Mad

di horjzon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

(capitolo revisionato il 2 gennaio 2015)

Capitolo 1
A new beginning

 
 
Educazione fisica, forse la materia che odiavo di più al mondo, ma l’unica in cui riuscivo alla perfezione. Ad essere sincera, non era l’unica cosa che odiavo. Odiavo tutto, a partire dal luogo dove vivevo, la piccola città di Haywire: sperduta e circondata da alte mura di cemento vi era un cancello che non si apriva mai, ma l’unica cosa che, se aperta, avrebbe permesso delle comunicazioni con l’esterno, con il mondo.
 
Ero seduta sulla panchina, mentre ero intenta ad allacciarmi le stringhe delle scarpe. Avevo una sensazione strana, anche un po’ fastidiosa, come se qualcuno mi stesse osservando.
Curiosa mi guardai intorno, alla ricerca del paio d’occhi che sentivo forti sulla parte destra del mio corpo e che alla fine trovai: erano dei fantastici occhi verde smeraldo, dove avrei potuto perdermi dentro se non fosse stato per quel piccolo velo di tristezza che mostravano. Appartenevo ad un ragazzo della classe che faceva educazione fisica con la mia. Era parecchio alto, con capelli ricci color cioccolato e pelle quasi diafana. Mi osservava attentamente. Non era la prima volta che lo sorprendevo ad osservarmi in queste settimane lo faceva spesso. Ma la sua espressione era diversa dalle altre: non era di giudizio, ma di curiosità.
 
«Forza Amerisia, tocca alla nostra squadra.» Alicia, una mia compagna, mi diede un colpetto alla spalla facendomi risvegliare dai miei pensieri. Le feci un lieve cenno con il capo per poi tornare ad osservare, ancora per qualche secondo, quel ragazzo riccio. Mi sorrise ed io, un po’ insicura, ricambiai.
 
Dovevo assolutamente trovare delle informazioni sul conto di quel ragazzo. Ormai era da giorni o settimane, magari anche mesi che mi osservava, a mia insaputa. Spesso lo vedo in giro per le strade di Haywire, durante l’orario proibito.
Così, un po’ insicura, mi avvicinai ad Alicia.
Secondo le usanze di Haywire, sapere tutto di tutti era una tale vergogna tanto da isolare le persone in una stanza, priva di tutto, fino a quando una persona non si pentiva e chiedeva umilmente scusa davanti a tutto il popolo come punizione. Ecco, lei sapeva tutto di tutti, infrangendo una delle miriadi di regole, più che assurde, di Haywire, senza destare sospetti, per sua fortuna. Per questo motivo mi avvicinai a lei, per sussurrarle all’orecchio, in modo tale da non farmi sentire dagli altri e per non far insospettire le persone intorno a noi.
 
«Alicia, per caso, sai chi è quel ragazzo alto e riccio con gli occhi verdi dell’altra classe?»
Alicia trattenne il fiato, si poteva capire benissimo che non si aspettava una domanda del genere in quel momento, soprattutto da me, che non ero solita chiederle certe cose. Stava per rispondermi ma il professore fischiò l’inizio della partita e dovetti allontanarmi da Alicia per raggiungere la mia postazione, mentre la bionda mi guardava con un’aria molto curiosa.
Appena la nostra squadra segnò punto, con la scusa di un batti cinque per il punto segnato da Alicia, mi avvicinai alla ragazza. Afferrò immediatamente le mie intenzioni, infatti, mi disse:
 
«Harry Styles, 19 anni, ultimo anno.» Ci scambiamo il cinque e le mimai un grazie con la bocca, in risposta ricevetti uno sguardo che lasciava intendere che dopo le avrei dovuto raccontare tutto quando, in realtà, non c’era nulla da dire.
 
Durante tutta la lezione ci furono solamente alcune occhiate tra me e il riccio ma niente di più. Quando finì la lezione, andai nello spogliatoio per cambiarmi e, essendo l’ultima ora, appena suonò la campana, uscii da scuola.
Mi avviai verso il cancello quando qualcuno mi mise una mano sulla spalla. Quasi sussultai a qual gesto, più che altro temendo che fosse Harry e invece era Alicia.
 
«Non devi dirmi niente?» disse alzando un sopracciglio, con un sorrisino beffardo, stampato sul suo volto, incitandomi a parlare. Alicia era una ragazza molto solare e socievole, fin troppo per essere una semplice ragazza di Haywire, sicuramente non era adatta e consone alla società in cui vivevamo.
Era leggermente bassa rispetto alla norma, con lunghi capelli dorati e bellissimi occhi blu. Mi piaceva molto come persona e potevo considerare un’amica, forse l’unica.
 
«Pettegola» le dissi scherzosamente, alzando gli occhi al cielo. Una piccola risata fuggì dalle sue labbra carnose.
 
«Volevo sapere semplicemente chi era perché, non vorrei sembrare un po’ paranoica, ma…» Mi avvicinai ad Alicia, in modo tale che potesse udire solo lei le mie parole. «… mi sembra che in questo periodo mi osservi spesso e che mi segua, insomma, lo incontro da tutte le parti! No, ok sono paranoica» dissi cercando di non farmi sentire da nessuno.
 
«No, non lo sei. Effettivamente ho notato anche io che ultimamente ti osserva sempre ma non mi sembrava che ti seguisse. In ogni caso anche oggi vai a danza?» disse tranquillamente come se la sua domanda non fosse scioccante o almeno per me lo era. Non doveva assolutamente saperlo nessuno quello che facevo.
 
«Sei sicura che non sei tu ad inseguirmi per strada?» dissi prendendola palesemente in giro per poi ritornare immediatamente seria. «Seriamente Alicia, non dovresti saperlo...»
 
«Esattamente come non dovrei sapere tutte le cose che so sugli altri... Ad ogni modo stai tranquilla con me il tuo segreto è al sicuro.» Mi sorrise dolcemente e ricambiai.
 
«Io sono arrivata, ci vediamo Amerisia.» disse entrando nel cortile di casa sua. Così, finalmente, sola mi avviai verso casa mia, per niente pronta a subirmi le due ore di studio obbligatorie, con tanto di badante che si assicurava che fossero svolti, ridicolo. Era un’altra delle regole di Haywire:
 
Coloro che frequentano la scuola o, che in ogni caso, compiono degli studi, sono obbligati a eseguire solo ed esclusivamente, 2 ore di compiti, per la precisione, dalle 14.25 alle 16.25 alla presenza di un Controlador, una persona fidata, incaricata da Haywire, che ha il compito di controllare che questa regola venga rispettata. Durante queste due ore, non ci potranno essere pause, tranne casi estremi. I Controlador sono obbligati a far presente al responsabile dell’istruzione di Haywire chiunque non le rispetti. In tal caso saranno presi dei seri provvedimenti.”
 
A mio parere questa era una delle più assurde, nonché una delle mille regole più inutili esistenti al mondo. Non potevano obbligare una persona a fare solamente due ore di compiti mentre è controllata da una persona (neanche fosse un cane a cui badare) e avere delle pene davvero toste, solo perché, per magari due secondi, si è distratta o ha sbadigliato. È accaduto una volta, alla povera Jennifer Black, una ragazzina di 11 anni lasciata per una settimana senza cibo e acqua solo perché aveva sospirato esausta e si era abbandonata per alcuni di secondi sulla sedia, per poi riprendere subito a studiare.
Il badante Controlador non ha esitato a far riferimento all’idiota al responsabile dell’istruzione di Haywire, Donald Holmes, sul comportamento “anomalo” della ragazza e ovviamente sono stati presi dei schifosi provvedimenti.
Finalmente arrivai a casa alle 14.15 e avevo solamente 10 minuti per prepararmi alle due infinite ore di compiti e il mio Controlador era già arrivato.
Alle 14.25 precise iniziai.
 

 
In questo pomeriggio piuttosto tranquillo, il rumore delle mie scarpe era l’unica cosa che sentivo di diverso dal debole suono della pioggia che cadeva leggermente sul marciapiede caldo, creando un odore che, personalmente, mi piaceva molto.
 
I miei lunghi capelli castani erano stati raccolti in un alto chignon, impedendogli di andare in tutte le direzioni per colpa del vento. Iniziai a camminare più velocemente, aumentando il ritmo dei miei passi, desiderando di arrivare in fretta al vecchio edificio giallo per la lezione di danza.
 
Entrai nell’edificio e m’ intrufolai subito nella stanza a fianco di quella della lezione di danza, cercando di non farmi notare da nessuno e misi le mie punte per la lezione.
Non seguivo il corso di danza, non avevo soldi per le lezioni poiché la mia “famiglia” era disinteressata alla mia passione per la danza, specialmente quella classica, e non avrebbe tirato mai fuori un soldo e inoltre erano molto, troppo, care le lezioni e non potevo neanche permettermele. D’altro canto avevo provato anche a lavorare per provvedere alle spese, ma i soldi che guadagnavo non erano abbastanza rispetto al costo delle lezioni, così mi ero dovuta arrangiare e quando scoprii questa stanza, per puro caso, iniziai ad allenarmi tutti i giorni e a seguire le varie lezioni.
 
Il grandissimo vetro faceva da specchio nell’altra stanza ma funzionava da vetro, vero e proprio, nella stanza in cui mi trovavo. In poche parole, io potevo vedere loro ma loro non potevano vedere me. Il problema più grande era che, se mai mi avessero beccato fare una cosa del genere, avrei dovuto pagare una salata multa ma per me era l’unico modo per seguire delle lezioni. Nessuno sapeva quello che facevo, o almeno così credevo fino a qualche ora fa, siccome Alicia n’era a conoscenza, e nessuno in ogni caso se ne interessava. D’altronde non avevo molti amici anche se non n’avevo mai capito il perché.
 
Dal vetro, vidi l’insegnante entrare e questo significava l’inizio della lezione. Mi misi in piedi e, mentre andavo nel centro della stanza, la porta si aprì. Mi girai di scatto, già pronta a scappare da uno qualsiasi del personale, ma, non appena vidi una folta chioma riccia, rimasi pietrificata: era Harry. La mia mente era completamente vuota, non riuscivo a pensare a niente, neanche a qualcosa d’irrazionale.
 
«C-che ci f-fai qui?» Fu l’unica cosa che riuscii a dire, balbettando, mentre lui entrava nella stanza e chiudeva la porta dietro le sue spalle il più silenziosamente possibile.
Iniziai a formulare tutte le scuse più possibili e inimmaginabili per spiegargli il motivo per il quale mi trovavo lì. Sperai che non facesse la spia.
 
«Ti stavo aspettando Amerisia Jade Laston.» Al pronunciar delle sue parole mi salì un groppo in gola. Immediatamente migliaia di domande mi saltarono in mente: come faceva a sapere il mio nome per intero? Come faceva a sapere che ero qui? Perché mi stava aspettando? Volevo domandarglielo ma tremavo e lui probabilmente se ne accorse perché cercò di tranquillizzarmi subito.
 
«Non voglio farti niente, voglio solo parlarti, stai tranquilla.» Tranquilla un corno! Mi osservi e insegui da settimane e dovrei pure stare tranquilla!? Avrei tanto voluto dirglielo ma invece, per non so quale motivo, lo lasciai continuare a parlare.
 
«Ti ho osservato attentamente in questi giorni, forse penserai che sia pazzo, e forse è anche vero, ma avevo intuito che non eri come tutti i soliti cittadini di Haywire e, osservandoti in questo periodo, ne ho avuta la conferma.» Fece una semplice e piccola pausa, giusto il tempo per assimilare quelle già troppe informazioni ricevute in una volta. «Vedi, Amerisia, sei diversa dagli altri, l’ho notato sai? Spicchi tra i prototipi del cittadino perfetto di questo paese. Non sei fatta per vivere qui, in questo luogo, esattamente come me.» Si indicò con una mano, posando il palmo sul suo petto, mentre tentò di avanzare facendo un passo in avanti, verso di me. Ovviamente indietreggia e lui arrestò la sua avanzata verso di me, intuendo che forse era meglio tenere le distanze, per ora.
«Tu, inconsapevolmente o meno, non appartieni veramente a questo luogo: non ti vesti come tutti gli altri, non fai mai quello che fanno gli altri come da regolamento e in qualsiasi caso e in qualsiasi modo, involontariamente o no, non rispetti nessuna regola di questa comunità chiusa alla comunicazione, di vecchie usanze, isolata dal resto del mondo» disse convinto.
 
E aveva ragione, ogni sua singola parola era vera.
Nella città di Haywire c’erano determinate regole che dovevano essere rispettate, andavano dall’abbigliamento, al comportamento, fino ad arrivare ai semplici gesti quotidiani di una persona. Controllavano la vita dei cittadini in tutto e per tutto, davano orari precisi per ogni cosa come, per esempio, l’orario dei compiti, la manipolavano e facevano diventare i cittadini gli uni uguali agli altri, anche le case erano uguali da fuori e simili tra loro all’interno, come se la libera scelta del singolo individuo non esistesse.
Io non ero così, disobbedivo sempre alle regole, per esempio erano le 15.45, era ancora l’ora dei compiti e avevo versato un sonnifero nel bicchiere del mio Controlardor scappando di casa per andare ad una lezione di danza che seguivo di nascosto e, che se mai mi avessero scoperto sarei finita nei pasticci, ma chi era lui per dirmi queste cose? Infondo, aveva perfettamente ragione ma sicuramente non aveva né il dovere né il diritto di farmi una qualsiasi predica, siccome osservandolo bene si poteva notare anche solo dal suo aspetto il suo non rispettare delle regole.
 
«Invece tu, Harry?» Il ragazzo di fronte a me spalancò gli occhi. Probabilmente non si aspettava questa reazione da parte mia e sicuramente era sorpreso dal fatto che lo avessi chiamato per nome cosa, che in teoria non ero tenuta a sapere. «Le trasgredisci anche tu le regole, o sbaglio?» dissi, squadrandolo dalla testa ai piedi. «Ma guardati, si nota perfettamente anche solo dal tuo abbigliamento. Inoltre dalle tue maniche corte si possono notare i tuo troppi tatuaggi, superare la soglia dei cinque è assolutamente proibito. Inoltre, bhe, posso anche immaginare che trasgredisci le regole riguardanti anche il comportamento visto che sei qui quando dovresti fare i compiti o altro in ogni caso.» Lo punzecchiai un po’ mentre lo aggredivo con il mio atteggiamento sprezzante.
Non avevo alcuna intenzione di aggredirlo con le mie parole, volevo solamente mettermi sulla difensiva.
«Se sei venuto qua a fare la spia o cose del genere, hai proprio sbagliato persona, Harry» dissi sfidandolo, facendo un passo nella sua direzione accorciando leggermente le distanze tra di noi. Vista dall’esterno poteva sembrare una situazione davvero buffa: io, una ragazza abbastanza mingherlina, che cercavo di contrastare Harry, che sembrava un ammasso di muscoli. Davvero non capivo che cosa volesse da me.
 
«Non sono venuto a fare la spia; non lo farei mai Amerisia. Sono qui per farti una proposta che potrebbe cambiare la tua vita...» Alle sue parole, alzai il sopracciglio destro un po’ scettica ma, allo stesso tempo, curiosa «… immagino che tu sia stufa di vivere in questa città al di fuori di tutto, esattamente come me. Anche se adesso probabilmente mi odi o mi consideri un folle, infondo, io e te, siamo molto simili. Vedi…» e con queste sua parole fece anche lui un passo nella mia direzione, ma questa volta non mi mossi di un solo millimetro «… gli abitanti di Haywire non sono normali. Nel senso, loro non hanno alcuna colpa, infondo, ma molte delle cose che fanno, delle regole e delle punizioni che ci sono non dovrebbero neanche esistere e questo lo sai anche tu. Vivere qui, a volte, ti fa sentire come se ti stessero opprimendo, fino a farti mancare l’aria e poi, quando arrivi alla fine della giornata e ti ritrovi al coperto sotto le tue caldissime coperte pensi “finalmente questa giornata da incubo è finita” e ti addormenti. In realtà niente è arrivato al termine, l’incubo è infinito, continua imperterrito giorno dopo giorno a ripresentare quella che è la tua vita e certe volte non hai la forza di andare avanti, non ce la fai ed è a quel punto che ti senti come se l’aria intorno a te fosse esaurita e tu non puoi fare altro che cadere inerme a terra mentre tenti disperatamente e inutilmente di respirare.» Fa un altro passo nella mia direzione. Lo sentivo vicino, un po’ troppo vicino, ma non potevo farmi prendere dal panico o avrebbe capito che avevo paura di lui, perché è vero, io ero terrorizzata dal lui, o meglio, ero terrorizzata dalle sue parole. Ha appena descritto come mi sento io, giorno dopo giorno, in questo luogo pieno di povere marionette che non sono pienamente consapevoli di quello che stanno facendo.
 
«Sono venuto qua perché ho intenzione di andarmene, di scappare e vorrei che tu venissi con me.»
 
Se prima mi mancava l’aria a quel punto smisi di respirare. Harry, con un po’ troppa confidenza, si avvicinò definitivamente a me, poggiando entrambe le sue mani sulle mie braccia e cercando di scuotermi per essere più convincente possibile. Se fossi stata in me, in quel momento, non gli avrei neanche permesso di avvicinarsi così esageratamente al mio corpo ma ero troppo scossa dalle sue parole, probabilmente sul viso ero paonazza.
 
«Si può scappare da questa città, Amerisia, si può per davvero. Una volta ogni due mesi i cancelli della città si aprono in un momento preciso. Certo, questo avviene per pochi secondi, ma si aprono. In pochi lo sanno, a dire la verità quasi nessuno.»
 
