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Sono bionda. Che Dio mi aiuti, sono proprio bionda!
Mai in tutta la mia breve esistenza avevo pensato di finire
la mia vita da bionda… e deambulando (a fatica) su scintillanti tacchi firmati
Manolo Blanhik. Eppure mi sa che è così che sta andando.
Vorrei poter sopravvivere a questa serata anche solo per
camminare di nuovo con le mie amate scarpe da tennis e per rivedere il banale
castano delle mie folte chiome… alla luce degli ultimi avvenimenti e guardando
la mia immagine allo specchio prendo una drastica decisione: se sopravvivo a
questa giornata (cosa più improbabile della caduta di un meteorite su New York),
la prossima volta che arriverà un venerdì 17 mi preparerò per tempo.
Chiederò al mio medico di impormi un coma farmacologico e mi
farò chiudere per 24 ore in una camera iperbarica custodita nel caveau di una
banca svizzera. Magari contornata di corone d’aglio, che forse c’entra coi
vampiri e non con la sfiga, ma per quel giorno sarà meglio non lasciare nulla
al caso. E comunque se sopravvivo mi comprerò un corno napoletano a
prescindere. Anzi, un ferro di cavallo. Anzi, un corno napoletano fatto di
ferro di cavallo. E benedetto con l’acqua di Lourdes. Non vorrò vedere nessuno,
interagire con nessuno, non vorrò nemmeno sapere di esistere!
Come approvandomi, lo specchio mi rimanda l’immagine di una
bella donna dall’aria seria e dalla messa in piega odorosa di lacca; quasi non
so chi sia questa tizia impalcata come la cappella Sistina, rispetto a come
sono di solito sembra che appena condividiamo lo stesso patrimonio genetico. E
invece sono io. Ma in realtà non sono io.
Ok, non sono stata chiara (essere chiara è una cosa che non
mi riesce più bene da quando ho finito le medie…): è che oggi è venerdì 17 e
questo, per chi mi conosce, giustifica tutto.
Stupide superstizioni? Forse. Ma quando si nasce con il gene
della sfiga potenziato come il mio si possono raggiungere vette di iattura che
voi umani non potreste immaginarvi: cosa che è successa oggi, fatidico venerdì
17, anno domini 2008 che, fra l’altro, è un anno bisesto e quindi funesto…
E’ cominciato tutto questa mattina, quando Callas non ha
suonato.
NOTE DELL’AUTRICE:
Stavo scrivendo qualcosa di serio, giuro. La mia
meravigliosa e insostituibile Beta Romina è testimone!! Ma poi, vuoi la
degenerazione neurotica, vuoi che mi scappa sempre da ridere, ho cominciato
questa cosa qui… sarà cortissima e assurda, quindi niente pretese di Pulitzer.
Spero solo che vi diverta, perché strappare un sorriso
rimane la più grande delle soddisfazioni.
A bientot!!
Elfie
Disclaimer: La storia è ORIGINALE ed è mia mia mia!! Anche
tutti i personaggi sono originali e sono miei, miei, miei!! Nessuno li toccherà
perché io non darò A NESSUNO l’autorizzazione!! BWHAHAHA!!! (risata maligna)
Lo so che dare un nome proprio agli oggetti è sintomo di
profonda infermità mentale, ma per la mia sveglia ho un amore quasi viscerale e
ho dovuto darle un riferimento anagrafico. Comunque, Callas non ha suonato,
stamattina. Generalmente non è così strano che una sveglia non suoni, ma nel
mio caso è diverso. Perchè Callas non è una sveglia come le altre. Sin da
quando ero piccola, il risveglio è sempre stato l’anello debole della mia
giornata: il mio sonno è paragonabile a una sorta di stato comatoso, una
narcolessia catatonica decisamente patologica. Storicamente, per strapparmi
dalle braccia di Morfeo mia madre ha dovuto usare metodi impossibili, dal
megafono alla scoperchiatura invernale delle coperte. Invano. Mi ha confessato
che in tempi non sospetti aveva addirittura accarezzato la prospettiva di
ingaggiare la banda cittadina completa di sezione fiati.
Io ho risolto il problema alla radice andando ad abitare da
sola il Natale scorso, supportata dall’arrivo in famiglia di Callas che ha
brillantemente risorto i miei problemi di ritorno mattutino dall’aldilà. Callas
possiede una pila atomica che non si scarica nemmeno nel bel mezzo di una
tempesta magnetica nucleare; Callas si congiunge astrofisicamente al satellite
che orbita intorno a Nettuno per non sbagliare l’orario mai nemmeno di un microsecondo,
superando gli ostacoli di fusi orari, ore legali, meridiani di Greenwich, anni
bisestili e previsioni astrologiche avverse; Callas ha come suoneria l’Inno
nazionale sparato a 110 decibel, uno in meno dell’ultimo concerto live dei
Metallica e riesce a svegliare tutti i residenti dell’isolato.
Eppure, nonostante tutto questo ben di Dio, stamattina Callas
non ha suonato.
Così, senza nessun motivo apparente: la sua pila atomica non
ha smesso di funzionare atomicamente, il satellite non è stato abbattuto da un
meteorite, Urano e Plutone erano in trigono con Mercurio così da non dare
fastidio a nessun segno zodiacale, insomma non è successo niente di niente se
non che Callas non ha suonato. Quando l’ho guardata aprendo l’occhio destro (il
sinistro è rimasto chiuso con la saldatura a stagno fino al mio arrivo in
ufficio) segnava imperterrita le 08:17 e mi informava con silenziosa grazia che
avevo 13 minuti per alzarmi, vestirmi, lavarmi, truccarmi, pettinarmi, fare
colazione, percorrere i 4 chilometri che mi separavano dall’ufficio e ricevere
puntuale la delegazione dei nostri soci nipponici in arrivo freschi freschi
dalla sede di Okinawa.
Dopo aver cacciato un urlo degno della vera Callas, mi sono
catapultata in bagno modello missile terra-aria e mentre mi lavavo i denti
facendo contemporaneamente pipì ho constatato affranta che non mi ero depilata
e il collant non avrebbe coperto la foresta equatoriale sulle mie gambe; ergo,
niente gonna nuova che avevo pagato come un trapianto renale, ma pantaloni semi
sobri gessati che segnavano i fianchi. Conseguenza, 10 punti secchi sullo
schifometro giornaliero. Arrivata davanti allo specchio mi sono anche dovuta
rendere conto che non mi ero lavata i capelli (uno dei miei pochi punti di
forza estetica) i quali pendevano come liane nerastre e putrefatte intorno al
viso; ergo, coda di cavallo e altri 10 punti in più sullo schifometro. Inoltre,
non avevo tempo per truccarmi; ergo e tergo, altri 10 punti di schifometro.
Anzi, con le due Vuitton che mi ritrovavo parcheggiate sotto agli occhi, ho
dovuto aggiungere un rispettabilissimo 20.
E non era nemmeno finita lì: mentre lo infilavo freneticamente
nell’asola, si è rotto il bottone sul seno della camicia nuova; ho elencato di
fila cento anatemi e nel frattempo mi si è rotto un tacco dell’unico paio di
scarpe da femmina che possedevo. Ho guardato quel dannato cilindretto di legno
con la stessa meravigliata concentrazione con cui guarderei un pezzetto di
criptonite. Ma a conti fatti non avevo tempo per dire il rosario che mi era
sorto spontaneo alle labbra: così mi sono infilata le scarpe da tennis (che stavano
da Dio con i pantaloni gessati e la camicia senza bottone! Altri 100 punti
sullo schifometro, olè!) e mi sono catapultata fuori di casa.
Ovviamente, pioveva e io non avevo l’ombrello. Mi sono infilata
dentro la mia Punto e sono partita col semaforo rosso, beccandomi dagli altri
automobilisti tante di quelle dita medie alzate che avrei potuto farci una
collezione Primavera/Estate.
Destinazione, ufficio.
* * *
L’agenzia per cui lavoro si compone di appena sei impiegati
sparsi in due locali al primo piano di un sobrio e signorile palazzo d’epoca;
al piano terra c’è un fioraio mentre al secondo piano c’è l’appartamento di una
arzilla vedova fornita di cane microscopico e peloso che piscia invariabilmente
sul nostro pianerottolo. Stiamo giusto aspettando i finanziamenti dei nuovi soci
giapponesi per espanderci e trovare finalmente un posto più consono. Personalmente,
non mi dispiace stare lì, puzza di pipì canina a parte: questo è più un
problema di Sandro, il mio capo, che è terrorizzato all’idea di fare brutta
figura con i nuovi soci nel caso la vedova Ganassi dovesse transitare sulle
scale col suo carlino Gepy proprio all’arrivo della delegazione nipponica.
Comunque sia, sono arrivata in agenzia alle 08:35 così
trafelata che per poco non ho sputato un polmone ai piedi di Sandro che mi
aspettava appoggiato alla scrivania con le braccia incrociate e lo sguardo da piromane.
Sono partita in quarta a parlare a raffica neanche avessi in bocca un
mitragliatore.
“Sandro scusami so di essere in ritardissimo ma stamattina
la sveglia non ha suonato e mi si è rotto un tacco e dopo chiedo a Teresa se ha
l’ago e il filo così cucio il bottone e giuro di non tramortire nessun
giapponese con una tettata, dammi solo due secondi per…”
“D’Angelo.” ha detto semplicemente lui, e col solo tono di
voce ha già spiegato tutto quello che c’era da spiegare.
Che ero in ritardo; che quello era l’unico giorno dell’anno
in cui essere in ritardo era punibile con la fustigazione; che ero uno schifo,
conciata così; che dovevo ricordare il mio contratto a tempo determinato le cui
possibilità di essere trasformato a tempo indeterminato erano direttamente
proporzionali alla quantità di trucco sulla mia faccia, e cioè inesistenti; che
non sarebbe importato nemmeno se il motivo del mio ritardo fosse stato dover
subire un trapianto di cuore, tanto la sostanza non sarebbe cambiata: ero
comunque inevitabilmente e incorruttibilmente nei guai.
Mi salvava solo il fatto di essere l’unica dell’agenzia a sapere
due parole due di giapponese. Ovviamente, il mio capo non sapeva che le avevo
imparate traducendo Manga e che la maggior parte delle locuzioni che conoscevo erano
frasi fatte tipo: “Passami il wasabi” e “Che bella la tua katana”. Ma al
momento non mi sembrava né il tempo né il luogo adatto per informarlo.
“Scusatemi” ho balbettato traboccante sincero cordoglio
“Sono davvero…”
“Zitta” mi ha interrotto Sandro lapidario “Oggi c’è lo
sciopero dei mezzi pubblici e i giapponesi sono rimasti bloccati all’albergo a Malpensa.”
Un’onda anomala di sollievo mi ha travolto facendomi quasi
tremare le gambe: momentaneamente ho quasi dimenticato che giorno fosse…
“In compenso il loro PR è già un’ora che ti aspetta per
definire l’incontro ed è arrabbiato come un toro da combattimento. Se non ti
sbrighi subito a incontrarlo, gli permetterò di infilarti un chilo di riso nel
retto coi bastoncini, chicco per chicco. Mi sono spiegato?”
Io sono impallidita e poi sono diventata color cenere: non
per i chicchi di riso nel retto, ma per i bastoncini.
“Certo” ho detto scattando come una molla “Tempo un attimo
per il bottone…”
Sguardo assassino di Sandro: ho dedotto in fretta che il mio
bottone avrebbe dovuto aspettare. PR nipponico di merda.
“Dov’è?” ho concluso rassegnata.
Sandro mi ha risposto dandomi anche l’indirizzo mentre io facevo
un rapido dietrofront e quasi sbattevo contro la porta a vetri dell’ingresso.
“Ti consiglio di arrivarci in volo entro dieci minuti fa.
Sempre se non vuoi avere a che fare con quel famoso chilo di riso.”
Sandro non ha nemmeno finito la frase che ero già fuori.
* * *
Come cazzo si chiamava l’hotel? Sull’orlo delle lacrime ho guardato
i due portoni affiancati davanti a me: Hotel Semiramide e Hotel Artemide. Quale
dei due mi aveva nominato Sandro? Cazzo cazzo cazzo! Lo sapevo che una era una
divinità egizia e l’altra era greca, ma i nomi finivano entrambi per “mide”,
che era anche l’unica informazione che avevo memorizzato. Che dovevo fare?
Chiamare Sandro per esibirgli su un piatto d’argento la mia totale
incompetenza, nemmeno a parlarne. Anche perché nell’uscita a razzo da casa avevo
dimenticato il cellulare sul comodino… e il cervello nella cervelliera, ho pensato
lugubremente affranta, ma almeno sapevo che lì era al sicuro. Decisione
repentina (anche perché pioveva che Dio la mandava e davanti all’Artemide c’era
una pozza d’acqua che sembrava il lago d’Iseo): entrare al Semiramide e guardare
se c’era in giro un nipponico incazzato come una biscia con in mano un chilo di
riso e un paio di minacciose bacchette. Se sì bene, se no ripetere la
performance all’Artemide. Dopo aver trovato una canoa per attraversare il lago
d’Iseo, ovviamente.
Sono entrata al Semiramide, trafelata e gocciolante come un
turista tedesco in agosto; mi sembrava un tantino meno chic dell’Artemide, ma
sbirciando nella lounge ho intravisto, seduto solitario a un tavolino e
chiaramente in attesa, un tizio dagli inconfondibili occhi a mandorla. Mi sono
sparata come un proiettile verso di lui, lasciando dietro di me le impronte
delle mie scarpe da tennis gocciolanti.
“Buongiorno, ehm, volevo dire ohayou, scusi…” ho balbettato
subito trafelata allungando una mano.
Lui ha alzato gli occhi su di me e io mi sono più o meno
ingessata sul posto come se Silver Surfer mi avesse sparato addosso il suo
alito congelante: non avevo mai visto niente di simile.
Dalla mia esperienza passata avevo concluso che i giapponesi
erano una razza di semignomi itterici dagli occhietti cisposi, l’alito
cementizio e i piedi più puzzolenti del creato, fauna africana compresa; questo
giapponese invece era tutto fuorché gnomo.
La definizione figo da paura rendeva molto meglio il
paragone: un tizio come quello si mangiava schifometri a colazione, altro che!
Era seduto al tavolo e sorseggiava un caffé ma si vedeva dalla postura delle
gambe che era alto, snello e elegante. Sembrava un modello di Armani, bello da
far tirare un colpo. Aveva una bocca che sembrava quella di Johnny Depp, un
nasino disegnato con la squadra e i capelli neri un po’ lunghi tagliati di
fresco da un hair stylist inglese. E profumava di lavanda e tabacco, una cosa
da farsi venire la bava come i San Bernardo. Mentre io rimanevo a bocca
semiaperta come sotto l’effetto di una repentina trombosi al cervello, lui mi
squadrava da capo a piedi con sfacciato interesse. Uno sguardo insondabile e
allo stesso tempo quasi tangibile, come una carezza. O meglio, una manata:
dall’espressione della sua faccia, non sembrava affatto contento di me.
“Mi manda l’agenzia.” ho esordito io allungando una mano in
fretta e nel frattempo inciampando in un osso di formica, rischiando di
finirgli addosso; lui ha frenato la caduta prendendo la mia mano molliccia e
umida come un merluzzo al vapore con una stretta salda, asciutta, da vero uomo.
Io devo avere fatto una faccia particolarmente da sarago in quel momento, ma di
meglio non riuscivo di sicuro a fare. Quel tizio era affascinante in maniera
assurda e come da copione, la mia goffaggine è salita esponenzialmente col
salire dell’imbarazzo; per reazione ho decapitato di netto il bricco del latte
sul tavolo.
“Scusi.” ho balbettato raddrizzando il bricco e urtando così
il caffé, rovesciandolo.
“Oh, caz… ehm, mi scusi di nuovo, sono costernata…” ho ragliato
cercando di raccattare la tazzina e rovesciando così di nuovo il bricco del
latte.
“Oh, merda, mi dispiace…”
“E’ meglio se ti immobilizzi un secondo” ha detto lui con
voce irritata in un italiano perfetto “Siediti, prego.”
Mi sono seduta di schianto, modello colata lavica: dovevo essere
un mostro, ho pensato vagamente vergognosa cercando di capire con un rapido
tocco come si presentava la mia testa bagnata. Un disastro: i capelli erano
così piatti da far sembrare che un bovino adulto mi avesse appena leccato il
cranio tanto che lo schifometro aveva sicuramente raggiunto la mesosfera.
D’altronde fuori pioveva, io non avevo l’ombrello e avevo parcheggiato nel
Nebraska perché lì intorno non si trovava un posto nemmeno a prostituirsi.
“Sono davvero spiacente per il ritardo” ho iniziato a dire
tutto d’un fiato e benché cercassi disperatamente di contenerla, sentivo la mia
logorrea cronica premere dietro le labbra, invadente e inevitabile come un
fiume in piena “So che non ci sono giustificazioni valide, professionalmente
parlando essere in ritardo è un atteggiamento così tipicamente italiano che non
vorrei che credeste che ho preso questo impegno sottogamba, cosa che
naturalmente non mi permetterei mai di fare, ma stamattina Callas non ha
suonato…”
Prima gaffe: cosa cazzo ne sapeva lui di chi era Callas?
“Cioè, la mia sveglia, l’ho chiamata Callas… “
Così anche lui poteva sapere con chi aveva a che fare: una
malata di mente che dava i nomi alle cose.
“C-cioè, non che io dia il nome a tutti gli oggetti che ho
in casa, sia chiaro, solo la sveglia…” e il frigo che si chiama Rodrigo,
insieme a Beatrice la lavatrice ma questo grazie a Dio sono riuscita a non
dirlo “Comunque non ha suonato, mi dispiace sono in ritardo mostruoso e ehm…”
Avrei dovuto dire qualcos’altro ma il tizio si era messo a
guardarmi con la testa inclinata da un lato, gli occhi a mandorla scintillanti
e un sorrisino storto su quello strumento erotico che aveva per bocca: è stato
lì che la mia lingua ha perso il contatto con il cervello e mi sono ammutolita
di colpo come se mi avessero staccato la spina.
“Sicura che ti abbia mandato l’agenzia?” ha chiesto con voce
severa.
“Ehm, sì, ehm…” avevo un caldo mostruoso, i suoi occhi
addosso erano peggio di una coperta di pile!
Lui invece sembrava a ogni secondo più freddo.
“Scusa se te lo dico, ma siamo già in ritardo e non mi
sembra il caso di perdere altro tempo: non credo che tu sia la persona adatta
per il lavoro di oggi.”
L’ha detto con una tale tranquilla convinzione che ci ho
messo un po’ a capire il senso delle sue parole: mentre i miei neuroni
lavoravano affannosamente, lui aveva già tirato fuori il cellulare e componeva
un numero. Stava chiamando Sandro per darmi il benservito, era ovvio: come
dargli torto? Si aspettava una PR professionale ed elegante e si era trovato
davanti una sottospecie di rospo in scarpe da tennis con una leccata di bove al
posto dei capelli. Logico che mi ritenesse del tutto inadeguata!
“Aspetti!” ho strillato afferrandogli una mano.
Lui non ha gradito la mossa: ha alzato un sopracciglio ed è
stato come si mi stesse affettando la faccia con lo sguardo.
“La prego non lo faccia” ho balbettato io prima che mi
venisse meno il coraggio “So di non sembrare al momento ciò che lei si
aspettava, e sono decisamente partita male con le presentazioni, ma le posso
garantire… le posso giurare che sono esattamente la persona più indicata per
questo tipo di lavoro. Lei non immagina… non ha idea di quanto io abbia sudato
per essere qui, adesso. Non si lasci ingannare dalle apparenze: sono una
tosta. Sono brava nel mio lavoro: in agenzia, nessuna è meglio di me. Le chiedo
solo una possibilità. Mi… mi metta alla prova. La prego.”
Non so come ho fatto, ma mi sono sembrata convincente: e
anche il figo nipponico deve essere rimasto impressionato perché mi ha fissata
a lungo, serio, con quegli occhi di velluto che mi facevano venire i brividi.
“Come ti chiami?” ha chiesto poi a voce bassa e vibrante,
bello come un sol levante.
Non me lo ricordavo: e se mi fossi azzardata a guardare
ancora un po’ quella bocca, mi sarei potuta scordare persino di dover
respirare!
“Oh, ehm… Luana d’Angelo” ho risposto infine: il mio nome mi
ha sempre fatto schifo, è così tipicamente da pornostar che è dall’età della
ragione che tento di mimetizzarlo. “Ma per favore, mi chiami Lu.” ho detto
infatti precipitosamente.
Forse in giapponese il mio nome risultava più simpatico del
previsto perché la faccia del tizio si era aperta in un sorriso che lo aveva reso,
se possibile, ancora più gravemente bello.
“Che coincidenza” ha gorgogliato serafico “Puoi anche non
crederci, ma io mi chiamo Li.”
Li e Lu. Perfetto. Orribile. Potrebbe essere un nuovo
simbolo universale, come lo yin e lo yang.
“E va bene, mi chiami Luana.” mi sono arresa già depressa.
Li ha riso buttando indietro la testa e io, di colpo e senza
nessun preavviso, mi sono innamorata di lui.
NOTE DELL’AUTRICE:
Per ora nessuna nota, ma il prologo era troppo corto per
lasciarvi subito a bocca asciutta… alla prossima settimana col secondo
capitolo!!
Recensione di Arista, fatta il 18/05/2008 - 10:34PM sul capitolo 2:
Capitolo 1 - Firmata
Forse non era intuibile dalle premesse, ma io non sono un
tipo dall’innamoramento facile. Il mio ormone ha la potenza di un idrogetto, ma
è altrettanto unidirezionale e viene raramente attivato: infatti, ho avuto solo
tre grandi amori nella mia vita. Il primo, da bambina, è stato Fiorello con il
suo codino impazzito, che mi ha lasciato come strascico una tragica e insana
passione per il karaoke; il secondo è stato Billy Costacurta, il giocatore del
Milan che mi ha spezzato il cuore sposando quella scopa lessa della Colombari;
il terzo è stato Antonio, il mio ex ragazzo. L’ho amato così tanto che ho
smesso di respirare, quando mi ha lasciato. Per la mia migliore amica. Dopo che
li ho trovati a letto insieme. Sul divano che gli avevo regalato io. Davanti
agli occhi innocenti del mio cane. E non era nemmeno venerdì 17! Insomma, è
appurato che la mia sfiga valica i confini delle possibilità umane, ma non era
questo il punto: il punto era che in tutta la mia vita non mi era mai successo
di subire un colpo di fulmine.
Eppure era chiaro che me lo ero beccata dritto in fronte.
Lì al Semiramide, seduta al tavolo a gocciolare come un cero
pasquale.
I sintomi c’erano tutti: dal pauroso sbalzo termico tra
guance in fiamme e piedi assiderati, all’improvvisa angina pectoris, dalla
sudorazione modello cascata delle Marmore al deserto del Sahara in bocca…
E tutto quel movimento tellurico solo per un giapponese
dalla bocca sexy e col nome da ninja!
Una cosa vergognosa.
“Ehm.” ho belato con passione: che altro avrei potuto fare?
“Sei simpatica.” ha detto Li con aria stranamente sincera.
Probabilmente si aspettava che io rispondessi qualcosa di
semi intelligente come grazie; invece mi è partito un nuovo embolo di stronzite
e sono uscita con uno dei miei classici commenti da cerebrolesa.
“Li non mi sembra affatto un nome giapponese, cioè, è molto
corto e voialtri di solito vi chiamate Sakamoto o Kawasaki o Mitsubishi...”
“Infatti il mio è un nome cinese.” risponde Li
piacevolmente.
“Oh, meglio così, no? I giapponesi sono gente così
antiestetica.”
Ho azzardato fin un sorriso: ero fiera di essere riuscita a
piazzare una bella parola come antiestetica in un discorso.
“Mia madre è giapponese.” ha specificato Li divertito.
Ecco: si può sembrare più deficienti di così?
“Cioè, non è che tutti i giapponesi siano brutti… le, ehm,
prendiamo le geishe, ad esempio…”
Sì, si può.
“Avrei un po’ sete” ho balbettato sperando di distrarlo
“Cameriere!”
Il cameriere è passato di fianco al tavolo sfrecciando via
veloce e indifferente come una silfide sordocieca: essere regolarmente ignorata
dalla classe lavoratrice è un’altra delle mie penose caratteristiche.
“Questi camerieri” ho gorgogliato con voce tremula cercando
di minimizzare “Sono sempre più duri d’orecchio…”
Li ha inarcato un sopracciglio poi ha alzato un dito e un
cameriere si è materializzato immediatamente al suo fianco.
“Signore?” gli ha anche chiesto, tutto ossequioso.
“Cosa prendi?” mi ha chiesto Li con estrema cortesia mentre
io sprofondavo sempre di più in una larga pozza melmosa di sterco.
“Un bicchiere d’acqua.” ho risposto depressa, pentendomene
subito dopo: nello stato in cui mi trovavo, sarebbe stato molto meglio qualcosa
di solido che non tendesse a rovesciarsi al solo pensiero.
“Senti, vogliamo parlare di lavoro?” ho concluso con
rapidità, sperando di salvare il salvabile almeno professionalmente.
“Certo.” ha risposto Li con nonchalance sprecando un altro
di quei suoi sorrisetti ai feromoni concentrati.
Con orrore, mi sono ricordata di non aver preso i miei
appunti dall’ufficio e così ho finto di cercare qualcosa in borsa. Rovistando,
ci ho trovato dentro due paia di collant 20 denari comprati ieri da abbinare
alla gonna che poi non ho messo causa boschività diffusa sulle gambe.
“Ehm.” ho detto di nuovo, arrossendo come un gamberone al
vapore e rovistando di nuovo con ansia nella borsa. Dopo lunga e laboriosa
ricerca ho trovato il piccolo blocco notes che uso per la spesa ma non la biro;
in compenso, è spuntato fuori un Bounty al cocco che mi è caduto sul tavolo con
un tonfo.
“Uhm.” ho grugnito, ampliando brillantemente il mio vocabolario
primitivo.
Li con aria paziente mi ha offerto una penna che ha tirato
fuori dal taschino.
“Ah. Oh, grazie.”
Nel frattempo è arrivato il cameriere con il mio bicchiere
d’acqua (che ha posato al centro del tavolo con plateale intenzione: sporco lavapiatti
bastardo!), al che io ho perso di nuovo il blocco nei meandri della borsa.
“Allora, come pensa di organizzare l’incontro?” ho buttato
lì rinunciando a recuperare quello stronzo blocchetto fedifrago e bevendo d’un
fiato la mia acqua “Ci troviamo qui col presidente o vuole che lo raggiungiamo
all’hotel?”
Li ha appoggiato i gomiti sul tavolo e si è sporto verso di
me: aveva un profumo buonissimo e vedere il suo sorrisetto sghembo da vicino
era qualcosa che faceva male agli occhi.
“Credo che prima sia il caso di darsi una sistemata.” ha
proposto con discrezione mentre io cercavo di non ansimare come un treno a
vapore, pur continuando a sudare come un quarto di maiale in graticola.
“Oh. Ah. Devo portare il presidente dall’estetista?” ho
chiesto quasi balbettando.
Li ha cercato di trattenere un sorriso ma i suoi occhi
scintillavano lo stesso come stelle.
“Veramente io parlavo di te” ha detto infine con dolcezza
“Credo che l’impatto con i giapponesi sarebbe molto più facile per te se
potessero vederti al meglio delle tue possibilità da subito.”
