The 27th Hunger Games

di samubura
(/viewuser.php?uid=369091)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La piazza era gremita di gente. La bambina fissava con le sopracciglia inarcate quella strana donna colorata che camminava sul palco davanti a lei. Lo stupido rumore dei suoi tacchi gialli era l'unico che si potesse sentire per l'intero distretto.
Sbuffò annoiata di sentire quel noiosissimo discorso alquanto confuso e si limitò a fissare il gruppo di ragazzi all'interno della zona delimitata dalla fune.
I loro volti erano pieni di tensione, lacrime e agonia.
La bimba alzò gli occhi al cielo e incontrò con lo sguardo due uccellini. Ghiandaie imitatrici.
Lei le conosceva bene. La sua attenzione tornò al palco, a quei volti impauriti e segnati dalla fame e a quella frase che sentiva ripetere quasi tutti gli anni "Felici ventisettesimi Hunger Games, e possa la fortuna sempre essere a vostro favore!"

Cari lettori,
Benvenuti a questa speciale edizioni degli Hunger Games!
Questa storia nasce da un mio desiderio di scrivere una storia interattiva.. ne ho sempre viste molte sul sito e le considero molto interessanti, poi ho pensato "Non è giusto che io decida le sorti dei tributi" quindi... saremo in tre a decidere cosa accadrà.
Elly24 e Bellador (link dei loro profili qua in basso) hanno accettato di collaborare con me: ognuno di noi, a turno, scriverà un capitolo e gli altri due saranno completamente all'oscuro di quello che accadrà fino a che non sarà pubblicato e poi dovranno ricollegarsi per andare avanti con la trama.
Ma arriviamo a voi!
Per chi non sapesse come è organizzata una storia interattiva, in poche parole i lettori collaborano con l'autore per creare la storia.
Il vostro primo intervento è quello di creare il vostro tributo.
Dovrete fornirci:
-Nome
-Cognome
-Distretto di provenienza
-Età
-Volontario (Sì/No)
-Legami affettivi
-Abilità particolari
-Una breve ma completa descrizione fisica (colore occhi, capelli, costituzione fisica ecc...)


Provvederò ad aggiornare qua sotto la lista dei tributi già occupati, potete mandarceli tramite recensione.
Dal momento che mancano ancora parecchi tributi e sembra che la storia stia calando potete scegliere DUE TRIBUTI DI SESSO OPPOSTO non necessariamente dello stesso distretto. Esorto chi avesse prenotato un tributo a mandarmi le schede come recensione o per messaggio..
Vi ringraziamo in anticipo!

Io cercherò di aggiornare la lista più spesso possibile...nel frattempo vi chiedo di dare un occhio alle altre recensioni in modo da non occupare in più persone lo stesso tributo... In tal caso viene data la precedenza a chi ha recensito per primo. Proprio per questo motivo vi chiedo di mandarmi le schede come recensione.. In modo che sia voi sia le altre due ragazze mie colleghe possano vederle anche se è vero che si toglie un po' di suspance

Il prologo è di Elly24

(P.S. Per qualunque cosa chiedete... spero di essere chiaro, ma non fatevi problemi a domandare)

Elly24:
http://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=573634
Bellador: http://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=161596

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


# Mietitura parte 1 

DISTRETTO 1- BENI DI LUSSO 

Diana Gordon aspettava impaziente che il video sui giorni bui terminasse per estrarre i giovani tributi di quell'anno. Oh, come la eccitavano i giochi. La facevano sentire...viva. Le davano una scarica di adrenalina strepitosa e lei AMAVA certe emozioni. E poi, aveva riscosso molto successo lei, visto che i suoi tributi vincevamo quasi ogni anno. 

Quando il video terminò,batté le mani entusiasta. 

“E adesso, il momento che tutti voi aspettavate con ansia.” Cinguetta avvicinandosi alla boccia delle ragazze. 

“Prima le signore” scelse con cura il bigliettino. Tornò al microfono e si schiarì la voce prima di parlare. “Rose Fulgot” 

Ma la ragazzina non fece in tempo ad assimilare la notizia che una voce si levò dalla fila delle diciassettenni.

“Mi offro volontaria!” Era determinata, dura, che non ammetteva repliche. 

Guardò in cagnesco tutte le altre ragazze che stavano cercando di prendere il suo posto e si diresse verso il palco a testa alta. I suoi occhi verdi erano semichiusi a mo' di sfida. 

“Come ti chiami cara?” “Jane Luxury” si sistemò una ciocca di capelli biondi e liscissimi dietro l'orecchio osservando Diana che la guardava leggermente contrariata. Jane infatti, pur essendo molto più giovane di lei, la superava di una spanna. Ad occhio e croce non sarà stata un metro e settanta circa anche senza i vertiginosi tacchi di Diana. 

“Bene! Ed ora il giovane uomo!” Questa volta scelse più velocemente il biglietto ansiosa di vedere il volontario. 

Infatti non fece in tempo ad aprire la strisciolina che dall'ultima fila si fece avanti un ragazzone alto e robusto con i capelli biondo platino che risplendevano alla luce del sole. 

“Mi offro volontario come tributo!” Un sorriso sadico che tanto piaceva ai suoi amici, gli aleggiava agli angoli della bocca. 

“Vieni su, caro!” Esultò tutta felice l'accompagnatrice dell'uno. 

Il ragazzo fissava con i suoi occhioni marroni , i suoi fratelli sul palco, entrambi ex vincitori. 

“Come ti chiami?” “Uriah Ross” 

“Oh! Qui abbiamo un parente dei nostri mentori! Beh, ti farai valere anche tu, non è vero?” 

Il ragazzo la guardò mentre lei gli si avvicinava con fare poco pertinente. “Ehm...si” 

Uriah guardò una ragazza tra la folla che scuoteva la testa contrariata. Era per questo che la amava, perché era diversa. Lei odiava i giochi. Lei non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. Aveva le sue idee e non le avrebbe mai cambiate per nessuna ragione al mondo. 

“Bene signori e signore! I tributi dei ventisettesimi Hunger Games! E che la buona sorte possa sempre essere a vostro favore! Stringetevi la mano, forza!” 

Jane guardò il suo compagno con disprezzo. Che senso aveva se poi lo avrebbe ucciso?

DISTRETTO 2: MINIERE (pacificatori) 

Era il primo anno da accompagnatrice per Carol Wolfagane. Molti la consideravano una semplice venticinquenne con poche ambizioni e dai facili costumi. Altri una raccomandata. In effetti, come primo anno, gli era stato affidato uno dei distretti più ricchi e forti di tutta Panem e ne era assai orgogliosa. Forse era tutto merito di quelle mezze storie che aveva avuto con i consiglieri del presidente stesso, che le avevano dato un piccolo vantaggio. 

Le piacevano quelle persone. Erano tutte entusiaste e gli occhi brillavano a ognuno di loro di una luce che non riusciva a spiegare.

“E adesso è arrivato il momento di estrarre la giovane donna che avrà l'immenso onore di partecipare ai ventisettesimi Hunger games!” 

