercando di tenere tutto quello che stava succedendo il più lontano possibile dalla mia testa.
Sollevai la testa, osservando la luce che filtrava dalle chiome degli alberi. Sembrava di essere nel bosco di una favola, peccato che in quella favola i cattivi fossero troppi, e troppo forti, e troppo vicini.
E, soprattutto, peccato che io ancora non avessi capito chi fossero davvero, quei cattivi.
-
- Dobbiamo fare una deviazione. – disse Jo, all’improvviso, rompendo il silenzio perfetto che avvolgeva tutti, scandito solo dal cinguettio di uccelli invisibili.
Mi girai a guardarlo. – Perché? –
Non rispose. Alla fine, fu Marghe a spiegare. – Fra poco arriviamo alla Caduta. –
La Caduta. Capii immediatamente a cosa si riferiva. – E... quindi? –
- Beh, è uno spazio scoperto. Rischiano di vederci. Finché stiamo nel bosco è più improbabile che ci vedano. –
- Ma poi dovremo uscire. – le feci notare. – C’è un sacco di pianura, prima della Montagna. –
- La dovremo fare abbastanza... di corsa. – rispose. – Però non c’è bisogno di aumentare il rischio di essere notati. –
Sì, in effetti era logico. Eppure...
Percorremmo ancora qualche centinaio di metri sul sentiero, poi Jo girò a sinistra. Tutti lo seguirono senza commentare, e quindi decisi di fare lo stesso.
Ma poi, all’improvviso, iniziai a sentire qualcosa, una strana pressione nello stomaco. Lentamente, molto lentamente, quella pressione si trasformò in bruciore e si estese a tutto il resto del corpo. Non faceva male, non sapevo nemmeno se me lo stessi immaginando o no.
C’era qualcosa, alla mia destra, riuscivo a sentirlo. Mi voltai lentamente in quella direzione, e lo vidi. Oltre gli alberi, a qualche decina di metri da noi, il bosco terminava di colpo, lasciando spazio a un terreno secco e arido, segnato da crepe.
Rimasi paralizzata. C’era qualcosa di assurdo, lì, qualcosa di incredibilmente... triste. Non solo per via del fatto che il terreno era arido, ma perché sembrava che lì, oltre la crosta della terra, oltre tutto, ci fosse qualcosa di vivo e pulsante, come un cuore imprigionato.
Un cuore che bramava la libertà più di qualsiasi altra cosa.
Successe all’improvviso.
Corri.
Sobbalzai. Marghe si voltò a guardarmi.
Corri, se vuoi vivere.
Salta, se vuoi vivere.
Beh, la volta prima era stato vero.
Mi misi a correre un attimo prima di sentire l’esplosione.
-
Il primo proiettile di fuoco si schiantò nel punto esatto dove mi trovavo io un attimo prima. Sentii qualcuno gridare, ma non capii chi. Nella mia testa c’era solo una voce.
Corri, corri, corri.
Rallentai un secondo prima di uscire dal bosco. Esitai. Sentivo ancora il terreno pulsare, sempre più forte.
Vieni.
Scossi convulsamente la testa. No, no, non potevo, non...
Un altro proiettile infuocato. Urlai.
Fidati di me.
Perché dovrei fidarmi di te?
Ne scansai un altro a stento. Sentivo delle grida, dei passi rapidi, sempre più vicini. Ci avevano trovati. Eravamo finiti.
La voce nella mia testa si fece divertita. Beh, non credo che tu abbia molta scelta.
Un urlo di dolore. Di Marghe. Fu come ricevere un pugno in faccia.
Ti conviene fare quello che ti dico. osservò la voce.
Sì, certo, infatti con tutta la tua saggezza adesso tu sei là sotto! sbottai. Un attimo dopo mi ricordai con chi stavo parlando, e mi sentii gelare.
La voce rise. Touché. Ma se non ci vuoi finire anche tu, bellezza, allora ti conviene fare qualcosa, e in fretta.
Osservai altre sfere di fuoco cadere, e le fiamme che avevano iniziato ad attecchire alla vegetazione.
Sì, decisamente, quel posto si stava trasformando in un inferno. E non c’era bisogno che me lo dicesse... Lucifero – era assurdo pensare che stessi parlando con lui – per capire che dovevo fare qualcosa.
Qualcosa tipo...
Buona idea. osservò.
Non ho intenzione di farlo sul serio. Non succederà mai. misi in chiaro. In realtà non lo sapevo, però qualcosa mi diceva che, visto che il diretto interessato era lui, era meglio evitare che...
Oh, che carina. la voce adesso era quasi sarcastica. Non vuole darmi false speranze.
Oh, ma fottiti!
Lui rise mentre mi decidevo a uscire allo scoperto.
Lo spiazzo aperto non era affatto vuoto. C’erano delle persone, un bel po’ di persone, che correvano in tutte le direzioni, come se stessero cercando qualcuno. Probabilmente Mike, Jo e Marghe si erano divisi per creare un po’ più di confusione. Per... permettermi di scappare, capii, con una stretta al petto.
Un altro grido. Stavolta era di Mike.
Dovevo fare qualcosa. Almeno, non mi avevano ancora vista. Afferrai un rovo secco e lo strinsi. Le spine mi si conficcarono nel palmo della mano, provocandomi una fitta di dolore. Stringendo i pugni, corsi verso il centro della Caduta.
Ecco, adesso mi avevano visto tutti.
Qualcuno urlò, altri mi corsero incontro. Prima che mi arrivassero addosso aprii la mano, e un po’ di sangue cadde sul terreno, scavando una specie di voragine. – Fermi! – ringhiai, con un coraggio che non sapevo neanche di avere. – Fermi o lo tiro fuori! –
Tutti si immobilizzarono. Vidi la paura nei loro occhi. Il terreno pulsava sempre più forte, mi sembrava che da un momento all’altro sarebbe potuto esplodere.
Se avessi potuto farlo l’avrei già fatto. mi fece notare la voce. Era  molto più rassicurante pensare a Lucifero come a una voce e basta, in effetti.
Sì, va bene, e ora?
E ora stai giù.
Mi gettai per terra.
E poi presi fuoco.
-
Lanciai un urlo, le fiamme che mi avvolgevano da ogni parte. Eppure, non bruciavano. Era fuoco nero, lo stesso fuoco che ero capace di evocare io.
Solo che, adesso, non ero stata io a evocarlo.
Le fiamme si arricciarono, iniziarono a concentrarsi sulla mia schiena. Iniziò a fare male, un dolore sempre più forte alle scapole, come se qualcosa mi stesse bucando la pelle.
Finì tutto incredibilmente in fretta. Il fuoco svanì e io mi tirai in piedi, frastornata. Le persone intorno a me scappavano gridando. Il terreno tremava. In poco tempo, rimasi da sola nella Caduta.
Che cavolo è successo? domandai.
Beh, guardati.
Lanciai un’occhiata dietro le mie spalle, dove sentivo ancora un peso strano, insolito, e restai a bocca aperta.
Erano ali. Ali enormi e spiegate, diverse da qualsiasi altre ali io avessi mai visto in tutta la mia vita, sia nella realtà che nei film. Erano nere, il profilo delle piume appena definito in quello che sembrava fuoco.
Ali di fuoco.
Ah, a proposito, prego per averti prestato le mie ali. sbuffò la voce.
Esitai. Grazie?
Lucifero rise di nuovo. Beh, diciamo che attualmente sono più utili a te che a me. Anche se c’è voluto un bel po’ a farle.
A farle? ripetei, senza capire.
Non fece in tempo a rispondermi. Sentii una voce dietro di me. – Eva! –
Mi girai di scatto, un attimo prima che Mike mi baciasse. Lui mi strinse così forte da farmi quasi male. – Stai bene? – chiese. Sembrava sconvolto. – Sei... sei sparita, e... – Guardava le mie ali come se non riuscisse a staccarne gli occhi.
- Sto bene. – mormorai. – Diciamo che... qualcuno mi ha dato una mano. – aggiunse.
Ci fu un guizzo nei suoi occhi, ma non capii se l’avesse presa come una buona notizia oppure no. Mi prese la mano e iniziò a camminare a passo svelto verso il bosco. – Andiamo. –
 

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Capitolo 20
*** Ragioni ***


RAGIONI
Mentre camminavo nel bosco, mi girava la testa. Cavolo, era successo tutto così in fretta, ed era stato assurdo. Più che assurdo.
Le ali erano sparite non appena avevo avuto paura che dessero fuoco a qualcosa, ma non in tempo perché Jo e Marghe non le vedessero. Adesso nessuno dei due mi stava guardando. Il silenzio opprimente di poco prima era tornato, ma stavolta ero troppo sconvolta per mantenerlo. Il cuore mi batteva ancora troppo veloce, avevo i palmi delle mani sudate. Il graffio si era già quasi cicatrizzato, eppure mi sembrava che bruciasse. Era solo un minuscolo taglio, eppure avrebbe potuto aprire l’Inferno. Mi sembrava di sentire ancora sulle scapole il peso delle ali di Lucifero, nonostante sapessi che erano... cosa? Si erano ritirate? Erano sparite? Cazzo, non sapevo neppure questo.
Presi un respiro, cercando di calmarmi. Non funzionò. La voce di Lucifero era sparita non appena ci eravamo allontanati dalla Caduta, ma io continuavo a ripetermi le sue parole in testa. Tutte e due le volte che l’avevo incontrato, mi aveva salvato la vita. A modo suo, certo. E in modi piuttosto suicidi. Però l’aveva fatto.
Ma perché? Che senso poteva avere? Lucifero non salvava vite. Lucifero era una specie di mostro... o no? Secondo quella logica, anche Mike sarebbe dovuto essere un mostro.
Cioè, però Lucifero... insomma, era diverso, no? Cavolo, era un angelo caduto, un vero angelo caduto. Chissà quanto male aveva fatto per essere cacciato dal Paradiso, per essere punito venendo costretto a restare per sempre all’Inferno.
Già, che cosa aveva fatto Lucifero per meritarsi una cosa del genere? Cioè, si diceva che si fosse ribellato a Dio. Ma era vero? Cosa c’era di vero nella Bibbia, in tutte le cose che ne parlavano? Tutto? Niente?
Tutto apposto?
Battei le palpebre, sollevando la testa, e incrociai lo sguardo nero di Mike. Probabilmente si era accorto di come mi sentivo. E, in quel momento, non avevo neanche la forza di fingere che fosse tutto ok. Non proprio. ammisi.
è per... le ali?
Anche. Cioè... è successo tutto così in fretta, e io...
Ci hai parlato di nuovo, vero?
Annuii.
Cosa ti ha detto?
Beh, mi ha detto di uscire fuori e di buttarmi per terra a un certo punto. Quando ho tipo preso fuoco. Tutto qui. Sembrava che volesse aiutarmi.
Direi che c’è riuscito. osservò. Ed è... questo il problema?
Cavolo, ma come faceva a leggermi nel pensiero in quel modo? In un certo senso. Cioè... Lucifero è...
...Lucifero. concluse. Non deve essere molto... facile.
Tu pensi che sia... cioè... Non sapevo come spiegarmi. La parola “buono” mi sembrava terribilmente infantile, e altrettanto stupida. Cavolo, i concetti di bontà e cattiveria erano talmente assurdi, ormai. Quella che sarebbe dovuta essere una specie di famiglia, per me, adesso cercava di uccidermi, e stava cercando di farlo per fare del bene. Il confine non era così netto, affatto. Forse non c’era proprio nessun confine, forse le due cose erano solo l’una lo specchio dell’altra.
Beh, direi di sì. Insomma, combatto da una vita per... tirarlo fuori dall’Inferno. Ma forse è solo che mi hanno cresciuto facendomi pensare questo. Però... diciamo che adesso inizio ad esserne più convinto. Perché ti sta proteggendo. Anche se anche per questo potrei essere influenzato da qualcosa. si lasciò scappare un mezzo sorriso stanco.
Credi che voglia proteggermi solo perché potrei liberarlo?
Esitò. Forse.
Io mi morsi il labbro. Però... insomma, quando... ho pensato di fare finta di aprire l’Inferno... gli ho detto che non l’avrei fatto davvero. Mai. aggiunsi. Ma non è che... cioè... mi ha aiutata lo stesso.
Non lo so. rispose Mike, sospirando. Poi mi lanciò un’occhiata. Davvero pensi che... cioè... sei così sicura di non volerlo fare?
Scossi la testa. No. Non so niente, cavolo. Mi salirono le lacrime agli occhi. Non so più niente di niente.
Mike sembrò sul punto di venirmi ad abbracciare, poi però si trattenne, forse temendo di svelare agli altri la nostra conversazione silenziosa.
Mike...
Dimmi.
Perché Lucifero è stato cacciato dal Paradiso?
Sembrò stupito da quel cambiamento di discorso, ma rispose lo stesso. Si ribellò. Considerava Dio un tiranno, e così radunò una schiera di angeli che la pensava come lui e lo attaccò. E perse.
Quindi quello che si dice è tutto vero.
Sì, direi di sì. Però c’è una cosa che molti non sanno. Cioè... Lucifero amava Dio. Era innamorato di lui. Gli costò moltissimo sacrificare quel sentimento, eppure lo fece, in nome di qualcosa che considerava giusto. Si dice che anche Dio amasse Lucifero. Io non credo che sia vero. Se l’avesse amato non gli avrebbe inflitto una cosa del genere. Quelle parole erano venate di disgusto, un disgusto sottile e lontano, triste. O forse Dio si è trovato costretto a farlo per dare un esempio a chiunque altro volesse sfidarlo, non lo so. Sta di fatto che non penso che lo amasse. Uccidere chi si ama per una causa è diverso da farlo soffrire per sempre per niente.
Sì, immaginavo fosse vero. Complicato e assurdo, ma vero. Mike stava dipingendo la situazione nel modo esattamente opposto a come l’avevo sempre sentita raccontare, e ci stava riuscendo benissimo. Perché credeva in quello che diceva, capii. Io invece in cosa credevo?
Non feci in tempo a provare a rispondermi, perché lui continuò a parlare. Si dice anche che a Lucifero siano state tagliate le ali, e fu per questo che precipitò dal cielo durante l’ultimo combattimento con Dio. Cadendo, finì all’Inferno. E rimase laggiù per migliaia di anni, con la compagnia delle anime dannate. Rischiò più volte di impazzire, ma alla fine imparò a conoscere quel luogo, e anche se stesso. Riuscì a parlare col fuoco, lo trasformò nel suo eterno confidente, e fu col fuoco che si costruì delle nuove ali, in attesa di poterle usare per vendicarsi quando sarebbe riuscito a uscire.
Deglutii. Quindi... se libero Lucifero sarà guerra.
Mike mi guardò. è già guerra.
-
La sera calò troppo presto, e con lei arrivò la stanchezza. Mi ritrovai a dovermi sforzare per tenere gli occhi aperti, e gli altri sembravano messi anche peggio. Cavolo, da quanto tempo non dormivamo sul serio?
Sentii Marghe emettere uno dei primi suoni della giornata, cioè uno sbadiglio. Dopo poco, ci ritrovammo tutti a imitarla.
- Quanto manca alla montagna? – domandò lei.
- Non lo so. Non molto, credo. Quando saremo lì potremo riposarci. – rispose Mike. Sembrava quello messo meglio di tutti, anche se aveva gli occhi cerchiati e fissi a terra. Era ancora il mio sangue che lo teneva in piedi? Ci scambiammo un’occhiata, poi lui batté le palpebre e spostò lo sguardo. Sì, decisamente era quello. Non ci fermavamo da chissà quanto tempo, e l’adrenalina stava iniziando a lasciare il posto alla fame e alla stanchezza. Ci eravamo fermati a bere in un ruscello, ma a parte quello non mettevo in bocca nulla dalla sera prima. Mi sentivo come se mi fosse passato addosso un carro armato.
- Adesso che è buio possiamo volare. Faremmo prima. Tanto non c’è granché luce. – osservò Marghe.
Mike si morse il labbro. Probabilmente stava per dire che sarebbe stato troppo pericoloso e che avrebbero potuto vederci, ma anche lui si arrese. Ci ritrovammo a guardare Jo, che non aveva davvero aperto bocca per tutto il giorno. Neanche stavolta lui lo fece, ma spiegò le ali. Marghe e Mike fecero lo stesso, perciò provai anch’io a tirare fuori le mie. Fu piuttosto facile, anche se la sensazione di averle sulla schiena era ancora sconvolgente.
Gli altri si alzarono in volo, e io presi un respiro. Mi facevano terribilmente male i piedi. Cavolo, avrei venduto l’anima al diavolo per un paio di scarpe.
Sicura?
Io feci un salto, ma la voce era già scomparsa. Senza neanche darmi qualche istruzione su come usare quelle cavolo di ali.
Gentilissimo. sbuffai, ma Lucifero non c’era più, riuscivo a sentirlo. Da cosa dipendeva la sua presenza? Andava e veniva quando voleva o c’era qualcosa che lo bloccava?
Non avevo idea di come si facesse a volare, ma a quanto pareva le ali sì. Bastò una piccola contrazione dei dorsali che quelle iniziarono a sbattere piuttosto ritmicamente. Non avevo bisogno di concentrarmi su ogni spinta, diventò quasi immediatamente automatico. Mi sollevai da terra di qualche metro, appena sopra gli alberi. Cavolo, se non fossi stata così esausta l’avrei trovato fantastico. Invece mi limitai a seguire gli altri sopra la distesa di chiome rese nere dal buio. Il fuoco delle mie ali non emetteva nessuna luce, quindi in teoria avrebbe dovuto convincermi del fatto che nessuno poteva vederci, ma ero comunque terrorizzata all’idea di un altro attacco.
Cercando di calmarmi, continuai a volare dietro gli altri. L’aria della sera era fredda, e Jo era semplicemente in camicia dopo avermi prestato la giacca. Anche quella era strappata sulla schiena per via delle ali che erano uscite. Ringraziai che le mie non fossero fatte di fuoco normale, altrimenti mi sarei trasformata piuttosto velocemente in una specie di torcia umana.
La montagna era più vicina di quanto immaginassi, ormai. Eppure, sembrava che non dovessimo mai raggiungerla. Andavamo avanti e avanti e avanti, ma quella rimaneva come un miraggio. Mi faceva male la schiena, iniziava a girarmi la testa.
L’ultima cosa che sentii fu Mike che mi afferrava, poi buio.

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Capitolo 21
*** Il Portavoce ***


IL PORTAVOCE
Il sole mi sfiorava la pelle, caldo e terribilmente piacevole. Il mare sciabordava alla mia sinistra mentre correvo sul bagnasciuga. Avrei voluto fare il bagno, ma non ne avevo il permesso. Dicevano che avevo mangiato da troppo poco. A me dava fastidio l’idea, e mi dava ancora più fastidio perché nessuno impediva a Jo di svolazzare per aria sopra l’acqua e io non potevo neanche toccarla. Né, ovviamente, volare. Cavolo, che cosa brutta non avere le ali.
Mi lasciai cadere seduta sulla sabbia umida, sospirando. Avrei tanto voluto volare, ma non potevo fare nemmeno quello. E correre con le braccia aperte, per quanto potesse sembrare una bella illusione, ovviamente non era la stessa cosa.
Inizia a disegnare sulla sabbia, distrattamente, più che altro scarabocchi, perché non riuscivo a fare disegni riconoscibili.
All’improvviso, sentii una voce. – Ehi, piccola. –
Sollevai la testa. In piedi dietro di me c’era un uomo. Non era affatto magro, e indossava un costume dal colore sbiadito. Era molto alto e molto peloso, ma non mi faceva paura. Però feci comunque un passo indietro. Non parlare con gli sconosciuti, era la regola.
- Sei qui da sola? – domandò lui. Sembrava davvero che si stesse preoccupando per me.
Scossi la testa e indicai Jo che volava. – Sono con lui e sua mamma. –
L’uomo scrollò le spalle. – D’accordo. E tu non voli? –
- No. – risposi, sospirando. – Non posso volare. –
- Perché no? –
- è che non ho le ali. – abbassai la testa.
Lui fece un sorriso stanco. – Capisco. –
- Sul serio? –
Annuì, dandomi le spalle. Vidi qualcosa sollevarsi dalla sua schiena, ma quelle non erano ali. Erano appena mozziconi, qualche piuma ancora attaccata. Piume nerissime.
Mi sfuggì un grido strozzato. – è... è orribile. – balbettai.
L’uomo ritirò quel che restava delle sue ali e tornò a guardarmi, sempre sorridendo, stavolta con più sincerità. – è tutto ok, davvero. Ormai ci sono abituato. – Esitò. – Non volevo spaventarti. –
Io deglutii. – Non le ho mai viste ali così. Cioè... di quel colore. –
Sorrise. – Sono le ali che dovrebbero avere in tanti, piccola, ma nessuno le ha più, ormai. –
- Ma gli angeli hanno le ali bianche. –
L’uomo si sedette accanto a me. – Voglio raccontarti una storia. Così capirai. D’accordo? –
Annuii, anche se non avevo idea di cosa avrebbe potuto farmi capire con una storia.
- Allora, tanto tempo fa, c’era una volta un re. – iniziò lui. – Ed era un re potente, e tutto il mondo era sotto il suo comando. Dominava su tutto e tutti, ma era un sovrano giusto e tutti erano felici. Non c’erano ladri e non c’era il male, nel suo regno, perché nessuno sentiva il bisogno di rubare. Quel re lavorava con i suoi sudditi, rispettava un contadino come un duca, insomma, in quel regno tutti erano uguali, tutti si volevano bene e si rispettavano. –
Mentre parlava, l’uomo guardava il mare. Sembrava assorto in quella storia, e anch’io iniziavo ad esserlo. La raccontava come se ci credesse, come se fosse stata una cosa importantissima.
- Tutti ammiravano quel re, persino gli angeli del cielo. E un giorno un angelo decise di andare a trovare quel re, per conoscerlo. Il re prima si stupì, poi parlò con l’angelo. E l’angelo tornò molto spesso a trovarlo, e con il tempo i due diventarono amici, e poi si innamorarono. Si amavano davvero tanto, sai. – aggiunse, e di nuovo sul suo viso arrivò quel sorriso stanco. – Ma l’angelo era immortale, e il re no. Il re continuava a invecchiare, e un giorno morì. Ma gli angeli, tutti gli angeli, lo ammiravano così tanto che, quando successe, lo portarono con loro nel regno dei cieli, e lo trasformarono nell’angelo più bello e più forte di tutti, in modo che li governasse come aveva governato il suo regno prima di morire. Il re e l’angelo erano felici, perché adesso sapevano di poter restare insieme per sempre. Per i primi tempi andò tutto bene, ma poi, lentamente, il re cambiò. Adesso che era nel cielo, adesso che era anche più forte degli angeli, non si sentiva più uguale a nessuno. E iniziò a comportarsi davvero da re, e poi da tiranno. Qualcuno continuava a sostenerlo, perché così otteneva favori, ma alcuni iniziarono a capire che quella situazione non poteva andare avanti. E uno di questi era l’angelo innamorato del re. Prima provò a parlargli, ci provò mille e mille volte, ma non riuscì mai a fargli capire, a farlo tornare sui suoi passi. L’uomo che aveva amato era scomparso, cancellato dal potere. E così l’angelo capì di dover fare qualcosa. – La sua voce adesso era più dura, anche se ancora terribilmente stanca. – Radunò gli angeli che come lui volevano opporsi al re, e decisero di attaccare il palazzo una notte per cacciare il tiranno. Gli angeli non vedono affatto male al buio, ma quello che vedeva meglio di tutti era l’angelo innamorato del re, e fu lui a guidare l’attacco. E, per non rischiare di essere notati dalle sentinelle, gli angeli prima di attaccare il palazzo rinunciarono alle loro ali bianche e le trasformarono in ali nere. Ecco perché alcuni angeli hanno le piume nere, piccola. –
Io, in realtà, mi ero quasi dimenticata del perché avesse iniziato a raccontarmi quella storia. Battei le palpebre. – E... e poi che successe? – domandai.
- Beh, gli angeli attaccarono il palazzo. E fu guerra. Guerra per ore e ore, giorni e giorni, mesi e mesi. E, un giorno, l’angelo e il re si trovarono a scontrarsi da soli, sull’orlo del precipizio che dal cielo portava a Elgrandir. A quel tempo Elgrandir e la Terra erano un solo mondo, sai. – aggiunse, ma smise subito di divagare. – Insomma, combatterono e combatterono, e mentre combatteva l’angelo piangeva, piangeva perché era costretto a battersi contro la persona che amava. A un certo punto, l’angelo riuscì a bloccare il re. “Arrenditi”, gli disse, ma l’altro gli rispose che se avesse dovuto fermarlo avrebbe dovuto ucciderlo. E allora l’angelo esitò. E il re in quell’attimo lo disarmò, e gli tagliò le ali, gettandolo di sotto dal precipizio. L’angelo cadeva e cadeva, sconvolto dal dolore. E la terra si aprì sotto ordine del re, inghiottendolo nelle sue profondità piene di fiamme. E quella fu, per sempre, la prigione dell’angelo. – L’uomo prese un respiro. – Anche gli altri ribelli furono gettati giù, ma non furono imprigionati. Per un po’ angeli e umani si ritrovarono a vivere sulla stessa terra, ma fu chiaro fin da subito che fosse troppo difficile, perciò il tiranno separò il mondo, e creò Elgrandir e la Terra. In una rimase chi aveva sangue di angelo, nell’altra gli esseri umani. E così finisce la storia... o meglio, non proprio così. –
Lo guardai. – In che senso? –
- Beh, il re aveva un giardino. Un bel giardino, sai, creato tutto da lui. E in quel giardino lui aveva specie di ogni animale, perché poteva crearli a suo piacimento. E, un giorno, creò un uomo. E da quell’uomo creò una donna. Quei due erano innocenti, non sapevano della guerra che c’era stata, e lo adoravano come un dio. Il re si sentiva compiaciuto da questo, e per questo voleva che i due rimanessero per sempre all’oscuro di quello che aveva fatto. C’era un solo modo in cui avrebbero potuto scoprirlo: c’era un albero, nel giardino, un albero che aveva come frutti delle mele d’argento, e chi mangiava            quelle mele poteva avere la conoscenza del bene e del male. I due non mangiavano i frutti dell’albero perché il re gliel’aveva proibito, e quindi vivevano felici e ignari. Ma, un giorno, nel giardino arrivò un serpente. Il serpente era un amico dell’angelo imprigionato, gli raccontava tutto quello che succedeva fuori dalla sua prigione. E, a volte, l’angelo poteva diventare il serpente, e girare per il mondo. Così fece quella volta. L’angelo entrò nel giardino e si mise sull’albero, e la donna lo vide e iniziarono a parlare. E lui le disse la verità. E, poiché lei non ci credeva, le disse di mangiare un frutto dell’albero per accertarsene. La donna non voleva, ma lui insisté dicendo che l’unico motivo per cui il re non voleva che loro mangiassero i frutti era che non voleva che loro sapessero al verità. Alla fine, la donna mangiò il frutto, e seppe che quello che diceva l’angelo era vero. Allora corse dall’uomo e gli disse lo stesso, e anche lui mangiò un frutto e capì. Da allora, i due ebbero paura del re, e il re se ne accorse. Quando scoprì la verità si arrabbiò moltissimo, e mandò i due uomini sulla Terra, cancellando in loro il ricordo della scoperta, per fare sì che di lui diffondessero solo la fede. E andò così, ma successe anche un’altra cosa, una cosa che il re non scoprì mai... – La voce dell’uomo si abbassò, divenne quasi cospiratrice, e il sorriso sul suo viso adesso era più vivo. – Non scoprì che la donna non aveva mai buttato via i semi della mela che aveva mangiato. Non scoprì che, un giorno, li piantò sulla Terra... –
Lo guardai, il cuore in gola. – Quindi... –
Lui annuì. – Già. –
- Ma... come fai a sapere tutte queste cose? – domandai. – Nessuno me le aveva mai dette, prima. –
E poi lo guardai negli occhi per la prima volta dall’inizio della conversazione. E rimasi di sasso. Aveva gli neri, nerissimi, neanche l’ombra di una pupilla. Occhi che brillavano, gelidi, e mi fissavano. Un urlo mi morì in gola mentre mi alzavo in piedi di scatto.
Lui sorrise di nuovo, facendomi un cenno di saluto con la mano. In quel momento, sentii una voce. – Eva! –
Mi voltai. La madre di Jo era lì, in piedi, e mi stava chiamando, probabilmente perché finalmente era arrivata l’ora di fare il bagno. A dire il vero non me ne importava più proprio nulla, ma mi avviai comunque, troppo terrorizzata da quell’uomo. Mi girai solo una volta, un secondo solo.
Ma lui non c’era più.
-
Aprii gli occhi di scatto. Il cuore mi batteva così forte che sembrava deciso a rompermi le costole. Io cercai di calmare il respiro, ma non riuscivo a togliermi dalla testa il sogno. Il sogno, e quell’uomo, soprattutto. Adesso sapevo chi era. Quell’uomo era Lucifero.
Quell’uomo era l’angelo innamorato.
Mi sfuggì un singhiozzo soffocato. Quella storia era assurda, semplicemente assurda. Eppure... eppure forse aveva senso. Forse era vera.
E, se era vera, io non sapevo davvero più che cosa fare.
Cercai di non precipitare le cose. Dopotutto, magari era stato solo un sogno. Magari ero solo suggestionata da tutto quello che era successo negli ultimi giorni.
Già, ma i sogni non erano mai così vividi, tranne quando erano ricordi. E adesso... ero pronta a scommettere che lo fossero.
- Eva... –
Quasi lanciai un urlo, girandomi di scatto. Solo in quel momento mi resi conto che ero sdraiata su qualcosa di morbido, e che c’era luce, più o meno. Luce bianca e pulita, non troppo calda. Sollevai la testa e vidi Jo, il viso illuminato da una specie di sole in miniatura che teneva in mano. Aveva l’aria stanca, i capelli che gli ricadevano sulla fronte scompigliati e sporchi. Ma la cosa peggiore era il viso: aveva occhiaie profonde e gli occhi erano arrossati, stravolti. – Come stai? – domandò.
Io battei le palpebre. – Cos’è quello? – chiesi, indicando con un cenno del mento la cosa che aveva in mano.
Lui scrollò le spalle. – Luce. –
Magari quella risposta avrebbe dovuto stupirmi. Non lo fece. Sembrava quasi una cosa normale, a sentirla dire così. Molto meno normale mi sembrava la sua presenza lì. – Che è successo? Dove siamo? –
- Beh, sei svenuta mentre volavi. Penso che tu ti sia stancata troppo, non c’eri abituata. E... adesso siamo in una grotta nella Montagna del Sole. –
- Uh. – commentai. – Quindi... siamo arrivati? –
- Già. –
In quel momento mi resi conto che qualcosa non tornava. Sì, magari eravamo arrivati, ma dove cavolo erano Marghe e Mike? – E gli altri? –
Lui prese un respiro. – Sono di là. Con... l’uomo della montagna. Si sono andati a dare una ripulita, insomma. Io... è che... volevo... – Abbassò lo sguardo. – Volevo parlare con te cinque minuti. Per favore. – Mi lanciò un’occhiata implorante.
Io non sapevo cosa dire. Nel corso di quei due lunghissimi giorni ero anche arrivata a odiare Jo, ma ora non avevo idea di cosa pensassi di lui. – Ehm... ok. –
Deglutì. – Senti... so che non vale niente e che probabilmente non mi crederai, ma... mi dispiace. Per... non averti mai detto niente. è solo che... – Aveva gli occhi lucidi. – Quando hanno deciso di... cancellarti la memoria, ho chiesto di... essere mandato sulla Terra con te. Sì, insomma, eri praticamente mia sorella. Vivevi a casa mia, con me e mia madre, e... nessuno dei due voleva lasciarti da sola là. Perciò ci siamo trasferiti. Solo che... mi hanno fatto giurare che non avrei mai detto niente. Se avessi provato a... dirti la verità, tu saresti morta e io pure. –
- Avevamo... dodici anni. – mormorai.
Annuì.
- Wow. Alla faccia del maltrattamento giovanile. – Doveva essere una battuta, ma non suonò per niente ironica.
- Sì, probabilmente ti sembrano dei mostri, lo so, però... –
- Però cosa? Da quando li ho incontrati quello che essenzialmente cercano di fare è ammazzarmi. – lo interruppi.
Jo non commentò. – Eva... –
- Sì? –
- Tu mi odi? –
Quella domanda mi colse di sorpresa. Ci pensai. E ancora e ancora. – Non lo so. – mormorai, alla fine. – Ma non credo che riuscirò a fidarmi di te di nuovo. –
A quella risposta Jo sembrò ricevere un pugno in faccia, ma rimase in silenzio. – Beh, se ce la fai ad alzarti e hai fame, puoi venire di là a mangiare. Oppure possiamo portarti la colazione qui. –
- No, va bene, mi alzo. – mormorai, scostando le coperte che avevo addosso. In quel momento, si accesero un milione di piccole luci, e io rimasi di sasso. Eravamo davvero in una grotta, ma quella aveva il soffitto alto, e in ogni piega della roccia sembrava nascosta una lucciola, anche se più probabilmente erano luci come quella che aveva in mano Jo. Era arredata come una camera da letto, con tanto di armadio, scrivania e tappeto. E, sul tappeto, c’erano delle pantofole. Per poco non feci un salto di felicità mentre ci infilavo i piedi che qualcuno mi aveva fasciato.
Mi tirai su. Ok, riuscivo a stare in piedi. Feci un passo, poi un altro passo. Tutto apposto. Con più sicurezza, mi diressi verso l’unica uscita che vedevo, cioè una tenda colorata. La oltrepassai e mi trovai in una cucina, anche quella scavata nella roccia. Marghe e Mike erano seduti al tavolo e stavano mangiando in silenzio. Mi salutarono entrambi distrattamente. Sembravano a disagio. Per il resto, sembrava che non ci fosse nessuno.
Poi sentii una voce. – Buongiorno, Eva. –
-
Mi girai di scatto e vidi un uomo che mi guardava, appoggiato al ripiano vicino ai fornelli. Quando avevano parlato di “vecchio della montagna”, sicuramente non mi ero aspettata quello. Magari una specie di druido barbuto con tanto di mantello con cappuccio. Sbagliato. Quello che avevo davanti era un uomo che dimostrava tra i trentacinque e i quaranta, magro alto sul metro e ottanta, i capelli né lunghi né corti color castagna. Sembrava una persona perfettamente normale, insomma, almeno fino a quando non lo guardai negli occhi.
Per poco non feci un salto. Erano... oddio. Sembravano gli occhi di un gatto. Gialli, con le pupille verticali. Cazzo, ma perché quel giorno sembrava fossi destinata a farmi venire un infarto guardando la gente negli occhi?
Beh, in effetti, mi corressi, non quel giorno. L’incontro con Lucifero era avvenuto chissà quanti anni prima. Però comunque...
- Ehm... buongiorno. – balbettai.
- Ti ho spaventata? –
Scossi la testa, ma non avevo la forza di cercare di essere credibile. Quel giorno era appena cominciato, ed ero già abbastanza sconvolta.
- Beh, se vuoi sederti a fare colazione fai pure. Oppure se vuoi prima puoi fare una doccia. –
Il mio stomaco ringhiò, ma mi sentivo talmente sporca che optai per la doccia. Il bagno era piccolo, ma niente male. C’era sul serio una doccia, con cabina e tutto. Per l’acqua calda e fredda c’erano due rubinetti e due cannelle diverse, ma non mi sembrava affatto un problema. Insomma, quel tipo viveva in una grotta.
Uscii dalla doccia, avvolgendomi in una asciugamano morbidissimo. Lì accanto trovai dei vestiti. Erano una felpa, dei pantaloni della tuta e un paio di scarpe da ginnastica. La felpa mi stava un po’ grande, ma dopo aver girato per giorni nei boschi scalza e con un paio di jeans in cui entravo cinque volte mi sembrò tutto perfetto. Tornai in cucina, decisa a ringraziare – magari senza fare un’altra figuraccia restando paralizzata a guardare quel tizio – ma non appena misi piede nella stanza vidi sul tavolo quella che sembrava una tazza di latte caldo insieme delle fette di pane e marmellata, e mi ci gettai sopra come una belva affamata senza neanche vergognarmi. No, la vergogna arrivò quando mi trovai a pulirmi le dita dalla marmellata con un tovagliolo. Arrossii, notando Marghe e Mike che ridacchiavano, e sollevai la testa, incrociando di nuovo lo sguardo terrificante del “vecchio della montagna”. – Ehm... mi dispiace. – mormorai. – Io... cioè... grazie. –
Lui mi fissò, trapassandomi con le sue pupille affilate. – Beh, non credo ci sia molto di cui scusarti. Stavi piuttosto male. –
- Lo so, ma... – Mi bloccai e decisi di lasciar perdere. Cavolo, avevo parlato con il diavolo, ma fare un’amabile chiacchieratina con un uomo con gli occhi letteralmente da gatto sarebbe stato troppo anche per me.
Sentii l’acqua della doccia che ripartiva. Probabilmente era Jo. Ripensai alla sua espressione di poco prima e mi sentii male. Non sapevo neanche se la persona orribile tra i due ero io o lui, però davvero non sarei riuscita a perdonarlo. Non così presto.
Per non pensare a quello, cercai di concentrarmi su qualcos’altro, ma tutto quello che avevo in testa era il sogno. Presi un respiro.
Tutto ok? domandò Mike.
Annuii. Non volevo parlarne con lui, né con Marghe, né con nessun altro. Non volevo opinioni di parte, volevo solo capire.
Sì, ma come cazzo facevo a capire?
- Io... vado a dormire un altro po’. – mormorai, tornando nella camera senza aspettare risposta. Mi sdraiai sul letto e serrai le palpebre.
“Ti prego, ti prego, ti prego, non voglio sognare di nuovo.”
-
Dormii davvero, a intermittenza, e riuscii anche a evitare strani sogni. La morsa che avevo nel petto iniziò ad allentarsi, anche se non del tutto.
Almeno fino a quando non mi sentii afferrare per un braccio.
Feci un salto, quasi, e per poco non urlai quando vidi gli occhi da gatto dell’uomo che mi fissavano. Brillavano quasi di luce propria, anche perché di luci, nella stanza, non ce n’erano altre. Battei le palpebre e tutto si schiarì più velocemente di quanto mi aspettassi. A quanto pareva, stavo migliorando.
Lui si mise un dito sulle labbra, come per intimarmi di fare silenzio, poi indicò i miei amici. Stavano tutti dormendo, infilati in materassi che erano stati portati nella camera. Non avevo mai visto dormire nessuno di loro, perciò per un secondo rimasi a guardarli. Marghe stava sdraiata scompostamente, le coperte per metà gettate di lato. Mike sembrava un bambino, la bocca semiaperta e l’espressione calma. L’esatto contrario di Jo, che dormiva in posizione fetale con la fronte corrugata.
L’uomo mi prese la mano facendomi alzare e dirigendosi verso la tenda. Sembrava che i suoi piedi non toccassero neanche terra, da quanto era silenzioso. Io lo ero molto meno, ma lui non commentò. Probabilmente gli bastava che non svegliassi gli altri.
Sì, ma perché? Dove mi stava portando? Dovevo mettermi a urlare e chiamare aiuto o seguirlo e basta?
Non sapendomi decidere, decise lui per me. Dalla cucina passammo in una specie di corridoio di roccia, abbastanza largo ma che comunque per qualcuno di claustrofobico sarebbe stato un incubo.
E poi, all’improvviso, c’era il tramonto.
Io rimasi immobile, paralizzata, fissando quello spettacolo magnifico. Ci trovavamo su una sorta di piattaforma di roccia di circa due metri per tre che si affacciava sulla parete scoscesa di una montagna. Da lì si vedevano altre montagne, che poi declinavano in colline e infine in una pianura ricoperta di boschi.
E poi c’era il mare, in cui il sole stava affondando lentamente.
- è bellissimo. – mormorai.
L’uomo non commentò.
- Perché mi ha portata qui? –
- Tu avevi voglia di stare sola. O meglio, di parlare con qualcuno che però non potesse... influenzarti. –
Lo fissai, così spaventata da dimenticare immediatamente di dare del “lei”. – Come cavolo fai a saperlo? –
Scrollò le spalle. – In tutti questi anni ho imparato parecchie cose, sai. Quando sei come me, a volte è impossibile non accorgersi dei pensieri quando sono così... lampanti. –
- In che senso... come te? Che cosa sei tu? –
- Mi conoscono in pochi, sai. E ancora meno sanno cosa sono. Ma quelli che lo sanno mi chiamano “Portavoce”. –
- Portavoce? – ripetei, senza capire. – E che cosa sarebbe? –
- Dimmi un po’. – fece lui, senza rispondere. – Secondo te quanti anni ho? –
Mi morsi il labbro. – Beh... non so. Trentacinque o quaranta, credo. Ma Mike... ti ha chiamato anche... –
- “Vecchio della montagna”. – concluse lui. – Sì, la maggior parte della gente mi conosce così. E sai perché? Perché c’era un periodo in cui ero giovane, e vivevo tra gli altri. Poi, però, è cambiato qualcosa. Hai voglia di sentire la storia? –
- Beh, tanto ormai di storie oggi ne ho sentite già troppe. – risposi, con un sospiro. Non mi spiegai, però. Non ero affatto in dovere di farlo, dopotutto.
Lui annuì distrattamente. – Beh, quando ero ragazzo, vivevo qui ad Elgrandir, però nelle aree abitate vicino alla costa, non in questa montagna. A quel tempo esisteva una specie di... setta, se così si può chiamare. Si facevano chiamare “Pacifici”, perché erano contro la guerra tra angeli e caduti. Volevano fare da mediatori, insomma, e non solo tra i discendenti, ma anche tra i veri angeli e i veri caduti. Pensavano che, se tra di loro ci fosse stata la pace, anche i loro figli avrebbero accettato di vivere senza combattersi. O viceversa, insomma. Perciò alcuni cercavano di far capire che la guerra era inutile agli abitanti di Elgrandir. Però... come si poteva parlare con gli angeli? I caduti erano scomparsi, nascosti per non farsi trovare. Gli angeli erano nel cielo, confinati nella gabbia perfetta che si erano creati da soli per proteggersi. Lucifero era all’Inferno. – Prese un respiro. – E così decisero di creare i Portavoce. Qualcuno che potesse mettere in comunicazione persone in mondi diversi. Furono fatti degli esperimenti. Quella era una setta di fanatici. Si proclamavano pacifici, ma per la pace erano disposti a uccidere. – Si interruppe, fissando l’ultimo spicchio di sole che si rifletteva sul mare. Sembrava fermo, quasi esitasse prima di gettarsi completamente tra i flutti e lasciando quel mondo nel buio della notte. – Io però non lo capivo. Mi unii a loro, perché mi sembrava giusto, e per una giusta causa. Di iniziati ce n’erano tanti, e fu su di noi che provarono. E a me andò bene. Sopravvissi, anche se all’apparenza all’inizio non era successo nulla. Prima che potessero riprovarci con me, però, fummo attaccati. Non eravamo moltissimi, rispetto a tutta la popolazione. L’attacco... non so neanche se fu degli angeli o dei caduti. Di qualcuno che non era d’accordo con noi, comunque. Sterminarono tutti. Io riuscii a scappare quasi per miracolo, e vissi nascosto per anni. Solo che, in quegli anni... in quegli anni scoprii che l’esperimento non era stato inutile come pensavamo. No, l’esperimento aveva funzionato. E io... ero diventato un Portavoce. Solo che non sapevo come usare quel potere. Non avevo molto controllo su chi entrava e usciva dalla mia testa. Essere un Portavoce è come essere posseduti, ma se non si è capaci di limitare le entità che ci possiedono non si riuscirà mai a liberarsene. Perciò per anni dovetti stare attento ogni secondo. Non c’era nessuno a insegnarmi. Imparai da me, subendo invasioni di ogni tipo. E avere qualcuno dentro in quel modo lascia il segno. – Sospirò. – Per esempio... i miei occhi non erano così, prima. Sono cambiati perché... per un sacco di tempo, quasi un decennio, sono stato posseduto da un angelo caduto. E loro sono capaci di... vedere al buio. I miei occhi hanno mutato fino a quando anche loro non ne sono stati capaci. E, quando sono riuscito a liberarmi dell’angelo, ormai erano così, non avrei più potuto cambiarli. E non ho trentacinque anni, sai. Ne ho quasi duecento. –
Rimasi a bocca aperta. – Cosa? –
- Ci sarà un motivo per cui mi chiamano “vecchio della montagna”, no? Beh, eccolo. Non invecchio velocemente perché gli angeli sono immortali. In centottant’anni sono invecchiato di circa quindici anni umani. Non sono immortale, ma la mia vita durerà ancora parecchio, probabilmente. –
- Ma come fanno le persone a sapere di te? E perché ne parlano come se fossi una leggenda? –
- Perché alla fine del mio primo secolo di vita vivevo sempre tra la gente. Ero quasi un’ombra, ma c’ero. Aiutavo le persone per quello che potevo con le conoscenze che avevo assorbito dagli angeli. Passarono anni, tanti anni. E tutti credevano che fossi invecchiato, com’era normale. Quando andai a vivere qui, per loro ero già un vecchio. E poi nessuno mi trovò più. La Montagna del Sole sa essere pericolosa, e nessuno voleva avventurarsi per le grotte per cercarmi. Anche perché nessuno potrebbe trovare questa grotta senza il mio permesso. –
- Un po’ come l’incantesimo che fanno alla casa in Harry Potter? – chiesi, poi mi tappai la bocca. Che domanda cretina.
Lui, però, ridacchiò. – Sì, più o meno così. –
Restammo in silenzio per qualche secondo, la sera che calava con tutta la calma del mondo. Mi lasciai cadere seduta per terra, stringendo le ginocchia al petto.
- Tu sai cosa ho sognato? –
- No. Non so leggere nel pensiero, neanche gli angeli sanno farlo. Però so percepire le emozioni, questo sì. –
Gli raccontai del sogno, tutto il sogno.
- Quell’uomo non era un Portavoce. – mormorò, alla fine. – Era semplicemente posseduto. è pericoloso, quando succede. Se un corpo non è preparato a contenere in sé lo spirito di un angelo, rischia di morire. – Si morse il labbro. – Comunque... l’avevo già sentita, questa storia. –
- Ed è vera? –
- Secondo te è vera? –
Lo guardai. Era impossibile capire quale fosse la sua espressione. – Io voglio sapere se è vera. Che c’entra se lo è secondo me? –
- C’entra, invece. – ribatté. – Perché che sia vera non si può dimostrare, come per un sacco di altre cose. Quella che fai pensando se secondo te è vera o no è una scelta. E, qualsiasi scelta farai, è un atto di fede. Nel Paradiso o nell’Inferno. –
- E se io non fossi disposta a nessun atto di fede? –
Sorrise. – Allora le cose si complicano, cara mia. Non ce ne sono, di prove, te l’ho detto. Ci sono solo parole. –
- Non mi bastano le parole. Le parole si usano per mentire. –
- E la fiducia? Anche quella si usa per mentire? –
Sentii una stretta allo stomaco. – Per quale motivo dovrei avere fiducia in loro? O in te? Tutte le persone in cui ho avuto fiducia si sono dimostrati dei bugiardi. –
- Però adesso in qualcuno di loro ci credi. – Mi fissò dritto negli occhi. – In lui, ci credi. Lui, lo ami. –
Mi venne voglia di mollargli un pugno. Lui forse se ne accorse, forse no. Comunque, continuò a parlare. – E sai perché? Perché a istinto è di lui che ti fidi. Una cosa completamente dipendente dai tuoi sentimenti, forse, o forse anche perché si è fatto perdonare. Non si decide se fidarsi o no delle persone. La tua fiducia se la guadagnano. E, spesso, quella fiducia è l’unica cosa che hai e che avrai, Eva. –
Io presi un respiro. – Ma... –
- Ci credi o no, a questa storia, Eva? –
- Posso anche crederci, ma me l’ha raccontata Lucifero. Sai, esiste una cosa chiamata “punto di vista”. – Serrai i pugni. Non c’era una via d’uscita da quella storia.
Mi bloccai di colpo. Oppure sì, invece. Forse c’era. E me l’aveva detta un uomo con gli occhi neri senza pupille su una spiaggia chissà quanti anni prima. 

