Come il cielo di luglio

di Isangel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Come il cielo di luglio

 

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1.

Marianna Bruno si perde nei suoi pensieri in riva al mare.

Pietro Ripamonti decide di partire

 

 

Marianna guardò la barca in lontananza, ammirando le leggere increspature dell’acqua al suo passaggio. Sorrise appena, rapita da uno spettacolo di così grande bellezza.

Aveva vent’anni, eppure la sua ingenuità era rimasta tanto intatta da stupirsi per ogni piccola cosa. Da un fiore che sbocciava, alla bellezza del mare in tempesta, dalla gentilezza dei siciliani, alla grandezza di palazzo Ripamonti. Marianna aveva sempre sognato di poter sbirciare la vista da quegli enormi balconi, ma ovviamente era un sogno proibito. Quella era la casa del padrone assoluto, colui che amministrava l’enorme latifondo su cui si estendevano i campi e il piccolo villaggio di Santoro. Spesso sognava di visitare quella roccaforte fissa sulla scogliera, stagliata dai raggi lunari o da quelli mortiferi del tramonto.

Ricordava quanto alla mamma sarebbe piaciuto abitare in quella casa sfarzosa e parte integrante della roccia. Si rattristò appena al pensiero della madre.

Marianna aveva perso Lucia da quando aveva dodici anni e, nonostante fosse ormai passato un bel po’ di tempo, le mancava moltissimo. Assomigliarle come una goccia d’acqua era stata una prova ardua per Michele Bruno, suo padre. In quel periodo, le persone a lei più care erano perennemente turbate e scosse.

Probabilmente l’unica persona inflessibile a quel cambiamento era stato Calogero, il suo padrino. Abile pescatore e amante dei paesaggi marini, Calogero Sabbati era la persona più tranquilla che Marianna avesse mai conosciuto. Spesso si chiedeva come un uomo così calmo e metodico avesse potuto sposare Pinuzza, donna attiva e scattante. Aveva almeno venticinque anni più di Marianna, ma era sveglia e infaticabile.

Marianna adorava Tiziana, la loro ultima figlia. I primi tre maschi erano andati via da Santoro in cerca di fortuna, sentendosi condannati a quella vita così misera. Calogero non protestò come fece spesso Pinuzza. Mentre quella sbraitava che servivano braccia forti per mandare avanti il latifondo Ripamonti, quelli la salutavano per sempre sull’uscio di casa.

Tiziana aveva sei anni meno di Marianna, ma la sua indole era talmente dolce e comprensiva, quasi malinconica, da averla resa più matura di quanto si potesse sperare. Era riflessiva e obbediente, l’esatto opposto di Marianna, tanto da averla invidiata spesso in passato.

“Sei così irruente, Marianna. Ti invidio assai”, sospirava, giocherellando con i capelli castani.

Marianna non aveva mai saputo dire se la sua indipendenza fosse un pregio o un difetto. Lucia non aveva fatto che incoraggiare questo suo aspetto, ma Michele non fu altrettanto d’accordo. Temeva che nessuno avrebbe voluto sposare una donna indisciplinata e dalla lingua lunga.

Marianna inspirò appieno il vento salmastro, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla sua morbida carezza. Adorava la Sicilia, l’isola in cui era nata. E anche se la vita le aveva riservato la fatica nei campi, non le importava. Per lei vivere era già il più bel miracolo che Dio potesse offrirle. Senza di esso, non avrebbe potuto assaporare l’affetto o la gioia, la felicità e il miracoloso paesaggio marino. Spesso il giardino primordiale che tanto la Bibbia descriveva lo immaginava proprio come la spiaggia di Santoro.

“Marianù!”, chiamò una voce conosciuta.

Marianna aguzzò la vista allo sventolio di una mano. Calogero stava appena rientrando nel ristretto porto del paese, le braccia ancora vigorose che smorzavano l’acqua con un remo. Il vecchio legò la barchetta con la robusta corda, per poi uscirvi con un agile salto.

Marianna si alzò in piedi e gli andò incontro, sorridendo gentilmente. “Ciao, Calogero”, salutò gaia, le mani incrociate sul petto.

Il vento le scostò impetuoso i folti capelli ricci e scuri, coprendogli la visuale. Ridacchiò appena e li trattenne con entrambe le mani.

Calogero sorrise, sospirando appena. Marianna sapeva a cosa stava pensando, ma non osava chiedergli niente per la paura che confermasse i suoi sospetti. Non voleva sentirsi ripetere nuovamente quanto fosse simile a sua madre. “Che stavi facendo, Marianù?”, chiese allora il vecchio, avvicinandosi e circondandole le spalle con un braccio.

Marianna fece una smorfia annoiata, guidata dallo stanco dondolio di Calogero verso le modeste casupole di Santoro. “Niente di che, guardavo semplicemente il mare”

Calogero scosse la testa, divertito. “Quando tu guardi il mare, pensi. E in questo periodo stai pensando troppo, Marianna”

“Almeno dimostro di essere un essere pensante”, ribatté prontamente la ragazza, salutando con la mano una persona di sua conoscenza.

“Come è andato il lavoro?”, chiese Calogero, accigliato.

Marianna si strinse nelle spalle, questa volta cupa e imbronciata. “Solito. Noioso e faticoso, ma meglio che niente”

Il vecchio sospirò. Sapeva che cosa intendesse dire la sua protetta. “Questa è la nostra vita, picciridda. Abituati”

Marianna non replicò.

 

* * *

 

Michele Bruno stava aspettando impazientemente il ritorno della figlia a casa. Non gli aggradava molto il fatto che scorrazzasse libera e sola in paese, i tempi erano troppo brutti. Ormai nemmeno l’isolato villaggio di Santoro era più un posto sicuro per una donna. Lì si conoscevano tutti, il paese era piccolo come un quartiere. Ma non gli piaceva. Men che meno da quando aveva saputo chi sarebbe arrivato di lì a poco.

Si stava così bene senza di loro. Da quando don Stefano Ripamonti era morto, nessuno aveva più sopportato angherie e soprusi nei dintorni. Tutti lavoravano tranquillamente nei latifondi, comandati e pagati da un datore invisibile. E adesso quella bolla di tranquillità si stava infrangendo del tutto.

Il giovane Ripamonti sarebbe presto giunto in paese, mantenuti e comandanti al seguito. Michele ricordava bene l’odio che aveva sempre covato per quell’insano Stefano Ripamonti, uomo crudele e senza scrupoli. Chissà perché, immaginava il figlio dello stesso stampo. Il che non era affatto un bene.

Sospirò, passandosi una mano sugli occhi stanchi e affaticati. Gli mancava terribilmente Lucia, sua moglie. Lei era tutto ciò che aveva potuto avere dalla vita. Era dolce, gentile, onesta e obbediente. La sua bellezza era riuscito ad incantarlo giorno per giorno, come un adolescente innamorato. Gli aveva donato un maschietto, purtroppo presto stroncato da una polmonite a tre anni. Poi era arrivata lei. Non avrebbe mai permesso che a Marianna, la sua unica figlia, accadesse qualcosa. La amava con tutta l’anima. E poi, era così simile a Lucia…

“Michele? Michele!”. La voce di Pinuzza risuonò improvvisamente nella catapecchia, accompagnata da picchi sulla porta.

“Vieni, Pinuzza, vieni!”, urlò Michele, raddrizzandosi immediatamente sulla sedia.

Pinuzza apparve in tutta la sua improvvisa vitalità, i capelli ormai grigi decisamente sconvolti. Michele si accigliò nel vedere la preoccupazione della moglie del suo migliore amico dipinta negli occhi scuri. Gli giunse alla mente solo una cosa. Lei sapeva.

“Chi te l’ha detto?”, domandò semplicemente, facendo un cenno allo sgabello di fronte a lui.

Pinuzza colse l’invito. Si sedette immediatamente di fronte a lui, ravvivandosi i capelli per sistemarli il meglio possibile. “Me lo ha detto stamattina Carmela, quella che vive vicino alla spiaggia. Dice che è questione di un giorno”. Pinuzza deglutì a forza, seriamente allarmata. Quella notizia piaceva quanto a lui.

“Sai come si chiama?”, si informò Michele, pensieroso.

Pinuzza annuì, facendo una smorfia. “Pietro. Si chiama Pietro. Avrà il nome di un apostolo, ma sicuramente come il padre è! Cattivo sangue non mente!”, esclamò infervorata.

Michele assentì, completamente concorde. “Già. Un giorno… chissà com’è il figlio del padrone”

Pinuzza sospirò, gli occhi improvvisamente fissi sul tavolo tarlato che li divideva. “Dicono che è davvero bello, ma non è né sposato né promesso a qualcuno. Ha appena preso le redini delle rendite di famiglia, il padre è morto da poco. Mi hanno anche riferito che sia solo come un cane: la madre è morta quando era un bambino, il fratello si è rotto l’osso del collo cadendo da cavallo e la sorella è morta di parto. Dio, speriamo che la sfortuna della sua famiglia ricaddi anche su di lui!”

Michele le lanciò un’occhiata severa da sotto le lunghe ciglia. “Dio non voglia, Pinuzza! Magari questo Pietro Ripamonti è diverso dal padre, magari più buono. Non dico per aumentarci la paga, ma perlomeno per lasciarci in pace. La morte non si augura a nessuno, questo la mia Lucia diceva sempre”

Entrambi si rabbuiarono al ricordo di Lucia.

“Hai ragione”, sussurrò Pinuzza, le mani nodose che torturavano insistentemente il grembiule. “Speriamo in bene”

“Abbiamo un giorno di preghiera, Pinuzza. Speriamo che sia un giovane buono e magnanimo”, ribadì Michele.

Si congedarono così, con poche parole, la morte nel cuore.

 

* * *

 

“Solo mio padre poteva avere un latifondo in un posto dimenticato da Dio”. Pietro Ripamonti sbuffò rumorosamente alla vista del documento che il notaio gli aveva consegnato.

Lamanna lo osservava attentamente al di sopra dei sottili occhiali, concentrato sulle espressioni facciali dell’uomo.

Un nuovo sospiro irritato gli fece sospendere il respiro. Studiò con attenzione i suoi lineamenti dritti e spigolosi. Le sopracciglia folte e arcuate erano crucciate per l’attenzione e gli occhi nocciola, risaltati innaturalmente dalle braci morenti nel caminetto, scorrevano alla lunga sul foglio. Era bello Pietro Ripamonti. Bello quanto terribile. D’altronde, era figlio di suo padre. Lamanna sorrise tra sé e sé per la sua sciocca battuta.

Pietro lo notò e gli lanciò un’occhiata talmente astiosa da ammutolirlo. “A me sinceramente non diverte, Lamanna. Andare a Santoro è una grande scocciatura”

“Non è poi molto lontano da Palermo, signore”, ribadì il notaio, leggermente risentito dal tono maleducato del giovane. “Il mio è solo un consiglio. Vostro padre è da secoli che non si recava lì, nemmeno per un breve controllo. È bene fermarsi qualche mese anche solo per vedere l’andazzo dei contadini e del lavoro. Ultimamente le rendite sono calate”

“Questo è vero”, concordò Pietro, le labbra piene strette in una smorfia.

Lamanna attese pazientemente che Pietro uscisse dai suoi pensieri, sicuro che avrebbe ceduto. Le statistiche non potevano mentire.

L’enorme sibilo glielo confermò. “Non mi resta che andarci, allora”, mugugnò Pietro, rilassandosi completamente contro lo schienale della sedia.

“Scelta saggia, signore. Vedrete che non vi annoierete. Le bellezze locali sono un vero portento”, cercò di consolarlo Lamanna, gli occhi scintillanti. Le poche volte che era stato a Santoro per conto di don Ripamonti, non aveva di certo sdegnato la vista di bellissime e provocanti fanciulle.

Pietro sollevò le sopracciglia, scettico. “Si, come no. Tutte contadine analfabete e prive di sensualità. Quelle non fanno che darla a tutti, credetemi”

Il notaio sobbalzò a così poco tatto ed arrossì violentemente non appena incrociò lo sguardo divertito di Pietro Ripamonti. Si schiarì la gola, cercando di dissimulare l’imbarazzo crescente. “Quando avete intenzione di partire?”, domandò.

Pietro ghignò, scettico. “Immediatamente”           

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Tutta la vicenda è ambientata nella Sicilia dopo l’unificazione di Italia.

Il villaggio di Santoro è immaginario. Ogni singolo personaggio e ogni avvenimento, eccetto quelli storici, è frutto della mia fantasia.

Sono contenute alcune parole in dialetto siciliano, penso di facile comprensibilità a tutti. 

 

Spero che questa storia vi piaccia come è piaciuto a me scriverla. Mi sono affezionata tantissimo ai miei personaggi, ai paesaggi immaginari di Santoro e al calore della Sicilia. Non sono mai stata in questa magnifica regione, ma conto che un giorno riuscirò a visitarla.

Se questi personaggi riusciranno ad entrarvi nel cuore, saprò di essere riuscita a descriverli e a renderli umani a tutti gli effetti.

So che la sezione “Originali” non è molto frequentata, quindi sarò felicissima di ricevere alcuni commenti,anche di critica costruttiva. Non temete, altrimenti la cestino, non c’è problema!

Se volete seguirmi in questo viaggio denso e tortuoso di sentimenti, aspetto un vostro commento e la vostra presenza nel prossimo capitolo!

Un abbraccio e un bacio a tutti!   

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Capitolo 2
*** 2. ***


Come il cielo di luglio

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2.
Marianna Bruno è bramata inconsapevolmente da Pietro Ripamonti


L’estate era una delle stagioni che Marianna preferiva in assoluto. Canticchiando fra sé un dolce canto popolare, alzò gli occhi al cielo. Osservò gioiosa lo sfondo turchese, limpido e sereno, senza alcuna nuvola che potesse minacciare il suo dolce equilibrio. Un leggero venticello cominciò a diffondersi per il latifondo, portando un udibile sollievo tra i contadini.
Eppure, nonostante il tempo fosse meticoloso, Marianna avvertiva che qualcosa non andava. Stranamente, non udiva nessuna signora spettegolare, né gli uomini intonare una filastrocca con le loro voci forti e allegre. Tutto era cupo e minaccioso. Si accigliò, decisamente in ansia.   
“Marianna!”, tuonò Tiziana, correndo verso di lei.
Marianna si distrasse dai pensieri sempre più complessi e pose tutta la sua attenzione sull’amica. “Che c’è? Mi sembrava di averti già salutata e accompagnata questa mattina”, scherzò, concentrandosi sul mais da raccogliere.
“Appunto! Mi sono dimenticata di chiederti che cosa ti metterai stasera!”, disse Tiziana, quasi urgentemente.
Marianna si bloccò, totalmente presa alla sprovvista. “Perché, stasera che c’è?”
Tiziana sbuffò, spazientita. “Ma come, Marianù! La festa del raccolto, ricordi?”, chiese, retorica.
Marianna quasi avvertì il meccanismo che fece scattare il suo cervello. “Non ricordavo che ci fosse la festa del raccolto”, disse, corrucciata.
Tiziana ridacchiò appena, scostandosi una lunga ciocca corvina dal viso. “Sei sempre la solita distratta, Marianna. È impossibile che non te ne ricordi, non si parla d’altro da una settimana!”
Marianna si strinse nelle spalle, facendo attenzione che il cesto di vimini non le cascasse a terra. “Sarà, ma io non me lo ricordavo”
Tiziana scosse la testa, esasperata. Divertita, Marianna non poté fare a meno di ridere alla buffa faccia dell’amica, trascinandola in un vortice di ilarità.
Picciridde, qua si lavora, non si ride mica!”, le riprese Pinuzzza, che stava passando proprio in quel momento tra le lunghe fila di granturco.
“Mamma, diglielo a Marianna che stasera c’è la festa del raccolto!”, esclamò Tiziana, faticando a trattenere le risa.
Marianna sorrise all’espressione assolutamente sorpresa della sua commara. “Davvero non lo sapevi? Marianù, mi preoccupi assai!”
“In questo periodo mi sto distraendo un po’”, ammise Marianna, una luce birichina negli occhi azzurri.
“L’ho notato, bambina. Calogero ha ragione, pensi troppo”, sospirò la donna, stringendo ancora di più la falce.  
“Non credo che ci andrò”, disse Marianna, il tono lievemente scocciato.
“Scherzi? Stasera ci saranno tutti! Sarà divertente, dai!”, insistette Tiziana, scandalizzata dall’affermazione dell’amica.
“Ma…”
“Tiziana ha ragione, Marianna. Forse è bene che ti svaghi un po’”, notò Pinuzza, gentile.  
Marianna sbuffò, per niente amichevole. “Siete proprio delle comari insopportabili”
Pinuzza, sorridendo, raggiunse presto le donne della sua veneranda età e Marianna la seguì con lo sguardo. Le donne erano inquiete, come se fossero disturbate da qualcosa di losco e impensabile. Sembravano un’enorme congrega politica, tutte con gli occhi infossate e le rughe di preoccupazione stampate sul volto. Beh, di certo non per la festa imminente. Quelle più che altro lo sarebbero state le sue coetanee, se non fossero già tutte sposate e con marmocchi al seguito. Marianna non capiva e questo la irritava a morte.
“Dai, torniamo a lavorare”, propose a Tiziana, la mente in fibrillazione.


* * *


Pietro Ripamonti ammirò quasi incantato il magnifico palazzo che si ergeva fiero sullo scoglio, dichiarando la sua perenne e invincibile presenza. Quel paesaggio non gli era per niente famigliare, prova schiacciante del fatto di non essere mai stato a Santoro.
Stefano aveva fatto davvero le cose in grande, questo glielo doveva concedere.
L’abitazione, essendo stata in disuso per molto tempo, aveva impiegato ore per riprendere l’aspetto di una dimora calda e accogliente. Pietro non aveva perso tempo. Aveva già assunto il mastro e dei servitori, in modo di non perdersi in dettagli insignificanti.
Non si aspettava niente di speciale da un villaggio dimenticato da Dio, ma dovette ricredersi. La vista era magnifica. Lo lasciò senza fiato, cosa alquanto impensabile per un tipo difficile come Pietro, insensibile perfino al fantomatico panorama di Palermo.
Pietro si era spesso chiesto perché suo padre non avesse curato quel latifondo. Dalla sua morte, aveva scoperto ipoteche nuove e sconosciute, addirittura mai accennate in famiglia. Probabilmente nemmeno sua madre ne era a conoscenza.
Ma Santoro gli piaceva, sarebbe potuto restare più del necessario. Quando lo studio fu nuovamente abitabile, si stabilì lì con tutti i suoi bagagli di libri. Solo, Pietro afferrò una delle borse e cavò un piccolo ritratto. Sospirò non appena mise a fuoco il volto etereo e sorridente di Laura. Ricordava con precisione quegli occhi verdi come l’erba di maggio perennemente allegri, così simili a quelli della mamma, la voce vellutata, i soffici capelli scuri, i suoi sbuffi… ma Laura non c’era più. Pietro sapeva perfettamente che, se fosse stata ancora viva, avrebbe scalato mari e monti per seguirlo e stargli vicino. Perché, nonostante fosse più piccola di lui di appena tre anni, si sentiva sempre in dovere di proteggerlo. Lei, forte come una tigre e delicata come una rosa. Lei, sua sorella.
Pietro appoggiò delicatamente il ritratto e asciugò con violenza la lacrima che, involontariamente, aveva solcato la sua guancia.  


* * *


Pietro apprese della festa solo dal nuovo mastro Filippo Madantoni, assunto per la sistemazione di villa Ripamonti sulla scogliera di Santoro. La scoperta avvenne in modo assolutamente casuale, in una normalissima conversazione di cortesia. Aveva cercato di distrarsi in tutti i modi dalla tristezza che lo aveva improvvisamente assalito, ma finora nessun metodo fu abbastanza soddisfacente. Non ce la faceva davvero più. La testa gli scoppiava, una morsa ferrea e gelida gli serrava la gola e le lacrime minacciavano di sgorgargli da un momento all’altro. Se un servo lo avesse visto in quello stato deplorevole, sarebbe morto di vergogna.
L’unica soluzione che il suo cervello elaborò abbastanza velocemente era di dare un’occhiata alla festa per distrarsi. Riluttante, si costrinse a pensare che fosse la sola possibilità.
Chiese la cortesia di accompagnarlo a Madantoni, tutt’altro che felice di quella terribile compagnia. Trovava che quel Pietro Ripamonti fosse un uomo inquietante e severo, troppo vecchio per la giovane età che effettivamente aveva. Lui sì, che incuteva timore.  
Si incamminarono per le strade buie e scoscese del paese, fianco a fianco. L’imponenza di Pietro non era solo caratteriale. Il suo metro e novanta sovrastava di gran lunga Madantoni, più basso di almeno venti centimetri.
Pietro udì la ballata già da diversi metri di distanza e le sue labbra si schiusero in un ghigno. Non era di certo la musica classica a cui era abituato, ma tutto sommato era orecchiabile.
“Che cosa si festeggia esattamente?”, chiese, le braccia dietro la schiena.
“La raccolta del granturco, Voscenza”, rispose semplicemente quello, stringendosi nelle spalle. “Da anni si festeggia questo tipo di feste. Si svolgeva anche ai tempi in cui governava la buonanima di vostro padre”
La mascella di Pietro si irrigidì pericolosamente, ma Madantoni parve non farci caso.  
Buonanima… papà era tutt’altro che una buonanima.
La via si allargò, lasciando uno sbocco finale in una piazza brulicante di gente. Le danze erano già state inaugurate, motivo di sollievo per Ripamonti, che non aveva intenzione di essere riconosciuto. Se suo padre fosse stato in vita, lo avrebbe bastonato per essersi mescolato ad una massa di sudici contadini. Ma non lo era, quindi tanto valeva non dare luce a certi pensieri.
I suoi occhi scuri vagarono sulle figure aggraziate che danzavano al centro della piazza, incoraggiate dal battito allegro e altisonante delle mani.
Fu in un attimo.
Una ciocca di capelli ricci, castano scuro. Un lembo di pelle dorata. Meravigliosi occhi celesti come il cielo di luglio.
La vide. E rimase folgorato.
La ragazza danzava sensuale come un’odalisca, la bocca schiusa in un radioso sorriso. Un nodo stretto e insidioso attorcigliò lo stomaco di Pietro. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, tanto era bella e luminosa come una dea. Era piccola, ma formosa, i lunghi boccoli scuri che le arrivavano appena sopra il fondoschiena. I fianchi si muovevano aggraziati e sinuosi, risvegliando in Pietro un desiderio sordo e irrazionale, antico come il mondo.
“Chi è quella donna?”
Madantoni sobbalzò alla voce roca e involontariamente lasciva di Pietro, che non distoglieva un secondo lo sguardo dalla creatura angelica. Fissò lo stesso punto. Non appena riconobbe l’oggetto del desiderio del suo padrone, gli venne la pelle d’oca. “Marianna Bruno, Voscenza”
“La conoscete?”, chiese Pietro, guardandolo attentamente.
Madantoni annuì. “Certo, Voscenza. Conosco tutti gli abitanti di Santoro. È sempre stata una brava picciridda, la Bruno. È bellissima, ha preso tutto dalla buonanima di sua madre Lucia –che Dio la benedica-, che è morta quando avrà avuto dieci o più anni. Suo padre Michele è uno dei contadini più lavorativi che conosca. Gran bella donna, Voscenza, bella e buona. Allegra come poche, la ricordo bene, non le si spegne mai il sorriso!”  
Pietro sospirò appena, intuendo perché Madantoni si stesse dilungando così tanto sulle qualità caratteriali e non su ciò che gli premeva di più. “È sposata?”, domandò, immaginandosi già la risposta. Era quasi ovvio che una donna del genere appartenesse già a qualcuno.
Madantoni si irrigidì, temendo il peggio. Ciò non sfuggì a Pietro, che attese pazientemente la risposta. Passarono dieci secondi, intervallati dalla musica spensierata, indipendente alla loro conversazione vergognosa.
Marianna sorrideva e volteggiava, la gonna lunga che oscillava al tempo delle voluttuose anche.
“Allora?”, lo spronò Pietro, minaccioso.
“No, Voscenza”, mormorò Madantoni, talmente piano da temere che Ripamonti non lo avesse udito. Ma ovviamente intuì dal suo sorriso serafico che non era così.
“Che cosa… strana. Stento a credere che una bellezza così rara e dalle molte qualità non sia stata ancora maritata”, osservò Pietro, incrociando le braccia al petto.
Curioso, davvero. Non riusciva a crederci un granché, ma sapeva che Madantoni, se avesse dovuto mentirgli, gli avrebbe detto esattamente il contrario.   
“Non è come sembra, Voscenza”, sussurrò Madantoni, ancora mortificato. “Marianna Bruno ha molte qualità, è bella, sagace e intelligente, ma sa quello che vuole. I pretendenti non le sono mai mancati, sin da quando è diventata una signorina a tredici anni. Eppure lei vuole scegliere quello giusto, piuttosto rimane zitella. Non so se Voscenza mi capisce…”
“Ho capito perfettamente”, ribadì Pietro, ferreo. Si umettò le labbra, in un gesto inconsapevolmente osceno. “Non sono certo che il padre le permetta una cosa del genere”
Pietro pensò involontariamente a Laura.
Laura. Sua sorella, sangue del suo sangue.
Un ricordo che fece molto male. Di nuovo. Gli sfuggì un sospiro.
Madantoni si strinse nelle spalle ossute, una smorfia scettica sulle labbra. “Michele Bruno ha larghe vedute. E poi credo che desideri la figlia come compagnia un domani”
“Capisco”, disse semplicemente Pietro.
Guardò Marianna Bruno, specchiandosi lontanamente in quegli occhi sereni come il cielo di luglio.
La desiderava.
Pensieri osceni gli offuscarono la mente.
I suoi gemiti, la sua bocca sulla sua, le carni dorate che circondavano la sua essenza con il loro calore, i ricci sparsi sul cuscino bianco, gli occhi azzurri spalancati dal piacere che lui le procurava…  
Pietro si eccitò. E in quell’istante capì che Marianna Bruno doveva essere sua, solo sua.

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Eccomi qua con il secondo capitolo. Perdonate la lunga attesa, ma la scuola e lo studio continuo mi hanno impedito di postare.
Come vedete, la situazione si sta evolvendo. Abbiamo scoperto qualcosa di più sul misterioso Pietro Ripamonti. Ha visto Marianna e… la desidera intensamente.   
Nel prossimo vi sarà la vera e propria svolta (che immagino sappiate già quale XD. Addio effetto sorpresa! ;P).
Grazie per i complimenti sulla mia scrittura, ne sono rimasta meravigliosamente felice! Con la terza persona non sono molto pratica e sto tirando fuori il meglio di me stessa. Sono contenta di esserci riuscita!
Grazie alle persone che hanno inserito questa storia tra le preferite e le seguite!  Grazie anche a yle_cullen (ciao tesoro! Controlla tua –mail, o riposto al messaggio! ;) E grazie mille!), ___Ivy___ (addirittura fan number one? Grazie, sono commossa, cara!), Alice Joy (grazie tesoro per l’incoraggiamento e per i tanti complimenti! Carpe diem! Eh, eh ;)), _Elisewin_ (anche io amo i romanzi storici, in particolare quelli ambientati nell’Ottocento! Grazie mille!), lorenzablu (spero di non averti deluso con questo capitolo!), SmartiesYO (grazie mille, anche per i complimenti sullo stile! Io in terza persona non è che sia molto capace di scrivere!) ed essebi (ma mi credi che quel libro ce l’ho in casa, ma non l’ho mai letto? Credo che dovrei iniziare. In casa ho tantissimi libri e ogni tanto ne saltano fuori di nuovi, tanto che questo non sapevo nemmeno che esistesse e fosse ambientato in Sicilia! Che stordita che sono! No, mi sono ispirata solo per l’epoca e il luogo a “La zia marchesa” di Agnello Hornby. Te lo consiglio, è stupendo!)  per aver recensito!
Un abbraccio a tutti, e alla prossima!

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Capitolo 3
*** 3. ***


Come il cielo di luglio

 http://digilander.libero.it/notedamore/mani_sposa.jpg

3.

Marianna Bruno si offre per lo sposalizio con don Pietro Ripamonti.

Le tristi nozze

 

Il giorno dopo, riprendere il lavoro fu molto difficile per Marianna. Aveva le membra indolenzite per il troppo movimento e la testa le girava ogni tre per due. Tuttavia si fece forza. Si preparò lentamente, per poi passare a prendere Pinuzza e Tiziana con il padre.

Michele camminava al suo fianco stancamente, il volto cereo.

“Papà, ti senti bene?”, chiese Marianna, tremendamente preoccupata.

Michele annuì, ma Marianna non ci cascò. “Papà, stai a casa. Ci manca che mi svieni per strada. Farò anche il tuo settore, a costo di starci fino a domani mattina, davvero”, lo rassicurò, afferrandogli la spalla.

“Non puoi capire, Marianna. Giovane sei”, sussurrò Michele, gli occhi marrone scuro fissi nei suoi.

Senza rendersene conto, si fermarono in mezzo al viottolo. Si osservarono attentamente per un paio di secondi, l’uno di fronte all’altro, la mano di Marianna sulla spalla del padre. E lei comprese che c’era qualcosa di ben più grave che minava la tranquillità di Santoro, qualcosa di terribile e misterioso. Chissà come, si rammentò dell’inquietudine delle donne il giorno prima. “Papà, non mentirmi, che diavolo sta succedendo?”, chiese, la voce lievemente isterica.

Michele si allarmò per la preoccupazione della figlia, e si affrettò a minimizzare. “Niente, Marianna, davvero”

Gli occhi chiari di Marianna si oscurarono come il mare in tempesta. “Papà, non sono più una bambina, ho quasi vent’anni! Che cosa sta succedendo?”

“Marianù…”, sospirò Michele, ma un rumore improvviso lo ammutolì.

Marianna aguzzò le orecchie, in allerta. Un sordo scalpiccio lontano si propagò nell’aria come uno sciame di api, atterrendola. Marianna era grata che nessuno dei paesani utilizzasse spesso i cavalli, avendone una cieca e sorda paura. Deglutì a forza, già in profondo panico.

Accadde in un attimo.

Michele la spinse contro il muro di una casa vicina, il tempo per evitare che l’enorme squadrone di cavalieri li travolgesse. Le si bloccò la gola, incapace di urlare, respirare o fare qualsiasi altra cosa. Non capiva che cosa stesse accadendo, chi fossero quelle persone quasi più numerose dell’intero paese, ma, soprattutto, che cosa ci facessero lì. Si tappò le orecchie come una bambina, le lacrime agli occhi per la paura. Percepì a malapena l’abbraccio rassicurante di suo padre, che tentava di trasmetterle un minimo di conforto.

Ma Marianna non capiva, non avvertiva niente. Solo un brutto presagio e tanta voglia di piangere.

Mamma, dimmi che succede… perché lo sai, vero?  

“Se ne sono andati, tesoro mio. Sono andati. Sono andati via…”. Marianna sentì la dolce carezza di suo padre sulla guancia e cominciò a respirare.

Non sentì nemmeno gli strilli disperate delle donne e le grida assordanti dei contadini nelle vie. I pianti dei bambini non erano per la gioia di vivere. Marianna rabbrividì, gettandosi nelle braccia di Michele. 

“Ecco che cosa sta succedendo, figlia mia”, le sussurrò Michele in un orecchio, disperato. “Il signore di Ripamonti è tornato”

 

* * *

 

Passarono esattamente due settimane dalla festa del raccolto e Marianna cadeva sempre di più nella depressione. Era sempre più difficile tollerare i commenti osceni dei guardiani di don Ripamonti, sempre più complicato lavorare con le strilla di uomo, donna o bambino risuonare per i campi. Marianna aveva paura. Non per sé stessa –probabilmente era l’ultima cosa a cui pensava-, ma per i suoi cari. Non avrebbe sopportato se quegli schifosi avessero messo le mani addosso a Tiziana o avessero maltrattato Pinuzza. O peggio, suo padre. Calogero probabilmente era quello che correva meno rischi, sempre all’aperto sulla sua piccola barchetta.

Marianna immaginò di essere un uomo. Michele le ripeteva sempre che, se fosse stata davvero un maschio, l’avrebbe vista bene come un soldato: forte e irruente, ma sempre leale.

Ma, purtroppo, così non poteva essere. Era una fimmina, e fimmina sarebbe rimasta. Ed essere una donna, in Sicilia, alla fine dell’Ottocento, equivaleva solo a una creatura dedita alla procreazione. Cosa completamente raccapricciante per un tipo romantico e puro come Marianna. Sapeva che la vita non era una favola, ma ancora ci sperava. Alla fine, era l’ingenuità che la fregava sempre.

Due settimane di terrore, angherie e frustrazione, finché non si giunse al punto di non ritorno.

Si indisse una riunione speciale.

 

* * *

 

Pietro Ripamonti sospirò, scocciato. Lamanna era davvero una gran perdita di tempo, lo aveva sempre saputo. Non aveva fatto altro che mandargli rapporti identici e privi di tono, noiosi solo alla loro vista apparentemente innocua nella busta gialla.

Pietro aveva ventisette anni e le lettere non gli erano affatto sconosciute. Aveva cominciato a maneggiarle dieci anni fa, quando il padre cominciò a venire a meno in quella famiglia così disastrata. Nonostante tutto, però, non si era ancora abituato a quella seccante inflessione monotona. Sbuffò nuovamente.

Bussarono alla porta, motivo di ulteriore scocciatura per il signore.

“Avanti”, ordinò, burbero.

“Voscenza, vi devo comunicare urgentemente una cosa”. Guido Lattuca si fece spavaldamente avanti, i grandi baffi sporgenti dal viso ossuto e cavallino.

Pietro si accigliò, turbato. “Che c’è?”

“Non sono capo guardiano da nemmeno due settimane e questi contadini rompono perché la smettiamo!”, si lamentò Lattuca, allargando esasperato le braccia. 

Pietro sbuffò. “Ci mancavano pure i contadini… starsene buoni no? Che cosa dicono?”, chiese, la bocca piena piegata in una smorfia.

“Dicono che vi sono troppi soprusi, che Voscenza è un criminale, un dissoluto, un corrotto e chi più ne ha ne metta… che devo fare, Voscenza? Schiacciarli?”, propose divertito Lattuca.

Pietro ghignò. Era strano essere già giudicato come un infallibile criminale in appena due settimane da dei contadini cenciosi. Forse aveva stabilito un nuovo primato. Non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello che magari i suoi provvedimenti fossero davvero troppo drastici. Ma Pietro era convinto che quella gente aveva bisogno di stimoli per tornare a lavorare come si doveva e scordarsi immediatamente la bella e comoda vita che facevano durante il governo del padre. Dovevano ringraziarlo, perché Stefano Ripamonti avrebbe fatto davvero di peggio. La rendita era calata veramente troppo. “Temo che facendo così non ci saranno più braccia per lavorare nei campi”

“Altri se ne trovano, Voscenza. Anche perché qui tra un po’ scoppia una rivolta. Io non ne posso già più!”

“Invece di lamentarti, perché non ti dai da fare per un accordo?”, disse Pietro, quasi mortifero.

“In realtà, ci avevo già pensato”

Pietro si irrigidì, alzando lentamente gli occhi sul capo guardiano. Aggrottò le sopracciglia, scettico, ma curioso. “Cioè?”

Il sorriso di Lattuca parve lontanamente inquietante. “Uno sposalizio”

L’espressione disgustata di Pietro fu molto eloquente. “Scherzi? Dovrei sposarmi con una contadina?”

