I taste you on my lips and I can't get rid of you so I say damn your kiss and the awful things you do

di Albascura_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dancefloor ***
Capitolo 2: *** Why ***
Capitolo 3: *** Fire Allarm ***



Capitolo 1
*** Dancefloor ***


 


 

 

I taste you on my lips and I can't get rid of you so I say damn your kiss and the awful things you do




“Per favore Sherlock... Vieni con me stasera! Non voglio andarci da solo!”

John mette in pausa il videogioco, e si rigira il joystick tra le mani nervosamente.

Alzi svogliatamente gli occhi dal microscopio. “Ma non puoi andarci con Gavin?”

Ottieni in risposta solo uno sguardo confuso.

“Geoff? Graham?”

“Oh, intendi Greg! No, stasera deve studiare.”

“Anche io.”

John alza un sopracciglio talmente tanto da farlo sparire sotto un ciuffo di capelli troppo lunghi.

Scrolli le spalle.

“Ti offro il pranzo per una settimana.”

“No.”

“Ti compro un nuovo microscopio!”

“No.”

“Ti faccio i compiti di astronomia per una settimana!”

“...”

“Per un mese!”

“...”

“Per tutto il semestre!”

“...Ok.”

“Ok?”

“Ok. Devo ripeterlo una terza volta?”

John ti fa un gran sorriso. Rispondi con una smorfia.

“Vengo a prenderti alle 10!” Preme start e ritorna a sparare con entusiasmo contro una massa di zombie virtuali.

“Ciò implicherebbe il tuo tornare a casa tua.”

“Stronzo. Adori avermi qui!”

“Adoro stare da solo.”

“Balle!”

Torni sbruffando al tuo microscopio, mentre John si stravacca ancora di più sulla tua poltrona.

 

 

 

E' come un incubo. La musica è troppo alta, copre qualsiasi altro suono. Non puoi sentire i rumori. Male, pensi. I rumori sono importanti. Si possono dedurre molte cose grazie ai rumori. Pulsazioni, respiro, tic nervosi delle dita contro le cosce, dei piedi sul pavimento. Palpebre che si chiudono. Saliva che scende lungo la gola. Unghie che graffiano la pelle. Non puoi sentire nulla, solo musica assordante, e non puoi vedere nulla, accecato dalle luci stroboscopiche, se non corpi accaldati che ondeggiano a ritmo. I bassi fanno vibrare le pareti del bicchiere che hai in mano, ancora pieno. La birra che ti ha preso John si sta lentamente riscaldando al contatto con le tue dita.

Ti appoggi con la schiena ad uno dei pali che sorreggono il soppalco sopra la tua testa. Le persone passando ti sfiorano. Ti senti come se il calore ti stesse schiacciando. Devi assolutamente uscire di lì.

John al tuo fianco sorride e segue rapito il gruppo che si sta esibendo sul palco.

Stai per dirgli che hai bisogno di uscire quando una ragazzetta bionda si sbraccia nella sua direzione.

“Mary!” John esclama a gran voce.

Ti da una pacca sulla spalla e corre verso di lei. Resti solo. Ti senti soffocare.

Ti guardi intorno. Cerchi di dedurre, per ritrovare la calma.

Soggetti noiosi in tutte le direzioni. Noioso, noioso, noioso.

Proprio davanti a te, però, a pochi metri di distanza, c'è un ragazzo.

Non è molto alto. Indossa una sciupata maglietta bianca con lo scollo a v, l'intimo di colore fluo spunta oltre il bordo dei jeans ogni volta che muove i fianchi seguendo il ritmo della musica.

Ai piedi ha un paio di anfibi slacciati. Nonostante questo si muovono con grazia.

I capelli spettinati sono l'evidente risultato di ore passate davanti allo specchio. Le sue ciglia sono così folte e scure, anche da quella distanza, che pensi siano probabilmente dipinte. I suoi occhi scuri sono grandi e rotondi. E ti stanno fissando.

Distogli lo sguardo. Prendi un piccolo sorso dal bicchiere, così per dissimulare. La birra è amara e tiepida, inghiotti a fatica.

Torni a guardarlo. Mentre balla tiene gli occhi fissi su di te e le labbra piegate in un sorriso sghembo.

Un paio di braccia gli circondano il collo. Oh, non l'avevi notato.