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Capitolo 22
*** L'albero ***


L’ALBERO
- No. –
Sollevai la testa di scatto. Il Portavoce mi stava guardando, i suoi occhi da gatto spalancati e l’aria serissima, quasi arrabbiata. – No, non puoi. –
Strinsi i pugni. – E perché no? è l’unica possibilità! –
- No, non lo è. Non è affatto una possibilità. è pericoloso. Troppo pericoloso. Tu non hai idea... –
- Quindi esiste davvero. – Lo interruppi. – L’albero. Esiste davvero. –
Lui sembrò infuriarsi, non sapevo se con se stesso per avermelo fatto capire o per me per averglielo fatto dire. – Sì, esiste. – La voce gli uscì simile a un sibilo. – Ma è pericoloso. Mangiare i frutti lo è. Ti rendi conto che danno la conoscenza del bene e del male? Tutta la conoscenza del bene e del male? Impazziresti, se lo facessi. Potresti anche morire. –
- Eva però non era impazzita. – ribattei. – Ed era ancora viva, anche. O almeno così si dice. –
Strinse i pugni. – No. Non puoi farlo. –
- Perché no? –
Mi fissò, trapassandomi con lo sguardo. – è una cosa incredibilmente stupida, Eva. Non puoi non capirlo. –
- Perché ti importa così tanto di me? –
- Non sono un fanatico dei suicidi. – ringhia. – E poi tu sei Eva, cazzo. –
- Appunto, sono Eva. E credo che in qualche modo potrebbe funzionare. – Cavolo, sarebbe bastato dare un morso a una fottuta mela e avrei riavuto indietro il mio passato, più un bel po’ di delucidazioni a proposito di quella situazione. Ci doveva essere un modo per non andare fuori di testa. – E poi non hai detto la verità. Non tutta. – aggiunsi.
Lui si lasciò cadere seduto per terra accanto a me. – Eva... –
- Dimmi. La. Verità. Quale cazzo è il problema? –
- Perché dovrei dirti la verità? –
- E perché io dovrei ascoltare te? –
Abbassò lo sguardo. – Mike. – disse. – è un mio amico, ok? E ti rendi conto di come si sentirebbe se tu morissi? –
Sentii una stretta allo stomaco. Mike. E Marghe. E anche Jo. Se davvero il rischio era così grosso, potevo davvero fare una cosa del genere sapendo che avrei potuto perdere loro? Che loro avrebbero potuto perdere me? Ripensai a quando Mike mi aveva baciata dicendomi che mi amava e mi sentii anche peggio. Mi salirono le lacrime agli occhi.
- Io... – balbettai.
- Eva, questa cosa non è da prendere in considerazione, te ne rendi conto? è troppo pericoloso. E tu non vuoi gettare via la tua vita in questa maniera, lo so e lo sai anche tu. –
- Quale vita? – mi uscì. Avevo la voce strozzata, ma lo pensavo davvero. – Quale vita, porca miseria? La mia vita me la strappano via sempre tutti quando pare a loro, cazzo! La mia vita non è mia. è così sbagliato che io voglia che lo sia, per una volta? – Adesso stavo urlando. Scoppiai in lacrime. Avevo voglia di scappare da lì, di scappare da tutto. Perché non potevo farlo, dannazione?
All’improvviso, sentii qualcuno abbracciarmi da dietro. – Eva... – mormorò una voce.
Mi girai di scatto. Mike. Non volevo piangere davanti a lui, ma fermarmi mi sembrava impossibile. Mi sembrava di essere completamente crollata. Nascosi il viso nel suo petto e rimasi lì, decisa a non uscire mai più da quell’abbraccio.
- Tutto questo è assurdo. – balbettai. Cavolo, ero sconvolta. Completamente sconvolta. Da tutto, tutto quello che stava succedendo e tutto quello che avevo scoperto e... e tutto, insomma. – Io... – Non riuscii ad andare avanti. Passò il tempo. Minuti, forse anche ore. Lentamente, iniziai a calmarmi. Alla fine, quando alzai la testa, avevo smesso di piangere.
Mike mi passò una mano sul viso. – Stai bene? –
- No. è tutto assurdo. – Presi un respiro. – Da quant’è che sei lì? –
- Da un po’. – ammise. – Solo che... beh, credevo che non volessi che... – Si morse il labbro. – Io non voglio... cioè, hai detto che non vuoi essere... insomma, sentire opinioni di parte. –
- Voglio solo che tutto questo non sia vero, adesso. – sussurrai. – Voglio solo che torni tutto come prima e basta. Non me ne frega un cazzo se era tutta una bugia. Almeno stavo bene. Almeno era... – mi interruppi.
- ...Più facile. – concluse lui. – Lo so, Eva. E... mi dispiace che tu stia male. Ma... –
Lo guardai dritto negli occhi. – Tu che cosa ne pensi? Di... dell’albero? –
Esitò. – Eva... –
- Se pensi che io sia un’idiota e che sia terribilmente stupido dillo, ok? Per favore? –
Lui prese un respiro. Nei suoi occhi c’era un’ombra strana, ancora più profonda del solito. Aveva l’espressione seria, quasi tirata. – Mi aspetti qui una decina di minuti, per favore? – chiese, alzandosi.
Lo guardai senza capire, ma annuii comunque. Passare dieci minuti da sola non mi avrebbe fatto male.
Mike sparì dentro la grotta, e io rimasi sola a guardare la notte.
-
Stette via molto più di dieci minuti, o almeno così mi sembrò, anche se non avevo un orologio. Per quanto mi riguardava, era passata almeno mezz’ora, quando tornò. La sua espressione era ancora seria, ma più calma. Mi prese la mano. – Vieni. –
Lo seguii dentro la grotta. Seduto al tavolo della cucina c’era il Portavoce, lo sguardo cupo fisso sul pavimento. Quando ci sentì, sollevò la testa. Lanciò a Mike un’occhiata quasi arrabbiata, poi si rivolse a me. – Sei davvero sicura di volerlo fare? –
Annuii. Sì, lo ero. Era l’unico modo per sistemare tutto. E, visto che sembravano convinti, forse avevano trovato un modo per renderlo meno pericoloso. Forse.
- Ci sono dei riti che facevamo. Nella setta. – Il Portavoce parlava con aria distaccata. – Servivano a rinforzare la mente contro attacchi esterni, e anche a permettere di controllare quello che la mente stessa riceveva da chi ospitava. Ok? –
- Sì. –
- Quindi, penso che potrei provare a ripeterli su di te. La conoscenza del bene e del male non è esattamente qualcosa che può possederti, ma modificandoli un po’... – Prese un respiro. – Ci sarebbe comunque un rischio. Ma così sarebbe molto più basso. Per lo meno, non moriresti. –
Guardai Mike. Era un rischio che potevo correre?
Fissai il suo sguardo. Sembrava spaventato, ma era deciso.
Sì, decisi. Potevo farlo.
-
Galleggiavo nel buio. Non sapevo dove fossi, né cosa stesse succedendo. L’ultima cosa che ricordavo era il Portavoce che mi infilava un ago nel braccio, poi nulla. Stavo dormendo o ero sveglia? Non sapevo neanche questo. Una mano mi scostò i capelli sudati dal viso. – Andrà tutto bene. – promise una voce. Ci misi un po’ a capire di chi fosse. Era Mike.
Rimasi in quella specie di limbo, grata al silenzio e al contatto con le sue dita. All’improvviso, però, tutto fu rotto da dei passi. Un’altra voce. – Come sta? –
Stavo iniziando a svegliarmi, perciò quella la riconobbi quasi subito. Jo.
- Tutto a posto, però credo che dormirà ancora per un po’. Non sono cose che il corpo regge facilmente senza stancarsi. –
- Già, e sono anche cose perfettamente inutili, vero? –
La voce di Jo era quasi acida. Sentii la mano di Mike irrigidirsi, ma non riuscii a muovermi. Ero ancora troppo stanca. – Che vuoi dire? –
- Non cercare di prendermi in giro. Tutti quelli che hanno provato a mangiare i frutti di quell’albero sono morti, e adesso basta qualche stupido rito satanico per evitarlo? – Jo sembrava quasi arrabbiato.
Anche la voce di Mike era tesa, quando rispose. – Lei è Eva. Non è come gli altri. – Mentiva. Me ne accorsi subito, senza neanche bisogno di percepirlo. O, almeno, quella non era tutta la verità.
- Quindi è questo il tuo piano? Mandarla a morire? – Era furioso, adesso.
E anche Mike. – Pensi sul serio che lo farei? – domandò, la voce che tremava. Stava piangendo. – Pensi davvero che la farei rischiare così? –
Jo per un secondo rimase in silenzio, poi gli sfuggì qualcosa, una specie di grido strozzato. – Tu vuoi... –
- Vedi alternative? –
- è una follia. – Adesso sembrava spaventato. – è... assolutamente... –
- ...necessario. – concluse Mike. – Non ci sono altre possibilità, e lo sai. –
- Ma... –
- Devi aiutarmi. –
Silenzio.
- No. – mormorò Jo dopo un po’.
- Invece sì. Perché tu non vuoi che muoia. –
- Non voglio nemmeno... –
Mike rise, una risata amara. – No, forse no. Ma sappiamo entrambi che cosa è più importante per te. E quindi lo farai. Se mi aiuti saremo più sicuri. –
Silenzio, silenzio e ancora silenzio. Così gelido da diventare opprimente. Stavo di nuovo sprofondando nel sonno.
- D’accordo. – mormorò Jo.
E poi il buio si chiuse sopra di me, e tutto sparì. 

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Capitolo 23
*** Soltanto un morso ***


SOLTANTO UN MORSO
Battei le palpebre, sbadigliando, e mi guardai intorno. Ero in una stanza piuttosto spoglia, occupata solo da una specie di brandina dove ero sdraiata io e un armadio chiuso. Il Portavoce mi aveva portata lì la sera prima, e poi aveva detto che per quello che doveva fare era meglio che dormissi. La cosa mi aveva spaventata un po’, ma avevo accettato, cercando di concentrarmi sull’idea che entro poco avrei riavuto il mio passato, e avrei anche saputo cosa fare.
Adesso, a quanto pareva, era tutto apposto. Mi sentivo un po’ indolenzita, ma fisicamente stavo bene. Eppure, c’era qualcosa che non andava. Qualcosa che...
Il ricordo della conversazione tra Jo e Mike mi travolse come un ariete, facendomi prendere immediatamente dal panico. Che cosa voleva fare Mike? Perché non me l’aveva detto? E, se era vero quello che aveva detto Jo – e lo era – quello che mi avevano fatto quella notte non era servito a nulla. Era tutta una scusa. Sì, ma una scusa perché?
Scesi dal letto. Un po’ troppo velocemente. Ebbi un giramento di testa e dovetti sedermi di nuovo per non cadere. Poi mi alzai di nuovo e corsi in cucina.
Mike, Marghe e Jo erano tutti e tre seduti al tavolo, con un’aria di calma tale che mi ritrovai a chiedermi se la conversazione di quella notte l’avessi sognata. Poi, però, mi resi conto che l’unica più o meno calma era Marghe. Jo aveva la mascella stranamente serrata e lo sguardo fisso sul suo piatto, Mike sembrava terribilmente stanco. Li guardai. Dovevo parlare con uno dei due, ma con chi?
Mike mi aveva mentito. E, dei due, sembrava il più sicuro. Già, era Jo quello che aveva dei ripensamenti su qualsiasi cosa volessero fare. Quindi...
Quindi, per quanto volessi evitare di parlare da sola con lui a qualsiasi costo, l’avrei fatto.
-
L’ora della partenza arrivò quasi subito, travolgendoci tutti con un’ondata di nervosismo. Il Portavoce entrò nella stanza. – D’accordo. Per raggiungere l’albero dobbiamo attraversare un Portale. Basta uno qualsiasi, visto che l’albero stesso direziona i flussi. Basta concentrarsi il più possibile sull’albero e il Portale devierà. Avete capito? –
Annuii quasi meccanicamente, inghiottendo un biscotto. Sapeva di cartone. Ci alzammo dal tavolo. Il Portavoce si diresse rapidamente verso quella specie di terrazza di pietra che dava sulla discesa. Per un secondo mi sentii prendere dal panico. Era da lì che dovevamo scendere? Cavolo, mi sarei uccisa. No, aspetta. Magari avremmo volato. Sì, decisamente meglio.
Non appena ci affacciammo sul pendio, il Portavoce si girò verso di noi. – La cosa più semplice da fare per scendere da qui è volare, ma tenetevi bassi. è meglio che nessuno ci veda. –
Mi morsi il labbro. – Loro non sanno dell’albero. – osservai. – No? –
- No, ma sanno di te, ragazzina. – Nei suoi occhi ci fu una scintilla rabbiosa, che quasi mi spaventò. Perché mi stava guardando così? – Sanno di te, e tu sei più pericolosa di cento alberi della conoscenza del bene e del male, per loro. –
Poi si girò e si gettò giù. A sorpresa non aprì le ali, si limitò semplicemente a scivolare sulle pietre lasciandosi trasportare senza mai rischiare di cadere. Cavolo, aveva un equilibrio perfetto. Noi lo seguimmo volando, e quando arrivammo in fondo alla discesa atterrammo ritirando le ali.
- Il portale più vicino è a circa due ore di cammino. – disse lui, incamminandosi senza girarsi. – Su quella montagna. – aggiunse, indicandone una. Sembrava lontana in modo sconfortante.
Beh, almeno avrei avuto tempo per parlare con Jo.
Nessuno aveva molta voglia di fare conversazione neanche adesso, a quanto pareva. Mike camminava tenendomi la mano. Quel contatto era la cosa che avrei desiderato di più al mondo in qualsiasi momento, ma non adesso. Adesso dovevo parlare con Jo senza che se ne accorgesse. E, con Mike così vicino, non ci sarei mai riuscita.
Alla fine, dopo più di mezz’ora di cammino, decisi di provarci. Jo.
Lui sobbalzò lievemente, ma nessuno tranne me sembrò accorgersene. Non rispose.
Jo, che cosa volete fare?
Impallidì. Che... che vuoi dire?
Vi ho sentiti. dissi, cercando di sembrare sicura di me. Stanotte. Vi ho sentiti parlare. Che cosa volete fare?
Adesso sembrava davvero spaventato. Serrò la mascella. Niente.
Mentiva. Non è vero.
Prese un respiro. Esitò. Inspirò di nuovo. è difficile da spiegare. disse, alla fine.
E tu fallo. Abbiamo tempo.
Eva... serrò le palpebre per un secondo, poi mi guardò dritto negli occhi. Andrà tutto bene, ok? Te lo prometto. è solo un modo per assicurarsi che non ti succeda niente di male. Ma andrà. Tutto. Bene. scandì. E, stavolta, stava dicendo la verità. Tutta la verità. Non c’era niente che non andava, non sentivo neanche la lieve esitazione che c’era quando qualcuno ometteva qualcosa o diceva qualcosa di vero di cui però non era del tutto convinto. No, Jo sapeva quello che stava dicendo.
Eppure... eppure io non ero convinta. Erano i suoi occhi che non mi convincevano. Erano strani, diversi, sembravano quasi completamente cambiati nel momento in cui li aveva chiusi. Però aveva detto la verità e, qualsiasi essa fosse, sarebbe andato tutto bene. Non potevo continuare a insistere, altrimenti Mike se ne sarebbe accorto e mi sarei trovata a discutere con lui, e non credevo di averne la forza. Avrei capito cosa avevano intenzione di fare una volta arrivati. Non doveva essere niente di pericoloso, se Jo aveva detto che sarebbe andato tutto bene. No?
“Andrà tutto bene. Andrà tutto bene. Andrà tutto bene...”
-
- Siamo quasi arrivati. – ci informò il Portavoce. Si stava arrampicando agilmente su una salita scoscesa costellata di massi, con noi che arrancavamo dietro di lui ansimando. Cavolo, ma dove la trovava, la forza di parlare?
Io mi passai una mano sul viso, sperando di non puzzare di sudore come immaginavo. Cavolo, ero così stanca che...
Sbang!
Sì, ok, ero così stanca che non mi ero neanche accorta che il Portavoce si era fermato.
All’inizio non capii perché. Non vedevo porte o cose del genere, in giro. Poi, però, notai che per terra c’era qualcosa. Una specie di botola di metallo. Mike, senza aspettare che nessuno gli dicesse nulla, lasciò la mia mano per la prima volta da quando eravamo usciti dalla grotta e afferrò il piccolo anello vicino al bordo, tirando. La botola si sollevò.
Non avevo mai guardato dentro un portale – non ne avevo avuto il tempo, a casa di Jo – però vederlo era stupefacente. Sembrava di guardare in un vortice di luce colorata e suffusa, che pareva quasi liquida. Io esitai. Non sapevo bene cosa fare.
Il Portavoce fu il primo a buttarsi, senza esitare neanche per mezzo secondo. Marghe lo seguì. Jo si girò verso di me per un secondo, poi saltò anche lui. Io guardai Mike. Restammo in silenzio a fissarci per un secondo, poi lui mi prese la mano e saltammo. L’ultima cosa che sentii fu la botola che sbatteva, richiudendosi, poi i colori si trasformarono in buio assoluto. Cercai di concentrarmi il più possibile sull’idea dell’albero, nonostante non avessi idea di come fosse fatto.
Un attimo dopo la resistenza dell’aria svanì, e iniziammo a precipitare.
-
Non so come funzionò. So solo che, a un certo punto, invece che cadere stavamo salendo, e all’improvviso mi ritrovai a scattare in piedi sul terreno come una specie di figurina pop-up umana. Non feci in tempo a battere le palpebre che avevo già il fiato mozzo.
Cavolo, quel posto era fantastico.
Ci trovavamo in una specie di radura. Dietro di noi si estendeva un bosco di conifere, mentre davanti a noi c’era una parete di roccia. Alla nostra sinistra c’era una cascatella che si gettava in un laghetto.
E poi, abbarbicato per metà su una roccia di granito grigio, c’era l’albero.
Ok, non avevo idea di cosa aspettarmi quando il Portavoce aveva detto “albero della conoscenza del bene e del male”. Quello che vedevo, però, era esattamente perfetto per il suo nome, in un certo senso. Era un melo, un melo dal tronco spesso e nodoso ma non molto alto. Doveva essere vecchissimo, eppure sotto la corteccia pulsava una forza tale che riuscivo a percepirla. Mi martellava nel cervello e nel petto, quasi impossibile da ignorare. Era come se una mano invisibile mi stesse trascinando verso l’albero. Feci un passo in avanti. Dai rami coperti di foglie pendevano dei frutti. Sembravano mele, ma avevano un colore strano, argenteo. E, in loro, pulsava la stessa forza che c’era nel tronco dell’albero.
Una mano mi si appoggiò sulla spalla. Mi girai di scatto. Era il Portavoce. – Stai attenta. – disse. Aveva gli occhi seri, gelidi. – Non mangiarne più di un morso. E concentrati su quello che vuoi sapere, solo su quello. Nel modo più assoluto. E cerca di fare in modo che quel qualcosa non sia troppo. –
Dopodiché si allontanò di un passo.
Io rimasi immobile. Guardai Marghe. Lei fece un sorriso forzato, come in segno di incoraggiamento. Spostai gli occhi su Mike. I suoi erano puntati sull’erba, esattamente come quelli di Jo. Mi chiesi per l’ennesima volta cosa avessero in mente, ma ormai ero troppo vicina all’albero. Era come essere trascinati fisicamente verso di lui.
Feci un passo, poi un altro. E un altro ancora. Quando sfiorai il tronco, fu come essere attraversati da una scossa elettrica.
Tesi una mano. Quando afferrai uno dei frutti, lo sentii pulsare tra le dita.
Lo staccai dal ramo. Il cuore mi salì in gola.
E poi morsi la mela.
-
Mi era capitato, a volte, di ricevere pugni in faccia. O nello stomaco, o in qualsiasi altra parte del corpo. Ecco, mordere quella mela e buttare giù un boccone fu come ricevere un pugno, solo che era un pugno che, se fosse stato vero, mi avrebbe scaraventata a una decina di metri di distanza.
Immediatamente mi sentii la testa esplodere. Letteralmente. Era come se qualcosa mi stesse riempiendo il cervello alla velocità della luce, troppo forte per fermarlo, troppo forte per capire. Eppure, tutto era chiarissimo. Con una lucidità che stupì persino me, riuscii a concentrarmi su quello che volevo. Forse era dovuta proprio al fatto che sapevo che se non l’avessi fatto sarei morta.
Ricordi. Ecco cosa volevo. E la verità su Lucifero. E li ottenni. Si scaraventarono nella mia testa come meteoriti piovuti dal cielo.
Ma non feci in tempo a concentrarmi su quelli. Il fiume di tutte quelle conoscenze era inarrestabile. Crollai per terra, urlando, la testa tra le mani.
E poi, all’improvviso, tutto sparì. Battei le palpebre, confusa, e seppi – doveva essere una goccia del potere della mela rimasto nella mia testa – che era stato Mike. Che Mike aveva...
Mi tirai in piedi con un altro urlo. No, no, no! Come in un sogno, vidi gli occhi di Mike spalancarsi mentre veniva travolto dal potere del frutto.
E poi cambiò tutto di nuovo. Mike crollò in ginocchio, ansimando, ma non sembrava che stesse male. E allora cosa...
Si tirò su di scatto, con un balzo quasi felino, l’espressione sconvolta.
E fu allora che vidi Jo.
Un attimo prima che venisse avvolto dalle fiamme.
-
Non doveva andare così.
Jo doveva solo aiutarlo a deviare il flusso.
Sarebbe dovuto essere Mike a riceverlo, non lui.
Ma ha voluto farlo.
Ha voluto farlo per farsi perdonare.
Ha voluto farlo perché ti ama.
E adesso morirà.
Il flusso di informazioni che mi arrivavano alle tempie riuscirono a mandarmi completamente in tilt. Non erano niente rispetto a poco prima, ma mi ritrovai comunque a urlare. A urlare il nome di Jo, mentre anche lui gridava. Di dolore.
Gli corsi incontro, troppo sconvolta per fermarmi. Lui sollevò la testa. Aveva gli occhi pieni di lacrime, e adesso non stava più urlando. Allungò una mano e mi sfiorò una guancia. Il fuoco sulla mia pelle non bruciava, ma sulla sua sì, lo sapevo. In quel momento, stava soffrendo le pene dell’Inferno.
Mi dispiace. disse la sua voce, nella mia testa. Ma andrà tutto bene, ora. Ora va... tutto... bene. sembrava che persino pensare gli costasse fatica. Crollò in ginocchio davanti a me, e io mi abbassai, senza sapere che altro fare. Non c’era modo di fermare quel fuoco, anche perché il fuoco peggiore era dentro di lui. E lo stava consumando. Sentii le lacrime che mi velavano gli occhi mentre Jo mi prendeva il viso tra le mani. Appoggiò le labbra sulle mie.
E poi la fiamma si spense, e Jo sparì con lei.

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Capitolo 24
*** Un tuffo all'Inferno ***


UN TUFFO ALL’INFERNO
Vuoto.
Assoluto, terribile e devastante.
Vuoto ovunque, nel cuore, nella testa. Negli occhi. Non vedevo più niente, non sentivo più niente. Neanche il dolore, neanche la paura. Mi sembrava quasi che le mie emozioni fossero scomparse esattamente come era scomparso Jo.
Mi girai lentamente, alzandomi in piedi. Mike era seduto per terra, e sembrava sotto shock. Marghe lanciò un urlo soffocato e scoppiò a piangere istericamente. Il Portavoce osservava la scena con gli occhi da gatto spalancati e stranamente tristi.
Ma fu solo quando vidi la mela morsa per terra che mi resi conto davvero di cosa era successo.
Un grido mi proruppe dalle labbra prima che potessi fermarlo. E poi, non volevo neppure farlo. Crollai per terra di nuovo, scossa dai singhiozzi. Era tutto assurdo, tutto impossibile. Jo non poteva essere morto, non poteva. Non era possibile.
Oh, e invece sì che era possibile, disse una voce, sottile e crudele, nella mia testa. Sì che lo era. Ed era morto per impedire che io morissi. Era tutta colpa mia. Colpa mia, mia, mia.
Urlai di nuovo, tappandomi le orecchie con le mani, ma quella voce non aveva intenzione di fermarsi. Travolta da tutto, dai pensieri, dal dolore e dai ricordi, sprofondai nel buio.
-
Mi svegliai chissà quanto tempo dopo, sdraiata sul letto nella camera del Portavoce. Per un secondo pensai che fosse stato tutto un sogno, che non fossimo ancora partiti dalla casa, ma il dolore era così forte che capii subito che non era così.
E poi... e poi c’erano loro.
Erano... ricordi. Ricordi che adesso sembravano tornati al loro posto, sovrapponendosi a quelli falsi, che però sembravano comunque reali. Era come se avessi vissuto due vite in parallelo, oppure una dopo l’altra.
Comunque, qualsiasi fossero quei ricordi, non volevo immergermici. No, sarebbe stato orribile. Jo era stato praticamente un fratello, per me, in quel periodo, o almeno così avevo capito. E poi, al solo pensiero che quello che avevo ottenuto l’avevo avuto in cambio della vita di Jo, mi sentivo troppo male.
Cercai di non piangere, restando rannicchiata sul materasso con le palpebre serrate. Non volevo pensare, non ce la facevo a pensare. Mi sembrava di impazzire.
All’improvviso, sentii qualcosa che mi si infilava nell’orecchio. E, un attimo dopo...
 
I found a black beret on the street today,
it was lying in the gutter all torn...
There’s a white flag flying on a tall building
but the kids just watch the storm...
 
Per un secondo rimasi immobile, sempre con gli occhi chiusi. La melodia era malinconica e bellissima, la voce di Elton John che scivolava in mezzo alle note senza imporsi. Non era niente di duro o di forte, era soltanto una canzone. E, forse, era quello di cui avevo bisogno in quel momento.
 
Their dirty faces pressed on the windows
shattered glass before their eyes.
There’s a mad dog barking in a burned out subway
where the sniper sleeps at night.
 
Mi girai lentamente, incrociando lo sguardo di Mike. Aveva gli occhi lucidi e il viso tirato, stanco e stravolto. Gli sfiorai una guancia e lui chiuse gli occhi. – Eva... – mormorò.
 
No birthday songs to sing again,
just bricks and stones to give them...
Wrap them up in your father’s flags
and let them cry to heaven...
 