Si avvicinò alla boccia e ne prese un foglietto. Si riposizionò davanti al microfono ma prima che potesse aprire bocca qualcuno la interruppe, dandole leggermente fastidio. 

“Mi offro volontaria” era una voce quasi annoiata e particolarmente sarcastica che non piaceva affatto a Carol. La ragazza sali sul palco, con nonchalance, i suoi capelli corvini alla luce del sole prendevano sfumature color rubino. 

Superò Carol con una spallata e si avvicinò al microfono. “Isobel Deveraux” annunciò all'intero distretto. Tutti la conoscevano, era la “ragazza pantera”. Sexy e letale. Molto pericolosa, figlia di un ex vincitrice, la famosa Amelie Reynolds. 

Carol era rimasta qualche secondo a fissarla interdetta ma poi si riprese avvicinandosi alla boccia maschile. Ma per la seconda volta qualcuno la precedette prendendola in contropiede. 

“Mi offro volontario!” Un diciottenne alto e robusto con gli occhi verdi che ricordano quelli di un gatto, si avvicinò al palco e Carol soffocó l'impulso di mettersi ad urlare. Perché dovevano essere così maledettamente maleducati? Proprio lei che era fissata con l'educazione e il rispetto...

Il ragazzo salì. Si scambiò un'occhiata con suo zio (anch'egli ex vincitore) che gli annuì orgoglioso e si affiancò a Isobel. 

“Ciao Mild” sussurrò malizioso. Lei gli sorrise ironica. “Ciao doggy”

“Come ti chiami?” Chiese quasi stancamente l'accompagnatrice del due.

“Cameron Hound. Ma...chiamami Cam” 

“Bene signori e signore, i tributi dei ventisettesimi Hunger Games, Bel e Cam!” 

“Isobel! Mi chiamo Isobel” la riprese bruscamente la ragazza. 

Cam sorrise. Si sarebbe divertito con il suo “zuccherino”

DISTRETTO TRE: MECCANICA/ELETTRONICA 

Serafina Wolfgane sorrise al distretto tre. Buon viso a cattivo gioco, si diceva sempre. Era seccata. Terribilmente seccata. Aveva dieci anni di più di sua sorella, dieci anni di esperienza e successo. Poi arriva lei, la sua “sorellina” che con qualche notte di divertimento con i più importanti rappresentanti di Capitol City, aveva preso il suo posto. 

E lei era stata mandata in un distretto sporco e umido. Pieno di fumo e fabbriche. Sbuffò avvicinandosi al microfono. Quei volti erano spenti, rigati spesso dalle lacrime. I loro occhi erano vuoti. Un solco che colmava il petto di tutti loro. Un vuoto che la fame,il lavoro e la paura gli scavavano dentro. Tutte cose che lei non conosceva. Una realtà che non avrebbe mai vissuto. 

“Adesso il momento che tutti voi aspettavate! È ora di estrarre i fortunati tributi che parteciperanno a questa edizione dei giochi! Prima le signore” 

Scelse con cura un bigliettino immergendo la mano a fondo prima di farla riemergere. 

“Melanie Mistick”Nessuno rispose. 

“Melanie Mistick” ancora niente. Un'enorme spazio si era creato davanti ad una ragazzina castana che fissava il palco con lo sguardo vuoto. 

“Vieni su cara!” La ragazza sembrava assente e alla fine due pacificatori la trascinarono a forza sul palco mentre lei non sembrava ancora cosciente di quello che era appena successo. Una bambina di dieci anni scoppiò in lacrime. 

“Ci sono volontari?” Chiese Serafina troppo abituata ai distretti ricchi con giovani forti e volenterosi. 

Dopo un lungo silenzio imbarazzante si schiarì la voce avvicinandosi alla boccia maschile. “Alec Richer” 

Un bambino di appena dodici anni sbiancò tra la folla. Comimciò ad avanzare verso il palco tremante non volendo fare la fine della ragazza. Al palco ci voleva arrivare con le sue gambe. Ma proprio quando si era deciso ad avanzare qualcuno lo fermò. 

“ Alec! Mi offro volontario! Mi offro volontario come tributo!” Un ragazzo castano con gli occhi neri si era piazzato davanti al bambino. 

Serafina sgranò gli occhi sorpresa. Un volontario!? Nel tre? Mai visto prima! 

“Un...un volontario! Abbiamo un volontario! Ma è fantastico!” Sentenziò con un po'troppa foga di quella necessaria. 

“Forza, forza! Vieni su!” Era così eccitata che gli andò incontro per le scalette che li dividevano e lo prese letteralmente per le spalle. 

“Come ti chiami?” “Simon Richer” 

“era tuo fratello quello?” “Si” “abbiamo proprio bisogno di giovani forti e coraggiosi! Stringetevi la mano!” 

Melanie sembrava essersi ripresa e strinse la mano del ragazzo con poca convinzione. Cercò il suo migliore amico Jace fra la folla e lo trovò in lacrime. 

Non sarebbe più tornata indietro probabilmente e non avrebbe più potuto rivelargli sul suo amore sincero. In più gli faceva pena quel ragazzo coraggioso che aveva come compagno di distretto ma i sentimenti non esistono nell'arena e lei lo sapeva bene.

DISTRETTO 4: PESCA

Cecilia Mardeen si ravvivò con le mani la sua parrucca verde di cui era orgogliosissima. All'inizio doveva simboleggiare il colore del mare ma poi non aveva resistito alla tentazione di aggiungerci qualche glitter facendola diventare di un orribile fosforescente. I suoi occhi scrutavano la folla. Quell'anno finalmente le era stato affidato un distretto favorito. E lei amava il mare. 

Stette in silenzio per tutta la durata del video e poi cominciò a ciarlare di quanto le piacessero gli Hunger Games e di quanto fossero utili a unire i distretti. 

“Bene bene bene! E adesso estraiamo la giovane donna! Quanto mi piace!” La sua voce era terribilmente stridula tanto che una bambina di quattro anni si tappò le orecchie infastidita. 

“Jennifer Golden!” Una ragazzina di quattordici anni fece appena in tempo a sgranare gli occhi prima che qualcuno prendesse il suo posto. 

“Mi offro volontaria!” “Oh, si! Vieni pure” Cecilia amava i volontari. 

“Come ti chiami?” “Malee Blackblue” i suoi occhi neri guardarono la folla con superiorità. Lei era forte, pronta e determinata. Avrebbe vinto, per lui. Per il suo piccolo fratellino, Jeremy, un innocente angioletto finito all'inferno. Si toccò involontariamente il braccialetto di corda che teneva sempre al polso. 

“E ora il giovane uomo!” Cecilia tifava sempre per i tributi maschili. Non sapeva spiegarsi il motivo ma era così. Praticamente da sempre. 

“Aleixo Nordlys” la folla lasciò passare il ragazzo formando uno spiazzo. Molti avevano paura di lui. Malee non lo conosceva ma rimase colpita dal suo viso indecifrabile. Non trapelava nessuna emozione. 

