21 ottobre 1997

di Obsydian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Miranda ***
Capitolo 2: *** Dubbi ***
Capitolo 3: *** Colin ***
Capitolo 4: *** Rivelazioni ***
Capitolo 5: *** David ***
Capitolo 6: *** Comprensione ***



Capitolo 1
*** Miranda ***


Quella sera sarebbe accaduto qualcosa, qualcosa che avrebbe sconvolto la sua vita, Miranda lo sentiva nel profondo del suo essere. Chiusa nella sua camera, le luci spente, rifletteva pacatamente sul senso della sua vita, sulla sua fragilità, mentre fuori imperversava un violento temporale. Con gli occhi lucidi Miranda guardava le luci della strada che filtravano debolmente, intermittenti, tra le stecche delle persiane.

La situazione era così semplice, eppure così maledettamente irrisolvibile… era semplicemente troppo, troppo per essere affrontato. Così si sedette sul letto, con lo sguardo vitreo, e languidamente scivolò nel delirio del sogno. O almeno, quello che sembrava essere tale.

Il sogno sulle prime sembrava confuso,  come generato da una mente folle in preda a frenetiche allucinazioni. Miranda avanzava sotto la pioggia, in uno squallido vicolo sconosciuto della città in cui da sempre viveva. Avanzava in uno stato di disperazione tale da rasentare la follia, incespicando e cadendo nelle pozze scure, fino a perdere del tutto conoscenza.

Il mattino seguente la ragazza si risvegliò nel suo letto, ma comprese subito che qualcosa non andava, un qualche elemento di anormalità che le causava un enorme disagio. Aprì gli occhi e scoprì con turbamento di essersi coricata vestita, i suoi vestiti erano fradici, come se fosse uscita sotto la pioggia battente. Ma lei ricordava di essersi addormentata come al solito, la sera precedente, e di avere fatto un sogno molto angosciante, che era ben lieta di non ricordare..
Il resto della giornata trascorse tranquillamente, anche se questo senso di inquietudine non la abbandonava mai e man mano che la sera si avvicinava non faceva che aumentare questo senso di oppressione. Aveva la sgradevole sensazione che quella notte avrebbe sognato di nuovo e aveva paura. Così, dopo avere cenato, cercò di rilassarsi sul divano del suo salotto, ancora una volta riflettendo sulla sua vita. Dopo la morte dei suoi genitori era cambiato tutto, doveva gestire da sola la casa ed essere disoccupata di sicuro non semplificava le cose. Il crollo nervoso che aveva seguito il terribile incidente che aveva coinvolto e ucciso i suoi genitori l’aveva portata ad uno stato depressivo terribile, odiava le persone che la circondavano, odiava tutto e tutti, aveva paura di tutti e di se stessa in particolar modo.

Da quel maledetto giorno aveva iniziato ad avere visioni che la esasperavano, allucinazioni di angeli e demoni che la portavano a credere di essere del tutto impazzita, lei che non aveva e non avrebbe mai creduto né agli uni né agli altri, né a Dio né al diavolo, trovava queste visioni assurde, ridicole, grottesche. Nella sua vita aveva sempre cercato di perseguire il bene, questo era l’insegnamento che le era stato impartito, ma ora, ora sentiva di non avere più niente se non l’ausilio di psicofarmaci e alcool, sempre più spesso uniti a droghe. In fondo era quello che andava cercando, la distruzione, l’annientamento di se stessa e in sé del Bene e del Male, che entrambi sapeva di possedere in egual misura. Solo le sue scelte, solo la sua coscienza avrebbe fatto prevalere l’uno o l’altro, anche se questa lotta, eternamente riproposta, non faceva che annoiarla, nel suo perenne stato di semiincoscienza autoindotta.
Involontariamente,  immersa in questi pensieri, in parte aiutata dall’effetto dell’alcool, cadde in un sonno profondo.

“Devi prendere una decisione, devi seguire il tuo istinto e lasciarti andare alle sensazioni, ai desideri..”. Seguendo questa voce la ragazza si immerse nella profonda oscurità di un quartiere che non conosceva, in stato confusionale, senza più neanche la coscienza della propria identità.
Era sera, ma non ancora del tutto buio. Gli ultimi raggi di un sole impallidito filtravano debolmente attraverso una fitta coltre di nebbia grigiastra, soffocante ma con un’aura di mistero quasi attraente. Lentamente avanzò nella direzione da cui sentiva provenire le voci che gridavano, in impeti di rabbia. Un circo, con i suoi bizzarri personaggi, si parava alla sua vista, un circo piuttosto decadente, immerso in questa semioscurità, nella luce incerta del crepuscolo.
“La vita, questa è la vita, è odio, stranezze, deformità, pazzia. La vita. E’ l’odio”.

