Un innocente sacrificio: Mel.

di Bash
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ditutto ***
Capitolo 2: *** La carestia - Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Il processo - Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** L'inizio ditutto ***


Guardavo il piatto di semolino fumante di fronte a me. Come ultimo pasto era una cosa sconcertante, ma siamo in carestia e questo è il massimo che ci si può permettere. La cella era scarsamente illuminata dalla finestra. Era una giornata come le altre, a nessuno sarebbe venuto in mente che in una giornata normale una ragazza possa venire uccisa. 


Fin da piccola venivo guardata in maniera strana. Ero bassa, troppo bassa. La più bassa dei bambini del villaggio. Mamma diceva che sarei fiorita in ritardo, ma sarei stata la più bella, e che chiunque avrà pensato male di me si sarebbe pentito. A me non importava, francamente, di essere bassa. Ero solare, attiva e aiutavo in casa. Ero l'unica figlia femmina dei miei, avevo un fratello maggiore, Rijah, e due fratellini minori, Rhur e Sion. Loro lavoravano nei campi mentre io e la mamma ci occupavamo delle pecore e le mucche; tutte le famiglie del villaggio erano organizzate così. La mia infanzia trascorse serenamente fino a quando, a quattordici anni, giunse il momento di smettere di giocare con i bambini del villaggio. Tra i miei vecchi compagni di giochi sono riuscita a mantenere l'amicizia solo di Ishvar - il figlio del capovillaggio- e sua sorella, Fihake. Alla sera, quando tutti e tre terminavamo i nostri compiti, ci trovavamo a casa del capo intorno al fuoco, dopo il pasto serale, e ci raccontavamo le storie che inventavamo durante la giornata. Amavo la voce di Ishvar, la sua maniera di raccontare, di parlare... la sua maniera di guardarmi. 
Una volta stava portando al pascolo le pecore e io dovevo cercare papà. Lo vidi da lontano, disteso sopra l'erba a prendere il sole, dando ogni tanto un'occhiata alle pecorelle. Era così bello. Quando mi scorse in lontananza balzò in piedi. " Mel!" chiamò agitando il braccio. Mi avvicinai con un sorriso. " Cosa ci fai qui da sola? lo sai che non è sicuro!" 
" Calmati, Ishvar, sto andando da mio padre. Mi hanno detto che è qui..." mi faceva piacere che si preoccupasse per me.
Mentre dicevo quelle parole mi prese la mano e la portò portata alla sua guancia, mi fissò per qualche secondo per poi dire " se ti succedesse qualcosa... non potrei mai perdonarmelo Mel. ti prego, torna a valle e aspetta tuo padre lì".  Ricordo le mie guance in fiamme e non sapendo cosa dire , ripreso possesso della mia mano, corsi a valle, come aveva chiesto.

é il più bel ricordo che abbia di Ishvar, ed è l'unico che mi infonda un minimo di sicurezza, in questa cella maledetta.
Ho infilato il cucchiaino di legno nella scodella, anche se l'idea di mangiare mi dava la nausea. Erano due giorni che non mangiavo, da quando è iniziato questo processo contro di me, da quando mi hanno imprigionata in questa cella. Dato che non mi era vietato ricevere visite, mamma era continuamente con me." Ce la faremo, piccola Mel. tu non hai colpe", diceva. E io sapevo che non era così. Le cose non sono mai state così: la colpa di qualsiasi cosa era mia, e ora avrei dovuto pagare.

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Capitolo 2
*** La carestia - Capitolo 2 ***


