Poi arrivò il Dottore

di Lachelle Winchester
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Realtà o fantasia? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Fidarsi di un Signore del Tempo ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Siamo una squadra ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Gli occhiali del Dottore ***
Capitolo 6: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

I raggi del sole entravano deboli dalla finestra ed illuminavano appena le mura ingiallite e colme di crepe della vecchia aula. La voce monotona dell'insegnante era accompagnata dal suono continuo delle lampadine, interrotta di tanto in tanto solo per riprendere fiato, mentre buona parte delle alunne bisbigliava e faceva cenno per indicare qualcosa di interessante sui propri diari.
« Che pensate voi? Che la filosofia è quella che vi insegnava il vostro caro professore? Non ci vantiamo ma qua sappiamo già chi vale. » furono le prime parole che sentii, riportata dalla realtà dopo essermi addormentata per l'ennesima volta.
La professoressa di filosofia era una di quelle insegnanti che nessuno vorrebbe mai avere, noiosa e vanitosa, sempre pronta a giudicare gli altri professori e a mettersi al centro dell'attenzione; non era certo impreparata, ma si impegnava più a vantarsi di essere una grande sapiente che a dimostrarlo. Neanche io avevo poi un bel carattere, spesso avevo avuto divergenze con lei, oltre al fatto che soffrivo di disturbo da deficit di attenzione, quindi quando le cose non mi interessavano molto faticavo a concentrarmi e mi addormentavo, oppure approfittavo di una qualsiasi scusa per uscire.
« Studiate e vederete che qualcosa potete pure imparare, ma dubito che potrete mai capire col vostro ridotto quoziente intellettivo. » ci offendeva sempre, ma la donna era parente della preside ed aveva conoscenze ovunque: qualsiasi nostro tentativo di liberarci di lei ci era costato caro, così la lasciavamo parlare.

Improvvisamente sentii uno strano suono.
Pensai di essermelo immaginato o di averlo sognato, come spesso mi accadeva, ma sembrava così reale e vicino che ancora risuonava nella mia mente.
Chiesi di uscire e lei, riluttante, me lo concesse. Continuavo a sentire quel suono, che diminuiva sempre più di intensità, fino a scomparire del tutto.
Non avevo mai sentito un suono come quello, non sapevo cos'era ma mi incuriosiva tantissimo: un freno a mano? Un'elica che gira forte? Un elefante?
Continuavo a chiedermi cosa fosse, vagabondando per il cortile della scuola, in disordine come sempre, bagnato dalla pioggia che cadeva a dirotto.
« Assurdo, ci mettono di tutto qui dentro. » dissi tra me, mentre guardavo un vecchio frigorifero, che stava lì da sempre, dal mio primo giorno di scuola quattro anni prima.
Più in lontananza, tra i cespugli alla destra dell'uscita della palestra, c'era qualcosa che conobbi molto presto, ma che in quel momento non temevo abbastanza; avevo avanti a me, a pochi metri di distanza, una specie di enorme macchina del caffè marrone con le borchie dorate.
Due ragazzi e una ragazza sotto un unico ombrello gli si avvicinarono, curiosi, mentre li guardavo a distanza, riparandomi sotto il tettuccio di plastica che copriva le scale.
« Che carino! » esultò la ragazza, guardando l'oggetto, rivolta al ragazzo biondo che le ricambiò il sorriso.
« Ma si muove, dev'essere meccanico. » ipotizzò lui, sentendo uno strano suono meccanico provenire lì vicino.
Lo strano aggeggio si mosse e cominciò a seguire i tre, che iniziarono a correre veloci e scappare da quell'affare che li inseguiva, pur non sapendo di cosa si trattasse. Anche io ebbi improvvisamente l'istinto di correre e nascondermi; avevo paura di quella cosa, che, come scoprii dopo, con un solo tocco aveva tolto la vita ai tre ragazzi, ma prima di incontrare lui pensavo che avessero solo perso i sensi, quindi ero ancora ignara del pericolo che stavo correndo, che stavamo correndo tutti.

Qualcosa mi diceva di correre mentre quello strano robot faceva un grande fracasso; non capivo se stesse parlando, se stesse dicendo qualcosa o se fosse davvero solo un rumore meccanico, ma cominciavo ad averne paura.
Avanti a me c'erano due edifici, uno del linguistico e l'altro dei laboratori scientifici, nessuno che portasse alla mia classe, così continuai a correre, allontanandomi sempre di più dalla macchinetta dorata e urtando la testa contro qualcosa di duro, che vidi solo dopo perché ero sempre girata indietro, per assicurarmi di non essere seguita.
Era una cabina blu.
In un primo momento pensai che si trattasse di un'altra delle cianfrusaglie lasciate in giro per il mio liceo, ma era una cabina della polizia e per giunta degli anni '50; io non ero ancora nata, la scuola doveva essere stata appena costruita in quegli anni e quella cabina era come nuova, perfetta.
« Ma questa cosa qui chi ce l'ha messa? » commentai ad alta voce, notando che la porta era aperta, così decisi di nascondermi lì dentro, almeno in uno spazio piccolo mi sarei sentita più protetta.
Ma altro che spazio piccolo.
Mi sarebbe sempre piaciuto essere circondata da cose che non potevo spiegarmi, cose come quella cabina, incredibilmente grande e luminosa all'interno ma normale all'esterno, come spesso immaginiamo le tende degli indiani. La mia realtà non mi piaceva tanto, spesso vivevo nella fantasia ma avevo quasi 18 anni, ero grande abbastanza da rendermi conto del confine tra immaginazione e realtà.
Solo che quella cabina era così maledettamente reale da mandarmi quasi in crisi esistenziale.
Non ci credevo, pensavo di essere diventata definitivamente matta, di essermi immaginata tutto.
Poi incontrai il Dottore. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Realtà o fantasia? ***


Capitolo 1: Realtà o fantasia?