E' insieme ad un ragazzo alto, forse più grande. Capelli biondi, mandibola pronunciata, torace muscoloso strizzato in una maglietta nera di parecchie taglie troppo piccola. Muove il bacino contro quello del ragazzo che tiene tra le braccia. Quello gli posa le mani sui fianchi. E continua a fissarti.

La musica ti martella la testa. Passi una mano tra i capelli. C'è caldo, odore di sudore. Tutti questi corpi...

Il ragazzo alto ora è da solo. Le luci intermittenti fanno sembrare i movimenti interrotti e scoordinati. Il ragazzo dagli occhi neri sta camminando. Buio. Verso di te. Buio. Nove passi. Buio. Sette passi. Buio. Oh dio. Buio. Tre passi. Buio. Ti è davanti. Buio. I denti brillano azzurri tra le sue labbra. Buio. Appoggia la guancia contro la tua, in punta di piedi. Buio. “Ti piace quello che vedi?” ti strilla all'orecchio. La sua voce squillante supera appena il frastuono della musica. Il suo respiro caldo è anche troppo rumoroso contro il tuo orecchio. Buio. Ti poggia le mani sulle spalle. Buio. Ti guarda negli occhi. Buio. Tremi. Buio. La sua lingua è umida sulle tue labbra. Buio. Non respiri. Buio. Tiene una mano sulla base del tuo collo. Buio. Resti immobile. Buio. I suoi denti ti graffiano il labbro inferiore. Buio. La sua mano sinistra scende e si infila nella tasca posteriore dei tuoi jeans. Buio. La punta della sua lingua ti scorre contro il palato. Buio. Un brivido ti scorre lungo la schiena. Buio. Poggia le labbra sulle tue un'ultima volta e le allontana con uno schiocco. Buio. Non fai in tempo a riaprire gli occhi – non ti eri neanche accorto di averli chiusi - che è già sparito.

 

“John, guarda!” L'indice di Mary indica un punto alle sue spalle.

John si volta. “Ma cosa cazzo...” Corre verso Sherlock facendosi strada in mezzo alle persone, mentre il ragazzo a cui era avvinghiato svanisce tra la folla.

La birra che aveva in mano è per metà sparsa sul pavimento. Ha le labbra rosse e un'espressione sconvolta.

“Chi diavolo era quello?!”

“Io non...”

“Ma che cazzo, non posso allontanarmi un minuto che...” John si passa una mano sulla fronte, esasperato. “Cosa ti ha fatto? Cosa ti ha detto? Cosa voleva?”

Sherlock scrolla le spalle. Si mette una mano in tasca e ne tira fuori un bigliettino spiegazzato. Lo apre.

“...Darmi il suo numero.” Dice tossendo una risata.



***
Ahahahahahah. Bhahauhauhah!
Scusate, scusate. Per tutto. Ho mille progetti in mente e mille cose da fare nel mondo reale (?) e nessunissima voglia/ispirazione per portare a termine nessuna di queste cose. Ma questa è tutta colpa de I Cani
, che sono stati bravi e belli e mi hanno fatto venire voglia di prendere penna e bloc notes e iniziare a scrivere in mezzo alla pista.
E' da una vita che sogno di scrivere una teenlock e questo mi sembrava proprio il pretesto giusto.
Io non so scrivere le long - metto le mani avanti - infatti non ho la più pallida idea di cosa succederà nei prossimi capitoli e quando/se li scriverò. Mal che vada rimarrà una piccola shot teenlock C:
Ah, il titolo è una frase di Nicotine dei Panic! at the disco.
Spero vi sia piaciuta almeno un pochino!
Bisous :-*

 

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Capitolo 2
*** Why ***


 




2. Why

 

Il suono della campanella arriva come una benedizione.

Sebastian, di fianco a te, ha passato tutta la mattina a temperare matite, fino a renderle così appuntite che potrebbero tranquillamente passare per armi improprie. E' stato irritante, all'inizio. Ma dopo un paio d'ore hai iniziato a trovare quel costante rumore di sottofondo quasi rilassante.

Lo guardi gettare alla rinfusa le sue cose nello zaino e caricarsi sulle spalle quelli di entrambi.

