L'ingranaggio mancante

di TheSecondMe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Primo ***
Capitolo 3: *** Secondo ***



Capitolo 1
*** prologo ***





L’ Ingranaggio Mancante

 

 

 

 

 

Tre note. 
Sebastiano aprì il portone, sentì quelle tre dannatissime note e sospirò. 
Salì il primo scalino mentre una sfilza di imprecazioni gli si bloccavano sulla punta della lingua. 
Aveva finito la terza rampa di scale quando la canzone cominciò di nuovo, dall’inizio. 
E quelle note lo avvolsero, diffondendosi soffuse nell’aria. Sempre più vicine. 
Arrivò all’ultimo piano nel bel mezzo del ritornello. Lanciò un’occhiata veloce alla porta del suo appartamento e soppesò la possibilità di ignorare la musica: avrebbe potuto far finta di niente. 
Avrebbe potuto fregarsene e rifugiarsi in casa, sul suo divano. Il suo televisore, la sua birra (anche più di una, perché no), la sua coperta, i suoi... La canzone ricominciò. 
Sebastiano chiuse gli occhi e batté il pugno contro quell’orribile porta azzurra.
“Cos’è successo, Puffetta?” domandò non appena l’uscio si schiuse.
“E’ successo che sei un bastardo, ecco cos’è successo.”
Sebastiano non si scompose: annuì come se quella fosse una verità universale e si intrufolò suo malgrado in un appartamento non suo. 
“Chi era questa volta?” chiese per sondare il terreno mentre cautamente si avvicinava allo stereo.
“Non ti azzardare.” lo bloccò subito lei senza nemmeno guardarlo.
“Ti prego.” la supplicò “Ti scongiuro, fammi almeno togliere il ripeti uno.
“No.”
“Non ce la faccio più con questa canzone.”
“E’ una grande canzone.”
“Sì.” si arrese privo di forze “E’ una grande canzone.”
“Una canzone magnifica. Una canzone unica. E mi serve, okay? Mi serve ad affrontare il mondo, a sopportare una rottura, a farmi passare la voglia impellente di far fuori tutti voi bastardi!”
La voce di Emilia era andata salendo, facendosi sempre più acuta. Alla fine, le guance rigate dalle lacrime, si avvicinò con passo malfermo al frigorifero. 
“Non ho birre.” mormorò piano “Ti va del liquore al cocco?”
Sebastiano reclinò il capo all’indietro, una smorfia disgustata a piegargli le labbra. 
“Vieni qua.”
“No. Non ho bisogno di essere consolata.”
“Vieni qua, ho detto.”
“Non me ne importa un bel niente di quello che hai detto. Se vuoi il liquore al cocco, bene.” tirò su col naso, nuove lacrime a bagnarle il viso “Se non vuoi il liquore, invece...”
“Che ha combinato?” la interruppe Sebastiano, avvicinandosi di qualche passo.
“Aveva già la ragazza.”
“Oh.” cercò di fare mente locale ma non riuscì a ricordare di chi stessero parlando “Alessandro, giusto?” azzardò, pentendosene non appena lei lo incenerì con lo sguardo.
“Pietro.” sibilò “Pietro. Quel grandissimo bastardo.”
“Aveva già la ragazza.” ripeté Sebastiano, avvertendo una confusione crescente.
“Sì. E non si è degnato di farne parola in tre settimane, capisci?! Ho il diritto e il dovere di rigargli la macchina, domani, vero? E squarciargli le gomme. E...”
“Non siete stati assieme.”
Sebastiano si massaggiò la mascella, guardandola senza capire. 
“Come?”
“Non avete fatto sesso.”
“No.” rispose tentennante lei “No, non abbiamo fatto sesso.”
Conosceva quel tentennamento, Sebastiano. Oh, sì. Era una provocazione. Lo stava sfidando a continuare, già pronta a saltargli alla gola. 
Erano le nove di sera, però. Ed era tanto, tanto stanco. 
Così, semplicemente, continuò. 
“Se non siete andati a letto assieme non è tradimento. Non ha tradito la sua ragazza, non ha tradito te. Non ha fatto...”
“Mi ha mentito.” sillabò Emilia, i pugni chiusi sui fianchi “Quel bastardo...”
“Non ti ha mentito. Avete parlato di limiti? Approfondito lo stato della relazione?”
“Stai parlando da uomo.” 
Sebastiano allargò le braccia, muovendo ancora un passo verso di lei.
“Un modo come un altro per dire che...”
“... che stai sparando stronzate.” sbraitò la ragazza afferrando un cuscino per colpirlo “Perché sei un uomo e non sai fare altrimenti!” 
“Posa quel cuscino.”
“Non ci penso proprio.”
“Puffetta, non farmelo ripetere.”
Emilia aveva già sollevato il cuscino oltre la testa, pronta a tutto, quando lui la strinse saldamente tra le braccia. 
“Che stai facendo?” gli domandò con un filo di voce, in bilico fra la rabbia e la tristezza.