Il che era un bel giro di parole opportunamente farcite di
zucchero per dirmi che conciata così ero peggio di un cesso ambulante. Mentre
io arrossivo rasentando la combustione spontanea, Li si alzava in piedi, raddrizzava
la già perfetta piega dei pantaloni, indossava un cappotto di nappa nera che
probabilmente costava come il mio monolocale compreso di mobilia e mi porgeva
una sciarpa di cachemire morbida come un gattino. Io l’ho presa guardando Li
spaesata: che dovevo farci? Asciugarmi le lacrime di vergogna?
“Il tuo… ehm, bottone” ha spiegato allora Li col garbo diplomatico
di un ambasciatore “Ammetto che la vista è piuttosto piacevole, ma non è
esattamente, ehm, consona alla situazione.”
“Oh.”
Volevo morire.
Sprofondare al centro del pianeta e non tornare più su,
rimanere nel buio ventre di madre terra rattrappita dalla vergogna fino alla
fine dei miei giorni!
“Grazie.” ho mormorato con voce liquida prendendo la sciarpa
e avvolgendomela intorno al collo con il vago impulso di strozzarmi da sola: se
volevo dimostrargli di essere davvero tosta come gli avevo fatto credere, non
ero partita affatto in quinta, ma piuttosto in retromarcia…
Comunque avrei voluto metterci più partecipazione nei
ringraziamenti e magari aggiungere qualcos’altro perché Li si stava dimostrando
davvero pieno di tatto e sarebbe stato doveroso informarlo dell’apprezzamento;
invece mi stavo solo incazzando a morte con lui. Perché il fatto che fosse così
schifosamente gentile e così vomitevolmente bello mi faceva sentire più simile
che mai a una larva di mosca e questo non mi aiutava affatto a dimostrargli la
mia presunta tostaggine. O si dice tostatura? Ecco, un bel chicco di caffé
affumicato era esattamente ciò che sentivo di essere, sotto quel suo sguardo
acceso e destabilizzante.
“Andiamo!” ha cinguettato allegro Li prendendomi gentilmente
per un gomito “So io dove andare: tempo mezzora e Doralis ti trasformerà nello
splendido cigno che sei.”
Doralis…? Non avevo nessuna voglia di trasformarmi in un
cigno per mano di una appena arrivata da Oz; oltretutto detesto i cigni, visti
da vicino puzzano come fogne aperte e sono sempre incazzosi. Ma Li mi ha
sorriso, ammiccante e radioso e io ho potuto solo tentare una risposta molto
simile a una paresi spastica facciale: di colpo, mi sono trovata ad adorate i
cigni come le più leggiadre e profumate creature del mondo…
“Ma ce l’abbiamo mezzora…?” ho sfiatato poi belante
trottando dietro di lui che si dirigeva a passo elastico e sicuro verso
l’uscita.
“Abbi fede” ha risposto Li aprendomi galantemente la porta
“Non te ne pentirai.”
* * *
E invece mi sono pentita.
Mortalmente pentita.
Tornassi indietro mi faccio davvero fustigare da Sandro
piuttosto che rivivere l’ultima mezzora. Lo studio di Doralis era a due minuti
dal Semiramide: la padrona ci ha accolti con un sorriso e un eloquente sguardo perplesso
alla sciarpa di Li che mi ero avvolta addosso modello burqua. Doralis è una
bella figliola sudamericana con uno di quei tipici culi brasiliani che sfidano
la gravità e si piazzano subito sotto la seconda vertebra cervicale; Li non
aveva nemmeno cominciato a parlare sciorinando le sue richieste che già Doralis
mi aveva trascinata dietro un separé, sbattuta su un lettino dopo avermi
costretta a togliere i pantaloni e la camicetta, e mi stava facendo la ceretta
alle gambe. Un male atroce, terribile: io di solito mi depilo con la lametta,
per me è stato come essere smembrata viva.
“Basta, basta!” ho cercato di dire; Doralis ha sorriso
materna, masticando con quei suoi bei dentoni bianchi una gomma alla frutta, e
mi ha strappato i baffetti con una striscia depilatoria che teneva nascosta nel
palmo della mano.
“Rilasati, joia” ha poi detto mentre io strillavo come un
soprano in piena Aida “Un po’ di fondotinta e il rosore sparisce subito.”
“Adesso capisco cosa sente la Foresta Amazzonica quando viene abbattuta!” ho protestato io invano. Poi Doralis mi ha
portata in un’altra stanza e ha cominciato a darmi lo smalto sulle unghie dei
piedi mentre qualcuno mi lavava i capelli e qualcun altro mi massaggiava i
gomiti con la pietra pomice.
“Hai una bela pele” mi ha confidato Doralis asciugandomi i
capelli con un phon potente come il motore di un Concorde “Molto chiara, molto
nordica. Dovresti curarla un po’ di più.”
“Non ho tempo.” ho risposto senza fiato mentre qualcuno mi
infilzava un pennellino da trucco in un occhio.
“Dovresti trovarlo, joia. Altrimenji come fai con gli homem?”
Ottima domanda: se mi prestasse il suo culo, avrei anche la
risposta da darle.
“Non ho tempo nemmeno per gli uomini.” ho mentito
spudoratamente.
Ma Doralis mica era scema.
“Sc’è sempre tempo per gli homem” ha risposto infatti con un
bel sopracciglio alzato allusivamente “Tu vai a leto con Li?”
Ci ho messo un po’ a capire quello che Doralis mi aveva chiesto.
“No.” ho risposto infine arrossendo come un vulcano attivo;
spero che non mi abbia letto in faccia i sottotitoli che tessevano il mio
dolente rammarico per quella mancanza.
Doralis ha annuito saggiamente.
“Fai benji. Mai mischiare lavoro e piascere.”
“Ehm.” ho risposto io con quello che era ormai l’unico verso
umano che riuscissi ad emettere.
“Non ti fare infinochiare da quela sua fascina da divo del scinema”
mi ha poi avvisato sottovoce spalmandomi la labbra di rossetto con un
pennellino “In realtà è uno stronso. Così belo e sexy che sci faresti fiki fiki
a qualsiasi ora del jorno e della noite, ma proprio stronso stronso. Fai atensione
a lui, joia. Che colore preferisci?”
“Eh?” ho mugugnato io spaesata. Che c’entravano i colori col
fatto di fare fiki fiki con Li?
“Li vuole che ti fasciamo tutta bela bela, trucco, capeli,
biancheria e vestiti.”
Biancheria?, ho pensato sempre più incerta.
“Pele chiara e capeli scuri, io farei viola.”
“Viola no” mi sono affrettata a rettificare: Il viola non
porta notoriamente sfiga? “Non è, ehm, abbastanza sobrio…”
“Sobrio?” ha riso Doralis “Ok, joia, hai rajone: con quegli
ochioni da verjinela, sta bene anche il rosa.”
Rosa?!?
“A Li piascerà molto.” ha continuato Doralis esibendomi
sotto il naso un completo intimo di pizzo color cipria.
“Co… per me?” ho chiesto io mentre qualcuno, finito di
truccarmi, mi rimetteva in posizione verticale, aspettandosi evidentemente che
mi denudassi lì seduta stante.
“Corajo, joia, metitelo: ti vergognerai mica?”
E giù a ridere come se l’idea fosse la cosa più spassosa del
mondo. Francamente, io non ci capivo più niente: ok darmi una sistemata, ma
cambiarmi anche la biancheria intima…
Mentre aprivo la bocca per protestare, Doralis mi aveva già tolto
il reggiseno bianco di cotone della Lovable per strizzarmi le tette in quel
push up di pizzo così ruvido da sembrare filo spinato.
“Toglilo, ti prego, non respiro!” ho boccheggiato io
allargando le braccia per non sfiorare quello strumento di tortura.
“Ma se ti sta una delìcia!” ha cinguettato felice Doralis mentre
io mi decidevo a incazzarmi come una iena.
“Signor Li!” ho chiamato a voce alta sperando di
raggiungerlo dovunque fosse sparito e cercando di ricordare i convenevoli “Mi
scusi, ma non è che ha intenzione di farmi fare la permanente alla cistifellea?
Perché sono sicura che la delegazione nipponica non sia tenuta a controllare
così a fondo!”
Li mi si è materializzato davanti all’improvviso, completo
di sorrisetto feromonico e occhio ammiccante: mi ha scrutato a fondo, mentre io
sobbalzavo penosamente, dai piedi in su con uno sguardo lento e sapiente che mi
ha fatto venire i brividi fin negli organi interni. La sensazione era quella di
essere soppesata e nello stesso tempo accarezzata con voluttà e leggerezza,
valutata e ammirata in ogni singolo centimetro di pelle esposta. Ho sentito
l’emozione aggrovigliarmi le budella come se avessi bevuto una pinta di whisky
a stomaco vuoto. Nessuno mi aveva guardata così. Mai.
“Sei fantastica.” mi ha detto Li con voce sincera e morbida:
i suoi occhi erano come la sua sciarpa di cachemire, tiepidi, avvolgenti e
assolutamente libidinosi.
Non ho potuto fare a meno di arrossire rimanendo immobile
sotto la tempesta magnetica del suo sguardo; Doralis mi guardava col
sopracciglio alzato, un po’ sorpresa e un po’ meditabonda mentre io non potevo
far altro che stare lì e sperare di essere guardata così per sempre.
“Grazie.” ho mormorato infine, completamente dimentica della
mia protesta iniziale; avevo deciso che se me lo avesse chiesto Li, avrei
tenuto addosso quel reggiseno anche per tutta la vita.
“Ora il vestito.” ha preannunciato Li sparendo subito dopo
come in un numero di magia, lasciandomi nuda, immobile e indifesa come un
pulcino bagnato.
Mentre riprendevo a respirare, mi sono accorta dello sguardo
scettico di Doralis puntato su di me.
“Ahi ahi ahi, joia” mi ha gorgogliato serafica “Mi sa che
non duri tanto.”
“Chi? Cosa?” ho ansimato io mentre la sua assistente mi
infilava addosso un abito che era una impalpabile nuvola di soffice seta.
“Tu e Li. A lui piaciono quele come te; ochioni da bimba
inocente e bele tete da dona. E tu… beh, se ti guardava ancora un po’ andavi a
fuoco da sola. Finirete a leto insieme entro sera, joia.”
Magari. Me lo metti per iscritto su carta da bollo, joia?,
pensavo con fervore. E comunque, com’era che Doralis era così informata sui
gusti sessuali di Li? Se quel maledetto nipponico e la sudamericana avevano
anche solo pensato di ballare una samba insieme, avrei spaccato la faccia a
entrambi… ma che stavo facendo? Ero gelosa marcia di un PR conosciuto da meno
di un quarto d’ora?!?!
“Dobbiamo solo accogliere la delegazione giapponese.” ho
provato a protestare debolmente.
Doralis ha alzato di nuovo il sopracciglio.
“La delegasionji? E quanti sono?”
“Una decina, direi.” ho risposto io distratta: l’assistente
mi stava infilando ai piedi un paio di sandali che erano tutto un intreccio di
cristalli tenuti su da un filo interdentale: sarei mai riuscita a camminare sui
sampietrini del centro su quegli aghi da maglia?!?
“Dieci? Tuti da sola?”
“Beh, non è che ci sia da fare molto. Accoglienza e
preliminari. Senti, non posso mettermi i collant?”
“Coi sandali?”
L’ha detto come se le avessi proposto di infettarla di peste
bubbonica.
“Fuori si sta scatenando il monsone” ho spiegato supplice
“Rischio l’ipotermia senza qualcosa a coprirmi le gambe.”
Poi mi sono guardata allo specchio e ho dedotto che il
collant era l’ultimo dei miei problemi.
“Wow!” ho gorgogliato mezza tramortita dalla sorpresa “Che
cosa… cioè, minchia… i capelli… e il trucco… e quelle sono davvero le mie
tette?”
“Tuta roba tua, joia” ha riso Doralis spargendo intorno un
buon odore di frutta “E mi sembrano anche tuti pessi orijinali. Scometo che la
delegasione sarà soddisfatta di te: vuoi ancora il colanji?”
Storicamente, per vedermi così gnocca almeno una volta nella
vita avrei donato un rene.
“No” ho risposto coraggiosamente “Va bene così.”
Forse è stato lì che ho sbagliato tutto?
Avevo completamente dimenticato che era venerdì 17…
* * *
La pioggia veniva giù con tanto sadico impegno che sembrava
di essere nel bel mezzo delle cascate del Niagara; ho meditato che forse, più
che i sandaletti di Barbie e il prendisole con le spalline invisibili, avrei
dovuto indossare la muta da sub. Certo che l’effetto sarebbe stato leggermente
diverso: lo schifometro era crollato peggio che Wall Street durante la
depressione! Non riuscivo a smettere di guardarmi allo specchio e avrei dato un
decennio di vita per avere un fotografo pronto a immortalare quella mia
improvvisa ed effimera bellezza.
“Come sto?” ho chiesto per la millesima volta a Doralis, che
è sembrata per un attimo quasi materna.
“Sei uno schianto, joia.” ha ammesso sincera.
“Non so come farò a pagare tutto questo” ho balbettato
prendendo in considerazione l’argomento solo in quel momento: il vestito era
firmato Valentino e quello che ha fatto le mie scarpe lo nominano sempre in Sex
and the City; “Devo avere addosso lo stipendio giornaliero di Montezemolo.”
“Tranquila, joia, ci pensa Li al pagamenji. Magari in
natura.”
Ha riso e io con lei, ma se si fosse azzardata a mettere
davvero un dito addosso a Li l’avrei trasformata seduta stante in una maracas. Ho
il gene siciliano dominante, purtroppo, che lavora sempre a sproposito.
“Non so davvero come ringraziarti.” le ho detto comunque con
sincerità.
Mi è sembrata sorpresa.
“Dovere, joia” ha risposto con leggerezza “Sei molto dolce.
Non è molto che fai questo mestiere, vero?”
“Non credo che si possa proprio chiamare mestiere” ho
ammesso io con franchezza “Il mio capo è un vero negriero, ma spero che alla
fine mi lascerà buone referenze. Io… in fondo, credo di essere brava in quello
che faccio.”
Sono leggermente arrossita nel dirlo perché tessere le
proprie lodi non mi è mai venuto bene: Doralis mi ha guardato scettica poi ha scrollato
le spalle con noncuranza.
“Se lo dici tu, joja, sarà vero: a me sembri un po’
injesata, poco sciolta… ma dovrei vederti sul palo per judicare.”
Palo?, ho pensato distratta: che c’entra il palo?
E’ un modo di dire sudamericano…?
“Ora vai che Li ti aspeta.”
Bene. Ho cominciato a sudare come se fossi stata avvolta nel
domopak, poi sono uscita lentamente dal separé: Li era davanti alla cassa e
parlava al telefono, di spalle.
Aveva una mano in tasca, l’aria cupa e faceva piccoli cerchi
nervosi con la punta del piede sul pavimento; chissà perché, quel gesto così
semplice e umano mi ha fatto l’effetto di uno tsunami di tenerezza e il cuore
ha fatto qualcosa di strano, una specie di capriola con avvitamento che un po’
faceva male e un po’ faceva bene. Gesù, Giuseppe e Maria, nonché angeli e
arcangeli del Paradiso… come avevo fatto a prendermi una mazzata così potente e
così patetica in così poco tempo? Senza nessun preavviso? Per un maledetto
giapponese?!?
Come avvertendo le mie inutili domande cosmiche, Li si è
girato a guardarmi: mi ha accarezzato di nuovo tutta con gli occhi, lento, indecente,
sensuale… per un attimo da brivido l’ho sentito quasi fisicamente sulla pelle,
leggero e tiepido come un bacio a fior di labbra. E’ stata la cosa più
maledettamente erotica che mi sia mai capitata… il che potrebbe dirla lunga
sull’infimo livello di erotismo presente nella mia vita, ma posso assicurare
che lo sguardo di Li era autenticamente e indiscutibilmente erotico. Quando ha
messo via il telefono con un gesto secco, ho sbattuto le ciglia come se mi
fossi appena svegliata da un sogno sconcio.
“Così sì che si ragiona.” ha detto sottovoce, come fra sé e
sé.
Poi si è avvicinato in due lunghe falcate, mi ha scostato un
ricciolo dalla spalla sfiorandomi la clavicola e io sono andata letteralmente a
fuoco. Per poco non gli sono crollata addosso: chi se lo immaginava di avere in
corpo tanti ormoni…?
“Andiamo.” ha detto Li scostandosi da me quasi a malincuore.
“E’ meglio se chiamate un taxi” ha proposto dubbiosa Doralis
mentre io e Li, fermi sulla soglia, controllavamo le condizioni meteorologiche.
“Con questo tempo non troveremo un taxi nemmeno con una
dispensa presidenziale.” ho mormorato scoraggiata.
Li mi ha guardato beffardo, ha alzato un dito e un taxi si è
materializzato davanti alla porta, sbucando dal nulla come in un numero di
magia.
Di nuovo non ho saputo bene se odiarlo o fissarlo come se
fosse stato il Santo Graal.
“Che ha in quel dito?” ho chiesto io sospettosa “Una
stazione radar?”
Lui mi ha sorriso magnanimo.
“L’avevo già chiamato” ha spiegato tranquillamente “Grazie
di tutto, Doralis.”
“Non sparire di nuovo, joia.” ha risposto Doralis
sbaciucchiandolo con entusiasmo: io praticamente fumavo emettendo zolfo dal
naso…
“E tu, verjinela, stai attenta a non prendere un ascidenji
prima delo spetacolo.”
Spettacolo?
“A lei ci penso io. Luana, dopo di te.”
Li mi ha aperto la porta cavallerescamente, strizzandomi
l’occhio: io ho salutato Doralis facendo ciao con la mano mentre il cuore mi
faceva di nuovo quello scherzetto di prima, quell’avvitamento di doloroso
piacere; Li si è infilato nel taxi dopo di me, ha dato un indirizzo al taxista
e poi si è girato a guardarmi di nuovo con quegli occhi di braci. Non è stato affatto
carino da parte sua guardarmi così. Se solo avesse saputo l’effetto Napalm che
aveva il suo sguardo sul mio sistema neurovegetativo, avrebbe evitato
sicuramente di risultare così maledettamente fico.
“Mi scusi, cosa intendeva Doralis per spettacolo?” ho
iniziato a dirgli.
“Dopo.” ha risposto lui: poi si è sporto verso di me, mi ha
messo una mano dietro al nuca, l’altra mano in vita, mi ha attirato verso di sé
e mi ha baciata.
NOTE DELL’AUTRICE:
No, cioè… 29 recensioni al primo capitolo!! Che record!! Per
una storiella che non sa nemmeno come finire… per un’accozzaglia di assurdi
deliri da mentecatta, per questa cosina piccina picciò…
I casi sono due, o io mi sono tragicamente sottovalutata e
scrivo meglio di Moccia e Dostojevski messi insieme (e cioè, meglio di
Dostojevski) o voi siete tutti una manica di nullafacenti dediti al cazzeggio
selvaggio… ovviamente propendo per la prima ipotesi e auguro a voi, assennati e
maturi lettori, una buona lettura e una buonissima settimana di meditazione,
ponderazione e morigeratezza!
Ah, scusate, ma un appunto è d’obbligo: se avete un attimo
genuflettetevi verso est e levate con me un accorato ringraziamento alla mia
adorata e adorabile e insostituibile beta Romina e alla Nisibella, mia
meravigliosa consulente di giapponese… due donne che se non ci fossero il mondo
dovrebbe davvero sbrigarsi a inventarle!!!
Ellemyr: Come ho già detto, non potevo stare senza di
voi!!Siete la mia droooogaaaa… Spero davvero di non deludere, ma non riponete
troppa fiducia in me, l’ispirazione cala col crescere dell’età (e ormai siamo
alla frutta, visto che sono una vecchia befana). Baci anche a te, mia
carissima, a presto!!
Kyaelys: Dolcezza!! Ma no che non sei sfigata come
Luana… aspetta e vedrai con i tuoi occhi. Li sta riscuotendo un gran
successo,a quanto pare!! Bene bene, così Teo rimane tutto mio!!! (sapete, ho
un debole per i biondi…). E’ un piacere anche per me risentirti, mi siete tutti
mancati tanto!! Baci baci!!
Arista: Mia cara!! Che bello leggere i vostri
commenti… ogni volta che qualcuno mi dice che ha riso o si è divertito leggendo
quello che ho scritto, è come l’abbraccio di un amico! Impagabile: quindi,
grazie!! E fatti risentire, ok? Baci baci
Piccola dea: Solo una parola: sì che ti adotto!! Solo,
sai che dovrai contribuire al mantenimento della famiglia, ma non aver paura,
ti trovo subito un posto di lavoro in miniera… Li apprezza l’apprezzamento e
manda tanti sbaciuzzi, ma devi tradurmi le parolacce che mi hai scritto, ok? Baci
baci!!
Chocolate fairy girl: Cagnolino… ah, il Gepy della
vedova che piscia sul pianerottolo!! No, è solo un personaggio di contorno.
Dopo Otello, il nulla in fatto di topocani… ti aspetto, dolce gattina che
insegue la coda!!
Vulcania: Ma certo che ti deve preoccupare!! Dare i
nomi alle cose è sintomo di infermità mentale. Me lo ha detto la mia psichiatra
quando le ho versato il tè in Sabrina la tazzina… grazie per i complimenti e
gli auguri, non credere che uno scrittore ne abbia mai abbastanza!!
Ma_bho: Trooopo buona… ma il Pulitzer è meglio
lasciarlo a chi non chiama la propria lavatrice Beatrice… che dici? Un bacione,
e grazie davvero!
Aki_penn: Sono felice che Geometrie ti sia piaciuta!!
(parlavi di Geometrie, vero?). Non importa se non hai recensito, però sappi che
sapere che tanta gente si è divertita a leggere quello che scrivo è molto
gratificante… la cosa più bella!! Quindi grazie, mia cara, spero di risentirti
presto!
__Miriel__: Ebbene sì, son qua!! Come potevo rimanere
lontana? Mi mancavano taaaaanto i vostri commenti… Sei l’unica che ha notato
che il nomed i Li sembra poco giapponese.. brava brava brava!!!! Hai vinto un
orsetto di peluche… un bacione, alla prossima!!
_BellaBlack_: Callas, Rodrigo e Beatrice sono
personaggi realmente esistenti… in casa mia, naturalmente. C’è anche Salvatore
il frullatore che manda un salutino, nono stante l’abbia escluso dalla gloria
della ribalta… Rettifica l’opinione di Sandro: è uno stronzo e basta. E tu, mia
diletta… hai provato col corno napoletano fatto a ferro di cavallo? Sbaciuzzi e
abbracci, mia cara!
Evan88: Meno male che anche tu perdi qualche
congiuntivo per strada… io senza l’aiuto della mia amora beta reader Romina,
sarei già rimasta senza congiuntivi da un pezzo a forza di perderli! Sai che
non commento gli spoiler, anche perché presto presto presto sarà rivelato l’arcano
(ah ah ah! Ok, la smetto). Un bacione e grazie, mia diletta, a presto!
Killer: Vedi che ci ho azzeccato a crearti Li,
allora? Non so come mi sia saltato fuori… è tanto che dico di volere un
italiano DOC, e continuano a saltarmi fuori stranieri fascinosi, mah! Deve
essere colpa di una delle mie molteplici e variegate personalità schizoidi…
baci ricambiati, ma belle, “in culo alla balena” per la sfiga e grazie di tutto!!
Krisma: Amore!! Quanto mi mancava sentirmi chiamare “bocciolo”…
il mio capo mi chiama caccola, la leggera differenza la sentivo! Spero anche io
che questa storia sia divertente per voi leggerla come per me lo è scriverla:
alla povera Luana gliene farò passare di tutti i colori… poveretta, davvero!! Ancora
grazie, a presto!!
Kate91: MA no, ma no, son già qua!! E chi mi tiene
lontana da voi? Eh, dipingere ragazze sfigate è la mia specialità: forse perché
anche io ho una bella dose di sfiga addosso e mi limito a descrivere me stessa…
però intuisco di essere in ottima compagnia! Grazie per il commento, un
bacione!!
Unintended: Eh eh eh… mi sembra abbastanza chiaro che
propendete tutti per un qui pro quo! Chissà? La storia sarà talmente breve che
se vi faccio adesso degli spoiler, è finita!! Appuntamento tra Callas e Quentin
a quando? Visto che è una sveglia, lei non vede l’ora (ha ha ha! Battuta del
caz…)
Moonwhisper: Ciao Phan!! Ho già risposto via mail al
tuo commento che mi ha fatto davvero, (DAVVERO!) sognare e commuovere… grazie
ancora, non finirò mai di dirtelo. Ho un consiglio (ehm, ordine?) da darti:
prosegui con la storia di Shnautz e Herr Krautiz, che non vedo l’ora di sapere
cosa combinano quei due!
Suni: Eh, anche io ho ancora gli occhioni luccicosi
per il mio Teo… ci metto un po’ a “staccare” dalla storia precedente per
entrare in quella nuova. La cotta per Garrie, per esempio, non mi è ancora
passata!! Fammi sapere le tue ideuzze, mentre nuoti beata nel mare dei miei
sentiti ringraziamenti per questo commento…!
Maharet: Scrivere il primo capitolo di una storia
nuova è un po’ come tornare al bar dopo una breve assenza: ritrovi con gioia
gli amici a cui non vedi l’ora di raccontare tutto… grazie di essere qui, grazie
di lasciare sempre un commento, grazie di seguire queste storielle deliranti…ti
mando un bacione e un abbracciane, a presto!!
Natalie_S: MEA CULPAAAAA! Hai ragione ,il maschio
italico che ti avevo promesso è lì da qualche parte, nei meandri segreti della
mia psiche… ma non ne vuole sapere di venire fuori!! Ti prometto (e questa è
una promessa solenne, con diritto di scudisciata se non la mantengo) che la
prossima sotira avrà il Tuo uomo per protagonista. Va bene? Mi perdoni, così…?
Lauraroberta87: Oh, piccola, quanto mi sei mancata…
il mio polistirolo blu espanso era tutto un dolorare di attesa del tuo ritorno
(no, scherzi a parte, senti che poeta!! Leopardi mi fa un baffo, mi fa!!).
Amore, sai che non vedo l’ora di farmi triturare le sfere da te; da quella via
che ci sei, tritura anche un po’ di quel pachistano che ci facciamo una fumata
in compagnia!! In culo alla balena per gli esami, ma che te lo dico a fare? Sei
bravissima…
Kalindra: Allora vai tranquilla… io ci provo sempre a
scrivere storie serie, e secondo me mi verrebbero anche bene… ma poi il
pagliaccio che è in me prende il sopravvento e riparto con le stronzate. Ah,
che grama vita… comunque grazie per il sostegno!!Uno sbaciuzzo!!!
Nisi: Mia musa!! Mia sensei!! Mia edibile meraviglia
lombarda!! Non ho idea di cosa mi hai scritto in giapponese nella recensione,
spero che non sia un sano vaffanculo, ma da te prenderei questo ed altro!!
Così, la Trapot fa coppia con la mia Cesira? Oramai è una di famiglia anche per
me eDiDi… A parte dirti mind the gap a te e a tutta la famiglia, Trapot
compresa, volevo ringraziarti per il tuo aiuto… sei un tesoro!!! A presto!!
Eilinn: Obbiettivo uno raggiunto!! Obbiettivo due…
buonumore diffuso? Uhm, forse è un po’ troppo ambizioso…
Aurora: Ma certo, qualcosa di serio… anche o sono
capace di scrivere cose serie!! Per esempio… ehm… ecco per esempio: passami il
sale. Eh? Che ne dici? Niente furore, spero solo sane risate!! A bientot!!
