I just want to stay with you in this moment forever, forever and ever.

di Birra fredda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** chapter one. ***
Capitolo 3: *** chapter two. ***
Capitolo 4: *** chapter three. ***
Capitolo 5: *** chapter four. ***
Capitolo 6: *** chapter five. ***
Capitolo 7: *** chapter six. ***
Capitolo 8: *** chapter seven. ***
Capitolo 9: *** chapter eight. ***
Capitolo 10: *** chapter nine. ***
Capitolo 11: *** chapter ten. ***
Capitolo 12: *** chapter eleven. ***
Capitolo 13: *** chapter twelve. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


La trama, i personaggi e tutto quello che riguarda questa storia è il frutto della mia mente malata. Solo i nomi degli angeli e dei demoni sono stati ripresi da vari siti, non li ho inventati io.





Aziel lo osservò dall’alto.
Era bellissimo, lo era sempre stato. Lo ricordava che girovagava dalle sue stesse parti prima della Caduta, lo ricordava che passava il tempo a contemplare le stelle e le vite degli umani.
Diceva sempre che quegli umani lo affascinavano tanto che gli sarebbe piaciuto vivere in mezzo a loro.
Era bellissimo.
Con quegli zigomi alti, gli occhi color cioccolata, i capelli castani e ribelli, la spruzzata di lentiggini sul naso dritto, i canini affilati, il fisico asciutto e forte, la schiena muscolosa perennemente nuda, le ali immense e candide.
Ricordava l’esatto momento in cui quelle ali bianche s’erano trasformate in ali color pece.
Cosa che, in un modo quasi indicibile, lo aveva reso ancor più affascinante agli occhi dell’angelo che, al contrario, avrebbe dovuto disprezzarlo.
Aziel sospirò. Se avesse potuto, sarebbe andato da Belial all’istante. Avrebbe vissuto con lui tra gli uomini, lo avrebbe conquistato, si sarebbe lasciato usare da lui pur di amarlo senza nessun muro a dividerli.
Era innamorato di lui da sempre e non aveva avuto il coraggio di dirglielo per secoli.
Poi c’era stata la Caduta. Ed era stato troppo tardi.
Aziel si promise che, se in qualche assurdo modo fosse riuscito a rincontrare Belial, non se lo sarebbe lasciato sfuggire.












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Lo so che è poco, ma è solo il prologo. Se mi dite che vi piace l'idea già entro un paio di giorni potrei farvi avere il primo capitolo.
Echelon_Sun

 

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Capitolo 2
*** chapter one. ***


Aziel abbassò il volto, intimidito da quello sguardo di fuoco così maledettamente doloroso e, allo stesso tempo, colmo di un erotismo smisurato.
Belial questa volta aveva deciso di superare se stesso, come più volte aveva lasciato intendere dagli sguardi languidi che gli aveva lanciato continuamente in quell’ultima settimana.
Sebbene Aziel lo amasse in modo smisurato, in quel momento aveva anche un po’ paura di lui. Doveva ammetterlo, avevano fatto sesso in tanti di quei modi che essere legato a una sedia, nudo e al buio, non sarebbe dovuta essere una sorpresa, ma Belial aveva uno sguardo diverso, famelico, bruciante di una voglia carnale che quasi metteva paura al più piccolo dei due.
“Bel...” mormorò l’angelo con un filo di voce.
“Taci” lo zittì il maggiore in una sorta di ringhio, avvicinandosi maggiormente a lui.
A Belial piaceva da morire dominarlo a letto. Gli piaceva possederlo, godeva nel farlo soffrire stuzzicandolo continuamente e vedendolo gemere sotto di lui come una puttanella di strada.
Il demone si svestì lentamente ben sapendo quanto irritasse l’altro il fatto di non poterlo vedere. Era un onore tipico solo dei demoni, quello del vedere al buio come i gatti.
Aziel sentì il fruscio della t-shirt che veniva lentamente tolta, udì il rumore della cinta slacciata e della cerniera dei jeans che veniva abbassata, infine vide gli occhi famelici di Belial sempre più vicini e si rese conto che gli stava sedendo addosso a cavalcioni.
“Allora, angioletto, stasera ci divertiamo un po’” disse Belial in un sussurro all’orecchio di Aziel, avvolgendogli i fianchi nudi con le sue mani fredde.
L’angelo sorrise appena, un secondo prima che le labbra del demone si impossessassero delle sue senza preavviso. Belial non perse tempo, immediatamente cacciò la lingua nella bocca dell’amante e lo baciò con passionalità, accarezzando la sua pelle lattea con mani frementi e veloci.
Poi scese a torturargli il collo. Quel collo diafano e longilineo, da mordere.
Aziel si lasciò sfuggire un gemito di piacere, che si prolungò non appena Belial scese ulteriormente con la bocca fino a mordergli con dolcezza un capezzolo.
“Muoviti...” sussurrò il biondo, lottando contro le corde che gli tenevano le mani bloccate dietro lo schienale della sedia.
Belial ridacchiò e lasciò per un momento in sospeso il suo lavoro. Ciò che nel modo più assoluto riusciva a farlo eccitare senza riserve era proprio sentire Aziel supplicarlo di andare avanti, di muoversi, sentirlo dire che non ce la faceva più e doveva prenderlo immediatamente.
E il tutto era ancora meglio se l’angelo si trovava, come in quel momento, in sua completa balìa.
“Dimmi che vuoi essere scopato...” borbottò il demone cominciando a stuzzicare l’erezione dell’altro con due sole dita.
Aziel cominciò a inarcarsi, si morse il labbro.
“Dillo...” continuò Belial sorridendo beffardo, massaggiando il pene dell’angelo con la mano.
“Bel...” si lagnò l’angelo quasi allo stremo della sopportazione, arcuando ancora di più la schiena a chiudendo gli occhi con forza. “Prendimi” disse poi con un gemito, tremando in modo incontrollabile.
“Come?”
“Scopami” urlò il più piccolo fuori controllo, mentre l’altro non smetteva di stuzzicargli i genitali con un sorriso malefico stampato sul volto.
Belial rise e si staccò velocemente da lui, lasciandolo improvvisamente vuoto.
Aziel si lasciò ricadere mollemente sulla sedia con un sospiro. Sapeva che Belial sarebbe andato a slegarlo per portarlo sul letto e scoparlo. Al demone non piaceva stare scomodo quando si faceva sesso, persino farlo in piedi non era nei suoi gusti.
“Scusa” mormorò Belial prima di rompere la corda che stringeva i polsi dell’angelo con gli artigli e lasciando, per sbaglio, anche un graffio sulla mano dell’amante.
“Non potresti usare delle manette?” si irritò Aziel alzandosi in piedi una volta libero.
Belial alzò un sopracciglio, a sentire quelle parole, mentre Aziel si rese conto di ciò che aveva detto con un secondo di ritardo.
“Cioè, non che non mi vadano bene i tuoi metodi” borbottò il biondo indietreggiando di un paio di passi nel buio rischiando di inciampare in qualche indumento gettato a terra, “ma...”
Belial non gli diede il tempo di parlare ancora, in un secondo gli fu accanto, lo afferrò malamente per un braccio e lo spinse sul letto.
“Stai zitto” gli disse pianissimo facendolo rabbrividire. “Credo che ti servirà ricordare chi comanda qui.”
Aziel si raggomitolò su un fianco, capendo ciò che sarebbe successo. Sebbene Belial non gli avesse mai fatto veramente male, sapeva essere molto sadico e sapeva colpire tutti i suoi punti deboli per farlo sentire umiliato e sottomesso.
Belial lentamente gli fu addosso, lo fece allungare sul letto a pancia in giù e gli fece alzare il bacino tenendogli la testa schiacciata sul letto con una mano. La sua posizione preferita per prenderlo era proprio quella, anche se la usava molto raramente, in cui si sentiva dominatore e poteva fargli tutto ciò che voleva udendo solo lontanamente i suoi mugolii di dolore.
“Bel io non... non intendevo...” borbottò l’angelo mentre Belial, inginocchiato dietro di lui, si preparava a prenderlo.
“Ssh” disse il demone lasciando correre un dito lungo la schiena nuda dell’amante. “Taci un po’ Aziel”.
Il biondo percepì chiaramente il sadismo nella voce dell’altro, ma tentò di non darci troppo peso. Dopotutto ormai sarebbe dovuto essere abituato alle provocazioni di Belial.
Senza perdere tempo, il demone cercò l’apertura dell’altro. Solitamente si premurava di prepararlo almeno un minimo, oppure gli concedeva di stare a pancia in su come preferiva. Ma non quella notte. No.
Aziel doveva ricordare chi comandava tra loro due.
Gli erano state date troppe concessioni ultimamente, rifletté Belial. Era ora di tornare a essere quelli più carnali ch’erano prima, non più una coppietta gay che passa il sabato sera a bere birra e mangiare pop-corn davanti uno stupido film.
“Bel...” gemette Aziel quando capì che voleva entrare dentro di lui con durezza, senza curarsi del suo dolore, come faceva molti anni addietro.
“Taci” ripeté Belial togliendo la mano dalla testa bionda dell’altro per posargliele entrambe sul bacino, questa volta con un tono di voce assai più inflessibile, come se sotto di sé non ci fosse quello ch’era il suo amante da secoli ma il gigolò di turno.
L’angelo fece appena in tempo a mordere un lembo del lenzuolo del letto e, nonostante ciò, l’urlo che uscì dalle sue labbra si sentì per tutta la casa.
Belial era entrato completamente con una spinta sola.
Non lo faceva da anni.
Aziel si risentì come si era sentito le prime volte che aveva fatto l’amore con lui: sporco.
Come se quello che stesse facendo fosse impuro, come se l’attrazione stessa che provava per il demone fosse impura.
Come se il loro amore fosse sbagliato. Come se l’amore, proprio l’amore, il sentimento sommo, potesse essere sbagliato.
Senza neanche rendersene conto, liberò qualche lacrima e strinse convulsamente i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne.
Erano secoli che Belial non gli faceva così male. Secoli che a letto, nonostante l’erotismo e la lussuria, stava attento a non fargli provare troppo dolore.
“Bel ti... ti prego” biasciò con un filo di voce l’angelo, mentre l’altro cominciava a muoversi dentro di lui.
“Rilassati” fu la risposta secca del demone. “Se resti così teso ti farà più male, lo sai. Quindi cerca di rilassarti.”
“Per favore...” supplicò nuovamente Aziel affondando il viso nel materasso.
Belial lo ignorò e diede una spinta più forte. Da quanto tempo non possedeva Aziel così? Da quanto tempo gli accordava preliminari, carezze e sdolcinerie varie? Da quanto tempo non faceva sesso puro, come quello di un demone degno del suo nome?
Stava godendo da matti dentro l’angelo. Lo sentiva fremere sotto di sé, gemere, sottostare alla sua volontà.
Il demone non andò avanti per molto, decidendo che gli bastava aver soddisfatto il suo piacere velocemente. Si liberò dentro Aziel, poi uscì da lui e si stese sul letto a pancia in su sorridendo soddisfatto.
Osservò l’angelo che, incapace di vedere, si stendeva lentamente al suo fianco tastando il letto con le mani e gli dava le spalle.
Dopo il sesso, di solito, Aziel gli si raggomitolava addosso e si addormentava con la testa sul suo petto.
Belial capì che il biondo doveva esserci rimasto male per qualcosa, altrimenti non gli avrebbe mai e poi mai voltato le spalle.
“Azi...” lo chiamò piano, alzandosi appena sul materasso puntellandosi sui gomiti. “Azi rispondimi” disse nuovamente dopo qualche istante, allungando una mano verso la sua spalla per scuoterlo.
Aziel si voltò a guardarlo e a quel punto Belial capì. Stava piangendo. Aveva pensato che le lacrime che l’angelo aveva fatto uscire mentre facevano l’amore fossero per il dolore fisico, non per qualche stupido sentimento che quel biondino provava per lui.
Belial aprì bocca ma non gli venne in mente niente di intelligente da dire, così la richiuse in fretta.
“Non sforzarti di dire nulla” disse Aziel piano. “Tanto non hai capito. Non puoi capire.”
Il demone aprì la bocca per la seconda volta, e per la seconda volta la richiuse in fretta rendendosi conto che non trovava le parole.
Cosa avrebbe dovuto dirgli, dopotutto?
Mi dispiace? Non gli dispiaceva affatto, si era sentito benissimo a dominarlo in quel modo animalesco e istintivo, senza passionalità né sentimentalismi. Perché mai avrebbe dovuto dispiacersi di un qualcosa cosa che l’aveva appagato?
Scusa? Era un demone, non si scusava, non tornava sui suoi passi, non provava pietà, non aveva la stessa sensibilità dell’angelo.
Era vero, non poteva capire ciò che Aziel stava provando in quel momento. Suppose che si sentisse ferito, violato, come gli aveva detto anni e anni addietro.
Non poteva capire, l’angelo aveva ragione. Ma nessuno dei due poteva farci nulla.














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Ecco a voi il primo capitolo, che mostra un po' il rapporto tra l'angelo e il demone, che comunque sarà sempre più chiaro man mano che la storia andrà avanti.
Fatemi sapere cosa ne pensate,
Echelon_Sun

 
PS. Pensate che il rating arancione vada bene o dovrei metterlo rosso? LOL
 

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Capitolo 3
*** chapter two. ***