Per una frazione di secondi sentii la testa vorticare velocemente, gli occhi mi facevano male e si aprivano e chiudevano continuamente, incerti se credere o meno a quello che avevo davanti. Ero anche tutta bagnata, perché dalle scale alla cabina avevo percorso un tratto di cortile senza ripararmi, spaventata da quello che avevo appena visto.
« Hai intenzione di rimanere seduta a terra ancora per molto? » una voce distinta interruppe il mio stato di trance.
Mi voltai, in cerca della fonte e lo vidi per la prima volta; un uomo abbastanza alto, magro, slanciato, con un viso roseo ma lievemente più chiaro, aveva gli occhi scuri, portava un paio d'occhiali sottili e aveva un'espressione seria ma allo stesso tempo rassicurante, simpatica. Mi piaceva il suo abbigliamento; indossava un abito formale blu e delle converse rosse che mi piacevano tantissimo e in genere mi mettevano di buon umore le persone che indossavano scarpe che mi piacevano, ma rimasi seria, del resto non sapevo chi era quell'uomo ed ero in una fase di crisi esistenziale che aveva spazzato via ogni mia certezza. Ero al punto di chiedermi come mi chiamassi quando l'uomo parlò di nuovo.
« Se vuoi rimanere lì, fai pure. » mi disse sorridendomi e mostrandomi un'espressione serena, ma in quel momento realizzai quello che era successo.
« Come fa questa cabina ad essere così grande dentro? E che cosa sono tutti quei pulsanti? » gli chiesi, alzandomi dal pavimento e guardando l'interno della cabina, illuminata da una luce forte ma non accecante e gran parte di questa proveniva dal centro di quell'enorme stanza, da una specie di tavolo circolare e bombato pieno di pulsanti, fili e altri congegni.
« Questo è un TARDIS, mi serve per viaggiare, e i pulsanti...beh servono a farlo funzionare. » non sembrava sorpreso della domanda e rispose cordialmente, ma la sua voce mi incuriosiva, mi spingeva a fargli più domande, così partii a raffica, mandandolo un po' in confusione, chiedendogli di tutto, a partire dai comandi, a come fosse possibile che esistesse una cosa del genere, come lui ne fosse entrato in possesso. Rispose ad ogni mia domanda divertito e più parlava più diventavo curiosa, fino a che lo guardai fisso in faccia, avvicinandomi a lui ma mantenendo una distanza minima dalla porta, nel caso in cui le cose si fossero messe male.
« Tu chi sei? »  gli chiesi spontanea, senza smettere di osservare la sua espressione, sempre seria e rassicurante allo stesso tempo.
« Questa è quella che stavo aspettando, strano che tu me l'abbia chiesto solo ora. » disse sereno, incrociando le braccia dopo essersi sistemato gli occhiali. « Sono il Dottore ».
« Il Dottore e il TRAD...uhm...che? » mi sentivo strana, ascoltavo ma non riuscivo trovare un nesso logico a quello che la mia mente lentamente elaborava.
« TARDIS. » ripeté lui come se fosse la parola più naturale del mondo, prendendo a spingere qualche pulsante e a guardare qualcosa su un monitor. « Mi piacerebbe restare ancora qui a chiacchierare ma ho una certa urgenza di risolvere un problema » aggiunse serio.
« Tu sei vero? » gli chiesi, noncurante di quello che aveva appena detto: ero sicura che qualsiasi cosa fosse, avrebbe potuto aspettare.
« Certo che sono vero! » mi rispose quasi offeso, alzando lo sguardo, questa volta stupito dalla domanda alquanto curiosa.
« Come può essere? » ero entrata in paranoia, mi facevo prendere dall'istinto e come al solito non pensavo prima di parlare, rischiando anche di essere poco educata.
« So che ti sembra impossibile quello che stai guadando m... » cominciò lui ma io lo interruppi.
« Non è impossibile, lo sto vedendo davvero e non sto sognando. Al massimo è improbabile. ».
« Ragioni in un modo che mi piace. » sorrise; non sembrava cattivo però la situazione era strana e io non riuscivo a fidarmi facilmente delle persone in generale, meno che mai di lui, in quel momento, in una cabina della polizia più grande di casa mia. «Ascolta, siete in pericolo, dovete evacuare la scuola il prima possibile perché c'è un Dalek che... » lo interruppi ancora una volta, sicura di non aver capito bene quello che aveva appena detto.
« Un che? ».
« Un Dalek, è un alieno. Sto cercando di localizzarlo. Non l'hai visto per caso? » l'unica cosa che avevo visto era un uomo che parlava di alieni come se fosse una cosa normale, una cosa quotidiana.
« Ah no, questa mattina ho avuto giusto il tempo di fare colazione e poi sono corsa a scuola, ma appena lo vedo te lo faccio sapere. » sbottai sarcastica, mentre mi convincevo sempre più che quello fosse uno scherzo.
La situazione sembrava scivolare sempre più nell'irreale e il mio cervello era sul punto di esplodere; mille pensieri, tutti insieme, erano in circolazione, farneticavo, deliravo, fantasticavo ma da un lato quell'uomo mi ispirava fiducia. « Gli alieni? Esistono? E sono qui tra gli uomini? ».
« Ti spaventa l'idea? » mi chiese, senza distogliere lo sguardo dallo schermo mentre io continuavo a guardarmi intorno, incredula.
« Un po' si, un po' più di un po' .» risposi sincera, anche se una parte di me era sempre stata affascinata da questo genere di cose. « Alieno significa solo che viene da un altro pianeta, non necessariamente che sia cattivo. Quindi se davvero esistono, anche noi siamo degli alieni per loro. » avevo cominciato a pensare ad alta voce, come sempre.
« Pensi sempre ad alta voce? »
« Purtroppo si. »
« Perché purtroppo? »
« Perché le persone non amano sentire dei commenti poco piacevoli su di loro. » non raccontavo mai niente a nessuno, non parlavo facilmente di me, non riuscivo a spiegarmi perché con lui invece ci riuscissi. « Un alieno, eh? La professoressa di filosofia? E' bassa, brutta e con i baffi. ».
« Cos'è? Un orco? » rise di gusto.
« Quella di latino? Una talpa con gli occhiali, bassa e ha i denti sporgenti. Secondo me è anche madrelingua. » cercavo di distrarmi e non pensare.
« Un tricheco. Ma i tuoi professori vengono tutti dallo zoo? » mi fece ridere, ma accennai appena ad un sorriso perché impiegavo sempre tempo a fidarmi delle persone, figuriamoci di uno sconosciuto in un cabina telefonica magica...se era magica, sempre ammesso che la magia esistesse.

« Questo è un Dalek. » annunciò poco dopo, indicandomi lo schermo. «Una volta erano più pericolosi, in pochi avrebbero potuto conquistare quest'universo ma qualcosa è cambiato in loro col tempo. » cominciò a spiegarmi, prima che lo aggredissi di domande.
Quelle parole sembravano rattristarlo, come se ne fosse colpevole, sembrava dispiaciuto.
« La macchinetta del caffè gigante! » esclamai riconoscendo sullo schermo il robot da cui i tre ragazzi di poco prima scappavano. « Aspetta, ma se è un alieno e quei ragazzi correvano, in realtà stavano scappando e quindi forse non sono solo svenuti... » un orribile pensiero mi pervase la mente e l'espressione dell'uomo certo non aiutava a farmi stare meglio.
« Mi dispiace, non posso salvare tutti. » era addolorato, come se fosse stata colpa sua.
« Salvare? Non è colpa tua. » cercai di consolarlo, spontaneamente, senza saperne il motivo. « O si? Tu come come sai queste cose? Anche tu sei un alieno? ».
Io scherzavo, ero sarcastica ma lui mi fissò per alcuni secondi ed alzò lievemente le sopracciglia, poi iniziò a raccontare.
« Sono un Signore del Tempo, il Tardis mi fa spostare nel tempo e nello spazio. Il mio pianeta si chiamava Gallifrey, dieci-zero-undici-zero-zero per zero-due dal punto origine della galassia, 250 milioni di anni luce dalla Terra. ».
Era un alieno. Solo io potevo scappare dall'orco che ci insegnava filosofia ed imbattermi in un alieno dall'aspetto umano con delle belle scarpe.
« Sono un'aliena per te quanto tu lo sei per me. » constatai, a metà tra la paura per la novità e il timore di essere diventata matta.
« Bene, ora che ti fidi di me... » lo interruppi di nuovo.
« Aspetta, chi ha detto che mi fido di te? » lo ammetto, non ho mai avuto un bel carattere e, anche in quell'occasione, ne feci sfoggio, con uno dei miei scatti isterici, mentre lui mi rivolgeva uno sguardo interrogativo. « Piombi all'improvviso nel giardino della mia scuola con una cabina blu viaggiante dal nome buffo, e di buffo non ha solo il nome ma anche il fatto che vada oltre le leggi della fisica e che a detta tua viaggi, mi dici che quei ragazzi sono morti, che esistono gli alieni, che tu stesso sei uno di questi, viaggi nel tempo e nello spazio e non hai un nome... »
« Ti ho detto che sono il Dottore. » forse aveva cominciato a stancarsi ma poco m'importava; anche io ero stanca di quello stupido scherzo, durato fin troppo per i miei gusti.
« Bene, non è che sei anche psichiatra? Perché me ne servirebbe uno bravo e ne avresti bisogno anche tu , che ti presti ai giochetti di qualcuno e ti prendi gioco di una ragazza cretina. » uscii fuori, chiudendo la porta porta blu che mi aveva portato in quella cabina e tornando alla realtà: perché quello per me era stato solo uno stupido scherzo.

