Le rose fioriscono per morire di Delirious Rose (/viewuser.php?uid=1063)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di rose e pratoline ***
Capitolo 2: *** Di baci notturni e velluto verde ***
Capitolo 3: *** Di desideri e pozioni oscure ***
Capitolo 4: *** Di rose nere e occhi verde veleno ***
Capitolo 5: *** Di Frutta e Piume ***
Capitolo 6: *** Di Sensi di Colpa ***
Capitolo 7: *** Di Confessioni e Ipotesi ***
Capitolo 8: *** Di Punizioni Piacevoli ***
Capitolo 9: *** Di Situazioni Imbarazzanti ***
Capitolo 1 *** Di rose e pratoline ***
Le rose si sono svegliate di buon mattino per fiorire
e sono fiorite per morire:
in un bocciolo hanno trovato la Vita e la Morte.
Pedro Calderón de la Barca
b Di rose e pratoline a
La bambina sbatté la porta con forza e si buttò sul letto.
«Ginevra Molly Weasley, è questa l’educazione che ti ho dato?!» urlò sua madre dal piano inferiore ma Ginny non rispose, si limitò ad affondare di più il viso nel cuscino e a piangere.
E Ginny pianse, pianse così tanto che si addormentò nonostante il petto fosse ancora scosso dai singulti, e quando si svegliò una calda luce dorata entrava dalla finestra della sua stanza, segno che era ormai pomeriggio inoltrato. Tirando su col naso, si stropicciò gli occhi con il dorso della mano e sedette alla turca sul letto, fissando un punto imprecisato della sua stanza. Rimase così per un po’, poi con uno scatto improvviso si svolse verso la testiera e frugò fra il materasso e la rete: estrasse una vecchia piuma sfilacciata, una boccetta d’inchiostro e un vecchio diario tutto logoro, dalla copertina di pelle nera e il nome del precedente proprietario scritto sopra. Con una solennità quasi religiosa, sedette alla scrivania e aprì la boccetta: respirò profondamente il leggero profumo di fragola dell’inchiostro rosa acceso – glielo aveva regalato Bill per l’ultimo Natale e lei lo aveva tenuto in serbo per un uso speciale – quindi lisciò con le dita le pagine ingiallite del diario e intinse lentamente la penna nell’inchiostro.
Tom
La parola fu come risucchiata nell’istante preciso in cui era stata scritta, e al suo posto sbocciarono rose e rami d’edera: il disegno era in bianco e nero, ma così realista da sembrare un dagherrotipo.
Buon compleanno Ginevra!
Ginny si coprì la bocca con le mani, stupita.
Sei l’unico che se n’è ricordato!
E poi non sapevo che disegnavi così bene!
A dire il vero si tratta di un incantesimo: avrei preferito che il bouquet fosse vero, ma a quanto pare sono troppo debole affinché la mia magia abbia effetto oltre le pagine del diario.
Ma che cosa intendevi dire con “Sei l’unico che se n’è ricordato”?
Leggendo quelle parole, Ginny sentì di nuovo gli occhi riempirsi di lacrime: intingendo freneticamente la piuma nell’inchiostro rosa, gli raccontò di come nessuno dei suoi fratelli le avesse fatto anche solo gli auguri di compleanno, di come suo padre si fosse limitato a darle un bacio frettoloso sulla testa prima di andare a lavoro e sua madre le avesse preparato un crumble di mele invece della torta al cioccolato che le aveva promesso. Perfino Bill e Charlie sembravano essersene dimenticati, loro che sei anni prima avevano risparmiato per quattro mesi per regalarle la bambola che tanto desiderava.
Non essere triste, Ginevra: è ancora pomeriggio, giusto?
La giornata non è ancora finita e vedrai che entro stasera i gufi di Bill e Charlie arriveranno.
Su, non piangere che rendi triste anche me…
Scusa tanto Tom, non volevo bagnare le pagine…
Forse hai proprio ragione, in fondo i gufi vengono dall’Egitto e dalla Romania, ci deve per forza volere molto tempo per arrivare.
E quell’incantesimo dei fiori, è difficile?
No, perché quel mazzo di fiori è bellissimo ed è un peccato che resta in una pagina, no?
Non è difficile, anzi, è uno dei primi incantesimi che insegnato a Hogwarts.
Non è pericoloso se lo provi: è lecito che una figlia amorevole desideri offrire dei fiori alla propria madre.
La formula è “Orchideus”.
Ginny fissò le parole che pian piano svanivano, quindi con foga improvvisa aprì il cassetto della propria scrivania e prese la vecchia bacchetta di Charlie: la agitò imitando il movimento di polso che aveva visto fare da sua madre innumerevoli volte, ripetendo l’incantesimo. Margherite e piselli odorosi, fiori di lino azzurri e papaveri rossi, ma quel bouquet di rose e tralci d’edera non aveva alcuna intenzione di materializzarsi.
Uffa, perché non ci riesco?
È normale che le prime volte non si riesca a far comparire neanche una pratolina: ricordo che riuscii solo a fine lezione.
Veramente mi vengono fuori solo fiori di campo, ma io voglio tanto il mazzo che mi hai “regalato”.
Davvero? Allora devi essere molto più abile di molte altre streghe della tua età!
In ogni caso, devi solo visualizzare in ogni minimo dettaglio il bouquet che vuoi ottenere e il gioco è fatto.
E Ginny si esercitò per giorni e giorni, ma tutto quello che riuscì ad ottenere, furono pratoline e rose selvatiche.
b { a
Note dell’autore
Come annunciato nell’introduzione, questa fanfiction partecipa al contest “E così, con un bacio, io muoio” di Ielma e, per non smentirmi, questa storia è un po’ la gemella di “Inchiostro rosa dall’odore artificiale di fragola”: gli eventi raccontati sono più o meno gli stessi, solo visti dal punto di Ginny e un po' più in dettaglio e non vi nascondo che mi ha rattristato tagliare un dettaglio rispetto alla sua sorella. Inoltre questa volta ho curato particolarmente la parte visiva del racconto, soprattutto per rendere al meglio l'effetto "chattata" del diario e, al tempo stesso, caratterizzare i personaggi non solo attraverso lo stile di scrittura (per Ginny ho cercato di imitare quello di un'undicenne, ma non sono certa d'esserci riuscita) ma anche attraverso i font e i colori utilizzati da ciascuno (anche se per Tom avrei preferito usare lo storico Herman Decanus, ma è un font che non ho installato sul nuovo pc - veramente sono molti i font che devo reinstallare ù.u ...)
Non nascondo che, molto probabilmente, questa storia sarà un po' borderline, dati i personaggi, e forse a prima vista potrebbero anche risultare un po' OOC: per Tom il discorso è semplice, sta solo cercando di accaparrarsi la fiducia di Ginny ed io l'ho sempre immaginato come un ottimo attore; quanto a Ginny... beh, lei è un po' autobiografica, dato che quando avevo la sua età mi presi una cotta per un sedicenne - stendiamo un velo pietoso su quest'elemento, please - per cui nell'ultimo capitolo ho cercato di ricalcare il suo atteggiamento nei controndi di lui sul mio dell'epoca. Gasp! Mi sono appena resa conto che è successo vent'anni fa O.o
Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.
Cordialmente,
D. Rose |
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Capitolo 2 *** Di baci notturni e velluto verde ***
b Di baci notturni e velluto verde a
Tom era di grande sostegno e conforto per Ginny: lui c’era sempre per lei, a casa come a Hogwarts, durante le lezioni per chiedergli una spiegazione come nel cuore della notte quando non riusciva ad addormentarsi. E Ginny gli raccontava tutto: di come si vergognava quando Fred e George le facevano uno scherzo davanti a tutta la scuola, di come Percy la ignorasse nonostante i loro genitori gli avessero raccomandato di vegliare su di lei, di come invidiava Ron e Hermione che trascorrevano tutto il loro tempo con il famoso Harry Potter, di quanto Draco Malfoy fosse semplicemente odioso o il professore di Pozioni parziale. Delle compagne di dormitorio che, ai suoi occhi, non erano altro che un branco di oche che pensavano solo ai bei vestiti – non che lei non ci pensasse, ma sapeva benissimo che certe cose lei non avrebbe mai potuto averle e che si doveva accontentare di abiti di seconda mano – e di quanto fossero petulanti i maschi del suo anno.
Ginny gli scriveva soprattutto di Harry Potter: di quanto fosse bellissimo, fighissimo, fantastico, magnifico, intelligente, bravo a giocare a Quidditch e con il manico di scopa – quella volta Tom le aveva fatto notare che la frase era un po’ ambigua, ma si era rifiutato di spiegarle perché. Quelle lodi, poi, continuavano con il resoconto preciso di quanti cosciotti di pollo avesse mangiato a pranzo oppure di quello che aveva fatto e detto, raccontando ogni singola emozione che la bambina avesse provato – il desiderio di farsi notare da lui, la timidezza che la assaliva ogni volta che voleva rivolgergli la parola, la paura che un’altra ragazza glielo rubasse. E Tom la ascoltava, spronandola a non tenersi certe cose dentro, perché sfogarsi le faceva bene e l’avrebbe aiutata non solo a vederci chiaro nel proprio cuore, ma anche a trovare il coraggio di realizzare ogni singola fantasticheria che animava la sua immaginazione: perché Ginny gli raccontava anche quello che avrebbe dovuto tenere solo per sé, in fondo non era Tom il suo miglior amico, il suo amico segreto e speciale?
