Temporary Escape

di LaRagazzaConLaSciarpaRossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chelsea Apartment No 2 ***
Capitolo 2: *** Brand New Me ***
Capitolo 3: *** Beat Your Heart Out ***
Capitolo 4: *** The Lawyer Gigolò ***
Capitolo 5: *** Stop the world I wanna get off with you ***
Capitolo 6: *** Shot at the Night ***



Capitolo 1
*** Chelsea Apartment No 2 ***


1

Chelsea Apartment No 2

 

Pov Elena

 

«Il volo 5862 diretto a New York City è in partenza. Preghiamo i signori viaggiatori di avvicinarsi al Gate 18 per l'imbarco».

Alzai lo sguardo dalla rivista che stavo leggendo distrattamente e mi concentrai sui suoni provenienti dall'altoparlante inchiodato al muro dell'areoporto di Richmond. Era il mio aereo, non potevo più tirarmi indietro. Infilai la rivista nella shopper color salmone e mi alzai dalla poltrona nella sala d'attesa. Respirai profondamente un paio di volte prima di mettermi in fila dietro le altre persone che, contrariamente a me erano entusiaste di mettere piede sul velivolo. Due hostess presero in esame il mio biglietto e mi sorrisero accomodanti. Probabilmente riservavano quella premura a tutti quelli che viaggiavano in prima classe. Dovevo ringraziare la mia migliore amica Caroline per quel biglietto in prima classe. Lei sapeva che non ero un'amante del viaggio in aereo così mi aveva spedito quel biglietto nella speranza che riuscissi a rilassarmi un po'. Come se avessi potuto davvero farlo, a 13.000 metri da terra.

Una delle hostess mi accompagnò verso la parte anteriore dell'aereo e m'indicò la poltrona 56, la mia. Ero sbalordita dall'atmosfera di eleganza e lusso che si percepiva all'interno. Come faceva un posto così stretto e limitato ad essere più sfarzoso del mio piccolo appartamento nel cuore di Richmond?

Camminai nel corridoio osservando gli uomini in completo scuro che pigiavano i tasti dei loro portatili e le anziane signore che tentavano di imitare la regina Elisabetta con i loro cappelli colorati.

Mi sedetti sulla poltrona centrale. Era comoda e spaziosa, aveva addirittura il poggiapiedi. Nuovamente trovai inevitabile paragonarla con il mio divano comprato in negozio vintage. C'era poco da discutere, le persone che si erano occupate dell'arredamento dell'aereo erano indubbiamente più capaci di me.

Allacciai la cintura di sicurezza e tentai di ignorare il peso sullo stomaco causato dal mio -finora ben celato- nervosismo.

«Desidera dello Champagne?» mi chiese una delle hostess un secondo dopo essermi sistemata. Improvvisamente mi illuminai. Champagne? Quale modo migliore per rilassarsi se non con dell'alcol in circolo?

«Certo!» risposi entusiasta. Forse Caroline aveva ragione, forse questa volta il viaggio sarebbe stato godibile.

«E per lei signore? Desidera dello Champagne?».

Mi voltai incuriosita. Non avevo nemmeno realizzato che accanto a me ci fosse qualcuno. Ero troppo presa ad assaporare la magica atmosfera della prima classe.

Il ragazzo era vestito casual. Indossava un pullover scuro dal quale usciva il colletto blu navy della camicia e un paio di jeans neri. Ma quando si voltò per rispondere alla donna rimasi senza fiato. I suoi occhi erano icredibili. Avevano un'inclinazione verso il basso che gli donavano uno sguardo maliconico e ammaliatore. Le iridi poi erano di un intenso celeste così particolare da sembrare innaturale. Il viso era di forma triangolare, caratterizzato da una mascella squadrata e la fronte alta che però era nascosta da disordinati capelli corvini.

«Prefersico del Bourbon, grazie» sorrise alzando a destra le labbra sottili.

Tornò a guardare fuori dal finestrino e io tentai di ricompormi recuperando un po' di quell'autocontrollo che avevo coltivato nei miei venticinque anni a contatto con il genere maschile.

Ma non riuscivo a resistere, dovevo guardarlo ancora. Giusto per controllare di non essermi immaginata niente. Anche se era seduto potevo dire con certezza che era più alto di me grazie alla lunghezza delle sue gambe, il fisico era snello e l'aspetto elegante e curato. Trasmetteva anche un' aria dominante e imponente con le sue spalle larghe e le braccia atletiche che si intravedevano dal pull. Ripensadoci dire che aveva un bell'aspetto non era nemmeno lontanamente sufficiente per descriverlo.

«Posso fare qualcosa per te? Una foto...un autografo?» domandò il ragazzo posando nuovamente lo sguardo su di me. «Una sveltina, magari».

Sgranai gli occhi e sentii le guance che si surriscaldavano. Ma che razza...?

«Scusami?» chiesi con un tono di voce acuto «Ma come ti permetti? Chi ti credi di essere?»

«Oh perdonami. Non volevo offenderti» mormorò innocente «Vedi, mi capita spesso di ricevere proposte simili»

«Davvero impressionata» dissi tagliente. Sbruffone. Ritirai tutto ciò che avevo pensato prima, poteva essere anche bello come un dio greco o nordico -visti gli occhi glaciali- ma certamente il suo punto di forza era la spavalderia.

«Lo so, faccio sempre questo effetto alle ragazze». Ancora quel sorriso obliquo. Cos'era? Un marchio di fabbrica per caso?

«Ero ironica»

«Io no» sorrise ammiccante e io alzai gli occhi al cielo. Se i ragazzi di New York erano tutti come lui cominciavamo male. Se c'era qualcosa che non sopportavo erano i ragazzi sbruffoni e arroganti, non ero più al liceo e non avevo quindi l'obbligo di sopportarli.

«Ecco a voi» L'hostess era arrivata con due bicchieri in mano. Un calice di champagne e un bicchiere appena riempito da un liquido ambrato.

Il ragazzo sorrise alla donna maliziosamente. «Le hostess sono il sogno erotico di ogni uomo» mi spiegò non appena l'assistente di volo si era allontanata lungo il corridoio dell'aereo.

Ricambiai il suo sguardo con un'occhiata scettica e mi voltai immediatamente dalla parte opposta. Mi metteva a disagio. Più delle sue battutine erano quegli occhi a paralizzarmi. Erano bellissimi, i più seducenti che avessi mai visto. E io non volevo passare per quella a cui bastavano due occhi a calamita per sciogliermi. Ancora di più se erano di proprietà di un idiota sessista.

Posai le labbra sul calice e bevvi una generosa sorsata di champagne. L'aereo stava decollando e sentivo la paura crescere ed espandersi lungo tutto il corpo. Chiusi gli occhi e appoggiai la testa alla poltrona per cercare un po' di sollievo. Dio quanto odio volare. Era qualcosa che non avevo mai sopportato. Ero sempre stata una con i piedi per terra. Anzi una con i piedi cementificati a terra, per meglio dire e probabilmente questo era uno dei motivi che mi impediva di apprezzare il volo.

Rimasi immobile, tesa come una corda di violino, per un tempo che mi sembrava infinito. Quando riuscii a rilassarmi, il dannato veicolo sobbalzò improvvisamente. Calma, stai calma, sono solo due ore di viaggio mi dissi mentalmente. Perché diavolo mi ero fatta convincere? Dovevo prendere il treno come avevo progettato. Se fossi morta sarei tornata come fantasma e avrei tormentato Caroline fino alla pazzia.

Aprii gli occhi per un secondo e vidi la hostess barcollare per un sussulto dell'aereo.

Cazzo, cazzo, cazzo.

Cominciai a respirare faticosamente, le mani tremanti avevano cominciato a sudare. Mi mancava l'aria, il respiro era mozzato. Ecco, lo sapevo. Sapevo che sarebbe andata a finire così. Altro che New York, altro che nuova vita, sarei morta in mezzo all'Atlantico, sbranata dai pescecani!

«Ehi, tutto bene?».

Il ragazzo accanto a me mi stava guardando pensieroso. Ci mancava solo lui.

Mi morsi il labbro e scossi la testa, incapace di formulare una sola vocale. Non stava andando tutto bene, per niente. Cominciai a guardarmi intorno per vedere se ero la sola che si stava agitando ma appena mi voltai verso le anziane che avevo addocchiato quando ero salita a bordo, l'aereo subì un altro scossone e chiusi gli occhi di scatto, stringendo le mani al poggia gomito del sedile.

Morti, morti, morti, saremo tutti morti.

All'improvviso sentii una mano stringere delicatamente ma con determinazione la mia. Aprii gli occhi e vidi il bel passeggero dai capelli scuri sorridermi fiducioso. Nessun sorriso ammiccante, nessuna occhiata maliziosa o piacente solo un'espressione...rincuorante. Non era preoccupato, non era in preda all'ansia come lo ero io. Mi teneva la mano come se fosse la cosa più naturale del mondo nella circostanza più tranquilla del mondo.

«Va tutto bene, ci sono io».

Lo guardai e cominciai ad analizzargli il volto con estrema concentrazione. Se non altro questo riusciva a distrarmi dalle turbolenze.

Aveva i lineamenti del viso marcati ma non duri o aggressivi, quando sorrideva gli spuntavano delle sensuali fossette intorno alle labbra. La fronte alta era nascosta da ciocche di capelli vaporosi. Se facevo attenzione riuscivo a sentire il profumo di dopobarba che aleggiava intorno a lui.

«Chiudi gli occhi» mi disse gentilmente e io lo guardai titubante. «Non ti bacerò all'improvviso, a meno che non sia tu a chiedermelo» aggiunse ridacchiando.

«Cosa? Io non ti chieder...ah» tentai di rispondergli a tono ma l'ennesimo sobbalzo improvviso mi ammutolì.

«Chiudi gli occhi, è utile per soffrire meno i singhiozzi dell'aereo» riprese serio.

Lo guardai ancora una volta, velocemente per fotografare il suo viso e poi chiusi gli occhi cercando contemporaneamente di controllare il respiro. Mi sentivo inspiegabilmente sicura e protetta con la sua mano stretta nella mia. Era stupido forse ma era come se lui fosse un'ancora in grado di tenermi sulla terra ferma dove nessuna scossa poteva spaventarmi e lentamente cominciai a rilassarmi. In realtà non sapevo dire se era perché l'aereo aveva cominciato a stabilizzarsi o perché lui mi teneva stretta ma in ogni caso rimasi sorprendentemente felice quando, finita la turbolenza lui mantenne la sua mano sopra la mia.

Restammo così, in silenzio, per tutto il viaggio, finché l'aereo non cominciò ad atterrare e allora aprii gli occhi.

«Non siamo morti» disse il ragazzo lasciando la mia mano con delicatezza.

«Un gran sollievo».

Quando le assistenti di volo entrarono nella nostra area, cominciarono ad indicare le uscite con gesti autoritari. Tutti i viaggiatori e turisti si avviarono verso il corridoio formando una fila compatta. Io camminavo stringendo la mia borsa. Sentivo la presenza del ragazzo dietro di me e mi spuntò un sorriso. Alla fine non era poi così male.Si era rivelato meno fastidioso di quanto avevo immaginato. Anzi.

«Allora...posso conoscere il nome della ragazza che ha declinato la mia offerta indecente?» domandò allegro raggiungendomi una volta entrati nella zona arrivi per recuperare i bagagli dai nastri trasportatori.

«Non credo tu l'abbia meritato».

Lui sorrise imbronciato «D'accordo. Io sono Damon comunque» porse la mano e io la strinsi immediatamente. Era ancora calda. Damon si voltò per recuperare il suo trolley rigido nero e tornò a guardarmi. «È stato un piacere, Miss Senza Nome» sorrise avviandosi verso le uscite mescolandosi tra la folla creata con gli arrivi degli aerei. Rimasi a guardarlo allontanarsi per un pò, fino a quando non fu invisibile e continuando a domandarmi se non fosse il caso di inseguirlo e rivelargli il mio nome...o il mio indirizzo.

Posando lo sguardo su un'allegra famiglia indaffarata con le valigie tornai con i piedi per terra e mi avviai verso i rulli trasportatori dove la mia valigia azzurra girava a vuoto. Con un po' di difficoltà la recuperai e l'appoggiai a terra. Normalmente non mi portavo molte cose in giro, ma quello che stavo facendo non era un viaggio di piacere. Non stavo solo andando a trovare la mia migliore amica per qualche giorno o settimana.

Mi stavo trasferendo.

Trovavo ancora strano pensarlo. Ma era proprio così. Io Elena Gilbert mi ero fatta convincere da tutte quelle voci che mi dicevano di lasciare la Virginia.

Non avevo avuto un'infanzia facile, i miei genitori erano morti in un incidente d'auto quando avevo diciassette anni e da quel giorno avevo perso la spensieratezza tipica degli adolescenti.

Mia zia Jenna aveva solo venticinque anni quando le venne affidata la mia tutela e quella di mio fratello Jeremy, che aveva appena quindici anni. Non era stato facile per nessuno di noi ma alla fine eravamo riusciti a cavarcela con qualche litigata e qualche fraintendimento.

Nonostante Caroline e Bonnie – le mie migliori amiche - mi fossero sempre state accanto, avevo raramente assaporato la vera vita di un teenager. Non ero un'amante delle feste o delle sbronze, non ero mai rimasta fuori casa tutta la notte e non avevo mai rischiato di essere arrestata dalla polizia come alcuni dei miei vecchi compagni di scuola.

Quando ripensavo ai vecchi tempi, non mi sentivo affatto contenta di come avevo vissuto l' adolescenza, era stato un periodo piuttosto cupo e l'oscurità causata dalla morte dei miei genitori non mi aveva mai realmente abbandonata.

E mentre le mie amiche sognavano di lasciare la sconosciuta cittadina in cui abitavamo io mi accontentavo di cercare lavoro nelle vicinanze. Così quando Caroline si trasferì a New York per frequentare la Columbia University e Bonnie nel Massachusettes, dove le era stata offerta una borsa di studio alla Boston University, io rimasi sola. Non sola sola, avevo Jenna e Jeremy e anche il mio migliore amico, nonché ex ragazzo del liceo, Matt ma l'assenza delle ragazze era qualcosa che avevo accettato con molta difficoltà. Non avevamo mai passato nemmeno un'estate da sole, sei anni al college era come una scalata sull'Everest per uno senza coordinazione motoria.

Avevo scelto di frequentare il Whitmore College ad un'ora di macchina da Mystic Falls -dove abitavo- per stare vicina a Jeremy e a Jenna, che aveva abbandonato tutto per stare con noi. Mi sentivo in dovere di restare e in realtà avevo bisogno di farlo perchè non volevo che il ricordo dei miei genitori si affievolisse a causa della lontananza. Come Caroline avevo deciso di frequentare la Law School. Fin da piccole eravamo rimaste affascinate dal mondo dell'avvocatura, Ally McBeal era stata la nostra passione segreta. Progettavamo di frequentare lo stesso college e lo stesso corso da quando avevamo dieci anni. E anche se le cose erano andate decisamente in modo diverso da come le avevamo immaginate, alla fine, dopo sei anni eravamo diventate entrambe quello che sognavamo: avvocati. Dopo il primo anno come tirocinante nello studio convenzionato con il College a Richmond avevo inviato il mio breve curriculum a diversi studi legali della Virginia. Erano tutti studi molto piccoli, spesso con un taglio familiare e nessuno di loro aveva tempo e risorse disponibili per formare nuovi giovani avvocati.

Ero frustata e insoddisfatta.

«Vieni a New York» mi disse Caroline, quando, uscita dall'ultimo deludente colloquio di lavoro, le avevo telefonato.

«Cosa?» le chiesi sorpresa. Non che non avessi mai pensato di trasferirmi ma in quel momento mi sembrava una pazzia che non aiutava il mio status da disoccupata.

«Si! Hai sentito bene!» sbuffò «Ascolta, hai passato tutta la vita pronta ad aiutare la famiglia, a rimanerle accanto perché ti sentivi in dovere, hai scelto un College vicino per poterci tornare velocemente...»

«Caroline, Jeremy aveva bisogno di me! Ero l'unica rimasta»

«Lo so! Elena...so bene cosa avete passato...ma io sono tua amica e se tu non lo fai è mio dovere pensare al tuo bene»

«E secondo te il mio bene è a New York?»

«Beh in qualsiasi altra città affollata dove gli studi legali hanno bisogno di nuove reclute ogni giorno» mi spiegò sicura «Ma qui ci sono io quindi sono parziale e ti dico che il tuo bene è assolutamente New York». Rimasi in silenzio, immersa nei miei pensieri e non completamente convinta.

«Senti, io non voglio forzarti a fare nulla, ok? Però penso che sia giunto il momento di fare qualcosa per te stessa. Hai venticinque anni, sei intelligente e lavori sodo. Hai tutte le qualità necessarie per questa città. Jeremy è grande e non devi certo fare da balia a Jenna! Qui non c'è nessuno di cui ti devi prendere cura, se non te stessa, te lo devi!»

«Ho tutte le qualità giuste?»

«Assolutamente! Tra due settimane cominciano i colloqui al mio studio, il Somerhalder&Wesley, e tu ci devi essere!»

«Non lo so, Care...dovrei preparami, cercar casa e...»

«Non dire sciocchezze! Ti ricordi casa mia? C'è una stanza in più che ti aspetta!»

«Cosa? No no, io non posso...non voglio darti questo peso!»

«Ma quale peso? Sai che ho sempre sognato di vivere con le mie migliori amiche! E poi se fosse un peso non l'avrei proposto, ti pare?»

Rimasi di nuovo in silenzio e m'immaginai Caroline tutta sorridente, emozionata dall'idea di avermi intrigata. Forse lei aveva ragione, forse avevo davvero bisogno di quella città, di qualcosa che fosse diverso da quello a cui ero abituata. Avevo bisgno di concentrarmi su qualcosa che non mi ricordasse costantemente il difficile passato. Forse ero l'unica al mondo ad aver bisogno di passanti sfuggevoli che non prestano attenzione alla vita degli altri, di non sentire la pena che i miei compaesani emanavano quando mi vedevano. Avevo bisogno di New York.

E poi c'era Care, la mia pazza Care. L'idea di vivere con lei era fantastica, era un connubio tra passato e futuro, tra provincia e città. Mi era mancata così tanto quando se n'era andata.

«Va bene» risposi infine.

«Dici sul serio?» esclamò lasciandosi sfuggire gridolini che facevano molto bambina al suo decimo compleanno.

«Sì. Mi hai convinta» ripetei tentando di mascherare il mio entusiasmo con la calma «Sei un bravo legale, per la cronaca. Mi hai convinto in meno di mezz'ora».

Caroline ridacchiò felice. «Modestamente».

E così eccomi qui al JFK con uno spirito ottimista a guidarmi. Una nuova vita, ecco a cosa stavo andando incontro. Ricominciavo da zero, in una delle più belle città del mondo.

 


Una volta recuperata la valigia mi spostai in un angolo fuori dalla folla in uscita. Presi il telefono dalla shopper e lo accesi. Aspettai solo qualche secondo e i messaggi che mi erano stati inviati durante il volo comparvero sulla schermata del Samsung. Uno era di Jenna che voleva sapere com'era andato il volo, uno era di Bonnie che aveva bisogno di una valvola di sfogo contro il suo capo e infine quello di Caroline, il più importante. "Non riesco a venire a prenderti, sono corsa in tribunale per l'udienza. Vieni a vedermi: l'indirizzo è 60 Center Street. Aula 16. Baci C".

Uscii dal JFK e alzando il braccio attirai l'attenzione di un taxi. Sorrisi nel vederlo avvicinarsi. Era davvero come nei film, come faceva Carrie Bradshaw, come immaginavo facessero tutti i veri newyorkesi. Credevo fosse qualcosa che avessero nel sangue e che io avrei dovuto imparare a fatica e invece eccomi li, ad alzare il braccio in aria.