Ero confusa, arrabbiata perché credevo che qualcuno si fosse preso gioco di me, conoscendo la mia passione per le avventure e l'amore per la fantasia, ma non sapevo che quella fosse la verità e il Dottore era stato sincero con me pur non avendone nessun interesse. Passeggiai per il giardino e mi ricordai che c'era ancora filosofia, così mi preparai a tornare in classe e a sorbirmi un richiamo, ma almeno avrei dimenticato quello che era successo; da un lato ero delusa, delusa di essere così stupida da credere ad una storia del genere, delusa di esserci rimasta male come quando una bambina scopre la verità su Babbo Natale, ma una parte di me sperava che non era stato né uno scherzo, né frutto della mia immaginazione. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Fidarsi di un Signore del Tempo ***


Capitolo 2: Fidarsi di un Signore del Tempo

Dieci minuti dopo quello strano incontro, mi avviai a passo lento in classe, frastornata, aspettandomi uno di quei richiami che la cara professoressa riservava solo a me. Non saprei dire quanto durò, ma ricordo ancora benissimo quei lunghi baffi scuri sulle sue labbra che si muovevano ad un ritmo veloce.
« In classe si torna subito, nessuno deve perdere le mie spiegazioni. Io so cose che nessun professore conosce, io ho studiato più di tutti in questa scuola e gli altri non vi dicono quello che vi dico io. Quella che vi dico io è alta psicologia, non è scritta in nessun libro, ma dubito che il vostro quoziente intellettivo vi permetta di comprendere questo. » il modo in cui si vantava era disgustosamente patetico.
Avrei voluto tirarle quei baffi lentamente, ma mi costrinsi a rimanere in silenzio e a tornarmene al posto, e le sue ore di lezione furono una tortura infinita, interrotte soltanto, mezz'ora prima che suonasse la campanella, da una scossa di terremoto violenta. Avvertii un leggero tremolio dei banchi che man mano diventava sempre più intenso e frequente. Le ragazze nella mia classe avevano cominciato a gridare, spaventate, mentre la professoressa cercava di mantenere la calma e tenerle a bada, impazzite dopo aver sentito un boato nell'edificio accanto. Pochi secondi e tutto tornò immobile, non c'erano più scosse ma l'istituto era nel caos; ragazzi e professori correvano da una parte all'altra della scuola, i primi per scappare e questi ultimi per cercare di mettere ordine, compreso la nostra professoressa che cercava ad ogni modo di tenerci in classe.
« Non è successo niente, è finito tutto. Dovete stare sedute, gli altri devono vedere come io ho tutto sotto controllo. » gridò mentre afferrava una ragazza per la giacca per farla tornare in classe. « Bimbette, vogliamo andare dalla preside? E' finito il terremoto, non perdiamo altro tempo. ».

Dalla finestra si vedevano gruppi di ragazzi che scorrazzavano per il cortile della scuola, insegnanti che li tenevano insieme per riunirsi all'entrata del plesso principale, per assicurarsi che tutto fosse a posto ed essere sicuri di poter rientrare. Mi guardai intorno e vidi che anche altre ragazze erano rimaste in classe, vidi la preside parlare con alcuni professori, poi il mio sguardo si posò in direzione del giardino, dove avrebbe dovuto essere la cabina blu dov'ero stata poco prima, ma non c'era più e al quel punto una sensazione di vuoto pervase il mio corpo. In pochi minuti vissi troppe emozioni contrastanti; passai dall'ipotesi di essermi immaginata il Dottore alla consapevolezza che quell'uomo, con l'abito blu e le belle converse rosse, fosse reale e ne ebbi la conferma perché anche la mia classe lo vide. Non era frutto della mia fervida immaginazione, e per quanto pazzo possa essere un uomo, non era possibile che si fosse messo in ridicolo avanti ad un'intera classe e una persona adulta, per quanto il tricheco coi baffi più vanitoso del mondo possa essere considerata adulta.
Entrò spalancando la porta, dopo aver controllato tutto il plesso ed aver fatto uscire fuori i ragazzi e gli insegnanti, ma non immaginava minimamente con chi dovesse avere a che fare per farci uscire dalla nostra classe.
« Dovete uscire tutti. » furono le sue prima parole. Si voltò a guardare la professoressa, che lo fissava a braccia incrociate.
« Giovanotto, non ti immischiare. » questa si alzò in tutto il suo metro e dieci e si diresse verso la porta.
« Mi ascolti signora, siete in pericolo. Non c'è tempo da perdere. » continuò lui frettoloso, mentre guardava fuori dal corridoio.
«E qua questo facciamo, ci allarmiamo e poi vogliamo comandare, eh? » riprese lei, col solito tono sprezzante.
« Dovete evacuare l'edificio immediatamente, è pericoloso! » sbottò voltando lo sguardo verso di me.
Mi sentivo in colpa per non avergli dato fiducia, sembrava così buono ma non riuscivo a fidarmi di nessuno, anche se lui sembrava diverso.
« Lei chi è per immischiarsi? » gli chiese la professoressa, rimanendo con le braccia incrociate e muovendo il piede a terra, ad un ritmo frenetico.
« Sono il Dottore. » disse, guardandomi ancora.
« E io sono la professoressa. » precisò lei, che non aveva capito che "Dottore" era il suo nome.
Avevo cominciato ad accettare l'idea che quel momento era avvenuto davvero. L'insegnante aveva la solita espressione fiera, segno che stava per fare sfoggio del suo curriculum educativo. « Ho due lauree in filosofia, una in scienze umane, ho studiato anche medicina quando... ».
La sua voce monotona risuonava nell'aula come un ronzio di sottofondo, mentre alcuni alunni bisbigliavano un "Ora comincia" e il Dottore si guardava intorno, rivolgendomi più di qualche volta uno sguardo penetrante.
« Quindi non ci serve un dottore. » concluse lei, dopo un paio di minuti.
Il Dottore continuava a fissarmi, capii che voleva il mio aiuto perché non riusciva a convincere la professoressa.
« Ragazze, fate come vi dice. » le parole uscirono dalla mia bocca prima ancora che potessi pensarle. « Su, forza, dobbiamo uscire di qui e avvisare le altre classi. » le esortai a camminare fuori dalla porta.
Vidi di sfuggita il Dottore sorridere e questo mi fece sentire meglio.
« Bimbetta, vogliamo andare dalla preside? » la donna si mise avanti all'entrata, ma volevo dimostrare al Dottore di valere qualcosa, così mi opposi.
« Non credo ce ne sarà la possibilità se non diamo ascolto al Dottore. ».
« Ma quale dottore? Qui siamo a scuola, non in ospedale .» mi rispose col solito disprezzo.
Il Dottore mi guardò e mi indicò la finestra con lo sguardo. Uno di quei Dalek che mi aveva mostrato, e che precedentemente avevo visto in giardino, si avvicinava al nostro plesso, seguito da un altro paio di suoi simili. Un brivido mi percorse tutta la schiena quando sentii il Dalek che guidava gli altri parlare la mia lingua; non era più quel suono meccanico che avevo sentito poco prima, ma capivo benissimo quello che diceva.
« Non era un terremoto; sono arrivati rinforzi dopo che il Dalek ha distrutto un'intera ala della scuola e dovete uscire prima che raggiungano anche questa. » mi informò lui, facendo uscire tutte dalla mia classe.
« La generazione di oggi. Per uno stupido giocattolino fanno tutto questo chiasso e cominciano a farneticare. Vogliamo fare sempre le pecorelle smarrite? » la voce di quella donna era davvero fastidiosa, più del solito; neanche nei momenti di pericolo riusciva a stare zitta e a scendere dal piedistallo.
« La vuole chiudere quella cavolo di bocca una buona volta? » gridai con quanto fiato avevo in gola, senza riuscire più a trattenermi.
Non sapevo cosa mi era preso ma non mi ero mai sentita meglio in vita mia. « Lui è il Dottore, sa quello che fa. Dobbiamo fidarci di lui, senza che capiate. Evidentemente il vostro quoziente intellettivo non arriva a questi livelli. » conclusi, uscendo dalla porta per seguire le altre.