Buonanotte Tom! ♥
Che cos’era quello?
Era forse…
… un bacio?
Beh, sì.
Scusami, ma mi è venuto naturale, ecco.
Non devi scusarti, sono solo stupito.
In fondo sono trascorsi cinquant’anni dall’ultima volta che ho ricevuto un bacio.
È che mi mancano i baci della buonanotte di mamma e nessuno dei miei fratelli me ne vuole dare uno: Perfect Prefect Percy è sempre impegnato, Ron dice che sono smancerie da bambini e Fred e George è meglio non parlarne, ne approfitterebbero solo per farmi l’ennesimo scherzo.
Tom non rispose a quella spiegazione, tanto che Ginny aspettò un paio di minuti prima di scrivere. Colta da un’improvvisa timidezza che non aveva mai provato nei confronti del ragazzo rinchiuso nel diario, intinse piano la penna nel calamaio e scrisse, quasi tremando:
Se vuoi, ogni sera ti darò un bacio della buonanotte ♥
Sigillò quella proposta premendo di nuovo le labbra contro le pagine ingiallite, chiedendosi che cosa fosse quel leggero brivido che sentiva salire lungo la schiena.
b { a
La bacchetta, incastrata nel letto, emanava una luce appena sufficiente per illuminare il velluto verde senza che Ginny sforzasse troppo la vista: mordicchiando il labbro inferiore per la concentrazione, cuciva a piccoli punti il vecchio bottone dorato che aveva trovato dai suoi nonni.
«Ahia!» esclamò quando sentì la punta dell’ago infilarsi in un polpastrello e subito allontanò il suo lavoro per evitare di macchiarlo.
Succhiando il dito, aprì appena le tende del suo baldacchino e lanciò un’occhiata al dormitorio: doveva essere almeno mezzanotte e tutti dormivano. Sbadigliò, quindi ripose con cura la sua scatola da cucito e la stoffa, e prese il diario da sotto il cuscino – non poteva non andare a dormire senza aver augurato la buonanotte a Tom. Mentre apriva il diario, lasciò una striscia di sangue sulla pagina ingiallita, che parve berla avidamente: Ginny non ci fece caso, anche se la prima volta che era successo si era spaventata.
Il vestito per la festa di Halloween non è ancora finito?
Ginny sorrise orgogliosa mentre scriveva:
Quasi: mi restano ancora i bottoni alle maniche e applicare il pizzo sulla gonna.
Se tutto va bene sarà pronto la prossima settimana.
Però è un peccato che non insegnano più Magia Domestica: sai, mi piacerebbe saper fare l’incantesimo del cucito o dell’uncinetto come mamma, così potrei farmi tutti i vestiti che vorrei!
E come faresti con la stoffa?
Ginny lesse corrucciata la domanda.
Non esiste un incantesimo per crearla? Un po’ come quello per la farina che usa mamma quando cucina.
La magia non può creare nulla dal nulla: tua madre, semplicemente, evoca la farina direttamente dal pacchetto.
Tuttavia ci sono alcuni incantesimi che possono essere usati per ingrandire uno scampolo o cambiarne il colore: se non ricordo male, fanno parte del programma del secondo anno ma forse in cinquant’anni le cose sono cambiate.
E sei davvero ammirabile, Ginevra: non solo riesci a studiare e a cucire il tuo vestito, ma riesci anche a trovare un po’ di tempo per fare due chiacchiere con me!
Che ore sono?
Ehm… tardi.
Tardi o tardi tardi?
Per Merlino, non ti arrabbiare!
Penso che sia almeno mezzanotte…
Ah, la pendola della Sala Comune ha appena suonato una volta!
È l’una, oppure qualcosa e mezzo.
Ginevra, sono toccato dalla tua dedizione, ma adesso dovresti andare a dormire: domani avrai Pozioni e non vogliamo che il Professor Snape ti tolga dei punti perché sei troppo stanca per seguire le lezioni, giusto?
Ginny scosse la testa vigorosamente, mentre scriveva un “NO!” a caratteri cubitali.
b { a
Note dell’autore
Su questo capitolo non ho granchè da dire, perché credo che la situazione e le dinamiche fra Ginny e Tom sono chiare come la luce del sole, soprattutto da parte di lui.
Mi è parso evidente che Ginny sia capace di cucirsi indumenti di una certa complessità - magari partendo da vecchi indumenti di parenti vari ed eventuali -
per cui ho giocato un po' su questo: capita, cucendo, che ci si punga e che, quindi, Ginny abbia toccato il diario con le dita ferite, e se consideriamo che il sangue è generalmente associato alla forza vitale di una persona, potete ben immaginare in che modo Tom lo possa accogliere. Idem con patate per il bacio che Ginny dà al diario!Tom, ma l'analisi più dettagliata e approfondita ve la riservo per uno dei prossimi capitoli.
Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.
Cordialmente,
D. Rose |
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Capitolo 3 *** Di desideri e pozioni oscure ***
b Di desideri e pozioni oscure a
Vorrei incontrarti Tom.
Di persona, non in un tuo ricordo.
Ecco, lo aveva scritto infine il desiderio che da qualche settimana monopolizzava la sua mente, perfino più del primo bacio con Harry Potter. Lo aveva voluto incontrare fin dalla prima volta che Tom l’aveva fatta entrare nel diario e le aveva mostrato i suoi ricordi – gli aveva chiesto una spiegazione di Trasfigurazione e lui aveva evocato quella medesima lezione, solo insegnata da un Professor Dumbledore più giovane, e le aveva permesso di rivedere quell’episodio del suo primo anno fino a quando Ginny non avesse perfettamente capito la spiegazione.
Ginevra, hai un’idea di quello che stai chiedendo?
Quelle parole le fecero paura, e si domandò se non avesse chiesto troppo al suo amico speciale: che cosa sarebbe accaduto se anche Tom avesse iniziato a prenderla per una bambinetta come Percy e Fred e George e Ron? Sentendosi il cuore in gola e le prime lacrime bagnarle le ciglia, scrisse cercando di non tremare:
È… impossibile?
No, non è impossibile ma difficile… pericoloso.
Per raggiungermi dove mi trovo, abbisogni di una pozione oscura.
Sospirò sollevata, perché sapeva che non lo aveva perso, il suo amico speciale. Si sentì pungolare da un orgoglio inaspettato, da una piccola vanità che poteva concedersi senza remore, poiché sostenuta da un dato di fatto.
Non ho paura delle pozioni oscure: ho sempre aiutato mamma a preparare quella per le lumache carnivore e l’ultima volta l’ho fatta tutta da sola!
Non ho dei buoni voti solo perché il Pipistrello Untuoso è oscenamente parziale!
La difficoltà non è il procedimento (anzi, lo definirei banale: non bisogna neanche aspettare chissà quale congiunzione astrale per farla), bensì gli ingredienti.
Tu sei al primo anno e alcune delle piante necessarie si trovano nella serra sette, quella in cui solo gli studenti del corso di Erbologia Avanzata hanno il permesso di accedervi.
Inoltre è necessario avere un’autorizzazione del Ministero della Magia per utilizzare gli ingredienti che troveresti in uno dei ripostigli dell’aula di Pozioni.
Beh, tu mi puoi spiegare lo stesso come farla, no?
E poi non sottovalutarmi, Tom: sono o non sono la sorella dei gemelli Weasley?
b { a
Ho finito il vestito!
E, se la pozione per venire a trovarti dev’essere blu opalescente, allora ho finito anche quella!
Ginny si sentì fiera di se stessa, mentre scriveva quelle parole, come non lo era mai stata in vita sua, neanche quando era stata smistata in Casa Griffyndor.
Sì, il colore è quello.
Ma non mi avevi detto che eri riuscita a trovare tutti gli ingredienti!
Eh eh… volevo farti una sorpresa!
Però ho dovuto tralasciare il vestito per una settimana.
Ginevra Molly Weasley, sono… senza parole: non era una pozione anodina, quella! Come ti senti? Ti gira la testa? Intontita? Hai vomitato o ti è uscito del sangue dal naso? Te ne prego, dimmi di no o mi sentirei davvero in colpa perché ti ho permesso di fare qualcosa di molto, molto pericoloso!
Lei ridacchiò appena, sentendosi avvampare dall’orgoglio e dalla preoccupazione che sentiva trasparire dalle parole di Tom: la faceva sentire felice, importante e fiera di se stessa. Una parte di lei avrebbe voluto che quelle parole gliele dicessero i suoi genitori oppure i suoi fratelli, anche se era certa che, se avessero saputo della sua impresa, le avrebbero fatto una ramanzina e messa in punizione per un mese.