Questa voce continuava ad echeggiarle nella testa, ancora ed ancora, la faceva impazzire. Continuava a scuotersi e dondolarsi, inerme, come in preda alle convulsioni, non riusciva a capire, a comprendere, non voleva capire. Non doveva farlo. Lasciarsi andare all’irrazionale, all’istinto, questo doveva fare. Una sottile pioggia aveva iniziato a cadere, debole e insistente. La ragazza iniziò a cullarsi dolcemente, mentre avanzava verso quelle strane e inquietanti presenze, del tutto incuranti della sua intrusiva persona, che aveva iniziato con un filo di voce a mormorare una filastrocca, forse una canzone popolare di cui, in quel momento, non era in grado di capire neanche le parole. La sua flebile voce si alzava e abbassava, come in un attacco di isteria, mentre in questo scenario quasi surreale si sentivano in lontananza i rintocchi di una campana.

All’improvviso, fragorosa e cristallina, scoppiò la risata di una giovane ragazza. No, questo non doveva succedere, non ora, questa ragazza non aveva il diritto di essere felice, non glielo avrebbe permesso, stava ridendo di lei e questo non doveva accadere. Avrebbe posto fine a questa risata. oh sì, questa risata così innocente e pura. No, in questo mondo non c’è posto per la purezza, andava eliminata, distrutta stroncata sul nascere, com’era giusto che fosse. Era questa la cosa da fare, sì, era questa. Lentamente, inesorabilmente, avanzò verso il suono che tanto la turbava e le si parò davanti l’immagine di una ragazza molto giovane, vestita da ballerina, con i lunghi capelli castani sciolti sulle spalle. I suoi occhi esprimevano una gioia primordiale, semplice e profonda, e un lieve stupore per l’improvvisa apparizione di un’estranea. E così, fulmineo, un lampo di terrore balenò nei suoi occhi, la paura si palesò nei suoi occhi nel vedere di fronte a sé il ritratto della follia.

“Non devi avere paura, è giusto così, lo sai anche tu..” sussurrava dolcemente all’orecchio della vittima, mentre con un nastro di raso nero le toglieva l’unica cosa per cui la ragazza sapere gioire in ogni istante. Ora era stata compiuta giustizia, la quiete era tornata e così il piacevole senso di oppressione che la circondava e che, ormai, aveva imparato ad amare.



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Nda. Ed eccomi a pubblicare la mia prima fanfiction... grazie (o per colpa?) di alcune persone che mi hanno suggerito caldamente di provare... e dopo anni di totale assenza dalla scrittura per giunta! Non me ne abbiate se il tutto sarà risultato illeggibile, pesante, insensato, le critiche e i suggerimenti sono più che bene accetti... che aggiungere.. buona lettura e spero che vi possa piacere almeno un po'!

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Capitolo 2
*** Dubbi ***


Quando si risvegliò, al mattino seguente, scoprì di essersi addormentata ancora una volta nella sala, sul divano, ancora una volta vestita. Ma tanto ormai che importava, ormai c’era davvero ancora qualcosa per cui le importasse di vivere, per cui ne valesse la pena, per cui le abitudini rassicuranti di un tempo avessero ancora un senso? Il giorno era un inferno, la notte consisteva in incubi strazianti, popolati da assassini, figure demoniache, era peggio di qualsiasi cosa si potesse immaginare.

Decise che comunque era suo dovere fare almeno un tentativo per cambiare questo stato di cose alla deriva, un ultimo tentativo in rispetto della memoria dei suoi genitori. Avrebbe tentato una terapia, magari uno psicanalista avrebbe trovato la chiave per restituirle un senso alla sua vita ormai distrutta. O magari no. Ma doveva almeno provarci.

Si vestì, svogliatamente, nella ferma decisione di cercare aiuto, in qualche modo, e uscì di casa. Sulla prima pagina dei giornali locali si leggeva di un terribile ed efferato omicidio avvenuto la sera precedente, al Circo che si trovava in città proprio in quei giorni. Miranda era affascinata dagli omicidi, ma l’idea che ci fosse un assassino a piede libero nei paraggi la fece rabbrividire.