Belial era andato già a caccia quando Aziel si svegliò. L’angelo dormiva molto di più rispetto al demone, a cui bastava appisolarsi un paio d’ore per sentirsi rinvigorito e riposato.
Aziel vide che al suo fianco nel lettone non c’era nessuno e si concesse un lungo sbadiglio.
Si sentiva spossato e stupido.
Aveva faticato tanto per farsi accettare da Belial, cosa che il demone non ancora ammetteva, ricordandogli, di tanto in tanto, che prima o poi si sarebbe dovuto trovare una casa sua, e il risultato era stato del sesso sadico e carnale, che aveva dato soddisfacimento solo al demone e aveva ferito l’angelo.
Era uno stupido.
Si era illuso di poter cambiare Belial, di farlo tornare a essere anche solo lontanamente quello che era prima della Caduta. Si era illuso di fargli provare un’attrazione verso di lui che non fosse solo fisica, ma, evidentemente, non ci era riuscito.
Aziel scese in cucina per farsi un caffè subito dopo essersi rimesso i boxer aver indossato una camicia a righe di Belial.
Sebbene il demone marcasse sempre il confine tra lui e il suo amante, non aveva mai detto nulla riguardo il fatto che l’angelo gli prendesse i vestiti senza chiedere. E Aziel si era sempre chiesto il perché di questa concessione data senza averlo prima pregato, ma non gli aveva mai domandato nulla.
Indossare i vestiti che Belial indossava il giorno prima la notte dopo il sesso gli lasciava addosso il profumo dell’altro, e Aziel non avrebbe rinunciato a ciò mai e poi mai.
Appoggiato con un fianco al tavolo della cucina mentre usciva il caffè, l’angelo pensò che quella casa lo meravigliava ogni giorno, benché vivesse lì da secoli.
Era strano e bello allo stesso tempo come un demone potesse arredare una casa con la stessa armonia di un essere umano.
Belial aveva scelto il parquet quasi ovunque, quel legno fine per cui ogni volta che lo vedeva con le scarpe gli dava uno spintone o una spallata e gli diceva di togliersele che quel pavimento valeva più di quanto valesse una sua ala da angioletto. Le vetrate immense in cucina e in sala, la poltrona ad angolo, la televisione 65 pollici, le tende bordeaux, il lampadario di cristallo. La camera da letto ampia, con l’armadio di legno di acero alto fino al soffitto, il letto spazioso, le coperte fatte a mano. Il corridoio del primo piano infinito, il ballatoio da cui si vedeva la sala, le casse per la musica.
Il secondo piano vuoto.
La parte preferita della casa, per entrambi, era il secondo piano. Pavimento verde, niente muri, vetrate ovunque. Da lì il panorama era splendido, da un lato vedevi la montagna, da un altro, nelle giornate limpide, il mare.
Era la loro stanza della meditazione, la stanza dove si rifugiavano quando la Terra risultava troppo stretta per quei corpi divini.
Aziel uscì dalla porta sul retro e andò nel giardino, l’unica parte della casa che Belial gli aveva concesso di curare. L’unica parte della casa di cui il demone non si vantasse con i suoi amici, quasi che vantarsi anche di quelle spicchio di verde significasse dare troppa importanza all’angelo.
Aziel sedette sul dondolo con suo caffè tra le mani e osservò il suo lavoro di anni. L’erbetta curata, il piccolo sprazzo di margherite, l’aiuola di papaveri rossi e gialli contornata da pietre, il tavolino di legno con accanto una sdraio a due posti.
Belial poteva disprezzare il lavoro dell’angelo quanto voleva, ma Aziel ricordava una a una le notti d’estate passate a fumare, bere e far l’amore su quella sdraio a due posti. E ricordava una a una le giornate di sole in cui Bel lo aveva preso tra le margherite.
Sorseggiò il caffè fumante e si raggomitolò sul dondolo con le ginocchia al petto.
Pensare a tutte volte che si era concesso a Belial gli faceva sentire una strana sensazione. Caliel l’aveva definita capacità di cercare di affogare qualcuno tra le onde dell’oceano in tempesta tenendogli, di tanto in tanto, la testa fuori dall’acqua perché respiri.
Era proprio così che si sentiva Aziel nei confronti di Belial, come se il demone lo detestasse e, allo stesso tempo, non potesse fare a meno di lui.
Aziel rifletté che se Belial almeno una volta gli avesse rivolto un minimo gesto di affetto, forse quel pensiero si sarebbe potuto un po’ attenuare.
Ma come aveva fatto a innamorarsi di un demone?
Insomma, ci stava tutta a innamorarsi di lui prima della Caduta, quando le sue ali erano ancora candide e lo vedevi passare le giornate a osservare i terrestri immaginando di poter vivere sul pianeta azzurro.
Ma perché non lasciarlo perdere dopo la Caduta?
Aveva le ali nere, ombrose, putride, sottili e tetre come quelle dei pipistrelli. Belial era un demone e lui era un angelo, come poteva essere pazzo di lui?
Era innamorato persino dei suoi scatti d’ira, del fatto che non gli desse mai una soddisfazione, dei segni viola sulla pelle provocati dai suoi morsi, del suo modo sadico e lussurioso di far l’amore che, fino alla sera addietro, non gli provocava mai troppo dolore.
Lo amava.
Aziel non riusciva a capacitarsi di questo amore, e non ci era riuscito nessuno dei suoi amici, ma lo amava.
E avrebbe dato qualsiasi cosa, la sua stessa vita, per ricevere anche solo uno sorriso o un bacio non richiesto da Belial.
Non che il demone, dopo secoli di convivenza, non fosse migliorato affatto in quanto ad affettuosità, ma quella non era mai abbastanza.
Aziel ricordava bene i primi tempi, quando Bel gli schiacciava la testa contro il tavolo della cucina, gli calava i pantaloni e lo prendeva lì, senza averlo prima preparato e senza un minimo di delicatezza. Aziel ricordava le loro prime volte, il modo grezzo e distaccato di Belial di fare l’amore, le unghie infilate ovunque nella carne, i gomiti piantati nella schiena. Ricordava le loro notti insieme, quando dormiva poco e aveva sempre paura di essergli troppo vicino nel letto. I primi anni di convivenza in cui aveva vissuto come una specie di ombra in casa, cercando di adattarsi ai bisogni e alle abitudini del demone mettendo da parte se stesso.
Aveva annullato la sua persona per Belial, se ne rendeva perfettamente conto.
Gli esseri umani avrebbero parlato, riferendosi a loro due, di amore malato. Un po’ lo stesso che lega una moglie al marito che la picchia, insomma.
Ma lui non erano un essere umano, non era un semplice terrestre e non lo era neanche Belial. Forse i suoi sentimenti e la sua sensibilità erano piuttosto vicini a quelli dei mortali, ma non quelli del demone che, sebbene fosse migliorato molto, era pur sempre un demone e Aziel se ne rendeva perfettamente conto.
Quando aveva deciso di passare la sua vita con lui sulla Terra, sapeva benissimo a cosa sarebbe andato incontro, a quante sofferenze e delusioni e quante poche soddisfazioni.
Amava Belial per quelle piccole cose che sapeva di aver cambiato in lui.
Il demone era diventato molto meno manesco nei suoi confronti, cosa favorita dal fatto che Aziel era diventato bravissimo nel capire cosa volesse e nel mettergli tutto subito a disposizione. Era raro che i due si trovassero in disaccordo su qualcosa. Aziel era in Belial, ormai, conosceva ogni piccolissima sfumatura del suo carattere e della sua vita e cercava di renderlo felice in ogni modo.
Belial, per via della sua natura, probabilmente non l’avrebbe mai amato, ma ci teneva a lui. In un modo tutto suo, e non gliel’avrebbe mai rivelato, ma Aziel lo sapeva.
Una leggerissima folata di vento fece riscuotere l’angelo dai suoi pensieri: Belial era tornato dalla caccia.
Aziel lo vide volare pochi metri sopra la casa con un capretto sanguinante abbandonato su una spalla.
Dopo secoli si era abituato a vederlo rincasare con animali morti tra le braccia e si era persino abituato a cucinarglieli.
Qualche volta aveva vomitato, è vero, ma la maggior parte delle volte si era mantenuto forte e si era messo ai fornelli di sua spontanea volontà.
Questo anche era, per lui, amare Belial: accettare il fatto che fosse un demone, il suo opposto, ciò che lui avrebbe dovuto detestare sopra ogni altra cosa.
“Buongiorno” disse il moro atterrando nel giardino di casa, togliendo il capretto morto da sopra la spalla per prenderlo tra le mani quasi come si tiene un neonato.
“Buongiorno a te” rispose Aziel sforzandosi di sorridergli. “Come è andata la caccia?”
“Male” disse ancora il demone tirando indietro le spalle per riporre le ali nella schiena, l’immenso tappeto tetro scomparve dalla vista dell’angelo. “Ho incontrato Damien e Ipos che avevano appena fatto fuori tutti caprioli della zona. Lo sai come sono quei due, uccidono gli animali solo per il gusto di farlo, non per necessità. Così mi sono dovuto accontentare di questo capretto.”
Aziel si alzò dal dondolo e lo seguì in casa.
“Vai a farti una doccia, che sei sporco di sangue” gli disse chiudendosi alle spalle la porta di servizio. “Intanto ti cucino questo capretto.”
Belial gli scaricò quell’ammasso di pelo bianco e sporco di rosso tra le braccia prima di fiondarsi in bagno, spogliarsi e infilarsi sotto la doccia.
Aziel non sembrava ancora intristito nei suoi confronti. Sebbene la sera prima gli fosse sembrato palese il fatto che ci fosse rimasto male per via di come avevano fatto l’amore, sembrava già essergli passata.
O, forse, aveva semplicemente capito che non c’era nulla di cui restar male.
Lui era un demone, dannazione, era nella sua natura essere violento, opportunistico, animale. Quell’angioletto non poteva restarci male per qualcosa che era nel suo essere e, dopo secoli di convivenza, avrebbe dovuto ben saperlo.
































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Eccomi tornata il prima possibile col nuovo capitolo! Innanzitutto ringrazio tutte le splendide persone che mi hanno recensita e che hanno messo la long tra le preferite o le seguite, love you. Spero che vi piaccia questo capitolo che rivela ancora di più i sentimenti di Aziel (piccino ç__ç), fatemi sapere cosa ne pensate.
Un abbraccio,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 4
*** chapter three. ***


Era già passata una settimana da quella notte in cui ad Aziel sembravano tornati i vecchi tempi, quella notte in cui era stato posseduto da Belial senza tenerezza, quella notte in cui, dopo il sesso, aveva dormito nel suo lato del letto.
Non avevano ancora fatto l’amore.
Era rarissimo che trascorresse un’intera settimana senza farlo, eppure in quei giorni i due si erano visti davvero pochi e l’angelo dovette ammettere a se stesso che non gli era dispiaciuto affatto. In un certo senso, infatti, temeva che fare nuovamente sesso col demone significasse lasciarsi prendere per la seconda volta senza un minimo di passionalità e delicatezza.
Belial era stato spesso con Damien e Ipos. Damien aveva detto che gli erano giunte delle voci riguardo il fatto di tornare ad allenarsi, tornare a essere demoni indistruttibili e forti fisicamente, che più prima che poi sarebbe arrivato il momento di dimostrarsi tali.
Né Aziel né Belial gli avevano creduto completamente, ma il demone aveva deciso di tornare ad allenarsi insieme ai suoi due compagni. Così si erano ritrovati a passare i pomeriggi tra le montagne, con le ali spiegate e le spade in pugno, ad esercitarsi.
Aziel anche aveva passato poco tempo a casa, da qualche tempo lavorava in ospedale e quella settimana c’erano state molte emergenze e troppi imprevisti che lo avevano trattenuto sul posto di lavoro ben oltre quello che avrebbe dovuto.
Belial aveva riso tantissimo quando si era visto l’angelo rincasare con le occhiaie e l’umore a terra, tanto quasi quanto Aziel gli aveva comunicato che avrebbe cominciato a lavorare.
Prima dell’arrivo dell’angelo, Belial si era procurato ciò che gli serviva rubandolo. I mobili di casa, i vestiti, l’auto, tutto rubato.
Poi era giunto Aziel, la sua piccola ombra casalinga, l’angioletto innamorato che non lo contraddiceva mai e che non se n’era andato nonostante le botte che aveva preso e nonostante tutti gli inviti a farlo.
Belial sapeva che Aziel non era stupido e che si rendeva conto che non lo voleva realmente fuori da casa sua.
Belial stesso, sebbene avesse cercato più e più volte sia di reprimere il sentimento sia di non dimostrarlo, sapeva che se Aziel fosse andato via ci sarebbe stato male.
Non sapeva neanche se stare male fosse possibile per un demone, a dire il vero, ma era sicuro del fatto che non voleva vedere l’angelo andare via.
Belial lanciò uno sguardo al televisore che stava trasmettendo uno dei soliti programmi idioti per gli essere umani, lo spense e si alzò mollemente dalla poltrona.
Aziel era al piano di sopra a scrivere.
Si era messo in testa di scrivere un libro dopo aver incontrato in ospedale quei quattro tipi che suonavano in un gruppo di cui gli aveva tanto parlato.
“Azi” chiamò il demone salendo le scale.
“Dimmi” rispose immediatamente l’angelo, interrompendo il suo lavoro e lasciando le dita sospese in aria a pochi millimetri dalla tastiera del computer.
Belial non gli rispose, lo raggiunse nella piccola stanzetta che fungeva da studio e lo avvolse da dietro con le sue braccia forti, inspirando il suo profumo dolciastro.
“Allora, a che punto sei con il libro?” chiese il moro soffiando nell’orecchio dell’amante.
“Sono ancora al terzo capitolo” borbottò il biondo, socchiudendo gli occhi celesti e portando indietro il capo fino a posarlo contro la spalla muscolosa di Belial.
“È tardi” affermò il demone, “andiamo a letto.”
Aziel non se lo lasciò ripetere due volte, si alzò dalla sua postazione e seguì Belial in camera da letto. Sapeva che avrebbero fatto sesso e si impose di non ripensare a com’era stato sette giorni addietro.
Successe tutto in fretta. Un momento erano stesi uno accanto all’altro e il momento dopo Belial era seduto sopra lo stomaco di Aziel e lo baciava con foga.
Aziel non si sarebbe mai abituato, probabilmente, ai baci di Belial. Un miscuglio di passionalità e brama.
L’angelo cercò le mani del demone e intrecciò le sue dita con quelle dell’altro. Belial glielo lasciava sempre fare, sapeva quanto Aziel si sentisse più rilassato con quel semplice contatto.
Era così da terrestri, stringersi le mani quando si faceva l’amore.
Il demone non perse tempo, cominciò presto a spogliare l’angelo. Gli tolse la maglietta con un movimento solo e, mentre gli lasciava un succhiotto sotto un capezzolo, gli slacciò i pantaloni.
Aziel cominciò a inarcarsi ancor prima del previsto, aggrappandosi alle spalle di Belial con forza.
Il moro ghignò. Vedere il suo amante eccitato ancor prima che gli calasse i pantaloni era sempre un piacere.
“Bel...” biascicò il biondo non appena Belial gli affondò con decisione i canini nella carne tenera da angioletto.
Con un gesto veloce il demone tolse i pantaloni e i boxer all’angelo e li gettò in un angolo indefinito della stanza.
Lo osservò per un momento. Era bellissimo. Candido, con la pelle lattea, i capelli biondi, il corpo minuto, le cosce morbide, il pene eretto, gli occhi cristallini.
Aziel si mise a sedere, gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Non prendeva quasi mai l’iniziativa, né a letto né in altre occasioni, ma vederlo immobile davanti alle sue gambe aperte per lui che lo osservava lo aveva spinto a baciarlo senza farlo prima riflettere.
Mentre ricambiava il bacio, Belial si slacciò a sua volta i jeans e se li fece scendere fino a metà coscia insieme ai boxer, poi spinse di nuovo Aziel con la schiena sul letto.
L’angelo fremette, quando sentì il membro del demone premere contro la natica, ma si rilassò non appena l’amante gli ficcò in bocca due dita.
Lo stava preparando.
Aziel, in quel momento, capì che tutto era rimasto come prima. Una notte di sesso per puro piacere non aveva cambiato nulla nel loro rapporto che, dopo anni e anni insieme, era mutato e migliorato molto, rendendoli più vicini di quanto entrambi immaginassero.
L’angelo succhiò le dita del demone mentre Belial gli massaggiava lentamente l’erezione, facendolo inarcare e ansimare sempre di più.
“Hai fatto?” gli chiese dopo qualche istante.
Aziel annuì, così il moro tirò fuori le dita insalivate dalla bocca del biondo e gliele infilò lentamente nell’apertura mentre lo sentiva irrigidirsi e gemere.
Belial si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto. Con la mano libera gli fece allargare maggiormente la gambe e cominciò a muoversi dentro di lui, sentendolo che cominciava ad abituarsi alla sua presenza e a gemere più forte.
Quando cacciò le dita, Aziel spalancò gli occhi. L’aveva svuotato in un colpo solo.
L’angelo vide l’amante che si abbassava, gli prendeva una gamba e se la portava su una spalla per stare più comodo. Portò una mano tra la chioma scura dell’altro e lo fissò dritto negli occhi mentre lo prendeva.
Lo faceva molto raramente, quasi che quegli occhi potessero mentirgli durante l’amore.
Aziel sentì il dolore lontano, sbiadito, come se tutta la situazione rilassata e romantica lo offuscasse. Si aggrappò al torso nudo di Belial e gemette sempre più forte mentre il demone si muoveva dentro di lui.
Il demone continuò a muoversi chinandosi sempre più su Aziel e lasciandogli morsi e linee di saliva ovunque.
“Bel...” sussurrò quasi al limite l’angelo dopo un po’.
Il demone diede una spinta più forte e Aziel venne sul suo inguine, un momento dopo anche Belial si liberò dentro di lui e uscì con un sospiro.
“Mi hai sporcato” borbottò il moro lasciandosi cadere a pancia in giù di fianco all’angelo che stava immobile steso sul letto fissando il soffitto.
“Scusami” biascicò in risposta Aziel senza fiato.
“Non fa niente.”
Il biondo ci mise un po’ per recepire la risposta di Belial. Una volta, molti anni addietro, si era liberato senza avvisarlo ed era successa la stessa cosa di pochi secondi prima, e Belial, ancora dentro di lui, gli aveva mollato un pugno dritto sul naso.
Aziel sentì gli occhi inumidirsi ma cercò di nasconderlo, si girò dal lato del demone, che si stava mettendo seduto per accendersi una sigaretta, e si strinse a lui per dormire.
Belial fece finta di niente, si accese la sua sigaretta e lasciò che la testa bionda dell’amante si posasse sul suo petto e che gli avvolgesse il corpo con le braccia soffici.
Questa volta non lo aveva ferito.
Sebbene non si fosse pentito affatto di averlo fatto soffrire, la volta scorsa, prendendolo senza un minimo di delicatezza e possedendolo con tutta la bramosità e carnalità del suo essere, lo fece sentire più leggero sapere che questa volta anche ad Aziel era piaciuto far l’amore.
Gli lasciò una carezza tra i capelli e lo sentì sospirare e sorridere.
“Bel” lo chiamò con voce sottile l’angelo, parlando a occhi chiusi e con l’odore del suo stesso sperma misto al sapore acre del corpo sudato del demone che gli riempiva le narici.
“Mh?” rispose Belial inspirando il fumo.
“Ti amo.”