“Mi sembra abbastanza evidente, sai?”
“Perché fai sempre così?”
“Cosa faccio?”
“Cominci con qualcosa di dolce, poi mi fai infuriare come una bestia, poi mi abbracci e... e io non so come comportarmi! Voglio dire, già normalmente sono in stato confusionale, lo sai; se ti ci metti anche tu, mi ritroverò in una casa di cura molto presto.”
“Se per casa di cura intendi un istituto psichiatrico, sì, mi trovi d’accordo.”
Emilia lasciò cadere il cuscino nel tentativo di allontanarlo, ma lui si limitò ad aumentare la stretta.
“Smettila, puffetta.” mormorò “Dammi un po’ di tregua, dai. Sono stanco morto.”
“Non abbastanza.” borbottò lei smettendo di agitarsi “Riesci comunque a rompere i coglioni.”
Sebastiano ridacchiò, il mento poggiato sulla testa di lei, le braccia a circondarle i fianchi. 
“Ora posso spegnere lo stereo?”
“No. Lasciamela sentire ancora una volta o due, dai.”
“Se arrivi alla terza ti rubo il cd.”
“Mi sembra giusto.” mugugnò Emilia, dandogli una pacca sulla schiena “Non ti preoccupare.”
Sospirarono entrambi, godendosi quel breve momento di pace. 
“Oh, e grazie.” sussurrò poi lei “Per... lo sai. Per bussare ogni volta che senti quelle tre note. Sei molto dolce, sai? Non so come farei se non...”
La frase restò a metà. 
Di colpo. 
E tutte le buone intenzioni andarono a farsi benedire. 
Emilia arretrò di un passo, fissando il cavallo dei pantaloni di Sebastiano. 
“Cosa...?”
Qualcosa non andava in quella zona. C’era un che di troppo, che non doveva esserci. 
Si forzò a sollevare lo sguardo per cercare quello di lui, incredula. 
“Scusami.” balbettò Sebastiano, le mani a coprirsi il volto “E’ la stanchezza, credo. Non volevo.”
“Sei eccitato.” disse lei, l’espressione di chi ha appena visto un alieno “Sei davvero eccitato.”
“Puffetta, ascolta.”
“Non puoi essere eccitato. Cos’è, ti si è confuso il birillo?”
“Che cosa?” trasecolò Sebastiano, perdendo il filo del discorso “Birillo?”
“Come puoi esserti eccitato?”
“Ti ho chiesto scusa.” sbuffò esasperato “Guarda che è una normalissima reazione fisiologica e...”
“Non se sei gay!” sbottò Emilia, gli occhi spalancati e sempre puntati sui suoi pantaloni.
“Che cosa?! E chi è gay?”
“Tu! Tu sei gay!”
“Io non sono gay!”
“Sì che sei gay! Tu sei il mio vicino di casa gay! Tu sei Sebastiano il gay!”
“Smettila di ripetere gay! Non sono gay!”
“Oh, signore.”
Emilia cominciò ad arretrare, basita. “Oh, signore. Signore. Signore. Porco mondo.”
“Attenta al cuscino.” provò a metterla in guardia Sebastiano, troppo tardi. Lei fece ancora un passo all’indietro e inciampò nel cuscino, crollando sul divano. 
“Tutto bene?” le domandò lui, facendo per avvicinarsi. 
“Non ti azzardare.” lo fulminò “Non ti avvicinare.”
“Ho l’impressione di un déjà vu.”
“Oh, signore.”
“Okay, smettila. Ragioniamo un attimo, sì?”
“Non posso ragionare con un birillo impazzito!” sbottò Emilia.
“Smettila di chiamarlo birillo!”
“No che non la smetto. Sei tu che devi smetterla!”
“Non ha senso quello che dici, te ne rendi conto?”
“Perché non sei gay? Quand’è che hai cambiato di nuovo sponda? Perché io non ne sapevo niente, eh? Perché non sei più gay?!”
“Non sono mai stato gay! Non ho cambiato sponda, per l’amor del cielo!”
“Non mi urlare contro!”
“Sei tu che hai cominciato!”
“Il tuo birillo ha cominciato!”
“Okay, ora ho bisogno di quel liquore al cocco.”
“Non avrai nessun liquore al cocco!”
“Perché?”
“Perché non mi hai detto di non essere più gay!”
Sebastiano guaì, puntandole il dito contro e sbattendo il piede sulla moquette. 
“Ora basta. Chiariamoci velocemente.” grugnì “Sono etero, sono sempre stato etero. Non ti ho mai detto di essere gay e non ho la più pallida idea di come tu sia arrivata a quella conclusione. Avevi bisogno di un abbraccio e sono entrato, ma sono stanco morto. Perciò...” prese fiato “... perciò ora me ne vado nel mio appartamento. Mi farò una bella doccia fredda e me ne andrò a dormire.”
Era già quasi arrivato alla porta quando sembrò ricordarsi di qualcosa: si avvicinò rapidamente allo stereo e ne estrasse il cd, mostrandolo alla ragazza con fare minaccioso. 
“Questo lo porto con me.” ringhiò, avviandosi nuovamente all’uscita. 
Salutò, sbattendo la porta. 

