Come in uno specchio

di Megs Sully
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Amore e Psiche ***
Capitolo 3: *** One Moment in Time ***
Capitolo 4: *** Fino all'ultimo respiro ***
Capitolo 5: *** Soli contro il mondo ***
Capitolo 6: *** Tre anni dopo ***
Capitolo 7: *** New Orleans ***
Capitolo 8: *** Io ti proteggerò sempre ***
Capitolo 9: *** Tra fiducia e inganno ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO


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Non era una bella giornata. Pioveva e tirava vento. Un vento che giorno dopo giorno diventava più frizzante. Ma non aveva importanza. Amava l’autunno. Amava il freddo sempre più insistente che preannunciava il gelo dell’inverno. Lo sentiva nelle ossa, ardere come un fuoco.
Hayley inclinò la testa corrugando la fronte, dirigendosi verso il fiume. Sospirò profondamente. Stava perdendo di nuovo il controllo dei suoi pensieri. Il freddo non poteva ardere come un fuoco. Era una contraddizione e le contraddizioni non erano logiche. Glielo ripeteva sempre la matrigna, ma lei, testarda com’era, non imparava mai.
Si portò una mano sul petto, sentì un battito più accelerato. Lo aveva sognato. Di nuovo. Il cavaliere misterioso. Colui che la proteggeva e l’amava, celandole il suo volto, la sua identità. O forse non l’amava affatto. Forse era solo lei a illudersi. L’unica cosa che sapeva era che lui le dava la forza di andare avanti, di continuare. Di resistere all’indifferenza della gente, alla mancanza di affetto dei suoi genitori adottivi, alle urla, agli insulti, ai castighi che le infliggevano fin da bambina. Fin da quando ne aveva memoria. Perché era stata cattiva e disubbidiente, dicevano loro.
Se solo avesse conosciuto il suo nome, un nome vero che non fosse “oh mio cavaliere” oppure “oh mio signore oscuro”. Se solo avesse saputo dove cercarlo, come raggiungerlo. Se solo lui fosse esistito. Un nome, le bastava un nome a cui aggrapparsi. Un nome da invocare nelle notti buie, un nome e un volto a cui pensare quando gli schiaffi diventavano troppo violenti.
Sorrise tristemente inginocchiandosi sulla riva del fiume. Chiuse gli occhi. Un po’ di pace, finalmente. Presto se ne sarebbe andata. Anche se temeva di perdersi per sempre. Ma meglio perdersi. Sì, meglio perdersi che restare così, immobile in quel mondo a cui sentiva di non essere mai appartenuta.
“Dove sei?” Hayley appoggiò il palmo della mano sulla superficie dell’acqua. Non si aspettava che qualcuno rispondesse. Non si aspettava mai nulla, in effetti. Chiuse gli occhi castani screziati di verde e poi li aprì, fissando l’acqua. E per un attimo lui fu lì. Vide se stessa e poi il suo riflesso, come in uno specchio. I suoi occhi scuri e intensi che si sovrapponevano ai suoi. Cercò di fermare la sua immagine, di catturarla, senza riuscirci. Infine quello che ritrovò fu soltanto se stessa. L’immagine riflessa di una ragazza solitaria di sedici anni che sognava troppo, che sperava troppo.  
Hayley accennò un sorriso. Da qualche parte aveva letto che se si riesce a immaginare qualcosa con tanta forza, con tanta intensità, alla fine si avvera. Sapeva essere tenace, avrebbe imparato a esserlo ancora di più. Tutto quello che doveva fare era continuare a lottare, ad aspettare il momento in cui se ne sarebbe andata via da lì. Presto, presto.
“Se riesco a pensare a te così, allora ci sei. Tu ci sei. E sei vivo, più vivo in me di chiunque altro. Tu mi rendi forte, mi rendi coraggiosa. E se tu mi salvi…”
Lui era lontano, questo lo sapeva. In un altro mondo, in un’altra epoca, in un’altra storia. Ma non aveva importanza, perché lei lo avrebbe trovato. Perché le loro anime, come le loro immagini, si riflettevano. Proprio come in uno specchio.
“E se tu mi salvi…” Hayley si alzò dalla riva, avviandosi verso casa prima che facesse troppo tardi “…io salverò te.”
 


( Grazie di aver letto il prologo di questa mia storia. Che dire... spero che vi sia piaciuto e che continuerete a leggere i prossimi capitoli. Vi avverto che sarà una storia piuttosto lunga e articolata con numerosi personaggi, molti dei quali già conoscerete. Se volete fatemi sapere cosa ne pensate... comunque, a presto! ;) )
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Amore e Psiche ***


1. AMORE E PSICHE


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Perché avevano scelto proprio lei? Era qualcosa che Hayley non era mai riuscita a comprendere. Ma se l’avevano trattata come un’intrusa fin dal primo momento in cui aveva messo piede in quella casa, perché avevano deciso di farsi carico di una bambina indesiderata?
Appena raggiunta l’età in cui aveva iniziato a capire, aveva provato timidamente a fare qualche domanda. Tutto inutile. Non si degnavano di darle una risposta, anzi a parer loro doveva solo considerarsi fortunata di essere stata scelta. Forse era vero, forse non c’era alcun mistero. Forse erano soltanto stati pagati bene da qualcuno. Ma da chi? E perché? Del resto avevano già due figli, un maschio e una femmina, non avevano certo bisogno di un’altra bambina di cui occuparsi.
In ogni caso aveva capito che da loro non avrebbe ricavato nulla. Avevano la bocca cucita. Quindi appena possibile se ne sarebbe andata per la sua strada. Avrebbe raccolto informazioni sulla sua nascita e sulla sua vera famiglia da sola. Non sapeva nemmeno lei da che parte iniziare ma in un modo o nell’altro ci sarebbe riuscita.
Continuava a pensarci, ogni notte prima di addormentarsi. A volte non si addormentava affatto ma si ritrovava magicamente all’alba. La luce filtrava stuzzicandole gli occhi attraverso la finestra della sua stanza. Le avevano assegnato la camera più piccola e più umida della casa ma a lei piaceva ugualmente, perché era diventato il suo regno. Chissà, magari un giorno avrebbe avuto una casetta tutta sua. Piccola ma carina. Sarebbe stato bello vivere da sola. Si sarebbe comprata una bella libreria spaziosa. Quattro o cinque scaffali o magari anche di più. Nella biblioteca della famiglia non c’era nulla di suo e comunque nulla di davvero interessante perché nessuno lì era una grande appassionato di libri. Roxanne, la sua matrigna, la teneva solo per prestigio sociale e la riempiva di libri acquistati a caso al centro commerciale e di soprammobili dalle forme orribili. Hayley era riuscita a comprarsi qualche classico della letteratura mondiale con i suoi risparmi e li teneva custoditi gelosamente sulla mensola sotto la finestra. Aveva messo da parte i soldi del pranzo alla mensa scolastica per poterli comprare, erano i suoi tesori.
Hayley si voltò su un fianco abbracciando il cuscino. Si stava rassegnando al fatto che nessuno mai si sarebbe presentato per portarla via e regalarle una vita migliore. Nemmeno il signore dei suoi sogni. Non lo percepiva solo come un amore o un amante. Ma come un tutto. Tutto ciò che le era sempre mancato, lui lo era. Padre, fratello, amico, compagno, maestro. E forse anche lui, chissà come, chissà dove, pensava a lei. Forse stava tentando di raggiungerla. Forse la cercava in ogni volto di donna, come lei lo cercava negli occhi di ogni uomo che attraversava il suo cammino. Ma non era mai lui. Non riconosceva mai quello sguardo gentile nel volto di nessuno.
A volte, nei momenti più difficili, nei momenti in cui era così vicina a crollare, le sembrava che lui l’abbracciasse, la sorreggesse. Era come un sogno lucido, tra il sonno e la veglia. Riusciva a percepire il suo calore, il suo profumo, le sue braccia forti che le circondavano le spalle e la vita proteggendola da ogni male e guarendola. Hayley allora si lasciava cadere, scivolare in lui, in quell’abbraccio. Adagiava la nuca sul suo petto, percepiva il suo respiro sui capelli. Voltandosi lentamente però e aprendo gli occhi non lo trovava mai.
Le era venuta in mente la leggenda di Amore e Psiche. Chissà se voltandosi di scatto e accendendo la luce della lampada lui le avrebbe concesso di vedere il suo volto? O quel suo impeto lo avrebbe annientato, distrutto per sempre? Come la curiosità di Psiche l’aveva indotta a voler scorgere il volto del suo amato, rischiando di perderlo per sempre. Hayley fu scossa da un brivido più profondo, intenso. La sua curiosità, la sua impazienza avrebbe bruciato il suo cavaliere misterioso, il suo signore oscuro. Con gli occhi della mente lo vide andare a fuoco, un fuoco che partiva dal centro del suo petto e divampava divorandolo, devastando ogni lembo del suo corpo, annientando il suo cuore per sempre. No, non avrebbe agito come Psiche. Lo avrebbe aspettato con pazienza, per tutto il tempo necessario. Avrebbe visto il suo volto solo al momento opportuno. Suo padre, suo fratello, il suo amico, il suo compagno, il suo maestro. Il suo tutto. E incontrandolo avrebbe riconosciuto quel palpito amato che solo lui era in grado di risvegliare in lei.
Hayley si alzò dal letto prima che suonasse la sveglia e aprì la finestra. Nonostante la foschia autunnale, l’aria sapeva di buono. Forse non sarebbe stata una bella giornata. Probabilmente non sarebbe stata molto diversa da tutte le altre che si ammucchiavano incessantemente. Ma era una giornata in meno che la separava dalla sua libertà. Aveva imparato ad amare il trascorrere del tempo. Era come se la rendesse una persona migliore, preparata, matura. Come se costruisse una fortezza intorno a sé, ai suoi principi, ai suoi valori. Come se collaborasse alla nascita della donna che sarebbe diventata. Così quando avrebbe incontrato e riconosciuto il suo compagno, ne sarebbe stata degna.
 
 
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Non era più in grado di percepire il trascorrere del tempo sprofondato nell’abisso. Trafitto nel buio di quella bara. E ogni volta qualcosa di lui si perdeva. La rabbia, l’inquietudine, il senso di sfiducia, di tradimento, restava lo stesso, imperturbabile. La sua famiglia non esisteva più. Esistevano dei singoli individui. Ognuno andava in direzione opposta e contraria a tutti gli altri. Indifferente e senza alcun senso di appartenenza.
Dormiva per lo più, dormiva senza sogni, senza illusioni. Dormiva senza quiete, senza riposo. Dormiva e moriva ogni giorno di più perché non c’era altro da fare, da dire, da pensare, chiusi in quella bara con un pugnale conficcato nel petto. Era solo buio. Una notte perenne.
Poi arrivavano quei momenti. I fragili momenti in cui un sorriso dolce lo richiamava alla gioia, alla vita, alla libertà. I momenti in cui avrebbe desiderato correre ancora il rischio di sentirsi un uomo felice e sano. Come non gli accadeva più da almeno un millennio. Da dove nasceva quella luce recente, quel richiamo che lo incoraggiava, lo accarezzava con il pensiero, quel calore che lo strappava da un sonno senza sogni così simile alla morte definitiva?
Le donne che aveva amato e desiderato se n’erano andate, in un modo o nell’altro. Ma quell’illusione, quel sentimento c’era ancora, così vivo, così palpabile in lui. E lo implorava di resistere. Di non arrendersi. Lo risvegliava, come il canto di un’anima candida, sincera, immune dalla devastazione in cui lui continuava a sprofondare. Non conosceva ancora il suo nome, ma la sentiva fremere. Lei era giovane, pulita, palpitante di vita. Probabilmente non era un angelo, ma una creatura desiderosa di essere amata e protetta. Una creatura che risvegliava in lui ogni anelito di umanità.
Elijah Mikaelson non credeva più nei miracoli. Non credeva più nemmeno nell’amore. Forse non ci aveva mai creduto davvero. Ma credeva a quella luce, a quel pensiero gentile che lo richiamava dalla morte che gli era stata continuamente inflitta. E quando e se l’avesse incontrata, sempre che avesse avuto la possibilità di uscire da lì, avrebbe dato la vita per difenderla. Lo promise, prima di ricadere ancora nel sonno della morte senza sogni. Chiunque lei fosse aveva la sua parola. Sul suo onore l’avrebbe protetta. Perché lei chissà come e chissà perché, solo con quel pensiero innocente, stava proteggendo lui.
 