All'età di 15 anni c'è stata una carestia: l'inverno sembrava interminabile, i campi erano gelati e le scorte di cibo si stavano esaurendo. Il capo delle 5 tribù, una della quale era la nostra, esigeva le tasse ma nessuno poteva pagare nulla. Così si è presentato un giorno con un'armata di uomini e ha iniziato a portare via tutto ciò che trovava. Da noi hanno preso quattro pecore e due mucche. Eravamo terrorizzati, ma non potevamo fare nulla. Senza quelle pecore non avremmo avuto sufficiente lana per le coperte che ormai si stavano sfilacciando, per non parlare del formaggio che la mamma vendeva alla nostra vicina, la vecchia signora che fa i vasi. Le mucche ci servivano invece per il latte ma anche per la carne: papà contava di abbatterne una se l'inverno si fosse protratto ancora a lungo. Ricordo ancora l'espressione di papà e Rijah quando sono tornati dall'assemblea convocata per dissuadere in Grande Capo dalla razzia per cui era venuto: papà era seplicemente rassegnato. Rijah era furente, carico di rabbia e di odio. L'espressione del suo volto metteva paura, non ha voluto nemmeno parlare con me, ha tirato dritto verso il retro della casa e ha iniziato a spaccare legna. Era il suo modo di scaricare la rabbia.



La colpa. Colpa. Cha strano concetto. Anzi, che strana l'interpretazione che viene data a questo concetto. Non dovrebbe voler dire " qualcosa di cattivo che una persona ha commesso"? Allora perchè dicono che io sono colpevole? Non sono stata io a decidere di nascere così, non ho chiesto io di essere bassa! Se la decisione fosse spettata a me non avrei nemmeno chiesto di nascere. 
Dopo due giorni di un processo di cui tutti conoscevano l'esito, trascorsi in un posto che le guardie pietose hanno cercato di rendere gradevole, è finalmente giunto il verdetto. è assurdo dire "finalmente", lo so. Ma quella dannata attesa mi stava logorando. Ero sollevata quando sono entrati a comunicarmi il loro schifoso verdetto. Sollevata! non sarei riuscita a sopportare un'altra visita di mia madre in cui cerca di infondermi coraggio mentre è lei ad averne bisogno. Non un'altra visita del mio fratellone che cercava di rendermi la prigionia meno gravosa con racconti divertenti. Avevo dimenticato come si sorride.


Mi sono seduta su un ceppo a qualche metro di distanza e lo osservavo alzare la scure e lasciarla cadere con forza e maestria su un pezzo tronco. Osservavo la sua espressione, la nuvoletta di vapore che usciva dalle narici quando espirava. Le spalle che sembravano non effettuare nessuno sforso sollevando quell' ascia... Mio fratello era un bel ragazzo, e quella é stata la prima volta in cui l'ho notato. Ha cercato di ignorarmi, ma dopo due tronchi fatti a pezzi non ha più resistito, si è volto verso di me e ha iniziato a raccontare come erano andate le cose. Era furioso non per il fatto stesso della razzia, quanto per la sua ingiustizia: se fossimo stati in grado di pagare e ci rifiutassimo di farlo la razzia sarebbe stata giusta, ma questo gelo sta uccidendo tutti. E Rijah non sapeva cosa fare. Ed era questo a innervosirlo: si sentiva impotente di fronte ai fatti: ha sempre cercato di occuparsi di tutto dalla malattia di papà dell'anno scorso. Gli volevo un gran bene, a mio fratello.
 Mi sono alzata e, presolo per una mano, l'ho condotto in casa: se fosse rimasto ancora fuori tutto sudado si sarebbe ammalato, e io non potevo permetterlo. Avevo bisogno del mio fratellone più di chiunque altro.

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Capitolo 3
*** Il processo - Capitolo 3 ***


