Set 'em free. di Sef (/viewuser.php?uid=643300)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Déjà-vu (or not?) ***
Capitolo 2: *** Mindbreaker. ***
Capitolo 3: *** What a (nice) meeting. ***
Capitolo 1 *** Déjà-vu (or not?) ***
Flashback (or not?)
"Every second's soaked in
sadness
Every weekend is a war
And I'm drowning in the déjà-vu
we've seen it all before."
Seen it all before, Bring
Me The Horizon
“Na-Nathalie?”
Un
ragazzo goffo e dinoccolato, in un
paio di pantaloni color cachi e una felpa spiegazzata lunga fino alle
ginocchia, mi venne incontro mentre uscivo dall’ufficio del
preside. Se c’era
una cosa che odiavo più dei discorsi di presentazione dei
responsabili nelle
scuola, quella era l’alunno, o l’alunna che fosse,
che mi affibbiavano come
guida turistica nel mio primo giorno di scuola, o meglio in uno dei
miei troppi primi giorni di scuola.
“Sì,
sono io.” Mormorai, senza
prestargli troppa attenzione, mentre cercavo tra il plico incipiente di
fogli
da firmare che avevo tra le braccia quello con gli orari.
“Io
sono Ben.”
Ben.
Chissà perché dovevano sempre
avere nomi scontati.
Sentendo
che non proseguiva, alzai sul
sguardo su di lui, e non appena incrociammo lo sguardo, lui divenne di
un
imbarazzante rosso pomodoro, “Devo … devo
accompagnarti all’aula della lezione
che hai ora.” Esclamò impacciato, dopo un lasso di
tempo che sembrò durare
qualche secolo.
Continuai
a fissarlo, in attesa di una
qualche annotazione aggiuntiva, ma lui restava zitto, la bocca
leggermente
spalancata e gli occhi dilatati, senza riuscire a scollarmi gli occhi
di dosso.
Sembrava
un chiaro segno divino del
fatto che avrei fatto meglio a starmene segregata in casa, come avevo
fatto
nell’ultimo anno. La verità, però,
è che mi sentivo sola. In tutto quel tempo,
i miei unici contatti con il mondo esterno erano stati il fattorino
della pizza
e quello del cinese, oltre a qualche compagnia casuale, pescata a caso
dal bar
sottocasa, per le notti in cui la solitudine era davvero insostenibile.
Soffocando tra quelle quattro mura, mi era sembrata una grande idea,
quella di
andare in qualche scuola lontana e remota, in un paese non troppo
grande, a
mischiarmi con i miei coetanei. Sarebbe stato sicuramente
meglio che vivere da eremita, anche se 'vivere' non era il termine
esatto.
Solo
che, vista la reazione di Ben, mi
chiesi istintivamente cosa ci fosse dopotutto di così
sbagliato nello stare
rinchiusa nell’attico a fissare il soffitto e origliare le
conversazioni
altrui, oltre a sapere a memoria tutti i film e le serie tv che fossero
mai
stati prodotte. Soprattutto rispetto ad un qualunque adolescente
brufoloso,
goffo, e visibilmente abbagliato da me. Ok, forse quello non era colpa
sua. Lo
spirito di persuasione estremo usato con il responsabile per
convincerlo ad
accettarmi nonostante le parecchie irregolarità nei miei
documenti, ancora mi
avvolgeva come un’aura, e sapevo che guardandolo non gli
semplificavo di certo
la vita. Ma per la miseria, doveva solo accompagnarmi in
un’aula e andarsene.
Probabilmente ce l’avrei fatta anche da sola, ma al di
là del solito fastidio
era divertente vederlo tentennare alla ricerca di un vocabolario
pressoché
capibile.
Finalmente,
si riprese. Trasformando
il rosso pomodoro del suo viso in un viola melanzana, mi fece segno con
il
braccio di seguirlo.
Sospirai
di sollievo, mentre mi
accodavo al suo passo caracollante nei corridoi ampi della
McShort’s School,
rimuginando su me stessa e chiedendomi cosa ci fosse di sbagliato e
tanto
masochista nel mio cervello. Mentre passavo accanto a tutti quegli
studenti
accalcati, percependo fin troppo chiaramente il calore della loro
pelle, mi si
affollavano alla mente tutti i motivi per cui l’anno prima
l’idea della
reclusione mi era parsa così buona e sensata, andando a
oscurare quelli che mi
avevano spinta a fare un altro tentativo. Convivevo con il mio segreto
da
troppo tempo ormai per pensare ingenuamente che sarebbe stato facile
fingermi
come tutti gli altri, nonostante gli innumerevoli anni di pratica, e
sapevo che
mi ero praticamente puntata una pistola alla tempia da sola. Non avevo
problemi
a fingermi timida e dimessa, ma il mio aspetto non passava inosservato.