 
( Grazie per aver letto questo primo capitolo... la storia di Hayley e del suo "cavaliere misterioso" si evolverà poco alla volta. Chissà chi mai sarà! )  

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Capitolo 3
*** One Moment in Time ***


3. ONE MOMENT IN TIME




 

E così era nuovamente solo. I suoi progetti erano falliti, uno dopo l’altro. Tutto intorno a lui era silenzio. E non solo un silenzio fisico, vero e proprio. Un silenzio mentale, un silenzio dell’anima. Non aveva famiglia, non aveva un esercito, non aveva nient’altro che se stesso. Klaus. Klaus Mikaelson. Che poi in realtà non era neanche il suo vero nome. Lui non era figlio di Mikael, come gli altri. Era il frutto di una scappatella di sua madre con un licantropo, un incidente di percorso. Uno sbaglio. Con tutte le conseguenze del caso.

Klaus strinse gli occhi. Lo avevano tradito. Lo avevano ingannato. Meritavano di restare adagiati nelle loro fredde bare. In attesa che decidesse cosa farne di loro. Tutto ciò che gli apparteneva, che gli spettava di diritto, gli era stato sottratto, portato via, usurpato. Ora esigeva una vendetta, oltre che a un piano d’azione per recuperare al più presto tutto ciò che era suo. A qualsiasi prezzo.

Amore. Tutto ciò che desiderava era amore illimitato e comprensione. Lealtà sopra ogni cosa e devozione. Invece non sapevano fare altro che rivoltarsi e contraddirlo. Gli restava solamente l’arte al momento. L’arte era la sua vita, la luce che gli permetteva di splendere e di elevarsi. Qualcosa di grande, di unico che avrebbe potuto offrire al mondo. E a lei, se lei ci fosse stata, se lei avesse accettato di seguirlo, di essere la sua splendida, eterna compagna. Un giorno. Certo, un giorno, ne era assolutamente sicuro. Il tempo era indiscutibilmente suo. E il tempo, per lo meno, era sempre stato dalla sua parte, un fedele alleato.

 

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Era in anticipo. Le piaceva prendere le cose con calma. Aveva tutto il tempo di raggiungere la scuola a piedi. Adorava camminare e pensare, immergersi nelle sensazioni, nei colori dell’autunno. I giorni trascorrevano sereni, per quanto fosse possibile. Si sforzava di evitare problemi e discussioni. Il modo più adeguato di sopravvivere in quella casa. Da quando fratellastro e sorellastra erano partiti per il college la situazione era notevolmente migliorata. E presto anche lei se ne sarebbe andata via. Via da lì, per sempre. Alla ricerca della sua vera vita, della sua vera identità.

Hayley richiuse la porta e si guardò intorno. Tutto tranquillo. Aveva solo bisogno di un po’ di musica e di immergersi nelle parole delle canzoni. Solitamente visualizzava la storia e le immagini le scorrevano davanti come in un film. A volte immaginava se stessa come protagonista di quelle storie, anche se non aveva mai vissuto quelle esperienze direttamente.

Sospirò in attesa di lasciarsi trascinare nella storia. Non sapeva ancora quale canzone le sarebbe toccata. Sorrise tra sé pensando che quella sarebbe stata la canzone della sua vita. A volte prendeva decisioni così, senza una reale motivazione.

“One moment in time” di Whitney Houston. Sì, decisamente poteva essere la canzone di una vita. Forse non della sua. Ancora non possedeva tutta quella forza, quel vigore. Chissà, forse un giorno…

Hayley socchiuse gli occhi per un istante, iniziando a visualizzare la scena, la storia narrata dalla canzone. Quando li riaprì vide il piccolo William, il figlio dei vicini, che la salutava con la mano. Abitava con i genitori dall’altra parte della strada. Hayley sorrise e rispose al cenno di saluto. Il bimbo le stava anche dicendo qualcosa, vedeva muovere le sue labbra e ridacchiava, ma non poteva sentirlo a causa dell’alto volume della musica nelle orecchie.

“Ciao piccolo” Hayley lo salutò nuovamente con la mano, decisa a incamminarsi verso la scuola.

“Hayley, Hayley aspetta!” la chiamava William, mentre lei si era già voltata e aveva percorso un breve tratto.

Hayley, con la coda dell’occhio vide il bambino attraversare la strada per correre da lei. Senza guardare da una parte e dall’altra come gli era stato insegnato. Senza pensare nemmeno per un attimo al pericolo.

La scena scorse davanti ai suoi occhi al rallentatore. Il bimbo che correva ridendo da lei. L’auto che improvvisamente giungeva a velocità sostenuta da un angolo della strada.

“William, fermati… fermati!”

Il bambino si fermò ma troppo tardi, voltandosi terrorizzato verso l’auto, sgranò gli occhi restando immobile, come ipnotizzato. Nello stesso momento la macchina aveva iniziato a frenare. Le gomme stridevano sull’asfalto, non ci volle molto a capire che l’autista non sarebbe riuscito a evitare l’impatto.

Hayley corse verso il bambino, senza nemmeno riflettere su cosa ne sarebbe stato di lei. L’unico pensiero che le sfiorava la mente era togliere il bimbo dal centro di quella strada. Doveva farlo. Non aveva scelta. Un bambino non doveva morire e nemmeno ferirsi.

Un bambino non doveva farsi male. Hayley lo raggiunse e lo strinse tra le braccia. Era riuscita a muoversi verso l’altro lato della strada, ma nel giro di una frazione di secondo l’auto le sarebbe piombata addosso investendola da dietro. Spinse il bambino verso il marciapiede, con tutta la forza che aveva e chiuse gli occhi. Ma non vide scene della sua vita scorrerle davanti come si diceva accadesse a chi stava vivendo gli ultimi istanti.

Uno schianto. Hayley udì un grido. Rimase assorta in ascolto, prima di rendersi conto che era stata lei stessa a gridare, tanto da sentire dolore alle corde vocali. Aprì gli occhi. L’auto non aveva colpito lei ma sbandando era andata a sbattere contro un albero e poi contro la recinzione di una casa. In modo talmente violento che sembrava accartocciata e squarciata in due.

Rimase inginocchiata, assente. Guardava la scena con indifferenza, come se non fosse stata parte in causa. La gente stava accorrendo dalle case e dalle strade verso il luogo dell’incidente. Hayley si risvegliò solo quando sentì le braccia del piccolo William stringerle il collo, mentre il bambo in lacrime posava la testa sulla sua spalla. Erano entrambi incolumi.

 

                                                               ********************

 

Klaus incrociò le braccia di fronte alle bare disposte ordinatamente nel sotterraneo di casa Mikaelson. Le guardò una dopo l’altra, passandole in rassegna.

Socchiuse gli occhi per un attimo. I suoi fratelli, gli scherzi e i divertimenti innocui di un’epoca passata, lontana, perduta. Sua sorella che si guardava intorno con espressione sognante e i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle. Bella e innocente. Fragile come in fondo aveva continuato a essere anche in seguito, nonostante tutto.

Klaus sfiorò incerto il coperchio di una delle bare, poi vi appoggiò la mano, quasi aggrappandosi. Corrugò la fronte e si spostò lateralmente. Pose entrambe le mani sui bordi e con una lieve pressione l’aprì.

Il primo pensiero che lo colse a proposito del fratello fu se gli sarebbe stato utile oppure no. E se sì, come? Elijah avrebbe ricominciato a ripetere la solita cantilena sulla famiglia e sul loro legame indissolubile, eterno. Elijah avrebbe puntato il dito contro di lui e le sue mancanze. Ma forse, alla fine lo avrebbe assecondato. Perché non gli restava altro da fare. Perché lo conosceva da fin troppo tempo. Avrebbe dato fino al suo ultimo respiro per la famiglia, suo fratello Elijah. Lui compreso. Perché anche se non avevano lo stesso padre, Elijah lo aveva sempre considerato suo fratello a tutti gli effetti, esattamente come gli altri. Ed era sempre disposto a perdonarlo, aveva sempre speranza per lui, per tutti. Questo era suo fratello Elijah.

La famiglia prima di tutto. Uniti per sempre. Nella vita, nella morte. Klaus spostò lo sguardo sulle altre bare. Kol, Rebekah, Finn. Gli avrebbero urlato contro, schierandosi apertamente contro di lui. Rebekah soprattutto. Con il suo odio mescolato all’amore che le sprizzava dagli occhi, con quella voce di cui percepiva già il sibilo nelle orecchie.

Elijah era la quiete dopo la tempesta. Anche quando uccideva, lo faceva con calma, il massimo del controllo, senza rabbia, ordinatamente quasi. Come se fosse un’azione che richiedesse mestizia, compostezza.

Klaus posò la mano sul pugnale conficcato nel petto del fratello. Per rimetterlo al suo posto c’era sempre tempo, comunque. Ora ne aveva bisogno. Non per essere giudicato, consigliato o diretto. In fondo nemmeno per avere un appoggio, qualcuno che lo assecondasse. Ma più che altro per non ribadire sempre i soliti concetti che rimbalzavano nei suoi pensieri, esclusivamente tra le pareti della sua mente. Forse semplicemente per essere ascoltato.

