Half

di Vanoystein
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -Il ragazzo apparentemente perfetto ***
Capitolo 2: *** -In principio ***
Capitolo 3: *** -Acquamarina ***
Capitolo 4: *** -Tutto quella notte ***
Capitolo 5: *** -Sangue nemico ***
Capitolo 6: *** -Affiorano tensioni ***
Capitolo 7: *** -L'amara verità ***
Capitolo 8: *** -Accettazione ***
Capitolo 9: *** -Segreti e bugie ***
Capitolo 10: *** -Nel rifugio ***
Capitolo 11: *** -Addio ***
Capitolo 12: *** -Salta, spingi, cadi ***
Capitolo 13: *** -Come si ferma una ragazza che esplode? ***
Capitolo 14: *** -L'arte dell'inganno ***
Capitolo 15: *** -Lascia che sanguini ***
Capitolo 16: *** -Il viale dei sogni ***
Capitolo 17: *** -Acque agitate ***
Capitolo 18: *** -Alec, apri gli occhi. ***
Capitolo 19: *** -Niente da nascondere ***
Capitolo 20: *** -Fiducia e sangue ***
Capitolo 21: *** -Crisi ***
Capitolo 22: *** -Verità svelate ***
Capitolo 23: *** -Homecoming ***
Capitolo 24: *** -Collisione ***
Capitolo 25: *** -Luce morente ***
Capitolo 26: *** -Tormenta ***
Capitolo 27: *** -Gira pagina ***
Capitolo 28: *** -Corri! ***
Capitolo 29: *** -Un prezzo da pagare ***
Capitolo 30: *** -Inatteso ***



Capitolo 1
*** -Il ragazzo apparentemente perfetto ***




L’immensa camera di Jill era piena di fiocchi, carte e regali ovunque.
Il suo ventesimo compleanno non era ancora arrivato, mancava qualche ora a mezzanotte ma già erano stati spediti regali da amici e da cugini lontani di cui nemmeno ricordava l’esistenza.
Si diede un’ultima guardata allo specchio prima di uscire dalla stanza.
Scese al piano inferiore prendendo la sua borsetta nera ed avviandosi verso la porta.
– Vinc, vado al Cyber. – Gridò dal soggiorno sperando che, in qualunque stanza fosse, il fratello l’avesse sentita.
– Ferma qui. – Il moro spuntò immediatamente dalla sala da pranzo di fianco, imputandosi dietro di lei incrociando le braccia.
A quell’ordine Jill si fermò subito, un secondo prima di aprire la porta e andarsene.
– Cosa vuoi? – Chiese acida senza nemmeno voltarsi verso di lui.
Vincent tirò subito fuori dalla tasca della felpa un piccolo pacchettino trasparente che buttò sul tavolo lì vicino.
– Hai ricominciato? Credevo avessi chiuso con questa roba due mesi fa. –
La sorella si girò facendo ricadere lo sguardo sul pacchetto di pasticche sul tavolino ma restò silenzio, senza sapere nemmeno come giustificarsi.
– Te le ha date di nuovo quello stronzo del tuo ragazzo, vero? – Domandò lui, quasi rimproverandola.
– Non dare dello stronzo a Julian, ok? Finiscila di starmi addosso! Non ho più 10 anni! –
- Questo comunque non ti da il diritto di andare in giro a drogarti! Ma ti rendi conto di come sei cambiata da quando frequenti lui e i suoi amichetti?! –
- Dio, Vinc! Resta fuori dalla mia vita! – Sbottò Jill, urlandogli praticamente in faccia per poi uscire velocemente di casa, sbattendo con forza la porta.


Uscì di casa per dirigersi al Cyber, lasciandosi alle spalle la litigata che riteneva senza la minima importanza con il fratello.
in una decina di minuti arrivò fuori dal locale, come sempre affollato.
Entrò, richiamando subito l’attenzione dell’amica, appoggiata al muro vicino all’ingresso.
– Wow. – Sorrise Dakota raggiungendo Jill. – Sei fantastica! –

Dakota era da lei considerata la sua migliore amica e la più spensierata del gruppo. Spesso se ne stava sulle sue, immersa nei suoi pensieri, in silenzio.
Era da sempre la mano destra di Jill e per tutti solo ‘’la rossa’’.
I suoi capelli rossi le facevano risaltare quei magnifici ed enormi occhi nocciola, insieme alle piccole ma tante lentiggini che le contornavano il viso.
Di bassa statura e leggermente in carne, un viso rotondo che però la faceva sembrare di qualche anno più piccola; si poteva però anche considerare tutto l’opposto di Jill.
Infatti il suo viso angelico che poteva farla sembrare innocente e affettuosa nascondeva in realtà un lato di sè molto forte e impulsivo.
Poteva apparire dal carattere arrogante, aggressivo, impertinente nonchè molto fredda ed acida.
All'esterno si mostrava anche spesso superficiale ed egoista, quando in realtà era molto intelligente e astuta.
Sarcastica e riservata,nascondeva un lato sensuale molto provocante.
Non era di certo una persona con cui si faceva amicizia facilmente ed era piuttosto difficile da capire.
Capelli mori, lunghi e ondulati che tendeva a tenere spesso sciolti. Fisico molto snello, di altezza moderata.
Bellissimi e grandi occhi azzurri, che, a chiunque ricordavano il ghiaccio.
Le labbra delineate, piene e rosse che contrastavano perfettamente con la pelle pallida e delicata.

- Julian non è ancora arrivato? – Domandò Jill guardandosi attorno, l’amica mugugnò scuotendo la testa.
– Ti va se ci prendiamo un drink mentre aspettiamo? – Jill annuì avvicinandosi al bancone del bar.
Ordinò una Tequila, mentre Dakota si limitò ad una birra.
Odiava tutti gli alcolici, l’unica cosa che si concedeva di bere era un po’ di birra ogni tanto.
Jill osservò le altre persone al bancone, quando la sua attenzione fu attirata da un ragazzo sui 24 anni poco lontano da lei.
Era evidentemente da solo, alto e magro.
Jill riusciva a vedere chiaramente i muscoli scolpiti sotto la sua maglietta nera.
Guardò il viso del ragazzo quasi incantata, osservò i suoi occhi azzurri, azzurri come il mare più puro, azzurri come il cristallo più lucido, azzurri come il cielo.
Qualche secondo dopo notò lo sguardo del ragazzo che poco prima stava fissando quasi pensieroso il bicchiere vuoto che teneva in mano, spostarsi su di lei.
In un primo momento Jill distolse lo sguardo da lui ma poi, quasi presa dalla curiosità ricominciò a guardarlo, sostenendo il suo sguardo.
Si soffermò anche sui particolari di quel viso che considerava già così perfetto; osservò i suoi capelli castano scuro e quell’accenno di barba quasi invisibile che aveva sul mento e sulle guancie.
A riportarla alla realtà strappandola dai suoi pensieri fu Dakota.
– Ehi. – Disse la rossa schioccandole le dita davanti al viso,richiamando la sua attenzione.
– Cosa? – Chiese Jill come se niente fosse guardando l’amica.
– Che cavolo stai guardando? – Dakota guardò nella stessa direzione in cui poco prima Jill si era concentrata.
– Ah, capisco. – Sorrise appena vide il ragazzo che stava ordinando un bicchiere di Bourbon. – Si chiama Alec. – Continuò soddisfatta.
– Lo conosci?! – Domandò Jill, sorpresa.
Dakota le sorrise annuendo, per poi girare lo sguardo verso il ragazzo che già le stava guardando e che indicò alla rossa l'orologio appeso alla parete del bancone.
Le labbra di quest'ultimo si aprirono, mimandole una sola frase.
''Stanno già arrivando.''

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Capitolo 2
*** -In principio ***




Jill continuò a fissare il suo orologio che ormai segnava la mezzanotte. Il ticchettio delle lancette risuonava nell’auto, dominata da un profondo silenzio.
La mora girò lo sguardo verso la madre, che restò ancora in silenzio, concentrata a guardare la strada davanti a sé. Rigirò lo sguardo verso il finestrino, poggiandoci la testa.
– Domani sera vado a dormire a casa di Dakota. – Esordì la ragazza con voce calma rompendo il silenzio. Non si aspettava nessuna risposta dalla madre, sapeva benissimo che era arrabbiata e che quindi non avrebbe neanche avuto voglia di ribattere o di opporsi.
La litigata che le due avevano avuto poco prima era la medesima di tutte le altre volte e anche quella per cui spesso, quasi tutti gli adolescenti si trovano in conflitto con i genitori.
Non avere il permesso per un’uscita a cui partecipano tutti gli amici per Jill era una vera e propria catastrofe. Lo era sempre stato.

-  No che non ci andrai. – Jill girò di scatto lo sguardo verso di lei, quasi sorpresa di aver avuto una risposta da parte sua.
-  Cosa?!-
-  Non ci andrai. Punto- La madre di Jill posò lo sguardo su di lei, quasi fulminandola.
-  Uno sguardo carico di nervosismo e rabbia che fermò qualsiasi altro tipo di protesta da parte della figlia.
Jill tornò a guardare la strada qualche secondo  dopo, non ebbè nemmeno il tempo di gridare che si trovò subito ferma, immobile, con la cintura che le stringeva sul petto.
La macchina si era letteralmente capottata, i vetri si erano rotti in mille pezzi, vedeva sangue ovunque, lei sanguinava, sua madre aveva perso i sensi.
– Mamma. – Sussurrò piano, con un fil di voce cercando di muoversi, o almeno si riuscire a slacciare quella maledetta cintura che la teneva inchiodata al sedile.
Jill si guardò attorno, non sapeva minimamente cosa fare o cosa pensare in quel momento.
Era successo tutto troppo velocemente per lei. Era solamente riuscita a vedere un uomo apparire dal nulla e piantarsi in mezzo alla strada, poi il rumore di un freno ed infine il nulla.

Prese un grande respiro prima di tirar fuori tutta la voce che aveva in corpo. – Aiuto! Qualcuno ci aiuti! – Urlò.
Si fermò quasi subito quando sentì  chiaramente dei passi avvicinarsi all’auto. Restò zitta vedendo un paio di scarpe maschili arrivare al finestrino vicino a lei.
Incominciò a sentire dei respiri piuttosto affannati, mentre vide le gambe dell'uomo cominciare a piegarsi.
Qualche secondo dopo quest'ultimo si mise in ginocchio, Jill piegò leggermente la testa di lato ed improvvisamente vide un volto apparire davanti al finestrino.
A farla sussultare furono quegli enormi occhi rossi che si presentarono davanti a lei.
Non erano umani.
Niente sembrava essere più importante di ciò che la spaventava in quell'istante, non esisteva nient'altro.
Istintivamente Jill urlò, urlò a squarciagola terrorizzata.
Aspettava solo che tutto quell'incubo finisse, non capiva come era potuta accadere a lei una cosa del genere, come aveva fatto a mettersi in una situazione del genere.
Sul viso dell'uomo dagli occhi rossi davanti a lei si aprì un ghigno terrificante, che le provoco un brivido lungo tutta la schiena.
Improvvisamente però, Jill iniziò a socchiudere gli occhi, anche lei stava iniziando a perdere i sensi.  Prima di svenire riuscì solamente a vedere che la figura scomparve, nel buio.

3 MESI DOPO…
-  Ehi Jill, passami una sigaretta. – Julian buttò lo sguardo sul pacchetto di Marbolo che la mora teneva stretto in mano.
Il biondo si tolse gli occhiali da sole mettendoseli in tasca, mostrando finalmente i suoi enormi e bellissimi occhi grigi. 
Julian si poteva definire il ragazzo perfetto. Ricercato dalle ragazze, magro, alto, biondo e con degli occhi incantatori.
Occhi che avevano stregato anche la diciannovenne Jill che in poco tempo era riuscito a far diventare sua.
Non si poteva certo dire che lui avesse avuto una buona influenza su di lui, infatti l’aveva portata sulla cattiva strada. Fumo, Alcol, Droga.
Suo fratello maggiore Vincent le ripeteva ogni giorno di lasciarlo stare e di allontanarsi da lui, cosa che Jill non tollerava più.
L’unica cosa di cui il fratello aveva paura era di perdere anche lei, dopo la madre che morì nell’incidente d’auto di tre mesi prima.

– E’ la sesta in venti minuti. – Ridacchiò divertenta buttandogliene una. Il biondo osservò Jill accendendosi la sigaretta per poi buttare l’accendino ormai scarico per terra.
– Allora, domani sera si va al Cyber. – Disse avvicinandosi a lei.
– Dio, quanto mi fa pena quel locale. – Sbuffò lei.
– Fino a tre settimane fa lo adoravi. – Julian si impuntò davanti a lei soffiandogli tutto il fumo della sigaretta sul viso.
– Uhm, prima che a Cory mettessero tutta quella droga nel suo cocktail. Ancora un po’ e ci lasciava la pelle. – Ribattè Jill togliendogli la sigaretta dalla bocca buttandola sull’asfalto.
– Ti chiamo dopo. – Bisbigliò sulle labbra di lui lasciandogli in mano il pacchetto di sigarette per poi fare un passo indietro ed avviarsi verso casa.
 

Ciao a tutti;D Mi chiamo Giulia, spero di avervi almeno incuriosito un pò con questo ''prologo''. Spero anche che qualcuno recensisca, visto che ho sempre visualizzazioni ma non recensioni çç Al prossimo capitolo.

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Capitolo 3
*** -Acquamarina ***




– Lo conosco bene. Che dovrei fare? Presentartelo?- Ridacchiò divertita spostando nuovamente lo sguardo su Jill – Allora vieni. –
Senza nemmeno darle all’amica il tempo di rispondere si avvicinò velocemente al moro, facendo segno a Jill di seguirla.
Jill scattò, infatti seguì subito l’amica che la portò dal ragazzo.
– Alec. – Dakota sorrise affiancandolo. Jill invece restò un passo indietro, alle spalle dell’amica.
– Ehi. – Rispose ricambiando il sorriso della rossa, per poi far ricadere lo sguardo su Jill sorridendo. – Oh, lei è Jill. Una mia amica. – Disse Dakota voltandosi verso di lei.
– Piacere, Jill. – Anche Alec si voltò verso di lei, la osservò in silenzio per poco. – Sei Jill la sorella di Vincent Baker? -
- Sì, proprio io. Conosci anche mio fratello? …Non mi ha mai parlato di nessun ‘Alec’.-
- Beh, sì, ci conosciamo da poco. –
A quella risposta la mora annuì poco convinta, Dakota poi, tirò fuori dalla borsetta una collana il che attirò l'attenzione di Jill.
– La collana che avevi perso. – Disse la rossa mettendola in mano ad Alec.
Jill posò subito lo sguardo su di essa, una graziosa collanina d’argento.
Era piuttosto particolare, di certo non una collana che si trova tutti i giorni in qualsiasi negozio.
C’erano sei piccole pietre azzurre, chiaramente pietra Acquamarina che, oltretutto, Jill adorava sostenute da una catenina argentata.
– Ti piace? – Le chiese Alec, notando che la stava osservando con particolare interesse.
– E’ molto carina, sì. –
- Era di mia madre. – Sorrise lui imputandosi dietro a Jill. – Vediamo come ti sta? – Chiese spostandole i capelli mori di lato e scoprendole il collo.
Lei non si oppose, si tenne tra le mani i capelli mentre Alec le allacciò la catenina.
– Allora? – Chiese guardando l’amica.
– Ti sta bene, inoltre si abbina al vestito. – Rispose.
Alec si spostò di nuovo davanti a lei, osservandola con attenzione. – E’ tua. –
- Cosa? No, no. – Rispose subito, cercando di slacciare la catenina.
– Davvero, te la regalo. – Dakota guardò l’amica inarcando le sopracciglia e abbassando lo sguardo.
Già stava pensando a come l’avrebbe presa Julian se lo fosse venuto a sapere.
– Beh, allora adesso vi lascio. Meglio che me ne torni a casa. Ci si vede. – Concluse il ragazzo per poi andarsene via, piuttosto velocemente, senza nemmeno dare alle due il tempo di rispondere.
– Ringrazia che Julian non si è fatto vedere. – Sbuffò scocciata Dakota alzando gli occhi al cielo.

Mancavano solamente pochi minuti a mezzanotte, al ventesimo compleanno di Jill.
Lei e i suoi amici stavano bevendo alcolici da almeno un’ora, erano già praticamente tutti ubriachi tranne Dakota, che non si era nemmeno avvicinata ad un cocktail ed era completamente sobria e Jill, che aveva cercato di rimanere sobria il più possibile.
- Vado un attimo al bagno. – Jill scattò in piedi dalla sedia appena avvertì uno strano e forte dolore al petto.
Si diresse velocemente verso il bagno delle donne che, fortunatamente era vuoto.
Poggiò le mani sul lavandino abbassando la testa quando un’altra ed improvvisa fitta la colpì al petto.
Cominciò a sudare freddo, aprì immediatamente il rubinetto buttandosi dell’acqua gelata sul viso.
Alzò lo sguardo verso lo specchio quando notò le pietre della collana cambiare pian piano colore.
Persero quella loro sfumatura azzurra diventando rosse, le osservò corrugando la fronte ma subito dopo sentì un’altra fitta, sempre più forte della prima, come se qualcuno la stesse pugnalando.

Strinse i denti, quando le pietre divennero rosse accese e si spaccarono in mille pezzi, da sole.
Subito dopo,la fitta non arrivò più, sentì forte un dolore invaderle il petto.
Si tolse velocemente la collana buttandola a terra, e spaccandola definitivamente.
Notò subito il palmo della mano destra sporco di sangue, quando alzò lo sguardo sullo specchio vide che esattamente dove era posata la pietra della collana sulla sua pelle si era aperto un taglio che perdeva sangue.
A quel punto non capì più niente, non potè fare a meno di urlare terrorizzata e confusa.
A quel punto Jill uscì subito dal bagno correndo fuori dal locale mentre gli amici la seguirono con lo sguardo, senza però capire cosa le stesse succedendo.


I battiti del cuore cominciavano a farsi sempre più forti, più veloci, tanto da far male.
Lo stomaco sembrava contorcersi, il sudore cominciava a scendere lentamente sulla pelle e il mondo cominciava a girare.
La gola secca, la lingua immobile, le labbra serrate..i pensieri che si sovrapponevano.
Panico.

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Capitolo 4
*** -Tutto quella notte ***




Jill continuò a correre, sempre più forte, quando qualcuno la prese per i fianchi da dietro mettendole una mano sopra la bocca.
Appena ci fu quel contatto i due avvertirono una piccola scossa lungo tutto il corpo ma non ci fecero troppo caso in quel momento, soprattutto Jill che cominciò immediatamente a scalciare e a dimenarsi, quando sentì una voce piuttosto familiare.
– Diamine finiscila. Sono io. – A quelle parole Jill cominciò subito a calmarsi, tirando un sospiro di sollievo, riconoscendo immediatamente quella voce.
Alec.
Il moro però non la lasciò andare, la tenne stretta a sé, girando il viso verso l’entrata del locale dove vide Dakota annuirgli facendo segno di andare via.
A quella sua conferma trascinò velocemente Jill in un vicolo buio poco lontano.

Tutto si faceva buio troppo velocemente, quasi subito si ritrovarono nella semi-totale oscurità percorrendo quella stradina che si faceva sempre più lunga e stretta.
I battiti del cuore di Jill aumentavano ogni secondo mentre un urlo lacerante squarciò il silenzio.

Lei si irrigidì di colpo nel sentire quell’urlo pieno di dolore e paura, che le risuonava nella testa.
Alec invece continuò a camminare, sempre più velocemente, senza farci troppo caso; quando si assicurò che nessuno li stesse seguendo e che fossero abbastanza lontani dal locale si fermò bloccando però la mora contro al muro, tenendola inchiodata ad esso per un polso.
– Zitta. – Alec riuscì subito a vedere la paura e la confusione negli occhi azzurri di lei che restò ferma immobile e in silenzio a quel suo comando.
Improvvisamente Jill sentì un’altro grido lacerante che la fece subito sussultare e poi tutto cadde di nuovo nel silenzio.
– Che cavolo sta succedendo?! – Jill fece una piccola frase prima di continuare. – ...Lasciami andare! -
- Stai zitta ho detto. – Ringhiò Alec fulminadola con lo sguardo stringendo la presa sul suo polso. – Ti conviene stare buona finchè non avremo risolto questo casino. -
- Ma di che cosa stai parlando? Ti dispiacerebbe spiegarmi che cosa sta succedendo? – Chiese lei facendo scivolare piano la mano lungo il vestito blu, avvicinandosi alla piccola tasca alla fine del vestito, dove teneva un piccolo coltellino che portava sempre con sé.
– Eh no. Non ci provare neanche. – Alec ridacchiò divertito abbassando lo sguardo sul suo vestito precedendo la sua mossa.
Aveva capito subito quello che le passava per la testa. L’idea di ferirlo, patetica.
– Prima cosa, il coltellino non mi ferirebbe comunque. Secondo, non dovresti tentare di ferire chi ti vuole salvare la pelle e terzo, spiegami perché te ne vai in giro con un coltellino svizzero. – Disse infilando la mano nella taschina a fine vestito sfiorandole la coscia, rialzò lo sguardo su di lei non potendo fare a meno di notare un’espressione di disgusto sul suo viso.
Alec impugnò il coltellino estraendolo dalla tasca e rigirandoselo in mano.– Non ti fa più male il petto, vero? Non sanguini neanche più. -
A quelle sue parole Jill si passò una mano sul collo, che effettivamente non sanguinava più, come al petto il dolore era sparito completamente. Come dissolto.
– Come facevi a saperlo? Quella tua maledetta collana è praticamente esplosa. Che diamine era?-
-Non credo che questo sia il luogo più adatto per dirtelo. Adesso dobbiamo andarcene. – Rispose lui buttando per terra il coltellino ricominciando a camminare trascinandola con sé.
– Ehi, ehi, ehi. Lasciami! Io non vengo proprio da nessuna parte! - Si fermò lei di scatto imputandosi in mezzo alla strada, rifiutandosi di muoversi.
- Chiudi quella dannatissima bocca e vieni con me. – Replicò Alec ormai esasperato dal suo comportamento.
Jill non protestò più, si limitò a sbuffare facendo roteare gli occhi scocciata.
Appena Alec fece un passo in avanti si bloccò di colpo. Il silenzio dominava in quel vicolo buio, l’unica cosa che i due avvertirono furono dei passi che risuonavano in lontananza.
– Ascoltami. – Alec si voltò verso di lei lasciando la presa sul suo polso. – So quanto può essere strana questa situazione per te ma devi cercare di fidarti di me. Devi andartene da qui, subito. Percorri velocemente questo vicolo, corri il più veloce che puoi. Troverai una porta, sulla destra. Entraci. Non fermarti. Non tornare indietro per niente al mondo. Hai capito? -
- Alec, Cosa sta succedendo?...Mi fai paura. –

Ed ecco che ricominciava per lei quello stato di paura e di confusione che in tutta la serata sembrava non volerla abbandonare.
Il cuore a mille, brividi lungo tutto il corpo, i passi lontani che però si facevano sempre più marcati e che ormai riusciva a sentire chiaramente. Troppo.
– Non ho tempo di spiegarti. Non adesso. Stanno arrivando e devi andare via!- Jill riuscì perfettamente a riconoscere nei suoi occhi un senso di preoccupazione, forse per lei, forse per quello che stava per succedere che, sembrava proprio un bel casino.
– Scappa. Veloce! –
A quelle sue parole decise di dargli ascolto. Non sembrava scherzare affatto, così aveva deciso di provare a fidarsi.
Jill iniziò quindi a correre il più velocemente possibile, più che poteva; qualche istante dopo, quando non fu nemmeno troppo distante da Alec cominciò a sentire dei sussurri rimbombarle nelle orecchie.
Si voltò verso Alec senza però fermarsi, riuscì a vedere solamente una scena rivoltante. Sangue ovunque. Già troppi cadaveri.

I sussurri si facevano sempre più acuti, dandole un fastidio enorme.
– Basta. – Sussurrò fra sé e sé voltandosi di nuovo continuando a correre.

In quel momento voleva solo svegliarsi da quello che lei considerava un incubo.
Solamente un terribile incubo che avrebbe avuto fine appena la sveglia di camera sua sarebbe suonata; così credeva.

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Capitolo 5
*** -Sangue nemico ***




Jill continuò a correre veloce, aveva quasi raggiunto la fine del vicolo, i sussurri che aveva sentito fino a pochi istanti prima erano scomparsi completamente ed era ormai lontana da Alec.
Nonostante questo, il grido che rimbombò nel silenzio poco dopo non risparmiò nemmeno lei.
Si fermò di scatto girandosi, aveva riconosciuto perfettamente la voce di Alec.
Ripensò a quello che le aveva detto, di non tornare indietro per niente al mondo.
Aveva paura.
Una paura che si faceva sempre più intensa, ogni secondo che passava ma non poteva né voleva far finta di niente.
Non dopo quello che aveva appena sentito.
Fece un passo in avanti quando un altro gridò, questa volta più lungo e più doloroso interruppe il silenzio.
– Alec! – La mora non potè fare a meno di chiamarlo ricominciando a correre, tornando indietro, tornando da lui.

Fece pochi passi in avanti quando un' ombra velocissima le tagliò la strada attraversando la strada e scomparendo dalla parte opposta.
Fu talmente svelto che l' unica cosa che riuscì a udire , fu il gutturale suono che usci fuori dalla cosa che le era passata davanti.
Accelerò il passo, lasciandosi alle spalle quell’ombra.

Il battito del cuore aumentò , le gambe cominciarono a muoversi veloci.
Più procedeva in avanti , più ricominciava a sentire terrificanti urla di dolore e grida surreali farsi sempre più forti.
Sembrava che più uomini venissero torturati davanti a le , solo che non poteva vedere nulla.
I sussurri ricominciarono a batterle nella testa, stavolta tanto forti che dovette portarsi le mani alle orecchie.

Continuò però a correre nonostante le sembrava di star sprofondando in un baratro senza fine, terrificante, surreale.

La strada era ricoperta di sangue e di resti di piume nere.
Alla vista di quel massacro, Jill si sentì gelare il sangue.
Rimase incredula e sgomenta.
Giacevano quasi tutti in una pozza di sangue, e chi non era morto era praticamente agonizzante.
Il tutto sotto lo sguardo impassibile, gelido, di Alec, in piedi davanti a tutti quei corpi senza vita.
Anche lui sporco di sangue ovunque, pieno di ferite.
Ferite che avevano ridotto a brandelli la sua maglia e tagliato la sua pelle. Ferite sul torace, sulle braccia nude, sul viso.
- Ti avevo detto di non tornare indietro per nessun motivo. – Disse lui ansimando buttando a terra un pugnale d’argento.
Jill Non gli rispose, non ne aveva il coraggio e tantomeno sapeva cosa dire, come giustificarsi.
Il suo sguardo ricadde involontariamente su tutti quei corpi martoriati.
Non voleva fare nessun tipo di domanda in quel momento, anche se nella sua testa continuavano ad esserci dubbi ed insicurezza.

Come poteva un ragazzo qualunque aver fatto quella strage? Come poteva aver ucciso delle persone senza neanche provare rimorso?
…Un ragazzo che qualche ora prima si era dimostrato gentile e carino con lei; Aveva incominciato a farle paura.

Quella serata che doveva essere la migliore.
Che doveva passare con i suoi amici, che avrebbe dovuto festeggiare con Julian, che avrebbe dovuto farle dimenticare per poco tutti i suoi problemi e le sue preoccupazioni si era invece trasformata in un incubo.
Una nottata senza fine, confusa e piena di cose senza senso per lei.
L’unica paura che però in all’inizio della serata si era fatta strada nella sua testa era solo che tutto quello che stava succedendo era solo l’inizio di qualcosa che forse non avrebbe potuto affrontare.
Qualcosa più grande di lei.

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Capitolo 6
*** -Affiorano tensioni ***




Jill continuò a guardarsi attorno, fissò le belle decorazioni sparse per la stanza, la luce del mattino filtrare dalle finestre,
i mobili di legno decorati splendidamente, i lampadari d'argento che piovevano dal soffitto e tutti i piccoli ma importanti dettagli che rendevano quel soggiorno perfetto.
Si rigirò tra le mani il bicchiere d’acqua che teneva in mano aspettando Alec.
Finalmente era riuscito a portarla al sicuro.
Un rifigio che da anni era sempre stato protetto da un tipo di magia che avrebbe potuto solo dare accesso ai caduti e, in questo caso a Jill.
Aveva passato lì la notte, in quella stanza enorme e confortevole ma comunque non eri riuscita a chiudere occhio.
Semplicemente non si fidava più.
Non poteva dopo tutto quello che era successo, aspettava solo il momento giusto per andare via e cercare di lasciarsi alle spalle quell’incubo.
La porta della camera si aprì piano, Jill girò lo sguardo su di essa, ritrovandosi davanti l’ultima persona che pensava di incontrare lì.
- Dakota?! – La rossa le sorrise avanzando e chiudendosi la porta alle spalle.
– Come ti senti? – Le chiese l’amica avvicinandosi.
– Seriamente? …Mi spieghi che cosa ci fai qui? Centri qualcosa con quel pazzo assassino di Alec? …Ah certo, ovvio, perché non ci ho pensato prima? Sei stata tu a dargli quella dannata collana che mi è esplosa addosso. -
- Sì…e comunque Alec non è un pazzo assassino. – Rise. – Ti ha solo salvato la vita.-
- Dio, adesso ti ci metti anche tu? Dove cavolo è Alec? Voglio parlargli! – Jill poggiò il bicchiere di vetro sul tavolino ed uscì dalla camera.
– No! Aspetta! – Dakota la seguì. – Resta qua! –
Jill non la ascoltò, cominciò a camminare per il corridoio, quando si avvicinò al salone cominciò ad udire delle voci, aprì velocemente la porta di legno che si trovò davanti.
Entrò nell’immensa sala seguita dalla rossa che sbuffò, il suo sguardo si posò sui due ragazzi davanti al tavolo poco distante da lei con mille fogli e carte per le mani.

Jilliconobbe subito il fratello di spalle insieme ad Alec.
– Perché?! Perché anche lui?! – A quella sua frase entrambi i mori, che fino a qualche secondo prima non si erano nemmeno accorti della sua presenza si voltarono verso di lei e Dakota.
–Cos’è che non ti è chiaro della frase ‘’Non farla uscire dalla stanza’’ uhm? – Alec sbuffò guardando Dakota che si passò una mano tra i lunghi capelli rossi addolorata restando sul ciglio della porta.
- Beh allora? Mio fratello e la mia migliore amica fatto parte di una setta satanica o robe varie? Perché chi va in giro con te, Alec, che ammazzi gente a caso, non può essere normale. – Jill si avvicinò ai due incrociando le braccia.
- Ehi. Finiscila.- Vincent la fulminò con lo sguardo.
– Cosa c’è, ti da fastidio se offendo quel pazzo del tuo amichetto? – Domandò lei, quasi sfidandolo.
– Giuro che se non chiudi quella bocca ti faccio rimpiangere di essere nata, Jill. -
- Volete finirla? Siete uno peggio dell’altro. - Alec ridacchiò sistemando tutti i fogli che c’erano sul tavolo. – Potete lasciarci un attimo da soli? – Chiese guardando Dakota e poi Vincent.
La rossa se ne andò subito, in silenzio, senza obiettare, Vincent invece restò impuntato sul pavimento senza muoversi di un millimetro.
– Vinc, sparisci dalla mia vista, su. – Jill gli rivolse un sorriso compiaciuto facendogli segno di lasciare la stanza.