Non lo
faceva mai. Fissavano i miei lunghi capelli corvini e ribelli, i miei
occhi
neri, in cui non si riusciva a vedere l’iride, le mie labbra
carnose e il corpo
perfetto. Vedevano in me la bellezza ideale e non riuscivano a non
guardarmi (o
almeno non avevo ancora incontrato nessun umano che resistesse anche
solo al
dare un’occhiatina.) O mi invidiavano o mi amavano alla
follia, fino a
diventare molesti e insopportabili in entrambi i casi. Mi vedevano
minuta e
fragile, ignorando le mie capacità e quanto in
realtà fossi poco
vulnerabile. La loro stupidità mista ad ingenuità
mi faceva tenerezza, ma difficilmente
sopportavo a lungo la pressione che queste situazioni sviluppavano nei
miei
confronti. Ad un certo punto capivo di essere giunta al limite,
smettevo di
frequentare la scuola, tagliavo i pochi ponti creati e ricominciavo da
zero,
cancellando completamente le mie tracce. Sapevo che c’era
gente che avrebbe
pagato per essere al mio posto, ma a volte desideravo solo essere
normale e non
aver addosso il macigno di un segreto che non avrei mai potuto rivelare
a
nessuno. La prima volta che qualcuno ne era stato a conoscenza era
stata anche
l’ultima, oltre a segnare drasticamente la fine della mia
vita e l’inizio di
questa, che era molto più simile ad una sopravvivenza.
Fortunatamente mi resi
conto di quale brutta piega stesse prendendo la mia mente giusto un
attimo
prima che il volto dei miei genitori vi irrompesse, portando con
sé i ricordi
che avevo dell’ultima volta che li avevo visti, prima che
finisse tutto.
Mi
scrollai di dosso all’istante quei pensieri troppo dolorosi,
cercando di
scorgere Ben in mezzo alla massa che mi circondava, e ringraziando il
cielo
quando riconobbi la sua testa arruffata e la sua falcata. Le sue gambe
lunghe
gli permettevano un passo molto più spedito del mio, oltre
al fatto che nemmeno
si girava a guardarmi, cercando di portare a termine la sua impresa
senza farsi
distrarre da me. In fin dei conti questo gli faceva onore e, in minima
parte,
alzava la mia stima nei suoi confronti, rispetto
all’imbarazzante gaffe di poco
prima.
Questo,
insieme all’inesorabilità di
ciò che avevo scelto di subire, mi fece sperare che magari
questa volta sarebbe
stata quella buona. Anche se, più che una speranza, nella
mia testa suonava
molto più come una preghiera.
Non mi sembra ancora vero di
essere riuscita a pubblicare il primo capitolo di questa storia su EFP.
Unicorni, lettori, lettrici, gatti, potterhead, tributes,
fan-di-qualsiasi-fandom, se vi va potete lasciare un commento per farmi
capire se vi piace, vi ispira, se c'è qualcosa che
cambiereste ecc.. qualsiasi idea è ben accetta e
probabilmente vi amerei tanto tanto! (ovviamente per chi lo fa
c'è in premio un biscotto virtuale lol)
Sperando che vi piaccia, vi abbraccio tutti fortissimo.
Al prossimo capitolo (che prometto sarà più lungo)
S.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Mindbreaker. ***
2
"I want to hide the truth,
I want to shelter you,
But with the beast inside
There's nowhere we can hide.
(...) Don't get too close,
It's dark inside
It's where my demons hide,
It's where my demons hide."
Demons, Imagine Dragons
Una
mano mi strinse il braccio
mentre uscivo dall'aula di chimica, finalmente l'ultima lezione della
mattina. Dire che non ne potevo più sarebbe stato un
eufemismo,
di quelli colossali. Ovviamente non avevo impiegato nulla a capire le
lezioni, nonostante l'anno completamente sabbatico in cui non avevo
sfiorato manco per sbaglio
un libro scolastico.
L'attenzione scrupolosa che rivolgevo verso tutto ciò che mi
circondava, vicino o lontano, mi aveva spossata, oltre a causarmi un
mal di testa lancinante.
Avrei
solo voluto tornare nel mio attico, sotto le coperte calde, e dormire
un po' (e questo dimostrava
l'eccezionalità del momento: avevo sempre avuto bisogno di
pochissimo sonno, mentre ora il mio corpo ne urlava la mancanza) o
comunque levarmi dal frastuono e dagli spintoni che avevo ricevuto
tutta la mattinata.
Ne avevo avuto più che abbastanza del genere umano. Avrei
voluto inchinarmi, annunciare "a posto così per un altro
anno almeno" e andarmene trionfalmente. Cosa mi bloccava dopotutto? Ero
sola, come al solito. Sola e responsabile di ciò che facevo.
Ma forse era questo il problema: la solitudine, anche se era difficile
ammetterlo, mi pesava molto più del caos.
Questo non toglieva che ero al limite.
Senza contare il fatto che, grazie all'idea geniale del responsabile,
mi ero ritrovata ogni ora con un accompagnatore diverso. Non sapevo se
fosse un caso, ma erano tutti maschi e anche più impacciati
di Ben, in un crescendo di balbettii e arrossamenti,
frammentati dalla ripetizione del mio nome, che ormai non mi suonava
nemmeno più familiare, tanto l'avevano masticato e
pronunciato.
Odiavo la
scuola.
Così quando una mano sbucata dal nulla mi strinse il
braccio, i miei sensi sovreccitati risposero di conseguenza: mi voltai
tanto veloce che la testa cominciò a girarmi prima ancora di
compiere il movimento. Davvero saggio dare prova della mia
abilità sovrumana. Avrei voluto farmi un applauso.
