Burning Desire di PepsiCola (/viewuser.php?uid=180940)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Waiting for what? ***
Capitolo 2: *** Let him go. ***
Capitolo 3: *** Smells like you. ***
Capitolo 4: *** Try tonight ***
Capitolo 1 *** Waiting for what? ***
-Sana, non trovi che quel ragazzo seduto al bancone sia bellissimo? –
-Umh? Si, un bel ragazzo...- Sana Kurata, 20 anni, alzò svogliatamente lo sguardo dal suo bicchiere di vino al
ragazzo in questione, tornando a guardare il calice vuoto subito dopo.
-E dai Sana, ma è possibile che non te ne piaccia nessuno?-
Macy Hades, inglese trasferitasi in Giappone da poco più di 2 mesi, era sbalordita dal poco interesse che la
sua amica mostrava per i ragazzi in generale. Insomma, erano già uscite una decina di volte insieme e,
sapendo che l’unica storia di Sana risaliva a un paio di anni fa con un tipo di nome Akito, cercava sempre di
coinvolgerla in qualche appuntamento. Avere un ragazzo era fondamentale come l’aria, per lei.
Sana abbozzò un mezzo sorriso, ed ignorando la domanda di Macy, ordinò un altro calice di vino.
-Sono brilla, e sono solo le 10 di sera.- Si passò una mano tra i capelli rossi, come a scacciare via altri
pensieri e sorrise sguaiatamente. Voleva tornare a casa, e le venne un’idea…
-Allora, perché non vai a provarci con quel tipo Macy? E’ solo!-
-E tu? Vieni con me?- la bionda arrossì, rivolgendo di nuovo lo sguardo al tizio in questione.
-Aspetta.- Sana si alzò, col bicchiere in mano, bevve fino a svuotarlo quasi del tutto e si diresse al bancone.
Si avvicinò piano al ragazzo, finse una perdita d’equilibrio (non tanto finta, data la poca lucidità) e sporcò la
camicia del tipo, il quale si alzò innervosito.
-Oddio scusami, sono proprio un disastro, vediamo… Macy, vieni un secondo!- Non se lo fece ripetere due
volte.
-La prossima volta stà più attenta!- Il ragazzo del bancone sembrava non avere molta tolleranza.
-Ma no, guarda, lei è la mia amica Macy, io devo proprio scappare ora, ma sono sicura che ti aiuterà a darti
una ripulita. Scappo!- diede un bacio veloce alla bionda e si defilò in pochi secondi.
*Insomma, le mie doti da attrice si rivelano sempre utili.* pensò sorridendo tra sé e sé. Salì sul taxi. Prese il
cellulare, nessun messaggio, nessuna chiamata. Sbuffò forte e cominciò a guardare fuori dal finestrino la
gente che camminava, che guidava, che correva, che parlava. Era un gioco che faceva spesso, quando
doveva attendere qualcosa o si trovava in macchina: osservava le persone per pochi secondi e cercava di
creargli una storia, divertente, struggente o felice, quel che sentiva a pelle. Cominciò a domandarsi che
aspetto avesse lei, quando non pensava d’essere osservata. Magari era facile sembrare in un certo modo
quando si sapeva d’essere guardati o, per lo meno era così per lei. Attrice nata. Ma, colti di sprovvista, tutti
abbiamo dei punti deboli da mostrare.
Arrivò a casa, un piccolo appartamentino a Tokio, comprato un anno prima da Misako, sua madre, per lei,
come regalo di diploma. Aveva sempre sognato l’indipendenza. Poter cantare a squarciagola sotto la
doccia e non solo, per tutta la casa. Poter provare le battute dei suoi personaggi in pace, poter abbuffarsi di
cioccolata e invitare chiunque a ogni ora. In fondo, non era nemmeno poi così lontano da casa di sua
madre e ogni volta che ne sentiva il bisogno, passava da lì. Non poteva negare che farlo, le creava una sorta
di nostalgia che non riusciva a spiegarsi. O, per meglio dire, data da motivi che era MEGLIO non spiegarsi. Si
buttò sul letto e accese il pc: posta elettronica, niente di nuovo. Non sapeva nemmeno bene cosa si
aspettasse di trovarci, tra i messaggi sul cellulare o tra le e-mail ricevute. Ma sapeva da quando aveva
cominciato ad aspettare… Esattamente 2 anni e 3 mesi fa, quando un tale Akito Hayama, decise di
trasferirsi con la famiglia in America, *stupido…* |
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Capitolo 2 *** Let him go. ***
Due ragazzi correvano come dei matti fuori la loro scuola. Era l’ultimo giorno prima delle vacanze estive, la
campanella era suonata da appena 5 minuti e per i ragazzi dell’ultimo anno questo poteva significare solo
“libertà”.