“Certo! Perché no? Almeno vi garantite la stirpe, Voscenza! E poi, belle fimmine ce ne sono qui a Santoro. Lo sposalizio è un rituale vecchio come il mio bisnonno, un modo ufficiale per garantire pace a lungo. Che ne dite?”. Lattuca strinse i denti, speranzoso. A dire il vero, quella era l’unica idea geniale che gli fosse balzata alla mente.

Pietro stette zitto. Non sapeva come controbattere o anche solo cosa pensare. Sapeva che un rituale del genere non avrebbe intaccato il suo casato. Certo, lo avrebbe impoverito, ma le entrate erano talmente alte da non doversi preoccupare più di tanto. Per quanto riguardava la gente, le chiacchiere non gli interessavano. Non più.

D’un tratto, il suo cervello gli inviò un segnale luminoso e appariscente. Pensò a Marianna Bruno… e la questione si fece interessante. Le donne nubili erano davvero poche a Santoro, lo immaginava con certezza. E se gli fosse andata male alla prima occasione, avrebbe chiesto esplicitamente di volerla. “E sia. Vada per lo sposalizio”

Lattuca annuì, seccamente. “Certo, Voscenza”. Si voltò, marciando come un soldato verso la porta.

“Ah, Lattuca?”, chiamò Pietro.

“Si, Voscenza?”

Pietro chiuse con un gesto secco le corrispondenze, gli occhi scuri resi più incavi e vivi dalla penombra. “Prima di inaugurare il tutto, portami il nominativo”

 

* * *

 

Marianna osservò inquieta la calca dell’intero villaggio di Santoro nella piazza. La folla brulicava, impaziente e scalpitante. I bambini piangevano affamati e stanchi, i ragazzini parlottavano tra di loro di cose ben più leggere, ignari della gravità della situazione.

Marianna era appoggiata al lampione con il padre alla destra e Calogero alla sua sinistra. Osservava attentamente quel bruto capo dei guardiani, Guido Lattuca. Era rimasta paralizzata dall’altezzosità e meschinità concentrate in un tale individuo. Era alto e minuto, dai lineamenti affilati e lunghi come quello di un cavallo (e questo bastava per intimorirla). Il mento sporgente e ossuto era coperto poveramente dagli enormi mustacchi neri, risaltando malamente gli occhi neri e liquidi.

Marianna rabbrividì.

“Contadini di Santoro, giungo qui da un colloquio con don Pietro Trasi di Ripamonti”, annunciò a gran voce, catturando l’attenzione di tutti i paesani. Si schiarì appena la gola. “Abbiamo parlato e vi ha proposto un accordo. Obbligatorio da accettare”

“E che razza di accordo è allora?”, protestò sottovoce Calogero, seriamente indignato.

Michele annuì, costernato.   

Gli occhi di Lattuca perscrutarono un istante i paesani. “Voscenza offre uno sposalizio, in modo da garantire un vero e civile accordo con il popolo di Santoro. Questo matrimonio sancirà non solo l’unione di due anime, ma una conciliazione tra dipendenti e padrone”, tuonò, le labbra secche piegate in un rapido sorriso.

Marianna trattenne involontariamente il respiro. Perché sapeva qual era il rischio che tutte incorrevano. Sposarsi senza amore, per la carità della sua gente. Fece un rapido calcolo. Le uniche giovani in età da matrimonio, in tutto il paese, erano cinque, comprese lei e Tiziana. Venti e quattordici anni a confronto. Le altre, erano fidanzate con uomini di un altro paese.

Forse perfino Michele ci aveva pensato, perché si irrigidì brutalmente e fissò Calogero con la coda dell’occhio.

“Chi si offre?”, tuonò a gran voce Lattuca, gli occhi neri scintillanti nella forte luce mattutina.

Tutti tacevano.

“Chi si offre?”

Marianna tremò appena, le mani strette convulsamente in grembo per l’indecisione.

È questo il mio destino, mamma? Sposarmi come una martire?

“Non lo ripeto più. Chi si offre?”. La domanda era perentoria. E Marianna capì che quello era il prezzo per salvare suo padre e suoi cari.

Ora o mai più.

“Io”, urlò, alzando la mano.

L’intera folla si voltò verso di lei, gli occhi talmente spalancati da sembrare gufi impazziti. Perfino i bambini si erano fermati per ammirare la loro Marianna Bruno che si offriva come un agnello al macello. 

Un sorriso di approvazione balenò sul viso del capo comandante. “Il nome?”

“NO!”. Il grido disperato di Michele si propagò per tutta la piazza. Per poco non si scagliò contro la figlia, come se facendo un passo avanti potesse commettere una sciocchezza, ma il vecchio Calogero si affrettò presto ad afferrarlo.

Il labbro inferiore di Marianna tremò appena, ma la sua voce fu ferma e decisa. “Marianna Bruno, se lo segni”

“NO!”. L’altro grido di suo padre fu una pugnalata al petto. Chiuse gli occhi pieni di lacrime pronte a traboccare.

Scusa, papà. Ma l’ho fatto per te, per voi.

Lattuca segnò il nominativo su un pezzo di foglio, per poi infilarlo nell’angolo della giacca nera. “E sia”

 

* * *

 

Non appena Pietro Ripamonti venne a conoscenza del nome della sua futura sposa, chiuse gli occhi per un istante. Non riusciva a credere di avere avuto così tanta fortuna. Sapeva che sposare una donna solo perché suscitava un insano desiderio era sbagliato, ma non riusciva a pensare altrimenti. Un uomo si sposava solo per avere figli e assecondare di tanto in tanto la passione che si covava in corpo. Nessuno contraeva matrimonio per amore. A Pietro premeva più che altro garantire pace e obbedienza dei contadini fino alla morte e progredire la stirpe Ripamonti, di cui lui era l’unico  superstite. Per il resto, se Marianna non gli avrebbe aggradato più, avrebbe potuto avere amanti e relazioni clandestine, ovviamente mantenendole nell’anonimato come giusto che fosse.

Sorrise appena, rievocando alla mente quei sogni osceni che lo avevano torturato per due settimane. Era ricco, avrebbe potuto prendersela quella Marianna Bruno. Ma qualcosa nelle parole di Madantoni, la sera della festa del raccolto, lo avevano fatto in qualche modo desistere.

“Marianna Bruno ha molte qualità, è bella, sagace e intelligente, ma sa quello che vuole. I pretendenti non le sono mai mancati, sin da quando è diventata una signorina a tredici anni. Eppure lei vuole scegliere quello giusto, piuttosto rimane zitella”

Il riso si allargò. Si alzò in piedi, le mani dietro la schiena, incurante della presenza fremente di Lattuca. Con un cenno, gli indicò il lungo e sontuoso abito da sposa che Pietro aveva fatto preparare alle serve per l’occasione steso sul lungo divano nero. “Datele questo. Di mia madre era”

 

* * *

 

Disperazione. Marianna non avvertiva altro dentro di sé. Nonostante fosse consapevole di aver fatto la scelta giusta, dall’altra sentiva che avrebbe potuto comunque trovare una scappatoia.

Fuggire da quell’inferno.

Non sopportava le lacrime silenziose del padre, dei silenzi sovrastanti di Calogero o dei pianti isterici di Tiziana e Pinuzza. Non riusciva a guardare in faccia i suoi compaesani che, in una muta gratitudine, le carezzavano la schiena o le toccavano la spalla. Non ce la faceva più.

Desiderava che tutto questo finisse presto.

Odio. Marianna era accecata da quel sentimento sconosciuto, tanto intenso da farle male. La mamma le diceva sempre che odiare era sbagliato e peccaminoso. Si doveva volere bene al prossimo sempre e comunque. Ma Marianna si ripeteva che quello non era il suo caso. Don Pietro Ripamonti l’aveva praticamente costretta sposarlo. Non aveva avuto scelta. Era come se sapesse che in paese solo lei e Tiziana fossero disponibili per uno sposalizio. Lo odiava. Con tutta se stessa.

Marianna non aveva mai avuto relazioni intime con un uomo, e nessuno aveva mai osato sfiorarla. Era bella e completamente intaccata nella sua purezza. Mala fimmina non era. Non avrebbe mai immaginato che si sarebbe sposata per salvare i suoi paesani dalla schiavitù, come una giovane e incessante martire. Ogni sera pregava il Signuruzzu, la Madonna e sua madre Lucia, per proteggerla dal male che lui poteva farle. Non aveva mai visto don Pietro Ripamonti, né suo padre prima di lui. Non riusciva neanche a immaginarlo. Non sapeva se era giovane o vecchio, se era brutto o bello, se era romantico o passionale. Niente di niente. Per lei era solo un nome. Un nome che ben presto si sarebbe tramutato in un uomo con desideri e appetiti da soddisfare. E lei, da brava moglie, doveva obbedire.

Il giorno prestabilito delle nozze, nessuno si premurò di asciugarle le lacrime che involontariamente le scorrevano sulle guance. Mentre le donne le infilavano il magnifico e sontuoso vestito che il padrone si era premurato di consegnarle, Marianna si fissava allo specchio, incapace di pensare a qualcosa di positivo. Sapeva che suo padre si sentiva in colpa per non essere riuscito a fermarla e se ne doleva. Ma di certo non avrebbe permesso che fosse stata Tiziana ad occupare il suo posto, quando era solo una bambina che doveva esplorare il mondo per quello che era. Mai e poi mai.

Marianna percorse la lunga navata al braccio del padre, il lungo strascico retto da Pinuzza e un’altra donna della sua età. Fu allora che lo vide per la prima volta.

Era senza dubbio un bell’uomo. Marianna non aveva mai visto una figura così alta e imponente. Dall’abito da cerimonia si scorgevano perfettamente i muscoli snelli e longilinei, più simili a quelli di una bestia pronta a scattare che di un uomo. I capelli erano lisci e scuri, leggermente spettinati dal vento che scorreva nel corridoio della microscopica chiesa di Santoro.

E i suoi occhi. Erano di un colore naturalmente bellissimo, nocciola. Ma privi di emozione.

Marianna, troppo distratta e addolorata, non ascoltò una sola parola del prete e si voltò a guardare da un’altra parte.

Una lacrima scorse solitaria lungo il suo zigomo, e non era di gioia.

Per la prima volta in vita sua, Marianna voleva morire. 

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http://www.centrosposiparadiso.it/modelos/a8212d_ottocento%20%5B640x480%5D.jpgL'abito da sposa 

Grazie a tutti, davvero. Vedere che tanta gente segue questa storia, peraltro probabilmente scritta in modo orrendo (ho tentato di scrivere in terza persona, che non è proprio il mio forte), non fa che riempirmi di gioia. È bello sapere che a qualcuno piace ciò che scrivi e con la quale vuoi comunicare qualcosa, racconto o trattato filosofico che sia. Grazie!

La storia sta entrando nel vivo e finalmente potremo seguire l’evoluzione del loro pseudo rapporto (dopotutto, Marianna è stata obbligata a sposarlo!).

Eccovi un piccolo spoiler, per chi potesse gradirlo:

 

“E così, mia cara Marianna, ti sei offerta volontariamente per sposarmi”, esordì Pietro, rivolgendole lo sguardo.

Marianna non si fece intimidire né dagli occhi nocciola e pieni di un sentimento che non riusciva a decifrare né dalla voce stranamente roca. Ci voleva ben altro per spaventarla. “Proprio così, Voscenza”, confermò, secca.

Pietro sbuffò. “Voscenza… come siamo formali. Siamo marito e moglie, adesso, Marianna. Un unione consacrata da Dio. E ho un nome”

Marianna si irritò così tanto da temere che le venisse un’orticaria. “Come vuoi, Pietro”, lo provocò.

La scintilla di indignazione che lampeggiò nelle iridi nocciola di Ripamonti bastò per soddisfarla internamente. Era evidente che il cambio di persona non era stato affatto di suo gradimento.

 

Al prossimo capitolo, che posterò il più presto possibile!

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Capitolo 4
*** 4. ***


Come il cielo di luglio

http://engelsblick.files.wordpress.com/2009/01/letto-vuoto.jpg

 

4.

Marianna Bruno si fa valere nella prima notte di nozze e Pietro Ripamonti le  promette di dominarla

 

Il paesaggio marino scorreva al di fuori della carrozza, incantando Marianna sempre di più. Era talmente assorta ad ammirare il mare da dimenticarsi quasi della presenza di Pietro Ripamonti al suo fianco. Quasi.

Proprio per averlo pensato, la curiosità crescente la obbligò ad analizzarlo attentamente. Marianna rimirò con cura il profilo mascolino di suo marito –il solo pensare a quella parola la fece rabbrividire- che si stagliava nettamente nella penombra del tramonto. Il naso era dritto, dalla tendenza leggermente aquilina, le labbra piene imbronciate e le ciglia lunghe e folte.

Marianna non aveva ancora avuto occasione di parlare con quell’essere che già odiava. Sarebbe stato bello quanto gli pareva, ma lei non sarebbe mai stata sua. Lo poteva giurare. Sospirò, più determinata che mai.

“E così, mia cara Marianna, ti sei offerta volontariamente per sposarmi”, esordì Pietro, rivolgendole lo sguardo.

Marianna non si fece intimidire né dagli occhi nocciola e pieni di un sentimento che non riusciva a decifrare né dalla voce stranamente roca. Ci voleva ben altro per spaventarla. “Proprio così, Voscenza”, confermò, secca.

Pietro sbuffò. “Voscenza… come siamo formali. Siamo marito e moglie, adesso, Marianna. Un unione consacrata da Dio. E ho un nome”

Marianna si irritò così tanto da temere che le venisse un’orticaria. “Come vuoi, Pietro”, lo provocò.

La scintilla di indignazione che lampeggiò nelle iridi nocciola di Ripamonti bastò per soddisfarla internamente. Era evidente che il cambio di persona non era stato affatto di suo gradimento.

Non appena vide villa Ripamonti ergersi di fronte a lei le sembrò un sogno. Il suo primo istinto fu quello di lanciarsi sul balcone che dava sulla scogliera, quello che lei e la madre avevano sempre sognato di ammirare. Ma una vocina più concreta e stoica le suggerì di stare in camera da letto e aspettare pazientemente.

Che cosa, poi? La morte?

Pietro si illuminò in un sorriso vagamente inquietante, facendola accigliare sospettosa. “Questa è la tua camera. Hai tutto il tempo per prepararti. Non temere, arriverò più tardi”

Quando Pietro si richiuse la porta dietro di sé, sentì che si trattava vagamente di una minaccia.

Passavano le ore. Marianna non toccò cibo tanto era agitata. Non fece che camminare avanti e indietro per la stanza lussuosa e confortevole, nervosa e inquieta, o pregare l’immagine della Madonna appena alla testiera del letto. Non riusciva a capire se avesse paura o meno. Più che altro non temeva Pietro in sé, ma ciò che avrebbe potuto farle quella notte.

Era quella la scintilla che non aveva fatto altro che animargli le iridi scure? Desiderio? Marianna non poteva dirlo, non aveva mai conosciuto un tale sentimento.

Pietro giunse lì poche ore dopo. Non bussò nemmeno e Marianna ringraziò il cielo di aver appena fatto in tempo a indossare la vestaglia di lino bianco.

“Ma come sei bella, Marianna”, sussurrò lascivo, gli occhi fissi su un punto imprecisato del suo corpo.

Marianna incrociò le braccia al seno, impedendogli la vista. “Che cosa volete?”

“Ah, siamo tornati al voi, adesso?”, la schernì, beffardo.

Marianna indietreggiò istintivamente, digrignando i denti come un animale in trappola. “Non vi permetterò di farlo”, sputò, prima che potesse anche solo censurare quella frase.

L’attraente volto di Pietro si scurì appena. “Cosa Marianna?”

Lei tossicchiò imbarazzata, agitando la mano per aria. “Quello. Non sarò mai vostra. Lo sono solo per iscritto, ma io non appartengo a voi. Né ora, né mai”

Pietro si irritò. Si era immaginato Marianna come una donna combattiva e volitiva, ma non così. In questo modo, la storia non gli piaceva affatto. Lei era solo una fimmina, e aveva l’obbligo di obbedire a suo marito. Non era un concetto difficile, sperava che ci fosse arrivata da sola. Ma, a quanto pareva, toccava a lui farla cascare dal pero. “Il matrimonio deve essere consumato, donna. È una clausola”

“Non me ne importa un bel niente della clausola”, ribatté prontamente, rissosa. 

Pietro le si avvicinò pericolosamente, ma lei non indietreggiò. E i loro occhi si incrociarono, fuoco nel fuoco, azzurro nel marrone. Quasi inconsapevolmente, Pietro le afferrò una spalla, accostandola più a sé. Marianna si dimenò, ma aveva già capito che era una causa persa fin dall’inizio. Non poteva competere con l’enorme mole di don Ripamonti, nemmeno con l’ingegno. Tuttavia non si arrese un solo istante, continuò a indietreggiare finché Pietro non le bloccò anche l’altro braccio.

Marianna era come creta nelle sue mani e Pietro era eccitato da morire. La voleva, la desiderava ed era ufficialmente sua. Possederla era un suo diritto e non sarebbe stato certo la testardaggine di quella contadina a fermarlo.

Prima che potesse formulare un solo pensiero coerente, si calò su di lei e la baciò. Marianna tentò disperatamente di sottrarsi alle labbra calde e vogliose di Pietro, ma la sua forte presa glielo impediva. Mugolava, stringendo la mascella e cercando di spostare il viso altrove. Fallì miseramente. La lingua di Pietro le forzò la bocca, penetrandola e raggiungendo la sua. Marianna si sentì male, lo stomaco stava per cedere. Avrebbe goduto nel rigettargli in faccia, ma in quel momento non capiva niente.

Sentiva solo la sua determinazione nel non voler diventare sua. Non era lui il suo uomo, non glielo avrebbe permesso. Perché non andava a procreare con una mala fimmina? Perché non la lasciava in pace? Perché si era offerta per lo sposalizio?

Perché, perché, perché…

I pensieri le vennero meno, tanto da non avvertire nemmeno il soffice materasso sotto la sua schiena.

Le mani di Pietro la tastavano senza pudore da sotto la camicia, vittoriose. Credeva che Marianna si fosse arresa. Era in suo potere. Incalzò ancora, eccitato come una bestia, gli occhi accecati dalla sorda voglia di contemplare la sua nudità. I sogni osceni gli si riformularono nella mente, come per guidarlo in quel corpo voluttuoso.

Riprese a torturarle le labbra piene e tumide per il suo bacio violento, sempre più profondamente.

Marianna si riprese.

“Ah!”, gemette Pietro, portandosi le mani al labbro.

Marianna si alzò a sedere di scatto, arretrando a carponi sul letto. Calcò bene la veste sul suo corpo filiforme, gli occhi azzurri sbarrati come un gatto in allerta.

Pietro sospirò, cercando di calmarsi. Le mani gli prudevano dolorosamente, sentiva l’impellente bisogno di assestarle un ceffone per stordirla e godere di lei.

Solo con un sussulto si rese conto di ciò che aveva pensato. Lui, che non aveva mai alzato un dito su una donna. Per lei, solo per lei.

Laura, scusami. Scusami.    

Non era altro che un animale assetato di passione ed istinti irrefrenabili. Si faceva schifo.

Si alzò di scatto dal letto, sperando che Marianna Bruno non avesse notato alcun tentennamento nel suo animo. Le donne le rispettava, ma l’orgoglio maschile era ben più forte del suo senso dell’onore.

“Per stanotte passa”, sussurrò, mortifero. “Ma sarai mia, Marianna. Accettalo e ti sarà più facile”. Si voltò, incurante dello sguardo omicida che quella donna gli riservò. Desiderava il suo corpo, ma lei non lo voleva. Era strano. Pietro era abituato al contrario. La sua bellezza era sempre stato un certo tramite per le conquiste facili.

Ma lei lo odiava, come se avvertisse quell’insana passione, oppure, semplicemente perché l’aveva messa in una condizione di non poter scegliere nello sposalizio. Si richiuse la porta alle spalle, infuriato con sé stesso e per il desiderio insoddisfatto.

Marianna sospirò, abbandonandosi definitivamente sul materasso e godendo un sonno agitato.

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Buongiorno a tutti! Perdonate il mio clamoroso ritardo, ma le vacanze non mi hanno concesso molto tempo per postare. Eccovi il quarto capitolo. E non dubitate mai del fatto che non voglia continuare la storia, ci mancherebbe. Anzi, non pensavo che potesse piacere così tanto e sono felice che sia così! 

Grazie tantissimo alle 8 persone che hanno commentato il capitolo precedente, siete state gentilissime!

 

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Capitolo 5
*** 5. ***


Come il cielo di luglio

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 5.

Marianna si ribella a Pietro Ripamonti e scappa dalla villa.

Al suo ritorno, le reazioni non tardano ad arrivare

 

Il giorno dopo, Marianna si svegliò di soprassalto. Non ricordava un granché del suo sogno, se non il terribile urlo di sua madre che le diceva di scappare. Da cosa non lo sapeva.

Mentre si alzava lentamente dal letto, trovò un’interpretazione più che adatta. Doveva fuggire da lui.

Sospirò. No, non credeva. Lo odiava, era vero, ma perché? Perché aveva preso il posto del padre, turbando la tranquillità di Santoro? No, non era per questo. Se fosse stato un buon padrone, non avrebbe permesso tutti quei soprusi tra i suoi braccianti. Eppure li tollerava, anzi, forse lui stesso li aveva ordinati. Pietro apparentemente non era cattivo. Burbero, scostante e terribile, certo, ma non cattivo. Se lo fosse stato, ieri le avrebbe fatto di tutto. Eppure si era arreso. Perché qualcosa dentro di lui lo aveva bloccato di colpo. Marianna ricordò immediatamente gli occhi nocciola lievemente sbarrati, le guance scolorirsi per chissà quale pensiero…

Marianna sbuffò, scocciata. Non stava a lei, dopotutto, decifrare l’animo corrotto e strambo di quell’uomo. Ancora non si rendeva conto di essere effettivamente sua moglie, le pareva un concetto troppo strano e astratto. Quasi pensò che si trattasse tutto di un incubo. Si sarebbe svegliata di lì a poco, avrebbe fatto colazione con il padre, per poi andare a prendere Tiziana e Pinuzza e salutare Calogero. Ne era quasi certa. Quasi. Ma purtroppo, capì che il vuoto che avvertiva dentro di sé non era altro che la mancanza della sua vecchia casa.

Involontariamente, si portò le mani alla bocca. E provò un moto di rabbia per se stessa, per aver permesso a quel mostro di metterle le mani addosso ed essersi impossessato delle sue labbra.

Il gigantesco armadio nella stanza catturò la sua attenzione. Scivolò curiosa verso le enormi ante di legno raffinato e le aprì. Rimase a bocca aperta. Non credeva davvero che tutti quei vestiti fossero i suoi. Marianna ne sfiorò diversi con le dita, le labbra semi spalancate al contatto con le stoffe morbide e setose. Nonostante tutto, decise di non ringraziarlo.

Preso l’abito più comodo e modesto e lavatosi la bocca ripetutamente, Marianna scese per la colazione. In realtà si perse quasi subito in quel palazzo maestoso, ma le morse della fame furono sconfitte dall’improvviso moto di curiosità che la spingeva più a fondo.

“Ti piace?”. Marianna sobbalzò a quella voce così profonda. Si scostò violentemente dall’arazzo che stava ammirando, fronteggiando minacciosamente Pietro Ripamonti. “Non scendevi più per la colazione e ti stavo cercando”

“Che premuroso”, osservò Marianna, acida.

Il sorriso di Pietro non la rassicurò per niente. “Se hai fame, ti indico dov’è la sala”, disse, il tono vagamente ironico.

Marianna si impuntò. “La cercherò da sola, grazie”

Pietro comprese in quel momento che c’era qualcosa che non andava. Di certo non si aspettava un’adorazione particolare da quella contadina, ma perlomeno un barlume di remissione doveva averle lasciato. Ieri sera non si era comportato propriamente da gentiluomo e si preoccupato di averla spaventata più del dovuto. Solo allora si era reso conto che lei non era né spaventata né remissiva. Era arrabbiata. E quell’atteggiamento così arrogante gli fece salire il sangue alla testa. “Non dovresti essere arrabbiata per quello che è successo ieri sera. Dovresti essermi grata”, notò, trattenendo a stento la furia nella sua voce.

“Per cosa? Per avermi quasi stuprata? Già, dovrei proprio baciarti le mani”, sibilò Marianna, volutamente velenosa.

“Fare sesso è nell’ordine naturale delle cose, Marianna. E nel matrimonio diventa un vincolo sacro”, sussurrò mortifero Pietro, gli occhi nocciola fiammeggianti.

Marianna arrossì appena a quell’accenno volgare. “Non è affar mio”

“Invece direi di si. Sei mia moglie e prima o poi dobbiamo accoppiarci”

Marianna indietreggiò di appena un passo, decisamente stupita. “Ne parli come se fossimo bestie”

Pietro rise, facendola sobbalzare. “Perché, non lo siamo?”

Lei ridusse gli occhi azzurri a due fessure. “Lo sarai tu, ma non io”

Si fronteggiarono per un paio di secondi, dritti e fieri come due cavalieri.

Pietro distese un piccolo accenno di sorriso, sorprendendo ancora una volta la moglie. “Non pensavo che le contadine fossero così… pudiche. Le immaginavo più vivaci”

Questo era troppo. Marianna, indignata, girò sui tacchi e si incamminò per la parte opposta. Una morsa ferrea le attanagliò il braccio, facendola girare su se stessa. Pietro la attirò a sé, le mani lunghe e affusolate sugli avambracci di Marianna. Non si era mai accorto di quanto fosse piccola, gli arrivava a stento alla clavicola. Sentire sotto le sue dita carnagione dorata lo eccitava da morire. La voleva con tutto il suo essere, dalla prima volta che l’aveva vista ballare alla festa del raccolto. Lei non lo sapeva, ma era così. Era un desiderio insano, malato, che non aveva mai provato con nessuna donna. Era consapevole che, a lungo andare, la ragione si sarebbe sottomessa all’istinto. Pietro non ci avrebbe pensato due volte a violentarla nella camera da letto.

Marianna, dopo l’iniziale mansuetudine, si agitò violentemente, le mani sopra quelle dell’uomo per scostarle. Pietro strinse involontariamente più forte, deciso a non lasciarla andare.

“Io non sono una puttana! Lo vuoi capire? Non lo sono!”, gridò Marianna disperata, digrignando i denti.

Pietro la tenne più stretta, ignorando i suoi lievi mugolii di dolore. Gli piaceva sentire di avere tutta la situazione sotto controllo. “Lo so che non lo sei. Ma sei la mia consorte, e come tale devi obbedirmi e rispettarmi”

“Non posso rispettare un uomo che non rispetta me”, ribatté prontamente Marianna, immobilizzandosi appena.

Pietro ghignò, sadico. “Tu sei una contadina, una fimmina. Non ne meriti di rispetto”

A parte Laura.

Marianna non poteva credere a ciò che aveva udito. Come aveva fatto a pensare che quell’uomo non fosse cattivo? Con un violento strattone, riuscì a liberarsi dalla sua stretta.

Pietro Ripamonti era un mostro. Un demonio. Un figlio di Satana.

I suoi occhi nocciola perennemente privi di luce o pieni di malizia ne erano una conferma. Le sue parole erano una prova.

Con gli occhi sbarrati e le guance rosso scuro, alzò l’orlo della veste e scappò.

 

* * *

 

Marianna camminava quasi a passo di marcia, il passo stanco e altalenante. Era pomeriggio inoltrato e non si era fermata un attimo. La pancia le brontolava rumorosamente, reclamando un assurdo bisogno di cibo. La tentazione di andare a trovare il padre era fortissima, ma non voleva rischiare: se Ripamonti si fosse messo sulle sue tracce, Michele avrebbe corso un pericolo enorme.

Il suo orgoglio le suggeriva di continuare a vagare per i campi e le spiagge di Santoro, il buonsenso di tornare a villa Ripamonti e mettere qualcosa sotto i denti. Si vergognava tantissimo della sua vigliaccheria. Invece di scappare, avrebbe dovuto affrontarlo. Eppure vedere quel Pietro Ripamonti sotto una nuova luce, quella di un essere demoniaco, l’aveva resa più agguerrita che mai.     

Diretta verso la sua abitazione, le labbra pregavano in una lunga litania che al varco non ci fosse Pietro Ripamonti ad aspettarla. Dio non la ascoltò.

Pietro stava tranquillamente fumando, la schiena completamente aderente alla colonna di marmo. Le serve stavano sistemando le piante del giardino e osservarono con crescente curiosità la loro nuova padrona, che di eleganza e nobiltà non pareva aver niente. L’abito era sporco di almeno tre centimetri di fango e i capelli ricci sfuggivano dalla crocchia disordinata.

Solo Pietro sembrava accecato dalla sua fresca e naturale bellezza. Gli occhi scuri luccicavano di malizia, ma un sorriso sardonico era ben piantato nel volto appena rasato.  

“Grandioso”, borbottò tra sé e sé, infastidita.

Non si fermò nemmeno, né fece marcia indietro; non voleva dargliela vinta.

La tentazione di cancellargli quel sorriso beffardo dalle labbra con un sonoro schiaffo era altissima. Probabilmente nemmeno la Madonna in persona sarebbe riuscita a mitigare quel sentimento fortissimo e impetuoso.

“Bentornata, mia sposa”, la accolse Pietro, non riuscendo a trattenere un ghigno canzonatorio.

Marianna gli lanciò un’occhiataccia degna di una creatura assetata di sangue, per poi scansarlo violentemente ed oltrepassare il portone. Raccolse in fretta e furia le gonne e corse per il lungo corridoio di ingresso, rifugiandosi nel salotto. Afferrò velocemente il rammendo lasciato da una cameriera, in modo da avere un arma a disposizione in caso dell’assenza della servitù. Sapeva che a lui non gliene importava delle apparenze, se avesse voluto avrebbe potuto benissimo stuprarla davanti ai domestici solo per dare spettacolo.

Marianna si sentiva oppressa, e per la distrazione si punse più volte le dita.

Lo spalancamento violento della porta le annunciò l’arrivo del suo amato sposo.

“Ti pare questo il modo di trattarmi, donna? Rispondi!”, urlò Pietro, furibondo.

Marianna osò guardarlo negli occhi. Dire che era furioso era davvero poco. Molto, molto poco. Sorrise appena, ignorandolo deliberatamente.

“Forse non ci siamo capiti bene”. Pietro strinse entrambe le spalle di Marianna, il viso a pochi centimetri dal suo.

Marianna cercò di ritrarsi alla presa, ma fu tutto inutile. “Lasciami, mi fai male!”, protestò, scocciata.

“Tu devi obbedirmi, capito? E non è che te lo chiedo, lo pretendo. Chiaro?”. La presa si rafforzò e Marianna avvertì una fitta all’avambraccio. Cercò tuttavia di restare impassibile.

“Non puoi sparire per quasi un intera giornata senza il mio consenso! Fallo ancora e vedi che cosa ti faccio”, la minacciò l’uomo, lo sguardo truce. Dopo un paio di secondi, la lasciò andare bruscamente, sbuffando irritato.

“La tua presenza è già molesta di per sé, mio caro. Quindi non stare lì a scervellarti nel modo in cui farmela pagare!”, sbottò lei, alzandosi in piedi tanta era la foga del suo risentimento.

“Taci, razza di donna degenere! Credevo che le contadine analfabete fossero più mansuete e obbedienti, ma a quanto pare non è così”, borbottò, più a sé stesso che a lei. 

Marianna spalancò la bocca, seriamente indignata. “Non sono analfabeta!”

In un attimo parve che l’irritazione di Pietro fosse svanita. Sollevò un sopracciglio, scettico. “Ah, no?”

Marianna arrossì appena, imbarazzata per la sua ignoranza. “Ehm… solo un pochino!”, ammise, chiaramente sulla difensiva.

Pietro scoppiò a ridere, seriamente divertito dagli aneddoti della ragazza.

“Vai al diavolo e restaci!”, sbottò Marianna, offesa.

“Dolce come sempre, vedo”, commentò Pietro, l’ombra di una risata ancora impressa sulle labbra piene. “Ma io ho un’altra arma, Marianna. E sai di cosa parlo”

Marianna sospirò, avendo compreso perfettamente ciò che intendeva dire.

 

* * *

 

Dopo una settimana passata in quell’inferno, Marianna era decisa: sarebbe morta vergine. Le lenzuola bianche che avrebbero dovuto testimoniare la consumazione del matrimonio giacevano sul letto dalla prima notte di nozze, assolutamente immacolate. Ciò era certamente meglio che essere toccata da quella bestia. Per sicurezza, la notte chiudeva a chiave la sua stanza, anche se era una precauzione totalmente inutile.

Pietro non cercò mai di violarla né di assalirla alle spalle. Sembrava che, in quel lasso di tempo, il suo desiderio fosse stato intaccato dall’odio che lei covava per lui. Pietro ostentava deliberata freddezza e, quando era di malumore, le parlava a malapena. La donna non riuscì mai a capire perché cercasse di decifrarlo.

Pietro si era rassegnato. Non capiva che cosa gli stesse succedendo, se non che quella passione non accennava a spegnersi. Marianna lo eccitava da morire, come sempre, ma quell’odio smisurato lo stava consumando lentamente. Si diede sempre dello stupido, perché, senza volerlo, si era incastrato nella stessa situazione di Laura. Poco prima che morisse, le aveva promesso che si sarebbe sposato solamente con la donna che amava più della sua stessa vita. Pietro non amava Marianna. Provava semplicemente desiderio e l’aveva sposata per calmare quella massa di contadini analfabeti. Come Laura, che era stata costretta a contrarre matrimonio dal padre Stefano, Pietro era stato abbindolato dall’istinto. Solo in quella settimana se n’era accorto. Si sentiva male, non per aver preso in moglie Marianna, ma per non aver mantenuto fede alla promessa della sorella. Sapeva di averla delusa. Ma non aveva intenzione di rinunciare alla sua passione.   

Marianna si era accorta che qualcosa non andava in Pietro. Era triste e durante i pasti era perennemente assorto. Lei, naturalmente, faceva finta che non esistesse. Dopo la loro ultima conversazione, quella dopo la fuga, rivolgergli la parola non gli andava propriamente a genio. La sua stessa natura le imponeva di confortarlo, in qualche modo, anche solo con il pensiero. Fece proprio così. La sera si inginocchiava davanti alla Madonna sulla testiera del letto e la pregava che Pietro stesse meglio e diventasse un uomo migliore. Tuttavia, dentro di lei, qualcosa si era spezzato. 

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Lo so, è da una vita che non aggiornavo. Sono ancora viva, questa ne è la prova. Scusatemi se ho la faccia tosta di ripresentarmi qui dopo mesi, ma secondo me era inutile postare un capitolo lavorato male. Spero comprendiate.

Intanto, colgo l’occasione per ringraziarvi tutti! Grazie davvero a tutti per aver atteso con pazienza questo capitolo. Non assicuro un aggiornamento regolare, ma sappiate che per nulla al mondo voglio abbandonare la storia.

Grazie a tutti!

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Capitolo 6
*** 6. ***


Come il cielo di luglio

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6.