Dopo aver fatto uscire la mia classe dall'istituto, il caos aumentò perché tutti notarono l'arrivo dei Dalek e cominciarono ad andare in panico. Tutto ciò che riuscii a fare fu far uscire tutti, poco alla volta, passando inosservati da quegli esseri. Mi sentivo completamente a mio agio in quella situazione e non riuscivo a non pensare a quanto fossi felice che il Dottore fosse reale. Ripetevo tra me la conversazione che avevo avuto con lui, pensai a quanto potesse essere bello viaggiare nel tempo e nello spazio, visitare pianeti e vivere belle avventure tutti i giorni.
Mi fidavo di lui, non sapevo perché, ma non riuscivo a smettere di pensare che avrei potuto chiedergli di portarmi da qualche parte con lui qualche volta. Lo cercai per tutta la scuola e ad un certo punto ebbi anche paura che se ne fosse andato. I Dalek continuavano ad avanzare e ripetevano continuamente "Sterminare" in tono minaccioso e deciso, quasi come se fosse un ordine, come se si esortassero a vicenda. La pioggia riprese a scendere lenta, ogni tanto qualche tuono rimbombava, facendomi sussultare ogni volta tanto che ero immersa nelle mie fantasie, mentre cercavo di raggiungere il Dottore che sembrava essere scomparso nel nulla e con lui anche la cabina.
Quando tornai in classe non era lì, né in nessun corridoio; era completamente scomparso, nessuno l'aveva visto ma non persi la speranza e cominciai a cercare nei posti più insoliti, mentre sentivo l'avanzata dei Dalek in lontananza. Ero arrivata dietro la scala a chiocciola, accanto ai bagni del primo piano, quando rividi la cabina blu. "Il TARDIS" pensai, emanando un suono di stupore, e non ci ripensai due volte prima di rientrarci.
Il Dottore era lì, chino su una scatola rettangolare di un marrone chiaro, con due cinture più scure in pelle che terminavano con una serie di fori per potersi incastrare.
« Dottore, i Dalek si stanno avvicinando ma sono riuscita a far uscire la maggior parte delle persone. » parlare con lui mi venne spontaneo e andavo avanti e indietro, girando intorno ai comandi della cabina ed osservando ogni suo particolare mentre parlavo.  
« Non stai ferma un attimo. » disse voltandosi, dopo essersi sistemato gli occhiali.
« Ho problemi a gestire la mia iperattività. » confessai, ma volevo fare qualcosa, non parlare di me. « Stavo pensando, non posso darti una mano con i Dalek? ».
« Come hai cambiato idea? » mi chiese, alzandosi dopo aver preso dalla scatola un oggetto tondo, simile ad un disco ma più spesso, di un colore rosso acceso.
« Ho pensato che anche Clark Kent è un alieno ed è un supereroe. » come al solito io riuscivo a parlare solo citando le cose che mi piacevano; lo facevo per sentirmi a mio agio e fui felice quando mi sorrise, facendomi comprendere che conosceva Superman. « E tu mi ispiri fiducia. Hai delle belle scarpe, e non credo che tu mi stia prendendo in giro. » conclusi.
« Mi passeresti quel cacciavite sonico? » mi chiese, indicando un oggetto lungo e piuttosto sottile con la punta bombata blu. Aggiunsi anche quello alla lista di domande che dovevo fargli.
« Quei Dalek, io prima li ho sentiti parlare. Quando questa mattina ne ho visto uno ho sentito solo un rumore meccanico e invece prima li sentivo parlare. » gli passai il cacciavite mentre cominciavo a fargli domande a raffica, presa dalla mia solito curiosità, anche se quello era l'evento decisamente più interessante della mia vita.
« Sei entrata nel TARDIS, adesso puoi tradurre quasi tutte le lingue. » puntò il cacciavite sull'affare tondo e questo si illuminò, riflettendo la luce blu emanata dal cacciavite.
« Allora, adesso che mi fido di te, e non mi succede spesso, che facciamo? » gli chiesi, avvicinandomi cauta a lui.
« E' troppo pericoloso. Se vuoi fare qualcosa, fai restare tutti fuori. » rimasi spiazzata da quella risposta; ero piena di propositi riguardo le avventure, gli avevo detto che mi fidavo di lui e improvvisamente sembrò tenermi a distanza.
« Ah, certo, certo. » abbassai lo sguardo, delusa, e con esso anche il volume della mia voce. Fu quasi un bisbiglio.
« Va tutto bene? » mi chiese dopo aver infilato il cacciavite e l'affare rosso nelle tasche.
« Si, si. » mentii spudoratamente. Feci per andarmene, toccai la porta del TARDIS con la mano destra e mi bloccai. Feci un respiro profondo ma non spinsi la porta per uscire, mi girai di spalle per fissarlo. « No, a dire la verità no. Mi aspettavo di poter fare qualcosa, in realtà sogno una cosa del genere da tipo...sempre, e non mi aspettavo che se ne fosse presentata l'occasione e me la sarei fatta scappare così. » fui sincera, lo fissai negli occhi sperando che avesse cambiato idea.
« Potrebbe essere pericoloso. » mi avvisò, anche lui fu onesto con me.
« Lo so. Forse è per questo che sarebbe stato meglio se non ti avessi proprio incontrato. » conclusi. Feci spallucce e forzai un sorriso, ma non era un sorriso felice.
« D'accordo, ma se ti dico di metterti in salvo... » iniziò a raccomandarsi lui, ma ero troppo felice per poter prestare ascolto e gli mostrai uno di quei sorrisi a 32 denti che neanche Demi Lovato sarebbe riuscita ad eguagliare.
« Si, si promesso. Che cosa facciamo? » gli chiesi frenetica, facendo quasi dei piccoli saltelli, girandogli intorno.
Lui rise e mi rispose con un "Allons-y" ma non mi importava di non sapere cosa significava, avrei avuto tempo per stare con lui, con un Signore del Tempo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Siamo una squadra ***


Capitolo 3: Siamo una squadra

Da quel momento seguii il Dottore in ogni singola mossa che faceva; mi spiegò che quella con i Dalek era una battaglia che combatteva da sempre, che ogni volta li sistemava ma questi trovavano sempre il modo di tornare indietro e di minacciare la tranquillità del pianeta Terra con delle novità. Quella volta erano riusciti a fuggire da una capsula che avrebbe dovuto tenere la Terra fuori pericolo per almeno duecento anni, ma a quanto pareva questi avevano trovato il modo di uscire prima, si erano diretti sul pianeta e il Dottore doveva sistemarli per l'ennesima volta.
« Se riusciamo a ricaricare questa chiave potremmo riaprire la capsula, dopo averla trovata, ma ci serve energia, molta energia per riattivarla. Ci serve una fonte di energia. » spesso sembrava parlare da solo e si ripeteva, era perfino più iperattivo di me e non riuscivo a seguire tutti i suoi ragionamenti.
Mi accorgevo che mi stava chiedendo qualcosa solo perché mi guardava e a quel punto lo fissavo confusa, perché mi ero persa nei suoi discorsi e non avevo la minima idea di cosa stesse dicendo. Tutto quello che avevo capito negli ultimi dieci minuti era che quell'affare rosso che aveva in mano era una chiave e che gli serviva qualcosa riguardo l'energia statica per avviare un processo di attivazione di un sistema che facesse riaprire una capsula per imprigionare i Dalek.
« Sai dove si trova l'impianto della corrente in questa scuola? » mi chiese, più specifico.
« Mmm...si, credo di si. » risposi un po' titubante, cercando di percorrere mentalmente la mappa della mia scuola.
« Perfetto, andiamo! » mi esortò, avviandosi velocemente avanti a me, poi si fermò perché non sapeva dove andare, ero io a dovergli mostrare il percorso.
Corremmo per circa cinque minuti prima di arrivare nel plesso principale del mio liceo, entrare velocemente mentre sentivamo il rumore di muri caduti ed esplosioni provocate dai Dalek, ma non ne seguivano grida di gente spaventata, quindi supposi che nella scuola non era rimasto più nessuno.
« Dottore, » richiamai la sua attenzione mentre raggiungevamo la porta dello stanzino in cui c'erano centrali e fili ingarbugliati. « quante persone saranno morte? E se non sono riuscita a portare tutti fuori? » gli chiesi, facendomi prendere dalla paura di aver sbagliato qualcosa.
« Adesso non è il momento giusto, ...ehm... come hai detto che ti chiami? » tirò fuori il cacciavite sonico dalla tasca e lo puntò in direzione di tutti quei fili, abbassandosi per poter entrare meglio in quella piccola stanza, piena di polvere tanto che mai nessuno entrava.
« Non l'ho detto. Elizah. » risposi.
« Ah, Elisabetta I d'Inghilterra. » sorrise mentre lo disse.
« Si, la regina vergine in persona. » continuai il gioco ma senza enfasi.
« Eh già. » non capivo perché continuasse a sorridere mentre parlavamo e un po' mi seccò perché non avevo voglia di ridere, pensando che fuori potevano essere morti dei ragazzi della mia età o perfino più piccoli.
« Quanto spesso ti capita di trovarti in queste situazioni? » gli chiesi, spostando un'enorme ragnatela che mi si era parata davanti.
« Diciamo che è come se vivessi di questo. » mi rivolse un enorme sorriso e poi tornò con le mani e lo sguardo sull'impianto, sistemandosi gli occhiali.
« E non hai paura di sbagliare qualcosa? Insomma, le nostre vite dipendono tutte da te. Non hai mai paura? » gli chiesi ancora.
Immaginavo che essere un eroe come quelli dei fumetti comportasse tante responsabilità e tanti pesi da portare, ma vivere quelle cose di persona, cercare di aiutare gli altri davvero, era tutto più difficile e complicato di quanto immaginassi. Sentivo che avrei potuto sbagliare qualcosa e non mi ritenevo all'altezza di aiutare il Dottore, che aveva tutta quella responsabilità. Poi vidi come si impegnava in quello che faceva, mi spiegò che è quello che faceva e offriva tutto sé stesso pur di salvare gli altri. Tutte le cose che mi disse mi fecero riflettere sul peso che portava da solo sulle spalle e da quel momento decisi che gli sarei voluta essere sempre al fianco, avrei voluto che contasse su di me. Divenne una persona a cui ispirarmi e ancora oggi è per me un eroe, uno dei migliori. 
Il Dottore riuscì a ricaricare la chiave senza troppi problemi, dopodiché restava da localizzare la capsula e fare in modo che i Dalek ci entrassero dentro.

