Mille Petali Rossi di Mary P_Stark (/viewuser.php?uid=86981)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
56
1.
Non aveva la più
pallida idea di come fosse successo ma, il non conoscere i motivi che l'avevano
portato nella trappola del fratello, non cambiava la situazione.
Chris lo aveva
inguaiato per l'ennesima volta e lui, per l'ennesima volta, si era ritrovato
con un problema da risolvere tra capo e collo.
Solo che questa volta
non aveva a che fare con dati, cifre o grafici aziendali – tutte cose che lui
divorava come i toast a colazione – ma piuttosto con qualcosa di
incomprensibile.
Di terrificante.
Di qualcosa che mai,
nella vita, si sarebbe immaginato di dover affrontare.
Fiori.
Quel fuori di testa
del fratello minore aveva deciso che lui, l'A.D. della Parker Inc.,
avrebbe dovuto occuparsi dell'allestimento del suo matrimonio con quella
sciroccata della sua fidanzata.
Come se lui
avesse tutto il tempo di questo mondo.
Come se il portare
avanti l'azienda di famiglia, specializzata nella costruzione di ville di lusso,
ristrutturazioni di immobili d'alto pregio e complessi aziendali, non gli
portasse via abbastanza tempo.
Ma no, Chris aveva
pensato – da quando in qua aveva un cervello funzionante? – che lui sarebbe
stata la persona più adatta, vista la sua incredibile capacità di organizzare
qualsiasi cosa nel migliore dei modi.
Peccato che lui si
intendesse di malte, di coperture, di coibentazioni, ma niente affatto di
piante e fiori, cose per lui ai limiti dell'incomprensibile.
Aveva sempre lasciato
che all'aspetto paesaggistico si occupasse sua madre, grande appassionata di
giardinaggio e vero pollice verde dell'azienda.
Perciò, doveva ancora
capire come Chris fosse riuscito nell'impresa di incastrarlo in quel guaio
colossale.
L'unica cosa che aveva
potuto fare, una volta ritrovatosi per le mani le brochure che suo fratello, in
maniera così zelante, gli aveva lasciato, era stato darsi da fare con il poco
tempo libero che gli restava.
Già, perché lui aveva
pensato bene che si sarebbe sposato a luglio.
Chi è tanto bacato da
sposarsi in luglio, con un caldo infernale, metà della gente già in ferie
chissà dove? Suo fratello e la sua pazza fidanzata, ovviamente.
E, ovviamente, avevano
deciso di dirglielo ad aprile, come se organizzare tutto in pochi mesi fosse
facile.
Ah ah.
Sarebbe morto dal
ridere, se fosse capitato ad un altro.
Ma no, era capitata a
lui quella patata bollente, a Maximilian T. Parker, il fratello maggiore più
scemo della terra.
E ora si ritrovava lì,
dinanzi alla porta della fiorista, a fissare confuso la scritta a caratteri
eleganti che declamava il nome del negozio: Four Seasons.
Quattro stagioni.
Neanche fosse stata
una pizzeria.
Beh, tant'era.
Sua madre si era
sperticata in lodi entusiastiche, quando lui le aveva chiesto lumi circa il
miglior fiorista della zona nord di Washington, D.C.
Max, ben consapevole
di quanto fosse avara la madre, quanto a complimenti, aveva preso per buone le
sue parole.
Le vetrine, in
effetti, erano piacevoli alla vista.
Enormi vasi panciuti
contenevano belle azalee in fiore mentre, sul pavimento, un'assortita serie di
vasetti multicolori di ogni genere e forma creavano un fantasioso zig-zag che
tanto ricordava il volo frenetico di un'ape.
Ape in versione peluche
che, panciuta e divertente, era appesa a uno dei pilastri di supporto, dove una
fantasia di fiori sapientemente dipinta dava l'idea di un prato primaverile e
profumato.
Già sul punto di
aprire la porta a vetri dell'entrata, il suo smartphone strillò nel suo orecchio
tramite l’auricolare bluetooth e, dopo aver accettato la chiamata con un
sospiro, iniziò a parlare con il suo miglior capocantiere.
Willard, in quel
momento, aveva a che fare con le pazzie di una cliente incontentabile quanto
piena di soldi.
Sospinta la porta con
una certa violenza – chissà perché, aveva immaginato che fosse ben più pesante,
o male oliata – Max si rese conto troppo tardi che la sua entrata in scena era
stata, per così dire, troppo veemente.
Fissando a occhi
sgranati un bel paio di gambe bianco latte e due zoccoli dalla suola di gomma
che, inesorabilmente, volarono a terra, esalò sgomento: «Ehm... Will, ti posso
richiamare? Penso di aver appena investito una commessa.»
Willard scoppiò a
ridere all'altro capo del telefono e, comprensivo, disse: «Ti parlerò dopo
della decisione di Mrs Kerew di installare una vasca da bagno color rosa
shocking. A dopo, capo!»
Rosa? Shocking? In una stanza piastrellata coi
toni dell’avorio e dell’oro? Piuttosto si sarebbe impiccato per …
Scuotendo il capo per
lasciar perdere quel problema secondario, Max si affrettò a chiudersi la porta perfettamente oliata alle spalle.
Contrito quanto bastò
per non apparire noncurante, si inginocchiò accanto alla donna che aveva
investito con la sua irruenza - degna di un giocatore di football - e le domandò:
«Signorina, si sente bene? Sono profondamente spiacente, ma...»
Il fiato gli si mozzò
in gola quando la dolorante fanciulla, che si stava massaggiando il capo di
biondi capelli color grano maturo, levò uno sguardo d'acqua cristallina e
giornate d’estate sul suo viso.
Un attimo dopo,
incendiandosi in viso per l’imbarazzo e il divertimento, esclamò: «Oddio! E io
che pensavo fosse entrato un tornado!»
Max abbozzò un mezzo
sorriso di scuse e, allungandole una mano, la aiutò a rialzarsi prima di
fissare enormemente spiacente i vasi – o meglio, i cocci – sparpagliati a terra
dietro la bellezza bionda.
«Temo di aver fatto
gli stessi danni di un tornado» mormorò Max, tornando a fissare i suoi occhi verdi
sul volto della donna.
Non si era sbagliato.
Era bellissima.
L'incarnato eburneo
ben si intonava con i morbidi capelli biondi e lisci.
I chiarissimi occhi
azzurri, simili al cielo sereno di quel piacevole giorno d'aprile, erano
limpidi e freschi, quasi magici.
Non era mai stato un
uomo dedito a crogiolarsi di fronte alla bellezza del creato – tendeva ad
essere un po' distratto da mattoni e cemento, piuttosto che da alberi e fiori.
Di fronte a un simile
concentrato di perfezione, però, non poté che concedersi un lento sorriso di
compiacimento.
Inclinando il capo di
lato, vagamente confusa dall'espressione ebete dell'uomo che aveva innanzi,
Spring domandò con una certa ironia: «Ha preso un bel colpo anche lei, mi
pare...»
«Come? Oh, no!»
scoppiò a ridere, una bella risata calda, potente, e Spring sorrise.
Gli piacevano gli
uomini che non si vergognavano di ridere di se stessi.
«Ammetto di essere
stato preso in castagna. Lei sta bene?»
«Il fondoschiena è
ammaccato, ma sopravvivrà. I vasi sono morti e defunti, invece, ma ne ricaverò
delle tessere per fare il ripiano di un tavolino da giardino. Niente va
sprecato, se si sa come riutilizzarlo» si limitò a dire Spring, osservando con
ironia la distesa di cocci colorati e sparpagliati a terra.
Sinceramente sorpreso
da quell'uscita, Max le domandò: «Si occupa anche di bricolage?»
«Solo certe cose. Vede
quel tavolino lì fuori, in metallo? Il ripiano l'ho fatto io.» Dopo averglielo indicato,
lo prese a braccetto con disinvoltura e lo ricondusse all'aperto, aggiungendo:
«Non trova che la farfalla sia carina?»
«E' un pezzo davvero
ben eseguito» approvò Max, sfiorando con interesse il ripiano liscio e le
tessere colorate debitamente allineate. «Lo ha stuccato alla perfezione.
Complimenti.»
«Quando è piena
estate, è bello sedersi qui, all'ombra del tendone del negozio, a sorseggiare
the ghiacciato con le mie clienti abituali» gli spiegò lei, prima di
domandargli: «Ma sto divagando. Prima del nostro incontro-scontro, era entrato
nel negozio per quale motivo?»
Ridacchiando, Max la
seguì all'interno del negozio stando ben attento a non combinare altri disastri.
Osservando la distesa
di piante rigogliose e di fiori recisi contenuti in eleganti vasi trasparenti,
le spiegò succintamente il suo problema.
«Sono stato incastrato
in un matrimonio.»
Sinceramente sorpresa,
Spring sgranò leggermente gli occhi ed esalò spiacente: «Oh... deve rimediare a
una scappatella finita male?»
Max rise al suo commento
candido e, scuotendo il capo, esalò: «Buon Dio, no! Sto ben attento a certe
cose!»
«Meglio per lei.
Quindi, perché è rimasto incastrato?» si informò allora Spring, trovando quel
tizio davvero divertente.
Era abbigliato come un
direttore di banca.
Un bel gessato nero e
blu lo incorniciava alla perfezione, e una cravatta Regimental a striature
dell'azzurro, grigio e nero ne cingeva il forte collo.
Ai piedi, un paio di
Prada dalla punta leggermente squadrata, alla moda e lustre come penny nuovi di
zecca, completavano l’opera.
Eppure la sua risata
non si addiceva a quel quadro di composta eleganza.
Le sembrava che quell'abito
smorzasse l'uomo che sembrava essere in realtà, e si chiese che motivi potesse
avere Mister Tornado per nascondersi dietro a una simile maschera di sobrietà.
Naturalmente, non
glielo chiese perché non erano affari suoi, ma la cosa la incuriosì ugualmente.
«Per dirla tutta, mio
fratello minore si sposa e, visto che è un emerito pazzo, ha pensato bene di
lasciare tutta l'organizzazione del matrimonio a me» le spiegò meglio lui,
scrollando le ampie spalle.
«Io trovo che suo
fratello le abbia dimostrato senza ombra di dubbio quanto si fida di lei, e
quanto affetto provi nei suoi confronti» replicò Spring, sorridendo
spontaneamente.
Le piaceva sempre
quando avvertiva affetto e amore e, nonostante le parole ironiche dell’uomo,
aveva percepito subito quanto bene volesse al fratello.
«Dovrebbe sentirsi
onorato, non offeso.»
«Anche quanto, non ho
molto tempo da dedicare a questa cosa, quindi, se volesse darmi una mano a
scegliere qualcosa che vada bene, farei già l'ordine per poi passare al punto
successivo» disse in fretta Max, controllando un messaggio appena arrivato sul
suo smartphone.
L'iPhone5 trillò una
seconda volta e Max, sempre più accigliato, mugugnò: «Mi scusi un secondo.»
Digitato un numero
veloce, Max attese che gli rispondessero.
Mentre il suo piede tamburellava
sul pavimento lindo, Spring non poté che appoggiarsi ad uno dei ripiani, per poi
fissarlo curiosa.
Era alto, prestante,
con un fisico che, con un abbigliamento diverso, avrebbe abbinato a uno
sportivo o un lavoratore manuale.
L'abbronzatura
sembrava naturale, e i capelli castani erano schiariti dal sole alle estremità.
Piccole rughe si
estendevano attorno agli occhi e alla bocca, segno di una propensione al riso
davvero marcata e le mani, grandi e forti, avevano dita lunghe, da pianista.
Chissà se suonava
qualche strumento?
E tu perché non ti fai
gli affari tuoi, Spry?, pensò poi tra sé la donna, ghignando divertita.
«Mrs Kerew, buon
pomeriggio! Sì, Willard mi ha chiamato, ma pensavo fossimo già d'accordo per il
color panna, o al più per un nocciola chiaro. Il rosa shocking... oh, rosa
scuro, mi perdoni...non le sembra un po' stonato, in un ambiente del genere?»
mormorò affabile Max, scuotendo al tempo stesso la testa con aria scoraggiata.
Un frivolo
chiacchiericcio femminile giunse fino alle orecchie di Spring e la donna,
nell'udire mozziconi di frasi senza alcun senso, iniziò a comprendere il perché
dell'apparente esasperazione del suo cliente.
Anche lei avrebbe
perso la pazienza con quella petulante ochetta!
«Sì, capisco benissimo
che ora ha pensato di dare una nota di colore al bagno, ma quel genere
di colore si intonerebbe di più nella toilette per gli ospiti, che è color
corallo. Perché non propendiamo per un bel color oro? E' caldo, si intona
maggiormente... ed è regale. Degno di lei, Mrs Kerew... Amanda.»
Oh, adesso passava
all'adulazione.
E come ci riusciva
bene!
Con una voce così
profonda e calda, avrebbe potuto guadagnare milioni di dollari, alla radio, … o
in una hotline.
Al solo pensiero,
Spring non poté esimersi dal ridacchiare e Max, vagamente stupito, si volse
verso di lei con aria confusa.
Lei si scusò con un
vago cenno della mano mentre Max, trionfante, esalò: «Ah, lo sapevo che avremmo
trovato la soluzione migliore per lei, Amanda. E oro sia. Con qualche fregio...
o addirittura con le sue iniziali incise sul fondo, che ne dice? Andata. Chiamo
Willard e lo informo. A presto, Amanda. Non mancherò di passare, domani.»
In fretta, Max inviò
un messaggino a Will con le ultime novità dopodiché, con un sospiro, si volse
nuovamente verso Spring.
«Capisce perché voglio
qualcosa di semplice e veloce?»
«Ho idea che il suo
lavoro la stressi molto.»
Guardandosi intorno,
Spring gli domandò: «Mi dica... com'è suo fratello? E la sua fidanzata?»
«Due sciroccati che
intendono sposarsi a luglio. Anche i pazzi dovrebbero sapere che Washington, a
luglio, è un forno. So solo questo. Il resto devo ancora metterlo in piedi,
così ho pensato di partire dai fiori.»
Come se fosse una cosa
importante, aggiunse: «Mia madre stravede per i suoi lavori, a proposito.»
Illuminandosi subito
in viso, Spring gli domandò: «Posso sapere il suo nome?»
«Wendy Gordon Parker,
della...» iniziò col dire lui, subito interrotto dal sorriso estatico di lei.
«Oh, sì. Centrotavola
per una conferenza, e piante da interno per due uffici. Ricordo benissimo
Wendy. Una donna adorabile! Mi ha ordinato delle impatiens per il giardino di casa sua giusto tre giorni fa.»
Spring batté le mani
eccitata e aggiunse: «Quando le portai il ficus benjamin per l'ufficio
di suo marito, quasi svenne per la gioia. E quella sala conferenze! Era enorme,
ma ...»
Interrompendosi e
scoppiando a ridere di fronte all'aria vagamente allucinata dell'uomo, mormorò
contrita: «Mi esalto come una bambina, quando parlo dei miei lavori, mi
perdoni. Quindi, lei è Maximilian, giusto? Ora capisco il perché del completo.»
«Non mi dica che mia
madre le ha parlato di me!» esalò sconvolto Max, impallidendo leggermente.
Sapeva fin troppo
bene com'era sua madre, quando attaccava la musica dei suoi adorati
figlioli.
«Mi ha soltanto detto
che ha due figli; Max, che è l'A.D. della loro azienda, e Chris, che si occupa
del sito internet della ditta, e di tutto ciò che riguarda l’hardware
dell’azienda.»
Poi, con aria
maliziosa, aggiunse: «E ha aggiunto che lei è single, ha
trentacinque anni ed è appassionato di pesca, mentre suo fratello ha da poco
trovato un’adorabile ragazza e preferisce gli sport invernali.»
«Oh, santo cielo!»
esclamò scioccato Max, passandosi una mano tra i folti e lisci capelli castani
tagliati alla perfezione.
«Non si preoccupi,…
sono abbastanza brava a non saltare addosso ai maschi single» ridacchiò Spring,
decidendo di venirgli incontro per annullare parte del suo disagio. «Ne deduco
che la sua futura cognata ami a sua volta gli sport invernali, giusto?»
«Non andrebbe
d'accordo con Chris, se così non fosse. Vivrebbero in uno chalet ad Aspen, se
potessero appena» mugugnò lui, disgustato.
«Quindi, sono persone
amanti della natura, del freddo e della montagna. E si sposano a luglio?»
«Gliel'ho detto. Sono
sciroccati» ghignò Max, ammiccando.
Spring ridacchiò.
Quella parola gli
piaceva davvero molto, specie se abbinata al fratello minore e alla futura
cognata.
Nonostante tutto,
aveva lo stesso suono di ‘cuccioli’,
alle sue orecchie.
Avvertiva amore,
affetto, propensione alla protezione.
Il suo corpo emanava
questo genere di calore, non poteva sbagliarsi.
«Direi che, per loro,
opterei per tonalità fredde, e molto, molto verde. Ma per il bouquet della
sposa, oserei con qualcosa di molto colorato, che rispecchi il carattere... sciroccato?»
Nel dirlo, ammiccò a
Max, che ridacchiò.
«Cos'aveva in mente?»
si informò lui.
«Gigli e orchidee
bianche e rosa per i centrotavola e le decorazioni della chiesa... no, del
gazebo all'aperto. Direi che ce li vedo meglio. Una bella villa con gazebo nel
giardino. Sì, è adatta.»
Annuì, prima di notare
l'espressione estasiata di Max.
«Che succede?»
«Quanto vuole per
farmi da wedding planner? Non mi va
di cercarne una, dopo averla sentita parlare» le propose lui, neanche troppo
scherzosamente.
Spring sgranò gli
occhi, stupita, prima di scoppiare a ridere di gusto ed esalare: «Deve essere
davvero disperato, se si butta tra le braccia di una perfetta sconosciuta per
risolvere questo problema.»
«Ammetto che tra le
sue braccia mi ci butterei volentieri...» e nel dirlo, ammiccò. «... ma ho
capito subito che, da solo, non combinerò un accidente di niente. Se si tratta di
fare un progetto per una casa, ben venga, lo vedo sorgere nella mia testa come
una costruzione di lego che prende
forma, ma per tutto il resto sono una frana. Mi aiuti, la prego!»
Spring ci pensò su un
attimo, vagliando i pro e i contro di quell'offerta.
Avrebbe dovuto
abbandonare il negozio nelle mani di Justine che, per quanto brava, non era
alla sua altezza ma, d'altra parte, le sembrava ingiusto abbandonare Max a quel
matrimonio che non aveva la più pallida idea di come gestire.
E avrebbe salvato la
coppia di sposini da un disastroso guazzabuglio di idee buttate lì per la
troppa fretta, questo era sicuro.
In fondo, quanto tempo
le avrebbe preso? Non tanto.
E dopotutto, Max era
il figlio di Wendy, che lei ormai conosceva da diverso tempo, perciò non avrebbe
aiutato un perfetto sconosciuto.
Annuendo tra sé,
Spring afferrò il cellulare che portava nella tasca anteriore del grembiule
verde, che indossava sopra gli abiti e, chiamata la sua commessa, le disse:
«Tra una decina di minuti scappo. Ti occupi tu del negozio, oggi pomeriggio?»
«Arrivo subito, Spry.
Non temere, terrò il fortino al sicuro e lo difenderò a costo della vita»
ridacchiò la donna.
Sua coetanea, Justine
era un'afroamericana dal cipiglio battagliero e il carattere solare e Spring si
era subito trovata, con lei, pur se le riusciva difficile abbandonare il suo
negozio, anche a una collega brava come sapeva essere la sua collaboratrice.
Ma sapeva che le sue
piante sarebbero state bene, anche senza lei tra i piedi ogni minuto.
Chiusa la chiamata
dopo averla salutata, Spring si tolse il grembiule per appenderlo a una
rastrelliera dopodiché, scusatasi un momento con Max, si recò nel retrobottega
per sistemarsi un po' e prendere il soprabito leggero di cotone.
Toltasi gli zoccoli
che usava in negozio, inforcò i leggeri sandali allacciandoli alle caviglie,
dopodiché si mise su una spalla la sua borsetta della Piquadro e tornò da Max.
«Bene, possiamo
andare.»
«Andare dove?»
gracchiò lui, più che mai sorpreso.
«Ad organizzare il suo
… pardon, il matrimonio di suo fratello» gli sorrise lei, sospingendolo verso
la porta.
Vagamente sgomento
dalla rapidità con cui la donna aveva accettato la sua richiesta, Max si sentì
in dovere di dirle: «Non vorrei apparirle ingrato... non so il suo nome, mi
scusi.»
«Spring. Spring
Hamilton. Tanto piacere.»
Poi, intuendo dal suo
sguardo divertito cosa non le avrebbe mai domandato, aggiunse: «E sì, lo so che
è un nome strano, ma non più di tanto se pensa che ho altri due fratelli e una
sorella gemelli che si chiamano Winter, Autumn e Summer.»
«Oh... beh... questa
poi! Originali davvero. Comunque, non per apparirle scortese, ma si fida a
salire in macchina con un perfetto sconosciuto? Non le sembra un po' incauto?»
le fece notare Max, dopo aver archiviato l'informazione sui tre gemelli.
Chissà se erano tutti
come lei?
«Diciamo che mi fido
del figlio di Wendy. E so difendermi, qualora la mia idea su di lei sia del
tutto sbagliata» si limitò a dire Spring, scrollando le spalle nell'avvicinarsi
ad una elegante berlina grigio metallizzata.
Vagamente scettico,
Max replicò con tono vagamente saccente: «Con tutto il rispetto, ma non credo
che riuscirebbe a farmi qualcosa. E' troppo esile per creare dei veri problemi
a un omone come me.»
«Intende farmi del
male, Max?» gli domandò a quel punto lei, sorridendo serafica.
«Per nulla. Ma volevo
assicurarmi che non fosse una sua abitudine salire sulle auto degli
sconosciuti.»
Si bloccò, pensandoci
bene, e ammise: «Detta così, suona davvero offensiva.»
Spring scosse le
spalle e si accomodò sul sedile del passeggero, di morbida pelle beige a ricami
bianchi e, scrutando il cruscotto di radica e il simbolo scintillante della
Mercedes nel centro del volante, sentenziò: «Voglio salvare il matrimonio di
suo fratello dalle sue mani inesperte, tutto qui. Ma se mi riterrò in pericolo,
non esiterò a chiamare i rinforzi e, nel frattempo, le dimostrerò quanto
si sbaglia su di me.»
«Mi reputo avvisato»
sorrise Max, mettendo in moto l'auto, che scivolò via nel traffico con un
ronzio soffuso.
ЖЖЖ
«... e così l'ho
portato da Winifred, al Chevy Chase Club. Lì, il parco è bellissimo, c'è uno
stupendo giardino di fronte al club, dove si può organizzare il rinfresco, una
sala interna in caso, dio non voglia, piova, e si possono fare delle foto
incredibili nei boschetti che circondano il campo dal golf.»
Spring sgranocchiò una
patatina fritta con aria soddisfatta, ma sobbalzò sgomenta non appena si
ritrovò a fissare la faccia ombrosa di suo fratello Winter.
Scuro di capelli come
lei era bionda, avevano entrambi la carnagione eburnea e priva di difetti.
Gli occhi di Win,
però, erano di un grigio ghiaccio che, in quel momento, la stavano tagliuzzando
a fettine sottili.
«Che ho fatto?» si
lagnò Spring, mettendo il broncio come una bambina.
«A cosa serve dire e
ridire a Mal di non salire in auto con gli sconosciuti, se poi sua zia fa proprio
quello che gli ho detto di non fare?» brontolò lui, strizzando l'occhio al
figlio, che ridacchiò.
«Non era uno
sconosciuto! Beh... non del tutto» mugugnò lei ben sapendo che, in parte, suo
fratello aveva ragione a rabberciarla.
Si era comportata in
modo avventato.
Per l’ennesima volta.
«Dalla tua, va che
conosci sua madre e la stimi, però non è detto che i figli rispecchino i
genitori» si ammorbidì Winter, sospirando lievemente nello scuotere il capo per
l’esasperazione.
Kim corse in soccorso
dell'amica e, sedutale al fianco sul divano, replicò: «Win, però va detto che
Spring può difendersi alla grande, all'occorrenza. Inoltre, se si è fidata,
vuol dire che ha visto qualcosa di buono in lui.»
«Se avesse il dono di
Mal potrei capire, ma lei governa la Terra, non lo Spirito. Anche se è vero
che, nei contatti ravvicinati, qualcosa ne capisci anche tu» ammise a
malincuore Winter, sorridendo alla sorella per smorzare il rimbrotto.
«Lo rivedrai, zia?» le
domandò il nipote.
«Domani viene a vedere
una campionatura di vasi per la cerimonia al Club. Ho un nuovo catalogo che
penso vada benissimo per lo scopo» assentì lei, ammiccando.
«Potrei provare a …
sbirciare per te» le propose Malcolm, tutto allegro.
«Mal, no» lo riprese
immediatamente Winter, irremovibile ma gentile.
«Ma papà!» esclamò
Mal, sbuffando sonoramente.
Kim ridacchiò di
fronte alla sua espressione contrariata ma l’uomo non si fece abbindolare dal
figlio.
Scuotendo il capo,
replicò: «Non possiamo sapere cosa si aggira nella mente di quell'uomo e, per
quanto egli possa essere buono e innocuo, non voglio che ti esponi a questo
modo. Non sei ancora stato Iniziato, e i tuoi poteri sono più che grezzi.
Potresti anche danneggiare quel tizio, se tu non prestassi attenzione a quel
che fai.»
Aggrottando la fronte,
Mal mugugnò indispettito: «Non farei casino!»
Sfiorando la spalla
del bambino, Kim attirò la sua attenzione e gli disse: «Winter vuole dire che
non sei ancora esperto e che, anche senza volere, potresti fargli male. E tu
non vuoi, vero?»
«NO!» esalò il
bambino, scuotendo furiosamente il capo.
Spring allora asserì
tranquilla: «Me la posso cavare, Mal, ma grazie per il pensiero. Come ha detto
tuo padre, se sto abbastanza vicino ad una persona, posso percepirne le
reazioni emotive e capire se sono benevole o meno.»
«Domani, ad ogni modo,
verrò al negozio e darò un'occhiata a
questo tizio» sentenziò a quel punto Winter, mettendo fine alla
discussione.
Spring sorrise e,
chinandosi verso Kim, sussurrò: «Non è adorabile, quando fa il Capofamiglia?»
«Molto» annuì
divertita Kim, strizzando l'occhio al fidanzato, che ghignò.
Sì, Winter era
adorabile quando si ergeva a paladino delle sue donne.
ЖЖЖ
Le mani scivolarono
leziose, lente, sulla pelle calda di Kim che, ansimando sotto il tocco
dell'amante, si inarcò verso di lui per ricevere il suo bacio.
L'aria era fresca e
profumata di gelsomino, che cresceva sotto le finestre della stanza di Winter,
lasciate socchiuse per far penetrare i profumi inebrianti della notte.
La luna alta in cielo
disegnava ombre lunghe nella stanza mentre i due amanti, avvinghiati tra loro
nell'abbraccio rovente dell'amore, davano sollievo alla loro sete.
Baci famelici si intervallavano
a lunghe, sinuose carezze sui corpi umidi e, quando infine lui prese pieno
possesso del suo corpo, Kim non poté che piegare all'indietro il capo e
lasciarsi andare ad un sospiro di pura estasi.
Danzarono assieme
sotto la luce della luna, muovendosi all'unisono nell'antica danza sensuale
della fertilità, mentre il canto sommesso di un uccello notturno spezzava il
silenzio della notte quieta.
Il centro della città,
con il suo clamore e le sue luci era lontano e lì, nella contea di Silver
Spring, la calma regnava sovrana, in quella notte stellata.
Nulla pareva
infastidire i due amanti che, dimenandosi tra le lenzuola aggrovigliate attorno
alle loro gambe, si lasciarono andare ad un comune rantolo di piacere prima di
giacere stremati ma soddisfatti sul letto sfatto.
Ansando per la
stanchezza, ma ben lieto del torpore che percorreva le sue membra, Winter si
scostò dal corpo morbido e longilineo di Kim per non gravarle addosso e, nello
sfiorare il suo ventre piatto con la punta di un dito, esalò: «Pensavo di
morire, ad un certo punto. Cinque anni di astinenza sessuale sono davvero
tanti.»
«Mi sembra che tu ti
ricordi ancora bene come si fa» ridacchiò lei, volgendosi su un fianco per
guardarlo in viso.
Appariva rilassato,
felice, in pace con il mondo e i suoi occhi chiari sembravano quasi argentati,
alla luce diafana della luna.
Non una ruga di
apprensione, non un'incertezza, solo gioia. E un'immensa soddisfazione.
Kim sorrise lieta,
trovando tutto ciò sul suo volto, nel suo limpido sguardo e Winter, carezzandole
con il dorso della mano l'incavo del collo, mormorò: «Ti scoccia se ammetto che
vorrei concedermi il bis?»
Lei ridacchiò,
sentendosi potente e, nel carezzare il fianco nudo dell'uomo, scosse il capo
replicando: «Mi offenderei, se dicessi il contrario.»
«Bene» mormorò roco
lui, scivolando verso il basso per tracciare una scia di baci infuocati sulle
sue cosce.
Kim ansimò, percependo
senza sforzo il desiderio montare in lei.
Mentre Winter risaliva
lentamente con bocca e mani fino a trovare il fulcro della sua femminilità, la
donna si perse nel piacere e chiuse gli occhi per meglio assaporare le ondate
di calore che la stavano facendo andare a fuoco.
Sussurrò il suo nome
più volte, lo cercò con le mani, frenetica, fino ad attirarlo sopra di sé per divorargli
la bocca in un bacio senza scampo, mentre i loro corpi tornavano ad unirsi
frenetici, come il mondo non avesse più tempo, e loro con lui.
Si amarono più volte,
quella notte, rinsaldando un legame che il tempo e gli eventi avevano tentato
di spezzare.
Avevano atteso a lungo
prima di conoscersi intimamente, poiché sia Winter che Kimberly avevano
desiderato non bruciare le tappe, visto tutto ciò che avevano perso in quegli
anni.
L'attesa, a quel
punto, era valsa. Per entrambi.
Con il fare dell'alba,
insonnolita ma lieta che quel giorno non ci fosse lavoro, Kim si accoccolò
contro il fianco di Winter e mormorò: «Direi che aspettare un po' è servito.
Che dici?»
«Dico che non
immaginavo questo tuo lato così focoso. Penso di aver perso dieci chili,
stanotte» ridacchiò soddisfatto Winter, avvolgendole le spalle con un braccio.
Kim batté una mano sul
ventre piatto e muscoloso di Win, replicando: «Non vedo scalfitture di alcun
genere sul tuo corpo statuario. Secondo me non li hai persi.»
«Quel che so è che niente
è mai stato così piacevole, e bello,
come lo stare con te stanotte. Forse, solo la nascita di Mal.»
Lo disse con tono
pensoso, vagamente sonnacchioso, e Kim sorrise.
«Sei carino a
pensarlo.»
«Onesto» ribatté lui,
fissandola sorridente. «Sei stata brava con lui, ieri sera.»
«Grazie. Mi sento un
po' strana, nel ruolo di mamma, così ogni tanto chiamo la mia per alcune
dritte, ma alla fine mi dice cose che già pensavo, quindi penso di non
cavarmela poi malaccio» gli spiegò lei, carezzando distrattamente il suo torace
muscoloso.
«I tuoi genitori sono
brave persone... non potevano che crescere una donna meravigliosa. E con Mal,
sei adorabile. Si vede che vi volete bene, e questo mi rende felice.»
Le baciò il naso,
grato, e sorrise maggiormente.
«Anche Erin è
soddisfatta. E' contenta di vederci assieme, e di vedere che c'è sintonia.»
Poi, come se fosse importante sottolinearlo, aggiunse: «Le ho portato delle
carson, …sulla tomba, intendo. Mi ha detto che si è commossa, vedendole.»
«Ti amo anche per
questo, Kimmy. Non ti lasci sconvolgere da tutta questa situazione paradossale,
e questo mi rende sereno come mai avrei sognato di essere. Sei unica» mormorò
Winter, avvolgendola con entrambe le braccia per stringerla a sé.
Rabbrividì nel
baciarle delicatamente la spalla e Kim, rispondendo all'abbraccio, si limitò a dire:
«Te l'ho detto. Amo tutto di te, stranezze comprese.»
Win annuì silenzioso e
Kimberly lo cullò nel suo abbraccio, lasciando che le ultime paure dell'uomo
che amava scivolassero via con la notte appena passato, desiderando con tutto
il cuore che non tornassero più ad assillarlo.
____________________________________
N.d.A: ed eccoci qui, con la
piccolina del gruppo, per così dire. Una nuova avventura e nuovi
personaggi, per la Famiglia Hamilton, che avrà a che fare non
solo con il suo passato, ma anche con un futuro davvero imprevisto.
Buona lettura.
Giusto per essere d'aiuto, vi posto le immagini delle fate dei vari elementi, e la new entry per eccellenza... Max!
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
ren
2
«No, devi inserire uno
strato di sughero, se non vuoi che i condomini sentano tutto di tutti. Non mi
interessa se costa più del poliuretano espanso. Il risultato è migliore, e lo
stabile ha rifiniture di pregio, ivi compreso lo strato di isolante
acustico.»
Max sbuffò infastidito
– ogni volta, doveva discutere con il loro responsabile acquisti – e ascoltò
paziente la sequela infinita di repliche di Marlon, prima di interromperlo.
«Odio sottolineare
l'ovvio, Marl, ma chi comanda sono io, i miei genitori mi hanno dato
pieni poteri da questo punto di vista, perciò comprerai quel maledetto sughero,
anche se il costo è del cinque percento in più.»
Chiuse la
comunicazione con un fastidio così viscerale da sentirlo risalire dalle gambe
fino al petto, dove assunse le sembianze di un brutto attacco di acidità di
stomaco.
Preso in fretta un
antiacido dal blister che portava sempre con sé nella sua ventiquattrore, Max tirò un sospiro di sollievo solo quando
intravide la scritta del negozio di Spring e, allungando il passo, si affrettò
per raggiungerlo.
Il giorno prima era
stata così gentile – e ingegnosa – da trovargli a colpo sicuro il luogo più
adatto per il matrimonio del fratello.
Dopo aver parlato in
sua vece con la titolare del Club, aveva ottenuto per Chris l'utilizzo della
sala conferenze e del giardino per l'intera giornata scelta per la cerimonia.
Non aveva idea di come
avesse fatto, ma aveva sapientemente orchestrato il discorso portando la
proprietaria proprio doveva aveva voluto arrivare lei.
Alla fine, però, aveva
dato l'impressione che il buon esito della contrattazione fosse dovuto solo
alla gentilezza della direttrice del Club.
Un vero asso, niente
da dire.
Sarebbe stata un
autentico squalo, negli affari.
Eppure si accontentava
di avere solo un negozio di fiori, bellissimo ovviamente, ma solo un negozio.
Con il suo talento,
avrebbe potuto averne un'intera catena.
In più Stati, forse.
Nell'afferrare la
maniglia della porta, si ripromise di metterle la pulce nell'orecchio in
merito.
Già sul punto di
salutarla non appena la vide spuntare dal retrobottega, si bloccò di botto quando
scorse dietro di lei la figura imponente ed elegante di un uomo.
I loro sguardi si incrociarono,
complici, mentre insieme portavano nel negozio un’enorme fioriera rettangolare
color mattone.
Max li osservò
accigliato; i loro movimenti parevano studiati alla perfezione, come se
stessero ballando, e non sistemando un ingombrante vaso di terracotta su un
ripiano.
Non aveva idea del
perché quella vista gli desse così fastidio, ma tant'era.
L'acidità allo stomaco
aumentò.
«Hai altro da
sistemare, Spry, perché...» iniziò col dire l'uomo, prima di avvertire lo
sguardo di qualcuno su di sé.
Non appena si volse,
Max incrociò i suoi chiarissimi quanto gelidi occhi e Spring, lanciando a
entrambi un'occhiata incuriosita, sorrise divertita e commentò: «Smettila, Win,
o giuro che ti pesto un piede.»
L'uomo che Spring
aveva chiamato Win distolse lo sguardo di colpo, come riscuotendosi da un sogno
e, sorridendo alla donna, mormorò: «Chiedo venia, mo chrói... forza
dell'abitudine.»
Spring scrollò le
spalle, come se fosse abituata a quell'atteggiamento da mastino e, nel volgere
lo sguardo in direzione di Max, sorrise maggiormente.
«Ciao, Max. Tutto
bene?»
«Ciao, Spring. Non
so... dipende se ho disturbato o meno» si limitò a dire lui, continuando a
fissare Win come in cerca di qualche segnale indiretto da parte sua.
Lei allora scoppiò a
ridere e, dando una pacca sul braccio a Win, asserì: «Oh, cielo, no! Lui è mio
fratello Winter. Win, lui è Max Parker.»
Come se all'improvviso
si fosse rischiarato il suo mondo, Max tirò mentalmente un sospiro di sollievo
e, rasserenandosi in viso, allungò una mano in direzione dell'uomo.
«Okay, bell'errore di
valutazione. Dalla mia posso dire che non vi somigliate affatto.»
Stringendo con forza
la mano protesa di Max, Win annuì replicando: «E meno male, o a quest'ora sarei
già morto. Con tutti gli strumenti elettronici che uso sul lavoro...»
Spring sbuffò
infastidita, a quell'accenno, e Max, aggrottando un momento la fronte, spalancò
la bocca subito dopo, esclamando: «Oh,... cavoli. Winter Hamilton! Il
ricercatore! Ora mi ricordo!»
Annuendo, Winter
infilò le mani nelle tasche dei jeans scuri che indossava e borbottò: «Il Caso
dello Stretto, già. I giornalisti mi danno ancora fastidio, ogni tanto.»
«Beh, immagino che,
finché non avranno finito il processo, la tartasseranno ben bene.»
Fin da quando Spring
gli aveva accennato di avere dei fratelli, e che uno di loro si chiamava
Winter, la sua mente aveva iniziato a rimuginare su vaghi ricordi che
turbinavano nella sua mente super impegnata.
Ecco perché quel nome
aveva scatenato la corsa ai ricordi!
Quel caso aveva scosso
l'opinione pubblica, e migliaia di attestati di stima erano giunti al NOAA per
sostenere i ricercatori e il coraggio da loro manifestato.
Ricordava bene che
anche la madre aveva scritto una lettera di encomio per lodare il coraggio dei
cinque scienziati, portandola di persona alla sede locale del NOAA.
E così, lui era Winter
Hamilton.
Climatologo e, gioco
forza, eroe nazionale fino a nuovo ordine, così come i suoi colleghi di lavoro.
I giornalisti avevano
ricamato talmente tanto sulla rocambolesca fuga che aveva visto protagonisti il
dottor Hamilton e la dottoressa Clark che, alla fine, era stato difficile
capire dove finissero le buffonate e dove iniziasse la verità.
Di certo, non sembrava
un uomo che era stato a un passo dalla morte, tutt'altro.
Il suono del telefono
del negozio distolse i tre dallo strano silenzio calato tra di loro e Spring,
allontanandosi dai due uomini per rispondere, sperò che il fratello non si
lasciasse andare a scenate di dubbio gusto.
Non ce n'era davvero
bisogno.
Winter, invece, si
limitò a dire: «Spry mi ha detto che la sta aiutando per il matrimonio del
fratello.»
«Senza di lei, sarei
ancora a brancolare nel buio. Mio fratello era impazzito, quando ha pensato di
far organizzare a me un simile evento» brontolò Max, sfiorando con un dito il
petalo carnoso di una rosa rosso rubino. «Datemi una casa da costruire, un
quartiere da far nascere dal nulla, e mi so districare meglio di un esploratore
nella giungla... ma quando si tratta di cose come queste, vado nel caos più
totale.»
«Cose che crescono per
mano della natura, o i matrimoni?» si informò con casualità Winter.
«Entrambe le cose. E'
mia madre che si occupa del verde, per quel che riguarda la ditta, non certo
io. Non saprei distinguere una quercia da un abete, credo... e neanche saprei
cosa mettere di adatto. Coi matrimoni è lo stesso» ammise Max, sollevando
esasperato le sopracciglia.
«Eppure, costruire una
casa richiede gusto, stile e una buona dose di senso del colore. E cioè quel
che serve per mettere in piedi un matrimonio… o piantare un arbusto in giardino»
gli fece notare Winter, sorridendo misteriosamente.
«All'equazione manca
il lato romantico e, in quello, sono deficitario. Mia madre dice che lavoro
troppo, e che questo ha castrato il mio lato più nascosto e femminile.»
Nel dirlo, ghignò.
Win allora sorrise con
una buona dose di complicità maschile e, nel veder tornare Spring, si limitò a
dire: «Beh, Spring ha senso del romanticismo in abbondanza.»
Afferrando quelle
ultime parole, la donna intrecciò le braccia sotto i seni e mugugnò: «Con
questo vuoi dire che sono troppo sdolcinata, e che mi vengono gli occhi a cuore
quando vedo i film d'amore?»
«Precisamente» sorrise
Winter, chinandosi per baciarla sulla tempia. «Ora vi lascio ai vostri affari.
Summer passerà nel giro di dieci minuti per darti una mano. A stasera.»
«Incrementeremo le
vendite del dieci percento, con Summy in negozio» ridacchiò Spring, tutta
soddisfatta, dando una carezza sul viso al fratello prima di vederlo avviarsi
verso la porta.
Sull'ingresso, Win si
fermò, lanciò un'altra occhiata a Max e infine lo salutò, avviandosi con passo
spedito verso la sua Prius grigia.
«Visita di cortesia...
o di controllo?» si informò a quel punto Max, sorridendole divertito.
Spring ridacchiò e
ammise contrita: «Win mi ha sgridata, quando gli ho detto di essere venuta in
auto con te.»
«E ha fatto bene. Nel
caso specifico, non avevi nulla da temere, ma se sei così espansiva
nell'accettare un invito da tutti quelli che vedi, prima o poi ti caccerai nei
guai» asserì lui, con non poca supponenza.
Spring allora levò un
sopracciglio con evidente sarcasmo.
«Oh, allora devo
ringraziare il cielo se sei capitato tu alla mia porta. Chissà cos'avrebbe
potuto succedermi!»
Max si limitò a
sghignazzare e, curioso, le chiese: «Perché hai accennato a un incremento delle
vendite, parlando dell'altro tuo fratello... o sorella? Summer è tua sorella,
giusto? Non mi ricordo male, vero?»
Un risolino divertito
e, sì, in qualche modo compiaciuto, scaturì dalle belle labbra a cuore di
Spring, quel giorno abbellite da un bel rossetto rosa antico.
Con tono tronfio, dichiarò: «Diciamo che,
quando la vedrai, capirai da solo il perché.»
«Uhm, la cosa si fa
interessante» ammiccò Max, poggiando le mani sui fianchi. «Hai il catalogo di
cui mi parlavi? Mentre aspettiamo l'arrivo di tua sorella, possiamo mettere le
mani avanti.»
«E' sul bancone e...»
Vedendo entrare una
cliente di vecchia data, si scusò un momento con Max e chiamò Justine e Melanie
– che si trovavano nel retrobottega – perché venissero a sostituirla momentaneamente
in negozio.
Nel giro di un minuto,
Spring fu da lui e Max, affiancandola al bancone dove si trovava la cassa, poté
abbeverarsi del suo dolce profumo di gelsomino.
Era curioso come
riuscisse ad avvertirlo chiaramente, pur trovandosi in un negozio di fiori,
eppure era più che certo che si trattasse di lei.
Era anche altresì
curioso come quella donna, appena conosciuta, riuscisse a intrigarlo tanto. Non
era mai stato un fanfarone, o un latin lover.
Aveva sempre preferito
lavorare piuttosto che darsi alla bella vita e spassarsela con le donne e,
spesso e volentieri, suo fratello Chris gli aveva dato del monaco, per questo.
A Max non erano mai
interessati i suoi insulti velati o le sue battutacce di spirito. Quel che più
gli era premuto, negli anni, era portare alle stelle il nome della sua famiglia.
Rendere fiorente
l'idea del padre, era stata la sua ispirazione.
Fare in modo che non
dovesse essere più lui in persona a mettere mattoni e calce, ma che fossero
degli operai a farlo per lui, il suo impegno primario.
Aveva passato anni nei
cantieri edili del padre, inframmezzando i suoi studi a lunghi periodi passati
sopra i tetti, piuttosto che nelle fosse scavate per approntare le fondamenta
delle case.
Il sudore della sua
fronte era caduto, e si era mescolato, con la terra delle prime case costruite
dalla piccola impresa del padre.
All'epoca, nessuno di
loro avrebbe immaginato di poter conquistare appalti come un intero centro
commerciale o un quartiere residenziale come, invece, erano soliti fare ora.
Max si era impegnato
anima e corpo per condurre l'azienda dov'era adesso, non si era mai tirato
indietro laddove aveva trovato un problema o un inghippo e, alla fine, era
riuscito a creare un nome solido, una garanzia per il cliente.
Aveva lavorato sodo
per quindici anni, faticando non poco a conciliare università e compagnia, ma
ce l'aveva fatta.
Anche grazie all'aiuto
costante dei suoi genitori, che l'avevano appoggiato nel suo progetto di
allargare gli orizzonti della ditta, era infine riuscito a ottenere ciò che
voleva.
Chris, di sei anni più
giovane di lui, era stato coinvolto molti anni dopo e, grazie alla sua passione
per la tecnologia, aveva introdotto la Parker Inc. all'interno del mercato
telematico e della rete.