Tartis: Mi mancate. Questa è la verità. Sarei
disposta a scrivere menù per trattorie o trattati sulla simbologia
paleocristiana pur di avervi come lettori… grazie, tesoro, sapere di averti
trasmesso un po’ di buon umore mi rallegra per tutta la settimana!! Baci
bacioni!
Zerby: Ciao! Proseguirò di sicuro, ma dimmi… che
significato ha il tuo nick? Sembra quasi che tu abbia seri problemi di
autostima… baci baci, su con la vita!!
Rik Bisini: La prima recensione!! A dire il vero
tremo al pensiero di cosa potresti dire di questa storia… che sarà di una
leggerezza e di un’inutilità uniche! Mea culpa, scriverò qualcosa di buono al
più presto possibile… intanto grazie, come sempre sei pozzo di gentilezza!!
Recensione di Arista, fatta il 18/05/2008 - 10:34PM sul capitolo 2:
Capitolo 1 - Firmata
Credo in quel momento di aver avuto un aneurisma: cioè, con
una parte remota del cervello mi ero già baloccata con l’idea di baciare Li.
Quando ti compare davanti uno così figo, non si può fare a meno di farci sopra
un pensierino, no? A meno che non si stia subendo un’operazione senza
anestesia. Anche io l’avevo fatto, tra una ceretta di Doralis e l’altra: era
stato un pensiero pigro e assurdo, tipo “Non sarebbe buffo incontrare un
alieno…?” o “ Come sarebbe vivere su una navicella spaziale…?”
Sinceramente, mai avrei pensato possibile che un gran tronco
di pino giapponese come Li finisse per baciare PER DAVVERO una come me. Eppure,
mi stava decisamente baciando.
In taxi, stordendomi con quel suo profumo delizioso di
lavanda e tabacco, senza preavviso, senza parole. Un signor bacio indolente,
profondo, divinamente perverso. Ero letteralmente fulminata dalla sorpresa.
Sorprendentemente, lo shock ha funto da catalizzatore per una strana reazione
chimica che ha scollegato completamente il mio corpo dal cervello. Infatti, mi
sono trovata a rispondere al bacio con deciso entusiasmo, aggrappandomi alle
spalle di Li e inarcandomi tutta contro di lui. Quel maledetto nipponico
baciava come guardava, e cioè in maniera semplicemente divina. La sua bocca voluttuosa,
la sua mano che scivolava piano sulla schiena, leggera, erotica… in un attimo
il cuore, il cervello e tutti i sensi si sono persi in uno spettacolo
pirotecnico, sospesi in religiosa contemplazione.
Quando Li si è staccato da me, mi è sembrato di tornare
indietro dal Limbo; avevo ancora gli occhi aperti e la bocca socchiusa e Li mi
ha guardata in maniera strana, un po’ triste e un po’ arrabbiato.
“Scusa.” ha detto serio.
“Si figuri.” ho risposto io con la bocca secca come il
deserto di Gobi.
Perché si era scusato? E perché sembrava così arrabbiato?
“Non avrei dovuto.” ha aggiunto poi, tutto contrito,
mettendosi di profilo col naso per aria.
Che stronzo. Prima mi dava il bacio più erotico di tutta la
mia dannata vita e poi mi chiedeva scusa con quella faccia schifata? Ma chi si
credeva di essere?!?
“Non fa niente… ehm…”
Ero mortificata e non sapevo assolutamente cosa dire:
d’altronde, tacere non era contemplato nel mio DNA. Li comunque è sembrato
ancora più arrabbiato.
“Sei stata brava.” mi ha detto aggiustandosi la giacca.
“Grazie.” ho risposto, presa in contropiede: se ero stata
brava perché diavolo si doveva scusare?!?
“Prego.”
“Si figuri.”
Di nuovo: a forza di dirglielo se lo sarebbe figurato
davvero. Mi sembrava di essere in una puntata dei telefilm “Hai confini della
realtà”… Non mi era mai capitato di ricevere complimenti per come baciavo:
d’altra parte, non mi era mai nemmeno capitato di essere baciata così, sotto
gli occhi curiosi del taxista. L’unica domanda cosmica che mi veniva in mente era
se dovevo continuare a dargli del lei o se un bacio mi autorizzava a passare a
un tu confidenziale. In quel momento però la faccia di Li era così scura da non
ispirare affatto confidenza.
“C’è, ehm… dove… ehm… dove stiamo andando?” ho tentato di
cambiare argomento, balbettando penosamente.
“Al Corda Tesa.” ha risposto Li senza schiodare gli occhi
dal finestrino.
Non conoscevo quel posto: sembrava un nome da giardino
d’infanzia… magari era un circolo nautico.
“Bene. E la delegazione?”
“Chi?”
“La delegazione nipponica. Saranno già là?”
Li si è girato a guardarmi con quel suo altezzoso
sopracciglio alzato e ci ho messo un po’ a capire che stava sogghignando.
“Chi?” mi ha chiesto di nuovo educatamente.
Oddio, non andava bene? E come dovevo chiamarli? Sue altezze
reali gli asiatici? Gioielli del sol levante? Stramaledetti musi gialli?
“La delegazione nipponica.” ho risposto aggressiva.
La faccia di Li era tutta illuminata da un sorriso represso:
sembrava ancora più irresistibile del solito, maledetto lui.
“La delegazione. Mi piace! Molto chic. Brava Luana!”
“Grazie.” ho risposto di riflesso.
E dalli: passavo la metà del mio tempo con Li a ringraziarlo
per cose assurde. Mi sentivo un’idiota patentata e sono diventata rossa come a
pommarola’n coppa.
“Saranno, ehm… ci aspettano là?”
“Arriveranno” ha risposto Li smettendo di sorridere “Dovremo
intrattenerli durante il pranzo.”
Pranzo, ho meditato spaesata; ma non dovevamo andare in
agenzia da Sandro…?
“Mi scusi, ma quando pensa che ci sarà l’incontro? Bisogna
concludere l’affare al più presto…”
Li ma ha lanciato uno sguardo torvo, ostile.
“Non è meglio che tu te ne stia fuori dagli affari?”
“Fuori dagli affari?” ho pensato a quel punto,
vagamente furiosa “Ho stilato personalmente tutti i maledetti rapporti e le
scartoffie necessari a questa cazzo di fusione! Ne so più io di Sandro e
Nakamura messi insieme, compreso te, bel cocchino dagli occhi sexy e la puzza
sotto il naso!”
“No, non credo” ho risposto con voce ferma “Mi sono fatta
un… cioè, ho lavorato troppo sodo per finire esclusa dall’incontro! Sono io che
so esattamente cosa vuole il presidente: sono io che devo lavorarmelo per
bene!”
Li è diventato se possibile ancora più scuro: sembrava
davvero furioso e io non capivo assolutamente perché.
“Sembra proprio che non vedi l’ora di fare il lavoro
sporco.” ha commentato iroso.
“Beh… sì.” ho risposto sulla difensiva: non che pensassi
davvero che compilare scartoffie fosse un mestiere particolarmente sporco, ma
mi era sembrato più opportuno non contrariare Li. Ormai chi lo capiva più
questo bel giovanotto che un attimo prima mi baciava e l’attimo dopo mi
guardava schifato manco fossi una sputacchiera?
“Ora capisco.” ha mormorato Li guardandomi con freddezza.
Beato lui: io invece non ci stavo capendo una beneamata fava
di quella pseudo conversazione.
“Quindi?” ho tentato un nuovo diversivo.
Li non mi ha guardata in faccia: si è limitato a fare un
cenno con la testa e il taxi si è fermato morbidamente sotto il mantello
scrosciante di pioggia.
“Quindi siamo arrivati e finiamo il discorso dentro.” ha
risposto telegrafico prima di aprire la portiera verso il giorno più orribile
della mia vita.
*
* *
Causa la pioggia o la distrazione o (senza sbagliare di
molto) prendendo in causa la solita sfiga ancestrale, non ho visto l’insegna
del Corda Tesa ma sono entrata di corsa dalla porta centrandola quasi per
sbaglio. Se avessi azzardato un’occhiata all’insegna, avrei capito subito… o se
avessi valutato correttamente l’espressione facciale del taxista non come
semplicemente cerebrolesa… ma non ho fatto né l’una né l’altra cosa: anzi, sono
entrata al Corda Tesa di corsa, nella bocca del leone, ancheggiando sui miei
tacchi a spillo. Ormai ero troppo maledettamente immersa nel guano per tornare
indietro.
*
* *
Al Corda Tesa c’era buio. E nell’aria c’era un odore strano,
un misto tra quello asettico e pesante della moquette e quello di un costoso
profumatore per ambienti. Era evidentemente un posto di lusso, pulito e ben
curato, ma quello che era in realtà risultava lampante dal primo passo dentro
l’oscura sala d’entrata: il Corda Tesa era un night club.
Gli elementi per capirlo erano pochi ma essenziali: le poppe
della receptionist alla cassa, per esempio. Enormi, cellophanate, esposte come
il banco della verdura fresca al mercato… poppe così erano un marchio di
fabbrica, il sogno erotico dell’italiano medio: le famose e intramontabili
poppe da nightclub.
Il resto della proprietaria di suddette poppe era un
gradevole e poco appariscente mix nordico; una ragazza sulla ventina, slava o
scandinava, ovviamente bionda e con l’occhio ceruleo, bocca gonfia come un
materassino da spiaggia e unghie laccate di rosso lunghe come zanne di licaone.
Questa tizia stava ignorando me come se fossi un puro
ectoplasma e guardava Li come se avesse potuto leccarlo con gli occhi.
Zoccola ossigenata, ho pensato con livore trattenendo a
stento l’impulso di levarmi un sandalo e cavarle un ceruleo bulbo oculare col
tacco. Anche perché l’elemento da night numero due, un buttafuori in frac dagli
occhi porcini grande come gli Urali e espressivo come un televisore spento, non
avrebbe di sicuro apprezzato la mia performance. Così, mi sono girata verso Li
con un indice accusatore puntato sull’elemento da night numero tre, un
cartellone tre metri per quattro dove veniva pubblicizzata l’esibizione serale
di “Godiva e il suo Pitone” con tanto di documentazione fotografica (del
pitone).
“Mi scusi” ho dichiarato con una convincente voce da zitella
oltraggiata “Lei è proprio sicuro che dobbiamo incontrare qui la delegazione
nipponica?”
Li ha esibito di nuovo quel suo sguardo da milord inglese
che stavo cominciando seriamente a odiare.
“Ma certo che sono sicuro” ha risposto scandendo bene le
parole “Il presidente Ekekazo e la sua delegazione, come tu l’hai gentilmente
definita, saranno qui a minuti. Seguimi.”
L’ho seguito; o meglio, le mie gambe hanno camminato in
linea retta (o quasi) sulla scia di Li mentre il mio cervello grippava e
sputacchiava come una marmitta difettosa.
Mi sentivo confusa, persa, per non dire completamente alla
deriva; insomma, in parole povere non ci stavo capendo dentro un cazzo!
Primo (e già una parte di me ghignava per l’ovvia
ridondanza): chi cazzo era Ekekazo? Il presidente con cui ho questionato mesi e
mesi sui dettagli del contratto che doveva firmare era Nakamura! Un nano pelato
dalla voce miagolante, sessista e misogino (almeno a giudicare dalla sue
telegrafiche mail). Per quanto potessi essere sciroccata intuivo bene la
profonda differenza tra Ekekazo e Nakamura. A meno che Ekekazo (no, cioè,
Ekekazo!! Se era un nome vero, non sarei mai riuscita a pronunciarlo senza uno
scoppio di risa convulse!) fosse il nome proprio di Nakamura. O il suo
soprannome. Certo che poteva trovarne uno migliore, sapendo di avere a che fare
con gli italiani… E che cazzo, Ekekazo, mi caschi proprio sul soprannome?
Secondo, cosa ci faceva Nakamura aka Ekekazo in un night
club? Cioè, va beh che i giapponesi hanno inventato le geishe, ma non li facevo
tanto ingorilliti di natura da dover parlare d’affari al night club. Cioè, con
tutto quel riso in corpo… mica è afrodisiaco il riso, no?
Mentre io cogitavo espressiva come una zuppiera di vetro, Li
si era andato a sedere con disinvoltura dietro un separé: dopo averlo raggiunto
mi sono schiantata sul divanetto e ho cercato di fare mente locale.
“Ehm” ho esordito con somma intelligenza “Mi scusi, ma posso
farle qualche domanda?”
“Naturalmente.” ha risposto Li educatamente, ma sembrava lo
stesso cento volte più freddo e ostile che al Semiramide.
Stavo per chiedergli finalmente chi cazzo era Ekekazo quando
lui, quasi fischiettando tanto era tranquillo, ha tirato fuori una pistola da
sotto l’ascella, ha controllato il caricatore con la stessa distratta perizia
di una modella che controlla il livello di cipria sul naso e ha rimesso l’arma
sotto l’ascella, subito mimetizzata dalla sobria giacca di Armani.
Per un attimo ho avuto una specie di deja-vu, un effetto
Doppler strano, come se fossi lì e contemporaneamente da un’altra parte: la mia
bocca è rimasta semiaperta mentre con la faccia praticamente anestetizzata
mimavo con convinzione l’espressione perspicace e acuta di una carpa presa
all’amo.
“Ehm.” ho detto, perché nemmeno nei momento più topici della
mia vita riesco a tenere il becco chiuso.
“Mi sembrava” ha sorriso Li quasi controvoglia “Era un po’
che non lo dicevi. Allora, queste domande?”
Domande? Certo, domande. Di colpo volevo fargli un mare di
domande, tutte molto serie e ponderate, tipo: sono per caso in coma? Sono
caduta e ho battuto la testa e questa è tutta un’allucinazione? Sono
schizofrenica e non so di esserlo così mi state imbottendo di torazina e lei è
solo una proiezione del mio subconscio? Qualcuno mi ha messo dell’LSD nel caffé
e mi sto facendo un viaggio chimico? O peggio, sono su Candid Camera….?
Li, in attesa, ha inarcato il suo solito sopracciglio e io
mi sono decisa a fargli la mia domanda cosmica.
“Posso andare in bagno?”
*
* *
Mi sono fiondata in bagno quasi di corsa perchè avevo
davvero bisogno di un water: mai sentito parlare di eroine romantiche con
attacchi di colite nei momenti cruciali? No? Nemmeno io, a riprova che nella
vita potevo essere di tutto fuorché un’eroina romantica. Sono uscita dal bagno
immersa in uno stato confuso di irrealtà: avevo bisogno di parlare con qualcuno
per accertarmi di essere viva e concreta. In quel momento mi sentivo così
confusa che avrei creduto anche alla fola di essere stata rapita dagli alieni,
purché me lo dicesse qualcuno che ritenevo attendibile.
Qualcuno ovviamente che non fosse Li il pistolero dagli
occhi da letto. Avrei dovuto capirlo subito che quel bastardo nipponico era
frutto della mia fantasia!
Prima di tutto perché era troppo bello; secondo perché mi
aveva baciata, cosa che non succedeva dall’ultimo anno bisesto e quindi
funesto; terzo perché possedeva una pistola… no, dico, una pistola!! Non ne
avevo mai vista una prima che Li mi presentasse la sua con così tanta
scioltezza.
Arrancando sui tacchi dei miei sandaletti nuovi di zecca, mi
sono diretta verso l’uscita: la popputa labbrona bionda che stava alla
reception poteva risultare utile, alla fin fine… Quando le sono arrivata
davanti, mi sono aggrappata al banco come se fossi nel bel mezzo di un uragano.
Labbrona mi ha guardata con blando interesse, abbozzando un sorriso.
“Sono viva?” le ho chiesto io a bruciapelo con estrema
serietà e il suo sorriso ha vacillato appena appena.
“Kome skusi?”
Ti pareva. Mica potevo pretendere che con quelle labbrone
sapesse anche parlare, no?
“Devi dirmi se sono viva e reale” le ho risposto impaziente
“Ti prego, dimmi che ho avuto un ictus e che sono sotto sedativi sdraiata in un
letto di ospedale.”
Labbrona ha sbattuto le ciglia e ha fatto una faccia
vagamente perplessa.
“Skusi? Io polakka, no kapire bene…”
Ci avrei scommesso che era straniera. O quello o sordomuta.
“Senti, sei sicura di avermi visto entrare? Sei sicura che
il mio corpo sia qui in questo momento a parlare con te?”
Labbrona mi sembrava sempre più confusa e allarmata.
“Io… vedo te?”
“Allora sono qui?”
“Io kreda ke tu kui…”
“E hai visto anche Li? Il mio accompagnatore?”
“Li?” La sua faccia ha avuto un debole guizzo di
intelligenza bovina “Li! Bello rakazzo nero kon kravatta!”
Quindi anche Labbrona aveva notato quanto era fico Li, anche
se solo una cerebrolesa come lei poteva ricordarsi solo della cravatta. E se Li
era nero lei portava una prima! Forse voleva dire moro…?
“Avevi già visto Li?” ho chiesto dopo una imprevista
illuminazione.
“Tak!” mi ha risposto Labbrona tutta felice.
Io l’ho guardata impaziente: non mi sembrava il momento
migliore per giocare a fare l’orologio a cucù. Tak glielo avrei dato in testa
se non si fosse sbrigata a rispondere!
“L’hai già visto Li sì o no?”
“Tak! E’ dire… sì in polakko!”
Sì in polacco si dice Tak? Ma che cazzo di lingua è!?!
“Quindi, Li è venuto altre volte?”
“Tak!”
E dalli. Chissà come si dice no: tok? Ma no, dai, dopotutto
anche i polacchi sono esseri umani…
“Viene spesso?”
“Tak! Kon donne… belle!”
Mi ha guardato un po’ scettica, come dire: “insomma, belle,
meglio di te di sicuro…”
“E queste donne… cosa fanno?”
Labbrona mi ha sorriso, contenta di sapere la risposta.
“Puttane!” ha cinguettato tutta felice.
Però: non sapeva dire sì ma le parole essenziali di italiano
le aveva imparate bene… La dizione di Labbrona però era l’ultimo dei miei
problemi. Insomma, a quel punto era chiaro che c’era stato un piccolo qui pro
quo in quel del Semiramide. Di colpo mi era tutto talmente chiaro che pareva
quasi cristallino: il sollievo di Li nel sentire il mio nome da pornostar; il
palo di Doralis; lo sguardo saputo del taxista; le tette di Labbrona. Anzi, la
verità era così palese che solo una psicolabile come me poteva non averla vista
prima!
Li non era il PR di Nakamura. Molto probabilmente Li non
aveva nemmeno una partita IVA e uno studio pubblicitario, come invece doveva
avere il vero PR di Nakamura. Più precisamente, Li era un pappone. Un gran bel
pappone, fine, elegante… ma pur sempre un pappone dotato di pistola ascellare.
Così esperto che, nonostante il mio nome indubbiamente da pornostar, aveva
intuito che non sembravo proprio il meglio sulla piazza delle prostitute d’alto
bordo. E pensare che aveva anche cercato di convincermi a lasciar perdere, ho
ricordato folgorata… e io a insistere, no, sono brava nel mio mestiere! Pezzo
di deficiente patentata.
Ora cosa dovevo fare? L’unica cosa che sapevo in quel
momento era di trovarmi sempre più intensamente immersa in una montagna di
cacca.
NOTE DELL’AUTRICE:
Niente da segnalare, se non che sono consapevole che è un
assurdo usare un night club (che in genere non apre fino alle 10 di sera) per
un pranzo di lavoro. Quindi, non infierite, ok?
RINNOVO INOLTRE L’INVITO A PARTECIPARE A QUESTO FORUM!!
Fante: Roby caro!! Mi chiedevo giustappunto dove
fossi finito… forse a piangere per le tristi sorti del Milan… come ti capisco. Io
mi sfogo facendone passare di cotte e di crude a Luana, e tu?
Chocolate fairy girl: Tessoro!! Che bello risentirti
su queste reti! E che bello sapere di portarti ancora buonumore… speriamo di
continuare così, eh!
__Bellablack__: Oh, troooppo buooona… non sono maga
(magari!!) ma sono felice che qualcuno butti lì l’idea comes e potesse essere
vera. Prima o poi. Qui o in un universo parallelo. La bombola ad ossigeno non
serve a Luana ma serve a me, tra un po’… baci dovunque e grazie!!
Moonwhisper: Sono ancora in estasi mistica dopo aver
letto il tuo nuovo capitolo… sii buona e continua presto, per favore!!! E soprattutto,
se davvero mi ami, non far succedere niente di brutto in quella storia! Ho il
cuore così cagionevole… comunque, grazie infinite per passare di qua e lasciare
due parole alla tua devota ammiratrice. Baci adoranti (anche alla mia fidanzata…)!!
Piccola dea: Amorenji!! La tua idea di dove andavano
a parare Lu e Li era anche la tua?Beh, era abbastanza lojico… Il ninja mafioso
(bella questa J) ringrazie per i
complimenti e anche io per le traduzioni: sono un mostro di ignoranza, in
giapponese!!! Baci baci, alla prossima!!
Vulcania: Dolcezza, ti darei volentieri il nome della
mia psichiatra, ma da quando segue me non riceve più nuovi clienti… chissà perché?!?
Li, essendo un sogno erotico della sottoscritta, si comporta esattamente da…
sogno erotico. Insomma, il tempismo del bacio è una cosa che non entra proprio
nel DNA dei maschi… che peccato!! Un bacione, e grazie come sempre!!
Nisi: Quale gioia (anzi, joia) quale gaudio leggere il
tuo nome proprio sulla recensione 50!! Ti amo e ti adoro, mia sensei (qualsiasi
cosa voglia dire… traducimi, prego, non vorrei darti senza volere della vecchia
babbiona). Coem hai fatto a capire che Doralis nasconde qualcosa…? Sei unica!!!
Baci al miele
Zerby: Mia piccola, grazie per i complimenti!! Immagino
che ormai sarà chiaro il casino in cui si è ficcata la povera Lu… ma vedrai che
le cose (ehm) miglioreranno (ehm ehm)…. Ok, non le so dire le bugie… A bientot!!
Lely1441: Oh, finalmente qualcuna che condivide con
me un po’ di sano, atavico sadismo!! Eddai, tanto lo sapete che in fondo sono
buona e che ho in progetto un lieto fine… quindi non vi arrabbiate se me la
prendo un po’ con Lu, adesso. Anche io ho sempre nel cuore il mio Teoh.. ah, il
mio biondino rotoloso, mi manca taaaanto!
Tartis: Amore mia piccolo e immenso, anche io adoro
voi! Le vostre recensioni sono speciali, balsamiche, inebrianti!! Quindi non smettete,grazie…
Spero di rallegrarti di nuovo, joia, almeno come tu fai con me!!
MarzyPappy: Mia piccola protettrice di bonsabufali! Sai
bene che la mia indomita vena romantica avrà la meglio sulla sfiga… quindi
leggi pure tranquilla le vicissitudini di Lu, sicuramente le cose sono
destinate ad andare meglio (ma più avanti, moooolto più avanti…). Raccontami la
storia del ragazzino trascinato per l’orecchio, che non l’ho capita bene….
Eilinn: Ola, joia!! Aspettati di tutto per la povera
Lu… il mio sadismo ha trovato la sua vittima perfetta!! A presto, tessora!
Urdi: Mia cara!! Eh, un po’ mi dispiace per la
recensione 30 (mannaggia, avrei potuto fare il record!!!!) Ti perdonerò se
arriveremo alla recensione 800. Nel frattempo, grazie infinite per i
complimenti… che bella sensazione di calore che danno! Però, questo pessimismo
diffuso… questa cattiva opinione degli uomini (che tra l’altro condivido appieno)…
non si fa, dai. Dovremmo dare loro una chance, dicono. Ehm. Alla prossima!!
Londonlilyt: Lo sapevo che c’era un motivo per il tuo
silenzio stampa!! O eri in viaggio in qualche recondita arte dell’universo, o
eri in contemplazione di qualche angelo in perizoma… Ho un dubbio: che l’idea
di Li mi sia venuta vedendo il tizio che ti attaccava la pezza a Camden Town? Non
era cino-giapponico anche lui? Chissà… gli abissi della psiche umana…
Lauraroberta87: Sono così felice che anche la tua
anaconda si attorcigli come il mio Pitone… perché sì, la mia parte in questa
storia è proprio quella: io sono Godiva. Scommetto che lo sapevi già (quando il
tuo amico pakistano ti concede un po’ di tregua, sei terribilmente intuitiva). Sperando
davvero che Lu smetta di sbavare dietro a Li, ti mando una carriola di
cotillons, tra cui baci, abbracci, strizzate di amichevole natura e roba varia.
Unintended: Devo ammetterlo, sono sempre colpita dall’agilità
mentale di voi divini recensori… certo, c’è qualche bradipo anche tra le vostre
fila, ma pochi, in realtà! Cioè, considerando il livello intellettuale delle
mie scritture, è già tanto che non siate tutti criceti… Eh, la risposta alla
tua domanda è no: non esistono uomini come Li. E nemmeno come Teo. Meno che
meno come Garrie. Però esistono a frotte uomini come Scaturro, se la cosa ti
consola…
Krisma: Mia cara! Sei stata l’unica a raccogliere il mio
invito, che brava!! Un orsacchiotto in regalo. O una giornata a scelta con un
personaggio delle mia ff. Coraggio, il periodo di stress estremo passerà… o
quello o schiatti. In ogni caso, non durerà in eterno, fatti forza. ;-)
Aki_penn: Oh, bene!! Quindi, di nuovo grazie per
Geometrie e speriamo che anche questa storia ti possa divertire e “dilettare”! Baci
baci!
__Miriel__: Cos’è questya insana passione che avete
tutte per i giapponesi?!? Secondo me siete state voi a mandarmi Li in testa come
un messaggio subliminale… a me, ribadisco, piacciono i biondi!! No no, sapevo
già da tempo che Li è un nome cinese (la mia vaaaasta cultura… dei cinesi so
quello e che la capitale è Pechino).
Kyaelys: Bene bene!! Dobbiamo trovare una a cui
piacciono i rossi e a una a cui piacciono i castani e dopo possiamo metterci in
cerca dei nostri uomini ideali. Io del mio ho già fatto un identikit piuttosto
dettagliato (vedi: Garrie, Teo, Camillo…). Il tuo…? Sempre grazie, tesora,
baciuzz!!
Stella76: Ovviamente nelle pause del lavoro d’ufficio,
ti rispondo ;-)… è più bello ancora leggere le vostre recensioni. Un vero
balsamo all’assenzio, una droga!! Comunque, niente waffeggiatori in questa
storia; dopo Otello, il nulla. Hasta luego!
Suni: Doralis ringrazia per l’appellativo “colorito”
ma senz’altro calzante!! Non me ne vogliano le sudamericane, eh, ma un po’ così,
“easy” lo sono davvero. In generale. Solo quelle col culo antigravitazionale. Amica
cazzeggiatrice, è bello sapere che sai di non sapere… cioè, è bello che
qualcuno ammetta di pazzeggiare. Mi unisco a te e ti riempio di baci, joia: adoro
il tuo umorismo adoro!!
Thia: Oh, grazie dei complimenti, mi apiccola Lu
putativa… com’è che tutte rispondete dicendo “capisco Lu perché anche io sono
sfigata”? E quelle fortunate, dove vivono?!?!
Maharet: La trasformazione bruco/farfalla la vorrei
anche io, una volt anella vita… e invece sempre bacarozzo rimango!! Che
injustizia. Piaciuto il capitolonji? Adesso aspetta che arrivino i giappi… mi
sto divertendo come una pazza!!!!
