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Lista capitoli: Capitolo 1: *** once upon a time *** Capitolo 2: *** A MERRY CHRISTMAS, OR NOT? *** Capitolo 3: *** LIFE IN A GLASS HOUSE *** Capitolo 4: *** THE TRICK IS TO KEEP BREATHING *** Capitolo 5: *** THE WICKED SYMPHONY ***
yeah it's holding me, morphing me
and forcing me to strive
to be endlessly cold within
and dreaming I'm alive
Muse, Hysteria
Un’altra fredda,
cupa e gelida giornata di dicembre. Una di quelle giornate come ce n’erano
tante, in quelle zone dell’Inghilterra. Una di quelle giornate in cui il cielo
era una tempesta che si preparava a travolgere la terra, avvolgendola ancora una
volta con i suoi fiocchi lattei.
Le lezioni erano
finite già da un pezzo quel giorno, James, Remus e Peter se ne erano andati
subito in dormitorio. James aveva bisogno di consultarsi un’ultima volta con la
squadra, in vista della partita che avrebbero dovuto disputare il giorno
seguente contro i tassi di hufflepuff.
Ma lui non aveva
voglia di star a discutere ancora di quidditch, oltretutto, la partita contro
hufflepuff era una pura e semplice formalità: tra le due squadre non c’era mai
stato confronto e, da quando l’infallibile James Potter era diventato capitano
le cose erano addirittura migliorate.Così, vista
la sua scarsa voglia di parlare di strategie, pluffe, bolidi e boccini,
ciondolava per i corridoi, senza meta, la testa completamente tra le nuvole.
O meglio, persa nei
ricordi di quella giornata. Intenta a crogiolarsi nei ricordi dei momenti
passati con una certa ragazza dagli occhi del colore del cielo.
Isabel Halliwell.
La sua
personalissima ossessione.
Un’ossessioneche
lui avrebbe fatto meglio a togliersi definitivamente dalla testa, se non voleva
davvero mandare a puttane tutto quanto. Perché, sapeva perfettamente che quella
sarebbe stata la fine.
Sorrise, maledicendo
se stesso e la sua stupidità.
A lei piaceva James.
Lo aveva sempre saputo, eppure, non era riuscito a non innamorarsene.
Lei, unica ragazza
ad essere riuscita ad entrare nel loro gruppo. Si erano conosciuti alla fine del
primo anno, quando li aveva salvati dalla McGrannit, dopo una delle loro solite
scorribande e, da allora, non se n’era più andata. Era rimasta con loro, era
entrata nel gruppo.
James la considerava
come una sorella, per Remus era un’amica fidata, per Peter, beh, non ne era
sicuro, ma quasi sicuramente aveva una cotta per lei.
E lui… lui, che
all’inizio si era dimostrato diffidente nei suoi confronti, ora, si ritrovava a
sognarla la notte, a bramare un suo sguardo, una sua carezza. Senza che se
ne fosse reso conto, il suo vagabondare senza meta lo aveva condotto al settimo
piano, poco distante dalla strega orba. Si ritrovò a pensare che se solo non
avesse lasciato in sala comune la mappa, si sarebbe fatto volentieri un giro
fuori programma ad Hogsmeade, ma, senza quella, era troppo pericoloso. Sarebbe
potuto arrivare chiunque senza che se ne accorgesse e non valeva davvero la pena
di rischiare l’espulsione.
Decise così che
forse era il caso, vista l’ora, di tornare al dormitorio e veder di spedire a
dormire anche il resto dei Marauders, quando, qualcosa, attirò la sua
attenzione.
Un suono, che
all’inizio non seppe riconoscere. Una melodia dolce, armoniosa. Ipnotica. Lo
attirava come le api con il miele, lo attraeva. Lo costrinse a tornare sui suoi
passi, guardandosi furtivamente intorno, una porta era apparsa sul muro alla sua
sinistra. La porta della stanza delle necessità. Avvicinandosi ad essa scoprì
che la musica si faceva più intensa, tanto da permettergli di riconoscere il
suono: un violino. Suonato magistralmente.
Una musica antica
più del tempo stesso. Come spinto da una magia, poggiò una mano sulla maniglia
ed aprì, lentamente la porta. La musica si diffuse intorno a lui, calmando il
suo spirito, ed al tempo stesso facendo aumentare i battiti del suo cuore.
Con passo felpato
si fece avanti, curandosi di non farsi vedere da quella creatura che, al
centro della stanza, avvolta da un soffice velo di nebbia, suonava indisturbata
accompagnata da un’orchestra invisibile.
Si fermò ad
osservare quella ragazza per un tempo indefinito. Beandosi di quello spettacolo,
lasciando che la musica placasse del tutto il suo spirito. Guardandosi bene dal
farsi scoprire. Sapeva di aver invaso uno spazio intimo. La conosceva.
L’aveva riconosciuta
immediatamente. E se lei avesse voluto che sapessero di questa sua
qualità certamente non si sarebbe limitata a suonare lì, nella stanza
delle necessità. Così lui se ne era rimasto in disparte, appoggiato
elegantemente alla parete, osservandola suonare. Osservandola bearsi delle note
che creava. Osservandola comandare quel velo di nebbia a suo piacimento.
Osservando la sua fiamma bianca–
questo era il suo
nome tra i Marauders- muoversi, felice a
tempo di musica.
Suonava ad occhi
chiusi, come se volesse concentrarsi soltanto sulla musica, cercando di non
farsi distrarre da niente, neanche dalla bellezza di quella luna blu, che,
dispettosa, si faceva vedere soltanto a tratti, nascondendosi tra le nubi ancora
cariche di neve.
Poi, però, qualcosa
sembrò averla turbata. Perché aprì di scatto gli occhi, come se avesse avvertito
qualcosa e, lui, nascosto nell’ombra, sorrise. Isabel Halliwell non era tipo da
poter ingannare a lungo. Così, scelse la via più facile. Si scostò dalla parete,
lasciando che i raggi della luna lo illuminassero e, avanzando le batté le mani.
- spettacolo
impressionante, Miss Halliwell - le disse sorridendo, sornione.
Isabel Halliwell
sgranò gli occhi, sorpresa. Era sicura di aver sigillato la porta, quando si era
rifugiata lì dentro. Quindi certamente non si era aspettata di ritrovarsi
qualche spettatore indesiderato, sicuramente poi, non lui.
Non Sirius Black.
- che diavolo ci
fai, tu, qui? – sibilò, forse più acida di quanto non avesse voluto.
Ma non gli riusciva
essere del tutto gentile con lui. E sapeva perfettamente, perché.
Per proteggersi.
Proteggersi da quel sentimento che aveva cercato in tutti i modi di relegare in
fondo al suo cuore, ben sigillato da mille catene. Al sicuro. Così che, non si
potesse ferire, cercando, pregando per qualcosa che sapeva essere impossibile.
Specialmente dopo quanto era accaduto lo scorso anno.
Lo vide sorridere, e
questo bastò a distrarla dai suoi pensieri. Quel sorriso sghembo che tanto
adorava. Che la faceva sciogliere come neve al sole
- gentile come al
solito, eh Isa? –
- con te sempre,
pulcioso di un cane-
Lui per tutta
risposta si portò entrambe le mani sul petto, e si esibì nella sua solita aria
da gentiluomo offeso.
- così mi uccidete,
mia signora –
E lei, puntualmente,
ogni volta, cedeva. Cedeva sempre, davanti alla sua aria da “tenero mascalzone”
come l’aveva definita Lily.
- se bastasse così
poco per ucciderti, Black, sta certo che avrei già provveduto da un pezzo –
sibilò, ancora con voce gelida.
Lui scoppiò
nuovamente a ridere, avanzando verso di lei con il suo solito passo elegante. Si
sfilò dalla tasca un porta sigarette e con un colpo di bacchetta ne accese una.
Se la portò alle labbra, ed aspirò un po’ di fumo con aria assorta.
- non sapevo che ti
piacesse suonare –
Isabel sorrise,
sorniona. Le aveva appena servito su di un piatto d’argento un’occasione
d’oro.
- mi sembra
superfluo farle notare, Signor Black – sussurrò in tono dolce – che ci sono
molte cose che lei non sa di me –
- touché –
La osservò con aria
malinconica, mentre rimetteva a posto il violino. Si era voltata mentre finiva
quella frase velenosa, impedendogli di guardarla negli occhi. Detestava quando
le dava le spalle.
- non mi hai ancora
detto perché ti sei rifugiata qui, da sola – le disse con tono noncurante,
mentre girovagava per la grande sala, osservando tutti gli strumenti che vi
erano contenuti.
- una volta, era un
posto tranquillo – rispose lei – mi piaceva stare qui. E’ rilassante –
Lui sorrise,
istintivamente. Adorava farla arrabbiare.
- immagino quindi,
che la mia sia stata un’intrusione inopportuna –
- decisamente,
inopportuna – lo corresse.
Quel lieto
punzecchiarsi a vicenda continuò per un po’, fino a che lei non ne ebbe
abbastanza e decise che, per quel particolare giorno, poteva anche bastare.
Dopotutto, non poteva farsi venire a noia Sirius Black, no?
No, decisamente
non era il caso. James l’avrebbe ammazzata, se lo avesse fatto arrabbiare.
- ok, io qui ho
finto – disse sistemandosi la lunga gonna blu notte che indossava – torno al
dormitorio. Tu? Che fai? –
- mi sembra naturale
– le rispose – ti faccio compagnia, no? –
Lei alzò gli occhi
al cielo.
Quel ragazzo era un
piaga. Mai che capisse da che parte tirasse il vento.
- guarda che so
ritrovare la strada anche da sola-
Stavolta toccò a
lui, sbuffare.
- non ho la mappa
con me e, se proprio dobbiamo fare brutti incontri meglio essere in due, no? –
Lei sorrise,
sorniona. Certo che non aveva la mappa.
- certo, che non
hai la mappa – celiò – sono arrivata prima io stavolta, pulcioso di un cane –
Sfilò dalla tasca un
vecchio pezzo di pergamena e la mostrò, come se fosse un trofeo.
- brutta, piccola
ladruncola da strapazzo …ecco perché non riuscivo a trovarla – sibilò cercando
di strappargliela dalle mani.
Ma fiamma bianca,
era sempre stata veloce. Troppo, anche per lui.
- E no! So leggerla
anche io, Black –
Giuro
solennemente di non avere buone intenzioni.
Ed era sempre stata
brava anche con gli incantesimi non verbali.
Dannata ragazza,
l’aveva avuta vinta anche stavolta.
******
La mappa era
semplice da leggere. Questo lui lo sapeva. Eppure c’era qualcosa di innaturale
nella facilità con la quale la ragazza si destreggiava con qualsiasi tipo di
attività. E questo includeva anche il saper leggere così bene la mappa del
malandrino.
Avevano lasciato da
poco il settimo piano, eppure erano già a metà strada. Si stavano dirigendo
verso la torre del gryffindor, bacchette alla mano. Lei neanche guardava dove
stava andando, si lasciava guidare dalla mappa, evitando accuratamente di
staccare gli occhi da essa. Così, quando si fermò di colpo, lui non poté evitare
di finirle addosso.
- E sta più attento,
quando cammini, idiota! – sbottò
- se soltanto tu ti
degnassi di non fermarti così di colpo, io potrei anche evitare di finirti
addosso, non credi? –
- touché –
Si alzò,
massaggiandosi la spalla destra, continuando a guardarsi intorno.
- comunque, perché
ti sei fermata? – le chiese, raccogliendo la bacchetta
Lei si guardò
intorno, l’aria attenta.
- c’è un caposcuola
in questa zona – sussurrò – sta per arrivare, se continuiamo di qua ce lo
troveremo davanti. Ma non possiamo neanche cambiare direzione, perché dall’altra
parte sta arrivando Gazza – concluse, spiccia, continuando a guardare la mappa
in cerca di una soluzione.
Sirius però parve
non preoccuparsi troppo. Anzi, sorrise, furbo.
- perché ti preoccupi tanto?- le disse - ce la siamo sempre cavata con i
prefetti, e poi siamo del sesto anno, ed il coprifuoco non è scattato da molto .
Basterà inventare una scusa, con la Evans –
Lei scosse la testa.
- io non ho mai
fatto il nome “Evans” –
- va bene, ma il
problema non si pone ugualmente -
lei gli diede un colpo sul braccio
- che scusa vorresti inventare con Malfoy?, sentiamo …- disse indicando un punto
preciso sulla mappa.
A quel punto, Sirius sgranò gli occhi
:- che ci fa Malfoy così vicino alla torre? di solito non c’è la Evans? -
lei scosse la testa
- gli hanno cambiato zone per questa settimana – spiegò - idea della Mc Granitt
-
Il ragazzo imprecò, in maniera decisamente poco gentile nei confronti della loro
capocasa.
:- tutte a me devono capitare!!!.............-
Isabel accennò un sorriso. Malfoy non le avrebbe detto niente se fosse stata da
sola, ma, con Sirius con lei, era diverso. Totalmente diverso.
Osservò di nuovo la
mappa, pregando che Malfoy cambiasse direzione, ma, quello niente. Continuava
imperterrito verso di loro. Ancora qualche centinaio di metri e poi li avrebbe
beccati.
Dovevano darsi una
mossa.
- senti, cerchiamo
di non farci vedere ok? – spiegò - sono solo 100 metri prima della rampa di
scale, se ci sbrighiamo ce la facciamo a raggiungerle prima che cambino -
Il ragazzo annuì, ed al tre della ragazza iniziò a correre più che poteva.
Raggiungendo in fretta le scale. Malfoy stava
svoltando l’angolo quando lui finì di salire la prima rampa, ma, Isabel ancora
intenta a controllare la mappa, era rimasta in dietro.
Decisamente
troppo, in dietro.
- beccata, mia cara
Halliwell - disse una voce sibilante alle sue spalle.
Una voce roca e
fredda. Che conosceva fin troppo bene.
Alzò lo sguardo
istintivamente, per controllare che almeno Lui fosse al sicuro e vide lo vide,
affacciato alla balaustra che la guardava scotendo la testa. Irato.
Lei, tuttavia, non
si scompose. Gli fece cenno di andarsene e poi, senza aspettare una sua risposta
si voltò.
Davanti a lei,
Lucius Malfoy, le braccia incrociate in petto, la osservava divertito.
- oh, Malfoy! Quale – onore , averla così vicino alla nostra umile dimora. –
celiò lei – come mai da queste parti? –
lui sorrise, quel
suo solito sorriso maligno, che affascinava molte ragazze.
Ma non lei.
- il tuo solito
sarcasmo pungente non ti salverà stavolta, Halliwell. Sei nei guai- disse
avvicinandosi ancora di più- guai molto seri –
lei si ritrasse,
sostenendo lo sguardo di ghiaccio dello Slytherin
- non ti avvicinare,
Malfoy. – sibilò – questi non sono i tuoi sotterranei. Potresti scoprire a tue
spese che le cose da noi funzionano in maniera molto diversa- gelida e decisa la
sua voce risuonò per tutto il corridoio, ma parve non sortire nessun effetto,
sul suo interlocutore.
Lucius Malfoy
scoppiò a ridere, e continuò ad avvicinarsi, fino ad accarezzarle un braccio.
- Lasciami andare,
Malfoy – sostenne il suo sguardo, per nulla intimorita – è l’ultima volta che te
lo chiedo –
- l’unico modo per
andartene da qui,Halliwell, lo conosci – le sussurrò lui - ne abbiamo già
parlato, ricordi?-
Si. Se lo ricordava.
Forse anche troppo bene.
Da qualche tempo a
quella parte, i gryffindor conoscevano momenti di relativa calma. E sapeva
perfettamente che tutta quella quiete dipendeva soltanto dal fatto che Malfoy
aveva trovato qualcun altro con qui divertirsi.
E quel particolare
qualcun altro era proprio lei. Come il caposcuola di slytherin aveva
avuto modo di spiegarle qualche giorno prima.
- si, penso di avere
una vaga idea – sospirò, stufa di quella faccenda – e tu, dovresti ricordarti
però, qua’è stata la mia risposta –
lui rise, di nuovo
- oh, si, la ricordo
molto bene. Ma stavolta la situazione è a mio favore, non credi? -
- suvvia Malfoy, non crederai veramente che sarà la paura di una punizione a
farmi cedere?- celiò lei, ridendo- e poi, non vorrai davvero sporcarti con una
sudicia … - si portò un’indice alle labbra, fingendo di pensare – Ah! Si,
Mudblood come me, no? –
Lui si ritrasse
improvvisamente, come se l’udire quella parola lo avesse improvvisamente
scottato.
Era vero, lei era
una mezzosangue. Una figlia di babbani che a lui avevano insegnato ad odiare.
Ma, non gliene importava molto, in quell’occasione.
Lei,
era diversa.
- beh, per una
volta, penso che farò un’eccezione – le sussurrò - voglio provare il brivido –
le accarezzò dolcemente i capelli – e, mi sono stancato della tua ritrosia –
Non era da lui
comportarsi in quel modo. Solitamente le ragazze cadevano ai suoi piedi ad ogni
suo minimo cenno, ma lei era diversa. Non riusciva a decifrare quella strana
creatura che aveva davanti e, proprio questa sua impossibilita di capirla
l’aveva trasformata in un ossessione.
Spinto da un’insolita rabbia, la prese per le spalle e si avvicinò al suo volto.
Nonostante lei facesse di tutto per divincolarsi da quella presa.
- e sta ferma! – le
ordinò
Un ordine perentorio
che non ammetteva repliche. Lei tremò, nell’udire quel tono tanto rude e nella
sua mente mille ricordi si affacciarono prepotenti facendola tremare ancora di
più.
Aveva paura.
E lei odiava avere
paura.
Impietoso, Malfoy
poggiò le labbra sulle sue, un tocco rude e violento. Voleva di più e benché lei
tenesse le labbra ben serrate sapeva che prima o poi sarebbe riuscito a farla
cedere.
Una violenza
inaudita.
Stava per mettersi a
piangere, ma poi … sentì il suo assalitore sospirare, il tocco farsi più dolce.
- Dio …- sospirò
Malfoy – apri le labbra – disse – apri le labbra e lasciati baciare –
Una supplica.
Isabel sgranò gli
occhi dalla sorpresa ed istintivamente obbedì a quella supplica travestita da
ordine.
Lasciò che la
baciasse. Aprì la bocca e lasciò che lui la esplorasse. In un primo momento non
pensò che quello fosse il suo primo, vero, bacio. Sorpresa dalle sensazioni che
quella tenera invasione le provocava, si beò di quell’istante, dimenticandosi di
tutto il resto.
Poi però, quando
senti le sue mani accarezzarle lascivamente le gambe, si riscosse, ed aprì di
scatto gli occhi. E ciò che vide, la terrorizzò.
Sirius Black se ne
stava immobile, gli occhi sgranati per la sorpresa e la rabbia, la bacchetta
stretta in mano, pronto ad usarla.
Con tutta la forza
che aveva in corpo, si staccò da Malfoy, che, inaspettatamente, la lasciò
andare.
- scappa pure,
Halliwell – le disse guardandola mentre scappava su per le scale – tanto, ci
rivedremo. –
E così dicendo, si
voltò e tornò sui suoi passi, ignorando volutamente lo sguardo omicida che la
ragazza le aveva rivolto prima di sparire dietro l’angolo.
*****
Aveva salito le
scale saltando quasi tutti gli scalini, così, ora si ritrovava con il fiato
corto e le gambe che ancora le tremavano, un po’ per quel bacio un po’ per la
corsa.
Si fermò un’attimo a
prendere fiato, prima di incamminarsi verso il ragazzo che la stava guardando
con ancora quell’espressione furiosa dipinta sul viso.
- io lo ammazzo
quello – parlò con un tono di voce così alto che per poco non svegliava tutti i
quadri, così lei le fece cenno di tacere.
- se solo prova a
riavvicinarsi ancora a te, io lo uccido –
Niente. Non c’era
niente di peggio al mondo che Sirius Black incavolato nero.