Nonostante quel che
diceva di lui con tono scherzoso, Max gli era grato, perché ammetteva senza
remore che il suo aiuto era stato prezioso e illuminante.
Il fatto che, dopo
tutti quegli anni di disinteresse più o meno totale nei confronti del gentil
sesso, si ritrovasse a trovare più che piacevole la compagnia di Spring, fu per
lui una piacevole novità.
Certo, lei era bella
come una giornata di sole, tutta allegria e graziosi sorrisi, quindi avrebbe
dovuto essere un pezzo di ghiaccio per non essere attratto anche a livello
superficiale da quella donna.
Ma c'era dell'altro.
Non era solo la sua
bellezza a fargliela trovare interessante.
C'era il modo in cui
si sistemava le ciocche di capelli dietro le orecchie, o come arricciava il
naso quando era pensierosa.
Abbastanza
inquietante, il fatto che avesse notato queste cose in due soli giorni, ma
tant'era.
E non aveva nessuna
intenzione di smettere di guardarla.
Almeno per il momento,
gli piaceva un sacco ritagliare una parte del suo tempo per dedicarlo a lei.
Il matrimonio? Avrebbe
dovuto ringraziare sua madre per averlo indirizzato lì per i fiori per la
cerimonia di Chris.
«Ecco, avevo pensato a
una composizione di questo genere» disse Spring, attirando la sua attenzione.
«Il vasellame sembra fatto di ghiaccio, perciò direi che è adattissimo alla coppia
e, abbinato coi fiori che avevo scelto, direi che si combinerebbe alla
perfezione. Teniamo poi presente che la struttura esterna del Club è
interamente bianca, e anche i suoi articoli da giardino hanno quella tinta,
perciò direi che potremmo tranquillamente evitare di affittare sedie e tavoli.»
«Da quel che ho visto,
la struttura del Club si adatta anche per una cerimonia formale, vista la
struttura a colonne, che richiama il pronaos1 di un tempio
greco» annuì pensoso Max, tracciando con un dito lo schema della struttura.
«Pensavi a uomini in
frac e dame dagli abiti lunghi?» ironizzò vagamente Spring, ammiccando al suo
indirizzo.
«Chris mi
ammazzerebbe, no...» sghignazzò Max, scuotendo il capo. «... ma credo sia
giusto che ci sia un po' di stile, visto che il matrimonio non si svolgerà in
chiesa. Dopotutto, è uno dei soci della Parker Inc.. Sarebbe assurdo non badare
anche a questo, ti pare?»
Tamburellandosi il
dito indice sul mento, Spring assentì dopo qualche secondo.
«Sì, in effetti
sarebbe da persone superficiali non badare anche a un aggancio simile.
Dopotutto, avete un nome da tenere alto.»
«Qualcosa del genere.»
Con una scrollatina di
spalle, Max ammise: «Con la testa di Chris, lui festeggerebbe il matrimonio in
un pub, ma sarebbe decisamente squallido.»
«Denigrando i pub,
offendi la mia anima irlandese» replicò lei, con aria falsamente accigliata.
Max allora si portò
una mano al cuore e, con un mezzo sorriso, esalò: «Non lo sapevo, perdonami.
Diciamo, allora, in pub squallidi.»
«Così va meglio»
ridacchiò Spring, sollevando le sopracciglia di colpo per poi afferrarlo per le
braccia con l'intento di farlo voltare.
«Ecco la spiegazione
al rialzo delle vendite.»
«Cosa intendi...
dire...?» esalò sorpreso Max, gracchiando l'ultima parola non appena i suoi
occhi verdi, dagli strani riflessi dorati, inquadrarono la figura sensuale di
quella che, a quanto pareva, doveva essere Summer Hamilton.
Statuaria come una dea
greca e con rossi e fluenti capelli, simili a una cascata impetuosa, la donna
entrò nel negozio abbigliata con un completo total black in pelle, e scarpe nere con tacchi a spillo
vertiginosi.
Assieme a lei, in
jeans schiariti e camicia bianca a righine azzurre, un afroamericano dai
capelli cortissimi e gli occhi scuri e brillanti come ossidiana entrò nel
negozio e, con voce potente e sonora, esclamò: «E' arrivata la cavalleria!»
«Dov'è la mia
sorellina preferita?» esordì Summer, guardandosi intorno prima di incrociare lo
sguardo ceruleo della sorella ed esibirsi in un sorriso magnetico.
Spring mollò il fianco
di Max per raggiungere la gemella, più alta di lei di quasi mezza testa –
nonostante lei non fosse piccola, col suo metro e settanta – e, con un gran
sorrisone, esclamò: «Hai portato J.C.! Che bello!»
Sentendosi nominare,
l'uomo appena entrato si esibì in un sorriso gioviale e, avvolgendo nelle sue
poderose braccia tatuate la minuta Spring, mormorò: «Splendore,...è un piacere
rivederti!»
«Sono mesi che non ti
fai più vedere qui... pensavo ce l'avessi con me!» rise Spring, lasciandosi
stritolare dal collega della sorella.
«Big Mama ci ha tenuti
impegnati con il Galeras2 e, subito dopo, ci ha spediti in Sicilia,
lo sai. Abbiamo cominciato a respirare solo ora, dopo aver ultimato le analisi
compiute sulla bocca dell'Etna. Ma tra qualche mese ripartiremo ancora. Ci
aspettano bianche spiagge, mari caldi e palme a profusione. Una vera pacchia.»
Ammiccò all'amica e,
dandole un buffetto sulla guancia, aggiunse: «Sei una vera bellezza, Spry...
ancora un po' e sarò costretto a chiederti di sposarmi.»
Spring scoppiò a
ridere, mentre Summer li fissava con aria di sufficienza, ma Max non trovò
nulla di divertente in quello scambio di battute.
Il fatto che Spring si
trovasse così a suo agio con quel nuovo venuto, che non aveva nulla da
invidiare a Denzel Washington quanto a fascino e prestanza fisica, lo fece
irrigidire sullo sgabello su cui si era accomodato.
Impaziente e, sì,
accigliato, attese che lei si allontanasse da quel Maciste color cioccolato.
Summer, avvedendosi
immediatamente dell'occhiata caustica che l'uomo assiso accanto al bancone
lanciò a Spring e J.C., si mosse verso di lui con la mano protesa.
Pacata, mormorò: «Ci
vorrà ancora un po' prima che Spring molli John. Io sono Summer Hamilton e tu,
immagino, sei Max Parker. Tanto piacere.»
Stretta la mano della
donna, Max si concesse il lusso di studiarne meglio il volto dall'ovale
perfetto, e su cui splendevano degli strani occhi da gatta che, per qualche
strano motivo, lo misero a disagio.
Erano chiaramente
verdi come le giade, eppure la corona esterna dell'iride appariva più scura,
quasi fosse scolpita negli smeraldi più puri, conferendo all'occhio sfumature
davvero insolite.
E, in quel momento,
quegli occhi inquietanti erano puntati con curiosità su di lui.
«Certo che, pur
essendo gemelle, non vi somigliate per nulla» riuscì a dire Max senza apparire
del tutto idiota.
Ridacchiando nel
ritirare la mano, Summer tornò a guardare sorella e collega, che si stavano scambiando
vicendevolmente battute più o meno maliziose.
«Sì, non c'è alcuna
somiglianza fisica, e neppure di carattere, se è per questo. Ma ci lega il
sangue, oltre all'amore.»
Max tornò a scrutarla,
e notò immediatamente il modo in cui la donna studiava la sorella e le sue
reazioni alle battute di J.C., quasi fosse pronta a intervenire in qualsiasi
momento in suo aiuto.
Esattamente lo stesso
sguardo che Winter aveva rivolto alla gemella poco prima di uscire dal negozio,
lasciandola sola con lui.
Ritrovandosi a
sorridere comprensivo, Max mormorò: «Siete molto protettivi con lei, vero?»
«Siete? Oh,
devi aver incontrato Win.»
Sorrise divertita, e
aggiunse: «Sì, siamo protettivi con lei perché è la più dolce e generosa, tra
noi. Abbiamo sempre paura che qualcuno possa ferirla, anche se sappiamo che sa
difendere se stessa ed il suo cuore con efficacia. Però... ci viene spontaneo
controllarla. Non verrebbe anche a te?»
«Immagino di sì. Forse
perché appare delicata e fragile» assentì Max prima di sorriderle quando la
vide avvicinarsi a loro assieme a J.C..
«Scusa, Max, ma non
vedevo J.C. da mesi. Maximilian Parker, lui è il dottor Johnathan Colton
Richmond. E' un vulcanologo come Summer.»
Sorrise allegra nel
presentarli e, quasi senza accorgersene, si spostò in direzione di Max fino a
poggiargli amichevolmente una mano sul ginocchio.
Max cercò di fare
finta di niente, ma quell'apparente sicurezza nel creare un contatto tra loro
lo ringalluzzì un poco, specialmente dopo lo scambio di battute intercorso tra
lei e il vulcanologo strafigo.
«Sto aiutando Max a
preparare il matrimonio di suo fratello, e oggi pensavo di recarmi da Walt per
la torta ed il catering. Sicuri di volermi dare una mano qui in negozio?
Justine e Melanie possono...»
Tappando la bocca
della sorella con un dito, Summer scosse il capo e replicò: «Fai quello che
devi, Spry. Qui ci pensiamo noi. E poi, sarà un sabato pomeriggio diverso dal
solito. Trovo tutto dove sta sempre, vero?»
«Sì. E, per ogni
evenienza, chiedi a Justine» assentì Spring. «Passate da Win, più tardi?»
«In macchina ho un
regalo per Mal. Un bel telescopio nuovo. Sono sicuro che gli piacerà» commentò
orgogliosa la gemella. «Prenoto del cinese per tutti? Vieni anche tu, Max?»
«Beh, ecco, non
vorrei...» tentennò incerto lui, non sapendo bene cosa dire.
«Ordina per tutti»
sentenziò Spring, tagliando la testa al toro. «Saremo lì per... le sette e
mezza, direi.»
«Andata» annuì Summer,
scrutando la sorella correre nel retrobottega per recuperare borsetta e giacca.
«Siete certi che non
disturberò?» si informò Max, scrutando dubbioso Summer.
«Nessun disturbo. Ci
piace avere amici a cena.»
Poi, rifilandogli un
altro dei suoi sguardi inquietanti, domandò: «Perché tu sei un suo amico,
giusto?»
J.C. scoppiò a ridere
e, dando una pacca sulla spalla ad un angustiato Max, asserì: «Summer ti ha
appena voluto far capire che ti tiene d'occhio e che, al minimo accenno di
pericolo per sua sorella, affilerà gli artigli.»
«John!» esalò la donna,
fissandolo accigliata.
«Ammettilo, Summ, che
sei preoccupata per lei» replicò sorridente l'uomo.
Sbuffando, la
vulcanologa lo mandò al diavolo senza troppi complimenti e, dirigendosi con
passo fatale in direzione del retrobottega, lasciò i due uomini a gustarsi lo
spettacolo.
«Miseria... ladra»
gracchiò Max, passandosi un dito nel colletto della camicia, sentendosi ormai
prossimo allo svenimento per mancanza d’aria. «E io che pensavo che Winter
fosse stato terrificante. Summer è...»
«Diabolica?» buttò lì
J.C., ammiccando complice.
«Tra le altre cose»
ammise Max, lasciandosi andare a un sospiro quando aggiunse: «Oltre ad essere
una donna maledettamente sexy. L'ha fatto apposta, vero, ad allontanarsi a quel
modo? Sì, insomma, quella camminata alla Jessica Rabbit.»
«Summ? Oh, eccome!»
rise J.C., annuendo più volte. «Adora far cadere la mascella a noi maschietti,
ma non troverai mai nessuno fare mezzo passo verso di lei, se la donzella in
questione non vuole.»
«Ci hai mai provato?»
si informò con ironia Max.
J.C. allora tornò
serio e, scuotendo il capo, mormorò: «Summer è mia amica. Non mi permetterei
mai di fare lo stupido con lei.»
«Però...»
L'afroamericano lo
squadrò accigliato e Max, levando le mani verso l'alto, chiosò: «Si sentiva
lontano un miglio che c'era un però.»
Il ritorno di Spring e
Summer – che ora indossava dei più comodi zoccoli in gomma al posto delle Prada
dal tacco a spillo – consentì a J.C. di non rispondere.
Quando salutò l'amica
nel vederla uscire con Max, disse alla collega: «Cosa te ne pare?»
«E' un belloccio e
sembra simpatico, ma Spring è sorrisi e gentilezze con tutti. E' difficile
capire cosa le passi per la testa. Di sicuro, a preso a cuore la sua
situazione, visto come si sta prodigando per lui» mugugnò Summer, pensierosa.
«Starò attenta.»
«Non troppo, spero.»
Lei lanciò
immediatamente uno sguardo inquisitorio all'uomo che, abbozzando un sorrisino,
replicò: «Eh dai, Summ, non è una bambina. Ha trentaquattro anni, non sei mesi.
Se vuole spassarsela con un uomo, che faccia!»
«Spring non 'se la
spassa', come dici tu. Se si butta in una cosa, o in una relazione, lo fa
col cuore. E non voglio che rimanga ferita» brontolò accigliata Summer.
«Ad ogni modo, per ora
non c'è neppure una relazione, tra i due. Preoccupati quando ne avrai motivo,
non prima» ci tenne a dire J.C., scrollando le spalle.
«Giusto» sospirò lei,
abbozzando un mezzo sorriso. «Ti darei un bacio per la tua sapienza come consigliere,
ma poi ti monteresti la testa...»
«Non sia mai!»
sghignazzò John prima di indicare la vetrina, dove due attempate signore
stavano scrutando con interesse uno dei nuovi centro tavola in pizzo
confezionati da Spring.
Atteggiando il proprio
viso a un'espressione angelica, Summer si legò in fretta in una coda la chioma
ribelle.
Senza attendere oltre,
indossò poi il grembiule verde oliva che solitamente usava Spring, sperando che
tutto questo bastasse a farla apparire abbastanza dolce.
Sapeva che la sua
altezza – sfiorava il metro e ottanta – e il suo abbigliamento solitamente
aggressivo potevano mettere a disagio le persone più insicure e, di certo, lei
non voleva creare problemi ai clienti della sorella.
Avvicinandosi alle due
vecchiette quando entrarono nel negozio, Summer sfoderò il suo sorriso più tenero mentre J.C., osservandola
dal bancone, mormorò tra sé: «Solo chi non ti conosce potrebbe pensare che tu
non sia dolce.»
ЖЖЖ
Era più che sicuro
che, senza l'aiuto di Spring, si sarebbe impiccato nel giro di una settimana.
Cos'erano mai, le
cialde? O la glassa? E lo zucchero colorato? O la crema Chantilly?
No, non ce l'avrebbe
fatta di sicuro.
Conosceva i propri
limiti, e i dolci ne facevano parte integrante.
Poteva cavarsela con
uova strapazzate e bacon, ma che non gli chiedessero di riconoscere la differenza
tra una spuma di cioccolato o del fondant,
perché sarebbe caduto nel panico più totale.
Spring, invece,
sembrava a suo agio in quel mondo fatto di marzapane, di pan di Spagna e
roselline di zucchero e, a ben guardarla, era adorabile in quello scenario di
torte meravigliosamente costruite.
Era più che certo che,
se l'avesse assaggiata, l'avrebbe scoperta dolce e saporita tanto quanto i
campioncini di bignè che aveva sbocconcellato quel pomeriggio, tra una
telefonata e l'altra.
Il che era
imbarazzante quanto assurdo da pensare.
Conosceva quella donna
da quarantotto ore, e già pensava di mangiarsela? Che gli prendeva?
D'accordo, era bella.
D'accordo, era
spigliata e affascinante.
D'accordo, lui era un
uomo sano e di ottimi gusti.
Ma cavoli! Cosa sapeva
di lei, a parte che era una fiorista, e aveva un occhio speciale per le belle
cose?
Ben poco.
E lui non era affatto
un uomo che si buttava a pesce in una potenziale relazione, almeno non senza
sapere almeno l'ABC della propria compagna.
Non voleva ritrovarsi
in casa un'assassina, o una maniaca, solo perché non aveva perso almeno un paio
di minuti a tentare di capire chi voleva portarsi a letto.
Perché, inutile
girarsi intorno, una mezza idea se l'era fatta.
Sarebbe stato da
ipocriti non ammetterlo almeno con sé stessi, e lui non era un ipocrita.
Però, al tempo stesso,
si sentiva un idiota al solo immaginarsela stesa sotto di lui, fremente per i
suoi baci e le sue carezze.
Doveva assolutamente
smetterla di immaginarsela svestita o, prima o poi, sarebbe incappato in un
errore clamoroso.
O, peggio ancora,
Winter o Summer – soprattutto Summer – si sarebbero accorti degli sguardi lascivi
che, sapeva, un giorno o l'altro gli sarebbero sfuggiti.
«Andiamo?» si
intromise Spring, sbalzandolo con una sola parola dal suo mondo immaginifico.
Sobbalzando
leggermente, lui annuì lesto e la donna, sorridendogli divertita, lo prese
sottobraccio per uscire dal negozio di dolci e si incamminò con Max lungo il
marciapiede per raggiungere l'auto dell'uomo.
L'aria era ancora
fresca e scivolava tra i suoi soffici capelli formando un'aureola dorata
attorno al suo viso roseo e Max, non potendo fare a meno di notare il suo
sorrisino, le domandò: «Perché ho la netta impressione che tu mi stia
nascondendo qualcosa? E che questo qualcosa riguardi me?»
Spring allora
ridacchiò apertamente e, lanciatogli che ebbe uno sguardo malizioso, sussurrò:
«Penso tu abbia dei pensieri molto... divertenti.»
Max incespicò nei
propri piedi al suono delle sue parole e, impallidendo di colpo, esalò con un
gracidio stentato: «Che intendi dire?»
«Non devi vergognarti
se mi trovi interessante... o bella. Non mi offendi» si limitò a dire lei,
scrollando le spalle. «Sono abituata a riconoscere certi sguardi, o il
tentativo di mascherarli. Mi è capitato abbastanza volte per essere diventata
un'esperta conoscitrice di certe occhiate.»
«Oh, cielo!» esclamò
Max, passandosi una mano sul viso.
Addolcendo il suo
sguardo e perdendo del tutto la voglia di fare dell'ironia, Spring asserì
pacata: «A volte, negli anni, mi sono sbagliata e ho interpretato male
l'interesse di alcune persone, finendo con il farmi molto male. Ma penso sia
capitato a tutti. Quando ci sono di mezzo i sentimenti, si commettono errori.»
«Tendenzialmente,
cerco di non commetterli» ammise Max, guardandola di straforo per comprenderne
l’umore.
Decisamente, lui non
era bravo quanto lei, perché non capì un’acca di quel che vide, a parte che era
bellissima alla luce del tramonto.
«Quindi, non sei un
uomo da una botta e via» dichiarò con candore Spring, facendolo irrigidire
sensibilmente.
«Cristo, Spring! Sei
più diretta di un caccia bombardiere!» gracchiò lui, impallidendo leggermente.
«Evito disguidi.»
Scrollando una mano
con noncuranza, aggiunse: «Pensate davvero, voi ometti, che noi donne ci
limitiamo a guardarvi con occhi liquidi per poi sospirare per voi?»
«Beh, immagino che
abbiate anche voi i vostri … momenti» buttò lì Max, non sapendo
esattamente come fossero finiti a parlare di argomenti così personali.
Spring sorrise
divertita e gli confidò: «Abbiamo gli occhi anche noi, e sappiamo usarli molto
bene, Max.»
«Tutto questo per dire
che...?» biascicò lui, non sapendo esattamente cosa dire.
Era un tranello, il
suo? Lo stava mettendo alla prova, forse?
«Non devi nasconderti
dietro sorrisini stentati, o volgere subito lo sguardo non appena mi giro verso
di te. Non mi imbarazza sapere che mi trovi... appetibile? Può andare,
come idea?»
Lui annuì, non
arrischiandosi a parlare, preferendo di gran lunga lasciarla fare da sola.
Spring allora proseguì
dicendo: «Non penso ci sia nulla di male. Certo, se tu mi sbattessi sul cofano
della tua auto senza il mio consenso, allora sì che mi darebbe fastidio.
E credo che potrei perfino arrabbiarmi.»
Max scoppiò a ridere
di gusto, comprendendo subito che quella battuta era stata fatta al solo scopo
di farlo rilassare.
Nel battere una mano
su quella della donna, che riposava sul suo braccio, lui ammise: «Non ho mai
parlato con una donna così schietta, ma ammetto che è più semplice se posso
dirti cosa penso, senza aver timore di infastidirti. Non assume più i contorni
dell'ossessione.»
«Sei già a questo?»
ironizzò lei, ammiccando.
Max rise ancora e,
scuotendo il capo, replicò: «Mi ossessionava il fatto di non apparirti un
cafone, questo sì.»
«Non penso tu lo sia.
Appurato questo, cos'altro pensi?» gli domandò con curiosità lei.
Lui aprì l'auto con il
telecomando della chiave d'accensione e, dopo essere salito in macchina con
Spring, afferrò pensieroso il volante e, tenendo lo sguardo fisso dinanzi a sé,
mormorò: «Penso tu sia una bellissima donna, e vorrei... beh, immagino tu
sappia cosa. Ma dopo mi do dell'idiota per averci anche solo pensato, perché in
fondo non ti conosco affatto, e potresti non essere solo la donna stupenda e
dall'ottimo gusto estetico che per il momento so di te. Ed io detesto
commettere errori.»
«Lo avevo capito»
ammiccò lei. «La faccenda del sesso e del fatto che non vuoi commettere errori,
intendo. Mi stupisce la parte in cui ti dai dell'idiota, però.»
«Alla faccia
dell'analisi cruda del mio Ego» gracchiò Max, fissandola a sopracciglia
sollevate.
Spring sorrise nel
vederlo così sconcertato, così meravigliosamente disarmato di fronte alla sua
schietta sincerità e, sollevata una mano per sfiorargli il contorno del viso,
ammise: «Non mi piace dire le bugie, o girare intorno alla verità, Max. Tutto
qui. Ti da fastidio?»
«No, non credo. Te lo
saprò dire quando mi dirai qualcosa che mi da fastidio» ghignò lui, afferrando
la sua mano per volgerla verso di sé.
Ne studiò il palmo,
dove poté scorgere alcuni taglietti rimarginati e il segno di una cicatrice
vecchia di anni, e dal tessuto cicatriziale bianco latte.
La studiò con
attenzione, chiedendosi cosa avesse prodotto un simile squarcio e, in quel
mentre, Spring ne lesse le impressioni sul volto.
Era chiaro che quel
segno lo sconcertava e poteva capirlo, visto che la cicatrice che aveva sul
palmo era piuttosto evidente, ma di certo non si sarebbe messa lì a spiegare il
perché di quel segno.
Certi segreti,
dovevano rimanere tali.
Almeno per ora.
Max gliela sfiorò con
un dito, leggero come una piuma di colomba e Spring, senza volere, si lasciò
sfuggire un gemito.
Chiuse gli occhi,
assaporò sulla lingua il piacere di quel tocco e, intorno a sé, avverti le
piante danzare al ritmo del vento, i fiori assopirsi gradatamente al calare del
sole e la terra gorgogliare piena di vita.
«Spring...» sussurrò
Max, riportandola alla realtà.
«Scusa, sono particolarmente
sensibile, in quel punto» ammise, sapendo di non dire una bugia.
Ritirò delicatamente
la mano e Max, studiandola in viso meditabondo, le disse: «Vorrei accarezzarti
così dappertutto.»
«E' interessante come
pensiero e, lo ammetto, stuzzicante...» gli sorrise lei, dandogli un buffetto
sulla guancia perfettamente rasata. «... ma, come hai detto tu, non sai quasi
niente di me, ed io quasi niente di te, e prima di arrivare lì dovremo compiere
tanti altri passi.»
Sinceramente sorpreso,
Max levò un sopracciglio con intenzione e replicò: «Vuol dire che...»
«Che mi intriga l'idea
di averti nel mio letto? Sì» ammise con candore lei. «E' difficile che mi
capiti, perché tendenzialmente non ho mai ricevuto energie così positive dai
maschi che ho conosciuto negli anni ma, con te, è diverso. Hai un'aura... luminosa.»
«Aura? Sei una seguace
della new-age?» ironizzò Max, vagamente divertito.
Spring ridacchiò di
fronte al suo scetticismo e si limitò a dire: «Diciamo che ho una buona
connessione con tutte le creature viventi, maschi compresi. Amo ciò che cresce
e prospera.»
Max avviò il motore e,
nel sorriderle divertito, asserì: «Sei una strana combinazione di candore
virginale e sapienza antica. Non so come altro vederti, ora come ora.»
«E' un buon inizio.»
Poi, scrutando
l'orario sul display del navigatore satellitare, dichiarò: «Dobbiamo andare, o
il pollo alle mandorle se lo mangerà Summer.»
«Andiamo pure» annuì
Max, infilandosi nel traffico con la sua Mercedes.
ЖЖЖ
Una bellezza dagli
occhi verdi come pezzi di giade screziate aprì la porta e, nel vedere un nuovo
venuto, si aprì in un dolce sorriso prima di allungare una mano e dire:
«Benvenuto, Max. Io sono Kimberly, la fidanzata di Winter, ma puoi chiamarmi
Kim.»
«Piacere» mormorò lui,
stringendo quella mano esile ma forte.
E così, lei era la
dottoressa Clark che, assieme a Winter, era sopravvissuta all'incontro con i
mercanti d'armi russi.
Le fotografie sui
giornali non le rendevano giustizia.
Di corporatura e altezza
in tutto simili a Spring, Kimberly appariva scanzonata, con un abbigliamento
mascolino a cingerle il corpo perfetto, e sicura di sé quanto bastava.
In quel momento,
portava i lunghi capelli mossi e castano chiari stretti in una coda di cavallo
e la camicia, dichiaratamente maschile, era stretta in vita con un nodo.
I jeans a vita bassa e
lunghi al ginocchio, invece, erano attillatissimi e mettevano in mostra un
fisico mozzafiato e, tra le altre cose, una ferita recente al polpaccio, quasi
sicuramente un ricordo della brutta esperienza vissuta sullo Stretto.
«Prego, venite. Il
commesso del ristorante cinese sarà qui a momenti» disse loro Kim, avviandosi
verso la porta che conduceva al piano superiore.
Max e Spring si
accodarono a lei e, dopo essere giunti nell’appartamento di Win – dove la
tavola per gli ospiti era stata sistemata e apparecchiata – l'uomo si ritrovò
innanzi alla fotocopia rimpicciolita di Winter Hamilton.
Il bambino in
questione lo studiò curioso e, con una certa solennità, gli disse: «Benvenuto,
io sono Malcolm. Ciao, zia Spry!»
«Beh, ciao, Malcolm,
io sono Max» dichiarò lui, chinandosi su un ginocchio per essere più o meno
alla sua altezza. «Sei tu che comandi, qui?»
Malcolm ridacchiò
mentre, dalla cucina, sbucarono Summer, J.C. e Winter.
Nel rimettersi in
piedi, scrutò il padrone di casa e aggiunse: «Spero di non disturbare.»
«Ci piace la
compagnia» dichiarò Winter, dicendo poi a Malcolm: «Vai a prendere il vassoio
con gli aperitivi, di là.»
«Okay.»
Mal corse tutto
contento in cucina, mentre Spring si occupava della giacca di Max e della
propria.
L’uomo, scrutando
incuriosito il ritorno fiero del bambino, si chiese come mai quell'incombenza
fosse toccata proprio a lui.
Come leggendoglielo
nello sguardo, Summer gli spiegò: «Mal ama rendersi utile e, se una cosa può
farla, perché negargliela? Inoltre, meglio che Spring non si avvicini alla
cucina, quando c'è così tanta roba in ballo.»
Max si volse a fissare
confusamente la donna che, ridacchiando imbarazzata, ammise: «Finché mi occupo
di me stessa o di Mal, va più o meno tutto bene, ma con più di tre persone,
vado nel pallone.»
«Non è possibile! Il
tuo negozio è...» esalò sconcertato Max, prima di rendersi conto che lei gli
aveva detto l'assoluta verità.
I suoi occhi lo
dicevano a chiare lettere, neanche gli avesse appena fatto una confessione
scritta con il sangue.
Ridacchiò incredulo e
Winter, battendogli una mano sulla spalla, lo mise in guardia senza tanti giri
di parole.
«Pensaci bene, se vuoi
iniziare qualcosa con lei. La prima regola è: non farle toccare nulla, neanche
un bicchiere oltre al proprio.»
Spring gli fece la
linguaccia, ma non dissentì e Max, sempre più curioso, le domandò: «Non mi
stanno prendendo in giro, vero?»
«La zia ha fulminato
quattro aspirapolvere» dichiarò divertito Malcolm, sghignazzando.
Kim gli diede un
pizzicotto scherzoso sulla guancia e lui, stringendosi alla donna, mormorò:
«Non ho resistito, scusa.»
«Non scusarti con me,
ma con la zia. E' lei che non sta facendo una gran figura» replicò sorridente
Kimberly, strizzando l'occhio a Spring, che fece spallucce.
J.C. intervenne
dicendo: «Non ascoltarli, Max. Spring potrà essere un disastro con gli
elettrodomestici, ma ha un sacco di altre qualità.»
Summ allora tappò la
bocca a John e replicò: «E ora che abbiamo messo in imbarazzo entrambi, vediamo
di sederci a tavola a piluccare qualche antipasto mentre arriva la cena!»
Tutti risero e, quando
Max si accomodò al fianco di Spring, le sussurrò all'orecchio: «Perché tutti
pensano che io e te siamo reciprocamente interessati ad avere una... storia? Da
l'idea?»
«Sì, da l'idea» annuì
lei, divertita. «Perché la mia famiglia, ed i miei amici, sono degli impiccioni
e, di solito, non porto mai i miei uomini a casa di mio fratello.»
«Beh, è un evento,
allora, visto soprattutto che non ho ancora ben capito cosa ci sia tra noi»
ridacchiò Max, strizzandole l'occhio.
«Lasciali dire. Quando
si saranno sfogati un po', smetteranno» scrollò le spalle Spring, noncurante.
«Ho le spalle larghe.
Posso sopportare praticamente di tutto» sentenziò lui, prima di volgere lo
sguardo in direzione di Malcolm, che sedeva alla sua destra e che in quel
momento, stava tirandogli gentilmente la manica della camicia. «Sì, Malcolm?»
«Hai già baciato mia
zia? Come fa il mio papà con Kimmy?»
Una risata fragorosa
quanto collettiva riverberò tra le pareti della stanza e Max, fissando basito
il bambino, si chiese seriamente se fosse del tutto vero che poteva sopportare
di tutto.
________________________
1: prònaos o
prodromo è una parte del tempio greco e romano costituita dallo spazio davanti
alla cella templare.
2:
Galeras. Si tratta di un vulcano di tipo Vesuviano che svetta in Colombia,
nella Cordigliera delle Ande.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
fleur
3
Di sicuro, era stata la serata più stramba, comica,
imbarazzante e chiassosa che avesse mai passato in vita sua.
Certo, anche nella sua famiglia si sapeva fare
confusione, ma non si erano mai raggiunsi simili livelli.
Perché era evidente che tra gli Hamilton vi fosse un
legame profondo.
Perfino J.C. – che non era della famiglia – era addentro ai
loro schemi, ai loro sguardi d'intesa, e tutti avevano cercato di farlo sentire
a suo agio.
Ora, steso sul divano di pelle scura nel suo solitario
appartamento accanto al palazzo a tre piani dove aveva sede la Parker Inc., si
stava godendo il silenzio, l'oscurità e un buon bicchiere di vermouth.
E nella mente aveva il sapore della sua risata, il
calore del suo timbro vocale, la forza del suo carattere.
Spring.
Tutti tendevano a proteggerla, in un modo o
nell'altro, lo aveva notato fin dal primo momento, ma lei era forte, a suo
modo, pur essendo fragile all'apparenza.
La sua spontaneità, la sua gioia, il suo essere così
vera, erano i suoi cavalli di battaglia.
Certo, si poteva rimanere feriti anche in questo modo,
ma era più semplice avere a che fare con persone così schiette.
Perché anche Winter e Summer erano altrettanto
diretti.
Erano tre gemelli davvero atipici. Diversissimi
nell'aspetto, avevano però un unico comune denominatore: la famiglia.
Per la famiglia avrebbero dato tutto, perciò gli era
parso assai strano che il quarto gemello, Autumn, non abitasse neppure a
Washington.
Non era voluto addentrarsi nei particolari, ma era
evidente quanto l’argomento fosse un
tasto più che dolente per tutti loro, in particolare per Winter.
Che avessero litigato? Possibile.
Lui litigava mille volte, con Chris.
Ma se di lite si era trattato, doveva avere assunto le
proporzioni di una guerra, per essere taciuta con così tanta veemenza.
Alla fine dei conti, comunque, non erano affari suoi.
Il trillo del telefono lo sorprese non poco, facendolo
sobbalzare e, allungandosi per accendere il vivavoce, mormorò: «Parker... chi
è?»
«La tua mamma. Ti disturbo? Devo richiamare?»
Sorrise spontaneamente, nel sentirla.
Wendy Gordon Parker era una frizzante donna texana,
nata e cresciuta domando cavalli e tenendo a bada le frenesie dei fratelli
minori.
Non le si poteva dire cosa fare e come farlo perché,
nel bene e nel male, decideva per se stessa e, tendenzialmente, non sbagliava
mai.
E lui la adorava per questo.
«Non essere sciocca. Per te ci sono sempre» mormorò
lui, terminando il suo vermouth.
«Più che altro, non volevo interrompere un tuo
eventuale interludio» dichiarò lei con ironia.
«L'unico interludio che sto avendo al momento è con
del vermouth» specificò Max, poggiando il bicchiere panciuto su un tavolino di
cristallo.
Sua madre sbuffò contrariata prima di dire torva: «Hai
trentacinque anni, Max... quand'è che mi porterai a casa una nuora e, magari,
dei nipotini?»
Ghignando divertito, lui replicò serafico: «Non ti
basta Chris? Pensa a quanti nipotini ti sfornerà la sua dolce metà.»
«Non essere scortese!» lo rabberciò bonariamente lei.
«Scusa. Avevi bisogno di me?»
«Ero passata, prima, per mostrarti alcuni campioni per
la hall dell'albergo di New Haven, ma non c'eri e così...»
«E così hai pensato che fossi con una donna.»
Ridacchiò e si slacciò la cravatta. Non si era accorto
di averla ancora addosso.
«In effetti, è stato più o meno così. Ero con la sua
famiglia.»
«Aspetta solo un dannatissimo momento, Maximilian
Theodor Parker! Sei andato a cena con la
tua fidanzata – che tra l'altro non sapevo tu avessi – e non mi hai detto
nulla?!»
Il suo tono fu così irritato e lapidario che Max
scoppiò a ridere di gusto, gettandosi di traverso sul divano.
«Non ridere di me, ragazzo. Posso ancora metterti in
punizione, se voglio!» brontolò accigliata la donna, mentre il figlio
continuava nel suo sfogo liberatorio quanto divertito.
Asciugandosi lacrime di ilarità, Max replicò con
ironia: «Primo, non ho nessuna ragazza, secondo, sono stato invitato a una cena
di famiglia dalla sorella della donna con cui ero... ed ero con lei per una
consulenza. Ti ricordi di Spring Hamilton? Me l'hai consigliata tu.»
«Sì, è una ragazza adorabile e ha un gusto impeccabile
per i fiori... ma non capisco...» borbottò un po' più calma Wendy, vagamente
confusa dal discorso del figlio.
«Ero al negozio con lei, quando sua sorella Summer mi
ha invitato a cena da loro. Tutto qui. Abbiamo mangiato cinese e riso fino a
svenire» le spiegò succintamente lui, tornando a sorridere.
«Beh... pare tu ti sia divertito» buttò lì la madre,
cauta.
«Non sto uscendo con Spring, o Summer – anche se un
pensierino ce lo farei – quindi non farti strane idee. Spring mi sta aiutando
con il matrimonio di Chris, perché io non mi ci raccapezzo per nulla, mentre
lei sì. Tutto qui, te lo ripeto» tornò a dirle lui, vagamente esasperato.
«Non sto dicendo che stai per avere di nascosto il tuo
terzo figlio!» si mise sulla difensiva sua madre, adottando di proposito un
tono leggero. «Mi è parso strano che tu abbia passato un'intera giornata
con una donna. Tendenzialmente, sei così oberato di lavoro che non succede
mai.»
«Infatti, sto per mettermi a controllare le
planimetrie dell'ultimo cambiamento in corso d'opera di Phil.»
Max scrutò arcigno i fogli blu e giganteschi che lo
attendevano sul tavolo del soggiorno, e ghignò infastidito.
«Non è che di colpo ho più tempo, è solo che, se
voglio togliermi di dosso questa faccenda del matrimonio, devo gestirlo
diversamente per andarmene in giro per negozi.»
«Mi spiace che tu la veda in maniera così negativa,
Max. Chris ha voluto che fossi tu ad occupartene perché pensa sinceramente che
tu sia un genio in tutto quello che fai. E' avvilente scoprire che sei anche
capace di essere un perfetto idiota, in qualcosa.»
L’ultimo goccio di vermouth gli andò di traverso e,
iniziando a tossire per recuperare il fiato dopo l'uscita gratuita e serafica
della madre, Max gracchiò indispettito: «Ehi, ma dico! Sono cose da dire al tuo
primogenito?!»
«Eccome, se è la verità. Stai vedendo solo le noie, e
non la gioia di questo momento. Non lo stai condividendo con tuo fratello, ti
stai limitando a depennare degli appunti su un blocco e, quel che è peggio, ti
comporti come se tutto ciò che stai facendo fosse il più enorme dei favori,
quando per te dovrebbe essere un piacere aiutare Chris.»
Ora non c'era più un tono divertito, nelle sue parole,
ma un profondo senso di sconforto.
«Mamma...» sussurrò spiacente Max.
Non l'aveva mai sentita così abbattuta.
«Speravo sinceramente che questo matrimonio potesse
aprirti gli occhi ma, a quanto pare, mi sono sbagliata di grosso. Se preferisci
che intervenga io, dimmelo. Ti dispenserò da questo onere, e tu potrai
tornare a ficcare la testa nella sabbia.»
«Ma no, posso...» iniziò col dire Max, sinceramente
dispiaciuto di aver ferito la madre.
«Buonanotte, caro» lo interruppe Wendy, chiudendo la
telefonata.
Se gli avesse detto 'vai al diavolo, idiota',
sarebbe stato molto meglio.
Quel saluto accorato, invece, lo fece sentire
malissimo, un autentico imbecille e, quando si levò per raggiungere le
planimetrie, l'unica cosa che avrebbe voluto fare sarebbe stato lanciarsi di
testa dalla finestra.
Che gran pasticcio aveva combinato!
Era difficile far arrabbiare mamma, ma lui c'era
riuscito in pieno e, per di più, ora stava soffrendo a causa sua.
Un disastro di proporzioni bibliche, insomma.
Poggiato malamente il bicchiere di vermouth sul
ripiano di vetro satinato del tavolo, Max schioccò le dita per far accendere le
applique da parete su quel lato della stanza.
L’impianto di domotica presente nel suo appartamento
funzionava alla grande e, in momenti come quello, era una manna dal cielo.
Immediatamente, una bassa luce ambrata si allargò sui
muri tinti sui toni dell'azzurro ghiaccio e, con aria aggrottata, l'uomo iniziò
a controllare palmo dopo palmo ogni variazione apportata dal suo ingegnere
capo.
Phil era un genio nell'ergonomizzare gli spazi e,
anche quella volta, aveva fatto centro ma, contrariamente al solito, non ne
poté godere come normalmente avrebbe fatto.
Quella sera, la sua testa era altrove.
Quella sera, il discorso di sua madre l'aveva
scombussolato non poco.
Quella sera, si sentiva soltanto un idiota e, di
certo, non un brillante imprenditore.
Il tutto, perché non si stava dedicando al matrimonio
del fratello come soleva fare con i suoi affari.
Sua madre riteneva che lui trovasse tutto questo una
scocciatura, non un onore.
E lì si bloccò, rammentando le parole che la stessa
Spring gli aveva rivolto al loro primo incontro.
Come faceva quella donna, che conosceva pochissimo di
lui, ad averlo inquadrato così bene al primo sguardo?
Anche lei lo aveva accusato di non prendersi
sufficiente cura di quell'evento così unico e, a ben vedere, forse era vero.
Di certo, non lo faceva per mancanza di affetto nei
confronti di Chris.
Per quanto lo reputasse uno scapestrato, ammirava il
suo lavoro e lo amava sinceramente, indipendentemente dalle differenze che
intercorrevano tra di loro.
Eppure, a conti fatti, da quando Chris lo aveva incastrato
con quel progetto, lui si era sentito preso in giro.
Da chi, o da cosa, doveva ancora capirlo.
La morale, comunque, era una e una sola.
Aveva fatto soffrire sua madre e, per questo, non si
sarebbe mai perdonato.
ЖЖЖ
Cominciava realmente a pensare di essere tecnofobica,
almeno per quanto riguardava casa sua.
Non era altrimenti possibile spiegare perché, per la decima
volta, la sua lavatrice l'avesse lasciata a piedi, costringendola a
mendicare l’aiuto di Winter.
Il fratello, con aria davvero sconvolta, si era
trascinato nel suo appartamento a pianterreno tra uno sbadiglio e l’altro, e
aveva cercato di comprendere cosa fosse successo.
Un fazzoletto di carta.
Un maledetto fazzoletto di carta, rimasto
inavvertitamente in una tasca dei suoi jeans, aveva intasato il filtro – le
lavatrici avevano un filtro? – impedendo all'acqua di defluire e inondando così
il pavimento della lavanderia.
I commenti più o meno caustici di Win erano rimbalzati
come palle di cannone nella stanzetta e Spring, sempre più contrita, aveva
finito con il singhiozzare spiacente.
Il gemello allora, dopo essersi alzato e averla
abbracciata con calore, le aveva baciato la tempia.
Cullandola, le aveva promesso che qualunque disastro
avesse mai combinato in futuro, lui avrebbe sempre pensato a rimetterlo a
posto, perché l'amava e non l'avrebbe mai lasciata sola.
A conti fatti, era sempre stato così.
Succedeva qualcosa, e Winter interveniva.
Era abituata da una vita a quel tipo di meccanica, tra
di loro e, quando Win si era ritrovato a dover lottare per la vita, solo
qualche mese prima, lei era quasi morta di paura.
Spaventata, si era buttata grata tra le braccia di
Summer che, con fiero cipiglio, aveva pensato a ogni cosa.
Si vergognava molto ad ammetterlo, ma dipendeva in
tutto e per tutto dai fratelli e, se loro fossero mancati per un qualsiasi
motivo, lei sarebbe andata nel panico più totale.
Non era indipendente come zia Brigidh che, ormai da
più di dieci anni, viveva in un appartamentino per conto suo, a pochi isolati
da loro e, spesso e volentieri, si assentava per mesi per intraprendere
estenuanti viaggi in giro per il mondo.
Sapeva esattamente perché la zia si lanciava così
spesso in simili pellegrinaggi.
Nonostante le parole confortanti di Winter, lei non si
era mai perdonata per aver ceduto al panico e aver reso noto ai nonni e agli
Anziani la loro presenza, dopo che sorella e cognato avevano fatto tanto per
far sparire i figli dalla loro vista.
Ora la zia si trovava a Kathmandu e, quando era venuta
a sapere da Summer del pericolo corso da Winter e Kim, aveva deciso di
anticipare il suo rientro dal Nepal.
Winter stesso, però, l'aveva sconsigliata dal farlo, vista
la loro buona salute.
L’aveva pregata di proseguire la sua permanenza al
tempio buddista, e di non preoccuparsi per loro.
Brigidh aveva accettato a malincuore, ma si era
sentita in parte rasserenata sapendo che Kimberly e Winter si erano finalmente
ritrovati.
Immaginava senza problemi che, al suo rientro da quel
lungo periodo di ricerca interiore, si sarebbe presentata a casa loro per
rivedere Kim dopo tanti anni di separazione.
E, probabilmente, per chiedere anche il suo perdono.
Difficile dire chi, in famiglia, fosse il più
cocciuto.
Lei, sicuramente, aveva ben altre manchevolezze.
Sistemandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio,
Spring passò lo straccio imbevuto di spray antistatico e mugugnò tra sé: «Devo
imparare a essere più indipendente dagli altri.»
Un venticello leggero le si incuneò sotto la lunga
gonna a balze nera e viola, solleticandole le caviglie e lei, ridacchiando,
mormorò: «Smettila, Autumn... non è divertente.»
Un attimo dopo, il suo cellulare le disse che era
arrivato un sms e, estratto che ebbe il blackberry dalla tasca del grembiule
blu che indossava, sorrise nel leggere il messaggio del loro solitario
fratello.
6 l'unica con cui posso scherzare un po'. Non prendere
freddo, Spry, xké sta arrivando 1 fronte gelido dal Labrador e, di sicuro, non
farò nulla per correggerne la rotta. A. :-)
Quali che fossero le motivazioni dell'esilio
volontario di Autumn, con lei era sempre stato più o meno gentile.
Anche lui
tentava di proteggerla, anche se in un modo del tutto singolare.
«E' quasi asfissiante, questa cosa» brontolò Spring,
prima di sorridere spontaneamente non appena vide avvicinarsi, lungo il
marciapiede, Wendy Parker.