- Mi... mi dispiace. – balbettò Mike. – è stata tutta colpa mia. – Una lacrima gli scivolò sul viso, e la sentii bruciare sulle dita. – Non mi aspettavo che... cioè... mi sono distratto perché quando mi è venuto tutto addosso io... –
Scossi la testa, interrompendolo. – è colpa mia. Se non fosse stato per me non sarebbe morto. – La mia voce era fredda, quasi arrabbiata. Arrabbiata con me stessa. – Perché non me l’avete detto? – Quelle parole mi uscirono strozzate, mentre scoppiavo a piangere. – Se avessi saputo che... – Mi bloccai. – Perché? Tu... tu volevi... tu saresti morto per degli stupidi ricordi! Lui è morto per degli stupidi ricordi! – Quasi senza volerlo, gli diedi un pugno. Sentii la cuffia che mi cadeva dall’orecchio mentre mi tiravo su. – Perché? Perché avete fatto una cosa del genere? –
Mike abbassò la testa. – Era... era importante per te. –
- Ma era ovvio che non lo fosse come la tua vita! Come la sua! Che... che cosa hai in testa? – Gli diedi un altro pugno, senza smettere di piangere.
- Eva... –
- Io so che il mio migliore amico è morto perché si sentiva in colpa e ha voluto dare la sua vita in cambio di qualcosa per me. Ecco cosa so. Ed è orribile. – balbetta. – Mike, io... io gli volevo bene. –
Mi abbracciò piano. – Lo so. – sussurrò. – Era... era per questo che avevo deciso di... – Si interruppe, come se non riuscisse a dirlo. – Avevo pensato che una volta che avessi ricordato tu... cioè... lui non ha mai voluto farti del male, Eva. Io volevo sacrificarti per riportare in vita Lucifero. –
Il cuore mi divenne di piombo. – Tu pensavi che lui potesse sostituirti. –
- Io... –
- è una pazzia, dannazione! Avete deciso di... di morire perché vi sentite in colpa! – La voce mi uscì quasi stridula. Iniziava a girarmi la testa, mi sentivo male. All’improvviso incrociai lo sguardo di Mike, e rimasi paralizzata. Il nero delle iridi si stava estendendo su tutti gli occhi, e poi anche sul mondo.
Con un urlo, iniziai a precipitare.
-
Buio. Buio e ancora buio. E poi, luce. Luce della luna piena sopra la mia testa. Sollevai lo sguardo, fissandola per un secondo, poi mi guardai intorno.
Per un attimo rimasi paralizzata. Ero in piedi sulla Caduta, sola. Che ci facevo lì? Come c’ero arrivata?
Iniziò a soffiare un vento freddo e sferzante, che sollevava nuvole di polvere dal terreno arido.
All’improvviso, una voce mi fece voltare.
- Eva... –
Una delle nuvole di polvere sembrava essersi condensata in una forma vagamente umana. Feci un passo indietro, e in quello che sarebbe dovuto essere il viso si aprirono due voragini nere simili ad occhi. E fu in quel momento che capii. – Lucifero? –
La figura di polvere mi tese la mano. – Vieni con me. – disse.
Scossi convulsamente la testa. – è stata colpa tua. – balbettai. – Sei stato tu a dirmi che... –
- Cosa? – mi interruppe. – Che l’albero esisteva ancora? Non cercare di scaricare le tue colpe su altri, Eva. è vero, forse ho contribuito a quello che è successo. Ma a volte le colpe ci crollano addosso senza che noi lo vogliamo, e senza che facciamo niente per meritarcelo. –
- Tu sapevi che sarei potuta morire. –
- è stato un rischio da correre. Purtroppo adesso non sapremo mai se saresti morta davvero. – aggiunse, con noncuranza.
Io lo fissai, sentendo montare la rabbia. – Ti sembra una cosa da nulla, vero? Le persone muoiono, un mio amico è morto, ma tanto tu sei Lucifero, e la morte è l’ultimo dei tuoi problemi, vero? –
Lucifero mi guardò. – Finché sono qui, non posso morire. Fa parte del gioco. Soffrire in eterno, ma non morire mai. –
- Qui? – ripetei.
E caddi.
-
Battei le palpebre, il fiato mozzo. Mi ci volle qualche secondo per rendermi conto di dove fossi ma, quando ci riuscii, desiderai non averlo fatto.
C’era fuoco, fuoco ovunque. Quello vero, non quello magico. Quello era lo stesso fuoco che aveva bruciato vivo Jo.
A quel ricordo, sentii una sferzata di dolore nel petto, ma non feci in tempo a mettermi a piangere, perché sentii di nuovo la voce di Lucifero. – Benvenuta all’Inferno. –
Mi girai verso di lui, e rimasi di sasso. Adesso non era più una figura di polvere, né l’uomo della spiaggia. Il viso che vedevo ora era quello riflesso nel lago di Waterfire, solo che quella volta non ero riuscita a vederlo bene. Ma, adesso che era abbastanza vicino da distinguere i tratti, sentii una stretta allo stomaco. Dio, era... era bellissimo. Era l’uomo più bello che avessi mai visto. Superava persino Mike, anche se non avevo mai creduto che fosse possibile. In un certo senso gli assomigliava: aveva gli stessi capelli neri, la stessa mascella squadrata e gli stessi tratti decisi ma non duri. Eppure, Mike era più umano. Lucifero no, Lucifero era più che umano. Sembrava l’incarnazione del peccato, un peccato decisamente poco spirituale. Se in quel momento mi avesse ficcato la lingua in gola e mi avesse sbattuta per terra strappandomi i vestiti di dosso non avrei fatto niente per impedirglielo, cazzo. Lui i vestiti addosso ce li aveva, ma non era per niente difficile immaginarlo senza. La camicia bianca gli dipingeva alla perfezione il petto scolpito, i pantaloni erano semplici jeans un po’ strappati. Era scalzo, ma la cosa non sembrava dargli particolarmente fastidio.
Mi guardò con aria divertita. – Mi dispiace strapparti dai tuoi pensieri erotici, ma non credo che siamo qui per questo. – disse.
Arrossii stringendo i pugni. Stronzo. Lui lo sapeva benissimo che effetto faceva alla gente, probabilmente. E non stava affatto cercando di evitare di fare lo stesso effetto anche a me.
Tornò serio e mi osservò. Sentivo i suoi occhi neri e senza fondo addosso, quasi mi stessero trapassando da parte a parte. Poi mi diede le spalle e si incamminò tra le fiamme. – Vieni. –
Io esitai. Le fiamme gli lambivano il corpo, ma lui non sembrava curarsene. Eppure l’idea di passeggiare allegramente in mezzo al fuoco non mi piaceva granché.
Si girò a guardarmi. – Avanti, non brucerà. Non te. Tu non sei davvero qui. –
Deglutii e feci un passo. Una lingua di fuoco mi sfiorò, ma non fece male. A quanto pareva era vero. Accelerai il passo per non restare indietro. – E... per te? Bruciano? –
Mi trapassò di nuovo con lo sguardo. Poi scrollò le spalle, con noncuranza tesa. – Ci ho fatto l’abitudine. – rispose, semplicemente.
“Cazzo, per favore, fa’ che il fuoco non gli bruci i vestiti o gli salto addosso sul serio.”
Rise. – Non bruceranno. – disse. – Sono delle... diciamo “proiezioni”. In realtà non ci sono, ma era tanto per evitare che tu andassi fuori di testa. – Mi strizzò l’occhio.
Io realizzai che mi stava leggendo nel pensiero, e per un secondo mi raggelai.
Rise di nuovo. – Non preoccuparti, non succede sempre. Solo che l’Inferno è piuttosto bravo ad abbattere le difese della mente. Dopo qualche minuto qui un umano normale inizierebbe già ad impazzire. –
Lo guardai. – E io non lo sono? Umana, intendo? Non dovrei essere... la cosa più umana esistente al mondo? –
- Io infatti ho parlato di un umano normale. – mi fece notare. – Tu non lo sei. Gli umani erano semplicemente esseri viventi. I discendenti di Eva avevano tracce di Inferno e Paradiso. Ma c’è una sola persona che è la fusione perfetta di queste due cose, e sei tu. –
Detto questo, continuò a camminare in silenzio, con me al seguito. Non avevo idea di dove mi stesse portando, non riuscivo a immaginarmi nulla.
E, quando lo vidi, sentii un urlo salirmi in gola.
Jo era lì, sdraiato immobile in quella che sembrava una bara di cristallo. I capelli castano chiaro gli ricadevano sulla fronte in onde morbide e aveva gli occhi chiusi, come se stesse dormendo.
- Che... – balbettai, ma la voce mi si bloccò in gola.
- Sta davvero dormendo. – disse Lucifero. – Era l’unico modo. –
Lo guardai. – L’unico modo? –
- Adesso non sente niente. Se fosse sveglio starebbe ancora soffrendo come quando è morto. Dovrebbe farlo per sempre. Il potere del frutto dell’albero è eterno, e ogni secondo la conoscenza è più grande, sempre più grande. E all’Inferno c’è l’eternità, perché dopo la morte c’è l’eternità. Quindi l’ho fatto addormentare. E la teca... così almeno le fiamme non potranno toccarlo e rischiare di svegliarlo. –
Mi salirono le lacrime agli occhi. Quindi Jo sarebbe stato per sempre così. Incosciente persino nella morte, per colpa mia. – Perché l’hai fatto? – domandai.
- Immagino... perché dopotutto ci si sente obbligati a pagare anche per le colpe involontarie. – disse Lucifero, gli occhi neri e seri puntati su di lui. – E forse anche perché se non l’avesse fatto avrei dovuto vedere mio figlio morire in quel modo. –
Io rimasi a bocca aperta. – Tuo... figlio? – chiesi, la voce strozzata.
Annuì lentamente. – Mike è sempre stato considerato un ragazzo particolarmente dotato. Incredibilmente forte. E nessuno ha mai saputo chi fosse suo padre. Sua madre è morta uccisa pochi mesi dopo la sua nascita. Ed è qui, adesso. Non... non mi ha mai conosciuto, non sa che... – Si bloccò. – è anche per questo che è... così attratto da te. Dalla tua forza vitale, intendo. Lo è a livelli che non sarebbero normali in nessun angelo caduto. Ma lui ha bisogno di te come... – Strinse i pugni. Aveva gli occhi lucidi. – Come io avevo fottutamente bisogno di lui. –
Io lo guardai. Forse avrei dovuto dire qualcosa, ma non me ne lasciò il tempo. – Gli succede con tutti gli esseri umani. Controllarsi per lui è un inferno. C’è abituato, certo, ha sempre pensato che fosse normale. Quando gli sei stata affidata tu... l’hai sconvolto. E quando si è innamorato di te è stato anche peggio, forse, perché oltre al bisogno che sentiva ha iniziato a desiderarti. Sa nasconderlo fin troppo bene, ma in questo momento è a pezzi. –
- è un modo per dirmi di... stargli lontana? – domandai, la voce quasi bloccata in gola.
- No. Sarebbe stupido da parte mia chiedertelo, visto che non lo faresti. E, se anche ci provassi, lui starebbe peggio. Ti sto solo dicendo di... stare attenta. –
- Tutto questo lo stai dicendo per convincermi a stare dalla tua parte? –
Mi guardò. Fece un mezzo sorriso. – Immagino che in parte sia così. Ma hai i tuoi mezzi per prendere le tue decisioni, Eva. Adesso sai la verità. Quando avrai il coraggio di guardarla, decidi basandoti su quella. –
La sua voce iniziava ad essere lontana, indistinta. Lentamente le fiamme svanirono, e tutto divenne grigio.
E poi aprii gli occhi.

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Capitolo 25
*** Il figlio di Lucifero ***


IL FIGLIO DI LUCIFERO
- Eva! Eva! –
Spalancai gli occhi di scatto, sentendo Mike che urlava, scuotendomi. Battei le palpebre, rendendomi conto di essere seduta per terra davanti a lui. I suoi occhi adesso erano normali, gli stessi pozzi neri senza fondo. Guardandolo in faccia, mi sembrò di avere davanti una versione più giovane di Lucifero, più umana e più... viva. Lucifero era stato segnato dall’Inferno, era morto dentro. Mike no. Mike era la cosa più viva che avessi mai visto in tutta la mia vita.
Lo baciai, sentendo le lacrime che salivano agli occhi. Lui esitò, poi mi strinse a sé. – Stai bene? – domandò.
Annuii. – Sono... svenuta, credo. Mi sono fatta un bel viaggetto all’Inferno. – dissi, cercando di sembrare ironica. Non funzionò.
Mike sfiorò le mie labbra con le sue. – Hai avuto paura? –
- Penso di averci fatto l’abitudine, ormai. – Presi un respiro. – Non è stato il sogno più terrificante della mia vita, almeno. –
- Ci hai parlato? –
- Sì. – Esitai. – Mike... – Oddio. Come si faceva a dire a qualcuno: “Tu sei il figlio del Diavolo”?
Lui capì subito che c’era qualcosa che non andava. – Tutto ok? –
- Mike, senti... c’è una cosa che... mi ha detto Lucifero. – Presi un respiro. – Cioè... insomma... senti... tu non hai una famiglia, vero? –
Esitò. – Vivevo con dei genitori adottivi fino a quando non ho compiuto diciotto anni, poi sono andato a vivere da solo. Perché? –
- Tua... madre è morta, vero? Quando eri piccolo. –
Annuì. – Sì, in uno scontro. E non ho mai conosciuto mio padre. Probabilmente è morto anche lui prima che nascessi, comunque mia madre non ha mai detto a nessuno chi fosse. Ma tu come fai a saperlo? –
Deglutii. – Me l’ha detto lui. E mi ha detto che... tuo padre non è morto. Ma nessuno sa chi è perché... – Battei la palpebre. Non sapevo se la verità avrebbe potuto sconvolgerlo, o fargli male, o in qualche modo cambiarlo. Mi salirono le lacrime agli occhi.
Mi sfiorò il viso. – Eva... – Si morse il labbro. – Senti, qualsiasi cosa sia, se parlarne ti fa stare male io non... –
- è Lucifero tuo padre, Mike. –
-
Rimase paralizzato. – Cosa? – balbettò.
Io ingoiai aria, senza riuscire a guardarlo. – Mike, tu sei il figlio di Lucifero. –
- Non... non è possibile. –
Lo guardai. – Senti, non posso assicurarti che abbia detto la verità, e neanche provarti che quello che ha detto è vero, ma... cioè... Mike, voi due vi assomigliate. Tanto. E... –
- Potrebbe essere stata un’illusione. – mi interruppe. Gli tremava la voce. – Potrebbe avertelo detto solo per... –
Lo presi per le spalle. – Senti. Mi ha detto anche che... che tu sei... particolarmente forte. è vero? –
Esitò. – Io... –
- Sei bravo. Con la magia. Più di chiunque altro che tu conosca. Vero? –
Annuì, la mascella serrata. – Dicono tutti che... non è una cosa normale. – ammise. – Per me la magia è sempre stata piuttosto... istintiva. E... cioè... quasi nessuno riesce a fare... certe cose. Tipo... beh, l’hai vista la moto, per esempio. Non è normale riuscire a... darle vita per farla muovere. O almeno così hanno detto. Ma nessuno aveva mai pensato che potessi... – Si bloccò. Aveva gli occhi lucidi. Mi guardò. – Questo cambia tutto, vero? –
Io non sapevo cosa dire. Sì, probabilmente cambiava. Cambiava per lui. Adesso che sapeva che Lucifero era suo padre, magari si sarebbe sentito in dovere di liberarlo. E io ci sarei riuscita a dirgli di no?
Ma a quanto pareva non era questo che intendeva, perché continuò a parlare. – Hai paura? –
Di lui. Mi stava chiedendo se avessi paura di lui.
- No. Non ho paura di te. E per me non è cambiato niente. Solo che... –
- Io sono con te, ok? – Mi interruppe. – Sono con te e basta, e non me ne importa niente di... di questo. O almeno... proverò a fare in modo che non me ne importi. – Aveva la voce stanca, spezzata, e lo sguardo perso.
Lo baciai di nuovo. La sua stretta fu quasi dolorosa.
Controllarsi per lui è un inferno.
- Mike... tu... tu stai male quando... stai con me? –
Sollevò la testa di scatto, come se gli avessi dato uno schiaffo. Esitò. – Io... Io non lo so. – mormorò alla fine. Si lasciò cadere disteso sul tappeto, e io mi sdraiai accanto a lui, continuando a guardarlo negli occhi. – Ho sempre sentito... qualcosa. Quando ero piccolo... una volta mi portarono sulla Terra. Andai fuori di testa. Dissero che non era normale, ma che forse era dovuto al fatto che ero... più forte degli altri, per questo avevo bisogno di più energia. Una teoria dice che nel passato i primi discendenti dei caduti bevessero sangue umano proprio per questo motivo. E... probabilmente è vero. – Sospirò. – Quando dovettero mandare qualcuno da te... esitarono parecchio prima di scegliermi. Avevano paura che perdessi il controllo. Però... dopo quella prima volta non era più successo. Stavo bene, e in teoria non ci sarebbero dovute essere situazioni pericolose in cui avrei potuto stancarmi a tal punto da andare fuori di testa. E poi c’erano un bel po’ di vantaggi. Cioè... ero il ragazzo più dotato che avessero, e poi... beh... – Arrossì. – Il fatto è che... –
- ...Che un bel po’ di ragazze ti salterebbero addosso dopo averti appena visto. – conclusi.
Ridacchiò. – Sì, diciamo... di sì. Beh, sembra che in me ci sia qualcosa di... –
- Ti prego. Adesso mi stai facendo ripensare al fatto che quando ho visto Lucifero per poco non lo stupravo. – scherzai.
Mi guardò con finto sconvolgimento e rotolò su un fianco, girandomi e trovandosi sopra di me. I nostri visi erano a pochi centimetri l’uno dall’altro, adesso. – Volevi tradirmi con mio padre? Ma che cattiva ragazza che sei. – Sorrise, mordendomi il labbro inferiore. Ero felice che la tensione si fosse sciolta un po’, avevo bisogno di qualche minuto di calma.
- Ehi, tu non l’hai visto. – ribattei. – Cazzo se è un sex symbol. –
- Idiota. – borbottò, ma stava ridendo. Mi baciò. – E comunque... per quanto possa essere complicato stare con te senza ritrovarmi appeso al tuo collo tipo sanguisuga, ho voglia di fare il bravo ragazzo tipo Edward di Twilight. Dannato e che soffre in silenzio, mh? – Dal modo in cui sorrideva, sembrava che in quel momento stesse bene, però. Glielo chiesi, e lui alzò le spalle. – Beh, quando non ci penso è ok. E poi adesso sto... relativamente bene. Cioè, sono stato meglio, ma ho dormito un bel po’ e ho mangiato, quindi non sono stanco. –
- Mh. – Non mi andava l’idea che lui stesse male, però, affatto.
- Ehi... guarda che sto bene, sul serio. Ci sono abituato. E poi... non è che se ti stessi lontano sarebbe particolarmente meglio, credo. – Lo disse come per prevenire una mia proposta, e per un secondo mi chiesi se fosse capace di leggere nel pensiero come Lucifero. No, ok, probabilmente non lo era, anche perché non avevo l’Inferno a buttare giù le mie difese, adesso, però almeno una percezione vaga ce l’aveva. Oppure era semplicemente ovvio che l’avessi pensato. – Cioè, magari all’inizio lo sarebbe stato. Ma... beh, sei un po’ come una droga, signorina. – Mi sorrise, mostrando di proposito i canini più lunghi del normale. – E stare con te è un po’ come annusare fumo passivo di canna, hai presente? Meglio di niente. –
- Mi stai dando della marjuana? – borbottai.
- Beh, sì. Mi preferivi più alla Edward a fare il paragone con l’eroina? –
- Fanculo, tu non sei Edward. E non nominare mai più quel libro idiota in mia presenza. –
- Ah sì? E perché non dovrei essere Edward? Sono una sanguisuga dannata e palliduccia come lui, no? –
- Io direi che c’è differenza. –
- E quale sarebbe? –
- Tu sei molto più bello. –
-
Qualche ora dopo Mike stava dormendo sdraiato sul letto, e io ero seduta accanto a lui. Strinsi le ginocchia al petto. Non sapevo cosa fare. Avrei dovuto cercare di capire quale fosse la cosa giusta, quale posizione prendere. Sapevo che la storia che mi aveva raccontato Lucifero era vera. Quindi... quindi cosa dovevo fare? Io avevo una paura fottuta, accidenti. E...
Scacciai quei pensieri dalla mente per non andare in paranoia. Ero ancora troppo stravolta per prendere una qualsiasi decisione. Adesso era meglio fare qualcosa di più semplice.
O, anche se non più semplice, qualcosa che avrebbe avuto conseguenze meno definitive.
Mi tirai su e mi diressi verso la cucina. Marghe non era in camera, quindi immaginai che fosse lì. Solo che, quando ci arrivai, non c’era. E neanche il Portavoce. Io mi procurai un bicchiere d’acqua, lo buttai giù in un sorso e poi imboccai la galleria che portava alla terrazza.
Marghe era lì, a fissare il cielo azzurro cupo del pomeriggio. Era di spalle, seduta a gambe incrociate. Io mi avvicinai, e quando si girò vidi che aveva gli occhi lucidi.
Mi sedetti accanto a lei senza una parola. Non riuscivo a trovarne nessuna da dire. Marghe mi gettò le braccia al collo, scoppiando a piangere, e restammo lì, così, tra le lacrime e la sera che calava.
Dopo chissà quanto, lei si staccò da me prendendo un respiro. – Scusa. – sussurrò.
Scossi la testa. Non ero più arrabbiata con lei, come avrei potuto esserlo? Non avevo mai odiato neanche Jo, ma ero troppo arrabbiata per rendermene conto, e per questo lui era morto. Se solo non avessi...
“Basta.” mi dissi. Avevo appena smesso di piangere, non volevo ricominciare. Per lo meno, adesso sapevo che Jo non stava male. Non che stesse neanche bene, però almeno non soffriva. Lo dissi a Marghe, raccontandole parte del sogno, e lei mi guardò. – Sei... sicura? –
Annuii. – Non stava mentendo. Almeno credo. Non sembrava che lo stesse facendo, comunque. –
- O... ok. – Sospirò, passandosi una mano sul viso.
- Tu e Jo eravate... amici? –
- Beh, più o meno. Ci siamo conosciuti da piccoli. Comunque... gli volevo bene. – Le sfuggì un singhiozzo. – Comunque... cioè... non... non ti fa paura? Lucifero, intendo. –
- Io... beh, in realtà no. Anche perché... non vuole farmi del male. Sarebbe stupido da parte sua. Quindi non credo che dovrei avere paura di lui. –
- E... – iniziò, ma si interruppe subito. Io però capii lo stesso cosa voleva chiedermi.
Scossi piano la testa. – Non lo so. Non so cosa fare. Non posso vivere nascosta per sempre, e non voglio farmi ammazzare. E non voglio nemmeno una guerra tra Paradiso e Inferno. E non voglio che tutto questo dipenda da me, dannazione! – Mi ritrovai quasi a urlare, le lacrime agli occhi. – Io... io ho... paura. –
Marghe mi abbracciò. – Senti, Eva, io ti prometto che... che qualsiasi cosa tu deciderai di fare io resterò con te. Ok? –
- Non devi farlo per forza. –
- Non lo sto facendo per forza. Lo sto facendo perché... perché non so neanch’io da che parte schierarmi. E perché sei la mia migliore amica, cazzo. Non ti lascio sola. –
Io per un secondo rimasi immobile. – Io vorrei... vorrei che non ci fosse, la guerra. Vorrei che... finisse tutto. –
- Come... i Portavoce? –
- Sì. E probabilmente è una cosa stupida e... e impossibile, ma io vorrei trovarlo, un modo. Vorrei che la gente di qui non fosse costretta a vivere costantemente nella paura. –
- E... secondo te come potremmo fare? –
- Penso che... una certa opera di convincimento potrei... contribuire a farla. – disse una voce dietro di noi. – Beh, sai, con i caduti. –
Mi voltai. Mike era in piedi sulla soglia della galleria, e ci guardava. – Potrei... presentarmi come quello che sono. Immagino che nessuno avrebbe niente da ridire se dicessi che parlo in nome di mio padre. –
Marghe mi guardò senza capire. – Di... suo padre? – domandò.
- Ma Lucifero... Lucifero non vuole questo. Loro si aspettano che io lo tiri fuori dall’Inferno. E quando... se lo farò... lui... –
Mike mi guardò. Strinse i pugni, gli occhi neri e gelidi. – C’è un modo per farmi parlare con lui? –

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Capitolo 26
*** Patto col Diavolo ***


PATTO COL DIAVOLO
Il Portavoce si tormentava nervosamente le mani, seduto al tavolo della cucina. – Lucifero. – mormorò. – Tu... tu vuoi che ospiti Lucifero. –
Mike annuì lentamente. – Mi dispiace doverti chiedere una cosa del genere, ma... è di vitale importanza. –
Il Portavoce socchiuse gli occhi da gatto. – Sai, ho ospitato chissà quanti angeli e altrettanti caduti, ma nessuno era potente neanche vagamente come Lucifero. Potrebbe... potrebbe prendere il controllo totalmente. Non riuscirei a fermarlo. –
- Non lo farà. – mi intromisi. – Io so come impedirglielo. Non può uscire dall’Inferno se io non voglio farlo uscire. – Avevo capito che non era solo una questione di sangue, ma anche di volontà. Probabilmente ero l’unica persona che Lucifero non poteva costringere a fare quello che voleva... o almeno lo speravo.
- Ma perché volete fare una cosa del genere? è una follia. Non siamo riusciti a portare la pace in questo modo duecento anni fa, perché dovrebbe funzionare ora? –
Mike mi guardò. – Perché adesso è diverso. è un nuovo momento. Il cerchio si è chiuso. C’è una nuova Eva, un nuovo albero, un nuovo peccato. –
Il Portavoce lo guardò negli occhi per un secondo, e pronunciò una frase che mi fece salire un brivido su per la spina dorsale. – E un nuovo Lucifero. –
-
L’orologio della cucina ticchettava nel silenzio. Il Portavoce era sempre seduto al tavolo, lo sguardo fisso sul pavimento e la fronte imperlata di sudore. I suoi occhi da gatto scintillavano mentre Mike gli teneva stretta la mano. All’improvviso rovesciò la testa all’indietro, ansimando, i muscoli del collo così tesi che sembrava dovessero scoppiare.
E poi, lentamente, tirò di nuovo su la testa.
Ingoiai aria. Adesso i suoi occhi non erano più quelli felini a cui stavo iniziando ad abituarmi, ma dei pozzi neri senza fondo. Mike fece un passo indietro, allontanandosi da lui.
Lucifero prese un respiro, ruotando all’indietro le spalle come per stiracchiarsi, poi si sistemò meglio sulla sedia. Sorrise. – Buonasera. –
-
Per alcuni, interminabili secondi, nella stanza regnò il silenzio. Io non avevo idea di cosa dire, Marghe sembrava paralizzata dal panico e Mike... Mike aveva un’espressione indecifrabile.
Lucifero ci guardò tutti, uno per uno, socchiudendo gli occhi come per vederci meglio. – Eva. – disse, come per salutarmi. – E poi... oh, chi abbiamo qui? – domandò, fissando Marghe. Lei impallidì, facendo un passo indietro, e Lucifero rise. – Un angelo molto poco innocente, direi. – osservò. E poi si girò verso Mike.
Non disse niente. Nessuno dei due disse niente. Di nuovo silenzio, teso, pericoloso.
- Dobbiamo parlare. –
Mi era uscito di bocca prima che potessi pensarci. Tutti si girarono subito verso di me, e Lucifero sollevò un sopracciglio. – Bene, Eva. Ti ascolto. –
- No, non con lei. – si intromise Mike. – Con me. –
Lucifero lo guardò. Di nuovo senza dire neanche una parola. Mike aveva i pugni serrati, le braccia lungo i fianchi. – Allora. – mormorò, lentamente, scandendo le parole. – Immagino che tu abbia idea di almeno uno dei motivi per cui sei qui. –
L’altro sembrava teso quanto lui. – Sì. Direi di sì. –
- Bene. Allora... ci sono due alternative. O questa è la più grande cazzata che io abbia mai sentito nella mia vita, oppure è la verità. Se è una cazzata sei uno stronzo. Se non lo è... fottiti! – Gli mollò un pugno in pieno viso, così forte da farlo finire per terra. Io rimasi paralizzata, senza sapere che fare.
Lucifero portò una mano alla bocca, pulendosi il labbro spaccato dal sangue che aveva iniziato a colargli sul viso. – E questo per che cos’era? – domandò, tirandosi su.
- No, beh, sai, ho soltanto passato tutta la mia fottuta vita senza avere idea di chi fosse mio padre e venendo trattato come una specie di fenomeno da baraccone. Scusami se sono un po’ tanto incazzato.
Lucifero prese un respiro. – Ok. Posso capire che non sia una... –
- Tu non capisci proprio un cazzo! – ringhiò Mike. – Io non ho idea di chi sia tu veramente, di come sia tu, per tutta la mia vita mi sono chiesto se esistessi davvero, e adesso ti viene in mente di dirmi tramite terzi che ah, giusto, sei mio padre! –
L’altro mise le mani avanti come per cercare di contenerlo. – Senti, non è una cosa così semplice per me parlare con... –
- Ah, sì, certo, però con mia madre ci hai parlato, vero? E direi che ci hai fatto anche parecchio altro, tra parentesi. Oppure è stata solo una cosa da una volta e via? – Sembrava che morisse dalla voglia di tirargli un altro pugno. Probabilmente si stava trattenendo solo perché sapeva che, facendolo, avrebbe fatto male al Portavoce.
Lucifero abbassò le mani. – Puoi ascoltarmi? Soltanto due minuti. Per favore. – C’era qualcosa di strano, nel suo tono. Quasi lo stesse implorando. Anche Mike probabilmente se ne accorse, perché gli rispose con un’occhiata arrabbiata, ma non disse altro.
Lui chiuse gli occhi per un secondo, poi li riaprì e iniziò a parlare: - Quello che è successo è stato una specie di... senti, non voglio dire che... – Si morse il labbro. – Non doveva succedere, ok? Non sei un ragazzino di dieci anni e penso che tu possa capire cosa intendo. –
Mike alzò gli occhi al cielo con freddezza. – Qualcuno si è dimenticato le precauzioni? – chiese, con sarcasmo gelido.
- In un certo senso. – ammise Lucifero. Sembrava che il modo in cui Mike lo stava trattando gli facesse male, ma non lo commentò. – Non avevo... valutato che... Insomma, tua madre era una persona particolarmente... percettiva. Fu per questo che riuscì a mettersi in contatto con me la prima volta. All’inizio fu complicato, poi divenne sempre più facile. Era la prima persona esterna all’Inferno con cui parlavo da millenni, e fu... beh, fu bellissimo. Almeno per me. – Aveva gli occhi bassi, spenti. – Non so come ci arrivammo. A... – Prese un respiro. – Sì, insomma, in teoria non sarebbe dovuto... succedere sul serio. Come quando tu eri all’Inferno, ieri notte. – spiegò, rivolto a me. – Non eri davvero lì. Quindi io pensavo che qualsiasi cosa avessi fatto non avrebbe avuto ripercussioni fisiche nella realtà. Evidentemente mi ero sbagliato. Ci sono delle situazioni in cui... il contatto si intensifica, anche se una delle persone non è realmente presente. E a quanto pare è così che è andata. Quando tornò a casa, dopo poco scoprì di essere incinta. Non volle dire a nessuno che... era stata colpa mia, perché nessuno sapeva che ci... frequentavamo. Non l’aveva detto perché... aveva paura. Aveva paura di quello che avrebbero potuto... – si interruppe. – Sì, insomma... –
- Lo so. L’avrebbero uccisa credendo che tu desiderassi averla con te all’Inferno. – disse Mike. Adesso sembrava calmo, e riuscivo a vedere il dolore nei suoi occhi.
Lucifero annuì senza dire niente.
- Beh, comunque, alla fine è successo. – aggiunse lui, dopo qualche secondo.
- Sì, alla fine sì. Ma... aveva fatto in tempo a farti nascere. –
- E quindi? Non avresti potuto... dirmi la verità, in qualche modo? –
- Te l’ho detto, non è semplice per me parlare con persone esterne all’Inferno. E poi tu eri quasi costantemente sotto osservazione, e... e poi alla fin fine forse non volevo dirtelo. – ammise. – Non volevo che... tu pensassi di... Insomma, ti sentivi già diverso dagli altri, e pensare a come ti avrebbero trattato se avessero saputo che... – Si interruppe, come se non riuscisse a parlare. Stava fingendo oppure no? Mi sembrava che non mentisse, ma non sapevo quanto potessi fidarmi di quello che riuscivo a percepire. Insomma, lui era un angelo vero, quindi era molto più forte di me. Magari era capace di mentire senza che me ne accorgessi.
Il silenzio iniziò a diventare opprimente. – Comunque... – disse Mike, alla fine. – Non ti abbiamo chiamato per questo. –
Lucifero lo guardò. – E per cosa? –
- Abbiamo un accordo da proporti. – mi intromisi, facendo un passo in avanti. – Vogliamo cercare di evitare una guerra, Lucifero. –
Lui socchiuse gli occhi. – Quindi non aprirai l’Inferno. –
- Mi presenterò come tuo figlio ai caduti. – disse Mike. – Quindi sì, alla fine apriremo l’Inferno. Ma tutto questo sarà possibile solo se sapremo che tu non attaccherai il Paradiso dopo che l’avremo fatto. –
- Dammi un motivo buono per cui dovrei farlo. –
- Perché altrimenti non uscirai mai da lì. –
Silenzio.
- Comunque non potete fidarvi di me. – osservò Lucifero.
- Oh, invece sì che possiamo. – ribatté Mike.
Di nuovo calò il silenzio mentre Lucifero spalancava gli occhi. – Tu vuoi che io... –
- Sì. Esatto. Voglio che tu faccia un Giuramento. –
Lui mi trapassò con lo sguardo per un secondo, due, tre. Non sapevo esattamente cosa fosse un Giuramento, ma non doveva essere una cosa da nulla, probabilmente.
- Deve giurare anche lei, però. – disse Lucifero. – Deve giurare che mi tirerà fuori dall’Inferno una volta che la guerra sarà stata evitata. –
Mike impallidì. – No, lei... –
Suo padre gli rise in faccia. – Hai paura? –
- Che cos’è un Giuramento? – mi intromisi.
Mike mi guardò. – Un patto di sangue. Non è possibile infrangerlo. Se ci si prova... si perde l’anima. –
- Che significa “si perde l’anima”? –
- Significa che ti viene strappata, e poi viene consegnata alla persona a cui avevi giurato. E così gli appartieni per l’eternità. Quindi, essenzialmente, non è possibile infrangere un Giuramento, perché comunque la persona che si prende la tua anima può obbligarti a fare quello che vuole. –
- E non è possibile... romperlo senza conseguenze? – domandai.
Mi rispose solo il silenzio.
- Allora lo faccio. –
-
Fissai la mia mano sporca di sangue, sangue che stillava da una ferita sul palmo. Mike all’inizio mi aveva quasi implorato di non farlo, ma non avevamo altre possibilità, e alla fine se n’era reso conto anche lui.
Presi un respiro, fissando Lucifero. Anche lui aveva un taglio sulla mano destra, e il sangue che ne usciva era denso e nero. Tese una mano, senza staccare gli occhi dai miei. Io presi un respiro, poi la strinsi.
- Giuro solennemente di non combattere contro il Paradiso dopo la mia liberazione se il Paradiso non attaccherà me. – Aveva insistito per avere questa come clausola, e alla fine avevo accettato, forse perché alla fin fine mi sembrava giusto. – Non farò guerra contro i discendenti degli angeli o contro gli umani se essi non mi combatteranno. Lo giuro, e come pegno offro il mio sangue. –
Il palmo della sua mano si scaldò, divenne quasi rovente. Durò solo per un secondo, poi capii che toccava a me.
- Giuro solennemente di aprire le porte dell’Inferno una volta che la guerra sarà a tutti gli effetti evitata e di liberare Lucifero dalla sua prigione. Lo giuro, e come pegno offro il mio sangue. –
Questa volta fu il palmo della mia mano a scaldarsi. Anche stavolta durò solo per un secondo. Quando allontanai la mano dalla sua, mi sembrò di vedere uno strano segno rosso sul suo palmo.
Poi Lucifero rovesciò gli occhi all’indietro, e quello che cadde svenuto sulla sedia adesso era soltanto il corpo del Portavoce.
-
La notte si estendeva silenziosa sotto di me. Me ne stavo seduta sulla terrazza, le ginocchia strette al petto e lo sguardo fisso sull’orizzonte. Il giorno dopo saremmo partiti per andare dai caduti. Convincere loro sarebbe stata la cosa più facile, poi ce la saremmo dovuta vedere con gli angeli. Lì sarebbero sorti dei problemi, ne ero sicura, ma in qualche modo speravo che funzionasse. Sì, dovevo sperarci, non avevo altre possibilità.
Mi guardai il palmo della mano destra. Adesso, proprio sul mio taglio, c’era un piccolo simbolo apparentemente senza senso, ma che ero riuscita a riconoscere quasi subito. Era simile a quelli che avevo visto sul muro della cattedrale. Questo in particolare, che assomigliava molto a una spirale barrata, significava “Giuramento”.
Frugando nei miei ricordi non ero riuscita a trovare nessun momento della mia vita in cui avessi imparato il significato di quei simboli. Sembrava quasi che fossi capace di leggerli istintivamente. Strano, ma decisamente non la cosa più strana che mi fosse mai successa.
Non sapevo cosa ci fosse scritto sulla parete della chiesa, non avevo mai riconosciuto tutti i simboli. Non sapevo neanche come aprire l’Inferno, in realtà... oppure sì?
Serrai le palpebre, immergendomi in quel ricordo. Era più facile così che rivederlo mentalmente, visto che mi sembrava che tutto quello che avevo in testa adesso mi fosse completamente estraneo.
Un respiro, e mi ritrovai nella chiesa.
-
L’uomo era in una gabbia sospesa a qualche metro da terra. Era completamente coperto di sangue, sangue che usciva da delle ferite che aveva in ogni parte del corpo e che gocciolava lentamente sul pavimento di marmo bianco. Lui era riverso sulla schiena. Sperai per lui che fosse svenuto. Se non lo era, stava soffrendo le pene dell’Inferno.
Eravamo soli nella chiesa, ma sarebbe stato così solo per qualche altro secondo, lo sapevo. Dovevo sbrigarmi. Chiusi gli occhi comunque, la paura che mi regnava dentro insieme all’indecisione. Era davvero la cosa giusta da fare?
Sì, me l’ero detta centinaia di volte. Era l’unica possibilità per impedire che altre persone venissero massacrate in quel modo.
Eppure...
“Muoviti!”
Mi chinai sul pavimento, esitando di nuovo. In realtà non sapevo bene cosa dovessi fare. Era stato un pensiero rapido, così veloce che non ero neanche riuscita ad afferrarlo quando era arrivato. Mi concentrai per un secondo. Mi affondai la lama del coltello nel palmo e intinsi le dita nel sangue.
Mi morsi il labbro.
E poi ci arrivai. Fu di nuovo così veloce che quasi non me ne resi conto, ma iniziai subito a scrivere.
E poi il portone di ingresso si aprì.
-
Tornai bruscamente alla realtà battendo le palpebre. Quindi neanche da piccola sapevo bene come si apriva l’Inferno. Sperai solo di riuscire ad arrivarci come avevo fatto quella volta.
Già, però chissà come avevo fatto, quella volta.
All’improvviso sentii dei passi, e un attimo dopo il Portavoce si sedette accanto a me. Sulle sue mani non c’era traccia né del taglio né del simbolo. Quelli erano rimasti addosso a Lucifero.
- Tutto bene? – domandai.
Annuì. – è stato un po’... stancante, ma sì, va tutto bene. –
- Domani... pensi di venire con noi? –
- Beh, ormai mi sa che ci sono dentro. – rispose. – E comunque... potrebbe sempre servirvi un corpo da far possedere. – aggiunse, ironico ma non troppo.
Mi morsi il labbro. – Pensi che andrà tutto bene? –
- Lo spero. Pensarlo è un po’ troppo audace. –
- Già. – ammisi. – Però... –
- Eva. – mi interruppe.
Lo guardai. – Sì? –
- Senti, c’è una cosa che devi sapere. Mike non deve sapere che te l’ho detta, e nemmeno Lucifero. Ma mi sembrava giusto che lo sapessi. – Prese un respiro. – C’è un modo per rompere un Giuramento senza conseguenze. –
Rimasi di sasso. – E allora perché Mike non me l’ha detto? –
Il Portavoce fissò dritto davanti a sé, l’espressione cupa. Quando parlò, ma sua voce sembrava venire dall’Inferno. – Il Giuramento si può spezzare senza conseguenze... solo se uno dei due che hanno giurato muore. –

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Capitolo 27
*** Il Consiglio ***