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D'accordo, è un demone, ma Belial non posso sempre presentarvelo stronzo e cattivo, no? Boh io l'ho adorato scrivendo questo capitolo, ho avuto perpetuamente gli occhi a cuoricino.
Spero che vi piaccia, aspetto le vostre recensioni :)
Ringrazio tutti quelli che mi hanno recensita e che hanno messo questa storia tra le preferite/seguite. Grazie grazie grazie.
Echelon_Sun

 

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Capitolo 5
*** chapter four. ***


Belial non aveva risposto al ti amo di Aziel, ma questa non era una novità. Non era di certo la prima volta che l’angelo sentiva il bisogno di esprimere i suoi sentimenti a voce alta, non era la prima volta che gli diceva ti amo senza preavviso, sinceramente, a cuore aperto.
E non era di certo la prima volta che Belial restava in silenzio.
Cosa avrebbe dovuto dire?
Ti amo anch’io? Era un demone, non provava amore.
Grazie? Era un demone, non ringraziava.
Non aveva mai risposto ai ti amo di Aziel e Aziel si rendeva conto che, per un certo verso, era giusto e meglio così. Almeno Belial non gli mentiva, rifilandogli frasi di circostanza che lo avrebbero solo illuso.
Il demone spiegò le ali e allargò le braccia.
Chiuse gli occhi.
Quando era approdato sulla Terra aveva subito trovato quel posto che lo aveva catturato.
Una casa in cima a una collina piena di verde, boschi, campagne, vitigni, uliveti e campi coltivati. Una casa in alto per poter vedere tutto, per potersi sentire i padroni del mondo.
L’aria fresca e pura delle campagne abruzzesi lo avvolse, inebriandolo.
Insieme al secondo piano, quello era il suo posto preferito della casa.
Stare lì in piedi sul tetto, di fianco al comignolo del camino e all’antenna della televisione lo faceva sentire libero. Starsene lì con le ali spiegate e le braccia aperte lo faceva sentire bene quasi quanto prima della Caduta.
Aziel lo osservò dal giardino in silenzio, attento a non smuovere neanche l’aria per lasciargli la sua intimità.
Poterlo vedere nei suoi momenti più intimi e, in qualche modo, umani, lo lusingava. Lo faceva sentire come se davvero fosse importante per lui.
Aziel non sapeva se Belial si rendesse conto o no che lo osservava quando saliva sul tetto, spiegava le ali ombrose e allargava le braccia col vento che gli frustava i capelli. Non sapeva se il demone si rendesse conto che c’era uno spettatore dei suoi sentimenti.
L’angelo, però, immaginava che lo sapesse. Dopotutto, tra tutte le volte che era stato lì a guardarlo, che non erano poche, si sarebbe sorpreso se non se ne fosse accorto neanche una volta.
Si ritrovò a pensare che, magari, gli avrebbe fatto piacere se fosse volato al suo fianco e, semplicemente, gli fosse stato accanto a lasciarsi andare al mondo.
Gli venne in mente un film che aveva visto l’anno addietro una sera in cui Belial era andato a caccia: I Segreti Di Brokeback Mountain.
Pensò all’amore sconfinato tra Ennis e Jack contornato dallo sfondo di quelle splendide montagne del Wyoming, tra neve, freddo, praterie e verde ovunque e per un momento vide se stesso stretto a Belial con una montagna innevata a far loro da sfondo.
Senza pensarci troppo l’angelo spiegò le sue ali candide, esponendo dopo troppo tempo le sue piume bianche all’aria, e si alzò lentamente in volo, senza far rumore, come una foglia che si alza da terra per via del vento autunnale.
Accadde tutto in un momento.
Aziel era in aria, a qualche metro di distanza alle spalle di Belial. D’un tratto il demone serrò le braccia lungo i fianchi, aprì con uno scatto gli occhi e si voltò.
E l’angelo capì.
Prima che il moro parlasse, prima che gli lanciasse anche solo uno sguardo infuriato, Aziel capì che aveva riposto troppi buoni propositi nel pensare che a Belial avrebbe potuto fare piacere averlo accanto in un suo momento.
Suo momento, non loro.
Il biondo ridiscese al suolo, dischiuse le ali nella schiena ed entrò in casa.
Ma cosa gli saltava in mente di interferire in un momento privato di Belial? Solo perché il demone la sera prima gli aveva riservato attenzioni e affettuosità rare non significava che poteva spingersi oltre il solito limite.
Belial, dopotutto, era pur sempre il solito Belial.
Aziel si sentì immensamente idiota e si lasciò andare con le spalle contro il frigorifero attendendo la sfuriata del demone. Sapeva che gli avrebbe fatto del male, faceva sempre così.
“Che cosa avevi intenzione di fare?!” strepitò il moro entrando in cucina con i pugni chiusi, il passo deciso e le vene del collo evidenti più che mai.
“Non avrei dovuto” cercò immediatamente di scusarsi l’angelo. “Hai ragione, mi dispiace.”
Belial gli fu addosso in un attimo e gli mollò uno schiaffo in pieno viso.
“Sai benissimo che non ti voglio qui dentro, angioletto dei miei stivali, e sai benissimo che devi starmi lontano quando non siamo in camera da letto” schiamazzò nuovamente il demone senza prendere mai fiato, afferrandolo per il girocollo della t-shirt e sbattendolo con forza contro il legno del frigorifero. “Noi non siamo una di quelle coppiette umane con sentimenti e impegni, capito?!”
“Scu–scusami” balbettò Aziel con un filo di voce.
“Dobbiamo rimettere in chiaro delle cose, tu ed io” decretò Belial con voce dura, ferma, minacciosa, lasciando il biondo impietrito.
Aziel aprì bocca per scusarsi di nuovo, ma il demone fu più veloce e non gli diede il tempo di emettere neanche un suono. In un attimo lo afferrò per i capelli, lo trascinò fino al tavolo, gli schiacciò una guancia contro il marmo color bordeaux e gli intimò di restare immobile in quella posizione.
Mentre Belial si staccava da lui, l’angelo rimase fermo col busto sul tavolo e il cuore a mille per l’ansia. Quando il demone non agiva subito significava che stava preparando qualcosa di più doloroso e la cosa gli fece accapponare la pelle.
Aziel rimase fermo fino a che non sentì che Belial gli prendeva i polsi e glieli stringeva insieme dietro la schiena con una corda, stretti tanto che immediatamente provò dolore.
“Bel, io...” abbozzò il biondo, zittendosi appena il demone gli fece scivolare i pantaloni della tuta e i boxer fino a metà coscia con un colpo secco.
Chiuse gli occhi e si preparò al dolore.
Dolore che non tardò ad arrivare. Belial entrò dentro di lui in una volta sola e cominciò a muoversi subito, senza lasciargli neanche un secondo di tempo per riprendere fiato.
L’angelo cominciò a piangere, un po’ per il dolore e un po’ perché si rese conto che era come essere tornati ai primi anni di convivenza, in cui Belial sembrava non rendersi conto che non era il suo giochino erotico ma un essere dotato di ragione e sentimenti.
Ritornò con la mente a ciò che era successo poco più di una settimana addietro e pensò che non si era affatto sbagliato nel pensare di non essere riuscito a cambiare Belial neanche di una virgola, perché se lo trattava ancora così significava che era sempre lo stesso di secoli precedenti.
Forse doveva lasciare perdere, dimenticarsi di Belial e tentare, in qualche modo, di riappropriarsi di se stesso.
“Stupido angelo” sputò fuori con rabbia il demone al di sopra di lui senza smettere di muoversi e piantandogli un avambraccio sul collo per limitare la sua respirazione.
Aziel pensò che forse Caliel aveva ragione, forse doveva soffrire per il distacco dal demone e non per le continue umiliazioni e per le continue insoddisfazioni che gli dava.
Forse doveva lasciar perdere quell’amore malato che lo stava distruggendo da dentro.
“Dimmelo adesso che mi ami” sbraitò Belial fuori di sé, “dimmelo Aziel.”
“Ti amo” urlò in risposta l’angelo, con le lacrime che gli offuscavano la vista e correvano veloci sul suo viso. “Ti amo” ripeté con voce strozzata, lasciandosi sfuggire dei singhiozzi sommessi.
Belial si chinò su di lui e lo morse su un fianco, subito lo sentì frignare di dolore. I denti affilati da demone penetrarono con forza nella carne sensibile dell’angelo, cominciando immediatamente a farlo sanguinare.
Ad Aziel, solitamente, non dispiacevano i morsi di Belial, anche se violenti, poiché dopo, a rapporto finito, il moro si premurava sempre di medicargli le ferite con estrema dolcezza, ma questa volta comprese subito che lo avrebbe lasciato perdere sangue fregandosene altamente del suo dolore.
Il demone, dopo il morso, diede un altro paio di spinte e uscì, si risalì i pantaloni e andò a bere un sorso d’acqua senza curarsi di Aziel.
L’angelo non si mosse. Poggiò la fronte contro la superficie dura del tavolo e continuò a liberare tutte le lacrime che poteva. Si sentiva infinitamente umiliato. Nonostante tutti i giochi erotici e i trattamenti che Belial gli aveva riservato, non era mai arrivato al punto di trattarlo così male. Almeno, dopo averlo usato, non lo aveva mai lasciava legato, singhiozzante e parzialmente nudo nel bel mezzo della cucina.
“Qual è il tuo fottuto problema?” domandò con una nota d’ira il demone dopo qualche momento.
Aziel non rispose, rendendosi conto che non sarebbe riuscito a produrre neanche un suono, e scosse il capo per poi di nuovo abbandonarsi completamente sul tavolo.
Belial andò verso di lui, lo prese per le spalle e lo costrinse ad alzarsi in piedi e, tenendogli il mento con due dita, a farsi guardare in faccia.
“Parla” gli gridò in faccia.
“Ho freddo” farfugliò il biondo, non trovando nulla di meglio da dire.
Il demone esibì un ghigno di scherno. “Ti porto a scaldarti, allora” disse, per poi chinarsi, prenderselo su una spalla e portarlo in bagno dove lo lasciò cadere nella vasca.
“Bel che cosa...?”
Senza dargli il tempo di finire la domanda, il moro aprì l’acqua bollente della doccia e gli puntò il telefono dritto in faccia.
Aziel cercò di voltarsi, di nascondere il viso, di pararsi con una spalla, ma Belial glielo impedì afferrandolo per i capelli e costringendolo a prendesi tutta l’acqua rovente in pieno volto.
“Hai ancora freddo?” gli disse alla fine, chiudendo l’acqua e andando via dal bagno, lasciandolo lì nella doccia bagnato, con i pantaloni e i boxer ancora scesi fino alle ginocchia e le mani legate dietro la schiena.
















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Buonasera a tutti (:
Ho scritto questo capitolo in un momento in cui avrei voluto tirare un pugno contro il muro e prendere a testate l'intero mondo, quindi non so bene cosa ne sia venuto fuori. Volevo mettere in risalto il fatto che Belial, sebbene ami Azial, è comunque un demone che non può mettere da parte la sua natura sadica e brutale. Spero di esserci riusciata, aspetto di saperlo da parte vostra!

Un abbraccio a tutti,
Echelon_Sun

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Capitolo 6
*** chapter five. ***