Rik Bisini: Innanzi tutto, rinnovo in codesta sede i
sentiti ringraziamenti per il lavoro di creazione del Forum… non ho parole,
grazie. Qualcosa di Pretty Woman ce lo abbiamo, ma niente di
paragonabile a quel Capolavoro d’Arte Contemporanea… scusa, eh, ma se trovano
favoloso Andy Whorol, allora io mi sento autorizzata a trovare favolosa Julia
Roberts!! Ho adorato i suoi stivali fetish… Ancora grazie, a presto!!!!
Natalie_S: Siccome la storia è breve, devo bruciare i
tempi… prossimo capitolo si passa direttamente all’imbrandata! He he he,
scherzo!! Ho preso nota dell’Omo (praticamente un incrocio tra Scaturro e un
francese del sud!! Che skifo!!!). Ci proverò, ma libido zero (tutto quel pelo!!
Brrrr….)
Evan88: Amore!! Sapessi che joia e che belessa
sapere di essere apprezzata da menti di cotanto spessore emotivo! Ok, ho detto
la cassata giornaliera. La poveVa caVa apprezza la solidarietà, ma non basta…
ci si sente sul forum (I hope!)
Recensione di ellemyr, fatta il 31/05/2008 - 11:02PM sul capitolo 4:
Capitolo 3 - Firmata
Per un attimo ho avuto un flash: ho immaginato il vero PR di
Nakamura come un giapponese piccolo, segaligno e arrabbiato che nella hall
dell’Artemide faceva la conoscenza di Natasha Boccadifuoco, intrattenitrice
professionista; per poco non ho rigurgitato nella scollatura di Labbrona,
davanti a me.
“Senti, posso fare una telefonata?” le ho chiesto con voce
flebile flebile.
Labbrona ha preso a prestito il simpatico Sopracciglio
Altezzoso di Li per guardarmi.
“Kui no telefono. Tu no ha cellulare?” ha chiesto con voce
incredula come se le avessi confidato di avere una terza tetta sulla schiena.
La mia risposta è arrivata piuttosto sostenuta.
“Tak che ho il cellulare.”
Solo che l’ho lasciato a casa. Di fianco alla cervelliera,
per intenderci.
Labbrona ha rovistato un po’ dentro una borsetta grande come
una cimice (chissà perché nei night le borsette delle donne sono sempre
inversamente proporzionali alle dimensioni delle loro poppe…) poi mi ha passato
il suo cellulare con aria comprensiva. Ho fatto il numero di Sandro come se
dovessi disattivare una bomba atomica a orologeria, sudando come un montone
arrosto.
“Pronto!” mi ha ruggito Sandro nell’orecchio dopo il terzo
squillo.
“Sandro ciao, sono io Luana” ho pigolato con voce supplice
“Sono…”
“DOVE CAZZO SEI?!?” ha urlato Sandro e persino Labbrona è
sobbalzata al suono della sua voce.
“Te lo stavo giusto per dire, sono…”
“Hai idea di quanti anatemi asiatici mi sono beccato da
Nakamura? Hai idea della figura di merda cosmica che abbiamo fatto davanti ai
soci di Okinawa? Hai anche solo una vaga idea di cosa mi sono dovuto inventare
per far capire loro che la mia collaboratrice spastica si è persa nel nulla e
che non so assolutamente DOVE CAZZO SIA?!?!”
Mentre Sandro parlava, io mi trasformavo lentamente in un
invertebrato piccolo, gobbo e gelatinoso.
“Sandro mi dispiace moltissimo, davvero non so cosa…”
“Eccolo il tuo problema!! Che non sai cosa! Tu non sai mai
un cazzo, d’Angelo!”
La disponibilità lasciar parlare gli altri non era certo
una delle doti preponderanti di Sandro…
“Hai tutti i diritti di essere incavolato a morte e credimi
sono già pronta per qualsiasi punizione corporale tu voglia infliggermi, a
partire dal chilo di riso infilato nel retto coi bastoncini, ma ti prego, avrei
bisogno del tuo aiuto…”
“AIUTO!?”
La voce di Sandro ha raggiunto la devastante ampiezza sonora
di Callas.
“TU chiedi aiuto a ME? Tu, che hai provocato l’invasione di
letame più puzzolente nella storia dell’agenzia chiedi aiuto A ME IN QUESTO
MOMENTO?”
“Se solo mi lasciassi spiegare…”
“Tu non spieghi un cazzo! Tu semplicemente… SEI…
LICENZIATA!”
“Sandro, per favore…”
Ma stavo già parlando all’etere.
* * *
Sono rimasta muta per un bel pezzo, col telefono di Labbrona
in mano e il suo sguardo addosso, a cercare di non scoppiare a piangere come
una bambina piccola. Ho deglutito a vuoto una decina di volte prima di riuscire
a ricacciare indietro le lacrime e restituire finalmente il telefono a
Labbrona.
“Tutto ok?” mi ha chiesto lei quasi gentilmente.
Ok? Certo, tutto ok… per essere venerdì 17, si intende.
Ero solo appena stata licenziata e mi ritrovavo senza
telefono e senza soldi, con mamma e papà in visita da zia Mariangela a Treviso
e io lì che non sapevo nemmeno chi chiamare, sola come un cane idrofobo, in
unica compagnia di una receptionist labbruta e polacca e di un pappone
giapponese con la pistola. Dovevo chiamare la polizia, forse? E per dire cosa?
Che c’era stato un equivoco? Che io ero solo una povera impiegata deficiente e
sfigata e che avevo addosso un vestito che non sapevo da dove venisse quindi
non dovevano fermarsi all’apparenza perché in realtà ero pura e innocente come una
carmelitana scalza? Che ero solo una cerebrolesa sfigata cronica e che per
questo avevo bisogno del programma di protezione testimoni, possibilmente dopo
un doveroso pellegrinaggio a Lourdes con immersione totale in acqua benedetta?
Ero ancora aggrappata al bancone della reception, ingobbita
e rigida come un tronco di ulivo quando una voce impaziente mi è arrivata alle
spalle.
“Non dovevi andare in bagno, tu?”
Era Li. Avrei dovuto capirlo dalla faccia di Labbrona, che tutto
d’un tratto aveva sporto le labbra in fuori rischiando di inciamparci sopra e
aveva strinto gli occhi in due fessure ammalianti.
Bene: visto che Li era arrivato dovevo coraggiosamente
girarmi verso di lui e dirgli che c’era stato un piccolo errore… Io cercavo un
PR giapponese e avevo trovato lui; il misunderstanding era plausibile, no?
Dopotutto, quanti dannati giapponesi potevano trovarsi equamente divisi tra il
Semiramide e l’Artemide quel venerdì mattina?!?! Comunque, lui non era il PR
che io stavo cercando e io non ero la puttana che lui stava aspettando. Certo,
il nome Luana d’Angelo avrebbe tratto in inganno chiunque… ma comunque non ero
un a puttana. Nemmeno volendo avrei potuto esserlo: ho l’impeto del vomito
troppo sensibile agli stimoli visivi. E alle puzze: come sento odore di sudore
stantio, blah! ho già rigettato la cena. Quindi spiacente, non potevo
accogliere Ekekazo e la sua, ehm, delegazione. Semplice, no?
Avrei generosamente sorvolato su una certa pistola che lui custodiva
al calduccio sotto l’ascella, ovviamente… sperando che sorvolasse anche lui.
Dubitavo che sarebbe finito tutto con una semplice stretta di mano e tante
scuse, ma che alternative avevo…? Mi sono girata verso Li lentamente,
spaventata come non mai: lui mi ha guardata con quel suo sguardo da sogno
erotico, inclinando la testa di lato e facendo quel suo sorrisino sghembo.
Invece di farmela sotto dalla paura, mi ha ceduto l’aorta come se niente fosse
e ho capito in quel momento che non sarei riuscita a dire a Li la verità: non
mentre mi guardava così, non mentre il mio cuore ballava il mambo bruciando per
il suo sorriso. Merda secca, mi ero dimenticata di essermi innamorata di lui… di
un pappone giapponese con la pistola!!
Altro che colpettino di malasorte, quel venerdì 17 si stava
dimostrando un vero e proprio tsunami di sfiga!!!
“Stai male?” mi ha chiesto Li posandomi premuroso la mano
sul braccio.
Io ho avuto un brivido e avrei tanto voluto dire che era per
via del fatto che con quella stessa mano aveva toccato la pistola, che era
stato un brivido di paura… invece ero lì lì per sbavare come un Labrador dall’eccitazione.
Dannati ormoni: non si erano ancora resi conto che non potevano agitarsi per
Li? Che lui era
A)un giapponese
B)un pappone
C)il proprietario
di una pistola
quindi era
a)giallo
b)pericoloso
c)molto
pericoloso!!
“Io… sì… no… un po’” ho risposto balbettando “Ho bisogno di
bere.”
Sante parole: le prime e uniche della giornata!
“Vieni.” mi ha detto Li sorreggendomi delicatamente: Dio,
che tiepida e leggera meraviglia quella sua mano sulla schiena… avrei varcato
le porte dell’Inferno, sorretta così da lui. Chissà che non lo stessi davvero
facendo.
“Cosa prendi?” mi ha chiesto Li quando siamo arrivati al
bancone del bar; io ho appoggiato una fettina di chiappa sullo sgabello e lui,
grazie a Dio, ha lasciato la sua mano sulla mia schiena.
“Una grappa.” ho risposto di riflesso: la grappa è sempre
stata la panacea universale di mamma e nonna, nei momenti catartici. Li ha
rispolverato il suo fedele amico Sopracciglio Altezzoso prima di passare
l’ordinazione al barman. Quando mi sono trovata col bicchiere in mano, ho
ingoiato la grappa tutta d’un fiato, deglutendo prima di rischiare di spruzzare
quella robaccia in faccia allo scettico pappone: sono diventata color porpora,
poi grigiastra a chiazze cerulee tipo alopecia sparsa, passando da un bel viola
cardinalizio. Alla fine ho connesso di nuovo l’apparato digerente al resto del
corpo, ansimando dal naso come una locomotiva a vapore.
“Va meglio?” mi ha chiesto Li fin troppo dolcemente.
“Alla grande” ho sfiatato io con la voce di Sandro Ciotti
“Senta, signor Li… di preciso… tornando alle domande di prima… cosa, ehm, cosa
dovrei fare con la… ehm, delegazione nipponica?”
Tanto valeva sapere di che morte dovevo morire, no?
“Il solito” ha risposto prontamente Li “Senza strafare,
perché dopotutto si deve parlare di affari.”
“Il solito.”
Chiaro, no?
“Niente lavori sotto il tavolo, niente tette al vento,
niente chiappe in faccia.”
“Oh.” ho sospirato tremula: tette al vento…?
“A Ekekazo però piace la lap dance: come te la cavi?”
Lap dance? Ha detto proprio… lap dance?
“V-vuole dire, ehm… col palo?”
Ecco che saltava fuori il famoso palo di Doralis. Stronza
brasiliana premonitrice!
“Col palo.” ha confermato Li sorridendo.
Io sono tornata bianca come un lenzuolo candeggiato.
“Vuoi un’altra grappa?” mi ha chiesto Li disinvolto,
massaggiandomi la schiena con quella sua mano maledetta e provocante.
“Magari col ghiaccio.” ho gracchiato io agitando un braccio
per attirare l’attenzione del barman. Il quale, ovviamente, non mi ha
considerato nemmeno di striscio: poi Li ha alzato il suo dito satellitare e
paf!, il barista era già davanti a noi con la bottiglia di grappa in mano.
“Allora, per la lap dance?” si è informato Li quando ho
ingoiato vivo il secondo bicchiere di grappa, proprio mentre cominciavo a
sentire il gargarozzo che si anestetizzava.
“La lap dance.” ho ripetuto io gracidando come una rana
nello stagno.
“Già.”
Ballare. Concetto alieno assolutamente non applicabile al
mio apparato muscolare…
Avrei dovuto dire a Li che io non ballo. Avrei dovuto
informarlo che il mio modo di ancheggiare somiglia a quello di un cubo di
travertino e che nemmeno un bradipo con antenati mammut risulta più goffo di me
sulla pista da ballo. Figurarsi avviluppata a un palo come un’edera rampicante…
il solo pensiero mi faceva ghiacciare lo stomaco.
“Magari non subito.” ho tentennato incerta.
“Sì, forse è meglio” ha commentato Li cogitabondo “Ekekazo
ci mette un po’ a carburare e sicuramente fino alla fine del pranzo non si
degnerà nemmeno di aprire bocca. Dopo pranzo, potrai fare la lap dance…” e qui
ho ingoiato la terza grappa d’un fiato come fosse chinotto “E mi raccomando,
non farli scalmanare troppo… Bonanno li vuole lucidi per l’incontro.”
“Non c’è problema.” ho ragliato convinta: far scalmanare
qualcuno, come no. Era più probabile che cadessero tutti in crisi narcolettica nel
vedere me appesa a un palo… e comunque chi diavolo era Bonanno? Il
corrispettivo di Sandro in quell’orrorifico universo parallelo? E che dovevano
fare quei due gentiluomini durante l’incontro? Giocare alla morra cinese?
“Per curiosità, quale sarà l’argomento portante
dell’incontro?” ha chiesto la mia voce a tradimento.
Li mi fissava serio, con la bocca da Johnny Depp
imbronciata.
“Non credo che la cosa ti riguardi.” ha detto sostenuto: avrei
dovuto ricordarmi che stavamo parlando di me come una ballerina di lap dance,
ma assurdamente io non potevo far altro che guardargli ancora la bocca e pensare
a mille e uno modi sconci per utilizzarla. Doveva essere colpa della grappa che
stava lentamente entrando nel mio sistema circolatorio.
“Ehm.” ho buttato lì cercando di non arrossire.
Cosa che mi è riuscita malissimo, anche perchè la mano di Li
continuava a sostare tranquilla sulla mia schiena mandandomi a fuoco la colonna
vertebrale e tutte quante le ghiandole endocrine.
“Concordo perfettamente.” ha mormorato Li increspando la
bocca e scatenando così una nuova ondata di fantasie perverse: il barista mi ha
versato comprensivo l’ennesimo bicchiere di grappa che io ho bevuto d’un fiato
nonostante l’odore cominciasse a darmi un vago senso di nausea.
“Non stai esagerando con le grappe?” mi ha chiesto Li
severamente “Le stai mandando giù peggio di un camionista e i tuoi occhi
sembrano sempre di più quelli di un gufo impagliato.”
La grappa cominciava finalmente a sostituire i globuli rossi
nel sangue e l’effetto di calore diffuso era così piacevole che mi sono trovata
a parlare senza nemmeno sapere di farlo.
“Lo sapeva che la larghezza del viso deve essere quattro
volte quella del naso?”
“Come?” ha chiesto lui educatamente.
Io ho guardato Li con aria un po’ sorpresa, chiedendomi come
avesse fatto la grappa a prendere possesso delle facoltà motorie della mia
bocca in così breve tempo.
“L’altezza della fronte, la parte inferiore del viso e la
lunghezza del naso devono essere uguali” ho continuato poi con la voce
rarefatta di un documentarista navigato “Nel rinascimento si preferiva una
bocca con un rapporto di 1,5 rispetto alla larghezza del naso, mentre oggi il
rapporto preferito è 1,6… secondo lei è per colpa delle labbrone di Angelina
Jolie?”
Li mi ha fissato con la faccia seria e gli occhi che
ridevano: bello di una bellezza da spezzare il cuore, ammaliante.
“Ammetto di non aver mai ponderato approfonditamente la
questione.” ha risposto con voce seria.
“Invece per i volti maschili sono considerati attraenti la
simmetria delle punte superiori delle labbra e la simmetria del naso, oltre
alla possibilità di dividere il viso in tre parti verticali uguali.” ho proseguito
io imperterrita, sicura di stare per avere un aneurisma.
“Interessante” ha commentato Li senza trattenere un sorriso
“E come mai pensi che io debba essere erudito su tutto ciò proprio adesso?”
“Perché non me lo spiego” ho risposto io rannuvolata “Il suo
viso non rispetta una proporzione che sia una. Ha gli occhi a mandorla, quindi è
tagliato fuori a priori dai razzisti canoni rinascimentali; ha il naso piccolo
e la bocca grande; ha gli zigomi troppo alti e il sorriso storto.”
“Un vero mostro” ha commentato Li freddamente “Quasimodo
sembra Brad Pitt a confronto.”
“E allora come lo spiega?”
Li è sembrato preso in contropiede.
“Cosa spiego cosa?”
“Mi spiega come fa a essere lo stesso l’uomo più bello che
io abbia mai incontrato?”
Li è rimasto in silenzio, sempre con la testa inclinata, la
bocca imbronciata e negli occhi quella irresistibile espressione un po’ curiosa
e un po’ triste. Per un attimo, ma doveva essere un sogno, mi è sembrato che la
sua mano premesse un po’ più forte sulla schiena… la sua mano tiepida, asciutta
e deliziosa… ma è stato solo un attimo, poi l’ha tirata via quasi a malincuore.
“Io non ti capisco” ha sospirato “Cosa ci guadagni?”
“A fare che?” ho chiesto io confusa: non mi piaceva affatto
stare in piedi senza la sua mano sulla schiena: mi sentivo nuda e indifesa.
“A farmi gli occhi dolci” ha risposto Li lapidario “Io sono
solo l’intermediario, il procuratore di incontri; non valgo un cazzo. E comunque,
se vuoi un consiglio, non credo che questa tecnica possa funzionare, né con Bonanno
né con Ekekazo.”
“Tecnica?” ho chiesto io: stranamente, cominciavo a vedere i
contorni delle cose indistinti e tremolanti.
“La tecnica dell’agnellino sperduto. Quei due non vogliono
agnellini; se li mangiano a colazione con tanto di pelo bianco.”
“Io non sono un agnellino.” ho protestato debolmente: un
agnellino è armonioso e tenero, io sono disarticolata e sgraziata… modello gnu,
tanto per intenderci.
“O lo sei o lo fai. Ma l’agnellino non va per la maggiore in
questo ambiente: per continuare la metafora della vecchia fattoria, direi che quei
due possono apprezzare qualche pecorina, ogni tanto, ma preferiscono di sicuro le
vacche. Capito?”
“Tak. Signor Li?”
“Sì?”
“Mi rimette la mano sulla schiena, per favore?”
Li si è masticato l’interno delle guance per un po’ e
sembrava indeciso se prendermi a sculacciate o farmi fare cavalluccio.
“Maledizione.” ha detto alla fine: però mi ha rimesso la
mano sulla schiena, attirandomi a sé e io ho potuto posare la testa sulla sua
spalla e annusare il suo profumo.
“Grazie.” ho sospirato grata: era un po’ che non glielo
dicevo, no?
“Sei per caso ubriaca?” ha borbottato Li burbero “O drogata
o affetta da qualche psicopatia?”
“No” ho risposto in un sospiro “E’ solo venerdì 17.”
E mi sono accomodata meglio con la fronte contro la sua
spalla: mi sentivo come a casa.
* * *
Sarei rimasta lì per sempre: l’odore della pelle di Li era qualcosa di
scandalosamente buono, speziato e così sensuale che faceva venire l’acquolina
in bocca… se fossi stata anche solo un pelino più bevuta l’avrei leccato come
un cono gelato.
“Cosa stai facendo?” mi ha chiesto Li con voce scura di
rimprovero.
Ho socchiuso gli occhi e mi sono accorta che gli stavo
leccando davvero il collo. Ok, ero ufficialmente sbronza!!
“Mi scusi!” ho sfiatato in fretta riprendendo almeno
momentaneamente le redini dei miei muscoli facciali “Io… sono costernata!”
Li mi ha allontanato con fermezza pressando le labbra in una
linea dritta e richiamando all’ordine Sopracciglio Altezzoso.
“Luana, è inutile che ci provi con me” ha detto freddo come
un orso polare “Se in taxi ti ho baciata era solo per provare la merce, sia
chiaro.”
Ah, ecco. Avrei dovuto capire che quel bacio da urlo era
solo un test sul prodotto… come quei cubetti di mortadella infilzati dagli
stuzzicadenti che ti offrono in salumeria. Una bella voragine di vergogna sotto
i piedi era esattamente quello che ci voleva!
“Certo” ho risposto in fretta, ma sentivo il mio mento che
tremava per i fatti suoi e di colpo ci vedevo appannato come in piena nebbia in
Val Padana “Mi scusi.”
Li mi ha guardata con quella sua solita seria aria di
rimprovero, di nuovo indeciso tra le sculacciate e il cavalluccio.
“Perché, cosa pensavi che fosse?” mi ha chiesto sospettoso.
Niente. Solo un bacio. Anzi, solo il Bacio. Quello da tirare
fuori nei momenti di sconforto, da ricordare con tiepida nostalgia rannicchiata
sotto le coperte in un giorno di pioggia; il Bacio su cui tu, dannato pappone
cinonipponico, potevi anche lasciarmi sognare un po’ prima di demolirne il
ricordo con la brutale realtà. Solo quel Bacio, ecco.
“Ho una cosa dirle” ho sfiatato con voce liquida “In verità
io non…”
In quel momento è arrivata la delegazione nipponica.
NOTE DELL’AUTRICE:
Ellemyr: Ma se pubblico molto più velocemente di
quanto scriva!! Sono sempre in ritardo con le scadenza, la mia povera e adorata
Beta Romina non sa più che pesci pigliare con me!! Eh, queste case editrici… s
ene trovi una disposta a pubblicarmi, fammi un fischio, sarebbe un sogno poter
vivere scrivendo… troppo bello per essere vero, appunto. Uff!! Bacioni, a
presto!
Maharet: Quale strano e perverso ragionamento ha
portato Li a baciare Lu? Beh, donna: quando mai si bacia ragionando?!?! Personalmente
non faccio niente ragionando, ma baciare, dai, meno che meno… comunque, mai
sentito neanche io che qualcuno chieda scusa, dopo, è per questo che ho usato
subito l’idea!!!
78kira: Da dove pesco le mie idee? Oddio, che domanda
pericolosa: posso rispondere a quella sulla scissione dell’atomo, invece? Non
ho seguito il telefilm che hai menzionato, anche se ho capito qual è: comunque
sia, grazie infinite per il paragone! Fosse vero!!
Moonwhisper: Eh, fosse vero che riesco a far spargere
colazioni sui tappeti alle mie lettrici… ma no, non sono così brava. Forse sono
così TERRIBILE, ma non così brava. Scusa se insisto col discorso, ma adoro la
tua storia e vorrei davvero tanto che tu fossi un filino più solerte nel pubblicare
i tuoi scritti. Tipo, un capitolo al giorno, può andare? Ma sì, và. Comunque,
sempre grazie, sono onorata e ammirata e (ecc)…ata di avere una fidanzata come
Heidi. La amo tanto e mi manca (zob!). Quando ti rivedrò, mio amor…?
MabyChan: E i son detta: ma guarda te, quella che ha
lasciato la recensione per geometrie coi cuoricini!! Qual buon vento!
Complimenti immeritati, sei troppo buona. Dio, non che mi faccia dispiacere!!
Continua pure a mentire indefessamente, la cosa mi aggrada. A presto, spero,
ciauz!!
Kyaelys: Ma il tuo tizio biondo di Mont Saint Michel…
è francese? Perché coi franzosi ho una sorta di strano amore/odio: in genere,
li prednerei a baguettate in testa per il loro ascento da manjaranè, ma se mi
dici che per il tuo vale la pena… manda qua, che leggo io!! Baci baci (p.s.:
niente diabete, continua pure!!!!)
Piccola dea: Sono felice che Ekekazo abbia riscosso
tanto successo. E dire che io mi sentivo così deficiente… non riuscivo a
smettere di pensarci, ogni tre per due mi dicevo “E che cazzo, Ekekazo!” e giù
a ghignare, come una demente. Finita la ff ti mando Li a guardianare il tuo
corpo, ti va?;-) Bisous!!
Londonlilyt: Ogni cosa viene rielaborata nella mia
mente… ho una sorta di impastatrice nella scatola cranica, entra tutto quello
che vedo/sento/assaggio/annuso/tocco/percepisco ed escono… biscotti, di solito.
Un bacio pralinato e uno chimico, dolcezza! P.S.: Ma l’hai rivisto quel tizio
di Camden…?
Rik Bisini: Sai perché DAVVERO i maschi delle mie ff
hanno tanto successo?Perchè non esistono. Per quanto li imbottisca di difetti
e/o armi fino ai denti, sono innocui come agnellini perché basta chiudere la
pagina e non ci sono più. Eh, averceli dei maschi così J E delle femmine, mi sa. Sempre grazie per la fine “setacciatura”,
nonostante l’infimo livello neuronico… un saludos!!!
Suni: Ho coniato uno slogan per te!! Suni, non ci
sono paraguni!! J Come, l’hanno già
usata…? Con la U? Sei sicura? Allora niente. E io che credevo… sob. Scusa, la
vena artistica è un po’ secca, ultimamente. Speriamo in una ripresa… grazie
come sempre, alla prossima!!!
__Miriel__: Come si suol dire, non c’è limite al
peggio!! Nella vita, come ha detto fin Luana stessa, “si raggiungono vette di
iattura che voi umani…” ecc ecc ecc. No, povero Li, perché lo vuoi calciare? E’
solo un onesto pappone, porello…
Unintended: Ehm… alla Yakiza come ci sei arrivata? Uff,
volevo che fosse una sorpresa!!!! Così non vale, piantatela di fare congetture
azzeccate, o sembra che vi freghi le idee!!! Non sarebbe affatto professionale,
ne va della mia reputazione, perbacco e poffarbacco! Comunque sia, grazie,
dolcezza..;-)
Nisibella: Mitoki mi piace. Ha un che di sanitario,
di mitosi e osmosi… è bello!! E così, Mitoki Ekekatso (ma ormai sono partita
con la z finale, dovrò continuare così!!) ti porge i suoi più sinceri saluti. E
io mi accodo, mia sensei che più sensei c’è solo la maestrina dalla penna rossa
di Cuore. Ti spalmo di crema alla nocciola, allora, così siamo felici entrambe.
Mille baci, mia cara!
Krisma: Teo, saputa la tua preferenza, si è infilato
in fretta una camicia spumeggiante color malva, si è sparato in vena due
bombolette di lacca ed è corso sgambettante verso al porta… ma dove abiti di
preciso? Intanto parte con la Multipla, ma non so bene dove arriverà… grazie
per aver notato Labbrona: è stata ignorata dai più, e dire che il suo
personaggio è così complesso e ricco di sfumature… ehm. Beh, ancora grazie, un
bacione dal bocciolo!!
Eilinn: Io sadicissima!! Come ti permetti!! (aspetta
che nascondo sotto lo zerbino il cilicio di vernice nera…). Beh, solo un
filino, dai. Quel tanto che basta. E poi sai che alla fine esce sempre il mio
cuore d’oro e le cose si mettono a posto. Alla fine. E non sempre. Beh….
Vedremo! Intanto, baci sparsi, tesoro!
Lauraroberta87: E’ vero, sei un genio. Un filino “sui
generis”, psicolabile e sconcertante, ma d’altronde, quale genio è una persona
normale? Non posso produrre la documentazione fotografica di Mariolone il
Pitone perchè è timido e queste cose lo sconvolgono. Non come il tuo Gaetano il
Pakistano… non diventate troppo intimi, eh, sennò sai che divento gelosa!! Buon
studio, mi amor…
Zerby: Effettivamente, Lu è rimasta solo perché il
suo cuore ha pensato bene, del tutto a sproposito, di innamorarsi del nippo.