IL CONSIGLIO
Quella mattina partimmo presto. Nonostante la notte precedente non avessi dormito granché, non avevo sonno. Il Portavoce disse che avremmo dovuto camminare un po’ se non volevamo volare, e visto che nessuno di noi ci teneva particolarmente a rischiare di essere avvistato inutilmente decidemmo di fare così. Lui ci procurò degli zaini con dell’acqua e qualcosa da mangiare per il viaggio, e partimmo.
Mentre camminavamo, per lo più nessuno parlava. Mike sembrava piuttosto turbato da quello che era successo il giorno prima, mentre Marghe era chiusa in un mutismo un po’ spaventato. Stava andando a finire direttamente tra le braccia dei suoi nemici mortali, e nessuno di noi sapeva come l’avrebbero presa i Caduti vedendola, però quando le avevamo proposto di restare alla grotta lei non aveva voluto sentire ragioni. Alla fine avevamo deciso che ci avrebbe aspettati poco lontano dal centro abitato con il Portavoce mentre io e Mike andavamo dai Caduti, e poi eventualmente l’avremmo fatta avvicinare. Non avevo idea di come sarebbe andata.
Presi un respiro cercando di sciogliere minimamente la tensione. Inutilmente. Non riuscivo a smettere di pensare a quello che mi aveva detto il Portavoce la sera prima sul fatto che se io o Lucifero fossimo morti il patto sarebbe stato sciolto. Non era possibile uccidere Lucifero finché era all’Inferno. Però se quando fosse arrivato il momento avessi pensato che fosse troppo pericoloso liberarlo... Jo era morto per quello che stava succedendo, ed era morto scegliendo di morire. Sarei stata capace di trovare il coraggio di fare una cosa del genere? Chiusi gli occhi per un secondo. Sarebbe potuto essere necessario, e se lo fosse stato l’avrei fatto. Liberare Lucifero era troppo pericoloso. Avrei potuto far sembrare la mia morte un incidente, e nessuno avrebbe avuto modo di incolpare l’avversario. Sarebbe stata solo una conclusione tragica, ma necessaria.
Il modo semplice in cui stavo pianificando la mia stessa morte mi spaventò. Mi morsi il labbro. Forse però non sarebbe stato davvero così necessario. Non sapevo perché, ma istintivamente mi fidavo di Lucifero. Non credevo che fosse una cattiva persona, tutto sommato.
Sì, però sapevo anche quanto aveva sofferto per colpa del suo re. E non avevo idea di quello che avrebbe potuto fare una volta libero e fuori controllo. Era vero, aveva giurato, ma forse avrebbe potuto trovare un modo di aggirare le clausole del patto. Avevamo messo in chiaro che non avrebbe attaccato il Paradiso se il Paradiso non avesse attaccato per primo. Ma se invece l’avesse fatto? Allora che sarebbe stata guerra. E il... il re del cielo – era troppo assurdo chiamarlo “Dio” – avrebbe avuto un solo motivo per combattere: la liberazione di Lucifero. Probabilmente noi non eravamo abbastanza importanti perché lui scendesse in guerra, ma il capo degli Angeli Caduti lo era di sicuro.
Un pensiero mi attraversò la mente, interrompendo tutti gli altri. Se davvero quel re era così potente, perché non mi aveva ancora uccisa? Io ero l’unica possibilità di liberare il suo avversario più potente, eppure ero ancora viva. Perché?
Fissai i miei tre compagni. Magari avrei potuto chiederlo a uno di loro. Eliminai immediatamente Marghe: parlare della rivalità tra me e quelli che effettivamente erano i valori in cui aveva creduto per una vita mi metteva troppo a disagio. Mike aveva ancora un’aria cupa e una voglia di parlare probabilmente pari allo zero, perciò decisi di optare per il Portavoce.
Mi bastò concentrarmi un attimo per riuscire a inviargli un pensiero. A quanto pareva stavo migliorando. Magari i ricordi avevano aiutato, riflettei: non avevo dovuto proprio reimparare da capo come si faceva. Anche se ancora non ero riuscita a riviverli tutti, quei ricordi. In quasi tutti quelli della mia prima infanzia c’era Jo.Un Jo bambino, sconosciuto, ma pur sempre il mio migliore amico.
Che era morto per me.
Serrai i pugni cercando di non pensarci. Portavoce?
Lui non ebbe apparentemente la minima reazione, come se si aspettasse che lo chiamassi. Hai deciso di espormi un po’ dei tuoi dubbi, Eva? domandò.
Sai cosa stavo pensando?
Eri particolarmente agitata. Credo di averlo immaginato almeno in parte. I tuoi pensieri sanno essere particolarmente decisi in alcuni casi.
Non sapevo se prenderlo come una critica o un complimento, perciò ignorai il commento. Perché non mi ha ancora uccisa? chiesi, senza troppi preamboli. Tanto sarebbe stato inutile: come aveva detto, sapeva già cosa stavo pensando.
Il Portavoce strusciò il pollice contro il polpastrello dell’indice della mano, facendo una smorfia appena percettibile. Più difficile di quanto sembri a spiegarsi.
Tu però la sai, la spiegazione.
Sì, direi di sì.
Allora spiega.
Non sembrò particolarmente infastidito dal mio tono. Probabilmente se l’aspettava. Il fatto è che, dopo che Lucifero è precipitato e gli Angeli Caduti sono finiti qui, il Paradiso è stato chiuso. Per proteggere quelli al suo interno, diceva lui. Per impedire agli altri di uscire e rivoltarsi, pensano molti. Ma la vera ragione non ha importanza, sta di fatto che gli Angeli hanno un potere limitatissimo fuori dal Paradiso, e sicuramente non quello di uccidere una persona. Per ucciderti dovrebbe rompere le difese, ma non può farlo. Il Paradiso è agitato, Eva. è agitato da tempo immemore, e quello che sta per accadere potrebbe far divampare una fiamma da una scintilla accesa da troppo tempo.
-
Non sapevo quanto tempo era passato da quando avevo parlato con il Portavoce, ma avevo ancora lo stomaco stretto in una morsa. La situazione sembrava più grave di quanto avessi mai potuto immaginare prima. Se c’erano focolai di rivolta anche dentro il Paradiso stesso, davvero avevamo una possibilità di evitare la guerra? E, se avessi liberato Lucifero, cosa sarebbe successo?
Decisi che pensarci ormai non aveva senso. Comunque stessero le cose, fare quello che stavamo facendo era l’unica possibilità per cercare di limitare i danni. Lentamente riuscii a calmarmi, e mi ritrovai a fissare Mike. Aveva le mani in tasca e l’espressione tesa. Mi resi conto che per lui doveva essere tutt’altro che facile: per tutta la vita aveva desiderato di essere un ragazzo normale, e adesso non avrebbe fatto altro che convincere ancora di più le persone che conosceva che era diverso. Dopo un po’ sembrò accorgersi che lo stavo fissando, perché mi lanciò un’occhiata.
Va... va tutto bene? domandai.
Deglutì. Ci provo, a farlo andare bene.
Esitai. Mike, mi dispiace, è che...
No. mi interruppe. Non ti scusare per nulla. Questa storia deve finire in qualche modo. E poi non posso tenerlo nascosto per sempre. Solo... non so, avrei preferito saperlo... in modo diverso, ecco.
Io...
Te l’ho detto, non è colpa tua. Hai fatto bene a dirmelo. Ma... cioè... Lucifero. Non è proprio facile da digerire come cosa. Cioè, probabilmente per te scoprire chi eri è stato peggio, lo so, ma...
Mike, nessuno si lamenterebbe per come ti senti. Hai reagito anche molto meglio di quanto... potessi pensare. Cioè...
E tu?
Quella domanda improvvisa mi prese in contropiede. Lo guardai.
Beh, non abbiamo mai parlato sul serio di te. Di cosa ne pensi di questa cosa. Hai detto che non è cambiato niente. Ma... pensi sul serio che sia così?
Sì. Sì, lo pensavo. Anche perché, se avessi perso anche Mike, sarei impazzata sul serio. Annuii.
Eva, sai che sono pericoloso. Sai che sono... Si interruppe per un secondo, esitando. Sai che sono dannato. Sono stato rinnegato dal Paradiso. Sono un mostro tra i mostri. Probabilmente quando sapranno la verità i
Caduti avranno paura di me, e mi seguiranno solo per questo.
Beh, anch’io sono stata rinnegata dal Paradiso. Per lo stesso motivo per cui è stato rinnegato tuo padre. Già, e poi neanche sono stata io a scatenare tutto, Mike. Né lo sei stato tu. è stato qualcuno prima di noi, e noi siamo lo specchio di quel qualcuno, ma non siamo quel qualcuno. Noi siamo noi, e basta. E poi, tu potrai anche essere un mostro tra i mostri, ma io sono una... una mezzosangue tra i mezzosangue. Penso che più o meno siamo lì, no?
Alzò gli occhi al cielo, ma almeno ora sembrava stare meglio. Se vuoi metterla così...
Ho voglia di baciarti.
Mh. Anch’io. Tanta.
E allora che si fa?
Ah, beh, cosa si fa quando si ha voglia di baciarsi?
Mentre mi si avvicinava, sperai che Marghe e il Portavoce avessero il buonsenso di girarsi dall’altra parte.
-
Lentamente, il bosco iniziò a diradarsi, e camminare divenne più semplice. Era quasi il tramonto quando raggiungemmo il limitare della foresta. Io strinsi tra le dita le cinghie dello zaino, poi mi girai a salutare Marghe e il Portavoce e seguii Mike lungo una strada di terra battuta che serpeggiava in mezzo a dei campi coltivati. Non c’era nessuno in giro, probabilmente perché non era tempo di raccolto e i pochi che erano stati lì ormai erano tornati a casa. Questo da una parte mi rassicurava, visto che stava allontanando il momento in cui avrei dovuto incontrare i Caduti, ma dall’altra non faceva che aumentare il panico che mi stava esplodendo dentro.
Mike camminava a passo svelto davanti a me, ma all’improvviso si fermò e mi prese la mano, chissà se per cercare di rassicurare me o se stesso. Magari entrambe le cose.
Le prime case erano piuttosto piccole, ma belle. Sembrava di essere in un piccolo paesino di campagna. Poi, però, la strada sterrata ne incontrò una asfaltata, e poi un’altra e un’altra ancora. Iniziammo a vedere delle persone. All’inizio nessuno ci notò, poi iniziarono a indicarci. Mike tirò dritto, lo sguardo serio fisso davanti a sé, e io lo seguii in quella che stava iniziando sempre di più a sembrare in tutto e per tutto una città umana, a parte per il fatto che per le strade non c’erano lampioni di nessun tipo e che i negozi, nonostante ormai fosse buio, non avevano luci accese nelle vetrine. Certo, quelli che vivevano lì sicuramente non ne avevano bisogno. In un battito di ciglia, tutto fu chiaro come se fosse stato pieno giorno.
Intanto, attorno a noi aveva iniziato a radunarsi una vera e propria folla. Mike continuava a ignorarla, mentre io stavo andando sempre più nel panico. Mi sudavano le mani, ma lui non lasciò la mia fino a quando non ci trovammo davanti a un’imponente struttura di vetro e acciaio che, nonostante le dimensioni e l’altezza piuttosto ridotta, sembrava piuttosto slanciata. Somigliava vagamente alla Opera House di Sydney, anche se dava l’impressione di essere molto più leggera e, in un certo senso, fragile. Ma dubitavo che fosse così. In quel mondo niente sembrava adatto ad essere fragile, e quella doveva essere una costruzione piuttosto importante.
Mike si avvicinò all’ingresso – un pannello di vetro uguale a tutti gli altri che componevano la struttura, solo scorrevole – e lì trovammo un uomo. Aveva circa quarant’anni ed era completamente vestito di nero, con quella che sembrava una specie di divisa: non era elegante, o almeno non nel senso che di solito si intendeva quella parola; aveva dei pantaloni di taglio piuttosto semplice e una camicia a maniche lunghe con un’unica macchia di bianco che rappresentava un simbolo, anche se da così lontano non riuscii a capire di cosa si trattasse. L’uomo sorrise a Mike. – Bentornato. Sai, eravamo piuttosto in pensiero per te. –
La presa della mano di lui sulla mia si strinse, divenne quasi dolorosa. – Mi dispiace di non aver dato mie notizie, ma non volevo rischiare che fossero intercettate. Ci siamo dovuti nascondere per qualche giorno. – Si lanciò un’occhiata alle spalle. – Ma credo che questo non sia il posto adatto in cui parlarne. –
L’uomo annuì e Mike mi tirò verso l’ingresso. Una volta che l’avemmo oltrepassato, il pannello di vetro si chiuse dietro di noi, lasciando fuori la folla. Un brivido mi scivolò lungo la spina dorsale. Per qualche motivo, l’idea di essere rinchiusa non mi piaceva.
Mike sembrò intuire come mi sentissi, perché cercò di rassicurarmi. è tutto apposto. è solo per evitare che la gente ci salti addosso.
Annuii, cercando di calmarmi. Dove stiamo andando?
- Eva. –
La voce dell’uomo interruppe la nostra conversazione facendomi sobbalzare. Lo guardai. Lui mi porse la mano. – Sono Jonathan Arryn. Onorato di conoscerti. –
Gli strinsi la mano, senza sapere che altro fare. Lui mi guardò con un sorriso calmo, incamminandosi. – Immagino che tu sia piuttosto sconvolta. Non preoccuparti, è del tutto normale. Adesso verrai presentata al Consiglio, e ti verranno spiegate un bel po’ di cose, anche se credo che tu sappia già qualcosa. –
Non gli chiesi che cosa fosse questo Consiglio, non riuscivo a trovare la voce per parlare. Alla fine mi limitai a guardarmi intorno, un po’ stupita. Dall’ingresso si accedeva direttamente a un’enorme sala dal pavimento a scacchi neri e grigi, in mezzo alla quale troneggiava una fontana di marmo scuro. Il soffitto era di vetro, e permetteva di vedere il cielo ormai stellato sopra di noi. La sala era completamente vuota, ma immaginai che solitamente dovesse ospitare un numero piuttosto grosso di persone. Jonathan la attraversò fino ad arrivare a un corridoio più stretto, con il pavimento sempre di marmo, solo completamente nero con qualche striatura che scintillava debolmente alla luce delle stelle. – Infiltrazioni di pirite. – spiegò lui, senza fermarsi. – Un effetto piuttosto carino, non credi? –
Non feci in tempo a rispondere, perché ci ritrovammo a salire una scala e poi a sbucare in un altro corridoio tempestato di porte da entrambi i lati. Jonathan bussò a una delle porte e la aprì senza aspettare una risposta.
Mi ritrovai davanti una sala piuttosto grande, con al centro un tavolo ovale fatto di acciaio e vetro attorno al quale erano disposte delle sedie di pelle nera. E, sulle sedie, erano sedute una decina di persone vestite allo stesso modo di Jonathan. Notai che c’era una sola sedia libera attorno al tavolo, e che ce n’erano altre due posizionate schienale contro schienale in uno spazio vuoto al centro del tavolo che, me ne resi conto solo in quel momento, non era ellittico, ma aveva una forma più simile a una ciambella.
Una donna bionda e piuttosto anziana seduta esattamente di fronte all’ingresso si alzò in piedi. – Benvenuti. – disse. – Questo Consiglio è onorato di rivederti, Micheal, e di conoscerti, Eva. Ci scusiamo per lo scarso supporto che vi abbiamo dato negli  ultimi giorni, ma non siamo riusciti a trovarvi in nessun modo senza rischiare di far notare le nostre ricerche dagli altri. – C’era una sfumatura di disprezzo nella sua voce mentre pronunciava quella parola. Sentii una stretta allo stomaco. Sarebbe stato più complicato del previsto. – Prego, sedetevi. –
Io non avevo idea di come arrivare al centro del tavolo, ma Mike la fece piuttosto semplice: semplicemente camminò e, quando arrivò al ripiano di vetro, quello si mosse per farlo passare come aveva fatto la porta scorrevole all’ingresso. Lui si posizionò su una delle sedie. Sembrava teso come una corda di violino. Aveva paura? Aveva ragione ad averne?
Lo seguii cercando di sembrare più sicura di me di quanto non fossi e mi sedetti. Avrei preferito poterlo guardare in faccia, ma non mi sembrava affatto il caso di discutere. All’improvviso, sentii la sua mano stringere la mia, e anche gli occhi dei Consiglieri addosso. Chissà cosa pensavano. Probabilmente che quella di Mike fosse solo una messa in scena per tenermi buona.
Jonathan si sedette sulla sedia vuota, e dopo un secondo di silenzio la donna parlò di nuovo. – Spero che il vostro viaggio non sia stato troppo difficile. Eva, adesso che sei qui, penso che dovremmo iniziare con le spiegazioni. – Non potevo vederla, visto che le davo la schiena, e mi dava terribilmente fastidio, tuttavia mi costrinsi a restare seduta ferma guardando dritto davanti a me.
- Non credo che ci sia bisogno di nessuna spiegazione. – disse Mike, la voce gelida. Capii che non si fidava di quelle persone, che non si era mai fidato sin dall’inizio. Tutti quei sorrisi erano troppo finti, troppo avidi. Avidi di me. – Lei sa già molto più di tutti voi messi insieme, probabilmente. –
La donna esitò. – Micheal, io penso che... –
- Sì, certo, tu pensi, ma noi siamo qui con dei fatti. – Sentii un rumore, e non riuscii a resistere dal girarmi. Mike era salito in piedi sul ripiano del tavolo e aveva fatto un passo verso la donna.
Lei si tirò indietro. – Micheal, penso che tu stia esagerando. Sai di avere delle libertà, è vero, ma tu non puoi permetterti di... –
Lui la interruppe con una risatina. – Non posso permettermi di fare cosa? – chiese.
E spalancò le ali. 

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Capitolo 28
*** Ho bisogno di te ***


HO BISOGNO DI TE
In meno di un secondo, tutti i visi della sala avevano assunto un’espressione sconvolta. Qualcuno lanciò un urlo. Io continuai a stare girata, il cuore a mille, stringendo convulsamente le mani attorno al bordo della sedia.
Mike era immobile, le ali ancora tese nell’aria, le piume nere che sembravano rilucere come le infiltrazioni di pirite nel pavimento di marmo del corridoio. Vedevo i muscoli tesi della sua schiena nel punto in cui le ali avevano strappato la maglietta, mentre lui stava in piedi sul tavolo di fronte alla donna.
Qualcuno, un uomo alla mia sinistra, allungò una mano per toccarlo come per accertarsi che non fosse una visione.
- è stato Lucifero a farmi diventare così. – disse Mike. Aveva la voce strana, molto più ferma di quanto avessi pensato. – Al lago di Waterfire. E poi... ho parlato con lui. Ieri. Ho scoperto una cosa. Credo di aver trovato la risposta a tutte le domande che vi eravate fatti su di me. –
La donna spalancò la bocca. – Tu sei... –
- Mia madre non disse mai chi era mio padre. Adesso Lucifero mi ha detto di esserlo. – Prese un respiro. – Ed è con lui che ho fatto un accordo. –
Tutti lo guardarono. Sembravano ancora sconvolti, ed effettivamente doveva essere normale. Avevano finalmente avuto la conferma che Lucifero era ancora vivo, e anche piuttosto forte, a quanto pareva, se era capace di fare cose come quella. – Ho intenzione di evitare una guerra. –
Le sue parole caddero come massi nell’aria tesa, rendendo gli sguardi ancora più stupiti. Qualcuno aprì la bocca per parlare, ma non fece in tempo.
- Ci siamo resi conto che combattere gli Angeli sarebbe totalmente inutile. Abbiamo continuato a farci del male per anni a vicenda per via di una faida durata troppo tempo. Lucifero è disposto a non attaccare il Paradiso se questo non attaccherà lui. Anzi, è più che disposto. Ha Giurato. –
Dalle persone attorno a noi si levarono mormorii agitati.
- L’Inferno verrà aperto solo una volta che sarà avvenuta una riappacificazione con gli Angeli. Così vuole Eva, così vuole Lucifero, così vuole suo figlio, e così è stato Giurato. Non ho intenzione di fare imposizioni, ma queste sono le mie idee e queste le mie condizioni. Una volta che la popolazione sarà a conoscenza delle mie intenzioni, esprimerà il suo parere, e agiremo in base alla maggioranza. è questo che credo, come cittadino libero di questa città, di poter fare. –
Ci fu qualche secondo di silenzio, che presto si trasformò in un minuto, e poi in una lunga serie di minuti. I Consiglieri erano ancora sconvolti. Qualcuno deglutì rumorosamente.
Io restai immobile. Non avevo idea di cosa dire, né di cosa fare. All’improvviso, la donna bionda si alzò in piedi, fissando Mike dritto negli occhi. C’era qualcosa nel suo sguardo, qualcosa che mi spaventò. – Immagino che dovremmo discutere della situazione in Consiglio, Micheal. – disse. La voce le tremava lievemente, ma non di paura. Io non capivo. Cosa cavolo stava...
- Bene. – rispose lui, scendendo dal tavolo. Ripiegò le ali dietro la schiena senza farle sparire. – Noi aspetteremo la vostra risposta a casa mia, sapete dove trovarci. –
- No! – lo fermò la donna, con un po’ troppa enfasi. – Meglio che restiate qui. Le reazioni della gente potrebbero essere eccessive. – aggiunse, con più calma.
Mike la trapassò con lo sguardo per quasi mezzo minuto, poi annuì lentamente e scese dal tavolo. – Staremo ad aspettarvi, quindi. Sperando che abbiate intenzione di darmi una risposta entro la prossima vita. – disse, con sarcasmo gelido.
Mentre usciva, lo vidi annuire quasi impercettibilmente. Non capii perché l’avesse fatto, ma lo seguii immediatamente senza neanche salutare. Restare in quella stanza piena di sguardi cupi mi terrorizzava.
Una volta in corridoio, Mike si avviò subito a sinistra. Senza parlare salì altre quattro rampe di scale fino ad arrivare a un pianerottolo con un’unica porta. Lui appoggiò la mano sul legno dipinto di scuro e chiuse gli occhi per un secondo. La porta sembrò avere come una pulsazione ed emise qualcosa di simile all’oscurità che regnava sempre attorno a Mike quando tirava fuori le ali. Lui entrò nella stanza, io gli corsi dietro. Sentii la porta chiudersi alle mie spalle.
Mi guardai intorno. Eravamo in un ingresso che faceva anche da salotto di una casa, o almeno così sembrava, visto che c’era un divano di pelle con tanto di TV a schermo piatto piazzata davanti e librerie stracolme di volumi.
- Hanno tutti un gusto particolare per il dark, da queste parti? – domandai, cercando di fare dell’ironia per allentare la tensione.
- Non tutte le case sono così. – rispose Mike. – Ma i membri del consiglio sono votati alle ombre in tutte le loro forme. E il bianco è luce e così i colori, quindi qui non ce ne sono. Al massimo un po’ di grigio qua e là per rendere le cose meno tetre. –
Mi morsi il labbro. – Questa è casa tua? – chiesi.
Scosse la testa. – No. E’ casa di Sam. –
- Chi è Sam? –
- Uno del Consiglio. L’unico del Consiglio con cui io riesca ad andare minimamente d’accordo. Mi ha dato lui il permesso di venire qui, prima. – Capii che era per quello che aveva annuito. – L’alternativa era andare da Jonathan, ma non mi fido di quel tipo. –
- Non dovrebbero... essere dalla tua parte? – domandai, senza capire. In effetti, era tutto assurdo, a partire dal modo gelido in cui aveva trattato tutti i Consiglieri quando eravamo ancora nella sala.
Lui mi rise in faccia, una risata gelida. – Prova a ricordarti di come era il governo degli Angeli, ti va? E poi dimmi se quelle persone sarebbero state felice che qualcuno strappasse loro il potere. Beh, questi qui sono uguali. –
Io lo fissai. Sembrava terribilmente arrabbiato. Lui incrociò il mio sguardo e si morse il labbro. – Scusa. – mormorò. – E’ che sono nervoso. –
- Non c’è problema. – risposi, abbassando gli occhi. – Che cosa facciamo? –
- Beh, dobbiamo aspettare, quindi tanto vale che ci riposiamo un po’. Magari... proviamo a sentire come stanno gli altri. E’ meglio aspettare ancora un po’ prima di chiamarli. –
- Ehm... come... come facciamo a chiamarli? Non abbiamo un telefono. –
- Beh, tu quando parli col pensiero usi un telefono? – domandò, sbuffando.
Esitai. Non ci avevo pensato, eppure sapevo che si poteva fare anche a distanza, ora che riavevo i miei ricordi. – Scusa. –
Lui si passò una mano tra i capelli, prendendo un respiro. – No, scusami tu. Te l’ho detto, oggi sono un po’... – Non finì neanche la frase e si girò, incamminandosi verso una porta. – Io vado a farmi una doccia. La camera è lì. – aggiunse, indicandomi un’altra porta.
Annuii e chiusi gli occhi, concentrandomi. Parlare col pensiero da lontano era molto più difficile che farlo quando si era vicini. Parlare con Marghe sarebbe stato come gridare sperando di farmi sentire, ma il mio massimo... “raggio di trasmissione” era di circa una decina di chilometri, quindi ci sarei dovuta riuscire, visto che loro non erano così lontani. Ero pronta a scommettere che Mike sarebbe riuscito a fare almeno il doppio senza il minimo sforzo, ma se non l’aveva fatto voleva dire che preferiva di no, e io non volevo rompergli le scatole. Per lui quella situazione non doveva essere affatto semplice.
Marghe? tentai, sperando che lei fosse abbastanza percettiva. Non parlavo in quel modo con qualcuno da sei anni, cavolo, non avevo idea di come regolarmi.
Eva? rispose lei. La sua voce mi arrivò come lontana, ma riuscivo a sentirla.
Sì, sono io. Tutto bene?
Beh, qua non succede molto. A parte il tipo che è un po’ inquietante.
Lo sai che “il tipo” sa più o meno capire vagamente quello che pensi?
Ah. il modo in cui lo disse mi fece ridacchiare. Beh, ehm... mi scuserò. Comunque, là come va?
Siamo ancora vivi. Abbiamo parlato con un “Consiglio”. Non so se è andata bene. Adesso siamo nell’appartamento di uno di loro, l’unico di cui Mike si fida, da quello che ho capito. Penso che... ti farò sapere appena avrò notizie. stava iniziando a venirmi mal di testa. Parlare in quel modo era tutt’altro che semplice.
Ok. disse Marghe. Però sbrigatevi. Sennò potrei anche iniziare a preoccuparmi per voi. scherzò.
Anche per Mike?
Beh, è stronzo, ma è troppo figo per non preoccuparsi per lui, no?
Alzai gli occhi al cielo mentre la conversazione si interrompeva e mi infilai in camera. In effetti ero esausta e non vedevo l’ora di andare a letto. La stanza era piuttosto dark come più o meno tutto il resto dell’appartamento, ma il letto aveva l’aria comoda. Unico piccolo problema: era solo uno.
In quel momento sentii la porta aprirsi e Mike esitare sulla soglia. Mi girai, e mi girai di nuovo, arrossendo. Era praticamente nudo, a parte un asciugamano legato attorno alla vita. Aveva i capelli ancora umidi.
 – Per te è un problema se... – Si morse il labbro.
- Ehm... no. – Cioè, teoricamente Mike era il mio ragazzo, perciò dormire con lui non sarebbe dovuto essere un gran problema. Però... cazzo, era così dannatamente bello, e dormire nello stesso letto con lui... – Non c’è problema. –
Con lo sguardo basso si diresse verso l’armadio e aprì una scatola di cartone sul fondo di legno, tirandone fuori dei vestiti puliti.
- Vieni spesso qui? – domandai, notando che sulla scatola c’era scritto il suo nome.
Scrollò le spalle. – Ogni tanto. Sam è l’unico con cui parlo davvero. – rispose, e c’era una nota di tristezza nella sua voce.
Io non sapevo che dire. Mi dispiace? Non so cosa cazzo fare in questa situazione? Ho una paura del cavolo, baciami perché ho bisogno di te?
Mi salirono le lacrime agli occhi. Mike mi si avvicinò mollando lì i vestiti e mi prese il viso tra le mani. – Ehi. – mormorò. – Andrà tutto bene. –
- E se invece non va tutto bene? –
- Allora sapremo di averci provato. –
Chiusi gli occhi, appoggiandogli la testa sul petto. Anche solo sentire il rumore del suo cuore che batteva mi faceva sentire meglio.
- Mike... – sussurrai.
- Ti amo. – disse. – Ti amo e non finirà, non per noi, ok? –
Lo baciai. – Anche io ti amo. Sempre. – Lo strinsi. Qualcosa stava iniziando a crescermi nel petto. Avevo bisogno di lui, sempre di più. Così tanto da non riuscire a fermarmi.
- Eva... – balbettò lui. Lo ignorai. Gli affondai le dita tra i capelli e lo baciai di nuovo, e ancora e ancora, sulle labbra, sul viso, sul collo. Mike serrò le palpebre, restando immobile. – Eva, non... –
Fremette quando lo baciai un’altra volta sul mento, e poi sulle labbra. Aveva la fronte corrugata, la mascella tesa. – Eva... –
Lo guardai. Avevo il fiatone, ma ancora non mi bastava. Non mi sarebbe bastato niente in quel momento. Lo spinsi sul letto e lui mi guardò negli occhi. Erano quasi fuori fuoco, stravolti. Mi paralizzai. – Stai... stai bene? –
Lui serrò le palpebre. Tremava, quasi. Prese un respiro. – Eva, io non ci riesco a fermarmi se continui. – balbettò. – Non ci riesco. Sto... sto perdendo il controllo. –
Avvicinai il viso al suo. – Cosa vuoi? – chiesi.
Esitò. Batté le palpebre, chiuse gli occhi di nuovo.
- Mike. – ripetei. – Che cosa vuoi tu adesso? –
- Te. – sussurrò. – Ma... te l’ho detto, io... non ce la faccio a... –
- Non voglio che tu ti controlli. – sussurrai, baciandolo piano e facendogli scorrere le dita sul petto. Tutta la paura di qualche minuto prima era evaporata. Lo volevo, lo volevo troppo.
- Potrebbe essere... potrebbe essere pericoloso. –
- Non lo sarà. Che può succedere? –
- Eva... –
- Mike. – lo interruppi. – Senti, io non ho paura, ok? Non ho paura di te. Mi fido di te. –
- Non puoi fidarti di me. Io divento un mostro, Eva. Non ho nessun controllo su quello che faccio quando mi lascio andare con te e... – Si interruppe, gli occhi fissi sulle mie labbra.
- Sei sempre tu. E io ti amo. E tu hai detto che mi ami. – mormorai.
Fu un attimo, e poi la lotta nei suoi occhi sparì quando una delle due parti vinse. Mi prese il viso tra le mani e mi baciò. Con le labbra mi sfiorò il collo, e sentii i canini affondarmi nella pelle mentre si strappava l’asciugamano di dosso. Bevve un sorso e poi mi baciò di nuovo con le labbra che sapevano del mio sangue. Mi strappai la felpa di dosso, il fiato ridotto a un ansito.
- Ti amo. – dissi di nuovo.
E mi lasciai davvero andare.

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Capitolo 29
*** Lo specchio di Lucifero ***


LO SPECCHIO DI LUCIFERO
Quando mi svegliai, quella mattina, la prima cosa di cui mi accorsi fu l’odore. Odore caldo, vivo, vicino. Odore di Mike.
Sollevai piano la testa, rendendomi conto di essere sdraiata sopra di lui. Per un secondo rimasi immobile, guardandolo. Era bellissimo anche nel sonno, ma più rilassato, più bambino, forse, con i capelli negli occhi e la bocca semiaperta. In quella situazione, per quanto fosse assurdo, mi ricordava un po’ Jo. Sentii una stretta al petto e le lacrime salirmi agli occhi, e un attimo dopo mi resi conto che Mike si era svegliato e che mi stava guardando.
Tese una mano, asciugandomi una lacrima. – Cosa c’è? – domandò. La sua voce era come una carezza, delicata e allo stesso tempo salda, vera.
Battei le palpebre, deglutendo. – E’ solo che... ho pensato a Jo. –
Lui non rispose. Non si arrabbiò perché avevo pensato a un altro ragazzo subito dopo aver fatto l’amore con lui. Mi strinse e basta, mentre io chiudevo gli occhi. Volevo restare abbracciata a lui per sempre, ma sapevo che non potevamo. Il mondo sarebbe andato aventi, con o senza di noi, e se volevamo cambiarlo ci saremmo dovuti dare da fare.
- Mi dispiace. – mormorai. – Sono un disastro. –
- Non dirlo nemmeno per scherzo. – ribatté, baciandomi piano. – Ti senti in colpa? –
Capii cosa aveva pensato. Che mi sentissi in colpa per essere andata a letto con lui per via di Jo. Scossi la testa. – E’ solo che... quando ti ho visto dormire me l’hai ricordato. –
- Io? – chiese, un po’ stupito.
Annuii. Non riuscii a tirare fuori la voce per dire che, forse, non erano così diversi come sembrava. Non feci in tempo. In quel momento sentimmo bussare alla porta.
Mike si tirò su di scatto, afferrando i jeans che aveva tirato fuori dalla scatola e infilandoseli. Poi aprì la porta mentre io mi tiravo le coperte addosso, senza sapere cosa fare.
Sulla porta comparve un uomo. Aveva circa sessant’anni, capelli grigi né lunghi né corti piuttosto scompigliati e un accenno di barba sul mento. Fissò Mike, poi me. Arrossii violentemente, tirandomi ancora di più le lenzuola addosso.
Lui non fece commenti e si girò di nuovo verso Mike. – Il Consiglio ha deliberato. Vogliono una prova. –
- Una prova? – domandò lui.
- Sì. Verrà annunciato fra poco più di un’ora davanti a tutta la popolazione. Vogliono una dimostrazione del fatto che tu sia il figlio di Lucifero... e che lei sia davvero Eva. –
Mike serrò i pugni. – E’ un’idiozia. Cioè, capisco che non credano a quello che ho detto su di me, ma lei... Cioè... mi avete mandato a prenderla! Come è possibile che non... – Si interruppe, come se avesse capito qualcosa all’improvviso. – No... – mormorò, gli occhi spalancati.
L’uomo – Sam, probabilmente – annuì gravemente. – E’ piuttosto facile immaginare perché l’abbiano fatto, direi. Ho provato a oppormi, ho detto che è una follia. Ma la maggioranza ha deciso così. Sono in molti ad avere paura di voi. –
- Ma se... – Mike ormai balbettava in modo quasi sconnesso, sconvolto. – Ma se lei... No, non possono... E’... –
- Se si rifiuterà tutti penseranno immediatamente che non sia la vera Eva. Avete le mani legate. – disse Sam, la voce venata di rabbia.
Io non capivo. Ma che...
Mike si girò verso di me. – Vestiti. – sibilò. – Ce ne andiamo. –
- Mike, non puoi. – lo fermò Sam afferrandolo per un braccio. – Pensa a cosa crederebbero se... –
- Beh, lei morirà se non ce ne andiamo! – urlò lui. – Quindi direi che non saremmo credibili comunque! –
Sam prese un respiro. – Calmati. –
Mike lo guardò. Mi resi conto che aveva gli occhi lucidi. Era immobile, a petto nudo, lo sguardo perso nel vuoto, bello come un dio. Un dio disperato.
Sentii il bisogno di corrergli incontro. Di stringerlo, di fare qualsiasi cosa per farlo sorridere, per cancellargli la disperazione dagli occhi. Mi bloccai all’ultimo secondo ricordandomi di Sam. – Che... che significa? – domandai. – Che sta succedendo? –
- Te l’ho detto. – mormorò lui. – Vogliono una prova che tu sia Eva. E non ci sono molti modi per provarlo se non dimostrando che ti appartengono sia la luce che le tenebre in modo così radicato che sia impossibile che siano poteri acquisiti in qualche modo. –
- E... cosa devo fare? – chiesi, senza capire dove volesse arrivare.
- C’è un’antica leggenda. – disse Sam. – Racconta che... –
- Un bel niente! – lo interruppe Mike, come risvegliandosi da quella specie di torpore gelido che l’aveva avvolto poco prima. – Non ha importanza. Non funzionerebbe. – aggiunse. La voce gli tremava, non sapevo se per la rabbia, la paura o entrambe.
- Cosa non funzionerebbe? – mi intromisi.
- Il lago di Waterfire. – spiegò Sam. – Si dice che sia nato dall’unione di due elementi opposti, l’acqua e il fuoco, così come sono opposti la luce e le tenebre. Una persona nata dagli opposti dovrebbe essere capace di immergersi nel lago senza morire. –
-
Rimasi di sasso. – Ma è una cosa assurda! Cioè... non c’entra niente con il fatto che... –
- Appunto. – disse Mike, la rabbia nella voce. – E’ un’enorme stronzata. Ti ammazzeresti e basta. E tu non lo farai. – scandì, con aria gelida. – Andiamocene da questo covo di pazzi. Che si ammazzino a vicenda, per quello che mi importa. – Era furioso, si vedeva. Più che furioso.
Io presi un respiro. – Mike... –
- Non se la meritano, la pace! – esplose lui. – Non la vogliono! Tutto quello che vogliono è conservare il loro fottuto piccolo potere per più tempo possibile, eccola la verità! –
Aveva i pugni serrati, gli occhi che sembravano bruciare mentre diventavano voragini senza fondo. L’aria iniziò a scaldarsi, e quella attorno a lui tremolò. Mi resi conto che stava perdendo la testa. E questo non doveva assolutamente succedere. Mike era troppo forte per essere controllato. Avrebbe potuto uccidere sia me che Sam per sbaglio, se avesse continuato così.
Probabilmente anche il consigliere lo capì, perché gli appoggiò una mano sulla spalla. – Calmati. Dobbiamo trovare un modo per risolvere questa cosa. –
- Non c’è, un modo! – ringhiò Mike.
Già. Non c’era un modo. Sopravvivere a un tuffo nel lago di Waterfire era impossibile, era ovvio che lo fosse. Però...
In quel momento bussarono alla porta di nuovo, stavolta però a quella di ingresso. Sam uscì dalla stanza per andare a vedere chi fosse e io e Mike restammo immobili a fissarci. Lui sembrava ancora sul punto di esplodere.
- Andrà tutto bene. – mormorai.
Quando mi guardò, mi fece quasi paura. – Certo. I morti non possono fare del male a nessuno. –
-
Rimasi sola nella stanza, il cuore in gola. Sentivo delle voci provenienti dal salotto, ma ero troppo sconvolta per mettermi ad ascoltare. Mi vestii lentamente mentre risentivo le parole di Mike nella testa. Era così, quindi. Potevo morire io oppure lasciare che Mike uccidesse loro. Non c’erano altre possibilità, e nessuna delle due disponibili era quella che avrei voluto. Non saremmo riusciti in nessun modo a fermare la guerra se fosse andata così. Per un secondo riflettei che forse sarebbe stato meglio se mi fossi buttata nel lago e fossi morta. Senza di me, nessuno avrebbe potuto aprire l’Inferno e il Giuramento sarebbe stato rotto.
Ma il fatto era che non volevo che finisse tutto così. Avevo un obbiettivo, cazzo. Non era possibile che tutto finisse così.
In quel momento Sam entrò nella stanza. – Eva, dobbiamo andare. La gente fuori vi sta aspettando. –
-
Uscimmo dalla sede del Consiglio passando dal tetto. Io e Mike eravamo circondati dai consiglieri e da quelle che sembravano guardie. Mike camminava con lo sguardo dritto davanti a sé. Da quello che avevo capito, Sam era riuscito a convincerlo a farsi riconoscere da Lucifero. C’era la speranza che lui mi aiutasse, a quel punto. Una speranza effimera, certo, ma c’era.
Sentivo addosso un sacco di sguardi, sguardi ostili. Quando raggiungemmo il bordo del tetto, però, quelli per me sparirono mentre il cuore mi si fermava in gola. Per strada c’era una folla incredibile, tutti con gli occhi puntati verso di noi. Io rimasi paralizzata senza sapere cosa fare, poi vidi i Consiglieri spalancare uno ad uno le ali e spiccare il volo. Capii cosa aveva voluto dire Mike quando aveva detto che non sarebbe stato un bello spettacolo vederlo in forma di demone. I loro corpi si ricoprirono di squame nere, i denti si allungarono. Le ali erano ampie e membranose. Mettevano i brividi, eppure non riuscivo a non vedere qualcosa di stranamente bello, in loro. Se non altro, qualcosa di potente.
Fu il nostro turno per alzarci in volo. Mike prese un respiro, poi spalancò le ali. La folla esplose in un’ovazione. Io lo guardai, guardai lui per non guardare loro.
Poi aprii le ali e spiccai il volo.
-
Ci avevano detto che la cosa si sarebbe svolta in volo. Nient’altro. Quando arrivammo a qualche metro dal tetto, però, vidi che c’era qualcosa sospeso a mezz’aria in mezzo a noi. Sembrava una lastra d’argento annerito ovale alta circa un metro, messa in verticale, impreziosita sul bordo da dei decori come se fosse stata uno specchio.
Guardai Mike. Che cos’è?
Lo specchio di Lucifero. rispose lui, lo sguardo fisso sulla lastra d’argento, impassibile. Si dice che sia capace di evocarlo, di aprire una comunicazione tra questo mondo e l’Inferno. Non viene usata da secoli perché non c’è mai stato nessuno abbastanza potente da aprire la comunicazione, ma è da qualche anno ormai che stanno pensando di farmi provare. Per un secondo, le sue labbra si piegarono in un sorriso sarcastico, gelido. Immagino che oggi scopriremo se può funzionare.
In quel momento la donna bionda parlò. – Ti sei presentato a noi come Figlio di Lucifero. Se ciò che dici è vero, lui ti riconoscerà. Sai quello che devi fare. –
Mike prese un respiro e con un battito d’ali si avvicinò allo specchio fino a trovarselo di fronte. Tese una mano e fece aderire il palmo alla superficie d’argento, poi chiuse gli occhi.
L’aura nera che aveva intorno iniziò a inspessirsi, a espandersi. Mike corrugò la fronte, chiudendo gli occhi. La superficie d’argento si increspò impercettibilmente. Lui adesso aveva la fronte imperlata di sudore. Con un urlo, richiamò l’oscurità che aveva intorno fino a farla convergere nello specchio. L’aria per un secondo prese letteralmente fuoco, fiamme nere che poi salirono verso l’alto fino a formare una figura sospesa sopra lo specchio.
La figura di Lucifero.
-
Io rimasi immobile, fissandolo. Non sapevo né cosa dire né cosa fare. Tutti gli altri, invece, si mossero. Qualcuno si avvicinò, qualcuno urlò, qualcuno si allontanò, qualcuno aprì le ali per spiccare il volo verso di noi e fu rimandato giù dalle guardie.
Lucifero era impassibile. Nel fuoco nero di cui era fatto scintillavano due fiammelle rosso sangue, i suoi occhi. Li puntò dritti su di me per un secondo mentre un brivido mi percorreva la schiena, poi si girò verso la donna bionda.
Io farò quello che devo fare. mormorò la voce di lui nella mia testa. E tu?
E’ morire quello che devo fare? ribattei.
Sentii la sua risata, flebile, quasi impercettibile persino nei miei pensieri. Poi Lucifero si rivolse alla donna: - Perché mi hai chiamato, consigliera? – chiese. Le sue parole risuonarono nell’aria di nuovo immobile, scuotendo tutti. Nessuno osò emettere un suono, ma la tensione era tale che sentivo il cuore sul punto di esplodere. – E’ lunga e dolorosa la strada dall’Inferno. –
La donna era pallida come un cencio, per quel poco di pelle che si riusciva a intravedere sotto le squame che le ricoprivano il corpo. Chinò la testa in un inchino. – Mio signore, io... –
- Parla. – disse Lucifero. – Non ho tempo da sprecare. Lo specchio non manterrà il collegamento per sempre. Se vuoi qualcosa da me, chiedilo adesso. –
Lei deglutì, ma non disse niente. Di nuovo sentii la risata di Lucifero nella testa. Una vigliacca, una vigliacca assetata di potere e terrorizzata. Ridicola, così ridicola...
- Vogliono la tua conferma. – disse Mike, intromettendosi. Era immobile, a testa alta, sembrava freddo come il ghiaccio. Esattamente come era giusto che fosse in quel momento. Vedendolo così sicuro di sé nessuno avrebbe potuto pensare che quello che aveva detto di se stesso non fosse la verità. Nessun altro aveva guardato Lucifero negli occhi fino a quel momento. – La tua conferma del fatto che io sia tuo figlio. –
Potrei dire di no. osservò Lucifero, divertito. Sareste morti in meno di un secondo, lo sai?
E tu saresti di nuovo là a bruciare in ancora meno tempo. ribattei.
Come se non fosse la tua intenzione dall’inizio lasciarmi lì.
Sentii il panico farsi strada nel petto. Quindi sapeva. E adesso cosa...
La parola di una ragazzina, ecco cosa ho. disse lui, mentre apriva la bocca per parlare. La parola di una ragazzina in cambio del mio appoggio. Non sarebbe saggio farlo.
Ma tu potresti farlo e basta.
Un secondo. Un battito di cuore carico di panico.
E poi arrivò la risposta.
- Sì. –
-
Emisi un sospiro di sollievo soffocato. Perché? chiesi.
Per lui. sibilò Lucifero. Non per te.
- E’ mio figlio. – continuò, la voce ferma, salda. – E’ mio figlio e come tale mio portavoce in questo mondo. Avete qualcosa in contrario, consiglieri? – chiese, quasi con divertimento nella voce.
Tutti scossero la testa. La donna bionda balbettò: - No, mio signore... –
- Bene. – rispose Lucifero. Poi lanciò un’occhiata allo specchio, che si stava arrossando come se fosse diventato rovente. – Il mio tempo qui è scaduto. –
E poi se ne andò. Le fiamme furono riassorbite dallo specchio, l’aria sembrò quasi contrarsi per un secondo. Nella strada esplose il caos, e nella mia testa la sua voce. Ho ancora qualche minuto. Dobbiamo parlare, e subito

