LEGAMI

di controcorrente
(/viewuser.php?uid=56655)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***
Capitolo 23: *** XXIII ***
Capitolo 24: *** XIV ***
Capitolo 25: *** XXV ***
Capitolo 26: *** XXVI ***
Capitolo 27: *** XXVII ***
Capitolo 28: *** XXVIII ***
Capitolo 29: *** XXIX ***
Capitolo 30: *** XXX ***
Capitolo 31: *** XXXI ***
Capitolo 32: *** XXXII ***
Capitolo 33: *** XXXIII ***
Capitolo 34: *** XXXIV ***
Capitolo 35: *** XXXV ***
Capitolo 36: *** XXXVI ***
Capitolo 37: *** XXXVII ***
Capitolo 38: *** XXXVIII ***
Capitolo 39: *** XXXIX ***
Capitolo 40: *** XL ***
Capitolo 41: *** XLI ***
Capitolo 42: *** AVVISO ***



Capitolo 1
*** I ***


LEGAMI

 

I

 

 

Sono molte le cose in cui credevo.

Una famiglia unita.

Una casa in cui poter giocare durante l'infanzia.

Un luogo dove poter dire di essere felice.

Poi ho compiuto sedici anni e ho scoperto che le mie convinzioni non erano appropriate al mondo in cui vivevo.

Che non era vero che mio padre avesse a cuore la propria famiglia.

Che colei che chiamavo madre amasse le sue figlie più di sé stessa.

Che potesse esistere davvero un luogo che fosse adatto alla mia persona.

Avevo sedici anni, quando scoprii il Mondo...e ciò che vidi non mi piacque affatto.

Purtroppo però vi ero dentro...e non potevo fare niente per liberarmi.

 

Soledad rimase perfettamente immobile. Schiena dritta, mani congiunte, testa adeguatamente acconciata secondo l'occasione.

Non un capello fuori posto, non un accessorio in difetto od eccesso.

-Sperò che stiate scherzando- disse una voce vagamente stizzita.

L'altra inarcò la fronte.

-Affatto- rispose, posando la tazzina di tè sul tavolo.

Vide il suo petto gonfiarsi e svuotarsi velocemente, come se fosse preda di una delle sue solite crisi.

Lo faceva spesso, quando vedeva che le cose non andavano come desiderava.

Renée De Florie, vedova Escobar e attualmente Lady Montroy, in quel momento, pareva come quelle borse, troppo piene ed ormai in procinto di scoppiare.- Avete la più pallida idea di quello che mi state chiedendo?- disse, con un tono troppo calmo per poter sembrare vero. Non udendo risposta, scoppiò in una risatina. -Mia cara- fece, con un tono derisorio- come sempre, avete voglia di scherzare!...-

La dama bevve un sorso di tè.

- Purtroppo io non ho mai avuto molta attitudine per il senso dell'umorismo.- disse, staccando appena la tazza dalle labbra sottili e ben disegnate - e, comunque, non credo di farvi un pessimo servizio. Ester vi creerebbe solo dei problemi.-

La più anziana appoggiò con rabbia il piattino sul tavolo, caricando una forza eccessiva,  facendo sibilare la porcellana, come se fosse sul punto di rompersi. -Mi state prendendo in giro?- sbottò indignata- Come potete dire una cosa del genere? Rinunciare a mia figlia? Una simile proposta...detta da voi, per giunta!-

Inarcò la fronte, dando al viso una piega minacciosa, che la privò, sia pure per un momento,  della sua bellezza innata. - Ester ha ancora una madre. Ha bisogno di una guida che le insegni il Giusto e lo Sbagliato di questo mondo difficile...come potete privarla in questo modo della guida che le occorre?- domandò scandalizzata.

Soledad la guardò.

- Non lo dimentico. Ma, dopo la morte di mio padre, avete sposato il duca di Montroy. Avete adesso dei doveri coniugali che la presenza di Ester potrebbe solo allontanare. E, comunque, da quanto ho saputo, state progettando per lei un matrimonio.- disse- Non trovate che in queste cose non sia necessaria la fretta? Potrebbe essere deleteria.-

- Non vi permetto di mettere in dubbio le mie decisioni. Ester sposerà Lord Von Gruhnweld, un uomo serio ed ammodo, con una grande esperienza in fatto di Mondo...che sicuramente gioverà alla giovane mente di Ester.- sbottò duramente.

L'altra rimase inespressiva e quel silenzio galvanizzò l'animo della più anziana. - Un genitore sa sempre cosa è meglio per i propri figli, come ogni brava prole che si rispecchi sa che il suo dovere primario è l'obbedienza. - disse, quasi ammonendola.

Soledad sospirò.

-Naturalmente- rispose- il nome della famiglia va salvaguardato. E'per questo motivo che vi chiedo di cedere. Come sorella, è mia preoccupazione unicamente la sua felicità ed il buon nome del casato. Sono convinta che l' urgenza, nella scelta del pretendente, sia un fattore tutt'altro che positivo.-

Renée socchiuse gli occhi.

- Ester è mia figlia- disse, sottolineando l'ultima parole con fare quasi possessivo- e Lord von Gruhnweld è un valido partito. Possiede numerose terre in Prussia, ha diversi agganci nella corte germanica ed è amico del primo ministro di quel Paese. Sotto la sua guida, avrà di certo ogni beneficio e vantaggio.-

-Ne ho sentito parlare. Ha 60 anni e, dopo aver perso le prime due mogli, è ancora in cerca di un erede.- rispose Soledad- Davvero siete convinta che quell'uomo sia adatto? La differenza d'età è quasi imbarazzante.-

Renée soffiò.

-Non siete altro che un'insolente. La maturità non è mai un difetto in un uomo. Ester deve solo sopportare e, se tutto andrà come credo, avrà il futuro assicurato. Volete davvero negarle il futuro? Le libertà di cui ora egoisticamente godete?- fece, con sdegno.

Soledad non si fece intimidire. - Ester è mia sorella, figlia di mio padre.- fece, sottolineando il possesso - Voi, con queste nuove nozze, avete deliberatamente rinunciato all'appartenenza alla famiglia Escobar per entrare in un nuovo casato. Ho saputo che il vostro nuovo consorte ha contratto dei considerevoli debiti in Prussia. Perdite che Lord Von Gruhnweld, con il suo patrimonio, potrebbe tranquillamente compensare. Questo fatto rende la proprietà di Ester assolutamente illegittima. Lei è vostra figlia, non lo nego...ma è anche una Escobar e voi con questo progetto, fatto a nostra insaputa, non fate gli interessi del mio casato.-

Renée impallidì.

-Volete dunque strappare una figlia alla madre?- disse, prima di alzare il tono- COME POTETE MACCHIARVI DI UN SIMILE CRIMINE! VOI NON AVETE ALCUN DIRITTO DI SOTTRARMI CIO'CHE MI APPARTIENE! SIETE UNA DONNA IMMORALE E PRIVA DI OGNI DIGNITA'!-

Le parole della donna rintronarono nel salottino, senza scalfire la più giovane. - Non rivolgetevi a me in questo modo- la ghiacciò- siete una dama di alto rango e vi comportate in modo volgare e imprudente. Vi invito però a non farmi simili accuse. Io comprendo perfettamente il valore del sacrificio, meglio di voi senz'altro...oppure devo ricordarvi che le clausole del mio matrimonio prevedevano l'annullamento dei debiti che voi, con la vostra leggerezza, avete provocato agli Escobar. Deve essere proprio Ester ora a pagare per questa irresponsabilità inconcepibile?-

A quelle parole, calò un improvviso silenzio.

- E comunque, non dimentico che mi avete fatto da madre. Sono disposta a venirvi incontro e provvedere ai problemi che sono sorti.- rispose, aprendo un cassetto.

Gli occhi di Renée si assottigliarono.

Soledad prese alcuni fogli, scritti in una grafia ordinata ed elegante.

-Che cosa sono?- domandò, mentre cominciava a leggerli silenziosamente.

- Un semplice atto che nomina me come tutrice di Ester- fu la risposta- Mi occuperò della sua educazione, completandola. Le assicurazioni da parte dei fidanzati, che giurano di provvedere alla conclusione del percorso di studio delle future mogli, non sono affidabili ed io non vedo la necessità di un matrimonio così affrettato e, per giunta,  poco adatto al nome degli Escobar. Con la posizione che tuttora ricopro posso offrirle di meglio e, inoltre, dato il mio stato, non sono nemmeno assediata dalle vostre medesime preoccupazioni di partorire un erede. Lei avrà il meglio...e, ovviamente, sarete ricompensata.-

Renée non disse niente.

-Ho saputo l'ammontare del vostro debito e, dopo essermi consigliata con persone competenti, vi offro alcuni capitali, provenienti da alcune piantagioni di zucchero a Cuba. Sono delle ricchezze sicure e non prevedono nessun rischio. In questo modo, non ci sarà la necessità di correre ai ripari con un matrimonio così forzato- fece, pronunciando l'ultima parola con una punta di divertimento che l'altra non colse.

Il viso della più anziana era perfettamente assorto nella lettura del documento. Non una volta l'occhio si sollevò verso la più giovane. -La dichiarazione è in regola ma, per Ester...- mormorò, grave.

Soledad sorrise greve.

- Il debito che avete è molto alto e, a quanto ne so, voi non avete detto tutta la verità all'uomo a cui volete dare vostra figlia. Nessuna banca vi darà mai un prestito del genere, non senza garanzie. Vi invito quindi a firmare quell'atto. Tra qualche mese avreste comunque rinunciato a Ester. E, comunque, è un sacrificio necessario a cui tutte le madri devono sottostare...lo sapete anche voi.- disse, con voce piena di odio.

La dama sussultò.

-Mi state forse rinfacciando la vostra attuale condizione?- esclamò, indignata.

Soledad scosse il capo.

-No-rispose- perché non c'è più nulla che voi possiate farmi. Voi avevate fatto una promessa anni fa, a me...e cioé che quello che stavo per fare, non sarebbe accaduto ad Ester, quella figlia che è uscita dalle vostre stesse viscere. Vedo però che la mia obbedienza non è stata ricompensata come avevate promesso...e, per tale ragione, mi trovo costretta a correre ai ripari.-

Renée ringhiò.

- E'così, allora...volete vendicarvi. Voi volete allontanarmi da mia figlia, dandomi una piantagione che si trova lontanissima da Londra...COME POTETE PENSARE CHE ABBIA CUORE DI LASCIARLA QUI!- strillò.

Soledad le rivolse un sorriso maligno e la dama comprese che aveva calcolato tutto, in modo machiavellico e freddo.

- Per il bene della famiglia, sono necessari dei sacrifici- rispose- ogni madre deve prepararsi all'idea di lasciare i propri figli un giorno ed io, assicurandovi il benessere di Ester, vi sottraggo ad una simile pena. Volete forse mettere in dubbio la parola di Soledad de Escobar, vedova del duca Mc Stone? Avete provato, tempo fa, con mano che la mia parola è sempre stata degna di fede. Ester rimarrà con me, che sono sua sorella...e voi, mia cara madre, avrete tutte le assicurazioni che occorrono.-

La matrona sussultò.

La donna più giovane la guardò inespressiva, senza alcuna traccia di emozioni. L'abito, color antracite, scivolava sul suo corpo, evidenziando le sue forme.

-Davvero notevole- disse- avete appena perso vostro marito e già mirate a nuove nozze. La vostra avidità è senza pari. Volete usare vostra sorella per qualche matrimonio d'interesse, non è vero? Non avete bisogno della sua compagnia e siete bella abbastanza per potervi sposare anche voi. Ho molti partiti che sarebbero interessati...-

-No- rispose Soledad- ho già sperimentato il matrimonio e non rientra al momento nei miei progetti. Qualunque sia il vostro pensiero in proposito, non ho nessuna intenzione di mancare di rispetto alla memoria di Alistair, mio marito. Che la mia scelta sia controcorrente o meno, non dipende più da voi...e non siete nella posizione di giudicarmi. Quali che siano i vostri pensieri sul matrimonio che voi stessa avete progettato, non è più importante. Alistair è morto ed io sono libera dal vostro giogo.-

Poi sorrise.

-E comunque- fece - avete lasciato Ester in un collegio all'età di sei anni. Non vedo in ciò un grande attaccamento materno ma, anche se fosse, non trovate che le figlie siano un fastidio? Dover pensare alla dote, sapere che il proprio nome non verrà tramandato...anche se ammetto che hanno i loro vantaggi, come è capitato a me dieci anni fa.-

-Tacete.- sibilò Renée ma l'altra non la degnò di uno sguardo.

-Per esempio, per combinare matrimoni con vecchi a caccia di un erede, oppure pervertiti con la passione per le ragazzine...- fece, noncurante.

-STATE ZITTA!PICCOLA SERPE, MALNATA, COME VI PERMETTETE DI INFANGARE COSI IL BUON NOME DELLA FAMIGLIA?!- strillò.

Soledad la incenerì con lo sguardo.

-Sto solo esponendo un punto di vista e vi prego di calmarvi. Non ha senso un simile comportamento. Siete una nobile e certe cadute di stile possono essere pericolose per la reputazione. Vi consiglio di firmare l'atto e di non eccedere con la mia pazienza. Sapete benissimo che solo io posso aiutarvi e che quel prussiano non può garantirvi le stesse certezze...altrimenti, non avreste fatto una richiesta del genere.- disse...poi il suo tono si fece gelido -ed ora firmate.-

Renèe la guardò.

Il volto della donna era avvolto da un alone di cupo gelo.

-Siete molto cambiata- osservò, prendendo la penna - non siete più la sedicenne timida e silenziosa di un tempo. -

L'altra non la guardò.

- In tutti gli altri eventi, piena è la donna di paure, e vile contro la forza, e quando vede un ferro; ma quando, invece, offesa è nel suo talamo, cuore non c'è del suo più sanguinario. diceva il tragico Euripide. Non abusate della mia pazienza, duchessa. Il mio titolo è superiore al vostro...non vi conviene avermi come nemica.- sibilò con freddezza.

A quelle parole, la donna depose le armi.

Non aveva più davanti a sé la figliastra di dieci anni fa. Ora c'era una dama fredda ed altera, priva di debolezze e tentennamenti. Un mostro, forse, per il suo stesso sesso...e quello che più raggelava Renée era che il merito era solo suo. -E sia- fece- Ester non è più un problema mio.-

 

Allora, questo capitolo per questa originale storica è frutto di fantasia. La società descritta è quella a metà tra settecento ed ottocento. Per una serie di ragioni, trovo delle difficoltà a catalogarla. E'storica per l'ambientazione ma c'è anche del sentimento. Ad ogni modo, spero che il capitolo non sia venuto male. La citazione proviene dalla Medea di Euripide.

Grazie ancora a tutti coloro che mi hanno letto.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***


Ammetto che non so quando e come aggiornerò la storia. Ho varie storie in corso e tendo ad essere molto impulsiva nella scrittura. Chiedo venia per questo. Ho inserito la storia in questa sezione per via dell'ambientazione ma, effettivamente non so quanto possa essere storica.

Per cui spero di evitare le inesattezze presenti e ringrazio tutti coloro che mi hanno letto. Per correttezza, ho inserito la cosa nel settore storico, benché non sia per nulla portata.

 

II

 

Il paesaggio scorreva sotto i suoi occhi, come se fosse posato su qualche piatto girevole che aveva visto in qualche libro. Una sequenza di linee dolci e morbide, cosparse di tanto in tanto da macchie di bosco.

Ogni tanto vedeva dei casolari, sparsi qua e là sulle colline.

-Non avete mai visto un posto simile?- domandò divertito il valletto.

Ester si riscosse dai suoi pensieri.

-No, mister- rispose, abbassando repentinamente il capo.

L'uomo guardò divertito la passeggera.

Era una giovane di sedici anni, magra e sottile, con un viso da bambola di porcellana, su cui erano incastonati due occhi grandi e, in quel momento, titubanti.

-Se avete delle domande- fece- non avete che da chiedere. Rashid è a vostra completa disposizione.-

Ester sussultò.

Più volte, durante il viaggio, aveva osservato di nascosto il suo accompagnatore, combattendo contro l'impulso di scostarsi. La sua pelle, più scura della propria, le ricordava la tragedia di Otello, in un modo così tangibile ed odioso da lasciarla lì, inchiodata al seggiolino.  -Vi ringrazio- disse, con freddezza.

L'uomo non vi badò, continuando a fissarla, tanto che alla fine la ragazzina la ragazzina si stancò di quell'osservazione, a suo dire, impudente. -Qualche problema?- domandò, vagamente stizzita.

Rashid stirò le labbra.

-Assolutamente, Miss.- rispose- la padrona mi ha informato sulle modalità di accoglienza che vi spettano. Avrete una stanza ed una cameriera personale che potrete scegliere nel modo che più vi aggrada.-

Ester inarcò la fronte.

- Vi ha detto altro?- domandò.

Il valletto scosse la testa.

-No, ma posso darvi tutte le risposte che vorrete.- fece compito.

La ragazzina alzò gli occhi al cielo.

Davvero bizzarro che mi abbiano lasciato andare così, senza fare niente pensò, scettica. Non solo aveva fatto in modo che fosse un indiano a venirla a prendere ma, addirittura, non lo aveva istruito adeguatamente.

Un comportamento, di certo inqualificabile. Va bene la loro effettiva inferiorità, ma mandare una persona così  poco preparata a prendere me, una nobile...davvero inconcepibile pensò stizzita.

-Ebbene- disse- sapete per quale ragione mia sorella non è potuta venirmi a prendere?-

-La padrona era molto impegnata nella risoluzione di alcuni imprevisti nella tenuta.- rispose pacato-  ma vi posso assicurare che avrebbe davvero desiderato venire.-

Ester inarcò la fronte.

L'assenza di sua sorella la disturbava, anche se sapeva che non doveva essere così. In fondo, erano passati anni dal giorno in cui si erano incontrate. Era un fastidio che non riusciva nemmeno a spiegare.

Forse era la lontananza.

Forse era quel silenzio che durava ormai da due lustri.

- Posso sapere se gode di buona salute?- domandò.

Rashid si allentò il colletto della divisa.

-Naturalmente, Miss.- rispose- Ha una salute di ferro ed è una fortuna per noi. E'una padrona molto attenta e accorta, come mai ne ho viste. Mi ha incaricato di dirvi che ha appena predisposto una stanza per voi, nella sua abitazione. Una dimora molto bella, appartenente al defunto marito della signora.-

Ester non disse nulla.

Il viaggio dal collegio alla scuola era decisamente scomodo. Muoversi in carrozza era scomodo. Aveva sentito il rumore del mezzo trillare sotto di lei e, a causa del clima, caldo ed umido, il vestito si attaccava al suo corpo, dandole il tormento.

In cuor suo, sperò di poter fare un bagno, una volta giunta a destinazione...anche se la cosa la metteva a disagio. Lavarsi era qualcosa di assolutamente disdicevole...così le era stato detto durante la sua permanenza in collegio. Nemmeno la compagnia dell'indiano la rassicurava...anzi.

Lei, da brava figlia di educazione inglese, odiava gli indiani. Poco importava che fossero d'Asia o delle Americhe. Non le importava niente. Non aveva alcun rispetto per quegli infedeli, colpevoli, a suo parere, di avere usanze barbare e per nulla degne di onore.

- La tenuta è molto fortunata ad avere come padrona quella dama. Una persona ligia al dovere e degna di ogni rispetto.- aggiunse.

Proprio in quel momento, giunsero nella dimora della duchessa Mc Stone. Ester fissò l'edificio a bocca aperta. Era una residenza a due piani, con ampie vetrate ed una superficie in stile neogotico.

Intorno, aveva uno splendido giardino all'inglese, decorato secondo un gusto che la ragazzina non seppe identificare.

- Il duca aveva molta cura delle piante?- domandò.

Rashid sorrise.

-Sì. La sua conoscenza dei fiori era molto ampia. Ha viaggiato per buona parte del mondo tuttora noto ed ha portato i semi di piante esotiche anche in questa zona. Nella tenuta, c'è anche una serra destinata ai vegetali che non possono resistere a questo clima umido e freddo. - disse.

Ester annuì, dandogli segno di ascoltarlo.

Proprio in quel momento, la carrozza si fermò.

Fuori dall'edificio, c'erano cameriere e vari membri della servitù, tutti schierati ad accoglierla. Rashid lasciò per primo il mezzo e la aiutò a scendere.

Una vecchia cameriera, vestita con una livrea ben diversa dagli altri, segno distintivo della sua condizione di rilievo sugli altri.

-Benvenuta, signorina Escobar.- disse, con un sorriso benevolo.

Ester ricambiò un po'stranita...poi gli occhi vennero catturati da una sagoma che se ne stava in disparte. Si trattava di una donna di media statura, ben proporzionata, con indosso un abito scuro. Quel colore incorniciava un ovale perfetto su cui erano incastonati due occhi grandi e verde giada...come i suoi.

 

 

Si osservarono a lungo.

Gli occhi erano gli stessi.

L'unica differenza era il colore dei capelli. La più giovane li aveva biondo miele, eredità della madre. L'altra, invece, aveva una chioma color dell'autunno, tendente alla terra.

-Benvenuta nella mia casa, sorella- disse, con una voce bassa che fece diventare acqua le ossa di Ester.

Erano due lustri che non udiva quel suono carezzevole...e, di nuovo, tornò l'acredine. Non rispose, limitandosi a fissarla con impudenza.

Soledad la guardò a sua volta, mantenendosi in una posa granitica. - Ho fatto predisporre alcune stanze. Vi affido alle cure di Mary, una giovane che sarà vostra cameriera personale.-

Ester si voltò, non appena sentì dei passi avvicinarsi.

A quel nome, si era fatta avanti una ragazzina poco più grande di lei. -Per il momento, però, potete riposarvi. La cena sarà verso le otto ma, per quanto riguarda gli orari di questa casa, verrete informata da lei.- continuò Lady Mc Stone, prima di congedarsi.

La giovane fremette.

L'indignazione che provava in quel momento era difficile da definire.

Rimase comunque lì, nel piazzale del palazzo, con la schiena dritta, perfettamente immobile. Non aveva alcuna intenzione di mostrare la rabbia che provava in quel momento e nemmeno il ricordo di Soledad bastava a placare questa tensione.

E non poteva essere altrimenti...poiché era colpa della sorellastra se ora si trovava ad essere in quella condizione tanto incerta.

-Un momento!- esclamò, facendola voltare - Dovete darmi delle spiegazioni...e non voglio attendere.-

Soledad si bloccò.

-Immagino che abbiate delle domande da farmi. Vi darò tutte le risposte che volete...ma prima desidero che vi riposiate. La carrozza non è un mezzo agevole e, per quanto la cosa possa infastidirvi, un bagno caldo non dovrebbe farvi male.- disse.

Ester aprì la bocca.

Voleva ribattere la sua ospitalità.

Voleva dirle tante cose...ma, alla fine, lasciò stare. In fondo, aveva tutto il tempo per vomitarle contro tutte le cose che aveva in corpo. Doveva solo portare pazienza. Presto o tardi le avrebbe rigettato tutto.

Non riuscì comunque ad evitarsi uno sguardo rabbioso.

Qualcosa che non sfuggì all'osservazione muta di Rashid.

 

 

Ester fissò schifata la camera che le avevano assegnato. Un'immensa stanza, collocata ad est, decorata con leggeri toni pastello.

La cameriera l'aveva lasciata sola per darle modo di riposarsi.

Un gesto che la ragazza, per via del malumore, non ebbe voglia di ringraziare.

-Per lo meno, mi ha dato una cameriera inglese- disse, sprezzante, cominciando a girare per la stanza a grandi passi. Non le piacevano gli indiani. Durante gli anni di collegio, aveva avuto modo di vedere varie ricerche sulle loro abitudini e, per quanto fossero una colonia britannica, non riusciva a non provare disgusto per loro.

Quei selvaggi, con le loro usanze barbare, le facevano ribrezzo. Poco importava che fossero una minoranza a Londra. Al collegio, avrebbero di sicuro disapprovato una simile familiarità con loro pensò stizzita, togliendosi il cappellino con un gesto rabbioso. I riccioli scivolarono sulle spalle, in una massa d'oro fuso.

La ragazzina aggrottò la fronte.

Di certo, non mi piacerà mai questo posto si disse, continuando a fissare con odio ogni angolo e pertugio della stanza.

 

 

La cena fu particolarmente silenziosa.

Erano solo loro due a tavola, mentre una cameriera, anch'essa indiana, se ne stava silenziosa alla porta, pronta ad ogni esigenza.

Ester fissava di sottecchi la sorella, studiando critica ogni centimetro del suo aspetto, ogni movimento che eseguiva...e più passava il tempo, più non poteva fare a meno di sentirsi a disagio.

- La cena non è di vostro gradimento?- domandò Soledad, dopo qualche tempo.

Lei scosse il capo.

-Non ho mai visto così tanti servitori...così- disse, tentando di spostare l'attenzione su qualcosa di meno sgradevole ma non riuscì comunque a nascondere bene il disprezzo per quella parte della servitù così poco inglese.

La maggiore se ne accorse.

-Hanno sempre lavorato nella dimora di mio marito e, alla sua morte, non ho avuto cuore di mandarli via. Sono molto preparati, posso garantirvelo.- rispose.

Ester non commentò.

Mangiò quello che rimaneva nel suo piatto, senza dire una parola...e quel silenzio cominciò ad infastidire Soledad. - Tra un paio di giorni, ho dato ordine di far arrivare un'istitutrice. Ella completerà i vostri studi. - disse.

-Perché non mi avete lasciato in collegio?- domandò la ragazzina.

L'altra inclinò la testa.

-Perché quell'istituto è molto lontano dai miei possedimenti e desidero seguire la vostra istruzione. - rispose - Non voglio che siate impreparata e ci sono cose che le scuole per signorine non insegnano. -

Ester si irrigidì.

- Per esempio?- domandò.

Soledad si umettò le labbra piene. -Per esempio, il latino ed il greco- concluse, appoggiando il mento sulle mani candide.

Gli occhi verdi della minore si spalancarono.

-E'ASSOLUTAMENTE INDECENTE!- esclamò, battendo le mani sul tavolo- Una brava fanciulla non dovrebbe interessarsi di questo genere di materie. Non è assolutamente appropriato e voi, se teneste a me, sapreste che ho ragione!-

La cameriera trattenne un sussulto, vedendo la stizza della ragazzina ed anche la padrona di casa rimase sinceramente stupita. - Questo genere di argomenti non è adatto alla tavola- sentenziò- venite nel mio studio e ne discuteremo a quattr'occhi.-

 

 

 

- Mi auguro che abbiate la decenza di darmi delle spiegazioni!- disse, una volta chiusa la porta - vi do ospitalità, trattandovi con tutti gli onori e provvedendo alla vostra istruzione...è così che mi ripagate?-

Ester sbuffò.

-Avete pure il coraggio di essere offesa del mio comportamento? Proprio voi, che dovreste essere al corrente di tutto, mi mettete in imbarazzo.- ribatté- Non vi rendete conto, del grave torto che state facendo a vostra sorella? Come avete osato farmi questo affronto?-

Lady Mc Stone rimase sinceramente turbata.

-A cosa state alludendo?- domandò.

Ester tirò fuori allora una lettera e, sgarbatamente, gliela mise tra le mani. -Leggetela.- ringhiò, sempre più arrabbiata.

Soledad la lesse.

-Che cosa significa?- domandò, rialzando gli occhi.

-Che cosa significa?- ripeté la più giovane, con un tono derisorio- Non lo immaginate? Avete deliberatamente attentato alla mia buona reputazione, rovinando le nozze con Lord Von Gruhnweld, con il quale ero promessa...comprendete la profondità del torto che mi avete fatto? Capite il mio dolore?-

La dama rimase in silenzio.

- Voi...voi non pensate a me.- continuò, in modo sempre più isterico - E, come se non bastasse, avete pure preteso di riallacciare i rapporti con me, dopo esservi disinteressata per due lustri. Mia madre avrà avuto tutti i difetti possibili, propri del suo stato di donna ma, al contrario di voi, ha pensato al mio futuro.-

-Ma davvero?- la provocò Soledad, alzando un sopracciglio- E dunque voi pensate che il matrimonio con Lord Von Gruhnweld sia un modo per vostra madre di esprimere il suo amore per voi?-

Il silenzio di Ester fu più che eloquente.

Soledad si soffermò sulla lettera.

 

Mia cara Ester

sono desolata nel dovervi comunicare questa notizia ma l'attuale piega degli eventi mi spinge a scrivervi questa lettera. Come ben saprete, siamo in una condizione economica piuttosto difficile e, benché stia facendo il possibile per spingere mio marito in questa direzione, ci troviamo nell'impossibilità di potervi ospitare.

Mio marito ha ricevuto un importante incarico a Cuba e presto lasceremo Londra.

Ho dunque parlato con Lady Mc Stone, che si è dichiarata ben disposta ad ospitarvi. Mi ha assicurato che si occuperà della vostra educazione, giacché la lontananza dal collegio in cui vi trovate, rende impossibile per lei tutelarvi, prendendovi come pupilla.

E'molto doloroso per me comunicarvelo ma devo anche informarvi che il fidanzamento che avevo stretto per voi con Lord Von Gruhnweld non avrà mai luogo. Malgrado le promesse di pensare al vostro futuro, vostra sorella ha sciolto l'accordo, ritenendo il sentimento di un tale distinto gentiluomo nutriva per voi una elemento di poco conto per la vostra felicità.

Vi chiedo però di rasserenare il vostro animo.

Non è bene che una signorina della Buona Società come voi si abbassi al provare sdegno o rancore. Ci saranno molti uomini ben disposti a prendersi cura di voi, grazie alla bellezza del vostro corpo e sappiate che vostra madre sarà sempre con voi.

 

-Adesso capite?- esclamò Ester- Come avete potuto ferire i sentimenti di quell'uomo, che ha impiegato molto del suo tempo, nel mandarmi dei doni...regali splendidi e costosi...siete una donna terribile.-

Soledad la guardò, da sotto le lunghe ciglia nere.

-Piombate improvvisamente nella mia vita, dopo esservi disinteressata a me, solo per distruggere la mia felicità...e questo...questo è intollerabile.- concluse, respirando affannosamente.

-Sedetevi.- disse allora la maggiore.

Lei scosse il capo.

-Sedetevi, ho detto. Non ho alcuna intenzione di assistere ad uno svenimento, non poco dopo il vostro arrivo nella mia casa.- ripeté autoritaria.

Ester sussultò e, quasi senza rendersene conto, si mise a sedere.

Soledad la scrutò a lungo negli occhi, fissando ogni centimetro di quella pelle diafana. - Avete mai visto Lord Von Gruhnweld?- domandò.

La sorella scosse il capo.

-Mia madre non ha ritenuto appropriato. Il fidanzamento non era ancora ufficiale e la scuola, per quanto ne fosse a conoscenza, non ha diffuso la notizia.- rispose.

-Avete ricevuto dei doni, dunque.- concluse la maggiore.

Ester annuì.

Lady Mc Stone si alzò dalla sedia.

-Se le cose stanno in questi termini, non avete motivo di angustiarvi troppo con me. Il fidanzamento con quel gentiluomo prussiano può essere fatto di nuovo, senza scandali da parte di nessuna delle due parti.- annunciò -Per ogni eventuale indignazione, dovuta all'orgoglio ferito, basterà la mia persuasione e lui accetterà.-

Ester spalancò gli occhi.

-Ne siete certa?- domandò incredula.

La gonna nera frusciò.

-Naturalmente- rispose- Posso farlo...ma ad una condizione.-

La ragazzina la guardò accigliata.

-E quale sarebbe?- domandò con diffidenza.

Soledad si passò una mano sui capelli.

- Tra un paio di mesi ci sarà un ricevimento a casa di una mia cara amica. Benché non abbiate debuttato ufficialmente, potreste venire con me, come dama di compagnia. E'molto tempo che non vado a fare una visita di piacere e, per quello che ho saputo, vi saranno molti gentiluomini, compreso Lord Von Gruhnweld. Se la vostra idea è quella di accettare la proposta, vi prometto che parlerò di persona con costui ed il vostro sogno- disse, pronunciando la parola con una punta d'ironico cinismo- verrà realizzato.-

Ester si volse.

-E non potrei farlo prima?- domandò, non riuscendo a credere alla totale accondiscendenza della sorella.

Soledad però fu irremovibile.

-No, prima lo vedrete- disse, aprendo la porta- non sia mai che possa essere accusata da voi di essere causa della vostra rovina. Questa è una decisione che concedo di prendere solo a voi stessa.-

E con quelle parole, Lady Mc Stone prese congedo da Ester de Escobar.

La più giovane pensò molte volte a quella conversazione ma ciò che la lasciò perplessa fu l'ironia della più grande, quando pronunciava il nome del promesso scelto da sua madre. Questa curiosità, che aveva sostituito parte del disprezzo che nutriva per lei, trovò tempo dopo la sua spiegazione...ma, in quel momento, l'inaspettata apertura della vedova fu l'unico elemento che catturò l'attenzione della ragazzina, la cui vita stava mutando più velocemente del previsto, con una rapidità di cui, sul momento, pur intuendola, non riuscì a cogliere la portata.

 

Mi sono fatta influenzare dallo Young Adult "Una grande e terribile bellezza"ma posso garantire che parte delle informazioni sulla famiglia sono frutto di ricerche. Ester e Soledad hanno avuto un piccolo attrito. Vi dico da subito che la più giovane non ha mai visto il fidanzato ed ha passato il suo tempo in collegio. Il rapporto con la maggiore, che ha 26 anni, è molto complicato, per una serie di ragioni. Questa storia fluttua tra il romantico e lo storico perché non sono sicura che alcune informazioni siano attendibili. Chiedo venia per questo. Ringrazio tutti coloro che mi hanno letto e, se gentilmente useranno il loro tempo per commentare, avranno la mia più profonda riconoscenza.

Grazie e Buona Domenica.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Ecco questo nuovo capitolo. Buona lettura!

 

III

 

Malgrado fosse piuttosto titubante a riguardo, Ester dovette ammettere che fu di parola.

Soledad, il giorno dopo, mandò alcune lettere ai vari istituti, alla ricerca di una valida istitutrice che potesse provvedere alla sua educazione.

Le informazioni che le aveva dato, quando era giunta in quella casa, la lasciavano tuttora perplessa ma doveva darle atto, almeno, che non era venuta meno alla parola data.

Nel frattempo, in attesa di cominciare le lezioni che le servivano, stando a quanto le aveva detto sua sorella, aveva preso l'abitudine di passeggiare nell'immensa tenuta di Lady Mc Stone. Non appena le aveva detto le sue intenzioni, però, Soledad aveva storto la bocca.

Purché torniate prima del tramonto aveva infine sentenziato, senza guardarla.

Per questo motivo, forte di questo permesso, aveva cominciato a camminare per i giardini della villa, insieme ad un blocco di schizzi.

Ester era molto brava a disegnare, troppo per essere considerata un'attività adatta alla sua posizione...a quel pensiero, fece per tornare indietro. Il ricordo del biasimo di tutti per questa sua passione era ancora qualcosa di vivo nel suo cuore.

I minuscoli stivaletti neri ticchettavano lungo il sentiero con un suono ritmato ma non per questo irritante. Qualche raggio colpiva il sentiero, superando la barriera di alberi che crescevano ai lati della stradina. La ragazzina si sistemò il sunbonnet, in modo da nascondere i riccioli e, con curiosità, si guardò attorno.

La villa di Lady Mc Stone era circondata da un immenso giardino all'inglese i cui confini erano segnati da una grande ed imponente cancellata in ferro battuto. Ogni tanto, facevano capolino varie colonne che riproducevano i templi romani in Italia, accortezza che dava a quel paesaggio un tono romantico, alla Strum und Drang.

Ester percorse qualche tratto, fino a raggiungere una panca di pietra che giudicò adatta come punto su cui fare i suoi disegni.

Era un pezzo di pietra di travertino, con leggere scanalature. Ester posò il blocco, insieme al pezzo di carbone e, senza perdere tempo, cominciò a vergare le prime linee sulla superficie bianca della carta. Mentre era impegnata in questo passatempo, si domandò se sua sorella le avrebbe permesso di continuare con le sue passioni. Per ora, la risposta era affermativa...ma quanto sarebbe durato tutto questo? La mamma aveva storto il naso quando le aveva comunicato il suo interesse. La ragione era che Lord Von Gruhnweld non amava quel tipo di passatempi.

A quel pensiero, sbuffò.

Non aveva voglia di occuparsi di quel genere di argomenti.

-Una signorina per bene non dovrebbe essere così seria- disse una voce calma e compassata.

Ester si voltò di scatto.

-Soledad- mormorò, stupita.

La dama le rivolse un sorriso divertito, salutandola con un cenno del cappello. Indossava una tenuta all'amazzone che le dava un che di austero.

-Noto con piacere che conservate le buone, vecchie abitudini dell'infanzia. Anche allora amavate disegnare.- osservò, guardandola dall'alto del suo destriero.

La ragazzina chinò il capo.

-Vi dispiace?- domandò mortificata.

Lady Mc Stone scosse il capo. -Non è un passatempo disdicevole e, considerando che, per gli inglesi, noi siamo stranieri e selvaggi, a detta loro, temo che una cosa del genere non rovinerà la nostra fama più di tanto. Continuate pure a disegnare, se volete.- disse, prima di riprendere il trotto.

Ester la guardò allontanarsi, non senza un filo d'invidia. Non aveva mai avuto molte occasioni per cavalcare e questa mancanza la irritava un po'. Le istitutrici del collegio giudicavano quell'attività come qualcosa di nocivo e inopportuno ma sua sorella, da quello che aveva visto, pareva sinceramente disinteressata da tutto ciò, anche se montava all'amazzone.

Per un momento, la giovane si chiese cosa avrebbe potuto fare con lei, dandole una simile educazione.

 

 

Soledad finì il suo giro al trotto e, come spesso succedeva, passò nelle scuderie per affidare il cavallo allo stalliere. -Grainne è stata brava- disse, riferendosi al cavallo- assicuratevi di dargli una doppia porzione di paglia-

L'uomo annuì, prendendo silenziosamente le briglie.

-Lady Mc Stone- fece la voce del secondo indiano che stava sulla soglia- è giunta una lettera per voi.-

La donna inarcò la fronte.

-Davvero Rashid?- domandò, sfilandosi i guanti - E da chi proviene?-

L'indiano fissò la busta.

-Proviene dalla Francia, lady Mc Stone.- fu la risposta laconica di Rashid. La dama afferrò rapidamente la posta.

-Per oggi non verrò a pranzo. Comunica a Martha, la capocuoca, e a Audrey la governante, di presentarsi nel mio salottino. Ho da informarle su alcune modifiche dell'organizzazione di questo giorno.- disse, incamminandosi rapida dentro l'edificio.

 

 

Ester finì il suo schizzo abbastanza velocemente. Era abituata a raffigurare il soggetto con pochi tratti di carboncino, soprattutto quando quella attività aveva cominciato ad essere malvista in collegio.

Sua sorella l'aveva lasciata in quel luogo completamente da sola, riprendendo la sua cavalcata in solitaria. La mano si fermò, ripensando a quel brevissimo incontro. L'equitazione era un'attività poco diffusa nelle scuole per ragazze di buona famiglia. Alcuni pensavano che fosse nocivo per la salute delle donne e, per ovviare ogni possibile protesta, quel passatempo era stato bandito dalle attività del collegio.

Da quel punto di vista, non poté non essere felice di non frequentare più quella scuola. Le lezioni erano noiose e, come se non bastasse, aveva ridotto a poco a poco tutti i suoi piaceri per evitare ogni forma di rimbrotto possibile.

Si chiese se avrebbe mai avuto modo di vedere finalmente Lord Von Gruhnweld, il giorno in cui avrebbe accompagnato la sorella a quella visita. Non lo aveva mai incontrato. Anche durante gli incontri con sua madre e suo marito, non aveva ricevuto molte notizie. L'uomo che avrebbe dovuto sposare era sempre impegnato nei suoi viaggi d'affari ma, in compenso, le mandava dei doni ogni volta: mussola, collane di pietre dure, fazzoletti di pizzo immacolato, bambole di varia grandezza. - Non vedo l'ora di sposare Lord Von Gruhnweld. Un uomo così generoso non può che essere una brava persona.- disse, prima di scoppiare in una risatina-Spero che sia come Lord Mc Stone.-

 

 

 

 

Soledad si chiuse la porta alle spalle.

Per tutto il tragitto aveva mantenuto una postura  eretta, segno di chi aveva una perfetta padronanza di sé. E non poteva essere diversamente avrebbe detto qualcuno, se avesse visto la sua vita dal principio. Ora però, di nuovo sola nella sua stanza, rilassò il corpo e, fatta scattare la serratura si precipitò sulla poltrona che stava dietro alla scrivania.

Da quando aveva preso in mano la lettera, aveva come la sensazione che le gambe si fossero fatte improvvisamente deboli e fragili.

D'istinto, chiuse gli occhi, divisa tra il desiderio di sapere e la paura di quella stessa conoscenza...poi la mano si mosse, aprendo meccanicamente la busta e tirando fuori il foglio.

 

Mia cara sorella

benché la lontananza sia piuttosto considerevole, continuo a scrivervi le mie lettere, sperando che qualcosa vi giunga in Inghilterra. Ancora adesso, non posso fare altro che ringraziare l'acume di nostro padre, per avervi unita a Lord Mc Stone...vi chiedo perdono per la mia lingua impudente. Ho saputo solo da poco della morte del povero Alistair e mi dispiace molto non esservi rimasta accanto in questi difficili momenti.

La richiesta che mi avete fatto ha distratto non poco la mia mente e, se ripenso tuttora alla sua natura, come monaca, non posso che biasimare la vostra condotta, mentre come donna, non riesco a non nutrire per voi la più profonda compassione.

Vi comunico che nostra nonna Consuelo ha avuto un leggero attacco d'influenza e, secondo nostra sorella Carmen, la sua salute ne risulterà per certo compromessa.

Mi auguro però che possa rimettersi.

Londra è bella e piacevole come la descrivono? Ho sentito molte mie consorelle parlarne con termini entusiastici e spesso mi domando se lo sia davvero. Sto chiedendo al vescovo il permesso di venirvi a farvi visita. Anche se non sono una monaca di clausura, il suo lasciapassare è indispensabile. Qualora accadesse, vi porterò quei dolcetti di marzapane che ho imparato a fare, grazie all'amicizia con Suor Teresa, la consorella di cui vi avevo parlato.

So che ne siete ghiotta.

Quanto alla richiesta che, tempo fa mi avete fatto, temo di non potervi dare delle buone notizie. Renée è stata molto abile nel nascondere le sue tracce e vi garantisco che ho usato tutte le mie conoscenze in proposito. L'unica soluzione possibile è che sia finito in un orfanotrofio a Londra, dal momento che le altre associazioni cattoliche sono del tutto all'oscuro di questa faccenda.  Ancora adesso, che Dio mi perdoni per questo, nutro un profondo risentimento verso quella donna. Mi chiedo come nostro padre abbia potuto sposarla e compiango vivamente Ester che, da come me l'avete descritta, sembra una brava ragazza.

Vi farò comunque avere ulteriori notizie non appena possibile

 

Con affetto

 

Suor Lucia

Senorita Pilar Escobar.

 

 

Ester camminava da diverse ore nell'immenso giardino della residenza dei Mc Stone, ammirando il verde di quella tenuta all'inglese. Sua sorella se ne era andata da un pezzo e, ripensando a quel brevissimo scambio di battute, non poteva fare a meno di sentire il cuore stringersi in una stretta.

Soledad era molto diversa da come la ricordava.

Da quando si erano incontrate di nuovo, aveva sentito uno strano distacco, ben diverso da quello che ricordava. Aveva sei anni quando sua sorella aveva lasciato la casa del padre, per sposare quello scozzese.

Troppo pochi per dare un giudizio su una persona, abbastanza però per affezionarvisi. Soledad era la sorella più giovane, dopo di lei e, malgrado la differenza d'età, ricordava i lunghi pomeriggi in cui le faceva compagnia, raccontandole storie di vario genere. Nemmeno con sua madre Renée aveva un rapporto tanto stretto perché quest'ultima aveva passato buona parte del suo tempo a fare da infermiera al marito, piuttosto che a curarsi di lei.

Non era così distaccata però si disse, mentre fissava il verde del fogliame. A quel pensiero sorrise tristemente. Nemmeno lei era più la stessa...o almeno così tentava di convincersi. Fu allora che ripensò di nuovo a Lord Von Gruhnweld e, come gli accadeva tutte le volte, non riuscì a provare alcun tipo di sentimento al suono di quel nome.

Chissà se è stato così anche per Soledad? si domandò, mentre si incamminava sulla via della residenza Mc Stone, con il sole che dava ai riccioli che uscivano dal sunbonnet riflessi d'oro.

 

 

 

Contrariamente a quanto sperava, Soledad non pranzò insieme a lei.

-Voi sapete qualcosa...- provò a chiedere alla sua cameriera personale.

-Emma, miss. Mi chiamo Emma. Lady Mc Stone ha ricevuto delle lettere all'improvviso e si è rintanata nello studio del marito. Verrà per cena.- rispose, sorridendole con gentilezza.

Ester annuì, prima di rivolgersi al maggiordomo che era andato a prenderla in collegio. - Mister- fece compassata- mia sorella mi ha detto che parteciperò ad un ricevimento come dama di compagnia. Sapete per caso dirmi qualcosa a riguardo?-

Rashid annuì.

-Si tratta di Lady Banbrook- rispose l'indiano- è la moglie di un amico del defunto padrone. Una donna molto simpatica ed alla mano, amica d'infanzia di Lord Alistair.-

La ragazzina inarcò la fronte.

-In che rapporti è con mia sorella?- chiese, mentre le veniva servito il pranzo.

Il maggiordomo increspò le labbra.

- Abbastanza buoni. Lady Sylvia nutre un certo rispetto per Lady Soledad, contrariamente agli altri membri più stretti della famiglia dei Mc Stone.- rispose.

Ester rimase interdetta.

-Lord Mc Stone ha ancora dei parenti in vita?- domandò perplessa. Non aveva molti ricordi del periodo che aveva preceduto il matrimonio di sua sorella ma le era sembrato che il marito di quest'ultima fosse rimasto solo. Non c'era nessuno, infatti, a parte lui e pochi amici stretti di quest'ultimo, giunti nella loro dimora nei pressi dell'ambasciata.

-Certamente- rispose l'indiano- ha una sorella, Victoria Mc Stone, che ha sposato un olandese. Vive ad Amsterdam da molto tempo e non viene quasi mai, tranne per le occasioni ufficiali.-

 

Non aveva voglia di farsi pettinare dalle cameriere. A causa dei riccioli ribelli, era impossibile domare la sua chioma e, quando qualcuno provava a spazzolarglieli non poteva non sentire dolore.

Per questo, mentre tutti erano indaffarati nella sua ricerca, si era nascosta in una delle stanze del palazzo, sotto un pesante tendaggio di porpora, nella speranza di sfuggire loro.

Non era passata nemmeno mezz'ora che la porta si aprì ed un'ombra alta e slanciata aveva fatto il suo ingresso nella sala. Di getto, si era accovacciata meglio che poteva, per non farsi notare. La tenda era leggermente scostata, permettendole di vedere meglio chi fosse.

Era un uomo alto e dal fisico asciutto. Castano, con gli occhi scuri, possedeva dei lineamenti decisamente piacevoli. Ester lo vide portarsi una mano sul viso, come per coprirsi la faccia...ma quel pallido velo di carne funzionò ben poco. A giudicare dal suono soffocato che fuoriusciva da quel corpo, scosso come da brividi, la bambina comprese lo stesso. Quell'adulto stava piangendo, anche se non seppe mai per che cosa.

 

Ester non disse nulla.

Quel ricordo infantile era comparso così, senza nemmeno accorgersene. Meccanicamente, prese una fetta di torta di zucca, mentre la testa rimuginava. Non aveva detto a nessuno di quell'episodio. Poco dopo, infatti, era stata scoperta dalla balia e severamente punita...e le bacchettate sulle mani avevano finito con l'eclissare tutto quanto.

Ora però quell'episodio della sua infanzia aveva fatto capolino...e, per quanti sforzi facesse, non riuscì a trovarvi risposta.

 

Allora, il capitolo è abbastanza breve ma spero che possa piacere comunque. Tendo a fare delle storie lunghe, quindi occhio. Tornando agli Escobar, vorrei fare una precisazione. Si tratta di una famiglia che si è trasferita nel Regno Unito per una questioni di natura personale. Soledad ha passato una parte della sua vita in Spagna poi ha lasciato il suolo natale...e questo spiega perché parte dei parenti sono in Francia ma non in Spagna. Ufficialmente la causa sono i problemi politici che segnano il Paese nell'Ottocento ma, di fatto, il motivo è un altro. Intanto, Ester continua a parlare del fidanzato...o, per lo meno, quello che dovrebbe essere tale. Quanto al resto, vi do appuntamento al prossimo capitolo. Grazie a tutti.

 

cicina

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Come sempre, vi invito a prendere con le molle i riferimenti storici perché sto parlando degli stranieri sul suolo inglese e questo li rende, ricchi o no, ai margini del Ton.

Soledad è una figura difficilmente inquadrabile. La sua evoluzione personale è stata in parte forgiata dal marito. Mi avete chiesto come è stato il suo matrimonio ma, su questo proposito, non dirò niente. E'qualcosa di dolceamaro comunque, davvero triste.

 

IV

 

Ester difficilmente avrebbe scordato il giorno in cui aveva incontrato la sua istitutrice. Soledad era stata molto vaga in proposito. L'unica cosa che le aveva detto era che proveniva da Caen e si chiamava Oceane. Un nome assolutamente bizzarro come era strano che le avesse rifilato un'istitutrice francese e non tedesca, come voleva la prassi.

La ragazzina non prese bene la notizia e, se non sollevò delle proteste, il merito fu solo che, accettando quella cosa, avrebbe potuto incontrare Lord Von Gruhnweld. La signorina Escobar aveva passato molte sere, pensando a lui, fantasticando su quella persona che le aveva fatto tanti regali, senza però mai presentarsi di persona.

Anche dopo essere giunta presso Lady Mc Stone, non aveva smesso di sognarlo ad occhi aperti...forse perché la bizzarra libertà che la sorella le aveva concesso, invece di rassicurarla, l'aveva solamente innervosita.

Così, quando si presentò l'istitutrice, non poté fare a meno di essere sollevata.

Mademoiselle Oceane aveva quasi 30 anni.

Una zitella avrebbe detto una delle compagne del collegio, con una punta di disprezzo...e vedendola, Ester non poteva che provare sgomento.

- Bon jour, mademoiselle Escobar - disse pacata- sono Mademoiselle  Oceane Treville, piacere di conoscervi. -

La sua istitutrice era una donna decisamente attraente. Aveva una chioma rossa ed un viso dai tratti armoniosi, una mascella volitiva che la rendeva intrigante e raffinata allo stesso tempo. Come fosse possibile che non avesse un compagno, per la ragazzina era un mistero. -Lady Mc Stone mi ha informato che devo concludere la vostra preparazione e fornirvi l'indispensabile per affrontare il ricevimento, evitando figure imbarazzanti.- disse- Vi prometto che metterò ogni singola energia per raggiungere questo scopo. Mi aspetto da voi puntualità ed un comportamento docile.-

Ester annuì.

Poco dopo, cominciarono la prima lezione.

 

 

 

Soledad fissò distrattamente il paesaggio. Scorreva sonnacchioso davanti ai suoi occhi, come una scia monotona, almeno per lei. La carrozza si muoveva a passo regolare tra quelle dolci colline, diretta verso i sobborghi londinesi. I colori pastello della campagna furono sostituiti dal grigio fumoso che impregnava ogni edificio, qualunque fosse l'estrazione sociale dei suoi abitanti. Era ben lontana dai quartieri operai della capitale ma, ogni volta che si recava lì, aveva la sensazione di sentire addosso la polvere degli edifici.

- Immagino che avrei dovuto dare altre disposizioni, che ne pensate Sarasa?- chiese, con aria apatica.

La cameriera chinò la testa.

- Miss- fece, con una voce bassa e rassicurante- sono convinta che il vostro operato sia stato impiegato accuratamente. La signorina Escobar ha ricevuto l'istitutrice ed ora ha intrapreso la lezione con lei. -

Soledad chiuse gli occhi.

-Con tutto il rispetto -disse improvvisamente la donna- ho delle perplessità che mi hanno stupito non poco. Posso permettermi di chiedere spiegazioni?-

La dama sorrise.

- Ho fiducia in te, Sarasa- rispose- parlatemene con libertà.-

L'indiana si passò una mano sul viso.

- Siete certa di aver affidato la signorina  Ester in buone mani?- chiese -Mademoiselle Oceane è una donna anticonformista...-

-Mademoiselle Treville è una donna con una cultura molto vasta...ed è ciò che serve a mia sorella, del tutto digiuna dalla vita. Quando verrà con me, dovrà sapersi muovere con garbo e discrezione. Ricordatevi che deve debuttare ed una pessima figura in quel senso potrebbe davvero danneggiarla.-rispose, con un filo d'irritazione- Ho sempre pensato che le scuole britanniche siano inutili per una donna. Possono servire a fare un buon soprammobile ma se il mio matrimonio è servito a qualcosa, posso dire che la cosa serve davvero a poco.-

-Lady Mc Stone...-la guardò con un filo d'ammonimento l'indiana.

Soledad scosse il capo.

-Mi rendo conto che tutto quello che ho ricevuto finora è decisamente immeritato. Possiedo ora un considerevole patrimonio, assai più solido di quando ho varcato la soglia della dimora dei Mc Stone...ma voglio evitare, per quanto possibile, a Ester i disagi che ho avuto io, quando diventai sua moglie.- rivelò- E'stato tutto molto difficile. Io avevo 16 anni e Alistair 39. Non voglio che abbia anche lei questo tormento.-

Sarasa non disse niente.

Aveva messo piede nella tenuta di quello scozzese molto tempo dopo quelle nozze, dopo l'ultimo viaggio del suo consorte. - Il padrone era un uomo notevole.- esalò.

Soledad fece un sospiro.

-Lo so- disse, in un soffio.

 

 

L'edificio che si stagliava di fronte a loro, aveva un colore chiaro e piacevole. Soledad si passò una mano sulla testa.

-E'passato molto tempo da quando ci siamo recate qui. L'ultima volta eravate insieme a Lord Mc Stone.- osservò la serva.

La dama ignorò la sua osservazione.

Gli occhi erano catturati dalla sagoma della costruzione, in stile rococò e del tutto fuori moda in quel periodo. -Alistair mi portò qui solo una volta...e le circostanze erano del tutto casuali.- disse, con l'ombra di un sorriso.

L'edificio non era cambiato per nulla.

-Oh, senora!- esclamò una voce alta e squillante.

Soledad si voltò.

Un uomo alto e magro, quasi ossuto, venne loro incontro. Guardandolo, non poté fare a meno di esserne affascinata. I suoi passi sembravano una danza.

-Oh Igor!- esclamò, fissandolo -Non sapete quanto mi ha fatto piacere aver avuto conferma della vostra disponibilità...e, come sempre, non posso fare a meno di essere felice di vedervi.-

Il russo sorrise divertito.

- E'la verità!- sbottò.

La donna scosse il capo, esasperata.

Igor Borowsky, figlio illegittimo di un Principe Russo, aveva studiato a Londra, interessandosi alle nozioni nautiche del luogo. Aveva allacciato proficue amicizie a Manchester e a Glasgow. In una di queste occasioni, era diventato un fine confidente di suo marito. Lei stessa lo trovava simpatico. - Ho saputo che avete avuto una piacevole vacanza.- disse - Me ne avete parlato nell'ultima lettera.-

Igor ridacchiò.

-Roma è effettivamente molto bella.- confermò, con un sorriso ampio e benevolo - ma preferisco Londra...è più stimolante. Avete saputo dell'opera scritta di quell'italiano? I promessi sposi?-

Soledad lo guardò interdetta.

-Mi hanno detto che è stato un lavoro lungo ed impegnativo. Parla di due popolani dall'amore difficile?- chiese perplessa.

Igor annuì.

-Ho avuto occasione di conoscere l'autore. Un evento più unico che raro, considerando che non ama uscire dalla sua casa milanese.- disse stupito.

-Posso capirlo. Nessuno lascia volentieri la propria città d'origine.- osservò la donna.

- Intendevo le care, vecchie, mura domestiche- fece il russo- quel pover'uomo ha un pessimo rapporto con l'aria aperta...ricordate la notizia del linciaggio di quell'ambasciatore nella città di Milano?-

Soledad si passò una mano sulla bocca.

- Un evento davvero terribile.- disse la donna.

-Ma vera- rispose il russo- il dramma è avvenuto poco distante dalla sua dimora. Non so davvero come abbia potuto quel poveretto non affacciarsi alla finestra.-

Soledad scosse il capo.

Quella notizia era davvero bizzarra e spiacevole ma, considerando l'insolita abitudine del russo di collezionare animali impagliati, poteva fare davvero ben poco.

- Ho saputo che avete preso con voi la vostra sorellastra- disse improvvisamente Igor.

-E'così- confermò la dama- si chiama Ester. E'una giovane con un temperamento ribelle e le vedute ancora limitate. In questo, devo amaramente constatare che sua madre ha fatto un bel lavoro.-

A quelle parole, calò un silenzio piuttosto pesante.

Sarasa lo percepiva distintamente ma, come sempre, non disse nulla.

- Immagino che avrete un gran bel da fare, allora- commentò il russo- Considerando il ruolo che ricoprite e le difficoltà che avete sempre incontrato, è bene che abbia la maggiore elasticità possibile, dal momento che gli inglesi hanno delle vedute piuttosto strette, quanto all'ingresso nella loro cerchia. -

Soledad annuì, stirando le labbra in un sorriso che tuttavia non raggiunse mai gli occhi. 

La serva la guardò con la coda dell'occhio. La sua padrona non aveva mai sorriso di cuore, in nessun momento del suo matrimonio e della sua vedovanza; questa assenza di gioia l'aveva spesso lasciata interdetta sicché non avrebbe mai saputo dire, qualora glielo avessero richiesto, se la sua padrona fosse mai stata felice, al fianco del consorte. Li guardò discorrere con grazia per tutto il tragitto, fino a quando non giunsero all'ufficio dove il russo teneva gli incontri.

-Accomodatevi, Lady Mc Stone- disse, indicandole la sedia.

La dama obbedì, seguita dalla sua cameriera personale.

-Ho ricevuto una vostra lettera e mi sono precipitata qui. Perdonate la mia incoscienza ma non ho avuto modo di informarvi con dovuto anticipo...colpa forse del mio sangue spagnolo.- si scusò.

Igor scosse il capo.

- Dal vostro autocontrollo, non si direbbe che siete nata a Granada- osservò questi- ma non è il momento di perdersi in chiacchiere amene. Il viceré mi ha mandato le notizie che voi avete richiesto. Come sapete, abbiamo entrambi studiato ad Eton e l'amicizia, malgrado gli impegni diversi, ha avuto comunque solide basi. -

Soledad strinse le mani.

-Ebbene?- domandò.

Il russo trasse un profondo sospiro.

-E'stato molto chiaro. Trovare quella persona è quasi impossibile. L'ultima volta che l'avete vista è stata esattamente dieci anni fa, il giorno del vostro matrimonio. E'possibile che sia morta.- le fece notare.

La donna però scosse il capo.

-Non posso crederlo, non dopo averlo conosciuto di persona e sapendo la fiducia di Alistair nei suoi confronti.- rispose con veemenza- Se non lo trovassi, tradirei la fiducia che mio marito aveva per me.-

Igor si passò una mano tra i capelli.

-La vostra servitù cosa ha detto?- chiese, umettandosi le labbra sottili.

Un raggio di luce colpì l'interno della stanza, colpendo il viso della donna. - I camerieri sono molto obbedienti nei confronti di mio marito...come lo sono io, del resto. Devo tutto ad Alistair. Non l'ho mai tradito e non lo farei  nemmeno ora. -rispose, passandosi un ciuffo sulla fronte liscia e perfetta.

Il russo soffiò.

-Purtroppo, Miss, le cose non sono mai semplici. Nemmeno ciò che ci sembra solido e giusto mantiene la sua fermezza allo scorrere del tempo.- fece, soppesandola con lo sguardo.

Soledad si portò una mano al viso.

-Dunque- mormorò- non ci sono speranze di poterlo trovare? -

Il silenzio che seguì quella domanda la gettò nel panico. -Ditemi che non è così. Mister, in nome del vostro Paese e di ciò che vi è più chiaro, vi prego di dirmi che non è come sembra. Non potrei sopportare di sostenere anche questo peso.-

Il russo si umettò le labbra.

-Tra qualche giorno, partirà una nave verso Manipur. Devono portare dei carichi di ferro tessuto e materiale di vario genere. Il proprietario dell'imbarcazione è un mio vecchio amico. Metterò una buona parola e vedrò cosa posso fare.- rispose.

La donna socchiuse gli occhi.

- Fate tutto il possibile- fece- è l'unica cosa che vi chiedo.-

Igor annuì.

-Ve lo prometto- disse, prima di guardarla in viso- ma mi domando per quale motivo voi facciate tutto questo. Sapere la verità potrebbe distruggervi...non sarebbe meglio omettere?-

La dama si irrigidì. I lineamenti erano fermi, in un rilassamento solo apparente. - Ignorare non è mai la soluzione ed ho imparato che il non vedere non salva il viandante dalla tempesta imminente. Io non posso sottrarmi ai suoi colpi. Non mi è consentito. Se lo facessi, tradirei l'unica persona che mi ha dato una casa...l'unica che ha dato un vago bagliore alla mia vita di isola dispersa.- disse, alzandosi in piedi.

A quelle parole, Igor non disse niente.

Che avesse capito o meno le sue parole, questo Soledad non poteva dirlo. L'unica cosa che davvero contava per lei era che l'avesse ascoltata.

 

 

La luce di quel giorno illuminava lo studiolo.

Una stanza dai toni scuri, con qualche nota zafferano che toglieva al luogo ogni potenziale austerità. Le mani di Mademoiselle Oceane scorrevano delicate sui libri, seguendo il suono di quella voce modulata.

 

Omnes homines, qui sese student praestare ceteris animalibus, summa ope niti decet, ne vitam silentio transeant veluti pecora

 

Ester la ascoltava, non senza disappunto.

 

quae natura prona atque ventri oboedientia finxit. Sed nostra omnis vis in animo et corpore sita est: animi imperio, corporis servitio magis utimur; alterum nobis cum dis, alterum cum beluis commune est.

 

-Mademoiselle Escobar!- fece Oceane, interrompendo la lettura.

Ester si raddrizzò sulla schiena, fissando la sua istitutrice.

-Gradirei che mi prestaste attenzione. Non conoscete bene il latino e familiarizzare con questa lingua è indispensabile, secondo il parere di Lady Mc Stone. Vi prego di non distrarvi.- disse, compassata.

La ragazzina sbuffò.

-Avete delle domande, Mademoiselle?- chiese, inarcando la fronte.

La signorina Escobar arricciò il naso.

L'istitutrice la stava guardando, in attesa di una risposta. -Miss Treville- fece, alla fine- perché devo studiare una materia tanto disdicevole? Non ha senso.-

L'altra non rispose.

-Una signorina per bene- continuò la più giovane- dovrebbe occuparsi di materie più sane, senza eccedere nella cultura. Farlo potrebbe farmi impazzire ed io non ho alcuna intenzione di perdere il senno.- La donna non disse una parola, scatenando l'ira di Ester. Come era possibile che un'insegnante qualificata, stando alle parole di Lady Mc Stone, fosse così poco attenta ad un particolare tanto importante? Eppure, in collegio, le avevano sottolineato spesso che occorreva la massima cura nell'istruzione della fanciulla di buona famiglia. Fin da quando aveva messo piede nella casa di sua sorella, però, aveva notato che le cose, da lei ritenute assiomi inviolabili, fossero poco considerate. Più volte, era stata presa dalla tentazione di vomitare su sua sorella tutta la sua indignazione. Non sembrava minimamente preoccupata per il suo futuro. Mia madre, almeno, aveva avuto il buon gusto di trovarmi un marito...lei invece cosa ha fatto?  Niente! era il pensiero che spesso ricorreva nel suo animo.

Imparare quelle nozioni era contrario al buon gusto e, di certo, non l'avrebbe resa una donna degna di uno sposo.

Questo le era stato insegnato e, nel limbo della sua giovane vita, era l'unica cosa davvero certa che avesse.

Mademoiselle Treville non si scompose.

- Quello che dite è assolutamente vero- mormorò- ma vale soprattutto per gli inglesi inseriti in società. Vostra sorella lo è, non lo metto in dubbio...e voi lo sarete di certo. Il sapere non vi aiuterà a trovare marito...ma ha comunque i suoi vantaggi.-

-E sarebbero?- chiese sprezzante la ragazzina, incrociando le braccia.

Oceane sorrise.

- Quello che dite è assolutamente vero- disse- in società, la funzione di una gentildonna è puramente decorativa...o almeno così piace pensare a molti. Lady Mc Stone e molte altre, però, la pensano diversamente. -

-Ah, sì?- fece l'altra.

L'istitutrice annuì.

- Una brava moglie organizza ogni singolo aspetto mondano, dalle decorazioni alle pietanze, premurandosi di avere i giusti intrattenimenti dell'occasione. E'possibile, grazie a questo onere, influire, manovrando dietro le quinte il consorte, senza necessariamente contraddirlo. - disse -Sono più che convinta che Iddio abbia creato la donna per uno scopo ben preciso, ben diverso da quello che la società sta professando. Benché ritenga che l'uguaglianza sia un concetto improponibile, dal momento che siamo diversi, non approvo nemmeno questa sudditanza così cieca...altrimenti, come si spiegherebbe l'indiscusso intelletto della regina Elisabetta Tudor?-

Ester rimase sinceramente stupita.

Non si era mai posta simili pensieri, per non recare dispiacere a sua madre, una donna legata alle convenienze e ai pettegolezzi. Sul momento, non sollevò nessuna forma di commento ma quelle parole, lentamente, penetrarono nel suo cervello...e la nuova educazione che le veniva impartita cominciò improvvisamente a sembrarle meno strana di prima.

 

Bene, prima di tutto, vi dico di non farci l'abitudine. Ho da terminare delle storie e l'università è cominciata per me. L'aspetto storico è forse fedele, forse no. Non ho indagato. Ci tengo però a precisare che Oceane non è una suffragetta perché non esistevano all'epoca. E'semmai una donna che usa le convenzioni a proprio vantaggio, allo stesso modo in cui un avvocato usa la legge. Non rifiuta la cultura e, per questo motivo, è un'anticonformista.

Ester è odiosa ma innocua. Deve imparare a pensare con il suo cervello per evitare di cadere in situazioni compromettenti. Vi dico subito che siamo ai margini del ton. Questi sono stranieri trasferiti a Londra...per cui occhio. Il passo in latino, invece è Sallustio e dice praticamente che l'esercizio della virtù, valore razionale, è l'unico modo per dominare le passioni e distinguersi dagli animali. Il latino non veniva insegnato alle donne e quello che avete letto scatena l'indignazione della ragazzina. Soledad invece...bhé è un altro discorso.

Benvenuti cari lettori.

La storia prende le mosse con una certa lentezza. Ester muove i suoi passi nel mondo di Soledad. Le cose non sono semplici. Non vede la sorella da 10 anni e questo ha raffreddato molto i rapporti tra loro.  So che è odiosa ma sopportatela, ok?

Bhé, non mi dilungherò molto in proposito.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V ***


 

V

 

Il mattino annunciò il suo arrivo con dei pallidi raggi. Ester ne ebbe la conferma quando sentì un bagliore fastidioso colpirle il viso. Irritata dall'interruzione del suo sogno, si tirò a sedere sul materasso. Aveva immaginato di percorrere il viale principale dei giardini londinesi, sulla carrozza con Lord Von Gruhnweld, sotto lo sguardo invidioso delle ragazzine che avevano frequentato con lei il collegio.

La notizia del fidanzamento, benché non avesse valicato i confini della scuola, aveva comunque fatto il suo giro e lei, la senorita Escobar, figlia di uno spagnolo e di una francese, cattolica e, per questo motivo, disprezzata per molti anni, aveva avuto la sua gloria...anche dalle maestre della scuola.

Quel colpo, da parte di sua madre, le aveva dato molte speranze...a quel pensiero, Ester sorrise. Soledad non le aveva negato quell'unione, benché non fosse molto entusiasta. Forse aveva delle speranze di continuare l'opera materna...ed era sicura che Lord Von Gruhnweld fosse indubbiamente il suo destino.

Non lo aveva mai visto ma riteneva disdicevole non pensare che il suo scopo fosse il matrimonio. Cosa avrebbe avuto, infatti?

Non ricordava molto del signor Escobar. Era molto più grande di sua madre ed era assai raro che uscisse dal suo letto. Non le era permesso di vederlo ma, spesso, le capitava di udire le sue urla irrompere improvvisamente nella quiete domestica. Talvolta lo vedeva da lontano lasciare la dimora di famiglia, diretto verso la città.

Quelle immagini erano comunque sfuocate, colpa della giovane età. Tutto il suo passato si concentrava su Soledad, la sola di tutta la famiglia ad esserle rimasta accanto con maggiore frequenza. Con uno sbuffo si mise a sedere, spostando l'attenzione sulla finestra. Fuori c'era il solito panorama bigio della campagna inglese, avvolto nell'ormai familiare nebbia.

Se ne rimase qualche momento semisdraiata, fissando ora quella luce biancastra, ora il soffitto affrescato d'immagini bucoliche. Doveva ammettere di non aver mai passato molto tempo tra i cuscini, durante il suo soggiorno alla Bedford.

Un sorriso le nacque spontaneo, nel momento in cui posò l'attenzione sui colori luminosi di quei disegni. Toni soffusi, sicuramente appartenenti al secolo scorso o anche prima. Qualcosa di decisamente diverso dalla moda dei preraffaelliti ma ad Ester non dispiacevano.

Chissà se la casa di Lord Von Gruhnweld è bella quanto quella di mia sorella si ritrovò a pensare...ma tutto finì con un leggero e discreto bussare alla porta, ben prima che la fantasia della ragazzina cominciasse a galoppare a tutta velocità.

-Avanti- esclamò e poco dopo fece il suo ingresso Mary. Era stata la prima scelta di sua sorella ed Ester non se l'era sentita di contraddirla. Avevano tutti deciso per lei e, almeno sul piano della cameriera personale, non aveva alcun dubbio sul fatto che avrebbe sbagliato. La ragazzina che Soledad aveva scelto per lei era minuta e vagamente graziosa, quel tanto che bastava per non sfigurare, qualora avesse deciso di andare fuori, all'aperto.

-Buongiorno Miss Escobar- disse compita.

-Buongiorno...Mary- rispose, levandosi in piedi ed avvicinandosi alla brocca di acqua poco distante. Si sciacquò rapidamente il viso per poi recarsi verso la sedia, per la toeletta.

La cameriera la aspettava lì.

-Mary- fece- che programmi abbiamo oggi?-

La ragazza prese la spazzola.

-Alle 9 avete l'incontro con Mademoiselle Treville, signorina.- riferì, scatenando uno sbuffo nell'altra. Non le era rimasta simpatica la sua istitutrice. Benché fosse educata e cortese, non le era sfuggita la punta d'ironia nel tono della voce, tutte le volte che lei si lamentava delle sue mancanze...e se c'era una cosa che Ester odiava era non essere presa sul serio.

Non le piacevano le occhiate di quella donna, prive di ammirazione e invidia...ed il suo ego non riusciva proprio a non risentire della cosa. La cameriera la guardò perplessa, tanto da spingere Ester a invitarla a proseguire.

-La vostra istitutrice ha riferito che vorrebbe portarvi a fare una visita nelle serre del giardino, per poter prendere qualche bozza di disegno. Vostra sorella le ha detto che siete molto portata e quindi Mademoiselle Treville ha pensato di farvi questa concessione. - riferì Mary, mentre le preparava la pettinatura adatta. A quella notizia, l'umore della signorina Escobar migliorò di colpo.

 

 

Oceane fissava tranquilla le varie parti dell'edificio.

- Avete una magnifica dimora Lady Mc Stone- disse, rivolgendosi alla proprietaria che, sorseggiando il tè, l'aveva seguita con lo sguardo per tutto quel tempo.

-Vi ringrazio- rispose Soledad, staccando le labbra dalla tazza- ma avrei piacere che prendeste un po'di biscotti. La cuoca avrebbe indubbiamente piacere di sapere che cosa ne pensate.-

Mademoiselle Treville obbedì docilmente.

Prese alcuni dolcetti.

-Sono madeleine- osservò.

-Certo- rispose Oceane- amo i dolci e non rifiuterei mai della buona cucina.-

Soledad sorrise.

-Siete molto diretta, Miss- fece- davvero curioso per un'istitutrice.-

La donna fece spallucce, come se fosse abituata a quel genere di giudizi. - Le chiedo scusa, se questa mia indole è causa di fastidi. I miei modi sono però questi e, se sono riuscita ad andare avanti, devono essere un difetto trascurabile.-

Lady Mc Stone posò la tazza.

- Non dubito che vi abbia dato dei problemi- rispose, con un sorriso pacato- simili discorsi avrebbero di certo messo in imbarazzo ogni pretendente degno di questo nome. -

Oceane ghignò.

-Non sono adatta alle nozze e, come se non bastasse, traggo un profondo piacere per l'insegnamento. Quale marito apprezzerebbe questo genere di cose?-disse, con un sorriso felino.

-Avete ragione.- mormorò Soledad, accarezzando il bordo della tazza con le dita affusolate- un uomo ama la tela bianca, no il foglio che già possiede i segni di un disegno da terminare. Sono davvero pochi coloro che apprezzano l'intelletto della sposa. I più preferiscono avere una splendida bambola da collocare nella propria casa, addobbandola a proprio piacere.-

Mademoiselle Treville inclinò leggermente la testa.

-Le vostre parole sono davvero curiose...per una donna del vostro lignaggio.- rispose.

Soledad si appoggiò sulla sedia.

-Appartengo ad una dinastia di mercanti e diplomatici. Solo Ester è nobile, sia pure a mezzo- disse, fissando un punto ben preciso della stanza.

Oceane si voltò in quella direzione.

Su una delle pareti era appeso un immenso ritratto di un uomo. Aveva degli splendidi capelli chiari e due occhi grigi dal taglio sfuggente, che davano al suo viso un che d'inquieto e malinconico. Indossava un kilt scuro con i colori del clan Mc Stone che, malgrado i toni scuri, dava chiaramente l'impressione di una sagoma imponente.

-Quello era vostro marito?- domandò.

La dama annuì.

-Era un uomo molto bello- commentò l'istitutrice.

-Era un uomo molto triste- rispose invece la donna, con un piglio mesto - ma ve lo racconterò un'altra volta. Non lo faccio spesso e, quando capita, mi ritrovo prostrata e priva di forze.-

Oceane scosse il capo. - Lady Mc Stone, le sono grata per questa piacevole conversazione ma trovo che sia il momento di tornare al mio lavoro. Spero che la cosa non vi affligga.-

-Affatto- rispose Soledad- potete andare, Mademoiselle.-

 

 

Non appena rimase sola, Lady Mc Stone guardò il ritratto.

Alistair era raffigurato in una posa che, lungi dall'essere trionfale, sapeva tanto di sconfitta. Sembra uno dei quadri di Friedrich le aveva detto una volta e lei non aveva osato dire niente.

Ora, pensare a quel pittore tedesco, la irritava non poco. I suoi personaggi, in ombra, inghiottiti dal paesaggio parevano costantemente sull'orlo del precipizio...lo stesso che Alistair, a sua insaputa, aveva sostenuto per tanti anni, prima di cedere. Soledad strinse le labbra. Ogni volta che pensava a suo marito, sentiva l'animo mozzarsi improvvisamente, preda di un dolore cieco e senza possibilità di assoluzione. D'istinto, si portò una mano sul petto.

Il medico le aveva detto che era perfettamente sana ma quel malessere era ben lontano dalla sua guarigione. Madre de Dios, datemi la forza per sostenere tutto questo fu il suo pensiero.

Improvvisamente, sentirono bussare alla porta.

-Avanti...ditemi pure, Sarasa- disse, vedendo la sua cameriera personale comparire sulla soglia.

-Signora- fece, fissandola incerta- ho appena ricevuto una lettera da parte di sua cognata.-

Il viso della dama si fece di pietra.

-Datemi subito la lettera- ordinò. L'indiana obbedì prontamente, ritraendosi non appena il foglio raggiunse il palmo della sua signora. Guardò gli occhi di Lady Mc Stone incollarsi alla carta, immersi nella più profonda contemplazione del messaggio.

-Sapete cosa dice?- fece, senza guardarla- Victoria, la mia cara Victoria, ha appena dato alla luce un maschio...-

Sarasa non disse niente.

-Afferma che, con questo bambino, ha tutte le intenzioni di reclamare la sua eredità...qualcosa di assolutamente inconcepibile- continuò, con un sorriso feroce in volto. L'indiana si portò una mano alla bocca, fissando il viso di Lady Mc Stone trasfigurarsi di furia. Solo una volta, aveva mostrato quel tipo di atteggiamento...ed era avvenuto alla morte del padrone.

- Ma questo figlio, che sta tanto sbandierando, non cambierà il testamento. Victoria es loca...pensar en hurtar mi herencia.  Yo soy heredera di mi hombre y ustedes debes resignar.-disse, greve.

Sarasa non commentò.

Non conosceva lo spagnolo ed era molto raro che la padrona se ne servisse. Chi l'avesse incontrata allora, avrebbe avuto molte difficoltà a riconoscerla. L'indiana sapeva a grandi linee quale fosse la causa del risentimento.

Lady Victoria, sorella di Lord Mc Stone, non aveva mai visto di buon occhio il matrimonio con Lady Soledad e tale disprezzo era reciproco. C'erano momenti, però, in cui la donna aveva come l'impressione che tale astio avesse radici ben più profonde, in una sorta di malevolo Pozzo di San Patrizio. - Lady Sweirlain verrà dunque a farvi visita?- chiese.

Soledad annuì.

-Lasceranno Amburgo non appena il bambino sarà nelle condizioni di poter viaggiare. Al momento, il piccolo non può farlo.- rispose - Quando verrà qua, mia sorella dovrà essere nelle condizioni di affrontarla. -

Sarasa strinse le labbra, non potendo che darle ragione.

Conoscendo il soggetto, non risultava difficile dover prendere tutte le misure possibili, per evitare il suo biasimo ed il conseguente pettegolezzo. Una sola parola ed il futuro della senorita Escobar sarebbe stato in pericolo. - Siete certa di quello che fate?- domandò - Mademoiselle Oceane è una persona bizzarra, sebbene sia ammodo. Credete sia opportuno circondarla di persone tanto bizzarre?-

Soledad si alzò dalla sedia.

- Ne sono assolutamente convinta- rispose- vivere sotto una campana di vetro non la proteggerà dai colpi della sorte. Sua madre ha fatto già sufficienti danni ed io devo provvedere, togliendole quelle sciocche idee morali che molte considerano come assolute. E'necessario intervenire, prima che lei comprenda come funziona questo mondo, dopo essersi messa in una situazione spiacevole.-

Sarasa la seguì con lo sguardo.

-Avete intenzione di confermare quelle nozze?- domandò, arricciando il naso.

Soledad prese uno dei fascicoli.

-E'possibile- rispose, con un sorrisetto sarcastico - ma prima voglio fare un esperimento. Voglio vedere se Renée è riuscita a rendere mia sorella una testa vuota o se, come spero, la sua operazione di renderla come una bambola, pronta ai desideri del primo offerente, non ha avuto pienamente successo. Oceane, con le sue maniere, le scrollerà di dosso quella crusca molesta...e poi, se ho ragione, vedremo quanto sarà innamorata di quel tale.-

 

 

Ester passeggiava per l'immenso giardino, seguendo la sua istitutrice.

-...e dunque, come affermavano gli antichi, il fiore diventa metafora e simbolo. Il suo essere non si limita più alla sua natura corporea ma diventa anche la metafora della donna, almeno secondo il trattato Roman de la Rose...mademoiselle Escobar, mi seguite?- fece Oceane, indicandole le varie piante. La ragazzina ascoltava muta, stringendo di tanto in tanto il blocchetto tra le mani. Quando le aveva detto che uscivano, si era immaginata di fare una lezione di disegno, non di letteratura.

Mademoiselle Treville le mostrava i fiori, spiegandole i significati e le varie simbologie. -...secondo quell'opera, la rosa è l'essenza stessa della donna, destinata solo alle anime nobili, indipendentemente dal loro lignaggio. Nel medioevo, si formò un nuovo concetto di nobiltà, del tutto estraneo all'idea del ceto di appartenenza.- continuò, prendendo una delle rose coltivate. Ester guardò il guanto della sua insegnante, fissando incantata la forma dei petali -Vedete, Miss?- spiegò, mostrandole i colori- il fiore ha la forma morbida e delicata ma occorre una cura particolare per poterne apprezzare le qualità. Allo stesso modo, gli uomini del Medioevo, per poter aspirare all'attenzione della donna amata, dovevano avere capacità intellettuali di un certo peso. Non era per tutti.-

Ester la seguì con lo sguardo.

- E ci sono vari tipi di rosa?- domandò.

Oceane annuì.

-Naturalmente- fu la risposta- ed ognuna ha un certo messaggio. Mai sentito parlare del linguaggio dei fiori?-

La signorina Escobar fece un cenno della testa.

In collegio, era  un argomento molto popolare ma lei lo aveva sempre disprezzato, considerandolo sciocco. A che cosa le serviva usare una pianta per comunicare un qualche stato d'animo, quando era la famiglia ad occuparsi delle nozze? Non aveva senso...e tanto era bastato per nutrire ogni disprezzo possibile.

- Sono sciocchezze- rispose, aspettando con impazienza di vedere la delusione della sua insegnante. Non amava essere irrispettosa ma trovava quella lezione del tutto inutile.

Oceane accarezzò pigramente il tessuto setoso di quelle piante.

-Avete ragione- concordò- sono sciocchezze quando si guarda al loro simbolo, quando si vede nel fiore uno strumento...ma non lo è quando si apprezza la sua forma ed il suo contenuto, quando si comprende che anche il fiore ha un suo esatto ciclo vitale che deve essere conosciuto, se si vuole mantenerlo nelle migliori condizioni di vita. Il mondo che vi è stato mostrato sinora, delineato dalle parole sapienti degli adulti, è poca cosa in confronto a ciò che è davvero. Dovete impararlo, se non volete avere delusioni e, forse, imparerete a disprezzarlo meno di ora.-

 

 

Capitolo corto e di passaggio. Ester comincia le sue lezioni, cozzando quasi subito con la sua istitutrice. Soledad, invece, sta avendo alcuni grattacapi con la cognata. I problemi che questa donna ha attraversato sono davvero notevoli, molti di più di quanti possiamo aspettarci. L'odio che nutre per Victoria ha radici molto gravi e, per il momento, la cosa deve bastarvi. Vorrei ringraziare i 4 coraggiosi che mi hanno messo tra le seguite e vi dico, fin da subito che se avete tempo per una recensione, la cosa non mi dispiacerà.

Ester è ancora piuttosto odiosa ma vedrete che, tra qualche capitolo, comincerà a riscattarsi.

Grazie a tutti.

cicina

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Come autrice, non posso fare a meno di essere felice di vedere che la storia sta catturando il vostro interesse. Vorrei spendere qualche parola in proposito. Il titolo della storia è tutt'altro che casuale. Si parla di legami...di cosa, sta a voi saperlo, a vostra libera interpretazione...ma tutto tempo al tempo, ok?

 

VI

 

 

Ester aveva contato ogni singolo giorno, sopportando con uno stoicismo che non le era proprio lo scorrere del tempo.

Nemmeno il tono divertito della signorina Treville aveva turbato il ritmo dei suoi pensieri. Mancava una sola settimana prima del ricevimento. Incontrerò Mister Von Gruhnweld si diceva, fissandosi nervosamente le mani. L'idea di poter incontrare finalmente il suo fidanzato, riempiva il suo cuore di gioia e tensione.

Si chiedeva se sarebbe stata capace di compiacere quell'uomo, se avrebbe mai avuto l'occasione di danzare con lui, se mai ci sarebbe stato modo di discorrere guardandolo negli occhi.

Fantasticava senza alcuna vergogna, con quel candore da farfalla in un barattolo che dava sui nervi anche all'animo più duro. Soledad la fissava da lontano, dall'alto del balcone. Quella notte non aveva dormito molto. Colpa degli incubi che non la lasciavano da 20 anni. Un lasso di tempo lungo a sufficienza da farle odiare Morfeo.

Come era innocente la sua sorellastra.

Del tutto ignara dello sporco che le gravita attorno si diceva, senza sorridere.

-Lady Mc Stone- chiamò Sarasa, sulla soglia della stanza.

-Parla- fece Soledad, senza degnarla di attenzione.

La cameriera non si scompose.

Era abituata all'assenza della sua padrona.

- La signorina Escobar manifesta impazienza. Desidera andare dalla modista di Covent Garden il prima possibile. Non riusciamo a tenere a freno la sua tensione.- disse, con l'ombra di un sorriso.

Lady Mc Stone ricambiò.

-Allora non dobbiamo farla attendere- sentenziò rientrando dentro, seguita dalla silenziosa indiana.