“Ci sono volontari?” Chiese Cecilia sorpresa che nessuno ancora si fosse fatto avanti. 

“Ci sono volontari?” Ripetè quasi infastidita alzando leggermente la voce. Ma cosa avevano i tributi maschili quell'anno? 

“Oh, ehm, bene. Allora...i tributi dei ventisettesimi Hunger Games! E che la buona sorte possa sempre essere a vostro favore!” 

Aleizo sospirò. Per lui non avevano senso gli Hunger Games. Però era preparato. Era pronto a difendersi se ce ne sarebbe stato bisogno. O almeno ci avrebbe provato.

Cecilia non era più tanto sicura di amare il mare. Scosse la testa e accompagnò i due tributi dentro il palazzo di giustizia. 

Angolo Elly24:

Ciao! Sono Elly24 l'autrice di questo capitolo e del prologo. Samubura mi ha chiesto di utilizzare questo angolo per presentarmi un po'quindi...eccomi qui! Allora innanzitutto voglio ringraziare gli autori che hanno creato questi fantastici tributi e di cui io ho avuto l'onore di fare la mietitura. Poi vorrei chiedervi se vi ho soddisfato o se siete rimasti delusi. So che molto probabilmente, anzi sicuramente, non sono all'altezza dei miei colleghi (non so se avete mai letto qualcosa di Bellador ma è bravissima) ma darò il massimo ve lo giuro! Se avete bisogno di qualcosa o volete rispondermi o qualsiasi cosa non fatevi problemi e scrivetemi pure sul mio account! Per coloro che invece mi conoscono già e seguono qualche mia ff,volevo dirvi che non so quando aggiornerò ricordi perché mi sono dedicata a questo capitolo quindi non sono andata molto avanti! 

E poi se ve lo steste chiedendo i saluti abbiamo accordato che li metteremo in un altro capitolo. Scusate se mi sono dilungata, grazie mille un bacione 

Elly24


Qua è samubura che vi parla!
Elly24 ha già detto quasi tutto :)
Il prossimo turno è il mio, quindi cercherò di sbrigarmi. 
Mi è stata fatta una proposta da Hope13 (una mentore) di creare un gruppo facebook per riunire tutti i mentori e prendere là decisioni sulle alleanze ecc... che ve ne pare come idea, personalmente non ci avevo pensato, ma mi sembra interessante.
Fatemi sapere le vostre opinioni così vediamo se far partire questa cosa.

Non rubo altro spazio, ciao a tutti!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


#Mietitura - parte 2


Distretto 5 – Piazza principale, 14:00

Era sempre la stessa storia. Ogni anno come tutti gli anni. Da prima che fosse nata.
Ventisei anni erano già passati dalla grande ribellione dei distretti. I discorsi dei più anziani ancora in vita testimoniavano qualcosa di diverso da quello che insegnavano a scuola, ma presto le loro parole saranno dimenticate e non resterà nient’altro che il lugubre dipinto che Capitol City descrive parlando dei giorni bui.
Il Trattato del Tradimento fu stipulato dopo la guerra. Dopo la distruzione del Distretto 13 a seguito della rivolta. Tredici distretti contro una forte Capitale. Ricca e potente.
Il Trattato del Tradimento sancisce che ogni anno, come tutti gli anni fino a che Capitol City regnerà sovrana su Panem, un tributo maschio e un tributo femmina per ogni distretto vengano estratti e rinchiusi in un’Arena per combattere fino alla morte.
-Un solo vincitore ricoperto di gloria tornerà nel suo distretto di provenienza – finì di recitare la voce squillante proveniente dal palco allestito davanti al palazzo di Giustizia – E ora, come consuetudine, prima le signore!
L’ultima esclamazione fece risvegliare Rebecca. Era adesso che si decideva tutto. Il suo nome era dentro la boccia di vetro molte, troppe volte. Dopo un po’ aveva smesso di contarle meticolosamente. Che importanza aveva? Sicuramente erano molte più di quante avrebbe voluto, ma le tessere erano state necessarie specialmente nell’ultimo periodo. L’incidente nella fabbrica che aveva ucciso i suoi nonni, sua madre e mutilato suo padre aveva caricato sulle sue spalle il peso di una famiglia non molto numerosa, ma sempre affamata. Non aveva permesso a suo fratello di prendere le tessere come faceva lei anche se quell’anno avrebbe potuto farlo al suo posto.
-Se deve andarci qualcuno, meglio che sia uno solo di noi due – gli ripeteva a ogni sua protesta. E non se ne pentiva neppure ora, ma non poteva impedire che la gola si stringesse in un nodo amaro ogni volta che la mano della donna sul palco scendeva all’interno della boccia di vetro.
-Rebecca Neville – era il suo nome. Il suo nome che rimbombava nel silenzio calato improvvisamente.
Le file in cui i pacificatori avevano disposto le ragazze del Distretto 5 si aprirono attorno a lei segnando il percorso che la portava al patibolo. Il primo passo fu il più difficile, gli altri si susseguirono misurati e composti fino al palco. La donna dal bizzarro copricapo era venuta a porgerle una mano guantata da in cima agli scalini. La strinse solo per cortesia, ma non guardò la donna. Il suo volto cosparso di trucco a nascondere i veri lineamenti le faceva quasi paura.
Tutti gli sguardi erano fissi su di lei. Erano tristi, ma metà della piazza non poteva nascondere di essere sollevata di non rischiare più per quell’anno. Qualche ragazza in fondo si tratteneva dall’esultare. Era ovvio, l’anno prossimo avrebbero avuto diciannove anni, niente più mietitura. Niente più Hunger Games.
L’unico pensiero andava alla sua famiglia, non voleva girarsi verso le prime file dove sicuramente avrebbe trovato suo fratello Declan. Fissò gli occhi blu-viola avanti a sé, fiera. Un applauso smorto accolse il suo sacrificio per i crudeli giochi.
-E ora estraiamo il tributo maschio del Distretto 5!
Si chiese come facesse quella donna a essere così felice nello scegliere dei ragazzini da mandare a morte. Ma soprattutto come facesse a indossare quel cappello.
Il ragazzo che rispondeva al nome di Jake Finnigan si fece avanti senza troppe storie. Rebecca non lo aveva mai visto e poco gliene importava poiché non sarebbe stato altro che un gradino da sorpassare. Non poteva permettersi nessuna forma di sentimentalismo. Lei doveva tornare da Declan, non c’erano alternative.
Anzi ce n’era una soltanto, ma preferiva non pensarci subito.
Jake non aveva mai visto Rebecca, l’aveva seguita con lo sguardo mentre saliva sul palco, aveva applauso senza convinzione e poi era stato colto dal terrore quando le labbra viola della donna sul palco avevano pronunciato il suo nome.
Era stato un colpo forte da togliere il fiato. E poi era salito sul palco coi pugni stretti e cercando di essere uomo come gli ricordava spesso suo padre.
Tutta la piazza taceva adesso che la buffa donna di Capitol City invitava a salutare i tributi. I ragazzi si strinsero la mano in quello che avrebbe dovuto essere un applauso.
 Altri due tributi erano stati scelti e, con grandi probabilità, non sarebbero ritornati.