«60 Center Street» dissi al taxista e questi partì velocemente evitando la coda che si era formata accanto al marciapiede fuori dall'areoporto.

Tenni il viso schiacciato contro il finestrino per tutto il tragitto, ammaliata dal centinaio di persone che camminava per i marciapiedi, affascinata dalla quantità di caffetterie, ristoranti e locali che fiancheggiavano i negozi alla moda nelle strade più famose della città. Times Square, Fifth Avenue e Brodway. Oh quanto mi sarebbe piaciuto assistere ad un musical una di quelle sere. Appena entrati nella Lower Manhattan assaggiai l'atmosfera finanziaria che emanava. Gli imponenti grattacieli facevano tremare i piedi, la New York Stock Exchange troneggiava come un dio greco sul quartiere e i passanti erano tutti rigorosamente in giacca e cravatta.

Il taxi si fermò davanti ad un palazzo alto in mattoni bianchi sopra il quale brilla la scritta in oro "Tribunale Civile del Distretto sud di Manhattan". Pagai ed entrai nell'edificio. Era affollato da guardie addette alla sicurezza e gruppetti di avvocati in attesa di essere chiamati per discutere le istanze con i giudici.

«Elena Gilbert?».

Mi voltai sorpresa. Una ragazza sulla trentina dalla carnagione olivastra mi guardava incerta. Aveva in mano una ventiquattrore e indossava un tailleur grigio scuro.

«Sì, sono io»

«Buongiorno Miss Gilbert, sono Hayley, l'assistente di Miss Forbes. Mi ha chiesto di aspettarla qui e di indicarle l'aula del tribunale»

«Oh...ma certo, salve» risposi. Miss Gilbert? Miss Forbes? Ma dov'ero finita in una puntata di Downtown Abby?

Seguii Hayley lungo i corridoi trascinando dietro il trolley rumoroso. Ero decisamente a disagio, attiravo l'attenzione come un palo della luce nella notte. Hayley si fermò davanti all'aula 16 e mi incoraggiò ad entrare. «Questa la tengo io» aggiunse guardando la valigia. Le sorrisi passandole il manico estraibile. Chissà cos'avrebbe pensato il giudice se una ragazza in valigia fosse entrata nella sua aula.

Aprii la porta delicatamente e passai accanto a due guardie in uniforme blu dall'aria severa. Mi sedetti nella penultima fila. L'aula era molto più grande di quelle che avevo visto quando frequentavo il tirocinio nello studio legale a Richmond. C'erano almeno una settantina di persone sedute davanti al giudice e dietro agli avvocati della difesa e dell'accusa. Inclinai leggermente la testa e riuscii a vedere dei boccoli biondi. Caroline era davanti al giudice intenta a parlare con un testimone o un imputato. Dovevo ancora capirlo.

«Ecco vede, in questa nota c'è un aumento del 12% delle vendite nel primo quadrimestre di quest'anno» disse Caroline porgendo un foglio bianco al giudice e mostrando il suo all'uomo seduto al banco dei testimoni.

«Vendiamo alla catene di caffetterie...si sono espanse...»

«Sì ma se guarda qui» lo interruppe Caroline «Non c'è stato un aumento corrispondente negli acquisti di farina e sciroppo di mais, se aveste aumentato la distribuzione, anche i costi per le materie sarebbero dovuti aumentare...»

«Obiezione, vostro Onore! Sono solo supposizioni» alzò la voce l'avvocato seduto alla scrivania della difesa. Caroline si voltò e riuscii a guardarla. Era sorridente e calma. Indossava una camicetta color panna con una scollatura a V impreziosita da una spessa collana dorata e una gonna ad anfora rosa confetto che le lasciava scoperte le ginocchia. Il giudice, un uomo stempiato sulla cinquantina la guardava con interesse.

«Vostro Onore, sto solo cercando di capire le dinamiche in cui sono avvenuti i fatti»

«Respinta. Avvocato proceda pure» sentenziò il giudice sorridendo a Caroline.

«È fantastica, vero?». Mi voltai richiamata dalla domanda che mi era stata posta.

La voce apparteneva ad un ragazzo biondo con i capelli tendenti al riccio. Indossava abiti informali che gli davano comunque un'aria curata ed elegante. Non era esattamente il mio tipo ma dovevo ammettere che per i modi di fare risultava certamente affascinante. Guardava Caroline con attenzione e fierezza. Che fosse il suo ragazzo? Lei non mi aveva detto niente. Avrei voluto domandarglielo ma Caroline ricominciò a parlare e avevo come la sensazione che se avessi detto qualcosa lui non se ne sarebbe nemmeno accorto.

«Grazie Vostro Onore. Signor Haynes, può spiegarci la discrepanza appena accennata?»

«Per prevenire i rincari, gli abbiamo acquistati il trimestre prima» rispose seccato il signor Haynes.

«No, non stando a questa tabella che confronta gli acquisti annuali» Caroline camminò sui suoi stiletti a ritroso verso il banco dell'accusa e recuperò dalla cartellina altri due fogli. Uno lo porse al giudice e l'altro lo mostrò all'uomo. «Se guarda qui, in questa nota a piè di pagina, vedrà che non risulta un aumento dei profitti annuali. La domanda è ovvia, se ha avuto una crescita del 12% che fino ha fatto l'eccedenza?»

«Obiezione! La domanda è faziosa, fa sembrare il signor Haynes responsabile di una frode il cui processo è ancora in corso»

«Ritiro la domanda» disse Caroline alzando le braccia al cielo.

«L'accusa vuole porre altre domande?» domandò il giudice.

«Sì vostro Onore» rispose Caroline schietta.

«D'accordo. La corte si aggiorna a Mercoledì». Il giudice sbatté il martelletto sul tavolo e la settantina di persone si alzò caoticamente per raggiungere l'uscita. Mi alzai anch'io in piedi. Dietro di me non c'era più nessuno, il ragazzo doveva essere uscito subito dopo la fine dell'udienza. Uscii dall'aula e raggiunsi Hayley che aspettava seduta su una poltroncina controllando il tablet. Accanto a lei c'era la mia valigia.

«Hanno finito» annunciai per rompere il ghiaccio. Hayley sembrava piuttosto disinteressata alla faccenda. Il che mi stupiva visto al suo posto sarei stata trepidante nell'attesa di sapere com'era andata l'udienza.

Caroline uscì cinque minuti dopo. Quando mi vide sorrise ampiamente, emozionata quanto me all'idea di rivederci.

«Non hai idea di quanto mi sei mancata». Caroline mi abbracciava con la stessa delicatezza con cui si abbraccia un panda. Lei non aveva idea di quanto mi era mancata. Alle volte sapeva essere davvero una rompiscatole ma personalmente non avrei potuto farne a meno.

«Anche tu» sussurrai. Le sue bracciette magre mi stritolavano più di quanto avrei potuto immaginare. Si staccò da me e, con le mani appoggiate sulle mie spalle, controllò velocemente la mia salute. Faceva sempre così quando non vedeva qualcuno da parecchio tempo, un rapido check-up di controllo. Doveva fare il medico altro che avvocato!

«Ti ho già detto che sei bellissima?» le dissi qualche secondo dopo averla esaminata io stessa. Era elegante su quei stiletti dello stesso colore della gonna. Il rosa, per essere chiari.

«Scherzi? C'era il ventilatore acceso sopra la mia testa! Se mi guardassi adesso allo specchio mi scambierei per qualche cantante degli anni ottanta!»

«Forse è perché non ti vedo da un po' ma...non sei mai stata più bella» continuai sincera. Aveva ancora la faccia allegra da diciassettenne ma riuscivo a vedere i tratti della maturità e dell'esperienza.

«Oh Elena Gilbert, salvatrice della mia autostima» rispose lei prendendomi a braccetto e conducendomi verso l'uscita del tribunale «Andiamo, abbiamo una camera da sistemare».

Fuori dall'edificio ci aspettava un taxi. Hayley lo aveva chiamato mezz'ora prima. Non sarà stata un'assistente entusiasta ma era davvero efficente. Venti minuti dopo, superato il traffico sostenuto della City alle cinque del pomeriggio, l'auto gialla si fermò davanti ad una palazzina di tre piani con i mattoni rossi nel quartiere residenziale del Chelsea. L'architettura era proprio come l'avevo immaginata guardando i film ambientati a New York.

Pagato il taxi salimmo le scale e quando Caroline aprì la porta di casa io splanacai gli occhi.

«Care...mio Dio...è tutto così...meraviglioso»

«Ci ho messo un anno per arredarla»

«È bellissima! È tutto così elegante, tutto molto...Caroline».

Lei sorrise.«Si beh, la maggior parte dei mobili gli ho comprati all'Ikea, ma non mi lamento» mi spiegò chiudendo la porta d'ingresso. «Lavoro ottanta ore la settimana, mi merito un po' di lusso quando torno a casa».

Annuii spostandomi verso la finestra che dava sulla strada residenziale. Anche la vista era meravigliosa, così cittadina, così urbana.

«Ti faccio vedere la stanza» disse Caroline recuperando la valigia che avevo lasciato sulla porta d'ingresso. Alla sinistra del soggiorno c'era un corridoio con le pareti occupate da alcuni quadri che rappresentavano Parigi. C'erano tre porte e Caroline aprì la prima alla sua destra. La stanza non era molto grande ma c'era tutto l'indispensabile: un letto matrimoniale, una scrivania, un armadio a due ante e lo specchio da parete sufficientemente grande da potersi specchiare fino al ginocchio.

«In confronto al resto della casa è un po' spoglia, non ho mai avuto il tempo di sistemarla come si deve»

«Scherzi? È perfetta!»

«Davanti c'è il bagno e accanto, la mia stanza»

«Ottimo» esclamai entrando dentro la camera. In effetti non c'erano molti oggetti, solo un piccolo quadro -di nuovo Parigi, era un'ossessione- ma preferivo così. Avrei potuta arredarla a piacimento. Sarebbe diventato il mio piccolo paradiso newyorkese.

«Ordino la cena dal cinese» m'informò Caroline saltellando allegra in soggiorno «Nel mio frigo c'è spazio solo per vino, vodka e tequila»

«Amica mia, noi andremo d'accordo!» le risposi a voce alta in modo che mi riuscisse a sentire anche dalla cucina. Eccoci qui Elena Gilbert. Eccoci a casa.
 

Prima di tutto voglio assolutamente ringraziare la mia adorabile beta, Taiga89, per lo scrupolosissimo aiuto che mi ha dato. L'ho apprezzato tantissimo e lo dico con pura onestà: Sei la migliore!!! :3
A chiunque sia arrivato fino a qui incolume faccio i miei sentiti complimenti xD! Okay non so bene che cosa sia questa cosa ma ho cercato di unire due cose che adoro: Vampire Diaries e i telefilm sugli avvocati v.v non so bene da quando ho questa insana passione ma boh eccomi qua xD Non seguo giurisprudenza quindi probabilmente le udienze e le arringhe che inserirò saranno un pò (spero non molto) scadendi, se qualcuno ha dei consigli sono davvero ben accetti! Allora questo è un capitolo prettamente introduttivo e penso lo sarà anche il secondo. Purtroppo li ritengo necessari per la trama e spero comunque che non risultino troppo noiosi. Se vi fa piacere scrivere qualcue commento ne sarei davvero felicissima e spero tanto di avervi incuriosito! Baci vostra Red :*

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Capitolo 2
*** Brand New Me ***


2

Brand New Me

 

Pov Elena

 

Prima di alzarmi dal letto quella mattina, rimasi avvolta dalle lenzuola leggere per dieci minuti buoni. Avevo sognato Damon. Oddio era così strano chiamarlo per nome. Mi dava l'impressione di conoscerlo. E questo non poteva assolutamente essere più stupido visto che avevamo scambiato appena qualche parola sull'aereo mentre cercavo ripetutamente di non vomitare. Ma dovevo essere onesta con me stessa: mi aveva colpito. All'inizio in modo negativo e dopo in modo molto, molto positivo. Era uno sconosciuto e si era preso cura di me in un momento in cui mi sentivo letteralmente morire.

Ne avevo parlato con Caroline la sera prima, davanti ad un bel bicchiere di Merlot corposo.

«Ma che dolce!» aveva commentato per tutto il tempo del racconto. «Non solo dovevi dirgli il nome ma anche dargli il tuo indirizzo, numero di telefono e codice fiscale!».

Aveva ragione. Avrei dovuto farlo davvero. Perché se anche all'inizio si era presentato come un vero impertinente alla fine si era dimostrato gentile e premuroso in maniera allarmante. E considerando tutto mi aveva regalato il primo viaggio in aereo senza spasmi e sofferenze.

Damon.

Se ci pensavo sentivo le guance arrossire. Ecco, perfetto, pensai, sto tornando quindicenne.

Dopo una doccia rigenerante e una truccatina leggera mi decisi ad uscire dalla camera. Caroline era già in piedi da almeno un'ora. Aveva preparato il caffè e sistemato i biscotti con le gocce al cioccolato su un piattino bianco. Lei era una vera sostenitrice della colazione. "È il pasto più importante della giornata" diceva sempre. E aveva dannatamente ragione, sopratutto se facevi l'avvocato e di conseguenza non conoscevi il significato di "pausa pranzo".

«Assolutamente no» disse Caroline quando entrai in cucina con addosso un cardigan rosa pallido, un paio di jeans e una collana sottile.

«Cosa?»

«È un colloquio di lavoro, Elena. Non un concerto gospel alla Casa di Riposo» proseguì lei concedendosi una generosa tazza di caffè fumante.

«Ah ah». Feci una smorfia «Cosa consiglia l'esperta?».

Il volto di Caroline si aprì in un sorriso. «Speravo che dicessi così». Posò la tazza nel lavandino e corse verso la sua camera con un sorrisetto che definire malefico era riduttivo.

L'armadio di Caroline aveva quattro ante ed era straripante di abiti appesi sopra grucce rigorosamente di color confetto. Iniziò a tirar fuori diversi abiti, tutti eleganti e raffinati ma alla fine optò per un tubino blu aderente con spalline sottili, scollatura a cuore e una cintura bianca che assottigliava la vita. Era un abito sensuale ma non provocante. Da vera venticinquenne in carriera quale secondo lei dovevo essere.

«Stupenda»

«È davvero bello» commentai sincera.

«Sei professionale e sexy, farai girare la testa a tutti i miei colleghi» ridacchiò Caroline avvicinandosi a uno dei suoi due comodini. Aprì il primo cassetto e ne tirò fuori un braccialetto dorato. «Prendilo, è il mio portafortuna».

Le sorrisi e lo agganciai al polso.

Dicono che una ragazza è bella quando si sente bella, e in quel momento mi sentivo bellissima.

 

Lo studio legale Somerhalder&Wesley contava quasi trecento avvocati che coesistevano pacificamente a NYC sotto lo stesso tetto. Per l'esattezza erano duecentottantasei, anche se era difficile tenere il conto perché ogni momento ce n'era più o meno una decina che se ne andava per varie ragioni, e c'era sempre più o meno una ventina di giovani reclute preparate, smaniose di gettarsi nella mischia. Sebbene fosse un grande studio legale, Somerhalder&Wesley era soltanto il secondo studio legale di New York in ordine di grandezza.

C'era una sezione dello studio che si occupava di lesioni personali, una per la difesa dei colletti bianchi, quella finanziaria-tributaria, quella del diritto penale. Poi c'erano le due sezioni maggiori, una per le cause civili-commerciali e ovviamente quella di diritto penale. Lo studio guadagnava grazie alle parcelle messe in conto ai clienti. Trecento-quattrocento dollari l'ora per le cause civili e penali, cinquecento per una grande banca e arrivavano addirittura a settecento per una ricca società per azioni. Nonostante la crisi che metteva in ginocchio la Nazione, lo studio legale guadagnava bene e pagava altrettanto bene.

Gli uffici erano eleganti ma non sfarzosi e occupavano gli ultimi piani del secondo grattacielo in ordine di altezza nella Lower Manhattan dove aveva sede il quartiere finanziario della City.

A grandi linee era quello che mi aveva detto Caroline la sera prima quando, nonostante l'alcol, si era intestardita nel descrivermi il mio nuovo possibile posto di lavoro.

Appena entrate nell'imponente atrio al piano terra Caroline salutò allegramente due addetti alla sicurezza che chiacchieravano accanto agli ascensori.

«Come ti senti?» mi chiese non appena le porte metalliche dell'ascensore si chiusero.

«Secondo te?» risposi leggermente -si, leggermente, come no- tesa. Non era il mio primo colloquio di lavoro ma il gigantesco palazzo e gli individui ben vestiti che avevo osservato nell'atrio mi avevano resa un tantino insicura e fuori posto. Venivo dalla provincia mica dalla California!

«Andrà tutto bene, Elena, devi solo rimanere calma» cercò di rincuorarmi la mia amica «Farai il colloquio con un mio collega e amico del college, sono sicura che ti metterà a tuo agio»

«Un tuo amico del college?» chiesi per distrarmi.

«Si, ti ricordi di Stefan Salvatore? L'hai conosciuto alla mia festa di laurea. Mi ha suggerito lui di far domanda qui, l'anno scorso» rispose Caroline tranquilla «È una bravissima persona, perciò respira e rilassati, andrà tutto bene».

Rimasi in silenzio a rimuginare. Stefan Salvatore, si in effetti il nome mi ricordava qualcosa ma non riuscivo a collegarlo a nessun viso. Alla festa di laurea di Caroline c'era praticamente metà della Columbia e io non ero molto brava a memorizzare le persone.

L'ascensore si fermò al quarantaduesimo piano e Caroline ne uscì sicura con il suo stiletto tacco dodici perfettamente abbinato con al suo abito. Io seguì restando un pò indietro. Non ero per niente abituata ad indossare quei vestiti e ancora meno a delle scarpe che superavano gli otto centimetri. Caroline si fermò davanti ad un ufficio con le pareti vetrate che riportava il suo nome sulla porta: "Avv. Forbes Caroline, associato secondo anno". Al suo intorno c'era una scrivania in legno di castagno, due computer, un telefono, una piccola libreria, un piccolo divanetto e qualche tocco personale alla Caroline come dei fiori rosa e delle fotografie. Era semplice ma accogliente, a nessuno sarebbe dispiaciuto lavorare in un'atmosfera così calorosa. Lei posò la sua borsa e accese i computer. C'erano parecchie cartelle sulla sua scrivania ma Caroline non sembrò farci caso. Due minuti mi fece strada verso la parte opposta del piano, dove si trovava l'ufficio di Stefan Salvatore.

Tutte le pareti degli uffici erano in vetro, così potevo osservare tutti gli altri avvocati che studiavano le loro cause affiancati da imponenti libri di diritto costituzionale, penale, commerciale e chissà quale altro ramo del diritto.

L'ufficio di Stefan Salvatore era dalla parte opposta a quella di Caroline ed era il terzo dell'ala ovest. La sua era una sala più grande rispetto a quella della mia amica, con una scrivania, una libreria e un divanetto più grandi. Dietro il tavolo occupato da due computer era seduto un ragazzo giovane che doveva avere qualche anno meno di noi. Pensai subito che fosse l'assistente di Stefan. E che assistente!

Caroline bussò alla porta e quando il ragazzo notò la mia amica la invitò ad entrare con un sorriso.

«Stefan! Ti ho portato qualcuno da conoscere» ammiccò Caroline allegra. Mi bloccai sulla porta. Era lui Stefan Salvatore? Sembrava così giovane! Non gli avrei dato dell'adolescente ma di sicuro nemmeno venticinque anni! E poi mi venne in mente un'altra cosa a cui prima non avevo fatto caso: aveva frequentato il college con Caroline, avrebbero dovuto avere lo stesso status all'interno dello studio e invece lui aveva già l'autorità per condurre un colloquio per l'assunzione di giovani associati? Com'era possibile?