Come dire, scene di vita vissuta: se c’è un tizio sbagliato in giro, me ne
innamoro io. Gratias por los complimentos, un besito!!
Thia: Avevo pensato anche io di far fuggire la povera
Luana… in fondo sono una persona di buon cuore… ma alla fine ho pensato che è
più divertente lasciarla fumigare nel guano!! E comunque, credo che il mio
record di figura di mmmm… rimarrà ineguagliato!! Se vuoi ti spiego pure perché…
Aki_penn: L’onore è tutto mio per ricevere la tua
recensione!! J Però ammettiamolo, è
ancora presto epr tirarci fuori dai casini… siamo ancora in fase “penetrativa”,
non so se mi spiego… Baci baci!!
Recensione di moonwhisper, fatta il 08/06/2008 - 02:45PM sul capitolo 5:
Capitolo 4 - Firmata
Io ho avuto di nuovo un attacco di colite e avrei preferito
mille volte dovermi aggrappare a un water fronte/retro piuttosto che incontrare
quel simpaticone di Ekekazo, ma a quel punto era decisamente tardi. Mi sono
girata lentamente, quasi al rallentatore: dall’ingresso stava arrivando un
piccolo e compatto gregge di gnomi grigiastri verso cui Li si diresse con passo
elastico e tranquillo. “Irassyaimase*” l’ho sentito dire e a quel punto è
cominciata una gara di inchini brevi e secchi che è durata per tutte le
presentazioni ufficiali.
Poi Li si è girato verso di me e mi ha fatto cenno di
avvicinarmi: se avessi indossato le mie Superga e avessi avuto meno grappa in
corpo, sarei schizzata via ululando peggio di Beep Beep inseguita da Wile Coyote;
così invece, semisbronza e arrampicata su quei tacchi assurdi, mi sono
avvicinata alla delegazione, intera e rigida come se avessi avuto una fabbrica
di scope infilata nel retto. Con lo sguardo appannato ho visto che davanti agli
gnomi grigiastri c’era uno gnomo grigiastro particolarmente gnomo e
particolarmente grigiastro: Li mi ha indicata a lui con voce morbida e modi
educati e lo gnomo ha risposto con brevi e secchi movimenti scattosi, come
quelli di un uccellino meccanico. Eccolo lì, il famigerato Ekekazo: quando gli
sono arrivata davanti l’ho guardato spaventata, come aspettandomi una sorta di
Hitler itterico con gli occhi a mandorla; in realtà Ekekazo era un tipino
piuttosto anonimo. Pesava si o no due etti, aveva si e no due capelli in testa,
mi arrivava sotto l’ascella nonostante il mocassino con tacco rinforzato e i
suoi denti sembravano tante tessere giallastre del domino sparpagliate a caso
nella sua bocca. Sembrava una piccola e grigia cocorita in gabbia, capace solo
di arruffare le penne ed emettere striduli versi da pennuto. Normalmente lo
avrei a malapena giudicato insignificante: sapendo però che avrei dovuto
esibirmi in una lap dance solo per lui, mi è sembrato orribile e spaventoso
come un Alien a tre teste. Ekekazo deve aver intuito qualcosa dalla mia
espressione terrorizzata perché si è tastato rapidamente la faccia, come per
accertarsi di non avere brandelli sanguinolenti sparsi sulle guance o
supercaccole penzolanti dal naso; poi si è esibito in un nuovo show di inchini
che ho imitato di riflesso, rigida e cigolante come l’uomo di latta.
“Ehm, come butta?” ho gracidato alla fine con voce
inopportunamente catarrosa.
Ekekazo e Li mi hanno fissato con i gemelli Sopraccigli
Altezzosi bene in alto.
“Kore wa kanojo desuka.*” ha borbottato Ekekazo dubbioso.
Li ha mormorato qualcosa di estremamente rassicurante e io
ho annuito, tentando un sorriso che sembrava il prodotto di una ischemia
cerebrale.
“Honto shioutsu desuka.*” ha chiesto di nuovo Ekekazo, per
niente convinto.
Li mi ha lanciato un serio sguardo di rimprovero.
“Potresti almeno collaborare un po’?” mi ha detto con un
tono gentile che non avrebbe ingannato nessuno.
“Devo dirle una cosa molto importante.” ho mormorato
querula.
Lo sguardo che mi ha lanciato Li avrebbe incenerito una
foresta.
“No.”
“Ma…”
“Niente ma. La cosa me la potevi dire prima o me la puoi
dire dopo, gioia, ma non adesso. Adesso c’è Ekekazo e tu devi sorridere e
mostrarti felice e compiacente come se lui fosse l’uomo più bello e sexy del
mondo, sempre se non preferisci ritrovarti appesa a un gancio in una cella
frigorifera piena di quarti di manzo… mi sono spiegato?”
*
* *
Si era spiegato bene, Li. Così bene che, complici l’idea
della cella frigorifera piena di quarti di manzo come nel film di Rocky Balboa
e la damigiana di grappa che mi circolava in corpo, sono persino riuscita a
fare quello che mi aveva chiesto, e cioè sorridere e mostrarmi più sciolta. Da
lì in poi ho avuto una specie di KO tecnico e ho un ricordo nebuloso dello
svolgimento del pranzo; ricordo solo fiumi di sake e champagne e tanti inchini
da parte degli gnometti sempre meno ingessati e sempre più sorridenti. Ekekazo,
la cocorita arruffata, aveva deciso che gli piacevo: sorridendo con le tessere
del domino tutte storte, mi aveva voluto a sedere vicino a sé e a metà pranzo
circa mi aveva infilato una manina da gnomo intorno alla vita (si era anche
appoggiato con l’orecchio al mio seno destro, ma forse quello non era
intenzionale). La delegazione si era sbrinata man mano che si sbrinava il suo
presidente: all’inizio erano tutti così compatti e silenziosi che mi facevano
quasi pena. Così impacciati, così timidi… così vecchi. Che tristezza per quei
poveri gnomi grigiastri, ho pensato in uno slancio di alcolica pietà.
Naturalmente era solo l’effetto grappa (divento sempre molto generosa e
altruista, quando mi ubriaco), ma almeno sono stata capace di sorridere e
tubare con Ekekazo, zelante come una apprendista infermiera. A un certo punto
lui mi è venuto ancora più vicino e se fossi stata sobria avrei rigurgitato
anche la colomba di Pasqua nel sentire la sua mano lasciva che si posava ben in
alto sulla mia coscia; nel mio delirio alcolico, invece, ero ancora piena di
sacra compassione cristiana e gli ho sorriso materna e incoraggiante. Insomma,
a quel punto ero inequivocabilmente sbronza marcia come un marinaio.
“Al presidente sono simpatica.” ho confidato a Li di punto
in bianco con vaga aria di sfida: l’unica cosa che disturbava il mio
altruistico e alcolico buonumore era l’espressione cupa del mio bel pappone
vestito Armani.
“Al presidente sono simpatiche le tue tette.” ha
puntualizzato lui con garbo.
“Non è vero” mi sono offesa senza nessun motivo “E’ che lei
è prevenuto sull’argomento e non è in grado di apprezzare l’armonia che si crea
in un incontro tra due etnie diverse.”
Li e il suo sopracciglio hanno commentato in silenzio mentre
la mano di Ekekazo saliva ancora più in alto sulla mia coscia, sbugiardando le
mie parole e attivando finalmente i miei sopiti sensori antistupro.
“Che sta facendo?” ho chiesto severamente a Ekekazo che
continuava a sorridere con aria decisamente allupata.
“Credo che voglia verificare la questione delle etnie.” ha
spiegato Li neutro.
Io ho tolto con decisione la mano di Ekekazo dalla mia
coscia, lasciandolo vagamente perplesso.
“Mi scusi, ma la mia etnia non è in mezzo alle gambe.” ho
muggito spremendo le labbra in fuori.
Ho visto Li arricciare il suo nasino come se si fosse
accorto in quel momento che mandavo un forte odore di Taleggio stagionato;
fortunatamente, Ekekazo si era distratto in contemplazione delle mie tette e
non aveva colto la mia ultima affermazione.
“Luana, sta attenta a quello che fai.” ha solo mormorato Li,
con intenzione.
“Si rilassi” ho mormorato sognante “Il presidente vuole solo
essere mio amico.”
Poi per comprovare la mia ipotesi, raccogliendo a raccolta i
residui di grappa presenti nel mio organismo, ho messo la mano sulla spalla di
Ekekazo e gli ho fatto pat pat, con franca amicizia. Non so in giapponese come
si interpreta normalmente un gesto del genere: Ekekazo deve aver capito male
perché ha sogghignato e ha cominciato a palparmi il fianco con decisione. Li mi
ha guardato con una faccia così scura che sembrava gettare un’ombra sotto. Non
mi piaceva affatto la sua faccia: era così ostile e fredda.
“Perché mi guarda così?” gli ho chiesto, non del tutto
consapevole di emettere suoni di senso compiuto.
“Perché sei incredibile.” ha risposto Li con voce pacata per
non allarmare la delegazione.
“Non capisco.” ho ammesso sfiatata: già mi mangiavo le
parole, ancora un po’ e avrei cominciato a barcollare come una ballerina zoppa…
“Prima fai tutta la timidina e sembri pronta immolarti pur
di difendere la tua virtù; poi un attimo dopo sembri la sorella porca di Moana
Pozzi. Sei incredibile, ribadisco. O schizofrenica, ma il risultato non
cambia.”
Piena di grappa come un otre, non ho potuto fare a meno di
incavolarmi.
“Me lo ha chiesto lei di essere più collaborativa!” ho
protestato lamentosa “Si ricorda, la faccenda del quarto di manzo nella cella
frigorifera?”
“E’ vero” ha risposto Li aggressivo “Te l’ho chiesto io.”
“E allora perchè si è arrabbiato?”
“Non sono arrabbiato.” ha risposto lui, ed era palese che
fosse davvero arrabbiato: non ho potuto ribattere perché in quel momento è
arrivato Bonanno.
*
* *
C’è stato un movimento tra le fila degli gnomi e io, con la
mia vista annebbiata, ho potuto vedere cosa li aveva distratti; un compatto
branco di bovini pelosi si era materializzato a lato del tavolo. Davanti ai
bovini pelosi c’era un bovino peloso particolarmente bovino e particolarmente
peloso: Bonanno.
Non poteva essere nessun altro: tutto di lui era così
mafioso al 100% che sembrava quasi una caricatura di sé stesso: capelli neri radi
e bisunti, pelle olivastra, occhi porcini, panza sporgente, stuzzicadenti in
bocca e moquette di pelo che fuoriusciva dal colletto aperto della camicia.
Li si era alzato dalla sedia così in fretta che sembrava
l’avessero sparato; la cocorita invece aveva momentaneamente smesso di
massaggiarmi la coscia e fissava Bonanno con gli occhietti cisposi luccicanti e
diffidenti. Gli gnomi e i bovini si sono studiati a lungo guardinghi mentre
Ekekazo si alzava in piedi e iniziava un complicato rituale di inchini con
Bonanno (il quale si limitava appena a muovere la testa e a masticare il suo
stuzzicadenti). Dopo cinque minuti di convenevoli Bonanno e Ekekazo si sono
seduti e le due delegazioni si sono rilassate. A quel punto Bonanno ha ordinato
una bottiglia di Marsala, mi ha degnato appena di uno sguardo e ha chiesto se
c’era niente di più polposo; mentre cadevo di nuovo in una specie trance da
coma etilico ho visto arrivare Labbrona che si è seduta prima di fianco, poi
sulle ginocchia di Bonanno, che ha finalmente messo via il suo fido
stuzzicadenti per lavorarsi Labbrona con impegno.
“Di che affari devono parlare?” ho chiesto di punto in
bianco a Li, e a dire la verità non me ne fregava niente di niente, anzi, in
qualche nebulosa maniera ero quasi certa che meno sapevo meglio era, ma un
istinto infantile e dispettoso mi spingeva a cercare di irritare
Li-bocca-da-sbavo e il suo fido Sopracciglio Snob.
“Non sono cose che ti possano interessare.” ha risposto
infatti amabilmente Li.
“Un po’ lo sono” ho risposto io sorridendo a Ekekazo con
aria complice “In fondo, il presidente è appoggiato alla mia coscia, non alla
tua.”
Che argomentazioni del piffero… Li mi ha fissata
cogitabondo, masticandosi distratto l’interno delle guance.
“Ok, te lo dico” ha risposto infine “Sushi.”
Sushi?
“Salmone crudo con palline pressate di riso?”
“E salsa di soia.” ha aggiunto Li con aria estremamente
seria.
“Vuoi dire che la cocorita e il bovino devono parlare di
pesce?”
“Fauna più, fauna meno…”
“Mi stai prendendo in giro.”
“Senti da che pulpito.” mi ha risposto Li aggressivo e di
nuovo sembrava arrabbiato e triste: doveva essere stato l’accenno al pesce, ho
pensato distratta dalla cocorita che mi cinguettava intorno in maniera sempre
più pressante.
Stavo per continuare la conversazione (lo ribadisco anche se
era già più che evidente, l’unico motivo per cui ero ancora lì era vedere la
bocca peccaminosa di Li in movimento) quando Ekekazo nel frattempo mi ha
praticamente infilato un bicchiere di champagne nelle gengive e una mano sulla
chiappa destra; ho sussultato e ingoiato il vino in un colpo solo e in men che
non si dica Ekekazo e delegazione intera ridevano come matti.
“Yatta!*” ha gorgogliato Ekekazo strizzandomi la natica.
“Bene, è il momento della lap dance.” mi ha informato allora
Li con voce monocorde.
*
* *
Forse è stata la notizia o forse la strizzata o forse la
faccia di Li, seria, scura, bella e così dolorosamente reale che è riuscita
chissà come a svegliarmi da quella sorta di sogno ovattato. Di colpo ho sentito
la nausea crescere e gonfiarsi nel mio stomaco facendomi affiorare alcune
fredde gocce di sudore sotto il naso e sulla fronte.
“Devo andare in bagno.” ho annunciato con decisione.
Li ha inarcato appena mister Sopracciglio.
“Ok, ti accompagno.”
Con un gesto fluido e deciso si è alzato in piedi, ha
mormorato qualche parola gentile a Ekekazo e mi ha preso per un gomito. La sua
stretta era delicata ma lo stesso mi sono sentita al sicuro, come se mi avesse
abbracciata. Docilmente mi sono alzata in piedi e l’ho seguito, dondolando
malferma sui miei tacchi come una bambola rotta. Ci siamo diretti
tranquillamente verso il bagno e sembravamo sereni come sue amiconi che vanno a
farsi una passeggiata insieme. Li mi ha mollata solo davanti al bagno e si è
infilato le mani in tasca: aveva di nuovo lo sguardo triste e arrabbiato ma io
ero troppo terrorizzata per farci caso.
“Io allora ehm… dovrei andare in bagno.” ho ripetuto tentennante,
casomai il concetto non gli fosse stato chiaro prima di accompagnarmi proprio
davanti alla porta.
“Sicuro. C’è la tua roba dentro. Ti aspetto qui.” ha
risposto Li in tono piatto.
Magnifico. Così non potevo scappare! E poi cosa diavolo era
“la mia roba” nel bagno? Un set per torture sadomaso? Due copricapezzoli di
lustrini? Un pitone come quello della Godiva del cartellone? Prima che Li
potesse vedere l’angoscia sul mio viso, mi sono infilata in bagno chiudendo ben
bene la porta: su una sedia, in bell’ordine, c’era un vestitino di lurex grande
come un francobollo, un boa di struzzo e una parrucca bionda con uno sfizioso
taglio alla garconne. Eccola la mia roba, per dare il meglio di me nella lap
dance! Per poco non sono scoppiata in una risata isterica! Ho riaperto la porta
di scatto e ho beccato Li che origliava platealmente.
“Signor Li!” ho gracidato con voce meravigliosamente
catarrosa.
“Sì?” ha risposto lui senza fare una piega, anzi, tirando
fuori Mister Sopracciglio in tutto il suo snobistico fulgore. Chissà come e
chissà perché, mi è venuta un’idea.
“Io, ehm, avrei… dovrei chiamare un attimo in, rouch!,
agenzia ma ho, cof!, dimenticato il mio telefono a umhf, casa. Mi può, ehm…
prestare il cellulare un, cof!… secondo?”
Li mi ha guardato a muso duro, con la faccia di pietra e gli
occhi così neri e così belli che mi scavavano dentro dei crateri fumanti. Sotto
quello sguardo indagatore io sono arrossita; poi ho avuto una fase di
combustione spontanea seguita a sudorazione perniciosa; poi sono sbiancata,
sbattendo le palpebre come se ci avessi dentro tutta la sabbia dei Lidi
Ferraresi. Mentire non è mai stato il mio forte, lo ammetto…
“Va bene.” ha risposto alla fine Li tranquillo: mi ha
allungato il suo telefonino, un tripudio di tecnologia nipponica sottile come
una lametta da barba e leggero come una piuma.
Contemporaneamente, ha posato con decisione una spalla alla
porta, impedendomi di chiuderla come a dire: io, Mister Sopracciglio e Miss
Pistola Carica abbiamo pensato di origliare la tua telefonata, ti spiace? No,
vero? Ho preso il suo telefonino e in un impeto di rabbia gli ho girato
oltraggiata le spalle. La soddisfazione però è durata poco mentre il cervello
elaborava affannosamente un piano alternativo senza riuscire a produrre un solo
mezzo pensiero razionale.
“Allora?” mi ha sollecitata Li dalla porta.
Sono stata costretta a fare in fretta un numero di telefono,
il primo che mi è saltato alla mente. Dopo due squilli che mi hanno tolto
rispettivamente 10 e 25 anni di vita, qualcuno ha risposto.
“Pizzeria Grotta Azzurra.”
Merda! Avevo chiamato Pasquale, il mio pizzaiolo di fiducia
del giovedì sera; napoletano verace, sempre incazzato e ricettivo come un
tostapane di peltro.
“Ehm, ciao PASQUALE sono LUANA D’ANGELO.”
Che brava che sono stata: in tono professionale gli avevo
fatto capire chi ero e che lo conoscevo.
“Chi?” ha brillantemente muggito Pasquale. Forse dovevo
trasmettergli più enfasi sulle parole chiave?
“LUANA D’ANGELO. Senti, ti chiamo da un CELLULARE NON MIO…”
“Eammè chemmene futte?” ha risposto Pasquale con logica
inoppugnabile.
“Volevo specificare che non potrò esserci per il numero di
spogliarello stasera: sarò ancora IMPEGNATA qui al CORDA TESA.”
Ovviamente, la mente maschia di Pasquale si è incagliata
esattamente dove non doveva incagliarsi.
“Spogliarello? Ecchè, è uscita pazza? M’ha sconfuso cò sexi
scioppe?”
“No, no, PASQUALE, proprio te… non potresti, ehm, CHIAMARE
qualcuno a sostituirmi?”
“Senta, signorì, solitamente ‘ste cose mi fanno eccità
u’zanfirone, ma oggi c’ho mia suocera appresso e non è ancora arrivata ‘a
mozzarella di bufala; quindi, se vuole una pizza bene; Margherita, Capricciosa,
Quattro Stagioni, gliela faccio commo vuole, c’a pommarola fresca. Ma se vuoi
fare ‘a chatte erottica, nun me stia a scassà ammé e telefoni alla macelleria
di Benevelli dietro l’angolo. Vabbuò?”
“PASQUALE, tu DEVI CHIAMARE qualcuno a sostituirmi. E’ di
VITALE importanza che tu CHIAMI… qualcuno.”
Pasquale non è stato minimamente sfiorato dal mio tono
accorato di voce.
“Ué, signorì, con tutto l’rispetto, perché non vede un po’
d’annà a faugulo?”
E ha riattaccato.
Lasciandomi così, come una disperata aggrappata a quel
tecnologico e inutile pezzo di metallo, con gli occhi di Li che mi trapanavano
la nuca.
“Finito?” mi ha chiesto amabilmente il maledetto, con
cortesia trasudante scherno.
“Ehm… Sì?”
“Allora mi ridai il mio cellulare?”
Sporco avaraccio, ho pensato mentre meditavo febbrilmente su
che diavolo di numero è il pronto intervento dei carabinieri: 911? 112? 118?
1240? Radice quadrata di 3? Avevo la testa completamente incasinata tra la
realtà e CSI Miami. Perché certe cose quando ti servono non le sai mai?!?!?
“Luana?”
“Arrivo!” ho risposto stizzita componendo alla cieca il 112
e sperando con tutto il cuore che fosse il numero giusto.
Poi mi sono girata e ho camminato lentamente verso Li,
sperando che qualcuno del 112, chiunque fosse e qualsiasi cosa rappresentasse,
avesse un lampo di genio misto a compassione e capisse tutto, correndo
immediatamente a salvarmi. Ho chiuso la comunicazione nel momento in cui
passavo a Li il telefono: sudavo, avevo le guance color tamarindo, l’occhio
sbarrato di un cetaceo arpionato e il respiro corto di un moribondo di
polmonite.
“Tutto ok?” mi ha sorriso serafico Li, intascando il cellulare
senza guardarlo.
“Tak.” ho risposto in un singulto. Poi, visto che Li si era
spostato dallo stipite, gli ho sbattuto la porta in faccia con somma
soddisfazione.
NOTE DELL’AUTRICE:
* = Benvenuti
* = E' lei la ragazza?
* = Sei sicuro che sia davvero brava?
* = Brava!
Capitolone luuungo perché, forse, lunedì non gliela farò a
pubblicare quello nuovo: il week end sarò a Milano al concerto di (ehm…) Avril
Lavinge e poi a casa di amici in Piemonte… Ma ci proverò, gente! Oltre ai
soliti ignoti ringraziamenti per la mia meravigliosa beta ROMINA, ringraziamo
la dolcissima e cremosa NISIBELLA per la consulenza in lingua nipponica. I love
you entrambe, donne!!
Moonwhisper: Anche tu, come, me, possiedi un innato
senso delle proporzioni; anche tu, come me, tendi sempre all’equilibrio, al
nulla cosmico; quindi, domandone: anche tu, come me, mi vedresti bene
insieme a Johnny Depp, vero? Amo le tue descrizioni surreali. Ti trovo molto
affine, potrei pensare che abbiamo lo stesso modo di scrivere, se quello che
scrivo io fosse intelligente! Mille baci e ringraziamenji, joia, a te e a Heidi
(a Tom tutto il resto J)
Nisibella: Amore mio… sei tu che sprizzi tenerezza da
tutti i pori. E ti basta una parola sola. Si vede che c’hai la tenerezza
nell’anima! Baci bacioni anche a te, mia diletta, e anche a potatoman… smack!
Hebe: Innanzi tutto, grazie a te per avermi scoperta
(c’era un caldo lì sotto…). Secondly, grazia alla tua soror, che non hai
menzionato e che saremmo felici di ringraziare personalmente per
l’arruolamenji; terzuto, grazie per avermi reso edotta di un nuovo,
entusiasmante termine: ebefrenia. Lo amo. E amo te, grazie di tutto!!!
Lauraroberta87 : Così, siamo cadute con la spazzatura
in mano ? Mia cara… come ti amo. Almeno tu non mi lasci sola, in questa
valle di figure di merda a ripetizione. Per ringraziarti, ti mando un mio amico
olandese (sai che a me quelli troppo scuri non piacciono… preferisco quelli
della Cee J) che è molto valido. Sappimi dire, eh!
Evan88: Oh, sacre
blé! Parle-tu francais? Comme la vieille Fleur de Harrì! Mais je
t’aime avec tout mon coeur! Ok, fine dell’angolo poliglottide… prego,
smetterla di fare supposizioni suppostesche sul mio povero cinonippo. E’
frustrante sapere chel e idee migliori vengono a voi invece che a me. Uff.
Baci!!
Stella76: Dì la verità, sei invidiosa perché Luana si
è scolata la bottiglia di grappa… personalmente, sono cose che non faccio più.
Il mio fegato è diventato più “prude” di una zitella inglese di 80 anni…
spettacolo sexy, dici? Uhm. Ricordati sempre delle begonie…
Londolilyt: Ok, il tizio di Camden non era Li, ma non
era nemmeno così cessoso! A me piaceva. L’immagine del bradipo da te ventilata
è stata abbastanza da brivido… magari rivedo un po’ la trama, ehm. Baci
dovunque, bellezza, mi manca la tua risata!
Ellemyr: Oh, che meraviglia… il mio nome vicino a
parole come “intelligente” e “divertente”… un sogno che si avvera!! A dire il
vero, è un po’ che non mando la mia robazza alle case editrici: ormai mi sono
rotta di avere come risposta “Troviamo il suo scritto adatto alla pubblicazione
e col suo contributo di un milione di Euro potremmo…”. Come furoreggia sul
forum, ma va a cagher. Comunque grazie di tutto, joia!!
Rik Bisini: cinogiapponese non mi piace: preferisco
cinonipponico; o nippocinotico; o cinogiapponico. Adoro le mescolanze di razze,
per la prossima storia voglio inventare un ispanoslovacco o un ungarobelga…
bravo, bravo, ad avere sospetti… sei sulla strada giusta! ;-). Abbraccioni!
Unintended: Li ne sta prendendo sotto di tutti i
colori: pappone, mafioso, fumetto… poraccio. E dire che lui da grande voleva
fare il ragioniere!! Ekekazo e Bonanno sono un po’ la mia nemesi: adesso
vedrete… in attesa del palo (per la lap dance, non pensare male…) ti saluto,
dolcezza!!
Urdi: Atc, che peccato per la recensione perduta..
peccato per me che ho dovuto fare senza la mia dose di droga, chissà che cosa
mi sono persa! SOB! Un film delle mie storie, wow, magari… non sai cosa pagherei
per “vedere” Teo e Verena alle prese con certe erre rotolone, he he he…baci
baci!!
Eilinn: Sulla vera natura di Li, no posso esprimermi.
Conoscendomi, potrete aspettarvi di tutto, da un demone dagli occhi a mandorla
all’angioletto con tanto di aurea aureola. Grazie per i complimenti, sono un
vero toccasana!!! Sbaciuzz
Black_Moody: Oh, mia adoratissima savusilakka… non
osavo sperare in un tanto sospirato avvento, e invece eccoti qui, in tutto il
tuo biondo e flautistico splendore! Amore mio! Luce dei mie occhi! Aria che
respiro! E poi non continuo, perché Dieci aveva già rovinato abbastanza queste
esalazioni di puro liquame… Attendo documentazione fotografica dal
cinonipponico, e anche della tua exibition al Roxy bar, WOW!!! Mammina è fiera
di te! (pat, pat, pat…). Con imperituro amore, tua Elfie
Vulcania: Rispondo immantinente!!! Punto 1: Ovvio che
la camionata di mostriciattoli cino/nippo/italiani sia lo scopo finale di
Luana… Punto 2: Un po’ e un po’… Punto 3 : No comment, top secret (mi sento
molto international!! J) Se hai altre domante, non esitare, sono qui apposta!!
Aki_penn: Credimi, il fatto che abbia ubriacato Luana
va tutto a suo favore… da sobria sarebbe morta di vergogna!! Eh, come sono
buona!
MabyChan: Beh, ammettiamolo: i complimenti fanno
sempre piacere, anzi, nel mio caso possiamo anche parlare di linfa vitale J, ma
se fossi davvero brava verrei anche pagata per quello che faccio… invece sono
in bolletta come un macaco scalzo. Che tristessa, soB! Comunque grazie, amo i
tuoi cuoricini!
Chocolate fairy girl: Ero seriamente indecisa se far
succedere quello che doveva succedere prima o dopo il palo… credo dopotutto di
aver fatto la scelta più “clemente”. Tu che ne dici?!? Besitos!
