Il monaco e lo spirito

di Mariam Kasinaga
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


IL MONACO E LO SPIRITO

Prologo

Campo cristiano di Gerusalemme, Anno Domini 1099

Aveva imparato una cosa, durante la sua vita millenaria: gli umani erano terribilmente monotoni, persino nel modo di fare la guerra. Era questo il suo pensiero, mentre osservava dall’alto il campo di battaglia, dove Musulmani e Cristiani si stavano massacrando da settimane, appena fuori le porte di Gerusalemme.

Lanciò un’occhiata distratta al sole che moriva ad Ovest, che conferiva una sfumatura rossastra alle armature che scintillavano sotto i suoi ultimi raggi, mescolandosi al rosso mattone del sangue rappreso. Abbandonò il suo punto di osservazione su una delle torri della città, scivolando come un’ombra fino all’accampamento dei Cristiani, ignorando gli uomini che attorno a lei continuavano a sputare ordini contrastanti. Lasciò che la sua essenza fosse trasportata dal vento che soffiava attraverso le tende, sfiorando i soldati stanchi ed affaticati dallo scontro e turbinò divertita attorno ad un cavallo, che nitrì spaventato nel percepirla. Pigramente si lasciò sospingere dentro una tenda vuota, dove finalmente si decise ad assumere una corporeità: in quanto spirito, poteva diventare qualunque cosa lei desiderasse, ma lei sceglieva sempre la stessa forma. Si guardò distrattamente in uno specchio, passandosi una mano nella folta chioma di capelli rossi che incorniciavano un viso dalla pelle diafana, dove spiccavano due grandi occhi viola. Un abbinamento di colori curioso ed innaturale per un umano, ma a lei non importava. Fece qualche passo dentro la tenda, fino a quando non trovò lo stemma di Goffredo di Buglione. “Trovato” mormorò, umettandosi le labbra con la lingua. Sentì distrattamente l’ordine di continuare ad attaccare e non potè far a meno di trattenere un sospiro, massaggiandosi le tempie con le mani: la stupidità umana non aveva confini, se questi re europei pensavano davvero di vincere le armate nemiche.

Un rumore alle sue spalle la fece voltare di scatto: sulla soglia della tenda c’era un bambino di circa dieci anni, con gli occhi sbarrati dallo stupore, che la indicava senza proferire parola. Lei inclinò leggermente la testa di lato: “Sparisci” sibilò, allungando una mano verso una bottiglia di vino. “Cosa volete fare?” la voce acuta del bambino riuscì a sovrastare il brusio del campo, facendola imprecare per il disappunto. Attraversò rapidamente la distanza che li separava e, dopo averlo afferrato per un braccio, chiuse con decisione l’entrata della tenda. Si inginocchiò davanti a quello stupido umano tremolante, puntandogli il dito indice al cuore: “Sai che posso ucciderti con un gesto?” mormorò sorridendo, affinchè vedesse i suoi denti appuntiti. L’altro deglutì rumorosamente: “Questa è la tenda del generale, non avete il permesso di stare qui!” esclamò, tentando di darsi un contegno. La ragazza sbuffò: “Tu sì?” lo prese in giro, premendo di più il dito contro il suo corpo. Vide il bambino tremare più violentemente e sgranare gli occhi, mentre il gelo penetrava pian piano nel suo corpo. “Io sono il suo tuttofare” riuscì a mormorare, appoggiandosi con la mano ad una sedia. Un attimo prima di appropriarsi definitivamente della sua vita, l’altra interruppe il contratto e si alzò, riafferando nuovamente la bottiglia di vino: “Sai cos’è un ifrit?” domandò, senza degnarlo di uno sguardo. “No” mormorò il bambino tentando di uscire dalla tenda. Urlò spaventato, quando si vide la faccia della ragazza davanti: “Ma come avete fatto a...?”domandò, voltando freneticamente avanti e indietro. Lei scoppiò a ridere,

dandogli in mano la bottiglia: “Dai questo al tuo generale quando torna. E se mai doveste conquistare Gerusalemme, leggiti un libro sugli spiriti” gli sussurrò all’orecchio. 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo I