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Capitolo 30
*** Il bacio del fuoco ***


IL BACIO DEL FUOCO
Che cosa... iniziai, ma lui mi interruppe.
Tu mi libererai oppure no? Sembrava quasi che stesse ringhiando.
Non posso farlo. Morirò nel lago. dissi, sentendo la paura che tornava. Non avevo nessuna possibilità di sopravvivere.
Tu non morirai nel lago. Morirai solo per mano tua se deciderai di non rispettare il Giuramento. disse Lucifero.
Non c’entra niente il fatto che io sia Eva. E’ fuoco, dannazione! Morirò comunque! La voce dei miei pensieri era diventata praticamente un grido isterico.
Lucifero scoppiò a ridere. Pensi davvero di poter insegnare qualcosa a me, Eva? chiese. Conosco questo mondo molto meglio di quanto tu conosca il palmo della tua mano.
Ma...
Mi interruppe di nuovo: E’ vero, è fuoco. E il fuoco può uccidere chi non è fatto a sua volta di fiamme.
Io non sono fatta di fuoco.
No, ma quello dell’Inferno è dentro di te.
Io non capivo. Ma che...
Il fuoco ti ha baciata, Eva. disse Lucifero. Il fuoco era sulle labbra della persona che era venuto a prendere all’albero. E tu hai ricevuto il suo bacio. Il bacio del fuoco.
Rimasi paralizzata quando capii di cosa stava parlando. Jo. Jo che, mentre bruciava, mi aveva baciata. Mi salirono le lacrime agli occhi e mi dovetti sforzare per ricacciarle giù. E’... è vero? chiesi.
Dipende se ti fidi o no di me. E’ questo che siamo costretti a fare, tra di noi, a quanto pare. Un atto di fede. Sei disposta a farlo oppure no?
Detto questo, Lucifero svanì.
-
Restai immobile per qualche secondo, quelli che mi servirono per tornare alla realtà. La folla sotto di noi era ancora agitata, anche se iniziava a calmarsi. Incrociai lo sguardo di Mike, e mi resi conto che lui si era accorto che era successo. Alla sua espressione interrogativa risposi scrollando le spalle. Le parole di Lucifero mi risuonavano ancora in testa.
Il fuoco ti ha baciata, Eva.
In quel momento, la voce della donna bionda interruppe i miei pensieri. – Abbiamo avuto la conferma che volevamo. – disse, rivolta a Mike. La sua voce sarebbe potuta sembrare quasi felice, ma la sua espressione... Aveva gli occhi che bruciavano di rabbia. E anche di consapevolezza che, comunque, avrebbe vinto lei.
- Adesso non ci resta che andare al lago di Waterfire. – disse, e sulle sue labbra iniziò a delinearsi un sorriso. – Tu, Eva, accetti di provare la tua vera natura tuffandoti nel lago. –
Avevo lo stomaco attorcigliato. “Un atto di fede.”
Vidi la rabbia balenare sul viso di Mike. Fermo. lo bloccai.
Un atto di fede.
- D’accordo. –
-
Ma sei pazza? Eva, non puoi farlo! Eva, morirai se lo fai! Eva! Eva, ASCOLTAMI!
La voce di Mike mi rimbombava in testa da quando eravamo partiti per andare verso il lago. Quasi tutte le persone che avevano visto l’evocazione di Lucifero ci avevano seguiti.
Io guardai Mike. Stai calmo. dissi, evitando i suoi occhi.
Calmo? L’aria attorno a noi si stava pericolosamente scaldando.
Presi un respiro. Sì. Calmo. Mike, ti prego, devi fidarti di me.
Eva, è un suicidio!
No, non lo è. Avrei potuto semplicemente spiegargli perché, ma anche solo pensarci mi faceva stare male. Jo. Dannazione. Quanto mi mancava...
Lui mi guardò. Sembrava che avesse intuito qualcosa. Non ti fare del male. pensò.
“Sì, lo spero anch’io.”
-
Arrivammo al lago che era pomeriggio inoltrato. Io avevo i dorsali doloranti a forza di sbattere le ali, ma quasi non ci feci caso mentre atterravo sul bordo del cratere con il cuore in gola.
Un atto di fede.
Ci infilammo dentro uno per volta. Per prima passò la donna bionda, che atterrò sulla roccia sporgente dove eravamo arrivati io e Mike, poi tutti gli altri. Molti non riuscirono ad appoggiarsi da nessuna parte e rimasero in volo.
Io presi un respiro. Guardai Mike, poi la donna, che mi fissava con un sorriso.
E mi tuffai.
-
La caduta sembrò durare un’eternità. Per un secondo temetti – o forse sperai – che Mike mi avrebbe presa al volo impedendomi di finire in acqua. Non successe.
Quando toccai la superficie chiusi gli occhi, aspettandomi dolore, qualcosa, insomma. Invece percepii solo un lieve pizzicore sulla pelle mentre scivolavo lentamente giù, sempre più giù.
Mi feci coraggio e aprii gli occhi. L’acqua era così luminosa e limpida che riuscivo a vedere tutto, e così pulita che gli occhi non mi facevano male neanche un po’. Sentii che mi mancava l’aria, perciò feci una bracciata per spingermi verso l’alto e tirai la testa fuori dall’acqua, inspirando.
Mi accolse una vera e propria ovazione, che rimbombò sulle pareti della grotta così tanto da farmi credere che sarebbe crollato tutto.
Vidi Mike che mi fissava a bocca aperta. Gli sorrisi, e lui sorrise a me.
Poi aprii le ali e spiccai il volo. Atterrai sullo sperone roccioso, di fronte alla donna bionda. Mi scostai un ciuffo di capelli bagnati dal viso. – E’ una prova sufficiente per te? – domandai, quasi con aria di sfida. Per quello che mi riguardava, aveva già rotto troppo le scatole.
Lei mi fissò, livida di rabbia, ma non poteva dire niente, e lo sapevamo entrambe.
- Ah, e per dimostrare che non c’è nessuno trucco... –
Le presi la mano, e un rivolo d’acqua luccicante le scivolò sul polso. Lei urlò di dolore, scuotendo la mano e passandosela sul vestito per asciugarla. Mi rivolse un’altra occhiata piena di rabbia.
- Avete dimostrato a noi la verità, e la decisione è presa. Tenteremo una pace con gli angeli. –
Non mi piacque affatto quel “tenteremo”, però.
Era molto più un: “ci proveremo, ma non funzionerà mai.”

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Capitolo 31
*** Ardefiel ***


ARDEFIEL
La sala era grande, enorme. Il soffitto era a più di sei metri da terra e la stanza era lunga almeno venti metri e larga dieci. Io feci qualche passo, che risuonò sul pavimento di marmo di un nero lucido e cupo. Il soffitto, invece, era sempre di marmo, ma bianchissimo. Le pareti erano dipinte in modo da sfumare dal nero al bianco man mano che salivano.
Tutto era vuoto. Non c’era un mobile nella stanza, assolutamente niente di niente tranne la porta da cui ero entrata e una perfettamente identica al lato opposto della stanza.
E i quadri sopra le porte.
Le cornici erano entrambe molto grandi, della stessa identica dimensione. Ed entrambe erano coperte da un drappo di seta grigia, che impediva di vedere i dipinti.
Io mi avvicinai lentamente a quello di fronte a me, lasciandomi l’altro alle spalle. Lo guardai. Era troppo alto perché riuscissi a tirare via il drappo, eppure ero curiosissima. Perché nessuno mi aveva mai voluto dire cosa rappresentavano i quadri? E perché erano sempre tenuti coperti? Sarei dovuta venire con una scala, prima o poi. Detestavo tutte le cose che mi tenevano nascoste.
E poi successe. All’improvviso, senza che io facessi nulla. Il drappo di seta oscillò anche se non c’era vento – e da dove sarebbe potuto arrivare del vento, poi? – e cadde a terra.
Io per un secondo restai a guardare il dipinto. Sembrava un ritratto. Rappresentava un uomo piuttosto giovane con i capelli neri e arruffati, l’espressione perfettamente calma con una scintilla di quello che sembrava divertimento nello sguardo dello stesso colore dei suoi capelli. Aveva la pelle pallida, la mascella squadrata e una corporatura muscolosa. Era a torso nudo, seduto su quella che sembrava una roccia di granito grigio in mezzo a una distesa desertica. Il cielo era nuvoloso, così scuro che all’inizio non vidi le ali dell’angelo.
Erano nere, nere come l’inchiostro, nere come i suoi occhi che sembravano fissarmi. Il mio cuore accelerò. Quell’uomo mi spaventava. Non sapevo perché, ma una strana inquietudine mi stava salendo dallo stomaco al petto.
All’improvviso sentii un rumore, una specie di fruscio che proveniva da dietro di me. Mi girai.
Anche il drappo di seta che copriva l’altro quadro era caduto, e adesso riuscivo a vedere cosa c’era dipinto sopra.
Era anche quello un uomo. Capelli castani abbastanza corti, viso dai lineamenti duri, quasi spigolosi, eppure anche lui era bellissimo.
Ma c’era qualcosa che non andava, in lui. All’inizio non capii neanche cosa fosse, poi fissai i miei occhi in quelli dipinti sulla tela e me ne resi conto.
Una cicatrice bianca gli attraversava il lato sinistro del viso, tagliando da parte a parte l’occhio e continuando fino alla guancia.
Io rimasi paralizzata, il petto serrato in quella che sembrava una morsa d’acciaio. Chi erano quegli uomini? Perché i loro ritratti erano lì? Perché avevano riservato una stanza del genere a due ritratti e perché mi avevano sempre impedito di entrarci?
Poi, all’improvviso, successe qualcosa. Un rumore scosse l’aria, quasi impercettibile. Eppure l’avevo sentito.
E l’avevo sentito, capii mentre quello si intensificava sempre di più, perché era nella mia testa. Era una specie di sussurro, un sibilo freddo, anzi, due sibili freddi. Sibili sempre più assordanti.
Mi tappai le orecchie con le mani, ma era inutile. Crollai in ginocchio, urlando. I quadri presero fuoco. Quello dell’angelo con le ali nere fu sommerso da fiamme candide, l’altro dal fuoco nero che avevo evocato solo pochi giorni prima per la prima volta giocando con Jo. Entrambi i quadri bruciarono, riducendosi in cenere man mano che il fuoco li consumava.
E poi aprii gli occhi.
-
Mi svegliai con il cuore in gola, restando sdraiata immobile sul letto. Chiusi gli occhi di nuovo. Sogno o ricordo? Ricordo, decisi, dopo averci pensato qualche secondo. Sì, era successo davvero. Ma... ma che cavolo significava? Che senso avrebbe avuto costruire una stanza del genere?
Provai a concentrarmi, frugando nella mia testa. Era un po’ come cercare qualcosa in una stanza ordinatissima aprendo però i cassetti a caso perché non si sapeva quale contenesse cosa.
Prima che riuscissi ad arrivarci sentii un mugolio accanto a me. Alzai la testa. Ci avevano dato una stanza per dormire, e Marghe e il Portavoce ci avevano raggiunti la sera prima. Le persone li avevano guardati chi con odio e chi con timore, ma nessuno aveva fatto niente. Marghe era stata a disagio per tutto il tempo e sembrava esserlo ancora, mentre dormiva stravaccata su una poltrona. Il Portavoce non c’era, e Mike era sdraiato accanto a me.
Mi passò una mano tra i capelli. – Come stai? –
- Beh, come può stare una che sa che sta rischiando di distruggere un popolo intero, direi. – mormorai.
Ridacchiò. – Come siamo ottimisti. –
- Non serve a un cazzo essere ottimisti. – sbottai.
- No, probabilmente no. Però quando sei ottimista sorridi. E a me piace vederti sorridere. – Sorrise e mi diede un bacio.
Anche io sorrisi.
- Ecco, così va meglio. – disse Mike, mettendosi seduto. – Pronta a cominciare? –
- Mh-mh. – mormorai. Avevamo una riunione tra... Guardai la sveglia. Sì, avevamo una riunione tra circa un’ora per decidere cosa fare esattamente. E la verità era che io non ne avevo idea. L’unica cosa che ero riuscita a fare la sera prima era stata pensare che, se avessi rivisto la madre di Jo, avrei dovuto dirle che suo figlio era morto per colpa mia. E l’idea era bastata a togliermi qualsiasi capacità di riflettere. Non il sonno, però, purtroppo. E con il sonno erano arrivati altri dubbi.
- Mike... –
- Dimmi. –
- Senti, stanotte... ho sognato una cosa. Ed era un ricordo. Sì, insomma... ero in una stanza enorme completamente vuota, c’erano solo due quadri appesi a pareti opposte. Erano coperti. E poi a un certo punto i teli che il coprivano si sono staccati. Su uno dei due quadri c’era Lucifero. Sull’altro... c’era un uomo. –
Mike mi fissò mentre il suo sguardo si incupiva leggermente. – Aveva una cicatrice, vero? – chiese. – L’uomo. Aveva una cicatrice sul viso? –
Annuii. – Chi era? –
- Lui... –
Fu in quel momento che ci arrivai. E il ricordo tornò, incredibilmente vivido. Era come se ce l’avessi marchiato a fuoco nella testa. – Lui era... Dio. –
-
Marghe si svegliò mentre Mike era fuori a cercare il Portavoce e qualcosa da mangiare per colazione. Io ero ancora seduta sul letto, in pigiama, e ripensavo a quello che avevo scoperto. Quindi, ecco qual era il volto del famoso “re”. E, adesso che lo sapevo, sapevo anche la storia. La storia di quella cicatrice che gli attraversava il viso perfetto.
Era stato Lucifero. Lucifero con un colpo di spada, un attimo prima di precipitare all’Inferno. E io continuavo a vedere quegli occhi gelidi che mi accusavano, terribili e bellissimi.
Marghe sbadigliò, aprendo gli occhi, e io fui grata al fatto che si fosse svegliata. Almeno parlando con lei magari sarei riuscita a calmarmi. – Buongiorno. – dissi, sforzandomi di sorridere.
- Buongiawno. – sbadigliò. Poi si mise seduta e sbuffò. – Cazzo. – borbottò, massaggiandosi il collo. – Io lo sapevo che non dovevo dormire sulla poltrona. –
Ridacchiai. – C’era un letto. –
- Sì, lo so, ma sembrava comoda! Poltrona traditrice. – si alzò e si stiracchiò. – E la tua nottata come è stata? – chiese, con aria cospiratoria.
Ridacchiai, e non dovetti neanche sforzarmi per farlo. – Beh, bella. Però devo dire che quella di ieri è stata molto, molto meglio. –
Marghe rimase di sasso. – Tu... cioè... voi... –
- Eh già. – risposi, cercando di mettere ironia nella voce, ma in realtà non avevo idea di come avrebbe reagito.
Lei esplose. – Ma è fantastico! – esclamò. – Cioè, hai fatto sesso con il figlio di Lucifero, Lucifero è l’angelo più figo di questa terra, il che significa che hai fatto sesso con l’essere umano più figo di questa terra! –
Io rimasi paralizzata. – Non sei... schifata o roba del genere? –
Scrollò le spalle. – Nah. Devo ammettere che un paio di volte ci ho fatto un pensierino anch’io, su di lui. Cavolo, ma l’hai visto? Chiunque pagherebbe oro per andarci a letto. –
- Ehi, vacci piano. Quello è il mio ragazzo. – risi. Subito dopo, però, sentii una sferzata di senso di colpa in gola. Jo. Di nuovo Jo. Battei le palpebre.
- Ev... – disse Marghe. Io mi resi conto che, per la prima volta da quando avevo scoperto la verità, mi aveva chiamata con il mio vecchio soprannome. Stranamente, questo mi fece sentire bene. Per un attimo io non ero più io, la Eva che avrebbe potuto aprire l’Inferno. Ero solo la ragazza di diciannove anni con uno strano nomignolo. – Senti, non è stata colpa tua. Non lo sapevi. E poi... lui sarebbe felice di saperti felice. –
- Lui odia Mike. – dissi.
Marghe fece un’espressione strana. Solo qualche secondo dopo capii che era perché avevo parlato di Jo al presente. – Marghe... –
- Dimmi. –
- Io l’ho visto. Jo. All’Inferno. –
Lei mi fissò, stupita. – Cosa? –
- Il giorno dopo che è... che è... – Le parole mi si bloccarono in gola. Deglutii per mandarle giù come una pillola amara. – Il giorno dopo che è morto. Luicifero me l’ha fatto vedere. Adesso Jo sta... praticamente dormendo. Non ho capito bene. E’ come se fosse... sospeso. Lucifero ha detto che è l’unico modo per fare sì che non senta dolore per colpa della mela. –
Marghe sospirò. – Ehm... ok. Penso. Cioè... potrebbe andare peggio. – Mi guardò. – Sarà così per sempre? –
- Beh, io penso... penso di sì. –
Ci fu qualche secondo di silenzio. – Almeno non se ne accorgerà. – mormorò lei, alla fine.
In quel momento, la porta si aprì ed entro Mike con un vassoio in mano. – Su, sbrigatevi a mangiare, dobbiamo essere lì tra mezz’ora. Hanno anticipato la riunione. –
- Il Portavoce? –
- E’ sul tetto. Dice che gli piacciono i posti alti. –
In effetti, vista la fantastica terrazza di casa sua, non era così difficile capirlo. Afferrai dal vassoio un cornetto alla marmellata ancora caldo. Cavolo, se profumava. Magari in quel posto erano dei grossissimi stronzi, ma almeno avevano dei cuochi bravi.
Mentre mi vestivo e mi lavavo i denti, pensai a cosa dire. Non mi venne in mente niente. Quando varcai la soglia della stanza per dirigermi verso la sala del Consiglio, sospirai.
Si prospettava una giornata di quelle difficili da dimenticare.
-
Guardai l’orologio. Le sei di sera. Sì, ok, neanche nei miei incubi peggiori le cose erano andate così a rilento. Praticamente per ogni parla che veniva detta c’era qualcuno che contestava. Tanto per dirlo con un francesismo, mi stavano cascando le palle. E se si contava che non avevo nemmeno le palle si capiva che eravamo proprio messi male.
Sam aveva cercato di calmare gli animi, ma erano tutti agitatissimi. La donna bionda – avevo scoperto solo qualche ora prima che si chiamava Anthea, e mi sembrava perfetto per lei, visto che era così antico e insopportabilmente regale – continuava a contestare tutto quello che dicevo.
Jonathan sospirava regolarmente ogni minuto, avevo contato i secondi. Marghe si tormentava il labbro mordicchiandoselo. Il Portavoce sembrava l’unico perfettamente calmo. Fissava le persone nella sala, lo sguardo assorto immobile. Mi chiesi a cosa stesse pensando. A quanto fossimo patetici, probabilmente.
- Non possiamo fare una cosa del genere! – esclamò Anthea per l’ennesima volta. – E’ troppo pericoloso! Mandare una spedizione dei nostri equivarrebbe a mandarli tutti a morte! –
- E allora mandiamo lei. – propose Sam, indicando Marghe con un cenno del mento.
- E come facciamo a fidarci? – sibilò la donna.
- Io credo che... – mi intromisi, ma in quel momento una voce mi interruppe.
- Signori... –
Stavo per girarmi e ringhiare contro chiunque avesse parlato interrompendomi più o meno per la milionesima volta, ma mi bloccai. Da qualche parte nella sala provenne un sibilo soffocato, mentre tutti si allontanavano dal tavolo di scatto mentre vedevano quello che stavano vedendo io.
Il Portavoce era ancora seduto, ma adesso i suoi occhi erano puntati su di me. Ed erano... non argentati, anche se quello era un colore che ci assomigliava molto. Sembravano... due lune piene. A parte quello, il Portavoce non era cambiato affatto. Lui sollevò lo sguardo, fissando tutti i presenti uno per uno. Sentii Marghe che mi prendeva la mano. Io la fissai, e la vidi mormorare piano una parola che inizialmente non capii, ma che subito dopo ricordai. Era un nome. Il nome della persona... dell’angelo che avevamo davanti.
- Ardefiel... –
Il Portavoce sorrise. – Vedo che mi hai riconosciuto, figlia del cielo. Pensavo che ormai al mondo non fossero più in molti a conoscermi. –
Marghe abbassò la testa. – Noi ti... Mio signore, noi... – Sembrava che non sapesse cosa dire, esattamente come i Caduti davanti a Lucifero.
- Non voglio convenevoli. Sono irrazionali, soprattutto in un momento del genere. E, se sai davvero chi sono, sai anche perché sono qui, ragazza. –
Lei deglutì. – Tu... sei qui per... – Si guardò intorno. Sembrava che sapesse la risposta ma esitasse a dirla.
Io ci riflettei. Ardefiel era un angelo, l’angelo della razionalità e della logica. E c’era un solo motivo per cui poteva essere lì. – Tu... sei qui perché pensi che questo sia perfettamente giusto... o completamente sbagliato. – mi uscì.
L’angelo annuì piano. – La tua prima ipotesi è quella corretta, Eva. Anche se è stato molto razionale da parte tua osservare anche la possibilità opposta. Sembra che tu abbia un talento naturale per gli opposti. – Mi trafisse con lo sguardo, ma non sembrava arrabbiato. Poi Ardefiel si rivolse ai Consiglieri. – Signori. – disse. – Chiedo perdono per un arrivo così improvviso e mi rendo conto che la mia presenza qui non è gradita, ma è purtroppo necessaria. Io ho intenzione di sostenere la vostra causa, e mi rendo conto che con il mio aiuto le cose potrebbero essere più semplici. Concordate con me? –
- Tu... vorresti tradire il tuo re? – chiese Jonathan. Aveva gli occhi fuori dalle orbite, e sembrava sconvolto.
- Il mio re sembra aver abbandonato ogni barlume di razionalità, e senza di essa è impossibile creare un mondo pacifico. Sosterrò la vostra causa perché a mio parere è la scelta migliore e farò il possibile per aiutarvi, ma almeno per ora per ovvie ragioni non potrò essere materialmente tra voi. Come sapete, il Paradiso è chiuso. Niente entra, niente esce. –
Sam annuì lentamente. I suoi occhi erano attenti, ma non ostili. – E che cosa proponi, angelo? – domandò.
Ardefiel lo guardò. – Propongo di accompagnarvi nella città di quelli che si fanno chiamare Angeli. Lì parlerò con chi vorrà ascoltarmi. Propongo che sia Eva a venire con me, insieme a uno di voi. In caso di estrema necessità, se saremo in pochi avrò la possibilità di difendere chi sarà con me. Pensate di poter accettare questo compromesso, signori? –
Ci fu qualche secondo di silenzio, un silenzio affermativo.
Ardefiel sorrise, alzandosi. – Allora mettiamoci a lavoro. –


Ed ecco che arriva un aiuto inaspettato... Per chi se lo stesse chiedendo, Ardefiel esiste davvero (almeno per chi ci crede) ed è uno dei 28 angeli del ciclo lunare, l'angelo della razionalità e della logica. 

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Capitolo 32
*** Giustizia mosse il mio alto fattore ***


GIUSTIZIA MOSSE IL MIO ALTO FATTORE
- No! E’ fuori discussione! Io vengo con voi, punto! –
Ardefiel sospirò. – Senti, io capisco che possa essere... –
- E’ troppo pericoloso. Io... – Mike mi guardò. Sembrava che stesse cercando di calmarsi, ma aveva le vene del collo ingrossate e i muscoli tesi. Sperai che non perdesse la testa. Era l’ultima cosa che sarebbe servita adesso.
- Micheal... – iniziò l’angelo, la voce calma, quasi comprensiva.
- Mike. – lo corresse lui quasi automaticamente.
- Mike. – Ardefiel gli appoggiò una mano sulla spalla. – Capisco che tu sia preoccupato. E capisco che possa darti fastidio l’idea di essere tagliato fuori in un momento del genere. Ma ti devi rendere conto che la reazione della gente se sapesse chi sei... Mike, non sono stupidi. Per entrare nel palazzo dovremmo passare dalla Porta. E se tu attraverserai quella soglia sarà subito chiaro chi sei. La gente potrebbe sentirsi minacciata. Dobbiamo procedere con cautela. –
Lui annuì piano. – Lo so che hai ragione, cazzo. Non è questo il problema. – Detto questo si girò e uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Ardefiel sospirò di nuovo mormorando qualcosa tra sé.
- Che hai detto? – chiesi.
- Che è così dannatamente uguale a suo padre. – rispose. Aveva gli occhi del colore della luna puntati sul sole che stava tramontando fuori dalla finestra. Era difficile esserne certi, ma sembravano quasi malinconici.
- Ed è... un bene o un male? –
- Non lo so. Un dato di fatto, credo. Se sia bene o male dipende dai punti di vista. –
Mi morsi il labbro. – Tu lo conoscevi bene? Lucifero, intendo. –
- Non... troppo bene, diciamo. Sicuramente sapevo benissimo che lui era... è un angelo molto superiore a me. Ha una forza incredibile, credimi. L’unico che sia mai riuscito a competere con Lucifero è stato... lui. –
Di nuovo “lui”. Tutti lo chiamavano così, oppure “il re”, o anche “Dio”, ma qual era il suo vero nome? Pensai di chiederlo, ma Ardefiel parlò prima che potessi aprire bocca. – Oltretutto non andavamo molto d’accordo. – aggiunse. – Io sono l’angelo della logica e della razionalità. Lucifero è... passione, furia, desiderio, felicità, pazzia. E’ tutto quello che va fuori dal controllo della mente elevato all’ennesima potenza. Non che sia stupido o che non sia capace di usare la testa, ovviamente no. E’ geniale. E... ha anche una specie di... sesto senso. Istinto. Sì, ecco, lui... va a istinto, e non sbaglia quasi mai quando lo fa. –
- E’ pericoloso? –
- Chiunque può essere pericoloso se vuole esserlo. –
- E lui vuole esserlo? –
Ardefiel sospirò. – Spero seriamente di no. Altrimenti siamo tutti morti. –
-
Presi un respiro. Era piena notte, e saremmo dovuti partire entro poco se volevamo arrivare dagli angeli in giornata. Ardefiel e Marghe erano ancora dentro a prepararsi, e io ero fuori ad aspettare con Sam. Alla fine avevamo deciso di comune accordo che sarebbe venuto lui come rappresentante dei caduti. Anche Mike era sembrato più tranquillo quando aveva saputo che avevamo scelto lui.
- Allora, eccoci qui. – mormorò lui, all’improvviso.
- Sì, a quanto pare sì. – mi uscì.
- Credevo che non sarebbe mai successo. – Sospirò, scrollando le spalle. – Forse è un bene. O la va o la spacca, ecco. O funziona o moriamo tutti. Potrà sembrare pericoloso, ma... le cose erano in stallo da troppo tempo. –
- E tu non hai mai pensato che potrebbe continuare lo stallo? –
- Prima o poi si tocca terra anche in stallo. – ribatté Sam. – Certo, ci vuole più tempo che con una picchiata, ma alla fine si muore lo stesso. –
- Credo di capire perché piaci a Mike. – osservai.
Lui ridacchiò.
In quel momento la porta si aprì. – Beh, direi che dovremmo andare. – mormorò Marghe, mordendosi il labbro.
Ardefiel neanche rispose. Spalancò le ali, enormi e di un bianco perlaceo che riluceva alla luce della luna, e spiccò il volo.
-
Marghe?
Sì?
Posso farti una domanda?
L’hai già fatta.
Alzai gli occhi al cielo.
Sì, insomma, chiedi. pensò lei, con un’aria tra il seccato e il divertito.
Come pensi che... andrà con la Porta?
Ci pensò su per un secondo. Beh, come al solito, immagino.
Anche con Ardefiel? Lui è... un angelo. Un angelo vero.
Sì, ok, forse impazzirà un pochino. Meglio così, no? Almeno sapranno di sicuro che lui è un angelo.
Sospirai. La Porta era all’ingresso dell’edificio principale, nella città. Passarci era l’assurdo e immancabile prezzo da pagare per entrare a parlare con i capi. Nessuno era entusiasta all’idea di dover passare dalla Porta. Io sicuramente non lo ero mai stata.
Credi che andrà tutto bene, Marghe?
Credo che se non va tutto bene appena muoio vado da quella testa di cazzo che sta lassù sul suo fottuto trono e gli sputo in faccia. Potrà essere chi gli pare, ma ha di molto rotto le palle.
-
Man mano che andavamo avanti l’espressione di Ardefiel si faceva sempre più cupa. Io lo guardai. Chissà cosa aveva, e chissà come stava adesso il Portavoce.
Tutto bene? domandai.
Annuì distrattamente, ma non rispose.
Io continuai a non capire fino a quando non mi resi conto di dove eravamo. O meglio, di dove saremmo arrivati entro poco.
Ci passeremo sopra. Vero? chiesi.
Ardefiel annuì di nuovo.
Ingoiai aria. Chissà cosa sarebbe successo. Chissà se Lucifero sapeva che cosa era successo. Ero quasi sicura di sì, e sentii una stretta allo stomaco. Quanto riusciva a vedere del mondo fuori dall’Inferno?
Passando sopra lo spiazzo vuoto tra gli alberi in un primo momento non successe nulla. Poi, all’improvviso, la notte sembrò inspessirsi. Sentii qualcosa che mi trascinava verso il basso. Provai a fare resistenza, ma riuscii solo a planare per evitare di schiantarmi al suolo.
Non appena anche gli altri ebbero toccato terra, sentii una voce.
- Tu.
Mi guardai intorno. Non vedevo nessuno, eppure ne ero sicura: quello era Lucifero.
- Io. – rispose Ardefiel. Aveva lo sguardo puntato verso il terreno arido e l’espressione cupa.
- Perché? –
Passò un interminabile secondo di silenzio, poi Lucifero parlò di nuovo: - Tu mi odi, Ardefiel. Lo so. Quindi... perché? –
- La mia avversione verso di te è un fatto personale, Lucifero. Non c’entra niente con quello che sta per succedere. –
Lui rise. – Perfettamente logico. Sarà così fino alla fine, vero? –
- Non vedo quale possa essere il problema. –
Lucifero rise di nuovo, poi sentii un altro rumore che sembrava un sospiro, oppure era semplicemente in vento. Un attimo dopo, lui sparì.
Guardai Ardefiel. E spiccammo il volo.
-
Riconobbi il posto da lontano, ricordi netti che emergevano dal mare confuso che avevo in testa. Campi coltivati, un bosco. In mezzo al bosco, bianca e terrificante esattamente come la ricordavo, c’era la chiesa. Guglie di marmo appuntite e sottili, pareti decorate da bassorilievi. Non c’era una superficie che fosse perfettamente piatta, e tutto sembrava una sorta di caos ordinato e agghiacciante.
Presi un respiro cercando di scacciare dalla mente l’immagine del cadavere e del sangue sul muro e mi concentrai sul volo. Il centro abitato si estendeva sotto di noi in quelli che sembravano cerchi concentrici. Nel centro, in mezzo a tutto, c’era una torre altissima di abbagliante marmo bianco. Era totalmente priva di finestre o di entrate di qualsiasi tipo, a parte un’apertura a forma di arco al livello del suolo, su un solo lato. L’arco era delimitato da una fascia dorata ricoperta di bassorilievi. Anzi, non dorata, d’oro, me lo ricordavo. Così come mi ricordavo che anche all’interno della torre c’era oro. Sì, era tutto completamente fatto d’oro. Per ricordare che, avendo ricchezza o potere, la vita diventava più difficile. Abitare nella torre era un onore enorme, ma si era costretti a vivere in stanze con sedie d’oro, letti d’oro, porte d’oro... Non c’era niente di morbido, nella torre, né di comodo.
Fu mentre ci pensavo che ci videro. Un gruppo di angeli dalle splendenti ali bianche puntò verso di noi. Ardefiel ci fece segno di fermarci e mi bloccai, continuando a sbattere le ali per restare a mezz’aria.
Non appena ci raggiunsero ci circondarono. Erano tutti serissimi, e armati fino ai denti.
- Chi siete? – chiese uno di loro.
Nessuno di noi rispose, e solo dopo qualche secondo capii che stavano aspettando una mia mossa. – Eva. –dissi. – Sono Eva. E sono qui per parlare con... – Mi bloccai mentre ripescavo il nome dell’uomo che mi aveva minacciata con la pistola all’ippodromo dalla memoria. Era lui il capo, o per lo meno lo era stato quando vivevo ancora lì. – ...Hansel Bell. –
Nell’attimo di silenzio che seguì, vidi le mani degli angeli che stringevano le armi contrarsi. Per un secondo pensai che mi avrebbero sparato, ma nessuno fece niente. Fissai negli occhi quello che aveva parlato. Sembrava arrabbiato, oppure spaventato. O entrambe.
Ardefiel si avvicinò a lui. – Portaci da lui. Subito. –
Gli occhi dell’altro ebbero un guizzo. – Chi sei tu per ordinarmi cosa... – La voce gli si spezzò. Lo vidi fissare lo sguardo del colore della luna di Ardefiel, completamente paralizzato. Poi chinò la testa. – Mio... mio signore, mi... mi dispiace, io... non avevo idea che... –
- Le tue scuse non sono desiderate né necessarie. – disse lui, con freddezza. – Adesso portaci da Hansel Bell. Subito. –
L’uomo ci guardò sottecchi, poi annuì, sempre a testa china. – Sì, mio signore. – mormorò. Si rivolse agli altri: - Scortate queste persone fino alla Porta mentre vado a chiedere un’udienza. –
Traduzione: “Teneteli sotto controllo e impedite loro di scappare mentre vado ad avvertire ai piani alti che c’è un possibile pericolo.” pensò Marghe, sbuffando.
Ridacchiai, e uno degli angeli mi lanciò un’occhiata truce.
Scendemmo lentamente circondati dalle guardie, Ardefiel davanti a tutti e io a fare da fanalino di coda. Non appena toccammo terra Marghe ritirò le ali e Sam tornò in forma umana, mentre io rimasi com’ero. Magari le ali di Lucifero avrebbero potuto spaventare qualcuno, ma era meglio avere una via di fuga pronta. E poi non mi dispiaceva affatto che la gente stesse alla larga: avevo già abbastanza tensione addosso così.
Passarono i minuti, silenziosi e interminabili. Fuori dal cerchio di angeli che avevamo attorno stava iniziando ad ammassarsi la folla. Io non sapevo cosa fare, ma sicuramente non li volevo intorno. C’erano troppe facce conosciute tra quelli che adesso mi guardavano con un misto di paura, odio e curiosità.
Ardefiel era calmissimo. Aspettava, in piedi con le mani lungo i fianchi e le ali ripiegate sulla schiena ma ancora ben visibili.
All’improvviso sentii dei passi e dalla torre uscì qualcuno. Nell’esatto istante in cui l’uomo passava attraverso l’apertura, il varco si illuminò di fuoco bianco. Nel fuoco c’erano delle immagini, ma lui passò troppo velocemente perché riuscissi a vederle. Non appena lui fu fuori, il fuoco scomparve.
Mi ritrovai davanti a lui. Era più vecchio di quanto ricordassi, anche perché la sera dell’attacco non l’avevo visto bene, ma non per questo sembrava più calmo o meno... non crudele, mi sembrava stupido definire una persona crudele, anche se ero sicura che fosse quella la mia definizione di lui quando ero piccola. Però quello sguardo così freddo faceva paura, terribilmente paura.
Hansel non guardò né Ardefiel né gli altri, soltanto me. Sollevò un sopracciglio. – Con quale coraggio ti presenti qui, traditrice? –
Io risposi allo sguardo. – Non per farmi offendere da te, assassino. – mi uscì, prima che potessi pensare.
Calò il gelo. Sentii la gente bisbigliare, le armi puntarsi contro di noi. E poi Ardefiel fece un passo. – Sì, direi che non siamo qui per litigare. – disse, la voce perfettamente calma.
Hansel lo guardò. I suoi occhi erano pieni di rabbia, ma anche di paura. – Allora perché siete qui? – chiese, senza incrociare lo sguardo di Ardefiel. Mi chiesi se per lui fosse più importante il rispetto nei confronti di un angelo o l’odio verso di me.
- Non credo che questo sia il posto giusto per parlarne, ma ti informo fin da subito che non abbiamo cattive intenzioni. – disse Ardefiel.
Lui rimase in silenzio per quelle che sembrarono ore prima di rispondere: - Allora dimostratelo. –
Io sentii una stretta allo stomaco. La Porta. Dovevamo passare dalla Porta.
Vidi che Sam mi stava guardando con aria interrogativa, e anche Hansel lo notò. – Questa porta è stata messa qui da una mano divina. – disse. – Ed è all’ingresso del centro del potere angelico su Elgrandir così che chi vuole entrare sia prima sottoposto al giudizio della propria anima, e venga fatto accedere alla torre solo con buone intenzioni e animo puro. Dovrete stare sulla soglia fino a quando non avrò giudicato che le vostre intenzioni sono buone. –
Io presi un respiro. Qualcosa mi diceva che Hansel avrebbe voluto che andassi per prima. Ma, prima che potessi fare un passo, Marghe mi precedette. Si diresse a passo deciso verso la soglia e si fermò esattamente sotto la Porta.
Attorno a lei divampò un’enorme fiamma bianca, e poi tra le fiamme sorsero le immagini. Vidi un prato, una casa. Vidi un portale. Una mano che stringeva un’altra mano. Tante immagini, ma nessun nesso tra di loro. Ma non era quello il punto, e lo sapevo. Concentrandomi un po’ avrei potuto vedere davvero l’anima di Marghe. Leggere i suoi pensieri, sentire le sue emozioni. Era una cosa che avrebbe potuto fare chiunque, volendo, in quel momento. Passare sotto la Porta significava mettersi completamente a nudo davanti a chi volesse guardare.
E io non volevo guardare. In qualche modo, adesso mi fidavo di nuovo davvero di lei. Entrarle in testa a tradimento così mi sembrava orribile.
A un cenno di Hansel, Marghe si spostò e le fiamme sparirono. Sam prese un respiro, nervoso, poi anche lui passò sotto la soglia.
Questa volta in fuoco divampò nerissimo, sembrava quasi capace di assorbire la luce intorno.
Le immagini di Sam erano di più, e diverse. Non riuscii a metterne a fuoco molte, comunque. Vidi una corsa su una discesa, il palazzo di vetro del Consiglio. E poi vidi Mike. Un ragazzino sui dieci anni seduto su un muretto con lo sguardo nero fisso davanti a sé. Non riuscii a evitarmi di sentire la malinconia di Sam nel pensare a quel ricordo. Mike, che si era sempre sentito solo, diverso. Mike, a cui a quanto pareva Sam aveva sempre voluto bene.
Hansel lo costrinse a restare lì sotto molto più di Marghe, ma alla fine lo fece scostare. E fu il turno di Ardefiel.
Le fiamme che gli comparvero attorno erano così luminose che fui costretta a distogliere lo sguardo. Quello che vidi fu un turbine di immagini di cielo, luce, sangue. Piume bianche sporche di rosso, spade. Una radura silenziosa. E poi altre, migliaia di altre.
Quando Ardefiel uscì da sotto l’arco, Hansel chinò la testa per un secondo. Sembrava che adesso fosse molto più rispettoso nei suoi confronti. In effetti, un angelo gli aveva permesso di guardargli l’anima.
E poi fu il mio turno.
Il fuoco mi avvolse subito, nastri di fiamme bianche e nere che si intrecciavano. Io mi limitai a guardarmi intorno per cercare di non pensare al fatto che tutti potessero leggermi nel pensiero.
Vidi varie immagini. Jo e Marghe da bambini, la distesa desolata della Caduta, una grotta buia, la vecchia stanza, il bosco, la chiesa. Vidi il viso di Mike. Vidi Jo in fiamme, il nostro bacio.
E poi, come il tintinnio di un ago nel silenzio, vidi una mela morsa che rotolava lentamente su un prato.
Hansel si paralizzò, fissandomi. Aveva la bocca semiaperta, lo sguardo sconvolto.
Per un secondo qualcosa mi distrasse. Un’immagine vaga, lontana. Del sangue per terra, dei simboli. E un pensiero, anzi, l’ombra di un pensiero. Cercai di afferrarlo, ma poi Hansel urlò.
In meno di un attimo tutte le armi si puntarono su di me. Sentii un dolore lancinante alla gamba, e poi diventò tutto nero.