Il sole fece timidamente capolino nel cielo, con una lentezza asfissiante, come se il percorso fosse troppo lungo. Piano piano andò a posizionarsi in alto, tra le nuvole candide e sopra la casa bianca che sembrava un po’ un rettangolo messo per lungo su un manto rialzato colorato di verde e marrone.
Belial affondò il viso nel cuscino e inspirò l’aria con forza, cercando di non pensare ad Aziel. Avrebbe voluto continuare a ignorarlo per tutto il giorno, ma si rese conto che l’aveva punito abbastanza e si decise ad andare in bagno di lui, dove lo aveva lasciato prima di andarsene a dormire.
Aveva dormito molto quella notte, a differenza del solito. Quando era nervoso era prassi, per lui, dormire maggiormente, quasi che il lungo sonno servisse a calmarlo il più possibile.
Camminò ciondolando verso il bagno, con gli occhi semichiusi e ravviandosi la chioma scura con una mano.
“Aziel” chiamò piano aprendo la porta.
L’angelo dormiva raggomitolato nella vasca. Gli si erano asciutti i vestiti e i capelli, si era risalito un minimo almeno i boxer e aveva le i polsi ancora stretti dietro la schiena.
Belial sospirò e si chinò su di lui.
“Aziel svegliati” disse, facendo sussultare il biondo, che aprì gli occhi di scatto e alzò la testa. “Sono le otto, devi andare a lavoro” continuò il demone, sporgendosi sull’amante per sciogliergli i polsi, segnati di viola, e aiutarlo a mettersi in piedi nella vasca.
Aziel si lasciò aiutare e, dolorante per la scomoda posizione in cui aveva dormito, si alzò a fatica e rimase dritto sorreggendosi alle spalle di Belial che cominciò a spogliarlo.
“Cosa fai?” domandò l’angelo stancamente, ritirandosi indietro con le spalle contro il muro del bagno. Si chiese se non volesse fargli ancora del male e lo stesse spogliando per quello.
“Devi farti una doccia, non puoi uscire in queste condizioni” rispose secco il demone senza guardarlo, chinandosi a togliergli scarpe e calze e sfilandogli pantaloni e boxer.
Il biondo chiuse gli occhi gonfi di sonno e sollevò le braccia per farsi levare anche la maglietta che portava. Aveva dormito pochissimo, forse solo un’oretta e mezza.
Belial aprì l’acqua e lo aiutò a insaponarsi il corpo stando ben attento che non scivolasse o si lasciasse cadere. Quando non dormiva almeno sei o sette ore era davvero poco vigile, questa era un’altra delle pecche dell’essere un angelo.
“Perché tante premure?” chiese Aziel dopo un po’, abbandonandogli la testa sulla spalla, quando il demone lo avvolse nell’accappatoio di spugna e lo prese in braccio per portarlo in camera a vestirsi.
“Perché credo che tu abbia capito la lezione” borbottò Belial in risposta entrando nella loro camera da letto e accendendo la luce con un gomito. “E poi non sono più arrabbiato” aggiunse poi, facendolo sedere sul bordo del letto.
L’angelo sorrise, sentendosi sollevato. Amava Belial per quelle piccole cose che gli facevano capire che, sotto sotto, a lui ci teneva. Se una cosa del genere fosse successa anni addietro, lo avrebbe trattato come uno zerbino da sbatacchiare continuamente contro ogni superficie per settimane.
Il demone andò al cassetto dell’altro e gli prese l’intimo, gli asciugò velocemente i piedi e i capelli, poi gli infilò i boxer e i calzini e lo lasciò lì.
“Dove vai?” gli urlò Aziel corrugando la fronte.
“A prepararti un caffè, vestiti e muoviti a scendere ché è tardissimo” gli gridò di rimando Belial, scendendo gli scalini a due a due.
In effetti in quasi mezz’ora sarebbe dovuto essere in ospedale e, se si contavano i venti minuti di macchina che ci volevano per arrivarci, ne aveva solo dieci per finire di prepararsi e fare colazione.
“Lascia perdere, altrimenti non faccio in tempo” urlò nuovamente al demone, alzandosi per andare al suo armadio.
“Ti porto io, tanto poi devo andare con Damien e Ipos” rispose Belial dal piano di sotto mettendo il caffè nella caffettiera.
Aziel si immobilizzò con una mano in aria tra i vestiti appesi per prendere un jeans agganciato a una gruccia. Sebbene più e più volte lui e Belial avessero volato insieme, uno accanto all’altro o anche stretti in un abbraccio, e sebbene molte volte avessero fatto anche cose impure in volo, si rese conto che con quel ti porto io il demone intendeva altro.
Una sola volta Aziel aveva volato con Belial, abbandonato completamente tra le sue braccia, fiducioso con tutto se stesso nell’altro e con le ali candide riposte tra le scapole.
Se lo ricordava bene quel giorno, ch’era stato il giorno in cui per la prima volta aveva cucinato della carne per il suo amante che, felice e soddisfatto, gli aveva mostrato il suo riconoscimento tenendolo intrappolato nel suo abbraccio percorrendo il mare adriatico fino alla Croazia.
Si ricordava bene ogni istante di quel volo, e la sensazione di protezione assoluta che gli avevano donato le forti braccia di Belial contro il suo corpo.
“Sei pronto?” strillò il demone, udendo chiaramente che l’angelo, al piano superiore, non si stava muovendo.
“Sì, certo” rispose Aziel riscuotendosi. Si vestì in fretta, infilandosi un jeans a caso e una t-shirt scura e correndo in cucina col sorriso stampato in faccia.
Aveva già completamente rimosso la sera precedente. Era assurdo come Belial riuscisse, in meno di dieci ore, a ferirlo e renderlo l’essere più felice sulla Terra. Era assurdo come Aziel potesse dimenticare tutto il dolore che il demone gli provocava con un semplice ti porto io.
“Mettiti una felpa, non volerò basso perché tu sei incapace di pensare che in aria non ci sono venti gradi come qui” lo ammonì il demone non appena lo vide entrare in cucina, per poi voltargli le spalle e versare il caffè in una tazzina.
“Non metterne molto” gli disse Aziel, ignorando la sua puntualizzazione sul vestiario, “questa roba è troppo forte per me” continuò sedendo a tavola, alludendo al fatto che il caffè non fosse proprio adatto per gli esseri divini come lui.
“Non ti sei guardato allo specchio” ribatté il moro con un sorriso sarcastico, mettendogli la tazzina colma quasi fino al bordo di liquido scuro.
L’angelo bevve il suo caffè e salì al piano di sopra per infilarsi una felpa, poi scese da Belial. Il caffè gli stava già facendo effetto, un po’ alla stesso modo degli eccitanti per gli essere umani, come una scarica di adrenalina che parte senza preavviso e ti dà la forza di affrontare la giornata dopo qualsiasi brutta esperienza. Se ne beveva un sorso, com’era solito fare, non sentiva quasi nulla, ma se ne beveva una tazzina quello era il risultato.
Belial stava fumando.
Aziel si fermò sulla porta d’ingresso per riprendere fiato.
Quella parte di casa era quella che il demone si era premurato di curare maggiormente quando aveva cominciato i lavori di costruzione. Aveva voluto un portico davanti l’ingresso, un portico colonnato di marmo bianco e rosso con archi ogivali in stile gotico.
Quando Aziel aveva visto per la prima volta dal vivo, non dal cielo, quel portico, gli era venuta la pelle d’oca. Subito quel portico gli aveva fatto pensare a una chiesa gotica e si era chiesto se quello stupido di un demone non si volesse prendere il gioco di Dio.
Belial inspirò il fumo, lo trattenne per un momento dentro di sé e poi lo espirò con un lungo soffio. L’angelo lo osservò ammaliato, aveva sempre trovato elegante e accattivante il modo di fumare del demone.
“Possiamo andare?” chiese Belial senza voltarsi a guardarlo.
“Sicuro” disse in fretta Aziel, mentre il moro gettava a terra la sigaretta e la spegneva calpestandola con la suola delle Dr. Martens nere, ben sapendo che tanto non sarebbe stato lui a pulire.
“Vieni qui” ordinò il demone.
L’angelo fremette. In un attimo si ritrovò nelle braccia dell’altro, con la testa contro la sua clavicola e le ali putride che li avvolgevano entrambi come una grande distesa scura che avrebbe protetto il loro amore qualsiasi cosa fosse successa.
“Tieniti” sussurrò Belial prima di sollevarsi in aria.
Non che Aziel ne avesse realmente bisogno. Sentire i muscoli del demone contro la carne era già abbastanza rassicurante, si sarebbe sentito al sicuro anche se avesse spalancato le braccia, affidandosi completamente all’altro.
Il moro sbatté le ali lentamente un paio di volte, si strinse Aziel contro il petto e si sollevò sulla casa, sulla collina coltivata, sui paesini poco distanti, sull’Abruzzo.
Aziel azzerò la mente, lasciandosi andare al momento. Si sentì innamorato più che mai, in quel momento, e si sentì, vergognandosene anche un po’, umano. Si sentì come uno di quei fidanzati che vengono portati a lavoro dal compagno di vita, si sentì importante, degno di esistere.
Chiuse gli occhi e decise di non godersi il panorama, ché tanto quello se ne stava sempre lì e sarebbe potuto uscire a goderselo quando gli pareva, ma di godersi solo Belial così carino nei suoi confronti.
Il volo non durò molto, una decina di minuti o poco più, e Belial planò direttamente sul tetto dell’ospedale, evitando di abbassarsi troppo presto, scendendo perpendicolarmente.
“Siamo arrivati” annunciò un secondo prima di toccare con i piedi il pavimento.
Restarono immobili, abbracciati, per un momento, e il demone si premurò di circondare se stesso e il suo amante con le sue ali prima di cercare le sue labbra.
Aziel, senza staccarsi da lui più di tanto, si alzò in punta di piedi per baciarlo, lasciandosi avvolgere dal calore delle ali e del corpo di Belial.
Fu un bacio lungo e dolce, dal sapore di caffè e voglia di tenersi stretti e far l’amore a tempo indeterminato. Fu un bacio dal retrogusto umano, di quelli che si danno le coppie alle stazioni prima che uno dei due salga sul treno che lo riporterà a chilometri dall’altro.
Belial si staccò per primo, sorridendo sulle labbra di Aziel e aprendo le ali dietro di sé.
“Vai” disse, sciogliendo anche l’abbraccio.
L’angelo gli sorrise di rimando. Avrebbe voluto dirgli tante cose, che avrebbe voluto che quel volo durasse per sempre, che quando voleva era l’essere migliore dell’Universo, che non era più il demone vendicativo e sadico di un tempo e questo lo rendeva più fiero che mai.
Avrebbe voluto ribadirgli, per quella che era probabilmente la miliardesima volta, che lo amava, ma riuscì solo a balbettare un grazie.



















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Salve a tutti bellezze!
Questo capitolo era pronto da un po' ma ho esistato nel postarvelo perché avrei voluto prima revisionarlo, cosa che non ho fatto perché tanto questa settimana non avrei comunque avuto tempo e non volevo farvi aspettare troppo.
Aspetto le vostre recensioni e vi ringrazio tutti in anticipo.
Echelon_Sun

 

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Capitolo 7
*** chapter six. ***


Aziel si appoggiò con la schiena contro il muro di fianco la porta che, una volta aperta, conduceva all’interno dell’ospedale. Osservò Belial che volava nel cielo, quel puntino scuro che si faceva via via sempre più piccolo ai suoi occhi.
Quante ne avevano passate insieme.
 
 
A quei tempi andavano di moda le lettere, quelle lunghe scritte sulla carta raffinata, maneggiate con cura e lavorate per delle ore per tenere una grafia sempre perfetta e non lasciare macchie d’inchiostro sui bordi.
Aziel e Belial avevano affittato una casa al centro di Londra, un appartamento spazioso e con piccole finestrelle sul cui davanzale l’angelo si raggomitolava per guardare fuori attendendo il ritorno di Belial.
Era l’epoca vittoriana, erano gli anni di Oscar Wilde e Jane Austen, gli anni dei tè racchiusi in tazze di porcellana con sottili fiori azzurri e rosa disegnati sopra sorseggiati nei salotti da donne con rughe scavate nel volto e mani raggrinzite, gli anni dei sigari consumati sotto le grondaie, gli anni degli amori omosessuali segreti.
Angelo e demone erano, per la società del tempo, fratelli. Giravano voci su voci, su loro due. C’era chi diceva che Aziel fosse stato trovato dai genitori di Belial neonato e urlante sotto un ponte lurido e odorante di piscio e vino, c’era chi mormorava che in realtà era Belial quello che la famiglia s’era preso in casa per non lasciarlo marcire nella miseria e c’era chi pensava che i due si fossero ritrovati a fare affari insieme e avessero concordato di fingersi fratelli.
Nessuno avrebbe mai potuto sospettare che nel loro appartamento pulito e profumato si consumasse un amore segreto e sconfinato. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che su quel divano dove spesso gli ospiti si erano accomodati, quei due avessero fatto l’amore anche per notti intere.
Belial e Aziel erano ben inseriti nella società e, belli com’erano, erano ambiti dalle donne più colte e aggraziate della capitale e dalle loro ricche famiglie, cosa ch’era ben chiara ai due per via degli inviti a cena che ricevevano ogni due giorni.
Benché il demone avesse riflettuto più volte sulla possibilità di sposare una donzella, prendersi tutta la sua eredità e trasferirsi in Australia per il decennio successivo, sia lui che Aziel avevano poi concordato che sarebbe stato meglio non fare movimenti azzardati.
Anche in quegli anni si erano mormorate cose, dopotutto.
Avevano vissuto in silenzio, tranquilli, nella Londra del 1800, all’ombra delle nubi scure tipiche della città inglese. Avevano vissuto consumando carte su carte di lettere scritte a mano, poiché Belial a volte andava via di casa per giorni e avvisava che non sarebbe rientrato per qualche tempo con una lettera che sarebbe arrivata a destinazione dieci minuti prima del suo ritorno. Avevano vissuto girando per strada con quei buffi e costosi vestiti con pizzi e fronzoli ovunque spalla contro spalla e mai mano nella mano, come due fratelli che passeggiano per strada chiacchierando di affari.
Era stato uno dei periodi favoriti da Belial, quello, nonostante le voci che erano girate, soprattutto tra i demoni. Era stato un periodo in cui aveva potuto godere delle avances delle donne che comunque non erano mai abbastanza, il periodo in cui aveva frequentato i bordelli tenendo Aziel allo scuro della cosa e il periodo in cui lui e Aziel avevano mantenuto una (quasi) costante armonia.
 
C’era stato il medioevo, gli anni che avevano stabilito il rapporto tra l’angelo e il demone, in bilico fino a quel momento. Gli anni delle lotte alle streghe, gli anni del tribunale dell’Inquisizione e dei papi tiranni, gli anni delle crociate e delle lotte religiose e di Dante e della scoperta dell’America.
Belial e Damien erano stati tra i primi a calpestare quella terra di cui già conoscevano, segretamente, l’esistenza.
Erano stati gli anni in cui Aziel aveva vissuto nella casa sulla collina d’Abruzzo come un robot, un piccolo aggeggio di ferro e cavi, senza emozioni né sentimenti, messo a disposizione del demone per farne ciò che preferiva. Gli anni in cui l’angelo aveva totalmente annullato se stesso per Belial, dimenticandosi chi fosse e concentrandosi solo sull’avvicinarsi all’amante in ogni modo.
Erano stati gli anni in cui Belial gli aveva dimostrato più affetto, gli anni in cui avevano fatto irruzione in casa e lo avevano trascinato a suon di frustate in prigione per essere considerato eretico.
E chi glielo spiegava, a quelli, che quel bel moretto non entrava in chiesa per non farle prendere fuoco?
Come avrebbero potuto anche solo immaginare che quel giovane dalla pelle lattea e gli occhi profondi potesse essere un demone che non poteva entrare negli edifici religiosi senza appiccare un incendio?
Damien e Ipos avevano riso a crepapelle nel vedere il loro collega impassibile dinanzi a un giudice che lo minacciava di torture fisiche se non avesse confessato la verità.
Aziel aveva dovuto pregarlo di andare in Norvegia per qualche tempo, cosa che Belial aveva approvato solo quando si era reso conto che sarebbe stato troppo evidente se gli avessero provocato lividi e altro che sarebbero guariti nel giro di mezz’ora.
Avevano vissuto per un paio di anni in una casa di legno e piuttosto piccola Belial, Aziel, Damien e Ipos. E, nonostante i demoni di troppo, l’angelo era riuscito a godersi ogni sprazzo di giornata con il suo demone tra il freddo, la neve e le ali spiegate contro il cielo limpido.
Avevano litigato molto in quei due anni. O meglio, Aziel aveva troppo spesso discusso con Ipos e Belial aveva troppo spesso ripreso la questione quando si era trovato solo con l’angelo, finendo per discutere anche tra loro.
Aziel ricordava quei due anni come un brutto sogno, come un periodo che per fortuna era passato. Aveva avuto i lividi sulla pelle ogni giorno, il moro si era impegnato ogni volta nel farlo sentire un verme e i suoi amici lo avevano assecondato in ogni istante.
 
C’erano stati gli anni delle due guerre mondiali, che Aziel avrebbe voluto evitare ma non aveva potuto perché Belial, non appena aveva sentito odore di sangue e morte e battaglie si era animato ed era corso da Caliel, a cui solitamente non rivolgeva parola, per informarsi riguardo l’inizio dello scontro.
Aziel ricordava fin troppo bene quegli anni. L’addestramento, gli amici umani che morivano dinanzi ai suoi occhi e lui non poteva farci nulla, Belial e quel sorriso sadico sempre stampato in faccia, Belial e la lontananza, il fango e le trincee.
Ricordava tutto. Ogni frammento di secondo, ogni volto degli uomini morti che aveva trasportato in spalla fino agli accampamenti, ogni espressione di rabbia e incredulità e paura e sconcerto nei visi sia degli alleati che dei nemici.
Ricordava tutto e non avrebbe voluto ricordare.
Eppure, nonostante le atrocità a cui aveva assistito – e si sarebbe tagliato un braccio pur di togliersele dalla testa – non aveva pensato mai, neanche per un istante, mai, di abbandonare Belial e rifugiarsi da qualche parte per poter vivere tranquillo.
Aveva versato moltissime lacrime in quegli anni, sui corpi morti dei bambini, tra i capelli delle donne su cui si lanciava per proteggerle dall’ennesimo bombardamento, tra le dita sporche e ruvide di Belial.
E mai aveva pensato di andarsene, di dire ‘fanculo tutti, ‘fanculo Belial, non sto qui per godermi lo scenario dell’umanità che si riduce in frantumi.
Ricordava anche i campi di concentramento a cui lui e il demone erano sfuggiti per un pelo. Caliel era arrivato a casa loro per portarli via appena dieci minuti prima dell’arrivo dei fascisti. Li avevano osservati dall’alto, nascosti tra le nuvole scure della sera, fare irruzione nella casa e bestemmiare di ira.
Aziel ricordava e avrebbe tanto voluto non ricordare.
Ma non avrebbe mai abbandonato Belial, mai, neanche quando lo aveva visto uccidere un uomo strangolandolo con una mano nuda come se fosse un fantoccio.
Amava Belial e questo lo aveva tratto in trappola. Amava ogni cosa di lui, persino, in qualche modo, l’essenza del suo essere un demone.
E lo aveva amato anche in quegli anni, tra le morti e l’odore di sangue e desolazione. Lo aveva amato quando lo aveva costretto a combattere, quando lo aveva visto scatenarsi, quando erano stati costretti a lasciarsi per un po’, andando avanti a lettere che arrivavano dopo mesi e che venivano lette dietro i massi evitando le bombe e i corpi. Lo aveva amato quando, la notte in cui Caliel era corso ad avvisarli dell’arrivo dei fascisti, Belial lo aveva abbracciato e gli aveva sussurrato che sarebbe andato tutto bene, che non gli importava di combattere fino alla fine quella guerra ma gli importava che loro due stessero al sicuro.
 