Pietro Ripamonti ricatta Marianna Bruno e ottiene finalmente ciò che vuole

 

Quella mattina, Marianna si alzò più presto del solito. Troppo pigra per alzarsi, stette a letto per circa mezz’ora a pensare a tutto e a niente. I suoi respiri risuonavano leggeri nell’enorme stanza, quasi amplificati nella lieve luce del giorno.

L’improvviso scatto della serratura la colse di sorpresa. Non appena scorse il bel viso impenetrabile di Pietro, Marianna si sentì morire.

“Speravo che tu fossi già sveglia”, esordì, richiudendosi la porta alle spalle. Marianna si stupì all’inusuale visione di Pietro in vestaglia, con i capelli lisci arruffati e la lieve peluria scura sulla mandibola.

Marianna scattò a sedere, irritata. “Come osi entrare nella mia stanza in questo modo?”

Pietro scattò, l’espressione da impassibile passò a irata. “Parlami ancora così e rimpiangerai di avere fiatato”. Dopo essersi assicurato il silenzio di Marianna, continuò. “Prima di tutto, questa è casa mia. Di conseguenza lo è anche questa stanza. Quindi, è meglio che tu stia zitta”

“Perché sei venuto, allora? Volevi guardarmi mentre dormivo? Beh, ti è andata male”, rispose,  stizzita.

“Sei sempre così acida?”, domandò lui, retorico, il sopracciglio destro sollevato. 

Marianna fece una smorfia. “Per te, certo che si. A partire da ora”

Passato un breve attimo di silenzio, Pietro sospirò e si appoggiò pesantemente alla porta. “Credevo che dopo tutto il discorso dell’obbedienza e del rispetto te ne fossi fatta una ragione”, borbottò, quasi imbronciato.

La donna alzò gli occhi al cielo. “Pietro, fammi il favore. È passata una settimana e….”

“E cosa? Marianna, forse non hai ancora capito che così non va. Ho aspettato sette giorni, sperando che ti fossi abituata all’idea di essere mia moglie. Ho aspettato e sperato. Ma, a quanto pare, sei troppo testarda. Perciò sono qui. Ci ho pensato a lungo”, aggiunse a mezza voce, chiudendo gli occhi.

Marianna non lo aveva mai visto così. Sembrava di gran lunga più vecchio della sua età. Rabbrividì appena e, scambiandolo per un brivido di freddo, si portò al petto le lenzuola.

“Pietro, non sono disposta a scendere a compromessi”

“Devi, Marianna”

“Che intendi dire?”

Pietro si slanciò verso il letto, trattenendosi al muro dove vi era l’icona della Madonna. I suoi occhi nocciola le penetravano l’anima, speranzosi di trovare un tentennamento in quei lumi celesti. Il suo volto, che finora aveva lasciato intravedere uno spiraglio di passione, tornò distaccato. “Fai l’amore con me, e ai tuoi cari compaesani non accadrà nulla”

Passarono due secondi. Dieci. Quindici.

“Tu… tu non puoi dire sul serio!”, scoppiò Marianna, balzando in piedi.

L’espressione di Pietro era grave. “Sono serissimo, Marianna. D’altronde il nostro sposalizio è nato per questo, no? Non essendo stato consumato, il nostro non è un vero matrimonio. Di conseguenza, posso ancora fare del male…”

“Non lo farai”, ribadì, certa. Voleva la conferma che quell’uomo non era veramente cattivo. Voleva sapere che non era un demonio come lo aveva giudicato una settimana fa. Era l’ultima possibilità. 

“Stanne certa che posso farlo”

Marianna si sentì morire e risorgere tre volte. “Sei un mostro! Un demonio! Uno schifoso bastardo! Non te lo permetterò, brutto figlio di…”

“Zitta! Farai ciò che ti ho detto, Marianna. Tu sei mia. Mia e di nessun altro, capito?”, tuonò Pietro, la voce profonda rimbombante nell’enorme stanza. E tanti cari saluti all’autocontrollo.

La raggiunse in due passi, fronteggiandola nuovamente come un fiero cavaliere.

“Io non sono tua. Non ti appartengo, Pietro. E non cederò”, scandì Marianna.

Perché è così testarda?

“Molto bene. Allora credo che la tua amica ne risentirà parecchio…”, buttò lì Pietro, la mano strisciante sulla spalla della donna.

Marianna fece per scostarla, ma quella frase catturò immediatamente la sua attenzione.

In quel momento, Pietro sentì di avere esagerato. Ma era disposto a tutto per avere Marianna, perfino a usare dei bassi sotterfugi di quel genere. Non gli costava niente sacrificare la sua amichetta, se questo significava altra arroganza da parte sua. “Cos…?”

“Tiziana, giusto? È concupita da molti dei miei collaboratori. Se lasciassi loro il via libera…”

“NO! TI PREGO, NON FARLO! Non farlo…”, urlò Marianna, disperata.

Le sopracciglia di Pietro si levarono automaticamente. “Allora…”

“Non puoi fare così! Non puoi ricattarmi!”, balbettò Marianna, gli occhi pieni di lacrime e la bocca piena tremante.  

Pietro sospirò. “Peccato… vorrà dire che…”

Marianna gli afferrò la mano, stringendogli con forza le dita. Non aveva intenzione di fargli male, semplicemente lo voleva trattenere. Era la prima volta che lo toccava volontariamente e una piccola parte di lei lo registrò quasi con distacco. “Aspetta! Va bene. Va bene, accetto. Però…”

“Cosa, Marianna?”, sussurrò Pietro, avvicinando il viso al suo.

“Se io… io e te… faremo… l’amore… promettimi che non farai del male a nessuno di Santoro, men che meno a Tiziana”, mormorò Marianna, come una bambina indifesa.

Pietro non si aspettava tutta quella fragilità. La guardò come se la vedesse per la prima volta. Per una settimana, non era stata altro che una tigre fiera e combattiva, difficile da ammaestrare. Ora, stava cedendo. Gli stava lasciando campo libero. Per salvare la sua gente e la sua amica.

Pietro sospirò. “Lo giuro”

Il viso di Marianna si accostò di più al suo. Le sue iridi celesti traforarono quelle scure di lui, desiderose di cogliere fiducia e sincerità. “Giuramelo ancora. Ti prego…”

“Lo giuro, Marianna. Te lo giuro”, ribadì Pietro.

Non ce la faceva più. Pietro le afferrò i capelli e la trasse a sé. Affondò in quella bocca a bocciolo di rosa, penetrandola con la lingua, succhiandola e mordicchiandola.

Marianna era incerta, ma cercò di accontentarlo il più possibile per far si che non cambiasse idea. Provava ribrezzo per quel bacio denso di quel sentimento sconosciuto, ma non disdegnava quelle labbra calde e morbide. Si sottrasse lentamente al bacio, ansimante. Timida, osservò Pietro, ancora ad occhi chiusi e con il respiro accelerato.    

“Quindi…”. Marianna esitò, guardando nervosamente il letto dietro di sé.

Pietro scosse la testa. “Stasera. Abbiamo tutta la notte”

Le scoccò un altro bacio, per poi uscire rapido dalla stanza.

Marianna, ancora scossa e febbricitante, scoppiò a piangere, desiderando che Lucia fosse lì con lei.

 

* * *

 

Per la fortuna di Marianna, Pietro non si fece vedere tutto il giorno. Marianna sentiva di non essere mai stata tanto inquieta in vita sua. Vagava per la casa come un fantasma, suscitando le occhiate ansiose delle cameriere di cui non conosceva nemmeno il nome.

Desiderava intensamente rivedere suo padre, scherzare con Tiziana, aiutare Pinuzza nel lavoro, ascoltare i racconti su mostri marini e marinai coraggiosi di Calogero e ridere e salutare tutte le persone di Santoro.

Desiderava tornare bambina e ascoltare le favole di sua madre, perennemente a lieto fine. Marianna ricordava con tenerezza le sue bellissime storie, in cui spesso si immedesimava.

Solo in quelle occasioni, si sentiva una vera principessa, e non una misera contadina.

Solo in quei momenti, sapeva che avrebbe sposato il vero amore, e non un uomo sconosciuto come accadeva spesso a quei tempi.

Niente era avvenuto così. Era diventata la signora Trasi di Ripamonti, ma non si era sposata per amore.

L’odio che provava per Pietro non aveva mai raggiunto picchi così insormontabili.  

Non solo l’aveva costretta nello sposalizio, ma l’aveva ricattata per possederla. Per dominarla interamente.

Lo odiava con tutta l’anima, la mente e il corpo. Con tutte le sue forze.

Marianna respirò a fondo per calmarsi, ma non servì a nulla.

Passò l’intera sera a lisciarsi la veste di seta che aveva trovato nell’armadio e a pettinarsi i lunghi boccoli scuri per quanto possibile. Stentava a credere che quella giovane donna dagli occhi celesti pesti e gonfi e dal viso smunto fosse proprio lei.

Girò lo sgabello, in modo da poter contemplare l’icona alla Madonna sulla testiera del letto.

Ave Maria, gratia plena,

dominus tecum.

Marianna ammirò i contorni dorati della Vergine, una donna bellissima e coperta dalla lunga tunica blu.

Benedicta tu in mulieribus,

et benedictus fructus ventris tui,

Iesus.

Marianna tremò appena, le labbra che mormoravano silenziose la preghiera di cui non conosceva nemmeno il significato.

Sancta Maria, Mater Dei,

ora pro nobis peccatoribus,

nunc et in hora mortis nostrae.

Amen.

 

* * *

 

“Suvvia, non essere così melodrammatica”

Marianna balzò in piedi, sorpresa. Era stata talmente concentrata nella preghiera da non essersi nemmeno accorta dell’arrivo di Pietro.

Pietro lanciò un’occhiata scettica all’immagine, per poi fissare nuovamente Marianna. “Vieni qui”, ordinò, perentorio.

Marianna spalancò prontamente la bocca per ribattere, ma la ragione riuscì a rabbonirla. Non poteva permettere che una parola poco carina potesse rompere il loro compromesso. Non voleva che qualcuno di Santoro si facesse male per colpa sua.   

Pietro sorrise, come se sentisse tutto il suo chiacchiericcio interiore. Marianna obbedì e annullò la poca distanza che li separava.

Pietro la osservò per due secondi buoni, l’eccitazione lieve, ma palpabile. Avvicinò Marianna in un abbraccio furioso, che di amoroso aveva ben poco. Marianna avvertì la sua eccitazione, ma non si ritrasse.

Il resto venne da sé. Pietro l’aveva spogliata così velocemente da non essersene resa conto. Si sentiva stordita, sorpresa e impotente. Si sentiva ripugnante e debole.

Non aveva mai visto un uomo nudo. Perciò, quando vide veramente bene le nudità di Pietro, arrossì furiosamente.

Pietro era bello. I muscoli erano lunghi e affusolati, gli addominali leggermente scolpiti segnavano una persona atletica e abituata a muoversi. Ma a stupire Marianna fu soprattutto la sua enorme erezione. Marianna si permise di accarezzarla e quasi temette di aver sbagliato quando vide Pietro chiudere gli occhi.

“Ti piace, Marianna? Ti piace?”, sospirò, ansimante.

“Io…”, mugolò Marianna, intimorita dai suoi spasmi muscolari. 

“Apriti per me”, ordinò, la voce talmente roca da farla fremere.

Marianna lo assecondò. Perché era costretta.

E quando Pietro affondò in lei, senza pietà, senza previsione, lanciò un urlo immediatamente attutito dalle labbra di lui. Sentì un liquido caldo e viscoso scorrerle lungo l’interno coscia. Si sentiva male, ma resistette.

Poi, tutto finì. Tutto tacque.

In un soffio di dolore e malinconia.

 

* * *

 

Pietro dormiva. Marianna distingueva la figura completamente nuda e snella stagliarsi nella luce lunare. Il petto si muoveva lentamente, in una lieve melodia dettata dal sonno e dalla tranquillità.

Lei tremava. Raggomitolata su se stessa, gli occhi spalancati, non faceva che sfregare le mani sulla pelle nuda. Per darsi forza, caldo e vigore. Per spazzare via l’odore di quell’uomo che l’aveva posseduta senza il suo permesso.

Marianna aveva paura di chiudere gli occhi. Era consapevole che, se lo avesse fatto per un nanosecondo, avrebbe rivisto quell’angoscioso tormento. Lo era già vedere le lenzuola macchiate dal suo sangue.

Lanciò un’occhiata sbieca a Pietro, così calmo e abbandonato. E si sentì tremare di rabbia e disgusto.

Era un demonio. Uno schifoso bastardo. Che non avvertiva alcun senso di colpa. Che cosa sperava, d’altronde? Era solo una fimmina che gli provocava strani effetti, dopotutto.

E lo odiava. Dio, se lo odiava.

Voltò la testa dall’altra parte, gli occhi traboccanti di lacrime. Poi lo vide. Un piccolo coltello spiccava sul comodino, lucente e terrificante. Marianna non rifletté minimamente quando afferrò l’aggeggio infernale. Lo rimirò per bene, da un angolo all’altro. Evidentemente era di Pietro e lo aveva appoggiato lì prima di…  

Marianna si girò nuovamente, il coltello ancora in mano. Agile, pronta a scattare. A ferire, picchiare, mordere, uccidere… poco importava delle conseguenze.

Alzò il pugnale sempre più in alto, le iridi fissi sul collo teso di Pietro.

Solo in quel momento, solo in quell’istante, capì ciò che stava per fare. Si bloccò a metà strada, inorridita. Lanciò il coltello dall’altra parte della stanza, fortunatamente attutito dal tappeto all’ingresso.

Marianna scoppiò a piangere, le mani che sfregavano con forza il viso sciupato. “Madonna mia, che cosa volevo fare? Sono matta? Oddio, oddio… oddio… Perdonami…”. Continuò così la lunga supplica, finché non cadde in un lungo sonno agitato, distrutta.

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Spero di non aver turbato nessuno con questa piccola scena di sesso. Ho cercato di descriverla entro il rating previsto (arancione). Non odiate Pietro, più avanti saprà farsi perdonare. Anche se, devo ammetterlo, in questi capitoli non lo sopportavo nemmeno io :)

Grazie mille a tutti, per non avermi abbandonata, per essere ancora qui con me e questa storia. Grazie!

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Capitolo 7
*** 7. ***


Come il cielo di luglio

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7.

Marianna Ripamonti fa amicizia con la servitù e Clementina Pagliarini.

In una notte insonne, Pietro confessa a Marianna il desiderio malsano che nutre per lei.

 

La situazione restò invariata per un’altra settimana. Marianna, impotente, non poteva far altro che obbedire a suo marito, sottomettersi a lui per farlo godere. Era un triste destino, un amara verità. Ma sapeva che non poteva ribellarsi, o quel bastardo avrebbe fatto di tutto per farla pentire.

Pietro, invece, non si era mai sentito così bene. Si sentiva un dominatore. Non solo era riuscito a ottenere il bellissimo ed eccitante corpo di Marianna, ma era riuscito ad ammansirla, cosa certamente non da poco. Non aveva mai considerato l’idea che il suo espediente fosse decisamente indecoroso per un tipo onesto come lui. Sembrava che l’opinione negativa degli abitanti di Santoro lo avesse influenzato.

Erano passate solamente due settimane dal loro matrimonio, e l’odio che i contadini gli covavano si era trasformato ben presto in rancore. Se tutti avevano detestato quel demonio di Stefano Ripamonti, suo figlio non era da meno. Di certo, un gentiluomo non avrebbe preteso uno sposalizio con una donna bella e buona che non si meritava.

La frustrazione che Pietro provava durante la giornata la sfogava alla sera, nel letto di Marianna. Il rapporto era veloce e brutale, ma molto appagante. Marianna spesso intavolava una lunga litania dentro di sé affinché la smettesse presto con quella follia. Si addormentavano spesso insieme, stanchi per la fatica dell’accoppiamento. Solo una volta Marianna si era risvegliata tra le braccia di Pietro e non si era nemmeno spiegata come ci fosse finita lì. Infatti, non appena realizzò la cosa, si scostò violentemente da lui, come se fosse infetto di una grave e rischiosa malattia.

Nonostante la notte fosse riservata al sesso, i loro rapporti non migliorarono affatto. Marianna evitava di parlargli ogni volta che poteva e, quando era costretta, rasentava la maleducazione. Pietro era troppo occupato per accorgersi delle stizze della donna. Le rendite si erano fortunatamente alzate di colpo e Pietro era consapevole che il suo sposalizio era stato un affare. Sembrava che tutti, per essere solidali con Marianna, si impegnassero di più. Chissà perché, quel pensiero gli contorse le viscere. Non seppe definire nemmeno lui quello strano sentimento e non volle nemmeno tentarci.

 

* * *

 

Nei momenti in cui Pietro era fuori casa, Marianna socializzava con la servitù. Da ingenua contadina qual era non immaginava di certo che per una signora avventurarsi nelle cucine fosse sconveniente, e rimase alquanto scettica alle occhiate stupefatte dei servitori. Era rimasta seriamente colpita dal tono rispettoso che utilizzavano con lei, addirittura la chiamavano Voscenza. Marianna non si era mai sentita così a disagio. Lei, una misera contadina, non si sarebbe mai sognata un atteggiamento così servile.

Si era fortemente decisa che non si sarebbe pianta addosso per quella situazione. Equivaleva darla vinta a Ripamonti e non era il suo caso. La freddezza e l’accondiscendenza a letto erano gli unici rimedi per tenergli testa.

Marianna imparò a conoscere con pazienza tutti servi, delle persone così squisite e gentili da toccarle l’anima. Si affezionò in particolar modo a Clementina Pagliarini, un’attiva e vitale quarantenne che le ricordava moltissimo Pinuzza.

Chiese spesso a Clementina se avessero capito che lei fosse una popolana. “Voscenza, si. Anzi, io vi ammiro. Ero a potare le piante quando voi tornaste tutta infuriata dalla passeggiata. Non ho mai visto nessuno in quasi un mese di permanenza far infuriare così tanto il padrone”

Le labbra rosee e piene di Marianna persero il loro sorriso. “Ripamonti è un gran figlio di…”

“E anche dal vostro linguaggio, direi. Ma siete tanto buona e cara che si può sorpassare a questo”, l’aveva presto interrotta Clementina, prima che Marianna avesse potuto insultare in qualche modo la defunta madre del padrone.  

Marianna passò le sue giornate in cucina a parlare con Clementina e a dare una mano ai fornelli. Per la prima volta, si sentì a proprio agio in quel palazzo. Era utile tornare a fare qualcosa che sapeva fare abbastanza bene. Progettò parecchie volte di versare del veleno per topi nei piatti di Pietro, ma si trattenne.

“Voscenza, vi assicuro che passerà tutto. Ho cambiato le lenzuola del vostro letto e…”. Clementina si interruppe, temendo di aver detto troppo.  

Marianna sospirò alle sue parole, ma non rispose.

 

* * *

 

Quando Marianna si risvegliò tutta sudaticcia e umida nel letto, una grande fame le attanagliò lo stomaco. Finora aveva sperimentato che fare sesso metteva un grande appetito, soprattutto con la grande passione che Pietro le riservava.

Arrossì e si maledisse per quei pensieri impuri. Si voltò nel letto, ma Pietro, stranamente non c’era. Si strinse nelle spalle e sorrise. Tanto meglio non doverlo vedere. Scivolò dal letto, recuperò la sua camicia da notte e si recò in cucina.

Tuttavia, non appena entrò nella stanza, vide un’ombra muoversi di soppiatto e cacciò un urlo. Il grido divenne più acuto quando riconobbe la misteriosa figura.

“Oh, Dio! Che ci fai qui? Mi hai fatto paura!”, strillò, vagamente isterica. Si portò una mano al cuore, ansimante. 

“Shhh!”, le intimò Pietro, gli occhi nocciola seri.

Marianna, ripresasi dallo spavento, si indignò. “Non mi fare shhh!”

“Taci, Marianna, altrimenti sveglierai tutti”, sbottò Pietro con la sua voce profonda, staccandosi dal ripiano e avvicinandosi a lei.

“Che cosa ci fai qui? Non credevo fosse posto adatto a tia”, replicò, acida, mantenendo la sua solita posizione fredda.

“Non riuscivo a dormire”, disse semplicemente Pietro, alzando le spalle.

Gli occhi celesti di Marianna, resi più scuri dal buio della stanza, si assottigliarono. “Strano. Non sono stata abbastanza brava e soddisfacente stanotte?”

Pietro sbuffò, ironico. “Non scherzare, Marianna”

“Mi ero dimenticata di quanto fosti odioso”

“Verrà il giorno in cui perderò la pazienza…”, la minacciò lui, cominciando a scaldarsi. 

“Continua pure a minacciare a destra e a manca, tanto non mi fai paura”. Marianna non voleva saperne di contenersi.

“Riuscirò a dominarti, Marianna, arriverà il giorno in cui riuscirò…”, promise Pietro, in un tono decisamente inquietante e iroso.

“Aspetta e spera, allora. A meno che non passi ai ricatti”, lo punzecchiò lei, facendo una smorfia.

“É stato necessario”, replicò lui, come se fosse una cosa del tutto naturale ricattare la gente per ricevere dei favori in cambio.

Marianna non rispose, altrimenti lo avrebbe accoltellato. Pur di ignorarlo, cominciò a passare in rassegna la cucina, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Trovò un pezzo di pane e, fingendo di non vedere il marito, si accomodò sullo sgabello e iniziò a mangiare. Pietro la imitò, sedendosi sulla panca di fronte a lei, il tavolo come divisorio.

Marianna continuava piluccare la mollica, cercando di non far caso all’occhiata di fuoco che Pietro le rivolgeva.  

“Domani non esci?”
L’improvvisa domanda di Pietro, assolutamente semplice e civile, la colse di sorpresa. “No, perché?”

“Te ne stai sempre in casa”, constatò lui, versandosi un bicchiere di vino.

“E allora? Tanto te nemmeno vorresti”

“Era solo una domanda”

Marianna si strinse nelle spalle. “Mi diverto”

Pietro ridacchiò, facendola sobbalzare. “Tu? Qui in casa da sola? Proprio no”

“Ma se neanche mi conosci!”, sbottò.

“Non dire bugie, Marianna”

“Non devo stare qui a dirti che faccio durante il giorno. E io cosa dovrei dire a te, che qui non ci sei mai?”, domandò lei, retorica.

Pietro fissò le iridi scure nelle sue celesti, catturandole lo sguardo. “Vado in giro per il paese, per controllare com’è l’andamento del lavoro. È molto migliorato da quando ci siamo sposati”, buttò lì.

“Chissà come mai”, borbottò Marianna, ironica.

Pietro non ci vide più. Nonostante lui cercasse di conoscerla più a fondo, lei resisteva. Non aveva mai conosciuto una donna più testarda di lei. Forse Laura, ma cercò di non rammentarla. “Puoi smettere per una volta di fare l’acida e cercare di essere carina?”

“Mi sembra una cosa assolutamente insensata. Come potrei essere carina con la persona che meno mi rispetta al mondo?”, strillò lei, ora seriamente arrabbiata. Batté il pugno sul tavolo, molto eloquentemente.

“Non mi sembra che ti manchi qualcosa”, replicò Pietro, non meno irato di lei.

“Cos…? Sei un demonio, una bestia! Come puoi dirmi una cosa del genere? Va bene, con il nostro matrimonio sono una signora, ho gioielli, abiti e tutto. Ma non ho amore. Mi sento sola. E ho un uomo che mi scopa e basta!”

All’ultima frase, Pietro impallidì. Ma si riprese in un attimo. “Non ti permetto di parlarmi in questo modo!”

“Non è così, d’altronde? Dimmi di no, Pietro. Illuminami”, sputò, scettica.

Pietro non rispose. Si limitò a studiarla attentamente, i pugni serrati tremanti. Lo faceva uscire di testa. Non solo per la passione fisica che provava per lei, ma per la sua arroganza.

Marianna balzò in piedi, tutti i muscoli tesi al massimo. “Visto? Per te non sono altro che una puttana da scopare alla sera, così, per appagarti. Per te non sono niente. Ci siamo sposati per niente!”

Pietro si alzò, accostandosele pericolosamente. Sperò di incuterle un po’ di timore, ma lei non si ritrasse minimamente. “É questo quello che vuoi dire, Marianna? Che per te salvare la tua gente è stato inutile?”

“Se tu fossi un signore come si dovrebbe, niente di tutto questo sarebbe stato necessario”

“Sei un ingrata! Con tutte le donne che avrei potuto sposare… dovresti ringraziarmi”

“Per cosa, Pietro? Per cosa? Dimmelo!”

Non ce la fece più. Marianna fu stretta in un abbraccio furioso e passionale, trovandosi la bocca calda e morbida di Pietro sulla sua. Le sue labbra si muovevano sulle sue, la lingua che le tracciava sensualmente il contorno delle labbra. Marianna non riuscì minimamente a muoversi, tanto era lo stupore. Non capiva assolutamente niente, e questo la turbava.

D’altronde, lei non aveva mai conosciuto il desiderio. Nemmeno facendo sesso, perché solo di quello si trattava, con suo marito. Non avevano mai fatto nulla insieme. Per lui, lei non era nient’altro che una bambola viva, accondiscendente e passiva.  

Pietro si staccò ansimante, le mani saldamente ancorate alle spalle di Marianna. La trasse più vicino a sé, passionale, schiavo dei suoi stessi sentimenti. Per arrivare alla sua altezza, le si inginocchiò di fronte, trascinandola con sé sul pavimento rustico della cucina. Marianna non disse nulla, né desistette. Non aveva mai visto Pietro così stravolto. Mai. Si era ripromessa che non avrebbe mai indagato sulla sua persona, perché niente di lui le sarebbe interessato. Ma ora era tutto diverso. La sua naturale indole buona le suggerì di afferrargli il viso e di accarezzarlo. Non importava che fosse l’uomo che odiava più di ogni altra cosa al mondo. In quell’attimo, erano solo Pietro e Marianna. 

“Per questo”, sussurrò sconnesso Pietro, il viso nascosto nell’incavo del suo collo. Glielo baciò, aspirandone il profumo. “Ma non sono stato io a ordinare di obbligarti per sposarmi. Immaginavo che in un paesino del genere tu fossi una tra le poche donne nubili. Speravo che fossi tu la mia sposa. Ti ho vista la sera della festa, mentre danzavi. Eri una dea. Sei una dea. Ti ho desiderata per tanto, troppo tempo. E ti volevo tutta per me, perché non sopportavo che qualsiasi altro uomo potesse averti già toccata. Io ti desidero, Marianna, ti voglio. Sei il mio tormento. E possederti, mi manda in gloria divina… in paradiso…”. Ansimò, la voce rotta dalla sua debolezza. Si vergognava di aver detto così tanto, di essersi esposto troppo.
Marianna per un istante non fiatò. Finché non collegò immediatamente le sue parole.

Lui l’aveva vista ballare alla festa del raccolto. Sapeva che era nubile, e aveva sperato che fosse lei a offrirsi per lo sposalizio. In caso contrario, l’avrebbe sempre cercata.

L’aveva sposata solo perché la desiderava. Per possederla, per offrirsi il piacere assoluto dei sensi.

L’aveva sposata solamente per compiacersi. Per se stesso. A lei, a suo padre, a tutti gli altri, non aveva mai pensato. Aveva assecondato solamente le sue passioni e i suoi insani desideri. Era un demonio. 

Marianna, per quanto la mole di Pietro glielo permise, lo spinse via. Gli occhi erano colmi di lacrime represse e le mani le tremavano.

Pietro rimase così, inginocchiato, il volto inespressivo.

“Io ti odio! Ti odio! Sei l’ultimo uomo sulla terra che avrei mai potuto sposare!”, gridò, con disprezzo.

Corse via dalla cucina, non voltandosi mai indietro. Nonostante fosse inutile, si rinchiuse nella sua stanza, e pianse per tutta la notte.

Da quella sera, Pietro non toccò più Marianna con un dito.

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Ciao a tutti! Eccomi qui ad aggiornare.

Allora, inizio con il dire che questo è uno dei capitoli chiave della storia, pieno di avvenimenti. Troppo surreale? Io non credo. Troppo presto? Forse, ma, d’altronde, i sentimenti non sono programmati.

Non saprei cosa aggiungere, se non che sono stati i miei personaggi a suggerirmi che sarebbe andata così, fin dall’inizio. Pietro è freddo, scostante, ma nasconde una grande passionalità. E di solito, quando si ha un così alto grado di sentimento, non si riesce più a trattenerlo. Perciò lui ha buttato fuori tutto, vergognandosi magari delle sue confessioni insane, ma incapace di fare altrimenti.

E poi, che dire? La reazione di Marianna è del tutto lecita. Attenzione, Pietro non ha ancora capito di aver sbagliato. Insomma, è una bella testa dura, ma, credetemi, rifletterà molto sulla situazione. Aspetto i vostri commenti, sperando di non avervi deluso!

Ringrazio tutte le persone che hanno commentato e inserito questa storia nelle preferite, nelle seguite e nelle ricordate. Grazie per i meravigliosi complimenti, davvero. Grazie anche a tutti quelli che, dopo aver letto questo capitolo, avranno la santa pazienza di leggere questo delirio.

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Capitolo 8
*** 8. ***


Come il cielo di luglio

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8.

Pietro Ripamonti si mostra più gentile nei confronti della moglie.

Marianna visita Michele Bruno e trova finalmente un piccolo conforto.

 

Passarono tre giorni dalla notte in cui Marianna e Pietro si erano scontrati in cucina. Marianna era nervosa e inquieta. Si aggirava come un fantasma per la casa e Clementina temette nuovamente che fosse stato un nuovo litigio con il padrone a ridurla in quello stato.

Segretamente, la romantica domestica sperava che tra i due potesse nascere qualcosa. Ma sapeva che quelle follie erano destinate alle favole, niente di che. Era buona Voscenza, e desiderava in qualche modo che fosse felice.

Non appena Marianna si presentava in cucina, accolta dai grandi sorrisi dei domestici, Clementina le andava incontro e la distraeva con dei racconti d’infanzia. Ripescava dalla memoria le favole inventate per i nipotini, visto che figli non ne aveva mai avuti. Marianna la ascoltava rapita e per un attimo ritornava piccola.

Ci sperava, in un certo senso, che così potesse essere.

“Sai, mi ricordano tanto le favole che mi raccontava mia mamma”, disse Marianna, rivolgendole un grande sorriso.

Clementina si rattristò appena. “Raccontava? Volete dire che…”

Marianna annuì. “Si, è morta quando dodici anni. Ma è passato”

Clementina si diede mentalmente dell’idiota, ma non smise comunque di tirarle su il morale.

Nonostante anche Pietro fosse di pessimo umore, nessuno sembrò avere il coraggio di badargli. Era suscettibile e irritato, più glaciale del solito. In quelle ore assomigliava paurosamente a un demone della notte eterna.

Era arrabbiato con se stesso. Tremendamente infuriato per essere stato così debole, ma soprattutto meschino. Si chiese spesso dove aveva riposto la coscienza in quel mese di matrimonio. Si faceva schifo. Possibile che si fosse dimenticato così facilmente di Laura? Perché aveva badato solamente a se stesso, senza consultare i desideri di Marianna? E perché si faceva tanti problemi per una fimmina obbligata ad obbedirgli?

Senza rispondere ad alcuna delle sue domande, Pietro evitò accuratamente di incrociare sua moglie. Si chiese più di una volta dove fosse finita e come avesse fatto ad aggirarlo in tre giorni senza mai farsi vedere. L’unico momento in cui Pietro aveva il coraggio di contemplarla, era la notte.

Lei chiudeva a camera la porta, evidentemente non aveva ancora capito che fosse una precauzione inutile.

Pietro si fermava così, sulla soglia, ad osservarla dormire.

Era splendida, anche se la preferiva rossa e scarmigliata nelle notti di desiderio. I ricci scuri e lunghissimi erano sparsi sul cuscino, il petto morbido e il fianco voluttuoso ben fasciati dalla camicia di seta. Il suo respiro lento e soave riempiva la stanza, inondandola di tranquillità e pace. E la sua bocca, così piena e rosea, eccitò Pietro all’inverosimile. E quando mai, d’altronde?

Fu in quell’istante, che Pietro concluse che era bene provare a conoscere la sua signora. Giusto un poco per rabbonirla.

 

* * * 

 

Marianna contemplava meravigliata la vista del mare dalla sua stanza. Chiuse gli occhi, inspirando lentamente l’odore di sale. Era strano stare su quel balcone, lo stesso su cui lei e Lucia fantasticavano di poterci andare.

Guarda, mamma, sono qui. Mi vedi?

Marianna sospirò, ben consapevole che Lucia non la stava affatto assistendo. Altrimenti, non si sarebbe trovata in una situazione simile.

Stava per voltarsi e andare a cercare Clementina, quando la voce profonda che tanto non avrebbe voluto sentire si innalzò al suo fianco. “Ti piace?”, chiese Pietro, le mani giunte sul balcone.

Marianna non lo guardò nemmeno. Anzi, quella semplice domanda le ricordò sfacciatamente la loro  prima notte. Lei aveva toccato il suo membro, e lui le aveva domandato se le piaceva. Per poi darle il colpo di grazia. Annuì seccamente, conscia solo a metà dell’accordo stretto una settimana prima.

Pietro sospirò, evitando il suo viso. “Anche a me. Moltissimo. Forse è una delle prime cose che mi ha colpito di Santoro”

“Ma davvero? Chi l’avrebbe mai immaginato”, replicò Marianna, acida.

Pietro ignorò con molta fatica il sarcasmo nella sua voce. “Vorresti vedere la tua famiglia?”, chiese, rivolgendole una breve occhiata.

“Ovvio”, mormorò Marianna, triste. Michele le mancava terribilmente, per non parlare di Calogero, Pinuzza e Tiziana. Erano la sua famiglia. Sospirò, già consapevole che Pietro era giunto lì solo per rattristarla e vendicarsi della sceneggiata di tre giorni prima.

“Puoi andarci, allora”, disse invece lui.

Marianna non poté credere alle proprie orecchie. “Come?”

“Puoi andarci. A vedere la tua famiglia, intendo”, ripeté Pietro, convinto.

Per poco gli occhi non le cascarono fuori dalle orbite. “Scherzi? Insomma… davvero?”

“Si”, sbuffò Pietro.

“Perché?”

Lui si accigliò, sorpreso. “Perché cosa?”

“Non posso credere che tu… voglia. Che cosa vuoi in cambio?”, domandò, improvvisamente sospettosa.

Pietro cominciava a seccarsi seriamente per la sua insistenza. “Un bel niente, Marianna! Vacci dalla tua famiglia, cogli l’occasione, no? Altrimenti puoi anche rimanere qui”, concluse, perentorio. 

“No, no. Vado, vado”, ribadì subito lei, agitando furiosamente le mani.

Attese un attimo e, non vedendo alcun cambio di programma in lui, decise di andarci immediatamente, prima che cambiasse idea. Pietro osò guardarla e rimase esterrefatto. Era bellissima, radiosa. Davvero era stato quel misero permesso a renderla così eterea e perfetta? Bastava così poco per renderla felice? 

Marianna, con un enorme sorriso sul volto, stava già andando.

“Ah, Marianna”, la richiamò lui, bloccandola istintivamente per un braccio.

Marianna non sentì nemmeno la presa, tanto era delicata. “Si?”

“Torna, però. Ti prego”

 

* * *

 

Marianna si scervellò per circa dieci minuti sulle ultime parole di Pietro. Era da tre giorni che non lo vedeva girovagare per casa. Nemmeno per i pasti aveva osato scendere in sala da pranzo. Eppure, la voleva. L’aveva pregata di ritornare indietro.