Affondai il mio sguardo in quello color ambra scuro della ragazza di fronte a me. Alta
(forse era più appropriato dire bassa) più o meno
come me, i capelli lisci color mogano a incorniciarle il viso dolce e
paffuto in armonia con la carnagione cappuccino, portava vestiti
straordinariamente colorati e aveva un sorriso contagioso. Al collo
aveva una di quelle collane a palline colorate, da bambina, che
però sembrava disegnata per lei. Chissà che
contrasto doveva fare con i miei vestiti neri (molto più
facili da lavare, soprattutto per la mia enorme incapacità
di far funzionare qualsiasi macchinario umano in generale) e la smorfia
imbronciata che addobbava sempre il mio volto.
Non sembrava essersi accorta dell'ambiguità del movimento
con cui, in un istante, c'eravamo trovate faccia a faccia,
e la sua mano era ancora appoggiata al mio avambraccio. Quella stretta però anziché sembrarmi sgradevole -
conoscendo soprattutto la mia totale avversione a qualsiasi tipo di
contatto che sforasse il necessario - era caldo, come tutta
la sua figura. Sembrava un piccolo sole, e a conferma della mia
supposizione il suo sorriso si allargò ancora di
più, mentre la sua mano lasciò finalmente la
presa. L'improvviso freddo dove prima stavano le sue dita, mi
colpì moltò più duramente di quel che
pensavo.
Ero decisamente
in astinenza da contatto umano.
"Devo accompagnarti alla mensa", sorrise la ragazza, scostandosi un
ciuffo di capelli da davanti agli occhi. Poi mi porse la mano. "Io sono
Ella."
"Nathalie." Gliela strinsi, sperando che non si sentisse troppo la
differenza di temperatura tra le nostre mani. Non avevo mai avuto certi
scrupoli, soprattutto perché difficilmente la gente si
accorgeva di quei pochi gradi che mi mancavano per raggiungere la
temperatura standard, ma per Ella sapevo che era diverso: i suoi occhi
dolci mi stavano scrutando in profondità, mi studiavano ma
senza per questo farmi sentire a disagio. Era speciale, su questo non
c'erano dubbi, ma era solo un'umana. I miei sensi me lo confermavano.
Rilassai le spalle, più a mio agio che in qualsiasi altro
momento delle ultime ore, e forse anche dell'ultimo anno, e distesi la
fronte. Forse la giornata poteva migliorare.
"Dovrebbe essere lo spostamento più facile",
mormorò Ella, mentre ci incamminavamo. "Ma cerca di non
perdermi di vista: la mensa è proprio qui" indicò
una porta a vetri, in cui si accedeva in un ampio locale, strabordante
di gente. "Il disastro è solo entrarci."
Inizialmente non capii cosa intendesse - era impossibile non vedere
le sue collane multicolor o la maglia arancione sgargiante che
indossava - ma non appena cominciammo a intrufolarci tra la folla,
compresi appieno il significato delle sue parole. In pochi secondi,
non vedevo più lei, né sapevo dove mi trovassi.
Non che questo mi turbasse eccessivamente - prima o poi quella massa
rumorosa mi avrebbe risputato fuori in un modo o nell'altro, o almeno
lo speravo - e tutto quel calore non era fastidioso come avrei pensato.
Ma c'era qualcosa che stuzzicava i miei sensi, e all'improvviso
cominciai a sentire sempre meno il vociare e le urla, come se una bolla
d'aria mi si stesse creando attorno.
Una benedizione per la mia testa dolorante, se non fosse stato per le
mie pupille che sapevo essersi improvvisamente dilatate, e il mio cuore
che rombava nelle mie orecchie come mare in tempesta.
Ero circondata da corpi caldi, cuori che battevano più
lentamente del mio, più pastosi, più succulenti,
e questa certezza all'improvviso prese il sopravvento su ogni altro
pensiero. Cancellò in un secondo il mio controllo, la mia
razionalità, annientando ogni parvenza di
normalità. Mi passai la lingua sulle labbra in un riflesso
incondizionato, e sentii le mani arcuarsi, le unghie artigliare l'aria.
Il mio respiro era affannoso, mentre sentivo acuirsi la sensazione che
mi stava provocando tutte quelle reazioni naturali, involontarie: fame,
o meglio, sete.
Non che non mi fosse mai successo, ma ero sempre riuscita a fermarmi in
tempo, o quantomeno a rendermi conto di ciò che stava
succedendo. Ma in quel preciso istante ero completamente indifesa di
fronte al mostro che mi ruggiva in testa, inerme mentre mi acquattavo,
pronta a colpire, a uccidere.
In quel preciso istante il ragazzo di fronte a me, di cui non avrei
saputo riconoscere volto o corporatura, annullata com'ero dal bisogno
che sentivo ardere dentro di me, fece un passo indietro, probabilmente
spintonato da qualcuno più avanti, e la sua schiena
entrò in diretto contatto con le mie mani, tese
automaticamente in avanti. Il calore che mi trasmise fu così
potente che annullò ogni mia resistenza, mentre i miei occhi
da predatrice avvistavano quel particolare punto del collo scoperto da
cui riuscivo a vedere la vena pulsante, appena sottopelle. Un balzo
minuscolo e avrei calmato quella sete assurda e accecante. Un solo minuscolo balzo, e
non avrei più sentito la gola dolere come se avessi appena
inghiottato un centinaio di chiodi.