Jeans e camiciola texana bianca a ricami neri le
stavano benissimo, così come i bassi stivaletti di pelle che ticchettavano
sull'asfalto sconnesso.
Sulla spalla pendeva la tracolla di una splendida borsetta
in pelle di Louis Vitton mentre, sul braccio destro, era poggiato un leggero
soprabito bianco panna.
Per un attimo, si chiese se Max avesse ceduto lo
scettro di capitano alla madre e avesse mandato lei per terminare i lavori per
il matrimonio del fratello.
Erano tre giorni che non si sentivano, e il dubbio le
era nato più che spontaneo.
«Buongiorno, Mrs Parker. E' un piacere rivederla» la
salutò lei, allungando una mano per stringere quella della donna.
«Mi chiami pure Wendy, Spring... e buongiorno a lei.»
Con un sorriso, lanciò un'occhiata al tavolino alle
spalle della donna e dichiarò: «Davvero un bel pezzo. A quanto me lo
venderebbe?»
Vagamente confusa, Spring esalò: «Oh, beh... non ha un
prezzo. L'ho fatto io per sedermi qui con i clienti, quando la giornata lo
permette. Perché lo vuole?»
Sfiorandolo con dita esperte, Wendy annuì tra sé più
volte prima di tornare a fissare lo sguardo sulla giovane fiorista.
Era indubbiamente bella, ma nel suo sguardo si poteva
notare anche dolcezza.
Non era però la classica svampita, era semplicemente
una donna dall'animo delicato. E altruista.
«Sarei interessata a pezzi simili per un giardino che
intendo allestire in un complesso residenziale, che stiamo ultimando nella
periferia di Washington. Lo stile è davvero unico, e il ferro brunito mi piace
molto. Da chi acquista questi pezzi?»
«Tavolino al grezzo e sedie vengono fatti da un
artigiano che conosco, e le decorazioni a mosaico le faccio io.»
Aggrottando leggermente la fronte, Spring le domandò:
«Gliel'ha detto Max, per caso?»
«Al momento, io e Max parliamo davvero molto poco.
Comunque no, ma mi fa piacere che abbia saputo notare un pezzo così raffinato»
dichiarò a sorpresa Wendy, sorridendole spontaneamente.
Sempre più confusa, Spring si arrischiò a chiederle:
«Spero non sia colpa mia se siete, per così dire, ai ferri corti.»
«In parte sì, ma per motivi che penso lei non
immaginerà mai.»
Poi, guardandosi intorno, le chiese: «Posso sedermi?»
«Ma certo. Le porto un po' di limonata. L'ho appena
fatta.»
In fretta, e curiosa di capire cosa avesse fatto per
far discutere madre e figlio, Spring prese la brocca di limonata e un paio di bicchieri, assieme a
un cesto di biscotti alle gocce di cioccolato, che Winter le aveva consegnato
quella mattina.
Lesta, uscì sulla veranda del negozio per sistemare il
tutto sul tavolino.
Wendy la ringraziò con un cortese cenno del capo e,
nell'assaggiare un biscotto, sorrise e disse: «Questo è fatto in casa. Nessun
biscotto acquistato potrebbe essere così buono.»
«Mio fratello è molto bravo, in cucina.»
Versando un po' di limonata alla donna, Spring servì
poi se stessa e, dubbiosa, scrutò da sopra il bordo del bicchiere l'aspetto
imperscrutabile di Wendy Parker.
«Apprezzo sempre un uomo che cucina... se poi è
piacente come suo fratello, è ancora meglio» commentò ridacchiando Wendy,
facendola sorridere.
«Gli dirò che ha un'ammiratrice» la mise al corrente
Spring, sbocconcellando a sua volta un biscotto.
Eh, sì, sapevano di casa, di amore e di polvere di
fata. Nessun altro biscotto avrebbe potuto essere più buono.
Dopo aver sorseggiato la limonata, Wendy tornò seria e
le disse senza tanti giri di parole: «In tutta onestà, Spring, vorrei che
smettesse di dare una mano a Max.»
Sinceramente colpita dal suo tono perentorio, Spring
esalò: «C'è qualcosa in quel che abbiamo fatto che non va bene?»
«Affatto, è tutto perfetto. Anzi, non avrebbe potuto
essere migliore, almeno quello che fin qui avete... ha organizzato.
Proprio per questo, desidero che smetta. Voglio che Max si prenda personalmente
carico di questo evento, perché è tempo che impari e cresca.»
Poi, con un tono meno secco, aggiunse: «Non intendo
offenderla, perché immagino che l'abbia fatto solo per dargli una mano, ma
desidero che lui capisca che non tutto gravita attorno al lavoro.»
«Oh... quindi non mi sono sbagliata su di lui. E'
tutto casa e lavoro» commentò con una certa ironia Spring.
La matrona si lasciò andare ad un sospiro e annuì.
«Forse è anche colpa nostra, che gli abbiamo permesso
di gettarsi anima e corpo nel suo desiderio di ingrandire l'impresa non
accorgendoci che, così facendo, si stava rinchiudendo entro quattro mura.»
«E' un po' fissato, in effetti. Penso che, quando
inventeranno il cellulare sottopelle, lui sarà il primo ad acquistarlo» sorrise
benevola Spring, sorseggiando la limonata. «Capisco anche che voglia inculcare
a Max un certo tipo di lezione, ma credo che così facendo finirete col litigare
davvero. Se mi permette, continuerei ad aiutarlo ugualmente perché ho idea che,
così facendo, troverà i propri errori e
li correggerà... ma non se resterà solo.»
«E perché lo farebbe, Spring?» le domandò in tutta
sincerità Wendy.
«I motivi sono molteplici, primo tra tutti perché sono
un'altruista patologica» ridacchiò Spring, facendola sorridere divertita. «Un
altro motivo è che sono interessata a conoscere meglio suo figlio. Mi sembra
una persona con cui potrei andare d'accordo.»
«Ottimi motivi entrambi» dichiarò Wendy, annuendo.
Tornando seria, Spring infine aggiunse in un mormorio:
«Inoltre, per una volta, vorrei essere io a risolvere un problema, a correre in
aiuto di qualcuno, e non il contrario.»
Mrs Parker allora allungò una mano per sfiorare un
braccio della giovane e, comprensiva, le domandò: «La piccolina di casa, vero?»
«Anche se siamo gemelli, mi hanno sempre vista così,
sì... e la cosa comincia davvero a pesarmi. Vorrei... beh, vorrei essere speciale
per qualcuno come i miei fratelli e mia sorella sono speciali per me. I miei
eroi, in qualche modo.»
Si irrise mestamente, aggiungendo: «Un motivo molto
egoista, lo so.»
«Posso capirlo, però» replicò gentilmente Wendy. «Per
anni mantenni il ruolo della guida, con i miei fratelli e sorelle, perché ero
la più grande e, quando mia sorella Jennifer me lo fece notare, quasi caddi
dalle nuvole. Per me era sempre stato normale aiutarli, ma per loro era
divenuto quasi un fastidio, perché pensavano che io non li ritenessi
all'altezza.»
Rise, di quel pensiero o di se stessa Spring non seppe
dirlo, e aggiunse: «Che pazzi, a crederlo! Ma capii ciò che volle dirmi e
allentai la presa, per così dire. Perciò capisco cosa intende, desiderando
risolvere un problema da sola o, meglio ancora, essere lei la spalla per
qualcuno.»
«La ringrazio. E' importante che lei comprenda il mio
punto di vista.»
Le offrì nuovamente della limonata, che Wendy accettò
di buon grado.
«Non le mentirò, Spring, visto che lei è stata così
onesta con me.»
Sorseggiò brevemente e poggiò il bicchiere sul ripiano
del tavolo.
«Max non è un uomo molto... beh, non ha avuto molte
donne nella sua vita perché, prima di tutto, è sempre venuto il lavoro, per
lui. Temo che le donne lo confondano, in qualche modo, ma quando ha accennato a
lei mi è parso... felice. Tendenzialmente, è felice solo di fronte a un
palazzo appena ultimato, perciò immaginerà la mia sorpresa.»
Spring annuì, preferendo rimanere in silenzio. Wendy
ne approfittò per continuare.
«Non dico che voglio ricevere l'invito alle vostre
nozze per il mese prossimo, ma mi ha fatto piacere sentire che, per una volta,
era una persona, e non un palazzo, a farlo contento.»
«Direi che è lusinghiero» ammise Spring,
sbocconcellando un secondo biscotto. «Come le ho detto, lo trovo interessante,
ma non posso sbilanciarmi di più poiché ci conosciamo davvero troppo poco
perché io possa avere altre opinioni su di lui.»
Wendy annuì più volte.
«Più che giusto. Ed io mi sono intromessa fin troppo,
direi.»
«A me piace parlar chiaro, quindi non mi riterrò mai
offesa» replicò gentilmente Spring.
La donna fissò Spring a lungo, senza più dire nulla e,
sempre senza aprire bocca, le sfiorò una guancia con il dorso della mano.
Un attimo dopo, sussurrò: «C'è dolcezza, sì, ma anche
forza.»
«Lo spero» asserì Spring.
Abbozzando un sorriso simpatico, Wendy le batté una
mano sulla spalla un paio di volte e dichiarò: «Mi servono dieci vasi di fiori
viola e gialli per la settimana prossima, alla sede della ditta. Devo abbellire
la sala conferenze per dei clienti molto importanti.»
«Sono i colori della loro ditta, giusto?»
«Precisamente. Ha in mente qualcosa che possa andare
bene?»
Fattasi meditabonda, Spring rientrò nel negozio
assieme a Wendy e, dopo essersi guardata attorno per alcuni attimi, la giovane
sorrise.
Indicando una struttura metallica dalla forma
spiraliforme, asserì: «Una serie di vasi panciuti e di terracotta a
bassorilievi fiorati con … sì, con astro
della Cina ed escolzia.
Da un'idea di qualcosa che si spinge verso il cielo, verso un miglioramento. Il
che è positivo, no?»
Wendy annuì e Spring continuò a guardarsi intorno,
borbottando tra sé altre soluzioni.
Indicò vasi alti e snelli, in cui avrebbe messo della tricoma, che avrebbe posizionato accanto
alle alte finestre che davano sul giardino interno dell'azienda.
Prese in mano e scartò diversi articoli, prima di
puntare l'occhio su dell'erica e ghignare soddisfatta.
«Con quella, posso creare una fioriera multicolore
all'entrata. O anche con del cavolo da foglia.»
A quel punto, Wendy strabuzzò gli occhi ed esalò: «In
che senso?»
Ridacchiando, Spring le mostrò delle piante di cavolo
dalle foglie viola, gialle e bianche e la donna, strabiliata, batté le mani ed
esclamò: «Oh, ma sono magnifici! Sì, all'entrata ci starebbero benissimo!»
«Molto bene. Farò l'ordine e, il giorno prima
dell’evento, allestirò il tutto» le disse Spring, poggiando le mani sui fianchi
con aria soddisfatta.
Già sul punto di mettere mano alla borsetta per pagare
un anticipo, Wendy si vide bloccare dal gesto elegante quanto perentorio di
Spring che, scuotendo il capo, replicò: «Pagherà a lavori ultimati. Prima
voglio che veda quello che farò.»
«So già che sarà bellissimo, ma rispetto la sua
scelta» ribatté allora Wendy, lasciando perdere. «La aspetto venerdì prossimo
alle... sette?»
«Le sette del mattino va benissimo. Ci sarò» annuì
Spring.
Allungando entrambe le mani, Wendy prese tra le sue
quelle di Spring e disse: «Sarò più che lieta di rivederla e... grazie per la
bella chiacchierata.»
«E' reciproco. Buona giornata.»
Nel guardarla uscire dal negozio, Spring si lasciò
andare anche a un salutino con la mano, cui Mrs Parker rispose con altrettanto
calore.
Le piaceva quella donna, e si vedeva lontano un miglio
che amava i suoi figli.
Levando il viso verso l'alto, proprio sopra lo stipite
della porta d'entrata, Spring sorrise alla fotografia dei suoi genitori e, in
un mormorio sommesso, esalò: «Mi mancate così tanto...»
Si era immaginata tante volte la madre, seduta con lei
sul letto, mentre discorrevano di uomini e frivolezze. Era una cosa che, più di
tante altre, le era mancata.
La prima cotta, la prima confidenza, il primo pianto
per un ragazzo. Erano tutte cose che non aveva potuto vivere con Camille, e
questo le pesava sempre, quando il loro compleanno si approssimava.
Il primo di maggio, in occasione di Beltane, avrebbero
festeggiato il loro trentacinquesimo compleanno.
Avrebbero acceso i fuochi per ingraziarsi gli spiriti
della fertilità.
Lei avrebbe benedetto la terra e ballato attorno al
falò acceso nel giardino, si sarebbero ritirati nel seminterrato e lì, alla
luce delle torce, avrebbero brindato con vino rosso e mangiato carni con
l'osso.
A mezzanotte, la zia avrebbe guardato nella polla
sacra d'argento e avrebbe tentato di scorgere il futuro.
E, come ogni volta, nessuno di loro avrebbe capito un
accidente dei suoi oracoli.
Era sempre così.
Infatti, nessuno di loro aveva compreso che il
messaggio dell'anno precedente era stato inviato dalla Tessitrice omaggiare il
ritorno di Kimberly.
Chi avrebbe potuto pensarlo, dopo aver sentito parole
come “il turbinio dell'acqua ghiacciata porterà con sé ancestrali profumi
tropicali e giade screziate.”
Certo, a ricordarsi che Kim amava gli ibischi, che
erano fiori tropicali, e rammentando che lei aveva gli occhi color giada, uno
avrebbe anche potuto capirlo... no, non avrebbe potuto comunque.
Ma con gli oracoli era sempre così, e la Vista della
zia spesso agiva come meglio credeva.
Non era un potere controllabile come quello che
possedevano loro.
La Vista veniva e andava come voleva, non la si poteva
cercare o governare.
Era indipendente da tutto e da tutti, e coloro che
potevano vedere potevano solo essere i suoi strumenti.
«Sarà meglio che ordini i fiori, invece di star qui a
pensare alle premonizioni della zia» brontolò tra sé, avviandosi di gran
carriera verso il telefono.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
4
4
Il trillo della sveglia la destò di soprassalto.
Gli occhi sgranati, i capelli simili a un covone di
fieno e l'aria sconvolta dipinta in faccia, Spring fissò malamente la sveglia
sul suo comodino prima di calpestarla con la mano per azzittirla.
Il suono fastidioso si interruppe con violenza,
annullando di fatto qualsiasi altro rumore nella stanza.
Dal piano superiore giungevano, molto smorzati, i
passi pesanti di qualcuno – Malcolm, con tutta probabilità.
Spring, sorridendo nel pensare alla faccia pesta del
bambino, si fece coraggio e si alzò a sua volta per andarsene in bagno.
Quel giorno, avrebbero fatto una gita in campagna,
perciò al nipote era toccata la sveglia antelucana.
La sera prima, si era fermata fino a tardi a casa del
fratello per parlare con Kim della festività di Beltane.
Poiché la festa si svolgeva durante la primavera, lei
sarebbe stata il cerimoniere, perciò era compito suo spiegarle ciò che sarebbe
successo.
Inoltre, Spring voleva chiarire con l'amica i motivi
che l'avevano spinta a decidere di non invitare i suoi genitori alla festa.
Secondo Kim, non era ancora il momento di dire
l'intera verità sugli Hamilton alla sua famiglia, poiché considerava
quell'argomento davvero troppo oltre le loro possibilità.
Winter, al contrario, si era dichiarato disponibile a
parlare con i Clark, e aveva espresso delle perplessità circa la decisione di
Kim di mantenere il segreto anche con loro.
Spring era d'accordo con il fratello.
Non sarebbe stato giusto mentire loro e, se un domani
Kimberly e Win avessero avuto un figlio, con tutta probabilità avrebbe
ereditato un dono della famiglia, perciò le cose si sarebbero complicate
ulteriormente.
Meglio dire la verità.
Aprendo l'acqua del rubinetto, Spring si sciacquò la
faccia per bene, più che certa che, prima di Beltane, sarebbe riuscita a
convincere l'amica a cedere.
Spazzolandosi ben bene i lunghi e lisci capelli, li
legò in una treccia e applicò delle forcine fiorate sulle tempie per fermare le
ciocche più corte e ribelli.
Tornata che fu in camera, indossò maglietta, jeans e
Nike nere in previsione del lungo lavoro che avrebbe dovuto fare alla Parker
Inc.
Sul tavolo della cucina mise latte e cereali, curiosò
con il telecomando le notizie sui vari network e, dopo un attimo di
indecisione, diede una passata veloce sotto l'acqua alle stoviglie.
Meglio non usare la lavastoviglie, visto che aveva
quasi ammazzato la lavatrice.
Afferrata la borsetta e il giubbotto di jeans
schiarito, si catapultò fuori alle sei del mattino per dirigersi con la sua
Camaro verso il negozio, dove avrebbe cambiato mezzo e portato i fiori alla
ditta.
Summer era già davanti alla porta del negozio, quando
arrivò.
Visto che si stava godendo qualche giorno di ferie
prima di rimettersi al lavoro, si era offerta di aiutarla per l'allestimento delle fioriere e, poiché
lei amava lavorare con la sorella, Spring non si era fatta pregare e aveva
accettato.
Nel salutarla con un cenno della mano, scese subito
dall'auto e aprì il negozio mentre i primi bargigli di sole tinteggiarono il
cielo della Capitale, aprendosi un varco tra le mille nubi sottili che
circolavano quel giorno.
«Sei stata più veloce di me» ironizzò Spring,
accendendo le luci del negozio per poi dirigersi nel retrobottega, dove il
giorno prima aveva preparato tutto il necessario da caricare sul furgone.
«Amo svegliarmi presto e correre, lo sai» scrollò le
spalle Summer, come se niente fosse. «Che bella, questa fioriera. E questi
cavoli! Quasi quasi, li metto anche in casa mia.»
«Morirebbero, visto che non ci sei quasi mai. Sennò
potrei andare a innaffiarteli io, se ti piacciono proprio» le propose Spring, afferrando
uno scatolone con le piantine nei vasetti.
Imitandola, Summer replicò: «Non voglio gravarti di
altri impegni. Hai già il negozio, e devi occuparti di Mal quando Winter e Kim
sono via... non hai bisogno di dover badare anche alle mie eventuali piante.»
«Lo farei volentieri» ci tenne a precisare la sorella.
Summ aprì il furgone con il telecomando e, dopo aver
spalancato le porte posteriori, iniziò a caricare prima di mormorare: «Non
voglio dire che non lo faresti volentieri, solo che non voglio esserti di peso,
Spry.»
«Non sarebbe un peso, ma un piacere.»
Lo disse con una certa acredine e Summer,
immediatamente, ne captò il tono.
«Spry... non volevo offenderti» esalò contrita la
gemella, sinceramente dispiaciuta.
Spring allora sbuffò, irritata all'idea di averla
ferita ma, al tempo stesso, contrariata al solo pensiero che la sorella
pensasse che il solo annaffiare qualche pianta fosse troppo gravoso per lei.
Non sapendo bene cosa dire, mugugnò uno stentato “lascia
perdere”.
Summer, però, fu di tutt'altro avviso.
Non appena ebbero caricato tutto sul furgone e Spring fu
alla guida, la giunonica rossa si volse a mezzo verso la sorella e dichiarò
senza mezzi termini: «Non voglio fare la fine di Winter e Autumn, che neanche
si parlano, e Dio solo sa perché! Quindi, chiariamo bene la situazione prima
che saltino fuori dei problemi inesistenti. Cosa ti ha rotto, di quel che ti ho
detto?»
Ecco la solita, schietta Summer.
Sbuffando, Spring si limitò a dire: «Non sono fatta di
cristallo.»
«Lo so bene. Ti ho morsa più di una volta, da piccola,
quindi ne sono testimone diretta» asserì serafica Summ, ghignando subito dopo.
A Spring sfuggì un risolino ripensando alle corse
disperate che aveva fatto in giro per casa, per salvarsi dai dentini affilati
della gemella.
Si erano divertite un sacco, da piccole.
«Il problema è … genetico? Pensi che io ti creda
appartenente a un'altra specie?» continuò con l'ironizzare la gemella,
ammiccando.
«E piantala!» ridacchiò l’altra, non riuscendo per
niente a tenere il broncio alla sorella.
Era sempre così, con lei.
Se anche Summer commetteva una gaffe senza
accorgersene, risolveva poi tutto con delle battute di spirito, e a Spring non
restava altro che sciogliersi una risata.
«Non penso che tu sia un pesce, se può renderti
contenta.»
Ormai, Summ sembrava inarrestabile e Spry, scoppiando
a ridere di gusto, scosse sconfitta il capo.
«Lo spero... ma volevo solo dire che due piante in più
non fanno danno. So cavarmela.»
«E chi dice il contrario? Solo perché hai un brutto
rapporto con gli elettrodomestici, non vuol dire che io non sappia che sei in
gamba» mugugnò contrariata la sorella, come se l'aver anche solo pensato il
contrario l'avesse infastidita.
Eppure avrebbe dovuto essere lei a tenere il broncio,
non Summer!
«E va bene, non lo pensi... ma sembra il contrario»
sbuffò Spring, inserendo la freccia per svoltare.
«Non mettermi in testa cose che non dico e,
soprattutto, che non penso. Non puoi ritenermi colpevole per ciò che travisi.
Mica è colpa mia se hai una mente contorta.»
Poi, pensandoci su, Summ ridacchiò e ammise: «Anche
se, a ben pensarci, di che mi stupisco? Sei la Guardiana della Terra, quindi il
tuo cervello sarà come le radici di una pianta... tutto nodoso e
aggrovigliato.»
La sorella le ghignò contro, replicando: «La tua
allora come sarebbe?»
«Calda, sexy e voluttuosa» mormorò maliziosa Summer,
facendo scivolare una mano sulla coscia della sorella.
Spring scoppiò nuovamente a ridere e, datole uno
schiaffetto sul dorso, ironizzò: «Ehi, per chi mi hai presa! Accarezza qualcun
altro!»
«Posso accarezzare Max?» le buttò allora lì la gemella,
ammiccando con fare canzonatorio.
«Uhm... no. Gira al largo» sentenziò dopo un momento
Spring, facendole la linguaccia.
«Ah, lo sapevo che ti piaceva!» esclamò fiera la
gemella, ammettendo però un attimo dopo: «Però è strano... non è il tuo solito
tipo.»
«E quale sarebbe il mio tipo?» volle sapere l’altra,
sinceramente curiosa.
Summer la fissò con aria di sufficienza e brontolò:
«Ma come? Vuoi anche farmi credere che non lo sai? Ecologista, o ecomaniaco,
vedi tu, che guida un'auto ibrida, pianta fiori in giardino e sa cos'è una
calendula. Che cos'è, poi?»
«Ma smettila! Non è assolutamente così!» rise
divertita Spring. «E la calendula è un fiore giallo simile alla margherita.»
«Grazie per l'info. Comunque, è vero. Roger era così, assolutamente.
E anche Brett. Per non parlare di Simon! Oh, il caro Simon! Così innamorato
delle sue paperelle!»
Summer scoppiò a ridere di gusto mentre Spring,
mettendo il broncio, tentò di trovare un solo motivo per non strangolare la
gemella.
Alla fine, scocciata, mugugnò: «Roger è una guardia
parco, per forza gli piace la natura.»
«E le naturiste» sghignazzò Summer,
guadagnandosi un pizzicotto su un braccio per diretta conseguenza. «Ahia! Ma è
vero! Non l'hai beccato tu con quella nudista, in spiaggia, a fare cosacce?»
«Preferisco non ricordarmelo, grazie» ringhiò
infastidita Spring. «Quanto a Brett, beh, forse ammetto che lui era un
po' ecomaniaco.»
L'espressione di Summer si fece molto più che
eloquente e Spring, sbuffando, grugnì.
«Lo so, lo so, quando fai parte dell'equipaggio
della Sea Sheperd, sei un tantinello ecomaniaco.»
«Ecco, appunto» annuì con vigore la sorella.
«Comunque non erano papere, ma cormorani, quelli di
Simon.»
Non seppe neppure lei perché volle sottolineare quel
particolare, ma lo fece e, alla fine, scoppiò a ridere con la gemella,
ammettendo: «E' vero, finora ho avuto un pessimo gusto, con gli uomini. Ma Max
mi incuriosisce, sebbene sia così diverso da me. Forse è proprio per questo.
Vedo così tante cose nascoste, nei suoi
occhi.»
«E sotto i vestiti...» la punzecchiò Summer,
strizzandole l'occhio.
«Summ!» esalò Spring, avvampando in viso.
«Se non hai notato che ha un bel culo e due spalle ben
piantate, cara, allora dovrò ricredermi sulla tua intelligenza» brontolò la
sorella, falsamente disgustata.
«Cosa c'entra l'intelligenza con il sedere di Max?»
bofonchiò l’altra, pigiando sull'acceleratore quando vide strada libera.
«Le ragazze intelligenti sanno notare le cose belle»
sentenziò Summ, con logica ferrea.
«Hai una logica contorta, Summy. Davvero contorta»
dichiarò senza tanti pensieri Spring, sorridendo spontaneamente quando vide il
profilo secco del palazzo dove si trovava la Parker Inc.
Nella periferia di Washington, D.C., circondata da un ampio
giardino ricolmo di aiuole colorate e alti abeti rossi, la palazzina a tre
piani della ditta di Max svettava nel quartiere artigianale per forma ed
originalità.
Interamente in ferro e vetro, dava un'idea di grande
leggerezza e forza al tempo stesso, e la sua struttura curvilinea denotava la
modernità di stile dei suoi costruttori e occupanti.
Inserita la freccia per svoltare nell'ampio
parcheggio, dove già alcune macchine erano site nei posteggi privati e
delineati da righe orizzontali gialle, Spring si mise su un lato, proprio
accanto al vialetto che conduceva alla porta principale.
Un attimo dopo, dall'entrata comparve la figura
atletica di Wendy che, abbigliata con jeans e maglietta non meno di Spring e
Summer, le salutò con gesti eleganti della mano.
Aperta la portiera dell'autista per salutare le
ragazze, esclamò: «Buongiorno! Lei deve essere Summer, la sorella di Spring. E'
un piacere conoscerla.»
«Il piacere è tutto mio, visto che è merito vostro se
ho un loft eccezionale» sorrise Summ, allungandosi sopra la sorella per
stringere la mano a Wendy.
Sgranando leggermente gli occhi, la donna le osservò
scendere prima di domandare curiosa: «Uhm,… abita per caso nel Palazzo
Wilkott?»
«Esatto» assentì la vulcanologa, aprendo le porte del
furgone con un gesto rapido. «Chi l'ha progettato è un genio.»
Gongolando fiera, Mrs Parker chiosò: «Sempre saputo di
avere un geniaccio, per figlio.»
«Max?» esalò Spring, sorpresa.
Wendy annuì per confermare prima di udire, alle loro
spalle, la profonda e sonora voce dell'uomo che, allegramente, esclamò: «Mi
avete chiamato?»
Le tre donne si volsero verso di lui e Spring, pur non
volendo, sentì la mandibola allentarsi per scivolare verso il basso,
completamente priva di forza.
Come dare torto a Summer, adesso?
Evidentemente ben deciso ad aiutarle, Max indossava
degli scuri jeans lisi in più punti, scarponi ai piedi e una maglietta nera che
aderiva al fisico prestante, e che metteva in mostra le braccia nerborute e
perfettamente scolpite.
Infilati negligentemente in una tasca dei jeans, dei
guanti da muratore attendevano solo di essere indossati, e davano quel tocco in
più di maschia virilità che non guastava.
«Riallinea la bocca, cara... stai sbavando» le
sussurrò all'orecchio Summer, esibendosi poi in un sorrisone angelico.
«Max! Buondì! Ti unirai a noi per i lavori?»
Stretta la mano protesa della rossa con una presa
energica, Max annuì, scivolando poi con lo sguardo sul volto ancora in parte
basito di Spring.
Sogghignando, asserì: «Ho pensato che avreste potuto
avere bisogno di un po' di forza bruta, per portare avanti e indietro dei vasi
e delle piante.»
Riscuotendosi quel tanto che le bastò per non apparire
una completa deficiente, Spring annuì con un sorriso e, a mezza voce, disse: «Due
braccia in più fanno sempre comodo.»
Prese in mano le redini della situazione, Summer si
rivolse immediatamente a Wendy e, presala sottobraccio, le chiese: «Che ne dice
di mostrarmi la sala conferenze? Mi fido dell'occhio di Spring, ma fino a un
certo punto.”
Scoppiando a ridere, la matrona fu ben lieta di
allontanarsi con l'alta giunone greca al suo fianco e Spring, nel fissare bieca
la schiena della gemella, meditò propositi di vendetta davvero tremendi.
Quando le vide scomparire oltre la porta a vetri,
grugnì perfida.
«Questa me la paga.»
Max ridacchiò divertito e, nell'osservare la gran
quantità di vasi all'interno del furgone, commentò: «Ne avremo per un po'.»
«Impregni altrove?» si lasciò sfuggire Spring prima di
esalare: «Scusa, non sono affari miei.»
Lui scosse il capo, sorridendole, prima di ammettere
vagamente in imbarazzo: «No, per la verità... beh, insomma... dovevo passare in
alcuni negozi per scegliere... insomma, sì, le bomboniere, quelle cose lì...»
Spring sgranò un attimo gli occhi di fronte
all'evidente imbarazzo dell'uomo e, nell'aprirsi in un sorriso divertito quanto
dolce, replicò: «E pensavi di non dirmi nulla, vero?»
Grattandosi dietro la nuca, flettendo così
inevitabilmente il bicipite, che guizzò sotto la pelle abbronzata e liscia, Max
ammise torvo: «Ho fatto troppo affidamento sul tuo aiuto, non tenendo conto che
è mio fratello che si sposa.»
Scrollando le spalle, e cercando al tempo stesso di
non pensare a quanto sexy fosse Max in quella tenuta così poco usuale, per lui,
Spring si limitò a dire: «Ti aiuterò in ogni caso, anche per il solo piacere di
farlo. Io e tua madre siamo giunte a un accordo, su questo.»
Max a quel punto impallidì così tanto da far risaltare
ancor di più i suoi occhi chiari e Spring, vagamente turbata, si chiese se
sarebbe svenuto.
Era talmente grosso e robusto che, da sola, non
sarebbe riuscita a tenerlo in piedi, e di certo non avrebbe sventrato l'asfalto
con le radici delle piante vicine per sorreggerlo.
Quello sarebbe stato davvero assurdo.
Afferrate le braccia di Max per trattenerlo in qualche
modo, esalò turbata: «Che ti succede, Max?»
«Tu... hai parlato... con mia madre?» balbettò Max,
non sapendo se essere infuriato o lusingato dalla cosa.
Accigliandosi immediatamente, Spring lo mollò di botto
facendolo barcollare e, poggiate le mani sui fianchi, sibilò contrariata:
«Chiariamo un punto. E' stata tua madre a venire da me. Non il
contrario. Le ho solo fatto notare che, se anche ti aiutavo, non voleva dire
che tu non tenessi al matrimonio di Chris.»
Aggrottando parimenti la fronte, lui ringhiò: «Cioè,
fammi capire... vuoi fare la buona samaritana perché pensi che, da solo, non
sarei in grado di combinare niente.»
Nel levare un sopracciglio con evidente ironia, la
donna si limitò a dire: «Non la vedrei in questi termini ma, onestamente, hai
ben poco gusto per certe cose.»
«Grazie tante, mia cara wedding planner... e così,
secondo te, senza il tuo prezioso aiuto, affogherei nel mare dei preparativi!»
sbottò Max, fissandola bieco.
«Non so neppure perché ne stiamo discutendo. Ho
accettato di aiutarti, non mi hai obbligato» ringhiò a quel punto Spring, non
sapendo esattamente perché fossero così arrabbiati.
«Però, ti sei sentita in dovere di dire a mia
madre che avresti continuato ad aiutarmi, anche se mia madre era venuta da te
per dirti di smettere!»
«Maledizione, Max, soltanto perché penso che in due le
cose potrebbero venire meglio! E poi, ammettiamolo, non ti è fregato
minimamente di quel che ho fatto, fino a qui. Neanche hai guardato il disegno
della torta dello sposo!» sbuffò Spring, assottigliando le iridi cerulee per
fissarlo torva.
Colpito sul vivo, Max si tirò un attimo indietro quasi
soffiando come un gatto e, inviperito, le rispose pan per focaccia.
«Forse perché c'eri tu che intrattenevi il pasticcere
con i tuoi grandi occhioni azzurri e il tuo sorriso stendi-uomini?»
Sgranando gli occhi per la sorpresa e, sì, la
delusione, lei lo spinse via con una mano e si avvicinò al carico del furgone
ringhiando come una tigre in gabbia.
«Continui a pensare che il mio essere gentile voglia dire
solo una cosa, ma ti sbagli di grosso! Io non sono come tu pensi che io sia!
Né mi porto a letto maree di uomini solo perché sorrido. Quando lo avrai
capito, torna a parlarmi ma, nel frattempo, non cercare nemmeno di intrecciare
il mio sguardo perché...» e nel dirlo, si volse minacciosa verso di lui. «...
giuro su quanto ho di più caro che te ne farò pentire amaramente!»
Un lieve tremore sotterraneo fece eco a quelle parole
e Max, guardandosi intorno turbato, osservò sgomento i rami degli abeti
dondolare leggermente.
Spring, del tutto indifferente al breve terremoto, si
avviò in direzione della porta d'ingresso con i vasi in mano e un diavolo per
capello.
Un attimo prima dell'arrivo della donna, il battente
si aprì per mostrare Wendy e Summer vagamente pallide, quanto chiaramente
sorprese da quella leggera scossa tellurica.
Ma, se Wendy si limitò a constatare che tutti stavano
bene e che non si erano prodotti danni di alcun genere, Summer fissò dubbiosa
la sorella.
Lo sguardo fisso e rabbioso puntato ben oltre la sua
figura, Spring si diresse verso le scale per salire ai piani superiori, dove si
trovava la sala conferenze, disinteressata al mondo intero, in quel momento.
Senza dire nulla, raggiunse il furgone per la prima
bracciata di fiori e, nel notare lo sguardo per metà accigliato e per metà
sgomento di Max, Summer comprese che qualcosa doveva essere andato storto, molto
storto.
Per tutta la loro permanenza presso la Parker Inc.,
Spring fu efficiente e pratica, veloce nell'esposizione dei fiori e nella messa
in posa delle nuove fioriere all'ingresso e, in tutto quel tempo, non disse mai
neppure mezza parola a Max.
Si limitò unicamente a prendere dalle sue mani i fiori,
piuttosto che i vasi, necessari per il completamento del lavoro.
Quando infine tutto fu esposto come richiesto, e il
risultato più che eccellente si aprì dinanzi a loro come le pagine patinate di
una rivista di moda, Summer non vide alcuna soddisfazione sul volto della
gemella.
Serpeggiava insoddisfazione in quegli occhi chiari e
limpidi, l'ombra di un rimorso appena nato, il segno di una ferita ancora
fresca.
Qualsiasi cosa si fossero detti in quei brevi minuti,
entrambi ci erano andati giù pesanti, e Summ se ne chiese il motivo.
La sua idea di lasciarli soli era nata solo
dall'intenzione di permettere ad entrambi di parlare liberamente, senza
l'assillo della loro presenza ma, evidentemente, si erano parlati troppo,
almeno a giudicare dalle rispettive espressioni.
Anche Wendy dovette rendersi conto della tensione
esistente tra i due perché, al momento del pagamento, invitò Spring nel suo
ufficio senza chiamare il figlio, che rimase prudentemente fuori assieme
a Summer.
«Come immaginavo, il tuo occhio è perfetto, Spring...»
esordì cauta Wendy, incidendo con la penna stilografica l'assegno per la consulenza
e i materiali di Four Season. «... ma di questo non dubitavo affatto.»
«Sei troppo gentile, Wendy» mormorò Spring, in piedi
di fronte alla scrivania di vetro fumé.
Se non fosse stata così infuriata, si sarebbe
compiaciuta dell'arredamento moderno ma estremamente elegante, dei bei fiori
recisi nei vasi cinesi e delle fotografie paesaggistiche applicate alle pareti.
In quel momento, però, desiderava solo andare a casa,
farsi un bagno e aprire una bottiglia di Cabernet.
Non aveva ancora ben capito come, o perché, lei e Max
avessero discusso fin quasi a venire alle mani, ma tant'era.
Lui la considerava a tutti gli effetti una ragazza
leggera, pronta a sfruttare la propria bellezza per istupidire gli uomini, e
questo la mandava in bestia.
Certo, forse lei avrebbe dovuto evitare di dirgli quanto
fosse certa che, senza il suo aiuto, avrebbe commesso degli errori, ma
lanciarle simili strali era stata davvero una bassezza, da parte di Max.
Nell'afferrare l'assegno dalle mani di Wendy, Spring
mormorò: «Se avessi bisogno di aiuto, non hai che da dirlo. Accanto al porta
vasi in metallo ti ho lasciato le istruzioni per il buon mantenimento delle
piante, così non dovresti avere problemi, ma sono sempre pronta per ulteriori
consigli.»
«Ti ringrazio» asserì la donna, oltrepassando la
scrivania prima di fissarla turbata e chiederle: «C'è niente che, invece,
posso fare io per te?»
«Direi di no. Siamo a posto così» scrollò la testa la
giovane, dirigendosi verso il battente in laminato scuro per uscire
dall'ufficio.
«Non è cattivo» si limitò a dire Wendy, quando la
giovane afferrò la maniglia della porta.
Rimase ferma in quella posizione per alcuni attimi
prima di ripiegare la maniglia ottonata e sospingere la porta, le parole che
voleva dire ben sedimentate in gola.
Mrs Parker sospirò nel vederla andare via e, mentre
Spring prendeva la via delle scale assieme a una muta Summer, la donna scrutò
oltre la porta e vide suo figlio osservare meditabondo le due giovani.
C'era rimorso sul suo viso, ma anche fierezza. E
testardaggine.
Ma di quello non si doveva stupire, era un tratto di
famiglia.
Restava da capire se, in quel frangente, fosse un
pregio o un difetto ma, a giudicare da come Spring si era comportata durante la
mattinata, pensò che avrebbe optato per la seconda opzione.
ЖЖЖ
«Uhm, serata Donne-Che-Odiano-Gli-Uomini?» esordì
Winter, dopo aver bussato e aver infilato la testa all'interno
dell'appartamento della sorella.
Semi sdraiata sul divano, un calice di Cabernet in
mano e una sfilza di porcherie più o meno grandi distese sul tavolino del
salotto, Spring sollevò il bicchiere per invitare Win ad entrare.
L'uomo, dopo un attimo, si lasciò alle spalle la porta
per raggiungerla.
Accomodatosi che fu su una poltrona, il gemello
afferrò un paio di salatini per infilarseli in bocca e, dopo averli
sgranocchiati, li ingollò e disse: «Buoni. Il che vuol dire che l'arrabbiatura
è brutta.»
Spring si accigliò leggermente, commentando aspra:
«Cos'hai? Una lista di cibi, più o meno spazzatura, collegati al mio stato
d'animo? Più Fonzies uguale media incazzatura, oppure un pacchetto di
pesche dolci uguale incazzatura totale?»
«Qualcosa del genere» ammise Winter, imperturbabile.
«E deduco che, visto che hai usato la parola 'incazzatura' per ben due
volte in una frase, che tu sia decisamente incazzata.»
Spring si passò una mano sul viso e borbottò: «Non ho
parole. Mi hai fatto pure l'esame in base a quel che dico.»
«Devo spaccargli la faccia, ridurlo a brandelli o
farlo diventare un nano da giardino?» le chiese allora il gemello, sogghignando.
La sorella a quel punto sorrise divertita e, nel
poggiare il bicchiere sul tavolino, scosse il capo.
«Niente di tutto questo. Diciamo che devo imparare a
non prendermela se alcuni uomini vedono solo la facciata, in me.»
Winter si accigliò immediatamente, a quelle parole e,
persa del tutto la voglia di fare dell'ironia, ringhiò: «Ora non scherzo. Se
devo spaccargli la faccia, devi solo dirlo.»
Chiusi gli occhi, Spring si lasciò scivolare lungo il
divano fino a stendersi e, nel coprirsi il viso con un braccio, mormorò:
«Quanto è stato difficile prendere sulle spalle il peso di tutta la famiglia,
Win?»
Vagamente sorpreso dalla domanda, l’uomo replicò
cauto: «E' stata la zia a farlo, non io.»
Ridacchiando, Spry replicò ironica: «Oh, andiamo, non
fare finta di niente, con me. Eri tu che ci tenevi in riga, quando Brigidh era
fuori a lavorare, che controllavi che tutti noi andassimo a scuola con quello
di cui avevamo bisogno e, quando hai saputo dei nonni, non hai ceduto e ti sei
adeguato ai loro ordini pur di far fronte ai tuoi impegni nei confronti della
famiglia.»
Una mano leggera scivolò sui capelli lisci e caldi di
Spring, carezzandoli con gentilezza.
La donna, levando il braccio per poter scrutare il
gemello, sorrise quando lui disse: «Avrei fatto di tutto, per voi, e non è mai
stato un peso. Mai.»
«Hai perso Kim per anni interi» gli fece notare lei.
«Io ed Erin siamo sempre stati ottimi amici e,
insieme, abbiamo avuto Malcolm. Inoltre, ora ho Kimmy. Non si può dire che io
sia stato un uomo sfortunato» replicò gentilmente lui. «Certo, avrei voluto che
mamma e papà potessero conoscere il loro nipote, ma non si può avere tutto,
dalla vita.»
«Sei sempre stato il più forte, tra tutti noi. Io
volevo essere come te, ma non ci sono mai riuscita» sospirò Spring, scuotendo
mesta il capo.
Winter ridacchiò e si limitò a dire: «Si è quel che si
è, Spry, non si deve cercare di rassomigliare a qualcun altro.»
«Ma io sono debole. Guarda! Me la prendo solo perché
un uomo mi ha detto mezza parola di traverso!» sbottò la sorella, lanciando
un'occhiata inferocita al tavolino pieno di schifezze.
Pur accigliandosi a quelle parole, Win cercò di
mantenere la calma e, senza alcuna inflessione nella voce, ribatté: «Se non
erro, io sono stato definito come l'essere più testardo del Creato. Erin prima,
e Kimmy dopo, non fanno che ripetermelo. E hanno ragione. Sono cocciuto, perché
vi amo così tanto che vorrei prendere sempre su di me qualsiasi vostro cruccio,
ma so che è sbagliato. Mi sono ritenuto colpevole della morte di Erin per anni
e, per anni, mi sono impedito di vivere, finché non è giunta Kimmy, che mi ha
aperto gli occhi sulla verità. Non dovevo far altro che afferrarla.»
«Con le altre donne, non hai mai sentito il bisogno di
cambiare» gli fece notare Spring, abbozzando un sorriso.
«Verissimo... con Patricia fu più il desiderio di dare
una mamma a Mal. Ma sì, non ho mai sentito il bisogno di cambiare le cose, fin
quando non ho rivisto Kimmy. Era difficile, con lei, mantenere le distanze. Ma
avevo maggiormente paura di ferire Mal, così tacqui. Quando, però, notai
l'affinità tra loro due, potei sciogliermi, permettermi nuovamente di
respirare... e fu bello. E' bello.»
Tacque un instante, prima di domandarle: «Max è
questo, per te?»
Spring rise senza alcuna allegria e, sfidandolo con lo
sguardo, replicò: «Come sai che è Max? Potrebbe essere qualcuno che neanche
conosci.»
Sinceramente scettico, Win si limitò a dire: «Tu e
Summer siete andate da lui, stamattina, e quando sei tornata eri di umore
pessimo. E Summy non è neppure passata di qui. Ergo, è successo
qualcosa, la nostra focosa sorella si sente in colpa e tu sei furiosa.»
«Sei un climatologo, o Sherlock Holmes?» brontolò
Spring, afferrando una patatina per sgranocchiarla.
«Entrambe le cose» scrollò le spalle Win. «Ebbene?»
Con uno sbuffo infastidito, la gemella ammise: «Gli ho
detto della visita di sua madre e del fatto che, senza di me, probabilmente lui
non si sarebbe raccapezzato nel guazzabuglio di cose da fare prima del
matrimonio. Lui, allora, mi ha detto che se solo non mi fossi impegnata tanto a
sorridere ai commessi, o al pasticcere, lui avrebbe notato le cose che, invece,
io gli ho rinfacciato di non aver minimamente controllato.»
Passandosi le mani sul viso, chiaramente disturbato,
Winter le domandò con calma a stento trattenuta: «Ti ha dato della... cioè...»
«Ragazza leggera, sì. Per non dire cose più pesanti»
assentì Spring con un mugugno. «Ed io gli ho dato dell'incompetente, in
pratica.»
Il fratello si lasciò andare contro lo schienale della
poltrona, sinceramente indispettito dalle parole usate da Max ma, in qualche
modo, sorpreso che anche la sorella si fosse lasciata sfuggire una leggerezza
simile.
Non era da lei, questo era sicuro e, di certo, Spring
non era il tipo da mettersi a discutere animatamente con qualcuno.
Summer sì, ma Spring? No, lei no di certo.
Ergo, Max era importante, in qualche modo, e lui
avrebbe dovuto portare pazienza e non infuriarsi come, invece, aveva intenzione
di fare.