- tu non farai
niente del genere, mi sono spiegata? – tuonò lei – e piantala di stringere i
pugni, guarda che cosa ti sei fatto! Idiota –
Il suo sguardo si
posò sulle mani: sanguinavano. Aveva stretto con tanta forza i pugni da
conficcarsi le unghie nei palmi.
-
su, coraggio, vieni qua –
Senza aspettare una sua risposta gli prese la mano, e con il fazzoletto che
aveva preso dalla tasca, gli tamponò il sangue, pulendogli le ferite che si era
procurato.
-
certo che sei proprio scemo, Sirius – scherzò, nascondendo l’imbarazzo del
momento
Lui, però, non aveva voglia di scherzare. Affatto.
-
te lo giuro, Isa – disse, serio – se si avvicina ancora a te, io lo ammazzo –
Isabel rabbrividì. Il tono che aveva usato non ammetteva repliche. Tuttavia
decise di glissare per il momento, sull’argomento. Non aveva voglia di litigare.
Non più. Così, sorrise, lasciando la sua mano.
-
su, coraggio – disse in tono condiscendente – sarà il caso di tornare in sala
comune, o preferisci restare qui? –
********
Come vedete ho infranto la promessa. In un momento di puro delirio mi sono messa
a correggere la mia prima fanfic, mandando a quel paese tutti i miei buoni
propositi di lasciarla com’era per rispetto al mio primo lavoro.
Proprio non ho resistito. Per puro diletto mi sono messa a rileggerla e molte
cose, mentre lo facevo, gridavano giustizia così, eccomi qui.
La riposterò completamente, riveduta e corretta e, mi farebbe davvero piacere se
tutti coloro che seguono abitualmente le mie altre storie, mi facessero sapere
che cosa ne pensano.
La storia naturalmente sarà sempre la stessa, cambierà soltanto qualcosa, qua e
là.
Spero tanto che non me ne vogliate per questa mia pazzia momentanea!
Ringrazio sin da ora, tutti coloro che avevano messo questa storia tra i
preferiti, chi aveva recensito e chi lo farà d’ora in avanti. E naturalmente
anche chi aveva letto, e chi leggerà.
So this is Xmas
And what have you done
Another year over
And a new one just begun
Natale.
Di nuovo.
Hogwarts nel periodo
natalizio una volta riusciva a metterle il buonumore. Con le sue decorazioni, i
quadri ed i fantasmi che cantavano, allegri … ora, però, passeggiando nei
corridoi, si ritrovava a non sopportare più tutte quelle cose. E, pensando alla
ragione per cui tutto ciò accadeva, le veniva da ridere. Per nascondere lo
sconforto, il dolore e la rabbia che provava.
- Isabel?-
La voce di Lily
Evans, sua compagna di stanza, nonché migliore amica dalle ore 10.28 del 1°
settembre 1971, la riportò alla realtà, cancellando tutti i brutti pensieri che
avevano affollato la sua mente.
- si, Lily? – le
chiese sorridendo, cercando di nascondere ogni segno della sua tristezza – stavi
dicendo?, scusa avevo la testa tra le nuvole! –
L’amica la guardò di
sottecchi. Lo sapeva, non poteva nascondere niente a Lily. O almeno, quasi
niente.
- ultimamente ti
succede spesso, Isa – le disse il prefetto preferito del Gryffindor
- che cosa?-
- non fingere con
me, Isabel Shannon Halliwell – dura e perentoria la sua voce e la sua
espressione non ammettevano repliche – ti conosco da troppo tempo ormai, so
quando c’è qualcosa che non va – sospirò – e credo proprio che questa sia una di
quelle volte –
Isabel, sorrise
udendo il mutare del tono di voce dell’amica. Quell’amicizia, iniziata da
bambine, quasi per caso era diventata nel corso degli anni un’unione salda ed
inscindibile. Quasi più forte del legame che le univa ai loro rispettivi
fratelli, o sorelle.
- bene, Lilian
Margareth Evans, come sempre, non ti si può nascondere niente – celiò, vedendo
l’altra rabbuiarsi
- non chiamarmi
Lilian –
La mora rise di
gusto, fermandosi all’improvviso nel mezzo al corridoio attirando l’attenzione
di tutti gli studenti che si trovavano a passare di lì.
- e smettila! – le
ordinò Lily
Isabel cercò di
calmarsi, asciugandosi le lacrime per il troppo riso.
- signorsì, signora
– celiò. Poi tornando seria, anticipò la compagna, impedendole di parlare ancora
– però, Lily, non ti preoccupare – le disse, cercando di risultare
convincente – io, sto bene. Non temere, niente di nuovo dal fronte occidentale –
Sperò con tutto il
cuore che lei non continuasse a far domande, perché altrimenti, ne era sicura,
avrebbe finito col cedere. E non voleva. Non poteva cedere.
Lily, poco convinta
da quel suo fare così falsamente allegro, la squadrò da capo a piedi.
- per questa volta,
Isa, farò finta di crederti – sospirò, riprendendo a camminare – però –
Ecco, lo sapeva che
ci sarebbe stato un però.
- non fare quella
faccia! – sbottò la rossa – stavo dicendo, però, sappi che con me potrai
sempre parlare. Qualunque sia la cosa che ti turba, io sono qui. E per
te, ci sarò sempre –
Isabel Shannon
Halliwell, in quel momento, non sapeva cosa dire. Aveva sgranato gli occhi per
la sorpresa, udendo quelle parole, ed ora, cercando di nascondere l’emozione,
camminava a testa bassa.
- grazie,
Lily – sussurrò poco prima di entrare nella classe di pozioni.
******
A Sirius la
settimana non era andata molto bene. E questo, James Potter, suo fedele amico
sin dal primo settembre di cinque anni prima, lo poteva capire bene.
Soprattutto se in
una notte come quella, di luna piena si ritrovavano a vagare per la foresta
proibita, sotto forma di animali.
Ramoso si fermò,
assetato da quella folle corsa. Restò indietro, ad osservare la corsa poco
convinta del suo fido compare. Fiamma bianca quella sera non si era unita a
loro, troppo stanca aveva detto.
Ad anche lei, aveva
qualcosa che non andava. Non importava trasformarsi in animale, per poterlo
capire. Gli era bastato guardarla nel corso di quella settimana, ed aveva
capito. Doveva essere successo qualcosa a quei due. E visto e considerato che
l’alba ormai non si sarebbe fatta attendere ancora molto, neanche la risposta
alle sue domande si sarebbe fatta attendere.
Avesse anche dovuto
cavargliela a forza dalla lingua.
Un ululato più forte
lo costrinse a riprendere la corsa. Il vecchio Moony si era allontanato un po’
troppo da loro.
Poco male, le
riflessioni potevano aspettare il ritorno alla sua forma umana.
********
And so this is Xmas
I hope you have fun
The near and the dear one
The old and the young
James Potter, grazie
anche all’aiuto del suo fidato amico Remus Lupin – moony per gli amici – aveva
scoperto una grande verità universale.
Per sapere qualcosa,
quando gli interessati sono restii a parlare o confidarsi col prossimo, non
restava altra cosa da fare se non chiedere a qualcuno molto vicino agli
interessati. In mancanza di collaborazione, la si poteva sempre costringere.
Magari chiudendola in un aula studio.
- Potter tu sei un
pazzo! – sibilò la malcapitata – che cosa diavolo pensi di fare?! –
- soltanto parlare,
Evans – la rassicurò – tu sai qualcosa che io non so, ma che voglio sapere-
Lei lo guardò
malissimo, chiedendosi mentalmente se anche il suo ultimo neurone avesse
abbandonato quella testa vuota del cercatore di gryffindor.
- e dimmi, di grazia
– celiò Lily – che cosa so io, che tu non sai? –
James alzò gli occhi
al cielo, al limite dell’esasperazione.
- che cosa succede
alla nostra comune amica? –
- e tu pensi davvero
che se anche sapessi qualcosa, lo verrei a dire a te? –
Il suo tono era
aspro e duro, così come la sua espressione.
- non sono affari
tuoi, Potter - concluse.
Lo sguardo di James
mutò e divenne duro come la pietra. Non era più tempo, di giocare. Era stufo di
esser tenuto allo scuro di cose che riguardavano i suoi amici. Doveva sapere, in
un modo, od in un altro.
- Si che sono affari
miei, Evans – sibilò – se te ne sei dimenticata, Isabel è anche amica mia. Ho il
diritto, di sapere –
Per qualche istante,
Lily tremò. Non aveva mai sentito James Potter parlare con toni tanto duri. Ma
non per questo, lei avrebbe parlato.
- Oh, lo so Potter –
sibilò – Sono cinque anni che mi chiedo perché mai lei ti sia amica –
- esattamente come
io mi chiedo perché mai tu sia amica di uno come Mocciosus –
-
non-chiamarlo-così-
- punta forse sul
vivo, Evans? –
- Oh, ma va al
diavolo Potter. Non starò qui un secondo di più –
Così dicendo si
diresse verso la porta, intenzionata ad andarsene. Ma qualcosa, forse un piccolo
tarlo che aveva nella mente, la costrinse a fermarsi, poco prima di toccare la
maniglia.
- un ultima cosa,
Potter – non si voltò, ma gli parve di sentirlo voltarsi verso di lei – Isabel
non mi ha detto niente. Non ne ha voluto parlare neanche con me –
Ed uscì, senza
neanche aspettare una sua risposta.
Non per la prima
volta, da che lo conosceva, Lily Evans si ritrovò a pensare che James Potter
fosse davvero uno stupido, bambino viziato.
Oh, maledizione!
******
- professor Silente
– sussurrò, fermandosi, così da permettere all’anziano preside di raggiungerla –
non lo sa che non è buona cosa seguire le ragazze, di sera, senza farsi vedere?
– celiò, voltandosi – potrebbero scambiarla per un malintenzionato – sorrise, e
l’anziano preside scosse il capo, con rassegnazione.
- ah, signorina
Halliwell – le disse – sono ormai passati i tempi in cui potevo permettermi di
rincorrere le ragazze, dovrebbe saperlo –
Lei scoppiò a
ridere, meritandosi qualche occhiataccia da parte dei quadri che cercavano,
ormai in vano, di riposare. Si scusò, inclinando leggermente la testa, per poi
tornare a rivolgere la sua attenzione al preside che la guardava con interesse.
- neanche lei riesce
a dormire, professore? – chiese, riprendendo a passeggiare
Lui scosse
mestamente la testa, incrociando le mani dietro la schiena.
- no, Isabel. Ma, a
quanto vedo è un problema comune –
Lei sorrise,
tornando ad osservare la luna, fuori dalle grandi finestre.
- che cosa ci fa a
quest’ora tarda, qui, così lontana dalla torre? –
- cercavo un posto
in cui poter pensare, tranquilla – mormorò – la torre è affollata, troppo, per i
miei gusti –
Il preside annuì,
capendo perfettamente lo stato d’animo della ragazza.
- capisco – disse
poi – vedi Isabel, alla tua età e dopo tutto ciò che tu hai passato, è normale
voler ritrovare un po’ della tranquillità perduta, tuttavia, nascondere i propri
problemi, lasciare che ci logorino l’anima, non è salutare, anche se si tratta
soltanto di sciocchi problemi d’amore. – sorrise sornione, vedendola arrossire
La ragazza si fermò
di nuovo, sempre imbarazzata. Sapeva che il preside doveva aver intuito
qualcosa, ma c’era dell’altro, di cui voleva parlare.
- c’è dell’altro,
però – si voltò verso di lui, seria – se n’è accorto, vero? –
Silente annuì, aveva
appena avuto la conferma di ciò che voleva sapere. Per quanto aveva sperato fino
all’ultimo di essersi sbagliato. Isabel Halliwell però, dopo l’esperienza che
aveva vissuto lo scorso anno, era diventata estremamente sensibile. Soprattutto
a quel genere di cambiamenti. Una parte sopita da tempo si era risvegliata in
lei, e quella ne era la prova. E stava a significare anche un’altra cosa, ma per
quello, forse, c’era ancora tempo.
- si, ma vorrei che
tu mi esponessi comunque ciò che hai percepito –
Lei chiuse gli
occhi, cercando di concentrarsi e trovare le parole più giuste.
- non so definire
quello che sento con precisione, ci proverò …cercando di farle capire alla
meglio – un attimo di pausa – le sensazioni che avverto e, che ho avvertito non
sono chiare, anzi. Sono molto confuse, però, avverto chiaramente che qualcosa si
sta avvicinando. Anche la magia lo ha avvertito. E’ turbata, inquieta. Come se
avvertisse che una grande tempesta si sta avvicinando, pronta a travolgerci
tutti. E’ qualcosa di profondamente malvagio, feroce e crudele. E brama potere,
e vendetta – riaprì gli occhi, trovandosi davanti un Albus Silente decisamente
stanco.
- E’ come temevo,
Isabel – sussurrò, appoggiandosi al davanzale della finestra – ci attendono
giorni difficili, molto difficili –
Dunque aveva
ragione, ad essere preoccupata.
- c’è dell’altro,
professore – sussurrò con voce flebile – avverto l’avvicinarsi di un’altra
ombra. Stavolta molto più antica. Ma sempre potente. E mi spaventa, perché
sembra che stia cercando proprio me –
Anche stavolta,
Silente le dette ragione e lei tremò. Tuttavia, l’anziano preside la rassicurò.
Per il momento, non c’era motivo di preoccuparsi.
Per il momento.
Quando si fu
allontanata, decisa a tornare al suo dormitorio, Albus Silente sospirò, l’aria
stanca e preoccupata. Riprese a passeggiare, certo, a quel punto, che neanche
quella notte, avrebbe dormito.
- sai che non puoi
impedirlo, Albus. E’ il suo destino. E’ nata per questo, non puoi impedire che
il fato faccia il suo corso. L’ora è giunta –
- No. Non finché io
potrò far qualcosa per impedirlo –
- non ci riuscirai.
Neanche tu puoi dire al fato cosa fare –
- Si vedrà, Dafne.
Si vedrà -
******
22
dicembre 1976, Hogwarts.
And so happy Xmas
For black and for white
For yellow and red ones
Let's stop all the fight
Quel mercoledì
mattina, Hogwarts si svegliò molto più velocemente del solito. Forse grazie
all’atmosfera natalizia o forse, molto più probabilmente, grazie al richiamo
delle vacanze natalizie. Quella mattina, la maggior parte degli studenti avrebbe
lasciato al scuola per due settimane di meritato riposo, così nonostante l’ora,
la scuola si ritrovava immersa nel solito, chiassoso ed allegro via vai di
studenti.
- non mi va di
lasciarti sola- sbottò ad un certo punto la caposcuola del gryffindor – se tu mi
avessi avvertito, sarei rimasta più che volentieri –
Aveva finito di fare
le valige la sera prima, così adesso se ne stava seduta sul letto, intenta ad
intontire di chiacchiere la sua compagna di stanza preferita.
Isabel non avrebbe
lasciato la scuola, quell’anno. In verità non era mai tornata a casa per le
vacanze di natale da che aveva preso a frequentare Hogwarts. L’unica volta che
lo aveva fatto – giusto per accontentare i professori – era successo quello che
era successo e, beh, adesso doveva farci i conti. Lei, e non i professori.
Così, dopo quello
che era successo aveva deciso di non tornare più a casa, neanche per le vacanze
estive. Aveva rinnegato tutto, forse anche se stessa, custodendo gelosamente
quel segreto nel suo cuore. Nascondendolo al mondo.
Per questo era stato
difficile convincere i suoi amici a partire e lasciarla sola; non dare
spiegazioni aveva il suo prezzo.
- Lily – la ammonì
lei – sono solo due settimane, sopravvivrò anche senza di te –
Avrebbe dato tutto
ciò che aveva per far sparire quell’espressione preoccupata dal volto
dell’amica. Ma l’unico modo per farlo, sarebbe stato raccontarle quello che era
accaduto ed era sicura che, non l’avrebbe resa felice. No, meglio tenere quel
segreto per se e lasciare gli altri all’oscuro, ma felici.
- so che sono solo
due settimane, ma non mi va lo stesso di lasciarti da sola – continuò iniziando
a prendere le ultime cose
- Lily –
La caposcuola
preferita del gryffindor la ignorò, continuando il suo monologo che si concluse
solo grazie all’intervento della voce della McGrannit che annunciava l’imminente
partenza delle carrozze per la stazione.
- poco male – disse
stringendosi nelle spalle – ti tedierò con le mie lunghissime lettere ogni
giorno – celiò – quando tornerò a scuola mi odierai, tanto ti avrò annoiato –
Isabel sorrise, e si
avviò con l’amica alle carrozze, giù nel parco affollato come al solito in
occasione delle grandi partenze. Quel particolare anno scolastico, erano
veramente pochi gli studenti che avevano deciso di restare a scuola.
- è ora di andare –
disse ad un certo punto la rossa
Lei le sorrise e
l’abbraccio
- mi raccomando,
torna tutta intera – le sussurrò – e manda a quel paese tua sorella da parte mia
–
Lily rise, salendo
su una della grandi carrozze nere.
Ed una era andata.
Osservò la carrozza di Lily sparire lungo il sentiero, poi, si dedicò all’altra
parte dei suoi amici. Che, a giudicare dal caos che si era creato tra le
ragazzine degli anni inferiori, dovevano aver appena fatto il loro solito,
chiassoso, ingresso.
Si, erano
decisamente loro. I quattro moschettieri, o meglio i quattro cavalieri
dell’apocalisse erano appena arrivati: James e Sirius come sempre in testa al
gruppo, avvolti nei loro costosi mantelli, la loro migliore espressione
strafottente dipinta sul volto.
Sorrise
istintivamente, scotendo la testa. Erano decisamente senza speranza.
- togliti
quell’espressione deficiente dalla faccia, ramoso – esclamò avvicinandosi a loro
– la tua bella se n’è appena andata –
James voleva molto
bene ad Isabel, ma, in quei momenti, beh …come dire, l’avrebbe volentieri uccisa
a mani nude. Fiamma bianca aveva l’innata capacità di renderlo ridicolo davanti
a tutta la scuola semplicemente guardandolo e questa, era anche una delle
ragioni per la quale lui, semplicemente, la adorava.
Era una
contraddizione vivente, questo lo sapeva bene.
Nonostante la voglia
di ucciderla fosse forte, quando le fu davanti, la abbracciò. Quasi
soffocandola.
- ma quanto sarà
simpatica, la mia fiamma eh? –
Tutto il gruppo
scoppiò a ridere. Si era creato uno strano equilibrio tra di loro e questo,
Sirius Black, rimasto in disparte intento a finire l’ennesima sigaretta, lo
sapeva bene. Era strano, vedere quei cinque insieme. Non erano soliti uscire
tutti e cinque assieme, preferivano tenere per se quell’intimità che si era
creata, tuttavia, c’erano quelle occasioni, quelle giornate particolari in cui,
stare separati diventava impossibile. Isabel lo sapeva bene. E quella, era una
di quelle particolari giornate.
Per questo motivo,
vederli salire uno dopo l’altro su quella carrozza, le aveva fatto trattenere
più a lungo del dovuto il respiro.
- scrivici, ok? – le
raccomandò Remus prima di salire
Lei annuì,
sorridendo, ancora.
- e tieniti fuori
dai guai –
- James, il bue dice
cornuto all’asino? -
Lui non ne voleva
sapere di avvicinarsi a quella carrozza. Era rimasto dietro il gruppo per tutto
il tempo, come se lei avesse la peste o peggio.
- e tu che fai? Non
te ne vai? – gli disse iniziando seriamente a preoccuparsi
Lui per tutta
risposta ghignò, accendendosi un’altra sigaretta, ignorandola bellamente.
E lei, sorrise,
maligna.
Si voltò, salutando
il resto del gruppo con un cenno veloce della mano.
- e buon natale,
pulcioso di un cane –
I tre Marauders,
scossero la testa, rassegnati. Quei due non sarebbero mai cambiati. A meno che,
naturalmente, non gli avessero dato una mano.
- potevi salutarla,
almeno – lo rimproverò James
- fatti gli affari
tuoi, Ramoso –
Inutile, Sirius
Black, quando si trattava di una certa ragazza, diventava veramente
intrattabile.