I due ragazzi si buttarono sul prato, sotto il grande albero che per tanti anni era stato ascoltatore silenzioso
di litigi, pianti, scherzi, risate e felicità.
-Sai Aki, un po’ mi mancherà.- Una Sana con il fiatone, si girava a guardare il ragazzo disteso di fianco a lei.
-Non fare la nostalgica melodrammatica come tuo solito, dai!- Akito Hayama sbuffò e si sedette con le
gambe incrociate, volgendo lo sguardo verso l’Istituto.
-E tu non fare il solito duro! Cambieranno tante cose…- disse Sana rialzandosi in piedi e aggiustandosi la
coda, sfattasi durante la corsa.
-E’ vero, cambieranno tante cose, ma non proprio tutto….- il ragazzo sorrise beffardo e tirò Sana per lo
zaino, facendola finire sopra di lui, e cominciò a farle il solletico.
-Hayamaaaaaa!!!! Sei sempre il solito! Fermooo!!!- Sana cercava di dimenarsi e cominciò a picchiare il petto
del biondino, che non sembrava risentirne poi tanto, quando a un certo punto, le bloccò le braccia. La
guardò. La baciò. Lei fece finta di arrabbiarsi, gli scompigliò i capelli e si rannicchiò su di lui.
-Noi non cambieremo.-
Già, “noi non cambieremo”. Era questo che pensava Sana. E quel giorno, sarebbe stata capace di metterci la
mano sul fuoco. Loro non stavano insieme, o almeno, non si erano mai detti nulla a riguardo. I gesti, gli
sguardi, valevano molto più di mille parole. In questi anni aveva appurato che tutte le persone a loro vicine
si erano accorte del legame profondo che li legava. Per Sana era normalità, abitudine, vita. Non aveva mai
avuto bisogno di dare un nome a qualcosa che un nome non poteva averlo. Non erano soliti scambiarsi
effusioni in pubblico, non giravano mano per la mano. Non si facevano regali a San Valentino, né si erano
mai spinti troppo “oltre”. Erano un qualcosa di non calcolato, di spontaneo e imprevisto, come i baci che si
scambiavano, tutti simili al loro primo: Akito la baciò in 5^ elementare mentre lei cercava di asciugare la
limonata che, sbadata com’era, gli aveva buttato addosso e lui, in un secondo ne approfittò. Un bacio a
sorpresa che, inutile negarlo, turbò la sua innocenza di bambina per poi divenire una dolce fissazione con il
passare degli anni. Lui la colpiva sempre alla sprovvista e lei faceva sempre, in ogni caso, finta di arrabbiarsi.
Era il suo modo per fargli capire che non doveva smettere. Alla domanda “ma voi due state insieme?” tutti
e due rispondevano con una fragorosa risata: “Con questa esaltata? Ma fatemi il piacere!” “Con mister
Apatia? Nemmeno per sogno!” queste erano due risposte standard molto utilizzate. Lo aveva amato
inconsapevolmente per tutti quegli anni. Se no, come spiegarsi la stretta allo stomaco quando qualche
ragazza si avvicinava a lui per chiedergli di uscire? Come spiegare la strana indecisione davanti all’armadio
prima di vederlo? Ma soprattutto, come spiegare lo straziante sentimento di paura e delusione quando lui
le disse che partiva in America?
Era un pomeriggio assolato, e un bel gruppo di amici, decise di passare un pomeriggio alla piscina
comunale: Fuka, Aya, Tsuyoshi, Hisae, Takaishi, Sana e Akito prendevano il sole. Il ragazzo coi capelli color
dell’oro, quel giorno, sembrava stranamente pensieroso e distante. Di solito, quello era il suo aspetto
quotidiano e nessuno sembrava farci troppo caso proprio per questo. Nessuno tranne Sana: lei era la unica
che riusciva a notare ogni minimo stato d’animo d Akito e, rompipalle com’era, questi alla fine doveva
sempre dargli una valida motivazione. L’empatia, tra i due, di certo non mancava.