Thia: Effettivamente, la fase penetratica non è
ancora finita… manca il colpo di grazie finale e, per chi mi conosce e sa di
certe begonie, può anche immaginare dove andrò a parare… sto diventando
terribilmente trash! Per equilibrare, la prossima storia sarà piena di merletti
e porcellane inglesi!!
__Miriel__: Manon che non ti voglio male!! Anzi, sono
piena di pace e amore universale, per voi miei adorati recensori. Vivo dei
vostri commenti, e dei vostri complimenti, lo ammetto… in parole povere, siete
la mia grappa!!
Natalie_S: Poooovera Lu! Non è scema, è che la disegno
così… no, scherzi a parte, la poveretta, oltre alal sfiga cosmica, ha anche
preso una travata micidiale per Li, ricordatelo… e quando c’è l’amore, tutto è
permesso!! Arigato!
Krisma: Provincia di Vicenza, acc!! Teo è partito
verso sud…quando l’ho trovato aveva già preso la Salerno/Reggio Calabria, non ti dico quanti moccoli con le erre rotolose ci ha rifilato! Ha
fatto dietrofront, comunque, quando arriva avvisami!! Un bacione dal bocciolo J
Zerby: Date della sadica a me, ma anche voi… sempre a
ridere per le disgrazie di Lu! Ormai ho quasi finito con le cattiverie: tra un
po’ comincia la risalita…
Finalmente sola. Io, la mia parrucca da pretty woman e il
mio vestito barluccicoso. L’impulso di scappare a gambe levate era diventato
improvvisamente impossibile da trattenere…
“Luana?” mi ha chiamata subito Li come intercettando una
sfasatura magnetica nell’aria: forse aveva usato quel suo dannato dito radar. O
forse aveva attivato Mister Sopracciglio in avanscoperta telescopica per
controllare la situazione. Ok, la grappa era ancora a livelli tossici nel mio sangue.
“Sì?”
“Hai bisogno di aiuto?”
Ci mancava solo quello.
“No no.” ho risposto, ma per sicurezza mi sono infilata il
vestito e la parrucca, mentre pensavo febbrilmente a come risolvere la
situazione. Non era proprio facilissimo, visto che avevo ancora il cervello in
guazzetto nella grappa, ma vedendo la finestra aperta un guizzo di attività
motoria ha infiammato i miei neuroni: potevo scappare dalla finestra!!
“Luana?” ha domandato di nuovo Li: cominciavo a pensare che
quel suo dannato dito fosse un po’ troppo ricettivo per i miei gusti. Dovevo
allontanarlo se volevo tentare il colpaccio.
“Sì, ehm… potrebbe portarmi un bicchier d’acqua?”
“Ti devo portare un bicchiere d’acqua in bagno?” ha chiesto
Li dubbioso.
Effettivamente…
“S-no, cioè… ho mal di testa. Ha mica un’aspirina?”
“Luana, apri la porta.”
Dito ricettore o no, il momento di darsela a gambe era
proprio quello: il problema era che il finestrino quadrato era tre metri sopra
la mia testa e si apriva solo di un pertugio basculante da cui sarebbe passato
solo il pitone di Godiva: ho provato lo stesso ad arrampicarmi sul lavandino,
rischiando di fratturarmi il femore perché, furbamente, non mi ero tolta i
sandaletti agopuntori dai piedi.
“Luana?”
Con un salto e qualche abile scossa epilettica degne di un
acrobata spastico, ero riuscita a far passare un braccio e un ginocchio,
segandomi le articolazioni sul bordo dell’intelaiatura.
“Uhmpf?”
“Cosa stai facendo?”
“Nieeeeeeenteeeee!”
Mi stavo bloccando!!
“Luana? Cos’è questo rumore?”
Era il mio culo che si incastrava nel pertugio, ma a lui
mica potevo dirlo, no?
“Lo sciacquone!” ho gorgogliato, intrappolata e annaspante
come una mosca avvinghiata alla rete del ragno “E’ difettoso!”
“Perché la tua voce è così soffocata?”
Diavolo d’un nipponico sospettoso!!
“Sto evacuando!” ho strillato frustrata con il telaio del
basculante che mi tranciava a metà la colonna vertebrale “A lei non capita mai
di avere la voce soffocata quando è compreso nello sforzo?”
Ero riuscita a far passare anche una tetta: con un ultimo
sforzo… se solo Li-Sommo-Supervisore-del-Defecazio avesse smesso di farmi il
terzo grado… Ho annaspato per un minuto buono con Li che misericordiosamente
taceva. Forse la mia storia dell’evacuazione era stata un po’ troppo…?
“Luana.”
La voce di Li mi ha congelata sul posto, appesa al
finestrino come un salame in stagionatura: vicina, troppo vicina per essere al
di là della porta… Con un occhio ho sbirciato affannata dall’altra parte: un
paio di metri sotto di me sul marciapiede, affiancato da un passante sbalordito
in k-way plasticato trasparente e dal di lui figlio a carico nel passeggino,
anch’esso doverosamente a bocca aperta, c’era Li.
Pugni stretti, bocca da Johnny Depp eroticamente
imbronciata, ombrello rosso con il logo del Corda Tesa e occhi a mandorla scintillanti
come fuochi d’artificio. Di rabbia, di frustrazione, ma anche di malcelato
divertimento.
“Signor Li.” ho sfiatato con voce querula, rinunciando a
lottare con il basculante.
“Allora? Dove pensi di andare?”
*
* *
Sembravamo il set per un servizio sul surrealismo
postmoderno: io mezza dentro e mezza fuori dalla finestra, col basculante a
sezionarmi il cranio e la parrucca bionda tutta di straverso; papà e figlio
passanti ignari con le bocche aperte in angeliche “O” di muti canti gregoriani;
Li con il piedino che batteva impaziente sul marciapiede; intorno, la normale
attività di un piovoso venerdì pomeriggio qualunque in periferia.
“Aiuto!” ho ansimato e lo dicevo un po’ a tutti perché
quella posizione mi stava decisamente tranciando le vertebre.
Prima che qualcuno potesse rispondere, il bambino nel
passeggino mi ha indicato con un dito grassoccio e ha gorgogliato felice:
”Goh!”
Sante parole, ho pensato affranta, ma il padre ha recepito
tutt’altro messaggio: come se il figlio gli avesse ordinato di infilarsi un
razzo nel retto, è partito spingendo il passeggino così forte che quasi faceva
le scintille, lasciandomi sola in balia del basculante omicida e di Li (che, a
giudicare dalla faccia, era ancora più omicida del basculante).
“Allora?” ha berciato infatti feroce.
“Ehm…” ho risposto io: non sarò sembrata brillante, ma in
quel momento, oltre al basculante, dovevo anche preoccuparmi del fatto che lo
champagne, la grappa e il sake, nonché i quattro mojitos che avevo ingurgitato
in compagnia di Ekekazo, stavano allegramente risalendo il mio esofago e si
trovavano ormai a gorgogliarmi in gola.
“Cosa?”
“Sto per vomitare.” ho sfiatato, grigiastra in faccia.
Li, di colpo, mi è sembrato quasi più preoccupato di me:
rapido ed essenziale, ha posato l’ombrello per terra, mi ha infilato le mani
sotto le ascelle e, con qualche appropriato grugnito, mi ha tirata fuori dal
finestrino. Ho avuto qualche difficoltà residua quando un sandalo mi si è
incastrato nella maniglia del basculante, ma alla fine ero di nuovo in piedi
sotto la pioggia, tutta acciaccata nel mio bel vestitino luccicante e quasi
spalmata addosso a Li. Il suo corpo era così solido, tiepido e confortevole…
sembrava fatto apposta per appendercisi addosso, per sentirsi al sicuro
nonostante la pioggia e la paura e il vomito e i tacchi agopuntori. Ma Li e il
suo Sopracciglio, evidentemente, non la pensavano allo stesso modo.
“Cosa cazzo pensavi di fare?” ha chiesto infatti scostandomi
bruscamente da lui con aria decisamente infuriata.
“Devo dirle una cosa.”
La sua faccia, stranamente, ha subito una metamorfosi
inaspettata: da furiosa e impaziente è diventata di colpo allarmata e fragile.
“Oh, no. Tu non mi dici proprio niente, gioia: tu entri
dentro e fai la Lap dance, punto e basta!”
“Non posso!”
Dio, che sollievo poter dire finalmente la verità! Però Li
non sembrava condividere affatto i miei stessi sentimenti.
“Non dire cazzate: puoi eccome!”
“Signor Li per favore” ho balbettato diventando color fango
termale dalla fifa e dalla nausea ma senza riuscire a fermarmi: ormai dovevo
assolutamente dire la verità… o quello o vomitare. O tutte e due le cose.
“Io… io non so come dirlo… dovevo farlo prima ma non potevo…
non riuscivo…”
“Non parlare… non dire niente! Entra e fai quello che devi
fare, ora!”
“Ma io devo parlare!! Non posso più tacere… sono sbronza e
ho paura… e non so ballare niente, nemmeno il ballo del mattone!”
“Taci!”
Ma stava per uscirmi, doloroso ed enorme come una felina palla
di pelo…
“Io non sono una b-b-ballerina di lap dance!”
Li mi è venuto addosso, quasi disteso contro di me che ero
indifesa con le spalle al muro: sentivo il suo profumo e la sua rabbia piovermi
addosso, bombardarmi di fuoco e minaccia.
“Lo so, maledizione!”
*
* *
Sono rimasta doverosamente shockata: lo sapeva?
“Come? Come?” ho mormorato interdetta.
“Lo so cosa sei.” ha risposto Li ancora più piano e, se
possibile, ancora più arrabbiato.
“Lo sa?”
“Sì. Porca vacca, lo so.”
Sembrava di colpo triste e stanco, come se fossi stata io a
spaventarlo e strapazzarlo.
“Lo sa” ho mormorato piano “E lo stesso mi ha portata qui…”
“Ho dei compiti da rispettare.” ha risposto Li con un amaro
sorriso storto.
Non sapevo se arrabbiarmi, prenderlo a sberle o baciarlo
(era così dannatamente sexy, nonostante tutto). O potevo anche vomitargli
addosso, che come opzione possibile era in giro già da un po’, ma non avevo né
il tempo né le facoltà mentali adatti per lasciarmi andare a una qualsiasi emissione
di liquidi.
“Allora mi aiuterà?” ho mormorato con una vocetta sottile
sottile, piena di speranza.
Li mi ha guardata a lungo, in silenzio.
“Vuoi scherzare?” mi ha risposto, incattivito come ancora
non lo avevo visto.
Neanche gli avessi proposto di far finire Ekekazo e
delegazione associata nella famosa cella frigo coi quarti di manzo!
“Signor Li, la prego!”
“Non posso.”
Come non poteva? Perché non poteva? Bastava chiudere gli
occhi e hop, la finta ballerina vera cerebrolesa sarebbe sparita nella pioggia
come in un numero di magia. Perché non poteva? Onore nipponico? Servizio
garantito al cliente? Chip sottopelle pronto a esplodere se disubbidiva?
“Perché?”
“Io aiutare te? Non esiste, gioia. Nemmeno in un universo
parallelo.”
“Ma io… io devo…”
“Tu devi entrare e ballare.” ha risposto Li lapidario.
Poi mi ha presa per un braccio e ha cominciato a trascinarmi
dentro. Io ho fatto un po’ di resistenza, ma tra i sandali, la pioggia e le
lacrime non è che fossi proprio come un partigiano.
“Signor Li…” ho singhiozzato accorata.
“Piantala di chiamarmi signor Li.”
“Ma…”
“Piantala, ho detto!”
Siamo entrati per la seconda volta al Corda Tesa, accolti
amorevolmente dal buttafuori armadiuto che aveva invero l’aria un po’
perplessa.
Sarà stata l’emozione di rivedere il cartellone con Godiva e
il suo pitone… sarà stato l’odore di moquette… sarà stato che ho visto da
lontano il tavolo con Ekekazo e Bonanno prontamente attrezzato con un bel palo
nel centro del tavolo… fatto sta che finalmente era arrivato: il vomito, tanto
temuto e minacciato nelle conversazioni tra me e Li, mi premeva sulla gola
facendomi affiorare perle di sudore sul labbro e sulla fronte.
“Signor Li, sto per vomitare…” ho pigolato piano mentre la
nebbia avvolgeva tutto intorno a me.
“L’hai già usata questa scusa.” ha ribattuto Li girandosi a
guardarmi, ma la mia faccia doveva averlo convinto che parlavo sul serio perché
si è fermato di colpo a pochi metri dal tavolo di Ekekazo.
“Luana…” ha fatto in tempo a dire: poi si è scatenato l’inferno.
*
* *
Di colpo, l’aria del Corda Tesa si è riempita di fumo e
rumori assordanti. Il locale accuratamente sorvegliato dal buttafuori con anta
scorrevole si era affollato di buffi figuri in divisa blu scuro che arrivavano
di corsa da tutte le parti; dall’ingresso, dal retro, dal bagno… avevano tutti
il casco, deliziosi anfibi rinforzati e corte e maneggevoli mitragliette
strette al petto con consumata disinvoltura. E’ stato subito chiaro che non
erano lì per l’happy hour: anche perché avevano scritto in lettere bianche
POLIZIA sulla schiena e persino un’analfabeta polacca come Labbrona ha capito
subito che non potevano essere i nuovi California Dream Men pronti a fare uno
show. Ho visto Ekekazo, con la sua faccetta da cocorita spaesata guardarsi
introno stranito.
“Nan desu ka *****.” continuava a ripetere sconvolto.
Poverino, per un nanosecondo mi ha fatto quasi pena.
“Merda!” ho sentito invece dire da Li, furioso ma
stranamente non spaventato “Merda! Merda! Merda!”
Stavo condividendo un po’ il pensiero di Ekekazo e molto il
pensiero di Li quando i tizi in blu hanno cominciato a strillare tutti insieme
come ossessi.
“Fermi!”
“Mani sopra la testa!”
“A terra!”
“Avanti!”
Voci perentorie che urlavano in contemporanea, contraddicendosi
l’una con l’altra: nel dubbio sono rimasta immobile mentre la mano rassicurante
di Li mi abbandonava il braccio e un casco blu mi si piantava davanti
puntandomi addosso la canna di una mitraglietta corta.
“Ferma! A terra!” mi ha urlato in faccia feroce, e io avrei
voluto chiedergli come facevo a stare ferma se dovevo mettermi a terra. E se mi
mettevo a terra con le mani sulla testa e poi sbattevo il mento? Comunque,
niente di tutto quello aveva importanza perché ormai era arrivato il momento catartico…
l’apoteosi di quella giornata di sfiga cosmica, la ciliegina sulla torta,
l’inevitabile glorificazione del Momento di Schifo Perfetto; quasi al
rallentatore, senza preavviso, con l’occhio sbarrato come già a chiedere scusa,
ho aperto la bocca e ho finalmente vomitato grappa e champagne sulla minacciosa
mitraglietta puntata sul mio petto.
*
* *
“Vuole ancora del tè?” mi ha chiesto l’agente Crisuolo.
Ho accettato con un sorriso e l’agente è corso via
fischiettando: personcina davvero ammodo e gentile, quel ragazzo. Appena
arrivata mi ha portato il tè, mi ha dato un plaid di pile per coprirmi (non che
avessi freddo, ma il mio vestitino barluccicoso non era esattamente un burqua e
al commissariato erano tutti maschi e guardoni) e mi ha dato anche un
Biochetasi. Avrei voluto chiedergli pure qualcosa per struccarmi perché sentivo
di avere la faccia di un procione idrofobo, ma non volevo osare troppo. Già
avevo avuto il mio daffare a cercare di non piangere dalla disperazione.
Non avevo idea di cosa fosse successo al Corda Tesa dopo il
mio exploit vomitifero; avevo un ricordo nebuloso di agenti, manette,
lampeggianti della polizia; urla, rumori, spintonamenti… tutto ovattato e
distante, come in un sogno poco interessante. Poi, il commissariato con
l’agente Crisuolo. Mentre aspettavo il mio turno, ho fatto qualche congettura e
ho dedotto che evidentemente Bonanno e Ekekazo non erano esattamente due
gentiluomini d’affari e che era per quel motivo che eravamo tutti in galera. Li
ho visti passare, Stanlio e Ollio, con le facce scure di rabbia circondati da
agenti blu: sia in siciliano che in giapponese, promettevano denunce,
ritorsioni, omicidi e smembramenti alle famiglie di tutti i presenti, personale
delle pulizie incluso. Ho visto passare anche Labbrona che diceva “tak, tak!” e
sorrideva (ma era solo una mossa per non inciampare sul suo labbro inferiore
mentre camminava). Di Li nessuna traccia. Assurdamente, era questa la cosa che
mi faceva più male, quella per cui faticavo a respirare: la mancanza di Li.
A parte quello, per usare un fine eufemismo, mi sentivo una
merda. Fortuna che c’era quel santo ragazzo di Crisuolo a coccolarmi. Anzi,
tutti al commissariato mi hanno trattata con gentilezza e deferenza, devo dire
la verità. Mentre sorbivo il mio secondo tè, chiusa nella stanzetta del
sovrintendente capo, ho origliato abbastanza per capire che la causa di tanto
rispetto era stata la mia (come chiamarla) emissione liquida e fumante in quei
del Corda Tesa.
A quanto pare, ho vomitato addosso a un certo Paventi
Enrico, testa di cuoio scelta, ma per gli amici e conoscenti testa di cazzo
patentata. Insomma, questo tizio stava sulle scatole a tutti e il fatto che sia
tornato al commissariato coperto di bile verdastra e odorosa di grappa mi ha resa
un po’ l’eroina del giorno. Per tutti, ma non per il vice commissario
Santamaria che ha continuato a guardarmi con aria paziente e ottusa da dietro
la scrivania.
“Allora, signorina, vogliamo riguardare il verbale?” mi ha
incalzato col suo bel vocione meridionale per quella che doveva essere la
duecentesima volta.
Non ne potevo più: erano ore che mi interrogavano e a parte
dover ammettere per la millesima volta di essere una deficiente affetta da
sfiga patologica degenerativa, proprio non avrei saputo che altro dire loro.
“Ormai lo sappiamo entrambi meglio delle poesie del Pascoli
che imparavamo a scuola” ho borbottato esausta “Senta, vice commissario, quante
volte glielo devo ripetere? I fatti li sa, sono stati scritti, confermati,
certificati e bollati con la ceralacca. Io non c’entro niente! Sono solo la
persona più sfortunata dell’intero sistema solare, asteroidi compresi, e non
c’è niente che io possa aggiungere a questo!”
Santamaria ha annuito con partecipazione, poi mi ha guardata
severamente.
“Allora, signorina: lei accerta e attesta senza ombra di
dubbio di rispondere al nome di Luana d’Angelo?”
Avevo voglia di dargli del coglione, ma sono riuscita ancora
a trattenermi.
“Sì, attesto senza ombra di dubbio che rispondo al nome di
Luana d’Angelo, come d’altronde ho risposto per le quattrocento volte
precedenti.”
“Afferma altresì di essere nata il 17 settembre 1985 da
Antonio d’Angelo e Maddalena Patrizi?”
Aveva davanti il mio cacchio di certificato di nascita, ho
constatato con rancore: perché diavolo dovevamo ripetere quella pantomima fino
allo sfinimento?
“A meno che non abbiate scoperto negli ultimi dieci secondi
che sono stata adottata, sì, affermo che quelli sono ancora i mie genitori.”
“E’ stata lei a incontrare un certo Li all’hotel Semiramide
questa mattina alle ore 09:00?”
“Sì.”
“E’ stata lei ad arrivare al Corda Tesa in compagnia del
suddetto Li alle ore 11:00 circa?”
“Sì.”
“E’ stata lei ad incontrare il signor Ekekazo Mitoki alle
ore 12:00 sempre in quei del Corda Tesa?”
Ekekazo Mitoki… ogni volta che sentivo quel nome assurdo mi
scappava una risatina dal naso, ma sono riuscita a rimanere quasi
impassibile.
“Sempre io. Posso fare qualche domanda io adesso? Sono stufa
di ripetere sempre le stesse cose.”
“No. E’ stata lei a chiamare il 112 dal telefono cellulare
appartenente a un certo Li in data di oggi alle ore 16:03?”
“Certo che no!” ho risposto scandalizzata “Erano di sicuro
le 16:04!”
Santamaria mi ha guardata con una parvenza di fastidio negli
occhi.
“Signorina, non le conviene fare la spiritosa.”
“E io vi ripeto che è assurdo che per quattro ore mi
interroghiate sulle stesse identiche cose senza darmi uno straccio di
spiegazione!” sono sbottata io di colpo, imbufalita “Perché non mi dite cosa è
successo? Sono in stato di arresto? Con quale accusa? E che fine ha fatto Li?
Rispondete un po’ voi, questa volta!”
Santamaria ha sospirato afflitto: ha preso in mano la
cornetta del telefono e ha grugnito dentro un paio di volte; poi ha messo giù e
nel frattempo è arrivato il suo degno compare, l’ispettore superiore sostituto
commissario Marcello. Il quale non è stato esattamente il massimo della
simpatia e della professionalità: mi ha interrogato per un’ora fissando con
tanto impegno le mie tette che quasi i bulbi oculari gli cadevano sulla
scrivania. Comunque, i due hanno confabulato un po’, lanciandomi ogni tanto
qualche occhiata perplessa; poi alla fine Santamaria si è sporto verso di me e
mi ha guardata negli occhi con intenzione.
“Signorina, lei accerta e attesta senza ombra di dubbio di
rispondere al nome di Luana d’Angelo?”
Avrei voluto morire.
“No, signore, in realtà sono la regina Beatrice d’Olanda;
dove sono i miei zoccoli e i miei tulipani?”
“Signorina, risponda alle domande: lei è nata il 17
settembre 1985 da Antonio d’Angelo e Maddalena Patrizi?”
“No, mio padre è Anakin Skywalker e io da grande farò lo
jedi. Dov’è Li?”
“Signorina, collabori per favore. Il suo nome?”
“Dante Alighieri, gliel’ho già detto: non le è venuto il vago
sospetto di soffrire di Alzheimer precoce? E comunque voglio sapere dov’è Li.”
“E’ vero che lei lavora alla Perfect Square snc di Manelli
Sandro?”
“Oh, no, io lavoro all’Onu. E il mio nome è Kofi Annan,
visto che è stato così villano da non avermelo ancora chiesto.”
Finalmente Santamaria si è scosso dal suo torpore.
“Signorina!”
“Mi rifiuto di scucire una sola parola inutile in più!” ho
incalzato io sbattendo i pugni sulla scrivania “Io voglio sapere cos’è successo
a Li! Lo state interrogando? Lo state tartassando di inutili amenità finché non
gli scoppiano i testicoli come state facendo con me? L’avete sbattuto nelle
segrete del castello in compagnia dei topi di fogna? Ditemi dov’è e cosa ne
avete fatto o… o… o giuro che vomito di nuovo!”
Non mi veniva in mente niente di più impressionante, ma Cip
e Ciop non mi sono sembrati particolarmente colpiti. Si sono scambiati un nuovo
sguardo afflitto, lungo e chiarificatore: poi Marcello è sembrato finalmente
capitolare con un pesante sospirone.
“Santamaria, faccia chiamare qui l’agente Wang.”
NOTE DELL’AUTRICE:
Scusate, scusate, scusate!!!
Non sono riuscita a trovare il tempo per rispondere alle Vs
meravigliose recensioni…
Però in compenso sono andata al concerto di Avril Lavigne e
mi sono molto divertita!!!
Ringrazio e sbaciuzzo tutti, Romina per prima e Nisibella
per seconda, ricordanto a tutti del forum che vi aspetta :
Recensione di crici_82, fatta il 18/06/2008 - 11:25AM sul capitolo 7:
Capitolo 6 - Firmata
Agente Wang. Ha detto proprio
così? Agente Wang. Agente Li Wang. Agente. Wang.
Mentre il mio mento era ancora in caduta libera verso il
pavimento, dalla porta è entrato Li, silenzioso ed elegante come un modello di
Armani, accompagnato dall’immancabile e zelante Crisuolo.
“Mi ha chiamato, capo?” ha domandato con estrema educazione
evitando accuratamente di fissare lo sguardo sulla montagnola puzzolente e
informe che ingombrava la sedia di fronte alla scrivania (nella fattispecie,
io).
“Sì, Wang. Abbiamo accertato con
ragionevole sicurezza l’identità della signorina d’Angelo, la quale però
rifiuta di collaborare fino a che il commissariato non riesca a produrre prove
inconfutabili della tua buona salute.”
Faceva lo spiritoso, il sostituto commissario: io invece ero
ancora impegnata a fissare Li con gli occhi vitrei e
abbacinati come due Swarovski sotto anfetamine.
“Potete confermare alla signorina d’Angelo che sono
perfettamente vivo e in grado di deambulare autonomamente.” ha risposto Li con un rapido guizzo di Mister Sopracciglio nella mia
direzione.
Agente Wang, stavo ancora pensando
io attonita: il mio sguardo era stato arpionato dal distintivo dell’Interpol che Li aveva appeso alla
cintura di pelle di Fendi, come se fosse stato un nuovo accessorio fashion. Non
dovevo guardarlo troppo a lungo: potevano pensare che gli stessi fissando il
cavallo dei pantaloni, e non sarebbe stato il caso di confermare ulteriormente
l’infima opinione che tutti avevano di me. Ho allora alzato gli occhi e ho
incontrato lo sguardo di Li: sembrava stanco, deluso, arrabbiato… maera lo stesso tiepido e avvolgente come una coperta e
sembrava ancora sul punto di fare un malizioso occhiolino.
“Ehm.” ho gracidato allora io, diventando color vinaccia
come da copione e la bocca da sbavo di Li si è
incrinata in un sorriso represso, quasi tenero.
“Certo” ha risposto sottovoce, quasi divertito “Era
esattamente quello che pensavo anche io.”
I miei occhi si sono riempiti improvvisamente di lacrime, ma
non riuscivo a staccare lo sguardo da Li. Non ci riuscivo proprio, nonostante
sapessi di fare una figura pessima, nonostante avessi la faccia da procione,
nonostante gli sguardi severi dell’ispettore superiore sostituto commissario,
del vice commissario, dell’agente Crisuolo
e dell’intero corpo della polizia di stato compresi paracadutisti e
bersaglieri, lo stesso non riuscivo a non guardarlo.
Mi sentivo stupida, imbarazzata… piena di luce per il solo
banale fatto che lui ricambiasse il mio sguardo. E il mio cuore si era messo a
ballare la rumba, così, senza nessun preavviso, rumoreggiando in maniera
imbarazzante al centro del petto.
“Dunque” ha esclamato Marcello dopo un lungo silenzio a dir
poco sconcertante nel quale lui, Santamaria e Crisuolo avevano fatto rimbalzare lo sguardo da me a Li e viceversa con aria decisamente stupefatta “Vediamo di
ricapitolare definitivamente i fatti. Si segga, Wang, si segga. Crisuolo, può portare dell’altro tè?”
Li si è seduto accanto a me che per
reazione sono diventata rigida e immobile come un’incisione rupestre, pur
mantenendo un allegro colorito ciliegia sulle guance.
“Signorina d’Angelo, ora che ha davanti a sé l’agente Wang vivo e vegeto, sarebbe così cortese da rispondere a
qualche domanda?”
“Sì.” ho risposto io flebile flebile, le mani che torturavano il bordo del
plaid.