 

 

 

§



 

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Capitolo 2
*** Primo ***


 



L’ Ingranaggio Mancante

 

 

 

 

“Fammi entrare.”
Silenzio. Un colpo. Silenzio. Due colpi. 
“Fammi entrare, fammi entrare, fammi entrare, fammi entrare.”
Cinque colpi. Silenzio. Un colpo.
“Ehi! Vuoi aprire questa maledettissima porta e farmi entrare, sì o...”
Emilia spalancò la porta e Sebastiano quasi le cadde addosso. “... no? Oh, finalmente.”
“Sono le tre e venti.” balbettò lei, cercando di mettere a fuoco l’orologio “Di notte.”
“Sì? Vogliamo andare a fare un giro?”
“Sei ubriaco?”
“No.” scosse convinto il capo lui “Solo appena appena brillo” aggiunse, mostrandole la bottiglia di birra che teneva nascosta dietro la schiena. 
“Sono le tre e venti di notte.” ripeté Emilia, facendo per spingerlo via. 
“Lo so, lo so. Lo hai già detto.”
“Vattene a casa, Seb.”
“Dobbiamo parlare.”
“Non alle...”
“... tre e venti di notte? Sì, invece. Abbiamo degli argomenti in sospeso.”
“Non possiamo rimandare a domani?”
“Ascolta.” mormorò lui, poggiandole la mano libera su una spalla “Mi sono fatto una doccia, okay? E ho preso un’aspirina. Poi ho dormito, okay? Fino a mezz’ora fa, più o meno. Quando mi sono svegliato, però, fra una birra e l’altra... continuavo a pensare a te e al mio birillo.”
“Seb.”
“Dobbiamo parlare. E lo faremo adesso.”
“Non voglio farlo adesso.”
“Non mi interessa.” fece spallucce lui, superandola e dirigendosi verso il divano “A me va di parlare  ora. Ora che non ho il mal di testa e sono brillo a sufficienza da riuscire a sopportarti.”
“Troppo gentile, davvero.”
“Niente sarcasmo, puffetta. Non alle tre e venticinque di notte.”
Emilia sospirò e chiuse la porta. 
Girò attorno al divano e si accoccolò sulla poltrona.
“Va bene, parla.”
Sebastiano sospirò, le gambe allungate sul tavolino in mezzo a loro. 
Bevve un sorso di birra e svuotò mezza bottiglia. 
“Hai freddo?” le chiese, gli occhi socchiusi.
“No.”
“E allora perché sei così vestita?” volle sapere, indicando la vestaglia che portava chiusa fin sotto il mento “Non sei mai così tanto coperta.”
“E tu non sei mai così tanto etero.”
Sebastiano scoppiò a ridere, il capo reclinato all’indietro. 
“Smettila.” borbottò Emilia senza riuscire a trattenere un piccolo sorriso “Non è divertente.”
“Oh, sì che lo è. Una situazione assurda. Se non fossi brillo...”
“Perché non mi hai detto di essere etero?” sussurrò lei interrompendolo.
“Non ricordo di aver mai detto il contrario, puffetta. Come ti è venuto in mente che non giocassi nella tua squadra?”
“Non cominciare con le metafore sportive.”
“Vuoi l’ultimo sorso di birra?”
“No, non voglio l’ultimo sorso di birra.” sbottò lei “Sai come mi sono sentita, eh? Ne hai una vaga idea? Tradita!”
“Stiamo parlando di Pietro, adesso?” s’informo placidamente perso Sebastiano.
“Cosa c’entra Pietro?!”
“Ti ha tradita.”
“No. Come mi hai detto tu stesso, lui non mi ha tradita. Tu invece sì.”
“Voi donne siete incredibili. Riuscite a complicare discorsi semplicissimi anche a quest’ora di notte. Per alcuni sarà anche un pregio, ma io sono abbastanza convinto che sia un difetto.”
“Un discorso semplicissimo? Come fa a sembrarti un discorso semplicissimo?!”
“Sono etero. Punto. Semplice e lineare.”
“Non è semplice e lineare se io ero convinta che tu fossi gay!”
“Non cominciare a gridare, eh. Rischi di svegliare l’intero palazzo e non è l’ora adatta.”
Emilia lo incenerì con lo sguardo.
“Sei sempre ben vestito, educato, gentile, premuroso e dolce. Prepari delle torte. Non bestemmi.”
“Stai elencando i miei innumerevoli pregi, puffetta?”
“Mi accompagni a teatro. Ogni volta che senti i The National bussi alla porta per consolarmi.”
“Sottoscrivo tutto, sì.” sollevò la bottiglia vuota lui, a mo’ di brindisi.
“Come fai a non essere gay?”
“Hai una concezione degli omosessuali completamente sbagliata.”
“Non sono omofoba.” sibilò Emilia “A me piacciono i gay. Sono carini e cucciolosi.”
“Quindi io sono carino e cuccioloso?”