«Lei è Elena Gilbert, è qui per il colloquio d'assunzione» mi presentò Caroline «E lui è Stefan, è uno dei più bravi legali dello studio e ogni tanto si occupa delle domande d'impiego».

Avanzai sorridente porgendogli la mano. Stefan si era allontanato dalla sedia per assottigliare le distanze tra noi, con due perforanti occhi verdi che mi osservavano incuriositi. Sembrava più un modello che un avvocato, con la mascella quadrata e la pelle lisca.

«È un vero piacere conoscerti, Elena» disse con voce profonda «Care mi ha parlato molto di te»

«Si, è come se ti conoscesse già» ridacchiò la bionda.

«Piacere mio» bofonchiai. Ero così spiazzata dalla sua bellezza magnetica che avevo praticamente perso la capacità di parlare. Avevo conosciuto due ragazzi da quando avevo lasciato la Virginia, Damon e ora Stefan, ed erano entrambi bellissimi...era davvero possibile? L'aria di New York faceva bene quindi.

«Bene, allora io vi lascio soli» annunciò Caroline avviandosi verso la porta dell'ufficio di Stefan «Passa da me quando avete finito» mi disse con un sorriso.

Annuii incerta e seguii la sua figura con gli occhi. Dio, perchè dovevo essere così imbarazzata? Ero un avvocato cavolo! Non potevo essere così impacciata.

Tornai a guardare Stefan che mi sorrise di nuovo.

«Elena, perché non ti siedi?» m'incitò avviandosi verso la sua poltrona e io lo imitai senza fiatare.

Oh coraggio, sta calma.

«Allora, Caroline mi ha fatto avere il tuo curriculum due settimane fa, ti sei laureata con il massimo dei voti alla Law School del Whitmore College» disse Stefan. Gli ero sinceramente grata per aver rotto il ghiaccio.

«Esatto, non è proprio Harvard ma non mi sono mai lamentata» risposi aprendo un sorriso. Lui mi fissò per una manciata di secondi. Aveva uno sguardo dolce, comprensivo che riusciva a calmarmi.

«Io credo...» cominciò posando il foglio sulla scrivania «Che la legge sia uguale per tutti e che con un pò di tenacia e forza di volontà tu possa essere migliore di qualunque studente della Ivy League».

Abbassai lo sguardo impacciata. Dovevo assolutamente organizzare una visita con un medico specializzato in arrossamenti degli zigomi perché ero davvero stanca di avvampare per ogni sorriso.

«Inoltre hai scritto diversi articoli per la rivista legale della facoltà e alcuni saggi sulle pene detentive e sulle condanne a morte. Ti interessano le cause penali, dunque?»

«Suona un pò macabro ma...si il diritto penale è quello che mi ha affascinato di più studiando legge». Stefan rimase in silenzio, sembrava stesse riflettendo su cosa dire.

«In effetti è il settore in cui si può davvero fare la differenza, salvare gli innocenti dalla prigione o addirittura dalla morte...è molto nobile da parte tua»

«Grazie» mormorai.

Velocemente l'atmosfera si rilassò. O meglio, io mi rilassai perché Stefan non sembra affatto a disagio. Okay, altra visita da prenotare: quella con l'analista.

Rimanemmo nel suo ufficio per molto tempo a parlare di un'infinità di argomenti. Stefan raccontò di qualche aneddoto divertente sugli anni del college e del primo momento che aveva messo piede alla Somerhalder&Wesley. Mi aveva spiegato che suo padre, anch'egli avvocato, aveva lavorato per quello studio molti anni e adesso faceva parte del consiglio di amministrazione. Proprio per via del padre aveva dovuto lavorare con molto più impegno rispetto altri suoi colleghi «Avere il padre fra i dirigenti è un'arma a doppio taglio, ti assicura un posto di lavoro ma poi ti tocca tutta la pupù diretta al papà»

«Pupù?» ridacchiai.

«Cerco di limitare le parolacce».

«Questo si che è nobile» lo presi in giro.

Ci comportavamo come se fossimo due amici che non si vedevano da tempo e si raccontavano cosa avevano fatto senza l'altro. Dopo una decina di minuti Stefan raccolse il mio curriculum e lo rinfilò nel fascicolo che l'aveva contenuto.

«Ascolta, mi hanno affidato l'incarico di esaminare alcuni candidati perché chi se ne occupa di solito non poteva. Ovviamente io non posso prendere nessuna decisione personale ma posso esprimere il mio commento personale...quindi lascerò che i gran capi esaminino tutto e ti facciamo sapere al più presto, d'accordo?»

«Ma certo, grazie mille Stefan» allungai la mano per salutarlo e lui la strinse caloroso. Speravo di aver fatto davvero una buona impressione.

Percorsi il corridoio a ritroso oltrepassando tre ragazzi della mia età che tenevano in mano delle cartelle. Probabilmente erano gli altri candidati al posto di associato del primo anno. Sorrisi loro incoraggiante e andai verso l'ufficio di Caroline.

La mia biondissima amica era nel suo ufficio davanti al portatile e a una decina di libri aperti sulla sua scrivania. I blocknotes e gli stickers colorati sembravano ricoprire tutte le pagine.

«Stai combattendo contro qualche agenzia di rating?».

Caroline alzò lo sguardo e sgranò gli occhi vedendomi appoggiata allo stipite della porta «Il colloquio è già finito?»

«È...un cattivo segno?» domandai incerta.

«Non lo so...siete stati là dentro meno di dieci minuti...».

Corrugai la fronte «Non è vero...sono entrata alle otto e adesso sono le nove e un quarto».

«Cosa?» emise un urlo acuto «Dannazione! Ho un'istanza in tribunale alle nove e mezza!». Caroline chiuse tutti i libri che aveva sulla scrivania, infilò nella borsa due schedari e altri fascicoli e sfrecciò fuori dall'ufficio.

«Caroline!» la richiamai «Hai dimenticato il cellulare!».

«Lo vedi? Ho bisogno di te in ufficio! Saresti il mio angelo custode! Ci vediamo a casa!» salutò la bionda un secondo prima che le porte dell'ascensore si chiudessero.

 

 

Pov Caroline

 

«Che gentile Howard...certo! Domani? Ehm sarei impegnata...sai cosa? Credo di essere impegnata per tutta la settimana...ehm adesso dovrei andare, sono un po' impegnata, ma se mi dai un po' di tempo controllo la mia agenda e quando chiamerai la mia assistente lei ti riferirà, d'accordo? Perfetto! Allora...a presto».

Uscii dall'ascensore e mi precipitai immediatamente verso la scrivania di Hayley al centro del piano. Era intenta a sistemarsi le unghie e a chiacchierare con le sue colleghe.

Poggiai le mani sui fianchi e la guardai. «Stai limando gli artigli?» le sorrisi spavalda. Io e Hayley non avevamo stretto un bel rapporto. Il che era strano perché personalmente avevo un'alta opinione delle mie capacità di socializzazione ma con lei ero stata un vero fallimento. Non ci eravamo mai prese né capite. A dire il vero non m'importava proprio per niente di capirla. Lo ammetto, colpa mia.

«Serve qualcosa Miss Forbes?» domandò posando la lima. Stava sorridendo ma sapevo che era solo per cortesia.

«Quando chiama un certo Howard digli che sono impegnata tutto il mese e se mai troverò un buco nella mia agenda lo contatterò» le spiegai rapidamente incamminandomi verso il mio ufficio.

«È un nuovo cliente?»

«No è un tipo che sto cercando di scaricare».

Entrai nell'ufficio e mi gettai sul divanetto come una bambina sul tappeto elastico. Erano mesi che lavoravo sulla causa delle Shell Corporations e finalmente vedevo una luce alla fine del tunnel. Ero distrutta.

Tolsi gli stiletti laccati e sgranchii i piedi. La gioia di sentirli finalmente liberi era qualcosa di paradisiaco. Non per essere fraintesa, io amo le scarpe col tacco, amo tutte le scarpe -beh tranne le Crocs non capirò mai perché per un periodo le desideravano tutti- ne ho molte paia di cui sono davvero fiera, alcune le userei addirittura come soprammobile da ammirare, tuttavia dopo aver camminato su e giù per tutta la mattina i miei piedi minacciavano il suicidio.

Una decina di minuti dopo tornai ad alcune cartelle. Mi ero specializzata in diritto tributario e finanziario, questo perché durante il primo anno avevo assistito a molte cause di questo ramo che mi avevano assorbita molto e che avevano fatto calare il mio interesse verso le altre branche del diritto.

Terminato l'ultimo rapido controllo sistemai l'ufficio, le cartelle e spensi i computer. Infilai le scarpe e m'incamminai con la borsa verso l'ufficio di Stefan. Ero sicura di trovarlo ancora allo studio perché era sua abitudine prolungarsi li più del dovuto.

Era tutto il giorno che volevo parargli. Morivo dalla voglia di sapere com'era andato il colloquio di Elena e non c'era modo migliore di saperlo se non direttamente dalla fonte.

Stefan era in piedi, davanti alla finestra e teneva in mano una tazza fumante di caffè. Erano le sei e mezza e il sole che illuminava il suo ufficio era di un caldo arancione.

Prima di entrare rimasi un secondo sulla porta ad osservarlo, aveva l'aria pensierosa e un po' corrucciata. Doveva smettere di bere caffeina, lo rendeva incredibilmente teso.

«Ding ding ding, Signore e Signori ecco a voi le incomparabili capacità di ragionamento di Stefan Salvatore». Stefan si voltò e mi sorrise.

«Sono diventato un'attrazione redditizia?»

«Un fenomeno da baraccone direi» lo punzecchiai mentre andavo a sedermi sul divanetto situato accanto alla parete sinistra della stanza. Stefan ridacchiò e si sedette sulla poltrona di fianco.

«Come procede in tribunale?»

«Finalmente domani c'è l'arringa finale» sospirai «sono fisicamente ed emotivamente esaurita, se sento ancora parlare di NYC U-Bank prenderò in considerazione l'idea di cambiare lavoro»

«E quale lavoro sceglieresti?»

«Uhm qualcosa come "organizzatrice di eventi"...sono sempre stata brava in queste cose».

Stefan sorrise. «Dovresti prenderti qualche giorno libero»

«Oh lo farò» esclamai «Mi prenderò molti pomeriggi liberi per far conoscere ad Elena tutti i miei bar preferiti di Manhattan!...Oh a proposito di Elena, com'è andata questa mattina?».

Stefan socchiuse gli occhi «Anche se sei la mia migliore amica, non posso dirti niente»

«Ma io non ti ho chiesto se l'assumeranno! Ho solo domandato un amichevole parere su come sia andato il colloquio tra il mio stupendissimo e intelligentissimo migliore amico e la mia amica»

«Una richiesta molto velata» ironizzò.

«Proprio nel mio stile» confermai «Allora, ti è piaciuta?».

Stefan rimase in silenzio per una manciata di secondi, il tempo per trovare la cosa giusta da dire senza far trapelare la scelta finale.

«Lei sembra...brava».

Corrucciai la fronte. «Pensi che sia brava? Solo questo? O c'è altro...»

«Cosa intendi?»

«Voglio dire siete rimasti a parlare più di quanto prevede un normale colloquio quindi...è solo perché ti sembra brava o c'è qualcos'altro?»

«Ehm si, è brava e...carina»

«Solo carina?» domandai con un velato tono malizioso.

«Caroline...che cosa vuoi che dica?» sbuffò Stefan.

«Niente! Stavo solo pensando che...lei è carina e tu sei...beh tu sei tu e che forse potresti invitarla ad uscire e...»

«Caroline! Stai cercando di combinarmi, per caso?»

«Io...io non...ma, ecco pensavo che potreste conoscervi meglio e...»

«Care...»

«Stefan! Io penso che tu debba andare avanti! Sembra sia passato più di un secolo dalla tua rottura con quella subdola manipolatrice!» sboccai. Quando Elena mi aveva informata delle sue difficoltà nel trovar lavoro a Richmond avevo immediatamente programmato il suo trasferimento nella City e il passo successivo mi era sembrato ovvio, come una rivelazione mistica. Elena e Stefan sarebbero stati così carini assieme.

«Io non mi sento ancora pronto per uscire con altre persone...ti ricordi com'è stato il mio primo appuntamento dopo Katherine?».

Ecco che involontariamente (ma nemmeno tanto) il mio labbro superiore si alzò a sinistra e i miei occhi diventarono due fessure. Questa era, da sempre, la mia espressione di insofferenza nei confronti di Katherine Pierce, la ex fidanzata di Stefan. Da quello che mi aveva raccontato Stefan, lei era il suo grande amore. L'aveva conosciuta durante l'estate del suo penultimo anno di liceo, al circolo del golf negli Hamptons, nel quale sia il padre di Stefan sia quello di Katherine erano soci. Anche lei frequentava la Columbia ma era avanti di due anni e per questo non l'avevo incontrata molto spesso. Ma non avevo bisogno di conoscerla meglio per capire che razza di viziata alto borghese fosse. Era castana, alta e con due gambe chilometriche. Due occhi da gatta e un naso alla francese. In due parole? Miss Antipatia.

Sempre con la puzza sotto il naso e quel sorriso che si può solo cercare di imitare, applicandosi allo specchio del bagno come idiote. Quel delizioso, magnetico sorriso del tipo 'Non puoi smettere di guardarmi, vero?' che le modelle impiegano anni a perfezionare e che a lei veniva senza alcuno sforzo .

«Questo perché non eri con la ragazza giusta!» esclamai «Ed eri ancora Katherine-concentrato»

«Beh io non voglio uscire con delle ragazze»

«D'accordo!...Allora puoi uscire con i ragazzi...»

«Cosa? Care! Non sono gay»

Lo studiai attentamente «Oh beh...vestito così potresti anche sembrarlo...»

«Scusa? Guarda che è Tom Ford» spiegò lui toccando la giacca del suo completo scuro. Gli lanciai un'occhiata eloquente: Tom Ford non era di certo l'esempio più indicato per definire l'eterosessualità. «Okay, basta con questo discorso imbarazzante»

«Scusa» sussurrai «Volevo solo farti capire che oltre a Katherine l'arpia sociopatica alto borghese ci sono altre ragazze, ragazze gentili, leali e dolci»

«Ed Elena è una di loro»

«Esattamente».

Stefan sospirò. «Adesso ogni volta che la incontrerò in ufficio penserò a questo tuo discorso imbarazzante e mi prenderà per scemo»

«Ahhhh». Mi alzai di scatto esultatane «Allora hanno deciso di assumerla!»

«Mi avresti più rivolto la parola altrimenti?» sbuffò Stafan.

«Uhm difficile dirlo» ammiccai.

Ero al settimo cielo: non solo avrei vissuto con la mia migliore amica ma avremmo anche lavorato insieme. Era fantastico, non vedevo l'ora di tornare a casa per dare la buona notizia. Lanciai un'occhiata a Stefan e mi accorsi che era di nuovo sovrappensiero, lo sguardo serio e la mascella contratta.

«Quando torna Damon?».

Stefan mi guardò sorpreso ma poi incurvò la bocca in un sorriso. Lo conoscevo così bene che non poteva nascondermi niente. «In realtà è tornato ieri»

«Ah. E come mai non è venuto al lavoro?»

«Ripicca? Testardaggine? Entrambe le cose forse» mormorò Stefan «La situazione a casa è molto tesa»

«Vedrai che si risolverà tutto, Stef» cercai di rincuorarlo «Conta su di me se ne hai bisogno, io ci sono per te, in qualsiasi momento».


Ciao a tutti!! Scusate scusate scusate. In questo capitolo non c'è traccia di Damon >.< Non volevo mettere troppa carne sul fuoco, non sono una brava cuoca e avrei rischiato di bruciare tutto!!
Mettendo da parte gli scherzi, ci ho pensato un po' è alla fine ho optato per un campitolo incentrato su Elena e il suo nuovo lavoro e Caroline-Stefan. Mi rendo assolutamente conto che questo capitolo non è molto affascinante, intrigante, sorprendende o qualsiasi altro aggettivo accattivante, ma è appena il secondo capitolo ed è necessario, almeo secondo me, focalizzarsi un momento sul background, su ciò che circonda i protagonisti, il loro ambiente. Spero comunque non risulti così noioso da bloccarvi!
Nel prossimo capitolo ritroveremo Mister Occhi Celesti da cuccioloto e anche nel prossimo ancora perchè entreremo finalmente nel vivo della storia!
Ringrazio tutte le fantastiche ragazze che hanno avuto il tempo e sopratutto la voglia di farmi sapere che cosa ne pensavano, a coloro che hanno messo questa "cosa" tra i preferiti e tra le seguite! Vi ringrazio infinitamente e spero sinceramente di non avervi deluse con questo capitolo di passaggio!
Un abbraccio a tutte quante!! :D

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Capitolo 3
*** Beat Your Heart Out ***


3

Beat Your Heart Out

 

Pov Elena

 

Ero rannicchiata sul divano quando Caroline entrò nell'appartamento con una busta di carta in mano che nascondeva una bottiglia di spumante.

«Tira fuori i bicchieri, dobbiamo festeggiare» ordinò allegra. La guardai perplessa. «Il magico duo comincerà a lavorare insieme domani» aggiunse Caroline aprendosi ad un sorriso caloroso. E allora capii.

Mi alzai in piedi scattante come un'atleta olimpionica e cominciai a saltellare e canticchiare per tutta la casa. Avevo un lavoro! Mi avevano assunta in uno dei più prestigiosi studi legali di New York!

«Ma ne sei sicura? Chi te l'ha detto?». Mi fermai di botto mentre avanzavo verso la cucina. Volevo essere davvero sicura che Caroline ne fosse certa. Non sarei mai riuscita a riprendermi se dopo tanta allegria lo studio avrebbe ritratto.

«Me l'ha detto Stefan poco prima» rispose lei posando la bottiglia sul bancone in marmo della cucina.

«Hai estorto l'informazione con la forza?» la punzecchiai allegra.

«Possiamo dire così» sorrise porgendomi il bicchiere.

Il mio cellulare lasciato sul tavolino del soggiorno cominciò a squillare. Guardai il display e notai che era il numero dello studio. Stavo per ricevere la telefonata di conferma.

«Pronto?» squittii. Ero troppo emozionata per attivare la modalità e il tono professionale.

«Elena? Sono Stefan Salvatore dello studio legale...»

«Ciao Stefan!» lo bloccai ridacchiando.

Caroline di fronte a me si posò una mano sulla fronte per imitare una persona sconsolata. Non riuscivo a fingere, dal mio modo di parlare chiunque avrebbe capito che avevo appena ricevuto una bella notizia.

«Immaginavo che Caroline ti avrebbe informata...fa schifo a mantenere i segreti» disse Stefan e anche se si trovava dall'altra parte del telefono riuscivo a sentire che stava sorridendo. «Ad ogni modo, congratulazioni! Sarai un nostro nuovo associato del primo anno, comincerai già domani, la tua postazione sarà al nostro stesso piano così se avrai bisogno di una mano io e Caroline saremo a disposizione»

«Grazie Stefan! Grazie davvero per questa opportunità!»

«So che lavoreremo bene, allora buonanotte, salutami Care»

«D'accordo, buonanotte». Chiusi il cellulare e guardai di nuovo la mia amica bionda. Non riuscii a resistere, mi avventai su di lei e l'abbracciai. Mi aveva fatto trovare un lavoro e non uno qualsiasi ma quello che sognavo fin da bambina! E mi aveva permesso di vivere con lei!

