Spellbound. di pralinedetective (/viewuser.php?uid=84738)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** - approaching doom. ***
Capitolo 2: *** - memories unfurling in the mind. ***
Capitolo 1 *** - approaching doom. ***
I - APPROACHING
DOOM
È
il 12 aprile 1943 quando una lettera arriva a turbare la
quiete di casa Lenardo. Henry ti guarda, e sorride con gli occhi pieni
di lacrime.
Tornerò, amore mio, ti
promette – e la
commozione storpia le sue consonanti, riportando a galla quel forte
accento
italiano che ti ha fatto battere il cuore all’inizio
dei vostri giorni insieme.
Annuisci per dargli forza, ma non hai alcuna fiducia nel suo giudizio.
Nel giro di due settimane tuo marito è partito per la
guerra; vostra figlia Ginevra
è rimasta aggrappata alla sua gamba piangendo istericamente
fino all’ultimo
momento. Non ti penti però di averle detto la
verità poiché sei sicura
del fatto che Henry tornerà incolume. A ogni costo.
C’è una negra che abita appena fuori dalla tua comfort zone, in una di quelle strade
dalla moralità incerta, fra i
quartieri benestanti e quelli che ancora non si sono risollevato, dopo
la crisi
del ’29.
Indossi uno dei tuoi abiti più vecchi e meno appariscenti, e
nella borsa hai
due fette di pane con cui pranzare nel caso in cui dovessi rimanere
fuori casa
più del previsto; non indossi gioielli né porti
con te del denaro. Sei
disperata, ma non imprudente.
La negra apre la porta prima che tu abbia il tempo di bussare, e senza
proferir
parola ti fa segno di entrare. La chiave gira nella toppa tre volte con
un
inquietante cigolio.
“Signora Lenardo” ti saluta con un inchino
sarcastico, e prende posto sull’unica
poltrona nella stanza. La sua è una casa incredibilmente
vuota, priva di qualsiasi
ospitalità o calore.
“Come conosci il mio nome?” domandi, aggrottando la
fronte in maniera poco
femminile.
La negra ride con cattiveria, poi si acciglia. Quando riprende a
parlare, lo fa
con parole lente e misurate, come se calcolasse il peso di ogni sillaba
sulla
lingua prima di pronunciarla.
“Siete qui perché volete qualcosa da me.
La… salvezza di suo marito? La sua
anima è già perduta, però posso
riportare a casa il suo corpo.”
“Io lo voglio vivo!”
gridi, quasi
isterica, e abbandoni ogni finzione. Ti strappi dalla testa il cappello
e lo
getti ai piedi della strega. “Non abbiamo molto denaro,
però possiamo trovarne:
abbiamo amici facoltosi. Ho bisogno solo di un po’ di tempo.
Qualsiasi cosa tu
voglia da me la avrai. Voglio solo che il mio Henry torni a casa,
abbiamo una
figlia e un mutuo, e gli stipendi per le donne in
fabbrica sono troppo bassi…”
“Una figlia?” ti interrompe la tua ospite, alzando
un sopracciglio. Sembra quasi
sorpresa.
“Ginevra, di cinque anni.”
“Una bella bambina? È obbediente? Mangia le sue
verdure?”
Ti tormenti le unghie della mano destra, improvvisamente preoccupata di
aver
detto qualcosa di troppo. L’improvviso interesse della negra
per la tua
famiglia è… inquietante, e non sembra promettere
nulla di buono. “Sì, è molto
buona, però cosa c’entra lei con tutto
questo?”
La negra sorride – ha denti bianchi e perfetti, sembra un
filo di perle teso
dietro a labbra rotte dal freddo e dai morsi. Per la prima volta
dimostra
qualcosa di diverso dall’amarezza: sembra soddisfatta delle
tue risposte, e
annuisce con solennità.
“Qualcuno dovrà pur raccogliere la vostra
eredità, signora. Non dovete pensare neppure
per un istante che le vostre
azioni non avranno delle conseguenze.”