« Non capisco cosa stiano facendo i Dalek. » disse tra sé il Dottore quando fummo tornati nel suo TARDIS. « E' strano; la scuola è vuota, non c'è più nessuno e sanno benissimo dove mi trovo. Perché continuano a girare e non mi vengono a cercare? » continuò perplesso.
« Forse stanno cercando qualcosa. » ipotizzai mentre il Dottore mi fece segno di premere un pulsante.
« Ma cosa? » riusciva sempre a precedermi su qualunque ragionamento e raramente avevo incontrato qualcuno che fosse iperattivo come me. 
Mentre ragionava passava da un lato all'altro del TARDIS, e solo allora mi resi conto di come apparivo agli occhi della gente e capii perché mia sorella si lamentasse sempre di non riuscire a seguirmi con gli occhi.
« Sono arrivati qui da una settimana ma hanno attaccato solo oggi, anzi non hanno proprio attaccato, sono solo usciti allo scoperto. Allo scoperto, allo scoperto, ma certo...erano nascosti! » esclamò all'improvviso, facendomi sobbalzare; mi ero persa a guardare uno strano oggetto a forma di palla, contenente un liquido denso color verde acqua, con delle piccole lucine gialle che si accendevano ad intermittenza. 
« Erano nascosti, da chi? Di chi potrebbero avere paura se non di me? Li avevo sistemati, ma sono usciti, ma era impossibile uscire da soli da quella capsula, quindi...quindi non sono usciti, li hanno fatti uscire, li hanno liberati. Hanno alleati? No, i Dalek non hanno alleati, credono di essere superiori ma sanno che io posso sconfiggerli, quindi sono confusi, stanno scappando e cercando qualcosa contemporaneamente, ma da cosa stanno scappando e cosa stanno cercando? » continuò a ragionare ad alta voce da solo.
« D'accordo, Sherlock Holmes. Io non me ne intendo e forse sto per dire una cavolata, ma non esistono alieni mutaforma? Qualcosa che prende le sembianze di altre cose? » feci coraggio e lo feci partecipe di ciò che la mia mente insana stava producendo, prendendo ispirazione dalle decine di libri che avevo letto e dai milioni di esseri di cui la fantasia mi aveva sempre suggerito l'esistenza.
Lui mi guardò alzando un sopracciglio, avevo paura di aver detto una cosa stupida ma ormai era fatta, tanto valeva completare l'opera.
« Scusa, i Dalek hanno paura di te e sanno che solo tu avresti potuto liberarli, stanno scappando e non ti vengono a cercare. Perché? » chiesi.
Ne seguirono alcuni imbarazzanti minuti di silenzio, nei quali il Dottore continuava a percorrere a grandi passi il pavimento della sua nave e rifletteva a bassa voce, e io mi convinsi di aver detto una grandissima cavolata, forse troppo presa da quella situazione, che per quanto mi fossi ormai abituata, continuava ad essere alquanto strana per me.
« Ma certo! » esclamò all'improvviso, ma quella volta non saltai, forse perché al suo modo di fare mi stavo abituando. « Perché stanno scappando e stanno cercando me, il vero me. » il suo volto sembrò illuminarsi e corse subito nella mia direzione, mi poggiò le mani sulle spalle e sorrise guardandomi, poi corse avanti al monitor.
« Non sono sicuri di chi sia il vero Dottore. Qualcuno ha preso le mie sembianze e li ha aiutati a scappare. Per quale motivo? Non ne ho idea, ma lo scopriremo, è questo il bello. » la situazione non mi era ancora chiara. 
Chi avrebbe aiutato degli alieni a fuggire e perché con le sembianze del Dottore? 
« Sei davvero un genio, Elizah! » esclamò, guardando lo schermo che finalmente segnava il punto in cui era stata individuata la capsula dei Dalek.
« Non sono un genio, non ho capito neanche quello che ho detto io stessa. » feci un po' l'offesa, non mi piaceva essere presa in giro.
« Credimi, non lo dico a chiunque. » mi assicurò. « Dobbiamo solo trovare il finto me e rispedire indietro i Dalek. ».
« D'accordo, ora che facciamo? »
« Andiamo a cercare "l'alieno mutaforma". » concluse uscendo dalla cabina. « Vieni con me? Fai parte della squadra ora, no? » aggiunse e io lo seguii.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Gli occhiali del Dottore ***