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Capitolo 33
*** Il Peccato Originale ***


IL PECCATO ORIGINALE
Stavo precipitando.
Cadevo, cadevo e cadevo, persa in mezzo a un buio così assoluto che non riuscivo a vedere nulla neanche usando i miei poteri. Forse perché non c’era niente da vedere, forse perché stavo cadendo semplicemente nel vuoto.
Il dolore alla gamba era scomparso. Al suo posto c’era un gelo assoluto che mi pervadeva completamente.
Cercai di capire cosa stesse succedendo. All’improvviso fui presa dal panico. E se quella caduta fosse continuata all’infinito? E se...
All’improvviso mi fermai. Riuscii a rendermene conto solo per via del contraccolpo, visto che non vedevo assolutamente niente. Doveva essere stata una botta piuttosto forte, eppure di nuovo non provai dolore. Solo gelo.
Provai ad alzarmi, ma ero come paralizzata. In realtà, non mi sentivo più né le braccia né le gambe. Inizia a chiedermi se avessi ancora un corpo oppure no.
E poi, all’improvviso, vidi comparire qualcosa. Una luce così forte che mi avrebbe fatto male agli occhi se avessi potuto sentire dolore. Dopo qualche secondo mi resi conto che le luci erano due, una bianchissima e una rosso arancio.
- Eva... –
Guardai meglio la luce aranciata, sconvolta. Ma quella era la voce di...
Il viso di Jo apparve in mezzo alla fiamma che lo avvolgeva. Aveva l’aria stravolta, era scosso dai tremiti, aveva gli occhi fuori dalle orbite e la fronte corrugata imperlata di sudore, ma era sveglio. Era sveglio.
Gli gettai le braccia al collo e solo un secondo dopo mi resi conto di aver ritrovato il mio corpo. Mi ritrovai a piangere. – Jo... – balbettai. – Jo, io... Mi dispiace... –
- Eva. – Aveva la voce roca e la sua mano tremò ancora di più quando mi allontanò da sé. – Non abbiamo molto tempo. Io non ho molto tempo. Lucifero mi ha svegliato perché avevi bisogno di me, ma non riuscirò a tenere tutto sotto controllo per molto. – Prese un respiro lento, controllato. Una lacrima di dolore gli scivolò sulla guancia. Io per un secondo mi ritrovai a implorare mentalmente Lucifero di farlo addormentare di nuovo, nonostante fino a poco prima avessi detestato quella situazione di immobilità eterna in cui si sarebbe ritrovato il mio migliore amico. Non riuscivo a sopportare di vederlo soffrire in quel modo.
Jo mi sfiorò il viso. – Andrà tutto bene. Avrò tutto il tempo del mondo per dormire. – C’era un’ironia disperata nella sua voce. Mi ritrovai a piangere ancora più forte.
- Che... che è successo? – mi uscì.
Questa volta mi rispose una voce proveniente dalla luce bianca. Guardandola, riuscii a riconoscere i contorni di un viso, ma non l’avrei mai riconosciuto se non fosse stato per gli occhi del colore della luna. – Io... –
- Ardefiel? – chiesi.
Lui annuì. Il viso bellissimo era deformato dal dolore, un dolore diverso da quello di Jo, meno fisico. – Eva... – sussurrò. – Mi dispiace. Non sono riuscito a proteggerti. –
Io lo guardai senza capire. – Che... –
- Eva, sei morta. –
Quelle parole mi fecero restare di sasso. – Cosa? –
- Ti hanno uccisa. Quando hanno scoperto di quello che hai fatto con l’albero. – disse Ardefiel. – Io avevo promesso che ti avrei protetta, ma non ci sono riuscito. Quando sono riuscito a liberarmi di loro eri già morta. Ti hanno sparato alla gamba, poi alla testa. E i miei poteri erano più limitati di quanto avessi previsto. –
Io non sapevo cosa pensare. Quindi era quella la morte? Sembrava assurdo.
- Non sei ancora all’Inferno. – disse Jo. – Non esattamente. Sei sospesa sulla sua superficie. Un altro passo e sei dentro. Ma questo non deve succedere. – Scandì le parole con un tono sempre più risoluto, nonostante gli tremasse la voce.
- Ma... hai detto che sono... –
- Lo so. – rispose Ardefiel. – Ma tu devi vivere. L’ho promesso, ed è anche l’unico modo. L’unico modo per finire tutto questo. – Mi prese le mani. Lei sue erano quasi trasparenti, ma la loro stretta era incredibilmente salda.
- Ma come... –
- Ascolta. – mormorò Jo. – Quando ti sveglierai cerca mia madre. Lei ti aiuterà, insieme ad altri che si fidano di te. Marghe è nella torre, l’hanno catturata insieme a Sam. Sono in pericolo, soprattutto lui. Lo uccideranno entro tre ore da quando ti sarai svegliata. Dillo a mia madre. Ti aiuterà. – La voce gli si spezzò per un secondo, poi lui riprese a parlare. – Vogliono scatenare un attacco sui Caduti. Devi avvertire Mike. Subito. – Mi afferrò un polso e una fiamma mi si avvolse attorno all’avambraccio, solidificandosi in quello che sembrava un bracciale. – Quando ti svegli di’ ad alta voce quello che devi dire a lui e poi lancialo. Siete troppo lontani per comunicare col pensiero, ma questo sarà abbastanza veloce. –
Io annuii piano, travolta da quel turbine di informazioni. – Ma come volete fare per... –
Le mani di Ardefiel si strinsero ancora di più attorno alle mie. – Sai, Eva... – mormorò. – Forse è davvero giusto così. Millenni di vita, e a cosa sono serviti? A una prigione chiamata “Paradiso” e a una guerra infinita. – Fece un sorriso triste. – Sì, direi che è davvero giusto così. –
Io capii. – No... – balbettai. – Non puoi farlo... –
In quel momento Jo urlò di dolore e crollò a terra. Io feci per muovermi verso di lui, ma il buio mi spinse indietro solidificandosi in una figura. Mi ritrovai a incrociare lo sguardo di Lucifero. Lui appoggiò le dita sulle tempie di Jo e dopo qualche secondo il mio amico smise di urlare. Mi lanciò un ultimo sguardo, poi chiuse gli occhi.
Lucifero guardò Ardefiel. Un’occhiata silenziosa che diceva mille cose, cose che non ero capace di capire. Io avrei voluto dirgli di non farlo, che non volevo che qualcun altro morisse per me. Ma, prima che potessi fare qualsiasi cosa, Ardefiel esplose in un’ondata di luce.
E l’aria mi riempì i polmoni.
-
Il buio attorno a me era di nuovo totale, ma adesso era diverso. Adesso ero viva, ne ero sicura. Viva perché un angelo si era sacrificato per darmi la sua vita.
Mi sfuggì un singhiozzo soffocato subito prima che mi rendessi conto che effettivamente mi sentivo soffocare. Cercai di tirarmi su, senza capire, e sbattei la testa contro qualcosa di duro. Mi sfuggì un gemito mentre mi rendevo conto di trovarmi in una specie di scatola lunga e stretta.
Rimasi paralizzata. Ero in una bara.
Iniziai a picchiare istericamente i pugni sul coperchio. C’era sempre meno aria. E io non sapevo cosa fare.
All’improvviso, il bracciale di fuoco solido che avevo attorno al polso si accese e mi si avvolse attorno al pugno. Quando colpii di nuovo il coperchio, quello saltò in aria con un’esplosione di legno, terra e pietra.
Per un attimo rimasi immobile, sdraiata a coprirmi la testa con le mani per cercare di proteggermi almeno un po’, poi inspirai l’aria finalmente pulita e fresca.
Alla fine, mi misi seduta.
E sentii un urlo.
-
La donna davanti a me era pallidissima. Con il buio – era piena notte – ci misi un po’ a riconoscerla come la madre di Jo. Un po’ intontita io mi tirai su, e lei urlò di nuovo.
Misi le mani avanti. – Gwen, stai calma, per favore... –
Lei stava tremando. – Tu... – balbettò. – Non è possibile. Non è... – Era così sconvolta che per un secondo temetti che sarebbe svenuta. Ma lei non svenne. Si piegò appoggiando le mani sulle ginocchia e prese un respiro profondo. Sollevò lentamente la testa. – Non è possibile. – ripeté. – Tu sei morta. –
- Gwen, non sono morta. Cioè, lo ero. Ma ora sto... bene, credo. – Mi tastai la gamba, e solo in quel momento mi resi conto di avere addosso un lungo vestito grigio cenere con rifiniture di pizzo bianco. Era strano, elegante, ma sembrava antico. Aveva le maniche che si allargavano a partire dai gomiti e una gonna che mi arrivava ai piedi con pieghe elaborate. Un corsetto mi stringeva il busto e avevo una collana sottile e piuttosto lunga al collo. La tirai su. Ma quelli erano... diamanti?
Mi ricordai che Ardefiel aveva detto che mi avevano sparato alla testa, ma quando provai a toccarmela non c’era neanche una cicatrice. Presi un respiro profondo, cercando di riordinare le idee. – Gwen, so che sembra tutto assurdo, ma posso spiegarti. Però... –
- ...dobbiamo andare via da qui. – concluse lei al mio posto. Adesso sembrava decisamente più calma, e aveva negli occhi una risolutezza che ricordavo. Mi afferrò la mano e mi aiutò a uscire da quello che restava della bara, poi iniziò a trascinarmi via. Il cimitero si trovava in mezzo al bosco, perciò entro poco ci ritrovammo tra gli alberi.
Lei mi guardò. – Ok. Scusami, è che... non ho mai visto un incantesimo del genere. –
- Non era un incantesimo. Ero morta sul serio. –
- E allora cosa... –
- Ardefiel. – mi uscì. – E’ stato lui. Mi ha... dato la sua vita. – Dire quelle parole sembrava assurdo, e mi uscirono quasi strozzate. Gwen esitò, poi mi abbracciò piano.
- Mi sei mancata. – sussurrò. – Pensavo... pensavo che non... – Si morse il labbro. – Sì, insomma, so che ci siamo conosciute anche Altrove, ma... non era la stessa cosa. Eva... mi dispiace per quello che ti hanno fatto. –
- Non è stata colpa tua. E dispiace anche a me per... per... – Dovevo dirglielo, anche se poi mi avrebbe odiata. Meritava di saperlo. – Per Jo. Lui... –
- E’morto. – sussurrò lei. – Vero? –
- Tu hai visto cosa è successo con l’albero quando ero sotto la Porta? –
Gwen scosse piano la testa. – Non bene. Quando Hansel ha visto la mela è scoppiato il caos. Ma... sì, insomma, non era con te. E sono cose che... si sentono, penso. – Aveva gli occhi lucidi, la voce strozzata. – Sai, ho sempre cercato di rassegnarmi al fatto che sarebbe potuto morire. Va così, qui. Ma non è mai... facile. – Prese un respiro. – Cosa è successo? –
- Il fatto è che... la mela mi avrebbe uccisa. Ma lui... ha deviato il flusso di potere e si l’è tirato addosso. Ed è morto. E’ stata colpa mia, Gwen. E’ stata... – Le parole mi si bloccarono in gola.
Lei mi guardò. Aveva una paura profonda negli occhi, una sorta di terrore primordiale. Doveva essere orribile per una madre sapere della morte di un figlio. – Ma questo significa che lui... lui starà... male per sempre. Anche dopo essere... –
Scossi la testa. – Ora sta... bene. Più o meno. Lucifero è riuscito a fare in modo che restasse incosciente. So che sembra orribile che duri per sempre, ma almeno non sentirà dolore. –
Gwen abbassò la testa, lo sguardo vitreo. – Immagino sia... la cosa migliore che io possa sperare per lui. – Mi fissò. – Hai detto che è stato Lucifero? Ma perché? –
- Non lo so. Forse perché voleva convincermi di essere dalla mia parte, o forse perché gli importa davvero. Mi ha aiutata per tutto il tempo da quando sono qui. Chi abbia un secondo fine è ovvio, vuole che lo tiri fuori. Solo che a volte sembra davvero che gli importi. –
Gwen si morse il labbro. – E tu lo tirerai fuori? –
- Credo... di sì. Il fatto è che... ho Giurato, Gwen. Ha voluto che lo facessi, e in cambio anche lui ha fatto un Giuramento. Ha detto che non farà del male a nessuno quando uscirà dall’Inferno. –
Lei chiuse gli occhi per un attimo. – Tu sei... sei sicura che abbia giurato? –
Annuii. – Però prima di farlo uscire dovremmo aver riappacificato le due fazioni. Ma adesso non c’è tempo per parlare, Gwen. Parleremo dopo. Sam è in pericolo, e anche Marghe. –
- Lo so. Vogliono giustiziarlo, e tengono lei nella torre. –
- Dove lo vogliono uccidere? – chiesi.
- Nella Cattedrale. Come sempre. –
Annuii piano. Quando venivano catturati dei Caduti, venivano uccisi lì, in modo che la loro anima fosse “purificata”. Sarebbe dovuta essere una forma di pietà, una buona azione, invece all’atto pratico era solo un’orrenda tortura. – Dobbiamo impedirglielo. Senti, Gwen, Jo mi ha detto che ci sarebbe stato qualcuno disposto ad aiutarmi. –
- Jo? – chiese lei, stupita. – Ma non hai detto che lui... –
- Si è svegliato per parlarmi. E’ durato solo pochi minuti, ma mi ha detto queste cose. Sono vere, Gwen? C’è davvero qualcuno che vuole aiutarmi? –
Rimase in silenzio per un paio di secondi. – Sì. – disse alla fine. – C’è qualcuno. Tutti quelli che si sono resi conto dell’inutilità della guerra. E c’è molta gente che non è d’accordo ma non parla. Hansel non è solo, ma non ha neanche tutto l’appoggio che pensa. Assistere al rito di purificazione è obbligatorio, ma se... – Si interruppe per un secondo, come se stesse pensando. – Se facessimo irruzione non sarebbero molti ad aiutarlo. – concluse.
- E allora facciamolo. – dissi. – Quando parte l’esercito contro i Caduti? –
Gwen sembrò stupita che lo sapessi, ma non fece commenti. – All’alba. Partono tutti. –
- Allora devo... – Guardai il braccialetto che avevo al polso. Me lo sfilai. – Mike, sono Eva. All’alba un esercito partirà da qui per attaccare la città. Dovete stare attenti. Mike... ti prego, cerca di far sì che non sia una strage. – Deglutii. – Ti amo. –
Lanciai il bracciale in aria, e quello si trasformò in un nastro di fuoco. Il nastro serpeggiò sospeso per qualche secondo, poi si lanciò in avanti. Dopo qualche secondo era già scomparso.
Gwen mi prese la mano. – Andiamo. –
-
- Ti hanno seppellita. – mi spiegò Gwen. – Di solito veniamo bruciati e le ceneri sparse nel vento, ma tu... “non te lo meritavi”, ha detto Hansel. Hanno consegnato il tuo corpo alla terra, e quindi all’Inferno sotto la terra. Ma ti hanno... beh... fatto l’onore di vestirti in quel modo e di seppellirti così perché... beh, sei pur sempre un angelo, per metà. –
Io sollevai la gonna del vestito. – E’ assolutamente ridicolo. – sbuffai.
Lei ridacchiò. – Sì, ammetto che non è proprio moderno. Però ti sta bene. –
Io scrollai le spalle.
Le strade della città erano deserte, fin troppo illuminate dalle luci dei lampioni. Mi sentivo esposta, nonostante non ci fosse nessuno. Troppo esposta.
All’improvviso, mi ricordai di una cosa che aveva detto Marghe quando eravamo nel bosco vicino all’ippodromo. In quel momento ero troppo sconvolta per farci caso, ma ora...
Mi concentrai. Adesso che ricordavo come si faceva e non era solo una cosa istintiva, usare i poteri era molto più semplice. In meno di un secondo, ero invisibile.
- Buona idea. – bisbigliò Gwen. – Continua a seguirmi. –
Camminammo rapidamente fino a una casa che ricordavo, quella dove avevo vissuto per i primi dodici anni della mia vita. Lei guardava dritto davanti a sé, come se davvero io non ci fossi. Quando Gwen aprì la porta per poco non me la sbatté in faccia.
- Posso tornare visibile? – chiesi.
Annuì.
Lo feci, e insieme entrammo nella stanza accanto. Sulla soglia, mi bloccai.
Il salotto era pieno di persone, persone che mi fissavano con la stessa espressione sconvolta di Gwen quando ero uscita dalla tomba. Io rimasi in silenzio, non sapendo che dire, ma Gwen parlò al mio posto. – Ci sarà tempo dopo per le domande. Adesso abbiamo da fare. Dobbiamo interrompere il rito. –
A sorpresa, nessuno fece commenti. – Dobbiamo andare dentro come se niente fosse, immagino. Si insospettirebbero se non ci vedessero. – disse un uomo che mi pareva si chiamasse Andrea.
Un’altra donna – si chiamava Veronica – annuì. – Sarebbe meglio aspettare che cominci. Così saranno tutti distratti. –
Io presi un respiro. – Credo di sapere come distrarli meglio. Se entro all’improvviso credo che saranno così sconvolti da non riuscire a reagire. –
Gli altri annuirono. Veronica si alzò, squadrandomi. – Ti conviene cambiarti. – osservò. – Credo che vestita così non andresti da nessuna parte se dovessi scappare. –
Già. Aveva ragione. Solo che non avevo niente per cambiarmi.
Gwen mi guardò. – Beh, posso prestarti qualcosa di mio. Adesso però voi andatevene. Ci troviamo alla Cattedrale. –
Gli altri annuirono, uscendo un po’ alla volta, qualcuno anche passando dalla porta sul retro. Precauzioni per evitare che sapessero che erano stati lì tutti insieme, ma a quanto sarebbe servito se fossero morti per colpa mia?
Quando il salotto fu vuoto mi lasciai cadere sul divano con il viso tra le mani. Dopo qualche minuto, Gwen mi portò qualcosa da mangiare e una tazza di tè caldo. – Stai bene? – chiese.
Annuii. – E’ stata tutta colpa mia. Tutta colpa di quella fottuta mela. – Sbattei rabbiosamente un pugno sui cuscini. – Come cazzo ho fatto a non pensarci? Sono stata un’idiota totale. Ho... ho rovinato tutto. –
- Eva, prima o poi saresti dovuta passare sotto la Porta. – osservò Gwen.
- Sì, ma magari... –
- Magari niente. – mi interruppe. – Ormai è fatta, e la finiremo. E’ successo un disastro, vero. Siamo nei guai, vero anche questo. E allora? Le cose cambieranno comunque, che lo vogliamo o no. Agire ora è l’unico modo di provare a cambiarle come vogliamo noi. –
Presi un respiro. – Ma non è giusto. Niente di tutto questo è giusto. Sono morte già troppe persone per me. –
- E allora fai in modo che non siano morte inutilmente. –
Restammo in silenzio per qualche secondo mentre bevevo.
- Sai, penso che alla fin fine sia stato un segno del destino. – disse Gwen all’improvviso.
La guardai. – Cosa? –
- La mela. Quando Eva l’ha morsa per la prima volta, ha sfidato il cielo. E adesso ci sei tu, che hai fatto esattamente quello che ha fatto lei. –
- Ma io non voglio sfidare il cielo. –
Gwen fece un sorriso stanco. – Sì che lo vuoi, Eva. Perché adesso il cielo è qui, in quella chiesa, a fare una giustizia sbagliata. –

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Capitolo 34
*** La Cattedrale ***


LA CATTEDRALE
Il bosco era silenzioso. Le prime luci dell’alba stavano colorando il cielo, sfumandolo di indaco e rosa.
Con quella luce, il marmo della Cattedrale era ancora più bianco, tanto da mettere i brividi. Sembrava quasi che la chiesa fosse stata costruita con ossa umane, vista l’irregolarità della superficie.
Ero sola davanti all’ingresso. La funzione sarebbe iniziata entro poco, e io sarei entrata dalla porta principale. Qualcuno era andato a ripulire il disastro nel cimitero prima di venire lì, ma ero quasi sicura che comunque non l’avrebbe notato nessuno. Già, nessuno sarebbe andato al cimitero per me. Quel posto era un luogo di tradimento, lì erano stati seppelliti quelli indegni di essere bruciati e dispersi nel vento per andare verso il Paradiso. Era solo una cosa simbolica, ovviamente, ma comunque sembrava brutto che ad alcuni fosse precluso. Insomma, chi decideva chi se lo meritava e chi no?
Mentre aspettavo, ripensai a quanto mi ero stupita quando, da piccola, mi ero resa conto che tra le lapidi c’era anche quella di Dante Alighieri. Sì, quello che mi aveva detto Marghe tempo prima era vero: era considerato un traditore. Ma solo perché era stato all’Inferno o perché aveva osato descrivere il Paradiso? Qualunque di esse fosse la risposta, mi sembrava ingiusto.
Mi chiesi cosa avremmo fatto dopo aver liberato Sam. Il Portavoce sembrava scomparso nel nulla, e io speravo che non fosse morto insieme ad Ardefiel. Marghe invece era ancora nella torre, e al momento non c’era nessuno che potesse liberarla. Avevo provato a mettermi in contatto con lei, ma la torre era isolata, era impossibile comunicare col pensiero da dentro a fuori, ragion per cui era anche usata per rinchiudere i prigionieri.
Andrà tutto bene. pensai, rivolta nella sua direzione, anche se lei non poteva sentirmi. Te lo prometto. Andrà tutto bene.
All’improvviso, un sibilo nell’aria mi fece voltare in preda al panico. Ma, quando vidi cosa l’aveva prodotto, mi sfuggì un sorriso. Il nastro di fuoco era di nuovo lì, sospeso per aria davanti a me. Esitando tesi la mano e lo afferrai. Quello mi si avvolse attorno al polso, e la voce di Mike mi risuonò in testa.
Eva, stai bene? Che è successo? Perché vogliono attaccarci? Abbiamo già creato delle difese. Sono abbastanza forti, non dovrebbero riuscire a entrare. E finché nessuno entra nessuno si farà male. Ho fatto il possibile.
Sam come sta? E gli altri? Ti prego, qualsiasi cosa sia successa non metterti nei guai. Siete in pericolo? Devo venire ad aiutarvi? La sua voce aveva qualcosa di strano. Nonostante fossero solo dei pensieri erano rochi, tirati. Io non capivo. Che cosa era successo? Stava male?
Eva, non so come faccio a saperlo ma sono quasi sicuro che sia successo qualcosa. Ti prego, rispondi il prima possibile. Anch’io ti amo.
Il braccialetto divenne di nuovo di semplice metallo. Io rimasi a fissarlo. “Non so come faccio a saperlo ma sono quasi sicuro che sia successo qualcosa.” Sì, esatto, come faceva a saperlo? Per un secondo pensai di rispondere nonostante non avessi altro che domande, quasi, ma in quel momento sentii un rumore, un suono simile a musica ma troppo cupo per esserlo.
Era cominciata.
Contai lentamente fino a dieci, poi feci un passo, spingendo i battenti per spostarli.
Ed entrai.
-
Calò il silenzio più totale. Nell’attimo che ebbi per guardarmi intorno, vidi Sam legato a un pilastro di pietra in fondo alla navata. Le panche ai lati erano piene di persone che mi fissavano, sconvolte. E, in piedi davanti all’altare, c’era Hansel.
Per la prima volta nella mia vita, vidi il terrore nei suoi occhi. Io mi aspettavo che qualcuno facesse qualcosa, invece nessuno si mosse. Iniziai ad avanzare lungo la navata a testa alta, fissandolo con lo sguardo di sfida migliore che riuscii a produrre in quel momento. – Beh, eccoci di nuovo qui. – dissi, arrivando all’altare, ad alta voce in modo che tutti potessero sentirci. – Qualcosa mi dice che pensavi di esserti liberato di me. –
Hansel era bianco come un cencio. – Non è possibile. – mormorò. – Tu sei... tu sei morta. –
Gli risi in faccia, sperando che fosse la cosa giusta da fare. – Morta? – ripetei. – Puoi vedere benissimo che non lo sono. No, non sarò mai abbastanza morta, per te. – sorrisi. – Sarò sempre qui, Hansel Bell. Sarò il tuo demone fino a quando non morirai. Come tu sei stato il mio per tutta la mia vita. – Quella sarebbe dovuta essere una specie di recita, ma non stavo fingendo poi così tanto. Da una parte, ero felice di potermi vendicare di lui. Avevo passato la mia infanzia nel terrore per colpa sua. Si meritava che mi vendicassi, accidenti.
Hansel era ancora più pallido, adesso. – Questa è una magia demoniaca. Non può essere altrimenti. –
Scossi la testa. – No, Hansel, niente affatto. Un angelo ha voluto che tornassi. L’angelo che per colpa tua è stato costretto a sacrificarsi. –
Era tutto così immobile che per un attimo mi ritrovai a credere che non sarebbe servito combattere. Magari Hansel mi avrebbe ascoltata e basta. Magari...
Sam urlò per avvertirmi, e io mi scostai all’ultimo secondo. Un pugnale rituale solcò l’aria nel punto dove mi trovavo fino a un secondo prima.
E poi scoppiò il caos.
-
La prima ad alzarsi fu Gwen, che scagliò un lampo di luce contro il lampadario appeso in mezzo alla navata. L’enorme oggetto di oro e vetro si schiantò con un fragore assordante sul pavimento di marmo, scatenando il panico. La gente iniziò a uscire gridando, le persone che si spingevano e si calpestavano. Veronica gridò: - Isolateli! – e un gruppo di persone si lanciò sulle prime due file di panche, dove si trovavano i governanti. ma non furono abbastanza veloci. Molti furono colpiti e gettati a terra. Erano più forti di noi e lo sapevo. Non era una lotta ad armi pari, e dovevamo trovare un’altra idea. L’effetto sorpresa non era stato utile come avevamo sperato.
Mi girai di scatto e corsi verso la porta, scivolando sul marmo troppo lucido. Sentii delle grida, degli schianti, e capii che non avrei fatto in tempo a raggiungere la porta. Perciò tesi una mano ed evocai il fuoco.
Tutti quelli che erano rimasti nella chiesa si ritrovarono sotto una cupola di fiamme nere. Nessuno sarebbe riuscito a scappare in quel modo, o almeno lo speravo. I combattimenti però continuavano. Sam era riuscito a liberarsi e stava aiutando Andrea, ma eravamo davvero troppo pochi. E non abbastanza forti.
All’improvviso sentii la terra muoversi. Non riuscii restare in piedi, inciampai e caddi. Rimasi di sasso rendendomi conto che il pavimento si stava gonfiando. Che accidenti stava succedendo? E che...
Non feci in tempo a formulare un pensiero coerente che il pavimento esplose, scagliando pezzi di marmo ovunque. Un nitrito scosse l’aria e un enorme stallone nero si impennò davanti a me, gli occhi accesi di furia.
- Arrow! – esclamai, prima di rendermi conto di chi c’era sopra di lui. Una figura che conoscevo fin troppo bene, due occhi nerissimi sfiorati dai capelli scompigliati ed enormi ali nere spalancate.
Mike. Ma come poteva essere lì? Come era riuscito ad arrivare così in fretta?
Sentii delle urla mentre lui si girava e il fuoco travolgeva tutto. Hansel fu sollevato in aria nel momento esatto in cui cercò di scappare. Mike saltò giù da Arrow, che si trasformò in un arciere e iniziò a costringere in un angolo tutti i nostri avversari. Nell’aria c’era un energia tale che mi sentivo soffocare. Capivo perché erano tutti incapaci di reagire: il potere di Mike ci stava schiacciando. Quando lui si girò verso di me per poco non lo riconobbi. Sembrava furioso, quasi pazzo.
Qualcuno si gettò a terra implorando pietà. Lentamente, iniziarono a farlo tutti. Mike però non sembrò neanche vederli. Aveva gli occhi fissi su Hansel, che era ancora sospeso a mezz’ara. Sembrava che stesse soffocando.
- Mike. – mi uscì.
Lui mi guardò. Aveva il fiatone e la fronte imperlata di sudore. Mosse una mano, e Hansel cadde a terra. – Stai bene? – chiese.
Annuii lentamente. Avrei voluto chiedergli un sacco di cose, tra cui come era riuscito ad arrivare così in fretta, ma non feci in tempo. Sentii la voce di Hansel. Era a terra, e sembrava ferito. – Tu... Come... come ci sei riuscita? – Tossì, sputando sangue. - Io avrei dovuto... avrei dovuto sentirlo. –
Io per un secondo non capii, poi ci arrivai. Credevano che Mike fosse Lucifero. Noi ci guardammo. Dovevamo reggere il gioco oppure no? Alla fine Mike sorrise, freddo. – Ci sono un po’ di cose che non sai. –
E poi ci fu uno sparo.
-
Mike crollò a terra. Io urlai, guardando Hansel, ma lui sembrava sconvolto quanto me. Sentii Gwen gridare: - No, Andrea, no! –
In quel momento mi resi conto che lo sparo era venuto da dietro di noi. Mi voltai verso la porta. Andrea era lì, in piedi, una pistola stretta tra le mani. – Pazza. – disse. – Tu sei pazza. Non ti meriti l’aiuto di nessuno. Liberare Lucifero è una follia, è sempre stata una follia! – Urlava istericamente, sembrava sconvolto. Io nemmeno lo ascoltai, mentre prendevo il polso a Mike. Il suo cuore batteva ancora, ma per quanto?
- Andrea, smettila! – gridò di nuovo Gwen. – Tu non sai cosa stai facendo! –
Lui la guardò. – No, tu non sai cosa stai facendo. – sibilò. – Nessuno di voi lo sa! Questa è una pazzia! – Mi puntò la pistola contro.
Mi aspettai uno sparo. Che non arrivò. Un lampo nero, e una freccia trafisse Andrea alla gola. Arrow mi guardò. In meno di un secondo, fu accanto a me mentre scoppiava di nuovo il caos. Mi afferrò e si tuffò nella spaccatura sul pavimento, trascinandomi con sé.
Urlai.
E poi il buio si richiuse sopra di noi.