Dopo la cena e parecchi bicchieri mi gettai a letto stremata. Era stata una giornata fantastica e io non potevo essere più felice. Mi rigirai nel letto per parecchio tempo, non sapevo se era per l'alcol ancora in circolo o l'eccitazione per aver finalmente trovato lavoro, ma non riuscivo ad addormentarmi. La luce dei lampioni sulla strada entrava dalla mia finestra e illuminava debolmente la camera. Era un'atmosfera molto diversa da quella a cui ero abituata. Al posto della bianca luce lunare c'era un sottotono azzurro. Azzurro chiaro come...beh come quegli occhi magnetici sui quali mi ero specchiata e che inspiegabilmente mi ritornavano in mente più spesso di quanto mi aspettassi.

 

La sveglia suonò alle sette in punto. La sera prima Caroline ed io avevamo preparato il mio completo da "primo giorno". Dovevo essere bella e aggressiva, per questo aveva scelto per me, dal suo armadio, un abito bordeaux aderente lungo fino a metà coscia e con una casta scollatura. Caroline doveva assolutamente portarmi a fare shopping con lei. Non potevo andare avanti ancora per molto rubandole i vestiti.

Uscita dal bagno mi recai in cucina per bere una tazza di caffè caldo e trovai la mia amica seduta al tavolo con il portatile aperto e l'aria concentrata.

«Che fai?» domandai curiosa versando il caffè in una tazza da latte.

«Scrivo una fiction» bofonchiò dimenticandosi di alzare lo sguardo dal computer.

Una fiction? E da quando le piace scrivere? «Oh...su cosa?».

Caroline finì di picchiettare sulla tastiera e mi guardò eccitata. «Ti anticipo solo il titolo: "I diari dello Zombie". Ti intriga?»

«Ehm...No, non molto»

«Elena!» esclamò Caroline allibata chiudendo il portatile «I libri sugli zombi sono la nuova frontiera della letteratura! Hai letto “Warm Bodies”?»

«Ehm...ho visto il film!» le risposi «Comunque non mi convincono...insomma sono morti e hanno difficoltà nella deambulazione» feci spallucce.

«Non insultare gli zombie! Potrebbero morderti e trasformarti!»

«Quelli sono i vampiri, Caroline»

«Ha parlato l'esperta» continuò ironica posando la sua tazza nel lavandino.

«Ho letto i libri di Anne Rice!» esclamai seria finendo il caffè.

Caroline prese il suo spolverino beige e lo indossò. «D'accordo Elena, nascondi i tuoi canini e utilizza la super-velocità per andare a lavoro».

Un brivido mi percosse il corpo. Primo giorno di lavoro.

Presi la giacca di pelle e raggiunsi Caroline alla porta.

Nel giro di venti minuti eravamo sotto il grattacielo nella Lower Manhattan, entrammo nell'ascensore e salimmo fino al quarantaduesimo piano. Erano solo le otto di mattina ma molti miei colleghi -oh quanto mi piaceva dirlo- erano già al lavoro alle loro scrivanie. Anziché muoverci verso il corridoio alla destra dell'ascensore, dove c'era l'ufficio di Caroline, ci spostammo verso il lato sinistro seguendo un ampio corridoio arredato con mobili lussuosi e quadri costosi.

«Nell'ala sinistra del quarantaduesimo piano ci sono le stanze degli associati al primo anno» mi spiegò Caroline mentre mi faceva strada «Ti è stato assegnato l'ufficio che avevo io l'anno scorso».

Superammo quattro stanze e ci fermammo davanti alla quinta. Caroline aprì la porta e mi fece entrare. Era una stanza piccola, con una scrivania, una grande finestra e un ripiano in basso dove erano disposti ordinatamente dei libri di diritto. Certamente non era accogliente come l'ufficio di Caroline ma in quel momento ero troppo emozionata per notarlo.

«Si non è il massimo ma sarà solo per un anno» commentò Caroline come se avesse letto i miei pensieri inconsci.

«È perfetto»

«Lo dici perché è il primo giorno, fidati» mormorò la bionda «Allora, oggi cominciano tutti i nuovi associati. Sarete in sei e siete sistemati tutti in questo corridoio. Fai amicizia e sii gentile ma non farti fregare cause o tempo, devi pensare a te stessa, nessuno si fermerà ad aiutarti, beh eccetto me ma io ti voglio bene!». Caroline era entrata in modalità logorroica.

«Siamo arrivate qui presto, a breve ti assegneranno qualche caso, o meglio ti assegneranno ad un avvocato a cui farai da spalla, ma questo solo nei primi tempi, poi farai tutto da sola. Se ti serve una mano vieni da me o vai da Stefan!»

«D'accordo»

«Alle nove c'è la riunione con tutti gli associati, sarà nella prima sala riunioni in fondo a questo corridoio, ci vediamo li d'accordo? Non arrivare tardi!». Non feci in tempo a rispondere che Caroline uscì dall'ufficio come una furia. Era l'effetto del caffè alla mattina, diventava leggermente nevrotica.

Mi sedetti sulla poltrona nera davanti alla scrivania e osservai la stanza girando con la sedia. Le pareti erano bianche, ancora spoglie e c'era un forte odore di nuovo e di pulito. C'era una finestra di grandezza media in fondo alla stanza che dava su alcuni edifici di architettura d'epoca.

Un'ora e molte palpitazioni più tardi mi mossi verso il corridoio che mi aveva indicato Caroline e ne approfittai per fare una rapida conoscenza con gli altri neoassunti: Jamie ed Aimee, due ragazzi afroamericani provenienti dalla Dartmouth, Slater che aveva frequentato Yale, Ben che aveva vinto una borsa di studio alla Columbia per il football ma che inseguito aveva deciso di seguire il corso di giurisprudenza e Aaron un affascinante ragazzo biondo che si era vantato della sua ammissione ad Harvard.

La sala conferenze aveva, come tutte le altre stanze, le pareti vetrate. All'interno erano già sedute una quindicina di persone tra cui, riuscii ad intravedere, anche Caroline.

Un attimo prima di entrare vidi Stefan arrivare dal corridoio opposto. Lui mi vide e sorrise.

«Prima assegnazione delle cause, eccitata?» mi chiese. Notai che gli si erano colorite leggermente le guance. Come se si fosse accorto solo alla fine di aver detto qualcosa di sbagliato.

«Molto»

«Ottimo! Non appena il gran capo finisce di parlare della causa collettiva comincerà la distribuzione» continuò Stefan lanciando un'occhiata all'interno dove un uomo sulla cinquantina in perfetta forma gesticolava allegro davanti ad una lavagna.

«Quello è...»

«Wesley, io lo chiamo il gran capo» ridacchiò «di solito è lui che assegna i lavori mentre l'altro socio fondatore, Somerhalder preferisce giocare sul campo...in attacco»

«La mente e il corpo» commentai.

«Sono due grandi avvocati, non saprei chi scegliere come mentore» ammise Stefan «Entriamo?».

Annuii e varcai la soglia insieme a lui. Ci avvicinammo a Caroline che ci guardava incuriosita.

«Questa è un'azione imponente, un caso che potrebbe portarci al vertice degli studi legali e non credo serva ricordarvi l'impatto che questo avrà sui vostri bonus di fine anno» spiegava il signor Wesley mentre tutti gli associati ridacchiavano «per non parlare di quanto il mio ego gioirebbe nel vedere i Mikaelson perdere contro di noi» altre risate «La "City Gazette" ha ritenuto il precedente studio legale incompetente e l'ha liquidato, perciò le vostre vite private sono annullate fino a nuovo ordine» questa volta gli avvocati non si pronunciarono «Ora, veniamo ai nuovi associati, ho pensato che fa al caso vostro occuparvi di qualche cliente minore».

Il signor Wesley recuperò una cartella dalla quale estrasse un foglio stampato «Ben Mckittrick assisterà Pearl con il test per la Haider Distribution, Jaime Wilson e Aimee Bradley seguiranno il pro bono di Noah, Slater Peterson andrà con Frederick sulla causa penale, Aaron Davis con Connor Jordan ed Elena Gilbert si occuperà del civile insieme a Mary» mi voltai verso la donna che aveva annuito al richiamo di Wesley. Era sulla quarantina e portava i capelli biondi raccolti. Non sembrava molto entusiasta all'idea di diventare la mia istruttrice.

«D'accordo allora, buon lavoro a tutti».

Stefan e Caroline mi salutarono velocemente con un buffetto sulla spalla e uscirono di corsa dalla stanza. Io aspettai in corridoio l'arrivo di Mary.

«Devi farmi doppie fotocopie di tutte le pagine contrassegnate entro le dieci e mezza» ordinò gettandomi in mano un fascicolo che per il numero di pagine faceva invidia all'Anna Karenina di Tolstoj. Annuii silenziosa e osservai la donna scattare come un soldato verso l'ascensore.

Okay non stava procedendo bene come l'avevo immaginato. Mary non rientrava nel gruppo delle fate madrine.

Imboccai il corridoio e mi fermai davanti ad una delle segretarie libere per informarmi sul zona delle fotocopiatrici.

Trascinai il fascicolo come una reliquia per tutto il tragitto finché non entrai in una stanza straripante di scatoloni di cancelleria.

Osservai la fotocopiatrice per qualche minuto. Ne avevo già usate in passato ma questa sembrava seguire un meccanismo di accensione fuori da ogni logica. Provai a picchiettare qualche pulsante a caso e niente. Non succedeva proprio niente. Sbuffai e riprovai. Emise un suono, lampeggiò qualche secondo e si spense di nuovo.

Stavo per cominciare il terzo tentativo quando la porta della stanza si aprì. Magari qualcuno sarebbe stato così gentile da darmi una mano. Mi voltai sorridente piena di grandi speranze e sgranai gli occhi. Non poteva essere vero.

 

Di tutte le persone che pensavo di incontrare lui era senz'altro l'ultimo della mia lista, ma dovevo ammettere che era anche il primo di quelli che speravo di rivedere. Osservarlo mentre mi guardava confuso e perplesso era fonte di gioia; ero riuscita a sorprenderlo ed era una sensazione magnifica perché qualcosa, nel profondo, mi diceva che per attirare l'attenzione dei ragazzi come lui era necessario essere imprevedibili.

Damon aveva ancora la mano sulla maniglia, la bocca socchiusa, gli occhi a fessure e la fronte corrucciata. Indossava dei jeans, un pullover aderente e i capelli spettinati. Inutile raccontarsi storie, era ancora più affascinante di quando lo avevo visto per la prima volta 13.000 metri da terra.

«Tu...» sussurrò impreparato. Era come vivere la scena di un film, due sconosciuti che si rincontrano per caso. Mancava solo una frase sdolcinata e tutto sarebbe stato perfetto «...Non è che sei una stalker, per caso?».

Sgranai gli occhi «Che cosa?» esclamai.

«Come hai fatto a trovarmi?» domandò serio «Sei una...specie di Veronica Mars?»

«Io lavoro qui» risposi secca.

Lui ridacchio. Sembrava sinceramente divertito il che mi irritava parecchio perché la mia non voleva essere una battuta «E da quando?»

«Io...» mi morsi il labbro inferiore «due ore...circa».

Damon scoppiò a ridere e io incrociai le braccia stizzita.

«Non c'è niente da ridire, okay? Tu piuttosto? Che cosa ci fai qui?» sbottai. Lui smise di ridere e mi guardò attentamente mentre richiudeva la porta alla spalle.

«Non credo di dover dare delle spiegazioni a qualcuno di cui non so neanche il nome».

Sbuffai «Elena»

«É un piacere conoscerti, Elena» sorrise avvicinandosi di qualche passo. Eravamo ad un metro e mezzo di distanza circa, avrei potuto tranquillamente indietreggiare e recuperare una certa distanza di sicurezza ma quegli occhi, oddio quei limpidissimi occhi azzurri, mi avevano inchiodata al parquet e cominciavano a minacciare la mia, altrimenti stabile, sanità mentale.

«Che occhi incredibili» continuò lui con voce suadente «Un intenso nocciola...».

Lo osservai attentamente qualche istante e poi lasciai andare una risata divertita «Questo è il tuo modo di flirtare?»

«Che c'è che non va nel mio modo di flirtare?» domandò lui accigliato.

«È un po' banale e...antiquato se vuoi saperlo»

«No, è vintage!» esclamò Damon «E funziona sempre».

Sostenni il suo sguardo con aria di una che stava facendo un'importante riflessione filosofica «Mmm no, non questa volta»

«Ne sei sicura? Perché sono molto bravo con le donne, so essere molto divertente e...» riprese accorciando sempre più le distanze. Mi tremavano le gambe dalla tensione ma dovevo resistere, non potevo farmi condizionare da un paio di occhioni a calamiti, e nemmeno dai capelli vaporosi, il viso da fotomodello o dall'intrigante profumo che lo avvolgeva. Forse non dovevo nemmeno notare tutti questi dettagli...

«Non pensarci neanche» lo fermai posando una mano sul suo torace «Non verrò a letto con te»

«Non ti ho chiesto di venire a letto con me!» disse fingendosi risentito.

Inclinai leggermente la testa verso destra e gli lanciai un'occhiataccia, sull'aereo pochi giorni fa aveva proposto una sveltina, me lo ricordavo solo io?

«Ma l'hai pensato» continuai con fare accusatorio. In realtà mi stavo divertendo molto, Damon mostrava delle espressioni contrariate davvero rivelatrici, dovevo essere una delle poche che gli rispondevano negativamente. E lo capivo, insomma era un bellissimo ragazzo ed era lusinghiero quando uno così notava il colore dei tuoi occhi, ma il modo in cui ci eravamo conosciuti mi portava ad una certa resistenza nei suoi confronti.

«Sei una bella ragazza, non crederai mica che gli uomini pensano ad altro quando ti vedono»

«Mi piace pensarlo, a dire il vero...è il mio punto debole» gli feci l'occhiolino «Comunque se fossi in te abbandonerei i tentativi di abbordaggio nei miei confronti».

Damon alzò leggermente le labbra e sorrise malizioso «Mi hai appena detto di no. Chi mi ferma più adesso».

Alzai gli occhi al cielo e mi voltai verso la fotocopiatrice per nascondere un sorriso spontaneo, impossibile da controllare. «Allora? Cosa fai qui?» tentai d'intavolare un discorso che non causasse un forte rossore alle mie guance.

«In questo preciso momento? Sto cercando di capire che cosa hai fatto alla fotocopiatrice».

Mi voltai verso di lui e poi di nuovo verso il macchinario infernale che aveva preso a lampeggiare. Oddio! Non avevo toccato niente nell'ultimo quarto d'ora!

«Accidenti» imprecai avvicinandomi «Io non so come farla funzionare, non ho mai usato questo tipo di fotocopiatrice».

Sentii Damon muoversi velocemente verso di me e quando si fermò alle mie spalle riuscii a sentire il suo respiro solleticarmi l'orecchio sinistro.

«Fammi dare un'occhiata». Si spostò leggermente di lato e toccò qualche tasto velocemente «Ah ho capito» continuò in tono grave alzando gli occhi cristallini. Perfetto adesso stava per dirmi che l'avevo rotta e avrei dovuto ripagarla. La cosa peggiore era che stavo per dare a Mary un valido motivo per non apprezzare la mia presenza.

«Ti sei dimenticata di mettere i fogli sullo scanner» disse serio.

Sgranai gli occhi e gli tirai un colpetto sul braccio. «E me lo dici così? Sembrava avessi ucciso qualcuno!». Lui ridacchiò divertito. «Che io sappia non è ancora morto nessuno per una fotocopiatrice»

«Se mi prendi ancora in giro tu sarai la prima eccezione» risposi tagliente.

«Che caratteraccio» commentò porgendomi il fascicolo che avevo lasciato sul tavolo alle sue spalle.

«All'occorrenza sono anche gentile» presi il fascicolo e lo sfogliai alla ricerca delle pagine contrassegnate.

«E immagino che dovrò guadagnarmi anche questo». Si avvicinò e mi porse la mano. Io la osservai titubante. Il ricordo della sua stretta sull'aereo era ancora molto forte, in effetti erano passati solo due giorni. Mi bastava guardarla per sentire il calore espandersi in tutto il corpo. «Perché sei così sospettosa Elena? Voglio solo darti una mano con le fotocopie» aggiunse.

«Oh...ehm allora d'accordo» gli passai il fascicolo e lui cominciò a sfogliarlo cercando le pagine indicate da Mary.

«Quindi...anche tu lavori qui» dissi prendendo il foglio che mi stava passando.

«Lo vedi? Sei proprio una grande Veronica Mars»

«E cosa ci fai nella sala per le fotocopie?»

«Gioco a nascondino»

«Wow» finsi ammirazione «E da chi ti staresti nascondendo?».

Pur mantenendo gli occhi sulla macchina notai l'incurvarsi delle sue labbra verso l'alto. «Moglie e figli».

Mi voltai scioccata, con la bocca spalancata. «È uno scherzo, Elena» si affrettò ad aggiungere notando la mia espressione «Non ti hanno mai detto di non credere agli avvocati?»

«È così difficile per te rispondere ad una semplice domanda?» sbuffai irritata.

«Non puoi immaginare quanto» ammiccò misterioso e io sbuffai di nuovo. Era così vago, rispondeva sempre con qualche battutina e io mi sentivo una perfetta idiota perché volevo conoscere qualcosa di lui, sul perché fosse li...era forse sbagliato?

«Qualcuno è mai riuscito ad avere una normale conversazione con te? Perché sinceramente siamo qui da più di venti minuti e l'unica cosa che so di te è come ti chiami»

«Oh allora stiamo facendo conoscenza? Non credevo di essermelo meritato ancora» ridacchiò.

Pensai di rispondergli a tono, di fingermi arrabbiata o infastidita ma volevo stupirlo, trovare una frase che gli restasse impressa. Volevo colpirlo -in tutti i sensi- come lui aveva fatto con me due giorni fa.

«Si, mi piacerebbe conoscerti» dissi calma. Ottenni l'effetto sperato, lui allargò leggermente gli occhi e socchiuse le labbra. La mia espressione seria lo aveva sorpreso più di quanto avrebbe fatto una battutina sprezzante, quale probabilmente si aspettava.

«Cos'è un tentativo di abbordaggio il tuo?» sogghignò strafottente e io roteai gli occhi istintivamente «Scusa, credevo fossi seria quando dicevi di non voler venire a letto con me»

«Ero seria infatti, tra la gente normale voler conoscere qualcuno non è indice di interesse sessuale»

«Si se con gente normale ti riferisci ai personaggi delle fiabe» rispose sarcastico «Ad ogni modo se vuoi conoscermi, dovrem...» ma Damon non riuscì a terminare la frase perché la porta si aprì all'improvviso e Mary entrò con un'espressione truce in volto che tuttavia mutò in una più sorpresa quando vide Damon.

«Damon...?».

Lui le sorrise cortesemente «Ehi Mary!»

«Quando sei tornato?» domandò la bionda dimenticandosi della mia presenza -cosa che avrebbe dovuto essere difficile perché ero praticamente in mezzo a loro due-.

«Chi ha detto che me ne sono andato?» rispose Damon allegro e Mary sorrise. Aspetta cosa? Anche lei sapeva sorridere? Forse non dovevo stupirmi più di tanto, Damon era bellissimo, qualunque ragazza o donna in questo caso, avrebbe voluto presentarsi al meglio per lui.

«Ohu» ridacchiò lei poi il suo sguardo tornò su di me «Sono le dieci e trentadue minuti, sei in ritardo perciò credo proprio che...»

«Perdonala Mary, è colpa mia se è in ritardo, mi ha gentilmente aiutato quando la fotocopiatrice sembrava non funzionare, ma adesso ha finito giusto?». Damon mi guardò e io annuii.