Sapevo esattamente
cosa sarebbe successo, ci sarebbero state le urla non appena avessero
capito cosa stava succedendo, seguito da un fuggi-fuggi generale, e
eliminare
poi tutte quelle persone non sarebbe stato per nulla facile, se non
addirittura impossibile. Ma neanche quella consapevolezza riusciva a
fermarmi: il mio cervello cercava disperatamente di richiamare tutti i
miei sensi all'ordine, ma ero cieca, sorda e immune a tutto
ciò che non rispondesse alle necessità che mi
muovevano in quel momento.
Mi rannicchiai, pronta a sferrare il mio attacco, passandomi la lingua
sui denti, pregustando il momento in cui ...
E un istante esatto prima del disastro, una mano strattonò
il mio braccio, prima che potessi anche solo rendermene conto, e mi
trascinò fuori da quella calca.
Ansante mi voltai verso chi mi aveva distolto dal mio obiettivo e
incrociai gli occhi enormi di Ella, che mi fissavano preoccupati, senza
per questo riuscire a contenere il loro calore contagioso. "Tutto bene?
Sei pallida." Mi disse, senza smettere di osservarmi.
Abbassai immediatamente la testa, lasciando che i capelli mi coprissero
il volto mentre tentavo di ricompormi. Che diamine mi era successo? Il
bisogno non era mai stato così forte, nemmeno quando ero
piccola e mi ero trovata ad affrontare tutte le conseguenze del mio
segreto. Non aveva mai annientato il mio raziocinio a quel modo, come
pochi istanti prima. Mai.
Forse davvero dovevo tornare a rinchiudermi in casa. Era stata una
pessima idea mischiarmi ancora con gli umani, avrei dovuto saperlo.
Avevo appena rischiato di uccidere un'intera scuola, e sapevo fin
troppo bene che non me lo sarei mai perdonata. Eppure dov'era questa
consapevolezza fino a qualche istante prima? Dov'era finita?
"Ehi", la voce penetrò nella mia mente confusa e stranamente
ebbe un effetto calmante sui miei nervi ipertesi, mentre la mano di
Ella sfiorava la mia.
La guardai, sorpresa. Era davvero umana, quella ragazza? Aveva
l'assurda capacità di domare le mie sensazioni, era chiaro,
e la conoscevo da appena cinque minuti. Ricambiò la mia
occhiata, curiosa, mentre mi rendevo conto che fosse stato chiunque
altro anche solo a sfiorarmi prima dell'attacco l'avrei dilaniato,
mentre lei, che mi aveva letteralmente
spostata di peso, non solo era ancora viva, ma mi stava pure parlando e
sfiorando inavvertitamente con il fianco. Era assurdo.
"Non devi preoccuparti, all'inizio è sempre difficile."
Sorrise, rassicurante. "Vedrai che andrà meglio." Annuii
piano, consapevolmente pallida, senza riuscire a smettere di guardarla,
e chiedendomi se stesse davvero parlando solo del caos e del fatto che
fossi rimasta imbottigliata. Ero poi sicura che non avesse visto nulla?
Mi sospinse gentilmente verso il bancone del cibo. "Credo sia meglio
che mangi qualcosa. Sembra che tu stia per uccidere qualcuno." Rise lei.
Non sai nemmeno quanto,
pensai, trattenendomi a stento dal dirlo ad alta voce, e limitandomi a
fissarla a bocca spalancata. Colpita e affondata, a dire poco.
"Che è quella faccia?" Si strinse nelle spalle lei, mentre
fissava i cibi incolori nella vetrina, e mi passava un vassoio.
All'improvviso alzò gli occhi, incastrando il suo sguardo
nel mio. "So che
non lo faresti." Poi rise. Solo che il suo sguardo era serio, e
all'improvviso sembrò che la sua convinzione passasse anche
a
me. Come se all'improvviso mi restituisse la certezza che avevo
anch'io, fino a quando non avevo quasi compiuto una
strage nella scuola in cui stavo da una manciata di ore. E di sicuro
l'episodio non mi aveva esattamente riempita di speranza per il futuro.
Mi morsi le labbra, mentre fingevo di essere attratta dal
primo vassoio esposto, che assomigliava terribilmente ad una pila di
calzini sporchi, ma che avrebbe dovuto essere pasta. Era difficile
immaginarselo come qualcosa di commestibile.
Repressi a malapena un verso schifato, mentre Ella al mio fianco
ridacchiava e, di nuovo, mi sfiorava involontariamente il fianco con il
suo, infondendomi un'altra ondata di calma. Tanto che, quando la cuoca
mi
fissò con aperto odio - enorme com'era metteva in soggezione
anche me - mi uscì dalle labbra una specie di squittio.
Avevo appena ridacchiato.
Io. Che ridacchiavo, probabilmente per la prima volta in tutta la mia
vita. Mi trattenni a stento dal tapparmi la bocca con le mani. Ma che
mi stava succedendo?
Guardai di sottecchi Ella, che però non aveva notato niente.