 

 

-FINALMENTE!- esclamò la ragazzina- Non riuscivo più a tenere a sopportare questa attesa.-

Soledad le  rivolse uno sguardo di scuse, ora a lei, ora a Mary che seguiva impacciata l'esuberanza della giovane. Forse aveva fatto un errore ad affidarla a quella giovane timida e posata...ma confidava che le loro diverse indoli potessero compensarsi. Ci voleva solo del tempo...e quello, se tutto andava come prevedeva, non sarebbe mancato. -Mi dispiace, sorellina- fece, passandosi una mano sulla fronte - ma ho avuto degli impegni con alcune lettere.-

Lei sbuffò.

-Coraggio!- disse paziente- Una dama ha l'onore e l'onere di rispondere alle lettere. Erano molte e necessitavano di una lettura. Se non lo avessi fatto, avrei offeso molte persone importanti...e questo non potevo permettermelo.-

Ester si morse il labbro.

-Per farmi perdonare, comprerò tutto ciò che desideri, a patto che non sia pericoloso od eccessivo, va bene?- disse Soledad, guadagnandosi gli strilli della più giovane. Allibita, fissò la ragazzina correre da una parte all'altra del cortile, seguita da una timida ed esasperata Mary che, vanamente, la supplicava di rallentare. Perplessa, posò la sua attenzione sulla sua cameriera personale...e lo stupore aumentò.

Sarasa stava sorridendo.

-Vi diverte?- domandò, senza dar segno di fissarla.

Lei si mise una mano sulla bocca.

Un sorriso d'ombra.

L'ombra di un sorriso.

Lady Mc Stone non indagò oltre.

-E'davvero raro vedere una simile vivacità in questa casa. Male non farà, questo è certo- disse. Lei non era mai stata così vitale. Non aveva mai avuto un simile privilegio, né durante l'infanzia, né ora  che era una donna fatta. Se mai era cominciato, tutto questo era finito quando era una bambina piccola e silenziosa. In una notte buia...in corridoi scuri e freddi.

-Padrona- disse allora Sarasa- state tremando.-

Soledad si riscosse.

-Grazie- fece.

La carrozza, intanto, arrivò e insieme lasciarono la dimora.

 

 

Covent Garden era un luogo molto famoso nei pressi di Londra.

Lì confluivano i principali negozi e mercati del posto: modiste, sarte, cappellai...il luogo di culto per ogni dama che si rispettasse. Ester fissava tutto con entusiasmo sempre maggiore le insegne che vedeva dalla carrozza.

-Vi vedo felice- disse Soledad.

Sentendo la voce della sorella, la minore si raddrizzò.

-E'molto tempo che non vi recate qui?- chiese pacata.

Ester si guardò le mani.

-Le istitutrici non approvavano. Dicevano che solleticare troppo la propria vanità nuoce al conseguimento della gioia a cui una signorina per bene può aspirare.- fece, lanciandole un'occhiata eloquente.

Lady Mc Stone non si scompose.

Sistemò con movimenti decisi e aggraziati il cappellino che portava sulla testa, prima di guardarla fisso in un modo che ebbe il potere di inchiodare la ragazzina sul posto. -Mi auguro- fece, con uno sguardo strano- che una volta che io vi avrò mostrato lo sposo che tanto ammirate, vi rendiate conto che quello, forse, non è il migliore dei mondi possibili. Io vi do una scelta che nessuno ha mai avuto...spero che tale generosità sia ben spesa nei vostri confronti.-

Ester fece per rispondere ma venne interrotta dal cocchiere che aprì la carrozza.

Per quel giorno, decise di mettere da parte il fastidio che, talvolta, provava verso quel tono che sapeva di sufficienza e di qualcos'altro che in quel momento non sapeva descrivere. Malgrado l'educazione avesse condizionato la sua indole, vertendola verso percorsi ameni e frivoli, non era così leggera da non vedere la spaventosa differenza tra la ragazza che era cresciuta con lei e la donna che aveva di fronte.

La Soledad del passato aveva un'indole introversa e gentile.

Lady Mc Stone, invece, pareva una fortezza inespugnabile, distante da tutto e tutti...ma questo aspetto, la ragazzina lo avrebbe visto con maggiore forza durante quel ricevimento.

Per il momento, si perse nella vista dei vari luoghi.

 

 

 

- Milady!- esclamò la modista, venendole incontro- E'per me un immenso onore vedervi qui! Se mi aveste informato per lettera, vi avrei fatto avere una copia del catalogo dei nuovi capi, provenienti dalla Francia e...-

Soledad la bloccò con un cenno.

-Sapete meglio di me che la visione diretta delle stoffe è indispensabile per la scelta dell'abito. Inoltre, mi sarei tolta l'immenso piacere di vedere i vostri capolavori. Non potevo mancare.- rispose con garbo.

La donna annuì, con un entusiasmo quasi spontaneo.

-Naturalmente, miss- disse, prima di voltarsi verso la ragazzina che stava accanto - e questa leggiadra fanciulla?-

Ester sussultò, poco abituata a quell'attenzione.

In collegio, quel genere di cose era poco frequente. La divisa della scuola ed i severi limiti per gli oggetti che ognuno doveva possedere stroncava molte vanità...anche se era sufficiente fare qualche donazione alla direttrice per mettere a tacere tutto.

Istintivamente, chinò la testa, arrossendo un po'.

-Oh!- sospirò la sarta- E'davvero graziosa! Che occhi...e che viso innocente e angelico!-

In pochi minuti, la donna cominciò a tessere lodi di vario genere sulla sua bellezza, qualcosa che non le era mai capitato di ricevere. Sua madre, le rare volte che la visitava, era piuttosto avara nei complimenti e, se lo faceva, erano accompagnati sempre dal nome di Lord Von Gruhnweld. Impossibile, quindi, non associare la propria felicità a quel nome...anche se per ragioni puramente strumentali. -Per cortesia- intervenne allora Soledad, notando l'imbarazzo della più piccola- avremo bisogno di vedere alcuni modelli, Miss Sunday. E'necessario provvedere al guardaroba di costei in modo celere e professionale.-

Sentendo quelle parole, la sarta si riscosse.

-Naturalmente, Lady Mc Stone- disse, come se fosse ovvio- e per quali occasioni, se è lecito chiedere?-

La dama si passò una mano sulle labbra.

-Prima prendete le misure della ragazza, al fine di evitare possibili errori- fece, con un'occhiata sbrigativa. Miss Sunday non fece una piega. Era una prassi frequente che le madri, o le donne sposate, si occupassero dell'abbigliamento delle loro protette per cui non rimase affatto sorpresa dalle parole della donna.

-Prego, Miss- fece, indicando uno sgabello a Ester- salite sopra. Prenderemo le misure per i vostri eventuali abiti. Ci vorrà poco.-

La signorina Escobar obbedì e, con  un filo d'eccitazione si pose sopra.

Subito le assistenti di Miss Sunday la attorniarono, commentando le varie qualità fisiche della giovane, con sussurri a stento udibili dall'interessata. Approfittando di quel momento di distrazione, la dama si avvicinò alla sarta. -Miss- fece- avrei bisogno di parlarvi un momento, in privato.-

 

 

 

Miss Ann Sunday era una donna molto allegra e apparentemente frivola. Conosceva i fatti di tutto e tutti, mantenendo allo stesso tempo, una riservatezza che cozzava aspramente con il suo amore per il pettegolezzo. Sposata con un irlandese proprietario di una distilleria, aveva aperto l'atelier per un capriccio personale, scelta che, grazie alla sua precisione e alla naturale versatilità in suo possesso, aveva fatto lievitare non poco i guadagni della sua famiglia.

Soledad la conosceva abbastanza bene, dal momento che era la persona a cui di solito si rivolgeva per i suoi abiti. Una volta giunta nel minuscolo studiolo, dove teneva i conti del negozio, su invito della proprietaria si sedette.

-Milady- fece questa- sono davvero stupita di questa richiesta. Non mi sarei mai aspettata che chiedeste a me, umile sarta, di parlare in privato.-

La dama scosse il capo. - Mio marito era nobile...non certo io. E'del tutto impossibile che l'essere aristocratico possa trasmettersi alla mia persona in questa maniera. Mio padre era un borghese, molto ricco ed influente, ma di piccolo stampo.- si schermì.

Non amava parlare molto del signor Escobar. Al contrario di Ester, aveva conosciuto dappresso la natura del genitore e non era un argomento su cui amava molto conversare. -Ad ogni modo, sono qui per chiedervi la preparazione di un guardaroba completo. Mi sono fatta carico della sorte della signorina, dal momento che la sua famiglia d'origine versa in difficili problemi economici. Conto di provvedere con la massima cura al suo debutto e mi aspetto da voi la massima discrezione  su questo problema. -fece, abbassando la voce.

Miss Sunday annuì. -Naturalmente- convenne- non siete la prima a fare simili richieste e devo ammettere che la generosità di cui ora fate sfoggio è davvero encomiabile. Non mi sorprende che la buonanima di Alistair abbia perso la testa per voi, sposandovi malgrado fosse di ceto e sangue superiore al vostro.-

A quelle parole, cadde il silenzio.

-Mi è giunta voce- iniziò Lady Mc Stone con fare distratto- che quel carico proveniente da Caen non vi sia ancora giunto...questioni di frontiera imbarazzanti, del tutto inadatte alle orecchie di una donna così raffinata quale siete voi. Potrei parlare con il segretario dell'ufficio preposto e risolvere il problema in tempi accettabili.-

Ann si umettò le labbra.

- E, di grazia- fece, passandosi una mano sul naso- qualora fosse per voi possibile sciogliere questo inconveniente, cosa vorreste in cambio?-

Soledad si passò una mano sul sunbonnet. Qualche ricciolo scivolava sulla sua pelle chiara e priva d'imperfezioni, disegnando strani arabeschi. -Un 'inezia- disse- vorrei che teneste privato tutto quello che riguarda la ragazza che mi ha accompagnato qui. Non voglio che agli orecchi delle persone che contano si venga a sapere di questa mia iniziativa. Questioni di reputazione, mi capite? Il parente di quella fanciulla mi fece un grande servizio in passato e, diffondendo la notizia, metterei in grave difficoltà quella persona.-

Se Miss Sunday aveva creduto o meno alle parole della donna, questo, Soledad non lo seppe mai. L'unico metro per giudicare il suo silenzio era il peso del nome di Alistair...ed ebbe la conferma di tutto questo, dall'entusiasmo con cui la donna accettò la proposta che le aveva fatto.

 

 

 

Ester sbuffò.

Sua sorella era sparita da almeno venti minuti e lei, dopo aver preso le misure necessarie, era stata lasciata in un angolo. Il suo momento di gloria, quando era oggetto della curiosità delle assistenti, era terminato piuttosto in fretta...troppo per poterlo assaporare appieno. Stizzita da quel pensiero poco allegro cominciò a curiosare per il negozio, fino a giungere ad un separè che sapeva tanto di cineseria.

L'atelier di Miss Sunday era più grande di quanto si aspettava, tanto che non sapeva davvero come fare per tornare indietro. E adesso? si chiese, incerta. Stava per fare marcia indietro, quando una voce, proveniente dallo spazio oltre la parete divisoria, non attirò la sua attenzione.

Ester si bloccò.

Era una risata maschile.

-Ehi Cedric!- esclamò una voce bassa e vagamente nasale- Con questo abitino sembri davvero un piccolo lord!-

Incerta la ragazzina notò una fessura nel separé. Da quel minuscolo taglio quasi perpendicolare, poteva vedere la luce di quello che doveva essere, a conti fatti, il camerino di uno spogliatoio maschile...quel pensiero la fece avvampare. Madre de Dios! Questa è la cosa più imbarazzante che mi sia mai capitata in vita mia! fu il suo primo pensiero.

Eppure, l'occhio sembrava avere tutt'altre intenzioni, malgrado la ragione gridasse continuamente allo scandalo. Rimase incerta sul da farsi per un periodo abbastanza lungo, tanto da sembrare una bella statuina di certa, mentre lo sguardo percorreva le sagome oltre quel buco.

- Che vuoi che ti dica, James?- fece l'interessato, con un tono annoiato e divertito al tempo stesso- Mio zio ha bisogno della mia presenza!-

Ester sussultò.

-Ma dai!- fece- Prisca è una carissima ragazza...molto ammodo e obbbediente...-

Di nuovo quella risata.

-Appunto- fece colui che si chiamava Cedric- è una bella bambolina vuota, adatta a figliare e tremendamente noiosa, come solo le scuole inglesi sanno partorire. Mi annoierò a morte a quella cena e, come ben sai, sua madre sta scalpitando per farmi fidanzare con lei...immaginati la noia!-

-Sei davvero difficile - commentò l'amico- ma cosa vuoi aspettarti da una fidanzata? Non serve che sia divertente e affascinante...basta sposarla, farci dei figli e via. Per un intrattenimento, ci sono sempre le prostitute! Tua madre non si lamenterà, tuo zio avrà finalmente un po'di respiro e tu potrai fare i tuoi comodi senza pensieri.-

A quelle parole, sentì uno sbuffo.

-Appunto, James- fece seccato- per un fastidio del genere, potevano pure attendere un po'. Devo fare la tesi di laurea e Eton e non ho alcuna intenzione di perdere il mio tempo dietro ad una pupattola isterica. -

-Ah, dimenticavo i tuoi studi da scolaro diligente- commentò l'altro- la tua solerzia sta diventando irritante ma devo ammettere che sei stato molto bravo ad approfittarti delle tue qualità per mettere da parte qualcosa.-

Partì una nuova risata.

-Cosa vuoi che ti dica? Per tutti sono solo l'erede della fortuna di mio zio, un borghese di origini quasi oscure che immeritatamente si prenderà il denaro del vecchio alla sua morte...ma sai che ti dico? Che pensino ciò che vogliono! Ho sperimentato lo snobismo dei lord abbastanza a lungo da non temerlo. Io non ho alcun interesse a far parte della loro cerchia, checché ne dica lui. Per ora metto da parte qualcosa, in previsione di un eventuale eccesso di disapprovazione che riceverò da parte di quel tipo.- disse, con un filo di disprezzo.

Ester si avvicinò, abbastanza da poter vedere i due.

Il tipo che si chiamava James era alto e tarchiato, leggermente in sovrappeso...ma quello che la colpì maggiormente fu quello che si chiamava Cedric. Era alto e ben proporzionato, moro. Dal riflesso che vedeva allo specchio, inoltre, poteva vedere un viso decisamente armonico, dai lineamenti un po'spigolosi forse ma che tuttavia non guastavano all'insieme. Gli occhi, invece, erano chiari, simili al ghiaccio.

La giovane arretrò.

Quelle parole l'avevano profondamente ferita...eppure non doveva essere così.

La Bedford le aveva dato un'istruzione che volgeva in quella via e, fino a quel momento, aveva seguito quella strada senza troppi pensieri. E non poteva che essere così, del resto. Lo scopo di ogni figlia era combinare un buon matrimonio...e lei non aveva mai obiettato, se questo significava ricevere la considerazione di sua madre. Renée era sempre stata una donna avara di affetti eppure, quando le aveva comunicato la notizia di un suo possibile fidanzamento, aveva cominciato a trattarla con moine e gentilezze varie, che avevano dissetato il suo cuore arido.

Perché quella persona aveva sputato tanto fiele per quella felice soluzione?

Non era forse questo ciò che la società si aspettava da loro?

Ester, in quel momento, non riusciva a comprendere l'assenza di entusiasmo per un simile fine. Cresciuta in una gabbia, schiava della solitudine e di affetti mercenari, non aveva mai avuto modo di pretendere per sé stessa qualcosa di più appagante. Era ancora un uccellino, con le ali di vetro.

I suoi pensieri però vennero interrotti dal rumore di un coccio rotto.

Voltò di scatto la testa, scoprendo con terrore di aver urtato uno dei vasi presenti in quel corridoio.

-CHI E' LA'?- domandò il giovane di nome James.

Ester non attese oltre.

Prima che l'altro potesse varcare il separé, mosse rapida i piedi, correndo via, lontano da quella situazione assolutamente imbarazzante. In quel momento, la paura di essere scoperta e tacciata quindi di sfacciataggine, le aveva impedito di soffermarsi troppo sull'aspetto dei due...anzi, quel particolare venne deliberatamente accantonato via, come se fosse una materia scottante e vergognosa. Troppo presa dalle ripercussioni morali di quell'episodio, la signorina Escobar non si soffermò sui particolari estetici dell'uomo che aveva intravisto oltre il separé. Ancora una volta, il pudore vittoriano che le era stato inculcato fin dalla culla e l'irritazione per le parole che aveva udito, avevano messo in secondo piano quell'immagine. Ester fece ogni sforzo per non pensarci, riuscendo a dissimulare abbastanza bene ogni emozione in presenza della sorella, per tutto il resto del giorno.

Non aveva previsto però che quegli occhi e quella schiena, appena visibile sotto la camicia, l'avrebbero perseguitata durante la notte...e per quelle a seguire come una sagoma peccaminosa e, insieme, conturbante al punto da non rendere il nome di Lord Von Gruhnweld abbastanza solido da scacciare quel demone tentatore. Una conseguenza inevitabile, dal momento che era il primo uomo che Ester avesse mai visto con i suoi occhi.

 

Grazie a Diana924 per avermi recensito finora e a coloro che mi hanno letto, compresa gaarakame e le lettrici che mi hanno messa tra le seguite. La storia comincia a muoversi e, per il momento, la persona che vediamo meglio è Ester. L'acquisto di abiti la porta ad avere a che fare con l'altro sesso, con conseguenze un po'imbarazzanti per la nostra ragazza. Teniamo conto che sono 10 anni che sta in collegio e questo spiega il suo atteggiamento pedante e un po'fastidioso. E'una brava ragazza ma, per quieto vivere e per ricevere un minimo di considerazione, ha assunto il comportamento che vedete. Sta già cambiando, anche se i mutamenti sono impercettibili. Soledad, intanto, si occupa di darle un guardaroba, dal momento che la madre ed il padre hanno dilapidato tutto.

Ha tutte le intenzioni di proteggerla, sappiatelo.

Tornando agli aggiornamenti, spero di fare il prossimo capitolo il prossimo finesettimana e vi ringrazio per avermi letto sinora. Quanto alla cronologia, essendo in buona parte immigrati, non ci saranno dei veri riferimenti alla monarchia, a meno che non sia necessario...un 1800 sui generis insomma. Grazie a tutti.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Mi fa molto piacere sapere che questa storia piace. Non fatevi scrupolo a commentare perché lo apprezzo molto. Grazie ancora.

 

VII

 

Il silenzio della sorella preoccupò non poco Soledad.

Fino a quel momento, Ester aveva dato prova di una notevole parlantina ed ora quell'assenza di rumore la lasciava perplessa. Avevano consultato vari modelli, decidendo un guardaroba di base capace di essere adatto ad ogni evenienza: dall'incontro informale, alla messa della domenica, ai ricevimenti di qualche amica, alle semplici passeggiate all'aperto.

In quel momento, si trovavano lungo le strade londinesi, per una passeggiata che serviva a riempire il tempo che le separava dalla cena. Soledad aveva preso quella decisione per non annoiare la ragazzina, anche se la sua botta d'assenza sviliva gli sforzi di recuperare quell'odioso tempo di separazione, indotto da Renée.

-Prima o poi - fece, rompendo la cappa di quella quiete anomala- dovremo decidere l'abito per il vostro debutto. Naturalmente, per il colore, non abbiamo molte variazioni. E'buon costume che sia bianco ma preferirei che sceglieste con me la tipologia di vestito.-

A quelle parole, Ester cadde dalle nuvole.

-Ma non ne abbiamo già a sufficienza?- chiese, quasi stupidamente.

Soledad si fermò.

-Non per il vostro debutto- fu la risposta laconica, prima di riprendere la passeggiata -Ho notato al vostro arrivo che l'entità degli abiti è davvero poco rilevante e questo va a scapito della buona immagine che ogni gentiluomo e gentildonna devono avere di voi. Quando andremo a quel ricevimento, dovrete essere assolutamente impeccabile. Non dubito che i vostri modi, come dama di compagnia, sapranno essere squisitamente impeccabili ma immagino che sappiate che anche l'occhio voglia la sua parte.-

Ester annuì.

-Mi auguro però che la riprendiate la vostra parlantina- proseguì la maggiore- è davvero disdicevole per una fanciulla prediligere in tal modo il silenzio...ditemi, cosa vi ha turbato al punto da togliervi l'uso della parola?-.

La ragazzina si fermò.

Da quando erano uscite, non aveva fatto altro che ripensare a quella conversazione che aveva udito dall'altra parte.

Ne era rimasta certamente ferita...se non altro perché aveva impiegato 10 anni della sua esistenza nel perfezionare certe qualità del suo essere. Le chiacchiere di quei due giovani, però, le avevano mostrato, senza neanche troppa delicatezza, quanto poco tali sforzi contassero. Non c'erano complimenti, non c'erano lodi fuori dalla Bedford's...e questo riconoscimento mancato la feriva non poco.

Inoltre, la vista di quella schiena atletica la imbarazzava non poco.

-Cara Ester- disse improvvisamente Soledad- cosa ne dite, se andiamo a vedere   The Temple of the Muses, Lackington Allen & Co bookseller, Finsbury Lane ? Ho sentito che hanno appena pubblicato dei nuovi libri.-

Ester la guardò sorpresa.

Non essendo mai uscita, si era dovuta accontentare, volente o nolente, dei racconti delle sue compagne di collegio le quali, sapendo che, a differenza sua, avevano un appoggio familiare assai più solido. La ragazzina non amava quei ricordi perché le mostravano, in tutta la loro inclemenza, quanto sua madre si fosse disinteressata alle sue esigenze, rammentandosi di lei solo quando aveva delle notizie di Lord Von Gruhnweld. - Prima di andare, però, ritengo doveroso portarvi a gustare del té come si deve ed un bel piattino di macarons...ah, se Mademoiselle Treville fosse venuta a sapere del mio proposito, avrebbe rimpianto assai la sua scelta di rimanere nella mia dimora, voi non credete?- disse, con un sorriso tiepido.

Il primo che lei aveva mostrato dal suo arrivo...ma questo aspetto, passò inosservato, dal momento che i pensieri della ragazza vertevano su altri lidi. E, per la precisione, una schiena ampia e visibilmente maschile che ancora non si era decisa a lasciare i suoi pensieri.

 

 

Sulla 145 di Fleet Street si trovava uno dei pub più antichi di Londra, luogo di ritrovo di molti studenti appassionati di poesia. Sulla porta, c'era un rachitico pappagallo, acquistato recentemente dal proprietario come ennesimo richiamo per gli avventori che, vedendolo, lo avevano nominato come loro portafortuna. Qua e là si discutevano di varie cose: dallo scandalo più recente all'ennesima stranezza di quell'eccentrico di Wilde che, con le sue commedie, metteva in ridicolo la morale comune.

James si guardò attorno, trascinandosi dietro il suo riluttante amico, tra l'atmosfera fumosa e vagamente goliardica del locale.

-Avanti- esclamò- non fare il misantropo! Non succederà niente!-

Cedric lo fissò annoiato.

-Ah no?- fece- Dimentichi forse che l'altra volta abbiamo incontrato i figli dei Clifford, fratelli della cara Jane...oppure di Roger Manford, cugino dell'adorabile Mary-

-Carissime fanciulle- commentò James.

-Noiosissime piattole, vorrai dire- rispose Cedric, guardandosi attorno- ogni volta che mi rivolgono la parola, devo impiegare ogni centimetro possibile del mio autocontrollo per non essere irrispettoso verso di loro...questo, ovviamente, non garantisce che un simile rispetto sia reciproco. Credimi James, a volte, ho come l'impressione di essere un agnello spolpato in mezzo ai lupi. Da quando lo zio ha deciso di mettermi a parte dei suoi affari, dimostrando che sono destinato a partecipare all'attività di famiglia, sono perseguitato da questo sciame di mosche. A volte, vorrei che non mi avesse adottato.-

In silenzio, si avviarono al bancone.

-Beviamoci su, via- fece l'amico- DUE BOCCALI DI BIRRA!-

Cedric scosse il capo.

- Pensa solo che l'attenzione di tuo zio significa un riconoscimento per la tua famiglia e per tua sorella che potrà avere un futuro meno difficile, grazie a questo colpo di fortuna.- lo rassicurò James.

L'altro bevve un sorso di birra.

-Sarà come dici- sentenziò, prima di aggrottare la fronte- comunque non permetterò ad un debosciato come te di chiedere la mano della mia Ann.-

A quella velata minaccia, James scoppiò a ridere fragorosamente.

Sapeva benissimo quanto Cedric fosse geloso della sua sorella minore...ma non poteva fare a meno di stuzzicarlo. Era un passatempo irrinunciabile per lui, anche se questo significava venire alle mani con l'interessato. -Comunque- osservò- prima o poi dovrai sposarti...e se non sarà la cara Jane o l'adorabile Mary, sarà senza dubbio una donna insipida e irritante, buona per badare alla casa ma mortifera per i tuoi nervi.-

Cedric si concesse una sana risata.

Il suo amico possedeva un umorismo tagliente e tipicamente britannico, degno di quell'eccentrico di Oscar Wilde. Aveva talvolta visto le sue commedie, in barba alla disapprovazione che sua zia provava per quel tipo e non gli dispiacevano. -Preferirei che questo dovere arrivasse il più tardi possibile ed è proprio per questo motivo che sto mettendo da parte qualcosa. Non voglio essere ricattato da quel vecchio pazzo. Ha sicuramente seminato più bastardi lui di ogni altro nobile inglese su questa terra beffarda...perché diavolo dovrei essere io il suo pupillo?-

James bevve il suo boccale.

-Vuoi sapere perché, sporco Yankee?- domandò ironico- A differenza di quelle donnette dei tuoi cugini, non hai mai leccato il culo a qualche tizio con una qualche ascendenza araldica, sei brillante, colto, non ti fai fregare dalle debolezze e non abbassi mai la guardia...vuoi che continui?-

Cedric sbuffò.

Non si vergognava delle sue origini e se era a Londra era solo perché sua madre non aveva più di che mantenerlo.   Lo zio lo aveva preso con sé, cominciando la sua educazione e lui non era il tipo da ripudiare comodità simili. -Sarà vero come dici- continuò- ma spero che non cominci ad accarezzare l'idea di farmi sposare qualcuno. Voi inglesi sapete essere orribilmente ingessati, troppo per i miei gusti.-

James ghignò.

-Sarà come dici- fece sfacciato- ma è anche vero che questi damerini hanno il Mondo ai loro piedi...e per ora conviene adattarsi, no?-

 

 

Soledad osservava distrattamente i soffitti a grottesca del palazzo.

Madame Pertignac era seduta sulla poltroncina di fronte alla sua, con indosso un abito chiaro. Malgrado non fosse più nel fiore degli anni, era ancora decisamente affascinante. Nessuno stupore, quindi, se suo marito era stato un suo devoto ammiratore. -Sono davvero onorata di avervi nella mia umile dimora- esordì la dama- quando vi ho scritto, mai avrei pensato di vedervi qui.-

Lady Mc Stone sorrise comprensiva.

-Ho apprezzato da sempre la vostra voce. Siete uno dei mezzosoprani più dotati del nostro tempo. E'davvero un peccato che abbiate lasciato le scene.- mormorò, sincera.

-Non dovete nemmeno pensarlo- ribatté la donna- era inevitabile per me lasciare il palco. I miei due figli mi impedivano di continuare. Non potevo calcare le scene e insieme gestire una gravidanza.-

-Alistair fu molto comprensivo e, intuendo le conseguenze del mio abbandono, mi offrì un vitalizio di cui tuttora godo. - disse- Avrei preferito passare questo mio ritiro insieme a Robert ma, come ben saprete, non si può avere tutto.-

Lady Mc Stone non commentò.

Motivi di tatto.

Chiunque sapeva della storia d'amore tra Madame Pertignac e Mister Robert Place. Quest'ultimo si era invaghito di lei, seguendola ovunque ed accompagnandola per le sue tournée come il re dei cicisbei. Un uomo amante del bello e delle donne che aveva irretito la regina dei mezzosoprani, inducendola ad andare a vivere con lui. Ne era venuto fuori uno scandalo, giacché Mister Place era sposato...e, comunque la fuga durò poco: una volta finiti i soldi, per non perdere tutto, Mister Place tornò strisciando dalla moglie, la vera artefice della sua condizione benestante...e per Madeleine fu la fine. Lo scandalo colpì esclusivamente lei, equiparandola ad una donna di dubbia moralità. Nessuno la ingaggiò più per il canto e, come se non bastasse, era rimasta incinta di quel tale.

- Mio marito era molto buono e comprendo bene le vostre ragioni. Nemmeno io l'ho mai odiato- disse Soledad con un tono comprensivo.

Madame Pertignac scosse il capo.

-Siete una delle visite che preferisco, questo lo sapete bene Lady Mc Stone. Ignoro tuttavia le ragioni che vi hanno spinto a venire qui. Posso saperle?- disse, prendendo il té.

Soledad si passò una mano tra i capelli.

-Si tratta di quanto accaduto cinque anni or sono- disse grave.

Il viso della dama si piegò in una smorfia dolorosa.

-Voi siete colei che, oltre a Sarasa e a pochissime altre persone, conosce quanto accaduto, dal momento che confido nella vostra discrezione nella maniera più assoluta. - cominciò- Eppure, come ben sapete, non posso essere completamente serena.-

-La vostra matrigna non vi ha detto che fine ha fatto il bambino, non è così?- domandò accigliata.

Soledad strinse le labbra piene.

-Mi ha sempre odiata...ed è un sentimento reciproco. Non ho amato lei e nemmeno mio padre, se è per questo. Togliergli Ester è stato, in fondo, un giusto castigo, sempre che le sia importato qualcosa del sangue del suo sangue.- disse- Non la biasimo troppo, comunque. Mio padre la sposò quando era troppo in là con gli anni...ma scaricare su di me la sua frustrazione è qualcosa che non posso tollerare.-

Madeleine prese uno dei biscotti che se ne stavano appoggiati sul tavolo. - Comprendo la vostra piccola vendetta- disse- ma non capisco a cosa vogliate giungere con questo discorso. Vostra sorella era fidanzata?-

Lady Mc Stone sospirò. -Non ufficialmente- rispose- Pare che volesse maritarla con Lord Von Gruhnweld, per sanare alcuni debiti che il nuovo marito di Renée aveva contratto con quest'ultimo. Un matrimonio a strozzo...mi ricorda tanto il mio, sapete?-

Madame Pertignac chiuse gli occhi.

-Vi siete comunque vendicata, allontanandola da Londra e dalla Bella Vita per spedirla in un posto isolato...senza contare che le avete tolto l'unica pedina che poteva usare.- mormorò -Non vi basta tutto questo? Scaricare la vostra rabbia non vi ridarà indietro ciò che vi è stato tolto.-

Lady Mc Stone accarezzò piano il ciondolo che portava al collo.

Un'opale che si mischiava quasi alla sua pelle d'alabastro, rendendola più eterea e sfuggente del solito. -Io non ho mai avuto ambizioni e se c'è una cosa che ho imparato è che non ci si può fidare degli uomini. Alistair è stata la spalla a cui appoggiarmi ma era un sostegno fragile, del tutto impotente contro lo strappo che tuttora porto dentro. E'stata una delle poche eccezioni che mi siano state concesse, dopo la distruzione della mia infanzia e la lacerazione che Renée mi ha inferto, per mero capriccio.- fece malinconica, prima di riscuotersi- Oh, perdonatemi, queste non sono chiacchiere degne di un salotto.-

Madeleine la guardò con indulgenza.

-Non ne avete motivo. La famiglia della moglie di Robert mi ha ostracizzato e non sono così inflessibile in termini di etichetta. Credete veramente che ricamerei qualche pettegolezzo in proposito?- chiese retorica.

-No- si affrettò a dire- certo che no.-

Madame Pertignac si passò una mano sul collo. - Comunque sia vi riferirò quello che ho saputo. Cinque anni fa, mentre voi eravate nella dimora dei Mc Stone, la vedova di vostro padre venne nella vostra dimora, precedendo di pochi giorni l'arrivo di vostra cognata. Ero nel mio piccolo cottege estivo, poco distante da casa vostra, quando vidi la sua carrozza uscire frettolosamente dai cancelli della villa di vostra proprietà. Era diretta a Londra, per la precisione nella zona settentrionale.- riferì.

Soledad si portò una mano sulla bocca.

-Mi sono poi permessa di mandare uno dei miei servi al suo inseguimento. Perdonate l'ardire ma quel passaggio mi parve assai frettoloso. Questi mi disse che la vostra matrigna si diresse in una struttura nei pressi del palazzo reale, accanto ad una minuscola sinagoga.- riferì- Lì c'era una ruota e, senza farsi vedere, vi depose dentro qualcosa. Poi suonò il campanaccio e si allontanò.-

Lady Mc Stone si passò una mano sulla fronte.

-Perché non me lo avete detto?- domandò.

Madeleine sospirò.

- In quei giorni, non sono riuscita a rintracciarvi. Vostra cognata aveva deciso improvvisamente di passare da queste parti e, non volendo creare problemi ulteriori, sono rimasta in casa. Pensa che sia stata l'amante di vostro marito e mi odia cordialmente. - rispose, con aria di scuse.

A quelle parole, seguì il silenzio.

Il volto della vedova di Alistair Mc Stone era avvolto da una strana nebbia di tensione. Sapeva che la sorella di suo marito aveva passato del tempo da quelle parti. Si era addirittura presa il disturbo di farle visita pochi giorni dopo l'arrivo di Renée...a quel pensiero chiuse gli occhi. Se era rimasta in piedi, combattendo contro la debolezza, era stato unicamente merito della sua incrollabile forza di volontà.

La stessa che, a nove anni, le aveva permesso di riprendere l'uso delle gambe completamente.

Madame Pertignac aveva sempre ammirato quella donna.

Composta e per nulla vacua, con una serietà che la rendeva più una sopravvissuta che una debuttante. A volte, le sembrava l'uomo dei ritratti di Friedrich, solo di fronte alla grandezza del Mondo.

- Vostro marito, a modo suo, vi voleva molto bene- commentò- e sono felice di vedere che quel sentimento fosse reciproco. Mi dispiace molto non potervi dare altre informazioni, però.-

Soledad scosse il capo.

-Avete fatto davvero un ottimo lavoro, invece- rispose- ora, però, vorrei parlarle di mia sorella Ester.- fece, con un sorriso pacato.

-La figlia della seconda moglie di vostro padre- osservò Madame Pertignac.

Lady Mc Stone annuì.

-Come vi ho accennato prima- proseguì- Renée, dopo aver dilapidato insieme al suo attuale compagno il denaro che mio marito, in cambio delle nozze, aveva loro concesso, secondo gli accordi matrimoniali pattuiti, ha contratto una nuova serie di debiti. Sapete inoltre che Renée è figlia di un nobile decaduto e che ha uno smodato interesse per il lusso. Il suo titolo e le influenze che sembrava poter avere grazie al suo nome, attirarono l'avidità di mio padre, il defunto Ignatio Escobar. Ora, comunque, si trovava nuovamente in serie difficoltà economiche, al punto da spedire Ester in quegli sciocchi collegi per ragazze di ricca famiglia, al fine di non dar l'impressione di essere pieni di debiti. Mia sorella non ha mai saputo niente. Sua madre è stata molto abile nel dissimulare tutto questo ed ha pensato bene di tentare di troncare i rapporti tra me e la mia sorellastra, così da poterla ridurre meglio all'obbedienza.-

-Tipico di quell'arrivista- commentò Madeleine, con tono disincantato- e suppongo che quello stato di cose sia servito a lavorarsi meglio l'obbedienza di vostra sorella.-

Soledad annuì.

- Quando si è presentata da me, ho notato che ha indossato abiti piuttosto ricercati ma fuori moda...non abbastanza da non insospettirmi. Mi è stato subito chiaro che la situazione era la medesima di dieci anni fa. Non potevo assolutamente permettere che la storia si ripetesse.-spiegò, stirando le labbra- Adesso capite perché vorrei che diceste che porterò con me una dama di compagnia. Dal momento che conoscete la padrona di casa, vorrei che mi appoggiaste nel sostenere questa versione.-

Madeleine sorseggiò il té.

-Il vostro ragionamento è segno della vostra indubbia intelligenza. Sapete benissimo che Lord Von Gruhnweld sarà presente al ricevimento...ma non credete che sia un rischio?- obiettò, senza aggiungere altro.

Soledad sospirò.

-Me ne rendo conto infatti- rispose- ma proprio perché siete amica di Alistair, tanto quanto lo sono io, vorrei che questa confidenza rimanga nella più assoluta segretezza. Finché Ester non vedrà di fronte agli occhi il crudele inganno di sua madre, non potrà mai scegliere davvero...ed io voglio che sia felice...anche più di me.-

 

Ester si accoccolò nella grande poltrona dello studio di Lady Mc Stone.

Piano alzò la testa sul soffitto, fissando in silenzio le grottesche che lo decoravano. Indubbiamente, risalivano sicuramente ai tempi della dinastia Stuart ma non poteva stupirsene. Il marito di sua sorella era scozzese, e quindi cattolico. Non aveva mai ricoperto incarichi politici d'azione. In compenso, era un fine intellettuale e, se Soledad ora insisteva tanto nella sua istruzione, il merito doveva essere di quell'uomo tanto serio e triste che sua sorella aveva sposato.

Con un gesto deciso si mise in piedi.

Aveva gironzolato per la casa come un viandante in mezzo alla boscaglia...ma non aveva visto molto. Rashid si era offerto di farle da guida ma lei aveva declinato la cosa. Malgrado fossero passati dei giorni, nutriva la più assoluta diffidenza verso gli indiani. Non le piacevano e non poteva farci niente. Avrebbe accettato la simpatia che Soledad sembrava nutrire per loro ma questo non significava che avrebbe ricambiato.

Aveva letto le varie storie, racconti terribili su quelle lande esotiche.

Uomini con la pelle scura, quanto quella dei pellerossa, con abiti di seta e riti sanguinari. Uno di questi l'aveva profondamente turbata. Si trattava di un particolare rituale secondo il quale la vedova veniva bruciata viva insieme allo sposo. Quell'usanza barbara la spaventò non poco, attizzando il fuoco del disprezzo che le avevano inculcato e che aveva appreso, dopo essere stata trattata con sufficienza per buona parte della sua infanzia per via delle sue origini straniere. Ester aveva finito per vergognarsi del suo essere poco inglese, anche perché ogni volta che mostrava il suo temperamento ispanico, o il suo fare vagamente francese, veniva subito biasimata.

Alla fine, aveva cominciato a provare vergogna per il suo stesso sangue.

Non riesco a capirti, sorella aveva pensato, accarezzando i vari tomi.

Fu così che, senza accorgersene, da uno dei tomi cadde un foglio di carta.

 

I went to the Garden of Love,

And saw what I never had seen;

A Chapel was built in the midst,

Where I used to play on the green.

 

And the gates of this Chapel were shut,

And ‘Thou shalt not’ writ over the door;

So I turned to the Garden of Love

That so many sweet flowers bore.

 

And I saw it was filled with graves,

And tombstones where flowers should be;

And priests in black gowns were walking their rounds,

And binding with briars my joys and desires.

 

 

 

Ester lesse la poesia. Le sembrava di riconoscerla. Apparteneva al poeta Blake che, talvolta, aveva letto nella biblioteca della scuola. Non sapevo che Soledad amasse la poesia si disse...poi lo sguardo volò oltre, pietrificandosi.

 

Per ciò che vorrei, per ciò che non posso avere. Un momento di felicità, in mezzo al mare dell'apatia, a testimonianza che anche io possiedo un cuore, un cuore lontano da me.

 

Ester lesse e rilesse quelle parole, scritte a mano con una grafia che non conosceva, avendo come l'impressione che l'inchiostro fosse diventato improvvisamente pesante e nero come la pietra.

 

Capitolo corto e di passaggio. I misteri si susseguono e vorrei ringraziare Diana924 che con frequenza mi recensisce. Le cose cominciano a muoversi e si scoprono vari retroscena. Soledad tiene la sorella all'oscuro di molte cose e, sebbene sia odiosa, vi chiedo di comprendere anche il punto di vista di Ester che non ha davvero nessuna colpa. Il background di Soledad è profondamente drammatico, più di quanto si pensi. La poesia è di Blake The garden of Love. Intanto qui accenno all'odio per gli indiani di Ester che, comincia a mostrare le sue ragioni. Come le sue convinzioni, provengono dall'educazione impartitale. Dopo il matrimonio della sorella, è stata messa in un collegio inglese, pagando il peso di essere per metà francese e per metà spagnola.

E'difficile da spiegare ma ha dovuto sopprimere tutto per sopravvivere al disprezzo generale.

Abbiamo poi alcune tracce del passato di Lady Mc Stone e della pressione che ha dovuto subire in modo non poco rilevante. In ogni caso, la situazione per le due sorelle comincerà a cambiare in modo ancora più drastico nel prossimo capitolo. Grazie a tutti.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo.

Vorrei chiarire che la ruota degli esposti era vicina alla sinagoga ma non fa parte di questa. I misteri aumentano e Renée non è affatto un personaggio positivo. E'molto brava a nasconderlo ma posso dire che nemmeno Ester le è affezionata. Sia lei che Soledad hanno un rapporto abbastanza burrascoso con i loro genitori.

In seguito saprete meglio i vari retroscena degli Escobar.

Ce ne sono diversi...come non mancano anche nel matrimonio di Soledad.

 

VIII

 

Ester pregò ogni singola notte, contando tutti i minuti e gli istanti che la separavano dal giorno del ricevimento.

Il tempo però sembrava non voler passare, malgrado fosse animata da ogni buona intenzione.

Mademoiselle Treville la guardava con un sorriso indulgente ma non la biasimò mai, lasciandola libera di esprimere tutta l'eccitazione che la animava, mentre si perdeva nei suoi discorsi e sulle sue fantasie. -Perché non mi biasimate?- domandò alla fine la ragazzina, durante una delle lezioni di disegno.

La donna alzò le spalle.

- E'bene che buttiate fuori tutto adesso- rispose sibillina- anziché fare qualche pessima figura al ricevimento.-

Ester la guardò.

Fece per riprendere il pennello ma subito desistette.

-Perché non venite con noi?- domandò.

Oceane inarcò la fronte.

-Non è da voi farmi simili richieste- osservò- temete di essere da sola? Avrete vostra sorella. Lei veglierà su di voi.-

La ragazzina chinò il capo.

Indossava ancora la divisa del collegio, un abito grigio e senza personalità, del tutto inadatto all'indole spumeggiante della giovane. I capelli erano acconciati in una piega leziosa, che stonava con l'insieme. Vedendola fremere per l'attesa, decise di risponderle. -Io sono un'istitutrice...la vostra istitutrice. Se mi vedessero insieme a voi, conoscerebbero la vostra identità...vi metterei in una brutta situazione. Vostra sorella vi ha concesso di accompagnarvi per il vostro bene. Io vi creerei dei problemi.- rispose.

Ester chinò la testa.

-Ah- fece, abbattuta.

-Tuttavia- continuò Oceane- sarò ben lieta di sentire come è andata la vostra serata. Comportatevi con giudizio e non con civetteria. L'ammirazione che susciterete potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio.-

La ragazzina la guardò perplessa.

Non doveva essere bella? -Sarete una dama di compagnia di Lady Mc Stone. Dovrete accompagnarla in ogni occasione, seguendola e rimanendo un passo dietro di lei. Avere una dama di compagnia è indice di potere ma, a causa del lutto, vostra sorella non si è mai servita di un simile privilegio, anche perché Lord Alistair non amava molto quel genere d'intrattenimenti.- spiegò pacata.

E quindi mia sorella mi ruberà la scena concluse, con ingenuo fastidio la giovane.

Mademoiselle Treville fissò con ironico distacco il palesarsi delle emozioni sul viso della senorita Escobar. Lady Mc Stone non sbagliava, a proposito della sua ingenuità. E'stata cresciuta per vergognarsi delle sue origini e per considerare come meglio tutto quello che non ha aveva detto la donna, durante uno dei suoi colloqui. L'istitutrice doveva ammettere che il giudizio della padrona di casa possedeva una lucidità quasi spietata, degna di chi non ha ricevuto molte gioie dalla vita...e quel particolare, per quanto strano potesse essere, accese la sua curiosità.

 

 

 

 

Lady de Florie era decisamente irritata.

Il suo sguardo saettava ai vari angoli della stanza del café, lungo una delle vie principali di Londra.

Lo smacco che quella sudicia borghese che aveva avuto come figliastra bruciava ancora, al punto da impedirle di ragionare lucidamente. Nemmeno aver sanato tutti i suoi debiti contribuiva a mettere a tacere il suo orgoglio. Per la prima volta, nella sua vita, si era piegata ad una donna di rango inferiore al suo. Lei, una discendente di una nobile famiglia che, nei suoi tempi d'oro, aveva calcato di dorati corridoi di Versailles, aveva ceduto le armi di fronte ad una che non aveva nelle vene quasi niente di aristocratico.

Renée ispirò profondamente, tentando di controllarsi.

Non si era mai interrogata sulle vicissitudini familiari della famiglia del suo primo marito. All'epoca delle nozze, aveva solo 14 anni e non possedeva niente a parte il suo nome. Aveva sposato Ignatio Escobar per un mero caso, divenendo quasi subito la matrigna di una ragazzina di 8 anni, silenziosa e dal passo vagamente claudicante.

Non aveva mai legato con Soledad...e mai si sarebbe sognata di farlo. Quel matrimonio era visto con immenso fastidio dalla giovane Renée...e non tanto per lo spaventoso divario di età, quanto per un orgoglio di classe a cui si era attaccata in ogni momento della sua vita. Avrebbe accettato di sposare anche un ranocchio, purché avesse titoli e denari all'altezza delle glorie passate del suo nome...cosa che gli Escobar non avevano.

-Oh, mia cara Renée- esclamò una voce alle sue spalle.

La donna si voltò.

A parlare era stata una donna bionda e scialba. L'abito marrone, di pregiata fattura, non nascondeva l'aspetto sformato di un corpo appesantito da numerose gravidanze. Lady De Florie sorrise, vedendola. -Ho quasi dubitato di non potervi vedere mai più, mia cara Amandine- fece- Ma volevo rivedervi, prima di partire.-

La dama spalancò gli occhi.

-Una notizia davvero inaspettata, mia cara- commentò, passandosi una mano sulle decorazioni del cappello- e dove andrete, se è lecito chiedere?-

Renée indossò un'espressione abbattuta.

-A Cuba- rispose- per volontà della mia figliastra...oh, amica mia, non sapete quanto soffro in questo momento...non immaginate nemmeno cosa quell'ingrata, che deve le sue fortune attuali a me e me soltanto, ha fatto.- Di getto si posò una mano sulla fronte, come Cerere distrutta dall'angoscia per la sorte di Proserpina.

Amandine si unì alla sua tristezza.

-Oh, amica mia- mormorò, avvicinandosi- non sapete quanto la cosa mi affligga. Siete stata l'unica amica che ho avuto in collegio e mi addolora non avervi potuto confortare in quei tristi momenti...ma ditemi, di Grazia, cosa è successo di così terribile?-

Renée chinò la testa, nascondendo il viso tra i capelli chiari.

-Accomodatevi, per cortesia- fece, indicandole una sedia di fronte a lei- quello che sto per raccontarvi è una cosa assolutamente incresciosa e quasi imbarazzante.-

Amandine la fissò perplessa ma ubbidì.

-Il fatto, amica mia, è che ho avuto un alterco con la figlia minore del mio primo marito. Costei non ha mai tollerato la mia presenza nella sua famiglia...forse per gelosia ma non saprei dire. Ho provato di tutto per non farle pesare la morte di sua madre ma...-fece, prima d'interrompersi, come se le parole fossero sassi.

-Vi comprendo perfettamente- rispose Amandine, afferrandole la mano guantata- riportare la gioia nel cuore di un'orfanella è cosa davvero ardua, soprattutto considerando che voi avete interrotto i vostri studi in collegio per il matrimonio...quanti anni aveva la fanciulla?-

Renée volse il capo alla vetrina.

-Otto- rispose, pensando alla sagoma esile e debole che la accolse, non appena fece il suo ingresso nella casa. Tuttora ricordava il gelo con cui la accolse mentre, con l'aiuto di una cameriera, arrancava per mettersi a sedere, per volere del padre.

Lei non le aveva mai prestato attenzione, troppo occupata a compiacere il marito e, considerando il fastidio di quell'unione, era più che naturale che non volesse intrecciare troppi legami. Ignatio aveva una sessantina d'anni, con un corpo divorato dalla gotta ed il temperamento collerico e bilioso. Anche volendo, non avrebbe mai potuto dedicarle le giuste moine.

-Molto piccola- commentò Amandine- ma non abbastanza da non ricordare la madre.-

Renée non disse niente.

All'epoca dei fatti, Soledad preferiva rimanersene in disparte, rifiutando le rare gentilezze paterne. Come se non bastasse, capitava sovente che, durante la notte urlasse, come se fosse preda degli incubi...a quel pensiero, stirò le labbra. Se non fosse dipeso dai danni alla reputazione, né lei, né Ignatio avrebbero esitato a spedirla in qualche manicomio dove correggere queste intemperanze.

Forse sarebbe stato meglio si disse, ripensando a quei momenti.

-Ebbene- fece l'amica- non mi avete comunque detto la ragione della vostra partenza-.

Lady De Florie si passò una mano sui capelli. - Sarò breve. Per una serie di sfortunate circostanze, la mia figliastra, colei di cui ti parlavo, mi ha sottratto l'unica figlia che ho, approfittando della sua parentela...a me, che l'ho partorita ed amata più dei miei occhi!- fece affrante.

Amandine emise un gemito strozzato.

-E, come se non bastasse, ha infranto il patto di nozze che avevo allacciato tra Ester, la mia bambina, ed un nobile prussiano.- concluse.

-A tanto è giunto il suo odio nei suoi confronti?- fece, basita l'altra.

Il silenzio di Renée fu più che eloquente.

Amandine la osservò con fare incredulo. - Non avrei mai potuto concepire un simile destino per voi- mormorò- avete infine sposato un uomo appropriato e, per un bieco scherzo della sorte, vi è stata tolta l'unica creatura che avete generato. Non potrei immaginare sorte peggiore.-

Lady De Florie sospirò.

- Comprendete dunque la mia angoscia?- chiese, scoppiando in un pianto silenzioso -Ho dovuto mettere mia figlia in collegio per poter risolvere la sfortunata situazione in cui mi trovavo, a seguito della fine del mio primo matrimonio...e quell'ingrata, che deve a me tutto il benessere di cui adesso gode, per una ripicca infantile, ha rovinato il futuro della sua sorellastra...Che Iddio abbia pietà della sua bieca natura!-

Amandine la guardò con sconcerto. Conosceva l'orgoglio dell'amica e mai si sarebbe aspettata di vederla in lacrime. - In memoria degli eventi passati- fece, appoggiando la mano sulla sua spalla - cosa posso fare per voi? Non posso tollerare che una madre venga privata in questo modo della figlia. Parlate liberamente...ed io vi aiuterò.-

Renée chinò la testa.

-Posso fare solo una cosa- mormorò, mordendosi il labbro- ma temo che sia troppo crudele verso la mia figliastra...è pur sempre la discendenza del povero Ignatio...-

-Ma cosa dite?- esclamò Amandine- Siete troppo nobile ma dovete reagire. Vi ha strappato la creatura nata dalle vostre stesse viscere, ignorando i vostri oneri di madre! Quale donna farebbe un crimine simile? Chiunque sia, deve pagare per la sua arroganza!-

Lady De Florie si morse il labbro.

-Il fidanzato di mia figlia teneva molto a lei. Potrei rivolgergli un accorato appello, per spingere la mia figliastra alla ragione...ma non sarà semplice, temo. - disse, prima di rivelare i nomi.

L'altra ascoltava con attenzione, passandosi una mano sulla spilla che decorava il vestito. - Come si chiamava il gentiluomo a cui avevate promesso la vostra fanciulla?- chiese, pensierosa.

Renée si passò una mano sulla guancia.

-Il suo nome è Lord Von Gruhnweld, un collaboratore dell'ambasciatore prussiano...uomo dabbene e di indubbie virtù.- rispose con fermezza.

Amandine inclinò il capo.

-Allora potrei fare qualcosa- rispose- si dà il caso che conosca alcune delle mogli del salotto di Miss Pemberton. Riferirò loro di questa ingiustizia e avrete la soddisfazione di vedere l'onore di vostra figlia soddisfatto.-

Lady De Florie  chinò la testa. - Io però dovrò comunque lasciare Londra per sanare i problemi di mio marito. - obiettò.

Amandine stirò le labbra. -Non avete nulla da temere. Ester sarà tutelata come si conviene al suo rango. Quell'arricchita di Lady Mc Stone non potrà vantare troppo il suo titolo, non dopo che la sua ingiustizia verrà diffusa a chi di dovere...e allora sarà la vostra stessa figlia a correre da voi e a prestare di propria iniziativa il collo alla vostra autorità.- rispose sicura.

 

 

Soledad camminava silenziosa per i corridoi del suo palazzo. Il passo, leggermente ondeggiante, rendeva la sua andatura simile ad una danza, al lento oscillare della gondola sui canali di Venezia ma a parte questa nota bizzarra, tutto il resto aveva quasi un che di austero.

Era una bella donna ma non si era mai curata di questo genere di cose.

Non aveva mai avuto il tempo per farlo.

La gonna dell'abito le accarezzava morbida le gambe.

Una stoffa di mussola scura, che esaltava senza volerlo la chioma.

I suoi passi si fermarono di fronte ad una porta d'ebano. Lady Mc Stone sospirò piano, prima di abbassare la maniglia ed entrare. Al suo interno, c'era un minuscolo studiolo dai toni ambrati. Ad un angolo, erano collocati un inginocchiatoio con davanti un crocifisso ed una scrivania, adattata alle pareti smussate del posto. Lì erano collocati tre piccoli ritratti.

Suo marito Alistair stava alla sua sinistra, in una delle sue consuete pose melanconiche.

Alla destra, accovacciato in modo scanzonato e quasi guascone, c'era un giovane uomo di origini indiane. Indossava abiti etnici ma aveva un fascino tutto suo...che Lady Mc Stone non avrebbe mai dimenticato, neppure volendo. A quella vista, il cuore si gonfiò di pena e gli occhi corsero alla terza sagoma ritratta: una donna, nel fiore degli anni, castana e dalla pelle avorio. Le iridi verdi erano piegate in una smorfia dolce e ingenua, tipica di chi era felice per qualcosa. L'occhio di Soledad corse alla mano dipinta, posata con orgoglio sul ventre ancora piatto...e, quasi come a non voler sapere perché, sentì la vista farsi umida e indefinita.

Conosceva quella sensazione.

Sapeva, almeno in parte, il significato di quello stato di cose.

Pareva così felice, Honor Blanca de Rossignol, in quel ritratto da non lasciar trapelare niente del suo triste destino. Sorte che Soledad, la sua ultima figlia, aveva invano tentato di combattere...come Don Chisciotte con i mulini a vento.

 

Allora, forse dovrei fare i capitoli più lunghi ma considerando che ci sono molte storie piuttosto estese non vedo perché dovrei farlo. In questo capitolo, vediamo le ultime mosse di Renée che, pur cedendo al ricatto della figliastra, non ci sta a farsi mettere sotto da lei...e quindi sferra l'ultimo colpo. Vi sono diversi motivi per cui questa donna odia Soledad ma risponderò al momento opportuno. Intanto, cominciano a mostrarsi nuovi tasselli.

Il momento del ricevimento ci sarà ma devo ancora prepararlo.

La storia degli Escobar, comunque, è assai misteriosa...per il momento.

Grazie mille a chi mi commenta e alle 4 che coraggiosamente mi hanno messo tra le seguite. Non abbiate paura e recensite perché mi fa piacere leggere cosa ne pensate. Intanto vi auguro Buone Feste!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** IX ***


Grazie a tutti per avermi letto e a quelle poche anime che coraggiosamente hanno recensito. Il mio Ego vi ringrazia. La storia procede in modo abbastanza scorrevole, forse. Voglio chiarire che Soledad e Ester sono sorellastre e che hanno madri diverse...per chi non lo avesse capito. La storia della prima è ancora molto difficile da definire, almeno in questo momento.

Intanto, vi lascio a questo nuovo capitolo.

 

IX

 

Cedric fissava seccato le varie parti dello studio.

Era nella stanza più interna della casa, quella affacciata nel giardino interno del palazzo. Tutta la servitù la conosceva come il tempio.

Seduto sulla savonarola che si stagliava sull'immenso finestrone, suo zio lo stava studiando con aria critica. -Ho saputo che vi frequentate con quel James- commentò, guardingo.

-E'una frequentazione tutt'altro che inappropriata- rispose il giovane - Lord Kornwell vanta una fortuna ed una reputazione assolutamente invidiabili. La sua amicizia mi ha permesso di passare indenne il fastidio dovuto allo snobismo degli studenti della Eton.-

L'altro inarcò la fronte.

-Cedric Gillford- fece, chiamandolo per intero- so benissimo chi sono i Kornwell. Quello che ti chiedo di valutare con coscienza è la condotta del figlio naturale di quella famiglia. Benché suo padre lo abbia riconosciuto, voglio che sappiate che la sua origine, tutt'altro che limpida, non è esente dalle chiacchiere...e noi non abbiamo bisogno degli scandali.-

Il nipote non fece una piega.

Le maniere di Gilbert Gillford, burbere e bislacche, erano conosciute in ogni parte di Londra. Nei suoi confronti, non si era dimostrato meno orso di quanto le chiacchiere sciorinavano in giro. Cedric non aveva ricevuto sconti, nemmeno per il fatto che era l'unico erede che andasse a genio a quel misantropo astioso. Lo vide fissarlo con quelle iridi d'aquila, con quel monocolo che usava più per far scena che per reale bisogno. -Ho saputo che hai disdetto l'incontro con Prisca Swanson, malgrado ti abbia spiegato più volte come una simile alleanza possa essere utile.- disse, studiando la sua espressione- Voglio sapere la ragione del tuo rifiuto.-

Cedric inarcò la fronte.

-Perché me lo chiedete?- domandò, con quel tono diretto e quasi irrispettoso che faceva storcere il naso agli insegnanti di Eton.

Gilbert gli riservò un'occhiata obliqua.

-Perché voglio vedere fin dove arriverà il vostro istinto...o la vostra sfacciataggine di Yankee.-rispose sibillino.

Il giovane si stiracchiò debolmente, passandosi una mano sulla testa, con un fare quasi svogliato. -Gli Swanson non mi piacciono.- cominciò questi- Hanno la consueta puzza di chi ha un titolo nobiliare dai tempi di Elisabetta I. I fratelli dell'interessata non hanno alcun piacere a frequentarmi e sono conosciuti alla Eton per la prepotenza con cui si accaniscono sulle matricole. Fidanzandomi, e quindi sposandomi con la loro sorellina, per quanti meriti questa possieda, mi garantirà la loro arrogante presenza in ogni faccenda di cui mi occuperò...sempre che vogliate ancora avermi come erede. Io sono un cane sciolto, zio, e non ho intenzione di fare il barboncino di quei tizi. Se dovessi sposarmi con Prisca, sarò lo zerbino degli Swanson.-

Gilbert si accarezzò il mento aguzzo, perfettamente abituato alle maniere del nipote.

-Hai ancora quella tagliente lingua da americano. Le scuole inglesi non ti hanno insegnato niente?- domandò ironico.

Cedric gli sorrise sarcastico.

-Evidentemente, come gli inglesi non sono riusciti a tenere sotto il loro controllo le colonie americane, così non gli riesce trasformarmi in uno dei loro spocchiosi damerini in serie.- disse, sul medesimo tono dello zio.

Mr. Gillford non rispose.

Un altro, al suo posto, lo avrebbe fatto fustigare senza troppi problemi, al solo fine di piegare la sua volontà...ma non Gilbert. Malgrado fosse un uomo bizzarro, non era un sadico e sapeva che le pene corporali non avrebbero dato nessun risultato...non con Cedric. Non apprezzava completamente il candore di quella lingua biforcuta ma doveva riconoscere la sua intelligenza e determinazione nel raggiungere i suoi risultati. Nemmeno a lui, piaceva mettersi in ginocchio...e questa era una delle ragioni per cui era rimasto scapolo.-Sempre insolente- mormorò, prima di sorridere- a volte mi chiedo perché ti tenga come erede-

Il nipote non disse nulla.

Non ce ne era bisogno. Tutti sapevano il perché. Di tutti i nipoti che aveva, era l'unico a trattarlo in quel modo diretto e marcato. Le sue sorelle avevano storto il naso, quando Gilbert aveva espresso la sua scelta. Pensavano che avrebbe nominato uno dei loro figli, cresciuto con i sani dettami della morale vittoriana...non certo quella prole bastarda e scriteriata, venuta su nel rozzo e troppo estroverso mondo americano. Mr. Gillford aveva comunque studiato con attenzione la delicata storia di Cedric e, ora che lo aveva sotto mano, non poteva negare di aver preso la decisione più opportuna. Non voleva un rampollo pronto a compiacerlo ma un uomo capace e indipendente, in grado di adempiere a tutti gli intoppi della sua attività. -Ad ogni modo- proseguì- volevo chiedervi di presentarvi al ricevimento di quella dama. Vi presenterete a mio nome.-

-Voi non verrete?- domandò Cedric.

Gilbert scosse il capo.

-Ho ricevuto un telegramma dal rifornitore di spezie ed è necessario che mi rechi all'ambasciata francese. Vi chiedo di parlare con Mr. Hanson per quell'affare di cui vi ho messo al corrente...a proposito dei capitali per quella fabbrica di ghisa nei pressi di Manchester.- rispose, prima di aggiungere come sovrappensiero- Nel frattempo, vi beerete della fauna femminile britannica, tanto per divertirvi un po'. Proprio perché siete così superiore a noi inglesi, non avrete nessuna difficoltà ad eludere le insidie di chi vi considera un buon partito.-

E Cedric capì con quelle parole, di essere rimasto completamente fregato. 

 

 

A quel ricordo, l'uomo ingurgitò l'ennesimo bicchiere di liquore.

-Continua a bere in questo modo, amico, e rischierete una pessima figura in sala. Cosa farete per le danze?- domandò James, seriamente preoccupato.

Cedric lo fulminò con un'occhiataccia.

La musica di violini gli arrivava alle orecchie come un eco fastidioso.

-Mi conosco bene- rispose piccato- non sono così debole da cadere sbronzo a terra. Quando mio zio mi ha dato questo incarico, speravo che non fosse una cosa del genere...e invece, Guarda! Una schiera di dame annoiate, di gentiluomini spocchiosi ed arroganti e di insulse aspiranti al debutto in società! -

James osservò il panorama dell'amico.

C'erano momenti in cui non poteva che rimanere perplesso, dalle conclusioni, neanche troppo velatamente pessimistiche, di Mr. Cedric Gillford. Conosceva la nota misoginia del vecchio Gilbert ma doveva ammettere che il nipote non era tanto diverso. -Fate ciò che volete- disse - ma io non disdegnerò una quadriglia con uno di questi fiori...se non altro per non dare l'impressione di essere un selvaggio.-

L'altro incassò la frecciatina. Era troppo abituato con la mossa di Lord Gillford per aver voglia di ribattere, come suo solito...e forse fu proprio il suo silenzio a spingere James a raggiungere le ragazze in attesa del cavaliere. Sapeva, per esperienza, che non conveniva a nessuno provocare Cedric quando era di pessimo umore...come dimostravano le risse che talvolta li avevano coinvolti all'uscita dei pub, durante i momenti di svago dall'Eton.

Il giovane Gillford, intanto se ne rimase qualche momento sulla soglia, fissando con indifferenza tutte le dame presenti.

Erano vestite con eleganza e sfarzo. Crinoline e mussola erano le stoffe più usate.

Forse dovrei cercare il collaboratore dello zio si disse, incamminandosi tra i gentiluomini presenti. Lo trovò dopo poco, grazie alla descrizione che gli era stata data.

-Mr. Hanson?- domandò con educazione.

L'uomo, un tale sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e la serafica aria di chi ha ormai sistemato tutti i conti per la sua discendenza, lo guardò incerto. -In persona- disse, fissandolo interrogativo.

Rammentandosi dell'etichetta, il giovane sospirò. -Perdonatemi- fece compito- sono Mr. Cedric Gillford, nipote di Gilbert Gillford. Mio zio non ha avuto la possibilità di venire e ha mandato me al suo posto.-

Mr. Hanson aggrottò la fronte.

-Gilbert non è venuto?- chiese di nuovo.

Cedric annuì.

-Ti ha scaricato il compito per via della sua allergia ai balli, non è così?- chiese retorico.

-Purtroppo- rispose il giovane.

Mr. Hanson sogghignò.

-Tipico di Gilbert- commentò, fissando annoiato le varie parti della sala- vogliamo andare nel nostro studio? -

Cedric annuì, sollevato di essere tenuto lontano dalle danze. Non aveva voglia di ballare con nessuna di loro. Lo considerava un terreno insidioso e pieno di pericoli. Il collaboratore dello zio lo condusse al piano superiore. -A quanto vedo, però- commentò questi, con un sorriso felino- deve essere un dono di famiglia, o sbaglio?-

Il ragazzo sbuffò divertito.

-Se mi mettessi a ballare con una sola di quelle fanciulle- fece sarcastico- rischierei di creare aspettative che, al momento, non intendo soddisfare. Non è un ricevimento ufficiale ma è noto anche al più sprovveduto che questo sono le occasioni in cui ci si prepara alla Stagione.-

L'uomo ridacchiò. L'umorismo dei Gillford era tagliente, al limite dell'offesa. Nessuno, a parte Gilbert e suo nipote, possedeva un simile dono. - Comprendo il vostro punto di vista, malgrado i balli siano parte integrante della società. Ritengo che la conclusione di questo affare debba essere risolta quanto prima, se non altro per raggiungere un accordo degno di nota.- rispose, con un piglio felino e deciso.

 

 

 

Ester si guardava attorno con fare scocciato.

Nemmeno l'abito chiaro che indossava contribuiva a mettere a tacere la tensione che la dominava. Avrebbe presto avuto l'occasione di vedere il suo fidanzato...ed era piuttosto eccitata per la cosa.

Aveva salutato molte dame, che si erano rivolte a sua sorella con un filo di timore e riverenza. Aveva notato molti sguardi posarsi su di loro. A quanto le era sembrato di intuire, non era abitudine di Lady Mc Stone di andare ad un ricevimento, sebbene non fosse un'occasione ufficiale. La vedeva salutare e conversare con le varie donne, con fare vagamente distaccato e freddo, senza dar segno di una qualche maleducazione.

-Lady Mc Stone- salutò una delle nobildonne- è davvero molto raro da parte vostra, presenziare ad un'occasione così mondana.-

Soledad le rivolse un sorriso fatto di labbra.

-Comprendo la vostra sorpresa ma, dopo che mio marito mi ha lasciato, ho ritenuto inutilmente crudele dover vivere isolata dal Ton.- rispose, rivolgendole uno sguardo comprensivo.

-Avete perfettamente ragione- fece un'altra- un anno è un periodo accettabile per un lutto. E poi, mia cara, avete ancora l'età adatta per un nuovo matrimonio.-

L'interessata sventolò il ventaglio.

-In questo momento, il mio cuore non ritiene opportuno fare una cosa del genere. Alistair mi ha dato molto e non ritengo giusto nei confronti della sua memoria mancargli di rispetto in questo modo.- rispose con diplomazia. A quelle parole, si levarono molti commenti ammirati.

Ester la guardò in silenzio.

L'ovale perfetto di sua sorella riluceva in mezzo a quelle donne incipriate per via della sua eleganza naturale. Indossava un abito scuro e privo di gioielli che contrastava con il vestito che lei invece indossava. -La vostra dama di compagnia è molto giovane e graziosa- osservò una terza aristocratica.

Improvvisamente, gli occhi delle nobili si voltarono verso di lei.

Lady Escobar abbassò la testa, in imbarazzo per tutta quell'attenzione.

-Voi dite?- domandò Lady Mc Stone- Concordo con voi. E' la figlia di una lontana conoscente di mio marito. Si chiama Iris Woodhouse ed è qui per farmi compagnia. Sua madre ha una grave indisposizione che non le consente di seguirla come si conviene.-

Una delle dame inarcò la fronte.

-Davvero?- chiese, inarcando un sopracciglio.

Soledad annuì.

-Una grave forma di scarlattina ha colpito la sua famiglia e lei è stata mandata da me, in attesa che questa indisposizione passi. Per sua fortuna Iris era nella casa di una zia ed ha scampato questo fastidioso malanno.-spiegò, rasserenando gli animi.

Ester seguì febbrilmente la conversazione, notando con invidia l'abilità con cui sua sorella riusciva a muoversi. Conversarono a lungo, al punto che cominciò a mostrare segni d'impazienza. La musica della polka riempiva tutto, attraendola come una calamita. Era la prima volta che udiva una cosa del genere.

In collegio le melodie erano bandite.

Per esercitarsi nella danza, aveva dovuto muoversi memorizzando il ritmo lasciato dalle mani dell'istitutrice. La signorina Escobar osservava tutto con fare incantato e un po'smarrito. Immersa in quei suoni armonici, la giovane cominciava a sentire quanto avesse perso durante quel ritiro alla Bedford's. Non che non ne avesse avuto consapevolezza...ma quella alterità rispetto al grigio ambiente della vita della scuola la disturbava, almeno un po'. -Iris- la richiamò sua sorella- puoi andare a danzare, se un gentiluomo vorrà chiedertelo.-

Ester guardò interdetta il carnet.

Un pezzo di carta immacolato a cui era attaccato un pezzo di carboncino. Ugualmente obbedì, affrettandosi a raggiungere una delle sedie rimaste libere all'angolo della stanza. Aveva notato che vi erano molti posti occupati da giovani dame e figlie di nobili.

A quella vista, deglutì a disagio.

Una schiera piena di persone riccamente vestite e cinguettanti.

Molte di loro avevano quasi sicuramente debuttato. La senorita Escobar abbassò la testa, tentando di frenare l'imbarazzo per quei pensieri e per il vergognoso confronto tra quei corpi floridi ed il suo di silfide acerba. Malgrado questo, si accomodò in uno degli angoli della sala, tentando di non attrarre troppo l'attenzione...ma dovette riconoscere, con un filo di sconforto che non era un'operazione attuabile.

Le giovani donne si accorsero quasi subito della sua presenza e, tentando di non farsi notare troppo, la tennero d'occhio per tutto il percorso che separava la ragazzina dalla sua sedia.

Deglutì con fatica. Quella neanche troppo velata sensazione di essere sotto esame le ricordava il risveglio alla Bedford quando, in fila insieme alle altre, veniva valutato l'ordine e la pulizia di ognuna di loro. Con rabbia scacciò quel ricordo fastidioso e, senza pensarci due volte, prese un bicchiere da uno dei vassoi portati dalla servitù. Provò a scambiare qualche chiacchiera con le altre ma, non conoscendo pressoché nulla dei pettegolezzi che gravitavano in quel momento, si ritrovò improvvisamente isolata.

E non era piacevole.

Per niente.

-...e quindi, avete sentito l'ultima novità su Lady Mc Stone?- disse, improvvisamente una di loro.

-No, mia cara- rispose un'altra.

-Ho saputo che sta ostacolando il matrimonio che sua madre ha combinato tra sua sorella minore ed il suo sposo!- rispose la prima...e, a quella notizia, la ragazza non poté che assottigliare l'orecchio.

-Dite sul serio? Stento a crederlo...- s'intromise una terza, con finta incredulità- allora la notizia che fosse in cattivi rapporti con la matrigna è fondata.-

-Temo di sì, anche se è un'azione assolutamente ingrata, dal momento che quella povera donna ha reso la figliastra quella che è adesso- rispose con fare severo la prima- non ha mostrato un briciolo di gratitudine...eppure il compianto Alistair era un uomo ammodo e garbato.-

A quelle parole, si levarono dei sospiri.

-Mi chiedo come un uomo dello stampo di Lord Mc Stone abbia potuto sposare una donna di levatura sociale ed economica inferiore alla sua.- commentò colei che aveva parlato per ultima.

-Ad ogni modo, è stata davvero crudele a infrangere il sogno di nozze di sua sorella minore...a proposito, sapete chi sia lo sfortunato pretendente?- chiese civettuola una di queste.

-Si chiama Lord Von Gruhnweld ed è quel gentiluomo con l'ascot nero ed il completo del medesimo colore.- rispose la prima. Ester la seguì con la coda dell'occhio...e quando vide la persona che portava il nome del suo probabile fidanzato, desiderò che la terra si aprisse sotto di lei e che tutto questo non fosse altro che uno sciocco, patetico incubo.

Come era possibile che quell'uomo alto e magro come uno stecco, bianco e pelato come un porro, potesse essere il fidanzato che sua madre desiderava per lei? La ragazzina impallidì, preda dello sconcerto e del disgusto. Non era mai stata molto sentimentale ma le era capitato talvolta di fantasticare sul suo promesso sposo...e, di certo, non era come quel tale che conversava con altri gentiluomini.

Istintivamente, ripensò ai regali che aveva ricevuto in collegio.

Erano doni costosi e quasi barocchi che pesavano sulla sua mano. Non le erano mai piaciuti ma, vedendo l'invidia delle altre, si era semplicemente lasciata travolgere dagli eventi. Sua madre si era improvvisamente ricordata di lei...ed era questo ciò che le importava. Quanto sono stata sciocca! si disse, ripensando all'entusiasmo dovuto a quell'improvvisa attenzione.

Le parole di Soledad cominciarono così ad acquisire un loro perché...e, insieme a questo stato di cose, si acuì il disagio per la verità che, in tutta la sua inclemenza, le si era palesata di fronte. Ester si guardò attorno, in preda al panico. Il disagio per la rivelazione e il sentirsi di nuovo sciocca e inadeguata, piombarono su di lei come un'aquila in mezzo ad un branco di pecore.

La stanza, che prima l'aveva intimorita per la sua magnificenza, le parve d'un tratto vacua e soffocante...e le venne violento il desiderio di andarsene il più in fretta possibile da quel luogo. In nessuno di quei brevi istanti le venne in mente di rivolgersi a Soledad. Corse via, in una nuvola di mussolina e stoffe pregiate, scivolando rapida verso l'uscita, mentre le danze catturavano l'attenzione generale.

 

 

 

Il giardino dei padroni di casa era all'italiana, composto da una serie di figure geometriche di vegetali vari. L'aria bruna della sera la fece rabbrividire leggermente. Non era abituata a portare l'abito che aveva indossato per l'occasione. Malgrado fosse scollato in modo grazioso e per nulla disdicevole, la imbarazzava.

Non era abituata a quel lusso discreto.

Ester alzò la testa.

Nel cielo nebbioso di Londra non si vedeva alcuna stella. Tutto era coperto dalle nuvole, come un mantello di lana pesante. Gli occhi della ragazzina si riempirono di delusione. Avrebbe voluto vedere quelle luci fioche in cielo, ben diverse dai candelabri di quella casa. Quando era in collegio ed il sonno, la notte, tardava ad arrivare era solita passare quei momenti nella contemplazione del paesaggio fumoso della città, immaginando i luoghi visti da sua sorella che, dopo il matrimonio, pareva improvvisamente essersi scordata di lei.

Un'ondata di malinconia la travolse, mozzandole il respiro.

La desolazione per quel futuro ed il suo ostinarsi a volerlo, ignorando la verità, era divenuto un peso difficile da sopportare. Ricordava poco suo padre. Le sole cose che rammentava, prima che la sifilide lo divorasse completamente, erano il ritratto giovanile che campeggiava nella sala da pranzo, l'unico che possedessero, e le urla raccapriccianti che provenivano dalla camera da letto...un luogo che lei non aveva mai osato visitare.

Preda dell'angoscia, si coprì il viso con le mani.

-Non dovreste essere fuori- disse una voce bassa.

Ester si voltò di scatto.

Davanti a lei, c'era un giovane sulla ventina, alto e dal fisico prestante, ben diverso da quello smilzo che aveva scorto nelle persone presenti in quella sala. Il pensiero di essere sola, in compagnia di quello sconosciuto, la mise in allarme. -Io non parlo con gli estranei- si impuntò, indispettita per quella situazione inattesa e socialmente sgradevole- non senza il mio chaperon.-

Lo sconosciuto le rivolse un sorriso di scherno.

Aveva un viso armonico e mascolino ma quello che colpì maggiormente la giovane furono gli occhi. Erano chiarissimi, come i ghiacciai che i rampolli, ultimamente, amavano tanto scalare. L'animo di Ester ne rimase turbato e, in altre circostanze, se ne sarebbe rimasta in un angolo a contemplare la sagoma di quell'individuo. Il tono di sufficienza che stava dimostrando però, mise in fuga tutti i positivi propositi che era riuscita a formulare.

-Che avete da ridere?- chiese, mettendo una mano sul fianco -Vi sembro anche ridicola?-

Per tutta risposta, il giovane scoppiò a ridere e la sua voce, naturalmente bassa, prese una nota di colore che lei non aveva previsto e che la spiazzò.

-Calma piccola lince- commentò divertito- o ti cascherà la maschera da perfetta bambolina da esposizione-

-Non vi permetto di trattarmi in questo modo!- esclamò, boccheggiando Ester.

-Ah, ma davvero?- rispose sarcastico lo sconosciuto- Non è forse vero che le scuole inglesi servono a sfornare delle brave mogli?-

La signorina Escobar tacque.

-Visto?- disse questi, interpretando il suo silenzio come una conferma ma l'altra non si dette per vinta. La vista di Lord Von Gruhnweld le aveva gettato addosso un profondo malumore e parlare con quell'arrogante la indignava oltre ogni limite.

-ADESSO BASTA! Procraz!- esclamò, tirando fuori la sua lingua paterna, quella che usava molto di rado e solo in presenza della sorella -Non mi conoscete per nulla e non avete nessun diritto di trattarmi in modo così maleducato. Credete davvero di essere così sfortunato? Dover necessariamente dipendere da un estraneo, senza nessuna possibilità di avere una persona diversa...non ha alcuna importanza l'educazione ricevuta. Sposarsi con un perfetto villano è una disgrazia che persino la più ignorante delle donne arriva a comprendere!-

E senza attendere risposta, troppo stizzita persino per ricordare che nella sala da ballo aleggiava lo spettro di Lord Von Gruhnweld, si alzò dal punto in cui si trovava per rientrare, con un passo energico e furioso, per nulla adatto a quello di una signorina per bene. Cedric avrebbe voluto prenderla in giro un altro po', se non altro per passare il tempo... ma qualcosa, nello sguardo della ragazzina, lo spinse a tenere a freno la lingua e questo era decisamente una cosa fuori del comune.

Il suo istinto gli diceva di stare zitto e lui, yankee cresciuto nelle foreste americane, aveva sempre prestato ascolto a quel tipo di messaggio, annunciato da uno strano formicolio dietro alla nuca.

In quel momento, vedendo quella ragazzina infervorarsi di fronte alle sue provocazioni, sentì quella medesima reazione nel corpo. -E' possibile, Miss- disse ironico- ma io sono un uomo e certe cose mi sfuggono.-

Ester si fermò.

-Allora noi donne siamo molto sfortunate, considerando che dobbiamo dipendere da una razza tanto misera!- rispose impettita, prima di entrare dentro, con il medesimo passo furioso di pochi istanti prima.

 

 

Soledad si muoveva nella sala con passo sinuoso ed elegante.

L'abito le fasciava morbido le forme, conservando al tempo stesso, un fare freddo ed austero. Aveva conversato con molte persone, ricevendo condoglianze e complimenti da cui si era schermita in modo dimesso, come se non fosse ancora abituata a riceverli. Ogni tanto, con la coda dell'occhio, osservava i movimenti di Lord Von Gruhnweld. Non una sola volta si era rivolto a lei né, tantomeno, l'aveva degnata di un'occhiata.

Probabilmente, non ha ancora ricevuto la novella da Renée dedusse la donna, muovendo davanti a sé il ventaglio.

Le chiacchiere la circondavano come una coperta pruriginosa, dandole fastidio.

In realtà, non avrebbe voluto lasciare la sua fredda e familiare residenza dei Mc Stone. Il pensiero però che la sorella continuasse inconsciamente ad assecondare l'egoismo della madre le aveva fatto perdere il consueto autocontrollo.

Ester si ritrovò a pensare.

Quando era stata costretta a lasciarla, era una bambina bionda e grassottella, con due occhi verdi e luminosi. Ed ora, invece, è una piccola e splendida Miranda concluse, con un sorriso malinconico.

Istintivamente ripensò a quando aveva la sua età e si muoveva con passo incerto per quelle stanze lussuose. Si domandò se anche lei aveva nutrito lo stesso entusiasmo nell'aver ricevuto una proposta di matrimonio.

no si disse, mentre osservava le giovani aristocratiche sedute.

Poi, improvvisamente, tra la folla d'invitati, vide quel kilt blu notte.

Soledad si immobilizzò.

Erano passati cinque anni dall'ultimo incontro...dall'ultimo dei tre grandi dolori che l'avevano quasi portata sull'orlo del baratro. Vedeva quel corpo statuario ed imponente, simile alle montagne del Galles ergersi davanti a lei come un tempo. I capelli neri e scompigliati scivolavano sul collo di latte e due occhi di lava gelida la stavano osservando.

Il sangue cominciò a batterle furioso in petto.

-E'passato del tempo dall'ultima volta che ci siamo incontrati, Lady Mc Stone- disse questi, con quel piglio che sapeva più di fiera che di essere umano.

La donna se ne rimase ferma ed immobile.

-Non avrei dovuto? Sono io ad essere sorpresa che voi abbiate deciso di venire a Londra. Edimburgo e le Highlands non vi piacevano più Lord Brendan Wolf Mc Kenzey?- rispose, assottigliando lo sguardo.

Lo scozzese non rimase turbato dal fatto che aveva pronunciato il suo nome per intero. -Sono stato invitato.- rispose, come se quella ovvia frase mettesse a tacere tutto.

Lei non rispose, limitandosi a fissarlo negli occhi...e lo stesso fece Brendan.

-Avreste dovuto invitarmi nella vostra dimora, dopo l'accaduto- continuò questi.

-E perché, di grazia?- ribatté Soledad, senza perdere il contatto visivo.

Lo scozzese inclinò la testa.

-Forse perché ero il fratello di latte di vostro marito?- domandò retorico questi.

Lady Mc Stone ignorò la velata frecciata che le aveva rivolto.

Il suo sguardo si concentrò sulla sua sagoma imponente, sul suo insistere con quel kilt che lo faceva risaltare nella sala, piena di gentiluomini stucchevoli e vacui. - Avete ricevuto la notizia della sua morte- continuò, assottigliando lo sguardo- per quale motivo non siete venuto a recargli il suo ultimo omaggio?-

Brendan socchiuse gli occhi, in una piega sorniona.

-E voi perché vi siete posta al fianco della bara?- domandò con velata cattiveria- Quello non è il vostro posto.-

La donna inclinò la testa.

Aveva imparato a dominare la paura da molto tempo, quando aveva compreso quanto fosse volatile il concetto stesso della famiglia e dei legami. - Ah, davvero?- rispose- Mi state accusando di qualcosa, forse? State facendo delle insinuazioni sul mio matrimonio con Alistair...e i morti, spesso, è meglio lasciarli stare.-

Mentre parlava, non abbassò mai lo sguardo, sebbene ogni parola pesasse nell'aria come un mare di pietre. Farlo significava mostrare debolezza e lei non poteva permettersi un lusso del genere. Senza pensarci due volte si diresse verso la porta. - Lasciate perdere il passato, Lord Mc Kenzie- disse, calibrando il tono in modo troppo studiato per essere sincero mentre gli passava accanto -quello che è avvenuto, quello che poteva essere...che importanza può avere? Non si torna indietro, anche quando si vorrebbe.-

 

 

Viaggiare in carrozza era un'operazione abbastanza scomoda e noiosa. Ester odiava quel mezzo a causa degli scossoni che talvolta lo percuotevano nel momento in cui una delle ruote prendeva qualche sasso. La velocità comunque metteva al riparo da simili inconvenienti.

Il ricevimento era stato piuttosto pesante.

-Sorella- disse, fissando le case scorrere davanti a lei- volevate mostrarmi Lord Von Gruhnweld?-

Soledad occhieggiò distratta le vetrine.

- Era un privilegio che vi ho voluto concedere. Quando ho sposato il povero Alistair, ho avuto solo due incontri a disposizione per conoscerlo prima delle nozze.- rispose.

Ester sospirò.

- E, dunque, vi piace Lord Von Gruhnweld?- chiese ancora.

Due occhi verdi si specchiarono nei suoi.

-A voi piace?- fu la risposta della maggiore.

La signorina Escobar osservò nuovamente le case. - Non deve piacere a me  ha un titolo ed un considerevole patrimonio. Potrebbe garantire molti vantaggi una sua parentela...- cominciò a dire, prima di sentire una risata di contralto riverberarsi nel minuscolo abitacolo del mezzo.

Perplessa, fissò la sorella.

-Queste chiacchiere da mercante lasciale a chi ne ha voglia. Sono discorsi degni del peggiore dei ruffiani nei quartieri di piacere di questa città. Io non ho bisogno di strisciare ai piedi di un omuncolo del genere e, se lo fai per me, allora non ragioni bene. Avrai la tua unione accettabile, sorella- fece sarcastica Soledad- ma non c'è fretta. Con la dote che avrete, grazie a me, potrete sposarvi quando lo desiderate. Il denaro, mia cara, mette sempre l'età all'ultimo posto nei pensieri di un uomo.-

 

I capitoli, per il momento, sono abbastanza brevi. Come vedete, pubblico abbastanza velocemente. Approfitto delle vacanze per togliermi questo capriccio ma, in seguito, vi informo fin da subito che non sarò costante. Ester ha finalmente avuto modo di vedere da lontano il fidanzato che sua madre voleva per lei...e non rimane tanto bene. Come se non bastasse, ha un alterco con un perfetto estraneo.