-Tu mio caro, non mi convinci!- Sana si avvicinò al ragazzo steso a leggere, spruzzandogli in faccia
dell’acqua.
-Kurata, vuoi che ti butti in piscina?- Akito sembrava seccato. Posò il libro e sospirò leggermente. –Andiamo
a prenderci un gelato.- disse gridando per far capire agli altri di non seguirli.
-Ma io non voglio un gelato!- Sana sarà stata anche empatica ma la sua mancanza di intuizione, faceva
capolino di tanto in tanto.
-Seguimi!- Uno sguardo e lei capì.
-Aki, vuoi girare a vuoto?- Sana non capiva, avevano fatto il giro della piscina tre volte e passato il bar
altrettante volte. Ma Akito non sembrava volesse fermare l’insolita e silenziosa passeggiata.
- Siediti.- Sana si sedette su un muretto, senza fiatare. Era tutto molto strano, meglio non contraddirlo.
-Senti, l’ho saputo ieri sera e volevo…non lo so, correre a casa tua, ma sicuramente stavi dormendo, così ho
dovuto aspettare. Tra due settimane parto, vado in California. Mi hanno dato la possibilità di partecipare a
un torneo di Karate importantissimo.- Akito, sembrava essersi sollevato.
-Ma…. Aki è fantastico!!!! Sono contenta per te.- Lo abbracciò, sinceramente felice. Sapeva cosa significasse
per lui quello sport, sapeva quanta dedizione ci metteva.
- Se sarò all’altezza delle loro aspettative, mi prenderanno come insegnante in una scuola di Arti Marziali
molto famosa… A tempo indeterminato…- Lo aveva detto, ora aveva detto tutto.
-Ah. Che bello!!!- Sana era contenta ma chissà perché quelle parole non era riuscita a pronunciarle
nemmeno con un briciolo d’entusiasmo.
-Sana…? - Akito l’abbracciò. Lei si fece forza, si staccò di colpo.
-Devi assolutamente andarci, Hayama! E’ un’opportunità unica, davvero!!! E poi anche io sarò impegnata
con mille pubblicità. Questo è il nostro futuro!- La rossa ora sorrideva, in maniera del tutto esagerata.
-Il nostro futuro… non include noi due secondo te?- Akito abbassò lo sguardo. Non era solito fare certi
discorsi…
-Stiamo crescendo, credo che le cose debbano andare così. Io comunque vado a fare la doccia, Rei sta passa
a prendermi tra 5 minuti.-
Fu’ lì che si accorse di amarlo come non aveva mai amato nemmeno se stessa. Lo amava così tanto, che non
avrebbe impedito al suo egoismo di tenerlo intrappolato. Era sempre stata lei quella ad allontanarsi per
lavoro, aveva lasciato lui ad aspettarla e c’era sempre stato. Non si era mai permesso di intralciare una sua
scelta, anche se questo comportava l’essere lontani. Decise di sparire, e le due settimane prima della
partenza di Akito, le passò dai nonni a Nerima per non permettersi di interferire in alcun modo con la
scelta del ragazzo. Giusto o sbagliato, agì d’istinto e, passati due anni era riuscita a convincersi del fatto che
lo amava. Aveva dedotto dalla sua lunga permanenza negli USA, che sicuramente aveva ottenuto quel
lavoro. E come biasimarli! Era un talento nel praticare il karate, chiunque sarebbe stato fiero di avere un
insegnante così. Purtroppo le sue, erano solo supposizioni dato che Akito non le aveva mai mandato né dei
messaggi né delle e-mail né tantomeno delle lettere. L’unico che aveva avuto sue notizie era Tsuyoshi, che
si limitava a riferire agli altri, Sana compresa, che stava bene e procedeva tutto a gonfie vele. Quanto
avrebbe voluto semplicemente avergli detto che lo amava, prima di lasciarlo andare. |
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Capitolo 3 *** Smells like you. ***
“ Akito, so che magari non ti aspettavi una lettera da parte mia, ma non potevo
rimanere oltre a Tokyo, e sono dovuta partire subito dai miei nonni. Mi
dispiace un po’ non salutarti prima della partenza, ma come si dice, quel che
avviene conviene. Penso che l’opportunità che ti sia capitata sia delle migliori,
e saresti uno stupido a rifiutare. Inoltre anche io molto presto sarò impegnata
con dei lavori in tv, perciò, non avremmo avuto comunque il tempo per
cazzeggiare, come abbiamo fatto fin ora. L’altro giorno mi hai chiesto se secondo
me il nostro futuro includesse anche noi due… Ora posso risponderti con
sicurezza che noi due, ora come ora, non centriamo poi molto insieme. Ognuno
ha il suo futuro, indipendente da tutti gli amici di infanzia che qualche volta,
come questa, vanno messi da parte per il nostro bene. Ti auguro tutta la fortuna
del mondo lì in California.