Quando la carrozza
iniziò a muoversi, tuttavia, a tutti loro fu chiaro quanto, la situazione del
loro amico fosse grave. Lo videro voltarsi, l’aria triste e rassegnata e
mormorare qualcosa al castello, lo sguardo fisso verso la torre del gryffindor.
- buon natale anche
te, ma cherì la poupée –
*******
24
dicembre 1976, Hogwarts.
I compiti per le
vacanze non le erano mai sembrati tanto noiosi e semplici come in quel momento.
Erano solo le tre del pomeriggio della vigilia di Natale e lei aveva già finito
la metà di quelli che le erano stati assegnati. Forse la vicinanza di Moony e
Lily aveva davvero dato i suoi frutti.
Si sgranchì le
braccia, intorpidite dal troppo studio e raccolse i libri.
- arrivederci,
madama Pince –
La donna la salutò
sorridendo, canticchiando una vecchia canzone di natale che risuonava per i
corridoi.
Essere da sola a
Natale non le dava fastidio. L’atmosfera ad Hogwarts diventava sempre molto
allegra in quel periodo e perfino l’algida McPherson diventava allegra; il
castello poi, dava il meglio di se: i quadri ed i fantasmi si esibivano in
curiosi siparietti natalizzi, pix si addolciva e la neve, ricopriva tutto
l’edificio rendendolo ancora più imponente.
Sorrise, quando
incrociò la dama grigia e Sir Nicholas nell’atrio, e si fermò ad aiutare il
professor Vitious, impegnato con le ultime decorazioni dell’albero di Natale
della sala grande. Quell’anno Hagrid aveva superato veramente se stesso: ben 18
metri di altezza.
- grazie mille,
signorina Halliwell – la ringraziò il piccolo professore
Lei sorrise, gentile
– si figuri, professore –
Lasciò i libri sul
grande tavolo del gryffindor e, allacciando il pesante mantello uscì nel parco,
sperando che Hagrid fosse in casa. Aveva voglia di una delle sue improbabili, ma
buonissime, cioccolate calde.
Il sole quel giorno
non aveva avuto voglia di uscire e le nubi, bianche e cariche di neve, la
facevano da padrone. La neve imbiancava tutto il parco, talmente bianca da
ferire gli occhi. Qualche studente coraggioso, come lei, sfidava il freddo che
dava, alle coppiette che affollavano il portico, una buona ragione per starsene
vicine, vicine.
Lanciò un’occhiata
al grande orologio e, decidendo che si, ce l’avrebbe fatta tranquillamente, si
decise a dirigersi verso la capanna di Hagrid.
Qualche secondo più
tardi, si ritrovò a maledirsi per quella scelta maledetta che l’aveva condotta
sulla passerella sospesa.
Ma la famiglia Black
non era tornata a casa al gran completo? Evidentemente, no.
- che cosa vuoi
Bella? – sibilò, gelida
La giovane Bellatrix
Black, quinto anno Slytherin, se ne stava ferma immobile davanti a lei. I lunghi
capelli del suo stesso colore raccolti malamente, fermati da un fermacapelli
d’argento gli occhi cerulei gelidi, freddi, colmi di qualcosa che Isabel
riconobbe come rabbia e – forse – disperazione. Troppo, per una ragazzina di
soli quindici anni.
- chi ti ha dato il
permesso di chiamarmi per nome? – ringhiò la slytherin – sporca mezzosangue –
Per tutta risposta
lei alzò gli occhi al cielo, stanca di quell’assurda messa in scena.
- finiscila Bella,
qui siamo solo io e te – le disse, quasi dolcemente – puoi smettere di recitare
la parte della perfetta stronza -
Bellatrix per un
momento sembrò vacillare, tutta la sua sicurezza scomparve per un istante, ma fu
solo un istante perché poi ritornò tutta e si riversò il lei con la stessa forza
di un uragano.
- forse non hai
capito – sfoderò la bacchetta e la puntò verso il petto della sua interlocutrice
– non –usare - quel – tono – con – me –
Ma Isabel non
sembrava per niente intimorita dalle sue minacce, men che meno dalla bacchetta
che si ritrovava puntata alla gola. Al contrario, sembrava, divertita.
- e, di grazia –
celiò lei – che cosa vorresti fare, con quella? –
Un lampo di pura
follia attraversò gli occhi della slytherin. Odiava quando Isabel la trattava da
sciocca ragazzina viziata.
- davvero non lo
immagini? –
- se è quello, ciò
che vuoi, non hai che da pronunciare la formula – le disse – Avada Kedavra,
ricordi? –
A quel punto la più
giovane dei Black abbassò la bacchetta, sbuffando, stanca di quella recita.
Stanca di tutto. Si accese una sigaretta, evitando intenzionalmente lo sguardo
divertito della sua compagna.
- sono qui su
richiesta di Regulus – iniziò – mi ha mandato lui, da te. Vuole sapere dove si è
andato a cacciare suo fratello, mio cugino –
Isabel la guardò,
stranita. Che diavolo stava dicendo? Di che cosa stava parlando?
- non ti ha detto
niente, vero? – continuò Bella – tipico di quell’idiota – spense la sigaretta
con un gesto stizzito della mano, voltandosi verso il lago, esasperata da quella
situazione.
- Sirius ieri è
scappato di casa – disse – ha litigato con mia zia e se n’è andato, nessuno sa
dove sia –
And so this is Xmas
For weak and for strong
For rich and the poor ones
The world is so wrong
john lennon, Happy Xmas
*******
Stavolta un
saluto veloce veloce, non ho molto tempo.
Ringrazio
infinitamente tutti coloro che hanno recensito il primo capitolo, quelli che
hanno solo letto e quelli che hanno messo questa storia tra i preferiti.
I ringraziamenti
estesi li rimando al prossimo capitolo!
Un bacio a tutti.
P.S.
Il prossimo
capitolo di Beyond good and Evil sarà pronto a giorni.
Every day
it seems were wasting away
Another place where the faces are so cold
Id drive all night just to get back home
Bon Jovi, wanted dead or alive
- Sirius ieri è scappato di casa – disse – ha litigato con mia zia e se n’è
andato, nessuno sa dove sia –
******
Le parole
di Bellatrix continuavano a risuonarle in testa come una fastidiosa nenia.
Sirius era
scappato di casa, ed i suoi beneamati amici non avevano ritenuto opportuno
metterla a parte dei loro piani – evidentemente. Ed in quel momento, mentre
Bellatrix le spiegava che cosa fosse accaduto la sera precedente a casa Black,
riusciva a capire anche perché, i suoi amici avessero preferito tenerla fuori da
quella storia.
Se solo
avesse saputo che cosa era accaduto e che cosa aveva fatto il caro ed adorato
Sirius Black, beh, molto probabilmente lo avrebbe raggiunto a casa Potter, dove
sicuramente si era rintanato. Per prenderlo a calci, naturalmente.
- puoi
fare qualcosa? – le chiese la slytherin, una volta finita la sua arringa contro
il cugino stupido.
Lei si
passò una mano tra i capelli, stizzita.
- vedrò
che posso fare, ma non garantisco niente –
La
slytherin annuì, gettando a terra l’ennesimo mozzicone di sigaretta. Lasciò che
il suo sguardo vagasse, triste, sul panorama intorno a lei e poi tornò ad
incatenarlo a quello della gryffindor che aveva accanto.
- sai
meglio di me quanto sia rischioso per noi – le sussurrò – che lui se ne sia
andato –
Isabel
annuì. Si, lo sapeva. Sapeva benissimo quanto stessero rischiando tutti loro,
per colpa della testardaggine di un perfetto egoista. Ma una piccola parte di
lei, non riusciva a biasimarlo, per ciò che aveva fatto.
-
riportalo a casa, Isabel –
Le sue
parole risuonarono nell’aria per qualche secondo, accompagnando la sua uscita di
scena. Bellatrix Black faceva parte di quella schiera di persone che nella sua
vita, non avrebbe mai potuto scegliere. Lo aveva detto lei stessa, l’inverno
precedente. Insieme a molte altre cose che, molto probabilmente non avrebbe mai
rivelato se non fosse stata in preda al delirio dovuto alla febbre. Una di
queste, le era rimasta in presso.
- il
mio destino lo conosco, Halliwell. E’ la follia. Ma il tuo? Il tuo qual è? –
Per un
anno si era interrogata sul significato di quelle parole, poi aveva deciso che
sarebbe stato meglio lasciar perdere.
********
Accarezzò
le candide piume della sua civetta, prima di lasciarla libera di volare verso
casa Potter. Era tornata al dormitorio senza passare da Hagrid, visto che aveva
ripreso a nevicare non appena Bellatrix se n’era andata. Osservò per un istante
il volo aggraziato della sua civetta e poi, quando il freddo che regnava fuori
dalle calde mura del castello fu diventato fin troppo insopportabile chiuse la
finestra tornando a dedicarsi ai pochi compiti per le vacanze che le erano
rimasti, mentre ripensava alle parole che aveva scritto al suo fidato compagno
di merende.
Caro
Ramoso,
Come
vanno le cose in quel di Godric’s Hollow? Spero bene. Qui, in quel di Hogwarts,
è sempre la solita storia. L’unica novità è che Pix non ha ancora dato segni di
voler farsi vivo e questo ha reso Gazza stranamente allegro. E quest’anno
l’albero di Natale è alto ben 18 metri e mezzo. Un record, a quel che dice il
Prof. Vitious.
Ah,
un’altra novità è che Bellatrix Black è tornata a scuola prima del previsto.
Questo
pomeriggio ci siamo incontrate per CASO. E sempre per CASO mi ha raccontato due
o tre cosette interessanti riguardo alle vacanze di un certo nostro comune
amico. E’ stata una conversazione veramente PIACEVOLE,
divertente, soprattutto.
Pare
che questo nostro comune amico abbia deciso tutt’a un tratto di andare a
trascorrere le vacanze in un luogo sconosciuto alla sua famiglia, dopo aver
avuto un leggero diverbio con l’adorata genitrice. Ti dice niente, questa
storiella?
La cara
cugina mi ha anche detto che il nostro comune amico si tratterrà lontano da casa
ben oltre le vacanze di Natale e si chiedeva come avrebbe fatto, visto e
considerato che la cara genitrice ha deciso di tagliare i viveri al nostro
comune amico.
A
questo punto della conversazione ci siamo questionate entrambe sulla sanità
mentale del nostro –comune- amico.
Ora,
siccome sono sicura che tu SAPPIA perfettamente dov’è quel nostro-comune-amico,
saresti così gentile da recapitargli un mio messaggio?
Si?
Grazie.
Carissimo Felpato.
Spero
che tu stia passando delle buone vacanze a Casa Potter.
La
prossima volta però che decidi che la tua attuale famiglia non va più bene, ti
prego: PENSA prima di decidere che casa tua non è più di tuo gradimento. Perché,
come certo saprai, ogni azione ha una sua conseguenza e per quanto io capisca –
evita di fare quella faccia, pulcioso di un cane – che vivere a Casa Black non è
certo tutto rose e fiori, andarsene e farsi diseredare non è certamente la
soluzione migliore. Ribadisco: prima di prendere qualsiasi decisione – stupida,
soprattutto – PENSA. Non è così difficile come sembra, sai. Ad un cervello
normale dovrebbe anche venir spontaneo, pensare.
Anche
se definire il tuo cervello, e quello del tuo compare li accanto, NORMALE, forse
è un po’ troppo. Tuttavia due o tre neuroni dovrebbero esservi rimasti, no?
Quindi, per favore USATELI.
Ripeto:
scappare di casa, non va bene Sirius. Come speri di pagarti Hogwarts? Eh? Vuoi
fare la fine di Gazza per amor di ripicca contro tua madre?
Per
l’amor di Morgana, dimmi per lo meno che avevi pensato alle conseguenze prima di
prendere la porta ed andartene.
Pulcioso di un cane.
Beh,
credo di avervi detto tutto. Comunque, Potter. Il discorso che ho fatto a Sirius
vale anche per te, sai. Farlo ragionare no eh? So perché mi avete lasciato fuori
da questa storia, ma come vedete è servito a poco.
Quindi,
per favore. Fallo restare per le vacanze e cerca di farlo ragionare. Chiama
anche Moony se è necessario. E se è necessario, rispediscilo a Londra a suon di
schiantesimi.
Chiaro?
Non
fatemi venire fin lì, che poi sai che è peggio.
Isabel.
P.S.
Saluta
Mamma Potter da parte mia e dille che per le prossime vacanze mi farebbe molto
piacere mantenere la promessa che le feci l’estate scorsa.
Fiamma.
Sorrise, e
non esattamente al libro di Pozioni che aveva davanti. Se non altro, il doversi
preoccupare per i suoi amici, la teneva lontano da pensieri ben più molesti,
dopotutto era la sera della vigilia di Natale. Il primo, che passava a scuola
dopo … beh, dopo quello.
C’erano
cose – ferite – ch neanche il tempo, era capace di cancellare. Non del tutto per
lo meno.
E lei,
quella lezione l’aveva imparata nel peggiore dei modi, da allora si era
ritrovata rinchiusa in una specie di grossa casa di vetro. Osservava gli altri
vivere la propria vita e lei, rimaneva immobile, come una bambola di porcellana.
Ma quella,
si disse, era un’altra storia. Di un’altra Isabel, che adesso non esisteva più.
E non era una storia da rivangare la vigilia di Natale, quando l’orologio della
scuola batteva i sette rintocchi e quella melodia allegra, che ogni anno a
Natale veniva usata per annunciare la cena, risuonava, allegra, per tutti i
corridoi.
Deck the
halls with boughs of holly
Fa-la-la-la-la, la-la-la-la
'Tis the season to be jolly
Fa-la-la-la-la, la-la-la-la
Fu così
che, canticchiando allegramente quella vecchia canzoncina, si decise a scendere
in sala grande, per il consueto banchetto della vigilia, fermamente decisa a
non pensare.
E, dovette
ammettere, fu più facile del previsto. La sala grande non era piena come al
solito, ma neanche così vuota come si era aspettata. La maggior parte degli
insegnanti era rimasta ad Hogwarts e così anche un buon numero di studenti.
I quattro
tavoli erano stati tolti, ed al loro posto ne restava soltanto uno, in grado di
accogliere tutti gli studenti rimasti.
Lei si era
ritrovata a tavola incastrata tra Xenophilius (Phill) Lovegood, bizzarra
creatura cresciuta in seno a Ravenclaw e William (Bill o Will), Goldestain
settimo anno Gryffindor, croce e delizia della maggior parte delle ragazze della
sua casa. Non che fosse particolarmente bello, non aveva certo il fascino da
bello e maledetto di Sirius, oppure l’algida bellezza di Lucius Malfoy, ma c’era
qualcosa nei suoi modi gentili, nella sua innata cortesia che attraeva le
ragazze come le api con il miele.
- Niente
vacanze, quest’anno Isabel? – le chiese verso la metà della cena
Lei scosse
la testa, sorseggiando un po’ del suo succo di zucca. Odiava quella bevanda,
troppo dolce secondo i suoi gusti, ma quella sera pareva che gli elfi domestici
si fossero dimenticati dell’acqua.
- No –
rispose poi, vaga – ho preferito restare a scuola, i miei andavano a trovare una
vecchia zia. Non mi allettava molto l’idea –
Lui annuì,
sorridendo.
- le
vecchie zie non allettano mai nessuno – celiò – a meno che non siano disposte a
scucire qualche galeone –
Quella
battuta le strappò un sorriso. Forse, si disse, era per questo che Will piaceva
tanto alle ragazze. E forse, era il caso di interrompere quell’allegro
quadretto, prima che qualche ragazza a CASO, le facesse una fattura.
Elena
Clearwater, settimo Slytherin, la stava guardando con aria decisamente poco
amichevole. Le sorrise sorniona, tornando poi a concentrarsi sul suo arrosto.
La cena
proseguì senza troppi intoppi, almeno fino a quando Phill Lovegood e William non
intavolarono una discussione decisamente infervorata su non aveva capito bene
che pianta dalle miracolose proprietà. Trovarsi in mezzo a quei due non era
stata una gran fortuna, ma l’alternativa era il posto vuoto accanto a Malfoy e
sicuramente non sarebbe stato il caso.
Quindi,
meglio sorbirsi le loro tirate sull’importanza della radice di timo nella
pozione del sonno.
E lei che
aveva sempre pensato che per dormire bene bastasse un buon infuso di valeriana.
La
discussione andò avanti dalla seconda portata di brasato, fino al dolce. E fin
li nessun problema. Aveva appena sentito cose molto utili per finire il suo tema
di pozioni, ma quando passarono dal valutare se l’utilizzo dell’Achillea in una
pozione dal nome impronunciabile potesse dirsi legale o meno, al quidditch e
all’ultima – ennesima – sconfitta delle volpi di Brighton, decise che era giunto
veramente il momento di ritirarsi.
Erbologia
e Pozioni potevano andare, ma un’altra parola sul Quidditch e avrebbe fatto una
strage.
Si congedò
velocemente, adducendo come scusa la classica sonnolenza post abbuffata della
vigilia, e si diresse a grandi passi verso la torre del Gryffindor. Lontana da
bolidi, pluffe e boccini e lontana da Malfoy e dai suoi sguardi.
Ma non
poteva essersene tornato a casa come tutti gli altri?
*****
La notte
giunse, come sempre. E la trovò addormentata placidamente sul suo letto, la luce
fioca di una candela lasciata accesa troppo a lungo, ed un libro stretto in
grembo. Arrivata in camera si era adoperata per finire il tema di pozioni, poi,
una volta tolta la divisa ed indossata la sua calda camicia da notte di raso e
velluto azzurro, si era messa a letto. A leggere.
DIARIO DI JONATHAN HARKER
(Stenografo)
3 maggio, Bistrita. Lasciata Monaco alle 20,35 del 1° maggio, giunto a Vienna il
mattino dopo presto: saremmo dovuti arrivare alle 6,46, ma il treno aveva un'ora
di ritardo. Stando al poco che ho potuto vederne dal treno e percorrendone
brevemente le strade di Budapest mi sembra una bellissima città. Non ho osato
allontanarmi troppo dalla stazione, poiché, giunti in ritardo, saremmo però
ripartiti quanto più possibile in orario. Ne ho ricavato l'impressione che,
abbandonato l'Occidente, stessimo entrando nell'Oriente, e infatti anche il più
occidentale degli splendidi porti sul Danubio, che qui è maestosamente ampio e
profondo, ci richiamava alle tradizioni della dominazione turca.
Si era
addormentata all’inizio delle disavventure del giovane Harker, in cerca del
castello del Conte Dracula. Ed adesso sognava di loro. Sognava di essere Lucy,
ma ogni volta, alla fine, lei riusciva a salvarlo, il suo amato. E vivevano
insieme per l’eternità.
Aveva
letto e riletto quel libro tante di quelle volte che ormai le pagine erano tutte
consumate. Non lo aveva mai giudicato un libro dell’orrore, al contrario. Per
lei, quella era una magnifica storia d’amore.
Così lei
sognava. E avrebbe continuato a sognare se qualcosa, un’ombra forze, non avesse
invaso la sua mente, ed il suo sogno, costringendola a destarsi.
La tenue
luce della candela stava per spegnersi, fuori, il cielo era tornato sereno e la
luna bagnava con i suoi raggi argentei tutta la vallata. Si alzò dal letto,
avvolgendo il suo corpo nella morbida vestaglia color crema. Lasciò che la luna
illuminasse i suoi occhi, c’era qualcosa di magnetico nella sua luce. Qualcosa
che lei sapeva di conoscere ma che in quel momento le restava oscuro.
Scosse la
testa, osservando il libro abbandonato sul letto. Forse, quella sera, aveva
letto fin troppo tra temi di pozioni e romanzi ottocenteschi. Decise di scendere
giù nelle cucine, magari avrebbe trovato qualche elfo disposto a prepararle una
tazza di tisana, benché fossero le due del mattino.
Arrivata
nelle cucine scoprì di essersi sbagliata.
