la carezza del vento

di ClaireSoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Stavo seduta, ferma, guardando il muro in penombra di fronte a me. Lo percepivo senza voltarmi a guardarlo.
  -Sei al sicuro qui.- mi disse. –Nessuno può trovarti.
Non riuscivo a proferire parola, le corde vocali erano come gelate. Non lo vedevo ma le sue parole mi giunsero nitide:
  -Io sono qui.
Solo allora riuscii ad alzarmi. Mi avviai a passi lenti verso la finestra, la vestaglia batteva leggera contro i miei polpacci, mossa dal vento che entrava. Guardai fuori dalla finestra: la neve scendeva candida e si posava sulla strada ghiaiata che si innoltrava nel bosco che circondava la magione. Regnavano le tenebre quella notte.
Lui si mosse con dei passi quasi trascinati. Si stava avvicinando. Il cuore prese a martellarmi nel petto. Sentii il suo fiato sul collo quando mi sussurrò all’orecchio:
  -Hai paura?
Aprii la bocca come per dire qualcosa ma un movimento fuori dalla finestra catturò la mia attenzione: un ombra nera attraversò il tetro giardino con una velocità tale che non feci in tempo a mettere a fuoco di cosa potesse trattarsi. Mi lasciai sfuggire un gemito. In quel momento, una mano mi afferò il braccio facendomi girare di scatto. Fu allora che lo vidi per la prima volta quella notte. I suoi occhi erano color verde smeraldo ed i capelli biondi e lunghi gli ricadevano su di essi, inquadrando quel viso dai lineamenti così perfetti. Il mio istinto mi diceva di scappare lontano da lui ma ormai il mio sguardo era incatenato al suo. E in quel momento sprofondai in un abisso di emozioni miste al terrore e all’insicurezza. Sapevo che non ero al sicuro come lui sosteneva. Sapevo che una parte di lui celava un oscuro segreto. Ma come può una tale bellezza angelica incutermi così tanta paura?
Lui stava li, di fronte a me, la sua mano ancora appoggiata al mio braccio, il suo sguardo ancora attaccato al mio. La neve continuava a scendere lenta mentre dentro quella stanza e dentro di me il tempo sembrava essersi fermato.
Dopo un tempo che sembrò eterno, si mosse. Mi mise a posto dietro all’orecchio una ciocca di capelli e mi guardò ancora più intensamente e mi disse:
  -Non aver paura, fidati di me. Non ti farò del male.
Come il ghiaccio si scioglie sotto i raggi caldi del sole, le mie corde vocali ripresero a funzionare.
  -Cosa vuoi da me?- Riuscii a dire.
  -Proteggerti.
  -Allora perché ti comporti così con me?
  -Così come?
  -Così.. Così.. insomma, perché sei così misterioso? Cosa nascondi?
  -Non è il momento giusto.- La sua mascella si irrigidì e una scintilla si accese nei suoi occhi.
  -Perché?
Non rispose. Si girò di scatto. Rimase di spalle senza dir niente. Rivolsi il mio sguardo verso la finestra. Aveva smesso di nevicare. Un gufo si era posato su di un ramo. Appoggiai i gomiti sul balconcino della finestra e misi il mento sulle mani chiuse a coppa. Il mio sguardo viaggiava oltre il bosco. “Chissà cosa stia facendo mamma. E papà? E quella svampita di Katherine cosa starà combinando?” pensai. Ripensai alla loro allegria, ai natali passati insieme. Quello era il primo che passavo lontana dalla mia famiglia.
D’un tratto il grande orologio a pendolo che si trovava in un angolo buio della stanza toccò la mezzanotte. Mi voltai e scoprii con rammarico che ero sola.
Lui era scomparso.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Aprii gli occhi. I primi raggi di sole entravano attraverso le persiane della finestra, illuminando leggermente la mia camera da letto.