Il fratello la fulminò nuovamente con lo sguardo, odiava quando si comportava in quel modo, odiava sempre quando finivano per litigare e lei l’aveva vinta perché anche questa volta si poteva dire che aveva vinto Jill.
Prima di uscire dietro un’ultima occhiata ad Alec poi se ne andò, sbattendo la porta alle sue spalle.

- Chiamami pure pazzo, tutto quello che vuoi, non farà nessuna differenza per me. – Esordì Alec appena Vincent chiuse la porta. – Resta il fatto che ti ho ammazzato quelli che volevano farti sparire dalla faccia della terra. – Continuò avvicinandosi a lei. – E da brava bambina dovresti solo ringraziare, non lamentarti. –
Avvicinandosi così tanto a lei, Jill notò subito sul viso di lui quel taglio ancora arrossato poco sanguinante che gli segnava la guancia e che stranamente gli procurò subito un nodo allo stomaco, quasi come un senso di colpa.
Dopotutto, tutte le ferite che si era fatto erano state per salvarla, per evitare che lei passasse dei guai. Che venisse ferita, se non addirittura uccisa.

Jill fece un passo in avanti, arrivando a pochissimi centimetri da lui. Allungò il braccio accarezzandogli delicatamente la guancia e passando il pollice sul taglio che continuò a fissare, appena però ci fu quel contatto entrambi avvertirono una scossa, lieve, ma che gli attraversò tutto il corpo.
– Ma che diavolo…- Jill indietreggiò subito, ricordandosi anche della sera prima, quando Alec l’aveva presa, entrambi avevano sentito la medesima scossa.
– Evita di chiedermi subito perché c’è stata la scossa, non ho tutte le risposte alle domande che ti girano in testa. – Alec infatti con quell’intervento fermò subito la domanda che Jill voleva porgli così gli ricordo solamente che doveva ancora rivelarle in cosa si era cacciata.


E sì, dal prossimo capitolo scopriremo finalmente cosa sta succedendo, almeno sarà messo un pò di ordine :3
Ditemi cosa ne pensate, al prossimo capitolo.
Giulia.

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Capitolo 7
*** -L'amara verità ***




POV.ALEC

Con la creazione della terra, lo sai, Dio creò gli Arcangeli.
Creature perfette, pure, portatori di amore e messaggieri di Dio. Michele, Gabriele, Raffaele e Lucifero.
In seguito creò gli angeli e poi l’uomo. Lucifero, o come è conosciuto adesso, Satana, si ribellò a Dio quando quest’ultimo ordinò agli angeli di adorare e venerare l’uomo.
Inizialmente Adamo ed Eva, creature che Lucifero considerava imperfette e peccatrici.
Accanto alla coppia umana Adamo/Eva, secondo una tradizione, corrisponderebbe la coppia Michele/Lucifero, intravedendo nell'uno il capo delle schiere angeliche, nell'altra il riferimento degli angeli indipendenti da Dio, con la loro scissione e la conseguente precipitazione negli Inferi.
Michele infatti, spedì il fratello Lucifero all’inferno, dove lui diede vita alle proprie creature. Demoni.
La sua prima figlia fu Lilith, associata alla tempesta, ritenuta portatrice di disgrazia, malattia e morte.
Tuttavia, al contrario di Lucifero che era intrappolato all’Inferno, i suoi figli riuscirono ad evadere così arrivarono sul mondo terreno, spacciandosi per persone normali.
Portarono zizzania, malattie, distruzione.
Così le schiere angeliche furono chiamate ad intervenire.
Michele e i suoi fratelli riuscirono a ripudiarli nuovamente all’inferno, dove restarono per secoli. Ma Lilith, riuscì a nascondersi tra gli uomini.
La sua forza riuscì ad ingannare gli angeli, facendo sì che loro non si accorgessero della sua presenza sul mondo terreno.
Gli angeli comunque non fecero ritorno in paradiso, apparte Michele, Raffaele e Gabriele. Dio li fece tornare in Paradiso, mentre lasciò tutte le altre sue creature sulla terra, a vegliare sugli uomini.
Ci furono comunque angeli che, disobbedirono a Dio e come forma di punizione furono allontanati dal paradiso.
Si dice che essi continueranno a muoversi sulla terra fino al giorno del Giudizio universale, quando saranno esiliati definitivamente all’Inferno.
Insieme a Lucifero.

Dopo secoli e secoli di pace, gli angeli vennero a scoprire che Lilith ancora vagava per la terra ma nessuno poteva sapere dove si trovasse.
Poi, successe qualcosa che mandò in subbuglio sia il Paradiso che l’inferno.

Esattamente vent’anni fa, dall’unione di un angelo con Lilith nacque una bambina.
Quella che però, molti considerano solo un abominio.
Con poteri inimmaginabili.
Portatrice di bene e male.
L’unione di un angelo con un demone non è mai stata una buona cosa.
E’ considerato uno dei peccati più grandi e gravi che il mondo abbia mai visto.
In seguito a quell’atto tanto oscuro, Lilith riuscì a liberare nuovamente i propri demoni dall’Inferno, facendoli tornare nuovamente sulla terra.
Le due schiere del bene e del male si combatterono continuamente da quel giorno e quella bambina, così innocente e innocua, fino al compimento dei vent’anni sarebbe stata al sicuro.
Nascosta, sia da demoni che da angeli, che non desideravano altro che la sua morte.
Quella bambina considerata la rovina del paradiso e dell’inferno.
La bambina che avrebbe potuto cambiare la sorte di tutte le creature che abitavano la terra, angeli, demoni, ninfe, sirene, elfi.

Quella bambina, sei tu, Jill.

Quelli che ti hanno cresciuta non sono i tuoi veri genitori. Erano guardiani. Mandati a proteggerti, a nasconderti.
Vincent non è tuo fratello, anche lui è un guardiano.
La collana che ti ho dato la sera del tuo compleanno, non era ovviamente di mia madre. Ti ha marchiato. Ti ha nascosta per quel poco tempo che bastava ai demoni, solo a loro.
Quelli che ho ucciso fuori dal locale ti stavano cercando, erano angeli caduti. Come lo sono io.
Comunque noi caduti non condividiamo tutti la stessa opinione.
Alcuni, come i demoni e gli angeli vogliono eliminarti, altri, come me, vogliono proteggerti.
Invece, se te lo sei chiesta, il motivo per cui nessuno dei ragazzi che c’erano al locale ha visto quel massacro è che, usando un incantesimo ho reso tutto invisibile ai loro occhi.
La tua amica Dakota, beh, lei è una Cerinea.
Animale sacro ad Artemide, dea della caccia e della luna, anche lei mandata a vegliare su di te.
Spesso alcuni confondono le Cerinee con i mutaforma ma sono due cose completamente diverse.
Dakota può assumere la forma di una cerva, sacra agli Dei.
I mutaforma invece sono tutt’altra cosa.
E, infine, l’uomo che ha mandato fuori strada l’auto di tua madre tre mesi fa era un demone.
Non sappiamo il suo nome, sappiamo solo che di tua madre non gli importava.
Cercava te.
Voleva uccidere te.

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Capitolo 8
*** -Accettazione ***




- No, no, fermo. Tutto questo è assurdo! Non è possibile. – Bisbigliò Jill incredula fra sé e sé.
Tutta quella storia non poteva essere vera.
Lei non poteva essere una specie di Ibrido, figlia di Lilith. Del male.
Si rifiutava di crederlo.
– …Allora dimmi una cosa. Perchè proprio adesso? In questi vent’anni non è successo niente. Nessun presunto demone o angelo mi ha mai cercata! -
- Fino ai vent’anni eri marchiata. Nascosta da tutti. Anche da noi caduti, quindi non correvi alcun rischio. –
Jill restò in silenzio, appoggiando la schiena contro al muro abbassando lo sguardo.
– Dimmi che è uno scherzo…- Alec non le rispose, spostò lo sguardo verso la finestra osservando la stradina di fronte al rifugio; piena di macchie di sangue.
Ci furono parecchi secondi di silenzio che dominarono la stanza poi Alec si riavvicinò a lei.
– Dammi la mano. – Disse, fermandosi davanti a lei porgendole la sua mano.
– Perché? Per farmi avere un’altra bella scossa? – Gli chiese alzando lo sguardo su di lui.
– Non fare storie. Dammi la mano. –
Jill sbuffò obbedendo, gli prese la mano, subito dopo la solita lieve scossa che la fece sussultare.
Davvero nessuno dei due riusciva a spiegarsi il perché, nemmeno Alec.
Il moro le strinse forte la mano iniziando poi a recitare una formula in latino.
Appena iniziò, Jill cominciò a sentire uno strano calore diffondersi su tutto il palmo della mano che però fu seguito da uno strano bruciore,
in pochi secondi tutta la mano incominciò a bruciarle e a farle male, piccole goccie di sangue iniziarono a gocciolarle dal palmo fino al pavimento e non potè fare a meno di emettere un gemito.
– Mi fai male. –Ringhiò la ragazza guardando Alec per qualche secondo, infine le lasciò la mano facendo un passo indietro sorridendo soddisfatto.
– Cosa mi hai fatto?! – Jill abbassò lo sguardo sul palmo della mano destra, il sangue era come scomparso, non ce n’era più nessun segno però l’incantesimo aveva lasciato un segno.
Un marchio.


- Mi dispiace, davvero. Fare finta di niente in questi vent’anni è stato orribile, soprattutto in quest’ultimo periodo. Ma adesso sarai al sicuro. Ti aiuteremo. Ti proteggeremo. –
Vincent si avvicinò subito alla sorella stringendola in un dolce abbraccio.
Un abbraccio che la consolava, che le faceva capire che Vincent le era vicino, come se cercasse di darle un po' della sua forza e di farle capire che per lei ci sarà sempre.
Jill non aprì bocca, non se la sentiva minimamente di commentare tutto quello che lui le aveva detto nell’ultima mezz’ora,
si limitò solo a stringerlo ulteriormente a sé, sentendo il calore della sua pelle.

Jill restò sdraiata sul letto della camera che le avevano lasciato.
Alzò il braccio, con il palmo della mano rivolto verso di lei fissando il marchio.
Era con quello che Alec la costringeva a stare lì. Era un marchio che le impediva tassamente di uscire da quel piccolo rifugio, grazie all'incantesimo non sarebbe riuscita ad uscire in nessun modo, anche con le migliori delle intenzioni.
L'incantesimo, esattamente come il marchio sarebbe sparito a giorni, ma, per il momento doveva adattarsi.
''E’ per il tuo bene, per tenerti al sicuro almeno per qualche giorno’’ Continuava a ripeterle Alec, ormai diceva continuamente solo quello.
Quell’intera situazione ancora non le sembrava reale ma doveva accettarla, doveva cercare di abituarsi al più presto, almeno le parole del fratello erano riuscite un po’ ad incoraggiarla e ad avere più fiducia.
Si alzò di scatto dal letto per poi aprire piano la porta scricchiolante della stanza, fissò il corridoio vuoto e silenzioso per alcuni secondi poi uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Fece qualche passo in avanti sentendo subito la voce di Dakota provenire dalla stanza che aveva appena passato.
Poggiò piano l’orecchio sulla porta di legno ascoltando ciò che stava dicendo.
- Ci farà uccidere tutti. – Una voce maschile piuttosto marcata rimbombò nella camera.
– La vuoi smettere? La dobbiamo proteggere, lo sai. Alec ha fiducia. – Ribattè la rossa.
– Fiducia? In lei? Ma per favore…Svegliati, Alec si sbaglia. Quella lì ci manderà tutti a morire se vi ostinate a volerla proteggere. Imparerà ad usare i suoi poteri chissà fra quanto tempo e fino ad allora dovremmo fare le sue guardie del corpo?! – La voce del ragazzo si faceva sempre più acuta, quasi nervosa e arrabbiata.
– Spiegami perché sei sempre così diffidente. Lei può salvare tutti voi caduti, dovresti solo esserle riconoscente. -
- Aspetta che lo venga a sapere Ginevra. Tu, Vincent e quell’idiota di mio fratello vi pentirete di ciò che volete fare. –
Jill sentì dei passi veloci avvicinarsi alla porta ma non fece in tempo a spostarsi che si trovò di fronte il ragazzo, che la fulminò subito con lo sguardo.
– Oh guarda, adesso la nuova arrivata si mette anche ad ascoltare le conversazioni degli altri. –
Jill se ne restò zitta notando subito la somiglianza tra lui ed Alec.
Le uniche cose che li distinguevano erano il colore degli occhi, Alec che li aveva di un azzurro intenso, mentre lui li aveva verdi, verdi chiari tendenti al nocciola e capelli, castani cortissimi.
Anche lui ragazzo giovane, alto e magro, forse di un paio d’anni più piccolo rispetto ad Alec.
Chiaramente era il fratello.
- Noah, lasciala stare. – La mora udì la voce di Dakota alle spalle del ragazzo davanti a sé che non le rispose, si limitò a scostare piuttosto violentemente Jill dalla porta ed andarsene via velocemente entrando nel salone.

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Capitolo 9
*** -Segreti e bugie ***




Dakota guardò Jill ancora impuntata sulla soglia della porta e poi prese la parola, spostando lo sguardo su Noah che se ne stava andando velocemente.
- ...Scusalo, è piuttosto…-
-Incazzato, si capisce. – La interruppe Jill. – E’ il fratello di Alec? -
- Sì, il minore, un anno di differenza da Alec. Il suo nome è Noah e te lo garantisco, è un vero rompicoglioni quando ci si mette.- Disse Dakota ridacchiando. – Allora, volevi dirmi qualcosa? -
- Oh, no, no. – Jill evitò di farle domande su ciò che aveva appena sentito nella conversazione con Noah.
Evitò di chiedere che cosa volesse dire quando ha detto che lei poteva salvare tutti i caduti.
Jill fece un passo indietro accennandole un piccolo sorriso, fece per andarsene ma poi si fermò voltandosi di nuovo verso Dakota.
– ...Questa faccenda. E’ davvero tutto troppo surreale. - Disse.
- Credimi se ti dico che ancora non hai visto niente. – Quella frase di Dakota non le era certo stata d’aiuto, l’aveva solamente messa ancora di più in agitazione.
- Posso confidarti una cosa? – La rossa annuì incrociando le braccia. Jill non aveva ancora confidato a nessuno dei sussurri che ogni tanto sentiva ancora e che le rimbombavano nelle orecchie quasi ogni ora. Dakota era la sua migliore amica, l’unica con cui se la sentiva di confidarsi, così decise di parlargliene.
– Dalla sera in cui quei demoni hanno attaccato Alec continuo a sentire delle voci che mi sussurrano all’orecchio parole e piccole frasi. Sono piuttosto confuse, non mai a capire che cosa dicono esattamente…è normale? -
- Voci? – Replicò Dakota che stranamente si irrigidì.
– Ok, fantastico. Sto impazzendo o robe simili? -
- Tranquilla. Non agitarti, va bene? E’ normale. – Mentì. Sapeva benissimo quello che significavano quei sussurri, non era nulla di buono.
Sapeva anche che era meglio non far agitare Jill ancora di più, una piccola bugia l’avrebbe solamente tranquillizzata.


- Ehi, bella addormentata, alzati. – Vincent picchiettò due colpetti sulla spalla della sorella che era finalmente riuscita a riposarsi un po’.
Jill aprì piano gli occhi mugugnando e tirandosi subito a sedere sul divano.
– Hai dormito per tre ore e tra poco dobbiamo andarcene da qui. – Le disse lui prendendola per la mano facendola alzare.
Erano ormai passati quattro giorni da quando Alec l’aveva portata in quel rifugio.
Lui e Vincent erano sempre restati lì con lei, Noah invece, il fratello di Alec, non si era più fatto né vedere né sentire mentre Dakota arrivava ogni tanto per farle visita.
Jill spesso la vedeva parlare con i due che si rigiravano sempre tra le mani gli stessi fogli che aveva visto pochi giorni prima.
Mappe, progetti, piani, scritte in greco e in latino, anche se avrebbe voluto cercare di capire cosa ci fosse scritto di sicuro non ci sarebbe riuscita.
Ma era ben chiaro ormai che avevano un piano, o almeno cercavano di averlo. - Ti ricordo che non posso uscire. – Disse Jill mostrando al fratello il palmo della mano, facendogli presente che a causa dell’incantesimo del marchio era obbligata a restare chiusa lì dentro.
– Tra qualche ora sparirà e appena lo farà ce ne andremo. – Alec richiamò l’attenzione di entrambi apparendo sulla soglia della porta del salone. – Tra poco arriverà anche Dakota.-
– E dove dovremmo andare? – Jill sbuffò roteando gli occhi.
– In un posto sicuro. – Le voci di Alec e Vincent si sovrapposero quando all’unisono dissero quella frase.
Jill inarcò un sopracciglio guardando i due che si scambiarono un’occhiata divertita.
– Dite sempre la stessa cosa. ‘’In un posto sicuro’’. Non mi è concesso sapere altro, giusto? -
- Giusto. – Confermò Alec poggiandosi allo stipite della porta.
– Tu non dici niente? – Chiese lei guardando il fratello.
– Che dovrei dirti? Vedrai che tipo di posto è quando ci arriverai. – Vincent la guardò sorridente cercando di trattenere una piccola risata. – Non fare l’offesa. – Scherzò.
– Ci rinuncio. – Jill fece per andarsene, lanciando un’occhiata fulminea ad Alec che non potè fare a meno di rivolgerle un sorriso decisamente divertito quando le passò davanti.
– Ehi. – Disse lui prendendola per il braccio attirandola a sé, nessuno dei due fece caso alla scossa solita che seguì quella presa, ormai ci si erano già abituati.
– Sto ancora aspettando che mi ringrazi per averti salvato da quel gruppetto di demoni. – Le sussurrò contro al suo orecchio.
– Beh, aspetta pure all’infinito allora. – Sussurrò lei di rimando sfiorandogli le labbra per poi liberarsi dalla presa della sua mano e andandosene.
– Tua sorella mi fa andare fuori di testa. E’ ingestibile. – Alec la seguì con lo sguardo andare via mordendosi il labbro poi girò il viso verso Vincent che lo osservava con una punta di rabbia. – Che c’è adesso? - Chiese.
– Niente. – Rispose Vincent scrollando le spalle. – Comunque, lo sai che portandola lì Ginevra si infurierà, vero? -
- Lo so e sinceramente non mi importa quello che pensa. – Rispose serio per poi andarsene subito dopo, lasciando Vincent da solo.
La stanza divorata dal silenzio. Il fastidio di quel momento. Di quella frase situazione.
Quella situazione che già gli stava dominando la mente dando spazio alla gelosia.
Gelosia fraterna, pensava. Mia sorella non si tocca, ripeteva.
Uno dei sentimenti più forti ed irrazionali dell' essere umano.
Un sentimento che parte dall’idea di perdere ciò che si ha di ‘’caro’’. Di condividere con un terzo ciò che è nostro.
Ma in verità non era geloso di Jill. Era geloso di Alec.

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Capitolo 10
*** -Nel rifugio ***




- Hai anche le ali magari? – Jill guardò Alec inarcando un sopracciglio sorridendo, sperando che rispondesse con un sì.
– Ovviamente. - Rispose avvicinandosi a lei lentamente piegandosi leggermente in avanti fermandosi a pochi centimetri dal suo viso. – Magari se fai la brava potrai arrivare al posto prestabilito volando. -
- Uhm, mi piace come idea. -
- Ehi, voi due, muovetevi. – Disse Dakota spuntando dal corridoio.
Alec alzò lo sguardo verso la rossa ferma alla porta poi prese la mano di Jill che diede la scossa, questa volta più forte delle altre.
I due si scambiarono un’occhiata senza essere nemmeno scalfiti dal dolore.
Alec tornò a guardarle il palmo della mano destra, dove il marchio non c’era più.– Completamente sparito. Possiamo andare. -
- Va bene, Vincent ci aspetta là. – Dakota uscì dalla stanza percorrendo il corridoio seguita da Jill.
Alec restò qualche minuto nella camera; prese tutte le cose che gli sarebbero potute servire.
Coltelli, pugnali e fruste ripiegate su se stesse.
Infilò le armi nelle tasche sulla cintura nascondendosi la frusta nella giacca di pelle nera.
– Alec, muoviti! – Gridò Dakota aprendo la porta d’ingresso.
Alec diede un’ultima occhiata in giro, assicurandosi che fosse tutto apposto e al sicuro, poi raggiunse le due all’uscita del rifugio.
– Tu vieni con me. – Alec guardò Jill poi girò lo sguardo verso la rossa. – Ci vediamo là. -
- Aspetta, ma, insomma, lei come farà ad…- La frase di Jill fu interrotta subito da Dakota.
- Ad arrivare? L’amplificazione della velocità è l’unico dono che è concesso a noi cerinee quando siamo in forma umana. – Rispose la rossa sorridendole per poi scomparire qualche secondo dopo tra i fitti alberi del bosco davanti a loro.
– Forza, muoviamoci. – Alec affiancò Jill cingendole un fianco, la medesima scossa non li risparmiò nemmeno quella volta. Jill sussultò mentre lui non ci fece nemmeno caso.
– Ti conviene tenerti forte. – Le disse avvicinandola a sé incominciando a sfoggiare delle enormi e bellissime ali.
Jill si strinse a lui ammirando quelle immense ali scure, quasi corvine.. Rimase incantata fissandole per alcuni secondi quando Alec cominciò a sbatterle, sempre più velocemente, fino a sollevarsi da terra, alzandosi piano in volo.
Jill abbassò lo sguardo sugli alberi sottostanti che pian piano si stavano già facendo minuscoli, continuavano ad alzarsi in altezza, cosa che le stranamente le procurava gran panico.
Andando sempre più in alto iniziava anche a crescere la paura di cadere, così si strinse ancora di più alla giacca di Alec con forza.
Non potè fare a meno di notare la sua cintura piena di armi quando con l’anca sfiorò l’impugnatura di un coltello.
– Perché ti sei portato dietro tutte queste armi? – Gli chiese Jill alzando il tono di voce che era anche contrastato dal vento.
– Nel caso incontrassimo qualche ostacolo. – Rispose.
Con ''ostacolo'' intendeva demoni o angeli. Le ultime creature che Jill sperava di incontrare.


Poco tempo dopo arrivarono nel cuore di quell’immenso bosco, che si presentò a Jill in un aspetto magnifico. Non c’era però, né traccia di Vincent né di Dakota.
Alec arrivò finalmente a terra, facendo scomparire subito quelle sue immense ali.
– Quindi sarebbe questo il luogo? – Chiese Jill inarcando le sopracciglia lasciando la presa sulla giacca di Alec e facendo un passo indietro.
Un bosco. Semplicemente splendido.
L'odore di muschio e di aghi di pino si spandeva nell'aria, trasportato dalla dolce brezza pomeridiana.
Enormi pini e abeti, costellavano il bosco creando strani giochi di luce, sul terreno, con i raggi solari.
Un'aria magica colma lo spettacolo di un'ineguagliabile atmosfera speciale e perfetta.
Le sembrava davvero che la magia fosse parte di quel bosco, anche se sembrava strano pensare una cosa simile.
– In realtà, non siamo ancora arrivati. – Rispose Alec osservando la sua espressione imbambolata sul viso. – Dobbiamo camminare pochissimo per arrivarci, è vicino. Andiamo? –
Jill mugugnò annuendo spostando lo sguardo su di lui che si stava dirigendo verso nord.
– Adesso puoi dirmi dove mi stai portando? – Gli chiese seguendolo.
– No, tesoro. Dovrai aspettare. –

Camminarono per pochissimo, cinque minuti circa, quando Alec si fermò davanti ad una immensa arcata d’orata in mezzo agli alberi.
Arricchita da mille dettagli e decorazioni, imponente e bellissima. Magica.
Jill restò davvero colpita e sorpresa. – Com’è possibile che un’arcata così si trovi qui, in un bosco e che nessuno se ne sia mai accorto? – Chiese ad Alec, notando un velo quasi trasparente davanti all’entrata di quella porta.
– Magia. – Le rispose girando lo sguardo su di lei. – Forza, seguimi. - Aggiunse, avanzando verso l’arcata.
Jill sospirò guardandosi attorno, indugiando per un secondo, poi però obbedì, lo seguì, entrando e sorpassando l’arcata, illuminata da una luce calda e accecante.
Appena la luce diminuì, Jill riuscì a mettere a fuoco l’immagine davanti a lei.
Un paesaggio magico.
Si fermò osservando le colline verdi e ondulate all'orizzonte con alle spalle un sole timido che cerca di illuminare tutto il paesaggio con quella luce fresca di color arancio.
Abbassando lo sguardo si possono vedere una serie di alberi con foglie di color verde, verde vivo preceduti da una serie di capanni che sembrano formare un piccolo paesino.
Ragazzi, donne e uomini di ogni età le passavano davanti, alcuni pienamente armati, altri con cassette d’argento in mano.
– Cosa è questo posto? -
- Un posto dove resterai finchè non avrai imparato ad usare i tuoi poteri e a maneggiare le armi. – Le rispose Alec affiancandola.
– Sono tutti angeli caduti? - Chiese lei guardadosi attorno.
- No, certo che no e qui sarai al sicuro. Posto negato agli angeli e ai demoni. – Fece una piccola pausa prima di ricominciare a parlare. – Ora vieni. – Alec la guidò in un rifugio piuttosto grande, massiccio e lungo, poco lontano dall'arcata. Le pareti esterne erano di pietra grigia e porosa, costellate di frammenti di corallo con una ghirlanda di rose muschiate. All'interno del rifugio vi era un odore salmastro, le pareti liscie luccicavano mettendo in risalto tutti i mobili di legno bianco.
– Wow. – Si limitò a dire la mora guardando quell’immensa e perfetta stanza.
– E’ tutta tua. Ora, stai qui buona, io devo sbrigare delle faccende. – Rispose Alec uscendo subito dal rifugio. – A dopo. – Le sorrise chiudendosi la porta alle spalle.

Qualche istante dopo Jill sentì subito la voce del fratello di Alec provenire dall’esterno della capanna.
–Dimmi che non l’hai davvero portata qui. –
Jill si avvicinò alla finestra, vide Noah poco distante sempre con quella sua espressione arrabbiata sul viso che aveva bloccato Alec per un braccio.
– Beh…fammi pensare…oh sì. L’ho portata qui. – Alec sorrise con una punta di sarcasmo.
– Non avresti dovuto. - Ringhiò Noah stringendo i denti.
– Perché? Perchè tu non volevi? Perché Ginevra mi aveva detto di non mettere piede qui con lei? Rilassati, abbi un po’ di fede in quello che Jill può fare, fratello. – Rispose Alec ridacchiando liberandosi dalla sua presa. – E stai attento, faccio sempre in tempo a cacciarti fuori a pedate da qui, capito? – Gli sorrise dandogli una pacca sulla spalla. – Ricordati chi è il maggiore. – Quella sua ultima frase riuscì a mettere a tacere Noah, a bloccare qualunque suo tipo di risposta.
– Alec. –
Jill continuò a guardare la scena dalla finestra, vedendo comparire alle spalle dei due una ragazza bionda.
– Dobbiamo parlare. – Aggiunse la ragazza quando entrambi i fratelli si voltarono verso di lei.
Noah girò lo sguardo verso Alec con un sorriso trionfante stampato in faccia.
– Buona fortuna, fratello. – Gli disse soddisfatto per poi andarsene lasciandoli soli.
Jill continuò a guardare la bionda, piuttosto minuta e magra.
I capelli biondi ondulati le ricadevano sulla schiena, valorizzando perfettamente quel viso e quella sua pelle chiara. La bocca sottile e rossa che si intonava agli occhi scuri, quasi neri, grandi come confetti.
– Mi era sembrato di essere stata sufficientemente chiara quando ti ho detto che non volevo quella ragazza qui. -
- E a me era sembrato di essere stato chiaro quando ti ho risposto che l’avrei portata con me qui, al sicuro. - Ribattè Alec senza scomporsi.
- Rappresenta un pericolo per tutti noi. -
- Non è un pericolo. Ti ho detto più volte che mi serve.– La bionda sbuffò restando in silenzio qualche secondo.
– Senti, non mi interessa se può salvare voi caduti o no, okay!? – La ragazza si avvicinò a lui prendendolo per il colletto della maglia. – Non farmi perdere la pazienza, Alec. Esigo che se ne vada. Deve essere fuori di qui entro domani! – Ribattè.
– Ginevra, abbassa le arie con me. Tu non sei nessuno per dirmi quello che devo o non devo fare. – Le rispose mentre con un gesto veloce estrasse il coltello d’argento dalla cintura puntandoglielo sul fianco, sfiorandole la pelle liberandosi anche dalla sua presa sulla maglia.
– Attenta a come agisci. A come mi parli o la prossima volta il coltello potrebbe accidentalmente sfuggirmi dalle mani e finirti nello stomaco. -
I due si scambiarono occhiate fulminanti.
– Vai all’inferno. – Ringhiò lei spingendolo lontano da sé per poi andarsene via furiosa, senza aggiungere altro.
Sul viso di Alec si aprì un sorriso divertito ma soddisfatto mentre riponeva il coltello nella propria cintura.
Anche quella volta l’aveva vinta.
Non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno.