Nemmeno Soledad se la passa bene...perché fa la sua comparsa un certo Lord Mc Kenzie, scozzese pure lui.

Il ricevimento viene in questo modo...ora vedremo come vanno le cose. Ringrazio intanto i 5 che mi hanno messo tra le seguite. Siete stati molto gentili e ringrazio le due lettrici che mi hanno recensito sinora. A presto.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** X ***


 

Questa volta non mi dilungherò molto.

Speravo di poter fare il capitolo in fretta ma così non è stato. Spero che la storia continui a piacere e vi ringrazio per avermi letto.

 

X

 

 

Passeggiare per i giardini di Londra era uno dei rari passatempi che Soledad si concedeva.

Un momento di quiete, perfettamente immersa nel caos della metropoli.

Rashid la seguiva a breve distanza, con il suo passo regolare e silenzioso. Alla dama quella compagnia non le dispiaceva, così come il silenzio non rappresentava per lei un fastidio, anzi. A volte, quella pace non le dispiaceva.

Camminò a lungo, salutando le varie conoscenza, tenendo ben alto l'ombrellino parasole.

Invero non ne aveva bisogno.

La sua carnagione era naturalmente pallida, grazie al sangue materno. Soledad sospirò. Se c'era una cosa che non avrebbe mai rimpianto era quella di non somigliare per nulla al padre. Istintivamente, rafforzò la presa sul manico dell'ombrello, in un gesto colmo d'ira...salvo poi rilassare il tutto, come se non fosse accaduto niente.

-Lady Mc Stone- fece il maggiordomo- forse dovremo recarci al porto. La nave proveniente dalla Francia arriverà a momenti.-

La donna si portò una mano allo scialle di trina nera, che fasciava interamente il suo corpo.

L'aria si stava facendo più umida del solito.

-Va bene- rispose- ricordate di far riscaldare adeguatamente le stanze. Suor Lucia non è abituata a questo genere di clima.-

 

 

Il battello proveniente dalla Francia giunse in perfetto orario.

Il profumo metallico delle fabbriche di ghisa giungeva sino a quel mare plumbeo che ancora sapeva di acqua dolce. Non appena attraccarono, si levò un piccolo pontile da tutte e tre le uscite delle classi di alloggio. Suor Lucia scese dalla seconda, con il suo consueto passo metodico e pacato.

-Monja Lucia!- salutò lady Mc Stone, venendo da lei.

-Hermana mi!- rispose di rimando la religiosa, accorrendo a sua volta.

Le due sorelle si abbracciarono.

-Mi sei mancata moltissimo, mi Soledad- mormorò la suora, stringendola tra le braccia- Ma su, fatti guardare!-

La minore si staccò, permettendo alle iridi nocciola dell'altra di studiarla.

- Ho saputo che la nonna si è ammalata- rispose.

-Donna de Rossignol ha agito con testardaggine. Ignorando le raccomandazioni di nostra sorella Maria, ha preteso di occuparsi delle piante della sua serra, malgrado il tempo non fosse dei migliori. Non temere, però. Nostra nonna sta bene...e così il resto della famiglia. Ancora però si rammarica di non aver potuto intervenire alle trame di Don Escobar e tu madrastra. - fece, con fare colmo di rammarico.

L'altra scosse la testa.

-Mio marito è stato un uomo buono- rispose- sebbene infelice.-

Pilar non disse niente.

Ne avevano discusso a lungo ma era certa che sua sorella non avesse rivelato tutta la verità sul matrimonio di suo padre e quello che aveva legato la giovane, all'età di 16 anni ad un malinconico scozzese. -Mi piacerebbe portargli un saluto- disse, con un tono pacato e privo di ogni inflessione.

-Mio marito riposa nella cappella di famiglia in Scozia. Al momento, sarebbe lungo e faticoso per voi recargli questo omaggio, benché la cosa sia assai onorevole.- rispose Soledad- Possiamo però andare in uno dei luoghi di culto cattolico di Londra. Non sono molti ma spero che soddisfino la vostra richiesta.-

Suor Lucia le rivolse un sorriso di ringraziamento.

-Nostra nonna avrebbe davvero voluto rivedervi. Di tutte le sue nipoti, voi siete stata indubbiamente colei a cui era più legata. Non passa giorno che non rammenti i pomeriggi che ha passato in vostra compagnia. Anche Maria vi nomina spesso- continuò la monaca.

Soledad sorrise.

-Ricordo anche io quei bellissimi giorni. E'stata una persona molto gentile ed amorevole. Gli zii ed i nostri cugini godono ancora di buona salute?- chiese ancora lady Mc Stone.

La monaca si passò una mano sulla stoffa. -Ho saputo che si sono trasferiti a Granada, dove stanno mettendo su delle piccole attività. Come ben sai il titolo che possiedono è poco rilevante e, per migliorare i loro commerci, mirano ora ad estendere gli affari all'Olanda. Nostro zio Pedro ha fatto alcuni viaggi a Lisbona, al fine di prendere nota sugli eventuali traffici e, insieme a nostro cugino Gonzalo partirà a breve.-

Soledad stirò le labbra.

-Da quanto tempo non sorridi più, sorella mia? Non vedo alcuna gioia sul tuo viso. Ora non devi più sostenere il peso di questo matrimonio...puoi pensare di nuovo alla tua vita con serenità- disse Pilar, mentre, camminando, si dirigevano verso una cappella.

L'altra non disse una parola.

Sul viso, aleggiava un sottile tormento, segno che la quiete non era mai scesa nel suo animo.

A quella vista, la monaca sospirò.

Era certo che non avrebbe mai avuto modo di sciogliere il nodo che teneva legato il cuore della sorella. Aveva lasciato la piccola Soledad per la via del convento, alcuni anni prima della morte della madre...e un po'si sentiva in colpa. In cuor suo, sentiva che vi erano altre questioni, di cui sua sorella non l'aveva messa al corrente e che, forse, avrebbero riportato a galla antichi spettri e vecchi dolori.

Con questi pensieri, la monaca fece il suo ingresso nella chiesa.

Avrebbe chiesto consiglio nella preghiera, lasciando un filo di pace momentanea alla sorella minore.

Soledad la accompagnò, accendendo le candele consuete e congiungendo le mani.

L'aria era intrisa di incenso e moccolaia, nella lieve penombra della cappella con le statue dei santi e degli angeli. Lo sguardo, ogni tanto, correva alle vetrate colorate che disegnavano strani e bellissimi cromatismi di luce, come se fosse effetto di un arcobaleno. Immersa in quell'atmosfera di raccoglimento, la giovante vedova cominciò la sua silenziosa preghiera, ripensando ai caldi pomeriggi di Cordoba, alle visite di nascosto nell'Alhambra, alle passeggiate nelle vie di Siviglia...momenti bellissimi, irrimediabilmente spazzati via dall'egoismo e dalla violenza.

Ripensare a quei giorni felici, riempiva il cuore di tristezza ma questa amara conseguenza sembrava essere il pane che Lady Mc Stone aveva mangiato per anni.

 

La luce del cortile interno della residenza Rossignol tingeva i muri di caldi colori. Soledad si guardava attorno, stringendo la piccola bambola di stoffe pregiate. Le rose rampicanti ed il minuscolo albero di limone al centro gettavano una morbida ombra, dandole un senso di protezione che non sapeva bene come definire. Alzò incuriosita il capo, mentre i capelli scivolavano morbidi lungo la guancia.

C'era tanto silenzio, nel giardino di pietra della nonna.

Una quiete calda e rarefatta, diversa dall'ascetica ipocrisia del monastero dove era stata condotta sua sorella.

Istintivamente aggrottò la fronte.

Non avrebbe mai voluto finire in un posto del genere. Le suore di quel posto erano tutte serie, vagamente arcigne, tanto da metterla a disagio.

I suoi pensieri vennero interrotti da alcune grida, provenienti dall'interno.

Soledad non si mosse.

Non era la prima volta che succedeva.

Quel suono le faceva paura, benché questa volta non fosse accompagnato da altri rumori, come di consueto.

Di getto, le venne spontaneo alzare il capo, verso una delle finestrelle del piano nobile...e vide la sagoma bianca e mesta di sua madre.

Istintivamente strinse la bambola.

Sua madre la stava guardando...e lei ebbe come l'impressione che volesse dirle addio.

 

A quel ricordo, caldo e aspro come i limoni del giardino di pietra della nonna, Lady Mc Stone strinse le labbra.

Quell'immagine, custodita nell'arida stasi della sua infanzia, era un ricordo che le riempiva l'animo di amarezza. Si era spesso sentita in colpa per quello che era accaduto, per ciò che non sarebbe dovuto accadere e che invece era stato, per non aver lottato abbastanza...

-Sorella- disse la monaca- come sta la figlia di Renée?-

La dama sussultò.

-Ho preso a cuore la sua sorte. Voi non l'avete mai conosciuta ma è una creatura adorabile, benché la sua leggerezza sia qualcosa che potrebbe portarle molti problemi...ma provvederò io a questo.-fece, con un piglio determinato.

La suora sorrise.

-Non siete cambiata affatto- commentò- anche da piccola volevate mutare gli eventi.-

Lady Mc Stone rimase in silenzio e la monaca non riuscì a leggere dentro la sua espressione. Il buio aveva ingoiato i suoi lineamenti, rendendo l'ovale una macchia quasi opalescente. Si chiese cosa stesse pensando, quale fosse il fondo del pozzo di dolore in cui pareva immersa da tempo immemore. Dopo la monacazione, si erano tenute in contatto solo via lettera e non sapeva quanto le parole sulla carta fossero sincere.

-E'così- disse- Iddio mi ha dato una condizione infima e degradante nel corpo...ma questo non significa che, con l'a determinazione non possa allontanare i miei limiti. Voglio vedere fin dove il mio animo mi spingerà, ora che ho dei mezzi degni di essere chiamati tali.-

Pilar non commentò.

La sua naturale modestia cozzava con le parole che aveva sentito. Parole degne di una Elettra, non di una vedova. -Ugualmente, insisto- fece- Evitate di cadere in situazioni spiacevoli. Nostra nonna, a causa della lontananza, nutre profonda preoccupazione per la vostra sorte.-

Soledad si morse il labbro.

Donna De Rossignol era stata la sua ancora di salvezza, durante la sua grigia infanzia. Le doveva tutto, giacché sua madre non aveva potuto provvedere alla sua educazione...il peso dei ricordi, per l'ennesima volta, si manifestò in tutta la sua inclemenza, rischiando di schiacciarla.

 

La testa le faceva male, come le ossa.

Non riusciva a muoversi, schiacciata dal peso del lenzuolo e della coperta.

Dall'altra parte della stanza, però, sentiva le urla della nonna e degli zii, mischiate ad oggetti rovesciati che si schiantavano a terra, facendola sussultare e gemere di dolore ogni volta.

 

- La nonna è preoccupata per me?- domandò.

La suora annuì.

-Da quel maledetto giorno...da quando, a seguito della morte di sia figlia Honor, nostro padre ha lasciato la Spagna, Donna De Rossignol è afflitta per la tua condizione. Mi ha detto che la sua casa, come quella degli zii, è aperta per te.- disse, tentando di essere rassicurante.

Soledad non disse niente.

-Quando la disgrazia mi ha colpito...e mi sono ritrovata paralizzata a letto...dove era...mia nonna? E i miei zii? Ed i cugini?- disse, con amarezza- Se ora hanno rimorsi, non so cosa posso farci. Hanno scelto di lasciarmi da sola, inerme di fronte a tutto...ora è inutile che mostrino compassione. E'un sentimento sterile...inutile.-

Suor Lucia sussultò.

Le parole della minore erano pesanti e gravi come macigni...e non osò più rispondere, giacché non c'era niente da dire. Lei era già lontana da casa, nel suo sicuro convento, quando l'attuale vedova Mc Stone, ancora bambina, era volata giù dalle scale.

Non era più presso la famiglia, dovendo rispondere al volere di Don Ignatio Escobar. Avrebbe voluto dire molte cose...ma era chiaro, persino ad uno sciocco, che le circostanze che avevano segnato lo svolgersi degli eventi in quella maniera erano state tanto rapide e malevole da rendere impossibile, persino al giudice più saggio, riconoscere chi fosse effettivamente il colpevole.

 

Capitolo di transizione. La sorella maggiore di Soledad giunge a Londra, per farle visita e riferirle le vicende della famiglia materna. La ragione, comunque, è anche un'altra. Lo vedremo in seguito.

Intanto vi lascio queste pagine, sperando che vi sia piaciuta. Questa settimana mi sono dedicata agli originali ma provvederò anche alle fanfic, promesso. Ringrazio i 5 che mi hanno messo tra le seguite e Diana924.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** XI ***


Nel precedente capitolo, mi avete chiesto quante sorelle ha Soledad. Ho messo la risposta sul post del mio blog ( ne ho due: uno è ilsalottoclassico, l'altro è quello da cui potete accedere dalla mia pagina su EFP). Intanto le cose cominciano a muoversi, forse.
 
XI
 
Il salotto dell'ambasciata prussiana era umido e scuro, a causa delle finestre alte che si aprivano sul Tamigi.
Qua e là facevano bella mostra di sé alcuni elementi gotici, in una palese imitazione del medioevo germanico. A quella vista, arricciò il naso. Più guardava quelle pesanti armature, più gli pareva di essere nel Castello di Otranto di Walpole.
-Mi auguro che l'arredamento vi piaccia,  Lord Gillford.- disse il proprietario, richiamando la sua attenzione.
Cedric inarcò la fronte.
-Non è necessario che usiate con me questo tipo di linguaggio. Al momento, è mio zio a possedere il titolo...e a me, in fondo, va bene anche così, Lord Von Gruhnweld.-rispose, posandosi una mano sotto il mento.
Il prussiano gli riservò un'occhiata annoiata.
-Avrei preferito rivedere vostro zio, in tutta franchezza. Non lo incontro da molto tempo- rispose atono, con aria di sufficienza.
Il giovane non fece una piega.
In cuor suo, era profondamente disinteressato al tono usato da quell'uomo. Era un americano, orgoglioso di esserlo. Poco importava la considerazione di cui godeva presso di loro.
Tutto previstopensò, con una scrollatina di spalle.
-Mi dispiace darvi questo fastidio- rispose monocorde, troppo per risultare sincero- ma lo zio è stato richiamato da un affare urgente.-
Lord Von Gruhnweld grugnì seccato.
Cedric si passò una mano sui capelli, come a voler scacciare il fastidio di dover provvedere di persona alla misantropia del suo tutore.
-Ad ogni modo- fece questi- cosa siete venuto a fare?-
Il giovane lo fissò.
-Ho ricevuto da parte di mio zio, l'incarico di consegnare questa lettera. Data la gravità con cui me l'ha data, immagino che sia importante.- rispose, studiando le sue mosse.
L'altro prese il foglio e, lentamente, con un coltello sulla scrivania, aprì la busta. Arcigno, estrasse la carta e, dopo avergli dato una leggera occhiata, estrasse la carta.
Per qualche minuto, calò il più profondo silenzio, durante il quale il padrone di casa concesse una breve lettura al messaggio.
L'americano, però, era un acuto osservatore e, in quel lasso di tempo, guardò il viso del prussiano. Lord Heinrich era un alemanno di primo pelo, giunto in Inghilterra al seguito di una delegazione secondaria di tedeschi, proveniente dalla Sassonia.
Sulla sessantina, magro e dalla pelle giallastra, era ben riconoscibile per una vistosa calvizie che nemmeno il riporto dei capelli superstiti riusciva a celare. In giro, si diceva che avesse un temperamento bilioso e facilmente irritabile.
Colpa dell'assenza di un erede per il suo casatodicevano i più maligni e veritieri.
-Posso sapere la ragione di questo rifiuto?- domandò questi posando il foglio, con quell'intonazione rigida ed aspra da straniero.
L'americano scosse la testa.
-Sono solo un messaggero. Immagino che sia dovuto ai rischi della navigazione. Ho letto dell'inabissamento di quella nave, nel tratto di mare da cui dovrebbe passare il battello con il carico di cui ho sentito dire brevemente da mio zio...come, del resto, dice la cronaca. A parte questo, non so altro- rispose.
Lord Heinrich sospirò, in un chiaro segno di fastidio.
-Deduco che dovrò rivolgermi altrove- rispose infine.
La sua espressione, tuttavia, cozzava profondamente con il tono compassato della frase. Aveva mantenuto la forma, senza riuscire a celare del tutto le sue emozioni.
Cedric stirò le labbra.
Di certo, non sarà mai un buon giocatore di pokersi disse mentre con educazione si congedava da quel tedesco.
Una volta chiusa la porta, si concesse un sorriso più ampio.
Malgrado lo zio non lo avesse informato sull'argomento della lettera, la sua innata capacità di osservazione e la lettura dei giornali gli avevano permesso di avere quella conoscenza generale, in grado di permettergli di non rimanere in silenzio e, soprattutto impreparato.
Il malumore del prussiano, comunque, non lo convinceva del tutto.
Nessuno sapeva la risposta dello zio.
A quella considerazione, lo yankee storse la bocca.
Pensare all'uomo che lo aveva nominato suo erede, lo irritava. Non gli piacevano gli inglesi, sebbene dovesse ammettere quanto Lord Gillford senior fosse una persona abbastanza sopportabile.
La tensione di Lord Von Gruhnweld lo aveva comunque messo in allarme. Si ripromise, pertanto, di vigilare sulle sue mosse: qualunque cosa avesse in mente, non gli avrebbe permesso che il nome della sua famiglia fosse coinvolto nei problemi di chicchessia.
 
 
 
Suor Lucia aveva un corpo morbido, quasi matronale.
Ester la guardava con curiosità, da sotto le lunghe ciglia nere. Era la primogenita di suo padre e, seguendo le leggi dinastiche, era entrata in convento per prendere i voti. Possedeva due grandi occhi verdi che fissavano attenti lo spazio circostante, incastonati in un ovale leggermente appesantito da una dieta molto grassa. Teneva tra le mani il filo per il centrino che stava preparando, con abile perizia. Era entrata nella sua stanza, con la scusa che fosse il luogo più illuminato della villa ma, più passava il tempo, più la giovane si chiedeva quanto la spiegazione fosse sincera.
-Voi siete la sorella maggiore di Soledad?- domandò, non riuscendo a frenare le domande che, serpentine, si affollavano nella sua testa.
Di tutta la famiglia del primo matrimonio del suo genitore, aveva conosciuto solo l'attuale Lady Mc Stone. Le altre sorellastre, invece, erano delle entità sconosciute e fumose, difficili da catalogare.
La monaca interruppe il lavoro.
-Sì, il mio nome è Pilar.- rispose, studiandola con lo sguardo.
Ester abbassò gli occhi, leggermente a disagio.
Il tono che quella suora stava usando verso di lei era freddo, come se stesse parlando ad un estraneo. Non le piaceva. Anche lei era sua sorella, pur provenendo da un ventre diverso...ma forse era quella peculiarità a rendere giustificata quella distanza e non poteva fare altro che accettarla, benché fosse dolorosa.
-Posso farvi delle domande?- fece, tentennando un po'.
Pilar aggrottò la fronte.
-Ditemi.- rispose.
La più giovane si morse il labbro.
-Soledad ha altre sorelle, oltre a voi?- chiese.
-Solo una. Si chiama Blanca ed è sposata.- disse Pilar.
Lei chinò la testa.
-E come era vostra madre?- continuò.
Il viso della primogenita si contrasse per un momento, salvo poi rilassarsi.
-Honor era un'anima pia e gentile, dedita alla quiete ed alla lettura. Ha amato profondamente le sue figlie, dalla quale è stata ampiamente ricambiata.- rispose, con un tono stranamente malinconico.
Ester tacque.
-E come era mio padre?- domandò nuovamente.
Suor Lucia depose la matassa di filo sul tavolo e, quasi senza pensare, afferrò la croce del rosario. -Un'anima infelice, accecata dal peccato- rispose, stringendo con forza il legno scuro - ma perché mi fate delle domande simili?-
La ragazzina chinò la testa.
Non sapeva nemmeno lei la ragione di quella conversazione...quasi si vergognò per averle formulate. -Il fatto è che ricordo poco il mio genitore. Egli è morto quando avevo cinque anni e l'unica cosa che riesco a rammentare erano le sue urla dalla camera da letto.-rispose, tentando di frenare un brivido che, incurante dei suoi desideri, era partito dalla sua schiena, facendola gelare sul posto.
Pilar accarezzò la trina appena fatta.
-Voi sapevate cosa aveva nostro padre, immagino- lasciò cadere.
Ester scosse il capo.
-Mia madre non mi ha mai raccontato nulla ma sia lei che Soledad hanno sempre cercato di tenermi a distanza.-rispose.
 
Il quadro di Don Ignatio campeggiava nell'immensa e vagamente lugubre sala da pranzo. Il soggetto, al momento del ritratto, doveva avere circa 30 anni. La bambina lo osservava affascinata.
Era bello suo padre.
Un viso dai lineamenti mascolino.
Gli occhi verdi e fieri.
I capelli scuri, come l'ebano e la pelle leggermente ambrata di chi ama stare all'aria aperta...a quel pensiero, arricciò il naso.
Sua madre non sembrava molto soddisfatta e preferiva passare il tempo in giro a far compere, piuttosto che rimanere in casa.
Ester aveva sempre visto quella condotta come qualcosa di assolutamente normale, benché non le fosse mai capitato di scorgere sorrisi su quel viso di bambola. Improvvisamente, un urlo ruppe la quiete di quel giorno.
La piccola sussultò.
Non era la prima volta che udiva quelle grida, miste a bestemmie...e non sapeva a chi appartenessero. Nessuno le diceva mai niente. Piano, si guardò intorno e, non vedendo anima viva nei paraggi, decise di andare a vedere da dove provenisse quel rumore. I piccoli piedi attraversavano il suolo liscio senza produrre alcun suono. Non venne vista da alcun membro della servitù, colpa del suo corpo minuscolo.
Giunta di fronte alla porta, la trovò semiaperta e, con lentezza esasperata, scivolò all'interno.
 
Un moto di nausea travolse la giovane, mentre il ricordo proseguiva.
 
Non era mai stata in quella stanza...e non poté fare a meno di trovarla strana.
Era buia, umida e puzzava un po'di escrementi, malgrado sembrasse pulita.
Quel particolare non piacque alla bambina ma la curiosità ebbe la meglio sull'impressione iniziale. Temeva però la reazione della madre. Senza farsi notare, si nascoste in un pertugio in cui entrava a malapena, leggermente in alto. Da lì, la piccola ebbe modo di vedere meglio. Sul letto, giaceva un uomo.
Indossava una camicia da notte di cotone di prima qualità, segno che era di buona famiglia...ma non fu quel particolare ad attirarla. Aveva il viso e le parti di pelle visibili, cosparsi di pustole putrescenti che deturpavano l'immagine rendendola riconoscibile.
A quella vista, la bambina trattenne un singhiozzo spaventato.
L'uomo aveva due occhi color verde spento, che fissavano con aria vacua la stanza. Se non fosse stato per il respiro affannoso che percuoteva quel petto, avrebbe certamente pensato che fosse morto.
Poi, improvvisamente, quell'uomo cominciò a gridare.
-PUTA!!!- urlava- TU ERES UNA PUTA!-
 
Ester chiuse gli occhi.
Quell'uomo gridò a lungo, per ore, fino a quando non vide spalancarsi di botto la porta e sua sorella, insieme ad uno dei servi più robusti, non entrò dentro, tenendo una coppa che fece bere a forza al quella persona. Solo allora, il malato si placò, accasciandosi sul materasso. Solo successivamente, per un mero caso, scoprì che era suo padre... quella differenza, tra il ritratto ed il folle piagato dalla malattia, era un'immagine che tuttora la spaventava.
-Vi sentite bene, senorita?- domandò la monaca.
La ragazzina si riscosse.
-Sì- fece, improvvisamente priva della sua consueta vivacità- perdonatemi per avervi fatto queste domande. Il fatto è che, a parte Soledad, non ho conosciuto nessun altro.-
Suor Lucia la guardò.
Il viso della sorellastra era un'opera d'arte. I lineamenti, morbidi e angelici, erano ancora acerbi ma mostravano la sua inevitabile maturazione.  La monaca storse la bocca. Pareva sinceramente dispiaciuta per non aver visto nessuno, a parte Soledad...ma, per quanto le dispiacesse, non era colpa sua.
-E'comprensibile- disse lei- voi siete nata in Francia, se non sbaglio.-
Ester annuì.
-Non ricordo molto di quel posto, in verità- confessò- perché, poco tempo dopo la mia nascita, la casa, parte della dote di mia madre, venne venduta per sanare alcuni debiti e ci siamo trasferiti a Londra.-
Suor Lucia non disse una parola in proposito.
-Ditemi- continuò la sorellastra- com'era la Spagna dove è nata mia sorella?-
L'altra depose il centrino.
-Sorellastra- la corresse in un soffio, prima di cambiare argomento- la Spagna è un luogo soleggiato, composto da molte luci ed ombre, con case dalle finestre piene di arabeschi o tetti pesanti di barocco. E'un Paese di contraddizioni, fatto di passione e di rigido autocontrollo...ed il suo fuoco, mia cara, è qualcosa che niente può estinguere.-
Ester non vi badò, la mente correva ormai alle lande che la monaca le aveva narrato...una chiara dimostrazione del potere della fantasia, così forte da provvedere alle mancanze dell'esperienza. -Deve essere un luogo splendido- commentò, senza riuscire a trattenersi- ben diverso dall'Inghilterra.-
La monaca accarezzò piano il rosario.
-Anche la Francia lo è- rispose.
-E'possibile- disse Ester, facendo spallucce- ma io non ho alcun ricordo di quel posto.-
Pilar tacque nuovamente e la ragazza non seppe dire se il suo silenzio fosse dovuto al modo in cui aveva parlato o, come invece temeva, alla sua totale ignoranza. Non aveva avuto modo di studiarla con attenzione, durante quei giorni di permanenza. Spesso la vedeva passeggiare con Lady Mc Stone, conversando con lei...ma nulla di più. Quei modi, così ritirati, avevano finito con l'essere visti dalla giovane come qualcosa di distante e secondario. Rifletté a lungo...ma, alla fine, non riuscendo a trovare risposta, decise di lasciar perdere.
 
 
 
I vicoli di Londra erano sporchi e maleodoranti ma a Cedric quel particolare interessava ben poco. Senza dare troppo nell'occhio, aveva percorso alcuni vicoli, fino a quando non si trovò di fronte una casa in stile orientale, circondata da un robusto cancello.
Il nipote di Lord Gillford sorrise felinamente.
-Eccoci arrivati- disse, prima di riprendere la sua marcia.
L'edificio era di fronte a lui, in tutta la sua magnificenza. A prima vista, sembrava un'abitazione signorile...chi avrebbe mai potuto dubitare che era uno dei bordelli più alla moda della capitale?
Giunto alla porta, il giovane bussò.
Pochi minuti dopo, sulla soglia comparve una donna corpulenta e profumata, dal viso sapientemente truccato e lo sguardo attento. -Chi cercate?- domandò, affabile.
-Buongiorno, Miss- disse irriverente- sono il nipote di Lord Gillford ed avrei bisogno di scambiare qualche chiacchiera con Miss Calliope. Ne avrei davvero urgenza.-
La donna aggrottò la fronte, scrutando con diffidenza il nuovo arrivato...salvo poi rilassarsi. -Non mi sembrate un pezzente- fece guardinga, prima di voltarsi- MILDRED! Vai ad informare la signora che abbiamo un ospite.-
Nell'aria si udì un nervoso scalpiccio sul pavimento, come di chi stesse correndo, inseguito da una schiera di diavoli. -Perdonatemi signore- fece la donna- la padrona arriverà a breve. Nel frattempo, perché non venite nel salottino?-
L'americano occhieggiò gli interni.
Erano molto curati, con delle grottesche che davano un'aria conturbante al posto.
Giunto nella sala, si accomodò in uno dei piccoli canapé rosa antico della stanza, arredata con un gusto leggermente antiquato ma non per questo sgradevole. Qua e là, facevano bella mostra di sé vari tipi di fiori.
Cedric arricciò il naso.
Poteva sentirne l'odore fin lì.
-Perdonatemi per il ritardo- disse una voce, bassa e carezzevole.
L'americano alzò la testa.
-Non avete motivo di chiedere scusa, Miss- fece, sorridendo allusivo- la vostra mise ha qualcosa di conturbante.-
La donna rise.
-Sempre il solito impertinente- fece- l'aria di Londra non vi ha reso meno selvatico di quando vi ho conosciuto.-
Cedric ridacchiò a sua volta.
-Nemmeno voi siete cambiata, Kaylynn- disse, pronunciando il nome con una punta d'affetto.
La donna rise maggiormente.
-Ora mi faccio chiamare Calliope- rispose, ammonendolo bonaria- ma non posso negare di essere felice di vedervi. Siete uno dei ragazzi a me più cari, sapete?...Quanti ricordi, quante immagini vivide mi avete lasciato-
Una delle cameriere si avvicinò al tavolino di fronte a loro, porgendo il vassoio con il té. Cedric la guardò. Aveva i lineamenti delicati ed una carnagione leggermente scura. -Vi piace?- fece entusiasta la dama- E'un recente acquisto. Pensa! Suo padre aveva molti debiti con alcuni strozzini e, dopo aver dilapidato la dote di sua moglie, ha pensato bene di venderla a me. Non mi è costata molto, in verità...ma questi sporchi indiani hanno una così bassa considerazione delle loro donne che non è difficile comprarle...meno di un cavallo da traino, pensa! Nemmeno gli inglesi arrivano a tanto.-
L'americano storse la bocca.
Non era estraneo a quel genere di chiacchiere ma non poteva nascondere a sé stesso un filo di perplessità in proposito.
-Comunque sia, mio caro- fece la donna, massaggiandosi la spalla scoperta- di cosa volevi parlarmi?-
Lord Gillford si umettò le labbra. Calliope indossava una veste da camera che imitava le cineserie che in quel momento andavano tanto di moda, un abito che esaltava le morbide curve del suo corpo, malgrado viaggiasse ormai sulla quarantina. Era sempre stata una donna eccentrica, che aveva sfruttato la Sorte con ogni mezzo.
Figlia di nessuno, grazie alla sua bellezza e in modo assolutamente rocambolesco. era diventata amante di un ricchissimo prussiano che, alla sua morte, l'aveva nominata sua unica erede, malgrado la disapprovazione del resto della famiglia.
Kaylynn era quindi diventata una donna molto facoltosa e, malgrado i trascorsi non propriamente limpidi, aveva sfruttato la fortuna economica di cui era entrata in possesso con un piglio mercantile, tipico di chi era abituato costantemente a fare affari. A differenza di molte ricche amanti, non si era mai crogiolata nel denaro ma, al contrario, aveva investito quello che aveva in attività abbastanza redditizie, come una sala da té ed una da gioco di cui era proprietaria.
-Miss Calliope- fece, passandosi una mano sui capelli- so che siete un vero talento nel cogliere i pettegolezzi ed avrei un favore da chiedervi.-
La donna posò la tazza sul tavolino. Gli occhi si fecero attenti. -Dovevo aspettarmelo- disse, con un sorriso divertito- che non eri venuto a farmi visita per puro piacere. Anche quando ci siamo incontrati sul battello, non è stato qualcosa di casuale. Di chi si tratta?-
Cedric ridacchiò, pensando a quell'episodio.
-Mi riferivo ad un uomo di nome Lord Von Gruhnweld. Mio zio ha disdetto degli affari con lui. Io sono andato come ambasciatore presso la sua dimora londinese e l'ho trovato strano. Miss Calliope, voi  che conoscete l'animo di un uomo meglio degli uomini stessi, sapreste dirmi la ragione del suo atteggiamento bizzarro?- domandò.
La padrona di casa si passò una mano sulla bocca carnosa, fissando con aria riflessiva i ciuffi rossi della sua chioma. -Parlate di Lord Heinrich?- chiese lei, sfoderando un sorrido divertito.
L'americano annuì.
Kaylynn si adagiò morbida sul divano. Con questo gesto, parte dell'abito scivolò leggermente al di sotto delle sua spalle, scoprendo la curva morbida del seno. -Ho sentito parlare non poco di lui. Mi è anche capitato, poco prima di ricevere la proposta della Buonanima di Guhnter, qualche offerta da parte sua. Io però mi sono rifiutata, non senza soddisfazione. Lord Heinrich non cura molto la sua igiene e provo un sincero disgusto per l'odore che emana il suo corpo. Quando si offrì di prendere la mia verginità, malgrado la somma rilevante, non sono riuscita a non rifiutarmi...e ho fatto bene.- disse, con crudele ironia.
-Kaylynn...- la ammonì il giovane.
-Lord Von Gruhnweld ha un disperato bisogno di un erede. Con due matrimoni alle spalle, non è riuscito a raggiungere lo scopo, malgrado le mogli fossero di costituzione sana. Nemmeno un aborto naturale capite? Nessuno osa dirlo, ma è chiaro che questa sterilità non dipende dalle donne che sono state maritate con lui. Ancora adesso, non vuole darsi per vinto ed ha cominciato a premere su coloro che hanno un credito con lui. Mi hanno detto che è arrivato al punto di accettare l'offerta di una dama francese, pur di risolvere il problema.- fece, con un sorrisetto.
Cedric posò la tazza.
-Di cosa si tratta?- chiese allora.
Miss Calliope accavallò con grazia le gambe, guardandolo da sotto le ciglia nere. -Malgrado ammetta, senza troppa modestia, di essere molto brava nel sapere tutto di tutti, devo dire che ho faticato non poco, per venire a capo della questione. Non me ne sarei mai curata, se il vedere quel tale borioso in così grande difficoltà non mi divertisse così tanto.- fece, prima di diventare seria- Che io sappia, quell'uomo non ha al momento problemi economici degni di nota...tranne per la questione della sua eredità. Come vi stavo dicendo, in questo periodo è piuttosto nervoso perché le trattative che aveva in corso sono state improvvisamente sospese.-
L'americano storse la bocca.
-E di cosa si tratta?- domandò.
-Uno dei suoi creditori aveva una figlia nubile e, in cambio della sua mano, hanno pattuito il saldo dei debiti accumulati. Pare che la bellezza della ragazza sia stata qualcosa di particolarmente convincente per spingerlo ad una soluzione tanto incauta.- rispose, dandogli un'occhiata allusiva.
Cedric aggrottò la fronte.
-E quindi, il vecchio Von Gruhnweld si è fidanzato?- chiese.
La donna, a quelle parole, rise.
-Oh, mio piccolo Yankee- disse, appoggiandosi morbida allo schienale- la storia non è ancora finita. Pare che una delle figlie del primo marito di questa mezzana si sia opposta e, appellandosi al diritto di sangue paterno, abbia obbligato la donna a mollare la presa sulla sua creatura.- Kaykynn rise delle sue stesse parole. -Buffo, vero? Per una questione di potere, una madre si è vista privata dell'unico mezzo per saldare i propri problemi economici.-
L'americano non commentò.
-Non ho niente in contrario su questo uso strumentale di vite. Quella ragazzina non sarà la prima, né l'ultima. Comunque sono curioso. Per quale motivo, il prussiano è nervoso? Lei sarà sua comunque.- disse, cinico.
Lei rise ancora più forte.
-E'qui che ti sbagli- rispose- la pratica del fidanzamento è stata sospesa ed ora Lord Von Gruhnweld non sa come fare...senza contare la beffa subita! La madre della ragazza ed il suo nuovo marito sono spariti da Londra e la nuova tutrice della giovane pare poco interessata a condurre in porto questa trattativa.-
Cedric ghignò.
-Ha mire più alte, allora.- fece.
Miss Calliope alzò le spalle.
-Questo non lo so, anche perché la persona in questione è abbastanza influente e non dipende dai rapporti con Lord Von Gruhnweld.- disse, prima di avvicinarsi a lui- Sai di chi sto parlando?-
L'americano scosse la testa.
-E'l'attuale Lady Mc Stone, mio caro- fece, guardando negli occhi il suo connazionale.
 
Allora, teoricamente, non avrei nemmeno dovuto aggiornare. Devo tenere un seminario ma non sono riuscita a trattenermi. In questo capitolo, compare un altro personaggio. Miss Calliope è una figura che ho introdotto adesso, americana come Cedric. Sul legame che c'è tra i due sono aperte le scommesse, io tengo la bocca cucita.
Vorrei comunque ringraziare chi segue e legge la mia storia.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** XII ***


Benvenuti in questo nuovo capitolo. Vi ringrazio per avermi letto questa storia sinora e spero che continui a piacervi. Nel precedente capitolo, abbiamo avuto a che fare con Cedric che prende le dovute informazioni da Miss Calliope.

XII

 

Lord Von Gruhnweld fissava accigliato la lettera.

Una cortese missiva nella quale Lord Gillford declinava l'affare, peraltro vantaggioso, che gli aveva offerto qualche tempo prima, durante uno dei loro rari incontri. Il prussiano storse la bocca.

Non amava i rifiuti in quel periodo.

Lo rendevano assai nervoso.

Con uno sbuffo, si versò un bicchiere di sherry sul tavolo, dopo averlo preso dalla propria riserva personale. In quei mesi, le cose non andavano affatto bene e, come se non bastasse, presto sarebbe cominciata la Stagione...e quel pensiero, strinse con forza le mani attorno al vetro.

Non gli piaceva ricevere dei rifiuti.

Era qualcosa che non aveva mai apprezzato.

Lui era un nobile prussiano di antica schiatta e malvolentieri aveva digerito la decisione dei soci della sua gilda di trasferirsi a Londra, per poter vedere meglio le opportunità di quella città cosmopolita. -Ebbene, dovrò porre rimedio a tutto questo- disse, accarezzando il bordo freddo del vetro.

Con rabbia, aprì il cassetto, estraendo una carta giallastra e vecchia.

 

Herr Von Gruhnweld,

giacché la pazienza è una dote che non posso che riconoscere  nelle vostre maniere vi scrivo per informarvi che, per una ragione assai personale, mi troverò costretta a lasciare Londra, benché la cosa mi addolori.

Ben volentieri avrei voluto riferirvi questo di persona ma la vergogna nell'aver mancato di rispetto al vostro onore mi impone di fare diversamente...eppure non lascerò che il debito con voi rimanga insoluto.

Lady Mc Stone, una donna in possesso di un cospicuo patrimonio, mi ha informato che si occuperà della risoluzione economica del nostro accordo ma devo ahimé informarvi che non sono certa che lo stesso valga per la  mano di Ester.

A tale proposito, mi appello alla grandezza del vostro animo.

Lady Mc Stone ha assunto la tutela di mia figlia, senza minimamente tener conto dei miei sentimenti di madre. So bene che renderete felice la mia bambina e non posso permettere che l'egoismo di quella donna metta fine a questo sogno, a lungo accarezzato. Per questa ragione, qualora il vostro interesse sia autentico e ancora vivo, vi prego di fare di tutto per renderla la donna fortunata che merita di essere e di lottare per realizzare questo.

 

Lady Renée De Florie.

Il prussiano fissò tetro la carta.

Non avrebbe mai tollerato un simile affronto e questo, malgrado l'interessata, Lady Mc Stone avesse mandato poco tempo prima una lettera con la somma che scioglieva il debito che la donna aveva con lui.

Ricordava ancora il ritratto che Lady De Florie gli aveva mandato, durante una delle sue visite. A quel pensiero, si leccò lascivo la bocca.

Non poteva dimenticare quel viso di bambola e quelle labbra disegnate dalla mano di un artista né, tantomeno, la bionda chioma d'oro. Quando aveva visto quel ritratto, aveva creduto di aver di fronte un angelo.

Più volte, l'aveva osservata di nascosto, durante i momenti di svago in collegio...e ne era rimasto affascinato. La veste scura della scuola gettava un contrasto cromatico con i biondi capelli, intenta a scarabocchiare qualcosa.

L'aria assorta la rendeva simile alla dama di Shalot, di uno dei Preraffaelliti. A quel pensiero, trattenne un sospiro.

Non era un fine intenditore di bellezze femminili. Frederick era un uomo che sapeva accontentarsi. Quello che desiderava era una donna con i fianchi da fattrice, adatta a dargli un erede...ma quando aveva visto la bellezza acerba della figlia di Lady Renée aveva cominciato a fantasticare sulla possibilità di annegare i suoi lombi nel morbido ventre di quella creatura angelica.

Fantasie che avevano ben poco di angelico e che lo portavano a reagire come un adolescente alla prima infatuazione.

Aveva sentito parlare di Lady Mc Stone.

Si diceva che fosse una donna inavvicinabile, dotata di una serietà quasi matronale e di maniere ieratiche, degne forse della più pudica delle nobili donne latine.

Non aveva mai avuto modo di discutere con lei della questione del fidanzamento in termini più precisi, anche perché non era sua abitudine frequentare la casa di una vedova. Eppure, avrebbe dovuto muoversi ed andare da lei...ma non aveva ricevuto alcun invito e questa mancanza lo irritava non poco.

 

 

 

Ester camminava tranquilla per i minuscoli corridoi del negozio, seguita dalla sua fida Emma che, in abiti informali, si guardava attorno con aria spaesata.

-Signorina- fece lei, in preda al panico.

-Oh, Miss- rispose la ragazzina, gonfiando le guance in una smorfia dispettosa- non siate così severa. Stiamo solo osservando questi oggetti, nulla più.-

Senza attendere una risposta, riprese a gironzolare tra gli scaffali, dove facevano mostra di sé un numero considerevole di cineserie: vasi, ventagli e molto altro. -Voi credete che per il mio debutto questi accessori possano essere utili?- chiese, rivolgendosi alla signorina Treville.

L'istitutrice le rivolse un sorriso felino.

-Non per il primo anno di debutto, Miss- rispose- occorre rispettare la consuetudine e questi temo che non siano adatti.-

La signorina Escobar sbuffò, in un gesto assai poco elegante. Oceane la guardò divertita. Avrebbe tranquillamente potuto biasimare la sua condotta ma non lo fece. Educare quella giovane era un impiego assai interessante e non avrebbe fatto ricorso ai sistemi tradizionali. Non voleva lasciare segni sulla pelle della sua allieva, benché Lady Mc Stone le avesse dato carta bianca in proposito.

Non era sua consuetudine piegare in questo modo la condotta delle ragazze che le erano state assegnate. E forse è per questo che ti hanno indotto a lasciare la scuola dove insegnavi le disse la coscienza, pungolandola.

Il sorriso della donna si piegò di nuovo.

Non era piacevole pensare a quel periodo ma doveva ammettere che le era utile. Aveva sviluppato, durante quegli anni, una sua personale concezione dell'apprendimento per le fanciulle e, dopo i rifiuti ricevuti, smaniava sempre più di dimostrare i meriti di tutto questo...ed ora, con la signorina Escobar avrebbe avuto modo di dimostrarlo.

-Emma- disse la giovane, del tutto ignara dei pensieri della sua istitutrice- voi cosa ne pensate di quell'oggetto?-

La cameriera, sentendosi chiamare in causa, arrossì.

-Signorina- fece- io non sono in grado di...-

Ester però non le prestò ascolto.

-Non voglio sentire lamentele. Ditemi solamente se vi piace?-

La giovane allora allungò il capo, fissando con sgomento l'elemento che tanto aveva scatenato l'ammirazione della padroncina. Era un ventaglio orientale, su cui erano disegnati dei petali rosa.

-E'molto bello- commentò questa.

Ester si allungò verso il bancone.

-Scusate- fece, rivolgendosi ad una delle commesse, una donna bassa e sottile.

-Ditemi, signorina- disse questa, gentilmente.

-Quanto costa quel ventaglio?- domandò.

Emma sgranò gli occhi.

-Miss, non dovete...-provò a dire ma l'altra non le prestò ascolto. Si fece dire il prezzo dalla commessa e, senza aspettare risposta, prese alcune monete che teneva nella tasca dell'abito. Non era sua abitudine portare denaro con sé ma, durante gli anni alla Bedford's, aveva risparmiato molto. Nessuno ne era a conoscenza ma aveva scritto qualche novella per un giornale locale, grazie alla complicità di qualche insegnante, raccogliendo così una piccola somma per sé.

-Vi prego, Emma- ribatté questa- non rifiutate il mio capriccio. Siete la mia cameriera e sopportate le mie lamentele ogni giorno. Non è molto ma voglio farvi questo regalo per ringraziarvi di ciò.-

La cameriera la guardò sorpresa.

-Vi...vi ringrazio- mormorò.

Oceane osservò ironica la scena.

Non commentò la scelta della signorina Escobar ma, dall'alto della sua esperienza d'istitutrice, non era completamente convinta che il suo gesto fosse totalmente disinteressato.  Ugualmente non disse niente, preferendo guardare con divertimento i tentativi da parte di quella mezza spagnola di tessere legami e le remore della giovane Emma, troppo impacciata per accettare serenamente quel dono.

-Mia cara- disse allora, rivolta alla cameriera- vi conviene accettare. La senorita non mollerà fino a quando non direte sì. E poi, ammettetelo! Avete guardato quel ventaglio non una ma ben otto volte. Le ho potute contare distintamente, Miss. Non potete negarlo!-

-E'vero!- rincarò la dose la ragazzina- Non negatemi il piacere di farvi questo dono!-

L'altra non disse niente.

Chinò semplicemente il capo, rossa in viso.

Con quel gesto, si concluse il breve scambio di battute tra le tre.

 

 

 

Brennan stava osservando i vari passanti.

La testa, pigramente appoggiata sulla mano, sembrava quasi ciondolante, come se fosse un pezzo di pietra. 

-E dunque- continuò il valletto dinanzi a lui- è stato richiesto il vostro intervento.-

Lo scozzese non parlò, limitandosi a fissare la tazza che teneva tra le mani. Poteva percepire a pelle il timore che la sua sagoma incuteva su quel servo. Era qualcosa che aveva cominciato a conoscere abbastanza presto, quando la sua statura era diventata, con la crescita, abbastanza considerevole.

-In altre parole- fece, rompendo il mutismo- dovrei immischiarmi in una questione che a conti fatti non mi riguarda nemmeno. Per quale motivo?-

L'uomo si umettò le labbra.

Brennan gli rivolse un'occhiata colma di falsa compassione. -State dicendo che, per via di una vergine, Herr Von Gruhnweld mi chiede di intervenire in questa deplorevole diatriba?- domandò, voltando seccamente il viso di lato- Non se ne parla.-

L'altro tremò, sentendolo dire questo. C'era qualcosa d'inquietante, nel tono del nobile scozzese. Forse non aveva a che vedere nemmeno con la sua alta statura. Vi era un che di cupo e minaccioso nel suo aspetto, malgrado l'abito fosse perfettamente alla moda. -Riferite al vostro padrone che non sono minimamente interessato a partecipare a questa contesa. Non mi riguarda. Sono cose che deve risolvere in altra maniera. Chiedete ad altri un simile favore. Lord Von Gruhnweld può domandarmi oro, favori commerciali, raccomandazioni...ma, in nome del Cielo, non donne!- disse, alzandosi dal tavolo.

Il servo trattenne il respiro.

Lord Mc Kenzie, visto in piedi, pareva ancora più imponente. La bianca camicia metteva in risalto la chioma nera e scompigliata che incorniciava due iridi chiare e glaciali. Sopra portava una giacca chiara, sui toni freddi che si combinava abilmente alla cravatta. Tutti questi particolari, per quanto ricercati, non lo rendevano affatto effemminato. A smontare tutto, c'era infatti il fisico, abituato alle attività fisiche.

-Non provate mai più a coinvolgermi nelle vostre patetiche diatribe. Londra trabocca di femmine dai fianchi di fattrice- rispose, storcendo la bocca- non ha senso incapricciarsene con una per una mera questione di puntiglio.-

Con quelle parole, prese congedo, ben deciso a lasciar perdere tutto. Il pensiero però che Lady Mc Stone fosse coinvolta in tutto questo si era insidiata nel suo cuore, pieno di acredine...ed era solo questione di tempo, prima che la rabbia lo portasse nuovamente a percorrere indietro i suoi passi, verso una via che, anni prima aveva ripudiato. Quello che davvero era manchevole in Lord Mc Kenzie, però, era la sopportazione ed era solo questione di tempo prima che l'astio si riversasse su colui che reputava essere il più vicino alla causa delle sue sciagure.

Questione di tempo, nulla più.

 

 

Soledad osservava assorta le case scorrere davanti ai suoi occhi. Sentiva lo sguardo scuro della sorella su di lei.

-Non cambierò idea- disse, infine, rompendo il silenzio- ed è inutile che sfoggiate quell'espressione. So bene che biasimate la mia scelta.-

La monaca si morse il labbro.

-Io mi preoccupo per voi- mormorò questa- e per la salute dell'anima vostra e di...Ester-

Lady Mc Stone sorrise di fronte a quell'incertezza.

-Non intendo assecondare i disegni mercantilistici della mia matrigna- mormorò- e non accetterò che quella ragazzina paghi le sue scelte dissennate. Ha sperperato il patrimonio della mia famiglia e quello che aveva accumulato con le nuove nozze. Mi aveva promesso che sua figlia, sangue del suo sangue, non si sarebbe immolata per salvare le finanze...ma così non è stato. Il mio sacrificio si è rivelato perfettamente inutile...ed io non posso tollerare una simile mancanza di rispetto da parte di una donna che non ha mai avuto altro che un titolo nobile ed un'arroganza perfettamente adatta al suo ceto.-

-Conservate ancora un profondo rancore- mormorò la monaca, prima di farsi mesta-e mi dispiace che non possiate liberarvi di un simile sentimento. Ho parlato con Ester...e credo che abbiate ragione su di lei. -

-E'una brava ragazza- commentò Soledad-non passa giorno che non provi rimorso per il non averla potuta seguire nella sua crescita. Ama ancora il disegno, come quando era una grassa e bellissima bambina bionda.-

-La amate molto- mormorò Pilar con malinconia.

Lady Mc Stone si morse il labbro.

-Io desidero che sia felice. E'un pensiero volgare...ma voglio che lo sia.- fece, con una luce ferma negli occhi.

 

Grazie a tutti coloro che mi hanno letto. Ringrazio le fantastiche 5 che mi hanno messo tra le seguite e la sola per il momento che mi ha messo tra i preferiti. Ringrazio inoltre Diana924 per avermi sempre recensito.

Apprezzo leggere i commenti di chi ha voglia di lasciare qualcosa. Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** XIII ***


Ecco, questo è un nuovo aggiornamento di questa storia.  Buona lettura.

 

XIII

 

Il cortile della villa dei Mc Stone era in pieno fermento. Dall'alto della scalinata, Rashid stava dando le ultime direttive, facendo spostare vasi ed altri soprammobili secondo il gusto migliore.

La servitù obbediva silenziosa ad i suoi ordini, senza fiatare.

Oceane osservava con stupore come le sue maniere riuscissero a renderlo autorevole, malgrado non avesse alzato la voce una sola volta né, tantomeno, avesse provato ad inveire contro qualcuno dei dipendenti, quando non sembravano di suo gusto. -Davvero ammirevole il modo in cui riesce a farsi rispettare, non trovate Miss Sarasa?-domandò, rivolgendosi alla cameriera.

La donna si fermò un momento.

-Voi dite?-rispose l'indiana, mentre controllava i fiori disposti nei vasi. Il palmo si muoveva con grazia tra i vari petali, staccando con decisione quelli appena deteriorati. Era una delle mansioni che la padrona le aveva affidato, oltre naturalmente a provvedere a tutti i bisogni di quest'ultima.

Oceane la guardava con curiosità.

Erano composizioni basate esclusivamente su dalie e gladioli, con poche varianti ed un unico significato. Gratitudine e rispetto fu l'immediata interpretazione che riuscì a dare. -Lavorate da molto qui?- chiese.

Sarasa annuì, con un gesto composto della testa. Così facendo, l'istitutrice poté vedere con estrema chiarezza le cicatrici che decoravano la parte posteriore del collo. Non appena se ne avvide, la cameriera li celò con la sua lunga treccia. -E'stato il padrone a condurmi in questa casa. La sua moglie aveva bisogno di una cameriera personale ed io mi sono prestata ben volentieri a questo compito. Lady Mc Stone è una donna dal cuore grande e dalla mente acuta e vigile...non potrei avere una padrona migliore.-rispose, guardandola fissa.

L'istitutrice socchiuse gli occhi.

-Io non ho mai avuto padroni- disse- non mi piacciono.-

L'indiana sorrise.

-E'questa la differenza che intercorre tra voi europei e noi asiatici. Voi professate quella bella invenzione che è la libertà ma alla fine, occorre sempre rendere conto a qualcuno delle proprie azioni...qualunque sia il suo aspetto.-rispose- ed ora, con permesso, devo proseguire le mie mansioni.-

Oceane inarcò la fronte.

-Ho notato un certo viavai per il cortile- cominciò- cosa sta succedendo?-

Sarasa si fermò.

-Sta arrivando un ospite abbastanza importante-rispose- il fratello di latte del mio povero padrone.-

L'istitutrice non rispose. Mille domande cominciarono a frullarle nella testa. L'incarico che aveva avuto era quanto mai bizzarro. Non le era mai capitato di doversi occupare dell'educazione di una ragazzina con una simile libertà...a quel pensiero sorrise, intrigata dalle possibili prospettive della cosa.

-Signorina Treville!- esclamò la voce squillante della sorellastra della padrona di quell'edificio.

-Mademoiselle Escobar- la ammonì dolcemente la donna- non è cortese correre nei corridoi. Potevate farvi male o recare danno alla servitù. Evitate questo genere di attitudine, per piacere.-

Ester abbassò lo sguardo, priva di voltarsi verso la finestra.

-Chi sta arrivando?- domandò.

L'istitutrice la informò su quanto aveva saputo dalla cameriera personale della proprietaria di quel palazzo, quell'indiana sfigurata dal fuoco che, malgrado l'aspetto, era sempre alle spalle della sua padrona. -Mi hanno detto che sta per arrivare un uomo- disse, con finta indifferenza.

Ester si voltò di scatto.

-Un uomo?-domandò di nuovo, tenendosi le guance. Quella notizia, apparentemente lieve, aveva la consistenza di una pietra di basalto. Poteva sentirla, come se fosse qualcosa di fisico e freddo.

-E'il fratello di latte di Lord Mc Stone, Miss- rispose.

La signorina Escobar si rilassò leggermente.

Da qualche tempo, da quando sua sorella le aveva mostrato il futuro sposo che la madre aveva scelto per lei, aveva sviluppato una quieta diffidenza a quelle notizie. Sapere che non era Lord Von Gruhnweld la rese in qualche modo più leggera. -E per quale motivo è venuto a Londra?- chiese, mordendosi le labbra rosate.

L'istitutrice si strinse nelle spalle.

Non sapeva quale fosse la ragione che avesse spinto quella persona a presentarsi lì ma doveva essere qualcosa di davvero urgente. Lord Brennan era un uomo duro e chiuso, temuto per la sua prestanza fisica e per le capacità dei suoi mezzi...ma questo non lo disse mai alla giovane allieva. E'necessario che costei si formuli da sola una propria opinione si disse, con uno dei suoi soliti sorrisi fatti di labbra.

Poco dopo, arrivò la carrozza. Ester la vide dal piano nobile, mentre era intenta a leggere un romanzo francese.-Mademoiselle- mormorò, imbronciata- per quale motivo devo leggere questo libro?-

Oceane si voltò.

-Che cos'ha che non va?-chiese questa- Balzac vi disgusta?-

Ester soffiò dal viso alcuni ciuffi biondi che le scivolavano sulla fronte liscia. -Non è questo- rispose piccata- ma trovo che Eugenie Grandet sia un romanzo eccezionalmente insulso. Come è possibile che la protagonista si faccia ingannare in questo modo? Non riesco a comprendere la sua indole. La trovo ingenua.-

La francese arricciò il naso.

-E cosa avrebbe di così degno di biasimo da parte vostra?- incalzò.

La bionda sbuffò.

-Non riesco a comprendere come possa condurre un'esistenza tanto insipida. Voglio dire: suo padre ha tante ricchezze ma non le usa. Sua madre non lo consiglia a proposito del futuro della sua unica figlia ed erede...e lei? Dare il suo cuore ad un giovane senza nemmeno prendere in dovuta considerazione la decenza...inconcepibile!- disse sbattendo le mani sulle pagine.

Oceane la guardò con una punta di divertimento. -E sentiamo, signorina Escobar- disse- cosa doveva fare Eugenie Grandet?-

-Semplice- rispose- non doveva dare le sue ricchezze così, a scatola chiusa. Ha dato in questo modo dispiacere a suo padre, non trovate?-

-Quindi deducete che se non avesse dato l'oro al cugino, avrebbe incontrato le vostre simpatie? Se avesse continuato la sua passiva esistenza, senza dare segno di alcuna reazione all'insensibilità del padre nei confronti di un membro della sua famiglia. avrebbe avuto meno disavventure e delusioni?- domandò la donna con aria retorica.

-Sì...o almeno credo.-fece la ragazzina, improvvisamente incerta.

L'istitutrice studiò la sua allieva, inclinando appena il capo.

-Noto con piacere che siete una fanciulla devota- commentò, prima di sospirare- ma ricordate che il destinatario di questo comportamento non sempre ne è degno. Monsieur Grandet, malgrado fosse uno degli uomini più ricchi della zona, ha dato un'esistenza miserabile alla sua unica figlia, anteponendo il suo oro al benessere della moglie e della protagonista e sacrificando le loro vite sull'altare del proprio personale interesse.-

Ester posò il libro.

-Monsieur Grandet, per soddisfare il suo egoismo, ha reso infelice la sua devota sposa ed ha sacrificato i sogni e la serenità di Eugenie perché non voleva cedere le sue ricchezze. Non ha badato ad altro, tranne che a sé stesso.- concluse grave- Vi prego di pensarci.-

 

 

 

 

Soledad si presentò nel salotto non appena aveva udito la sua notizia.

-Perdonate il trambusto, Lord Mc Kenzie- fece, accompagnata dalla fida Sarasa- ma non mi aspettavo una vostra visita.-

Lui si voltò appena. -E'stata una questione improvvisa- rispose, prima di abbassare la voce- e, di certo, non mi sarei azzardato a venire qui di mia volontà.-

Lady Mc Stone non mostrò alcuna reazione. -Ebbene- continuò lei, con gelida cortesia- per quale ragione siete venuto in questa dimora?-

Brennan socchiuse gli occhi. -Non potrebbe essere che sia venuto perché sento la mancanza della mia cognata?-domandò retorico.

Soledad stirò leggermente le labbra. -Non siete molto bravo con l'umorismo.-mormorò.

-Un tempo riuscivo a farvi ridere- ribatté questi, con un'occhiata felina- cosa che vostro marito non ha mai saputo fare.-

-Parlare dei morti è assai disdicevole- lo gelò lei, seria in volto.

Lord Mc Kenzie rimase immobile, prima di scoppiare a ridere, senza alcuna gioia. -Avete pienamente ragione. Il vostro indiscusso autocontrollo è degno del più freddo dei generali prussiani- cominciò, guardandola fisso.

Soledad si fece rigida. -Ebbene- ripeté- considerando che siete giunto fino a qui, sono certa che la ragione sia assai urgente. Altrimenti non vi sareste precipitato in questa casa.-

-Avete ragione- rispose questi, guardando il suo viso- ma dopotutto non sono l'unico in questo posto a trovar sgradita la presenza dell'altro...ad ogni modo, siete la vedova di colui che ho sempre considerato un fratello e così continuerò a fare.-

Lady Mc Stone trattenne il fiato e, quasi senza rendersene conto, strinse il bracciolo della poltrona.

-Pochi giorni fa, si è presentato da me il valletto di Lord Von Gruhnweld.-cominciò, studiandola con quegli occhi rapaci- mi ha detto che avete mutato, di vostra iniziativa, per ragioni, a suo dire, insensate, il precedente progetto matrimoniale tra la vostra sorellastra e quest'ultimo. Ha preteso che venissi a importi l'accettazione di quell'accordo.-

La dama non mostrò alcuna sorpresa a quella notizia. -E quindi?- domandò lei, per nulla turbata.

Brennan si umettò le labbra piene.  -E quindi, cara cognata. dovete cambiare idea e permettere questo sposalizio.- concluse.

-Impossibile- rispose immediata la donna.

Lo scozzese si versò del liquore nel bicchiere. -E'quello che mi aspettavo da voi- commentò, prima d'indurire lo sguardo- ma questa volta non accondiscenderò alla vostra follia provinciale. Sacrificare tutto per una che ha solo la metà del vostro sangue nelle vene è ridicolo. Ester non sarà né la prima, né l'ultima a sposarsi per convenienza...e poi, considerate che Lord Von Gruhnweld è vecchio...-

Non finì la frase.

Lady Mc Stone, con un gesto d'inaspettata violenza, gli gettò addosso il liquido tiepido contenuto nella tazza. Lo stesso Brennan rimase stupito della sua reazione. -Non azzardatevi mai più a dire una cosa del genere. Anche se siete il fratello di latte del mio povero marito, non vi autorizzo a farlo!- ruggì, sgranando gli occhi verdi, la pacatezza ormai un ricordo lontano. -Voi cosa ne sapete del matrimonio? Come potete formulare un concetto in proposito, quando avete mille fughe e nessun obbligo? Come potete pensare di sapere cosa dovrebbe sentire una ragazzina nello sposare un vecchio astioso e dalla mano pesante?- continuò, fremendo lei stessa alle ultime parole.

Gli occhi di Brennan si fecero felini ma il corpo rimase rigido e fermo. La presenza di Sarasa, muta e inerte al fianco della padrona, contribuiva a tenerlo inchiodato alla sua poltrona.  -Vedo che siete la stessa donna testarda di un tempo- fece- in ogni caso, ho detto quello che avevo da dire.-

-Cosa intendete?-domandò lei, rilassandosi un po'.

Lo scozzese le rivolse un ghigno. -Semplicemente che io non voglio essere coinvolto in questo patetico mercato. Se quella vergine vi sta tanto a cuore, sia dunque così. Io non vi ostacolerò. Ho solo fatto il mio dovere di informarvi della cosa, anche perché sono del parere che quel pretendente alla mano della senorita Escobar sarà ben difficile da dissuadere, anche per voi.- continuò sibillino- Sono davvero curioso di sapere cosa progetterete per poter tenere in piedi questa cosa.-

 

 

La carrozza del duca scozzese partì poche ore dopo.

Brennan Wolf Mc Kenzie non aveva dato segno di voler rimanere e lei non aveva fatto cenno ad una sua eventuale permanenza. Soledad lo guardò andarsene dalle sue stanze, nascosta dietro la tenda che celava parte della sua camera.

Sarasa aveva accompagnato il visitatore al mezzo, come le aveva ordinato, poco prima di congedarsi. Lei, invece, dopo aver ordinato a Rashid che avrebbe pranzato nelle sue camere, si ritirò al piano superiore, senza dire una parola...ed ora guardava quelle spalle muscolose e virili finire inghiottite in quel mezzo.

Gli occhi seguirono in silenzio il corpo del lord scozzese, senza mai allontanarsi, senza che il viso fosse contorto da una qualche smorfia.

Ad un occhio esterno, pareva ancora l'algida dama in lutto che tutti conoscevano. Soledad, però, sapeva che non era così e, temendo la presenza giudicante della sua cameriera, le aveva dato un incarico per allontanarla. Non voleva nessuno in quel momento. Sentiva che il fuoco emotivo che riusciva a tenere sotto stretto controllo, aveva tracimato dai suoi argini per colpa delle insinuazioni di quell'uomo, l'unico capace di privarla della sua compostezza.

E'tutto passato, nina si disse, mettendosi una mano sul cuore agitato ancora un po' e potrai indossare di nuovo la maschera che ti sta tanto bene. A questo pensiero, delle stille salate sgorgarono dagli occhi, come a volerla smentire: del resto, però, la ragione non sempre va a braccetto con il cuore...e Lady Mc Stone, purtroppo, conosceva per esperienza, quell'amara lezione.

Era una vita che conosceva quel ritornello beffardo...e questo, sicuramente, era uno degli aspetti che la rendevano diversa da tutti gli Escobar.

Da Pilar e Maria, che avevano lasciato la casa paterna ai suoi tempi d'oro e dalla stessa Ester, quando quell'oro aveva lasciato il posto al bronzo. Lei aveva visto questo lento ed inesorabile disfacimento, con la granitica rassegnazione di chi deve farsi scudo e fortezza di fronte al Mondo. Marito mio, vi prego di perdonare la mia debolezza fu il suo pensiero, mentre una stilla di sale scendeva giù dagli occhi.

 

Allora, ho deciso di fare questo nuovo aggiornamento. Mi fa piacere sapere che la storia piace. Qui ci sono vari livelli di narrazione e, se avete letto le mie storie, sapete che un mio vizio. Vorrei chiarire che Lord Brennan non ha il sangue dei Mc Stone nelle vene ma è solo il suo fratello di latte. L'amicizia con il marito di Soledad gli permette comunque di poter fare visita alla donna senza troppi ostacoli.

Il romanzo di Balzac, citato nel capitolo, non è casuale. Ester sta continuando la sua educazione insieme a Mademoiselle Treville. Per ora conduce un'esistenza ritirata ma lo sarà ancora per poco. Grazie a tutti.

 

ps. attenzione ai fiori che ho citato in questo capitolo. Non è casuale.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** XIV ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Ringrazio coloro che leggono le mie storie. Siete molto gentili.

 

XIV

 

Cedric era profondamente annoiato.

Le lezioni a Eaton erano monotone e ripetitive. L'unico piacere che sembrava scuoterlo dal suo torpore, era vedere il fastidio dei suoi compagni di corso, l'acre disprezzo che nutrivano nei confronti di chi, come lui, eccelleva nello studio senza alcuna fatica.

Istintivamente si guardò attorno.

In un primo periodo, il suo ingresso in quella scuola era stato malvisto. Come yankee, per giunta figlio di un uomo che aveva lasciato il ton per sposare un'americana, aveva un nome non proprio onorevole. Gillford aveva sopportato senza battere ciglio le frecciate e gli scherzi pesanti di chi frequentava la Eaton da generazioni, con la garbata benevolenza degli insegnanti.

Malgrado il nome dello zio, Gillford non aveva ricevuto nulla della cortese ruffianeria di quegli ambienti. Fin da subito, il suo aspetto selvaggio e vagamente grezzo, unito ad una lingua affilata come una spada, gli aveva fatto guadagnare molti nemici.

Tra questi, vi erano i Crownwood, un'antica schiatta le cui origini si perdevano fino ai tempi dei Tudor. In virtù di questo lignaggio, i loro discendenti avevano una certa fama all'interno della scuola e portavano l'orgoglio della loro classe con odioso snobismo. Spesso, Cedric li aveva visti prendere di mira le matricole ed i nuovi arrivati, soprattutto se borghesi o di origini oscure.

L'americano non era stato immune da questo interesse.

Ricordava perfettamente il suo primo giorno alla Eton.

I Crownwood, insieme ai loro leccapiedi, lo avevano accerchiato, intimandogli di dare loro tutti i soldi che aveva. L'americano aveva risposto con una serie di montanti che gli avevano fatto guadagnare un incontro immediato con il preside.

Il responsabile della scuola lo aveva punito con estrema severità, chiudendolo in una cella isolata e al buio per alcuni giorni. Cedric non aveva apprezzato quel trattamento, come non le era piaciuta l'eccessiva accondiscendenza con cui gli insegnanti si rivolgevano a quei damerini.

-Ehi, Gillford- disse un ragazzino magro e ossuto.

L'americano lo guardò.

-Mr. Kook?- domandò, inarcando piano la fronte.

-Stasera, alle 2 di notte. Presso la piazzetta nelle vicinanze del vecchio monastero.- lo informò questi.

-A quanto siamo?- domandò.

-12 a 4 per il mezzano dei Crawford.- rispose- Ha l'appoggio degli Swanson e dei Crownwood, se la cosa ti interessa.-

L'americano fece spallucce.

-Se vinco voglio metà dei guadagni.- disse, passandosi una mano sui capelli scuri.

-Ma...- provò a dire.

-Questi sono i patti- ripeté l'americano- se volete che pesti come si deve quel tipo...mica mi è sfuggito che è una montagna. Se volete che rischi la pelle, voglio un tornaconto.-

La matricola lo guardò.

Cedric ricambiò l'occhiata con il medesimo tono. Ormai riconosceva quegli occhi e sapeva vedere il disprezzo da parte degli inglesi, malgrado, in questo caso, fosse nascosto dietro strati e strati di codardia. -Sono l'unico disposto a partecipare a questi incontri clandestini- disse, fissandolo derisorio- nonché il solo capace di farla franca senza problemi. Prendere o lasciare.-

L''altro se ne andò, sotto lo sguardo vagamente beffardo del giovane.

Quanto disprezzava gli inglesi, con i loro patemi, le loro ipocrisie! Lui era un americano, una persona concreta...un cane sciolto. Suo zio aveva sbagliato a considerarlo suo erede ma non lo biasimava.

Aveva visto i suoi cugini.

Damerini perfetti, buoni ad accompagnare un té ma tutto tranne che uomini...e quello, forse, era uno degli elementi su cui entrambi si trovavano completamente d'accordo.

 

 

 

Il salotto di Mrs. Chambers era arredato con gusto.

Ester si guardò attorno, notando come la proprietaria prediligesse il verde mela. Non le dispiaceva affatto quel posto.

-Lady Mc Stone- disse la donna- è un piacere incontrarvi.-

Era una donna di mezza età, vestita con abiti scuri.

-L'onore è mio, baronessa-rispose- da quando mi hanno informato dell'indisposizione di vostra figlia, ho atteso del tempo per farvi visita. Non volevo correre il rischio di crearvi dei disturbi con la mia presenza.-

-Sciocchezze, Lady Mc Stone- rispose la donna, con un sorriso affabile- voi siete una delle presenze più discrete ed accorte che io abbia mai avuto l'onore di ricevere nel mio salotto. Mia figlia, comunque, ormai sta bene. Il medico ha confermato la sua guarigione e, pertanto, conto di farvela conoscere un giorno.- Poi alzò la testa, notando la presenza della ragazzina bionda.

-Chi è questa graziosa fanciulla?-domandò.

Ester sobbalzò, presa alla sprovvista.

Era così concentrata ad ammirare le decorazioni della stanza da non accorgersi di essere di nuovo al centro dell'attenzione. -Lei è Miss Ester Flore Escobar, mia sorella minore.- disse Lady Mc Stone, con aria compita.

La dama aggrottò la fronte.

Ester osservò la sua espressione. Le parve di scorgere un barlume di freddezza nel suo sguardo e, quasi senza accorgersene, si volse verso Soledad.

-E'molto graziosa, vedo- rispose questa.

Lady Mc Stone stirò le labbra in un sorriso di cortesia. -Baronessa- disse -ho saputo che girano delle voci poco piacevoli sul mio conto. Vi prego di riferire a chi di dovere che, se ho preso a cuore la sorte della mia sorellina, ciò è dovuto unicamente al fatto che confido di offrirle un buon matrimonio, all'altezza di una combinazione di natura accettabile.-

La donna si passò una mano sulla bocca.

-Naturalmente- rispose- anche se sarà complesso dissipare questi pettegolezzi.-

Soledad si accarezzò il monile di ossidiana- Ne sono consapevole- rispose- ma vorrei informarvi, considerando la vostra amicizia con le socie del club. Io non ho mai avuto il piacere di parteciparvi. Mio marito non aveva tempo di dedicarsi a questo genere di impegni ed io non ho mai osato chiedere il suo permesso. La questione della mia sorellina è  stata una scelta necessaria. Il matrimonio era assolutamente inappropriato ed io desidero che lei contragga delle nozze senza le pesanti accuse che io ho ricevuto a quel tempo.-

La matrona annuì.

Ricordava bene il suo arrivo a Londra, le occhiate malevole ed i commenti sprezzanti da parte del Ton. Lei aveva affrontato tutto, ergendosi come uno scoglio in mezzo alla tempesta. -Ricordo quei giorni- disse monocorde - ma ho visto le vostre lacrime al funerale. Lord Mc Stone è stato un buon marito...potrebbe essere così anche per vostra sorella.-

L'espressione di Soledad si rasserenò appena.

-Alistair era un uomo speciale- rispose la donna- unico nel suo genere. Nessuno è come lui.-

Ester inarcò la fronte.

Non ricordava molto il marito di sua sorella. L'unica cosa che rammentava era l'aria tormentata e malinconica, piena di qualcosa che, tuttora, non riusciva ad interpretare. -Ad ogni modo, Lady Mc Stone- disse la padrona di casa- proverò a stornare queste malelingue, nei limiti del possibile. Non temete. Conosco la vostra integrità morale e non permetterò che questa ignoranza vi rovini.-

Soledad ringraziò con un cenno della testa, prima di congedarsi.

 

 

-Sorella- disse, sulla via del ritorno- per quale motivo abbiamo fatto quella visita?-

Lady Mc Stone si morse il labbro.

La luce delle lampade sulla strada rischiarava appena la via, ormai inghiottita dal buio della notte. Il viso della maggiore, sotto quel tenue bagliore, assumeva un'aria assorta e vagamente malinconica, pari forse a quella del marito.

-Non avete fatto il debutto- rispose- e volevo assicurarmi che non vi fossero elementi che potessero turbare questo evento.-

Ester giocherellò con il pizzo delle sue maniche.

-Avete visto?- fece- Le sono piaciuta.-

Soledad sorrise.

-Perché non sarebbe dovuto succedere?- disse- Siete bella, è naturale.-

La minore non rispose.

-Quei complimenti non vi hanno fatto piacere?- chiese la donna, socchiudendo le palpebre.

Ester si morse le labbra.

-Dovrete abituarvi- rispose Lady Mc Stone- le persone che decantano la bellezza non sempre sono sincere. Hanno spesso un secondo fine e dovrai sempre tenere conto di questo lato della medaglia.-

La signorina Escobar si guardò i guanti che aveva indosso. Erano di colore tenue, come l'abito che portava. -Avete molte conoscenze, sorella.- fece.

-Non molte in verità- disse la maggiore- se sono nota, è merito esclusivamente di mio marito.-

Ester socchiuse gli occhi, facendosi cullare dal rumore della carrozza. Un suono lento e cadenzato, simile ad una ninnananna senza parole. Istintivamente si lasciò cullare da esso, come una foglia nella corrente, scivolando nell'abbraccio di Morfeo, quasi senza accorgersene.

Soledad seguì quel lento declinare nel sonno, un moto dolce e rassicurante come le onde del mare. Il cuore si riempì di nostalgica mestizia, alla vista di quel movimento impercettibile. Erano passati molti anni, da quando aveva smesso di dormire senza sogni, di rivedere anche di notte le immagini che turbavano la sua apatia del momento.

 

Si svegliò di scatto, con un urlo soffocato.

Tremando si guardò attorno.

-Soledad-disse una voce.

Lei continuò a girare la testa, a destra e sinistra, con il corpo scosso dai sussulti. Anche chiudendo gli occhi, aveva rivisto quella scena. Non c'era modo di evitarla. Non c'era alcuna possibilità di cancellarla, sia pure per qualche momento. Come se non bastasse, il buio della notte amplificava tutto. Qualcosa improvvisamente la avvolse. Un braccio muscoloso e solido aveva cinto la sua vita.

Lei non si ritrasse, congelata dalla paura che aveva rivissuto.

-Soledad!-esclamò di nuovo, aumentando la stretta.

La donna tremò di nuovo.

-Hai avuto un incubo?-chiese questa.

Lei, per tutta risposta, incassò la testa in quel corpo solido che la stava cingendo...come se un abbraccio potesse scacciare gli incubi.

Vi rimase a lungo, in attesa di quel sonno senza sogni che bramava da una vita.

 

 

 

 

Benedetto sia chi inventò il sonno, cappa che copre tutti gli umani pensieri, cibo che toglie la fame, acqua che estingue la sete, fuoco per cui fugge il freddo, freddo che tempra l'ardore, moneta generale con cui tutto si compra, bilancia e peso che rende eguale il re al pastore e il saggio allo zotico (1) pensò, guardando quel viso di bambola immerso nella quiete più serena.

 

(1) citazione di Don Chishotte

 

Capitolo di transizione. Nel frattempo, abbiamo altri elementi su queste due sorelle...e su Cedric, che vi darà qualche altra sorpresa. Ora non dirò un bel niente. La prossima settimana ho un esame che devo assolutamente passare ma spero che il capitolo vi piaccia. Ringrazio intanto tutti coloro che hanno avuto il coraggio ed il tempo di commentare e chi mi ha messo tra preferiti, ricordate e seguite.

Grazie a tutti.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** XV ***


Benvenuti a questo nuovo aggiornamento. Ho notato un po'di sorpresa a proposito della questione dei combattimenti clandestini ma non dovete stupirvene troppo. Nel 1800, la boxe aveva sviluppato un giro di soldi e scommesse che io ho introdotto nella storia. Ringrazio tutti coloro che mi hanno letto. Siete stati molto gentili.

 
XV

 

Lo spiazzo della chiesetta sconsacrata era un luogo familiare a Cedric Gillford. Defilato rispetto alla strada principale, non lontano dalla Eton.
Man mano che si avvicinava, sentiva il vociare sommesso delle persone che si erano assiepate nei pressi degli archi ancora in piedi. Malgrado il biasimo comune, la boxe era diventata piuttosto popolare...ma questo per il giovane americano non era una novità. In America era molto diffuso, tanto che c'erano diversi giri di denaro durante gli incontri. Anche il college non era da meno, come aveva avuto modo di vedere dopo i primi mesi dal suo arrivo e non era nemmeno un caso che avesse iniziato a parteciparvi, dopo aver saputo della posta di denaro in gioco.
-Signori!- esclamò allora una voce grassa.
Apparteneva ad un giovane basso e dalla faccia di topo, con due occhi da faina. Gillford lo conosceva a malapena. L'unica cosa che sapeva era che si occupava dell'organizzazione degli incontri e che era abbastanza affidabile nel rispetto del codice di regolamento della disciplina.
-Un momento di attenzione. Questa sera abbiamo l'incontro tra il campione dei Cavedish, Bill Crownwood- disse, indicando un uomo di due metri, dal viso da bambino- e l'americano.-
A quel nome, Cedric alzò le braccia.
-Bene, signori- continuò questi- niente colpi irregolari sotto la cintola. Il primo che cade a terra ha perso.-
A quelle parole, esplosero varie acclamazioni.
Lo spazio non era molto grande. A fare da contorno c'erano gli spettatori che, in quel modo delimitavano i confini. Cedric si guardò intorno, non senza tenere d'occhio l'avversario. Non esagerava a dire che era un gigante, dal momento che lo superava di almeno 20 cm.
-Cominciate.- disse.
Immediatamente si allontanò un po', mettendo le mani avanti, in posizione di difesa. I pugni erano chiusi come al solito, i gomiti allineati in modo da chiudere ogni possibile spazio.
Bill si avvicinò, con una serie di montanti.
La sua altezza ed il fatto di avere delle braccia più lunghe lo favorivano. Cedric schivò appena alcuni colpi, tentando di sfruttare lo spazio ristretto. Il ring era molto piccolo, più dell'altra volta ma quell'aspetto non lo turbava troppo. Occorreva anche il cervello per vincere. Rapido spostava il corpo con movimenti improvvisi e sinuosi, sfruttando la stazza del suo avversario che, pur essendo avvantaggiato dalla mole, pagava una minore agilità.
Incassò alcuni colpi, evitando i pugni veramente pericolosi, sfiancandolo con le sue schivate. Passarono alcuni momenti, prima di sferrargli una serie di diretti e ganci alla base del corpo e alla spalla ed evitando i colpi dall'alto verso il basso.
Bill comunque era abbastanza tenace e, malgrado i colpi di Cedric non sembrava minimamente disposto a cedere. La sua stazza compensava gli effetti dei colpi dell'americano.
-OGGI NON TI ANDRA'COSI'BENE, MALEDETTO YANKEE!- gridarono alcuni, con voce piena di scherno.
Gillford però non se ne curò.
Aveva il torace leggermente malconcio per i lividi ma questo non aveva compromesso i suoi movimenti. Era abituato allo sforzo fisico e, ben presto, quel particolare cominciò a emergere, con l'andare dell'incontro. Bill tentò varie volte di atterrarlo, con un sempre maggiore impazienza. Gli occhi chiari dello yankee saettarono, di fronte a quel particolare.
Improvvisamente, rilassò la postura, con uno strano ghigno in viso.
-Che hai da ridere, americano?- fece Bill, minaccioso e perplesso.
Non ricevette mai risposta.
Cedric assestò una serie particolarmente violenta e veloce di ganci e montanti. Il gigante non si accorse nemmeno della mossa, quando franò a terra, come un grosso sacco di patate.
A quella mossa, calò un improvviso silenzio.
-Hai visto, Bill?- fece, ansante- Io non ho proprio un peetegree di cui vantarmi. Sono un maledetto bastardo, come mi avete sempre detto...un'erbaccia e quindi difficile da estirpare. Non avertene a male ma così vanno le cose.-
Lentamente, si guardò attorno, sorridendo beffardo ai Crownwood.
-Non la passerete liscia, dannato americano! Il vostro imbroglio finisce qui!- dissero questi...e in un momento i loro scagnozzi, insieme a coloro che avevano scommesso a favore del vinto.
Cedric si trovò circondato e, in breve, una gragnuola di colpi si abbatté sul suo corpo.
Poco dopo, vide tutto buio.
 
 
Soledad guardava accigliata la campagna nei pressi di Londra. Sotto di lei, sentiva il movimento del cavallo darle un lieve e monotono oscillare, capace di addormentare la sua mente.
Istintivamente, chiuse gli occhi, lasciando che l'aria umida le entrasse dentro. La bestia sotto di lei procedeva piano, con quel manto scuro e tenebroso. I capelli erano perfettamente acconciati, sotto il cappello da cavallerizza. Trottò per un tratto, lungo i sentieri, passando altera davanti alle varie costruzioni diroccate.
Le piaceva passare del tempo in quel modo, lontana dalla situazione in cui si trovava.
 
Le distese della campagna si perdevano sotto il suo sguardo.
La dama socchiuse le palpebre, osservando quasi con timore quello spazio. Non era minimamente avvezza a quell'aria aperta.
-Vi piace?- domandò la voce al suo fianco.
Lei si voltò, incontrando il viso altero e composto di Lord Mc Stone. -Sì, marito- rispose pacata, mentre gli occhi scintillavano in quel luogo brumoso. Di getto, accarezzò il manto dell'animale su cui stava, con fare assorto.
-Cosa vi preoccupa?- domandò questi, avvicinandosi.
Soledad alzò la testa.
Non aveva mai sorriso, in nessun momento, da quando aveva messo piede nella sua casa.
-Le parole di mia sorella vi hanno demoralizzato?- chiese ancora.
Lei annuì, in modo abbastanza meccanico.
La mano di Lord Mc Stone si posò piano sulla fronte. -Non dovete preoccuparvi per lei. Abbiamo tutto il tempo di questo mondo...e, un giorno, assolverete al compito che vi è stato richiesto. Siete giovane e sana, Non avete niente di cui recriminarvi.- disse, prima di guardarla con un'espressione indecifrabile.
Soledad non disse niente ma non poté fare a meno di trovarla maledettamente simile a quella che aveva indossato l'altra sera.
E quell'idea sapeva di amaro e di dolore.
 
 
Lady Mc Stone strinse le labbra.
I ricordi venivano spesso a tormentarla. Suo marito, talvolta, le compariva alla memoria, con il suo viso bello e malinconico...e lei lo scacciava via, con la tipica amarezza che la contraddistingueva, da quando aveva scoperto che le favole non esistevano e che i Barbablu erano più numerosi di quelli delle fiabe.
Costeggiò alcuni cespugli di erica, passando per gli arbusti ancora neri a causa della stagione invernale. La spilla di avorio riluceva opaca nell'aria smorta di quel luogo, dando al suo aspetto un che di spettrale.
Soledad guardava attorno a sé, pensando alle parole della baronessa. Aveva abbastanza fiducia nella consolidata dimestichezza del Ton ma conosceva la sua matrigna ed era ben consapevole che la sua misura poteva essere insufficiente.
Tanto più che Lord Von Grhnweld non le aveva ancora fatto visita...a quel pensiero storse le labbra.
Il silenzio del prussiano la indignava non poco.
-Grainne- disse, rivolta al suo cavallo- non mi piace questo silenzio. Quando ero piccola era la cosa che aspettavo con ansia, ma ora non riesco a sostenerlo.-
L'animale scrollò il capo.
-Mi dispiace farti preoccupare- fece, con voce tiepida- ma, a volte, ho come l'impressione che i pesi della mia anima siano impossibili da sciogliere, come se i nodi che mi tengono prigioniera fossero un fardello insidioso e duro.-
I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da un lamento.
Soledad si irrigidì.
Quel giorno aveva disdegnato la compagnia di Rashid, per poter avere un briciolo di tempo per sé stessa e pensare al da farsi...e quasi si pentì di quella scelta. Aveva un piccolo stiletto tra le pieghe della gonna ma non era certa che sarebbe bastato.
Diede un lieve colpetto ai reni del cavallo, spingendolo ad avanzare, in direzione di quel suono. Avanzò così fino a raggiungere i pressi di una chiesa sconsacrata.
La dama inclinò la testa.
Quel luogo le dava una brutta sensazione.
In completo abbandono, isolato...istintivamente strinse lo stiletto.
Scese dal cavallo e, dopo averlo assicurato ad una colonna solitaria, si incamminò nello spiazzo interno. Si guardò attorno, fino a quando non vide una sagoma adagiata a terra. Senza pensarci due volte, la donna si avvicinò.
Non le piaceva quella situazione, per niente...eppure qualcosa, una forza invisibile forse, la spinse ad avanzare.
-Ma questa...- fece lei, notando l'abito spiegazzato- questa è la divisa dell'Eton College-.
Dopo essersi guardata attorno, tastò il polso e, senza pensarci due volte fece salire il giovane, privo di sensi sul cavallo, prima di riprendere la via verso casa.
 