«Oh...allora d'accordo...vai a posarle sulla mia scrivania» mi ordinò Mary «Damon, la mia segretaria ha appena portato il cappuccino, vieni con me?».

Damon sorrise e la raggiunse sulla porta ma prima di oltrepassarla mi fece l'occhiolino.

Stavo per morire, il mio cuore era in fibrillazione.

Raccolsi immediatamente le fotocopie e uscii dalla stanza. Percorrendo il corridoio a ritroso riuscivo a vedere Damon e Mary qualche metro più avanti. Lei continuava ad emettere versetti acuti e imbarazzanti ad ogni parola che usciva dalla bocca di Damon. Mi fermai sul posto quando lei allungò le mani verso la parte bassa della sua schiena.

«Ehi».

Sobbalzai spaventata. Caroline era appena comparsa alle mie spalle, sorrideva sardonica come se avesse capito chi stavo guardando. Anzi togliamo il "come".

«Hai adocchiato il diavolo tentatore?» sorrise Caroline maliziosa mentre Damon spariva dalla mia vista.

«C-cosa?»

«Si, Damon Salvatore lascia tutte senza parole» ridacchiò e io sgranai gli occhi.

«Salvatore?»

«Si! È il fratello maggiore di Stafan, è un associato del sesto anno...»

«È il ragazzo dell'aereo»

«C-cosa?» questa volta era Caroline quella confusa.

«Damon...è lui il ragazzo dell'aereo».

 

Ci avevo riflettuto durante tutta la giornata lavorativa e anche oltre, perché davvero non riuscivo a capacitarmi della cosa. Damon era il fratello di Stafan. Erano imparentati. Erano due opposti che condividevano lo stesso legame di sangue. Ma io non vedevo questa grande somiglianza, né fisicamente né caratterialmente. Beh forse avevano la stessa mascella squadrata, ma per il resto erano il giorno e la notte. Stafan si era dimostrato fin da subito un perfetto gentiluomo, cortese ed educato mentre Damon...beh lui preferiva altri tipi di approcci.

L'entrata in scena di Damon era qualcosa che non mi sarei aspettata nemmeno tra un migliaio di anni. Quante probabilità reali esistevano di incontrare una persona due volte in una città come New York che contava 8.336.697 abitanti?

«Forse è un segno del destino» disse Caroline sparecchiando la tavola. Ne stavamo parlando da ore, o meglio, io ne stavo parlando da ore e lei si era rassegnata ad ascoltare ogni mio pensiero e ogni mia considerazione su di lui.

«Non credo molto in queste cose» sospirai richiudendo l'acqua.

«Non credi nel Karma, non credi al Destino, cosa devo fare con te, Elena Gilbert?».

Ero abituata a pensare che le cose accadevano e basta. Senza una ragione, senza un motivo in grado di spiegarle. Non m'interessava sapere altro, perché molti degli avvenimenti accaduti erano troppo dolorosi e ingiusti per pensare che fossero dovuti a qualcosa di diverso dal caso. Ecco a cosa credevo, al caso.

«Parlami un po' di lui» cominciai ma lo sguardo complice di Caroline mi ammutolì.

«Ohh quindi mi stai implicitamente dicendo che a Damon è bastato uno sguardo per colpire il tuo cuore?» ridacchiò.

Le lanciai un'occhiataccia «Ma cosa dici? Non è assolutamente vero! Io...ecco, vedi io...»

«Tu...balbetti sempre quando sei nervosa» mi bloccò «Non c'è niente di male se senti qualcosa per lui»

«Io...ecco, beh lui è presuntuoso e caparbio e...»

«E ciò significa che ti piace, ti sei sempre innamorata di quelli capaci di tenerti testa» ammiccò lei e io sbuffai. Non volevo dargliela vinta, almeno non quella sera.

«No, non mi piace ma...m'incuriosisce quindi...tu lo conosci? È il fratello di Stefan perciò lo conosci?».

Caroline richiuse la lavastoviglie e si adagiò sul divano bianco. Avevo l'impressione che il suo sarebbe stato un lungo discorso.

«Beh si» cominciò a parlare e io mi avvicinai interessata «Ha cinque anni più di noi, ha frequentato lo stesso liceo privato di Stefan, la Columbia ed è...single, se vuoi saperlo»

«Caroline!»

«Che c'è? Credevo fosse un dettaglio importante!» ridacchiò «Vediamo...lui e suo padre hanno un rapporto un po' complicato, il ché fa di lui una persona un po' complicata»

«Ci sono problemi tra di loro?»

«Da quello che mi ha raccontato Stefan hanno problemi da sempre ma...». Caroline si fermò un attimo, come per raccogliere tutte le informazioni che aveva. «Quattro mesi fa è successo qualcosa di veramente grave, tanto che Damon è volato in Florida, lontano dallo studio»

«Cos'è successo?»

«Non lo so, Stefan non me ne ha mai parlato e io non ho mai avuto il coraggio di chiedergli niente»

«Tu? Davvero tu non avevi il coraggio?» chiesi scettica.

«Cosa vuoi insinuare, Gilbert?» domandò Caroline risentita.

«Niente niente» mi affrettai a rispondere e lei mi fece la linguaccia «Quindi è un tipo complicato, con una famiglia complicata e un carattere impertinente, qualche consiglio?»

«I soliti: stai attenta quando attraversi la strada, non accettare caramelle dagli sconosciuti, lavati le mani prima di mangiare...»

«Caroline...»

«Elena...?». Mi guardò con un'espressione seria «Non ti darò consigli su cosa fare con Damon, okay? I consigli che danno le amiche influenzano troppo e lui...potrebbe essere il tuo grande amore, quello bellissimo e indimenticabile, che tutte le ragazze sognano ma...ovviamente, c'è la possibilità che sia un gran bastardo sessista, e non guardarmi così, è pur sempre un maschio» aggiunse notando la mia smorfia «Perciò non posso elencarti i suoi difetti e convincerti a stargli lontano perché potrei privarti di una grande storia romantica e non posso nemmeno suggerirti di buttarti su lui perché potrebbe finire male e sai quanto mi faccia soffrire vederti distrutta. Non voglio influenzarti con le mie opinioni personali, posso solo dirti che, qualunque sia la tua scelta, qualunque sia la tua decisione io ti supporterò, sempre» terminò abbracciandomi all'improvviso. L'adoravo, era fantastica.

«Okay...beh tanto non mi piace» conclusi ricevendo un'occhiata scettica. Ero così poco credibile?

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Hola genteeee! :D E' la prima volta in assoluto che mi sento abbastanza soddisfatta di qualche capitolo. All'inizio ero bloccata, ma per davvero...avevo il freno a mano del cervello tirato -.- poi qualcosa si è sbloccato come per magia e BUM! Eccolo qui il secondo incontro Delena *^* è stato faticoso davvero perchè avevo moltissime idee diverse e volevo scrivere un sacco di cose diverse o farne un bel mush-up, ma poi era caotico e non si capiva una beata ceppa! Cosa ne pensate???? Se avete dei consigli vi prego, vi supplico di dirmeli senza pietà! Oh cosa vi è parso di questa Caroline neutrale? Nella mia trama mentale non c'è nulla tra lei e Damon che la spinga a mal sopportarlo perciò ho pensato che in qualità di amica, fosse la tattica giusta (io stessa l'ho usata all'occorrenza e non era malvagia ;)). E' un po' - molto - OCC ma mi sono presa la libertà di questa licenza poetica ><. Nel prossimo capitolo proverò a fare qualcosa di ultra super iper difficile....un POV Damon.....sarà un disastro me lo sento ç_ç non sono proprio capace di entrare nella mente maschile.....ma voglio provarci! ù.ù cercherò di applicare qualche trucco di ipnosi a qualche amico per leggergli la mente ù.ù. Ringrazio ancora le fantastiche ragazze che hanno recensito il capitolo precendente e questo: Everlily, Elena78 e Sarawooh. Non so come ringraziarvi per i bellissimi commenti che mi avete lasciato :3 :* Ringrazio anche tutte le ragazze che hanno messo la storia tra le seguite, preferite e anche ricordate! Spero di non annoiarvi mai! Baci a tutte!! :D

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Capitolo 4
*** The Lawyer Gigolò ***


4

The Lawyer Gigolò

 

Pov Damon

 

Ero tornato nella City da una settimana e la Florida già mi mancava. Tutte quelle ragazze in bikini così disponibili, gli ombrellini decorativi nei cocktail, il sole cocente in autunno... si Tampa mi mancava molto. Ma era un sogno troppo bello per durare una vita.

Così come il mio dolce riposo quella mattina...

«Ehi Lady D! Svegliati o farai tardi anche oggi». Stefan era in piedi accanto al mio letto, soffocante come al solito. Odiavo quando sfoggiava le sue maniere da mammina. E naturalmente odiavo i suoi nomignoli.

«Vattene Stefan» brontolai girandomi dall'altra parte del letto. Mi sembrava di essere tornato al liceo quando il piccolo Stefan veniva a tormentarmi dopo una nottata di sbronza.

«No, lo sai che non puoi arrivare quando vuoi, non sei un socio paritario»

«Per ora! Non lo sono per ora» dissi sedendomi sul letto e guardandolo con gli occhi ancora annebbiati per il sonno. Stefan era già vestito, con il suo elegante completo scuro e sorseggiava del caffè fumante dalla tazza di porcellana bianca.

«Beh se continui ad arrivare tardi papà si arrabbierà di nuovo»

«È questo il bello di non essere il figlio preferito, lui non si aspetta che io sia puntuale».

Stefan mi lanciò la sua solita occhiataccia da "ti comporti come un quindicenne", il ché era parecchio divertente visto che era lui quello da poco uscito dall'adolescenza.

«Ti aspetto in cucina» disse uscendo dalla mia stanza.

Ed ecco l'ultimo motivo per cui mi mancava la Florida, non dovevo avere a che fare con Stefan e Salvatore Senior.

Io e mio padre non eravamo mai andati molto d'accordo. Fatto comprensibile vista la nostra insormontabile differenza caratteriale e la sua capacità di mettermi costantemente sotto pressione, dalla prima camminata fino alla laurea in legge. Negli ultimi anni era tutto peggiorato, più gli tenevo testa, più lui si indispettiva e più lui si indispettiva, più io ero felice. Eravamo due entità distinte, perennemente in lotta tra loro e il nostro unico modo di comunicazione era lo scontro.

Con Stefan le cose erano diverse. Eravamo diversi, ma uniti. Da piccoli io ero il suo mito, il suo modello e come dargli torto? Ero sempre circondato da bellissime ragazze e tenevo testa alle follie di nostro padre. Ma anche con lui le cose erano cambiate. Da qualche anno il suo obiettivo era diventato quello di tranquillizzare i freddi rapporti tra me e mio padre. Voleva che fossimo una grande e bella famiglia felice ma io non riuscivo a fingere a lungo, nemmeno se era il piccolo Stef a chiederlo. Mal sopportavo i modi di fare autoritari di mio padre, sopratutto da quando non avevo più bisogno di lui per sopravvivere. Alla fine anche con Stefan i rapporti erano mutati, nonostante lui si ostinasse a farmi da balia.

Uscii dal letto e cominciai a vestirmi. Se dovevo svegliarmi così presto al mattino per fare il bravo dipendente avevo almeno il diritto di una buona dose di caffeina. Doppia dose, magari.

Entrai in cucina e vidi Stefan armeggiare con il forno a microonde. Lui e la "tecnologia", non c'era accoppiata più disastrosa.

«Che stai facendo?»

«Guarda! Guardami! Sembro...»

«Justin Bieber?».

Stefan mi lanciò un'altra occhiataccia. Era la seconda quella mattina. «Volevo dire "poco riposato", ho un importante incontro con un cliente questa mattina»

«Hai fatto le ore piccole questa notte? Così mi riempi d'orgoglio, fratellino!»

«Finiscila! Sono solo andato a casa di Caroline per ricontrollare i documenti della Sheffil&Marks...»

«Aspetta!...Te la fai con Blondie? Vorrei dire che non me l'aspettavo ma...»

«Damon non cominciare, sai già che sono ancora...»

«Si si, Katherine-focalizzato» commentai annoiato.

Speravo che la coppia più bella del mondo si fosse lasciata non avrei più dovuto sorbirmi i monologhi di Stefan su quell'arpia, invece era passato un anno ed eravamo ancora allo stesso straziante punto. Parliamoci chiaro, la prima volta che Stefan aveva portato a casa Katherine ero rimasto sorpreso. Aveva due anni più di lui ed era bellissima, quel genere di ragazza che ricopre la prima pagina delle riviste patinate. Ma era bastato poco tempo per inquadrarla: era viziata, capricciosa, egoista. Personalmente, riuscivo a sopportarla solo dopo una bottiglia di Bourbon. Tutta quella bellezza sprecata.

Ero sconvolto quando avevano festeggiato il loro primo anno insieme e lo ero ancora di più dopo il secondo. Poi cominciò la serie di tira e molla che avevano caratterizzato gli ultimi tre anni del college di Stefan e infine la rottura finale. Stefan non era mai stato fortunato quanto me con le donne. Lui voleva il grande amore, la storia per la vita. Dovevo insegnarli ancora molto.

«E poi c'era Elena e...hai smesso di ascoltarmi mezz'ora fa, non è vero?».

Lo guardai «Elena?»

«Si...la nuova associata...»

«È una tua amica?» gli chiesi.

«No, è la migliore amica di Caroline, arrivata la scorsa settimana da Richmond, perchè?»

«Sai se è single?».

E vai con la terza occhiataccia di Stefan «Non ci pensare neanche!»

«Che cosa?» domandai innocente ma Stefan non era così stupido. D'altronde aveva pur sempre il mio stesso sangue.

«Non ci provare! Se te la porti a letto e poi la scarichi, Caroline mi ammazza»

«Perché mai pensi sia in grado di fare una cosa del genere?».

Quarta occhiataccia. «Anni di esperienza confermano quanto detto, comportati bene»

«Io mi comporto sempre bene» replicai fingendomi offeso «Beh...quasi sempre»

«Dimostramelo andando a lavorare in orario, oggi» continuò Stefan recuperando il suo trench e la ventiquattrore.

«Si mammina» e non appena si richiuse la porta alle spalle mi fiondai in camera per altri cinque minuti di sonno.

C'era qualcosa in quell'Elena. Qualcosa che mi faceva sorridere e persino...intenerire. Aveva due grandi occhi da cerbiatto di un intenso color castagna. Di per se non erano poi così speciali, erano pur sempre occhi scuri no? Ma il modo in cui si muovevano quando mi guardava, così analitici e indagatori...avevano qualcosa di intrigante che non riuscivo a spiegarmi.

Era giovane, un po' impacciata e timida. Carne fresca per il mio fascino.

 

Quando uscii dall'ascensore – con un'ora di ritardo – mi precipitai in ufficio per lasciare il cappotto. Sussultai quando la poltrona girevole alla scrivania si voltò. Poteva benissimo essere Stefan con una delle sue prediche esplosive.

«Rebekah» salutai la giovane donna rilassata sulla poltrona in pelle nera. Lei mi rivolse un sorriso malizioso.

«Mi stai ignorando da mesi» cominciò accavallando le gambe avvolte da calze velate.

«Intendi le sette chiamate senza risposta? Ho perso il telefono»

«E le e-mail?».

Feci spallucce «Non uso le e-mail, Maynard si offenderebbe»

«Chi è Maynard?»

«Il mio piccione viaggiatore!».

Rebekah mi lanciò un'occhiata scettica e priva di qualsivoglia allegria. Non si stava divertendo quanto me per questo scambio di battute.

«Credevo avessi detto di non farne un affare di stato» aggiunsi calmo posando il cappotto sul divanetto.

«Ma sei sparito senza avvisare».

Alzai gli occhi al soffitto scocciato «Credevo ti piacessero i cattivi ragazzi»

«Solo quando riesco a domarli» rispose alzandosi in piedi e avvicinandosi. Allungò la mano sulla mia guancia e l'accarezzò dolcemente.

Avevo incontrato Rebekah la prima settimana del mio soggiorno a Tampa, lei era li con le sue compagne della Confraternita per le vacanze di primavera. Tuttavia sapevo chi era ancora prima di conoscerla ufficialmente. Rebekah era la piccola di casa Mikaelson, i maggiori concorrenti dello studio legale per cui lavoravo. Lo ammetto, il primo pensiero che avevo avuto non era stato il più innocente. Portarmi a letto la sorellina di Klaus era qualcosa a cui non avrei mai potuto rinunciare per nessun motivo al mondo. Ma le sue attenzioni erano diventate piuttosto inquietanti e morbose. Nonostante i suoi intriganti atteggiamenti da femme fatale era ancora una ragazzina, un po' petulante anche, alla ricerca del grande amore.

«Come sei entrata?» le chiesi allontanando la sua mano dal mio viso.

Lei sorrise ammiccante «Gli addetti alla sicurezza sono pur sempre uomini, no?». Sbuffai leggermente contrariato. Dovevo fare quattro chiacchiere con Bob della sicurezza appena riuscivo a liberarmi di lei. Non era possibile essere abbindolati così da una ventitreenne qualunque.

«Cosa direbbero i tuoi fratelli se sapessero che sei qui?»

«Non è quello che speri in fondo?»

«Quello che spero è che nessuno ti veda qui» risposi secco.

«Guarda che non ho scritto Mikaelson sulla fronte, nessuno saprà che ti sei fatto il nemico, se è questo che ti preoccupa» mormorò lei infastidita.

Recuperò la borsetta da sotto alla mia scrivania e si avviò verso la porta a passo spedito «Ma starei attento al posto tuo, perché non è nella mia natura...mantenere a lungo i segreti».

Come se m'importasse davvero che qualcuno lo scoprisse, non esistevano conseguenze che mi potevano preoccupare, era questo il bello di essere scapoli e in cattivi rapporti con il proprio padre.

Il telefono sulla scrivania cominciò a squillare.

«Pronto?»

«Sei in ritardo di un'ora, ti sei perso la riunione con Wesley e papà» disse Stefan con voce grossa. Dio quanto lo odiavo nelle vesti di fratello apprensivo.

«C'era traffico»

«Se fossi uscito con me questa mattina...»

«Lo so, lo so, da chi devo andare a scusarmi per primo?» domandai annoiato anche se sapevo già che Giuseppe era il vero problema.

«Fa un po' tu» rispose Stefan chiudendo la telefonata. Adesso ci mancava anche il fratello permaloso.

Accesi i computer, lessi le e-mail, mi aggiornai con la mia segretaria, Emily, sui processi che avevo assistito prima di volare a Tampa e poi, con il sorrisino beffardo che tanto faceva infuriare Giuseppe mi diressi verso il suo ufficio al cinquantaseiesimo piano. Oltrepassai i corridoi a passo svelto, salutando qua e là alcuni colleghi che non vedevo da tempo e poi mi fermai, poco prima di arrivare agli ascensori. Nella saletta del caffè, normalmente ripiena di tutte le leccornie che minavano la silhouette delle colleghe più anziane, intravidi Elena chiacchierare allegramente con un'altra ragazza, probabilmente un'altra nuova associata.

Mi avvicinai velocemente, come se fossi attirato da un magnete formato persona. E molto sensuale per giunta. Indossava un abitino aderente di color vinaccia che donava molto con la sua carnagione olivastra.

«Buongiorno belle fanciulle» annunciai la mia entrata con un sorriso. Appena mi vide, Elena roteò gli occhi. La guardai per un secondo, intensamente, ma poi mi avvicinai all'altra ragazza e allungando la mano mi presentai «Non credo ci siamo mai incontrati, sono Damon Salvatore».

La ragazza arrossi violentemente «Aimee» bofonchiò timidamente.