“Prima che il tuo birillo perdesse la bussola, sì!”
“Ti ho detto di smetterla di chiamarlo birillo.”
“Perché non mi hai mai corretta?”
“Sul birillo?”
“Sul tuo orientamento sessuale!”
“Come facevo a correggerti se non avevo idea di cosa tu pensassi del mio orientamento sessuale?!”
“Ti aprivo la porta in mutande!”
Sebastiano aprì la bocca per ribattere, poi gli si riaffacciò alla mente il completino che la ragazza indossava sotto quell’orribile vestaglia. 
“A che stai pensando?”
Boxer a righini e un top rosso... forse arancione?, stretto al punto giusto.
“Seb, a cosa diavolo stai pensando?”
Stretto nei punti giusti, ecco.
“Mi piaceva molto il tuo completino di prima, sai? Perché non torni ad aprirmi la porta come facevi prima? Guarda, puoi toglierti la vestaglia anche ora per quanto mi riguarda.”
“Capisci?”
“Cosa?”
“Finché eri gay andava bene. Se sei etero, invece, no. Che figura ci farei?”
“Una gran bella figura.”
“No.” scosse il dito lei “No. Ci farei la figura di una sgualdrina.”
“Sono confuso. E quella vestaglia non mi piace.”
“Seb, mi hai sconvolto.”
“A te piace la vestaglia?”
Emilia gemette e si strinse le ginocchia al petto. 
“Tu e il tuo stupido birillo.” borbottò, chiudendo gli occhi.
Sebastiano sospirò e non si prese la briga di correggerla ancora una volta. 
“A me e al mio birillo dispiace molto.” mormorò, sorridendole gentilmente. 
Sorridendole come sempre.
“Okay.”
“Siamo a posto?” la interrogò lui.
“Non esattamente come prima, ma sì.”
“In che senso?”
“Seb...”
“Nel senso che non ti toglierai più quella vestaglia?!” borbottò spaventato “Non ci provare! Senti... non possiamo far finta che non sia successo nulla? Tornare indietro, ecco.”
“A quando tu eri gay?”
Emilia lo guardò prendere un bel respiro, l’espressione combattuta. 
“Devo essere gay per poter vedere i tuoi boxer a righini?”
“Sì. Sì, temo di sì.”
“E’ estremamente sessista da parte tua.”
“Sai almeno cosa significa sessista?”
“Perché non posso essere etero e vederti mezza nuda come sempre?”
“Oh, signore.” arrossì lei “Non ti azzardare a dire cose del genere in pubblico.”
“Le sto dicendo a te.”
“Allora non dirle neanche a me.”
“Puffetta...”
“Perché non ho mai sentito altre donne?”
“Come?”
“Questi muri sono di carta.” agitò una mano lei “Perché non ho mai sentito altre donne?”
“Perché non le porto a casa mia. Vado io da loro, no?”
“Sei uno di loro, allora!”
“Uno di chi? Perché non parli seguendo un filo logico?!”
“Uno dei bastardi! Non lo avevo ancora realizzato!”
“Lo sai che esistono anche i gay bastardi, sì?”
“Esisteranno, certo, ma loro non fanno del male a me. Gli etero bastardi invece sì.”
“Quindi ora sono un etero bastardo.”
“Bravo. Ottimo sunto.”
“Io... come siamo arrivati a questo?”
“Grazie a te e alla tua mania di scoparti le donne in casa loro.”
“Non mi sembra di aver mai messo la cosa in questi termini.”
“Mi si sta aprendo tutto un nuovo mondo.”
“No, è il baratro della follia quello che stai guardando.” mugugnò risentito Sebastiano “Stai esagerando. Non sono un bastardo e comunque a te non ho mai fatto niente.”
“Ti sei appena auto-contraddetto.”
“Cosa ho fatto?”
“Sono le quattro, Seb.”
“Mi sono cosa?”
“Perché tu e il tuo birillo non andate a letto? Domani è un altro giorno.”
“Quando hai rivisto Via col Vento?”
“Vai a letto.”
“Non abbiamo risolto un bel niente!” sbottò lui “Tu indossi ancora quella vestaglia obbrobriosa, io sono ancora etero, tu sei ancora inspiegabilmente arrabbiata!”
“Hai detto obbrobriosa.
“Sì. Lo confermo.”
“Quale etero dice obbrobriosa?”
“Un etero a cui piacciono i tuoi boxer a righini.”
Emilia si alzò e andò alla porta, tenendola aperta. 
“Vai a casa, Seb.”
“Non abbiamo finito.” ribadì lui, alzandosi a fatica dalla posizione in cui era sprofondato.
“Concluderemo un’altra volta.”
“Avrò bisogno di tanta birra.”
“Farò rifornimento, promesso.”
Sebastiano annuì, indugiando sull’uscio con espressione mesta. 
“Non volevo offenderti.”
Emilia sussultò e abbassò lo sguardo.
“Buona notte.” sbottò infine, chiudendogli la porta in faccia.