 
“Aziel, che ci fai quassù?”
L’angelo si riscosse dai suoi pensieri e voltò lo sguardo verso la ragazza che gli stava parlando. Era una diciottenne bella e solitaria, Lisa, una ragazzina dai capelli color rosso fuoco e da mille ombre dentro, troppe per avere solo diciotto anni di vita.
Era il giorno della terapia di gruppo per adolescenti, quello, e Lisa doveva essere arrivata in anticipo.
Da quando, dopo i tre mesi in pediatria, era stato trasferito in psichiatria, Aziel si sentiva più coinvolto. Come se quelle persone con problemi e disturbi lo avessero aspettato fino a quel momento, come se lui non avesse fatto altro che aspettarli.
“Potrei farti la stessa domanda” rispose il biondo aprendosi in un sorriso.
“Sono salita a fumare una sigaretta” disse lei estraendo il pacchetto dalla tasca posteriore dei jeans. “Mi piace salire qui, mi piace il panorama, mi fa sentire un po’ in bilico sul cornicione del mondo. Vuoi?” continuò, offrendo una stecca di nicotina all’angelo.
“No, ti ringrazio. Non fumo” le disse lui, pensando che se avesse inalato solo un minimo di quella roba sarebbe stato male per un giorno intero.
Ma cosa ne potevano sapere gli umani di quanto fosse dannosa per un angelo una sostanza nociva come la nicotina o l’alcol o la droga?
Aziel osservò quella ragazza splendida e dolce e pensò che fosse davvero un’ingiustizia che dentro fosse tanto turbata, che avessero cercato di distruggerla e che avesse tentato di distruggersi.
“Vado a timbrare” borbottò dopo qualche istante. “Ti aspetto sotto.”
Lisa gli sorrise, scoprendo una fila di denti dritti e due palline di metallo sugli incisivi centrali, residuo del dolore di uno smiley piercing piuttosto recente.

















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Ecco a voi il nuovo capitolo, che ci tenevo a scrivere per mostrarvi un po' come si è evoluta la relazione tra Aziel e Belial attraverso i secoli ma che, devo ammetterlo, non mi convince molto. Magari lo riscriverò, prima o poi, ma, considerando la mia pigrizia in questi giorni, ne dubito. Non si sa mai, comunque, e intanto fatemi sapere cosa pensate di questo.
Come sempre mando un fortissimo abbraccio virtuale a tutte le meravigliose persone che seguono questa storia e l'hanno inserita tra le preferite o le seguite.
Echelon_Sun

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Capitolo 8
*** chapter seven. ***


Era una giornata lavorativa come tutte le altre, quella, o forse no.
Aziel sedette alla sua solita sedia, di fianco alla Dottoressa Fontana e osservò i ragazzi che erano seduti a cerchio insieme a lui e alla donna, constatando che c’erano tutti.
Era una donna sulla cinquantina, la Fontana, sempre vispa e professionale, con occhiali quadrati sul naso leggermente aquilino e mani levigate. Nonostante, a primo impatto, potesse sembrare fredda e distaccata, era una persona buona che amava il suo lavoro e avrebbe dato qualsiasi cosa per continuare ad aiutare quei ragazzi e tutti i suoi pazienti fino a che ne avrebbero sentito il bisogno.
Aziel e lei non erano in confidenza, non parlavano molto e se parlavano discutevano solo del reparto, ma lui nutriva un profondo rispetto per lei.
Era risaputo, dopotutto, che gli angeli avevano un sesto senso riguardo i caratteri delle persone. E Aziel l’aveva capito subito che la freddezza della dottoressa era solo uno scudo, che in fondo era un esemplare di essere umano più che rispettabile.
“Buongiorno a tutti” esordì la dottoressa, sporgendosi appena avanti sulla sedia facendo oscillare il suo caschetto scuro.
“Buongiorno” riposero i ragazzi quasi all’unisono, chi a voce alta e chi a voce più bassa. Piero, come al solito, non rispose.
“Cominciamo da Piero oggi, ti va?” continuò la dottoressa, fissando il ragazzino con un sorriso docile sulle labbra.
Piero, se possibile, si fece ancora più piccolo di quanto non fosse. Aveva appena diciannove anni ma fisicamente sembrava averne quindici, tanto era basso e mingherlino, poi lo stare sulla sedia a rotelle non lo aiutava.
“D’accordo” soffiò il ragazzo grattandosi la nuca con una mano.
“Come è andata la tua settimana?”
Piero strinse le labbra e socchiuse gli occhi. Lo faceva spesso, Aziel ci aveva sempre fatto caso. Sembrava che le immagini gli scorressero davanti al volto, così che potesse catturarle una ad una per poi metterle insieme e rispondere degnamente alla domanda della dottoressa Fontana.
“Piuttosto bene” disse, “Giacomo e Nicola hanno scritto delle nuove canzoni e in questa settimana abbiamo provato molto. Sabato suoniamo in un locale, un pub in centro abbastanza conosciuto, dovranno portarmi in braccio perché ci sono degli scalini da scendere e questo un po’ mi intristisce, mi ricorda sempre di non essere autonomo. Poi, verrà mia madre a sentirci.”
“Tua madre?” gli sorrise la dottoressa. “La cosa ti preoccupa?” chiese subito dopo scribacchiando sulla sua cartellina.
“Non molto, no” rispose Piero con un sospiro. “Mi basterà ignorarla e aspettare che sia lei a fare il primo passo. Insomma, non sono preoccupato, sono solo molto curioso di sapere cosa farà e cosa mi dirà.”
Aziel avrebbe voluto abbracciarlo. Sin dal primo momento in cui l’aveva conosciuto, aveva percepito che era diverso dagli altri, un umano non con problemi di depressione, autolesionismo o problemi alimentari. Semplicemente una persona diversa, infilata a forza nella società; una di quelle persone che cerca di salvarsi con la musica.
La dottoressa aprì bocca per rispondergli, ma prima che potesse farlo Piero continuò a parlare. Gli succedeva, a volte, che, al contrario del suo solito essere introverso, cominciava a parlare e parlare a raffica come se potesse andare avanti a tempo indeterminato, come se parlando scaricasse tutta la sua frustrazione.
“Vorrei tanto che mi dicesse che crede in me, vorrei che ci fosse anche lei ad aiutarmi prima di suonare, magari a portare la sedia lungo i gradini di pietra mentre io vengo portato in braccio dai miei amici. Dopo l’incidente è come se loro fossero la mia famiglia e non lei. Papà è morto, in quell’incidente, e questo non possiamo cambiarlo, ma se noi due, i soli piccoli stralci di famiglia che ci è rimasta, ci allontaniamo, allora cosa ci resta?”
Parlò quasi tutto d’un fiato e poi si zittì, chiudendo le labbra con un movimento secco e abbassando lo sguardo.
“A lei le hai mai dette queste cose?” chiese Lisa, prendendogli una mano.
Erano i due che si sono legati di più durante la terapia di gruppo, Piero e Lisa, e sedevano sempre uno accanto all’altra, come calamitati.
“Le ho detto solo che vorrei averla più vicina e mi ha risposto che quando se la sentirà, tornerà ad esse...”
Piero tacque all’improvviso, lasciando la frase a metà, e strinse più forte la mano di Lisa, la dottoressa si irrigidì sulla sedia e Aziel scattò in piedi.
Accadde tutto prima che chiunque potesse razionalmente rendersi conto che stava accadendo.
L’angelo aveva percepito qualcosa di strano, ma, concentrato nell’ascoltare il ragazzino paraplegico, non ci aveva dato peso.
Il pavimento tremò pericolosamente. Un paio di ragazzi caddero dalle sedie, rompendo il cerchio, mentre Lisa si sporse su Piero per ripararlo come uno scudo.
Il panico si diffuse in un attimo, non tanto tra i ragazzi quanto tutt’intorno.
Grida, persone che correvano, che si gettavano sotto i tavoli e si ammassavano contro i muri, pazienti che si precipitavano fuori dal reparto con gli infermieri alle calcagna, i quali, spaventatissimi a loro volta, urlavano loro di fermarsi.
“State calmi” gridò Aziel, sovrastando il baccano. “Sta finendo, non era una scossa di alto magnitudo.”
Non appena l’angelo finì di parlare, tutto tornò immobile. Con qualche istante di ritardo, smisero persino di oscillare i lampadari.
Non era stata una scossa forte, come aveva detto Aziel, però al sesto piano dell’ospedale era sembrata ben altro che niente di grave.
L’angelo si lasciò ricadere sulla sedia mentre i ragazzi riprendevano spaventati i loro posti lanciandosi occhiate preoccupate e sussurri come il terremoto, dannazione e che paura e Piero ringraziava con uno sguardo profondo Lisa, che non si era scostata da lui neanche nel momento in cui aveva udito strillare scappate.
“Tutto okay ragazzi?” si premurò di chiedere la dottoressa ancora tremando di terrore. I ragazzi annuirono in silenzio nell’esatto momento in cui Aziel vide Caliel fare irruzione nel reparto.
Si fissarono per un lungo momento.
Aziel non capiva cosa ci facesse il suo amico lì e per un momento pensò che doveva essere successo qualcosa a Belial, fino a che non vide spuntare anche il demone dietro l’angelo.
“Scusatemi, torno tra un momento” disse velocemente alzandosi e andando via dal cerchio di sedie.
Belial e Caliel si odiavano ed erano lì, insieme, sul suo posto di lavoro. Belial e Caliel non si rivolgevano la parola, se non per discutere o per assoluta necessità, ed ora si trovavano di fronte a lui uno accanto all’altro.
“Che ci fate qui?” domandò Aziel con un filo di voce.
“Dobbiamo andare via” rispose secco Belial. “Siamo venuti a prenderti, non abbiamo molto tempo, quindi vedi di muoverti.”
“Perché? Che succede?” chiese ancora il biondo continuando a non capire, cercando gli occhi verdi di Caliel che non gli avrebbero mentito.
L’angelo chinò lo sguardo, incapace di reggere l’occhiata cristallina dell’amico. Il demone sbuffò d’impazienza e afferrò un braccio dell’amante conficcandogli gli artigli nella carne.
“Non abbiamo tempo per le vostre menate da angioletti” disse in un soffio di rabbia. “Andiamo.”
Aziel non ebbe il tempo di rendersi conto di nulla, né del cenno di assenso di Caliel, né degli occhi spalancati e increduli della dottoressa Fontana che, stupita, non gli aveva urlato neanche un dove vai?, né di Belial preoccupato.
Si ritrovò a correre a seguito dell’amante e dell’amico lungo i gradini dell’ospedale fino al terrazzo dove Bel l’aveva lasciato andare quella mattina stessa.
Spiegarono le ali e si sollevarono nel cielo.
Aziel per un po’ rimase in silenzio e si limitò a volare al fianco di Caliel, seguendo Belial che li guidava verso sud. Le colline verdi dell’Abruzzo scorrevano veloci sotto di loro.
Solo quando si trovarono quasi al confine con il Molise, l’angelo biondo si decise a parlare.
“Posso sapere dove stiamo andando?” disse in un urlo per farsi sentire dagli altri due.
“Lo vedrai” gridò in risposta il demone, voltando appena la faccia per guardarlo.
“È successo qualcosa?” tentò nuovamente Aziel dopo qualche istante di silenzio, non riuscendo proprio a capire perché tanta segretezza.
Caliel lo guardò. “Ultimamente sono successe cose strane” disse colmo di rammarico nella voce. “Anche il terremoto di poco fa non è stato provocato da cause naturali. Avrai sentito che ultimamente ci sono stati molti maremoti, incendi e quant’altro un po’ ovunque...”
“Caliel stringi” si indispettì Aziel, sempre più preoccupato.
“Beh avrai anche sentito delle voci che girano, di nuove guerre che si combatteranno, di alcune popolazioni che saranno sterminate...”
“Caliel.”
Caliel si passò una mano tra i capelli color mogano e sospirò. Non pensava che fosse tanto difficile dirlo ad Aziel dopo averlo detto a Belial.
Con il demone era stato semplice, aveva sputato fuori la verità in un colpo solo e aveva atteso la reazione dell’altro che era consistita semplicemente in un asciutto andiamo a prendere l’angioletto.
“Caliel mi stai facendo spaventare” si stizzì il biondo.
“L’apocalisse, Aziel. Il Giudizio Universale. Dovremo combattere, angeli contro demoni, il bene contro il male.”
















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Okay, diciamo che da questo momento in poi dovrebbe cambiare tutto per i due amanti. Dovranno proseguire la loro esistenza con la consapevolezza di sta andando incontro a uno scontro frontale su due fronti opposti. Quali saranno le loro reazioni? Beh, io lo so già, ho scritto anche le bozze dei due prossimi capitoli, ma voglio conoscere anche le vostre aspettative. Come sempre non vi mangio se mi recensite, anzi, ne sono più che felice.
Grazie a tutti voi che seguite questa long,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 9
*** chapter eight. ***