Vi avviate verso l'uscita. Si accende la sigaretta prima ancora di varcare la soglia, e poi ti porge l'accendino. Il bidello vi guarda male, Sebastian risponde alzando il dito medio. Ti viene da ridere, ma passa subito. Il cielo è azzurro e il sole splende, il mondo non potrebbe essere più seccante di così.

“Perché quella faccia? Vuoi che pesti qualche ragazzino per farti tornare il buonumore?”

Scrolli le spalle. “E' passata una settimana.”

“...quindi?”

Sospiri. Tiri fuori il cellulare dalla tasca e glielo sventoli sotto il naso. “Quindi non mi ha ancora chiamato!”

Sebastian butta gli occhi al cielo. “Non capisco perché ti importa così tanto. Era solo uno sfigato del cazzo.”

“Perché gli ho dato il mio numero. E io non do mai il mio numero. Di solito le persone implorano per averlo.”

Ed è esattamente così. Sono disposte a pagare qualsiasi cifra, per averlo. Perché Jim Moriarty è un'icona, un'istituzione. Qualcuno a cui rivolgersi con le richieste più disparate. Hai bisogno delle risposte del compito di biologia? Chiedi a Jim. Di un furto in un'abitazione, uno scherzo a qualche professore o un pestaggio fatto come si deve? Chiedi a Jim. Vuoi alterare i registri, aggiungere un paio di punti alla tua media, o scommettere sulle partite di basket? Jim è la persona che fa per te. Jim Moriarty ha occhi e orecchie ovunque, la scuola e il quartiere sono suoi. Non ufficialmente, certo. Ma sono suoi.

Eppure quel ragazzino non aveva idea di chi fosse...

“Ok, ok... Possiamo tornare al club stasera. Magari sarò di nuovo lì.”

“Non credo... Aveva l'espressione sperduta del classico agorafobico che preferirebbe trovarsi in una biblioteca piuttosto che in una discoteca.”

“Quindi cosa proponi, capo?”

Prendi una profonda boccata. Lasci che il fumo ti impregni bene i polmoni prima di soffiarlo fuori. “Scoprire dove va a scuola.”

 


*

 

Ti vergogni ad ammetterlo – ti vergogni come un ladro, effettivamente – ma è tutta la settimana che ci pensi. Che ti tormenti, in realtà.

Sei sdraiato sul letto e fissi il soffitto, bianco, granuloso, irregolare. L'imbianchino che anni prima avevano assunto i tuoi genitori doveva essere proprio un ragazzo pigro (un uomo adulto non avrebbe mai fatto un lavoro così dozzinale) e probabilmente aveva accettato l'impiego per guadagnare due soldi in più per comprarsi le canne. E probabilmente se l'era anche fumate durante l'orario di lavoro, insozzando di cenere il pavimento di quella che ora è tua stanza. Puoi vedere la scena come se si svolgesse davanti ai tuoi occhi. Sbruffi.

Oggi niente John che gioca alla play nella tua stanza. Niente fastidioso rumore di spari virtuali, di polpastrelli pigiati con violenza sui tasti, di bestemmie trattenute tra i denti. Solo silenzio.

Ti annoieresti, se non fossi così occupato ad avercela con lui.

John. John John John. John che ti aveva trascinato in un posto in cui non volevi andare, John che ti aveva lasciato da solo come un'idiota per andare a flirtare con una stupida ragazzina, John che aveva corso goffamente verso di te e ti aveva fatto il terzo grado su una cosa che non era stata affatto colpa tua. E soprattutto, John che ti aveva strappato il bigliettino dalle mani – prima che avessi il tempo di memorizzare il numero – e che l'aveva accartocciato e gettato a terra. Eri riuscito a tenerlo d'occhio per un po', ma poi le suole, i piedi e i corpi di centinaia di persone l'avevano calciato troppo lontano per poter essere rintracciato.

La sua reazione era stata decisamente esagerata. Era addirittura più sconvolto di te, e non ne aveva nessun diritto. Neanche fossi stato tu, ad avventarti così su uno sconosciuto. E anche se l'avessi fatto? Tu non dici mai una parola quando lui ti pianta in asso per correre dietro a qualche sottana. O comunque non ne dici... Troppe. Insomma, il punto è che semplicemente, non avevi avuto la prontezza di reagire. E probabilmente tutt'ora non avresti saputo come farlo.