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Capitolo 11
*** -Addio ***




- Prima ho visto una bionda parlare con Alec, sai chi fosse? – Jill si lasciò cadere sulla poltrona guardando il fratello.
– Ginevra, probabilmente. Quei due adesso si odiano a morte. Fino a qualche mese fa stavano insieme, se così si può dire, ma da quando Alec l’ha scaricata litigano ogni maledetta volta. Sono in disaccordo su tutto. -
- …Sì, l’ho notato. – Sospirò lei. – Lei non vuole che io resti qui.-
– Ah, sta tranquilla. Nessuno ti caccerà da qua. –
- Lei cos’è? - Domandò Jill inclinando leggermente la testa.
- Una ninfa. Creature di una bellezza straordinaria. Ma non farti ingannare da ciò che dicono le leggende, le ninfe sanno essere letali, cattive. Non devi mai fidarti di loro, tantomeno di Ginevra. - Rispose Vincent avvicinandosi all’uscita della capanna. – …Fatti un giro qui, ma ricordati che non devi uscire per nessun motivo superando l'arcata. – Le sorrise per poi aprire la porta di legno ritrovandosi davanti Alec che lo fece sussultare.
– Perdono. Non intendevo spaventarti. – Gli disse subito Alec osservando Vincent scostarsi dalla soglia della porta che gli lanciò un'occhiata fulminante, subito dopo se ne andò, senza aprir bocca.
– E…? Cosa gli avrei fatto? – Chiese Alec a Jill, chiudendosi la porta alle spalle.
– Cosa vuoi che ne sappia io? – A quella risposta Alec scrollò le spalle storcendo il naso.
Qualche secondo dopo il cellulare nella tasca dei jeans di Jill cominciò a vibrare.
– Oh, in questo posto isolato dal mondo c’è campo? – Disse lei sfilando il cellulare dalla tasca osservando lo schermo dove appariva la chiamata in entrata. Sbuffò storcendo il naso.
– Persona a cui non vuoi rispondere suppongo. – Alec si avvicinò velocemente a lei strappandole il telefono dalle mani.
– Ehi! – Gridò Jill scattando in piedi dalla poltrona. – Dammi il cellulare! -
- Julian. Ci mancava il fidanzatino drogato. – Ridacchiò Alec divertito.
– Come cavolo fai a conoscerlo?! -
- Io so tutto di te e della tua vita, ancora non l’hai capito? – Alec continuò a rigirarsi in mano il cellulare che non smetteva di vibrare.
– Ridammelo ho detto! – Jill cercò di prenderglielo dalle mani senza però riuscirci.
Alec la guardò dimenarsi sorridendo quando lasciò apposta la presa sul telefono lasciandolo cadere a terra, facendolo rompere completamente. – Ops. -
- Stronzo! – Gli urlò contro abbassando lo sguardo sul pavimento, guardando il cellulare in mille pezzi.
Alec si riavvicinò a lei mettendo una mano sotto il suo mento, le alzò il viso, obbligandola a guardarlo.
L’attesa e solita scossa non li sorprese più ormai; ogni dannata volta.
Ogni dannata volta che avevano un contatto quel fastidio non li risparmiava, mai.
– Tanto non ti sarebbe servito comunque. Sopravvivrai anche senza cellulare e senza il tuo caro drogato. – Esordì il moro, Jill sostenne il suo sguardo fulminandolo.
Alec restò a guardarla negli occhi per alcuni secondi quando poi lei lo allontanò bruscamente da sé senza rispondergli.
– Dakota è tornata? – Gli chiese incrociando le braccia rimanendo seria.
– Non ancora ed è strano. -
- E perché invece di star qui a infastidirmi non la vai a cercare?! -
- Rilassati. Ho mandato mio fratello a cercarla. Sai, se lo minaccio obbedisce come un cagnolino a tutto ciò che gli chiedo. – Sogghignò Alec.
Jill non potè fare a meno di accennare una piccola risata divertita scuotendo la testa. – Sei proprio un bastardo, lasciatelo dire. -
- Lo so, grazie. –

Jill arrivò davanti all’arcata che aveva oltrepassato per entrare in quel luogo, restò a guardare il bosco che si riusciva a vedere attraverso.
Il sole in procinto di tramontare iniettava il blu intenso del cielo di sfumature arancioni, rosate, indaco, anche quel giorno stava per volgere al termine.
La sua attenzione fu attirata da un terribile tonfo che udì dietro a dei cespugli poco lontano da lei.
Nonostante le avessero detto di non oltrepassare l’arcata per nessun motivo non esitò minimamente ad avvicinarsi al punto esatto in cui aveva sentito il rumore.
Fece dei passi piccoli e lenti, fino a superare quattro e piccole piante. Abbassò lo sguardo sul corpo sanguinante disteso a terra.
Rimase ferma, immobile, la bocca e gli occhi serrati.
Non ce la fece neanche a chiamare aiuto.
Non ne aveva la forza.
Tutta la voce che aveva sembrava improvvisamente sparita e poi, sapeva comunque che non c’era più niente da fare.
Era morta.
Dakota era morta.


Ecco il nuovo capitolo, finalmente D:
Adesso che ho iniziato la scuola sono un pò impegnata, cercherò di ricominciare a postare più frequentemente...se i miei lettori torneranno ovviamente u.u
Alla prossima <3

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Capitolo 12
*** -Salta, spingi, cadi ***




- Jill! Che cavolo ci fai lì?! – Jill avvertì la voce allarmata del fratello alle spalle, ma non si voltò neanche, restò con lo sguardo basso, paralizzata.
Sentì Vincent avvicinarsi velocemente a lei che rimase anche lui scioccato dal corpo senza vita della rossa.
– D-Devi tornare là dentro. – Balbettò Vincent distogliendo quasi subito lo sguardo dalla morta. – Muoviti. -
- E’ morta…l’hanno uccisa. – Bisbigliò Jill senza ascoltare minimamente il fratello.
Prima che Vincent potesse risponderle, alzò lo sguardo in alto, verso il cielo, poiché cominciò a sentire il fruscio di alcune ali.
Non ebbe nemmeno il tempo di trascinare via la sorella da lì che un coltello gli trafisse la gamba
e ancor prima che potesse accorgersene una lancia aveva trapassato lo stomaco di Jill di fianco a lei, che cadde subito a terra senza però perdere i sensi.
Vincent gemette estraendo subito il coltello dalla gamba sanguinante per poi estrarre con forza anche la lancia dallo stomaco di Jill.
– Forza. – Ansimò lui prendendo in braccio il più velocemente possibile la sorella che nemmeno apriva bocca, che non fiatava né si lamentava del dolore.
La vista di lei però, cominciò ad offuscarsi e gli occhi a socchiudersi.
Vincent continuò a camminare tenendo stretta a sé Jill; camminava in fretta, ansimante, con il cuore a mille, come se gli tirasse delle martellate al petto.
Un attimo prima che potesse superare l’arcata una freccia lo colpì alla spalla ma non si fermò, strinse i denti portando finalmente la sorella all’interno dell’arcata,
al sicuro, ma ancora per poco.
Doveva sbrigarsi a trovare un guaritore, altrimenti sarebbe morta.
– Che diamine è successo?! – Jill riuscì a sentire la voce di Alec arrivare, che le rimbombò nella testa.
– Mi hanno preso alla sprovvista. Dakota è morta. – Ansimò Vincent.
Quella fu l’ultima frase che Jill riuscì a sentire, poi chiuse gli occhi, perdendo i sensi.

- Beh, avevi l’occasione di farla morire invece eccola qui, viva, ancora. – La voce alta di Noah fece sobbalzare Jill dal lettino che aprì piano gli occhi; si sentiva ancora strana e frastornata, ricordava a malapena cosa fosse successo prima.

- Perché non chiudi quella bocca? Faresti un favore al mondo. – Ribattè immediatamente Alec.
Jill girò la testa, vedendo Alec e Noah poco lontano da lei, in piedi, appoggiati al muro di quell’enorme stanza.
Si guardò attorno attentamente. L
ettini, bende, uomini e ragazzi distesi sui letti, privi di sensi o agonizzanti. Non era per niente piacevole.
– Ehi, come ti senti? – Una donna sui cinquanta anni si presentò sorridente davanti a lei.
Indossava una specie di tunica, in teoria bianca ma si riuscivano a distinguere le numerose macchie di sangue sulle maniche e sulla gonna.
– Bene, bene. – Rispose subito Jill cercando di tirarsi a sedere sul lettino.
– No cara, devi restare a riposo. Almeno per qualche giorno. – Sorrise la donna facendola sdraiare di nuovo. – La ferita comunque è apposto. Quasi guarita del tutto. –
Jill abbassò lo sguardo sullo stomaco, la maglietta blu era completamente sporca di sangue ma almeno non avvertiva nessun tipo di dolore.
– Si è svegliata? – Jill avvertì la porta della stanza aprirsi e poi sbattere subito dopo.
Non riuscì a vedere chi fosse entrato, poiché la signora le oscurava la visuale, quella voce maschile però, non le era familiare.
– Sì, ed ammettiamolo, è colpa tua se è ancora nel mondo dei vivi, tua, dei tuoi dannati poteri e di Alec, ovviamente. – Disse subito Noah, serio e frustrato.
–Allora, ti ricordi qualcosa di quello che è successo? – La donna riprese la parola, impedendole di ascoltare altro della conversazione fra i tre vicini alla porta.
– Ehm…ricordo solo Vincent…- Jill si fermò subito, interrompendo la frase; improvvisamente le tornò subito in mente tutto quello che era accaduto facendole perdere immediatamente la calma. – Dov’è? Dov’è mio fratello?! –
- Tranquilla, non erano nulla di grave le sue ferite. Sta riposando. – Rispose la signora indicandole un lettino poco lontano dal suo dove era disteso Vincent, con delle fasciature sulla gamba destra e sulla spalla.
– Comunque, mi chiamo Abigail, se ti serve qualcosa non esitare a chiamarmi, va bene? – La donna le rivolse nuovamente un grande sorriso prima di andarsene, spostandosi su un'altra ragazza, poco lontano da lei.
Jill girò immediatamente lo sguardo sui tre che stavano ancora discutendo, questa volta però avevano abbassato il tono di voce facendo sì che lei non potesse sentire neanche una parola di ciò che dicevano.
Notò subito il terzo ragazzo che era in compagnia di Alec e Noah.
Un ragazzo alto, biondo, i capelli brizzolati più o meno lunghi che gli arrivavano poco sopra le spalle e degli incredibili occhi neri. Zigomi alti e mascella forte.
Circa anche lui sui ventidue anni, amico di Noah.
Noah lo diceva come un ragazzo a volte arrogante e stizzoso, ma in realtà gentile e premuroso anche se raramente lo da a vedere.
Dotato di un inusuale e cinico senso dell’umorismo.
– Quella non perde mai il gusto di ascoltare le conversazioni degli altri vedo. – Noah girò di scatto lo sguardo verso di Jill incrociando le braccia appena notò che lei li stava fissando. – Io me ne vado. – Aggiunse per poi uscire, sbattendo la porta.
– Beh, allora vado anche io. – Il biondo aprì la porta della camera.
– Grazie ancora, per averli aiutati. – Gli disse Alec prima che potesse andarsene.
Il ragazzo gli sorrise solamente, senza rispondegli, poi se ne andò.
Alec invece si avvicinò al lettino di Jill.

Sapeva già che cosa le stava per dire.

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Capitolo 13
*** -Come si ferma una ragazza che esplode? ***




Jill lanciò con forza il coltello contro al manichino, centrando perfettamente la testa.
Il suo sguardo era infuocato e il suo viso non esprimeva niente di buono.
La faccia era quasi rossa, le nocche delle dita anch'esse dello stesso colore per la forza con cui aveva stretto il pugno attorno all’impugnatura del coltello.
Stava cercando di contenersi ma proprio non ce la faceva. Era arrabbiata. Furiosa.
Le altre persone che si trovavano nella stanza d’addestramento si erano fermate per osservarla così aggressiva e alterata mentalmente.
Ma lei non si fermava.
Continuava a lanciare coltelli contro ai manichini, uno per uno, centrava meticolosamente tutti i bersagli. Senza sbagliare neanche di un centimetro.
Sbuffò alzando gli occhi al cielo quando si accorse che la gente che la osservavano alle sue spalle continuava ad aumentare così si girò verso il gruppo rigirandosi tra le mani il coltello.
– Beh? Cosa avete da guardare? Se non ve ne andate tutti entro cinque secondi vi faccio ingoiare il cuore. Chiaro? – Alla fine della frase sorrise beffarda inclinando la testa di lato.
Nel giro di poco tutti se ne andarono, sparendo davanti a quella sua minaccia.
– Diamine. Fai paura. – Ridacchiò un ragazzo spuntando all’entrata della camera.
– Jamie, dico bene? – Gli chiese Jill voltandosi verso di lui. – Il biondino amico di quell’incazzato perenne di Noah. Quello che mi ha salvato da morte certa. – Aggiunse riconoscendolo subito.
Era lo stesso ragazzo che aveva visto un paio di giorni prima in infermeria, quando era stata ferita dalla lancia.
– Proprio io. – Rispose divertito da ciò che gli aveva appena detto. – Come mai tutta questa rabbia repressa? – Continuò scherzando.
– Secondo te? Quei bastardi hanno ammazzato la mia migliore amica. – Rispose voltandosi di nuovo contro ai manichini ricominciando a lanciare pugnali e coltelli.
– Gli Angeli sanno essere crudeli. Tutti pensano che non ci sia niente di più buono e puro sull’universo…quante cazzate. – Rispose Jamie avanzando.
– Perché non provi con questa? – Sogghignò estraendo dalla giacca nera una pistola d’argento.
Jill restò a guardarlo per poco, poi prese subito dalle sue mani l’arma puntandola contro al manichino.
– Devo dirlo, stare qui ad infilzare manichini non mi fa stare meglio. – Disse prima di premere il grilletto sparando un colpo.
Non era stato un proiettile quello che aveva colpito la gomma del manichino. Bensì una lama.
- Una lama? – Domandò Jill inarcando le sopracciglia rimettendogli nella mano l’arma.
- Di oro bianco puro. – Aggiunse lui riponendola nella giacca.
Jill sorrise maliziosamente mordendosi il labbro superiore. – Tu invece cosa sei? - Chiese cambiando discorso.
- Beh, un mutaforma. Però mi ritengo fortunato, ho ereditato il potere della guarigione da mia madre, proprio per questo sono riuscita a guarire le tue ferite. Solo noi guaritori possiamo curare ferite mortali. -
- Uhm. – Mugugnò Jill. – Mi piaci. – Continuò incrociando le braccia. – Quindi puoi assumere la forma di ciò che vuoi? -
- Posso trasformarmi in quello che voglio. – Disse lui per poi assumere subito dopo la forma di un lupo davanti a lei.
Il suo pelo fitto di colore nero e grigio, gli occhi enormi, profondi che assumono un colore dorato. Semplicemente fantastico.
- In chi voglio. – Riprese la forma umana, abbandonando la forma di quel fantastico animale.
In pochi secondi prese l’aspetto dell’amica. La sua rossa. La sua Dakota.
Jill si sentì stringere il cuore quando vide di nuovo il suo viso, un viso così innocente che però le fece ricordare come era pieno di sangue e di lividi l’ultima volta che lo vide.
– Quando voglio. – Concluse assumendo l’aspetto di Alec. – Allora, perché non ti sfoghi un po’ con me? Sarà divertente. – Sorrise lui riprendendo in mano il pugnale.
Jill non gli rispose, restò in silenzio osservandolo.
Le faceva quasi senso vedere come riuscisse ad assomigliare ad Alec così tanto.
Non c’era nemmeno la minima differenza. Era la sua fotocopia.
A strapparla dai sui pensieri fu proprio Jamie che le lanciò il pugnale addosso senza nemmeno pensarci due volte, fortunatamente lei riuscì a scansarsi in tempo, evitando l’arma che andò a conficcarsi nel muro.
– Sei fuori?! Avresti potuto colpirmi! – Gridò lei voltandosi verso il muro colpito dalla lama.
– Mmh, niente male i tuoi riflessi. – Rise lui divertito.
Jill si avvicinò velocemente alla parete, estraendo con forza il pugnale dal muro senza il minimo sforzo.
– Quindi, anche tu forza amplificata? Mi sembra di essere in Twilight. – Commentò Jamie ridacchiando.
Jill ripose il pugnale nella felpa, osservando il biondo per pochi secondi poiché subito dopo si avventò velocemente su di lui sferrandogli un pugno allo stomaco.
– Sei scarsa. – Disse lui, senza nemmeno essere scalfito. Subito dopo, un movimento veloce la prese alla sprovvista.
Jamie la afferrò per il braccio riuscendo immediatamente a ribaltarla a terra, facendola cadere sulla schiena.
Jill rimase distesa per dei secondi mentre vide lui sorridere in piedi davanti a lei.
Poi la mora si alzò di scatto; scaraventandosi nuovamente contro di lui spingendolo contro al muro puntandogli la lama del pugnale alla gola.
– Potrei ucciderti, lo sai? – Disse tenendolo inchiodato alla parete.
– Che divertente. Non lo faresti mai, né con me né con nessun altro. – Rispose abbandonando finalmente l’aspetto di Alec riappropriandosi del suo. - Non cercare di fare la cattiva della situazione, perché tutti sanno che non lo sei. – Ghignò.
A quella frase Jill abbassò l’arma tenendola però stretta in mano.
Subito dopo mise una mano dietro al collo del biondo, avvicinandolo ancora a sé, fino a quando i loro corpi non si sfiorarono. – Ritieniti fortunato a non trovarti con la gola tagliata. Oggi non è giornata, sappilo. -
Subito dopo Jill abbassò l’arma rigirandosela tra le dita, la avvicinò alla mano di Jamie puntandogliela sul palmo dove poi volontariamente aprì un taglio.
Lui si tirò subito indietro, stringendo i denti.
– Eddai, è solo un taglietto. – Disse lei mentre un ghignò si impossessò delle sue labbra.
Abbassò lo sguardo sulla mano sanguinante del ragazzo, lasciando cadere a terra il coltello sporco di sangue. – Ci si vede. – Jill si allontanò da lui facendo dei passi indietro, poi uscì dalla stanza sogghignando, senza aggiungere altro.

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Capitolo 14
*** -L'arte dell'inganno ***




- Uhm, quindi sei ancora qui. – Una voce femminile si fece strada alle spalle di Jill appena chiuse la porta della sala d'allenamento alle sue spalle.
Lei si voltò subito trovandosi davanti Ginevra.
- Problemi? – Domandò Jill con un tono di sfida.
Ginevra non le rispose, si limitò a squadrarla da capo a piedi, ad osservarla con attenzione tirando alla fine un sospiro. – Dubito davvero che una come te possa salvare i caduti. -
- Di cosa parli? -
- Ma come, il tuo caro Alec ancora non te l’ha detto? – Sorrise la bionda avvicinandosi a Jill con aria innocente. – Credo di sapere già cosa ha intenzione di fare con te. Non fidarti di lui. Può sembrare perfetto, davvero, ma è solo uno stronzo. Come tutti, d'altronde. -
- Come te, quindi. – Ribattè Jill.
Ginevra ridacchiò divertita abbassando lo sguardo sui suoi stivali marroni. – Di me ti puoi fidare. Di lui no. – Aggiunse rialzando lo sguardo su Jill, scostandole una ciocca di capelli dal viso.
– Non mi toccare. – La mora la spinse subito lontano da sé piuttosto bruscamente, le girò le spalle, senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
Mosse dei passi in avanti, facendo per andarsene, ma delle lunghe e solide radici cominciarono ad avvolgersi attorno alle sue scarpe, alle caviglie, fino ai polpacci; impedendole di muoversi.
– Cosa stai facendo?! -
- Non mi sembra che abbiamo finito di parlare. – Rispose calma Ginevra, rimettendosi e impuntandosi davanti a lei. – Sai cosa? Dovresti scegliere con più attenzione le persone a cui dare fiducia. Conosco Alec, credimi. Quello che gli gira per la testa non è una cosa buona. Ti sta solo usando e se sei tanto astuta come tutti dicono dovresti capirlo. Alla fine, quella che ci rimetterà sarai tu. Solo tu. -
- Allora, visto che la fai tanto lunga, perché non mi dici che cosa ha in mente?! – Sbottò Jill, quasi urlandole in faccia.
– Davvero credi che sia così stupida da dirtelo? Mi ucciderebbe. Non credere alla messa in scena del ragazzo buono e gentile che ti vuole aiutare. -
- Le accuse contro di lui sono infondate. Stagli alla larga. -
- Altrimenti cosa mi fai? - Ringhiò la bionda avvicinandosi nuovamente a lei.
– Vuoi davvero saperlo? - Con un movimento veloce, senza muovere di un millimetro i piedi, Jill si sporse in avanti, prendendole con forza il viso tra la mano destra per poi sbatterle violentemente la testa contro al tronco della quercia di fianco a lei.
Ginevra cadde immediatamente a terra, perdendo i sensi. Le radici strette sulle gambe di Jill allentarono piano la presa su di lei fino a scomparire, risucchiate dal terreno.
– Stronza. – Sussurrò abbassando lo sguardo su Ginevra stesa a terra.
La tempia le sanguinava, impiastrandole leggermente alcuni capelli biondi di sangue. La cassa toracica si abbassava e alzava a scatti, irregolarmente.
Ma Jill sapeva che non sarebbe morta.
Una Ninfa non muore così facilmente. Pensò.


- Allora? Dimmi che cazzo nascondi perché ne ho davvero abbastanza. – Jill irruppe piuttosto ferocemente nella capanna di Alec, facendolo sussultare dalla poltrona.
– Prima cosa: Tesoro, calmati. Seconda cosa: Non so di cosa tu stia parlando. -
- Oh, invece sì che lo sai. Ginevra mi ha detto che ti frulla qualcosa per la testa e che non è niente di buono. Che mi stai usando. Che alla fine di tutto sarò io a rimetterci. – La mora sbattè forte la porta, le parole le uscirono di bocca tutte insieme, troppo velocemente.
Alec inarcò le sopracciglia alzandosi sbuffando dalla comoda poltrona. – Così, alla fine è venuta a parlarti. Sapevo che l’avrebbe fatto. -
- Beh sì, l’ha fatto. E fidati se ti dico che ciò che mi ha detto non è rassicurante! -
- Ma qualcuno mi dice perché sei così dannatamente stupida da credere a tutto ciò che dice quella squilibrata? – Rispose tranquillo portandosi le braccia al petto.
– E secondo te lei inventa cose a caso per il semplice gusto di farlo? – La mora cominciò a fare avanti e indietro per la stanza.
Lo faceva sempre, quando era nervosa.
Soprattutto quando si innervosiva a causa della rabbia.
– Ehi, ehi. – Alec si avvicinò a lei prendendola per il polso, impedendole di continuare ad andare avanti e indietro.
Come al solito, anche quella volta, la scossa non li risparmiò ma non li scalfì nemmeno. Nessuno dei due.
– Lo fa per il semplice gusto di crearmi problemi. Ti puoi fidare di me, più di chiunque altro. Mi sembra di avertelo già dimostrato. Quella di cui non ti devi fidare è lei. Non ha buone intenzioni, credimi. Ma farò di tutto per proteggerti, ok? A costo della mia vita. Fidati di me, ti prego. –
Jill riuscì ad avvertire la preoccupazione nei suoi occhi, nella sua voce, quasi tremante.
Come poteva non fidarsi di lui? Le aveva salvato la vita. L’aveva portata al sicuro. Le aveva detto tutta la verità. Tutto quello che lei doveva sapere però c’era qualcosa, una piccola voce nella sua testa le impediva di fidarsi del tutto.
– Guarda tuo fratello. Lui si fida di me. Anche Dakota si fidava. Perché dovresti dare ascolto ad una ragazza che nemmeno conosci? -
- Io non conosco nemmeno te. – Disse Jill mordendosi l’interno del labbro. – E non mi importa se Vincent ha fiducia in te, nemmeno se Dakota si fidava. Si potevano sbagliare. -
- Vincent mi conosce da molto più tempo di quanto credi. – La voce di Alec si fece pungente. Anche lui stava iniziando a perdere la pazienza.
Jill si liberò poi dalla sua presa morbida sul polso voltandosi verso l’uscita.
– Diciamo pure che non mi interessa cosa pensano loro. – Appena poggiò la mano sulla maniglia della porta il moro scattò spingendola bruscamente contro alla parete.
– Ascoltami bene. Non ti ho salvato la pelle per poi far sì che una stronzetta ti facesse venire dubbi su di me. Ok? –
Alec le piantò il bracciò contro al collo di lei tenendola contro al muro, riusciva ad avvertire il respiro ansimante di Jill contro al suo viso. – Se c’è qualcuno qui che ha in mente secondi fini quella è proprio Ginevra. Non sono di certo creature degne di fiducia le ninfe. -
- Alec…– Ansimò Jill con un fil di voce.
– Hai capito quello che ti ho detto? – Ringhiò lui ignorando Jill.
-...Mi stai facendo male – Continuò lei portando le proprie mani sopra al braccio di lui, cercando di fargli allentare la presa.
A quella frase Alec non si allontanò, anzi, fece ancora più pressione sul braccio portandosi in avanti e premendo il suo torace contro al petto di Jill.
– Ti prego. – Jill in quel momento ebbe quasi paura di ciò che Alec stava facendo, di ciò che avrebbe potuto ancora fare.
Appena la maniglia della porta fece un ‘click’ Alec mollò subito Jill facendo un passo indietro osservando Vincent che entrava dalla porta.
Il ragazzo rivolse uno sguardo interrogativo verso Alec e poi verso la sorella che si passava i palmi delle mani sul collo arrossato e dolorante.
– Cosa è successo? – Domandò guardando Jill.
– Niente che ti interessi. – Rispose immediatamente Alec precedendo qualsiasi risposta che Jill avrebbe dato.
Vincent si avvicinò velocemente alla mora restando in silenzio. – Che diamine hai fatto al collo? – Le chiese notando subito il rossore.
– Vincent. Lascia stare. – Rispose lei allontanandolo da sé girando lo sguardo verso Alec.
– Quindi, se non sei qui per qualcosa di importante potresti gentilmente andartene? – Chiese il moro guardando Vincent, invitandolo ad uscire.
–Ero venuto per…-
- Ehi! Non ci provare neanche ad andartene, tu resti qui!- Alec interruppe subito Vincent, vedendo Jill avviarsi verso la porta. – Non abbiamo ancora finito! -
- Mi pare però che tu abbia fatto abbastanza! Mi hai quasi amorevolmente strangolata. Poi dici che mi devo fidare. Bel modo di convincermi, complimenti! -
- Ti ha messo le mani addosso?! – La voce arrabbiata di Vincent fece quasi sussultare la sorella.
Alec alzò gli occhi al cielo incrociando le braccia. – Questa è la parte in cui tu ti incazzi e mi picchi perché ho toccato la tua cara sorellina? – Sbuffò quasi annoiato. –Davvero, fate pena. Tutti e due. – Rivolse lo sguardo verso Jill. – Dai, racconta apposta quello che ho fatto, così il tuo caro fratellino mi odierà. – Ridacchiò. - Sei patetica,Jill. -
- Vuoi finirla o vuoi che ti spacchi la faccia? – Vincent strinse i pugni, impuntandosi davanti ad Alec, quasi sfidandolo.
– Ma ti prego. – Sorrise Alec beffardo. – A chi vuoi spaccare la faccia tu? -
- Stai alla larga da mia sorella. Non ci provare neanche a toccarla di nuovo. -
- Vincent, finiscila. – Bisbigliò Jill alle sue spalle tirandogli la manica della camicia.
– Beh, mi dispiace informarti, ma ci sono io a capo della sua sorveglianza. Tu sarai anche suo fratello, il suo guardiano, tutto quello che vuoi ma sono io che la devo tenere d’occhio. Io le devo stare addosso, non tu. –
Vincent non gli rispose. Si limitò a guardarlo per pochi secondi quasi con disprezzo trattenendosi dal volergli piantare un pugno in faccia.
Si divincolò dalla mano della sorella sulla sua camicia voltandosi.
– Ora fai l’offeso? L’incazzato? – Alec cercò di fermarlo prendendolo per la spalla ma appena lo toccò la scena fu troppo veloce anche per Jill, che restò di sasso.
Vincent lo aveva colpito.
Era riuscito in pochissimi secondi ad estrarre dalla tasca dei pantaloni una lametta d’argento che gli conficcò nel collo appena lo toccò. – E stai anche alla larga da me. – Aggiunse Vincent guardando Alec cadere a terra e piegarsi in due dal dolore.
Era un arma piccola, alcuni direbbero persino insignificante ma non c’era mai da fidarsi degli aggeggi che maneggiavano le creature magiche; soprattutto quelle che possedevano i Guardiani.
Quella era una lametta d’argento, fatta apposta contro gli angeli.
Sui caduti aveva certamente un effetto minore ma comunque non si poteva sminuire la sua forza.
Una lama mischiata al sangue di demone, altamente nocivo per i servitori del cielo, mortale, se non veniva rimossa e poi curata la ferita in breve tempo.
L’urlo di dolore che uscì dalle labbra di Alec non fu affatto piacevole.
Jill scattò subito in avanti, inginocchiandosi di fianco a lui che si dimenava continuamente lanciando ringhi e grida strozzate.
– Fai qualcosa, diamine! – Gridò lei girandosi verso Vincent che però non si mosse di un millimetro ma che restò a fissare l’angelo sul pavimento.
Jill riusciva a vedere chiaramente la lama conficcata perfettamente nella carne.
Il sangue continuava a scivolare sulla maglia nera di Alec, creando macchie rosse su tutto il tessuto. – Morirà nel giro di poco. – Disse Vincent impassibile, per poi uscire dalla struttura sbattendo la porta alle sue spalle. – Vincent! – Jill lo chiamò, urlando ma lui la ignorò.
Non tornò indietro, non ascoltò la sorella. Non si sentiva minimamente in colpa. N
on voleva aiutare Alec, sperava solo che morisse, il prima possibile.

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Capitolo 15
*** -Lascia che sanguini ***




- Chiamo Jamie, sì, Jamie. Lui ti guarirà. – Ansimò Jill abbassando lo sguardo verso Alec disteso a terra che ancora si dimenava dal dolore.
Lui riuscì a portarsi la mano al collo, artigliando le unghie cercò di estrarre la lametta dalla pelle senza però riuscirci. Un altro urlo squarciò il silenzio.
– Stai fermo, Alec. – Disse subito Jill, in preda al panico.
Si alzò poi velocemente in piedi, schizzando fuori dalla porta. Tornò immediatamente alla camera di allenamento sperando di poter trovare lì Jamie, però, purtroppo non c'era.
Ri-uscì immediatamente, le gambe si muovevano il più velocemente possibile, quasi da sole.
Pensando a quella situazione non potè fare a meno di pensare a quando aveva più o meno undici anni, quando successe più o meno la medesima cosa con sua madre.
Ricordava perfettamente che qualcosa in casa l’aveva ferita. Qualcosa o qualcuno.
Era troppo piccola per ricordare esattamente cosa fu a provocarle una grande ferita allo stomaco.
Le tornarono in mente le urla di sua madre che provenivano dalla cucina.
Jill dovette scattare in piedi dal letto appena sentì quelle grida. Erano in casa da sole. Lei dovette uscire velocemente di casa, percorrendo tutti gli infiniti scalini del condominio fino ad arrivare al piano terra, da suo fratello, che stava sistemando delle cose nella sua auto nuova.
L’unica cosa che era diversa da quel momento è che dieci anni prima Vincent era sotto casa, pronto a portare la madre in ospedale.
Tutto si risolse per il meglio.
Mentre invece, con Alec in quella situazione, lei non riusciva a trovare Jamie da nessuna parte e non poteva certamente essere sicura che tutto si sarebbe risolto.
– Noah! – Jill vide in lontananza il fratello di Alec impugnare un arco e tirare freccie ripetutamente contro al bersaglio. Lo raggiunse subito, velocemente, affiancandolo.
– Cosa vuoi? – Il ragazzo non la degnò nemmeno di uno sguardo, restò concentrato sul bersaglio davanti a lui sbuffando.
– Jamie. Mi serve assolutamente Jamie. – Ansimò lei. – Alec è stato ferito. –
A quella frase Noah abbassò l’arco girando lo sguardo verso Jill. – Come è successo?! -
- Non c’è tempo per spiegare, ti prego. Trova Jamie e portalo alla capanna di Alec. Io torno da lui. – Rispose lei per poi correre immediatamente verso il rifugio di Alec, lasciandosi alle spalle Noah, che gettò l’arma a terra andando subito a cercare Jamie.
Jill tornò subito da Alec che sembrava peggiorare di minuto in minuto.
Le sembrava davvero sconcertante, o sconvolgente, quanto quella piccolissima lametta potesse fargli così male. Metterlo addirittura in punto di morte.
Si mise ancora a terra, inginocchiandosi di fianco a lui che roteò gli occhi verso di lei.
– Dov’è? Dov’è quell’idiota Jamie? – Le chiese Alec guardandola.
– Sta arrivando. -
- Giuro che se mi fa morire lo uccido. – Continuò lui girando nuovamente lo sguardo verso il soffitto.
Jill a quella frase non riuscì a non accennare un piccolo sorriso divertita.