Durante il tragitto per recarsi all’Ufficio a cui fare richiesta per una seduta di psicanalisi non fece che pensare a questo omicidio, a come potesse essere accaduto. E riusciva ad immaginare dei dettagli molto particolari, troppo particolari, pur senza aver letto l’intero articolo sul giornale. Si mise d’istinto una mano nella sdrucita tasca dei jeans e vi trovò un oggetto. Un nastro. Un nastro di raso nero. Un sorriso, fugace e luminoso, si stampò involontariamente sul volto stupito, mentre si domandava cosa ci facesse quel nastro nella tasca dei suoi pantaloni.

E, nella sua fervida e distorta immaginazione, aveva supposto che l’assassino avesse ucciso la vittima proprio con un nastro scuro, come quello.. beh, ormai era giunta a destinazione, doveva smetterla di fantasticare e tornare alla realtà, anche se la cosa non la rassicurava per niente.
Tuttavia pensare a quell’omicidio le dava un brivido che non provava più da tempo, una sensazione che era un insieme di angoscia e curiosità, quel brivido che le aveva fatto tanto amare la vita.

“Vendetta, l’amore è vendetta, la vita è odio”, echeggiava nella sua mente. Ancora una volta sorrise, nella sua indotta innocenza.

Fu fortunata, le fu dato appuntamento per quella sera stessa alle diciassette, un’altra paziente aveva disdetto la seduta  e si era liberato un posto… magari la matassa di quelle emozioni confusa avrebbe trovato un inizio di soluzione… Miranda non sapeva che si stava lentamente alla comprensione che l’avrebbe condotta alla distruzione.

Quella sera la dottoressa le chiese di descrivere i sogni che tanto la turbavano e poi raccontare tutto dall’inizio, da dove pensava avessero avuto origine i suoi problemi. Lo studio era piccolo e in penombra, una lampada illuminava fiocamente la scrivania, mentre i raggi del tramonto filtravano dalla finestra, inondando la stanza di una luce rosso cupo… l’atmosfera era quasi claustrofobica, ma in un certo modo quasi rassicurante.. sensazioni contrastanti venivano scatenate nella mente sconvolta di Miranda, man mano che proseguiva a raccontare quanto le era stato chiesto, ma aveva capito subito che con questo i problemi non si sarebbero in alcun modo risolti. No, c’era qualcosa di molto più profondo, lo sentiva, anche se aveva la sensazione che quello che provava non fosse che la punta di un iceberg.

“Nella sua vita c’è stato un qualche evento traumatico, oltre la recente perdita dei genitori?”

“Sì. Quando avevo diciannove anni mio fratello maggiore si è suicidato. E’ stato un momento terribile e non si è mai capito perché lo abbia fatto. E, poche settimane prima, il mio ragazzo era scomparso nel nulla…”

Ecco, ora forse era sulla pista giusta… allora, prima della morte di David, era così felice.. non aveva mai più ritrovato quell’equilibrio, quella gioia, e da allora aveva iniziato ad odiare tutti, e con particolare odio tutti coloro che vedeva felici, sereni, con una vita normale. Inconsciamente strinse tra le dita il nastro nero che teneva in tasca. Qualcosa iniziava a riaffiorare alla mente debolmente scossa della ragazza..

“Negli ultimi dieci anni nella nostra tranquilla cittadina si sono verificati diversi omicidi inspiegabili, forse provocati dalla stessa mano. Si  parlerebbe quindi di un serial killer, ipotesi avallata dal fatto che ogni anno, lo stesso giorno, viene strangolata una persona, apparentemente senza movente alcuno..”. L’annuncio del telegiornale locale riscosse Miranda dalla sua riflessione, colpita come da una scossa elettrica da quelle parole. Un flash le abbagliò la mente. Suo fratello stava urlando contro di lei, le gridava che avrebbe pagato per quello che aveva fatto, avrebbe pagato caro per il dolore che aveva generato.. ma cosa aveva fatto? Non aveva alcun ricordo di questo episodio. Di quel periodo, del prima, ricordava solo la felicità del suo splendido rapporto con Simon, un amore così puro come non credeva potesse esistere nella realtà. E poi la sua scomparsa, improvvisa e mai accettata.. scomparsa? Qualcosa nel suo cuore le diceva che non era andata proprio così. Un’emozione improvvisa, un tuffo al cuore, lei sapeva che qualcosa era nascosto sotto la superficie increspata della sua memoria, qualcosa di immenso e spaventoso. Ma non le importava, o forse aveva troppa paura e non voleva sapere, non voleva che quel mostro che sentiva ogni tanto emergere dalla sua coscienza si palesasse in tutto il suo orrore.