Regno cristiano di Gerusalemme, Anno Domini 1109

Era chiuso in quella stanza da due mesi, trascurando tutti gli altri impegni che avrebbe dovuto adempiere. Sentì vagamente qualcuno bussare alla porta, ordinando di presentarsi al cospetto del Gran Maestro. Chiunque egli fosse, il ragazzo lo congedò con un cenno del capo, immergendosi nuovamente nel suo lavoro. Era entrato nell’Ordine degli Ospedalieri non appena terminata la Crociata ed alla morte del re Goffredo di Buglione aveva incominciato a dedicarsi allo studio degli innumerevoli libri di magia abbandonati nei sotterranei della città dai Musulmani. In poco tempo era riuscito a decodificarli e mettere quel potere a disposizione dell’Ordine, che si occupava della sicurezza dei luoghi cristiani in Terra Santa. Aveva scoperto l’arcano mondo delle evocazioni e vi si era buttato a capofitto, cercando inesorabilmente di rintracciare lo spirito che aveva tentato di uccidere il suo sire. Non appena l’ifrit era sparito dalla tenda, si era precipitato all’esterno e aveva svuotato la bottiglia di vino a terra, guardando terrorizzato la sabbia del deserto annerirsi in una nuvola di miasma.

Jean si alzò dalla sedia, uscendo da quella minuscola stanza ingombra di libri e percorse i tortuosi corridoi della base degli Ospedalieri. Avrebbe dimostrato a quell’ifrit chi era diventato e come era riuscito a trasformare quel bambino spaventato in un abile guerriero.

Due figure, avvolte in mantelli scuri, camminavano speditamente per i vicoli tortuosi dei vecchi quartieri di Gerusalemme: “Tutte quelle dannate chiese cristiane! Mi stanno bruciando l’Essenza” sibilò una di loro, mentre da sotto il cappuccio due occhi rossi come l’inferno ardevano di rabbia. “Smettila di lamentarti fratello! Credi davvero che questi crociati riusciranno a mantenere vivo il loro patetico regno per molto tempo?” chiese l’altra, in tono divertito. Il primo che aveva parlato si strinse maggiormente nel mantello: “Tutti i grandi maghi ed alchimisti musulmani sono morti nella Prima Crociata e, senza di loro, sono in pochi quelli in grado di evocarci! Saremmo capaci di annientare questa feccia umana in poche ore, se ce lo ordinassero!” esclamò, sputando a terra. Non appena arrivarono in un vicolo deserto, l’altra abbassò il cappuccio, lasciando che i capelli rossi brillassero alla luce del sole: “Ora sei un ifrit libero. Se odi così tanto i cristiani, perché aspetti che qualcuno ti convochi e ti ordini di ucciderli? Scatena la tua furia su di loro e lascia che i Musulmani riconquistino la città. Abbatteranno le Chiese, ricostruiranno le loro Moschee ed il nostro potere sarà forte come prima” concluse, appoggiandosi al muro di una casa. L’altro sospirò: “Lo sai come funziona. In assenza di un padrone non possiamo intrometterci nelle vicende umane. Se non ci intromettiamo, temo che il regno cristiano duri per molti secoli. Se dura per molti secoli, la nostra Essenza sarà sempre più debole e ci ridurremo l’ombra di noi stessi. Guarda Kamila: nei tempi antichi abbiamo fatto grande questa città ed ora non possiamo soggiornarvi troppo a lungo senza il rischio di morire” replicò, dando con rabbia un calcio ad un ciottolo.

Lei fu sul punto di ribattere, ma si fermò improvvisamente, chiudendo gli occhi. Rimase in quella posizione per qualche secondo, sotto lo sguardo preoccupato del fratello, poi le sue labbra si incresparono in un sorriso: “Alla fine ce l’hai fatta, Jean” mormorò, calandosi nuovamente il cappuccio sul volto. L’espressione del fratello divenne di rimprovero: “Parli dell’umano che hai seguito per questi anni?” domandò con astio. Lei annuì leggermente: “Devi ammettere che ha dimostrato un certo talento, per avere solo ventidue anni, visto che è riuscito a tradurre quasi tutti i libri antichi, compresi gli appunti del mio ultimo padrone.