*
Il patto è scritto col sangue, e
sigillato con un bacio. Per quanto Agnes si sforzi, non
riesce a
ricordare una parola che sia una della lunga conversazione avuta con la strega
– una cosa
sola sembra essere stampata nella sua mente, un’idea senza
colore che non
riconosce come sua, e un obbligo al quale non intende sottrarsi.
*
Nel 2005, Claudia Stilinski si spegne nel proprio letto
d’ospedale. I medici
non hanno idea di quale sia il male che la corrode
dall’interno, rendendola
sempre più pallida e rubandole l’energia
necessaria a stare al mondo, però la
donna non sembra essersene mai curata.
Ha affrontato la notizia della malattia con un sorriso, e gli occhi
pieni di
lacrime.
Lo Sceriffo trascorre molto più tempo al lavoro del solito,
trovandosi incapace
di sopportare quel sentimento di impotenza di fronte alla morte
imminente della
moglie. Il piccolo Stiles, però, prende ogni giorno
l’autobus degli adulti
per poter vegliare sulla
madre.
I momenti di lucidità sono sempre più rari: ormai
quando la donna non dorme
delira a causa della febbre. Il ragazzino ha però
l’occasione di dirle addio
due giorni prima della morte di lei.
Al suo ingresso nella stanza d’ospedale Claudia alza un
braccio nella sua
direzione – da due settimane ha a malapena la forza di
deglutire. Stiles corre
al suo fianco, prendendo la mano bianca fra le proprie, accarezzandole
i
capelli arruffati con infinito affetto.
“Mamma, cos’hai? Non ti senti bene? Serve che io
chiamo il dottore, l’infermiera,
un esorcista? Aspetta solo un momento, torno subito, vedrai.”
La donna però lo interrompe con un bisbiglio, la sua voce
rotta dal pianto.
“Mi
dispiace, amore mio… Mi dispiace così, così tanto, non vo-volevo che
questa
cosa ricadesse su di te, io ho… Ho cercato di rompere la
maledizione, però ho
fallito, e mi dispiace, piccolo mio, mio tesoro…”
“Mamma,
non… non fa niente” risponde,
preoccupato e confuso dal comportamento di Claudia. La abbraccia con
più forza
di quanto non sia raccomandabile con una persona tanto debole, e la
culla
dolcemente avanti e indietro, ascoltando il modo in cui le parole e le
lacrime
di lei suonano contro la sua felpa, la pelle del collo. “Non
ti preoccupare,
andrà tutto bene.”
“Non
è vero” replica lei, e già il sonno le
invade il cervello.
“Andrà
tutto bene, vedrai. Papà sarà con
noi, e tu starai meglio, e io diventerò molto più
alto degli altri ragazzi
della mia età e ti aiuterò ad arrivare agli
oggetti sugli scaffali più in alto
e mamma, andrà tutto bene.”
Claudia
però non può ascoltare queste
parole; sta già dormendo, e non si sveglierà se
non per trarre i suoi ultimi,
dolorosi respiri.
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Capitolo 2 *** - memories unfurling in the mind. ***
Ringrazio tutti quanti per
il supporto! Le
recensioni, chi segue e ricorda la storia, it’s refreshing e
mi invoglia
davvero molto a scrivere. Probabilmente continuerei anche se non la
seguisse
nessuno, però in questo modo mi sento un po’
più responsabile nei confronti
della storia. Dunque: grazie!
Delucidazioni: nei segmenti che
trattano del patto originario, negli anni Quaranta con Agnes e la
figlia
Ginevra, la terminologia è scelta in modo da risultare
storicamente
attendibile. Avendo scelto un punto di vista interno, ho
necessità di costruire
un’atmosfera. Quindi eventuali nozioni di razzismo e
misoginia, anche se per
alcuni aspetti posso risultare incredibilmente attuali, non mi
appartengono
come persona. Non che abbia ricevuto accuse in questo senso, siete
stati tutti
incredibilmente gentili!, però è sempre meglio
specificare.
What else. Ho sempre avuto problemi
con gli inizi, mi sembrano sempre troppo meccanici – nulla a
che vedere con la
familiarità con cui si può descrivere un universo
già perfettamente
caratterizzato nella mente dei lettori. Quindi, mi auguro che questo
capitolo
non risulti troppo meccanico.