Con affetto,
sempre tua amica, Sana.
Stronza. Bastarda. Era la milionesima volta che rileggeva quella lettera, e a dirla tutta, non sapeva cosa
ancora lo trattenesse dal buttarla, o meglio bruciarla. Ormai, quando rileggeva quelle poche righe, si
rendeva conto di non provare più niente, se non qualche fitta di dolore dura a morire. La prima volta che la
lesse, era a casa sua, tre giorni prima della partenza. All’inizio non voleva crederci, corse a casa sua per
delle spiegazioni, ma non vi trovò nessuno e non avendo la minima idea di dove fosse la casa dei nonni di
Sana, la chiamò. Pensava si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto, non poteva essere altrimenti.
“-P-pronto?” Sana sembrava in qualche modo stupita e spaventata da quella chiamata.
“Dimmi solo se pensi quello che mi hai scritto nella lettera!” Il suo tono, era molto serio, doveva sapere la
verità, e aveva sperato di sentirsi dire –quale lettera???- lo sperava con tutto il cuore…
-Sì Aki, è tutto vero….” Sentì il cuore fermarsi in quel momento.
“Bene, ciao Kurata.” Aveva fretta di chiudere, non poteva sopportare altro.
“Bene?! Tutto ciò che dici è be…” Le chiuse il telefono in faccia e giurò a se stesso che avrebbe ricominciato
da zero. Eppure ne era convinto c’era qualcosa che li legava. Non era una sua semplice supposizione o un
autoconvincimento, lui l’amava ed era in parte convinto di essere ricambiato. Avrebbe fatto qualsiasi cosa
per lei, persino rimanere e rinunciare alla sua carriera. Sapeva per certo che Sana non gli avrebbe mai
permesso di rinunciarci, come lui non avrebbe permesso a lei di rinunciare al suo futuro esclusivamente per
lui. Ma se l’amore che era convinto li unisse era così forte, avrebbe resistito a un periodo di distanza,
avrebbe resistito a tutto, pur di non cessare. Era finita, con una lettera di quattro righe senza nessun
contenuto sincero, un discorso senza né capo né coda. Non era da Sana ma, avendone avuta conferma
dalla suddetta, non poteva fare altro che prendere atto della realtà e andarsene con un senso di vuoto
dentro. Accettare no, non sarebbe stato il verbo adatto da usare, perché lui non avrebbe mai accettato di
vivere senza lei, e ancora oggi le domande sembravano non dargli tregua. Si era immaginato tutto: la
complicità che li univa, il bene che provavano, la felicità di stare insieme. Quel mondo se lo era creato lui,
con le sue false speranze.
-…Akito mi senti?!- una ragazza alta e slanciata, con i capelli biondi e ricci che le cadevano in maniera
disordinata sulle spalle, fissava spazientita il ragazzo.
-Scusa, ero sovrappensiero. Buongiorno.- Akito Hayama, si alzò dal letto, con indosso solo un paio di boxer,
stiracchiando il suo metro e ottantacinque di muscolatura.
-Dicevo che io devo andare, inizio a lavorare tra 15 minuti e sono ancora qui.- la ragazza si alzò anch’essa e
cominciò a prendere dei vestiti sparsi sul pavimento, indossandoli velocemente.
-Ok Susan ci sentiamo dopo.- disse lui, ricevendo un bacio sulle labbra dalla ragazza che fece per andarsene
ma che si rigirò un attimo dopo.