Elaborò velocemente due opzioni. La prima, era che si fosse completamente ammattito. Ci rifletté un attimo. Probabile. La seconda, era che forse si era finalmente reso conto del male che aveva commesso. La sua buona indole la obbligò ad accantonare anche quella ipotesi, sebbene non ne fosse totalmente convinta. Personalmente, Marianna era ancora convinta che quell’uomo fosse un demonio. Eppure tre giorni prima, le era parso fragile e insicuro come un bambino. Ma non riusciva a capire se quello fosse dovuto all’ossessione che provava per lei o per qualcosa che ignorava. Non volle pensarci. Ci mancava che si preoccupasse per il nemico.

Marianna percorse lentamente le strade deserte di Santoro, camminando con la sua solita lenta e seducente andata. Aveva cercato invano dei vecchi vestiti che non attirassero l’attenzione, poiché tutti quelli contenuti nell’armadio non solo erano nuovi di zecca, ma erano signorili. Così si era dovuta accontentare del vestito sfarzoso più semplice che aveva. Incurante dell’orlo della veste impolverato e sporco, lo stomaco le sussultò alla vista della vecchia baracca. Marianna corse felice nell’abitazione, piombando come una scalmanata.

Michele urlò spaventato, ma non appena riconobbe la figlia, le gettò le braccia al collo. Non gli sembrava vero che fosse lì con lui, dopo quasi tre settimane. La accolse come se fosse apparsa in casa la Vergine Maria.

Dopo varie chiacchiere di convenienza, però, Michele aveva notato la triste verità. Marianna era infelice. Lo si vedeva lontano un miglio. Era sempre bella, sempre uguale a Lucia, ma sfiorita e stanca. Sembrava pensierosa e irritata per qualcosa più grande di lei.

Michele sospirò. “Non avrei mai dovuto permetterti di sposare quella bestia”

Marianna sobbalzò a quelle parole così dure, mai sentite fuoriuscire dalla bocca di suo padre. “Papà, che cosa dici?”

Michele fissò i suoi grandi occhi scuri in quelli cerulei della figlia, l’espressione grave e stanca. “Mi sarei dovuto opporre fin dall’inizio a quel folle sposalizio. Ora noi stiamo bene, ma tu no”

Marianna, incapace di sostenere quello sguardo, abbassò il suo. “La mia felicità non è importante”, sussurrò, convinta.

Michele scoppiò. “Certo che lo è, Marianù! Sei una persona come tutti le altre! Non sei una martire, ma solo una giovane ragazza che dovrebbe pensare alla vita che alla morte!”

“Papà, non avrei permesso che al mio posto ci finisse Tiziana! Lo sai meglio di me che eravamo solo noi quelle disponibili! Non lo avrei permesso. Mettici a confronto: io non sono altro che una zitella di quasi vent’anni ormai, mentre lei ha solamente quattordici anni. Lo so che la maggior parte si sposano a quell’età, ma non potevo permetterlo. Non potevo”, ripeté Marianna, ferma. Osò guardare suo padre, più determinata che mai.

A Michele morirono le parole di bocca. “Marianna…”

“Tiziana è come una sorella per me, papà. E la situazione degenerava sempre di più…”

“Questo non significa niente. Avremmo potuto rinunciare allo sposalizio”

“Per farci vessare sempre di più? Non ha senso papà. E poi, grazie a ciò, adesso va meglio, no?”

“Molto meglio”, ammise stancamente Michele, come se non potesse fare a meno di rivelarlo.

“Non c’è nulla da dire, allora”, concluse Marianna, perentoria. Non era venuta lì per litigare con suo padre o ribadire la triste scelta. Così era andata. Punto. Il destino non si poteva cambiare. Sempre se di fato si trattasse.

Michele, sconfitto, si appoggiò interamente allo schienale della sedia, che si ribellò scricchiolando debolmente. “Ma ritorniamo al punto di prima: tu non sei felice”

“Cosa te lo fa credere?”

“Marianna”, la riprese lui, secco.

“Papà, va tutto bene, davvero”

Il debole tentativo di sua figlia per rassicurarlo, fece partire Michele in quarta. “Ti tratta male? Ti picchia? Giuro che se ti ha alzato le mani addosso lo ammazzo!”

Marianna non lo aveva mai visto così in collera e si spaventò non poco. “No, papà. Le mani addosso non me le ha mai messe”, ammise. Sapeva che quello che intendeva il padre era decisamente differente da quello a cui si riferiva lei. Ma tanto valeva non dire niente.

Michele non parve soddisfatto dalla sua risposta. “Non intendo solo quello Marianna, sai”, sussurrò, la bocca distorta da una terribile e crudele smorfia.

Marianna si bloccò. L’aveva fregata, inesorabilmente. Prima che potesse controllarsi, avvertì una lacrima scorrere sulla sua guancia. Si odiò per questo, perché non era mai stata una frignona. “Io… lui…”

“Ti ha toccata? Avete…”

“Oh, papà!”, scoppiò Marianna, non riuscendo più a trattenersi. Le lacrime scendevano e scendevano, senza fermarsi.

“Vieni qui, bambina mia. Vieni qui”, mormorò Michele, allargando le braccia alla sua unica figlia.

Marianna pianse a lungo nel suo petto, appoggiandosi con tutte le sue forze a quell’unica ancora di salvezza che le veniva offerta.   

 

* * *

 

Passavano le ore, e Marianna non si faceva viva. Pietro cominciò a preoccuparsi. Temeva che fosse fuggita o che non volesse più vederlo. Si sentiva bruciato, perso, e non sapeva nemmeno il perché. Per lei provava soltanto attrazione fisica. Desiderio. Pura brama carnale. Nient’altro.

O si?

Pietro ricordava ogni particolare della carezza consolatoria di Marianna, con cui, nonostante tutto quello che le avesse inflitto, aveva cercato di comprenderlo.

Sospirò profondamente, sprofondando sempre di più sul letto ordinato della sua sposa. Non aveva idea di cosa fare. Niente di niente. Si sentiva frastornato, confuso e irritato.

Dei passi lesti e leggeri attirarono la sua completa attenzione. Quasi avvertì il lume della speranza accendersi di botto in quell’anima fredda e nostalgica.

Marianna si arrestò a pochi metri da lui, sorpresa di trovarlo lì. “Io… sono tornata”, mormorò, accigliata.

Pietro sospirò, accorato. “Mi hai fatto impensierire”, mormorò, prima che potesse censurarne le parole.

Gli occhi azzurri di lei si assottigliarono. “Non era mia intenzione”

Ci fu un breve attimo di silenzio, tanto intenso da riuscire a udire i loro respiri. “Sei andata da tuo padre?”, chiese Pietro, i gomiti sulle ginocchia.

“Si. Ho fatto in tempo a vedere solo lui”

“Certo. Avrete avuto… molte cose da raccontarvi”

“Già. Mi mancava troppo”, aggiunse Marianna, fremente.

Pietro sospirò, gli occhi bassi. Un leggero fruscio lo distrasse dai suoi pensieri vorticosi e nebulosi. Nel sedersi accanto a lui, Marianna fece una leggerissima pressione sul materasso. Pietro ammirò con cura il suo profilo bello e regolare, men che meno le iridi chiare scurite dal tramonto.  

“E tu?”, sussurrò lei, melodiosa.

Pietro non capì. “Cosa?”

“Non ti mancano mai? I tuoi genitori, intendo”. Alzò la mano, diretta verso il suo viso, ma qualcosa parve farle cambiare idea.

Una fitta dolorosa e impensabile colpì lo stomaco di Pietro. No, non voleva parlarne. Un giorno, forse, ma non ora. Non era pronto a condividere con qualcuno un segreto più grande di lui. Men che meno a lei, sua moglie. “Si è fatto tardi, la serva prima mi ha annunciato la cena”

Marianna parve riprendere lucidità, sebbene fosse impensierita da qualcos’altro. “Certo”

Pietro le afferrò istintivamente la mano piccola, racchiudendola in una morsa delicata tra le sue. “Vieni, andiamo”, mormorò, per poi condurla verso la sala da pranzo.

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 Eccomi qui, dopo un'altra lunga assenza. Sono proprio imperdonabile -.-'  Comunque vi avviso: il prossimo capitolo sarà interessante, o almeno spero. D'altronde, è il capitolo chiave di tutta la storia. Vedrete, vedrete... 

Colgo ancora l'occasione per ringraziarvi. Grazie a chi legge, a chi ha aggiunto questa storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate, e ovviamente, a chi ha la pazienza di recensire. Grazie!  

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Capitolo 9
*** 9. ***


Come il cielo di luglio

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9.

Su una barca, sotto il cielo di luglio

 

Passarono altri giorni, i giorni più strani che Marianna avesse mai trascorso a villa Ripamonti. Avrebbe osato definirli felici, per quanto anormale potesse sembrare. Dire che Pietro era gentile era un’esagerazione, ma perlomeno ci stava provando. E Marianna non era mai stata così tacitamente soddisfatta in vita sua. Che finalmente don Ripamonti avesse compreso la gravità delle sue azioni? Ci sperava, e anche molto. Tutto d’un tratto, capì perché fosse lì. Un’ispirazione divina, quasi certamente proveniente dalla Vergine Maria e da sua madre Lucia, le aveva invaso la mente e non riusciva più a non vedere la sua condizione in quel modo. Ma, pensarla così, le parve troppo, quasi una superbia. Abbandonò quella misera ipotesi, e cercò oltre.

Marianna agli inizi era cauta, temeva che a un minimo sbilanciamento tutto potesse ritornare come prima. Ma il suo buon temperamento le veniva sempre meno, tanto era ingenua e sempre disposta per gli altri.

Marianna e Pietro iniziarono a parlarsi e a conoscersi. Inizialmente su cose banali, su cosa preferissero fare o quale fosse la loro pietanza preferita. Quando Pietro le confessò che non amava leggere particolarmente le lettere del notaio, Marianna arrossì terribilmente.

“Dovresti gioirne, tu che puoi farlo”, ribatté, quasi imbarazzata.

Pietro sbatté lentamente le ciglia, quando parve illuminarsi d’immenso. “Giusto, non sai leggere”, rammentò, accigliato.

“Già”, confermò Marianna, piuttosto compunta.      

“E ti piacerebbe imparare?”

Marianna sorrise, concentrandosi improvvisamente sul piatto di fronte a lei. “Oh, si… è sempre stato un mio sogno… ma contadina sono…”

“Eri”, la corresse immediatamente Pietro, gli occhi nocciola sfavillanti. “Adesso sei mia moglie, la signora di Ripamonti. E imparare a leggere dovrebbe essere un obbligo”

“Si, ma…”

“Se vuoi te lo insegno”, disse ancora lui, guardandola di sottecchi.

Marianna lo osservò attentamente, valutandone la sincerità. “Dici sul serio?”, mormorò, incredula.

Pietro abbozzò un sorriso. Non un ghigno, come i suoi soliti. Un sorriso. “Certo”

“Non sai quanto mi renderesti felice”, disse Marianna, e, prima che potesse controllarsi, batté le mani per l’entusiasmo.

Pietro le permetteva di andare a trovare i suoi cari, cosa che Marianna rispettava abitualmente almeno una volta ogni due giorni.

Riabbracciò con gioia Pinuzza e Tiziana, sempre più bella e slanciata, e tornò a pensare con piacere in riva al mare, attendendo l’arrivo del vecchio Calogero.

Michele aveva ovviamente notato la nuova felicità di sua figlia e non sapeva se esserne contento o perplesso. Era come se fosse rinata. Certo, non come prima dello sposalizio, ma vi era come un’ombra che la accompagnava sempre e comunque. Era speranza. La speranza in un domani lieto per tutti e senza odio o remissione. Peccato, però, che Michele non ci credesse.

 

* * *

 

Pietro trovò Marianna all’ombra della colonna portante del palazzo, cercando un dolce riparo dal calore infernale estivo. Non appena la vide, non poté fare a meno di contemplarla in tutto il suo splendore. Erano passati più di due mesi dal matrimonio, ormai, e Pietro non l’aveva più toccata da quella penosa conversazione in cucina. Non ne aveva il coraggio, sentendosi sempre meno uomo di fronte a una creatura meritevole di rispetto. Ma questo non aveva mutato niente, perché la desiderava sempre, come se la vedesse per la prima volta…

“Dove vai?”, chiese Marianna, notando il suo bastone da viaggio.

Pietro si riscosse. “Vado a fare un giro in barca, il tempo è splendido. Vieni, dai”, la spronò, sfoggiando il suo sorrisetto beffardo.

Marianna si innervosì. “In barca? Con te?”

“Si. Non dirmi che hai paura”

“Io non ho paura di niente!”, borbottò lei, indignata. 

Pietro ridacchiò e le si avvicinò, cauto. Diede un’occhiata in giro, ma aveva già notato che intorno a loro regnava il deserto. Il desiderio di toccarla, di sentirla, si fece pressante. Più forte che mai.

Le carezzò una guancia con il dorso della mano, i movimenti dolci e fluidi. Come se fosse naturale per lui toccarla. Semplice come respirare.

Marianna trattenne il fiato, sorpresa. Non tanto per il gesto, ma per l’improvviso brivido che le aveva trapassato la spina dorsale. Chiuse gli occhi e, quasi senza accorgersene, gli si abbandonò. Poggiò la testa sul suo palmo e un dolce sospirò le sfuggì dalle labbra.

Pietro osservò accuratamente quel volto

“Vieni, allora. Tanto la barca la guido io”, sussurrò Pietro.

Marianna riaprì gli occhi e rimase estasiata. Il suo sguardo non era più vuoto. Non lo aveva mai visto così vivo, gioioso e chiaro. La luce risaltava in modo quasi innaturale la parte muschiata dell’iride. Annuì lentamente.

Pietro la guidò lungo tutta la discesa di villa Ripamonti, per poi tagliare in un piccolo sentiero costeggiato da campi di papaveri. Marianna si guardò attorno, giocherellando con i lunghi steli dei fiori rosso sangue. Non si era mai accorta che, verso il limitare dei campi, sorgeva una piccola radura con tanto di sbocco sul mare. Marianna ringraziò il cielo per aver deciso di indossare degli comodi stivaletti quel giorno, visto che delle normali scarpe non sarebbero sopravvissute alla spiaggia di ciottoli.

Ancorata a un paletto di legno nel terreno, vi era una barca piccola e assurdamente leggera. A differenza di quella di Calogero, piccola, ma ben massiccia, le sembrava un fuscello.  

“Quella è la barca?”, chiese Marianna, nervosa.

Pietro annuì, mentre si dava da fare per slegare la corda. Balzò con uno scatto agile nella barchetta, lasciando sbalordita Marianna.

In effetti, quei muscoli li aveva perché servivano pur a qualcosa…

Marianna si imbarazzò moltissimo a quel pensiero poco casto, soprattutto al ricordo di Pietro nudo ed eccitato. Possibile che era passato un mese e ancora se lo ricordava?

Pietro si voltò e le offrì la mano. Marianna, però, rimase immobile.

“A meno che vuoi restare qui tutto il giorno, ti conviene salire”, le suggerì Pietro, alzando gli occhi al cielo.  

“Ma se sei tu che mi hai portata qui!”, protestò lei, le braccia incrociate sul seno.

“Marianna, vieni da un paese di pescatori. Possibile che tu abbia paura del mare?”, domandò lui, retorico e vagamente ironico.

“Non ho paura del mare! È solo che… la barchetta di Calogero sembra molto più resistente di questa zattera”. Si sentiva lontano un miglio che era sulla difensiva.

Pietro sbuffò. “Non è una zattera, Marianna. È una semplicissima barca di legno. Vieni o no?”

“Ehm…”

“A dopo, allora”

“No, no, no! Vengo! Non vorrai lasciarmi qui da sola!”, sbottò Marianna, facendosi avanti.

Pietro rise sotto i baffi, attento a non farsi scorgere dalla moglie. Si girò e le offrì nuovamente la mano, che lei afferrò prontamente. Marianna sollevò l’orlo della veste e, con un balzo davvero goffo, salì sulla vettura. Non appena la sentì oscillare sotto di sé, si attaccò come una ventosa a Pietro.

“Non temere, Marianna. Non cadremo”, sussurrò lui, quasi sibillino.

“Lo spero per te”, lo minacciò lei, staccandosi immediatamente. 

Dopo che Marianna si fu accomodata sul fondo della barchetta, Pietro cominciò a remare. La ragazza si guardò attorno meravigliata. Il paesaggio era incantevole nella sua dolcezza e vitalità. Sentiva le onde del mare infrangersi sulla costa, il vento salato che le solleticava il naso e gli occhi. La barchetta pareva danzare sull’acqua, fluida e aggraziata. Con le dita ne sfiorò la superficie, osservando le increspature che il suo passaggio lasciava. Anche Pietro pareva essersi abbandonato a quella bellezza naturale. Si sedette, remando qua e là per avere la rotta.

Marianna alzò gli occhi al cielo, limpido e sereno, senza nemmeno una nuvola. Sorrise.

“Sai cosa mi ricorda? Prima che mia madre morisse, Calogero mi portava sempre a fare dei giri sulla sua barchetta, a pescare. Era meraviglioso”. Il suo sorriso si ampliò al ricordo.

“E perché hai paura ora?”, chiese Pietro, accigliato.

Marianna si strinse delicatamente nelle spalle. “Non è che ho paura… è solo che questa barca è così leggera rispetto a quella di Calogero, da poter essere spazzata via dalle onde. Dei cavalli ho paura, invece”

“Davvero? Non immaginavo”

“Scherzi? Muoio di paura di fronte a un cavallo”

“Chi l’avrebbe mai detto… qualcosa ti intimidisce”, scherzò lui, gli occhi fissi sulla spiaggia dietro di lei.

“Capita anche a me”. Marianna ridacchiò, ma si rifece seria di botto. “Tu invece? Non hai paura di niente?”

Fu in un attimo. Pietro distolse abilmente lo sguardo, tentato a non risponderle. “La mia paura si è già avverata”, sussurrò, pianissimo.

“Cioè?”

Pietro alzò una mano in aria. “Niente… lasciamo stare”

“Pietro, io sono qui per ascoltarti”, sussurrò Marianna, improvvisamente attenta. Era certa di aver visto passare un’ombra di dolore sul suo bel volto virile. Non sapeva perché, ma quella sua malinconia era talmente evidente da averle stretto il cuore. 

Pietro la fissò per un paio di infinti secondi, per poi sfociare in un sospiro. “Temevo di perdere mia sorella. Lei era la cosa che più amavo al mondo. Ma la morte me l’ha strappata via comunque”

Marianna sobbalzò, la gola che bruciava. Istintivamente, gli afferrò una mano. E la strinse, cercando di passargli un minimo di conforto. “So cosa si prova a perdere una persona cara. Mia madre è morta quando avevo dodici anni”

“Mi dispiace tanto”, disse Pietro in un soffio.

Lo stomaco di Marianna si riempì di farfalle quando avvertì ricambiare la stretta. Con il pollice gli carezzò il dorso, le iridi celesti fisse in quelle di lui.  

“Non amavi i tuoi genitori, vero?”, mormorò, accigliata.

Pietro tornò guardarla, sorpreso. “Come hai fatto a capirlo?”

Marianna sorrise appena. “L’ho notato il mese scorso, non appena li ho nominati… Sarò una contadina analfabeta, ma certe cose le vedo, sai? E poi… non sempre i tuoi occhi sono spenti, Pietro”

Quella frase li lasciò in sospeso per un po’.

“Non ho mai amato mio padre. Né mia madre, perché non lo fermava. Dici di me, ma lui era un demonio. Vivere in quella casa era un inferno. Mio padre esternamente sarà stato anche un gentiluomo, ma con noi, con la sua famiglia, non lo era. Per niente. Ero un bambino quando mia madre è morta. Avrò avuto si e no otto anni. Però ricordo perfettamente le sue urla, quando mio padre la picchiava. Ricordo benissimo i tentativi inutili miei e di mio fratello per fermarlo”. Fece una pausa, gli occhi nocciola persi nel paesaggio marino.

Marianna lo ascoltava attenta, le labbra socchiuse per la sorpresa. Non riusciva a immaginarsi la scena, per quanto ci provava. Non ricordava che Michele avesse mai alzato un dito su di lei, né su sua madre. Dallo stupore, passò presto al dolore. La morsa che le opprimeva lo stomaco si allentò, per poi stringerle il cuore.

Pietro continuò. “Quando la mamma morì, la sua furia ricadeva sempre su Laura, mia sorella. Non aveva che cinque anni, una povera bambina indifesa. Da allora il mio obiettivo fu sempre quello di proteggerla. Da ogni male, persino da mio padre. Non appena poté, mio fratello se ne andò. La tentazione di fuggire era enorme, ma io restai, per lei. Per Laura. Mio fratello morì cadendo da cavallo, pochi giorni dopo averci annunciato il futuro matrimonio. Difendere Laura non era affatto facile. Non era delle botte che avevo paura, né delle urla. Avevo paura che le facesse del male, che potesse ucciderla come aveva ucciso la mamma. Ma tutto fu infule. Laura fu maritata a un nobile. Fu allora che le promisi che avrei sposato solamente la persona che amavo”. Lanciò una breve occhiata a Marianna, che arrossì appena.

“Perlomeno, suo marito la trattava decentemente. Non alzò mai le mani su mia sorella, forse a vedermi gli bastò per convincersi a non farlo. Forse non ti sei mai accorta delle mie cicatrici, ma ne ho un bel po’. Non imbarazzarti, Marianna, è lecito”, disse lesto prima che Marianna potesse solo avvampare al pensiero. Ma ovviamente fu inutile, visto il colorito rosso scuro che le imporporò le guance dorate.

“Dopo molti tentativi, Laura rimase incinta. Ma poi…”

“Che è successo?”, intervenne Marianna, consapevole di una storia senza lieto fine.

Pietro distolse lo sguardo, puntandolo sul fondo della barca. “Laura perse il bambino. Eravamo nella mia casa di Palermo, quella in campagna. Non vivevo più con mio padre, mi era intollerabile. Morì”

Tutto tacque. I gabbiani stridevano tranquilli, ignari del mondo nefasto degli esseri umani.

Marianna era allibita. Si portò una mano alla bocca, gli occhi fissi su Pietro. “Oh, cielo… Pietro…”

“Io la amavo più di me stesso. Era mia sorella. E per colpa di quel bastardo…”

“Chi?”

“Niente. Lascia stare”, si interruppe in un lievissimo sospiro. “Parlami della tua famiglia”, esordì improvvisamente, come per cambiare discorso.

Marianna si strinse nelle spalle. “Che c’è da dire?”

“Tutto o niente… ti prego. Desidero… sapere qualcosa di te”. Gli costò molto dire quelle parole, e l’animo affinato di Marianna lo percepì immediatamente.

“Davvero?”, sussurrò lei, ancora più stupita.  

Lui ridacchiò. “Altrimenti non te lo avrei chiesto, no? Racconta”

Marianna tacque per qualche istante per raccogliere le idee. “I miei genitori si sono sposati per amore quando erano molto giovani. Tutti dicono che sono uguale a mia madre, Lucia. Ho avuto anche un fratello, prima che potessi conoscerlo. Si chiamava Guglielmo, ma a tre anni morì di polmonite. Dopo cinque anni, nacqui io, però mia mamma non riuscì mai a darmi un fratello. E, come ti ho detto prima, quando avevo dodici anni si ammalò gravemente…”

“Capisco. Ti manca mai?”, chiese, accigliato.  

Marianna sostenne quello sguardo improvvisamente animato, dalle sfumature terrestri. “Oh, Dio, non sai quanto… ma io so che è qui, accanto a me. E anche Laura lo è, accanto a te”, aggiunse lei, una nota carezzevole nella voce dolce.

“È quello che spero. Che sia felice, ovunque sia. Non ha mai amato nessuno in vita sua, credo. Nemmeno suo marito”. Si interruppe un istante. “Evidentemente è proprio della mia famiglia non conoscere mai l’amore…”, concluse in un sospiro amareggiato.

Marianna fece una smorfia. Si avvicinò cauta e gli accarezzò una guancia. Esitò per un attimo per il suo gesto, ma Pietro non disse nulla. Non fece nulla. Si limitò a illuminarla con i suoi occhi nocciola, coronati da lunghe ciglia scure. “Fidati, l’amore, sotto molti aspetti, esiste. E Laura lo ha sicuramente provato per te”

Pietro sorrise appena. Chiuse gli occhi e appoggiò la testa sul palmo della sua mano. “Di questo ne sono quasi certo”

Le onde del mare e il dolce sapore di sale del vento li cullarono, nella loro dolce bolla privata. Il mondo era esternato. Non c’erano più la contadina e il signore. Né un marito e una moglie in perenne conflitto. Erano solo due persone che tentavano di conoscersi. Erano solo Pietro e Marianna.

“Perché non mi hai più toccata?”, chiese Marianna nel suo assoluto candore.

Pietro aprì le palpebre, un riso malizioso sul volto. “Perché? Ti dispiace?”

Marianna, invece, si accigliò. “Non saprei, è che… non capisco”

Pietro attese qualche secondo prima di rispondere. “Perché ho sbagliato. Non è così che ci si comporta”

“Mi hai fatto tanto male, Pietro. Lo sai, vero?”, mormorò lei, sincera.

Si guardarono nelle iridi. Marrone contro azzurro. Terra contro cielo.

“Purtroppo si”

“Quella notte pensavo di ucciderti. Solo la Madonna mi ha impedito di farlo”. Marianna inizialmente si pentì di averlo confessato, ma presto contenne quel moto di angoscia. Non sapeva come Pietro avrebbe reagito, ma non credeva così negativamente.

Pietro era sorpreso. Non aveva immaginato di averle causato tanto odio, tanto astio nei suoi confronti. Certo, un’idea se l’era fatta durante il loro breve ma significativo incontro in cucina, ma non a tali livelli. Sospirò. “Oh, Marianna…”

“Solo la Madonna mi ha impedito di farlo, Pietro”, ripeté lei, in una dolce cantilena.

Il vento le strappò definitivamente alcune ciocche dalla crocchia scomposta.

Pietro la fissò per un istante interminabile. Sorrise. Un sorriso dolce. “Mi piace come pronunci il mio nome. Ripetilo”

“Pietro”

“Marianna”

Pietro si avvicinò ancora di più a Marianna, che non aveva la forza di spostarsi. Non aveva nemmeno la voglia di farlo. Era vicinissimo, talmente vicino che le punte dei loro nasi si sfioravano. Marianna avvertì le dita di Pietro infrangersi sui suoi ricci, liberandoli dal penoso chignon. Li pettinò a lungo. Il suo tocco era delicato e carezzevole. Non c’era bramosia o urgenza, ma solo tanta delicatezza.

Davvero Marianna aveva creduto che fosse una bestia? Che fosse incapace di tenerezza? Non ricordava, perché dovette ricredersi.

“È  impossibile non amare i tuoi occhi”, mormorò Pietro.

Marianna li chiuse al suo respiro caldo. Sapeva di vita. “Perché?”

“Sono celesti, come il cielo di luglio”

Marianna sorrise.

Su una barca, sotto il cielo di luglio.   

________________________________________________________________________________

Mi vergogno molto postare dopo questa lunghissima attesa, ma eccomi qui. Spero che a qualcuno interessi ancora la mia storia :) 

Questo è il capitolo fondamentale. Ed è quello che preferisco in assoluto, quindi… no comment. Aspetto critiche e recensioni per sapere cosa ne pensate. 

Grazie per le mille sollecitazioni, significa che questo racconto vi ha colpito il cuore, e di questo ne sono realmente felice!Un abbraccio e un bacio a tutti!

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Capitolo 10
*** 10. ***


Come il cielo di luglio

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10.

Pietro Ripamonti insegna a leggere e a scrivere a Marianna.

Il sospetto di Michele Bruno

 

Quella sera, qualcosa cambiò. Erano tornati stanchi e affamati e, visto che la servitù, incerta del loro ritardo, non aveva preparato la cena, attesero con pazienza il pasto. Per tutto il tempo non avevano lasciato gli occhi dell’altro.

Marianna temeva quasi che tutto potesse essere una sordida illusione, come se Pietro da un momento all’altro potesse ritornare il demonio che si era sempre voluto dimostrare.

Pietro, dal canto suo, guardava Marianna con occhi diversi. La visione del rispetto che avrebbe dovuto portarle si era ingigantita oltre ogni misura. Finora, era l’unica persona con cui avesse parlato della morte della sorella, dell’amore che provava per lei. Non si era mai sentito così bene. Era vivo, libero. Forte e indipendente. E tutto grazie a una conversazione con sua moglie.

Alla fine del pasto, si salutarono nell’enorme corridoio di villa Ripamonti e ognuno si diresse verso la propria stanza.

Pietro, prima di addormentarsi, pensò un’ultima volta a Marianna, ai suoi dolci occhi celesti e alla sua bocca a bocciolo di rosa.

Marianna, invece, dormì per la prima volta un lungo sonno tranquillo, sentendosi finalmente al sicuro.

 

* * *

 

I giorni passarono fin troppo velocemente per Marianna. Se prima il tempo si era fermato inesorabilmente come se fosse eterno e trascendente, ora scorreva sgambettando.

Volarono quattro giorni in un batter d’occhio. Marianna e Pietro non facevano che ricercarsi in quei momenti. Non tanto fisicamente. Erano le loro anime che, ancora prima dei loro corpi, volevano conoscersi come era giusto che fosse.

Durante la colazione, parlavano di tutto e niente. Aneddoti sulla propria infanzia, i propri gusti, le proprie idee…

I pomeriggi li passavano separati, dovendo concentrarsi sui propri doveri. Mentre Pietro controllava il rendimento dei campi o stava nel suo studio a occuparsi delle scartoffie, Marianna stava in cucina a chiacchierare con Clementina e gli altri. Addirittura le aiutava a cucinare, provocando nelle altre un gran moto di imbarazzo.

“Voscenza non dovrebbe preoccuparsi di questo, davvero”, le aveva detto una volta Rosa, una delle cameriere.

Marianna aveva scosso la mano per minimizzare il tutto. “Prima non facevo che spadellare per mio padre. Devo pur passare il mio tempo”

La sera, i due sposi si rincontravano a tavola. E parlavano, parlavano, parlavano… non facevano altro. Ognuno pendeva dalle labbra dell’altro. Andavano a dormire spesso tardi per le loro chiacchierate, protratte più a lungo del dovuto.

Dopo tanto tempo, Marianna si sentì quasi felice. Non era più una reclusa o una prigioniera, ma una persona finalmente rispettata in quanto tale. E Pietro… Marianna adorava il suo sorriso, quello che indossava sempre quando era con lei. Era quasi dolce e paradisiaco. Non lo aveva mai visto così sereno e quasi si meravigliava di essere stata lei la fonte del cambiamento. Possibile? Credé di esagerare, e così non ci pensò più.

Ma Marianna non era l’unica ad aver notato quello strano mutamento.

Clementina udiva spesso le risatine sottovoce di Marianna durante i pasti e ne fu estremamente contenta: il suo sogno si stava concretizzando. Ma di certo, tutta la servitù di villa Ripamonti fu alquanto sorpresa. Sembrava impossibile che un tipo alto e austero come don Pietro Ripamonti potesse anche solo lontanamente sorridere o provare emozioni umane.  

“Voscenza è un vero miracolo”, aveva commentato Gaspare, il cocchiere.

“Puoi dirlo forte”, aveva ridacchiato Clementina.

Qualcosa stava cambiando. Nell’aria si avvertiva tutto fuorché una certezza. Qualcosa che andava oltre l’anima, dritto ai cuori di Pietro e di Marianna.

 

* * *

 

Marianna aveva dimenticato la scatola con gli aghi da rammendo nello studio di Pietro, che aveva visitato qualche giorno prima per un motivo che proprio non ricordava. Si sforzò. E immaginò se stessa mentre sbirciava quei volumi pieni di simboli sconosciuti, terribili sirene che la attiravano con il loro dolce canto.     

Marianna aprì la porta dello studio e vi trovò Pietro, completamente chino –e alquanto annoiato- su una lettera. “Ah, sei qui”, notò, sorpresa. “Credevo che fossi nei campi oggi”

“E io credevo che fossi andata a trovare tuo padre, ma a quanto pare non era così”, disse Pietro, stupito quanto lei. Non aveva mai compreso fino in fondo le dimensioni di villa Ripamonti e dovette ricredersi. 

“No, ero giù nelle cucine”

Capì immediatamente dall’espressione di Pietro di aver detto una cosa molto errata.

“Che cosa?”, ruggì Pietro a denti stretti.

Marianna rimase immobile, ma pur sempre stupita da quell’atteggiamento arrogante che non le era mancato per niente. “Ero giù, nella cucina… parlavo…”

“Una signora non dovrebbe andare a parlare con la servitù nelle cucine”, sputò Pietro, sprezzante.

“A me sembra una sciocchezza”, ribatté Marianna, piccata. Ora cominciava a scaldarsi, e questo non era un bene.

“Non è affatto una sciocchezza, Marianna! Sono proprio queste piccole cose che fanno la differenza”

Marianna sospirò. Evidentemente quei quattro giorni erano stati solo un breve interludio. Breve e piacevole, certo. Non era possibile che riuscissero a stare calmi per più di mezza settimana. “Sono simpatici. E mi hanno sempre tenuto compagnia quando non c’eri”

Pietro alzò gli occhi al cielo. Ignorò bellamente che con quella frase, Marianna voleva intendere di aver passato fin dall’inizio il suo tempo libero con la servitù. Non aveva intenzione di litigare e non aveva assolutamente voglia di perdere la sua stima. “Come vuoi. L’importante è che non si sappia in giro”

“Che ti importa delle voci?”

Pietro batté un pugno sulla scrivania, seccato, facendo sobbalzare lievemente Marianna. “Mi importa eccome, Marianna! Vuoi continuare ad andare?”

“Certo!”, disse lei, gli occhi socchiusi.

“E allora taci, e fa in modo che anche quegli zoticoni tacciano!”

La bocca rosea e piena di Marianna si allargò a dismisura. “Non sono zoticoni! E se è così che la metti, lo sono pure io!”

Pietro sospirò. L’occhio gli cadde sugli scaffali. “Per l’appunto. Allora, vorresti davvero imparare a leggere?”, le chiese.

Marianna deglutì rumorosamente, incredula alle proprie orecchie. Dimenticò perfino la discussione di pochi secondi prima. “Certo che si”, annaspò, sorridente.

Pietro ricambiò. Lo stomaco di Marianna si contrasse come se stesse per rigettare. “Se vuoi, possiamo incominciare adesso”

“Sarebbe magnifico”, sussurrò lei. Gettò un’occhiata alle carte, perplessa. “Ma… non dovresti…”

“No, sono stufo”. Gettò con un gesto eloquente la lettera in un cassetto.

“Una lettera di Lamanna?”, domandò Marianna, il sopracciglio alzato.

“Purtroppo si”. Batté una mano sulla sua gamba. “Vieni qui”, mormorò.

Prima di quel pomeriggio sulla barca, Marianna avrebbe rifiutato. Avrebbe esitato. Ma questa volta non lo fece. E si sorprese da sola. Perché finalmente, per la prima volta, capì di fidarsi di Pietro e dei suoi occhi nocciola accesi di una luce che non gli aveva mai visto.

Marianna obbedì e si accomodò sulla coscia di suo marito. Appoggiò i gomiti alla bella scrivania di mogano, in attesa di un insegnamento.