 
 
 
 
Ester interruppe la lettura.
Nei corridoi sentiva un fastidioso trambusto.
-E'successo qualcosa, Emma?- domandò, mentre accarezzava la carta.
La cameriera si affacciò alla finestra.
-Padroncina- fece, con aria perplessa- Lady Mc Stone ha portato in questa casa un...un uomo.-
La signorina Escobar si bloccò.
Sentiva il sangue gelarsi nelle vene, mentre un'angoscia profonda e strisciante si insinuava sottopelle. -E...e com'è?-chiese.
Emma si bloccò.
-Difficile da dire- rispose- è coperto da un mantello scuro ma mi sembra giovane...oh, Cielo, pare ferito!-
La giovane posò il libro sul tavolino.
Quella notizia le appariva assai bizzarra. Sua sorella non sembrava il tipo di donna capace di portare un amante sotto il suo tetto. Non aveva mai dato prova di avere cedimenti di quel genere, era una persona oltremodo seria e priva di frivolezze. Subito si rizzò in piedi, facendo sussultare la giovane.
-Ho deciso!- esclamò- Andiamo a vedere chi è il fantomatico seduttore di mia sorella!-
Poco dopo, senza nemmeno attendere risposta, si precipitò verso l'uscita della stanza.
-SIGNORINA!- esclamò allarmata la cameriera.
Ester però non le dette retta e, rapida, scese le scale, raggiungendo l'ingresso, dove sentiva un grande vociare. Non riusciva a sapere la ragione di un simile trambusto. La vita al palazzo dei Mc Stone era abbastanza tranquilla, quasi monotona.
Sentire quel rumore, quindi, non la irritava minimamente, anzi. Il fatto poi che Emma non avesse detto che il nuovo arrivato era vecchio, alleggeriva non poco il suo umore. Non aveva ancora smaltito la tensione accumulata per la questione del suo fidanzamento sfumato. Quando arrivò all'ingresso, però, non poté fare a meno di trasecolare. Lady Mc Stone, sua sorella maggiore, stava sostenendo con una certa solerzia un giovane pesto e incosciente.
Non lo vide bene, però. Soledad, infatti, con una velocità inattesa, ordinò ad alcuni servi di condurre l'uomo dentro la villa, senza degnare nessuno di un'occhiata. La sua veste scura, avvolta in uno scialle di colore più tenue, sparì dalla sua vista, nascondendosi nell'ombra dell'androne dell'edificio. Un brivido le attraversò la schiena, troppo rapido perché la signorina Escobar potesse riconoscerne la natura.
Quello che era certo era che le cose stavano  cambiando, per l'ennesima volta.
Vide poco lontano Rashid recarsi di fretta verso il cortile, superarla, dopo averle rivolto un rapido saluto, e chiamare un cocchiere.
-Fate venire immediatamente Mr. Hood.- disse l'indiano, con aria solenne- Lady Mc Stone necessita urgentemente dei vostri servigi.-
La carrozza partì poco dopo, di gran carriera.
-Qualcuno si è fatto male?- domandò la signorina Escobar, disorientata da tutta quella fretta.
-Abbiamo un ospite, Miss- rispose questi, fissando il mezzo allontanarsi- ma è ferito. La padrona ha detto che per un po'rimarrà in questa casa.-
Lei lo guardò stupita.
-Lo...conosco?- chiese.
Rashid fece per rispondere ma una voce, proveniente dall'ingresso, lo richiamò dentro...ed Ester rimase così, con la curiosità insoddisfatta e l'agitazione sottopelle.
 
 
Bene, anche questo capitolo è fatto. Ho deciso di cambiare qualcosa dei personaggi, almeno per quanto riguarda Cedric. Lui ha 19 anni ma ha iniziato il college un anno dopo la data consueta. Il perché è dovuto al fatto che Eton prepara all'università ma è una sorta di liceo. Questo serve a dare una spiegazione ma prendetela con le molle, ok?
In ogni caso, ringrazio tutti coloro che mi hanno letto. La vostra gentilezza mi fa un immenso piacere. Non so se ho descritto bene la scena di pugilato ma spero di non aver fatto una fesseria.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** XVI ***


Benvenuti cari lettori, vi ringrazio per avermi letto. Le cose cominciano a muoversi ed ora vedremo come si svilupperanno tutte queste vicende.
 
XVI
 
Lady Mc Stone era piuttosto pallida.
Il medico aveva finito di visitare il ferito, tastando le membra e valutando la presenza di fratture.
Questo ragazzo ha un fisico molto forte, Mrs. Consiglio però di tenerlo a riposo per almeno un paio di settimane. Non occorre scherzare con questo genere di cose. aveva detto, riponendo nella valigia gli strumenti.
Lei aveva annuito, semplicemente...ed ora si trovava di fronte a quel letto.
La dama lo guardò assorta.
Non doveva avere nemmeno vent'anni.
Chissà cosa gli è successo si disse, prima di posare gli occhi sulla sedia, dove erano adagiati gli abiti. Li guardò un momento, prima di inarcare la fronte. Sulla parte superiore c'era ricamato uno stemma di araldo che non faticò a riconoscere.
Impossibile non farlo.
Con uno scatto si alzò dalla sedia e, rapidamente, lasciò la stanza.
-Fa'subito venire Rashid- disse, rivolgendosi ad uno dei camerieri che passavano per il corridoio.
Il maggiordomo arrivò pochi istanti dopo.
-Assicurati che il nostro ospite venga accudito nel migliore dei modi e, ovviamente, che non esca da questa stanza.- fece- Io devo dedicarmi ad alcune questioni urgenti e, in questo momento, non posso dedicarmi a lui.-
L'indiano annuì.
-E la signorina Escobar?- chiese questi, tenendo la testa bassa.
Soledad si fermò un momento.
-Chiamate la signorina Treville- disse, dopo qualche momento- e riferitele che nelle prossime settimane dovrà incrementare le ore di lezione a mia sorella. L'ultima cosa che voglio è che la reputazione di Ester venga compromessa da uno scavezzacollo di cui ancora si ignora l'identità.-
Rashid se ne andò pochi istanti dopo, mentre la dama, fatto un profondo sospiro, si incamminò verso lo studio del marito.
Stava percorrendo i pochi metri che la separavano dalla stanza, quando una mano si posò sulla sua spalla.
-Dove state andando?- domandò una voce grave.
Lady Mc Stone si voltò, incontrando il viso serio e composto della monaca.
-Perché me lo chiedete?- fece, fissandola interrogativa.
Suor Lucia assottigliò lo sguardo.
-Scusatemi sorella- fece la minore, guardando la porta - ma adesso ho delle questioni da risolvere. Vi prego di rimandare la vostra curiosità ad un altro momento.-
Lei non disse niente.
Una parte del suo animo, quello legato dal sangue, premeva per chiedere ulteriori spiegazioni per quella distanza, ai suoi occhi così incomprensibile. L'altra, quella della monaca, non poteva fare a meno di pensare a quanto quella distanza coincidesse con i doveri che Lady Mc Stone aveva nei confronti della sua sorellastra.
Ugualmente, non riuscì a togliersi di dosso il fastidio che quella ragazzina significasse così tanto per lei. Condivideva solo il padre, eppure quel legame a mezzo sembrava qualcosa di davvero scarsa importanza, agli occhi della padrona di quell'edificio. La monaca scrollò il capo. Non avrebbe mai capito Soledad, i suoi silenzi, la sua distanza, le sue maniere a tratti così indecifrabili e statiche. Si ripromise che un giorno avrebbe chiesto spiegazioni di quello strazio silenzioso alla diretta interessata.
 
La prima cosa che Cedric vide, non appena aprì gli occhi fu un soffitto istoriato color avorio, appartenente ad una casa signorile.
Si guardò attorno, senza provare a muoversi troppo. Sentiva dolore al petto e alle braccia. Mi hanno gonfiato per bene fu il suo pensiero, mentre studiava la camera in cui si trovava, nella speranza di poter capire dove si trovava.
Occhieggiò qua e là ma per quanto lo desiderasse, non riusciva a trovare una risposta.
-Vedo che vi siete svegliato- disse una voce bassa e melodiosa, da contralto.
L'americano si voltò, incontrando un'ovale perfetto, circondato da una massa di capelli color dell'autunno.
Un abito scuro e privo di ricami, semplice ma non per questo sciatto, avvolgeva un corpo affusolato, fisso in una posa composta e austera. -Il dottore ha curato le vostre ferite ma ha detto che vi riprenderete a breve. Avete un fisico molto forte, Mister. Devo comunque informarvi che avete ricevuto diversi colpi- fece, con estremo distacco.
Cedric gettò un'occhiata allo specchio. Aveva il torace avvolto da alcune bende ma questo non impediva che facessero capolino qua e là tagli e lividi.-I vostri abiti sono stati lavati, in modo da poter essere pronti a breve. Vi consiglio comunque di attendere qualche giorno, prima di alzarvi.- continuò questa, alzandosi dalla sedia.
Gli occhi dell'americano saettarono per un momento.
-Chi siete voi?- domandò, fissandola guardingo.
-Sono Lady Soledad Blanca Mc Stone, signore- rispose compassata- voi chi siete?-
Il giovane studiò la donna di fronte a lui.
Non doveva avere nemmeno trent'anni.
-Io sono Cedric- rispose- Cedric Gillford.-
La dama inarcò la fronte.
-Benvenuto nella mia casa, Cedric Gillford- fece lei- vi auguro una pronta guarigione ma vi pregherei, per la vostra salute e per il mio decoro, di evitare di aggirarvi per la casa senza il mio permesso...e, con questo, spero che possiate godere nel modo migliore della mia ospitalità.-
 
 
Brennan stava bevendo il suo ennesimo bicchiere di liquore. Non era ancora il momento di pranzare, come poteva vedere dalla torre del Big Ben, la cui cima si stagliava in lontananza dal punto in cui si trovava. Ugualmente continuò nella sua opera, occhieggiando i passanti lungo la strada. Qualche omnibus scivolava di fronte a lui, costantemente carico di passeggeri, tra una carrozza e l'altra.
Dall'enorme finestrone del club, lo scozzese poteva vedere una discreta fetta di vita urbana, senza neppure scomodarsi troppo.
-Lord Mc Kenzie- esclamò una voce.
Lo scozzese si voltò, incontrando un viso tondo e vagamente infantile.
-Buongiorno a lei, Mr. Cromney- fece, guardandolo obliquo - anche voi qui?-
Il pingue gentiluomo annuì.
-E come potrei rifiutare la cucina di questo club?- rispose- Mia moglie è di nuovo nello Yorkshire da mia cognata, per una delle sue visite di piacere, mentre io sto sistemando gli ultimi affari del mio ultimo acquisto con un mercante olandese. La trattativa mi sta comunque impegnando non poco. Spero che le cose si concludano alla svelta. Ho promesso a mia figlia Georgiana di andare da lei la prossima settimana e non voglio deluderla.-
Brennan non ribatté.
Non era la prima volta che quel gentiluomo gli faceva cenno di quella giovane ma lo scozzese non vi badava. Si era accorto che quell'insistenza non era casuale e lui non era così ingenuo da non vedere le insidie che quel tipo di conversazione poteva offrirgli. -Allora vi auguro che gli affari vadano nel migliore dei modi. La vostra abilità è particolarmente conosciuta negli ambienti che contano. Sono certo che trarrete il massimo profitto.- disse.
Mr. Cromney annuì, prima di farsi improvvisamente serio. -Lord Mc Kenzie- cominciò questi, giocherellando con l'ascot che portava, in un modo fintamente casuale- non avrei mai pensato di vedervi qui ma, ora che siete di fronte a me, non posso fare a meno di chiedervi di risolvere un increscioso imprevisto, che io non ho tempo di risolvere.-
Lo scozzese aggrottò la fronte.
-Mettetevi pure comodo, allora- rispose- e permettetemi di offrirvi il pranzo, considerando che è quasi ora.-
-Vi ringrazio della cortesia- si schermì l'inglese -ma non vorrei disturbare.-
-Assolutamente no- scosse il capo questi- ogni questione ha il suo tempo ed affrettare tutto, spesso, porta solo danni. In ogni caso, mi farebbe piacere sentire il vostro problema, se non altro per non annoiarmi troppo.-
Mr. Cromney sospirò sollevato.
-E'un imprevisto che mi sta facendo dannare da un po'- rispose - anche perché potrebbe portare uno scandalo non di poco conto.-
In quel momento, arrivò un cameriere.
-Cosa posso ordinare per voi?- domandò.
-Un Cornish Pasty- disse lo scozzese poi, dopo aver visto l'espressione dell'uomo di fronte a lui- anzi due.-
Fatta l'ordinazione e rimasti di nuovo soli, Mr. Cromney trasse un profondo sospiro. -Mi auguro che questo imprevisto non vi abbia dato dei fastidi.- continuò lui.
-No- rispose monocorde Lord Mc Kenzie- ma gradirei sapere da voi la ragione di questo improvviso desiderio di far conversazione con me.-
L'inglese sbuffò.
Da anglicano praticante, aveva sempre disdegnato un po' quell'eretico ma la situazione in cui si trovava era così spinosa da spingerlo a chiedere il suo aiuto. -Ebbene, milord, in quanto Old Etonians, come me, vi chiedo di risolvere uno spiacevole incidente, accaduto circa una settimana fa. Pare che sia scomparso uno studente dell'ultimo anno dalla Eton College...e voi sapete bene che un evento del genere è quanto mai scandaloso.- fece lui.
Brennan arricciò le labbra piene.
Riempì nuovamente il bicchiere di liquore e, con un'indifferenza che nessuno avrebbe saputo definire se vera o artefatta, registrò mentalmente la notizia. -Avete idea di dove sia andato, prima di svanire nel nulla?- domandò.
Le posate tintinnarono leggermente, come se quella curiosità, apparentemente insignificante, gravasse sulle spalle dei presenti alla stessa maniera di un macigno. Mr Cromney aveva un'aria abbastanza seccata, come se quella notizia, che lui stesso aveva dato, fosse qualcosa di particolarmente fastidioso. -Immagino che l'interessato non sia uno studente modello- commentò, il sorriso deformato in una piega sarcastica.
-Non è questo il punto, Lord Mc Kenzie- fece questi, tagliando il pasticcio di carne e verdure- il punto è che lo scomparso appartiene al college di Eaton e sarebbe altamente disdicevole se si venisse a sapere che una scuola così distinta non è capace di tenere a freno gli animi dei suoi studenti. Finché gli scandaletti sono facilmente contenibili, non è un problema. Quello che preoccupa la direzione è la possibilità che qualche bow-street runner possa acciuffare l'interessato, magari coinvolto in qualcosa di losco. La reputazione ne verrebbe irrimediabilmente compromessa, Milord, insieme alla rispettabilità di coloro che si sono diplomati in quella scuola tanto distinta.-
Gli occhi dello scozzese si assottigliarono.
-Mr. Cromney- fece posando il bicchiere- sono certo che troveremo una soluzione. Sarà sicuramente un colpo di testa e...-
-Vi prego di non prendermi in giro, Milord- ribatté l'altro, con voce indignata- voi non avete la minima idea dello scandalo che potrebbe derivare se si venisse a sapere che quella persona è scomparsa. Suo zio ha una notevole influenza, malgrado non abbia mai intrapreso alcuna carriera politica. Potrebbe crearsi un putiferio tale da far impallidire qualsiasi altro scandalo, se ne venisse a conoscenza.-
Brennan inarcò la fronte.
-Ebbene- disse questi- ditemi allora chi è questo rampollo. Non girateci troppo attorno, giacché non voglio rubarvi altro tempo.-
L'inglese chiuse gli occhi, più pallido del solito.
-E'l'erede di Lord Gillford, il noto misantropo che, da diverso tempo, si è ritirato dalla vita pubblica. Il suo nome è Cedric- fece, prima di sorridere beffardo- devo inoltre informarvi che non è completamente inglese. Proviene dall'America ed è sempre stato un tipo ribelle, stando alle parole di molti.-
-Altre informazioni?- domandò lo scozzese.
Il chiacchiericcio del club stava diventando più intenso. Alcuni ridevano, forse per via di qualche facezia di poco conto. Altri fumavano il tabacco, in una delle salette del locale. Brennan si voltò verso di loro, occhieggiando distratto quello che stavano dicendo...prima di sospirare, in misura quasi impercettibile.
-So che era amico di un certo James Kornwell- buttò lì, con fare indifferente- Suo padre lo ha riconosciuto 15 anni fa e frequenta la stessa scuola dello studente che è scomparso. Vi chiedo di fare le ricerche nella maniera più accorta possibile, prima che lo zio ne venga a conoscenza.-
Poi, dopo essersi congedato rapidamente, raggiunse l'uscita.
Lo scozzese lo guardò allontanarsi, quasi seccato dalla sua fretta.
Il suo pranzo era stato irrimediabilmente rovinato da quel contrattempo...quasi maledì la sua decisione di lasciare le sue tenute sulle Highlands. Probabilmente, se non fosse dipeso dalla lettera di lamentele di sua cugina Victoria, non avrebbe mai e poi mai rimesso piede nella capitale...ma ormai era a Londra e non poteva andarsene senza creare qualche nuovo pettegolezzo. Non gli rimaneva altra cosa da fare che iniziare le ricerche, sperando che a queste non si aggiungessero altre seccature.
 
 
Ester pestò nervosamente i sassi del sentiero.
Aveva indossato un abito pesante, di mussolina, color castagna, che le fasciava graziosamente il corpo. I capelli erano acconciati in modo leggermente lezioso, evidenziando i tratti raffinati del viso. Un cappellino, del medesimo colore del vestito, decorato con spighe di grano e fiori rossi, contribuiva a creare un gusto semplice ma non scontato all'insieme.
-Padroncina- fece la sua cameriera, camminandole accanto- per quale motivo siete di così pessimo umore?-
Lei si morse le labbra piene, esibendo un broncio.
-Mia sorella mi ha mancato di rispetto.- rispose, stizzita- Ditemi, Emma, è mai possibile che continui a mostrarmi un temperamento così poco fiducioso nei miei riguardi? Abbiamo un ospite ma lei non me ne ha fatto parola...come è possibile una simile maleducazione?-
La cameriera la guardò.
Sapeva benissimo cosa era successo, per offenderla a quel modo.
-Non saprei, signorina- rispose questa, tentando di non pensare alla scena a cui aveva assistito alcune ore prima. Dopo l'arrivo dell'ospite misterioso, la signorina Escobar aveva tentato d'intrufolarsi nella sua camera ma era stata scoperta da Rashid e trascinata di peso nei suoi alloggi, malgrado la giovane, dimenticando per un momento tutto il suo autocontrollo, avesse cominciato ad inveire ora in francese, ora in spagnolo, sotto lo sguardo della servitù. Lady Mc Stone, saputa la notizia, le aveva impedito di andare a fare acquisti a Covent Garden, relegandola nella sua tenuta.
La più giovane non aveva gradito questa misura, come poteva vedere dai suoi movimenti a scatti.
Emma si morse il labbro sottile, tentando di non ridere al pensiero di quelle gambette sottili ed aggraziate che scalciavano in aria nel tentativo di liberarsi.
-E'inaudito poi che mi tenga costantemente all'oscuro della mia situazione- esclamò, allargando le braccia- non pensa a me? Ha la minima idea di cosa significhi condurre la propria esistenza, nell'ignoranza più totale?- A quel pensiero, accellerò il passo, ignara delle lamentele della cameriera. -Almeno mia madre, malgrado tutto, non mi ha fatto tanti misteri!- esclamò, prima di aggiungere seccata- Anche se avrei preferito un uomo meno vecchio e brutto.-
Ester alzò il capo, ispirando profondamente l'aria umida e pesante di quel giorno.
La cameriera non fece alcun commento.
La padroncina era molto irritata e tesa...e l'arrivo di quello straniero non migliorava le cose. Nemmeno lei aveva avuto modo di vederlo, anche perché la presenza di Rashid e Sarasa impediva qualsiasi possibile contatto.
-Sono così curiosa, Emma!- continuò lei- Voglio vedere chi è, almeno una volta.-
Il venticello di quel giorno pareva carico di pioggia.
Istintivamente, si passò una mano sui capelli, raccolti in una pettinatura ordinata e vezzosa al tempo stesso. La punizione di Lady Mc Stone la offendeva in qualche modo, anche perché non le aveva minimamente permesso di difendersi. Cosa c'era di male nel vedere quello straniero? Forse perché era un uomo?
A quel pensiero, la ragazzina scosse il capo.
-Padroncina- fece la cameriera- il tempo sta peggiorando. Forse...forse è meglio ritornare indietro.-
Ester si limitò ad annuire.
Il paesaggio era sempre più plumbeo e, malgrado fosse offesa dal comportamento della sorella, non aveva intenzione di darle la soddisfazione di dimostrarglielo. -E sia, Emma- esclamò lei, alzando il mento, con fare impettito- rientriamo in casa. No sia mai che Lady Mc Stone abbia a rammaricarsi troppo di me!- Dette le spalle al paesaggio e, a passo di carica, marciò spedita verso il palazzo, inseguita da una Emma che, sempre più sconcertata dagli improvvisi cambi di umore, non sapeva davvero cosa pensare.
 
 
Mia cara cognata,
sono davvero dispiaciuta per questo silenzio. Mi duole ammettere di aver sentito notevolmente la vostra mancanza ma confido nel buonsenso che vi caratterizza che abbiate avuto delle ragioni più che valide. La notizia della vostra decisione ha raggiunto anche la città dove tuttora risiedo. Amburgo è un luogo freddo e grigio, ben diverso dalla mia amata Londra ma non posso che assecondare la saggezza di mio marito.
Vi informo che ho appena avuto un figlio, un maschio.
Sono così felice, sorella mia! Non avete idea di quanto abbiamo atteso questo momento. Abbiamo dato al bambino il nome Gustav, come il prozio del mio sposo. Gode di ottima salute e, stando alle parole della balia, non piange in modo eccessivo. Come madre, non posso che essere felice di tutto questo, anche se mi dispiace molto per questa mia mancanza di delicatezza. Siete ancora molto triste per la dipartita di mio fratello e non potete che avere da me ogni lode per questa condotta.
Ugualmente, vi esorto a non disperare.
Ho parlato con il mio sposo e, d'accordo con lui, ho ricevuto il permesso di poter venire a farvi visita con il resto della famiglia.
Attenderemo comunque del tempo, poiché non vorrei mettere in pericolo la salute del mio bambino.
Spero che la mia presenza vi dia il conforto in tutto questo dolore che, in fondo, è comune a entrambe...
 
La lettera venne fatta improvvisamente in mille pezzi. Soledad non si accorse nemmeno di averla ridotta a brandelli.
Sarasa accorse immediatamente.
-Padrona- fece ma lei non rispose.
Con un sospiro, la cameriera si chinò a terra, raccogliendo i frammenti di carta.
Stracci bianchi che si stagliavano sul pavimento di tarsie in marmo.
Spruzzi bianchi che risaltavano nella stanza buia.
L'indiana socchiuse gli occhi, limitandosi a prendere tutto quello che era perso a terra. Non aveva bisogno di guardare in alto per vedere le lacrime invisibili di Lady Mc Stone. Era come se il passato volesse nuovamente far capolino nella vita di quella donna...e quel che era peggio era che non c'era modo di evitare tutto questo, per allontanare la nuova e imprevedibile tempesta che stava per scatenarsi su quella casa.
-Lady Victoria mi ha annunciato che, presto, verrà nuovamente in questa dimora- comunicò apatica, prima di fissare la radura di fronte a lei- Mio marito aveva ragione a dire che la rovina non può che venire accoppiata. Prego solo che i miei nervi escano indenni da tutto questo.-
Rimasta sola, Sarasa ricostruì i vari pezzi.
Lesse rapidamente il messaggio, prima che una maschera di pena prendesse possesso del suo viso sfigurato.
Con un gesto veloce, gettò il foglio nel camino, dove brillava un caldo fuoco.
L'indiana lo fissò a lungo e, per quanto fosse vicina, non riuscì a scacciare da sé la sensazione di gelo scaturita dall'incontro con la sua padrona pochi minuti prima.
 
Allora, questo capitolo è piuttosto breve ma spero che vi piaccia. I personaggi si muovono tutti in varie direzioni. Non dirò niente dei vari misteri che vengono fuori ma vi consiglio di tenere presente che non tutto è come sembra. Molte cose saranno più chiare in seguito ma intanto Ester si strugge dalla curiosità e la sorella si logora sempre di più. Ringrazio ancora coloro che mi hanno letto. Non penso che la storia sia originale ma mi auguro almeno che sia scritta bene. Vorrei ringraziare coloro che mi hanno recensito nel precedente capitolo. Prometto che risponderò in settimana.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** XVII ***


Eccovi un nuovo capitolo. Vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno letto finora. Tendo a scrivere in modo abbastanza frettoloso e questo non è bene ma spero di riuscire a finire questa storia. I personaggi comunque sono abbastanza delineati nella mia testa, almeno nei loro tratti essenziali. Come ho già spiegato, questo 1800 è molto sui generis, perché parlo degli stranieri nel Regno Unito che, come è noto, si tennero sempre un po'ai margini della vita inglese.

Soledad si è inserita tramite matrimonio, mentre Cedric vi è dentro per adozione...ma sono stranieri, ricordatelo sempre. E'un mondo alternativo quasi...per questo non posso darvi delle coordinate cronologiche soddisfacenti.

 

XVII

 

Si potevano dire molte cose di Cedric Gillford.

Era un tipo selvatico.

Poco socievole.

Sprezzante e vagamente superbo.

Inavvicinabile.

Tutte definizioni che l'interessato avrebbe accolto senza fare una piega, dal momento che era il primo a vedere i suoi difetti. Di certo, però, non avrebbe mai negato, almeno a sé stesso, il fatto che era una persona che odiava rimanere troppo nella stessa stanza, immobile per giunta.

Il fatto poi di essere guardato a vista dal maggiordomo indiano e dalla cameriera personale della padrona di casa, lo rendeva piuttosto nervoso. Gli pareva di essere in gabbia e questo non migliorava affatto il suo umore. Occhieggiò seccato le varie sculture orientali che spuntavano qua e là nella stanza.

-Il padrone era un appassionato di oggetti dell'Asia.- disse la voce morbida e scura della donna che ora vigilava sulla sua condizione.

Cedric si irrigidì.

-Non vi ho chiesto niente.- rispose, guardingo.

Sarasa gli rivolse un sorriso pacato, fatto solo di labbra. Così facendo, il viso, rovinato da cicatrici, assunse uno strano effetto chiaroscuro. Non sgradevole...ma di certo, strano. -In ogni caso- disse questa- sappiate che la tenuta è a vostra completa disposizione.-

-Come mai mi tenete relegato in questa stanza?- chiese lui.

-E voi perché eravate ferito in quel luogo e non in salute nella vostra scuola?- domandò Sarasa a sua volta- Non credete che la padrona di questo edificio meriti questo genere di risposte? Non dovreste tenere un simile atteggiamento nei suoi confronti. Lady Mc Stone è una donna molto fedele ai giuramenti.-

Cedric la guardò piccato.

Non amava quelle velate accuse ma non se la sentiva lo stesso di snocciolare quella verità che non aveva mai confessato a nessuno...nemmeno allo zio. Era qualcosa che risaliva a monte, a quando aveva levato i piedi dalla sua terra natale...e rivangare quelle cose non gli piaceva per niente. Non aveva mai ammesso una cosa del genere con nessuno, anche perché era un pensiero così personale che l'americano non voleva condividere.

-Questo non le da nessun diritto di tenermi prigioniero- ribatté, fissandola senza dar segno di alcuna debolezza.

Sarasa non si mosse e l'americano capì che lei non gli avrebbe dato le risposte che voleva.

-La mia padrona è una persona molto leale- disse, fissando apatica la finestra- non abusate della sua correttezza.-

L'americano non commentò.

Non disse una parola.

Erano i discorsi della servitù e non era nemmeno troppo stupito di questa neanche troppo velata ammirazione.

Ci credeva e non ci credeva, come era solito fare in quei casi.

Con uno sbuffo, si gettò sul materasso, non senza levare un lamento per il gesto brusco che lui stesso aveva compiuto. Senza volerlo, aveva sforzato le parti ammaccate che aveva ottenuto dall'ultimo incontro di boxe.

 

 

Soledad percorreva i neri corridoi dell'edificio dove, pochi minuti prima si era recata. Era abbastanza demoralizzata. Igor non aveva ricevuto niente di nuovo ed ora si ritrovava con gli stessi sparuti indizi che l'avevano spinta in quella ricerca.

Gli occhi percorsero mesti quelle finestre che, come tanti occhi, parevano scrutarla...come la giuria di un tribunale.

Un leggero venticello, scuoteva le pieghe della gonna scura.

Era partita carica delle più rosee speranze ma la ricerca non aveva portato a niente di buono...come per l'altro peso che la gonfiava di ulteriori angosce, levandole il sonno.

Ed erano pensieri che la straziavano dall'interno, conficcandosi piano nella pelle.

Un rovo di spine che non lasciava scampo.

-Buongiorno, Lady Mc Stone- disse una voce fredda e vagamente dura.

La donna si voltò, incontrando due occhi piccoli ed astiosi.

-E'altamente disdicevole che un gentiluomo si rivolga ad una dama in maniera tanto esplicita- rispose compassata- ma per questa volta, eviterò di avermene a male. Ugualmente, devo chiedervi chi siete. Voi mi conoscete ma io no, temo.-

-Non è vero nemmeno questo, Milady- fece, senza sorridere- sono Lord Von Gruhnweld...vi dice niente questo nome?-Soledad non fece una piega.

Il suo viso altero non aveva dato segno di sorpresa o indignazione ma, ugualmente, non disse niente e quel silenzio irritò il prussiano. -Non ho ricevuto notizia della vostra pupilla- disse, assottigliando lo sguardo- e, dal momento che ci sono degli accordi da rispettare, mi sono trovato costretto a reclamare quello che ritengo doveroso. Ho dato la mia parola d'onore e non intendo venirvi meno.-

Gli occhi verdi di Lady Mc Stone si assottigliarono.

-Ebbene?- fece lei- Perché questa storia dovrebbe riguardarmi?-

Alcune dame passarono in quel momento, sul lato opposto del cortile. I loro abiti color pulce erano piuttosto vistosi.  Soledad le vedeva anche da lì. Portavano i capelli acconciati in morbidi riccioli che incorniciavano visi pingui ed allegri. -Voi non avete minimamente preso in considerazione l'idea d'informarmi di questa misura via lettera, come Lady De Florie non si è degnata d'informarmi delle difficili condizioni economiche che hanno portato alla progettazione di un simile sposalizio. Non trovate che sia oltremodo avvilente, contrarre matrimonio in una simile maniera?-

Heinrich si fece pallido.

Lady Mc Stone non fece una piega. -Ho comunque adempiuto al debito che la mia matrigna aveva contratto con voi, attraverso il pagamento di quanto vi è dovuto, compresi i debiti nati dal ritardo in questa odiosa operazione. Di conseguenza, il matrimonio, nato su una simile base, tra voi e mia sorella Ester perde completamente di significato...ho letto le clausole e potete naturalmente domandare a qualsiasi dottore di legge.- lo informò, occhieggiando i vetri delle finestre.

-Come osate prendervi gioco di me, Milady!- esclamò il prussiano- Voi state macchiando il mio onore...trattando per giunta la signorina Escobar come una squallida mercanzia. Voi non state facendo il suo bene e, comunque, non pensate ai pettegolezzi che potrebbero scoppiare, nel caso in cui venisse fuori che lei era promessa a me?-

Soledad non rispose.

Il viso era fermo in una piega rilassata ed inespressiva, che guastava la bellezza abbagliante dell'insieme.

-Non rispondete?-continuò questi, con disprezzo- Non penserete che il vostro matrimonio vi avrebbe tenuto lontana dal giusto trattamento che meritereste, spero?- Così dicendo, cominciò a girarle attorno, come un lupo attorno alla sua preda.-Voi, in dieci anni di matrimonio, non avete minimamente adempiuto ai vostri doveri coniugali. Malgrado vostro marito vi avesse preso, pur non portando una dote all'altezza del suo rango, non siete stata minimamente in grado di generare un erede...o almeno una femmina. No, il vostro ventre è arido e spoglio, malgrado la vostra apparenza florida.-

Parole taglienti che si conficcavano sotto la pelle.

Non nuove ma ugualmente fastidiose.

Lei rimase ferma, inerte di fronte a quei discorsi per lei tutt'altro che insoliti.

Quante volte li aveva sentiti, sussurrati sottovoce dalle donne del Ton? Troppe per poterle contare.

-Avete finito?- domandò lei.

Heinrich la guardò interdetto.

Non si aspettava che lei rispondesse. Di solito, quando gli capitava di lasciar da parte all'educazione, non poteva non gioire dello sgomento e della rabbia malcelata delle donne che erano oggetto della sua cattiveria. Lord Von Gruhnweld non aveva mai avuto una buona considerazione del gentilsesso, per convinzione ed educazione. Per questo, non apprezzò le sue parole. Fece per rispondere ma subito si trattenne, non appena si accorse che il cortile si stava affollando.

-Ringraziate il fatto di non essere sola in questo momento, Milady- fece, guardandola con rabbia- Voi siete una sporca borghese eretica e tale resterete per sempre. Vostro marito non ha saputo domarvi come meritavate...ma ricordate che a farne le spese è una povera anima innocente, a cui negate le gioie di un matrimonio.-

Soledad non ribatté.

Aveva vinto il primo scontro con quell'alemanno ma sapeva che non avrebbe demorso. Non era una questione di denaro ma di quello che, da sempre, era la bestia nera di ogni nobile purosangue: l'orgoglio.

Ester pensò, malinconica.

Rivide con la mente il viso ingenuo e vivace della sua sorellina...e dentro di sé non poté fare a meno di percepire l'attrito che quell'emozione le scatenava nel petto.

Una sensazione calda, senza pretese.

Con forza, strinse il crocefisso che portava al collo poi, con passo deciso, si incamminò verso la porta.

 

 

Mr. Browsky si riempì un bicchiere di vodka.

Il liquido trasparente emanava un forte odore di alcol, rilucendo all'interno del contenitore con il suo carico di promesse. -Avevi previsto che sarebbe giunto qui- fece, rivolto al suo silenzioso ospite- eppure non hai fatto nulla. La tua insensibilità è davvero sorprendente.-

L'altro non fece una piega.

Igor studiò la sua sagoma, alta ed imponente. Gli venne in mente la favola della canna e della quercia...ma si guardò bene dall'esternare una simile frecciata. - Lord Von Gruhnweld è un vecchio bilioso e sgradevole. Se non fosse per la sua amicizia con alcuni notabili della corte prussiana e inglese, difficilmente avrebbe un simile ascendente. Lady Mc Stone comunque è una fortezza e non permetterà a quella persona di avere la meglio su di lei.- fece, sorseggiando la bevanda- Quella spagnola ha il temperamento di un hidalgos. Ha tenuto testa a chi aveva da ridire sul suo sangue mezzoborghese con la stessa forza di una montagna sotto i colpi del vento.-

L'ospite non rispose.

-Ugualmente sono felice di vedere come il mio amico Alistair sia amato tuttora. Dovrebbe essere felice di una simile cura. Pochi ne hanno.- disse, prima di farsi serio- Eppure mi chiedo se questa fedeltà a oltranza sia qualcosa di positivo. Vorrei dire di sì...ma questa risposta, quando vedo la fortezza di Lady Mc Stone...e voi... stranamente vacilla...ne sapete niente, Lord Mc Kenzie?-

Brennan rimase ugualmente in silenzio.

Pareva una statua...eppure, da acuto osservatore quale era, il russo aveva notato come i muscoli dello scozzese erano rimasti spaventosamente tesi, durante tutta la conversazione tra Lady Mc Stone ed il prussiano. Igor non aveva dubbi sul fatto che quell'uomo avrebbe avuto una reazione imprevedibile, e quindi distruttiva, se il dialogo fosse degenerato in qualcosa di meno pacifico.

La sua immobilità, ora, si era in qualche modo rasserenata.

Solo gli occhi, animati da qualcosa di strano e inquieto, tradivano una vivacità di fondo...ed era tutto rivolto a quella donna dai capelli d'autunno e dagli occhi colorsmeraldo.

 

Allora, questo capitolo è venuto fuori in maniera assolutamente casuale, nel senso che non potendo aggiornare con il mio pc sono un po'con le mani legate. Soledad ha il primo alterco con l'ex promesso di sua sorella, mentre Cedric scalpita. La tempesta comunque è alle porte. Trame di vario genere si avviano contro questa donna e anche contro sua sorella che avrà pure lei i suoi grattacapi.

Ci sono tanti retroscena dietro a questi personaggi.

Niente è come sembra.

Voglio inoltre precisare che anche la madre di Soledad era nobile ma di lignaggio inferiore rispetto a Renée. Sulla travagliata storia di questa famiglia avrete tutte le risposte che servono a suo tempo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** XVIII ***


XVIII

 

 

 

Heinrich entrò rabbioso dentro l’edificio. I suoi passi rimbombavano nell’atrio, come se fosse una scarica di grandine.

Le parole di Lady Mc Stone lo avevano irritato e quello stato d’animo trapelava in ogni gesto e maniera. Cosa stava cercando di fare? Cosa mirava, tenendo quel genere di condotta senza alcun ritegno?

Non riusciva a darsene risposta.

Era spiazzato e non poteva accettarlo.

Fin dall’infanzia, era stato educato a centellinare ogni singola reazione, in segno di una sprezzatura degna di uno dei migliori cortigiani. Grazie al rigido rispetto dell’etichetta, aveva guadagnato notevoli consensi tra le dame più influenti dei salotti di Potsdam, insieme ai ricavi delle tenute in suo possesso, per le quali non aveva comunque alcun interesse.

Era mediocre in tutte le altre attività.

Mediocre nell’uso delle armi.

Mediocre nello scrivere lettere galanti.

Mediocre nel saper intrattenere una piacevole conversazione.

Ma era ricco…e questo particolare contribuiva a migliorare sensibilmente il resto. Grazie ai suoi capitali, aveva guadagnato consensi da più parti, creandosi degli alleati in caso di bisogno. Aveva consolidato la sua posizione ed ora, con la fronte sempre più stempiata ed i capelli sempre più grigi, sentiva il bisogno di avere una discendenza.

Si era sposato varie volte ma i suoi matrimoni erano stati un fallimento.

Aveva avuto diverse compagne ma dai loro grembi non era uscito quell’erede che ora sentiva sempre più necessario.

Inizialmente non era molto interessato alla signorina Escobar.

Le sue origini imbastardite non lo entusiasmavano ma, dopo tanto attendere, era giunto alla conclusione che non poteva fare troppo difficile. La vista di quel viso di bambola e di quel candore innocente, poi, lo attraevano come la fiamma con la falena, incendiandogli i lombi più del dovuto.

Deve essere mia, ad ogni costo si disse.

 

 

 

 

 

 

 

Ester trattenne un brivido.

-Avete freddo, Miss?- domandò la cameriera, allentando la presa sulla racchetta.

-No, Emma- rispose lei, scuotendo il capo biondo- voglio approfittare di questo giorno per fare una bella partita a badminton. –

-Non sono molto brava, Miss- rispose la giovane.

-Non importa- disse la bionda – basta provare.-

Con il polso, tirò in alto l’oggetto per poi colpirlo con la racchetta. Emma scattò, respingendo maldestramente e, sia pure in modo disarmonico, cominciò quella partita tanto strana. Ester rispondeva, senza forzare troppo la mano.

La sua avversaria non era molto pratica e lei voleva evitare di rendere il match troppo breve. Saltellò da un punto all’altro, con destrezza, rispondendo ai lanci maldestri.

-EMMA!- esclamava, quando proprio non riusciva a trattenersi.

-Sì, Miss?- domandò la cameriera.

-Vi pregherei di mettere maggiore impegno.- disse, fissandola corrucciata- non state minimamente partecipando.-

La cameriera provò a ribattere ma non riusciva a reggere il ritmo della sua avversaria. Questa si muoveva agile da un punto all’altro del campo, con la leggerezza del suo fisico flessuoso. Era così presa da quel gioco che non si accorse che la finestra di una delle stanze si era aperta.

 

 

Suor Lucia aveva appena concluso una delle sue preghiere quotidiane.

La lontananza dal convento la disorientava spesso. Non sentiva il suono delle campane dettare lo scorrere del tempo e trovava non poche difficoltà nel recitare le formule necessarie di rito. In compenso, il rumore soffuso della vita oltre al cancello, segno delle attività urbane, accompagnava ogni singolo momento della giornata, infastidendola.

Accarezzò con calma i vari grani del rosario, mormorando nuove preghiere. Aveva come la sensazione che non bastassero mai, per quanti sforzi facesse.

- Vorrei sapere se quello che vi è successo, vi ha davvero resa più forte, sorella mia. A volte, non vi comprendo.- mormorò, continuando a fissare il crocifisso che aveva messo nella stanza dove soggiornava.

Nessuno rispose a quelle parole.

-Quando vi lasciai, la nostra vita stava già prendendo una pericolosa china- continuò- ma ero presa dal mio futuro di contemplazione dell’Altissimo, per potervi badare…grave errore fu il mio.-

Lady Mc Stone non parlò.

Continuò a fissare il fumoso paesaggio di Londra, i suoi contorni bagnati e insieme polverosi, come le sagome delle fabbriche che scorgeva in lontananza.

Pilar scrollò la testa.

-Avete chiuso il vostro cuore da molto tempo, sorella mia- continuò- quale che sia il mistero, non è giusto per voi rimanere in tale posizione.-

Il silenzio venne rotto…da una porta che si chiudeva.

Suor Lucia si voltò.

Sua sorella se ne era andata, opponendo il silenzio come unica risposta.

 

 

 

Le grottesche del soffitto riproducevano decorazioni floreali e astratti, creando ideali porticati di fantasia. Ester osservava quelle immagini. Le avevano raccontato che quelle figure tanto belle erano state trovate in un palazzo tanto tempo fa, un luogo così abbandonato da sembrare una grotta.

Piano, riaprì il libro di Eugenie Grandet.

Ester guardò imbronciata le pagine. Non aveva voglia di leggere e non aveva nemmeno voglia di rimanere nella camera dove Emma l’aveva lasciata un’ora prima. Malgrado quel breve gioco in giardino, era comunque in punizione.

Aveva dato un indecoroso spettacolo di sé nell’atrio. Non era minimamente da lei…a quel pensiero, trattenne uno sbuffò. Non voleva pensare a quell’episodio. Aveva dato una pessima impressione …come non sapeva cosa sarebbe stato di lei, senza nessuna proposta in corso ed un debutto quanto mai imminente.

Di scatto, si portò le mani al viso.

La scoperta del volto del pretendente scelto da sua madre l’aveva nauseata…ma, ora che era non era più certa una simile soluzione, sentiva l’amaro e fastidioso sapore della fine della sua infanzia. Stava crescendo ed il futuro di un matrimonio era ormai una soluzione sempre più pressante. Lady Mc Stone non le aveva rivelato nulla e non sapeva a chi chiedere.

L'occhio le cadde su una bambola di stoffa. Indossava abiti spagnoli, di fattura moresca...il sorriso le nacque spontaneo. Soledad le aveva regalato quel gioco poco prima di sposarsi, un modo forse ingenuo per renderle meno dolorosa la separazione imminente. Non se ne era mai privata, in tutta la sua vita.

Staremo sempre insieme le aveva detto, con gli occhi asciutti e mesti.

Era successo la sera prima delle nozze.

Ester guardò seria quell'oggetto, chiedendosi se vi fosse qualche legame tra la promessa di Soledad e quanto accaduto...ma cacciò quel pensiero quasi subito, non appena si accorse che la rattristavano. Stizzita per quell'attimo di debolezza, si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra della propria camera. Il giardino della casa dei Mc Stone era imponente, con quelle piante scure e quelle siepi che promettevano fiori in primavera.

Un sorriso freddo comparve sul suo volto.

La sorpresa per la maestosità di quel luogo era lentamente scemata, per dare spazio ad altre sensazioni. Come quella di un freddo interiore, che neppure l'Oriente che si respirava nelle decorazioni riusciva a mitigare. Agli occhi di Ester, i colori caldi degli interni non lasciavano niente dentro. Sterili innesti, incapaci di generare alcun frutto.

Rashid le aveva riferito che in primavera quello spazio aperto si riempiva di fiori colorati.

Diceva che era una visione magnifica, anche per chi non era un amante di giardinaggio.

Ester scosse il capo, non sapendo se crederci o no.

La verità era che il silenzio sul suo futuro la rendeva inquieta e nervosa.

Cosa ne sarebbe stato di lei?

Improvvisamente, qualcuno bussò la porta.

La signorina Escobar si voltò.

-Avanti- disse, guardando incerta e un po'disgustata.

Sarasa non parve farci caso.

Non sembrò scomporsi troppo per le occhiate pesanti che la giovane stava lasciando sulle sue cicatrici, come se vi fosse abituata.

-La signora mi ha detto di consegnarvi questa- disse pacata...solo allora Ester notò una scatola chiara.

Immediatamente, la curiosità la prese.

-Che cos'è?- domandò, gli occhi diffidenti ora sulla cameriera, ora sul misterioso dono.

Poi vide la scatola fare un sussulto, accompagnato da un piccolo lamento. Ester si portò le mani sulla bocca.

-NO!-esclamò, con un tono di voce quasi isterico.

Con un gesto rapido, si lanciò contro la donna, quasi strappandole di mano la scatola,

Fremente, la aprì, prima di trattenere il respiro.

-E invece è così, signorina- confermò la cameriera- la signora mi ha detto che amate queste bestiole e vi ha dato il permesso di tenerne una.-

Ester non rispose.

L'esserino grigio la guardava con dei grandi occhioni gialli.

Un musetto quasi sferico, che riluceva d'argento alla luce di quella giornata.

A quella vista, il cuore della ragazzina si sciolse.

Tremando, avvicinò la mano alla bestiola ma questa, spaventata dal movimento allungò una delle zampe per prendere le sue dita.

-E'spaventato- disse Sarasa, guardandola con il suo sorriso di labbra- ma basterà portarle un piattino di latte e starà meglio. Deve ambientarsi, signorina.-

Ester annuì, rapita dalla fragilità del gattino.

Non ne aveva mai avuti.

Sua madre odiava gli animali e Soledad non aveva voce in capitolo per permetterle di tenerli...ed ora il suo sogno si era realizzato. Il cuore venne preso da una strana morsa, bloccandole il respiro. - Non è arrabbiata per il mio comportamento?- domandò, tenendo gli occhi fissi su quelle iridi ocra.

-Non saprei dire, signorina- rispose l'indiana.

Ester chiuse gli occhi.

Qualunque fosse la verità, non le interessava. Decise di godersi quel momento leggero, sperando che durasse il più a lungo possibile. Era bello illudersi, almeno un po'.

 

 

 

James non sapeva cosa pensare.

Da diverse mattine, il letto del suo amico era vuoto e freddo.

Non era la prima, né l'ultima volta che Cedric scappava dal collegio.

La sua indole selvatica gli faceva odiare, spesso e volentieri, quel luogo che ancora odiava la borghesia.

Spesso rimaneva fuori per varie notti, fino al limite oltre il quale c'era l'espulsione immediata dall'istituto...ma questa volta, le cose sembravano diverse. Se ne era accorto dagli sguardi di soddisfazione degli Swanson e dei Cavedish. Deve essere successo qualcosa si disse.

Non era estraneo al giro d'incontri clandestini all'interno della scuola. Malgrado la boxe fosse socialmente biasimata, di fatto il suo esercizio veniva praticato in segreto, sostenuto dagli stessi direttori delle scuole, soprattutto dopo l'ingresso dei borghesi dentro a delle scuole, un tempo in mano esclusivamente della nobiltà: pareva che il pugilato fosse un'efficace valvola di sfogo per questa atavica acredine, un modo per togliere un po'della tensione tra i vari studenti. Questa relativa tolleranza aveva avuto delle conseguenze impreviste.

Vuoi per noia, vuoi per delle ragioni che il giovane non sapeva individuare, gli studenti avevano accompagnato quelle dispute con dei giri di scommesse, alcune delle quali particolarmente ricche. Cedric, fiutando i guadagni, si era buttato in questa impresa...mentre lui, James, aveva negato sin da subito. Non voleva essere coinvolto in quel genere di cose. Suo padre, dopo aver perso l'erede legittimo, si era improvvisamente interessato alla sua esistenza e non voleva privarsi dell'occasione che la sorte gli aveva dato.

Non nutriva alcun sentimento verso l'uomo che aveva messo incinta la donna che lo aveva cresciuto ed allevato. Anche se la perdita dell'erede designato e della moglie legittima lo avevano costretto a riconoscerlo, James non aveva minimamente mutato sentimento nei suoi confronti. Disprezzava ogni cosa di lui, a cominciare dalla disperata ricerca di un erede per le sue fortune. Prima della morte del figlio di Lord Kornwell, aveva vissuto ai margini insieme a sua madre, una robusta cuoca perennemente sorridente, nella casa della madre del capofamiglia, una donna arcigna e bigotta, con cui non aveva mai avuto grossi contatti. James, alla luce delle sue esperienze, aveva imparato che non poteva rifiutare i beni di cui ora godeva, malgrado il disinteresse verso il capofamiglia. Ne aveva quindi tratto il massimo profitto, assicurando un futuro dignitoso alla madre. Le aveva fatto comprare un cottege a Bath ed una palazzina che la donna aveva trasformato in una locanda. Una misura che il padre aveva approvato, per questioni di decoro, un modo come un altro per evitare il tedio del pettegolezzo.

Il ragazzo, per queste medesime ragioni, aveva sempre mantenuto un profilo basso, evitando ogni tipo di scandalo e pericolo.

La scomparsa dell'amico, però, cominciava a preoccuparlo.

Indossò la giacca ed i pantaloni e, dopo aver dato velocemente uno sguardo alla camera, si incamminò verso le aule.

Era ormai a metà del tragitto, quando qualcosa lo bloccò.

Una sagoma alta, molto più di lui.

-Che cosa volete?- domandò il ragazzo, diffidente.

Lui non rispose, limitandosi a fissarlo.

James inarcò la fronte.

L'ultima cosa che si aspettava era incontrare Bill Crownwood, il prefetto del dormitorio dove lui e l'amico alloggiavano. Lo studiò per quale istante, osservando il viso serio e compito. -Cosa avete fatto ieri sera?- domandò Kornwell, riferendosi ai lividi che decoravano il collo e parte del viso, malgrado fossero celati dai capelli.

Lui non rispose.

-Avanti parlate- fece l'altro, non prima di aver guardato il corridoio- dove avete messo il mio amico? Eravate voi il suo avversario, non è così?-

Bill lo guardò interdetto.

-Non è ancora tornato?-chiese, con una nota di nervosismo nella voce.

James incrociò le braccia.

-Non ditemi che non ne sapete niente- disse, aggrottando la fronte.

Lui lo guardò perplesso...poi, sotto lo sguardo sbigottito del signor Kornwell, sferrò un pugno violento contro la parete. Il suono rimbombò, sotto l'effetto dell'eco, tanto che alcuni studenti che passavano di lì si fermarono. L'espressione minacciosa che il giovane scoccò loro, però, bastò a far riprendere il cammino a tutti i presenti.

-Eravate voi l'avversario dell'ultimo incontro?- domandò James.

Bill rimase immobile.

-Io volevo vincere-rispose, sviando lo sguardo- ma lui è stato maledettamente bravo.-

-Ma davvero?- ribatté ironico l'altro- e allora come mai, finito tutto, Cedric non era nel suo letto?-

Bill chiuse gli occhi.

-Questo non lo so- disse, incerto- perché il tuo amico mi aveva picchiato per bene...ed io ho perso i sensi subito dopo.-

James si massaggiò la fronte, mentre un orribile pensiero cominciò a pungolargli la testa. Mille ipotesi si affastellarono l'una sull'altra, insieme alle impressioni che aveva avuto durante l'assenza di Cedric. -Perché lo cercavate?- domandò, posando nuovamente lo sguardo su di lui. Non avevano mai avuto molti contatti, loro e quel gigante. Una diversità di sangue li allontanava: il primo discendeva dal fior fiore della nobiltà come Visconte, mentre i secondi erano due semplici ma facoltosi borghesi. Impossibile competere, dunque.

-Odio chi si intromette in un incontro- rispose Bill- ed i miei fratelli non hanno abbastanza onore. Provo un'immensa vergogna per quanto accaduto.- Poco dopo. il prefetto cominciò a raccontare tutto quello che era successo. L'altro non lo interruppe mai, lasciando che il gigante rivelasse ogni segreto di quell'evento, ogni minuscolo particolare potesse aiutarli nella ricerca del giovane americano...e dovevano fare in fretta.

James era uno dei pochi ad aver compreso la gravità del fatto.

Se Scotland Yard fosse entrata dentro il college per indagare sulla scomparsa dell'erede dei Gillford, i segreti di Eton sarebbero divenuti di dominio pubblico, compromettendo il buon nome della scuola stessa...e a quel punto, nemmeno il sangue nobile sarebbe bastato a celare la macchia ma, anzi, sarebbe divenuto un'ulteriore aggravante per i suoi studenti. -Bill- disse alla fine- dobbiamo trovare Cedric o saranno guai per tutti.-

-Lo penso anche io- convenne il gigante, serio come mai lo era stato.

James si massaggiò il mento.

-Quando avremo il permesso di uscire, andiamo nel posto dove è sparito il mio amico- propose- per iniziare le nostre ricerche...così voi avrete la vostra rivincita ed io il mio amico.-

L'altro annuì e dopo essersi scambiati un veloce saluto, si allontanarono, ognuno in direzioni diverse.

 

 

 

 

Dopo tanto tentennare, il gattino ricevette il nome di Miranda.

Ester era entusiasta del dono che la sorella le aveva fatto, tanto da dimenticare, per qualche tempo, che era in punizione nelle sue stanze. Quando se ne ricordò, riprese a pianificare di uscire dai suoi alloggi, di andar nuovamente in giro per Londra, malgrado ci fosse stata poche volte, di andare a Covent Garden e nei giardini a guardare gli spazi verdi della città.

Insieme a questo, anche la curiosità sull'ospite misterioso della villa tornò a fare capolino.

Nemmeno la vergogna provata per la pessima figura che aveva fatto pochi giorni prima era riuscita a sedare quella disposizione d'animo...e lei si trovò a sorridere, come una monella di strada. Se sua sorella credeva di averla dissuasa, si sbagliava di grosso: non c'era niente di più allettante di qualcosa come un divieto non spiegato.

Con uno strano piglio, fissò il minuscolo certosino che le avevano donato.

Mi sarai utile, piccola Miranda si disse, prendendo il piccolo in mano...poi, senza farsi notare lo lanciò a piano terra.

Pochi istanti dopo, urla e strepiti accompagnarono l'atterraggio del gattino che, dopo un breve volo, atterrò sulla testa di un ignaro Rashid. L'indiano aveva paura dei gatti e, vedendosi il certosino sul capo, venne colto da un violento attacco isterico. I camerieri accorsero tutti ad aiutarlo, anche perché Miranda, spaventata pure lei dalla situazione, non voleva saperne mezza di staccarsi dal turbante del maggiordomo.

Immersa in quella confusione, la signorina Escobar eluse la sorveglianza della servitù, filando sicura nella stanza che le era stata vietata. Avrebbe scoperto il mistero di quella camera, ad ogni costo.

E così, ignara di ciò che il destino aveva in serbo per lei, la giovane aprì la porta e non vista, sgusciò dentro.

 

Molto sadicamente, vi lascio sul più bello. Ester decide di rompere il divieto della sorella e di andare a vedere chi è il misterioso ospite. Spero di aver spiegato bene il perché della sua azione. Intanto abbiamo le varie mosse di questi nuovi personaggi. La storia può apparire un po'stiracchiata e vi ringrazio per avermi letto sinora. Se volete lasciare qualche commento, sappiate che è ben accetto.

Risponderò a tutte le domande che mi farete.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** XIX ***


Benvenuti a voi, cari lettori. Vi ringrazio per avermi letto sinora. La storia sta proseguendo in questo modo bizzarro e vi ringrazio per avermi letto e recensito. Ecco a voi il capitolo.
 
XIX
 
 
Sarasa non aveva mai visto niente di simile.
In tutta la sua vita, non le era capitato di assistere ad uno spettacolo del genere.
Rashid stava discutendo con il cuoco, quando qualcosa di caldo e peloso era piombato improvvisamente sulla sua testa...accompagnato da un miagolio poco rassicurante per l'uomo. Lei aveva fatto per accorrere ma l'indiano, dopo un attimo di smarrimento, aveva compreso cosa fosse...ed aveva perso il controllo.
Pochi lo sapevano ma il maggiordomo dei Mc Stone, l'ineffabile Rashid aveva una vera e propria fobia per i felini.
Lo vide toccarsi, con lentezza innaturale il turbante, per poi bloccarsi in un tremito nervoso, non appena venne in contatto con la morbida pelliccia del felino.
E poi urlò, con quanto fiato aveva in gola.
Grida isteriche rimbombarono nel pianerottolo, attirando la servitù.
Terrorizzato, fece per prendere il gattino ma questi, intuendo la paura nell'altro, sgusciava dalle sue mani all'ultimo momento, manco fosse un'anguilla. Così facendo il turbante che portava sulla testa si disfece...e la lunga striscia di stoffa calò sugli occhi, bloccando la visuale, accrescendo ulteriormente il panico. Tutti, allora, accorsero in suo soccorso, ma il micio dopo la distruzione del turbante dell'uomo, pareva essere misteriosamente sparito.
-Dove è finito?- esclamò Rashid guardandosi attorno.
Sarasa lo osservò con preoccupazione.
Era molto pallido.
-Lo troveremo.-rispose, cominciando a fissare ogni anfratto. Alzò un momento la testa, chiedendosi come potesse un gatto atterrare sul maggiordomo con una simile precisione...ma il pallore dell'uomo le fece capire che quel tipo d'indagine non era adatta in un simile frangente. Avrebbe indagato dopo, al momento adatto.
 
 
Ester sospirò.
Aveva chiuso la porta, senza pensare a niente. L'unica cosa che davvero contava per lei era soddisfare la sua curiosità. Sua sorella aveva nascosto qualcuno nella sua casa e lei avrebbe scoperto chi fosse. Voleva vedere con i propri occhi il viso dell'uomo che aveva scorto tempo prima, per il quale Lady Mc Stone si era tanto data da fare.
Forte di questo pensiero, la ragazza si guardò attorno. La camera era leggermente in penombra e, poco distante dalla finestra, era disposto un letto a baldacchino dalle tende leggermente scostate. Una stoffa scura, che non faceva passare la luce.
Non le pareva di esserci mai stata lì.
Deve essere una delle stanze dell'ala opposta alla camera che mi è stata assegnatasi disse, osservando con curiosità le varie suppellettili.
Un grosso camino faceva bella mostra di sé alla parete, su cui era affisso un quadro con tema mitologico. La ragazzina lo guardò incerta,  scrutando i particolari dei personaggio ritratto. Era una donna seduta su un'altalena...eppure non riuscì a staccare lo sguardo da quell'immagine. Il viso radioso veniva inghiottito dalla luce di quel paesaggio floreale di contorno, mera decorazione che pareva sparire di fronte a quell'altalena.
La fanciulla pareva non curarsi della posizione indecente in cui si trovava ma sorrideva radiosa, incurante della stoffa della gonna che pareva sollevarsi al movimento dell'altalena.
Era tutto leggiadro...e per un momento, si scordò del perché fosse lì.
-Posso sapere chi siete?- domandò una voce bassa.
Ester sobbalzò e lentamente, molto lentamente, si girò verso il punto da cui proveniva quel suono.
Apparteneva ad un giovane, dall'aria pesta, con due occhi chiari e vagamente indolenti...istintivamente arrossì perché quel colore era molto familiare, come il viso ed il colore dei capelli.
Oh, Cielo, è luisquittì mentalmente, in preda al panico.
Non aveva dimenticato il giovane insolente che aveva visto alla festa a cui aveva partecipato assieme alla sorella. Non poteva dimenticarlo. Aprì e chiuse la bocca, sperando di poter far uscire una risposta decente ma la lingua pareva essersi attaccata al palato, rendendo vani i suoi tentativi.
Lui intanto la fissava, con quei capelli scuri che scendevano su un viso dai tratti mascolini e decisi.
Ester si era fatta di pietra.
Non poteva sbagliarsi.
Era lo stesso giovane che aveva intravisto nel negozio della modista...e si ritrovò a fissarlo come un baccalà, nella speranza vana che la terra si aprisse sotto di lei, salvandola da quella terribile situazione.
E poi, la fatidica domanda.
-Ci conosciamo?- chiese di nuovo, fissandola interrogativo.
Ester sussultò, recuperando un minimo di autocontrollo.
-Come vi permettete di rivolgervi a me in questo modo, signore?- sbottò, facendo appello all'etichetta impartitale fin da quando aveva sei anni a suon di prediche, pizzicotti e bacchettate sulle mani.
Seguì un profondo silenzio.
Lo sconosciuto era rimasto muto.
Un sorriso compiaciuto comparve sul viso della signorina Escobar.
Metterlo a tacere le procurò una gioia difficilmente contenibile. Da quando lo aveva udito sparlare dell'educazione inglese, aveva maturato un desiderio di rivalsa difficilmente controllabile.
Siete rimasto senza parole, non è vero? Mica ho dimenticato la maleducazione con cui vi siete rivolto alle nostre scuole inglesi, brutto fanfarone che non ...
-Infatti non so chi sei, mocciosa- rispose l'americano, sdraiandosi sui cuscini alla ricerca di una posa migliore per stare comodo ed insieme godersi meglio l'espressione incredula che questa aveva ora sul volto.
Ester era senza parole...e, come aveva temuto, il tenue aplomb che aveva sfoggiato in sua presenza andò letteralmente a farsi benedire.
Con passo furioso, si avvicinò allo sconosciuto e, con uno sprezzo della situazione degno delle menti più incoscienti si avvicinò al giovane.
-Siete uno screanzato!- ruggì, pestando rabbiosa il piede a terra- Non avete alcuna riconoscenza per mia sorella, per il silenzio che sta tenendo ad avervi qui, in barba alla sua reputazione! Come vi permettete di essere così maleducato? Esigo soddisfazione.-
Cedric inarcò il sopracciglio.
Quella biondina lo stava davvero sfidando? Non poteva crederci.
Nemmeno nella sua amata America aveva avuto simili incontri.
Quel visetto di bambola però sembrava maledettamente serio.
Senza rendersene conto, decise di concentrarsi sulla sua chioma chiara. Solo una volta aveva incrociato lo sguardo con quelle iridi verdi e prive di malizia...e si era sentito perduto. Come se gli occhi di Ester avessero il potere di farlo sentire in trappola...e non gli piaceva tutto questo.
-Allora?-incalzò questa, fissandolo minacciosa.
Il giovane Gillford non disse niente.
Non era abituato a quel genere di maniere, soprattutto da quando aveva lasciato la frontiera insieme alla sorella e si era stabilito a Londra...e quel che era peggio era che non riusciva a essere indifferente alla cosa. Per le balle di Toro Seduto! bestemmiò mentalmente Ma in che razza di posto sono finito!
-Di certo non siete un pezzente- continuò lei, con un'espressione bellicosa che faceva a pugni con i lineamenti leggiadri- tuttavia la vostra mancanza di educazione è davvero riprovevole.-
Cedric, a quell'insulto mascherato, cominciò a perdere la pazienza.
-Ragazzina- rispose- non accetto queste accuse...anche perché non sono vere. Si dia il caso che vi siete mossa voi...per venire da me. Non provate ad affibbiarmi le vostre colpe per sentirvi meglio con la coscienza perché non ci sto...e comunque, in cosa avrei fallato per meritarmi le vostre parole?-
La signorina Escobar rimase un momento zitta.
Non sapeva cosa dire, anche perché era chiaro anche ad un candelabro che era lei ad essere in torto...ma si rifiutò di ammettere tutto questo, optando per una classica e poco femminile occhiata in cagnesco che l'altro ricambiò. Passarono vari minuti in quella maniera, senza che nessuno dei due si decidesse ad abbassare gli occhi. Cedric manteneva il contatto visivo su quel volto di bambola, chiedendosi quanto tempo lei avrebbe sostenuto il peso dei suoi occhi. Fin da piccolo, aveva sempre avuto uno sguardo che incuteva timore e carisma, qualità che aveva affinato per sopravvivere all'infanzia.
Ugualmente, il fatto che la giovane lo stesse fissando minacciosa aveva un che di disturbante per le sue abitudini.
Prima di allora, molte donne, indipendentemente dalla loro età, erano cadute come mosche sotto il peso dei suoi occhi.
Senza contare che l'atteggiamento della biondina era troppo strano per essere frutto del caso.
-Siete un approfittatore, ecco cosa siete- continuò la signorina Escobar- avete l'ospitalità di una dama di gran cuore e, invece di ricambiare con gratitudine, ve ne state qui, come se vi fosse tutto dovuto...è inaccettabile.-
-E come potete affermare tutto questo- chiese l'americano- se non avete uno straccio di prova?-
Ester sobbalzò, facendosi pallida.
Cedric la guardò e, per un momento, venne colto dal dubbio di aver ecceduto con i toni. Per quello che ne sapeva, le donne inglesi sapevano essere tanto suscettibili quanto patetiche nelle reazioni. In un attimo di curiosità, venne preso dal desiderio di vedere se sarebbe riuscito a vederla piangere per le sue pessime maniere...ma le guancie del viso di bambola dinnanzi a lui rimasero lisce e asciutte.
Avvicinarsi a lei gli venne assolutamente naturale.
Aveva sempre detestato le femmine di quel Paese e, per uno spirito puramente sadico di rivalsa, aveva sviluppato, come passatempo, l'abitudine di metterle in imbarazzo, portandole quasi al limite di quello che lì chiamavano decoro. Quando faceva in quel modo, la sua vittima, dopo un primo momento di vergogna, tentavano fino all'ultimo di mantenersi educate e ammodo...ma Cedric le incalzava, fino a portarle a fare una brutta figura.
Spesso finivano in lacrime...ma all'americano non importava nulla dei loro possibili sentimenti. Non voleva frequentare l'ambiente inglese e quell'atteggiamento era l'unica maniera, nella sua ottica, di sopportare tutto quel fastidio.
La biondina non batteva ciglio però...anzi, pareva quasi sfidarlo con lo sguardo...e questo lo spiazzava ulteriormente.
-Signore- disse all'improvviso una voce- non sarà necessario tutto questo.-
I due ragazzi sobbalzarono.
Presi dal litigio, non si erano accorti che la porta si era aperta.
Cedric vide la bionda sbiancare per la sorpresa e fu inevitabile per lui posare lo sguardo sulla donna che era entrata. L'abito austero castigava la bellezza del corpo che si trovava dinnazi...ma non il viso, che pareva cesellato dalla mano di Canova tanto era perfetto. Come la ragazzina che mi ha appena importunato registrò mentalmente, in una nota di disappunto.
-Immagino che la signorina vi abbia disturbato.- continuò apatica la donna.
-Ma...-provò a dire l'interessata ma l'occhiata che la più grande le rivolse la spinse a tacere.
-Non vi ho interpellata e vi prego di migliorare il vostro comportamento. Non siete più una bambina.- rispose questa, con una durezza che stonava con il tono dolce della voce.
La bionda chinò il capo, nascondendo l'espressione ferita per quel rimprovero.
L'altra non gli diede ulteriore attenzione.
-Immagino che lei vi abbia disturbato.- continuò questa, con aria seria e composta- Ora ce ne andiamo.-
Cedric rimase interdetto.
Vide la ragazzina allontanarsi verso la porta, obbedendo docilmente all'ordine della dama...e qualcosa si mosse in lui. -Un momento, signora- fece, richiamando la sua attenzione.
La donna si fermò.
Ester era già nel corridoio.
-Non è colpa sua- fece l'americano, improvvisamente impacciato.
Soledad stirò le labbra.
-Le vostre parole vi fanno onore- rispose- ma lei mi ha disobbedito ed io devo occuparmi della sua sicurezza, dal momento che nessuno, a parte me, può e vuole difenderla. Dovete comprendere che le azioni hanno un loro peso e anche le persone più potenti dovranno chinare la testa, prima o poi, signore.-
Cedric sgranò gli occhi.
Le parole di quella donna erano incredibilmente dure, cariche di un peso impossibile da valutare.
-L'etichetta non è un'attività che amo ed è per questo che la signorina si è arrabbiata. Ha difeso le sue ragioni ed io sono cresciuto nella convinzione di non scaricare la colpa dei problemi che causo sugli altri.- disse infine questi, fissandola deciso -Mi avete ospitato, facendo curare le mie ferite, vi ringrazio.-
-Vi restituirò gli abiti non appena sarà opportuno. Credo che sia meglio non farli vedere in giro. La servitù non parlerà ma preferirei che le chiacchiere non mettano in pericolo la nostra reputazione. Non è proprio il momento.- rispose la donna, come sovrappensiero.
Le iridi verdi non lo lasciavano un minuto, mettendolo a disagio.
-Mi chiamo Cedric Gillford signora- disse questi, quasi senza rendersene conto- e ricambierò la vostra premura.-
-Io sono Soledad Blanca Escobar- fece questa- quando sarete nelle condizioni di muovervi agevolmente, mi racconterete la disavventura che vi è accaduta. Ora, se non vi dispiace, dovrei risolvere un piccolo contrattempo.-
 
 
 
Voi siete una donna e lui un uomo. Dovete riflettere meglio sulle vostre azioni.
Si portò le mani alle orecchie ma non serviva a niente.
Qualunque gesto facesse, la voce della sorella rimbombava nella sua mente, pungolandola.
-Basta, smettetela-si disse, tentando di scacciare quel suono.
Le ricordava il tono frivolo e smielato della madre, la stessa che aveva ideato quel matrimonio con quel vecchio prussiano. I contorni della stanza in cui si era ritirata, dopo il rimprovero, le parevano odiosi...ma era giusto così.
Meritava quel castigo.
Lei aveva disobbedito alla sorella.
Si ripromise che non lo avrebbe più fatto.
Non avrebbe più ceduto alle intemperanze del suo carattere.
Non avrebbe più dato così tanti disturbi alle persone che l'avevano accolta.
Un singhiozzo le uscì spontaneo.
Non avrebbe più dato dispiacere a Soledad.
Si raggomitolò su se stessa, rendendo la sua sagoma ancora più piccina di quello che fosse.
-Emma- fece, rivolta alla cameriera che, dal suo ritorno nella camera, non le aveva rivolto la parola.
-Ditemi, signorina- rispose questa.
Ester sospirò.
-Voi pensate che sia una persona cattiva?-chiese, fissando il vuoto.
La cameriera assunse un'espressione pensosa.
-Penso che voi siate una persona molto sola, padroncina-rispose.
Nessuna parola dall'altra parte.
Solo silenzio.
Ed un raggio di luce, del sole prossimo al tramonto di quella giornata improvvisa e pesante. Gli occhi di Ester si perdevano apatici nella linea dell'orizzonte, senza nemmeno vederlo. In quel momento; il pensiero di aver fatto arrabbiare sua sorella stava scavando dentro di lei con un moto infido e sadico. Soledad non le aveva mai fatto niente di male eppure sentiva di averla delusa.
-Chiedetele scusa, signorina-la esortò la cameriera- la padrona mi sembra una donna molto gentile. Vi ascolterà.-
La testa bionda si mosse, in un cenno di assenso...mentre il corpo scivolava piano nel sonno.
 
-Padrona- disse la voce compassata della cameriera- la signorina Escobar si è addormentata.-
Soledad annuì, fissando malinconica il piatto dinanzi a lei.
La sala da pranzo era vuota, se si escludeva la presenza delle cameriere e la sua. -Assicuratevi che abbia qualcosa da mangiare, quando si risveglierà.-ordinò.
Nessuna parola seguì quell'ordine ma Lady Mc Stone non vi badò. Percepiva il lieve odore dei frangipane nelle vicinanze. Con un gesto meccanico, abbassò il cucchiaio nella zuppa.
-Avete delle domande?- chiese la dama, fissando con espressione vuota le sedie intorno a lei.
L'indiana si avvicinò piano, porgendole un piattino con del pane appena tagliato.
-Emma mi ha confidato che la signorina Escobar ha pianto tutto il giorno. Si è addormentata così, sfinita dalle troppe lacrime.-disse la cameriera, con voce delicata.
Soledad trasse un sospiro.
Non aveva smesso di pensare un solo momento a Ester, alla sua vivacità e all'affetto che da sempre le aveva riservato. Poi rammentò le sue dure parole, quando aveva scoperto la sua disobbedienza e lo stratagemma che aveva usato per infrangere il suo ordine.
Gli occhi verdi della sorella erano ancora davanti ai suoi occhi, avvolti in un'espressione ferita.
Aggrottò la fronte, preda dell'ansia.
-Lady Mc Stone- mormorò la cameriera- voi non avete sbagliato a biasimarla. La signorina Escobar ha un temperamento vivace che fuori dalle sicure mura di questa casa potrebbero nuocerle non poco. Deve imparare quali sono i suoi limiti.-
-Ma lei lo sa, Sarasa- ribatté- solo che...quando l'ho vista lì, non sono riuscita a trattenermi. Non le ho dato tempo di spiegarmi le sue ragioni, come io non ho fatto con lei. Mi ero ripromessa di non comportarmi mai come sua madre...di non usarla...a volte, ho il timore che questa mia condotta sia dettata dall'illusione che lei almeno possa essere felice.-
La serva non rispose.
Non disse altro, limitandosi ad accogliere quelle pallide confessioni a mezzo...e la distanza tra le due ritornò, come doveva essere. Prese i piatti vuoti e consegnò le nuove pietanze, scivolando nei corridoi, le pieghe della gonna scosse dal movimento delle gambe.
Giunta sulla soglia si voltò di nuovo...ma la padrona era ancora lì, in quella statica posa assente con cui l'aveva congedata. Sarasa la guardò un'ultima volta, prima di riprendere la sua mansione...e si chiese, in un lampo di sporadica curiosità, se fosse mai esistito qualcuno capace di abbattere la sua fortezza.
Poi tutto passò, scandito dal rumore delle lancette dell'orologio.
 
Bene, questo capitolo è finito. Ester ha ricevuto la ramanzina che meritava ma questo non ha placato il tormento della sorella. Il rapporto tra le due è molto stretto. Cedric, Cedric, ci darà ulteriori sorprese.
Con questo capitolo, vi auguro di passare una BUONA PASQUA e ringrazio coloro che mi recensiscono, mettono tra preferiti, seguiti e ricordati. A presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** XX ***


Benvenuti cari lettori a questo nuovo aggiornamento. Nel precedente capitolo le due sorella hanno avuto uno screzio che ha delle conseguenze. In questo caso però non dirò altro, limitandomi a ringraziarvi per avermi letto sinora.

 

XX

 

B

ill si guardò intorno. Lo spazio verde della villa del vecchio Gillford era un pregevole esempio di giardino all'italiana. L'aria umida di Londra non esaltava i suoi colori ma non poteva fare a meno di ammirarlo.

Siepi tagliate con eleganza disegnavano strani arabeschi mentre alberi ancora neri circondavano il tutto. Il giovane si guardò attorno, occhieggiando nervosamente tutto quello spazio colmo di vegetazione.

Non era mai stato lì e maledisse il momento in cui aveva accettato la proposta di James. Come aveva supposto, avevano cominciato a fare varie domande alle persone che stavano attorno al signor Gillford. Non erano molte, anche perché il giovane che avevano cercato era un tipo molto solitario.

James era stato messo sotto torchio dai responsabili della scuola e non poteva uscire. Ringraziò mentalmente il fatto di essere un prefetto e di poter chiedere quel permesso per cercare il giovane americano. Non avrebbe sopportato a lungo la boria dei suoi fratelli. Negli ultimi tempi, si era trovato spesso in disaccordo con loro.

Era sempre stato il più pratico della famiglia, malgrado avesse sempre rispettato i diritti di primogenitura del maggiore. La sua carriera era già decisa. Avrebbe seguito la giurisprudenza ed era anche per questo che aveva accettato l'incarico di occuparsi di uno dei dormitori. Per uno strano caso, Cedric era nel suo e, altrettanto curiosamente, malgrado fossero coetanei, non si erano mai incrociati nei corridoi.

L'indole selvatica dell'americano aveva impedito questo tipo d'incontri.

Con uno sbuffo, suonò il campanello e attese.

Il portone si aprì ed un uomo alto e allampanato si affacciò alla porta.

Bill deglutì nervoso.

-Buongiorno-esordì questi- in cosa posso esservi utile?-

Il giovane lo guardò.

Non poteva più tornare indietro.

-Sono Bill Crownwood- esordì, raddrizzandosi sulla schiena- vengo qui per conferire con Mister Gillford.-

Il maggiordomo inarcò la fronte.

-Sono desolato- rispose monocorde- ma non posso ascoltare la vostra richiesta.-

Il gigante si irrigidì.

-Il padrone è appena uscito per sbrigare una faccenda. Non tornerà prima di questa sera.-lo informò, fissandolo guardingo.

Bill si fece nervoso. Scioccamente, si era convinto che il suo titolo avrebbe aperto molte porte. Era sempre stato così...fino a quando non aveva sbattuto il viso contro il cancello dello zio dell'americano. -Non ho tutto questo tempo!-esclamò- Porto delle notizie importanti dalla Eton College e devo assolutamente parlare con un familiare di Mr. Gillford...E'urgente!-

Il maggiordomo non si scompose e questo fece indignare profondamente il prefetto.

Cedric poteva essere in qualsiasi luogo.

L'altro scosse il capo.

-Non posso comunque.-rispose testardamente.

Si guardarono in cagnesco per alcuni istanti.

A separarli, solo il cancello.

Il loro contatto visivo, però, venne interrotto da un rumore sommesso di passi sul selciato.

-Paul- fece una voce calma e gentile- fatelo passare.-

Il maggiordomo si voltò e lo stesso fece Bill...che si ritrovò a sbiancare.

Poco lontano dalla soglia, vestita con un abito rosa pesco, c'era una ragazzina. Non aveva niente di particolare. Aveva i capelli castani, acconciati in una modesta crocchia che esaltava la forma del collo. Il viso, dai lineamenti fini, era contornato da lunghe ciglia nere che sbattevano ritmicamente, mostrando e nascondendo quasi per capriccio due occhi marroni, così chiari da sembrare ambra.

-Buongiorno- fece lei, fissandolo con curiosità.

Bill sussultò.

Non era abituato a quell'atteggiamento, dimesso e diretto insieme.

-Siete un amico di mio fratello? Riconosco lo stemma, anche se la divisa è un po'diversa...-cominciò a dire, avvicinandosi con passo deciso.

La vide portarsi a nemmeno un metro da lui, occhieggiando incuriosita le fattezze dell'abito. Si sentì quasi sotto esame, malgrado la ragazzina fosse almeno mezzo metro più bassa di lui.

-Padroncina- fece il maggiordomo- avete terminato le lezioni di tedesco?-

La giovane si irrigidì.

-Se il signor Gillford venisse a sapere che avete trascurato i vostri studi potrebbe adirarsi.- continuò l'uomo. Sentendo quel nome, la ragazzina si allontanò, pallida in volto.

-Oh, perdonate il mio comportamento!-esclamò, prima di allontanarsi, con un inchino impacciato.

-Ora che siamo rimasti in due, signore- continuò il maggiordomo- vi prego di seguirmi nella dimora.-

-Ma il signor Gillford non è in casa- obiettò il giovane, fissando con la coda dell'occhio la sagoma in lontananza della ragazza che prima si era rivolto a lui con tanta schiettezza.

-Tornerà-rispose laconico- intanto potete accomodarvi. Farò arrivare un messaggio al padrone, per un suo incontro.-

-Come mai siete così solerte?- domandò Bill.

L'uomo lo guardò.

-Immagino che sia per via del padroncino-rispose questi, aprendo il portone- in quel caso, ho ricevuto ordine di trattare l'ospite che reca sue notizie con la massima cura.-

Bill non disse niente, limitandosi a seguire il servitore nell'edificio.

 

 

 

Il salotto era in stile neoclassico, algido e distante.

Il prefetto di uno dei dormitori dell'Eton College si guardò attorno. Era abituato a quel genere di arredo, anche perché andava piuttosto di moda. Alcuni sofà e poltroncine color perla facevano bella mostra di sé nell'insieme di affreschi a tema bucolico della parete.  

Bill si guardò attorno, studiando i vari particolari di quel luogo. Non aveva mai conosciuto la famiglia Gillford. Sapeva che avevano diversi capitali investiti nel settore tessile e nelle acciaierie ma, a parte questo, non aveva mai indagato molto...anche perché erano noti per altre ragioni.

Fu proprio mentre stava i vari suppellettili che la porta si aprì. Era una donna che andava per i quaranta, con indosso un abito marrone scuro. I capelli, ancora neri, incorniciavano un viso dai tratti decisi e, al tempo stesso aggraziati. -Buongiorno, signore- disse questa- perdonate la riserva del maggiordomo ma, comprenderete, occorre tutelarsi. Il Mondo non è un luogo sicuro, soprattutto per delle donne.-

L'altro la guardò.

-Mi chiamo Margareth- disse questa- Margareth Dawson. Sono la madre di Cedric.-

Bill si fece pallido.

Aveva sentito quel nome molte volte...e non in termini tanto lusinghieri.

La donna rise.

-Sono ancora così famosa?- fece, in tono canzonatorio- Mah, immagino che sia normale. Voi inglesi avete questa abitudini...e non ci posso fare niente. Ad ogni modo, mettetevi a sedere e parlatene con me. Sono proprio curiosa di vedere che cos'altro ha combinato quel debosciato di mio figlio!- Così dicendo, si accomodò su una delle poltrone della stanza, con un sorriso spavaldo che il gigante non aveva mai visto in tutta la sua vita. Era abituato alle smorfie composte e calibrate di sua madre e delle sue sorelle, non a quel genere di atteggiamenti.

-Non dovete stupirvene...sono pur sempre un'americana.-ribatté lei, con un cipiglio deciso. Margareth Dawson era effettivamente una bella donna ma quello che colpiva chi la conosceva era il carisma che emanava.

Persino lui, che non l'aveva mai vista prima d'ora, ne era rimasto colpito.

-Perdonate il disturbo- fece impacciato- ma avrei davvero urgenza di parlare con il signor Gillford.-

Lei stirò le labbra.

-Mio cognato, come vi ha detto il maggiordomo, non è in casa.- ripeté, fissandolo diretta, in un modo quasi sfrontato- Immagino però che la cosa che vi ha spinto fin qui sia piuttosto...pressante. Se è così, vi prego di riferirmelo. E'mio figlio ed è mio dovere e diritto sapere cosa sta succedendo.-

Bill si fece rigido.

Margareth aveva usato maniere spicciole, quasi grossolane...e lui non era molto abituato. -Sarò breve- disse, tentando di mantenere il controllo- vostro figlio è sparito.-

L'espressione della donna si fece tesa.

-Non è la prima volta- ribatté- perché dovrebbe essere diverso ora?-

Bill la guardò interdetto.

-Conosco mio figlio dalla culla. Gli ho cambiato io stessa i pannolini, io li ho lavati con la lisciva...con queste mie mani- continuò, mostrandogli i palmi, troppo ruvidi per essere quelli di una gentildonna- e non mi sorprende questa notizia. Cedric si è piegato alla volontà di mio cognato...io stessa sono disposta a stroncare la sua ribellione, giacché era, a suo tempo, l'unica cosa giusta da fare...ma non sono così cieca da non vedere che ha sempre detestato i vostri modi di fare, così snob.- Con calma si alzò dalla sedia e, senza tanti complimenti, prese una delle bottiglie che si trovavano in un armadietto in vetro nascosto dietro ad una credenza.

La aprì, con un gesto secco e, incurante della presenza dell'ospite, lo bevve direttamente dal collo della bottiglia, fino a mezzo.

Bill sbiancò.

Quel liquore era fortissimo, eppure lei lo aveva bevuto manco fosse acqua.

-Non so perché ma ho come l'impressione che questo goccetto mi servirà, non appena avrò sentito la bravata di mio figlio- disse, prima di avvicinare la bottiglia al gigante- a proposito, volete bere un sorso pure voi?-

 

 

 

 

Brennan osservava piccato i documenti.

Sulla copertina portavano lo stemma della scuola di Eton.

-Questi sono tutti i fogli che riguardano lo scomparso- spiegò il direttore, fissandolo circospetto.

-La ringrazio- rispose lo scozzese, mentre scorreva lesto alcune pagine-a quello che vedo, non ha cominciato la scuola fin dal primo anno.-

L'uomo storse la bocca.