Si era
dimenticata di quanto potessero esser servizievoli quei buffi esserini dalle
improbabili orecchie a punta. Era andata nelle cucine con l’intenzione di farsi
preparare una sola tazza di tisana alla valeriana, per poter tornare a letto e
rimettersi a dormire ed invece si era ritrovata seduta su di una comoda
poltrona, accanto al camino con si la tisana fumante in mano, ma anche una serie
di vassoi stracolmi di pasticcini e biscotti.
Dio, se
adorava quella scuola.
Ringraziò
con un sorriso l’elfa che le aveva appena versato altra tisana e questa sorrise,
contenta che la padroncina apprezzasse il suo lavoro. La osservò
riordinare quei pochi ciottoli che aveva dovuto sporcare per prepararle la
tisana, poi, il suo sguardo fu catturato dalle fiamme del camino che, danzando,
creavano dei fantastici giochi di luce sul muro dietro di loro. Così aggraziate
che irretivano. Allungò una mano verso di esse, cercando di avvertire un po’ del
calore che emanavano e ci sarebbe riuscita, se solo qualcosa non l’avesse
bloccata.
Una mano,
più grande della sua, ma ugualmente liscia e morbida. Una mano forte, come
quella di un uomo.
- non te
l’ha mai detto nessuno – le sussurrò la voce – che a giocare con il fuoco, si
rischia di bruciarsi? –
Aveva
riconosciuto immediatamente quella voce, ma all’inizio pensò di averla soltanto
immaginata. L’infuso che le avevano preparato si era rivelato decisamente
efficace. Sentì la presa sul suo polso allentarsi e così, tornò ad avvicinare la
mano alle fiamme cercando di sentire quel calore che da tempo, l’aveva
abbandonata.
-
mezzosangue –
Fu
soltanto quando udì quella parola che la sua mente riprese un po’ di lucidità.
Voltò la testa di scatto ed i suoi occhi, incrociarono quelli di Lucius Malofy.
Occhi di
argento liquido, che riflettevano il calore delle fiamme senza però esserne
avvolti. Ma la sua mano, quella che stringeva il suo polso sinistro, quella si,
era calda. Lo avvertiva chiaramente. E quando questa si spostò, dopo averla
allontanata dal fuoco, lo percepì ancora di più.
Il freddo.
Il freddo che prese il posto di quel calore rassicurante che l’aveva avvolta
quando lui l’aveva toccata.
Strano.
- neanche
tu riesci a dormire, Malfoy? – sussurrò rannicchiandosi ancora un po’ su quella
poltrona.
Il ragazzo
continuò ad osservarla, lo sguardo attento. Scacciò l’elfo che gli si era
avvicinato in malo modo, sedendosi di fronte alla ragazza, ancora intenta ad
osservare le fiamme.
Era andato
nelle cucine con l’intenzione di farsi preparare qualcosa per poter riposare
tranquillo, senza doversi preoccupare di sogni scomodi e molesti che la
riguardassero. Ma evidentemente, qualcuno molto in alto lassù ce l’aveva a morte
con lui.
- non
dovresti essere qui – le disse, ignorando bellamente la domanda che lei gli
aveva rivolto.
Lei
sorrise, triste. Si rigirava la tazza tra le mani, cercando di non guardarlo
negli occhi. Se lo avesse fatto, molto probabilmente sarebbe scoppiata a
piangere e, neanche per tutto l’oro della Gringott avrebbe mai dato una tale
soddisfazione a Malfoy.
- neanche
tu, se non sbaglio – fu la sua laconica risposta – eppure eccoci qui –
Lui
continuava a guardarla e lei non desiderava altro che se ne andasse, lasciandola
sola con i suoi pensieri.
-
mezzosangue – ripeté – stasera se possibile, sei ancora più strana del solito –
Lei
sorrise, o meglio, tentò di piegare le labbra in una smorfia che assomigliasse
ad un sorriso.
-
strana – bisbigliò – odio quella parola -
Lui alzò
di scatto la testa, sorpreso. Se l’era presa perché le aveva detto che era
strana, ma non perché l’aveva chiamata mezzosangue. Che cosa diavolo aveva
quella sera?
Le si
avvicinò ed istintivamente lei si ritrasse. E lui sorrise, socchiudendo gli
occhi. Forse era normale, si disse, che lei avesse paura di lui. Ma non per
questo quella consapevolezza gli faceva meno male.
Folle.
- non
voglio farti del male – le sussurrò.
Lucius le
tolse la tazza dalle mani, portandosela alla bocca, assaggiando il contenuto.
Valeriana e fiori d’arancio.
Nessuna
audace correzione alcolica, quindi. Allora, che cos’aveva quella ragazza? Posò
lo sguardo nuovamente su di lei, stava sorridendo, sorniona.
- se eri
così curioso di sapere se avevo coretto la tisana con del firewhisky, non avevi
che da chiedere, Malfoy -
- touché –
Ed il
silenzio li avvolse. Isabel continuava ad osservare affascinata le fiamme del
camino e Lucius osservava lei, indeciso se lasciarla sola con i suoi pensieri
oppure restare lì, con lei, e bearsi del suo profumo. Sorrise tra se e se,
dandosi mentalmente dell’idiota.
Dopotutto,
lui era pur sempre Lucius Malfoy. Ed un Malfoy non poteva permettersi di trovare
piacevole la compagnia di una come lei.
Si alzò,
facendo per andarsene ma poi qualcosa catturò la sua attenzione: il grande
orologio della scuola stava battendo tre rintocchi e lei, ancora rannicchiata
sulla poltrona, aveva preso a tremare come un foglia.
- ma cosa
…- sussurrò, avvicinandosi di nuovo a lei.
E lei si
ritrae ancora, veloce e guardinga come un gatto impaurito.
Aveva
pensato di poter gestire la cosa. Di poter controllare se stessa, di poter
controllare la propria paura. Di poter superare tutto quello che era accaduto. E
fino a quella sera, era stato così. Poi però, quella sera era arrivata e lei era
sola di nuovo.
Sola.
Come
quella maledetta sera di un anno prima.
Sola.
Con Lui.
Con l’unica persona incapace di capirla. Con l’unica persona che non avrebbe
dovuto essere lì, in quel momento.
-
mezzosangue?- la chiamò, ma non ottenne risposta. Il suo sguardo era così
impaurito. Non lo aveva mai visto così.
Provò a
toccarla, ma lei si ritrasse ancora, tremando.
-
mezzosangue, che succede? –
Perché era
ancora li? Perché non l’aveva lasciata a se stessa, sola, come quando era
entrato in quella maledetta cucina?
Riuscì a
sfiorarle un braccio e lei, improvvisamente, urlò.
- non
toccarmi! –
Si
divincolava come un animale in gabbia. Avrebbe voluto andarsene, ma non riusciva
a muoversi. Se l’era ritrovata tra le braccia, che batteva pugni contro il suo
petto. Troppo piano per fargli male. Era chiaro che non ce l’aveva con lui.
-
Mezzosangue – la chiamò ancora
Niente.
-
Mezzosangue! –
Ancora
niente.
- Isabel,
maledizione! –
E lei si
fermò, sgranando gli occhi per la sorpresa.
In sei
anni di scuola non l’aveva mai chiamata per nome. Lei era sempre stata “la
mezzosangue”.
Lui la
guardò a lungo, incatenò i loro sguardi, cercando di capire che cosa potesse
esserle successo di così tanto grave da farla reagire così soltanto per aver
sentito l’orologio battere tre rintocchi.
Tre
rintocchi, della notte di Natale.
- lasciami
– sussurrò lei, la voce leggermente incrinata.
Ma lui non
raccolse quella supplica, continuò a tenerla stretta a se, cullandola
dolcemente. Accarezzandole i capelli, cercando di calmarla. Fece finta di non
sentire i suoi singhiozzi, sicuro che non avrebbe sopportato la sua pietà.
- che
cos’è successo?- le chiese
- lasciami
andare –
Continuava
a ripetere quelle parole come una nenia, una cantilena insopportabile.
- non ti
farò del male – non seppe mai perché le disse una cosa del genere – te lo
prometto –
- lasciami
andare, ti prego –
Perché non
la lasciava andare? Perché non se ne andava? Era Malfoy, dopotutto. Che cosa
gliene poteva importare a lui, di una come lei?
Fu quel
pensiero, a farla svegliare. Era passato. Non era ...reale, quello che stava
vedendo. Era, un ricordo.
E lui era
lì, con lei.
Non
l’aveva lasciata sola.
Ed
inconsciamente sapeva, che non l’avrebbe fatto. Altrimenti non avrebbe
continuato a stringerla a se anche adesso, che i suoi singhiozzi si erano
calmati.
- vuoi
dirmi, adesso, che ti è preso? – le chiese prendendole il volto tra le mani,
costringendola a guardarlo.
Lei chiuse
di scatto gli occhi, liberandosi da quella presa.
Non voleva
che vedesse la sua paura. Ma soprattutto non voleva vedere la sua espressione
impaurita riflessa nei suoi occhi, non lo avrebbe sopportato.
- niente –
sibilò, irata.
Lui
sbuffò, piegando le labbra in quella smorfia sarcastica che lei ben conosceva.
-
Halliwell, mezzosangue – le sussurrò, avvicinandosi ancora – hai appena avuto
una crisi isterica, mi ha preso a pugni, hai inzuppato di lacrime il mio
maglione preferito. Io questo non lo definirei, esattamente, niente. –
Isabel lo
fulminò con lo sguardo. Non sopportava quel suo tono.
- ti
pagherò il conto della lavanderia, non ti preoccupare. –
E lui in
tutta risposta alzò gli occhi al cielo.
- non è
questo il problema – le disse prendendola per le spalle – il problema, è
quello che passa in questa tua testolina –
*****
And now all around me
I feel you still here
Such is the journey
No mystery to fear.
Loreena Mckennitt, never-ending road
- …-
Non riusciva a
parlare. Ad essere del tutto sinceri non riusciva neanche a pensare a qualcosa
che potesse avere un senso compiuto.
Lui la stava fissando
e questo, a dispetto di tutto ciò in cui aveva sempre cercato di credere, la
metteva a disagio. Il suo sguardo irretiva. Forse, si disse, era per questo che
tante ragazze gli morivano dietro.
- mezzosangue …- La
fece sedere di nuovo e poi, attese con pazienza che lei si decidesse a
rispondere.
Un pensiero folle le
attraversò la mente, ma subito lo ricacciò indietro, evitando accuratamente di
incrociare il suo sguardo.
- davvero lo vuoi
sapere? – gli chiese
Lui sorrise – non te
lo avrei chiesto, altrimenti –
Che cosa avrebbe
provato a rivelare a lui, ciò che non aveva osato rivelare neanche ai suoi
amici? Poteva fare una cosa simile? Poteva fidarsi di lui fino a quel punto?
No, non poteva. Ma
forse, era proprio quello il motivo che la faceva vacillare nella sua
convinzione di non voler rivelare a nessuno, ciò che le era capitato.
Lui era Malfoy, non
poteva essere ferito da quelle parole. Non avrebbe provato niente, nel sentire
quel racconto e lei, si sarebbe sentita sicuramente molto meglio.
Più leggera, forse.
- se davvero vuoi
saperlo …- sussurrò – dovrai cercare da solo però – non osava guardarlo fisso in
volto, per paura che scorgesse troppo, di lei. - io …non riesco a … - incespicò
nelle parole – conosci la formula, no? –
Si conosceva la
formula. Ed era anche un discreto legillimens. Tentennò per qualche istante,
incerto sul da farsi, poi, consapevole della sua volontà di sapere che cosa
potesse esserle successo, prese la bacchetta e si tuffò nei suoi ricordi.
Fu come tuffarsi in
una piscina di firewhisky, ma Isabel era brava a guidarlo e quindi non ci mise
molto a riprendersi. Le immagini scorrevano veloci davanti ai suoi occhi, fino a
che non si fermarono davanti ad una porta chiusa, all’interno la luce era ancora
accesa, si vedeva chiaramente dal chiarore che si intravedeva dallo stipite.
Era quello il ricordo
che cercava. Lo sapeva. In lontananza, un orologio batteva tre rintocchi. Te
rintocchi della notte di Natale.
La porta si aprì di scatto, sorprendendolo.
- ma che cos..- una voce, conosciuta. La voce di lei.
Una persona era appena entrata nella stanza, una persona che puzzava
incredibilmente di Alcool.
- Alexander hai bevuto ancora, non è vero? – disse lei – ecco perché sei voluto
uscire stasera! –
Era visibilmente arrabbiata.
- sta zitta, stupida! – un urlo rabbioso e poi, il rumore di uno schiaffo. Lei,
che, stupita, si portò una mano alla guancia offesa.
Mai, suo fratello l’aveva sfiorata. Per questo quello schiaffo bruciò più del
dovuto.
- Alex, ma che diavolo ti è preso? – chiese, indietreggiando istintivamente
Suo fratello scoppiò a ridere, e barcollando si avvicinò di più a lei.
- mostro…- balbetto – sei, un mostro … e …troia –
In quel preciso istante, quando lei vide lo sguardo annebbiato del fratello,
realizzò che cosa stava per accadere. Cercò di raggiungere la sua bacchetta, ma
lui fu più veloce e la colpì di nuovo.
- che cosa credevi di fare, puttana! –
L’afferrò per un polso e con violenza la sbatté contro il pavimento, piombandole
addosso con tutto il suo peso.
Cercò di ribellarsi, ma lui, molto più forte di lei le bloccò le braccia sopra
la testa, ghignando.
- sta ferma – biascicò – vedrai, ti piacerà – le diceva mentre la toccava
lascivamente – lo so, che lo vuoi –
A lei non restò altro che piangere.
- lo vedo come mi guardi, sai –
Serrò le palpebre, quando sentì una mano infilarsi tra le sue cosce e toccarla,
violarla, sporcarla.
Era suo fratello.
E l’avrebbe violentata.
- Non è vero, Isabel? – le sussurrava – ti piace, vero? Puttana! –
La schiaffeggiò ancora, continuandole a ripetere parole orribili, accusandola di
essere un mostro, uno scherzo della natura.
E lei, si sentiva morire. Non riusciva ad aprir bocca. Non riusciva a pensare, a
ribellarsi. Avrebbe voluto poter prendere la sua bacchetta e schiantarlo, ma era
lontana e lui troppo forte.
Ma dov’erano i suoi genitori? Perché non avevano sentito niente?
Ad occhi chiusi, si sentì tirare su in malo modo.
Alexander si era alzato ed adesso stava ritto in piedi davanti a lei, che era in
ginocchio.
La consapevolezza di ciò che voleva che facesse, la colpì come una pugnalata in
pieno petto.
- no …- riuscì a dire – ti prego …-
Ma lui, reso folle dai fumi del troppo alcool, non l’ascolto e violò la sua
bocca.
Violò la sua bocca, il suo corpo e la sua anima. La fece a pezzi, per poi
lasciarla stesa sul pavimento, macchiata a vita e privata della sua verginità,
della sua purezza, da qualcuno che credeva amico.
Lucius se ne restò
immobile, in disparte, consapevole della sua impotenza. Era solo un ricordo. Un
ricordo vivido e doloroso, perché, quando riaprì gli occhi, lei era in lacrime.
Adesso poteva spiegarsi molte cose, poteva rimettere insieme i pezzi del puzzle
della sua vita.
La sua assenza
prolungata da scuola lo scorso anno, la sua ritrosia a lasciarsi toccare. Il suo
sguardo quella sera, perso nel vuoto.
- adesso sai – gli
sussurrò
- perché …- non aveva
parole, nella sua testa si affollavano mille domande, una più sbagliata
dell’altra – perché, ti ha …come ha, potuto farti questo? -
Lei sorrise
amaramente. Curioso, che ha fare quella domanda fosse proprio lui.
- perché? – sussurrò,
con rabbia – per lo stesso motivo per il quale voi purosangue mi odiate –
ringhiò – perché non sono né una strega, né una babbana. Perché sono una sanguesporco!-
sputò quell’ultima parola con tutta la rabbia che aveva dentro, sfogandosi come
non era mai riuscita a fare prima - non sono una babbana e per questo il mio
posto non è tra i babbani, però non sono neanche una strega – sussurrò, sfinita
- lui mi odia perché sono diversa, strana . Mi odia, esattamente come mi
odi tu –
La teca di vetro
nella quale si era rifugiata era andato in mille pezzi, adesso l’aria toccava di
nuovo la sua pelle, il fuoco bruciava di nuovo la sua carne. Poteva essere
ferita, e questa volta avrebbe sanguinato, tutto ciò la spaventava a morte. E
nonostante tutto lei, non si era mai sentita tanto libera prima di quel momento.
Prima di riversare tutta la sua rabbia, la sua furia, contro Lucius Malfoy che,
in quel momento la osservava quasi ferito dalle parole che lei aveva
pronunciato.
- pensi davvero che
io ti odi? – le chiese, lo sguardo incatenato al suo
- perché, non è così,
forse? –
Lui serrò la
mascella, cercando di impedirsi di fare qualche sciocchezza.
Ma fu tutto inutile.
La prese per un
braccio, attirandola a se ed avvolgendola in un abbraccio soffocante. Ignorando
il suo gemito di sorpresa e protesta. L’unica cosa che voleva era stringerla tra
le braccia e dimostrarle quanto poco di lui avesse capito.
- non è così – le
sussurrò baciandole i capelli - non è affatto così –
E lei capì. Capì di
aver commesso un errore madornale a rivelargli ciò che lui aveva chiesto di
sapere. Capì di averlo ferito e per quanto le potesse sembrare strano o assurdo,
questo le dispiacque. Non era sua intenzione ferire nessuno. Eppure, c’era
riuscita ancora una volta.
Affondò la testa nel
suo petto, ricacciando indietro le lacrime. Si aggrappò a lui con la forza della
disperazione, dimenticandosi per un istante il nome del ragazzo che la stringeva
tra le braccia con tanto ardore. Si beò del calore del suo corpo, e cercò di
rubarne un po’. E, quando udì i battiti accelerati dei loro cuori, capì che
qualcosa, sarebbe cambiato, da quella sera.
Tum- tum. Tum-tum Tum-tum
Mai, il battito di un cuore l’aveva emozionata tanto.
Restò abbracciata a Lucius per un tempo che non riuscì a quantificare. Sapeva
solo che non voleva che si allontanasse. Così, quando lui cercò di scostarsi da
lei, lo trattenne aggrappandosi a lui con maggior forza.
- no – gli sussurrò – non te ne andare-
Lui sorrise, accarezzandogli i capelli
- non ti preoccupare – disse – non vado da nessuna parte, solo, non possiamo
certo restare qui tutta la notte – le sollevò il volto, asciugando qualche
lacrima ribelle che ancora le bagnava le guance – vieni – le prese una mano,
accompagnandola verso la porta – ti accompagno alla torre –
Lei rabbrividì.
- no –
- mezzosangue … -
Lei lo interruppe, sorridendo. L’aveva chiamata mezzosangue, ma non c’era
disgusto nel modo in cui lui aveva pronunciato quel nome.
- resta – si aggrappò alla sua mano con tutta la forza che aveva – resta con me
stanotte, Lucius –
E per la prima volta in vita sua Lucius Malfoy, tremò.
******
Here I am.
Eccoci qua, di nuovo ragazze e ragazzi.
Spero che questo nuovo capitolo sia di vostro gradimento. Mi scuso per il
ritardo, ma ormai è diventata un’abitudine. Chi legge le altre mie storie lo sa
bene!
Spero comunque che il capitolo sia valsa l’attesa.
Voglio ringraziare tutte le persone che hanno letto, e coloro che hanno messo
questa storia tra i preferiti. Vuol dire molto per me.
Il prossimo aggiornamento di the dark side è previsto verso la metà di ottobre.
Un abbraccio, alla prossima Eowyn
Eowyn’s mail.
Princesseelisil: Grazie mille per la recensione, sono contenta che la storia ed Isabel ti
piacciano. Lo stesso vale per il banner: ho dovuto imparare ad usare Photoshop,
ma ne è valsa la pena. Il ragazzo in basso a destra è James Marsden. Un bacione,
spero di sentirti ancora.