La storia è ambientata all’inizio
dell’anno scolastico, e (per ora) gli eventi della 3A sono
posticipati perché,
appunto, ho necessità di caratterizzare personaggi &
stuff. La saga di
Jennifer e degli alfa la vedremo presto, però
sarà reinterpretata secondo
quella canon!au che adoro e che era tanto diffusa prima
dell’uscita della terza
stagione, in cui il branco di Derek e quello di Scott collaborano come
uno per
proteggere la città.
Il vero
mistero nascerà col prossimo capitolo; mi
auguro che comunque apprezzerete l'aggiornamento. World building, world
building everywhere!
Buona lettura ~
II - MEMORIES UNFURLING
Stiles adora quando Melissa mette
in punizione Scott vietandogli di
utilizzare la macchina, poiché questo significa che (anche
se spesso la colpa
dei casini ricade su entrambi) è
compito di Stiles quello di portarlo a scuola. Sono attimi di
nostalgia, e di
dolce vendetta.
Al primo
semaforo rosso che incontrano, il figlio dello Sceriffo alza al
massimo il volume della radio, si slaccia la cintura e si sporge quasi
fino
alla vita fuori dal finestrino. “Black,
black heart!”
canta per attirare l’attenzione di quanti più
passanti
possibile. “Why would you offer
more? Why
would you—”
“Stiles,
ti prego, basta” esclama ridendo Scott, e lo afferra per
l’orlo della
maglia cercando di tirarlo dentro l’auto; scalda il cuore
notare il modo in cui
il licantropo, quasi inconsciamente, misura la propria forza per non
fare del
male all’amico.
“Conosci
le regole, giovane McCall: il guidatore sceglie la musica;”
Stiles
annuncia la citazione con orgoglio, tornando in posizione di guida e
premendo
sull’acceleratore nel momento stesso in cui scatta il verde.
Tempo cinque
minuti e si trovano nel parcheggio della scuola: con una manovra
più brusca di quanto non intendesse, il ragazzo arresta la
macchina di fianco
alla fila di posti riservati alle moto, e finge di non notare il modo
in cui
Scott ne è ipnotizzato.
Se fossero altri due ragazzi
probabilmente temerebbero di essere fraintesi, però si
conoscono da più di
dieci anni e nessuno di loro trova strano il modo in cui Stiles
appoggia la
mano sul braccio dell’amico e sorride soddisfatto.
“Mi sei mancato, wereboy” gli rivela
con una punta di
nostalgia nella voce, e Scott risponde con una risata e
un’affermazione affettuosa.
Il lupo scende
dall’auto, però Stiles non lo segue. Non subito,
almeno.
Prima di
recuperare la propria borsa dei libri dal sedile posteriore della Jeep,
il ragazzo si prende un momento per massaggiarsi le cosce, i polsi, gli
avambracci;
è come se un liquido gli scorresse appena sotto la pelle,
caldo quel che basta
per causare fastidio, non abbastanza da risultare doloroso o
completamente
spiacevole. È come avere l’influenza.
Ultimamente ha
ricominciato ha sentire una profonda stanchezza nelle ossa, e un
peso al petto – in mezzo ai polmoni. (Come tutti gli anni)
non l’ha raccontato
al padre poiché non è impaziente di assistere ad
alcuna delle due possibili
reazioni, né l’indifferenza né la
preoccupazione sono un buon look per lo
Sceriffo di una cittadina tanto eccentrica.
Per Stiles, il
patto scade in primavera,
il 26 di aprile: quando tutti
gli altri studenti d’America studiano per i finals,
il giovane Stilinski cerca di rimanere in vita per un altro anno.
Adesso,
però, è ancora presto per pensarci. Con
un’alzata di spalle allontana
questi pensieri, e accenna un passo di corsa per raggiungere Scott, che
nel
frattempo sta dando il buongiorno a Lydia.
Qualche volta,
Stiles sogna ancora la prima
notte dopo la morte della madre. Una risata cattiva gli entra nel
cervello,
raccontando una storia di sangue e disperazione, proclamando la fine
dell’infanzia con la stessa leggerezza con la quale i bambini
strappano un fiore
dal giardino dei vicini di casa. Al suo risveglio, un forte odore di
putrefazione gli invade le narici e lo fa quasi vomitare.