Trattenendosi perciò dal fare qualsiasi commento
allusivo quanto poco lusinghiero sugli uomini in generale, Winter si limitò a
mormorare: «Devo pensare che Max ha scardinato il tuo consueto equilibrio e ti
ha fatta... straparlare?»
«A quanto pare... lui non ha ritenuto giusto che
Wendy, sua madre, fosse intervenuta tra me e lui. Così ha dato a me della buona
samaritana – con tono spregiativo – e non oso immaginare quel che avrà detto a
sua madre» brontolò Spring, ingollando un salatino.
Win si lasciò sfuggire una risatina e, subito, la
sorella lo fulminò con lo sguardo.
«Non ci trovo nulla di divertente, sai?»
«Io sì.»
Le diede un pizzicotto sul naso e disse: «Tu e sua
madre vi siete parlate a sua insaputa, e per una cosa che riguardava
lui. Non vi è balenato per la testa che, forse, a un uomo di trent'anni
e passa...»
«Trentacinque. Siamo coetanei, lui li ha compiuti a
gennaio» gli spiegò succintamente Spring.
«Bene, ora che sappiamo anche l'età, la cosa è ancor
più evidente. Ti pare che mi sarebbe piaciuto se Kimmy e la mamma si fossero
messe a confabulare alle mie spalle?» ipotizzò lui, fissandola con ironia. «Mi
sarei infuriato, perché avrebbero sminuito la mia persona e la mia capacità di
organizzazione. Mi avrebbero trattato come un bambino piccolo. E, in più, mi
sarei sentito in trappola.»
«In trappola?» esalò Spry, sinceramente confusa.
«Da quel poco che ho capito di Max, non mi sembra che
sia un donnaiolo, e che ami molto la sua libertà. E, di punto in bianco, sua
madre va a parlare con una donna che lui ha appena conosciuto e che, per quel
che ne capisco io, gli interessa. Si è sentito braccato da entrambe voi» le
spiegò succintamente Winter, sorridendole comprensivo.
«Ma io non avevo nessuna intenzione di...» iniziò col
dire Spring, prima di rammentare ciò che Summer le aveva detto solo quella
mattina. «Oh... però, poteva sembrarlo.»
«Già. E, per essersela presa tanto, ne deduco che sua
madre si sia impicciata anche in passato del lato amoroso della vita del
figlio» annuì il fratello, sorridente quanto comprensivo.
A quel punto Spring ridacchiò e, nell'annuire, ammise:
«Sì, Max mi ha detto che è un suo vizio quello di pubblicizzare i figli alle
donne nubili.»
«Ecco spiegata parte delle frittata. Ora veniamo a te.
Perché gli hai detto che è un incapace?»
Vagamente piccata, lei mugugnò: «Non gli ho detto
questo! Beh, non completamente.»
Winter attese in silenzio che la sorella rimuginasse
sulle sue stesse parole e, non appena la vide reclinare il capo con aria
sconfitta, si limitò a dire: «Tendenzialmente, è meglio evitare di esprimersi
in maniera così diretta.»
«Volevo solo dare una mano» sbuffò contrariata la
donna, passandosi nervosamente le mani sugli occhi lucidi. «Non ne combino mai
una giusta. Sarò una frana a vita.»
«Ora non esagerare, mo chroì. E' evidente che
Max ti piace, e questo ti fa perdere un po' il controllo su ciò che dici, o
come lo dici. Non è necessariamente un male.»
Poi, sempre con tono tranquillo, aggiunse: «Va anche
detto che lui non avrebbe dovuto accusarti di essere una ragazza leggera,
perché non lo sei affatto. Sei solo buona.»
«E sciocca» mugugnò lei, intrecciando le braccia sotto
i seni. «E' tutta colpa di Kimmy, sai?»
Sobbalzando per la sorpresa, Winter sgranò gli occhi
ed esalò: «E lei che c'entra, adesso?»
Volgendosi su un fianco, Spring lo fissò dispiaciuta e
ammise: «In realtà nulla, ma ho sempre desiderato essere gioviale e aperta come
lei.»
«Ancora una volta sbagli. Devi essere te stessa, non
qualcun altro. Anche perché, sei così bella quando sei te stessa, Spry...»
mormorò Winter, chinandosi per darle un bacio sulla fronte. «Non hai bisogno di
imitare gli altri. Sei un fiore speciale già di tuo, non hai bisogno di
migliorie.»
A Spring scivolò una lacrima lungo la guancia e, con
un singhiozzo, attirò a sé Winter per piangere contro la sua spalla.
«Avrei tanto voluto parlarne con la mamma, sapere se
Max avrebbe potuto essere un bravo ragazzo, per me... con nessuno dei miei
ragazzi ho potuto farlo...»
«Lo so, oisin1, lo so... è ingiusto,
ma non ci possiamo fare niente. Però, sai che io, la zia, Summ, Kimmy... e
anche Autumn, credo... noi saremo sempre qui per te. Non ti abbandoneremo mai.»
La strinse a sé con forza, sapendo bene quale vuoto
interiore la stesse divorando perché, per anni, lo stesso demone l'aveva
scarnificato lentamente, senza tregua, lasciando solo ceneri al suo passaggio.
Spry annuì contro la sua spalla e, con un pianto
silenzioso quanto liberatorio, lasciò che la calma tornasse a impadronirsi di
lei.
Lentamente, i tremori si calmarono, le lacrime si
asciugarono sul suo viso e nei suoi occhi e, con rinnovata serenità, riuscì a
scostarsi quel tanto dal gemello per mormorargli grata: «Non saprei cosa fare,
se non ci foste voi.»
«Non dovrai mai sperimentare un evento simile... in
qualche modo, ci avrai sempre tra i piedi» le promise lui, baciandola su
entrambe le guance salate prima di rimettersi in piedi e dirle: «Io farei una
doccia, che ne dici?»
«Ottimo suggerimento. Penso che lo seguirò» assentì
lei, mettendosi a sedere sul divano. «Win?»
«Sì...»
«Non ti sognare di spaccare la faccia a Max. Devo
risolverla io... da sola.»
Lo disse con ironia, ma Winter percepì dell'acciaio
nella sua voce e, nell'annuire lentamente, asserì con un cenno del capo: «Sarà
come tu vuoi.»
«Grazie» sussurrò Spring. «Per tutto.»
_______________________________
1 oisin: (gaelico) piccolo cerbiatto.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
5
5
Per quel che lo riguardava, non pensava di aver mai
litigato così furiosamente con la madre, almeno a sua memoria personale.
Suo padre, per evitare qualsiasi problema, si era
tenuto alla larga dal dissidio, almeno dinanzi ai figli.
Così non aveva fatto Chris, però, che si era piazzato
accanto al fratello e aveva perorato la sua causa con qualcosa di molto simile
alla ferocia.
Alla fine, Wendy aveva mandato al diavolo entrambi i
figli e, con una sorta di lesa maestà,
li aveva entrambi cacciati di casa.
Anche in quell'occasione, Nathaniel Parker si era ben
guardato dall'intervenire, limitandosi a scuotere il capo e guardare per aria,
esasperato da moglie e figli.
Beh, nulla di strano.
Ben difficilmente, Nathaniel si sarebbe messo contro
la moglie, di fronte ai pargoli: primo, sarebbe stato come andare contro un TIR
lanciato a tutta velocità, secondo, lo avrebbe cacciato dal suo letto.
Due ottimi motivi per lasciare le cose come stavano,
in attesa che lei sbollisse la rabbia, e i figli fossero ben lontani da lì.
Sulla porta di casa, però, si sentì in dovere di dire
a Max: «Per un po' eviterei scenate del genere. Lasciatela sobbollire per un
po'.»
«Non doveva impicciarsi, e lo fa sempre» replicò
piccato Chris, accigliandosi.
Max diede una pacca sulla spalla al fratello per
calmarlo e, annuendo al padre, asserì: «Mi limiterò a lavorare in ufficio senza
avere a che fare con lei. Ma, stavolta, ha esagerato.»
Nathaniel non disse nulla.
Conosceva la moglie e conosceva i figli e sapeva che,
in casi del genere, era meglio lasciare che le acque si chetassero da sole.
Si limitò perciò ad augurare la buonanotte a entrambi
prima di avviarsi verso la camera da letto dove, imbronciata e con un diavolo
per capello, Wendy si stava pettinando alla toeletta.
Non sembrava avere molta voglia di parlare.
Nathaniel disse ugualmente: «Farti gli affari tuoi,
mai, eh?»
La spazzola venne sbattuta sul ripiano di marmo, che
ricopriva la toeletta in stile rococò, e due occhi infuocati lo incendiarono
attraverso lo specchio.
La voce adorata della moglie – ora di ghiaccio – sgusciò
dalla sua bocca per sibilargli contro: «Sono i miei figli! Saranno
sempre affari miei!»
Oh, cavoli. Era una di quelle volte.
Passatosi una mano tra i capelli sale e pepe,
Nathaniel si avvicinò alla moglie con passo cauto e, dopo averle posato le mani
sulle spalle, replicò gentilmente: «Devi mollare un po' la corda, o ci si
strozzeranno, prima o poi.»
«Volevo solo che Max capisse che non deve delegare proprio
il lavoro sul matrimonio di Chris... è una cosa di famiglia e...» brontolò
burbera Wendy, reclinando in basso il viso con espressione affranta.
«E hai pensato bene di andare dalla sua amica,
parlando per lui, senza prima averlo avvisato. Ammettiamolo, mi sarei
infuriato anch'io.»
Nel dirlo, le baciò il capo per mitigare il
rimprovero.
«L'ho fatta grossa?» mugugnò pentita la moglie.
«Abbastanza. Tutto sta a vedere quanto Max tenga o
meno alla ragazza, e viceversa ma, se fossi in te, mi terrei alla larga da lui
per un po'. Non è dell'umore più adatto per ricevere delle scuse, o anche solo
per sentire la tua voce» la mise in guardia il marito, sorridendole attraverso
lo specchio.
«Nat...»
«Sì, cara?»
«Max non si è mai infuriato tanto, prima d'ora.»
«Forse perché la ragazza gli piace... e non
vuole intromissioni da parte della sua mammina. Non pensi che si sia sentito un
po' svilito, come uomo?»
Nel dirlo, le sorrise malizioso, facendola arrossire.
Coprendosi il viso con le mani, Wendy esalò: «Oddio...
ora mi odierà a morte. Forse, se andassi da Spring e...»
«No! Tu non farai assolutamente niente, non
parlerai con Miss Hamilton, non ti impiccerai delle faccende amorose di nostro
figlio maggiore, e ti limiterai a fare il tuo lavoro in azienda» esclamò con
una certa veemenza Nat, facendosi serio in viso. «Ann Marie ha già portato una
pazienza infinita, con te e, nonostante lei ti conosca, vuole ugualmente
sposare il nostro Chris. Non puoi sapere se Miss Hamilton avrà altrettanta
pazienza. Visto che Max sembra interessato a lei, lascia che sia lui a
gestire la cosa. Non fare la guastafeste.»
«Non faccio la...» brontolò Wendy, accigliandosi,
subito zittita dal marito.
«Sì, la fai. Eccome se la fai» replicò Nat. «Ma
stavolta ti metterò i bastoni tra le ruote, a costo di legarti al letto.»
«Non oseresti mai!» esalò sconvolta Wendy,
facendo tanto d'occhi.
«Non mettermi alla prova, donna» ridacchiò Nat,
sorprendendola e sorprendendo un po' se stesso nel sollevarla dallo sgabello,
dov'era accomodata, per portarla sul loro letto.
Levando un sopracciglio con aria interrogativa, Wendy
gli domandò sottovoce: «Cosa avresti intenzione di fare, scusa?»
«Lo vedrai.»
ЖЖЖ
Passeggiando tranquillamente lungo il marciapiede
illuminato dai lampioni, Chris impiegò diversi minuti prima di aprire bocca.
Gli era spiaciuto non poco scoprire che la madre si
era messa in mezzo tra il fratello e una ragazza che, a quanto pareva, a Max
interessava parecchio.
Non aveva esattamente compreso cosa fosse accaduto ma,
di sicuro, la mamma ne aveva combinata una delle sue.
E in quel momento, suo fratello gli camminava silenzioso
al fianco, le mani infilate nelle tasche del giubbotto di pelle chiara, mentre
i suoi mocassini sfioravano l'asfalto irregolare.
Contrariamente a lui che, per la maggiore, girava con
jeans e felpe di tutti i generi e colori, Max si era sempre abbigliato in
maniera molto sobria e composta, da quando aveva preso in mano con forza le
redini dell'azienda.
Erano ormai lontani gli anni in cui, giovani entrambi
ed entrambi entusiasti del lavoro di papà, si immergevano fino alle ginocchia
in mezzo al cemento per costruire fondamenta su fondamenta di case sempre nuove.
Lo ricordava ancora quando, appena diciottenne, si era
inerpicato su una scala assieme a lavoratori ben più esperti, e aveva
partecipato in prima persona alla sistemazione della coibentazione di un tetto.
Jeans sdruciti e maglietta erano stati i loro capi di
abbigliamento preferiti per anni ma, quando Max si era preso l'impegno di
portare l'azienda nel nuovo millennio con stile, tutto era cambiato.
Il suo ridente fratello aveva messo al chiodo i panni
dell'operaio tuttofare, per prendere quelli dell'imprenditore di successo.
Aveva mascherato il suo sorriso aperto dietro un
aplomb che non gli era proprio e, grazie al suo straordinario senso degli
affari, aveva fatto prosperare la ditta.
Ma a che prezzo?, si era chiesto più volte Chris.
Naturalmente, sperava che Max trovasse la sua vita
assolutamente soddisfacente ma, a volte, gli mancava il fratello che faceva a
cazzotti con lui, o che si dilettava a braccio di ferro dopo una partita a
carte e una birra.
Sembrava passato un secolo dall’ultima volta che
avevano giocato a poker assieme.
E ora lui stava per sposarsi, mentre Max aveva sì e no
avuto una qualche relazione stabile. Troppo lavoro e poco materiale
interessante, diceva lui.
Eppure, di quella Spring di cui si era parlato a cena,
sembrava gli interessasse. E molto.
Anche per quello si era infuriato a morte con la
madre.
Per una volta che Max sembrava veramente interessato a
qualcosa che non fosse il lavoro, lei rovinava tutto!
La amava ma, a volte, gli faceva nascere certi pruriti
alle mani!
«Ehi, fratellone, tutto okay? Sei muto come una tomba»
cercò di ironizzare Chris, dandogli una pacca su un braccio.
Max ammiccò al suo indirizzo, annuendo, e mormorò:
«Stavo pensando al nuovo parco ricreativo che dobbiamo fare nel complesso
residenziale di Providence. Sto cercando di immaginarmi le potenziali
migliorie, ma a parte qualche altalena in più o qualche cavalluccio, mi viene
in mente poco altro e, visto quanto è chic quel posto, non penso possa
bastare.»
Scuotendo il capo per l'esasperazione, Chris lo prese
sottobraccio e, trascinatolo dall'altra parte della strada dopo essersi
sincerato che non ci fosse nessuno, ringhiò: «Non voglio sentirti parlare di
lavoro per le prossime tre ore.»
«E come avresti intenzione di distrarmi, scusa?»
ironizzò Max, seguendolo senza fare storie.
«Birra, donne e musica» sentenziò Chris. «Un connubio
perfetto.»
«Devo ricordarti che tra poco meno di tre mesi ti devi
sposare?» gli ricordò bonariamente Max, ridacchiando.
A quell'accenno Chris smise di trascinarlo e, quando
raggiunsero la fermata della metropolitana, si infilò le mani in tasca e
borbottò imbarazzato: «Forse non avrei dovuto chiederti di organizzarlo. Ti ho
creato un sacco di grane.»
Nell'avvertire lo sferragliare della metropolitana in
arrivo, Max si limitò a mormorare: «Ho sbagliato io ad arrabbiarmi. Sei mio
fratello. Sono onorato di poterti aiutare, anche se non assicuro nulla, in
quanto a risultati.»
«Sono certo che sarà tutto perfetto. E, in ogni caso,
mi andrà bene comunque perché l'avrai fatto tu» replicò con un sorriso Chris.
Max, sinceramente sorpreso quando onorato, abbozzò una
risatina sommessa e commentò: «Come tu possa fidarti del mio gusto, in questo
caso, rimane un mistero.»
«Sai tirare fuori il meglio di te, quando vuoi»
scrollò le spalle Chris, scostandosi appena dalla riga gialla quando vide
sopraggiungere la metro.
«Qualche idea sul luogo di perdizione?» ammiccò Max.
«Fidati di me» ridacchiò Chris.
ЖЖЖ
Oookay, suo fratello aveva davvero deciso di farlo
desistere dal pensare al lavoro e, dopotutto, come riuscirvi con quella musica
jazz sparata a palla?
Il Madam's Organ1 era un club soul and jazz
davvero sopra le righe.
Già l'ingresso lasciava intendere quanta leggerezza vi
fosse all'interno.
La rossa gigantesca dipinta all'esterno e i suoi seni
prominenti facevano ben sperare qualsiasi maschio adulto si inoltrasse nel
locale e, una volta immersi in quel cacofonico universo parallelo, non si
restava delusi.
La musica, sparata a tutto volume, e la variopinta
quanto universale mandria di giovani che componevano i clienti del locale, fecero
sorridere Max che, dirigendosi a fatica al bancone del bar assieme al fratello,
esclamò a gran voce: «Certo che qui è quasi impossibile persino parlare!
Figurarsi pensare!»
«E' quello che ti ci vuole!» replicò allegro Chris,
facendo un cenno al barista di chiare origini sudamericane di preparargli due
Martini.
Max si guardò intorno con curiosità genuina cercando,
al tempo stesso, di non venire travolto da ragazzi già sbronzi o donne troppo
voluttuose.
Ridacchiando, ammirò le performance di alcune coppie impegnate
a ballare nel mezzo del locale.
Quando però riconobbe una delle donne, quasi si
strozzò col cocktail appena passatogli da Chris.
Là in mezzo alla folla, splendida nel suo completo di
latex nero e rosso, e in equilibrio perfetto su dei micidiali tacco 12 a
spillo, se ne stava Summer Hamilton.
Le chiome ramate danzavano al ritmo con il suo corpo
fatale mentre J.C., non molto distante da lei, la scrutava a metà tra
l'imbarazzato e il protettivo.
L’uomo sorseggiava pensoso una birra, mentre la
collega ballava al ritmo blando del brano soul – che la band della serata stava
suonando con maestria – dimenando fianchi e spalle come un serpente.
Le sue movenze erano sinuose come le morbide vampate
di un fuoco acceso in un camino.
Non c'era che dire. Summer Hamilton era una donna con
cui ci si sarebbe ustionati di sicuro, ma altrettanto sicuramente si sarebbe
toccato il cielo con un dito.
Eppure, anche se bellissima, sexy e maledettamente
seducente, la donna non riusciva a fargli dimenticare neppure per un secondo la
dolce, tranquilla gemella.
Spring era più delicata di lei in tutto.
Nei colori, nell'abbigliamento, nei toni.
E a lui piaceva un sacco il suo modo di fare,
nonostante con lei si fosse incavolato di brutto proprio per il suo carattere
così disponibile.
Era stato un autentico idiota a prendersela con lei e,
soprattutto, a parlarle a quel modo visto che il guaio, prima di tutto, l'aveva
combinato sua madre, non Spring.
Avrebbe dovuto rimediare, in qualche modo, ma ancora
non sapeva come.
«La rossa che sta ballando in pista è una sventola
micidiale, eh?» commentò al suo fianco Chris, sorseggiando sorridente il suo
Martini.
«La conosco. Se vuoi, vi presento» ridacchiò Max nel
vedere la mandibola di Chris crollare di botto per la sorpresa.
«Ah... tu conosci quella bomba sexy... e non le stai
incollato come una cozza allo scoglio? Fratello, sei pazzo?!» sbottò Chris,
incredulo.
Scoppiando a ridere, Max se lo trascinò dietro per
avvicinarsi ai ballerini improvvisati e, nell'accostarsi a J.C., esclamò: «Ehi,
amico! Ben trovato!»
Sobbalzando leggermente per la sorpresa, John si volse
a scrutare il volto familiare di Max prima di sorridere e replicare a gran
voce: «Ehi, Max! Ciao! Anche tu qui?!»
Indicandogli Chris, gli disse: «Mio fratello pensava
avessi bisogno di svagarmi, così mi ha portato qui. Tu fai da body-guard a
Summer?»
«Più o meno» ridacchiò John, tornando per un momento
ad osservare la collega e amica. «E così sei tu il fortunato che sta per
sposarsi? Io sono John, e la ballerina in latex è la mia collega Summer.»
«Piacere, sono Chris. Devo dedurre che Max vi abbia
parlato del mio caso» ridacchiò Chris, riuscendo in qualche modo a non fissare la
vulcanologa con occhio languido.
«Ci ha detto che sta collaborando con Spring, la
gemella di Summer, per programmare tutto al meglio» gli spiegò succintamente
J.C.
«Esistono... due... Summer?» biascicò incredulo Chris,
facendo tanto d'occhi.
John esplose a ridere e, scuotendo il capo, replicò:
«Sono completamente diverse, come il vino e l'acqua. Ma Spring non è meno
bella, a mio parere. Secondo te, Max?»
«E' di una bellezza diversa. Se Summer è tutta fuoco e
calore, Spring è... un fiore primaverile» disse pensieroso Max, sorprendendo
non poco il fratello, che lo fissò a occhi sgranati. «Ehi, andiamo! Un po' di
poesia esiste anche in me. Non sono solo calcoli e planimetrie!»
«Mai sentito mio fratello paragonare una donna a un
fiore primaverile... non so se esserne felice, o se dovermi preoccupare»
brontolò Chris prima di sorridere spontaneamente non appena vide arrivare con
passo fatale la bella Summer.
Dondolandosi armoniosamente sui tacchi altissimi e
affilati come lame, la donna raggiunse John prima di accorgersi della presenza
di Max.
Sinceramente sorpresa, si allungò per dargli un bacio
sulla guancia e dirgli: «Non pensavo venissi anche tu al Madam's. Non ti ho mai
visto prima.»
«Novità, per me. Mi ci ha portato mio fratello Chris»
le spiegò Max, tenendosi prudenzialmente lontano con lo sguardo dalla
scollatura pruriginosa di Summer.
Lei allora volse lo sguardo da gatta in direzione del
giovane accanto a Max, e nell'allungargli la mano, sorrise e disse: «Tanto
piacere, futuro sposo. Io sono Summer Hamilton.»
«Piacere mio. Ti offendi se ti dico che sei uno
schianto?»
La donna rise di gusto e, nell'avvolgergli le spalle
con un braccio, sorrise a Max e commentò: «Tuo fratello mi piace già. E
dimostra di avere buon gusto.»
«Cosa non faresti, per un complimento.»
John scosse il capo, divertito, mentre la donna gli
faceva la linguaccia.
«Sei tu che non me ne fai mai, perciò io devo sempre
adeguarmi e cercare altrove» replicò Summer, prima di piegarsi verso l'orecchio
di Chris con fare da cospiratore e aggiungere: «Non sai che lagna può essere,
lavorare con una persona seriosa come lui.»
Chris si limitò ad annuire, sorridendo un po'
stupidamente e Max, notando dove fossero i seni generosi della donna, ridacchiò.
«Summer, temo che al momento il grado intellettivo di
mio fratello sia sotto le scarpe. Se potessi...»
Reclinando il viso, lei si scostò con falso imbarazzo
e, ridacchiando, ammise: «Ops, non ci ho fatto caso. Perdonami, Chis, a volte
dimentico di averle.»
«Io non me lo dimenticherei mai!» ghignò Chris, non
sapendo bene se sentirsi sollevato o dispiaciuto dal suo allontanamento.
Sistemandosi al fianco di John, Summer si allacciò al
suo braccio con disinvoltura mentre l'uomo, senza dar segno di essere sensibile
alle forme voluttuose della collega, si limitò a sorriderle condiscendente.
«E dire che ci sei cresciuta, con quel seno.»
«Siete voi che date peso a certe cose. Sono due tette,
e ce le hanno tutte le donne. Ci siete rimasti appesi per mesi, da neonati,
quindi dovreste sapere come sono fatte» sbuffò Summer, esponendo la sua
opinione come se stesse parlando del tempo atmosferico.
Max si trovò a sogghignare divertito e, con
naturalezza, replicò: «Verissimo, ma ammetterai che alcune sono più belle di
altre.»
«Non posso che essere d'accordo. Le mie sono belle e
mi ci trovo benissimo, perciò trovo assurdo dovermi nascondere solo perché
Madre Natura me le ha regalate» sentenziò con disinvoltura la donna, scrollando
la massa ribelle di onde ramate con indolenza.
«Amen» dichiarò John, dandole leggermente di gomito.
«Sì, ho capito. Sto esagerando. Scusa, paparino»
ridacchiò lei, allungando una mano per farsi vedere dal barman.
Nel giro di pochi attimi, le venne servito un
bicchiere panciuto di birra.
«Approfittatrice. Te la godi, eh, visto che in questo
locale tu paghi la metà?» ridacchiò a quel punto John, scrutandola mentre
sorseggiava la bevanda ambrata.
«Ne vuoi?» gliela offrì allora lei.
John la accettò volentieri e Summer si fece molto
attenta mentre, con cautela, lo faceva bere dal suo bicchiere.
Era chiaro che non aveva intenzione di bagnarlo per
errore.
«E' ovvio che ne approfitto visto che le rosse, qui,
pagano la metà. Per una volta che non tentano di metterci sul rogo...» dichiarò
subito dopo la donna, riprendendosi il bicchiere.
«Sono diversi secoli che non si bruciano più le rosse
su cataste di legna» le fece notare John, divertito.
«E le streghe di Salem dove le metti? Sono venute molto tempo dopo l’Inquisizione» lo
rimbeccò lei, ammiccando.
«Dubito che qualcuno oserebbe farlo ora, Summer»
intervenne Max, interessato allo scambio di battute tra i due colleghi.
«Non si può mai sapere, con gli uomini di potere.»
Dopo quell'uscita, sorrise a John e aggiunse:
«Ovviamente, non sto parlando di te.»
«Lo spero!» scoppiò a ridere l'uomo, strappandole di
mano il bicchiere per finire la birra.
«Mi rimangio quel che ho detto. Sei un buzzurro»
brontolò Summer prima di afferrare la mano di Max. «Vieni a ballare con me.»
«Okay» ridacchiò lui, salutando divertito il fratello,
che scosse la testa con esasperazione.
Ritrovatisi in mezzo alla pista e pigiati come sardine
a causa della presenza massiccia di una marea di giovani danzanti, Max non poté
che afferrare i fianchi della donna con le mani e muoversi al ritmo con il suo
corpo voluttuoso.
Avvolta una mano attorno al suo collo, Summer fece
avvicinare Max per sussurrargli all'orecchio: «Scusa, per ieri. Non avrei mai
voluto che tu e Spry litigaste.»
«Non è colpa tua se mia madre è un'impicciona, ed io
sono un idiota» replicò lui, sorridendole.
«Non ho avuto il coraggio di rimanere con lei, ieri,
quando l'ho lasciata al negozio. Era furiosa... e triste.»
Nel dirlo, perse la sua solita baldanza e, nonostante
il suo abbigliamento aggressivo, a Max parve... vulnerabile.
Una vera contraddizione in termini, se si pensava a
Summer, eppure il suo sguardo di giada e smeraldo si fece innocente e triste e
molto, molto solo.
«Ehi, piccola, non preoccuparti. Prometto di scusarmi
con lei, anche se non so ancora bene come. Non devi prenderti colpe che non
hai.»
Le sorrise maggiormente, per dare più enfasi al suo
dire e Summer, più tranquilla, annuì.
«Solo tu e John mi chiamate 'piccola'... come
facciate, davvero non lo so» ridacchiò lei, ritrovando parte della sua energia
esplosiva.
«C'è molto di più, oltre a un corpo da favola e a due
occhi magnetici, credimi. E se gli altri non lo notano, allora sono degli
idioti patentati» le confidò Max con estrema serietà.
A quel punto, del tutto a sorpresa, il volto di Summer
si sgretolò davanti agli occhi sorpresi di Max e, innanzi a lui, prese forma
una donna molto diversa da quella che aveva avuto di fronte fino a qualche
secondo prima.
Assomigliava molto più a Spring, in quel momento.
Appariva tenera come un pasticcino, con occhi grandi e
persi e desiderosi di trovare un sostegno cui aggrapparsi, e un delicato
rossore d'imbarazzo le tingeva le gote dagli zigomi alti.
«Vi somigliate molto, nonostante tutto» le sussurrò
lui, accentuando la stretta sui fianchi, come per sorreggerla.
«Ora so che cosa ha visto Spring, in te» accennò un
sorriso Summer, ricostruendo poco per volta la maschera di baldanza che
mostrava al mondo.
Il cedimento temporaneo era finito.
«Anche tu porti una maschera, forse senza che tu te ne
accorga, ma lei ha visto oltre... e anche io, ora.»
«Sono in buona compagnia» dichiarò Max, sogghignando.
Summ scrollò le spalle con noncuranza, la sensualità
ora la avvolgeva completamente.
«Ti darò una dritta, ma se la fai soffrire ti
ammazzo.»
«Spara.»
«Pic-nic. Invitala per un pic-nic. La farai felice»
gli spiegò lei, facendo scivolare un braccio attorno alla sua vita per
schiacciarlo contro di sé.
«Mi stai provocando?» ridacchiò Max, muovendosi al
ritmo sinuoso del suo corpo morbido e caldo.
«Balli bene. Altro punto a tuo favore» nicchiò lei,
facendosi seria. «E non sei eccitato. Altro punto per te. Vuol dire che Spring
ti piace davvero. Anche se un po' mi da fastidio che tu non sia nemmeno un
po' preso da me.»
Max a quel punto scoppiò a ridere di gusto e,
annullando del tutto la distanza tra loro, la abbracciò strettamente dicendole
all'orecchio: «Sei una donna davvero dolcissima, anche se ti nascondi dietro
una maschera da fatalona.»
Dandogli un pizzicotto sul sedere, Summer rise nel
vederlo saltare all'improvviso e, afferratagli la mano per uscire dalla pista,
sentenziò: «Non sono dolce. Ho solo a cuore mia sorella.»
«A me non la dai più a bere» replicò Max, scuotendo il
capo e ridacchiando divertito.
«Pensala come vuoi» scrollò le spalle la donna,
raggiungendo infine John e Chris.
«Divertita?» le domandò J.C., il suo volto più
imperscrutabile di un buco nero.
«Molto. Ma ora sono stanca. Puoi riaccompagnarmi a
casa, paparino» ridacchiò lei, addossandosi all'uomo come se stesse per
crollare dal sonno.
John scosse il capo, esasperato e, avvolte le spalle
della collega con un braccio, salutò con la mano libera Max e Chris.
Con calma, poi, si diresse verso l'uscita assieme
all’amica, facendo particolare attenzione a che nessuno la urtasse tropo forte.
Rimasti soli in mezzo alla confusione, Chris si
rivolse a Max con un sorrisone e chiosò: «Mio fratello, dopotutto, ci sa fare.»
«Non farti delle strane idee. Summer è stupenda, ma
non è lei che voglio conquistare» replicò serafico Max.
«Ma... ballavate avvinghiati come polipi!» esalò
Chris, confuso.
«Tutta scena» commentò il fratello, lanciando un
ultimo sguardo ai due colleghi, ormai prossimi alla porta.
Cosa nascondeva Summer, a se stessa e agli altri?
_____________________________
1 Madam's
Organ: è un locale di Washngton, ed ha un originale murales all'esterno. Nel
locale, le donne rosse di capelli pagano la birra la metà, come descritto poi
nella storia.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
6
6
Mancava una settimana a Beltane, al loro
trentacinquesimo compleanno, e ancora non aveva buttato giù una lista di ciò
che le sarebbe servito per officiare il rito del Risveglio.
Ringraziare la Madre Terra per i suoi frutti generosi
era innanzitutto compito suo, come Guardiana della Terra, eppure non aveva
trovato un attimo di tempo per dedicarsi a quell'occupazione più che
importante.
Summer era partita per un brevissimo viaggio per la
penisola di Cascadia, nello Stato di Washington e, nella peggiore delle ipotesi,
sarebbe tornata da Seattle la sera prima dell'evento, perciò non poteva contare
sul suo aiuto.
Mettersi a studiare i movimenti tellurici di quella
faglia, con l’intento di fermarli, consentendo così alla gemella di rimanere a
darle una mano, sarebbe stato oltremodo meschino.
E molto, molto
rischioso.
Teoricamente avrebbe potuto farlo – percepiva
perfettamente il movimento di ogni zolla tettonica terrestre.
Ma, primo, le sarebbe servito l'aiuto stesso di
Summer, visto che si trattava anche di zone magmatiche, che erano di sua
competenza. Secondo, se avesse bloccato quella zolla, un'altra si sarebbe
mossa, e con maggior violenza.
No, meglio lasciar perdere e fare da sola.
Winter le aveva domandato cortesemente se lui o Kimmy
potessero darle una mano, ma lei aveva rifiutato altrettanto cortesemente,
intestardita com'era dall'idea di poter fare ogni cosa con le sue forze.
Mai assurdità era stata così grande.
Non solo doveva recarsi ogni giorno all'appartamento della
gemella per innaffiare le sue piante – perché si era offerta di farlo? – ma
doveva badare al negozio con il solo ausilio di Melanie.
Justine si era rotta un piede scivolando sulla
proverbiale buccia di banana.
Quando gliel'aveva detto, non aveva potuto fare a meno
di ridere, ma aveva smesso ben presto quando si era ricordata che, in quel
periodo, iniziavano le cerimonie legate alle comunioni e alle cresime.
Il che voleva dire fiori, fiori, e ancora fiori da
portare ad ogni chiesa del circondario, o nelle case dei suoi clienti più
facoltosi.
E, tra lei e Melanie, sarebbe stata una vera
sfacchinata.
Ma il vero, unico problema, era uno e uno solo.
Dal giorno in cui lei e Max avevano litigato così
furiosamente dinanzi alla Parker Inc., lei non l'aveva più sentito, ed erano
passate quasi due settimane.
Certo, era molto probabile che lui fosse subissato di
lavoro – quel suo maledetto cellulare suonava mille e più volte al giorno – e
che i preparativi per il matrimonio del fratello lo tenessero più che
impegnato, però...
Il campanellino d'argento appeso alla porta d'entrata
del negozio tintinnò allegro e lei, sollevando il viso dalla rivista che stava
sfogliando distrattamente, si aprì in un sorriso di circostanza.
«Buongiorno... cosa posso...»
Bloccandosi a metà della frase non appena inquadrò la
persona che aveva varcato la soglia, Spring si chiese se i suoi desideri
inespressi avessero materializzato dinanzi a lei lo spettro di Max.
A ben guardare, però, non le parve affatto
un'apparizione ultraterrena.
Era maledettamente reale.
Sbatté le palpebre diverse volte, vagamente confusa,
mentre lui avanzava con un cestino in una mano e un sorriso imbarazzato
stampato in faccia.
Indossava un completo gessato scuro, Prada nere e
lucide ai piedi e sul braccio libero teneva un soprabito leggero.
Nel complesso, era stupendo.
«Ciao» mormorò lui, ammiccando con gli occhi.
Solo in quel momento notò che i chiari capelli castano
dorati erano leggermente spettinati, come se si fosse portato più volte le mani
in testa per il nervosismo.
Quel particolare la portò a sorridere e, vagamente più
calma, replicò: «Ciao a te.»
Max si guardò intorno, chiaramente a disagio nel bel
mezzo del negozio con quell'enorme cesto di vimini in mano.
Biascicando a mezza voce, le chiese: «Sei... insomma,
sei impegnata, adesso?»
«Sto aspettando un fornitore per una consegna di rose
tea recise e dei ficus benjamin, perché?» gli spiegò lei, scrollando
leggermente le spalle.
«Beh, ecco... mi chiedevo se...»
Balbettando, Max sbuffò contrariato, si bloccò,
appoggiò il cesto sul bancone del negozio, proprio accanto alla rivista di
Spring e, fissandola intensamente con i suoi occhi verde-oro, gorgogliò: «Vieni
a pranzo con me? Dopo, più tardi,... quando hai finito... se ti va...»
Nel vederlo così chiaramente in difficoltà – e in
procinto di cadere svenuto per mancanza d'aria – lei fu mossa a pietà.
Nel sorridergli gentilmente, sfiorò le sue labbra con
una mano per azzittirlo e replicò: «A pranzo sono libera. Va bene.»
Max si lasciò andare ad un sospiro di sollievo che
accarezzò le dita di Spring, ancora appoggiate sulle labbra dell'uomo.
Nello scostarle, la donna si chiese fuggevolmente cosa
avrebbe voluto dire sentire su tutto il corpo quel respiro caldo e carezzevole.
Il pensiero durò meno di un secondo, ma bastò a
mandarla in confusione.
Da quando in qua si lasciava andare a pensieri così
lascivi? Lei era quella dalle farfalle nello stomaco, non dal 'ti sbatto sul
pavimento per fare cose irripetibili'.
Oh, cielo!
Accomodandosi su uno degli sgabelli di fronte al
bancone, Max, del tutto ignaro dei pensieri della donna, si passò una mano
sulla nuca con fare nervoso e, senza alcun problema, ammise: «Sai, pensavo mi
avresti tirato dietro un vaso o una pianta carnivora, visto il modo in cui ti
ho trattata.»
«Ci siamo
trattati» precisò lei, appoggiando i gomiti sul bancone.
Meglio pensare a parlare, piuttosto che a dar retta al
suo lato più veemente.
«Neppure io sono stata simpatica, a usare quelle
parole con te. Quindi direi che siamo pari.»
«Sei sicura? In fondo, avevi in parte ragione.»
Nel dirlo, si guardò intorno, inquadrò un vaso di rose
rosse recise e dallo stelo lungo e, dopo essersi allungato per prenderne una,
la spostò dinanzi a sé per accarezzare con i petali la guancia rosea di Spring.
«Per te.»
Lei scoppiò a ridere nell'afferrare il fiore e,
lasciando che il suo profumo le inondasse le nari, mormorò: «Max,
tendenzialmente, quando si vuole portare un fiore a una donna, lo si dovrebbe
comprare, prima di darglielo.»
Scrollando le spalle con noncuranza, Max replicò: «Sei
una fiorista, e mi sarebbe parso assurdo acquistare un fiore da un tuo
concorrente. La rosa la pagherò alla tua collega, così tu non dovrai farmi lo
scontrino e non saprai cosa ho speso.»
Accigliandosi, lo sguardo falsamente burbero, Spring
mugugnò: «Max, io so cosa costano le rose recise.»
«Ma non sai quante altre ne comprerò» ridacchiò a quel
punto lui, sorprendendola.
«Cosa?» esalò Spring, sobbalzando leggermente.
Nel veder comparire Melanie, Max la salutò con un
cenno della mano e disse: «Ho un ordine per te, da consegnare alla tua capa.
Puoi portargliele stasera?»
Melanie scoppiò a ridere e, ammiccando a Spring – che
stava scuotendo la testa con esasperazione mista a divertimento – rispose con
una punta di ironia: «Non ci sarà alcun problema, Mr Parker. Immagino non debba
dire alla signorina il costo del mazzo.»
«Esatto» sghignazzò Max, levandosi un momento dallo
sgabello per raggiungere Melanie, parlarle all'orecchio per alcuni secondi per
poi tornare al suo posto tutto soddisfatto.
«Tu sei matto» sentenziò Spring, pur deliziata dal
gesto riparatore di Max.
«Più che altro, cafone. Non ci so proprio fare con le
donne, ammettiamolo, ma sto cercando di fare ammenda per come ho trattato
un'amica.»
Le strizzò l'occhio con fare complice dopodiché,
scrutato un momento l'orologio, le domandò: «Stacchi tra mezz'ora. Ti spiace
se, nel frattempo, faccio un paio di telefonate?»
La donna annuì e, nel veder giungere il camion per le
consegne, chiuse la rivista di moda che stava leggendo e asserì: «Fai pure e,
se ti serve il fax, lo trovi nell'ufficio dietro quella porta. Io mi occupo
della consegna, intanto.»
«Grazie.»
Spring si limitò a sorridergli e, nell'uscire dal
negozio per dare le indicazioni all'autista per lo scarico, si ritrovò a
gongolare senza tregua.
Si sentiva come una bambina di cinque anni il giorno
di Natale. E le piaceva un sacco.
ЖЖЖ
Alcuni ragazzini, evidentemente non molto propensi a
seguire le lezioni a scuola, stavano giocando nel campo da baseball del Nolte
Park, dove Max l'aveva portata con la sua fiammante Mercedes Benz.
Spring pensò subito al nipote che invece, a quell'ora,
si trovava sicuramente in sala mensa, e sorrise.
Malcolm era un bravo studente e con l'eccezione di
matematica, che proprio non gli entrava in testa, eccelleva in tutte le materie
scolastiche.
Winter ne era così fiero che, non poche volte, si era
vantato della bravura del figlio, spesso finendo col metterlo in imbarazzo.
Ma Spring sapeva bene che quel compiacimento soddisfaceva
Malcolm.
Il ragazzo adorava talmente il padre che, saperlo così
orgoglioso di lui, lo rendeva fiero e soddisfatto.
«Pensi che Malcolm vorrebbe imitarli?» le domandò Max,
stendendo un enorme panno a quadrettoni sull'erba, all'ombra di un bel faggio
centenario.
«Non credo... a Mal piace studiare. Magari farebbe il
broncio per un minuto, ma poi si dimenticherebbe di tutto per tornare a ficcare
la testa nei libri» ammise lei, aiutandolo a spianare gli angoli del panno di
lana.
«Da quel che so, tutti, in famiglia, siete dei
geniacci» le fece notare lui, appoggiando il cestino nel mezzo del loro spiazzo
per il pranzo.
Sinceramente sorpresa, Spring esalò: «Hai chiesto...
informazioni su di noi?»
Ridacchiando sommessamente, Max scosse il capo e,
nell'aprire il cesto per estrarne due bicchieri e una bottiglia di Chardonnay,
replicò: «E' per via del processo a quelli che hanno attentato alla vita di
Winter e colleghi. I giornalisti hanno scavato nei meandri delle vite dei
diretti interessati, e anche nelle vostre, così sono saltate fuori le lauree,
le borse di studio ottenute, il PhD1 di Winter in paleoclimatologia,
la strepitosa carriera universitaria di Summer al MIT e la cattedra che lei ha
rifiutato per lavorare sul campo. Insomma, c'era un po' di tutto negli articoli
che ho letto. Lì per lì, non me l’ero ricordato.»
Più che sbalordita, Spring accettò il bicchiere di
vino che Max le offrì e, nel sorseggiarlo, mormorò: «Va ancora bene se non
hanno messo le taglie di reggiseno mie e di Summer.»
«Non sono arrivati a tanto» ghignò Max, prima di
tornare serio. «E così, tu sei laureata in biologia. Come mai un negozio di
fiori, allora?»
«L'ho sempre desiderato, tutto qui. Mi piace stare in
mezzo alle piante, a tutto ciò che cresce e vive, perciò il negozio di fiori mi
è parso il metodo migliore per mettere a voce il mio pensiero» gli spiegò lei,
curiosando con lo sguardo all'interno del cesto.
C'era ogni ben di dio.
Notando lo sguardo della donna, Max ridacchiò e
ammise: «Mi sono reso conto troppo tardi che non conosco bene i tuoi gusti,
così mi sono recato in una gastronomia e ho ordinato un po' di tutto.»
Detto ciò, estrasse un po' per volta ciò che aveva
scelto per quel pic-nic e Spring, divertita dai suoi gesti impacciati e,
soprattutto, dall'incongruenza tra la location del loro appuntamento e il
completo elegantissimo di Max, esalò: «Penso sia la prima volta che faccio un
pic-nic con un uomo in giacca e cravatta.»
Arrossendo suo malgrado, Max borbottò: «Impegni di
lavoro nel pomeriggio. Non sarei letteralmente riuscito a tornare a casa a
cambiarmi, così...»
«Avremmo potuto fare un altro giorno» gli fece notare
lei, aprendo una vaschetta di cipolle sottolio.
Max sbuffò, contrariato.
«La verità è che non ho mai tempo... quindi, o
me lo prendo, oppure non riesco neppure a respirare.»
Dispiaciuta per quell'ammissione velata di tristezza,
Spring gli afferrò una mano per stringergliela e, scrollandola leggermente,
mormorò: «Problemi?»
«No, anzi, la ditta va alla grande, ma è proprio
questo che mi ruba tutto il tempo. E' un guaio anche quando si è bravi nel
proprio lavoro, a quanto pare» sentenziò lapidario, imprecando tra i denti un
attimo dopo quando udì squillare il telefono.
«Rispondi... io, intanto, preparo i piatti. Prometto
di non fare danni» sussurrò lei, conciliante.
Max la fissò spiacente prima di afferrare il cellulare
dalla tasca, neanche si fosse trattato di un serpente a sonagli e, dopo aver
accettato la telefonata, mormorò teso: «Parker... che succede, Will?»
«Una grana con il fornitore di piastrelle. Dice che
sua moglie sta partorendo e che, finché non saprà che tutto è andato bene, non
farà uscire nessun camion dalla ditta.»
Il tono con qui lo disse fu a metà tra il furioso e lo
sconcertato.
L’imprenditore sgranò gli occhi fin quasi a farsi male
e, trattenendo a stento un'altra imprecazione, ringhiò: «Cosa diavolo centrano
i suoi camion con un bambino che sta nascendo?! Che differenza vuoi che
faccia?!»