O almeno, non sembrava. Avevo già capito che con lei non si
poteva mai sapere.
"Io non ho fame", proferii dopo un'accurata, e disgustata, analisi del
cibo. Tra l'altro dopo l'esperienza di poco prima mi era salita la
nausea, e dubitavo che quei cibi avrebbero aiutato.
Lei invece prese una mela - chissà come anche quella aveva
uno strano alone grigio attorno, come se fosse stata contagiata dal
restante cibo - e mi passò una lattina. "Almeno bevi", i
suoi occhi fermi mi costrinsero ad accettare. In un lampo mi
ricordò mia madre, prima che tutto mi fosse portato via.
Aveva la stessa luce quando si imponeva sui miei capricci.
Scossi la testa, ricacciando indietro il dolore.
Nulla toglieva che mi ero appena fatta intimidire da un'umana con una
collana a palline colorate. Fantastico.
Dopodiché
Ella
cominciò a guardarsi intorno, e capii che cercava qualcuno
quando sorrise rivolta ad un tavolo in cui erano seduti una manciata di
ragazzi, un po' isolati dalla massa.
Lei mi guardò un attimo, passandosi il peso da un piede
all'altro.
Cercai di capire la sua espressione, accorgendomi dell'improvviso
imbarazzo tra di noi.
Era ovvio che volesse liberarsi di me. Mica potevo pretendere che
diventassimo all'improvviso migliori amiche per sempre, e realizzai con
amarezza che probabilmente era così solare con chiunque.
Nulla di speciale.
Inghiottii la delusione e feci un passo indietro, stringendo la lattina
gelida tra le mani, e cercando di dissimulare le mie emozioni.
Perché diamine ci stavo male? L'avevo appena conosciuta, ed
era un'umana, mentre io no ... o meglio non del tutto.
Ero qualcuno con un enorme bisogno di sentirsi accettato, come non mi
era mai capitato. "Vai pure dai tuoi amici", le strizzai
l'occhio, riprendendo la mia freddezza solita. Probabilmente la mia
temperatura scese di qualche grado.
Lei rimase interdetta a fissarmi. "Cosa?" E prima che potessi
andarmene, liberò una mano dal vassoio, e mi
afferrò per la manica. "Non ci siamo proprio capite." Il suo
tono era molto più autoritario di prima, e la sua presa
salda, soprattutto in proporzione a quanto era minuta. "Tu mangi con
me. E i miei amici."
"Ma ..."
Nemmeno si voltò, mentre mi trascinava dietro di
sé.
"Non voglio sentire storie." Ora sì che era uguale a mia
madre.
Finalmente ce l'ho
fatta ad aggiornare *musica del Gladiatore in sottofondo* *anche
l'Alleluja ci sta bene* lol
Prima di tutto grazie a chi mi ha letto, a chi ha lasciato recensioni
(vi lancio tante scatole di biscotti virtuali) , a quelle persone
stupende che mi hanno incoraggiato per messaggio privato (vi amo tanto
tanto). Nathalie mi sta facendo dannare perché è
nevrotica quasi quanto me e nel prossimo capitolo - SPOILER -
arriveranno alcuni personaggi a cui tengo particolarmente ma che qui
per motivi di lunghezza non ci stavano più.
Per ora il rating è arancione senza un motivo specifico, ma
penso che tra un po' ce ne sarà qualcuno u.u
Ah, se avete idee sul potere di Nathalie, ogni parere è ben
accetto! Sono curiosa di sapere che cosa siete riusciti a dedurre
finora!
Vi abbraccio tutti forte, come al solito vi supplico di commentare, in
qualsiasi modo, per me soprattutto- per capire se è una
cagata o se davvero suona come suona nella mia testa (sembro
schizofrenica, ma ok)
S.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** What a (nice) meeting. ***
4
"Breathing
each other's lives
Holding
this in mind
That
if we fall, we all fall
And
we fall alone"
System Of A Down, Attack
"Cosa
posso offrirvi
ragazze?" A parlare era stato il barista brizzolato del "Nylon", un bar
in cui mi aveva trascinato Ella, che avevo scoperto essere anche
più caparbia di come avessi previsto quando l'avevo
conosciuta.
Dopo quasi un mese di stretta collaborazione in classe e fuori avevo
capito quanto potesse assomigliare ad un tornado (soprattutto quando
particolarmente motivata, e se riguardava me lo era sempre al massimo).
Così quando quel venerdì sera me l'ero trovata
sotto la
finestra a sbraitare che non potevo passare tutto il tempo extra a
crogiolarmi nel mio buco di appartamento, oltre ad astenermi
dall'imprecarle addosso avevo anche accettato di uscire con lei senza
(quasi) tentare di declinare l'invito.
Una decina di minuti dopo (il tempo di levarmi il pigiama e
rinunciare ad una serata di dolce far nulla) ci eravamo ritrovate in un
bar qualunque ad aspettare certi amici di Ella, che non morivo nemmeno
troppo dalla voglia di conoscere, nella remota possibilità
che
assomigliassero a quelli che aveva insistito a presentarmi a scuola
(noiosi e tremendamente umani).
"Ciao Grant", sorrise Ella all'uomo. "Gli altri sono già
arrivati?"