I'm tired of being what you want me to be,
Feeling so faithless lost under the surface
I Don't know what you are expecting of me
Put under the pressure of walking in your shoes
Linkin
Park, Numb
Carissimo
Felpato, Spero che tu
stia passando delle buone vacanze a Casa Potter. La prossima
volta però che decidi che la tua attuale famiglia non va
più bene, ti prego:
PENSA prima di decidere che casa tua non è più di
tuo gradimento. Perché, come
certo saprai, ogni azione ha una sua conseguenza e per quanto io
capisca –
evita di fare quella faccia, pulcioso di un cane – che vivere
a Casa Black non
è certo tutto rose e fiori, andarsene e farsi diseredare non
è certamente la
soluzione migliore. Ribadisco: prima di prendere qualsiasi decisione
– stupida,
soprattutto – PENSA. Non è così
difficile come sembra, sai. Ad un cervello
normale dovrebbe anche venir spontaneo, pensare. Anche se
definire il tuo cervello, e quello del tuo compare li accanto, NORMALE,
forse è
un po’ troppo. Tuttavia due o tre neuroni dovrebbero esservi
rimasti, no?
Quindi, per favore USATELI. Ripeto:
scappare di casa, non va bene Sirius. Come speri di pagarti Hogwarts?
Eh? Vuoi
fare la fine di Gazza per amor di ripicca contro tua madre? Per l’amor
di Morgana, dimmi per lo meno che avevi pensato alle conseguenze prima
di
prendere la porta ed andartene. Pulcioso di
un cane. Il
vaso andò in mille pezzi. Sicuramente
sua madre si sarebbe arrabbiata,
ne era certo. -
Stupida! – sbraitò – come se lei sapesse
tutto di ME! – continuò – Come se si
potesse rendere conto davvero! – James
Potter scosse mestamente la testa. Da
che la lettera di Isabel era arrivata,
il degno compare di merende si era trasformato in un troll di montagna
di
pessimo umore. Aveva mandato in frantumi la miglior collezione di vasi
di
porcellana dell’intera Gran Bretagna e, di questo poteva
essere certo, non
sarebbe stato il neo-orfano e diseredato Sirius Black, a pagarne le
conseguenze. Come sempre, del
resto. Quando
lo aveva visto presentarsi davanti
alla sua porta di casa con il baule e tutto il resto, aveva capito
subito che
cosa fosse accaduto. E, in tutta sincerità, se non fosse
stato per sua madre
molto probabilmente l’avrebbe rispedito lui stesso a Londra a
furia di
schiantesimi. Ma poi si era lasciato convincere – come sempre – ed ora si
ritrovava seduto sul suo letto, ad
osservare la furia omicida dal suo migliore amico, pregando che Moony e
Peter
arrivassero abbastanza alla svelta. O, si disse, non ci sarebbe
più stata
nessuna “casa Potter” da trovare. -
Datti una calmata, Pad – gli
disse – o ti verrà un infarto –
celiò,
sperando di ottenere qualcosa. -
calmarmi?calmarmi?! –
urlò per tutta risposta lui – hai idea di che cosa
mi
abbia appena scritto quella?
– -
c’ero anche io quando l’hai aperta, pad
– -
Beh, e dovrei calmarmi secondo te? – James
Potter si morse la lingua. Se gli
avesse detto quello che pensava e, cioè che Isabel non aveva
tutti i torti,
molto probabilmente se la sarebbe presa anche con lui, ed allora, le
possibilità che Sirius Black tornasse a ragionare sarebbero
state pari a zero.
Meglio aspettare che si calmasse, pregando che Moony arrivasse il prima
possibile. Sirius
Black non capiva. O
forse, era Isabel a non voler capire e,
in quel momento non sapeva quale delle due cose gli dessero
più fastidio. Per
questo se ne stava rinchiuso nella sua camera a casa Potter, vagando
per la
stanza come un drago in gabbia. Cercando di placare la rabbia e di non
seguire
il suo istinto che gli suggeriva di andare ad Hogwarts e strozzare la
sua –ehm- migliore amica. La
cosa straordinaria era che neanche il
povero Moony, richiamato all’ordine dal povero ramoso, era
riuscito a calmare
il suo sclero post-fuga-da-casa. Non ce la faceva. Era più
forte di lui. Certo
non si era aspettato che lei capisse completamente, ma neanche che gli
desse
del completo imbecille per essere scappato da quella che lei sapeva
perfettamente essere una prigione peggiore di Azkaban. O
almeno, lo era per lui. -
ma che cos’è che ti da fastidio, pad? –
gli stava chiedendo in quel preciso momento moony – che
quella sia la verità, o
che sia stata lei a dirtela? – Colpito. -
o entrambe le cose? – E affondato. Quando
ci si metteva d’impegno Moony
diventava più spietato di un Malfoy. E più
cinico, anche. -
lei-non-sa-un-cazzo-di-me
– sibilò stringendo convulsamente i
pugni per impedirsi di commettere
qualche sciocchezza. Remus
invece sorrise, sornione. -
io invece credo che ti conosca molto
meglio di quanto tu non conosca te stesso – gli disse
avvicinandosi alla porta
– ed è questo, che ti rode – Uscì
appena in tempo per scansare il
pesante volume di incantesimi che, così, andò a
sbattere con un tonfo contro la
porta. James,
che aspettava paziente nel
soggiorno, scoppiò a ridere vedendo l’espressione
divertita dipinta sul volto
del compagno di merende. -
ha ripreso a comportarsi come pix? –
chiese mentre addentava un biscotto alla cannella Moony
annuì, per nulla preoccupato. -
si – rispose sedendosi ed osservando
James annuire -
bene – esclamò ramoso – vuol dire che
gli sbollirà presto –
*****
This is my
December
These are my snow covered dreams
This is me pretending
This is all I need Linkin Park, My December Era
passata da poco l’alba, quando Isabel si destò. La
stanza nella quale si
trovava era immersa nel silenzio e, tutto intorno a lei pareva irreale.
Ricordava vagamente ciò che era accaduto soltanto poche ore
prima e, nella
confusione che segue ogni risveglio non realizzò subito dove
si trovasse. Non riconosceva
i pesanti drappeggi del grande letto a baldacchino, né il
panorama che si
poteva ammirare dalle finestre, le era familiare. Si
alzò, e avvolgendosi nella sua vestaglia si diresse verso
una di quelle
finestre, osservando curiosa tutto ciò che la circondava e
che le era
sconosciuto. Sopra lo scrittoio in legno che stava di fronte alla
finestra più
grande, se ne stavano perfettamente ordinati gli appunti del
proprietario di
quella stanza. Ne lesse alcuni e, dovette ammettere con se stessa, i
suoi voti
erano decisamente meritati. Si
strinse nella vestaglia, la torre del Gryffindor era più
calda dei sotterranei
e per quanto il freddo le piacesse, quella temperatura era decisamente
troppo
anche per lei. Ricordava che quando Lucius l’aveva portata
nei suoi alloggi da
caposcuola, l’aveva avvertita che la temperatura non era
esattamente la stessa
della torre, ma in quel momento non ci aveva badato, troppo presa dal
calore
del corpo di lui. Si erano stesi sul letto e lui l’aveva
cullata per tutta la
notte, vegliando il suo sonno. Sorrise, ricordando con quanta dolcezza
l’aveva
stretta a se e, quanto lui sembrasse innocente nel mentre dormiva. -E’
di tuo gradimento, ciò che stai guardando? - Isabel
sussultò, non credeva di averlo svegliato. -molto-
rispose – anche se non mi sarei mai immaginata che dai
sotterranei si potesse
ammirare una vista del genere – Lui
sorrise, avvicinandosi lentamente a lei allargando le braccia,
facendole cenno
di avvicinarsi. Ed Isabel, come attratta da una calamita,
ubbidì, rifugiandosi tra
le sue braccia. -grazie-
sussurrò, respirando il suo profumo – per stanotte
– -
non c’è di che – rispose lui,
accarezzandole dolcemente i capelli. Non poteva
parlare di più, non poteva rischiare di scoprirsi ancora. Se
avesse parlato, se
avesse dato voce a tutte le emozioni che in quel momento vagavano
libere dentro
lui, probabilmente sarebbe esploso. Non poteva dirle che non aveva
chiuso
occhio, osservandola dormire, trattenendo il respiro quando lei lo
aveva
abbracciato, quando lo aveva stretto a se, cercando riparo da incubi
molesti. -
ma
come, signor Malfoy? Si accontenta di questo? – lo
canzonò lei, sciogliendosi
da quell’abbraccio e tornando a sedersi sul suo letto
– non credevo che i
Malfoy fossero così…generosi – Lucius
sorrise, passandosi una mano tra i capelli. Quel comportamento
– nascondersi dietro
l’indifferenza – era
tipico, dei Malfoy. Si chiese se quella ragazza si rendesse conto di
quanto
loro due fossero simili. -Mi
par superfluo farle notare, signorina Halliwell, che ci sono molte cose
che non
sa, di me- rispose – E poi – continuò,
guardandola sornione – credo che verrò a
riscuotere il mio premio, al momento
più…opportuno – La
risata cristallina di Isabel risuonò per tutta la stanza,
facendolo tremare.
Averla vicino, era una sfida decisamente pericolosa, per il suo
autocontrollo. -in
debito con un Malfoy! In che guaio mi sono cacciata! – In un guaio
decisamente molto più grande
di te, ragazzina. Si
disse mentalmente. Inutile negarlo,
inutile soprattutto negarlo a se stessa. Si era offerta su di un piatto
d’argento al ragazzo più meschino
della
scuola, gli aveva fornito l’unica arma in grado di ferirla e
lo aveva fatto di
sua spontanea volontà. Certo quella sera si era dimostrato
gentile, ma…quante
facce poteva avere un Malfoy? Si poteva davvero fidare? No.
Lucius
sapeva quali emozioni si celassero dietro quello sguardo sereno. Sapeva
quali
erano le mille domande che Isabel si stava ponendo in quel momento e
sapeva
anche quale sarebbe stata la risposta che si sarebbe data. Non poteva
biasimarla, non poteva biasimare i suoi dubbi. Ma non poteva neanche
nascondere
che tutto ciò lo ferisse. Aveva provato a lottare contro
quel sentimento. Aveva
provato a seppellirlo dietro i suoi pregiudizi, ma era stato inutile,
non
poteva far altro che gettare le armi e far in modo che lei capisse che
si
poteva fidare. -davvero
un bel guaio, vero? – celiò – costretta
a fidarsi di un Malfoy…- Istintivamente
Isabel trattenne il respiro; quelle parole, dette con tanta leggerezza
ebbero
il potere di farla tremare nel profondo. E se Malfoy l’avesse
tradita?Se…Ma
prima ancora che lei riuscisse a terminare il pensiero, lui
parlò ancora. -puoi
fidarti di me – sussurrò, forse più a
se stesso che a lei. – davvero – Ed
Isabel tremò ancora. Strinse convulsamente la soffice
coperta sotto le sue
dita, per impedire a se stessa di gettarsi tra le sue braccia e poi
sorrise,
dolcemente. -grazie-
Sussurrò Malfoy
le accarezzò gentilmente una guancia, guardandola
intensamente. L’emozione in
quel momento era una corda di violino incredibilmente tesa e, si
sarebbe potuta
spezzare in un istante se suonata da una mano maldestra.
Così lui tacque,
perché lo sapeva, avrebbe finito col dire qualcosa di
terribilmente stupido. Dopo
un tempo che a lei sembrò interminabile, lui
staccò la mano e sorridendo – quel
sorriso sghembo che tanto affascinava tutte le ragazze della scuola
– la prese
per mano. -dai,
ti riaccompagno alla torre, prima che quella vecchia megera ti dia per
dispersa- -la
professoressa McGrannit non
è affatto una megera!-
gli rispose, non
troppo convinta La
risata di Malfoy riecheggiò per tutta la sala comune di
Slytherin ed i corridoi
del castello, mentre correvano a perdifiato per passaggi di cui lei,
ignorava
perfino l’esistenza.
****
I don't know why
There's a limit to defy
With the vision of the future at my feet
I'm here Lacuna Coil, Cold Heritage -si,
padre – Regulus
Black si chiuse la pesante porta
di legno alle spalle e, sospirando,si
diresse nella sua stanza. Negli occhi, una tristezza troppo grande per
una
ragazzo di quindici anni. Da
sempre aveva sentito su di se il peso
di dover compiacere i propri genitori anche per le delusioni che recava
loro
suo fratello. Da sempre, sapeva di dover riuscire la dove Sirius aveva
fallito.
Ma fino a quando quel testardo di suo fratello fosse stato su
quell’albero
genealogico, lui avrebbe avuto una speranza. Una speranza di poter
vivere una
vita che fosse sua e non un pallido riflesso di ciò che i
loro genitori avevano
pianificato per Sirius. Questa tenue speranza, era andata in frantumi
due sere
prima, quando suo fratello aveva avuto la bella idea di scappare di
casa. Due
sere prima, in definitiva, era
iniziato il suo inferno. Per questo aveva chiesto a Bella di tornare ad
Hogwarts
prima del previsto. Se fosse riuscito a riportare a casa quello
stupido, forse,
avrebbe ancora potuto sperare. Aprì
la porta della sua camera, deciso a
fare i bagagli e tornare anche lui ad Hogwarts. Non sarebbe servito a
niente,
ma almeno non avrebbe avuto l’incessante cicaleccio di sua
madre e sua zia
nelle orecchie. -sei
deciso a partire quindi? – La voce di
sua cugina interruppe il flusso incessante dei suoi pensieri. Non si
era
neanche accorto che fosse arrivata. -ho
scelta, forse?- -c’è
sempre una scelta, Reg. Lascia andare
tuo fratello, sai anche tu che questo non è il suo posto- -MALEDIZIONE
Andromeda!- sbottò, chiudendo
di scatto il baule – sai anche tu che cosa accadrà
se non lo riporto a casa!sai
anche tu, quali saranno le conseguenze per tutti noi!- Andromenda
Black guardò suo cugino
passarsi convulsamente una mano tra i capelli e muoversi nella stanza
comeuna tigre in
gabbia. -non
ci daranno pace, se lui non torna – Sapeva
che Regulus aveva ragione. L’onore
dei Black, imponeva che i figli che disonoravano il buon nome della
famiglia
venissero disconosciuti, di conseguenza gli altri, avrebbero dovuto
prenderne
il posto. L’onore era tutto per le famiglie come la loro,
antiche e nobili.
Restare aggrappati a tradizioni vecchie come il modo e ad ideali ancora
più
assurdi era l’unico modo per contrastare
l’incessante scorrere del tempo. -e
che cosa vorresti fare, sentiamo?-
chiese Andromeda – scovarlo e riportarlo a casa?...e
poi?...non puoi
costringerlo Reg. Questo non è mai stato il suo posto!
– Il
ragazzo sospirò cercando dentro di se,
la forza di negare che le parole della cugina fossero vere. Sapeva bene
che suo
fratello si era sempre sentito fuori posto in quella famiglia. Ma, non
poteva
fare altrimenti. Era un Black. E doveva comportarsi come tale. -No
– rispose, senza neanche guardarla –
questo non è mai stato il suo posto, hai ragione Dea
– chiuse il baule e si
voltò verso di lei, lo sguardo acceso di determinazione
– ma Sirius è un Black.
Fa parte della famiglia. E la famiglia non si abbandona – Istintivamente
Andromeda Black tremò. In
tutta la sua vita non aveva mai sentito suo cugino parlare con tanta
determinazione, ma soprattutto, non aveva mai visto quella luce nei
suoi occhi.
Disperazione. Ecco
che cosa vi aveva letto. -che
cosa vorresti dire, Reg?- chiese la
più grande delle sorelle Black – che saresti
disposto a condannare tuo fratello
all’infelicità in nome della famiglia?- Regulus
Black, inaspettatamente sorrise. -No,
Dea- le disse – semplicemente che, se
Sirius non dovesse tornare, per me sarebbe come morto – E
prima che la cugina potesse rispondere,
Regulus uscì dalla sua stanza, perché sapeva
perfettamente che se lei avesse
parlato ancora, probabilmente le sue convinzioni sarebbero state in
pericolo. E
lui, non voleva deludere i suoi genitori. Lui non aveva la forza di
Sirius.
****
I'd show a
smile, but I'm too weak,
I'd share with you could I only speak,
Just how much this, hurts me, AFI, This time Imperfect L’aria
era gelida, quel pomeriggio. Spesse e grigie nubi cariche di neve se ne
stavano
pigre, sospese in aria, aspettando che un lieve alito di vento
permettesse loro
di riversare altra neve su quelle terre. Isabel
amava la neve. L’aveva sempre amata, ma in quel preciso
istante, odiava quel
biancore con tutta se stessa. Lo odiava, perché le ricordava
cose che avrebbe
preferito dimenticare. Lo odiava, perché c’era la
neve anche l’anno prima. E
c’era anche in quel momento. La lettera di Sirius era
arrivata con la prima
neve del pomeriggio. E lei, quella lettera avrebbe preferito non
leggerla. Perché
quelle poche parole, scritte in quella calligrafia familiare,
l’avevano ferita.
A
morte. Ed
ora se ne stava seduta su quella panchina, osservando ed aspettando
quella neve
che tanto odiava, sperando che il freddo di quel pomeriggio potesse
congelare
anche quella sensazione di vuoto e di tristezza che le aveva preso il
cuore.
Sta
fuori dalla
mia vita, Halliwell.
Non
è cosa che
ti riguardi cosa decido di fare. Non lo è mai stato,
né mai lo sarà.
Puoi anche smetterla, di
preoccuparti.
Non
si era neanche preso il disturbo di firmare il biglietto. Sta fuori dalla mia
vita. Questo
le aveva detto. Doveva smettere di preoccuparsi. Idiota.
Si,
Sirius Black era veramente il più grande Idiota che lei
avesse mai avuto il
dispiacere di incontrare sulla sua strada. Era un’idiota,
perché non aveva
assolutamente capito che per lei era impossibile non
preoccuparsi. Ma
forse, alla fine la vera stupida era lei. Lei che si preoccupava, lei
che si
era lasciata stregare da quel sentimento. Lei, che si era innamorata. Stupida. Chiuse
gli occhi e respirò profondamente, cercando di calmare il
suo cuore. Cercando
di rinchiudere a chiave quella rabbia che sentiva crescere dentro di
lei.
Cercando di cacciare indietro le lacrime che sentiva pungerle gli
occhi. Ma
fu tutto inutile. La
rabbia che sentiva dentro era impossibile da incatenare, si abbatteva
su di lei
come il mare in tempesta, la sentiva scorrerle sotto la pelle come un
fiume in
piena, travolgendo ogni cosa. Il cuore accelerò i battiti
così violentemente
che sembrò voler uscire dal suo petto, ed improvvisamente le
mancò il respiro.
Si accasciò su se stessa, portandosi le mani alla gola,
annaspando come se
lacci invisibili la stessero soffocando. E
non
si accorse che la terra intorno a lei, aveva preso a tremare.