«Non venirlo a dire a me! Ho tutti i piastrellisti
fermi da ore, e nessuna minaccia è servita a fargli cambiare idea. Non so più
che inventarmi» mugugnò scocciato Willard, imprecando subito dopo.
«Okay, Will, vedo di inventarmi qualcosa» mormorò
sconfortato Max, chiudendo la chiamata.
Offrendogli un piatto con una giardiniera di verdure e
un paio di fette di arrosto di tacchino farcito, Spring gli domandò: «Fornitori
impazziti?»
«Letteralmente. La moglie del titolare dell'azienda
sta partorendo e, finché non avrà dato alla luce il bambino, lui non farà
muovere neppure un mezzo dall'azienda. E' da folli» le spiegò succintamente
Max, afferrando la forchetta per ingollare un po' di cibo.
Ne aveva davvero bisogno, mentre tentava di capire
come risolvere la situazione.
«Un comportamento un po' esagerato, in effetti. Che
ditta è, per curiosità?» si informò con casualità lei, iniziando a sua volta a
mangiare.
«La Da Vinci Creations» declamò con ironia Max. «Si
vantano delle loro origini toscane, e del fatto che il designer della ditta ha
la mano fatata nel creare ogni nuovo modello. Per l'amor del cielo, in effetti
le piastrelle sono tra le più belle che io abbia mai visto ma... sant'Iddio!
Questa cosa non regge!»
«In effetti...» assentì lei, dandogli corda.
Infervorato, Max esclamò: «Io capisco Antonio Tucci...
è il marito della partoriente e titolare dell’azienda fornitrice... ma insomma,
non penso che se anche i camion vanno avanti e indietro cambi qualcosa, per
Marianne.»
Marianne Tucci...bene, dove sei?, pensò tra sé Spring, sorridendo leggermente.
Mentre Max continuava a mangiare e, a tratti, si
lagnava di quella faccenda assurda, Spring scandagliò col pensiero tutte le
perle di luce che rappresentavano le creature viventi presenti sulla Terra.
Dopo aver facilmente scartato flora e fauna animale
non umana, si concentrò sulle gestanti della zona limitrofa.
Con domande mirate e, al tempo stesso, apparentemente
casuali, Spring restrinse il cerchio grazie alle informazioni fornite
inconsapevolmente da Max e, non appena trovò la donna che le interessava,
sorrise e tra sé.
Con calma e sapienza collaudate, allungò la sua mano
metapsichica per comprendere in che condizioni fosse.
Il parto era in effetti complesso, da quel poco che le
riuscì di comprendere al primo tocco del suo potere.
Marianne era in travaglio da diverse ore, e il bambino
cominciava a presentare sofferenza fetale.
Neppure le iniezioni per sollecitare le contrazioni
dell'utero erano servite.
Un piccolo aiutino non fa mai male, pensò Spring
tra sé.
Non sarebbe andata contro natura, l’avrebbe solo… aiutata.
Se non fosse nato entro breve, la ginecologa avrebbe
dovuto intervenire chirurgicamente e, poiché la donna sembrava più che disposta
a donare le cellule staminali presenti nel cordone ombelicale, questo l'avrebbe
fatta soffrire.
Con il taglio cesareo, questa possibilità sarebbe
venuta meno, ma lei poteva evitarlo.
Lei era la Guardiana della Terra, Signora delle
creature viventi, di tutto ciò che nasceva, cresceva e moriva sul loro pianeta
perciò, per una cosa del genere, poteva intervenire senza commettere nessun
peccato.
Senza infrangere nessuna legge.
Nessuno dei due, madre e bimbo, era in pericolo di vita, perciò non
stava correggendo una Via, la stava solo... agevolando.
Concentrandosi maggiormente sul corpo della donna,
impose il suo tocco metapsichico sul ventre materno e, iniziando a massaggiare
l'utero ed il bambino, diede il via a una serie di contrazioni che diedero il
via al parto vero e proprio.
Per tutto il tempo, rimase al fianco della donna per
sincerarsi di aver eseguito correttamente ogni passaggio e, quando finalmente
scorse la testolina del bambino, si ritenne soddisfatta e tornò in sé.
«... e così, per farla breve, ho dovuto accordarmi per
un diverso genere di illuminazione esterna.»
Max sorseggiò un altro po' di vino dopo aver terminato
la sua filippica ma, quando scorse il pallore sul volto di Spring, si
immobilizzò subito e, afferrandola ad una spalla, esalò: «Spring, oddio! Che ti
succede?»
Scuotendo il capo nel rientrare nel proprio corpo, lei
riprese immediatamente colore e, sorridendo a Max nel vederlo così in ansia per
lei, lo rassicurò subito.
«Non temere, sto bene.»
«Eri pallidissima, fino a un attimo fa... pensavo
saresti svenuta» replicò lui poco convinto.
«Mi avresti fatto la respirazione artificiale, se
fossi crollata ai tuoi piedi?» ironizzò Spring, cercando di sviare la sua
attenzione dallo stato di trance in cui era caduta, quando si era scollegata
dal suo corpo fisico.
Solo lei poteva farlo ma, ironia della sorte, poteva agire
su qualsiasi creatura vivente tranne i suoi familiari.
Loro erano banditi al suo raggio d'azione. Una vera
scocciatura, ma sapeva bene il perché di quella condizione particolare.
Nelle epoche passate, era capitato in più di
un'occasione che i cinque fulcri di potere si fossero mossi l'uno contro
l'altro per annientarsi reciprocamente.
Se uno degli elementi avesse avuto un vantaggio simile
sugli altri, l'Equilibrio delle forze sarebbe venuto meno.
I Tuata de Danann non erano stati sciocchi
nell'elargire i loro doni, no davvero.
Così come Autumn non poteva sentirli se non in presenza di normali
nelle vicinanze, così era per lei, Win e Summ e, sicuramente, sarebbe stato
così anche per Malcolm.
Aggrottando la fronte, Max sciolse il contatto con
Spring e mugugnò: «Non cadrò nel tranello. Se dicessi che non ci avrei pensato
due volte, tu potresti replicare che sono un maniaco, mentre se mi esponessi
per il contrario, replicheresti che sono un menefreghista.»
Lei ridacchiò divertita di fronte a quella spiegazione
così contorta e, nell'afferrare una patata arrosto con la forchetta, asserì:
«Hai davvero una mente tortuosa, non c'è che dire.»
«Mai come quella... ancora?!» esclamò scocciato Max,
riafferrando il cellulare. «Will, senti, non ha dato retta neanche a... cosa?
Ha partorito? Uhm, bene. Tutto okay, spero. Un maschio di tre chili. Ottimo.
Manderò un mazzo di fiori alla madre... sì, ciao.»
Max sorrise giulivo e, al settimo cielo, esalò:
«Grazie, Dio! Tutto è andato bene, Marianne ha partorito e Antonio ha dato il
via libera alle spedizioni. Sono l'uomo più felice della Terra, al momento.»
«O il più stressato. Ti pulsa una vena sulla fronte»
gli fece notare Spring, avvicinandosi a lui con aria preoccupata. «Dammi i
piedi.»
«Che ci vuoi fare, con le mie Prada?» mugugnò Max,
accigliandosi.
«Con le Prada nulla, anche se apprezzo il tuo gusto in
fatto di scarpe» sorrise maliziosa lei. «Quel che ho in mente adesso riguarda
te, non le calzature che indossi.»
Dopo avergli slacciato le scarpe, Spring notò un lieve
rossore imporporargli le gote abbronzate ma lei, senza dar peso al suo
imbarazzo, lo liberò anche dei calzini.
Afferrate le sue caviglie, gli fece poggiare i piedi
sull'erba fresca e umida, e gli sorrise convincente.
«Che fai?» esalò lui, cercando di recuperare i propri
piedi.
La donna glieli tenne premuti a terra con le mani e,
chiusi che ebbe gli occhi, mormorò: «Resta fermo... avverti sotto di te, intorno a te, il respiro della terra, i
suoi profumi penetranti, il lento rigenerarsi della vita dopo la morte...
assapora sulla lingua il suo potere, la sua forza, la sua gentilezza...
rilassati... respira...»
Lentamente, con un tocco quasi impercettibile, Spring
lasciò scivolare parte della sua energia all'interno del corpo di Max.
Con mosse delicate quanto infinitesimali, ne estrapolò
una parte anche dalla terra stessa, perché si mescolasse all'interno dell'uomo
che aveva di fronte.
Sussurrando con voce lieve, dai toni caldi e suadenti,
aggiunse come in una litania senza fine: «Dentro e fuori, fuori e dentro,
l'energia ti viene data perché tu la bruci, morte e rinascita, rinascita e
morte, in un circolo senza fine. Dare e prendere, prendere e dare. Armonizzati
con questa verità, lascia che il tuo animo si rassereni perché possa percepire
quest'immenso dono, che la Madre Terra ci elargisce con amore.»
La testa di Max reclinò all'indietro, mentre le sue
palpebre si abbassarono coprendo le iridi e, dalla sua bocca rilassata,
fuoriuscì un sospiro di autentica beatitudine.
Scostandosi dai suoi piedi, Spring lo avvolse con un
braccio intorno alle spalle e, lentamente, lo fece sdraiare sul panno, sempre
mormorandogli parole all'orecchio.
Quando il suo capo si fu posato a terra, lei si sdraiò
su un fianco, accanto all’uomo e, carezzandogli le tempie con le dita,
sussurrò: «Lascia che il sole ti riscaldi, l'ombra ti risani, il vento ti
conforti e l'acqua ti ristori... il potere è tutt'intorno a te, … lascia che
esso entri e ti rigeneri.»
La bocca di Max si piegò in un sorriso e Spring,
sfiorandogliela con un dito, mormorò: «Ti senti meglio, ora?»
«Mai stato meglio. E' come se galleggiassi nell'aria e
tante fatine buone mi stessero coccolando.»
Spring ridacchiò.
In effetti, la sua descrizione non era molto distante
dalla realtà.
Le piccole fate della terra, invisibili al resto dei
viventi ma non a lei, stavano effettivamente massaggiandolo con cura.
Ligie alle richieste della loro signora, continuarono
finché lei non disse loro di terminare ciò che avevano iniziato.
Con un sorriso e un bacio, le ringraziò per la loro
gentilezza.
Uno sciame di scintille dorate si levò quindi dal
corpo di Max, scomparendo all'interno dei tronchi degli alberi vicini e Spring,
carezzando la mandibola forte e squadrata dell'uomo, mormorò: «Ora credo che
l'incontro di oggi andrà benissimo.»
Max aprì lentamente gli occhi ritrovandosela accanto,
il viso in ombra e un'aureola di capelli dorati che le circondava quell'ovale
perfetto e bellissimo.
I suoi occhi cerulei, due pezzi di cielo primaverile,
lo scrutarono soddisfatti e lui, accentuando il sorriso, annuì.
«Sei stata gentile a prenderti cura di me.»
«Mi spiace quando sei così teso e preoccupato. Ho
pensato che questo avrebbe aiutato a rilassarti» gli spiegò lei, carezzandogli
distrattamente il torace.
«E così è stato» sussurrò Max, afferrandola alla nuca
per attirarla vicino.
Non fu un gesto violento, le lasciò tutto il tempo di
decidere, di rifiutare il suo invito silenzioso, ma Spring non lo fece.
Scivolò verso il basso e poggiò le labbra su quelle
calde di Max, lasciando che il bacio si trasformasse in quello che desiderava
lui.
Max si limitò a titillarle le labbra con le proprie,
scoprendole, studiandole, entrando in confidenza con loro poco per volta e
Spring, ad ogni suo tocco, si sentì fiorire dentro.
Dolce. Dolcissima. Come miele. Come una torta di
cioccolato. Come... non sapeva bene neppure lui come, ma gli piaceva un sacco.
Avrebbe voluto divorarla, affondare in lei con la
lingua ed impadronirsi della sua ma no, con Spring non voleva agire così.
Lei era così speciale, così meravigliosamente unica
che non aveva alcun desiderio di affrettare le mosse, anche se il suo corpo lo
stava insultando a gran voce.
La lasciò andare lentamente, così come l'aveva
condotta a sé e, nel rimettersi seduto, la scrutò in viso beandosi del rossore
che le imporporava le gote e le labbra.
Sfiorandole con un dito, ne saggiò la morbida
consistenza e, accennando un sorriso, dichiarò: «Adesso sì che
l'incontro andrà benissimo.»
Spring scoppiò a ridere e, nell'affondare il viso
nell'incavo della sua spalla, ne assaporò il profumo muschiato, di bosco,
chiedendosi fuggevolmente se fosse l'odore naturale della sua pelle, o solo
un'acqua di colonia particolarmente buona.
Max le accarezzò i capelli trovandoli setosi e morbidi
e, portandosene una ciocca al viso, la annusò pensoso, mormorando: «Sì, sai di
miele. Tutta quanta.»
«Dici?» ironizzò lei, scostandosi un poco per
scrutarlo in viso.
«Ahimé, posso basarmi solo su quel poco che ho provato
ma sì, penso che tu sia miele.»
Ammiccò nello scrutarla in viso, e Spring rise di
nuovo.
Era bello sentirla ridere ma, più ancora, era bello
sentirsi così leggeri, così vivi, così... in pace.
E tutto per merito suo.
Nel rimettersi le scarpe, quasi controvoglia, Max le
domandò: «Vuoi ancora aiutarmi per il matrimonio?»
«Ammettilo, mi hai sedotto solo per questo» ridacchiò
Spring, seduta a gambe intrecciate, l'ampia gonna fiorata che si stendeva
attorno a lei come un campo di fiori.
Max rise nel darle un bacio leggero sulla guancia e,
ammiccando, sussurrò: «Solo e unicamente per questo.»
«Ti aiuterò, tranquillo. Ho pietà di tuo fratello e
della tua futura cognata, perciò mi sacrificherò» sentenziò lei, passandosi una
mano sul viso con aria falsamente sofferente.
«Troppo gentile» asserì Max, annuendo più volte.
«Max...»
Già con le mani sul cestino, pronto a mettere in
ordine ogni cosa, l'uomo si bloccò per fissarla dubbioso e, annuendo
lentamente, mormorò: «Dimmi, Spring.»
«E' stato un bellissimo appuntamento.»
Max si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto e solo
vagamente tronfio e, nel tornare al lavoro con stoviglie e piatti, ammise: «Voleva
essere una proposta di pace, ma appuntamento mi piace di più.»
«Anche a me» assentì Spring.
Quando ebbe terminato di sistemare, i due si levarono
in piedi e, nel tenere la mano di lei con aria vagamente imbarazzata, lui le
confidò: «E' la prima volta da almeno vent'anni che faccio un pic-nic. Spero di
averci azzeccato.»
«E' stato tutto perfetto, e sono estremamente
soddisfatta di aver passato una pausa pranzo così bella.»
Strinse maggiormente la mano di Max e, con un
sorrisino deliziato, aggiunse: «Mi sento come una ragazzina al suo primo
appuntamento.»
«Allora non mi odi più?» ironizzò Max, tornando
lentamente con lei all'auto.
Un leggero venticello fresco li accarezzò, portando
con sé l'umidore di un temporale lontano.
Tornando seria, Spring lasciò vagare lo sguardo
attorno a sé senza realmente vedere nulla e, pensierosa, mormorò: «Non ti ho
odiato... ma ero furiosa, sì. Non mi è piaciuto che tu abbia scambiato la mia
disponibilità per pietà, o qualcosa di peggio. Ma Win mi ha fatto capire che
anch'io sono stata superficiale, nell'esprimermi.»
Impallidendo leggermente, Max esalò: «Hai... ne hai
parlato con tuo fratello?»
«Perché non avrei dovuto?» gli domandò per contro lei,
sinceramente stupita.
Ma Max non la stava ascoltando.
Lo sguardo continuava a percorrere avanti e indietro
l'enorme parco, il diamante di gioco poco lontano e i campi da calcio
completamente vuoti, come se si aspettasse da un momento all'altro di essere attaccato.
Levando un sopracciglio con evidente ironia, Spring
chiosò: «Fifone...»
«Prevenuto» precisò Max. «E' tuo fratello, il capo
famiglia e l'unico uomo a poter vantare diritti su di te.»
«Ci sarebbe anche Autumn, allora, ma dubito gli
interessi quel che mi capita» buttò lì Spring, scrollando le spalle con
noncuranza. «Guarda che Win non intende ucciderti, perché hai parlato male alla
sua sorellina. O meglio, avrebbe voluto, ma io gli ho detto che intendevo
risolvere da sola la cosa.»
«Oookay. Un'intenzione non è un omicidio, ma solo
un'idea. Mi sta bene. L'avrei pensato anch'io, se fossi stato al suo posto.»
Si esibì in un sorrisone soddisfatto.
«Quindi, volevi fare da sola, eh?»
«Ho pensato fosse il caso di sì. E, a quanto pare, ci
ho preso.»
«E io ne sono molto felice» ridacchiò lui, tornando a
chinarsi verso di lei per stamparle un bacio sulla bocca. «Uhm, mi rimarrà il
tuo sapore di miele sulle labbra per tutto il giorno, così.»
Spring rise allegramente, sentendosi leggera come
poche altre volte era stata e, nell'abbracciarlo con slancio, esclamò: «Sono
tanto felice!»
«Bene, perché ho lasciato la pillolina amara per
questo momento» si lagnò lui, aprendo con il telecomando le portiere dell'auto.
Sorpresa, lei batté velocemente le palpebre ed esalò:
«In che senso?»
«Ann Marie, la futura sposa, è sola soletta, qui a
Washington, e la mamma non può venire qui per la scelta dell'abito perché è a
letto con due costole rotte. La sua damigella d'onore, Sophie, è anche
l'infermiera di sua madre, così neppure lei si può muovere da Colorado Spring,
da dove provengono loro. Morale, mi ha chiesto se potevo essere così gentile da
chiamare una mia amica perché le facesse compagnia per quella scelta così
importante.»
Max parlò in fretta, non sapendo bene dove posare gli
occhi, la mano stretta a quella di Spring, che giocherellava con le sue dita.
«Tra gli amici comuni suoi e di Chris, non c'è nessuna
ragazza di cui si fidi veramente per una scelta simile, e posso capirla
visto che, di solito, il massimo dell'eleganza che raggiungono sono delle
camice sdrucite e dei jeans tagliati.»
Spring ridacchiò e ammise: «Sì, è un po' poco, per un
matrimonio.»
«So che la accompagneranno un paio di amiche del suo
gruppo ma, per le vere opinioni, preferisce che ci sia una donna che, per
lo meno, sappia vestirsi decentemente. Se c'è una cosa che ammiro in Ann Marie
è l'onestà. Sa che il suo stile nel vestirti è troppo grunge, e per la
cerimonia vuole qualcosa di totalmente diverso, solo che non ha idea di cosa.
Puoi aiutarla?»
Nei suoi occhi luminosi comparve un punto di domanda
grosso come un'auto.
«Le sue amiche sono d'accordo con questo sistema?» gli
domandò allora Spring.
«Sì, sì, sono state le prime a rifiutarsi di prendersi
un simile onere. Non si fidano per niente... avresti dovuto vederle, quando si
sono presentate nel mio studio. Mi sembrava di essere a un concerto dei
Nirvana» le spiegò lui, ridacchiando. «Peccato che fossi io quello da
acclamare, quel giorno. Mi hanno quasi pregato in ginocchio di trovare loro
qualcuno con un minimo di gusto, perché ammettono candidamente tutte quante
che, oltre a scegliersi magliette e jeans sfilacciati, di tutto il resto si
intendono poco.»
«Credo che andremo d'accordo. Mi sembrano brave
ragazze... molto umili» asserì Spring, con un sorrisino.
«Oh, e lo sono. Sono brave lavoratrici, e i loro capi
non fanno neppure caso al loro abbigliamento, visto quanto sono competenti...
ma il problema resta» assentì allora Max, annuendo più volte.
«Le aiuterò volentieri. Quando pensavano di andare per
negozi?»
«Questo sabato» mormorò Max, spiacente.
«Oh.»
Quel sabato. Quindi, il necessario per Beltane, che si
sarebbe tenuta la sera seguente, quando lo avrebbe acquistato?
«Posso chiamarla per farle posticipare il giro, non
c'è problema» ci tenne a precisare Max, sollecito.
«Uhm, no, penso di potercela fare. Devo solo
organizzarmi di conseguenza. Peccato che Justine si sia fatta male, però...»
borbottò tra sé Spring, rimuginando su come ottimizzare i tempi.
«Qual è il problema?» le chiese allora Max, premuroso.
Salendo in auto con espressione pensosa, Spring
osservò Max aggirare l'auto per sistemare il cestino prima di salire al posto
del guidatore e, quando ebbe messo in moto, ammise: «Devo fare un po' di
compere per Calendimaggio, che noi in famiglia festeggiamo tutti gli anni,
perciò ho gli orari un po' contingentati. Ma, se riesco a far incastrare il
lavoro con l’apertura dei negozi dove devo andare...»
Interrompendola, lui replicò: «Ho un sacco di facchini
che possono fare quelle compere per te.»
«Come?» esalò Spring, sinceramente sorpresa.
«Mi basterà cambiare mansione a un paio di loro perché
facciano la spesa per te, e il gioco è fatto. Tu potrai dedicarti al negozio
visto che, da quel che ho capito, siete solo in due al momento, ed io ti
aiuterò a sbrigare queste commissioni. Ti va?» le propose lui, immettendosi nel
traffico cittadino con un movimento fluido dell'auto.
«Sei sicuro di poter rinunciare a uno dei tuoi
uomini?» gli domandò dubbiosa lei.
«Per ora, non ho grosse mansioni da far svolgere ad
alcuni di loro, perciò sì, posso farlo. E tu sarai libera di mantenere intatto
il tuo programma settimanale così da ritrovarti il sabato sgombro.»
Mente analitica, la sua.
Spring sorrise nel trovarla stranamente affascinante.
Ogni tanto, non avere un caos endemico in testa,
serviva.
«D'accordo, accetto l'offerta. Ti manderò una e-mail
con tutto ciò che mi serve, va bene? Potrai far recapitare tutto direttamente
al negozio, così siamo sicuri che troveranno sempre qualcuno. Preferisci
contanti o assegno?»
Lui aggrottò la fronte e replicò: «Il ragazzo è pagato
da me, non cambia molto se deve fare commissioni per te o per la ditta.»
«Intendevo per la merce acquistata. Alcune cose sono
un po' care, perciò non ci penso minimamente a farle pagare a te» replicò
Spring, scrollando le spalle.
«E perché?» mugugnò scocciato.
Assottigliando le iridi cerulee, Spring asserì gelida:
«Non ricominciare. Queste cose le pago io. Se vuoi farmi un regalo, fai
pure, ma per la roba di Calendimaggio, non accetterò regali.»
«Ma perché?» esalò, sinceramente contrariato.
Sospirando, Spring borbottò: «Max, siamo amici, e la
cosa mi piace davvero, ma neppure da un amico caro come te accetterò mai un
dono così. Quando vedrai il conto, capirai perché.»
Ora la curiosità balenò nel suo sguardo e, persa del
tutto la voglia di sentirsi irritato, le domandò: «Che cosa fate di così
strano, e costoso, quel giorno?»
«Vuoi davvero saperlo?» mugugnò Spring, poco convinta.
«Mettimi alla prova.»
«Celebriamo la rinascita della terra e delle messi,
accendiamo un falò in onore della Madre e preghiamo per Lei.»
Nel dirlo, seppe subito di aver in parte detto una
bugia.
Max la fissò scettico e replicò: «Non ci vedo nulla di
dispendioso.»
«Non se pensi che Win dovrà comporre un codolo in oro,
rubini, smeraldi, acque marine e turchesi e una lama in acciaio ripiegato per
Kimmy, così da poterle confezionare uno stiletto. Sarà il suo dono per le loro
future nozze.»
Lo disse forzatamente, sapendo che ben difficilmente
Max ne avrebbe capito il motivo.
Infatti l'uomo la fissò sinceramente sgomento e,
strabuzzando gli occhi, esalò con un gracidio: «Le regalerà... una spada
forgiata... a mano?»
«Non una spada. Uno stiletto. Le donne della mia
famiglia, fin dai tempi antichi, hanno sempre avuto uno stiletto per la difesa
personale. Win, facendone dono a Kimmy, dichiarerà che lei fa parte della
famiglia. Lo stiletto rappresenta la sua chiara intenzione di difenderla da
qualsiasi genere di male possa tentare di toccarla.»
Ora la sua voce era quasi scocciata.
«Perché ti infastidisce dirmelo?» le fece notare Max,
cercando di non apparire offeso dal suo tono.
«Non puoi capire, temo» sospirò Spring, prima di
sorridere tristemente e aggiungere: «Ma, se vuoi, posso tentare di
spiegartelo.»
«Se mi reputi capace di comprendere» celiò Max,
fissandola serafico.
«Dio... l'ho rifatto! Scusami. Perché devo dare per
scontato che tu non possa capire quanta spiritualità c'è in quel gesto?» sbuffò
Spring, scuotendo il capo.
Max parcheggiò silenziosamente di fronte al negozio della
donna e, nell'afferrarle una mano, le sorrise.
«Forse perché non ho la faccia di uno molto... spirituale?»
Lei accennò un sorrisino spiacente e l'uomo, nel darle
un bacio sulla guancia, le propose un patto.
«Facciamo così. Mi spiegherai com'è tutta la faccenda
dello stiletto … venerdì sera a cena?»
«Questo venerdì?» esalò lei, sgomenta.
Max scoppiò a ridere di fronte alla sua aria sconvolta
e replicò: «No, Spring. Venerdì della settimana prossima. Avevo già capito che
questa settimana eri oberata di lavoro. Ti può andare bene?»
«Ah... okay. Può andare. Dove mi porti?» assentì lei,
ora più tranquilla.
«Diciamo che è una sorpresa. Però serve l'abito da
cocktail» ghignò lui, divertito. «Alle sette?»
«E sette sia. Fammi chiamare da Ann Marie, per sabato,
così ci metteremo d'accordo.»
«Sei un tesoro» dichiarò lui, stampandole un sonoro
bacio sulle labbra.
Spring rise nell'uscire dall'auto e, salutandolo con
la mano mentre lui si allontanava lungo la via, mormorò tra sé: «E come glielo
spiego che lo stiletto sarà intriso di magia?»
_______________________________
1 PhD: (ingl.)
Dottorato di Ricerca. Significa letteralmente Doctor of Philosophy, ed è il più
alto grado di istruzione universitaria.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
7
7
Il clangore ritmato
del maglio sull'incudine rimbalzava sulle pareti di roccia del seminterrato,
dove Winter si trovava in quel momento.
Mentre la sottile lama
del pugnale prendeva corpo sotto i suoi colpi, la piccola fucina da armaiolo – che
avevano costruito per simili esigenze – ringhiava feroce con le sue fiamme
scarlatte.
Quando Spring era
tornata a casa, un paio di sere prima, tutta contenta per aver fatto pace con
Max, Win aveva notato anche altro nel suo sguardo eccitato, ma aveva preferito
tenere per sé le sue domande.
La sorella era abbastanza
matura per prendersi i suoi rischi, se voleva, e lui non doveva interferire in
nessun modo nella sua vita privata, anche se era interiormente atterrito
all'idea che lei potesse soffrire per amore.
Per lei desiderava
solo eterne primavere, fiori nei prati, il sorriso di un uomo benevolo e che la
sapesse capire interamente, ma Win sapeva benissimo che i suoi erano
solo sogni a occhi aperti.
E, di certo, Spring
non si sarebbe mai spinta a chiamare i loro nonni perché Colin li raggiungesse
a Washington, D.C., ennesima pedina nell’intricato gioco tenuto in piedi per
millenni dal Consiglio dei Saggi.
Win vi era stato
costretto perché il primo tra i nati, ed il suo matrimonio era stato celebrato
in gran fretta per permettere al Quinto Sigillo di venire al mondo.
Questo aveva messo il
cuore in pace al Consiglio, almeno per un po’, e aveva permesso a lui, Colin,
Miranda e Sean di procedere con la lettura del grimorum.
L’antico Tomo delle
Leggi era la causa prima di tutti i loro problemi ma, già dal suo matrimonio
con Erin, Winter aveva sospettato vi fosse molto di più, dietro quegli obblighi
dinastici.
Parlandone con Sean,
destinato per Legge a sposare Summer entro il loro trentaseiesimo anno di età,
avevano studiato il modo per confiscare in gran segreto il grimorum, così da poterlo studiare.
Il fatto che fosse
scritto in antico gaelico non aveva favorito nessuno di loro.
Erano ormai otto anni
che Sean studiava quegli antichi scritti, ma nulla era ancora venuto a galla
per salvare loro e gli altri membri del Cerchio.
Sperava davvero che
Sean riuscisse, o avrebbe smosso mari e oceani, per tenere il Consiglio lontano
dalla sua famiglia.
Certo, lui ed Erin
avevano avuto Malcolm, che entrambi avevano amato fin dal primo giorno, ma
quanti anni aveva passato lontano da Kimmy, e quali amori si era negata sua
moglie, a causa di quello stupido, vetusto costume?
Ogni volta che ci
pensava, gli veniva spontaneo infuriarsi.
Poco contava quanto
fosse venuto a patti con il suo passato. Gli spiaceva ancora, per Erin.
Lo rasserenava
soltanto sapere quanto, a Dublino, le cose stessero lentamente cambiando.
In gran segreto, alle
spalle del Consiglio, ma stavano cambiando.
Sperava solo che un
giorno, da Sean, giungesse la tanto agognata telefonata che li salvasse, e
salvasse le generazioni future, da un simile destino.
Non era stato bello
fuggire dalla loro casa irlandese.
Pur se piccoli,
all’epoca dei fatti, i profumi della terra natia avevano avuto tempo
sufficiente per entrare nel cuore di tutti loro.
Washington D.C. era
diventato il loro rifugio, ma mai veramente la loro casa.
Sarebbe stato crudele
dover fuggire nuovamente per tenere al sicuro Malcolm e, con tutto se stesso,
pregò di non doverlo mai fare.
Lanciando uno sguardo
distratto al lingotto d'oro e alle pietre preziose stese su un cuscino di
velluto blu mare, Win si domandò ancora una volta quale disegno comporre per
quel pugnale.
Le scelte erano ampie
ma, per Kimmy, voleva qualcosa di speciale.
E fu a quel punto che
capì.
Un semplice stiletto
da cerimonia era l'arma ideale per una donna della vecchia generazione, non
abituata a difendersi da sola, dipendente dal marito in tutto e per tutto.
Kimmy non era così.
E così sarebbe stato
il suo pugnale, perché sarebbe stato un pugnale vero e proprio, quello che
avrebbe confezionato per lei.
«Ora ci siamo» disse
tra sé Win, tornando a battere sul metallo per stenderlo maggiormente.
Sarebbe stata una lama
in acciaio temprato e ripiegato, avrebbe utilizzato la stessa tecnica usata per
confezionare le katane giapponesi, e
il risultato sarebbe stato perfetto.
Il suono improvviso
del campanello, però, gli fece quasi perdere la presa sul maglio.
Sorpreso e, sì,
vagamente irritato per quell'interruzione, Win lanciò un'occhiata al monitor
che aveva fatto installare nel seminterrato, dove comparve la faccia dubbiosa
di Max Parker.
Allungatosi per
accendere il video citofono, esclamò: «Max, Spring non è in casa. Hai bisogno
di qualcosa?»
Win vide l'uomo
sobbalzare leggermente nell'udire la sua voce e, ancor più imbarazzato, lo
sentì dire: «Ah... sì, lo so... che non c'è, insomma. Potrei parlare con te?»
Storcendo il naso,
Winter lanciò un'occhiata pensosa alla lama sull'incudine e, dopo un attimo di
indecisione, la prese con le pinze e la infilò nel secchio d'acqua lì accanto
per farla raffreddare.
Fatto ciò, disse
sbrigativo: «Vengo ad aprirti.»
Non badò minimamente
alla sua parziale nudità – non si sarebbe rimesso la camicia, sudato com'era –
e, salite che ebbe le scale per raggiungere il pian terreno, sbucò sul
marciapiede che percorreva il perimetro di casa.
Da lì, aggirò parte
della struttura a due piani, portandosi sul vialetto d’ingresso.
Max lo fissò
apertamente confuso, forse chiedendosi perché stesse indossando solo un paio di
jeans sdruciti e fosse ricoperto da un leggero strato di sudore, ma Winter
preferì non dire nulla, lì fuori.
Si limitò a pregarlo
di seguirlo dabbasso e, non appena furono nell'ampio salone in pietra e legno
che fungeva da taverna, gli disse: «Io sto lavorando nella fucina, ma fa un
caldo dell'inferno. Se vuoi, puoi aspettare qui.»
L'uomo si guardò
intorno con aria strabiliata, ammirando senza parole le pareti in pietra,
l'enorme camino, la lunga tavolata di legno di noce e gli alti scranni dagli
schienali intagliati, su cui spiccava la coppa del Gräal.
A terra, sul pavimento
in cotto, era steso un ampio tappeto orientale mentre, dalle travature in legno
del soffitto, pendevano pesanti lampadari circolari, appesi a catene brunite.
Sulla parete opposta
ai cimeli celtici, tra cui spiccava una piccola statua di donna, che teneva tra
le mani una ruota a otto bracci, una distesa di antiche armi riempiva per
intero la visuale.
Solitaria, infine,
un’enorme arpa riposava in un angolo, prezioso cimelio decorato con iscrizioni
in oro e argento.
Sfiorando la
superficie liscia di una mensola in legno, che reggeva il peso di una serie di
calici in peltro a bassorilievi celtici, Max mormorò ammirato: «E' una taverna
davvero bellissima.»
«Amiamo ricordare qui
le nostre radici irlandesi» si limitò a dire Winter, scrollando le ampie
spalle.
Max lo scrutò con
occhio analitico, ammettendo senza remore che il dottore aveva un fisico più
che scolpito e che, a dispetto della sua prima impressione, appariva tutto tranne
che un topo da laboratorio.
C'era la fierezza di
antichi guerrieri nel suo portamento e nel suo sguardo di ghiaccio.
Quando poi lo seguì
nella fucina – che si trovava in una stanza adiacente, poco a lato del camino –
e lo vide afferrare con competenza il
maglio, seppe che non era uomo da sottovalutare.
Era intelligente
quanto forte, e non solo di spirito, ma anche di corpo.
Non disdegnava il
lavoro manuale e sapeva spendere sudore con grazia, senza grugniti o parolacce.
Insomma, un signore di
antica razza.
«E' l'arma che
regalerai a Kimberly?» si informò Max, incuriosito.
Winter lo fissò
sorpreso per alcuni attimi prima di domandargli: «Te l'ha detto Spry?»
«Mi ha accennato alla
vostra festa di Calendimaggio, ma ho idea che non sia la classica festicciola
di paese che mi ricordo io» ridacchiò Max, togliendosi la giacca del completo
che indossava per andarla a poggiare nel salone adiacente, su uno degli
scranni.
Quando si riavvicinò al
padrone di casa, che era tornato a colpire con il maglio la lama d'acciaio
ancora informe, Max mormorò dubbioso: «Ho fatto qualche indagine sui riti
irlandesi e su Calendimaggio, ma niente di ciò che mi ha detto Spring fa parte
di quella festività in particolare. Ne ha più del rito druidico legato a...
Beltane. Dico bene?»
Winter si bloccò per
un istante prima di annuire e, cauto, gli chiese: «Cosa ti ha detto, esattamente?»
«Ha parlato del
risveglio della Madre Terra, di falò e di preghiere per il rifiorire della
vita, poi mi ha accennato al tuo dono e al suo significato, ma ci ho capito ben
poco. Però mi è parso che tutto questo avesse poco a che fare con
Calendimaggio.»
Lo disse con tono
quasi infastidito, e Winter lo notò subito.
«Sei venuto a chiedere
spiegazioni a me. Perché?» si informò il climatologo, restando sul chi vive.
I colpi del maglio si
susseguirono armonici, come se l’uomo stesse componendo una melodia, e non
forgiando un’arma.
«Spring mi sembrava
restia a parlarne, così ho lasciato perdere, ma mi spiace che non si fidi a
sufficienza per parlarmi di cose legate alla sua famiglia. Io voglio
conoscerla ma, se lei non mi parla di sé, come posso?» si sfogò Max, passandosi
una mano tra i capelli. «So di non avere l'aria di una persona molto... new
age, ma capisco le cose, se me le spiegano.»
«Ha paura di apparire troppo...
eccentrica, forse» ipotizzò Winter, immettendo nuovamente la lama nella fucina
perché tornasse rovente.
Max lo scrutò pensoso,
ammirando suo malgrado la sua virilità espressa pienamente e, per qualche
motivo misterioso, lo invidiò.
Da tempo, lui aveva
strangolato il suo Io più selvaggio dentro completi firmati, e tutto per dare
un'apparenza di perfezione ed eleganza alla ditta.
Di certo, i suoi
clienti non sarebbero mai stati interessati al ragazzino che faceva a pugni con
i compagni di classe, intento a difendere il fratellino minore dai bulli.
Però, in parte, gli
mancava quella vita, quell'esternazione libera dei propri ideali e pensieri,
delle proprie emozioni.
Certo, non si sarebbe
messo a malmenare nessuno, adesso, ma... beh, la cravatta gli stava davvero
stretta, in certe occasioni.
La slacciò, quel
giorno la sentiva addirittura annodata al solo scopo di asfissiarlo e,
rispondendo all'ipotesi di Winter, replicò: «Può essere, ma mi piacerebbe
capire.»
«Posso dirti quel che
sto facendo io, per iniziare» gli propose Win, prima di vederlo annuire. «Il
pugnale che le sto preparando è un simbolo d'amore e rispetto. Ho preferito il
pugnale, allo stiletto da cerimonia, perché è indice della forza che io vedo in
lei. Non desidero saperla succube a me, perché io non la vedo così. Perciò, il
cambio di arma. Inoltre, so quanto è coraggiosa, e anche per questo la onoro
dandole un'arma degna di lei.»
«Okay, è
comprensibile. Ma non pensi davvero che debba usarla, vero?» ironizzò Max,
sorridendo.
Winter rise
sommessamente e, nello scuotere il capo, ammise: «Mi verrebbe un infarto, se ci
provasse. No, è un simbolo. Come lo sono le pietre incastonate nel codolo
dorato e nel fodero di pelle bianca.»
Max ammirò pensoso le
pietre di colori diversi prima di mormorare: «Hanno un significato, vero?»
«I Quattro Elementi
sono rappresentati dai colori delle pietre, mentre l'oro personifica lo
Spirito, l'Anima individuale, ed esso è legato al Sole, da qui l'uso di questo
particolare metallo.»
Estratto l'acciaio
rovente, Winter lo ripiegò con la pinza per poi ricominciare a percuoterlo con
forza.
I muscoli guizzarono
armoniosi sulle ampie spalle, mentre una lacrima di sudore stillò dalla sua
pelle, scivolando lesta verso la vita stretta.
Il rimbombo dei colpi
si avventurò per tutto il seminterrato e Max, ammirando l'abile maestria dell’uomo,
esalò: «Sembra che tu non abbia fatto altro, nella vita. Sei davvero bravo.»
«Ero apprendista
presso la fucina di un fabbro, quando avevo sedici anni. Mi sono pagato così
gran parte dei libri di scuola. Anche mio fratello era capace, pur se non so se
ha continuato a lavorare il metallo come me. Lui era più portato per l’intaglio
del legno.»
Nel suo tono, Max
avvertì rammarico e una punta di asprezza, come se il non saperlo gli desse
fastidio.
«Non deve essere stato
facile... perdere i genitori e la casa, intendo» mormorò spiacente Max.
«Ce la siamo cavata...
alla fine.»
Non aggiunse altro, e
Max non domandò altro. C’era un limite oltre cui non ci si doveva mai spingere,
e lui pensò fosse quello.
«C'è altro che vuoi
sapere?»
«Dalle bolle di
consegna, ho visto che Spring ha comprato anche un abito bianco. Mi domandavo
come mai» ammise Max, scrollando le spalle.
Winter allora sorrise
e, nell'ammiccare al suo indirizzo, celiò: «Quella parte della cerimonia
è vietata agli estranei.»
«Oh... e perché?»
«Nell'antichità,
Beltane veniva officiata da giovani vergini che... per farla breve, c'era un
rito sessuale legato alla festa. Una vergine era offerta in dono al Re Cervo
per la notte di Beltane. Solitamente, per impersonare il Re, si sceglieva il
giovane più forte e valente del villaggio, e questo serviva per benedire le
messi» gli spiegò Win, sorridendo divertito di fronte all'aria sconvolta di
Max.
«Quindi, lei...»
deglutì a fatica Max, perdendo di colpo la voce.
Chi, l'avrebbe avuta?!
Chi? E succedeva tutti gli anni? Oh, cielo!
Winter scoppiò a
ridere di gusto e, nel gettare la lama informe nell'acqua, che fumò e sfrigolò
feroce, esalò: «Cosa vai a pensare? E' la veste cerimoniale che sta ad indicare
la verginità data in dono. Viene bruciata a mezzanotte come rito propiziatorio
e, come puoi ben immaginare, non ci fa piacere che qualcuno oltre a noi veda
Spring senza niente addosso.»
Max se ne uscì con un
pesante sospiro di sollievo, come se un TIR l'avesse appena sfiorato,
lasciandolo in vita.
Aveva rischiato di
morire d'infarto, ma ora il problema era un altro.
Come faceva, adesso, a
togliersi dalla mente l'immagine di Spring di bianco vestita che, dinanzi al
falò acceso, gettava le vesti immacolate rimanendo nuda sotto la luce della
luna?
Perché, poi, aveva
pensato alla luna?
«Spring è la più
adatta, visto che il suo nome richiama la primavera e, visto che Beltane è in
quella stagione, chi meglio di lei può incarnare la vergine che benedice la
terra?» buttò lì Winter, procedendo incessantemente nel suo lavorio accanto
alla lama.
«Summer farebbe
spaventare a morte il Re Cervo» ammise con un risolino Max, ancora un po'
scosso.
«Se lo mangerebbe per
colazione dopo averlo massacrato a letto per tutta la notte» rise forte Win.
Max rise con lui, commentando
tra sé che era più che probabile.
Curioso che Winter lo
ammettesse con tanto candore, però.
«Non sei geloso degli
uomini che possono avere le tue sorelle?» gli domandò a quel punto l’imprenditore,
sondando il terreno.
«Vai a letto con
Spring?» replicò Win, imperturbabile, scrutandolo per un attimo da sopra la
spalla.
«NO!» esclamò
incredulo Max, avvampando in viso.
Sorridendo appena,
Winter gli spiegò sinceramente: «Vedi, Max, mi sembrerebbe davvero ipocrita
fare dei commenti su chi si portano a letto, visto che loro non lo hanno mai
fatto con me. Certo, io nel caso specifico non faccio testo, visto che Erin, la
mia defunta moglie, fu la mia prima donna, e Kimmy è la seconda... ma Autumn,
per esempio, non ha mai lesinato con le amanti. C'è molta libertà di opinioni,
nella mia famiglia, e ben pochi tabù. Possiamo parlare di qualsiasi cosa, ma dobbiamo
anche evitare le ipocrisie. Una di queste riguarda il sesso. Certo, posso dare
la mia opinione su una persona, se la trovo o meno affidabile, ma di sicuro non
dirò mai a Summ o Spry di non fare sesso perché sono geloso di loro come
fratello. Non sarebbe giusto.»
«Sei molto...
liberale...» mormorò sorpreso Max, sbattendo lentamente le palpebre.
Con un sorriso triste,
Winter si limitò a dire: «Non commetterò mai l'errore di imporre qualcosa alle
mie sorelle.»
«E a Autumn?»
Le spalle dell'uomo si
irrigidirono e, con un sospiro forzato, Winter le fece rilassare a forza, quasi
fosse abituato a quell’esercizio mentale e fisico. «Ha una sua vita, e se la
gestisce come vuole... lontano da noi.»
Argomento tabù, immaginò tra sé Max,
tappandosi la bocca.
«Perché la ripieghi
tante volte?» chiese allora lui, cambiando radicalmente argomento per non
mettere a disagio il suo ospite.
«Rinforzo l'acciaio, a
questo modo. Ne verrà fuori una buona arma» annuì tra sé lo scienziato,
continuando a battere sull'incudine con forza.
Infilate le mani in
tasca, Max continuò ad osservare la lama prendere forma sotto i colpi ritmati
di Winter.
Come stregato da quel
continuo battere e ribattere del maglio, non si rese conto del passare del
tempo se non quando udì la voce trillante di Malcolm comparire alle loro
spalle.
La cartella tra le
mani e un sorrisone allegro stampato sul viso bellissimo, il ragazzino infilò
la testa all'interno della fucina ed esclamò: «Sono tornato! Ehi, ciao Max!»
Max lo accolse con un
sorriso giocoso e, nel carezzargli il capo, disse: «Ehi, ragazzo! Come stai?»
«Ciao, Mal» mormorò
Winter, strizzandogli l'occhio da sopra una spalla.
«Ciao, papà! Io sto
bene, grazie, Max. Ma tu...»
Il bambino sgranò gli
occhi nel fissare il volto ora curioso dell'uomo dinanzi a sé e, aprendosi in
una risata divertita, lo indicò esclamando: «Hai baciato la zia!»
L’imprenditore sobbalzò
chiaramente a disagio e Winter, fissando il figlio a metà tra il divertito e
l'esasperato, mormorò: «Mal...»