 

                                                              ********************

 

Hayley ne era consapevole. Colpa sua. Solo colpa sua. Aveva ucciso un uomo. La sua vita non sarebbe stata mai più la stessa. Lei e il piccolo William erano sani e salvi ma l’autista dell’auto era morto a causa sua. Se lei non fosse uscita in quel momento, se il bambino non fosse corso verso di lei. Se lei non avesse avuto quella dannata musica a tutto volume nelle orecchie. Se… se non sentisse ora quel vuoto che si stava trasformando sempre di più in un abisso in cui precipitare e lasciarsi andare… lasciarsi andare…

 

                                                              ********************

 

Lasciarsi andare alla sensazione di vita che tornava a riemergere in lui, tutta in un istante. Elijah sbarrò gli occhi scuri di colpo e fissò il fratello. Lo scrutava immobile. Non percepì nulla inizialmente, poi solo dolore. Il suo non era nemmeno uno sguardo d’odio nei confronti di Klaus, di rancore. Ma piuttosto di pacata disperazione. Di rimpianto. Respirò per la prima volta, dopo tanto, troppo tempo. Perché? Chiedevano i suoi occhi. Perché? Non aveva ancora la forza di formulare la domanda, ma tanto sapeva che non avrebbe ottenuto risposta. Perché è così. Perché siamo noi. La nostra storia, la nostra famiglia. Perché siamo quello che siamo e il passato non si può cambiare. Probabilmente nemmeno il futuro. Ci si può solo arrendere e lasciare che sia. Il primo respiro, dopo tanto tempo. Che cosa sarebbe cambiato questa volta? Quanto avrebbe atteso Klaus prima di spedirlo nuovamente nell’abisso? Di questo si trattava. Di sfruttare il tempo a sua disposizione. Sperando che non fosse troppo tardi. Perché qualcosa permaneva in Elijah Mikaelson, più forte della morte, del dolore, del rimpianto. La speranza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Fino all'ultimo respiro ***


 
CAPITOLO 4 – FINO ALL’ULTIMO RESPIRO

 
Restava sveglia nell’oscurità a fissare il vuoto. Come se si aspettasse da un momento all’altro di veder apparire finalmente qualcosa o qualcuno che la portasse via. Via da quell’ossessione, da quel peso sul cuore. Sperava che il suo sogno tornasse. Che l’abbraccio caldo e confortante del suo signore oscuro l’aiutasse a riposare, a prendere sonno almeno per un po’. Ma al posto dei dolci occhi scuri del suo cavaliere, compariva un’ombra che procedeva barcollante verso di lei. Hayley non lo aveva mai visto davvero, ma sapeva che era l’uomo che aveva ucciso. L’uomo che era morto a causa sua, della sua noncuranza, della sua incoscienza. E avvicinandosi l’ombra la chiamava con voce roca, gutturale “Assassina… assassina!”. Senza aggiungere altro, solo quella parola bisbigliata con un rancore che le esplodeva sordo nei timpani, nel cervello. La furia di qualcuno a cui lei aveva strappato la vita per sempre.
Allora Hayley con la voce della mente chiamava il suo signore oscuro. Lo supplicava, invocava il suo aiuto, perché la difendesse dall’ombra accusatrice. Avrebbe dato qualsiasi cosa per conoscere il suo nome. Per sentirlo vicino con il pensiero, come un tempo.
Si portò una mano alla fronte. Le era salita di nuovo la febbre. Sembrava che la morte di quell’uomo avesse influenzato anche la sua salute, la sua costituzione fisica. In un certo senso si sentiva più forte e non capiva perché. Ma si surriscaldava spesso, negli ultimi giorni l’ondata di calore era diventata insopportabile, da spezzarle il fiato. Probabilmente era il senso di colpa. La macchia ormai indelebile sulla sua anima. Era diventata una persona sporca e corrotta. Aveva ucciso. Era rimasta lì ferma ad aspettare senza riuscire a muoversi, quando poteva ancora intervenire, fare qualcosa per salvare una vita. Invece ormai la sua stessa esistenza era segnata, la sua anima perduta per sempre.
Come se si spalancasse di fronte a lei una voragine tra ciò che era sempre stata e ciò che sarebbe diventata. Come se lei non fosse più degna di essere protetta e curata. Non meritava più gioia, non meritava più amore, non meritava più nemmeno compassione. Meritava solo quel peso sul cuore che la sprofondava sempre più in basso, la schiacciava opprimendola. Hayley stava incominciando a pensare che quel calore persistente e devastante, da cui si sentiva ardere ogni giorno di più, altro non fosse che l’inferno con le sue fiamme che la richiamava nella sua voragine.
 
                                        
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“Non hai bisogno di crearti un esercito quando potresti avere la tua famiglia al tuo fianco” Elijah sapeva perfettamente che era del tutto inutile discutere con Klaus, affrontare di nuovo l’argomento, ma non si voleva arrendere. Non si sarebbe mai arreso.
Ma come poteva pretendere di inculcare l’idea di famiglia, di vincolo indissolubile, nella mente di qualcuno che non voleva saperne, che disprezzava la propria origine, i propri legami? Forse era proprio questa la verità. Klaus non li amava. Klaus non teneva a loro. Continuava a usarli ripetutamente, senza il minimo scrupolo, per poi a pugnalarli e metterli a tacere nelle loro bare quando non rispondevano più alle sue aspettative . Perché Klaus amava e venerava il potere, più di ogni altra cosa.
“Famiglia?” Klaus lo fissò con lo sguardo sprezzante e canzonatorio che Elijah aveva imparato a riconoscere in lui. Lo aveva visto comparire sul suo volto la prima volta che Mikael lo aveva picchiato selvaggiamente. Klaus non si lamentava, non supplicava ma sfidava il padre con quello sguardo inaccessibile ma carico d’odio, con la calma composta di chi già da allora pianificava una vendetta esemplare.
“Esattamente, famiglia” annuì Elijah tranquillo, fissandolo. Klaus per un attimo sostenne il suo sguardo, i suoi occhi chiari diventarono più lucidi. Poi scrollò le spalle e rivolse la sua attenzione altrove, al quadro appeso alla parete che lui stesso aveva dipinto. Elijah lo osservò e riconobbe il paesaggio incontaminato che li aveva accolti secoli prima. Si rese conto che forse non era ancora tutto perduto.
“Possiamo ricominciare, come avevamo promesso, Niklaus” proseguì Elijah stringendo i pugni, poi rilasciandoli in un sospiro profondo “Tutti insieme.”
“Noi non siamo una famiglia, Elijah” ringhio Klaus “Non lo siamo mai stati. Una famiglia è condivisione, lealtà. Ora dimmi, chi di voi è stato leale? Chi non ha mai tradito?”
“Ci hai pugnalati alle spalle e rinchiusi in una bara per anni” Elijah inclinò la testa, deciso più che mai a non rassegnarsi “Eppure mi vedi? Sono ancora qui a proporti di essere una famiglia. È tradire questo, secondo te?”
Non ottenne risposta da lui, ma del resto non se l’aspettava. Klaus non fece altro che voltargli le spalle e lasciare la stanza.
 
 
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Hayley era più decisa che mai a ritrovare la sua vera famiglia, le sue radici. Ne aveva bisogno, doveva sapere proprio tutto. Aveva bisogno del conforto che solo una vera famiglia può dare. Ai suoi genitori adottivi non importava affatto come lei si sentisse. Ma probabilmente non importava neanche ai suoi veri genitori, visto che l’avevano abbandonata.
Intanto la sua fronte scottava sempre di più. Percepiva le vene pulsarle come impazzite. Sentiva dolori in tutto il corpo, anche le mascelle non le davano pace. Hayley si accarezzò gli zigomi e le guance. Forse aveva bisogno di un dottore. Non ricordava di essere mai stata così male.
Si alzò tremando dal letto, per uscire dalla sua stanza, ma appena varcata la soglia scivolò a terra. Iniziò a tremare violentemente. Cosa le stava accadendo? Ora non era più solo preoccupata, ma terrorizzata. Iniziò a piangere e gemere forte. Stava morendo. Non c’era altra possibilità. Stava morendo. Forse era una sorta di giustizia divina che si stava abbattendo su di lei, per aver causato la morte di quell’uomo. Ma non voleva che accadesse, non lo avrebbe mai voluto. Se solo avesse potuto tornare indietro…
Rimase in ginocchio, nonostante i tentativi di alzarsi in piedi non riusciva a sollevarsi. Abbassando lo sguardo restò interdetta dalla forma delle sue mani. Si stavano piegando in una forma strana, come artigli, no come zampe. Non riusciva nemmeno più a stendere le dita. Se davvero doveva morire preferiva che avvenisse in fretta, che le venisse un colpo e finisse tutto in un istante. Luce, buio e poi più nulla. Ma non così. Non in quel tormento infinito di cui lei non conosceva né la ragione né la fine. Ma forse era la giusta punizione per lei.
Non aveva mai fatto nulla di male, non intenzionalmente, non che ricordasse. Solo quello. Solo la morte di quell’uomo gravava sulla sua coscienza. Ma ormai non c’era nulla che potesse fare per cambiare quello che era accaduto.
Hayley chiuse gli occhi per un istante. Quando li riaprì vide accanto alle sue mani, i piedi dei suoi genitori adottivi. L’avevano sentita allora. Sollevò disperata lo sguardo verso di loro, in cerca di aiuto, di comprensione. Aveva bisogno di un dottore. Dovevano portarla in ospedale, subito. Quando li vide chinarsi respirò profondamente. Avevano capito che stava male. Ora l’avrebbero aiutata finalmente.
Infatti la raccolsero. Suo padre la prese in braccio, la madre li precedette sulle scale verso il piano inferiore, poi aprì la porta principale per farli passare e la richiuse dietro di sé. Hayley chiuse gli occhi, convinta che l’adagiassero in macchina per condurla in ospedale. I dolori in tutte le ossa erano diventati insostenibili. La testa le ricadde indietro e perse i sensi per qualche istante.
Quando riaprì gli occhi si rese conto che i genitori avevano oltrepassato la macchina, parcheggiata di fronte a casa. Dove la stavano portando? Riconobbe il vialetto che conduceva a un vecchio deposito in cemento, appartenente alla famiglia. Ci tenevano gli attrezzi per il giardino e i vecchi elettrodomestici di sua madre. Perché? Perché lì? Cosa cercavano lì dentro?
I passi di suo padre stavano diventando sempre più pesanti, affrettati. Sentiva il suo respiro affannoso sulla tempia e sul collo. Hayley provò un’improvvisa fitta alla spalla, un dolore insostenibile, spostò la mano cercando di toccarla e si accorse che un osso sporgeva in modo innaturale. La schiena… cosa stava succedendo alla sua schiena? Iniziò a urlare, a piangere, ad agitarsi e scalciare, voleva scendere, voleva liberarsi dalla stretta.
Perché? Perché nessuno arrivava a salvarla? Perché nessuno la aiutava? Dov’era il cavaliere dallo sguardo gentile? Forse se n’era andato, forse non era più ricomparso tra i suoi sogni perché lei era diventata un mostro. Un’assassina, come le aveva ricordato l’ombra.
Il pensiero di lui però le aveva dato un attimo di pace, un attimo di sollievo dal male, dalla paura. Lo amava senza conoscerlo, senza sapere chi fosse e dove fosse. Senza nemmeno sapere se esistesse davvero, se fosse mai esistito. Era più tranquilla mentre sua madre apriva la porta e suo padre l’adagiava a terra, sul gelido cemento del deposito. Si era assopita nel ricordo. L’immagine lungo il fiume che si rispecchiava nella sua. Non si rese nemmeno conto che i suoi genitori avevano richiuso la porta con un colpo, abbandonandola lì. Ma non era sola, lui c’era. C’era ancora. Allora non l’aveva abbandonata.
Il suo tutto. Il suo tutto perché lei non aveva mai posseduto niente. Non aveva mai avuto una famiglia. La sua famiglia era soltanto lui, solo lui che ora tornava ad ardere nella sua anima. Hayley si distaccò dal proprio corpo sofferente, come se la coscienza fosse volata via, lontano da quel luogo tetro, da quel silenzio desolante. La sua coscienza sorrideva al cavaliere oscuro, che le tendeva la mano. Hayley, inginocchiata in lacrime allungò la mano tremante verso di lui. Salvami, invocava intanto. Salvami. Il contatto con la sua pelle le diede un brivido, ma poi provò un inaspettato sollievo e quel palpito amato che riconobbe immediatamente.
Mentre il suo corpo subiva la trasformazione, Hayley si lasciava andare tra le sue braccia. Ormai non aveva più alcuna importanza vivere o morire. Qualunque cosa le accadesse era salva ed era libera. Ancora un poco, ancora un poco e tutto sarebbe finito.
Gli abiti intanto si erano lacerati e il lupo premeva per uscire. Allora era questo il mostro rinchiuso in lei. Continuava a sbattere contro la porta del deposito, senza che lei lo volesse realmente. Era come se assistesse alla scena dall’alto, in un angolino del soffitto, senza controllo sulle azioni dell’animale. La sua coscienza era totalmente estranea ormai. Sapeva che il lupo era lei, ma non se ne sentiva partecipe. Lei restava adagiata nella stretta del signore dei suoi sogni, lungo la riva del fiume. Colui che la proteggeva da tutto e da tutti, dal mondo e da se stessa. Colui che non temeva l’oscurità della sua anima e la bestia che si era scatenata in lei.
Hayley comprese che, come non esisteva una netta distinzione tra bianco e nero, non sussisteva nemmeno per i diversi gradi di mostruosità. Mostro era lei che da essere umano si era trasformata in bestia, in lupo. Questo era indubbio, un dato di fatto. Ma chi l’aveva abbandonata appena nata? E chi l’aveva rinchiusa in quel luogo buio da sola, senza spiegazione, senza che lei comprendesse ciò che le stava accadendo? Alla fine la domanda che affliggeva l’umanità era da sempre solo una: chi era la vittima, chi il carnefice?
 