Però riesce a trattenersi: ormai vi è abituato.
• • •
Un
pomeriggio, verso la fine di aprile, Isaac è entrato di
corsa nel salotto di
casa McCall, ha afferrato Scott per la spalla e gli ha sussurrato
nell’orecchio,
abbastanza forte perché anche Stiles potesse sentire, C’è
puzza di morto nel bosco.
Il modo in cui
il cuore di Stiles sobbalzò in quel momento dovette
risultare
sospetto alle orecchie del beta, il quale si voltò nella sua
direzione con un
sopracciglio alzato e gli occhi ambrati del lupo, però Scott
scosse la testa
per dissipare i dubbi di Isaac. “Abbiamo trovato un corpo,
una volta. Tagliato
a metà. È stato… qualche tempo
fa” concluse, interrompendosi per ragionare su quanto
tempo fosse trascorso dalla morte di Laura.
Quanto in
fretta era cambiata la vita di tutti loro.
Visitarono il
bosco quella stessa notte, alla ricerca della fonte di
quell’odore.
Scott e Isaac
indossavano abiti che non hanno timore di sporcare, e Stiles era
interamente abbigliato di nero. Si sarebbe sentito come un ninja
(oppure the
Vampire
Slayer) se non avesse continuato a inciampare nelle radici che spuntano
dal
terreno
(e se Sarah Michelle Gellar girasse armata di mazza da baseball in
alluminio).
Nuovamente
– déjà
vu is over nine
thousand!
– furono intercettati dalla
polizia, che proprio quel pomeriggio aveva ricevuto la segnalazione
anonima di un
cadavere nel bosco.
Le indagini
durarono qualche settimana: il corpo era irriconoscibile e dalla lista
delle persone scomparse non emersero corrispondenze, e la vittima
rimase priva di identità. Tutte le
possibili tracce non condussero da nessuna parte, e le diverse piste
battute dagli investigatori si raffreddarono velocemente. Le numerose,
rabbiose pugnalate
al petto
e al viso indicavano che si tratta di omicidio, però al di
fuori di questo…
Il caso rimase
irrisolto; anche il naso dei licantropi, dopo essersi abituato
all’odore dolciastro e sgradevole della putrefazione, non
individuò nulla fuori dall’ordinario.
• • •
Febbraio 1944. Quasi
dieci mesi sono trascorsi dal giorno del tuo colloquio con la negra, e
ti sei
ritirata in quello che le tue amiche considerano un esilio volontario
dettato
dal lutto.
Trascorri la
maggior parte del tuo tempo chiusa in casa, con le mani fra i
capelli e il pianto fermo in gola.
Ginevra ti
osserva restando sempre fuori dalla stanza, e con una mano rimane
aggrappata allo stipite mentre nell’altra stringe il suo
vecchio orsacchiotto
per una delle orecchie. Ti chiama molte volte, mamma, mamma! però tu
sei sorda alla voce del mondo, e la piccola è
spaventata.
Spaventi tua figlia, Agnes. Questo ti
terrorizza più di ogni altra cosa, però non hai
la forza di pensare a cosa
potresti fare per lei – sei impegnata a combattere quel
desiderio che ti abita
il cuore, quel pensiero che ti è entrato dentro e che ti
condiziona.
Se ad Henry
dovesse succedere qualcosa—morirebbe da eroe, ne sei certa.
La
nazione lo piangerebbe e tu con loro, e del tuo amato marito rimarrebbe
un’immagine impeccabile e perfetta. Ma come potresti vivere
con la
consapevolezza che parte della colpa ricade su
di te,
che avresti potuto portarlo a casa sano e salvo, e invece…
Ultimamente
piangi sempre più spesso, quasi tutti i giorni. È
un pianto che
nasce dal fondo del petto e ti scuote in tutto il corpo, quel genere di
pianto
che si accompagna a singhiozzi e gemiti, un pianto disperato.
(Oggi non sei
da meno.)
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