Le gambe mi tremavano terribilmente, a mala pena mi reggevano. Probabilmente, se non fosse stato per la presa di Harry sulle mia braccia, mi sarei ritrovata sul pavimento a boccheggiare.
 
«Sto solo cercando di salvare qualcuno che vuole e può essere salvato da questa società di pazzi.» Mi disse tranquillamente come se tutte le parole dette da lui precedentemente non mi avessero già sconvolta.
 
Davvero si aspettava che io, Amerisia Jade Laston, non sapessi che i cancelli di Haywire di aprissero? Ho sempre osservato i cancelli nella speranza che un giorno, questi, si aprissero. Quando li ho visti aprirsi con i miei occhi, anche solo per qualche secondo, non riuscivo a crederci finché, dopo averli osservati per lungo tempo e aver appurato di non aver allucinazioni, ho constatato che si aprivano regolarmente. Da quel giorno in poi ero solita osservare i cancelli fantasticando su come sarebbe la vita al di fuori di Haywire e su che cosa ci fosse realmente oltre alle città dalle alte mura, ma era rimasto tutto solo un lontano e vano sogno che rendeva impossibile un’ipotetica figa dalla città.
 
«No, sei tu il pazzo!» esclamai non appena ritornai abbastanza lucida da capire cosa stesse realmente succedendo e togliendo la sua presa sulle mie braccia in malo modo. «Quei cancelli si aprono solo per pochi secondi, nessuno riuscirebbe ad andarsene via da questa città di merda!» Commentai alla fine esasperata con le lacrime agli occhi. In quel momento mi vergognai di me stessa per essermi fatta vedere così vulnerabile davanti ai suoi occhi. Cercò di allungare la sua mano nella mia direzione ma prima che potesse fare qualunque altra cosa gli dissi «NO! Non mi devi toccare.»
 
Non ce l’avevo con lui, in realtà. Ero solamente in lotta con me stessa, indecisa se credere in lui e nelle sue parole o in me e nelle mie convinzioni.
Solamente di una cosa ero certa, quel ragazzo poteva anche essere pazzo e la sua idea di scappare poteva essere uno pensiero durante il suo delirio ma aveva ragione, il luogo dove vivevamo era orribile con delle idee antiquate e insensate. O semplicemente aveva ragione e basta.
 
«No Amerisia, ti sto solo salvando dall’inutile vita che condurresti vivendo qui in questa città. Senti, non sono venuto ad obbligarti di venire via con me ma, se tu vuoi, fatti trovare esattamente tra una settimana, lo stesso giorno della settimana d’oggi, davanti ai cancelli entro le 21.30 e non un minuto più tardi, portati dei vestiti, delle coperte, cibo, acqua e tutte le cose a cui tieni, che sono necessarie e che potrebbero servire per il viaggio, comprese quelle.» Indicò le scarpette da ballo ai miei piedi. «Alle 21.35 i cancelli si apriranno e avremo 30 secondi per andare via da questo luogo prima che essi si richiudano. Ti prego, pensaci; lo sto facendo anche per te.» Sembrava quasi una supplica. Poi si voltò verso la porta iniziando a camminare a passo rilassato. Quando si trovò vicino all’uscita, si girò verso di me sorridendomi.
 
«Ah scusami, che maleducato, mi chiamo Harold Edward Styles, conosciuto semplicemente come Harry, ma forse questo lo sapevi già.»
 
«Tu non hai alcun rispetto per la privacy altrui» dissi di punto in bianco, apparentemente senza un senso vero e proprio ma lui aveva inteso a cosa mi stavo riferendo.
 
«Non è di casa la privacy qui ad Haywire» disse con un tono amareggiato prima di voltarsi, dandomi le spalle «A domani Amerisia.»
 
Mi lasciò così, spiazzata e con mille domande a guardare la porta chiudersi.
 
Sarei stata una pazza ad andare via da questa città con un completo sconosciuto ma, infondo, che cosa mi tratteneva lì? Assolutamente niente, non mi apparteneva, non era per me ma c’era qualcosa che mi frenava: la paura. La paura nell’andare via, nell’abbandonare la propria vita, nell’addentrarsi in un mondo che a mala pena si conosce.
 

«Sono a casa!» urlai per farmi sentire.
 
«Ciao Amerisia, com’è andata oggi a scuola? Sei riuscita a fare tutti i compiti nelle due ore?» La dolce voce di mia madre proveniva dalla cucina e la raggiunsi. Mia madre, nonostante non era una delle persone più presenti e migliori al mondo, si preoccupava sempre per me e, infondo, mi dispiaceva sempre infrangere le regole perché se mai mi avessero beccato ci sarebbe andata di mezzo lei e sicuramente l’ avrei delusa.
 
«Ciao mamma, è andata bene, come sempre, e con i compiti mi sono riuscita anche a portare avanti» le dissi sorridendole lievemente, sedendomi su una delle sedie al tavolo della cucina osservandola mentre era indaffarata a cucinare. Mi facevo pena da sola mentre cercavo di essere la figlia perfetta nonché modello per tutti. Ma andiamo! Bastava semplicemente osservami per capire che ero di tutto tranne che perfetta per non parlare di essere un modello per la società.
 
«Meno male tesoro.» e io a quelle parole mi sentivo morire, mi venivano quasi le lacrime agli occhi talmente mi sentivo in colpa per tutto quello che combinavo, per non considerarla realmente come avrei dovuto.
«Comunque mi dispiace ma questa sera a cena, non potrò farti compagnia, devo andare a lavorare» disse sorridendomi dolcemente.
 
Ecco questa era la cosa che più odiavo di lei. Il “lavoro” (sempre se si poteva considerare come tale) di mia madre diciamo che consisteva nel soddisfare i piaceri sessuali delle altre persone.
Questo suo “lavoro” non la rendeva certamente ricca ma guadagnava abbastanza da riuscire a pagare le bollette e comprare, risparmiando, qualche bene secondario.
Tutti sapevano del lavoro di mia madre e, a me personalmente, questo mi aveva portato sempre grandi problemi con gli altri. Certo mia madre non era fiera di quello che faceva tanto meno io, ma sapevo che lo faceva per me e anche se da quando ero cosciente del suo lavoro da prostituta le dicevo di smetterla di farlo, ovviamente con vani risultati.
 
Tutto questo cominciò quando mio padre scomparve, se n’andò via. Lo cercarono per tutta Haywire ma non trovarono niente, né un indizio, né una lettera, neanche il suo corpo, era come se si fosse volatilizzato. Avevo nove anni quando accadde tutto questo. Mia madre era disperata, si mise a cercare un lavoro ma l’unico modo, per lei, era questo. Naturalmente quando si è piccoli non si capisce molto di queste cose, il problema è quando si diventa più grandi, quando s’inizia a comprendere realmente ciò che ti sta intorno e insieme a te tutti gli altri. Ormai nessuno dava più peso a questa cosa, venica considerata una cosa abbastanza normale, anche se non lo era per affatto. Per lo meno il suo lavoro lo svolgeva in una casa chiusa lontana dalla nostra.
 
«Va bene mamma.» Cercai di sorriderle ma uscì solamente una smorfia.
 
Inutile dire che il resto della giornata la passai ripensando intensamente alle parole di Harry, pensando e ripensando alla sua proposta finché non mi addormentai nel mio letto.
 

 
Il giorno dopo mi presentati regolarmente a scuola con un unico pensiero per la testa: dovevo parlare con Harry.
Le ore passarono velocemente e, finalmente, finita la giornata scolastica lo vidi mentre si dirigeva verso l’uscita dei cancelli della scuola. Lo raggiunsi velocemente, cercando di non dare nell’occhio. Mi guardò sorridendo. Aveva un sorriso stupendo, con tanto di fossette. Mi limitai a sorridere timidamente.
 
«Harry, non vorrei sembrarti paranoica, ma chi mi assicura che tu vuoi portarmi fuori di Haywire? Insomma potresti benissimo approf…»
 
Non mi fece continuare la frase che subito parlò.
 
«Ti do l’idea di uno capace di fare certe cose?» disse alzando scettico un sopraciglio. Beh effettivamente… Lo guardai attentamente e, nonostante fosse un ragazzo abbastanza muscoloso, aveva un’aria serena e pacifica.
 
«Non ti conosco, Harry. Sto solo ipotizzando. Ne ho tutto il diritto, no? Vieni lì come se niente fosse, mi parli e mi fai una proposta del genere senza neanche conoscermi. Mi sembra anche più che lecito che io mi ponga certe domande, no?» Perché ovviamente se uno ha cattive intenzioni sul tuo conto te lo viene a dire, giusto? Sì, ero definitivamente ridicola «Mettiamo caso che io accettassi la tua proposta, chi mi, o meglio, chi ci assicura che potrei avere un futuro migliore, in una società diversa dalla nostra? Chi mi dice che ci sia realmente qualcosa al di fuori di questi cancelli? È anche vero che abbiamo studiato di altre società dalle altre mura ma tu ha mai visto qualcuno entrare e uscire da qui? Io no. Magari viviamo in mezzo alle tante bugie e noi non lo sappiamo. È vero ci sono dei filmati ma sai quanti attori esistono al mondo! E poi cosa accadrà se riusciamo a scappare? Ci inseguiranno? Faranno del male ai nostri cari? Sai a me è rimasta solo mia madre e non vorrei che le accadesse qualcosa di veramente terribile» dissi tutto di un botto senza mai prendere fiato. Mi ero torturata tutta la notte con queste domande, ed erano solo alcune delle tante, a cui non sapevo dare una risposta vera e propria. È vero, ci facevano studiare la storia di tutto il mondo, delle città dalle alte mura, conoscevamo tutti i cantanti e attori più possibili e immaginabili ma nessuno sapeva concretamente cosa c’era all’esterno di Haywire.
 
«Hey respira! Certo, ne hai tutto il diritto e diciamo che hai anche ragione ad ipotizzare certe cose, insomma sono piombato così dal nulla e mi dispiace anche di averti spaventato ieri, non era mia intenzione.» Disse sinceramente «Nessuno sa realmente cosa c’è lì fuori ma cosa ci costa provare? Ci sono semplicemente altre persone, in teoria, certo non possiamo sapere precisamente tutto ma vivere in un posto così, che non senti neanche tuo non è giusto… Tanto so che alla fine accetterai Amerisia.» Disse così sfrontatamente.
 
«Cosa ti fa pensare che verrò via con te?»
 
«Il fatto che ti ho già convinto, anche se non ne sei ancora del tutto consapevole» disse semplicemente. Non capii affatto le sue parole e immaginavo che non fosse solo questo il motivo per cui era convinto che sarei fuggita con lui ma non gli feci altre domande.
 
«Ci vediamo Harry» dissi semplicemente alla fine per poi dirigermi verso casa mia.
 

Per tutta la settimana pensai ininterrottamente alla sua proposta, alle sue parole e ogni volta che era possibile, io ed Harry c’incontravamo per parlare del più e del meno.
Infondo non era male, era un ragazzo molto simpatico e mi trovavo bene a parlare con lui. Spesso parlando trasgredivamo molte regole ma n’è a me e n’è a lui importava più di tanto.
 
«Riguardo alla partenza, spero tu abbia le idee chiare. C’è solo un piccolo cambiamento di programma. Ci ho pensato bene e, se mi mettessi esattamente davanti al cancello ad aspettarti, qualcuno potrebbe insospettirsi. Quindi ho pensato, visto che la via dove abiti tu è quella di fronte al cancello ed è tutta rettilinea, potrei aspettarti sotto casa tua più o meno dalle 21.25 alle 21.34 massimo. Se scenderai saprò che verrai via con me se no me n’andrò da solo» mi disse tutto tranquillo il giorno precedente alla partenza.
 
Da quella volta non n’avevamo più parlato e io non avevo ancora preso una decisione. Mi limitai ad annuirgli.
 
«Ok. Ci vediamo domani a scuola Harry» dissi allontanandomi da lui.
 
Quella sera scrissi una lettera a mia madre e finalmente presi una decisione.
 

 
La sera del giorno seguente arrivò in me che non si dica. Harry, puntuale, aveva parcheggiato davanti a casa mia alle 21.25. Feci un gran respiro e presi la mia valigia, il borsone e la borsa. Feci un veloce giro della casa e, sul tavolo della cucina, dov’ero sicura che l’avrebbe notata, posai la lettera che avevo scritto per mia madre. In quel momento ripensai a tutti i bei momenti trascorsi in quella casa, da quando ero piccola fino ad ora, anche se di bello ultimamente non c’era niente se non la consapevolezza della dura e triste realtà in cui si viveva a Haywire, ma la cosa più triste era che molti non n’erano consapevoli e mi dispiaceva davvero per loro. Pensavano che Haywire fosse il massimo dell’eccellenza quando io pensavo che non lo era affatto, e di questo n’ero più che certa.
 
Uscii finalmente di casa e appena Harry mi notò scese dalla macchina.
 
«Sapevo che saresti venuta» disse avvicinandosi a me, sorridendo.
 
«Forza, dammi la valigia ed entra in auto.» Feci come mi disse ed entrai nell’auto, posando il borsone e la borsa sui sedili posteriori. Lui caricò la valigia e si mise nel posto del guidatore.
 
«Perché hai coperto i vetri e le targhe dell’auto?» domandai pensierosa.
 
«Perché così le telecamere non possono riprendere le targhe e o vedere chi si trova dentro l’auto, anche se poi lo scopriranno sicuramente, ma è sempre meglio essere cauti. Comunque li potremo togliere quando usciremo via i qui e saremo al sicuro.» Non trovai molto sensata la sua scelta poiché avrebbero sicuramente saputo in men che non si dica l’identità dei fuggitivi e non avevo ben capito il significato della frase ma non dissi nulla al riguardo visto che sembrava molto nervoso. Le sue braccia muscolose erano tese e le mani strette al volante. Inoltre non capivo come avremmo potuto essere al sicuro, già me li immaginavo inseguirci per tutte le altre città dalle altre mura.
 
«Nervoso?» dissi senza pensarci.
 
«Si nota tanto, eh?» disse girandosi verso la mia parte e sorridendomi per tranquillizzarmi.
 
Senza accorgercene arrivarono le 21.34. Harry fece un respiro profondo. Accese l’auto che aveva in precedenza spento: finalmente, eravamo pronti ad oltrepassarli.
 
«Pronta?» annuii lievemente. Si avviò verso i cancelli che, mentre eravamo a circa 500 m di distanza iniziarono ad aprirsi. Trattenei il respiro e tenni i piedi saldi sul fondo dell’auto, tutta rigida.
 
Harry aumentò la velocità e, senza neanche accorgermene, superammo i cancelli, qualche secondo prima che essi si chiudessero alle nostre spalle. Ce l’avevamo fatta. Harry esultò insieme a me; avevamo un sorriso stampato sui nostri volti. Mi rilassai. Non potevo crederci che lo avessi fatto per davvero, che ero al di fuori di Haywire.
 
«Lo sai che è una follia quello che stiamo facendo, vero?» dissi senza pensare, accadeva spesso ultimamente.
 
«Lo so» disse semplicemente.
 
Mi girai ad osservare i cancelli chiusi dietro di noi e solamente in quel momento capii di aver fatto davvero la cosa giusta.
 
Non avevo alcun’idea di cosa mi aspettava là fuori e se lo avessi saputo prima, forse non ci avrei neanche provato nel mondo che avevano scelto al mio posto, che mi avevano sottratto fin dalla nascita. Non sapevo come avrei affrontato tutto questo. Era una decisione pazza, un po’ folle, ma di una cosa ero certa, questo era un nuovo inizio.



Ciao a tutti! Ecco questo è il primo capitolo della mia prima fan fiction. Che ne pensate? Spero vi sia piaciuta Mi piacerebbe molto sapere il vostro parere per sapere se devo continuare o no.
Ringrazio tutte le persone che hanno recensito la One Shot
"Innocence" e "Do you actually want to go on a real date with me?"  (se v'interessa leggerle cliccate sulle scritte)
Grazie mille a tutti ancora!
Alla prossima!

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

Capitolo 2
Suicidal


«ONE WAY OR ANOTHER I’M GONNA SEE YA
I’M GONNA MEETCHA MEETCHA MEETCHA MEETCHA
ONE WAY OR ANOTHER I’M GONNA WIN YA
I’M GONNA GETCHA GETCHA GETCHA GETCHA»
 
Erano passate due ore da quando avevamo superato i cancelli di Haywire. Seguivamo la lunga strada completamente deserta e sempre dritta.
 
All’inizio del viaggio, dopo il breve momento di felicità, nell’essere riusciti ad oltrepassare i cancelli della città, nella vettura era calato un silenzio imbarazzante ed Harry per spezzarlo aveva acceso lo stereo contenente un CD di musica mista fatto da lui.
Dopo un po’ avevamo iniziato a parlare del più e del meno; Harry mi aveva raccontato che i suoi cantanti preferiti erano i Pink Floyd e la sua canzone preferita era “Shine on You Crazy Diamone” sempre di questi ultimi. Amava la musica e sapeva suonare la chitarra che, naturalmente si era portato dietro. Mi aveva raccontato della scuola che possedeva i voti più alti di tutto l’istituto (esattamente il contrario di me), amava i tacos e il suo film preferito era “Love Actually”.
 