Conosceva quel posto, c’era stato molte volte negli anni precedenti, talmente tante di quelle volte che non appena entrò nell’ingresso impolverato si sentì al sicuro, un po’ come se fosse entrato nella sua seconda casa.
Caliel si immobilizzò al suo fianco.
“Ho paura” ammise il rosso senza peli sulla lingua. “Paura di ciò che si dirà e deciderà” specificò un secondo dopo, voltandosi a guardare l’amico dritto negli occhi.
Aziel non rispose, ancora immerso con la mentre nell’abbraccio di Belial.
Si erano ripromessi di vedersi il giorno dopo a quel bar nel centro di Campobasso che aveva anche l’hotel in cui avevano alloggiato due anni addietro per la colazione, ma essere lì e sapere che lui era con i demoni gli metteva i brividi.
Si stavano preparano alla lotta. Angeli e demoni, uno contro l’altro.
Aziel contro Belial.
Solo a pensarci gli veniva la nausea.
Videro una figura correre giù per le scale. Michele.
“Finalmente siete arrivati” esalò l’angelo col fiatone. “Aziel, tu sei fondamentale per la nostra strategia, saliamo che vi spiego tutto.”
Aziel e Caliel seguirono in silenzio Michele al piano di sopra fino alla stanza immensa che, quasi come una magia, sembrava allargarsi man mano che gli angeli arrivavano, per far spazio a tutti.
“Ci siamo tutti?” chiese Gabriele vedendo entrare anche gli ultimi due mancanti.
“Sì, siamo al completo” rispose Michele sedendo al suo posto a gambe incrociate e facendo cenno agli altri due di accomodarsi al suo fianco.
Aziel si guardò attorno. Vedere i suoi amici tutti radunati lì gli metteva pressione, lo faceva sentire obbligato a tornare ad essere l’angelo puro ch’era secoli e secoli addietro, prima di Belial, prima della Caduta.
Ma lui non era più quello di prima e se per gli altri il suo essere innamorato significava essere un traditore, non poteva farci assolutamente nulla.
Dopo aver tanto lottato e tanto sofferto per il suo amore con Belial, non sarebbe tornato sui suoi passi. Neanche per lottare per il Bene, no, neanche per l’Onnipotente, non l’avrebbe fatto.
“Come tutti ben sappiamo” esordì Michele, “o, per meglio dire, come tutti dovremmo ben sapere, la lotto tra il Bene e il Male si svolgerà a Gerusalemme, sul monte Armageddon. Lo ripeto perché tutti lo dobbiamo avere ben chiaro nella mente.”
“Come possiamo essere sicuri di star giungendo alla fine dei Tempi?” chiese Hariel dall’altra parte della stanza sventolando una mano in aria. “Dopotutto siamo ben abituati a sentire dicerie riguardo l’Apocalisse e il Giudizio Universale, ma ogni volta si rivelano voci infondate” aggiunse, e la sua voce fu accompagnata da mormorii di concordia.
“Non ne siamo sicuri al cento per cento, Hariel” rispose Michele lentamente, “non si è mai sicuri di nulla fino in fondo, in fin dei conti. Però siamo assai più propensi a credere che questa volta sia tutto vero, rispetto alle altre volte, perché ci sono stati più segnali.”
Un lungo momento di silenzio squarciò l’aria.
“Quindi dovremo combattere?” azzardò Caliel con un filo di voce.
“Esatto” rispose Michele. “Dobbiamo ricominciare ad allenarci tutti quanti, riprendere in pugno le spade, tornare ad essere esistenze divine indistruttibili.”
Aziel sospirò.                                          
Lui non era indistruttibile. Non più, almeno, dopo che Belial aveva ridotto la sua anima candida a brandelli più e più volte.
“Avete ancora le vostre spade?” domandò Gabriele dopo un po’.
Un vociare di assenso di diffuse nella stanza, così Michele si decise a proseguire col suo discorso.
“Ebbene” disse l’Arcangelo, “dobbiamo prepararci a combattere. Vinceremo noi, il Bene ha sempre la meglio sul Male, e l’Onnipotente ci darà la Sua benedizione, ma dobbiamo crederci. Dobbiamo crederci.”
Aziel sentì, al suo fianco, Caliel rabbrividire.
Non volevano combattere, né l’uno né l’altro. E Aziel pensò che avrebbe preferito farsi trafiggere dalla lama di Belial all’istante pur di risparmiarsi la lotto contro di lui.
“E ovviamente tutto sarà più semplice se dovessimo essere a conoscenza della strategia dei demoni” asserì Michele voltando lo sguardo verso l’unico, lì dentro, abbastanza vicino a un demone da potergli sottrarre informazioni.
“Io e Belial non parliamo di queste cose” si indispettì Aziel.
“Dovrete cominciare a farlo” ribatté secco Michele. “Più informazioni abbiamo, più saremo forti e più possibilità di vincere il Male avremo.”
Il biondo strinse le labbra. “Non posso farlo” sentenziò, sforzandosi di mettere in quelle tre parole tutta la determinazione di cui era capace.
“Non puoi farlo” ripeté Gabriele fissandolo con durezza. “Non ti riconosco più, fratello.”
Enfatizzò l’ultima parola con disprezzo, come se volesse sottolineare l’obbligo di Aziel nel dover eseguire i loro ordini e non quelli del suo cuore. Come se da quando si era innamorato non facesse più parte di loro.
Ma lui si sentiva ancora parte degli Angeli, era solo un angelo innamorato dell’essere sbagliato e non poteva farci nulla. Non aveva stabilito lui di amare Belial e, se avesse potuto decidere razionalmente dei suoi sentimenti, non avrebbe scelto sicuramente di annullarsi per un altro che non faceva altro che deluderlo e ferirlo.
E questo i suoi fratelli dovevano capirlo. Dovevano capire che si trovava a metà tra il suo essere e il suo amore e non avrebbe scelto di stare da una parte o dall’altra.
“Cercate anche di mettervi nei miei panni...”
Michele sbuffò, senza lasciargli il tempo di spiegarsi ulteriormente. “Abbiamo capito Aziel, stai tradendo la tua famiglia per quello sporco demone lussurioso” disse d’un fiato, con rabbia. “D’accordo. Va bene. Fai come credi.”
Aziel si alzò di scatto, guardò velocemente le facce della sua cosiddetta famiglia e uscì ad ampie falcate dalla stanza per dirigersi sul terrazzo sul tetto.
Non valeva neanche la pena di spiegare loro le sue emozioni, perché non potesse fare ciò che gli avevano chiesto, cosa provava. Avrebbe voluto chiarire tutto quello che c’era da chiarire, ma se la mettevano in quei termini non ne valeva proprio la pena.
Insomma, lui stava cercando di porsi nei loro confronti con tutte le buone intenzioni del mondo, ma loro, nei suoi confronti, non lo stavano facendo.
Sembrava una combutta contro di lui.
O fai come ti diciamo oppure di scarichiamo addosso i sensi di colpa e ti ricordiamo che ti lasci scopare da un demone e che noi siamo i tuoi fratelli, la tua famiglia, anime bianche e bla bla bla.
Aziel si sporse dal muretto e strinse i pugni osservando il panorama. Faceva freddo, lassù tra gli Appennini, e una brezza gelida gli scompigliò i capelli, ma col freddo che sentiva dentro quello di fuori sembrava quasi un venticello estivo.
Pensò a Belial. Chissà se anche a lui avrebbero detto di scoprire cosa stavano organizzando gli angeli, chissà se anche lui si sarebbe rifiutato.
L’angelo chiuse gli occhi e si strinse addosso la sensazione dell’abbraccio di Belial in volo. Se in quel momento ci fosse stato il demone anche solo a lanciargli un sorriso da lontano, tutto si sarebbe tramutato in bellezza e tranquillità e protezione.
Perché è questo che fa l’amore, ti fa sentire protetto e al sicuro anche quando ti trovi sul tetto di una casa a rinnegare i tuoi simili.
Aziel, a dire il vero, non lo vedeva come un rinnegamento. Si stava solo astenendo dal cercare di estrapolare a Belial informazioni sull’organizzazione della schiena demoniaca, – cosa che, molto probabilmente, non sarebbe comunque riuscito a fare – non si stava schierando dall’altra parte, dopotutto.
E, se loro gli avessero lasciato il tempo e la voglia di parlare, avrebbe anche spiegato che avrebbe combattuto al loro fianco, ali angeliche spiegate e spada in pugno. E avrebbe cercato di aiutarli ogni qualvolta li avesse visti in difficoltà. E avrebbe lottato contro i demoni fino all’ultimo respiro.
Lui era ancora parte degli Angeli e questo doveva essere chiaro a tutti.
Solo, non voleva mettere le questioni divine tra sé e Belial.
Solo, non voleva che per cose del genere si arrivasse alle litigate tra lui e il demone.
Il loro amore era altro dalla guerra, e anche questo doveva essere chiaro a tutti.
Se si fossero ritrovati uno di fronte all’altro nel bel mezzo della battaglia, Aziel si sarebbe lasciato uccidere. Ma solo perché preferiva andarsene lui piuttosto che vedere andar via Belial, sia che dovesse accadere per mano sua che per mano di altri.
L’avrebbe detto a Belial. Avrebbero parlato della guerra solo in questi termini: se dovessimo ritrovarci a doverci scontrare io e te, uccidimi.
“Azi...”
Il biondo si riscosse dai suoi pensieri e si voltò a sorridere a Caliel.
“Dimmi” gli disse piano.
“Niente... solo... Aziel, non dar peso a quello che ti hanno detto. Fai come credi, senza pressioni o costrizioni. Sii te stesso, okay?”
Il sorriso dell’angelo dai capelli color giallo lucente si allargò ulteriormente.
Caliel sì che lo capiva.
“Ma certo” gli disse facendogli l’occhiolino. “Lo metterò in chiaro anche con gli altri quando avranno voglia di starmi a sentire senza criticarmi o scaricarmi colpe addosso.”
Si guardarono, lasciando che i loro sguardi sprofondassero l’uno nell’altro.
Si volevano bene. Dopo secoli e secoli e secoli e secoli erano riusciti a mantenere un legame stretto e complice, come due veri fratelli.





















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D'accordo, ecco a voi questo capitolo che non so ancora bene neanch'io come intendere. Volevo mettere in luce il rapporto stretto che hanno Aziel e Caliel e, allo stesso tempo, volevo ancora farvi comprendere la prospettiva della guerra, contrastante con quella della schiera angelica, di Azi.
Fatemi sapere cosa ne pensate, offro bisocotti a chi recensisce.
Grazie a tutti, un abbraccio,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 10
*** chapter nine. ***


Caliel si lasciò cadere all’indietro contro le fredde mattonelle del bagno. Si diede dell’immenso idiota per aver appoggiato l’idea di Aziel e uscire a bere un drink.
Lo sapevano tutti che l’alcol per un angelo è dannoso almeno dieci volte di più che per un essere umano e cento rispetto a un demone.
Ma Aziel aveva voluto esagerare.
Avrebbe dovuto immaginarlo, in effetti. Dopo la giornata esasperante che aveva avuto, era chiaro che il biondo volesse qualcosa per evadere dalla realtà. E non era di certo una novità per Caliel, che Aziel cercasse di farsi del male quando le cose non andavano per il verso giusto.
Ricordava benissimo, dopotutto, la volta in cui Belial era sparito da una settimana dopo una lite e l’angelo si era gettato in un precipizio tra le montagne.
“Cal...” borbottò il biondo stringendo le dita pallide attorno alla tazza del water.
“Mh?”
“Voglio Belial.”
Caliel alzò gli occhi al cielo. “Mi prometti di non vomitare e di non muoverti da qui fino a che non torno?” gli disse posandogli le mani sulle spalle.
“Ma me lo vai a chiamare?” domandò l’altro con un filo di voce.
“Sì, vado a chiamare Belial.”
L’angelo uscì dal bagno dalla finestra e spiegò le enormi ali bianche e azzurre direttamente in aria, rischiando per un momento di troppo di schiantarsi al suolo.
Erano anni, se non secoli, che volava solo per il gusto di farlo. Anni che non volava per tenersi in forma.
Ricordava dove stavano i demoni, quel posto scuro e tetro infossato in una cavità dietro una cascata tra i massi e il muschio. Quella caverna ombrosa e umida, enorme e rocciosa. Ricordava benissimo quel posto dove i demoni si riunivano assai più spesso rispetto agli angeli.
Non ci mise molto ad arrivare. Sebbene fossero agli antipodi, angeli e demoni, e fossero nemici, erano pur sempre due facce della stessa medaglia incapaci di starsene troppo lontani.
Udì per prima cosa l’infrangersi della cascata, il rumore assordante dell’acqua infinito, poi la vide. La cascata. Adorava quel posto, benché fosse il rifugio dei demoni. Era suggestivo e bellissimo.
Damien era di guardia.
“Che ci fai qui?” ringhiò il demone ancor prima che Caliel si avvicinasse abbastanza da parlargli senza dover urlare per potersi sentire tra loro.
“Sono qui per Belial” rispose l’angelo sforzandosi di rispondergli il più educatamente possibile.
Damien strinse le labbra, indeciso sul da farsi. Avrebbe voluto tanto stuzzicare quell’angelo dai capelli rossastri fino a fargli perdere la pazienza, ma decise che non ne valeva la pena.
Tutto sommato se Caliel si era preso la briga di venire fino a lì per cercare Belial doveva pur esserci un motivo. Motivo che di sicuro riguardava Aziel, motivo che sicuramente, dunque, avrebbe interessato il suo amico.
“Vado a chiamartelo” rispose secco voltandogli le spalle.
Dopo meno di cinque minuti Caliel li vide sorpassare il getto di acqua ghiacciata e venire verso di lui. Damien e Belial.
“Cosa c’è?” chiese il moro.
“Aziel” spiegò l’angelo, sperando che l’altro non gli facesse altre domande e lo seguisse. Non voleva parlare davanti ad altri.
“Che ha?”
“Non sta bene.”
“E...?”
“Ti cerca.”
Belial aprì nuovamente bocca per controbattere, ma uno sguardo inviperito di Caliel gli fece capire che Aziel stava veramente, seriamente, male e che non gli andava di spiegare tutto alla presenza di Damien.
“D’accordo” cedette il demone con un sospiro. “Andiamo, ti seguo.”
Caliel non se lo fece ripetere due volte. Si girò e diede un forte battito d’ali per sollevarsi più in alto, aspettò un istante che Belial gli fosse accanto e poi cominciarono a volare velocemente verso l’angusto locale e lo sporco bagno dove Aziel se ne stava ancora accasciato a terra.
“Cosa è successo?” domandò il demone dopo qualche secondo di silenzio.
“Gli altri gli hanno dato addosso quando si è rifiutato di cercare di estrapolarti delle informazioni riguardo la strategia di battaglia dei demoni” spiegò l’angelo a denti stretti, come se dirlo ad alta voce risultasse un compito assai arduo, “così siamo usciti e si è scolato un paio di drink.”
Belial strinse i pugni e chiuse per un momento gli occhi sforzandosi di calmarsi.
Non potevano davvero averlo ripudiato nel momento in cui si era rifiutato di schierarsi contro di lui. Loro due non c’entravano nulla con la guerra tra il Bene e il Male, dannazione.
Altro che angeli, esseri del genere non sarebbero dovuti essere considerati neanche come divini.
Neanche i suoi compagni, che erano dei demoni, avevano osato proporgli una cosa del genere. Persino loro, il Male più puro esistente nell’Universo, avevano capito che l’amore tra lui e Aziel doveva restare al di fuori degli affari della lotta.
“Come sta?”
“Vomita.”
“Bene” biascicò Belial sarcastico e incazzato.
Se in quel momento avesse incontrato, o anche solo visto da lontano, uno solo degli angeli, lo avrebbe picchiato fino a fargli sputare sangue.
Non lo avrebbe mai e poi mai ammesso con Aziel, ma lo faceva andare fuori di testa sapere che altri potevano scalfire il suo benessere e i suoi sentimenti.
Aziel doveva dipendere solo da lui, da lui e da nessun altro. Quell’angioletto biondo e con qualche chilo di troppo era innamorato di lui e la schiera di stupidi angeli non doveva neanche pensare di poterglielo rinfacciare o di potergli inculcare qualcosa nella testa che lo portasse a rivoltarsi contro di lui.
Dovevano stare lontani, tutti quanti, da loro due.
Belial, così perso nei suoi pensieri, sentì come un’eco la voce di Caliel che lo avvisava ch’erano arrivati. Si riscosse e scese al suo fianco, lo vide che entrava nel locale da una piccola finestrella e si affrettò a seguirlo.
Aziel era seduto a terra abbracciato al water e c’era una puzza di vomito non indifferente.
Il demone si chinò su di lui e gli accarezzò i capelli. “Azi” lo chiamò piano.
Il biondo non rispose e si irrigidì. Si faceva pena da solo e avere Belial così vicino in un momento come quello non sapeva se avesse dovuto farlo sentire meglio o avrebbe dovuto fargli provare vergogna.
“Quante volte ha vomitato?” chiese il demone a Caliel, che se ne stava in piedi davanti la porta di legno tutta incisa e costellata di scritte a pennarello indelebile.
“Cinque, non so se abbia vomitato di nuovo in questi momenti in cui sono stato via per venire a chiamarti” rispose il rosso con voce flebile. Lo faceva sentire più sicuro il fatto che ci fosse Belial ad occuparsi di Aziel ma, allo stesso tempo, si sentiva come se stesse violando il loro confine privato.
“Bel...” biascicò il biondo con un filo di voce, alzando appena il viso da dentro la tazza del cesso.
“Hey” gli disse in fretta il moro, prendendogli il viso tra le mani. “Come stai? Un po’ meglio?”
“Adesso almeno ci sei tu” farfugliò Aziel con un sorriso languido stampato sulla faccia, facendo ridacchiare gli altri due.
“Devi vomitare ancora?” chiese ancora il demone.
L’angelo scosse la testa, così il moro lo afferrò per le braccia e lo aiutò ad alzarsi in piedi. Aveva la maglietta sporca di vomito, quindi gliela tolse e gli infilò la sua.
“Fai i complimenti ai tuoi compagni da parte mia” disse gonfio d’ira Belial a Caliel prendendo Aziel in braccio. “Il demone qui sono io, eppure mi pare che sia colpa loro se si è ridotto in queste condizioni.”
“È troppo fragile” disse piano Caliel stringendosi nelle spalle.
“Lo so” ribatté in fretta il demone. “Ma, come lo so io, lo sapete anche tutti voi altri.”
L’angelo non rispose, ben sapendo che l’altro aveva ragione, e si fece da parte per lasciarlo uscire dal bagno.
“Dove andate?” domandò il rosso al moro inseguendolo nel pub e urlando per sovrastare il rumore assordante della musica e delle chiacchiere.
“Lo porto in qualche motel” rispose Belial stringendosi meglio addosso il corpo completamente abbandonato tra le sue braccia di Aziel. “Non aspettatelo prima di pranzo.”
Caliel aprì la porta del locale e lasciò uscire il demone prima di lui, per poi seguirlo all’aria aperta e richiamarlo nell’esatto momento in cui lo vedeva spiegare quelle ali scure e tetre.
Belial non si mosse, rimase di spalle all’angelo e abbassò lo sguardo sul viso rilassato di Aziel.
“Belial...” lo chiamò nuovamente Caliel.
“Sì?”
“Grazie.”
Il demone quasi si voltò a chiedergli perché lo stesse ringraziando, ma subito dopo lo capì. Lo stava ringraziando per aver messo da parte la sua natura crudele e diabolica per accudire quel biondino devastato che teneva tra le braccia. Lo stava ringraziando per aver abbandonato senza troppe moine i suoi compagni demoni pur di correre dall’angelo.
Lo stava ringraziando perché, anche se lo dimostrava molto raramente e non lo avrebbe ammesso neanche con la lama di una spada angelica puntata alla gola, amava profondamente Aziel.

