 

Distretto 6 – Piazza principale, ore 14:00

La piazza era gremita di gente. Era una cosa piuttosto insolita per il Distretto 6, ma non nel giorno della mietitura. Annabeth era assieme alle altre ragazze della sua età che non conosceva. Si guardava attorno coi suoi grandi occhi azzurri senza curarsi troppo del filmato sui grandi schermi. Un video che arrivava direttamente da Capitol City per celebrare il ventisettesimo anniversario della fine della rivolta.
La donna che, come ogni anno da quando lei si ricordava, presidiava a tutta la cerimonia attendeva impaziente la fine del firmato. Il vento faceva agitare le piume che le partivano da dietro la schiena.
Neanche Josh prestava particolare attenzione al video, stringeva i pugni fino a sentire le unghie premere sul palmo della mano. Sperava che così sarebbe riuscito a tenere a bada la paura che lo attanagliava. Non poteva essere estratto. Per sua sorella questo avrebbe significato la morte.
Dopo la scomparsa di suo padre, ex vincitore, non poteva contare molto sull’appoggio di sua madre. La responsabilità della famiglia gravava sempre di più in questo giorno così particolare. Ma il filmato presto sarebbe finito.
-Non è incredibile, quanta forza, quante emozione ci sono in queste parole? – disse la donna-piumata dall’alto del palco rivolta ai ragazzi radunati davanti al Palazzo di Giustizia. Probabilmente la domanda non ebbe l’effetto sperato perché dopo qualche attimo di silenzio la donna proseguì un po’ delusa.
-Bene – disse con tono che aveva tutt’altro significato – Scopriamo il tributo femmina del distretto 6!
“Era ora” pensò Annabeth, che, a differenza delle altre persone che aveva intorno, sembrava abbastanza annoiata. E perché avrebbe dovuto preoccuparsi? Per chi?
Era sola da molto tempo e aveva preferito restarci nonostante i numerosi inviti da parte dei vicini. Aveva scoperto che non avere legami dava numerosi vantaggi.
La mano calò nella boccia di vetro e dopo un attimo riemerse. Ci fu solo un grande sospiro e il nome di Annabeth Shell che rimbalzava sulle pareti degli edifici che circondavano la piazza.
Tutti si voltarono verso la ragazza troppo magra che camminava tranquillamente nel corridoio umano facendo ondeggiare a ogni passo i capelli castano scuro.
Josh invidiava la sua sicurezza. Dire che conosceva Annabeth era troppo, ma non c’era quasi nessuno nel distretto che non conoscesse la sua storia. Sola: genitori morti, nessun altro parente che potesse prendersi cura di lei. In quel momento avrebbe quasi desiderato anche lui di essere solo e doversi preoccupare solamente della propria vita. Ma non poteva farlo: lui aveva una famiglia da mantenere.
La donna sul palco guardò Annabeth storto. Non le si sarebbe dato un soldo di fiducia se non fosse stato per lo sguardo di fiera indifferenza che teneva altro sopra la folla. Non aveva nessuno da guardare in fondo.
-Su, facciamo un caloroso applauso per il tributo femmina che rappresenterà il Distretto 6 quest’anno!
Un battito di mani poco convinto si levò dalla folla. Dalla sua posizione privilegiata Annabeth riuscì a scorgere che c’erano migliaia di persone. In un giorno così speciale chiudevano persino le fabbriche per permettere a tutti di partecipare alla cerimonia.
Quando la donna si riavvicinò al microfono per annunciare l’estrazione del tributo maschio un silenzio carico di tensione calò nuovamente sulla piazza. Ad Annabeth non importava chi sarebbe stato estratto, non aveva amici. Conoscenti, vicini di casa, compagni d’infanzia. Ma non amici. Ed era meglio così in quella situazione. Chiunque fosse salito su quel palco sarebbe stato un ostacolo per la sua sopravvivenza.
La mano calò di nuovo nella boccia di vetro dove erano scritti tutti i nomi dei tributi maschi estraibili. La donna spiegò il biglietto davanti al microfono e Annabeth potè leggere il nome scritto in bella grafia un secondo prima che echeggiasse nella piazza.
-Josh Weidern! – trillò la donna.
Era lui. Dannazione era lui.
Le mani gli facevano male da quanto erano chiuse strette. Le nocche bianche mentre camminava mettendo un piede dopo l’altro con la testa bassa. Non poteva permettersi di piangere, avrebbe resistito. Cercava solo di pensare a quello che poteva consigliare a sua sorella. Credeva in lei, ma non in sua madre e aveva paura che da sola la piccola Lily non ce l’avrebbe fatta. Sperava che qualcuno l’avrebbe aiutata, ma non è facile aiutare gli altri dove riesci a malapena ad aiutare te stesso.
Sul palco aveva incrociato gli occhi di Annabeth per un secondo, quando si erano stretti la mano in un gesto di sportività estremamente fuori luogo. Gli Hunger Games non sono competizioni, sono massacri.
Verde nel blu, blu nel verde. Aveva trattenuto a stento un sussulto: la mano di Annabeth era gelida quasi quanto il suo sguardo.
E poi un altro triste applauso. E la loro vita era segnata per sempre. Il loro destino affidato alla sorte.
-Felici ventisettesimi Hunger Games! – gridò la donna entusiasta – E possa la fortuna sempre essere a vostro favore!
“Già, ce ne vorrà parecchia” pensò Annabeth “adesso però stai zitta arcobaleno vivente”