Si può notare che era un ragazzo davvero socievole oltre che di bell’aspetto. Era davvero di buona compagnia e mi piaceva parlare con lui, mi faceva sentire a mio agio al contrario di molte altre persone con cui parlavo a Haywire o, molto probabilmente, non mi sentivo a mio agio con gli altri perché possedevano gli stereotipi tipici della città uguali, con un unico pensiero e un unico modo di vivere, abbandonati al loro destino e alle loro insulse regole. Non erano come me, con pensieri completamenti differenti rispetto a quelli della nostra società. Ero una ragazza tendente a non rispettare le regole e a rischiare sempre pur di avere un briciolo di libertà. Una settimana fa consideravo Harry un pazzo quando invece nei suoi occhi e nei suoi pensieri vedevo semplicemente me stessa, la mia stessa follia ma, che al contrario di lui, non avevo mai avuto il coraggio di espormi agli altri ad alta voce come invece lui aveva avuto coraggio di farlo davanti a me, nonostante potesse rischiare molto, forse anche troppo. Non pensavo che lo avrei mai detto ma io ed Harry ci assomigliavamo molto di più di quanto potevo immaginare.
 
Alla fine della nostra conversazione c’eravamo trovati a cantare a squarciagola “One Way or Another” dei Blondie fino agli ultimi versi della canzone.
 
«ONE WAY OR ANOTHER!»
La canzone finì e nello stesso istante Harry inchiodò l’auto. Sicuramente se non avessi indossato la cintura di sicurezza, con quella frenata, sicuramente sarei andata a sbattere contro il vetro dell’auto.
 
«Scusami, tutto ok?» disse terribilmente spiaciuto. Annuii a rallentatore. Ero alquanto sorpresa per la tremenda frenata.
 
«Ch- che è successo?» dissi ancora un po’ frastornata, continuandolo a guardare. Non avevo ancora visto quello che c’era al di fuori dell’auto.
 
«E adesso che facciamo?» disse Harry continuando a guardare davanti a se. Guardai anche io e potei notare che la strada si divideva in altre tre strade che prendevano direzioni completamente diverse: una alla nostra sinistra, una al centro e un’altra alla  nostra destra.  Per ogni strada c’era un blocco con una sbarra e un cartello con scritto il nome della città a cui si arrivava percorrendola. Nella prima strada a sinistra c’era scritto Die, nella seconda Homicidal e nella terza Suicidal.
 
«Minchia che botta di vita.» Dissi ovviamente sarcastica riferendomi ai nomi delle città. Harry iniziò a ridere.
 
«Cosa c’è che ti fa tanto ridere?» dissi stupita dal suo comportamento, non avevo detto niente di che.
 
«È strano sentire qualcuno parlare in questo modo....» A quel punto, capii a cosa si riferiva. A Haywire era assolutamente proibito parlare in malo modo, dire parolacce o ancora peggio ancora nominare il nome di Dio invano. Si avevano delle severe punizioni e, a volte, esse ti portavano anche alla morte. Naturalmente ho sempre pensato che fossero esagerate quelle pene come, in generale, tutte quelle esistenti a Haywire. Sorrisi a me stessa.
 
«ops, mi è.. scappata.» Ero abituata ad insultare mentalmente chiunque a Haywire e, a dirla tutta Harry e Alicia erano gli unici a cui non lo avevo fatto. Questa affermazione non fece altro che aumentare le risate di Harry.
 
«Sì, certo ti è scappata, come no.» Continuò a ridere. Più tempo rimanevo insieme a Harry e più mi chiedevo da dove la tirasse fuori quella stupidità.
 
«Mi stai prendendo in giro? Smettila di ridere» dissi dandogli delle leggere botte sulle braccia per farlo smettere. «Harry seriamente dobbiamo risolvere questo problema» dissi osservando la situazione di fronte a noi.
 
«Tu lo sai perché Haywire si chiama così?» disse Harry tornando totalmente serio e voltandosi verso di me.
 
«E chi non lo sa. “La leggenda della città di Haywire” la conoscono tutti a memoria.» Dissi senza esitazione. La leggenda della città di Haywire era la prima cosa che facevano imparare a scuola ai bambini in modo tale che capissero cos’era giusto e cos’era sbagliato per la nostra città.
 
“Tanto tempo fa, in alcune città del Regno Unito, sorsero dei gruppi di persone ognuno con pensieri molto particolari. Al principio non si diede gran peso a questi piccoli gruppi ma più passava il tempo più questi gruppi s’ingrandivano procurando discordie e  portando ad un conflitto interno all’intero paese.
Una famiglia potente, decise di porre fine a tutto ciò, prendendo singolarmente tutti i componenti dei gruppi e dividendoli per i loro tipi di pensiero.
Questi grandi gruppi furono chiusi in delle città con alte mura e due cancelli opposti che permettevano di comunicare con le altre città. Ad ognuna di loro fu dato un nome in base al tipo di pensiero che regnava nel gruppo o ad una caratteristica di quelle persone che vi abitavano. 
In una di queste città ad alte mura furono inseriti i gruppi di pensiero più piccoli, nati dopo rispetto agli altri. Naturalmente anche se si è un gruppo più piccolo, non significa che non si può avere una forza devastante e loro erano esattamente così: devastanti. Ognuno di loro voleva governare sull’altro e così nacque una battaglia tra i vari gruppi presenti. Per calmare le acque furono uccisi, davanti a tutti i gruppi, i leader dei vari movimenti e un uomo prese in mano la situazione scrivendo delle regole da rispettare che comprendessero i vari pensieri dei gruppi in modo tale da assecondare il volere d’ogni gruppo. Ma per evitare altre insurrezioni fece delle regole molto rigide così che, chiunque volesse ribellarsi avesse delle severe punizioni e spronando gli altri a non disubbidire se non si vuole fare una brutta fine. Infine fu murato uno dei due cancelli, dando meno possibilità ai cittadini di scappare. Alla città fu dato il nome Haywire (confuso, agitato) per la situazione avuta nella città e per ricordare ai cittadini che creando confusione si avrebbero delle grosse pene d’affrontare.
Ribellarsi è sbagliato.”

 
«Quindi, seguendo la logica del nome dato da una certa caratteristica della città o del popolo, se andiamo in Die moriamo..» Dissi tranquillamente mentre Harry faceva le corna alla mia affermazione «..se andiamo in Homicidal ci ammazzano..» A quel punto toccò le sue parti intime con la mano destra. «..mentre se andiamo in Suicidal dovrebbe andarci bene perché si ammazzano da soli.» Dissi ovviamente, ridendo sotto i baffi per i suoi gesti scaramantici. Si poteva dedurre che era un ragazzo superstizioso.
 
«Bene, a questo punto opto per Suicidal! Adesso c’è un altro problema.. oltre al fatto che stiamo perdendo troppo tempo che cos’è quel blocco?» disse Harry guardando sospettosamente il blocco all’inizio d’ogni strada.
 
«Infatti, visto che come dici tu stiamo perdendo troppo tempo, avviati verso il blocco. Tanto hai ancora le targhe coperte, no? Quindi anche se fanno la foto o il filmato all’auto non possono risalire al possessore dell’auto. E poi al massimo sfondiamo il blocco.» Dalla sua faccia potei affermare che se non fossi stata una donna come minimo mi avrebbe strangolato per l’ultima affermazione fatta. Gli uomini e il loro amore per le auto, un caso perso.
 
Harry si avviò lentamente verso il blocco e a quel punto sentimmo una voce provenire da lì.
 
«Benvenuti nel blocco di Suicidal, la città dove il malcontento regna!» rimasi stupita dalla felicità con cui fece questa affermazione. «Se fa parte della città di Suicidal la prego di pronunciare la parola d’ordine per entrare nella città. In caso contrario, la prego di inserire 1 asse nella fessura al centro del blocco.»
 
«Fantastico, non solo andremo a “Suicidal, la città dove il malcontento regna!”, » disse imitando la voce proveniente dal blocco mentre tirava fuori del suo portafoglio una piccola moneta dal valore di 1 asse. «devo pure pagare 1 asse per entrare una città di depressi che s’impiccano.» Disse passandomi la moneta. Non potei fare a meno di ridere.
 
«Non abbassare il finestrino, magari hanno una videocamera e ci possono fare la foto. Apri la portiera e senza farti vedere in volto inseriscila.» Mi disse e feci esattamente così. Aprii la portiera con attenzione e inserii la piccola moneta nella fessura per poi richiuderla subito dopo.
 
«Grazie per aver pagato forestiero, che la depressione, la tristezza e l’angoscia le siano di compagnia!» e detto questo la sbarra di fronte a noi si alzò permettendoci di continuare il nostro cammino per Suicidal.
 
«Ho capito male o ha veramente detto “che la depressione, la tristezza e l’angoscia le siano di compagnia!”?» dissi alquanto scandalizzata.
 
«Allora abbiamo capito male in due» disse sorridendomi dolcemente mantenendo sempre lo sguardo dritto davanti a se.
 
Continuai a pensare a tutte le cose che aveva detto la voce del blocco. Non trovavo un motivo logico per dirle. Se una persona che non aveva mai visitato Suicidal era accolto così, non veniva spaventato, infondo? Quando una persona va verso l’ignoto ha paura, perché, le persone, hanno paura  di tutto ciò che non conoscono. Ma, a questo punto, non capivo perché usavano quelle parole per presentare un posto.
 
«La risposta alla tua domanda è molto semplice Amerisia, ma ti voglio dare una mano facendoti una domanda per farti capire. Noi in questo momento dove dovremmo essere?» disse come se sapesse cosa mi frullasse per la testa. M’immaginai che se lo fosse domandato anche lui. Non sapevo dove volesse andare a parare e in ogni caso risposi alla sua domanda.
 
«A Haywire nelle nostre case a dormire come da regolamento, poiché è mezzanotte. Ma noi stiamo infrangendo le regole e stiamo andando via da lì.» Dissi con ovvietà.
 
«Vedi, ti sei già data la risposta.» Dovette vedere la confusione sul mio volto perché cominciò il suo discorso.
«Semplicemente ti dicono queste cose per farti tornare indietro, per farti capire che la tua città è migliore di quella in cui ti stai recando, magari, infrangendo anche le regole. Visto la storia dei vari paesi vogliono evitare problemi lasciando che ognuno rimanga al suo posto, che tutto rimanga com’era prima.» Il suo ragionamento era logico, non faceva una piega. Infondo il fatto che una persona di un’altra città dalle alte mura andasse in un’altra poteva portare scompiglio o problemi per le città.
 
«Eppure mi chiedo perché mi sembra tutto troppo così semplice..» Dissi senza pensarci. Attraversare così le città senza nessun problema. Era tutto troppo tranquillo per i miei gusti.
 
«Me lo sto chiedendo anche io.. Guarda!»
 
Di fronte a noi c’erano dei cancelli chiusi con sopra una specie di targa dove c’era scritto in viola Suicidal. Essi iniziarono ad aprirsi e più ci avvicinavamo più essi si spalancavano.
Finalmente entrammo nella città di Suicidal.
Le sfumature del viola e del lilla dominavano la città, la struttura era simile a quella di Haywire.
Notai che le persone avevano uno sguardo basso o perso nel vuoto e si stavano dirigendo tutte verso un unico punto, nel bel mezzo della strada. Harry parcheggiò l’auto di fronte ad un panificio dentro ad un parcheggio.
 
«Prima vediamo la realtà di questa città, meglio è per noi.» Disse cose se saremmo dovuti rimanere lì a vita.
 
«Non resteremo per sempre qui, vero?»
 
«No, ma non so quando ce ne potremo andare via da qui.» Annuii.
 
Uscimmo entrambi dall’auto e Harry la chiuse completamente, si avvicinò a me e, tenendomi per mano, ci dirigemmo verso quell’ammasso di gente. Nessuno sembrava aver fatto caso al nostro arrivo, o almeno così credevo. Quando spostai lo sguardo dalla massa di persone per osservarmi intorno lo notai: un ragazzo dalla pelle ambrata ci osservava dall’altra parte della strada. I nostri sguardi s’incontrarono e subito lui lo distolse e camminò velocemente nel senso opposto dove su recava la gente.
 
Quando arrivammo, dovetti assistere ad uno spettacolo sconvolgente.
Un uomo sulla trentina era un alto in piedi su un palco in mezzo ad una piccola piazza. Dietro di lui c’era uno sgabello e dall’alto pendeva una corda con un nodo molto largo. Stava facendo un discorso.
 
«…ED È PER QUESTO CHE HO DECISO DI PORRE FINE ALLA MIA ESISTENZA! PER SUICIDAL!» disse l’uomo alzando le mani in aria seguito dalle urla d’acclamazione da parte degli spettatori.
Detto questo salì sullo sgabello e si mise il cappio intorno al collo e senza esitazione calciò via lo sgabello da sotto i suoi piedi trovandosi appeso per il collo sopra il palco. Tutti i cittadini applaudirono in festa mentre io e Harry assistevamo alla scena scioccati. Harry mi cinse la vita con un braccio per tenermi ulteriormente vicina a lui mentre nascondevo il mio volto nel suo petto. Non potevo guardare quella scena un secondo di più. A quel punto mi abbraccio teneramente a se.
«ssh.. stai tranquilla Amerisia, non è niente, è tutto ok. Ci sono io con te.» e mi diede un dolce bacio sulla nuca.
 
«Torniamo all’auto, forza.» Sciolse l’abbraccio ma il suo braccio rimaneva saldo sulla mia vita, era rassicurante quel gesto.
 
Mentre c’incamminavamo verso l’auto, mi domandai com’era possibile che accadesse una cosa del genere in questa città. Nel frattempo la folla incominciava a dileguarsi e rividi di nuovo quel ragazzo dalla pelle ambrata, sorprendendolo ad osservarci. Ci guardava con un briciolo di speranza. Che avesse capito che non eravamo di quelle parti? Si voltò dalla parte opposta e cominciò a camminare a testa bassa dirigendosi verso una via della città. La cosa che mi rattristava era che aveva la parola "salvatemi" negli occhi, ma è perchè li teneva sempre bassi che probabilmente nessuno era mai riuscito a leggerla.
 
«Credo che quel ragazzo abbia capito qualcosa» disse Harry rivolgendosi a me.
 
«Lo credo anche io..» Confermai la sua ipotesi.
 
Camminavamo in silenzio mentre i miei pensieri erano rivolti a quel ragazzo misterioso, e non ne capivo neanche il motivo.
 
 
«T’interessa così tanto quel ragazzo?» ruppe il silenzio Harry. Alzai lo sguardo verso di lui probabilmente con la faccia di qualcuno colto in fragrante. Il suo tono non emanava alcun’emozione.
«è solo che.. il suo sguardo, era strano.. ci guardava come… come se fossimo la sua unica speranza..» Dissi un po’ insicura.
 
«e allora fallo» disse senza esitazione.
 
«Cosa?» non capivo di cosa stesse parlando in quel momento.
 
«Dagli quella speranza, la stessa che io ho dato a te.» E in quel momento capii. Mi stava dando il permesso per salvarlo, esattamente come lui aveva fatto qualche ora prima con me, perché infondo, nonostante non lo conoscessi lo volevo salvare. Capii anche cosa avesse spinto Harry a salvarmi perché non aveva mollato fin da subito l’idea di portarmi via con lui e perché aveva detto fin dall’inizio che avrei accettato la sua proposta di scappare; l’aveva capito semplicemente dal mio sguardo, perché lui mi aveva dato una speranza, aveva capito fin dall’inizio com’ero fatta perché si possono nascondere tutti i sentimenti che si vuole ma gli occhi sono lo specchio dell’anima e non si possono nascondere agli altri.
 
Alzai lo sguardo sulla nostra auto di fonte a noi e vidi un foglio appiccicato al vetro sul cruscotto dell’auto con una scritta nera fatta a mano che diceva:
 
Se da Suicidal uscire vorrete
davanti ai cancelli all’1:30 sarete.
 
«Presto Amerisia togliamo il più velocemente possibile quel foglio.» E con questo ci catapultammo sull’auto per togliere quel foglio che poteva essere visto e letto da chiunque. Harry aprì velocemente l’auto e vi entrammo.
 
«Sembra che qualcuno voglia aiutarci» dissi. Tremavo sia per il freddo che per la paura. Erano troppe le emozioni per una sola giornata e sicuramente non erano ancora finite.
 
«Forse. O forse è una trappola.» Disse Harry sfregando tra loro le sue mani per riscaldarle.
 
«Possibile anche quello. Ma tanto che abbiamo da perdere adesso? O la va o la spacca.» Sapevo perfettamente che se non fossimo riusciti ad andare avanti a non superare le mura alla fine le guardie di Haywire ci sarebbero venute a prendere, sicuramente molto prima di quanto ci metteremmo a pianificare una fuga da Suicidal e ci avrebbe portato a morte certa. Se  fosse stata una trappola, in qualsiasi caso, avremmo fatto la stessa identica fine. Quindi non avevamo niente da perdere.
 
«Niente, non abbiamo da perdere niente. Che ore sono?» disse con gli occhi in fissa, persi nei suoi pensieri.
 
Guardai l’orario che si trovava sullo stereo dell’auto.
 
«Mezzanotte » dissi leggendo l’orario.
 
«Bene» disse mettendo in moto l’auto «abbiamo precisamente un’ora e mezza per prendere del cibo, bere una bella tazzona di caffè per rimanere svegli e prepararci davanti ai cancelli.» Detto questo uscì dal parcheggio e girovagammo per le strade di Suicidal alla ricerca di un bar ancora aperto. Quando lo trovammo parcheggiò lì vicino ed entrammo nel locale.
Il calore del luogo avvolse entrambi e ci sedemmo in un tavolo libero un po’ appartato, lontano da occhi indiscreti. Non volevamo essere scoperti.
Ci togliemmo entrambi i cappotti e appoggia la borsa sopra il tavolo cos’ da poterla tener d’occhio con l’aiuto di Harry poiché ero molto sbadata e perdevo sempre qualcosa.
 