Un lavoro che forse risulterà utile ad i suoi compagni, ma non gli servirà a molto per ciò che ha in mente. Ed ora fratello, prima che tu possa domandarmi cosa mi lega a quel cristiano, ho una faccenda da sbrigare!” esclamò, abbandonando lo stato corporeo e lasciando che il suo mantello cadesse dolcemente sui ciottoli del vicolo. 

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II

Sotterranei del palazzo degli Ospedalieri, Anno Domini 1109

Aveva compiuto il rituale come descritto nei testi antichi: aveva tracciato pentagoni e simboli alchemici sul pavimento, bruciato erbe e mirra, pronunciato parole dimenticate da secoli e, soprattutto, aveva aspettato. Aveva atteso interi minuti che l’ifrit si manifestasse, richiamato nel mondo degli uomini dall’arcana potenza di quell’oscura e misteriosa magia, ma non era accaduto nulla. Jean continuava a mordersi le labbra, sfogliando nervosamente le pagine dei pesanti volumi appoggiati sul tavolo, cercando qualsiasi dettaglio gli fosse sfuggito. Spazientito, scaraventò a terra un alambicco di vetro, frantumandolo in mille pezzi: “Dove ho sbagliato, dove?”urlò, guardando adirato i segni in gesso che aveva tracciato sul pavimento. La storia del Medio Oriente, così lontano e distante dall’Europa, era disseminato di eventi che, per chi aveva studiato quella strana scienza da molti definita “alchimia”, erano direttamente ricollegabili a geni, di cui gli ifrit rappresentavano la schiera più potente.

Fu all’improvviso che percepì una presenza nei sotterranei, ma si accorse con sgomento che non proveniva affatto dal cerchio alchemico. Alzò lo sguardo verso le travi di legno che sostenevano le enormi volte di pietra e la vide, appollaiata su una di esse: aveva la stessa fisionomia di quando l’aveva incontrata la prima volta, il medesimo corpo da donna alto e sinuoso fasciato da una tunica viola. L’ifrit indicò i simboli sul pavimento: “Vorresti contenere il mio potere lì dentro?” chiese sarcastica, abbandonando la trave e rimanendo pigramente sospesa a mezz’aria. “Devo ricredermi Jean. La tua genialità ti porterà alla morte, se sarai sempre così ambizioso. Lo sai cosa succede a chi evoca uno spirito, ma non crea un cerchio alchemico sufficientemente potente?” domandò nuovamente, guardandolo con un’espressione maliziosa. Il ragazzo strinse i pugni, cercando con lo sguardo la spada che giaceva a pochi passi da lui: “Lo spirito non è né libero né sotto padrone, quindi gli è consentito ucciderlo divorandogli l’anima” mormorò, maledicendosi per la sua incapacità. Kamila annuì lentamente, appoggiando i piedi a terra e camminando verso di lui, gettando sguardi incuriositi sui numerosi libri: “Per un secondo ho sospettato che ce la facessi, ma temo che tu sia destinato a non avere mai il mio potere. Oltre alla tua straordinaria capacità di non saper valutare i tuoi limiti, sai dove hai commesso un altro errore?” domandò, avvicinandosi talmente a lui da poter sentire il calore del suo corpo. L’altro scosse rigidamente la testa: “Per uccidermi avresti dovuto comparire nel cerchio e spezzarlo. Ciò significa che la mia evocazione è completamente fallita e tu sei qui per un altro motivo. Fatto a dir poco singolare, visto che spiriti senza padrone raramente compaiono in questo mondo” concluse, senza riuscire a staccare gli occhi da quegli ipnotici occhi viola. Gli ricordavano il colore dei fiori preferiti di sua madre e le distese dei campi di lavanda della Francia. Per un attimo gli sembrò che l’ifrit volesse annullare la distanza tra loro due, ma sembrò ripensarci immediatamente: “Un cristiano non può evocare geni troppo potenti. Non ci riusciresti neppure se ti scomunicassero” sussurrò lapidaria Kamila, avvicinandosi al cerchio alchemico. Jean deglutì rumorosamente, odiandosi per il suo atteggiamento: si era preparato anni per quel momento, eppure appariva ancora come un bambino spaventato.