«Incantato» dissi con voce bassa, sensuale. Elena schioccò la lingua con un misto di fastidio e scetticismo, un po' perché, come aveva già specificato, riteneva i miei metodi di abbordaggio antiquati e banali e un po' perché come io avevo sottolineato, funzionavano sempre.

«Oh ci sei anche tu...Ellen, giusto?»

«Ah» Elena si portò una mano al petto con aria teatrale «mi ferisce che tu non ricordi il mio nome».

«Io devo andare» s'intromise la ragazza «È stato un piacere conoscerti, Damon».

Sorrisi a Aimee e tornai a guardare Elena divertito.

«È molto carina» dissi indicando con il pollice la porta che Aimee aveva appena varcato.

«Quasi quanto i tuoi tentativi di corteggiamento»

«Quale corteggiamento?» domandai innocente.

«Mi ignori sperando di farmi diventare gelosa» rispose lei calma, con il sorriso di una che conosceva bene la mente maschile.

«Ah sei anche veggente adesso?»

«Solo quando si tratta di te»

«Quindi sono sempre nei tuoi pensieri»

«È solo che sei molto prevedibile» mi rispose con un sorriso beffardo.

Era molto carina quando rideva in quel modo. Guardarla aveva uno strano effetto su di me, e non solo perché la sua bellezza mi solleticava certe fantasie, ma anche perché sentivo uno strano movimento intercostale ed era una sensazione piacevole e per certi versi anche...esaltante. Mi affascinava quando diceva di no. E non perché era la prima donna a farlo ma per il modo, elegante, divertente e ostinato con cui lo faceva.

Prese a ridacchiare e io la guardai perplesso «Perché ridi Gilbert?»

«Come sai il mio cognome?...Sei una specie di Veronica Mars?» domandò seria, ma senza nascondere un velo di ilarità tra le sue parole.

«Ah ah. Sono un avvocato, è mio dovere conoscere tutti i dettagli» in più tutti i dati sui nuovi associati erano alla mercé di tutto il personale con un briciolo di esperienza «Illuminami, perché ridi?»

«Per la mia invidiabile perspicacia» rispose avvicinandosi «Anche se, ti svelerò un segreto, speravo non fossi in solito cliché»

«E quale sarei scusa?» chiesi di nuovo esagerando la mia perplessità.

«Il tipo “Sono figo e mi faccio chiunque respiri”» mormorò tranquilla mimando le virgolette con le dita.

«E da cosa l'hai capito piccola Sherlock?»

«Ehm...prova a guardarti un po' intorno».

Oltre le mura della saletta notai molte donne passare accanto a noi buttando un occhio all'interno della stanza e più precisamente nella mia direzione. Mi sorrisero tutte quando le adocchiai, come stessero aspettando un mio cenno da tutta la mattinata. E se normalmente lo avrei apprezzato, in quel momento mi infastidiva un po'.

«E che c'è di male?» ribattei tornando a concentrarmi su Elena.

«In realtà niente, ma io non amo i collezionisti di donne»

«Ti sbagli, io non sono un collezionista...»

«No, certo, tu sei...fammi indovinare...un benefattore, un dispensatore di felicità per le donne, dico bene?» chiese sprezzante.

«Non sono uno che ha paura di impegnarsi» affermai deciso e la mia voce risultò più dura di quanto volessi apparisse. Non mi piaceva sentirmi giudicato e anche se forse Elena non lo stava facendo, sentivo come il bisogno di difendermi. La guardai e notai la sua espressione confusa, non si aspettava una reazione di quel genere.

Ripresi il controllo e il mio solito ghigno «Non sono uno che ha paura d'impegnarsi, quello si che sarebbe un cliché, diciamo che non ho ancora trovato la ragazza giusta»

«Forse perché la cerchi con il metodo sbagliato, dovresti concentrarti più sul carattere che sulla disponibilità»

«Ehi, per caso ti stai proponendo?» chiesi beffardo.

Scoppiò in una risata «Non ci conosciamo nemmeno!»

«Questo non è un no»

«Ma neanche un sì» mi fece notare.

«Ma potrebbe diventarlo».

Mi guardò attentamente, con gli occhi stretti, il sorriso sulle labbra e scuotendo la testa da destra a sinistra. Stava per dire qualcosa ma io la bloccai sul tempo.

«Esci con me Gilbert».

Rimase in silenzio per qualche secondo, mi fissava come se cercasse di scovare uno scherzo nella mia proposta. Ma io ero serio, molto serio.

«Dai, un drink. Vediamo che succede» insistei allegro. Genuinamente innocente.

«No»

«Perché no? Hai paura possa piacerti?»

«Perché tu non sei il mio tipo» rispose ma glielo leggevo in faccia che non ne era convinta.

«Come lo sai se non ci conosciamo?» domandai calmo.

Elena si mordicchiò le labbra, senza accorgersi di quanto sensuale fosse in quel momento.

«Lavoriamo insieme...»

«Solo tecnicamente, la probabilità che ci assegnino alla stessa causa è molto bassa»

«Bassa o no, esiste»

«Secondo me hai paura» aggiunsi senza riuscire a trattenermi. « Difficilmente riusciresti a resistere al mio fascino. È per questo che mi stai dicendo di no, ma...sei ancora qui perciò una parte di te dev'essere intrigata dalla mia proposta».

Riuscivo a vedere le sue idee nella testa scontrarsi a vicenda come nel più feroce film di Tarantino, era indecisa, terribilmente dubbiosa perché il suo istinto le diceva di lasciarsi andare, un'uscita non aveva mai ucciso nessuno, ma la sua mente faceva resistenza, il ché, a mio parere, era strano visto che era appena arrivata in città e non poteva aver già sentito parlare male di me...

«No, mi dispiace» disse infine, recuperando dal tavolo di legno la sua tazza di caffè e correndo verso l'ufficio.

 

Se pensava davvero che un no sarebbe stato sufficiente per farmi desistere si sbagliava di grosso. Dopo la “simpatica” chiacchierata con Giuseppe, mi ero rinchiuso nel mio ufficio. Seduto sulla poltrona di pelle nera, sorseggiavo un goccio di whisky regalatomi da un cliente qualche ora prima.

Non voleva uscire con me. Non voleva uscire con me? Oh andiamo! Tutte volevano uscire con me! Potevo leggerglielo negli occhi che il suo due di picche era solo un debole tentativo per allontanarmi... tuttavia questa cosa mi stava ossessionando.

Non era la prima volta che una ragazza rispondeva negativamente ad una mia proposta di uscita, le contavo su una mano, ma non era la prima. Eppure questa situazione m'infastidiva più delle altre. Come poteva dirmi di no se nemmeno mi conosceva? Okay forse il primo, veloce, scambio di battute sull'aereo non era stato dei più eleganti, ma andiamo! Non si dovrebbe mai giudicare una persona alla prima occhiata, giusto? A meno che non cominci a parlare di fumetti o ricamo, s'intende.

Presi in mano una delle cartelle consegnatemi direttamente da mio padre e cominciai a sfogliare la prima della cima. Salvatore Sr. voleva che me ne occupassi con grande cura, possibilmente richiedendo l'aiuto di Stefan. “Una causa di famiglia” mi aveva detto qualche ora fa “Servitene per risarcire lo studio dei tuoi quattro mesi d'insubordinazione”.

Mi venivano i brividi al solo pensiero. Preparare una causa con Stefan significava rimanere delle ore sullo stesso paragrafo dell'arringa per verificare che non ci fossero pecche utili alla controparte. La mia vita sociale ne sarebbe uscita distrutta. In più non avrei potuto sgattaiolare in giro per i corridoi a stuzzicare Elena con il mio fascino. Prima o poi avrebbe ceduto, me lo sentivo.

Forse un modo per accelerare la nostra reciproca conoscenza c'era...

Mi alzai dalla poltrona reclinabile con ritrovata fiducia. Controllai l'orologio e raggiunsi il piano in cui lavoravano gli associati del primo e del secondo anno. Se la fortuna mi assisteva sarei stato fortunato e l'avrei trovata proprio alla sua scrivania...

«Ehi Blondi!» dissi con un sorriso smagliante. Caroline era seduta proprio davanti alla sua scrivania, gli occhi un po' affaticati dalla giornata. Appena notò la mia presenza sulla soglia della sua porta mi lanciò un'occhiata annoiata. Al diavolo le ragazze del sud! Credevo fossero più socievoli!

«Salvatroll»

«Lo sai? Tu e Stefan fate schifo con i soprannomi» le dissi poco divertito.

Sorrise. «Ogni giorno ci sediamo davanti ad una tazza di caffè e ne inventiamo di nuovi per te»

«Molto dolci» sbuffai entrando e sistemandoli sul divanetto in velluto «Ho bisogno di un favore»

«Okay ma hai sbagliato indirizzo» rispose divertita «Scusa scusa, era una battuta che ho sentito in un film e tu eri la cavia perfetta» si precipitò ad aggiungere notando la mia espressione. Oggi non era la mia giornata, dopo le occhiatacce di Stefan, il rifiuto di Elena ci mancava solamente Blondi che mi prendeva in giro.

«Elena ha rifiutato la mia proposta ti uscire insieme»

«Ti prego, dimmi che non sei venuto qui per chiedermi consigli sulla mia amica»

«Non sono così disperato» sbuffai «Sai quanto sia strano per il mio bel faccino ricevere un “no” come risposta?».

Caroline alzò il sopracciglio destro. «Sicuramente più di quanto io potessi immaginare»

«Fingendo di non aver percepito il tuo sarcasmo mi domandavo, non è che per caso ti è sfuggito qualcosa?»

«Del tipo che sei un avvocato gigolò? No, niente del genere» rispose allegra.

«Allora è sfuggito a me qualcosa perché stamattina mi sono specchiato ed ero ancora il solito schianto»

«Avevo dimenticato quanto tu fossi modesto» sospirò teatralmente.

«Perché non vuole uscire con me? Siete amiche no? Tu puoi spiegarmelo»

«Oh ma seriamente? Dovreste smetterla di prendermi per una strizzacervelli, a malapena ho il tempo per queste cause» continuò Blondi appoggiandosi allo schienale insolitamente priva di grazia. Aveva gli occhi lucidi e l'aria avvilita. Normalmente mi sarei alzato e l'avrei lasciata alle sue preoccupazioni ma Blondi era la vivace mascotte dello studio. L'avevo vista esaltata, ironica, agitata, arrabbiata ma mai così pacata e silenziosa.

«Ehi, stai bene?».

Blondi sospirò lentamente, come se dovesse riflettere attentamente prima di rispondere, poi guardando vero il basso scosse la testa per rispondere.

«Devo chiamare Stefan?»

«No» si precipitò a rispondere guardandomi negli occhi. Era una strana, molto strana, situazione. C'era molto poco Blondi in lei in quel momento.

«Oh voi due inseparabili compagni di vita avete litigato?» scherzai per alleggerire l'atmosfera.

«No, è che...non posso parlare con Stefan» spiegò.

«Che succede? Da quando devo cavarti le parole di bocca?»

«Tuo padre mi ha chiamata nel suo ufficio due ore fa»

«Il grande Giuseppe Salvatore?» la interruppi con fare drammatico e lei accennò ad un veloce si con la testa.

«È esattamente quello che ho pensato io, Giuseppe Salvatore il Dio del diritto internazionale vuole parlare con me? Ero positivamente sconvolta ma ripensandoci ora...era tutto troppo bello per essere vero»

«Cosa voleva?»

«Punirmi» sbuffò e io feci una smorfia sorpresa che la spinsi e continuare. «Tre mesi fa, Noah ha affidato una causa di diritto familiare a Stefan di cui non poteva occuparsi. Si trattava di una difficile causa per la custodia di un bambino. Stefan ne è rimasto davvero coinvolto, era entusiasta, più di quanto lo si vede solitamente per le sue cause...così quando ha vinto in tribunale io l'ho...diciamo un po' incoraggiato verso quel ramo del diritto, anche se sapevo che il suo cognome gli imponeva un'altra direzione...»

«Il dio del diritto internazionale non ne sarà rimasto colpito, immagino»

«Decisamente no, oggi mi ha tolto tre cause di cui mi stavo occupando da tempo con la scusa che le disposizioni e le arringhe non erano ben costruite»

«Il solito manipolatore egoista»

«In più mi ha caldamente consigliato di tenere i miei amichevoli consigli per me e di non compromettere il futuro di suo figlio». Blondi non stava piangendo, ma gli occhi lucidi e il viso abbattuto dimostravano quanto le parole di mio padre l'avevano demolita. «Credo di odiarlo, sai»

«Ed è per questo che non puoi parlarne con Stefan...»

«Già...lui mette tutto se stesso per renderlo orgoglioso, per rendere i vostri rapporti nuovamente civili...e io come amica devo aiutarlo, non smantellare l'immagine che ha di suo padre...»

«È fortunato ad avere un'amica così» le sorrisi «E mio padre è un idiota, non devi ascoltarlo, sei brava in questo lavoro, non permettergli di prendere il controllo su chi sei».

Blondi alzò lo sguardo e mi sorrise. Era un sorriso sincero e grato, il primo che mi aveva regalato da quando l'avevo conosciuta cinque anni fa.

«Forse ho un'idea» disse dopo qualche istante.

La guardai confuso «Di che parli?»

«Di Elena, naturalmente» ammiccò allegra.

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Spazio Autrice

Okay non so quanti di voi leggeranno questo capitolo perché non pubblico da tipo una vita, in ogni caso...mi dispiace moltissimoooooo :'( purtroppo ho avuto moltissimi problemi che non sto qua a spiegarvi perché credo che voi abbiate cose più interessanti da fare che ascoltare i miei monologhi, ma ecco ci tenevo a dire che siete fantastiche, chi ha avuto il tempo di lasciare un commentino, o ha messo la storia tra le preferite/seguite, siete semplicemente fantastiche e io non lo sono stata affatto! volevo che fosse un capitolo stupendo e ho aspettato a pubblicarlo per essere sicura che fosse all'altezza delle mie aspettative e ovviamente alle vostre e così ho perso un mare di tempo che si è aggiunto al tempo che mi è stato "sottratto" per altri motivi e kabum sono in ritardo di mesi e mesi, perciò ecco volevo assolutamente scusarmi e spero di riuscire a rimediare, sopratutto durante le vacanze invernali quando grazie al cielo le lezioni in università si fermeranno (non potete immaginare gli orari indecenti che hanno messo questo anno -.-").
Siete tutte dolcissime, buona settimanaaaaaaa :)
 

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Capitolo 5
*** Stop the world I wanna get off with you ***


5

Stop the World I wanna get off With You

 

Pov Elena

 

In quanto avvocato sentivo che il mio lavoro era questo: ricercare la verità nel mezzo di tutte le leggi e gli emendamenti che il Congresso approvava ogni giorno. Ma in quel momento, distesa sul letto e rintanata sotto le lenzuola, l'unico fatto o verità di cui ero certa era che non riuscivo a togliermi dalla testa Damon. Era più forte di me, qualcosa che non riuscivo a controllare, lui e i suoi maledettissimi occhi blu si palesavano in ogni mio pensiero.

Mi succedeva la stessa cosa da ragazzina, quando vedevo il nome del ragazzo che mi piaceva su ogni insegna, programma televisivo o rivista.

“Ma sei ancora qui, perciò una parte di te deve essere intrigata dalla tua proposta”. Una parte di me? Una sola? Possiamo pure dire che tutte le Elena che convivono dentro di me erano intrigate dalla sua proposta, perché le sue battute, la sua voce, il movimento delle sue labbra...erano tutti dettagli così magnetici che non solo ne ero intrigata ma anche irrimediabilmente attratta!

Tuttora faccio una gran fatica mentale per ricordami perché ho rifiutato il suo invito. E ancora una volta la verità era semplicissima: paura.

Damon Salvatore è un giovane avvocato di successo in uno dei più importanti studi legali di New York, un domani potrei perfino vedere il suo cognome affisso sulla parete nell'atrio del grattacielo sul Financial Distric e io non posso, non devo prendermi una cotta per lui.

Tutti sanno come vanno queste cose: “giovane neo assunta che viene promossa per la relazione con il suo capo” o peggio, “licenziata dopo anni di lavoro per interruzione relazione con il capo”. Anni di fatica, d'impegno buttati via per un ragazzo con dei bellissimi capelli corvini e la battuta sempre pronta. Quanto ne vale la pena, Elena?

Sebbene avessi queste idee chiare nella mia mente non c'era modo di evitare che i miei pensieri tornassero su di lui, perché quella tensione in sua presenza, quel batticuore improvviso...mi avevano fatta sentire di nuovo viva, come non mi sentivo da tempo.

 

La mattina dopo mi svegliai fresca e pronta per una nuova giornata di lavoro. Sapevo bene che la mia emozione non era dovuta al fatto che avrei stampato altre fotocopie per Mary...anche se cercavo di controllarmi la mia felicità dipendeva dal fatto che, in qualche modo, anche oggi lo avrei rivisto.

Lo sapevo, sapevo che non potevo pensare a queste sciocchezze, sopratutto dopo gli interminabili ragionamenti notturni sul perché era meglio stare alla larga da Damon, ma emergevano spontanee nella mia mente ed ero del tutto incapace di zittirle.

«Stasera usciamo» mi disse Caroline non appena varcai la soglia della cucina. Era seduta difronte al tavolo mentre beveva caffè fumante dalla sua tazza con la scritta “Miss Fashion”.

«Dove?» le chiesi sorridendo mentre recuperavo del latte fresco dal frigorifero. Mi guardò sospettosa per un istante ma poi continuò:

«21 Club, dove Humphrey Bogart ha portato Lauren Bacall per il loro primo appuntamento e dove Marlene Dietrich ha conosciuto Salvador Dalì mentre scappava dalla Germania nazista» mi rispose con aria sognante.

«Wow, hai intenzione di fare grandi incontri questa sera, eh Care?» dissi mentre mi sedevo accanto a lei.

«Non sarebbe male in effetti, sono single da così tanto tempo che temo di aver dimenticato come si faccia sesso».

Riuscii a malapena a trattenermi dallo sputacchiare il latte che stavo bevendo dal bicchiere di vetro.

«Cosa?» fece lei seria, come se quello che aveva detto era del tutto normale alle sette del mattino.

«Niente niente...non eri uscita con quel Howard due settimane fa?». Nel nominare Howard la faccia di Caroline si corrugò visibilmente.

«Si e non la smette di chiamarmi...Dio dove sono finiti i vecchi uomini da un'uscita e via?» sbuffò annoiata appoggiando i gomiti sul tavolo e le mani sulle guance.

«Così male, eh?».

Caroline annuì affranta chiudendo gli occhi e stringendo le labbra.

«Vedrai che andrà meglio».

Sbuffò di rimando «Parli bene tu, corteggiata direttamente da uno dei Salvatore, non devi neanche faticare per cercarli».

Questa volta il latte uscii davvero dalla mia bocca per la sorpresa – scena da dimenticare peraltro –.

«C-cosa?» balbettai nervosa «Cosa dici?».

Caroline mi osservò socchiudendo gli occhi e un sorriso malizioso le spuntò sulle labbra «Oh andiamo, non dirmi che non è evidente, Damon ti stuzzica sempre e ti ha chiesto di uscire, secondo te cosa sta facendo?»

«N-non mi sta c-corteggiando, io...beh comunque gli ho detto di no, s-smetterà subito»

«Non è il tipo che si arrende lui...»

«Non uscirò con lui Care...non si può, noi lavoriamo insieme...se finisse male sarebbe un disastro, lui poi è un Salvatore...»

«Lo sai vero che quando balbetti dimostri...»

«Nervosismo, si lo so, mi capita spesso ultimamente» tagliai corto stizzita. Di certo non serviva che qualcuno me lo ricordasse, sapevo bene che Damon mi rendeva nervosa.