Presi in mano il piccolo menù di bevande che si trovava sul tavolo mentre si dirigeva verso di noi un cameriere per prendere le nostre ordinazioni ma non era un cameriere qualunque era quel misterioso ragazzo. Adesso che lo vedevo bene da vicino potevo dire che era un ragazzo di bell’aspetto dalla pelle ambrata, i capelli neri erano portati all’insù in una piccola cresta e gli occhi castani avevano quel luccichio che gli avevo visto fin troppe volte: speranza.
 
«Benvenuti al Debora’s. Che cosa vi porto ragazzi?» la sua voce era dolce ma spenta, non mostrava nessun sentimento, in pieno contrasto con il sorriso con la lingua fra i denti che mostrava. Mi faceva impressione.
 
«Io un caffè espresso» disse Harry continuando ad osservare il “famoso” ragazzo con fare curioso e indagatore. Il ragazzo prese nota sul suo piccolo blocchetto.
 
«Tu invece?» disse poi rivolgendosi a me. I nostri occhi s’incontrarono solo per un breve attimo perché poi il ragazzo li abbasso subito.
 
«Lo stesso, grazie.» Gli sorrisi dolcemente. Dopo aver annotato si diresse verso una piccola stanza dove immaginavo fossero le macchine per fare il caffè.
 
«Sai, hai ragione Amerisia, lui vuole essere salvato. Sono convinta che tu gli debba parlare.»
 
«Parlare? Io? Non saprei cosa dirgli e.. mi vergogno… ecco.» Dissi abbassando lo sguardo verso la tovaglia a quadri lilla e viola che copriva il tavolo.
 
«Non è assolutamente vero e non devi aver paura. Lo so che non è per la vergogna ma è per la paura. Pensi che non n’avessi quando ti ho parlato per la prima volta facendoti la mia proposta? Fai come vuoi, alla fine è una tua scelta se vuoi lasciarlo qui ad aspettare il giorno del suo suicidio abbandonandolo al proprio destino  mentre avevi la possibilità di salvare una persona che voleva essere salvata» era una provocazione, lo sapevo benissimo. Annuii alla sua affermazione confermando la scelta che gli avrei parlato.
 
Nel frattempo il ragazzo arrivò al nostro tavolo con le nostre ordinazioni.
 
«Tenete ragazzi» e detto questo posò tutto sul tavolo. Fece per andarsene ma si voltò di nuovo verso di noi fece per dirci qualcosa ma poi si rigirò sconsolato e se n’andò via.
 
«ora o mai più Amerisia» mi sussurrò Harry.
 
A qual puntò scattai in piedi e mi diressi a passo svelto verso il ragazzo. Lo raggiunsi e lo presi per un braccio e m’infilai in un bagno insieme con lui. Non era il posto migliore per parlare ma in quel momento non me ne importava.
 
«che stai facendo?» chiese il ragazzo confuso. Non gli risposi controllai che tutti i bagni fossero vuoti, in modo tale da assicurami che non ci fosse nessuno e chiusi a chiave la porta d’ingresso dei bagni impedendo così a chiunque altro di entrare. Feci un profondo respiro ed incominciai a parlargli.
 
«Scusami, non volevo prenderti così ma era l’unico modo» fece per aprire bocca ma lo interruppi prima che potesse iniziare.
 
«ti prego non interrompermi, non ho molto tempo, anzi non abbiamo molto tempo» annuì e lo guardai negli occhi.
 
«non so da dove iniziare..» Dissi un po’ nervosa. Non sapevo davvero che dirgli, pensai di aver fatto una scelta un po’ troppo avventata e che prima di prenderlo in disparte avrei dovuto pensare ad un minimo di discorso.
 
«Beh consiglio parti dall’inizio.» Disse con ovvietà, quando d’ovvio in tutte quelle cose non c’era niente.
 
«il problema è che non c’è un inizio vero e proprio..» Poi ripensai a tutte le cose che mi aveva detto Harry al tavolo, in auto e la prima volta che ci siamo parlati. Chiusi gli occhi un momento, feci un respiro profondo e li riaprii e lo guardai dritto negli occhi incominciando a parlare.
 
«Penso tu abbia capito che io e il mio amico non siamo di qui. Io sono Amerisia e vengo da Haywire insieme al mio amico Harry. Sono scappata con lui dalla mia città perché non era fatta per noi. Molte delle cose che fanno, delle regole e delle punizioni che ci sono lì non dovrebbero neanche esistere per questo siamo scappati, perché era una società ingiusta a nostro parere. Adesso sicuramente penserai “che c’entro io in tutto questo?”. C’entri semplicemente perché vorrei che tu venissi con noi.» Ero davvero sorpresa di me stessa. Era riuscita a dirgli tutte quelle cose senza incartocciarmi o balbettare.
 
«e perché mai dovrei venire con te? Cosa ti fa credere che verrò con voi?» disse con astio. Sorrisi a me stessa rivedevo in lui me stessa, esattamente una settimana fa e lo guardai negli occhi e vidi di averlo già convinto, che ciò che stava aspettando era arrivato e che lo avevo già convinto ma non voleva ammetterlo a se stesso esattamente com’era successo a me. A quel punto tutte quelle parole che Harry mi aveva detto le capii perfettamente, e le usai anche io.
 
«il fatto che ti ho già convinto, anche se non ne sei ancora del tutto consapevole.» Abbassò lo sguardo consapevole della verità che gli avevo appena sbattuto in faccia.
 
«Senti, noi saremo ai cancelli per l’1:30. Fatti trovare lì, per l’1:15 minimo, con delle valigie e se hai una passione come, non so, il canto, il ballo, l’arte, porta degli oggetti che potrebbero servirti. Porta cibo, acqua, coperte, cuscini tutto quello che vuoi. Ma non tardare o ti lasceremo qui. Con o senza di te noi continueremo il nostro viaggio verso quella che noi consideriamo la nostra libertà. Se poi non verrai è una tua libera scelta, puoi rimanere qui e diventare depresso come tutti gli abitanti di Suicidal ad aspettare la tua fine per mano di te stesso oppure puoi venire con noi. Spero davvero di rivederti e, nel caso non accadesse, beh, addio.» E sbloccai la porta del bagno e l’aprii.
 
Dalle mie spalle sentii la sua voce esclamare «Mi chiamo Zayn, Zayn Malik»
 
«è stato un piacere conoscerti Zayn Malik» gli sorrisi e uscii definitivamente dal bagno dirigendomi verso Harry che ormai aveva bevuto il suo caffè. Mi sedetti di fronte a lui e bevvi velocemente il mio caffè ormai freddo.
 
«com’è andata?» chiese ansioso.
 
«è accaduto tutto un po’ frettolosamente ma bene, credo.. Penso che verrà.» Dissi convinta di quello che dicevo.
 
«bene allora io vado a pagare, nel frattempo vai in bagno se devi fare qualcosa, poi vado anche io e  corriamo verso l’auto che sono già le 24:50»
 
 
Eravamo davanti ai cancelli dall’ 1:00 ed era l’1:15. Di Zayn non c’era nessuna traccia. Iniziai a tamburellare il piede dall’ansia. Prima di arrivare lì, davanti ai cancelli, avevamo fatto anche benzina. Harry dovette aver percepito la mia agitazione perché mi toccò la gamba, frenando il mio continuo movimento.
 
«Stai tranquilla, è presto, sono sicuro che sei stata molto convincente e che verrà, fidati.» Mi sorrise dolcemente con tanto di fossette. Presa sa un istinto irrefrenabile mi avvicinai e misi il dito nella fossetta a destra. Si mise a ridere.
 
«Perchè le mie fossette attirano tanto l’attenzione?»
 
«Perché sono adorabili» dissi tranquillamente.
 
«a me non piacciono.»
 
«Questa è un’offesa a tutti quelli che hanno le fossette o che vorrebbero averle» dissi ridendo della sua espressione buffa. Poi divenne tutto d’un colpo serio.
 
«Guarda, c’è qualcuno lì» osservava in modo sospettoso qualcuno al dietro di me al di fuori dal finestrino. Mi voltai lentamente osservai il punto i cui guardava Harry.qualcuno stava camminando nella nostra direzione.
 
«Amerisia abbassati, non si sa mai che non è Zayn.» Aveva ragione Harry, non potevamo rischiare. Mi abbassai insieme con lui e osservai fuori dal finestrino. Mi alzai solo quando potei distinguere perfettamente la sua figura. «è lui» Aprii lo sportello e gli feci segno. Mi sorrise.
 
«Sapevo che saresti venuto.» Gli sorrisi.
 
Harry scese dall’auto e ci venne incontro.
 
«è un piacere conoscerti, io sono Harold Styles, ma chiamami Harry.» Harry gli porse la mano mentre io aprivo il cofano dell’auto. Sentii Zayn presentarsi a Harry. Entrai in auto mentre Harry caricava le valigie di Zayn. Dopodiché entrarono anche loro in auto. Harry mise in moto l’auto. Era l’1:29 eravamo in ansia tutti e tre. Finalmente i cancelli si aprirono ed Harry sfrecciò verso di essi riuscendo a superarli prima che essi si chiusero. Ce l’avevamo fatta di nuovo e questa volta con noi c’era qualcuno di nuovo che salutava la sua città.
 
«Benvenuto a bordo, Zayn» disse Harry sorridendogli.




BUON NATALE!
Ecco a voi un nuovo capitolo della mia ff come regalo di natale. Volevo postarlo ieri in realtà ma per vari motivi poi non ci sono riuscita :( Comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Recensite in tanti, fatemi sapere che ne pensate. Ringrazio tutti quelli che hanno messo nei preferiti, seguite e ricordate la mia ff e ringrazio anche tutti quelli che hanno recensito.
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***





Capitolo 3
Condition of the Time

Erano le due di notte, era passata mezz’ora da quando avevamo superato i cancelli.
 
La situazione davanti a noi era la stessa che avevamo nel percorso da Haywire a Suicidal: una lunga, infinita strada e sempre dritta. Ma c’era una grossa differenza: non era deserta ma piena di cadaveri appesi per il collo ai due bordi selle strade. A quella vista mi ero spaventata a morte soprattutto quando un cadavere penzolava in mezzo alla strada e il suo corpo strisciò lungo tutta l’automobile. Vidi il suo volto, le sue ferite, era una visione terribile.
La cosa più sconcertante era il numero dei corpi a bordi della strada, sembravano infiniti e non vi erano solamente corpi di persone adulte, anche di bambini e neonati. I loro visi erano rivolti tutti verso la strada e mettevano una grandissima soggezione. In quel momento la paura, tristezza e l’angoscia si fecero vive in me. Forse, adesso, capivo il vero significato della voce del blocco. Era una cosa terribile e straziante.
Dopo il piccolo e breve momento d’esaltazione per aver superato i cancelli di Suicidal, Zayn, alla vista dei cadaveri, aveva incominciato ad urlare dei nomi disperato, probabilmente erano i nomi di alcuni dei cadaveri. Sembrava che stesse per impazzire. Aveva le lacrime agli occhi. Aveva tentato di aprire la portiera per andare a salvarli ma Harry aveva chiuso l’auto all’interno in modo che non potesse uscire dalla vettura. Erano, molto probabilmente, degli abitanti di Suicidal e tra di loro c’erano delle persone da lui conosciute. Urlava dicendo che doveva uscire per salvarli, che non erano ancora morti e che lo guardavano per chiedergli aiuto. Si sentiva in colpa perché era ancora vivo mentre molte delle persone a lui care erano lì fuori, morte forse anche da anni, appese per il collo. Poi dopo minuti interminabili dove feci di tutto per calmarlo, finì di urlare e non proferì più parola e, in generale, tutta la situazione nell’auto si calmò.
 
Iniziai a pensare al perché di quei cadaveri, il senso di appenderli nella strada fuori dai cancelli della città. Non mi ci volle molto per trovare la risposta. Quei cadaveri erano stati messi in modo tale che, se qualcuno riuscisse a scappare da Suicidal alla vista di essi, specialmente di quelli di persone a lui conosciute, impazzisse e, magari per la disperazione, si togliesse la vita. La reazione che aveva avuto Zayn a quella vista ne era la prova.
 
Nell’auto regnava il silenzio, fatta eccezione per il CD che era riprodotto nello stereo dell’automobile.
Harry era concentrato sulla strada davanti a se per non rischiare di frenare all’ultimo, visto i precedenti ed io avevo un gran sonno, ma per colpa dell’adrenalina a mille non riuscivo a chiuder occhio anche se, dovevo ammettere, che i sedili della vettura erano davvero molto comodi.
 
«Harry, tutto a posto?» chiesi preoccupata per lui. Stava iniziando a perdere colpi per via della stanchezza che si stava facendo sentire, teneva gli occhi troppo spalancati, probabilmente per accertarsi di tenerli aperti e rimanere sveglio.
 
«Sì, non preoccuparti» disse cercando di tranquillizzarmi ma con scarsi risultati. Era palese che era molto stanco. Teneva le mani ben salde sul volante, intento a non lasciarlo neanche per un secondo, come se tenerlo in quel modo potesse servire a rimanere sveglio. Stavo per proporgli di fare cambio quando qualcuno mi precedette: Zayn
 
«Se vuoi Harry, possiamo fare cambio.» chiese innocentemente. Finalmente dopo interminabili minuti di silenzio aveva parlato. Naturalmente io non gli avrei mai permesso di guidare, non per essere scortese o per altri motivi, ma avevo paura che prendendo il controllo dell’auto, in caso di un altro attacco di panico causato dai cadaveri appesi lungo la strada, potesse combinare qualche pazzia.
 
«Ragazzi state tranquilli, non preoccupatevi, sto benissimo. Non ho sonno e poi non abbiamo tempo da perdere.» disse tutto d’un fiato, quasi arrabbiato.
 
«In realtà abbiamo tempo, eccome.» l’auto s’illuminò all’improvviso. La luce proveniva da dietro, più precisamente da Zayn «Abbiamo 24 ore prima che i cancelli delle prossime città si aprano» disse con voce ferma e calma, non lasciava trasparire alcun sentimento e non sapevo dire se questo era un bene o un male in quel momento.
 
«E tu come fai a saperlo?» dissi girandomi di dietro verso di lui. In quel momento vidi che in mano aveva una torcia che era puntata verso qualcosa che aveva nella mano sinistra, sembrava un libro. Così curiosa aggiunsi «che cos’è quello che hai in mano?»
 
«Questo?» disse alzando il libro. Annuii con il capo. «Questo è il “Condition Of the Time” non so se anche da voi a Haywire si chiama così.. Comunque in questo libro sono segnati i giorni e gli orari dell’apertura dei cancelli di tutte le città dalle alte mura, più informazioni sulle varie città e sulla popolazione che non vive in città come le nostre» sgranai gli occhi. Non poteva essere vero, il “Condition of the Time” era uno dei documenti massimi delle città dalle alte mura. N’ esisteva uno solo in ogni città, ed, era tenuto sotto controllo in una stanza con delle telecamere in modo tale che nessuno potesse impossessarsene o, in caso contrario, essere riconosciuto e punito a dovere per l’atto commesso. O almeno questa era la situazione ad Haywire. Non sapevo come lo proteggessero in Suicidal, ma sono quasi sicura che, anche lì, se qualcuno provasse a rubarlo, ci sarebbero delle pene terribili. Io e Harry ci guardammo per un attimo terrorizzati e, per quello, gli domandai tremante e piena di paura «e… e tu.. c-come hai f-fatto ad averlo? Dove l’hai preso!» Stavo temendo il peggio.
 
Se lo aveva rubato significava che probabilmente delle pattuglie di Suicidal che stavano inseguendo e con un’alta probabilità ci avrebbero presi e rispediti nelle nostre città e questo non so cosa avrebbe significato per Zayn ma per me e Harry avrebbe significato quasi sicuramente morte certa.
 
«Non so come funziona da voi ma, a Suicidal, è tenuto custodito da un “Portante” ossia una persona, in genere è la moglie o il marito di un cittadino di Suicidal con un’alta carica e che è fedele alla città. Semplicemente mia madre è il “Portante” visto che mio padre è il capo della polizia della città. » disse con nonchalance. Mi sentivo svenire. Eravamo fregati, tutti. Spalancai gli occhi. «Oh ma non preoccupatevi. Non è mica l’originale, è una copia.» appena disse ciò io e Harry tirammo un sospiro di sollievo. Non mi ero nemmeno accorta che avevo trattenuto il respiro fino a quel momento.
 