«Scusa, papà...»
ridacchiò Malcolm, tappandosi la bocca per il gran ridere.
A mo' di spiegazione,
Win guardò uno sconvolto e piuttosto pallido Max, dicendogli: «Gliel'ha detto
Spring, ma ha voluto farti uno scherzo, facendoti credere chissà cosa.»
«Oh... beh...
insomma....» ridacchiò nervosamente Max, passando lo sguardo dall'uomo al bambino
con aria un po' frastornata. «Sempre ligio al discorso di prima? Non mi tirerai
il maglio in testa, vero?»
«Max... » iniziò
Winter, fissandolo con sincera ironia. «... se lo facessi, Spring mi
spellerebbe vivo, un centimetro alla volta, e Summer si divertirebbe ad
arrostire quel che rimarrebbe di me. Quelle due sono libere di fare quel che
vogliono, nei limiti della decenza e della legge e, se non faranno più che
delle cavolate galattiche, io non mi metterò mai contro di loro... o i loro
uomini.»
«Okay, hai chiarito
l'idea.»
Poi, con aria
divertita, aggiunse: «Davvero ti spellerebbero vivo?»
«Non ho dubbi in
merito e, forse, Kimmy darebbe loro una mano. Sono circondato da donne molto
forti, se non l'hai capito e, per avere a che fare con loro, bisogna avere le
idee chiare o ti mettono i piedi in testa. Tu hai le idee chiare?»
dichiarò con divertimento Winter.
«Spero sul serio di
averle» ridacchiò Max, passandosi una mano tra i capelli chiari.
Guardando un momento
il figlio, che aveva ascoltato con interesse il loro scambio di battute, Win
sorrise e disse: «Perché non fai vedere a Max la cantina dei vini, e non ne
scegliete uno per stasera? Preparerò del pesce.»
Tutto contento, Mal
afferrò la mano di Max e lo trascinò con sé attraverso la taverna in stile
medievale prima di raggiungere una porticina di legno, dove il bambino si fermò
per dire: «Io mi abbasserei un po'. Sei alto e potresti sbattere la testa,
lungo la scala a chiocciola.»
«Grazie
dell'avvertimento.»
Sogghignò, quando vide
la scala di sasso discendere verso il basso e, tra sé, si chiese se là sotto vi
fossero anche delle celle.
O un drago.
ЖЖЖ
Tutto intento ad
osservare l'oro fondere nella fucina ringhiante di fuoco scarlatto, Winter
sobbalzò leggermente quando avvertì due braccia sottili avvolgerlo da dietro.
Volgendosi a mezzo,
sorrise nel vedere il viso di Kimmy tutto gaio e sornione.
«Ehi, ciao!» mormorò lui,
dandole un bacio sul capo.
«Ciao, bell'uomo»
sussurrò lei, sfiorando la sua schiena umida con un bacio.
Un attimo dopo, la
lingua guizzò fuori per saggiare il sale della sua pelle e, con un mugolio,
disse roca: «Sai quanto è eccitante vederti mezzo nudo, coperto di sudore e
davanti a una fucina, intento a preparare il mio regalo?»
«Sono sporco di
polvere di ferro, sono tutto sudato e sicuramente non ho un buon profumo...
come può essere eccitante?» ridacchiò Winter, attirandola davanti a sé per
osservarla meglio.
Adorava il modo in cui
abbinava i vestiti.
Quella mattina, per
andare al NOAA, aveva indossato stivali da cowboy, jeans neri attillati e una
camiciola aderente azzurra a righe bianche, cui aveva abbinato un gilè dalle
frange lunghissime, che danzavano ad ogni suo minimo movimento.
I capelli, chiari e
ondulati, le scivolavano liberi sulle spalle e la schiena.
Carezzandoli
distrattamente, le sorrise lascivo mentre Kimmy, socchiudendo gli occhi,
ammise: «Mi piace questo tuo lato primitivo. Mi intriga. Di solito, sei
sempre vestito in modo così perfetto,… mi fai quasi invidia. Ma ora... oh,
adesso ti mangerei tutto.»
«Buono a sapersi»
ridacchiò lui, calando su di lei per un bacio divorante.
Kimberly si lasciò
sfuggire un ansito deliziato e, subito, si avvinghiò a lui per aderire
completamente a quel corpo tonico e slanciato.
Graffiò i muscoli
frementi della sua schiena e scese con mani avide fino alla linea dei jeans,
dove si fermò per un attimo prima di discendere ancora.
Winter ridacchiò sulle
sue labbra, scostandosi da lei per sussurrarle: «Non siamo soli. Max e Malcolm
sono in cantina, e potrebbero tornare da un momento all'altro.»
«Oh» mugolò lei,
vagamente dispiaciuta. «Vorrà dire che finirò di divorarti stanotte.»
«Ci conto» disse roco lui,
chinandosi per darle un bacio voluttuoso sul collo.
I passi concitati di
Malcolm impedirono a Winter di proseguire e, nello scostarsi da Kimmy, lo vide
entrare con una bottiglia in mano, tutto concentrato e con l'aria di chi
avrebbe dato la vita pur di non farla cadere in terra.
Non appena vide Kimmy,
però, tutta la sua attenzione andò a zero e l'uomo, prevenendo un disastro,
afferrò la bottiglia dalle mani del figlio mentre Mal, lanciando le braccia in
aria, si fiondò vero la donna per abbracciarla.
Lei fece lo stesso e,
senza far caso al peso del bambino di quasi nove anni, se lo caricò in spalla e
disse: «Ora noi andiamo a fare i compiti, … ciao, Max... ti fermi a cena con
noi?»
«Ciao, Kimberly... oh, beh, non saprei. Sicuri che...»
Interrompendosi di
fronte allo sguardo accigliato della donna che, senza problemi, stava tenendo
in braccio Malcolm, tutto avvinghiato a lei con gambe e braccia, scosse il capo
e sorrise.
«Okay, non mi
sbranare. Resto volentieri. Faccio un paio di telefonate per avvertire i miei e
mio fratello che non ci sarò.»
«Oh, ma...» esalò
allora Kimmy, mostrandosi spiacente.
«Preferisco rimanere
qui» ammiccò Max, strizzando l’occhio a Mal, che scoppiò a ridere.
Più tranquilla, Kim si
volse un momento verso Winter e gli chiese: «Posso darti una mano, con il
pesce?»
«Puoi prepararmi il
trito con il prezzemolo e l'aglio, se vuoi. E Mal si può occupare della tavola»
le propose il fidanzato, chinandosi per appoggiare la fronte contro quella del
figlio, che sorrise spontaneamente. «Ti va bene, campione?»
«Sì, papà» assentì il
bambino, felice come una pasqua.
«D'accordo, e trito
sia. A dopo, signori» sorrise soddisfatta la donna, andandosene dalla fucina
con Mal ancora in braccio.
Non appena furono
soli, Max esalò: «Cavoli... si vogliono davvero un gran bene, quei due.»
«Diciamo che è stato
amore a prima vista» sorrise Win, estraendo dalla fucina il crogiolo di pietra
in cui si era fuso l'oro.
Trattenendolo con una
lunga pinza, lo spostò fin sopra lo stampo che avrebbe dato forma al codolo
dopodiché, con attenzione, vi versò dentro il metallo fuso poco alla volta.
Quando Max fu certo
che non vi fossero ulteriori pericoli, si arrischiò a chiedere: «Anche per te e
Kimberly è stato amore a prima vista?»
«Diciamo di sì»
ridacchiò lui, affondando per un momento in vecchi ricordi. «Lei aveva otto
anni e io dieci, la prima volta che ci conoscemmo. Ci separammo quando io ne
avevo da poco compiuti quattordici, ma già sapevo che lei sarebbe stata l'Unica,
per me, ed io per lei.»
«Ma sposasti Erin...»
borbottò confuso Max, grattandosi pensoso una guancia perfettamente rasata.
«Quella parte è un po'
complessa da spiegare» ammise Win, con un risolino triste.
«Un altro segreto che
non posso capire?» storse il naso l’imprenditore.
«Ti andrebbe bene se
ti dicessi che Erin era la mia promessa sposa fin dal giorno della mia
nascita?» ironizzò a quel punto Winter, ma senza alcuna allegria nella voce.
Fu quello a far
comprendere a Max che non stava affatto scherzando. E la cosa lo
sconvolse a morte.
Chi, nel ventunesimo
secolo, seguiva ancora simili regole?
«Anche... anche Spring
ha...» balbettò terrorizzato Max, non osando neppure immaginare per lei una
simile croce.
«Le mie sorelle e
Autumn sono stati… indirizzati verso
alcuni eletti, per così dire, ma stiamo
lavorando perché quest’assurdità venga a scemare. Di questo, però, preferirei
non ne accennassi a Spring. Non vorrei darle false speranze. E anche al
sottoscritto, nonostante tutto, è andata bene. Io ed Erin eravamo grandi amici»
sospirò Winter, lanciandogli un'occhiata da sopra la spalla. «Se deciderai di
entrare a far parte di questa famiglia, Max, dovrai accettare cose che ti sembreranno
molto più che strane. Sei disposto a farlo, per Spring?»
«Non siete terroristi,
vero?» ironizzò l’imprenditore, pur senza sorridere minimamente.
Win ridacchiò e scosse
la testa. «No, niente del genere.»
«E' difficile
risponderti adesso... ma spero non sia un ultimatum, il tuo» replicò cauto Max.
Sorridendo divertito, lo
scienziato negò recisamente e asserì: «Tutt'altro. Non ci sono limiti di tempo.
Anzi, in generale, ti direi di non porti dei limiti, soprattutto mentalmente.»
«Piuttosto oscura, come
spiegazione, ma mi accontenterò» scrollò le spalle Max. «Ma mi avvertirai,
vero, se lo spasimante di Spring dovesse capitare in città?»
«Dubito che Colin si
presenterà mai qui, visto che lui per primo vuole mettere fine a questa follia.
Non pensarci. Anche nella peggiore delle ipotesi, interverrei io per evitare
questa evenienza.»
L’imprenditore
sogghignò e disse: «E non devo chiederti come, vero?»
«Sei svelto.»
Max rise, e Winter con
lui.
«Grazie» disse poi il
climatologo, tornando serio.
«E di cosa?» ghignò
Max.
«Di esserti
accontentato. Fossi al tuo posto, non so se sarei stato altrettanto paziente»
ammise Win, con una scrollata di spalle.
«Hai aspettato
Kimberly per... vent'anni? E dici a me che non sei paziente?» sghignazzò Max,
divertito. «Credo che, quando una cosa è importante, la pazienza nasca da sé.»
«Sante parole» ammise
lo scienziato.
ЖЖЖ
Sdraiato sul suo
divano di pelle, tra le mani la planimetria di una villa che avrebbero
costruito di lì a qualche mese nel Connecticut, Max ripensò alla serata appena
trascorsa a casa Hamilton.
E, ancora una volta,
si stupì di quanta armonia vi fosse in quella famiglia.
Kimmy e Mal andavano
d'amore e d'accordo, pur conoscendosi da pochi mesi, e Winter aveva per loro lo
stesso amore incondizionato e la stessa dolce attenzione.
Spring adorava nipote
e futura cognata, e la cosa era più che ricambiata.
A completare quel
quadro di apparente perfezione, quella sera Summer era rimasta in collegamento Skype
con lo loro per quasi un'ora, chiacchierando e ridendo spensieratamente
nonostante si trovasse all'altro capo degli Stati Uniti.
Avevano riso, scherzato,
fatto battute, il tutto in un clima rilassato e composto e a sorpresa, a fine
chiamata, Summ si era rivolta al nipote facendo gli auguri di compleanno a
Erin.
Solo allora Max aveva
compreso che, quella cena luculliana e ricca, aveva avuto un significato
speciale per tutti loro e, per un attimo, lui si era sentito di troppo.
Ci aveva pensato Mal a
sistemare tutto, raccontandogli per filo e per segno come fosse stata Erin, e
quanto amore avesse riversato in quella casa.
Malcolm gli era parso
sereno e, nel parlargli della madre defunta, Max non aveva notato alcuna
inflessione nella voce, nessun rimorso o rammarico per il tempo passato lontano
da lei.
Era evidente che il
trapasso della madre era stato vissuto con estrema positività, e lui era quasi
certo che quasi tutto il merito fosse da addebitare a Winter.
Era un bravissimo
padre, attento e scrupoloso senza essere un bonaccione.
Sapeva quando dire di
no e quando concedere deroghe e, soprattutto, non alzava mai la voce.
E Malcolm pendeva
dalle sue labbra, adorante.
Avevano un rapporto
bellissimo.
Chissà se anche lui
sarebbe stato in grado di creare qualcosa si simile, con suo figlio?
E lì si bloccò,
sconcertato.
Da quando in qua lui
pensava ad avere dei figli? Ne voleva veramente uno? E perché ci pensava
proprio adesso?
Reclinando la
planimetria sul torace quando l'orologio digitale, appeso alla parete, segnò le
due di notte, Max borbottò tra sé: «Mi sa che è il caso di dormire, a questo
punto. Sto sragionando.»
Ma quando chiuse gli
occhi, non trovò pace alcuna.
L'immagine di Spring
gli balenò nella mente come un lampo nel buio.
La rivide sorpresa e
deliziata nel trovarlo a casa del gemello, si beò dei suoi sorrisi sinceri e
delle sue risatine divertite, e fremette al ricordo del suo bacio della buonanotte.
No, non avrebbe
dormito affatto, quella notte.
Crollò senza forze
solo verso le quattro, sdraiato scompostamente sul divano e, una volta tra le
braccia di Morfeo, sognò lei.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
8
8.
Max non aveva esagerato. Anne Marie e le sue amiche
non avevano davvero idea di cosa volesse dire acquistare un abito da cerimonia.
Erano tutte giovanissime – non aveva preso in
considerazione che Anne Marie potesse ancora andare all'università – e di certo
prediligevano lo stile ‘apro l’armadio e
prendo la prima cosa a caso’.
Con uno spirito troppo vicino ai figli dei fiori per
poter essere veramente esperte di abiti da cerimonia, le tre ragazze si erano
affidate a Spring con occhi sognanti e speranzosi.
Non potendo fare altro, lei si era messa di buon grado
alla ricerca dell'abito migliore per tutte loro.
Dopo aver stabilito che il colore più adatto per Anne
Marie sarebbe stato il bianco – e non il crema – Spring si era impegnata a
trovare un vestito che desse un tocco invernale al suo incarnato solare.
L'iniziale terrore da parte della ragazza era stato
presto soppiantato dalla meraviglia mentre, uno dopo l’altro, gli abiti si
erano susseguiti nello spogliatoio.
Katie e Virginie si erano prestate a cambiarsi non
meno di un centinaio di volte e, ad ogni nuovo abito, la loro si sicurezza si
era fatta più manifesta.
Alla fine, Spring non aveva dovuto fare altro che dare
loro fiducia, spingendole ad aver maggiore coraggio per mettere a voce dubbi e
certezze, di fronte alla miriade di abiti esposti.
Era stato bello instradarle verso un genere che
potesse piacere a tutte e, al tempo stesso, si era sentita orgogliosa di loro.
Dopo l'iniziale panico, provato di fronte a
quell'ambiente per loro così insolito, avevano anche loro trovato la strada
giusta per districarsi in quel mare di perline, rasi e nastrini.
Per Anne Marie avevano infine scelto un abito dalla
scollatura a V, con larghe spalline e un’ampia gonna a campana in tulle, il
tutto ricoperto di Swarowsky.
Un diadema reggeva un lungo e semplice velo, mentre sandali
Oscar de la Renta, dall’intricato disegno a nodo, completavano l’abbigliamento
della sposa.
Le damigelle d'onore, invece, avevano infine optato per
il celeste.
Gli abiti, senza spalle e in leggero chiffon di seta,
scendevano come nuvole leggere lungo i corpi esili delle ragazze, stretti in
vita da un bustino rigido e impreziositi da una rosa all’occhiello.
Non volendo essere inferiori alla sposa – che si era
dichiarata vagamente preoccupata per il tacco della sua scarpa – le damigelle
avevano a loro volta acquistato dei sandali in tono con gli abiti.
E con eguale tacco da sette centimetri.
Nel complesso, il tutto non aveva richiesto più di tre
ore e, per coronare degnamente il pomeriggio, Spring era uscita con loro per
mangiare un boccone in un pub, dove poi si erano fermate per la serata.
Era stato un sabato davvero proficuo.
Con simili presupposti, Beltane sarebbe stata una
festa bellissima.
Non appena aprì le imposte di casa per salutare quel
giorno così speciale, inspirò l'aria frizzante del mattino e sorrise allegra
quando un venticello dispettoso le gonfiò i suoi capelli.
A mezza voce, sussurrò: «Un felice Beltane anche a te,
Autumn.»
Neppure dieci secondi dopo, il suo telefono squillò e
Spring, ridacchiando, trotterellò accanto alla cassettiera, dove era poggiato
il cordless.
Nell'accettare la chiamata, esordì dicendo:
«Buongiorno.»
«Ciao, fatina.»
Autumn era sempre così.
Per Beltane, la chiamava sempre fatina.
Poteva essere scorbutico, di poche parole, arrabbiato
perennemente con il mondo ma, a Beltane, le telefonava sempre.
«Allora, quest'anno ci degnerai della tua presenza? O
farai ancora l'eremita?» gli domandò con ironia, ma con un sottofondo di ansia
che Autumn percepì subito.
«Manterrò la giornata bella e priva di nubi su
Washington, ma non chiedermi di più. Non riesco a fare di più.»
La sua voce, roca come sempre, stridette leggermente,
come se la compostezza di Autumn fosse sul punto di vacillare.
«Non vuoi ancora dirmi cosa ti... vi turba
tanto?»
Silenzio.
Spring sbuffò e ritentò dicendo: «Sai, dovresti
davvero venire, anche solo per fare i complimenti a Mal. Sai che ha cominciato
ad avvertire i primi bargigli di potere, e riesce a parlare anche con Erin?»
Ancora silenzio. E un rantolo.
«Senti, Autumn, io ti voglio bene, ma inizia a
stancarmi questo muro contro muro tra te e Win. Io amo entrambi voi, e mi fa
star male vedervi così divisi. Non fosse altro che per Mal, dovreste piantarla
di odiarvi così tanto» lo pregò con una certa enfasi la gemella, accalorandosi
non poco.
«Occupati del tuo ingegnere, fatina, e non dei miei
affari. E' meglio. Quanto a Winter, non penso proprio che lui sia tanto
preoccupato dal nostro... feeling. O dalla sua totale mancanza» replicò
sprezzante Autumn, perdendo del tutto il desiderio di essere gentile con la
sorella.
«Hai di nuovo sbirciato, fratello?» brontolò Spring, arrossendo generosamente.
Come lei e gli altri, anche Autumn aveva feroci
limitazioni nel percepire la presenza degli altri Guardiani.
Ma, quando uno
di loro si trovava nelle immediate vicinanze di un essere umano, di un normale – come li definivano loro –
questi brillava quasi come una supernova, agli occhi degli altri Elementi.
Era facile, a quel punto, localizzare il Guardiano
desiderato.
I baci che lei e Max si erano scambiati dovevano averla
fatta brillare più di mille stelle contemporaneamente e, per Autumn, era stato
facile beccarla, vista l’estensione dell’elemento del gemello.
Una bella seccatura.
Però, se aveva percepito lei...
«Autumn, perché dici che Winter non parla mai di te?
So da fonti certe che non è affatto vero» gli fece notare dubbiosa Spring,
aggrottando la fronte.
«Sai che ti dico, Spry, per quest'anno basta... vi ho
già sentite fin troppo. Buon compleanno e divertiti, col tuo vestitino bianco»
brontolò il gemello, già sul punto di buttare giù il telefono.
La sorella lo prevenne, asserendo caustica: «Non ti
avvicini neppure con il tuo elemento, vero? Lo odi a tal punto...»
«Spry, lasciami in pace. Non puoi capire.»
Il ringhio di Autumn la fece rabbrividire. Non c'era
rabbia ma... angoscia.
«Non potrò mai capire, se non mi parli. E, a quanto
pare, Win neppure sa perché ce l'hai a morte con lui, perciò l'unico che mi
rimane sei tu. Ma posso aiutarti, posso ascoltarti, se sei triste per qualcosa e...»
Interrotta la sorella con un sibilo infastidito,
Autumn replicò feroce: «Nessuno può capire, Spry! Nessuno! Slan agus
beannacht...»
Un attimo dopo, la comunicazione venne interrotta e
Spring, a metà tra il frustrato e lo spiacente, fissò il cordless mormorando:
«Salute e bene anche a te, testardo irlandese che non sei altro.»
Non si sarebbe fatta rovinare il compleanno da quello
scorbutico di suo fratello però, cavoli, poteva anche risparmiarsela l'uscita
del 'nessuno può capire'.
Loro erano i suoi fratelli. Chi, se non loro, potevano
comprenderlo?
«Maledette teste dure irlandesi» brontolò ancora la
donna, dirigendosi in cucina per accendere la macchinetta del caffè.
Il trillo del campanello la fece sobbalzare per la
sorpresa e, accorsa che fu alla porta, aprì per curiosare all'esterno e capire
chi fosse giunto a casa sua a quell’ora del mattino.
Restò perciò basita nel trovare dinanzi al cancello
una cesta enorme di rose rosse e bianche, abbellite da un gigantesco fiocco di
raso color confetto.
«Oh, cielo!» esalò lei, sorridendo come una scema
nell'andare a recuperare il cesto dinanzi al cancello d'ingresso.
Non appena fu innanzi a quella spettacolare
composizione, scoppiò a ridere nel vedere l'adesivo del suo negozio e, sbirciata
la busta che era infilata tra le rose, la estrasse e ne lesse il contenuto con
un sorrisone stampato in faccia.
«Oh, Max...» ridacchiò, scuotendo il capo.
«Mi sono guadagnato un caffè?» esordì una voce poco
lontano da lei.
Volgendosi all'improvviso, Spring corse incontro all’uomo
e gli gettò le braccia al collo, per poi tempestarlo di baci.
«Cavoli, sono bellissime! Grazie!»
Max si lasciò andare ad una risata allegra e, nel
farle fare una mezza giravolta, la rimise a terra subito dopo dicendole:
«Melanie era convinta che ti sarebbe piaciuto, come regalo di compleanno.»
«L'ho sempre saputo che Melly ha buon gusto» ammiccò
Spring, osservando poi l’uomo con maggiore attenzione.
Quella mattina, contrariamente al solito, non
indossava un completo gessato ma una semplice camicia azzurra su pantaloni
scuri, e mocassini Hermes dal taglio impeccabile.
Nessuna cravatta cingeva il suo collo e, anzi, il
primo bottone della splendida Ralph Lauren che indossava era slacciato.
Wow. Che era successo?
Notando il suo sguardo prolungato e serio, Max si
guardò dubbioso prima di chiederle: «Ho qualcosa che non va?»
«No, anzi. Sei... diverso» sorrise compiaciuta lei,
afferrandolo ad una mano per poi dire: «Vieni dentro. Ti meriti caffè e
cornetti.»
«Grazie» esclamò lui, prendendo al volo il cesto delle
rose per portarlo dentro casa.
Spring ridacchiò nel vederlo immerso tra i
meravigliosi fiori e, quando aprì bene la porta per farlo entrare, mormorò:
«Sei pronto a penetrare nella tana del drago?»
«Se tu sei il drago, ben volentieri» ridacchiò Max,
dandole un bacetto sul naso.
Lei allora lo sospinse all'interno e, dopo aver chiuso
a chiave la porta, gli indicò dove mettere il cesto.
«Caffè nero, o con il latte?» gli domandò poi,
ammirandolo senza ritegno alcuno.
Era così maledettamente attraente, quella mattina!
Ma Max non la stava affatto ascoltando.
Si stava guardando attorno con aria assorta,
curiosando oltre le porte finestre al pian terreno, per poi passare all'ampio
open space del suo appartamento.
Lì, oltre un basso muricciolo di pietra, intravide la
cucina, il salone ampio e colmo di mobili antichi, divani dai ricchi ricami
fiorati e piccole alzate in legno dove si trovavano oggetti di chiara foggia
celtica.
Ai muri, ampie vedute dell'oceano atlantico e delle
scogliere irlandesi si mescolavano a bei paesaggi montani e infinite distese
boschive.
Max, ammirando quelle meravigliose fotografie, le
domandò pensoso: «Posti che hai visto?»
Annuendo nell'affiancarlo, Spring gli spiegò la storia
di ogni foto e del motivo che l'aveva spinta a ritrarre quel preciso scorcio di
paesaggio e, per ogni racconto, Max le sorrise maggiormente, come stregato
dalle sue parole.
Con l'ultima, raffigurante un castello irlandese
nascosto in parte della bruma, mormorò tristemente: «La dimora dei miei nonni
materni. E' il posto dove siamo nati. Questa foto la fece mia mamma, quando
ancora ci aveva in grembo.»
«Siete nati... in un castello?» esalò sorpreso Max,
fissandola con occhi sgranati quanto increduli. «Immaginavo che, con un parto plurigemellare,
ci fosse bisogno di un'equipe di medici.»
«E ci fu» ammise Spring. «So che assistettero al parto
non meno di sei persone. Un dottore per ogni neonato e due per la mamma.»
«Cavoli!» fischiò ammirato Max, tornando ad osservare
la fotografie con occhio attento, avvertendo in esse un’aura di misticismo e di
mistero. «Ci sei più tornata?»
«No» dichiarò lapidaria Spring, facendosi di ghiaccio
in viso.
Max capì immediatamente che quello era un argomento
più che tabù e, in un attimo, rammentò le parole di Winter riguardo la loro
strana famiglia.
Non volendo rovinarle il compleanno, però, preferì
svicolare subito e, con casualità, si volse in direzione della cucina,
domandandole: «Allora, quello è il tuo regno degli incubi?»
Spring impiegò un attimo per comprendere cosa volesse
dire ma, quando ne seguì lo sguardo, scoppiò a ridere e annuì.
In effetti, con tutti i post-it applicati ad ogni
elettrodomestico e tutti i punti esclamativi e le sottolineature di Winter,
quel posto sembrava un laboratorio di analisi di materiali pericolosi.
Avviandosi leggera in direzione della cucina, subito
seguita a ruota da Max, lei gli indicò uno dei post-it, spiegandogli i motivi
di tanti segnali di pericolo.
«Vista la mia indubbia tecnofobia, Win ha pensato bene
di lasciarmi tutta una serie di appunti perché non mi dimentichi come
azionare cosa. E devo dire che, nove volte su dieci, mi riesce tutto.»
Max ridacchiò nel sentirla denigrarsi con così tanta
leggerezza e, nel vederla estrarre da una scatola un paio di cornetti alla
crema, la prevenne dicendo: «Permetti che sia io a pigiare il tasto ‘on’
sul tuo microonde?»
«Prego. Per me rimane ancora una trappola, quel
marchingegno.»
Sogghignò la donna, fissando male il povero microonde.
Max scoppiò allora in una grassa risata mentre, con
gesti da consumato fruitore di tale elettrodomestico, caricava sull'apposito
piatto i due cornetti per poi regolare il timer e la temperatura.
Spring lo osservò assorta e, quasi senza accorgersene,
lo avvolse alla vita con le braccia.
La testa si poggiò con naturalezza contro il suo
torace e Max, con un sorriso leggero sul viso, le baciò il capo mormorando:
«Ehi, piccola... tutto bene?»
«Mi piace averti qui in cucina, intento a prepararmi la
colazione. E adoro il tuo profumo» sussurrò lei, socchiudendo gli occhi per il
piacere.
«Non ho messo nessun profumo, neppure il dopobarba, a
dire la verità» precisò lui, sogghignando divertito.
Spring allora lo fissò con un sorriso estasiato sul
volto e mormorò: «Muschio... hai un buonissimo profumo di muschio. Mi piace
l'aroma della tua pelle.»
«Vorresti... assaggiarla?» le sussurrò sulle labbra,
prima di baciarla.
«Sì» ansò lei, piegando il collo all'indietro per
lasciare che la bocca di Max la sfiorasse anche lì.
Lui non si fece pregare e, mentre il campanello del
microonde trillò inascoltato, Max proseguì nel suo lento discendere lungo il
collo morbido e vellutato di Spring.
La donna si aggrappò forte alle sue braccia,
avvertendo un calore sempre crescente sorgere dentro di lei e, ansando in cerca
di soddisfazione, o d'aria – Max non seppe dirlo con certezza – lei esalò: «Ti
prego... ti prego...»
«Spring, non credi che sia...» mormorò lui, tentando
con ogni mezzo di chetare il suo desiderio di prenderla proprio lì, in mezzo
alla cucina.
«E' Beltane... niente... di strano...» ridacchiò per
contro la donna, afferrando la sua camicia per poi fissarlo intensamente negli
occhi.
«Non voglio fare le cose di fretta... farti pensare
che sia venuto qui per...» tentennò l’uomo, non sapendo bene cosa dire, come
fermare l'onda che lo stava trascinando inesorabilmente verso di lei.
La donna si limitò a sorridere e, nello scuotere il
capo, disse: «Lasciati guidare dal tuo desiderio, Max, perché è anche il mio.
Non è presto né tardi. E' il momento giusto, tutto qui.»
Max allora le baciò con forza il collo, facendola
ansimare e Spry, nell'afferrare le sue spalle, mugolò: «In camera... da
letto...»
L’uomo la sollevò lesto tra le braccia, nel corpo
un'urgenza come mai, prima di allora, gli era capitato di avvertire nei
confronti di una donna.
Nel seguire a stento le sue indicazioni, oltrepassò
una porta di legno e vetro per poi infilarsi in un corto corridoio che
conduceva direttamente alla sua stanza da letto.
Lì, rimase un attimo strabiliato nel trovarsi davanti
un letto a baldacchino con tanto di tendine tirate negli angoli e, nel notare
il risolino di Spring, le sorrise esalando: «Romantica fino a questo punto?»
«Sì» annuì lei, lanciando un'occhiata distratta
tutt'intorno a sé.
In effetti, la stanza era molto femminile, nei toni
del bianco e del lillà chiaro.
Le tende del baldacchino erano identiche a quelle
delle finestre, ed enormi cuscini sparsi un po' ovunque – sul letto, come sulle
poltroncine sotto la finestra – davano l'idea di un tempio della femminilità in
grande stile.
Un profumo di rose galleggiava nell'aria, e il
copriletto a fantasie di fiori era così bello che Max ne rimase ammaliato per
alcuni attimi, mentre vi faceva stendere sopra Spring.
«Lo hai... ricamato tu?» mormorò ammirato Max,
sfiorando la superficie del disegno con dita esitanti.
«Ti piace?» sussurrò lei.
«Sarebbe più facile dire quello che non mi piace...»
ridacchiò lui, togliendosi i mocassini con un gesto negligente per poi
stendersi assieme a lei sul letto.
A quel punto, però, Max si sentì tremendamente a
disagio, non sapendo bene come affrontare il desiderio che lo spingeva ad
unirsi a Spring.
La donna, calma e serena, gli carezzò una guancia e
mormorò: «E' la magia di questo giorno, Max. Lascia che entri dentro di te, che
ti possegga... perché tu possa possedermi.»
Quelle ultime parole fecero fremere Max che, chiusi
che ebbe gli occhi, percepì attorno a sé il profumo dolce e sensuale di Spring
e, strano a dirsi, il suono indistinto e lontano di tamburi e di flauti dolci.
Cosa diavolo erano?
«Non badare alla musica, ma a noi» sussurrò lei,
slacciandogli la camicia un bottone alla volta e facendo seguire alle labbra lo
stesso tragitto.
Max trattenne a stento un ansito e, preda di ciò che
lo aveva spinto fin nella camera di Spring, la rivoltò sotto di sé per baciarla
con ardore mentre, con gesti febbrili, la liberava della maglietta e dei
pantaloncini che indossava.
Le mani di lei non furono meno frettolose e, dopo aver
terminato con la camicia, gliela sfilarono a forza dalle spalle per poi passare
alla cintura che tratteneva i pantaloni.
Max la aiutò, ben deciso a liberarsi di quella gabbia
mentre, con la bocca, le divorava l'incavo del collo e le clavicole.
Cercò di non soffermarsi troppo sul bel reggiseno di
pizzo o, ne era certo, glielo avrebbe strappato di dosso immediatamente. A
morsi.
Quando finalmente anche i suoi pantaloni furono
eliminati dall'equazione, Spring sorrise sensuale e soddisfatta. «Sei molto
felice di vedermi, eh, Max?»
«Ma va?» ridacchiò lui, risalendo con una mano lungo
la sua coscia liscia e tornita.
Dio, quelle gambe così belle! Erano delicate, esili,
bianco latte, e lui voleva divorarle un pezzo alla volta. Voleva divorarla
tutta.
E lo fece.
Mentre le unghie di Spring affondavano nella sua ampia
schiena, Max mordicchiò un centimetro alla volta quel corpo voluttuoso e dalla
pelle dal sapore di pesca.
Gli ansiti di della donna si fusero con i suoi.
Senza neppure rendersene conto, liberò se stesso e lei
dall'ultima barriera che li separava e, come preda di un incantesimo, non badò
più al tempo che scorreva.
Fu consapevole solo di lei, di quel corpo rovente
sotto il suo, pronto solo per lui.
La amò con passione e generosità, dando e ricevendo in
parti uguali e, quando raggiunse il culmine con lei, ebbe come l'impressione
che, intorno a loro, la terra stesse tremando.
Non vi badò. Avrebbe anche potuto morire felice, a
quel punto.
Aveva avuto lei, aveva amato Spring.
Sì, il mondo poteva anche inghiottirlo, per quel che
gli interessava.
ЖЖЖ
Avvolti dal leggero copriletto a fiori, Max e Spring
stavano osservando con aria sgomenta e divertita insieme il groviglio di abiti
sparsi in giro per la stanza, neanche fosse passato un uragano a sparpagliarli.
Appoggiata al torace di Max e intenta a giocherellare
con la peluria sottile e bionda che gli ricopriva il petto, mormorò tronfia:
«Il miglior sesso mattutino di tutta la mia vita. Giuro.»
Max ridacchiò con tono vagamente ghignante e, nel
darle un bacio sulla tempia, ammise: «Niente da dire, mi trovi d'accordo.»
«Non avremmo potuto benedire meglio questa giornata»
ridacchiò Spring, tutta contenta.
Il fuoco del risveglio della terra li aveva pervasi
per due ore buone e, pur sapendo che avrebbe potuto succedere, Spring ne era
rimasta quasi scioccata.
Era la prima volta in assoluto che quel potere la
pervadeva e, quando lo aveva avvertito anche in Max, si era sorpresa e, sì, in
qualche modo la cosa l'aveva terrorizzata.
Perché voleva dire solo una cosa, e non era sicura di
volerla sentire.
E, soprattutto, non era certa che Max avrebbe potuto
accettarla senza porre domande a cui lei, in quel momento, non voleva affatto
rispondere.
Si trovava bene con lui, e ciò che avevano appena
condiviso era stato così bello e così terrificante al tempo stesso da farle
capire che, in quella faccenda, avrebbe dovuto procedere con i piedi di piombo.
Non voleva fare del male a Max ma, al tempo stesso,
non voleva neppure mentirgli.
Eppure, le pareva così improbabile che lui potesse
capire ciò che lei realmente era! Max era così ben piantato a terra, così
preciso, così legato a tutto ciò che si poteva misurare e sistemare con l'uso
delle mani o della mente.
Difficilmente avrebbe compreso che esisteva tutto un
mondo oltre al conosciuto, e che lei ne era parte integrante.
«Dici che sono stato il tuo Re Cervo, piccola?» le
sussurrò lui, mordicchiandole il lobo dell'orecchio.
Spring per poco non balzò fuori dal letto per la
sorpresa.
«Cosa?!» esclamò lei, facendo tanto d'occhi.
Max scoppiò a ridere vedendola così sconcertata e,
scrollando le spalle, si spiegò meglio.
«Me ne ha parlato Winter. Ha detto che la festa di
Beltane serviva per benedire il risveglio della Madre e che una vergine,
insieme al giovane più prestante del villaggio... beh...»
«E non ti da... noia?» tentennò lei, non sapendo bene
come reagire a quella confessione.
Perché Win gliene aveva parlato?!
«Cosa? Che festeggiate quest'antica usanza? No, mi
pare carino. E poi, visto che quella parte in particolare sembra essere
spettata a me, di certo non mi lamento» sorrise malizioso lui, baciandola con
delicatezza sulle labbra. «Perché?»
«No, nulla. Temevo ci prendessi per... mah,... dei
pazzi» ridacchiò nervosamente lei, cercando di non lasciarsi nuovamente
prendere dalla frenesia.
Max fu di tutt'altro avviso.
La stese sotto di sé e, con un sorrisino lascivo, le
mormorò contro la gola: «Alla fine sarai pazza, ma di gioia...»
Spring perse completamente di vista le sue paure e i
suoi timori. E, come promesso, Max la fece impazzire.
ЖЖЖ
Era in ritardo, in tremendo ritardo, ma non ci poteva
fare nulla.
Max era scivolato via di casa solo verso le undici
passate e, dopo averla salutata con un bacio divorante, le aveva promesso che
l'avrebbe chiamata lunedì per sapere della loro festa in famiglia.
Ora doveva riuscire a trovare l'aplomb giusto per
affrontare il fratello durante il pranzo domenicale e, soprattutto, per vedere
la zia, che sarebbe tornata quel pomeriggio proprio per festeggiare Beltane.
Quando però mise piede al piano superiore, Spring capì
immediatamente che tutto sarebbe stato vano.
Winter le si avvicinò per abbracciarla con calore e,
baciate le sue guance rosee, mormorò gentilmente: «E' stato carino con te?»
«Sì» assentì Spring, arrossendo leggermente.
Il gemello allora le diede un buffetto sul naso e,
sorridendo maggiormente, aggiunse: «Ti sei divertita?»
«Molto. E' stato... magico» ammise lei, rabbrividendo
suo malgrado.
Win si accigliò immediatamente a quella vista e, nel
carezzarle le braccia con fare protettivo, le domandò turbato: «La Madre vi
ha...?»
«Sì. Abbiamo eseguito il rito, Win. E Max... oddio,
Max era pervaso dalla forza stessa del Re Cervo. Ha sentito la musica,
capisci?!»
A quel punto, Spring impallidì e Winter,
abbracciandola con forza, la cullò contro di sé sussurrandole parole gentili e
confortanti.
«Non so se lo voglio, bratháir. E' troppo presto... Max non è ancora pronto per noi, per
il nostro mondo, e forse non lo sarà mai! E io non voglio ferirlo!»
«Tesoro, calmati. Non è successo nulla di
irreparabile, okay?» mormorò Winter, accompagnandola gentilmente al divano
perché si accomodasse. «Fossi in te, darei più credito a Max, sai? Non credo
che tu debba temere per lui o per una sua reazione.»
«Mi ha detto che gli hai accennato alla storia del Re
Cervo. Perché l'hai fatto?» mugugnò lei, turbata.
«Un paio di giorni fa è passato a trovarmi e io gli ho
raccontato un po' di noi. Era affascinato dalla faccenda del pugnale che stavo
facendo per Kimmy. Credo che non sia solo il freddo calcolatore che tu temi. Ha
una luce speciale, negli occhi, penso che anche tu te ne sia accorta.»
Poi, malizioso, aggiunse: «O gli hai guardato solo il
sedere?»
«Win!» esplose lei, scoppiando a ridere nel dargli uno
schiaffo sul braccio.
«D'accordo, d'accordo, ha anche una bella faccia»
sghignazzò il gemello, cercando di difendersi dai colpi infertigli dalla
sorella. «E no, non ammetterò nient'altro.»
«Sei insopportabile, sai?» rise lei, abbracciandolo
con foga.
Un attimo dopo, Malcolm saltò fuori dalla cucina e si
gettò addosso a loro per abbracciarli entrambi, scatenando le risa dei due
adulti.
Kimmy, dalla porta della cucina, osservò l'intera
scena con un sorrisino e, nello scrutare il volto sereno del fidanzato, gli
strizzò l'occhio complice, orgogliosa di come Win avesse affrontato l'intera
situazione.
Aveva preferito trattenere Malcolm in cucina fino a
quel momento, perché sapeva che Winter desiderava parlare da solo con la
sorella e, pur se un po' preoccupata dal suo lato estremamente protettivo,
aveva accettato di farsi da parte.
Ma, quando aveva udito Spring ridere, Kimmy aveva
compreso che tutto era andato bene.
Non che non si fidasse di Win, ma sapeva quanto poteva
diventare cieco, quando ci si metteva e, dopo aver visto uscire Max
dall'appartamento di Spring, nessuno dei due aveva avuto dei dubbi su ciò che
era avvenuto.
Con o senza la piccola scossa tellurica che aveva
squassato la città.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
9
9
La lama scintillò sotto la luce del sole appena sorto
e Kimmy, nell'osservarla con aria soddisfatta e orgogliosa, ripensò per l'ennesima
volta alla festa di Beltane appena conclusasi.
Contrariamente a quanto aveva temuto, i suoi genitori
non erano impazziti di colpo, e non avevano dato a tutti loro dei fuori di
testa.
Avevano ascoltato pazientemente la dissertazione di
Winter, che aveva preferito partire dall'inizio dei tempi, da dove tutto era
cominciato e, alla fine, si erano guardati vagamente sorpresi ma... sì,
deliziati.
L'idea di avere un futuro genero con doti così
singolari, e un quasi nipotino adorabile come sapeva essere Malcolm, li aveva
riempiti di gioia.
Quando poi avevano saputo che anche gli altri gemelli
Hamilton non erano dissimili da Winter, si erano dichiarati entusiasti.
Oh, sì, negli occhi di entrambi Kimmy aveva scorto
l'incredulità e una certa dose di eccitazione, dovuta sicuramente alla novità
ma, alla fine dei conti, tutto era andato meglio di quanto aveva sperato.
Aveva abbracciato entrambi i genitori, ringraziandoli
per la loro pazienza e comprensione.
Quella sera stessa, quando avevano partecipato alla
festa di Beltane, era stata attenta a spiegare loro ogni cosa, perché non
rimanessero sconvolti da certi rituali poco comprensibili per un profano.
La faccenda del pugnale, più di tutto, l'aveva in
qualche modo angustiata.
A lei era piaciuta fin dall'inizio ma aveva avuto il
timore che, per mamma e papà, potesse essere troppo.
Invece, anche quella volta, loro l'avevano stupita.
Non solo si erano dichiarati entusiasti del risultato,
ma avevano fatto i complimenti a Winter per la sua creazione.
Lui ne era stato così colpito che, con gli occhi
lucidi e le mani leggermente tremanti, li aveva abbracciati entrambi per un
tempo indefinito.
Era più che evidente quanto la loro approvazione lo
avesse commosso e quanto, al tempo stesso, la mancanza dei suoi genitori gli
pesasse sul cuore.
Nel lanciare uno sguardo al suo fianco, dove Winter
ancora riposava saporitamente, Kimmy sorrise e lo carezzò gentilmente sulla
schiena nuda. Come facesse a dormire tutta notte prono, solo lui lo sapeva.
Tornata che fu con lo sguardo al pugnale, Kimberly ne
ammirò le pietre scintillanti, ognuna delle quali – a parte il turchese – era
stata benedetta dai detentori dell'Elemento ad esse legato.
Winter le aveva chiesto scusa per il comportamento
egoista di Autumn, ma Kimmy non vi aveva fatto caso.
Contrariamente al fidanzato, lei sapeva benissimo
cosa non andasse nel gemello ribelle degli Hamilton, ma di certo non sarebbe
stata lei a rendere noto quel segreto.
Erin le aveva chiesto di non dirlo ad alcuno, e a ciò
si sarebbe attenuta.
Con un dito, Kimmy sfiorò l'arma perfettamente
lavorata e, con un sorrisino puramente edonistico, passò il polpastrello sul
suo nome, inciso sul piatto della lama.
Quel pugnale era suo,
era intriso del potere dei tre fratelli Hamilton e rappresentava l'amore e la
fiducia che Winter aveva per lei.
Quale altra donna poteva vantare un simile dono?
Nessuna, a suo modo di vedere.
Un mugolio al suo fianco la portò a voltarsi e Win,
nell'aprire gli occhi sonnacchioso, le sorrise a mezzo prima di mormorare roco:
«Vuoi già usarlo?»
Kim ridacchiò nell'infilarlo nel suo fodero di pelle
e, con un sorriso malizioso, si chinò per baciarlo e sussurrare sulle sue
labbra: «Non lo userei mai su di te... ma opterei per qualcosa di un po' meno
truculento e più... intrigante.»
L’uomo si fece subito attentissimo e, nel mettersi
seduto, l'attirò a sé.
«Che cosa ha congegnato la tua mente diabolica?»
Lei glielo sussurrò a un orecchio e Win,
nell'osservare attentamente la sveglia – segnava le sei meno dieci – asserì
lapidario: «Andata. C'è tempo sufficiente.»
La risatina deliziata di Kimmy lo attraversò come una
corrente a basso voltaggio.
Quando poi la vide prendere la via della porta, con
indosso solo la sua T-shirt, per dirigersi verso la cucina, Winter non vide
l'ora che tornasse con la panna montata.
Perché lui adorava la panna montata.
ЖЖЖ
Come ogni anno, il niveo vestito in raso, che
sceglieva per la festività di Beltane, era stato bruciato nel camino della loro
taverna.
Sfrigolante e potente, la fiamma scarlatta l’aveva
divorato fino all’ultimo pezzo, benedicendo la giornata.