“Conferma di essere stata lei ad
avvicinare l’Agente Wang all’hotel Semiramide questa mattina alle ore 09:00 circa?”
“Sì” ho mormorato sottovoce “Ma non sapevo che fosse un
agente. Si è trattato di un terribile equivoco: io… stavo cercando il PR di un
nostro cliente giapponese.”
Santamaria ha segnato una nota
veloce su un foglio: che fosse il primo punto sul tabellone del mio schifometro? Plausibilissimo.
“Poi, signorina d’Angelo, conferma di aver seguito l’agente Wang in un noto centro estetico presso il quale ha speso
1200 Euro per un restyling completo?”
“Milleduecent… oh, cazzo” ho
mormorato io sbiancando come una pezzuola lavata “Non
sapevo di essere costata così tanto!”
Ho lanciato un rapido sguardo colpevole a Li
mentre Santamaria scribacchiava un altro punticino sullo schifometro.
“Quindi, conferma?”
“Sì. Sì, confermo. Scusatemi, io
non sapevo…”
“Conferma di essere salita su un taxi con
l’agente Wang e di essere arrivata con lui al Corda
Tesa?”
“Sì.”
E chi se la scordava più quella gita in taxi? Avevo ricevuto
il bacio più erotico della ma vita, lì sopra. Al ricordo, la mia faccia è
diventata così infuocata da poterci friggere una braciola sopra.
“Conferma anche di aver atteso con
l’agente Wang l’arrivo di EkekazoMitoki e dei suoi accompagnatori?”
“Sì.”
Al che Santamaria
ha segnato prontamente l’ennesimo punto sullo schifometro.
“Non si era accorta a quel punto di aver sbagliato persona?”
ha chiesto invece Marcello con lapidaria freddezza. Io ho guardato Li, ho detto
un altro paio di “ehm” agitandomi sulla sedia come se avessi il sedere pieno di
pulci e alla fine mi sono decisa a rispondere.
“Sì.”
“Perché non ha avvisato l’agente Wang
dell’errore?”
Per il bacio di cui sopra, ho pensato arrostendo con la
faccia fumante.
“Beh, ehm, ecco… continuavo a non sapere che l’agente Wang fosse un agente, pensavo che
fosse un papp… ehm, un procacciatore di hostess. Avevo… paura della sua reazione.”
Santamaria e Marcello mi hanno guardata come si guarda un piccolo millepiedi spuntato da
sotto un fungo.
“Però ho tentato di chiamare il mio
capo dal telefono di Labbrona.” ho proseguito
precipitosamente a titolo di spiegazione.
“Labbrona…?” ha domandato Marcello
scartabellando tra gli appunti perplesso.
“La signorina Polnijcheck” ha
suggerito Santamaria con il sorriso nella voce “La
receptionist del Corda Tesa.”
“Oh. Sì, risulta agli atti e la
signorina Polnijcheck ha confermato la sua versione. Risulta anche che il signor Manelli
abbia ricevuto la sua telefonata, che ha definito…” Marcello si è avvicinato il
foglio al naso, cogitabondo “I farfugliamenti di una demente in delirio
alcolico.”
“Mi ha licenziata al telefono.” ho
sottolineato io arrossendo mentre Santamaria scriveva
alacremente un tema intero sullo schifometro.
“E ancora non ha avvisato l’agente Wang
del problema?”
“Non sapevo che l’agente Wang
fosse l’agenteWang” ho
risposto aggressiva e Marcello ha finalmente smesso di torturarmi per
concentrarsi su Li.
“Agente Wang, conferma di essere stato avvicinato dalla signorina d’Angelo all’hotel Semiramide questa mattina alle ore 09:00 circa?”
“Confermo.” ha risposto Li con voce
morbida.
“Conferma di avere erroneamente scambiato la signorina
d’Angelo per una accompagnatrice a pagamento fornita
da una nota agenzia del settore?”
“Confermo.”
“Conferma di aver organizzato lei
l’incontro tra Ekekazo e Bonanno
al Corda Tesa?”
Finalmente un cambio di direzione, ho pensato sollevata.
“Sì. Da mesi e mesi avevamo teso questa trappola.”
Trappola…?
“La collaborazione incrociata tra l’Interpol,
il comando dei carabinieri e la
Polizia di stato ha impiegato più di venti persone
nell’operazione.”
“Col risultato che abbiamo speso fior di milioni dei
contribuenti per ottenere il fermo di una finta prostituta. Bel
lavoro, agente Wang.”
Li non ha mosso un muscolo e non ha
detto una parola: i suoi occhi, però, potevano incendiare una foresta.
“Fortuna che li avete presi.” ho
buttato lì con voce tremolante: non mi andava che Marcello facesse sembrare Li
uno stronzo incompetente.
“Chi?” ha chiesto Marcello sprezzante “Ekekazo
e Bonanno?”
“Il capo della Yakuza
e un padrino mafioso” ho specificato io “Non è proprio la stessa cosa!”
Marcello e Santamaria si sono
scambiati di nuovo quello sguardo afflitto e complice che avevo cominciato a
conoscere e detestare.
“BonannoeEkekazo non sono due criminali” ha risposto infine
Marcello asciutto “Sono un onesto commerciante di pesce siciliano e un famoso
albergatore giapponese. Nessuno dei due è mai stato anche solo lontanamente
sospettato di associazione mafiosa.”
“Oh.”
Lo schifometro di Santamaria sembrava sempre di più Guerra e Pace.
“Ma allora non capisco…”
“Vede, non erano loro gli obbiettivi
dell’operazione.”
“No?”
“No.”
“E chi era l’obbiettivo?” ho
domandato con la gola secca: chissà perchè, sapevo
già che la risposta mi sarebbe caduta addosso pesante come un dolmen
preistorico…
“L’obbiettivo era lei.” ha risposto
infatti Marcello tranquillamente, sorridendomi quasi magnanimo.
** *
“Io?”
“L’accompagnatrice” ha specificato Santamaria
educatamente “Il killer.”
Killer?
“Scusi, ha detto killer?”
Stavo per avere un colpo apoplettico.
“Vuole un’altra tazza di tè, signorina? Sembra
pallida.”
E ti credo: avevo appena scoperto che mi avevano scambiata per un’assassina, che dovevo fare, un centrino a
punto croce?
“Può spiegarmi questa faccenda del killer, per favore?”
“Sappiamo di un professionista al soldo della criminalità
internazionale che ha commesso parecchi crimini qui in Italia negli ultimi
anni” ha spiegato magnanimamente Marcello “Un certo Alvaro.”
Alvaro? Come il vero nome di Pierino? Che cosa orribile per
un killer.
“Un professionista molto preparato, attento, metodico.
Abbiamo saputo che i suoi servigi erano stati richiesti per eliminare Ekekazo, un imprenditore nipponico in forte ascesa nel
mercato europeo che non ne ha voluto sapere di immischiarsi con la mafia
locale. L’operazione dell’Interpol era mirata a
smascherare questa persona, finalmente.”
Sinceramente, ho ascoltato il discorsetto di Marcello con un
solo orecchio: l’altro era anestetizzato e inutilizzabile.
“Alvaro il killer?” ho domandato a Li, girandomi decisa verso di lui “Avete pensato che io potessi essere
Alvaro il killer?”
C’era qualcosa che mi bruciava dentro, anche se ancora non
riuscivo a identificare cosa fosse.
“Sapevamo che chiunque avrebbe tentato di avvicinare Ekekazo sarebbe stato il suo potenziale assassino” ha
spiegato Li girandosi verso di me senza scomporsi “Alvaro è famoso per essere
un trasformista d’eccezione… e noi non potevamo lasciare niente al caso.”
“E lei ha pensato… lei ha creduto che io fossi un assassino
travestito da donna?”
Avevo la voce rotta e vibrante, ma Li ha mantenuto lo
sguardo fermo e pacato.
“Sì” ha risposto semplicemente, senza abbassare gli occhi
“Ho avuto qualche dubbio subito, ma sei stata così convincente nel voler
partecipare a tutti i costi…”
“E’ per questo che mi ha fatto cambiare
la biancheria intima? Per verificare che fossi davvero una femmina?”
“Biancheria?” ha domandato Santamaria sbalestrato “Non
si parla di biancheria qui nel verbale!”
“In parte” ha ammesso Li senza scomporsi,
ignorandolo “Diciamo che ero già abbastanza sicuro che fossi una femmina. Non hai nessuna traccia di pomo d’Adamo.”
Ha ammiccato, irridente e dispettoso come se m’avesse fatto uno scherzetto prescolare. Non sapevo cosa mi
stesse sconvolgendo di più, se il fatto di essere stata
scambiata per una puttana, per un’assassina o per un uomo. O per chiunque si
chiamasse Alvaro.
“Lei ha pensato che io potessi essere un uomo che uccide
delle persone, volutamente, a sangue freddo, per denaro… e lo stesso mi ha baciata?”
“Baciata?” ha chiesto Santamaria sorpreso.
“Baciata?” ha chiesto anche Marcello con aria schifata
“Nemmeno questo è sul verbale!”
“Baciata?” si è intromesso Crisuolo
sbucando con la testa da dietro la porta, come un fungo.
“Era un test” mi ha risposto Li
pacatamente con Mister Sopracciglio ben alto e solitario “Per cercare di capire
fino a che punto fossi disposta a fingere.”
“Il bacio non è nel verbale” ha ripetuto aggressivo Marcello
con aria accusatoria “Quando è successo?”
Non potevo rispondere: la mia testa vorticava come un
ottovolante impazzito.
“Allora...” ho balbettato in un
doloroso flash di consapevolezza “Quando mi hai tirato fuori dalla finestra…”
“Finestra?” hanno mormorato in sottofondo Crisuolo, Marcello e Santamaria
in rigoroso ordine alfabetico.
“… e io ti ho chiesto aiuto… cosa
hai pensato che ti chiedessi?”
Li non ha risposto, ma solo perché
ha capito che mi ero risposta da sola.
“Cos’è questa storia della finestra?” ha chiesto di nuovo
Marcello e Li glielo ha spiegato mentre io soffrivo in
silenzio, con gli occhi appannati e il cuore a pezzi.
“Quindi, il tentativo di fuga della
signorina d’Angelo si colloca subito dopo la chiamata dal suo cellulare al
112?” ha chiesto Santamaria alla fine.
“Direi di sì.” ha risposto Li
pacato.
Marcello, a quel punto, mi ha fissato a muso duro e io, avvilita, ho intuito che era furioso.
“Lo sa cos’ha combinato, signorina d’Angelo?” ha chiesto
sottovoce lasciando trapelare la rabbia repressa che gli bruciava dentro da
quando ero entrata al commissariato.
“Più o meno.” ho risposto con voce
tremante: non avevo nessuna voglia di sapere quanti funghi atomici aveva
scatenato la mia sfiga patologica e contagiosa.
“E lei, agente Wang? Ha idea della
catastrofe che ha provocato la vostra inettitudine?”
“Sì.” Ha risposto Li sottovoce,
senza perdere un grammo di dignità.
“Quello che non mi spiego, agente Wang…
quello che mi chiedo, con la sua esperienza internazionale… Come le è saltato
in testa di lasciare il suo cellulare nelle mani di un tale pericolo pubblico?”
Pericolo pubblico: ero io, secondo Marcello. E non solo
secondo lui. Mi sentivo marchiata a fuoco sotto lo sguardo di Li (insondabile), Santamaria
(accusatorio) e Crisuolo (quasi compassionevole).
“Con quella telefonata anonima fatta dal cellulare di un
agente infiltrato, la signorina d’Angelo ha scatenato l’inferno;tre squadre di tiratori scelti impiegate per nulla,
inutili danni alle strutture per migliaia di euro… senza contare che la
copertura dell’agente Wang, costata mesi e mesi di
lavoro, è saltata definitivamente! E tutto questo per cosa?”
Marcello si è alzato in piedi di scatto come se la sedia
bollisse.
“Per NIENTE!” ha tuonato infine facendo scintille “Anzi,
l’unica cosa che abbiamo ottenuto è stata una denuncia da parte di Ekekazo e Bonanno per danni
fisici e morali!”
A ogni sua parola, io sprofondavo sempre di più sotto il
plaid.
“Mi dispiace.” non ho potuto trattenermi dal dire,
schiacciata dai sensi di colpa e col pianto a otturarmi la gola.
“Le dispiace?” ha sibilato Marcello arrossendo di rabbia
“Oh, beh, allora va tutto bene. Che diamine! Se alla signorina dispiace di aver
distrutto in un colpo solo una operazione di polizia
costata milioni di Euro, siamo già a posto così!”
Mi sentivo uno schifo. Anzi, mi sentivo come lo schifo di
uno schifo.
“Io… davvero, sono mortificata…”
“E vorrei vedere!” è sbottato anche
Santamaria burbero: aveva messo via lo schifometro, probabilmente anche lui aveva rinunciato a
tentare di calcolare il mio incalcolabile livello di sfiga.
“Le sue scuse sono perfettamente inutili” ha continuato
Marcello a voce sempre più alta “Sa dove le mandiamo
le persone come lei, signorina d’Angelo? Quelle che fanno le cose sbagliate,
quelle che provocano ogni genere di catastrofe e poi si scusano e piangono
miseria?”
“In prigione…?” ho balbettato sbiancando in viso.
“A fare in culo!” ha strillato
Marcello, ormai definitivamente incazzato “Quindi, egregia signorina, mi faccia
un piacere, prima che mi venga voglia di denunciarla per porto abusivo di
deficienza e sbatterla in galera fino al nuovo millennio: prenda le sue
carabattole e se ne vada!”
Il silenzio che è seguito alle sue parole era un denso e
vischioso concentrato di vergogna; Santamaria mi
fissava con un monosopracciglio severo a
ombreggiargli gli occhi, Crisuolo stava probabilmente
scavando un buco sul pavimento con lo sguardo e Li… Li teneva il viso di mezzo
profilo, senza guardarmi. Sembrava apparentemente calmo, ma la sua mascella era
contratta e le sue labbra pressate. Il mio cuore si è sbriciolato in mille
pezzi quando mi sono resa conto che si stava probabilmente trattenendo dal
girarsi e mollarmi una sberla. Tutto il suo lavoro di
mesi e mesi, il suo impegno, la sua credibilità… tutto
spazzato via per colpa mia. Gli leggevo chiaro e tondo nel profilo patrizio e
altezzoso del suo nasino perfetto che si tratteneva a stento dal strillarmi in
faccia che Marcello aveva ragione, che ero solo una piccola, ignobile
sottospecie di insetto inutile e fastidioso e che non
avevo nessun diritto di respirare la stessa aria che respiravano le brave e
oneste persone normali, assassini e stupratori compresi.
Io mi sono sentita così male che avrei dato chissà che cosa
per avere la grazia di non essere mai esistita.
“Scusatemi” ho pigolato con il
pianto nella voce “Se posso fare qualcosa, qualsiasi cosa per rimediare…”
“Per l’amor del cielo” ha balbettato Santamaria
spaventato “Che altri danni vuole fare? Simulare un commando terroristico? Far saltare in aria il commissariato?”
“Non devi fare niente, Luana.” ha aggiunto Li a voce bassa e carezzevole, ma sempre senza guardarmi.
Li, ti prego, guardami, ho pensato mentre una lacrima mi
rotolava lungo la guancia. Anzi no, non guardarmi, ho troppa vergogna… ma se
non mi guardi, se non potrò mai più vederti in faccia, allora muoio per
davvero, allora…
“Signorina d’Angelo, può andare.”
La voce di Marcello sembrava una condanna a morte.
“Ma io…” ho mormorato affranta e Marcello ha sbattuto il pungo con forza sulla scrivania.
“Signorina d’Angelo, ho detto SE NE VADA!”
Crisuolo ha preferito eseguire
l’ordine prima di me ed è schizzato via alla velocità della luce (a organizzare
il mio linciaggio insieme al corpo della polizia di stato, probabilmente). Mi
sono alzata in piedi anche io, lentamente, come se
avessi tutte le giunture arrugginite. Avevo male
dappertutto, ai piedi, allo stomaco, alla schiena lesa dal Basculante Assassino
del Corda Tesa… ma soprattutto avevo un male atroce al cuore. Mi sono guardata
intorno, poi mi sono tolta il plaid dalle spalle, l’ho ripiegato con cura e
l’ho posato sulla sedia; sono indietreggiata fino alla porta, sperando fino
all’ultimo che Li mi lanciasse uno di quei suoi
sorrisi al cardiopalma o che mi dicesse “non ce l’ho con te” o anche solo in
guizzo di Mister Sopracciglio… ma Li era immobile e remoto come se nemmeno
fosse in quella stanza. E io, io con la mia parrucca
storta, col mio vestito di lustrini, con il mio trucco colato e con le mie mani
inutilmente vuote, mi sono sentita stanca e sola come mai in tutta la mia vita.
“Scusate…” ho mormorato ancora a testa bassa.
Santamaria ha alzato una mano
fiaccamente; Marcello ha avuto un guizzo epilettico con le spalle, ma non mi ha
nemmeno guardata.
In quel momento allora ho capito cos’era quella cosa che bruciava nel petto: erano lacrime. Mi sono arrivate
negli occhi tutto in un colpo e prima di scappare via dalla disperazione non ho
potuto fare a meno di dire una cosa, l’ultima, la più
importante.
“Signor Li, mi scusi di tutto. Io non
stavo fingendo.”
Li non si è mosso. Ogni sua fibra
mandava un messaggio di addio palese e doloroso come uno schiaffo in faccia. Mi
sono girata con gli occhi così pieni d lacrime che nemmeno sapevo dove mettevo
i piedi, e sono claudicata via, fuori dalla porta, scappando dalla luce, dalla
rabbia frustrata di Marcello, da Li e dai cocci
sbriciolati del mio cuore.
NOTE DELL’AUTRICE:
Uff e puff:
colpa l’estate che incalza e cavalca, tempo non ebbi
di nuovo per rispondere ad personam.
Mea culpa, mea
grandissima culpa. Almeno vi cito, perché voglio che
sappiate che siete sempre tutti nel mio cvore:
RikBisini,
il Sommo, Zerby (sorry, no lap dance!), Thia (grazie per
aver letto tutta la bibliografia… me gratissima!!!
SMACK!), lontrinomia (non
mi nominare Londra, o inizio a lacrimare…), Mabychan,
a cui non ho ancora lasciato una risposta come si deve… sob!,
Unintended, ebbene sì, ogni mia storia è uno zoo…,
Marty2803, tesora, non ho soldi eprautopubblicarmi, ma grazie per l’incorajjiamenji!,
Eilinn, chi si risente!!!, Vulcania,
se posso tirarti davvero su il morale, ho raggiunto il mio scopo nella vita!,
Killer, moan, quanto sei buooona
con me…, BlackMoody,
davvero hai un debole per i franzosi? E con la
baguette sotto l’ascella, come la mettiamo?,ChocolateFairy Girl, concerto di
Avril bellissimo!! Un po’ corto, ma altamente
soddisfacente, anche per una oldciabatt
come me…, --Miriel__, Davvero c’è una Grotta Azzurro presso casa tua? Anche da
me! Non è che siamo vicine di casa…?, Stella76, Eh,
certa gente proprio non sa apprezzare le celle frigo quando servono…ehm....,
lauraroberta87, ok, mi prostro e mi sbatto in sdilinquimenti, perché con te
devo, DEVO!, sai che ti amo, joia, vero?, aki-penn, pizzaiolo tostapane…?, Sophonisba,
niuentri, che bello!!! Grazie infinite dei
complimenti, dolcezza, a presto!, Kyomi89, altra niuentri,
ma che bello, ma come sono feliiiiceeee!! Recensite
ancora, vi prego!!, Krisma,
il tuo bocciolo sta sfiorendo con sto caldo, perdonalo…, LadyElizabeth,
wow, che complimenti, sono commozza… e tu molto molto nobile di nome e di fatto!, Hebe,
niuentri, vi adoro!! Scrivimi ancora, ti prego!,moonwihisper… amore, cos’è la
sindrome di Hermes? Qualcosa a che fare coi foulard
firmati?, Suni, meno male che sono riuscita a
sorprendere qualcuno dei miei lettori… ormai non so più che pesci pigliare,
siete troppo svegli!!, Evan88, beh, il love affair tra Scaturro
e Dieci non lo avevi ancora capito…?, crici_82, alla tua tenera età già
lavori!!! Poraccia!
Saluto e ringrazio onoraterrimamente
la mia beta betuzza adorata ROMINA e lady Nisibella, dalle mille e una tortine.
Un bacio a tutti, GRAZIE !!! siete
fantastici (sì, con la h, rende di più)!!
Recensione di lauraroberta87, fatta il 29/06/2008 - 07:02PM sul capitolo
8: Capitolo 7 - Firmata
Lungo il corridoio, non proprio in linea retta; giù dalle
scale, urtando un poliziotto e un ubriaco ammanettato; attraverso la porta a
vetri che si è aperta con uno discreto sbuffo pneumatico; e finalmente fuori,
con un cupo cielo nero sopra la testa e l’aria fradicia di pioggia. Ho alzato
il viso fermandomi sul marciapiede, lasciando che la pioggia mi picchiettasse
sul viso e diluisse il sale delle mie lacrime: ma il mio cuore dolorante,
quello chi lo avrebbe mai picchiettato? D’improvviso, così, semplicemente, mi
sono accorta che ero arrivata al capolinea: ero stanca di essere una sfigata.
Avrei urlato tanto ero dannatamente e definitivamente stufa di essere sempre
quella che inciampa al momento sbagliato, quella che le si rompe la lampo dei
pantaloni in chiesa, quella che perde sempre l’autobus, quella che arriva in
ritardo anche se si è alzata un’ora prima degli altri. Quella che viene
licenziata per telefono, quella che viene scambiata per un killer ballerino di
lap dance di nome Alvaro… quella che si innamora di un tizio mai visto che
sembra un pappone e invece è un agente infiltrato dell’Interpol. Ero stufa,
stufa, stufa di essere Luana d’Angelo!
“Stufa!” ho urlato contro il cielo, ma avevo la gola tanto
stretta che ne è uscito un patetico belato senza senso. Nessuno lo ha sentito:
i passanti hanno continuato a passare, il cielo a piovere e i piedi a battermi
doloranti nei sandali assassini, ma lo stesso io ero a livello, traboccante di
nausea per me stessa, di rabbia e di frustrazione represse da decenni di sfiga
patologica. Bruciavo di sdegno e di dolore perché una parte di me era ancora
nell’ufficio di Santamaria a pregare un certo agente Li Wang di girarsi e
guardarmi e sorridermi, perché era dal Semiramide in poi che non volevo nient’altro
che questo dalla vita: il suo sguardo su di me. Il suo sorriso. Il suo
dannatissimo Mister Sopracciglio.
“Merda!” ho berciato di nuovo al cielo, e nonostante tutto,
era come una preghiera.
Una mano leggera e tiepida mi è atterrata sulla spalla e io
mi sono girata di scatto.
“Che c’è?” ho strillato assolutamente a sproposito.
Sono rimasta folgorata sul posto mentre il cuore mi si
apriva come un portafoglio. Il cielo, si sa, lavora per vie traverse e mai
avrei pensato che mi avrebbe dato una risposta del genere. La migliore
possibile, la più bella di tutte. La sua.
“Luana, ti devo parlare.”
*
* *
Di nuovo sotto la pioggia; di nuovo sola; di nuovo sperduta
e spaesata, con la pioggia a ticchettare sulla mia parrucca fradicia. In attesa
di chissà cosa, impalata sul marciapiede come una vittima sacrificale. Beh, non
proprio così sola. Non proprio così vittima. Ho provato uno strano misto di
sollievo e apprensione quando ho sentito una voce morbida alle mie spalle che
mi ha costretta a girarmi verso di lei:
“Joia…?”
*
* *
Era Doralis: tutta asciutta sotto l’ombrello, vagamente
perplessa, con un bell’impermeabile beige a coprirle il culo
antigravitazionale, mi guardava con la testa leggermente inclinata da un lato,
cercando probabilmente tracce della vera me sotto il vestito a lustrini e la
parrucca bionda che ormai sembrava un nido di topo abbandonato. Il centro
nervoso del pianto ha elaborato la presenza di una voce amica: il mio mento ha
cominciato a tremare e prima ancora che Doralis potesse aprire la bocca le ero
più o meno crollata addosso, piangendo come la fontana di Trevi e strillando
come una vedova napoletana.
“Do-ra-liiiiis!” ho singhiozzato planando sul suo solido
petto sudamericano “Do-ra-liiiis!”
Credo che la poveretta sia rimasta doverosamente colpita
dalla mia accoglienza: dopo il primo attimo di smarrimento ha iniziato a
rovistare nella borsa alla ricerca probabilmente di un fazzoletto di carta per
arginare la mia disastrosa emissione di lacrime e muco sul suo prezioso trench
beige.
“Corajo, joia, corajo… che diavolonji è susceso?”
Non che fosse particolarmente calorosa o empatica, ma
parlare a un certo punto era diventata una necessità fisiologica. Senza nemmeno
sapere come, dopo un attimo avevo aperto le cateratte: invece di vomitarle
addosso la telecronaca di quell’assurda giornata di merda, ho cominciato una
dolorosa e assurda litania su un certo agente Wang, su Callas che stamattina
non ha suonato, sul fabulous duet Dito Radar e Mister Sopracciglio, sulla mia
sfiga ancestrale, su una popputa receptionist di nome Labbrona Tak, su come mi
innamori sempre dell’uomo sbagliato… un’accozzaglia di informazioni
assolutamente inutili e assurde, inframmezzate con costante regolarità, come un
bizzarro intercalare di nuovo conio, dal suo nome: Li… Li… Li.
Doralis ha lasciato che mi sfogassi, proteggendomi dalla
pioggia col suo ombrello e passandomi fazzoletti di carta via via che ne
tracimavo uno. Non credo che abbia capito un gran che del mio monologo (nemmeno
con un decriptatore della CIA ci avrebbe capito, ma non era quello il punto):
mi ha comunque ascoltato con silenziosa partecipazione finché alla fine non ho
smesso di parlare, di piangere e di emettere altri liquidi imbarazzanti,
limitandomi a rimanere con gli occhi chiusi e la fronte posata sulla sua
spalla.
“Ok” ha sospirato allora scostandomi con decisione da sé
“Ora che hai avuto la tua bela crisi isterica e che ti sei sfogata, ti porto a
casa dalla tua Calas, ti bevi una camomila concentranji, ti fai una bela
dorminji e domani matina meti un po’ in ordine quel cassino che hai in testa.
Claro, joia?”
Clarissimo! Era così consolante avere qualcuno che mi
dicesse cosa fare. Ho annuito in silenzio con gratitudine e le ho fatto anche
un mezzo sorriso.
“Vieni, ho la machina dietro l’angolo.”
Doralis mi ha preso a braccetto e mi ha sostenuta mentre le
claudicavo a fianco, dirigendosi verso la sua piccola utilitaria rosso
fiammante. Quando mi sono seduta sul sedile anteriore del tiepido abitacolo mi
sono sentita subito meglio, come se fossi accolta da un abbraccio amico.
“Le scarpe le puoi togliere, se ti fano male i pieji” ha
sottolineato Doralis sedendosi al posto di guida “Ma se devi ricominciare col
rosario e le lacrimanji, non mi imbratare i sedili.”
“No, basta lacrime.” ho mormorato io rannicchiandomi sul
sedile.
Era bello guardare Doralis mentre guidava: la sua guida era
sicura, anche se un po’ scattosa.
“Così, se non ho capito male… ti sei presa una sbandanji per
Li?” ha chiesto Doralis in tono salottiero.