 
Distretto 7 – Piazza principale, ore 14:00

Joshua non era felice che suo cugino si sarebbe sposato a breve.
-Sei pazzo? - gli aveva detto quando nessuno poteva sentirli – Tra meno di un mese ci sarà la mietitura e tu vai a fare promesse d’amore che non sai di poter mantenere!
Ma non c’era stato verso di smuoverlo. E se anche ci fosse stato, era troppo tardi probabilmente.
L’amore fa questi brutti scherzi, per questo Joshua non si era mai dato tempo di pensarci. Non finché sarebbe dovuto andare ogni anno a sfidare la sorte, sia chiaro.
Così adesso che aspettava che il consueto video sui giorni bui finisse aveva voglia di mordersi le unghie per l’ansia, ma non lo faceva perché non avrebbe fatto bella figura se fosse stato estratto. La paura più grande quell’anno non era la sua possibile estrazione, ma quella di Jeremy, il cugino che era praticamente un fratello per lui.
Nell’altra metà della piazza Viola si sistemava nervosamente, ma con metodo, l’acconciatura che sua madre le aveva insegnato. Era quella delle occasioni importanti, così complicata che aveva imparato a replicare solo dopo molta pratica. Ma non aveva paragone all’abilità che aveva sua madre. Il giorno della mietitura era quello in cui sentiva di più la sua mancanza. Quando si metteva davanti allo specchio per sistemare i lunghi lisci capelli biondo cenere che sciolti le arrivavano oltre l’ombelico. Amava i suoi capelli, erano l’unica frivolezza che si concedeva in una vita completamente dedicata ai fratellini Jon e Arya.
Il volto truccato della accompagnatrice, di cui Viola non ricordava il nome, si contorse in quella che avrebbe dovuto essere una smorfia di piacere quando le ultime note solenni della colonna sonora del video terminarono. Disse qualche parola esaltando lo “splendido lavoro che Capitol City ha preparato proprio per noi” prima di pronunciare la frase che avrebbe segnato il destino delle ragazze del Distretto 7 per un altro anno. Prima le signore, è il galateo.
La mano della donna, avvolta in un guanto dello stesso verde acido del tailleur che indossava, scese mescolando i biglietti prima di estrarne uno e aprirlo impazientemente.
Le labbra, verdi anche quelle notò Viola, si avvicinarono al microfono quanto più possibile in modo che il nome del tributo femminile si sentisse meglio in tutta la Piazza.
-Viola Sand! – esclamò la donna guardando avidamente verso lo schieramento delle ragazze. Quale agnello sacrificale le era mandato quell’anno dalla dea Fortuna?
Viola lasciò cadere le mani, che aveva tenute impegnate coi capelli fino ad allora seppure non ce ne fosse bisogno, lungo i fianchi e fissò a lungo il palco. Inutile dire che non se lo aspettava. Cacciò dentro di sè il turbinio di emozioni che le gorgogliava nel petto con un profondo respiro. Adesso non servivano.
Si incamminò verso la donna-lime che la attendeva e incitava dal microfono. Le stampò un bacio “plasticoso” su entrambe le guance e le indicò dove doveva mettersi. C’era una “X” bianca.
Un’altra era neanche due metri di distanza. E aspettava il suo tributo.
Viola non sentì neanche l’applauso delle persone. Guardò le loro mani muoversi mentre cercava disperatamente tra le ultime file Jen. Lei era salva. Lei avrebbe pensato ai suoi fratelli che, per forza di cose, doveva abbandonare.
Una volta che il tributo femminile veniva estratto tra la parte maschile iniziava a esserci eccitazione e paura. Qualcuno mormorava qualcosa riguardo alla sfortunata ragazza estratta e altri se ne stavano in silenzio tremanti.
Joshua dal canto suo si guardava attorno confuso. Adesso sarebbe potuto toccare a lui. La ragazza sul palco, che sarebbe potuta essere sua compagna di disavventure, guardava con i grandi occhi marroni un punto imprecisato in fondo alla piazza.
Non si era quasi accorto che la donna era tornata al microfono con una strisciolina di carta stretta tra indice e medio.
-Jeremy Armstree! Dove sei caro?
Non era lui. L’aveva scampata quest’anno. Grandioso!
Poi si rese conto che quelli che gli erano vicini lo guardavano con aria triste. Jeremy Armstree.
Per un momento l’euforia gli aveva fatto dimenticare cosa quel nome significasse. Suo cugino aveva iniziato a camminare verso il palco ed era indubbio, anche se teneva la testa bassa, che stava piangendo lacrime di addio per la sua promessa sposa.
La mano di Jeremy si alzò senza che lui lo volesse.
-Oh..abbiamo un volontario? – chiese la donna dall’alto del suo trespolo.
-Mi offro volontario come tributo – tuonò Joshua mentre camminava più spavaldo di quanto era mai stato verso il palco. Cercò di non incrociare lo sguardo del cugino che avrebbe distrutto la sua maschera di sicurezza fondamentale per il momento.
-Meraviglioso! Meraviglioso! Meraviglioso! – esclamò la donna e per un attimo Joshua ebbe paura che un cortocircuito nel cervello dell’accompagnatrice le avrebbe fatto ripetere “meraviglioso” all’infinito.
-Come ti chiami, caro? – chiese infine con tono cordiale.
-Joshua Armstree
-Era il tuo fratellone quello là? – chiese animata da un moto di curiosità inarrestabile. Un volontario da un distretto come il 7 era abbastanza insolito.
-Mio… cugino – disse Joshua che iniziava a crollare sotto il peso della tensione. In effetti dire che lui e suo cugino erano fratelli non faceva molta differenza col rapporto strettissimo che avevano. Non voleva altro che rifugiarsi nel Palazzo di Giustizia e prendersi un po’ di tempo per pensare su quello che aveva fatto.
-Oh, fantastico! Una storia emozionante, qua nel Distretto 7! Un bell’applauso per il nostro coraggioso volontario! – esclamò la donna scuotendo Joshua per le spalle.
La mano di Joshua aveva una bella stretta. Viola se ne rese conto subito. Il ragazzo che aveva come primo avversario nella gara della morte era perfino troppo robusto per i suoi gusti, e la storia del volontario salva-cugino avrebbe riscosso grande popolarità. Male, molto male.
Ma c’era un sentimento sincero nel fondo degli occhi marrone-verde di Joshua e si sentì per un attimo in colpa per averlo valutato così freddamente. Era una persona proprio come lei.