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Nell'altro capitolo avevo detto che avrei regalato biscotti a chi recensiva e mi è arrivata una sola recensione ( da colei che mi segue dall'inizio, tanto amore per te :3 ), questa volta offro pezzi di pizza, vediamo se vi piace di più lol
A parte gli scherzi, adoro troppo questo capitolo, forse è il secondo nella graduatoria delle preferenze, e Aziel è tenerissimo. Poi ve l'ho scritto ispirandomi a me da ubriaca e ve l'ho scritto tra lo studio intenso di Maggio, quindi apprezzatelo u.u

Grazie a tutti quelli che recensiscono questa storia e l'hanno messa tra le preferite e/o le seguite. Vi si ama,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 11
*** chapter ten. ***


Fu l’odore del caffè che saliva dalla cucina a far svegliare l’angelo. Aprì prima un occhio e intravide la schiena nuda di Belial, poi aprì l’altro e si mise lentamente a sedere sentendo la testa vorticare come se si trovasse sopra le montagne russe.
Chissà dov’erano.
La stanza era tutta bianca, le pareti, le lenzuola, l’armadio stretto e lungo, il mobile di fianco al letto, il lampadario, le tende.
Aziel si lasciò ricadere all’indietro nel letto e si sforzò di ricordare quello che era successo la sera prima. Aveva ricordi fino al momento in cui Caliel lo aveva trascinato in un piccolo bagno angusto e sporco, poi il vuoto. Il vuoto assoluto fino a quel momento.
L’angelo si chiese quando fosse arrivato Belial e se era stato Caliel a prendere l’iniziativa di andare a chiamarlo o se era stato lui a richiederlo.
Si rese conto di indossare solo i boxer e la t-shirt che il demone aveva addosso il giorno precedente. Probabilmente si era anche vomitato addosso.
Chiuse gli occhi nell’intento di far smettere la testa di girare come non mai e cercò di rilassarsi. Non che fosse semplice rilassarsi dopo una sbronza con i fiocchi e i controfiocchi, con lo stomaco che gli urlava odio immenso e la testa che non la smetteva di turbinare.
Rimase per un po’ immobile in quella posizione, fino a che non udì Belial che si muoveva al suo fianco. Aprì piano gli occhi e lo vide che lo osservava a pancia in giù con un sopracciglio alzato.
“Buongiorno” borbottò l’angelo.
“Buongiorno a te, ubriacone” lo prese in giro il demone sfoderando un sorriso canzonatorio che gli mise in evidenza i canini appuntiti.
“Non c’è niente da ridere” si indispettì il biondo sentendosi immensamente piccolo e stupido. “Sto ancora male” aggiunse subito dopo.
Belial sospirò e si mise a sedere a gambe incrociate sul letto per potergli stare di fronte. “Ascoltami un po’ angioletto” gli disse seriamente, con una punta di severità nella voce. “Stai tranquillo a letto, io adesso scendo in cucina, vado a prenderti una camomilla e dei biscotti così ti riprendi un po’ e poi ci facciamo una bella chiacchierata.”
Aziel annuì diligentemente e lo osservò mentre si infilava i jeans e le scarpe si avvicinava alla porta della stanza.
“Bel” lo richiamò un secondo prima che l’altro posasse la mano sulla maniglia.
“Cosa?”
“Stai uscendo a petto nudo” lo informò l’angelo con una mezza risatina.
“È solo grazie a questi pettorali e a questi addominali se ieri sera ci hanno dato la stanza” rispose Belial beffardo, “non credo che alla padrona dell’hotel e alla cuoca dispiaccia rivederli.”
 
Finalmente Aziel si era ripreso. Belial lo aveva osservato in silenzio fare colazione, immergere i biscotti nella tazza fumante di camomilla, sorseggiare il liquido caldo con gli occhi bassi.
Adesso era arrivato il momento di parlare.
Avrebbero parlato della guerra solo quella mattina. Avrebbero parlato della guerra solo per concordare che non ne avrebbero discusso più.
“Stai meglio?” domandò il demone togliendo la tazza vuota da sopra il letto e posandola sul pavimento.
Aziel si appoggiò con le spalle contro il legno della testata del letto, distese le gambe e annuì. La testa si era finalmente fermata e anche se lo stomaco di tanto in tanto ruggiva ancora di rabbia, stava molto meglio.
“Voglio mettere in chiaro due cose prima che tu mi spieghi per bene per quale motivo ieri ti sei ubriacato” disse Belial sedendo accanto all’altro. “Primo: non voglio mai più che tu beva. E lo so che il corpo è tuo e decidi tu come trattarlo, ma sappiamo entrambi quanto ti faccia male e quindi voglio che tu mi prometta che non lo farai di nuovo in futuro, qualsiasi cosa dovesse accadere.”
L’angelo per un momento pensò che quella fosse l’ennesima imposizione da parte del demone, ma un secondo dopo un brivido gli partì dalla nuca per percorrere tutta la spina dorsale.
Belial gli stava vietando di bere per premura, per evitare che stesse male.
“Te lo prometto” disse Aziel con un filo di voce, ai limiti dello scoppiare a piangere per l’emozione.
“Secondo: non parliamo della guerra” continuò il moro. “Ne parleremo stamattina e poi basta” disse d’un fiato.
“Sono d’accordo” asserì Aziel. “E... voglio chiederti una cosa Bel.”
“Dimmi.”
Aziel prese un lungo respiro di aria e di coraggio. Fremette. “Se io e te dovessimo ritrovarci a lottare nel bel mezzo della battaglia, vorrei...”
Il demone si sporse verso di lui corrugando la fronte, l’angelo si morse il labbro inferiore.
“Vorresti...?”
“Vorrei che tu mi uccidessi.”
Belial rimase senza fiato per la sorpresa e spalancò gli occhi. Aprì la bocca per chiedergli perché, solo perché, nient’altro, ma la richiuse subito dopo.
Non disse nulla, il demone, non gli fece nessuna domanda e non gli disse che lo avrebbe fatto né che non lo avrebbe fatto.
Si sporse su di lui e lo abbracciò in silenzio, rendendosi conto che davvero, sul serio, ci sarebbe stata un guerra e loro due avrebbero combattuto sui due fronti opposti.
Erano stati divisi molte volte, dal destino e dalla storia, ma avevano sempre scacciato l’idea di una possibile divisione definitiva. Erano ormai una cosa sola, dopotutto.
Quando sciolsero l’abbraccio Aziel aveva gli occhi lucidi e uno strano sorriso commosso stampato sulla faccia. Belial non ci pensò un secondo di troppo a baciare quella labbra morbide.
Il demone si mise in ginocchio e cominciò ad accarezzare il corpo dell’amante con gesti infinitamente lenti, poi scese a baciargli il collo, le clavicole, gli prese le mani tra le sue e le strinse forte.
“Vuoi fare l’amore?” chiese l’angelo preparandosi a stendersi sul letto.
“No” rispose Belial in un soffio. “Vieni qui” disse allungandosi sul materasso e tirandosi dietro Aziel. “Stiamocene un po’ abbracciati sotto il lenzuolo” aggiunse.
Aziel pensò che forse il Paradiso doveva essere caduto dal cielo e doveva essere finito proprio lì dove si trovavano loro due.
Pensò che anche se il demone non gli aveva mai detto ti amo, in fin dei conti glielo aveva dimostrato molte volte.
E alla fine i gesti valgono molto più delle parole.
 
A rompere il silenzio fu Belial, che d’un tratto cominciò ad accarezzare i capelli di Aziel e disse: “Allora, ti va di dirmi cosa è successo con i tuoi amichetti?”
L’angelo sospirò e si mise comodo steso a pancia in giù e appoggiato sui gomiti per guardare il demone in faccia. “È successo che a un certo punto Michele ha detto che per noi sarebbe tutto più semplice nel caso avessimo conosciuto la strategia dei demoni, e tutti, all’unisono, si sono voltati verso di me” spiegò Aziel velocemente. “Io ho detto loro che io e te non avremo parlato di queste cose, della guerra, e ho messo in chiaro che non avrei cercato di cavarti delle informazioni. Allora mi hanno detto che stavo tradendo la mia famiglia e che ero un loro fratello e non mi riconoscevano più.”
Belial avvicinò un dito al volto dell’angelo e lasciò scivolare la punta del polpastrello dalla tempia fino al mento, lentamente, come una goccia d’acqua su un vetro che non vuole saperne nulla di scivolare via.
“Non ne vale la pena Azi” sussurrò il demone premendo appena il dito contro il mento dell’altro. “Non stare male per degli esseri che negli ultimi secoli ti hanno scaricato nel dimenticatoio e adesso vorrebbero approfittarsene della tua fragilità e della tua bontà.”
“Non glielo permetterò” assicurò Aziel con una sicurezza nella voce che li sorprese entrambi. “Mi sono già scaricato la frustrazione addosso, ora basta.”
Belial sorrise. Sentirlo parlare così lo rendeva assai fiero, se una cosa del genere fosse successa anche solo cinque secoli addietro, Aziel probabilmente avrebbe cercato di suicidarsi in ogni modo possibile.
“Mi piace sentirti dire queste cose” ammise il demone sottovoce.
Il moro ripensò alle parole di Caliel della sera prima, è troppo fragile, e pensò che era vero. Era troppo fottutamente vero. Ma era vero anche che Aziel era migliorato molto rispetto al passato.
Dopo un lungo momento di silenzio, l’angelo si decise a parlare.
“Belial” disse piano.
“Mh?”
“Non mi hai riposto” spiegò Aziel. “Prima, quando ti ho chiesto di uccidermi se in battaglia...”
Il demone gli spiaccicò una mano sulla bocca, tappandogliela all’improvviso. Aziel spalancò gli occhi, temendo che potesse essere stata una reazione provocata dal suo insistere su quel fatto.
Quando, però, si rese conto che l’attenzione di Belial non era rivolta a lui ma alla porta della stanza, si rilassò.
Rimasero immobili entrambi per qualche secondo, poi l’angelo cercò di biascicare qualcosa contro il palmo dell’amante che premeva contro le sue labbra.
“Zitto” lo ammonì il demone lanciandogli uno sguardo a metà tra l’irato e il circospetto. “Ho sentito dei rumori.”
Si guardarono per un attimo, poi Belial si alzò da letto stando attento a non far cigolare le molle sotto il materasso e camminò in punta di piedi fino alla porta, per poi spalancarla con un colpo secco.
Poiché non c’era nessuno, il demone si affacciò sul corridoio e vide due bambini sui dieci anni, un maschio e una femmina, correre via ridacchiando.














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Non so neanche se in ritardo o in anticipo, ma sono tornata! Sono più che felice che abbiate apprezzato tanto l'ultimo capitolo (tutto merito della pizza offerta, secondo me lol), questo ammetto che non mi piace moltissimo ma, con il periodo assurdo che ho passato a scuola, mi ci voleva proprio. Insomma, mi sono seduta davanti al pc e ho scritto scritto scritto per poi venire qui e pubblicarvi questa roba.
Un abbraccio a tutti voi,

Echelon_Sun

 

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Capitolo 12
*** chapter eleven. ***


Erano passati un paio di giorni da quando Aziel e Belial erano tornati a casa.
Sia gli angeli che i demoni avevano escogitato delle strategie da battaglia, entrambi gli schieramenti si erano allenati nei duelli con le spade, entrambi avevano discusso e confabulato riguardo ciò che sarebbe successo.
Era difficile immaginare quella battaglia, in effetti. E, sebbene la tradizione e Il Divino fossero ovviamente a favore del Bene, ciò non implicava che il Male sarebbe stato sconfitto.
Aziel e Belial erano tornati a casa da un paio di giorni e non si erano quasi sfiorati. Avevano passato il tempo uno di fianco all’altro in silenzio, come due esistenze che si vogliono e si cercano e si osservano temendo di compiere il passo di troppo per avvicinarsi abbastanza da riconoscersi davvero.
L’angelo aveva lavorato molto al suo libro in quei due giorni. Aveva scritto, inventato, cancellato e modificato continuamente seduto sul dondolo con il computer sulle ginocchia e il demone raggomitolato accanto a lui che fumava e consumava vino.
Era ora di pranzo quando Belial salì da Aziel, il quale se ne stava inginocchiato a terra svuotando la lavatrice, in bagno e gli si accucciò davanti guardandolo con occhi curiosi da bambino.
Il biondo alzò lo sguardo sull’altro e, prima di rendersene conto o anche solo di proferire parola, si ritrovò con la schiena a terra e il demone sopra di lui.
“Bel...?” disse con voce sottile aggrottando la fronte.
Belial, al posto di rispondere, gli tappò la bocca con un bacio e gli infilò la lingua in bocca con fare vorace. Aziel rispose al bacio mentre il demone gli afferrava i polsi e glieli bloccava sopra la testa con una mano, con l’altra, contemporaneamente, gli stava stuzzicando un capezzolo, facendolo inarcare.
Era raro che facessero l’amore in qualche posto che non fosse il letto, poiché al moro piaceva stare comodo, ma in quel momento ambedue si resero conto che dovevano muoversi, afferrare quel momento e portarlo a termine lì, senza pensare che si trovavano in bagno e non sopra un materasso, lasciando accantonato in un angolo il bisogno di avere un posto più adatto.
Velocemente Belial afferrò una t-shirt appena pulita dalla bacinella in cui l’angelo stava raccogliendo i panni e la usò per legargli insieme i polsi.
Era sempre stata una sua fissazione, quella di legargli le mani, infatti lo faceva spessissimo, lo faceva sentire ancora più dominatore di quanto non fosse.
Dopo aver stretto il nodo, scese a slacciare i jeans di Aziel, gli tirò giù la zip e cominciò a leccarlo sul collo e sul viso, facendogli colare bava ovunque. L’angelo, con le mani immobilizzate, si lasciò completamente andare all’altro senza timori o dubbi.
Mentre gli faceva lentamente scivolare i pantaloni lungo le gambe, il demone si premurò di affondare i canini sull’inguine, facendolo mugolare dal dolore.
Belial, comunque, non lasciò la presa fino a che non lo vide sanguinare.
Aziel strinse la mascella e chiuse gli occhi per allontanare il dolore, quando il moro cominciò a togliergli i boxer afferrando la molla con i denti ancora macchiati di sangue.
A quel punto, l’angelo si rese conto che la sua erezione aveva raggiunto il limite massimo.
“Bel” borbottò tra i denti, “muoviti, ti prego.”
Il demone si aprì in un ghigno, lasciò andare i boxer, che ormai erano scesi quasi fino a metà coscia, e si avvicinò malizioso al pene dell’amante. Lo leccò lentamente, partendo dalla base e arrivando fino alla punta con un movimento che ad Aziel sembrò infinitamente lungo, poi lo prese in bocca e alzò lo sguardo sul viso dell’angelo che era diventato tutto rosso di affanno.
Belial decise di darsi una mossa, così lasciò andare l’erezione dell’altro, si sbottonò i jeans e se li scese fino alle ginocchia per poi posizionarsi davanti l’apertura dell’angelo.
Aziel rimase a guardare in silenzio, assolutamente immobile, ogni minimo gesto dell’amato. Lo voleva dentro di sé immediatamente, ma sapeva che il demone era perfettamente consapevole di ciò che stava facendo, quindi non voleva assolutamente interferire con i suoi piani mettendogli fretta.
Il demone cominciò velocemente a masturbare l’altro, con gesti crudi e lesti, come se avesse fretta di vederlo venire lì davanti a lui. Aziel si inarcò quasi all’istante e ben presto ebbe il fiatone, poi Belial si chinò su di lui e cominciò a sollevargli la maglietta lasciandogli graffi profondi sulla pelle diafana.
Aziel mugolò a denti stretti di dolore, al sentire gli artigli del moro nella carne, ma cercò di concentrarsi sul piacere piuttosto che sulla sofferenza fisica.
Dopotutto, di sicuro Bel alla fine del sesso gli avrebbe medicato le ferite.
Poi accadde.
Belial entrò dentro l’angelo senza preavviso, gli allargò le natiche con due dita e prima che il biondino potesse rendersi conto di qualsiasi cosa, il demone era già dentro di lui.
Aziel per un momento spalancò gli occhi, poi tentò di capire cosa era successo e immediatamente dopo provò una fortissima sensazione di fastidio.
Come se avere Belial dentro fosse qualcosa di opprimente, non tanto un’unione di corpo e spirito ma, piuttosto, un elemento esterno che si gonfia dall’interno e lascia il malcapitato senza forza.
L’angelo, nonostante tutti i maltrattamenti, anche di tipo sessuale, che aveva subito nel passato, si sentì per la prima volta come se la presenza di Belial dentro di sé fosse di troppo.
“Esci” biasciò senza pensare, senza quasi connettere il cervello alla bocca.
“Cosa?” chiese il demone distrattamente, afferrandogli una gamba per alzarla.
Aziel non rifletté. Sentiva solo il pene dell’altro dentro di lui e stava scomodo e sentiva dolore.
Scalciò con la gamba che Belial aveva tra le mani e ripeté: “Esci” in un lamento che sembrava quasi un grido di supplica.
Il moro fissò il biondo senza capire.
E come avrebbe potuto capire, in fondo?
“Cos’hai?” domandò con un filo di voce, non riuscendo davvero a comprendere quale fosse il problema dell’angelo.
Una lacrima solcò il volto ancora rosso di affanno del biondo, che si morse un labbro con forza incapace di sopportare ulteriormente quella presenza incombente al suo interno.
“Azi...” sussurrò Belial, un secondo prima che la gamba dell’altro andasse a colpirgli in pieno il collo.
Successe tutto in fretta, un momento il demone era preoccupato di cosa avesse l’angelo e il momento dopo era uscito da lui e gli teneva i capelli ancorati in una morsa ferrea tra le mani.
“Cosa diamine c’è nella tua testa che non va, eh?!” gridò il moro a pieni polmoni, tirando quella massa bionda che teneva tra le dita. “Mi preoccupo per te e mi ricambi così?!”
“Bel...” singhiozzò Aziel muovendosi convulsamente sotto il corpo dell’amante, rendendosi conto che, per la prima volta, non desiderava far altro che allontanarsi da Belial.
Esatto. Starsene un po’ per conto suo o magari in compagnia di Caliel. Ma non con Belial. Di solito quando il demone si arrabbiava con lui, l’angelo cercava di compiacerlo per far pace oppure subiva l’ira dell’altro senza opporre un minimo di resistenza.
Per la prima volta successe che Aziel non voleva sottostare al demone. Successe che Aziel decise di reagire.
“Lasciami” urlò a sua volta, cercando di spingere indietro il moro con le mani ancora legate tra loro.
Belial, sorpreso dalla reazione dell’altro, lo lasciò andare improvvisamente e lo vide abbandonarsi completamente sulle piastrelle del bagno con tutta la faccia bagnata di pianto.
“Pe-perdonami...” borbottò Aziel a occhi chiusi, pregando che il demone non gli facesse del male. “Non so cosa mi sia preso, Bel, davvero.”
Belial si ritirò su i jeans e sedette sull’uscio del bagno con le gambe al petto. Rimase in silenzio a osservare l’altro che si ritirava goffamente a sedere a sua volta e si asciugava le guance come meglio poteva.
Avrebbe voluto picchiarlo, il demone. Fargli tanto male da indurlo a supplicarlo di smetterla di maltrattarlo. Però rimase inchiodato dov’era con in testa mille pensieri.
Aziel per la prima volta si era imposto nei suoi confronti, gli aveva tirato un calcio, aveva reagito alla sua violenza.
“Bel, io...” abbozzò l’angelo, zittendosi quando l’altro lo guardò negli occhi.
Non era uno sguardo inferocito, era uno sguardo neutro. Era lo sguardo di uno preso alla sprovvista, in contropiede. Lo sguardo di uno che vorrebbe fare e dire tante di quelle cose che non saprebbe da dove cominciare. Lo sguardo di un demone che, forse, non si può ancora definire tale.
Belial si avvicinò ad Aziel gattonando sulle piastrelle, quando gli fu davanti gli sciolse i polsi, gli ficcò la maglietta che prima li legava in bocca, afferrò il disinfettante dal mobile e, con estrema cura, gli medicò l’inguine che gli aveva morso e i vari graffi prodotti dai suoi artigli.
Aziel lo lasciò fare mordendo la maglietta a causa del bruciore del disinfettante e riflettendo riguardo la probabile vendetta del demone, che di sicuro sarebbe giunta.
Non aveva paura, a dire il vero, ma si rese conto che non avrebbe avuto paura di Belial neanche se avesse deciso di andare via per un po’.
Andare via, sì.
Magari rifugiarsi in qualche casa impolverata al mare, volare da solo e riprendere la coscienza di se stesso. Non sapeva neanche più quale fosse lui e quale fosse la parte del suo essere che aveva annullato per amore di Belial.
Si era lasciato dominare e possedere e distruggere per il demone. E non poteva neanche dire il suo demone, perché, a dirla tutta, non aveva neanche la consapevolezza vera e propria che l’altro lo riamasse.
Aziel era completamente di Belial, alla sua mercé e ai suoi comodi, ma forse era ora di riflettere su questo amore. Amore che, ormai l’angelo lo sapeva, non sarebbe mai svanito, ma magari si sarebbe potuto, in qualche modo, attenuare.



