 
                                                                       ********************
 
 
Se ne stavano rinchiusi lì, nelle loro fredde bare. Come lo era stato lui, fino a poco tempo prima. Elijah continuava a chiedersi come poteva accettarlo, come aveva potuto sopportare nei secoli tutte le ingiustizie e le crudeltà che Klaus infliggeva a lui, ai suoi fratelli e alla sorellina. Piccola, dolce Rebekah. Splendeva come un raggio di sole, all’epoca della loro umanità. Forse l’unica donna al mondo che lo aveva amato con cuore sincero. Sentiva la sua mancanza. E forse sentiva con lei una sorta di connessione. Quella di non essere mai stato amato davvero. Oltre a quella, più importante, di appartenere alla stessa famiglia e di lottare fino all’ultimo respiro per tenerla in vita. Del resto, che altro gli era rimasto? Che cosa c’era al mondo di più importante? Per cosa valeva la pena di vivere e morire?
Doveva solo convincere Klaus. Elijah increspò le labbra in un ghigno. Chi voleva prendere in giro? Klaus non si sarebbe lasciato convincere proprio di niente. Klaus doveva avere il dominio della situazione, sempre. E il dominio sulle persone, su di loro soprattutto.
Rebekah. Elijah fu costretto a lottare per resistere all’impulso. Doveva liberare Rebekah, almeno lei. Restituirla alla vita, alla luce. Rivedere il suo sorriso, sentire il suono della sua risata. Rammentò il modo in cui si era sempre affidata a lui nelle epoche passate. Il modo in cui cercava di ubbidirgli e di compiacerlo, di fare quello che credeva lui ritenesse giusto. Come se avesse bisogno della sua approvazione per continuare a vivere.
Elijah corrugò la fronte. Non gli importava. Non gli importava più nulla della reazione di Klaus. Erano i loro fratelli e lo sarebbero stati per sempre. Ne avrebbe affrontate le conseguenze. Se ne sarebbe occupato lui, direttamente. Erano una famiglia, del resto. Sempre e per sempre, nel bene e nel male. In fondo, quello che erano, quello in cui erano stati trasformati, non era mai stata una loro scelta. Comprendeva chi li voleva morti, perché loro in effetti non avrebbero dovuto essere ancora lì. La loro esistenza era un abominio. Ma chi aveva compiuto su di loro quel sortilegio? Non erano loro i veri colpevoli? L’unica colpa di chi lo aveva subito era stata cercare di sopravvivere. Certo, avevano sbagliato il più delle volte, però…
Però riusciva ancora a trovare qualcosa di bello nella vita, di pulito. Di puro. Quella speranza che non ne voleva sapere di arrendersi in lui, quella dolcezza mista a compassione che gli dava la forza di proseguire il cammino, di non arrendersi. Il loro passato alla fine era un’ancora che li proiettava verso il futuro. Qualcosa di buono sarebbe arrivato, qualcosa di buono sarebbe accaduto, prima o poi. Anche per lui, anche per loro. Qualcosa che li avrebbe ricongiunti e fortificati, rendendoli una cosa sola. Indivisibili, fino all’ultimo respiro.
 
 
 
( Ecco ripresa questa storia Haylijah... tutta per voi! Se volete ditemi cosa ne pensate ;) )
 
 
 

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Capitolo 5
*** Soli contro il mondo ***


CAPITOLO 5 – SOLI CONTRO IL MONDO


 
Alla fine le avevano preparato una valigia con le sue poche cose e dato qualche soldo. Poi l’avevano cacciata via. Senza dire una parola. Senza scomporsi. Non c’era stato bisogno di parlare. Hayley aveva capito. Del resto nemmeno lei si era scomposta. Non era più rientrata in casa, nella sua camera. Si era cambiata gli abiti lacerati durante la trasformazione lì nel deposito, aveva richiuso la valigia, era uscita e aveva iniziato a camminare. Senza avere la più pallida idea di dove andare. Ma non le importava poi molto. L’importante era continuare a camminare, un passo dopo l’altro. Via da lì. Lontano. Per sempre. E non tornare più.
Forse avrebbe preferito le grida, gli insulti a quegli sguardi sprezzanti e al silenzio. L’avevano guardata come un oggetto, come una cosa abominevole. L’avevano trattata peggio dei cani che si abbandonano per strada durante le vacanze estive. Con la differenza che lei era la figlia che avevano cresciuto per diciassette anni.
Hayley si posò una mano sul petto e risalì con le dita verso la gola. Si sentiva soffocare, non riusciva a respirare. Aveva un urlo che le bloccava il fiato, proprio lì. Le venne in mente quel dipinto di Munch. Ecco, lei si sentiva così. Come se avesse voluto fermare il mondo per poter urlare. E urlare fino a spaccarsi il cuore e le corde vocali. Era sola al mondo. Aveva paura. E prima o poi avrebbe dovuto smettere di continuare a camminare e prendere una decisione su cosa doveva fare.
La sua famiglia. Doveva andare a cercare la sua vera famiglia. E scoprire i motivi per cui l’avevano abbandonata. Magari erano anche loro come lei, magari anche loro avevano subito quella trasformazione nel corso della loro vita. Ne sapeva talmente poco. Anzi, non ne sapeva proprio niente in effetti.
Doveva calmarsi e prendere il controllo della situazione. Tanto disperarsi, piangere e urlare sarebbe stato inutile, perché nessuno l’avrebbe sentita o aiutata. Hayley si asciugò le lacrime che le avevano rigato il viso ed erano cadute indipendentemente dalla sua volontà.
Dove poteva recuperare qualche informazione? Forse in biblioteca, su qualche libro. Oppure in internet. Dubitava di riuscire a trovare qualcosa di serio e reale in proposito, ma valeva comunque la pena di tentare. Era comunque un inizio.
Non era più tempo di sogni e di speranze. Era tempo di azione e di responsabilità. Perché ormai Hayley doveva arrendersi all’evidenza. Era lei, lei sola, l’unica responsabile di se stessa.
Il mondo all’improvviso le appariva un luogo troppo grande per tutta la solitudine, tutta la paura che doveva mascherare dentro sé. Si sentiva piccola, inadeguata, fragile. Ma non aveva importanza. Avrebbe celato tutto dietro una maschera d’indifferenza e sarcasmo. In effetti meglio ridere, sì. Ridere di tutto e di tutti, compresa lei stessa e le sua sventurata esistenza.
 
 
                                                                       ********************
 
 
Elijah attendeva pazientemente nel salotto di casa Mikaelson, sfogliando con cura le pagine di un vecchio libro. Ogni tanto sollevava lo sguardo per fissare la porta. Presto si sarebbero risvegliati. Doveva concedere loro solo ancora un po’ di tempo.
Aggrottò la fronte. Klaus si sarebbe infuriato, appena lo avesse scoperto. Non lo avrebbe perdonato facilmente. Ma alla fine, aveva poca importanza. Si sarebbe solo aggiunta alla lista di “peccati” che Klaus non gli avrebbe mai perdonato.
Erano i suoi fratelli. La sua famiglia. Tutto ciò che aveva. Nonostante tutti i difetti e gli errori del passato, aveva con loro un legame indissolubile. Sempre e per sempre, loro cinque. Elijah avrebbe lottato, fino all’ultimo respiro, perché tornassero a essere una vera famiglia. Anche se fosse rimasto l’unico tra loro a lottare. Anche se lo avessero deriso come sapevano fare tanto bene. Anche se al momento era totalmente solo.
Elijah si appoggiò allo schienale della poltrona e si passò una mano tra i capelli scuri. Chiuse gli occhi per un attimo. Solo ad affrontare il mondo intero, come si era sempre sentito del resto. Non era mai riuscito a provare una connessione spirituale con qualcuno. Né con i suoi fratelli, né con una donna. Mai. Eppure magari un giorno, qualcosa di nuovo sarebbe accaduto nella sua interminabile, folle esistenza.
“Elijah!”
Riconobbe la voce di sua sorella Rebekah e aprì gli occhi. Non era sola, Kol e Finn erano entrati con lei dalla porta del salotto e ora stavano guardando. Sembravano smarriti, increduli. C’erano tante cose da dire, da spiegare. Se ne sarebbe occupato personalmente. Era suo dovere, erano una famiglia e si erano ricongiunti dopo tanto tempo, finalmente. Elijah accennò un sorriso, chiuse il libro e si alzò, dirigendosi verso di loro.
“Vi aspettavo” disse semplicemente “Bentornati.”
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 6
*** Tre anni dopo ***