“Sono piccola, mica scema!” si disse, ripensando a com’era riuscita a intrufolarsi nella serra sette o a forzare il ripostiglio dell’aula di Pozioni senza farsi scoprire. Solo Hermione l’aveva guardata un po’ sospettosa, quando le aveva chiesto di insegnarle l’incantesimo Testabolla: Tom aveva riempito più di mezza pagina, dicendole che non doveva assolutamente respirare i vapori della pozione fino a quando non fosse stata pronta, e lei aveva riempito l’altra metà, giurando e promettendo che sarebbe stata attenta e che avrebbe buttato tutto se il colore o la consistenza non fossero state quelle giuste.
Sto bene, non preoccuparti ♥
E poi avevo chiesto a Hermione di insegnarmi l’incantesimo Testabolla per non respirare i vapori.
Uff, mi hai fatto perdere 10 anni di vita, sai?
In ogni caso, dove hai nascosto la pozione? Perché se qualcuno la trova, saresti in guai seri.
L’ho fatta in un bagno del secondo piano, quello di Moaning Myrtle: nessuno ci va perché è infestato.
Myrtle? Myrtle Lafontaine?
Non dirmi che il suo fantasma è ancora a Hogwarts!
La… conosci?
Chi non la conosceva quella povera ragazza?
Una storia tanto triste quanto brutta: i suoi genitori pensavano che sarebbe stata al sicuro dalla guerra Muggle, e invece…
Ma perché ti racconto certe cose? Non ho alcuna voglia di farti venire gli incubi stanotte.
Ehi, guarda che le storie di fantasmi non mi fanno paura!
Ginevra, questa non è una storiella gotica da raccontarsi durante un campeggio estivo, ma un fatto di cronaca che ha rischiato di far chiudere la scuola se il colpevole fosse stato trovato e punito.
Non sono una bambina! Ho già undici anni, io!
Sì che lo sei.
Hai solo undici anni, hai ancora il profumo di un’infanzia felice addosso: lo so dal modo in cui mi racconti le tue giornate, dalle parole che usi.
Perfino quest’inchiostro rosa dall’odore artificiale di fragola mi parla d’infanzia e innocenza: non credi che sia lecito, da parte mia, fare il possibile per proteggere tutto questo dalla bruttura del mondo?
Non credi che sia lecito il mio desiderio di salvaguardare qualcosa che non ho potuto conoscere?
Non credi che sia lecito il voler vederti crescere in modo armonioso, senza metterti fretta e sostenendoti nelle prove che ti aspettano?
Io non ho mai conosciuto i miei veri genitori, i responsabili e gli altri bambini dell’orfanotrofio erano orrendi con me perché ero “diverso”, sono stato costretto a crescere troppo in fretta, in tempi di guerra per giunta, per cui vorrei evitare di sbatterti in faccia la bruttura della vita.
Come se fosti la sorellina che non ho mai avuto.
Perché adesso è questo che sei per me: un membro di quella famiglia che non ho mai avuto.
Ginny trattenne un singulto: erano parole che facevano un po’ male, quelle, ma allo stesso tempo le dimostravano quanto Tom tenesse a lei, molto più di Percy e Fred e George e Ron. Perché quella era la prima volta che Tom le raccontava qualcosa di quando era piccolo senza che lo pregasse, e il tono delle sue parole era così acceso che le era parso di percepire una sorta di disperazione nella testa mentre le leggeva. Sentì qualcosa pungerle in petto, mentre quelle parole sbiadivano lentamente.
Ti sei offesa?
La calligrafia di Tom, solitamente precisa ed elegante, sembrava esser stata scritta con esitazione.
No, non mi sono offesa.
Anzi, sono io che ti devo chiedere scusa.
«Scusa tanto, non volevo farti arrabbiare,» mormorò piano, mentre premeva le labbra contro le pagine ingiallite del diario con tutte le sue forze.
b { a
Note dell’autore
Due parole sulla famigerata serra sette.
Questa è la serra in cui, dalla prima metà dell'Ottocento, sono coltivate tutte le piante non solo necessarie per delle pozioni oscure, ma che soprattutto sono utilizzate a
scopi divinatori e che, quindi, necessitano di particolari autorizzazioni da parte del Ministero: durante gli anni '60 e '70, causa alcuni scandali, gli incantesimi di protezione su questa serra sono stati rinforzati - ma non è da escludere che alcuni alcuni allievi dell'ultimo anno compiacenti continuino tali pratiche. Idem con patate per quanto riguarda il ripostiglio in questione.
Per questa parte mi sono semplicemente ricollegata all'uso che, storicamente, avevano le sostanze psicotropiche nello sciamanesimo e nella divinazione e, di contrappeso, a quello delle foglie di coca da parte delle popolazioni dell'America del Sud: in quest'ultimo caso, l'uso è concesso a queri rarissimi Veggenti i pui poteri sono talmente forti da rendere loro impossibile una vita normale e l'autorizzazione viene concessa dopo previa ispezione congiunta del Dipartimento dei Misteri e di alcuni specialisti del San Mungo, che rilasciano le prescrizioni con le dosi concesse - aggiornabili ogni due o tre mesi nei "casi" più gravi. L'uso a scopo divinatorio di whisky di Sybil Trelawney non è, ovviamente, contemplato XXDDD
Tralasciando la viscidità di Tom nel non-proporre un tale intruglio a una bambina di undici anni, voglio precisare che questa non è necessaria per il suo fine ultimo: è, semplicemente, un catalizzatore della sua possessione di Ginny. Inoltre, nonostante tutto il suo bla bla sul fatto che vuole proteggerla è una sceneggiata magistralmente interpretata, tengo a precisare che la sua "fierezza" è sincera: come ha precisato, non era affatto semplice procurarsi quegli ingredienti. Basterà questo a cambiare la sua opinione su Ginny? No, ovvio che no.
Bene, e con il prossimo capitolo raggiungeremo il climax della storia e, soprattutto, la consegna prima del contest per il quale ho scritto questa storia.
Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.
Cordialmente,
D. Rose |
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Capitolo 4 *** Di rose nere e occhi verde veleno ***
Un baiser, mais à tout prendre, qu'est-ce?
Une façon d'un peu se goûter, au bord des lèvres, l'âme!
"Cyrano de Bergerac", Edmond Rostand
b Di rose nere e occhi verde veleno a
Tom…
Non dovresti essere in Sala Grande per la festa di Halloween?
È stata tutta fatica sprecata: i soldi risparmiati per comprare quel bel velluto, le ore di sonno perse per cucirlo… tutto buttato alle ortiche!
Ginny non si premurò neanche di asciugarsi le lacrime, che caddero sulle pagine ingiallite del diario.
Harry… Harry non verrà alla festa…
Gli raccontò di come aveva trascorso buona parte del pomeriggio per prepararsi, a stirare il vestito con cura affinché non avesse neanche una piegolina fuori posto e a incerarsi le scarpe affinché fossero talmente lucide da sembrare nuove; oppure di come avesse lasciato Audrey, una sua compagna di dormitorio, acconciarle i capelli e metterle un’idea di lucidalabbra. Quando era arrivato il momento di andare in Sala Grande, ecco la scoperta: Ron, Hermione e soprattutto Harry non avrebbero partecipato alla festa. Aveva usato la prima scusa che le era venuta in mente per tornare in dormitorio e rifugiarsi nel proprio letto.
Sono davvero costernato, Ginevra, dopo tutto l’impegno che hai messo in quel vestito che, ne sono certo, ti starà d’incanto.
E sono costernato di non poterti offrire altro che un po’ d’inchiostro su un foglio di carta ingiallita per consolarti e cercare di tirarti su di morale.
Ginny sorrise amaramente, tirando su con il naso.
Potrei usare la pozione per venire da te, no?
Lo so, lo so, mi avevi detto di non usarla con leggerezza, però…
Solo per questa volta, Tom…
Tom non rispose, non subito.
Va bene, ma bevine solo un sorso piccolo piccolo: te l’ho detto, che può dare dipendenza.
E non dimenticare che, una volta finito l’effetto, potresti sentirti stordita o addirittura perdere i sensi per un’ora o due.
Ma prima di berla promettimi che, se domani non ti sentissi bene, andrai in Infermeria.
Promesso.
Con una certa trepidazione, Ginny frugò fra il materasso e la rete del suo letto ed estrasse una bocchetta in cui nuotava un liquido blu pavone dai riflessi opalescenti – era solo una piccola parte della pozione, il calderone lo aveva ben nascosto in uno dei cubicoli del bagno al secondo piano. La pozione aveva un sapore amaro ma non sgradevole, un po’ come il liquore alle erbe che una volta Fred e George le avevano spacciato per una bevanda Muggle e, per i primi minuti, non accadde nulla: Ginny intinse la penna nel calamaio per scrivere che la pozione non funzionava ma, non appena le sue dita sfiorarono le pagine ingiallite del diario, fu colta da un’improvvisa vertigine. Si sentiva come una foglia in balia del vento e che volteggiava in spirali sempre più alte, tanto che chiuse gli occhi per non avere l’impressione che la stanza girasse intorno a lei. E infine, ebbe l’impressione di cadere da una considerevole altezza.
“Farà male? Morirò?” pensò mentre cadeva e l’aria attorno a lei assumeva un odore di chiuso, di pagine umide e d’inchiostro vecchio.