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Salve a tutti splendori. Questo capitolo ve l'ho scritto in uno dei miei momenti di crisi d'identità, o qualcosa del genere, quindi non bene cosa ne sia venuto fuori. Inoltre il mio pc sta ufficialmente andando a puttane, quindi se dovessi scomparire sapete il perché. Vi si ama,
Echelon_Sun

 

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Capitolo 13
*** chapter twelve. ***


Belial se ne stava allungato sul tetto di casa in silenzio, senza neanche la sua fidata sigaretta incastrata tra le labbra, e fissava il cielo stellato con le mani dietro la nuca. Le tegole premevano contro la sua spina dorsale, ma non ci stava dando peso.
Era salito lassù poco dopo quello che era successo con Aziel e ci era rimasto fino a quel momento.
Non ancora riusciva pienamente a capacitarsi di ciò che era accaduto.
Aziel si era ribellato a lui. Aziel si era imposto nei suoi confronti.
Il demone davvero non riusciva a crederci e non poteva smettere di pensare agli occhi furibondi e supplichevoli dell’angelo mentre gli tirava un calcio e cercava di allontanarlo.
Forse Aziel non lo amava più. Magari anche il biondino, la sua ombra casalinga, si era stancato della sua intollerabile presenza. Forse il suo angioletto aveva deciso di volersi riprendere la sua vita, allontanandosi da lui.
Belial sentì un brivido percorrergli la schiena e pensò subito che Aziel non si sarebbe mai allontanato da lui. Non poteva. Lo amava troppo, in fin dei conti, per lasciarlo. L’angelo ormai viveva per lui, era completamente dipendente dalla sua esistenza, non aveva idea di chi fosse Aziel senza l’amore nei suoi confronti, come avrebbe potuto abbandonarlo?
Qualcosa di strano c’era stato, quel pomeriggio. Belial aveva pensato che non avrebbe sentito Aziel muoversi per casa, e invece sotto di sé aveva spesso sentito rumori e spostamenti.
L’angelo, infatti, aveva appena finito di preparare lo zaino. Non che fosse realmente convinto di ciò che stava facendo, ma non sarebbe stato convinto neanche se avesse deciso di non far nulla, quindi tanto valeva tentare una strada nuova e vedere come andava.
Aziel si mise lo zaino in spalla e si voltò. Lo specchio gli ricambiò l’immagine e lui rimase lì impalato a fissarsi per un lungo momento, fino a che non si riscosse e si disse che perdere tempo non sarebbe servito a indorare la pillola.
Sapeva bene che il demone era sul tetto. Sebbene non lo avesse visto con i suoi occhi, non lo aveva visto andare via e aveva percepito per tutto il tempo la sua presenza sopra la testa.
L’angelo scese lentamente le scale e uscì di casa chiudendosi la porta alle spalle. Fece due passi, appena due passi accennati, prima di vedere la figura dell’amante atterrare dinanzi a lui.
“Cosa fai?” domandò Belial all’istante, duramente.
“Bel, senti...”
“Hai intenzione di andare via?” continuò il demone serrando la mandibola e riducendo gli occhi a due fessure tetre.
“Io non...”
“Perché?”
Aziel sospirò e abbassò lo sguardo. Come spiegare a un demone quello che provava? Ma, soprattutto, avrebbe mai potuto capire, un essere malvagio, i suoi sentimenti?
“Voglio capire cosa provo per te” disse con un filo di voce il biondo, fissandosi con estremo interesse la punta delle scarpe che indossava.
Belial aprì e richiuse la bocca un paio di volte prima di parlare. “Perché non puoi capirlo restando qui?” chiese poi, abbandonando completamente il tono duro che aveva tenuto fino a pochi secondi prima, sostituendolo con un tono innocente, completamente ingenuo.
“Ho bisogno di stare solo e riflettere senza...” Aziel esitò, “senza te vicino, ecco” si decise a dire alzando lo sguardo. Evitando sempre il contatto con lo sguardo dell’altro, continuò: “Io, Bel, ti amo. Davvero. Ti amo in un modo smisurato, forse troppo smisurato. Forse ti amo troppo e dovrei ridimensionarmi. Voglio capire chi sono io, diciamo così. Voglio ritrovare me stesso per poter capire anche il mio amore nei tuoi confronti.”
“Pensavo non mi amassi più” sputò fuori il demone, facendo un passo verso l’altro.
“Non credo che potrei mai smettere di amarti, Belial.”
Il moro sorrise. “Allora tornerai?”
L’angelo indietreggiò mordendosi un labbro.
Sarebbe tornato? Sicuro. Non era ancora andato via e già gli mandava la presenza del demone.
“Sì, credo che tornerò.”
Aziel avrebbe voluto abbracciarlo. Avrebbe voluto godere per qualche istante del calore e della protezione che gli infondeva Belial, ma, quando lo vide farsi da parte per lasciargli prendere il volo, non ci pensò due volte ad afferrare lo zaino con una mano, a spiegare le ali e liberarsi nel nero della notte.
 
Belial, vedendo Aziel farsi sempre più un puntino minuscolo tra le stelle luminose, si sentì come se un piccolo pezzo di lui lo avesse appena abbandonato.
Gli tornò in mente una poesia che all’angelo piaceva molto, tanto da scriverla e appiccicarla al frigorifero.
I versi della poesia gli invasero la mente come un fiume in piena, facendolo boccheggiare. Si sentì come se all’improvviso parole su parole, versi su versi, virgole su virgole, emozioni su emozioni, fossero precipitati nella sua testa con un movimento impetuoso.
Perse per un momento l’equilibrio e poi, senza riflettere, dimenticando completamente ciò che gli aveva detto Aziel, prese la ricorsa, spiegò le ali e si alzò nell’aria come aveva fatto il suo amato pochi istanti prima.
Non era andato lontano, per fortuna. Belial, dopo pochi battiti di ali, già riuscì a rintracciarlo.
Volava piuttosto adagio, l’angelo, a dire il vero, come se procedesse senza esserne convinto fino in fondo.
Attraverso” urlò il demone a pieni polmoni, esattamente quei polmoni che sentiva ardere contro il freddo della notte. “Attraverso il giardino un giovane venne” continuò, richiamando l’attenzione dell’angelo, che si fermò in aria senza voltarsi, mostrandogli le immense ali candide, “levò in alto una mano a schermirsi dal sole, i suoi capelli mossi dal vento intrecciati di fiori, e nella mano portava un grappo sanguigno d’uva rigonfia, chiari i suoi occhi come cristallo, nudo, bianco come la neve su inaccessibili vette gelate, rosse le labbra quasi sparse di vino rosso che macchia suolo di marmo, di calcedonio la fronte” recitò Belial avvicinandosi sempre di più all’altro, lentamente, parlando enfatizzando ogni parola, dando importanza a ogni istante.
Aziel si voltò. Aveva gli occhi umidi. “E venne accanto a me, con labbra socchiuse e gentili, mi prese la mano e la bocca baciò” recitò a sua volta l’angelo, volando verso l’amato, “e uva mi diede a mangiare, e disse «Dolce amico, vieni, ti mostrerò le ombre del mondo e le immagini della vita. Vedi, da Sud avanza pallido corteo che non ha mai fine»” concluse, afferrando le mani di Belial e stringendole nelle sue.
Sprofondarono uno nello sguardo dell’altro, l’angelo e il demone, il cristallino nelle tenebre e viceversa, pensando, ambedue, che sarebbero potuti finire anche chissà dove, ci sarebbero potuti anche affogare negli occhi dell’altro, e sarebbe andato bene.
Restarono in silenzio per qualche lungo momento a fissarsi, a lasciarsi cadere uno nell’altro tenendosi per mano con il cielo stellato a far loro da cornice.
“Vuoi che torni a casa?” domandò Aziel dopo un po’, ben sapendo come prendere Belial. Sapeva, infatti, che il demone non gli avrebbe mai chiesto di tornare, ma, magari, avrebbe annuito alla sua domanda.
E infatti così fu. Vedendo Belial annuire appena con un cenno del capo, l’angelo si sciolse dentro. Quel minimo gesto gli fece rimuovere dai ricordi quello che era successo nel pomeriggio, gli fece dimenticare la sensazione di oppressione e fastidio che aveva provato quando il demone lo aveva preso.
E poi gli aveva recitato la sua poesia preferita, quella che, dalle labbra scure e morbide del moro, avrebbe potuto ascoltare all’infinito.
Belial, senza proferire parola, intrecciò le dita di una mano con quelle del biondo, gli prese lo zaino che penzolava da un braccio e gli sorrise cominciando a volare verso casa.
Aziel pensò che, forse, aveva lasciato andare un’occasione che non si sarebbe mai più ripresentata, ma, allo stesso tempo, pensò che non gl’importava, ch’era meglio così, era meglio Belial, sempre Belial, nonostante tutto, nonostante la sua natura, i suoi compagni, i lividi, i graffi. Belial era la sua casa, ormai.
Volarono in silenzio mano nella mano, un po’ come una coppia di esseri umani che passeggia sulla spiaggia e si gode l’odore del mare e il rumore delle onde che s’infrangono sulla riva. Volarono in silenzio mano nella mano, un po’ come due esseri umani innamorati che potrebbero stare insieme per delle ore senza spiccicare una parola e starebbero benissimo comunque.
Una volta atterrati davanti il portico di casa si bloccarono, rimasero impalati lì con le mani ancora unite e la testa rigonfia di mille pensieri.
“Azi...”
“Mh?”
“Sei tornato perché volevi farlo o perché ti sei sentito obbligato?” chiese Belial lasciando andare la mano dell’altro e voltandosi a guardarlo in faccia.
Aziel sospirò. “Sono tornato perché penso che ormai ci sia poco da fare per me” rispose piano, “forse non posso più ritrovarmi, non so. Ma credo che ormai Aziel non ci sia più, c’è solo l’amore incondizionato per te.”
“E non è una cosa buona?” domandò ancora, sinceramente ingenuo, il demone.
Forse per te, pensò Aziel, ma evitò di dirlo ad alta voce.
Si rese conto che davvero era così. Lui non esisteva più, era completamente annullato per Belial e non poteva farci nulla, assolutamente nulla. Non avrebbe neanche saputo dire se fosse una cosa buona o no, poiché non aveva idea di come sarebbe potuta essere la sua esistenza terrena in assenza di quell’amore malato e incondizionato, ma i suoi studi di psicologia gli suggerivano che non doveva essere esattamente una cosa troppo buona.
Ma, forse, doveva andare così.
























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Lo so, sono scomparsa per più di un mese. E, d'accordo, il capitolo non è dei migliori e, dopo l'assenza, come minimo ci sarebbe dovuto essere qualcosa di splendido ed epocale o chissà cosa per farmi perdonare. Avete ragione, perfettamente ragione.
Purtroppo ho avuto problemi col pc e altri diversi problemi che non sto qui a spiegarvi.
Questo capitolo ve lo avevo scritto prima di lasciare il computer al "medico" e ve lo lascio qui senza neanche rileggerlo perché non ne ho voglia.
Penso di essere tornata, comunque, e spero di rimettermi a scrivere seriamente questa storia perché Azi e Bel mi mancano moltissimo.
Vi abbraccio tutti,
Echelon_Sun

 

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