Mary era stata d'accordo con te, e ti aveva aiutato a trascinare fuori dal locale un John decisamente fuori di sé. L'avevate lasciato a sbollire qualche minuto da solo nel parcheggio, osservandolo da lontano mentre prendeva a calci le gomme delle auto che gli capitavano a tiro. Mary non aveva fatto né domande né commenti, si era limitata ad offrirti una sigaretta che avevi rifiutato. Ti era rimasto uno strano sapore in bocca, di alcool e aspettative, e non avevi voglia farlo andare via. E quando finalmente John aveva ritrovato l'equilibrio psicofisico necessario per mettersi alla guida, lei ti aveva salutato facendoti l'occhiolino. Iniziavi seriamente a rivalutarla.

Il viaggio verso casa era stato estremamente silenzioso ed altrettanto imbarazzante. John aveva fissato serio la strada, senza mai guardarti. Solo quando aveva accostato davanti al tuo cancello, aveva soffiato rumorosamente l'aria dalle narici e si era voltato verso di te.

Aveva un'espressione strana, le sopracciglia corrugate e la mascella contratta. Sembrava volesse dire qualcosa, ma teneva le labbra sigillate e questo ti stava velocemente facendo perdere la pazienza.

“Allora? Vuoi dire qualcosa o preferisci continuare a fissarmi in cagnesco fino a domani mattina?” La voce ti era uscita molto meno minacciosa di quanto avresti voluto, però.

John aveva aperto la bocca di scatto ma l'aveva richiusa dopo meno di un istante. Poi aveva colpito il volante con un pugno e aveva indicato la portiera.

“Guarda Sherlock... Esci. Vattene, ne parleremo domani.”

L'avevi guardato incredulo. “Sei un ingenuo se pensi che domani ti parlerò ancora.” Avevi bofonchiato, prima di sbattere la portiera e correre verso casa.



 

Comunque non l'hai detto a nessuno che la mattina dopo sei tornato al locale. Eri terribilmente imbarazzato già solo nel comunicare l'indirizzo al tassista.

Sai che non è giusto, ma quel senso di colpa che John ti ha rovesciato contro ti è rimasto appiccicato addosso. Non l'ha detto a parole, certo, ma era lampante in ogni suo gesto e in ogni suo sguardo.

Avevi detto alla donna delle pulizie che piantonava l'ingresso che la sera prima avevi perso la sciarpa. Lei aveva alzato gli occhi al cielo e ti aveva dato il permesso di entrare a cercarla.

Ci hai passato ore, in quel maledetto locale, a passare alla lente ogni singola mattonella del pavimento.

E ci hai trovato veramente di tutto, tranne quello che stavi cercando.

Sigarette, chiazze di vomito, un reggiseno, vetri rotti, preservativi (nuovi e usati), venti sterline, un orecchino e anche un calzino. Come diavolo si fa a perdere un calzino?

Non sapevi bene come sentirti in proposito. Eri contemporaneamente disgustato e vagamente affascinato dal genere umano.

Era stata una mattinata improduttiva, ma tutto sommato interessate. Avevi addirittura portato a casa qualche campione da analizzare.


 

E adesso sei sdraiato sul letto, a fissare il soffitto. Niente bigliettino, niente John, niente ragazzo misterioso. Solo domande che ti affollano la testa. Perché, perché, perché.

Ti metti a sedere e allunghi un braccio sotto al materasso. Prendi il pacchetto che hai nascosto in mezzo alle doghe e l'accendino incastrato nell'abat jour.

Porti una sigaretta alle labbra e l'accendi. Tanto il sapore è già sparito da un po' - ne resta solo il ricordo sulla punta della lingua - e adesso hai proprio un disperato bisogno di nicotina.

 





***
Contro ogni previsione, ho scritto il secondo capitolo. Yay! :D E ho già plottato il terzo! :D Dopodichè non ho la più pallida idea di cosa succederà OMG
I pov dei vari personaggi, come è successo già in questo capitolo, cambieranno. Non sarà sempre il solito Sherlock il tu della situazione, perchè boh, ho voglia di provare a muovere qualche altro personaggio, ormai Sherly mi viene troppo spontaneo.
Questo capitolo è un po' di passaggio... E lo sarà parzialmente anche il prossimo. Poi chissà cosa succederà! :D
Vi ringrazio tutte per i commenti
(tranne Far :P), vi risponderò appena posso. Ho preferito scrivere intanto che ero ispirata :)
Sono proprio contenta che vi stia piacendo 
spero che questo capitolo non vi abbia deluse!
Bisous :-*

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Capitolo 3
*** Fire Allarm ***



 


3. Fire Allarm

 



Non è più così divertente bighellonare con Jim Moriarty, da quando è ossessionato dal tizio della discoteca.