L’occhio le cadde sul bel ritratto di una giovane donna dalle dolci iridi verdi e i morbidi capelli scuri. Intuì chi fosse, e, per non turbare Pietro, fece finta di nulla.

Con sua sorpresa, Pietro cavò da qualche parte un foglio e una penna e cominciò a scrivere.

“Che scrivi?”, domandò Marianna, curiosa.

“Le lettere dell’alfabeto”, spiegò Pietro, paziente.

Pietro si rivelò un buon maestro, colto e perseverante. Forse la pazienza non era il suo forte, ma questo non disturbò Marianna. Della sua indole aveva sopportato davvero di peggio. E comunque fosse, gli rispondeva sempre a tono.

Mentre spiegava, Marianna ammirò il bel volto virile di Pietro e si chiese se lo aveva sempre trovato così bello. Già dal matrimonio aveva notato la sua avvenenza, ma non era la stessa che vedeva ora. Era come se, attraverso il corpo, Pietro si stesse lentamente scoprendo. E Marianna desiderò conoscere e inglobare ogni suo profondo segreto.

 

* * *

 

Marianna faticò non poco, ma ben presto, imparò a leggere e a scrivere. Pietro le prestava spesso certi suoi volumi e la ragazza cercava in qualche modo di interpretarli. Certe notti stava sveglia troppo a lungo solo per decifrare la prima pagina.

Leggere le procurava una gioia infinita. Si sentiva come la custode di un’importantissima chiave che ti permetteva di aprire qualunque porta.

Nei pomeriggi in cui non era nei campi o non voleva leggere le lettere contabili, Pietro la interrogava. Marianna si sedeva sulla sua coscia o sulla poltrona nell’angolo della stanza e leggeva ad alta voce passi di romanzi o opere filosofiche che lui conosceva quasi a memoria.

Pietro non era uno stupido. Non che Marianna ne avesse dubitato, ma non immaginava che potesse essere un uomo di così vasta cultura. Conosceva perfino il francese e un po’ di latino. Marianna rideva come una sciocca quando lui le diceva in francese frasi che nemmeno comprendeva.

“Sai che cosa ti ho detto?”, le diceva Pietro, sorridendo con lei, dolcemente.

Marianna scuoteva la testa. “No, però mi piace il suono”

Era talmente felice ed entusiasta, da rinascere. Da sentirsi felice.

“Ti ha insegnato… a leggere e a scrivere?”, aveva ripetuto Michele durante una delle sue visite, attonito.

Non si fidava del suo genero, e niente gli avrebbe mai fatto cambiare idea. Ricordava le lacrime amare della sua bambina, la prima volta che quel bastardo le aveva permesso di venirlo a trovare.

Era stato lui a violare la sua Marianna, a prenderla contro la sua volontà.

Michele sospirò al sorriso radioso che Marianna gli stava rivolgendo in quell’attimo. Quanto era bella la sua bambina. Era una donna ormai. Una donna splendida e rigogliosa. Doveva farsene una ragione.

Ma questa poi, gli sembrava un’assurdità. Perché mai il padrone avrebbe dovuto istruire sua figlia? Che cosa voleva in cambio? Michele era molto sospettoso.

“Si. Ed è… bellissimo, papà. Leggere, intendo”. Arrossì a quelle parole facilmente fraintendibili. “Sto sveglia anche la notte pur di capire. E se non riesco, mi aiuta. Mi ha insegnato la grammatica, le parole giuste, gli altri dialetti… ho fatto del mio meglio, e ho imparato. Ora sono quasi autonoma. Oh, è così bello, papà!”, ripeté per circa la quinta volte, felice.

Michele sorrise forzatamente, più per tranquillizzare la figlia che per altro.

La guardò. Era sempre la solita. Dolce, vivace, allegra… e troppo fiduciosa nel mondo. E di quel Ripamonti che, buono o no, aveva indetto uno sposalizio, un ricatto, per averla. In un modo o nell’altro.

Marianna si fidava di Pietro Ripamonti, Michele no.

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Eccomi di ritorno dalle vacanze. Aggiungo purtroppo, visto che se fosse per me starei sempre in vacanza XD 

Grazie a tutti per essere arrivati fino a qui. Grazie mille per aver apprezzato il precedente capitolo, il mio adorato capitolo nove: non avete idea della mia gioia :) Grazie mille a tutti.

Spero che anche questo capitolo vi piaccia. Vi assicuro che d’ora in poi i colpi di scena non mancheranno ;) Un bacione a tutti!

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Capitolo 11
*** 11. ***


Come il cielo di luglio
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11.

Confessioni a lume di candela. Pietro e Marianna Ripamonti passano la notte insieme

 

Pietro era davvero stanco. Dopo cena, era andato nuovamente nello studio a concludere le ultime faccende. Certo, aveva finito, ma non ci vedeva più dal sonno. Dopo aver sistemato con cura il tutto, si avviò per le scale della pittoresca villa Ripamonti.

Stava barcollando in camera sua, quando il tenue chiarore di una candela catturò la sua attenzione. Proveniva dalla stanza di Marianna. Chissà come, la stanchezza fu sostituita quasi immediatamente dalla curiosità.

Dopo una breve lotta interiore, bussò alla porta.

“Clementina, sei tu?”, chiese la dolce voce di Marianna, rotta da quella che pareva ansia.

“Sono Pietro. Posso entrare?”

Due secondi di silenzio.

“Si. Vieni”

Pietro aprì lentamente la porta e sporse la testa. Marianna, in vestaglia da notte, stava leggendo a gambe incrociate sul letto. Il suo viso dorato era risaltato dolcemente dalla luce della candela appoggiata sul comodino, gli occhi azzurri spalancati.

Pietro entrò con la sua solita sicurezza, richiudendosi l’uscio alle spalle. Si appoggiò su di essi, fissando Marianna per alcuni istanti. Era splendida. Bellissima. Come sempre, d’altronde. Possibile che esercitasse su di lui la stessa attrazione fin dalla prima volta in cui l’aveva vista danzare? Che cosa era cambiato, allora? Era lui il problema? Era lei? Pietro non capiva, e tantomeno ci sarebbe riuscito con quella sonnolenza.

“Stai ancora leggendo?”, chiese, stupito dall’improvvisa rigidità di Marianna.

Non comprendeva il motivo di tanta reticenza, assolutamente non propria del suo essere.

Marianna annuì. “Mi piace. Anche se ci sto mettendo una vita, mi interessava”

“È quasi l’una di notte”, le rammentò Pietro, dando un’occhiata al pendolo nella stanza.

“Lo so. Ma non sono l’unica sveglia qui”, ribadì lei, quasi sarcastica.

Pietro ghignò. “Ho appena finito di leggere tutti i rapporti. Almeno ho lavoro in meno per domani”

Marianna non si muoveva. Non respirava neppure. Era troppo rigida, troppo tesa.

Pietro si avvicinò appena. “Che cosa ti turba, Marianna?”, chiese, accigliato.

“Perché sei qui?”, domandò invece lei, sospettosa. Non aveva mosso un solo muscolo mentre poneva quella domanda vagamente accusatoria.

“Non si risponde a una domanda con un’altra”, la riprese Pietro, duro, più per preoccupazione che per la sua mancanza di educazione.

Marianna sospirò. Pietro provò una fitta al cuore non appena vide i suoi occhi celesti incupirsi. “Ti prego… sii sincero”

D’un tratto, Pietro comprese. E si rammaricò di averle dato quell’impressione. Ma Marianna non aveva alcuna colpa, dopo tutto quello che le aveva fatto, era inevitabile che lo pensasse. “Non sono qui per quello, Marianna. Non dopo tutto…”. Si interruppe, la gola improvvisamente secca. Ricordava bene quella sera in cucina, quella in cui non aveva fatto che balbettare tutte le sue debolezze. Non voleva ricascarci. Era come se Marianna annullasse tutto di lui, ragione e cuore.

“Tutto…?”, lo spronò lei, incuriosita.

“Non dopo tutto questo. Non voglio più farti del male. Te l’ho detto, quel giorno”, disse Pietro, amaro, come se fosse stato costretto.

Marianna si rilassò, a suo agio. “Hai ragione. Scusa se l’ho pensato, ma… non sono riuscita a fare altrimenti. Io mi fido di te”, aggiunse, la voce fioca.

All’inizio sperò che Pietro non la avesse sentita, ma, ovviamente, le sue speranze furono vane. “Grazie”, mormorò Pietro in risposta, distogliendo lo sguardo da quello limpido di Marianna.  “Quindi era quello che ti turbava? Che io potessi…?”

“Si”

Nessuno fiatò.

“Perché sei qui allora?”, riprese Marianna, perplessa. Sistemò il segnalibro al centro della pagina, per poi richiuderlo sulle propria ginocchia. Gli stava dichiarando la sua completa attenzione.

“Ero curioso, a dire il vero. Volevo vedere che cosa stessi facendo”

Marianna sorrise. “Niente di che, come vedi. Sei tanto stanco? Ti va… di leggere con me?”

Senza profferire parola, Pietro si sdraiò vicino a lei, le mani dietro la testa. “Vai, leggi”, ordinò, la voce profonda sicura, ma non imperiosa.

Marianna aprì il volume e cominciò a leggere con voce un po’ incerta. Pietro la osservava attentamente sdraiato, mentre lei, seduta a gambe incrociate al suo fianco, muoveva le labbra e cadenzava la voce vellutata china sul libro. Una lunga ciocca di ricci scuri le cadde sul viso, rischiando di ostacolare il lavoro. Pietro, incantato dalla sua voce, dalla sua bellezza, dalla sua anima, gliela appuntò dietro l’orecchio con dolcezza e naturalezza.

“Come sto andando?”, chiese Marianna, vagamente distratta dal gesto delicato di Pietro.

“Splendidamente. Devi star un po’ attenta alla punteggiatura”

“Va bene”

Marianna riprovò, questa volta seguendo il consiglio di Pietro. Dopo circa dieci minuti, però, chiuse seccamente il libro e lo appoggiò sul comodino. “Sono stanca”, dichiarò.

Pietro la osservò impassibile. “Vorrà dire che continuerai domani. Sei andata da tuo padre oggi, vero?”

Marianna fu colta di sorpresa dalla sua domanda, ma rispose senza alcuna esitazione. “Si. Gli ho raccontato di quanto hai fatto per me”

Dire che Pietro era stupito era poco. “Davvero?”

“Certo. Gli ho detto che mi hai insegnato a leggere e a scrivere e di quanto mi piaccia. Lo sai che con lui parlo di tutto”. Tacque un attimo, pensierosa. “Sei bravissimo come insegnante. È come se lo avessi già fatto”

“Davo ripetizioni a mia sorella quando non capiva qualcosa con il suo precettore”, spiegò lui con un sorriso.

“Questo spiega tante cose”

Senza pensarci, Pietro afferrò un lungo boccolo scuro e se lo rigirò nelle lunghe dita. Marianna rabbrividì e, sempre pensando che fosse per il freddo, incrociò le braccia sul petto.

“Come ti chiama tuo padre?”

“Marianù. Tutti mi chiamano così al villaggio”

“Marianù.…”, ripeté Pietro, vagamente perplesso. Gli piaceva, era un nomignolo davvero affettuoso.

Marianna lo osservò silenziosa per qualche secondo. “Raccontami qualcos’altro”, disse infine, seguendo con lo sguardo la mano di lui che giocherellava con i suoi capelli.

“Non dovremmo dormire?”

“Non ho sonno”

Pietro ridacchiò. “Oh, parla per te, sfacciata!”

“Avanti!”

Pietro strinse le labbra. “Che dire? Ormai non so più di cosa parlarti”

Marianna ce l’aveva eccome un quesito da porgli. Ma se dal punto di vista letterario la cosa era piuttosto semplice, non lo era altrettanto da quello emotivo. Non sapeva da dove cominciare, ne perché le interessasse saperlo. “Posso farti una domanda?”

Pietro si bloccò e la guardò attentamente. Ritrasse la mano. “Se è lecita…”

“Quando hai… avuto… ehm… rapporti per la prima volta? Perché immagino che prima di me tu abbia avuto altre donne…”

Fu più forte di lui: Pietro scoppiò involontariamente a ridere, divertito dall’imbarazzo di Marianna. Evidentemente le piaceva incastrarsi da sola.

“Che ti ridi?”, sibilò lei, irritata.

“Mi fai ridere”

“Pietro…”

“Si, ho avuto altre donne prima di te. Avevo diciassette anni la prima volta. L’ho fatto con una vedova, credo si chiamasse Maria”

Marianna si accigliò. “Una vedova?”, mormorò, incredula.

“Si, Marianna. E si, era molto più grande di me”, aggiunse subito, indovinando la sua prossima domanda. “Di almeno una decina di anni”

Marianna non replicò. Stette semplicemente in silenzio, attenta e pensierosa. Rielaborando le informazioni ricevute.

“Era una donna molto avvenente. Forse era un’amica di mia madre, non ricordo, è passato così tanto tempo… le piacevo. E io ero solo un adolescente scalmanato che cercava il suo posto nel mondo”

“Ed è finita?”

Pietro fece una smorfia. “Non è mai stato un rapporto serio, Marianna”

“Come no? Quando si fa accussì, qualcosa c’è!”, ribatté, spiccia.

Pietro si rabbuiò. “No, Marianna. Lo vedi, non ricordo nemmeno bene il suo nome. Era solo una fimmina…”

Marianna non disse nulla, perché tutto quello le ricordava bene la prima notte di nozze. E poi il ricatto, e poi lui che si era riversato dentro di lei… all’epoca era solo una fimmina anche lei, senza volto, senza nome. Per quanto la disgustasse pensarlo, era solo un corpo da possedere. Nient’altro. Tuttavia, non riuscì a trattenersi. “Anche io per te ero solo una donna da prendere quando volevi, no? Come quella vedova”

Il volto di Pietro si incupì. Dentro di sé, lo stomaco ribolliva, il cuore era stretto in una morsa. Meritatamente, per lo sbaglio che aveva fatto. “No. Anche qui è diverso. Lei mi si era offerta, Marianna. Capisci?”

“No”, replicò lei, dura.

Quasi gli venne da ridere. “Non tutte sono integre e pure come te. Nella mia vita ho avuto a che fare con varie donne… dalle vergini alle prostitute. Sai, a Palermo ci sono i bordelli altolocati ed è più difficile prendere qualche malattia”

“Lo hai fatto anche con ragazze vergini?”. Marianna era indignata.

“Si. Ma non ho mai violentato né niente, Marianna. Quello è deplorevole, contro una donna libera. Erano loro a cercarmi, a volermi… e chi ero io per tirarmi indietro?”

Il volto di Marianna non tradiva affatto accondiscendenza. “Avresti dovuto preservarle”

“Se non lo avessero fatto con me, stai pur certa che ci sarebbe stato qualcun altro. Vergini al matrimonio non ci arrivavano quelle”. Rise sotto i baffi.

“Anche con delle prostitute?”, insistette lei.

“Anche”

Marianna era leggermente disgustata. Era quello il mondo che regnava a Palermo, quello nascosto da occhi ingenui come i suoi? “Ma quelle donnacce… si lavano mai, tra un rapporto e l’altro?”

“Che io sappia, in quelli altolocati si”

Marianna sospirò.

Pietro la fissò a lungo, attento. Poi allungò una mano verso il suo viso. Le accarezzò il naso, lo zigomo, poi le labbra. Marianna non si ritrasse, ma era rigida. “Ti ho sconvolta?”

Lei fece una smorfia. “Un po’…” 

Pietro non seppe cosa dire per un attimo. “Non ho mai avuto… rapporti seri, amorosi o di fidanzamento intendo. Le mie condizioni famigliari non me lo hanno permesso più di tanto”. La guardò di sottecchi. “Invidiavo mio fratello. Quando era scappato di casa, aveva incontrato una certa Arianna. La donna che doveva sposare prima che morisse in quell’incidente… Gli invidiavo la luce che brillava nei suoi occhi quando parlava di lei. Quello è amore, mi dicevo. Ma io… mai. Con nessuna. Mai”. Si interruppe, lo sguardo fisso in un punto imprecisato della stanza.

Marianna taceva, decisamente confusa dalle sue sensazioni. Era ovvio che lui avesse avuto rapporti prima, ma non capiva perché le desse tanto fastidio. E poi, lui era legato a lei tramite uno sposalizio, non per altro. Pure tanto tempo fa, le aveva dichiarato di averlo proposto con la speranza di sposarla, tanto era il suo desiderio… per Pietro il desiderio era diverso dall’amore. Era l’unica cosa che Marianna aveva capito finora, in quanto credeva di non conoscere né l’uno né l’altro. Certo, aveva l’amore di Michele, di Pinuzza, di Tiziana, di Calogero, aveva anche avuto quello di Lucia. Ma non era quel sentimento platonico che descrivevano le fiabe di sua madre. Non capiva, e questo la irritava a morte.  

Pietro girò il viso per guardarla. “E tu?”. La sua domanda la ridestò dai suoi conturbanti pensieri.

Marianna arrossì. “Io cosa?”

Gli occhi nocciola di Pietro erano fissi nei suoi, una luce quasi indagatrice negli occhi. Anche se, dentro di sé, conosceva già la risposta. Voleva sentirselo dire. “Sei mai stata innamorata?”

Marianna diventò ancora più rossa. Distolse lo sguardo. “No, mai. Pensavo solo a giocare, e a lavorare, e a prendermi cura di mio padre…”. Sospirò. 

Pietro le fissò le labbra rosee. Non resistette. Gliele sfiorò con le dita, delicatamente. “Ti ha mai toccato un uomo?”

Lei non sapeva che dire. Trovava ridicole quelle domande, in quanto lui sapeva tutto. Ma capì più tardi che non intendeva solo un rapporto intimo. Gli lisciò un braccio. “No. Tu sei il primo uomo che abbia mai baciato”

A Pietro bastò, e alla grande. Era compiaciuto.

“Per voi uomini è così facile, piacevole, fare l’amore”, notò Marianna, una punta di amarezza nella voce.

“In effetti, è piuttosto semplice”. Ma Pietro aveva compreso ciò che Marianna voleva intendere. “Ma tu non hai mai provato piacere, vero, Marianna?”

Marianna fu davvero sorpresa dalla sua domanda fin troppo schietta. Arrossì appena. “Piacere… mentre…? No… non so che intendi”

Marianna ricordava solo le spinte focose, i gemiti, gli ansiti di Pietro, ma dal canto suo mai qualcosa di diverso dal dolore o da quella sensazione di soffocamento.

Pietro sospirò, amaro. “Ti ho trattata sempre come una puttana, Marianna, e me ne dolgo. Perché tu meno di tutte meriteresti di essere trattata così”. Non sapeva che cosa gli stesse prendendo, ma era così. Marianna era dolce, gentile, altruista, oltre ad essere magnifica. Era fatta per eccitare gli uomini, ma non era una mala fimmina.

“Perché… quello non era tutto?”, domandò Marianna, decisamente incredula.

Pietro sbuffò, spazientito. “Puoi dire sesso, Marianna. Sono tuo marito, no?”

“Si, ma…”

“Avanti”

Marianna roteò gli occhi. “Perché, il sesso non è fatto solo da quello?”

Pietro quasi si appellò al Signuruzzu. Era incredibile come il mondo di Marianna si limitasse a baci e accoppiamento. “No… ci sono centomila modi per trarre e dare piacere. Altri modi”

“Lo sai che non c’ho capito nulla, vero?”, disse Marianna, sorridendo misticamente.

Pietro ridacchiò.

Avrebbe voluto dirle che un giorno avrebbe pensato a lei, che avrebbe cercato di condurla al piacere e all’apice dei sensi, ma ricordò la reazione di poco prima e desistette. Ripensò a tutte le volte in cui avevano fatto l’amore. Ed effettivamente era vero: si era sempre sfogato su di lei. Ma era talmente abituato alle puttane di Palermo da non averci fatto caso. Sapeva come dare piacere a una donna, ma solo per pura soddisfazione personale.

Sospirò.

Marianna si sdraiò al suo fianco, guardinga. “A che pensi?”

Lui scosse la testa. “Niente, lascia stare”. Lanciò un’occhiata all’orologio e gemette. “È  meglio che vada, Marianna. Si è fatto tardi”

“Pietro, dormiresti con me?”, chiese lei, in un lampo di sicurezza.

Si fidava di lui, non le avrebbe fatto del male. Pietro la fissò, incerto. Osservò i suoi lunghi ricci sparsi sul cuscino, la sua bocca di rose, la carnagione dorata. Il corpo piccolo, ma formoso. Per non parlare di quegli occhi magnifici. Celesti, come il cielo di luglio.

Sorrise. Senza dire nulla, le circondò la vita con un braccio e la attirò a sé. “Buonanotte”, mormorò, la mano che vagava lentamente sulla sua schiena.

Marianna sospirò, inebriata da quella carezza, da quel tocco lento e sensuale. Come se fosse naturale, passò la mano sul fianco di Pietro, come per rincuorarlo. “’Notte”

Cullata dal battito del cuore di Pietro, dal suo calore e dal suo profumo rassicurante, si addormentò poco dopo.

Pietro la osservò per un po’. Il suo cuore impazziva, scalpitava, tremava. Ogni muscolo fremeva per lei. “Sogni d’oro, mia dolce Marianù”, sussurrò, e le lasciò un bacio sulla fronte.  

________________________________________________________________________________

Chiedo perdono per l’immenso ritardo (e ritardo è dire poco!)! Davvero, tra la mancanza d’ispirazione, gli studi e una cosa e l’altra, la voglia di aggiornare si era un po’ ridotta… vi chiedo immensamente scusa. Sappiate che, in un modo o nell’altro, non abbandonerò mai questa storia. Ci sono troppo affezionata :)

Un enorme grazie a tutti, davvero! E un grazie in anticipo a chi se la sente ancora di seguirmi, nonostante tutto! Sempre se qualcuno è rimasto XD

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Capitolo 12
*** 12. ***


Come il cielo di luglio

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12.

In un campo di papaveri, alla luce del sole di mezzogiorno

 

Quando Marianna aprì lentamente gli occhi, Pietro era lì, il braccio ancora intorno alla sua vita.

Un dolce raggio solare faceva capolino dalla fenditura delle tende, investendo con la sua vitalità il suo corpo flessuoso.

Nonostante avesse caldo nel stargli accoccolata, non si spostò di un millimetro. Perse circa un minuto a contemplare il viso di suo marito, dell’uomo che prima odiava con tutta sé stessa. Già, prima. Mentre adesso? Che cosa provava per Pietro? Marianna non lo sapeva. Non aveva idea di che cosa fosse quella muta gioia di averlo accanto.

Perché in quell’abbraccio non c’era più disgusto, come nelle notti in cui si addormentava tra le sue braccia dopo aver consumato un rapporto violento. Era diverso. Lo voleva più vicino a sé, il più vicino possibile. Lo voleva e basta, in qualche modo. Inspirò piano il suo odore maschio, così perfetto per lei, per le sue sensazioni strane.

Allungò un dito e gli delineò il viso, delicata come una farfalla. Si perse nella linea delle sopracciglia folte e scure, delle palpebre abbassate dalle ciglia lunghe e fitte, della bocca piena…  

“Che fai?”

Ritirò velocemente la mano. “Sei sveglio?”

“Solo ora”. Pietro soffocò uno sbadiglio, ma non aprì gli occhi. “Sono stanco morto”

“Non volevo svegliarti”, ribadì Marianna, facendo una smorfia.

“Non credo che sia stata tu. Forse una piuma…”, mugugnò lui. Il suo respiro stava ridiventando lento e regolare.

Lei lo scosse. “Pietro, non riaddormentarti. Ti saresti dovuto svegliare comunque tra un po’”

Così, Pietro aprì gli occhi, leggermente accigliato. Sospirò.

Marianna ridacchiò della sua espressione assonnata. “Buongiorno”, cinguettò allegramente, stampandogli un bacio leggero sul naso.

Lui sollevò un sopracciglio, scettico.

Marianna si strinse nelle spalle. “Lo facevo sempre a Tiziana quando era una picciridda. Dammi qualche soddisfazione”

Pietro sorrise e Marianna si accontentò più del lecito.

 

* * *

 

Agosto era alle porte, ormai.

Marianna, che passeggiava silenziosa di ritorno da Santoro, lo notò subito. Fosse stato per lei, il calendario non era assolutamente necessario. Avvertiva immediatamente il cambiamento di clima, come se la sua pelle fosse un abile strumento per l’adattamento.

Costeggiò i campi deserti sotto il sole cocente di mezzogiorno, lo sguardo perso nella contemplazione di quel meraviglioso paesaggio. Avrebbe tanto voluto togliersi le scarpe e correre per i prati, come faceva da bambina. Oppure scendere nella spiaggia di Santoro e buttarsi nell’acqua limpida del mare, osservando lieta la roccaforte sulla roccia. Marianna avrebbe voluto vivere e basta, in un modo o nell’altro.

Eppure sospettava l’inevitabile. A volte, nei momenti di sconforto, non riusciva a non credere che si trovasse lì per un disegno divino. Pensava a Pietro, alla sua anima buona mutilata dalle crudeltà della vita. Aveva avuto un padre spietato, una madre indifferente. Aveva perso un fratello e una sorella che amava con tutto se stesso.

Nonostante tutto, Pietro non era malvagio. E Marianna lo aveva capito da quel giorno, sulla barca.

Se fosse stato davvero cattivo, avrebbe continuato a godere di lei nella notte, non a conoscerla. Se fosse stato davvero un demonio, non avrebbe mantenuto la promessa per cui si era sacrificata. Certo, il suo ricatto era stato deplorevole, ma era più un gesto dettato dalla disperazione che da altro. E lui non era egoista, perlomeno non nel profondo.

A quei pensieri, Marianna credeva di giustificarlo, ma sentiva che non era così.

Pietro era buono. Le aveva confessato il suo desiderio malsano. Aveva compreso di aver sbagliato. Aveva provato a conoscerla, a rispettarla. E aveva imparato a volerle bene, giusto un po’.

Mamma, è per questo che sono qui?

Pietro non aveva mai amato nessuna. Nessuna.

“Evidentemente è proprio della mia famiglia non conoscere mai l’amore…”

Le sue elucubrazioni mentali furono improvvisamente interrotte da uno scalpiccio di cavallo. Marianna si bloccò in piedi, in mezzo alla strada sterrata, nel panico totale. La paura le scivolò nello stomaco come un gigantesco serpente, attorcigliandole le viscere. La fronte si imperlò di sudore, il respiro si fece rarefatto.  

La figura alta e longilinea di Pietro si stagliò nel cielo turchino.

“Marianna?”, chiamò lui, incredulo.

Marianna non rispose, troppo impaurita dalla bestia che cavalcava con tanta disinvoltura. “Pietro… Dio, stai lì!”

Pietro inizialmente non capì, ma bastò interpretare il terrore negli occhi di Marianna per illuminarlo. Smontò velocemente e lasciò la bestia libera di pascolare.

Marianna fece tre passi indietro. “Sta lì, vero?”, chiese in un filo di voce. Indicò con un cenno della testa l’innocuo animale.

“Si, sta lì, sta lì”, la rassicurò Pietro, venendole incontro. “Che ci fai ancora qui in giro? Non dovresti pranzare?”

“Mi sono trattenuta a parlare con Tiziana e Pinuzza”, spiegò lei, tremante.

Pietro era preoccupato, non sapeva come comportarsi in queste evenienze. “Siediti”, le ordinò, brusco.

Marianna, troppo atterrita per ribattere, obbedì, incurante della polvere. Pietro la imitò, totalmente concentrato sui movimenti di lei. “Marianna? Come ti senti?”, sussurrò. Era così piccola, così spaventata. Ricordava della sua paura, ma non immaginava potesse essere così grave.

Marianna rabbrividì e nascose il viso nel petto di Pietro. “Ti prego, mandalo via”, lo pregò, strofinando le guance nella sua camicia bianca.

“Aspetta qui”. Le carezzò dolcemente la schiena, per poi alzarsi e legare le briglie del cavallo ad un albero poco distante.

Marianna, intanto, cercò di calmare il tremito incontrollato delle gambe e il suo cuore impazzito. Quando Pietro ritornò e vide il cavallo lontano e, soprattutto, immobilizzato, tirò un sospiro di sollievo.

“Non credevo che moristi così di paura per un cavallo…”, notò Pietro, perplesso.

Marianna sospirò e accettò la sua mano per rialzarsi. “Il cavallo di un signore rischiò di calpestarmi quando avevo sette o otto anni. È da allora che ho una paura bestia”, mormorò, le braccia strette al petto.

Pietro la fissò per alcuni istanti, le iridi nocciola più vive che mai. Marianna ebbe il coraggio di guardarle e rimase abbagliata dall’ambra di quegli occhi così limpidi.

“Vieni, ti porto in un posto”, esordì Pietro. Le afferrò la mano con naturalezza.

“Dove?”, chiese lei.

“Te lo faccio vedere, vieni”

Marianna era accigliata. “È vicino?”

Pietro sospirò. “Ti fidi di me?”

Marianna sospirò. “Si”

“Allora vieni”

Pietro la guidò nella direzione da cui era giunto, gli occhi socchiusi per la troppa luce. Marianna stava letteralmente morendo di caldo e invidiò parecchio la camicia aperta dell’uomo. Per fortuna aveva indossato uno degli abiti più semplici e leggeri del suo guardaroba, uno dei soliti che usava per non dare nell’occhio a Santoro.

Camminarono per circa cinque minuti, in silenzio, cullati dal vento salino e dallo scroscio del mare, udibile anche ad altezze elevate. I lunghi boccoli castano scuro di Marianna mulinavano nell’impetuosa breve estiva, così come quelli  corti e lisci di Pietro.

E ogni tanto si guardavano. Ed era sabbia contro mare, terra contro cielo.

Un brivido scuoteva Pietro nel profondo e un calore avvolgeva il ventre di Marianna.  

Pietro tagliò per un campo di grano e Marianna lo seguì. Faticarono un po’, visto che le spighe, nel pieno della loro maturità, erano più alte della testa di Marianna. Lei giocherellò un po’ con i lunghi steli dorati, a cui aveva dedicato la maggior parte della sua vita. Fino ad allora, all’arrivo di don Pietro Ripamonti.

“Arrivati”, annunciò lui.

Marianna non credeva ai propri occhi. Un enorme prato di papaveri, circondato dal campo di grano, si estendeva davanti a loro, i fiori rosso sangue risaltati in maniera quasi surreale dai raggi solari.

Marianna, che era rimasta imbambolata per almeno cinque minuti ad ammirare quel paesaggio meraviglioso, si voltò verso Pietro, anche lui concentrato davanti a sé, le braccia conserte.

“Ci avevi già pensato?”, sussurrò, rapita.

Pietro le lanciò uno sguardo curioso. “Affatto. L’ho visto oggi mentre passavo e ho pensato che ti sarebbe piaciuto”

“È… meraviglioso”

Marianna mosse i piedi automaticamente nel prato, senza parole, senza pensieri. Si sedette esattamente al centro e accarezzò dolcemente i lunghi steli verdi, i petali rossi. Si tolse le scarpe, desiderosa di sentire quel terreno fertile e umidiccio sotto i piedi. Per sentirsi viva come non lo era mai stata.

Pietro la raggiunse poco dopo, lo sguardo fisso su di lei. Era splendida come non mai.

Marianna alzò gli occhi e le sue iridi celesti si scontarono con quelle nocciola di lui.

“Siediti vicino a me”, sussurrò. Batté il terreno in un dolce invito.

Pietro, come ammaliato dal canto di una sirena, obbedì. Il sorriso dolce di Marianna lo sorprese più di ogni cosa al mondo. E si sentì sciogliere, perdere nell’oblio di quei petali di rosa, di quelle iridi divine.  

“Grazie, Pietro. Grazie”, mormorò lei, grata.

Erano vicinissimi. Marianna poteva avvertire il respiro caldo e denso di vita di lui. Di quell’uomo che le faceva uno strano effetto ogni volta che lo vedeva. Di quell’uomo che era suo marito. Di quell’uomo che era solo Pietro.

Pietro accostò il viso al suo e fece collimare le loro fronti. Avvertiva il profumo della sua pelle dorata, dei suoi capelli ricci che, portati dal vento, si scontravano sui suoi zigomi. Sapeva di aria fresca, di sale, di buono.

Chiuse gli occhi, beato del calore di quel corpo pieno di vita. Della sua anima limpida e serena.

Poi, le sentì. Avrebbe riconosciuto tra mille la morbidezza di quelle labbra piene, ma mai avrebbe sperato che lo assaggiassero di loro spontanea volontà.

Pietro rispose al bacio con dolcezza. Perché lui venerava la padrona di quelle labbra.

Marianna non capiva che cosa l’avesse spinta a farlo. Ma, in quel momento, non stava pensando granché. Si stava crogiolando nella fiducia che riponeva in lui. Nella felicità che lui le faceva provare. Che cosa era cambiato? Marianna non riusciva a capacitarsene, tanto la strada era stata intricata e graduale.

Riusciva solo a sentire le labbra fresche di Pietro, il suo profumo irripetibile, la leggera barba che le pizzicava il naso.

Il bacio si approfondì. E Marianna rabbrividì non appena permise l’accesso della lingua di Pietro nella sua bocca. Senza controllarsi, passò le mani tra i suoi capelli lisci e scuri, avvicinandolo più che poteva a sé.

Si staccarono per riprendere fiato. E Marianna morì e risorse tre volte alla vista di quegli occhi nocciola irriconoscibili nel loro calore e nella loro dolcezza.

“Pietro… Pietro…”, ansimò senza sosta.

Pietro non le diede il tempo di dire nulla, perché la baciò di nuovo. Marianna lo stava cercando, e questo gli bastava.   

“Mi vuoi, Marianna?”, sussurrò nel suo orecchio. Le sue mani vagavano in ogni zona del suo corpo, desideroso di Marianna, del suo corpo, del suo calore, di lei, di tutto di lei, della sua vita, della sua anima, del suo amore…

“Pietro…”

“Sono qui, Marianna, sono qui con te…”, mormorò lui, baciandole il collo.

Gli occhi di Marianna si chiusero, la testa gettata all’indietro. “Brucio, Pietro”

E lui capì che cosa voleva. Lentamente, pronto a fermarsi se fosse stato necessario, la spogliò. Marianna lo lasciò fare, il loro desiderio completamente esposto alla luce del giorno.

Pietro liberò il seno importante della donna e lo accarezzò dolcemente, rapito da quelle forme perfette, da quella bellezza eterea quanto concreta.

Marianna, in un attimo di pudore, tentò di nasconderlo, ma le mani calde di Pietro non glielo permisero. “Sei meravigliosa… splendida, una dea…”

“Spogliati anche tu…”

E allora i vestiti di Pietro fecero la stessa fine di quelli di Marianna.

Lei riosservò con gioia quel fisico asciutto e scolpito, quelle braccia e quelle gambe ben modellate, quella bellezza mediterranea. Trovò anche delle cicatrici, quelle cicatrici. Ce n’erano molte, soprattutto sulle braccia e sulla schiena.

Marianna, addolorata, gliele delineò delicatamente con un dito. “Oh, Pietro, non le avevo mai notate…”

“Sono quelle che ti dicevo”, mormorò lui, seguendo il suo sguardo.

Marianna gliele baciò dolcemente. Tanta era la sua curiosità, che ne seguì una con la punta della lingua.

Pietro gemette, al limite della sopportazione. Quella donna era la sua tortura. “Dio…”

Le piacquero i suoi ansiti, i suoi sospiri, il sapore salato della sua pelle, quello muschiato della bocca.