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Capitolo 3
*** Colin ***


Si sedette sul divano e riaccese la televisione. Il telegiornale era finito e ora stavano trasmettendo un programma per bambini. Suonò il campanello… infastidita da quell’intrusione si trascinò fino alla porta. L’intruso in questione era Colin, il suo migliore amico, che era passato a salutarla. Ah già, stava per partire per la Francia per una ricerca di lavoro, Miranda nel turbine della sua mente perennemente offuscata aveva scordato anche quello. Anche David era appena tornato dalla Francia quando Simon…

“Non avresti dovuto, non avresti mai dovuto…”

“Ma io non lo sapevo, te lo giuro, come potevo sapere… no!!! David lascialo!!!”

Le sembrava di impazzire, di essere in un sogno in cui le cose stavano degenerando, era qualcosa di reale ma che non avrebbe mai dovuto – o voluto? –ricordare. Non aveva più per anni pensato a questa tragedia e ora… ora sarebbe tutto finito, per sempre, così sarebbe dovuta andare. All’improvviso comprese.. non ci sarebbe stata un’altra seduta, avrebbe semplicemente ricordato, avrebbe capito, si era ormai innescato un effetto domino di ricordi nella sua mente confusa. Ma sarebbe stato troppo per lei. Sarebbe stato troppo per chiunque.

“Miranda? Non mi fai entrare?”. La voce dolce e preoccupata di Colin la scosse dalla sua trance.

“Scusa, ma certo che puoi entrare!”.

L’espressione assente dell’amica insospettì Colin. Nei suoi occhi vitrei aveva letto qualcosa che lo aveva fatto sussultare, quasi spaventare… era davvero Miranda quella ragazza che aveva davanti? Era di nuovo caduta in quella maledetta trappola di alcool e droghe? No, questo non lo avrebbe permesso di nuovo, era arrivato il momento di indagare e tirarla fuori da quell’inferno che si era costruita.

Colin era gay e Miranda lo aveva sempre saputo. Non che la cosa per lei fosse mai stato un problema, lo considerava come un fratello a cui voleva un bene dell’anima, soprattutto dopo la morte di David si era attaccata a lui in modo quasi morboso, era l’ultima persona che le rimaneva. Qualcosa la spinse a fargli una domanda del tutto inaspettata, che mai avrebbe pensato di chiedere all’amico, ma le parole le salirono inconsciamente con un tremito alle labbra. E, in verità, non seppe mai cosa la spinse a farla, quale parte della sua mente stesse lentamente riportando alla luce il passato.

“Colin, tu hai mai… avuto una storia con David?”, chiese a bruciapelo. Le sue parole erano incerte, pronunciate con timore.

Il viso di Colin avvampò, i suoi occhi castani divennero enormi, la sua espressione tradiva un imbarazzo immenso. D’altra parte Miranda aveva sempre sospettato che suo fratello avesse certe tendenze e Colin lo sapeva, così come sapeva che per lei questo non faceva alcuna differenza. Fino ad un certo punto, almeno.

“Beh, Miranda, con questa domanda mi hai veramente messo con le spalle al muro” sorrise timidamente “Ma… perché me lo chiedi? Voglio dire, perché me lo chiedi.. adesso?” Sempre più imbarazzato e col volto in fiamme guardava negli occhi indagatori dell’amica… c’era qualcosa nella sua espressione che non aveva mai visto prima, una sorta di febbrile lucidità che gli incuteva quasi paura. E voleva una risposta, glielo leggeva nello sguardo, una risposta che le serviva.

“Insomma… sì, per un breve periodo.. io e lui…”

“Sì ok, ok ho capito, ti prego scusami, non volevo metterti in imbarazzo” rispose l’amica, come risvegliandosi e tornando alla realtà lo guardò con i soliti occhi dolci e comprensivi di sempre “è solo che… è come se con questa conferma le cose iniziassero un po’ a schiarirsi.. non so come, ma… “.