Due mani la afferrarono fra le ascelle e la vita, accompagnando la sua discesa fin quando non sentì qualcosa di solido sotto i piedi: fu solo allora che Ginny ebbe il coraggio di aprire gli occhi. Sapeva che il ragazzo davanti a lei era Tom, lo aveva visto nei suoi ricordi, eppure ebbe l’impressione d’incontrarlo per la prima volta: era alto, quasi quanto Bill, con i capelli neri come l’ala di un corvo e ben pettinati come quelli di Percy, l’uniforme e la tunica erano palesemente di seconda mano ma raccomodati per calzare a pennello e perfettamente stirati. Fu soprattutto il suo volto a privarla della parola, un volto dai lineamenti alteri, simili a quelli che avrebbe dovuto avere il Principe Azzurro di Biancaneve, belli come quelli di certi giovanotti sulle riviste o gli attori sulle locandine dei film Muggle. E gli occhi verdi: non un verde chiaro e limpido come gli occhi di Harry Potter, ma un colore più scuro e incerto, come alcuni muschi e licheni del sottobosco, come le alghe abbandonate dalla marea sulla riva, come lo stagno delle carpe nel giardino della zia Muriel, come la pozione per le lumache carnivore che preparava con la mamma. Ginny non sapeva dire se quel colore le piaceva, ma si sentiva attratta da quegli occhi come se fossero la stanza proibita di Barbablù.
«Ti ho chiesto se ti senti bene, Ginevra.»
La voce di Tom la riscosse da quella fascinazione – non era proprio come se l’era immaginata – e lei annuì appena, abbassando lo sguardo colta da un’improvvisa timidezza: fissò i propri piedi senza dire una parola e sentì, più che vedere, Tom inginocchiarsi davanti a lei.
«Ne sei sicura?»
Ginny non rispose, si limitò a gettarsi al suo collo e a piangere tutta la sua rabbia, la sua delusione per quella festa di Halloween rovinata: sentì Tom trattenere il respiro e irrigidirsi, e si disse che l’esitazione con cui aveva ricambiato il suo abbraccio era frutto del fatto che non incontrava qualcuno da cinquant’anni. Tom la lasciò sfogare, cullandola leggermente e accarezzandole i capelli, poi la allontanò da sé e, evocato un fazzoletto, le asciugò gli occhi.
«Basta adesso, con le lacrime non risolvi nulla e, soprattutto, ti stancano: devo forse rammentarti che sei sotto l’effetto di una pozione oscura e che non puoi permetterti di sprecare energie in questo modo?»
«Sei… arrabbiato con me?»
«No, non con te, ma con quello stupido di Harry Potter che ti ha fatto piangere.» Il suo tono era bonario, certo, ma un po’ seccato. Le prese la mano e la guidò verso il fainting couch in noce e cuoio verde, l’unico oggetto presente in quel non-luogo, e aggiunse: «Stenditi un po’ e riposati. E scusa se non ho molto da offrirti: diciamo che sono parecchi anni che non ho avuto… ospiti.»
Così dicendo, spostò le pile di libri che ingombravano il divano e la aiutò a stendersi: Tom rimase in piedi e la guardò come se stesse studiando ogni singolo dettaglio del suo volto e della sua persona, con un’intensità tale che Ginny si sentì denudata.
«Da come ti eri descritta, t’immaginavo diversa.»
Ginny si sentì avvampare per l’imbarazzo e abbassò gli occhi sul pizzo che ornava il bordo della gonna.
«Sei… deluso?»
«Sei bella come un bocciolo di rosa che aspetta solo di fiorire.» Le parole di Tom erano inattese e cariche di una sincerità straziante. Il ragazzo si chinò su di lei, appoggiandosi allo schienale e fissando gli occhi verde incerto in quelli castagna di lei. «Anzi, sei bellissima Ginevra, mio bocciolo di rosa,» aggiunse sfiorandole la fronte con le labbra tumide.
Non era la prima volta che Ginny riceveva un bacio sulla fronte, né sarebbe stata l’ultima, eppure quel semplice contatto la fece sentire strana, come se avesse nel ventre un calderone in cui sobbolliva una pozione e che il suo cuore perdesse un battito o due. Tom si allontanò un po’ e rimase chino su di lei, sovrastandola con la propria presenza.
«Non hai ancora cenato, giusto?» Un brontolio dal ventre della bambina riuscì a far sfuggire una risatina dalle sue labbra. «A quanto pare abbiamo fame, eh? Posso rimediare.»
Detto questo, il ragazzo si rizzò e l’aria intorno a loro vorticò, fino a diventare una stanza in cui degli studenti vestiti a maschera ridevano e chiacchieravano e ballavano: Tom raggiunse un tavolo e tornò con dell’arrosto, un paio di yorkshire pudding, dei sandwich al cetriolo e una fetta di torta al cioccolato. Ginny lo ringraziò con insolita timidezza e masticò un boccone di carne, storcendo appena le labbra.
«Devi mangiare, mio bocciolo di rosa, anche se non è granché: non è prudente assumere certe pozioni a stomaco vuoto,» insisté lui, forzando un sandwich nella bocca di Ginny, come faceva sua madre quando era piccola e non voleva mangiare.
«Sa un po’ di carta…» si giustificò lei, dopo aver ingoiato il boccone e aiutando il tutto a scendere con il succo di zucca che lui le aveva portato.
«Lo so e me ne spiace, ma dopo cinquant’anni non ricordo molto bene che sapore avesse il cibo.»
«Allora la prossima volta porto io da mangiare, così potrai ricordare meglio! Dimmi Tom, quali sono i tuoi piatti preferiti?»
«Io non… all’orfanotrofio mi hanno abituato a mangiare di tutto, per cui potresti portare quello che vuoi.»
Un silenzio imbarazzato calò fra loro, interrotto solo dal ricordo della musica e delle risate: Ginny strinse la gonna con i pugni, mordicchiandosi il labbro, quindi si alzò dal divano con un saltello e fece una piroetta.
«Non mi hai ancora detto se il vestito ti piace,» disse nel tentativo di cambiare argomento, mentre il velluto ricadeva attorno alle sue gambe.
Tom la osservò con occhio critico, quindi rispose: «È molto carino e quel punto di verde ti dona molto, fa risaltare il colore dei tuoi capelli, però… la gonna non è un po’ corta?»
«Corta?» Ginny la osservò corrucciata. «No, l’ho fatta sopra il ginocchio, mi sono regolata sulla lunghezza di quella dell’uniforme.»
«Perdonami, è che ai miei tempi sarebbe stata considerata sconveniente: quando ero a Hogwarts, la lunghezza regolamentare era sotto il ginocchio. I tempi devono essere proprio cambiati. Voglio comunque fare onore al tuo vestito ma non qui: vorrei offrirti un ricordo davvero speciale.»
L’aria intorno a loro tremò come se fosse un’afosa giornata d’agosto, e la stanza lasciò il posto a un gazebo di marmo e ferro battuto, circondato da null’altro che il cielo stellato e il mare. Tom la prese per mano e la condusse al centro del gazebo, quindi estrasse la bacchetta e, puntatala contro la cupola e disegnando un arco immaginario, mormorò: «Orchideus!»
Tralci di rose rampicanti si avvilupparono intorno ai pilastri e alle volute di ferro nero, riempiendosi di foglie e boccioli scuri.
Ginny ammirò quello spettacolo estasiata, il naso in su e la bocca spalancata. «Wow…» mormorò, «È bellissimo, Tom.»
«Ed è solo per te che ho creato questo luogo, Ginevra. Sai quel bouquet che ti volevo regalare per il tuo compleanno? La varietà di rose cui pensavo era proprio questa… attenta!» L’avvertimento era arrivato un istante troppo tardi perché Ginny, nel voler cogliere un bocciolo, si era punta: Tom le prese la mano delicatamente e osservò la ferita prima di pulirla con un fazzoletto. «Le rose Cherna sono splendide quando sono in fiore, ma hanno anche le spine pericolose come un rasoio: ai miei tempi, rubarne una dal roseto della scuola senza ferirsi era un modo con cui i ragazzi dichiaravano i propri sentimenti all’amata.» Poi alzò la testa e osservò la cupola. «La mia magia non è abbastanza forte da farle fiorire, a questo ci devi pensare tu, mio bocciolo di rosa.»
«Io? E come?»
«Continua a scrivermi di te, delle tue giornate, dei tuoi sentimenti e dei tuoi sogni: la magia del diario trasformerà le tue parole in nutrimento per queste rose e, piano piano, le vedremo fiorire.»
«Allora ti scriverò ancora di più, anche a pranzo e a cena, anche durante le lezioni! Immagino già come sarà splendido quando tutte queste rose saranno sbocciate!» Ginny lo guardò entusiasta, afferrandogli entrambe le mani e coinvolgendolo in un girotondo che le diede la vertigine, quindi lo tirò a sé leggermente e si protese sulla punta dei piedi. «Ti voglio bene Tom!»