-Noi lo chiamiamo l'americano- rispose, sputando con disgusto l'ultima parola- è il nipote di Lord Gillford ma non è nato qui. Viene dall'America, per la precisione da una delle città della Frontiera. Ha cominciato la scuola con un anno di ritardo, frequentando i corsi a partire dai 14 anni. Non ha mai imparato molto la disciplina. E'un attaccabrighe. Nemmeno la coercizione è servita con quell'animale.-

Brennan non sembrò molto turbato.

-Però la sua parentela con Gillford metterebbe in pericolo la reputazione della scuola- dedusse questi apatico- Se fosse solo un pezzente yankee, tutto questo non darebbe simili angosce.-

Seguì un profondo silenzio.

-Molto bene- fece allora- le farò avere notizie il prima possibile.-

-La ringrazio, Lord Mc Kenzie- rispose l'altro.

Questi si alzò dalla sedia, incamminandosi verso la porta, quando un pensiero lo fece fermare di botto. -C'è solo una cosa che vorrei sapere ancora- disse, con fare incurante- nel caso in cui lo trovassi, sarebbe immediata l'espulsione, dico bene?-

Il direttore scosse il capo.

-Lo zio non lo permetterà-rispose, prima di sorridere maligno- e, comunque, tra un po'dovrebbe diplomarsi. Qualunque sia l'esito, quindi, non avremo più a che fare con la sua umiliante presenza...ma preferirei uscire pulito da tutto questo.-

L'altro non replicò.

Qualunque fossero le ragioni, era seccato da un simile coinvolgimento ma non ne fece parola.

 

 

Uscire dalla biblioteca pubblica, per Oceane, era stata un'operazione tutt'altro che semplice. Quel giorno, c'erano molte persone...soprattutto domestiche che si servivano della tessera per conto delle loro datrici di lavoro.

La francese occhieggiava tutte quelle persone muoversi nelle direzioni più disparate, mentre si incamminava verso la residenza dei Mc Stone. Ultimamente, aveva notato un curioso viavai nella villa...e le venne spontaneo pensare al trambusto che aveva interrotto la sua lezione alla signorina Escobar.

La mente curiosa dell'istitutrice cominciò a interrogarsi sulla ragione di tutto questo...eppure, malgrado ne avesse la possibilità, non chiese mai qualcosa ai diretti interessati.

Uno strano riserbo albergava nel suo animo, solitamente assai più spregiudicato nella ricerca della verità. Fu proprio mentre passeggiava lungo la via centrale, con il suo soprabito grigio che urtò contro qualcuno.

-Pardon- mormorò, fissando l'estraneo.

-Scusatemi voi-ribatté l'altro- ero sovrappensiero.-

Oceane osservò l'uomo alto e magro che le aveva interrotto la passeggiata. Aveva dei lineamenti duri e decisi e due occhi chiari e vivaci. -Non siete il solo-rispose, stringendo il libro tra le mani.

L'altro lo notò.

-Jane Eyre- disse, fissandola curioso- una lettura assai impegnativa.

-Non sono cose che mi spaventano. Sono abituata a letture ben più difficili.- rispose, salvo poi pentirsi. Non era consono che una donna facesse quel genere di studi e non poteva che essere dispiaciuta per questo.

-Lettura molto interessante- rispose questi- anche se non è il mio genere. Ho ascoltato il consiglio della mia governante ed ho accettato il suggerimento, anche se mi sono trovato spesso in difficoltà nell'accettare certi passaggi.-

-Capisco- disse, prima di scuotere il capo -perdonate le mie maniere. Quando parlo di lettura, tendo a dimenticare le regole basilari dell'educazione. Mi chiamo Oceane Treville e scusate per prima.-

Lui storse la bocca, in una piega di divertimento. -Mademoiselle- fece- anche io sono in torto e vi garantisco che non lo faccio spesso. Mi chiamo Igor Borowsky.-

La donna inarcò la fronte.

Quel nome non le diceva assolutamente nulla...ugualmente sorrise. -Il piacere è mio-rispose cordiale- ma credo che interloquire in una strada, sotto gli occhi di tutti, sia oltremodo disdicevole. Mr. Borowsky mi piacerebbe discorrere con voi ma non trovate più sensato incontrarci in un luogo dove il pettegolezzo troverebbe meno terreno fertile?-

L'altro annuì.

-Ne sarei oltremodo lieto-rispose- anche se al momento sono impegnato con il mio lavoro.-

Oceane lo guardò interrogativa. -Che genere di lavoro, se è lecito chiedere?- fece, con una punta di curiosità.

Igor stirò le labbra. -Sono impegnato nell'ambasciata russa di stanza a Londra, Miss Treville. Se volete però continuare a discorrere con me, cosa ne dite se ci incontrassimo in un luogo preciso, ad un orario accordato?-

-State dicendo una sorta d'incontro quasi casuale?- fu la domanda della francese. L'idea la divertiva. Era molto tempo che non le capitava qualcosa del genere. -Cosa ne pensate d'incontrarci di domenica, poco dopo l'ora di pranzo, in piazza Piccadilly Circus?- propose.

Igor annuì.

-Di cosa vi piacerebbe discorrere?-chiese l'istitutrice.

Il russo parve pensarci su. -Naturalmente di argomenti appropriati- fece- che ne dite di letture?-

Oceane accettò.

-Trovo che sia un'idea interessante, Monsieur Borowsky ma non pensate che sia qualcosa di eccessivamente affrettato? Non ci conosciamo, in fondo.- provò a dire.

-Assolutamente vero-rispose il russo- ma quello non è un appuntamento. Consideratelo un...incontro accordato con il Destino.-

Mademoiselle Treville ridacchiò, non potendo rifiutare. Da quando era giunta a Londra, non aveva avuto molto tempo per coltivare i suoi passatempi...e decise di cogliere l'occasione che quel russo le stava offrendo...non prima naturalmente di essersi documentata su di lui.

 

 

 

La chiesa sconsacrata risaliva ai tempi di Enrico VIII. Poteva riconoscere tranquillamente i colori plumbei che si intonavano sotto il cielo. Bill guardò pensieroso quello spiazzo, prima che dei passi attirassero la sua attenzione.

-Quindi era questo il posto dell'incontro-disse James. Non era una domanda ma una semplice costatazione.

L'altro però annuì, come sovrappensiero.

-Avete parlato con i vostri fratelli?-chiese di nuovo.

Il gigante si fece serio.

-Sono molto testardi. Quando hanno saputo della scomparsa del tuo amico, hanno gongolato in modo assolutamente sciocco. Gli ho fatto notare che se esce fuori una cosa del genere, rischiamo che la nostra reputazione ne esca contaminata...ma quelli non mi hanno ascoltato. Pendono letteralmente dalle labbra dei Cavedish...poveri stolti.-rispose, scatenando la risata dell'altro.

-Siete davvero duro-commentò James.

-Non sopporto la stupidità-fu la risposta di Bill che, con fare pensoso, cominciò a perlustrare l'area dove si trovava il vecchio cortile dell'edificio. Era tutto diroccato, in perfetto stato d'abbandono. I due perlustrarono l'area, alla disperata ricerca d'indizi. La pioggia però aveva cancellato ogni traccia sul terreno ed era difficile trovare dei segni interessanti. Fu abbastanza chiaro che stavano brancolando nel buio...quando un rumore di carrozza attirò la loro attenzione.

-Muoviamoci!- esclamò James. I due raggiunsero i rispettivi cavalli, lasciati a brucare l'erba nella macchia inglese. Afferrarono le briglie e si nascosero in un boschetto poco distante...e attesero.

Il mezzo si fermò, permettendo al passeggero di uscire.

I due aggrottarono la fronte, per poi impallidire, non appena lo riconobbero. La sorpresa impedì loro di parlare.

Ignaro di tutto, il gentiluomo perlustrò l'area, seguendo i medesimi passi che avevano fatto. James era sgomento, non riuscendo a capire cosa stesse succedendo.

-Sai chi è quel tipo?- domandò Bill, quando videro l'uomo ripartire.

L'altro scosse il capo.

-Era Brennan Mc Kenzie-rispose- ne avrai sentito parlare. All'Eton College era piuttosto conosciuto.-

A quel nome, il giovane divenne bianco. Come aveva potuto non riconoscere il celeberrimo Mastino delle Highlands? Il suo nome era quasi una leggenda...e questo particolare mise in allarme i due. -Allora significa che la scuola sta prendendo provvedimenti. Troviamolo, Bill...o non basterà un titolo per uscire indenni da questo colossale pasticcio!-

 

Allora, forse non succede niente, forse qualcosa si muove. Io come sempre vi ringrazio, limitandomi a rispondere alle recensioni quando avrete tempo di farmele. Nuovi personaggi fanno la loro comparsa...e nuovi guai cominciano a profilarsi all'orizzonte. La scomparsa di Cedric non rende semplici le cose e tutti sono alla sua ricerca...e, intanto, conosciamo la madre e la sorella di questo personaggio.

Grazie a chi mi legge.

 

cicina

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** XXI ***


XXI

 

 

 

 

Q

 

 uel giorno, il cielo aveva preso uno strano e fastidioso color chiaro. Soledad uscì, non senza essersi sistemata il soprabito e lo scialle.

-Fa molto freddo, Mrs.- aveva detto Rashid ma la donna scosse il capo.

-Devo pensare-rispose- il nostro ospite sta bene?-

-Sta migliorando, Lady Mc Stone.-fece l'indiano.

La dama guardò il giardino.

Ancora nero.

Ancora avvolto dalla nebbia.

-Informatelo che intendo venire a fargli visita e-mormorò, socchiudendo gli occhi- assicuratevi che Ester sia distratta a dovere e non si intrometta.-

Il sikh non commentò.

Con passo leggero e misurato sparì dalla sua vista.

Solo Sarasa rimase.

-Suor Lucia dove si trova?-domandò, osservando il paesaggio.

-Ha deciso di fare una passeggiata per Londra, per poter vedere St. Paul. Ha deciso di approfittare di questa permanenza per conoscere la città ma dubito che tarderà molto. Non ama la cucina inglese.-rispose.

L'indiana annuì.

-Avete ricevuto delle notizie dall'ambasciata?-chiese di nuovo.

La donna sospirò, scuotendo il capo.

-Nessuna, Lady Mc Stone. Il mercantile che era diretto a New Dehli non è ancora tornato e non sappiamo niente in proposito. I collaboratori del signor Borowsky hanno lasciato da poche settimane Città del Capo ed ancora non sono giunti là.-rispose la donna- Il signor Borowsky ha comunque assicurato che farà avere sue notizie non appena le riceverà.-

Soledad annuì.

Si strinse nello scialle e rientrò dentro.

-Prepara la carrozza. Andrò al cimitero questo pomeriggio.-la informò.

 

 

 

 

Brennan guardava in silenzio il viale che scorreva davanti ai suoi occhi. La scia di alberi neri dava un che di lugubre al paesaggio. Non gli piaceva. Avrebbe preferito tornare in Scozia ma non poteva farlo.

Una smorfia di disappunto attraversò il suo viso, mentre osservava le varie costruzioni. Aveva interrogato diversi studenti, nella speranza di saper qualcosa su quel Gillford ma le notizie erano decisamente scarne. Aveva saputo che Cedric Gillford era entrato nella scuola solo cinque anni prima, dopo aver studiato in America, come aveva assicurato Mr. Gillford. Non aveva avuto molte altre notizie in proposito ma non era riuscito a trovar risposte.

Conosceva di vista il signor Gillford ma non immaginava che fosse disposto ad adottare un americano, pur di non riconoscere come erede uno dei figli delle sorelle. Non li aveva mai visti ma li conosceva di fama.

Sapeva che uno aveva strane manie nei confronti degli ascot indossati dai meticci, mentre un altro era un assiduo frequentatore di bordelli. Un altro, invece, era rimasto coinvolto in alcune poco chiare questioni di affari con alcuni collaboratori indiani...e, non c'era da stupirsi che avesse deciso quell'ultima carta. Brennan non lo biasimava, anche se doveva ammettere che quel Cedric pareva essere piuttosto ribelle.

-Mi ricorda qualcuno-sogghignò lo scozzese.

Nemmeno lui era stato proprio uno stinco di santo e poteva immaginare i grattacapi che aveva suscitato sui suoi professori. Aveva interrogato tutti i compagni di corso del giovane americano, occupandosi in particolar modo di un certo James Kornwell, erede di un visconte che aveva dei possedimenti nell'Hamshire. Lo aveva tenuto sotto torchio ma si era difeso bene.

Aveva risposto con calma a tutte le sue domande ma, alla fine, aveva mostrato dei tentennamenti.

Lui sa fu la conclusione dello scozzese.

Lo avrebbe tenuto d'occhio, malgrado fosse ben deciso a non interrogarlo nuovamente. Non avrebbe ecceduto con i metodi perché non serviva. Quel James era diverso dagli altri ragazzi della scuola.

Non aveva la stessa altezzosità di molti di loro. Era una persona piuttosto silenziosa, tendente a passare inosservata. Lo scozzese pensò a lungo al da farsi. Non si era mai messo in mostra, stando alle parole degli insegnanti. Aveva inoltre ispezionato la camera del giovane americano, senza trovare peraltro qualcosa di compromettente.

Tutto pulito.

Nessuna lettera scandalosa.

Nessun documento di dubbia origine.

-Svanito nel nulla-mormorò pensieroso.

Avrebbe dovuto studiare meglio i movimenti degli studenti del dormitorio dove alloggiava il giovane americano, vigilare meglio sulle relazioni che avevano allacciato e controllare tutte le stranezze che fossero insorte nel frattempo.

Aveva bisogno di riflettere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il cimitero monumentale non era mai stato tanto silenzioso...o almeno così sembrava a Soledad. Passeggiare tra le lapidi ed il verde dello Highhate Cemetery era un'operazione che faceva abbastanza spesso negli ultimi anni. I primi tempi, dopo le esequie, non aveva mai osato mettervi piede.

Uno strano timore, misto al rimorso, bloccava i suoi passi.

Sarasa le passeggiava dietro, ad un metro esatto di distanza.

Anche lei indossava un abito scuro.

-Camminare tra queste pietre mi rasserena- mormorò la dama, a passo lento e cadenzato. La lieve zoppia, in quello spazio aperto e apparentemente selvaggio, si celava perfettamente, sfruttando il terreno sconnesso.

Alla fine, giunsero in un'ala del cimitero dove prevalevano tombe in stile orientaleggiante. Lady Mc Stone alzò la testa, studiando le sagome femminili ed animali che decoravano molti di quei sepolcri. L'odore dolciastro dei fiori pareva impregnare ogni cosa, tanto da farle arricciare il naso.

Con la coda dell'occhio, osservò lo stupore della sua cameriera. Sarasa aveva sempre guardato con curiosità quel cimitero, fin da quando aveva messo piede in Inghilterra.

-Vi piace molto?-domandò la dama, senza guardarla.

-Mi dà pace, Lady Mc Stone-rispose questa, senza mostrare cedimenti nella voce.

La luce che passava attraverso il giardino all'inglese rendeva l'atmosfera sospesa e rarefatta, come se vi fosse qualcosa di ultraterreno. L'aria aperta poi, disperdeva l'odore denso dei fiori portate sui sepolcri.

-Immagino che nella tua terra non si usi questo genere di cose-fece la dama.

-Sì, signora-rispose la cameriera- è usanza bruciare i defunti-.

I passi sul selciato erano leggermente ostacolati dal muschio, che aveva reso scivolose le pietre. Le due però non vi badarono. Conoscevano perfettamente la zona per fare una cosa del genere.

-Sarasa, portatemi una brocca d'acqua-ordinò, mentre cominciava a intravvedere la sagoma di una costruzione.

Era una lapide dai tratti orientaleggianti, scura come la pietra inglese.

 

Alistair Mc Stone

 

Non diceva altro l'epigrafe. Colpa del muschio che copriva tutto il resto. Soledad si perse nella sua contemplazione. Non era una tomba vistosa, malgrado appartenesse ad un nobile di rango.

E'come piace a voi, marito mio pensò malinconica.

Era stata lei a preparare il corpo, a disporre misericordiosamente i suoi resti, senza permettere a nessuno di avvicinarvisi.

 

-Chiudete immediatamente le porte, Rashid-ordinò secca, mentre un pallore cadaverico prendeva possesso di lei.

Il sikh obbedì.

-Lady Mc Stone- mormorò- avranno comunque sentito lo sparo! E'impossibile che non si accorgano di una cosa del genere.-

A quelle parole, la dama scagliò con violenza il vaso che decorava la scrivania. -NON MI INTERESSA!-ruggì, in preda alla collera- Non permetterò a nessuno di rovinare la memoria di mio marito in questo modo. Farò tutto il possibile perché venga ricordato per i suoi effettivi meriti.-

Con calma, si avvicinò alla sagoma pallida che giaceva a terra.

Il pavimento era pulito ed anche le vesti dell'uomo. Solo una macchia rossa, che fioriva sul panciotto, tradiva l'apparente quiete del corpo. La dama tremava vistosamente. Rashid e Sarasa la guardavano con preoccupazione. Pareva sull'orlo di un tracollo nervoso. Quando lo aveva visto a terra, si era subito precipitata verso di lui, per tentare di tamponare la perdita di sangue...ma era stato tutto vano. Suo marito era spirato quasi subito, senza riprendere conoscenza.

-Chiamate un parroco...per poter discutere del funerale e perché possa dargli gli ultimi sacramenti-ordinò, guardando i due servi sparire fuori dalla stanza.

Fece vari respiri profondi, nella speranza di mantenere il controllo...poi vide dei fogli, sparsi sulla scrivania. Li prese, cominciando a leggerli uno per uno.

Se ne rimase lì, immobile a fissarli, completamente inespressiva.

Poi udì il rumore dei passi di Rashid.

La donna non perse tempo.

Raccolse i vari fogli...e quando l'indiano tornò, la scrivania era vuota, immacolata.

 

 

Erano passati degli anni da allora ma quell'immagine non aveva mai abbandonato l'animo di Lady Mc Stone. Non avrebbe mai permesso a nessuno d'infangare la memoria di suo marito, a nessuno.

Abbassò nuovamente lo sguardo sulla tomba...e impallidì.

Un piccolo mazzolino di aconito e di asfodelo faceva bella mostra di sé in un angolo, accanto alla lapide. La dama ebbe un capogiro, non appena se ne avvide.

-Vi sentite bene?-domandò la cameriera, prima di sussultare, non appena notò l'insolito mazzo. -Chi può avervi fatto una cosa simile?-domandò.

Soledad non rispose.

Quel mazzo di rimpianto e rimorso giaceva immoto sulla pietra.

-E'stato qui-esalò, con il cuore che batteva frenetico in petto.

Sarasa non disse niente.

Guardò inespressiva lo sgomento della sua signora, impotente di fronte alla sua angoscia. L'aria del cimitero pareva diversa da prima...più tesa, come se qualcosa avesse turbato la calma apparente che aleggiava attorno a Lady Mc Stone.

Non si accorsero della sagoma scura che le aveva osservate fino a quel momento e che, con passo sicuro, si stava allontanando da lì. Tutto era concentrato attorno a quel mazzo di fiori, portatore di sentimenti per nulla benevoli.

 

Benvenuti, cari lettori.

Ho aggiornato anche questa volta. Non spiego niente, come mio solito ma spero che la storia continui a piacere.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** XXII ***


Benvenuti, cari lettori, sono contenta di sapere che questa storia continua ad essere letta. Ho appena finito la mia sessione di esami di aprile e, come è ovvio, cercherò di trovare il tempo necessario per aggiornare nel miglior modo possibile. Vorrei ringraziarvi seriamente per aver letto questi capitoli e ringrazio in particolar modo Diana924 per avermi recensito. Nel precedente abbiamo avuto alcuni passaggi della vicenda. In questo momento comunque, non dirò altro.
 
 
XXII
 
Il ritorno a casa era stato assai silenzioso.
Salirono sulla carrozza e, ciascuna nei propri pensieri, avevano guardato il panorama londinese. La cameriera però, a differenza delle altre volte, non pareva molto incline a lasciare la padrona nel proprio mutismo.
-Lady Mc Stone è preda di qualche cattivo pensiero?-domandò pacata.
La dama si voltò verso di lei.
L'ombra della malinconia e del dolore erano particolarmente presenti in quell'ora del giorno, come succedeva ogni volta che tornava dal cimitero. Era come se parte dei vecchi fantasmi tornasse nel regno dei vivi per ghermire le loro vite. -Sarebbe strano il contrario-rispose- a volte, vorrei davvero che tutto ciò che ho passato fosse una fantasia...che il calore e quella breve e insulsa scintilla di felicità fossero un abbaglio.- Poi si intristì. -Ma mi sbaglio. La mia mente può mentire ma non la pelle del corpo che avete di fronte.-
Sarasa occhieggiò le cancellate delle residenze che cominciavano a far capolino. -Lady Mc Stone ha fatto tutto quello che era in suo potere. E'una donna molto forte. La signorina Escobar è fortunata ad averla dalla sua parte.-
La dama non disse niente.
L'aria umida di Londra penetrava dentro il finestrino. -Quando torneremo a casa, vorrei parlare con il nostro ospite. Devo risolvere la questione di Ester-disse.
L'indiana inarcò la fronte.
-La padrona ritiene che la signorina Escobar abbia nuovamente violato il vostro volere?-domandò, le labbra piegate in un sorriso arcaico.
La donna strinse le labbra.
Il rimprovero che le aveva rivolto bruciava ancora.
Non le era mai piaciuto biasimarla. Ester era sempre stata una creatura ingenua, eccezionalmente limpida considerando i genitori...a quel pensiero, la donna sospirò. -Non ha più nessuna importanza, Sarasa. Mi imporrò se necessario. Se assecondassi l'egoismo di sua madre, la scintilla che continuo tuttora a scorgere nei suoi occhi finirebbe con l'essere fatta a pezzi. -rispose.
-Ma potrebbe essere che quel prussiano possa essere diverso da vostro padre.-provò a dire Sarasa.
Soledad rise di quelle parole.
Una voce vuota e terribile, che rimbombò nell'abitacolo della carrozza. - Io non credo in questo genere di remissione. Gli uomini non chiedono mai perdono e le poche volte che lo fanno, hanno sempre qualche interesse sotto. Ho conosciuto davvero poche persone sincere a tal punto da rasentare l'ideale...ma sono talmente nascoste da essere scorte troppo tardi. Tornando a Lord Von Gruhnweld, voglio essere realistica. Lui ha messo gli occhi addosso alla carne giovane di mia sorella ed al suo candore per poter avere il suo maledetto erede. Pensa ancora di essere lui, quello a posto. Io non darò il consenso a queste nozze perché so che, qualora Ester fosse la sua vedova, sarebbe comunque morta dentro e, alla luce dei fatti, non vale la pena un simile sacrificio.- mormorò, vuotando parte delle sue ragioni.
La cameriera non rispose.
Ascoltò le parole della donna, muta spettatrice del dramma della persona che aveva servito per più di dieci anni. Non commentò nessuno dei passaggi di un simile ragionamento. Non condannò parte degli affanni.
Non fece nulla di tutto ciò perché non le era richiesto...come da sempre accade in quella muta solidarietà tra donne rotte.
 
 
 
 
-Siete un insolente!-esclamò.
Cedric sbuffò esasperato.
Le ferite non gli facevano più male. Era rimasto solo nella stanza e, stanco di avere sempre la stessa camicia, aveva preso una dalla biancheria pulita che la padrona gli aveva fornito. Si era liberato, con un gemito ed un'imprecazione insieme, delle stoffe che lo avevano ricoperto...ed era stato allora, che la porta si era spalancata.
Lui si era girato, incontrando nuovamente due iridi verdi.
-Buongiorno a voi, Miss-disse sarcastico.
Per tutta risposta, lei chiuse la porta di scatto, si avvicinò come una furia e...e poi lo fissò con occhi sgranati.
-NUMI DEL CIELO!-esclamò, portandosi le mani affusolate alle guance-Voi siete quasi nudo!-
Cedric storse la bocca.
-Complimenti per la perspicacia! E'così che educano le giovani signorine inglesi?-domandò sarcastico.
Ester lo fissò, incapace di rispondere.
L'americano la guardò a sua volte. Voleva vedere per quanto tempo avrebbe sostenuto quella vista, se il puritanesimo bigotto degli inglesi avrebbe infine prevalso sull'indole di quella ragazzina e, infine, cosa sarebbe successo se li avessero scoperti. Non era minimamente interessato alla condizione di quell'estranea ma doveva ammettere che quel genere d'intrattenimenti lo metteva al riparo dalla noia.
Sempre meglio di nienteconcluse.
La reazione della ragazzina lo colse comunque impreparato.
-Datemi il vostro corpo, signore-fece, con aria pensierosa -mi serve.-
 
 
 
Cedric credette di essere in qualche romanzo d'appendice, dove le eroine erano puntualmente sedotte dal borioso di turno. La situazione in cui si trovava, tuttavia, aveva dell'incredibile.
Mai prima di allora aveva ricevuto parole altrettanto sfacciate...e continuò a pensarci per tutta la giornata, anche quando la ragazzina, fatta la sua mossa, era sgattaiolata nuovamente via per evitare la punizione della sorella.
Perplesso, si grattò la testa.
Per i denti d'oro di Jimsi ritrovò a pensare dove accidenti sono finito! La proposta della signorina Escobar rimbombava nella sua testa...e non gli piaceva per niente. Odorava di guai e lui non voleva saperne.
Fu proprio mentre cogitava in simili pensieri che qualcuno bussò alla porta. Si irrigidì un po', prima di sibilare un Avanti! non propriamente sentito.
Quando vide la cameriera sfregiata della signora Mc Stone, tuttavia, si rilassò, anche se non del tutto. -Signore-esordì questa- la padrona ha chiesto se eravate nelle condizioni d'incontrarla.-
-Come potete vedere-rispose l'americano, allargando eloquente le braccia.
Sarasa, così si chiamava, si mise una mano sulla bocca. -Mi ha detto di riferirvi che vorrebbe parlarvi con una certa urgenza...a proposito della signorina Escobar.- fece.
L'americano impallidì.
Che avesse saputo? Che fosse a conoscenza della mossa della biondina? Che c'era un'altissima probabilità che ella fosse di già compromessa e quindi fosse necessario salvaguardare il suo onore? Questi e simili pensieri gravitavano sulla testa dell'americano che, in quel preciso momento si sentiva come Damocle alla corte del tiranno Dionigi. Deglutì nervosamente, preda dell'incertezza...poi però si alzò, sospirando scocciato: poiché era chiaro che non poteva evitare il pericolo, tanto valeva andargli incontro a testa alta.
Con questa risoluzione, l'americano lasciò la camera in cui si trovava.
 
 
Oceane guardava ora la piazza, ora l'orologio del Big Ben.
Incerta, dardeggiava con gli occhi le varie parti delle strade che giungevano in quello spiazzo ma di Mister Igor nessuna traccia...o almeno così le sembrò, fino a quando non sentì una mano guantata posarsi sulla sua spalla.
-Miss Treville!-esclamò, facendola sussultare.
La francese si girò, con il cuore impazzito...salvo poi rilassarsi non appena vide il russo. -Buongiorno-salutò-mi avete fatto spaventare!-
Mister Browsky sfoggiò un sorriso di scuse.
-Mi rincresce non poco, Miss-rispose- ma quando vi ho visto così presa in quest'attesa snervante, non ho potuto non farvi questo scherzo.-
Oceane sorrise divertità.
-Allora avete uno strano modo di fare burle-commentò.
Il russo si strinse nelle spalle.
-Spero che la mia idea solleverà l'umore che ho rischiato di compromettere con la recente leggerezza-fece- ho saputo che ci sono dei marmi provenienti da Atene, la culla della civiltà...vi piacerebbe vederli?-
La francese mostrò un'espressione pensosa.
-Avevo sentito dire che vi era una simile esposizione ma non ho mai avuto il piacere di visitarla.-disse- Va bene, accetto con piacere.-
La donna annuì.
Aveva indossato un completo color pulce che esaltava la sua carnagione senza eccedere. -Si trovano al British Istitute, dico bene?-fece, occhieggiando il suo accompagnatore. Quel giorno portava uno dei suoi consueti completi scuri, che rendevano il suo corpo più secco del solito. Quel russo aveva un aspetto oltremodo bizzarro, con quei buffi capelli rossicci e quegli occhi chiari ed acuti.
-Assolutamente sì, Miss-rispose, con quella pronuncia slava che aveva incuriosito fin da subito l'istitutrice -mi hanno detto che il museo è in crescita costante. Ogni anno aggiungono sempre nuovi pezzi.-
-Non potevate aver scelta migliore-esordì la donna- ecco, perché l'ultima volta mi avete suggerito di leggere Plutarco. Avrei dovuto immaginarlo...la vita di Teseo...quale miglior modo se non vedere i marmi del tempio di Atene?-
Igor la ascoltò, sinceramente colpito.
-Non dovete fissarmi così, Mister-rispose la donna- sono figlia di un professore universitario e istitutrice io stessa. Non potevo non avere che questa inclinazione, non credete?-
 
Allora, io ho fatto davvero un brevissimo aggiornamento ma nel prossimo avrete davvero una bella sorpresa. Questo è di transizione e non poteva essere che così. Non dirò nulla ma lascerò a voi lo spazio di dirmi cosa ne pensate. A presto.
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** XXIII ***


Benvenuti, cari lettori, sono tornata con un nuovo capitolo e spero che lo apprezzerete. I fiori citati non sono casuali ma seguono il linguaggio dei fiori tipico dell'epoca. Sono contenta di sapere che la storia continua a piacere e vi ringrazio per la cortesia con cui mi avete letto. La prossima settimana avrò le lezioni all'uni e difficilmente potrò aggiornare a breve ma vedrò di scrivere qualcosa.  Intanto, vi auguro buona lettura!
 
XXIII
 
Igor rimase sinceramente sorpreso.
-Vostro padre non ha disapprovato la vostra scelta?- domandò, fissandola perplesso.
Oceane ridacchiò.
-Certamente-rispose- ma mi ha concesso di divertirmi in questa pratica, almeno un po'. Ho quindi appreso tutto quello che potevo, dalle scuole per signorine in Francia e poi dalle letture che ho fatto per mio conto. Amo leggere e non mi ha fermato nulla...fino a quando ho capito che la Francia non faceva per me.-
Il russo inarcò la fronte.
-Mi hanno detto che Parigi è molto bella-provò a dire.
La donna annuì.
-Soprattutto quando la luce del tramonto colpisce i rosoni di Notre Dame-rispose con un sorriso malinconico- non immaginate nemmeno quanto i colori che battono sul pavimento siano belli.-
-Se è per questo-commentò l'altro- anche i giardini del Palazzo d'Inverno sono magnifici. Ultimamente hanno disposto nuove decorazioni, stando a quanto mi racconta mia sorella Olga.-
-Interessante -rispose l'istitutrice- mi piacerebbe vederli qualche volta.-
Igor sorrise divertito...poi lo sguardo venne catturato dall'edificio neoclassico del museo...e tutto passò in secondo piano. Oceane non fece più molte domande, limitandosi a fissare quello che vedeva con curiosa avidità. Il russo insistette per pagare il biglietto per entrambi e, dopo aver sbrigato le cose di rito, scortò la donna dentro.
L'istitutrice allargò gli occhi.
-Mi hanno detto che hanno inserito alcuni pezzi provenienti da Efeso e da Ninive, la culla della civiltà insomma.-continuò il russo, leggendo l'opuscolo che avevano lasciato loro all'ingresso.
Lei annuì interessata.
-Ne ho sentito parlare anche io...nel giornale. Ne parlavano come qualcosa di assolutamente sbalorditivo.-fece, osservando la curiosità dipinta sul viso dell'uomo.
-Allora non ci resta che vedere le varie parti.-disse, occhieggiando gli altri visitatori- Prego, appoggiatevi al mio braccio.-
Oceane aggrottò la fronte.
-Per quale ragione?-domandò.
Mister Borowsky lanciò un'occhiata allusiva al corridoio. -Questione di apparenze. Mi rincrescerebbe troppo perdere la vostra conversazione e non voglio mettervi in qualche spiacevole incidente morale per colpa della mia mancanza di attenzione.- spiegò.
Mademoiselle Treville storse la bocca. Non aveva mai approvato quel genere di cose ma preferì tacere. Compromettersi a Londra in maniera tanto sciocca era un'azione assai deplorevole. -Mon Dieu! Siete un autentico gentiluomo russo!-esclamò, tentando di mascherare il fastidio sotterraneo che stava provando per quella mossa.
Vedendo quella mossa, il russo rise.
-Consideratelo un mio capriccio, mademoiselle-rispose- vi garantisco, tuttavia, che la prossima volta faremo come volete voi.-
Oceane sorrise a sua volta.
-La considero una promessa, allora-rispose, con il braccio attorno al suo.
 
 
Brennan osservava impassibile l'ingresso dell'enorme villa.
Un malessere indefinito gli torceva le budella non appena l'occhio cadeva sugli austeri disegni gotici. Ricordava ancora bene il giorno in cui l'ultimo proprietario di quella casa gli aveva dato la notizia.
 
-Caro fratello-fece, con le gambe strette attorno al tronco dell'animale- vi comunico che ho intenzione di sposarmi.-
Eamonn aumentò la presa sulle briglie e, con un gesto improvviso, si voltò verso Lord Mc Stone.  -Sono contento per voi-rispose, schiena dritta e sguardo distante -chi è la fortunata?-
Alistair stirò le labbra in una smorfia di compiacimento.
-Ha sedici anni ed è figlia di un esule spagnolo-rispose -Si chiama Soledad Blanca Escobar.-
Il più giovane si fermò.
-Ne ho sentito parlare- mormorò pensieroso- ma non credo che sia una buona idea. Quel tale ha lasciato la Spagna in circostanze davvero poco chiare. Alcuni sostengono che la sua mancanza di denaro sia imputabile a qualche azione efferata di cui si è macchiato in patria.-
-Siete davvero diffidente-rispose Alistair- ma non ti ho chiesto un consiglio. Sposerò quella fanciulla perché è di mio gradimento...e poi ha dei fianchi da fattrice. Sono convinto che sia un buon auspicio. La conoscerai comunque molto presto poiché vorrei chiederti di fare da testimone di nozze.-
Brennan si irrigidì.
-Me?-domandò sorpreso.
-Perché no?-ribatté l'altro- Sei uno degli uomini più leali che conosca. Sono certo che non mi deluderai.-
 
L'espressione dello scozzese si torse in una smorfia di stizza. Quel ricordo era come sale su una ferita ancora fresca...ma non riuscì comunque a fare a meno di pensarci. Non aveva mai dimenticato niente di quei momenti...né, tantomeno, lo sgarbo fatto all'uomo che considerava come un fratello.
Fece per allontanarsi da quella vista, quando vide la sua sagoma.
Il profilo eretto, il seno ritto e affusolato, la vita stretta e l'ovale privo d'imperfezioni. La chioma scura era acconciata in morbidi boccoli, mentre lo sguardo malinconico percorreva la superficie del giardino.
Il cuore di Brennan cominciò a galoppare furioso.
Anche a quella distanza, gli parve di sentire l'odore esotico della sua pelle, la morbidezza dei capelli fulvi...e senza rendersene conto, allungò la mano. Lei però era lontana, pallido miraggio di qualcosa che, forse, non esisteva.
Quel pensiero risveglio la rabbia decennale che la sua vista gli procurava, una maschera rancorosa e pesante...che non lo lasciava un momento e che nessuno doveva vedere. Il peso della colpa e del pentimento per quello che sentiva come un crimine lo snervava e, come se non bastasse, vedere lei recitare i panni della vedova affranta lo irritava oltre il lecito. Quella maledetta femmina iberica aveva preso tutto quello che aveva conquistato con quelle nozze, affascinando con il suo esotismo persino la fedelissima servitù...e lui la odiava per questo. Subito gli tornarono in mente quegli occhi verdi e soli...che avevano infranto per una sola, unica volta, le sue difese. La rabbia aumentò, ruggendo feroce nella sua cassa toracica.
Chiunque l'avesse visto, in quell'occasione, non avrebbe mai notato nulla di strano nella parvenza composta e ferina insieme di quello scozzese. Sembrava un normale gentiluomo immerso nella contemplazione del paesaggio...ma se avesse visto con attenzione, avrebbe indubbiamente compreso il suo fallo. Gli occhi non mostravano traccia di quiete...ma solo una tempesta di fuoco mai placata.
Con uno sbuffo, colpì con i talloni l'animale e, senza più dire una parola, prese la via per la propria abitazione.
 
 
Cedric era palesemente nervoso.
La padrona della villa aveva chiesto di lui e non sapeva cosa aspettarsi. Il sospetto che avesse saputo della mossa della signorina che era entrata nella sua camera, comunque, non lo aiutava a ragionare lucidamente.
La verità era che non aveva minimamente previsto una cosa del genere.
Non era stato lui ad irretire quella fanciulla...immediatamente lo stomaco si strinse, al pensiero di quello che aveva udito.
-Benvenuto nella mia casa, Mister Gillford-rispose Lady Mc Stone, del tutto ignara dei suoi pensieri- mi auguro che le ferite che avete ricevuto siano guarite.-
-Sì, come potete vedere-rispose l'americano.
Lei lo guardò un momento, studiando critica la sua espressione...tanto che l'altro si chiese se non avesse esagerato con i modi. -Ne sono lieta...ma ora vorrei che poneste soddisfazione alla mia curiosità.-disse, accarezzandosi il mento morbido- Ho notato che indossavate la divisa della scuola di Eton...quanti anni avete?-
-Diciannove-rispose l'americano- mi sono iscritto in ritardo a quella scuola.-
-Capisco-rispose la dama- e siete uno studente brillante?-
-Non ho mai avuto problemi con il rendimento, stando a quanto dicono i professori-rispose sospettoso.
Un sorriso di labbra si dipinse sul viso di Lady Mc Stone.
-Questo però non vi ha impedito di mettervi in una brutta situazione-rispose la donna.
-Che intendete dire?-domandò l'americano.
Lei tacque, con una pausa ad effetto abilmente studiata.
-Il mio maggiordomo ha riferito di aver visto la signorina Escobar entrare nella stanza che avevo disposto per voi...e, ammetto di non essermi mai attesa una simile mancanza da parte vostra. Circuire l'innocenza di quella fanciulla...come avete potuto venir meno alla mia fiducia?-disse, con un'espressione indignata.
Cedric scattò.
-Non sono stato io a volerlo!- esclamò piccato.
-Volete forse dirmi che la lussuria ha preso possesso dell'animo di mia sorella? -fece retorica, fissandolo in tralice- Questo genere di scuse possono convincere un prete...non me. Ad ogni modo è tardi, dal momento che la reputazione della signorina Escobar è compromessa. Il vostro colpo di testa ha messo in moto un'incresciosa serie di conseguenze...a cui vi chiedo di porre rimedio in fretta.-
L'americano si fece di pietra.
Aveva sentito varie volte quel genere di discorsi. Li aveva evitati con gran classe ma ora, grazie ad una perfetta sconosciuta, non aveva nessuna possibilità di uscirne...e provò orrore per la cosa. - Devo sposarla?-domandò, incredulo.
Soledad lo guardò.
-Voi cosa intendete?-ribatté, con aria quasi derisoria.
Cedric la fissò mentre due occhi verdi, diversi da quelli che lo stavano ora fissando, balenò per un momento nella sua testa. -Non se ne parla-rispose- non intendo piegarmi ad una cosa simile, anche perché non ho toccato quella ragazzina nemmeno con un dito.-
-E con ciò?-chiese inerte la donna- Mia sorella è comunque compromessa, grazie a voi. Come gentiluomo, siete tenuto a risollevare il suo onore ed il mio, tramite un accordo legittimo. Voi sposerete Ester o ve ne farò pentire.-
Con quelle parole, finì la conversazione.
Cedric, irritato da quello sviluppo dei fatti, lasciò lo studio sbattendo la porta.
Soledad lo guardò allontanarsi, con una smorfia di compiacimento.
-Vedo che la sua reazione vi ha divertito, Lady Mc Stone-disse una voce calma.
-Voi dite, Sarasa?-chiese la dama.
L'indiana stirò le labbra.
-Ho solo predisposto alcune carte-proseguì- in previsione dei difficili tempi futuri che ci aspettano. Farò tutto il possibile per tutelare Ester...e quell'americano fa al caso mio.-
 
 
Capitolo corto e forse inconcludente. Soledad ha fatto la sua mossa...ed ora dobbiamo vedere cosa succederà. Io non aggiungo altro, tranne che vi ringrazio per avermi letto. A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** XIV ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Cari lettori vi sono davvero grati per avermi seguito sinora. La vostra cortesia mi lusinga. Ora vi lascio a questa nuova avventura. Il fidanzamento improvviso è una doccia fredda di una certa rilevanza e vi ringrazio ulteriormente per avermi letto sinora. Ora vi lascio e vi auguro buona lettura!
 
XIV
 
 
 
Cedric era decisamente furioso. Quando sua madre aveva portato lui e la sorella in Inghilterra, aveva intuito che avrebbe comunque fatto quella fine…ma non immaginava che sarebbe stato tanto presto. La sua libertà era finita prima ancora che potesse godersela appieno e questo pensiero lo angustiava più del lecito.
Avrebbe voluto urlare per la rabbia.
Non era questo ciò che aveva pensato e già immaginava i commenti sprezzanti e ironici dello zio, quel maledetto misantropo che aveva designato lui come erede, invece di scegliere uno di quei damerini dei suoi cugini. Li aveva visti solo una volta, agli inizi…e non era andata benissimo. Uno di loro aveva cominciato a prendere in giro Ann e lui aveva difeso la sorella picchiandolo sonoramente.
Non appena lo zio aveva saputo la notizia, aveva pubblicamente punito il nipote…salvo poi complimentarsi con lui in privato.
La velata minaccia di Lady Mc Stone lo irritava profondamente.
Con la coda dell’occhio, osservò il giardino.
La signorina Escobar stava giocando con un minuscolo sacco di pulci, ridacchiando per le reazioni dell’animale. La luce del sole illuminava la chioma biondissima, dandole un che di angelico. A Cedric sembrò di vedere l’erba secca del vecchio ranch dove era cresciuto…e questo pensiero lo irritò un po’.
Era molto tempo che non pensava all’America.
Da quando il padre era morto e, dopo tanto tentennare, sua madre si era decisa a scrivere al cognato, seppellendo l’ascia di guerra che aveva decretato il loro immediato allontanamento da Londra, aveva smesso di ricordare quei luoghi indefiniti e selvaggi, quei tramonti che illuminavano la terra di rosso e sapevano di libertà.
La risata cristallina della ragazza in giardino lo riscosse da quei cupi pensieri.
Sì, avrebbe voluto davvero tornare alla sua amata America…ma quel tempo era finito e non poteva farci niente. Maledì varie volte la sua sfortuna…fino a consumare tutte le energie. Proviamo a vedere come vanno le cose…e, comunque, finché il vecchio non dà il permesso, non è detto che mi debba sposare per forza si disse, come per autoconvincersi del contrario.
Come se il nome della tutrice della sua possibile fidanzata non fosse sufficientemente esente da eventuali scandali.
Poi qualcosa attrasse la sua attenzione.
La biondina si rizzò in piedi.
-SORELLONA!-strillò, venendole incontro…ed il cuore dell’americano si gonfiò di stizza.
Lady Mc Stone si avvicinò alla ragazzina, con un passo quasi di danza. L’abito, completamente scuro, esaltava la magnifica chioma, tingendola di toni ramati.
- Perdonatemi, Ester-rispose questa, con un tono dolcissimo, che spiazzò il giovane.
Non aveva mai sentito una simile intonazione…non in Inghilterra, almeno. Era così piena di genuina dolcezza che non seppe cosa dire. Non vi era nulla di costruito, come se quella dama, apparentemente di pietra, fosse capace di amare qualcuno.
Immediatamente gli tornò alla memoria lo spiacevole dialogo avuto pochi istanti prima…e sbuffò. Non era riuscito a capire che tipo di persona fosse la padrona di casa. Non gli aveva fatto troppe domande sulla sua vita personale…eppure gli aveva imposto di porre rimedio alla sciocchezza della consanguinea.
Ugualmente il fastidio rimase e Cedric dovette fare un notevole sforzo di volontà per impedirsi di cedere al pregiudizio. In fondo, non era ancora detto che avrebbe finito davvero con lo sposare quella ragazzina dal carattere incomprensibile.
-Sorella-mormorò questa, imbronciando il viso- mi avevate promesso che sareste venuta con me a fare una passeggiata ma non è accaduto nulla di tutto questo. Vi angustia a tal punto la mia compagnia?-
L’altra scosse il capo.
-Non dovete nemmeno pensarlo, Ester. Siete tutta la mia vita, sorella ma avete perfettamente ragione. Vi ho trascurato. Però vi prometto che provvederò a risolvere questa cosa. Proprio ieri mi ha scritto Madame Pertignac, riferendomi di aver organizzato un piccolo concerto da camera nella sua dimora.- fece, guardandola.
La ragazzina inclinò la testa, assumendo un’aria pensierosa.
-Non la conosco, sorella.-rispose.
-La conoscerete-fece l’altra con dolcezza- ha figlia della vostra età di nome Viola. Sono convinta che farete amicizia con lei, dal momento che anche questa ragazza ha una passione per l’arte. E’molto brava a suonare il violoncello…sono certa che ne traete giovamento.-
-Ma Madame Pertignac è una donna non sposata. -provò a dire.
La dolcezza della voce sparì, lasciando il posto ad una durezza inattesa. –Quella donna è una grande artista. Mio marito ha profondamente apprezzato il suo talento di cantante e non è riuscito a tollerare il fatto che la Buona Società avesse abbandonato una tale stella per colpa dell’egoismo di un gentiluomo che non ha saputo mantenere la parola data.- disse –Ricordatevi bene che l’esser di parola è l’unica vera garanzia che dà onore ad una persona, nient’altro.-
Cedric ebbe un sussulto.
La dama non aveva mai volto il corpo verso di lui…eppure qualcosa gli faceva dubitare il fatto che avesse detto quelle cose esclusivamente alla sorella. Anche lei un soggetto, tutt’altro che canonico. Gli aveva fatto una proposta quanto mai equivoca che gli aveva causato non pochi problemi.
Per un momento, venne preso dal desiderio di raccontare a Lady Mc Stone le modalità che lo avevano condotto nella sua dimora. Chissà se sarebbe ancora disposta a tener su questa idea di rimediare alla lingua di quella ragazzina pestifera. si disse, con un filo di disincanto. Di poche cose, Cedric Gillford era davvero sicuro…ed una di queste era la consapevolezza di non essere minimamente portato per metter su famiglia.
 
 
Ester starnutì.
-Tutto bene, signorina Escobar?-domandò Emma, avvicinandosi con aria preoccupata.
-Sì – rispose pensierosa- stavo tentando di porre rimedio ad una mia curiosità.-
La cameriera la guardò interdetta, prima di ridere garbata.
-Vi sembra così divertente la mia situazione?-chiese l’altra.
Emma scosse il capo.
-Perdonatemi-rispose- ma avevate un’espressione che mi ha fatto sorridere. Non era mia intenzione.-
Lei però rimase seria.
-Mi chiedevo quale potesse essere il ruolo di quello straniero nella casa di mia sorella.-mormorò, con un tono cupo che la cameriera non credette poter appartenere alla giovane. Fino a quel momento, la ragazzina aveva sempre dimostrato un carattere frizzante, tanto da non lasciar il posto al sospetto che potesse avere delle ombre. Vedendola, tuttavia, Emma comprese di essersi sbagliata.
Le ombre aleggiavano in ogni individuo.
Era una verità fondata ed insindacabile.
-Ho chiesto al signor Rashid- rispose- ma non mi ha dato alcuna spiegazione. Pare che l’unica persona a conoscenza di tutto questo sia Lady Mc Stone.-
Ester abbassò la testa. Fino all’ultimo, aveva sperato di trovar la verità altrove ma era chiaro ormai, anche ad una refrattaria come lei, che non poteva aggirare l’ostacolo rappresentato dalla sorella…e prima o poi lo avrebbe fatto.
 
 
 
 
- Sorella, finalmente siete arrivata.-esordì la padrona di casa.
Suor Lucia rabbrividì leggermente. Il modo in cui si era rivolta a lei, così freddo e formale, era scivolato addosso in un’umida e gelida carezza. Non era mai stata in quel modo fu la dolorosa conclusione che riuscì a formulare.
-Accomodatevi, prego-rispose l’altra, ignara dei pensieri della più grande.
A quelle parole, lo sgomento aumentò.
Come era possibile che le si rivolgesse in quella maniera? Le lettere di sua nonna erano allora veritiere. Donna De Rossignol aveva perso ogni contatto con la nipote. Dopo la morte della figlia e la fuga di quel maledetto, non aveva avuto più notizie della bambina…e lei, accogliendo la sua richiesta, aveva deciso di far pressioni per andare a trovare la giovane. E aveva trovato una donna a lei completamente estranea.
-Cosa posso fare per voi?-domandò comunque.
La dama aggrottò la fronte.
-Vorrei che sfruttaste le vostre conoscenze per cercare un certo padre Michel- disse, scribacchiando qualcosa su un pezzetto di carta- Fino a sei anni fa, era in Inghilterra.-
-Perché volete quell’uomo?-chiese la suora.
Il viso di Soledad non mostrò alcuna volontà di lasciar qualche spiegazione alla sua richiesta. –Voi fatelo- ripeté- non mi importa come, suor Lucia.-
Sentendosi chiamare così, il cuore della monaca si strinse in una morsa dolorosa.
Da quando era giunta, Soledad non gli aveva mai mostrato altra faccia se non quella matronale di Lady Mc Stone. Era come se la bambina dolce che correva verso di lei, per qualsiasi cosa, avesse improvvisamente cessato di vivere. Al suo posto, una dama silenziosa e garbata, del tutto indifferente alle tipiche debolezze muliebri. –Vi informo che mi attendo una risposta non appena possibile, con la massima discrezione. –continuò- e vorrei che la comunicazione di una tale faccenda sia fatta direttamente a me.-
Con quelle parole, terminò la conversazione, congedandola bruscamente.
Suor Lucia accolse la cosa, non senza essere ferita.
Sua sorella era distante e fredda…poi una risata cristallina attirò la sua attenzione. Suor Lucia si girò verso la finestra e vide la sorellastra correre in giardino dietro ad un minuscolo gatto che Lady Mc Stone le aveva donato pochi giorni prima. Un nodo di stizza, che non credeva di possedere, si strinse intorno alla sua gola. Come era possibile che sua sorella tenesse a quella patetica ragazzina, figlia della donna che aveva preso il posto della loro madre, invece di mantenere vivi i legami con i Rossignol? La monaca non riuscì a trovar una risposta ad un simile interrogativo ma cominciò a percepire con fastidio l’idea di essere lasciata da parte e che quella persona, con il sangue della sostituta di sua madre, avesse un posto speciale nel suo cuore.
La monaca ebbe un sussulto.
Pilar aveva sempre accolto con gioia l’assenza di opposizione del padre al suo desiderio di prendere il velo. Don Ignatio, solitamente collerico, aveva accettato la sua decisione senza fare una piega, lasciando che fosse lei a decidere il monastero in cui rinchiudersi. Sua madre, invece, aveva accolto la sua scelta con un sorriso spento, colmo di placida mestizia…a quel pensiero, la suora si rattristò.
Aveva rimpianto profondamente la lontananza dalla casa familiare.
Grazie alla sua decisione, non aveva seguito la malattia di sua madre, spentasi in seguito, dopo il matrimonio della secondogenita.
Quel rimpianto, però, venne nuovamente spazzato via dalla risata di Ester. Pilar si accigliò. Quella stupida ragazzina, che gioiva per uno stupido gatto, che non faceva altro che fare confusione, seminare guai e mettere in imbarazzo la reputazione di una donna composta come sua sorella…e si scoprì ad odiarla, come mai le era successo. Ad odiare i suoi capelli biondi, retaggio di una donna che non aveva la stessa nobiltà interiore di sua madre e che suo padre aveva rimpiazzato senza rimorso. Ad odiare gli occhi verdi, che lei e Bianca non avevano ricevuto in eredità da Don Ignatio e che, in qualche modo, parevano essere un legame visibile tra le due. A detestare il suo viso di bambola che le dava l’impressione di una femmina sciocca e stupida. Per quale ragione, Soledad si dava tanto da fare per quella patetica ragazzina? Perché si impegnava nel proteggerla? Non sarebbe stato meglio farle fare quell’unione che la francese aveva disposto per lei? Perché opporsi, rinnegando la naturale reverenza che un figlio deve rivolgere al genitore?
Era così presa dai suoi pensieri che non si accorse della presenza della cameriera sfregiata.
Quando la vide, sussultò.
-Buongiorno- mormorò la monaca, sfoderando un sorriso di condiscendenza- cosa posso fare per voi?-
Sarasa non rispose subito.
Si prese un momento per osservarla e l’altra si innervosì.
Gli occhi scuri dell’indiana parevano scrutarle l’anima, come pozzi senza fondo. Non seppe spiegarsene la ragione, ma Pilar provò del disagio a quell’indagine visiva penetrante, eppure discreta. La faceva sentire sporca. –Volevo chiederle se avete intenzione di rimanere per pranzo- disse- la cuoca vorrebbe sapere se sono opportune delle modifiche al menù predisposto ieri sera.-
Suor Lucia si rilassò.
-Allora riferitele che le disposizioni previste vanno più che bene.-rispose distaccata.
L’altra annuì, senza aggiungere altro.
 
 
 
Biondi ricci, acconciati ad arte.
Abito color verde mela che circonda un fisico longilineo e sottile.
Sguardo allegro e intatto.
Ester correva da una parte all’altra del giardino, tentando di acciuffare Miranda…ma questa, all’ultimo momento, si allontanava, con un salto. –NO!-esclamava allora, aumentando il ritmo dei passi e riprovando con i tentativi. Miranda però evitava sempre le sue braccia, come se presagisse le sue bellicose intenzioni fin dall’inizio.
-Se continuerete così- disse una voce bassa- quel gatto non si avvicinerà mai a voi.-
La ragazzina spalancò gli occhi, voltandosi.
Era l’ospite che sua sorella si ostinava a tener nascosto…ed istintivamente abbassò la testa.
-Vi sentite meglio?-domandò, facendo un elegante inchino.
Cedric la fissò.
Non gli piacevano quelle maniere artefatte.
Vedendolo così silenzioso, con lentezza esasperante, la signorina Escobar alzò la testa. –Pare di sì-mormorò tra sé, squadrandolo con aria pensosa. L’americano ricambiò l’occhiata, senza riuscire a capire la ragione di quello sguardo. –Ecco-continuò-volevo sapere se eravate disposto ad acconsentire alla mia richiesta.-
Cedric si fece di pietra.
Per un momento, venne colto dal dubbio di essere stato preso in giro da quella ragazzina ed avrebbe sicuramente protestato se non avesse intravisto la serietà di quel volto di bambola, assolutamente privo di malizie. –Perché mi avete fatto questa richiesta?-domandò, squadrandola da capo a piedi.
Ester si irrigidì.
-Perché siete il solo a cui avrei potuto chiedere-disse, impacciata- gli altri non erano adatti.-
Cedric inarcò la fronte.
Adatti?pensò, tentando contemporaneamente di scacciare una lontana nota di compiacimento per quel complimento involontario…poi si accigliò di nuovo. –Voi mi state prendendo in giro-  replicò- ora ne ho la massima conferma.-
Non si sarebbe mai prestato al giochetto di una ragazzina viziata e nemmeno ai suoi capricci…come non avrebbe obbedito alla sottile minaccia della padrona di casa. Così, preso da un moto di orgoglio, le dette le spalle, ben deciso ad andarsene. Tutta quella situazione…no, non poteva accadere a lui.
-No, aspettate…-la sentì dire ma lui proseguì dritto, ben deciso a non darle corda. Non avrebbe mai dato retta alle sue manie e stranezze, né si sarebbe fatto intenerire dalla leggiadria del suo aspetto né…
-AHI!-esclamò, fermandosi di botto.
Qualcosa di duro gli aveva colpito la testa...e la cosa non gli piacque. Per niente. Irritato, si girò, vedendo il viso altrettanto stizzito della signorina Escobar.-Siete un maleducato! Io non vi sto prendendo in giro!-esclamò questa - Non mi avete dato modo di spiegarmi e siete giunto subito a conclusioni sbagliate! VI DETESTO!-
Con quelle parole, gli voltò le spalle ed andò via.
Cedric la guardò allontanarsi, indeciso su cosa fare.
Il comportamento di quella biondina lo irritava oltre il lecito, cosa che non gli era mai successa. Fino all'ultimo si era imposto di non cedere alle sue provocazioni, alle sue prese in giro...ma quel tiro non doveva proprio farglielo. Fu così che prese la decisione di inseguirla...e nel fare questo, pestò qualcosa di rigido e fragile al tempo stesso. Gillford soffocò una bestemmia. Malgrado la voglia di dare una bella lezione alla signorina Escobar fosse davvero molta, non poté non fermarsi e abbassare il capo.
Fu allora che vide un minuscolo blocco.
Guardò il piccolo oggetto, foderato di cuoio, poi il punto da cui era sparita quella ragazzina.
Cedric lo afferrò, fissandolo sospettoso. Aveva notato come quella lì lo tenesse sempre con sè...e gli venne voglia di vedere cosa c'era dentro. Poi però cambiò idea. Non era mai stato un impiccione e non voleva cominciare con colei che considerava come un'estranea.
Ugualmente si pentì di non aver dato modo a quella ragazzina di spiegarsi. Aveva sempre lasciato, soprattutto con la madre e la sorella, la possibilità di avere dei chiarimenti quando il loro comportamento non gli andava proprio a genio...ma la mossa di Lady Mc Stone aveva offuscato il suo raziocinio, facendo sì che a pagare fosse proprio la signorina Escobar.
Stizzito afferrò quel contenitore di pelle e, a passo deciso, si incamminò verso l'interno della casa. Prima o poi, quella ragazzina avrebbe fatto ritorno nel giardino per cercare quel blocchetto. Bastava solo aspettare...tutto qui.
Se ci teneva così tanto, a quell'accozzaglia di fogli, sarebbe tornata in giardino e, se avesse avuto senno, prima o poi, si sarebbe accorta di chi aveva preso quell'oggetto. Così, tenendo il blocco sottobraccio e mettendo l'altra mano in tasca si incamminò dentro l'enorme edificio.
 
 
 
L'aria calda di Siviglia era densa e penetrante, opposta alla familiare umidità di Edimburgo. Volse lo sguardo ai vari edifici, senza trovarli di suo gradimento. Alistair però sembrava approvarli, a giudicare dalla strana allegria che permeava ogni suo gesto. Il passo sciolto batteva a  tempo sui ciottoli della strada lastricata di pietre, seguendo un ritmo di danza.
Irritato si passò una mano sui capelli scuri.
Aveva interrotto momentaneamente gli studi per fare quel viaggio ed ora che si trovava lì non riusciva a non essere pentito della cosa. Mille volte avrebbe preferito ascoltare i noiosi sermoni del reverendo della cappella del collegio. Mille volte avrebbe preferito seguire le tediose lezioni del professore di legge. Mille volte avrebbe preferito sentire le lamentele di Victoria Mc Stone...a quel pensiero, levò un lamento. Detestava profondamente la sorella di Alistair. La trovava petulante e patetica...come tutte le donne che aveva avuto il dispiacere di conoscere.
Per questo, malgrado la storia permeasse ogni porzione di quel posto, Brennan non riuscì comunque ad apprezzare degnamente tutto ciò. Sapeva cosa c'era da fare e non ne era entusiasta. Doveva fare da testimone alle nozze di Alistair, provvedendo così all'assenza tutt'altro che casuale, della sua famiglia. I Mc Stone non avevano apprezzato questo matrimonio improvviso.
Sua madre era svenuta e suo padre aveva rivolto parole sdegnose ed offensive all'indirizzo della futura nuora, una sedicenne che, a suo dire, aveva imparato la sottile arte di annebbiare la mente degli sciocchi romantici come suo figlio. Victoria, invece aveva inveito con maggiore veemenza, malgrado il proprio matrimonio imminente fosse più una certezza che un'ipotesi.
Il sole alto della Spagna gettava nere ombre su quel luogo.
Brennan non aveva chiesto molte cose ad Alistair...era stato lui stesso a raccontargli tutto. La futura moglie di suo fratello era una borghese spagnola, figlia di primo letto di un esule. Per qualche strana ragione la matrigna, aveva ceduto alle richieste della famiglia materna della ragazza, di celebrare le nozze in Spagna e non in Inghilterra. Suo fratello di latte aveva accolto la richiesta ma, fino a quel momento, non aveva visto nessuno dei parenti della giovane donna.
Tutti, poi, avevano disertato gli incontri previsti prima delle nozze...ed ora si stava per celebrare un'unione non voluta da entrambe le famiglie degli sposi. Irritato per l'accoglienza, lo scozzese aveva disertato, a sua volta, l'incontro con la famiglia della ragazza e si era messo a girar per il centro. Era stato allora che i suoi passi lo avevano condotto ad una chiesa barocca.
Il giovane vi entrò, dopo essersi fatto un rapido segno della croce.
L'interno era buio e pregno d'incenso.
 
Brennan strinse il bicchiere tra le mani.
 
Si guardò attorno, osservando con irritazione lo stucco strabordare in escrescenze chiare e leggere. Gli davano la nausea...insieme al lugubre buio che lo aveva accolto, superata una facciata chiara e falsamente luminosa.  Ugualmente proseguì, con maggiore lentezza per non inciampare. Non era mai stato un amante dell'arte barocca. La trovava lugubre ma doveva ammettere che c'erano pochi esempi del genere nel suo Paese.
-Ave Maria...gratia plena...-udì improvvisamente.
Lo scozzese si voltò.
Era una voce di donna, leggermente tremante...come se avesse pianto da poco.
La cosa lo irritò.
Non gli piaceva sentir le donne piangere.
Lo faceva sentire obbligato a consolarle.
Ugualmente, si impose di non intervenire.
Lei indossava un abito scuro e privo di orpelli ma poteva intuire un corpo sottile e flessuoso, nascosto dietro a stoffe pesanti che sembravano gravarle come macigni. La chioma ramata risaltava sotto il pizzo nero. Incuriosito, lo scozzese si destreggiò tra le varie colonne, avvicinandosi alla piccola sagoma che, ignara di tutto continuava a recitare il suo rosario. Non badò minimamente a lui, presa dalla sua preghiera.
L'abito scuro le fasciava il corpo, facendo risaltare la pelle chiarissima dei sottili palmi, stretti in un minuscolo pugno. Brennan continuò a fissarla. Pareva sul punto di andare in pezzi da un momento all’altro…e, per qualche strano motivo, sadismo forse, rimase in attesa. Curioso di vedere il momento in cui quella ragazzina sarebbe finita in pezzi…ma sbagliava.
Non era una ragazzina.
Era una piccola donna, cresciuta troppo alla svelta.
 
Il bicchiere tremò, sotto la grande mano dello scozzese.
Il suo primo incontro era avvenuto in quella maniera…del tutto inattesa e fatale. Aveva conosciuto sua cognata in quel frangente ma era stato un momento assolutamente casuale, destinato a non ripetersi.
Brennan scagliò l’involucro di vetro contro la parete. Il liquore si disperse sul muro, colorando la carta da parati. Il cuore batteva furioso, al passo delle lancette dell’orologio posto sul camino.
Igor lo fissava con preoccupazione.
In quel momento,  Brennan Mc Kenzie sembrava una fiera in gabbia, prigioniera di catene e di lacci che ancora non riusciva a comprendere. La sua  sagoma pareva fremere ad ogni scatto, una sottile massa di nervi e di acciaio pronto a tendersi.
Il russo non aveva mai saputo per quale ragione lo scozzese fosse così nervoso tutte le volte che si avvicinava a Lady Mc Stone. Per molto tempo, si era domandato quale fosse la leva che rendesse tanto inquieto quel nobile…ma non era riuscito a trovare una ragione. Il principe russo non si era mai interrogato sul comportamento dei Mc Stone. Amava la loro amicizia ma non era riuscito ad individuare quale fosse la loro vera indole.
Chissà cosa verrà fuori. Alistair, Alistair, hai messo in piedi una trama davvero ingarbugliata…e se fossi vivo, davvero... lo troveresti davvero divertente!pensò, con un sorriso felino nascosto dietro al bicchiere.
 
Capitolo di passaggio che spero possa piacere. Le cose si stanno muovendo in una certa direzione. Ester ha un nuovo attrito con Cedric e vi avviso che lei non sa della mossa della sorella…preparatevi a nuove reazioni.
Pilar, intanto, prova gelosia per l’affetto che Soledad ha verso Ester. Lei non ha nessun sentimento verso la sorellastra. Non la considera parte della famiglia e questo elemento sarà causa di nuovi attriti. Il caso di Brennan per il momento verrà lasciato com’è. Abbiamo un flashback su questo personaggio e sul matrimonio di Alistair con Soledad. Molte domande verranno risolte a tempo debito e vi informo che i rapporti non sono mai quelli che sembrano.
Ma questo lo saprete quando sarà il momento.
In ogni caso, vi ringrazio per avermi letto.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** XXV ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Come sempre ringrazio tutti coloro che mi leggono e buona lettura.

 

XV

 

La informo inoltre che a causa del disordine a ovest, per via di alcune ribellioni dei raja che non hanno apprezzato le modifiche alla precedente legge dell’oppio di Sua Maestà, il traffico marittimo ha conosciuto un rallentamento considerevole. Pare che questi ribelli ostacolino i tratti consueti, fomentando le azioni di predoni e pirati.

Ho chiesto notizie, come suggerito da Voi.

Pare che la persona che cercate sia andata a lavorare su alcune navi di spezie, risalendo il Gange per raggiungere il Nord della regione. Lì, tuttavia, ha fatto perdere le sue tracce.

Provvederò a cercare altre notizie ma temo che sarà molto difficile. L’India è un mondo a parte ed in alcune zone gli europei non sono ben visti. Ugualmente troverò nuovi indizi…ma sentir parlare di un uomo che è scomparso da almeno sei anni è un’operazione assai difficile.

 

Soledad seguì apatica le lettere che scorrevano sulla carta. La sua espressione era come sempre malinconica.

Igor la guardò dispiaciuto.

-Sono desolato per questa notizia-rispose il russo- ma vi avevo avvertito che non sarebbe stata un’operazione semplice. Le cose si fanno complicate ma non mollerò la presa, ve lo prometto.-

La dama annuì.

-Fate quanto occorre. Provvederò in ogni modo, dal punto di vista finanziario…se occorre.-fece, accarezzandosi le mani pallide.

Igor scosse il capo.

-Lo farei in ogni caso-rispose- Alistair è stato un grande amico per me. Senza la sua amicizia, non avrei trovato niente di buono in questa grande isola.-

Lei chinò il capo.

-Ha dato tanto, mio marito-commentò-ed io non ho saputo esprimere quanto provavo in nessun momento della vita che abbiamo passato insieme. Non lo ringrazierò mai abbastanza per quello che ha fatto per me. Uomini come Alistair sono davvero rari.-

Igor tacque.

Il viso di Lady Mc Stone era denso di malinconia e rimpianto. Il russo però non riusciva a capire cosa avesse scatenato nella donna una simile disposizione d’animo.

Fin da quando l’aveva conosciuta, le era sembrata una persona calma e composta, con una disciplina di fondo di sapore quasi gesuitico. –Ne sono consapevole-rispose affranto- ma mi rendo conto solo parzialmente della mole di responsabilità che si sono depositate sulle vostre spalle. – Istintivamente si portò una mano sulla fronte. Parlare di quell’evento era un peso tuttora insostenibile…persino per lui. –Bhé…in ogni caso…-provò a dire, senza riuscir ad andare avanti.

-Voi mi nascondete qualcosa-mormorò Soledad.

Igor tremò.

Gli occhi scrutarono quelli della dama di fronte a lui. Si chiese quanto sapesse di tutto questo, quanto fosse ingente la mole delle pene di quella femmina. –Ugualmente non mi interessa-continuò lei, indifferente alla sua confusione- mio marito è morto ed io devo provare a mettere a posto le cose lasciate disperse.- Con un gesto fluido si alzò, fissandolo dritto in volto. La durezza dello sguardo contrastava con la dolcezza insostenibile dei lineamenti. –Comunque la si guardi-continuò- la donna è il centro della casa e della famiglia. Togli quello e crolla tutto. Non bastano sostitute, non basta il nuovo denaro in arrivo. Quando manca questo elemento per la stupidità dell’altro, tutto il resto perde valore e la famiglia è tale solo perché lo dice un banale foglio di carta.-

Dopo queste parole, Lady Mc Stone chiuse le labbra piene e più non proferì parola.

 

 

 

 

 

Ester frugò a lungo tra i vari cassoni della stanza. –Non c’è! Non c’è!-continuò- Emma, hai visto il mio album?-

La cameriera accorse.

-No, signorina-rispose, rossa in volto.

La giovane non vi badò. –Lo avevo portato con me ma non riesco più a trovarlo…non vorrei averlo perso…SANTO CIELO!- esclamò, mettendosi le mani sul volto.

- Padroncina…-mormorò Emma con fare solerte.

-Emma- fece Ester con fare preoccupato- devo assolutamente ritrovare quell’album.-

La cameriera inarcò la fronte.

-E’l’album su cui ho fatto alcuni schizzi…anche qui.-continuò la bionda e l’inglese impallidì. Subito le  venne alla memoria quel pomeriggio in cui posò, con i capelli sciolti per la signorina Escobar. Lo aveva fatto per scherzo, vincendo la sua abituale timidezza…ma ora quanto avvenuto poteva avere conseguenze irreparabili, rovinandole la reputazione.

-Dobbiamo assolutamente ritrovarlo, Miss-fece, perdendo il consueto aplomb.

Ester annuì e insieme cominciarono la ricerca. Frugarono in ogni anfratto del giardino per tutto il giorno ma non trovarono nessuna traccia dell’oggetto.

 

 

 

Madame Pertignac camminava silenziosa per il giardino all’italiana della sua tenuta. L’orangerie della parte est della casa era illuminato dai raggi del sole e già le sembrava di sentire il profumo degli agrumi.

Sentiva il suono del violoncello provenire dal piano superiore, una melodia dolce e modulata che faceva vibrare il suo corpo come una cassa di risonanza. Nel suo dorato esilio, la dama aveva rimpianto l’impossibilità di poter esercitare la sua dote nel canto…ma ora, finalmente, avrebbe dato sfoggio della sua abilità.

Vide in lontananza il maggiordomo.

-Violet si sta esercitando con profitto.-mormorò, all’indirizzo del servitore –Voglio che dia il meglio di sé. E’molto brava e vi prego di riferirle quanto sono orgogliosa del suo operato.-

Il servitore annuì.

-La signorina suona come un angelo del paradiso-rispose- ogni volta che accade, le persone si fermano fuori dal cancello.-

Madame Pertignac arricciò il naso.

-E’passata anche quella persona?-domandò.

Il maggiordomo annuì e lei non poté fare a meno di scuotere il capo. –Non dite nulla a mia figlia e gradirei, mio buon amico, che quel giovanotto tanto impudente dia le sue generalità a voi o a me medesima. Non posso tollerare questa specie di processione religiosa alla mia porta.-rispose, con uno sbuffo.

 

 

 

 

Rashid camminava composto lungo le vie londinesi.

Aveva svolto le sue consuete commissioni presso le varie botteghe del centro, provvedendo con le ordinazioni necessarie. Tutto con pacatezza. Tutto con assoluta assenza di fastidio. Gli piaceva passeggiare…ma non per le consuete manie dei suoi simili. A differenza di molti asiatici, non amava le fumerie d’oppio e non apprezzava il modo in cui gli indiani che incontrava, facevano la loro fortuna sulla debolezza degli altri.

Come sikh, disapprovava quel tipo di condotta…e detestava sinceramente la maniera meschina e riprovevole con cui gli indù usavano le loro donne. Immediato fu il pensiero a Sarasa…ed immediato fu il suo allontanamento.

Non parlava molto con la cameriera personale della sua padrona, se non per questioni di lavoro. Differenze etniche e di religione li allontanavano in modo considerevole…ma era inevitabile. Lui era un sikh.

Con questo pensiero, si fermò all’ennesimo negozio.

Una signora, dai capelli castani e dall’aria svampita, si avvicinò a lui, arricciando il naso. –Buongiorno-salutò, composta.

Rashid sorrise inespressivo.

-Sono venuto per conto della mia padrona-rispose-Lady Mc Stone ha ordinato presso il suo negozio.-rispose.

La commessa annuì.

-Ha ordinato alcuni guanti-rispose- tre paia, se non sbaglio.-mormorò.

Il maggiordomo rimase immobile. Aveva visto i modelli, candidi e coprenti più del solito. –Quattro, in verità-la corresse con garbo- la mia signora ha cambiato idea all’ultimo momento.-

La donna rimase un momento interdetta.

-Ma certo-rispose, stampandosi un sorriso consapevole- dovevo immaginarlo…è per via della vostra ospite?-

L’indiano si fermò.

-Gira voce che Lady Mc Stone abbia preso con sé una pupilla.-mormorò con fare cospiratorio- E’così?-

Rashid rimase fermo…poi sorrise.

-Miss-rispose- io sono un semplice indiano senza alcun valore…cosa volete che ne sappia di queste cose? Io obbedisco agli ordini ma poi non posso fare altro, non credete?-

La donna ridacchiò, divertita da quell’arguzia civettuola. Le labbra di Rashid rimasero stirate, come se non vi fosse alcuna ragione per indagare oltre sulla cosa.

 

C’era un motivo per cui il defunto Lord Mc Stone aveva deciso di scegliere quell’indiano come maggiordomo…ed era la sua profonda intelligenza. Non fu difficile per lui comprendere che la sua signora non avrebbe approvato quella notizia.

Non dovevano esserci troppe luci sulla signorina Escobar…non finché le ambizioni di quel prussiano non si fossero estinte completamente. Quando la signora lo saprà…fu il suo pensiero, mentre memorizzava le notizie di quella commessa particolarmente ciarliera.

 

Allora, cari lettori. Questo capitolo è di transizione e getta alcune luci. Ancora Ester non sa delle manovre della sorella e si da pena della perdita dell’album. Intanto Soledad sta prendendo nuove notizie ma le cose si fanno complicate…vorrei comunque spendere una parola su Rashid. Rashid è un sikh e questa differenza peserà non poco. E’molto diverso da Sarasa che è indù ma questo aspetto si vedrà meglio in seguito. Gli indiani non sono tutti uguali e quando conosceremo la storia di uno di loro, vi sarà chiaro il perché.

Quanto alla ricerca di Soledad, posso dire che vi sono vari livelli…e vi prego di farvi attenzione. Molte cose sono ancora sommerse ed il dolore di Lady Mc Stone è qualcosa d’incredibilmente pesante da sostenere. Lei non lo condivide con nessuno ed il perché sarà spiegato a suo tempo. Tre grandi dolori pesano su di lei…e chi sa di questa cosa o ne intuisce qualche frammento sono poche persone. Grazie a tutti ed alla prossima

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** XXVI ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Vorrei ringraziare tutti i lettori per avermi seguito sinora e spero che questa storia continui a piacere.
A presto.
 
XVI
 
Brennan non era uomo da mollare facilmente.
Non lo era mai stato. Quando si poneva un obiettivo era solito mantenerlo fino in fondo. La proposta del responsabile del college, comunque, lo angustiava oltremodo. Come si permetteva quel tale di dargli ordini?
Lui non era nessuno per venirgli a fare simili paternali. Con rabbia crescente, prese a muovere il bastone. Lo portava come semplice elemento decorativo ma doveva ammettere che incuteva un certo timore.
I vicoli londinesi non avevano assolutamente niente di strano. Erano scuri e maleodoranti, come ogni metropoli. Camminò per quel posto, fissando con irritazione le finestre fumose. Non aveva trovato niente d niente e questo fatto lo rese teso.
Cosa doveva fare?
Parlare con la famiglia del ragazzo?
Poteva essere un'idea...ma non conosceva quella gente. La madre era americana e poteva reagire in qualsiasi maniera. Lo scozzese fissò accigliato le ombre di quel quartiere.
-Milord-disse il lustrascarpe- cosa posso fare per voi?-
Lui sorrise.
-Buon uomo-rispose- richiedo un servizio da parte vostra...ben più approfondito di quello che solitamente domando alla gente del vostro mestiere.-
-Ditemi pure, allora-fece questi.
Il gentiluomo posò gli stivali sullo sgabello lacero. -Ho bisogno di farvi delle domande-disse, stirando le labbra piene- qualcosa che solo un lustrascarpe come voi può delucidarmi con sicurezza.-
L'uomo lo guardò.
-Io non so niente-rispose- sono solo un poveraccio.-
Brennan ridacchiò.
-Una moneta d'oro basta a scioglierti la lingua?-lo schernì.
L'altro strabuzzò gli occhi.
-Meglio se mi dai l'equivalente in pezzi piccoli. Non ho nessun desiderio di trovarmi un coltello in pancia per aver preso una moneta che attirerebbe troppi sguardi.-borbottò- Cosa accidenti vuoi sapere?-
Lo scozzese prese una delle monete che aveva in tasca, facendogliela ondeggiare davanti. Il lustrascarpe ne seguì il movimento con la testa, come se fosse un serpente. -In verità, stavo cercando un giovane studente-disse, mostrandogli un ritratto a carboncino che aveva fatto dalla galleria della Eton College.
Il lustrascarpe allungò il capo.
-L'americano?-domandò.
-Lo conosci?-chiese il lord scozzese.
-Certo che sì!-fece l'uomo- E'molto bravo a menare le mani. L'ho visto affrontare sette avversari tutto da solo! Dovevate vederlo!-
Brennan scosse il capo.
-Non sai contare, maledetto pezzente- ribatté.
Il lustrascarpe gli rivolse un sorriso sdentato. -Sarò pure un miserabile ma non se so il valore dei soldi, so anche la differenza tra uno e molti...ed ora fuori la grana.- rispose.
Lo scozzese rise di gusto. Amava la schiettezza dei borghesi, senza quei giri di parole inutili ed insensati. -Parlami di quella scena e di cosa è successo.- ordinò, con fare ferino.
 
 
 
 
-Alla fine ci sei arrivata, mocciosa- disse Cedric, fissandola dall'alto in basso.
Ester alzò la testa.
-Sarebbe stato tutto più semplice se mi aveste detto che quello che cercavo era in mano vostra-borbottò lei, imbronciando le labbra sottili.
L'americano la fissò.
-E perdermi il divertimento? Non se ne parla-rispose, guardandola dall'alto in basso.
Ester si mise le mani sui fianchi.
-Se voi mi aveste dato la possibilità di spiegarmi, non avreste...-provò a dire.
-Cosa?-la interruppe l'altro- Mi avete fatto una proposta assolutamente equivoca e sconveniente.-
La giovane arretrò, colta in fallo da quelle parole.
Quegli occhi acquamarina la fissavano con insistenza, come se si aspettasse un suo gesto, un segno che denotasse la sua sconfitta...ma lei si rifiutava di fare una cosa simile. Abbassare lo sguardo era un segno di debolezza, soprattutto verso colui che non aveva fatto altro che trattarla malamente.
Così continuò a fissarlo, con aria di sfida.
-Se la questione vi angustia-proferì- vi esorto a restituirmi ciò che ho perduto. Non ho alcuna intenzione di lasciarvi in simili problemi.-
Il venticello soffiava piano sui suoi capelli. Ester se ne scostò un ciuffo dalla fronte. -Non voglio farmi prendere in giro e sono del parere che vi ho fatto qualche torto, anche se non vi ho mai visto prima- disse, sapendo di mentire parzialmente- eppure non riesco a non pensare al fatto che voi mi odiate.-
Cedric aggrottò la fronte.
-Cosa ve lo fa pensare?-chiese, sfidandola con lo sguardo.
La signorina Escobar incrociò le braccia attorno al corpo, come se volesse proteggersi. -Il fatto che voi non siate gentile con me, per esempio.-rispose, con aria assorta.
A quelle parole, l'americano non disse niente.
La conversazione con Lady Mc Stone l'aveva fatto sentire con le spalle al muro e non riusciva a togliersi dalla mente l'idea di essere finito in trappola. Lui non aveva nessuna intenzione di piegarsi alle regole della società inglese. Non vi si riconosceva e non capiva perché dovesse obbedire in quel modo.
Poi però ripensò ad Ann ed al fatto che, con la scelta dello zio di designarlo come suo erede, avrebbe potuto garantirle uno stile di vita meno difficoltoso...e allora cedette, sia pure sbuffando come una bestia da soma sotto un peso troppo gravoso.
Più volte era stato preso dal desiderio di mollare tutto e raggiungere nuovamente la sua amata Frontiera. Suo padre ci aveva lasciato le ossa là, stroncato da una febbre di tifo...ma quella prospettiva gli pareva rassicurante, malgrado la fine del genitore. Perlomeno lui aveva vissuto fino in fondo come aveva sempre desiderato...ma lui? Cedric non aveva mai smesso di pensarci.
Non aveva mai dimenticato la sua amata America. Sua sorella si era rassegnata alle atmosfere fumose di Londra e sua madre aveva la dote di sapersi adattare ad ogni luogo con un camaleontismo degno delle attrici più stagionate. A quel pensiero, l'americano si incupì.
 
 
 
Ester lo vide aggrottare la fronte, con quell'espressione cattiva e rabbiosa da cane feroce...e si innervosì. -Se davvero vi sto antipatica, non esitate a dirlo.- fece, sbattendo con forza il piede a terra- So benissimo di avere un carattere orribile e di non possedere nessun pregio...ma tanto cosa importa a voi? Mi trovo in una situazione tremenda, senza alcuna possibilità di far fronte con le mie sole forze. Mia madre aveva pensato bene di promettermi ad un vecchio, dopo avermi riempito la testa di bugie...e mia sorella? Cosa ha fatto lei? Ha annullato il fidanzamento...rovinandomi ugualmente. Voi avrete tutte le ragioni del mondo per avercela con me...MA IO NON LE MERITO, DI QUESTO NE SONO CERTA!-
Era esplosa, alla fine.
Malgrado la gentilezza di Soledad, non aveva ancora deposto quel filo di diffidenza che tuttora la caratterizzava. Era pur sempre una ragazzina in attesa del debutto ed una simile condizione le gravava sulle spalle in maniera sempre più insostenibile.
Non aveva mai preso in considerazione la possibilità di trovarsi in una situazione del genere. La faceva sentire sciocca e patetica, come mai era stata.
La vista divenne acquosa e pesante.
Segno di un pianto imminente.
Ester sospirò con forza, ben decisa a non cedere. Lo straniero la stava tuttora guardando e lei non voleva dargliela vinta. Non aveva mai amato quell'atteggiamento di supponenza. Le ricordava il periodo del collegio, quando era additata per le sue origini non inglesi. -Ed ora datemi quel maledetto album!- ribatté- Troverò qualcun altro a cui chiedere di farmi da modello.-
Aveva pronunciato quel fiume di parole con stizza e rabbia, senza guardare il destinatario di un simile discorso.
Non vide quindi l'espressione sorpresa di Cedric.
-Allora?-sbottò, rialzando gli occhi- Volete restituirmi l'album?-
-No-rispose questi.
Ester aprì la bocca.
-Come?-domandò incredula...ma l'altro non le diede il tempo di ribattere. Con un balzo felino scese giù dal ramo, ponendosi a nemmeno una spanna da lei. Ester deglutì nervosa. Non era abituata a quel genere di vicinanza e non seppe dire se il battito che sentiva martellarle in petto fosse frutto dell'agitazione dovuta a tutto questo o dello spavento.
Lui le sorrise con aria impertinente.
-Se mi aveste informato prima che volevate solo questo...ehh, ed io che mi ero fatto chissà quali pensieri!- esclamò, in una risata grassa e liberatoria.
Ester si fece perplessa.
-E che cos'altro avrei dovuto chiedervi?-domandò, facendolo tacere-  Mi sembrava ovvio che vi avrei domandato di posare per me. L'ho chiesto a tutti...che cosa c'è di strano?-
 
 
 
James deglutì, preda della tensione. Non si aspettava un simile risvolto dei fatti. Era di ritorno dall'ennesima e noiosa conversazione con suo padre quando aveva sentito il suono del violoncello.
Lo udiva tutte le volte e si poteva dire, senza mezzi termini, che quel suono aveva sempre avuto un che di rasserenante sui suoi nervi. A quel pensiero, sospirò. Aveva sempre amato la musica e la persona che vi si esercitava in quella casa era davvero talentuosa.
Quando ne aveva parlato con il genitore, questi aveva reagito malamente. Non è una compagnia appropriata! aveva sbraitato, tenendo tremante la mano attorno al pomello del bastone.
Così non aveva più fatto domande, limitandosi a godere dell'ascolto di quelle melodie. E la curiosità aumentava, con l'andar del tempo.
D'un tratto si sentì chiamare.
-Signore- fece una voce.
James si girò.
Era un uomo in livrea, dall'aria compassata e grigia. -Sono il maggiordomo di questa casa ed ho osservato che state fissando costantemente questa casa. Ho ricevuto ordine di riferirvi che il padrone di questa dimora è disposto ad incontrarvi e di udire quanto avete intensione di esporre...a patto che cessiate di spiare in questa dimora.-rispose, con un'espressione apatica.
James si pietrificò.
Non si aspettava che qualcuno lo vedesse. La reazione di suo padre lo aveva spinto a tenere tutto per sé, per impedire a chiunque qualsiasi possibilità di essere notato. -Temo che vi stiate sbagliando-mormorò, distogliendo con fatica lo sguardo dalla finestra e, senza dare spazio al servitore di rispondere si allontanò, camminando svelto via da quella strada.
Non si accorse che anche altre due paia di occhi lo stavano fissando.
 