Colin la abbracciò e si misero sul divano, l’atmosfera si era nuovamente distesa, le luci soffuse e le candele che la ragazza aveva acceso nel tentativo di ritrovare un po’ di serenità e calma stavano sortendo il loro effetto. Il calore della luce tremolante delle candele e i colori caldi della stanza avevano un che di magico, quasi, e i due amici rimasero in silenzio abbracciati per un po’, come se quella confessione li avesse uniti ancora di più. Poi una sigaretta, due chiacchiere sul viaggio che Colin stava per intraprendere e i due si congedarono. Quella sarebbe stata la loro ultima conversazione.

Decise di uscire di casa, fare una passeggiata. I pensieri erano sempre più confusi , era di nuovo il tramonto, il momento della giornata che più le metteva tristezza, coi suoi colori decisi e cupi, gli ultimi bagliori che si riflettevano prima di scomparire in orizzonti di oscurità. Scese verso il fiume, immersa nella nebbia fitta, neanche si accorse delle lacrime che avevano iniziato a scorrere rigandole le guance con tracce scure di mascara. Gli occhi chiari risaltavano con una luce cupa illuminati da quelle lacrime. Gli oscuri richiami degli animali che abitavano in quel luogo solitario, disturbati dalla sua estranea presenza, iniziavano a riecheggiare intorno.

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Capitolo 4
*** Rivelazioni ***


Giunta alla riva, accanto ad un vecchio ponte di legno ormai poco sicuro, con le travi parzialmente distrutte dall’inclemente azione del tempo, si sedette sull’erba fredda e umida, guardando le acque che scorrevano lente e limpide verso il mare. Il suo sguardo si avventurò fino al ponte e, improvvisamente, un altro flash le squarciò la mente.

Simon giaceva in quello stesso punto, esanime. Lei piangeva, sentiva un’angoscia indescrivibile, stava per esploderle qualcosa nell’anima, mentre accanto a lei suo fratello rideva, rideva come solo un uomo che ha completamente perso il senno può fare. E i suoi occhi… Dio i suoi occhi, era suo fratello quello? Miranda in quell’istante aveva provato un odio che non pensava fosse possibile provare e aveva giurato vendetta, urlandogli contro e piangendo con la disperazione di un’allucinazione.

Si svegliò, di soprassalto, col sapore delle lacrime sulle labbra. Ancora una volta uno di quegli incubi terribili, così estremamente dettagliato..

Giaceva sull’erba, ma ora la nebbia era così fitta che le risultava impossibile vedere ad un metro di distanza. Era buio, non c’era modo di attraversare il parco senza perdersi. La casa di Simon era invece molto vicina a quella zona della città, nessuno l’aveva mai comprata perché il quartiere era degradato, a ragione considerato pericoloso per la presenza di spacciatori e altri personaggi poco raccomandabili. Miranda aveva ancora le chiavi di quell’appartamento, non se  n’era mai voluta separare, una sorta di feticismo forse, di attaccamento morboso verso un passato così terribilmente amaro.. Aveva dietro il suo diario anche, su cui era solita annotare le proprie impressioni, le esperienze, i sogni e tutto quello che faceva parte della sua vita, un modo pratico per tentare di restare aggrappata alla realtà per quella parte di lei che ancora lo voleva. Sarebbe entrata in quella casa e avrebbe scritto.

Avanzò decisa per quella strada che tante volte aveva percorso insieme all’unico ragazzo che avesse mai amato, raggiunse il portone, che si aprì con un cigolio sinistro sotto la sua spinta, salì le scale ed entrò nell’appartamento. Simon era solo al mondo, quando scomparve il suo appartamento fu dimenticato lì, esattamente com’era stato lasciato dal giorno in cui non vi aveva più fatto ritorno. Miranda fu scossa da un brivido, si sedette sul pavimento polveroso e, tra le lacrime, iniziò a scrivere. Doveva farlo.
 
 
23 ottobre 1997
 
Ora so. Ora ricordo tutto, ricordo esattamente l’incubo di quelle due settimane e la tragica fine che le seguì. Non so dove troverò la forza per scrivere quanto successe, ma lo devo fare, tutto questo orrore deve essere tirato fuori.

Era il 12 ottobre di dieci anni fa, io avevo deciso di far conoscere Simon alla mia famiglia, ormai erano otto mesi che ci frequentavamo ed eravamo così innamorati.. David in quel periodo aveva iniziato a dare segni di squilibrio psichico, era sempre più spesso chiuso in se stesso, sempre più spesso ubriaco, fumava in continuazione e iniziavo a sospettare che ad aiutare questo scompenso che sempre più evidentemente si palesava nel suo comportamento avessero una componente non indifferente anche delle droghe. Mio fratello era sempre stato un ragazzo così sensibile, così vulnerabile, una preda così facile per quelle tentazioni distruttive..