«Vedete, mia madre è una persona un po’ sbadata e spesso lo lasciava in giro per casa. Io a scuola seguo, o meglio, visto che ora sono scappato da Suicidal, seguivo un corso particolare di storia, dove parlavano delle altre città diverse dalle città dalle alte mura, come Londra, che sono sicuro che conoscete, New York che si trova negli USA, Roma, Milano in Italia, insomma le città normali. Comunque più seguivo quel corso e più volevo andare via da Suicidal. Inoltre i programmi TV avevano un loro peso, visto che trasmettono programmi provenienti dalle città diverse dalle nostre. Vedete, sapere che ci sono luoghi completamente diversi dalle città dalle alte mura, dove ci sono delle regole da rispettare, è vero, con anche delle sanzioni, ma sicuramente le pene non sono essere bruciati in un rogo, oppure essere costretto, all’età di  trent’anni a suicidarsi in una piazza su un palco, davanti a tutta Suicidal, per “IL BENE DI SUICIDAL!”» disse enfatizzando sarcasticamente le ultime parole, fece una smorfia « come punizione per essere stati un gruppo ribelle chissà quanti anni prima che nascessi. Sapere che ci sono luoghi dove puoi esprime tranquillamente il tuo pensiero, che può essere differente da quello di un’altra persone, senza essere punito con punizione estreme mi ha fatto desiderare scappare da qui. Per questo quando trovavo in giro il “Condition of the Time”, prima di far notare a mia madre che lo aveva lasciato in giro, lo prendevo e fotocopiavo o riscrivevo le pagine. Voi non avete idea di quante cose ci tengono nascoste.» si stava sfognando e capivo benissimo quello che provava.
 
Seguivo anche io quel corso. Naturalmente del mio hanno seguivo solo io quel corso. Mi era molto comodo perché serviva per dei punti bonus che andavano a compensare i voti finali delle altre materie.
 
«Anche io seguivo quel corso a Haywire» disse Harry. Mi rimisi seduta composta sul sedile e mi girai verso di Harry sbalordita.
 
«Anche io!» dissi. Harry si girò un attimo verso di me, anche lui con una faccia sbalordita, per poi tornare subito a guardare la strada.
 
«io.. io pensavo di essere l’unico di tutti gli studenti di Haywire a seguirlo..» disse palesemente incredulo. «.. non posso crederci.» alzando le braccia e lasciando il volante con le mani per poi sbatterle su di esso.
 
«Anche io lo pensavo fino a qualche secondo fa.» dissi incrociando e braccia al petto. Subito dopo aggiunsi «perché frequentavi quel corso?»
 
«Ti ricordi quel uomo un po’ anziano che con un carro cercò di sfondare i cancelli ma morì al primo impatto con esso?» annuii. Me lo ricordavo alla perfezione.
 
Era il 11 settembre 2002, era un giorno normalissimo a Haywire era l’ora libera, dove i cittadini di Haywire potevano circolare liberamente per le strade della città. Ero mano per la mano con mia madre quando qualcuno urlò «UN UOMO CON UN CARRO ARMATO VUOLE SFONDARE I CANCELLI DI HAYWIRE!» Tutti cambiarono rotta in quel momento, compresa mia madre, per dirigersi verso i cancelli e vedere cosa stava succedendo. Arrivati lì un uomo sulla sessantina stava parlando ai cittadini. Non ricordavo con precisione quello che aveva detto, insomma avevo pur sempre 7 anni, ma mi rimasero impresse queste parole «Voi non avete idea di quante cose ci tengono nascoste e non solo a noi cittadini di  Haywire ma a tutti gli abitanti delle città dalle alte mura! Il gesto che sto per compiere, se andrà a buon fine è per voi, per la vostra libertà!» e detto questo salì sul carro armato e prese velocità fino a schiantarsi contro i cancelli che, invece di muoversi, cedere o minimo rompersi, rimasero immutati. Rimanemmo lì a fissare tutti quella scena per minuti interminabili, poi qualcuno entrò nel carro armato e ci diede la notizia che l’uomo era morto.
 
«Bene, quel uomo era mio nonno.» la mia bocca si spalancò, non potevo crederci «Ovviamente saprai che dopo l’accaduto vennero delle truppe in ogni casa ad esaminare se c’erano stati dei riscontri o problemi e soprattutto per evitare ribellioni. Fu lì che un uomo mi propose di seguire quel corso. Quel gesto di mio nonno mi aveva sbalordito, scioccato e anche distrutto. E quindi accettai e all’età di 8 anni iniziai quel corso. In più a scuola avevo dei voti molto alti e questo corso me li faceva solo aumentare.» disse tranquillamente mentre ascoltavo con attenzione il suo racconto. Mi dispiaceva tanto per Harry. Se a me, che non avevo niente in comune con quel uomo, il fatto accaduto mi aveva scioccato non oso immaginare l’effetto devastante che poteva aver avuto su Harry. «E tu? Perché lo frequentavi?» disse tranquillamente. In tutto quel discorso Zayn non aveva proferito parola. Avevo notato che era un ragazzo molto taciturno, sempre sulle sue.
 
«Come hai detto tu, dopo l’accaduto con.. tuo nonno.. le truppe vennero ad esaminare i riscontri che aveva procurato e io ero rimasta colpita da quello che era accaduto e un uomo mi propose questo corso, più che una proposta era un’imposizione, a me questo corso me lo hanno imposto, a differenza tua Harry.» il silenzio calò di nuovo nella vettura. Potevo sentire i cervelli di Harry e di Zayn fare rumore per i tanti pensieri che probabilmente avevano scatenato le nostre rivelazioni. Poi tutto d’un tratto Harry parlò.
 
«Credo che mio nonno avesse letto il “Condition of the Time”»
 
In un primo momento quell’affermazione mi spiazzò, completamente ma poi, quando incominciai a ragionare non potevo che essere più d’accordo con Harry. Le  parole “voi non avete idea di quante cose ci tengono nascoste” pronunciate da suo nonno prima di morire erano le stesse che aveva usato Zayn qualche minuto prima. Ma volevo confermare la mia teoria quindi stavo per fargli una domanda quando Zayn, per la seconda vola in poco tempo, mi precedette di nuovo.
 
«e perché credi questo?»
 
«Perché mio nonno prima di entrare nel carro armato e morire aveva fatto un discorso e aveva detto “voi non avete idea di quante cose ci tengono nascoste ” . Sono le stesse identiche parole che hai usato tu qualche minuto fa e tu sei a conoscenza della maggior parte delle cose scritte lì dentro, no?» questa era la conferma.
 
«Beh, a questo punto, tutto è possibile» disse Zayn semplicemente.
 
In quel momento mi venne in mente un’idea.
 
«Zayn hai carta e penna da qualche parte?» Harry fecce una faccia un po’ confusa ma continuava a tenere gli occhi aperti, anche se con qualche difficoltà, e incollati alla strada
 
«Sì, perché?» disse anche lui confuso.
 
«Prendile e basta. Fatto?» avevo usato un tono un po’ troppo dura ma così ero sicura che non avrebbe protestato e infatti, dopo vari rumori di cerniere, mi arrivò subito una conferma da parte sua.
 
«Bene, passameli subito. Harry accendi la luce dell’auto.» dissi con voce autoritaria Zayn mi passò un blocco di carta e una penna mentre Harry accese la luce. «Zayn ogni quanto si aprono i cancelli di Suicidal?» chiesi subito «Ogni due mesi, il giorno 11» Trovai una posizione comoda per scrivere e iniziai.
 
Haywire
Apertura cancelli:
una volta ogni due mesi, il giorno 10. Ore 21:35.
 
Arrivo ai blocchi dopo due ore (23:35)
 
Arrivo nella città di Suicidal in un quarto d’ora (23:50)
 
Suicidal
Apertura cancelli:
una volta ogni due mesi, il giorno 11. Ore 1:30
 
 
Guardai soddisfatta quello che avevo scritto sul foglio.
 
«Bene ho scritto precisamente tutti gli orari del nostro viaggio fino ad ora. Penso che gli scriverò tutti. Non si sa mai.» strappai il foglio dal blocco che Zayn mi aveva dato e lo misi dentro un piccolo cassetto nell’auto di Harry per poi restituirglielo. Abbassai lo sguardo e vidi un altro pezzo di carta e grazie alla luce riconobbi cos’era. Mi piegai e, con qualche difficoltà vista la cintura di sicurezza, lo presi in mano.
 
«Zayn, io e penso anche Harry, vorremmo ringraziarti per averci indicato l’orario dell’apertura dei cancelli a Suicidal.» dissi sorridendo, anche se lui non poteva vedermi. Naturalmente avevo fatto un collegamento al fatto che lui avesse letto il “Condition of the Time” e che voleva scappare da Suicidal.
 
«è vero, grazie mille Zayn. Senza quel foglio con lo strano messaggio non saremmo qui ora. Certo che hai fatto una cosa un po’ azzardata, lo poteva vedere chiunque quel foglio, però ci hai aiutato molto.» aggiunse subito dopo Harry.
 
«Scusate ragazzi ma di che cosa state parlando?» disse. Quello che stava facendo non era per niente divertente, odiavo la gente che faceva finta di non sapere di che cosa stavamo parlando. Anche se dovevo ammettere che era molto convincente il ragazzo a giudicare dal suono confuso che aveva assunto la sua voce.
 
«Del foglio che hai lasciato sulla nostra macchina a Suicidal, Zayn.» e glielo porsi.
 
«Guardate che non sono stato io a lasciare questo sulla vostra auto, non è neanche la mia scrittura! È troppo bella per essere la mia!» disse per sdrammatizzare.
 
«Zayn, smettila di dire stronzate!» se ne uscì Harry abbastanza alterato «e tu Amerisia spegni sta cazzo di luce dell’auto» senza fiatare spensi immediatamente la luce. Sembrava molto arrabbiato, complice sicuramente la stanchezza. «Ci hai seguiti fin da quando abbiamo messo piede in Suicidal, ci hai osservato sempre e poi, anche se eri a lavoro, ti abbiamo incontrato in quel bar. Ci hai sempre squadrato, volevi già fuggire e quindi sapevi già sicuramente quando si aprivano i cancelli di Suicidal. In più hai letto il “Condition of the Time” dove ci sono scritti tutto gli orari di apertura di questi cancelli e tu, adesso, mi vieni a dire che non sei stato tu a scrivere quel messaggio?» si poteva capire benissimo che Harry era molto nervoso, in effetti lo ero anche io.
 
«No, non sono stato io. E se avessi voluto dirvi l’orario dei cancelli ve lo avrei detto io direttamente! Davvero, dopo tutto quello che avete fatto per me non vi mentirei mai!» a qual punto sbiancai completamente.
 
«Aspetta un momento.. Quindi se non sei stato tu a scriverlo, allora chi è stato?» dissi
 
Harry frenò di colpo l’auto. Eravamo davanti a un altro blocco. Erano le 3:30. Harry si girò verso di me, anche lui paonazzo in volto. Nell’auto era calato un silenzio carico di tensione.
 
«No-non lo s-so» disse Harry con la voce tremante. Adesso era palese, qualcun altro sapeva che eravamo scappati da Haywire e probabilmente ci stava inseguendo.
 
«Che città ci sono?» disse Zayn forse per cambiare argomento e non pensare, almeno per ora, a questo problema.
 
La strada si divideva in altre tre strade, era tutto esattamente come la volta precedente eccetto per i nomi sui cartelli. A destra il cartello indicava Indifferent, al centro Insupportable e a sinistra Helpful.
 
«Bene, dove andiamo?» chiese Harry.
 
Io non avevo idea di dove fosse meglio andare. A Indifferret probabilmente i cittadini ci avrebbero ignorati, in Insupportable credo che ci assillerebbero, visto che una persona è insopportabile quando non ti lascia in pace un attimo, o almeno per me era così, e in Helpful dovrebbero esserci delle persone disponibili, magari anche ad aiutarci. Naturalmente quelle erano dei pensieri fatti in base al fatto che ogni nome corrisponde a una caratteristica, poi poteva essere anche tutto il contrario. È buffo il fatto che a scuola ci facevano studiare le varie città dalle alte mura per poi venire a scoprire da questo viaggio che probabilmente non te le menzionavano tutte visto che delle città incontrate per ora non le avevo mai sentite nominare. È buffo pensare che probabilmente ti fanno studiare solo le città peggiori per farti capire che la tua città è migliore rispetto alle altre. Avevamo studiato War, Warrior per esempio ma mai Helpful o Suicidal. Non credevo che le condizioni delle altre città non nominate siano migliori ma sicuramente una città con il nome Helpful non fa altro che darti speranza. Una luce che proveniva da dietro illuminò l’auto.
 
«In base a quello che c’è scritto sul “Condition of the Time” credo che Helpful sia la migliore.» disse Zayn mi voltai verso di lui e vidi che leggeva il libro. «i cancelli per evade dalla città si aprono alle 16:00 il giorno 11 ogni due mesi. La popolazione è disponibile e socievole, aiuta tutti.» uh, ma guarda, proprio come a Haywire pensai tra me e me quasi ridendo. Ad Haywire nessuno aiutava l’altro se non per trarne un vantaggio personale.
 
«Beh l’orario m’ispira, avremmo tempo per dormire e se sono caritatevoli, meglio per noi, no?» disse Harry con un piccolo luccichio negli occhi, come se dormire fosse la cosa più bella del mondo in quel momento.
 
«Anche per me va bene Helpful» dissi sicura. Quella città con quel nome, non so perché, mi dava senso di sicurezza.
 
Harry si avvicinò al blocco di Helpful e una voce incominciò a parlare.
 
«Benvenuti nel blocco di Helpful, la città dove la carità regna!» quasi mi venne da ridere ripensando alle parole che avevo sentito invece per Suicidal «Se fa parte della città di Helpful la prego di pronunciare la parola d’ordine per entrare nella città. In caso contrario, la prego di schiacciare il pulsante arancione per poi ritirare 5 asse nel portamonete al centro del blocco.»
 
«Questa sì che è una bella notizia! Altro che Suicidal! Forza Amerisia premi quel pulsante e prendi i soldi» disse spruzzando felicità da tutti i pori.
 
«Ma qui c’è scritta la parola d’ordine» disse Zayn, azzardando.
 
«Assolutamente no! Noi siamo dei forestieri e prenderemo quei soldi! Suicidal mi ha sfottuto 1 asse e chissà quanti soldi dovremo spendere ancora. Quindi, Amerisia, gentilmente potresti prendere quei soldi, per favore?» disse Harry enfatizzando il fatto che per entrare in Suicidal aveva speso dei soldi.
 
«e tu hai pure dato dei soldi a una città dove le persone sono costrette a suicidarsi? Io non lo avrei mai fatto, piuttosto avrei sfondato il blocco con le mie stesse mani.» disse Zayn come se aver pagato per entrare in Suicidal fosse un insulto alle persone. E in realtà non aveva torto.
 
Aprii lo sportello e, senza farmi vedere da qualsiasi presunta telecamera, schiacciai il pulsante arancione fosforescente e presi i soldi che caddero dentro il porta monete. Poi mi risistemai e chiusi lo sportello e diedi i soldi a Harry.
 
«Grazie per aver ritirato i soldi forestiero, che la carità, la benevolenza e l’altruismo le siano di compagnia!» e detto questo la sbarra di fronte a noi si alzò permettendoci di continuare il nostro cammino per Helpful.
 
«Oh, queste città mi piace, sì è presentata bene. Almeno non ti dice “che la depressione, la tristezza e l’angoscia le siano di compagnia!”» disse imitando palesemente la vocina che ci aveva presentato Suicidal come la città migliore del mondo nonostante la presentazione era delle peggiori. Scoppiai a ridere.
 
«“Benvenuti nel blocco di Suicidal, la città dove il malcontento regna!”» imitai a mia volta e anche Harry si mise a ridere.
 
«Ragazzi ma che state dicendo?» chiese Zayn.
 
«Prima di arrivare a Suicidal c’era un blocco come quello dove c’era una vocina che ci aveva presentato la tua città in quel modo. Uno spasso unico.» disse Harry continuando a ridere per sdrammatizzare la situazione.
 
«Oh sì, la parte migliore è quando hanno chiesto i soldi ed Harry ha sganciato 1 asse. Dovevi sentirlo.» dissi continuando a ridere.
 
«Io non ho detto niente che facesse così ridere.» disse piccato dentro.
 
«Invece sì. “Fantastico”» dissi iniziando ad imitarlo «“non solo andremo a “Suicidal, la città dove il malcontento regna!”, devo pure pagare 1 asse per entrare una città di depressi che s’impiccano.”» Zayn si mise a ridere.
 
«E dovreste vedere tutte le scenate che fanno prima d’impiccarsi! Prima elogiano per un tempo infinito Suicidal, dicendo quanto sia fantastica e quanto siano onorati di viverci e poi spiegano il motivo per cui si suicidano che, ovviamente, è “PER LA GLORIA DI SUICIDAL!”» disse enfatizzando le ultime parole «e la cosa migliore è che ti fanno pure scegliere il tipo di suicidio che preferisci all’età di 11 anni. Naturalmente tutti si dovranno suicidare prima o poi. Solo se una donna spetta un bambino o se hai una carica massima all’interno di Suicidal puoi scampare ad esso. Come mia madre e mio padre avendo delle cariche importantissime non sono costretti al suicidio però io e le mie sorelle sì. Inoltre ti obbligano a 20 anni a sposarti con qualcuno che la città ha scelto per te e con cui sei costretto a fare almeno due figli prima dei trent’anni. E i figli sono costretti a vedere i propri genitori suicidarsi» disse in tono amareggiato. Pensai che se i genitori facessero un figlio subito a vent’anni quando essi si dovevano suicidare quello ne avrebbe avuti dieci ed erano costretti a vedere la fine dei propri genitori. Era una cosa terribile.
 
«Tu che suicidio avevi scelto» chiese Harry.
 