 
 
 
Benvenuti a questo nuovo capitolo. Io vi ringrazio per avermi letto e scusate per la brevità ma avevo davvero poco tempo. Qui vediamo Brennan che sta cominciando a fiutare il giro di scommesse ed abbiamo infine svelato l'arcano di Ester. Nuovo litigio e nuovo fraintendimento tra i due...e poi un brevissimo cameo di James, alle prese con i suoi obblighi filiali. Grazie mille a tutti coloro che recensiscono e leggono. 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** XXVII ***


 La signora Madeleine osservò con aria circospetta il giovane che si stava allontanando dalla sua vista.
-Non ha detto niente- chiese, fissando il vetro.
-No, Miss.-rispose il maggiordomo.
La dama inclinò la testa.
-Come vi è sembrato, Roger?-domandò.
L’uomo fissò la padrona di casa, prima di sospirare. Molto spesso, la signora chiedeva consiglio per cose del genere…e, come sempre, era impreparato per quella che riteneva un’infrazione alla norma. –Se permettete, signora, temo che non possa essere una compagnia appropriata per la signorina Violet. Le sue maniere hanno la limpidezza dei figli della strada, malgrado la postura sia frutto di una disciplina nobile.-rispose, fissando il pavimento.
Madeleine annuì.
La strada era ormai sgombra di persone. –Viene dalla residenza del nostro vicino di casa-rispose, sorridendo beffarda- credo che lo inviterò al ricevimento di questa domenica.-
Il maggiordomo si irrigidì.
-Miss, non è una mossa saggia! Conoscete bene l’astio dell’uomo-disse allarmato.
Madeleine alzò le spallucce.
-In cuor mio non nutro nessun sentimento malevolo nei suoi riguardi. Non è colpa mia se ha ancora dei rancori per via del suo amico. Sono cose passate Roger…ed io sono andata avanti, per quanto la cosa sia incredibile.-rispose con aria pacata e insieme malinconica.
Il maggiordomo la fissò.
Il volto della padrona di casa conservava ancora la luce eterea che lo aveva conquistato fin dall’inizio. Nemmeno l’abito color pulce bastava a ottenebrare i toni dei capelli e del volto. –Ho intenzione di invitare anche Lady Mc Stone. Mi ha parlato molto bene di sua sorella e desidero che sia presente anche lei, con chi desidera.- rispose, con un sorriso divertito.
-E’la sua sorellastra, padrona-la corresse Roger.
Madeleine alzò spallucce con indifferenza. Qualunque fosse il vero grado di parentela non era interessata alla questione. –Ha frequentato la Bedford’s…pertanto deve essere una fanciulla ammodo. Il resto è secondario.-rispose.
 
 
 
-Vi prego di stare fermo!-esclamò, stringendo rabbiosa il carboncino.
Cedric ebbe un guizzo, prima di obbedire.
Ancora non riusciva a spiegarsi la ragione per cui aveva acconsentito a quella sciocchezza. Non si era mai interessato a quelle cose artistiche, anche perché non erano un’attività che aveva fatto molto spesso. In America non avevano mai avuto molto tempo per dilettarsi in simili attività, mentre a Londra, tra quei damerini senza serietà, c’erano così tante altre cose da fare da non darsi pensiero in simili cose.
-Fermo- lo ammonì di nuovo la signorina Escobar.
Cedric la mandò mentalmente al diavolo.
Non sopportava quella biondina.
Era pestifera, insolente e maledettamente diretta…troppo rispetto al tipo di donna a cui si era tristemente abituato. L’americano sbuffò, senza nascondere il proprio disappunto. Non avrebbe mai voluto fare una cosa del genere…e allora come si spiegava il fatto che stava posando per quella strega bionda?
Un risolino soffocato gli attraversò le orecchie. Furibondo si girò verso la causa di quel suono…e vide la cameriera personale della signorina Escobar la quale, sentendosi osservata, abbassò il capo, rossa in volto.
Pure questapensò, seccato.
-Signor Gillford-fece improvvisamente la biondina che, da almeno un’ora lo aveva inchiodato a sedere, per posare. Per fare un ritratto aveva detto, con la sua vocetta argentina.
Quel ricordo lo innervosì.
-Ditemi- rispose, tentando di non ringhiare per l’irritazione.
Ester lo fissò perplessa. –Siete un soggetto davvero apprezzabile, Mister Gillford. Mi mancava un ritratto maschile e voi eravate adatto-spiegò, mentre prendeva la gomma pane.
-Non potevate chiedere a quell’indiano?-chiese, senza preoccuparsi di essere scortese.
Ester scosse il capo.
-Mister Rashid deve lavorare e non posso chiedergli di perdere un giorno di lavoro dietro ad un mio passatempo. Voi invece eravate libero.-rispose tranquilla.
Cedric si morse il labbro.
-Non credete che anche io avrei delle cose da fare?-domandò, fissandola dritto negli occhi.
La signorina Escobar studiò l’acquamarina tempestosa di quelle iridi, incastrate in un viso dai lineamenti duri ed aggraziati. –Non credo che abbiate delle attività urgenti. A proposito-disse, fissandolo con curiosità- voi cosa ci fate qui?-
 
 
 
 
 
Oceane sorrise divertita.
-Ancora voi!-esclamò, trattenendo una risata dietro al guanto.
Igor la guardò, dall’alto della sua sagoma allampanata. –Vi duole tanto la mia compagnia?-chiese, con fare fintamente rammaricato.
-Affatto, Mister Browsky-rispose, tornando seria- ma non credevo che veniste a questo nuovo appuntamento. Il vostro lavoro è molto importante e non…-
Il russo scosse il capo.
-Non dovete preoccuparvi per questo. I miei collaboratori hanno ricevuto ordini precisi e sanno benissimo come muoversi in mia assenza…e poi sono curioso di conoscere le vostre impressioni.-disse, fissando i passanti.
Oceane ridacchiò di nuovo.
-Mister Browsky, vi burlate di me?-celiò, con una punta ironica e sarcastica.
Igor finse comicamente un inchino…e questa mossa fece ridere ulteriormente la donna. –Assolutamente no, Miss- rispose, guardandola con ammirazione.
Oceane gli rivolse un sorriso di circostanza.
-Cosa ne pensate se andiamo a vedere il Tempio delle Muse?-esordì, rompendo con maestria quel possibile momento- Mi hanno detto che ci sono delle sale di lettura.-
Igor annuì, sorridendo sul medesimo tono. –Naturalmente Miss, però gradirei essere informato. Ho come l’impressione di essermi comportato in modo irrispettoso. Se mai fosse così, avvisatemi, Miss Treville.-rispose comprensivo.
Oceane lo guardò.
-Sono molto contenta di avervi incontrato, Mister Browsky-rispose, prendendogli il braccio offertole- Sono davvero rari i gentiluomini sinceri.-
Igor ridacchiò.
Il russo non rispose.
Le porse il braccio e insieme all’istitutrice si incamminarono verso l’edificio.
Rispetto a quanto era accaduto giorni fa, non si dissero una parola. Rimasero in silenzio, ognuno preso dai propri pensieri.
 
 
 
Suor Lucia aveva visitato le chiese della città, non senza disappunto. L’eresia degli inglesi la angustiava non poco. Non condivideva nulla con gli anglicani e non si capacitava del fatto che suo padre avesse designato quelle nozze.
Come aveva potuto Don Escobar tramare una cosa del genere? Non riusciva a capacitarsene e non biasimava Donna De Rossignol, sua nonna, dell’astio che questi nutriva nei suoi confronti.
 
-Sono davvero desolata, Suor Lucia ma vostro padre non risiede più in Spagna-rispose la conversa, tenendo gli occhi bassi.
La monaca si fece rigida.
-Come è possibile?- domandò- E mia madre?-
Non aveva avuto molte lettere nelle ultime settimane. Si era sinceramente preoccupata di questo silenzio, anche perché Donna Honor non aveva mai mancato al suo appuntamento. La sua  assenza l’aveva messa in allerta.
Pilar si morse il labbro.
Era molto tempo che non vedeva la sua famiglia…poi un particolare attirò la sua attenzione. –Che cos’è questa lettera?-domandò, facendo sussultare l’altra religiosa.
La suora rimase immobile.
-E’per me?-domandò.
Lei ugualmente rimase muta. Pilar fremette. Quel silenzio sapeva di cupo presagio. Non le piaceva...e l’ansia la spinse a strapparle di mano la busta bianca. Lei glielo lasciò fare, come arresa.
Suor Lucia non badò a quel particolare.
Aprì la lettera…e desiderò non averlo fatto.
 
La monaca si fermò.
La via era intasata di persone che viaggiavano in direzioni diverse…ma lei non se ne curò. Aveva deciso di ritirarsi dal Mondo e non aveva rimpianti…a parte uno.
 
Soledad, la sua amata sorellina.
 
Cedric si chiuse la porta alle spalle, con uno sbuffo seccato. Aveva passato l’intero pomeriggio in posa, per permettere alla signorina Escobar di fare il suo ritratto…ed era stanco.
Non amava rimanere immobile e quasi non si capacitava di aver ceduto ai capricci di quella ragazzina.
Sono troppo buonosi rimproverò, con aria affranta.
Si era ripromesso di farsi gli affari suoi, di non piegarsi a quel genere di attività…ma alla fine si era lasciato convincere.
Mentre posava, aveva osservato la disegnatrice, la piega corrucciata che deformava il viso in una smorfia infantile e buffa. L’aveva studiata a lungo ed era giunto alla conclusione che la signorina Escobar non aveva niente di particolare…tranne una cosa.
Una personalità spumeggiante, per nulla tenuta a freno dall’etichetta. Aveva poi avuto modo di guardare le opere in carboncino.
Non poteva negare che fosse brava, malgrado non fosse un esperto di arte. L’aveva sentita parlare entusiasta dei vari ritratti, alternando la descrizione del tratto con cui l’aveva realizzati ad una serie di aneddoti sui personaggi raffigurati.
L’americano capì poco o nulla di quelle chiacchiere…ma la lasciò fare. Si era accorto di quanto potesse essere sola quella ragazzina. Come Ann fu l’immediata conclusione. Sua sorella usciva raramente dalla dimora e non aveva frequentato molte coetanee, a causa delle sue origini non inglesi…e Cedric, vedendolo, aveva deciso di lasciarla fare.
Così l’americano giustificava la sua inedita cedevolezza…o almeno ci provava.
 
Allora, il capitolo è venuto così. Abbiamo uno spaccato di Pilar…ed abbiamo Oceane e Igor che continuano ad incontrarsi nelle loro passeggiate. Io non dirò molto in proposito, a parte che il posto dove i due sono diretti era una biblioteca dotata di sale di letture. Detto questo, vi auguro di passare un buon week end.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** XXVIII ***


Bene. Questo è un nuovo capitolo e spero che vi piaccia. Io ringrazio come sempre tutti i lettori e proverò ad essere regolare nell'aggiornamento.

 

XXVIII

 

Oceane osservò il cortile del palazzo con una punta di divertimento. La servitù di Lady Mc Stone camminava frenetica da un punto all'altro, come se fosse una nidiata di formiche. Tutte nere, tutte scure e indaffarate nel loro compito.

-Milady, ammetto che la vostra abilità organizzativa è stupefacente-osservò, non appena notò il rumore ritmato del suo passo.

Soledad stirò le labbra in un sorriso matronale.

-Apprezzo i vostri complimenti ma non credo di meritarli. Il mio compito è mandare avanti questa casa e la memoria del mio defunto marito. Cerco di fare solo questo.- si schermì, senza distogliere lo sguardo dal cortile. -Mademoiselle Treville ho notato che l'istruzione di mia sorella sta migliorando, malgrado conservi ancora una patina d'istintività che potrebbe nuocerle.-

La francese tacque.

-Onestamente non credo che sia un limite comunque-proseguì la donna- non si può mutare completamente l'indole di una persona, anche se occorre un po'di astuzia in questo infelice mondo...per non perdere sè stessi. Continuate pure la vostra opera poché apprezzo il vostro tipo d'insegnamento.-

-Cosa intendete dire?-domandò, sgranando gli occhi.

Soledad stirò le labbra. -Che siete libera di applicare le vostre considerazioni in materia di educazione senza alcun limite. Nemmeno io apprezzo il modo in cui sono istruite le fanciulle inglesi. - rispose- Ho sposato uno scozzese ma resto comunque ai margini del mondo dorato della Buona Società. Proprio questa diversità mi rende meno obbligata a indossare la cultura che mi impongono ma non per questo mi impedisce di sfruttarla a mio vantaggio...e lo stesso deve fare mia sorella.-

Mademoiselle Treville inclinò il capo.

Nell'ascoltare quelle spiegazioni, l'istitutrice ebbe una prima risposta al perché avesse accettatto proprio lei per educare la signorina Escobar. Non era tra le migliori nel suo settore...e lei non aveva mai nascosto alla padrona di quella dimora questa sua eccentricità. Lady Mc Stone non pareva minimamente interessata a quel genere di cose. Le aveva dato carta bianca, ignorando tutto il resto.

Spesso la vedeva con la testa persa nei propri pensieri, sospesa in un luogo tutto suo.

 

 

 

Sarasa stava scendendo dalle scale, camminando silenziosa. Le ombre delle statue si allungavano sul pavimento marmoreo, disegnando fantasiosi arabeschi.

Stava controllando le disposizioni di fiori, quando si accorse di una sagoma alta e scura, vicina alla porta. Subito si fermò. -Buongiorno Rashid- salutò, con un filo di diffidenza, mentre toccava, con carezze studiate, i petali dei fiori.

Sentiva addosso quegli occhi neri come la pece...ma finse d'ignorarli. Non voleva dargli l'impressione di concedere qualcosa a quell'uomo, malgrado avesse da sempre l'impressione che fossero sguardi pesanti come pietre.

Il cuore batteva furioso e allora si sforzò di dare ogni sua attenzione ai fiori dei vasi, come era suo compito. La mano scura continuò a toccare i petali, in una carezza quasi ossessiva. Voleva che se ne andasse. Voleva che non fosse lì.

Lui non rispose.

Si limitò ad osservarla...e questo fu peggio delle parole. Odiava che gli altri la fissassero.

-La padrona ha bisogno di me?-chiese, studiandolo.

Rashid rimase fermo.

-Sì- disse dopo qualche momento. Fece un passo in avanti...a cui corrispose un'altro da parte dell'indiana, all'indietro. La distanza rimase identica.

-Non è vero.-mormorò la donna.

Rashid si bloccò.

-La padrona non ha bisogno di me- fece- cosa volete?-

Calò il silenzio.

I due indiani si fissarono silenziosi. Gli occhi dell'una si specchiavano nell'altro, in attesa...ma dalla bocca di Rashid non uscì alcun suono. -Se non avete nient'altro da dirmi che non riguardi Lady Mc Stone, vi prego di andarvene e di lasciarmi al mio lavoro.- riferì lapidaria.

Rashid si morse il labbro.

Lei non aspettò oltre...e se ne andò.

Ed il sikh rimase solo, con il rumore dei passi sul pavimento di marmo.

 

 

 

 

 

 

Ester osservava in silenzio la propria camera. Aveva passato il pomeriggio insieme all'ospite. Più volte era stata presa dalla tentazione di domandargli perché fosse in quella casa...ma all'ultimo ci aveva rinunciato. Non sapeva perché ma qualcosa la spingeva a mettere a tacere la sua curiosità.

Pudore, forse...oppure, molto più semplicemente, la consapevolezza che quella distanza che la separava dagli altri non era solo un'invezione della mente e che, forse, era più inglese degli stessi inglesi, quanto ad etichetta.

 

 

-Fatemi uscire! Fatemi uscire, in nome di Dio!- esclamò, mentre prendeva a pugni la porta.

Sentiva fuori le risatine delle sue compagne di collegio. Erano ancora lì, pronte a prenderla in giro.

Picchiò ancora la porta, tentando di farsi sentire, nella speranza di essere soccorsa. I colpi rimbombarono nella stanzetta buia.

-Ester non fare rumore- disse una voce.

La signorina Escobar si fermò un momento. -Milly?- chiese incerta.

-Certo, sono io- rispose questa.

A quella conferma, la bionda sospirò di sollievo. Aveva fatto amicizia con la sua compagna di stanza, l'unica a non averla mai trattata in modo sgarbato. Ester si fermò. Perché era lì?

-Milly, fammi uscire di qui, ti prego!- esclamò, avvicinandosi alla porta.

Nessuno rispose.

-MILLY!- strillò di nuovo.

-Mi dispiace ma non posso aiutarti- rispose questa- Lucy e le altre mi hanno ammesso nel loro gruppo.-

Ester si bloccò di nuovo.

Sentire il nome delle figlie dei genitori più facoltosi della scuola gettò in lei dei brividi. Strattonò con violenza la porta, sprangata dall'esterno. -Milly, ti prego. Aiutami!- la supplicò di nuovo, urlando con quanto fiato aveva in gola.

Lei l'avrebbe soccorsa.

Non dubitava che lo avrebbe fatto...il suono della risata ruppe il flusso dei suoi pensieri. -Non ho nessuna intenzione di farlo- fece- Lucy mi ha permesso di entrare nel suo gruppo. Come puoi pensare che ora voglia rovinare quello che è il mio sogno?-

La bionda si bloccò.

-Milly, siamo amiche da anni...-provò a dire...ma la risata oltre la porta frenò tutto il resto.

-Non è vero Ester...tu eri la cosa meno peggio che potessi avere...perché rinunciare al mio sogno per un'eretica cattolica che nessuno vuole. Anche tu faresti così. Non hai nessun diritto di biasimarmi.- disse, prima udire i suoi passi svanire nel corridoio.

 

Ester si appoggiò al bordo della finestra.

Non amava ricordare quell'episodio. Era il più sgradevole della sua infanzia. Da allora, non aveva più legato con nessuno, limitandosi ad essere più inglese degli inglesi. Si chiese perché avesse fatto quella richiesta all'ospite di sua sorella. Lo vedeva gironzolare per la tenuta ma le sue maniere disinvolte la lasciavano perplessa.

Non aveva visto molti coetanei...malgrado non avesse mai nutrito desiderio di conoscerli. Il ricordo che aveva avuto l'angosciava tuttora. Aveva sperimentato come la grettezza intaccasse le giovani menti, quelle apparentemente più propense alla sincerità.

Istintivamente scosse il capo.

Odiava i ricordi...a parte quelli che aveva passato insieme alla sua Soledad.

 

 

L'orologio batteva i minuti con ritmo regolare.

La sagoma dell'indiana era di fronte a lei. Accadeva di rado ma tutti sapevano quanto la padrona della dimora fosse affezionata alla sua cameriera personale.

-Ho notato che stai provvedendo accuratamente alle richieste che ti faccio. La tua efficienza è encomiabile.- disse la prima, fissando i fogli che aveva tra le mani.

-Vi ringrazio-rispose compassata l'altra.

Soledad lasciò le carte.

-Perché hai concesso la tua giornata libera all'addetta alla lavanderia?-chiese di nuovo, posandosi una mano sotto il mento.

Sarasa non batté ciglio.

-Mary ha avuto una lieta notizia. Sua sorella ha dato alla luce un bambino e volevo permetterle di andare di persona a congratularsi con lei.-rispose questa, senza abbassare lo sguardo.

La padrona non rispose.

Si limitò a soppesarla con lo sguardo. Da quando era giunta in Inghilterra, quella serva non era mai uscita dalla dimora del suo consorte. Al massimo si perdeva in lunghe passeggiate nei giardini della casa, mantenendosi in una posizione defilata.

-Perché non approfitti per andare un po' a Covent Garden?- domandò Soledad- Ho saputo che ci sono dei negozi molto gradevoli.-

L'indiana abbassò il capo.

-Capisco. Non ti forzerò, se non vuoi.-proseguì l'altra, aprendo un cassetto- ma ti prego di prendere questo, anzi te lo ordino.-

Sarasa ebbe un sussulto.

 

 

Era una scatola di metallo argentata, con fini disegni sulla superfice. Tremante la afferrò.

-Che cos'è?-domandò.

-E'un unguento, per ammorbidire le tue cicatrici. La pelle è molto secca.- disse- Ho saputo che questa crema è efficace, almeno per quanto riguarda le ustioni da fuoco.-

L'indiana si bloccò un momento.

-Vi ringrazio, mia signora.-disse soltanto.

Soledad la guardò.

-Non hai motivo di farlo. Siete una persona a me molto cara.-mormorò- Ed io fo sempre tutto ciò che è in mio potere per aiutare le persone che mi sono care.-

Sarasa chinò il capo.

C'erano momenti in cui sostenere una conversazione con la padrona del palazzo si rivelava un'operazione impossibile...e quello era certamente uno di quelli. Aveva una signora nobile e giusta...anche troppo per una come lei.

 

 

 

 

Soledad sentì la porta chiudersi. La sua cameriera era uscita, in silenzio. Con calma posò la penna. -Ho consegnato il dono che voi avete comperato per lei, Rashid- disse, fissando un angolo buio dello studio.

Il sikh uscì dal suo nascondiglio.

-Vi ringrazio.-rispose compito.

Lady Mc Stone sospirò seccata.

-Non capirò mai la vostra diffidenza. Indiani, sikh...per me siete tutti uguali. Ho conosciuto tre Paesi diversi, se non considerate le razze che ora sono al mio servizio- fece, scuotendo il capo- ammetto però che è molto difficile far fronte alle situazioni che la sorte ci pone davanti ed è ancora più arduo non perdere di vista sé stessi.-

Rashid tacque.

-So che voi sikh non tenete in nessun conto il sistema di caste-mormorò, come sovrappensiero- ammetto che a volte non vi capisco.-

Ugualmente silenzio. -Ci sono momenti in cui mi sento molto in sintonia con Sarasa...forse perché sento bene la differenza, come lei del resto. Voi invece avete una mente più libera, anche se ai miei occhi di europea, non siete diverso dalla mia cameriera.-mormorò- Come mai?-

Rashid si accarezzò il mento.

-La mia religione mi impone di trattare con benevolenza uomini e donne alla medesima maniera...ecco perché non posso approvare le caste, come le convenzioni di voi inglesi. Siete diversi da me e lo accetto...ma non condivido.- rispose pacato.

Soledad chiuse gli occhi.

-A volte vorrei avere la vostra grandezza d'animo e guardare il Mondo con i vostri occhi, Rashid.- rispose, fissando malinconica la luce della finestra.

 

Allora, qui abbiamo un altro spezzone dei vari personaggi. Io non nego che amo gli intrecci e le storie corali. Le preferisco assolutamente. In ogni caso, il passato di Ester non è tutto rose e fiori come vedete. Le sue origini francospagnole hanno pesato di brutto.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** XXIX ***


Benvenuti, cari lettori. Scusate il ritardo ma ho avuto diversi impegni. Chiedo venia per questo. Ripeto nuovamente che il mondo di queste due sorelle è borderline rispetto agli inglesi.
Ora però vi lascio a questo nuovo capitolo, sperando che la cosa vi aggradi.
 
XXIX
 
 
Brennan si versò un bicchiere di liquore.
La stanza brulla della propria dimora era avvolta nella lieve penombra del crepuscolo. Nemmeno la luce dei lampioni a petrolio sulla strada bastava a rischiarare il tutto.
Aveva fatto molti giri nelle vie di Londra ma del ragazzo, nessuna traccia.
Pareva come sparito...poi, una volta tornato nella sua dimora londinese, aveva ricevuto un invito. Proveniva da Lady Mc Stone, la vedova di suo fratello.
Lo scozzese si rigirò il foglio tra le mani più e più volte.
Che fare? Accettare la cosa e presentarsi al ricevimento di quell'ex cantante di lirica?Oppure negare, fin quasi allo sfinimento pur di mantenere fede alla volontà di non accondiscendere a quella richiesta? Mc Kenzie si passò una mano sulla fronte. Non sapeva cosa pensare, come muoversi, come evitare quell'incontro. Sentiva l'animo in tumulto, all'idea di dover frequentare quegli individui.
Conosceva di vista quella donna ma non l'aveva mai sentita cantare. Non aveva mai avuto orecchio per le note, questa era la verità.  Eppure, il pensiero di doversi presentare a quella festa lo rendeva inquieto.
 
 
 
 
L'abito pomona green le fasciava il corpo giovane con la stessa naturalezza di un guanto.
-Miss, siete incantevole-fece Emma, con sincera ammirazione.
La particolare tonalità di verde esaltava la massa di riccioli biondi, acconciati in una comoda ed elegante pettinatura. Un paio di guanti bilanciava il tono generale dell'abito, adatto ad un ricevimento informale.
Nel complesso, era un insieme grazioso di forme e colori primaverili. Ester stirò le labbra, nel tentativo di mostrarsi entusiasta della cosa...ma quella felicità, dovuta semplicemente alla consapevolezza che stavano per lasciare quella casa raggiunse solo superficialmente il suo cuore.
Per quanto la sua cameriera le facesse i complimenti, Ester non ci credeva molto. Qualcosa le impediva di farlo, simile ad un pungolo. -Emma- fece, rompendo la serie di lodi della giovane- voi credete che Mr. Gillford verrà al ricevimento?-
Emma tacque un momento...prima di sorridere.
-Credo che Lady Mc Stone gli abbia chiesto di accompagnarvi.-rispose l'altra, come se in quelle parole vi fosse un messaggio nascosto.
La sedicenne annuì meccanicamente, mentre l'informazione si depositava nel suo animo...insieme ad un profondo malessere. Con lentezza si accarezzò il petto, tentando di tranquillizzarsi. Lo faceva spesso, come se il corsetto potesse comprimere il busto in una morsa innaturale.
Ripeté quel gesto alcune volte, come se quell'azione potesse sciogliere l'angoscia che l'attanagliava, mista ad un senso di delusione nei confronti di sua sorella. A quanto pareva, per quante promesse le avesse fatto, era chiaro che anche lei era una donna.
Quel pensiero la mise di pessimo umore.
E c'era una sola cosa che doveva aspettarsi: il matrimonio.
Con chi, però, era una domanda che ancora non riusciva a soddisfare. Sua madre aveva intenzione di venderla ad un vecchio...ma sua sorella?
Con queste riflessioni, raggiunse il cortile.
Tutto d'un tratto, il pensiero di essere bella o brutta non la turbò più.
 
 
Una volta uscita dal palazzo, notò con sorpresa che c'erano due carrozze. Soledad le dava le spalle, girando tra le mani un grazioso ombrello color pulce, abbinato all'abito. La chioma castana riluceva sotto i raggi del sole. - Perdonatemi per il ritardo- fece, chinando la testa.
Lady Mc Stone si girò, regalandole uno dei suoi tiepidi sorrisi.
-Siete incantevole- fece- il modello vi dona in modo superbo.-
La più giovane arrossì, a disagio per quel complimento. -Grazie-mormorò.
-Mister Gillford verrà con noi. Ho pensato che una giornata fuori da questa dimora potrebbe essere utile per rimetterlo in forze, non credete?-esordì, con naturalezza.
Ester sussultò.
-Ma...è proprio necessario?-chiese, tentennando in un modo che lei stessa trovò odioso.
Come poteva mostrarsi timida, in un momento tanto importante? Per un momento, stentò a riconoscersi. Aveva messo da parte il pudore nell'istante in cui aveva compreso quanto potesse essere dannoso mostrarsi deboli. -Ester- fece la maggiore- Madame Pertignac ha espresso il desiderio che ci fosse un accompagnatore. Inoltre, è possibile che troveremo la famiglia del nostro ospite assai prima, spingendolo ad uscire...oppure volete tenerlo tutto per voi?-
A quelle parole, Ester arrossì, più per la rabbia che per la vergogna. Sua sorella aveva rigirato la domanda con una naturalezza tale da lasciarla sgomenta...ma si riprese subito. -Anche voi, avrete un accompagnatore?-domandò, fissandola in segno di sfida.
Soledad però non le prestò attenzione.
Qualcosa aveva catturato il suo sguardo.
Ester si girò...e le parole gli morirono in bocca.  Davanti a lei era comparso un uomo alto ed imponente, con un fisico massiccio, tipico di chi passa il tempo all'aria aperta. Un viso dai lineamenti massicci era incorniciato da una chioma scura, perfettamente alla moda, come l'abbigliamento. La signorina Escobar lo guardò a lungo. Era un gentiluomo dall'aspetto magnifico...eppure, malgrado fosse indiscutibilmente bello, si sentiva frenata.
Subito si riscosse.
Non aveva intenzione di farsi intimidire da nessuno, nemmeno da quello sconosciuto. -Ester, permettetemi di presentarvi Brennan Mc Kenzie, vicino della tenuta scozzese del mio defunto marito e suo fratello di latte-disse garbata la maggiore, prima di voltarsi- Mylord, permettetemi di presentarvi Ester Flore Escobar, mia sorella.-
Lo scozzese la squadrò.
-Non vi somiglia molto.-fu la sua replica, portando lo sguardo su Soledad.
A quelle parole, cadde il silenzio.
-Lei è mia sorella, Lord Mc Kenzie- fece la donna, con determinazione-Verrà con me alla festa di Madame Pertignac.-
Lo scozzese inarcò la fronte.
Ester notò quella mascella irrigidirsi di colpo, accompagnata da un profondo silenzio, come se volesse e non volesse dire qualcosa a lei completamente ignoto.
-Ebbene accompagnerò costei al ricevimento di quella Divina-fu la conclusione dell'uomo.
Lady Mc Stone si fece seria.
-Mia sorella ha già una compagnia, assai più appropriata della vostra.-fu la risposta, pronunciata con una durezza che fece ghignare il nuovo arrivato.
-In questo caso, spero che sarà un buon conversatore-commentò questi, salendo di nuovo sulla carrozza.
Soledad lo guardò sparire all'interno.
-Ester, vieni con me-fece, invitandola a salire sul mezzo rimasto.
La giovane Escobar obbedì passivamente a quel fermo invito. Lo scambio di battute tra Lady Mc Stone e quello scozzese l'avevano lasciata interdetta. In vita sua, non aveva mai percepito una simile durezza nella voce della sorella...così come non le era sfuggita quell'emozione repressa che aveva percepito nel tono dell'altro. Un baluginio soffocato che scosse nel profondo il suo animo di artista.
 
 
Cedric aveva occhieggiato l'incontro, nascosto dietro la tendina della carrozza.
-Come mai non avete salutato quel gentiluomo, Mr. Gillford?-chiese Lady Mc Stone, dopo essersi accomodata sul mezzo, accanto alla signorina Escobar.
L'americano la squadrò.
-Vi state burlando di me?-chiese.
Soledad lo fissò a sua volta, con una punta d'ironia che l'altro non condivise.
Cedric ringhiò, stringendo le mani in un pugno fino a far sbiancare le nocche. -Sapete chi è quell'uomo?-chiese-E'stato uno studente della Eton ed ora mi starà sicuramente cercando. E'conosciuto per la testardaggine con cui persegue tutti gli obbiettivi. Ha persino collaborato con i bow street runners, per quello che ne so. Volete nuovamente consegnarmi a quegli snob di inglesi?-
Ester si voltò di scatto verso la sorella, in cerca di spiegazioni ma lei non la degnò di uno sguardo.
-Avete 19 anni, Mr. Gillford e quando vi ho trovato ho riconosciuto subito la divisa. Le vostre ferite sono guarite ed ora non c'è ragione per cui non possiate tornare a scuola...anzi, vi consiglio caldamente di farvi ritorno. Avete anche voi una famiglia che è preoccupata per la vostra sorte.-gli rispose, fissandolo con quegli occhi verdi quasi senza fondo.
Lo yankee non ribatté e per tutta la durata del tragitto rimase in silenzio.
 
 
 
La residenza di Madame Pertignac era ormai alle porte.
La costruzione, di età georgiana, era circondata da un giardino all'inglese, delimitato da un alto cancello. Ester lo guardò con ammirazione. A differenza della villa dei Mc Stone aveva tratti raffinati e composti, senza quella patina di freddezza che continuava a sentire nella dimora della sorella.
Guardò allora l'americano, badando bene di non farsi vedere. Da quando sua sorella aveva parlato, si era rinchiuso in un mutismo impenetrabile.
Pareva non aver preso bene il consiglio di Soledad...e lei non osò aprire bocca per intavolare una conversazione. Non subito, almeno. Non con la presenza della Lady a pochi centimetri di distanza.
Ester si fissò le mani.
Per qualche ragione che le era ignota, ebbe l'impressione che la sorella avrebbe reso vana e poco sincera la risposta che l'americano le avrebbe dato, nel caso in cui gli avesse chiesto delle spiegazioni di quel comportamento.
Così non disse niente...ma non poté scrollarsi di dosso l'ansia di sapere.
 
Scusate il ritardo. Spero che il capitolo vi piaccia...come la sorpresa. Brennan non ha ancora incontrato Cedric ma è chiaro che è solo questione di un capitolo. Vorrei ringraziare tutti color che mi hanno letto e recensito. Alla prossima.
 
 
 
  

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** XXX ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Ringrazio tutti i lettori ed ora vi lascio a questo nuovo passaggio della storia.
 

XXX


Cedric occhieggiava il tutto con estremo nervosismo, sentendosi per l'ennesima volta in trappola. La residenza della Divina era una graziosa villa in stile georgiano, circondata da fiori e siepi che proteggevano la casa dalla strada.
La luce illuminava le statue che intervallavano la sequenza di aste di ferro che fungevano da cancello, rendendola luminosa e confortevole...ma questa parvenza rassicurante non bastava a placare la tensione dell'americano che, guardingo, occhieggiava l'uscita.
Quando la carrozza si fermò, fu il primo a scendere e, dopo aver aiutato Lady Mc Stone e la signorina Escobar indugiò un po'prima di voltarsi. Dall'altro mezzo era sceso l'accompagnatore di colei che lo ospitava...e non riusciva a togliersi di dosso l'ansia.
-Buongiorno, Lord Mc Kenzie- fece la vedova Mc Stone- spero che il viaggio sia stato di vostro gradimento.-
-Non amo le carrozze-proferì l'altro- ma non potevo venire a cavallo.-
Soledad annuì, prima di voltarsi nuovamente verso il giovane. -Lord Mc Kenzie- disse, allungando la mano verso l'americano- permettetemi di presentarvi lo chaperon di mia sorella Ester. Si chiama Cedric Gillford e frequenta l'Eton College.- fece, ignorando lo sgomento dell'americano e l'espressione illeggibile dello scozzese.
-Piacere di conoscervi-disse quest'ultimo ed il diciannovenne annuì meccanico, come un asino sotto la mano del padrone...ma dentro fremeva d' irritazione.
In pochi secondi, la dama che lo aveva ospitato gli aveva volto le spalle, incurante delle ragioni per cui era finito nella sua casa.
Ester la accompagnò, non senza lanciare all'americano uno sguardo perplesso. Lui però pareva come congelato in un'espressione di rabbia e impotenza, tanto da impedirle di chiedere spiegazioni. Così, quasi annichilita da questa verità, seguì la sorella, non mancando di chiedersi cosa fosse successo per cambiare lo stato di cose a tal punto e così repentinamente...e lasciando i due uomini da soli.
 
 
 
 
 
 
-Vedo che state molto bene-esalò infine lo scozzese, rompendo la bolla di stasi.
Cedric lo guardò con cautela, come se avesse di fronte qualche bestia feroce. -Grazie- disse ma entrambi sapevano che non erano quelle le parole che aspettavano.
-Siete sparito da diversi giorni...-buttò lì lo scozzese.
L'americano si fece rigido.
-State rischiando di essere espulso dalla Eton e questo fatto segherebbe irrimediabilmente le vostre possibilità di affermarvi in Inghilterra.- fece Lord Mc Kenzie.
-Non mi interessa niente di questo posto. Non sono cose che mi riguardano.-ribatté l'altro...prima di essere inchiodato dallo sguardo di gelo del più grande.
-Parlate troppo scioccamente, senza tener conto della reale pericolosità delle vostre affermazioni. Ricordate che bisogna sempre rendere conto del proprio operato.- fece lugubre- In ogni caso, dopo la festa, voi verrete con me e risolveremo la questione.-
L'americano lo guardò, non senza rabbrividire.
Si raccontavano molte cose di quello scozzese. Si diceva che avesse ereditato la fortuna del nonno, pur avendo davvero molto poco in comune con quest'ultimo, dopo la fine della madre, un'umile domestica morta di parto. Si diceva che non avrebbe tratto alcun beneficio di quell'eredità, se la morte di tutti i possibili eredi non avesse spinto il patriarca a riconoscerlo.
Una storia come tante, insomma.
-E voi quale ruolo avete in questo sistema di rendiconti?-domandò infine, non riuscendo a trattenersi.
Brennan stirò le labbra in un'espressione quasi inquietante. -Tutto e niente, mr. Gillford ma, dal momento che sono costretto a ricondurvi al collegio, la vostra docilità potrebbe evitare molti inconvenienti...soprattutto con vostro zio.-rispose.
Cedric lo guardò.
-E sia- proferì infine- non sia mai che per colpa di voi inglesi la mia famiglia paghi-
L'altro scosse il capo, sghignazzando.
-Io non sono inglese-lo corresse- sono scozzese.-
L'americano alzò le spalle, con assoluta noncuranza. -Gallesi, scozzesi, inglesi...per me che sono uno yankee venite tutti dalla stessa isola-rispose, suscitando, quasi senza volerlo, l'ilarità lugubre dell'altro.
-Davvero divertente la vostra schiettezza- fece, avvicinandosi a lui -ma il mondo si fonda sulle differenze, che voi lo vogliate o no. L'uguaglianza, la libertà, le fraternità...tutte queste belle parole svaniscono miseramente quando entra in gioco il denaro.-
Cedric non fiatò.
-In ogni caso, americano-riprese l'altro con un tono flemmatico e gelido- godetevi questa festa...domani tornerete in collegio.-
 
 
 
 
Ester osservava la lunga galleria di paesaggi arcadici.
Erano piacevoli, con le loro tinte di luce...e si chiese quale tecnica avessero usato.
-Sono belli, non è vero?-domandò una voce bassa e gradevole.
Lei si girò, arrossendo appena per essere stata colta in quella contemplazione che sentiva da sempre come qualcosa di intimo.
Di fronte a lei, vide una ragazzina della sua età dalla folta chioma scura. Aveva due grandi occhi neri e dei lineamenti lisci e cesellati. Indossava una graziosa veste color pesca che esaltava la carnagione avorio. -Sì- rispose, abbassando lo sguardo.
La vide avvicinarsi, con fare sommesso.
-Questa collezione è dono di alcuni ammiratori di mi madre. E'stata una grande cantante lirica, quando era più giovane- spiegò, facendo scivolare le dita lisce a poca distanza dalla tela.
Ester la seguì con lo sguardo, con un'espressione sorpresa.
-Mi chiamo Viola Pertignac- fece questa, rendendosi conto della gaffe- perdonatemi per la mia disattenzione. Non volevo offendervi ma non sono abituata...a parlare con chi ha più o meno la mia età.-
La bionda sorrise per quella schiettezza.
Lo stesso vale per meavrebbe voluto dire...ma rispose, divertita da quel medesimo desiderio. -Mi chiamo Ester Flore Escobar e sono la sorella minore di Soledad Blanca Mc Stone.-fece -Piacere di conoscervi.-



Madame Pertignac seguiva divertita la festa che aveva organizzato. Un gruppo di musicisti eseguiva pezzi di archi, creando un'atmosfera piacevole e garbata. Avvolta nel suo abito azzurro scuro, la dama camminava, dispensando saluti e parole di circostanza, con un sorriso soddisfatto...poi l'occhio le cadde su due sagome.
Erano  un uomo ed una donna.
Lui se ne stava rigido e altero, con quel kilt blu e verde.
Lei, invece, indossava un abito color pulce e pareva come in posa, con quel vestito  che le sottolineava, forse inconsapevolmente le forme.
A quella vista, si avvicinò. -Lady Mc Stone, è un piacere per me incontrarvi-disse- Lord Mc Kenzie, sono onorata della vostra visita. Le distillerie che avete aperto come procedono?-
-Splendidamente-rispose questi, senza guardare la donna accanto a lei-gli affari sono abbastanza redditizi...merito della sete degli inglesi.-
Madeleine rise sonoramente.
-Mi mancava il vostro umorismo-rispose, occhieggiando la sala- così tagliente e schietto...-
Brennan stirò le labbra.
-Lieto che la cosa vi aggradi. Far ridere una dama è una prerogativa di ogni gentiluomo degno di questo nome.- fece con un sorriso arcaico in volto.
La Pertignac rise di nuovo.
-A proposito-domandò- ancora problemi con i vicini?-
Madeleine sbuffò.
-Oh, quello- sospirò- continua a lamentarsi del fatto di abitare accanto a me. Vi assicuro che non ho creato nessun problema a quel bigotto...eppure continua a lamentarsi. Non mi ha mai incontrato ma tira sempre in ballo lo scandalo che, alla fine, ha rovinato solo la mia vita. Se non fosse stato per vostro fratello Alistair, adesso mia figlia ed io saremmo in qualche casa di piacere.-
A quelle parole seguì il silenzio.
Vedendo che l'altro non rispondeva, Madame Pertignac si prese la briga di osservarlo. -Parola mia, non mi aspettavo di vedervi qui-fece, fissando la stanza per poi concentrare la propria attenzione su un punto- ma sono contenta che siate venuto. A furia di stare nelle vostre Highlands rischiate di diventare come quegli indigeni strani e barbari-
Brennan strinse le labbra, incassando la garbata critica della divina. -A cosa dobbiamo questa festa?-domandò, tentando di sviare il discorso.
Madeleine rise di nuovo.
-Elusivo come al solito- fece, prima di cambiare tono- oggi mia figlia Viola compie sedici anni ed ho ritenuto giusto festeggiare questo compleanno in modo consono. Non siamo graditi al Ton e volevo alleviare la solitudine della mia bambina.-
Lo scozzese non ribatté.
All'epoca dei fatti era in Scozia, nella sua tenuta isolata. Non sapeva niente della questione e nemmeno gli interessava, ad onor del vero...ma rispettava troppo le decisioni di Alistair per condannare la sua scelta.
Poi si udì un brusio che catturò la sua attenzione.
Si girò e vide la figlia di secondo letto di Don Escobar, insieme ad una ragazzina dall'aria gentile e timida.
-Oh- fece madame Pertignac- a quanto pare, mia figlia ha fatto la conoscenza della sorella minore di Lady Mc Stone.-
Brennan non disse niente.
La sua attenzione era concentrata su quel fisico di silfide, quell'innocenza vagamente ingenua che non aveva mai scorto sul viso della moglie di suo fratello...e provò rabbia per questo.
L'ira nei confronti della donna che aveva ereditato la fortuna di Alistair rischiò di travolgerlo per un breve momento...ma alla fine prevalse l'autocontrollo. Fu allora che vide l'americano aggirarsi furtivo nella sala...a quella vista stirò la bocca, malevolo.
-Perdonatemi, Madame, ma devo congedarmi.-disse, allontanandosi con passo ferino verso la giovane sagoma che camminava guardinga a pochi metri da lui.
 
 
 
Cedric si era avvicinato al buffet.
Attorno a lui, c'erano delle persone che non aveva mai visto. Tutte eleganti e distinte...ma con una disinvoltura che non apparteneva affatto al temperamento ingessato dei ricevimenti che aveva iniziato a frequentare. Prese uno dei sandwich al salmone che campeggiavano sui tavoli e, con un'espressione neutra, iniziò lentamente a masticarlo.
Il sapore del pesce affumicato non lo entusiasmava molto ma si era abituato a quel tipo di cucina. Alla lunga, diventava avvezzo a tutto.
-Mr. Gillford-disse una voce tenebrosa, accompagnata da una mano forte che gli arpionava la spalla.
L'americano increspò la fronte.
-Lord Mc Kenzie-fece, continuando a mangiare-vedo che avete tratto profitto dalla conversazione con la padrona di casa. Avete amicizie influenti.-
Brennan stirò le labbra. -In verità, è solo una persona che ha beneficiato dell'ingenua bontà di mio fratello...la più innocua, senza ombra di dubbio.- sibilò tagliente...ma l'altro non si fece intimorire.
-E'il prezzo del potere-ribatté serafico l'altro- ad ognuno il suo.-
A quelle parole, lo scozzese scoppiò in una risata sonora, che fece voltare molte persone.
-Il mio umorismo vi diverte?-chiese Cedric, inarcando la fronte.
Brennan si fece subito serio.
-No-rispose lapidario- ma sempre meglio del solito cicaleccio.-
L'americano inclinò la testa, studiando critico colui che era soprannominato Il Mastino all'interno dell'istituto. -Suppongo che verrò espulso dalla Eton, dico bene?-fece questi, come se fosse un dato di fatto.
-Vi dispiacerebbe?-rispose questi.
Cedric alzò le spalle.
-Sono sparito dalla scuola per molti giorni...-buttò lì, senza dire quello che l'altro voleva sapere.
Brennan lo guardò in tralice.
-Potrei intercedere per voi-fece, scatenando l'occhiata scettica del giovane Gillford.
-Cosa volete in cambio?-chiese, guardingo.
Lo scozzese occhieggiò la sala, fissando i vari presenti. Tutti loro erano coinvolti nelle conversazioni più varie...poi ci fu un momento di silenzio. La padrona di casa attirò l'attenzione generale e, con un discorso che nessuno dei due udì davvero, fece venire, tra il piccolo gruppo di musicisti ingaggiati, una ragazzina mora. Questa fece un leggero inchino e, accomodatasi su una sedia, prese un violoncello.
Per un momento, regnò il silenzio...poi la musica partì.
 
 
 
Ester guardava affascinata la giovane musicista.
-E'Vivaldi- le disse una voce pacata, comparsa all'improvviso nell'aria rarefatta dell'esecuzione- e come vedi c'è un pianoforte che accompagna la giovane.-
La ragazza si girò, incontrando l'espressione materna della padrona di casa. -E'molto brava-proferì, spostando di nuovo la sua attenzione sulla sua coetanea.
Madame Pertignac sorrise.
-Viola è un'eccellente musicista di violoncello. Ha l'orecchio assoluto ed è davvero una gioia per me poterla ascoltare. Ho fatto il possibile per educarla nel migliore dei modi e spero che diventerai una sua buona amica. Mi ha parlato molto bene di voi.- disse, facendo arrossire la giovane.
-Grazie- rispose, a disagio per quella rivelazione.
-Mi farebbe molto piacere se tornaste a trovarci per qualche visita di piacere. Mia figlia è spesso sola e non approvo questo isolamento-continuò lei, sorridendo con grazia ai presenti.
Ester non comprese.
-Naturalmente-aggiunse lei- può venire anche il vostro fidanzato.-
La ragazzina sgranò gli occhi.
-A chi state alludendo?-domandò, alzando senza volerlo la voce.
Madeleine ridacchiò.
-Al giovane americano che vi ha accompagnato...quel bel ragazzo che si è ritirato con quello scontroso di Lord Mc Kenzie.-continuò lei, come se fosse ovvio.
Ester si fece pallida.
Non poteva essere...
Sua sorella non poteva aver fatto una cosa del genere.
Il cuore cominciò a battere furioso, più rapido del respiro che si tramutò in affanno.
-Signorina Escobar?-domandò la dama con preoccupazione.
Quella fu l'ultima cosa che la bionda udì, prima che il buio calasse su di lei, inghiottendo tutto.
 
Bene. Credo che questo capitolo per il momento basti. La festa non è ancora finita ma le cose si fanno ingarbugliate. Soledad non ha ancora messo a parte la sorella di questa mossa ed i timori di Ester, palesati nel precedente capitolo si fanno concreti. I guai comunque sono alle porte. Nuovi personaggi fanno la loro comparsa e nuovi sviluppi modificano la situazione, rischiando di rompere tutto.
Voglio inoltre rassicurare lucetruce sulla sua storia. Puoi svilupparla come meglio credi, con i personaggi che vuoi...io non penserò mai che è copiata dalla mia perché non lo è. Questa storia è profondamente diversa per cui sentiti pure libera di pubblicare i capitoli che preferisci.
Non so se la mia risposta ti è arrivata perché ho avuto dei problemi che ho spiegato sul mio blog da cui puoi accedere dalla pagina utente.  

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** XXXI ***


Salve a tutti, cari lettori e benvenuti a questo nuovo appuntamento con questa storia. Non so effettivamente quanto durerà il tutto ma spero che il racconto continui a piacere. Nel precedente capitolo, abbiamo visto alcune cose ed ora ci apprestiamo ad avere una nuova avventura dei nostri personaggi.

 

Cedric si sentiva in trappola.

Da quando aveva parlato con Lord Mc Kenzie, non riusciva a togliersi di dosso la spiacevole sensazione di essere ormai spacciato. Teso, si guardava in giro, con la rabbia repressa di avere la propria vita segnata, la libertà ormai compromessa.

Non ebbe comunque modo di rifletterci troppo.

Un improvviso clamore lo distolse dal desiderio di ribellarsi a quello scozzese che, insieme a suo zio e sua madre, volevano decidere della sua vita.

-Presto!-esclamò una donna, con voce chioccia- Chiamate un medico. Una ragazza è svenuta.-

Si udì un vocio, un tramestio di toni angosciosi.

-Che sta succedendo?-domandò, non riuscendo a dire altro.

Brennan gli rivolse un’occhiata distratta. –Uno dei fastidi che succedono a questi ricevimenti. La moda pretende il suo tributo.-commentò incurante, prima di accigliarsi, non appena vide la chioma d’autunno della vedova di Alistair. –Forse è meglio se andate là-rispose, attirando l’attenzione dell’americano che, al cenno dello scozzese, guardò nella direzione che questi gli aveva indicato…e sbiancò.

-Dovete andare là, giovane americano. La vostra fidanzata si è sentita male.-lo esortò, con un tono beffardo.

Cedric si accigliò. –Lei non è la mia fidanzata.-ribatté piccato.

Brennan ghignò malevolo. –Non è una vostra decisione. Checché ne possiate dire o fare, voi non avete nessun potere per cambiare questo stato di cose. Tutto dipende da vostro zio e da Lady Mc Stone…voi non siete nessuno. Potete pure evitare di farvi vedere con lei…ma questo non muta l’accordo e, se siete un uomo, dovete comportarvi di conseguenza.- disse, ambiguo.

Lo yankee non rispose.

Fissò il viso pallido della signorina Escobar…e poi partì, dritto verso di lei.

 

 

 

 

 

Soledad era accorsa immediatamente, interrompendo la conversazione che aveva intrapreso con alcuni poeti e artisti che Madame Pertignac era solita ricevere nella sua casa. Aveva visto la sagoma sottile di Ester afflosciarsi al suolo come una foglia secca…e a quella vista, si era precipitata verso di lei.

-Cosa è accaduto?-domandò.

Madeleine era accovacciata verso la ragazzina, mentre tentava disperatamente di farle aria. –E’svenuta.-fece, ancora intenta a rianimarla un po’-Presto! Conducetela nel salottino attiguo. Tutte queste persone non le fanno bene.-

Soledad si fece di marmo.

-La porto io-disse l’americano, scatenando l’occhiata perplessa di Madame Pertignac.

-Ne siete certo, Mister Gillford?-domandò lei, con tono diffidente. Malgrado sapesse, non era comunque un atteggiamento appropriato.

Cedric non rispose.

-Fatelo allora- fece Lady Mc Stone con un sospiro, interrompendo quello stato di cose. L’americano, a quel permesso, la prese in braccio. Il corpo della signorina Escobar si adagiò morbido, nell’abbandono dell’incoscienza…ma lo yankee non vi badò e, incurante delle chiacchiere intorno, si avviò verso il punto da Madeleine indicato. La stoffa verde della gonna sbatté piano ai lati, accarezzando le sue gambe, fino a giungere al salottino poco distante dalla sala. Sgomento si guardò attorno. La musica era leggermente affievolita, come se fossero lontani da quel posto almeno un miglio…a quel pensiero, sbuffò.

Si adagiò sul bordo del divanetto, non prima di essersi assicurato di averla messa in modo composto. Cedric si massaggiò la fronte, teso per quanto avvenuto. La dama gli aveva permesso di far compagnia a sua sorella ma non voleva comunque comprometterla oltre. Era una situazione che lo avrebbe inesorabilmente ingabbiato in un’unione che aveva sempre aborrito...e lui ci si era buttato quasi senza pensarvi, come il peggiore degli sciocchi.

Un leggero mugolio lo riscosse dai suoi pensieri.

Due iridi verdi lo stavano guardando, con aria sgomenta e spaurita. –Come vi sentite?-chiese, senza avvicinarsi.

Ester si stropicciò il viso.

-Cosa ci fate qui?-disse invece con un tono privo di ogni inflessione, che lui non aveva mai sentito, accostato alla sua voce.

-Ho visto che siete svenuta. Sono venuto a sincerarmi delle vostre condizioni.-rispose, osservando il pallore.

La vide abbassare il capo.

-Non dovevate prendervi un simile disturbo, mister Gillford-fece,sentendo uno strano tremore prendere possesso delle sue mani…ma l’americano sembrò non accorgersene. Prese un bicchiere di acqua zuccherata che Madame Pertignac si era premurata di fargli avere.

-Mi hanno detto di farvi bere questo-fece, porgendoglielo- serve a darvi un po’di forze.-

Ester guardò il contenitore ma non lo afferrò.

Si limitò a fissarlo, con un filo di diffidenza e di qualcosa che non seppe bene come definire ma che permeava la signorina Escobar da quando aveva ripreso i sensi.

-Smettetela-fece infine lei, fissando un punto indefinito della stanza –smettetela di essere gentile con me perché siete costretto.-

A quelle parole, l’americano, solitamente dotato di una lingua assai sciolta, non seppe cosa rispondere. Ester non disse altro ma Cedric aveva come il sentore che qualsiasi cosa avesse detto, avrebbe finito con il fare a pezzi quella ragazzina…ma di andarsene in silenzio, quello no, non poteva accettarlo. –Qualsiasi cosa sia stata costruita sopra, dannata mocciosa, il mio comportamento non mira ad avere alcun vantaggio. Io non vi conosco e voi non conoscete me. Sono ricco a sufficienza da non aver bisogno dei soldi di vostra sorella, senza contare che io non amo Londra né la amerò mai. Il mio mondo è l’America e sarà sempre così…per quello che mi riguarda, voi non siete il centro dei miei pensieri.- disse, prima di allontanarsi stizzito.

Ester non rispose né fece alcunché per fermarlo.

Le parole di Cedric rimasero nell’aria, simili ad un fastidioso effetto eco che rimbombò nel suo spirito, provato dalla notizia che la Divina le aveva dato. Provava una profonda desolazione al pensiero di quanto era accaduto…tanto che non si accorse della porta che si era aperta.

Apatica, scrutò la dama dal vestito color pulce…e non poté non provare sgomento.

-Vi sentite meglio, Ester?-chiese questa.

La voce, morbida e gentile, scivolò dentro…togliendole il fiato, come quando si getta il sale sulle ferite. –Ho avuto solo un lieve capogiro.-fece, tentando di tenere a freno la rabbia che la logorava.

-Mi sono spaventata molto-disse la donna.

-Non dovevate-rispose Ester- sono cose che capitano.-

Vide l’espressione sgomenta…e questo fatto la rese rabbiosa. –Siete la mia tutrice.-rispose, fissandola con durezza.

Soledad si irrigidì.

-Ester…-provò a dire.

-Non dite altro- la interruppe lei- voi siete la mia tutrice. Tutto il resto non conta. Lasciate perdere.-

Con quelle parole, ebbe fine la conversazione.

 

 

 

Allora, il capitolo è finito. Spero che la storia continui a piacere. Ester ha un diverbio con sua sorella ed ora le cose si fanno ingarbugliate. I legami tra i personaggi sono complicati. Io non mi ci dilungherò oltre. Ho cominciato la sessione degli esami e mi aspetta un periodo assai impegnativo. Se avrete domande, fatemele pure. Io risponderò volentieri. Brennan e Cedric avranno i loro bei grattacapi, anche perché sono in una situazione assai complessa.

Con questo capitolo, comunque, ha termine il ritiro di Cedric. 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** XXXII ***


Eton 's College

Sentiva tutti gli sguardi attorno, pungolargli la schiena come un plotone da esecuzione. Erano passate almeno due settimane dalla sua scomparsa e quasi si sorprese quando il preside del collegio gli disse che non sarebbero stati presi dei provvedimenti contro di lui.
I mormorii degli studenti, tuttavia, erano un particolare che nemmeno la pressione che era stata esercitata sulla presidenza era riuscita a stroncare del tutto.
Ugualmente fece finta di nulla.
Aveva molti pensieri per la mente ed i fastidi che gli altri avevano per il semplice fatto che era ancora uno studente della scuola non rappresentavano affatto una sua preoccupazione.
-Mr Gillford- disse uno di loro.
L'americano aggrottò la fronte.
Erano i Crownwood, quei damerini che avevano partecipato a metterlo in quella spiacevole situazione. -Buongiorno, signori-fece, senza abbassare lo sguardo.
Il maggiore di loro lo fissò con derisione, unito al più piccolo dei tre...solo allora notò che il mezzano non era presente. -Ho saputo che ti hanno riammesso alla scuola. Chissà cosa hai fatto per corrompere il preside-insinuò il più piccolo, con un tono gonfio di disprezzo.
Cedric non vi badò.
Sapeva benissimo che avrebbe rovinato la sua posizione picchiandoli...per cui ignorò la cosa, per quanto fosse allettante la possibilità di procurar loro un qualche dolore fisico. -Niente che non sia avvenuto. Sapete, in fondo, quanto la storia abbia il brutto vizio di ripetersi- disse, con sicurezza.
-Come osate!-esclamò il minore...ma venne fermato dal più anziano.
L'altro ghignò.
-Io vi suggerirei di mantenere un comportamento consono al vostro rango. Potreste rovinare il vostro nome, alzando le mani su di me- disse- senza contare che potrebbero esserci delle conseguenze.-
I due si fermarono.
-Miei cari-disse lui- cosa succederebbe, se venissero fuori delle prove del vostro coinvolgimento nelle scommesse clandestine? Potrei cantare e, in quel caso, anche il vostro nome potrebbe essere infangato. Io vi suggerirei la prudenza.-
I due fremettero.
Il corridoio era affollato di studenti ed alcuni di loro li stavano osservando...ma non era insolito. Da quando era tornato, Cedric era sulla bocca di tutti...e fu questa improvvisa visibilità l'elemento decisivo che spinse i fratelli a fare marcia indietro.
L'americano sorrise sardonico e, a passo svelto, si incamminò verso l'aula. Per quanto seccante potesse essere quel ricatto, doveva ammettere che si stava prendendo una rivincita davvero piacevole.
L'unica cosa che ancora non era riuscito a determinare era l'entità delle conseguenze della proposta di Lady Mc Stone...ma a questo, decise di pensarci in un secondo momento.

 

 

Viola stava ricamando su una stoffa, sotto lo sguardo pensieroso di Madame Pertignac. La mano scivolava agile sul tessuto, muovendosi con destrezza. Gli occhi scuri seguivano il disegno, secondo una fantasia che sembrava vivere solo nella sua testa.  -Madre- disse questa, alzando il capo moro- qualcosa vi turba?-
Madeleine sussultò, prima di scuotere gentilmente il capo.  -Guardo solo la vostra bellezza, mia cara figliola. Ogni giorno fiorisce, diventando sempre più luminosa.-mormorò, con aria malinconica.
Viola arrossì, chinando con imbarazzo lo sguardo.
Riprese a ricamare nuovamente. -Madre- fece, d'un tratto- mio padre era un uomo buono?-
Madeleine si irrigidì.
Non aveva mai parlato molto dell'uomo che l'aveva spinta a lasciare le scene, compromettendo la sua carriera di cantante. L'unica cosa che si era concessa era stata quella di farne un ritratto approssimativo, assai lontano dal vero. -Perché me lo domandate?- chiese, con un fare guardingo che colpì la giovane.
-Vedete, voi siete oltremodo buona con me-mormorò la ragazza- in un modo che mi commuove costantemente. Non passa giorno in cui non mi senta felice di essere con voi e spesso mi chiedo come fosse il compagno di una donna tanto buona quale voi siete-
A quelle parole, dense di un affetto quasi viscerale, la Divina non seppe cosa dire. Se ne rimase lì, come imbambolata nei suoi pensieri e nei ricordi. -Mia cara- disse infine- sono una madre ben poco onorevole invero. Con le mie azioni, ho cercato di
darvi un po' di decoro, un dono davvero impossibile per una persona così priva di onore quale sono io.-
Viola la guardò.
-Vostro padre era un uomo che vostra madre non poteva avere ma che tuttavia ha amato. La pena di tutto questo è comunque immensa. Non posso darvi la possibilità di debuttare e tutto questo vi rende una sorta di paria anche se siete agiata.-fece Madeleine.
-Madre, per piacere, non dite questo. Anche se avete fatto una scelta tanto sconsiderata, è comunque vero che avete conosciuto il dorato mondo della musica ed è merito vostro se io so suonare degnamente...per me questo è il dono maggiore che voi poteste farmi.- disse.
La donna la guardò.
Malgrado tutto, l'animo buono di Viola le impediva forse di vedere il marcio di quell'esistenza, la delusione che per anni l'aveva straziata nel profondo...un ragionamento bello a udirsi ma ingenuo e la dama si chiese per quanto tempo la ragazzina avrebbe conservato un simile pensiero. Non sapeva la donna che la figlia aveva sviluppato quel genere di riflessione su basi ben più concrete...si rifiutava di farlo, come a voler dimenticare la delusione passata per merito delle convenienze e del decoro.
Viola osservò il turbamento che scuoteva l'animo della madre, con quella devastante sensibilità, quasi narcisistica, tipica degli artisti e non ebbe cuore di attendere oltre. Con una scusa, prese congedo da Madeleine...e la madre poté tirare un sospiro di sollievo. Non aveva avuto il coraggio di raccontare la storia della sua vita e nemmeno delle traversie che l'avevano condotta a quell'esilio dorato.
Più volte, invero, aveva fatto un tentativo per raccontarle tutto ma aveva desistito quasi subito. La verità era che non aveva niente da raccontarle che potesse in qualche maniera coprire la vergogna ed il dolore di quella vicenda.
I passi leggeri della figlia erano diretti in giardino, li udì scendere piano e con decisione...e sorrise per qualche momento. Ora che era sola, poteva guardare il suo salotto e pensare al futuro della sua creatura. Cosa ne sarebbe stato di lei e dei suoi sogni? Madeleine non lo sapeva...e questa ignoranza la faceva macerare dentro, senza possibilità di conforto alcuno.

 

Eton

Era tornato da alcuni giorni.
Giorni tesi e cupi, pregni di una strana e febbrile ansia difficilmente controllabile. Aveva tenuto a bada i damerini del collegio senza nemmeno sporcarsi le mani ed i professori non lo avevano vessato come al solito.
L'americano percorreva silenzioso i corridoi, a passo sciolto e insieme guardingo. Lady Mc Stone aveva fatto una proposta capestro ai  suoi occhi e, benché non avesse udito una risposta da parte dello zio, non dubitava che l'attesa avrebbe avuto presto una fine. Fu solo quando vide Bill, il responsabile del suo dormitorio, dirigersi verso di lui che si ritrovò costretto a tornare alla realtà, lontano da quel futuro tanto odioso ai suoi occhi. -Cosa volete?-chiese, ignorando ogni regola di etichetta. Era seduto sul muretto che dava nell'angolo ovest del collegio e non gli era sfuggito quel cenno d'avvicinarsi, assai bizzarro ai suoi occhi. Fino a poco tempo fa, quel colosso non si era mai degnato di prestargli attenzione...cosa era successo?
-Gillford- esordì questo- ho notato che le tue condizioni sono migliorate. Il Mastino ha svolto il suo compito, a quanto vedo.-
L'americano si passò una mano sui capelli.
-Cosa volete?-ripeté, studiandolo critico.
Bill si mise a sedere, poco distante da lui. - Chiedo scusa per la codardia dei miei fratelli. Il loro comportamento è stato disonorevole e sono rammaricato per la loro condotta.- fece, scatenando la risata dell'altro.
-Non sto scherzando. Proprio perché voi siete diverso da me, è altrettanto giusto che la mia condotta sia integerrima. Ho messo ogni mia risorsa fisica e mentale su questo punto e non accetto che i miei fratelli siano tanto negligenti, soprattutto il futuro erede del titolo.- disse, con aria seccata.
L'americano non rispose.
Non aveva mai avuto modo di parlare con quel tipo. Rispetto ai suoi fratelli, Bill era sempre stato un personaggio schivo e taciturno, molto bravo a boxare ed a tirar di scherma. -In ogni caso- continuò questi, ignorando il silenzio- voglio sapere cosa è successo durante la tua assenza. Il Mastino scozzese ci ha messo tutti sotto torchio ed ora che ti ha riaccompagnato qui, non posso non notare la tua stranezza.-
Cedric alzò il capo.
-Il Mastino è noto per la sua misantropia eppure tu ti sei guadagnato i suoi favori. Che rapporto intercorre tra te e quel tale? - disse, prendendosi un minuto per studiare le sue mosse. Non vedendo altro che freddezza, però, si vide costretto a trovare un altro modo per scuoterlo. - La scorsa volta, sei stato picchiato con estrema cura...me ne scuso di nuovo. Non era mia intenzione che succedesse una cosa del genere.-continuò.
-Non è un problema. Il punto è che ora so che le cose peggioreranno-rispose, passandosi una mano tra i capelli.
Bill aggrottò la fronte.
-Che intendi?-chiese.
-Sono stato soccorso da Lady Mc Stone ed ora sono costretto a sposare la sua sorellastra.-gli comunicò- Considerando com'è mio zio, pavento la sua reazione quando lo verrà a sapere. Per il momento, non gli dirò niente. Non sono così sciocco da raccontarglielo.
Bill rise sonoramente, vedendolo così restio. -Sarò franco. Credi veramente che una notizia simile non sia già arrivata alle orecchie di tuo zio? Le cattive notizie e i matrimoni sono le cose che si diffondono più velocemente di ogni altro argomento in questo ambiente...tienilo bene a mente.-disse, con un piglio derisorio.
Cedric non disse niente.
Udì solo il fruscio della stoffa di lui che si alzava, allontanandosi dal muretto a passo sciolto e deciso... poi il silenzio e l'americano si domandò cosa avesse spinto quel tale a dargli una simile confidenza ma nemmeno quella curiosità trovò soddisfazione. Così rimase solo e zitto, con tante domande e poche risposte, maledicendo l'ennesimo tiro mancino che la Sorte gli stava offrendo.

 


Soledad camminava nel giardino, percorrendo il viale di ortensie. Una scia azzurra che disegnava di gelo lo spazio intorno a lei. Uno scialle le circondava il busto, danzando al passo della gonna scura.
I suoi passi si delineavano nel selciato, con quel ritmo cadenzato che tradiva la sua zoppia. -Mio marito diceva che una passeggiata allontanava i cattivi pensieri e permetteva di pensare lucidamente...ma sbagliava- mormorò, rivolta alla silenziosa sagoma della sua cameriera.
Sarasa su avvolse maggiormente la stoffa del proprio mantello, badando a coprirsi la testa. -Oggi è una giornata molto umida, Lady Mc Stone. Forse è il tempo.-proferì, senza dare alcuna intonazione alla voce.
L'altra alzò il capo. Il venticello umido di quel mattino le accarezzava il volto, lasciando che qualche ciuffo scivolasse sul viso dai lineamenti perfetti. -Immagino che sia come dite- mormorò la dama- ugualmente non posso fare a meno di essere inquieta.-
Sarasa inarcò la fronte.
-La signorina Escobar ha chiesto di poter mangiare nella propria camera. Non ha voluto scendere e diserta di farsi vedere in giro- mormorò- spero che questo stato di cose abbia una breve durata oppure ne risentirà la salute.-
Lady Mc Stone liquidò la sua angoscia con un gesto della mano. -Ester non morirà per una cosa così infima. Se ha un dolore, deve imparare ad accettarlo. Deve capire che non esistono dolori che una donna non possa sopportare- disse apatica- noi siamo nate per questo.-
Sarasa non disse niente.
Il viottolo davanti a loro le sembrava umido e freddo, in perfetta consonanza con l'animo devastato di entrambe. La padrona non aggiunse nulla, limitandosi ad avanzare...e quella verità, condivisa dalle due donne, rimase nell'aria, come una nebbia sottile e fastidiosa, simile alla leggera foschia che penetrava ovunque.
L'indiana rabbrividì leggermente.
Quel corridoio fumoso le sembrava una perfetta metafora della vita che lei e la padrona conducevano da sempre...occorreva solo scoprire se in fondo c'era la luce o un'uscita. Per il momento, l'unica cosa concreta era quel bianco freddo e bagnato.

Cari lettori, ho fatto un po' di straordinari ma non fateci l'abitudine. Io non do promesse e domani farò un esame. In questo capitolo non succede quasi niente...è solo di passaggio. I rapporti cambieranno un po' ma non molto...o almeno credo. Ovviamente, ringrazio tutti coloro che mi hanno letto e recensito. Vi aspetto al prossimo capitolo e grazie.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** XXXIII ***


Quel mattino, il tempo era ventoso e scostante.
Soledad vedeva alcune foglie volteggiare nell'aria, mosse dalla forza dell'aria in direzioni vorticose ed imprevedibili. Era un modo come un altro per allentare la sua attività di risposta alle lettere che era solita mandare ai vari parenti.

Alla cortese attenzione di Madame Pertignac

Mi rincresce molto non avervi potuto rispondere, malgrado le lettere inviatemi con dovizia. In questo periodo, devo occuparmi della condizione della signorina Escobar, la cui sorte mi sta particolarmente a cuore.
Non ho ancora ricevuto notizia da parte di Mr. Gillford e devo assolutamente sincerarmi delle sue intenzioni, giacché tutto è avvenuto con estrema rapidità.  In ogni caso, posso dirvi che la signorina Escobar gode di buona salute e che non avete ragione di preoccuparvi troppo.
Passa le sue giornate nel disegno e nella lettura, come si conviene. Ho chiesto l'intervento di una istitutrice francese, che possa affinare le sue doti. Ugualmente, temo di dover prendere dei provvedimenti. Ha sedici anni, pronta a debuttare in società.
Quanto alla vostra richiesta, vi informo che ciò che ho trovato potrebbe non rientrare nei vostri interessi. Data la vostra particolare condizione, mi è sembrato arduo cercar terreno fertile per il debutto di Viola tra gli inglesi. Anche se suo padre è di questa terra, ciò non toglie che lo scandalo della vostra storia ha tarpato molte ali alla vostra figliola.
Per questa ragione, mi sono presa la briga di chiedere consiglio ai miei contatti con la parte non inglese di questa città. Sono del parere che tra persone meno conservatrici, l'animo di Viola troverà maggiori benefici.
Ho tuttavia un'ulteriore soluzione che va contro il mio interesse, almeno in apparenza.
Sua Grazia, la duchessa MaryAnne Adeline Manfried mi ha assicurato che suo marito non tiene in grande considerazione i pettegolezzi che vi hanno travolta anni or sono e che, soprattutto, ama profondammente il vostro estro creativo. Mi ha gentilmente fatto notare che non le dispiacerebbe potervi ricevere nella sua villa di campagna, quando Sua Grazia il duca non è presente.
Ovviamente, mia buona amica, io e la signorina Escobar ci assicureremo di essere presenti. Non dimentico affatto la riconoscenza che nutro per voi e per la gentilezza che mi avete riservato, quando sono giunta a Londra come sposa del mio povero Alistair e poiché sono straniera sento meno il desiderio di rispettare rigidamente le norme di questa società.
Ugualmente mi adeguerò, quel tanto che basta per non gettare ombra alla memoria del mio defunto sposo.

Vi porgo i miei saluti.

Contessa Soledad Blanca Escobar Mc Stone.

La dama osservò a lungo la carta...poi vi pose il materiale per far asciugare l'inchiostro. - Sarasa- mormorò, quando si assicurò che fosse tutto asciutto- consegnate questa lettera a Madame Pertignac. Io mi devo occupare della altre lettere.-
L'indiana non si mosse.
-Cosa c'è?-chiese di nuovo la dama.
Sarasa sospirò.
-Poco fa è arrivato un dispaccio. Lady Victoria giungerà insieme alla prole tra un paio di settimane. -la informò, fissando con apatia tutto il resto.
Soledad non disse niente.
Prese con forza il foglio e, con un gesto stizzito, le intimò di andarsene.
L'indiana obbedì.






















Cremorne
Oceane si sistemò meglio lo scialle. Aveva dei toni scuri ma esaltava con estrema naturalezza il suo incarnato, rendendo con decoro l'eleganza dei suoi tratti parigini.
-Mademoiselle Treville-si sentì chiamare.
L'istitutrice si girò, non senza trattenere un sorriso.
-Mister Borowsky-salutò questa con una leggera riverenza- quando ho ricevuto questa proposta, non ho potuto fare altro che stupirmi.-
Igor ridacchiò.
-Chiedo venia per la mia eccessiva disinvoltura-rispose il russo- ma sono passati diversi giorni dal nostro ultimo incontro e non ho avuto la possibilità di darvi la spiegazione che meritavate.-
Oceane si guardò intorno. -E cosa ha fatto l'ambasciatore per ricevere una simile premura?-chiese.
Igor sospirò.
-Ho avuto alcuni dissidi con dei membri della mia famiglia...niente che non possa comunque rimediare.-rispose.
-Perdonate l'ardire-obiettò l'istitutrice- ma non è bene dar dispiacere alla propria sposa.-
Igor scosse il capo. -Non sono sposato. Non ne ho necessità al momento. I dissapori sono dovuti a questioni personali che non ho l'ardire di rivelarvi, malgrado abbiate un temperamento eccentrico.-si schermì, in un modo che la francese trovò insolito.
-Ne sono convinta. Ognuno ha i suoi problemi, in fondo.-rispose la donna.
-Non fraintendetemi, Mademoiselle-ribatté il russo- per amor di correttezza, i miei dissapori con il resto della mia famiglia sono dovuti quasi esclusivamente alla mia condizione d'illegittimo. Mio nonno ha molto a ridire su questo punto, e mia nonna non è da meno...soprattutto ora che la salute del suo nipote prediletto si è fatta tanto malferma.-
-Mi dispiace per le condizioni del vostro fratellastro. Anche per me il lavoro si sta facendo complesso.-disse la francese- Nulla d'irrimediabile, comunque.-
Igor la guardò con curiosità ma Oceane non disse altro.
Si limitò a guardare i bambini giocare di fronte a lei, gli uccelli che si levavano dai cespugli e i vari gruppi di persone che camminavano poco distante. I riccioli scuri le scivolavano ai lati, dandole un fastidioso solletico. -Mi avete detto che sono giunti dall'Oriente nuove cineserie. E'vero?-chiese, osservando lo spazio di fronte a lei.
Il russo annuì. -E'così-rispose- ma devono ancora essere messi sul mercato.-
-Non vedo l'ora di vederli-rispose la francese.
-Ve lo farò sapere senza ombra di dubbio-rispose questi- ma avrei piacere, un giorno, di conoscere la vostra storia. Ho come l'impressione che abbiate cose divertenti da narrare.-
Oceane lo guardò. -Temo di potervi soddisfare ben poco.- rispose, sistemandosi il cappellino- La mia storia non è molto allegra...e neppure interessante. Quanto alla mia famiglia, ho da tempo perso i contatti né ho interesse a riallacciarli. Non gioverebbe a nessuno una simile operazione, credetemi.-



Brennan consultava le carte da diverso tempo. I fogli si erano depositati ordinatamente con il passare delle ore, lasciando lo spazio necessario per mettere una bottiglia di alcol, ormai a mezzo. Era sempre stato un buon bevitore...anche se non eccedeva mai.
Le poche volte che lo aveva fatto, poteva contarle sulla punta delle dita. Quel giorno, tuttavia, aveva bisogno di un sostegno che solo l'alcol poteva offrirgli. La lettura della missiva di Lady Victoria, sorella minore di Alistair, era un'operazione che lo infastidiva non poco. Ugualmente, si piegò alle parole dense di miele e veleno della donna, senza rimpiangere minimamente la sua lontananza.
Prese uno dei sandwich al salmone che giacevano sul piatto e, senza nemmeno guardarlo, cominciò a mangiarlo. La lettura dei fogli era terminata da un po' ma Lord MC Kenzie pareva ugualmente assorto nei propri pensieri. Il ritorno della sorella di Alistair minacciava tempeste e, malgrado tutto, sapeva che, anche volendo, non avrebbe potuto evitarne gli strascichi. Il suo nome gli impediva di evitare una cosa simile...e si portò una mano sulla fronte, ben deciso a frenare la furia che albergava dentro. Lo scozzese sapeva benissimo che ciò che sentiva dentro minacciava di uscire fuori in qualsiasi istante, con esiti catastrofici...eppure non fece niente per fermare la tensione.
La rabbia che aveva dentro, unita al rimorso e ad alla vergogna, era un miscuglio difficilmente controllabile. Lo sapeva benissimo...per questo, la lettera che aveva ricevuto da Lady Victoria era un messaggio assai poco tollerabile. La sua comparsa significava solo una cosa...e cioé che doveva tener fede alla promessa del suo amico Alistair, insieme al nodo amaro di sentimenti che si accompagnava a quel nome, tanto rimpianto.














La stanza era avvolta dal buio. Le porte si erano chiuse dietro di lei, senza quasi accorgersene. L'irritazione per le parole provocatrici di pochi istanti prima la angustiavano non poco. -Come vi permettete di trattarmi così?-domandò, irritata.
La sagoma si avvicinò, accompagnata da una risata beffarda.
La sentì distintamente.
Il calore di quel corpo era percepibile fin lì ma il suo orgoglio si rifiutava di piegarsi ad una simile possibilità. -Non siate ridicolo. Io non ho bisogno di voi. Non ho bisogno di nessuno.-disse...ma una mano ed un braccio muscolosi la ghermirono improvvisi, avvicinandola a quel corpo celato dal buio. Soledad fece per ribattere ma prima di riuscire nell'intento, due labbra dure ed impietose calarono sulla sua bocca. Lei si divincolò per qualche tratto. Il dovere lottava furibondo contro quel calore improvviso...per poi arrendersi all'evidenza. Un animo cresciuto nel gelo, cerca e cercherà sempre calore.
Così cedette, reclinando la testa all'indietro, sconfitta.


Allora, anche questo è un capitolo di transizione. Qui abbiamo nuovi problemi e nuove vicissitudini pronte in cantiere. Le cose tra le due sorelle non si sono affatto placate e Soledad, con la sua distanza, non facilita tutto questo. Io vorrei ringraziare tutti coloro che leggono e commentono. La vicenda è molto complessa ma vedremo meglio cosa succederà. L'arrivo di nuovi personaggi porterà ulteriori scompigli.

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** XXXIV ***


 Benvenuti a questo nuovo capitolo. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto fino a qui. Io non so quanto durerà la storia ma spero che continui a piacere. Eccovi il capitolo.
 




Che la sua disavventura lo avesse portato a delle conseguenze impreviste, Cedric Gillford lo comprese molto bene. Non immaginava, però, che tra queste vi fosse l'improvviso invito a far visita a suo zio, non così velocemente...ed era una novità che non gli piaceva per nulla. Rivedere quella casa in stile georgiano, frutto delle abili manovre imprenditoriali del nonno, lo metteva in una strana e indicibile angoscia.
Mentre si avvicinava alla dimora, ripensava alle parole da dire per evitare l'irritazione dello zio...senza mai essere soddisfatto dei bei discorsi che riusciva a formulare. Le sue ansie, dissimulate da un'espressione vuota, divennero una certezza nel momento in cui vide l'oggetto delle sue angosce palesarsi sulla soglia.
Poco distante, in una posizione apparentemente defilata, c'erano la madre e la sorella, entrambe curiose della sua venuta. -Bentornato-rispose Mr. Gillford -spero che il viaggio sia stato piacevole.-
-Sì, zio-rispose, mentre scendeva dal mezzo, con un fare recalcitrante che fece sorridere lievemente Ann.
-Ho desiderio di parlare con voi-continuò il padrone di casa- da solo e immediatamente.-
A quella frase, Margareth e la figlia si guardarono un momento ma, se la seconda apparve incerta, non fu lo stesso per la prima. -Andiamo cara-mormorò questa- avrei piacere di vedere alcuni modelli del catalogo che ci è stato recapitato proprio oggi.-
La ragazzina guardò la madre e, intuendo il tono deciso di questa, obbedì senza dire una parola. Mentre si allontanava, però, non riuscì a fare a meno di lanciare uno sguardo preoccupato a Cedric che ricambiò con un sorriso a labbra strette.
-Ora che siamo rimasti soli-continuò il padrone di casa, richiamando la sua attenzione- vorrei avere da voi tutta la verità, a proposito della vostra "vacanza" e delle voci che girano sul vostro conto.-
-Sì, zio-rispose il giovane, raggiungendolo.
Mr. Gillford era molto diverso da suo padre. Non possedeva il fisico tonico del defunto fratello e non amava fare molta attività fisica. Un incidente di caccia aveva infatti accorciato una delle gambe, costringendolo per mesi a letto, con il rischio costante di vedersi amputare l'arto menomato. Gilbert, comunque, riuscì a salvare sé stesso e l'arto sfortunato ed ora si muoveva con un bastone, per darsi sicurezza...o almeno così amava dire. Aprì con calma la porta dello studiolo al piano inferiore e, con un cenno, lo invitò a entrare. Si trattava di una stanza spartana e priva di decorazioni futili, di taglio prettamente virile e spiccio, in linea con il carattere bisbetico del proprietario.
Cedric entrò, badando bene di chiudere la porta.
Una volta fatto, rimase in attesa, con quel fare guardingo e selvatico così poco inglese, che lo contraddistingueva. -Sedetevi-ordinò- dobbiamo parlare, a proposito di quanto avvenuto.-
L'altro si accomodò, prendendosi un po'di tempo.
-Immagino che voi sappiate che desidero una spiegazione, a proposito della vostra assenza ingiustificata dal college. Per vostra fortuna, qualcuno ha intercesso per voi, altrimenti vi avrebbero messo alla porta.-continuò, fissandolo con quelle iridi chiare, identiche alle sue.
-Che bisogno c'è di saperlo?-domandò retorico il nipote- Mi pare che la questione sia già stata risolta.-
Gilbert sogghignò, sentendo quelle parole. Fin da quando era giunto nella sua casa, il nipote americano non aveva mai mancato di sfidarlo, come se volesse scatenare chissà quale reazione. Aveva fatto perdere il controllo ai suoi cugini più di una volta: li faceva arrabbiare e poi, una volta assicuratosi che fossero completamente furibondi, li schiacciava, con freddo raziocinio.
Un vero peccato che anche lui usasse quel tipo di tattica.
-Vero-concordò l'altro, sorridendo felino per l'espressione spiazzata del nipote- ma è chiaro che deve essere successo qualcosa. Avete sempre dato dei problemi al college...ma questo fatto non mi stupisce. Sono invece sorpreso dalle conoscenze che avete e me ne congratulo perché questo dimostra che ho fatto bene a scegliervi come erede delle mie attività.-
L'americano vide quelle gambe, apparentemente forti, di fatto fragili come vetro, accarezzare la superficie di marmo con lentezza calcolata. -La fonte della mia tolleranza è che so che voi siete il solo capace di non distruggere quanto la famiglia ha costruito negli anni. Per quante sciocchezze voi possiate fare, non vi diserederò.-disse, ridacchiando- E'quello che desiderate, ciò che vi renderebbe felice...e, in fondo, quale miglior punizione del privarvi di questa gioia?-
Cedric tremò, irritato ma Gilbert non si fece intimidire. Conosceva bene quel temperamento ribelle ma non dubitava che un giorno avrebbe compreso le sue ragioni. -Ho saputo che voi siete coinvolto nel giro d'incontri clandestini tra studenti.-fece, ignorandolo- Anche vostro padre era molto abile. Fu grazie ai soldi accumulati...oltre che al mio silenzio...se è riuscito a sfuggire alle grinfie di vostro nonno. Non potete ingannarmi con questi vecchi trucchetti. Ora però voglio che vuotiate il sacco.-
-E perché dovrei?-continuò l'altro, testardo come un mulo. Il fatto che lo zio conoscesse la sua fonte di guadagno lo indisponeva non poco, tanto da spingerlo ad essere volutamente irrispettoso per il solo gusto d'irritarlo...ma Gilbert sembrava conoscerlo molto bene...ed evitava con cura tutte le sue provocazioni, irritandolo di conseguenza.
L'orologio sul camino rintoccava, riempiendo i tempi morti di quella comunicazione forzata. Cedric non era felice di quella situazione. Non avrebbe mai dovuto abbassare la guardia, durante quell'incontro...ma non ebbe comunque animo di maledire coloro che lo avevano soccorso. Anche se ti hanno messo ai ceppi lo rimproverò il suo orgoglio ferito. -Mi hanno picchiato sonoramente a tradimento. Non hanno accettato il fatto che fossi imbattibile. Così, dopo aver perso i sensi, mi hanno lasciato fuori, in aperta campagna, solo al mio destino.- fece, greve per quell'attimo di debolezza.
Gilbert inarcò la fronte.
-E poi sono stato soccorso.-concluse ...ma allo zio non sfuggì quel tono sbrigativo e decise d'intervenire.
-Chi è stato?-domandò.
Cedric indugiò a rispondere.
Non voleva parlare...ma Mr. Gillford non era disposto a fargli simili concessioni.-Questa mattina, ho ricevuto una lettera da Lady Mc Stone...nipote, devo complimentarmi con voi.-fece, divertito per la rabbia di quest'ultimo- Non è da tutti riuscire ad entrare nelle grazie della vedova di Lord Mc Stone. Mi chiedo come abbiate fatto.-
L'americano si irrigidì. Lo stava prendendo in giro?- Cosa intendete dire?- domandò.
Lo zio gli rivolse un'occhiata di sufficienza. -Lady Mc Stone ha fama di essere una donna rigida e incorruttibile, come ogni spagnola che si rispetti. Ha preso con sé una parente, in maniera decisamente spregiudicata ma condannabile fino ad un certo punto.- fece, passandosi una mano sotto il mento- Quello che mi chiedo è: come avete fatto ad impalmare la sua sorellastra?-
E Cedric, incalzato dalla logica schiacciante del vecchio, non seppe cosa rispondere. Non aveva pensato a tutto questo.
-Comunque sia- concluse lo zio- sono lieto di vedere che avete preso sul serio il vostro futuro ruolo, prendendo una persona che ha un'ascendenza tutt'altro che disprezzabile. Lady Mc Stone ha assicurato una dote alla sorella degna della figlia di un barone...niente male, non posso che congratularmi per il calcolo che avete usato.-
L'americano non parlò neppure stavolta. Non aveva nessun interesse nel ricevere le lodi dello zio. Odiava profondamente la sua misoginia perché era questa la causa che lo aveva spinto a scegliere lui come erede e non altri.
Oltre a questo, tuttavia, c'era altro che lo angustiava...qualcosa che tuttora gli sfuggiva e che non riusciva a cogliere nella sua chiarezza. Ma si tenne tutto dentro, ben deciso a mantenere quel silenzio, almeno per un po'...ma quel fastidio rimase, pronto a pungolarlo, per tutta la durata delle chiacchiere dello zio.
 