Quando entrammo in casa David ci venne incontro con passo insicuro, la vista quasi annebbiata nei suoi profondi occhi verdi. Sembrava emozionato all’idea di conoscere il mio ragazzo di cui tanto aveva sentito parlare nelle mie confessioni fraterne, ma quando vide Simon improvvisamente impallidì, il fiato gli si mozzò in gola e si bloccò sul posto come paralizzato. Negli occhi di Simon vidi riflessa la stessa angoscia, lo stesso sbigottimento fulmineo, ma non capii cosa potesse essere successo, immaginai fosse per una sorta di imbarazzo nei miei confronti e non diedi peso alla cosa. Che ingenua! Mai avrei pensato fossi stata sì io la causa di tanto sbalordimento, ma non per il motivo che supponevo.

Decisi di lasciarli un po’ da soli, dopo che avessi presentato Simon anche ai miei genitori, da quel che potevo immaginare conoscendoli entrambi avrebbero potuto legare facilmente ed era esattamente ciò di cui mio fratello in quel momento aveva bisogno. Un amico sincero, leale, che lo potesse distrarre dal vuoto che si stava creando da solo intorno e in se stesso.

I miei genitori accolsero Simon con entusiasmo, un ragazzo come lui era un caso raro, bello, dolce, intelligente, anche se gli mancava un’aura di cattivo ragazzo che bastava a renderlo più veritiero. Sembrava che anche David, ultimamente sempre più solitario e scontroso, provasse simpatia nei suoi confronti. Sembrava.

Io uscii a comprare delle medicine per mio fratello, mi pareva una buona occasione per lasciare Simon a socializzare con la mia famiglia, e al mio rientro, scoprii tutto. Portai le medicine nella cucina, i miei genitori erano usciti a loro volta e avevano lasciato un messaggio attaccato al frigorifero come d’abitudine, sarebbero rientrati per cena per lasciarci un po’ da soli tra ragazzi. Entrai silenziosamente nella mia camera, che allora condividevo con David. Non avrei mai dovuto farlo senza bussare, è vero. Ma sinceramente cosa avrei potuto trovare? Mio fratello che si faceva uno spinello col mio ragazzo? Non mi avrebbe stupita davvero, un classico modo di aiutare la socializzazione per entrambi. Quindi, essendo anche la mia camera, entrai tranquillamente e in silenzio.

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Capitolo 5
*** David ***


David e Simon erano abbracciati sul letto, si guardavano con uno sguardo che non lasciava dubbi, gli occhi azzurro cielo dell’uno fissi in quelli verde cupo dell’altro. Non si accorsero che ero entrata nella stanza, davano le spalle alla porta, e ora si baciavano con passione, David era saltato addosso a Simon e lo accarezzava con una foga che nulla lasciava all’immaginazione. Mi sfuggì un gemito strozzato, ero bloccata, sconvolta, incapace di qualsiasi gesto o parola.

Ma fu lo sguardo che mi rivolse mio fratello a paralizzarmi del tutto… quello sguardo era odio, aveva travalicato i limiti della ragione, qualcosa lo aveva fatto del tutto impazzire glielo leggevo negli occhi.

“Dunque era per te che Simon mi aveva lasciato, sorellina. Buffa la sorte, vero?” disse con un sorriso amaro a trasfigurare i suoi lineamenti delicati, mentre Simon si bloccò di colpo voltandosi verso di me con il viso in fiamme, cercando di sistemare la maglia che David gli aveva quasi strappato di dosso. Il suoi occhi erano l’angoscia pura, la consapevolezza di avere perso tutto in un soffio.

Il sarcasmo di David era atroce, in quella situazione aveva un che di vendicativo e terribile, in un lampo iniziai a capire e iniziò la tragedia. Per tutti. Era chiaro adesso, Simon e David avevano avuto una relazione, in un momento in cui David era particolarmente fragile e aveva bisogno di rassicurazioni e una persona accanto che lo supportasse, e invece il destino aveva voluto che Simon incontrasse me ad un concerto e scattasse il colpo di fulmine, ignorando ovviamente del tutto lui la mia identità. In tutto questo David era stato lasciato senza uno straccio di spiegazione, era stato spezzato il suo cuore e quell’ultimo filo sottile che separava la sua fragile mente dalla pazzia.