Da che lo conosci, un paio d'anni ormai, di suoi capricci ne hai sopportati tanti, eppure questo è quello che più di tutti ti sta facendo saltare i nervi.

Non è per il bacio in sé. Quello non è né un problema né una novità, ci hai fatto il callo da tempo. D'altronde è quello che gli piace fare, è il suo modus operandi: pavoneggiarsi, provocare e dare picche.

Farlo doveva sicuramente dargli un gran senso di superiorità e controllo... E questo non ti ha mai disturbato. Tanto, alla fine, è da te che torna sempre.

Per questo, razionalmente, capisci perché per lui sia così importante. Evidentemente, che venissero date picche a lui... No, quello non era accettabile.

Eppure la voglia di prendere a pugni persone random, magari proprio quell'idiota ricciolino della discoteca, cresce ogni giorno sempre di più. E' proprio una sensazione, come di astinenza. Un bisogno, una necessità... Di vedere quel bel faccino spezzarsi contro le tue nocche. Oh, sarebbe stupendo. Un brivido ti percorre la schiena solo al pensiero.

Ma sai che non potrà mai succedere. Non se vuoi che lui, alla fine, continui a tornare da te.

Quindi ingoi la tua frustrazione e cammini a passo svelto, a testa alta.

Vi siete dati appuntamento al solito posto, l'ufficio del vecchio magazzino abbandonato, proprio dietro alla scuola. Sei sicuro che quel posto valga almeno un milione di sterline, da tutte le informazioni che Jim vi tiene accuratamente catalogate dentro.

Poiché quello doveva essere un pomeriggio di lavoro, le distrazioni non erano ammesse. Così hai portato solo qualche birra, e un paio di grammi di erba. E anche un giornaletto per adulti, per la pausa cesso, ma quello l'hai nascosto infondo allo zaino, perché Jim non apprezza che qualche donnetta su carta stampata riceva l'attenzione che ritiene spetti di diritto a lui.

Vi sedete per terra, a gambe incrociate, con una canna in bocca, una birra in mano e una piantina della città stesa tra di voi.

“Noi siamo qui” Jim parla e la sigaretta gli penzola dalle labbra, “e il locale di sabato è qui.” Aggiunge, posando il tappo della birra nel punto che ha indicato.

Tira fuori dalla tasca dei jeans un foglio tutto spiegazzato e lo stende sul pavimento. Le parole sono scritte fitte fitte e lo riempiono tutto. “Le scuole private di Londra sono queste...”

“Ma sono centinaia!” Sbotti.

“Londra ha otto milioni di abitanti, Seb. Cosa ti aspettavi?”

Fai una smorfia. Ma guarda te se devi sprecare mezza giornata sulle tracce di uno sfigato di cui non ti frega un cazzo... Sospiri. “Perché dai per scontato che faccia una scuola privata?”

“Mi sembra ovvio. Primo, se facesse una scuola pubblica saprebbe chi sono.” Fa un tiro, la punta dello spinello si illumina per qualche secondo. Poi dalle sue labbra sottili escono fumo e parole.

“Secondo, aveva abiti costosi, e terzo aveva le mani morbide di chi non ha mai lavato un piatto in vita sua.”

Ti guarda fisso negli occhi e le sue pupille sono così dilatate che non capisci dove finiscano loro e dove inizino le iridi scure...

“Quindi sono abbastanza certo che possiamo restringere il campo alle scuole private.”

...Sembra vogliano risucchiarti.

“Passami il pennarello.”

Dio, quel cretino doveva essere proprio un gran coglione per respingere due occhi così...

“Innanzitutto eliminiamo le scuole femminili e quelle religiose... Poi direi di concentrarci su quelle vicine ai quartieri residenziali...”