 
 
 
 
 
Il tono ceruleo si mischiava al verde, creando particolari sfumature. Piano piano, colore su colore, si delineavano onde cromatiche fredde. Sempre con il tempo, le forme prendevano la loro identità, diventando onde, cespugli, roseti.
L'occhio esterno non coglieva queste sottili mutazioni.
Solo lo sguardo dell'artista era capace di fare una cosa del genere.
Oceane osservava silenziosa la sua allieva, intenta a dipingere. Le sottili mani, che non avevano mai conosciuto la fatica. L'espressione corrucciata e seria, che stonava con l'aria ancora bambinesca del volto.
L'istitutrice avrebbe voluto proseguire con l'istruzione della signorina Escobar ma quel giorno non se la sentì di farlo. Aveva saputo la notizia dell'intenzione della padrona di casa di fidanzarla con un giovane, ricco borghese. Non sapeva ancora quale fosse il suo nome ed ignorava qualsiasi cosa riguardasse la persona a cui aveva promesso la sua giovane allieva.
Aveva visto molti visi, cogliendo le sottili sfumature dei pensieri che attraversavano la pelle, lasciando segni apparentemente invisibili, maschere spesso di mutismi o pianti inconsolabili. Il volto della signorina Escobar, però, era qualcosa di assai singolare. Conservava intatti i lineamenti delicati e fini, in una quiete sospesa...un equilibrio fragilissimo, che poteva spezzarsi ad ogni soffio di vento.
Oceane aveva saputo che, da quando aveva saputo la notizia dell'accordo, non aveva più rivolto una sola frase a Lady Mc Stone, a meno che non fosse necessario.
La padrona di casa aveva accolto il riserbo, apparentemente senza fare una piega...ma Mademoiselle Treville, nella sua disincantata sensibilità, era riuscita a cogliere qualche lieve incrinatura anche in quest'ultima. La dama continuava la sua vita ritirata, passando del tempo al piano superiore, oppure dedicandosi a lunghe ed estenuanti cavalcate.
-Mademoiselle Escobar-mormorò l'istitutrice- ritengo doveroso, almeno nei miei riguardi, di mettere da parte la pittura e di dedicarvi alla lettura del francese.-
Ester si fermò. -E'un ordine di Lady Mc Stone?-chiese, riprendendo a dipingere.
Oceane rimase interdetta.
L'espressione accigliata e indisponente della sua allieva cominciava a stancarla.
-Mia giovane allieva-fece la francese- io sono pagata per impartirvi una buona educazione che non vi faccia sfigurare in ogni salotto degno di nota. Le altre cose mi competono davvero poco ed è mio preciso interesse che voi cominciate ad applicarvi, lasciando da parte le preoccupazioni inutili.-
La signorina Escobar la guardò malamente.
-Credete davvero che un matrimonio possa cambiare voi stessa?- chiese la più grande- Voi siete una donna, fornita di una dote. Non tutte hanno la vostra fortuna...e lo sapete anche voi. Non posso credere che siate così sciocca da non saperlo.-
Con fare apparentemente lieve, prese uno dei testi. -Il matrimonio è solo una destinazione che la società vuole per noi...un arrivo al quale siamo destinate per nascita, a meno che la stupidità o la sventura non sviino da questo naturale fine. Vi state angustiando per nulla. Avete un buon nome ed una sorella che pensa a sistemarvi, dandovi una casa ed una persona che vi protegga dalle insidie. Credete che voglia abbandonarvi a voi stessa?-
Ester sospirò.
Le parole dell'istitutrice erano dure e spietate. -Comprendo quello che dite...ma la rabbia che provo è dovuta ad altro.- disse, non riuscendo ad aprirsi completamente.
-E a cosa è dovuta?-chiese l'altra, con tono più dolce.
La signorina Escobar si guardò le mani nivee, macchiate leggermente dall'acquarello. Il nodo di emozioni che la logorava dentro era qualcosa di difficilmente identificabile, dovuto ad una mera reazione istintiva. Mademoiselle Treville vide il viso della giovane adombrarsi.
-Nulla di rilevante-fece, prima di distendere le labbra in un'ombra di sorriso- cosa leggiamo oggi?-
L'istitutrice si limitò a porgerle il libro. Paradise Lost campeggiava tra le mani della trentenne, in una copia ingiallita per il troppo uso...e Ester non poté fare a meno di chiedersi se non ci fosse un che di derisorio in quella scelta. Ugualmente non commentò, limitandosi ad accettare quel dono tanto bizzarro.
 
 
 
 
Soledad percorreva la strada, con il suo completo all'amazzone. I lunghi capelli castani erano raccolti in una severa pettinatura che comprimeva la naturale ribellione della chioma.
Aveva deciso di lasciare tutto alle fedeli mani di Rashid ed ora stava montando Grainne, scivolando in modo rapido sulla strada. Non c'era nessuno lungo la via...l'occasione ideale per la donna di dare libero sfogo al nervosismo che ancora covava dentro.
Tensione che crebbe maggiormente, non appena vide che la strada non era poi tanto deserta...come dimostrava una sagoma scura, ferma sulla via, alta e massiccia, malgrado indossasse abiti alla moda. -Lord Mc Kenzie- fece, avanzando con lentezza calcolata.
-Lady Mc Stone-rispose l'altro- sapevo che vi avrei trovato qui.-
La dama inclinò la testa. -Mi conoscete bene-sibilò, con un tono oscuro- cosa posso fare per voi?-
Brennan tenne salde le briglie tra le mani. L'apparente sicurezza della donna vacillava sempre, quando era lui a parlarle...e non poté che essere lusingato dalla cosa. -Vedo che non avete smesso di trastullarvi con le vite altrui...avete intenzione di giocare anche con vostra sorella, pur di umiliare la vostra matrigna?-
Soledad si sistemò il foulard attorno al collo. -Voi non vi siete mai sposato, non potete comprendere quanto possa essere avvilente un matrimonio. Ho solo agito per il bene della signorina Escobar.- rispose.
Lord Mc Kenzie socchiuse le labbra piene. -Ma davvero?- fece ironico- Il potere vi sta accecando. Badate che potrebbe ritorcersi contro di voi.- Il baio che montava si avvicinò alla giumenta della donna, fino a quando i due cavaliere non si trovarono a poco più di un palmo di distanza. -Il bene è sempre qualcosa di relativo e rido di coloro che sostengono che sia assoluto. C'è quello dovuto alla salvezza di qualcosa e quello che deriva da una compensazione per un torto subito in passato...A quale bene alludete per la vostra sorellina, cara cognata?- la schernì, guardandola dritto negli occhi.
Soledad ricambiò.
Verde nel grigio tempesta.
-Voi siete un uomo. Non potete capire quanti inconvenienti possa portare un matrimonio concertato come rimedio alle colpe altrui...e, comunque, non vi siete mai sposato. Cosa ne sapete di quello che succede in un matrimonio?-fece, fissandolo minacciosa.
Brennan gli lanciò un'occhiata greve. Con fare quasi indolente, le afferrò una ciocca, sfuggita alla severa chioma e se la rigirò tra le mani. -Avete ragione. Effettivamente non so cosa possa accadere, di così filosofico. -disse, sputando con disprezzo l'ultima parola- Ma so cosa succede tra un uomo ed una donna. Vi basta?-
Soledad si scostò, fissandolo con durezza.
-Voi state usando quella ragazzina per avere una rivincita su chissà quale torto che ritenete che il destino vi abbia ingiustamente dato-continuò, tirando il ciuffo con un colpo secco...ma nemmeno stavolta la giovane emise un suono. -Sappiate Milady che la vita non è mai giusta, che le sciagure che capitano sulla testa di ognuno, sono una mera casualità e che non importa a nessuno se siete triste o lieta...per cui le vostre patetiche ripicche sono solo il gioco di una bambina troppo cresciuta.-
A quelle parole, la donna gli rifilò un violento schiaffo.
Brennan venne colto alla sprovvista, tanto da fissarla interdetto.
-Lord Mc Kenzie-sibilò, assottigliando gli occhi- non sono affari vostri. Che lo vogliate o no, sono entrata nella famiglia del povero Alistair e non rinnego i suoi doni. Non nego che potevo essere molto più sventurata, data la condizione in cui gli Escobar versavano...non rinnego niente.- Con un colpo di reni, fece girare il cavallo, dandogli così le spalle. -Ma voglio che sia chiara una cosa. Non permetterò in alcun modo che mia sorella passi quello che ho passato io. Non ne vale minimamente la pena.- proferì, mentre si allontanava.
Brennan non replicò...ma Soledad era certa di sentire lo sguardo di lui sulla schiena, anche quando sparì oltre la collina.
 
Allora, cari lettori, questo è l'ultimo capitolo che pubblico prima di andare in vacanza. Soledad e gli altri personaggi vi aspettano a quando farò ritorno dal mare, la cui data è ancora da destinarsi ma conto di farlo la prossima settimana, dopo l'ultimo esame della sessione estiva.
Amo profondamente le storie dalla trama complicata per cui spero che sia piaciuto anche questo capitolo. L'attrito tra le due sorelle non si è ancora appianato ed Ester non è riuscita ad esprimere i suoi sentimenti in proposito. I loro rapporti sono assai complessi e, in fondo, la storia si chiama "LEGAMI".
Vorrei inoltre ringraziare Diana294 per avermi recensito. Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** XXXV ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Il mio nome è controcorrente e sono la pazza che ha scritto questa storia. Ovviamente, non è ancora finita...a differenza delle mie vacanze. Con la crisi in corso, ho delle vacanze flessibili...questione di tempi.
 
La lezione di matematica proseguiva come sempre, monotona e fastidiosa. Cedric la ascoltava, con fastidio sempre crescente, mentre con la coda dell'occhio scrutava accigliato la classe. Era passato qualche giorno, da quando la notizia del suo ritorno si era diffusa e l'attenzione, almeno per il momento, era tutta per lui. Molti borbottavano incredulità.
Lui, l'americano, aveva ricevuto le simpatie di una stimatissima vedova e del suo potente cognato...con tutte le elucubrazioni che ne derivavano.
Aprì e chiuse le mani varie volte, tentando di sgranchire le dita...ma la tensione che aveva dentro, continuava a pungolarlo non poco.
Dalla sua disavventura, aveva smesso di partecipare agli incontri clandestini. I gestori delle scommesse si erano lamentati in proposito...ma lui aveva alzato le spalle, con indifferenza. Un po' gli dispiaceva per aver perso quel guadagno ma ora che c'era quel fidanzamento nell'aria, non aveva nemmeno senso mettere da parte i soldi per tentare una via di fuga a quella condizione che odiava cordialmente. -Cedric-gli bisbigliò James, seduto accanto a lui- cosa è successo in questi giorni?-
L'americano irrigidì le labbra, in una piega decisamente biliosa.
L'altro inarcò la fronte, vedendolo così nervoso. -E'arrabbiato perché sono riusciti a imporgli una fidanzata-disse allora una voce. Si girò e vide la sagoma imponente di Bill che lanciava un'occhiata sardonica all'indirizzo del giovane Gillford.
-Cosa?-esclamò l'altro, guardando l'americano- Alla fine, sono riusciti a metterti il guinzaglio! Chi l'avrebbe mai detto!-
-Dicono che sia una giovane di origine franco spagnola ma con ottime conoscenze.-continuò il gigante, studiando l'espressione dell'interessato, sempre più nervoso.
-Caspita! Come avete fatto a scoprire una cosa del genere?-domandò James, fissando il rappresentante del dormitorio con aria interrogativa.
Cedric lanciò un'occhiataccia a Bill. -Non mi va di parlarne-rispose lui piccato...ma il suo amico parve di tutt'altro parere.
-Non se ne parla nemmeno...e, comunque non vedo quale sia il problema. La mia matrigna aveva il viso butterato dal vaiolo, eppure mio padre l'ha sposata senza che questo gli avesse impedito di frequentare mia madre.-continuò questi- Per noi, non è un problema irrisolvibile, a meno che tu non abbia la pazza idea di vederci qualcosa di sentimentale.-
L'americano si irrigidì un momento, pensando alla signorina Escobar...ma, per quanti sforzi facesse, non riusciva proprio a convincersi a vedere quella persona nel senso indicatogli dall'amico.
Era troppo infantile e indisponente, per i suoi gusti.
-Non è un problema. Quello che mi fa arrabbiare è che devo sposarmi quella mocciosa perché sono in debito con Lady Mc Stone.-borbottò, sputando le parole una ad una.
A quella frase, calò il silenzio.
Gli studenti camminavano, alcuni correndo, lungo i corridoi. Le risate sommesse di qualcuno dei presenti era un suono assai fastidioso, dato il contrasto con l'umore di questi. Cedric si pentì quasi subito di aver esternato quello stato d'animo. Non gli piaceva mostrarsi debole, soprattutto in un luogo come l'Eton College.
I due che lo accompagnavano non dissero una sola parola in proposito, come se avessero deciso unanimamente di non esternargli i loro pensieri. Non sapevano cosa fare per dargli una qualche consolazione e ritennero il silenzio la soluzione migliore, malgrado tutto.
-Gillford- fece tuttavia Bill- sapevate bene che, prima o poi, sarebbe giunto il momento di prendere moglie. Le cose, per voi, sono state anticipate un po'...ma dovevate aspettarvelo._
L'americano si irrigidì...prima di riprendere a camminare, a passo leggermente più veloce. Non era questo ciò che si aspettava...e si ritrovò con l'essere ancora più irritato di quanto già non fosse.
 
 
 
Il paesaggio londinese, in quel periodo dell'anno, era quanto di più lugubre e noioso si potesse desiderare. Grigio, umido, cosparso di una pioggia leggera e insieme penetrante che poteva trasformarsi, in qualsiasi momento, in un violento acquazzone. Ester osservava con malinconia quel posto, con un'espressione assorta che dava al suo aspetto un che di ultraterreno.
Colpa forse dei capelli, biondo grano.
-Signorina Escobar-disse la cameriera- dovete prepararvi per la lezione con Mademoiselle Treville.-
La giovane annuì, in modo meccanico e, come una bambola, si incamminò per raggiungere lo studiolo dove avveniva il suo apprendimento. Quel giorno aveva indossato un abito Primrose, leggermente più chiaro dei capelli. -Ha dato qualche precisa indicazione, a proposito dell'argomento?-domandò la ragazza.
La cameriera scosse il capo.
Fece per andarsene, quando la voce della padroncina la richiamò.
-Cosa posso fare per voi, Miss?-chiese.
Ester attese qualche momento, come indecisa su cosa dire. La sua sagoma rimase ritta e immobile, simile ad una splendida statua marmorea. La vide giocherellare, per un momento, con i riccioli che fuoriuscivano dalla chioma, con le dita che attorcigliavano il tutto intorno alla pelle, con effetti insoliti. -Lady Mc Stone, dove si trova, al momento?-domandò.
Emma la guardò, con lieve titubanza, incerta su cosa dire.
-Allora?- chiese, con maggiore insistenza- La mia tutrice è così pregna d'impegni da non avere tempo d'interloquire con me?-
La cameriera non seppe cosa rispondere...prima di assumere un'espressione sollevata. Ester la seguì con gli occhi...e solo allora si avvide della presenza dell'indiana con cui la padrona dell'edificio era solita circondarsi. Come sempre, indossava abiti scuri e molto coprenti.
La signorina Escobar si morse il labbro. Ora che ci pensava, aveva visto poco o nulla del corpo di quell'indiana. Aveva visto alcune immagini nei libri che aveva scorto in biblioteca ed erano vesti leggere e molto aperte. Sarasa, invece, portava abiti inglesi e molto chiusi, quasi puritani. -Cosa volete?-domandò, tentando di dare un tono vagamente superiore, senza troppa convinzione.
Sarasa chinò la testa.  -Signorina Escobar-mormorò la donna- Lady Mc Stone mi ha detto d'informarla che verrà un'ospite molto importante e che desidera parlarvi, prima che questa persona arrivi.-
Ester non disse niente.
In cuor suo, aveva temuto da sempre un simile confronto. La rabbia per la notizia di quel fidanzamento, contrario alle promesse della sorella, pulsava ancora dentro di lei, vivo più che mai. Eppure, qualcosa si muoveva in direzione contraria, forse il ricordo delle carezze gentili che Soledad non mancava di darle e che ora le mancavano molto.
A quel pensiero, il cuore si gonfiò di amarezza. Non era così che sperava di riallacciare i rapporti. Per quanto odiasse ammetterlo, Soledad era l'unica cosa che si avvicinasse davvero, almeno per lei, al concetto di "famiglia".
 
 
 
 
Fin da quando era nata, Soledad aveva compreso, con assoluta chiarezza quanto il caso fosse importante che la Sorte fosse un elemento fondamentale, che andava a braccetto con le abilità della persona. Ugualmente, occorreva intelligenza, per affinare le doti innate…ma questi pensieri si eclissarono nel momento in cui si volse verso la piccola figura che era comparsa nella stanza.
-Buongiorno, Lady Mc Stone. Cosa posso fare per voi?-domandò la giovane, ignorando l’indiana che l’aveva introdotta pochi istanti prima e che aveva accolto le sue rimostranze con la massima indifferenza.
-Buongiorno a voi, Miss Escobar-rispose formale la dama- Vi ho chiamato per informarvi che tra poco giungerà in questa casa mia cognata. Lady Victoria è la sorella minore di mio marito e moglie di un notabile di Rotterdam. Mio marito ha sempre avuto un buon rapporto con lei e desidero che siate ben educata e cortese, come vi è stato insegnato. Lady Victoria ha una grande inclinazione ad una condotta impeccabile e giungerà con i suoi figli. Mi fido della vostra intelligenza.-
Ester annuì, con un lieve cenno della testa.
-Quanti anni ha vostra cognata, se è lecito chiederlo?-domandò, con sguardo basso.
Soledad non batté ciglio. -Ha 34 anni ed è madre di cinque figli viventi.-rispose, senza dar segno di alcuna emozione.
La signorina Escobar fremette, attendendo con impazienza il momento in cui avrebbe lasciato quella stanza…ma Lady Mc Stone sembrava avere altri progetti. –Prima di congedarvi, avrei delle cose che intendo chiarire qui. Non desidero avere noie di questo genere, quando mia cognata giungerà.-aggiunse, facendo voltare di scatto Ester.
-A cosa state alludendo?-sbottò lei, mettendo da parte ogni remora-Alla vostra indifferenza o alla mancanza di rispetto nei confronti dei giuramenti?-
Soledad sospirò. –Immagino che siate afflitta per questo fidanzamento repentino.-concesse, mordendosi il labbro pieno. L’altra la fulminò con lo sguardo, pronta a ribattere…ma la maggiore la fermò con un cenno della mano.
-Ugualmente, vi devo dare dei chiarimenti, al fine di capire che non vi è nessun tornaconto nelle mie azioni.-disse, aprendo un cassetto-Questa lettera è giunta una settimana fa, prima della partenza di Mr. Gillford. E’di Renée. Leggetela pure.-
Ester ebbe un sussulto, poi con lentezza prese il foglio. La scrittura era di sua madre che informava Lady Mc Stone di non essere disposta a venir meno al progetto matrimoniale che aveva in mente e che non avrebbe accettato intromissioni di alcuna sorta da parte della figliastra. La ragazzina storse la bocca. C’erano molti nomi nel foglio…tranne il suo. Non ha mai chiesto di me pensò la giovane, con un nodo alla gola.
-Come potrete vedere, sono stata minacciata da vostra madre per avervi sottratta al suo controllo e, dal momento che premeva per imporvi le nozze con quel vecchio tedesco che avete visto, ho deciso di fare questo fidanzamento. Mr. Gillford ha 19 anni e deve ancora terminare i suoi studi ma sta già aiutando lo zio, in quanto futuro erede. Dicono che sia molto abile negli affari…e bello, ma questo dovrete deciderlo voi.-fece Soledad, punzecchiandola con un sorriso tiepido.
Ester gonfiò le guance.
Non aveva nessuna intenzione di digerire quella decisione come se niente fosse…ma il confronto tra l’americano ed il prussiano era palesemente impari. Razionalmente, cercò di farsi piacere quell’idea ma il cuore la pensava diversamente e le lasciava addosso un sapore amaro e freddo.
Era così presa dai suoi pensieri che non si accorse che era osservata dalla sorella... ed arrossì di conseguenza, come chi viene colto in fallo. –Vi prometto che avrete una sorte ben diversa da quella che ho avuto io e che vi sposerete in modo onorevole. Io sono diventata la moglie di Lord Mc Stone per saldare i debiti che nostro padre aveva fatto nel corso degli anni…niente di più umiliante. Una dote può fare davvero la differenza in un matrimonio...non dimenticatelo mai.– fece, prima di congedare la sorellastra con un cenno sbrigativo della mano.
 
Soledad Blanca Escobar ricordava abbastanza bene il giorno in cui conobbe la famiglia Mc Stone. Rammentava profondamente il nervosismo che le divorava le viscere, mentre il marito le raccontava dei suoi genitori e della sorella.
Con non poca sorpresa, aveva scoperto che nessuno aveva partecipato alle nozze, come i Rossignol che, dal secondo matrimonio di Don Ignatio Escobar, avevano rotto ogni rapporto. Il giovane e scontroso scozzese che aveva fatto da testimone, infatti, altri non era che il fratello di latte del marito, benché non avesse nessun legame di sangue con lui. Sono certo che piacerete alla mia famiglia e soprattutto a mia madre aveva detto Alistair, durante il viaggio.
Soledad non ci aveva creduto molto. Abituata alle delusioni, era giunta pronta alle peggiori conseguenze...e nemmeno quella volta aveva sbagliato.
Hai sposato questa straniera senza un soldo e senza il nostro consenso…non hai nessun ritegno! aveva tuonato suo padre, prima di schiaffeggiarlo con forza.Quell’intrigante ti ha ingannato per prenderti i soldi. Non vi ho insegnato a guardarvi dai pessimi partiti?aveva poi aggiunto.
Suo marito non si era lasciato intimidire, presentandola comunque. Lei avanzò, con il suo solito passo zoppo e, con una riverenza fiera e dignitosa, aveva salutato i futuri suoceri, senza cedere di un passo.
Lasciò che la squadrassero, soppesandola con quello sguardo giudicante, che sembrava fatto di pietra. Hai sposato una miserabile e per giunta zoppa? Vi ha dato di volta il cervello? continuò il capofamiglia, gonfiando le vene del collo.
Soledad non rispose.
Nemmeno le evidenti allusioni alla sua condizione fisica, malgrado la colpissero come lame sulla carne, riuscirono a lasciar intravedere una qualche espressione dolente. L'amara abitudine aveva indurito tutto...e poi, infine accadde...nel momento in cui tutti parevano palesemente contro di lei.
Cosa sta succedendo, Edwin?disse infine una voce antica. Tutti si girarono. A parlare, era stata una vecchina, dall’aria esile e vagamente dura. Non è così che vi ho educato, figlio mio. Noi siamo nobili di antica schiatta, dai tempi di Elisabetta I. Siamo nobili per i nostri meriti e dobbiamo costantemente dimostrare quanto questo privilegio sia degno di noi. Non possiamo indulgere nella pigrizia solo perché il nostro titolo è scritto. lo ammonì, fissando lo sguardo sulla sconosciuta.
Soledad sostenne quegli occhi, imponendosi il controllo.
Siete la spagnola che il mio prediletto nipote ha sposato. Come vi chiamate?domandò.
Mi chiamo Soledad Blanca Escobar. Sono figlia di Donna Honor Blanca Rossignol Escobar e di Don Ignatio Escobar.si presentò, fremendo quando la voce cadde sul nome paterno.
La vecchia si passò una mano sotto il mento. Avete una famiglia, Miss Escobar? domandò.
Soledad irrigidì i tratti.
No risposeMi chiamo Soledad e, come dice il nome, ho solo me su cui contare
Lady Mc Stone ricordava bene quelle parole. Con quella risposta, si era guadagnata l’interesse della matriarca, che aveva assistito nella sua malattia, quando cadde preda di una polmonite particolarmente aggressiva.
Con un sospiro, osservò la scatola dove suo marito era solito tenere il tabacco. Ora era vuota ma l’aroma del precedente contenuto era rimasto. Lo sentiva benissimo. Un sorriso mesto si disegnò sul volto. -Quanto vorrei avere da voi un consiglio- mormorò, accarezzando la superficie metallica. Improvvisamente, sentì bussare. Subito si ricompose e dopo aver intimato un incerto Avanti! se ne rimase in attesa.
Sarasa era sulla porta, con quel suo abito scuro e coprente. –Lady Mc Stone-mormorò l’indiana- vi informo che la signora Victoria Mc Stone Sweirlain sta arrivando.-
A quelle parole, la dama si levò in piedi.
-Molto bene- fece- informate anche mia sorella. Voglio che sia presente, insieme a Suor Lucia.-
L’indiana sparì poco dopo.
Rimasta sola, Soledad fece dei profondi respiri, nel tentativo di placare l’ansia e la tensione che quella visita poteva provocarle. Poi, con un rapido segno della croce, come per farsi coraggio, si incamminò verso l’uscita.
 
 
 
 
La carrozza si fermò poco dopo, davanti all’ingresso. Un valletto parsi si affretto ad aprire la porticina, permettendo ai viaggiatori di scendere. I primi a poggiare i piedi a terra furono un ragazzino di 14 anni, magro e secco. Poi fu la volta di una ragazzina di 18 anni, dal fisico tondo e gli occhi piccoli. Infine scesero due gemelli, entrambi con i capelli rossi, così simili che era quasi impossibile distinguere il sesso, malgrado avessero entrambi meno di 10 anni.
Poi fu la volta dei genitori.
Ester li guardò, con una punta di curiosità.
Lui era basso e dall’aspetto rubicondo, con due occhi piccoli e brillanti. Indossava gli ultimi abiti del momento, con un effetto grottesco dovuto al contrasto tra la grazia della stoffa ed il fisico tarchiato. –Lady Mc Stone- esordì questi, avvicinandosi alla padrona di casa- sono lieto che abbiate accolto la nostra lettera e mi rincresce non essere riuscito a giungere prima. Mia moglie doveva riprendersi dalle ultime fatiche del parto e non volevo compromettere la sua salute.-
La dama scosse il capo. -Non avete nessuna ragione per scusarvi. Una gravidanza è un fatto di per sé molto gravoso per una donna.-rispose, volgendo la testa alla consorte dell’uomo.
-Naturalmente... ma questo è solo il giusto modo per onorare il Signore, facendo quello per cui noi donne siamo state create-rispose la signora Sweirlain, avanzando con passo deciso.
Ester la guardò con curiosità. Indossava abiti molto castigati e severi che esaltavano la chioma chiara e gli occhi castani. I lineamenti erano duri e spigolosi, quasi virili, se non avesse visto il corpo tondo e ancora sformato dall’ultima gravidanza.
Un’altra donna, dal viso butterato da un precedente attacco di vaiolo, teneva in braccio un fagottino, avvolto nella stoffa azzurra.
-Avete pienamente ragione-convenne Lady Mc Stone, con un sorriso fatto di labbra- spero che il viaggio non sia stato faticoso anche per Theo, il vostro ultimo figlio.
Otto Sweirlain ridacchiò. –Il mio ometto ha una salute di ferro, non temete. Abbiamo preso tutte le indicazioni del caso e faremo attenzione.-rispose, con un sorriso ampio.
Soledad annuì. –Vogliate perdonare la mia maleducazione-fece, avvicinandosi alla giovane che, fino a quel momento, non aveva proferito parola- vorrei presentarvi la signorina Escobar, mia sorella.-
La ragazzina, chiamata in causa, esibì il migliore degli inchini che riuscisse a fare, sperando così di allentare tutta l’attenzione che la maggiore aveva disposto su di lei con quelle ultime parole. –E’molto graziosa-convenne la signora Sweirlain-anche se i suoi colori sono molto diversi dai vostri.-
Ester sussultò.
-Non vedo dove sia il problema. Non è cosa strana che vi siano figli diversi, a patto che il seme da cui provengano sia lo stesso.-rispose Soledad, scatenando la grassa risata dell’uomo. –Vostra cognata è molto divertente.-commentò lui, una volta calmatosi.
Victoria rispose con un piccolo sorriso di circostanza. –Sono le sue origini spagnole a conferirle questa particolarità.- fece, fissando la padrona di casa senza alcun calore.
Lady Mc Stone ricambiò e, dopo essersi scambiata qualche altra parola con tutti loro, si incamminarono verso il palazzo. Ester non fece parola…ma non le sfuggì la strana freddezza con cui si era rivolta agli ospiti, mascherata da maniere impeccabili.
 
 
 
Oceane passeggiava sul ponte.
Aveva ricevuto una giornata libera dalla sua datrice di lavoro e decise così di approfittarne per fare qualche passo all’aperto. Nel farlo, prese una minuscola guida dalla copertina scolorita, ben decisa a sfruttare le informazioni per esplorare meglio quella grande città.
Londra era un luogo molto interessante, doveva riconoscerlo. Le sue vie caotiche racchiudevano in sé tutto il mondo conosciuto ed era curiosa di vedere se c’era qualche mostra in giro. Avrebbe voluto vedere le ultime novità parigine, soprattutto se erano usciti nuovi romanzi d’appendice.
Istintivamente guardò la propria borsetta, chiedendosi se avesse tutti i soldi necessari ma si accorse di aver lasciato parte dello stipendio nell’alloggio presso Lady Mc Stone e subito scosse il capo, chiedendosi se fosse opportuno andare là.
La padrona di casa le aveva detto, in modo molto evasivo, che la sua ospite era un personaggio ostico e bigotto, ostile con chiunque non le fosse andato a genio. Fu proprio mentre stava riflettendo sul da farsi che notò un cancello scuro e tetro. L’istitutrice si fermò, con un’espressione triste in viso.
Poco più in là, nell’edificio gotico che stava oltre quella barriera, piccole sagome si muovevano in fila, seguendo un ordine ben preciso. Oceane controllò la cartina della piccola guida che aveva preso.
Quello era uno degli orfanotrofi londinesi più grandi e si trovava poco distante dalla St. Paul. Un luogo dove i figli di nessuno venivano accolti e cresciuti nella vergogna di non avere una famiglia di pregio. Persone senza radici, trattate come esseri pregni di peccato, spesso più deboli verso le numerose epidemie che colpivano la città.
L’istitutrice stirò le labbra, preda della compassione. Non invidiava affatto quei bambini e nemmeno la spocchia con cui le classi più ricche rimarcavano la loro fortuna con quel piglio fatalista con cui giustificavano le loro azioni ed annegavano tutti i loro possibili rimorsi di coscienza.
Istintivamente si strinse nelle spalle.
Non era il momento di fare quel genere di riflessioni.
Fu proprio mentre si avviava verso la piazza principale che notò la figura secca e flessuosa del signor Borowsky. Lo vide entrare nel cortile e discorrere con alcune delle autorità dell’orfanotrofio.
Rimase a lungo a fissarlo, chiedendosi cosa ci facesse là…ma non tardò ad avere una risposta. La stretta di mano che il russo ricevette dal direttore della struttura gli fece dedurre che l’uomo fosse un filantropo.
A quella vista, strinse con forza il libro di poesie che teneva in braccio.
-Miss Treville!-esclamò l’uomo, accorgendosi di lei.
Il direttore si era congedato ed il diplomatico, rimasto solo, aveva scorto l’istitutrice. A passi decisi si avvicinò al cancello. –Non avrei immaginato di vedervi per questa via-esordì, con un sorriso cordiale.
Oceane si strinse le spalle. –Pare che sia destino- mormorò, con meno entusiasmo del solito.
Igor inarcò la fronte. –Avevo una commissione da svolgere. Un mio conoscente è solito fare donazioni a questo istituto per gli orfani ma non poteva venire oggi. Una seria indisposizione gli impediva di farlo.-spiegò, scuotendo il capo- Ho avuto un invito informale ad un piccolo ma interessante balletto. Volete venir con me?-
Oceane stette un momento zitta.
-Vorrei-rispose- ma credo che non lo farò. Oggi ho delle commissioni da svolgere. Sapreste indicarmi l’ufficio di posta più vicino?-
Il russo aggrottò la fronte…poi rispose, dicendole quello che voleva. Nel farlo, tuttavia, ebbe come la sensazione di aver ferito in qualche maniera quell’istitutrice. Quale fosse la ragione, tuttavia, era per lui un mistero.
Tutto quello che riuscì a fare, troppo sbigottito per quel rifiuto, fu darle quella risposta, non senza chiedersi se avesse commesso qualche errore. Oceane lo ringraziò con cortese freddezza, prima di lasciarlo lì, su quel cortile ormai spoglio.
 
 
Capitolo transitorio. Finalmente vediamo l’arrivo di Lady Victoria e le cose si stanno complicando. La visita alla dama arriverà a momenti, con tutti i guai che si portano dietro. Le due sorelle non hanno ancora fatto pace e si sono chiarite, solo un po'…ma ci sarà il momento giusto, non temete.
Qualcuno le darà delle spiegazioni poco ortodosse sul matrimonio…e sarà una bella sorpresa credo. Oceane intanto è risentita da Igor…e qui merita una spiegazione che anche lei darà. Lei odia i comportamenti bigotti e ipocriti…e la filantropia era solo un modo per sembrare una brava persona. Ecco perché se la prende. C’è poi altro, comunque.

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** XXXVI ***


 XXXVI
 
 
 
Ester batteva nervosamente il piede.
-Vi prego di avere pazienza, Miss!-le diceva la cameriera.
-Vorrei poterlo dire io, Emma- si lamentò la giovane- Provate ad essere al mio posto in questi giorni e poi pensate se sia il caso, o meno, di fare una simile raccomandazione.-
La giovane la guardò dispiaciuta e la signorina Escobar non poté fare a meno di emettere uno sbuffo, spazientito. -Vi prego di non angustiarvi, o di dire qualche patetica scusa. Non le apprezzo. Chi si scusa troppo, ha qualcosa da nascondere.- ribatté, con un cipiglio deciso.
-Non lo farò, signorina.-rispose questa.
La spazzola riprese a scorrere.
Ester la lasciò fare. -A volte, credetemi, vorrei avere maggiore pazienza. Il problema è che non sopporto i nostri ospiti ed il loro comportamento con Lady Mc Stone. Per quanto le sue azioni possano sembrare disdicevoli, trovo assolutamente inopportuno quella supponenza.- ribatté.
Emma non rispose.
Sapeva benissimo a cosa stava alludendo la sua padroncina. Per quanto volesse, aveva tentato di essere gentile con i figli di Lady Sweirlein ma non ci era riuscita. I più piccoli erano viziati e capricciosi, mentre Elizabeth la trattava con disprezzo, adducendo come scusa la sua parentela.
Voi non siete altro che la parente povera di mia zia, quella povera creatura che non ha minimamente rispetto delle convenzionile aveva detto, quando aveva provato a conversare con lei.  A quel punto, Ester aveva desistito. Liz la guardava con sufficienza...tanto da tollerare sempre meno una simile condotta.
-Spero che la loro permanenza non duri troppo, cara Emma.- mormorò, con fare piccato. Oltre a Liz, infatti, sua madre Victoria non era meno arrogante. Insieme al marito, non mancavano di soppesare il valore dei beni della casa, trattando malamente la servitù. Nemmeno Sarasa, la dama di compagnia di sua sorella, era stata risparmiata da una simile condotta.
Le sue origini indiane e le vistose cicatrici sul viso la rendevano particolarmente inquietante. La signorina Escobar si era abituata a tutto questo ma doveva ammettere che la sua figura lasciava abbastanza perplessi.
Emma non disse niente. -Oggi avrete lezione?-chiese, mentre terminava di preparare la sua pettinatura.
-No-rispose la bionda- Lady Mc Stone ha chiesto espressamente di andare alla messa nella chiesa cattolica locale. Ha detto che è giusto che noi frequentiamo quei luoghi, soprattutto per non venire meno alla tradizione cattolica.-
La cameriera non disse niente.
-Spero di non aver offeso la vostra religione. Come anglicana, deve essere assai fastidioso servire deipapisti ...ma non vi biasimerò per questo. Finché sarete rispettosa di questa casa e della mia persona, non vi metterò in imbarazzo.- fece, sorridendole piano.
-Nemmeno io lo farò-rispose la cameriera, in modo automatico.
Improvvisamente, bussarono alla porta.
-Avanti- fece Ester, senza nemmeno voltarsi.
-Miss Escobar- disse una cameriera hindi- Lady Mc Stone ha espresso il desiderio di parlarvi privatamente nel suo studiolo. -
La giovane non disse niente.
Si alzò dallo sgabello e si incamminò alla porta. -Per la messa, Emma, preparate quel completo rosa. Ho intenzione di rinnovarlo.- riferì, incamminandosi verso lo studio.
Una volta alla porta, fece un paio di respiri profondi.
-Miss Escobar- disse il cameriere- la padrona è di umore equilibrato. Non temete, non sarà maldisposta verso di voi.-
Lei lo fissò.
Non sapeva cosa pensare di quella cortesia. Non riusciva a capire se fosse sincera o drammaticamente affettata...ma ugualmente scrollò il capo.
-Entrate pure, Ester-disse la voce di Lady Mc Stone e timidamente obbedì.
Sua sorella era seduta su una poltrona e, come le vedeva spesso fare, leggeva un giornale. -Accomodatevi-la esortò, senza guardarla.
La ragazza obbedì, lanciando occhiate furtive ai ritratti presenti. I visi dei Mc Stone campeggiavano impietosi nella stanza, dandole l'impressione che soppesassero tutti i visitatori, con i loro occhi privi di calore.
-Vi informo che tra poco, andremo tutti alla messa presso il London Oratory. Beneficerete della musica del coro e monderete la vostra anima, come si conviene.- fece la dama -Indossate qualcosa di consono all'occasione ma non sciatto.-
Ester non ribatté.
-I signori Sweirlein rimarranno ospiti in questa casa per alcune settimane. Mi raccomando, adotta un comportamento...opportuno...anche se non credo che ve ne sarà bisogno. A meno che non sia strettamente necessario, non sei tenuta a frequentarli. In ogni caso, le lezioni con Mademoiselle Treville saranno sospese fino a quando lo riterrò necessario. Riceverai ugualmente le lezioni di ballo...sempre che tu sia d'accordo.- fece, lanciandole un'occhiata ambigua. Ester annuì meccanicamente, non sapendo come interpretare quella decisione. Passare il tempo senza far nulla le pareva insopportabile...ma, nella tediosa scelta tra l'isolamento e la sgradita compagnia, non poté che scegliere il male minore.
 
 
 
Il completo che aveva indossato era uno dei suoi preferiti.
Un colore rosa chiaro che esaltava il suo naturale pallore, dandole una patina di raffinatezza per nulla ricercata e dimessa. Si rimirò varie volte, complessivamente soddisfatta del risultato.
-La fattura di questo abito è assai pregevole- commentò, ammirando sinceramente la stoffa. In vita sua, non aveva mai portato cose del genere...ma si guardò bene di esternare simili particolari. Raccontare che sua madre, per provare a saldare i debiti e le spese mediche del genitore, aveva finito con il vendere tutti i vestiti che aveva portato in gioventù, non era un argomento piacevole.
Ogni giorno, i creditori bussavano alla porta, chiedendo il pagamento delle cose che suo padre aveva preso  e che non avrebbe mai restituito. Con uno sbuffo, indossò gli stivaletti a medio tacco, che era solita portare al collegio. La cameriera aveva disapprovato ma Ester aveva opposto un netto rifiuto alle scarpe nuove. Non voglio trovarmi con i piedi doloranti questa sera aveva detto, per difendere le sue idee.
E così era riuscita a spuntarla...ed ora si trovava sul selciato della chiesetta, vicina alla sorella. Lady Mc Stone aveva salutato molti dei presenti, avvolta nel suo abito scuro. Avrebbe portato il lutto per un altro mese, prima d'indossare nuovamente vestiti più vivaci.
Lei la osservava, con la coda dell'occhio.
La sua apatia era perenne.
Si muoveva con grazia e gentilezza ma c'era sempre qualcosa, una tristezza di fondo che non se ne andava mai...e si chiese a cosa fosse dovuto quel particolare stato d'animo. Ester si domandò cosa fosse successo. Non era la prima volta che vedeva quell’ombra, sullo splendido viso della maggiore.
 
 
 
 
Il soffitto della stanza era cosparso da un sottile alone di muffa, segno dell’umidità che stava mangiando le pareti. “Chissà se mi cadranno sulla testa” andava pensando con timore…e per esorcizzare quella paura si tirò le lenzuola fino al mento.
La notte inglobava tutto, facendole sembrare lo spazio angusto della sua cameretta più grande e minaccioso di quanto già non fosse…e si chiese se il mattino seguente sarebbe stato migliore. La bambina assunse una smorfia incerta. Anche quel giorno aveva mangiato stufato di cavolo e patate, insieme a quel pane nero che non le piaceva…e poi erano venuti due signori vestiti in modo dimesso per parlare con sua madre. Ester sospirò. Avevano parlato con la mamma e questa, risentita gli aveva dato dei monili d’argento…scatenando l’ira di sua sorella Soledad.
Quei gioielli erano parte del corredo della prima moglie del suo defunto padre e sua madre, avendo venduto tutto per saldare i debiti per le cure del signor Escobar aveva dato fondo anche a quello che non le apparteneva.
Soledad le aveva gridato contro, con una rabbia mai vista…e sua madre, dopo averla lasciata strillare, le aveva mollato uno schiaffo che aveva fatto finire a terra la figliastra. “Dovreste solo tacere. Io sto facendo il possibile per provvedere alle grame finanze del mio povero sposo…mentre voi? Non fate altro che rimpiangere una morta, senza preoccuparvi di tenere a voi qualche pretendente che sia abbastanza generoso da non guardare alla vostra zoppia.”aveva detto, con un filo di cattiveria malcelato “Se volete prendervela con qualcuno, fatelo con i Rossignol, che non hanno minimamente agito per soccorrervi in questo disgraziato frangente”.
 
Ester socchiuse gli occhi.
Quella notte aveva preceduto l’incontro di sua sorella con Lord Mc Stone…e per tutto quel tempo, non aveva mai chiuso occhio. I singhiozzi di Soledad rimbombavano nella stanza, facendole venire la voglia di piangere a sua volta, se non altro per non farla sentire così sola.
-Signorina- disse la cameriera- possiamo andare.-
Lei annuì meccanicamente, scuotendosi dai suoi pensieri.
Non era il momento di percorrere il viale delle rimembranze. Quella messa era l’occasione per poter uscire un po’…e lei ne avrebbe approfittato. Si mise uno scialle attorno al corpo e, senza pensare ad altro, segui Emma.
Nel fare questo, tuttavia, si domandò dove fossero finiti quei gioielli d’argento che sua madre aveva venduto ai creditori, senza minimamente tener conto dei sentimenti di Soledad. Erano molto belli. Saranno nelle case di un nobile o di qualche borghese?
Questo pensiero, scatenato da quel ricordo improvviso, incastonato nella sua memoria passata, quando aveva cinque anni, rimase a farle compagnia per tutto il tragitto che separava la giovane dalla chiesetta cattolica. Non ve ne erano molte, in Inghilterra, soprattutto a seguito del passaggio alla religione inglese. Ugualmente, qualcuno aveva ricavato una nicchia, che si era trasformata in seguito in un punto di ritrovo per i cattolici di Londra.
-Eccoci-proferì Lady Mc Stone- siamo arrivati.-
La signorina Escobar inclinò la testa, non senza arricciare il naso. L’edificio era minuscolo e poco bello a vedersi, ben diverso dalle maestose chiese del continente. –E’ molto tempo che non andiamo ad una messa. Sono certa che sarà molto utile…per mondare la nostra anima dai peccati.- fece, dando alle ultime parole un tono strano e incerto.
La minore inarcò la fronte, come presa in contropiede da quell’inclinazione della voce, troppo ambigua per poter essere adatta alla sua tutrice…ma l’espressione distesa e compassata di Lady Mc Stone rimase immutata, come una splendida maschera veneziana che improvvisamente prendeva vita.
L’abito color cenere esaltava i capelli color dell’autunno di sua sorella, malgrado li avesse orrendamente castigati in una crocchia stretta e inflessibile.
Lei la seguì, con il suo vestito decisamente meno serioso…e subito si accorse che alcune persone erano venute a parlare con la sua tutrice. La signorina Escobar ne rimase sinceramente perplessa. Erano di varia estrazione sociale ma tutti parevano desiderosi di conversare con Lady Mc Stone: alcuni provenivano dalla nobiltà, altri erano dei baronetti, altri ancora provenivano dalla borghesia o, addirittura, di levatura assai inferiore.
-Emma- disse allora, avvicinandosi alla sua cameriera personale- sapete di cosa si occupa mia sorella?-
La giovane la guardò interdetta. –Oltre ad aver ripreso l’attività del marito, il più illustre orientalista di Londra, rappresenta, per le sue origini, un punto di riferimento per coloro che sono in questa città ma non sono inglesi. Ha aperto dei punti d’informazione e dei dispacci di un certo livello, senza contare che ha messo in affitto degli spazi che sono usati per aprire dei negozi.- fece- Ha anche dei saponifici molto apprezzati, dove lavorano soprattutto donne e bambini. So che è una delle poche persone ad assumere delle ragazze madri. Le impiega per la preparazione di un ricco mercato di pizzi e merletti.-
Ester ne rimase sinceramente sorpresa. –Credevo che vivesse della rendita delle sue terre in Scozia.- ammise.
La cameriera alzò le spalle. –La signora non ama restare in ozio. Potrebbe ma non lo fa.- rispose.
-Lady Mc Stone- proferì allora una voce- sono sorpreso di vedervi qui.-
Le due si voltarono…per poi trasalire, quasi in contemporanea.
Lord Mc Kenzie era di fronte alla vedova, con indosso i migliori abiti della sartoria londinese…ma c’era sempre un che di ribelle nella sua mise, che conferiva al suo aspetto una sfumatura selvaggia. Forse era la sua stazza, muscolosa e per nulla gracilina, come era per molti aristocratici.
Forse gli occhi chiari, penetranti e insieme ermetici.
Forse erano i capelli scuri, legati in un codino ma che, sciolti,  potevano scendere fino alle spalle.
Mentre notava tutto questo, la signorina Escobar arrossì.
-Prima o poi, sarei dovuta uscire dalla mia villa- rispose la donna, fronteggiandolo con distacco- non credete?-
Brennan sorrise.
-Avete perfettamente ragione.-disse, guardandola fisso in un modo che avrebbe atterrito chiunque.
Lei però non parve farci caso, come se ci fosse abituata. –Ci metteremo nelle prime panche della chiesa, in modo che tutti possano attestare la nostra presenza qui. Verrete con noi?- domandò, facendo sussultare Ester.
Brennan rimase un momento zitto…poi acconsentì.
 
 
 
 
Non ricordava quando era stata l’ultima volta che aveva messo piede in una chiesa.
Alla Bedford, non potendo uscire, aveva finito con l’appoggiarsi al minuscolo rosario in granati che Soledad le aveva regalato per il suo quinto compleanno, vendendo un cameo di pregiata fattura per ricavare la somma necessaria all’acquisto. Lo stesso gioiello che teneva nella tasca e di cui accarezzava le pietre, mentre ascoltava la predica in latino del sacerdote.
Un coro a cappella, alle spalle dell’altare, accompagnava le varie parti della messa, secondo i dettami della Chiesa di Roma.
Incerta, si accarezzò il collo.
Lord Mc Kenzie aveva acconsentito a sedersi completamente a disagio accanto a loro…ed ora lei si trovava in mezzo. A destra c’era il truce  scozzese, a sinistra la sua silenziosissima tutrice. Che situazione! si ritrovò a pensare. Poi venne il momento delle offerte e la giovane Escobar, lanciando un’occhiata a Emma, le aveva chiesto di fare l’offerta in sua vece, non possedendo denaro con sé. Quello fu comunque l’unico istante in cui finse di non accorgersi della tensione che balenava nelle persone in mezzo alle quali si trovava. La prossima volta mi siederò accanto a Emma fu il pensiero seccato della giovane.
Il latino del prete giungeva alle sue orecchie come un eco indistinto, che non riusciva a mettere fine alla serie di pensieri che affollavano in quel momento la sua mentre. Tra un paio di giorni, avrebbe fatto quella visita in campagna. Non sapeva sinceramente cosa attendersi, dal momento che non aveva nessuna esperienza in proposito. Le sue compagne di collegio, ben più ricche e fortunate di lei, non mancavano di decantare le bellezze dell’ambiente campestre, ingigantendo all’occorrenza i pregi per poter essere ammirate ed invidiate dalle altre...soprattutto coloro che non potevano vantare i loro stessi privilegi.
Il mio abbigliamento sarà adeguato? Potrò disegnare? Potrò provare a pescare?...Dicono che sia piacevole…ma mia sorella approverà? Non mi ha mai negato nulla di ciò che le ho chiesto…verrà pure Lord Mc Kenzie? Sarebbe assai spiacevole. Da quando è qui, sembrano costantemente in disaccordo…sempre meglio di Lady Victoria e della sua noiosissima figlia…se non fosse per mia sorella, le avrei strappato tutti i capelli che ha sulla testa!andava pensando, dietro la migliore delle espressioni di bambola del suo repertorio. In quel momento, consapevole della natura delle sue riflessioni, aveva deciso d’imitare le maniere composte di Lady Mc Stone…ma dubitava fortemente di esserne capace. Sentiva costantemente i silenziosi sbuffi divertiti di Lord Mc Stone che, ogni tanto, la guardava di sottecchi...e si imbronciò, indispettita della cosa.
Non seppe dirsi quali sentimenti lo animassero.
L’ostilità dello scozzese era tale da mettere tutto il resto in secondo piano.
Al termine della cerimonia, tuttavia, fu Lady Mc Stone a porre fine a quel silenzio.
-Avete intenzione d’incontrare Lady Sweirlein? Mi ha chiesto di voi.- fece, incedendo con quel passo strano e ritmato, quasi a tempo di danza. Malgrado facesse di tutto per nasconderlo, la sua zoppia era un difetto troppo vistoso perché i suoi intenti avessero successo.
-Verrò durante il pomeriggio, se la cosa non vi angustia troppo.-rispose lui, senza alcuna gentilezza nella voce.
La spagnola non ribatté.  –Sia dunque come volete- fece, camminandogli accanto.
Brennan ghignò a quelle parole.
Un’armatura algida come sempre, devo riconoscerlofu il suo pensiero.
 
 
 
Cedric aveva rimandato a lungo quell’incontro.
Era nelle sue corde, d’altra parte, procrastinare tutte le cose spiacevoli…e parlare con sua madre era tra queste.
-Mi fa piacere che voi veniate a farmi visita qualche volta- disse l’americana, bevendo una tazza di tè- anche se è sempre troppo poco, a mio parere.-
L’altro ciondolò un po’ sulle gambe, fremendo dal desiderio di andarsene di lì. Le maniere cordiali e spicce della madre erano presagio di future spiacevoli conseguenze. –Mi avete fatto andare voi alla Eton- rispose con tono accigliato.
Margareth si bloccò.
-Hai ragione.-convenne, posando la tazza- Non dubito che questa decisione vi abbia creato problemi. Se voi foste nato dal grembo di una nobildonna, non avreste avuto simili inconvenienti…ma ricordate che le razze imbastardite sono più resistenti dei purosangue.-
Il figlio scosse il capo. Non si era mai vergognato della bassa estrazione sociale della madre…soprattutto da quando aveva messo piede a Londra. Le dame che aveva visto gli erano sembrate insignificanti e senza spessore, tanto da fargli pensare che non vi fosse alcun vantaggio nel impiantare le proprie radici lì. Tutti questi pensieri erano stati messi in crisi da quando era finito nella villa dei Mc Stone. La spregiudicatezza della vedova gli ricordava quella della madre e dello zio, tanto da renderlo ancora più insofferente del solito. –Prendete Lady Mc Stone, per esempio- continuò questa, dando voce ai sospetti che gravitavano nella mente del primogenito- Lei è spagnola e per metà borghese ma nessuno ha mai dubitato della sua moralità…tanto da essere ben accetta in tutti gli ambienti.-
Con calma, accavallò le gambe.
-Nemmeno voi siete contraria a questa mossa, a quanto vedo- fece il giovane, fremendo di stizza.
Margareth lo guardò.
-So che non siete felice qui e che vi ho caricato di responsabilità grandi ed onerose. Da quando tuo padre è morto, poco dopo la nascita di Ann, ho faticato moltissimo per non permettere alla miseria di rovinarci. Non avrei mai voluto far ritorno qui…ma non potevo garantirvi un’esistenza decorosa e desideravo tutelarvi. Puoi biasimarmi per questo?-chiese lei, con un tono così serio da colpire il figlio.
Ricordava bene quali sacrifici avessero fatto…a cominciare dalle ipoteche che si erano mangiate il minuscolo ranch che avevano faticosamente comprato, dando fondo ai loro risparmi. Il West, dopotutto, non era un luogo ospitale. Ogni centimetro di terra fertile, ottenuto con il sangue ed il sudore, poteva essere spazzato via in un solo istante, vanificando gli sforzi di una vita.   –Ricordi bene le ristrettezze in cui abbiamo vissuto e le lacrime che abbiamo versato nella notte, quando il pane mancava. Tuo zio ha un pessimo carattere…ma non tutti avrebbero riaccolto così il figlio di un uomo che è fuggito con una cameriera. Riconosci questo. Indipendentemente dalla delusione che gli hanno riservato gli altri nipoti, ospita nella sua casa tutta la famiglia del suo defunto fratello, rifiutandosi di destinare a me e a tua sorella un alloggio lontano da qui.- concluse con durezza.
Cedric incassò tutti i colpi.
Il ricordo della miseria passata era un peso umiliante e doloroso, che lo caricava di odiose responsabilità che accettava sempre meno volentieri. Il suo futuro era stato programmato in un modo che non gli piaceva per nulla…ed avrebbe voluto rifiutare. Già…ma a quale prezzo? pensò, mentre la mente volava ad Ann, la sua amatissima sorellina. Lei aveva solo sedici anni e, per il momento, non le era stato permesso di debuttare. La sua origine aveva dissuaso Margareth dallo spedirla in qualche collegio.
Avrebbe potuto farlo ma aveva preferito spronare il figlio, in modo da fornire terreno solido anche alla più giovane, su cui cadevano responsabilità diverse. Lo zio non si era ancora pronunciato a proposito della decisione di Lady Mc Stone ma era solo questione di tempo, conoscendo il signor Gillford e la madre. 
-No madre- rispose infine, non senza sforzo.
La donna, sentendo quel tono, si avvicinò.
-Tu sei il mio orgoglio- fece, prendendogli il viso tra le mani- non mi hai mai dato un singolo dispiacere e non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che stai facendo. Prego solo che questo obbligo non rimanga tale a lungo e che tu trovi quella serenità che ti è stata a lungo negata.-
Cedric non rispose.
Se ne rimase lì, a fissare sua madre, aggrappandosi a quegli occhi decisi e insieme dolci.
 
 
Ester uscì dalla cerimonia, al seguito di Lady Mc Stone e di Lord Mc Kenzie.
La fine della messa era stata accolta con un certo sollievo dalla giovane che, per tutto il tempo, non aveva fatto altro che distrarsi pensando a come evitare qualsiasi attrito con gli odiosi figli di Lady Sweirlein. Lontani dalla madre, avevano mostrato un’indole assai diversa da quella sfoggiata pochi istanti prima. Le avevano fatto lo sgambetto e ricoperta di dispetti che, neanche troppo velatamente, erano incoraggiati da Liz la quale aveva mostrato fin da subito un profondo disprezzo verso di lei.
La giovane non poteva credere che esistessero persone tanto odiose…ma non avrebbe mai rivelato nulla a Soledad. Una questione di orgoglio, forse, mista alla consapevolezza che non poteva dipendere da lei per ogni problema. Così andava pensando. Per una volta, avrebbe provato a cavarsela a suo modo, in maniera da evitare qualsiasi spiacevole dissapore con sua cognata. Non sapeva se ci sarebbe riuscita ma avrebbe comunque fatto un tentativo.
Durante la messa, non aveva visto la famiglia Sweirlein.
Mia cognata si è convertita al luteranesimo. Ha seguito la religione del marito e quindi non verrà nella nostra stessa chiesa. aveva spiegato lei, con la sua algida indifferenza. Ester non sapeva cosa pensare, mentre era immersa in simili considerazioni. I muri erano intrecciati d'edera e, poco oltre, qualche quercia annerita dal fumo delle fabbriche faceva tristemente capolino. Alcune statue di angeli e di madonne erano disposte nelle minuscole nicchie del muro...e, senza pensarci, si avviò per vederli ancora meglio.
Erano in fatte in pietra grigia, dando un che di gotico all'intera struttura. La biondina vi si avvicinò, allungando la mano, come per poterle toccare. La loro altezza, tuttavia, consentiva di poterle sfiorare a stento, così si ritrovò a sbuffare, indispettita dal mancato successo dei suoi propositi.
Alla fine, ci rinunciò, non potendo fare a meno di rimpiangere il fatto di non avere con sé il proprio blocco per gli schizzi. Avrebbe voluto ritrarre quelle immagini, invece di accontentarsi di fissarle solo nel ricordo...ma doveva farlo.
-Non dovete preoccuparvi.-disse una voce bassa- Alla residenza dove andrete in villeggiatura, potrete vedere meglio questo tipo di sculture. Ci sono diversi cimiteri di campagna, alcuni monumentali. In ogni caso, credo che dobbiate occuparvi dei vivi. L'esistenza umana sa essere assai fugace, nella sua brevità.-
Ester inarcò la fronte.
Non si era accorta di essere seguita. -Lord Mc Kenzie- disse, chinando gli occhi- non mi ero accorta che mi steste seguendo.-
Lo scozzese la squadrò, con quell'espressione selvatica ormai familiare.
Lo fissò a sua volta, inclinando la testa.
-Mia sorella ha chiesto di me?-domandò.
Brennan lanciò un'occhiata obliqua.
-No-rispose- ma sarebbe meglio che la raggiungeste. Ha quasi terminato di conversare con gli altri frequentatori della chiesa e sarebbe bene per voi andare da lei. Non è consono che vi allontaniate in questo modo. Potreste dar segno di maleducazione.-
Ester chinò il capo.
-Va bene-disse, prima di sfoggiare un sorriso di circostanza- spero che il parco dove andrò in villeggiatura sia buono per i miei disegni.-
Brennan non rispose, attendendo che la giovane si incamminasse verso la chiesa. Non appena questa lo fece, lanciò una nuova occhiata alla strada. La signorina Escobar non l'aveva notata...ma una carrozza, priva d'insegne, era rimasta ferma sul ciglio opposto della via. Diffidente per natura, aveva raggiunto quella ragazzina e si era messo a studiare il mezzo che vide muoversi non appena la bionda si era allontanata. Che stesse attendendo lei? si chiese, mentre squadrava minaccioso la via.
Qualunque fosse la ragione, avrebbe di certo informato la sua tutrice.
Benché l'idea non gli piacesse, non si sarebbe macchiato la coscienza per un puntiglio che avrebbe danneggiato un'innocente. Lui era un uomo d'onore, per quanto strano potesse sembrare.
 
 
 
 
 
Quella sedia a dondolo era un arredo quanto mai bizzarro per un salotto.
In mezzo ad uno stile georgiano, pareva un elemento di cattivo gusto...ma Ann Gillford non era minimamente preoccupata della cosa. La mano eseguiva con perizia il ricamo che aveva visto nel catalogo della modista, riproducendo la fantasia floreale che aveva acceso il suo interesse. Nel frattempo, guardava con calma le due sagome accomodate al tavolo.
La partita a piquet era giunta a metà del suo corso e poteva vedere, dall'espressione seccata dello zio, che non stava prendendo una bella piega per lui. -Mio caro cognato-fece sua madre, con un sorriso felino in volto- avete inviato una lettera a Lady Mc Stone?-
-Colore-borbottò lui.
Margareth calò la carta.
-Lady Mc Stone è così tremenda?-chiese lei, facendo la sua mossa.
Gilbert sbuffò. -E'molto influente ed occorre vedere se avrà tempo. Ha degli ospiti e non so quando se ne andranno.- disse- Non buona.-
-Buona-ribatté lei, riferendosi alle carte- In ogni caso sarebbe buona cosa che  voi facciate avere vostre notizie, almeno per informarlo della vostra opinione a proposito del fidanzamento. Non possiamo rimanere sulle spine in questo modo, senza che vi sia un'ufficializzazione che metta tutto in regola.-
-Colore- proferì l'altro- Come siete formale, cara cognata. Davvero pensate che la mossa di Lady Mc Stone possa essere un buon affare? Legarsi alla famiglia di quella donna porterebbe a conseguenze inattese. -
Margareth sospirò.
-Io non penso niente. Ho visto mio figlio e conosco la vostra società abbastanza da sapere che l'interesse degli sposi è l'ultimo dei pensieri...ma questo conta poco. Io sono stata felice con vostro fratello e non ho mai pensato d'intaccare il patrimonio della sua famiglia...altrimenti avrei cominciato a piangere miseria subito dopo aver seppellito mio marito. - disse, assottigliando lo sguardo- Ho comunque tutto l'interesse di garantire loro una vita dignitosa. Se non fossi rimasta vedova, avrei agito in altro modo...ma le cose stanno così, purtroppo ed io non amo i rimpianti.-
Gilbert stirò le labbra.
-Manderò una seconda lettera nei prossimi giorni, allora.-concesse.
-Mi sembra una magnifica mossa-rispose lei, prima di sorridere- a proposito, ho fatto cappotto!-
Mr. Gillford borbottò.
Mentre era intento a parlare con quell'americana, aveva abbassato la guardia. -Non vale!-esclamò, tentando di correre ai ripari.
Margareth lo guardò con un sorriso furbo. -Mi dispiace, caro cognato, ma hai perso-disse- ed ora paga.-
Ann, vedendola, chinò il capo.
Sua madre era sempre stata un'ottima giocatrice ma suo zio si ostinava a sfidarla, perdendo sempre. Come è testardo fu il suo distratto commento, prima di gettarsi nuovamente nel ricamo.
 
Scusate il ritardo. La storia continua, nella maniera che mi sono prefissata. Ringrazio chi mi segue e Diana924 perché mi recensisce sempre. In questo capitolo non succede niente di particolare o forse no. Le cose potrebbero mutare...chissà. Grazie a tutti. Se avete voglia, tempo di lasciar qualche commento sappiate che sono bene accetti.

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** XXXVII ***


 

Benvenuti a questo nuovo aggiornamento. Io continuo a ringraziare tutti coloro che mi leggono e recensiscono. Siete molto gentili e spero che questo racconto continui a interessarvi. Grazie a tutti coloro che mi leggono e vi prego di lasciare una recensione se avete un momento libero, ovviamente. In ogni caso vi auguro buona lettura.

 

XXXVII

 

 

-Lady Mc Stone- disse Rashid.

-Cosa volete?-domandò la dama, mentre leggeva le pagine del giornale nella minuscola terrazza dei suoi alloggi.

Il maggiordomo si avvicinò, camminando sciolto verso di lei. -E'giunto un messaggio da parte del signor Borowsky.-riferì, porgendole una busta.

Soledad la prese.

-Non vi ha visto nessuno, vero?-chiese, rigirandosi la missiva tra le mani.

Il sikh scosse il capo.

-Rashid, nessuno deve saperlo-continuò- mi fido del vostro silenzio e della fedeltà che dovete al mio defunto marito. Queste lettere possono fare molti danni, gli stessi che hanno causato lo sfacelo che ci ha condotto sino a qui.- Guardò per un momento la busta, sospirando pesantemente. -Mi rendo conto che le mie azioni sono state oltremodo...ingrate...e voglio espiare, almeno per quanto riguarda me.- continuò- Non posso che sentirmi in colpa per quanto accaduto...io non volevo che andasse a finire così. Alistair mi ha dato tanto...ed io non ho saputo proteggerlo.-

Il maggiordomo prese la tazzina che aveva portato pochi istanti prima.

-Se posso permettermi, Miss-fece lui- in tutto questo, avete agito per amore...e non c'è niente più nobile di questa casa. Io non smetterò di esservi grato per quanto state facendo. Vorrei che anche loro lo sapessero, quanto siete saggia e fedele ai patti.-

Lady Mc Stone scosse il capo. -Sono una femmina di ben misero valore, invero-replicò- non ho mai saputo parlare a mio marito nella maniera che meritava...dirgli la ...profonda gratitudine per quanto aveva fatto per me. -

Rashid non disse niente.

Dalle parole della dama, non poté comunque fare a meno di percepire la profonda afflizione che gravava su quella donna di 26 anni. Così, con fare silenzioso, si congedò...non senza lasciare uno sguardo all'indiana che stava muta al fianco della vedova. Lei ricambiò l'occhiata, con quelle iridi un po'perse, un po' senza fondo che possedeva spesso.

Quando la porta si chiuse, la dama si accasciò sulla sedia dove era appoggiata.

-Sarasa- mormorò- sono una femmina orribile. Non posso che provare vergogna per me stessa e per la terribile azione di cui mi sono macchiata sei anni prima. Non posso credere di aver ceduto così alla mia debole condizione di donna. Non posso credere di essermi fatta incantare da quegli inutili e ipocriti concetti...io che li ho sempre disprezzati ho finito per prestargli fede...ed ora sono così.-

L'indiana sospirò.

-Mia signora- fece lei- i fardelli che gravano sulle spalle di ognuno sono un onere esclusivo...e niente può alleggerirli. Possiamo adornarli di belle parole...ma, alla fine, nulla muta la realtà dei fatti.-

Soledad non rispose.

Conosceva bene quanto fosse amaramente vero in quelle parole. -Mia sorella?-chiese, nel vacuo tentativo di distrarsi.

-Se vi riferite alla signorina Escobar, pare che sia rintanata nella propria camera...profondamente annoiata, stando alle parole della sua cameriera personale. Non ha molta simpatia verso i vostri nipoti ed il sentimento sembra essere perfettamente ricambiato. Immagino che vostra cognata abbia istruito la prole su come trattare la figlia di secondo letto di vostro padre-spiegò l'altra, con un sorriso serafico in volto.

-E Pilar?-domandò, socchiudendo le palpebre.

Sarasa assunse un'espressione indecifrabile.

-Suor Lucia è andata dalla massima autorità della Chiesa di Roma qui a Londra, per poter discorrere con lei, a proposito di quel frate di cui gli avete citato il nome.-rispose.

La dama non commentò. Pensierosa, occhieggiava i vari suppellettili della stanza, come alla ricerca di una risposta ai tormenti che affollavano il suo animo da circa sei anni. I capelli erano acconciati in una pettinatura severa e priva di ornamenti, che esaltava in modo involontario, l'opale che era il suo viso. -Credete che stia subodorando le mie azioni?-fece, dando una punta di retorica all'intera frase.

-Non penso-rispose l'indiana- ma questo è un bene.-

-Non approverebbe-aggiunse la giovane- non è nelle condizioni di comprendere le mie ragioni. D'altra parte, la sua voglia di farsi suora è stato solo un modo per sfuggire prima alla propria condizione. Lei ed io abbiamo lo stesso sangue ma conosciamo due famiglie diverse.-

Sarasa non ribatté.

C'era qualcosa di drammaticamente vero in quelle frasi piene di dolore. Le scelte passate avevano spezzato dentro quella dama in apparenza tanto forte. Mentalmente si chiese se sarebbe riuscita a provare nuovamente dei sentimenti, dal giorno in cui tutto era crollato. in modo improvviso e molto triste. Le cose potevano prendere una piega assai diversa forse...ma ormai, nessuno avrebbe più potuto vederlo. Colui che poteva dare una risposta a questo aggrovigliato arcano, non era più.

 

 

 

 

Margareth camminava per i corridoi con passo svelto, schivando la servitù che, intimorita da quella che era, a conti fatti, una vera e propria marcia, si metteva da parte, come se avesse il diavolo alle calcagna. Un sorriso divertito balenava sul suo volto, lo stesso che aveva sfoderato dopo aver inflitto l'ennesima sconfitta al cognato.

A quel pensiero, sorrise.

Mettere in difficoltà il rigido fratello del suo defunto marito era un'operazione che galvanizzava il suo ego, dandole l'impressione di poter fare qualsiasi cosa. Una mera illusione ma era grata a Mr. Gillford per la generosità che aveva loro offerto. Alla fine, dopo la sconfitta, era riuscita a strappare la promessa da suo cognato che avrebbe scritto a Lady Mc Stone, per poter avere un incontro privato.

Quel misantropo aveva borbottato un po' per quella richiesta...ma aveva perso a carte e doveva cedere. Era un uomo d'onore in fondo...come dimostrava il fatto che aveva accettato la richiesta del fratello degenere ed aveva accolto in casa la vedova e la sua prole. Margareth lo ammirava per questo...e insieme gli era grata.

Nessuno avrebbe mai mostrato una simile condotta irreprensibile...a meno che non avesse un carattere impossibile, un parentado imbarazzante e l'odiosa necessità di preparare una successione onorevole. Non dubitava che le remore del vecchio fossero pesantemente condizionate dalla sua nota misantropia ma non avrebbe permesso a quella testa calda di tirarsi indietro.  Conoscendo Cedric, non avrebbe gettato l'occasione di sfuggire a quell'impegno...e per questo motivo voleva parlare con quella vedova.

-Ehi Archie!-esclamò, rivolta al valletto del suo cognato.

Questi ebbe un sussulto.

-Ditemi, signora-fece, arricciando un po' il naso per le maniere spicce della donna. Malgrado fossero passati alcuni anni, non si era ancora abituato ai suoi modi grezzi.

Lei non si scompose.

-Fate avere questa lettera a Lady Mc Stone.-disse, senza aggiungere altro.

Il valletto fissò il foglio...prima di annuire, non senza un sospiro. Conosceva la signora Gillford dalla culla e non gli erano estranee le sue maniere, compreso il suo temperamento deciso, che, per ragioni che tuttora ignorava, avevano fatto capitolare il fratello maggiore del padrone. Scrollò il capo, prima di obbedire un po'rassegnato. Per quanto ci provasse, non riusciva ancora a vedere la piccola Meg come una signora...ma solo come una pestifera piantagrane.

Con questo genere di pensieri, fece recapitare la lettera al destinatario, senza sapere quali conseguenze avrebbero portato con sé.

 

 

 

 

Oceane leggeva la consueta puntata del romanzo d'appendice di quel mese.

-Non riesco ancora a capacitarmi del fatto che siate venuta da me, Madame- fece Igor, comodamente seduto su una poltroncina- lo trovo...come dire, temerario.-

La francese ridacchiò.

-Non temo per la mia reputazione...e poi siete noto per essere un uomo integerrimo. Non credo che mi fareste del male.-disse, strappando una risata al russo. Lo guardò suonare il piano, mentre se ne stava seduta nella poltroncina del salotto.

-In ogni caso, l'assenza di uno chaperon è cosa assai disdicevole.-continuò il russo- La vostra datrice di lavoro, come la pensa a riguardo?-

Oceane inclinò la testa, fingendo di pensarci un po'.

-In realtà non le ho detto niente...anche perché è molto impegnata. Sembra che abbia degli ospiti...molto faticosi da gestire, visto che mi ha concesso di avere alcuni giorni liberi.-disse, giocherellando con i riccioli scuri- e così, non avendo molte conoscenze, ho pensato di andare da colui che reputo un buon amico. Spero di non avervi offeso per questa invadenza.-

Igor stirò le labbra.

-Un amico?-chiese retorico.

-Perché-ribatté lei, osservandolo di sottecchi- non credete che uomini e donne non possano essere amici?-

Il signor Borowsky non rispose, limitandosi a bere un bicchiere di vodka.

Lei lo studiò.

Guardò la sua aria dinoccolata e apparentemente svogliata, dovuta forse alla considerevole altezza e alla lieve divergenza degli occhi chiari in due opposte direzioni. Igor Borowsky, figlio illegittimo di un principe russo, non era bello, benché fosse proporzionato. Non aveva la leziosa perfezione efebica dei nobili che non conoscevano altra attività fisica della caccia e non sembrava nemmeno interessato a quel genere di passatempi. Sembrava piuttosto uno di quei tipi silenziosi e malinconici, dediti all'arte e alla filantropia.

-Conoscete la storia di Ero e Learco?-domandò il russo, interrompendo i suoi pensieri.

L'istitutrice conosceva quel mito, molto bene.

-Credo che tra uomo e donna vi sia la stessa distanza mortale che separò i due amanti. Occorre fare uno sforzo oltremisura per poterla rompere- fece, abbassando all'improvviso la voce- ma basta un niente per distruggere questo esile legame di fiducia.-

Oceane non commentò ma non poté fare a meno di sentire un brivido correrle lungo la schiena. Per un momento, ebbe l'impressione che non stessero più parlando di quella storia e, inaspettatamente, ebbe il timore di chiedere spiegazioni. La faccia indecifrabile del principe russo era come un muro, impossibile da abbattere...così rimase lì, seduta compostamente sul divanetto, con quel romanzetto d'appendice improvvisamente senza valore.

Igor la squadrò.

-Perché siete venuta?- chiese infine.

Oceane non rispose a quella domanda. Improvvisamente, aveva perso tutta la sua parlantina. Si chiese se ricordava che lo aveva scorto in quell'orfanotrofio e dei suoi sguardi di disgusto...ma non osò andare avanti. Per la prima volta, da quando era giunta a Londra, temeva di dover nuovamente riaprire quel vaso di Pandora...ed il coraggio volò via, insieme alla sua consueta baldanza.

 

Capitolo breve ma di passaggio.  Spero che piaccia, anche se nessuno mi dice cosa ne pensa. Vorrei ringraziare tutti coloro che leggono, compresi quelli di DONNA SACRA. Qui il clima è leggermente diverso ma spero che non sia un problema. Grazie a tutti.

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** XXXVIII ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo. Ringrazio tutti coloro che hanno letto sinora e spero che la storia continui a piacere. Buona lettura.

 

XXXVIII

 

 

Cedric osservava vacuo la propria immagine, senza riuscire a riconoscersi.

Quel giovane uomo, con l'aria da condannato di fronte al plotone d'esecuzione non poteva essere lui. "Buon Dio, come ho potuto ridurmi a questo punto! Nemmeno quando ero apprendista nella segheria dei Winfort ero così! " si ritrovò a pensare.

-Siete vestito ottimamente, caro figlio-commentò la vedova, guardandolo con orgoglio- ogni giorno che passa, mi ricordate vostro padre.-

Il giovane Gillford le lanciò un'occhiata stizzita, non gradendo affatto il complimento. Non gli interessava affatto sembrare un adone. Lui voleva semplicemente andarsene in America, lontano da quella gabbia di regole, imposizioni che lo faceva sembrare sempre di più un orrendo damerino impomatato.

-Mi auguro che vi comporterete bene-commentò lei, osservandolo.

Nemmeno allora il figlio rispose. Era stato nuovamente trascinato a casa dello zio ed aveva saputo della lieta novella...per la precisione, della scampagnata inglese presso una dama che non aveva mai conosciuto. Malgrado questo viaggetto comportasse il tutt'altro sgradito allontanamento dal collegio, era comunque seccato.

Aveva saputo che avrebbe accompagnato la vedova Mc Stone e, per proprietà transitiva, ritrovare nuovamente quell'irritante ragazzina che questa ospitava. -La vedova Mc Stone è una gentildonna d'indiscussa generosità. Ha preso con sé la sua sorellastra non appena ha saputo delle miserevoli condizioni in cui la sua matrigna si trovava. Ora ne è tutrice e pare avere molto a cuore la sua sorte, non badando in faccia a nessuno. - disse, prima di sorridere- Ha anche predisposto una dote degna di una principessa, molto più sostanziosa della precedente.-

Cedric grugnì infastidito.

Odiava quel lato veniale in sua madre...ma non poteva comunque biasimarla. Avendo dovuto in passato far fronte alle ristrettezze che la morte di suo padre aveva trascinato con sé, era più che comprensibile la sua smania di far di conto. Tuttora continuava a vigilare sulle finanze domestiche, con gran dispiacere dello zio che mal sopportava la sua invadenza. Margareth, comunque, agiva anche nel suo interesse. Mai per avidità. Se sembrava tanto attaccata alle spese, la colpa era solo della vita di stenti che avevano fatto.

-Non guardatemi in questo modo- fece lei, accorgendosi del suo sguardo- io non voglio che voi siate forzato a fare alcunché...vi chiedo solo di considerare i pro e i contro di tutto questo, prima di fare la vostra decisione. Ogni scelta comporta delle conseguenze, non dimenticatelo mai.-

Lui non disse una parola. Non avrebbe mai mancato di rispetto a sua madre. In qualche modo, crescendo, si era sentito responsabile per la sua sorte, anche perché aveva visto con i propri occhi la fatica con cui si era accanita con la sorte per garantire loro tutto il sostentamento possibile. Margareth era una donna di polso e conosceva meglio di chiunque altro questa amara lezione. -Vorrei davvero- fece, prendendogli il polso- che comprendeste che non voglio negarvi la felicità che potrebbe scaturire da un matrimonio d'amore...come è accaduto a me e vostro padre. Penso sempre a voi, in ogni istante del giorno...e noto con dispiacere che né Ann, né voi, figlio mio, vi siete degnati di guardare questa terra, la stessa che ha visto i vostri genitori nascere. Vi auguro con tutto il cuore di avere un'unione serena...ma come potrebbe accadere, se voi continuate a rimanere rintanati nei ricordi?-

 

 

Queste parole accompagnarono il giovane americano per tutto il viaggio. La carrozza scorreva avanti, lasciando dietro di sé le case e gli edifici londinesi.

-Voi pensate che farò una buona figura?- domandò Ann, rigirandosi nervosamente il ventaglio tra le mani- Mi hanno istruito sull'etichetta ma, finora, non ho avuto molte occasioni di sfoggiare quanto imparato...mi promettete di correggermi, nel caso in cui...-

-Sorella mia- disse questi, prendendole uno dei palmi guantati- vi seguirò come un'ombra e voi sarete la più nobile di tutte le dame. Vi divertirete a giocare a cricket e farete molte piacevoli conversazioni.-

Lei rise nervosamente.

-Non ci credo.-continuò, scuotendo la testa.

-Certo che dovrete crederci. Sarete radiosa e avrete molte amiche...ed io sarò gelosissimo perché mia sorella parla meno con me.-concluse, con un tono melodrammatico che scatenò l'ilarità della giovane. Cedric la guardò, non potendo fare a meno di provare tenerezza. Ogni giorno che passava, diventava sempre più bella e non si sarebbe stupito se la sua previsione si fosse avverata. L'unica cosa che lo angosciava erano i problemi dati dalle loro origini che, malgrado non pesassero a nessuno dei due, erano comunque un fattore da non sottovalutare. Bhé, se c'è qualche scocciatore, lo sistemerò io, a suon di pugni. concluse, sorridendo deliziato dall'idea.

Ignara di queste riflessioni, Ann Gillford guardava quegli angoli di Londra che, fino a quel momento, le erano noti solo per sentito dire. I suoi occhi castani seguivano con interesse tutto il susseguirsi dei contorni urbani, dai giardini agli edifici in solida muratura. Sperò di non scontentare la madre, anche perché non aveva idea di chi fosse la giovane che avrebbe sposato suo fratello.

Si augurò che fosse una persona simpatica e piacevole, con cui poter trascorrere il tempo. -Fratello-disse improvvisamente- cosa è successo, quando siete sparito dal collegio?-

L'americano si rabbuiò.

-Niente di particolare. Ho partecipato ad un incontro di boxe clandestino e, come sempre, ho vinto. Non hanno però accettato la mia superiorità e, dopo la vittoria, mi hanno tramortito, lasciandomi dove mi trovavo...e sono stato soccorso da Lady Mc Stone.-rispose sinteticamente.

La sorella sgranò gli occhi.

-E'lei la giovane che sposerete?-domandò.

Cedric rise. -No, vuole impormi la sua sorellastra però.-ribatté.

Ann non commentò.

L'atteggiamento altalenante di suo fratello era assai bizzarro. Non aveva mostrato un grande entusiasmo per questa imposizione e si chiese se tale rimostranza fosse dovuta all'ennesimo ordine, oppure all'antipatia verso la fidanzata. Chissà com'è si disse, mentre le ultime case lasciavano il posto alla campagna. Suo fratello non aveva molta stima delle inglesi. Li trovava leziosi, immorali e gretti come le peggiori mezzane di un bordello, con la differenza che erano pure ipocriti. In cuor suo, sperò di non fargli fare una pessima figura, dal momento che non era molto convinta delle sue capacità. -Credete che la conoscerò?-chiese con titubanza.

-Chi?-domandò l'americano, prima di sospirare esasperato- Non temere. Ci sarà.-

Ann sgranò gli occhi, disorientata dalla rassegnazione di Cedric. Non sapeva come confortarlo, dal momento che tutto lasciava intendere che quella fantomatica fidanzata fosse assai spiacevole. Le faceva male sapere che tutte le responsabilità della sicurezza della loro famiglia dipendessero da lui. La madre aveva espresso tutto il suo appoggio per quell'unione, vedendone gli evidenti vantaggi economici.

Anche lei ne avrebbe beneficiato, grazie alla solidità del posto che il fratello avrebbe conquistato una volta terminati gli studi, eppure si chiese se tutto questo valesse davvero un simile sacrificio. Ricordava i disagi sofferti quando vivevano in America e comprendeva le preoccupazioni materne, ma non del tutto. Per sfuggire alla miseria, Margareth aveva finito per imporre una soluzione conforme alle convenzioni ed aveva finito con il rinnegare in parte il suo passato. Lei si era sposata per amore ed aveva vissuto miseramente. Loro, i suoi figli, avrebbero vissuto con decoro un matrimonio senza sentimenti...e questo, non poteva proprio perdonarglielo.

-Che avete?-chiese la voce del suo compagno di viaggio, facendola sussultare.

Ann lo guardò spaurita, con quegli occhi grandi e immensi.

-Nulla, fratello.-mentì.

Cedric la osservò incerto. Detestava i momenti in cui si chiudeva nei suoi attimi di mutismo. Lo facevano sentire impotente e debole, una sensazione che odiava cordialmente. Con un gesto stizzito si tolse i guanti, maledicendo quell'usanza snob e fastidiosa. Vedendolo così buio, Ann decise di non dire più una parola. Era meglio così, o almeno era il quel modo che la pensava.

-Siamo arrivati-disse infine, facendo cadere dalle nuvole la ragazza. Non si aspettava che il viaggio fosse terminato tanto velocemente...ma non se ne dispiacque. Rimanere accanto ad un Cedric di pessimo umore era qualcosa di assai fastidioso.

 

 

 

Ester sgranò gli occhi.

L'edificio dove si trovavano era di età georgiana, dai colori caldi e piacevoli. Intorno era disposto un giardino all'italiana, decorato da statue e cimeli di vario tipo. Provengono dall'Italia. Il marito della padrona di casa è appassionato di questo Paese le aveva detto, con la sua consueta pacatezza e lei era arrossita, come spesso le succedeva quando gli slanci affettuosi di Soledad la raggiungevano in modo del tutto inaspettato. Trotterellò per qualche metro, percorrendo incuriosita i giardini della dimora.

L'aria profumava di fiori e, sia pure in modo assai impacciato, si ripromise di ritrarre quel luogo nella maniera più fedele possibile.

Occhieggiava con curiosità le varie sculture, da sotto l'ombrellino che le serviva per attenuare i raggi del sole. Un lieve sorrise le decorava il volto, pensando ai futuri disegni che avrebbe fatto nel corso di quella visita.

-A cosa state pensando?-domandò la ragazzina accanto a lei.

Ester sussultò.