CAPITOLO 6. TRE ANNI DOPO 

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Hayley si tirò su le coperte fino alla testa e chiuse gli occhi. La luce del sole che filtrava dalla finestra le dava fastidio. Non dormiva in un letto così comodo da anni. Anzi, forse non ci aveva mai dormito, nemmeno a casa dei suoi… come poteva chiamarli? Ex genitori adottivi? Come si chiamano quelli che lasciano un figlio? Sospirò e sbuffò rotolandosi su un fianco, non ci voleva pensare. Ma in un modo o nell’altro il pensiero le andava sempre lì, alla sua famiglia. Alla famiglia che voleva ritrovare e di cui doveva scoprire tante cose. Praticamente tutto.
La casa di Tyler Lockwood a Mystic Falls era una reggia. Non avrebbe mai creduto che quel ragazzotto tanto comune fosse così disgustosamente ricco. Invece lo era e aveva sempre avuto una vita comoda e tranquilla, probabilmente. Finché… anche per lui era scattata la maledizione che non lascia scampo. La maledizione, da un certo punto di vista, non faceva distinzioni.
Hayley, in tre anni, aveva avuto tutto il tempo per diventare un’esperta. La licantropia ormai non aveva più segreti per lei. Una delle prime cose che aveva scoperto era che dipendeva da un gene. E quel gene lei doveva averlo ereditato dalla sua famiglia d’origine, da uno dei suoi veri genitori. Poi aveva imparato tutto il resto. Aveva dovuto, per forza, anche se non era stato uno studio di cui compiacersi.
Ora era a conoscenza, oltre che dell’esistenza dei licantropi com’era diventata lei stessa, anche di quella dei vampiri e degli ibridi. Tyler ad esempio era un ibrido. Era stato trasformato dal primo ibrido apparso al mondo, Klaus. E Tyler era il primo ibrido che Klaus aveva creato, con una modalità piuttosto articolata e dopo alcuni tentativi falliti.
Hayley si era fatta una cultura, insomma. Avrebbe preferito evitarlo. Comunque era stata lei ad aiutare Tyler a uscire dallo stato di asservimento a cui lo aveva costretto Klaus. Perché gli ibridi ubbidivano come tanti piccoli vassalli al loro creatore. L’unico vantaggio era che non erano più obbligati a trasformarsi con la luna piena. Anche se Hayley aveva scoperto che in fondo non era poi tanto male. Dopo un po’ diventava meno doloroso, meno traumatico. E comunque era sempre meglio di essere come i vampiri, che persistevano in uno stato di quotidiana dipendenza dal sangue.
Non era del tutto certa di cosa volesse da Tyler. Lui le piaceva, in un certo senso. Almeno così credeva. Come le erano piaciuti altri della sua specie. Perché comunque il signore dei suoi sogni, il suo cavaliere oscuro, non era più apparso. Era sparito per sempre. E le faceva male, anche solo ripensare a lui. Perché subito dopo il pensiero, se cedeva per un istante, arrivava il rimpianto. Rimpianto di lui che non aveva mai visto ma ancora sentiva palpitare nell’anima. Rimpianto per quei dolci occhi scuri che si sovrapponevano ai suoi sulla riva del fiume. Poi subentrava la rassegnazione di averlo perduto per sempre senza averlo avuto mai.
Lo aveva disperatamente cercato in tutti gli altri. Quando aveva trovato esponenti della sua razza, si era concessa a uno di loro, Derek. L’aveva trovato carino e si era convinta che fosse la cosa giusta da fare per combattere la solitudine. Poi si era voltata e coprendosi gli occhi con le mani aveva pianto. Aveva detestato quell’intrusione e quella sensazione di disagio non era mai andata via. A volte per riuscire a lasciarsi andare doveva bere. Per lo meno le serviva ad evadere la realtà, almeno per un po’.
Ora si era quasi convinta di volere Tyler Lockwood. Tanto per avere uno scopo nella vita, oltre a quello di ritrovare la sua famiglia. In tre anni non aveva avuto successo, magari con Tyler avrebbe avuto più fortuna. E poi trovava divertente l’idea di strapparlo alla sua ragazza bionda ossigenata e isterica.
Ma nemmeno per Tyler provava quello che si supponeva dovesse provare. Quel sentimento descritto nei libri, nelle poesie. Quel palpito amato che Hayley aveva conosciuto solo attraverso il sogno del suo cavaliere oscuro. Lui non esisteva, ormai era chiaro. Lui non la proteggeva da tutto il dolore del mondo. Lui non sarebbe mai arrivato per portarla via e regalarle un’esistenza felice. Ma se non esisteva, perché lei continuava a provare questi sentimenti nei suoi confronti? Perché ogni tentativo di mandarlo via, di strapparselo dal cuore con un altro, non era servito a nulla? Perché in fondo all’anima lui continuava a vivere, a respirare e a prometterle che un giorno si sarebbero incontrati?
 
 
                                                           ********************
 
 
“Perché sei così testardo e masochista da voler tenere in piedi qualcosa che non esiste più, Elijah?” Rebekah Mikaelson, seduta sul divano con la sua tipica espressione di chi vorrebbe essere ovunque ma non lì, stava fissando il fratello irritata.
“Forse perché io ho ancora speranza, Rebekah… per noi, per la nostra famiglia, per il legame che ci unisce e che ci unirà per sempre. Per sempre, ricordi?” Elijah non si era scomposto. Ormai ci aveva fatto l’abitudine e persistere sul tasto dell’unita familiare non gli costava più impegno e fatica. Era diventato quasi naturale, la missione della sua lunga esistenza. Perché lui era così. E non si sarebbe di certo arreso di fronte all’ennesima testimonianza della contrariata rabbia della sorella.
“Speranza per cosa?” Rebekah sollevò gli occhi al cielo con espressione spazientita e sospirò incrociando le braccia “Noi non siamo una famiglia. Anzi, sto iniziando a pensare che non lo siamo mai stati!”
In un certo senso Rebekah aveva ragione. E lui lo sapeva. La loro famiglia era andata in pezzi. Anzi, per essere più precisi, aveva perso dei pezzi, uno dopo l’altro. Si era sgretolata senza che Elijah potesse fare qualcosa per salvare la situazione. Per salvare i suoi fratelli.
Ora erano rimasti solo in tre. Tre persone, due delle quali non volevano avere nulla a che fare con gli altri membri della famiglia. Klaus, nella sua ambiziosa sete di potere, aveva espresso chiaramente più di una volta di non essere intenzionato a cedere di fronte a niente e nessuno, a partire da Elijah e Rebekah. E si teneva quei pugnali pronti in caso di bisogno, per spedire entrambi in viaggio verso il mondo dei sogni, a tempo indeterminato. Invece Rebekah voleva essere libera, perché la famiglia le aveva procurato solo sofferenza e disperazione. E in effetti non aveva tutti i torti.
Kol e Finn, nel corso dei tre anni precedenti, erano morti. Morti per sempre questa volta, persi per sempre. Uccisi senza che lui avesse potuto fare qualcosa per loro, per difenderli. Elijah sapeva che si sarebbe trascinato questa colpa per sempre, per tutto il resto della sua eternità. Non era stato in grado di proteggere i suoi fratelli. Aveva fallito. E ora Rebekah era tutto ciò che gli era rimasto, l’unica che provasse affetto nei suoi confronti. Non voleva e non poteva perdere anche lei. Perché per quanto riguardava Klaus, doveva arrendersi e rassegnarsi all’evidenza dei fatti, aveva incominciato a perderlo almeno mille anni prima. E non aveva ancora finito.
 
 
                                                           ********************
 
 
Forse lui sapeva qualcosa. Per questo si era decisa a incontrarlo. Era quello l’unico motivo sensato per cui si trovava chiusa in una stanza insieme a lui. E beveva per evitare di riflettere troppo sul pericolo che stava correndo, sola con un originario ibrido psicopatico.
Però ne aveva bisogno. Era disposta a stipulare un patto con lui, raggiungere un compromesso. E poi sapeva che l’ibrido aveva una debolezza. Magari anche più di una e lei le avrebbe scoperte tutte, se fosse stata abile nell’indagare.
Hayley oscillò il bicchiere davanti agli occhi di Klaus e bevve un altro sorso di whisky. Non le piaceva, non le era mai piaciuto bere. Era solo un’altra cosa che faceva perché la facevano tutti.
La debolezza di Klaus era quella bionda che parlava troppo e in tono perennemente stridulo. La ragazza vampiro di Tyler. Hayley avrebbe voluto prenderselo, Tyler le piaceva. Ma certamente era molto lontana dal disperarsi se non l’avesse avuto. Invece la bionda sembrava avere particolare influenza su Klaus. Lui la voleva per sé e voleva piacerle. Si stava impegnando per riuscirci, da quanto aveva scoperto. Per cui rimase stupita quando Klaus avvicinò il viso al suo e la baciò con vigore sulle labbra. Hayley non rispose subito. Poi pensò a quello che poteva ottenere da lui. Allora appoggiò il bicchiere sul tavolino e ricambiò il bacio cingendogli le spalle con entrambe le braccia.
Klaus la sollevò, adagiandola sul tavolo. Hayley si lasciò cadere all’indietro e chiuse gli occhi. Non aveva niente da perdere, pensava intanto, poteva anche farlo. La sua famiglia, magari lui sapeva qualcosa sulla sua famiglia. E lei aveva bisogno di tutte le informazioni possibili. Non si era arresa ancora, voleva ritrovarli. Klaus si sfilò la maglia e si adagiò su di lei baciandole il collo e scendendo più in basso, verso il petto. Le sue mani si insinuarono sotto la camicetta di Hayley, accarezzandole i fianchi.
Aveva bevuto abbastanza. Poteva farcela, continuava a pensare Hayley, inarcando la schiena. Quando beveva, per lo meno, non le sembrava di tradire il suo cavaliere oscuro. Non aveva la sensazione di distruggere il sogno di un amore vero e puro che ancora sopravviveva in una piccola, fragile parte del suo cuore, della sua mente, della sua anima.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 7
*** New Orleans ***


7. NEW ORLEANS



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Era tornato a casa. Pronto per riprendersi tutto ciò che era suo. E per lottare per averlo. Perché ancora gli apparteneva. Era lui il re, il sovrano indiscusso. Agli altri non restava altro da fare che capirlo e accettarlo. E farsi da parte. Perché quello era il suo regno. Solo suo, non era disposto a condividerlo con nessuno, mai.
New Orleans. Era stato lui a fondarla. Klaus Mikaelson. Quella città gli apparteneva ancora, gli spettava di diritto. Era ancora il re e lo sarebbe stato sempre.
Ma era solo. Un re senza regno, senza sudditi soprattutto. Perché il suo regno gli era stato sottratto da colui che aveva cresciuto come un figlio. Colui che aveva considerato uno spirito affine, un’anima disperata e battagliera come era stato lui stesso in tempi remoti. Avevano subito i medesimi maltrattamenti, lui e Marcel. Erano stati figli indesiderati, concepiti e nati per errore. Dei reietti.
E poi c’erano le streghe. Avrebbe dato qualsiasi cosa per liberarsi per sempre di quelle maledette. La loro utilità equivaleva al nulla. Erano sempre state solo un problema. Sua madre era stata una strega. Sua madre li aveva resi quello che erano. Sua madre se n’era successivamente pentita tentando di ucciderli. Era stata lei a segnare l’inizio della fine della loro famiglia.
Avrebbe tentato di far tornare indietro Kol e Finn, forse un giorno. Ma sua madre mai! E Mikael, che gli aveva dato la caccia per anni, aveva meritato la morte. Lo avrebbe ucciso ancora e ancora, se solo avesse potuto.
Klaus mentre rifletteva sui suoi drammi camminava per le strade di New Orleans. La sua città. Il suo regno. Avrebbe lottato per riaverlo. Fino alla fine. Era pronto a tutto. Anche a scatenare una guerra. Perché lui in fondo, come un re che si rispetti, la guerra la amava davvero.
 
 
                                                                       ********************
 
 
Hayley si aggirava per il cimitero di New Orleans. E stava cominciando a chiedersi cosa diavolo ci facesse lì. Cercava informazioni. Erano tre anni ormai che cercava informazioni, senza alcun risultato. Spesso era stata vicina a perdere ogni speranza. Ma c’era qualcosa dentro lei, come una fiamma, un impulso irrefrenabile che la spingeva a continuare, a non arrendersi. Sapeva che prima o poi avrebbe trovato qualcosa. Qualcuno che conosceva qualcun altro. E sarebbe arrivata alla sua famiglia. E avrebbe ricevuto le risposte che pretendeva.
Klaus Mikaelson alla fine non le aveva rivelato molto. Solo che discendevano dalla stessa linea dinastica di licantropi. Quella voglia che aveva sulla spalla ne era la testimonianza. Comunque alla fine, nulla di nuovo.
Ora invece aveva ricevuto un messaggio vero e proprio. Un informatore le aveva comunicato di recarsi al cimitero di New Orleans, dove aveva appuntamento con una strega dal nome Anne Marie. Non era necessario sapere chi fosse, sarebbe stata lei a riconoscerla.
Hayley sospirò e si guardò intorno spazientita. Niente e nessuno. Solo il silenzio e il buio. Il cielo si stava oscurando. Non le piaceva stare lì. Ancora qualche minuto e se ne sarebbe andata. Forse avevano voluto solo prenderla in giro. Le sue speranze sarebbero state tradite ancora una volta! Detestava quella sensazione di impotenza e frustrazione.
Si passò una mano sul viso e sbuffò. Era davvero molto stanca, aveva bisogno di riposare un po’. Si avviò verso l’uscita del cimitero, intenzionata a raggiungere la macchina e andare a cercarsi una stanza in città. I suoi passi sui ciottoli del sentiero che conduceva all’uscita facevano un rumore sordo, sembrava quasi amplificato, rimbombante. Hayley accelerò il passo.
“Non mi piace, non mi piace” bisbigliò tra sé. Odiava quel silenzio e quel rumore di passi che iniziò a dubitare fossero realmente i suoi. Cercò una canzone da canticchiare tanto per far passare il tempo che la separava dalla macchina. Le venne in mente “I will survive” ma si maledì per quella scelta. Magari qualcosa di più allegro… tipo… “My immortal”? No, allegra proprio per niente e poi la ricollegava eccessivamente a qualcosa di vampiresco e occulto. No, no, no.
Hayley vide la sua auto in lontananza e aumentò notevolmente il passo. Era quasi arrivata, si sentiva al sicuro ormai. Per cui quando venne afferrata alle spalle e trascinata via di peso, la delusione fu ancora più grande. Vedeva l’auto e la salvezza allontanarsi e comprese quanto era stata stupida e ingenua. Poi qualcuno le mise una mano sulla bocca. Hayley decise di mordere chiunque fosse, ma non fece in tempo. Perdendo i sensi era caduta all’indietro.