«Una pallottola dritta al cuore, così da farla finita subito, senza soffrire più di tanto.» disse di botto. «Naturalmente prima di compiere un gesto del genere avrei bevuto tanti di quegli alcolici e poi nel mio discorso avrei detto tutti quello che penso di quella stupida città e avrei dato, per una volta, delle informazioni veritiere ai cittadini per poi un attimo prima di suicidarmi lanciare la mia copia del “Condition of the time”. Giusto per finire in bellezza.» disse tranquillamente, come se parlare del proprio suicidio sia una cosa normalissima. Per quanto mi riguardava, nell’udire quel racconto e tutte quelle cose su Suicidal mi si raggelò il cuore. Com’era possibile che delle persone, degli esseri umani, capaci di provare sentimenti, avessero il coraggio d’imporre a delle persone una cosa del genere? Cos’avevano in testa quei pazzi dei nostri antenati ancora non lo avevo capito e per me questo rimarrà per sempre un mistero.
 
«Ragazzi guardate!» i cancelli della città di Helpful si aprirono e finalmente entrammo nella città.
 
Era notte fonda ormai e delle luci illuminavano le strade. Harry guidò fino ad un parcheggio.
 
«Bene puntiamo una sveglia per le 8:00 e dormiamo. Zayn puoi prendere delle coperte? Sono sotto i tuoi piedi.» disse mentre programmava la sveglia sulla radio dell’auto.
 
Zayn ci passò delle coperte e ce le sistemammo addosso. Finalmente potevamo dormire. Dopo esserci scambiati la buona notte chiusi gli occhi e caddi immediatamente in un sonno profondo.


BUON ANNO A TUTTI!
Scusate il ritardo, volevo pubblicarlo l'1 gennaio ma ho avuto degli imprevisti.
Vorrei ringraziarvi per le tantissime reensioni del secondo capitolo, sono solo 13 ma per me sono tantissime, voglioi ringraziare anche tutti quelli che hanno messo la mia storia tra le ricordate, le preferite e le seguite. siete tantissimi!
Molti per messaggi privati mi hanno chiesto perchè non scrivo precisamente quando aggiorno e ho deciso di rispondervi qui. Non lo faccio semplicemente perchè non lo so neanche io. Io scrivo i capitoli ad impulso. Di questa storia so già la fine, ce l'ho in mente da quando ho pensato di scriverla ma non so di preciso lo svolgimento. Certo ho dei punti prestabiliti nella storia ma niente di più.
Comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che non vi abbia deluso. Vengono spegate molte cose e fa cappire da dove è nata la loro voglia di scappare dalle loro città.
Bene, mi raccomando, per favore, recensite in tanti e fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo e della storia in generale. Per me è davvero molto importante.
Grazie ancora a tutti. Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

 
Capitolo 4
Helpful


Il suono assordante della sveglia mi svegliò dal sonno profondo.
La notte precedente mi ero addormentata subito, distrutta dal lungo viaggio e dalle mille emozioni provate in così poco tempo. Dopotutto, erano passate poco più di 5 ore da quando io e Harry avevamo sorpassato i cancelli di Haywire per poi arrivare a Helpful passando per Suicidal dove incontrammo Zayn. Non potevo ancora credere a tutto ciò e non riuscivo a capacitarmene. Avevo paura che se avessi aperto gli occhi mi sarei ritrovata sul letto di casa mia, accorgendomi di essermi immaginata tutto e facendo sparire ogni mia speranza. Non avevo alcun’intenzione di aprire gli occhi o di muovere un solo muscolo per spegnere la sveglia nonostante la musica assordante. Provai a convincere i ragazzi a farlo.
 
«Harry, potresti spegnere la sveglia?» chiesi sperando in una risposta affermativa ma tutto quello che ricevetti come risposta fu un verso di disapprovazione e un misero «Fallo tu.». Ci riprovai con Zayn sperando qualcosa di più da parte sua. Visto che non ero tanto in confidenza con lui, rispetto a Harry, gli porsi gentilmente la domanda «Zayn potresti, per favore, spegnere la sveglia dell’auto?» silenzio totale. Come facesse a dormire così profondamente con tutto quel fracasso, non mi era comprensibile, anche se, avendo ancora gli occhi chiusi, non potevo esserne certa.
 
Alla fine m’arresi e, borbottando mentre aprivo gli occhi, mi avvicinai a fatica alla radio dell’auto e, dopo varie imprecazioni, riuscii a spegnerla. Solamente quando mi girai per riaccomodarmi nel mio caldissimo sedile, i miei occhi caddero per caso fuori dal finestrino e, appena vidi quello che c’era al di fuori dell’auto, mi paralizzai e sgranai gli occhi. In quel momento il mio cuore perse un battito.
 
«em… Ragazzi, abbiamo un problema...» Ero abbastanza in soggezione. «Guardate fuori dall’auto.»
Harry a fatica aprì gli occhi e, sbuffando, guardò si affacciò al finestrino e, dall’espressione sul suo volto, potei costatare che era abbastanza sorpreso. Nemmeno lui riusciva a formulare una frase.
 
«Oh cazzo…» questo fu tutto quello riuscì a dire Zayn dai sedili posteriori.
 
Al di fuori dell’auto, tutto intorno, si erano radunate tantissime persone che osservavano l’auto, curiosi, e bisbigliavano tra loro. In quel momento lodai i vetri scuri del veicolo di Harry perché, grazie ad essi, la gente non poteva vedere cos’accadeva all’interno.
 
«Forza, scendiamo dall’auto.» Se ne uscì Harry tutto di un tratto mentre tendeva una mano verso la maniglia dell’auto. Allungai il mio braccio per impedirglielo.
 
«Io non scendo.» Decretai decisa. Non avevo nessun’intenzione di lasciare l’auto, avevo paura e avevo un sesto senso che non prometteva nulla di buono. Incominciava a salirmi l’ansia.
 
«Non se ne parla neanche. O scendi tu di tua spontanea volontà o ti faccio scendere io.» Detto questo, aprì la portiera, uscì dalla vettura e, in fine, la chiuse alle sue spalle sbattendola. Lo vidi fare il giro dell’auto pronto a tirarmi fuori di lì. Feci un profondo respiro e scesi dall’auto prima ancora che potesse avvicinarsi alla mia portiera. Gli lanciai uno sguardo truce.
 
Le persone intorno a noi erano tantissime, sembrava che tutti gli abitanti di Helpful si fossero radunati intorno a noi. Ci guardavano come se fossimo un bello spettacolo, qualcosa di raro, che non si era mai visto e, in effetti, non avevano tutti i torti. Pensai che nessun altro oltre a noi si fosse spinto così tanto da scappare da Haywire o da qualche altra città e, in ogni caso, non credevo che gli abitanti delle città dalle altre mura si spostassero da un paese all’altro.
 
Zayn uscì dall’auto, e notai che senza farsi vedere infilò qualcosa nella tasca della sua giacca di pelle. Tutti e tre ci guardammo intorno, spaesati, non sapevamo cosa fare. Bella idea Style, complimenti pensai sarcasticamente.
 
Mille pensieri affollarono la mia mente. Non avrei mai immaginato di ritrovarmi in una situazione del genere, con tantissime persone radunate tutte attorno, nell’attesa di un qualcosa di frizzante e diverso dal solito. A dire il vero, non mi sarei mai immaginata in un posto diverso e lontano da Haywire. Probabilmente a questa ora tutta la città starà impazzendo, non trovando né me né Harry a scuola o nelle nostre abitazioni. Pensai a mia madre. Sperai che avesse letto la lettera che le avevo scritto e che l’avesse nascosta o, meglio ancora, bruciata. Quella lettera conteneva troppe informazioni. Immaginai mia madre mentre arrivava a casa che, dopo una lunga serata di lavoro, al posto di trovare sua figlia nel letto a dormire, trovava una misera lettera in cucina con scritto che l’ultima persona che le era rimasta al mondo se n’era andata e che l’avrebbe lasciata sola per sempre, in qualsiasi modo vadano le cose. In quel momento mi sentii immensamente in colpa. Io ero l’unica persona che le era rimasta e da grande egoista me n’ero andata, abbandonandola a se stessa. L’avevo lasciata per sempre e se mai l’ avessi avuto rivista sarebbe stato il giorno di una mia probabile esecuzione per essere fuggita da Haywire. Il senso di colpa cresceva sempre di più ogni secondo che passava, mi corrodeva e sembrava succhiarsi via l’anima. Era vero, avevo lasciato quella lettera, spiegandole tutto a grandi linee, ma questo non cambiava niente. Sarei potuta rimanere lì, con lei a Haywire, ad aiutarla ad affrontare l’orrore di vivere in un paese del genere eppure avevo deciso di andare via con Harry in un posto che sembrava migliore di qualunque altro. Di solito i genitori sperano sempre il meglio per i loro figli e se il meglio si trovava al di fuori di tutte le città dalle alte mura a quel punto mia madre potrebbe sentirsi felice per me, anche se, da come si stava mettendo le cose, non era sicura della riuscita della nostra fuga.
Forse, avevo sbagliato a scriverle quella lettera, che era un male sia per me che per lei, ma mi sarei sentita doppiamente in colpa se fossi sparita così dal nulla senza lasciarle niente. Se quella lettera arrivasse nelle mani sbagliate, metterebbe in grossi guai non solo mia madre ma anche i familiari di Harry. Inconsciamente, mi voltai verso di lui, sembrava perso nei suoi pensieri. Forse anche lui stava pensando alla sua famiglia e a Haywire.
 
Ad un tratto vidi un uomo camminare verso di noi facendomi allontanare dai vari pensieri che si trovavano nella mia mente. Aveva una strana luce negli occhi che mi mettevano paura, ma, osservando Zayn e Harry, che apparivano tranquilli e rilassati, pensai che era una delle mie solite paranoie perché avevo paura: la paura dell’ignoto, di ciò che non conoscevo. Appena arrivò di fronte a noi, tutti si zittirono improvvisamente.
 
«Benvenuti a Helpful! Spero che vi troverete bene, qui, durante il vostro soggiorno. Scusateci se appariremo appiccicosi, ma non siamo abituati ad avere visite.» Ci sorrise e io tentai di ricambiare con un sorriso il meno falso possibile.
 
«Grazie per l’accoglienza.» Disse il riccio nel modo più tranquillo e sicuro possibile, nonostante il suo corpo rigido e teso facevano intendere tutt’altro. Era strano come il suo umore fosse cambiato dopo un’unica frase pronunciata da quell’uomo. Forse, anche lui aveva avuto la mia stessa sensazione. Tutto questo non prometteva niente di buono.
 
Tutti gli sguardi di quelle persone sconosciute mi mettevano in soggezione e ansia, soprattutto tanta, troppa ansia. Mi mancava il respiro. Dovevo essere impallidita o, in ogni caso, dovevo mostrare che c’era qualcosa che non andava perché Harry si avvicinò a me tenendomi stretta a lui, avvolgendo un braccio intorno alla mia vita, cercando di calmarmi e darmi sicurezza strofinando la sua mano sulla mia schiena.
 
Tutta quella gente la sentivo bisbigliare insistentemente e in modo molto intenso. Mi sembrava d’impazzire o forse ero già pazza?
 
Non mi era mai piaciuto stare al centro dell’attenzione e, per mia fortuna, a Haywire non avevo avuto molte occasioni per esserlo. Se fosse per Haywire, tutte quelle persone che si stavano facendo i fatti nostri e spettegolavano su di noi in un luogo pubblico, manifestandolo tranquillamente davanti a tutti, dovevano essere isolate in una stanza priva d’ogni cosa, frustate finché non si pentivano, per poi essere frustate nuovamente in pubblico, chiedendo perdono, in particolare alle persone di cui sapevano troppo. Naturalmente questo era il livello di punizione medio poiché era un oltraggio in luogo pubblico. Per tutto il tempo che avevo vissuto lì in quella città, non avevo avuto modo di assistere (per mia fortuna) a questo tipo di punizione. Mia madre però mi raccontò che, una volta, quando aveva più o meno la mia età, era accaduto e che era stata una delle cose più terribili che avesse mai visto da quando era nata.
 
In quel momento tornai a pensare a mia madre, rimasta completamente sola.
Mi ritrovai improvvisamente a camminare, seguendo quell’uomo insieme a Harry e Zayn. Mi risvegliai definitivamente da tutti i miei pensieri e, avvicinandomi all’orecchio di Harry cercando di non farmi sentire da nessuno, gli sussurrai «Dove stiamo andando?»
 
«Precisamente non lo so, ha detto che ci portava in un posto dove avremmo potuto prendere tutto il necessario e imparare delle nuove cose per andare avanti nel nostro viaggio e… sopravvivere.»
 
Al pronunciare di quell’ultima parola mi vennero i brividi insieme ad un groppo in gola. Sapevo perfettamente che quel viaggio non sarebbe stato tutto rose e fiori ma non fino a questo punto. Non mi sentivo bene, per niente. Pensai che forse il messaggio di benvenuto di Suicidal non fosse così sbagliato. Forse, la depressione, la tristezza e l’angoscia mi avrebbero fatto compagnia per tutto questo viaggio, forse Suicidal aveva ragione.
 
L’uomo ci guidò fino ad una grande porta di un palazzo enorme, non avevo idea di che cosa fosse ma speravo che fosse qualcosa di buono. Insomma, eravamo a Helpful "la città dove la carità regna", dovevano essere tutti gentili e caritatevoli nei confronti delle persone. Eppure, quando entrai dentro l’edificio, un senso d’angoscia s’impossessò di me. Ci ritrovammo in un’enorme stanza dalle pareti dipinte di un azzurro spento, le tende che coprivano delle finestre, all’apparenza enormi, erano di un blu scuro e l’abitacolo era spoglio. L’unica cosa presente in quella stranissima e fredda stanza era una scrivania con dietro un ragazzo biondo, intento a sfogliare alcune carte e a metterle a posto.
Ci dirigemmo nella sua direzione e, quando ci trovammo di fronte a lui, posò le sue ultime carte sul banco e alzò finalmente lo sguardo verso di noi, mostrando il sorriso più sincero che avessi mai visto.
 
«Oh, forestieri. Posso esservi utile ragazzi?» chiese gentilmente il ragazzo anche se si notava benissimo che era molto sorpreso. Aveva un’aria solare e sembrava un angelo con i suoi capelli biondi e due occhi di un azzurro così intenso e puro.
 
«Non perdere tempo ragazzo. Io ti pago per mantenere l’ordine e aiutare gli altri. Portali immediatamente nei sotterranei per le provviste e per l’addestramento, e non perdere tempo! Più tempo sprechi meno aiuti. Muoviti!» l’uomo che ci aveva portato nell’edificio gli parlò bruscamente. Non era molto gentile con il ragazzo ma non credo che quest’ultimo fosse nella posizione di discutere sul comportamento poco educato che gli rivolgeva.
 
«Certo, subito.» Detto ciò il ragazzo premette un pulsante rosso e partì un avviso vocale registrato in tutto l’edificio.
«Forza ragazzi, seguitemi.» E con questo uscì da dietro il bancone e ci guidò verso una porta rossa fermandosi davanti ad essa. Io e i ragazzi ci guardammo tutti quanti straniti. Non mi fidavo delle persone che abitavano qui e non mi piaceva affatto il luogo dove ci trovavamo.
 
«Allora qui dentro troverete tutto quello che vi serve, vestiti, viveri, armi. Siete obbligati a prendere un’arma e un’armatura per proteggervi siccome sarete addestrati. Potete scegliere tranquillamente l’arma che volete, nessuna di quelle dentro questa stanza sarà carica. Dentro vi dirò altre semplici regole.» Tirò fuori dalle tasche un mazzo di chiavi e aprì la porta. Una luce abbagliante c’investì.
 
«Scusate ragazzi ma il dovere mi chiama. Mi raccomando rispettate le regole e prendete tutto il necessario. E tu, fai il tuo lavoro!» guardò male il biondo e poi se n’andò. Alla faccia di Halpful! Dall’espressione del ragazzo potevo dedurre che gli sarebbe piaciuto dargli un pugno in piena faccia, con tanto di frattura al naso ma non si può avere tutto dalla vita e, nonostante tutto, mostrò uno dei suoi sorrisi migliori e ci guidò dentro la stanza dalla luce accecante. Era una stanza molto luminosa con tante finestre e i muri dipinti di bianco, in netto contrasto con quella precedente. Man mano che avanzavamo notai le tantissime persone che lavoravano all’interno della stanza e il via vai continuo della gente, chi con fogli, chi con oggetti, chi con messaggi da portare a voce. C’era un caos immenso. Quando passavamo tra di loro c’era chi smetteva di fare il proprio lavoro e ci guardava con curiosità, altri rimanevano indifferenti, molti nemmeno ci notavano, il che era un bene visto che tutti quelli che ci notavano si fermavano a parlare con il ragazzo biondo che ci guidava che, a quanto pare, si chiamava Niall. Mentre camminavamo, quando non era interrotto da qualcuno che lo chiamava, Niall ci spiegava alcune semplici regole da rispettare nella nostra, a quanto pare, molto breve permanenza all’interno dell’edificio. Io e i ragazzi ci guardammo intorno spaesati. Tutto quel bianco e quella luce mi faceva venire il mal di testa. Finalmente arrivammo, a quella che sembrava, la fine di quell’enorme stanza e Niall si fermò davanti ad un’altra porta. Il ragazzo si allontanò un po’ da noi e finalmente, da quando eravamo dentro quell’edificio, io e i ragazzi rimanemmo soli e riuscimmo a parlare.
 
«No, un’altra porta no.» Sussurrò Harry sia a me che a Zayn.
 
«Non so se voi ve ne siete resi conto ma abbiamo perso tantissimo tempo.» Disse Zayn alzando la manica del suo braccio sinistro e osservando l’orologio nero che adornava il suo polso.
 
«Che ore sono?» chiesi preoccupata.
 