-Perdonatemi, Miss Pertignac.-disse dispiaciuta- Non volevo ignorarvi di proposito.-

Viola le rivolse un sorriso di accondiscendenza. -Non ne avete ragione. Capita anche a me di avere la testa tra le nuvole e di non curarmi troppo di ciò che ho attorno. Malgrado le persone guardino con fastidio questa mia tendenza, non posso fare diversamente.-rispose, alzando piano le spalle.

-Avete portato il violoncello?-domandò la bionda.

L'altra annuì, con un cenno della testa.  -Difficilmente potrei separarmene.-rispose, con leggero impaccio.

Ester non commentò.

-Vi confesso che vorrei potervi fare un ritratto, un giorno-ammise, sentendosi una sciocca.

Viola si fermò un momento.

L'abito color lavanda le accarezzava morbido i fianchi slanciandola leggermente. Gli occhi scuri si piegarono in una smorfia, come se dovesse pensarci un momento. -Ne siete convinta?-domandò, non molto sicura di questo tipo di reazione.

Ester annuì.

-Non vedo dove sia il problema.-rispose, sorridendole.

Camminarono per qualche tempo. Le piante le circondavano, in un morbido abbraccio verde. Poco distante, in una posizione defilata, c'era una casa dai tratti gotici, grigia e scura. Ester la occhieggiava con curiosità, chiedendovi chi vi abitasse dentro. -Voi sapete chi sia la persona che abita in quella splendida dimora?-chiese.

Viola scosse il capo.

Non aveva risposta ma doveva ammettere che quell'ignoranza la lasciava stranamente insoddisfatta.

 

 

 

 

Mrs. Chambers possedeva quella palazzina in stile georgiano, fin dai tempi del suo bisnonno che comprò la dimora nella speranza di alleviare la melanconia della sua sposa.

Un edificio antico e piacevolmente antiquato, dove erano contenuti diversi quadri di Watteu.

-Lady Mc Stone- disse questa, accogliendo le tre presenti con un sorriso.

L'interessata si avvicinò.

-Vi ringrazio per l'invito.-fece- Temevo che i vostri impegni vi avrebbero impedito di accettare una nostra visita. L'umidità di Londra è assai fastidiosa, in questo periodo ed ho pensato che una piccola permanenza in campagna potesse...-

-Naturalmente-disse l'altra, senza mutare espressione- per quanto possa essere impegnata, la mia casa sarà sempre aperta a voi.-

Soledad inclinò la testa.

-Posso sapere chi sono le gentili fanciulle che vedo?-chiese, con un garbo che fece sciogliere le ginocchia a Ester.

-Naturalmente-rispose la dama spagnola- loro sono la signorina Ester Flore Escobar e la sua amica, Miss Viola Pertignac.-

Entrambe fecero un inchino. Viola indugiò leggermente nell'eseguirlo e, nervosa, osservò la padrona di casa. -E'un immenso piacere conoscervi. Ho fatto predisporre delle stanze per voi ma mi duole informarvi che dovrete condividere la camera. Ho infatti altri ospiti oltre a voi.- rispose, lanciando un'occhiata a Lady Mc Stone. Questa le rivolse un sorriso arcaico che non piacque a Ester...e quando questa le indicò gentilmente di andare in giardino per poter beneficiare della fioritura delle rose nel retro della casa, l'animo della signorina Escobar venne colto da un brutto presentimento. Cosa aveva intenzione di fare sua sorella?

Ugualmente obbedì.

-Mi dispiace dover ricorrere a simili stratagemmi, Mrs. Chambers ma vorrei preservare la signorina Escobar dalle delusioni. Ne ha avute a sufficienza e non si merita di vedersi il sangue avvelenato.-rispose, perdendo improvvisamente il sorriso, non appena rimasero sole.

La dama annuì.

-Naturalmente- disse- che ne pensate di venire a prendere un té nella veranda? Vi tirerà su di morale, senza contare che avrete modo di ristorarvi un po'. Non voglio più vedervi preda dello sconforto, come sei anni fa. Vi confesso che, allora, ho seriamente temuto per la vostra vita.-

Soledad strinse le labbra. -Non mi piace rivangare quei ricordi- rispose- la vita è già sufficientemente amara per consentirmi il lusso d'indulgerci troppo. Accetto con piacere il vostro invito.-

Mrs. Chambers annuì e, con garbo la condusse nel salottino del piano superiore. -Devo ammettere che le vostre protette sono assai graziose.-commentò.

-Ester è la mia sorellastra, mentre Viola è figlia di una carissima amica di mio marito...in verità, mia cara, sono venuta per lei.-disse Lady Mc Stone, chinando pudicamente il capo.

La padrona di casa si fermò.

Una ruga d'espressione si formò sulla fronte, come una lieve increspatura...poi riprese ad avanzare, conducendo la sua ospite nella stanza che aveva scelto. Un luogo defilato, lontano da occhi e orecchie indiscrete. -Sapevo che me lo avreste chiesto.- fece lei seria.

-Come lo avete saputo?-domandò a sua volta la dama spagnola.

Mrs. Chambers sospirò. -Il vostro legame con vostro marito è una risposta più che sufficiente, non credete? In ogni caso, ho trovato molte difficoltà a introdurre la questione con la signora. Non pare assolutamente ben disposta.-commentò, con un filo di dispiacere.

Soledad scosse il capo. -L'orgoglio è un difetto che può essere assai ingiusto...ma non la biasimo. Ha riavuto suo marito ma è stata comunque una sconfitta agli occhi del Ton.- ammise, senza alcuna traccia di comprensione.

-Avrei agito anche io in questo modo, soprattutto se fossi stata nei panni di Mrs. Price. All'epoca dei fatti, stava tentando di avere un figlio e questo stress è stato assai fastidioso.- ribatté Mrs. Chambers.

-E' vero-convenne Soledad- ma ora ha due eredi maschi. E'in una posizione oltremodo sicura. Non ci sarebbero rischi di disperdere il patrimonio. Le richieste della mia amica non sono neppure tanto invadenti. Credo che l'orgoglio di Mrs. Price farà un'altra vittima. Madeleine non pare intenzionata a rivedere suo marito e ad avere dei vantaggi per sé stessa. Chiede soltanto che la figlia abbia una dote minima per potersi sistemare.-

-Ne deduco che voi parteggiate per la cantante, dico bene?-celiò la padrona di casa.

Soledad socchiuse gli occhi.

-Errare humanum, perseverare diabolicum est -rispose, citando un proverbio- La sua reputazione come moglie, dopo la fuga del marito, era già compromessa. Poteva trovare un modo per evitare questi imbarazzanti inconvenienti, uscendone con stile e dignità. Ma non lo ha fatto...anche se non credo che ne possa mai essere capace. Non potendo avere il marito come desiderava, ha fatto del suo meglio per aumentare la presa sul suo matrimonio.-

Mrs. Chambers rise. Lady Mc Stone era capace di esprimere giudizi taglienti e vagamente arroganti ma pregni di una schiettezza che era assai poco usata nel suo ambiente. -Per ottenere qualcosa- disse questa- ho deciso di chiedere ufficialmente un incontro con la vecchia Jane, nella speranza che possa far cedere la nuora.-

Soledad annuì. -Ve ne sono immensamente riconoscente, mia buona amica.- disse.

 

 

 

 

 

 

Ester si guardò attorno, con emozione.

-Sono così felice, Viola!-esclamò, con un sorriso ampio e largo.

I fiori e le minuscole fontane di pietra ornavano tutto.

-Perché?-domandò questa.

La signorina Escobar rise, con quella voce limpida e cristallina che la contraddistingueva. -Era molto tempo che non uscivo e questa è la prima volta che mi trovo in campagna. Non vedo l'ora di poter disegnare tutto quello che vedo, di fare i miei bozzetti e provare ad sperimentare l'acquarello. Siete certa che mia sorella apprezzerà?-disse, guardando la mora con uno sguardo curioso e facendola sorridere di conseguenza.

-Sono convinta che tutto quello che farete la renderebbe felice-commentò la violoncellista- davvero non vi siete accorta che stravede per voi?-

Ester si fermò.

Certo che lo aveva notato. Era impossibile non vederlo...ma non sapeva come affrontare tutto questo. -Ne siete convinta?-chiese.

Viola rimase sorpresa. -Cosa vi blocca?-domandò lei, non riuscendo a comprendere le sue ragioni. L'altra non rispose, limitandosi a scrutare il cielo. -Sapete come sono nata?-domandò, attirando nuovamente l'attenzione della bionda.

Ester scosse il capo.

-Sono la figlia naturale di Madame Pertignac-rispose questa, senza mutare d'espressione- Mio padre si invaghì di mia madre e della sua splendida voce, abbandonando sua moglie per qualche tempo. Poi ritornò da quest'ultima, quando questa lo ricattò di privarlo di ogni avere e mia madre lo informò che stava per avere un figlio.- Mosse qualche passo, giocherellando con la stoffa dei guanti. -Onestamente, non so come sia...ma mi piacerebbe vederlo, almeno una volta. Mia madre però ne soffrirebbe e lei ha fatto tanto per me. So che il mio isolamento è colpa della sua leggerezza...ma, in fondo, non mi ha mai lasciato sola. Le devo almeno questo, non credete?-

La bionda non disse niente, non sapendo come rispondere. Non aveva mai avuto un vero rapporto con sua madre. Renée si era sposata giovanissima ed aveva dimostrato fin da subito una scarsissima attitudine per i bambini. Era stata Soledad a prenderla con sé anche allora, occupandosi di lei in ogni momento.

-Cosa ne pensate di andare uno di questi giorni a giocare fuori a cricket?-propose, come per allontanarsi di dosso simili pensieri.

Viola annuì, sinceramente curiosa di poter sperimentare quell'attività. Non aveva mai fatto un simile sport in uno spazio tanto aperto, anche perché non era mai uscita dai confini della propria villa, se non in occasioni particolari, come il suo compleanno. In quei momenti, passeggiava insieme alla madre nei giardini di Kensington, godendo della bellezza della vegetazione ma non le era mai capitato di dedicarsi a simili passatempi. -Non ci ho mai giocato-confessò, calando leggermente gli occhi.

Ester scosse il capo. -Non è difficile- rispose, prima di avvicinarsi in modo circospetto- a patto di evitare le finestre!-

Viola sgranò gli occhi...prima di scoppiare in una risata cristallina, non appena comprese la ragione di quella frase.

 

 

 

Suor Lucia camminava perplessa lungo i grandi viali londinesi, non senza sentirsi a disagio. Non era bello che una monaca passeggiasse da sola per quelle strade tanto trafficate, soprattutto in una città piena di eretici come Londra. In cuor suo, non avrebbe mai voluto obbedire alla richiesta di Lady Mc Stone e si chiese cosa le avesse impedito di rifiutarsi in maniera tanto sciocca.

A quel pensiero si fermò un momento, per poi riprendere la passeggiata a passo più spedito. In cuor suo, sapeva cosa l'avesse spinta ad accettare quella richiesta.

 

Guardava apatica i propri bagagli, alla ricerca delle cose di cui aveva ancora bisogno.

La stanza era illuminata da quel caldo sole mattutino, come spesso succedeva a Siviglia. Istintivamente, si chiese cosa la trattenesse ancora in quel luogo. Forse era la consapevolezza che presto avrebbe lasciato per sempre quella dimora, perdendo il suo nome ed abbracciando i voti. Non avrebbe saputo dirlo. Aveva tenuto duro per tutta la settimana, quando aveva deciso di salutare tutti coloro che le avevano voluto bene...tranne due persone.

Una di queste era seduta sul suo letto, con una posa rigida e seria.

-Pilar, andrai davvero così lontano?-domandò la bambina, fissandola con i suoi grandi occhi verdi.

La maggiore alzò la testa, sentendosi male alla vista di quelle iridi. Le sarebbe piaciuto averle simili. Erano quelle degli Escobar, che suo padre Don Ignatio possedeva. Invece aveva ereditato gli occhi della nonna Donna Rossignol, color nocciola e privi di luce. -Sì, Soledad-rispose- ma ti prometto che ti scriverò tutti i mesi, tempo permettendo.-

La piccola non disse niente...e quel silenzio fece scattare qualcosa nella maggiore.

La sorellina era diversa dalle bambine.

Schiva e paurosa, non alzava mai la voce, tanto che spesso e volentieri la sua presenza passava inosservata. -Anche Blanca aveva detto che mi avrebbe scritto ma non lo ha fatto. E'nella sua nuova casa da diversi mesi ma non mi ha scritto mai...-fece la bambina mesta-prometti che lo farai almeno tu?-

Pilar rimase zitta un momento...per poi annuire, con gli occhi lucidi. Avrebbe mantenuto la promessa, facendo in modo da farle avere una lettera ogni settimana, convinta che avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni nel convento vicino a Cordoba...ma questa convinzione venne bruscamente smentita da suo padre che, all'ultimo momento, aveva deciso per un convento nella Normandia. Questa notizia la lasciò devastata, tanto da farle quasi dimenticare il rispetto per il suo genitore. Dopo averlo salutato sbrigativamente, uscì nel corridoio.

Percorse alcuni metri, prima di fermarsi per l'ultima volta.

-Spero che siate soddisfatta-disse, con tono greve.

Lei rimase muta, con gli occhi persi nel vuoto e questa assenza di reazione spinse Pilar a proseguire. -Voi sapevate che era mia intenzione prendere i voti...sapevate a cosa ho rinunciato...-continuò severa.

-Figlia mia...-provò a dire questa.

-Non chiamatemi così! - la freddò la primogenita, con voce piena di gelo- Voi non siete più degna di questo titolo. Ho accettato la monacazione solo per restituire la serenità a mio padre. Ho fatto tutto questo perché desidero il bene di mia sorella Soledad, che avrà il peso delle vostre colpe...ma so che tutto questo non sarà sufficiente.-

Gli occhi di Donna Honor si spalancarono.

-Voi sapevate che amavo Pedro-continuò la giovane- ma ci sono delle scelte che necessitano dei sacrifici...ed io ho scelto gli Escobar, pensando unicamente al loro bene. Non come voi.- Mosse qualche passo, superandola. -Da questo momento, voi siete solo la moglie di Don Escobar ai miei occhi.- concluse, proseguendo per la sua strada, accompagnata dal silenzio assordante che proveniva dal corpo di quella donna.

 

Un velo di malinconia attraversò il viso di Suor Lucia. Nemmeno l'accettazione del velo che lei non aveva mai amato completamente, come invece aveva fatto credere, era bastata. Fu in quel momento, mentre era assorta in simili pensieri, che vide la chiesa cattolica nei pressi del quartiere irlandese. Fuori da essa, se ne stava una donna vecchia e grassa.

-Siete giunta infine-fece questa- Prego, il parroco vi sta aspettando.-

La suora obbedì, entrando dentro l'edificio e venne subito accolta dal religioso. -Padre Paul, dico bene?-domandò lei, con un filo d'incertezza. Il sacerdote annuì. -In persona-rispose-Voi siete Suor Lucia?-

La monaca rispose affermativamente. -Ho saputo che  avete notizie di Don Miguel-mormorò, con fare sommesso- vengo per conto di una terza persona che desidera mantenere l'anonimato.-

-Capisco-rispose il prete, increspando la fronte -mi segua nel chiostro per favore.-

Uscirono dall'ambiente della minuscola chiesa ed entrarono nell'angusto spazio aperto dell'interno dell'edificio. Un luogo brullo e spoglio, dove non cresceva nemmeno un filo d'erba. Una minuscola madonna, vagamente abbozzata, era l'unico decoro di quel posto. -Don Miguel al momento non si trova a Londra.-le comunicò il sacerdote.

Suor Lucia rimase immobile.

-Ne siete certo?-domandò.

Padre Paul sospirò. -E'partito alcuni mesi fa per l'Australia, per convertire le anime degli indigeni di quella terra di miscredenti.-rispose- Pareva avere una certa fretta e, onestamente, non so nemmeno se tornerà.  Sarebbe assai scomodo per lui.-

-Capisco-disse la monaca affranta.

-No, disse, temo che non possiate farlo-rispose questi, con un sorriso pieno d'imbarazzo.

Pilar alzò la testa.

-Parlate per enigmi-continuò- ditemi tutto con chiarezza.-

Nell'aria risuonava un silenzio carico e pesante, come le nubi gonfie di pioggia. Il religioso pareva come vergognarsi delle sue stesse parole, lasciando sgomenta la monaca, del tutto all'oscuro delle cause del suo turbamento. -Temo che Don Miguel non farà ritorno in Inghilterra, anche perché molte sono le ombre sulla sua condotta...ma immagino che, con un simile commercio, difficilmente si potesse fare in altra maniera.-commentò, storcendo la bocca in una smorfia piena di disgusto.

Pilar lo guardava senza capire.

-A cosa alludete, in nome del cielo?-domandò, non riuscendo più a frenarsi.

Il religioso sospirò, come preso da uno strano pensiero che non desiderava condividere con quella monaca. -Riferite alla persona che cercate che non deve più venire a farmi simili richieste. Io non mi immischio in questo genere di affari e non voglio entrarci.- fece, dandole le spalle- Credetemi, meno sapete di tutto questo e meglio sarà per voi, anche se sono sorpreso che vi abbiano tenuto nell'ignoranza.-

Poi mosse nuovamente i propri passi e, senza aggiungere altro, tornò nei propri alloggi, lasciando la suora sempre più confusa.

 

 

 

 

Oceane guardò la lettera, con esitazione.

A lungo aveva tentennato, incerta se aprire o meno quella busta. Proveniva dalla Francia...ed un brivido scese lungo la schiena. Mille pensieri si affastellarono nella sua mente. Cosa volevano ancora? Perché dovevano accanirsi sulla sua vita? Non avevano già provocato dei danni, minando ogni sua sicurezza e sogno? Una mano calò impietosa sulla sua fronte, come se tentasse disperatamente di frenare l'angoscia. Il passato sembrava voler tornare a bussare alla sua porta.

-Tutto bene?-domandò una voce bassa.

L'istitutrice si girò.

Rashid era alle sue spalle e la fissava con aria indecifrabile. -Oh, scusatemi-fece- stavo pensando e non mi ero accorta di non essere sola.-

L'indiano non si mosse. -Se volete aprire quella lettera-disse, alludendo alla busta che la francese teneva tra le mani- vi conviene andare nello studiolo della signora. Dovrebbe esserci un coltello da carta sulla scrivania. E'solita tenerli lì.-

Oceane annuì e, ringraziatolo frettolosamente, si incamminò verso la stanza che gli aveva indicato.

 

 

Era una cameretta di medio piccole dimensioni, dai colori pastello ed un arredo vagamente orientaleggiante. Gli occhi della francese si spalancarono, preda dello stupore. Tende pesanti offuscavano leggermente i timidi raggi di sole. Incerta, fissò quel posto. Alle pareti erano affissi dei quadri di Watteu ed alcuni disegni a carboncino. Un sorriso nacque spontaneo nel viso della francese. Lady Mc Stone aveva dimostrato un grande interesse per l'arte, in ogni sua forma. Riconobbe alcuni bozzetti della signorina Escobar ed un filo di tenerezza scese nel cuore di Mademoiselle Treville, mentre prendeva il coltello da carta.

Per quanto potesse sembrare strano, nella sua lunga esperienza nell'insegnamento, non aveva mai conosciuto una tale profondità di sentimenti albergare nel cuore di una dama. Per molto tempo si era convinta che fosse una naturale conseguenza della forma, vedere famiglie fredde, fondate sulla gretta trattativa, quasi mercantile, che matrimoni di conseguenza avevano generato, con il freddo raziocinio di un'immaginaria catena di montaggio. Incerta socchiuse gli occhi, come per scacciare una spiacevole sensazione...e fu allora che accadde.

Vide un bozzetto, malamente nascosto dietro agli altri, come abbandonato.

L'occhio della francese si assottigliò e, certa di non essere vista, prese quel pezzo di carta. Erano tre persone, una donna e due uomini, per quello che poteva vedere.

Oceane inclinò il capo e, senza pensarci troppo, staccò il foglio.

La donna aveva un'espressione fintamente arrabbiata e guardava i due che, con espressione serena e vagamente strafottente, ridacchiavano. Tutto il disegno trasudava una cura che rasentava la perfezione.

Questa non è la mano della signorina Escobar concluse infine la donna, non riuscendo a notare alcuna somiglianza tra il disegno e lo stile della sua allieva, che aveva imparato a riconoscere. Girò il foglio e, in un angolo, dalla forma assai più grossolana, faceva capolino il calco di un semicerchio. L'istitutrice provò a guardarlo meglio ma il bussare sommesso di Rashid la convinse ritornare con i piedi per terra. Si guardò attorno ma, non riuscendo a trovare il punto dove se ne stava attaccato il disegno, decise di metterselo in tasca.

-Perdonatemi- disse questa, spalancando la porta.

Rashid non commentò. -Vedo che avete trovato il coltello-disse apatico.

Oceane annuì.

-Ora non devo fare altro che aprire la lettera.-mormorò, con fare frettoloso. Lesta aggirò l'indiano, pronta a raggiungere la propria camera.

-Signorina Treville- disse di nuovo l'indiano, facendola bloccare di scatto.

-Assicuratevi di riportare tutto alla padrona. Non ama che si prendano le cose senza il suo permesso.-disse, fissandola dritta negli occhi.

-Sicuro!-esclamò la francese, accellerando il passo. Nel farlo, comunque, ebbe la sgradevole sensazione che quel foglio in tasca fosse diventato improvvisamente scottante...senza che riuscisse a capire perché.

 

Questo aggiornamento è improvviso, lo so. Il fatto è che ho dato un esame oggi e sono ormai vicina alla laurea della specialistica. Volevo assolutamente pubblicare qualcosa, visto che mi sento di buon umore. Intanto, diciamo che le cose stanno prendendo una certa direzione e, vi avviso, alcune cose cominceranno a prendere delle direzioni forse poco piacevoli. Al momento giusto, credo, si capiranno meglio i sentimenti di Soledad ed il suo animo.

Pilar ha una certa immagine della sorella e della propria famiglia...e vi informo che ci saranno dei passaggi in cui la odierete. Ester e Viola intanto si godono un po' di quiete, con questa scampagnata. I problemi non mancheranno...ma vedremo come si metteranno le cose. Victoria per ora è in visita fuori dalla dimora del fratello defunto, insieme alla sua famiglia...ecco perché non ci sono. Attenzione, con l'andar della storia ci saranno delle pieghe molto tristi...per cui occhio.

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** XXXIX ***


Benvenuti, cari lettori. Questo capitolo è un nuovo aggiornamento della vicenda. Non garantisco niente ed i misteri aumentano, come al solito. Buona lettura!
 
Il giardino era immenso.
Ester e Viola passeggiavano da circa un quarto d’ora, conversando delle più varie e disparate cose. Malgrado non potessero vedersi molto, le due avevano stretto una sincera amicizia. Qualcuno avrebbe detto che questa felice circostanze non fosse altro che la naturale conseguenza della solitudine in cui le due si trovavano di solito, oppure che fosse dovuto ad un carattere simile. La giovane Escobar era felice di questo nuovo incontro, anche perché non sempre poteva scriverle.
-…e così mia madre si è arrabbiata molto con il mio maestro di musica, non ha appena ha visto che mi batteva sulle nocche per punirmi.-disse ridendo – Lui ha sostenuto che fosse il suo metodo e lei, per tutta risposta, gli ha rotto la bacchetta sulla testa, licenziandolo in tronco!-
Ester rise a sua volta, sentendo quel buffo aneddoto.
La giornata si stava facendo davvero piacevole. –La mia istitutrice è molto strana ma devo ammettere che è molto paziente con me.-disse lei- Lady Mc Stone le ha dato la più completa fiducia, anche se i suoi metodi sono assai poco tradizionali. Non mi ha mai bacchettato quando ho usato un linguaggio troppo diretto. Si è limitata a spiegarmi perché quel tono non fosse adatto.-
-E’molto simpatica?-chiese Viola.
Ester ci pensò su.
Se era simpatica? Non ci aveva mai pensato. Non si era mai soffermata sul pensare che un’istitutrice potesse essere una persona piacevole. Le insegnanti che aveva avuto erano tutte serie e noiose. Mademoiselle Treville era completamente diversa da quel genere di persone. Aveva umorismo e sapeva conversare piacevolmente, senza annoiare. –Sì-disse, cominciando a parlare di lei, con crescente entusiasmo.
Viola le sorrise. –Siete davvero fortunata io non esco molto spesso, anche se…-si interruppe, con un’espressione da monella- promettete di tacere con vostra sorella su quanto dirò?-
Ester annuì.
-Da alcuni mesi, c’è un giovane che si ferma sempre davanti alla mia finestra, quando  mi esercito con il violoncello.-fece, concludendo il tutto con una pausa ad effetto.
La giovane Escobar rimase ferma.
-Se ne sta sempre lì, nei pressi di quell’albero che si trova nel viale. La prima volta che l’ho sorpreso mentre mi guardava, è quasi inciampato sui suoi piedi!-fece ridacchiando.
-Che goffo!-esclamò Ester- E com’era?-
Viola si fermò. –Poi, qualche giorno dopo, con non poco impaccio, mi ha rivolto la parola, scusandosi per la magra figura della volta precedente. Così abbiamo cominciato a conversare. Io ero affacciata alla finestra e lui sulla strada.-disse, con aria felice.
La bionda la osservò.
-Come si chiamava?-chiese.
Viola si portò la mano sulle guance lisce. –James…ma non so quale sia il cognome.-disse pensierosa.
-Pensate che sia un cattivo soggetto?-domandò di nuovo la Escobar ma Viola scosse violentemente il capo. –Impossibile-ribatté- James aveva una luce buona nello sguardo e non mi ha mancato di rispetto. Pareva di buona famiglia ma non ha detto niente sulla sua condizione.-A quel pensiero, si fece pensierosa.
-Non vi ha detto niente?-chiese di nuovo Ester, interdetta.
Viola scosse il capo.
-Allora è un maleducato.-concluse la bionda con un cipiglio indignato.
-No, forse ha saputo della storia di mia madre-ribatté la giovane Pertignac- non sarebbe il primo. La mia condizione d’illegittima mi ha resa sgradita ai suoi occhi. Forse non era stato informato prima.-
L’altra fissò corrucciata il paesaggio. Non condivideva affatto le idee dell’amica ma conosceva quello stato d’animo di chi viveva costantemente esclusa. Così non commentò le sue parole, limitandosi ad ascoltarla ma il suo grado di comprensione finì presto, quando l’amica decise di cambiare argomento. –A proposito, ho saputo del vostro fidanzamento.-disse, con un sorriso divertito.
Ester si irrigidì.
-Come è?-chiese la mora.
L’altra sbuffò. –E’un villano e mi tratta come una bambina. Non lo sopporto-disse storcendo la bocca.
-Ma davvero?-esclamò una voce alle loro spalle.
Ester si girò…salvo poi arrossire violentemente. Di rabbia, però. Cedric Gillford era proprio alle sue spalle, con la sua alta e robusta corporatura così poco aristocratica...e la fissava minaccioso. Cosa ci faceva quel maledetto americano in quel giardino? –E voi cosa ci fate qui?-chiese, mettendosi le mani intorno alla vita e trucidandolo con lo sguardo.
-Ordini di Mr. Gillford e di mia madre-rispose l’americano, ricambiando l’occhiata ostile.
Ester distolse gli occhi. Solo allora si accorse della giovane ragazza che camminava al suo fianco e occhieggiava ora lei ora quel seccatore. –Buongiorno-disse, spostando la sua attenzione verso quella sconosciuta ed ignorando volutamente l’alta sagoma del ragazzo –io sono Miss Ester Escobar. Voi chi siete, di grazia?-
-Mi chiamo Ann Gillford e sono la sorella minore di Cedric Gillford.-rispose l’altra, con un lieve inchino.
Cedric arricciò il naso. –Non esagerate sorella-disse questi- la signorina Escobar ha l’abitudine di salutare i gentiluomini, tirando loro i blocchi di schizzi sulla testa.-
Viola si portò una mano sulla bocca, osservando con stupore divertito l’amica…che arrossi per l’irritazione. –Io non saluto in questo modo!-esclamò, prima di sorridere sarcastica- Solo con i villani!-
A quella risposta, l’americano ebbe uno scatto. Fece per rispondere ma la risata cristallina di Ann mise da parte la sua ostilità. A quel suono, mise da parte tutte le sue intenzioni bellicose. Avrebbe rimandato ogni risposta sgarbata ad un altro momento. Non sopportava quella lingua lunga e irriverente…ma non avrebbe mai dato il cattivo esempio con sua sorella accanto. Così si tenne il malumore addosso, limitandosi a soffiare come un gatto indispettito.
-Credo che sia meglio rimandare questo diverbio ad un altro momento-disse la violoncellista- Io sono Viola Pertignac. Scusate se ho indugiato presentarmi.-
Ann si passò una mano sulla bocca, con gli occhi ancora pieni di divertimento.
-Non temete-rispose, con un tono sereno, come mai si sarebbe aspettata.
Camminarono per un po’, fino a quando Ester non propose di andare a vedere le fontane del giardino. Il gruppo la assecondò, non sapendo cosa vedere. -A quanto pare- disse Viola- nemmeno voi siete abituata alla campagna.-
La signorina Gillford la guardò con sorpresa. Pensava di essere la sola a trovarsi in una simile situazione e questo sconcerto fece sorridere ancora di più la signorina Pertignac. -Non possiedo una villa in campagna e nemmeno la mia amica, la signorina Escobar gode di questa fortuna.-rispose, occhieggiando quest'ultima che, sentendo quelle parole, annuì con un velo d'imbarazzo.
Cedric sbuffò.
-Nemmeno noi. Mio zio stava pensando di acquistare una piccola dimora ma al momento nessuno dei progetti in corso rientra nei suoi interessi.-rispose l'americana, ignorando il disappunto del fratello.  
-Una magnifica scelta-commentò la piccola Ester, ignorando il ragazzo a bella posta.
Quando tornarono alla villa, videro la padrona di casa e sua sorella. Entrambe le aspettavano.
-Signorina Escobar, Mademoiselle Pertignac-fece-spero che la passeggiata sia stata di vostro gradimento.-
Le due chinarono la testa, mentre Ann si strinse al braccio del fratello. Mrs. Chambers sorrise a quest'ultima. -Temo che sto peggiorando le mie maniere, gentilissime ospiti. Permettetemi di presentarvi Miss Gillford, sorella minore di Mr. Gillford. Lady Mc Stone mi ha detto che voi, signorina Escobar conoscete costui ma spero che almeno sua sorella vi sia nota. Altrimenti, sarei davvero una pessima padrona di casa!-esclamò, in una risata musicale.
Lady Mc Stone annuì, mentre studiava silenziosamente tutti i presenti.
Cedric avanzò.
-Mrs. Chambers-esordì- vorrei cogliere l'occasione di ringraziarvi per aver accettato anche mia sorella. Non ha ancora debuttato e spero che la sua presenza in questa dimora non sia per voi cagione di qualche scandalo.-
La donna scosse la testa.
-Non dovete temere per questo. Credo che vostra sorella trarrà giovamento da questa visita.-disse, prima di rivolgersi alla giovane -Miss Gillford, siete la benvenuta in questa dimora e vi auguro di trovare un simile soggiorno piacevole. Salutatemi vostro zio.-
Ann annuì, con un cenno della testa. Non le era sfuggita l'omissione di sua madre ma non ne era nemmeno sorpresa. Lo status di Margareth non era minimamente mutato con il matrimonio con suo padre e, anche se difficile, doveva accettare quella verità. Ingoiò quel boccone amaro, imponendosi un sorriso di circostanza.
-Ho saputo che avete sedici anni-disse Lady Mc Stone- anche mia sorella Ester e la sua amica Viola hanno la stessa età. Spero che diventerete buone amiche.-
La giovane annuì ancora di più, in imbarazzo come mai lo era stata in vita sua. Quelle dame l'avevano considerata degna del loro interesse e, addirittura, la tutrice della fidanzata di suo fratello pareva assai cortese, benché formale. L'americana, tuttavia, non riuscì a rallegrarsi della cosa. Una strana freddezza copriva le maniere della dama e lei non sapeva come comportarsi e se davvero la considerava degna oppure no.
-Le abbiamo incontrate, Milady-rispose suo fratello.
-Davvero?-disse la più grande, inarcando il sopracciglio perfetto- Allora biasimerò mia sorella per la sua omissione. Non va bene che ci siano simili segreti tra noi.- La padrona di casa ridacchiò, divertita da quella battuta ma i due fratelli, a disagio per tutto questo, non riuscirono a cogliere la ragione di quella ilarità.
 
 
 
 
Ester aveva un diavolo per capello. -E'un arrogante! Un maleducato!-andava dicendo, mentre percorreva a grandi passi la camera, in lungo ed in largo. -Se ripenso a quegli occhi, colmi di sufficienza io, io...Aaah!-esclamò, bloccandosi dando un tonfo secco al suolo.
Viola sorseggiò placidamente il té.
Perfettamente composta, sulla propria sedia, osservava il nervosismo dell'amica con la stessa attenzione di uno spettatore a teatro. -Non credete che state esagerando?-domandò alla fine, posando la tazzina sul tavolo.
La signorina Escobar si girò, fissandola orripilata. -Come sarebbe?-chiese incredula- Avete visto che razza di...di...di...insomma, quello che è! Io dovrò sposarlo un giorno, capite!-
Mademoiselle Pertignac sospirò, imponendosi di mantenere un filo di calma. -Mia cara amica, vi voglio bene ed apprezzo la vostra vivacità-disse, mettendo le mani sul grembo- ma non trovate tutto ciò oltremodo esagerato?Mr. Gillford è rimasto perfettamente nei ranghi della buona educazione e non mi è sembrato tanto indegno di fiducia. Semmai dovreste ringraziare vostra sorella.-
La bionda sgranò gli occhi.
-Lady Mc Stone ha scelto per voi un marito giovane e promettente...oppure preferite tornare al progetto di vostra madre?-disse la mora, lanciandole un'occhiata significativa. Aveva saputo da sua madre della scelta della tutrice dell'amica ed ora che vedeva quell'americano non poteva che essere d'accordo. Aveva visto un quadro del prussiano che aveva chiesto la mano della sua amica e, confrontandolo con l'immagine vivente dell'attuale promesso, non poteva che congratularsi per una simile scelta.
Ester chiuse la bocca, rimasta aperta fino a quel momento. Non aveva dimenticato quanto avesse trovato sgradevole Lord Von Gruhnweld e doveva ammettere che, almeno su quel punto, sua sorella aveva avuto maggiore rispetto.
Viola scosse benevolmente il capo. -Mi è sembrata una persona piacevole. Perché non provate a vedere i pregi?-fece, tentando di essere incoraggiante.
A quelle parole la giovane non rispose.
Non aveva mai pensato a quella possibilità. Fin da subito quella persona aveva mostrato un carattere insopportabile ai suoi occhi e, cosa ancora più insostenibile, non aveva nascosto alcuna ostilità nei suoi confronti. Come poteva essere gentile con lui con simili premesse? -Non è semplice-disse, abbassando la testa- non abbiamo iniziato a parlarci pacificamente.-
La giovane mora inclinò la testa.
-Forse dovreste farlo-le consigliò- ma vi suggerisco di provare con sua sorella.-
Ester inarcò la fronte.
-No-disse- non ho nessuna intenzione di usare quella ragazza. Non mi piace suo fratello. E'rozzo e antipatico, non voglio avere niente a che fare con lui.-
Viola scosse il capo.
La sua amica non voleva accettare la verità dei fatti. Quel fidanzamento poteva essere la soluzione alla sua sorte precaria ma la signorina Escobar non sembrava vedere quello stato di cose. Istintivamente pensò al giovane americano. -Allora provate a parlare con lui-continuò- vostra sorella ha l'aria di essere decisa a porvelo come futuro marito e, considerando come stanno le cose, provate a conoscerlo. Del resto, non è meglio tenersi stretti gli amici e ancora di più i nemici?-
 
 
 
 
 
 
 
 
Ann inclinò la testa mentre leggeva il romanzo che aveva preso dalla ricca libreria della padrona di casa.
-Che libro è?-domandò suo fratello, mentre fissava la finestra.
-Ivanhoe.-rispose laconica, continuando a seguire le frasi con lo sguardo. -Un romanzo ambientato nel medioevo, di un certo Walter Scott.-continuò, vedendo la sua espressione imbronciata.
Cedric sospirò, mentre fissava il paesaggio intorno alla dimora. I campi inglesi parevano perdersi a vista d'occhio, sparendo nella lieve e perenne foschia dell'orizzonte. Mentre osservava quel posto, si chiedeva la ragione della sua presenza lì. Suo zio aveva affermato di conoscere la padrona di casa ma da quando aveva rivisto Lady Mc Stone, l'americano aveva compreso che doveva esserci il suo zampino, dietro a quell'improvvisa scampagnata.
-Fratello-fece la giovane poco distante- la signorina Escobar è molto bella.-
Gillford si voltò di scatto, fissandola con indignazione. Ann le sorrise angelicamente, con la stessa espressione che usava dopo aver compiuto qualche marachella. -E'una ragazzina irritante e capricciosa!-sbottò, furente per quelle parole.
Ann non disse niente.
Da quando erano giunti in Inghilterra, suo fratello aveva mostrato di essere scontento per qualsiasi cosa e non si sorprese quindi di una risposta simile. Ugualmente, non poté fare a meno di notare quanto fosse eccessiva quell'irritazione. La loro madre nutriva molte aspettative su di lui e lei non poteva che essere d'accordo. Non sapeva come fosse la signorina Escobar ma non aveva nessun dubbio sul fatto che parte dell'ira di Cedric fosse dovuta alla loro condizione. -Mademoiselle Pertignac mi ha invitato ad una partita a cricket-disse, rompendo l'irritazione che pareva gravare nell'animo del ragazzo- posso andarci?-
Cedric si riscosse.
Sua sorella aspettava una sua risposta, fissandolo speranzosa e incerta.
-Fa come ti pare-rispose, senza guardarla.
 
 
 
 
 
 
Oceane osservava silenziosa il foglio che teneva tra le mani. Non sapeva cosa la trattenesse lì. Avrebbe dovuto gridare, urlare il mostro che le gravava dentro...ma si sentiva come svuotata di ogni forza, priva del suo consueto entusiasmo.
 
 
La informo che suo marito Maurice de Fabergé è ricoverato nell'ospizio degli Infermi presso la chiesa di Saint Deny a Parigi. Le sue attuali condizioni di salute lasciano ben poco sperare su una sua effettiva guarigione. Stando così le cose, la gendarme di Parigi ha sospeso le accuse che vi sono state rivolte e vi esorta ad assolvere i vostri ultimi doveri coniugali nei confronti di quel distinto uomo, meritevole della vostra più completa devozione e riconoscenza.
 
 
L'istitutrice inarcò la fronte. Quanta ipocrisia in quelle parole! Quanta menzogna era stata versata! Oceane chiuse gli occhi. Per un momento, si illuse che il rumore delle parole dei passanti coprisse quello che urlava dentro di lei. Aveva perso tutto per colpa del soggetto della lettera e di suo padre...e cominciò a tremare per le emozioni spiacevoli che le gravavano dentro. 
Un profondo malessere dominava le sue azioni, lasciandole addosso l'amaro sapore del tempo che le era stato rubato.
-Signorina Treville-esclamò una voce leggermente aspra.
Oceane alzò la testa, incontrando il viso del russo.
Fece per rispondere ma un'ondata di malinconia e rimpianto ricacciò in gola le parole che voleva dire.
-Vi ho visto qui-rispose questi- ed ho pensato di salutarvi. Ho saputo che c'è una graziosa commedia in non so quale teatro ed ho rimediato dei biglietti. Volete unirvi a me?-
La donna sussultò. Ancora presa dai suoi pensieri, era stata presa alla sprovvista da quell'invito. -Monsieur Browsky...io...-provò a dire, scoprendosi impacciata.
Igor la fissò interdetto...poi si accorse della lettera che teneva in mano.
-Avete ricevuto delle cattive notizie-disse questi.
Oceane lo guardò a sua volta.
Non era una domanda ma una semplice costatazione.
La signorina Treville chiuse gli occhi. Non aveva voglia di parlarne e Igor se ne accorse. -Vi andrebbe di venire al George Inn? Hanno il migliore cheese cake di Londra, posso garantirvelo.- fece, con un sorriso incoraggiante.
Oceane indugiò un po' a rispondere.
La lettera ricevuta aveva fatto crollare buona parte dei suoi propositi di gettare via il passato. Per un momento, si era scioccamente illusa che fosse possibile porre rimedio a quegli errori di cui era stato oggetto ma si rendeva conto, in un moto d'inconcludente pessimismo che, anche se innocente, aveva ereditato le colpe di altri. -Va bene- disse, con un sorriso malinconico.
Il russo nascose bene lo sgomento dovuto a quella strana espressione e, con le sue consuete maniere impeccabili, si incamminò verso il locale che le aveva mostrato.
 
 
 

 
Il locale dove andarono era assai piacevole. Oceane occhieggiò la finestra vicino a cui si trovava, non potendo fare a meno di apprezzare il brulicare di persone che passavano sotto il suo edificio. Erano al piano superiore ed il panorama meritava certamente quella passeggiata. -Vi piace, mademoiselle?-domandò il russo, mentre fissava con golosità il cheesecake contenuti nei due piattini che avevano ordinato.
-Sì, è molto bello.-rispose la donna, mentre prendeva un cucchiaio del dolce.
Il chiacchiericcio agli altri tavoli creava un bizzarro sottofondo ma non le dispiaceva affatto. Aveva sempre amato i dolci e, per qualche strano motivo, il cheesecake era tra queste pietanze. -Ho sempre amato questo tipo di torta-disse improvvisamente- ha un sapore fresco e piacevole.-
Igor scosse il capo. -Benché questo locale sia rinomato per questo tipo di torta, io ho un'autentica passione per i piroghi.-commentò, prima di sorridere- Sono delle focaccine ripiene di cibi salati o dolci. Sono molto pratiche. La mia preferita è alla marmellata di ciliegie.-
Oceane annuì. -Non ne ho mai sentito parlare ma ammetto che sono molto intriganti...o voi siete sicuramente abile a descriverle-disse, occhieggiandolo divertita.
Igor sorrise a sua volta, lieto di aver allontanato per un po'il malumore della donna.
 
Capitolo un po'più lungo del solito e goloso, se vedete la foto del cheese cake. Ho messo dei dolci russi, giusto per far venire l'acquolina in bocca e, come potete vedere c'è qualcosa nell'aria. Intanto, abbiamo la sorpresa della nostra Oceane. Questa storia è più lenta di molte altre che ho scritto (?) ma spero che piaccia comunque.
Grazie a chi legge e a chi commenta. 

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** XL ***


 
Le giornate sembravano non voler passare mai ed Ester, trascorsi i primi giorni, cominciava a provare un filo di noia e fastidio per quella lontananza da Londra. Non aveva visto molto della città ma avrebbe di gran lunga preferito una simile ignoranza al tedio campestre.
Viola spesso scherzava su questa irrequietezza, insieme a Mrs. Chambers che sembrava avere in simpatia i suoi ospiti. -Non devi essere così impaziente, amica mia-le diceva- sono convinta che ci sarà qualche passatempo nuovo. L'aria campestre, poi, è assai salutare per noi. Perché non provi a fare amicizia con Mr. Gillford?-
A quelle parole, la signorina Escobar gettò un lamento contrariato. -Non se ne parla!- esclamò-non ho nessuna intenzione di scendere ad un simile livello!-
Viola la guardò con aria di rimprovero.
La sua amica sapeva essere straordinariamente testarda e, a quanto pareva, non era nemmeno disposta a mettere in pratica i suoi propositi.
 
 
 
 
Soledad stava prendendo il té nel soggiorno, insieme alla fedele compagnia della padrona di casa. Quest'ultima stava spiegando le ultime novità che aveva saputo dalle attività di suo marito. -Attualmente sta a Manchester- fece, con un tono distratto- mentre i miei tre figli sono  impegnati alla Westmister School. Quell'istituto vanta una lunga tradizione e sono certa che sapranno trarre il massimo profitto.-
-Sono certa che saprà trarre il massimo profitto da una simile frequentazione. Uomini come John Locke ed il duca Augustus Henry Fitzroy hanno dato una fama non da poco alla loro scuola.-rispose, sorridendole affabile.
Mrs. Chambers ridacchiò.   -Voi mi lusingate ma ammetto che avrei preferito che frequentassero il College Eaton. Ha studenti che provengono da famiglie assai in vista, senza contare molti rampolli della buona società. Peccato che sia così esclusivo.-disse, con una punta di rammarico.
Lady Mc Stone annuì appena, come per darle ragione. I capelli ramati erano colpiti di tanto in tanto dai raggi del sole, creando riflessi rubino. -Sono convinta che la scuola che frequentano sia assolutamente meritevole di fiducia. In ogni caso, non credo che saranno possibili inconvenienti, se possiedono le capacità dei loro genitori.-rispose, con fare vagamente lusinghiero- Sono inoltre dei maschi e, in virtù del loro sesso, sapranno certamente onorare la vostra famiglia. Non vi nascondo che invidio la vostra fortuna.-
Mrs. Chambers la guardò con occhi colpevoli. -Milady, voi siete ancora molto giovane, non dovete deprimervi in tale modo!-la rincuorò.
Soledad scosse il capo, con un filo di mestizia. -Non sto parlando di me. Anche se sono vedova, ho immeritatamente ricevuto la benevolenza del mio povero marito, che ha garantito a me ed alla servitù il decoro. Quello che temo è il futuro che riguarda mia sorella Ester e la sua amica Viola.- disse, notando lo sgomento da parte della padrona di casa- Non ho nessuna intenzione di scendere da questo proposito. Ho lasciato che la seconda moglie di mio padre finisse di dilapidare quanto quest'ultimo non aveva già fatto e non intendo lasciarla in mano alle mire da mezzana di quella donna.-
La padrona di casa ebbe un sussulto, vedendo un'ombra calare sul volto eburneo della dama. Ugualmente tacque, fingendo di non vedere. -Ho invitato i Gillford come mi avete detto-disse, prima di aggiungere mortificata- tuttavia non sono riuscita a convincere Mr. Gillford e sua cognata.-
Soledad inarcò la fronte.
-E per quale motivo, se è lecito chiedere?-domandò, posando la tazzina sul tavolo.
L'altra trasse un profondo sospiro. -Immagino che non sappiate niente. Del resto, siete giunta dalla Francia solo una decina d'anni prima.-commentò- Ad ogni modo, la madre dei giovani che ho sotto questo tetto gode di una pessima reputazione. Quasi una ventina di anni fa era una cameriera di una ricca famiglia, molto bella e con un certo carattere. Riuscì a far innamorare di sé l'erede designato che, invece di cacciarla per obbedire alle regole della sua stirpe, decise di fuggire in America. Ha avuto due figli e poi, rimasta vedova, ha chiesto assistenza alla famiglia del marito, con una certa faccia tosta.-disse, in una smorfia di disgusto- Ad ogni modo, il cognato, attuale capofamiglia, non ha rifiutato perché gli serviva un erede e, dopo aver visto il primogenito, ha decretato la sua scelta su di lui.-
Soledad soppesò le informazioni. Era materiale scottante ma non era minimamente scandalizzata da tutto questo. -Non cambierò comunque idea. Cedric Gillford sposerà mia sorella, che lo voglia o no.-sentenziò, senza fare una piega.
-Amica mia-la riprese Mrs. Chambers- mi duole dirlo ma forse la vostra scelta potrebbe essere azzardata. Quel giovane americano non ha ancora una posizione e dicono che sia un temperamento sanguigno. Potrebbe essere deleterio per vostra sorella.-
Lady Mc Stone la fissò con un'aria indecifrabile. -Credo che vi siano scelte assai peggiori. La seconda moglie di mio padre, senza nemmeno consultarmi, aveva orchestrato di farla sposare un vecchio che smaniava per un erede, un uomo sui settant'anni che ha spedito nella tomba, una dopo l'altra, le sue due precedenti consorti. Ha un temperamento ostico che è peggiorato con il tempo, senza contare che non mi dà la garanzia che tratterà bene Ester.-disse- Ho il privilegio di non dover barattare la vita di un parente per il mio benessere economico e non intendo bestemmiare su un simile sacramento, trasformandolo in uno squallido mercimonio senza vergogna.-
 
 
Il chiacchiericcio all'ippodromo era una routine non di poco conto. Brennan si aggirava da quelle parti, con il suo passo silenzioso e vagamente selvatico. Nemmeno i migliori abiti alla moda bastavano a scrollargli di dosso quella patina, come se fosse la caligine londinese, del resto.  L'Ippodromo di Newmarket comunque non era minimamente cambiato. La febbre delle scommesse era qualcosa d'invincibile per chiunque. Lo scozzese andava ad assistere di tanto in tanto, senza mai prendervi parte. -Sono davvero sorpreso di vedervi qui-disse una voce aspra e dura.
Lui si girò, incontrando la sagoma altezzosa e supponente che qualche tempo prima lo aveva irritato. -Lord Von Gruhnweld-disse morbido- quale onore. Non sapevo che amaste le corse dei cavalli.-
Henrich inclinò il capo.
-Il cavallo è l'animale più nobile che esista al mondo.-sentenziò- Comunque volevo vedere come se la cavavano i vostri esemplari inglesi.-
Brennan inarcò la fronte. -Io sono scozzese, non mi curo di certe amenità.-rispose, fissandolo malamente.
Il prussiano sospirò.
-Un vero peccato Herr Mc Kenzie-disse -anche la bellezza va coltivata...magari custodita, sotto una campana di cristallo affinché non perda la sua freschezza.-
Quel discorso disgustò il lord scozzese. -Per vostra sfortuna, non brillo per l'eloquenza scozzese-disse- a cosa devo la vostra confidenza?-
L'altro socchiuse gli occhi.
-Milord, voi ed io siamo uomini e sappiamo come va il mondo. Sappiamo che ci sono dei momenti in cui occorre fare il proprio dovere verso il casato di appartenenza, come un soldato fedele dell'esercito.-cominciò- E questo vale nel lavoro come nell'obbligo di una famiglia. Come vuole la Chiesa, è necessario procreare per la perpetuazione della stirpe...ma vedo che l'arroganza può portare l'individuo ad uscire dai limiti del decoro.-
-Parlate per enigmi-rispose lo scozzese, tediato da quella retorica- vi prego di essere più chiaro.-
Heinrich si irrigidì.
-Vorrei che parlaste con vostra cognata. Si dice che, malgrado la fortuna ereditata le abbia montato la testa, ascolti i vostri consigli. Dovete ordinarle di permettere alla sua pupilla di adempiere al contratto che sua madre aveva deciso anni fa.-rispose- Ho messo gli occhi su quella fanciulla delicata da molto, molto tempo. Sono del parere che la mia casa trarrà giovamento dalla sua freschezza...e poi non sta bene che cresca senza la guida di un'autorità dignitosa.-
Brennan Mc Kenzie non mutò espressione.
-Onestamente non vedo come possa mutare una simile condizione. Io non sono il tutore di Lady Mc Stone e non ho alcun potere su di lei. I pettegolezzi hanno un'idea errata della mia persona.-rispose-Sono davvero stanco di questa storia di donne. Vi prego di non tediarmi più per una questione del genere. Che sia mia cognata a sbrigarsela.-
Così, sotto lo sguardo del prussiano, il giovane scozzese si avviò verso l'uscita dall'ippodromo. Non era la prima volta che incontrava quel tale ed era sinceramente stufo di farlo. Così, quando salì sulla carrozza a noleggio, alla domanda del vetturino, disse l'indirizzo della dimora della cognata, quasi senza accorgersene.
L'ira, in quel momento, aveva preso il sopravvento delle sue facoltà razionali...e quando vide la residenza dei Mc Stone far capolino in cima alla collina, un sorriso malevolo si dipinse sul suo volto selvatico.
 
 
Rashid vide il calesse fermarsi davanti al portone. Lì per lì, rimase a guardarlo dalla finestra poi però, quando il passeggero uscì, si affrettò a scendere al pianterreno.
Percorse rapido le scale, scivolando al pianterreno. A quel punto, a passo più moderato, aprì il portone, percorrendo la strada che lo separava dal cancello. -Milord- disse, avanzando a passo misurato- cosa possiamo fare per voi?-
-C'è la vostra padrona?-domandò, senza guardarlo.
Rashid lo studiò con una rapida occhiata. -No, Milord. In questo momento, è ospite di Mrs. Chambers. Desiderate lasciarle qualche messaggio? Provvederò subito.-disse, mentre lo vedeva occhieggiare nervoso le finestre.
Brennan osservava il tutto in un'espressione illeggibile. -No-disse infine- mi recherò da colei che la ospita immediatamente.-
Rashid non commentò.
In quella breve risposta, era riuscito a percepire uno strano e fastidioso brivido lungo la schiena. Malgrado il pessimo carattere, Lord Mc Kenzie era un uomo che si arrabbiava assai di rado. L'unica eccezione era rappresentata da Lady Mc Stone. L'indiano scosse la testa, chiedendosi se tale furia fosse davvero un buon segno. Avrebbe voluto davvero rispondere affermativamente ma non ebbe la forza di farlo. Era come se qualcosa lo trattenesse.
-Senza un invito, Milord?-osò comunque chiedere.
Il nobile lo fissò greve.
-Stai tentando di ritardare la mia decisione? Non credere che non lo abbia capito.-disse, con un tono falsamente cordiale.-Non intendo continuare a fare la dama di compagnia a quella donna. Non azzardarti a portare a termine questo compito o te ne pentirai.-
Rashid annuì, con la sua solita aria inintellegibile. Non mosse un muscolo, limitandosi a fissare lo strano visitatore senza fare una piega. Conosceva quello scozzese da molti anni e sapeva quanto poteva essere feroce. Dietro quella maschera di fredda cortesia, che calzava malamente su quella sagoma imponente, si celava un'indole selvatica e poco socievole. Malgrado questa esperienza, tuttavia, non poté fare a meno di provare un filo di sollievo, sapendolo sempre più distante.
-Si è allontanato?-domandò Sarasa, stringendo a sé lo scialle.
Il sikh sospirò.
-Preferirei occuparmi degli animali, piuttosto che temperare gli animi degli uomini-rispose questi- ma ora si sta recando da Lady Mc Stone. Penserà lei a tenerlo a freno.-
L'indiana non disse niente.
Conosceva bene la grandezza della sua padrona, eppure non poteva fare a meno di provare inquietudine al pensiero di cosa poteva fare quell'uomo. Il suo temperamento rude e manesco era fonte di costante nervosismo per lei che, sapendo quale tempesta emotiva scatenata nella signora, teneva tutto per sé.
 
 
 
Ester rimuginò a lungo sul da farsi.
Non aveva nessuna intenzione di essere gentile con Cedric. Per quanto Viola volesse convincerla ad essere più morbida e duttile, Ester non riusciva a far proprio un simile pensiero. Odiava cordialmente la sola idea di passare pochi minuti in compagnia di quel rozzo individuo, figurarsi il resto della propria vita! A quel pensiero, impallidì.
I suoi sogni erano stati calpestati senza alcuna remora ma era tardi per prendersela con Soledad. Per quanto odiosa fosse, la sua decisione era quella meno egoistica che potesse prendere nei suoi confronti. Nessuno aveva mai dato l'impressione di avere un minimo di riguardo per lei. Doveva ammettere, almeno con sé stessa, che poteva avere maggiori sfortune.
Così, quando lo vide in controluce, intento a leggere un libro, provò a scacciare di dosso l'irritazione che quella rozza arroganza le procurava. -Buongiorno-salutò, fissandolo trucemente.
Cedric inarcò la fronte.
Quella minuscola mocciosa sembrava sfidarlo.
-Buongiorno a voi, Miss Escobar-rispose- state passando un piacevole soggiorno?-
Ester gonfiò le guance. Odiava quel tono supponente. Non lo sopportava affatto. La faceva sentire una bambina e lei non lo era. Non più almeno. -La vostra mancanza di decoro è per me un motivo di grande fastidio. E'così che siete solito rivolgervi con le giovani di sangue blu?-chiese, arricciando il naso.
Cedric scoppiò a ridere.
Quella lì era nobile?
Da non credere! pensò, continuando a sghignazzare.
-Come osate?!-esclamò la ragazzina- Io sono un'aristocratica di livello. Mia madre discende da una famiglia che ha calcato gli aurei corridoi della dimora di Versailles...NON VI PERMETTO DI PARLARMI IN TALE MODO!-
Per tutta risposta, Cedric rise ancora più forte.
Ann fissò con preoccupazione quella scena.
I due non facevano altro che battibeccare, senza esclusione di colpi ma quello che più la lasciava perplessa era la reazione di giudizio del maggiore. Nemmeno il violento pestone che l'inglesina gli rifilò in seguito, cogliendolo di sorpresa, bastò a sanare questo stato di cose.  Così, quando la giovane si congedò, sotto lo sconcerto della giovane accanto a lei, ugualmente sgomenta per quella piega dei fatti, non poté fare a meno di lasciare un sospiro. -Fratello, io non vi capisco. Non è da voi, assumere una condotta tanto ostile.-disse, con occhi pieni di biasimo.
Un rumore secco, dovuto al pugno sbattuto sul tavolo, non bastò a placare la curiosità che le gravava dentro. -E'una pazza squilibrata con la puzza sotto il naso!-sbottò lui- Non immaginate nemmeno le maniere con cui si è atteggiata con me. Non avete alcuna idea di quanto sia irritante.-
Ann si massaggiò il mento.
Conosceva bene suo fratello e sapeva quanto odiasse ricevere ordini.
Un po'gli dispiacque per lui, anche se non capiva dove fosse l'aspetto tragico della situazione. In quel preciso istante, sentirono bussare alla porta. -Avanti- disse, mentre questi fissava a sua volta l'ingresso.
Mrs.  Chambers fece capolino, con la sua chioma castana. -Buongiorno, signori-esordì- in quanto miei ospiti, avrei piacere di vedervi a cena questa sera. Qualora abbiate delle preferenze, siete pregati di chiedere di Bess, la responsabile delle cucine. Inoltre, vi informo che nei prossimi giorni andremo in visita a Bath, per un giro tra le terme ed ora buon riposo.-
Quando si congedò, Cedric trattenne l'ennesimo sbuffo, che scatenò un odioso risolino nella minore. -Vi prego, sorella, non cominciate-sbuffò, passandosi una mano sui capelli.
Per tutta risposta, Ann Gillford rise ancora più forte.
 
 
 
Ester era furibonda.
Malgrado tutte le esortazioni di Viola, le sembrava quanto mai impossibile scendere a compromessi con la condizione in cui si trovava. Con stizza, aveva tolto tutti i vestiti dai bauli da viaggio, gettandoli alla rinfusa. -Avete visto come si comporta quel...quel...ahh! Io non sopporto la sua presenza in nessun modo!- esclamò, mentre gettava in qua e là le stoffe -Come ha potuto mia sorella impormi una simile misura! Lei, lei che ha avuto uno sposo dall'animo mite e generoso...che le ha pure consentito di avere un ruolo di rilievo nelle relazioni tra India e Inghilterra!-
Mademoiselle Pertignac, per tutta risposta, cominciò a stirare con cura i fazzoletti di pizzo che si era portata dietro. Il viso era assorto in una piega insolita. -Mia buona amica-disse- avete provato a seguire il mio consiglio? Io vi esorto a farlo, giacché la questione è assai problematica. Non potete continuare con questa condotta, anche perché quell'americano, vedendovi così afflitta, aumeterà l'ostilità, facendovi soffrire inutilmente.-
Ester si girò.
-E cosa dovrei fare, di grazia?-chiese, arricciando il naso.
Viola sorrise serafica. -Naturalmente-rispose- dovrete vendicarvi. Concordo con voi sul fatto che il vostro promesso si stia comportando in modo villano.-
La signorina Escobar aggrottò la fronte. Non riusciva a comprendere e l'altra sorrise della sua ignoranza. -Immagino che Lady Mc Stone non vi abbia informato della novità-disse, passandosi pensosamente le dita sulle labbra -Sembra che la vostra tutrice abbia intenzione di partecipare ad un ballo presso la casa di una sua conoscente che abita in campagna. Non so i dettagli ma ho sentito Mrs. Chambers parlarne con la governante di questa dimora.-
Ester la fissò con stupore, mentre un lampo divertito attraversò le iridi verdi.
-Dite quindi che troverò terreno fertile per poter avere ragione di quel rozzo individuo?-chiese, retorica.
Viola le rivolse uno sguardo eloquente e l'umore della bionda, traendo conferma da tutto questo, migliorò notevolmente.
 
 
 
 
Soledad si aggiustò la stoffa dell'abito.
Era color mattone, intonato con la chioma. Stava conversando con Mrs. Chambers...ma non era molto felice della cosa.
-Mia buona amica-disse- credo di aver male interpretato il vostro ragionamento e, in tutta coscienza, temo di non comprendere la ragione di una simile premura.-
La donna inarcò la fronte.
-Alludete al fatto che ho intenzione di partecipare-disse pensosa- oppure al fatto che ho invitato Lord Mc Kenzie a quell'incontro?-
L'altra rimase ferma un momento. -A entrambe-rispose poi.
Ci fu un momento di silenzio, durante il quale le due si studiarono negli occhi. -Malgrado siano passati così tanti anni, il vostro quasi-cognato vi ha in antipatia?-chiese quella, non capacitandosi della cosa- Ho sempre visto Lord Brennan come un uomo sulle sue, quasi una specie di orso se permettete, ma credo che con la compagnia adatta migliorerebbe di molto il suo pessimo carattere. Non trovate strano che un gentiluomo così avvenente viva perennemente isolato in Scozia, con grande scorno di noi inglesi?-
Soledad fissò i fiori nel vaso.
-Non so cosa dirvi. Io non sono inglese...né mai lo sarò.-rispose, leggermente malinconica.
-In ogni caso-continuò la più anziana-suppongo che vogliate accompagnare la signorina Escobar, se non altro per questioni d'immagine.-
-E'così-ammise l'altra.
-Per cui occorre che abbiate uno chaperon.-disse questa, senza fare una piega.
Lady Mc Stone trattenne uno sbuffo. -Questo è ridicolo. Sono una donna sposata.-obiettò.
-Vedova, sarebbe il termine più appropriato-ribatté Mrs. Chambers- inoltre dovete considerare che la vostra forza muliebre è nulla in confronto a quella di un uomo. Persino nell'antica Roma, le donne prive del loro sposo erano accompagnate da uno schiavo che desse forza alla sua voce. Non pensate alla vostra pupilla?-
Soledad chinò la testa.
Mrs. Chambers la squadrò. -Ho notato come seguiate quella fanciulla passo passo, senza mai perderla di vista un singolo momento. Siete addirittura disposta ad unirla in matrimonio con un borghese americano, quando potrebbe tranquillamente avere un giovane rampollo della nobiltà inglese. Inoltre, e questo mi lascia un po'basita, non vi importa che frequenti la bastarda di quell'attrice, prendendovi la responsabilità di garantirle un'unione non miserevole.- fece- tutta questa abnegazione, mia cara, a cosa sarebbe dovuto?-domandò, soppesandola con i suoi occhi materni, poi si fece seria. -E poi, comunque, devo informarvi che ci saranno degli ospiti che forse non vi piaceranno.-
L'altra si passò una mano sulla fronte.
-Chi sono?-domandò.
La donna arricciò le labbra. -Lord Von Gruhnweld-rispose questa, studiando la sua reazione- pare che sia visto di buon occhio presso i club più esclusivi di Londra...almeno di recente. Ne ho sentito parlare da qualche parte.-
Quelle parole risuonarono nell'aria con la stessa forza di una frusta. Lady Mc Stone incassò la notizia allo stesso modo, indossando la consueta maschera composta e seria. -Se dunque è così- fece-seguirò il vostro consiglio ed imporrò ai Gillford di stare accanto a mia sorella.-
Così disse, ma quando giunse al pianterreno, vide la carrozza con lo stemma dei Mc Kenzie e buona parte dei suoi propositi vacillò.
Ignaro di tutto, il duca uscì dal mezzo, procedendo spedito verso la padrona di casa.
-Mrs. Chambers, vogliate perdonare la mia mancanza di decoro in questo momento. Purtroppo sono stato informato con scarsa tempestività-disse, lanciando un'occhiata obliqua alla dama spagnola.
-Non dovete preoccuparvi. Voi uomini avete meno incombenze, quanto a vestiario.-rispose quest'ultima, suscitando una risata sorpresa nella padrona di casa e un quasi ringhio nei confronti dello scozzese.
-Lady Mc Stone-sussurrò la donna accanto a lei- se vi comportate in tale maniera, azzarderei quasi che voi abbiate un qualche rapporto con il fratello di latte del vostro defunto marito.-
-No-rispose laconica l'altra- ma quest'uomo ha frequentato la mia casa a sufficienza da farmi pensare tali cose.-
Mrs. Chambers non disse niente.
Intuiva che vi fosse qualcosa, nel bizzarro rapporto tra i due. La sua ospite non brillava per espansività ma, al contrario, tendeva a tenere tutti a distanza da sé...per cui non riusciva a capacitarsi di cosa fosse successo per renderle quell'uomo tanto sgradito. -Non vedo l'ora di vedervi a quella festa, mia cara-fece- è la prima volta che parteciperete senza i monili da lutto.-
Soledad non disse una parola, limitandosi a prendere la strada delle scale per raggiungere la sua camera e chiudersi dentro.
 
 
 
Capitolo transitorio. La storia che state leggendo è la più lunga che farò molto probabilmente, per via di una serie di particolari che necessitano di questo spazio. Qui i ritmi sono lenti, molto lenti ed i personaggi devono crescere. Questa permanenza avrà un certo peso ma spero che vi piaccia ugualmente. Ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono. 

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** XLI ***


XLI
 
Brennan guardava inespressivo la propria immagine allo specchio.
-Milord, ho finito-disse il barbiere, deponendo il rasoio.
Il viso, liscio e squadrato, era pallido come di consueto, delineando un profilo duro e virile. -Avete fatto un ottimo lavoro-esalò lo scozzese, accarezzandosi la pelle-e sarete degnamente ricompensato. Considerando il vostro impegno a domicilio, la vostra parcella sarà più alta.-
Gli occhi dell'altro si illuminarono.
-Grazie! Grazie, signore!-esclamò questi, chinando la testa.
Brennan annuì, un po'seccato. -Ora andatevene-disse, continuando a fissare la propria immagine-la carrozza vi attende.-
Il barbiere lo guardò.
In molti temevano il pessimo carattere di quello scozzese.  Era noto per la sua durezza ed il distacco con cui si rivolgeva al prossimo...eppure, il borghese ci credeva poco. Il fatto che non avesse mai mostrato grande interesse per le convenzioni e preferisse i suoi affari alle mondanità era una stramberia che lo rendeva apprezzabile.  
Per molti aspetti, pareva quasi uno di quegli antichi nobili che, anziché recarsi dal sovrano a chiedere favori, preferiva arricchire il proprio patrimonio nella sua tenuta. Con calma, dispose con cura i vari abiti che aveva portato con sé e che, in quel momento, giacevano sul letto.
L'idea di partecipare ad una festa lo nauseava...ma sapeva dissimulare decentemente tutte le sue emozioni. Con calma, studiò critico i completi scuri presenti, prima di decretare la scelta su uno di loro. Istintivamente, si accarezzò la pelle, trovandola levigata e priva d'imperfezioni...e sorrise di conseguenza, al pensiero di quello che lo attendeva.
 
 
Viola era comodamente seduta a tavola, con un abito color pervinca che esaltava il suo pallore naturale. Mrs. Chambers la osservava, non potendo fare a meno di notare come tutto in lei fosse drammaticamente appropriato all'occasione. Avrebbe certamente fatto una magnifica figura, nell'alta società, se i suoi natali  non fossero stati tanto imbarazzanti. -Signorina Pertignac, avete scritto una lettera a vostra madre?-chiese, soppesandola con lo sguardo.
-Certamente-rispose questa- si è raccomandata di essere informata sulla mia permanenza qui.-
Mrs. Chambers le rivolse un sorriso.
-E'la prima volta che lasciate la vostra dimora, non è vero?-chiese- Anche io facevo così, quando i miei figli erano lontani da casa. Mio marito mi rimproverava spesso per la mia eccessiva mollezza.-
Viola annuì, sinceramente imbarazzata.
-Mi hanno detto che ci saranno molti giovani alla festa e spero che vi divertiate. -continuò l'altra.
Per tutta risposta, la più giovane oscillò la testa, in un pallido gesto di accordo. -Mrs. Escobar-fece- posso chiedervi il permesso di ritirarmi? Ho un forte mal di testa.-
 
 
 
Quando uscì dalla stanza, Viola trattenne l'ennesimo sospiro.
Il suo animo era gonfio di pena e angoscia per il futuro. Non aveva mai avuto molte aspirazioni ma comprendeva benissimo quanto l'isolamento in cui sua madre viveva, fosse deleterio per il suo futuro. Ugualmente, non ne faceva una colpa all'unica donna che si fosse davvero occupata di lei. A passo lento e misurato, si incamminò verso il suo alloggio, sperando mentalmente che non ci fosse nessuno dentro.
-Immagino che voi abbiate qualcosa in mente, Lady Mc Stone-disse una voce, fredda come il ghiaccio.
Viola si fermò.
-A cosa alludete?-domandò la voce della donna.
-Parlo della vostra pupilla. Vi ho dato notizia che Lord Von Gruhnweld ha incontrato la vostra matrigna e si è accordato con lei per screditarvi. Cosa dovrei pensare? Hanno già messo in dubbio molte vostre scelte, come quella di affidare la ragazzina ad un ricco borghese.- disse la prima, sempre più alterata.
-E allora? Sempre meglio di un vecchio patetico che ha ammazzato di botte le sue precedenti mogli.-replicò sprezzante l'altra.
-Il matrimonio è un contratto. E'sufficiente porre dei vincoli legali per arginare la frenesia. Qualora le cose non andassero bene, la mocciosa tornerebbe da voi.-rispose l'uomo...ma una risata gelida interruppe quelle parole. -Non esistono queste possibilità. Come avete ben sottolineato, un matrimonio è un contratto che ha, tra le altre cose, dei vantaggi che non hanno niente a che vedere con la sorte degli individui. Probabilmente un simile lignaggio sarebbe davvero vantaggioso...ma significherebbe immolare la propria vita in nome di doni futuri e incerti, rispetto alla sofferenza reale.- rispose- Non raccontatemi simili sciocchezze. Ho smesso di credervi nell'infanzia.-
Un pugno si abbatté sul tavolo. - Siete stata il peggiore castigo che possa essere capitato nella mia sorte. Io disprezzo profondamente il vostro egoismo. Avete sposato un ricco scozzese, con un lignaggio antico e solido, entrando negli ambienti più illustri della corte. Non avete ottenuto solo umiliazioni, al contrario. Eppure continuate ad atteggiarvi come vittima del destino.-sibilò- Mi fate indubbiamente pena.-
A quelle parole, sputate con rabbia, seguì un teso e lungo silenzio.
Pareva come la quiete prima della tempesta e Viola, con il cuore trepidante, si ritrovò a sussultare, sia pure in maniera impercettibile.
-Allora per quale motivo siete qui?-domandò Lady Mc Stone, con un tono privo di ogni incertezza- Se è come dite, niente vi spinge a rimanere.-
Viola udì dei passì...poi calò il silenzio e, con esso, finì quel violento scambio di battute.
Incerta, si avvicinò alla serratura della porta, salvo tirarsi indietro di scatto.
Lord Mc Kenzie stava baciando la tutrice della sua amica o almeno così pensava, data la sconveniente vicinanza. Un violento schiocco rimbombò nella stanza, seguito da una risata, carico di cattiveria che decretò la fine di quel silenzio apparente.
 
 
 
Soledad guardò con sgomento l'uomo di fronte a lei.
Non aveva mai avuto paura di niente...e, di certo, non dell'uomo che ora la guardava con odio.
-Che cosa avevate intenzione di fare?-sibilò questi, massaggiandosi il viso.
Lei fissò la mano, ancora tremante, con incredulità.
-NON PENSARE DI COLPIRMI DI NUOVO, DONNA! SEI UNA PAZZA, UNA MALEDETTA PAZZA!- sbottò lo scozzese, afferrandola per le spalle -Non ti permetterò di continuare con i tuoi capricci. Hai istupidito mio fratello ma non succederà anche con me. Non giocherai con la mia persona...e con quella mocciosa che avete ingannato. Io so come siete...un mostro.-
Lei non rispose.
Gli occhi continuavano a fissare la mano. Vibrava ancora, indipendentemente dalla volontà.
-Adesso basta-concluse infine Brennan- avete preso in giro la mia persona anche troppo per quello che meritavo. Non ho nessuna intenzione di rimanere qui. Avervi intorno è dannoso per me.-
Raggiunse la porta, a passo rabbioso.
Via, via...questo era il suo desiderio.
Quella strega spagnola aveva portato solo danni. Lo aveva sempre detto a suo fratello ma questi si era fatto beffe di lui...e come era andata a finire? Alistair era morto...e lui, maledetto, dannato per sempre.
-Brennan, non te ne andare.-disse.
Lo scozzese non si girò.
Aveva ancora la mano sulla maniglia ma era rigido come una statua. -Cosa vuoi?-chiese.
Ancora un sospiro.
- Non te ne andare. Io so che sarò dannata...per l'eternità. Voglio salvare almeno lei, con un matrimonio in cui non sia una serva già al momento delle nozze. Quel Gillford non è cattivo e nemmeno bugiardo...voglio che sia lui. Non voglio che il supplizio si ripeta.-disse.
-Ma davvero?-commentò lo scozzese- Voi avete avuto più privilegi, rispetto alla condizione di partenza...perché pensate il contrario?-
Soledad non mosse un muscolo facciale.
-Non è come Alistair.-rispose.
Brennan rimase immobile sul posto, gelato da quelle parole. Non chiese niente...non fece domande. Sentiva però un fondo di ghiaccio, tutte le volte che diceva quella frase...un dolore sordo che lo straziava dentro...e capì di essere giunto al limite per quel giorno.
Aprì la porta e se ne andò.
Nemmeno vide Viola che aveva origliato la conversazione, sia pure in parte.
 
 
 
 
 
-Immagino, fratello, che questa festa sia molto importante-commentò la ragazza, mentre studiava i colori degli abiti nel baule. Ne aveva presi diversi, non sapendo cosa l' aspettasse...ed ora era indecisa. -Quale colore pensate che sia più appropriato?-domandò.
Cedric sbuffò.
-Non sono cose che mi interessano, Ann. Un vestito è un vestito.- fece, con voce seccata.
L'americana non vi badò. -Dite così solo perché avete il privilegio di essere un maschio e quindi di non dover scegliere tra tanti abiti...altrimenti, mostrereste maggiore entusiasmo.- disse, passandosi una mano sotto il mento  -Sicuramente serviranno dei guanti bianchi ma non ho la minima idea di quale sia il colore più appropriato. Nessun consiglio?-
-Ann, per l'amor di Dio, vi sembrano cose che siano adatte ad un uomo?-esclamò, seccato dalla cosa.
Lei si girò. -Siete assolutamente impossibile, fratello. Vi sto chiedendo un consiglio che ritengo assolutamente indispensabile, visto che ancora non ho debuttato. Vorrei fare la migliore figura che il mio status consente...come potrei trascurare simili dettagli?- fece, tornando a dargli le spalle. Prese le varie stoffe e cominciò a visionarle con attenzione, studiando critica i particolari. -Credete che sia opportuno chiedere consiglio a Lady Mc Stone?- fece.
Cedric trasecolò, sentendo quel nome.
-Siete forse impazzita?-sibilò.
Quella donna avrebbe aiutato sua sorella? No, non ci credeva affatto. -Perché?-domandò- Voi siete assolutamente poco propenso ad aiutarmi...non vorrete, spero, pormi in una situazione sconveniente? Vorrei avere anche io la possibilità di sposarmi in modo decoroso e voi non mi siete di alcun sostegno.-
L'americano grugnì, irritato da quelle parole. -Siete davvero così desiderosa di darvi in pasto al primo venuto?-chiese lui, irritato da quel tipo di discorsi.
Ann si girò.
-Fratello, anche se sono più piccola di voi, sono comunque una donna. So che il destino è il matrimonio e vorrei avere almeno una maggiore scelta. Se voi persisterete con questa condotta selvatica e piccosa, non ne trarrei una buona fama. -disse, fissandolo severa- Non siamo nobili e godiamo della tua posizione di erede della famiglia Gillford. Non dimenticatevi che anche io finirei male, nel malaugurato caso in cui voi, decideste di lasciare tutto.-
Cedric non commentò.
Sua sorella era sempre stata ai margini e comprendeva poco il suo punto di vista. -Ma perché proprio Lady Mc Stone?-chiese, non volendo accettare completamente quello stato di cose.
-Perché è una delle poche persone che mi ha guardato dritto negli occhi, senza soppesarmi con lo sguardo.-fu la risposta inaspettata della giovane- ecco perché.-
A quelle parole, l'americano cedette. -E sia- disse- purché non vi cacciate in qualche guaio.-
 
 
 
 
Il cielo era leggermente nuvoloso.
Il vento scuoteva piano gli alberi, facendo scendere una pioggia di foglie. Soledad fissava mestamente il paesaggio. Così immerso nel buio, lo trovava desolante e mesto, specchio forse del suo stesso animo.
-Lady Mc Stone-disse una cameriera- vi informo che Miss Gillford desidera conferire con voi.-
La dama inarcò la fronte.
-Fatela entrare-rispose, tornando a fissare il paesaggio.
I passi dell'americana raggiunsero il suo orecchio. Erano ritmati e battevano il pavimento con insolita energia...così si girò, incontrando la ragazzina del giovane a cui aveva imposto la mano di sua sorella. -Miss Gillford- fece- è un piacere vedervi. Non abbiamo avuto modo di discorrere piacevolmente.-
Ann abbassò gli occhi ma fu un istante così breve che alla dama parve quasi artefatto, frutto dell'etichetta, più che di reale timidezza. -Milady-disse- perdonate il disturbo ma sono venuta a chiedervi consiglio, a proposito del ballo.-
L'altra prese posto su una sedia. -Chiedete, signorina.-rispose, invitandola a sedersi.
La giovane obbedì, un po'nervosamente.
-Immagino che sia la prima volta che venite a questo genere d'incontri-commento Lady Mc Stone.
-E'così. Temo di fare una brutta figura.-ammise Ann.
Soledad inarcò la fronte. -E per quale motivo-chiese- dovrebbe essere così? Vostro fratello ha molta stima di voi.-
La signorina Gillford sospirò. -Come potrei spiegarlo?-fece- Io sono venuta con mio fratello per una ragione ben precisa.- Prese qualche momento per raccogliere le parole, incerta su come proseguire, sul modo per esternare il suo tormento. -Mia madre è stata assai chiara in proposito. Dal momento che il fidanzamento tra mio fratello e Miss Escobar pare essere accetto a entrambe le famiglie, ha deciso di mandarmi qui, affinché possa fare la mia comparsa in queste sale, in attesa del debutto in città. E'fermamente convinta che occorra un matrimonio solido per me.- spiegò.
Soledad annuì. -Capisco il ragionamento ma non mi spiego una simile fretta-disse, prima di aggrottare la fronte- Spero per voi che non vi siate compromessa.-
Ann scosse la testa con violenza.
-Assolutamente no!-esclamò- Il problema è che non ho una sufficiente preparazione per accogliere con serenità un'occasione mondana. Ho avuto solo insegnanti privati e temo in una pessima figura.-
Così dicendo, si portò una mano sul cuore. -Non ho mai commesso infrazioni alle regole della casa di mio zio ma devo garantire un avvenire per me stessa. So che non potrei rimanere per sempre insieme a mio fratello...e devo farmene una ragione.-rivelò, fissando laconica le proprie mani.
La più grande si accarezzò compostamente le mani. -Ammiro la lucidità con cui affrontate la vostra condizione di donna. Non è da tutti...ma voglio essere franca con voi. Non gettate il vostro onore tra le braccia di un uomo indegno.-fece, guardandola fisso- Sappiate comunque che ad un ricevimento di una villa di campagna, non sono richieste le medesime rigidità di una festa in città. Solitamente si balla una quadriglia, una country dance...oppure un minuetto, anche se lo trovo orribilmente fuori moda. Assicuratevi di avere i guanti bianchi. Quanto agli abiti, andranno bene le tinte pastello, o il bianco...ma che non siano troppo scollati, però. Una vista inopportuna del petto rovinerebbe il fascino virginale della vostra condizione di debuttante.-
Ann seguì con attenzione questa e le frasi che seguirono, annuendo di volta in volta. -Comunque sia-fece l'altra- non dovete temere. Nel caso in cui foste sul punto di fallare, chiedete a mia sorella e Mademoiselle Pertignac o a me, se sono nelle vicinanze. Il bello di questi ricevimenti è che potrete fare pratica.-
 
 
 
Viola fissava incerta l'abito giallo che giaceva comodamente su una sedia. Lo aveva fatto stirare dalle cameriere, raccomandandosi più volte la massima cura della stoffa. -Credete che questo colore sia opportuno?-domandò.
Ester sbuffò.
-Mia buona amica-cominciò, raccogliendo tutta la pazienza che possedeva-ritengo che quel colore sia assolutamente consono. Inoltre, il fatto di non essere in città ci esula, almeno in parte, dal bisogno di tenere abiti bianchi. -rispose, mentre prendeva un abito celeste.
L'altra annuì. -Avete poi parlato con Miss Gillford?-domandò, studiando con lo sguardo la sua reazione. La vide sbuffare, con aria demoralizzata.
-E come potrei?-chiese- Con quel...quel...quel buzzurro di americano!- E, per dare maggiore enfasi alla sua stizza, gonfiò le guance in modo assolutamente poco signorile.
Viola inclinò il capo, prima di volgere la sua attenzione agli abiti. -Conviene chiamare le cameriere e farci aiutare.-disse.
Ester annuì. -Emma, avrei bisogno di un aiuto, con il mio abito.-disse, fissando esasperata il letto. A passo deciso si aggrappò alla colonna, sospirando. La attendevano quindici minuti buoni di tormento...ma doveva ottenere una vita sottile o avrebbe fatto una pessima figura.
Così strinse i denti, preparandosi al primo colpo.
 
 
 
Cedric si preparò abbastanza velocemente.
Indossò il completo elegante che usava per le occasioni di rappresentanza e, con un gesto svogliato, si pettinò i capelli. Non aveva molta voglia di andarci ma non era così egoista da deludere sua sorella. In quel momento, la sentiva borbottare a denti stretti per il corsetto...e sogghignò ironico, non riuscendo a capire l'importanza di tutti quegli accorgimenti. Alzò le spalle, come rassegnato a quello stato di cose e, dopo aver gettato un saluto sbrigativo al paravento oltre il quale si trovava sua sorella, sgusciò fuori, prendendo la via delle scale.
Giunto al pianterreno, tuttavia, si rese conto di non essere da solo.
La sagoma alta e muscolosa di Lord Mc Kenzie si stagliava di fronte a lui, dandogli le spalle. -Buonasera Milord-disse l'americano- pensavo di essere il primo ma, evidentemente, mi avete preceduto.-
Brennan socchiuse gli occhi.
-La moda virile è molto agevole da indossare-rispose lo scozzese, distaccato.
-E cambia in modo abbastanza impercettibile-convenne l'americano. Vide il lord scozzese scuotere la testa, non seppe bene dire se in segno di accordo o dissenso. -Siete quindi parente di Lady Mc Stone...chi l'avrebbe mai detto.-
-No- fece- sono il fratello di latte del suo defunto marito. Tanto vi deve bastare.- sibilò, indignandosi per l'assenza di attenzione dell'americano.
Questi si era limitato a scrollare le spalle. -Per come la vedo io, sono i soldi a fare la differenza. Su quelli si può sempre comprare.-fece, prima di ghignare malevolo-Potrei persino comprarmi un titolo più importante del vostro.-
Cedric non aveva detto quelle cose a caso. Lo faceva spesso anche in collegio, quando si atteggiavano a prepotenti nei suoi confronti. Rispetto a molti borghesi, non era mai stato interessato a cercare i loro favori. Non gli interessava granché, soprattutto sapendo che buona parte di quei damerini valeva meno del tacco della sua scarpa. Così, con quella sicurezza, aveva detto tali parole...ma lo scozzese lo prese di sorpresa.
Scoppiò a ridere e fu con quella risata che accompagnò l'ingresso della padrona di casa. -Vedo che vi sta facendo ridere, Milord-disse Mrs. Chambers- non sapevo che apprezzasse questo umorismo americano.-
Brennan si ricompose.
La dama inclinò il capo. -Mr. Gillford, sappiate che è un miracolo.-commentò, sinceramente sorpresa.
-A cosa alludete?-domandò il giovane, perplesso.
-Parola mia-fece la donna, ponendosi la mano sul petto generoso- è la prima volta che vedo quest'uomo ridere. Indubbiamente avete del talento.-
 
Bene, scusate il ritardo ma spero che vi piaccia. Questo capitolo è stato un parto e la storia sarà lunga. Vorrei ringraziare tutti coloro che seguono, mettono tra preferiti e recensiscono. Mi fa piacere sapere che la storia piace...e bhé, alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** AVVISO ***


Questo è un avviso che non faccio a cuor leggero. Ho deciso di fermare la storia...per fare il prequel e poi riprendere in mano questa. Ho molte cose da fare ma dei passaggi mi fanno pensare che vi siano troppi tentennamenti. Chiedo scusa per l'inconveniente.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1383554