E si ritrovarono lì, nudi nell’isolato campo di papaveri, alla luce del sole di mezzogiorno. Entrambi al limite, entrambi desiderosi l’una dell’altra.

Pietro le aprì le gambe e, mentre la baciava sensualmente, la penetrò. E Marianna si bloccò. Perché, per la prima volta, si sentì diversa. Ripensò alla conversazione della sera prima, del piacere… ed era piacere quello che stava provando, mentre Pietro la colmava, mentre lui si spingeva in lei, mentre si amavano lentamente…

“Marianna… Marianù…”

“Pietro… Pietro… di più…”

Così, fino al punto di non ritorno, raggiunsero le vette del Paradiso.

Fecero l’amore più e più volte, ignari di essere alle prese con qualcosa più grande di loro.

 

* * *

 

Non appena raggiunsero villa Ripamonti, non pranzarono neppure. Pietro non si presentò ai campi, né si occupò delle scartoffie. Marianna non andò nelle cucine.  

Si rinchiusero nella camera di Marianna, la più vicina, e fecero l’amore tutto il pomeriggio, tutta la notte. Esplorandosi, cercandosi, amandosi. Con passione, perdizione, devozione, lussuria… una mescolanza tanto letale che Marianna credé di morire. Era quello il piacere, quella meravigliosa sensazione tanto decantata. Ed era stato Pietro ad averglielo insegnato. Aveva rimediato.

Erano stanchi, stremati, ma non appena si riprendevano, il desiderio si impossessava nuovamente dei loro corpi.

Si accoppiavano insieme, si cercavano insieme. Per la prima volta dall’inizio del loro sposalizio.  

E Marianna cominciò a credere che, dopotutto, Lucia non l’avesse mai abbandonata.  

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Altro no comment, perchè questo è in assoluto il capitolo che preferisco. Spero solo che sia valsa l'attesa. 

Grazie mille a tutti, per la pazienza, i commenti e i messaggi privati che mi dimostrano quanto piaccia questa storia! Niente avrebbe potuto rendermi più felice!

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Capitolo 13
*** 13. ***


Come il cielo di luglio

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13.

L’idillio.

Pietro Ripamonti e Marianna capiscono di provare qualcosa di più forte del desiderio.

 

La prima cosa che Pietro pensò al suo risveglio era di essere al punto di non ritorno. E lo sapeva bene, con il caldo corpo di Marianna stretto fra le sue braccia. Era stremato, ma felice come non mai. Sorrideva come un ebete al pensiero della loro lunga follia infuocata. Tutto il pomeriggio e la notte a completarsi, ad unirsi in un unico essere. Si, perché Pietro avvertiva che non erano stati i loro fisici a congiungersi. Era come se fosse una questione di anime. 

Non aveva mai amato con una tale passione qualcuno che non fosse Laura, d’altronde una relazione del tutto platonica tra fratello e sorella.

Ma con Marianna era diverso. Non aveva fatto altro che desiderare la sua figura flessuosa, il sapore della sua pelle, e, per quanto impossibile, quello della sua anima candida e innocente.

Senza svegliarla, le annusò con dolcezza i boccoli scuri. Il profumo di Marianna era naturale e delicato come quello dell’aria o del sole. E necessario, come l’aria che respirava.

Cominciò davvero a dubitare del fatto che per sua moglie nutrisse qualcosa di molto più profondo del semplice desiderio. Ma non voleva pensare o rovinare tutto, così si riaddormentò placidamente, il volto nell’incavo del collo di lei.

 

* * *

  

“Marianù, che hai? Ti vedo così distratta…”. Tiziana cominciava seriamente a preoccuparsi per la sua amica. Aveva un’aria molto strana. Pareva quasi sognante. Troppo tranquilla, quella nuova Marianna, e questo bastò a insospettirla. Parlava da mezz’ora, ma lei neanche l’ascoltava.

Ma Marianna era totalmente in un altro mondo. I suoi occhi cerulei si limitavano a seguire i movimenti della bocca di Tiziana, senza realmente registrare le sue parole. E i suoi pensieri convergevano su un’unica cosa: Pietro.

Al suo Pietro, suo marito.

Da quando Pietro è mio? Da quando lo sento mio? Oh, Madonnina, sto impazzendo.

Ritornò con la mente a quel mattino. E, involontariamente, un dolce sorriso si schiuse sulle sue labbra di rosa. Senza accorgersene, si guadagnò un’occhiataccia di Tiziana.

Stamattina…

Si era svegliata e il suo viso era nell’incavo del suo collo, in dormiveglia. Anche lui aveva avvertito i suoi movimenti e, dopo un breve saluto, avevano fatto di nuovo l’amore…

La pelle umida e profumata, il sapore della sua bocca, i suoi gemiti, i suoi ansiti, le sue mani su di lei, il suo calore… E il suo membro… Dio, perché il suo membro la attraeva così tanto?

“Marianna?”. L’ennesimo richiamo di Tiziana la svegliò.

“Sto bene, Tiziana, non ti preoccupare”, la rassicurò, sorridendo ancora di più.

“E invece no. Che c’hai?”, le chiese Tiziana, accigliata.

“Perché dovrei avere qualcosa?”, rise Marianna.

Tiziana la guardò attentamente. Marianna era sempre stata bella. Sia fisicamente che internamente. Ma, soprattutto, era bella perché lo era dentro, e quella completa virtù trasfigurava il suo modo di porsi. E allora perché era così sensuale? Così leggiadra? Così felice?

Aveva gli occhi azzurri lucidi, le gote arrossate. La pelle era più splendente, i suoi movimenti ancora più sciolti di quanto non fossero. Quando erano insieme, Tiziana non aveva mai osato chiederle del padrone, nonostante fossero quasi sorelle. Temeva che Marianna non le avrebbe risposto o, peggio ancora, ci sarebbe rimasta male. Ma adesso la tentazione c’era. C’era, per sapere che cosa rendeva tanto felice la sua Marianù.

Marianna, dal canto suo, voleva tornare a casa. Non a Santoro, non nella casa di suo padre, ma a villa Ripamonti. La sua casa. 

 

* * *

 

Quando Marianna ritornò a villa Ripamonti, dopo quello che le parve un giorno intero, andò a cercare Pietro. Grazie al cielo, era nel suo studio.

Non appena la vide, scompigliata, selvaggia, le gote infuocate, Pietro sorrise. E Marianna si sciolse.

“Vieni qui, Marianù…”

Marianna si avvicinò e Pietro le scoccò un bacio sulla bocca. Lei registrò a malapena che quel gesto, per quanto innocente, sembrava proprio quello di una coppia di sposini innamorati. Che bastò a trasmetterle tutto il suo affetto, la sua passione, le sue emozioni.

Marianna rabbrividì appena. Accarezzò dolcemente i capelli folti e scuri di Pietro, assaporandone la consistenza setosa e godendo del suo abbandono. “Mi piace quando mi chiami Marianù…”, sussurrò, dando voce ai suoi pensieri.

Pietro socchiuse gli occhi nocciola e sorrise appena. “Davvero?”. Anche a lui piaceva chiamarla così. Da morire.

“Si. È tutto più… normale. Intimo”, balbettò lei, alla ricerca di un vocabolo adatto.

In quei giorni si era accorta che le parole non sempre erano in grado di esprimere le sue emozioni. Era come se ne fosse incapace.

Non era mai stata così insicura in vita sua e, se da una parte la irritava a morte, dall’altra cercava di adattarsi, di capire quale fosse il problema.

“Non vedevo l’ora che tornassi”, le confidò Pietro. Marianna avvertì chiaramente l’imbarazzo nella sua voce profonda.

“Anch’io”. Gli accarezzò le guance ruvide, la bocca umida e piena.

Pietro chiuse gli occhi. Aveva lo stomaco in subbuglio. La mente in subbuglio. Il cuore in subbuglio. Era perso.

Quando sentì il calore del respiro di Marianna all’altezza del suo viso, la attirò a sé e la baciò con violenza, con passione, con tormento.

Le rammentò quella volta in cucina, quando lui le aveva espresso il suo perenne desiderio per lei. Marianna rispose al bacio, le mani tra i suoi capelli, il suo sapore nella bocca. Pietro la toccava, la accarezzava, la percepiva al di sopra dell’abito semplice e leggero che indossava. La voleva… voleva tutto di lei.

“Ti voglio così tanto, Marianna…”, sussurrò concitato, occupandosi del collo.

Marianna non era capace di profferire parola. Tremava, accaldata, la bocca semiaperta.

“Ti tremano le gambe…”, constatò Pietro, sibillino, avendo avvertito i polpacci con i suoi.

Marianna sorrise.

“Come fa la tua anima ad essere così bella, dopo tutto quello che ha subito? Come fa?”, domandò Pietro. Se la fece accomodare sulle ginocchia e la inchiodò con i suoi sfavillanti occhi nocciola. “Dopo tutto quello che ha subito da me

Marianna non sapeva cosa rispondere. Si limitò a nascondere il viso nell’incavo del suo collo, lasciandogli piccoli baci.

Pietro le sciolse la crocchia, per affondare le mani in quei voluminosi ricci scuri e profumati.

“Pietro…”

“Cosa, Marianna?”

“Ti ha perdonato. La mia anima, dico, ti ha perdonato. Basta”, concluse, perentoria.

Ricordare ciò che era successo prima di quella giornata in barca, prima del campo di papaveri, prima ancora di quella conversazione in cucina le scocciava. Più che altro, le faceva male. Tanto male. Le ricordava la disperazione di suo padre. La sua disperazione. Mentre percorreva la navata della piccola chiesa di Santoro, quando si era sentita una martire abbandonata da Lucia. Per non parlare della sua verginità rubata.

Marianna non voleva voltare le spalle al passato, perché ormai ciò era avvenuto. Però sperava in un futuro. Voleva cambiare pagina. Pietro invece sembrava ancora rivangarlo, il passato.

“Non avrebbe dovuto”, mormorò lui, abbattuto.

“Forse era destino. È stato il Signuruzzu a volerlo. Le sue vie sono infinite, no?”

Pietro sorrise debolmente. Le baciò una spalla. “Sei così bella…”

“Anche tu sei bello. Bello e caro sei”, ribatté lei, il naso che gli percorreva la gola.

Lui scosse la testa. “No, Marianna… impallidisco al tuo cospetto”

“Pietro, sei solo un bell’uomo che ha dovuto subire troppa violenza, troppe cose immeritevoli e innominabili. Ma sei così caro, dentro di te, Pietro. La tua anima è buona. È qui. Tutta qui dentro è”. Gli mise una mano sul cuore. “Solo che è rimasta nascosta fino ad ora. Sai da cosa? Da quello che tuo padre ti ha fatto. Da quello che la vita ti ha riservato”

Pietro rimase senza parole, le iridi nocciola fisse in quelle risolute di Marianna.

Davvero era buono? Davvero non era dannato? Con Marianna, si sentiva in paradiso.

Non disse nulla. Senza fiatare, la fece scivolare dalle sue gambe, il volto pensieroso. Marianna obbedì silenziosamente, per nulla pentita di ciò che gli aveva detto: era ciò che pensava, ciò che la tormentava da giorni.

Rimasero così per un paio di secondi, diritti e immobili uno di fronte all’altro.

Fu Pietro a rompere quel fragile equilibrio. “Devo andare a controllare i campi”

Marianna lanciò un’occhiata fugace all’orologio. “Ma tra un po’ è ora di cena”

“Non posso rimandare… è meglio che lo faccia adesso. Cena pure senza di me”. All’espressione quasi triste di Marianna, sorrise dolcemente. “Aspettami in camera”

 

* * *

 

Fare l’amore era bellissimo. Non fare sesso, accoppiarsi, ma ricercarsi insieme. Marianna stava scoprendo pian piano un nuovo modo di amare.

Mentre Pietro la baciava o le faceva provare piacere, si chiedeva come avesse fatto ad arrivare a vent’anni senza aver mai conosciuto un uomo.

Pietro si preoccupava per lei. Pensava sempre a lei prima che a se stesso, e questo Marianna non poté non apprezzarlo.

Pietro non poteva fare a meno dello sguardo adorante di Marianna.

Marianna non poteva rinunciare ai suoi dolci e vigili occhi nocciola, coronati dalle lunghe e folte ciglia nere.

Dopo una lunga e sostanziosa cena, i due si incontravano ogni sera nella camera da letto di Marianna, ormai un po’ il luogo simbolico della loro unione fisica e spirituale. E giù a far l’amore, a parlare, ridere, scherzare… a far l’amore ancora.

Era strano, incoerente. Ma Marianna amava quel Pietro. Il vero Pietro. La attraeva. Lo adorava. Nonostante non volesse ammetterlo, le piaceva più del lecito. Sia fisicamente, che interiormente. E tutto da una chiacchierata su una barchetta di legno molto fragile, sotto il cielo di luglio.

Marianna pregava. Pregava ogni sera. Pregava che quell’idillio non finisse mai.

“Mi senti, Marianna?”, sussurrava Pietro, al limite, dentro di lei.

“Si, Pietro, si…”, sospirava Marianna.

Vieni, Marianna. Vieni, entrami dentro. Entra nel mio cuore.

Sono qui, Pietro. Sono qui, vicino a te. Non lasciarmi volare via.

Fino al punto di non ritorno.

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Eccomi, sono resuscitata! So di non avere giustificazioni per il gigantesco, immenso ritardo, vi dico solo che gli ultimi mesi del 2012 sono stati orrendi… spero in un lieto 2013 :)

Grazie mille per il vostro interessamento e per i vostri messaggi, sono un grande appoggio per me e una grande motivazione!

Grazie di cuore!:D

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Capitolo 14
*** 14. ***


Come il cielo di luglio

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14.

Michele Bruno reagisce male a un possibile affetto tra sua figlia e suo genero e Marianna si dispera.

Il segreto di Pietro Ripamonti

 

Settembre arrivò presto.

Faceva più caldo del solito e Marianna boccheggiava nelle ore pomeridiane, sulla strada per Santoro. Sorrise felice ai bambini che giocavano per strada e quelli risposero schiamazzando, per poi andarle incontro. Non appena giunse alla sua vecchia casa, Michele si spaventò a vedere sua figlia circondata da quel corteo di bambini.

“Via, via, lasciatela stare la figliola mia!”, disse scherzando, agitando la mano come se fossero mosche giganti.

Marianna rise di gusto e si girò per salutare con calore i piccoli che continuavano a urlare il suo nome.

“Buon pomeriggio, papà”, esordì lei, sorridente.

Michele la abbracciò con forza, carezzandole la schiena e i suoi folti ricci scuri. Le baciò la punta del naso, come quando era picciridda. “Ormai tutto il paese ha capito che sei arrivata”

Marianna sorrise dolcemente. “Come stai, papà? La stagione sta per finire”

“Stancamente bene, Marianù”, rispose lui, accasciandosi su una sedia vicina. “Nessuno ci corre dietro, eppure tutto procede bene”

Marianna non disse nulla. Era pensierosa. Michele, che conosceva sua figlia come le sue tasche, se ne accorse. “Che hai, tesoro? Tutto bene?”

“Certo, papà”, ripose lei. Ma era meccanica, incolore.

Marianna stava pensando a Pietro. Era preoccupata, perché quella notte lo aveva avvertito tremare. Avevano appena fatto l’amore e all’inizio aveva pensato che era spossato, o che aveva freddo, visto che era completamente nudo. Ascoltava impaurita il suo respiro fioco e faticoso, temendo il peggio. Non capiva che cosa potesse avere. Gli aveva chiesto se stesse bene, ma lui aveva semplicemente alzato le spalle. Poi si era addormentato.

Anche al mattino, le era parso incostante, rigido. Temeva di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma sapeva che, per una volta, non c’entrava niente. Dentro di lui era in corso una battaglia impari di cui lei non faceva parte.

Non poteva sapere che quelli di Pietro erano incubi che lo perseguitavano da sempre nel cuore della notte. Non poteva sapere che quelli di Pietro erano sensi di colpa.   

“Non starai pensando a lui, vero?”

Marianna si bloccò, sorpresa. Fissò suo padre, livido di rabbia.

Lui odiava Pietro, lo odiava per quello che aveva fatto a sua figlia. Non avrebbe mai dimenticato le lacrime di dolore della sua bambina per averla violata. Per averle rovinato la felicità, un dolce futuro.

“Papà…”, disse semplicemente Marianna, incapace di mentire e negare. Era incredula per l’improvvisa svolta di quella conversazione appena iniziata.

Michele sospirò, deciso a mantenere la calma. “Stai pensando a lui”. Non era più una domanda.

Marianna tacque. Non sapeva come spiegarsi. “Lui non è come sembra, papà…”. Perché, invece di rispondere, si era messa sulla difensiva?

“Marianna, ti prego, non provare a difenderlo”

“È solo la verità, papà. Pietro è diverso da quello che sembra, da quello che si è mostrato le prime volte. È cambiato”

“Un bastardo figlio di un demonio non può cambiare, Marianna. E non cambierà mai!”. Era scoppiato.

Ma Marianna era sua figlia, d’altronde, e sapeva tenergli testa. “Sì, invece. Lui può cambiare. È cambiato con me. Ci vogliamo bene!”

“Oh, ti prego, Marianna. Come puoi essere così sciocca?”. Michele si interruppe, un nodo in gola. “Ti tocca ancora?”

Marianna non sapeva che dirgli. Dall’ultima volta che era scoppiata in lacrime davanti a lui, non ne avevano più parlato. Ed erano cambiate così tante cose, da allora… come poteva spiegare a suo padre che adorava far l’amore con Pietro? Che era un nuovo modo per dimostrare affetto, per scoprirsi?

“Cosa farai quando rimarrai incinta di lui, amore mio?”, insistette suo padre, mortifero. “Prima o poi capiterà. E allora lo penserai ancora che ti vuole bene?”

Marianna impallidì. Un po’ perché l’idea di un bambino la sconvolgeva, un po’ per la rabbia. “Sì, papà. Lui mi vuole bene. Mi rispetta. Anche io ho cominciato ad affezionarmi a lui. E non ho paura a dargli un erede”

Per Michele questo era troppo. Si alzò in piedi di scatto, per poi fronteggiare sua figlia come una fiera. Marianna aspettava uno schiaffo, ma non ne aveva timore. Dopo tutto quello che aveva sopportato, una sberla di suo padre era il minore dei mali. “Io non lo riconoscerò mai come nipote”, gridò lui. La schiaffeggiò, e l’urto fu così forte che Marianna per poco non cadde dalla sedia. Michele l’afferrò per le spalle, e la scosse con violenza. “Mi hai capito? Lui mio genero non è, e suo figlio non lo riconoscerò mai! Mai! Capito?”

Marianna abbassò gli occhi. “Va bene”, mormorò.

Michele sospirò, ora più calmo. La lasciò andare con delicatezza, già pentito per quello che aveva fatto. Notando le lacrime involontarie della figlia, la guancia arrossata, si inginocchiò davanti a lei. Le prese il viso tra le mani, gli occhi marroni concitati. “Non lo sopporto, il fatto che ti abbia presa così. Non lo sopporto. Io riconosco solo te, Marianù. Perché sei sangue del mio sangue. Perché sei mia figlia”. Le baciò teneramente la fronte. “E perché sei la donna più coraggiosa di questo paese, amore”

“Anche mio figlio sarebbe sangue del mio sangue”, ribatté Marianna, sempre più sulla via della rovina.

“Ma tuo figlio non sarebbe mai il frutto di un amore. Sarebbe per sempre il frutto di uno sposalizio”

Marianna scoppiò a piangere, colpita da quelle parole. E mentre piangeva sulla spalla di suo padre, pensava a Pietro, al suo affetto, alla sua sincerità.

Mio figlio sarà anche il frutto di uno sposalizio, ma sarebbe anche quello dei lombi di Pietro.

 

* * *

 

Pietro tornò a villa Ripamonti verso lei sei, spossato dal caldo, dal lavoro e dalla notte insonne. Mentre si passava le mani sul volto sudato, dei singhiozzi catturarono la sua attenzione. Provenivano dalla camera di Marianna.

Si precipitò lì immediatamente, preoccupato e curioso. Bussò. Il cuore in gola.

“Clementina, ti prego, vattene!”, esclamò Marianna con voce rotta, irriconoscibile.

“Apri”, ordinò lui fremente, la voce più dura di quanto non volesse.

Sentì Marianna trasecolare. “Pietro, ti prego…”

“Ti ho detto di aprire”

Marianna non rispose. Pietro stava per sbraitare, quando sentì la serratura scattare. Non riuscì a vedere Marianna in faccia, perché gli si gettò al collo in meno di un attimo.

“Aspetta, entriamo…”, mormorò, trascinandola con sé nella stanza. Chiuse la porta a chiave.

Se la scrollò di dosso a fatica e una morsa al cuore quasi lo uccise non appena vide il suo viso sconvolto, gli occhi gonfi di pianto. “Marianù, che hai? Che è successo?”

“Pietro…”. E scoppiò a piangere di nuovo, più forte di prima. Lo abbracciò quasi spasmodicamente, disperata, incurante del fatto che fosse completamente sudato e sporco.

Pietro non sapeva cosa fare, così si limitò sdraiarsi sul letto con lei. La accarezzava, le sussurrava frasi dolci e sconnesse all’orecchio, le ordinava di calmarsi.

“Tu per me provi solo desiderio, Pietro. Solo desiderio”, piagnucolava lei, i singhiozzi che le sconquassavano il piccolo petto.

“Marianna, ma che dici? Ti vuoi spiegare?”

“Io ti voglio bene”. Marianna registrava a malapena ciò che diceva. Non sapeva nemmeno lei quando era passata dall’odio puro per lui a un bene che superava la soglia dell’affetto. Non ne aveva idea. Sapeva solamente che lo voleva davvero vicino a lei, che in quel momento lui era l’unico che avrebbe potuto consolarla. 

“Anche io te ne voglio”, la rassicurò Pietro, confuso e indeciso sul da farsi.

Quella frase parve calmarla un po’. “Anche se non fossi bella, come dici tu?”, chiese, speranzosa.

“Sì, tesoro. E poi, tu sei bella”

“Dimmelo che mi vuoi”

“Ti voglio”

“E mi rispetti?”

“Sto facendo del mio meglio per farlo”

“Baciami”

Pietro tentennò.

“Baciami, Pietro. Ti prego…”
La baciò. Dolcemente, come il becchettio di una colomba.

Marianna sospirò. Presa da chissà quale smania, afferrò una mano di Pietro e la posò sul suo seno. Pietro era confuso, non se lo aspettava. Arrossì leggermente, ma non tolse la mano. Anzi, glielo palpò appena. Occhi negli occhi. Marianna gemette appena, per poi buttarsi a capofitto sulle sue labbra. “Voglio sentirti…”

“Marianna… non credo che questo risolverà i tuoi problemi…”

Marianna capì che aveva ragione. “Ho litigato con mio padre, oggi…”, esordì. Continuava a torturarsi il labbro inferiore.  

Pietro cominciò a capire, il cervello che lentamente collegava.

“Facciamo spesso l’amore, Pietro e… se restassi incinta? Mi vorresti ancora bene?”

Pietro non se l’aspettava. Aveva pensato a un erede, naturalmente, ma non in un futuro così prossimo. Non ora, che stava allacciando i rapporti con Marianna. Ma quel Michele Bruno, quello che era suo suocero, evidentemente gli voleva mettere i bastoni fra le ruote. “Anche più di prima, Marianù”, sussurrò, sincero. Dopo un attimo di esitazione, con un groppo alla gola, domandò: “Lo sei?”

Lei scosse la testa. “Mio padre non riconoscerebbe mai mio figlio, se ne avessimo uno. Capisci? Non vorrà mai vedere mio figlio”. Il labbro inferiore le tremava.

Pietro sospirò, la mano grande che le accarezzava la guancia. “Oh, Marianna… Tuo padre è arrabbiato. È arrabbiato con me. Lo sai che non succederebbe mai”

“E ha anche detto che nostro figlio sarebbe per sempre il frutto di uno sposalizio. Io… io non ho mai pensato a un figlio, Pietro. Ma sarà inevitabile, di questo passo. Credo. E io lo amerei, con tutta me stessa. Lo amerei perché sarebbe mio. Sarebbe nostro”. Sospirò, lo sguardo accuratamente fisso sul petto di Pietro. “Tu no?”

“Certo che sì”

Marianna tacque per un istante. “Pietro, non te l’ho mai detto, ma… ti voglio bene. Mi fido di te”

Pietro chiuse gli occhi.

Dio, solo tu potevi mandarmi un angelo come lei.

“Grazie, Marianna”

Marianna si sporse verso di lui e gli catturò le labbra con le sue. Gli accarezzò il volto sudato, la camicia bagnata, il petto bollente e abbronzato.

“Sei tutto bagnato, tesoro”

Pietro quasi arrossì. “Scusa, sono sudato. Sono stato nei campi sotto il sole tutto il pomeriggio…”, borbottò.

Fece per alzarsi, ma Marianna lo bloccò sul tempo. “Resta qui. Stringimi di più, fammi sentire quanto sei fresco”

Pietro obbedì.

“Adesso abbracciami”

Pietro obbedì.

“Adesso senti come ti voglio bene”.

Gli scoccò un bacio sulla bocca. Poi scivolò lungo il suo addome, lo voltò di schiena e gli tirò giù i calzoni. E Pietro credé di morire.

 

* * *

 

Schiocchi dolci e languidi. Pietro amava quell’umido suono, muto testimone di un affetto condiviso. La pelle liscia e dorata di Marianna era la cosa più bella del mondo. Ed era così facile perdersi in quegli occhi cerulei…

“Pietro…”, sussurrò Marianna, prendendogli il viso tra le mani. Lo accarezzò dolcemente, il naso che sfiorava piano la sua guancia.

Pietro sibilò, e le catturò ancora le labbra. Un bacio. Due baci. Tre baci. Tanti baci.

Poi, divennero un corpo solo. Il piacere arrivò per entrambi, talmente rapido da farli ammutolire.

Marianna si rilassò nuda tra le braccia di Pietro, il respiro ancora affannoso. Ascoltò con gioia il cuore di lui che batteva, correva e scalpitava.

Pietro, ancora ansante, le baciò il seno, e poi l’incavo del collo. “Mia bella Marianù…”

Marianna sorrise dolcemente e si strinse ancora di più a lui.

“Sei così piccola e delicata tra le mie mani…”, mormorò lui, quasi soprappensiero. “Eppure sei stata l’unica persona a tenermi testa fin dall’inizio”

Le baciò i capelli, inspirando il loro naturale profumo.

Marianna lo fissò a lungo, le mani impegnate a lisciargli la schiena. I suoi occhi celesti si illuminarono di una luce che Pietro non seppe interpretare.

Eppure fu quella stessa luce a indurlo a baciarla, ad assaggiarla, a possederla, ad averla, ancora, per l’ennesima volta…

“Morirò, Pietro, morirò…”, protestò Marianna, cercando di allontanarsi dalla sua portata.

Ma Pietro fu più veloce di lei, e la riprese con sé. Tornò a cullarla e ad accarezzarla, la bocca sul suo orecchio. “Non si può morire di piacere, Marianna”

“E invece sento che succederà…”

“No, tesoro mio, no…”

“Tutto questo è troppo per me”

Pietro sorrise, divertito. “Non mi sembra che in questi giorni tu ti sia risparmiata”

Marianna gli lanciò un’occhiataccia. “Arriverà il giorno in cui non mi desiderai più, Pietro… e allora cosa faremo?”

Solo in quel momento, Pietro capì che era realmente preoccupata. “Temi così tanto che tu non possa più piacermi?”, domandò, pacato.

“Sì… con tutto il mio cuore”

“Non credo accadrà mai, Marianna…”

No, perché sono sempre stato soggiogato da te. E questo mi piace, ma mi umilia, mi tortura.

Lei si fece improvvisamente triste. “Perché no? Invecchierò. E non ti piacerò più. Non è così che vanno le cose?”

“Marianna…”

“Mi hai sposata anche per questo, ricordi?”, ribatté, pungente.

Pietro trasalì, ma si riprese subito. “Lo so. Ma adesso le cose sono cambiate”

Tacquero entrambi, pensierosi.

“Pietro?”

“Sì?”

“Ti amerò”

Pietro la guardò, incredulo, gli occhi nocciola sbarrati. “Cosa dici, Marianna?”

La voce di Marianna tremò, ma solo per un istante. “Che ti amerò”

Pietro stette in silenzio, il tempo di raccogliere le idee che gli frullavano nella testa. Poi sorrise, quasi conciliante. “Hai perso il senno, tesoro. Hai sonno, dormi”. Fece per cullarla ancora, ma Marianna si ribellò.

“Sto dicendo la verità”. Era talmente agitata che balzò a sedere sul letto. Gli occhi celesti erano spietati, ardenti, come Pietro non li aveva mai visti. Sembrava la dea dell’amore e della guerra. “Tu hai bisogno di me. E allora ti amerò. Che sia da moglie, sorella, amica o… o amante…”. Si interruppe, indecisa. “Ad una condizione, però. Che tu mi ami, Pietro. Per sempre”

Gli si avvicinò, le labbra a bocciolo di rosa schiuse. Le iridi cerulee supplichevoli, umide nello sforzo di trattenere le lacrime. “Amami per come sono, Pietro. Amami, se ne hai bisogno. Amami nel modo in cui vuoi tu. Amami, e io ti amerò per l’eternità…”

Non ci fu bisogno d’altro. I loro corpi si cercarono ancora, perché le loro anime desideravano fondersi una volta per tutte.

 

* * *

 

Marianna si svegliò all’improvviso. Era spaesata, quasi l’aria le mancava nel buio opprimente della stanza. Non capiva nemmeno il motivo di tanta agitazione crescente dentro di sé.

Si guardò attorno e notò con circospezione l’enorme figura di Pietro stagliarsi nella penombra. Era seduto sul letto, le braccia appoggiate sulle ginocchia, le mani sul viso. Il corpo scosso dai singulti.

“Piangi?”, chiese, più incredula che altro. Stese una mano per ravvivargli i folti capelli scuri.

“No! Vattene!”, ruggì lui, respingendola con violenza.

“Pietro? Santo Iddio, stai male?”. Marianna era preoccupatissima. Balzò giù dal letto, ora totalmente sveglia, e si accucciò di fronte al marito. “Chiamo qualcuno…”

“Ho detto di andartene…”, proruppe Pietro, distogliendo lo sguardo per non lasciar trapelare i segni bagnati. “Lasciami solo”

Marianna si avvicinò ancora di più. Incurante della sua nudità, della sua perdizione, della sua condizione… in quel momento Pietro aveva bisogno di lei, solo questo contava. “Permettimi di aiutarti, Pietro. Aiutami a capire”, sussurrò adorante. Gli accarezzò delicatamente le mani, i polsi, il viso.

Pietro la guardò. Si fissarono per un istante talmente interminabile da farli fremere.

“Ho avuto un incubo…”, soffiò Pietro. Deglutì a fatica al ricordo.

“Raccontamelo, forse migliora…”, mormorò Marianna.

Nel tentativo di dargli un minimo di conforto, gli baciò teneramente le palpebre e la bocca. Il suo dolore la distruggeva.

“Laura. Sogno sempre lei, lei che piange e muore. La mia Laura. Laura… è morta per colpa mia e di quel fottuto bastardo…”

Marianna si bloccò. Non poteva crederci. Non poteva essere.

Il suo Pietro.

No…

“Che cosa?”, gemette, stupefatta.

“Lei aveva osato contraddirlo, per qualcosa che aveva detto. Papà la picchiava… e non si fermava. Così è successo. Così l’ho ucciso”

Marianna balzò in piedi. Gli occhi e la bocca spalancati. Incredula. Ferita, tradita, confusa… “Non si fa, Pietro! Non si uccide!”

Pietro aveva abbassato le braccia, adesso. E la guardava, umiliato e tradito nel profondo. Digrignò i denti, guardandola con aria di sfida. “E se qualcuno avesse toccato Tiziana? Eh? Cosa avresti fatto?”

“Lo avrei ucc… oh”. Quasi involontariamente, si tappò la bocca con le mani.

“Già”, sussurrò Pietro, amaro.

Calò il silenzio, entrambi che fissavano il pavimento.

“Perdonami, Pietro. Perdonami… non so che dire”

“Io… Marianna, sapevo che avresti reagito così. Sapevo che mi avresti giudicato”. Sospirò e abbassò gli occhi dalle lunghe ciglia bagnate.

Marianna scosse la testa, già più calma. “Non potrei mai farlo. Solo il Signuruzzu può”. Tacque. “Oh, Pietro…”

“Nessuno lo sa, Marianna. Nessuno. Laura all’epoca aveva appena partorito un bimbo, che poi era morto poche ore dopo. Ho detto al marito di Laura che era morta di emorragia. Ci ha creduto, nonostante i lividi e tutto. E mio padre… l’ho soffocato con le mie stesse mani. L’ho nascosto per un po’, dicendo poi che era morto di infarto. Nessuno sa niente. Nessuno”

Era incredibile, quanto per lei il dolore di lui fosse come il canto di una sirena.

Marianna gli accarezzò dolcemente il volto. “Pietro, caro…”

Lui l’ha uccisa, capisci? Mi ha portato via l’unica persona per cui ero sopravvissuto in quel delirio per anni ed anni… Io vivevo per Laura, per proteggerla da quel mostro e amarla come meritava. Le facevo scudo con il mio corpo, perché non potesse farle del male. Poi si è sposata, e finalmente avevo sperato che fosse fuori pericolo, che il mio compito fosse finito… Dannazione, non ricordo nemmeno che cosa avesse detto per far arrabbiare tanto quello schifoso…”. Pietro non resistette. Nonostante l’orgoglio continuasse a sgridarlo nel suo intimo, cominciò a piangere, le mani davanti agli occhi. “Sono un mostro, Marianna. Lo sono sempre stato. Prima ho ucciso Laura, poi mio padre… poi…”. Si interruppe e la fissò, spiritato, passionale e violento. Come quella sera di mesi fa in cucina.  “Il tuo corpo, Marianna, ho ucciso te, la tua lealtà, la tua felicità, tutto…”

“No, Pietro. Taci. Zitto. Non dirlo mai più”, intervenne Marianna, chiudendogli la bocca con la mano. “É vero, mi hai fatto del male. Tanto male… ma è passato. È passato, Pietro, perché io provo emozioni sempre più differenti dai nostri primi giorni”

Pietro sospirò lentamente, quasi come se gli mancasse l’aria. E si rifugiò nel seno nudo di Marianna, baciandolo con amore e devozione. “Potrai mai perdonarmi, Marianna? Potrai?”

Marianna gli prese il viso tra le mani, per poterlo guardare negli occhi. Gli accarezzò i capelli folti e lisci, le guance ruvide, la bocca carnosa. Era così fragile. Lo adorava. Non sapeva né da quando, né come, ma era certa di volergli bene. Così, disse semplicemente la verità. “L’ho già fatto da tempo, caro…”

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Ecco il nuovo capitolo, ho fatto più in fretta che ho potuto per farmi perdonare la mia quasi-scomparsa. Devo dire che l'ultima parte non mi convince del tutto, ma, essendo una delle prima scene che ho immaginato e scritto, non ho avuto il coraggio di cambiarla.
Grazie per non avermi abbandonato e per l’affetto che dimostrate per questa storia!:)

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Capitolo 15
*** 15. ***


Come il cielo di luglio

15.