Per Simon la storia con David era stata solo un passatempo, una cosa senza in realtà un profondo coinvolgimento sentimentale, lui era un ragazzo solo dall’apparenza angelica ma con un animo tormentato e spesso egoista e quasi crudele. Per non rischiare di ferirmi o perdermi non mi aveva mai raccontato di avere avuto una storia con un ragazzo, interrotta proprio a causa mia, né io dal canto mio lo avrei mai sospettato.

Ora David si sarebbe vendicato, ormai quel ragazzo che era stato mio fratello non esisteva più, i suoi bei lineamenti erano trasfigurati da qualcosa che andava oltre la rabbia, in una manciata di secondi capii che non solo lo avevo perso, ma avevo ucciso io quella persona splendida che era stato. La relazione con Simon per lui era stata di un’importanza vitale e la fine così improvvisa, senza spiegazioni, lo aveva catapultato nell’inferno che ormai era la sua vita.

In quel momento non sapevo cosa fare, la mente mi si era completamente fermata e l’istinto prese il sopravvento. Mi voltai e raggiunsi la porta, tra le lacrime imboccai la strada verso casa di Simon, l’unico luogo che in quel momento poteva vedere come un porto sicuro.. per assurdo. Ero così ingenua allora, così giovane…

Dopo un tempo indefinito, persa com’ero nella mia incredula angoscia, mi raggiunse Simon. Aveva il viso rigato dalle lacrime, i suoi lunghi capelli castani ricadevano scompigliati sul viso, con delle ciocche incollate alla pelle dal sudore e dalle lacrime. Gli occhi verdi, di un verde più cupo che mai, lasciavano trapelare tutta la sua disperazione.

“Io… non so che dirti… non è colpa mia… io non volevo perderti..”. Le frasi gli uscivano sconnesse dalle labbra tremanti, era spaventato a morte e gli si leggeva in faccia. “Prima, a casa tua… mi ha costretto, mi ha minacciato, io non volevo ma lui era una furia, mi è saltato addosso, sembrava un animale.. non sapevo cosa fare.. oddio, è impazzito..”

Vedendo la sua angoscia riuscii a calmarmi quel tanto da riuscire a parlargli.

“Calmati. Non lo so, io… ti perdono, posso perdonarti perché quello che provo per te è troppo forte ma… con mio fratello? Di tutte le persone al mondo proprio lui? E’ mio fratello, lo capisci?! Io… non riesco più a pensare, mi dispiace, devo andare, io.. mi dispiace, non ce la faccio a stare qui con te, devo andarmene, e devo parlare con David”.

Ero sconvolta, ma mai avrei potuto immaginare quello che sarebbe successo. Io amavo mio fratello, mi fidavo di lui…

Tornai a casa, nella speranza di riuscire a chiarire le cose con David, di capire cosa fosse successo, sperando che nel frattempo si fosse calmato e avesse ritrovato la ragione. Mi sbagliavo.

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Capitolo 6
*** Comprensione ***


David mi aprì la porta e con uno strattone mi fece crollare contro il muro. Doveva essersi fatto qualcosa di pesante, i suoi occhi erano rossi e lucidi, il suo sguardo vacuo, di sicuro aveva anche bevuto molto. Il limite della ragione era stato travalicato, iniziò ad urlare ed urlare, ripetendo come  in una lugubre litania che me ne sarei pentita, che Simon se ne sarebbe pentito più di tutti, era lui la causa di tutto il suo dolore.

Dopo ore? Giorni? Il tempo ormai aveva perso consistenza, ricordo solo che all’improvviso mi prese per un braccio e mi trascinò con sé, a casa di Simon. Non avevo idea di cosa poter fare, sapevo che avrei dovuto fermarlo in qualche modo, ma come?

Simon stava malissimo, era distrutto, accasciato a terra, pallido come un morto, singhiozzava piano. David lo afferrò per i capelli con violenza e lo costrinse ad alzarsi in piedi. Per un attimo i loro sguardi si incontrarono. Per un attimo il tempo sembrò fermarsi. Poi David lo attirò a sé, con dolcezza, così, davanti ai miei occhi. Con una mano accarezzò il suo viso angelico, gli occhi di Simon furono attraversati da un bagliore di sollievo. Con delicatezza spostò un ciuffo ribelle dai suoi occhi, mentre lo attirava sempre più vicino. Io ero impietrita, avevo il terrore anche solo di fiatare. Rimasi immobile, rannicchiata in un angolo, come volessi scomparire.