 

 

 

 

 

Sherlock si è chiuso in un ostinato mutismo dalla sera della discoteca. Tutti i giorni, durante l'intervallo, ti ha evitato come fossi un lebbroso. Vi siete incrociati un paio di volte nel bagno dei ragazzi, e tutto quello che ha saputo fare è stato guardarti rabbiosamente prima di andarsene.

Non ti ha neanche cercato per i famosi compiti di astronomia che gli avevi promesso, e quello è stato l'ultimo segnale che ti mancava per capire di averla combinata davvero grossa.

La mattina dopo eri già pentito della tua reazione. Non sai ancora bene da dove ti sia uscita, in effetti.

Hai guidato mesto fino a casa sua, ben intenzionato a chiedere scusa. Avresti aggiunto anche i compiti di matematica al piatto, pur di farti perdonare.

Ma quando hai suonato alla porta, la testa ricciuta del tuo migliore amico non si è affacciata alla finestra come era solita fare, e dopo qualche minuto era stato suo fratello maggiore, vestito e pettinato di tutto punto, a venire ad aprire.

Ti aveva squadrato dall'alto al basso con un'espressione vagamente disgustata e senza lasciarti il tempo di aprire bocca, aveva detto, testuali parole: “Quel lavativo di mio fratello non è in casa.” e aveva chiuso la porta.

Eri rimasto qualche secondo immobile davanti alla porta, sconcertato.

Avevi fatto per risalire in auto, ma il dubbio che Sherlock stesse solo fingendo di non essere in casa era troppo grande per essere ignorato. Così avevi iniziato a tirare dei bastoncini contro la sua finestra, quella del secondo piano, proprio accanto all'ingresso del villino.

Ma poi i bastoncini dei dintorni erano finiti, ed eri passato ai sassolini. All'ennesimo tintinnio del vetro, Mycroft Holmes era ricomparso sull'uscio, brandendo un ombrello e agitandolo minacciosamente verso di te. “Mio fratello continuerà a non essere in casa anche se gli sfondi la finestra.”

Avevi incassato la testa fra le spalle ed eri salito in macchina. Mentre guidavi verso casa – avresti voluto andarlo a cercare, ma non avevi la più pallida idea di dove potesse essere -, avevi chiamato Mary. Era nuova in città, ma si era già fatta parecchi amici. Era graziosa, simpatica e solare. Aveva sempre la battuta pronta e una parola gentile per tutti.

Infatti, dopo averle detto che avevi bisogno di parlare di quanto era successo la sera prima, non aveva esitato un attimo nel darti appuntamento per quello stesso pomeriggio.

Casa sua era piccola ma accogliente. Viveva da sola, un po' strano per una diciassettenne, ma sentivi che non eravate ancora abbastanza intimi per indagare la questione.

Ti aveva preparato una tazza di tè e vi eravate seduti al tavolo della cucina.

Le avevi raccontato un po' com'erano andate le cose dopo che vi eravate salutati, di come avevi reagito a sproposito e di come Sherlock si fosse messo a fare il gioco del silenzio.

Lei aveva ascoltato con attenzione, con gli occhi vispi e la tazza stretta tra le mani.

“John, secondo me ti stai preoccupando per nulla.” Aveva detto alla fine. “Sherlock ti perdonerà sicuramente, dopo che ti sarai scusato.”

“Oh, ma non sono l'unico a doversi scusare! Anche lui ha la sua parte di colpe!”

“Dici? Calcola che tu l'anno prossimo andrai all'università, mentre Sherlock è solo al secondo anno. Sinceramente non ci vedo niente di male se cerca di allargare le sue amicizie. Al momento non è esattamente popolare. O almeno, non nel senso positivo del termine.”

Avevi poggiato la tazzina sul tavolo con un po' troppa energia, il tè era zampillato fuori e ti aveva macchiato la camicia. “Insomma Mary. Un ragazzo. Un ragazzo gli ha dato un bacio e lui non ha detto nulla. Poteva almeno dirmelo no?”

“Che cosa?”

“Di essere... Dai, hai capito.”

“John, tu fammi capire. Tua sorella vive con la sua ragazza da anni e tu ancora ti imbarazzi a dire gay?”

“No, non è che mi imbarazzo... E' solo che... Avrei preferito non scoprirlo così. Ecco. Poteva dirmelo.”

“E tu gli hai detto di non esserlo?”

“Ma cosa c'entra!”