Zia Brigidh era tornata nel primo pomeriggio e, come
prevedibile, era scoppiata in lacrime nel vedere Kimmy e l'aveva abbracciata
con calore, chiedendole perdono per la sua viltà.
Kimberly aveva fatto di tutto per tranquillizzarla, ma
a nulla erano servite le sue rassicurazioni.
Brigidh l'aveva presa da parte e, sedute entrambe su
una delle panchine del giardino di casa, la donna aveva raccontato a Kim cosa
l'avesse spinta a infrangere la promessa fatta, mettendosi così in contatto con
i genitori.
Lei conosceva benissimo quella storia, perché l'aveva
vissuta sulla pelle in prima persona.
Brigidh si era vista costretta a chiedere aiuto alla
sua famiglia, perché non in grado di insegnare da sola l'arte magica ai nipoti.
Come Veggente, non era completamente addentro ai
segreti degli Elementi come, invece, lo era stata la sorella Camille, da sempre
educata allo scopo di insegnare ai suoi figli.
Non sapendo come altro fare per dare una mano ai
nipoti, rimasti da poco senza i genitori, ed essendo tutti loro in gravi
difficoltà finanziarie, Brigidh aveva dovuto telefonare alla madre.
E questo aveva permesso a tutta la famiglia di
conoscere la loro condizione, oltre alla loro ubicazione.
Così facendo, il Consiglio degli Anziani – di cui
facevano parte i suoi genitori, quelli del cognato e di Erin, oltre ai vecchi
Guardiani degli Elementi – aveva scoperto dove Anthony e Camille avessero
portato i figli.
I gemelli avevano perciò ricevuto l'addestramento
necessario per diventare dei bravi Guardiani.
Solo questo, però, era giunto dall’Irlanda. La condizione
finanziaria di Brighid e dei gemelli era affar loro.
E questo aveva segnato l’ennesimo solco tra gli
Hamilton e il Clan.
Al compimento del diciannovesimo anno dei gemelli,
poi, Winter era stato obbligato a fidanzarsi con Erin, che mai aveva visto, né
conosciuto, prima.
Seguendo gli antichi riti ancestrali, a cui Anthony e
Camille avevano tentato di non sottoporre i figli, lui era stato legato alla
ragazza perché partorisse il Guardiano dello Spirito.
Brigidh non aveva potuto far nulla per impedire
quell'unione e, negli occhi di Winter, aveva letto non solo lo sconforto più
nero, ma anche una profonda inquietudine.
Le era stato chiaro fin dal primo momento quanto poco
avesse voluto quel fidanzamento, pur se alla fine lui ed Erin erano divenuti
grandi amici.
Perché Brigidh aveva sempre saputo per chi avesse
battuto il cuore del nipote.
Per Kimberly, e solo per lei.
L'aver saputo, dopo anni di profondo strazio, del loro
riavvicinamento, le aveva tolto un peso dal petto.
Ma sapeva bene che avrebbe impiegato ancora molto, per
cancellare il rimpianto per non aver potuto fare nulla per i gemelli.
Fu con quei pensieri tristi e sfuggenti che Spring
penetrò nella doccia.
Passandosi le mani insaponate sul corpo tonico e
asciutto, Spring si levò di dosso le tinte rosse e oro con cui si era dipinta
il corpo la sera prima, in occasione del rito di fertilità.
I ghirigori intorno ai seni, al ventre e al pube
scomparvero poco alla volta sotto il suo tocco e, ai suoi piedi, i colori
formarono una pozza scintillante prima di venire spazzati via dall'acqua
scrosciante.
Si era sentita potente, quella notte, più potente che
mai, e tutto grazie a Max.
L'aver giaciuto con lui, e aver provato sulla pelle
l'ebbrezza del potere del Re Cervo, combinato con quello della Madre, le aveva
lasciato sulla punta della lingua il caldo, divorante sapore del potere
ultraterreno.
Come un'antica dea pagana, aveva levato le mani verso
l'alto tenendole a coppa e, con voce squillante e tersa, aveva pregato la Madre
di benedire tutti loro e le messi nei campi.
Certo, era una preghiera arcaica, ma a lei piaceva un
sacco, specialmente quando il suo dono la pervadeva facendola rifulgere come
una stella.
Kimmy ne era rimasta addirittura estasiata e, in barba
a tutti i dipinti che la ricoprivano, l'aveva abbracciata con foga subito dopo
la cerimonia, finendo con l'imbrattarsi il vestito.
Ne avevano riso assieme e, assieme, avevano brindato a
quel nuovo anno benedetto.
Malcolm l'aveva osservata con occhi scintillanti e,
nel consegnarle la vestaglia per coprirsi, si era allungato per baciarla sulle
guance, sussurrandole poi quanto fosse orgoglioso di avere una zia così brava e
bella.
Spring aveva quasi pianto, a quelle parole.
Era l'unico momento dell’anno in cui si sentiva
veramente forte, invincibile.
Dare sfoggio dei suoi poteri la rendeva sicura come
mai, nella vita normale, riusciva a sentirsi, e per lei era fonte di somma
gioia.
Se solo fosse riuscita a sentirsi altrettanto bene
anche al di fuori della sua sfera di influenza!
Quando fu completamente pulita, uscì dalla doccia e si
domandò fuggevolmente se chiamare o meno Max per augurargli buongiorno.
Non dovette pensarci più di tanto, perché lui la
precedette.
Il telefono squillò allegro e Spring, nell'afferrare
il cordless, lo accese e disse sorridente: «Ehi, buongiorno.»
«Hai già imparato il mio numero a memoria?» ridacchiò
Max, pimpante. «Buongiorno, piccola. Allora, com'è andata, ieri sera? Il falò è
bruciato bene?»
«Direi di sì. E Mal mi ha detto che è contento di
avere una zia così bella e brava» ridacchiò Spring, accomodandosi nuda sul suo
letto.
«Sapevo che era un bambino intelligente» ghignò Max
prima di tornare serio e domandarle: «Tutto bene, per il resto? Nessun
rimpianto?»
«Nessuno» scosse il capo, pur sapendo che non poteva
vederla.
Lui tirò un sospiro di sollievo ed esalò: «Meno male!
Avevo il terrore potessi averci ripensato. Io, per parte mia, non ho fatto che
sognarti tutta la notte, e stamattina mi sono svegliato con... beh, con
un'erezione davvero spaventosa, lo ammetto.»
Spring scoppiò a ridere di fronte alla sua candida
onestà.
Lui, però, non parve così compiaciuto del suo
divertimento.
«Non rideresti tanto, se fossi stata al mio posto.
Faceva un male cane.»
«Mi... spiace... davvero...» continuò a ridere lei,
non riuscendo a smettere. Sapere di avere un simile potere su un’altra persona
era molto più che corroborante.
Era… esaltante.
«Non ne dai l'idea, sai?» sghignazzò Max. «Mi sono
dovuto buttare sotto una doccia fredda, per calmare i bollori.»
«Io, invece, ho appena fatto una doccia calda... e me
la sono goduta un mondo. Ero tutta imbrattata da ieri sera, e così...»
Tappandosi la bocca di colpo per quello che si era
appena lasciata sfuggire, Spring si diede mentalmente dell'idiota.
E dire che non voleva apparire più strana di così!
«Aspetta, aspetta, aspetta... hai detto... imbrattata?
Definisci il termine, tesoro» si informò immediatamente lui.
«Nulla di che, davvero...» tentennò Spring, dandosi
dei pugni sulle cosce per punizione.
«Spiegami, o penserò che non mi reputi degno di
condividere i tuoi pensieri» lo disse con leggerezza, ma la donna percepì
immediatamente il sottofondo serio contenuto nelle sue parole.
Con uno sbuffo infastidito, lei mugugnò: «Devo
dipingermi il corpo con dei simboli pagani alla fertilità, ecco tutto.»
«Oh. Mio. Dio. La sola idea di saperti nuda, e coperta
di strane scritte mi...» si interruppe di colpo e Spring, un po' confusa, percepì
dei rumori non ben identificati in sottofondo, prima di udirlo imprecare senza
troppi complimenti.
«Eccomi qui!» esclamò a un certo punto, vagamente
trafelato.
«Ma che è successo?» esalò lei, dubbiosa.
«Mi sono dovuto alzare dalla poltrona del mio studio
e, nel farlo, sono inciampato in un piede della scrivania» le spiegò lui,
vagamente irritato.
«E perché sei dovuto balzare su dalla sedia?»
«Tesoro, vuoi venire a vedere con i tuoi occhi perché?» ironizzò Max, sussurrando al
telefono con voce roca.
Scoppiando in una risatina allegra e maliziosa, lei
replicò comicamente: «Oddio! E' successo un guaio?»
«Già. E' che l'idea di te che assomigli a una dea
pagana, di fronte a un fuoco che ti illumina la pelle... Cristo! Mi sto facendo
del male da solo. Chiudo la comunicazione, prima di dover scappare dall'ufficio
per trovare sollievo dai miei guai. Spero di vederti a pranzo, comunque.
Passerò da te.»
Spring ridacchiò e disse: «Ti aspetterò, allora.»
«Attenderò con impazienza. Ciao!»
Subito dopo chiuse la comunicazione e, nello sdraiarsi
sul letto, ammirò se stessa per alcuni istanti prima di rannicchiarsi in
posizione fetale e scoppiare a ridere.
Dio, Max la faceva sentire così leggera!
ЖЖЖ
«Ti ho detto che darò io una mano a Melanie. Tu vai
pure fuori con Max» protestò per l'ennesima volta Brigidh, fissando la nipote
con aria accigliata.
«Primo, ha degli impegni, secondo, passa solo per un
pranzo veloce, quindi non dovrai sostituirmi per nulla. Se vuoi rimanere qui,
non ho problemi, zia, ma penso che dovresti occuparti anche della tua
esposizione nella galleria d'arte. Non devi sistemare le tue nuove fotografie?»
replicò esasperata Spring, prima di sentire tintinnare il campanello della
porta.
Sorridendo spontaneamente quando vide entrare Max praticamente
a passo di carica, il cellulare attaccato all'orecchio e l'aria di uno che
avrebbe voluto prendere per il collo qualcuno, Spring si chiese cosa fosse
successo.
Di sicuro, nulla di buono.
Subito, si avvicinò a lui con passo leggero e l’uomo,
accennando appena un sorriso, le diede un bacetto fuggevole sulla fronte prima
di smoccolare a più non posso, lasciando basite sia Spring che Brigidh.
Era raro, almeno per la sua breve esperienza, sentire
Max così alterato e pronto a imprecare ma, evidentemente, era successo qualcosa
di tremendo.
Pochi minuti dopo, al termine della sua telefonata, lo
scoprì.
E raggelò.
Nel passarsi una mano tra i capelli già in disordine,
Max grugnì disgustato: «Non ci posso davvero credere. Abbiamo un cantiere completamente
fermo perché un gruppo di ecologisti non vogliono che togliamo un albero dalla
sua sede.»
«In … in che senso?» esalò sconvolta Spring,
impallidendo visibilmente.
Irritato e nervoso, l’uomo non si avvide minimamente della
sua ansia e ringhiò: «Non posso assolutamente lasciare lì quell'albero. Si
trova nel bel mezzo di quello che diventerà ben presto un centro commerciale.
Insomma, ma cosa pretendono? Non ho detto che lo abbatteremo! Non ci penserei
neanche, ad abbatterlo. Lo sposteremo soltanto!»
«Hai idea di quanto una pianta possa soffrire,
nell'essere sradicata dalla sua terra d'origine? Ti sei mai fatto un'idea,
seppur vaga, di quanto patiranno le radici nell'essere tagliate, o anche solo
scheggiate dalle tue ruspe?» protestò con veemenza Spring, accalorandosi immediatamente.
Max, sinceramente sorpreso dalla sua arringa, levò le
mani come per difendersi e disse conciliante: «Tesoro, posso immaginare che la
pianta percepisca in qualche modo...»
Interrompendosi di botto quando la donna lo affrontò a
muso duro, lui la ascoltò basito sibilare furiosa come un cobra.
«Non 'in qualche modo'! Le piante soffrono
quanto noi! Piangono e ridono quanto noi! Non pensare neppure per un secondo
che, solo perché voi non potete sentirle, loro non parlino! Parlano
sempre! E scommetto che vi urlerebbero addosso la loro rabbia, se sapessero
farsi ascoltare da voi!»
Detto ciò, si volse con rabbia e, diritta e impettita,
si diresse a passo di marcia verso il magazzino, sbattendo con violenza la
porta alle sue spalle.
Francamente sconvolto di fronte a quell'aggressione
verbale e quasi fisica, Max fissò il battente della porta, che Spring aveva
quasi divelto, senza sapere bene cosa dire.
Che diavolo era successo, in quei pochi attimi
dacché era entrato?
Grattandosi la guancia perfettamente rasata, Max si
accorse solo in quel momento di avere un pubblico.
Fissando imbarazzato la donna minuta e dal perfetto
chignon biondo cenere che aveva di fronte, mormorò: «Ehm... piccole divergenze
di opinione, temo. Mi scusi per lo spettacolo.»
La donna rise sommessamente e, nell'allungare una mano
verso di lui, disse: «Spring diventa una leonessa, in casi come questo. Io sono
Brigidh, sua zia.»
«Oh... tanto piacere. Ho sentito parlare di lei …
Tibet o Nepal? Non ricordo bene» le sorrise generosamente Max, stringendole la
mano sottile e delicata.
Sì, a ben guardarla la donna assomigliava molto a
Spring, anche se Brigidh possedeva la calma maturità di chi è già passato
attraverso il tritacarne della vita.
Non appariva neppure quarantenne, eppure sapeva grazie
a Spry che la donna aveva già superato i quarantasei anni.
Buoni geni, niente da dire.
«Entrambi i luoghi, per la verità. Ci sarà una mostra
fotografica del mio viaggio, a breve. Se vuole visitarla, ne sarò lieta. Si
trova allo Smithsonian American Art Museum. Verranno presentati una serie di
artisti provenienti da tutto il mondo e, tra loro, ci sarò anch'io» gli spiegò
con serenità la donna, non lasciando trapelare la sicura preoccupazione per
l'ira scatenatasi nella nipote.
«Sarà un vero piacere venire a vederla» asserì lui
prima di chiederle, dubbioso: «Dubito che oggi vorrà parlare con me. Le può dire
che mi spiace di averla inconsapevolmente ferita? Non era mia intenzione. Stavo
per dirle che esiste un macchinario in grado di ridurre al minimo l’impatto
sulle radici delle piante, e che avevo intenzione di usare quello, ma non so se
al momento la cosa possa interessarle.»
«Lo capirà anche lei, quando si sarà calmata. I miei
nipoti hanno tutti un carattere piuttosto focoso, se colpiti nei punti giusti»
sorrise benevola Brigidh, scrollando le spalle.
«Beh, grazie, Brigidh. A presto, allora» sospirò Max,
uscendo dal negozio come un cane bastonato.
Non appena non fu più a portata d'udito, Brigidh
mormorò: «Questa sì che è una bella gatta da pelare.»
Con un sospiro, la donna si affrettò a chiudere la
porta del negozio per la pausa pranzo.
Dopo essere sgattaiolata nel magazzino, si bloccò a
metà di un passo non appena si ritrovò addosso una palma dall'aspetto alquanto
minaccioso.
Per muovere le piante al suo comando, Spring doveva
essere parecchio infuriata.
«Oooh, smettila!» sbottò la donna, scostando le foglie
enormi della pianta in vaso per passare oltre e raggiungere la nipote.
Fiera come una dea vendicativa, la giovane era
appollaiata su un trespolo e stava lentamente facendo a pezzi una rivista,
pagina dopo pagina.
A terra, una piccola montagnola di briciole di carta
le diede l'idea che il lavoro era andato avanti fin da quando si era rinchiusa
lì dentro.
«Pensi di riempire tutto il magazzino di carta?» le
domandò serafica Brigidh, intrecciando le braccia sotto i seni per poi fissarla
in attesa di spiegazioni.
Spring rispose con un grugnito e, nuovamente, le
foglie della pianta di palma si mossero verso di lei per allontanarla dalla
loro padrona.
«Non tentare di cacciarmi, sai? Non ho nessunissima
intenzione di fartela passare liscia, ragazza.»
La zia brontolò rumorosamente nello scostare le foglie
fastidiose e assillanti e, fissando accigliata la nipote, ritentò: «Non credi
che aggredire quel pover'uomo non sia servito assolutamente a nulla?»
«Stanno per...»
Azzittendola con un gesto della mano, non appena la
vide volgere il viso verso di lei - accigliato e già pronto a dar battaglia -
Brigidh mormorò pacata: «Primo, calmati e vedi di allentare la stretta del tuo
potere sulle piante o, tra un po', usciranno dai vasi e cammineranno sulle
radici per tutto il negozio.»
Sbuffando, Spring annuì di malavoglia e,
immediatamente, l'onda di potere che sfrigolava nell'aria si andò chetando fino
a sparire.
A quel punto, Brigidh sospirò di sollievo. La sua
pelle aveva rischiato di ustionarsi, a causa di quello sfoggio di magia pura.
«Avevo il prurito, ormai... comunque, azzannare al
collo la gente, come hai fatto prima con il povero Max, non serve assolutamente
a niente. Non mi sembra si sia presentato con una sega circolare per abbattere
la più grande sequoia d'America, no?»
«D'accordo, però...» mugugnò offesa la nipote,
dondolando le gambe dallo sgabello come avrebbe fatto una bambina imbronciata.
La zia le sorrise comprensiva e, avvicinatasi a lei,
le carezzò gentilmente il viso.
«Gli sei così affezionata che pretendi da lui cose che
non può sapere, se tu per prima non ti apri a lui con onestà. Pensi che
avrebbe anche solo accennato all'argomento, se avesse saputo quanto sei legata
ad ogni creatura vivente e, in particolar modo, alle piante? Se n'è andato
chiedendoti perdono per averti fatta arrabbiare, e sembrava sinceramente
abbattuto.»
«Le faranno del male» sospirò Spring, scuotendo
testardamente il capo.
«Se nessuno spiega loro come evitarlo, sicuramente»
ammise candidamente Brigidh, facendo spallucce. «Ma non credi sarebbe stato
meglio proporgli un'alternativa, invece di farlo sentire un mostro? Inoltre, mi
ha spiegato che esistono metodi di rimozione molto delicati, e che lui avrebbe
intenzione di usare questi ultimi.»
Le mani esili corsero al volto per nasconderlo allo
sguardo comprensivo della zia e, con voce rotta dal pianto, che le inumidì gli
occhi di cielo, Spring singhiozzò disperata.
«Lo amo, e vorrei da lui che... Dio, non so nemmeno io
cosa! Che capisse senza dovergli spiegare nulla, credo... non saprei. Pretendo
l'impossibile da lui, e solo perché ho paura di affrontare la realtà.»
«Sai perché lo ami?» le domandò gentilmente Brigidh.
«Mi fa ridere, mi fa sentire speciale e, con lui, non
mi sento stupida» asserì a bassa voce Spring.
Sinceramente sorpresa, la donna esalò: «E perché mai dovresti
sentirti stupida?»
«Per tutta una serie di motivi che non starò qui ad
elencare» sbottò la nipote, tergendosi gli occhi con il dorso della mano.
Accigliandosi leggermente, la zia replicò: «Solo
perché a volte sei un po' distratta, non vuol dire che sei stupida. Che razza
di idee ti vengono in mente?»
«E' solo che... insomma, … Summer è così... così
perfetta... e Kimmy... wow! Ci pensi? Lei ha fatto da scudo a Win, per
salvarlo! E' un'eroina! E io? Cosa sono? Faccio solo disastri.»
Esalò un sospiro tremulo, e il pianto tornò.
Brigidh scosse il capo esasperata e commentò caustica:
«Di scemenze ne ho sentite, ma questa le batte tutte.»
«E' solo la verità» borbottò Spring.
«Summer è piena di difetti come qualsiasi altro essere
umano, e Kimmy ha fatto quel che le ha consigliato l'istinto in un momento di
estremo pericolo. Ma non pensi che fosse terrorizzata? O si sentisse
inadeguata?»
La nipote si limitò a scuotere il capo, testarda non
meno dei fratelli o della sorella e la zia, sbuffando, esalò: «Dio mi salvi
dagli irlandesi testardi!»
Lasciandosi sfuggire un risolino, la nipote mormorò:
«Dovresti bruciare l'intera Irlanda, allora.»
«Temo di sì» ammise con un mezzo sorriso la donna.
«Quel che voglio dire, Spring, è che ognuno di noi ha i suoi pregi e i suoi
difetti, ed è stupido paragonarsi agli altri. Tu più di tutti sai che nessuno è
uguale, in natura, e proprio lì sta la vera bellezza. E tu sei bellissima, mia
cara, piena di virtù come di punti deboli, che fanno di te l'essere pieno di
grazia che io conosco e amo. Non abbatterti per cose così futili, e pensa
soprattutto a ciò che provi per lui. Tu sai perché ti sei arrabbiata tanto, vero?
Non è solo per la pianta.»
Spring scosse il capo, ammettendo a fatica: «Voglio
che lui ami ciò che amo io alla stessa maniera, ma è un pensiero egoista e
basta. Se io non mi confido con lui, come posso pretendere che capisca il mio
modo di vedere?»
«E un suo possibile rifiuto ti spaventa, vero?»
Annuendo debolmente, la nipote le disse: «So che è lui
che voglio ma... non so se lui vorrebbe me,
sapendo ciò che sono.»
«E' mancanza di fiducia, quella che sento» le fece
notare Brigidh, dandole un buffetto sul naso arrossato dal pianto.
«E' terrore allo stato puro» precisò la giovane,
sbuffando nervosamente.
«La paura non servirà a farti chiarezza, perciò ti
dico questo. Prenditi del tempo per capire cosa sei disposta a mettere sul
piatto della bilancia, con lui, poi prendi la tua decisione. Nel frattempo,
credo che anche il tuo Max rimuginerà su ciò che è successo oggi» le sorrise a
quel punto Brigidh.
«Mi odierà a morte» sospirò afflitta Spring, a quel
punto.
«Si odierà, e solo perché ti ha fatto soffrire.
Pensa a questo. Io, nel frattempo, credo che andrò a prendere un bel sandwich
per entrambe. Pollo e insalata come al solito?»
«Sì, zia, grazie» mormorò la nipote, osservandola
uscire silenziosamente dal magazzino.
ЖЖЖ
Avrebbe dovuto pensarci prima, invece di sbiellare
come aveva fatto.
Si sarebbe risparmiato la sua sfuriata e il suo
sguardo ferito e, forse, avrebbe evitato di sentirsi una merda come, al
momento, si sentiva.
La cravatta allentata non gli dava sollievo.
Avrebbe voluto strapparsela di dosso, appallottolarla
e lanciarla fuori dalla finestra, assieme al suo costosissimo completo di Gucci
e alle scarpe firmate.
Dio, quanto avrebbe voluto mettersi a spaccare legna, accatastare
quintali di ciocchi uno sull’altro, in una pila ordinata!
Di certo, si sarebbe stancato a sufficienza, e avrebbe
sfogato la sua ira repressa con del sano esercizio fisico.
Da quanto non si prendeva un giorno per se stesso, e
non si dedicava ai suoi hobby?
Davvero non se lo ricordava.
Dovevano essere passate due vite, dall'ultima volta
che era andato a pesca nell'oceano, sfidando i marosi e la forza dei Marlin per
averne ragione.
Stentava a ricordare l’ultima gita che aveva fatto con
la sua barca da diporto, e tutto per fare una fotografia con quegli animali
splendidi.
Non si era mai spinto a tenerne uno.
Gli era sempre sembrato uno spreco e, dopo aver vinto
le sue battaglie, aveva sempre rimesso in acqua i suoi contendenti, ammirandoli
poi estasiato mentre si allontanavano coi loro balzi eleganti.
Era quello a piacergli, della pesca, la lotta ad armi
pari, il conflitto primordiale con Madre Natura, il sentire sulla pelle la sua
forza inusitata.
Vincere non contava.
Contava soltanto sentire la potenza della natura
attorno a sé.
E, diavolo, gli mancava un casino!
Afferrando il cordless con la mano sinistra mentre,
con la destra, accompagnò il bicchiere di brandy alla bocca, Max digitò il
numero di Peter, il sovrintendente ai lavori per la costruzione del centro
commerciale.
Occorsero dieci squilli, perché il capocantiere gli
rispondesse.
Con voce roca e stanca, mormorò: «Ehi, Pete. Ho
pensato a una cosa.»
«A mezzanotte e dieci?» biascicò Peter, sbadigliando
sonoramente un secondo dopo.
Max difficilmente faceva caso all'ora, quando si
metteva a lavorare su un progetto.
Anche quella volta, dopo il disastroso incontro con
Spring, si era buttato a capofitto sulle planimetrie del centro commerciale,
cercando di comprendere come fare per evitare di farsi tagliare la testa dalla
donna che amava.
Già.
Non era difficile rendersi conto di amare Spring, il
punto era un altro.
Lei non si fidava abbastanza di lui, era chiaro, o non
si sarebbe inferocita a quel modo senza neppure lasciarlo parlare.
Se gli avesse concesso il tempo necessario per
difendersi, le avrebbe parlato delle
varie opzioni a cui aveva iniziato ad avvicinarsi, ma no.
Era esplosa come una bomba atomica e se n'era andata a
passo di carica, neanche lui le avesse appena ammazzato un fratello.
Era avvilito e vagamente incazzato, e non faticava ad
ammetterlo.
Ugualmente, voleva farle comprendere quanto tenesse al
suo amore per le piante, a quanto desiderasse farla felice.
Non poteva cambiare posto al centro commerciale, ma
poteva prendere due piccioni con una fava.
«Lascia perdere l'orologio, Pete, e ascoltami. Serra»
dichiarò senza tanti giri di parole Max.
Silenzio.
«Ehi, ci sei ancora?»
«Sei tu che non ci sei, amico. Che diavolo vuoi dire
con ‘serra’?»
«L'albero che ci sta creando tanti mal di testa. Ci
costruiremo intorno, e lo copriremo con un'ampia vetrata da serra, sul tetto.
La corsia dei negozi gli passerà attorno così, non solo salveremo la pianta, ma
la gente la ammirerà in tutta la sua bellezza e il centro commerciale sarà
decisamente più green.»
«Oookay... eco-chic, giusto? Sì, potrebbe anche
funzionare. Inoltre, metteremmo a tacere gli ecologisti che ci stanno facendo
ammattire» ammise con tono burbero Pete.
«Esatto. Darà risalto al centro commerciale, e noi
saremo ben visti anche dalle teste più calde del gruppo ecologista» rincarò la
dose Max, sapendo di far leva sui punti
deboli di Pete.
Sapeva perfettamente quanto, al suo capocantiere, queste cose non
interessavano, almeno non quanto a lui, perciò lisciare le piume qua e là
avrebbe sortito l’effetto voluto.
«Va bene, va bene... lavorerò più tardi sulla
planimetria, poi ti manderò le correzioni via e-mail ma, ti prego, la prossima
volta pensaci alle tre del pomeriggio» si lagnò Peter, buttando giù il telefono
con un roco 'buonanotte'.
Max sorrise tutto soddisfatto e, nel lanciare il
cordless su una poltrona vicina, terminò di bere il suo brandy.
Intrecciate le mani sulla nuca, Max tornò
inevitabilmente alla sua discussione con Spring e, tra sé, si disse che, grazie
a questo cambiamento di programma, avrebbero evitato di far soffrire la pianta.
E a quel punto si bloccò, colpito da un particolare
che, sul momento, non aveva notato.
Quel ‘voi’.
Perché si era ostinata a parlare a quel modo
accusandolo, assieme al resto del mondo, di non comprendere abbastanza le
pianta come se lei, invece, potesse eccome?
Certo, lei le amava, ma...
Perché una simile veemenza?
Certo, lei e la sua famiglia veneravano le antiche
credenze dei loro avi, che erano estremamente legati al mondo della natura,
però...
Perché quello sguardo ferito?
Certo, Spring aveva un animo sensibile, e tutte le
creature viventi le stavano a cuore eppure...
Perché sentiva che c'era dell'altro?
______________________________________
N.d.A: direi che ormai ci stiamo
avvicinando al momento della verità. Il più sarà
capire come Max affronterà la cosa.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
10
10
Sapeva che quel che stava facendo somigliava, e molto,
allo stalking, ma voleva sapere ogni cosa e, di certo, non avrebbe chiesto lumi
a Spring.
Era più che sicuro che si sarebbe trincerata dietro mille
muri silenziosi, e l'avrebbe tenuto al di fuori dei suoi pensieri.
Come per Beltane.
Si era dovuto rivolgere a Winter per avere qualche dritta e, quando lui ne aveva
fatto accenno, Spring si era visibilmente irrigidita.
Cosa non
voleva che lui sapesse? Perché non si fidava di lui?
Il solo pensiero che la donna che amava non potesse
ritenerlo degno della sua fiducia, lo fece irritare all'inverosimile.
In qualche modo, però, riuscì a restare abbastanza
calmo per non prendere a calci il bidone dell'immondizia, dietro cui si era
nascosto per tenere d'occhio l'uscita del palazzo dove abitava Summer.
Grazie ai buoni uffici della madre, che in qualche
modo aveva saputo dove dimorava la gemella di Spring, Max aveva ideato quel
piano per aggirare l'ostacolo e giungere alla fonte del vero sapere.
Sua madre, dopo avergli chiesto profusamente scusa per
il suo comportamento, gli era parsa parecchio sorpresa quando lui le aveva
chiesto di Summer.
Senza dire nulla in merito – saggiamente – gli aveva
dato l'indirizzo prima di augurargli buona fortuna.
Ora, appostato in attesa che scendesse per recarsi al
lavoro, Max si sentiva un autentico idiota, ma non aveva intenzione di
stressare ulteriormente l'animo di Winter con le sue domande.
Summer era l'ultima risorsa che gli rimaneva, visto
che Spring faceva la reticente.
Quando infine la vide apparire oltre la porta a vetri
del lussuoso palazzo dove aveva un loft, si avviò verso di lei ammirandone la camminata
spigliata e sicura, l'incedere aggraziato e la lunga chioma rossa abbandonata
al vento.
Era sexy da morire, eppure non gli faceva dimenticare
neppure per un momento la grazia delicata di Spring, o i suoi sorrisi
deliziosi.
Okay, era bell'e spacciato, lo sapeva.
Ma gli stava anche bene, fino a un certo limite.
Doveva solo scoprire come farla capitolare dai suoi
silenzi e, a quel punto, avrebbe ammesso tutto con lei.
Nel tentare di affiancare Summer – cavoli, che razza
di falcata! – Max notò che, quella mattina, la donna aveva indossato comodi
jeans, una felpa scura e scarpe da ginnastica.
Sulla spalla, portava una di quelle borse enormi che
le signore tanto amavano.
Stampandosi in faccia un sorriso a trentadue denti, la
salutò allegramente e la donna, bloccandosi di colpo, si volse verso di lui con
aria autenticamente sorpresa.
«Max! Che cavolo ci fai qui?»
«Avevo la giornata libera e così sono passato in
centro per un giro, …ti ho vista e ho pensato che...»
Interrompendosi quando Summer lo squadrò con aria
inquisitoria, Max sospirò e scosse il capo, ammettendo: «E va bene. Ho il
giorno libero, ma sono qui per te.»
Le mani poggiate sui fianchi morbidi e voluttuosi, lei
sbuffò leggermente, non sapendo bene come comportarsi.
«Seguimi. Non posso fare tardi al lavoro e oggi non ho
la macchina, quindi mi tocca la metro.»
Max sorrise ringalluzzito e le disse: «Ti accompagno
con la mia, se vuoi.»
«Andata. Così mi spiegherai cos'è questa storia.»
Lo seguì di buon passo fino a salire sulla
costosissima Mercedes dell’uomo e, quando si fu allacciata la cintura,
aggiunse: «Perché immagino che il problema sia Spry.»
«Colpito e affondato. Ti ha detto nulla?» sospirò Max,
mettendo in moto e infilandosi nella via principale. «Al NOAA?»
«Sì, grazie» annuì lei, asserendo subito dopo: «Le ho
parlato ieri sera per telefono, e mi è parsa davvero confusa. Mi ha accennato a
una vostra lite e a una pianta, ma era tutto così … non ci ho capito nulla,
insomma. Mi sa che fosse ubriaca.»
«Grande!» esalò Max, scioccato. «Proprio quello che
volevo, … farla ubriacare dal dolore.»
«Ci si ubriaca anche senza motivo, credimi» replicò
lei, ammiccando simpaticamente. «Cos'è successo, in realtà?»
Max glielo spiegò succintamente, mettendola anche al
corrente delle correzioni che aveva fatto apportare al progetto.
Sospirando, le spiegò come Spring l'avesse divorato e
sputato a terra, e tutto prima ancora che lui avesse avuto il tempo di
spiegarle cosa aveva intenzione di fare.
Summer rimase in silenzio per tutto il tempo,
meditando su ciò che Max le stava dicendo e, quando il sospiro dell'uomo mise
fine alla spiegazione, la donna dichiarò: «Okay, è un disastro colossale, ma è
risolvibile. Anzi, l'hai già risolto, a dir la verità. Basterà dirglielo.»
«Non intendo dirglielo, se prima non capisco una cosa
e, soprattutto, se prima lei non mi farà capire che si fida abbastanza di me da
lasciarmi carta bianca su ciò che faccio. Pensa davvero che sia un maniaco
omicida delle piante? D'accordo, capisco a malapena la differenza tra una
margherita e un geranio, ma non per questo vado in giro a massacrare le
aiuole!»
Quello sfogo fece sorridere generosamente Summer che,
nel dargli una pacca sulla mano che teneva il cambio, asserì: «Metterti su una
linea difensiva non ti farà vincere. Devi attaccare.»
«E in che modo, se lei non mi dice nulla? Come posso
impostare una strategia, se non conosco il campo di battaglia? Cado dalle
nuvole la maggior parte delle volte, perché c'è sempre qualcosa che non mi dice,
o che vengo a sapere da terzi. Non mi piace navigare alla cieca» brontolò Max,
accelerando non appena raggiunse la tangenziale.
«Perché dici questo?»
«Ci sono tante piccole cose che omette quando parla,
lo noto. E, in special modo, è stata ermetica sulla festa di Beltane. Non vedo
il perché, ecco» sbuffò Max, ora assai irritato.
«Oh» mormorò soltanto Summer.
«Tutto qui?» sbottò lui, incredulo.
«Sei sicuro di amarla, nonostante questi silenzi?
Perché il problema si riduce a questo» gli fece notare lei, serissima in viso.
Nuovamente, quegli occhi felini parvero scavargli
l'anima e Max, con un ansito strozzato, esalò: «E' un ultimatum, forse?»
«No, ma dalla tua risposta verrà la mia» replicò
serafica la donna.
«Certo che la amo. Amo il suo sorriso, il modo in cui
si prodiga per le sue piante, come tratta le persone, come si prende a cuore la
felicità degli altri, come ride di se stessa... amo ogni particolare di lei, e
proprio per questo mi irrita sapere che lei non si fida di me» ammise con
candore Max, sapendo che ogni cosa che aveva appena detto era la pura,
autentica verità.
Summer annuì un paio di volte, sorridendo con aria
vagamente malinconica prima di mormorare: «Hai appena detto delle cose
bellissime, Max. Spring è esattamente questo, ma è anche molto di più, e ciò
che tu non sai la spaventa, perché potrebbe farti cambiare l'opinione che hai
di lei... o di noi.»
«E' una cosa che vi riguarda tutti?» mormorò sorpreso l’uomo,
lanciando un'occhiata fuggevole al profilo serio della vulcanologa.
Cosa poteva esservi di così grave, e che coinvolgeva
tutti i gemelli Hamilton?
Intrecciando le dita con fare improvvisamente nervoso,
Summ asserì con convinzione: «Non è una cosa di cui possa discutere qui e ora.
Sarebbe troppo pericoloso... per entrambi. Appena arriveremo al NOAA, ti
spiegherò.»
«Così mi preoccupi» gracchiò Max, vagamente ansioso.
«Non sai quanto sono preoccupata io» replicò lei,
passandosi una mano tra la folta chioma riccia e ribelle. «Dio, quanto vorrei
bere una birra!»
Quel commento gli strappò una risata ma, per il resto
del viaggio, non si udì altro se non il fruscio del loro respiro e il ronzio
prodotto dall'auto in corsa.
E lui odiava quei silenzi imbarazzati.
ЖЖЖ
Procurarsi un pass non fu difficile, per Summer.
Chiacchierò per dieci minuti assieme a una delle
receptionist del NOAA dopodiché, con un gran sorrisone, la vulcanologa appuntò
il portapass alla camicia di Max e, assieme a lui, si avviò verso un ascensore.
Durante tutto il tragitto, lei mantenne una posa
volutamente rilassata.
Gli spiegò per filo e per segno cosa vi fosse dove, e
in quale reparto stavano lavorando in quel momento Kimmy e Winter.
Quando infine raggiunsero il piano designato, Summer
lo attirò verso il suo studio – sulla porta c'era il suo nome a caratteri
dorati – e lo pregò di entrare senza tante cerimonie.
Max la accontentò e la donna, entrata per ultima,
chiuse la porta a chiave e vi si appoggiò contro, fissandolo con aria
meditabonda.
«Sai, vero, che la faccenda sta assumendo dei contorni
noir?» cercò di ironizzare lui, guardandosi
intorno con aria vagamente preoccupata.
La finestra a due battenti, velata da leggere tende
bianche, dava direttamente sull'entrata, cinque piani sotto.
Tutt'intorno a lui, mobili dal taglio moderno si
intervallavano a gigantografie delle più scenografiche eruzioni che Max avesse
mai visto.
Un paio di piante in vaso ciondolavano dal soffitto,
nei loro bei portavasi in metallo scuro e l’uomo, forse scioccamente, si chiese
se fosse Spring a prendersene cura.
Non ce la vedeva, Summer, con un annaffiatoio in mano.
«Devo decidere da dove iniziare» dichiarò di colpo la
vulcanologa, andando lentamente alla scrivania con la sua andatura ferina,
ammaliante.
Le scarpe da ginnastica, così come la moquette chiara
che attutiva i suoni, non smorzarono per nulla la sua flessuosa eleganza.
Max immaginò di vedere un leopardo, pronto in
qualsiasi momento a balzare addosso alla sua preda per azzannarla al collo.
La scrutò attentamente mentre, con apparente
naturalezza, apriva uno dei cassetti della scrivania ingombra di fogli e
cartellette e, quando la vide sollevare solo uno Zippo in acciaio, esalò un
sospiro di sollievo.
«Credevi stessi per estrarre una pistola?» ironizzò la
donna, porgendogli l'accendino.
Sulla fiancata più ampia era stata incisa a
bassorilievo una fiamma sfrigolante.
Ridacchiando stupidamente, Max afferrò l'accendino ed
esalò: «E dai, Summer, cerca di capire anche me. Non so che pensare!»
«Aprilo e fai girare la rotella» gli ordinò a quel
punto lei, sedendosi sulla sua poltrona e accavallando le gambe con fare quasi
infastidito.
L’uomo fece come ordinatogli e, quando la fiammella
rossa scaturì dalla bocchetta metallica, la vulcanologa mormorò: «E ora sii
saldo, mortale...»
«Che cosa...?»
Un attimo dopo la fiammella, in barba alle leggi della
fisica elementare, fluttuò nell'aria, allontanandosi dalla sua fonte di
materiale comburente per andare a posarsi
sul palmo proteso di Summer.
Nel rialzarsi in piedi con aria cupa, dichiarò:
«Ammira la potenza del fuoco!»
La fiammella sulla sua mano crebbe di intensità e Max,
più spaventato per Summer che sconvolto per l'assurdità di tutta la situazione,
si gettò su di lei con l'intento di salvarla da una potenziale ustione.
Nel farlo, però, venne sfiorato a sua volta dalle
fiamme che, in un battito di ciglia, avvolsero entrambi, cingendoli come
l'abbraccio di un amante.
Lui fece per gridare aiuto ma la Guardiana gli tappò
la bocca con una mano, preferendo evitare guai con la sicurezza.
Mentre il fuoco continuava ad avvolgerli senza
produrre danni, lei sussurrò con enfasi: «Non sta succedendo nulla... è freddo.
Non ci farà del male.»
Gli occhi stralunati e l'aria di chi sta per svenire
da un momento all'altro, Max la scrutò a fondo, cercando paura in quello
sguardo felino.
Trovò soltanto piena padronanza di sé, e solo un
pizzico d'incertezza.
«Domino il fuoco, Max... sono la sua guardiana. Esso
risponde al mio volere, ed io posso compiere con esso tutto ciò che voglio» gli
spiegò lei, scostando lentamente la mano per carezzargli gentilmente il viso.
«Mi spiace di averti spaventato, ma dubitavo che mille spiegazioni sul mio
sangue ancestrale ti avrebbero convinto. Tu sei un po' come San Tommaso, vero?»
Nel dirlo, gli sorrise comprensiva e Max, guardandosi
intorno stranito, levò una mano ricoperta di fiammelle rosse e gialle,
guardandole stranito.
«Sono... impazzito?»
«Tutt'altro. Stai toccando con mano, letteralmente,
il mio potere. Ma ti converrà non allontanarti da me perché, se così facessi,
il fuoco tornerebbe ad essere ciò che è solitamente… e cioè, qualcosa di
parecchio caldo» lo mise in guardia Summer, abbozzando una risatina.
Lui allora le avvolse un braccio attorno alla vita e
gracchiò: «Ammettendo che non sono impazzito... puoi... puoi spegnere questo
incendio, per favore?»
Lei ammiccò appena e le fiamme scomparvero, assieme al
colorito sul viso di Max che, rovesciando gli occhi all'indietro, svenne.
«Oh, cielo!» sbuffò Summer, accompagnandolo a terra
per poi auscultargli il cuore, caso mai gli fosse venuto un malore. «E' proprio
vero che ho la delicatezza di uno schiacciasassi.»
La donna scosse leggermente Max con la mano, sperando
ardentemente di non dover ricorrere alla rianimazione cardio-polmonare.
C'era una regola, tra lei e sua sorella, e non voleva
infrangerla, neanche per salvare le penne a quello splendido esemplare di uomo.
Se una si sceglie un amante, l'altra non può
assolutamente toccarlo.
Baci compresi.
D'accordo, in quel caso non sarebbe stato un bacio, ma
solo un tentativo di rianimarlo, ma dubitava che gli intrecci della semantica
sarebbero piaciuti a Spring se...
Interrompendo quel flusso di pensieri non appena
avvertì un tremore squassare il corpo di Max, Summer gli sorrise benevola
quando lo vide riaprire gli occhi per poi fissarli confusi su di lei.
«Ehi, ma cosa...?» borbottò lui prima di schizzare a
sedere come una molla, finendo col cozzare contro la fronte della donna.
Lei, sorpresa da quella reazione spropositata quanto
improvvisa, non riuscì ad evitare il colpo e, crollando a terra col sedere,
esclamò: «Ehi! Calma!»
L’uomo allora la fissò accigliato e, nel massaggiarsi
la fronte dolorante, replicò: «Sei tu che mi hai quasi fatto venire un
infarto!»
«Già, e a me verrà un bernoccolo. Sai che bello!»
sbuffò infastidita Summer, intrecciando le gambe sul pavimento per poi fissare
attentamente Max. «Come va?»
«A parte la testa, e l'attacco di panico che mi è
venuto nel vederti? Alla grande, direi!» ironizzò acido, imitando la posa di
Summ prima di squadrarla con aria rabbiosa.
Levate le mani in segno di resa, lei esalò sconfitta:
«E va bene! Ho esagerato. Non sono mai stata famosa per la mia diplomazia o per
la delicatezza... perciò, scusa.»
«D'accordo» mugugnò dopo diversi minuti Max,
appoggiandosi alla scrivania con l'ampia schiena.
«Solo questo? D'accordo?» borbottò Summer, confusa. Il
suo biondo sopracciglio si levò lesto verso l’alto, scettico.
«Sto elaborando quello che ho visto...» ci tenne a
precisare l’uomo, passandosi le mani sul viso ancora pallido. «... e, quando
sarò pronto, ti chiederò il resto. Per ora... cazzo... maledizione...
non mi sono sognato niente, vero?»
«No, mi spiace» scrollò le spalle la vulcanologa,
storcendo appena il naso all'insù.
«Cazzo» ripeté sconvolto Max, passandosi ora una mano
tra i capelli in disordine.
Lei attese in silenzio che l’uomo smoccolasse ancora
un po'.
In fondo, si meritava qualche minuto per lanciare sane
imprecazioni. Al suo posto, forse, si sarebbe strappata i capelli dalla testa.
Quando infine lo vide più calmo, almeno in apparenza,
si arrischiò a chiedergli: «Ora va meglio?»
«Hai dell'acqua?» le domandò a sorpresa lui.
«Ahhh... sì, certo.»
Nel dirlo, si piegò su un lato per aprire la porticina
di un piccolo frigo bar, da cui estrasse una bottiglietta di Evian per
entrambi.
Nel passargliela, lo ammonì: «Non tirarmela addosso
per spegnermi, è chiaro?»
«Promesso» assentì lui, scolandosela nel giro di pochi
secondi.
Summer bevve più lentamente dalla propria e, nel
trattenere la bottiglietta tra le mani, lo osservò attentamente studiandone le
reazioni.
Primo, non aveva cercato di scappare. Punto per lui.