 

 

§





 

Grazie a tutti per la magnifica accoglienza! *^*
Davvero, siete stati tutti incredibilmente dolci! *rischia di commuoversi*
Basta, non aggiungo altro per non bagnare la tastiera. u.u



 

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Capitolo 3
*** Secondo ***








L’ Ingranaggio Mancante

 

 

 

Sette colpi ritmici sulla porta. 
“Sto entrando, Lilli!” 
Emilia annuì, posò la matita e si alzò in piedi, stiracchiandosi. Aveva tutti i muscoli indolenziti.
“Ti ho interrotto?” le domandò Tea, poggiando una busta strapiena sul tavolino. 
“No, ho quasi finito anche l’ultimo bozzetto.” 
“Bene! Perché ho portato le birre che mi avevi chiesto.” sorrise l’amica, togliendosi la giacca “Oh, e ho preso anche biscotti, merendine e gelato.”
“Come mai?” si sorprese Emilia “Ti sembro deperita, forse?”
Tea aggrottò le sopracciglia. 
“Non sono i rifornimenti post rottura?”
“No.”
“Credevo... Giulio mi ha detto che hai litigato con Pietro.”
“Infatti è vero. Quel bastardo aveva già la ragazza.”
“Non ci posso credere!”
“Assurdo, eh? Sono stata a un passo dal rigargli la macchina oggi, letteralmente. Stavo colmando quei pochi, ultimi, gloriosi centimetri quando il tuo ragazzo mi ha strappato le chiavi di mano.”
“Che idiota. Questo non me lo ha detto.” ridacchiò Tea, scuotendo la testa.
“A quel punto ho provato a colpirlo.”
“A colpire Pietro?”
“No, Giulio. Volevo che mi ridesse le chiavi per poter terminare il lavoro, no?”
“Ci sei riuscita?”
Emilia abbassò lo sguardo e fece una smorfia, afflitta e risentita.
“Non ci riuscivo neanche da piccola.” borbottò “Quando lottavamo in piscina e papà faceva finta di non vederci.”
“Non è colpa tua, tesoro. Quel cretino è veloce, che ci vuoi fare?”
“Già. E il risultato? Non ho rigato la macchina al bastardo.”
Tea sospirò, la vaga impressione di star dimenticando qualcosa. 
Poi, di colpo, la lampadina si accese.
“Aspetta! Perché allora questi non sono i rifornimenti post rottura?”
“Oh, ma perché non me ne importa già più di Pietro.” fece spallucce Emilia mentre posava le birre in frigorifero “Il problema ora è Sebastiano.”
Svuotò il resto della busta, lanciando una confezione di oreo a Dorotea e continuò, mesta. 
“Non ho fatto in tempo a liberarmi di un bastardo che ne è spuntato fuori un altro.”
“Aspetta, aspetta, aspetta. Sebastiano chi?”
“Sebastiano.”
Tea inarcò le sopracciglia e Emilia imprecò. 
“Cazzo. Non so il suo cognome. Com’è possibile che non sappia il suo cognome?” uscì velocemente dall’appartamento e tornò in meno di due minuti “Sebastiano Renzi.” 
A Tea cadde la mascella.
“Sebastiano il tuo vicino?!” sbottò incredula “Sei andata a leggere la fottuta etichetta sotto il suo campanello?!”
“Già.”
“Sebastiano il tuo vicino.”
“Già.”
“E’ un pezzo di pane, quel ragazzo.” 
“E’ un bastardo, quel ragazzo.”