«Ad ogni modo» riprese Caroline con tranquillità «secondo me ne stai facendo una questione più grande di quello che è, un'uscita non ti farebbe affatto male, anche se Damon potrebbe diventare il tuo capo...un giorno o l'altro»

«Credevo volessi restare la piccola, dolce e silenziosa Svizzera» le dissi con ironia mentre si alzava sparecchiando il tavolo e infilando le tazze nella lavastoviglie.

«Hai ragione, ma ogni tanto un parere spassionato ed onesto non ti può fare male, no?»

«Cioè dovrei accettare il suo invito e dire addio alle mie ispirazioni di indipendenza maschile?» continuai sarcastica alzando le braccia al soffitto.

Caroline si fermò sulla porta della cucina e mi guardò seria: «No, questo mai...ma tu Elena, hai bisogno di un po' di sano sesso» rispose tranquilla e poi aggiunse «E anche io».

Sbuffai «Grazie Care! Molto maturo da parte tua» dissi ad alta voce di modo che potesse sentirmi anche se si stava allontanando verso la sua camera.

 

Pov Damon

 

«Pare che lavoreremo di nuovo insieme Stef!» esclamai entrando in soggiorno.

Stefan mi osservò con occhi sgranati, non potevo dargli torto, erano le sette e mezzo del mattino, non era da me essere comunicativo a quell'ora.

«Di che parli?» chiese ripiegando la sua copia del Financial Times appena stampata.

«Giuseppe non te l'ha detto? Lavoreremo insieme sul caso dei coniugi Walsh» spiegai versandomi del caffè dentro una tazza di porcellana bianca. Lanciai un'occhiata a Stefan che era rimasto ancora più sconcertato di quando mi aveva visto entrare poco prima.

Secondo quanto mi aveva detto Blondie il giorno prima, doveva essere una novità per il mio fratellino ricevere un caso di diritto civile/familiare da nostro padre.

«Ne sei sicuro?»

«Certo, sarà un caso semplice, molto rapido, che non ti toglierà energie per le tue numerose cause di diritto internazionale» specificai per punzecchiarlo un pochino «Anzi, stavo pensando di proporre anche ad Elena di partecipare alla causa...»

«Damon...» mi richiamò Stefan con voce perentoria «lascia in pace quella povera ragazza»

«È buffo che tu dica questo, quando solo qualche mese fa non facevi altro che telefonare a Katherine implorandola di ripensare alla vostra rottura» risposi pungente.

Stefan mi lanciò un'occhiata ferita mista a rabbia. Era ancora un tasto molto delicato da toccare questo; sopratutto perché l'ultima telefonata che le aveva fatto risaliva a quattro mesi prima, prima che me ne andassi da New York.

Infilai la giacca sotto lo sguardo impotente di Stefan e uscii di casa. Era davvero inusuale per me andarmene a quell'ora del mattino, sopratutto prima del mio fratellino, ma per la prima volta ero sinceramente divertito dall'idea di andare al lavoro. In tutta onestà non vedevo l'ora di osservare la fronte corrugata che Elena avrebbe mostrato non appena le avrei proposto di partecipare con me ad un caso. Era un gesto estremamente dolce da parte mia, aiutare una giovane nuova associata ad emergere in mezzo agli altri grazie ad una causa che altrimenti le sarebbe arrivata sulla scrivania solo dopo nove mesi dall'assunzione. Dopo questo era assolutamente in debito con me, dovrà per forza accettare il mio invito ad uscire, questo è ovvio.

Entrando nell'attico del palazzo mi ritrovai a sorridere divertito. Forse non dovevo aspettare di vederla in ufficio per attuare il mio piano di seduzione.

«Splendida mattinata, non è vero?» domandai con la voce più bassa e sensuale che riuscii a produrre.

«Si» rispose distrattamente Elena in piedi difronte all'ascensore, prima di accorgersi con chi stava parlando. I suoi grandi occhi nocciola si allargarono sorpresi e la sua bocca si schiuse in stato di shock. Non c'era da preoccuparsi, sono abituato a queste reazioni del tutto inevitabili. «Che cosa ci fai qui?»

«L'ultima volta che ho controllato, io ci lavoro qui».

Scosse la testa e muovendosi i suoi capelli emanarono un profumo dolce, vellutato che m'inebriò i sensi.

«Volevo dire a quest'ora. Cosa ci fai qui a quest'ora? Di solito arrivi sempre per le nove».

Le sorrisi «Hai per caso un diario segreto sul quale annoti tutti i miei orari?»

«Ovviamente, ma sto avendo problemi con la pausa pranzo, vedi vorrei fare un salto nel tuo ufficio per lasciarti la mia lettera d'amore anonima senza farmi scoprire ma cambi orario continuamente e questo mi confonde» rispose sarcastica varcando la porta dell'ascensore. Aveva uno sguardo fiero e soddisfatto, come se le sue parole mi avessero appena messo in un sacco. Povera piccola, non sa che sono io il re delle risposte pronte.

«In questo non posso aiutarti piccola stalker, sopratutto perché da domani passeremo tutte le pause pranzo insieme» ridacchiai allegro osservando la porta dell'ascensore chiudersi davanti a noi.

«Scusa?» chiese con una faccia pedante mista a sorpresa.

«Oh non ti hanno informata? Ho chiesto specificatamente la tue ore lavorative sulla causa dei coniugi Walsh...scommetto che il fascicolo è appena arrivato sulla tua scrivania»

«Stai scherzando, vero? Io-io sono un'associata del primo anno, appena assunta, non posso seguire delle cause»

«Puoi invece, sopratutto se io voglio che tu lo faccia» risposi pungente. Dovevo ammettere che non avevo mai disprezzato i privilegi. Mi voltai ancora per guardare la faccia di Elena e rimasi sorpreso dal suo sguardo. I suoi occhi puntavano a terra ed erano illuminati da una luce che ricordavo a malapena. Era eccitata, non l'eccitazione che speravo provasse nei miei confronti, ma quella di un giovane avvocato al suo primo caso, pieno di voglia di mettersi in gioco, di salvare qualche vita...quella luce che non vedevo riflessa dai miei occhi da troppo tempo e che su di lei sembrava ancora più brillante.

«Oh mio Dio» esclamò infine trattenendo il fiato «Grazie, grazie grazie» ripeté emozionata e io non potei far altro che emozionarmi a mia volta. Quando sorrideva, era la persona più bella che avessi mai visto e l'aurea che emanava sembrava avvolgermi e condurmi in uno stato di pace che ricordo di aver provato solo quando mia madre mi cullava.

«Già ora sei in debito con me» aggiunsi quasi senza pensarci e mi pentii di averlo detto. Elena si spense e mi guardò infastidita.

«Allora è questo? È per questo che mi offri di lavorare con te! Non t'interessano le mie capacità o l'impegno che ci metto nel mio lavoro». Okay, d'accordo, forse avevo un po' sottovalutato la situazione. «Intendi sedurmi in questo modo? Dandomi dei privilegi? Delle scorciatoie? Beh hai capito male!». Era una furia, non respirava neanche tra una parola e un'altra. «Io non lavorerò con te, a costo di rimanere bloccata tra le fotocopiatrici per tutto l'anno!» sbraitò un'ultima volta prima di abbandonare l'ascensore e lasciandomi li senza parole.

Non era andata per niente come avevo programmato, nemmeno lontanamente.

Tirai fuori il cellulare e feci scorrere la rubrica fino al nome che stavo cercando.

Dovevo avviare il piano B.

 

Pov Elena

 

La fila davanti al 21 Club era lunga mezzo isolato. Caroline aveva ragione quando diceva che era un locale popolare e sebbene la gente si era vestita elegante per la serata questo non gli impediva di ammassarsi davanti all'entrata come adolescenti trepidanti per una serata in discoteca. Caroline non era riuscita a convincermi ad acquistare l'abito viola di lunghezza inguinale che avevamo visto in un negozio tornando a casa e avevo perciò optato per una camicetta senza maniche con motivi dorati in stile barocco («Non lo so, Elena, lo stile rococò non andava di moda l'anno scorso?» aveva storto il naso Caroline) e dei pantaloncini neri da sera con inserti in pelle.

«E se tornassimo più tardi? Magari la fila si è mossa» proposi annoiata alla mia amica. Eravamo ferme da più di dieci minuti, onestamente stavo cominciando ad innervosirmi. Ero stupita dalla calma di Caroline, normalmente era lei quella completamente priva di pazienza.

«No no, ho detto che entriamo alle dieci e così faremo» precisò seria «Vedi adesso la fila si è mossa!»

«Di mezzo metro...che cosa c'è alle dieci di così importante? Regalano Martini?» sospirai in un moto di frustrazione che veniva sistematicamente ignorato da Caroline.

«Niente, ma ho deciso così. Lo sai che non amo i cambiamenti, cose da maniaci del controllo sai...» mi rispose alzando le spalle e continuando a fissare la fila come se, con la forza del suo pensiero, riuscisse a dargli un'accelerata.

«Okay...allora parliamo di qualcosa o ti giuro che muoio qui, su questo asfalto»

«Mi lasci quei vestiti se muori? Più li osservo e più mi piacciono».

Alzai le sopracciglia sorridendo «Si, li inserirò nella tua eredità»

«Ottimo! Allora di cosa vuoi parlare?» domandò allegra stringendo la sua clutch nera.

Avrei voluto parlare di Damon e della sua proposta indecente di questa mattina ma più avrei parlato di lui e più avrei fatto del male a me stessa. È vero, ero assolutamente indignata dal motivo per cui mi voleva a lavorare con se, eppure qualcosa dentro di me mi faceva pensare che ne ero anche un po' lusingata.

«Mary Porter mi odia» sospirai infine, decidendo che per una serata avrei smesso di pensare e parlare di Mr. Salvatore. «Mi obbliga a fare ricerche e a rimanere chiusa nell'archivio tutto il giorno. La mia speranza di assisterla in Tribunale è svanita»

«Scary Mary è...»

«Scary Mary?»

«Si! La chiamano tutti così, non lo sapevi?»

«No» ridacchiai divertita.

«È odiosa, nessuno la vuole come secondo avvocato perché è incapace di collaborare con le persone»

«È così deprimente lavorare con lei»

«Lo so, anche a me è capitato di dover lavorare per lei durante il mio primo anno»

«E come sei sopravvissuta?»

«Non l'ho fatto» rispose dopo averci riflettuto qualche secondo «Devo ancora smaltire i chili che ho messo su mangiando gelato e patatine con la senape che ho ingurgitato a causa sua».

La fila si era considerevolmente ridotta. Riuscivo addirittura a vedere l'entrata. Due bodyguard vestiti di nero erano all'entrata e lanciavano minacciose occhiate a tutti quanti.

Quando mi trovai a pochi passi riuscii ad intravedere gli auricolari con cui comunicavano con l'interno del locale. La mia eccitazione cominciò ad aumentare. Insomma era la prima volta che mettevo piede all'interno di un ambiente così controllato e alla moda. Mi sembrava di essere all'interno di un telefilm come Gossip Girl o The O.C. Di certo l'atmosfera che emanava il club era quella. Lusso ed eleganza.

«Prego ragazze» disse uno dei bodyguard con voce roca, mentre con una mano apriva la porta di vetro.

L'interno era immenso. C'era un lungo bancone nero di fornitura moderna lungo la parete opposta all'entrata, con alte sedie bianche, dall'aria terribilmente scomoda. La luce soffusa proveniva da un grande lampadario di cristallo appeso al centro del soffitto che sembra provenire dalla camera nuziale di Luigi XVI. Le pareti erano chiare – a causa della luce non riuscivo a capire se erano proprio bianche – ma una carta da parati nera si allungava dal basso disegnando rose dello stesso colore.

Potevo scorgere tutto con sufficiente chiarezza perché, sebbene la fila fuori sembrava lunghissima, all'interno il locale era così grande da sembrare ancora vuoto.

Il DJ, posizionato al lato sinistro del bancone del bar, mandava musica commerciale estremamente popolare, dall'ultimo singolo di Lady Gaga ai più ricercati Daft Punk.

«Devo ammettere che l'attesa ne valeva la pena» dissi a Caroline con voce alta ma quando non sentii risposta mi voltai, credendo non mi avesse sentita a causa della musica. La trovai a sorridere e a salutare verso una non ben definita direzione.

Cercai di seguire il suo sguardo e m'immobilizzai.

Damon Salvatore era seduto su una delle sedie bianche. Era, ovviamente, vestito di nero e stringeva in mano un bicchiere basso dall'ampio diametro. Mi lanciò un'occhiata veloce alzando il bicchiere e riprese a bere. Solo qualche istante dopo mi accorsi che accanto a lui, Stefan stava ricambiando il saluto di Caroline agitando la mano.

«Che cosa ci fa qui?» esclamai spazientita mostrando le spalle al bancone del bar. Dov'era finito il “io non ti darò consigli su cosa fare con Damon”?

«L'ha invitato Stefan credo» mi risponde con aria innocente.

«Caroline...» la guardo mentre stringo le braccia al petto. Non so sono più irritata dal fatto che Damon sia nel mio stesso locale o se sia l'impressione che tutto questo -la proposta di un'uscita serale, l'entrata prevista alle dieci e il resto- sia una specie di appuntamento organizzato da Caroline.

«Qual'è il problema, Elena? Usciamo con due colleghi niente di più» alza le spalle e accenna ad un innocuo sorriso.

«Il problema è che io non voglio uscire con un collega»

«Ma non è mica un appuntamento! Ho accennato a Stefan che uscivamo e gli ho allargato l'invito, questo è tutto».

Inclinai leggermente la testa e sospirai. Era inutile restare qui a prendersela, al contrario, più tempo passavo lontano dai Salvatore più avrei reso evidenti le mie intenzioni di evitarli. E mi sarei resa ridicola.

Seguii Caroline a passo svelto mentre si avviava verso il bancone dove era seduti Stefan e Damon.

«Elena! Come stai?» chiese Stafan allegro posando il bicchiere. Sembrava molto più rilassato del solito. Il suo sorriso era ampio ed emanava una piacevole aurea di tranquillità.

«Benissimo» gli risposi ricambiando il sorriso.

«Conosci già mio fratello, vero?».

Mi voltai leggermente verso Damon che mi stava osservando con il suo poco originale sorriso sardonico. Aveva le sopracciglia inarcate segno che aspettava con vivo interesse la mia risposta alla domanda di Stefan.

«Purtroppo si, non ho nemmeno fatto in tempo a mettere piede sul suolo newyorkese che il nome Damon era già arrivato alle mie orecchie» scherzai. Stefan corrugò la fronte ma prima che potessi spiegarli quello che avevo appena detto Caroline s'intromise rapidamente.

«Oddio non ti ho detto niente? Elena e Damon si sono conosciuti sull'aereo per New York prima che si trasferisse qui e cominciasse a lavorare per lo studio»

«Davvero? Beh questa mi è nuova, Damon non mi ha detto niente» Stefan guardò il fratello sorpreso.

«Preferisco condividere i racconti delle mie giornate con un diario segreto, Stef». Damon fece spallucce allo sguardo poco divertito di Stefan. Arricciai le labbra incuriosita da quella frecciatina. Probabilmente era una cosa da “Salvatore”.

Il Dj cambiò di nuovo canzone e dalle casse uscii la voce graffiante di Alex Turner dei Arctic Monkeys con la loro nuova canzone “Stop the world (I wanna get off with you) ”.

Caroline emise un gridolino e si voltò verso Stefan. «Io adoro questa canzone!» disse prendendolo per mano e trattenendosi dal saltellare per l'emozione. «Andiamo a ballare!»

«Io non ballo» rispose Stefan agitando la testa.

«Si che balli! E anche tu adori la canzone!» continuò lei alzando lo sguardo. Sarei stata pronta a scommettere cinquanta dollari che stava facendo la sua espressione da cucciolo per infondere pietà su Stefan e convincerlo a ballare.

Stefan abbassò lo sguardo verso il pavimento e poi lo rialzò lentamente, ruotando lentamente la testa verso destra e alzando contemporaneamente le labbra verso la stessa direzione «Hai ragione, amo questa canzone».

Caroline agitò il braccio libero dalla mano di Stefan e lo trascinò verso il centro della pista sotto il piano rialzato dove erano sistemate le casse.

In quel momento mi accorsi che mi aveva lasciata sola. Con Damon Salvatore.
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Okay è un capitolo sul quale non sono per niente sicura perchè, non lo so faccio davvero molta fatica e ricreare quello che la mia mente s'immagina, però alla fine, dopo averlo ricontrollato e riletto ad alta voce (fingendomi anche Damon hahahah), non l'ho trovato così noioso come mi aspettavo, perciò mi sono detta: Ehi! Pubblichiamolo prima che altre insicurezze ti sommergano!
Nel prossimo capitolo parlerò solo della serata, e lo pubblicherò a breve prima che la sessione mi ammazzi completamente.
Dal 15 febbraio sarò finalmente libera e potrò avere di nuovo una vita, per me e per scrivere questa storia! Un bacio enorme a tutte e grazie per avere la pazienza di seguire tutto questo!!

Immagino abbiate già capito quale sia il piano B di Damon....*muahahahah*
 

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Capitolo 6
*** Shot at the Night ***


6

Shot at the Night

 

Pov Elena

 

Le luci soffuse che illuminavano debolmente il salone mi permettevano di nascondere il rossore delle mie guance. L'imbarazzo per essere a pochi centimetri da Damon aveva deciso di presentarsi in questo modo sul mio viso.

Lui sorseggiava il suo whisky dal bicchiere a fondo largo con una disarmante tranquillità. E questo m'innervosiva ancora di più.

Spostai il peso da una gamba all'altra e dopo aver fatto finta di concentrarmi sulla pista dove Caroline e Stefan si muovevano sincronizzati decisi che era il momento di interrompere quell'atmosfera silenziosa e decisamente poco confortevole.

«Non credevo fossi il tipo da serate come queste» dissi guardandolo solo per qualche secondo. Dio! Perché era cosi difficile parlare con lui?

«Sono il tipo giusto per qualsiasi serata» rispose sorridente «Credimi». Non ero sicura se la nota di malizia che avevo percepito era dovuta alla mia personale paranoia sul motivo per cui Damon mi volesse a lavorare con lui o se invece era deliberatamente voluta. Probabilmente entrambe.

Roteai gli occhi in modo drammatico con l'intenzione che mi vedesse bene. Avevo davanti Signor Modesto e non potevo negare che un po' del mio divertimento derivasse da quanto ero capace di contraddirlo, o almeno tenergli testa.

«Tu, d'altro canto, sembri davvero fuori posto» commentò sprezzante.

«Prego?» domandai incredula. Non ero amante dei luoghi chiusi e affollati, ma da questo a dire che sembravo fuori posto ci passava di acqua sotto al fiume Hudson!

Posò il bicchiere e rivolse i suoi limpidi occhi sul mio viso. «Sono sicuro che sei pronta a giurare che il tuo imbarazzo non ha nulla a che fare con la mia presenza, perciò è evidente che non ti senti a tuo agio per queste serate, dico bene?».

Mi limitai a lanciargli un'occhiata scettica perché ero consapevole del fatto che qualsiasi cosa avessi detto non ne sarei uscita bene: ammettere che il nervosismo era dovuto alla sua presenza era controproducente. E inoltre sapevo che era questo quello a cui mirava.

«Una donna forte come te, che vuole crearsi la propria carriera senza riceve aiuti da nessuno, non riesce a gestire un locale affollato» continuò divertito «questo si che è imbarazzante».

«So gestire un locale affollato, e posso benissimo crearmi una carriera da sola, forse tu non lo sai, ma si da il caso che io mi sono laureata con il massimo dei voti a...» ero diventata una furia, ero molto protettiva verso i miei ideali.