 Capitolo 4: Gli occhiali del Dottore


Il Dottore camminava a passo spedito, puntando di quando in quando il cacciavite sonico verso qualcosa. La scuola sembrava essere vuota, si udivano solo i Dalek bisbigliare, come se davvero si stessero nascondendo da qualcuno. Il Dottore sembrava pensieroso e teso e io lo seguivo senza più fargli domande.
Arrivammo nel piccolo cortile dietro la palestra e vidi un'enorme scatola nera lucida. L'uomo di Gallifrey cominciò a ruotare intorno ad essa, annusandola e puntando il cacciavite ancora una volta. Girò ancora intorno, toccandola e con le dita in punti diversi, muovendosi velocemente e facendo scatti improvvisi, come se si aspettasse di trovare qualcuno nascosto nei paraggi.
« E' stata aperta dall'esterno. »  interruppe quel lungo silenzio di tensione con queste parole.
« Quindi sono stati aiutati ad uscire? »  più che una domanda era un'affermazione, ma per evitare equivoci preferii rassicurarmene.
« Già. » rispose, riponendo il cacciavite in tasca.
All'improvviso udimmo uno starnuto provenire da non molto lontano, seguito da un fruscio, un suono appena percettibile di foglie che si scontravano.
« Dottore, hai sentito? » sussultai.
Lui mi guardò ed inclinò il capo per ascoltare meglio. Cominciammo a spostare le foglie e a guardare dietro i folti cespugli, ma nessuno sembrava essere nascosto lì dietro.
Il Dottore si sfilò gli occhiali e puntò su di essi il cacciavite.
« Tienili, ti serviranno per individuare forme di vita che possono metterti in pericolo. » disse consegnandomi i suoi occhiali.
Li presi ma non ebbi neanche il tempo di indossarli che sentimmo di nuovo lo stesso fruscio di poco prima.
L'uomo dello spazio scattò in direzione opposta e si abbassò per guardare dietro un mucchio di sedie, accantonato lì da anni e consumato dalla pioggia e dal tempo.
« Oh, la pecorella smarrita... » ironizzò.
Pochi istanti dopo, il Dottore si spostò e diede modo alla fonte degli starnuti di uscire allo scoperto.
« Oddio, questa donna è un incubo! » esclamai guardando la professoressa di filosofia ergersi in tutto il suo metro e dieci, con tanto di baffi ben visibili anche da lontano.
« Bimbetta, io sono la professoressa... » cominciò ma la interruppi.
« Si è accorta che siamo in pericolo? » sbottai.
Lei mi guardò, fissandomi dall'alto in basso, arricciando il naso e riducendo gli occhi quasi a fessure, per poi passare ad osservare il Dottore.
« Ci salverà questo bel giovanotto? Che dobbiamo fare? Io in tempi di guerra mi sono sempre data da fare. Ti parlo degli inizi della mia vita, era il... » cominciò la solita cantilena, con la solita aria da essere superiore.
« Elizah, devi occuparti di lei. Devi portarla nel Tardis, lì sarete al sicuro entrambe, non c'è tempo di uscire dall'edificio. » mi sussurrò il Dottore, avvicinandosi per non farle sentire ciò che dicevamo.
« Perché? Io voglio venire con te, hai detto che potevo aiutarti. » cercai di convincerlo.
Rabbrividivo al solo pensiero di rimanere da sola con quell'essere umano.
« Ma tu hai promesso di ascoltarmi in caso di pericolo. » precisò lui, frettoloso.
« Dov'è il caso di pericolo? » chiesi, facendo spallucce.
La mano del Dottore si alzò all'altezza delle mie spalle e mi indicò una folla di Dalek, raggruppata in file ordinate, proprio all'ingresso principale della mia scuola.
« Ma... » cercai di obiettare ma guardai il suo viso e aveva l'espressione seria di chi non ammette si facesse il contrario.
« Nel Tardis. » concluse consegnandomi una chiave, una semplice chiave.
« Fai sul serio? Il Tardis si apre con una chiave? » chiesi quasi in un sussurro.
Lo guardai e mi costrinsi a fare ciò che aveva detto.
« Stai attento, Dottore. » gli raccomandai prima di fare segno alla professoressa di seguirmi.

Era una sensazione piacevole decidere cosa fare, sapere di avere in mano la situazione e decidere quale strada prendere, ma la mia mente era ancora troppo concentrata sul Dottore per poter godere a pieno di quella piccola rivincita. La donna era tanto bassa che spesso inciampava, e quando non lo faceva perdevamo tempo per fermarci e farle riprendere fiato. Avevo avuto più volte la tentazione di farle fare un percorso e farla poi tornare indietro, scusandomi per essermi sbagliata, ma non riuscivo a combatterla con la sua stessa moneta, io non ero come lei.
Nonostante questo, però, si trovò indietro tantissime volte e spariva per minuti interi prima di raggiungermi.
« Corriamo, dobbiamo metterci in salvo, Elizah. » mi esortò, raggiungendomi quando ormai il Tardis era a pochi metri da noi. « Dobbiamo entrare nel Tardis, sei sotto la mia responsabilità. Muoviamoci o rischieremo di morire. » aggiunse.
Continuavo a camminare ma la situazione cominciava a sembrarmi sempre più strana. Mi accorsi che all'improvviso la professoressa si preoccupava per me, non mi chiamava più "bimbetta", non sembrava neanche più lei e aveva perso quel fare da saputella. Non mi aspettavo potesse sembrare una persona normale e in quel momento mi sorpresi, perché ancora non avevo capito nulla.
Il borbottare continuo dell'insegnante si trasformò lentamente in un suono ripetitivo, senza interruzioni, quasi meccanico, fino a che con un netto passaggio cominciò a parlare con una voce diversa, una voce che avevo già sentito.
Cercai di intravedere la sua ombra a terra, ma il sole era avanti a noi e le ombre finivano dietro di me, e non riuscii neanche a guardarla attraverso qualche specchio. Avevo troppa paura per girarmi e camminavo a passo spedito, mentre il sangue mi si gelava nelle vene solo al pensiero, ma non potevo fare a meno di credere che quello che la mia mente stava elaborando purtroppo era la verità.
Raggiunsi la porta del Tardis di corsa e ci infilai la chiave nervosamente, distinguendo perfettamente la parola "sterminare", ripetuta dietro di me minimo una decina di volte. Con mio grande stupore, non fu la cabina blu del Dottore a proteggermi, almeno non letteralmente.
Quando riaprii la porta, vidi ancora la figura della professoressa, che non riusciva ad oltrepassare un punto nonostante continuasse a camminare, come se stesse urtando contro una barriera invisibile.
« Lascia che gli altri Dalek si occupino del Dottore. » sghignazzò, con la faccia arcigna.
Per quanto la detestassi, sapevo che quella che avevo avuto come insegnante per molti anni era caratterizzata da una cattiveria del tutto umana, ma sembrava essere diventata un Dalek. Infilai gli occhiali del Dottore che avevo conservato nella tasca, mentre lei continuava ad urtare contro questa barriera che non riuscivo a vedere. Le lenti mi mostrarono appunto un Dalek nello stesso punto in cui sapevo ci fosse l'insegnante.
« Era una trappola? Perché sei capitata proprio nella mia classe? » urlai contro quell'affare.
« Sciocca ragazzina, non sono mai stato uno stupido umano. ».
Il Dalek possedeva delle armi all'altezza delle mani e questo mi rendeva nervosa: non era facile stare lì fuori anche sapendo che c'era una barriera che mi proteggeva. Come potevo fidarmi di una cosa che non vedevo? Ma la mia ostinazione nel voler aiutare il Dottore era più forte.
Ero abituata a passare per un'idiota dopo gli anni di sopportazione di insulti della prof senza poter reagire, così cercai di far parlare l'alieno il più possibile per cercare di apprendere quante più informazioni potevo.
« Non capisco, professoressa, non siete umana? » finsi e la cosa non mi riusciva tanto male.
Mi accorsi che il Dalek non sapeva che potevo vedere la sua forma reale e mi credeva anche dotata di un'intelligenza al di sotto della media, ma poco mi importava.
« IO SONO UN DALEK. » la voce mi terrorizzava e riuscivo a stento a trattenermi dal fuggire nel Tardis.
« Un Dalek? No, non può essere, io conosco i Dalek, li ho visti e non sono così. Sono brutti, sembrano macchinette del caffè, ma ci siete andata vicina...insomma con quegli orrendi baffi. » lo schernii.
Ero diventata pazza? Lo ero sempre stata ma non avevo mai avuto l'opportunità di rischiare tanto la mia vita; era pericoloso, terrorizzante, agghiacciante, ma non mi ero mai sentita tanto viva prima di quel momento.
« Sono un essere superiore, sciocca ragazzina. »
« Io sciocca? Professoressa ma vi siete vista allo specchio? Va bene non avere un minimo di autostima ma da foca a Dalek... » stavo rischiando grosso, ne ero consapevole, ma volevo sapere a tutti i costi come facesse quel Dalek ad avere l'aspetto della mia professoressa.
Dopo aver insistito a lungo, riuscii a far perdere la pazienza all'alieno, che mi rivelò di avere il potere di assumere qualunque sembianza dopo essersi fuso con un'altra specie di alieni, che allora ancora non conoscevo.
« Ahhh, forse ho capito. Sei stato tu a liberare i tuoi amici perché non sei stato catturato e ora vuoi sottomettere tutto il tuo popolo. » ad ogni mia frase il Dalek si arrabbiava sempre più, ma sentirlo gridare mi dava tempo per ragionare.
Dovevo avvertire il Dottore che la vera minaccia era di fronte a me, che i Dalek erano molto più spaventati di lui perché non volevano essere sottomessi da uno dei loro che fosse più forte e, anche se ero riluttante, dovevo trovare la professoressa di filosofia che era stata catturata da loro perché l'alieno di fronte a me aveva ora preso le sue sembianze e per mantenerle doveva essere tenuta dai suoi simili. Non sapevo i motivi, né come tutte quelle cose fossero possibili, ma per aver incontrato il Dottore da così poco tempo non ero poi tanto male.
In genere si dice "Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto"; io dovevo andare da Maometto, ma non potevo abbandonare la montagna senza che il Dalek mi uccidesse.
Quindi fondamentalmente avevo un piano: raggiungere il Dottore e portare il Tardis con me. 