 
 
                                                                       ********************
 
 

Lei aveva un’espressione dolce e pulita. Non era più un’adolescente, ma sembrava una bambina. Almeno quando dormiva. Non aveva ancora visto i suoi occhi.
Elijah osservava la ragazza profondamente addormentata. Una ciocca di capelli castani le ricadeva sugli occhi. Era tentato di avvicinarsi per poterla guardare meglio, ma si mantenne al suo posto, fermo sulla porta appena socchiusa. Pochi centimetri da cui lui poteva spiare un mondo. Il mondo di quella giovane licantropa, all’apparenza così fragile, così indifesa.
Mosse un passo oltre la soglia, ma venne trattenuto per il braccio. Si voltò e vide la strega scuotere la testa, con cenno di disapprovazione. Elijah incontrò il suo sguardo e annuì. Poi tornò a fissare la ragazza, che intanto aveva iniziato a muoversi nel sonno.
L’accordo con le streghe non era una delle azioni di cui andava più fiero. Però non aveva scelta. Mai avrebbe pensato che una cosa del genere potesse accadere. Ma forse era l’unica speranza per lui. Per loro. Per tutti.
Hayley aprì gli occhi di colpo e fissò il soffitto. Impiegò qualche istante per rievocare gli eventi della giornata. New Orleans, il cimitero deserto, il mancato appuntamento. E poi? Si tirò su di colpo facendo forza sui gomiti. Dove si trovava? Chi l’aveva trascinata lì? E soprattutto… perché?
Non aveva importanza. Anzi, forse l’aveva. Ma aveva ancora più importanza andarsene da lì, immediatamente!
Hayley si alzò dal letto e sentì la testa girarle. La vista le si annebbiò e fu costretta a trattenersi al bordo, aggrappandosi al lenzuolo per non cadere a terra. Che cosa diavolo le avevano fatto? L’avevano drogata? Sentì un brivido freddo percorrerle tutto il corpo e la nausea attanagliarla alla bocca dello stomaco. Si premette entrambe le mani sull’addome e sospirò dolorosamente. Qualsiasi cosa le avessero dato le aveva fatto veramente male!
In ogni caso non poteva restare, doveva andarsene, scappare da lì. Lanciò un’occhiata alla finestra e si accorse che non c’erano ostacoli o barriere. Eccola, la sua via di fuga. Non fece in tempo a completare il pensiero, che una donna dall’aria dimessa e i capelli legati in un nastro arancione le si presentò davanti. Hayley la guardò e corrugò la fronte.
“Perché sono qui?” chiese con voce cupa, mantenendo lo sguardo irritato.
“Sei qui per il tuo bene, Hayley” rispose la donna con eccessiva calma, scandendo le parole “Perché è la cosa giusta per te, nel tuo stato.”
“Nel mio stato” Hayley fece due passi verso la finestra, voleva per lo meno tentare di capire dove si trovasse “Quale stato?”
“Non importa che tu lo sappia ora” la donna si voltò di tre quarti verso di lei “Lo capirai presto. Comunque, io sono Sabine.”
“Mmmh…” Hayley si strinse nelle spalle, non le importavano i dettagli. Voleva sapere dove si trovava e cosa volevano da lei. E se la donna lavorava per qualcuno, come sospettava, o agiva per conto suo. E se il motivo con cui l’avevano attratta lì, informazioni sulla sua famiglia, fosse tutta una bugia, come ormai sembrava evidente “Che cosa vuoi da me, Sabine?”
“Che riposi tranquilla, per il momento” la donna le indicò il letto, con un gesto tranquillo.
“Credo di avere già riposato abbastanza” Hayley stava iniziando ad avere paura. Quella situazione non le piaceva affatto. E oltretutto le stava girando la testa. Per non cadere a terra fu costretta a fare alcuni passi indietro e ad appoggiarsi nuovamente al letto “Io sono stata attirata a New Orleans per avere informazioni sulla mia famiglia. Avevo appuntamento con una certa Anne Marie, al cimitero. Però…” Hayley si rese conto che forse non avrebbe dovuto parlarne con un’estranea, ma non era riuscita a trattenersi. Non parlava mai con nessuno, non riceveva mai l’aiuto di nessuno. Tutto ciò che aveva era solo se stessa. Le si annebbiò la vista e non riuscì a proseguire.
Sabine l’adagiò sul letto con cautela. Hayley riuscì solo a pensare che non voleva avere così paura. Non voleva essere debole. Non poteva assolutamente permetterselo. Poi si rannicchiò su se stessa e ripiombò in un sonno profondo, senza sogni.
Elijah aprì la porta ed entrò. Sabine lo guardò con fermezza per un istante, poi lo oltrepassò e uscì. Elijah comprese il significato di quello sguardo, strinse i pugni per placare la tensione. La ragazza apparteneva a loro, per il momento, alla congrega di streghe di New Orleans. E lui non poteva farci niente. Solo cercare di rispettare il patto. In cambio avrebbe avuto lei. Socchiuse gli occhi scuri per qualche secondo, poi li riaprì e si soffermò sul volto della ragazza. Il suo corpo così rannicchiato sembrava ancora più indifeso, tenero. Fu tentato di avvicinarsi ancora di qualche altro passo, ma rimase ai piedi del letto. Lottò contro la sensazione che stava provando. Il timore che se si fosse avvicinato ancora di più avrebbe desiderato toccarla, sfiorarle il viso o anche solo i capelli. Ed Elijah Mikaelson non era certo di essere in grado di resistere a quella tentazione.
Era solo una ragazza comune, come tante. Ne aveva conosciute nel corso della sua lunga esistenza di più belle, di più provocanti, di più raffinate. Ma era lei. Colei che stava risvegliando nel suo petto quell’istinto primordiale di protezione, di tenerezza. Elijah era sempre stato in grado di definire i propri sentimenti nei confronti delle persone, fossero la sua famiglia, le donne che aveva incontrato, i nemici contro cui aveva combattuto.
Per Hayley non era in grado di trovare una definizione, non la sapeva inquadrare. Forse perché portava con sé una speranza? O un elemento di novità? O forse perché la sentiva così sola, così persa, così disperatamente determinata a essere forte e autosufficiente.
Si ritrovò a desiderare che lei si svegliasse e incrociasse il suo sguardo. Voleva la sensazione dei suoi occhi posati su di lui. Voleva studiarne l’espressione e le sfumature. Voleva che quel momento gli appartenesse totalmente. E non sapeva spiegarsi perché.
Elijah abbassò il viso e sospirò. Meglio andarsene, meglio allontanarsi da lì, almeno per ora. Quando rialzò lo sguardo comprese che il suo desiderio era stato esaudito. Hayley aveva aperto gli occhi e lo stava guardando.
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Io ti proteggerò sempre ***


8. IO TI PROTEGGERO’ SEMPRE




 
Eppure le sembrava proprio di averlo visto! Ne era convinta. Aveva aperto gli occhi e lui era lì, davanti al suo letto. Non poteva essere stato solo un sogno, un’illusione.
Hayley si guardò intorno, corrucciando la fronte.
“Dove sei?” sospirò e chiuse gli occhi. Poi li riaprì. Meglio rassegnarsi, lì non c’era proprio nessuno. Quindi doveva essere stata un’allucinazione. Forse le avevano fatto qualcosa, l’avevano drogata e ora aveva le visioni. Anzi, la visione. Di un uomo bruno e affascinante. Un uomo che poteva essere…
Hayley scosse la testa. No, non era più una ragazzina. Certi sogni non erano più per lei e non facevano bene alla sua salute mentale.
Percepì un rumore alla porta e spostò lo sguardo. Apparvero due donne. Una era Sabine, l’altra una ragazza più giovane e dall’aria fragile.
“Ciao, sono Sophie” disse con semplicità mentre entrambe si avvicinavano a lei.
“Quanto tempo avete intenzione di tenermi qui?” le interrogò Hayley con freddezza. La sua non era una visita di cortesia e lei non era un’ospite lì, quindi non era certo dell’umore adatto per socializzare.
“Non glielo hai ancora detto?” Sophie non le rispose ma si rivolse a Sabine che sospirò scuotendo la testa.
“Detto cosa?” Hayley strinse gli occhi e passò lo sguardo dall’una all’altra per poi soffermarsi sull’espressione contrariata di Sophie.
Le due donne rimasero in silenzio, entrambe evitando lo sguardo risoluto di Hayley.
“Insomma, detto cosa?” ripeté con un tono di voce più perentorio e deciso.
“Sei incinta Hayley” rispose Sophie infine, senza mezzi termini “Aspetti un bambino!” così dicendo fissò allusiva il ventre piatto della ragazza.
Hayley rimase in silenzio. Sapeva cosa significasse essere incinta, non era davvero il caso che Sophie specificasse ulteriormente. Come sapeva che nel suo caso era impossibile. Negli ultimi mesi non era stata con nessuno. A parte… Insomma, non era stata con nessuno che potesse metterla incinta, ecco!
“Tu stai scherzando” Hayley si riprese e le rivolse un’occhiata sprezzante “Devi essere impazzita!”
“Non sto scherzando Hayley e non mi sbaglio” replicò Sophie con una calma assoluta. Hayley ebbe voglia di prenderla a schiaffi, tanto la innervosiva la sua sicurezza e ancora di più quell’idea assurda.
“È la verità” confermò Sabine.
Ecco un’altra pazza! Pensò Hayley. Ne aveva abbastanza davvero ora. Doveva andarsene da lì e tornare alla sua vita. Immediatamente!
“Voi non capite!” Hayley fece un respiro profondo, sperava di non essere costretta a spiegare a quelle due i dettagli della sua vita sessuale “Io non posso essere incinta! Non sono stata a letto con nessuno negli ultimi mesi! Nessuno che… potesse mettermi incinta, ecco!”
“Ma sei stata con Klaus Mikaelson” le labbra di Sophie disegnarono un sorrisetto che a Hayley parve sadico.
“Sì, ci sono stata” ma si doveva pure giustificare con quelle due impiccione su chi sceglieva per passare una notte? “Ma Klaus Mikaelson è un vampiro. I vampiri sono come morti, non possono procreare. Lo sanno tutti! Fine della storia. E io non posso essere incinta!”
“Klaus è un ibrido, Hayley, non un comune vampiro” intervenne Sabine con tono calmo e pacato “Quindi è possibile. Perché gli ibridi possono procreare… la sua parte di lupo mannaro può…”
Hayley le fissò entrambe con un’espressione talmente disgustata che le avrebbe incenerite con lo sguardo se avesse potuto. Poi il disgusto divenne rabbia, una furia quasi incontrollabile e selvaggia. Strinse forte le coperte, quasi fino a farle a pezzi con le mani. Non poteva essere vero, non poteva essere successo proprio a lei. In seguito iniziò a tremare, senza essere più in grado di riuscire a controllarsi. Intanto si ripeteva che non era vero niente, che era solo un incubo terribile, che la stavano prendendo in giro. Anche se non capiva che motivi avessero contro di lei. Nemmeno la conoscevano!
“Io… sono sicura che vi sbagliate…” anche la sua voce tremava. Non voleva figli lei, non ne aveva mai voluti. Soprattutto dopo quello che le era successo! Non dopo essere stata abbandonata dai suoi veri genitori. Non dopo essere stata sbattuta fuori casa come un pacco indesiderato dai suoi genitori adottivi. Non voleva un figlio su cui avrebbe inevitabilmente riversato tutte le sue frustrazioni, tutto il suo dolore. Non sarebbe stato giusto. E soprattutto non voleva un figlio da… “Io non avrò mai un figlio da quel pazzo furioso!”
“Un po’ troppo tardi, mia cara!” rispose Sophie sarcastica “Ormai c’è!”
“Beh a questo si può rimediare, vero?” Hayley si guardò intorno come se fosse alla ricerca delle sue cose, pronta a uscire da lì “Vado in ospedale, sono ancora in tempo! E poi me ne vado da questa dannata città!”
“Non te lo lasceremo fare, Hayley” Sabine si avvicinò scrutandola negli occhi “Mi dispiace, ma quel bambino è la chiave per la nostra liberazione. E tu non potrai lasciare New Orleans. Un incantesimo è stato fatto su di te, un incantesimo che non ti permetterà di oltrepassare i confini di questa città.”
 