“Io ci riuscirò!” esclamò, stupendosi egli stesso delle parole che erano uscite dalla sua bocca. Si accorse di aver pronunciato una frase alquanto stupido quando la sentì ridere: era un suono che non aveva mai sentito, cristallino e puro ma al contempo forte e potente. L’ifrit si voltò verso di lui facendo ondeggiare i capelli: “Jean! Osservo i tuoi progressi da quando hai scoperto questi sotterranei e le meraviglie che vi erano contenuti all’interno. Ti

ho spiato mentre tentavi di imparare l’Arabo, ti sono stata accanto nei tuoi primi tentativi di codificazione e non ti ho abbandonato nemmeno la sera in cui ho temuto ti arrendessi mandando tutto al diavolo. Fidati, sei riuscito a superare confini in cui pochi si sono spinti, ma prima capirai che non potrai evocare nulla di più potente di un jin, meno rischierai di morire. Oggi avresti potuto perdere la vita, nel tuo sciocco tentativo di seguire chissà quale sogno infantile!” esclamò, sedendosi su uno sgabello di legno. Il ragazzo le rivolse un’occhiata interrogativa: “Di che confini stai parlando?” domandò, pensando inutilmente ad una formula per congedare l’ifrit. Kamila giocherellò con una ciocca di capelli: “Sui tuoi libri avrai sicuramente trovato scritto che noi spiriti siamo superiori ai vostri concetti. Per noi non esistono Pace, Odio, Amore, Guerra...il nostro comportamento si discosta profondamente dall’etica umana e noi stessi troviamo difficoltà nello spiegarlo, dato che ognuno di noi risponde solo a se stesso e per se stesso. Eppure, sforzandomi di incanalare le mie emozioni nei vostri vocaboli così scarni e miseri, direi di provare una sorta di curiosità nei tuoi confronti” concluse, alzandosi dallo sgabello. Jean inarcò le sopracciglia: “C’è anche scritto che vi divertite a prendere in giro gli umani e siete maestri nell’arte dell’inganno e della menzogna” replicò, un attimo prima di vedere il corpo dell’ifrit troneggiare a mezz’aria su di lui. “Ed immagino che, in qualche nota a piè di pagina, qualcuno avrà descritto la nostra proverbiale volubilità. Dunque, Jean, non insultare chi ha appena dichiarato di apprezzarti” sibilò, appoggiando le proprie labbra a quelle del ragazzo.

Quando Jean sentì le labbra dell’ifrit sulle sue, provò un miscuglio contrastante di emozioni. Una parte di lui voleva urlare e scappare, un’altra desiderava ardentemente stringerla tra le braccia. Chiuse gli occhi d’istinto e la sentì ridere: “Sono pochi gli umani che hanno ricevuto le mie attenzioni, cerca di non dimenticarlo mai” gli sussurrò all’orecchio, lasciandosi dolcemente cadere tra le sue braccia. Kamila gli passò l’indice sulle labbra: “Hai fatto tutto questo perché vuoi diventare un grande alchimista non è così? Se vuoi spingerti dove nessuno ha mai osato addentrarsi, prova a farmi scoprire cosa intendete voi umani con la parola Amore” mormorò, baciandolo nuovamente. Le labbra del ragazzo si dischiusero completamente a quel nuovo contatto, assaporando lentamente quelle dell’ifrit. Sentiva il corpo di Kamila tremare leggermente tra le sue braccia, mentre con una mano si aggrappava ai suoi capelli biondi. Il ragazzo interruppe nuovamente il bacio, sfiorandole la bocca umida con le punte delle dita: “L’amore è più di questo, ma non credo di potertelo insegnare” bisbigliò, abbassando la mano fino a sfiorarle il seno. L’ifrit gli leccò il pomo d’Adamo, gli baciò dolcemente la clavicola ed appoggiò le mani sul suo petto: “Il problema di voi umani è che avete una vita più corta del respiro di un bambino” sospirò. 