*****
A
revolution has begun today for me inside
The ultimate defense is to pretend
Revolve around yourself just like an ordinary man
The only other option to forget
30 seconds to mars, R-Evolve
Dita
abili ed eleganti sfioravano
delicatamente i tasti del pianoforte, componendo una musica
sconosciuta, dolce
e malinconica. Musica
che era stata il suo tormento e la sua salvezza, sognata una notte di
mesi…no,
secoli prima. Suonava
ad occhi chiusi, nascondendo
dietro le palpebre la memoria di quella notte come se temesse che una
volta
aperti, quel ricordo prezioso più dell’oro,
potesse scomparire lasciandolo
nuovamente solo. Eppure
sapeva che
quella notte appena trascorsa era reale, aveva veramente avuto
l’occasione di
tenerla stretta tra le braccia, respirare il suo profumo ed osservarla
dormire,
docile e tranquilla, nel suo letto. Non aveva chiuso occhio quella
notte. Ed
ora se ne stava li, concentrato sul ricordo di quella sera a comporre note che ben conosceva,
beandosi di quel
ricordo dolce, e amaro al tempo stesso. Il
sole, dispettoso, illuminava a pena
la sala di musica del castello, donando un po’ del suo calore
a quel pomeriggio
d’inverno. Faceva capolino di tanto in tanto, come un bambino
dispettoso che si
diverte a giocare a nascondino, facendo risplendere la neve ancora
candida. Poteva
avvertirne il calore tiepido,
ingannevole, solleticargli la pelle delicata del volto donandogli per
un
istante l’illusione di un riverbero d’estate. Accarezzò
i tasti del pianoforte con
delicatezza, mentre le ultime note veleggiavano nell’aria
come soffici piume
trasportate dal vento; quando anche l’ultima nota si fu
spenta lui aprì gli
occhi ridestandosi da quel sogno. -
caposcuola Malfoy? – Ecco,
il suo momento di pace era
definitivamente finito, si tornava alla realtà. Un
piccolo Slytherin del secondo anno
era apparso dal niente e con timore reverenziale, si
avvicinò a lui, tremando
come un foglia. -
si? – serica e melliflua, la sua voce
risuonò nella stanza facendo tremare ancora di
più il piccolo Slytherin -
ecco, vede – tentennò – non era mia
intenzione disturbarla, ma vede …- Lucius
Malfoy alzò gli occhi al cielo -
avanti, Steeval, altrimenti qui
facciamo pasqua! – -
si, mi scusi – ancora un po’ e quel
mocciososi sarebbe
liquefatto sul
pavimento, si disse Lucius – ecco, siccome lei è
l’unico caposcuola rimasto,
sono venuto da lei – Charles
Steeval sospirò, vedendo l’aria
indispettita del suo caposcuola, conoscendolo molto probabilmente
l’avrebbe
schiantato. -
Steeval, o ti decidi ad arrivare al
dunque, o giuro che lo farai sotto Imperius – Appunto. -
è per quella NataBabbana del
Gryffindor…- Il
cuore di Lucius perse un battito, ma
non lo dette a vedere. Ascoltò il resto del discorso con
espressione vacua -
credo che si chiami Halliwell, l’ho
vista poco fa in cortile, vicino al boschetto di aceri, credo che si
senta male
– L’ultima
parola non si era ancora spenta
nell’aria, che lui se n’era già andato.
****
Il
boschetto di aceri non era distante
dal castello, ma mai come il quel momento quei pochi metri gli erano
sembrati
infiniti. Il cuore gli martellava talmente forte nel petto che poteva
sentirne
i rintocchi persino nelle orecchie, non si curava però del
dolore sordo che
sentiva attanagliargli lo stomaco, né degli sguardi
increduli che i quadri gli
riservarono vedendolo correre per i corridoi del castello.
Istintivamente
ringraziò la buon’anima di Salazar Slyhterin che
viste le vacanze, in quel
momento non ci fosse nessuno a giro per i corridoi della scuola. Quando
giunse finalmente fuori, si
accorse che l’aria era diventata stranamente pensante. Le
nubi non erano
candide come se le immaginava, ma innaturalmente scure e pronte alla
tempesta.
Il sole non si intravedeva più, nascosto da quella spessa
coltre che avvolgeva
ogni cosa, intorno alla scuola. C’era una strana energia
nell’aria, tra se e
se, pensò che non aveva mai avvertito niente di simile. Energia
antica, forse più di quella stessa scuola. Schiacciava ed
opprimeva, tanto era
potente e spaventosa. Il
suo passo, rallentato dallo spesso
manto di neve accelerò non appena la vide. Accasciata su
quella panchina,
svenuta. -
Halliwell?- sussurrò non appena le fu
accanto Le
accarezzò delicatamente una mano,
cercando di scuoterla. Ma subito si ritrasse, scottato. Letteralmente. Il
corpo della ragazza sembrava arso da
qualcosa di profondamenteinnaturale, provò a chiamarla
ancora ma
lei non rispose. Scostò cauto, una ciocca di capelli che le
tappava il volto e
quello che vide lo fece rabbrividire; gli occhi della ragazza,
solitamente di
un blu più profondo della acque dell’oceano, erano
neri. Completamente, neri.
Non conosceva nessun incantesimo, nessuna fattura, neanche tra quelle
che uno
studente non dovrebbe conoscere, di magia oscura, che potesse avere
quegli
effetti. Sussultava
leggermente, mormorando
parole a lui incomprensibili. Provò a prenderle di nuovo una
mano, ma la sua
pelle era incandescente. -
Halliwell? – chiamò ancora, c’era
disperazione nella sua voce Le
accarezzò dolcemente i capelli,
poggiando la testa della ragazza sulle ginocchia. Non voleva portarla
in
infermeria in quelle condizioni, ma francamente non sapeva che cosa
fare. -
ma che ti sta succedendo? – chiese,
impotente, osservandola tremare Era
strana quella sensazione. Per la
prima volta nella sua vita, si sentiva completamente inutile. Tutte le
sue
conoscenze, lecite e meno lecite, non servivano a niente.
Provò più volte a
cercare di svegliarla usando tutti i contro incantesimi che conosceva,
ma non
furono sufficienti. All’ennesimo,
vano, tentativo la schiena
di Isabel si inarcò e sgranò gli occhi corvini.
Con tutte quelle formule, stava
solo peggiorando la situazione. La ragazza annaspò, come se
le mancasse l’aria. -
Non…
- mormorò – resp..iro- Lucius
tremò, ed incurante del dolore
che gli provocava toccarla, le prese il volto tra le mani cercando di
scuoterla
e tranquillizzarla. - Halliwell? – sussurrò
– Isabel?...riesci a sentirmi?- Nell’udire
il suo nome, qualcosa sembrò ridestarsi dentro di lei. -
Malf…-
un altro sussurro strozzato – Lucius
– Le
accarezzò dolcemente le guancie, la
pelle sembrava meno incandescente. I suoi occhi parevano più
chiari. -
Si – le disse – sono qui, non ti
lascio – Isabel
si sentiva bruciare, ogni singolo
centimetro della sua pelle era in fiamme. Avrebbe voluto gridare, ma
qualcosa
glielo impediva. L’aria le mancava, ed ogni respiro era
diventato una
sofferenza. Non sapeva quanto fosse rimasta in quelle condizioni, la
sua mente
sembrava non voler ricordare. Erano minuti? Ore, o forse mesi? Non
sapeva
dirlo. Stanca
di quell’agonia, aveva pensato
per un folle istante di cedere e smettere di respirare. Poi
però, aveva sentito
qualcosa. Mani fredde sul suo volto, che tentavano di placare il
calore, ed una
voce conosciuta amica, che cercava
di
svegliarla. Stanca a e spossata, si aggrappò con tutte le
sue forze a quella
voce, al freddo piacevole di quelle carezze ed il fuoco che fino a quel
momento
l’aveva attanagliata, iniziò a sparire. Lottava
dentro di lei, per prendere il
sopravvento, si dibatteva dentro le sue vene bruciando ogni cosa eppure
lei non
cedette. Il dolore era diventato insopportabile e quando
pensò che fosse
arrivata veramente la sua fine, il fuoco si concentrò al
centro della sua
fronte in un’ultima, potente stoccata e poi, così
com’era venuto scomparve. Lentamente
i suoi occhi ripresero il loro
colore abituale, ma lei era del tutto priva di forze così si
abbandonò contro
quelle mani che fino a quel momento, l’avevano tenuta
aggrappata alla vita.
****
Your name a
shadow,
in my dreams, the white
brave still searching
Raining Winds, fall apart.
I believe, your heart King Arthur, Tell me
now (what you see) La
prima cosa
che percepì fu il calore tiepido del sole sulla sua pelle.
Aprì lentamente gli
occhi, intontita come dopo essere stata colpita da uno schiantesimo
così non
riuscì a capire immediatamente dove si trovasse. Gli occhi
le bruciavano e la
sua vista era annebbiata ma poteva sentire chiaramente dei mormorii
sommessi e
l’odore forte ed acre di disinfettante intorno a lei. Qualcuno
l’aveva portata in infermeria,
la domanda era: perché? Più cercava di ricordare,
più la sua mente la
respingeva, come se quei ricordi che lei voleva trovare fossero troppo
dolorosi.
Il
rumore di passi la distrasse dai suoi
pensieri, qualcuno si era fermato accanto al suo letto -
buongiorno – Aveva
la vista ancora annebbiata ma riconobbe
ugualmente quella voce, stranamente sommessa e gentile.
Lui se ne stava fermo accanto al suo letto e pareva
osservarla con uno sguardo misto tra il sollievo e la preoccupazione. -
come ti senti? –senza
aspettare una sua risposta, le poggio
delicatamente una mano sulla fronte e lei, rabbrividì. Fu
quella sensazione di gelo, a far
breccia nei suoi ricordi. Così la sua mente volò
veloce a quel pomeriggio in
cui aveva creduto e desiderato di
morire, quando non c’era stato nessuno a salvarla, tranne
lui. -
meglio – Prese
quella mano che ancora indugiava
sulle sue guancie e la strinse tra le sue, poggiandola sul materasso.
Non
poteva vederlo chiaramente, ma la sensazione fu che lui avesse sorriso.
Lei
si concentrò sulla sensazione che le
davano le loro dita intrecciate e chiuse gli occhi, beandosi di quelle
piccole
carezze, ricordando bene che era stata quella sensazione a tenerla
aggrappata
alla realtà, quel giorno. -
come vanno gli occhi? – chiese Lucius
continuando ad accarezzarle il dorso della mano -
bruciano- surrurrò -
Capisco – sfilò la mano intrecciata a
quella di lei, e la posò sui suoi occhi – Madama
Chips dice che non durerà
molto, questione di qualche ora, forse – Aveva
parlato con un tono di voce
estremamente dolce, lo comprese anche lui nell’istante in cui
la ragazza
abbozzò un sorriso. Corrugò la fronte, ben
consapevole di essere in procinto di
scivolare in un terreno pericoloso per lui e per tutto ciò
che rappresentava.
Eppure, quando tentò di spostare la mano dal volto della
ragazza, quella non si
mosse. Indugiava delicatamente sui contorni di quel viso
d’angelo, saggiando la
morbidezza della sua pelle. Le
sue labbra, così vicine ed invitanti
erano una tentazione troppo forte così si ritrovò
a far violenza a se stesso,
stringendo convulsamente la mano ancora libera. Non si reso conto
dell’intensità con la quale la stava guardando
fino a quando le candele che
fluttuavano accanto a loro non si accesero ed il bicchiere poggiato sul
comò di
fianco al letto non si ruppe. Lucius
imprecò tra se e se, e lei, fata
dispettosa, scoppiò a ridere. -
qualcosa non va, caposcuola Malfoy? – -
questo dovrei essere io a chiederlo,
mia piccola ed inopportuna, NataBabbana- Inconsapevolmente
Isabel trattenne il fiato. Sapeva che avrebbe dovuto arrabbiarsi, per
quell’irrispettoso appellativo, eppure, non c’era
traccia di scherno in quella
frase. Aveva usato un tono così dolce che era quasi riuscito
a farla arrossire.
-
che cosa ti è successo ieri
pomeriggio? – Sapeva
che prima o poi glielo avrebbe
chiesto. Sapeva che sarebbe arrivato il momento delle spiegazioni,
anche se in
tutta onestà non era ben chiaro neanche a lei, che cosa
fosse successo. Si
ricordava soltanto qual’era stata la causa scatenante e dopo
tutto quello che
gli aveva raccontato, non aveva motivo di nascondergli proprio quello. -
non so dirti che cosa mi sia successo
–si
puntò sui gomiti, cercando di
mettersi seduta e subito, lui fu pronto ad aiutarla, sorreggendole le
spalle –
ero uscita a fare una passeggiata, e poi, mi è arrivata una
lettera – sospirò –
è nella tasca destra del mantello, puoi leggerla, se vuoi
– Indugiò
un istante, poi decise che
voleva e doveva sapere così si alzò, prese quel
piccolo pezzo di carta e lesse
quelle poche righe. -
che Black fosse un idiota era risaputo
–celiò Isabel
trattenne il fiato – Bellatrix o
tutto il resto della scuola? – chiese, sospirando Lui
rise – Non è ancora di dominio
pubblico, se è questo che ti preoccupa – la
pergamena tra le sue mani aveva
preso a bruciare, lei se n’era sicuramente accorta ma non
disse niente. Scoprì
che non le importava. -
Slytherin sa mantenere i segreti, a
differenza di voi focosi e sciocchi Gryffindor – Se
non fosse stata così stanca,
probabilmente lo avrebbe preso a schiaffi. -
sei sempre il solito, Malfoy – -
questo- le disse – lo hai sempre
saputo – Lei
chiuse gli occhi. Nascose dietro le
palpebre l’emozione che provava in quel momento, non voleva
che lui vedesse.
Non voleva che lui capisse, soprattutto perché sapeva che
una volta finite le
vacanze, quella tregua, quella pace che avevano stipulato
silenziosamente la
sera della Vigilia, sarebbe sicuramente finita. E tutto, sarebbe
tornato alla
normalità. -
comunque, che cosa c’entra quel
cretino di Black con quello che ti è capitato? – Isabel
sospirò, non aveva una risposta
sensata a quella domanda. -
non ne ho idea – si stropicciò gli
occhi, quella nebbia che aveva davanti era fastidiosa – tutto
quello che so, è
che ero decisamente incavolata. Il resto lo sai, lo hai visto
– Istintivamente
si chiese se lei avesse
compreso l’importanza di ciò che aveva detto.
Molto probabilmente no, si disse.
Lei non aveva la sua conoscenza in materia di arti oscure, quello che
non
capiva però, era come fosse anche solo lontanamente
possibile che un simile
potere si fosse sprigionato da una NataBabbana. Ecco perché
non aveva
riconosciuto subito il problema. Se
era stata veramente la sua rabbia a
scatenare quel potere, forse era meglio metterne a parte anche Silente,
perché
sapeva benissimo che se si fosse ripresentato ancora una volta, molto
probabilmente non sarebbero stati così fortunati. -
è stato orribile – sospirò Isabel,
appoggiandosi
meglio ai cuscini – non riuscivo a respirare, non riuscivo a
sentire o vedere
niente- avrebbe voluto continuare quel racconto, ma quando comprese che
la
paura avrebbe preso il sopravvento, si strinse nelle spalle, cercando
di sdrammatizzare
– un po’ come adesso in fin dei conti-
continuò mal celando un’aria di tedio
assolutamente da manuale - Questa nebbia è fastidiosa
– Dissimulare Un’arte
imperfetta tanto quanto quella
del compromesso. Un’arte in cui quelli come lui avevano
dovuto, loro malgrado,
diventare maestri ancor prima d’imparare da quale parte si
tenesse la
bacchetta. Lui sapeva che aldilà del suo sacrosanto orgoglio
Gryffindor, era
terrorizzata almeno quanto lui. Avrebbe voluto rincuorarla, stringerla
al petto
e sussurrarle che sarebbe andato tutto bene, che non era niente di
grave, che
non avrebbe permesso a niente ed a nessuno di farle del male. Ma le
parole
faticavano ad uscirgli di bocca così, per evitare di dire
qualcosa di
irrimediabilmente stupido, tacque continuando ad accarezzarle
distrattamente i
capelli. -
quando credi che mi farà uscire Madama
Chips? – -
probabilmente verso l’ora di pranzo – Isabel
sbuffò, ed un ciuffo di capelli
che le cadeva sul viso fece una buffa capriola, per poi fermarsi sulla
nuca.
Lucius sorrise, gettando un’occhiata alla grossa pendola alla
sua destra. Era
quasi ora di colazione -
forse è meglio che vada – sussurrò, in
tono poco convinto. In realtà, dubitava fortemente che si
sarebbe mosso di li,
anche sotto Imperius. Isabel
si tese impercettibilmente, non
voleva restare sola. Arricciò per un attimo le labbra, come
una bambina alla
quale hanno tolto il suo giocattolo preferito, poi dopo qualche istante
di
smarrimento, riacquistò la consueta calma e freddezza e
nascose la sua
delusione. Sollevò
un angolo delle labbra e si
voltò verso di lui. I contorni delle immagini si stavano
facendo più nitidi. -
certo – mormorò a bassa voce –
evitiamo altri scandali, la famiglia Black da sola basta e avanza,
giusto? – Quando
l’ultima sillaba di fu spenta nell’aria,
realizzò che aveva pronunciato quelle parole con
più violenza di quanto in
realtà non avesse voluto. Lo capì
dall’irrigidirsi improvviso delle spalle di
lui, e dalla piega dura che presero le sue labbra. Forse, si disse,
aveva
esagerato. Abbassò lo sguardo, dandosi mentalmente della
stupida. -
scusami – Doveva
essere sconvolta. Sicuramente,
altrimenti non si spiegava
il perché di quelle scuse. Perché mai avrebbe
dovuto scusarsi con lui,
dopotutto? -
devi essere veramente sconvolta – Appunto.
Concordava persino lui, con
quell’uscita aveva toccato veramente il fondo. Se mai James
fosse venuto a
saperlo, l’avrebbe fatta internare al San Mungo. -Cielo – commento – a volte sai essere
veramente permalosa, la vicinanza
di Black ti fa male – Alzò
gli occhi al cielo. Macabra
consolazione che almeno quello fosse rimasto uguale. -
taci Malfoy – -
ed orgogliosa anche – continuò – non ho
intenzione di lasciarti, ammetterlo non è poi
così difficile – L’espressione
sul viso del ragazzo si era ammorbidita. Le toccava ancora, leggermente
il
dorso della mano, Isabel contrasse violentemente le dita a pugno quando
si
accorse di essere sul punto di intrecciarle alle sue. Doveva
resistere, si disse. O non avrebbe più avuto il coraggio di
guardarsi allo
specchio. -
devo solo andare a fare colazione – spiegò,
ignorando deliberatamente le
sguardo furente che lei gli rivolgeva – dopotutto,
è colpa tua se ieri sera ho
saltato la cena – Lucius
sorrideva, gentile e condiscendente e lei, davanti a quel sorriso improvvisamente si
sentì dolere il petto. Era
un dolore sordo che sembrava gonfiarle i polmoni sostituendo
l’aria che non
riusciva a respirare. -
sono rimasto qui tutta la notte – Sono rimasto qui
tutta la notte Stava
diventando cianotica. Quelle ultime parole le avevano tolto
l’ultima riserva d’aria
che era riuscita a conservare. Ogni suo sguardo, ogni sua parola le
toglievano
il fiato. Teneva gli occhi spalancati, fissi sulle vetrate alla sua
destra, il
suo sguardo era talmente concentrato che Lucius non si sarebbe stupito
a
vederle esplodere in mille pezzi. Le
posò dolcemente un bacio sulla fronte, e lei
tremò, facendolo sorridere. -
continua a respirare, mia piccola NataBabbana –
celiò – è quello il trucco – Maledetto
Lucius Malfoy e la sua anima nera. L’aveva
fatta arrossire. Con
la solita faccia di bronzo, si diresse verso la porta con un semplice
– ci vediamo
più tardi – Uscì
appena in tempo per evitare le schegge delle ampolle poggiate sulla
scrivania
di madama Chips, queste, andarono ad infrangersi sul pesante portone
dell’infermeria
che chiudendosi, mitigò il suono della sua risata. Quando
anche l’ultimo eco di quella risata si fu perso per i
corridoi della scuola,
Isabel trovò la forza di scoppiare a ridere. Perché
poi, non lo sapeva. Così, nascose la testa sotto il cuscino
continuando a
sorridere. Madama
Chips entrò proprio in quel momento – Oh, molto
bene signorina Halliwell –
disse – a quanto vedo, non è più in
punto di morte, la visita del Signor Malfoy
deve averle giovato –
**** So
bene che dopo tutto questo tempo, ogni scusa pare superflua.