“John, non è che uno arriva, e si presenta dicendo – Ciao, mi chiamo Sherlock Holmes e sono gay -. Non ci dovrebbe essere neanche il bisogno di dichiararlo così. Sei il suo migliore amico, magari pensava che l'avessi capito. O dedotto, come dice lui.”

Il tè che avevi sul petto ormai si era raffreddato.

“Forse hai ragione.” Avevi ammesso alla fine. “Ma io mi sento offeso lo stesso. Avrò pur il diritto di sentirmi offeso!”

Lei ti aveva guardato negli occhi con uno sguardo strano, e dopo una breve pausa aveva detto “Non lo so”.

Era stato bello parlare con lei. Era una ragazza veramente saggia.

Ma comunque lunedì non avevi parlato con Sherlock, e non l'avevi fatto neanche martedì. E prima che te accorgessi era passata un'intera settimana, e le scuse erano precipitate talmente in profondità tra tutte le parole che volevi dirgli, che sembrava sempre più difficile farle venire a galla.

 

 

 

 

 

L'allarme antincendio suona all'improvviso, nel bel mezzo della lezione di chimica.

Sei in laboratorio insieme al resto della classe, con il camice sopra la divisa, la mascherina di plastica calata sul viso e i guanti in lattice (troppo piccoli per le tue dita troppo lunghe) che ti avvolgono fastidiosamente le mani.

E' il panico.

Il professore si rifugia sotto la cattedra, - è l'allarme antincendio, idiota, non la campanella del terremoto – pensi, mentre i tuoi compagni afferrano i loro zaini e corrono disordinatamente verso la porta, urtando scaffali e provette che cadono infrangendosi sul pavimento.

Togli con calma maschera e guanti mentre il professore ti fa segno di sbrigarti. Ma non c'è fumo da nessuna parte e i rilevatori sul soffitto non hanno suonato nemmeno una volta prima che scattasse l'allarme, che è stato chiaramente attivato manualmente. Non c'è nessun incendio da nessuna parte, è lampante. Ma raccogli comunque le tue cose e ti avvii tranquillamente verso l'uscita. Non c'è più nessuno dentro, i corridoi sono deserti.

Poi John spunta trafelato da dietro un angolo. “Sherlock! Sherlock stai bene?” La sua voce è interrotta dall'affanno.

Tentenni per qualche secondo, ma alla fine cedi. “Si John.”

“Cosa fai ancora qui! Corri, no? Non ti ho visto fuori e mi è preso un colpo!” Ha il viso arrossato e la fronte sudata.

“Calmati John, non c'è nessun incendio. Niente fumo, niente sensori... Guarda il cielo dalla finestra: non è così limpido neanche ad agosto. Non c'è nemmeno un grammo di fuliggine.”

“Eh allora? Beh comunque sbrighiamoci ad andarcene da qui!”

 

Siete gli ultimi ad uscire. Le varie classi sono disposte più o meno ordinatamente in tanti gruppi nel cortile, e gli insegnanti stringono convulsamente i registri tra le mani mentre strillano in ordine alfabetico il nome dei propri studenti.

Proprio davanti a te, però, a pochi metri di distanza c'è un ragazzo.

John ti tira per un braccio, è la terza volta che il tuo professore sbraita “Holmes!”, ma è come se i piedi ti si fossero incollati all'asfalto.

Il ragazzo cammina verso di voi. Ha un sorriso divertito. John se ne accorge, la sua presa si stringe.

Si ferma a qualche passo di distanza. I suoi occhi sono neri e rotondi come te li ricordavi.

“Jim Moriarty, ciao!”

La sua voce è come una litania. Alza le sopracciglia, e arriccia il labbro inferiore.

“Ti ho dato il mio numero, pensavo avresti chiamato.”



 

***
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! :D
E' più lungo degli altri due e l'ho finito anche relativamente alla svelta! :D Non siete contente? <3
Dal prossimo inizia l'azione... OMG spero di ricevere l'illuminazione divina su cosa scrivere .-. XD
Grazie grazie grazie mille per i commenti che mi avete lasciato, siete meravigliose <3
...E il premio va a Swindle che ha indovinato in pieno che avrei usato l'I give you my number, I thought you might call ;D Ti giuro che quello era l'unico pezzo chiaro nella mia mente XD Poi il resto è venuto fuori così! XD
A presto! spero

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