Ginny aveva voluto semplicemente dargli un bacio sulla guancia, come aveva sempre fatto con Bill e Charlie, e forse Tom aveva voluto semplicemente ricambiare quella dichiarazione d’affetto: la cosa certa era che entrambi furono stupiti e sorpresi di sentire le labbra dell’uno su quelle dell’altra. Si fissarono con gli occhi sgranati e poi, lentamente, Ginny chiuse gli occhi.
In un attimo che parve distendersi nell’infinito, Ginny si chiese se fosse giusto baciare qualcuno che non fosse il suo adorato Harry Potter, se quel gesto venuto quasi per caso equivalesse a un tradimento della peggior specie. Un dubbio, un sospetto s’insinuò nella sua mente: e se in quelle ultime settimane si fosse innamorata di Tom, senza che se ne rendesse conto? Sì, doveva essere così, perché Tom era sempre premuroso nei suoi confronti, sempre disposto ad aiutarla e a sollevarle il morale, proprio come il Principe Azzurro delle fiabe: doveva essere per quel motivo che si era sentita imbarazzata quando lo aveva visto, molto più imbarazzata di quando Harry le diceva buongiorno.
Sentì lo strano brivido che provava ogni volta che baciava le pagine ingiallite del diario, solo più intenso, più travolgente, come se tutto il suo corpo fosse percorso da un’onda di marea viva. Il fremito saliva lungo la schiena e i fianchi, si annodava nel basso ventre e nella bocca dello stomaco, si accumulava nel petto facendo battere ancora più forte il suo cuore, mentre una parte di lei si chiese se anche Tom avesse lo stesso sapore di carta dei sandwich che le aveva offerto. Lo sentì irrigidirsi e trattenere il respiro, esitare su cosa fare: Ginny fu pervasa dalla paura di un rifiuto e poi si sentì sciogliere di gioia quando Tom ricambiò il gesto, inspirando un po’ più forte come se volesse inghiottire tutto l’affetto che lei gli aveva offerto da quando avevano iniziato a conoscersi, tutto l’affetto che gli stava offrendo in quel momento. Tom fece scivolare le proprie mani dalle sue per cingerle la vita e affondare le dita sottili fra i suoi capelli, stringendola a sé con la stessa forza disperata con cui un naufrago si aggrappa a un relitto.
Ginny non poté fare a meno di chiedersi che cosa avesse provato quella ragazza che sorpreso baciarsi con Percy, poco meno di due settimane prima: anche lei aveva sentito quel calore che saliva dal basso ventre alle guance? Anche lei si era sentita la testa leggera e il cuore in subbuglio? Anche lei si era ubriacata del profumo di suo fratello, proprio come l’odore di acqua di colonia e inchiostro vecchio di Tom, che la avvolgeva quasi soffocandola? Anche lei si era sentita come una rosa che, non ancora completamente sbocciata, offriva nettare e polline a un insetto meraviglioso? Anche lei aveva cercato di fondersi in lui e con lui, come se tutta la sua esistenza fosse in funzione dell’attimo che stava vivendo? Anche lei aveva anelato di più, molto di più e ancora di più da quel contatto febbricitante, necessario, indispensabile? Anche lei aveva desiderato che quell’istante si prolungasse nell’eternità, infinito?
La sua testa iniziò a turbinare come se fosse una foglia in balia del vento, la sua coscienza iniziò a scivolare in un dolce oblio mentre l’abbraccio e le labbra di Tom si perdevano nell’eco di un sogno: eppure, proprio il quel momento Ginny ebbe la certezza che alcuni boccioli, quelli più vicino a loro, avessero iniziato a schiudersi, spandendo nell’aria il loro profumo di miele e pepe che, come quello dei gigli bianchi, faceva girare la testa.
Ginny ignorava che la via d’uscita passava per le sue labbra.
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Note dell’autore
Biancaneve: non ho scelto questa fiaba a caso, perché, per citare Morohoshi Daijirou, “Biancaneve è la storia di una ragazza che muore e torna in vita tre volte, di un principe necrofilo che cerca di comprare il suo corpo, e una scena di tortura finale in cui la regina cattiva è uccisa con delle scarpe di ferro arroventate”.
Barbablù: anche in questo caso, non è un caso, anche se più che il tema della curiosità punita, bisogna considerare quello della tentazione e dell’attrazione per il proibito.
Rosa Cherna: varietà di mia invenzione – cherna significa “nero” in bulgaro – e caratterizzata da petali neri, profumo simile a quello del giglio bianco e rami crivellati di spine. La storiella sugli innamorati, Tom se l’è inventata di sana pianta.
La citazione iniziale è tratta dalla tirade de "Il bacio di Rossana" tratta dal "Cyrano" di Rostand, e che può essere tradotta con: Un bacio, in fondo, che cos'è? Un modo per un po' assaporare, a fior di labbra, l'anima!
Per quanto riguarda il colore degli occhi di Tom: io li ho sempre immaginanti verdi, per essere precisi di quella tonalità che il mio maestro di acquerello definiva glauque – inteso non come glauco, ma quella tinta borderline fra il verde e il marrone, tant'è che trovo sia uno dei colori più difficili da miscelare – e che nelle mie storie definisco verde veleno. Evito di snocciolarvi tutta la simbologia ambigua legata a questo colore.
Un’altra cosa che tengo a precisare, nonostante parlarne mi farà andare fuori traccia e che serve a dissezionare perché Ginny si mostra intraprendente, nonostante quello fosse il suo primo bacio. Non ho voluto sviluppare il tema del bacio in quanto espressione romantica dei sentimenti fra due persone di sesso opposto, piuttosto mi sono rifatta alla sua funzione arcaica di nutrimento legata alla pratica della premasticazione, che poi ha dato origine all’uso del bacio così come lo conosciamo e pratichiamo oggigiorno. Nella storia, il cibo è sostituito dalla forza vitale e dalla magia con cui Ginny, seppur inconsciamente, nutre Tom e quindi rendendo il bacio molto più efficace del semplice scrivere nel diario. Inoltre, tale contatto agevola Tom nel suo prendere possesso della volontà e del corpo di Ginny, fungendo da catalizzatore e dando il via a un effetto domino che culminerà nella Camera dei Segreti – come Tom esplicita ne “Inchiostro rosa dall’odore artificiale di fragola”, Ginny lo ha ingozzato di vita e forse sarebbe stato meglio se le cose fra loro fossero andate con più calma.
Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.
Cordialmente,
D. Rose |
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Capitolo 5 *** Di Frutta e Piume ***
b Di Frutta e Piume a
La bambina aprì lentamente gli occhi, fissando il baldacchino del letto come se lo vedesse per la prima volta. Sollevò a fatica una mano e flesse le dita, per sincerarsi d’essere capace di usarle. sedette con difficoltà, inghiottendo aria più che respirare. Era fredda, polverosa quanto bastava a pizzicare il naso, e aveva un odore di legno bruciato e profumo di scarsa qualità. Entrava attraverso la bocca, le accarezzava la gola per dissolversi nei polmoni—usciva calda, carica di umidità.
Le cuciture del vestito le davano un certo prurito in alcuni punti, e la lana delle calze era ruvida contro la pelle. Il velluto verde, invece, era morbido e soffice, piacevole sotto i palmi delle mani.
Pose i piedi per terra, ebbe una vertigine tale che dovette appoggiarsi a una colonnina di legno scolpito. Un vuoto le attanagliò lo stomaco con un brontolio crudele.
Fame.
Quando era stata l’ultima volta che aveva provato la fame?
Si guardò intorno, cercando qualcosa—qualsiasi cosa—che avrebbe potuto assopire quella sgradevole sensazione quasi dolorosa. C’era della frutta su una toletta, vicino la grande psiche al lato opposto della stanza.
Quando sentì le proprie gambe abbastanza forti da reggerla, accennò qualche passo. I primi furono incerti, traballanti, come quelli di un infante che impara a camminare, ma lentamente assunsero sicurezza e divennero decisi, lenti, come quelli di un lupo in imboscata.
Sul piatto c’era una mela sbucciata e imbrunita, due arance, e dei fichi dalla buccia violetta liscia e intatta e dal picciolo sodo. Ne prese uno, assaporando la morbidezza del frutto turgido come un sesso pronto all’amplesso. Premé con le dita, delicatamente; la fessura creatasi rivelò una polpa di un rosso intenso e carnoso, cosparsa di piccoli acheni e lucida di nettare.
Avvicinò il frutto alle labbra, fremendo le narici al suo profumo sciropposo e rassicurante. Scorse la lingua sulla polpa, lambendo l’icore zuccherino, mentre gli acheni la solleticavano. Morse il frutto socchiudendo gli occhi, godendo dell’aroma fruttato e cremoso che gli invadeva la bocca e il naso—la succosità della polpa—la croccantezza degli acheni. Masticò con languore; deglutì con un leggero mugolio di piacere. Si terse il mento e l’angolo delle labbra con il pollice—suggette il nettare dalle dita.
La bambina colse il proprio riflesso nello specchio.
Osservò la propria figura con la solennità di un giudice sul punto di pronunciare una condanna a morte.