Ormai che avevo aperto il libro e confessato la mia
vergognosa sfiga, che male poteva fare dire la verità, tutta la verità e
nient’altro che la verità?
“Sì” ho ammesso in un soffio “Ma mi passerà presto” ho
aggiunto, mandando tutta la verità a farsi benedire per recuperare una parvenza
di dignità.
“E, se non ho capito ancora pejjo… Li è un polisioto?”
Ho lanciato uno sguardo vagamente perplesso a Doralis.
“Beh, sì. Credevo… io credevo che lo sapessi.”
“Oh, no” ha chiocciato lei con leggerezza “Ansi, non avrei
mai capito che scentrava la polisia se non me lo avesi deto tu, joia. Mi
lavoravo Li da setimane e setimane e non ho mai sospetato nienji. Che scema!
Però disciamoscelo, chi sci crede che un polisioto posa esere così
incredibilmenji sexy?”
“Ehm… eh già.”
Era acceso il riscaldamento? Cominciavo ad avere freddo…
“Sai, joia, devo ametere che c’ero rimasta un po’ male
quando stamatina ho capito che Li avrebe portato te al’incontro con… come l’hai
chiamata? La delegasionji?”
Doralis ha riso buttando indietro la testa e io d’un tratto
ho sentito le ossa trasformarsi in stalattiti di ghiaccio.
“Ero jà d’acordo con Li che se non avese trovato un’altra
sarei andata io con Ekekazo. Avrei jurato che ormai era cosa fata… Sai, sono
piutosto brava come balerina di samba. Non sapevo che Li stese scercando
proprio me! Sono stata così brava a mimetisarmi che ho fregato l’infiltranji
anche sensa volere. Ala fine, il fato che sci abia scambiate mi ha salvato il
culenji. Non è da scompisciarsi dal ridere?”
“Oh.” ho ragliato a voce bassissima.
Non avrei dovuto essere così rigida, ma quando Doralis aveva
riso avevo notato un particolare… un piccolo, insignificante particolare che mi
era sfuggito fino a quel momento perché i capelli di Doralis, abbondanti e
ricciuti, avevano sempre impedito una visuale completa.
“Ho creduto che mi avesero rimpiasato e che avessero dato
l’incarico di Ekekazo a te. Ero così jelosa di te che quasi quasi ti avrei
strapato i capeli uno per uno! E inveji… mi sa che sci siamo sbaliati tuti, eh?
Ora se non ti spiace smetto di usare questo accento sudamericano del cazzo, che
mi ha un po’ fiaccato dopo due mesi che mi tocca sciropparmelo a ogni frase.”
Ha riso di nuovo e io non ho potuto farne a meno: come
calamitati da una forza invincibile, i miei occhi sgranati si sono puntati sul
collo di Doralis. Un collo abbronzato, liscio, velato dai capelli ricciuti… e
indiscutibilmente fornito di un piccolo, perfetto pomo d’Adamo.
*
* *
Alvaro. Il nome mi è balenato in testa con tanta potenza che
per un attimo mi è sembrato di avere un’insegna lampeggiante sulla testa.
Doralis era Alvaro. Alvaro era il killer. Doralis era il killer.
“D-Doralis?” ho gracidato spalmandomi contro lo sportello
dell’automobile “O-ora avrei d-davvero l’impellente urgenza di andare a casa.
S-sai, quella camomilla… c-credo che tu abbia ragione, ne ho d-davvero
bisogno.”
“Certo, certo” ha annuito Doralis materna “Con la giornata
del cavolo che hai passato, povera stella… facciamo solo un giretto qui
intorno, giusto per fare due chiacchiere tra amiche.”
Chiacchiere tra amiche? Io e Alvaro il killer? Per poco non
sono scoppiata in una grassa risata isterica.
“G-guarda, se non ti spiace, io p-preferirei…”
“Sì, mi spiace.” ha tagliato corto Doralis con voce
improvvisamente secca.
Io sono ammutolita di colpo mentre Doralis, strattonando
elegantemente il volante, ha diretto la macchina verso stradine buie sempre più
vuote, sempre più sconosciute. Io tacevo immobile: Doralis si è girata un attimo
a guardarmi e nel vedere la mia faccia è scoppiata a ridere di nuovo di gusto.
“Cielo, joia, che faccia! Ti si legge tutto quello che
pensi, compresi i punti esclamativi!”
“I-i-io…”
“Non ti scusare: sembri quasi simpatica, così. Ho fatto
proprio bene a venire alla centrale: ancora non sapevo se eri davvero il mio
rimpiazzo o no, ma ce l’avevo lo steso a morte con te per il fatto che Li ti
guardava in quel modo… Sono stata un po’ gelosa, lo ammetto. Ho capito subito
che era meglio farti fuori comunque.”
Le mie dita si sono aggrappate alla maniglia della portiera
mentre pensavo alacremente a quando avrei potuto finalmente togliermi la
parrucca…
“E’ inutile che tenti di scappare” mi ha avvisato Doralis
quasi con aria di scuse “Non puoi arrivare da nessuna parte.”
Io annaspavo guardando dappertutto: il cruscotto lindo, il
contachilometri, l’orologio che segnava le undici e mezza, la maniglia della
portiera a cui ero aggrappata… lo specchietto che rimandava l’immagine di una
faccetta stravolta col trucco colato, il naso rosso, la parrucca storta e
l’espressione angosciata di un vitello al macello. Sembravo proprio in tutto e
per tutto una vittima, vestita di lustrini e con il trucco da sposa cadavere.
Vittima, come sempre… ma non più sola.
“Ehm… Do-Doralis…”
“A questo punto puoi chiamarmi Alvaro, joia.” mi ha sorriso
Doralis frenando bruscamente.
*
* *
Eravamo nel parcheggio di un distributore di benzina, buio e
disabitato: non c’era anima viva nel raggio di chilometri. Ogni tanto sulla
strada passava una macchina, ma l’assenza di dossi e/o autovelox nella zona
rendeva la velocità media simile a quella di un Concorde in volo. Io ho
continuato a fissare Doralis (Alvaro?) a bocca spalancata e espressione ebete,
paralizzata fisicamente e psicologicamente, come una lepre abbagliata dai fari
di un treno merci pronto a travolgerla. Doralis (Alvaro!) ha girato
graziosamente il busto verso di me e mi sono accorta che aveva in mano una
pistola.
“In confidenza, joia, voglio che tu sappia che non ce l’ho
con te personalmente” ha spiegato quasi con tenerezza “Anche se grazie a te
sono andati in vacca tutti i miei progetti. Se penso a quanto mi è costata
l’operazione per rifarmi le tette, il culo e il naso! Senza contare tutti gli
ormoni che prendo, roba da stendere una stalla intera di cavalli. Ora devo
ricominciare da capo con Ekekazo e i miei clienti non mi vogliono pagare fino a
lavoro concluso… un bel casino, joia, lasciatelo dire. E poi Li… che delusione!
Pensare che ci avevo fatto anche un pensierino, con quella bocca da letto che
ha e quel sederino sodo…”
Mi ha strizzato l’occhio con aria complice mentre io
continuavo con impegno a imitare l’immobilità di un blocco di pietra lavica.
“S-senti, Do-Doralis… o A-Alvaro… non p-possiamo
p-parlarne?”
Doralis (Alvaro!!) ha inarcato un sopracciglio, impaziente.
“Possiamo parlare tutta la notte, joia, ma non voglio che ti
faccia illusioni: il risultato sarà sempre te con un buco in testa.”
Oh, che bello. Il groppo nello stomaco aveva raggiunto le
dimensioni di un piccolo pianeta e per domarlo ripetevo tra me e me, come un
mantra propiziatorio: non più sola, non più sola, non più sola…
“M-ma io non ti ho fatto niente…”
“Nemmeno Ekekazo, joia, ma anche lui è già morto, solo che
non lo sa.”
“Ch-Chi è che lo vuole morto? A-alla centrale mi hanno detto
che è un uomo o-onesto!”
“Onestissimo” ha sospirato Doralis impaziente “Ma Bonanno
non la pensa così…”
Bonanno?!?
“Bonanno?”
“Ops, questa non la dovevo dire” ha ridacchiato Doralis
garrula “Ma d’altronde, joia, a chi mai lo andrai a raccontare in Paradiso?”
“Se ti p-pago?”
“Per Ekekazo mi hanno offerto cinquecentomila. Ne hai
qualcuno in più?”
Cinquecentomila! E chi l’avrebbe mai detto che fare il
killer rendeva così bene?
“S-se ti giuro su m-mia m-mamma che non aprirò b-bocca con
n-nessuno?”
“Credo che potrei sbadigliare.” ha risposto Doralis
annoiata.
“Se sp-sparisco dalla faccia della terra e giuro di non
mettere mai più piede in Italia?”
“Senti, posso solo dirti che mi dispiace” ha sospirato
Doralis “Avevi proprio ragione, la tua sfiga non ha pari né confini! Cercherò
di fare un lavoro pulito e indolore, ok?”
Ancora una cosa. L’ultima.
“Posso togliermi la parrucca?” ho mormorato esausta “Non
voglio morire da bionda.”
Doralis ha sorriso materna e mi ha fatto un regale cenno
d’assenso. Io allora ho tolto la parrucca, lentamente.
A quel punto non c’era più niente da dire: Alvaro il killer
era definitivamente davanti a me, pronto a uccidermi. Sapevo chi l’aveva
ingaggiato, sapevo quanto l’avevano pagato…
Togliermi la parrucca è stato il segnale convenuto: meno di
un battito di ciglia e la macchinina rossa fiammante di Doralis/Alvaro è stata
abbagliata da un milione di fari puntati mentre un milione di voci hanno
cominciato ad urlare in perfetta sincronia, come a un concerto rock.
“Fermi tutti! Mani sopra le testa!”
*
* *
E’ stato un perfetto dejà-vu: non fosse stato per la faccia
completamente abbacinata di Doralis e la mancanza di Labbrona, sarebbe sembrata
una copia carbone dell’intervento della Polizia al Corda Tesa. Questa volta,
però, niente show vomitifero e niente manette: prima ancora che potessi
strizzare gli occhi, qualcuno aveva spalancato la portiera, mi aveva infilato
con decisione le mani sotto le ascelle e mi aveva strappato dal sedile, come se
pesassi due etti. Mi sono trovata con le mani di Li addosso che mi palpavano
dappertutto, come per accertarsi freneticamente che avessi tutti i componenti
al loro posto.
“Stai bene?” mi ruggiva addosso con Mister Sopracciglio
fremente di furia “Ti ha fatto del male? Sei tutta intera? Sei… ti ha… insomma,
stai bene?”
“Sto bene.” ho pigolato io, incerta: non avevo mai visto Li
così platealmente scomposto ed è stata una piacevole sorpresa intuire che è
stata la sua preoccupazione per me ad arruffargli il britannico aplomb. Ho
continuato quindi a guardarlo in devoto silenzio mentre lui, pallido e con la
bocca imbronciata faceva un accurato inventario delle mie membra e, verificato
che c’era ancora tutto, si scostava da me sospirando pesantemente. Sono
arrivati anche Santamaria e Marcello, esagitati e corrucciati anche loro come
Li: hanno anche loro fatto l’inventario, in maniera un po’ meno rude di Li, a
dire il vero, e poi mi hanno balbettato qualcosa di vagamente incomprensibile;
brava, bel lavoro, non metteremo a verbale… Non ho capito molto, ma essere viva
e avere Li davanti agli occhi mi bastava.
Ebbene sì, avevo fatto da esca per catturare Alvaro il
killer. Col senno di poi, la lavata di testa di Marcello e Santamaria che mi
aveva fatto sentire un perfetto esempio di escremento equino, aveva inciso
molto sulla mia decisione di accettare l’offerta dell’Interpol. Un’offerta
assolutamente illegale, studiata da Santamaria e Marcello e fortemente
osteggiata da Li: infatti, avevano aspettato che fossi fuori dal commissariato,
lontano dalle orecchie indiscrete della legge per propormi l’improponibile. A
dire il vero, quando Li mi aveva seguita per farmi la proposta, l’avevo visto
abbastanza sicuro che avrei rifiutato. L’ho lasciato letteralmente di sasso
accettando al volo. Mica perché fossi particolarmente coraggiosa, o ligia al
dovere, o santa: semplicemente, collaborare avrebbe voluto dire rivederlo
ancora, e nella mia mente disfunzionante quella era l’unica cosa che contava. E
lui, il poliziotto tutto d’un pezzo, non lo aveva nemmeno capito: probabilmente
pensava che mi mancasse una rotella, o l’ingranaggio completo, chissà.
“Sei una pazza scatenata” ha detto infatti corrucciato
quando Santamaria e Marcello si sono allontanati “Alvaro è un pericoloso killer
senza scrupoli, un criminale! Poteva ammazzarti in qualsiasi momento, lo sai?
Meriteresti… avrei voglia di darti un ceffone, dannazione.”
E questa assurda filippica, da dove saltava fuori? Che aveva
intenzione di fare quell’altezzoso cinonipponico, pigliarmi per il sedere?
“Guardi che me lo ha chiesto lei di fare da esca.” ho
risposto sostenuta.
“Non io” ha berciato lui aggressivo “L’Interpol.”
“Beh, a me lo ha chiesto lei.” ho specificato leggermente
aggressiva.
“Ma rappresentavo l’Interpol in quel momento.”
“E io rappresentavo lo zelante cittadino medio che fa di
tutto per aiutare le forze dell’ordine nell’adempimento del loro dovere.”
“Lo zelante cittadino medio se la sarebbe data a gambe
strillando di terrore alla prospettiva di fare da esca ad un pericoloso killer
internazionale” ha borbottato Li amaramente “Ma tu no. Pazza scatenata.”
L’ha detto in una maniera strana, sempre indeciso tra il
cavalluccio e gli sculaccioni. Adoravo che mi parlasse così: adoravo ogni cosa
di lui, compreso quell’antipatico di Mister Sopracciglio.
“Insomma, non le va mai bene niente di quello che faccio” ho
ribattuto con leggerezza “Mi dice di intrattenere Ekekazo, io lo faccio e lei
si arrabbia; mi dice di fare da esca per catturare Alvaro il killer, io lo
faccio e lei si arrabbia. Che devo fare per farla contenta?”
Il suo sguardo si è acceso di qualcosa che metteva i
brividi… o forse era ancora l’adrenalina da scampato pericolo che mi faceva
vedere tutto rosa?
“Potresti cercare di stare fuori dai guai.” ha concluso Li
leggermente ammansito.
“Impossibile” ho sospirato affranta “Ci sono nata nei guai.
E oggi poi… da quando Callas non ha suonato stamattina, è andato tutto di
traverso.”
“Davvero?”
Me lo ha chiesto con una voce… un concentrato di miele,
tequila e velluto. Si è anche avvicinato di un passo e io ho alzato gli occhi
per guardarlo: sapevo che sembravo sempre di più un panda moribondo, col trucco
colato, l’aria sfatta e i capelli incollati sul cranio dalla ex parrucca, ma
essere ancora viva dopo aver incontrato da vicino Alvaro il killer mi dava un diffuso
senso di euforia e onnipotenza, lasciandomi credere per un momento che tutto
fosse possibile.
“Beh, no” ho ammesso con voce roca “Non proprio tutto.”
“E cosa c’è stato di bello in questa giornata?”
Aveva gli occhi accesi, meravigliosi.
“Prima di tutto, ora possiedo un paio di scarpe Manolo
Blahnik” ho argomentato semiseria “E un vestito da pornostar, nonché una
parrucca con un microfono dell’Interpol incorporato.”
“Quella dovremo requisirla.” si è scusato Li rammaricato.
“Diamine. Mi dovrò far bastare le scarpe. Oh, ho anche
vomitato su una mitraglietta carica… era il mio sogno ricorrente da sempre. E
ho imparato che sì in polacco si dice tak.”
“Effettivamente, tutto sommato è stata una giornata molto
istruttiva per te.”
“Ci può giurare. Signor Li?”
“Che c’è?”
“Potrebbe abbracciarmi di nuovo, per favore?”
Ho visto gli occhi di Li accendersi di luce divertita. Gli
ho sorriso e lui ha sorriso a me: lo ha fatto per davvero con tutta la faccia e
dai suoi occhi caldi è sparita la voglia di sculacciarmi. Ma il cavalluccio è
rimasto, oh, sì!
“E’ già la seconda volta che me lo chiedi, oggi” mi ha
rimproverata burbero, avvicinandosi ancora “Rischia di diventare un evento
ricorrente.”
“Lo so, sono terribilmente abitudinaria.”
Mi ha abbracciata e strinta a sé senza troppa delicatezza:
ho appoggiato di nuovo al testa alla sua spalla e ho dedotto che quello lì era
esattamente il posto dove dovevo stare. Gli ho mugugnato qualcosa contro il
collo mentre mi accomodavo meglio sulla sua clavicola e Li ha sospirato
leggermente.
“Non dovresti darmi confidenza” mi ha rimproverata semiserio
“In fondo ti ho costretta a diventare una prostituta, un killer uomo e un’esca
per un assassino tutto nello stesso giorno.”
“Giusto” ho approvato con vigore “Ha intuito subito che non
avrei mai potuto essere una ballerina di lap dance.”
Li ha sorriso di nuovo, malizioso.
“Chissà.”
Da brivido.
“Dobbiamo andare alla centrale” ha berciato qualcuno
passando rasente “Serve la dichiarazione, la deposizione, le prove…”
Li, distratto, mi ha cullato un po’, come se nemmeno si
rendesse conto di farlo.
“Dobbiamo andare al commissariato.” ha sospirato poi.
“Ho sentito.”
“Dovremo interrogarti, farti firmare le dichiarazioni…
dovrai passare un sacco di tempo con la polizia di stato. E con me.”
Me lo ha detto con le labbra contro la mia tempia. Un
attentato al pubblico pudore, parola mia!!
“Ok. Ho un sacco di tempo libero visto che mi hanno
licenziato.”
“Non hai paura che succeda qualche altro disastro ecologico?
Io e te insieme sembriamo fatti per combinare guai.”
Io e te. Lu e Li. Terribilmente giusto e meraviglioso, sotto
ogni punto di vista! Ho sollevato il viso, le mie labbra a un respiro dalle sue
imbronciate e bellissime.
“Non è colpa sua” ho sospirato rassegnata “Sono io che porto
sfortuna.”
“Uhm. Magari le cose cambiano se ti decidi a darmi del tu,
che ne dici?”
Ho buttato un’occhiata pigra al cielo, dietro gli occhi
scintillanti di Li, e ho pensato con soddisfazione che oramai dovesse essere
mezzanotte passata: questo terribile venerdì 17 era finito, finalmente…Tutto
sommato, ora era anche possibile che le cose mi andassero bene.
“Tak.” ho risposto allegra e Li finalmente si è deciso a
baciarmi.
FINE
NOTE DELL’AUTRICE:
Ordunque: giunti alla fine, siamo. No, non mi è partito un
embolo siciliano, è che tento di scrivere la parola FINE senza commuovermi,
quindi faccio la scema. Mi viene molto bene, tra l’altro. Che drivi, gente, non
ci sono sufficienti parole sul dizionario per dirvi grazie: siete stati
carinissimi tutti e avervi avuto come lettori è stato un privilegio per cui
sono davvero profondamente onorata.
Quindi, ringrazio come sempre la mia insostituibile ROMINA,
la mia consulente di giapponico NISIBELLA, la mia disegnatrice ufficiale di
copertine BLACK, il SOMMO RIk per il sito di cui allego l’indiriss e su cui
troverete news e stronzate varie.
A presto, spero, un bacio, un sentito ringraziamento e un
abbraccio a tutti.
Lauraroberta87: Buongiorno! Allora, bella bottega…
scusi, fornaio? Com’è che si chiama, Ahmed, Skifid, un nome così… Thaib! Senti,
dammi, due pagnotte, un litro di latte e due etti di crudo. E un pezzo di
Taleggio, Cademartori però, eh…. Metti in conto, che adesso sto ancora cercando
un acquirente per il rene, quando lo trovo ti pago. Ora vado, salutami quella
fulminata di LR87 e dille che la amerò per sempre. A presto!!!
Moonwhisper: Eh, ogni cosa deve finire, e questa
storiellina è durata anche più delle previsioni. Ma mi ha divertito, e spero
abbia divertito voi. Fortuna che io e te continuiamo a sentirci sulla “TUA” ff…
sul tuo romanzo, voglio dire: scrivi troppo bene per chiamarlo diversamente.
Quindi… arrivederci, liebe!
Momob: Grazie, carissima! Anche tu fatti sentire
presto!!
Ellemyr: Dolcezza!! Alla fine non ho avuto cuore di
umiliare Luana al palo della lap dance. Come sono buona. E come sei buona tu
con quei complimenti: sigh, sob, come farò senza?!?!? Ci sarai, alla prossima?
Speriamo di si, ti aspetto! SMACK!
Chocolate fairy girl: E così, mia piccola fatina
cioccolatosa, siamo giunti alla fine:visto che no ci si sente più, mi dici
quando li vedi i Lost? EPrchè io l’11 luglio sarò a Modena e i Lost sono il
gruppo di supporto di quattro crucchi… chissà che no nci vediamo lì!! Bacioni
Ainat: Wow, che devo dirti, grazie!! Sapessi che
piacer che fa ricevere recensioni così entusiastiche, fanno decuplicare la
voglia di scrivere! Scus,a ma posso prendere a prestito la tua “medaglia di
sterco” e usarla nelle prossime storie? Mi ha fatto rotolare dal ridere… a
presto, ciao!
DarkFairy: Ciao!!!! Wow, che bello il tuo nick, molto
gotico. Giusto per rispondere alla domanda “si può sbavare per un tizio che non
esiste” la risposta è ovviamente sì! Ho iniziato io da piccolissima a sbavare
per Capitan Harlock… se vuoi Li comunque te lo mando impacchettato e
infiocchettato: la storia è finita, non mi serve più e io preferisco i biondi…
he he he!! Grazie del commento, a presto!
Lady Elizabeth: Ma no, che butti alle ortiche!! Coi
tempi che corrono, bisogna conservare tutto che dopo un po’ torna di moda
come vintage. Se penso a quel maximaglione a pois rosa e grigio che ho
buttato via nel 1989… Grazie dei complimenti,c omunque: sono un piacere immenso
per cui mi sento col cuore di dover ringraziare… grazie, insomma, a presto!
Diana Riddle: Ehi, una niuentri!! Ma grazie, come si
fa a non rimanere entusiasti dopo complimenti del genere? Peccato che siamo
alla fine… comunque, sappi che ho apprezzato ogni parola, e che spero di
sentirti presto!! CIAO!
Hebe: Moi karas!! Certo che hai detto bene (tanto
nemmeno io so il finlandese, solo giusto ciò che serviva alla storia… e
savusilakka, che è rimasto negli annali!!). Ufficialmente, grazie per il
commento su Geometrie, sono davvero felice che la storia ti sia piaciuta.
Sapessi quanto mi sono divertita a scriverla!! Grazie a te di tutto cuore,
smack!
Krisma: Sob! Coem farò senza te che mid ici bocciolo
ogni settimana? Ti prego, mandami un po’ di fertilizzante, ogni tanto: spero
che il tuo pollice verde funzioni spero anche alla prossima fioritura di essere
ancora qui!! Un bacio, che dico, mille baci dal bocciolo a un fiore vero, a
tutti gli effetti!!
Tartis: Eh, sei stata molto assente ultimamente… hai
bruciato tutto il libretto delle giustificazioni! Ti perdono solo perché sono
molto buona di mio. Seriamente, spero che tua madre stia meglio… i problemi
familiari sono devastanti, lo so bene. Falle i miei auguri, e sappi che anche
io ti adoro!! Sbaciuzz
Miriel: Tutto è bene quel che finisce bene, no? Una
rondine non fa primavera… chi non risica non rosica… insomma, se sembra tutto
un luogo comune, è perché adoro gli happy end e non posso fare a meno di
usarli. I apologize!! Kissoni, fatti sentire, ne?
Rik Bisini: Ma dai, tutti sanno chi è Pierino!!
Perisno mia nipote, classe ’88, sa chi è Alvaro Vitali. C’è da dire che, avendo
me come zia, parte con un livello culturale di parecchio fuori dalla norma…
spero che il finale ti risulti piacevole, o Sommo. Noi, ci si sente sul forum!!
A presto!
Black_Moody: La mia flautara bionda! Sai che mi piace
la tua musica? La ascolto spesso, qui a lavorare. I miei colleghi (maschi),
quando ho detto loro che siete tutte donne sarebbero interessati alla vostra
intera discografia, me secondo me intendono qualcos’altro… mandami un autografo
(loro hanno chiesto le mutandine, ma secondo me si accontentano). Alvaro non ti
giunge nuovo? Pensi che Alvaro Vitali, l’attore storico interprete di Pierino,
ti aiuti nella tua meningo ricerca? Ti mando tanti baci e spero di vedere
presto il frutto dei tuoi sudati lombi… le copertine, che avevi capito. Solita
volgarona, tse.
Unintended: Anche a me Luana ha fatto pena nel cap.
precedente. In questo invece schiatto d’invidia!! E comunque, come si suol
dire, ognuno prima o poi ha quello che si merita e io aspetto sempre Johnny
Depp… baci bacioni, a presto!
Urdi: Adoro mescere tragedia et comicità, in fondo la
vita stessa è un garbuglio inscindibile di bene e male… e dopo questa perla (di
Guttalax) me ne vo a salutare, a presto!!
Aki_penn: Forse hai ragione, ho un po’ esagerato a
dare tutta la colpa a Luana.. ma mi serviva così, doveva raschiare il famoso
fondo dle barile. Alla fine, ne è valsa la pena, no?
Kyomi89: La superstizione, mia cara, serve a farci
credere di avere un minimo di controllo sul destino. Cosa che notoriamente non
abbiamo, ma continuiamo ad illuderci… e a sperare che al mondo esistano davvero
superfigoni buoni e bravi come Li. Altra mera illusione… bah, bacionissimi e
grazie di tutto!!
Crici_82: La sfiga non ha limiti, ma nemmeno la mia
gratitudine per voi lettori!! A risentirti presto, joia!
Zerby: Finita la storia. Sob. Come farò senza i tuoi
complimenti? Senti, me ne puoi mandare alcuni via mail, così, ogni tanto,
giusto per non farmi cadere in astinenza? Te ne sarei molto grata…
Suni: Come non hai la dentiera? Sei sicura? Mi cade
un mito. Sob. E io che pensavo avremmo potuto scambiarci il Kukident… Comunque
lasciatelo dire, se tutti i merluzzi morti avessero davvero il tuo acume,
sarebbero vivi. Un bacione, sei troppo forte!
Londonlilyt: Che ha Alvaro che non va? Un nome così
evocativo, così… “pierinesco”. Alla lebbra ci avevo pensato, ma mi era sembrata
così triviale… ti mando un vagone di sbasi, joia: a proposito, lo sai che
Doralis dice sempre joia perchè lo dici tu, vero? Dopo Londra, mi hai
contagiata… mille baci, my love, a presto!
Eilinn: Visto che è andato tutto bene? Beh, più o
meno: Doralis forse non la pensa così! Pensi ancora “povera Lu”…?
Thia: Purtroppo conosco bene la legge di Murphy… i
geni di Luana mica sono tutta invenzione, sai? Peccato: fosse vero che alla
fine arriva sempre un Li. Mah, magari a forza di scriverlo….
Lely1441: He he he, piacere di averti sorpresa! Spero
di aver continuato anche in questo ultimo capitolo… Li e Lu come Brangelina,
ohibò, che immagine inquietante! Un bacione, a presto!!