«Al Whitmore college di Atlanta e i tuoi precedenti responsabili dello studio legale dove hai frequentato il tirocinio ti raccomandano caldamente per la tua “imbattibile voglia di mettersi alla prova , forza di volontà e la passione con cui segui i clienti che ti vengono assegnati” ».

Guardai Damon con sorpresa, la mia bocca era socchiusa e gli occhi seguivano interamente la sua figura mentre si metteva comodo – se fosse stato possibile – sullo sgabello davanti al bancone.

«Come sai queste cose?» gli chiesi a brucia pelo, non appena ritrovai l'uso della parola. Damon alzò nuovamente lo sguardo verso di me e accennò a un sorriso. Un sorriso diverso dal solito perché non c'era traccia del ghigno imperscrutabile che di solito lo accompagnava.

«Credi che ti abbia offerto di lavorare al mio fianco solo perché hai un bel sedere e delle belle gambe? O solo perché speravo in una torbida relazione con una mia collega?» alzò le sopracciglia divertito «È un peccato per una con la tua esperienza rimanere legata alla fotocopiatrice, volevo solo dare una mano».

Sorrisi leggermente. Damon Salvatore aveva un potere, non so se riusciva ad esercitarlo solo su di me o poteva estenderlo universalmente, però era in grado di farmi sembrare e sopratutto sentire una sciocca precipitosa. Lui voleva solo dare una mano, l'aveva detto così, come se facesse un favore al mondo oltre che a me.

«Immagino di aver commesso un piccolo errore di valutazione» gli concessi e lui alzò il bicchiere in segno di vittoria.

«Ora dovrai farti perdonare» sogghigno malizioso finendo il bicchiere in un ultimo sorso.

«Mmhh perché ho ferito il tuo animo puro?» ironizzai sbuffando.

«Non sai quanto» sussurrò alzandosi in piedi ed avvicinandosi velocemente verso il mio viso. Non distolsi lo sguardo dai suoi occhi per un secondo, troppo intenta ad osservare quelle venature chiare delle sue iridi. E in fondo anche perché volevo dimostrargli di poter tener testa a Damon Salvatore.

Ma l'atmosfera, quella incontrollabile e inaccessibile aria che ci avvolgeva, si era improvvisamente scaldata, sentii il mio corpo cominciare a sciogliersi lentamente e m'inumidii le labbra secche come per riflesso. Questo sembrò attirare la sua attenzione e scatenò in maniera incontrollata la mia immaginazione.

Cosa sarebbe successo se avesse eliminato la distanza che ci separava? Nella mia mente si stava creando un'idea ben precisa di cosa quelle labbra erano in grado di fare, e niente di tutto questo era adatto alla mia immacolata visione del mondo.

Si avvicinò ancora e io mi spostai in avanti come per incentivarlo ad esplorare la mia bocca. Il mio cervello, lo sentivo, era completamente andato e tutta la mia razionalità con lui. Si muoveva solo il corpo, lui sapeva cosa fare quando un uomo bellissimo era distante da te solo una manciata di centimetri.

Stavo per chiudere gli occhi e abbandonarmi a lui e magari alle sue labbra quando notai i suoi occhi spostarsi verso qualcosa alla mie spalle, qualcosa che aveva attirato la sua attenzione. Si allontanò di quasi cinquanta centimetri e io mi voltai per capire che cosa ci aveva interrotti.

Caroline stava agitando freneticamente le braccia per richiamarci mentre Stefan si sedeva in uno dei divanetti rotondi al lato opposto della sala. Avevano trovato posto per sederci.

Nel peggior momento possibile.

Damon mi guardò intensamente un'ultima volta e poi m'invitò a seguirlo verso Stefan e Caroline, che ridacchiavano divertiti per qualcosa che nessuno avrebbe potuto ascoltare da quella distanza.

Non mi ero mai sentita così frustrata come in quel momento. Nemmeno quando, a quattordici anni, ero l'unica delle mie amiche che non aveva ancora assaporato un vero bacio.

 

Pov Damon

 

Elena e Blondie non avevano nemmeno percorso metà della sala per raggiungere la toilette che Stef aveva già incominciato a deliziarmi con uno dei suoi discorsi noiosi.

«Perché ho la netta sensazione che tu non mi abbia ascoltato quando ti chiedevo di lasciare in pace Elena?» domandò alzando le sopracciglia, senza nascondere un leggero sorriso. Quando beveva riusciva ad essere quasi sopportabile.

«Perché sei intelligente?» risposi sorridente.

«Dico sul serio, lei non è una con cui puoi divertirti e basta».

Il sorriso che gli era spuntato prima era svanito.

«Lo so, questo minerebbe la tua amicizia con Blondie» dissi ironico.

Avevo passato buona parte della giornata a ripensare a quanto era accaduto quella mattina in ascensore. Ero rimasto sorpreso dalla conclusione che aveva tratto Elena dalla mia proposta. Mentirei se dicessi di non aver pensato che lavorare assieme avrebbe potuto portare ad ulteriori e più intriganti benefici, ma questo dipendeva più dalla mio genere che dalle mie intenzioni.

Si era arrabbiata parecchio. Mi aveva visto come una minaccia alla sua carriera. Non sbagliava a preoccuparsi, io più di chiunque altro dovevo tenere a mente che combinare le questioni – e relazioni – personali con quelle lavorative era pericoloso.

«Non preoccuparti, non ci sarà nessuna atmosfera sensuale a solleticare i nostri animi» continuai serio volgendo lo sguardo verso uno Stefan ancora poco convinto «anche perché con la tua presenza è quasi impossibile eccitarsi».

Stefan emise un suono di sdegno misto a ribrezzo «Ugh il mio cervello!» esclamò ad alta voce «non può reggere a queste immagini...dammi un colpo in testa ti prego...!».

Diedi una leggera spinta a Stefan proprio prima che Elena e Blondie tornassero.

Dio quelle curve. Elena non aveva idea di tutto il potere che aveva. Ancheggiava leggermente a causa delle scarpe con il tacco e quei pantaloncini di pelle le davano un'aria trasgressiva che per qualche assurdo motivo non stonava accanto al suo viso dolce e timido.

Era una gran contraddizione quella ragazza, poteva attirarti con una semplice camminata disinvolta ma ti conquistava con la grazia dei sui occhi. E se li guardavi attentamente eri perduto.

Blondie cinse le spalle di Stefan e gli sussurrò qualcosa all'orecchio prima di sederglisi accanto. Elena si avvicinò alla sedia libera accanto alla mia un po' impacciata. Stava guardando anche lei Stefan e Blondie, combattuta nel decidere che tipo di rapporto legasse quei due.

«Non fare caso a loro, quando sono in intimità fanno molto peggio di così» dissi a voce alta rivolto ad Elena che ridacchiò divertita.

«Ancora Damon?» sbuffò Stefan spazientito.

«Seriamente! Perché non puoi credere all'esistenza di un'amicizia tra uomo e donna?» chiese Blondie agitando la chioma a destra e a sinistra.

«Per quel qualcosa chiamato feromone, o potete dire, con tutta onestà, di non aver mai trovato l'altro attraente?» li provocai.

Entrambi rimasero in silenzio per qualche secondo. Ovvio segno che avevo ragione.

«Beh ma questo non significa nulla! L'amicizia conta di più dell'attrazione fisica, vero Stef?» strepitò Blondie e Stefan mi lanciò un'occhiata di assenso.

«Sbaglio o nessuno dei due ha negato niente?» chiesi ad Elena.

«Non sbagli affatto» sorrise complice lei.

Stefan e Blondie sbuffarono sonoramente.

«Ma avete la mia totale ammirazione se dopo tanti anni non vi siete frequentati sotto le lenzuola» feci l'occhiolino ad entrambi.

«Questo perché tu non sei capace di utilizzare la parte alta del corpo» asserì Stefan.

«Non lo nego, fratello. Non lo nego affatto» commentai e nel mentre mi accorsi che Elena si era irrigidita leggermente. «Faccio ancora in tempo ad imparare, comunque»

«Questo è lo spirito giusto» disse Stefan dandomi una pacca sulla spalla «Bisogna avere un sogno, anche se...non si realizzerà mai» continuò alzando le sopracciglia divertito.

Blondie ridacchiò divertita e anche Elena sorrise leggera. Stefan e le sue battute da comico di bassa lega, mi lamentavo sempre della sua serietà ma poi, quando decideva di sciogliersi un po', mi pentivo sempre di averlo incoraggiato. Diventava particolarmente imbarazzante. Per se stesso e per me, naturalmente. Era incapace di trovare una mezza misura, lui era tutto o niente. O restava mortalmente serio o diventava imbarazzante, o riusciva a far sborsare alla difesa milioni e milioni di dollari o perdeva rovinosamente.

Elena rise di gusto ad una battuta che mi ero perso e cominciai a sentire una strana, e poco sana, vena di gelosia per Stefan. Era riuscito a farla ridere, ridere davvero e io, che mi ritenevo sempre il pezzo da novanta nelle conquiste femminili, non potevo nemmeno minimamente avvicinarmi al pensiero di farla divertire così. Era una cosa che mi mandava in bestia perché, diavolo, quando rideva era tutta un'altra bellezza. Le guance arrossate,gli zigomi rialzati, gli occhi brillanti; era il ritratto della felicità, qualcosa che non ricordavo di aver visto da tempo e nel qualche avrei potuto benissimo naufragare.

«Oddio!» esclamò Blondie all'improvviso «Ma quella non è Annabelle? La figlia di Pearl?».

Mi voltai e riuscii a scorgere una figurina di un metro e mezzo seduta al bancone con una minigonna inguinale e un bicchiere in mano. Non era di certo succo d'arancia.

«Oh non di nuovo» bofonchiò Stefan posando il palmo della mano sulla fronte.

«Stefan dobbiamo tirarla fuori di qui prima che l'arrestino per la terza volta» disse Blondie alzandosi in piedi.

Stef non era molto entusiasta, infondo era la sua serata libera, ma lui e Pearl avevano lavorato spesso insieme e mio fratello non riusciva mai a tirarsi indietro quando si trattava di aiutare gli amici. E i fratelli anche, ma diventava un po' fastidioso in quel caso.

«Serve una mano?» chiesi, giusto per cortesia. Stefan si voltò guardandomi con un'espressione che era una via di mezzo tra l'incredulità e il sarcasmo, mentre Blondie accennò un ampio “no” con le mani alzate.

 

Pov Elena

 

«Ma quanti anni ha?» chiesi a Damon guardando Caroline e Stefan dirigersi verso il bancone del bar e più precisamente verso una ragazzina dai lunghi capelli corvini.

«Appena maggiorenne credo» rispose lui facendo spallucce.

Non riuscii a controllarmi: sgranai gli occhi e sbuffai. «Voi newyorkesi è questo che fate per divertirvi da teenager? Intrufolarvi in un club per adulti?»

«Solo quelli che possono permetterselo» mi fece l'occhiolino e io roteai gli occhi di rimando – era il mio modo preferito di comunicare con lui – «Oh andiamo, Elena. Scommetto che alla sua età facevi di peggio»

«No, affatto. Sono sempre stata una studentessa e una figlia modello» dissi con un certo vanto. Ma poi osservando Damon mi resi conto che forse non era proprio il massimo delle confessioni da fare.

«Non ci credo» replicò in tono solenne, quasi come un giudice.

«Ti dico che è così»

«Mai rubato il liquore a casa dei tuoi?» scossi la testa. «Andata a scuola ubriaca?»

«No» risposi allungando la “o” finale.

«Mai...vomitato su Blondie per troppa tequila?»

«Uuuh...pensi che saremmo ancora amiche se fosse successo questo?»

«Vero...fumato una canna?» continuò allungando il collo verso di me, per fissare analitico i miei occhi. Come se questi potessero indicare l'assunzione di qualche droga psichedelica nel mio lontano passato.

«Ovviamente no. E volendo abbreviare questa storia del “Hai mai?”: non ho mai rubato, non mi sono mai ubriacata fino a svenire o vomitare, non ho mai assunto droghe e non sono mai scappata di casa. E il fatto che tu me l'abbia chiesto mi fa venire la preoccupante sensazione che tu invece, sei stato campione mondiale di tutte queste attività durante il liceo»

«Ho ancora le medaglie a casa» sorrise compiaciuto. «Che cosa faceva allora l'adolescente Gilbert per divertirsi?».

«Guarda che solo perché non mi riempivo di tequila, non vuol dire che stavo rintanata in casa a leggere libri e guardare documentari» il più delle volte. «Ero molto popolare al liceo»

«Wow, quale piacere e onore si sta rilevando averti qui al mio tavolo, Miss Gilbert» mi prese in giro allegro. Io gli diedi una leggera spinta sulla spalla per difendermi. Toccarlo era strano, riuscivo a sentire la tonicità delle sue spalle e questo comportava inevitabilmente che un brivido freddo mi percorresse la spina dorsale. Lo guardai un secondo di più dritto negli occhi e poi scostai lo sguardo come scottata. Perché provavo tutte queste cose? Non mi era mai successo di agitarmi come un'imbranata quando incrociavo lo sguardo di un ragazzo, al contrario ero sempre stata sicura di me, qualcosa che Bonnie, la mia vecchia amica del liceo diceva di invidiarmi.

«Ti va di ballare?» mi chiese Damon dopo aver finito il suo bicchiere di Bourbon.

M'inumidii le labbra e mormorai un leggero si. Caroline e Stefan non si vedevano e non sapevo perché ma mi sentii sollevata. Stare da sola con Damon in quel momento, mi rendeva agitata sotto molti punti di vista e allo stesso tempo, per certi aspetti, mi piaceva e tranquillizzava, perché qualsiasi errore avessi commesso sarebbe rimasto tra me e lui. Ero un ammasso di sentimenti contrastanti uno dentro l'altro. Un ossimoro vivente. Elena Gilbert.

Damon mi trascinò fino al centro della pista da ballo. Eravamo circondati da coppie eleganti che si muovevano all'unisono con grazia e controllo. Molto diverso dalle discoteche provinciali che avevo frequentato durante gli anni del college.

Posò le mani sopra i miei fianchi. Era una presa delicata ma sicura. Allungai le braccia sulle sue spalle larghe e indirizzai il mio sguardo lontano, tra la folla, perché quegli occhi azzurro cielo erano troppo penetranti per guardarli.

«Allora...parlami di questa causa Walsh» mormorai. Volevo che la mia attenzione fosse catturata da qualcosa di diverso dalle sue labbra rosate.

«Troppo orgogliosa per chiedermi se ti voglio ancora sulla causa?» domandò e io strinsi le labbra in segno di assenso. «Sai non sono sicuro che sia ancora una buona idea»

«Perché no?». Il mio tono di voce era uscito più allarmato di quanto volessi far trasparire.

«Prima hai cercato di baciarmi e io sono assolutamente contrario alle relazioni sul lavoro».

Sbiancai circa cinque volte prima di ritrovare la parola «Non ho cercato di baciarti». Ma qualsiasi cosa sarebbe uscita dalla mia bocca non gli avrebbe tolto quel sorrisino beffardo ed estremamente divertito dal suo viso. Gli piaceva troppo punzecchiarmi e mettermi in difficoltà. Non avevo bisogno di uno specchio per capire che le mie guance erano diventate pomodori.

«Io credo proprio di si, invece» continuò allegro spostando il mio corpo verso destra «Avrò bisogno di una guardia del corpo»

«Ah ma smettila» e finsi di essere seria mentre lo dicevo, ma era difficile ragionare a quella distanza «Non so che colleghe hai conosciuto tu, ma io sono diversa».

Mi strinse e sé «L'ho notato» mi sussurrò all'orecchio.

Non avevo capito a cosa si riferisse con quella frase. Nell'immediato era l'ovvia risposta alla mia ambizione sull'essere diversa dalle altre che lo circondavano ma l'occhiata che mi aveva lanciato in seguito mi spingeva a credere che fosse più di questo. Che fosse una specie di complimento.

Dovevo stare lontana da questo tipo di pensieri, non mi facevano bene. Se volevo lavorare con lui dovevo imparare davvero a controllarmi. Perché era vero, non avevo fatto niente per impedirgli di baciarmi e non avrei voluto che qualcosa lo intralciasse.

«Però ora che siamo usciti insieme non sei più in debito con me» disse con voce rassicurante, permettendomi di tornare alla realtà «possiamo dire di aver risolto il piccolo screzio di questa mattina».

«Quindi lavoreremo assieme» conclusi per lui.

«Da lunedì».

 

Pov Damon

 

Facevo fatica a riconoscermi. Disteso sul letto con solo i pantaloni del pigiama, intento a ripercorrere la serata appena trascorsa. Sembravo una maledetta ragazzina di tredici anni mentre sogna il suo nuovo idolo del pop.

Mi ero controllato per tutta la sera, l'avevo stretta a me, accompagnata e cullata a ritmo della musica. Il tutto con una razionalità che non sapevo potesse essere mia.

Però l'istinto c'era, oh se c'era. Quelle labbra chiare, luminose per via del velo trasparente di gloss che si era concessa, erano una specie di mela proibita a cui mi stavo ossessionando lentamente.

Ma aveva ragione, lei era diversa. Non era una di quelle che sbatte le palpebre continuamente, che s'infila delle canottiere e le spaccia per vestiti all'ultima moda, che si sparge brillantini ovunque. No, lei apparteneva al genere di ragazze pericolose. Quelle che se non stai attento ti fanno innamorare davvero, per poi finire disperato come Stefan. Quelle a cui non avrei mai voluto avvicinarmi perché senza che me ne potessi accorgere avrebbero cambiato l'uomo che sono. E io amavo essere me stesso, con tutto ciò che questo poteva comportare.

Recuperai il cellulare dalla tasca dei pantaloni e composi un messaggio veloce.

Grazie piano Blondie.

Non credevo sarebbe mai accaduto, ma dovevo ringraziare quella massa di capelli biondi per l'idea che aveva avuto sulla serata. Mi aveva dato il tempo di parlare con Elena e sistemare le cose, e anche se aveva giurato di non essere interessata a far cadere Elena tra le mie braccia “sataniche”, cominciavo a credere che l'idea di far da Cupido non le dispiacesse affatto.

Il problema ora era capire se questa sarebbe stata la mia più grande disgrazia o più grande fortuna.

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Spazio Autrice.

È dura fare in modo che questi due sviluppino una relazione, perché partano da due livelli completamente differenti. Elena è matura, razionale, concentrata sul suo obiettivo e ho cercato (non so se ci sono riuscita) di darle anche una certa profondità. Ma in questo momento ciò che l'attira verso Damon sono le sue caratteristiche “fisiche”, il suo modo di parlare, i suoi occhioni a calamita, le spalle (e ha pure ragione dico io xD), okay c'è anche l'ironia di Damon che l'attrae però per ora è ancora nella fase da infatuazione primordiale dove ciò che domina è l'istinto.
Damon è impulsivo, orientato al divertimento e poco dedito al lavoro duro. Eppure vede in lei, non solo belle gambe e bel viso, ma anche tutto ciò di cui lui è privo e per la prima volta questo lo attira e non lo respinge. Ed è per questo che lui alla fine s'interroga molto, lo spaventa anche un po' perché mai uno come lui, può pesare che qualcuna abbia il potere di “cambiarlo”.
È un processo lento lentissimo, che sto cercando di curare al meglio e quando non ci riesco mi rende frustrata.
Tra questo e la montagna di studio che si accumula sulla mia povera scrivania sono diventata una frustrata cronica, perciò vi prego, perdonatemi per questo sproloquio non necessario!!
Grazie a tutte per i bellissimi commenti che mi fate sempre.
Un Bacione grandissimo! :*

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