Distretto 8 – Piazza principale, ore 14:00

Il cielo è blu.
Pensò Riace Blue Pearl.
Il cielo è blu e oggi è il giorno della mietitura. L’ultimo giorno della mietitura. L’ultimo giorno in cui i pacificatori sarebbero venuti a prenderla alla locanda per accompagnarla alla mietitura.
-Giorno Fred, giorno Rufus, qual buon vento vi porta qua da me?
-Riace, dobbiamo andare. La mietitura inizia alle due.
Era una scena non più insolita, forse era per questo che Fred e Rufus non si stupivano più tanto e anzi chiacchieravano con lei nella strada verso la piazza principale. Era il quinto anno di mietitura per Riace, sopravvivi a questa e sopravvivi per sempre. Proprio come le aveva detto Sean qualche giorno prima.
Il cielo è blu. E non può essere verde. L’erba è verde, il fuoco..
Il fuoco è rosso. Rosso come i capelli di Riace.
No, niente fuoco. Non adesso. Cercò di concentrarsi per qualche minuto sul video che tra frasi a effetto mostrava le immagini dei giorni bui della ribellione. Prima che gli Hunger Games venissero creati.
Il cielo è blu. E ci volano le ghiandaie: guizzi bianchi e neri che si inseguono nel rettangolo formato dai palazzi della piazza principale. La donna sul palco ha un vestito piumato proprio come le ghiandaie. Non spingermi.
La spallata invece le arrivò proprio un istante dopo. Una ragazza le chiese scusa e si scansò di fretta come se volesse evitarla. Quasi come se portasse sfortuna. Riace non capiva perché facessero tutti così.
Lei guardava il cielo.
Hya aveva tanta paura. E stava proprio davanti al palco. Questo lo faceva sentire in pericolo.
Come se, lì davanti, la cattiva sorte potesse vederlo meglio.
Era il primo anno che partecipava alla caotica cerimonia della mietitura. Ma aveva studiato bene, quindi non era arrivato impreparato. Ti prendono, prelevano il sangue, ti schedano. I pacificatori ti indicano dove andare: ce n’è uno pressappoco ogni venti passi.
Aveva una moneta in tasca, una moneta portafortuna. Non era speciale, era solo una monetina di poco valore, ma in quella speciale occasione era importante. Hya l’aveva lucidata quella mattina fino a farla splendere. Scegliendola tra quelle del suo piccolo gruzzolo che custodiva con cura nell’armadietto della fabbrica.
Si diceva che se lanci una monetina e la riprendi al volo prima della mietitura le probabilità che tu venga estratto sono di meno. Quando hai paura ti aggrappi a tutto.
Il video dei giorni bui si era appena concluso e Hya scelse il momento in cui la donna diceva –Felici Hunger Games, e possa la buona sorte essere sempre essere a vostro favore! – per tirare la sua piccola ancora di salvezza nel cielo. Guardarla riflettere i raggi del sole e poi vederla cadere in un tombino. Assieme a tutte le sue speranze.
Era stato Alex a spingerlo. Alex che adesso se la rideva coi suoi amici, quelli che lo prendevano in giro perché era diverso. Come avrebbe potuto non esserlo?
Hya si era cresciuto un po’ da solo e un po’ appoggiandosi a Silk, quella che, non volendo, era diventata la sua nuova mamma. Dei suoi genitori non ricordava quasi niente. Solo una vecchia leggenda che aveva chiesto a Silk di mettere per iscritto su un foglio in modo da non dimenticarla mai e averla sempre con sé.
Era arrabbiato con Alex, ma non poteva fare nulla gli lanciò un’occhiataccia e sperò con tutto se stesso che fosse lui a essere estratto per gli Hunger Games. Ma prima toccava alle signore e la voce della donna sul palco, che Hya a stento vedeva sul palco altissimo, chiamò Riace Blue Pearl.
La gente attorno a lei bisbigliava. Mentre Riace camminava verso il palco. Pensò solamente che era un peccato non avercela fatta quest’anno, a un passo dalla salvezza.
E in quel pensiero il mondo le crollò addosso.
Salva.
Sarebbe stata salva. Lei che salva era già stata una volta.
Molto tempo fa ormai, ma i ricordi incendiavano ancora le sue giornate. Il fuoco che divorava sua madre, che le urlava di mettersi in salvo. Sua sorella, suo padre. Aveva perso tutto nel bagliore di una scintilla.
Era uscita dalla catapecchia pressoché indenne, qualche ustione sulle spalle e sulle braccia le avrebbero per sempre ricordato quel giorno, come se avesse potuto mai dimenticare.
E al centro della piazza tutti videro il fuoco nei suoi occhi mentre urlava e si contorceva nella polvere.
I pacificatori che si erano occupati di lei quella stessa mattina accorsero immediatamente prima che chiunque altro potesse. Avevano un riguardo speciale per la ragazzina che avevano visto crescere e non volevano che altri pacificatori più brutali le facessero del male.
Si beccarono calci e pugni prima di riuscire a intrappolare Riace in una morsa. Nel suo volto non c’era più nient’altro che il fuoco. Era fuori dal loro mondo e non potevano farla tornare indietro.
Quindi la accompagnarono sul palco e la donna venuta da Capitol City la guardò con sdegno senza curarsi di chiedere un applauso per quella pazza furiosa.
Hya era spaventato. Le urla, il ringhio di quel groviglio di capelli rosso acceso sul palco. Ma soprattutto il suo sguardo che pareva arrivare dalla profondità della terra e scavarti l’anima. Hya era troppo piccolo per sapere la storia di Riace che invece quasi tutti nel distretto conoscevano. La vedevano serena alla locanda del distretto, che lavorava sodo perché diceva di volere una casa tutta sua.
Ma la vedevano anche crollare in pianto o gridare per la strada nel cuore della notte. I suoi capelli rossi che splendevano sotto la carezza della luna.
Anche Hya l’aveva incontrata nei suoi giri notturni per guardare le stelle. Aveva incontrato il suo sguardo di un azzurro chiaro, ma intenso. E aveva avuto paura.
-Molto bene! – aveva ripreso la donna visibilmente scossa da quel colpo di scena improvviso – Ora estrarremo il giovane uomo!
E dopo qualche secondo era già tornata a posto per leggere il nome che tutti attendevano. C’era un solo foglio nella boccia che recava il nome di Hya Denverd. E quel foglietto ora era stretto tra le dita della donna sul palco.
Alex lo schernì, ma Hya non se ne accorse neanche. In cuor suo se lo sentiva. Il rituale porta fortuna fallito era stato un segno.
Non riuscì a non piangere, la schiena sempre curva era scossa dai singhiozzi, ma quando raggiunse i gradini del palco drizzò le spalle e sostenne fiero le occhiate della piazza. Un applauso accolse i due tributi.
Quando la donna invitò i tributi a stringersi la mano gli occhi di Riace incontrarono quelli acquosi di Hya.
In quel momento, nonostante avessero quattro anni di differenza, Riace capì che avevano molto più della stessa sfortuna che li aveva fatti trovare su quel palco in comune.
 



 
Questa volta il capitolo l'ho scritto io :D
Quindi sono super ansioso di sapere se ho rispettato i vostri personaggi e se sono come (o magari addirittura meglio) di come li avevate partoriti, quindi recensite o mandateci messaggi per ogni sorta di correzione o aggiustata che volete fare al vostro tributo.
Mi sono capitati i tributi di 4 distretti poveri, non molto celebri nella trilogia originale, ma sono veramente personaggi incredibili che spero di aver portato alla vita rendendo loro giustizia. Fatemelo sapere, ci tengo particolarmente.. anche se so che fin'ora di ognuno di loro si è visto ben poco :/


AVVISO IMPORTANTE: dopo il prossimo capitolo di mietiture di Bellador inizieranno quelli dedicati ai saluti, quindi dovrete comunicarci se ci sono persone in particolare che verranno a salutare il vostro tributo e/o se riceveranno dei PORTAFORTUNA che dovranno essere descritti con cura e spiegati nei loro significati..

Ripeto la proposta che ci è stata fatta di creare un gruppo facebook, quindi chi fosse interessato è pregato di farcelo sapere a breve in modo che possiamo avviare anche questa cosa: l'idea è di mettere in relazione i vari partecipanti (e non) all'interattiva e rendere tutto un po' più dinamico :)

Detto ciò, vi ringrazio per l'attenzione e direi che possiamo salutarci qua.