«Le 10:00» ad occhio e croce avevamo perso solo due ore anche se, per com’eravamo messi, due ore erano tantissime, troppe. Com’era possibile che fosse volato così velocemente il tempo senza che noi ce n’accorgessimo era un mistero. Inoltre non avevamo fatto chissà che da quando c’eravamo svegliati in auto. Sta di fatto che tutti i progetti che avevo fatto nella mia mente erano ormai inutili.
 
«Bene, mancano 6 ore all’apertura dei cancelli. Dobbiamo cercare di essere lì almeno una mezz’ oretta o un quarto d’ora prima, se ci va proprio male. Non mi ricordo neanche dove abbiamo lasciato l’auto e, cosa più importante, non ho idea di dove siano i cancelli d’uscita.» Il riccio si mise le mani nei capelli esasperato. A quanto pare eravamo messi peggio di quanto pensassi e le cose non potevano che peggiorare.
 
 «Sarà difficile riuscire ad arrivare davanti ai cancelli tutto questo tempo prima siccome ci stanno sempre addosso. Da quando siamo qui siamo riusciti a parlare solo una volta. In ogni caso io mi ricordo dove abbiamo lasciato l’auto. Più che altro dobbiamo sperare di ritrovarla lì.» Disse Zayn con grand’ovvietà.
 
Stavo per dire la mia quando Niall tornò da noi con dietro di se dei ragazzi che trascinavano dei carrelli pieni d’oggetti.
 
«Scusate se vi ho lasciato qui così senza dirvi nulla. Ho dato l’ordine di accumulare per voi viveri, vestiti e quant’altro possa esservi utile. In questi carrelli ci sono degli oggetti che potrebbero servirvi per l’addestramento.» Disse tranquillamente mentre i ragazzi con i carrelli si mettevano davanti ad ognuno di noi.
 
«Scusami, giusto per sapere eh, ma quanto dura questo breve addestramento? E a che scopo?» chiesi innocentemente. Avevo tutto il diritto di saperlo siccome non avevamo tanto tempo a disposizione. Avevamo cose più importanti a cui a pensare.
 
«Generalmente per i cittadini di Helpful dura un mese e mezzo mentre per i forestieri minimo tre giorni. Dipende da come se la cavano con le armi.» Tre giorni erano troppi, a mala pena avevamo 5 ore.
 
«Si potrebbe tramutare l’addestramento da tre giorni a tre ore?» chiese Harry allarmato quanto me. Non potevamo permetterci di rimanere lì per cinque giorni per più di un motivo: il primo era perché se non riuscissimo ad uscire da Helpful oggi avremmo dovuto aspettare due mesi e, per secondo  ma non da sottovalutare, probabilmente le guardie di Haywire e, forse, anche quelle di Suicidal ci avrebbero trovato ancora prima che i cancelli di Helpful si possano aprire un’altra volta perché ero sicura al 100% che  quelli di Haywire ci stavano già cercando. Ero convinta che avrebbero usato qualsiasi mezzo per ritrovarci e, a quel punto, saremmo tutti morti.
 
Alle parole di Harry il biondino parve un po’ confuso, poi, come un fulmine a ciel sereno, intese l’affermazione. Possibile che sapesse? Ero nella città di Helpful solo da poche ore e mi stavo già facendo tutti questi problemi. La mia testa stava scoppiando.
 
«In ogni modo quest’addestramento lo facciamo perché Halpful è circondata da città guerriere e in caso d’eventuali attacchi i cittadini e tutti quelli che vi si trovavano sappiano come difendersi.» Continuò Niall ignorando la richiesta di Harry.
 
«Che genere di città guerriere?» chiese Zayn interessato alla questione. Niall sospirò e poi, deciso e con tono secco, rispose con il nome di una delle città dalle alte mura più terribili.
 
«Warrior» Moriremo tutti! Pensai immediatamente. Warrior era esattamente la città che temevo più di tutte in assoluto, naturalmente dopo War. Era la città dei guerrieri e, secondo la leggenda, i cittadini non guardavano in faccia a nessuno, uccidevano senza che qualcuno potesse provare a discolparsi. Era una delle città con le mura più alte perché si temeva che potessero scavalcarle per combattere contro le altre città dalle alte mura. E non sapevo se la cosa peggiore fosse che bisognava per forza passare da Warrior o che dopo Warrior c’era War. Deglutii rumorosamente. Questo viaggio era più complicato e difficile del previsto.
 
«Grazie per l’informazione.» Come facesse Zayn ad avere un tono così calmo non lo riuscivo a capire.
 
«Di niente. Bene, adesso indossate gli indumenti e poi entriamo nella stanza d’addestramento.» Disse Niall che ci lasciò cambiare tranquillamente. Armati e protetti di tutto punto in seguito entrammo nella stanza.
 
«Bene, mettetevi qui in fila.» Il biondino c’indicò un posto di fronte ad una gigante saracinesca abbassata, che partiva dal soffitto della stanza fino al pavimento, e c’impediva di vedere cosa c’era dall’altra parte. Ci mettemmo in fila, uno di fianco all’altro, dopodiché alzarono la saracinesca e solo allora scoprimmo che cosa vi era dietro: un poligono di tiro.
 
«Teniamo d’occhio il tempo.» Sussurrai sia a Harry che a Zayn.
 
«e cerchiamo d’imparare il più possibile. Credo che quest’addestramento ci servirà in futuro.» Aggiunse Zayn. Sia io che Harry annuimmo.
 
Iniziammo l’addestramento. Ognuno di noi aveva un istruttore personale che s’insegnava cose base che andavano dal modo in cui si carica una pistola a come si usa, dove si può tenere ben nascosta, come si prende bene la mira dandoci dei consigli e mostrandoci alcune cose molto utili. Quando per la prima volta premetti il grilletto rimasi alquanto sorpresa dalle pallottole. Erano delle pallottole speciali, che erano usate unicamente per l’addestramento, erano piene di tempera, nel mio caso azzurra, e se ti colpivano non ti facevano alcun danno oltre a sporcarti i vestiti il che era un bene: se fossero state delle vere pallottole come minimo avrei cambiato cinque istruttori e mi sarei anche uccisa da sola. Credo  che fosse una cosa studiata con il passare degli anni. Probabilmente agli inizi usavano  le pallottole normali e morivano tanti istruttori, specialmente se chi veniva addestrato era sbadato come me. Poi ci portarono in una stanza per farci esercitare su nascondigli, sulla corsa, su come camminare con passo silenzioso e ci diedero dei consigli per non dare mai nell’occhio, in qualunque situazione.
 
 
«Allora com’è andata?» chiese Zayn quando ci diedero una pausa e tutti gli istruttori se ne furono andati.
 
«Meglio di quanto pensassi. Lo stesso non si può dire per Amerisia, vero?» disse Harry prendendomi palesemente in giro.
 
«Guarda che sono stata bravissima a parte per gli intoppi dei primi minuti. E poi mi sono spaventata tantissimo quando mi sono sparata da sola per sbaglio. Insomma se le pallottole fossero state vere sarei già morta o mi troverei in qualche ospedale a Helpful.» Mi misi sulla difensiva. Harry intanto continuava a trattenersi dalle risate mentre Zayn restava sempre impassibile. Non capivo come facesse a non esternare mai i suoi sentimenti. Aveva sempre lo stesso sguardo, serio e non parlava quasi mai se non per lo stretto necessario.
 
«Dovevi vedere la tua faccia, era E-P-I-C-A!» di Harry enfatizzando l’ultima parola e scandendo bene le lettere della parola.
 
«Era cosa?» gli domandai perplessa. A volte rimanevo turbata da come parlava, non lo capivo. Era capitato spesso quando parlavamo a Haywire che non capissi il significato delle sue frasi.
 
«È un modo di dire che si usa al di fuori delle città dalle alte mura. Si usa per qualcosa di fantastico, che ti ha fatto molto ridere, più o meno. In realtà non lo so neanche io precisamente. L’ho imparato guardando i video e i messaggi delle persone nelle ore delle lezioni private. Possibile che non te n’abbiano insegnati?» parlava come se fosse ovvio e del tutto normale ma, tutto questo, non era ovvio tanto meno normale. Tutto quello che stava accadendo non era ovvio e normale, neanche la nostra vita l’era (forse neanche la mia mente lo era in questo momento).
 
«Sì, ma non ho mai sentito quest’affermazione e, se devo essere sincera, non ne conosco tante.»
 
«Neanche io l’avevo mai sentito quest’affermazione, nonostante conosca molti modi di dire.» disse Zayn
 
«che ore sono?» domandò Harry leggermente preoccupato. Zayn alzò il suo braccio sinistro e dopo aver scostato la manica guadò l’orologio spalancando gli occhi. «non.. non.. può essere… non è.. è.. possibile.» continuava a farfugliare tra se e se, guardando l’orologio come se fosse una cosa terribile. Iniziò a contare le ore addirittura con le dita e mi stavo iniziando a preoccupare. Ero impaziente e l’ansia si stava crescendo in me. Non riuscivo a capire quale fosse il problema.
 
 
«Zayn, è tutto ok?» chiese Harry preoccupato quanto me.
 
«Non è possibile, ci deve essere un errore. Ci deve essere per forza un errore.» Zayn era agitato, troppo agitato.
 
«Zayn che è successo? Che ore sono?» pensai immediatamente al peggio, che erano passate le 16:00 e che adesso eravamo bloccati a Helpful ma ripensai che era possibile, non doveva essere possibile.
 
«Sono le 14:30.»
 
«Stai scherzando, vero?» dissi immediatamente scattando in piedi «Non può essere possibile, il tuo orologio deve avere qualche problema, deve essere avanti, devi aver toccato qualcosa, un pulsante non so come funziona quel coso, è rotto le batterie sono scariche è impazz..» Iniziai a camminare avanti e dietro dicendo fesserie a più non posso, pur di non credere a quell’orologio.
 
«Amerisia, calmati. Quell’orologio non è sbagliato è perfetto e funziona a meraviglia. Quindi per l’amore del cielo fermati, fai un respiro profondo e siediti. Devi calmarti.» Harry era di fronte a me, con le sue mani sulle mie spalle nell’intento di fermare il mio continuo avanti e dietro e interrompendo il mio discorso senza senso.
 
«CALMARMI! Harry Edward Styles hai idea di cosa significhi tutto questo? Beh te lo dico io! Significa che abbiamo fatto in sostanza quattro ore e mezza d’addestramento, che io non ho sentito per niente perché non sono stanca anzi, e che, soprattutto, manca un’ora e mezza all’apertura dei cancelli! E tu mi vieni a dire di stare calma?» stavo impazzendo, sicuramente. Tutta questa storia degli orari e del fatto che le ore qui a Helpful passassero velocemente, troppo velocemente, mi stava facendo innervosire. «Dobbiamo andarcene da qui. Subito.»
 
«Devi ritornare in te, dobbiamo creare un piano.» guardai Zayn un po’ seccata, ma infondo aveva ragione, dovevo calmarmi o avrei combinato qualche pasticcio. Feci dei profondi respiri e, come in precedenza mi aveva detto di fare Harry, mi sedetti.
 
«Ne hai già uno?» chiese Harry a Zayn con tono speranzoso.
 
Scosse la testa. Fantastico pensai sarcastica alzando gli occhi al cielo o meglio, in questo caso, al soffitto. Improvvisamente arrivò Niall con in mano tre scatole correndo verso di noi. Distribuì le scatole dandone una ciascuno.
 
«Forza apritele e tirate fuori quello che c’è dentro non abbiamo molto tempo.» Disse ansioso.
 
Aprii subito la mia scatola dove, all’interno, vi era una pistola e delle pallottole vere.
 
«Sono già cariche, quindi state attenti. Tenete su il giubbotto antiproiettili, nascondetele e nascondete anche da qualche parte le scatole e seguitemi. Muovetevi, non abbiamo tanto tempo.»
 
Nascosi la pistola all’interno del mio giubbotto e buttammo le scatole in un angolino nascosto della stanza.
 
«Forza seguitemi. Non possiamo perdere tempo.» Tutti e tre ci guardammo perplessi. Non capivo perché si comportasse così e soprattutto non capivo le sue intenzioni.
 
«volete andarvene via da Helpful o no? Forza non state lì impalati seguitemi.» Non me lo feci ripetere due volte e lo seguii. Mi girai verso Harry e Zayn, che non avevano mosso un muscolo, e gli feci cenno di venire con noi. Entrammo in un piccolo corridoio. Quando vi arrivammo in fondo trovammo davanti a noi un muro. Niall si girò verso di noi e guardò dietro alle nostre spalle poi si voltò di nuovo verso il muro e tirò fuori da una tasca una piccola tessera e la mise all’angolo  dei muri. Iniziò a farla scorrere dall’alto verso il basso finché la tessera non s’incastrò in una fessura nascosta e il muro si spostò verso destra aprendo un varco. Niall entrò subito. Poi si fermò e ci fece segno con la mano di entrare subito.
 
«Forza entrate veloci, che devo togliere la tessera per chiudere il passaggio.»
 
Detto questo entrammo tutti e tre velocemente, Niall tolse la tessera e il muro si chiuse velocemente. Appena si chiuse si accesero le luci. Ci trovavamo in un piccolo corridoio mal messo e maleodorante.
 
«Non è il massimo ma è l’unico modo per uscire da qui senza essere visti o notati. Ci dobbiamo muovere. Dovete arrivare all’auto prima che qualcuno dia l’allarme fuga il prima possibile.» Incominciò a camminare a passo svelto con noi subito dietro.
 
«Perché fai tutto questo?» chiese Harry tutto di un tratto. Ormai la nostra camminata si era trasformata in una corsa leggera.
 
«Perché è giusto così. Se devo essere utile, disponibile e caritatevole per questa città, farvi uscire da Helpful è il modo migliore. Non è per niente una passeggiata qui. Tutti si odiano tra loro ma devono sempre mostrare una faccia sorridente e aiutare gli altri. Le regole sono rigidissime è un miracolo che puoi andare in bagno quando vuoi. E poi, se devo essere sincero, da soli non ce la fareste ad uscire di qui.»
Svoltammo a destra mentre Niall tirò fuori un pezzo di stoffa rosso e lo attorcigliò nella mano destra e davanti ad una telecamera l’alzò il braccio.
 
«Serve per farci riconoscere da quelli che stanno dalla mia parte, le telecamere sono vecchie e non si vedono bene i colori, a parte il rosso.»
 
«Quelli che stanno dalla tua parte?» domandai perplessa.
 
«Sai non siete gli unici a sapere cosa accade al di fuori delle alte mura. Qui a Helpful ce ne sono cinque e uno di questi sono io. Abbiamo un’organizzazione segreta che si occupa di aiutare le persone come voi, che hanno deciso di scappare per arrivare la fuori.»
 
«è mai capitato che qualcun altro scappasse come noi?» chiese Zayn.
 
«Non di recente. L’ultima volta risale a 13 anni fa. Purtroppo non so niente di quella persona. Avevo sei anni quando è accaduto.» Feci un calcolo veloce. Quando è accaduto io avevo cinque anni. I ricordi e i pensieri riguardo a mio padre tornarono per un breve momento a galla. Erano passati 13 anni da quando mia madre, dopo settimane d’indagini da parte della polizia, mi disse che mio padre era morto, che molto probabilmente era stato ucciso e che avevano fatto sparire il suo corpo carbonizzandolo.
 
«Quando siamo al di fuori di qui, dobbiamo fare finta di niente, non dobbiamo farci notare altrimenti, se ci trovano, è la fine. Per tutti noi. Nei punti allo scoperto cammineremo tranquillamente ma nei punti nascosti correremo. Dovete comportarvi come se foste dei cittadini di Helpful. Non abbiamo molto tempo. Tutto chiaro?» annuimmo a Niall anche se non ci poteva vedere.
 
Ad un certo punto ci trovammo davanti ad un incrocio e Niall si bloccò all’improvviso intimandoci a fare silenzio alzando una mano verso di noi. All’inizio non capivo il motivo di quel gesto, davanti un incrocio si doveva solamente scegliere quale strada prendere ma poi lo sentii anche io, un rumore strano, di qualcuno, o meglio, qualcosa di molto pesante che si avvicinava. Non proveniva dal corridoio davanti a noi, nemmeno da quelli a destra e sinistra, bensì dal corridoio dietro di noi. Il rumore diventava sempre più forte e più vicino finché, in lontananza vedemmo una gran massa d’acqua riversarsi all’interno del corridoio. Le pareti e il pavimento incominciarono a tremare mentre una sirena d’allarme iniziò a suonare ad alto volume, spaccandomi i timpani.
 
«CORRETE!» urlò Niall con tutto il fiato che aveva.
 