Fece scorrere le dita umide sul viso, sulle labbra appiccicose di fico e lucidalabbra, lungo il collo, sulle clavicole esposte dallo scollo a barchetta, con la leggerezza delle foglie morte e con una sensualità che non le poteva appartenere, indugiando sui seni in boccio che a malapena riempivano i suoi piccoli palmi. Fissò lo sguardo nei propri occhi. Occhi che non erano color delle castagne, occhi che non potevano essere di Ginny, perché erano di un verde putrido, marcio, con la qualità liquida di un veleno mortifero e una luce maligna e malevola.
«Una bambina», sibilò con disprezzo e con una voce che era e non era la sua.
Non poteva indugiare oltre. Non aveva idea di quanto tempo avesse a disposizione e di certo era stato stupido ad indulgere nei propri piaceri.
Ma come avrebbe potuto fare altrimenti? Era la prima volta in cinquant’anni che era circondato da altri odori che non fossero carta e inchiostro—che sentiva il caldo e il freddo, uno spiffero che drizzava i peli sulla pelle esposta—che assaporava del cibo vero.
No, non doveva lasciarsi distrarre. Era sempre stato fiero del proprio autocontrollo, non era il momento di lasciarsi andare. Era solo stato colto di sorpresa da quelle sensazioni.
«Una bacchetta.»
Trovò subito quella della bambina, vicino al diario. La strinse, percependone la magia lambirgli la mano, riconoscendo il tocco con esitazione, come se la bacchetta avesse percepito qualcosa di alieno nella sua padrona.
«Ostentempora.»
Sulla punta della bacchetta apparve un quadrante, con le lancette che segnavano le sette e trentadue. Sbuffò, avvolgendo un mantello attorno alle spalle e nascondendo il diario nella tasca interna. Si bloccò non appena strinse la maniglia; tornò indietro e individuò la boccetta di pozione fra le pieghe della coperta. Vi puntò la bacchetta contro, focalizzando la sua attenzione sul liquido blu pavone.
«Evanesco.»
Gli infastidiva dover sprecare dell’ottima pozione, ma aveva dovuto imparare a essere prudente. Tanto che, quando il rumore delle scarpe non fu attutito più dai tappeti del dormitorio, eseguì un incantesimo di occultamento sulla propria persona. Non lo avrebbe nascosto completamente, ma fintanto che si fosse spostato d’ombra in ombra, nessuno di sarebbe accorto di lui. Scivolò fuori la Sala Comune, lo sguardo fisso sul gruppo di studenti che si passava una bottiglia davanti al camino; poi seguì un vecchio percorso di ronda che gli avrebbe evitato di perdere tempo con le scale mobili.
Per prima cosa, doveva verificare che il guardiacaccia non possedesse galli e, in caso contrario, provvedere ad eliminarli. Poi avrebbe dovuto occuparsi di Ophion: probabilmente non aveva avuto un pasto decente da quando l’altro sé stesso si era diplomato—i galli avrebbero fatto l’affare. Poi avrebbe dovuto farlo uscire dalla Camera dei Segreti, più per riabituarlo e ispezionare le tubature che per epurare la scuola.
Cinquant’anni prima non aveva avuto un piano preciso. Era stato troppo entusiasta, troppo impaziente, e solo un colpo di fortuna gli aveva permesso di gettare la colpa su Rubeus Hagrid e la sua acromantula. Questa volta, invece, sarebbe dovuto andare con calma; riflettere con attenzione prima di fare un passo e prepararsi a ogni evenienza.
Un certo fastidio gli pizzicò il naso.
Era stato un idiota a sottovalutare la Bambina. Quando le aveva parlato della pozione, non aveva pensato che ci avrebbe messo così poco per prepararla. Diamine, lui era riuscito ad aggirare gli incantesimi protettivi della Serra Sette solo al quarto anno! Forse era perché prima di quella scommessa non aveva avuto alcun interesse nella serra proibita; e probabilmente la bambina era stata più motivata di lui.
Avrebbe dovuto aspettare che lei fosse stata almeno al quarto anno per parlarle della pozione. Avrebbe dovuto sopportare le sue paturnie per qualche altro anno, accontentarsi del po’ di Magia e Vita di cui quel disgustoso inchiostro rosa acceso. No, se Tom avesse fatto le cose come voleva lui, il diario sarebbe dovuto finire nelle mani di uno studente del quarto o quinto anno.
Che diamine era venuto in mente all’altro sé stesso di affidare il diario ad una undicenne? Che fosse già senile all’età di sessantasei anni?! No, lui era troppo astuto per fare una stupidaggine del genere. La colpa era di chiunque fosse stato incaricato di custodire il diario.
Non importava, almeno per il momento.
Gli era stata offerta la possibilità di uscire dal diario e sarebbe stato stupido non sfruttarla. Per cominciare, doveva verificare che l’architettura del castello non fosse stata modificata in quegli anni; quali tra i passaggi segreti che conducevano fuori dalla scuola fossero ancora funzionali, e ce ne fossero di nuovi. Per tutto quello che non sarebbe riuscito a scoprire quella sera, avrebbe manipolato la bambina.
Le finestre della capanna del guardiacaccia emettevano un barlume dorato. Un improvviso abbagliare lo sorprese a pochi passi dal pollaio.
«Cosa c’è, Fluffy? Torna qui!»
Scoppiò quasi a ridere, nel riconoscere la sagoma e l’accento di Rubeus Hagrid. Non sapeva chi avesse avuto la geniale idea di assumerlo, né gli interessava scoprirlo. La cosa certa era che, in caso di “incidenti”, Rubeus Hagrid sarebbe stato il sospetto numero uno.
«Lumos Minimum.»
La bacchetta emise un fioco bagliore, appena sufficiente a illuminare il pollaio. Il puzzo di escrementi e paglia era disgustoso, ma sopportabile. Trovò un gallo appollaiato su un posatoio.
«Silencio.»
Lo afferrò per il collo con un movimento predatorio, forzando il becco ad aprirsi—la bambina doveva aver già acchiappato dei polli, se riusciva a trattenerlo così saldamente. Prese dalla tasca interna del mantello le forbici e, così come aveva visto fare dalla cuoca dell’orfanotrofio, le infilò nel gozzo e tranciò deciso. Un fiotto di sangue sgorgò dal becco del gallo, che si contorse sbattendo le ali, spargendo piume tutto attorno a loro. Dovette aspettare qualche minuto prima che l’animale smettesse di dibattersi. Uccise altre tre galline nello stesso modo, spennandole e raccogliendo il sangue con un incantesimo.
Controllò l’ora. Erano le otto e dodici minuti.
Tornò al castello, stizzito che i passi della bambina non fossero la sua falcata di lupo. Passò per le serre e la porta che accedeva al cortile nord, entrando dentro l’edificio attraverso una finestra piuttosto che una porta per evitare una coppietta. Dovette aspettare che Peeves si fosse allontanato prima di dirigersi verso le scale di servizio. Queste sembravano più large e più ripide di quanto ricordasse—la bambina era almeno un buon piede più bassa di lui.
Finalmente, giunse al corridoio al secondo piano.
Finalmente, era dinanzi alla porta del bagno fuori servizio.
Esitò prima di girare la maniglia. Di sicuro Moaning Myrtle era alla festa di complemorte cui la bambina s’era lamentata; eppure…non si confaceva a un ragazzo entrare nei bagni delle ragazze.
Tom dovette ricordare a sé stesso che quello non era il suo corpo; che agli occhi di un altro lui era sono una bambina di undici anni—quel corpo aveva il diritto di accedere quella porta.
Il bagno non era cambiato dall’ultima volta in cui vi era stato, solo più trascurato di quanto ricordasse. Evitò la pozzanghera davanti ai cubicoli centrali e cercò più con le dita che gli occhi lo stemma di Salazar Slytherin impresso sul rubinetto, lì dove nessuno avrebbe potuto vederlo.
«Apriti…»
L’ingresso della Camera dei Segreti lo accolse con la sua oscura umidità. Solo quando sentì lo strisciare della pietra sulla pietra e l’oscurità più totale avvolgerlo, Tom abbandonò ogni precauzione.
Facendosi luce con la bacchetta della bambina, corse attraverso i cunicoli, attento a non mancare i punti di riferimento che aveva lasciato cinquant’anni prima. La seconda porta della Camera dei Segreti apparve in fondo a un rettilineo, patinata di verderame. E dietro di essa, l’Anticamera, con le sue colonne di serpentino e la statua di Salazar Slytherin che la dominava dal fondo. Nascosta alle spalle della statua, ritrovò la porta che conduceva alla Camera vera e propria.
Ophion dormiva acciambellata su sé stessa; le scaglie di un verde intenso e brillante rilucevano alla luce delle torce. Aveva tre corni in più di quanto ricordasse. Pose i polli vicino alla testa, e prese un respiro profondo.
«Sssvegliati…» sibilò con tono deciso.
Per un attimo non successe nulla. Poi, la lingua biforcuta fece capolino fra la fenditura della bocca. Ophion tastò l’aria, sfiorando il viso della bambina, esitante.
“Sssh… Missssss…”
Tom serrò le labbra. Il basilisco aveva usato il femminile solo perché stava possedendo il corpo della bambina.