Un terribile evento.

 

Era stranamente nuvoloso quel giorno. L’afa persisteva tenace, ma ciò non poteva calmare il mare. Marianna era sull’enorme balcone di pietra della sua camera, ad ammirarlo in tutta la sua gloria e magnificenza. Non si era ancora fatta la crocchia, in modo che i suoi ricci fossero spiegati dal vento salmastro. Chiuse gli occhi, il naso fremente.

Era turbata. Non sapeva nemmeno il perché. O che fosse sconvolta per la rivelazione di Pietro? Erano rimasti tutta la notte a cullarsi, a farsi forza a vicenda. Poi si erano addormentati, rassicurati dalla nudità calda dell’altro, dalla consapevolezza di avere qualcuno che li proteggeva.

“Le senti anche tu, Pietro? Ci sono Laura e mia madre, qui”, continuava a chiedere lei.

“Le sento anche io, Marianna…”

Pietro si era alzato per primo, ma non aveva avuto il coraggio di svegliare anche Marianna. Aveva provato a uscire dal letto senza far rumore, ma invano. Marianna aveva aperto gli occhi, leggermente arrossati dal sonno. E le sue labbra si stesero in un dolce e rassicurante sorriso. “Stai bene?”

Pietro aveva sorriso debolmente in risposta. “Si, Marianna. Sto bene”

Ma lei, naturalmente, non ci era cascata. “Vieni qui, voglio farti sentire quanto sono vicina”

Allora lo aveva abbracciato, e lui l’aveva baciata, commosso, ma troppo orgoglioso per mostrarsi.

“Sei un angelo, Marianna. Il mio angelo. Un angelo che ho sciupato per il mio egoismo…”, sussurrava lui, quasi adorante, mentre la sovrastava giocoso.

Marianna arrossì a quella frase affettuosa. Gli diede un piccolo schiaffo sul sedere, imbarazzata. “Muto devi stare! Sono una normalissima donna, Pietro…”

Avevano fatto ancora l’amore, ma con dolcezza, senza fretta.

Adesso se n’era andato a Palermo da Lamanna, Pietro, e Marianna era preoccupata, sebbene tornasse in giornata.

E pensava, pensava a come l’affetto di un genitore potesse influire sulla vita di un figlio. O, al contrario, potesse causarne la rovina. ‘U Signuruzzu li faceva tutti buoni i bambini. E Pietro aveva dovuto subire prove ardue quanto un figlio di un contadino ignorante e analfabeta. Era stato ucciso nel corpo (Marianna rabbrividì al pensiero delle sue cicatrici, che tanto avrebbe voluto guarire) e nell’anima. La morte di Laura lo aveva spezzato per sempre.

Ma perché con lei era diverso, ora? Che cosa era successo? Che cosa era cambiato? Era così confusa… non sapeva che cosa pensare.

Ma, d’altronde, anche lei provava sensazioni differenti verso di lui. E ora era consapevole che Pietro dentro di sé era buono, che non avrebbe mai fatto del male a nessuno.

Marianna si stupì a giustificarlo dell’omicidio del padre, ma era così. Stefano Trasi di Ripamonti si era meritato quella fine -che la Madonna la perdonasse per quel pensiero. Non era un genitore quello che massacrava i figli da mattina a sera. Ma, chi lo sapeva, forse lo stesso Stefano era diventato così per via del nonno di Pietro, e a sua volta il nonno di Pietro lo era per il suo bisnonno… era un circolo vizioso.

Però Pietro era cambiato. O forse era sempre stato così, ma non si era mai mostrato. Fino a quando non aveva sposato Marianna… chissà come aveva fatto a fare uscire il meglio di lui.

Di sicuro Laura mi ha aiutata, non è tutto merito mio.

Marianna nutriva per Pietro un sentimento che non aveva mai provato per qualcuno. Certo, c’era quel senso di protezione che lui le dava, e che lei a sua volta cercava di dare. Anche con Tiziana sentiva il dovere di proteggerla sempre ed ovunque.

Marianna avrebbe voluto essere il balsamo di Pietro, in modo che lui potesse curare tutte le sue ferite. Perché?

No, non le faceva pena, né compassione. Quello non sarebbe stato né giusto né gratificante. Ma allora perché desiderava la felicità di Pietro, e le piaceva quando riusciva a procurargliela? Perché le piaceva il fatto che lui le desse stabilità, sicurezza, anche mentre facevano l’amore?

Mi scoppia la testa…

Marianna non si era mai innamorata. Sua madre le aveva detto che esistevano così tante forme d’amore, che tra due amanti i segni erano diversi da una coppia all’altra. “Due innamorati a volte sono più complici, o più amici, o più soci, amore mio. Non c’è una legge comune”, le diceva Lucia.

Marianna per poco non svenne al pensiero. Che quello che provava per Pietro fosse… amore?

“Voscenza! Voscenza!”

Marianna si voltò stralunata, sconvolta già dai suoi stessi pensieri. Clementina si stagliava di fronte a lei, le mani giunte sulla bocca, gli occhi densi di preoccupazione.

“Clementina, ma che…?”

“Vostro padre, è qui, Voscenza! È urgente!”, gridò quasi la donna, nel panico.

Marianna volò per le scale, preoccupata. Il cuore le batteva a mille.

Ma Clementina aveva mentito, perché non era vero che c’era solo suo padre. Metà degli uomini di Santoro era lì, e, stranamente, Calogero era in testa. Erano arrabbiati, distrutti, feriti nell’animo. Calogero era pallido come la cera, sembrava sul punto di vomitare.

“Oh, misericordia! Che succede?”, urlò Marianna, sconvolta.

La servitù si era buttata fuori dal palazzo, curiosa e incredula.

“Marianna…”. Michele si fece avanti, cereo, le mani tese verso la figlia.

Marianna corse ad abbracciarlo, baciandogli la guancia più e più volte. “Papà, che cosa…?”

“Quel bastardo ci aveva promesso che saremmo stati al sicuro! Era nell’accordo!”, urlò uno, gettando la falce a terra, irato.

“Tu ti sei sacrificata per niente, Marianna!”, borbottò un altro, bestemmiando.

Marianna impallidì. Se da una parte era irritata per gli epiteti che avevano rivolto a Pietro, dall’altro aveva compreso che cosa fosse accaduto. Le mancava il fiato, la mente in subbuglio. “Chi è stato ferito? E chi ne è il responsabile?”

Solo allora Calogero scoppiò in un pianto straziante. Era lì, le mani sulla testa, in ginocchio sulla ghiaia. Subito alcuni uomini lo soccorsero. “Che muoia quel figlio di puttana! Che muoia! La mia bambina…”

“NO!”, strillò Marianna, sconvolta. Non poteva crederci. Si portò le mani alla bocca. Desiderava urlare, strapparsi i vestiti di dosso e buttarsi nel mare, annegare, che credere a quello che stava pensando. “Vi prego, che cosa…?”

“Qualche brutto di pezzo di merda ha violentato Tiziana Sabbati”, disse Giovanni, uno di Santoro, che, avendo notato la fragilità di Marianna, si era sporto per sostenerla.

Cu fu?”, mormorò Marianna, in dialetto. Le tremavano le gambe.

“Ieri notte”

Marianna svenne.

 

* * *

 

Pietro era con me, stanotte. Era con me. Non può essere stato lui. E non può controllare ogni persona che lavora per lui. No… perché?

Come faceva a giustificarlo? Possibile che riuscisse ancora a scusarlo, nonostante tutto quello che era successo?

Perché, Pietro? Perché? Lo avevi giurato.  

Si sentiva umiliata, tradita. E sporca, come non lo era mai stata. Era svenuta altre due volte. Aveva vuotato l’anima e aveva ancora un gran senso di nausea.

Mi sono ceduta a lui come una puttana. Per cosa? Per che cosa? Dimmelo, mamma, dimmelo!

E vomitava nel catino, Michele che le sorreggeva la fronte. Se n’era andato poi, vessato dallo strazio di sua figlia e dagli incitamenti di Clementina, che puliva con cura tutto, senza sosta.

Le preparò anche un bagno, in cui Marianna ci stette almeno un’ora. Lì, nell’acqua fredda, a sfregarsi le parte intime, il seno, la bocca, tutto ciò che quello schifoso le aveva toccato. Per mesi e mesi e mesi…

Ma Tiziana… la mia Tiziana, la sorella che non ho mai avuto è diventata donna per uno schifoso barbaro.

Era passato, era vero. E lui all’epoca era così assetato di lei da non capire niente. L’aveva ricattata, per possederla. E lei lo aveva fatto, aveva ceduto. Gli aveva dato tutto quello che aveva.

Corpo e anima e cuore.

Ti ho dato tutto, Pietro, tutto… che cosa vuoi, ancora?

Marianna si era sacrificata inutilmente per la sua gente.

Mamma, dimmi come raggiungerti, ti prego…  

 

* * *

 

Quando Pietro tornò a Santoro, non poté credere ai propri occhi. Non solo i campi erano semivuoti, ma le poche persone rimaste erano ferme a inveire sul ciglio della strada. C’erano donne che guardavano meste il terreno, uomini che lo guardavano in cagnesco mentre passava.

Pietro non capiva. Che diavolo era successo nell’unico giorno in cui si era assentato?  

Ma fu quando arrivò a villa Ripamonti che temette di avere un infarto. Quasi tutto il corpo di lavoro era lì, accampato davanti a casa sua. Non appena lo videro arrivare a cavallo, quasi tutti si alzarono in piedi, gli occhi fissi su di lui. Pietro quasi soffocava nella loro rabbia.

“Che succede?” sbottò, fermando il cavallo.

Doveva essere duro, nonostante tutto, dimostrare a loro che lui era il capo.

Un uomo stava piangendo abbracciato a un altro. La sua disperazione era tale che Pietro avvertì una stretta al cuore.

Uno dei contadini si fece avanti e, dopo aver seguito il suo sguardo, disse perentorio: “Abbiamo acconsentito a questo sposalizio perché i vostri guardiani non ci facessero del male, non perché violentassero le nostre donne!”

Il pianto dell’uomo si fece più alto.

“Che cosa?”, mormorò Pietro, le labbra schiuse dalla sorpresa.

“Lo vedete quell’uomo, Voscenza?”, ribadì il contadino, indicando Calogero Sabbati con l’indice. “Stanotte uno dei vostri guardiani ha violentato sua figlia Tiziana”

Tiziana…

A quel nome, Pietro impallidì. Strinse le mani a pugno talmente forte da ferirsi i palmi con le unghie. “La ragazza ha visto chi è stato?”, domandò, gli occhi nocciola fissi su Calogero.

Il contadino scosse la tesa, e non fu il solo. “Non lo sappiamo, Voscenza. Non parla…”

“Oh, Dio…”

“Avevate promesso che non ci sarebbe successo niente, che non ci avrebbero fatto del male!”.

Tutti tacquero inorriditi a quelle frasi pronunciate da una voce che sembrava spirata dall’Inferno.

Pietro fissò Calogero, il respiro mozzo, come se avesse corso a lungo.  

“Calogero! Zitto!” gli intimò uno dei contadini, afferrandogli il braccio. Ma Calogero lo scosse con violenza, e si fece avanti, verso Pietro, che non indietreggiò di un millimetro.

“Voi… voi siete la causa di tutto”. Calogero avanzò sempre di più, il viso vecchio e stanco distrutto dall’ingiustizia della vita. “Sia maledetto il giorno in cui voi siete arrivato qui a dettare legge per il solo gusto di farlo! Non vi bastava scopare ogni santo giorno la mia povera Marianna, che da buonanima si è sacrificata per tutti noi… adesso vi siete preso anche mia figlia! MIA FIGLIA!”

“Basta, Calogero, vattene a casa!”

“Si, basta. Vai a casa” soggiunse Pietro. Sembrava un dio invincibile dagli occhi ambrati. Peccato che dentro non fosse la stessa cosa.

Calogero digrignò i denti. “Brutto…”

“Farò in modo che ti sia fatta giustizia. Lo giuro” aggiunse, le iridi sfavillanti.

Fremeva, Dio solo sapeva quanto. Di irritazione, di ingiustizia, di impotenza.

Calogero non aggiunse altro. Come se si fosse spompato d’un tratto, crollò a terra.

 

* * *

 

Pietro correva. Correva come un pazzo, correva come non mai. Sotto gli occhi della servitù, che lo fissava indecifrabile mentre svolgeva le proprie mansioni. Non riusciva a togliersi di dosso lo sguardo feroce e astioso di quei contadini, né le urla di Calogero Sabbati.

Pietro non aveva figlie, non poteva capire. Ma se qualcuno avesse stuprato Marianna? Pietro immaginava chiaramente nella sua mente il cadavere di un uomo, e non era più integro. Lo avrebbe evirato e ucciso con le sue stesse mani. Avrebbe dovuto passare sul suo corpo prima di toccarle un solo capello.

Era questo quello che provava quel contadino? Pietro non lo sapeva. Ansimava, gli faceva male lo stomaco e la testa. Era successo tutto troppo in fretta. Troppo.

Doveva vedere Marianna. Subito.

Raggiunse la sua camera in un baleno. Quando aprì la porta, lo spettacolo che gli si prospettò era agghiacciante. Clementina Pagliarini era china su Marianna, in una vasca da bagno al centro della stanza. Le sfregava con gentilezza il collo e il seno, mentre Marianna era accasciata sul bordo, gli occhi chiusi. Pietro avvertiva odore di vomito e questo bastò a fargli tornare la nausea.

Clementina si rizzò in piedi non appena lo vide, confusa.

“Puoi andare”, la congedò Pietro, la voce dura.  

Clementina esitò, guardando Marianna. “Io…”

“Vai”, ordinò Pietro a denti stretti.

Clementina se ne andò, non senza avergli lanciato un’occhiataccia. Pietro si richiuse la porta dietro di sé, chiudendola a chiave.

Marianna lo stava fissando adesso. E quello che gli stava comunicando non era un benvenuto a casa.

Pietro non comprendeva. Ma bastava darle un’occhiata per vedere quanto fosse sconvolta. Tremava, gli occhi celesti rossi e pesti.

Fece un passo verso di lei. “Marianna…”

“Vattene”. Per Pietro fu un colpo. La voce di Marianna era dura, irriconoscibile. “Come ti sei permesso a mandare via Clementina? Non vedi che mi stava aiutando?”

“Dovevo parlarti”

“Ah, doveva parlarmi…”, mormorò tra sé e sé, come se fosse una battuta spiritosa. Sembrava una matta.

“Che è successo, Marianna?”

“Non osare venire qui a chiedermi cosa è successo come se non sapessi niente”, proferì lei, lentamente.

“I contadini qua fuori me lo hanno detto. Voglio una conferma da te”

“Perché? La parola di un contadino non è abbastanza per te? Beh, io sono una di loro. Quindi affidabile non sono”

Pietro si rizzò in tutta la sua imponente statura. “Marianna, che diavolo hai?”

“Che diavolo ho? Che diavolo ho?” ripeté, quasi isterica.

“Esci di lì”, ordinò lui, fermo.

“No”

“Ho detto: esci di lì”

Marianna lo fissò in cagnesco per un attimo, ma obbedì. Si alzò in piedi e uscì dalla tinozza, gocciolando sul pavimento. Afferrò un asciugamano steso sul letto e se lo sfregò per un po’, giusto per togliersi le gocce di dosso. “Ecco fatto, contento? Fresca fresca per essere scopata”

Pietro era sbalordito. “Che cosa dici, Marianna?”

“Non parlarmi in quel modo”. Pietro cercò di accarezzarle il braccio, l’unica cosa che gi venne in mente, ma Marianna si divincolò. “Lasciami! Lasciami!”

“Spiegami qual è il tuo problema”, chiese lui, cauto.

Marianna sbarrò gli occhi. “Il mio problema? Qual è il mio problema? Qualcuno ha violentato Tiziana, Pietro! La mia Tiziana! E se non avessi la certezza che ieri notte tu eri con me, sarei stata capace anche di crederti il responsabile”

Pietro non poteva né voleva crederci. “Come puoi, Marianna?”

“Posso, Pietro! Posso eccome! Io mi sono sposata con te, perché non ho avuto scelta. Anzi, ce l’avevo una possibilità: potevo farti sposare Tiziana. Ma non ho voluto. Sai perché? Per proteggerla da te. Ho accettato di sposarmi, perché era l’unico modo per evitare alla mia gente i soprusi di quegli infami dei tuoi guardiani! E poi… come fai a non ricordare? Io non volevo concedermi a te. E avevamo fatto un accordo: io mi davo a te, tu non avresti toccato né fatto toccare un solo abitante di Santoro. Lo ricordi, Pietro? Lo ricordi?”

“Si…”

E in quel momento, le parole di quel Calogero gli tornarono in mente: “Non vi bastava scopare ogni santo giorno la mia povera Marianna, che da buonanima si è sacrificata per tutti noi…”. Capì che si sentiva tradita e confusa, perché il loro affetto era nato da uno sposalizio. Uno sposalizio che non era stato rispettato, e quindi inutile.

Marianna era stanca, spossata. Nuda come un verme, lo fronteggiava in tutta la sua rabbia, le braccia giunte sul seno.

Pietro le prese un braccio, ma lei lo scosse con violenza. “Marianna”

“Vattene!”

“Marianna!”

“No! Lasciami, brutto…”. La presa di Pietro era troppo forte, così Marianna lavorò con le unghie.

Faceva male, ma Pietro non la mollò per un istante. La prese tra le braccia, il viso nei suoi capelli.

Marianna piangeva, urlava di disperazione.

“Io mi sono fidata…”

“Marianna…”, sussurrò Pietro, carezzandole la schiena.

“IO MI SONO FIDATA DI TE!” gridò, come una pazza. Pietro non l’aveva mai vista così, nemmeno quando cercava di difendersi da lui le prime volte. Cercò di sgusciare via, ma Pietro la teneva saldamente a sé.

“Marianna!”

“Lo avevi promesso, Pietro… avevi promesso che a nessuno sarebbe successo niente!”. Continuava a scalciare, a ribellarsi, nuda tra le braccia di Pietro, così piccola e disperata in confronto a lui.

“Lasciami spiegare, Marianna”

“Non c’è nulla da spiegare! Sei un bastardo, un figlio di puttana e di demonio!”

Pietro strinse i denti, la collera pronta a balzar fuori. “Non ti permettere!”

“Come ho potuto anche solo pensare di volerti bene? Come?”. Si interruppe, ansimando. “Sei un mostro. Un orribile mostro. Un assassino. Non meriti di essere ancora vivo, schifoso figlio di troia!”

Questo era troppo. La schiaffeggiò. L’urto fu così forte da farla cadere per terra. Marianna, dolorante, si portò una mano alla guancia, senza fiato. La sberla che suo padre le aveva dato il giorno prima non era niente in confronto.

Pietro le fu sopra e la immobilizzò con il suo corpo, mentre le tirava le mani sopra la testa. Marianna urlava, ma non di paura.

“Sai cosa farei se fossi davvero un mostro figlio di troia?”, gridò lui per sovrastare le sue urla. Trattenne i polsi di Marianna con una mano. “Sai cosa farei? Farei bruciare questo villaggio di merda, vi sbatterei tutti fuori per rinnovare un latifondo dimenticato da Dio! O ti prenderei qui. E ti scoperei tutta la notte. E non me ne fotterebbe un cazzo delle urla o che tu non vuoi. Sei nuda, sotto di me e solo questo conta!”. Ma non la toccava. Non la guardava nemmeno. Fissava solo il suo viso sconvolto, paralizzato da tutto quell’orrore.

Marianna inspirò lentamente, la schiena sul freddo pavimento, il seno che faceva su e giù. “Avanti, Pietro! Prendimi, allora! Prendimi fino alla morte! Tanto ormai hai preso tutto di me, tutto…”. Pietro le scostò i ricci scuri dal viso, in modo che potesse vederla meglio. Era più calma ora. Lui l’aveva minacciata, ma lei era certa che non le avrebbe mai fatto del male, perfino se era arrabbiato. I suoi occhi celesti erano fissi nei suoi, grandi, smarriti. Colmi di lacrime. “Ti ho dato tutto, Pietro, tutto… il mio corpo, la mia felicità, la mia fiducia… la mia anima…”

Pietro le baciò la guancia, l’incavo del collo. “Marianna… lasciami spiegare… non è colpa mia”. Era un innocente accusato di omicidio. Le lasciò i polsi, per accarezzarle il ventre, le cosce. 

“Tu avresti dovuto mantenere la promessa. Solo questo contava”, sussurrò Marianna. Era sfinita.

Come se si fosse dimenticata della sfuriata, gli si abbandonò.

Pietro le baciò delicatamente e più volte la guancia arrossata, come se così facendo potesse guarirla.

“Troverò chi è stato. Lo giuro”, promise, sincero.  

Marianna gli afferrò le spalle, massaggiandogliele attraverso la camicia. “Lo faresti davvero?”

“Sì. Tiziana merita giustizia”

Ma se per un attimo la speranza aveva fatto breccia negli occhi di Marianna, l’amarezza la vinse. “E poi cosa farai? Lo lascerai lavorare ancora, no? In modo che possa andare a stuprare un’altra donna, magari sposata e con figli perché non ha niente da fare”

“Non dire così”, disse Pietro lentamente, disperato. Ma confortato dalle mani di Marianna che ancora lo toccavano con adorazione inconscia.

“Oh, Pietro…”. Marianna lo attirò a sé e gli schioccò un bacio sulle labbra. Leggero, delicato, confuso. 

Sapendo che non avrebbe opposto resistenza, Marianna si alzò in piedi. Aveva la pelle d’oca. Un po’ per il pavimento freddo, un po’ per la paura di non avere la forza di fare quello che aveva intenzione di fare. Ma quando mai non aveva avuto coraggio? Non era forse la figlia di Lucia Bruno?  “Trova pure chi è stato. Fai quel che ti pare. Io me ne vado”, sussurrò, perentoria.  

Pietro balzò in piedi, scioccato. “Cosa?”. Lo disse come se qualcuno lo stesse strangolando.  

“Me ne vado. Torno a casa mia”. Le faceva uno strano effetto dire quelle parole, dato che aveva appena cominciato a considerare casa sua villa Ripamonti.

“Non puoi farlo” replicò Pietro, parandosi davanti a lei.  

Marianna giunse le braccia sul seno, lo sguardo fisso sul pavimento. “Sì invece. Devo vedere Tiziana, devo starle vicino. E non sarai tu a fermarmi”

Quando ebbe l’arditezza di guardarlo negli occhi, vide quanto era livido, abbattuto.

Temendo che la colpisse ancora, si allontanò un po’. “Avanti, colpiscimi ancora. Uccidimi. Non ho paura”

Gli tremavano le mani. Eccome, se gli tremavano. Ma non lo fece. Non voleva colpirla, né tanto meno ucciderla. La raggiunse e la strinse a sé, la mano che le carezzava dolcemente la guancia arrossata. “Morirei, se dovessi morire anche tu…”

Marianna si strinse a lui, confortata dal suo calore. Ma doveva andarsene. Lo sentiva.

Con un sospiro impercettibile, si staccò da lui e afferrò l’asciugamano per coprirsi.

“Marianna! Marianna!”. In un ultimo, disperato gesto, Pietro si gettò a terra, davanti a lei. Ansimava, sconvolto, le mani giunte in preghiera. “Ti prego, ti scongiuro… non andartene”

Marianna stava male. Vederlo lì, così, sconvolto, scomposto, era come ricevere una stilettata al cuore e allo stomaco.

Lo stava abbandonando, come aveva fatto sua madre e sua sorella prima di lei. 

Ci fu un attimo in cui Marianna pensò che tutto questo era folle. Che Pietro, in effetti, non c’entrava niente. Che lei quelle terribili cose non le pensava nemmeno, le aveva dette solo perché era arrabbiata.

Ma fu un secondo. Era stata la sua Tiziana ad essere stata violata, non una donna qualunque. E Pietro era colui che doveva difendere i contadini di Santoro. Era l’accordo. 

Marianna scosse la testa, le lacrime che scorrevano senza sosta sulle guance.

Mi dispiace…

“Addio, Pietro”

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Sì, sono viva. E so che questa assenza è imperdonabile in tutti i sensi. Probabilmente non ci sarà più nessuno a seguire questa storia, e a ragione. Ma non ho assolutamente intenzione di abbandonarla, come ho già ribadito più volte.

Questa scena è stata difficilissima da scrivere, la più tragica che abbia mai scritto a dire il vero. Non mi convince più di tanto, sembra davvero troppo tragica per “nulla”. Ma, mentre la rileggevo, mi sono convinta a tenerla buona lo stesso, perché l’evento previsto era già deciso nella scaletta. Quindi… niente, aspetto dei pareri ;)   

Questa volta ho scritto tutti i capitoli, fino all’ultimo. Quindi non mi potrò perdere per strada xD Siamo agli sgoccioli e il capitolo 18 sarà l’ultimo.

Pubblicherò ogni lunedì :) Grazie mille a tutti, in particolare alle persone che mi hanno spronato ad andare avanti!

 

 

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Capitolo 16
*** 16. ***


Come il cielo di luglio

16.

Il mistero si risolve. Marianna Ripamonti realizza di amare suo marito e corre da lui. Lo scontro tra Pietro e l’assalitore di Tiziana Sabbati.

 

Vuota. Era così che si sentiva Marianna. Affranta, infelice, disperata. La cosa preoccupante era che pativa esattamente come quando si era trasferita a villa Ripamonti. Ma se lì c’era rabbia per un destino ingiusto e tristezza per la mancanza dei suoi affetti, lì, a Santoro, vi era solo depressione.

Marianna non sapeva se stava male per se stessa o per Tiziana e di questo dubbio se ne vergognava a morte.

Perché Tiziana stava male, malissimo. Non disse mai chi fu il suo aggressore. Né parlò. Era come se fosse diventata muta all’improvviso. Aveva gli incubi. Si sentiva sporca, vomitava, piangeva. In silenzio, sempre in silenzio. L’allegra ragazza di un tempo non c’era più. Tiziana Sabbati non c’era più. Era stata annullata da un viscido essere che non meritava nemmeno di vivere.

“Tutta colpa di quel figlio di malafimmina!”, urlava Pinuzza da mattina a sera, distrutta anche lei. Marianna la vedeva più vecchia, cinica e fredda. Non la riconosceva più, come se anche lei avesse subito un sopruso irreparabile.

Il cervello di Marianna registrava a malapena quella frase colma di disgusto e ira. Il suo buon cuore tendeva sempre a giustificarlo, ma non era sicura che avrebbe resistito ancora per molto.

Calogero in tutta quella vicenda era impassibile. Era sempre l’uomo che andava a pescare, ma con la tristezza e la delusione nell’animo. Cercava di essere forte, per la moglie e per la figlia, ma con scarsi risultati.

Anche Marianna piangeva. Da mattino a sera. Piangeva per Tiziana, piangeva per se stessa, perché finalmente a villa Ripamonti era felice. E piangeva perché era consapevole di ben altro nel suo cuore.

Pietro era perennemente nei suoi pensieri. Le mancava, lo voleva. Desiderava essere con lui, essere consolata da lui, consolarlo. Essere tra le sue braccia, baciarlo, volergli bene e rispettarlo. Desiderava che fosse felice. E si sarebbe uccisa, perché era consapevole di essere stata la causa della tristezza di Pietro. Lo aveva abbandonato come se niente fosse. Lo aveva fatto per Tiziana, ma questo non bastava. Era troppo per lei.

E quando suo padre e Pinuzza lo insultavano all’unisono, credendo che questo le facesse del bene, dentro si sentiva morire.

Lui non è così, avrebbe voluto urlare. È innocente. Innocente, innocente…

Il mattino andava da Tiziana. Si sentiva una stupida a chiacchierare di cose futili e senza senso che Tiziana nemmeno ascoltava, ma lo faceva per tirarle su il morale. La portò anche al mare. E quando aveva alzato lo sguardo verso villa Ripamonti, maestosa sulla grande rupe, una lacrima le era scesa sulla guancia. Tiziana l’aveva notata, ma non proferì parola.

La sera Marianna era a casa sua, nella sua vecchia stanza. In ginocchio davanti al letto, la testa sul suo pagliericcio, pregava la Madonna, pregava sua madre Lucia. E pregava per Tiziana, per se stessa, e per Pietro, solo per Pietro.

Come sta? Mamma, sta bene? Proteggilo, non fargli fare nulla di avventato o stupido, ne morirei. Mamma, perché? Sono così confusa.

Michele Bruno non alluse mai a una possibile lite tra Marianna e Pietro, né del perché lei fosse arrivata come una furia il mattino nella sua vecchia baracca. Anzi, segretamente ne era contento. Per lui tutto questo era un segno del cielo, qualcosa che indicava a Marianna di stare alla larga da quel demonio. Peccato che Michele i segni del cielo non li sapesse interpretare.

Marianna era lì, nella sua stanzetta buia, con il rosario in mano. Pregava fervidamente, gli occhi chiusi. Parlava con Pietro, sperando che la Madonna o il Signore gli recapitassero i suoi messaggi, magari in sogno.

Pietro, mi senti? Vorrei essere lì con te. Mi manca il tuo sorriso. Mi mancano i tuoi brillanti occhi nocciola. Mi manchi tu, in tutta la tua magnificenza, in tutta la tua imponenza. Mi manchi, Pietro.

E la verità arrivò, semplice come un battito di ciglia.

Perché non l’ho capito prima, Pietro?

Ti amo.

 

* * *

 

Pietro era come morto. Era un uomo morto nell’anima, ma non nel corpo. Purtroppo.

Non aveva mai desiderato così tanto in vita sua passare oltre quello splendido cielo turchino. Possibile che Marianna fosse stata un’illusione?

Il Signore mi vuole punire per i peccati commessi in passato. Dandomi la speranza di redimermi, e togliermela all’improvviso. E fa bene.

Desiderava raggiungere Laura. Esisteva un aldilà? Se si fosse ucciso, l’avrebbe vista lo stesso la sua amata sorella?

Ma Pietro era consapevole di non poter andarsene. Doveva scoprire ancora chi era stato l’idiota che aveva violentato Tiziana Sabbati. Lo doveva agli abitanti di Santoro. E lo doveva a lei, a sua moglie. Alla sua Marianna.

“Voscenza, ho bisogno di parlarvi”. Pietro alzò lo sguardo dalla scrivania, quasi spiritato. Riconobbe Cavani, sottoposto di Lattuca. “So chi è stato. Ho indagato, come mi avevate chiesto”

 

* * *

 

Passò una settimana.

Un tempo infinitamente troppo poco per poter dire che fosse cambiato qualcosa. Tiziana aveva ricominciato a parlare. A monosillabi, ma era già qualcosa. Veniva più spesso al mare e cercava di ascoltare le chiacchiere di Marianna.

Marianna ne fu segretamente soddisfatta. Sapeva che Tiziana era una ragazza troppo forte per lasciarsi andare. Forse perfino più di lei, che non faceva che auto commiserarsi. Ma soffocava i suoi pensieri per Pietro, perché le pareva non solo di tradire se stessa, ma di offendere la purezza di Tiziana.

Eppure quella domenica mattina, dopo la messa, non poté non pensarci. Cosa stava facendo Pietro? Perché non si era più fatto vivo nei campi? Che fosse andato a Palermo?

Stava davvero indagando su chi fosse il colpevole?

Marianna sospirò. Non lo credeva.

Lunedì pomeriggio, era a casa di Pinuzza e Calogero nella povera stanzetta d’ingresso a rammendare dei pantaloni per suo padre, quando avvertì dei rumori strani. Ci volle un po’ per capire che erano singhiozzi. Si precipitò in camera di Tiziana in men che non si dica, i fluenti capelli ricci e scuri ormai dispersi dalla crocchia morbida.

“Tiziana…”

La visione di Tiziana, disfatta, piangente e sconvolta, le uccise il cuore. “Oh, Marianù… io… io…”

Marianna si sedette sul bordo del suo pagliericcio, le braccia aperte in un muto invito che Tiziana accettò volentieri. “Shhh, tesoro… non sei costretta a dire niente”. Marianna la cullò tra le sue braccia, baciandole i capelli e sibilando confortante. Era emozionata, perché era la prima volta che Tiziana si faceva toccare.

“Ma io voglio dirtelo. Voglio dirlo solo a te. Non è stato il marito tuo”, balbettò Tiziana tra i singhiozzi, avvinghiata alla sua figura.

Marianna non poteva confessarle la sua certezza, dicendole che lo sapeva perché era a letto con lui quel funesto giorno, così si limitò ad annuire. “Lo so, tesoro. Lo so”

“Quello… quello dello sposalizio”

Si accigliò. Le mani smisero di accarezzarle i capelli, in ascolto anche loro. “Che cosa?”

Lui… ricordi quello che aveva annunciato lo sposalizio nella piazza? Lattuca”

Marianna sospese il respiro. Faticò a parlare, perché la bocca le si era seccata. “È… è  stato lui?”

“Sì… oh, Marianna!” esclamò, rituffandosi tra le sue braccia e nel suo seno morbido.

Le mani di Marianna la carezzarono confortanti, quasi automaticamente. Gli occhi azzurri brillavano nel buio, spalancati e vuoti e sconvolti. “Tesoro, perché non lo hai detto prima?”

Tiziana tirò su con il naso. Sembrava una picciridda. “Mi ha minacciata… ha detto che se non avessi fatto accussì non solo sarebbe ritornato da me, ma avrebbe fatto del male a mamma e a papà… e anche a te

“A me? Tiziana, non avrebbe mai potuto e lo sai. Sono la moglie del padrone e mai ci avrebbe provato”

Tiziana si tirò un po’ indietro, in modo da poter guardare Marianna in faccia. “Ma lui mi ha detto così… mi ha detto che sarebbe stato facile per lui, quando Voscenza era fuori nei campi, a entrare in casa e… e a fotterti”. La voce le si incrinò sul’ultima parola.

Marianna era visibilmente impallidita. Aveva la nausea. Per calmarsi, prese un respiro profondo. La mente che lavorava frenetica.

Strinse Tiziana, suo unico conforto.

 

* * *

 

Pietro. Pietro, il mio Pietro, anima mia, cuore mio…

Doveva tornare a villa Ripamonti, dirgli quello che aveva scoperto.

Si sarebbe sistemato tutto. Sarebbe andato tutto bene.

Sarebbe ritornata da lui.

Tiziana era in piedi, le braccia conserte. Fissava ogni suo movimento convulso, intenta a raccattare tutte le cose nella sua stanza. Dopo la sua rivelazione, Marianna l’aveva trascinata in casa Bruno senza pensare.

Marianna si chiese se lei potesse sentire quello che stava pensando. I suoi vocativi sconnessi e amorosi. Il suo desiderio di rivedere Pietro e sorridergli radiosa.

Michele fece capolino nella stanza, seguito da Pinuzza, decisamente sconcertato da quella visione. “Marianù!”

“Mi dispiace, papà”. La voce secca, decisa.

Michele non ci mise molto a capire. “Marianna, non puoi…”

“Sì, che posso”

“Marianna…”

“Papà…”

Ma lui quasi ringhiò, irato. Sbatté una mano contro il muro, facendo sobbalzare perfino Tiziana, che si allontanò in fretta come un coniglietto impaurito. “Non te lo permetterò! Non puoi fare più niente ormai!”