Mi stropicciai gli occhi ed emisi un sonoro sbadiglio. Cercai distrattamente il telefono. Lo raccolsi e illuminai il display. La foto mia e di mia sorella apparve e lanciai uno sguardo all’orologio. Le 6.30 di mattina. Gettai il telefono sul materasso e ripiombai con la testa sul cuscino. Mi misi a fissare il soffitto ed a pensare. Di li a poco ci sarebbe stata la tanto attesa “festa di Natale del Liceo” e mancava poco più di un mese a Natale. Raccolsi tutte le mie forze e mi alzai. Osservai Leo che dormiva beato nella sua cuccia. Appena sentì che mi stavo alzando, puntò il suo nasino rosa nella mia direzione e iniziò a battere la sua coda lanugginosa contro le pareti dell’armadio affianco alla sua cuccia. Mi chinai e lo accarezzai.
  -Buongiorno Leo.
Mi avviai verso il bagno trascinando i piedi. Alzai lo sguardo verso il mio riflesso nello specchio. I capelli lunghi e rossi erano tutti spettinati e sotto gli occhi color nocciola mi erano spuntate due occhiaie. Le lentiggini spiccavano sulla mia carnagione pallida.
  -Buongiorno anche a te Farrah.- mi dissi scrutando il mo viso alla ricerca di un brufulo maligno in agguato. Non sono mai stata una affetta da acne giovanile e, in effetti, il mio corpo ne risentiva parecchio. Non ero “ben dotata” come le mie coetanee, anzi il mio corpo era di consistenza minuta . Le gambe sembravano due stuzzicadenti e le braccia altrettanto; già dalle elementari mi ero guadagnata il soprannome di “scricciolo”. Fu il mio migliore amico Cam a chiamarmi così per la prima volta e da allora tutti i miei scarsi amici mi chiamano in questi modo. Perché scrasi? Perché sono sempre stata molto introversa e le mie capacità di interagire con altre persone erano sempre state molto scarse. Non amavo starmene in mezzo alla gente e al casino, preferivo piuttosto starmene in biblioteca a leggere un buon libro. Non ero come le altre ragazze, non mi sono mai fatta bella per attirare attenzione, né maschili né femminili. Non badavo ai ragazzi, anzi la maggior parte delle volte erano le mie amiche Penny ed Elizabeth a farmi notare quando un ragazzo mi dava attenzioni diverse dal normale ma non mi è mai importato più di tanto.
Aprii il cassetto ed estrassi la mia spazzola personale e me la passai tra i capelli osservando mentre tornavano lisci. Dopo di che, tentai di coprire le occhiaie con un leggero fondotinta e, dopo aver ottenuto il risultato desiderato, tornai in camera dove Leo mi attendeva per la sua colazione. Afferrai la busta contenente le sue crocchette preferite e gliene versai un po’ nella sua ciotola. Mentre mangiava indisturbato, aprii il mio armadio in cerca di qualcosa da indossare. Alla fine optai per una semplice felpa grigia, un paio di jeans azzurri e le mie Vans grigie. Raccolsi lo zaino e scesi per la colazione. Trovai mia madre intenta a non far bruciare i Cupcakes e mio padre che giocava con Katherine.
  -Buongiorno dolcezza!- mi salutò mia madre dalla cucina girando appena la testa.
  -Farrah! Farrah! Guarda cosa mi ha fatto papà!- mi disse Kath correndomi incontro mostrandomi un origami.
  -Bello e complicato come te.- le dissi sollevandola ed appoggiando il suo naso al mio. Lei scoppiò a ridere.
Mi sedetti a tavola ed inizia a spalmare un po’ di marmellata sulla fetta biscottata.
  -Allora? Con chi pensi di andare alla festa di Natale quest’anno?- mi chiese mia madre.
  -Cam mi ha invitata.- risposi senza prestare molta attenzione alla conversazione.
  -Anche quest’anno?- si intromise mio padre prendendo posto a tavola.
  -Secondo me quel ragazzo spera che possa nascere qualcosa. In fondo siete amici fin dall’asilo.- esclamò mia madre appoggiando sul tavolo il vassoio pieno di Cupcakes bruciati.
Storpiando il naso afferrai al volo una mela e mi fiondai verso la porta. Volevo assolutamente evitare il “discorso Cam”.