Era come se improvvisamente si fosse dimenticata di ciò che lui le aveva fatto poco prima. Lei si fidava di lui, punto. Faccenda chiusa.
Alec si era guadagnato la sua fiducia, nessuno le avrebbe fatto cambiare idea su di lui, nemmeno Ginevra. Ma comunque in quel momento le importava solo che restasse vivo.

Si avvicinò ancora a lui prendendogli piano il viso tra le mani, un’altra piccola scossa le attraversò nuovamente il corpo.
Avvertì la mandibola di Alec stringersi, esattamente come i suoi denti.
Quella che per lei era stata solo un leggerissimo fastidio per lui doveva essere stato un altro dolore fastidioso.
– Scusa. – Si sentì in dovere di dire lei poggiando la testa di Alec sopra le sue ginocchia delicatamente.
Jill continuava a spostare lo sguardo verso la porta, aspettando Jamie e Noah, che sperava arrivassero il prima possibile.
Riusciva ad avvertire delle piccole goccie di sudore accompagnate da quelle di sangue arrivargli sulla pelle.
Alec era in una pozza di sudore ed il suo collo era praticamente inondato di sangue.
– Dio..- Bisbigliò la mora tra sé e sé. A rompere il silenzio che divorava la stanza fu proprio Alec che con un colpo di tosse sporcò il pavimento di sangue.
– Cazzo. – Il moro ansimò passandosi le dita sulle labbra sporche di sangue.
Un altro brivido freddo percorse la schiena di Jill alla vista di quella scena.
Sta andando, pensò.
Jill continuò a fissare gli schizzi rossi sul parquet mentre fece scivolare una mano sui capelli morbidi di Alec.
– Jamie arriverà a momenti. – Gli disse, cercando di rimanere il più calma possibile.
– Oh dai, ma chi vuoi prendere in giro? – Alec tossì nuovamente, macchiando ancora il pavimento sempre con più sangue. – Sarà in giro a farsi gli affari suoi. Ormai, sono già morto. –
- Non dire cazzate, arriverà e ti guarirà. – Rispose lei con voce tremante.
Jill capì subito che le era venuta quella voglia pazzesca di sfogarsi, di piangere.
Una voglia che non riesci a fermare. Non aveva pianto per la morte di Dakota, forse era il momento di farlo. Avrebbe pianto, ancora, se lui fosse morto.
''Solo quando stai per perdere una persona capisci davvero quanto sia importante per te.'' La frase che suo padre le aveva detto quando era una ragazzina le riaffiorò nella testa, solo in quel momento era riuscita a cogliere quanta verità ci fosse in quelle parole che inizialmente aveva trovato insignificanti e infondate.
A riportarla alla realtà fu il ragazzo che fece un enorme respiro, affannato più di prima.
– Alec. – Sussurrò piano lei aspettandosi una risposta. – Alec! – Il suo tono di voce si alzò, allarmata, appena non lo sentì più ansimare. – ALEC! – Gridò poggiando piano la testa di lui sul pavimento spostandosi di fianco a lui restando in ginocchio.
Il moro tirò nuovamente un grande respiro, esattamente come quello di qualche secondo prima.
Gli occhi socchiusi, il corpo caldo e intriso di sudore, il sangue ormai quasi secco sul suo collo e sul bordo della maglia.
– No, forza, ti prego, non morire. Non morire. Non lasciarmi. – Sussurrò reprimendo le lacrime che già le stavano inondando gli occhi.
Prese con forza la mano di Alec, stringendola nella sua, sentì anche le dita di lui stringersi leggermente tenendo il più forte che poteva la mano della ragazza.
Qualche istante dopo la porta della capanna si spalancò con forza. Jamie e Noah.
– Finalmente! – Ringhiò Jill vedendo i due apparire sulla porta.
Girò di nuovo lo sguardo verso Alec mentre Jamie si inginocchiò in parte a lei.
– Spostati. – Le ordinò il biondo, Jill non obiettò, appena fece per spostarsi però si bloccò.
Alec lasciò di colpo la presa sulla mano di lei, chiudendo lentamente gli occhi. – Ehi! EHI! – Noah si avvicinò velocemente ai tre, buttandosi a terra vicino al fratello.
Jill riuscì a vedere l’espressione quasi scioccata sul viso di lui. I suoi occhi verdi si erano improvvisamente spenti, come se li avessero negati della loro bellissima luce.
– No. – Jamie si fece strada in quell’orrendo silenzio.
Guardando impassibile Noah che già stava singhiozzando mentre una lacrima gli rigò la guancia, poi guardò Jill, immobile a fissare Alec a terra.
– E’ morto. –


Ehehehe, odiatemi. Capitolo brutto, lo so, sia per il mio modo di scrivere che per il fatto che in teoria, dovrebbe essere triste ma non lo è perchè scrivo male c': Lasciate comunque una recensione, bella o brutta che sia. Un bacio.
Giulia.

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Capitolo 16
*** -Il viale dei sogni ***




- E’ perché siete legati. Per quello tutte le volte che stabilite un contatto entrambi avvertite una scossa. –  
Una donna incappucciata si avvicinò a Jill con passo felpato. 
La ragazza riusciva a scorgere i suoi capelli bianchi lisci le ricadevano sulle spalle, sotto al cappuccio grigio di quella lunga tunica.  
Graffi e ferite rimarginate ma che avevano comunque lasciato un segno le segnavano il viso insieme alle rughe della vecchiaia.  
– E’ perché siete legati. – Replicò la donna.  
 
- Posso provarci ma non è detto che ci riesca. – Jamie guardò Noah ormai assente, le lacrime gli tempestavano gli occhi e tutto il viso.  
La pelle era sbiancata e le sue labbra erano secche, inumidite soltanto da qualche lacrima salata. – Fallo! – La voce di Jill rimbombò nella stanza.  
 
- Non fidarti di lui. – Ginevra si rigirò tra le dita una ciocca di capelli biondi. – Ti sta solo usando. –  
 
 
- Siete legati. Anime che comunque, qualunque cosa succeda, si ritroveranno sempre. –  
La signora incappucciata si fece nuovamente strada verso Jill.  
– Ma è morto. –  
 
Jamie poggiò entrambe le mani sul petto di Alec.  
Una luce bianca, abbagliante, pura, illuminò la stanza. 
 
- E’ innamorato di lui. E’ troppo protettivo. Furioso. Geloso. Perde spesso il controllo di sé. – 
- Il prossimo a morire sarò lui. Si distruggeranno a vicenda. – 
- L'altro ragazzo invece? –  
- E’ legato a lei. – 
Le voci roche di quegli uomini senza volto rimbombarono nella sala.  
Il gruppo degli incappucciati discutevano attenti attorno ad un tavolo scintillante. Se non pareva strano dirlo, sembrava addirittura fatto d’oro. 
 
– Fallo! – La voce di Jill rimbombò nella stanza. - Vincent me la paga. Non la passerà liscia. – Noah si rigirò tra le dita un pugnale con la lama dorata e con la punta ancora impiastrata di sangue ormai secco. 
 
- Jillian. – Il padre della ragazza arrivò davanti a lei. Sussurrò piano il suo nome. – Ti supplico, fa attenzione. -  
 
- E’ morto. – 
- Stai alla larga da lui. – 
- Alla fine quella che ci rimetterà sarai tu. Solo tu. – 
- Sei un abominio. – 
- Sei patetica, Jill. – 
- Fate pena, tutti e due. – 
- Stai alla larga da mia sorella. – 
- Non fidarti di lui. – 
- Ti sta solo usando. – - Jill non è un pericolo. Ti ho detto più volte che mi serve. – 
- Non provare più a toccarla. – 
- Alec…ti prego. - 

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Capitolo 17
*** -Acque agitate ***




Dei cocci di vetro si spaccarono contro il pavimento di legno, violentemente, facendo sobbalzare Jill dal lettino.
Aprì di scatto gli occhi, ansimando.
La fronte bagnata, le mani sudate, il cuore a mille le martellava nel petto.
Girò il viso verso destra, un paio di lettini più in là vide Ginevra, addormentata.
Una benda bianca le fasciava la fronte, riusciva però a vedere perfettamente la macchia di sangue sulla tempia.
Una fitta al braccio la fece sussultare.
Girò lo sguardo sul braccio destro, dove c’era un taglio piuttosto profondo che le marchiava la pelle.
Corrugò la fronte, nemmeno ricordava cosa fosse successo.
La ferita era arrossata, riusciva anche a scorgere del sangue sotto i punti di sutura.
Girò nuovamente la testa, questa volta a sinistra, in fondo alla stanza notò subito Noah, in piedi, appoggiato al muro.
Il cuore cominciò ad aumentare ancora i battiti, strinse i denti, alzandosi il più velocemente possibile dal lettino anche se le ossa indolenzite la rallentavano.
Poggiò i piedi per terra, il pavimento gelato sotto di lei le provocò un brivido lungo tutto il corpo.
– Noah! – La ragazza lo chiamò avvicinandosi a lui lentamente.
Il moro girò lo sguardo verso di lei senza risponderle, sembrava fosse immerso nei suoi pensieri e che non volesse essere disturbato.
– Jamie ci è riuscito, vero? – Jill arrivò quasi barcollante davanti a lui fissando il lettino alla sinistra del ragazzo sulla quale era disteso Alec, ancora ansimante.
– Sì. – Rispose piano lui incrociando le braccia. – Tu come stai? Ricordi cosa è successo? –
Jill scosse la testa posando lo sguardo su i piccoli tagli che gli segnavano le braccia e il mento.
– Quando Jamie ha riportato in vita mio fratello hai avuto una specie di crisi, non saprei bene come definirla. Ti sei accasciata a terra, urlando e dicendo che sentivi delle voci e delle grida. Che qualcuno ti stava parlando. Subito dopo hai iniziato a sanguinare al braccio. Nessuno ha capito che diavolo ti stesse succedendo. – Rispose Noah.
- Dovresti riposare. – Aggiunse calmo.
– No. Sto bene così. – Rispose la mora avvicinandosi piano ad Alec. Il suo collo era stato completamente ripulito dal sangue, la lametta argentea era finalmente stata rimossa e la ferita era stata cucita.
– Ha ancora in circolo il sangue di demone.- Noah spezzò il silenzio che si era creato.
– Ma si rimetterà, vero? –
Il ragazzo non le rispose. Non poteva averne la conferma, non poteva saperlo. Nessuno poteva.
La situazione si sarebbe potuta capovolgere nuovamente. Avrebbe potuto rischiare ancora.
Jill gli lanciò un’occhiata preoccupata. – Dov’è Jamie? -
- L’hanno portato via. -
- Cosa? E perché? -
- Riportare indietro i morti non è una buona cosa, non lo è mai stato. Verrà punito perché ha alterato l’equilibrio della natura. - Rispose lui sospirando.
- Dove l’hanno portato? -
- Non lo so. Non so nemmeno se tornerà. –
Jill sospirò alzando gli occhi al cielo, preoccupata.
– Ringrazia tuo fratello per questo! – La voce di Noah si fece di nuovo aggressiva.
La calma che aveva fino a pochi secondi prima era già sparita, era tornato arrabbiato. Arrabbiato con lei.
– Stai sicura che me la paga. Ha ucciso mio fratello e il mio migliore amico sarà punito perché lo ha riportato in vita. E’ solo colpa di Vincent. -
- Lo so. – Bisbigliò piano Jill.
Noah aveva ragione.
Lei quasi si vergognava di quello che aveva fatto suo fratello, si sentiva anche in colpa. Ancora però non aveva completamente preso atto di come si era comportato.
''Mio fratello non è così, non è un assassino.'' Continuava a pensare.
In tutti quegli anni però, lui le aveva nascosto la verità, forse, non lo conosceva davvero come credeva. Forse voleva solo punire Alec per come si era comportato con lei.
– Ehi. Gira i tacchi. – Noah la allontanò bruscamente lontano dal fratello appena lei allungò una mano con l’intenzione di accarezzargli i capelli. – Non ti voglio attorno a lui. Porti solo guai. -
- Ma..-
- No. Niente ma. Non mi importa quello che Alec voleva fare con te. Non mi importa di te, per me puoi anche morire. Domani parlerò con il consiglio e vedrò di farti cacciare via da qui. Ci stai rovinando. Tutti quanti. – Aggiunse Noah, girando anche lo sguardo su Ginevra, ancora senza sensi.
Il consiglio.
Jill non aveva ancora sentito parlare di nessun consiglio.
Creature a capo della magia. Un gruppo ristretto di persone di ogni tipo, di ogni parte del mondo, con qualsiasi tipo di potere e discendenza ma che comunque restavano nella neutralità per quanto riguardava qualsiasi fenomeno o faccenda magica.
Un gruppo esistente già dai primi secoli dalla creazione del mondo.
– Non possono mandarmi via. Non ho dove andare. Angeli e demoni mi danno la caccia, mi uccideranno. -
- Mi è sembrato di dirti che non mi importa. Anche se, meriteresti la morte. – Rispose impuntandosi davanti a lei, mettendosi tra lei e il fratello. – Ti conviene davvero stare alla larga da Alec oppure sarò io ad ucciderti, senza pensarci due volte. -
- Ti prego, io..-
- Chiudi quella bocca. Sei irritante. – A rompere nuovamente il silenzio, mischiato alla tensione fu lo scricchiolio della porta d’ingresso che si aprì.
Jill osservò il viso di Noah davanti a lei che si fece quasi sorpreso, scioccato forse, appena alzò lo sguardo verso l’ingresso.
– Cosa ci fai qui?! – Scattò subito lui.
La ragazza si girò immediatamente vedendo Vincent sulla soglia della porta.
– Vattene! – Noah scostò nuovamente Jill avvicinandosi velocemente a Vincent. – Sparisci. -
- Calma, ok? - Disse Vincent sospirando.
- Calma? CALMA? HAI PRATICAMENTE UCCISO MIO FRATELLO! – Noah perse completamente le staffe appena Vincent disse quella frase.
Il ragazzo lo sbattè violentemente contro al muro, facendogli battere la schiena e la nuca con forza.
– Lascialo! – Jill fece un passo in avanti appena Noah aggredì Vincent. Si fermò subito appena avvertì una mano dietro di lei avvolgersi attorno al suo polso.
Si voltò di scatto vedendo le dita di Alec stringersi sulla sua pelle. La solita scossa li attraversò entrambi qualche secondo dopo.
Notò subito le sopracciglia di lui corrugarsi a quel fastidio.
– Ehi! Voi due! – Gridò a Vincent e Noah. – Alec mi…-
Non riuscì a finire la frase che Noah la interruppe lasciando subito Vincent.
– Cosa ha fatto? – Le domandò scattando verso di lei lasciandosi il fratello di Jill ansimante alle sue spalle.
Appena il ragazzo la raggiunse Jill alzò il polso, con la mano di Alec ancora stretta attorno.
Noah fissò il fratello per alcuni secondi poi si voltò verso Vincent.
– Renditi utile. Vai a cercare l’infermiera! – Gli disse facendogli segno di uscire. – Muoviti! – Ordinò.
Vincent non ribattè, se ne restò in silenzio uscendo subito dalla stanza.
Jill notò subito che Noah tirò fuori una siringa dalla tasca dei jeans, una piccola, di vetro, con all’interno un liquido verdastro. – Cos’è? -
- Qualcosa che adesso lo aiuterà. – Rispose per poi infilare velocemente l’ago nel braccio di Alec.
Iniettò tutto il liquido, il più velocemente possibile, poi rimosse la siringa e la rinascose in tasca. – Guai a te se ne fai parola con qualcuno. – Jill annuì dubbiosa.
''Cosa era quella roba? Perché gliela aveva iniettata?''Continuava a chiedersi.
Qualche istante dopo Vincent fu di ritorno assieme ad Abigail, l’infermiera che si era presa cura di Jill l’ultima volta che si era ferita.
I capelli neri a caschetto le sfioravano le spalle sotto a quel cappellino di seta bianco. Anche quella volta aveva il camice completamente sporco di rosso; di sangue.
– Fatevi da parte. – Disse subito lei raggiungendo il lettino.
Jill fece un passo indietro, facendo sì che Alec mollò la presa attorno al suo polso.
Noah fece lo stesso, allontanandosi dal lettino, ritrovandosi alle spalle Vincent.
– Faresti meglio ad andartene. – Gli isse subito Noah, senza voltarsi verso Vincent. – Anzi, fareste meglio ad andarvene tutti e due. – Continuò guardando Jill.
– Io non me ne vado. – Ribattè subito lei incrociando le braccia. – Sarebbe meglio che ve ne andaste voi due. – Abigail si voltò verso di loro, indicando con lo sguardo Noah e Vincent.
– Perché io? E’ mio fratello. – Noah sbuffò scocciato. – Perché lei deve rimanere e io no? – Chiese fulminando con lo sguardo Jill.
– Ho bisogno che mi dica quello che è successo e preferirei che voi ve ne andaste. Forza. – Sorrise Abigail invitandoli ad uscire.
Vincent ancora non parlò, non se la sentiva. Non era nemmeno nella posizione di poter ribattere, così se ne andò subito dopo seguito da Noah, che imprecò a bassa voce.
Abigail li seguì con lo sguardo andare via, poi sorrise a Jill rigirandosi verso Alec.
– Allora…beh. – Jill cominciò a parlare rompendo il silenzio e osservando la donna maneggiare un pezzo di stoffa che profumava evidentemente di erbe. – Mio fratello ha tirato fuori una piastrina, piccola, davvero minuscola. Impiastrata con sangue demoniaco, poi gliel’ha semplicemente conficcata nel collo e…-
- E ha iniziato a stare subito male, sì. – La interruppe la donna. – Dovevi portarlo subito qui. -
- Come avrei fatto? Non sarei riuscita a trasportarlo da sola fino a qua. –
Abigail si allontanò senza aggiungere altro, aprì lo sportello di un armadietto prendendo un bicchiere di vetro, forse cristallo. Tornò nuovamente dai due, prendendo il braccio di Jill.
– Cosa fai? – Le chiese Jill corrugando la fronte, ritraendo il braccio.
– Quello che avrei già dovuto fare parecchi giorni fa. – Le rispose estraendo un coltello dalla tasca della tunica.

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Capitolo 18
*** -Alec, apri gli occhi. ***




In pochissimo secondi il viso della donna mutò spaventosamente.
Gli occhi ambrati divennero improvvisamente rossi, la pupilla nera si allargò, tempestando poi le palpebre e le guancie di piccole scaglie grigie e ruvide.
Jill indietreggiò velocemente, per poi iniziare a correre verso l’uscita appena anche il corpo dell’infermiera cambiò aspetto.
Un mostro enorme, con scaglie enormi nere, grigie e bianche su tutta la schiena, percorrendo perfettamente la spina dorsale.
Le zampe e la coda nere come la cenere.
Jill riusciva a vedere il male riflesso in quegli occhi inquietanti.
La mora afferrò con forza la maniglia della porta che però era bloccata, forse chiusa a chiave da qualcuno.
– Non uscirai di qui. Almeno, non da viva. – Ringhiò la creatura avvicinandosi a lei furtivamente.
Jill si voltò verso di essa, poggiando la schiena contro la porta facendo scivolare la mano nella tasca della giacca dove teneva una frusta argentata, ripiegata su se stessa.
Estrasse poi l’arma velocemente puntandola verso il mostro che poi si gettò immediatamente contro di lei spingendola via dalla porta con una zampata ribaltandola a terra.
Quella creatura era gigante, almeno il doppio della ragazza.
Quest’ultima si alzò subito in piedi, impugnando la frusta che emanava una luce bianca, quasi accecante.
Colpì ripetutamente il mostro, notando che ogni volta che l’arma veniva a contatto con le scaglie gli lasciava un segno rosso, fumante.
I ringhi della creatura rimbombavano in tutta la stanza, spezzando quel tranquillo silenzio che era solito trovarsi in infermeria.
Jill vide ben presto gli artigli appuntiti delle zampe colpirla sulle gambe aprendo graffi e tagli sui pantaloni aderenti.
La colpì ancora, alle braccia, al petto, stracciandole la giacca di pelle e la maglietta.
La spinse nuovamente a terra, facendole sbattere la testa sul pavimento duro.
I tagli bruciavano e pulsavano sulla sua pelle, la nuca perdeva sangue impiastrandole alcune ciocche di capelli.
La creatura avanzò ancora, fermandosi appena davanti alla ragazza distesa a terra.
Una nuvola di fumo e cenere si gettò su Jill e sul mostro divorando tutta la camera.
I vetri si spaccarono andando in frantumi facendone volare i frammenti per terra.
Jill non capiva cosa stava succedendo.
Avvertì il mostro tirare un grido soffocato, forse un ringhio, per poi cadere a terra infiammandosi.
La ragazza si allontano tirandosi a sedere il più velocemente possibile assistendo alla scena.
Nel giro di poco le fiamme si spensero da sole e tutto quello che era rimasto della creatura era solo un ammasso di cenere.
– Uhm, vediamo, direi che siamo a due. Sì, due volte che ti ho salvato la vita. –
Jill alzò lo sguardo verso il moro davanti a lei che aveva lo sguardo sul pugnale ambrato tra le mani dal quale gocciolava una strana sostanza gialla. – Alec. – Ansimò lei.

Quella cosa che Noah gli aveva iniettato aveva funzionato, e anche perfettamente. Pensò.
Jill si alzò subito in piedi lasciando a terra la frusta che ancora brillava.
Nonostante il dolore e il fastidio delle ferite si lanciò subito addosso ad Alec stringendogli le braccia attorno.
Quella volta la scossa che seguì il contatto fu forte, molto anche.
Jill mugugnò stringendo i denti, ma non si allontanò da lui, anzi, le braccia di Alec che si strinsero nell’abbraccio lo avvicinarono ancora a lei.
– Mi dispiace. – Sussurrò Alec contro l’orecchio di lei.
Jill non gli rispose però, si limito a poggiare la fronte contro la sua spalla.
Un attimo di pura tranquillità, serenità, silenzio attorno a loro, insieme alla voglia che tutto si bloccasse in quell' istante che lei vorrebbe fosse per sempre. *** - Come ha fatto? I demoni non possono entrare qui. -
- Eppure quello ci è riuscito prendendo amorevolmente possesso del corpo di Abigail. – Alec tamburellò le dita sul tavolo di legno fissando Noah, quasi pensieroso, stendersi comodamente sul divano.
– E che ne so io. Magari c’è una spia o roba del genere. Magari qualcuno che vuole Jill morta. -
- Oltre a te e Ginevra, ovviamente. – Esordì Jill inclinando la testa di lato.
– Ah, che spiritosa. – Sbuffò Noah mentre avvertì il fratello soffocare una risata divertita.
- Comunque una strega non ci sarebbe riuscita. Ricorda che qui gli stregoni sono inesperti praticamente. Per abbattere quel tipo di magia che tiene fuori Angeli e Demoni ci vorrebbe qualcuno di potente. -
Noah girò lo sguardo verso Jill.- Un guardiano però riuscirebbe a farlo. -
- Cosa stai insinuando?! – Sbottò subito la mora. – Mio fratello non mi vuole morta, sai? -
- Ne sei sicura? Perché mi pare proprio che ci sia un po’ di tensione tra voi. – Ribattè Noah scrollando le spalle per poi alzarsi nuovamente in piedi. – Forse tu non te ne sei accorta ma io non sono scemo. Vedo benissimo come si comporta. -
- In che senso? -
- Nel senso…- Noah si fermò qualche secondo lanciando un’occhiata ad Alec. – Niente. – Sospirò. – Lascia stare. -
- No. Non lascio stare. Parla! -
- Oh avanti. Lo credi davvero? Ne sei proprio convinto? – Alec si intromise ridacchiando e incrociando le braccia.
– Ma cosa?! Volete dirmelo?! – Jill li guardò entrambi. Prima Alec, poi Noah che già sbuffava irritato.
– Dimmi una cosa. – Disse quest’ultimo avvicinandosi a Jill. –Tuo fratello è gay, vero? –
Jill inarcò le sopracciglia incredula.
Sentì Alec ridere a crepapelle in parte a lei, ma l’espressione di Noah in viso era serissima.
– Mi prendi in giro? -
- Ecco, vedi? Siete tutti un branco di idioti. Possibile che davvero non ve ne siate accorti? E’ evidente! – Noah si girò di spalle roteando gli occhi al cielo.
Jill girò lo sguardo verso Alec che non la smetteva di ridere. – La vuoi finire?! – Quasi lo fulminò.
Le dava quasi la sensazione che con quelle risatine irritanti stesse prendendo in giro Vincent.
– Ma insomma, ora capisci cosa devo sopportare ogni giorno? Mio fratello spara cazzate dalla mattina alla sera! – Le disse Alec cercando di trattenere le risate.
Noah si passò nervoso una mano tra i morbidi capelli voltandosi nuovamente verso i due.
– Non ti rendi conto di come ti guarda? – Noah girò lo sguardo verso il fratello che gli lanciò un altro sguardo divertito.
- Io? Come mi guarda scusa? Okay che sono dannatamente sexy ma non credevo di fare questo grande effetto anche sugli uomini. – Alec si portò la mano sopra le labbra, mordendosele, per evitare di ridere ancora.
– Ma stai zitto tu. – Disse Jill fulminandolo con lo sguardo per poi guardare di nuovo Noah. – Se la metti così allora gli parlerò. Vediamo cosa ne pensa lui.-
- E già che ci sei chiedi se c’entra qualcosa con quel demone. – Aggiunse Noah.
- Vincent non lo farebbe. Finiscila di dargli contro! -
- Giusto. Come il fatto che non mi avrebbe mai piantato una lama impiastrata di sangue demoniaco nel collo? – Alec si scrollò dal muro storcendo il naso.
Jill sorrise compiaciuta verso Noah. – Piuttosto, Noah, perché non dici che cosa hai iniettato nel corpo di tuo fratello? -
- Di cosa parli? – Le chiese subito Alec. – Ma tu non impari mai a startene zitta? – Le ringhiò contro Noah.
- Che cosa hai fatto? – Alec girò lo sguardo verso il fratello
- Insomma, davvero non ti chiedi come hai fatto a saltare giù dal letto così velocemente per uccidere un mostro? Ti ho solo iniettato una sostanza che accellera la guarigione. Di parecchio anche, a quanto pare. -
- Quale sostanza quindi? – Domandò la ragazza accigliata.
- Non importa, okay? Ora è apposto. E’ guarito. E’ questo che conta. – Disse infine Noah per poi svignarsela senza aggiungere altro.
Se ne andò velocemente dalla capanna di Alec sbattendo la porta.

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Capitolo 19
*** -Niente da nascondere ***




- Aspetta, mi stai dicendo che è vero? Che quello che ha detto quel montato di Noah è vero? Non è possibile. – Jill si passò la mano sulla fronte che già stava iniziando a sudare.
– Cosa c’è? Ti da fastidio avere un fratello gay? – Vincent si lasciò cadere sul divano sbuffando.
- No! Ma avresti potuto dirmelo. Non avrei di certo voluto saperlo da un idiota che odio! – Ribattè lei sospirando. - Però…-
- Cosa c’è? – Chiese Vincent alzando gli occhi al cielo.
– Insomma, le tue ex ragazze? Amanda? Eri completamente innamorato. Lo ricordo bene. – Rispose lei, nominando solo una delle ragazze che suo fratello aveva frequentato in tutti quegli anni.
Ne portava a casa una diversa ogni settimana, Jill lo ricordava perfettamente.
Ricordava anche quanto era importante quella ragazza per lui.
– Quando ti ha piantato, sei stato una settimana chiuso in camera. Okay che avevi 17 anni, ma mi sembrava davvero di avere un fratello mezzo depresso. –
Vincent sbuffò inclinando la testa di lato. – Amanda? – Ripetè lui – Quella mezza psicopatica che mi veniva dietro come un cagnolino? -
- Non era psicopatica e, per la cronaca, la amavi. -
- Non ti passa per la testa che forse fino a qualche anno fa non avevo ancora pensato al fatto di essere gay? -
- Sei innamorato di Alec? – Domandò subito Jill, direttamente, spiazzando il fratello.
– Cosa? – Chiese lui inarcando le sopracciglia, arrossendo di botto.
– Oh, bene. – Mugugnò la ragazza. – Sei innamorato di lui. -
- No. Ti sbagli. -
- No che non mi sbaglio. Ora che ripenso a quello che ha detto Noah…è ovvio. Non avresti mai voluto che morisse, vero? Ti sei sentito subito in colpa appena l’hai ferito, hai agito d'impulso perchè mi aveva trattata male. Te ne sei andato con le lacrime agli occhi facendo però finta di niente. Ti da fastidio quando gli sto vicino. –
Vincent non le rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo mordendosi l’interno del labbro.
La sorella restò ugualmente in silenzio, per poi tirare un sospiro ed uscire dal rifugio di Vincent, senza aggiungere altro.
– Dio..- Bisbigliò tra sé e sé coprendosi il viso con le mani appena chiuse la porta alle sue spalle.