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Capitolo 6
*** Epilogo ***


Epilogo

Facile a dirsi.
Il problema era trovare il modo di trasportare quell'enorme cabina dal Dottore. Cosa poteva mai fare una semplice ragazzina per spostare quell'affare?
Guardai con la coda dell'occhio il Dalek avanti a me mentre entravo di nuovo nella navicella dell'uomo di Gallifrey. Chiusa la porta, mi sentivo molto meglio senza la vista di quell'essere e protetta da una grande stanza colorata e piena di luci, anche se a momenti l'interno mi ricordava tanto i Dalek, forse perché il terrore che mi avevano infuso era ormai marchiato nella mia anima.
Ad essere sinceri, non avevo la minima idea di cosa fare in quel momento; pilotare il Tardis sembrava impossibile, era un tipo di tecnologia che non avevo mai visto, altri sistemi, altre concezioni che solo col tempo riuscii ad apprendere, ma non era ancora quello il momento.
« Una volta inseriti i comandi, con "invio" dai l'ordine al computer. » borbottavo tra me, che ancora mi illudevo di poter far partire quella navicella applicando i sistemi di tecnologia terrestre a quelli alieni.
« Ma non ce l'hai una tastiera? » gridai stizzita, e il Dottore avrebbe dovuto ringraziarmi per non aver tirato un pugno sui comandi, ma considerando quello che che combinai dopo, magari il pugno sarebbe stato decisamente meglio.
Uscii di nuovo dalla cabina e mi guardai intorno. Non c'era nessuno, neanche il Dalek di poco prima, la scuola era nelle solite condizioni, e se ben ricordate avrete già capito che "le solite condizioni" comprendono anche tutte quelle cianfrusaglie che riempivano il cortile. Pensai che per una volta tra quelle cose avrei potuto trovare qualcosa di utile. Vidi una gru, che si trovava lì da circa un mese per i lavori in corso sul tetto, e tentai l'unica idea folle che mi venne in mente. Non ero il tipo da starmene con le mani in mano e sapevo far partire quelle macchine perché ci lavorava anche mio padre e quando andavo a trovarlo guardavo sempre come le faceva funzionare. Fortunatamente le chiavi erano ancora inserite, forse perché erano state lasciate lì dagli operai che erano scappati dal terremoto, ma il Dottore non fu altrettanto fortunato; muovendo nervosamente i comandi, feci schiantare la cabina blu contro il muro della palestra prima di riuscire a posarla a terra, provocando un'ammaccatura che in nessun modo avrei potuto nascondere.
Volevo sparire.
Scesi da quel macchinario e corsi a vedere quanto era grave il danno, ma non ne ebbi il tempo perché vidi in lontananza arrivare un Dalek. Pensai che forse il rumore dello scontro aveva attirato la loro attenzione, ma quando questo arrivò a pochi centimetri da me, che mi infilai prontamente nel Tardis, l'alieno continuò a seguire il proprio percorso, spostandosi per evitare quella strana barriera invisibile che non mi era ancora chiara ma che ringraziai a vita, perché se non fosse stato per lei io non sarei qui a raccontarvi ciò che accadde in seguito.
« Questa poi... » sussurrai tra me.
Quasi ci rimasi male che il Dalek si comportò in quel modo, e in quel momento non sapevo ancora perché. Stavo per perdermi nelle mie mille domande quando sentii un grido acuto che interruppe bruscamente i miei pensieri e mi ricordò per quale motivo ero lì: raggiungere il Dottore.
Ma dov'era il Dottore? E la folla di Dalek?
Non ebbi il tempo di guardarmi intorno, potrei dire, che sentii di nuovo un suono lamentoso, un piagnucolio proveniente dalla palestra, e senza pensarci due volte mi fiondai dentro per vedere cosa stava succedendo, urtando contro la vernice fresca del muro che mi sporcò i vestiti. Camminavo lentamente, di soppiatto, continuando a sporcarmi i vestiti perché non riuscivo a scansare il muro. C'erano due Dalek, intenti a continuare la tortura che stavano infliggendo alla professoressa di filosofia, di cui riconobbi la voce gracchiante come quella di un uccello.

Ancora una volta non sapevo cosa fare e, anche se in futuro ammisi di pentirmene, in quel momento volevo cercare il modo di salvare quella donna, ma fino ad allora i miei tentativi di combinare qualcosa non avevano dato ottimi risultati.
Sentii una voce che avevo già sentito, una voce che mi riscaldò il cuore e mi infuse coraggio.
« Non ha abbastanza forza, non durerà tanto a lungo da permetterti di attivarti. » era la voce del Dottore che echeggiava in tutto l'edificio, che percorreva a grandi passi. « Non è nella natura di un Dalek mischiare il proprio DNA con quello di una creatura da lui considerata inferiore. » continuava a ragionare da solo.
Gettai uno sguardo verso i Dalek e vidi che sembravano deboli, fecero nascere quasi compassione in me, quasi quanta ne provavo per la professoressa, tenuta dietro una piccola parete trasparente, collegata a dei tubi che le laceravano la pelle fino a carbonizzarla in alcuni punti. La donna non aveva più la forza di divincolarsi e subiva senza fare alcun movimento, lanciando un grido con voce stridula e sofferente. 
« A meno che non vogliano mettere i bastoni tra le ruote al Dottore. » istintivamente abbandonai il muro e raggiunsi la fonte di quel suono.
Sentii i suoi occhi puntati su di me e, anche se i Dalek non si mossero di un millimetro, mi avvicinai al Dottore a velocità da capogiro.
« Perché non fanno nulla? » gli chiesi, guardando i due alieni accigliata.
« Non hanno abbastanza forza, si stanno spegnendo. Tutta la loro forza e molta della tua insegnate è stata prelevata da qualcuno. » mi disse a voce bassa.
« E gli altri Dalek? » gli chiesi ancora.
« Li ho chiusi di nuovo nella capsula. Non tutti però, alcuni sono fuggiti. » disse con naturalezza.
« E sai chi è stato a liberarli? Chi sta prendendo la loro forza? » gli chiesi guardandolo e trattenendo a stento un sorriso di soddisfazione.
Lui ricambiò lo stesso sorriso e in quel momento mi resi conto che era come se conoscessi quell'uomo da sempre. Capii che sapeva che avevo scoperto qualcosa più di lui, e tutto questo con solo uno scambio di sguardi.
Gli raccontai del Dalek che era in grado di cambiare aspetto, che era riuscito a non essere catturato l'ultima volta e aveva liberato gli altri della propria specie con l'intento di sottometterli, usando l'aspetto dell'uomo di Gallifrey, per questo i Dalek erano confusi e spaventati e non avevano attaccato prima.
« Non vuole mischiare il DNA a quello della professoressa. Gli serve energia per trasformarsi e passare da un aspetto all'altro. » mi anticipò lui, poi ripartì con i propri ragionamenti.
« Uno dei due Dalek è quello mutaforma e sta assorbendo energia dall'altro e dalla donna. Se interrompiamo il contatto comunicativo con le fonte di energia sbagliata potrebbe essere letale per gli altri due. Dobbiamo invertire il processo di assorbimento dell'energia vitale, ma prima bisogna capire chi si sta alimentando. Come riconosciamo chi è quello che può cambiare forma? » chiese guardandomi.
Come potevo saperlo io? Perché lo chiedeva guardando me? Sfiderei chiunque a non sentirsi a disagio in quella situazione.
Lo guardai ancora, massaggiandomi gli occhi che mi dolevano per il mal di testa probabilmente, e mi venne in mente che in tasca avevo ancora i suoi occhiali. Li indossai ma non fu una grande idea, innanzitutto perché entrambi erano Dalek con sembianze di Dalek, quindi non mi sarebbero serviti a niente, ma poi sembravano non funzionare più. Temevo di averli rotti e mi girai a guardare il Dottore. Sulle lenti potevo questa volta leggere "SIGNORE DEL TEMPO" a caratteri chiari e precisi.
« Non funzionano attraverso quel tipo di vetro, non ho avuto il tempo di fare un lavoro completo. Te li potenzierò più tardi. » disse in fretta, incrociando le braccia e tornando a ragionare sottovoce.
"Menomale che è un Signore del Tempo!" pensai sarcastica tra me, guardandolo e notando che anche lui aveva una macchia di vernice azzurra sugli abiti. Probabilmente anche lui si era sporcato entrando nella palestra. Del resto chi non si sporcava con quell'entrata per hobbit?
Quando sembravo essere persa nei meandri dei miei ragionamenti inutili contro l'inefficienza della scuola, mi resi conto che proprio quella poteva essere la risposta al problema del Dottore.
« Dottore, ti sei sporcato i vestiti di vernice entrando? » gli suggerii, inclinando la testa in direzione dell'entrata dell'edificio.
L'uomo mi guardò serio e socchiudendo gli occhi. Aveva il viso corrucciato in un' espressione affaticata dai chissà quanti ragionamenti.
« L'entrata della palestra! » sbottò alcuni minuti dopo, girandosi verso di me e stampandomi un bacio sulla fronte, preso dall'euforia che cominciò a scaricare ricominciando a percorrere a grandi passi il perimetro dell'edificio.
« L'entrata della palestra è ancora fresca di vernice, se vi fosse entrato un qualsiasi essere umano, o di sembianze tali, non avrebbe potuto evitare di farsi finire la vernice addosso. Calcolando la distanza da un punto all'altro della porta, di dimensioni ridotte, solo un Dalek avrebbe potuto evitare la vernice, mentre un Dalek di fattezze umane no. » concluse staccando un grosso tubo da uno dei due alieni, con una macchia di vernice azzurra simile a quelle sui nostri vestiti.