  -Farrah vuoi un passaggio? Fa freddo fuori.- urlò mia madre dalla cucina.
  -No, mi devo incontrare con Penny a metà strada. Ciao!- e chiusi la porta.
Tirai fuori dallo zaino il mio iPod e mi misi ad ascoltare la mia playlist di Ariana Grande. Ormai sapevo la strada per la scuola così bene che non prestavo nemmeno più attenzione al marciapiede.
Arrivata a scuola, mi fiondai nella classe di Francese. Non avevo nessuna voglia di parlare con qualcuno. Mi misi a sedere al mio banco ed attesi il suono della campanella leggendo il mio libro “Il Buio Oltre La Siepe”. Mentre ero immersa nella mia lettura, qualcuno da dietro mi mise le mani sulle spalle. Sobbalzai.
  -Ehi Scricciolo!
Avrei riconosciuto quella voce in qualsiasi momento. Cam. Mi voltai e me lo trovai in piedi davanti a me sorridente come non mai. I suoi ricci neri erano allo sbaraglio ed i suoi occhi azzurri ghiaccio erano fissi su di me.
  -Sempre china sui libri, eh?- mi canzonò lasciando lo zaino a terra e accasciandosi sulla sedia.
  -Esatto, ogni tanto mi rifugio nel mio mondo.- Sospirai e chiusi il libro controvoglia.
  -Allora? Per la festa? Tutto confermato?- mi stava guardando con uno sguardo speranzioso ed io non potei fare a meno di confermare la sua richiesta.
  -Certo, tutto confermato.
  -Evvai!- Cam alzò un pungo al cielo.
In quel momento entrò il signor Miller.
  -Forza ragazzi, prendete posto.
Mi raddrizzai sulla sedia e lanciai uno sguardo a Cam che sedeva nel banco di fianco al mio. Lui mi sorrise e mi strizzò l’occhio.
Quel giorno non riuscii a seguire la lezione. Guardavo continuamente fuori dalla finestra. Ripensavo a me stessa, al fatto che avevo pochi amci, che non ero come le mie coetanee. Ero molto brava a scuola, non praticavo sport come Penny né ero una Cheerleader come Elizabeth. A me piaceva leggere, ascoltare la mia musica.
Ero immersa nei miei pensieri quando il mio banco si mosse improvvisamente. Mi girai di scatto e vidi Cam.
  -Ehi sognatrice, qualcosa non va?
  -No no.. Ehm.. Stavo solo pensando ai compiti per domani.- risposi cercando di non dare spiegazioni.
  -Mh.. Va bene. Ehi, oggi pomeriggio potremmo studiare insieme. Che ne dici?- chiese speranzioso.
  -Non lo so, Cam. Domani abbiamo il test di Biologia e devo studiare. Sono un po’ indietro.
  -Chi? Tu, Farrah Brawn, sei indietro coi compiti?! Non ci credo!
  -Eh, invece è così.- In realtà ero super preparata, ma non volevo stare con nessuno.
  -Ehi! Voi due! Cos’è tutte questo parlare?- tuonò il Signor Miller.
  -Niente, Signore. Stavo solo chiedendo aiuto a Farrah per un esercizio.- tentò di spiegare Cam.
  -Mh. Va bene. Ma non distraete gli altri.
Mi voltai di scatto verso Cam e lo fulminai con lo sguardo. Lui alzò le spalle e mimò uno “scusa” con le labbra.
Il resto della mattina trascorse molto lentamente e, per la prima volta in vita mia, al suono della campanella scattai verso l’uscita. Evitai qualsiasi sguardo ma mentre percorrevo il corridoio verso la porta, una mano mi afferrò per il braccio, costringendomi a girarmi e vidi Cam.
  -Ehi, che dici di tornare a casa insieme? Ti accompagno io, intanto non ho nessuno che mi aspetta a casa.- propose senza mollare mollare la presa e continuando a fissarmi.
  -Ehm, no grazie. Ce, scusa ma devo tornare di corsa a casa. Mia madre mi sta aspettando.