«È “padrone”, Ophion», ribatté lui.
“Sssì… Missssss…”
«Ho detto che è “padrone”!»
“Come desssideri, Missssss…” Il sibilo di Ophion suonava quasi come una risata irriguardosa, mentre il basilisco lambì i polli.
«Il corpo sssarà di una bambina, ma sssono io, l’Erede di Sssalazar Ssslytherin! Devi chiamarmi “padrone”!»
Le ossa dei polli scricchiolarono sotto le fauci di Ophion, che rispose solo dopo aver inghiottito il volatile.
“Sssicuro, Missssss.”
Se non sapesse che Ophion era molto più intelligente di quanto sembrava, le avrebbe dato dell’imbecille. Forse lo stava prendendo in giro perché era costretto a possedere il corpo di una bambina; o forse per vendicarsi di qualcosa che l’altro sé stesso le aveva detto o fatto. Oppure perché, anche lei, non aveva incontrato nessun altro per cinquant'anni. Tom alzò le braccia in un gesto stizzito.
«Ah! Non ho tempo da perdere con queste sciocchezze!» sbottò infine.
Il basilisco ridacchiò, dedicandosi al suo pasto. Tom, nel frattempo, controllò l’ora —le otto e quarantasette—e la Camera.
A giudicare dallo stato della scrivania e dalle pile di libri vicino al fainting couch di noce e cuoio, l’altro sé stesso doveva aver continuato ad usare la Camera dei Segreti fino a quando non si era diplomato. La cosa più fuori luogo era un pacco, ancora sigillato, dimenticato sulpavimento con una lettera appallottolata accanto. Un fiotto di bile amara gli invase la bocca, riconoscendo la calligrafia di Mrs. Cole che informava l’altro sé stesso che, per il compimento del suo diciottesimo anno, aveva ricevuto gli effetti personali che sua madre possedeva all'arrivo in orfanotrofio.
Perché l’altro sé stesso non aveva aperto il pacco? Per quanto potesse odiare Mrs. Cole e l’orfanotrofio, il suo contenuto era probabilmente l’unica cosa che lo legava alla sua famiglia materna.
Una leggera vertigine lo colse, obbligandolo ad appoggiarsi alla scrivania. Che l’effetto della pozione avesse già iniziato a scemare? Doveva essere la dose, in fondo aveva detto alla bambina di non berne più di un piccolo sorso. Era buono saperlo per la volta successiva. Inoltre, avrebbe dovuto insegnarle un incantesimo di conservazione: la pozione sarebbe rimasta stabile per tredici lune, se ben imbottigliata, ma era meglio fare le cose con calma e aspettare il quarto anno della bambina.
“Missssss?”
«Vieni», disse con tono di comando. Usato con la vocetta della bambina aveva un effetto ridicolo—Ophion emise un sibilo che sembrava una risatina.
Uscirono dalla Camera e raggiunsero la prima ramificazione. Quello a destra riconduceva al bagno delle ragazze, mentre gli altri due conducevano all’ala Ovest e i sotterranei.
«Quesssta volta faremo un po’ di terrore, giusssto per alimentare le paure della bambina; e non attaccheremo ssse non necessssssario. I mocciosssi dell’orfanotrofio erano cosssì terrorizzati quando sssuonava l’allarme antiaereo…», Tom istruì, con un sorriso ferino sulle labbra infantili. «E più la bambina avrà paura, più vorrà confidarsssi come me, e più facilmente io potrò possssssederla—»
“Perché sssolo possssssederla, ssse può procurarti un corpo tutto tuo?” Ophion suggerì, seria.
Sapeva a quali incantesimi Ophion si riferisse, ne aveva letto durante le sue ricerche sugli Horcrux. Per quello più semplice da eseguire, la bambina avrebbe potuto fornirgli la “carne di servo”, una volta che fosse riuscito a manipolarla per bene; quanto al sangue di nemico, era normale per un giocatore di Quidditch come Harry Potter di ferirsi durante gli allenamenti o una partita. Ma le “ossa del genitore” …
Forse tra gli effetti personali di sua madre ci poteva essere qualcosa che gli indicasse dove vivesse quello sporco Muggle—dove potesse essere sepolto. Forse, se avesse avuto quell’informazione, avrebbe potuto manipolare la bambina per recuperare l’ingrediente mancante durante le vacanze.
Non era il momento, quello. Avrebbe avuto modo di rifletterci con comodo, una volta l’effetto della pozione svanito e lui tornato dentro il diario.
Esattamente come cinquant’anni prima, le tubazioni erano sufficientemente larghe solo fino al secondo piano, poi Tom sarebbe stato costretto a usare un incantesimo di restringimento o passare per i corridoi. Tornarono verso il bagno fuori servizio con una certa fretta per separarsi. Tom sentiva il proprio controllo sui muscoli e sulle articolazioni della bambina farsi più deboli e doveva rientrare in dormitorio prima che svanisse completamente.
Stringendo la bottiglia con il sangue di pollo, Tom controllò che il corridoio fosse deserto. Quindi con un movimento meno preciso ed elegante del solito, schizzò il sangue sul muro formando una scritta.
LA CAMERA DEI SEGRETI È STATA APERTA
TEMETE, NEMICI DELL'EREDE
Sarebbe bastato a diffondere terrore e incertezza nel castello? Forse, o forse no.
Un soffio felino lo colse di sorpresa. Un gatto grigio e arruffato lo fissava con occhi gialli e cattivi. Doveva essere Mrs. Norris, la gatta del custode. Se doveva dar fede ai racconti della bambina, la gatta avrebbe chiamato il suo padrone—anche se fosse riuscito a sfuggirli in quel momento, il dannato felino avrebbe potuto riconoscere la bambina come l’autrice della scritta. Chiuse gli occhi.
«Ophion, uccidila! —NO!»
La gatta rimase rigida, come pietrificata, lo sguardo fisso su Tom—sul riflesso della finestra alle sue spalle. Pietrificata, come le prime vittime di cinquant’anni prima.
Non era il momento di chiedersi che cosa gli fosse preso, del perché aveva dato quel contrordine. Con un movimento goffo e impreciso, fece levitare la gatta pietrificata fino a una torcia ed evocò delle corde per legarla.
Corse il più velocemente verso la Torre Gryffindor, cercando di non inciampare. Biascicò col fiatone la parola d’ordine—la bambina gliel’aveva rivelata, nel caso in cui lei l’avesse scordata. Gli studenti con la bottiglia erano ancora davanti al camino, ma le loro risate erano brille e non o notarono. Arrancò su per le scale, aggrappandosi con tutta la sua forza di volontà al corpo della bambina.
Tutto attorno a lui vorticò; le membra si fecero sempre più insensibili.
Stramazzò sulla soglia. Il colpo alla fronte lo stordì ancora di più—il dolore non era più che un’eco lontana. Digrignò i denti, strisciando verso il letto—aggrappandosi alle tende del baldacchino.
E poi il buio, odorante di carta e inchiostro vecchio.
{
Note dell’autore
E siamo finalmente giunti alla fine: avrei preferito andare più avanti nel tempo, descrivere il resto dell'anno scolastico, ma sarei andata decisamente fuori traccia, quindi ho preferito fermarmi alla prima volta che Tom prende possesso di Ginny per aprire la Camera dei Segreti. Tuttavia, non escludo la possibilità di continuare la storia una volta che i giudizi del contest siano pubblicati, ma è da vedersi: ho anche fin troppe long/serie per le mani in questo momento - io e la mia fissa di allungare e riscrivere XXDDD - E onestamente trovo più interessante come progetto da sviluppare "Verde Veleno", in cui parto dal What if "E se Harry fosse arrivato nella Camera dei Segreti 5 o 10 minuti più tardi?". Sì, la prospettiva di un Tom Riddle, giovine dalla mentalità da anni '40, che si trova confrontato con la società odierna mi stuzzica parecchio e mi permette di crogiolarmi nel mio OTP e di dare spazio anche ad altri crack pairing.
15 Dicembre 2021
Per procrastinare le correzioni del mio romanzo originale Mi mancava il mio Tom e di scrivere di lui, per cui ho deciso di riprendere in mano questa fanfiction e portarla avanti almeno fino alla fine canonica de La Camera dei Segreti. Chissà, forse la colpa è dell'anno di emme che ho passato che mi spinge a sfogare il mio Lato Oscuro (con biscotti senza glutine e senza zucchero). La cosa buffa è che mi sono venute in mente delle idee niente male, cose che Diary!Tom scoprirà ma che resteranno ignote a Zio Voldie e che riguardano la loro famiglia: dico solo che ho già buttato un occhio alla Rivolta Olandese, che ho fatto dei calcoli, e che la linea maschile di Salazar Slytherin non è proprio estinta estinta. tutta robetta che incrocerò con "House of Riddles", la What If in cui Mary Riddle non caccia a calci in culo Merope per ragioni che non spoilero, ma che non sono la sua magnanima mansuetudine (non ho neanche deciso se, alla fin della fiera, Merope crepa o meno).