David passò una mano dietro la nuca di Simon, lentamente avvicinò il viso al suo, continuando a fissarlo languidamente negli occhi, con uno sguardo indecifrabile. Sorrideva, ma era un sorriso inquietante.. Lentamente posò le labbra sulle sue, mentre continuava ad accarezzargli i capelli, il bacio si fece sempre più appassionato, lo spinse verso il muro e senza alcun preavviso ve lo spinse contro con violenza. Un gemito soffocato uscì dalle labbra di Simon. I suoi occhi si spalancarono con un’espressione di terrore puro, e consapevolezza. Le gambe gli cedettero e lentamente cadde in ginocchio, lasciando una scia di sangue sul muro dietro di sé… David ritrasse la mano da dietro sua schiena e la spaventosa realtà di quanto era accaduto mi fu finalmente evidente… nella mano stringeva un coltello insanguinato e nel mentre che lo sollevava come un trofeo iniziò a ridere, una risata roca e spaventosa.

Io iniziai a urlare, ai limiti dell’incoscienza, mentre vedevo la vita scivolare via del corpo dell’uomo che amavo, mentre i suoi occhi spegnevano guardandomi implorante. Mio fratello si inginocchiò accanto a me, avvicinando il coltello alla mia gola, con ancora il sorriso stampato sul volto trasformato.

“La vita? Eccoti la vita, sorellina! Questa è la vita! Questo è l’amore! Vendetta, tesoro, l’amore è vendetta, la vita è solo odio”, con una risata che proruppe come un tuono.

La sua follia, la sua crudeltà efferata, vedere Simon che stava morendo davanti ai miei occhi per mano sua mi avevano portato ad uno stato quasi di catatonia. David si girò e se ne andò, senza più direi una parola. Non sarei mai riuscita a fermarlo in quello stato. Simon mi stava lasciando, il suo respiro era sempre più lento, non c’era più niente che potessi fare per lui adesso, non c’era più tempo, era evidente. Aveva perso troppo sangue.
Con la forza della disperazione lo trascinai fino al fiume.. ormai quasi del tutto incosciente mi assecondò per quanto gli era possibile, consapevole che ormai cercare aiuto sarebbe stato del tutto inutile. Era così bello, come un angelo, sembrava dormisse, con quell’espressione innocente e serena stampata sul volto. Lo lasciai scivolare nell’acqua, dolcemente. Nessuno avrebbe dovuto sapere cos’era successo. Mai. E sarebbe stato mio, per sempre.

Uno stato di quiete del tutto irreale penetrò nel mio animo. Mi diressi a casa, sapevo cosa dovevo fare adesso. David era addormentato sul suo letto, più vicino ad uno stato di incoscienza che al sonno, fu così facile passargli il nastro di raso nero che mi teneva legati i capelli intorno alla gola e iniziare a stringere… stringere… stringere fino a vederlo spalancare gli occhi e cercare aria, annaspando, senza alcuna speranza… i suoi occhi stavano perdendo la luce, lentamente smise di lottare e alla fine, lanciandomi un ultimo disperato sguardo, si fermò. Per un momento mi parve di leggere nel suo sguardo qualcosa di simile alla gratitudine.. ma forse fu solo una mia impressione. Ebbi la forza di avvicinare il suo corpo alla porta e incastrare l’estremità del nastro alla maniglia, come se David avesse compiuto quel gesto di sua volontà.

Il giorno successivo i miei genitori trovarono il corpo di David senza vita e me seduta sul letto, in stato di shock. Non riuscii a parlare per settimane, ma avevo rimosso tutto. Tutto fino a questo momento.
 
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Miranda aprì il giornale che aveva in borsa, rilesse l’articolo che parlava della morte della ballerina del circo. La data dell’omicidio era il 21 ottobre 1997. Lasciò l’appartamento e si diresse al fiume. Ancora una volta rivide il corpo di Simon che giaceva esanime sull’erba bagnata.

Posò il diario alla base della ringhiera. Poi si lasciò cadere nelle acque tumultuose del fiume.

A volte il confine tra realtà e sogno, tra amore e odio, tra lucidità e follia inizia a farsi troppo confuso per comprendere ed agire secondo coscienza. O ricordare cosa si è fatto. Per Miranda questo confine non esisteva più. Ora non sarebbe più esistito neanche il confine tra la vita e la morte.

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