  -E che c’è di male? Ti accompagno io. Non ci mettiamo molto, dai.- tentò di convincermi lui.
  -No cam, ti prego. Lasciami sola.- dissi infine.
  -Oh, okay. Allora a domani.- Si girò e se ne andò a malincuore.
Sospirai e proseguì verso l’uscita. Un po’ mi sentivo in colpa per come l’avevo trattato, ma avevo davvero bisogno di stare da sola. Ultimamente ero sovrappensiero e scettica su tutto. Infilai le cuffie come ero solita fare e, prendendo a calci i sassolini che mi trovavo lungo il percorso, raggiunsi casa.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Appena imboccato il vialetto di casa, il profumo del pranzo mi investì. Riconobbi subito l’odore: pennette al salmone, piatto che mia mamma adorava cucinare. Kath era ancora a scuola e mio padre non tornava mai a casa per pranzo. Spensi la musica e mi avviai verso la cucina. Non trovai nessuno, cosi iniziai a chiamare mia madre mentre scoperchiavo tutte le pentole per osservarne il contenuto. Quando mi avvicinai al frigo, vidi un biglietto tenuto fermo da una calamita. Diceva: “sono bloccata a lavoro, non riesco a tornare. Il pranzo è già pronto. Buon pomeriggio dolcezza. Mamma.”. Sbuffando, presi un piatto dalla credenza e lo riempii con un po’ di pasta. La mangiai lanciando ogni tanto uno sguardo alla televisione dove un Reporter denunciava la scomparsa di un ragazzo di due anni più grande di me. Finita la mia pasta, misi i piatti nella lavastoviglie ed andai in camera mia. Quando entrai, Leo, che stava dormendo nella sua cuccia, si alzò e mi corse incontro scodinzolando gioioso. Lo accarezzai e gli diedi il suo cibo. Mi gettai sul letto e presi il telefono: due messaggi. Il primo era di Penny, dove mi chiedeva come fosse andata la mia giornata dato che non mi aveva vista all’uscita. Le risposi in fretta spiegandole del compito di Biologia di domani. Il secondo era di Cam. Mi chiedeva scusa per la sua insistenza di oggi e mi chiedeva se ci fosse qualcosa che non andasse. Gli risposi che era soltanto l’ansia per il compito di domani ma, in realtà, non sapevo nemmeno io cosa mi stesse succedendo in quel periodo. Spensi il telefono e chiusi gli occhi. Mi riaffiorò alla mente il volto di quel ragazzo scomparso. Capelli biondo rame, scompigliati sulle punte che arrivavano fino a metà collo. Non avevo fatto in tempo a fotografarmi il colore degli occhi ma mi ricordo del suo sguardo penetrante e cupo. Scacciai quel pensiero e raccolsi il libro, che mi era caduto quando avevo buttato a terra lo zaino. Lo aprì ed iniziai a leggere dal punto in cui mi ero fermata. Dopo nemmeno cinque minuti, mi addormentai col libro posato sulla faccia. Iniziai a sognare.

Ero in un bosco, il sole penetrava tra i buchi formati dalle cime degli alberi verdi ed illuminava il paesaggio intorno. Stavo seduta sulla punta di una roccia con una gamba a penzoloni verso il terreno a tre metri da me e fissavo il laghetto che si estendeva per dieci metri circondato dagli alti alberi. Gli uccellini cantavano deliziosi motivetti con diverse intonazioni, fattore che mi allietava ancora di più e permetteva alla mia mente di viaggiare oltre il bosco.