 
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“Non ti ho chiesto io di seguirmi qui, Elijah” Klaus appoggiato al parapetto si godeva una panoramica di tutta New Orleans “Questo è tutto ciò che voglio!” allargò le braccia come a stringere simbolicamente in un abbraccio l’intera città “Il mio regno. Il regno di cui io sono il re, lo sono sempre stato!”
Poi una scintilla attraversò i suoi occhi chiari, che divennero fin troppo luminosi. Elijah conosceva perfettamente quella scintilla nello sguardo del fratello. E aveva imparato a temerla. Dalla sua esperienza sapeva che non avrebbe portato nulla di buono. Solo desolazione e risentimento. E la furia di Klaus, pronta a esplodere in qualsiasi momento. Una furia che avrebbe distrutto qualsiasi cosa o persona si fosse trovata disgraziatamente sul suo cammino. Anche la sua famiglia, anche i suoi fratelli.
Eppure la speranza non era ancora morta in Elijah. Aveva cercato di annientarla spesso. Aveva anche cercato di eliminare Klaus dalla propria vita, per sempre. Non c’era mai riuscito. Era suo fratello. E lo sarebbe stato per sempre. E per sempre avrebbe cercato l’ombra di una speranza per lui, per loro. Per sempre avrebbe cercato la redenzione per la loro famiglia. L’unione, il rispetto, forse anche qualcosa di simile alla felicità. Per la prima volta questa speranza stava diventando una possibilità concreta.
“Seguimi Niklaus” Elijah strinse gli occhi scuri e lo fissò, sperando di riuscire a essere convincente.
“Che piano hai architettato questa volta?” Klaus inclinò il viso, dibattendosi tra curiosità e indifferenza.
“Nessun piano, te lo garantisco” Elijah iniziò a camminare, poi si voltò verso di lui invitandolo con un gesto “Ma c’è qualcosa che devi sapere… e vedere…”
 
 
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“Posso sapere dove diavolo mi state portando ora?” Hayley, costretta a camminare tra Sophie e Sabine, rivolgeva loro sguardi sempre più minacciosi “A togliermi di dosso questo peso, mi auguro! Perché io il frutto di una notte con un noto ibrido psicopatico non lo voglio, chiaro? Non lo voglio!”
“Forse avresti dovuto pensarci un po’ prima di farci sesso, con l’ibrido psicopatico” ridacchiò Sophie.
Quella strega maledetta voleva morire? Si chiese Hayley. Già sapeva, solo per quel pessimo scherzo, che avrebbe rimpianto la notte con l’ibrido per tutto il resto della sua miserevole esistenza. Non voleva ancora accettare l’idea che quello che le streghe dicevano fosse vero. Doveva essere solo un incubo terrificante da cui presto si sarebbe svegliata. Iniziò a pregare che fosse così. Il problema era che non credeva in niente ormai, quindi non aveva idea di chi pregare.
“Siamo arrivate!” annunciò Sabine fermandosi di colpo in un angolo di strada.
Anche Sophie si fermò e Hayley fu costretta a imitarle.
“Qui? In mezzo al nulla? E che facciamo? Contempliamo questo buco di…” Hayley si bloccò all’improvviso vedendolo arrivare verso di loro, a passo strascicato e indolente.
Klaus. Disse tra sé. Le avevano organizzato un appuntamento con Klaus. E anche lui si era portato un accompagnatore. Un uomo alto e dall’andatura composta camminava al suo fianco, precedendolo di qualche passo.
Hayley guardò in viso le due streghe e scosse la testa decisa.
“Voi avete voglia di scherzare, allora! Io me ne vado!”
Sophie l’afferrò per un braccio trattenendola mentre si stava già incamminando. Hayley fu costretta a voltarsi quando i due uomini ormai le avevano raggiunte. Il suo sguardo si spostò fugacemente da Klaus all’altro uomo. Hayley corrugò la fronte confusa, poi abbassò il viso.
“A cosa dobbiamo questa piccola riunione?” Klaus scrutava tutti con espressione sarcastica, ma muovendosi sui piedi sempre più nervoso, irritato.
Tra Elijah e le sue streghe passò uno sguardo come di tacito accordo, poi il silenzio. Come se nessuno avesse il coraggio di esprimere a parole il motivo del loro incontro. O come se non sapessero ancora trovare quelle adatte.
“Al fatto che stai per diventare padre” fu Elijah a farsi carico della rivelazione “Quella giovane donna aspetta un figlio da te, Niklaus.” Così dicendo indicò Hayley con un gesto della mano.
Hayley mantenendo il volto abbassato sollevò solo gli occhi. E sotto lo sguardo e il cenno dell’uomo bruno, si sentì talmente piccola e miserabile da desiderare di poter scomparire all’istante.
Alle parole di Elijah seguì un silenzio cupo, apparentemente interminabile, spezzato dalla risata fragorosa di Klaus.
“Voi siete pazzi! Io non posso avere figli!”
“Sei un ibrido, Niklaus… lo so che ti sembrerà un miracolo, ma puoi avere figli” Elijah guardò il fratello, attendendo e temendo la sua reazione. E questa volta sapeva che non avrebbe più considerato la situazione come uno scherzo.
Seguì infatti un altro silenzio, ancora più lungo e devastante di quello precedente. Elijah comprese che il fratello stava registrando la situazione, indagandola, respingendola. Nubi oscure e malevole gli passarono sul volto, attraversando i suoi occhi.
“Non e possibile!” ringhiò Klaus digrignando i denti “Quella troietta dev’essere stata con un altro! Anzi, chissà con quanti!”
Hayley si sentì fremere da capo a piedi. Si sarebbe scagliata contro quel pazzo furioso per prenderlo a schiaffi, pugni e calci. Non per il termine offensivo con cui l’aveva chiamata. Ma per la rabbia di essersi rovinata l’esistenza a causa sua.
“Non hai idea di quanto l’avrei voluto, maledetto psicopatico!” Hayley sollevò lo sguardò su di lui, la sua voce era calma ma tagliente, gelida “Almeno sarei libera di andarmene… Preferirei avere un figlio da…” si bloccò, non riuscendo a trovare un termine di paragone abbastanza orrendo da permetterle di esprimere tutto il suo disgusto nei confronti di Klaus Mikaelson.
“Benissimo” Sophie interruppe la ricerca del termine adatto di Hayley e prese la parola “Dopo questo delizioso scambio di complimenti, veniamo a noi. Abbiamo bisogno di averti dalla nostra parte, Klaus, contro Marcel. Abbiamo bisogno di tornare a praticare la magia senza impedimenti e limiti…”
Klaus rivolse alle due streghe uno sguardo ancora più disgustato e furente.
“Cosa?” mosse un passo verso Sophie, rabbioso “Non siete nella posizione di fare richieste.”
“Non è una richiesta” replicò Sophie, tranquilla “Uccideremo la ragazza e tuo figlio se non accetterai il patto.”
Klaus aggredì la strega, come una furia.
“Un ricatto?” trattenne una risata isterica “Mi avete trascinato qui per incastrarmi in un ricatto? E tu hai avuto parte in tutto questo, Elijah…”
“Io lo definirei un patto, piuttosto” Sophie inclinò il viso e fissò Klaus negli occhi “Accetta e tuo figlio e sua madre vivranno. Rifiuta e…”
“Allora uccidili!” gridò Klaus, i cui occhi erano diventati ancora più lucidi per l’ira, ormai diventata implacabile “Uccidi lei e il bambino, per quel che me ne importa!”
“Niklaus aspetta” Elijah trattenne il fratello per la spalla “Non capisci che questo bambino può essere una speranza? La nostra speranza…”
Klaus si liberò del fratello con uno scatto e si scagliò contro Sophie che però si spostò di lato. Così fu Hayley a essere colpita e cadere a terra, ma Klaus non se ne curò. Hayley si convinse che quella sarebbe stata la sua fine. L’avrebbe uccisa con le sue mani. Chiuse gli occhi e attese. Ma quando li riaprì lui se n’era andato. Il suo sguardo incrociò invece quello dell’uomo che lo aveva accompagnato e che Klaus aveva chiamato Elijah. Chinato al suo fianco le tendeva la mano. Cosa voleva da lei? Anche lui aveva collaborato a metterla in quel guaio che l’avrebbe rovinata per sempre. Anche se all’apparenza poteva sembrare gentile, anche lui era un mostro.
“Voglio aiutarti, Hayley” la sua voce calda e profonda la colpì, inaspettatamente “Io ti proteggerò sempre, te lo prometto.”
“Tu puoi andare al diavolo…” gli rispose Hayley, cercando di rialzarsi in piedi da sola.
Nel frattempo anche lui si stava alzando, guardandola rassegnato. Hayley senza averne l’intenzione seguì il suo sguardo, i suoi occhi scuri che sembravano scrutarla, indagarla. Poi tornò in sé e si stacco bruscamente, fece per voltarsi ma inciampò in una mattonella sconnessa. Elijah svelto si mosse nella direzione che Hayley aveva preso e si mise davanti a lei, per impedirle di cadere a terra di nuovo.
Hayley si ritrovò con le mani sul suo torace e la fronte appoggiata al suo petto. Sentì un’improvvisa ondata di calore e le guance in fiamme. Sollevò lo sguardo su di lui, che le sorrise impercettibilmente.
“Che tu lo voglia o no, io ti proteggerò sempre, Hayley.”
Hayley continuava a guardarlo negli occhi. La sua mente si era come svuotata, improvvisamente. Non c’era più quel vicolo oscuro di New Orleans. Non c’erano più le streghe che la tenevano prigioniera. Non c’era più quel pazzo furioso di Klaus. Non c’era più nemmeno il bambino che aspettava da lui. C’era solo lei, ancora adolescente, che si specchiava sulla riva di un fiume e scorgeva il riflesso del suo cavaliere misterioso, del signore dei suoi sogni, l’unico a cui aveva donato il cuore. Che la stringeva e le ripeteva proprio quelle stesse parole: “Io ti proteggerò sempre, Hayley. Te lo prometto.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Tra fiducia e inganno ***