Dorotea sospirò e si accucciò sul tappeto. 
“Che cosa avrebbe fatto, sentiamo?”
“E’ diventato etero.”
Emilia spalancò le braccia in attesa di una qualche reazione furiosa da parte dell’amica. Quando dopo diversi minuti la reazione non arrivò, strinse le braccia al petto, contrariata. 
“Devo ripetermi?” chiese, asciutta. 
“Io lo sapevo!”
Quella reazione, però, proprio non se la aspettava. 
“Che cosa?”
“Ne ero convinta! Ero sicura di averlo beccato a fissarti il culo!”
“Che cosa?!” eruppe Emilia. 
“Tu però mi avevi detto che era gay. Perciò continuavo a ripetermi che no, non ti aveva fissato il didietro, no. Dovevo essermi sbagliata. E invece no, che non mi ero sbagliata!”
“Il didietro...?”
“Così il bastardo ti ha detto di essere gay solo per poterti vedere in mutande più liberamente?” si scandalizzò Tea “Che figlio di buona donna! E’ un piano machiavellico, orrendo, terribile...”
“Non mi ha mai detto di essere gay.” la interruppe Emilia. 
E a Dorotea cascò di nuovo la mascella. 
“Non credo di aver capito.”
“Lui non me lo ha mai detto apertamente.” balbettò Emilia “Diciamo che... diciamo che è stata una mia supposizione. Non so di preciso come o perché, ma ne ero pienamente convinta.”
Silenzio. 
“Sicura al cento per cento. Devo... non so, devo avere un gay radar difettoso.”
Dorotea sospirò con fare esausto. 
“Ah, no, tesoro. A te il gay radar non funziona proprio, chiariamoci. Sebastiano, almeno dal mio punto di vista, sprizza testosterone da tutti i pori.”
Quando Emilia fece per ribattere la bloccò sollevando un solo dito: diede un morso al primo oreo e continuò, imperterrita. 
“Secondo me tu volevi che fosse gay. Ti sei convinta che lo fosse così da impedirti di provarci e...”
“Sono sei mesi che abitiamo sullo stesso pianerottolo.” scosse il capo l’altra “Sei mesi che gli apro la porta mezza nuda, mi vesto davanti a lui, gli parlo dei miei ragazzi... di quello che ho fatto o che avrei voluto fare con quei ragazzi. Mi ha massaggiato la schiena, Tea.”
“Oh.”
“Ci ho provato eccome.”
“No, no, no. Pensavi fosse gay, non è provarci.”
“Hai appena detto che me ne ero auto-convinta per impedirmi di provarci quando invece...”
Dorotea scattò in piedi, i biscotti che rotolavano sotto il tavolino. 
Si passò le mani fra i capelli biondi e li fermò in una coda di cavallo alta, sbarazzina. 
“Stop. Non ci sto capendo più niente.”
“Colpa tua e dei tuoi approcci psicologici.”
“Sei tu che scambi gli orientamenti sessuali senza che nessuno ti dica alcunché!”
“Quindi la colpa è mia?”
“Assolutamente.”
Emilia gemette, alzandosi a sua volta: “Ho bisogno di una doccia.”
“Concludiamo prima il discorso!”
“No. Devo farmi una doccia ora.”
“Aspetta!” la bloccò Tea afferrandole un lembo della maglia “Fammi capire, ti prego. Cos’è successo di preciso? Almeno questo.”