"Al solito tavolino" rispose lui, poi mi strizzò l'occhio,
"buona serata", aggiunse prima di voltarsi verso nuovi clienti.
Senza perdere tempo la ragazza mi strinse la mano e mi condusse oltre
un paravento e uno stretto corridoio, fino a giungere ad una zona
più riservata del locale, dove una luce calda illuminata una
nutrita compagnia di ragazzi.
"Guarda chi si vede!" Proruppe un ragazzo tutto muscoli dal capo
completamente rasato e un tatuaggio che gli attraversava il collo
taurino, per poi avvicinarsi repentino e altrettanto velocemente dare
un appassionato bacio alla mia accompagnatrice. Per almeno due minuti
calò un silenzio imbarazzato sull'intera stanza mentre io mi
fissavo i piedi accompagnata dai loro risucchi. Poi, con uno schiocco,
i due si staccarono e un'ansimante Ella, rossa fino alla radice dei
capelli, mi indicò il bruto - probabilmente ricordandosi in
un
attimo di lucidità della mia presenza - "Lui è
Brett."
Poi rivolta a lui, che intanto stava tranquillamente passando al vaglio
la mia intera figura facendomi sentire come un pezzo di carne sul banco
di un macellaio, "Lei è Nathalie."
"Lascia perdere questi due esibizionisti", un ragazzo smilzo con gli
occhiali dalla montatura ridondante spuntò alle spalle del
bellimbusto, stringendomi la mano, "io sono Zenais, ma puoi chiamarmi
Zen".
Gli rivolsi un sorriso grato, ma dovetti all'istante ridurre il mio
entusiasmo notando di averlo abbagliato. Non ero
più
abituata ad avere a che fare con umani, e con la loro facile
impressionabilità. "Nathalie", replicai, mentre mi
avvicinava al
tavolo.
"Lucas" mi informò un ragazzo dai lunghi capelli scuri
trattenuti in un cordoncino di pelle, "Angie", aggiunse in fretta una
tipa che mi ricordava spaventosamente una qualche star del cinema, per
poi tornare a rimirarsi le unghie perfettamente curate. "Claire",
mormorò piano (o almeno piano per un umano) un'altra dai
capelli
cortissimi che portava una spilla da balia a mo' di orecchino. In
ordine seguirono Carl, Trisha, Jennifer e Robert.
Dopodiché Zen mi lasciò il suo posto mentre
andava a
cercare un'altra sedia per sè e Brett faceva sedere
un'irriconoscibile Ella sulle sue ginocchia massicce. "Dove sono i
gemelli? E Lauren?" chiese qualcuno.
Lucas ritirò il telefono con un cenno infastidito, "Stanno
arrivando" sospirò.
In quel preciso istante entrò una ragazza dai lunghissimi
capelli biondi, sorridendo ai presenti, per mano ad un ragazzo con i
capelli tinti di un blu acceso. Entrambi si presentarono, e mentre
Lauren elargiva baci a tutti i presenti, Taylor (come aveva detto di
chiamarsi) si sedette accanto a Zen.
"Mi auguro abbiate ordinato da bere" a parlare fu l'ultimo ragazzo ad
essersi aggiunto alla compagnia, che non appena mi notò mi
fece
un mezzo sorriso e mi porse la mano "Sono Adam" disse, con una voce
roca
e profonda, sbattendo lentamente le ciglia su dei travolgenti occhi
color oro. Appoggiai la mia sulla sua, "Nathalie" mormorai.
Noncurante degli altri lui appoggiò le labbra sul dorso
della
mia mano, e mi fece ridacchiare - prima o poi mi sarei appoggiata a
quella specie di squittio su cui apparentemente non avevo alcun
controllo- "enchanté" sussurrò prima di afferrare
una
sedia e sedersi esattamente accanto a me.
Taylor scoppiò a ridere "Devi perdonarlo Nathalie. Mio
fratello è incorreggibile."
Guardando entrambi realizzai quanto fossero identici, eccezion fatta
per gli occhi - quelli di Taylor erano di un castano scuro - e i
capelli, come a confermarlo Adam si passò la mano tra i
capelli disordinati che gli
arrivavano quasi alle spalle mentre sotto la luce rossastra della
stanza si tingevano di un curioso color ramato, e mi strizzò
l'occhio.
"Devi essere nuova di qui ... mi sarei ricordato di te"
mormorò,
mentre il suo sguardo accarezzava i jeans aderenti e la maglia
leggermente scollata che indossavo. Suonava come una lusinga e
contrariamente al solito non mi sentii per nulla infastidita.
Gli sorrisi lentamente (lasciandomi prendere un po' la mano e
prevedendo il suo sbattere le ciglia come fosse ipnotizzato) "Diciamo"
replicai.
"Di dove sei?" Chiese Lauren, accavallando le gambe affusolate.
Scrollai le spalle "Mi sono spostata parecchio, negli anni."
"Con i tuoi genitori?"
Istintivamente rivolsi uno sguardo diffidente a Trisha, che aveva posto
quella scomoda domanda.
"Ora sono sola", tergiversai. Non mi andava di raccontare cosa fosse
accaduto anche perchè riguardava un po' troppi particolari
per
cui mi avrebbero rinchiusa all'istante in un manicomio sperduto
gettando via la chiave.