****

- Allora, bionda. – Alec arrivò da Ginevra ancora in infermeria.
Lei si era ripresa completamente, la ferita alla tempia era guarita.
Stava sistemando le lenzuola candide del lettino quando il ragazzo la raggiunse.
– Alec. Che sorpresa, ancora vivo? Ho saputo quello che è successo. – Rispose lei indifferente avviandosi poi verso l’uscita dell’edificio.
– Sì, beh, per tua sfortuna sono ancora qui. – Alec la seguì, raggiungendola subito, superandola si impuntò sulla soglia della porta poggiando la mano sulle stipite, sbarrandole la strada. – Allora, mi dici che cosa stai cercando di fare? –
Ginevra inarcò un sopracciglio sorridendo. – La piccola puttanella è venuta subito a raccontarti quello che le ho detto? Sapevo che l’avrebbe fatto. -
- Abbassa i toni. – Ringhiò subito lui.
– Oh perdono. Non volevo offendere la tua cara Jill. – Rise beffarda giocherellando con una ciocca dei suoi lunghi capelli biondi. – Comunque, sai benissimo che tutto quello che le ho detto è la verità. Hai davvero la faccia tosta di venire a negarlo? -
- Mi era sembrato di averti detto di starne fuori. Non provare più a dirle niente o ti uccido. Sai che potrei farlo. – Ribattè lui, sfidandola.
– Guarda che non mi fai paura. Uccidi me? Ce ne saranno comunque altri che cercheranno di ostacolarti. Non so davvero dove vuoi arrivare con questa pazzia. -
- Tu e Noah siete gli unici a saperlo. Tu muori. Mio fratello non parlerà. Nessuno lo farà. -
- Infatti mi sorprende che Noah non abbia ancora detto niente. Dimmi, come l’hai convinto a stare zitto? – Domandò Ginevra rialzando lo sguardo su di lui.
- Non sono affari tuoi. -
- E invece come fa invece Jill a non accorgersi che la stai usando? -
- Chiudi quella bocca. – Ringhiò Alec nuovamente.
La bionda sorrise divertita avvicinandosi a lui. – Però in fondo è divertente vedere come ti prendi gioco di lei senza che se ne accorga. E’ davvero un’ingenua. – Continuò, mettendogli le mani dietro al collo. – Hai degli occhi bellissimi. – Sussurrò Ginevra allungando la mano accarezzandogli la guancia calda, guardando quasi incantata gli occhi blu del ragazzo.
– Finiscila. – Disse Alec allontanandola subito da sé bruscamente. - Sempre a fare la puttana. –
Ginevra inarcò le sopracciglia per niente sorpresa da quella frase, si avvicinò a lui nuovamente sorridendo divertita.
Prima ancora che il ragazzo si potesse retrarre la bionda lo baciò delicatamente sulle labbra, accarezzandogli i capelli mori.
Quel gesto così improvviso spiazzò completamente Alec che però non la respinse subito come chiunque altro avrebbe potuto pensare.
Dall’ultima volta che si erano baciati erano passati circa quattro mesi.
Ginevra non poteva certo dire di non essere più innamorata di lui, perché nonostante tutto, nonostante le minacce, nonostante il modo con cui Alec si comportava con lei, era ancora attratta da lui.
Alec restò immobile, non la allontanò di nuovo come lei invece si aspettava. Le sue labbra quasi si irrigidirono appena Ginevra lo baciò ma poi improvvisamente qualcosa scattò dentro di lui.
Si ritrasse velocemente da lei, allontanandola ancora, per poi stringerle la mano al collo, con forza.
– Ti ho detto di finirla. Stai alla larga da me e da Jill. – Infine Alec la lasciò andare, bruscamente. Le lanciò un’ultima occhiata prima di andarsene via lasciando la bionda da sola, nell’infermeria.

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Capitolo 20
*** -Fiducia e sangue ***




Noah aprì velocemente il cassetto di legno del suo comodino, vicino al letto.
Prese subito il suo pugnale d’argento, nascondendolo nella tasca esterna della giacca grigia.
Si diresse poi verso l’uscita del suo rifugio, appena aprì la porta però, si trovò davanti il fratello sorridente, con il solito ghigno beffardo stampato in viso.
- Allora? Dove andiamo? – Gli chiese Alec.
– Levati. Non ho tempo da perdere con te adesso. – Rispose Noah aspettando che si spostasse, cosa che, ovviamente Alec non fece.
– Mmh. – Alec abbassò lo sguardo sulla giacca di Noah. – Cosa ci vuoi fare con questo? – Velocemente estrasse il pugnale affilato dalla tasca del fratello rigirandoselo tra le dita.
– Affari miei. Adesso ridammelo, muoviti. -
- Non ho intenzione di farti andare da Vincent. Ancora arrabbiato perché mi ha praticamente ucciso? – Alec rialzò lo sguardo su Noah. – Rilassati. Io l’ho superato. Tu dovresti fare lo stesso. – Continuò per poi allungare la mano arrivando fino alla maniglia della porta. – Rientra. – Gli ordinò spalancando la porta di legno. – Forza. –
Noah sbuffò roteando gli occhi al cielo, poi senza fare troppe storie rientro nel suo rifugio seguito da Alec che chiuse la porta alle sue spalle.
– Come fai a non avercela a morte con lui? So per certo che se chiunque altro avesse tentato di ucciderti tu ti saresti vendicato. Perché allora non gliela fai pagare? Se lo meriterebbe. – Disse serio Noah, togliendosi la giacca di pelle per poi buttarla sul divano.
– Appunto, l’hai detto. Con chiunque altro l’avrei fatto, con lui no. -
- Perché?! Lui, ma soprattutto sua sorella non fanno altro che crearci problemi. L’avevo detto io che lei ci avrebbe creato dei problemi…ma come al solito tu fai di testa tua. -
- Quante volte ti devo dire che ho bisogno di lei? Entrambi ne abbiamo bisogno. -
- No. Sei tu ossessionato da quell’idea folle di salvare i caduti ma non ti rendi conto che così peggiorerai soltanto le cose. Saremo tutti spacciati. -
- Ti sbagli. -
- E poi, quanto tempo credi che ci voglia prima che lei, o Vincent, o chiunque altro si renda conto delle tue vere intenzioni? Quando succederà andrai nei casini. Io e Ginevra anche. – Ribattè Noah.
- Come sei pessimista, fratello. – Ridacchiò Alec poggiando la schiena contro la porta. – Ginevra mi sta infastidendo parecchio, giuro che se continua la uccido. Tu non parlerai, so di potermi fidare di te…quindi, nessuno lo verrà a sapere. -
- Ti stai prendendo gioco di Jill. Lo scoprirà. Presto anche. -
- Non vederla sotto questa luce. Non mi sto prendendo gioco di lei. Non la sto usando. Mi serve solamente il suo aiuto. -
Noah sospirò. - Non ti aiuterà mai. -
- E invece lo farà. Farà tutto ciò che le dirò, al momento giusto. Se si opporrà la costringerò. Oppure, potrei solamente farglielo fare con l’inganno. Sarà facile. – Alec scrollò le spalle poggiando finalmente il pugnale sul piccolo tavolino di fianco a lui.
– E invece, Jill ha scoperto se quell’impiastro di suo fratello centra qualcosa con il demone che ha posseduto Abigail? – Domandò Noah cambiando discorso.
– Non lo so. Non ci parliamo da qualche giorno. –
Ed era vero. Dall'ultima conversazione che aveva avuto con lei a proposito di Vincent non si erano più parlati.
Noah mugugnò tra sé e sé qualcosa di incomprensibile, senza sorprendersi neanche del fatto che non si fossero più rivolti la parola.

****

- Parla, diamine! Dimmi quello che sai! Dove sono? Ci sarà pur un posto dove si ritrovano! Parla o giuro che ti uccido! – Jill sollevò nuovamente da terra la donna insanguinata.
Era piena di ferite e tagli che continuavano a perdere sangue.
Sulle spalle, sulle braccia, sulle gambe.
Aveva superato l’arcata magica, addentrandosi nel cuore della foresta nonostante non ne avesse il permesso.
Lì aveva trovato quella donna che era una vegliante.
I veglianti, creature del bene, sempre alle costole dei propri superiori.
Se trovi un vegliante le possibilità di trovare anche un angelo aumentano.
La mente dei veglianti era prigione di premonizioni e visioni, ma la loro forza fisica era ritenuta piuttosto scarsa. Jill, infatti, stava cercando degli angeli.
Non riusciva ancora a mandare giù il fatto che loro avessero ucciso Dakota.
Voleva trovarli. Voleva uccidere i responsabili.
– Ho già detto che non lo so! – La donna non troppo giovane le urlò praticamente in faccia, arrabbiata, dolorante e rognosa.
I capelli ricci neri avevano le punte sporche di sangue, quasi secco.
Il completo color pastello aveva assunto un colore ormai scuro, inzuppato anch’esso di sangue e di terra.
– Va bene. – Jill strinse i denti, stringendo violentemente la presa sulla sua spalla.
La donna cacciò un urlo atroce, avvertendo la mano ferma di Jill stringerla mentre le affondava le unghie nella carne.
– Continuo oppure mi dici dove sono? –
La donna però non le rispose. Ansimante la guardò negli occhi.
– Abominio. – Ringhiò lei sputando per terra.
– Ci si vede all’Inferno. – Jill aumentò ancora la presa sulla spalla della donna, questa volta più lentamente fino a che non sentì le ossa rompersi.
Le urla di dolore rimbombavano nella fitta foresta. La ventenne non si fermò, continuava ad avvertire il ‘crack’ delle ossa della scapola frantumarsi dandole quasi un senso di soddisfazione.
Qualche secondo dopo, finalmente, le grida cessarono.
Con un colpo secco, Jill le girò la testa, sentendo anche le ossa del collo della donna rompersi tra le sue mani.
Dopodichè la spinse con forza a terra facendole picchiare volontariamente il cranio contro l’enormi radici di una quercia.
Jill osservò il corpo della donna per qualche secondo, poi tornò indietro, tornando al piccolo villaggio, ripercorrendo lo stesso percorso che aveva fatto per arrivare in quel punto.

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Capitolo 21
*** -Crisi ***




Il cielo tempestato di nuvole scure era pieno di lampi e fulmini continui.
I tuoni rimbombavano nella notte, esattamente come tutti i gridi lancinanti che c’erano stati nella foresta.
Jill si passò il dorso della mano sul viso dove erano presenti schizzi di sangue.
Circondata da corpi senza vita. Pugnalati. Martoriati. Sanguinanti.
La ragazza era completamente inzuppata di sangue, dalla testa ai piedi, le armi, anch’esse gocciolanti di sangue erano a terra.
Coltelli, pugnali, fruste e lame d’argento.
Li aveva uccisi tutti. Ma non aveva ancora nessun’informazione.
Non era riuscita ad estorcere al gruppo nessun tipo di informazione, nemmeno sotto tortura.
C’erano veglianti, cancellatori (In grado di cancellare parzialmente o interamente i ricordi di una persona) e segugi (In grado di individuare a distanza il luogo in cui si trova una persona o un oggetto) proprio grazie a quest’ultimi erano riusciti a trovare facilmente la ragazza che, ancora una volta si era addentrata pericolosamente nella foresta di nascosto.
Appena Jill si mosse in avanti facendo un passo sentì una mano ruvida e fredda stringersi attorno alla sua caviglia.
La mora si bloccò abbassando lo sguardo sul ragazzo agonizzante steso a terra, l’unico ancora vivo.
– Ti verranno a cercare. Ti uccideranno. – Ansimò con un fil di voce.
Lei si liberò subito dalla sua stretta senza però rispondergli. Gli occhi scuri del ragazzo seguirono Jill che si spostò di fianco a lui.
La ventenne alzò la gamba destra poggiando il tacco a spillo dello stivale sul torace del ragazzo.
– Per ora quello che morirà tra noi due sarai tu. – Jill aumentò la pressione sul petto di lui, spingendo sempre di più.
Altre grida insopportabili rimbombavano tra gli alberi mentre lei continuava.
Una cosa che lei già adorava era di aver scoperto di possedere la forza amplificata.
''Come i vampiri in Twilight'', aveva detto Jamie. Jill sentì nuovamente il rumore della cassa toracica sotto al suo piede rompersi, le ossa sfracellarsi, ma non si fermò, continuò a spingere, violentemente, finchè avvertì i polmoni del ragazzo fermarsi di scatto.
Era morto.

****

- Dove cavolo sei stata? - Appena Jill mise nuovamente piede al villaggio superando l’arcata si trovò davanti Alec che la stava aspettando.
– Oh, quindi ricominciamo a parlarci ufficialmente? - Domandò lei.
- Non fare la spiritosa. Piuttosto dimmi dove sei stata e cosa ti è successo. – Disse Alec osservandola da capo a piedi, completamente sporca di sangue.
Jill per tutta risposta iniziò a tirare fuori dalla giacca e dalle due tasche dei pantaloni attillati le sue armi. Buttò a terra due paia di coltelli, qualche pugnale, la frusta e la pistola argentata con lame di oro bianco.
Tutte insanguinate.
– Ho trovato veglianti, cancellatori e segugi. – Disse lei elencandoli sulle dita della mano. – Nessuno di loro mi ha detto dove si trovano gli angeli così li ho uccisi tutti. -
- Sei impazzita o cosa? Ti ho già detto che da qui non devi uscire. Ti ho portata qua proprio per tenerti al sicuro, per far sì che tu imparassi a maneggiare le armi non per farti andare a spasso da sola ad ammazzare i servitori angelici. – Ribattè Alec abbassando lo sguardo sulle armi.-
Li devo trovare. Devo trovare quei bastardi che hanno ucciso la mia migliore amica. -
- Lascia stare la vendetta! Lascia stare Dakota! Ormai è morta, punto. Inoltre noi non uccidiamo gli angeli. E’ considerato uno dei peccati più grandi uccidere un servitore di Dio. Noi li rimandiamo soltanto in paradiso. Puoi eliminare i caduti, che sono decaduti dal loro stato di grazia ma gli angeli no! -
- Dio! Lasciami in pace una buona volta. Non sei nessuno per dirmi cosa devo o non devo fare! – Ringhiò lei. – E prenditi le armi. – Infine se ne andò, velocemente e sbuffando.
Si diresse subito verso il suo rifugio con l’intenzione di farsi una doccia e cambiarsi quei vestiti lerci e maleodoranti.
Appena arrivò, aprendo la porta trovò Ginevra comodamente sistemata sulla poltrona.
Jill la fissò accigliata. – Come hai fatto a…-
- Wow, sei proprio messa male. – La bionda interruppe Jill guardandola da capo a piedi.
– Vuoi farmela pagare per la botta alla testa? – Le domandò subito Jill sbattendo la porta.
– Ah già. – Borbottò Ginevra portandosi il palmo della mano alla tempia. – Mi hai fatto piuttosto male. – Puntualizzò.
– Te lo sei meritata. – Sorrise Jill. – Ti dispiacerebbe andartene? Vorrei farmi una doccia. -
- Perché dovrei andarmene? Abbiamo tante cose di cui parlare noi due. – Ginevra si alzò in piedi sorridendo quasi beffarda.
Entrambi le giovani sobbalzarono quando la porta si aprì improvvisamente. Alec.
– Ah bene. – La bionda guardò Alec inclinando la testa di lato. – Finalmente ci siamo tutti e tre. -
- Cosa ci fai lei qui? – Domandò subito lui a Jill.
– Sono arrivata ed era comodamente seduta sulla poltrona. -
- Arrabbiato perché non ho seguito le tue minacce e sono comunque venuta da lei? – Ginevra sbuffò, annoiata.
- Quali minacce? – Domandò Jill guardando Ginevra e poi Alec.
La bionda inarcò le sopracciglia divertita. – Oh, lui è piuttosto possessivo nei tuoi confronti. – Rispose ironica.
– Vattene. – Ringhiò subito Alec.
– Perché? – Ginevra si avvicinò furtivamente al moro. - Sarà divertente raccontare tutto e vedere come piano, piano, vai a fondo. - Bisbigliò compiaciuta sfiorandogli le labbra.
Jill osservò la scena con un senso di fastidio che le affiorava dentro, quando improvvisamente sentì una forte fitta attraversarle la testa.
Strinse i denti, appena un’altra forte fitta la colpì.
Pochi istanti dopo sentì nuovamente gli stessi sussurri che aveva sentito la sera del suo compleanno fuori dal locale rimbombarle nelle orecchie. Sempre più forti.
I sussurri ricominciarono a batterle nella testa, tanto forti che dovette portarsi le mani alle orecchie reprimendo piccoli gemiti.
Vide subito Ginevra e poi Alec voltare lo sguardo verso di lei.
– Cosa succede? – Alec la raggiunse immediatamente lasciandosi la bionda alle spalle.
– ''Bugiardo. Ecco cosa è.'' – Una voce roca tempestò la testa di Jill, appena il moro si avvicinò a lei.
Lei non potè fare a meno di gridare quando un’enorme e forte fitta alla tempia la fece sussultare.
Alec si girò verso Ginevra che se ne stava appoggiata al muro confusa, quasi spaventata. – Cosa le sta succedendo?! – Chiese lei allarmata. Mai aveva visto una cosa simile.
Alec scosse la testa, poi si rigirò verso Jill che si stava piegando in due dal dolore.
Le fitte si erano espanse. La colpivano anche al petto e allo stomaco.
Strinse le dita attorno alle orecchie, dove oltre a sussurri si erano fatti strada grida continue e incontrollabili.
- La porto all’Infermeria. – Disse Alec per poi mettere un braccio attorno ai fianchi di Jill.
La solita scossa li colpì entrambi anche in quel momento, facendo sobbalzare ancora Jill.
- ''Si prende gioco di te. Ti sta usando.'' – La stessa voce roca di poco prima si fece nuovamente strada tra il dolore di Jill.
– Lasciami! – Jill si liberò subito dalla stretta del ragazzo spingendolo lontano da sé bruscamente.
Appena lo allontanò improvvisamente tutto cessò. Sussurri. Grida. Voci. Tutto, sparito.

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Capitolo 22
*** -Verità svelate ***




Jill continuò a correre, le gambe si muovevano sempre più velocemente lasciandosi alle spalle le numerose ed enormi querce ai lati di quel lungo ed isolato viale.
Intorno a lei c’erano solo alberi, davanti a lei, l’asfalto. Il sole ormai tramontato aveva lasciato spazio all’oscurità che, in poco, si era presa possesso di tutto il cielo facendolo diventare scuro, cupo, occupato da immense nuvole grigie.
In quel luogo divorato dal silenzio si riusciva ad udire solamente il respiro affannato e stanco di Jill, insieme al rumore pesante dei suoi passi.
– Jillian! – Cantilenò una voce lontana. Una voce che nonostante fosse sicura provenisse molto distante da lei rimbombò nelle sue orecchie e in tutto il luogo.
– Jillian, andiamo. Non serve a niente scappare. Lo sai che ti ucciderò comunque, esattamente come è successo a tua madre! Tu saresti dovuta morire tre mesi fa. – A quell’ultima frase un uomo con il volto stranamente oscurato le arrivò davanti improvvisamente.
I vestiti malandati, sporchi e con qualche strappo. La voce roca non riusciva a smettere di rimbombare nella testa della ragazza. Gli occhi grandi e rossi brillavano nell'oscurità facendo rabbrividire Jill.
Lei non si mosse, era come inchiodata involontariamente al terreno.
L’uomo porse il palmo della mano verso l’alto, subito gli comparve tra le dita una spada.
Vecchia, arrugginita, si vedevano chiaramente sulla lama alcune macchie di sangue ormai seccato.
D’un tratto poi l’uomo allungo il braccio impugnando l’arma che trafisse lo stomaco di Jill.
Lanciò un urlo terrorizzato, divorato dal dolore che spezzò il silenzio.

Jill aprì gli occhi di scatto, ansimando pesantemente. Abbassò immediatamente lo sguardo sul proprio stomaco, dove si passò piano una mano. Non era ferita. Non c’era sangue.
– Bello, vero? – Ginevra se ne stava in piedi davanti a lei, le braccia incrociate, un ghigno stampato sul viso.
Jill si tirò a sedere, sentendo la terra secca tra le dita. Si guardò attorno piuttosto confusa.
La testa le faceva male, non capiva dove fosse, perché c’era Ginevra e cosa diavolo fosse successo.
Si alzò in piedi tenendosi la testa tra le mani. – Dove diamine siamo? -
- Oh, davvero non ti ricordi? Devo dire che i miei poteri migliorano di giorno in giorno. –Rispose Ginevra soddisfatta. – Non siamo al di fuori dell’arcata, tranquilla. Ci siamo solo spostate un po’. – Aggiunse divertita. – Da quella parte c’è il villaggio, non siamo lontane. – Disse indicando con l’indice il nord. – Mi hai dato contro, di nuovo. Così ti ho dato una bella botta in testa, proprio come tu l’avevi data a me l’ultima volta, poi hai perso i sensi. Ho voluto provare su di te un giochetto. Il controllo mentale mi riesce dannatamente bene. -
- Quindi era un’illusione? - Chiese Jill inarcando le sopracciglia.
– Sì, ho ricreato il demone che voleva ammazzarti la notte dell’incidente in auto tre mesi fa. Non sapendo come cavolo fosse la sua faccia, il suo viso era oscurato. -
- Come fai a sapere dell’incidente? Perché tutti qui sanno gli affari miei?! – Domandò immediatamente Jill sbuffando innervosita. Già il fatto di essere lì insieme a Ginevra la innervosiva pesantemente.
– Secondo te? – La bionda alzò gli occhi al cielo. – Sei la ‘’prescelta’’, è ovvio che tutti sappiano tutto di te. Davvero mi chiedo perché non sei morta in quell’incidente di tre mesi fa. Sei un peso morto per tutti. -
- Solo per te, in realtà. Per te che mi odi, anche se non ho capito ancora il perché. –
Ginevra sorrise. – In realtà ci sono svariati motivi che non ho intenzione di dirti però ti do di nuovo un consiglio. Guardati le spalle...ma non da me. -

****

Mi hai stancato. – Alec spinse a terra Ginevra, facendole picchiare violentemente la schiena contro alcuni sassi sul terreno. – Ti avevo avvertito. Hai voluto fare di testa tua e adesso ne pagherai le conseguenze. -
- Jill ancora non sa niente, vero? Ringrazia che abbia avuto quella crisi improvvisa l'altro giorno perché altrimenti le avrei detto tutto. – Sogghignò la bionda scostandosi alcune ciocche di capelli dal viso.
– Beh, adesso non dovrò più preoccuparmi del fatto che tu possa dirle qualcosa visto che morirai. – Rispose lui inginocchiandosi vicino a lei.
– Ma lei ti odia comunque. – Appena Ginevra cercò di alzarsi da terra Alec la bloccò subito, spingendola di nuovo contro il suolo, tenendola bloccata per un polso. – Io invece sono stanco di andare da lei tutti i dannati giorni e fare la parte del ragazzo gentile e premuroso quando ci sarebbe solo da conficcarle un pugnale nel cuore. -
- Oh, andiamo. Ho saputo che se ne andava a spasso ad uccidere cancellatori, segugi e veglianti. Avresti voluto vedere come ha ucciso quel gruppo dei servitori angelici, vero? Avresti voluto vedere la rabbia e l’odio nei suoi occhi. Avresti voluto vedere come conficcava i coltelli nel cuore di ognuno e la sua espressione soddisfatta in viso. Perché la ragazza buona e che ha paura non ti piace. -
Alec si portò subito in avanti fermandosi vicino al suo orecchio. – Come sei brava. – Le sussurrò divertito.
– Però ti sei anche sprecato a farle la predica. Come la reciti bene la parte del rompicoglioni. – Ridacchiò la bionda. - Comunque se ne infischierà di ciò che le ho detto, uscirà ancora e ucciderà qualcuno ed è proprio quello che voglio che faccia. -
- Perché vuoi farla diventare come te. Un’assassina.–
- L’hai capito. Peccato solo che tu non possa andare a dirlo a nessuno insieme a tutte le altre cose che già sai. –
- Aspetta… - La bionda sembrò quasi sorpresa quando un pensiero le affiorò nella testa. – Hai ucciso tu Dakota. -
- Non esattamente. - La corresse. - Ho solo mandato un gruppo di angeli a farla fuori. E’ stato così dannatamente facile convincerli…hanno creduto alla balla che lei era un pericolo. Che li stava cercando per ucciderli. Mi stupisco davvero di quanto siano ingenui. -
– E sei stato tu a far entrare quel demone al villaggio per farlo impossessare di Abigail. – Ginevra bisbigliò tra sé e sé, ancora incredula.
– Quel dannato incompetente si era impossessato di Abigail da giorni. Aspettava solo l’occasione giusta per attaccare Jill. Speravo che con quell’attacco si sarebbe svegliata un po’ e lo avrebbe ucciso invece ho dovuto fare tutto io, come al solito. Ero sveglio per tutto quel tempo che sono stato in infermeria. Noah crede davvero che il sangue che mi ha iniettato mi abbia fatto magicamente svegliare. - Ribattè Alec divertito. – Era tuo quel sangue, vero? Perché si dice che il sangue delle ninfe possa guarire qualsiasi male. -
- Ora capisco perché Noah non sembra affatto preoccupato per il tuo folle piano. Non gli hai detto tutto. – Ginevra strinse il pugno della mano, mentre lentamente riuscì a far emergere da terra delle piccole radici di albero, alle spalle di Alec, senza che se ne accorgesse.
– Mi fido di mio fratello ma a volte anche lui tende ad aprire troppo la bocca quando invece dovrebbe solo stare zitto. Quindi, sa solo una parte di quello che voglio fare. – Rispose Alec per poi prendere velocemente il suo solito coltello argentato dalla giacca continuando a tenerla inchiodata al terreno, glielo puntò subito alla gola. – Ma ricordati che il vero cattivo qui, non sono io. -
– Marcirai all’Inferno Alec, ricordatelo. – Ringhiò lei, stringendo i denti.
Subito dopo, prima che Alec le ficcasse il coltello nel torace lei si alzò di scatto ribaltandolo per terra, mentre le radici adesso robuste che la bionda era riuscita ad evocare dal suolo si strinsero sulle gambe di lui tenendolo bloccato.
Ginevra cominciò a correre, velocemente, lasciandosi alle spalle Alec immobilizzato per terra.
Le gambe si facevano sempre più veloci, il cuore le martellava in gola insieme alla paura di essere davvero uccisa.
Sussultò bloccandosi di colpo appena Alec comparì nuovamente davanti a lei.
Il moro sui polpacci era pieno di tagli sanguinanti che gli avevano strappato il tessuto dei pantaloni e graffiato la pelle. Con un gesto veloce, Alec le spezzò con forza la testa, ficcandole l’arma sul collo, tagliandole la gola.
Il sangue gli schizzò sui vestiti scuri e sul suo viso.
Il ragazzo ansimante, guardò il corpo senza vita di Ginevra cadere a terra osservando come in pochi secondi il suo cadavere divenne polvere bianca, dissolvendosi.
Alec ripose il pugnale sporco nella giacca poi si passò il palmo della mano sul viso, rimuovendo le gocce di sangue. Si guardò attorno sospirando.
Fortunatamente nel frattempo non era arrivato nessuno.
Nessuno l’aveva visto.
Era finalmente riuscito ad ucciderla indisturbato e nessuno avrebbe trovato nemmeno i resti del corpo. Era riuscito a togliere di mezzo l’unico ostacolo del suo cammino.
Ora sarebbe filato tutto liscio. Tutto come voleva lui.
Avrebbe ottenuto ciò che ardentemente voleva.

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Capitolo 23
*** -Homecoming ***




- Ieri è successa una cosa. Tutto mi da l'impressione che Alec nasconda qualcosa. – Jill si lasciò cadere sul divano sospirando e guardando Vincent in piedi davanti a lei.
– Che vuoi dire? Ti ha fatto di nuovo qualcosa? -
- No, no. Sono io. Continuo a sentire delle voci nella mia testa. Sussurri, grida. Sia da sveglia sia quando dormo. –
Vincent si sedette sul divano di fianco a lei incrociando le braccia. – E cosa ti dicono le voci? -
- Di non fidarmi di lui. Che mi sta usando e che è un bugiardo. Settimana scorsa Ginevra mi ha detto le stesse identiche cose ma non le ho creduto. Poi sono andata a parlarne con Alec e mi ha assicurato che erano solo balle. Che mi posso fidare di lui. -
- Beh, tu meglio di me sai che ha sbagliato a metterti le mani addosso qualche settimana fa. Io sono scattato, l'ho quasi ucciso, ho perso il controllo. Forse per lui è stato lo stesso...voglio dire, ha fatto di tutto per dimostrare che puoi fidarti. Ti ha salvato la vita più di una volta, ti ha aiutata e protetta e il fatto che tu andassi di colpo ad insinuare che è un bugiardo gli avrà fatto perdere il controllo. Ma mai, ti farebbe del male. Mai, mentirebbe. -
- Da quanto tempo conosci Alec? – Domandò Jill inarcando le sopracciglia.
- Non so, un anno, più o meno. -
- E Dakota da quanto? -
- Meno, rispetto a me. – Rispose Vincent accigliato.
- Sapevate qualcosa del suo passato? Di cosa facesse prima di trovarvi o di trovare me? -
- No, ma… -
- Niente ma. Forse nasconde qualcosa. -
- Ti sbagli. Cosa dovrebbe volere? Non ti sta usando. Ti sta aiutando. Quelle voci sono infondate, ti puoi fidare di lui più di chiunque altro. – Ribattè Vincent alzandosi dal divano sospirando.
Jill scattò in piedi, alzando il tono di voce. – Tu dici così solo perché sei innamorato di lui. -
Quella frase paralizzò il ragazzo.
Era davvero così? Poteva essere che i suoi sentimenti influivano sul giudizio che aveva di Alec?
- Sei tu che dovresti capire. Non io. Dovresti capire tutti i casini che ha attraversato per farti stare al sicuro. Non avrebbe senso quello che dici tu. Non ti vuole far del male! - Questa volta fu Vincent ad alzare il tono di voce.
- Dovevo immaginare che avresti preso le sue difese. – Borbottò Jill. - Sai a volte vorrei solo che tutto questo, angeli, demoni e stronzate varie siano solo un sogno. Forse hai ragione, chi lo sa, forse sono troppo paranoica o forse no. Forse c'è davvero dietro qualcosa ma qui siamo tutti troppo stupidi per vedere la verità! -
Vincent sospirò passandosi una mano tra i capelli mori. - Mettiamola così. - Si avvicinò piano a Jill. - Ti fidi di me, no? -Jill annuì abbassando lo sguardo. - Allora fidati del mio giudizio. Sei al sicuro. Alec non è un pericolo. - Bisbigliò dolcemente prendendole il viso tra le mani. I loro occhi azzurri si incrociarono. - Siamo tutti qui per aiutarti. Qui nessuno vorrebbe farti del male. Lui meno di tutti. Non lasciare che i dubbi e le incertezze rovinino tutto. -
Era sempre così. Anche quando Jill non ne voleva sapere, quando si era intestardita su qualcosa, il suo fratellone riusciva sempre a rassicurarla. Poche volte riusciva invece a farle cambiare idea, ma questa volta, ci era riuscito. - Okay? - La voce di lui la strappò dai suoi pensieri.
- Sì. - Rispose sicura portando una mano sopra la sua.