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Capitolo 35
*** Non so come fare ***


NON SO COME FARE
Quando mi svegliai, la terra stava tremando. Mi misi seduta con un urlo e sentii qualcosa afferrarmi il polso. La guardai. Era una mano, più o meno. Sembrava fatta di ombra pura.
Sollevai la testa e mi resi conto che accanto a me c’era Arrow in forma umana. Presi un respiro. La terra, intanto, continuava a tremare con un rombo cupo e profondo.
Mi guardai intorno. Ero circondata dalle fiamme. Sentii una lingua di fuoco sfiorarmi e un’ondata di dolore mi risalì lungo il braccio mentre lo scostavo con un gemito. Non avevo segni di bruciature, ma faceva male, quindi ero davvero lì. Ero davvero... all’Inferno.
Sì, ma cosa accidenti stava succedendo? Non era normale che ci fossero terremoti... giusto? Guardai Arrow. Non sapevo se chiedere a lui, non avevo idea di quanto fosse capace di capire quello che dicevo. Cercai di tirarmi su. Intanto, come cavolo c’ero arrivata, lì?
La mano di lui mi afferrò di nuovo il polso. Attenta. disse una voce sibilante nella mia testa. E’ arrabbiato. Molto arrabbiato.
Non feci in tempo a chiedere chi fosse arrabbiato, perché in quel momento un’altra fiamma mi raggiunse e una scarica di dolore bollente mi risalì lungo la gamba. Feci un passo indietro e caddi di nuovo seduta.
Mi guardai intorno. Tutto quello che riuscivo a vedere era confuso, tremava.
Tu.
La voce che mi risuonò nella testa non era quella di Arrow. Era una voce diversa, graffiante, dolorosa. Mi sfuggì un gemito.
E’ tutta colpa tua! Tutta fottutamente colpa tua!
Urlai di dolore tappandomi le orecchie. Mi sembrava di essere di nuovo nella stanza dei quadri. Mi sfuggì una lacrima. Era come se qualcuno mi stesse stringendo le tempie con delle tenaglie. Sentii qualcosa stringermi, stringermi davvero in un abbraccio. Almeno quello non faceva male.
Basta! gridò Arrow. Sembrava arrabbiato anche lui, adesso. Insieme a...
Qualcuno me lo strappò di dosso e lo scaraventò a terra. Io sollevai la testa. Il dolore continuava, sempre più forte. Non riuscivo neanche a urlare.
Improvvisamente lo vidi.
Era davanti a me, e sembrava una furia. Quasi non lo riconobbi. Aveva gli occhi completamente neri, non solo le iridi. La pelle era ricoperta di squame nere, le vene ingrossate, il viso stravolto dalla furia. Ma era lui, ne ero abbastanza sicura.
Lucifero.
- Tua. – mormorò, la voce ridotta a un sibilo mentre passava tra i denti. – E’ tutta colpa tua. –
Arrow lo afferrò per un braccio. Basta! Smettila!
Lucifero se lo scrollò di dosso con furia.
Lucifero, la stai uccidendo!
Lui emise qualcosa di simile a un ringhio, ma la stretta sulle mie tempie sparì. Crollai sdraiata per terra, ansimando.
Lucifero afferrò Arrow per il collo. – Sparisci. Immediatamente. E ti conviene andare parecchio lontano se non vuoi che ti uccida. Sei solo un pezzo di questo schifo di posto! Tutto quello che devi fare è dannatamente bruciare! –
Probabilmente obbedendo a un comando, le fiamme si strinsero attorno ad Arrow.
Non fare qualcosa di cui potresti pentirti. disse lui, semplicemente, e poi sparì.
Io e Lucifero restammo immobili a guardarci. Lentamente, la sua pelle iniziò a tornare normale, e il nero degli occhi tornò a occupare solo le iridi. Quando riuscii a vedere bene il suo viso, mi resi conto che stava piangendo.
Crollò in ginocchio davanti a me, le dita che affondavano nel terreno quasi a volerlo strappare, lo sguardo fisso nel vuoto. Non aveva niente addosso e aveva il corpo coperto di tagli e graffi, cose che probabilmente si era fatto da solo, visto che dubitavo che ci fosse qualcosa capace di ferirlo, lì all’Inferno. Tremava, ma non di freddo, non faceva affatto freddo.
- Lucifero... – mi uscì. Non sapevo cosa fare. La persona che conoscevo come la più forte di quel mondo adesso era in ginocchio davanti a me a piangere.
- Mi... mi dispiace. – mormorò lui. – Non... non avrei... dovuto. Non lo sapevi. Lo so che non potevi saperlo. – Gli tremava anche la voce.
Io cercai di capire perché fosse in quelle condizioni, cosa fosse successo. E poi ci arrivai.
Mike.
Avevano sparato a Mike.
Fissai Lucifero. – Ti prego, dimmi che non... che non è... – Non riuscivo neanche a parlare. No, non Mike. Quel fottuto mondo avrebbe potuto portarmi via chiunque, ma non Mike. Non sarei mai stata disposta a perdonarlo, il mondo, se l’avesse fatto. Non che al mondo importasse del mio perdono.
- Non è morto. – rispose lui, lo sguardo vacuo, perso. – No, non è morto. Ma forse sarebbe meglio se lo fosse. –
Lo guardai senza capire.
- Lo stanno torturando. – mormorò Lucifero. – Vogliono fargli dire dove... dove sono gli altri angeli caduti. Pensano che lui sia me. Anche quando è passato dalla Porta nessuno si è accorto che non lo è davvero. E’ la cosa meno umana che non sia un angelo in questo posto, se non si contano gli spiriti. – Nascose il viso tra le mani. – E’ colpa mia. –
Io cercai di non farmi prendere dal panico. Calma, pensai. Dovevo stare calma. – Come fa ad essere colpa tua, Lucifero? Pensaci. Tu sei qui, come... –
- Io ho parlato con lui. Gli ho detto cosa stava succedendo. Ci ho messo un po’ a raggiungerlo, ma alla fine ci sono riuscito. E lui è voluto venire da te. L’ho fatto passare dall’Inferno per fargli fare più in fretta. Se non avessi... –
Lo fermai appoggiandogli una mano sulla spalla. – Come facevi a saperlo? Non c’entri niente, tu. Se io avessi capito che Andrea... –
- Quello schifoso bastardo. – mi interruppe Lucifero, livido di rabbia. – Giuro che finché sarà qui non avrà pace, mai più. –
- Vendicarti su di lui non ti servirebbe a niente. – mormorai. Sì, d’accordo, Andrea era stato un bastardo, ma non avrei mai augurato a nessuno di essere torturato per l’eternità.
- Sì, ma allora cosa cazzo posso fare? – ringhiò lui. – Sono rinchiuso in questo schifo di posto e non posso fare niente per aiutare mio figlio! – Mi afferrò per le spalle. – Tirami fuori da qui. Ti prego. Farò tutto quello che vuoi, tutto, ma fammi uscire da qui. –
Io esitai. – Lucifero... –
- Devo aiutarlo, cazzo! Come fai a non capirlo? E poi lo sai, no? Ho Giurato. Se faccio del male a qualcuno per qualcosa che non sia autodifesa dopo sarò tuo, letteralmente. Potrai farmi fare quello che vuoi dopo che avrò salvato Mike. Prenditi tutto, prenditi la mia fottuta anima o quello che ti pare, ma fammi aiutare mio figlio. –
Sembrava davvero disposto a tutto. – Io... – mormorai.
- Non ho niente da perdere. Lo capisci, questo? – mi interruppe.
- Lucifero, il fatto è che... – Chiusi gli occhi per un secondo. Non sapevo come dirglielo. – Il fatto è che io non so come fare. –
-
Mi ritrovai i suoi occhi neri e sconvolti puntati addosso. – Cosa? –
Abbassai la testa. – Non so come fare. Il sangue non basta, deve... devo fare qualcosa, ma non so che cosa! –
- Però da piccola lo sapevi. Da piccola l’hai fatto... Cioè, quasi. – mormorò Lucifero.
- Lo so. Ma non so come. In quel momento sono andata... a istinto, ecco. Non so come è successo. –
Lui prese un respiro. – Eppure in qualche modo hai fatto. –
Annuii. – Sì, lo so. Se solo sapessi come. –
Strinse i pugni e si alzò, iniziando a camminare avanti e indietro. – Non lo so. – mormorò alla fine. – Non riesco a capire quale possa essere il problema. Perché non si apre quando versi il sangue per terra? –
- Forse... dovrei trovarmici sopra. Alla porta. – ipotizzai.
Lucifero scosse la testa. – La porta dell’Inferno è ovunque e da nessuna parte. Ed è aperta e chiusa contemporaneamente. Tutti possono entrare o uscire in qualsiasi momento e da qualsiasi posto, a patto che siano vivi e che... non siano me. –
Lucifero si massaggiò le tempie. – Non c’è tempo. – disse alla fine. Sembrava molto più lucido, quasi calmo. – Dobbiamo tirare fuori Mike da lì comunque, e il prima possibile. Posso... mandare degli spiriti. Spiriti infernali. Non basterà, lo so, però... –
- E gli altri caduti? – chiesi io. – I veri angeli, intendo. –
Lui fece una smorfia. – Pensi sul serio che lui sia stato così stupido da non imprigionare anche loro? Se uscissi potrei liberarli, loro non sono nelle mie condizioni. Basterebbe solo una quantità di energia abbastanza grande. Che però non c’è. –
Mi morsi il labbro. – Spiriti infernali. – ripetei. – Sì, potrebbe funzionare. Potrei distrarli mentre Arrow e gli altri lo tirano fuori. Hansel non pensa più che io sia pericolosa, visto che crede che abbia già aperto l’Inferno, ma mi odia abbastanza da volermi uccidere. –
- Sì, ma probabilmente ti ucciderà davvero. –
Sì, lo sapevo. – Beh, forse riuscirete comunque a tirarmi fuori. E anche... beh, Marghe. La mia amica. Anche lei è li. Sta bene, vero? –
Annuì. – La torre è nel caos. Non è mai stata così piena. Da un certo punto di vista potrebbe anche essere una cosa buona, e ci sarebbe anche la possibilità di farti uscire. Se gli spiriti aprissero le celle scoppierebbe il caos. –
- E il caos ci sarebbe piuttosto utile. – concordai.
Lucifero si massaggiò le tempie. – Quindi. Tu esci da qui e vai alla torre. Mentre li distrai, gli spiriti entrano e tirano fuori più persone possibile. D’accordo? –
- Sì. – Presi un respiro. – Beh, visto che magari è l’ultima volta che ci vediamo... Mi dispiace. Di non essere riuscita a farti uscire. –
Fece un mezzo sorriso. – Se muori sicuramente non sarà l’ultima volta, comunque... beh, prima o poi arriverà un’altra Eva. Se non finisce il mondo prima. –
- Se non finisce il mondo prima. – concordai.
E poi mi sentii sollevare verso l’alto, sempre più su, e fui fuori dall’Inferno. 


Ciao a tutti! :) Nel caso vi interessi, volevo dirvi che ho iniziato a scrivere una nuova storia sull'argomento "angeli e demoni", che si chiama "Heaven from Hell" (Per chi se lo stesse chiedendo, sì, il titolo viene da una canzone dei Pink Floyd, ma la storia non c'entra con i Pink Floyd)

 

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Capitolo 36
*** Traditore ***


TRADITORE
Quando riuscii a vedere di nuovo, mi resi conto di essere nella Cattedrale. Anzi, nelle sue rovine. L’enorme chiesa cadeva letteralmente a pezzi: il muro dell’ingresso era stato buttato giù quasi del tutto, alcune delle colonne che dividevano le navate erano state letteralmente spezzate in due, l’altare era in pezzi e le panche bruciate. C’era un enorme buco nel tetto e il pavimento era spaccato in più punti e ricoperto di frammenti di vetro del lampadario che luccicavano debolmente alla luce che entrava. Vista la posizione del sole, doveva essere più o meno mezzogiorno, o al massimo primo pomeriggio.
Per un secondo rimasi immobile a fissare le macchie rosse e marroni di sangue coagulato sul pavimento, su cui erano abbandonate armi di vario tipo, tra cui alcune frecce di Arrow. Io afferrai una pistola. L’impugnatura era incrostata di sangue secco, ma era ancora carica. Ne presi un’altra. Non avevo mai sparato più di tanto, ma comunque sarebbe stato meglio di niente. Presi anche il pugnale con cui Hansel aveva cercato di uccidermi. Infilai il pugnale alla cintura sperando che non cadesse e così una delle due pistole, l’altra la tenni in mano.
Doveva essere stato uno scontro piuttosto violento, ma non avevo speranze sull’esito. L’aveva detto anche Lucifero: la torre era piena di prigionieri, quindi Gwen e i suoi dovevano essere stati catturati.
All’improvviso li vidi.
Erano tanti, tantissimi, la chiesa ne era piena, ma sembravano capaci di confondersi con le ombre tanto da essere praticamente invisibili.
Spiriti infernali.
Arrow mi guardò, o almeno pensai che mi stesse guardando. Andiamo. disse.
Io annuii e corsi fuori dalla Cattedrale.
-
Trovare la strada per la torre fu facile, la conoscevo bene come le mie tasche. Una volta arrivata nel centro abitato mi resi invisibile. Non dovevano vedermi troppo presto, altrimenti non sarei riuscita a fare niente.
Arrivata in vista della torre mi fermai. Era circondata dalle guardie. Loro non potevano vedermi, perciò questo tornava a mio vantaggio. Dovevo stenderne il più possibile, già che c’ero. Almeno avrei risparmiato un po’ di lavoro agli spiriti.
Feci un altro passo in avanti ed evocai il fuoco. Poi, mentre quello li circondava ferendone alcuni, creai una barriera attorno a me. Se non avessi combattuto in modo credibile avrebbero capito che era un diversivo. E poi, ehi, un po’ ci tenevo a restare viva.
Mi sentii puntare delle armi contro, ma non potevano ancora vedermi. Presi un respiro, sollevai la pistola e feci fuoco.
Colpii un uomo alla gamba, ma il secondo proiettile si piantò nel muro della torre. Cazzo. Non avevo affatto munizioni da sprecare.
Feci alzare le fiamme e iniziai a correre. Non riuscivo a concentrarmi abbastanza da restare invisibile in modo costante, perciò dopo un po’ iniziai ad apparire e scomparire all’improvviso. Ovviamente mi videro.
Cazzo.
Iniziai a scagliare colpi un po’ a caso, sfere di fuoco che volavano qua e là. La scena doveva essere abbastanza comica, in effetti, ma tutto quello che riuscivo a pensare era: “Ti prego, fa’ che non mi centrino”, quindi dal mio punto di vista tanto comica non era.
Cercai di allontanarmi il più possibile dalla torre senza che se ne accorgessero. In realtà tutto quello che riuscii a fare fu correre lanciando colpi e pregando di colpire qualcuno.
Mi sentii afferrare e agii prima di pensare. Mi girai e sparai. Il proiettile fece esplodere la testa dell’uomo dietro di me in uno schizzo enorme di sangue. Trattenni un conato di vomito e mi liberai di altri due uomini sparando. Per me doveva essere più facile: a quanto pareva non volevano uccidermi. Dovevo essere processata, forse. Comunque fosse, evidentemente Hansel mi voleva viva.
A un certo punto sentii delle urla. Delle urla e degli schianti. In uno dei muri della torre si aprì uno squarcio e qualcuno saltò fuori, volando via. Gwen, e poi altri del suo gruppo. Altri uscirono dalla porta, circondati dagli spiriti infernali.
Io cercai di capire se Mike fosse tra loro.
E, in quel momento, mi colpirono.
-
Quando aprii gli occhi, la testa mi faceva malissimo. Mi resi conto di essere sdraiata su un pavimento duro e freddo, fatto di un materiale dorato che riluceva alla luce bassa di una lampada lì vicino.
Anzi, no, non un materiale d’orato. Quello era oro vero.
Ero nella torre.
Mi misi seduta. Ero in una cella con le sbarre da un solo lato, che dava su una stanza circolare. Ce n’erano altre, di celle, tutte vuote.
O meglio, tutte tranne una.
- Marghe! –
Lei sollevò la testa. – Eva! Stai bene? Pensavo che... che fossi morta. Ti avevano... seppellita, cazzo! –
Mi morsi il labbro. – Ardefiel mi ha... dato una mano. – “Anzi, la vita.” – Tu come stai? –
- Non mi hanno ancora fatto niente. Quindi direi che è tutto apposto. –
- Speravo che fossi riuscita a uscire. – mormorai.
- Sì, beh, evidentemente mi hanno ritenuta particolarmente pericolosa, quindi mi hanno infilata qui. Queste porte possono essere aperte solo da chi le ha chiuse, e per spezzare l’incantesimo ci vuole così tanto potere che potresti mettere insieme Mike e Hansel e non ci riusciresti comunque. –
Sospirai. – Fantastico. Marghe, dobbiamo trovare la maniera di uscire da qui. –
Lei fece una smorfia. – Ehm... ci sono anche delle telecamere. – osservò.
- E chi se ne frega? E’ ovvio che proveremo a scappare. – sbuffai, notando l’occhio meccanico che avevo puntato addosso. Sperando che Hansel mi stesse guardando, gli rivolsi un dito medio.
- Bello il trucchetto degli spiriti, comunque. – commentò lei.
- Grazie. –
Ci guardammo. Stavamo entrambe cercando di non farci prendere dal panico, ma era abbastanza evidente che non saremmo arrivate vive alla fine della giornata. Non avrei dato a nessuno di quei bastardi il piacere di vedermi piangere, comunque.
Incrociai le gambe, cercando di trovare un’idea. E non ne trovai nessuna. Non c’era nessuna falla nella sicurezza che avrebbe potuto permetterci di andarcene. Certo, Gwen era fuori, ma se era viva – e non ne ero sicura – non sarebbe stata comunque capace di liberarci. Nessuno era capace di liberarci tranne chi aveva chiuso la porta.
O tranne qualcuno di abbastanza forte da rompere l’incantesimo.
Sì, ma l’unica persona capace di farlo che conoscessi era rinchiusa all’Inferno.
Mi lasciai cadere sdraiata e chiusi gli occhi, cercando di pensare. Il mal di testa se ne stava andando, ma era una consolazione piuttosto magra. Dovevo trovare la maniera di far uscire almeno Marghe. Dovevo.
- Mi dispiace di averti infilata in questo casino. – mormorai.
- Aspetta, tu ti stai scusando con me? Sono io quella che ti ha mentito per anni. –
- Sì, però tu non mi hai mai messa in pericolo di vita. –
- Ah no? Se ti avessi tenuta sulla Terra adesso non ti saresti fatta ammazzare. –
- Sono ancora viva. Cioè, di nuovo viva. – Esitai. – Sai se Mike è riuscito a uscire? –
- Sì, direi di sì. Non sono sicura al cento per cento, ma ho sentito che parlavano di ritrovarlo, quindi credo che ce l’abbia fatta. –
Beh, almeno quella era andata bene, quindi.
- Eva? –
- Sì? –
- Qualsiasi cosa succeda... voglio che tu sappia che sono felice di essere tua amica. –
Mi salirono le lacrime agli occhi. – Anch’io. – mormorai, sentendo arrivare la paura. Paura vera, concreta, dolorosa. Che cosa ci aspettava? Di essere uccise e seppellite in un cimitero pieno di tradito...
Mi bloccai.
Un cimitero pieno di traditori.
Subito un turbine di informazioni mi piombò nella testa. L’immagine di Marghe che parlava di Dante, che diceva che lui era stato all’Inferno. La lapide con il suo nome sopra. La mia conversazione con Lucifero sul modo di usare il sangue. Le scritte sul muro della chiesa.
E la porta della camera di Mike.
Pensai che per aprire la porta dovevo trovare la porta, come avevo già detto a Lucifero.
La porta era ovunque, certo, ma doveva esserci.
Guardai la telecamera. Nella posizione in cui ero non poteva inquadrarmi, o per lo meno non bene.
Portai un dito alle labbra e lo morsi abbastanza forte da ferirmi.
Con una mano iniziai a scrivere, restando immobile in quella posizione. Quando guardai, mi resi conto di non aver scritto nella lingua in cui avevo pensato, ma in un’altra. Fatta di simboli.
Per me si va nella città dolente,
Un altro pezzo del puzzle andò al suo posto. I segni sul muro. Dolente, Giustizia, Dolore. Come cavolo avevo fatto a non arrivarci prima?
Cercando di muovermi il meno possibile, continuai a scrivere.
per me si va nell’eterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Il dito smise di sanguinare. Lo morsi di nuovo.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e il primo amore.
Il cuore mi batteva sempre più forte. Quella era la mia ultima possibilità. Se non avesse funzionato saremmo morte. Incrociai le dita dell’altra mano e continuai a scrivere.
Dinanzi a me, non fur cose create
La telecamera si mosse e mi inquadrò.
Cazzo.
Ormai mi aveva visto, quindi mi misi in ginocchio e continuai a scrivere il più in fretta possibile.
se non eterne, e io eterna duro:
lasciate ogni speranza, voi ch’entra
La porta si spalancò e mi ritrovai davanti Hansel.
- Che cosa stai facendo? – ringhiò.
Sentii un sorriso affiorarmi sul viso. – Sai, Hansel, c’è una cosa che non ti ho mai detto. – Mormorai, continuando il simbolo, l’ultimo.
t
Mi guardò. Sembrava che non capissi.
Il mio sorriso si allargò. – Tu non hai mai catturato Lucifero. –
e.
Hansel capì, lo vidi dalla sua espressione. Aprì la bocca per urlare.
E poi il pavimento esplose.

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Capitolo 37
*** Fuori dall'Inferno ***


Ciao a tutti! Prima di tutto mi scuoso tantissimo per la mia scomparsa, ma il mio computer ha deciso di abbandonarmi... Ho scritto e postato il prima possibile, comunque, e spero che questo capitolo vi piaccia :)
FUORI DALL’INFERNO
Un’ondata di fuoco si riversò fuori dal buco nel pavimento, creando una colonna di fiamme che sfondò il soffitto con un boato che fece tremare i muri.
Per un secondo non vidi niente, poi sentii una specie di grido mentale.
Le ali! urlò Lucifero. Dammi le ali!
Sentii uno strattone alla schiena e un dolore atroce mi percorse da capo a piedi, facendomi crollare per terra. E poi, in mezzo alle fiamme, il viso rivolto verso Hansel che lo fissava con il terrore negli occhi, apparve in volo Lucifero.
Le fiamme lentamente si estinsero, e tutto tornò a un’immobilità assoluta. Lucifero restava sospeso in aria, e l’unico rumore era quello delle sue ali che sbattevano. Poi lui atterrò sul pavimento e mi guardò.
Io mi sentii percorrere da un brivido. Era... incredibile. Sì, era l’unico modo che credevo di avere per descriverlo. Emanava forza allo stato puro, più di qualsiasi cosa avessi mai sentito prima. Avevo avuto quella sensazione anche quando avevo visto lui e Ardefiel possedere il Portavoce, ma questa volta Lucifero non aveva nulla di umano. Era energia viva e pulsante, travolgente.
Mi sorrise. Un sorriso che aveva un che di ironico, ma anche di sincero. Poi si girò di nuovo verso Hansel. – E allora... eccoci qui. – disse. La sua voce era morbida eppure gelida, e bellissima. Lucifero fece un passo verso di lui, ritirando le ali, e Hansel indietreggiò.
- Perché tutta questa fretta? – domandò Lucifero. Non lo vedevo in faccia, ma immaginai che stesse sorridendo. – Credevo che tu avessi un paio di domande da farmi. –
L’altro impallidì ancora di più, mentre si trovava schiena al muro. Marghe mi guardò. Sembrava terrorizzata.
E’ tutto ok. cercai di dirle. Non sapevo se l’avesse sentito, però.
- Sì, so che hai torturato mio figlio per avere un paio di informazioni. – aggiunse Lucifero. Era letteralmente incazzato nero, lo sapevo. E sapevo anche che era un bene che non potesse fare del male a nessuno. Però quando mi chiese: Posso dargli un pugno in faccia? spontaneamente mi venne da dire di sì.
E che cavolo, non sono Gesù. Io non porgo l’altra guancia, spacco quella di chi mi ha dato uno schiaffo.
-
Hansel volò contro il muro con un urlo. Ok, forse l’idea di “pugno in faccia” poteva essere interpretata con vari livelli di intensità, e Lucifero aveva l’aria di voler ammazzare Hansel seduta stante, magari per mandarlo a bruciare per sempre all’Inferno.
Vedendolo svenuto e con il lato sinistro della faccia fracassato, però, Lucifero sembrò calmarsi un po’. Io uscii dalla cella – l’esplosione aveva rotto le sbarre – e ci guardammo.
- Beh... – fece lui. – Grazie. –
- Avevamo un accordo. – gli feci notare. – Ed era solo un modo per salvarmi il culo. –
- Evviva la sincerità. – sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Poi si diresse verso la cella di Marghe e la aprì senza problemi.
Lei deglutì. – Ehm... grazie. – Era pallida come un cadavere.
Lucifero rise. – Ehi, calma. Prima di tutto non posso ucciderti, e poi sinceramente non è che abbia un grande interesse nel farlo. Quindi non preoccuparti. –
Marghe prese un respiro e uscì dalla cella senza dire altro. In quel momento, sentii dei passi fuori dalla stanza.
Lucifero sollevò un sopracciglio. – Direi che ci conviene andarcene. –
-
Normalmente non avrei inteso per “andarsene” sfondare un muro e buttarsi di sotto dal novantesimo piano di una torre, ma Lucifero sembrava piuttosto convinto di quello che faceva, e a noi non restò altro che seguirlo – anzi, da parte mia, farmi portare giù, visto che non potevo più volare. Mi mancavano già, le ali, accidenti.
Lui non atterrò in mezzo alla gente. O meglio, lo fece, ma quando ci ritrovammo a raggiungere la strada sotto di noi si aprì una voragine che poi si richiuse sopra la nostra testa.
Lucifero prese un respiro mentre io cercavo di evitare le fiamme che ci circondavano. A quanto pareva l’Inferno stava diventando una sorta di metropolitana parecchio underground dedita ai trasporti di persone considerate “pericolosi criminali” da almeno metà della popolazione di quel mondo.
- Cavolo. – commentò lui. – Di nuovo qui. Di già. Però è bello essere liberi di andarsene. – In effetti, non riusciva a smettere di sorridere, di vedeva. Tese una mano verso l’alto e diede come uno strattone all’aria. L’oscurità sopra di noi si aprì e noi saltammo fuori.
Mi guardai di nuovo intorno. Eravamo in mezzo al bosco, più o meno. Non mi accorsi di cosa ci fosse di strano fino a quando non sentii Marghe lanciare una specie di urlo.
Mi girai di scatto, e vidi Mike. Era sdraiato per terra, pallido come un cadavere, ed era circondato dagli spiriti infernali.
Senza riflettere neanche, gli corsi incontro e mi lasciai cadere in ginocchio accanto a lui. Mi accorsi che respirava, e sentii un peso sollevarsi dal petto. Ma era ovvio che stesse malissimo. Aveva addosso una camicia strappata e sotto la pelle si intravedeva piena di tagli, graffi e segni di quelle che sembravano ustioni. Aveva le labbra spaccate e sporche di sangue secco, che gli sporcava anche i capelli.
Guardai Lucifero, senza sapere cosa fare, e lui guardò me. C’era dolore nei suoi occhi, un dolore strano e così profondo che mi sembrava di essere incapace di capirlo. Lui si avvicinò e si chinò accanto a Mike, passandogli una mano tra i capelli, poi gli appoggiò le dita sul collo per sentirgli il battito. Guardò di nuovo me. – Credo di poter fare qualcosa, ma non sono sicuro che in questo momento sia abbastanza forte da sopportarlo. Posso curarlo, ma... ha bisogno di energia. Di... vita. E non è qualcosa che credo di potergli dare. – Mi accorsi che stava cercando di non guardarmi. Capii cosa mi stava chiedendo, ci ero già arrivata anch’io.
Sfiorai il viso di Mike. – Ehi. – mormorai. – Mike, svegliati. –
Lui batté le palpebre, le richiuse.
Lucifero mi guardò. – Prometto che lo fermerò se... –
Annuii senza ascoltarlo davvero e provai a scuotere Mike. – Svegliati. – dissi, stavolta più forte.
Stavolta aprì gli occhi davvero e li fissò nei miei. – Eva. – ansimò. – Eva, che... – Prese un respiro. Si bloccò. Deglutì e spalancò ancora di più gli occhi. Mi spinse indietro. – Stai lontana. – sussurrò. – Stai... –
Scossi la testa. – Mike, è l’unica maniera per farti stare meglio. –
- Ti ucciderò. –
Io sentii una scossa di qualcosa a metà tra rabbia e adrenalina. Mi ero tenuta dentro tutto per troppo tempo, ma ero incazzata nera, e anche terrorizzata. Incazzata con Hansel, con Andrea che mi aveva tradita, con Dio, con tutti quelli che avevano creato quella situazione del cavolo. E terrorizzata perché non avrei potuto sopportare di perdere anche Mike. Perciò gli mollai uno schiaffo.
Neanche mezzo secondo dopo lui mi travolse come una furia e mi affondò i denti nel collo.
-
- Eva, mi dispiace. – disse Mike per la centesima volta, fissandomi con un’aria da cane bastonato. – Mi dispiace sul serio, io non volevo... –
Lucifero alzò gli occhi al cielo. – La volete piantare? Mi fate venire il vomito. – Adesso che le cose erano migliorate – Mike si stava riprendendo velocemente, e io non ce l’avevo più attaccato al collo come una sanguisuga – aveva ripreso la sua aria strafottente di sempre, ma evidentemente era sollevato. In effetti, almeno da quel punto di vista sembrava davvero umano.
Marghe si morse il labbro. Era seduta con la schiena contro il tronco di un albero e sembrava la più tesa di tutti. – Credo che dovremmo andarcene. – mormorò, anche lei per l’ennesima volta.
- Sì, ma per andare dove? – osservai. – Dobbiamo risolvere questo casino, o un sacco di gente si farà ammazzare. –
- Già. – osservò qualcuno dietro di me.
Feci un salto e mi voltai di scatto, trovandomi faccia a faccia con il Portavoce. Ma da dove cavolo era spuntato?
- Sì, ehm... scusate se sono scomparso così, ma sono stato poco bene ultimamente. – borbottò. – Non è così semplice reggere un angelo per così tanto tempo. – Lanciò un’occhiata a Lucifero.
Lui non commentò. – Quindi... che facciamo? Io proporrei di tornare dai Caduti. E poi ci organizziamo. –
Sì, in effetti probabilmente era l’unica possibilità. – Ok. – mormorai. Almeno così Mike avrebbe potuto riprendersi per bene.
Non feci in tempo a dirlo che iniziò a piovere fuoco. 

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Capitolo 38
*** Conduttore ***


CONDUTTORE
Prima che chiunque potesse fare qualsiasi cosa, sentii Marghe strillare di dolore e strapparsi di dosso la giacca pestandola per spegnere il fuoco. Un attimo dopo sopra di noi c’era uno scudo semitrasparente, a cupola. Io guardai Lucifero, che aveva uno sguardo così tagliente da spaventarmi mentre abbassava la mano destra. – Quello schifoso figlio di puttana... –
- Che sta succedendo? – domandai. – Questo non dovrebbe poter succedere! Il... il Paradiso è chiuso! Come è possibile che... –
- La torre. –
Era stato il Portavoce a parlare. Mi girai verso di lui.
- La torre? – ripeté Mike, senza capire.
Il Portavoce, però, ci ignorò e si rivolse a Lucifero. – E’ possibile? – domandò.
Lui iniziò a tormentarsi l’unghia del pollice con le dita. – Immagino di sì. – disse, dopo qualche secondo. Aveva la voce tesa ma stranamente fredda. – Dobbiamo andarcene. – Tese una mano come per cercare di aprire l’Inferno, ma non funzionò.
- L’ha chiuso. – mormorò, sconvolto. – Quel bastardo ha... – Lucifero sollevò la testa con uno scatto che mi fece sobbalzare. – Venite tutti con me. Adesso. –
-
Mentre praticamente correvamo in mezzo agli alberi in fiamme, protetti dallo scudo di Lucifero, io mi avvicinai a lui. – Ma che cazzo sta succedendo? E poi, non è possibile riaprire l’Inferno? Io l’ho già fatto! –
Scosse la testa. – Non è la stessa cosa. Tu hai aperto l’Inferno per farmi uscire. L’hai aperto per me, per liberarmi. Adesso nessuno può riaprirlo. L’ha chiuso ermeticamente e non ci sono incantesimi che possano funzionare, perché non c’è nessuno imprigionato all’interno. Non ci sono incantesimi per aprirlo perché... nessuno aveva mai pensato che potesse servire a qualcosa aprire una gabbia vuota. –
- Ma se lui l’ha chiuso così tu non potresti... –
- No. – mi interruppe. – Non ho speranze contro di lui in questo. L’Inferno è suo, è una sua creatura. E’ nato per torturarmi, ed è avverso a me per natura, nonostante io abbia preso una certa familiarità con lui e sia capace di usarlo. –
Per un secondo rimasi in silenzio. Guardai lo scudo. Reggeva, ma stava tremolando. – Questo non è fuoco normale, vero? –
Lucifero scosse la testa. – E’ fuoco del Paradiso. Non quello che usate voi, questo è il vero fuoco del Paradiso. E’ più forte di qualsiasi altro fuoco. Tutto quello che è angelico... è come energia pura. Credo che tu te en sia già accorta. –
Annuii. – E... cosa c’entra la torre? –
- Visto che le porte del Paradiso sono chiuse e lui non correrebbe mai il rischio di aprirle, l’unica possibilità che mi viene in mente è che la torre in qualche modo faccia da conduttore del suo potere qui. O meglio, qualcosa dentro la torre. Distruggiamolo, e... –
- ...e se vorrà combattere dovrà aprire le porte ed esporsi. – conclusi al posto suo.
Lucifero non aggiunse altro. Sembrava turbato, anche se non avrei saputo dire perché. Lo era all’idea del rischio che stava facendo correre a suo figlio? Della possibilità di dover combattere contro la persona che aveva amato per anni? Oppure era spaventato all’idea di perdere tutto quello che era appena riuscito a riconquistare?
- Ma non riusciremo mai a entrare nella torre. – disse Mike. – Sarà protetta. Molto protetta. E... –
- Allora sfonderemo le difese. – lo interruppe Lucifero. – Dobbiamo fermare questa cosa, o quel pazzo raderà al suolo tutto. –
Io mi guardai intorno. Il bosco, ormai, sembrava essere diventato una copia dell’Inferno. Sperai che le persone fossero riuscite a mettersi al sicuro.
In quel momento raggiungemmo la città.
-
Non so cosa mi aspettassi. Forse che, essendo gli abitanti di quel posto discendenti degli angeli, lui – Dio, o qualsiasi fosse il suo nome – avesse deciso di risparmiarli.
Non era stato così. Il fuoco continuava a piovere e ovunque divampavano incendi. All’improvviso vidi qualcuno correrci incontro. Era una bambina di massimo otto anni che urlava, con i capelli in fiamme.
Io non sapevo cosa fare, ma Lucifero la afferrò non appena fu abbastanza vicina e la trascinò sotto lo scudo, passando contemporaneamente una mano tra le fiamme, che si spensero. La bambina lo fissò con un’espressione a metà tra i grato e lo sconvolto, poi gli gettò le braccia al collo e nascose il viso nel suo petto, scoppiando in lacrime.
Lucifero rimase immobile, rigido, come se non sapesse cosa fare. Mi fissò, e io guardai lui di rimando. Quello era uno spettacolo assurdo.
Alla fine, prese delicatamente la bambina per le spalle e la allontanò da sé. – Stai calma. – disse. – Va tutto bene adesso. Ok? –
Lei si passò una mano sul viso e tirò su col naso, annuendo, ma poi lo abbracciò di nuovo.
Lucifero sospirò e si tirò su con la bambina in braccio. – Ascoltami. Io posso far smettere di piovere fuoco, piccola, però per farlo devo entrare nella torre. E non posso portarti con me, sarebbe troppo pericoloso. Perciò adesso devi trovarti un posto sicuro dove stare. Dov’è la tua famiglia? –
A quelle parole, lei scoppiò a piangere ancora più forte e indicò una via poco lontano. – Sono... sono rimasti dentro. Dentro la casa. – balbettò.
In quel momento un gruppo di persone quasi ci travolse, probabilmente in cerca di un posto dove ripararsi. Tra le gente riconobbi Gwen. La afferrai per una manica. Quando incrociai il suo sguardo, restò di sasso. – Eva... –
- Gwen dov’è il conduttore? Ti prego, se lo sai devi dirmelo. – Gwen era sempre stata vicina al governo, anche per via di me. Non che ne facesse parte, ma almeno era vicina.
Le ci volle un po’ a capire. Poi però, guardò il cielo. La torre, chiaramente avvolta da una barriera. E poi Lucifero. Solo in quel momento sembrò riconoscerlo. Scosse piano la testa. – Non lo so. Ma forse... forse hanno cercato di avvicinarlo a lui. –
- Il tetto? – chiesi, capendo dove stava andando a parare.
Annuì. – Vengo con voi. – aggiunse. – Dobbiamo fermare questa cosa. –
Lucifero la guardò. Le porse la bambina. – Portala al sicuro e aiuta la gente a uscire dalle case. C’è una cappella nel cimitero, qualcuno potrebbe nascondersi lì. E poi c’è il fiume. Mettetevi al riparo. Gli scudi non dureranno molto con questo. Intanto noi cercheremo di sistemare tutto questo. D’accordo? –
Gwen esitò, poi annuì. Prese la bambina, evocò uno scudo e si mise a correre.
E anche noi.
-
- Probabilmente ci saranno parecchie persone di guardia al conduttore. – disse Lucifero. – Dobbiamo stare attenti. –
Lo fissai. – Ma perché dovrebbero aiutarlo a fare questo? – chiesi, sconvolta. – Che senso ha? –
- Sono dei pazzi fanatici. – sibilò lui, una furia negli occhi che mi spaventò. – E credono che lui li risparmierà. Sono pazzi. Lui non ha pietà per nessuno. Vuole uccidermi, e finché non sarò morto continuerà a cercare di radere al suolo questo posto. – Mi guardò. – Per via del Giuramento non posso attaccare. Però cercherò di proteggere voi e di neutralizzare le difese. Entrate nella torre, cercate quel dannato conduttore e distruggetelo. –
Fummo costretti a fermarci. Ci nascondemmo dietro il muro di una casa. La torre ormai era a pochi metri da noi.
- E con cosa? – sussurrai. – Come facciamo a distruggerlo? –
Lucifero strinse una mano a pugno e serrò le palpebre. Vidi la sua fronte imperlarsi di sudore mentre qualcosa gli compariva in mano. Una spada.
Era l’arma più terribile e contemporaneamente più bella che avessi mai visto, con la lama di metallo annerito e l’impugnatura che sembrava fatta da una selva di rovi di metallo rosso che si divideva in due altre lame ai lati della guardia. Me la porse.
- E’... è la tua spada? – domandò Mike, sconvolto. – Quella che... –
Lucifero annuì. – Dovrebbe essere abbastanza forte da romperlo. Ma stai attenta a tenerla in mano. – aggiunse, mentre la afferravo. Io sentii i rovi bucarmi la pelle e mi sfuggì un gemito.
- Ma che... –
- E’ un’arma da guerra. E la guerra porta sì gloria, ma anche dolore. Quest’arma lo simboleggia, anche per questo è così forte. –
Io non commentai. Cercando di ignorare il dolore, afferrai di nuovo la spada.
Lucifero guardò la barriera che circondava la torre, poi le guardie. – Ok. – mormorò. – Si comincia. –
-
- Tu passa dall’interno. – mi disse Mike. – Voi andate con lei. – aggiunse, rivolto a Marghe e al Portavoce. – Intanto io vado su e cerco di liberarvi il passaggio. Se attacchiamo da due fronti sarà più facile. –
Io sapevo che aveva ragione, ma all’idea di lasciarlo andare da solo mi sentii quasi male. Cazzo, gli avevano sparato meno di dodici ore prima. E...
- Io vengo con te. – si intromise Marghe.
Lui la guardò. – Cosa? –
- Posso essere utile. Per loro è più complicato ferirmi, e per me è anche più facile difendermi da loro. –
Non ci fu tempo per altro. Mentre la protezione intorno alla torre esplodeva con un boato assordante io e il Portavoce corremmo verso l’ingresso e Marghe e Mike spiccarono il volo. Le guardie furono scaraventate ovunque, ma una riuscì a rialzarsi e correrci incontro. Mentre il Portavoce evocava uno scudo io tesi la spada davanti a me per difendermi. Quasi senza che lo volessi, dalla punta saettò un lampo che colpì l’uomo in pieno petto, scaraventandolo contro il muro. Io sperai di non averlo ucciso e mi infilai dentro.
Mentre passavo sotto la Porta, quella impazzì. Letteralmente. L’oro in mezzo secondo si surriscaldò fino a diventare rosso, poi esplose. Io mi gettai a terra, dentro, e solo una difesa creata dalla spada mi impedì di essere colpita. Probabilmente era stata la spada a fare quel casino, pensai, mentre mi guardavo intorno alla ricerca del Portavoce. Ma, prima che lui potesse entrare, la parete prima retta dalla porta franò e tonnellate di marmo coprirono il passaggio. Non feci in tempo a preoccuparmene, perché fui assalita quasi subito. Erano in tre e tutti armati, ma la spada mi stava proteggendo. Mentre le pallottole rimbalzavano nell’aria sempre abbastanza vicine da farmi quasi urlare ma mai abbastanza da toccarmi, quella mi volò via dalle mani e trinciò di netto la mano che teneva la pistola di uno dei tre uomini, poi tornò verso di me. Mentre lui gridava tenendosi il moncherino io scansai fiamme e sfere di luce che volavano nell’aria e corsi verso il secondo uomo con la spada puntata verso di me. Sentii i rovi ferirmi di nuovo le mani e mi morsi il labbro. Un'altra saetta attraversò la lama della spada e colpì il secondo uomo alla testa, facendolo crollare per terra. Feci appena in tempo a voltarmi che vidi il terzo saltarmi addosso con un coltello in mano e fiamme nell’altra.
L’unica cosa che riuscii a fare fu chiudere gli occhi, ma all’improvviso qualcosa gli trafisse la gola.
Io lo guardai mentre annaspava soffocando nel suo stesso sangue, e vidi un sottile stilo nero sporgergli dal collo.
Mi voltai.
Io e Arrow ci guardammo, poi iniziammo a correre su per le scale.
-
Arrivare in cima, alla fin fine, non fu troppo difficile. C’erano guardie, sì, ma la maggior parte doveva essere sul tetto, e quasi tutto il lavoro lo faceva Arrow, che si muoveva così velocemente che io neanche riuscivo a vederlo.
A un certo punto, arrivammo in una stanza con una botola sul soffitto basso. Quella, a differenza delle altre, era piena di persone. Io strinsi la mano di Arrow, poi mi lanciai in avanti.
-
Mi lasciai cadere per terra, coperta di sudore, e vomitai bile. Ero circondata da cadaveri. Avevo ucciso decine di persone. Ed era orribile. Mi misi una mano sulla bocca cercando di non pensarci, ma non riuscii a trattenere una lacrima.
“Cazzo, non è il momento di un attacco isterico! Alzati e basta!”.
Sentii una pressione delicata sulla spalla e sollevai lo sguardo. Arrow era chino davanti a me. Mi porse la mano.
Io presi un respiro, poi la afferrai.
Avremmo finito quella cosa. A qualsiasi costo.
-
Quando aprimmo la botola e uscimmo sul tetto, solo la spada mi evitò di essere colpita in pieno dal fuoco che cadeva. Mi guardai intorno. Anche il tetto era pieno di persone. Troppe. Dov’erano Mike e Marghe?
Dopo qualche secondo riuscii a vedere lei, e sentii arrivare il panico. Marghe era distesa sul pavimento, ed era coperta di sangue. Guardai Arrow, che un attimo dopo fu accanto a lei. E poi guardai di nuovo la gente. Era raccolta in un punto particolare, da cui provenivano schianti, urla, lampi e fuoco. Nessuno si era ancora accorto di me, ma io mi accorsi di Mike. Era in mezzo a tutti e combatteva come non l’avevo mai visto combattere, con le ali aperte e una furia tale che quasi non lo riconobbi.
Mi ci volle un po’, invece, a vedere quello, visto che era seminascosto dalla folla. Era... insomma, sembrava un prisma di vetro alto quasi due metri che riluceva di bagliori quasi accecanti.
Il conduttore.
Capii che c’era troppa gente per affrontarla. Mike li stava distraendo, e se fossi diventata invisibile forse – forse – nessuno avrebbe fatto caso a me.
Lo feci e iniziai a camminare i più silenziosamente possibile. Una volta raggiunta la calca, fui abbastanza sicura di non essere notata, visto che la gente spingeva così tanto che non si riusciva a vedere assolutamente niente.
Andai avanti, ferendo qualcuno accidentalmente con la spada, ma quello pensò che fosse stata colpa di Mike e continuò a non fare caso a me.
Alla fine, raggiunsi il prisma. Sollevai la spada. Un’ondata di calore mi arrivò addosso, e mi resi conto che adesso ero di nuovo visibile.
Cazzo.
Qualcuno mi vide. Sentii delle urla. Delle mani che mi afferravano. Io calai la lama sul prisma, che esplose in mille pezzi. Fui scaraventata all’indietro, fino al bordo del tetto. Riuscii a fermarmi quasi per miracolo prima di cadere, ma poi qualcuno mi si avvicinò. Era Hansel, con il viso stravolto dalla furia e coperto di sangue. – Tu... – ringhiò. – Schifosa, bastarda! –
Mi diede un calcio. Io gemetti. Non potevo difendermi. Il dolore per la botta mi percorreva, avevo perso la spada ed ero esausta.
- Ti meriti solo di morire! – urlò di nuovo Hansel. Mi diede un altro calcio.
E io caddi di sotto.
-
Istintivamente cercai di aprire le ali. Non funzionò. Lucifero se le era riprese. Non avevo nessuna possibilità.
Mentre precipitavo, sentii le lacrime salirmi agli occhi e serrai le palpebre. Avevo paura. Nessuno sarebbe venuto a salvarmi. Mike era in mezzo alla calca, Marghe svenuta o peggio, Lucifero non poteva vedermi e probabilmente così il Portavoce.
Perciò mi stupii quando delle mani mi afferrarono.
Ma ancora di più quando aprii gli occhi e mi resi conto di stare fissando un viso serio circondato da capelli castani scompigliati e attraversato da una cicatrice.