Voglio comunque scusarmi con tutti voi, per quest’attesa. A
mia discolpa, posso
solo dire che non è stato un periodo facile, sono successe
cose che…beh, mi
hanno tenuta lontana dalle fan fiction. Mi auguro che vogliate
perdonarmi e
che, nonostante tutto ci sia ancora qualcuno disposto a leggere i miei
lavori. Sono
tornata a scrivere questa storia dopo così tanto tempo,
eppure riprenderla in mano è stato come tornare a casa. Mi
auguro che non ci
siano più periodi così neri. E che questo nuovo
capitolo possa piacervi. O
almeno, che vi divertiate a leggerlo, come io mi son divertita a
scriverlo. Con
affetto, Eowyn.
- Bene Signorina Halliwell, per me può uscire tranquillamente-
L’infermiera le sorrise bonariamente e la osservò uscire con passo deciso. Isabel varcò la grande soglia di quella stanza con immenso piacere. La calma innaturale che regnava in quel luogo, la metteva a disagio. Forse si disse, esserci stata rinchiusa per più di un mese lontana da tutto e da tutti, non le aveva giovato.
Quando la pesante porta le sbatté alle spalle, istintivamente sussultò. Aveva imparato a nascondere bene i suoi sentimenti, ma troppe cose erano successe in quei giorni e le sue barriere iniziavano a cadere. Sospirò, stringendosi nel mantello. Forse, si disse, era naturale. Era naturale per una ragazza di sedici anni avere paura. Che fosse una Gryffindor aveva poca importanza.
Chiuse gli occhi, appoggiandosi ad una delle grandi finestre dietro di lei. Cercò di mettere in pratica ciò che Silente le aveva insegnato l’anno precedente: rinchiudere rabbia e paura in un angolo remoto della sua mente. Scoprì che non era facile come aveva inizialmente pensato così aprì gli occhi, concentrandosi sulla luce del sole.
Aveva smesso di nevicare, constatò. Il cielo era limpido e terso, le acque del lago nero brillavano sotto i raggi del sole e gli studenti rimasti si concedevano un momento di pace. Aprì la finestra e sempre ad occhi chiusi, trasse un profondo respiro.
L’aria era fresca, pulita, si poteva sentire chiaramente il profumo degli alberi, mischiato a quello dei camini – perennemente accesi. Sorrise, pensando che dopo tutti quegli anni la sua mente collegava quel profumo ad una sensazione di pace. Di casa.
Più di una volta si era soffermata a pensare a come sarebbe stata la sua vita senza magia. Senza poteri. Senza Hogwarts. Non sapeva spiegarsi perché la sua mente di tanto in tanto si divertisse a molestarla con certi pensieri. Sembrava si divertisse a tormentarla. Ma lei sapeva che, per quanto a volte pensasse che quello non fosse il suo posto, che forse sarebbe stato tutto più semplice senza magia, non era così. C’era una ragione se il giorno in cui era nata, la piuma magica che ogni giorno scriveva su quella pergamena i nomi dei bambini che nascono con il dono, aveva scritto anche il suo.
Sentiva, dentro di sé, che quella era la sua casa. Lei, era li per una ragione. Che fosse nata in una famiglia di babbani, era solo uno scherzo del destino.
-Scherzo crudele, oserei dire –
Non lo aveva sentito avvicinarsi. Ma non si sorprese, aveva la straordinaria capacità di spuntare fuori dal nulla. Conosceva passaggi di cui neanche la mappa del malandrino era a conoscenza e sapeva, poiché lo aveva constatato lei stessa, che Lucius Malfoy non era persona alla quale poteva sfuggire qualcosa. O, in questo caso, qualcuno.
Era riuscito a trovarla in ogni occasione in cui il suo capriccio, od il suo bisogno, l’avevano portato da lei. In quel preciso istante, se ne stava appoggiato al muro le braccia incrociate sul petto, il pesante mantello nero faceva bella mostra dello stemma di Slytherin, ma non era quello della divisa. Sapeva bene che la stoffa era troppo soffice al tatto, probabilmente era fatto su misura. Ed era impregnato del suo profumo.
Quando lo vide sorridere, con quel suo solito sorriso sghembo, si pentì immediatamente di quel pensiero.
- Malfoy –
Non lo stava chiamando. Era piuttosto una semplice constatazione, mista ad un insulto. E lui rise.
Isabel istintivamente pensò che quella era la prima volta che udiva la sua risata. Quella vera, non quella di scherno che era solito riservare a chiunque non fosse nelle sue grazie.
-Lo hai sempre saputo, mia inopportuna NataBabbana –
Si. Sapeva chi era. Lo sapeva da sempre. E nonostante tutto in lei le dicesse che quella tregua non poteva durare per sempre, scoprì che dopotutto, non le importava.
Il suo essere una Gryffindor le imponeva di non fidarsi di chiunque portasse sul petto lo stemma della casata di Slytherin, ma, non c’erano Gryffindor quando si era ritrovata sola nelle cucine della scuola, la sera della vigilia di Natale. Non c’erano Gryffindor neanche il giorno prima.
C’era solo lui.
Così alla fine, sorrise, avvicinandosi a lui quel tanto che bastava da poter assaporare il suo profumo.
-Suppongo di si, caposcuola Malfoy –
****
- “Gairm Falachd”, letteralmente “Richiamo del Sangue” o “Canto della Vendetta”-
Una profonda voce maschile giungeva dall’altro lato della stanza, insieme al crepitio delle fiamme ormai quasi spente.
-Non so dirti molto di più, non c’è molta documentazione al riguardo. So solo che è un potere molto antico e potente –
Non aggiunse altro, consapevole che comunque, l’altro sarebbe arrivato da solo all’ovvia conclusione.
Il vecchio preside sospirò, chiudendo gli occhi. In quel preciso istante, si disse la Professoressa McGrannit mostrava tutto il peso dei suoi anni.
-Erano anni che non sentivo parlare del Richiamo del Sangue. – disse infine – speravo che tutto questo potesse essere in qualche modo evitato –
Minerva McGrannit in quel momento tremò. Se persino Albus Silente non conosceva soluzione a quel problema, allora il destino di quella povera ragazza era veramente segnato. Ricordò con orrore ciò che era successo l’anno prima e ciò che aveva causato, ma era niente, paragonato a ciò che stava per accadere.
-Dunque non c’è veramente niente che si possa fare, Albus? –
Il preside sospirò, nascondendo la preoccupazione dietro una maschera di falsa calma.
-C’è sempre speranza Minerva – disse – fino a quando sarà al sicuro dentro i confini di Hogwarts, dubito che le sorelle possano arrivare a lei, ma, il Richiamo del Sangue è un potere molto forte. Se sono riuscite a percepirlo, sicuramente non tarderanno ad arrivare –
Con quelle parole, Albus Silente aveva decretato la conclusione della conversazione, Minerva lo sapeva bene. Qualunque fossero i suoi piani, li avrebbe tenuti per se, come faceva sempre.
-Grazie mille comunque, Alastor. –
L’Auror sorrise e salutò, poi scomparve tra le fiamme. Silente, non appena l’ultima fiamma si fu spenta chiuse gli occhi.
Una nuova partita a scacchi contro il destino era appena iniziata. E stavolta, non era sicuro di riuscire a cavarsela a poco prezzo.
****
When doubts arise the game begins
The one we will never win, my baby
It always ends up in tears...
HIM, Pretending
Dicembre volò via veloce com’era arrivato, ed in men che non si dica Hogwarts tornò ad essere invasa dal solito cicaleccio di studenti ben poco inclini al ritorno ai banchi di scuola.
Isabel osservava il via vai di carrozze dall’alto dei corridoi vicini alla Sala Grande. Con la fine delle vacanze di Natale sarebbe finita anche quella tregua silenziosa che aveva stipulato con LUI? E che cosa avrebbero detto gli altri se lo avessero scoperto?
Sospirò, chiudendo gli occhi e beandosi degli ultimi istanti di pace che il silenzio di quei corridoi poteva regalarle. Poi, nascondendo il suo turbamento e le sue preoccupazioni dietro la solita maschera di finta calma, riprese a camminare. Fingere
Era il prezzo che pagava chi non aveva il coraggio di affrontare le proprie paure. Poco importava che così facendo facesse del male a se stessa.
Abbozzò un mezzo sorriso, dandosi mentalmente della stupida per quella considerazione maldestra. Poi il suo passo tornò a risuonare sicuro e deciso lungo il corridoio. C’era qualcosa di innaturale nel suo incedere come se non ci fosse nessun’altro intorno a lei.
Il sole era tornato a far capolino tra la spessa coltre di nubi, effimero preludio di una primavera ancora lontana. Aveva lo stesso colore dei suoi capelli. Stupida
A metà del primo piano incrociò una piccola combriccola di Slytherin del secondo anno, registrò con noncuranza i loro sorrisi sarcastici. Macabra consolazione che almeno quello fosse ancora normale, ed ancora più irrilevante che al suo primo sguardo abbassassero la testa con la coda tra le gambe.
A quel pensiero istintivamente rise, gettando indietro la testa. Per la prima volta da giorni, poteva dirsi finalmente serena, così accelerò il passo sperando di poter accorciare anche il tempo che la separava dal ritorno di Lily.
Poco lontano dalla sua metà, capì perché correre per i corridoi era caldamente sconsigliato.
-Maledizione! – ringhiò – bada a dove metti i piedi! –
Non aveva neanche degnato di uno sguardo il povero malcapitato che le era andato a sbattere contro, ed era già pronta a sfidare a duello chiunque si fosse azzardato a proferir parola, poi realizzò di chi si trattasse e dubitò fortemente della sua poco nobile intenzione.
Ancora sdraiato ai suoi piedi se ne stava un ragazzo piuttosto gracilino, dai capelli neri e perennemente unticci. Si ricordava perfettamente la prima volta che lo aveva visto e dell’impressione che ne aveva avuto. Solitudine
Questa era la parola che da sempre, lei associava all’immagine di Severus Piton.
-Halliwell – Severus ignorò bellamente lo sguardo di sfida che l’altra gli stava rivolgendo, alzandosi con tutta la calma che lo contraddistingueva – vedo che, alla fine l’influenza di Potter e compagnia ha dato i suoi frutti –
Isabel sorrise, tra lei e Mocciosus era stata stipulata una tacita tregua anni orsono per amore della loro comune amica. Ciò non toglieva però che ogni occasione fosse buona per ristabilire l’ordine primordiale delle cose, che voleva che Gryffindor e Slytherin provassero a scannarsi ad ogni occasione utile.
-Piton – disse lei con una flemma sorprendentemente strascicata - le tue brillanti deduzioni hanno sempre il potere di sorprendermi. –
-Finitela voi due –
Calda, piena, ricca e cristallina la voce di Lily Evans li raggiunse alle loro spalle.
-E’ mai possibile che io non possa lasciarvi soli due minuti, che subito cercate di ammazzarvi a vicenda?-
Severus cercò di borbottare qualcosa, nascondendosi dietro un piglio a metà tra il contrariato e l’imbarazzato.
Sebbene cercasse di nasconderlo (probabilmente anche a sé stesso), odiava essere preso in giro da lei.
-Avessi voluto ammazzarla, lo avrei fatto anni fa – celiò – stanne certa –
Lily rise, prendendo sotto braccio entrambi.
-Oh, ne sono certa Severus –
La sua risata era contagiosa. Isabel lo aveva pensato sin dal primo momento in cui si erano incontrate, sei anni prima. Lily Evans era una ragazza particolare, dalle mille sfaccettature e dai mille segreti. Difficilmente avrebbe mai scoperto il perché di quella strana relazione con Severus Piton, ma non avrebbe fatto domande.
Questo era il tacito accordo tra le due.
Lily non faceva domande su quanto accaduto con i suoi, lei non chiedeva di Piton.
-Grazie della fiducia, Evans – ribatté contrariata - mi fa piacere sapere che approvi i piani omicidi di Piton –
La rossa rise di gusto, strappando un mezzo sorriso anche agli altri due. Severus tuttavia fu lesto a nascondere quel sorriso non appena altri Slytherin si affacciarono all’orizzonte.
-Bene, dato che il siparietto di rito è finito, io me ne vado –
-No, Sev - disse Lily – resta, andiamo a prenderci un caffè in sala grande –
Gli occhi dello Slytherin si soffermarono sui compagni. Forse, un giorno, avrebbe trovato il coraggio di lottare davvero per le cose (persone) alle quali teneva.
-No, meglio che vada. – Disse, cupo – Ci si vede in giro, Evans –
Isabel vide l’amica incupirsi e scuotere mestamente la testa.
Il rapporto con Piton non era mai stato semplice, ed aveva visto le cose complicarsi ancora di più da quando un certo prefetto Gryffindor aveva iniziato a girarle intorno.
-Prima o poi capirà, Lil – le disse
-No, Isa – rispose per l’altra - purtroppo non credo lo farà mai –
Per un istante l’allegria dell’amica parve scomparire, vide un velo di tristezza coprire il verde intenso dei suoi occhi. Le spalle irrigidirsi mentre si appoggiava alla balaustra delle scale.
Sospirò, appoggiandosi accanto all’amica. Il suo sguardo indugiò per un istante sul via vai di gente che affollava il corridoio più popolare di Hogwarts, si appoggiò sui gomiti e cercò di ignorare il battito perso quando i suoi occhi incrociarono quelli di Lucius.
-Hai notizie di Potter e compagni? – chiese, voltandosi verso l’amica
-Sono già arrivati – le rispose – Sirius è corso in sala comune e poi si è chiuso in dormitorio –
Isabel si irrigidì istintivamente. L’idea di rivederlo non la rendeva per niente tranquilla. E se si fosse arrabbiata? Se avesse perso il controllo come giorni prima?
-Hai saputo? – chiese, cercando di ignorare la sensazione di sconforto e disagio che la stava attraversando
-Che cosa? – Chiese la rossa – dell’enorme cavolata che ha fatto? Si – continuò – so tutto. James e Remus mi hanno mandato un gufo qualche giorno dopo il fattaccio –
Mhm-
-Che cosa ne pensi? Ci hai parlato? –
Sul volto di Isabel si dipinse un sorriso sarcastico. Sogghignò, sibilando – No – staccò le mani dalla balaustra. Invitando l’amica a seguirla.
Un gruppo di Slytherin capeggiato da Bellatrix Lestrange si stava dirigendo verso di loro.
-Meglio cambiare aria – Continuò – Andiamocene al Club –
Il Club dei duellanti in quei giorni era il rifugio perfetto per chiunque desiderasse trovare un po’ di pace. Le riunioni ufficiali erano sospese fino a metà Gennaio e nessuno si sarebbe mai sognato di presentarsi prima delle 11 di sera, per quelle meno ufficiali ma decisamente più alcoliche.
Non c’era da stupirsi quindi, se il custode della porta fu molto sorpreso di vederle arrivare.
-Dividi Et Impera – disse decisa, ignorando le rimostranze del malcapitato quadro
-Hanno cambiato parola d’ordine? – Chiese Lily
-Idea di Malfoy – rispose distratta Isabel. Ma dove aveva nascosto gli alcolici?
-Idiota –
Isabel sbuffò, ignorando volutamente l’insulto. – Eccoli! –
-Ma che stai facendo? –
-Se dobbiamo parlare di Black, sappi che non posso farlo da sobria –
Lily alzò gli occhi al cielo – ma sono solo le 2 di pomeriggio! –
-A quanto so, non c’è una legge che vieta di bere prima delle 6 – prese due bicchieri e fece cenno all’amica di sedersi con lei. Quanto voleva raccontarle? Tutto? Oppure quanto bastava?
Poteva raccontarle della sera della vigilia? Di Lucius? Di quanto le era successo dopo la lettera di Sirius?
Scoprì di non avere una risposta certa a quelle domande e la cosa non le piacque.
Forse era meglio andarci piano con il Gin.
Poggiò le labbra al bicchiere e lasciò che il primo sorso le bruciasse la gola. Assaporò quella piacevole sensazione di torpore e sorrise.
-Sirius è uno stronzo – Esordì. – Idiota, borioso, arrogante, stronzo –
Lily si sedette, si sistemò i capelli poi si avvicinò alla bottiglia di Gin, non guardò neanche il bicchiere che l’amica le stava porgendo.
Se quello era l’inizio, si disse, i bicchieri erano del tutto superflui.
-Questo non è una novità, Isa –
La mora annuì, nascondendo lo sdegno dietro il bicchiere – Oh, è vero – continuò – ma questa volta ha davvero passato il limite -
Complice il Gin, le parole le rotolarono fuori più facilmente di quanto non avesse pensato. Ad ogni parola che pronunciava sentiva la rabbia trasformarsi prima in sconcerto e poi in rassegnazione. Sapeva che le cose non sarebbero state più le stesse. La sua lettera, sebbene adesso la vedesse per quella che era in realtà: lo sfogo di un adolescente ferito nell’orgoglio, aveva creato una crepa che difficilmente sarebbe riuscita a sanarsi.
Per quanto tenesse a Sirius, per quanto i suoi sentimenti fossero vicini all’amore, non sarebbe riuscita a perdonare del tutto il suo gesto.
Con accurata e minuziosa attenzione era riuscita ad omettere dal racconto anche Lucius ed il suo soggiorno in infermeria. Non sapeva che cosa le fosse accaduto, non sapeva quanto potesse essere grave la cosa e fino a che non avesse ottenuto le risposte che cercava, preferiva tenere fuori da quella storia l’amica.
Lily Evans aveva già i suoi problemi. Non c’era bisogno che si caricasse anche dei suoi.
-Dimmi che è uno scherzo –
Le chiese, una volta finito il resoconto dei “Mille ed Uno motivi per i quali Sirius Black è un Idiota”
-Magari lo fosse - Rispose lei inghiottendo un altro shot – ma no, è tutto vero –
Lily si scolò d’un fiato il contenuto del suo bicchiere, scuotendo mestamente la testa
-E’ un idiota, questo si sapeva – continuò – ma fino a questo punto non avrei creduto. –
Isabel si strinse nelle spalle
-Ho perso definitivamente le speranze di recuperare la sua sanità mentale, Spero almeno di riuscire a non ucciderlo in sala comune -
-Isa –
-Mhm –
-Mi dispiace –
-Passerà – sosprirò – passano sempre, dopotutto -
****
Troubled times Caught between confusions and pain, pain, pain Distant eyes
Journey, Separate Ways
Quanto può essere difficile vivere nel solito dormitorio, frequentare le solite lezioni e non incontrarsi mai?
Non si era presentato ai corsi dei due giorni precedenti. Due bottiglie di FireWhiskey perse con Lil.
James, Remus e Peter, da bravi sostenitori del genere maschile, in quel frangente non erano assolutamente d’aiuto.
Aveva sperato di riuscire a beccarlo almeno durante la loro solita scorribanda notturna, si era detta che almeno sotto forma di cane sarebbe stato ragionevole, ma aveva saltato anche quella.
-Prima o poi dovrà uscire da quella cazzo di stanza! – sbottò la mattina del sesto giorno
James quasi si strozzò con il porridge - Linguaggio ragazzina! –
Per tutta risposta lei lo ricambiò con una gomitata
-Non me ne frega niente del Linguaggio, James – rispose, lapidaria – voglio la testa di Sirius Black su di un piatto d’argento –
-Isa, cerca di capirlo – intervenne Remus – non è un gran periodo questo per lui, sta solo cercando di metabolizzare quello che è successo –
Lei alzò gli occhi al cielo. Ma perché dovevano essere tutti così comprensivi con Sirius Black? Perché erano sempre tutti pronti a giustificarlo e difenderlo?
-Moony, con tutto rispetto – doveva aver usato un tono poco amichevole, perché vide Lily irrigidirsi e sgranare gli occhi – so che avete fondato l’associazione per la salvaguardia degli imbecilli. Ma questo non cambia le cose – sospirò – Pad è un idiota. Voglio avere la soddisfazione di dirglielo in faccia. Almeno questo me lo deve, visto che “ la sua vita non è affar mio” –
Silenzi imbarazzati, per i tre malandrini improvvisamente il porridge era diventato estremamente interessante.