"Viene a scuola con me" cinguettò Ella, scomparendo poi di
nuovo tra le braccia del suo ragazzo.
"E te la devi sorbire tutto il giorno? Oddio, povera"
ironizzò
Zen, per poi rivolgerle un'occhiata bonaria piena di affetto ( e
probabilmente anche di qualcosa di più).
"E' lei che deve sorbirsi me, sono particolarmente noiosa."
"Secondo me invece sei molto interessante", si intromise Adam, "E
scommetto in certe situazioni anche qualcosa di più", il suo
sguardo fu inequivocabile.
"Adam ti supplico, possiamo posticipare la chiamata per stalker di
qualche ora?" Lo supplicò Lucas, sporgendosi a pizzicarlo
sul
ginocchio.
Lui rise, grattandosi la testa e guardandomi, fingendo un imbarazzo che
ero sicura non provasse minimamente. Avrei voluto fingermi quantomeno
in imbarazzo, ma proprio non riuscivo a non restituirgli gli sguardi
carichi della medesima malizia.
"Dove sei nata?" Chiese Angie, spostando nuovamente l'attenzione su di
me.
"A dire il vero a Londra. Ma mi sono spostata appena i miei hanno
potuto caricarmi su un aereo."
"Oh mio dio, Londra ... hai il sangue degli artisti che ti scorre
dentro" commentò Taylor, interrompendo sul nascere le altre
domande che Angie stava per pormi.
"Non penso di aver assorbito granché, a parte la pioggia e
qualche virus di troppo", ecco lo sapevo che dovevo smettere di
parlare. Mi morsi la lingua giusto in tempo prima di spiegare per filo
e per segno come avessi quasi perso la vita e i miei-
"Fidati", mi disse Taylor, mentre il gemello scoppiava a ridere, "Non
dargli retta o comincerà a spiegarti quali grandi artisti
l'Inghilterra ha avuto e l'America non potrà mai eguagliare
e
bla bla bla", il modo in cui Adam alzò gli occhi al cielo mi
piacque troppo per capire effettivamente cosa avesse appena detto.
"Prima o poi mi darai retta anche tu" replicò stizzito
Taylor,
mentre Lauren gli accarezzava piano il ginocchio come a rabbonirlo.
Quei due dovevano essere stati un tormento da piccoli.
"Quanti soldi hai per poterti permettere una vita così
nomade?"
Tutti fissarono in malo modo Claire, che, dopo essersene stata zitta
fino
a quel momento, aveva brutalmente puntato nuovamente l'obiettivo su di
me. Sicuramente la delicatezza non era una sua qualità.
"I miei ne avevano si ... ma cerco di procurarmeli nel posto in cui
sono, mi adatto", feci spallucce, " non ho nemmeno bisogno di
chissà cosa per ritenermi soddisfatta."
"In che modo" continuò lei, imperturbabile. Aveva quel modo
di
porre domande che non sembravano nemmeno tali, era come se avesse
volutamente tralasciato il punto di domanda, come se fosse del tutto
inutile.
"Dipende", serrai le braccia sentendomi all'improvviso eccessivamente
esposta.
"Ad esempio"
Gli altri restavano in silenzio, muovendo appena la testa come stessero
assistendo ad una partita di tennis.
"Cameriera, commessa, tuttofare, un po' di tutto"
"Io ti assumerei come tuttofare" sussurrò Adam ad un volume
così basso che probabilmente non si aspettava avrei sentito
neppure io, ma il mio risolino di risposta lo fece sobbalzare per poi
far
spuntare un compiaciuto sorrisetto sulle sue labbra. Con la coda
dell'occhio notai una fossetta profonda sulla sua guancia sinistra, che
mi piacque almeno quanto gli occhi.
Distolsi lo sguardo perché probabilmente
l'elettricità
tra noi stava raggiungendo livelli percepibili dal Polo Nord.
"Ma quindi ..." la voce di Robert fu rapidamente troncata dal frastuono
di Adam che si alzava dalla sedia.
"Io vado fuori a fumarmi una sigaretta, Nath ti unisci?" Poi porgendomi
la mano mi rivolse uno sguardo eloquente: mi stava salvando, e
probabilmente avvertì la mia gratitudine dal modo in cui mi
alzai e lo seguii a ritroso fuori dal bar.
Cogliendomi di sorpresa però mi fece girare prima
dell'uscita principale conducendomi per un tratto al buio.
"Avvertimi quando devo fare quella telefonata di denuncia", mormorai,
senza mostrare quando la stretta del suo palmo contro il mio mi avesse
riempito di piccoli brividi.
Lui si fermò di botto e le mie mani atterrarrono sul suo
giubbotto di pelle che emanava un avvolgente profumo di colonia."Almeno
lasciami fare qualcosa prima di rovinarmi la festa no?"
Prima che potessi ribattere, sentii il rumore di una porta che si
apriva e ci trovammo in un piccolo spiazzo illuminato da una lanterna
di almeno cinquant'anni prima. Lui spiccò un balzo per
scendere
dal rialzo su cui ci trovavamo poi si voltò per aiutarmi a
scendere, avevo già fatto salti più alti senza
scompormi
nella mia vita, ma colsi al volo l'occasione di sentire le sue mani
stringere i miei fianchi (dovevo decisamente darmi una controllata).