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


Epilogo

San Giovanni d’Acri, Anno Domini 1165

Nel corso degli anni entrambi arrivarono, seguendo vie diverse, alla conclusione saggia che[...]:
nulla a questo mondo era più difficile dell'amore.

Il vecchio Gran Maestro dell’Ordine degli Ospedalieri cercò inutilmente di reprimere l’ennesimo eccesso di tosse, sprofondando ancora di più nel letto. Osservava il via vai di medici, cavalieri e membri dell’Ordine che si accalcavano attorno al suo capezzale da giorni, impotenti difronte al misterioso morbo che lo stava lentamente logorando dall’interno.

L’anziano uomo socchiuse gli occhi, fissando il semplice soffitto bianco della sua camera: sarebbe morto senza rimpianti, fiero di ogni scelta che aveva condotto nella sua lunga e difficile vita. Aveva dovuto affrontare la morte di Goffredo di Buglione, assistere all’ascesa del re Baldovino, veder nascere numerosi Ordini di monaci combattenti, ma per ciò che egli stesso riteneva una fortuna, non aveva dovuto affrontare quegli anni oscuri e sanguinari da soli. Alzò faticosamente una mano per congedare quell’accozzaglia di umanità che si stava riversando sul suo capezzale e diede loro ordine di andarsene. Rimase da solo nella stanza, rischiarata esclusivamente dalla luce delle candele ed inspirò profondamente gli odori dell’aria notturna, mentre la sua mente vagava a molti anni prima. Le labbra gli si incresparono in un sorriso, non appena sentì un fruscio affianco a lui: “Non credevo saresti venuta” riuscì a bofonchiare, alzando leggermente la testa.

Quella era, probabilmente, la più grande differenza tra un mortale ed un essere soprannaturale: Jean aveva dovuto vedere la sua forza scemare ed il suo corpo accartocciarsi incurvarsi, mentre le rughe diventavano solchi sempre più marcati sul suo volto. Su di lei, al contrario, sembrava che il tempo non avesse alcun potere. Kamila, potendo decidere che forma dare alla propria Essenza, appariva sempre ai suoi occhi come la ragazza con i capelli infuocati e gli occhi viola come l’agata.

L’ifrit si accoccolò ai piedi del letto: “Stai morendo?” domandò schiettamente, mordicchiandosi nervosamente il labbro inferiore. Jean impiegò qualche secondo prima di rispondere: “Paura della morte?” chiese a sua volta. L’altra diede una scrollata di spalle: “Ho visto morire un sacco di uomini. Alcuni se lo meritavano, altri avrebbero potuto vivere più a lungo” concluse a bassa voce. Il Gran Maestro si puntellò sui gomiti e, nonostante lo sforzo, riuscì a mettersi a sedere: “Mi dispiace di non averti potuto insegnare ad amare” commentò, mettendo le mani grembo. Lo spirito scoppiò a ridere, passandosi una mano tra i capelli: “Jean! La malattia ti sta facendo abbandonare questo mondo e il tuo unico pensiero è ciò che ci siamo detti più di mezzo secolo fa? Ah, voi umani non finirete mai di stupirmi” esclamò, alzandosi dal letto e misurando la stanza a grandi passi. L’altro la seguiva con lo sguardo, fino a quando non la vide avvicinarsi e fermarsi affianco a lui: “Sai cos’ho imparato sull’amore in tutti questi anni che ci conosciamo?” domandò a bassa voce, inginocchiandosi per essere alla sua altezza. L’altro scosse debolmente la testa, allungando debolmente una mano per sfiorarle la guancia. Kamila la prese tra le sue e se l’appoggiò sul cuore: “Le emozioni non si possono insegnare. Tuttavia, si possono riconoscere dopo averle provate” sussurrò, sporgendosi verso il malato per dargli un leggero bacio sulla guancia. Jean si lasciò sprofondare nuovamente tra i cuscini e le lenzuola candide del letto: “Peccato che la vita di un umano sia breve come il respiro di un bambino” commentò, mentre quei meravigliosi capelli rossi che aveva accarezzato per anni si confondevano con la tremolante luce delle candele. 

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