-Non è così Isa – si azzardò a commentare in un momento di ritrovato coraggio Peter – Vedi, Siriu –
-Fatti gli affari tuoi, Peter –
Cupa e profonda, la sua voce era spuntata fuori dal nulla.
Non indossava la divisa, né il suo solito profumo. Forse era per questo che non lo aveva sentito arrivare, si disse.
Ed ora era lì davanti a lei. I capelli spettinati, lo sguardo spento. Gli occhi solcati da profonde occhiaie.
Il Sirius Black che si era appena palesato in sala grande era l’ombra del ragazzo che ricordava. Restò in silenzio, osservandolo mangiare distrattamente.
Non le disse una parola, a stento le rivolse un’occhiata distratta. Lei fece finta di non accorgersene, continuando a parlare con Lily.
Fu solo quando vide James e Remus alzarsi, che decise di rompere quel silenzio innaturale
-Dobbiamo parlare –
Sebbene fossero distanti e non lo stesse neanche guardando, sentì la tensione salire. Percepì le sue spalle irrigidirsi ed il suo sguardo posarsi su di lei.
-Quindi? – continuò, incurante
Lui si alzò, guardandola dall’alto in basso – se vuoi parlare – disse – parliamo –
Isabel si alzò, si sistemò il mantello della divisa sulle spalle. Senza dire una parola si diresse verso l’ingresso della sala grande. Non si voltò, ma sapeva che la stava seguendo.
Sentiva gli occhi di metà del corpo studentesco su di se e, sapeva che anche lui la stava guardando. Non avrebbe saputo spiegarsi il perché, ma questa consapevolezza le dava forza. Con la coda dell’occhio lo vide bloccare Regulus e Bellatrix, che contrariati, si misero nuovamente a sedere.
Varcato il portone della Sala Grande sentì chiaramente il brusio delle voci, le gemelle di Ravenclaw le dovevano almeno 40 galeoni per quella scena. Avevano di che spettegolare per il prossimo mese.
Cielo, come odiava tutta quella situazione.
Chiuse gli occhi, l’aria di gennaio era fredda e pungente. Le solleticava la pelle del volto, arrosandola. Inconsciamente sperò che servisse anche da anestetico.
-Allora? –
-Come sarebbe a dire “allora”? –
-Sei tu che hai voluto trascinarmi qui, per “parlare” - nervosa ed infantile la voce di Sirius ebbe il potere di farla tremare di rabbia. Strinse convulsamente i pugni, così tanto da conficcarsi le unghie nei palmi, ferendosi. Ringraziò mentalmente di avere il mantello con se, così da poterle nascondere.
- oh, certamente – sibilò sollevando gli occhi al cielo – il grande Sirius Black non da mai spiegazioni -
Lo osservò distogliere lo sguardo, passandosi una mano tra i capelli corvini. Gli occhi cerulei carichi di stanchezza.
Sapeva che sarebbe bastata una sua parola per rendere tutto meno…doloroso. Ma Isabel rimase in silenzio, in attesa.
- Che cosa vuoi che ti dica, eh? - sputò quelle parole con più violenza di quanto in realtà non avesse voluto – vuoi delle scuse? Vuoi che mi prostri ai piedi della regina di Hogwarts ed implori il tuo perdono? –
Lei alzò nuovamente gli occhi al cielo, restando in silenzio. Sperò con tutto il cuore che l’altro non si accorgesse del tremolio che la stava attraversando. Cercò di calmarsi, tentando di riacquistare la sua consueta freddezza.
Avrebbe voluto parlare con dolcezza melliflua, ma tutto quello che uscì fuori dalla sua bocca fu una risata stridula ed arrogante
-No certo – disse – sia mai che Sirius Black si abbassi a tanto – lo guardò carica di disprezzo – Sirius Black non si scusa. Sirius Black, lo stregone non deve chiedere mai –
Lo vide irrigidirsi e guardarla in cagnesco
-Tu, il primo Gryffindor della tua famiglia, l’erede della fortuna Black, il ragazzo più invidiato di Hogwarts. Ottieni le cose semplicemente schioccando le dita, non hai neanche bisogno di impegnarti. Che cosa puoi saperne, tu, dell’umiltà? –
-Smettila –
-No, Sirius, non smetto. E non smetterò. – disse lapidaria – So che pensi di essere il centro dell’universo, beh, notizia flash: non è così –
Lui restò in silenzio, sapeva che se avesse aperto bocca adesso non avrebbe fatto altro che peggiorare le cose.
Così, vedendolo tacere, lei continuò.
-Cosa vuoi sentirti dire, eh? – gli urlò contro – che hai fatto una vita schifosa? Che la tua famiglia fa schifo? Che la tua famiglia non ti capisce, ti odia, ti rende la vita impossibile e che hai tutto il diritto di calpestare gli altri ed i loro sentimenti perché tu, poverino, hai vissuto una vita di merda? –
Aveva pronunciato quelle parole con un tono così freddo da risultare più dura e cattiva di quanto in realtà non volesse.
-Oh, Finiscila Isa – rispose Sirius – sappiamo entrambi che tutta questa sceneggiata non ha a che fare con me –
-Cosa vorresti insinuare? –
Lui scoppiò a ridere, crudele
-Sei tu, il problema –
Una folata improvvisa le attraversò il mantello, facendola rabbrividire. Si, disse a se stessa, senz’altro è colpa del vento.
-Il problema sei tu. Ed il tuo orgoglio ferito- continuò lui lapidario – Non ti è mai piaciuto sentirti messa da parte. Non hai mai capito che non voglio tu ti intrometta nei miei affari. Far parte del nostro gruppo non ti da il diritto di venire a sentenziare sulla mia vita, sulle mie scelte. Quello che provo per te, non ha nulla a che fare con tutto il resto –
Tipico di Sirius Black. Feriva, per evitare i suoi problemi. Ma lei era stanca di tutto quello. Stanca delle sue sceneggiate, stanca dei suoi modi. Stanca del suo voler essere per forza al centro del mondo. Stanca dei suoi modi. Stanca di quella situazione indefinita che si era creata tra loro.
Nell’ultimo anno lei era cambiata. Le erano successe troppe cose e non aveva più la pazienza per poter gestire anche lui.
-Perfetto – disse lei – allora ti facilito le cose come al solito, Black. –
Vide l’altro irrigidirsi e lei sorrise, sorniona
D’ora in avanti non dovrai più preoccuparti delle mie intromissioni -
-Cosa intendi dire? –
- Hai capito perfettamente – gli rispose – non ho intenzione di avere a che fare con un bambino viziato, perciò tolgo il disturbo. Non dovrai più preoccuparti di quello che c’è, o non c’è tra noi –
Sirius provò ad avvicinarsi, adesso il suo sguardo non era più duro e fiero. Vide un lampo di sconcerto attraversare i suoi occhi, incredulo.
- Halliwell, io non intendevo dire …-
Lei accennò un sorriso sarcastico
- Si invece, intendevi dire esattamente quello che hai detto –
Provò a toccarle una mano, borbottando sommariamente delle scuse, ma lei si scansò in fretta
- so che probabilmente nella tua testa questo discorso ti era uscito decisamente meglio, ma le cose una volta dette non possono essere cambiate – commentò lapidaria – ti do un ultimo consiglio, da amica: cerca di crescere in fretta, Sirius. O finirai con il restare solo. Oggi hai perso me, spero tu non faccia lo stesso anche con gli altri –
-Isabel –
- Hai bisogno di sentirtelo dire? – disse voltandogli le spalle- E’ finita, Sirius –
- Isabel, ti prego…-
Sapeva che cosa voleva dirle. Sapeva che quel suo supplicare nascondeva molto altro. Mesi prima l’istinto le avrebbe detto di voltarsi ed abbracciarlo. In quel preciso istante ringraziò di gli Dei di essersi voltata. Strinse i pugni, cercando di parlare con un tono calmo.
- E’ stata una tua scelta, Sirius. Mi dispiace –
Non si voltò, ma avrebbe giurato di sentirlo piangere, prima di andarsene.
****
You'll be running out of miracles Like I'm running out of dreams Madness lurking to my left Angels faint in front of me
Avantasia, The Wicked Symphony
Lily Evans illustrò la sua opinione a Sirius Black qualche giorno dopo, nel bel mezzo della sala grande. All’ora di cena.
Per la verità, i tre quarti del corpo studentesco la videro entrare con un passo così militaresco e furioso da far tremare anche le orde infernali. Non proferì parola, quando si avvicinò al ragazzo. E, sorprendentemente, sorrise.
Lui, interdetto, abbozzò un sorriso a sua volta. E lei lo schiaffeggiò, scaraventandolo giù dalla panca.
Poi girò sui tacchi e se ne andò, così come era arrivata.
Dall’ingresso della sala grande, Isabel aveva assistito all’ultima parte della scena. Tra se e se, pensò che quella sera tanto valeva andare a letto senza cena.
Non aveva voglia di subire né gli sguardi né gli interrogatori degli altri studenti. Né tanto meno di sorbirsi le prediche di Remus e James, che sicuramente la stavano aspettando al varco. Stringendosi nel pesante mantello di lana, sospirò e prese a camminare senza una meta precisa.
Lascio che le scale ed i corridoi scegliessero la sua destinazione, sicura che qualsiasi posto sarebbe stato più piacevole della sala grande o della torre Gryffindor.
Strano, si disse, come la vita e le situazioni possono cambiare nel giro di poco tempo. Soltanto un mese prima quelle persone e quei luoghi le trasmettevano sicurezza e pace, adesso invece fuggiva da loro e da quei sentimenti, da quei pensieri era lontana almeno due lustri. La vita intorno a lei cambiava vorticosamente, portandole via sogni e speranze. Sentiva su di lei incombere una nube oscura e questa cosa la terrorizzava.
Persa nel flusso incessante dei suoi pensieri, non si era accorta di essere quasi arrivata ai sotterranei. Non conosceva quei corridoi, labirinto intricato di trappole mortali e passaggi segreti. Si dette della stupida, avrebbe potuto prendere in prestito la mappa, almeno non si sarebbe trovata a dover vagare in eterno in quella parte di castello.
Pareti grigie, spoglie ed illuminate soltanto dalla luce soffusa e perenne delle torce. Un corridoio infinito, apparentemente senza uscita. Non era quello che portava alle cucine, ed era abbastanza sicura che non fosse neanche quello che conduceva all’alloggio di Gazza.
- se svolti a destra, poco più avanti, ti ritroverai dritta alle stanze del Prof. Slughorn –
Le era arrivato alle spalle senza che lei se accorgesse. E come avrebbe potuto?
Lucius Malfoy aveva, oltre all’innata capacità di sorprenderla ed irritarla, un talento unico per palesarsi davanti a lei al momento più opportuno.
- ti sei persa? – Le chiese, avvicinandosi
Isabel non riuscì a proferire parola. Così si limitò a scuotere leggermente la testa, sperando che lui non si accorgesse del suo disagio.
Lucius per tutta risposta sospirò profondamente. – Hai mangiato? - senza aspettare una sua risposta le prese gentilmente una mano, invitandola a seguirlo – vieni, ti accompagno alle cucine –
Lui sapeva. Ne era certa. Quella consapevolezza ebbe il potere di farla tremare.
- Si, so tutto – disse con voce tagliente – voi focosi Gryffindor non sapreste nascondere un segreto neanche sotto incanto Fidelio –
- finiscila, Malfoy –
- Oh, allora sai ancora parlare –
Maledetto Malfoy, c’era cascata con tutte le gambe. Se qualcun altro si fosse azzardato a leggerle la mente e poi prenderla in giro, probabilmente lo avrebbe impiccato al platano picchiatore. Perché con lui non ci riusciva?
- aspettami qui –
- perché? –
Lui non si degnò neanche di risponderle, chiudendosi alle spalle la porta delle cucine. Lo vide tornare cinque minuti più tardi, con due buste ricolme di cibo.
- andiamo – le disse – Gazza uscirà tra poco, ed è meglio non ci trovi in giro –
Isabel scrollò le spalle e si decise a seguirlo in silenzio, godendosi la calma e la pace che quel ragazzo le regalava. Teneva gli occhi puntati sulla schiena di lui, così, senza sapere come ci fosse arrivata, minuti o forse ore più tardi, si ritrovò davanti all’arazzo di Barnaba il Babbeo.
- Come siamo arrivati al settimo piano? – chiese sorpresa
- camminando –
Lo guardò accigliata e lui rise, fece per rispondere qualcosa ma si bloccò. Una porta era appena apparsa davanti a loro.
Sciocca, si disse. Era ovvio che Lucius Malfoy conoscesse la stanza delle necessità.
Lucius aveva desiderato un posto tranquillo dove poter stare in pace. La stanza delle necessità lo aveva accontentato trasformandosi in un piccolo salotto in stile ottocentesco, con pareti in legno, un camino, una grande vetrata angolare che si affacciava direttamente sul lago nero. Ed un mobile bar rifornito di ogni alcolico conosciuto.
- Quindi, è questo che fai quando non ti si vede in giro? – chiese lei scherzosamente – salvi ragazze in difficoltà e le porti qui? –
Lui scosse la testa, sorseggiando del Whiskey.
- solo il martedì ed il giovedì - si sedette sul tappeto di fronte a lei, appoggiando la schiena alla poltrona. Allentò il nodo della cravatta e la guardò – allora, ne vuoi parlare? –
- Non avevi detto di sapere già tutto? –
- oh, io so quanto basta e quanto è arrivato alle orecchie Slytherin. Quello che vorrei sentire è la tua versione dei fatti –
Isabel irrigidì le spalle e cercò di dipingersi sul volto la sua solita espressione altera. Sapeva che fingere con lui era inutile, ma l’idea di non sembrare una patetica adolescente ferita la rassicurava.
- c’è poco da aggiungere alla versione ufficiale – disse poi in tono pungente - Sirius Black è un idiota immaturo. Io mi sono semplicemente stancata di stargli dietro –
- tutto qui? –
Lei annuì, portò le gambe sul divano e si appoggiò su di un gomito. – se vuoi sapere qualcosa in più sul motivo della sua fuga, purtroppo non posso accontentarti. Sono argomenti top secret, per me-
Lucius la guardò ancora, lo sguardo stanco carico di malinconia. Era la prima volta che vedeva quell’espressione dipinta sul suo volto, questo pensiero la fece trasalire sebbene fu lesta a nasconderlo.
- Piani Dinastici – esclamò poi a denti stretti - ecco il motivo –
Isabel lo guardava interdetta. Non rispose, né fece domande. Restò in silenzio, consapevole che lui avrebbe parlato non appena avesse riacquistato abbastanza calma da poter affrontare quel discorso.
- Si, mia inopportuna NataBabbana – La sua voce adesso era neutra e distaccata – ogni casata ha il suo e Black ne fa parte. I nostri genitori tramano e tessono le tele delle nostre vite a loro piacimento, informandoci di tanto in tanto, quando lo ritengono opportuno. A Black il suo piano non andava a genio, così ha pensato bene di farsi diseredare e lasciare l’incombenza a quel disgraziato del fratello – bevve d’un fiato il contenuto del suo bicchiere, distogliendo lo sguardo da lei – chissà che in realtà, non sia stato il più furbo di tutti -
Lei restò in silenzio. Anche senza le spiegazioni di Lucius, aveva capito che i problemi di Sirius riguardavano un argomento del genere. Ma potevano mai essere così terribili i piani della sua famiglia?
- I Black sono una famiglia antica – continuò Lucius – ed una famiglia antica ha sempre armadi pieni di scheletri –
- Anche tu hai un piano dinastico da rispettare? –
Lo vide irrigidirsi e stringere il bicchiere con forza eccessiva. Non si sarebbe stupita nel vederlo finire in frantumi. Un velo di rabbia gli attraversò lo sguardo, quando si posò su di lei.
- il mio piano dinastico, mia inopportuna NataBabbana, si chiama Narcissa Black –
Isabel trattenne il respiro. Perché poi? Che cosa poteva importarle?
- Il matrimonio è previsto subito dopo il suo diploma a Beauxbatons –
- da quanto tempo lo sai? –
- un mese – si avvicinò a lei quel tanto che bastava da portele toccare i lembi del mantello – mio padre mi ha spedito un gufo per informarmi, la sera in cui ti ho baciata –
Isabel tese una mano esitante e la poggiò sul suo braccio, ma lui parve non accorgersene.
- “preserveremo la purezza del sangue e la nobiltà delle nostre casate”. Tutte stronzate –
C’era rabbia repressa nella sua voce e questo la fece riflettere: aveva passato anni a coltivare il suo odio per i membri della casa Slytherin, odio alimentato dai racconti e dalle leggende della scuola e del mondo magico. E, pensò, se tutto quello che si diceva in giro degli Slytherin non fossero altro che leggende raccontate male? Poteva bastare semplicemente l’appartenenza ad una determinata casata, per determinare il grado di onestà di una persona?
Non aveva una risposta a tutte quelle domande, forse complice anche il troppo Gin e la scarsa quantità di cibo che aveva mangiato, ma, in quel particolare istante Lucius Malfoy non le sembrava il mostro che aveva sempre dipinto nella sua testa.
In quel momento, in quel preciso momento, davanti a se non aveva un mostro. Ma solo un ragazzo di diciassette anni, con troppo peso sulle spalle.
- non hai una via d’uscita, vero? – gli chiese
Lui si passò una mano tra i capelli e sospirò –questa volta no –
Non sapeva cosa dire. Non era mai stata una grande oratrice, così, fece l’unica cosa che sapeva avrebbe recato un po’ di conforto ad entrambi. Si allungò verso di lui, obbligandolo ad allargare le gambe, gli sfilò il bicchiere dalle mani e lo strinse a se lasciando che la sua testa affondasse sul suo petto.
Inizialmente lo sentì irrigidirsi per la sorpresa, poi, percepì il calore delle sue mani sulla schiena. La strinse a se talmente forte da farle male, ma non protestò.
Rimasero abbracciati in silenzio per un tempo indefinito. Isabel ebbe l’impressione che lui respirasse il più profondamente possibile, piano, così da non turbare quello strano equilibrio e poter assaporare il calore piacevole del suo corpo.
- Hai ancora fame? – gli domandò a bassa voce
- No, sono abbastanza sazio –
Alzò la testa per guardarla negli occhi e la vide arrossire, turbata.
- qualcosa non va? – la aiutò ad alzarsi, il pavimento iniziava a diventare scomodo.
La stanza delle Necessità, invadente e maliziosa, in risposta a quel suo pensiero fece apparire alla loro destra un grande letto a baldacchino.
- opera tua? – chiese Isabel con tono malizioso
Lucius annuì, alzando le mani in segno di resa – in mia difesa posso dire di aver solo pensato che il pavimento iniziasse ad essere scomodo –
Lei rise, ma non si arrabbiò. Era stanca e sicuramente la prospettiva di dormire sul pavimento non era allettante. Quella di tornare al dormitorio, ancora meno.
Si avvicinò al letto, togliendosi il mantello ed il cardigan della divisa, lui la raggiunse senza che ci fosse bisogno di parlare, si sdraiò ed attese che lei gli si avvicinasse.
- Halliwell – sussurrò sui suoi capelli
Isabel alzò la testa, incontrando i suoi occhi – si? –
- cosa c’è che non va? – Sorrise vendendola sgranare gli occhi – non fingere. Qualcosa ti turba e Black è solo una parte del problema –
Lei affondò nuovamente la testa sul cuscino, avvicinandosi a lui. Sospirò.
- sento che qualcosa sta arrivando anche per me – disse – non ho nessun piano dinastico al varco, ma qualcosa è cambiato, in me, dopo quel…malore. Non so cosa sia, non so che cosa mi aspetti. Ma sento uno strano richiamo, come una melodia incantata. E’ come se suonasse per me. Come se stesse venendo a prendermi. E mi spaventa. A morte. -
*****
Dieci anni ci son voluti. A chi ancora seguirà questo mio piccolo esperimento, chiedo umilmente scusa. Prometto che non ci vorranno altri dieci anni per il prossimo capitolo. Nel frattempo, grazie a chi nonostante la mia latitanza ha continuato a seguire questa storia. A presto, Eowyn