Iniziammo tutti a correre seguendo Niall. Mi era parso troppo facile scappare dall’edificio senza incontrare delle difficoltà. Avevo pensato a mitragliatrici, bombe, trappole, una massa di persone armate dalla testa ai piedi e protette con degli indumenti anti qualsiasi cosa esistesse al mondo e che gli potesse causare dei danni, ma mai avrei pensato che saremmo stati inseguiti da una massa spropositata d’acqua. La parte peggiore era che io non sapevo nuotare, sicuramente nemmeno Harry. Molto probabilmente nessuno di noi sapeva nuotare visto la foga  della corsa. A Haywire nessuno sapeva nuotare, nessuno aveva mai visto un lago o un fiume per non parlare del mare. Non esistevano neanche le vasche piene d’acqua, quelle cose che le persone al di fuori delle città dalle alte mura chiamavano piscine. Probabilmente neanche sapevano l’esistenza delle piscine. Io n’ero a conoscenza grazie alle lezioni speciali. Ero in panico, se l’acqua ci avesse raggiunto sarei morta affogata, insieme a tutti gli altri. Forse era meglio così, forse non era destino, almeno non sarei morta torturata per mano dei cittadini di Haywire. Se qualche ora fa ero preoccupata per il nostro arrivo a Warrior, adesso temevo di non arrivare neanche all’uscita di questo passaggio viva. Ero terrorizzata. Mi voltai dietro di me per pochi secondi, la massa d’acqua si avvicinava sempre di più, andai nel panico totale e iniziai a correre ancora più veloce, se era possibile. Niall continuava a svoltare a destra e a sinistra. La massa d’acqua ci raggiungeva sempre di più Non so per quanto tempo corremmo ma quando, finalmente, arrivammo ad una porta, Niall ci urlò «CORRETE ALLA VOSTRA SINISTRA!» spalancandola e facendoci uscire tutti. Subito appena usciti corremmo verso la sinistra di una stradina piccola piena di case alte mentre Niall chiudeva la porta e correva verso di noi intimandoci ad allontanarci il più possibile da quel posto. Sentii un terribile schianto alle mie spalle, girai la testa e vidi una gigantesca onda d’acqua, più alta di tutti gli edifici intorno, andare a travolgere un edificio, bagnandoli tutta la facciata. L’acqua probabilmente aveva sfondato la porta da cui eravamo usciti. Nonostante eravamo abbastanza lontani dalla gigantesca onda, gli schizzi d’acqua arrivarono fino a noi, bagnandoci e lasciando un sottile strato d’acqua sull’asfalto della strada. Finalmente eravamo fuori dall’edificio, sani e salvi, solamente grazie a Niall. Svoltammo a sinistra, in una piccolissima stradina semi nascosta nell’oscurità, e finalmente arrestammo la corsa.
 
Le mie gambe tremavano per lo sforzo, le sentivo cedere e avevo il respiro affannato. Ero sudata e bagnata dall’acqua. Mi piegai leggermente appoggiando le mani sulle mie ginocchia.
 
«Credevo che saremmo morti tutti affogati.» Sentenziò Zayn tra gli ansimi, seduto per terra, con la schiena. Harry ansimava e aveva una mano appoggiata al muro per reggersi mentre Niall era sdraiato completamente per terra che cercava di riprendere il fiato.
 
«Grazie… Niall. Sen.za di te n-non sarem.mo qui viv.i » riuscì a dire Harry.
 
All’improvviso la porta che si trovava di fronte a me si aprì. Ci voltammo tutti verso di essa. Dalla porta uscì un ragazzo allarmato.
 
«Oddio, credevo che non sareste riusciti ad uscirne vivi.» Poi uscì dalla porta andando verso Niall, ancora disteso per terra «Niall è tutto ok, non potevi prevedere una cosa del genere, sei stato magnifico.» Disse rivolto a Niall mentre lo aiutava a rimettersi in piedi poi alzando un po’ la voce si rivolse a tutti «Siete stati magnifici tutti, soprattutto te» disse rivolgendosi a me «non avevo mai visto una ragazza correre così veloce. Forza entrare tutti dentro.»
 
Attraversammo la porta e ci trovammo davanti una piccola stanza illuminata, con un divano attaccato al muro di fronte una parete con vari schermi che riprendevano diversi posti e una scrivania con vari telefoni. Non avevo mai visto dei telefoni di quel genere se non nell’ufficio del capo di Haywire sulla sua scrivania. Per i cittadini, gli unici telefoni che avevano a disposizione erano quelli delle cabine telefoniche che nessuno usava poiché non si poteva chiamare nessuno. Si trovavano per la città in modo tale che se un cittadino vedeva qualcosa che andava contro le regole di Haywire poteva chiamare il sindaco o le guardie.
 
I miei pensieri furono interrotti dalla comparsa, attraverso una porta che probabilmente collegava la stanza con un’altra, di una ragazza mora, con gli occhi gonfi dal pianto che si lanciò tra le braccia di Niall che l’abbracciò forte a se.
 
«Niall, s-sei salvo! P-Pensavo che n-non ti avrei più rivisto, ho p-pensato che… che…» non riuscì a finire la frase che incominciò, o meglio, riprese a piangere. Niall la cullava fra le sue braccia dandole dei dolci  baci sulla nuca continuando a ripeterle «sono qui, va tutto bene. Stai tranquilla.» Era la cosa più bella che avessi mai visto prima.
 
«Era una trappola! Una schifosissima, lurida trappola!» disse un ragazzo dai capelli rossi, entrando nella stanza come una furia.
 
«Simon calmati.» Disse Niall rivolgendosi al rosso.
 
«Calmarmi? Stai scherzando? Stavate per morire tutti affogati! Io ve l’avevo detto che c’era una trappola in quel passaggio! Ve l’ avevo detto!» sbraitò Simon, agitando le mani all’aria.
 
«Non c’è bisogno di urlare.» Disse il ragazzo che ci aveva aperto la porta con tono piatto e leggermente seccato. Adesso che lo vedevo da vicino notai che aveva i capelli tinti di un blu scuro.
 
«Cosa pensi di fare, Jamie.» Chiese la ragazza, ancora tra le braccia di Niall, che finalmente aveva smesso di piangere e si era calmata, rivolgendosi verso il ragazzo dai capelli blu.
 
«Non lo so Emily.» Disse sconsolato Jamie.
 
«Io un’idea l’avrei, oltre a quella di iniziare da domani un corso di nuoto o di creare degli indumenti per farci galleggiare sull’acqua in caso d’emergenza com’è accaduto oggi.» Disse un ragazzo spuntato dal nulla.
 
«Eh allora diccela Ben, non girare sempre intorno alle cose.» Disse esasperato Simon. Pensai che qual ragazzo avesse bisogno di una camomilla, forse anche più di una.
 
«Calmati Simon. Bisogna portare subito quei ragazzi alla macchina. Tranquilli ho già sistemato tutto e l’auto si trova davanti ai cancelli.» Disse Ben. Come facesse ad essere così calmo e rilassato non lo capivo. Lui e Zayn sarebbero stati una bella coppia.
 
«Bene, allora li porto io alla macchina. Li ho portati io fino a qui è giusto che continui la mia missione.» Niall fissò Jamie dritto negli occhi come se gli dicesse che non ammetteva repliche riguardo alla sua affermazione.
 
«Era esattamente quello che stavo per dirti.» Disse Jamie aggiungendo «Fate togliere alla ragazza il giubbotto antiproiettili, anzi, fatelo togliere a tutti e tre e dategliene altri. Quelli sono sporchi e poco resistenti.» Indicò prima me e poi Zayn a Harry. Mi trovai un po’ irritata dal loro comportamento, avevano parlato tra loro senza degnarci minimamente.
 
Mi tolsi la giacca di pelle e il giubbotto antiproiettili rimanendo in canottiera. Non ero proprio messa bene, la giacca e i pantaloni che indossavo erano quasi del tutto asciutti mentre i miei lunghi capelli erano ancora bagnati e gocciolavano sulla mia schiena. Anche Zayn e Harry non si erano ancora del tutto asciugati, nemmeno Niall.
 
Ben ci portò, insieme a Jamie, dei nuovi giubbotti antiproiettili. Era molto simile al precedente ma era più pesante. Indossai la mia giacca di pelle nera sopra il giubbotto di pelle e chiusi la cerniera, dopo aver controllato di aver ancora la pistola nella tasca interna. Eravamo tutti pronti.
 
«Dopo che avrete attraversato i cancelli, non sapremo più niente di voi, finché non arriverete in una città che si trova dopo War. Questo è il nostro numero» disse Jamie porgendo a Zayn un foglietto con scritte delle cifre. Lo prese per poi piegarlo accuratamente e metterlo nella tasca che chiuse attentamente. «Se riuscite a Warrior chiamateci, insomma fatevi sentire. E se trovate un’organizzazione come la nostra o qualcuno che vi aiuterà a scappare, dategli il nostro numero e ditegli di chiamarci per avere delle informazioni per una collaborazione con le altre città dalle alte mura.»
 
«Esiste una collaborazione tra tutte le città dalle alte mura?» chiese Zayn anticipandomi.
 
«Non è una semplice organizzazione, è una collaborazione segreta chiamata “Zilion”. Si chiama così per vari motivi, ma forse a voi suona già familiare. Era il nome dei ribelli, di quelli che all’inizio hanno cercato di ribellarsi dalle autorità dalle alte mura ai principi della loro fondazione. Molti credono che sia il cognome o il nome del primo ribelle delle città dalle alte mura credo che voi un’idea l’abbiate ormai. Ascoltatemi attentamente» disse indicando noi tre «la perfezione nell’uomo non esiste, quindi se mai riuscirete a raggiungere quello che c’è al di fuori di tutte le città dalle alte mura non aspettatevi di trovare qualcosa di perfetto, semplicemente troverete qualcosa di migliore. Non fate del male a voi stessi, non illudetevi, non lasciatevi manipolare. Tenete sempre gli occhi e la mente ben aperti.» Rimasi basita da tutto quello che disse Jamie. Dall’organizzazione alle ultime parole dette, anche se di quelle non avevo compresso appieno il significato.
 
«Bene ragazzi, è ora di andare. Siete pronti?» annuimmo tutti e tre a Niall.
 
Ringraziammo tutti i ragazzi e li salutammo sperando di rincontrarci in futuro in circostanze migliori e con più tempo a disposizione.
 
Uscimmo dall’abitacolo e, seguendo Niall, incominciammo la nostra camminata/corsa verso l’auto che raggiungemmo senza problemi.
Appena vidi l’auto notai immediatamente che c’era qualcosa che non andava. Sul vetro del cruscotto vi era appoggiato un foglio con un messaggio formato da lettere nere scritte a mano che diceva:
 
Attenzione alla gente,
a volte la descrizione della città mente.
 
Staccai via il foglio e mi girai automaticamente verso Niall con aria sospetta «Siete stati voi a metterlo? Che cosa significa questo?» gli urlai contro, sventolandogli davanti il foglio.
Lui scosse semplicemente la testa «Significa che qualcun altro, oltre ai componenti della nostra piccola organizzazione, ha capito perfettamente come funzionano le cose qui a Helpful e in altre città.»
 
Aprii la portiera dell’auto e ci buttai dentro il foglio in malo modo dopodiché mi rivolsi a Niall.
 
«Scusami, sono un po’ stressata.» Dissi mentre mi massaggiavo le tempie «Grazie mille di tutto Niall, ti auguro il meglio.» Gli sorrisi dolcemente.
«Posso immaginare. Ho l’ordine di controllarvi finché la vostra auto non è al di là del cancello, quindi mi sistemerò in un punto lontano dall’auto in modo tale da potervi tenere sott’occhio, ma non posso intervenire in caso di problemi, a meno che non sia qualcosa di davvero grande. Mi dispiace…» sospirò «È stato bello conoscervi. Buona fortuna per tutto.» Mi sorrise dolcemente ed entrai in auto dove Harry e Zayn e si erano già seduti. Chiusi la portiera e tirai un sospiro di sollievo. Ritrovarmi seduta dentro l’auto mi dava sicurezza. Vidi Niall allontanarsi e fermarsi in un punto abbastanza nascosto dove poteva perfettamente vederci. Ci sorrise e alzò entrambi i pollici in su. Poi voltai lo sguardo e osservai i cancelli di fronte a noi.
 
«Che ore sono?» chiese Harry.
 
«Le 15.55» rispose prontamente Zayn.
 
«è quasi ora» Harry accese l’automobile e accadde l’imprevedibile. Un gruppo di persone piuttosto numeroso si avvicinò all’auto circondandola. Mi girai verso Niall, che guardava la scena, sbigottito. Harry schiaccio il pedale e iniziò ad avanzare, lentamente, sperando che si spostassero e aprissero un varco davanti a noi ma non accadde. Anzi, ci fu un effetto contrario. La gente continuava ad agitarsi e ad aumentare sempre di più costringendo Harry a fermarsi per non investire qualcuno. Mi voltai verso Harry, che era più pallido del normale.
 
«e adesso che cosa facciamo?» sentii la voce di Zayn provenire da dietro.
 
«Non lo so, ma abbiamo un grande problema perché sono le 13:58» se prima ero solamente agitata adesso stavo andando in panico. Dovevamo trovare una soluzione in meno di un minuto. Iniziava a fare troppo caldo in quell’auto per i miei gusti, così slacciai la cerniera della mia giacca di pelle quando con un braccio sfiorai qualcosa di duro che si trovava dentro la giacca: la pistola. Mi venne un’idea.
 
«Harry dammi la tua pistola, veloce.» Chiesi allungando il braccio verso di lui.
 
«Perché?» mi domando scettico.
 
«forse ho un’idea muoviti.» Mi porse la pistola, la presi e l’appoggiai per qualche secondo sulle mie gambe mentre estraevo la mia dalla giacca, dopodiché chiusi la cerniera e presi con l’altra mano anche l’altra pistola. «A dopo.» Dissi mentre uscivo dall’auto con una sicurezza che sorprese anche me.
 
Chiusi la portiera, avevo una pistola per mano, non so da dove presi tutto quel coraggio, forse era la voglia di scappare da questa città che non era per niente simile a come l’avevano presentata, forse la voglia di andarsene via da lì il prima possibile, forse era per Harry e Zayn, che aspettavano ansiosi una mia mossa per riuscire a togliere quel cerchio intorno a loro e non voleva deluderli. Così alzai le braccia puntando le pistole ad altezza uomo rivolgendole alle persone intorno a noi e urlai a gran voce  «INDIETRO! State tutti indietro o sparo!» iniziai a camminare in avanti puntando sempre le pistole sulla gente. Non avevo nessun’intenzione di sparare o ferire qualcuno, volevo solamente spaventarli per farli allontanare. La gente mi guardava sorpresa e leggermente impaurita. Mi misi davanti all’auto e incominciai a camminare in avanti «Spostatevi! Fate passare la macchina.»
 
La gente, impaurita, incominciò a spostarsi mentre camminavo in avanti e facevo strada all’auto di Harry. Sentivo dietro di me la voce di Zayn che incitava ulteriormente le persone ad allontanarsi, mi voltai per qualche secondo e lo vidi che teneva il viso e il braccio con la pistola in mano puntandola sulle persone. Quando tornai a guardare di fronte a me finalmente si era aperto un varco ma vidi una cosa terribile: i cancelli di Helpful erano aperti al massimo ed erano pronti per richiudersi. «NO!» La distanza dal punto in cui ero ai cancelli era circa di 200 metri ed ero sicura che anche se avessi provato ad entrare nell’auto non ce l’avremmo fatta a sorpassarli e la gente avrebbe potuto rimettersi intorno a noi, così feci la prima cosa che mi venne in mente: iniziai a correre. Mentre correvo la gente mi osservava e osservava a bocca aperta i cancelli che si stavano chiudendo. Non so come feci ma riuscii ad arrivare davanti ai cancelli e ad infilare la pistola in mezzo ad essi, bloccandone la completa chiusura. Avevo il respiro affannato, alle mie spalle regnava il silenzio, nessuno fiatava. Mi voltai con il capo e vidi che tutti mi osservavano e stavano per avvicinarsi, così con il braccio libero puntai la pistola verso di loro e gli urlai «NON AVVICINATEVI O SPARO!»
 
Lo dissi con tutta la rabbia che avevo dentro nei loro confronti, ero sicura che niente e nessuno mi avrebbe fermato dallo sparare a qualcuno se non mi avessero ascoltato. L’auto di Harry si trovava a cinque metri di distanza da me. Guardai dentro l’auto e incontrai gli occhi verdi di Harry e mi calmai leggermente. Poi, probabilmente dopo qualche secondo che a me in quel momento sembravano ore, all’improvviso sentii uno scricchiolio provenire dai cancelli, mi girai di nuovo davanti a me e vidi una cosa che credevo impossibile: i cancelli si stavano riaprendo. Spalancai gli occhi dalla sorpresa. Avrei voluto tanto esultare di gioia, saltare, fare capriole ma non c’era tempo da perdere. Abbassai entrambe le braccia ed entrai di corsa in auto e appena si aprì un varco adatto per far passare l’auto Harry premette l’acceleratore e, finalmente, riuscimmo a sorpassare i cancelli.
 
Quando mi girai dietro vidi che i cancelli si erano già richiusi.




MISSING MOMENTS
Discoveries, secrets and lies.
(cliccare sulla scritta per leggerlo)
Il missing moments parla di cosa accade a Haywire mentre i nostri protagonisti Amerisia, Harry e Zayn compiono la loro avventura.




 
PER FAVORE LEGGETE LE NOTE, SONO IMPORTANTI!

Allora come prima cosa vorrei scusarmi con tutte voi per questo enorme ritardo nel pubblicare questo capitolo. Ho avuto un sacco di problemi e imprevisti che ne hanno rimandato la stesura e quindi anche la publicazione. Per farmi perdonare ho scritto in più questo missing moments che è molto importante perchè svela alcune cose che poi i nostri protagonisti scopriranno in futuro. E' importante leggerlo per capire un capitolo che si troverà molto più avanti nella storia.
Grazie mille per aver letto il capitolo, spero vi sia piaciuto.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Ringrazio anche tutti quelli che hanno inserito la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate e ringrazio anche tutti quelli che hanno recensito i capitoli.
Cercherò di aggiornare il prima possibile.

Potete contattarmi su
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Alla prossima!

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