****

- Commentavate amorevolmente se fidarvi di me o no? – La voce di Alec risuonò alle spalle di Jill appena si allontanò dal rifugio di Vincent.
La mora si voltò subito verso di lui notando le macchie di sangue sulla maglia di lui. – Cosa hai fatto? – Chiese abbassando lo sguardo sui polpacci di Alec, segnati ancora dai graffi.
– Niente. Ho ucciso alcuni demoni che ti stavano cercando. – Ovviamente mentì.
– Dovresti andare a…-
- A farmi medicare? Sopravvivo lo stesso. – La interruppe lui. – Comunque, ho ascoltato la tua conversazione con Vincent. –
Jill sbuffò alzando gli occhi al cielo. – E adesso? Non c'è bisogno che tu provi a convincermi di fidarmi oppure no. -
- Beh, spetta a te deciderlo. Ma sono sicuro che le parole di tuo fratello ti abbiano già influenzata. Comunque…- Alec si avvicinò a lei lentamente piegandosi leggermente in avanti fermandosi a pochi centimetri dal suo viso. – Non posso di certo restituirti la tua vecchia vita ma se vuoi, posso riaccompagnarti un attimo a casa tua. Non so, nel caso volessi prendere alcune delle tue cose o restare un po’ da sola in un ambiente familiare. -
Ovviamente si riferiva a ciò che aveva detto pochi attimi prima a suo fratello. Rivoleva la sua vecchia vita.
- Lo faresti? –Domandò lei, quasi sorpresa.
Alec le annuì accennando un piccolo e dolce sorriso. – Dammi solo il tempo di cambiarmi e di prendere delle armi per sicurezza. Tra 20 minuti partiamo. -

I due arrivarono davanti all’imponente villa dei Baker.
In mezzo a quel piccolo paesino di New York, quella villa era la più antica, costruita negli anni ’60.
Tutta bianca, enormi finestre di legno che si affacciavano sul giardino ugualmente grande che circondava tutta la casa.
Il prato era occupato da qualche albero da frutto e tantissimi fiori.
L’entrata aveva un grande portone in legno dalle maniglie ramate.
Il cielo azzurro illuminato dal sole rendeva ancora più bella quella villa.
Jill percorse il piccolo sentiero che accede alla porta d’entrata, sotto al porticato, seguita da Alec.
Appena la ragazza poggiò il palmo della mano sulla maniglia la porta scricchiolando si aprì da sola scoprendo il soggiorno completamente in subbuglio.
I cassetti dei mobili erano buttati per terra, tutte le cose al loro interno messe alla rinfusa.
Fogli e cartacce erano sparsi dappertutto sul pavimento insieme al tavolo di legno ribaltato per terra.
– Fai andare avanti me. – Disse subito Alec superando la ragazza ed entrando in casa.
Voltò lo sguardo verso la cucina dove c’era esattamente lo stesso caos. Tutto era in disordine. – Probabilmente sono stati demoni…forse angeli. Saranno venuti a cercarti. -
- Ma perché avrebbero dovuto buttare tutto all’aria? – Domandò Jill entrando finalmente nella villa chiudendo la porta.
– Non ne ho idea. – Rispose lui.
Jill percorse le lunghe e strette scale che collegavano il salone al piano superiore, alla sua camera. Arrivò davanti alla porta che però, stranamente era chiusa a chiave.
– Cosa c’è? – Domandò Alec raggiungendola subito e vedendo che stava tirando la maniglia della porta.
– E’ bloccata. Non si apre. – Rispose lei.
– Eddai, non eri tu quella con la forza amplificata? – Ridacchiò Alec divertito alle sue spalle.
Subito dopo quella frase, infatti, Jill spinse forte la porta, riuscendo ad aprirla di colpo, facendola sbattere. – Ecco. – Disse lei soddisfatta girando il viso verso Alec rivolgendogli un sorriso compiaciuto per poi entrare nella stanza buia.
Jill si avvicinò subito alla finestra, aprendo le ante di legno facendo finalmente entrare la luce del sole, illuminando la camera.
Vedeva le facciate e i tetti delle case altrui sotto al cielo contornato da piccole e soffici nuvole bianche, tutto incorniciato dal telaio della sua finestra.
A differenza delle altre stanze della casa non era particolarmente in subbuglio.
Beh…c’era sempre il solito disordine che Jill lasciava ogni volta; la scrivania piena di quaderni e penne, il letto ancora disfatto dall’ultima volta che ci aveva dormito.
Il piccolo comodino zeppo di sigarette, sia nei cassetti aperti che sul piano di legno.
Jill si lasciò finalmente cadere sul letto osservando Alec che si avvicinava alla sua scrivania scrutando il comodino in parte ad essa.
Appena aprì il primo cassetto di legno la voce di Jill lo fece sussultare. – Ehi! Richiudi subito quel dannato cassetto! -
- Wow. Dove diamine la prendevi tutta questa droga? Mi sembra strano il fatto che tu sia ancora viva. – Disse lui senza darle ascolto.
Abbassò lo sguardo su quel paio di spinelli presenti insieme a dei sacchettini colmi di eroina, cocaina e pasticche.
Jill scattò in piedi dal letto per poi chiudere violentemente il cassetto. – E quell’idiota di tuo fratello non si è nemmeno mai accorto di tutta questa bella scorta? – Ridacchiò Alec girando lo sguardo verso di lei.
–Beh, come hai detto tu, Vincent è un idiota quando ci si mette. Bastava nasconderle un po’ meglio e lui non le trovava. Comunque c’erano sempre i pochi giorni in cui tutta questa roba spariva perché me la portavo dietro quando uscivo oppure la finivo e poi Julian me ne portava subito altra quando glielo chiedevo. -
– Ecco svelato il motivo per cui tuo fratello odiava il tuo bellissimo ragazzo. -
- Non è che mi importasse poi tanto se lo odiava oppure no. – Sospirò Jill stendendosi nuovamente sul letto. – Julian, la droga e l’alcol mi facevano stare meglio. Era come se potessi sfuggire dalla realtà, sentirmi finalmente libera senza preoccupazioni. Non pensavo più alla notte in cui mia madre morì. Tutto il dolore spariva improvvisamente. Mi divertivo, andavo alle feste, mi ubriacavo, mi sballavo. Julian mi faceva conoscere gente nuova praticamente ogni giorno, gente che fingeva di adorarmi, mi dicevano continuamente che ero perfetta…tutti i ragazzi mi facevano il filo, sempre. Mi dicevano che ero tutto quello che avevano sempre desiderato. Era quasi tutta gente che credevo mia amica, a cui credevo di piacere ma che in realtà mi sparlava alle spalle. Però cercavo di far finta di niente, ignoravo le chiacchere, ma sapevo che le voci che giravano su di me non erano delle migliori. Mi davano dell’insicura, depressa, perché mi facevo qualunque tipo di droga e pensavo a come sarebbe il suicidio, stronza, puttana perché mi divertivo a prendermi gioco delle persone. Ogni sera cambiavo il ragazzo con cui fare sesso. Credimi, mi facevo schifo da sola…ma comunque andavo avanti, la droga mi aiutava. La ritenevo l’unica via di scampo a questo mondo di merda. – Aggiunse lei tirandosi a sedere sul letto, rannicchiandosi, portandosi le ginocchia sotto al mento. – E adesso non iniziare con il solito discorsetto penoso dove dici che ti dispiace. –
Jill precedette qualsiasi frase che stava per uscire dalla bocca di Alec, che, effettivamente le voleva dire solo ‘’Mi dispiace’’.
Qualche istante dopo il forte campanello d’ingresso fece sussultare i due.
Jill scattò in piedi affacciandosi alla finestra senza però riuscire a vedere chi fosse.
– Chi è? – Domandò Alec accigliato.
– Non lo so. Beh, tu resta qui , non frugare tra le mie cose e non fare rumore. – Gli rispose lei uscendo dalla camera e arrivando velocemente al piano inferiore.
Si fermò davanti alla porta tirando un grande sospiro prima di aprire, poi finalmente girò la maniglia aprendo la porta. – Julian. – Bisbigliò Jill sgomenta.
– Sorpresa di vedermi? – Domandò il biondo sorridendo incrociando le braccia.

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Capitolo 24
*** -Collisione ***




Jill fissò il biondo per alcuni secondi, quasi impietrita. Sì, era felice di vederlo finalmente.
Le era mancato.
Però, si sarebbe dovuta preoccupare di spiegargli perchè era sparita.
Doveva mentirgli.
- Beh, entra pure. – Jill si scostò dalla soglia della porta invitandolo ad entrare.
Julian si guardò attorno inarcando un sopracciglio, quasi sconcertato da tutto il disordine che divorava la sala.
– … Ho dato una festa. Tutti ubriachi, sai, abbiamo fatto un casino. – Improvvisò lei, sperando che ci potesse credere.
Julian mugugnò qualcosa, a bassa voce, ma Jill non riuscì a sentirlo. – Mi avevano detto che tu e tuo fratello eravate partiti per l’Europa, insieme a Dakota. –
Jill si ritrovò spiazzata da quella frase.
L’Europa? Un viaggio in Europa? …Doveva essere una scusa che suo fratello o Dakota avevano messo in giro per giustificare la loro assenza.
– Ah…sì. Sono restata solo io, dovevo prendere alcune cose. – Mentì, improvvisando di nuovo. – Come hai fatto a sapere…-
- Che eri tornata? – La interruppe lui chiudendo finalmente la porta d’ingresso. – Michael ha detto di averti visto, mi ha mandato subito un messaggio. In realtà credevo fosse una cazzata ma sono comunque venuto a controllare. -
Jill non fece in tempo a rispondere che sentì un tonfo venire dal piano superiore.
– Cos’è stato? – Scattò subito il Julian alzando lo sguardo verso il soffitto.
Jill strinse i denti infastidita. ‘’Non fare rumore’’ Aveva detto lei ad Alec prima di scendere in soggiorno, come al solito le dava tanto ascolto.
– Niente, non preoccuparti. – Rispose lei accennando un sorriso.
– C’è qualcun altro? C’è tuo fratello? …Se mi vede qui mi ammazza. -
- No, no. Vincent non c’è. Non c’è nessun altro. -
- Non sono esattamente molto bravo a far finta di non esistere. – Alec percorse tutte le scale, arrivando al piano inferiore. Davanti ai due sorridendo.
– Sbaglio o ti avevo detto di restare in camera mia?! – Sbottò subito Jill.
– In camera tua? – Le fece eco Julian inarcando le sopracciglia.
– Sì, è dannatamente brava a letto. – Scherzò Alec ridacchiando e avvicinandosi a loro.
- Ti conviene chiudere quella bocca se non vuoi che ti faccia uscire di qui a calci. – Ringhiò Jill fulminando il moro con lo sguardo. -
- …Ma come siamo aggressivi. – Alec si sedette comodamente sul divano di fianco ai due. Julian lo seguì con lo sguardo sedersi, poi guardò di nuovo Jill.
– Allora? Chi è quel tipo? -
- …Mio cugino. – Rispose subito lei, a disagio.
- Oh, adesso siamo anche cugini? Non lo sapevo. – Commentò Alec guardando Jill.
- Okay, è un amico di mio fratello…- Alec le lanciò un’altra occhiata inarcando un sopracciglio, ma questa volta decise di non commentare. – Sono molto, molto, amici. – Aggiunse lei , mentendo.
- E’ gay? – Chiese Julian indicando con lo sguardo il moro.
- Ah beh, se lo fossi, di certo a qualcuno farebbe immensamente piacere. – Sogghignò Alec rispondendo al posto di Jill che gli lanciò un altro sguardo fulminante.
– Dopo queste tue bellissime perle di saggezza, te ne potresti tornare di sopra? -
- Per fare? Per lasciarvi il tempo di baciarvi? …Anche no. – Le sorrise Alec poggiando la mano sul bracciolo del divano.
– Va bene. – Ringhiò Jill prendendo poi Julian per il braccio, trascinandolo in cucina. Chiuse velocemente e con forza la porta della stanza, lasciando Alec in salone. – Mi fa saltare i nervi! – Sbuffò lei.
– Guarda che ti sento! – Gridò Alec ridendo dalla sala accanto.
Jill roteò gli occhi al cielo, prima che potesse parlare di nuovo Julian la baciò.
Fu un bacio casto, a differenza di tutti quelli che in passato si erano scambiati. Dolce, delicato. Le era mancato così tanto sentire il sapore delle labbra di Julian sulle sue.
Jill gli prese il viso tra le mani, mentre avvertì le mani di lui accarezzarle la schiena lo baciò di nuovo.
Si lasciò andare, assaporando finalmente dopo settimane di separazione, la lingua di Julian contro la sua.
- C'è troppo silenzio per i miei gusti. - Gridò ancora Alec dalla stanza vicina interrompendo i due. Ci fu qualche secondo di silenzio poi un altro rumore fuori dalla cucina li fece sussultare entrambi.
– Alec! Finiscila di fare casino! – Gridò Jill di rimando.
Il ragazzo però, non rispose. Qualche secondo dopo un altro rumore. Più acuto.
Jill sbuffò aprendo la porta della cucina aspettando di trovare Alec ancora seduto sul divano ma, invece, non c’era.
– Aspetta qui. – Disse lei a Julian iniziando a percorrere le scale per il piano superiore.
Vide subito il lontananza Alec, che stava percorrendo il corridoio impugnando un coltello.
– Che cavolo stai facendo?! – Domandò lei raggiungendolo.
– C’è qualcuno. Quindi, ti conviene far andare subito via quella mezza calzetta del tuo fidanzato. – Rispose lui, continuando a camminare lentamente.
– Cosa ti fa pensare che ci sia qualcuno? -
- Magari quegli strani rumori? Vai da quell’idiota e fallo andare via. – Rispose lui. – E tieni questo. – Alec estrasse dalla propria giacca un altro coltello porgendolo a Jill.
La ragazza prese subito l’arma obbedendo. Tornò indietro, percorrendo nuovamente tutto il corridoio, lasciando Alec da solo.
Quando arrivò all’inizio delle scale un altro rumore alle sue spalle la fece sussultare nuovamente.
Strinse forte il manico del coltello poi si girò piano. Un urlo squarciò il silenzio.
Jill si trovò davanti una donna, dalla carnagione pallidissima, quasi bianca, che le dava un aspetto inquietante insieme a quegli enormi occhi rossi.
La lunga tunica nera e il cappuccio alzato le nascondeva i capelli corti grigi.
La donna afferrò violentemente Jill per il braccio riuscendo a spingerla con forza nella stanza in parte a loro; quella dei genitori di Jill.
La ragazza gridò ancora, quando picchiò la schiena contro al duro pavimento, un urlo più acuto di quello precedente.
– Jill! – All’unisono Alec e Julian la chiamarono sentendo quel frastuono. Il biondo corse velocemente al piano superiore, percorrendo le scale.
Alec, invece, attraverso nuovamente tutto il corridoio.
Appena i due raggiunsero la camera dei genitori della ragazza la pallida donna chiuse velocemente la porta di legno, con un semplice gesto della mano.
– Che cavolo è quella cosa?! – Scattò Julian, notando subito gli occhi rossi della donna. – Cosa vuole da Jill?! -
- Chiudi quella bocca! – Sbottò Alec di rimando cercando di aprire la porta di legno.
Julian se ne restò in silenzio a quell’ordine, ma il terrore lo inondò di nuovo quando notò il coltello, insieme a tutte le altre armi che Alec aveva portato con sé.
Qualche secondo dopo Alec riuscì a far scattare la maniglia della porta bloccata, riuscendo ad aprire velocemente la porta.
Julian, alle sue spalle,fece un passo indietro appena vide la stanza impiastrata di sangue.
La donna inoltre si era trasformata.
Un mostro enorme. Nero, nero corvino, come la cenere. Le zampe lunghe, e gli artigli pieni di sangue. Il corpo peloso pieno di tagli e graffi.
Alec si portò subito in avanti, prima che la creatura potesse colpire nuovamente Jill a terra, prese altri tre pugnali e li infilzò nel corpo del mostro.
Collo. Zampa. Testa.
Il sangue rosso acceso, quasi rubino, schizzò nuovamente, colpendo in viso Alec e Jill.
Prima che la creatura potesse cadere a terra, divenne cenere. Scomparendo, risucchiata dal pavimento.
- Stai bene? – Alec corse subito da Jill riponendo nelle tasche le proprie armi.
Le porse una mano spostando lo sguardo verso Julian che se ne stava impuntato nel corridoio; sconcertato, scioccato.
Spostò nuovamente lo sguardo sulla giovane quando lei gli afferrò la mano alzandosi da terra e la solita fastidiosa scossa li percorse entrambi.
– Che.Diamine.Era.Quella.Cosa?! – Domandò Julian guardando i due.
– Una cosa. – Rispose Alec, ironico per poi uscire dalla stanza. –
L’hai uccisa? - Domandò Jill, scattando in piedi, seguendo Alec e ignorando Julian.
– No. Tornerà. Per questo dobbiamo andarcene. – Rispose il moro scendendo al piano di sotto, seguito da Jill e Julian.
– Qualcuno può rendermi partecipe di quello che sta succedendo? – Sbottò nuovamente il biondo confuso.
– Dopo, Julian, dopo. – Rispose Jill senza nemmeno guardarlo. – Adesso dobbiamo andarcene. –
Alec si fermò di colpo appena sentì un tonfo arrivare di nuovo dal piano superiore. Si voltò verso Jill e Julian dietro di lui facendogli segno di stare zitti.
– Controllo io. Voi state qui. – Bisbigliò. Alec fece un passo avanti bloccandosi poi ancora, quando improvvisamente vide apparire alle spalle di Julian la creatura che poi assunse nuovamente la forma della donna pallida che Jill aveva visto.
Sogghignante impugnò una lancia d’oro, prima ancora che Alec potesse avvertire il biondo, l’arma gli trafisse violentemente lo stomaco.
– NO! – Il grido di Jill girò a vuoto per la stanza. Abbassò lo sguardo sulla lancia che aveva colpito Julian di fianco a lei.
La creatura scomparì di nuovo, vedendo poi il giovane cadere a terra sanguinante.
Il manico dell’arma picchiò terra, spingendo la lama a conficcarsi ancora più profondamente nella carne di lui.
Jill si lasciò cadere subito a terra, inginocchiandosi in parte a lui.
Era già morto.

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Capitolo 25
*** -Luce morente ***




Gli occhi aperti, lucidi, le pupille allargate di Jill. Il sangue che divorava la maglietta di Julian, il pavimento e la lama della lancia.
Le lacrime cominciarono a inondare gli occhi della ragazza, il cuore si strinse nel petto, palpitando ad una velocità impressionante, ma non pianse.
– Jill. – La voce di Alec la riportò alla realtà. – Dobbiamo andare. – Le ricordò, senza scomporsi.
– Andare? – Replicò lei girando lo sguardo verso di lui. – Non lo lascio qui così. – Aggiunse per poi guardare nuovamente il corpo di Julian.
Prima ancora che Alec potesse rispondere, Jill avvertì un fruscio acuto alle sue spalle. Subito dopo un paio di mani si strinsero tra i suoi capelli mori. L
a donna era di nuovo lì, questa volta dietro di lei. Alec scattò in avanti, impugnando il coltello, ma non riuscì ad impedire a quella tizia di sbattere violentemente il capo di Jill contro al duro pavimento di legno che si accasciò a terra iniziando a perdere i sensi.
La donna girò poi lo sguardo verso Alec che si scagliò su di lei riuscendo a ferirla all’addome.
La spinse a terra colpendola ancora, alla spalla e al collo, le grida che lanciava la donna risuonavano in tutta la casa che era rimasta divorata dal silenzio fino a poco prima.
Lei però, come tutta risposta artigliò le unghie contro al viso del moro, procurandogli dei graffi profondi sulle guancie.
Alec indietreggiò ringhiando, quando la donna si rialzò velocemente da terra, riuscendo a strappargli dalle mani il coltello buttandolo a terra, facendolo scivolare lontano da loro.
Questa volta fu lei a scagliarsi su di lui, le unghie delle sue mani erano diventati veri e propri artigli con la quale lo colpì ancora e ancora procurandogli tagli sanguinanti e pulsanti sul petto spezzando il tessuto della maglia, sulle spalle e sulle braccia scoperte.
– Considerati morto, angelo. – Ringhiò la donna, trasformandosi nuovamente nella bestia pelosa e terrificante che aveva attaccato Jill poco prima. Buttò con una zampata Alec contro alla vetrata di un mobile dove la famiglia Baker teneva tutte le stoviglie ‘’per occasioni speciali’’.
Il vetro si spaccò in mille pezzi ricadendo sul viso e sul corpo di Alec che scivolò a terra ansimante.
La creatura avanzò velocemente verso di lui vedendo che stava cercando invano di rialzarsi da terra, ma si fermò ringhiando, appena la lama d’orata di un pugnale la colpì su un fianco.
Avvertì l’arma conficcarsi sempre più nella profondità della sua carne, così, assunse nuovamente la forma umana. Gli occhi rossi, quasi persi nel vuoto, girarono lo sguardo verso Jill, in piedi in parte a lei.
La botta alla testa ancora le pulsava, il sangue secco le aveva impiastrato tutti i capelli alla nuca che le faceva un male tremendo, però, era riuscita ad alzarsi, anche se a fatica.
La ragazza non esitò a tir fuori dallo stivale un altro pugnale d’oro, questa volta leggermente più grande del primo e a spingere con forza la donna contro al muro.
La tenne inchiodata ad esso puntandole il pugnale contro alla guancia.
Jill osservò gli occhi rossi rubino di lei prima di trapassarle violentemente il cuore con la lama.
La pelle della donna si riempì improvvisamente si rughe nere che le percorrevano tutto il viso e tutto il corpo. Jill la lasciò cadere a terra ormai priva di vita.
Si abbassò anche lei, sedendosi in parte al cadavere rimuovendo l’arma.
La mora la guardò sprezzante quando decise di colpirla ancora, al petto, ripetutamente. Avvertiva la rabbia incresparle la mente, il cuore in gola pulsava ad un ritmo esagerato e il respiro si faceva sempre più affannato.
– Jill! – La voce di Alec dietro di lei la richiamò. – Basta. E’ morta. - A quelle parole la ragazza si fermò, lasciando però il pugnale nel petto insanguinato della donna.
Girò di nuovo lo sguardo verso Julian, poco lontano da lei, immerso in una pozza di sangue.
Subito dopo sentì alle sue spalle alcuni cocci di vetro cadere a terra mentre il rumore dei passi di Alec si avvicinava a lei.
Jill avvertì subito la solita piccola scossa quando la mano di Alec si strinse attorno al suo polso. – Dai, tirati su. – Disse lui per poi aiutarla ad alzarsi lentamente. Appena la giovane fu in piedi si avvicinò ancora ad Alec stringendolo in un abbraccio, prendendolo alla sprovvista.
Jill non disse nulla poiché sentì nuovamente le lacrime inondarle gli occhi azzurri e poi scivolare sulle sue guance.
Singhiozzò poggiando la testa nell’incavo del collo di lui che sussultò appena la mora fece scivolare la mano sulla sua spalla piena di graffi brucianti.
Jill fece un passo indietro passandosi le mani sulle guance bagnate e posando lo sguardo su tutti i graffi sulla pelle di Alec. –…Non me ne ero accorta. - Bisbigliò con voce tremante. – Sei pieno di tagli e graffi. -
- Beh, non è importante. Passerà. – Rispose lui scrollando lo spalle.
– Ho…ho del disinfettante. – Balbetto lei.
– Non ce n’è bisogno. –
Ma Jill scosse la testa dirigendosi velocemente verso l’enorme bagno di fianco al salone.
Il sole stava ormai calando, stava iniziando a farsi buio e prima di tornare avrebbero anche dovuto liberarsi del corpo di Julian indisturbati.
La ragazza tornò subito da Alec tenendo tra le mani delle garze e una bottiglietta azzurra di plastica, con l’etichetta giallastra che evidenziava la scritta in bianco ‘’Disinfettante’’.
– Siediti. – Gli ordinò lei, cercando di non posare lo sguardo sul corpo di Julian.
– Forse sarebbe meglio andare in cucina o in bagno. – Disse lui, avvertendo il disagio della ragazza. Jill annuì sfrecciando subito in cucina seguita da Alec.
Il moro prese una sedia di legno vicino all’enorme tavolo sedendosi e osservando Jill che trafficava nervosamente con le garze in parte al lavandino.
– Ammettilo. Disinfettare i graffi è solo una scusa per vedermi senza maglietta. – Scherzò lui, sperando di poterle almeno strappare un sorriso da quel viso impestato di preoccupazione, tristezza e rabbia.
– E’ il mio sogno. – C'era solamente cupa ironia nella voce di Jill. Si voltò verso di lui, impugnando due garze piene di disinfettante. – Muoviti. – Gli disse avvicinandosi.
Alec alzò gli occhi al cielo per poi sfilarsi subito la maglia nera poggiandola sul tavolo di vetro.
Jill abbassò lo sguardo sui pettorali scolpiti del ragazzo ancora una volta non poteva non notare quanto fosse perfetto Alec, quanto fosse perfetto il suo fisico e i suoi muscoli che si contraevano sotto la garza. Jill passò bruscamente la garza sulla ferita, facendo sussultare il ragazzo.
– Piano! – Ringhiò Alec. – Hai presente che il disinfettante brucia?! -
- …Scusa. – Sbuffò lei tamponando delicatamente tutti i graffi che gli segnavano il petto.
La stanza calò nel silenzio. Passavano i minuti, nessuno dei due parlava.
Nella testa della ragazza continuava solo a riaffiorare la scena in cui la lama impugnata dalla donna oltrepassava il corpo Julian.
Anche lui era morto. Prima la sua migliore amica, poi il suo ragazzo…ed era solo l’inizio.

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Capitolo 26
*** -Tormenta ***




Jill continuò a tamponare piano i graffi ancora pulsanti e arrossati di Alec, fece un passo indietro buttando nel cestino la garza per poi prenderla un’altra inumidendola di nuovo di disinfettante. – Ho quasi finito. – Disse lei rompendo il silenzio.
– Uhm. – Mugugnò Alec seguendo con lo sguardo ogni sua minima mossa. La ragazza si riavvicinò a lui, disinfettando gli ultimi e pochi graffi che aveva sulla spalla sinistra.
Alec girò il viso verso di lei, guardandola in silenzio.
– La vuoi smettere? – Sbuffò Jill.
– Di fare? – Domandò lui divertito.
- Di fissarmi. E’ da quando ho iniziato a disinfettarti i graffi che continui a fissarmi. – Rispose la giovane alzando finalmente lo sguardo su di lui. –
- Non è certo colpa mia se sei sexy. -
- Okay, basta. Ho finito. - Mentì Jill allontanandosi da lui e buttando la garza sul tavolo di vetro.
- Di già? – Alec roteò gli occhi alzandosi dalla sedia, sapendo benissimo che, ovviamente la ragazza non aveva davvero finito di disinfettare i tagli ma che si era allontanata a causa della frase che lui aveva detto.
– Mi piaceva averti come infermiera personale. –
Jill lo fulminò con lo sguardo riprendendosi tra le mani la bottiglia di disinfettante. Si avvicinò al tavolo prendendo anche la maglietta nera di Alec che gli lanciò e che afferrò subito al volo.
– Vuoi davvero che me la rimetta? – Domandò Alec ridacchiando. La mora gli lanciò nuovamente un’occhiataccia senza rispondergli. – Okay, okay. Me la metto. – Disse subito lui infilandosi velocemente la maglia.
I due arrivarono nuovamente in salone.
Il corpo del demone, si era ridotto in cenere, come succedeva a tutti i demoni morti.
Il pugnale che Jill aveva usato era poggiato a terra, pieno di sangue.
– Allora, io prendo il corpo di Julian e me ne libero mentre tu aspetti qui. – La voce di Alec la riportò alla realtà.
– No. Ho un’idea migliore. – Disse subito Jill avvicinandosi al corpo di Julian.
Stappò nuovamente la bottiglia di plastica che aveva tra le mani, buttando quasi tutto il disinfettante rimasto sul suo cadavere.
– Non ci pensare neanche! – La interruppe Alec raggiungendola immediatamente, strappandogli la bottiglia dalle mani. Capì immediatamente l'idea che era balzata alla testa di Jill.
– Credi sia meglio andarsene a spasso per mezza città con un cadavere tra le braccia? …Meglio bruciarlo. Insieme a tutta la casa. -
- Cosa?! Ma sei impazzita? -
- Dammi qua. – Jill si riprese la bottiglia di plastica, buttando del disinfettante sul tappeto e sulle tende alle due finestre della sala.
– La vuoi smettere? Non manderai a fuoco la casa! – Disse Alec, alzando il tono di voce.
– No? Me lo vuoi impedire? Questa è la mia casa. Lui era il mio ragazzo. Tu non sei nessuno. Tutto questo porta ad un’unica conclusione e cioè che faccio quello che voglio. Quindi, chiudi quella bocca o ti faccio stare zitto io. – Rispose calma lei, fermandosi qualche secondo.
– Ma per favore. – Alec scattò di nuovo in avanti, raggiungendola ancora. – Finiscila di comportarti come una bambina. Ragiona per una volta! Vuoi davvero che tutto questo venga perduto? -
- Sì. – Rispose seria. – Appena lancio l’accendino ce ne andiamo. – Aggiunse per poi tornare in cucina portandosi dietro la bottiglietta ormai vuota.
Tornò in salone da Alec qualche secondo dopo con un accendino grigio tra le mani.
Jill si piantò davanti al corpo di Julian, osservandolo in silenzio per qualche istante poi accese l’accendino buttandolo subito a terra, in parte al cadavere del ragazzo che fu subito divorato dal fuoco.

****

- Avresti potuto almeno avvisarmi del fatto che avresti portato Jill a casa! – Sbottò Vincent fissando Alec seduto sulla poltrona che continuava a sbuffare e ad alzare gli occhi al cielo annoiato.
– Non sei la sua guardia del corpo. – Replicò Alec per la quarta volta.
– Sono suo fratello! Sono il suo guardiano. IO, dovrei proteggerla. IO dovrei aiutarla. Non tu! -
- Il tuo ‘’aiutare’’ e ‘’proteggere’’ consiste nello sparire praticamente tutti i giorni e andartene chissà dove? …Senza offesa, ma a momenti sono più guardiano io di te. – Ribattè nuovamente Alec sospirando.
– Il tuo iniziale compito era solo quello di portarla qui sana e salva. Poi, ce ne saremmo dovuti occupare io e Dakota! -
- Ma Dakota è morta. Tu sei praticamente inutile. Quindi, mi prendo io cura di lei. -
- A causa della tua impulsività il suo ragazzo è morto! -
- A causa della mia impulsività?! – Gli fece eco Alec. – Se qui c’è una persona impulsiva quella sei tu! Per quanto ne posso sapere io, potresti da un momento all’altro tirare fuori qualche strana arma e ferirmi. Ancora. -
Alec si ricordò infatti di quella volta che l'aveva rischiata brutta, che per poco era morto, a causa dell'impulsività e della rabbia di Vincent.
- Quella volta è stata colpa tua! Mi hai fatto incavolare e di brutto anche! – Rispose Vincent, alzando sempre di più il tono di voce.
- Oh certo. E’ sempre colpa mia, vero? …E, tanto per la cronaca, non fare finta di dispiacerti per la morte di quel biondino perché sappiamo tutti quanto lo odiavi! -
- Jill sta male. Di nuovo. Perché ha perso una persona che amava e tu non hai fatto niente per impedirlo. -
- Ma ti diverti a scaricare tutta la colpa su di me? Credi che sia bello per me vedere che lei sta ancora male?! – Questa volta anche il tono di voce di Alec si alzò.
- Non scherzavo quando ti ho detto di starle alla larga. Hai già fatto abbastanza! Lasciala in pace, d’ora in poi mi prenderò io cura di lei. -
- Ti prenderai cura di lei ignorandola praticamente tutti i giorni come fai sempre? – Gridò Alec scattando in piedi dal divano. - Guarda che non sono mica scemo. Diciamolo una volta per tutte. Tu non vuoi che io le stia vicino perché ti da fastidio. Non perché credi che io sia un pericolo, non perché hai paura che stando con me le possa accadere qualcosa. Sei geloso. Sei dannatamente geloso! E sei anche un’egoista! …Ma sappi che a me non me ne frega niente di quello che mi ordini di fare o di quello che provi tu. Non me ne frega niente di te! – Aggiunse lui acido, impassibile, come mai aveva fatto prima d’ora con nessuno, tantomeno con Vincent.
L’aveva sempre trattato come un fratello, un amico particolarmente importante ma, negli ultimi tempi era ovviamente cambiato tutto.
Qualcuno avrebbe potuto dire che la colpa di tutto quel cambiamento era solo di Jill.
Forse era vero, forse no.
Forse Vincent lo pensava, o ne era certo.  