9. TRA FIDUCIA E INGANNO



Il nobile Elijah Mikaelson. Ecco chi era. Hayley aveva sentito parlare di lui. Uno degli originari, fratello di Klaus. E aveva promesso a lei, proprio a lei, di proteggerla sempre.
Hayley seduta sul letto con le ginocchia al petto, non riusciva a smettere di pensarci. Abbastanza sensato, a che altro avrebbe dovuto pensare in quel momento? Aspettava un figlio da uno psicopatico ibrido originario che la voleva morta, era ancora prigioniera delle streghe e il fratello del pazzo furioso aveva promesso di proteggerla sempre. Sempre era una parola grossa per lei, enorme! Con quello sguardo poi, così onesto, così affidabile. Quello sguardo a cui non si poteva fare a meno di credere. Hayley comprese perché lo definivano “il nobile Elijah”. Perché il senso dell’onore gli si leggeva direttamente negli occhi, sul volto. Ispirava fiducia, sicurezza, rispetto. Ma era pur sempre un vampiro. Un antico. Un nemico della sua specie.
Hayley si alzò dal letto e camminò fino a raggiungere la finestra. Avrebbe davvero desiderato credergli. Ma poi si chiedeva perché avrebbe dovuto? Forse aveva un misterioso e oscuro piano anche lui, un secondo fine. Aveva imparato che nessuno al mondo faceva nulla in cambio di nulla, solo per buon cuore. Che poi i vampiri lo avevano un cuore? Probabilmente sì, ma fermo e gelido da quello che lei sapeva.
“Fermo e gelido…” ripeté Hayley tra sé mordendosi le labbra. In effetti Elijah l’aspetto fermo e gelido lo aveva un po’, però… no, meglio non pensarci proprio!
Insomma era già stata tradita e ingannata fin troppe volte! Alla fine una dovrebbe imparare la lezione, no? Però… Hayley corrucciò la fronte, poi tutto il viso in una smorfia. No, no, no. Niente da fare nobile Elijah. Non ci sarebbe cascata!
“Ma che cosa mi prende?” sbuffò contrariata “Direi che una dovrebbe imparare!” sospirò canticchiando “So bene come andrà a finire, ed i pensieri miei vanno. Io sento dentro "puoi fidarti", mentre la testa mia "non lo fare".”
Ma come le era venuta in mente quella canzone? Una delle canzoni del cartone animato “Hercules” che aveva visto da bambina. Solo che Elijah Mikaelson non era Hercules! E non era neanche un eroe, insomma!
Hayley si spostò dalla finestra e andò a posizionarsi di fronte a uno specchio di forma ovale.
“Sono stupida?” chiese alla sua immagine riflessa, riscoprendosi pallida e con due occhiaie violacee che le segnavano il contorno degli occhi “Sono cretina?”
“Forse è un po’ tardi per domandarselo” le rispose Sophie entrando dalla porta con il vassoio della colazione.
Hayley, sempre di fronte allo specchio, spostò lo sguardo su di lei. Certo, per essere rimasta incinta di quel pazzo fanatico con manie di grandezza, doveva per forza essere stupida e cretina. Sicuramente non lo pensava solo Sophie, ma l’intera congrega di streghe.
“Non ho fame” Hayley corrugò la fronte e scosse la testa, tirandosi indietro i capelli con le mani.
“Elijah Mikaelson vuole che tu mangi tanto e bene” Sophie sospirò roteando gli occhi “Ha fatto portare un carico di cibo che basterebbe per un esercito! E questa per te…” così dicendo le porse una busta “Mi dispiace ma abbiamo dovuto aprire e controllare. Non si sa mai…”
Hayley si strinse nelle spalle con indifferenza e prese la busta, rigirandosela nelle mani. Peggio dei servizi segreti queste streghe! E comunque che cosa poteva volere Elijah Mikaelson ancora da lei? Aspettò che Sophie uscisse dalla stanza prima di sederti sul letto e aprire la busta. Trovò il biglietto che conteneva, piegato in due. Era scritto oltre la metà, con una calligrafia abbastanza chiara e leggermente inclinata.
“Scrivo per ribadire la mia totale disponibilità nei tuoi confronti, Hayley. La tua condizione ti fa entrare di diritto a far parte della mia famiglia. E come membro della mia famiglia, io ti proteggerò e avrò cura di te, per sempre. Qualsiasi cosa tu abbia bisogno, pur nella situazione attuale, io provvederò a fartela pervenire. Nonostante la tempestosità del nostro incontro, resto nella speranza di essermi guadagnato se non tutta almeno parte della tua fiducia. Mi impegnerò attivamente perché tutte le difficoltà vengano appianate al più presto. Elijah Mikaelson.”
Hayley studiò attentamente la sua firma, il modo particolare in cui la E del suo nome era scritta. Ci passò sopra il dito e ne seguì il disegno restando immobile a guardarla, come ipnotizzata. Elijah Mikaelson ci teneva a essere preso sul serio, a farle sapere che non aveva intenzione di ingannarla. Elijah Mikaelson ribadiva così la sua fama, la sua nobiltà. Hayley incominciò a sperare in cuor suo che fosse sincero. Aveva una grande necessità di fidarsi di qualcuno, ma nessuna volontà di ammetterlo. Probabilmente l’avrebbe tradita anche lui. La tradivano sempre tutti. Non sarebbe stato altro che il rinnovarsi di un’abitudine.
Tenendo ancora il biglietto tra le dita, appoggiò l’altra mano sul ventre. Quell’uomo sarebbe stato lo zio del suo bambino. Se ne sarebbe preso cura, era questo che le stava promettendo. Al padre non ci voleva nemmeno pensare. Perché il padre quel bambino lo voleva morto, li voleva morti entrambi. Per quanto riguardava lei, invece, non sapeva ancora che sentimenti provare per quella creatura che portava in grembo. Avrebbe voluto provare odio, repulsione, conoscendo il padre e il modo in cui era stato concepito. Ma non ci riusciva. Perché la sola idea scatenava nel profondo della sua anima un immenso inconsolabile dolore.
 
 
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Pensavano davvero di poterlo incastrare? Lui, Klaus Mikaelson? Folli. Erano tutti folli. Se solo li avesse avuti davanti li avrebbe massacrati. Uno dopo l’altro. Lei compresa. Una notte, aveva passato con lei solo una notte dannazione! Una notte che aveva subito dopo archiviato, accantonato e dimenticato. Una notte come tante, anzi, più occasionale di tante altre!
Quelle maledette streghe, erano state loro! Magari era solo il frutto di un loro incantesimo. E ora volevano far passare quel… quel… non sapeva nemmeno come definirlo… volevano farlo passare per suo! Ma lui lo avrebbe ucciso. Insieme a quella stupida, inutile ragazza. L’avrebbe trovata ed eliminata appena gli si fosse presentata l’occasione. Non poteva lasciarla andare in giro ad annunciare al mondo intero che aspettava un… un… insomma… quel coso non poteva essere suo, sangue del suo sangue! La città era sua. Il regno di New Orleans era suo. Ecco, quelle erano le sue priorità assolute. Tutto il resto poteva essere eliminato come un incidente di percorso sgradevole e inopportuno.
L’unica cosa veramente importante era il regno di cui sarebbe stato l’unico sovrano. Klaus continuava a camminare a passo spedito per le strade della città, senza una meta precisa, come guidato esclusivamente dalla sua furia, dal fremito che lo percorreva dalla testa ai piedi. Aveva una gran voglia di spezzare vite, di distruggere, di dominare. Se la sarebbe ripresa senza intralci la sua città. Perché lui era il re. E avrebbe avuto Caroline Forbes come sua regina. Ecco, Caroline era sua! O per lo meno lo sarebbe diventata presto.
Klaus adocchiò il bar del centro città e vi entrò sbattendo la porta. Bere. Da tanto non beveva fino a ubriacarsi e ora ne aveva bisogno. Avvicinandosi al bancone lo vide. Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro, meglio avvicinarsi e affrontarlo, incominciare a rendere chiara la situazione e le sue intenzioni.
“Marcel” Klaus si sedette al suo fianco con un sorrisetto ironico e una sorta di sarcasmo nel tono di voce “Ma che piacere incontrarci qui.”
“Klaus” Marcel gli rivolse un’occhiata fugace e sollevò il bicchiere che aveva in mano, come per dargli il benvenuto. A Klaus sembrò nervoso, come se il suo intervento in quel locale fosse stato se non proprio sgradito sicuramente inopportuno.
Seguendo lo sguardo di Marcel, Klaus lo vide soffermarsi sulla barista. Una ragazza carina, dai capelli biondi. Klaus lo riconobbe quello sguardo. Marcel del resto era stato come un figlio per lui, lo aveva cresciuto a sua immagine, l’aveva reso simile a se stesso. E ora scopriva che aveva una debolezza, una nuova. Perfetto, l’avrebbe usata contro di lui.
“Dolcezza, posso bere qualcosa?” Klaus richiamò l’attenzione della barista bionda con aria ammiccante.
La ragazza si voltò a guardarlo con espressione contrariata.
“Certo, ma mettiamo subito le cose in chiaro… io non mi chiamo dolcezza!” così dicendo si avvicinò posizionandosi tra Klaus e Marcel al di là del banco.
Klaus inclinò il viso protendendo leggermente le labbra verso di lei. La ragazza non sembrava tanto facile da circuire e la consapevolezza lo divertiva, lo intrigava.
“E come ti chiami, mia cara?”
“Camille” replicò la ragazza incrociando le braccia sul petto “Ma preferisco Cami. Che cosa vuoi da bere?”
 
 
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Elijah doveva valutare attentamente le priorità. La prima, essenziale, era proteggere la ragazza. E il bambino che stava aspettando, ovviamente. A ogni costo. E contro Klaus soprattutto. Abbandonato a se stesso e senza nessuno che lo facesse ragionare sarebbe anche arrivato a ucciderla. Per la rabbia, per la sensazione di sentirsi braccato. Lo conosceva talmente bene da averne quasi paura, in questa circostanza sicuramente avrebbe portato a termine la sua minaccia se ne avesse avuta la possibilità. Per questo doveva affrontarlo al più presto. Per questo aveva bisogno di alleati. La ragazza andava protetta a ogni costo.
Hayley. Dopo che lui le aveva promesso di proteggerla sempre, lei lo aveva mandato al diavolo. Le sue prime parole per lui. Non era un granché come inizio, certo. Però era una ragazzina sola e spaventata, in una situazione assurda, incredibile. Poteva comprenderla. E non si sarebbe arreso perché ormai lei e il suo bambino facevano parte della famiglia.
Elijah sospirò stringendo il cellulare tra le mani, mentre seduto sulla poltrona stava considerando se quello fosse il momento più appropriato per quella chiamata. Proteggere la ragazza, ripeté a se stesso. Selezionò il numero nella rubrica. Socchiuse un attimo gli occhi scuri attendendo che lei rispondesse. Cosa che avvenne dopo un paio di squilli.
“Rebekah?” ora che lei aveva risposto doveva essere davvero bravo, riuscire a convincerla “Sono a New Orleans e vorrei che tu mi raggiungessi.” Non aveva molte speranze, sapeva che a questo punto avrebbe ottenuto un no come risposta. Ma non era disposto a cedere. “Lo so, Rebekah, ma ci sono novità importanti… si tratta di ricostruire la nostra famiglia. Sì, hai capito bene. Ho intenzione di aiutarti a far tornare i nostri fratelli. Questa volta riusciremo a trovare il modo, insieme. Te lo prometto.”
 
 

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