“Avevo acceso lo stereo, come al solito.” si arrese Emilia “Lui ha bussato ed è gentilmente entrato per consolarmi un po’.”
“Un tesoro, te l’ho detto. Un tesoro di ragazzo.”
“A un certo punto, dopo che ho provato a ucciderlo a suon di cuscinate, eccolo lì che mi abbraccia. Stretto stretto.”
“Sempre più dolce.”
“Ed è durante questo abbraccio che lo sento.”
“Il tuo cuore che si scioglie?”
“No, il suo attrezzo che si muove.”
“Che cosa?”
“Come credevi che fosse uscito fuori il discorso, altrimenti?”
“Oddio. Gli si è messo sull’attenti?”
“Oh, sì.” chiuse gli occhi Emilia “E in un primo momento, ti giuro, ho pensato si fosse soltanto distratto. Sai com’è, è un uomo, starà pensando a qualcos’altro. Forse sta pensando a un tipo, ecco cosa ipotizzavo. Poi lui si scusa. Si scusa! Imbarazzo, colpa della stanchezza... queste cose qui.  Infine urla varie e porte sbattute a chiudere il tutto. Ah. E ciliegina sulla torta, mi ha pure rubato il cd dei The National.”
“Assurdo.”
“Lo so, devo assolutamente andare a riprendermelo.”
“Non sto parlando di quell’orribile disco, per l’amor del cielo!”
“Ehi. Attenta a te.”
“Lilli.” la richiamò roteando gli occhi “Significa che gli piaci.”
“All’ex-gay? Non necessariamente.”
“Sposatelo.”
Emilia ghiacciò, piegando il capo di lato lentamente: “Come, prego?”
“Sembra un film. Lui alto due metri, dolce e stupendo. Tu nanetta, svampita e stronza.”
“Non mi piace per niente.” ringhiò lapidaria.
“Tu lo credevi gay, lui ti credeva sgualdrina.”
“Tea, sto per morderti.”
“E dopo aver risolto il malinteso, eccovi lì a farlo come conigli.” annuì convinta “Perciò sì, sposatelo direttamente. Accorciamo i tempi, no?” si guardò attorno “Potete anche abbattere quel muro per dar vita a un unico immenso appartamento, non sarebbe perfetto?”
“Per i nostri futuri alti, stupendi, svampiti figli?” sibilò minacciosamente calma Emilia.
“Esattamente!” esultò Tea “Anche un po’ stronzi, certo, ma...”
A bloccarla fu l’espressione di Emilia. 
L’espressione di una persona folle, seriamente pronta a mordere. 
“Non so se stai scherzando o farneticando.” disse con voce ferma, afferrando un asciugamano pulito dall’armadio “Fatto sta che è troppo presto per riderci sopra. Perché io ero convinta che quel gigante fosse inoffensivo, okay? Invece non lo è. Non lo è! Ha assistito ad alcuni dei momenti più imbarazzanti dei miei ultimi sei mesi. E... e questo mi sta uccidendo.”
“Non volevo...”
“Quindi la chiudiamo qui.”
“Lilli, non dovete sposarvi subito. Voglio dire, potete aspettare tranquillamente fino all’estate.”
Emilia guaì, frustrata come non mai, e colpì Tea con l’asciugamano. 
“Vado a farmi quella benedetta doccia!” gridò, ignorando la deliziata risposta che le giunse:
“Non provare ad affogarti o mando Sebastiano a soccorrerti!” 

 

 

§





 

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