-E… chiamami stavolta. Ci conto.- affermò con gli occhi bassi, prima di scappare via.
Akito si guardò intorno sbuffando, in camera c’era un macello. Le lenzuola emanavano un odore che non gli
piaceva per niente. Era un profumo femminile, quello di Susan. Ma era troppo forte e nauseante per il
ragazzo. *Questo profumo non mi piace per niente!* pensò, ma si trovò a correggersi *Qualunque altro
profumo che non sia il SUO, non mi piace per niente.* |
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Capitolo 4 *** Try tonight ***
Era arrivato, il momento che attendeva da troppo tempo, il ritorno di Akito. Lo attendeva da così tanto che non sapeva ancora bene
come reagire alla notizia. Dapprima, quando Tsuyoshi fece l’annuncio, una scarica d’adrenalina le pervase tutto il corpo e il cuore
cominciò a batterle così forte che sembrava tutti potessero sentirlo. Mandò giù il cocktail che aveva davanti velocemente, in maniera
quasi meccanica, come a voler confondere la sensazione dovuta alla notizia con l’essere brilla. La testa le pulsava e rideva, rideva a
ogni minima cosa che le si diceva quella sera, non che di solito non lo facesse, ma quella sera tutto le sembrava diverso, le pareva un
po’ più vero. Diversa fu la reazione che ebbe arrivata a casa. L’alcool aveva questo strano potere su di lei: prima la rendeva euforica e
leggera, poi la deprimeva. E questo succedeva sempre quando si ritrovava da sola. Corse in bagno, vomitò velocemente quello che
aveva bevuto e si sedette di fronte allo specchio. Si guardò, voleva vedere la sua espressione, voleva vedere le sue reazioni quando
pensava che il momento dell’incontro con Akito Hayama non era più una fantasticheria a cui si lasciava andare di tanto in tanto, ma era
reale e molto, molto vicino. Si accarezzò il viso. Cosa avrebbe pensato di lei? Ora era una giovane donna. I lineamenti erano rimasti
sempre delicati, ma erano maturati, e diventati un po’ più decisi. I capelli, quelli che lui era solito accarezzare ed annusare per ore, erano
più lunghi, e al posto della frangetta ora portava la riga a lato, e un ciuffo di capelli pendeva morbido sul lato destro del viso. Alcune
lacrime cominciarono a rigarle il volto, facendo scogliere il mascara che ora segnava due lunghe righe. Era davvero pronta per quel
momento? E se non avesse voluto vederla? Se fosse tornato con qualcun'altra? In fondo lì si sarà fatto sicuramente una vita, una vita di
cui lei non sapeva niente. Se si fosse fidanzato? Sarebbe stato così meschino da portarla e presentarla? Aveva un brutto presentimento.
In fondo, essere lontani a loro due non aveva mai fatto bene, basta pensare al periodo in cui partì per le riprese de “La Villa dell’acqua”,
anche se il periodo di lontananza era ben più corto, erano stati capaci di rovinare tutto, con gelosie e fidanzamenti vendicatori. Si
sciacquò la faccia, e si lavò i denti, per poi buttarsi sul letto. Decise che doveva sforzarsi di non pensarci in maniera ossessiva. Aveva
già percepito che stava per accadere qualcosa, quando Tsuyoshi l’aveva chiamata per proporle una serata tutti insieme. La cosa gli era
sembrata strana. Non che non si frequentassero più, ma erano soliti vedersi a casa di qualcuno e senza “riunire tutti”, insomma, dopo la
partenza di Akito non c’era più stato un vero e proprio gruppo: Fuka era partita in Europa a studiare l’inglese, e tornava solo per le
vacanze estive, Hisae e Gomi lavoravano per mantenersi gli studi e Aya e Tsuyoshi erano andati a convivere. E lei? Lei era in un certo
senso scappata da quella città e da tutto ciò che le ricordava, non che non ci tornasse, anzi, ma viverci era un altro conto. Passare
davanti a quel dannato parco vicino casa sua non era fattibile. Guardare con occhi nuovi tutti i luoghi che per lei un tempo erano stati
spettatori di qualcosa, le faceva male. Si alzò di scatto dal letto e cominciò a camminare avanti e dietro. Non riusciva a prendere sonno
né poteva minimamente pensare di studiare qualche copione o mettersi al pc. Era assolutamente incapace di rimanere ferma, tanti
erano i pensieri contrastanti che l’attraversavano. Prese il cellulare e compose frettolosamente un numero -Ehi. Dove sei? Puoi
venire…ora?- 20 minuti dopo la porta di casa Kurata si apriva. -Ciao, ho degli alcolici, che dici beviamo un po’ prima?- Sana sorrise con
una bottiglia di vodka in mano. -Volentieri, anche se tu sei già brilla così- Il ragazzo si tolse il cappotto e la baciò, palpandola. -Oh, non mi
farai la paternale spero!- Sana lo prese per il colletto della camicia e lo tirò verso di sé, buttandosi sul divano e trascinando anche lui.