Sembrava tutto così sereno, quando ad un certo punto il vento cominciò a soffiare, prima leggermente poi con più insistenza e forza, finché non mi trovai costretta ascendere dalla roccia per ripararmi sotto la sua punta, sperando che mi potesse fare da scudo. Mi alzai ed inizia a camminare lungo la parete liscia della roccia, quando una forte folata di vento mi fece perdere l’equilibrio. Caddi e rotolai sul fianco finché non raggiunsi l’erba. Quando tentai di rialzarmi, mi accorsi di un grosso taglio sul polpaccio destro e rimasi per alcuni secondi a fissare il rivolo di sangue che usciva da esso. Alzai lo sguardo verso le cime degli alberi che si dimenavano in balia del vento e mi accorsi che tutt’intorno si era fatto buio. Il cuore iniziò a battermi forte nel petto e la mia ansia cresceva. Tentai nuovamente di alzarmi ma, appena appoggia la gamba ferita, una fitta di dolore mi partì dal ginocchio. Mi sedetti di nuovo, stavolta con le lacrime agli occhi. In quel momento intravidi un cespuglio alto e fitto e, pensando che potesse servirmi come riparo, iniziai a strisciare verso di esso. Quando lo raggiunsi, mi sedetti e strinsi la gamba sana al petto e cominciai a piangere.
  -Perchè a me?!- urlai alzando lo guardo. Fu allora che lo vidi. Il ragazzo scomparso di cui parlavano al telegiornale, stava ritto di fronte a me.
  -Chi… Chi sei tu?- balbettai. Un po’ per il freddo un po’ per la paura.
Lui di risposta si sedette di fianco a me e mi fissò. Verdi. Ecco il colore dei suoi occhi. Verdi smeraldo. I capelli, però, erano più scompigliati rispetto alla foto del telegiornale. Restai a guardarlo mentre si sfilava la sua felpa restando in T-Shirt e me la appoggiava sulle spalle. Fatto ciò, si alzò e fece per andarsene.
  -Aspetta!- gridai, tendendo un braccio nella sua direzione. Si fermò ma non si voltò né parlò. Ritrassi il braccio. –Posso sapere almeno il tuo nome? Ehm.. Per favore.-
Lui serrò i pugni e dopo un po’ parlò per la prima volta. –Balthazar.
“Balthazar. Balthazar.” mi ripetevo dentro di me.
  -Mh, bhe. Grazie- tentai di dire.
Solo allora mi accorsi che il vento aveva cessato di soffiare. Alzai gli occhi al cielo e vidi le cime degli alberi ferme immobili.
  -Oh- sospirai –Guarda, ha smesso di…- ma vidi che non c’era più. Mi guardai intorno. Nessuna traccia di lui.
Sospirai nuovamente e mi distesi sull’erba dietro il cespuglio. Per la mente avevo solo il suo sguardo. “Balthazar” pensai “cosa ci facevi li? E perché hai lasciato la tua felpa a me?” La sua felpa! Ricordandomene, la sfilai da sotto la schiena e me la appoggia alla pancia. Aveva quello che pensavo fosse il suo profumo. Vaniglia. Io adoro la vaniglia. E poi, cosa lo aveva spinto a darmi la sua felpa con tutto quel freddo? E come ha fatto a trovarmi? Ma soprattutto, da dove è arrivato? Insomma, avrei giurato che non ci fosse nessuno quando mi sono trascinata dietro il cespuglio. O forse era nascosto dietro ad un albero per ripararsi anche lui dal vento? Mi alzai sui gomiti e scrutai intorno al punto in cui lo avevo visto prima. Nessun albero aveva il tronco abbastanza spesso da nasconderlo completamente. Forse non lo avevo visto per via del buio pesto. Sì, forse è stato per quello.
Tutto d’un tratto, un lampo illuminò quasi completamente il cielo e, subito dopo, si sentì un tuono talmente forte che mi parve che il terreno sotto di me stesse tremato. Strinsi la felpa al petto e decisi di tentare di nuovo di andare verso la roccia. Appena mi alzai, un altro tuono spaccò il silenzio. Emisi un piccolo acuto ed iniziai a trascinarmi la gamba ferita mentre tentavo di raggiungere la roccia. Iniziò a piovere. Dopo pochi secondi, si fece fitta e forte. Mi batteva sulla testa e sulla schiena talmente forte che le mie gambe cedettero. Mi ritrovai sull’erba, tutta bagnata e con la felpa di Balthazar stretta al petto. Piangevo. Un tuono riecheggiò di nuovo. Mi strinsi ancora di più le gambe al petto.
  -BALTHAZAR!- urlai.
Nessuna risposta. Ero sola.

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