L'alieno, privo di forze, si spense lentamente e l'altro venne rinchiuso insieme con gli altri dal Dottore, mentre io aiutavo la professoressa di filosofia ad uscire dalla palestra. Col Tardis l'accompagnammo a casa sua, poi toccò a me tornare a casa.
Col Tardis...
Quando il Dottore vide le condizioni in cui avevo ridotto il Tardis cominciò a parlare da solo con la navicella. Gli ripetevo continuamente quanto fossi dispiaciuta mentre accompagnavamo la professoressa a casa, ma lui inizialmente non rispondeva, poi disse che non importava.
« Ti prego, sgridami, dimmi qualcosa ma non dire che non fa niente perché mi sento peggio. » lo supplicai, immaginando come potesse sentirsi.
L'alieno borbottava tra sé e ogni tanto alzava la voce, ma non mi rivolgeva nessuno sguardo inquietante né furioso, al contrario dopo un po' mi sorrise.
« Quindi adesso andrai a sistemare i Dalek che sono fuggiti? » chiesi al Dottore, avviandomi verso la porta del Tardis.
Lui sorrise ed annuì.
« Di solito le persone che incontro mi chiedono di fare un viaggio, uno solo...inizia sempre con uno solo. » il Signore del Tempo abbassò il volume della voce concludendo la frase e riuscii a cogliere una vena di malinconia.
« Che cosa inizia sempre con un solo viaggio? » gli chiesi.
Incrociando le braccia urtai la mano contro le tasche della felpa e sentii la presenza degli occhiali del Dottore.
« Elizah, sei troppo giovane e... » cominciò lui ma io lo interruppi.
« Grazie per il non-invito, Dottore. Ad ogni modo, adesso non avrei potuto accettare. » lo anticipai con fermezza.
« Stavo scherzando, Elizah. Possiamo partire anche subito. » mi disse sorridendo, e avrei tanto voluto seguirlo ma proprio in quel momento non era possibile, nonostante fosse la cosa che più desideravo.
« Mi piacerebbe, però davvero in questo momento non posso. » fui sincera con lui e sperai che questo non avesse compromesso il nostro rapporto, perché nonostante lo conoscessi da poche ore sentivo un forte legame con lui, e raramente mi succedeva.
Mi avviai di nuovo alla porta, poi mi voltai a guardalo sperando che quella non fosse stata l'ultima volta in cui l'avrei visto.
« Ma promettimi che tornerai a prendermi presto, vorrei davvero venire con te, Dottore. » aggiunsi.
La risposta fu un largo sorriso che provocò in me una gioia immensa nella consapevolezza che non l'aveva presa a male. Tornai indietro ad abbracciarlo e per restituirgli gli occhiali.
« Tienili, sono tuoi. Ti serviranno quando verrai con me. » mi disse ammiccando.
« Allora mi verrai a prendere davvero. Promesso? ».
« Promesso. »
E con quelle promessa nel cuore, le cui parole risuonavano ancora nella mia testa, uscii dal Tardis del Signore del Tempo e tornai a casa, felice come non ero mai stata prima. La mia non era una vita facile, ero ancora immersa da tanti problemi tra famiglia, casa, scuola, ma con la consapevolezza che il Dottore sarebbe venuto a prendermi per portarmi lontano da tutto, questa sembrò prendere un'altra piega; avevo ancora molti ostacoli da superare, molte cose per cui soffrire, ma nella mia vita poi arrivò il Dottore.


Rettangolo dell'autrice
In genere si scrive angolo dell'autrice, ma pensandoci ciò che scriviamo non occupa solo un angolo, ma proprio un rettangolo quindi...
No, è che non mi va di fare le cose come le fanno tutti perché sono anticonformista. Vabbé.

Volevo ringraziare tutti quelli che hanno commentato la mia fanfiction e anche chiunque l'abbia solo letta. Devo essere sincera, ho scritto fanfiction mettendoci l'anima ma non mi hanno dato le soddisfazioni che mi hanno dato questa, tenendo presente il fatto che invece era nata con l'intento di far torturare la mia "amata" professoressa dai Dalek e poi ne ho costruito tutta una storia intorno, storia che in un certo senso si è realizzata; il mese scorso ci sono state delle scosse di terremoto, la professoressa non si muoveva a scendere, giù tutti i ragazzi si sono comportati come avevo descritto nella fanfiction e fuori scuola hanno incollato un manifesto di una cabina telefonica rossa su cui qualcuno ha scritto "The Doctor was here, it' bigger on the inside, police box e allons-y", ma tutto ciò è avvenuto circa quattro mesi dopo aver pubblicato la fanfiction.
Quindi Dottore, manchi solo tu, forza!
Spero di scrivere al più presto anche le altre storie della serie "Elizah and the Doctor". Le idee ci sono, la voglia di scrivere anche. Il problema è il tempo; se avessi tempo potrei fare tante di quelle cose, invece non ne ho quasi mai.
Che razza di compagna del Dottore sono se non ho tempo? Forse ho capito perché si dice che il tempo è denaro, ed ecco perché io non ho tempo...in tal caso il Dottore sarebbe l'uomo più ricco dell'universo.
Vaneggiamenti a parte, ancora grazie a tutti e mi auguro di risentirci/rivederci/rileggerci al più presto.

Ps: non smettete mai di aspettare il Dottore, che tanto lui il tempo ce l'ha, prima o poi toccherà a noi vedere la sua cabina blu.
Allons-y.

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