Mezz’ora e mezza bottiglia le bastarono per lasciarsi andare e non curarsi dei pensieri che le affollavano la mente. Si alzò dal divano, e
si mise in “posa da sfilata” imitando le modelle, barcollando non poco. -Allora, sono credibile?- Fece una piroetta, grazie alla quale
cominciò a barcollare ancora di più e si tolse la maglietta extralarge che aveva addosso, buttandola chissà dove. Ora era nuda, con
addosso solo uno striminzito paio di mutande. -Credimi, sei molto meglio di una modella Sana!- il ragazzo diventava leggermente troppo
sincero con l’aiuto dell’alcool. -Ma non dire stronzate!- Ridendo Sana si ributtò su di lui, levandogli la camicia e iniziando a baciargli il
petto con foga. Lo fecero. Tutta la notte sul divano nuovo, sul pavimento e finalmente a letto. Sana chiudeva gli occhi, lo faceva tutte le
volte, toccava dei pettorali e immaginava quelli di Hayama, accarezzava dei capelli e faceva finta di star toccando i suoi. Lo faceva, con
quanto più trasporto possibile e quando l’immaginazione finiva, si girava dall’altra parte del letto facendo finta d’essere sola. La parte
delle smancerie non riusciva proprio ad immaginarla. Perché l’aveva avuta, con Akito e aveva paura che nulla sarebbe stato all’altezza.
Per questo era capace di essere un amante così focosa e allo stesso così fredda. Si risvegliò il mattino dopo che era sabato e per
fortuna non aveva impegni lavorativi in giornata. Vuoto di memoria, si alzò e si guardò intorno, tutte le scene le rivennero in mente. Vide il
ragazzo dormire ancora beatamente, e decise di non disturbarlo per il momento. Fece un po’ d’ordine e si buttò sotto la doccia, ne
aveva un disperato bisogno per rinfrescarsi e far ragionare la mente in maniera lucida. -Buongiorno principessa…- il ragazzo entrò nella
doccia, e lei quasi non se ne accorse, tanto era immersa nei suoi pensieri e a contemplare il rumore dell’acqua. La abbracciò da dietro
e cominciò a lasciarle dei piccoli baci nell’incavo del collo. -Nao, dai, lasciami fare la doccia….- Sana si girò e gli sorrise sforzatamente
spingendolo delicatamente fuori dal box. -Ho capito.. tra un paio d’ore ho un impegno agli Studi Tv, torno a casa a sistemarmi. Ci
sentiamo domani- il ragazzo dagli occhi azzurri fece un sorriso tirato e si apprestò a uscire dal bagno. -Naozumi…. Scusami è che
anche io vado di fretta…- -Tranquilla.- detto questo se ne andò, dopo aver rimesso i vestiti e Sana non potè che tirare un sospiro di
sollievo. Quante notti aveva passato a spassarsela? Ma la mattina, no, quella non era fatta per nessuno che potesse stare al suo fianco.
Un po’ si sentiva in colpa. Sapeva benissimo che non avrebbe mai potuto ricambiare i sentimenti di Naozumi, che era cotto di lei, a volte
però, i ricordi erano così insopportabili che ne aveva bisogno, davvero. E sapeva che Nao in un modo o nell’altro l’aveva capito. Non
poteva farci niente, non sarebbe mai stata sua come voleva lui. Non finchè il passato continuava a interferire con il suo presente. E il
passato sarebbe tornato presente (per 10 minuti, per sempre o per un secondo) tra più o meno una settimana.
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