-samubura-

(mi riconoscete dal blu)

 
 
 
 
 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Distretto 9

Un venticello leggero faceva ondeggiare le lunghe spighe di frumento del Distretto Nove. Il fruscio era in contrasto con la tempesta impellente che era scoppiata nel cuore di tutti gli abitanti.
Tutti pregavano in silenzio, tutti speravano sottovoce di non essere estratti; “Fa che non sia io” imploravano con gli occhi, ma nemmeno loro sapevano a chi stavano chiedendo aiuto.
Nessuno ormai credeva più che un dio misericordioso sarebbe sceso in terra a salvarli come narravano quei vecchi libri che ogni tanto venivano fatti leggere a scuola ma che poi finivano in un angolo remoto della mente, sorpassati dalla paura e dal terrore.
Nessuno riusciva più a sperare in qualcosa, qualsiasi cosa, vedendo quei poveri ragazzini, uccisi dalla furia umana, giudicati colpevoli, ingiustamente, di una colpa che non avevano commesso.
Jane Smith camminava sui suoi alti tacchi vertiginosi, ondeggiando davanti alla telecamera, assai lontana da questa ideologia di pensiero.
Odiava quel dannato vento che le scompigliava la parrucca e le sgualciva il vestito.
Era il terzo anno che le veniva affidato il Distretto Nove: Frumento.
“Ma dimmi te a chi importa del frumento?!” pensava scocciata, attendendo il segnale per cominciare la mietitura.
Osservò quei ragazzi spaventati che stavano ai suoi piedi, terrorizzati, arrabbiati. Una miriade di emozioni risplendevano nei loro occhi, ma non quelle che lei si aspettava.
Non c’era gioia, felicità, esaltazione, desiderio di gloria.
“Che ingrati!” pensò poco prima di cominciare.
Non appena il video si fermò lanciò un gridolino stridulo di felicità, battendo con energia le mani.
“Prima le signore!” esclamò esultante, dirigendosi verso la prima boccia colma di bigliettini, quasi correndo, impazzendo dalla voglia di sapere chi sarebbe stata la fortunata ragazza che avrebbe rappresentato questo Distretto.
Senza esitare estrasse un dei foglietti, rigirandoselo tra le mani e correndo subito al microfono per annunciare il nome.
“Mai Whitney!” quasi urlò dalla felicità, alzando di scatto il viso alla ricerca della ragazza con gli occhi.
Mai si fece largo tra la folla, imponendo a se stessa di tenere lo sguardo fisso, di non piangere, di non tremare. Non si sarebbe fatta vedere debole.
Camminò al fianco dei pacificatori sino al palco.
Jane si inorridì quando vide i suoi capelli, corti e con delle orribili spighe di grano intrecciate. Era magra, tanto da poter notare le ossa sotto la sottile maglia smessa e scolorita che indossava.
Si costrinse a togliere lo sguardo da quella visione e a correre verso il microfono per annunciare l’estrazione del tributo maschio.
“Jared Lorraine.” Lesse ad alta voce.
Un sorriso sarcastico si aprì sul suo volto mentre percorreva i pochi metri che lo dividevano dalla sua postazione al palco.
“Perché sorridi, caro?” gli chiese la capitolina una volta che fu al suo fianco.
“Il mio nome c’era davvero molte volte” risponde sicuro, osservando la telecamera come se si stesse rivolgendo proprio agli abitanti di Capitol City “Mi stupisce che non mi abbiano mai estratto prima.”
Jane applaudì, scambiando la rassegnazione nelle sue parole per felicità ed orgoglio.
Per la prima volta era entusiasta dei suoi tributi, anche se di uno in particolare. Jared gli stava già simpatico; alto, bello e muscoloso. I suoi capelli erano corti e ben curati al contrario della ragazzina che aveva estratto prima.
“Bene ragazzi!” esclamò facendo un passo indietro. “Stringetevi la mano.”
Con fare un po’ incerto si avvicinarono l’uno all’altro, osservandosi a fondo, nel tentativo di trovare un punto debole nell’avversario.
Si scambiarono un sorriso di circostanza, debole e incredibilmente falso.
Mai lo osservò bene: aveva sentito parlare di lui, perfetto e sempre pronto. Dannazione, era perfino bello!
Scacciò subito quel pensiero.
Lei doveva vincere, doveva tornare.





Distretto 10

Catlin osservava i suoi amici dall’alto del palco mentre attendeva di sapere quali sarebbero stati i due ragazzi che avrebbe dovuto tentare inutilmente di salvare.
Erano già passati tre anni. Tre lunghi anni in cui aveva visto morire davanti ai propri occhi sei bambini innocenti, incapace di aiutarli.
Li ha sentiti urlare, li ha sentiti implorare, chiamare il suo nome nel silenzio nella foresta mentre qualcuno portava via la loro vita per salvare la propria. Si era svegliata nel buio della sua camera, sollevata che fosse solo un incubo ma la paura tornava quando realizzava che la realtà era perfino peggio.
Si voltò irritata verso la capitolina che, nel suo orribile completo rosa eccentrico, così in contrasto con l’umore nero di tutti i presenti, stava li in piedi, sopra al palco, impaziente di iniziare.
“Prima le signore” disse la donna, immergendo la mano nella grande bolla trasparente che conteneva la condanna a morte per una ragazza. “Blossomblue Alucar!”
Per un attimo, alle proprie orecchie, Catlin sentì il proprio nome, esattamente come tre anni prima dalle stesse labbra della donna che ora si trovava davanti a lei.
Sospirò di sollievo, per lo meno non la conosceva.
Una ragazzina di appena 14 anni, bassa e minuta si avvicinò al palco, spostandosi da davanti agli occhi i biondi capelli, mossi dal vento.
Sebbene fosse spaventata a morte non mostrò un minimo segno di esitazione nel percorrere il breve tratto fino al microfono.
“Ecco a voi, BlossomBlue!” esclamò la capitolina con un entusiasmo che non venne ricambiato dal pubblico.
“Blue” la corresse, con tono un po’ scocciato.
“Come hai detto?”
“Sono Blue.” Spiegò pazientemente, trattenendosi dal risponderle male “Solo Blue.”
“Oh.” Rispose l’accompagnatrice, continuando a non capire “Niente Blossom? Ma qui c’è scritto…”
“Fa nulla!” la bloccò Catlin, spazientita “Va avanti!”
La ragazza la ringraziò con lo sguardo e potè notare le lacrime che di sicuro stava cercando di trattenere.
Per Capitol City deve essere un onore partecipare ai giochi, non puoi farti vedere debole o ingrata. Saresti già morta.
Resistette all’impulso di mangiarsi le unghie, ricordando le minacce dei suoi preparatori, mentre osservava la donna spostarsi verso il lato destro del palco.
Il terrore la invase mentre vedeva la sua mano infilarsi nella teca di vetro.
“Non mio fratello, non mio fratello!” ripeteva come un mantra nella sua mente, implorando il cielo mentre quel dannato foglietto si apriva tra le dita affusolate della Capitolina di cui non si era mai sprecata di ricordare il nome.
“Jamie Harvey.”
Il suo cuore smise di batterle nel petto.
Spalancò gli occhi mentre un ragazzo alto dai capelli del suo stesso colore e dagli occhi verdi come i suoi saliva sul palco, scortato dai pacificatori.
Si avvicinò al fratello, nonostante le fosse proibito, e lo abbracciò forte.
Dimenticò per un attimo che era lui quello che sarebbe andato a morire e lasciò che le lacrime le rigassero il viso, nascosto nell’incavo del suo collo.
Sarebbe caduta se le braccia forti del fratello non l’avessero tenuta su.
“E’ tutta colpa mia” pensò mentre in sottofondo l’accompagnatrice esclamò qualcosa di indistinto nel suo solito tono esaltato, ma nessuno dei due ci fece caso.
“Catlin” riuscì a sussurrarle all’orecchio Jamie, trattenendo le lacrime “Non fare preferenze.”