Mi porse una sigaretta e l'accese prima della sua, poi lo osservai
tirare una lunga boccata soddisfatta. I suoi occhi rilucevano di un
giallo simile a quello negli occhi dei gatti e la sua fossetta si fece
evidente quando mi sorrise in maniera maliziosa. "Se mi fissi
così non risponderò delle mie azioni."
"Chi te l'ha chiesto" ribattei, appoggiandomi ad un muretto e godendomi
la sensazione del fumo che entrava e usciva dai polmoni.
Lui rise venendomi a fianco, e il suo giubbotto sfiorò
involontariamente il mio avambraccio nudo.
"Mi dispiace per loro", fece un cenno verso la porta da cui eravamo
entrati, "a volte sono dei veri rompiscatole."
Scrollai le spalle ma non osai dire nulla: mi sentivo ancora abbastanza
scossa dall'interrogatorio a cui mi avevano sottoposta. "Sono abituata."
Lui mi scrutò a lungo. "A certe cose non ci si abitua mai."
Probabilmente nemmeno immaginava quanto ciò che aveva appena
detto suonasse vero alle mie orecchie.
"Ci si illude però."
Adam distolse lo sguardo dal mio, sbuffando verso il cielo. "Sai gli
altri sono un po' iperprotettivi; ultimamente più del
solito."
Gli rivolsi uno sguardo curioso, ma gli concessi il tempo di decidere
se spiegarmi le sue parole o lasciarmi nel dubbio. Odiavo mettere
fretta o pressare le persone, trovavo interessanti gli umani; e questo,
bisognava ammetterlo, forse più di tutti gli altri.
"Ultimamente accadono cose strane." Prese un'altra boccata di fumo,
"Sparisce gente, poi ricompare come se non si fosse mai allontanata. O
non ricompare proprio. Una delle nostre più care amiche ..."
gli
mancò la voce e per qualche istante perse ogni traccia del
ragazzo malizioso e donnaiolo che avevo conosciuto fino a
quell'istante. "E' sparita da un mese. Nessuno si spiega come sia
successo, o ancora più perchè nessuno la cerchi."
Aggrottai le sopracciglia mentre potevo quasi sentire gli ingranaggi
del mio cervello mettersi in moto.
"La sua famiglia non parla di lei, i suoi amici più vicini
... evitano l'argomento."
"Magari è scappata e loro ne sono a conoscenza?" Proposi,
sapendo già che era un'intuizione del tutto sbagliata.
"Megan aveva paura pure della sua ombra, non credo fosse capace nemmeno
di raggiungere la sua porta di ingresso se il corridoio era buio." Si
passò la mano sulla faccia e notai all'improvviso la
stanchezza
accumulata sotto i suoi occhi e le rughe di preoccupazione che gli
attraversavano la fronte.
Senza nemmeno rendermene conto posai il mio indice al centro
dell'increspatura tra le sue sopracciglia, finché la fronte
si
rilassò del tutto. Quando abbassai gli occhi nei suoi mi
resi
conto di quanto fossimo vicini e del suo fiato che mi disegnava sul
viso soffi di elettricità. Annaspai fino ad aggrapparmi al
suo
giubbotto di pelle mentre un'attrazione che non ricordavo di aver mai
provato invadeva il mio stomaco stringendolo in una morsa. La porta che
si apriva ci divise un istante prima che ci scambiassimo il bacio
più desiderato di tutta la mia vita.
"Dannazione", grugnii, riprendendo la mia sigaretta ormai quasi del
tutto consumatasi, mentre lui, con lo stesso tono, sospirava un
"Maledizione".
Ridacchiai per poi puntare lo sguardo su Angie, che ci scrutava
sospettosa dal rialzo, senza osare scendere con le sue decollete a
tacco alto. Adam non fece un passo per aiutarla e questo mi
riempì di un piacere quasi sadico.
"Ehi ragazzi ... sono venuta a controllare che andasse tutto bene." Il
suo tono tradiva una gelosia malcelata.
Io sorrisi - ovviamente mi ero inimicata all'istante la Barbie della
situazione, e questo era un classico- mentre Adam,
riprendendo la
sua maschera da bellimbusto, sospirava teatralmente. "Stavamo
rientrando, non rovinarti la capigliatura a preoccuparti per me."
Lei probabilmente non colse il suo tono sarcastico perché
aspettò zelante che
noi raggiungessimo la porta per tornare da dove era arrivata.
Probabilmente però
non colse quando Adam si voltò lentamente verso di me a
sussurrare "Non pensare di averla scampata così" e io
ridacchiai
- senza (quasi) sussultare al mio stesso ormai abituale squittio.
*angolo autrice*
ok, ok, c'è voluto più tempo del previsto and I'm
so sorry, sono un impiastro e faccio anche praticolarmente schifo a
rispettare i tempi e , a quanto pare, a continuare questa storia.
Ma nuovo anno, nuovi propositi e quindi riproviamoci.
Per chiunque la leggesse vi supplico di lasciarmi anche un commentino
minuscolo, è tutto accetto e come al solito vi lancio tante
scatole di biscotti virtuali ...
a presto spero
S.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2489719
|