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Capitolo 39
*** Perché ***


PERCHE’
Urlai. Non riuscii a impedirmelo. Diedi uno strattone cercando di liberarmi, dimenticandomi che eravamo sospesi a mezz’aria, ma lui mi tenne stretta. Continuò a sbattere le ali, enormi e così bianche da fare male agli occhi, fino a quando non riuscì ad allontanarsi abbastanza dalla torre. Poi planò dolcemente fino ad atterrare, e solo allora mi mise giù.
Io cercai di indietreggiare, in preda al panico. Che ci faceva lui lì? Perché mi aveva...
Mi sentii paralizzata quando incrociai il suo sguardo, quell’unico occhio serio. Nel dipinto non si poteva vedere, ma adesso mi resi conto che l’iride sembrava fatta di fuoco ardente, che scintillava e sfumava dal giallo all’arancio e poi al rosso, senza stare mai fermo un attimo.
Ingoiai aria.
- Complimenti. – disse lui, all’improvviso, la voce fredda come il ghiaccio.
Io lo guardai. Che cosa voleva da me?
- Perché? – domandai.
- Per il conduttore. –
- Non intendo quello. Intendo... perché mi hai salvata? –
Lui mi fissò, lo sguardo ancora più freddo, e non rispose.
- Il Paradiso è aperto? Perché sei solo? Che cazzo sta succedendo? – mi ritrovai a urlare.
Mormorò qualcosa a mezza voce. Qualcosa che non capii. Poi aprì la bocca di nuovo come per parlare, ma una voce lo interruppe. – Samael, stai lontano da lei! –
Io mi voltai. Lucifero era in piedi all’imbocco di un vicolo, le ali spiegate e il fiato corto. Aveva la sua spada in mano. Io guardai l’altro angelo. Samael? Ma Samael non era uno dei nomi di Lucifero?
- Lucifero... –
- Stai indietro! Prova ad attaccare e io ti ammazzo, ti giuro che ti ammazzo! – Era furioso. Non l’avevo mai visto così, neanche quando Mike aveva rischiato di morire. La sua spada sembrava incandescente, e anche l’aria si stava scaldando. Capii che, se non fosse stato per il Giuramento, avrebbe già ucciso Samael. O almeno ci avrebbe provato.
- Lucifero, per favore... –
- Che cosa ci fai qui? – ringhiò lui, interrompendolo. – Che senso ha tutto questo? Perché? –
- Se solo mi lasciassi il tempo di spiegarti... –
Lucifero lanciò la spada. Quella volò verso Samael, ma un attimo prima di toccarlo prese fuoco e creò una sfera di fiamme attorno a lui, per poi tornare indietro.
Io guardai Lucifero. Ma come...
- Tu avevi detto fare del male. – sibilò. – Non imprigionare. E decisamente la situazione è molto più sicura con lui imprigionato. – Si avvicinò alla sfera di fuoco. Samael era a malapena visibile tra le fiamme. – Apri l’Inferno. – gli urlò. – Adesso! –
Una voragine si aprì a pochi metri da noi. Lucifero mosse una mano e la sfera fu scaraventata lì dentro. Lui la seguì. – Tu resta qui. Nasconditi. Tornerò a prenderti. – disse, rivolto a me.
Un attimo prima che la voragine si chiudesse, però, io mi infilai dentro dietro di loro.
-
L’Inferno sembrava impazzito, non l’avevo mai visto così. C’erano fiamme ovunque, altissime e ruggenti. E, soprattutto, non riuscivo a vedere né Lucifero né Samael da nessuna parte.
Rimasi immobile per un secondo senza sapere cosa fare. Se erano risaliti – e probabilmente l’avevano fatto – sarebbero potuti essere letteralmente ovunque.
Ma io non avevo intenzione di permettere che si ammazzassero a vicenda. Stava succedendo qualcosa, e io avrei capito cosa.
Solo, adesso dovevo capire come uscire da lì.
Camminai per qualche minuto, con la sola impressione di perdermi ancora di più. Non sapevo neanche come riaprire l’Inferno per uscire. Cosa dovevo fare?
All’improvviso mi venne in mente l’unica possibilità che avevo. E un attimo dopo mi resi conto di cosa avrebbe comportato sfruttare quella possibilità. Lui avrebbe sofferto, e non c’era neanche Lucifero a farlo cadere di nuovo nel sonno.
Ma in qualche modo dovevo evitare che quei due si ammazzassero a vicenda. Sperai che Jo capisse.
Non feci neanche in tempo a chiamarlo che lui mi apparve davanti. I suoi occhi erano pieni di dolore, ma anche determinati. – Al lago. – mormorò. – Sono al lago di Waterfire. –
- Cosa sta succedendo? – domandai. – Perché Samael mi ha salvata? Che... –
- Samael è il nome che gli ha dato Lucifero. – disse Jo, rispondendo alla domanda che non avevo fatto per non fargli perdere tempo. – Quando hanno combattuto lui... ha restituito quel nome a Lucifero, per così dire. E Samael ti ha salvata perché voleva salvarti. Non voleva che tu morissi. – Iniziò a tremargli la voce.
- E perché no? – chiesi. – Perché non avrebbe dovuto volermi morta? –
- Perché tu sei innocente. E perché lui... – Mi prese le mani. – Eva, Samael vuole fermare questa guerra. Ha capito che è l’unica possibilità che ha. Combattere contro Lucifero sarebbe stata una strage per entrambe le fazioni. Non può permettersi di far combattere gli angeli al suo fianco perché verrebbero distrutti e non può lasciare i mezzi umani a difendersi da soli da Lucifero. –
- Quindi quella sarebbe dovuta essere una specie di... azione diplomatica? –
- Non sarebbe dovuta andare così. Samael sarebbe sceso in modo più sicuro dal Paradiso, ma poi tu sei caduta dalla torre. E non ha voluto lasciarti morire. Ti ho già detto perché. Crede che tu sia innocente, e lo sei. Sa che volevi fare la stessa cosa che vuole fare lui. E sa anche che sei l’unica capace di far ragionare Lucifero. Ed è quello che devi... – Si bloccò, serrando la mascella, in preda a uno spasmo. - ...fare. Eva, se uno dei due muore questo mondo crollerà. Non ci sarà più niente a bilanciare la forza dell’altro, e tutto questo andrà in pezzi. Eva, tu devi impedire che succeda. –
- Lucifero non può attaccarlo. Giusto? –
- Eva, i Giuramenti sono interpretabili in migliaia di modi. Lucifero è così infuriato che interpreterà qualsiasi cosa come “attacco”, e appena succederà si sentirà autorizzato a combattere. E lo farà. Samael gli ha distrutto la vita. Ma tu non puoi permettere che uno dei due muoia. Richiama la parete dell’Inferno e si aprirà. Poi vai. – Dalle labbra gli uscì un grido strozzato mentre cadeva in ginocchio. – Eva, vai! Devi fermarli subito! – Gridò di nuovo. E ancora. Crollò sdraiato per terra, la testa tra le mani. Mi puntò addosso gli occhi, occhi impazziti, fuori fuoco. – Fallo smettere! – urlò. – Eva, ti prego, fallo smettere! – Stava piangendo, singhiozzava convulsamente. Io lo presi tra le braccia. Non avevo idea di come fare. Mi sentivo una totale incapace. Sapevo di dover andare, ma non potevo lasciarlo lì. Semplicemente non ci riuscivo.
Mike... Mike, ti prego, aiutami... pensai, disperata. Magari lui avrebbe potuto fare qualcosa. Era il figlio di Lucifero, no? E se Lucifero era stato capace di...
Ci fu un risucchio nell’aria e all’improvviso un buco si aprì sopra la mia testa. Un attimo dopo Mike atterrò accanto a me. Quando lo vidi mi spaventai. Era quasi completamente coperto di sangue, pallidissimo e tremava. Guardò me, poi Jo. Non fece domande. Gli appoggiò le mani sulle tempie e chiuse gli occhi, il viso che si accartocciava in una smorfia di dolore. Un attimo dopo, Jo sembrò addormentarsi.
Mike sollevò la testa. Aveva il fiatone.
- Dobbiamo andare. – mormorai. Non sapevo cosa avremmo potuto fare. Eravamo entrambi esausti e ci saremmo trovati davanti a due angeli. Due angeli veri, divisi da un odio durato millenni.
- E allora andiamo. – sussurrò Mike. Tese una mano verso l’alto e un foro si aprì nel soffitto che sembrava fatto di ombre pure e cupe. Mi prese il viso tra le mani e mi diede un bacio, un bacio che sapeva di cenere, di sangue e di paura. Io mi strinsi a lui.
E poi saltammo.

Salve a tutti! :) Capitolo corto ma (spero) intenso... Vi scrivo per informarvi che ho iniziato una storiella fantasy, si chiama "L'Illusionista", nel caso potesse interessarvi. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate :)

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Capitolo 40
*** Fuoco ***


FUOCO
Mi sentii risucchiare verso l’alto e, all’improvviso, vidi la luce. Luce e acqua.
Il mio cuore si fermò per un secondo. Eravamo venuti dall’Inferno. Dal basso. E stavamo andando al lago di Waterfire.
Quando guardai Mike, capii che lui lo sapeva. Sapeva sin dall’inizio dove saremmo arrivati, ma non si era fermato perché avevo avuto bisogno di lui per uscire dall’Inferno.
“No.” pensai. Non avevo ali, non potevo portarlo via in volo. Non potevo neanche tornare indietro. Non potevo fare niente.
Non feci in tempo a gridare che il lago ci avvolse.
L’acqua mi riempì la gola. Per quanto non potessi bruciare toccandola, era acqua. E io stavo affogando.
Ma non mi importava. Non mi poteva importare. Sapevo che ero venuta lì per un motivo, per un motivo fin troppo importante, ma non riuscivo a muovermi. Mi sentivo paralizzata. Mike stava bruciando, stava bruciando davanti ai miei occhi, e io non potevo fare niente.
La luce dell’acqua iniziò a scomparire. Tutto stava diventando nero. All’improvviso mi rimbombarono in testa i miei battiti del cuore, sempre più lenti. L’ultima cosa che pensai fu che era davvero un modo stupido per morire, dopo tutto quello che avevamo passato.
Sfiorai la mano di Mike e chiusi gli occhi.
-
Un colpo al petto, così forte da fare male. Sentii l’acqua risalirmi su per la gola. Tossii, spalancando gli occhi.
La prima cosa che vidi fu il viso di Lucifero. Sembrava sconvolto. – Sei pazza? – urlò. – Cosa... cosa ti è venuto in mente? –
Io battei le palpebre, cercando di ricordare cosa fosse successo. E poi rividi il viso di Mike, quell’ultimo sguardo rassegnato.
- Dov’è? – ansimai, fissandolo. – Dov’è? –
Lui batté le palpebre. – Dov’è chi? – chiese, senza capire.
“No. No, non è possibile.” Guardai Lucifero. Non potevo dirglielo. Non riuscivo neanche io ad accettarlo. Perché non poteva essere vero. Mike non poteva essere morto in quel modo. Non poteva.
Mi salirono le lacrime agli occhi mentre mi mettevo seduta. “No, no, ti prego, no...”
Forse fu solo un’ultima difesa. Un modo per non farmi crollare tutto addosso in quel momento.
- Samael. – mormorai, rendendomi conto che c’era qualcosa che non andava. – E’ scomparso. –
Lucifero spalancò gli occhi e si girò. Quando si rese conto che era vero, strinse i pugni. – E’ colpa tua! – ringhiò. – Stupida... schifosa troia! – Mi colpì con un pugno in pieno viso. In qualche modo sentii di meritarmelo, mentre il sangue mi riempiva la bocca. Mi meritavo questo e altro. Mi meritavo molto peggio.
Lui si alzò in piedi e urlò di rabbia, poi spiccò il volo verso la fessura sul tetto, lasciandomi lì.
Forse avrei dovuto pensare che mi ero comportata da stupida. Che ero una codarda. Invece l’unica cosa che riuscii a sperare fu di morire prima che Lucifero scoprisse la verità. Non perché mi avrebbe uccisa, non perché si sarebbe vendicato.
Semplicemente, come facevo a guardare in faccia una persona sapendo di aver ucciso suo figlio?
-
Per chissà quanto tempo rimasi sdraiata lì senza avere la forza di fare niente. Comunque, cosa avrei potuto fare? Non sapevo volare e uscire in altri modi da quel posto era impossibile. Così rimasi lì, senza riuscire neanche a piangere, fissando quella luce irraggiungibile sul soffitto. Doveva essere tardo pomeriggio, o almeno così sembrava. E chissà cosa sarebbe successo ora. Ero venuta lì per cercare di migliorare le cose e non ero riuscita a fare altro che peggiorarle. Magari quel mondo sarebbe stato distrutto, e l’unica cosa che avrei potuto fare sarebbe stato guardarlo finire.
Fu quel pensiero a sbloccarmi, in un certo senso. Riuscii a piangere. Piansi per chissà quanto, finché non mi ritrovai senza altre lacrime da versare. E poi urlai. Adesso che avevo iniziato, non riuscivo a fermarmi. Guardai l’acqua sotto di me e pensai che sarebbe stato estremamente più facile se fossi potuta morire semplicemente buttandomi. Ma non potevo. Non avevo neanche un modo per uccidermi tranne lasciarmi affogare. E forse sarebbe stato quello che avrei fatto se all’improvviso una mano non avesse afferrato la mia.
Mi voltai, e dietro di me vidi una figura nera. Arrow. Ci guardammo per un secondo.
- E’ finita. – sussurrai, sentendo le lacrime tornare. – Arrow, è finita. Mi dispiace. –
Lui non rispose. Chinò la testa. Un attimo dopo si trasformò. Era di nuovo un cavallo.
Un cavallo con enormi ali fatte di piume nere.
E io capii che forse – forse – anche se per me e per Mike non c’era più nessuna speranza, forse ce n’era per quel mondo.
Così salii in groppa ad Arrow e volammo verso il foro sulla cima della collina.



Salve :)
So che il capitolo è corto, ma mi è sembrato già abbastanza... "intenso" così... Mi aspetto molte minacce di morte :)
P.S. Se vi va (sì, lo so, in questo periodo sono in fase di pubblicazione) magari passate a vedere una nuova storia che ho scritto, "Victim of the night"... ambito "vampiri".

 

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Capitolo 41
*** L'unica possibilità ***


L'UNICA POSSIBILITA'
Una volta fuori, ci dirigemmo verso la Montagna del Sole. Arrow volava con sicurezza, molto più veloce di quanto io fossi mai stata capace di fare, e fortunatamente stava arrivando il buio, quindi ci saremmo potuti muovere senza essere visti.
- Come andrà a finire, Arrow? – chiesi, anche se sapevo che non poteva rispondere.
Già, come sarebbe andata?
-
Nonostante la velocità di Arrow, ormai era quasi mattina quando lui atterrò. Io mi guardai intorno. Lì non c’era nessuno, solo una salita pietrosa e desolata.
Poi, all’improvviso, capii. Io ero già stata lì. Col Portavoce.
Mi guardai intorno. La botola di metallo era a pochi passi da me, chiusa. Io sollevai il coperchio e guardai il portale, chiedendomi perché Samael avesse deciso di andare proprio lì.
Guardai Arrow. Lui nitrì e tornò in forma umana. Ci guardammo
Io non sapevo cosa fare. Non sapevo come sarebbe andata.
Ma, alla fin fine, non avevo nemmeno niente da perdere.
Perciò presi un respiro e saltai nel portale.
-
Mi ritrovai l’albero di fronte non appena arrivai. Era sempre lì, sempre nella stessa posizione, i frutti argentei che pulsavano di energia. La mela che avevo morso era ancora per terra, intatta, come se fosse impossibile che si decomponesse.
- Che ci fai qui? –
Guardai alla mia destra e vidi Samael. Era seduto su una roccia, le ali piegate e lo sguardo cupo, stanco.
- E che cosa ci fai tu qui? – ribattei. – Perché non sei tornato... al sicuro? – Detestavo dover dire quelle cose. Detestavo non poterlo uccidere con le mie mani per via di tutto quello che aveva fatto e dover pensare a salvarlo, invece.
- Perché non posso. Posso dare a Lucifero quello che vuole. Se lo faccio gli altri saranno al sicuro. –
- Sei dai a Lucifero quello che vuole moriremo tutti. – ribattei.
Samael scosse piano la testa. – Può torturarmi. Anche all’infinito, se vuole. Può rinchiudermi all’Inferno. Eva, credevo che tu sapessi che ci sono cose molto peggiori di morire e basta. –
Pensai a Jo. Sì, probabilmente aveva ragione lui. – E perché questo improvviso cambiamento di opinione? – sibilai. – Tu hai cercato di uccidere me, lui, tutti. Hai fatto piovere fuoco e ucciso chissà quante persone. Perché all’improvviso hai deciso di non fare male a nessuno? –
Lui abbassò la testa. – E’ complicato. –
- E allora spiegami! – urlai.
- So di aver fatto delle cose orribili. – mormorò. – Ma... - Si prese il viso tra le mani. – Eva, io credevo di poter migliorare le cose. –
- Migliorare. – ripetei. – Tu sei un dittatore del cazzo! –
- Lo so. Ma tu... tu non hai idea di come fosse la situazione in Paradiso. Perché pensi che mi abbiano scelto come capo? Avevano bisogno di qualcuno che riuscisse a calmare gli animi. Gli angeli non sono pacifici come sembra. –
- Non è comunque un buon motivo per... –
- Lo so. – mi interruppe. – Pensavo di farcela, a rendere le cose come quando ero un mortale. Ma il tempo... beh, puoi fermare qualcuno e tenerlo buono finché non muore, ma con gli immortali è tutta un’altra cosa. E così mi sono sentito in dovere di... essere più ferreo. Avevo paura, ok? Avevo paura di una rivolta. Sono stato un idiota, in effetti, perché una rivolta è proprio ciò a cui a portato il mio comportamento. – Iniziò a tormentarsi il pollice con l’unghia dell’indice. – Lucifero ha fatto... quello che voleva fare. E io l’ho chiuso all’Inferno. Non sai quanto io mi sia odiato per questo, ma pensavo che avrei potuto ancora salvare la situazione. Pensavo di dover agire come un re. Tagliare fuori i sentimenti. Lui era un traditore, quindi doveva essere allontanato e punito per quello che aveva fatto. Non potevo permettermi di lasciarmi condizionare. – Deglutì. – Ma poi sei arrivata tu. –
- E tu hai deciso che dovevo morire. –
Annuì. – Eri pericolosa. Le cose si stavano già agitando troppo. Gli angeli si ribellavano, e tu eri il volto di quella ribellione. – Smise di tormentarsi le mani e mi fissò dritto negli occhi. – E così ho provato a ucciderti. Con Hansel. Ma non ci siamo riusciti. Ardefiel si è sacrificato per salvarti. – Prese un respiro. – E’ stato in quel momento che ho iniziato a chiedermi sul serio se quello che stavo facendo fosse sbagliato. Avevo già avuto dei dubbi, per via di Lucifero. L’avevo condannato a una pena eterna, e... io fatto di... amarlo non aiutava. – Sputò quella parola quasi fosse veleno. – Ma poi Ardefiel... mi ero sempre fidato di lui. E se aveva fatto questo voleva dire che pensava che fosse giusto. Aveva sacrificato la sua vita, non una cosa da niente. –
- Ma Ardefiel era già morto quando c’è stata la pioggia di fuoco. – osservai. Era strano parlare della sua morte così a sangue freddo, ma riflettere su chi si era sacrificato per me era qualcosa che non potevo permettermi di fare, o almeno non adesso.
- Già. Infatti non ho detto che avessi cambiato idea. Ma poi... ho visto cosa avete fatto. E ho visto cosa voleva fare Lucifero. – Deglutì. – Non ho mai visto nessuno odiarmi come mi odia lui, sai? Mai. Ma quando ha deciso di distruggere il conduttore non è stato perché voleva che scendessi dal Paradiso. E’ stato perché voleva salvare la gente che io stavo cercando di uccidere. – Strinse i pugni, poi tese di nuovo le dita. Sembrava sconvolto, stanco, distrutto. Un uomo che era stato costretto a rendersi conto che i suoi valori erano da bruciare. E che li aveva bruciati. – Ho salvato te perché mi sentivo in dovere di farlo. Ho capito che avevi ragione. – Poi quando ho visto Lucifero mi sono reso conto di non poter combattere contro di lui. Perché lui aveva sempre avuto ragione e io torto, perché gli avevo fatto più male di quanto sia possibile per chiunque farne a una persona. Ed ero stato capace di fare questo a qualcuno che amavo. – Mi guardò negli occhi. – Penso di meritarmi qualsiasi cosa vorrà farmi, Eva. Sei d’accordo? –
- Non ti meriti di morire. – ribattei. – Sarebbe troppo poco, e sarebbe troppo da offrirti visto cosa provocherebbe. –
- Lo so. – rispose. – Perciò adesso puoi anche andare via. Non gli permetterò di uccidermi. Lo giuro. –
- Tu pensi di aspettare qui? –
- Prima o poi mi troverà. – ribatté. – Avevo bisogno di venire. Mi serviva questa. – Mi mostrò il torsolo di una mela.
Io lo guardai. – L’hai... –
- No. – rispose, prima ancora che finissi di parlare. – Non posso farlo. Questa roba ti annienta, è troppo potente. Ma... beh, non ci sono mai stati due alberi, Eva. Era soltanto uno. L’albero della conoscenza è anche l’albero della vita. Un frutto può darti la conoscenza del mondo intero ed è anche abbastanza da fermare qualcosa di inevitabile, se non viene ingerita. Qualcosa di inevitabile come il fuoco di Waterfire. –
Io rimasi di sasso. Mi avvicinai a Samael. Dietro la roccia su cui era seduto, sdraiato a pancia in su per terra, c’era Mike. Aveva gli occhi chiusi ma respirava, e sembrava stare abbastanza bene. Non aveva ustioni addosso, ma era quasi completamente ricoperto di un succo appiccicoso, probabilmente quello del frutto.
Guardai Samael. Mi resi conto di avere gli occhi lucidi solo quando lo vidi sfuocato. – Perché? – domandai. Mi tremava la voce.
- Per lui. Credo. – Fece un sorriso mesto. – Credo di avere ancora un bel po’ di strada da fare prima di imparare a salvare la gente semplicemente perché è giusto. –
Io non risposi.
- Vai via. – mormorò Samael.
Io guardai Mike, poi mi girai. Arrow era lì, e sembrava in attesa.
- Portalo via. – dissi. – Io rimango qui. – Perché? Perché non potevo fidarmi di Samael, forse. Perché sentivo di dover restare. Alla fine, ero l’unica cosa che potesse mettersi in mezzo.
Nessuno fece in tempo a ribattere perché in quel momento qualcuno attraversò il portale.
E quel qualcuno era Lucifero.
Arrow afferrò Mike e si gettò nel portale, così veloce che quasi non riuscii a vederlo, e noi tre restammo soli.
I due angeli si guardarono. Ci fu un secondo di silenzio. Io sentivo il battito dal mio cuore che accelerava, la paura. Sarei potuta morire lì, e in quel momento era diverso rispetto a poco prima. Prima non avevo niente da perdere, ora invece sì.
Ma quel qualcosa era il motivo per cui era rimasta, e per cui valeva la pena rischiare.
Lucifero fissò Samael. Sembrava sconvolto. – Che... che ci faceva lui qui? – chiese, guardando il portale. Mike e Arrow ormai erano spariti, ma lui aveva fatto in tempo a vederli.
- Waterfire. – risposi io. – Era finito nel lago. –
- Era di lui che stavi parlando quando... – Lucifero strinse i pugni. – Che cosa... –
- Sta bene. – lo interruppe Samael, mostrando all’altro il torsolo della mela.
- Ma perché? – chiese, gelido. – Pensi di ottenere la mia pietà in questo modo? –
- No. Non voglio un bel niente che so di non meritarmi. –
Lucifero fece un sorriso sarcastico. – Oh, incredibile. Come mai tutto questo improvviso senso di giustizia, bastardo? –
Samael lo guardò. – So cosa vuoi farmi. E so che hai ragione. Ti chiedo solo una cosa, Lucifero: per favore, non uccidermi. Perché questo mondo ho già subito troppo per colpa mia. –
Ci fu un secondo. Un secondo di silenzio gelido, quasi palpabile. Poi, all’improvviso, la voce di Lucifero ruppe il silenzio. Una voce distrutta come non mi aspettavo che l’avrei mai sentita.
- Non posso. – sussurrò.
E si lanciò su Samael.
-
Io urlai. Urlai mentre Samael alzava uno scudo e i colpi di Lucifero ci rimbalzavano contro. Non capivo.
Poi capii qual era l’unico modo che avevo di fermarlo.
Mi misi in mezzo.
I colpi si interruppero subito e lui mi fissò. Sembrava furioso, stravolto, pazzo. – Vattene! – ringhiò, gli occhi accesi di fuoco.
Scossi la testa. – Lucifero, non può andare così. Non puoi ucciderlo. Fagli tutto quello che vuoi, ma non questo! –
Mi ignorò. Gli bastò un gesto della mano per spostarmi, e quando provai a tornare in mezzo sbattei contro un muro invisibile.
- Non se lo merita! – urlai, sperando che almeno così mi  avrebbe ascoltata. – Lucifero, non si merita di morire! Se proprio vuoi vendicarti non puoi permettergli di morire e basta! –
Si girò di scatto verso di me e Samael crollò per terra, sull’erba, lo scudo che si infrangeva in mille pezzi.
Io guardai Lucifero. Aveva le lacrime agli occhi, lo sguardo fuori fuoco. – Non capisci? Non posso fare altro. –
E, allora, capii sul serio. Non poteva torturarlo. Non poteva sentirlo gridare di dolore per l’eternità rinchiuso all’Inferno. Ucciderlo era l’unico modo che aveva per riuscire a eliminarlo per sempre senza farsi prendere dalla pietà. Perché Lucifero non era Samael.
E, soprattutto, Lucifero in qualche modo era innamorato di lui.
- Lucifero... –
- Non posso. – ripeté lui. Poi si girò di nuovo verso Samael.
Io mi guardai intorno. Lucifero aveva ragione, e non si sarebbe fermato. Ma doveva fermarsi. Ci doveva essere un modo per uccidere Samael senza distruggere quel mondo.
Mi lasciai cadere per terra, e in quel momento sentii qualcosa sotto il palmo. Una mela morsa.
La guardai. Cos’ero disposta a fare per salvare casa mia?
Chiusi gli occhi. E, un attimo prima che Lucifero colpisse Samael per l’ultima volta, addentai il frutto e mandai giù.
Il dolore arrivò più forte di quanto me lo ricordassi. Urlai. E poi vidi.
Un attimo prima che tutto diventasse nero.
-
- Eva! – Quel grido mi risvegliò da un incubo. Sì, doveva essere davvero un incubo, perché il dolore era assurdo, inconcepibile. E non sparì col buio. Ricominciai a urlare, tenendomi la testa tra le mani. A ogni secondo che passava mi sembrava che il peso che avevo nel cervello aumentasse. Mi sentii male. Era così che stava Jo tutte le volte che parlava con me? Come faceva a sopportarlo?
- Eva! –
In qualche modo misi a fuoco, e mi trovai davanti l’unico occhio di Samael. Mi fissava. Disse qualcosa, ma non capii cosa. Mi rannicchiai su me stessa. “Basta, basta, per favore, basta!”
Qualcuno mi strappò le mani da sopra le orecchie. – Puoi farlo! – gridò Samael. – Eva, ascoltami. Tu sei può forte del frutto. E’ lui che è nato per te, non viceversa. Puoi fermarlo. –
“Posso fermarlo.” Come? Come, se il dolore era tale da impedirmi di pensare?
Chiusi gli occhi. Qualcosa, nella mia testa, sembrava stare cercando di spingere via quel peso insostenibile.
“Fuori.” pensai. Dovevo mandarlo fuori.
Serrai le palpebre e contrassi la mascella. Sentii il cuore accelerare. Durò chissà quanto, intollerabili minuti di dolore.
E poi tutto sparì.
-
Sognai che la radura era immersa nel buio e illuminata solo dalla luna piena nel cielo. C’erano Samael e Lucifero, lì. Il primo era in piedi, il secondo appoggiato all’albero.
- L’hai visto, vero? – domandò Lucifero.
Samael sospirò. – Sì. Era così ovvio che non ci avevo mai pensato. – Lo guardò. – Non lo fare. –
- Non ho detto di volerlo fare. –
- Ma hai detto che devi uccidermi. E questo è l’unico modo. –
Silenzio. Uno, due, tre secondi. Era passato quasi mezzo minuto quando Lucifero rispose. – Già, lo è. –
Lui chiuse gli occhi. – Non farlo. –
- Devo farlo. –
- Ma... –
- Sam, penso che abbiamo già dimostrato chissà quante volte che questo posto non è fatto per noi. – disse Lucifero, la voce strana, calma, triste. E poi... Sam. Qualcosa mi disse che era così che lo chiamava prima che iniziasse tutto.
- Magari per me e basta. – rispose l’altro.
- Non può funzionare, punto. E credo che tutti abbiano già sofferto abbastanza. –
- Tranne me. –
Lucifero sollevò la testa. Aveva gli occhi lucidi. – Beh. – mormorò. – Tu sei sempre stato particolarmente fortunato. –
Afferrò Samael e lo baciò. Un bacio breve, quasi violento. Poi si staccò da lui, restando comunque con la fronte appoggiata sulla sua. – Al tre? – chiese, sollevando una mano. Una spada, la sua spada, gli comparve in mano.
L’altro esitò.
- Fallo e basta, Sam. Tanto se non lo fai morirò lo stesso. Solo... non costringermi a farlo da solo. –
Samael aveva gli occhi pieni di lacrime. – Ok. – sussurrò, e anche a lui comparve in mano una spada, dalla lama bianca e l’impugnatura d’oro.
In quel momento realizzai quello che avevo visto quando avevo morso la mela. Il potere di uno doveva essere bilanciato da quello dell’altro.
Ma se fossero morti tutti e due...
Io mi tirai su. – Lucifero... –
Lui fece un sorriso triste. – Direi che questo è un addio. – mormorò. – E direi che... queste non mi servono più. –
Io sentii un dolore alla schiena, e un attimo dopo seppi di avere di nuovo le sue ali. Le mie ali. – Lucifero... – mormorai.
- Buona fortuna. – disse lui, poi guardò Samael. – Uno. –
- Grazie. – mi uscì.
Lucifero sospirò. – Due. –
- Non volevo che finisse così. –
Mi guardò. – Lo so. – rispose. – Ma forse è finita meglio di quanto sembri. –
Io fissai Samael, poi lui. Sì, forse era meglio di quanto potesse andare. Forse non erano costretti a odiarsi. C’era comunque qualcosa dopo. Anche se non sapevo ancora cosa.
- L’Inferno è chiuso di nuovo. Non so dove andremo. – mormorò Samael. – Ci... dai tu il tre? –
Deglutii. “Tanto è solo un sogno.” pensai, anche se sapevo che non era così. – Ok. – sussurrai. Deglutii di nuovo. – Tre. – dissi, così piano che pensai che non mi avrebbero sentito. Ma mi sentirono. Io non riuscii a guardare, vidi solo un lampo di luce.
E poi sentii una voce. Dici che sto migliorando? chiese Samael.
Un attimo dopo vidi qualcosa. Una specie di ombra vicino a me. Ma non riuscii a capire chi fosse, perché un secondo dopo crollai di nuovo.
-
Aprii piano gli occhi. Era ancora notte, quindi non doveva essere passato tanto tempo. – Era solo un sogno? – chiesi. Sapevo che c’era qualcuno accanto a me, anche se non sapevo ancora chi.
- No. – disse una voce. – Ma alla fin fine forse sono un po’ felice che non lo sia stato. –
Io mi misi a sedere di scatto. Non era possibile. – Jo? – chiesi, sconvolta.
Lui sorrise. – E giuro che non stai sognando. –


Ciao a tutti :)
Ed eccoci qui all'ultimo capitolo... manca solo l'epilogo e la storia sarà finita. Spero che questo capitolo vi abbia ricompensati di tutte le "perdite" subite nel corso della storia, e spero che vi sia piaciuto il finale. Ci vediamo il prima posibile con l'epilogo, intanto ringrazio già tutti quelli che hanno letto e recensito. 
Au revoir
Whatserface

 

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Capitolo 42
*** Epilogo ***


EPILOGO
Il sole stava calando lentamente oltre la linea dell’orizzonte e io me ne stavo lì, seduta sugli scogli, a guardare il mare. Il libro che mi ero portata da leggere era appoggiato accanto a me. Era una bella domenica di primavera e la gente aveva deciso di passarla in compagnia facendo pic-nic o cose del genere, ma io avevo preferito venire lì. Da sola.
Non sapevo bene come mi sentissi. Un po’ strana, probabilmente. L’ultimo anno era passato così in fretta, ed era stato così strano. Vedere Elgrandir prepararsi per quello che probabilmente sarebbe stato un periodo di pace era stato qualcosa che probabilmente non era mai successo prima. Ma il gesto di Samael e Lucifero era riuscito a cambiare qualcosa.
Non mi veniva da piangere. Avevo pianto spesso, di notte, nell’ultimo anno, e tutte le volte avevo trovato Mike ad abbracciarmi e a piangere con me. Avevamo ottenuto la pace, ma lui aveva perso un padre e io... un amico. Perché, per quanto Lucifero non fosse mai davvero stato un padre per Mike, forse sarebbe potuto diventarlo. E per me... alla fine, in qualche modo, ero riuscita quasi a volergli bene.
Eppure capivo che quella che aveva fatto era l’unica cosa possibile, e non ce l’avevo con lui. E, stranamente, neanche con Samael. Avevano fatto entrambi degli errori, ed entrambi adesso sapevano di aver risolto le cose. Probabilmente era l’unica soddisfazione che si erano potuti permettere in un momento del genere.
E, dopo, le cose erano andate meglio. Davvero meglio. Il Paradiso si era aperto, e così le prigioni dei Caduti. E io ero rimasta lì, ad aspettare che le cose facessero il loro corso, a riuscire finalmente ad essere me. A non essere un angelo per metà, a non essere Eva, ma solo una ragazza di diciannove anni con ancora un bel po’ di vita davanti, e qualcuno con cui viverla.
Presi il libro, lo aprii. Sulla prima pagina, c’era una dedica. Una dedica che avevo letto e riletto centinaia di volte.
E se vale la pena rischiare, io mi gioco anche l’ultimo frammento di cuore.
Il libro me l’avevano regalato Mike e Jo, quasi un ricordo di quell’ultimo giorno, della volta in cui mi ero giocata la vita perché valeva la pena rischiare.
Sì, ne valeva la pena, e ne sarebbe sempre valsa la pena.
Mi alzai in piedi e presi un respiro. Non avevo più volato da quando Lucifero era morto. Usare le sue ali mi faceva troppo male. Ma quel giorno, per la prima volta, riuscii ad aprirle.
Sentii il vento scivolarmi tra i capelli, e pensai che forse era quello il punto. Giocarsi l’ultimo frammento di cuore per riuscire a ritrovarsene uno intero, forse.
- E allora giochiamo. – mormorai, anche se nessuno poteva sentirmi.
E spiccai il volo.


E quindi eccoci alla fine... ringrazio tutti quelli che hanno seguito e recensito, e spero che ci vedremo con altre storie.
Ciao a tutti :)
Whatsherface

 

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