 La situazione era tesa, non si trovava nessuno per le vie del villaggio, e in automatico le serate attorno al fuoco sono cessate. Mi mancava Ishvar,  mi mancava da stare male. In casa andavamo a letto appena buio, per fare economia di legna. La situazione è andata avanti così, fino a quando- al decimo mese, quando dovrebbero iniziare a fiorire le piante e a rinverdire i prati- c'è stata una nevicata senza pari. è stata la nevicata la causa di tutto questo. Una settimana dopo- ricordo quel giorno come se fosse ieri- hanno bussato alla porta. Papà ha aperto e insieme all'aria gelida sono entrati gli insulti velenosi  e le parole rese ghiaciate dalla miseria dei miei compaesani. Non capivo cosa dicessero esattamente, ma le parole " mandata dal demonio", gridate dalla vecchia signora dei vasi, mi hanno colpita come una pugnalata. Sapevo a chi si riferivano. si riferivano a "Mel dal popolo degli elfi". Si riferivano a me. Mamma è scoppiata in lacrime e papà ha chiuso la porta con un catenaccio dopo aver gridato con foga alle persone che conosce da una vita " Se avete qualcosa da rinfacciarci, esigo che sia per mezzo del capo." I piccoli non capivano esattamente cosa stesse succedendo e Ishvar li ha trascinati nella camera dei letti. Sono rimasta con la mamma disperata e papà sconvolto. Li ho guardati, ero incapace di spiccare parola. Anche respirare mi costava uno sforzo immane. Vedendoli così ho capito che loro non avrebbero potuto fare assolutamente nulla per salvarmi; ho capito per la prima volta il peso che gravava sulle loro spalle dalla mia nascita e che hanno cercato con abilità ed amore di tenere segreto. Ho provato dispiacere per loro: era davvero un grosso peso.


" Mel, figlia di Horgik, nata nell'anno del sole nero, accusata di stregoneria. Dopo un processo durato due giorni siamo giunti a un verdetto".
E qui l'anziano del villaggio si era interrotto, guardandomi con un misto di pietà e di sospetto. Io non osavo sollevare lo sguardo, sapevo che cosa avrebbe detto, dentro di me sapevo che sarei morta il giorno dopo. Sapevo quanto tutti mi odiassero. Ma c'era un piccolo, minuscolo, maledetto e fiocco barlume di speranza. Speravo che papà fosse riuscito a convencere tutti della mia innocenza, che le signore del villaggio ricordassero quante volte le ho sostituite al telaio mentre loro chiacchieravano, ricordassero che sono stata una compagna di giochi dei loro figli. Anche se non lo volevo, io speravo di viviere. Speravo nella pietà e buonsenso delle persone che conosco da quando ho memoria.



Il giorno dopo l'assalto alla nostra casetta è arrivato il capo del villaggio segiuto dall'anziano signore, da due uomini grandi e grossi che conoscevo di vista e da Ishvar. Dopo aver confabulato alla porta per qualche tempo, papà si è voltato verso di noi- che eravamo accucciati nell'angolo opposto alla porta e aspettavamo- dicendo: " Mel, tesoro, verresti qui un secondo?"
Non so come ho fatto ad alzarmi e a raggiungerlo, come ho fatto a guardare il capo mentre mi spegava la situazione, come sono riuscita a rimanere lucida malgrado non dormissi e non mangiassi da un giorno intero. Mi limitavo ad annuire cercando di assumere un'espressione tranquilla e sicura, mentre mi sentivo vuota. Cercavo anche di trattenermi dal guardare Ishavar, e quello è stato lo sforzo più estenuante. Non vedevo la persona della quale più mi importava da settimane. Che sorte crudele, che destino infausto! Ho potuto vederlo il giorno della mia accusa! 
Lui teneva il capo chino, era evidente che fosse stato trascinato dal padre per " imparare a fare il capo". Anche in quell'odiosa situazione il mio cuore si è ricordato di saltare un battito alla sua vista. Quando ho incontrato il suo sguardo sono riuscita a sorridergli. Sembrava stupito del mio sorriso. Probabilmente si aspettava occhiate di odio. Io non sarei mai riuscita ad odiarlo... Perchè non capiva?



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Salve a tutti! Questo è il terzo capitolo della mini-serie che sto cercando di scrivere. Non mi sono presentata prima perchè volevo dare uno stampo "impersonale" al tutto, ma ho cambiato idea (:
Non credo che qualcuno mi conosca da queste parti perchè è la prima volta che scrivo qui. Sono Bash e contrariamente a quello che il mio nick può suggerire sono una ragazza e ho 16 anni. Ho sempre amato scrivere ma non permettevo quasi a nessuno di leggere i miei racconti. Mi auguro che questa serie possa essere di vostro gradimento. Critiche e commenti sono molto bene accetti. Grazie dell'attenzione, passo e chiudo!

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