Marianna lo fissò. Era risoluta come non mai. Doveva andare da Pietro, dirgli quello che sapeva. Doveva andare da lui e perdonarlo, chiedergli di dimenticare tutto, di riabbracciarla e di amarla quanto lei amava lui. Ora ne era certa, più che certa. “Non capisci”

“Cosa non capisco, Marianna?” sbottò Michele, i denti serrati.

“Io lo amo, papà”

Eccome se lo amava. E dirlo ad alta voce non fece che renderlo ancora più reale.

Perfino Pinuzza era lì, sbalordita. “Cosa…?”

“Lo amo, papà, e devo andare da lui!”

Michele era impietrito. Marianna fissò il suo volto impallidito, le mani che tremavano quasi convulsamente. Sembrava davvero sul punto di picchiarla, come se fosse una bambina che aveva combinato una bricconata. Marianna aspettava, anche se in cuore suo sapeva di essere ormai una donna, con dei suoi sentimenti.

Marianna fu colpita, ma non da suo padre.

“Disgraziata sei! Disgraziata! Come puoi dire questo?”

“Mamma!”. Tiziana si lanciò a trattenere Pinuzza, ma lei la respinse in malo modo.

Pinuzza era incontrollabile. Si era slanciata su di lei, sferrando schiaffi, pugni e calci. Continuava a picchiare Marianna come se fosse una squallida puttana.

Marianna si parava la testa con le braccia, anche se inutilmente. Urlava, questa volta non di dolore o di ira, come aveva fatto con Pietro, ma di paura. Non se lo aspettava. Non da Pinuzza, la sua madrina, la donna che considerava quasi una madre.

Aveva paura di Pinuzza e non di Pietro. Il mondo stava andando proprio a pezzi.

Poi, i colpi smisero di arrivare. Marianna, che aveva sbattuto la testa contro il muro, si sentiva stordita, il sapore del sangue nella bocca.

Alzò lo sguardo, lentamente. Vide suo padre, irato come non lo era mai stato. Il braccio di Pinuzza stretto nella sua mano. “Come hai osato picchiare mia figlia?”, sussurrò mortifero.

Marianna non si mosse, la testa tra le mani. Tiziana stava rincantucciata nell’angolo della stanza, terrorizzata.

“Osi ancora chiamare tua figlia quella sporca traditrice?”, urlò Pinuzza, la voce isterica. Fissò Marianna con rabbia, con disprezzo. “Non è altro che una puttana, non la vedi? È diventata la puttana di quel figlio di demonio di Ripamonti! Ti divertivi a letto con lui, eh, sciocca ragazzina?”

“Smettila!”, sbraitò Michele, senza mollare la presa.

Marianna scuoteva la testa, meccanicamente. Ancora scioccata, si alzò lentamente in piedi. “Pinuzza, non capisci…”, sussurrò, sconvolta. Non poteva crederci. Pinuzza, la sua madrina, che le dava della puttana comprata. “Lui non è come credi…”

“Zitta”

“È buono, gentile. All’inizio era diverso anche con me, ma è cambiato. Con me si è mostrato per quello che è, un uomo fragile rovinato dal suo stesso passato…”

“Zitta, brutta schifosa!”, gridò Pinuzza, saltellando sul posto per la foga.

“Tiziana, diglielo anche tu che non è stato lui! Non è stato lui!”

Questo colpì Pinuzza oltre l’inverosimile. “Cos…?”

“È vero, mamma…”. Tiziana si fece avanti, tremante. “Non è stato lui… non c’entra nulla. È stato… Lattuca”

Ci fu un attimo di pausa, prima che Pinuzza si rivolgesse nuovamente a Marianna. “Lui però doveva proteggerci”

“Ma non è il diretto responsabile”

“Come puoi ancora difenderlo?”. Pinuzza rise, isterica. Incontrollabile. “Ah, giusto… lo ami. Ah, che idiozia”

“Non è un’idiozia! Io lo amo. Darei la mia vita per lui”

“Spero che tu stia scherzando, Marianna”

“No, non scherzo, Pinuzza. E lo sai”

Calò il silenzio nella stanza, sotto la luce della luna piena. Senza una parola, tremante di paura e determinazione, Marianna si alzò da terra e afferrò la sacca.

“Marianna…”. La voce di Michele era fievole, tanto addolorata. Chissà perché, le ricordò la morte della mamma.

Gli toccò debolmente il braccio. “Mi dispiace, papà. Tornerò presto”

Non guardò Pinuzza, nemmeno lei era tanto coraggiosa. Ma lanciò un debole sorriso a Tiziana, che ricambiò appena.

E uscì nel cuore della notte, fragile avventuriera.

 

* * *

 

Era notte, ma la luce della luna era accecante. Pietro camminava ritto e fiero nella sua imponente statura, difficilmente riconoscibile. Sapeva dov’era l’alloggio di Lattuca. Si fidava abbastanza di Cavani da sapere che era stato lui.

Lattuca non stava dormendo. Quando Pietro spalancò la porta semiaperta, lo trovò seduto al tavolo di legno, la bottiglia indubbiamente di vino vuota.

Non appena lo vide sull’uscio, Lattuca ebbe i riflessi abbastanza pronti da alzarsi in piedi, facendo cadere il misero sgabello su cui era stravaccato poco fa.

“Tu… sei stato tu…”

“Voscenza, io…”

“Lattuca, eri stato tu a suggerirmi lo sposalizio!”

“Sì, ma…”

“E l’accordo era quello di rispettare ogni singolo abitante del paese”

“Ma…”

“Ma cosa? Cosa? Spiegamelo”

“Insomma, era così… Come potevo non prenderla?”

“Ma è pur sempre un abitante del paese, Lattuca!”

“Io non capisco tutto ‘sto problema, Voscenza. È soltanto una fimmina!”

“Se eri talmente affamato, saresti potuto benissimo andare a puttane, e lo sai bene”

Ma Lattuca era arrabbiato. Oltre che brillo. E, non avendo mai brillato di intelligenza, si mise da solo nei guai. Cavò un pugnale dai calzoni, puntandolo dritto su Pietro. “Allora sarei dovuto andare dalla mugliera vostra”

“Bada a come parli…”. Gli occhi nocciola di Pietro, spiritati, irati, sarebbero bastati come un normale campanello d’allarme.

Ma Lattuca voleva provocarlo. “Oh, sì… è bella, la moglie vostra. Sapete quante volte mi sono toccato pensandola? Glielo avevo detto, a quella fimmina, che se avesse cantato avrei scopato anche lei… mo’ le tocca, le tocca…”

“Vai all’inferno, schifoso bastardo!”

Lattuca gli saltò addosso, la lama del pugnale luccicante al riflesso della lampada ad olio.

Il suono dello sparo riecheggiò nella notte di plenilunio.

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Grazie ancora, per i bellissimi complimenti che mi fate sempre e per il vostro sostegno! Sono felice che qualcuno sia ancora rimasto! :)

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Capitolo 17
*** 17. ***


Come il cielo di luglio

17.

Il terribile evento continua.

 

Marianna correva per quanto l’abito le permettesse. Nel cuore della notte, sola e accaldata, correva a perdifiato, i capelli sfatti, la gonna sgualcita e sporca di fango. Ma non le poteva importare di meno, del suo aspetto. Ciò che più le premeva era rivedere Pietro, dirgli la verità. E poi baciarlo, ridere con lui, fare la pace, fare l’am…

Villa Ripamonti era un putiferio. Quasi tutti i servitori, in camicia da notte e con le torce accese, erano davanti all’ingresso. C’erano urla, esclamazioni, ordini.

Marianna si era immobilizzata per la sorpresa, ma nella mente le si affacciò un sospetto ancora più insidioso.

“Che succede qui?”. La confusione era talmente alta che nessuno la sentì. Ripeté la domanda, alzando la voce.

La piccola folla si azzittì per un attimo, puntando i suoi occhietti increduli e stanchi su di lei.

“Voscenza!”

“Voscenza è qui!”

“È tornata, per fortuna è tornata…”

“Che succede? Per favore, qualcuno me lo dica!” urlò ancora Marianna, cercando di sovrastare i giubili di sollievo.

“Voscenza, presto, venga qui!”

Marianna riconobbe immediatamente la voce energica di Clementina. Le corse subito incontro.

“Voscenza, questa notte è successa una disgrazia! Vi sentite bene…?” chiese Clementina, preoccupata per l’improvviso pallore di Marianna.

“Sì…” biascicò lei.

Per fortuna, Clementina ebbe l’accortezza di sorreggerla con un braccio. “Qualcuno ha sparato a Lattuca, Voscenza!” snocciolò, rapida e accorta.

Marianna la guardò, quasi spiritata. “Cos… quando?”

“Qualche ora fa. Cavani lo ha portato qui e Carmine è andato a chiamare un medico… e, Voscenza, il padrone è disperso”

Questo costò un battito del cuore di Marianna.

Disperso.

Oh, Madonnina, ti prego… mamma…

Marianna cercò di contenere il panico letale che si stava diffondendo velocemente in lei. “Dov’è adesso Lattuca?”

“Sul tavolo della cucina, Voscenza”

“Benissimo. Allora chiama degli uomini e andiamo a cercare Pietro”. Forse era la frase più simile a un ordine che avesse mai rivolto non solo a Clementina, ma a una persona in generale.

Questa volta non sarebbe fuggita. Pietro aveva bisogno di lei, adesso. Doveva essere lucida e attiva, non perdersi d’animo.

Perché era stato Pietro a sparare a Lattuca. Lo sapeva.

 

* * *

 

Non poteva essere andato molto lontano, soprattutto se era successo ciò che temeva. Si fece accompagnare dove era stato trovato Lattuca. La portarono nell’alloggio spoglio dell’uomo, al limitare dei campi.

Cercò tracce di sangue, ma, nonostante la luna in cielo brillasse come il sole, era impossibile trovarne. La lanterna non aiutava poi tanto. 

Dentro di sé, pregava. Preoccupata e disperata. Che non fosse ferito e che, se lo fosse, non era grave. Che non fosse… non riusciva nemmeno a formulare quella parola.

La stessa che le ricordava la sua mamma.

Più Marianna si guardava attorno, più quel posto le risultava familiare.

La discesa di villa Ripamonti. Il campo di papaveri.

Forse aveva capito.

 

* * *

 

Pietro delirava. Era più in là che in qua, ormai. Che fosse la volta buona in cui il Signore lo stesse chiamando?

Era fatta, finalmente.

Sto per morire.  Sto per morire. Sto per morire.

Pietro pensò a Laura. Ricordava i suoi occhi verdi come l’erba di maggio, la sua risata allegra, la sua espressione buffa quando si arrabbiava.

Una lacrima solcò la sua guancia, insieme a un gemito di rabbia e dolore e disperazione. Un grido sordo di frustrazione soffocava nel suo petto, insieme alla paura. Che diavolo c’era nell’aldilà? Perché esisteva un aldilà, vero? No, per uno come lui non c’era. Inutile pensarci, inutile faticare ad agognarlo.

La sua anima non avrà mai pace. Avrebbe vagato nel nulla, sulla sua Palermo, sopra il caldo e bellissimo mare che avvolgeva Santoro come una culla.

Pietro si accasciò lentamente al suolo, la mano premuta al fianco. Sangue caldo che lentamente diventava freddo… o era la sua impressione?

Sto per morire.

Ma aveva vendicato il nome di Marianna. Quindi cosa importava? Tutti quei pensieri stupidi, quella paura di morire. Marianna era onorata. Poteva morire in pace…

 

… Avanti, avanti…

Pietro, Pietro… dove sei?

“Voscenza, tornate indietro. Cercheremo noi!”

“Non se ne parla nemmeno, vengo con voi”

Avanti, avanti…

 

… La donna che lo stava guardando era splendida. Brillava di luce propria come una stella.

Avvertì un brivido caldo sulle braccia e notò che era lì che le mani dell’angelo lo stavano toccando. Risalendo lentamente verso il cuore.

Pietro aveva sempre creduto che gli angeli fossero biondi, con l’incarnato chiaro e il volto sorridente.

Ma quest’angelo era l’opposto. Aveva lunghi boccoli scuri che le incorniciavano il viso tondo e serioso, quasi preoccupato. La pelle abbronzata, quasi dorata, pareva di velluto. Solo gli occhi appartenevano al cielo. Al cielo di luglio.

La donna era Marianna.

 

Marianna…

Marianna

Marianna.

Un’eco sempre più lontano.

 

* * *

 

Marianna quasi si slogò una caviglia sulla spiaggia acciottolata della radura. Sul sentiero aveva trovato delle piccole macchie scure che lo costellavano. E non erano petali di papaveri.

 “Aiuto! Aiuto! L’ho trovato! È qui!” urlò, rialzandosi in fretta.

Buttò la lanterna da qualche parte. Non registrò nemmeno la possibilità che si spegnesse, o altro. Si gettò sul corpo enorme di Pietro, accasciato al suolo e inerte come una bambola.

“Pietro… Pietro, amore mio, coraggio… coraggio…”

“Marianna…”

Fu un sussurrò debolissimo, roco, profondo. Lei quasi pianse di gioia. Era vivo.

Ferito, anche se non sapeva dove né come, ma vivo.

Gli carezzò con dolcezza le braccia, poi la guancia, l’odore persistente e metallico del sangue che le rivoltava lo stomaco. Si perse nella sua figura, constatando che era calda, viva e pulsante. C’era speranza. “Coraggio, anima mia. Resisti…”

Pietro le sentì. Due parole che risuonarono nell’aria, due parole che non avrebbe mai creduto di poter sentire.

Ti amo.

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Capitolo un po' breve, ma (spero) intenso. Non so, ricordo che avevo l'ansia mentre lo scrivevo! 

Mi rendo sempre più conto che la trama di questa storia non è poi così elaborata, ma, visto che era questa la trama originale, non me la sono sentita di cambiarla o aggiungere altro. Mi sembrava di allungare il brodo. Il prossimo dovrebbe essere l'ultimo, non so ancora se tenere l'epilogo attaccato.

Grazie mille come sempre a chi è rimasto con me fino alla fine.

A lunedì! :)

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Capitolo 18
*** 18. ***


Come il cielo di luglio 

18.

E tutto si chiuse, sotto il cielo di luglio.

 

Pietro non realizzava del tutto dove fosse. Sentiva intorno a sé voci, sussurri, tocchi.

Strano, credeva di essere morto. Sarebbe stata una morte dignitosa, tra le braccia di Marianna, con l’illusione che lei gli avesse confessato il suo amore.

Ma era vivo, eccome, perché Pietro mugugnava di dolore quando lo toccavano. Urlava nel dormiveglia finché non ebbe più le forze nemmeno per fare quello.

Era un’alternanza di: “Ha perso molto sangue” e “Ave Maria, gratia plena” e “Voscenza come sta oggi?” e “Avanti, amore, avanti, io sono qui… prego per te…”. Ecco, quest’ultima voce, dolce e carezzevole, era quella che preferiva. Marianna lo tranquillizzava, gli dava la certezza di non essere finito all’Inferno. Un angelo come lei non poteva esistere in un luogo oscuro e brutale come quello.

Così ogni tanto riapriva gli occhi, sfavillava, ma non riusciva a mettere a fuoco niente… per poi ripiombare nel sonno, disturbato dalle mani che gli cambiavano le bende e dalle continue pressioni sul viso. A volte gli sembrava anche di percepire qualcosa di più morbido e caldo sulla fronte o sulle guance invece della pezza bagnata. Che fossero labbra?

Quel naufragare dolce nelle soglie della coscienza si interruppe dopo tre giorni.

Aprì gli occhi e non vide il volto di Marianna, ma la sua cascata di capelli neri sul fianco del letto. Stava dormendo, la testa sopra le braccia incrociate sul fianco del letto.

Pietro provò a parlare, ma non ci riuscì subito. Aveva la gola riarsa. Intontito, mosse lentamente la mano e colpì il braccio di sua moglie, che si limitò a mugugnare nel sonno.

“Ma… Marianù?”

“Mmm…”. Così come aveva esternato il suo lamento, Marianna sollevò la testa di scatto, gli occhi azzurri e bellissimi spalancati. Che si riempirono quasi subito di lacrime.

“Pietro… oh, Maria Vergine, grazie al cielo!”

Non fece nemmeno in tempo a sorridere, che gli gettò le braccia al collo. Se lo strinse al seno, ridendo e piangendo contemporaneamente, farfugliando. “Sapevo che eri forte, amore mio, lo sapevo…”

Gli scoccò un bacio a fior di labbra, felice di poter finalmente ammirare i suoi occhi grandi e ambrati, lucidi e vivi.

“Voscenza…?”. Clementina Pagliarini fece la sua comparsa nella stanza, leggermente timorosa. “Oh, Dio, si è svegliato! Grazie!” esclamò, non appena scorse la testa di Pietro sul petto di Marianna.

Lui sorrise debolmente, come per confermare.

“Vado ad avvertire tutti, Voscenza!”. Così come era venuta, Clementina scomparve.

Marianna, che non si era nemmeno voltata, continuava a carezzargli quieta la testa, le dita scorrevano tra i capelli scuri con dovizia. Non stava più piangendo. “Hai dormito tre giorni, Pietro”

Lui si limitò a sbarrare gli occhi, incredulo.

“Hai sete?”

Annuì e Marianna provvide immediatamente.

L’acqua pareva un balsamo per la sua gola secca; Pietro ingoiava e mutamente ringraziava tutto il bene che c’era su quella terra.

“Bevi con calma… con calma”

Pietro beveva e guardava Marianna. Non sembrava nemmeno lei. Aveva delle enormi occhiaie sotto gli occhi, i capelli spenti e sfatti. Non l’aveva mai vista così quieta e composta.

“Marianna…”

“Sono così felice di vederti, Pietro. Temevo di... perderti. Ma dentro di me, sapevo che non saresti morto”

“Oh, Marianù…”

Marianna gli posò velocemente la mano sulla bocca, scuotendo la testa. “Shh. Abbiamo tutto il tempo”

Per parlare, dovette scostarle il palmo. “Però sei qui. Grazie”

Marianna sorrise, carezzandogli il mento. “Certo. E non ti lascerò più”

 

* * *

 

Molto probabilmente, gli sarebbe rimasta una bella cicatrice. Poco sopra l’ombelico, si ergeva la fascia di carne cucita.

Pietro era stato abituato a ferite ben più grosse, perciò poco importava.

Il coltello di Lattuca gli aveva colpito la parte bassa dello stomaco, ma, per fortuna, non troppo in profondità. In compenso aveva perso molto sangue. Se Marianna lo avesse trovato anche solo un’ora più tardi, sarebbe morto dissanguato.

Appena rimaneva solo in camera (evento abbastanza raro in verità), si alzava la camicia da notte per fissarla. Aveva sparato a un uomo, un suo sottoposto. Rischiando di ammazzarlo. Togliere una vita. Dovrebbe essere abituato, no? Dopotutto lui era un vile patricida.

Il fatto che non ne fosse minimamente turbato, però, lo preoccupava non poco. Ma intanto sapeva che Lattuca avrebbe cominciato a perseguitarlo nei suoi sogni.

Non appena fu in grado di formulare più di due frasi, Pietro chiese immediatamente di lui. Marianna, non senza un certo fremito nella voce, gli disse che era sopravvissuto.

Lattuca era stato allontanato immediatamente da Santoro appena si fu ripreso. Fu un bene, in realtà, altrimenti avrebbe ricevuto il benservito dagli abitanti del villaggio, piuttosto che dal padrone. Aveva trovato ospitalità da un qualche parente a Palermo, un zio benestante, che non si capacitava della severità di quel signorotto da quattro soldi di Pietro Trasi di Ripamonti. Cacciare il nipote per aver scopato con una fimmina da campo non era un crimine poi così grave. Non ne fece una questione drammatica perché, se quel pazzo aveva addirittura sparato al suo povero nipote, presumibilmente con quella ci aveva una tresca. Lattuca, dal canto suo, non accennò mai più al fatto né con lo zio né con altri, tantomeno ne parlò nei salotti palermitani. Tutto per dimenticare quell’umiliazione.

 

* * *

 

Marianna non abbandonò Pietro un solo istante da quando si era risvegliato. Non aveva intenzione di parlare dell’accaduto finché non si fosse ripreso pienamente, per cui ci volle un’intera settimana. Pietro ogni tanto cercava di intavolare il discorso, l’eco di quel “ti amo” in testa; la chiamava, la accarezzava, ma Marianna era irremovibile. Gli stava semplicemente accanto, aiutandolo a mangiare, a bere e a camminare. Faceva ancora caldo, perciò, nel pomeriggio o alla sera, passeggiavano insieme per i campi o per l’ampio giardino di villa Ripamonti. Parlavano del più e del meno, della bellezza del mare, del colore del grano, della felicità nel stare insieme… non accennarono mai agli avvenimenti precedenti la fuga di Marianna.

Marianna dormiva con lui e, spenta la candela, lo accarezzava tutto evitando accuratamente la pelle tesa dello stomaco. Gli baciava le guance ispide, il naso diritto e poi le labbra carnose. In quelle si perdeva. Pietro ricambiava con trasporto, per quanto potesse. Le mormorava ogni notte quanto le fosse mancata, quanto la adorava… Marianna ascoltava e baciava, leniva e curava quell’anima spezzata, consapevole che l’affetto che Pietro provava per lei aveva lo stesso effetto.

E Pietro le mancava. Tanto. Troppo.

Baciarlo non era abbastanza. E nemmeno toccarlo lo era. Voleva tanto che lui fosse suo quanto lo fosse lei.

Marianna pensava al mare di Santoro. A quando si sedeva sulla spiaggia a pensare ininterrottamente a tutto e a niente. Pietro era come il mare che tanto amava. Si perdeva nel suo corpo nella penombra, nel suo calore, nei suoi bellissimi occhi ambrati e pensava alla vita. A quanto tutto fosse cambiato. A quanto fosse felice, nonostante tutto. Solo che, in quella settimana, non voleva pensare. C’erano troppe cose da chiarire. Ma avevano tutto il tempo del mondo.

Era come se il loro idillio non si fosse mai spezzato. Solo un’ombra gravava negli occhi di entrambi: il bruciore dell’abbandono in Pietro e la violenza di Tiziana in Marianna.

Quella settimana servì per sgravarli e andare avanti. Insieme.

 

* * *

 

Era un martedì mattino. Il sole alto nel cielo abbagliava tutti i contadini che avevano ripreso a lavorare. Come se in quella brutta notte non fosse successo nulla. O quasi.

Nonostante l’apparente imperturbabilità, la gente di Santoro lavorava nel rispetto della signora Ripamonti. Il padrone avrebbe dovuto fare ben altro per ottenere il loro rispetto.

Marianna contemplava meravigliata la vista del mare dalla sua stanza, sul balcone su cui lei e Lucia fantasticavano di andarci. Chiuse gli occhi, inspirando lentamente l’odore di sale. Sembrava una vita fa. Lì, nello stesso posto, a contemplare il mare e a riflettere sulla sua nuova vita matrimoniale.

Mamma, grazie. Allora non era vero che non mi guardavi.

“Ti piace?”. La voce profonda di Pietro la fece sobbalzare.

“Pietro! Non devi alzarti da solo, potresti farti male!”

Lui sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Non sono un bambino, Marianù. Sto più che bene adesso”

“Come no. U’ picciriddu testardo sei” sbuffò, affiancandosi a lui.

Pietro le cinse un fianco con il braccio, lo sguardo ambrato rivolto al mare azzurro. “Io amo Santoro. Ho imparato ad affezionarmi a questa terra. È così diversa da Palermo…”. Tacque, un sospiro incagliato nel petto.

Marianna gli sfregò la mano sulla schiena, l’altra appoggiata al parapetto. Era così bello stringersi a lui in modo intimo. Era grande, caldo, imponente ma non soffocante. Non più. Da tanto ormai.

Era giunta l’ora. “Ti devo chiedere scusa”

Pietro restò in silenzio. Un gabbiano stridette in lontananza, come per colmarlo.

“Perdonami, Pietro. Per essermene andata così. Per non averti creduto…”

“Non c’è nulla da perdonare”

Marianna si staccò, ponendosi di fronte a lui con ardore. “Sì, invece! Come al solito non ho pensato prima di agire. Sapevo che non eri stato tu, sarebbe stato impossibile… ma non ho pensato altri che a me, allo sposalizio, a Tiziana… ho calpestato quello che provavo e provo tuttora per te. Io…”. Si interruppe. La voce le veniva meno ma doveva dirlo. Dirlo. Su quel balcone, davanti al mare, sotto il cielo da cui Lucia la assisteva. “Ti amo, Pietro. La mia promessa è stata mantenuta, no?”

Osservò ogni minima reazione di Pietro. Lui strabuzzò gli occhi, quasi incredulo, per poi tornare impassibile. Era commosso, dal profondo dell’animo. “Marianna…”

“Ti avevo fatto una promessa, Pietro. Che ti avrei amato, prima o poi. Perché te lo meriti. Perché hai bisogno di me”

Non fece nemmeno in tempo a formulare altro: Pietro colmò la distanza minima tra loro per avvolgerla tra le sue lunghe braccia e baciarla. Con una passione e una dolcezza che diceva tutto, più delle parole con cui avrebbe potuto risponderle. Dimenticò di dover respirare, dell’aria salina; percepiva solo Pietro, il suo odore, le sue labbra, nient’altro. Si chiese se fosse normale. Ma poteva essere. Lo amava, dopotutto. Chissà se un giorno si sarebbe abituata a ciò.

Pietro si staccò, ma collimò le loro fronti in una sola. “Mi hai salvato la vita. Se non fosse stato per te, non sarei qui. Una vita non basterebbe per ringraziarti” sussurrò, le mani grandi sul collo e la guancia destra.

“Sì, invece… ricordi il mio giuramento? Una condizione c’era: amandomi anche tu”

“Come se non lo facessi già.”

Il cuore di Marianna smise di battere. “Allora dimmelo”

Il sorriso di Pietro si allargò sul bel volto. “Ti amo”

 

* * *

 

Dopo due anni di matrimonio, Marianna diede alla luce la piccola Maria Laura.

La scelta del nome non fu facile. Durante la gravidanza, ci furono abbastanza discussioni al riguardo.

“Faremo tanti figli, Marianù” esordì lui una sera, a letto, appena dopo aver fatto l’amore.

“Tanto sono io che devo partorirli, no?” borbottò lei, dandogli un calcetto.

“Se è maschio, Paolo mi piace. O come il padre tuo possiamo chiamarlo” continuò lui, ricambiando per tutta risposta con un buffetto sul sedere. “Se è femmina, almeno una si deve chiamare Lucia”

Marianna non fu affatto d’accordo. “No, mia figlia deve vivere nella sua vita. Non nell’ombra della morte”

“Non ha alcun senso quello che dici, Marianù” sbottò lui.

“Mia madre era mia madre. Mia figlia sarà mia figlia. Così è”

Tuttavia, optarono, in caso di una femmina, per Maria Laura, in onore della defunta zia. Inutile aggiungere che Marianna, per difendere il suo ragionamento, volle aggiungere il nome Maria.

Fu battezzata nella chiesa di Santoro, così come i suoi tre fratellini gli anni dopo di lei.

Nonostante l’alterco tra suocero e genero, la nascita della bambina colmò quella distanza. L’ostilità di Michele Bruno, se non scomparsa, si alleviò di molto. Almeno tre sere a settimana passava a fare visita alla figlia a villa Ripamonti, ricambiato altrettante volte da lei. Quando fu sicuro di essere in grado di tollerare la vista di Pietro, lo invitò nella sua umile dimora con un piccolo brontolio.

Inizialmente non nacque un’amicizia, ma una grande intesa sì. Il loro comune denominatore era il bene di Marianna e della bambina, questo bastava e avanzava.

Ci vollero anni perché Michele accettasse pienamente Pietro, che lo conquistò solo quando iniziò a elaborare una strategia di massimo sfruttamento del latifondo, nel rispetto dei diritti dei contadini di Santoro. E soprattutto quando chiamarono il secondogenito Michele.

Anche Tiziana si sposò. Dimenticare la violenza non fu facile e probabilmente non ci riuscì mai, ma grazie al cielo a una festa incontrò un giovanotto, Antonio, che si innamorò di lei a prima vista. Cedette dopo qualche mese e, dopo qualche tempo, rimase incinta del piccolo Giovanni.

Pinuzza non riuscì mai a perdonare Marianna per quello che considerava un tradimento. Non le parlava più da quel giorno, da quando Marianna aveva ammesso di amare Pietro ed era scappata per l’ennesima volta. Nemmeno la dimostrazione del vero colpevole riuscì ad allietarle l’animo.

Marianna soffriva molto per questo. Aveva amato, e amava comunque, Pinuzza come una seconda madre, ma dovette accettare la situazione. Tentò più volte di parlarle, anche tramite Tiziana e Calogero (che, a differenza della consorte, mise da parte i rancori e accettò pienamente Marianna e il padrone Ripamonti come suo marito), ma fu inutile.

Pietro al riguardo cercava di consolare sua moglie come poté, si consultò addirittura con il suocero.

“Pinuzza è come un mulo, Pietrù. Quel che è stato, è stato” fu la sentenza enigmatica di Michele Bruno, con la piccola Maria Laura tra le braccia.

La questione Pinuzza dopo un po’ di anni fu accantonata, tra la sofferenza di Marianna e del resto della famiglia Sabbati, ma non persero mai le speranza.

A parte questo, Marianna era felice come non mai. Certo, la vita matrimoniale non era sempre  rose e fiori, ma aveva una famiglia meravigliosa e ne fu orgogliosa.

Ancora prima che Marianna rimanesse incinta, Pietro la portò nella sua vecchia residenza a Palermo, luogo che divenne per loro un rifugio d’amore in certe occasioni. Marianna non volle mai frequentare i salotti dell’alta società; sapeva già che quegli altezzosi non avrebbero mai accettato una contadina come lei. Non che le importasse. Non era mai stata al di fuori di Santoro e visitare quella città splendida e piena di colori, suoni e odori così diversi dal suo tranquillo villaggio era una splendida scoperta.

Ed era in quella città che a volte si lasciavano alle spalle chi erano e che cosa fossero, si abbandonavano l’uno all’altro con amore e pazienza.

Marianna più guardava Pietro, più lo conosceva e se ne innamorava. Era bello. Era sempre bello, dentro e fuori.

Pietro la ricambiava con tutta l’anima, in modo sempre appassionato e rassicurante.

Non fu sempre facile, ma, nel complesso, andarono avanti, più forti di prima.

L’amore non poteva fare tutto, ma la maggior parte delle cose, sì.

 

* * *

 

“Quando hai capito di amarmi?”

“Chi lo sa. Forse quando stavo per morire. Oppure quando abbiamo fatto l’amore in quel campo di papaveri. O forse quando ti ho visto ballare alla festa di paese”

“In effetti, non è stato immediato…”

“Non ci crederai, ma quella volta… sì, quella notte, quando ero là a terra, sentivo che stavo per andarmene. E ho visto un angelo. Identico a te”

“Probabilmente deliravi, Pietro. Avevi perso molto sangue. Forse hai visto me, quando ti ho soccorso…”

“Può darsi…”

Le diede un bacio, sotto la luce lunare di Palermo.

“Grazie, Marianna”

“E di che?”

“Per avermi riportato alla vita”

 

* * *

 

Marianna, seduta sulla spiaggia, guardò la barca in lontananza, ammirando le leggere increspature dell’acqua al suo passaggio. Sorrise appena, godendosi la lieve brezza che le passava tra i capelli.

“Ah, eccoti qui”

Marianna non si voltò quando Pietro si sedette al suo fianco, per poi avvolgerla in un abbraccio. Si appoggiò alla sua spalla, gli occhi chiusi. Avvertì una leggera pressione sulle labbra e sorrise in quel bacio dolce e accennato. 

“Come sta il mio bambino?” chiese Pietro, la mano sul pancino ancora acerbo della moglie.

Marianna sbuffò. “Il nostro bambino, vorrai dire”

Lui ridacchiò. “Dettagli. Dove sono i bambini?”

“Dal nonno. Anzi, Laura sarà da Tiziana a giocare con Giovanni. Paolo l’ho lasciato con Clementina”. Paolo, il terzogenito, aveva appena un anno ed era un piccolo terremoto come sua madre. Michele ormai si considerava troppo vecchio per badare a tutti e tre i nipotini contemporaneamente. Marianna aveva approfittato dell’efficienza da nonno di suo padre per sgaiattolare sulla spiaggia, come ai vecchi tempi.

Si sporse a baciargli una spalla, assaporando la sua pelle lievemente sudata.

“Marianna, vengo dai campi. Sono tutto sudato”

 Lei si strinse nelle spalle. “Anche io. Fa caldo, no?”

“Sì, molto”. Anche Pietro chiuse anche gli occhi, la testa su quella ricciuta di Marianna. “Si sta così bene, qui…”

“Mi mancava starci. Così sono venuta. È bello che anche tu sia qui” mormorò. Le iridi azzurre erano così belle, cercavano con così tanto amore quelle ambrate di Pietro, che lui non resistette a baciarla.

Un bacio lieve, discreto, che avrebbe voluto sfociare in qualcosa di più. A malincuore, Pietro si dovette staccare. “Dopo, Marianù, qui può passare qualcuno”

Lei sospirò, la mano leggermente callosa dal suo passato nei campi sulla sua guancia. “Sei tanto bello, Pietro”

“Come siamo dolci, oggi”

“È solo la verità”

Le baciò la punta del naso. “Tu di più”

Con la coda dell’occhio, Marianna scorse qualcuno. Aguzzò la vista allo sventolio di una mano. I due coniugi si staccarono velocemente, Pietro balzò addirittura in piedi.

Calogero stava appena rientrando nel porto del paese, le braccia ancora vigorose che smorzavano l’acqua con un remo. Il vecchio legò la barchetta con la robusta corda, per poi uscirvi con un agile salto.

Certe cose non cambiavano mai.

“Ciao, Calogero” salutò, allegra.

Il pescatore sorrise gentilmente. “Buonasera, Marianna. Voscenza

Pietro ricambiò con un sorriso e un cenno del capo.

“Che fanno, le Voscenze nostre?”

“Niente di che, guardavamo semplicemente il mare”

“Ah, il mare, eh… beh, oggi è una splendida giornata”. Dopo aver dato una lieve carezza sulla testa di Marianna, si trascinò stancamente per la via del paese.

Sotto lo sguardo di marito e moglie, Pietro e Marianna.

E poi tutto si chiuse, sotto il cielo di luglio.

 

Fine

 

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Potevo fare un epilogo migliore? Sì. Però dopo una prima stesura non mi sembrava tanto male, perciò l’ho lasciato così… spero siate dello stesso parere :) Gongolavo mentre mi immaginavo la loro vita futura.

Mi sento quasi depressa a mettere la parola “fine” a questa storia. Ci ho messo l’anima per scriverla. A distanza di parecchio tempo, mi rendo conto della sua semplicità e vaghezza storica, ma sono comunque molto soddisfatta del risultato. È stata dura, ma finalmente ce l’ho fatta! :)

Ultimo, ma non ultimo, i ringraziamenti. Grazie a tutti. A chi ha letto, commentato, messo tra seguite/preferite/ricordate, a chi è rimasto nonostante le lunghissime attese e a chi mi ha sempre spronato, soprattutto con bellissimi messaggi privati. Grazie per avermi seguita fino alla fine.

Grazie mille a tutti, alla prossima! :D

 

PS. Per chi fosse curioso, qualche mese dopo l’ultima scena, è nata la piccola Lucia Costanza. Sì, Marianna sotto le pressioni di Pietro ha ceduto per la scelta del nome. xD

 

 

 

 

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