E ci siamo, gente. Stiamo ormai arrivando alla fine per vostra sfortuna (?) o magari qualcuno sarà anche contento. Cominciamo con i casini, eh? Tensioni su tensioni, litigi su litigi e morti. Ci avviciniamo al gran finale. Non mi resta che dirvi di continuare a seguirmi e di rimanere con noi fino alla fine. Un bacio, Giulia.

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Capitolo 27
*** -Gira pagina ***




Jill si svegliò ansimante, il cuore martellante, la fronte e le mani completamente sudate.
La luce della luna filtrava dalla finestra illuminando la stanza.
La ragazza era tornata in città, in una piccola casetta che Vincent si era procurato, Jill ancora non sapeva come e a dirla tutta nemmeno voleva saperlo.
L’idea di Alec di farla tornare in città era stata abbastanza stupida, almeno secondo lei.
Ormai però tanto valeva passare le giornate in casa oppure nascosta dall’arcata, perché si sapeva, se i Demoni avessero voluto in un modo o nell’altro sarebbero riusciti a superare quella ‘’porta’’ magica.
Da quell’ultimo episodio in infermeria erano tutto piuttosto titubanti.
Noah e Alec erano ancora dell’idea che fosse stato proprio lui a far entrare quel Demone, ma lui negava e Jill si fidava di lui.
Inoltre, era successo qualcosa tra Vincent ed Alec, Jill lo capiva.
Lo capiva dalla tensione che c’era tra loro ogni dannato giorno. O litigavano o si ignoravano.
Ma d’altronde, lei non avrebbe potuto fare niente, erano affari loro e non aveva né voglia né tempo di preoccuparsene.
Jill aveva passato tutta la nottata sveglia. L’aveva passata a pensare. A pensare a come in poco tempo la sua vita fosse stata travolta da eventi inimmaginabili.
Pensava alla sua migliore amica e al suo ragazzo ormai morti.
Jill credeva davvero che fosse lei la causa di tutto, in parte la colpa doveva essere anche sua.
Aveva praticamente immischiato Dakota ma soprattutto Julian in tutta la faccenda delle creature sovrannaturali, e il suo senso di colpa aumentava di minuto in minuto.
Un nodo allo stomaco e un grosso peso sul cuore, insieme alla testa piena di mille pensieri, paure e preoccupazioni.
Era passata già una settimana da quando Jill era tornata in quell’enorme ma monotona cittadina e, ancora non era successo nulla solo perchè Alec l'aveva nuovamente marchiata, nascosta ad angeli e demoni.
Jill usciva comunque continuamente di casa, infischiandosene dei rischi che poteva correre. Quando non c’era né Alec né Vincent a sorvegliarla lei se la svignava sempre.
In quei momenti di libertà andava quasi sempre a casa di Julian, a fare visita alla madre.
Entrare in quella dannata casa le faceva un male tremendo, ma non ci poteva fare niente, sentiva il dovere di andare da lei.
Finivano per parlare per ore, di Julian, il che portava la signora alle lacrime ogni volta che finivano qualche discorso.
Pensare che lei non sapesse nemmeno come fosse morto davvero il figlio, pensare che non aveva nemmeno potuto riavere il suo corpo faceva sentire Jill tremendamente in colpa.
L’idea di mandare a fuoco la casa con lui dentro era stato uno stupidissimo errore.
I poliziotti avevano solamente archiviato il caso, subito, dopo poco.
Il fatto di non trovare nemmeno il corpo li aveva comunque portati alla possibile conclusione che fosse morto, ma il fatto era che lui era davvero morto e nessuno lo sapeva apparte lei ed Alec.
Tutto questo rendeva ancora più difficile per Jill andare dalla donna e fingere, guardarla negli occhi e fingere.
Fingere di non sapere niente, di non aver visto Julian morire davvero davanti ai suoi occhi, fingere di non aver avuto quella malsana idea di bruciare il corpo e la casa, che in teoria, secondo la polizia, sarebbe andata a fuoco a causa di un incidente. Forse una fuga di gas.
Poteva comprendere perfettamente lo stato d’animo della donna, Jill si sentiva esattamente come lei.
Ma resisteva, tutte le volte che parlavano di lui Jill resisteva anche se la voglia di gridare, di piangere, di sfogarsi era troppa.
Jill continuava a ripeterle di farsi forza, di andare avanti, nonostante lei fosse proprio la prima che non riusciva ad essere forte e che non voleva voltare pagina.
Non poteva.
La morte del suo ragazzo e della sua migliore amica erano state troppo, anche se lei cercava di tenerlo nascosto avevano avuto un grosso impatto su di lei.
Era come se si fosse creato una voragine dentro di lei, come una parte di lei che era venuta a mancare, un pezzo sparito, rubato.
– Cara, vuoi un tazza di te? – La voce tremante della madre di Julian riportò Jill alla realtà.
– Ah nono, grazie. Ora dovrei tornare a casa. – Le rispose alzandosi dalle mani e prendendo la borsa che aveva poggiato sul tavolino di legno davanti a lei. – A presto. – Si congedò infine, uscendo velocemente dalla casa chiudendosi piano la porta alle spalle.
Percorse velocemente tutta la strada che collegava la casa di Julian a quella casa nella quale era obbligata a restare.
Appena aprì la porta d’ingresso si trovò davanti Alec che aveva in mano una borsa grigia nella quale stava cacciandoci dentro quaderni e penne alla rinfusa. –Non ti chiedo neanche dove sei stata. – Disse immediatamente lui appena Jill chiuse la porta. – E io invece posso chiederti cosa stai facendo? – Chiese lei inarcando le sopracciglia. – Torni a scuola cara mia. – Sorrise lui, porgendole la borsa.
– Stai scherzando. Io non ci torno in quella cazzo di università! Figurati! Sono perseguitata da angeli e demoni, il mio ragazzo e la mia migliore amica sono morti e io dovrei seriamente tornare a scuola? A studiare in una università nella quale neanche volevo iscrivermi?! Ma per favore. -
- Guarda il lato positivo della cosa, rivedrai i tuoi amichetti idioti. -
- Di chi è stata questa magnifica idea? Tua? Insomma, non ha senso farmi tornare lì! -
- Secondo tuo fratello sì. -
- Ah certo, fino a due giorni fa lo odiavi e adesso dai ascolto a ciò che ti dice?! -
- Sii positiva, tornerai in parte alla tua vita. Comunque non sperare che ti molli proprio adesso. Sto meditando se iscrivermi come studente oppure presentare un falso curriculum come insegnante. – Ridacchiò Alec.
– Col cazzo! Io mi rifiuto! – Sbottò Jill.

*****

Jill varcò il cancello della scuola. Come al solito l’esterno era pieno di ragazzi che facevano dentro e fuori dall’istituto, altri con in mano libri di scuola, altri ancora ammassati all’angolo ‘’dei drogati’’.
La cosa bella è che nonostante praticamente tutti ormai sapessero delle droghe che giravano sia dentro che fuori da scuola, nessuno interveniva.
Jill aveva infatti passato praticamente tutti i primi mesi di scuola in quel posticino, i professori erano fortunati se la trovavano in classe a due o tre lezioni al giorno, così facevano anche tutti i suoi amici.
Così faceva Julian, ma non Dakota, considerata da tutti come una studente modello.
- Farti passare per mio cugino è un’idea assurda. – Commentò Jill spostando lo sguardo verso Alec.
– Ci crederanno tutti. – Rispose. – Su vai. – Aggiunse facendole segno di entrare all’università.
Jill sbuffò sistemandosi i lunghi capelli mori, fece un grande respiro e finalmente attraversò tutto il cortile entrando nell’edificio.
Come al solito il corridoio principale era poco affollato, praticamente mezza scuola era nel cortile, ma comunque quei pochi studenti che si trovavano all’interno facevano piuttosto fracasso.
Jill non moriva neanche dalla voglia di incontrare di nuovo i suoi amici, non aveva voglia di vedere nessuno, tranne forse due persone.
Le avrebbero sicuramente chiesto tutti di Julian e non aveva nessuna voglia di pensare o parlare di lui.
Poi le avrebbero chiesto di Dakota e a quel punto avrebbe dovuto inventarsi completamente qualcosa da raccontare. Jill si mosse in avanti, avviandosi piano verso il suo armadietto, il numero 38.
– Jill! Ehi! –
Nadya.
Una ragazza piuttosto minuta si fece strada tra un gruppo di ragazzi poco lontani da Jill.
Si avvicinò piuttosto velocemente a quest’ultima andando subito ad abbracciarla.
– Ehi. – Rispose Jill, rimanendo quasi spiazzata dall’abbraccio dell’amica.
In 4 anni che si conoscevano Nadya non era mai stata ‘’affettuosa’’ nei suoi confronti. Certo, erano amiche, erano legate, Jill la considerava come una ‘’seconda migliore amica’’ dopo Dakota ma la loro amicizia non era certo come quella di molte ragazze.
Quella dove si scambiano baci sulla guancia, abbracci e paroline dolci, non facevano per loro.
Non facevano per Nadya, che era sempre stata una ragazza che odiava le smancerie, anche tra amiche.
– Dove sei stata? Perché non mi hai chiamato o mandato messaggi? Quando ho saputo di Julian ho subito pensato a te. Come stai? Sai qualcosa di Dakota? E’ praticamente sparita anche lei – Nadya la bombardò subito di domande.
Proprio come Jill aveva immaginato sarebbe successo.
Lei fece un passo indietro, stava per risponderle ma FORTUNATAMENTE qualcuno la interruppe.
Era Dylan. – Baker, ma chi si rivede. – Il ragazzo arrivò alle spalle di Nadya, si sbrigò a stringere anche lui Jill in un forte abbraccio.
– Ho della roba che mi è appena arrivata. Me l’ha portata Luke qualche ora fa. – Sussurrò lui contro l’orecchio di Jill per poi allontanarsi subito da lei.
– Lasciala respirare. Non credo abbia voglia di Marijuana adesso, il suo fidanzato è appena morto. –
Come sempre, Nadya e la sua solita garbatezza. Sussurrò la parola ‘’Marijuana’’ mentre praticamente tutto il corridoio aveva sentito la fine della frase. ‘’Il suo fidanzato è appena morto.’’
Come infilare il coltello nella piaga.
- Invece sì. – Esordì Jill, rompendo il silenzio creatosi in quei pochi secondi, cercando di ignorare il più possibile quella frase detta da Nadya.
– Voglio della Marijuana. – Aggiunse convinta guardando Nadia e poi Dylan. – Portamela dopo in cortile. Alla prossima ora. Adesso, devo andare a seguire Biologia. – Sbuffò sbattendo con poco grazia alcuni libri alla rinfusa nell’armadietto.
– Ci vediamo dopo. – Disse infine chiudendo violentemente l’anta dell’armadietto per poi andarsene, dirigendosi verso l’aula di Biologia.

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Capitolo 28
*** -Corri! ***




Jill raggiunse l’aula di Biologia. Erano passate solamente due ore in quella scuola e già si era stancata di stare lì, già non ce la faceva più.
Voleva tornarsene a casa, a starsene senza far niente sul suo letto.
Si mise a sedere alll’unico banco vuoto, in fondo alla stanza, vicino alla finestra.
E passarono i minuti, lei non ascoltava neanche una parola che usciva dalla bocca del professore, la sua mente era un susseguirsi di ricordi, immagini e parole. Una gran confusione.
La voglia che aveva avuto fino a pochi giorni prima di tornare in quella stupida città era improvvisamente sparita e lo avrebbe detto subito ad Alec, sperando che a quel punto l’avrebbe riportata all'arcata, via da lì.
Ancora non capiva che motivo avesse di farla restare lì, era ovvio che prima o poi si sarebbe presentato un problema e alla fine?
Ci avrebbe rimesso ancora lei.
A farla tornare alla realtà e ad attirare l’attenzione di tutti in aula fu un tonfo contro la finestra di vetro.
Jill riuscì a malapena a vedere qualcosa di nero cadere a terra prima di scontrarsi contro il vetro.
Nessuno fiatò, il professore si zittì osservando come tutti la finestra, subito dopo un altro tonfo.
Questa volta si riuscì a vedere chiaramente qualcosa di bianco sbattere nuovamente contro il vetro. Jill spostò lo sguardo sul professore alzandosi in piedi.
– Ho bisogno di andare in bagno. – Si liquidò velocemente, uscendo dalla classe senza ricevere obiezioni dall’insegnante.
Appena chiuse la porta dell’aula e si voltò, si trovò davanti Alec. - Dobbiamo andare via. – Disse immediatamente lui prendendola per mano, la solita scossa questa volta li colpì più forte ma Alec, a differenza di Jill sembrò non accorgersene.
La trascinanò per il corridoio, arrivando vicino all’uscita.
– Che cavolo sta succedendo? Mica posso andarmene così, a caso. Qualcosa è andato a sbattere contro il vetro della mia classe e qualcosa mi dice che non è casuale, giusto? – Chiese subito lei roteando gli occhi al cielo.
– Esatto. Ti hanno trovato, anche qui. Non sono in pochi. -
- Ma chi? Demoni? –
Alec sospirò fermandosi di scatto e voltandosi verso di lei. - Altro che Demoni. Se ti prendono gli Angeli siamo fottuti. Quindi, devo portarti via subito. -
- Ma in quella dannata casa ho tutte le mie cose! -
- Beh, tornare a casa sarebbe un bel modo per farti ammazzare. – Rispose Alec voltandosi nuovamente trascinandola finalmente all’uscita.
Spinse la porta, fermandosi ancora prima di varcare la soglia.
Si guardò attorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno. – Trovo un posto dove nessuno può vederci, velocemente, poi ti porto via. – Le disse, subito dopo si portò in avanti cominciando a correre stringendo ancora di più la mano di Jill nella sua.
Riuscirono ad arrivare in un vicolo fortunatamente deserto, poco lontano dalla scuola.
Fino a quel momento niente di strano, andava tutto bene. Qualche secondo prima che Alec potesse liberare le sue enormi ali nere, il cellulare di Jill squillò facendoli sussultare entrambi.
– Il fatto che ti avessi volontariamente rotto il cellulare era un invito a non comprarne un altro. – Commentò Alec immediatamente, ricordando la volta in cui le aveva buttato il cellulare a terra pochi mesi prima.
Jill ignorò quella frase, sfilando il cellulare dalla tasca dei Jeans, sulla schermata apparve il nome di Nadia.
– No. Non rispondi. – Le impose Alec prendendole il cellulare di mano interrompendo la chiamata. – La tua amichetta può aspettare. –
Ma in un attimo, prima che potessero accorgersene tutto degenerò.
Un coltello sfiorò il braccio di Jill andando però a conficcarsi in pieno nel braccio di Alec. – Cazzo! – Esclamò ringhiando.
Li avevano raggiunti.
Jill si guardò attorno, erano circondati.
Almeno una ventina di loro li guardavano squadrandoli. Angeli.
Alec si portò una mano sulla ferita buttando a terra lo stilo insanguinato stringendo i denti. – E sì, siamo fottuti. – Bisbigliò guardando Jill per poi fare scorrere gli occhi azzurri su ogni angelo intorno a loro.
Si poteva dire che non erano esattamente come lo stereotipo di angelo.
Tutti pensavano, compresa Jill, che fossero creature immortali, eternamente giovani.
Che indossassero tutti, dal primo all’ultimo, delle lunghe tuniche bianche che riportavano alla purezza del paradiso.
Beh, così non era.
Erano quasi tutti uomini, la maggior parte dimostrava più o meno 40 anni, apparte qualche ragazzo e un paio di ragazze palesemente giovani.
Al posto della tunica erano tutti vestiti normalmente, jeans, camicia o felpe, impiastrate completamente di sangue, le uniche cose che li distinguevano dai comuni umani erano solamente le maestose ali bianche che sfoggiavano, luminose, perfette e quasi accecanti.
– La ragazza. – Una voce si fece strada tra quel silenziò tombale.
Un uomo sorpassò i pochi angeli che gli stavano davanti arrivando davanti ad Alec e Jill. – Consegnaci la ragazza e nessuno si farà male. –
‘’perché deve parlare come se io non fossi qui?’’ Si domandò Jill osservando l’uomo che nemmeno la degnava di uno sguardo ma che era concentrato su Alec che scoppiò in una risatina subito dopo.
Non rispose si limitò a prendere Jill di nuovo per il braccio attirandola a sé.
Quella era la sua risposta. ‘’No. Non la lascio andare.’’ Strinse la presa, premendo il suo torace contro la schiena di lei.
Una ragazza fece un passo avanti, stringendo forte tra le mani un pugnale ma l’uomo la fermò bloccandola con un braccio.
Alec sorrise tenendosi ancora l’altra mano sulla ferita. –Consegnarvela sarà l’ultima cosa che farò. La volete? Dovrete passare sopra il mio cadavere. –
Ed ecco che la paura ricominciava a farsi sentire.
Come diavolo faceva lui a restare calmo?
Jill sapeva che in fondo era terrorizzato almeno quanto lei, ma come faceva a nasconderlo così bene? Lei tremava come una foglia.
Alec non aveva nemmeno armi con sé, tantomeno ne aveva lei.
Erano spacciati, sicuramente.
Appena l’uomo davanti a loro con un gesto della mano diede palesemente il consenso agli altri angeli di attaccare, Alec liberò finalmente le ali scure con un ghigno sul viso. – Vediamo chi vince. – Li sfidò.
La sua mano scivolò dal braccio di Jill fino ai suoi fianchi, la strinse ancora a sé fino a farle mancare il respiro, poi si alzò in volo.
– Ci uccideranno. – Bofonchiò Jill affondando il viso nella giacca di Alec.
– No. – Rispose lui.
– Sì invece. Sono in troppi e non abbiamo armi. -
- Anche se le avessi non potrei ucciderli. Ricordi che ti ho detto che noi non uccidiamo gli angeli ma che li rimandiamo in Paradiso? Ecco. Per farlo mi servono dei pugnali che possiamo dire ‘’speciali’’ fatti di oro bianco e ovviamente non li ho con me quindi dobbiamo nasconderci e sperare solo che non ci trovino. – Alec aumentò il battito d’ali. Girò il viso indietro riuscendo a vedere tutto il gruppo di angeli andargli dietro, standogli alle calcagna.
Jill piagnucolò. – Siamo fottuti. -
- Ci fermiamo al cimitero, in una cripta. -
Qualche secondo dopo tutto il vento le arrivò in faccia, cominciando a farle lacrimare gli occhi.
L’aria gelata cominciava a farsi sentire, iniziando a farla tremare ancora di più. Alec scese in picchiata, letteralmente.
Poggiò i piedi a terra tutt’altro che delicatamente, facendo infatti prendere una botta sui piedi di Jill. – Grazie tante. – Sbuffò imprecando mentalmente.
Alec se ne restò zitto, ignorando quel suo commento, la prese di nuovo per mano e Jill strinse i denti quando la scossa le attraversò il corpo; cominciarono poi a correre velocemente.
Il più velocemente possibile.  


Eccomi signori (?) è arrivato subito un altro capitolo :3 E ora stiamo davvero finendo, che tristezza lol. Recensitemi e continuate a seguirmi eh (': Un bacio, Giulia.

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Capitolo 29
*** -Un prezzo da pagare ***




Il cielo si stava ormai annuvolando. Stava diventando scuro, di un grigio che non prometteva bene.
Il tempo stava cambiando in una maniera impressionante e il vento si era ormai alzato, quella era l'unica cosa che smuoveva il silenzio agghiacciante.
Jill e Alec passarono almeno una trentina di lapidi, vecchie e rovinate. Su alcune le foto erano addirittura sbiadite e bianche e le scritte quasi cancellate.
I due raggiunsero velocemente una cripta, enorme, fatta di pietra e anch'essa visibilmente vecchia. All'esterno c'era scritto il cognome di una famiglia ''Williams.''
Alec aprì immediatamente il cancello impolverato aspettando che Jill entrasse poi la chiuse velocemente.
Jill poggiò la schiena contro al muro sporco, praticamente pieno di ragnatele.
Alec restò davanti alla porta dando le spalle a Jill.
Sospirò ma non aprì bocca, proprio come lei.
- Venite fuori! Oppure raderemo al suolo tutto il cimitero! – Una voce acuta provenì dall’esterno della cripta.
Li avevano già raggiunti. - Consegna la ragazza e nessuno si farà male. – Continuò.
Jill rabbrividì, deglutendo. – Forse sarebbe meglio che vada. –
- Non dirlo neanche per scherzo. Ti ucciderebbero. –
- Non mi interessa, Alec. Vale davvero vivere una vita così? – Jill si avvicinò a lui e quindi alla porta.
Alec le sbarrò la strada con il braccio, le lanciò un'occhiata fulminea, fredda.
Subito dopo un’esplosione dall’esterno li fece sobbalzare entrambi, cogliendoli alla sprovvista.
- Che cazzo è stato?! – Tremò Jill.
Alec mise la mano sulla maniglia della porta, aprendola leggermente. Stavano radendo al suolo davvero tutto. Doveva fare qualcosa.
- Resta qui. – Aprì la porta completamente mettendo un piede fuori dalla cripta, avanzò poi piano ma deciso.
Diede le spalle a Jill che richiuse immediatamente il cancello nonostante volesse solo supplicargli di non andare.
Di non lasciarla sola.
Passarono i secondi. La paura. L’ansia. Il tremolio. Tutto si amplificava.
Passarono i minuti. Nessun rumore. Nessuno di ritorno. Nessun suono.
- Alec! – Qualcuno da fuori aveva gridato il nome del ragazzo. Quella voce rimbombò frastornata e lontana.
Una voce maschile. Familiare. Noah.
Jill aprì istintivamente la porta correndo fuori.
Vincent, Noah e Jamie. C’erano tutti e tre. Alec però non c’era.
Non lo vedeva.
Tutti avevano in mano delle armi. Jill riusciva a scorgere il sangue scorrere sulla pelle di ognuno.
Jamie era quindi tornato, Jill credeva davvero che la punizione che avrebbe ricevuto per aver fatto tornare invita Alec sarebbe stata mortale…invece no.

C’erano una marea di angeli erano a terra. Sotto i loro corpi il terreno era marchiato da un segno bianco.
Un segno che Jill non aveva mai visto. Però era certa che centrasse con il fatto che li avessero rimandati tutti in Paradiso.
Si guardò attorno, nessuno si accorse di lei, fortunatamente.
Tutto quello era frustrante. Lei era impotente. Come al solito non poteva fare niente. A riportarla alla realtà dai suoi pensieri fu un grido.
In un primo momento nemmeno capì da dove o da chi provenisse ma poi riuscì a capire. Scattò in avanti correndo come mai aveva fatto prima verso Jamie.
Gridò. Gridò con tutta la voce che aveva in corpo.
Passo falso.
Appena la sua voce risuonò in quel silenzio infatti attirò l’attenzione di parecchi angeli.
– Jill! Vai via! – Sentì la voce di suo fratello rimbombarle nella testa ma no, non se ne sarebbe andata.
Continuò a correre verso Jamie mentre vedeva continuamente apparirle davanti agli occhi alcuni angeli, uno dietro l’altro.
Un pugnò infatti la colpì in pieno stomaco facendola subito cadere per terra, piegandosi in due dal dolore.
Avvertì qualcosa scivolarle via dalla tasca della giacca. Un pugnale.
Riuscì a rialzarsi in tempo per evitare una coltellata.
Prese velocemente il pugnale puntandolo verso la ragazza davanti a lei che si scaraventò subito verso Jill.
Un altro pugno la prese alla sprovvista.
Indietreggiò ringhiando tenendo stretto in mano l’arma. Se ne restò ferma immobile per qualche secondo ma poi si avventò addosso a lei.
La spinse a terra violentemente come mai aveva fatto in vita sua.
Si abbassò prendendole tra le mani i capelli per poi batterle ripetutamente la testa sul suolo, i ringhi e le grida soffocate dell'angelo non la smossero nemmeno.
Le sfracassò letteralmente il cranio.
Ma poi neanche riuscì ad alzarsi da terra che una lama la colpì alla schiena, subito dopo un’altra alla spalla.
Jill urlò in preda al dolore.
Il sangue già cominciava a sporcarle la maglia blu.
Si alzò subito, si passò la mano sulla schiena e sulla spalla buttando i pugnali a terra voltandosi poi verso i tre uomini impuntati davanti a lei.
Contemporaneamente si buttarono su di lei.
Si rigirò tra le dita il suo pugnale per poi colpirli tutti e tre, uno dietro l’altro.
Era come se avesse già combattuto una miriade di volte, come se già sapesse esattamente come muoversi il che, le dava un certo senso di forza e possenza.
Uno degli angeli si lasciò cadere a terra immediatamente, già agonizzante.
Gli altri due invece non sembravano nemmeno essere stati scalfiti.
Ma poi, prima che potesse colpire nuovamente, qualcosa la afferrò ai piedi, da dietro, ribaltandola a terra.
Radici.
Si sapeva che gli angeli, come le ninfe, avevano sempre avuto la natura e i suoi elementi dalla loro parte mentre invece Jill non aveva mai usato i suoi poteri.
Nemmeno si era preoccupata di sapere quali fossero.
Ben presto quelle radici si avvolsero attorno alle sue gambe.
Subito dopo la pianta prese fuoco. – Merda! Merda! – Gridò Jill in preda al panico.
Il fuoco si avvicinava sempre di più a lei. Riusciva già a sentire il calore divorarle le gambe e tutto il corpo. Si irrigidì. Strinse i pugni e i denti.
Improvvisamente avvertì il sangue gelarsi nelle vene, letteralmente.
Chiuse gli occhi e stop.
Calò il silenzio per un decimetro di secondo, uno stridio assordante che portò Jill a coprirsi forte le orecchie con le mani.
L’unica cosa che riuscì ad udire fu la voce lontana di Noah, che gridò. – Via! Via! Di qui! –
Poi Boom.
Non avvertiva più il calore.
Subito dopo, un’altra esplosione.

Jill alzò di scattò gli occhi.
Il suo sguardo andò a posarsi immediatamente sulle gambe, non più avvolte dalle radici che erano carbonizzate.
Si alzò finalmente in piedi, voltandosi barcollando.
I tre angeli non c’erano più.
O meglio, c’erano ma a terra, morti, a pezzi.
Tutto si era raso al suolo.
Le lapidi spaccate.
Gli alberi caduti.
TUTTI morti. Il cuore si fermò.
Vincent, Alec, Noah e Jamie. Non li vedeva.
I suoi occhi azzurri caddero su ogni corpo a terra.
Quasi tutti a pezzi, il sangue era ovunque, le aveva persino impiastrato i capelli mori.
Si avvicinò ai cadaveri esaminandoli uno per uno.
Un brivido le percorse la schiena.
Si lasciò cadere a terra, in ginocchio in parte ad un corpo senza vita appena riconobbe chi era.
I capelli corti del ragazzo morto erano appiccicati alla fronte e impiastrati dal sangue. Numerosi tagli enormi gli segnavano la pelle.
Lo aveva ucciso.
- Jill! – Finalmente una voce la smosse. Vincent.
Corse immediatamente verso di lei facendola alzare subito da terra stringendola in un abbraccio.
Jill riuscì a scorgere alle sua spalle Noah, scioccato, con gli occhi spalancati davanti al corpo del suo migliore amico senza vita, Jamie.
Gli occhi chiari di Noah restarono puntati sull'amico, poi parlò con voce assente. – Dov’è Alec? – Domandò.
- Qui, sono qui. – Rispose subito Alec apparendo davanti a loro ansimante. – Bella strage, complimenti. – Si guardò attorno, senza nemmeno degnare di uno sguardo Jamie. – Come hai…? -
- Non lo so. – Lo interruppe Jill. – Non so come ho fatto. Ringraziate solo di non esserci andati di mezzo voi. -
- Lui ci è andato di mezzo. – Intervenne Noah ovviamente riferendosi all’amico morto.
– Non era mia intenzione. – Si difese Jill fulminandolo con lo sguardo. – Non scaricarmi sempre la colpa di tutto. -
- Questa volta però è OVVIAMENTE colpa tua. -
- E’ stato un incidente. Basta. – Rispose Vincent, prima che Jill potesse ribattere. – Smettetela di litigare sempre come due bambini. –
Jill sbuffò guardandosi nuovamente attorno. Quello scenario dava tanto l’impressione di una lotta post-apocalittica, quando in realtà era stata solo lei a fare tutto.
Lei, con i poteri che fino a quel momento non era mai riuscita ad usare e che in realtà ignorava.
Improvvisamente in testa le venne in mente una frase che Alec le disse un po’ di tempo prima.
‘’Uccidere un angelo corrisponde a uno dei peccati più grandi del pianeta.’’ E lei l’aveva appena fatto.


Rieccomi con un altro nuovo capitolo(': Eh sì, mi pare proprio di essere arrivata ormai al penultimo. Stiamo per finire e io sono sinceramente sollevata, lol. Mi aspetta finalmente una pausa. Continuate a seguirmi eh <3 Un bacio, Giulia.