Cercherò di attenermi al romanzo il più possibile, ma non nego che delle licenze letterarie possano rivelarsi necessarie. E chissà, forse è la volta buona che poi metto mano a "Renaissance", altro What If che ho nel cassetto da anni ormai.
Grazie a chi leggerà queste righe e a chi lascerà un commento.
Cordialmente,
D. Rose
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Capitolo 6 *** Di Sensi di Colpa ***
b Di Sensi di Colpa a
Un dolore pulsante attanagliò la testa di Ginny; e il dormitorio le girava intorno fino a darle la nausea. I conati la colsero, spremendo il contenuto dallo stomaco—bile, succhi gastrici, e i rimasugli parzialmente digeriti di un fico. Cercò di ricordare quando lo avesse mangiato, ma una nuova fitta di emicrania la assalì, accompagnata dal panico alla vista del vestito sporco di sangue e piume.
Aggrappandosi alle tende del baldacchino, Ginny si issò sul letto e avvicinò penna e diario con dita troppo deboli. Non riuscì a scrivere nulla, solo a lasciare una macchia di inchiostro rosa, tanto acceso da ferirle gli occhi anche alla tenue luce che avvolgeva il dormitorio.
Che cos’è successo?! Perché sei sparita all’improvviso?! Perché ti fai viva solo adesso?! Saranno due ore che aspetto che tu mi risponda! Hai idea di quanto mi sia preoccupato?!
Scusa
Non so
Che
Cosa
È
Successo
L’odore artificiale di fragola dell’inchiostro la faceva stare peggio, ma non sapeva se aveva la forza di prendere una boccetta di inchiostro normale.
Stai bene?
La tua calligrafia è strana…
Mi gira
forte
La testa
E
Ho
vomitato
C’è
Sangue
Si sfiorò la fronte, e trasalì tastando un bernoccolo.
Forse
Sono
Caduta
Dal
Letto
Forse hai bevuto più pozione del dovuto
La frase di Tom suonava stranamente accusatoria.
Ginny aggrottò la fronte, ma anche quel semplice gesto le diede delle fitte. Era certa di aver bevuto solo un piccolo sorso, proprio come Tom si era raccomandato; la fiala doveva essere quasi piena…
La cercò con le mani—non voleva farsi luce con la bacchetta, non voleva che il mal di testa peggiorasse. La trovò fra le pieghe della coperta e, con suo grande orrore, vuota.
“Forse l’ho chiusa male e si è versata…”
Ma la coperta era asciutta, e il tessuto bordeaux non aveva macchie; così come non ne avevano le lenzuola sotto.
Merlino!
L’ho bevuta tutta!
Eppure
Ricordavo di
Aver bevuto
Solo un sorso
C’è sorso e sorso, Ginevra.
Era un sorso piccolo!
Lo giuro!!!
Come hai potuto berla tutta d’un fiato?!
Non volevo
Davvero!
Ti avevo avvertito che quella è una pozione che può dare dipendenza!
Come hai potuto essere così
SBADATA?!
Ti credevo molto più intelligente e accorta!
Santissimi numi, c’è del laudano lì dentro!
Dell’ovolo malefico! Dell’ergot!
Devo elencarti di nuovo TUTTI gli ingredienti?!
Le parole di Tom furono sostituite da un testo stampato—il nome dell’ingrediente o della pianta, con il grado di pericolosità, gli usi e gli effetti collaterali, quali fossero le dosi sicure e quali fossero mortali—quali sostanze ne avrebbero aumentato l’effetto. Tom fece pure apparire una miniatura medievale di un uomo che si contorceva, mentre delle fiammelle gli bruciavano braccia e gambe, che regolarmente cadevano come monconi carbonizzati.
Perdonami
Scrisse Ginny fra i singhiozzi, lasciando le lacrime cadere sulle pagine ingiallite.
Perdonami
Tom non rispose subito
Smettila di piagnucolare e vattene a dormire.
Sono troppo arrabbiato per parlare con te.
* * *
Fu una notte strana, quella, popolata da incubi pieni di sangue, piume, e occhi gialli e cattivi velati da palpebre traslucide; di cunicoli stretti umidi e bui; di stanze alte come cattedrali le cui mura parevano sul punto di crollare su di lei. E una voce femminile, sibilante e inumana che rideva di lei. In quegli incubi, delle fiamme crudeli le bruciavano le dita delle mani e dei piedi, piano piano consumando la carne mentre salivano lungo le braccia e le gambe.
A un certo momento si sentì leggera, come se fluttuasse, anche se ancora calda. Qualcosa di delicato e confortevole la avvolse—aveva un odore familiare e piacevole, eppure non la fece stare meglio.
Quando finalmente riaprì gli occhi, non era nel suo letto e aveva una pezzuola bagnata e dal leggero odore di aceto sulla fronte. Le ci volle un po’ per riconoscere l’infermeria, e Percy che studiava seduto accanto a lei. Suo fratello si aggiustò gli occhiali sul naso, lasciando uno sbaffo di inchiostro bruno sullo zigomo.
“Ehi,” le disse con voce sommessa.
Percy mise la pergamena da parte e aiutò Ginny a sedersi, porgendole un bicchiere d’acqua.
Ginny scoppiò in singhiozzi.
Era stata scoperta e presto avrebbe ricevuto una strillettera di Mamma. Aveva fatto una stupidaggine dieci volte più grave di qualunque scherzo Fred e George avessero mai fatti in vita loro. E quel che era peggio, Tom, il suo unico amico, era arrabbiato con lei.
“È solo una brutta influenza. Ci saranno altre feste…” disse Percy, fraintendendo le sue lacrime.
Ginny boccheggiò. Parte di lei era sollevata che Percy non sapesse della pozione, ma non cambiava il fatto che Tom fosse arrabbiato.
Una Ravenclaw lo chiamò, picchiettando il dito contro il polso. Percy arruffò i capelli di Ginny, raccolse le sue cose e si alzò.
“Adesso ho una riunione con i Prefetti, ma torno appena posso. Ah, e quelle cioccorane sono dei gemelli.” Fece un cenno al comodino. “Pensaci due volte prima di mangiarle.”
Ginny ebbe appena la forza di fare un cenno col capo e tirare su col naso. Ma appena rimase sola, affondò il viso nel cuscino e riprese a piangere.
Tom aveva ragione ad essere arrabbiato con lei. Aveva bevuto troppa pozione e non aveva mantenuto la promessa di fare molta, molta attenzione! Non si era fatta sentire per due ore, lo aveva fatto preoccupare tantissimo. La testa le girò ancora più forte quando cercò di ricordare quello che era successo, ma non sapeva cosa fosse vero e cosa fosse un sogno.
Già, doveva essere stato un brutto sogno, quello in cui appendeva Mrs.khu Norris per la cosa. Doveva essere stato un brutto sogno, quello in cui scriveva qualcosa di brutto sul muro. Doveva essere stato un brutto sogno, quello in cui si intrufolava in dei cunicoli bui e umidi, con una voce che le sibilava nelle orecchie. Doveva essere stato un sogno, quello in cui qualcosa scricchiolava e masticava. Doveva essere un sogno, quello in cui ficcava delle forbici appuntite nel gozzo di un pollo, con il sangue caldo che schizzava dappertutto. Doveva essere stato un sogno, quello in cui baciava Tom—
No, quello non era stato un sogno. Ginny ne era sicura.
Aveva davvero baciato Tom.
Tom doveva essersi arrabbiato anche per quello! Il bacio doveva averlo offeso! Per la barba di Merlino, Ginny non voleva che lui pensasse male di lei! Mamma le diceva sempre di tenersi lontana dai ragazzi, se non voleva diventare come Mrs. Zabini! Ma non lo aveva fatto apposta, davvero! Aveva voluto solo dargli un bacio sulla guancia!
Affondò il viso nel cuscino, singhiozzando.
Tom doveva pensare che lei era come Mrs. Zabini, era anche per questo che era tanto arrabbiato.
Ginny non avrebbe potuto dargli torto, in fondo.
Fin dal primo giorno, lei gli aveva raccontato di quanto fosse innamorata di Harry Potter, che un giorno si sarebbero sposati e sarebbero vissuti felici e contenti. Gli aveva raccontato di come si immaginava la prima volta che si sarebbero tenuti la mano, o volato su una scopa insieme—del loro primo bacio.
Davvero, Ginny doveva essere come, se non peggio, di Mrs. Zabini per aver dato il suo primo bacio a un altro ragazzo, anche se non lo aveva fatto apposta!
“Ehi, hai male da qualche parte?”
Tirando su col naso, Ginny girò un po’ la testa, incrociando lo sguardo preoccupato di Madam Pomfrey. Scosse la testa.
“Il-il-il mio amico mi odia…” piagnuccolò.
L’infermiera sospirò, puntando i pugni sulle anche.
“Lo pensi perché non sei andata con lei alla festa di Halloween? Un’amica capisce che non lo hai fatto apposta ad ammalarti.” Le porse un bicchiere colmo di una pozione profumata di zenzero. “Bevi questo e, una volta che la febbre è passata, va’ dalla tua amica: se le parli con il cuore in mano, sono certa che farete pace.”
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