Distretto 11

La bambina tremava dietro le alte transenne che circondavano la piazza. Le manine, piccole e ossute, erano strette attorno agli stili di ferro mentre chiamava, tra le lacrime, la sua mamma.
“Non avere paura.” Le rispose lei, rassicurandola. “Non c’è il tuo nome lì dentro.” Sussurrò all’orecchio della figlia “Non ancora.” Sussurrò al vento, temendo già il giorno in cui avrebbe potuto perderla.
“Maka Lee.” Esclamò con la sua vocina stridula, amplificata dal microfono, Melinda Browne. “Prego, vieni qui!”
Il suo nome aleggiò nel silenzio e nelle menti di tutte le ragazze che realizzavano di essere salve, di non essere in pericolo.
Sul volto della ragazza spuntò un sorriso strafottente mentre le altre compagne si allontanavano da lei, creando una distanza a cui Maka era già abituata, ci conviveva ogni giorno, ovunque.
Salì sul palco, lanciando occhiate di falso disprezzo a tutti coloro che muovevano un passo per allontanarsi da lei, la ragazza che stava andando a morire.
Quanto li invidiava, segretamente, nei suoi pensieri desiderava essere al loro posto, sperava che ci fosse qualcun altro ad essere condannato al patibolo.
“Non mi pare che tu abbia molti amici.” Commentò la capitolina con fare ironico, convinta che oramai a Capitol City tutti l’avrebbero trovato divertente.
“E tu?” le rispose a tono una volta che le fu vicina, in modo che tutti la sentissero anche negli angoli più remoti della piazza, grazie al microfono. “Qui tutti ti odiano.”
Melinda borbottò irritata a causa dell’irriverenza che la ragazza aveva mostrato di possedere e si avviò indignata verso la boccia contenente i nomi dei ragazzi.
Evitò il rituale che le imponeva di esitare nel prendere i biglietto e ne afferrò uno a caso, il primo che le capitò sotto mano.
“Wareer Wale” lesse ad alta voce alla piazza, sperando che almeno lui avesse la capacità intellettiva per capire quando non è il momento di parlare.
Salì sul palco un ragazzo, alto ma scarno, il viso aguzzo magro e scavato dalla fame, gli occhi verdi, come le foglie degli alberi di agrumi che ogni giorno coltivano nei loro campi, i capelli neri come la pece, il viso e il corpo segnati dalle cicatrici.
“Spero che tu non abbia nulla da dire.” Mormorò retorica la capitolina, già pronta a continuare il suo discorso.
“In realtà” la fermò “Voglio promettere a voi tutti che farò di tutto per tornare! Vincerò questi Hunger Games per voi e per portare onore e gloria al nostro distretto!”
Un debole applauso partì dalla folla.
Per la prima volta la gente aveva qualcuno per il quale fare il tifo, qualcuno in cui sperare, anche se comportava la morte della fanciulla dimenticata da tutti.
Maka lo guardò male, mentre la paura si espandeva in lei.
Aveva capito il suo gioco, aveva capito che si era ingraziato tutti solo per avere la certezza che tra i due avrebbero designato lui come quello da salvare, da cercare di riportare a casa sano e salvo.
I giochi non erano ancora cominciati e lei era già morta.





Distretto 12

“Salve! Sono Jen Kraigs e sto andando a morire.” Pensò la ragazza quando sentì il suo nome, urlato nel microfono.
Mosse qualche passo verso il palco quando un’altra voce sovrastò il silenzio che popolava la piazza.
“Mi offro volontaria come tributo!” disse a gran voce una ragazza, alzando il braccio per farsi notare dai pacificatori che subito si avvicinarono a lei.
Quella era la frase più bella che Jen potesse udire in quel preciso istante, o meglio avrebbe potuto esserlo, se quella frase non l’avesse pronunciata la sua migliore amica.
“No, Sheva, no!” urlò mettendosi tra lei e il palco, sperando inutilmente di impedirle di passare, ignorando gli sguardi di pietà che la gente lanciava ad entrambe.
“Si faccia da parte.” Le intimò un pacificatore, prendendole un braccio e scaraventandola di lato.
Sheva salì sul palco e osservò i volti impassibili delle ragazze che non erano state estratte. Nessuna di loro fingeva di essere triste per lei, nessuna lo era, a nessuno importava della sua vita. Non aveva amici a parte Jen, che ora piangeva a lato del palco, rannicchiata a terra, in posizione fetale.
“Come ti chiami, cara?” chiese l’accompagnatrice alla ragazza dagli occhi color del ghiaccio che cercavano di trattenere le lacrime.
“Sheva Haymor” mormorò, la voce spezzata e rotta dal dolore.
I lunghi e lisci capelli neri erano raccolti in un’alta coda di cavallo ma questo non impediva al vento di portarli di qua e di la, seguendo un ritmo tutto suo.
“Mi sembri in forma, ragazza” commentò la capitolina con un sorriso euforico dipinto sul volto. “Ce ne farai vedere delle belle nei giochi!”
Sheva non sapeva se la donna l’avesse detto perché lo pensava o perché glielo avevano scritto su un cartoncino colorato e lei si era limitata ad impararlo a memoria, ma per quell’attimo gliene fu grata.
Si obbligò a fissare un punto in lontananza nel cielo, non potendo sopportare la vista della sua migliore amica che la osservava dal basso piangendo, conscia che quella sarebbe stata la loro ultima avventura insieme.
“William Lovy!” il suo nome arrivò chiaro e forte alle orecchie di tutti i presenti mentre in tutti si faceva spazio nel cuore la felicità per essere ancora liberi, tutti tranne uno.
William fece per uscire dal gruppo nel quale si trovava ed avvicinarsi al palco ma il ragazzo al suo fianco sembrava incapace di muovere un muscolo, figuriamoci di lasciarlo passare.
“Hey” lo rimbeccò brusco, spostandolo indietro con un braccio “Sono io che vado nell’arena, non tu. Rilassati.”
Si passò una mano tra i ribelli capelli corvini che il vento non faceva che spettinare.
Una volta sul palco i due ragazzi si squadrarono con lo sguardo, leggendo negli occhi dell’altro le stesse paure che sentivano dentro il proprio cuore.
“Addio Distretto 12” fu l’ultimo pensiero che rivolsero alla loro terra “La prossima volta sarà in una bara.”


Ehilà, questo è il capitolo di Bellador con cui si concludono le mietiture!
Mandateci, se non l'avete ancora fatto, informazioni sui saluti e i portafortuna che volete far ricevere ai vostri tributi!
Ho sentito ancora pochi di voi mentori, ma mi sembra che l'idea di un gruppo facebook sia abbastanza sostenuta, quindi invito tutti a farmi sapere la loro posizione in modo da poter avviare anche quel progetto :)

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2407799