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Capitolo 30
*** -Inatteso ***




Restarono tutti attorno al corpo di Jamie, in cerchio. Il silenzio si era impossessato di tutto, così come il sangue.
Il cellulare di Jill ancora nelle tasche di Alec squillò, spezzando l'atmosfera calma quasi inquietante.
– Diavolo, speravo si fosse rotto! – Disse sfilandolo dalla giacca, lo porse a Jill che rispose subito alla chiamata. ‘’Nadya.’’
- Ma ti sembra il momento di rispondere al cellulare? – Sbuffò Noah cercando di non far ricadere continuamente lo sguardo sull’amico morto a terra.
La chiamata durò pochi secondi.
Jill terminò la chiamata. – L’hanno presa. – La voce bassa, sembrava quasi un sussurro. – Hanno preso Nadya. –
Vincent lanciò un’occhiata ad Alec. – Angeli? Ancora? – - Sì. – Confermò Jill con voce spezzata. - …Sono stati loro a parlarmi, in realtà. Un uomo. Ha detto che se non mi consegno entro un’ora la uccideranno. Si trovano in un capannone a Wall street. –
- No. –Disse subito Alec. – Non se ne parla. Non scambieremo te con una mezza adolescente drogata. –
- Beh, sei tu quello che ha sempre idee ‘’geniali.’’- Vincent incrociò le braccia. – Tirane fuori una adesso. –
Alec sbottò. - Non ho idee! E sinceramente, cosa dovrebbe fregare a me di salvare quella ragazzina?! –
- A me frega. – Replicò Jill. – Dovete aiutarmi. –
Finalmente Noah parlò. – Per me puoi andare a farti fottere. – Sorrise.
- Abbassa i toni! – Ringhiò Vincent fulminandolo con lo sguardo.
La voce di Jill si fece pungente come dei cristalli. – Di te non mi importa. Del tuo aiuto me ne sbatto, a dirla tutta. Quindi, puoi anche andartene, sai cosa me ne frega. –
- Più siamo meglio è.– Ribattè Alec sospirando. - …Allora va bene, mi farò venire in mente qualcosa. – Guardò Jill inclinando il viso di lato. – Lo faccio solo per te. –

E così arrivarono al Wall Street in una decina di minuti.
Ormai era il sole era calato, il buio divorava tutto.
C’era silenzio, l’unica cosa che si riusciva ad udire che il soffiare dell’aria gelata.
- Fa un freddo boia. – Si lamentò Jill strofinandosi le mani sperando di poter farsi un po’ di caldo.
Noah le lanciò un’occhiataccia. – Pff. – Si avvicinò immediatamente al capannone davanti a loro.
Era l’unico in quella zona. Un enorme e vecchio capannone.
Vincent lo seguì a ruota. Alec si tolse velocemente la giacca pesante porgendola a Jill, rimanendo in felpa e maglietta. – Mettitelo. – Le ordinò impassibile prima di seguire il fratello e Vincent.
Jill indossò immediatamente la giacca che era quasi il doppio di lei ma che già le teneva un gran caldo. Se la chiuse, stringendola poi raggiunse gli altri.
– Questa dannata porta non si apre. – Ringhiò Noah smanettando con la maniglia prima di tirare un calcio alla porta.
- Vuoi piantarla di fare l’incazzato perenne? – Sbuffò Vincent. – Come entriamo? –
Alec provò a fare più pressione sulla maniglia e sull’enorme porta ma niente, niente da fare. Non si apriva.
– Spacco la serratura. – Scrollò le braccia estraendo un coltello dalla fodera che teneva nella cintura.
Infilò la punta della lama nella serratura. Noah alzò gli occhi al cielo, seccato. – Ma sul serio credi di riuscire a spaccare la serratura? – Appena finì la frase la porta scattò, la serratura si ruppe, la maniglia di ferro cadde a terra.
Vincent e Jill trattennero a stento una risata divertita.
- Avrei fatto strada, come scassinatore. – Sorrise Alec entrando nel capannone seguito dagli altri.
L’interno era buio. Non volava una mosca. C’erano delle travi di acciaio che sostenevano il soffitto.
Il cemento sul suolo era impolverato e sporco, era davvero enorme, lì dentro.
Jill si guardò attorno avanzando piano esattamente come gli altri.
Noah, Alec e Vincent tirarono fuori dei pugnali. Alla luce della luna che filtrava dalle finestre sui muri brillavano spaventosamente.
Jill riuscì a vedere delle incisioni in latino sulle lame.
Improvvisamente si ricordò di ciò che una volta le aveva detto Alec ‘’Noi non uccidiamo gli angeli. Li rispediamo solamente in Paradiso con dei pugnali speciali.’’ Erano quelli.
Si bloccò appena Alec si voltò verso di lei consegnandole un pugnale. – Dritto al cuore. – Le disse.
- Allora, quale è il magnifico piano? – Domandò Noah tenendosi stretti tra le mani i pugnali.
- Sarebbe troppo classico dire, io li distraggo e voi prendete la ragazza? – Domandò Alec ironico.
Noah e Vincent lo fulminarono con lo sguardo. – Sì, decisamente. – Aggiunse Alec. – Possiamo fargli credere che vogliamo lo scambio ma poi, mentre loro ci consegnano la ragazza, li colpiamo… –
Jill lo corresse. – Oppure scappiamo. -
- Ma fai sul serio? – Vincent inarcò le sopracciglia. Alec si strinse nelle spalle lanciando un’occhiata divertita a Jill.
Noah sospirò. – Sì, fa sul serio. – Comunque, non so voi ma io non vedo angeli né tantomeno ragazze nei paraggi. Siamo sicuri che sia il capannone giusto? –
- Non ce ne sono altri nella zona, quindi sì. – Rispose Jill.
Un attimo dopo i vetri delle numerose finestre in tutto il capannone si ruppero, i vetri brillarono cadendo a terra pericolosamente.
Un’ondata di luce bianca li travolse, costringendoli a coprirsi gli occhi con le mani e con le braccia. Appena la luce diminuì, la scena fu chiara.
Erano circondati. Da angeli. - Credo sia decisamente il capannone giusto. – Disse Vincent a voce bassa.
La voce di Jill squillò forte e acuta. - Dov’è?! Dov’è Nadya? – Fece scorrere il suo sguardo da uomo a uomo.
- Intendi la ragazza dai capelli neri? Oh, credo raggiungerà presto l’aldilà. – Sibilò una donna spuntando dal gruppo.
Era alta, magra, moltissimo. Aveva i capelli biondi e lisci che le ricadevano a caschetto sulle spalle.
La frangia le copriva quasi completamente gli occhi scuri e piccoli.
Jill si mosse leggermente in avanti ma il braccio di Vincent la bloccò. –Stai buona. –
Alec prese la parola. – Avevate proposto uno scambio. Non l’avete davvero ferita. Altrimenti, lo sapete, lo scambio, non ci sarà verso di farlo. –
- Chiudi quella bocca, traditore! – Urlò un uomo a gran voce tra il gruppo. La sua voce roca rimbombò in tutto il capanno. – Voi caduti dovreste essere morti tutti! TRADITORI! – Disse ancora balzando in avanti come un felino.
Prima ancora che potessero accorgersene, gli angeli gli furono addosso.
L’uomo si buttò su Alec, scaraventandolo a terra violentemente. Lui picchiò la schiena trattenendo un gemito, si rotolò subito su un fianco scattando poi in piedi.
Impugnò il coltello argento tra le mani. Un’ondata di fiamme gli furono addosso, ne era circondato.
L’angelo alzò le braccia, formando attorno a lui un cerchio infuocato.
La temperatura si alzò, il caldo stava già divorando il corpo di Alec. – Cazzo! – Ringhiò guardandosi attorno, rigirando su se stesso.
Non c’era modo di uscire da quell’Inferno.
Le fiamme si alzavano sempre di più, riusciva a malapena a vedere il viso dell’uomo al di là del fuoco.
Sentì la voce di Noah chiamarlo per nome, sentì le grida soffocate dei angeli disperdersi nell’aria, sentì improvvisamente una mano stringersi attorno al suo braccio.
Una lieve scossa lo attraversò, girò lo sguardo vedendo Jill che con un gesto veloce lo trascinò fuori dal fuoco.
Era riuscita a creare un’uscita dal cerchio usando i poteri. Non riuscì neanche ad aprire bocca che si ritrovò a terra, esattamente come Alec.
L’angelo che aveva creato il fuoco era ancora lì, in piedi davanti a loro. Tenne le braccia tese verso di loro, bloccandoli contro il cemento duro.
Jill avvertì una sensazione strana, ai polmoni.
In pochi secondi cominciò a sputare acqua, annaspando, esattamente come Alec.
I polmoni le si riempirono di acqua, davano quasi la sensazione di stare per scoppiare da un momento all’altro. Ansimò, il battito cardiaco aumentò.
L’acqua la stava strozzando, li stava strozzando, entrambi.
L’angelo chiuse i palmi della mano in due pugni, Jill sputò ancora acqua tossendo, si bagnò tutta la pelle, le spalle, il collo e la giacca di Alec si inumidì.
Avrebbe solo voluto tapparsi le orecchie per evitare di sentire Alec, per evitare di sentire i suoi singhiozzi.
Tenne lo sguardo fissò sul soffitto, sentì una forte scossa attraversarle il braccio destro.
Girò il viso, Alec le strinse la mano. Vide i suoi occhi azzurri spegnersi lentamente come una luce, Jill chiuse di scatto gli occhi.
Pochi secondi sobbalzò appena sentì un grido.
Aprì nuovamente gli occhi, la sensazione di annegamento era sparita.
Ansimò, vide Vincent alle spalle dell’angelo.
Gli aveva appena conficcato un pugnale nella schiena; quest’ultimo non si voltò neanche verso Vincent, gli mollò una gomitata in pieno stomaco tirando un ringhio.
Alec colse immediatamente l’occasione, spostò la mano da quella di Jill, saltò in piedi fulmineo conficcando il suo pugnale d’argento nel cuore dell’angelo con forza.
Ci fu un urlo, poi l’uomo scomparve lasciandosi dietro un luccichio.
Vincent si piegò in due dal dolore, spostando lo sguardo su Jill ancora a terra e Alec in piedi davanti a lui.
Jill si alzò barcollante, i suoi occhi ricaddero sulla scena davanti a loro.
Erano rimasti in pochi, c’erano pochi angeli ed erano tutti addosso a Noah. – Dobbiamo prendere Nadya. Alla svelta. – Ansimò Jill. – Vado a cercarla. – Si voltò muovendosi subito, cominciando a correre.
– Aspetta!- Gridò Vincent raddrizzandosi. – Jill! Aspetta! –
Alec riprese il suo pugnale insanguinato da terra. – Ci penso io. Tu aiuta mio fratello. –

Jill diminuì il passo della corsa, fino a che non si fermò. Alec la raggiunse immediatamente.
Avevano attraversato quasi tutto il capanno che sembrava quasi infinito.
Jill si sarebbe aspettata di trovare subito Nadya, ma no, non la trovava.
Le pareva quasi di essere in un labirinto nella quale non riusciva a trovare una via d’uscita, o peggio ancora, in un vicolo cieco.
– E se è davvero morta? – Jill guardò Alec con la preoccupazione negli occhi.
Lui scosse la testa. – No. Non è morta, fidati. E’ qui, deve esserlo. –
- L’avremmo già trovata. Magari l’hanno loro. Nessuno mi ha effettivamente detto che l’avevano portata qui. Nella chiamata mi hanno solo detto di venirci. –
Quella frase fece scattare Alec, la sua mente si illuminò. – E se…- Si fermò un attimo. – Se non avessero mai preso Nadya? Se fosse stata solo una trappola per portarci qui? Non volevano uno scambio! Volevano solo te! Sapevano un tuo punto debole e l’hanno usato! –
- Ma…non mi hanno preso comunque. Sono davvero così stupidi? –
- No. Hanno in mente qualcosa. – Rispose Alec. - …Ma cosa? – Ringhiò.
- Dobbiamo andarcene! Torniamo a prendere Vincent e Noah e andiamocene! – Fece un passo indietro ma Alec la fermò.
Jill si voltò verso di lui. – No. Non così in fretta, mezzosangue. – Sibilò Alec.
Jill corrugò la fronte.
La stretta di Alec aumentò fino a farle male. La spinse con un gesto del braccio contro al muro di cemento. – Stupida. – Sussurrò. – Nemmeno ti sei accorta dello scambio. -
‘’Mutaforma.’’ Pensò Jill cadendo a terra, rimbalzando quasi come una molla contro al muro.
Jill lo fissò per alcuni secondi, ricordando quando Jamie aveva preso le sembianze di Alec, era così simile che non vedeva nemmeno le differenze, questa volta era stata la medesima cosa.
Jill si alzò piano in piedi, il mutaforma gli fu addosso in un attimo. La bloccò al muro stringendole la mano possente attorno al collo.
Jill gli diede un calcio in pieno stomaco, riuscendo a farlo indietreggiare e metterlo fuori gioco per alcuni secondi.
Cominciò a correre, senza voltarsi, i piedi si muovevano da soli, seminò il mutaforma che restò indietro, svantaggiato.
Si chiedeva solo quando poteva essere avvenuto lo scambio, ma soprattutto dove diavolo avesse portato Alec.
Si diede mentalmente della stupida per non essersene accorta.
Si bloccò di scatto appena Alec gli si parò davanti, lei gli andò letteralmente addosso. Sentì la solita scossa percorrerla.
Tirò un sospiro. – Tu…lui…il mutaforma, un mutaforma. Mi ha aggredita. Ha preso le tue sembianze. – Jill girò il viso.– Era lì! Era dietro di me! –
- Calmati! – La voce di Alec era tranquilla e dolce.
Jill voltò nuovamente il viso verso di lui, solo adesso si accorse di quanto fossero vicini.
– Lo so. Lo so che c’è un mutaforma ed è evidentemente scomparso ma stai calma. – La tranquillizzò sussurrando. Jill sorresse il suo sguardo.
– Quando hai…quando ha fatto lo scambio? – - Quando ti sei messa a correre e ti ho seguito. Mi ha dato una botta in testa. – Rispose Alec.
Jill tirò un sospiro di sollievo.
Aveva effettivamente sperato che fosse stato in quel momento che il mutaforma avesse effettuato lo scambio.
Aveva sperato che la mano di Alec che aveva preso la sua mentre erano a terra a causa dell’angelo fosse davvero sua. Che fosse una sua idea. Un suo desiderio.
Alec scrutò l’espressione sollevata sul suo viso. – Perché? Cosa…- Jill lo interruppe. – Niente. Comunque non hanno preso davvero Nadya. –
- So anche questo. Hai visto apparire il suo nome sulla schermata del cellulare perché hanno usato un incantesimo quindi, dobbiamo uscire di qui prima di avere altre belle sorprese. -
Ma Jill avvertì subito qualcosa sotto ai suoi piedi muoversi.
La testa iniziò a girarle, abbassò lo sguardo. Il pavimento era pieno di sangue ancora freddo che scorreva dal suo braccio ferito fino a terra.
Il cemento sotto di lei cominciò lentamente a girare, si inclinò.
Tutto divenne buio, ma il sangue c’era ancora. Continuava ad aumentare, avvertì un forte dolore allo stomaco.
Una lancia la trafisse, esattamente come era successo a Julian. Cacciò un urlo terrorizzato.
Alec non c’era più. Era sparito. Era sola, nell’oscurità, nel sangue.
Posò una mano sullo stomacò trafitto. Si sporcò il palmo di rosso, la mano le tremava.
Cadde in ginocchio appena sentì qualcosa di umido bagnarle il viso. Una goccia di sangue le cadde sui pantaloni grigi, macchiando il tessuto.
Si passò l’indice sulla guancia, era sporca di sangue.
Si strofinò entrambe le mani sugli occhi, lanciò un altro urlo quando vide che dal viso perdeva sangue.
Sentiva i tagli aprirsi, i graffi pulsanti lacerarle il volto. Gridò ancora tremante. Gli occhi le si riempirono di lacrime salate, sentì una scossa attraversarla ancora.
Improvvisamente Alec riapparve in parte a lei, il buio sparì.
Il cemento sotto di lei era pulito, la lancia era scomparsa, il sangue non c’era più. Alec teneva le braccia strette sulle sue spalle. – Cosa c’è?! – Il suo tono di voce era alto. – Cosa succede?! –
Jill si guardò attorno, poi guardò ancora Alec. – Il sangue. C’era del sangue. – Si guardò le mani che erano pulite, poi se le passò sugli occhi umidi. – Ero piena di sangue. – Tremò.
Alec corrugò la fronte. – Fantastico! Davvero! C’è un illusionista! –
- Un cosa? – - Ti manipolano la mente. Ti fanno vedere quello che vogliono, spesso usano le paure delle persone per farli impazzire…fino a che non muori dalla troppa paura. –
- Tipo un attacco di cuore? – Jill sgranò gli occhi.
Alec annuì. – Su, alzati. – La aiutò a tirarsi su da terra lentamente. – Torniamo indietro, velocemente anche. –
Tornarono indietro il più in fretta possibile. Dovevano andarsene, subito. Oppure la situazione sarebbe degenerata.
Raggiunsero Noah e Vincent in un battibaleno. Erano ridotti male. Fortunatamente non avevano ferite profonde, niente che non si potesse curare.
Gli angeli erano tutti spariti, a terra ai loro piedi era solamente sparsa una polverina che a Jill sembrava quasi brillantini.
Noah appena li vide arrivare di corsa tirò un sospiro di sollievo. – Finalmente! –
- Ma non avete trovato Nadya? – Chiese Vincent.
- No, è tutta una trap…-
Alec interruppe Jill. – Aspetta un attimo. Ti ricordo che siamo in compagnia di un mutaforma. Potrebbe essere anche uno di loro due. –
- Un mutaforma? – Gli fece eco Noah. – Non credi che mi sarei accorto se un mutaforma avesse scambiato Vincent? –
- Beh, allora potresti essere tu. – Disse Jill.
Vincent sbuffò passandosi una mano sul viso. - Ora dobbiamo sprecare altri dieci minuti per capire chi è questo dannato mutaforma? –
Alec fece scorrere lo sguardo da Vincent a Noah, scrutandoli attentamente.
- Possiamo andarcene? Non siamo noi! – Sbottò Vincent.
Noah rivolse uno sguardo a Vincent. – La vuoi smettere? – La sua voce era calma. – Ci siamo solo noi. E’ ovvio che non c’è nessun mutaforma, gli angeli sono tutti morti. – Si rivolse poi ad Alec. – Il mutaforma ve lo siete sognati. –
Appena finì quella frase Alec si buttò addosso a lui, gli mollò un pugno in viso.
Lo buttò a terra in pochi secondi. – Bastardo! Dove cazzo è mio fratello?! – Gridò.
Noah si rigirò ansimante. – Sono io! – Si alzò lentamente in piedi tamponandosi il naso e il labbro sanguinante con la mano.
Jill e Vincent si scambiarono un’occhiata.
Alec strinse il pugno attorno alla giacca di Noah. – Ti rispedisco all’Inferno a calci in culo, te lo giuro. Dove è mio fratello?! – Gridò ancora fuori di sé. L
e labbra di Noah si aprirono in un ghigno. – E’ morto, probabilmente. – Bisbigliò. Alec tirò un ringhio colpendolo violentemente al petto con il pugnale argenteo.
Il mutaforma estrasse subito l’arma dal proprio torace buttandola a terra, Jill notò subito che non c’era sangue dove Alec gli aveva conficcato la lama. Non stava sanguinando.
Non sentiva dolore.
– E altra sorpresa, l’illusionista sono ancora io. – Spinse Alec lontano da sé facendo ricadere lo sguardo su Jill. – Buon divertimento. – Mosse la mano velocemente, tutto calò di nuovo nel buio.
Jill si guardò attorno, non c’era nessuno. Improvvisamente la scena cambiò, era circondata da milioni e milioni di alberi, ed era sola.
Quell’ambiente non le era affatto familiare. – Jill. – Ci fu un sussurro che provenì da dei cespugli davanti a lei.
Jill si mosse piano e cautamente, appena fu davanti al cespuglio una matassa di capelli rossi spuntò. Lei si paralizzò. – Dakota. – Per un momento ebbe l’impressione di stare per svenire, di perdere l’equilibrio e cadere a terra.
La rossa le sorrise.
Jill notò immediatamente che indossava un vestito di sera, completamente bianco ma sporco di sangue allo stomaco.
Ricordò subito che era il punto in cui la lama l’aveva trafitta quando lei l’aveva trovata morta fuori dall’arcata. – Cosa…come fai ad essere viva? – Domandò, ma poi si corresse subito. – No, certo. E’ un illusione. –
Dakota allungò un braccio verso di lei, passandole la mano gelata sulla guancia. – Non lo sarà se non vuoi che lo sia. –
- Che vuol dire? – Dakota le sorrise ancora, aveva un sorriso così dolce, caldo e vero. In qualche modo Jill trovava comunque la cosa inquietante. Stava parlando con la sua migliore amica morta.
– Che vuol dire?! – Le chiese ancora.
Prima però che Dakota potesse darle una risposta una voce alle sue spalle la fece trasalire. – Stai giù! – Gridò qualcuno spuntando alle sue spalle buttandola a terra.
Jill sbattè il seno e le ginocchia a terra.
Sentì delle braccia stringersi attorno alle sue spalle.
Alzò lo sguardo vedendo ancora Dakota in piedi davanti a lei ma ben presto una lancia la trafisse nuovamente, nello stesso punto in cui il vestito bianco era già sporco di rosso.
La rossa cadde a terra, prima che Jill potesse gridare una mano ferma si posò sulle sue labbra.
– Zitta. Stai zitta. – Sentiva ancora un braccio premerla forte contro il terreno ma subito si spostò sul suo polso, fu costretta ad alzarsi velocemente in piedi.
Quel qualcuno la spinse in avanti. – Corri! –
Jill non si voltò neanche a vedere chi fosse a parlarle, la voce era sconosciuta. Non era nessuno che conosceva.
Poteva subito scartare suo fratello, Alec e Noah. Poteva vedere anche i morti, ma non erano nemmeno Jamie né Julian.
Cominciò a correre, non capiva niente di quello che stava succedendo. Tutto troppo confuso, troppo veloce.
Si inchiodò appena un ragazzo le si parò davanti.
Era alto, magro, i capelli rossi. Di un rosso molto diverso da quello che aveva Dakota. Completamente diverso. Più chiaro, tendente all'arancione. Gli occhi blu elettrici e uno sguardo che a Jill mise immediatamente i brividi.
– Eri tu che mi hai buttato a terra…? – Domandò subito lei.
Lui annuì senza aprir bocca. – Perché…-
- Ti stavano per ammazzare. –
- Chi sei? –
Il ragazzo ridacchiò. – Lo scoprirai, con il tempo. – - Io non ho tempo! Non capisco cosa sta succedendo! Dimmi chi sei! –
- Non qui, non adesso. – Sussurrò. – Ricordati solo questo: Sangue. – Bisbigliò.
Scomparve subito, divorato dal buio, lasciandosi dietro un odore di sangue che balzò subito all’olfatto di Jill, le si strinse lo stomaco.
L’oscurità riapparve. Gli alberi scomparirono, questa volta fu catapultata in casa sua. La sua vecchia casa, quella che aveva bruciato con dentro il corpo di Julian.
Vide subito Alec e Vincent seduti sul largo divano. Vincent aveva il viso coperto dalle mani, Alec aveva la testa poggiata sullo schienale, fissava il soffitto con un’aria assente.
- Ehi? – Bisbigliò Jill raggiungendoli.
Nessuno dei due la degnò di uno sguardo, restarono immobili.
- E ora che si fa? – Domandò Vincent tremante.
- Si torna alla normalità, facile. Io me ne vado. Non ho più niente da fare qui. – La voce di Alec era spenta.
Si poteva percepire tensione nell’aria, forse addirittura tristezza.
Vincent si tolse le mani dal viso, solo ora Jill riuscì a vedere che aveva le guancie segnate dalle lacrime, gli occhi gonfi, rossi e lucidi.
Aveva pianto. Tanto.
Jill parlò di nuovo. - Cosa succede? – Ma ancora nessuna risposta dai due. Non la vedevano.
- Come puoi tornare alla normalità? – Questa volta Vincent gridò. – Come puoi lasciarti tutto alle spalle? –
Anche Alec scattò. – Non è colpa mia se Jill è morta! –
Jill sbiancò. Morta. Come poteva essere morta?
- Sono qui! – Gridò lei agitando le braccia. – Qui! Davanti a voi! Non sono morta! –
- Non ti è mai importato di lei. Te ne freghi che sia morta. – Vincent si alzò di scatto, puntando il dito accusatorio contro Alec. – Te ne sei sempre fregato di tutti! –
- Me ne sbatto di quello che pensi tu! Saresti dovuto morire tu quella notte, non lei! Ci è andata di mezzo solo per salvarti il culo perché non sei neanche in grado di difenderti da solo! E’ COLPA TUA SE E’ MORTA! – Alec urlò come mai prima d’ora.
Era stato crudele, lo sapeva. Tagliente come una lama ma non gli importava. Era fatto così.
Diceva sempre tutto in faccia, fregandosene delle conseguenze o degli effetti che avrebbe avuto.
Vincent se ne andò subito, salì le scale arrivando al piano di sopra senza aggiungere altro.
– Ecco! Bravo, scappa! E’ l’unica cosa che sai fare! – Alec gridò ancora alzandosi in piedi.
Si avvicinò alla porta d’uscita, sbattendola bruscamente appena fu fuori di casa.
Jill aprì gli occhi di scatto. Un ventata di aria gelida le attraversò il corpo. Era in una camera, la sua camera.
Come ci fosse arrivata, non le era chiaro.
Non ricordava niente, nemmeno quello che aveva ‘’visto’’ quando aveva perso i sensi.
Non sapeva dove fossero gli altri e se fossero tutti vivi, soprattutto se tutto fosse finito.
Si mise a sedere sul letto tenendosi la testa che le scoppiava tra le mani, si passò una mano sul braccio che le bruciava ancora, la ferita che le aveva fatto il mutaforma pulsava.
La porta della stanza si aprì lentamente, Alec spuntò. – Posso? –
Jill annuì e lui entrò chiudendosi la porta alle spalle. – Cosa è successo? Non mi ricordo niente. Vincent sta bene? Noah? …Tu? – Domandò subito lei.
Alec poggiò la schiena contro la porta. – Sì, stiamo tutti bene. Hai perso i sensi, a causa del mutaforma/illusionista. Vincent ti ha portata subito qui, al sicuro. S’è fatto qualche ferita ma nulla di grave adesso è uscito un attimo. Doveva fare delle cose. - Fece una piccola pausa prima di ricominciare a parlare. – Tu come stai? –
- Come vuoi che stia? Dire che è stata una notte pazzesca è dir poco. Ho ucciso degli angeli. Jamie è morto…per colpa mia. Abbiamo rischiato tutti la vita. Mi scoppia la testa, letteralmente. –
Alec si avvicinò a lei, sedendosi accanto. – Jamie non è morto per colpa tua. Non farti condizionare da quello che dice mio fratello. –
- Ma è la verità. Per poco anche Noah non muore. Muoiono tutti per colpa mia. Dakota, Julian. Anche questa sera quando ti ho tirato fuori dalle fiamme…stavi morendo. Io con te. Perché sono stata lenta e non sono stata in grado di uccidere quell’angelo. – Il senso di colpa si sentiva perfettamente nella voce di Jill. Si vedeva anche.
Era stanca del fatto che le persone dovessero morire per lei. Ci andava sempre di mezzo qualcuno, sia per tentare di proteggerla, di aiutarla oppure no.
Ma qualcuno ci rimetteva sempre, alla fine.
- Senti, lo sai, è il nostro compito proteggerti. Perché crediamo fermamente che tu debba vivere. Perché crediamo che tu sia speciale, non un mostro, non una cosa da eliminare dalla faccia della terra. E’ il nostro compito rischiare la vita ogni volta, ogni giorno per chi crediamo ne valga davvero la pena. Credimi, per te ne vale la pena. – Alec allungò una mano accarezzandole i capelli mori. – Quando ci siamo incontrati ti ho chiesto di fidarti di me. Ti ho detto che ti avrei protetta e così ho fatto, così continuerò a fare. Continueremo tutti a farlo, per te. Io morirei per te anche cento volte se significherebbe lasciarti vivere. – Era così dolce e delicato che a Jill sembrò di morire.
Mai si era comportato così, non aveva neanche idea che potesse dire e pensare quelle cose.
Restò senza parole, letteralmente, il cuore le balzò in gola.
La mano calda di Alec scivolò sulla guancia della ragazza, questa volta la scossa che li colpì fu più forte del normale ma Alec sembrò non accorgersene ma Jill immediatamente la testa, come disappunto.
– Vai via, per favore. Voglio restare sola. – Si ritrasse bruscamente, distogliendo lo sguardo dagli occhi azzurri di Alec che sembravano essere stati sorpresi e feriti.
Il ragazzo si alzò in piedi con esitazione ed evidente scocciatura, non ribattè, senza dire niente uscì dalla stanza, lasciando Jill da sola come aveva chiesto.

****

- Jill tese le orecchie appena sentì dalla stanza accanto arrivare la voce di Vincent. Si alzò dal letto avvicinandosi piano alla porta della camera dove poggiò l’orecchio destro.
– Come sta? – Chiese Vincent, ovviamente riferendosi alla sorella.
Alec sospirò quasi esausto. – Bene. -
Era da parecchio che ormai quei due non si parlavano, il fatto che non si fossero ancora insultati o picchiati era un bel passo avanti, pensò Jill.
Nonostante Vincent non avesse mai fatto le scuse ad Alec per il casino che aveva fatto, causando la sua morte, Alec l’aveva ‘’perdonato’’ in un certo senso. – Scoperto qualcosa sul demone dagli occhi rossi? – Chiese Vincent.
Fermi tutti. Demone. Occhi rossi.
4 mesi prima. Incidente d’auto.
La mente di Jill andò in tilt.
Si stava riferendo al demone dagli occhi rossi che lei aveva visto la sera dell’incidente in cui sua madre perse la vita? …Era l’unica spiegazione.
Avevano cominciato delle ricerche su quel bastardo senza dire niente alla diretta interessata.
Beh, peggio di così…
Una cosa che sicuramente lei odiava era non essere messa al corrente delle cose che la riguardavano.
La mora tese ancora di più l’orecchio, aguzzando l’udito.
- Ha un nome. –
- E sarebbe? –
- Nathan Cole. – Rispose Alec.
Quel nome fece restare di sasso sia Vincent che Jill allo stesso modo.
- Impossibile. – Rispose Vincent corrugando la fronte.
Jill pensò la medesima cosa.
- E il motivo? – Alec inarcò le sopracciglia. – Lo conosci? – Inizialmente Vincent esitò, ma poi decise di parlare.
- E’ il padre di Julian ed è morto 3 anni fa. – Confessò.

- Bingo. – Una voce alle spalle di Jill la colse di sorpresa.
Tonfo al cuore. No. No. No. No.
- Finalmente l’angioletto ha scoperto quel dannato nome. – Continuò la voce.
Jill restò immobile, spostando finalmente l’orecchio dalla porta ma non si girò. Sentì il rumore dei passi avvicinarsi a lei, attraversando tutta la stanza.
Jill spostò lo sguardo in parte a lei, con la coda dell’occhio fissò i capelli biondi alla sua sinistra.
Una mano si protese verso di lei spostandole i capelli dal collo, scoprendoglielo completamente.
Quel tocco gelido la fece rabbrividire facendole venire la pelle d’oca.
La ragazza fece una smorfia appena la mano le afferrò il mento piuttosto bruscamente, obbligandola a voltare il viso.
Le labbra di Julian si aprirono in un ghigno sinistro. - Ti sono mancato? -


Eccomi, eccomi con il nuovo e ultimo capitolo. Sì, siamo alla fine. Abbiamo finito il primo tomo, ye, AHAHA. Ora è il momento della mia pausa :* Spero vi sia piaciuto (?) a presto, un bacione e grazie a tutti, soprattutto alla mia Michelle e a tutte le mie amiche mi seguono. Grazie di cuore**

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