Secondo, sembrava davvero intento a cercare di
comprendere cosa il suo cervello avesse recepito. Altro punto per lui.
Terzo, non le aveva dato del mostro.
E solo per quello, l'avrebbe ipoteticamente baciato,
se non fosse stato che quell'uomo apparteneva alla sorella.
Lo sguardo verde-oro di Max si posò all'improvviso sul
volto rilassato di Summ che, a sorpresa, lo vide allungare le mani per poi
poggiarle sul suo volto, come a tenerlo fisso su di lui.
La donna lo lasciò fare e apprezzò la totale mancanza
di tremori da parte sua.
Era un uomo coraggioso. O un folle squilibrato,
chissà.
«Dimmi. Tutto» le ordinò perentorio, prima di scostare
le mani e asserire, quasi stralunato: «Sei fresca...»
«Non ardo in continuazione, e tu dovresti saperlo.
Abbiamo ballato assieme» gli fece notare lei, sorridendo a mezzo.
Detto ciò, la donna iniziò a parlargli del mito dei
Tuata de Danann e di Arianrhod, del pagamento del dio dei Tuata alla loro
famiglia, e dell'ancestrale potere che avevano ottenuto da quel patto.
Gli spiegò delle loro rispettive abilità e di come,
ciascuno di loro, fosse più potente quando sopraggiungevano le festività a loro
comminate.
Ammise a fatica la portata dei loro doni e, quando lo
vide impallidire visibilmente, ci tenne a precisare che nessuno di loro avrebbe
mai preso le redini del potere per dominare sugli altri.
Questo veniva insegnato loro fin dalla culla e, se uno
dei Guardiani si fosse macchiato di un simile crimine, sarebbe intervenuto chi
di dovere per eliminarlo.
Vagamente confuso, Max a quel punto le domandò: «Che intendi dire?
Che c'è una sorta di … polizia segreta che vi elimina se fate i cattivi?»
«Non proprio. Arianrhod è la dea legata alla Ruota del
Destino e, in caso di pericolo,… può intervenire.»
Nel dirlo, mimò una forbice nell'atto di tagliare.
«Oh... merda...» esalò sconvolto lui, tornando a
passarsi le mani tra i capelli.
Un gesto che, negli ultimi minuti, aveva compiuto
diverse volte.
«Non recare danno ad alcuno, non usare il proprio
potere per ottenere potere, difendersi solo se strettamente necessario» recitò
meccanicamente Summer, a occhi bassi e con l’aria pensosa, trasognata.
Sorrise, quasi quel mantra le fosse stato inculcato a
forza, e contro la sua volontà.
«Prima ancora di imparare a dire 'mamma' e 'papà', ci
insegnano questo. In questo momento, posso percepire i sommovimenti del magma
sotto la crosta terrestre, il Kilauea che sta eruttando alle Hawaii, o la
scossa tellurica che si sta dipanando dalla dorsale nord-atlantica per effetto
di un'eruzione vulcanica sottomarina. E... tranquillo, non farà danni. E'
piccola.»
«Porca... miseria» gracchiò Max, la bocca spalancata e
incredula.
Summ gliela richiuse sospingendo il suo mento con un
dito e, sorridendo mesta, gli domandò: «Troppo?»
«Sì... no... non saprei.»
Si guardò intorno febbrilmente, massaggiandosi le
cosce con le mani, non sapendo bene cosa aspettarsi.
Draghi, folletti, nani? Cosa?
L’accenno ai terremoti, però, fece sorgere la parte
più razionale di Max che, subito, domandò: «Aspetta un attimo. Hai detto che …
che Spring è la Guardiana della Terra ma, da quel poco che so, la lava è roccia
disciolta dal calore, giusto? Quindi, che differenza c'è tra i vostri due
poteri?»
La vulcanologa ridacchiò deliziata e, nel rivolgergli
un sorriso carico di ammirazione, mormorò grata: «Ti sposerei, se non sapessi
che Spring ha già messo gli occhi su di te.»
«Come?» esalò Max, sorridendo un po' stupidamente.
«Si vede che sei ancora confuso, ma stai cercando di
capire, e questo è importantissimo. Per tutti noi.»
Detto ciò, aggiunse: «Il mio potere e quello di Spry
sono interconnessi, come quello di Winter e quello di Autumn. Il vento
trasporta le nuvole cariche di pioggia, tanto per intenderci. Una cosa è
interconnessa all’altra, come dovrebbe essere sempre in natura, no?»
Al suo assenso, la donna proseguì nella sua
spiegazione.
«Ora, ci sono volte in cui io e Spring possiamo
muovere le stesse forze contemporaneamente. Uno di questi casi è proprio il
materiale che sta per diventare magma. C'è un punto in cui siamo entrambe
coinvolte. Molto labile, ma c'è. Perciò, lei può percepire i terremoti causati
dal movimento delle faglie, mentre io quelli causati dal movimento del magma
sottoterra. E' un po' più complesso di così, ma come riassunto può andare.»
«Quindi, Winter e Autumn...»
Sbuffando, la donna mugugnò un’imprecazione.
«Non possono interconnettersi, no. Possono solo dare
testate contro il muro per quanto sono stupidi.»
A quel punto il cellulare di Summ squillò, facendo
trasalire Max ma non la donna che, scocciata, lo afferrò dalla tasca dei
pantaloni e lo aprì dicendo: «Sei in viva voce, Autumn e, prima che mi insulti,
sappi che non lo toglierò per nulla al mondo.»
«Sei una stronza fatta e finita, Summy, questo lo
sapevo fin dalla prima volta che hai dato fuoco ai miei giocattoli... che devo
fare, con te?» esordì il gemello, con acida ironia.
La sorella non fece caso al suo tono come alle sue
parole e Max, pur indispettito dal comportamento irrispettoso dell’uomo,
preferì astenersi dall'intervenire.
Erano cose tra fratelli, e lui lo sapeva bene come
potevano essere strambi, a volte, i rapporti.
«Hai qualcosa da replicare a quel che ho detto fino a
qui?» gli domandò serafica Summer.
«Sei certa che questo tizio sia affidabile? Non vorrei
ritrovarmi su un tavolo da vivisezione, sai?» brontolò il gemello, usando
nuovamente quel tono irriverente.
Max allora fece tanto d'occhi e Summ, a mo' di
spiegazione, disse: «Elemento dell'Aria, Max. Autumn può ascoltare qualsiasi
conversazione sul pianeta. Ovviamente, questo lo fa diventare scorbutico come
un orso appena risvegliato dal sonno invernale, come hai potuto notare, ma
diciamo che è utile perché così non devo spiegargli cosa ti ho detto.»
«Ci ha... ascoltati? Fino ad ora?» esalò l’uomo,
strabuzzando gli occhi.
«Già. Un vero ficcanaso, eh?» ridacchiò la donna,
prima di vederlo arrossire come un peperone. «Oooh, qualcuno è stato
cattivello, mi pare di capire...»
Max la fissò malissimo e Autumn, giusto per rincarare
la dose, brontolò: «Non sto ad ascoltare sempre le mie sorelle, se sono
in compagnia, specialmente se si stanno sollazzando con qualche uomo. Capisco
sempre quando togliermi dai piedi. Tendenzialmente, prima che diventi un film vietato ai minori.»
«E io ti ringrazio, caro» ridacchiò la gemella, dando
una pacca consolatoria a Max, che sbuffò sconcertato. «Siamo una famiglia
strana, lo so.»
«Sia chiaro che, se non hai intenzioni serie con mia
sorella, scatenerò un tornado sulla tua auto» lo minacciò Autumn, senza troppi
giri di parole.
«E la faccenda del non fare del male a nessuno?»
protestò vibratamente Max, fissando accigliato il cellulare di Summer.
«Autumn scherza, ovviamente, anche perché sa che sono affari di Spring. Te lo ricordi il patto, vero, del non
impicciarsi nelle faccende di cuore?» lo rabberciò bonariamente la gemella,
accigliandosi leggermente.
«Spring è troppo buona, e si lascia andare ai
sentimenti con troppa facilità. E' giusto che io...»
Interrompendolo, Max replicò piccato: «Scusa se
replico, ma Spring è tutto tranne quell'essere fragile che tu descrivi. Tua
sorella ha carattere da vendere e, quando vuole chiarire i suoi punti di vista,
è capace di stenderti quanto un pugile professionista. E' buona, sì, ma non
perde di vista se stessa per accontentare gli altri. Se una cosa non le sta
bene, te lo fa capire.»
Autumn rimase in silenzio per alcuni attimi, mentre
Summer scrutava con orgoglio Max.
A sorpresa, il Guardiano dell’Aria dichiarò: «Non è
male. D'accordo, niente tornado personale. Mi asterrò.»
«Grazie» borbottò Max, ancora vagamente indispettito.
«Ora che hai finito di fare il fratello stronzo, posso
continuare?» intervenne con allegria la sorella.
«Anch'io ti amo alla follia, Summy. Ma vedi di
smetterla di fare baldoria a letto così spesso... anch'io ho i miei limiti,
quanto a velocità di spostamento in altro loco» sghignazzò il gemello.
Imperturbabile, la donna replicò: «E tu smettila di
spiarmi a qualsiasi ora del giorno e della notte. Non ho bisogno di protezione,
sono grande, vaccinata e posso stendere un uomo con un pugno.»
«Sei mia sorella» si limitò a dire Autumn, prima di
interrompere la comunicazione.
«Che razza di modi» brontolò la donna, mettendo via il
telefono. Sul suo viso, però, aleggiava un sorriso.
«E' carta vetrata allo stato puro, quest'uomo ma, per
voi due, farebbe crollare il mondo» sentenziò Max, ghignando divertito.
«Autumn? Credo proprio di sì. Ma ha detto che non sei
male, perciò hai la sua benedizione, se vorrai andare avanti con questa cosa»
ammise Summer, alzandosi in piedi prima di allungare una mano a Max.
Nell'accettarla, l’uomo si spinse sulle gambe per
sollevarsi e, con aria dubbiosa, asserì: «Il punto non è se io voglio andare
avanti, ma se Spring si fiderà abbastanza di me per raccontarmi le cose che mi
hai detto tu. Diversamente, non credo potrei sopportare ulteriormente i suoi
silenzi.»
«Non posso che darti ragione. Sarebbe un rapporto
fasullo, a metà» assentì la donna, appoggiandosi alla scrivania con aria
meditabonda. «Puoi fare così, secondo me. Lasciala sbollire e, casualmente, fa che una tua amica vada in negozio per
mandarti dei fiori. Ovviamente, deve essere una fatalona.»
«Sei cattiva» ridacchiò l’uomo, annuendo suo malgrado.
«No, conosco i miei polli» replicò la donna. «Inoltre,
giusto per mettere altra carne al fuoco, io farei dire a questa tipa quanto sei
stato geniale a creare quel centro commerciale così green, così ingegnoso
e altre sviolinate simili.»
«La farai sentire in colpa, così» mugugnò Max, non
sapendo bene se voler partecipare, o meno, a quel piano.
«Eccome, se voglio. Poi dirò a Kimmy di punzecchiarla
un po', facendole capire quanto è bello sapere la verità su Winter, quante cose
possono condividere assieme e cose così.»
Poi, sollevando un sopracciglio con interesse, gli
domandò: «Perché tu sei felice di averlo saputo, vero?»
«Al momento sono piuttosto frastornato, ma... sì, è
piacevole sapere la verità, anche se avrei preferito saperlo da lei» ammise l’uomo,
grattandosi pensoso una guancia.
Scrollando una mano con noncuranza, Summer lasciò
correre quell’ultimo commento.
«Mia sorella si pone troppe domande, e questo è il
risultato. Dovrebbe rilassarsi di più. Anche per Beltane era … aspetta un
momento. Quando l'avete fatto, voi due?»
L’uomo la fissò vagamente esasperato e commentò
aspramente: «Tu non hai filtri tra bocca e cervello, ammettilo!»
Summ scoppiò a ridere a quelle parole e, con una
scrollata di spalle, replicò: «Non quando si tratta di terzi. Quindi? Date, mi
servono le date.»
«La mattina di Beltane, se questo può farti felice.»
«Ooooh, sesso mattutino. Il migliore, di sicuro»
ridacchiò Summer, soddisfatta di vederlo arrossire. «E ti è parso... strano?
Diverso dal solito?»
«Guardandolo con occhi più consapevoli, direi di sì.
Mi è sembrato di essere pervaso da una strana smania, in effetti. Come se una
forza inarrestabile mi spingesse a … beh, il resto te lo lascio immaginare»
assentì Max, rimuginando su quanto successo quella strana mattina di... Dio,
dieci giorni prima!
Sembrava passato un secolo!
La vulcanologa sorrise sorniona, come un gatto che
avesse appena divorato una gabbia piena di uccellini e, muovendosi sinuosa
verso di lui, gli puntò sul petto una letale unghia laccata di rosso.
«Tu, mio caro, sei stato il suo Re Cervo. La Madre
stessa ti ha benedetto, e questo spiega perché, quella sera, fosse così
splendente e sì, stralunata.»
«Quindi?» volle sapere lui, scrollando un poco le
spalle.
«Ora ti rispondo... ho un dubbio, al momento: qualcuno
di voi due ha pensato a proteggersi?» gli domandò ancora la donna, ora più che
mai divertita.
Max impallidì di colpo prima di avvampare come un falò
subito dopo e Summer, fissandolo maliziosa, decretò: «Così focoso? Oh,
signore mio, mi sa tanto che dovrai iniziare a progettare una cameretta per un
bebè.»
«P-perchè?» balbettò lui, ora chiaramente sconvolto.
«Beltane è un giorno intriso di magia, Max, e tu eri
benedetto dalla Madre, come lo era Spring. Ergo...»
Max arrancò all'indietro alla ricerca di una sedia
dove appoggiarsi prima di crollare nuovamente a terra.
Summer, persa del tutto la voglia di fare dell'ironia,
lo accompagnò fino alla sua poltrona e lo fece sedere.
Carezzandogli il capo mentre lui, col volto coperto
dalle mani, dava sfogo alla sua ansia e al suo panico puro, la donna mormorò
comprensiva: «Devo scusarmi ancora con te. Non riesco proprio a farne una
giusta.»
«Troppi input... oddio, mi scoppierà il cervello...
non posso essere sveglio, non posso... è un sogno, per forza...» si lagnò Max,
scuotendo freneticamente il capo.
La vulcanologa allora si inginocchiò dinanzi a lui e,
con delicatezza, ne scostò le mani dal volto cereo per fissarlo in quegli occhi
sgranati e terrorizzati.
«E' tutto vero, Max, ma non sarai solo ad affrontare
questo evento. Io, Win, Kimmy, Mal... anche John, ti staremo tutti accanto e,
quando Spring capirà quanto la ami, anche lei affronterà tutto questo con te.»
«Sicura?» gracchiò lui, tremante.
Lei annuì, stringendo tra le sue le mani di Max.
«Siamo una famiglia, adesso, Max. Venendo da me,
accettando tutto questo, mi hai dimostrato quanto la ami, ed io non posso che
vederti come un fratello, ora. E io non abbandono un fratello. Mai.»
«E se non fossi alla sua altezza? Voi siete così...
insomma... potete fare quello che volete e...» tentennò lui, ora nel panico più
totale.
«Kimmy è come te, eppure non si sente inferiore a noi.
Ama Win e Malcolm, e non si pone il problema di non poter muovere le acque come
fa Winter. Lui è quello che è, e lei lo accetta senza riserve» lo rincuorò
Summer, sorridendogli generosamente.
«Le basterò, allora? O non mi dice nulla perché pensa
che...»
«Zitto. Non una parola di più. Spring non la pensa in
questi termini. Già molte volte hanno cercato di appiopparle Colin, scelto dal
Consiglio proprio per lei, ma mia sorella ha sempre rifiutato perché cercava
l'uomo della sua vita. Non il mago. Non colui con il sangue giusto. E io so che
l'ha trovato. E' spaventata, per questo non ti parla.»
Gli strinse le mani con forza, e Max annuì.
«Devo proprio seguire il tuo piano, allora?» cercò di
ironizzare Max, pur avendo una gran voglia di urlare.
«Sarà spinta a marcare il territorio, perciò si
esporrà. E' una cattiveria, lo so, ma a volte, con le persone testarde, bisogna
picchiare più duro.»
«Non farà del male al bambino?» si premurò di chiedere
subito lui, prima di esalare: «Oddio! Ancora non ci credo! Sei assolutamente
certa che...»
«Più che sì. E no, non succederà nulla al bambino,
credimi.»
Rialzandosi da terra, lo baciò su una guancia,
comprensiva.
«Coraggio, bráthair, ce la puoi fare.»
Max le sorrise a mezzo e mormorò: «Hai detto ‘fratello’?»
«Sì, esattamente.»
«Perché tua sorella dev'essere così testarda?» si
lagnò a quel punto l’uomo, facendo scoppiare a ridere la vulcanologa.
«Credimi. E' una tara di famiglia!»
«Lo temevo...» sospirò Max.
Si grattò per un momento la nuca, pensieroso, poi
afferrò il suo telefono e, dopo qualche attimo, disse: «Ehi, BeeBee, ciao.
Posso chiederti un favore?»
Quando terminò la telefonata, Summer gli si rivolse
con aria agghiacciata.
«Dimmi che non uscivi con una donna di nome BeeBee,
o potrei ricredermi sulla tua intelligenza.»
Ridacchiando, Max scosse il capo e replicò: «E' mia
cugina, e non mi somiglia per niente. E si chiama Barbara Beth. Da qui,
BeeBee.»
«Okay, ti sei salvato in corner» assentì la donna,
sogghignando diabolica. «Non vedo l'ora che tutto abbia inizio.»
«Mi fai paura, quando fai così» sentenziò Max.
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N.d.A: cosa prevedete possa succedere, a questo punto?
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
11
11
Quattro settimane erano sufficienti, no? Oppure doveva
aspettare ancora?
Sulla scatola c'era scritto che...
«Continua a essere positivo, eh?»
La voce di Summer si insinuò nei suoi pensieri
errabondi mandandola nel panico e, strillando come un'aquila, Spring lasciò
cadere a terra tutto quello che aveva tra le mani.
Minacciosa come una tempesta, fissò poi la sorella
cose se volesse scotennarla.
«Sei impazzita?! Sono quasi morta d'infarto!»
Serafica, la gemella replicò: «Ho bussato, suonato il
campanello, fatto squillare il telefono e il cellulare. Alla fine, sono entrata
perché pensavo fossi morta.»
Con un grugnito, Spring mugugnò: «Ero sovrappensiero.»
«L'ho notato!» ridacchiò Summ, accomodandosi al suo
fianco sul divano.
Allungata una mano, raccolse una delle sei scatole
cadute a terra dopo il lancio disordinato della gemella.
«Perché sei qui?» le domandò la sorella, allungandosi
per recuperare la scatola dalle mani di Summer.
«Colazione a scrocco» dichiarò semplicemente l’altra.
«Allora, è positivo, giusto?»
«Impicciarti degli affari tuoi, mai, vero?» sibilò la
sorella, afferrando finalmente la scatola per strappargliela di mano.
«In che dimensione vivi, scusa?» esalò incredula la
gemella, scrutando il libretto delle istruzioni fuoriuscito dalla scatola.
«Oooh, che carino! C'era lo smile, sul tuo?»
«Sì! Sei contenta!? In tutti e sei!» ringhiò
inferocita Spring, fissandola bieca.
Vagamente sconcertata, Summer biascicò: «Quanta acqua
ti sei bevuta, scusa, per fare sei strisciate?»
«Potrei strangolarti, ora come ora.»
Il ringhio che le fuoriuscì dalle labbra fu molto
eloquente.
«Già le voglie? Pensavo sarebbero venute più tardi»
ironizzò la sorella, per nulla preoccupata dalla reazione della gemella. «A
quando le nozze, allora?»
«Come?» esalò Spring, impallidendo leggermente.
«Beh, suppongo tu l'abbia già detto a Max» scrollò le
spalle con noncuranza Summer.
«No. E non credo proprio gli interessi di me, visto
che sono più di venti giorni che non lo sento» brontolò lei, intrecciando le
braccia sotto il seno.
«E la par condicio? Puoi chiamarlo tu, no?»
Facendo il muso lungo, la bionda sorella ammise: «L'ho
cacciato in malo modo, l'ultima volta che ci siamo visti. E poi...»
«Uhm. Senso di colpa... poi, cosa c'è?» si interessò
Summ, sogghignando.
Accavallando le gambe, abbracciate da leggeri
pantaloni di lino color pervinca, la gemella borbottò contrariata: «Non hai idea
di quel che è successo l'altro giorno!»
Decisamente interessata a conoscere i risvolti della
situazione, nonostante ne ipotizzasse già i retroscena, Summer imitò la
posizione della gemella.
Sorridente, le domandò: «Di certo non ne so nulla,
visto che non c'ero. Vuoi dunque raccontarmi?»
Il cipiglio sul volto di Spring rassomigliava
moltissimo a puro terrore e, per un attimo, Summ fu tentata di dirle tutta la
verità.
Per un attimo.
Quello successivo, si disse tra sé che, per scuoterla,
occorreva necessariamente farla infuriare, anche se non le piaceva
vederla così in ansia.
Quando infine la vide prendere fiato per iniziare, la
gemella si fece attentissima.
«L'altro giorno, una brunetta tutta smalto, completo
Dolce & Gabbana e tacco vertiginoso, si è presentata in negozio per
acquistare un mazzo di rose rosse... da consegnare a Maximilian Parker ... per
la bellissima serata che hanno passato ASSIEME.»
L'ultima parola le uscì con un ringhio e Summer, suo
malgrado, ridacchiò.
«Wow. Ma non poteva essere semplicemente una cena di
lavoro?» buttò lì la gemella, cercando di chetarla e, al tempo stesso,
saggiarne le reazioni.
Spring si accigliò pesantemente e borbottò: «Un tête-à-tête? Dubito. E' stata prolifica
nei particolari, vantandosi di quanto fosse affascinante il suo ospite e
di quanto fosse geniale!»
«Geniale?» ripeté confusa Summ, sollevando dubbiosa un
sopracciglio.
Sbattendo le braccia lungo i fianchi con aria ora
affranta, Spry esalò: «Mi ha spiegato come ha risolto un problema con alcuni
ecologisti. Quel problema.»
«Oh... la faccenda dell'albero» assentì la sorella,
con sussiego.
Nel coprirsi il viso disperata, l’altra balbettò: «Lo
ha... lo ha inglobato... sarà... sarà l'attrattiva... del... del c-centro. Non
lo toccheranno per niente! Ed io che
l'ho insultato!»
Summer le sfiorò una spalla con la mano, ora
sinceramente dispiaciuta che Spring si sentisse così abbattuta.
Gentilmente, le
domandò: «Non credi che gli farebbe piacere sentire da te che la soluzione che
ha scelto incontra il tuo favore?»
«Cosa vuoi che gli interessi, visto che si è già
trovato una... gallinella con cui razzolare?!» sbottò a quel punto
Spring, riprendendo di colpo tutta la sua grinta.
Ecco la mia sorellina, pensò tra sé Summ, rallegrandosi.
«E tu ti arrendi così, senza neppure dirgliene quattro
o dargli del codardo per essersi ritirato alle prime avversità?» le fece notare
la sorella sperando che comprendesse, al tempo stesso, che era stata lei
a comportarsi da codarda.
«Che dovrei fare? Anche se lo insultassi e lui
tornasse da me strisciando, saremmo punto e a capo. Dovrei comunque tenergli
nascosto chi sono, perché lui...»
Bloccandosi senza ultimare la frase, Spring fissò
impaurita la sorella e biascicò: «Sono io la prima ad essere codarda, vero?»
«Come puoi pretendere che capisca, se non sa la
verità?» si limitò ad ammettere Summer, scrollando le spalle. «Se lo vuoi nella
tua vita, se vuoi che sia il padre del tuo bambino, dagli la fiducia che
merita, altrimenti sarai tu la prima a fuggire da questo rapporto, e credimi,
non sarebbe da te.»
«Ma... e se non mi accettasse? E se... se volesse
farci del male? Non voglio essere la causa di un simile disastro!» protestò
Spring, ormai pronta alle lacrime.
«Io ho fiducia in Max. Devi averne anche tu. E, se
proprio dovesse risultare inaffidabile, sapremmo a chi domandare per un aiuto,
lo sai» sentenziò torva Summer.
Spring rabbrividì al solo pensiero, ma annuì.
La vecchia Guardiana dello Spirito le aveva sempre
messo addosso una paura dell'inferno, eppure sapeva che aveva un animo buono.
Non gentile, quello era sicuro come l'oro, ma buono.
La sola idea di chiedere il suo aiuto per cancellare
la memoria a Max la fece balzare in piedi con decisione e, scrutando con aria
tutt'altro che sicura la gemella, dichiarò: «Andrò a parlargli.»
«Brava» assentì Summer, sorridendole.
Ah, essere una mosca per poter assistere alla scena!
Si sarebbe fatta raccontare i retroscena da Autumn,
cascasse il mondo!
ЖЖЖ
«... e avresti dovuto vederla. Quando pensava che non
la stessi osservando, fumava di rabbia! E' stato uno spasso!»
La risata di BeeBee esplose nell'ufficio di Max che,
seduto scompostamente sulla sua poltrona in pelle nera, osservava a metà tra il
divertito e l'offeso la figuretta minuta ed elegante della cugina.
Quando l'aveva vista piombare nell'ufficio con il suo
solito sistema 'io passo a qualsiasi modo, in qualsiasi caso', Max aveva
dovuto interrompere una telefonata per starla a sentire.
Anche perché, dal modo in cui aveva continuato a
sbracciarsi, era chiaro che non avrebbe resistito più di un minuto prima di
parlare a macchinetta.
Ridacchiando nell'osservare il vaso ricolmo di rose,
che abbellivano l'ambiente ultramoderno dell'ufficio del cugino, BeeBee aveva
iniziato a spiegargli come si fosse immedesimata nel ruolo di giovane femme
fatale.
Max l'aveva ascoltata a braccia conserte, lo sguardo
attento alla mimica spettacolare della cugina che, abbigliata con un comodo
completo pantaloni e camicia, si era esibita in un esilarante spettacolo colmo
di ironia.
In quello, BeeBee era superba. Non a caso, era
un'attrice di Broadway.
«Quindi, dici che il piano è riuscito?» le domandò
alla fine Max, grattandosi pensoso una guancia.
«Se avesse potuto, mi avrebbe sbranato. Direi di sì.
E' cotta a puntino, e gelosa all'inverosimile del mio affascinante cugino. Il
che dimostra che ha gusto, è ovvio» sentenziò BeeBee, ridacchiando
allegramente.
Max le sorrise grato e la donna, addolcendo lo
sguardo, ammise: «Quella donna ti ha fatto davvero bene. Non ti ho mai visto
stare in ufficio in maniche di camicia, e senza un completo. Ti sei
sgessato, in tutti i sensi.»
«Tu dici?» mormorò lui, scrutandosi.
In effetti, era vero.
Indossare i gessati non lo esaltava più come prima e
prediligeva tenute più casual e, sicuramente, non più la cravatta, che già da
almeno una settimana aveva eliminato dal suo guardaroba lavorativo.
Si sentiva più libero, a quel modo, e non solo nel
muoversi.
Da quando aveva saputo la verità su Summer e i
fratelli Hamilton, Max aveva iniziato a guardare il mondo con occhi diversi.
Dopo un intero giorno passato a domandarsi come
approcciare la cosa, aveva chiamato Winter e ne aveva parlato anche con lui.
Si fidava di quell'uomo e riteneva che averlo come
alleato, oltre a Summer, fosse la mossa giusta per rientrare a pieno titolo
nella vita di Spring.
La faccenda del bambino, inoltre, gli imponeva di
essere del tutto onesto con l'uomo di casa – o meglio, con l'altro uomo di
casa, visto che con Autumn aveva già parlato.
Quando ne aveva discusso seriamente con lui, aveva
trovato il suo plauso su tutta la linea.
Aveva riso, quando aveva saputo del piano congegnato
da Summer, ma si era trovato d'accordo sulla tecnica da applicare con la
sorella.
Spring sapeva essere enormemente testarda, quando
voleva, e fare leva sulla gelosia di lei era sicuramente il mezzo più adatto
per farla capitolare.
Perché, anche secondo Winter, non v'erano dubbi sui
sentimenti che la donna provava per lui.
Sentirglielo dire, comunque, aveva rincuorato Max.
L'avere la conferma di BeeBee era la ciliegina sulla
torta, per così dire.
«Io trovo che Spring Hamilton sia la donna adatta a te
e, se non verrà qui a reclamarti, giuro che mi presenterò al suo negozio e...»
Interrompendosi quando udì trillare l'interfono,
BeeBee sorrise come un'idiota quando la voce di Becky, la receptionist, disse
allegramente: «Max, hai una visita. Spring Hamilton chiede se può salire. Ci
sono problemi?»
«Affatto, falla pure accomodare» ridacchiò Max, prima
di chiudere l'interfono. «Direi che non dovrai fare la scena madre al negozio.»
«Oh, posso sempre metterne in scena una qui» sogghignò
divertita BeeBee, prima di strizzargli l'occhio e mormorare: «Giocatela bene,
mi raccomando. Penso sia la donna perfetta per te.»
«Ne sono convinto» assentì il cugino, levandosi in
piedi per andare alla porta assieme a BeeBee che, da consumata attrice, indossò
immediatamente la maschera da donna fatale.
Aprendo per prima il battente, vi si appoggiò contro e
fissò il cugino come se volesse divorarlo.
Max, con la coda dell'occhio, scorse Spring comparire
sulle scale e bloccarsi a metà di un passo non appena vide BeeBee.
Non poté evitare di gongolare tra sé quando notò,
senza ombra di dubbio, il furore dipingersi nei suoi occhi di cielo.
Piegandosi verso il viso della cugina, la baciò sulle
guance sussurrandole: «Allora, ci vediamo.»
«Ovviamente, tesoro» sussurrò smielata BeeBee,
strusciandosi un istante contro di lui prima di allontanarsi elegantemente sui
tacchi a spillo e passare accanto a Spring con un sorriso Durbans spiaccicato
in faccia.
L’altra la studiò con falsa tranquillità, salutandola
elegantemente prima di voltarsi verso Max, perdere di colpo il sorriso fasullo
e puntare su di lui come un caccia bombardiere.
A passo di carica, Spring macinò metri su metri fino a
raggiungerlo e, senza dargli il tempo di dire bah, lo sospinse dentro
l'ufficio e dichiarò senza mezzi termini: «Noi due dobbiamo parlare. Ora.»
Senza farsi pregare, l’uomo indietreggiò fino a
poggiarsi contro la scrivania e, mentre lei chiudeva la porta con fare deciso,
lui le sorrise cordiale.
«Ciao. E' un piacere rivederti. Come stai?»
«Come sto?! Osi anche chiedermelo?!» strabuzzò
gli occhi Spring, fulminandolo con lo sguardo prima di accigliarsi non poco
quando scorse il vaso colmo di rose.
Subito, i fiori sembrarono rattrappirsi su loro stessi,
quasi fossero stati spinti a forza a rientrare nel loro bocciolo.
Max, ammirando quell'impercettibile spettacolo con
occhi affascinati, immaginò che Spring stesse cercando di eliminarli dalla sua
vista.
Ovviamente, trattandosi di fiori recisi, e perciò
morti, Spring poté fare ben poco per modificarne la struttura.
Indispettita, li lasciò perdere per tornare a volgere
lo sguardo su Max.
«Cosa pensi dovrei ipotizzare, vedendoti con quella...
quella... vamp!? Non mi chiami per settimane, non ti fai vivo, sembri
scomparso nel nulla e poi, di colpo, mi compare quella tipa in negozio a
decantare le tue doti! E osi chiedermi come sto?!»
Max non poté che sorridere di fronte alla sua reazione,
ai suoi occhi sempre più ricolmi di scintille e Spring, dinanzi alla sua
reazione, si lasciò andare a uno strillo infuriato, subito seguito da un
ringhio ben poco elegante.
«Ti diverti? No, perché io non mi sto divertendo
affatto!» esclamò furente la donna, sbattendo i palmi delle mani sul ripiano di
vetro della scrivania.
«Sbaglio, o sei stata tu a cacciarmi fuori dalla tua
vita in malo modo... senza farmi spiegare come avevo intenzione
di sistemare la faccenda incresciosa dell'albero?» replicò serafico Max,
accavallando braccia e gambe con aria del tutto tranquilla.
Spring ebbe la decenza di avvampare in viso e, con un
brontolio sommesso, ammise: «Sì, la tua amichetta si è sperticata in
lodi anche su questo. Bella... idea.»
«Grazie» dichiarò ironico lui. «Quindi, se non posso
chiederti come sto, se non posso vedere le mie amiche senza che tu dia in
escandescenza, se non posso parlarti del mio lavoro senza che tu vada in
bestia,… cosa dovrei fare, Spring?»
Reclinando il viso con aria colpevole, lei mosse
istintivamente una mano a coprirsi il ventre piatto, come a voler difendere il
bambino nel suo grembo.
Di fronte a quel gesto, l’uomo si intenerì
immediatamente e desiderò ardentemente dirle tutta la verità.
Non voleva ferirla.
Ma, se non si fosse aperta con lui spontaneamente, non
avrebbero mai potuto avere la grazia di un futuro felice insieme.
Perciò resistette e, cercando di non badare a quella
mano delicata poggiata sul maglioncino di cotone color canarino, Max le domandò
ancora: «Desidero far parte della tua vita, Spring ma, se non posso essere
sincero con te, come possiamo costruire qualcosa di duraturo?»
Il colpo andò a segno e la donna, afflosciandosi su
una sedia vicina, mormorò affranta: «Sono colpe che dovresti rivolgere a me,
non a te stesso. Sono io quella che ha sbagliato per prima, che ha mentito
per prima.»
«In che senso?» volle sapere lui, sperando di tutto
cuore che ammettesse la verità, una buona volta.
«E'... difficile» bofonchiò Spring, non sapendo bene
da dove cominciare.
Fu Autumn a prendere in mano le redini della
situazione.
Una folata di vento si incuneò tra i battenti
socchiusi della finestra dell'ufficio e, con violenza, vorticò all'interno
della stanza sparpagliando fogli, carpette e stilografiche.
Da ultimo, il vento sbarazzino si catapultò sui fiori,
facendo letteralmente esplodere ogni rosa nel mazzo.
Per diretta conseguenza, l'aria si saturò di una
miriade di petali rosso fuoco.
Costernata di fronte a quel palese utilizzo dei poteri
del fratello, Spring non riuscì a trattenersi e, sgomenta, esalò: «Autumn, ti
prego! Basta!»
Il vento non ne volle sapere di ascoltarla e,
dispettoso, le scompigliò i capelli fino al punto da farla rizzare dalla sedia
e ringhiare a gran voce: «Autumn, piantala! Richiama il vento!»
Non appena la donna ebbe proferito quelle parole, il
refolo cessò e lei, agghiacciata da ciò che aveva appena detto di fronte a Max,
si coprì la bocca con le mani ed ansimò sconvolta.
L’uomo, allora, si limitò a fissarla con un mezzo
sorriso e lei, apertamente scioccata, mormorò: «Ecco, vedi...»
«C'è qualcosa che devo sapere?» le venne incontro Max,
levandosi dalla sua posizione apparentemente rilassata per avvicinarla.
Dopo averle scostato le mani dal viso, le tenne tra le
sue massaggiandole delicatamente i polsi con i pollici in lente, pacate carezze.
Con voce appena sussurrata, aggiunse: «Fidati di me.»
E Spring capitolò.
Reclinò il viso e ammise tutto.
Raccontò a Max di se stessa, dei suoi fratelli, del
suo retaggio, degli Anziani del Consiglio, di Erin, del suo promesso. Di ogni
cosa.
Gettò fuori dalla bocca tutto ciò che la riguardava,
sempre fissando le loro mani unite ma mai, mai, il volto dell'uomo che,
sapeva, stava perdendo ad ogni sua ulteriore confessione.
Ma era assurdo non dire la verità, visto che lo amava.
Mentire avrebbe voluto dire disprezzare il sentimento
che provava per lui, e questo non l'avrebbe più fatto.
Sperava soltanto che Max non decidesse di denunciarli.
Voleva risparmiargli almeno la visita di Mæb. La
Guardiana dello Spirito non era famosa per la sua gentilezza.
«Spring» mormorò lui, accostandosi al suo orecchio.
«Sì?» ansò lei, ormai del tutto svuotata.
«E' stato poi così difficile dirmi tutto?» le domandò
Max, sollevandole il viso con un dito.
Lo sconcerto tornò ad impadronirsi del suo viso e,
mentre Spring osservava il sorriso sincero e orgoglioso dell’uomo che amava,
lei lo udì ammettere: «Sapevo già ogni cosa da settimane, ma volevo fossi tu a
raccontarmi di te.»
«Ma come...?» esalò la donna, sempre più scioccata.
Avvolgendole la vita con le braccia per sorreggerla,
Max le spiegò i suoi sospetti, la chiacchierata con Summer, il piano congegnato
per farle aprire gli occhi e, infine, la partecipazione di sua cugina alla
messa inscena.
A quelle ultime parole, Spring sgranò gli occhi e,
basita, balbettò: «E'... tua... cugina?»
«E' un'attrice di teatro, non ti stupire se ti ha
ingannata così facilmente» ridacchiò lui, dandole un bacio leggero sul naso.
«Oh, Santo Cielo!» esalò la donna, poggiando esausta
il capo contro la spalla di Max.
Oh, quel calore, quel profumo muschiato, quell'aroma
maschile a lei ormai tanto caro!
Solo in quel momento comprese quanto le fosse mancato,
quanto la sola idea di crescere il loro figlio senza la sua presenza l'avesse
terrorizzata, e fu a quel punto che, risollevando il viso con un sorriso
speranzoso, gli domandò: «Ti sta bene tutto,... nonostante tutto?»
«Ho te. Tutto il resto è la confezione regalo, per
così dire. E' il contenuto della scatola che mi interessa ma, visto che anche
l'esterno è così bello, tanto meglio» le confessò lui, ridacchiando.
Arrossendo leggermente, Spring gli domandò cauta:
«Saresti ugualmente felice se nella scatola ci fossimo in due?»
«Doppiamente felice» annuì lui, perfettamente
tranquillo.
Accigliandosi un poco, lei allora lo fissò dubbiosa
per alcuni attimi prima di spalancare bocca e occhi ed esclamare: «Summer ti ha
detto anche questo!»
«L'abbiamo ipotizzato il giorno stesso in cui mi ha
detto la verità. Le parlai della faccenda di Beltane e lei ritenne logico
pensare che, vista la reazione della Madre, ci fosse la possibilità concreta
che tu fossi rimasta incinta. In seguito, non l'ho più sentita, ma quando prima
ti sei coperta il ventre con la mano, ne ho avuto la conferma» le spiegò l’uomo,
sempre sorridendole gaio.
«Oh» borbottò Spring, non sapendo se essere fiera
della sorella per il suo coraggio, o infuriata con lei per essersi impicciata
dei suoi affari. «Ergo, ci vuoi entrambe?»
Fu la volta di Max di apparire sorpreso e, mentre un
lento rossore gli imporporava le gote, lui esalò: «Entrambe? E' una
bimba?»
Spring annuì e lui, ridendo sommessamente, la
abbracciò stretta per alcuni attimi prima di crollare in ginocchio dinanzi a
lei.
Le mani poggiate sui fianchi della sua donna, disse
con amore: «Ehi, piccola, sono il tuo papà. Non vedo l'ora di conoscerti, sai?»
Detto ciò, baciò il ventre di Spring prima di levare
lo sguardo su di lei, che ora rifulgeva come una stella, e chiederle: «Mi
concederai di essere un padre per lei, e un marito per te?»
Prima ancora che lei potesse annuire con il capo, il
vento tornò a mulinare nell'ufficio, sollevando ad arte i petali di rosa che ricaddero
su di loro delicatamente, dando un tocco romantico alla dichiarazione di Max.
«Grazie, amico» sussurrò l’uomo, più che certo che
Autumn l'avrebbe udito.
Spring scoppiò a ridere e, attirandolo a sé, lo
strinse in un abbraccio esclamando: «Sì, sì che ti vogliamo! Per sempre!»
Max rise di gioia e, sotto quella pioggia di mille
petali rossi, sollevò la sua futura moglie e la fece volteggiare leggera, come
leggero era in quel momento il suo cuore.
Lei rise, allargò le braccia e rise ancora.
Quando infine Max la rimise a terra, lo baciò con foga
prima di esclamare: «Ti amo! Ti amo!»
«Anch'io, piccola» le sussurrò tra i capelli, stringendola
a sé con delicatezza.
Al settimo cielo e ancora incredula, Spring ammise con
ironia: «Dovrei ringraziare tua cugina, dopotutto. E' lei che mi ha dato il
colpo di grazia.»
Scostandosi da lei, Max accese l'interfono e, a mo' di
spiegazione, le disse: «Ho idea che sia ancora qui. Era curiosa di sapere come
sarebbe andata.»
«Oh» esalò divertita Spring, ridacchiando.
Quando Becky rispose, Max le domandò: «Scusa, mia
cugina è ancora lì?»
«Sì, Max» rispose Becky, con tono vagamente dubbioso.
«Devo... devo dirle qualcosa?»
«Dille che è un genio... e che può salire» ridacchiò lui,
strizzando l’occhio a Spring.
Dall'interfono si udì un urlo disumano e, mentre Max
chiudeva la chiamata con un risolino, Spry chiosò: «Beh, direi che era
contenta.»
Un attimo dopo, un ticchettio violento e velocissimo
di passi anticipò l'arrivo di gran carriera di BeeBee.
Entrata nell'ufficio come un tornado, si lanciò in un
abbraccio stritolante che travolse completamente Spring la quale, non potendo
fare altro, si lasciò avvolgere e rise allegra.
«Oh, sono così felice!» esclamò BeeBee, battendole
pacche affettuose sulla schiena. «Speravo davvero che lo riprendessi con te!
Max è così migliorato, da quando ti ha conosciuta!»
«Ehi! Perché, prima, com'ero?» protesto amabilmente
Max, fissando la cugina con aria inquisitoria.
Scostandosi da Spring e avvolgendole un braccio
attorno alle spalle, BeeBee lo ignorò fieramente e, alla donna, confessò: «Devi
sapere che, prima di incontrare te, era noioso come una pagina del giornale di
economia.»
Spring scoppiò a ridere e, nell'osservare Max, notò
infine il suo cambiamento.
Il gessato era sparito, come pure la cravatta e, nei
suoi occhi, poteva scorgere senza più impedimenti ciò che, all'inizio, lei
aveva intuito esserci grazie alla sua risata.
Il vero Max era lì, dinanzi a lei, e lei sola lo aveva
liberato dalla gabbia in cui si era rinchiuso da solo.
E così pure lei era libera dalle sue paure, grazie a
lui.
Non si sentiva più impaurita dalla vita, ma
l'affrontava a testa alta, senza avere il timore di voltarsi e di non trovare
nessuno dietro di lei. Ora era più forte, e solo grazie a Max.
E alla loro bambina.
Sorridendo a Max, gli allungò una mano perché si
avvicinasse e, rivolto un sorriso a BeeBee, le disse: «Devo ringraziarti per
avermi fatto aprire gli occhi e, come ringraziamento, sarai la prima a sapere
la lieta novella.»
BeeBee si fece tutta orecchi e Spring, con un
risolino, ammise: «Io e Max diventeremo genitori tra otto mesi.»
Max scoppiò a ridere quando la cugina si esibì in un
grido di esultanza degno di una partita allo stadio e, nell'avvolgere la vita
della sua futura moglie, le confessò: «Entro domani, lo saprà anche il
presidente Obama.»
«Non importa. Va bene così» sentenziò lei. «Ho te. Il
resto è solo la ciliegina sulla torta.»
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Capitolo 12 *** Epilogo ***
ep
Epilogo
Il matrimonio era stato perfetto, tutto era andato
secondo i piani e, udite udite, Autumn si era premurato di tenere le nuvole ben
lontane da Washington, per quel giorno.
E anche l’afa estiva.
Chris ed Ann Marie erano raggianti sulla pista da
ballo e, mentre la musica si diffondeva nel parco e il sole reclinava
all'orizzonte tingendo il cielo di rossi e viola, Spring si appoggiò
soddisfatta al petto del fidanzato.
«Direi che abbiamo preparato un evento davvero
perfetto.»
«Più che sì» annuì lui, avvolgendole la vita con le
braccia e poggiando le mani sul suo ventre lievemente arrotondato. «I fiori
sono stupendi, il tempo perfetto... e quella statua di ghiaccio è meravigliosa.
Curioso, come nessuno si sia domandato il perché non abbia ceduto ai trenta e
passa gradi centigradi della giornata.»
«Serpentine» ammiccò lei, divertita.
«Come?» esalò lui, confuso.
«A chi me l'ha chiesto, ho detto che sotto il
piedistallo ci sono delle serpentine per il freddo» ridacchiò Spring,
scrollando le spalle.
«Che gran bugiarda» ghignò Max, piegandosi per darle
un bacio sulla spalla nuda. «Sunshine, mi raccomando, non fare come la mamma.
Niente bugie, tu.»
Spring scoppiò a ridere e, volgendosi a mezzo, gli
domandò divertita: «Oggi è Sunshine?»
Scrollando le spalle con noncuranza, Max dichiarò:
«Tastare i nomi è il sistema migliore per scegliere quello più adatto poi,
magari, sentendolo, potrebbe darti delle dritte. In fondo, mancano solo sei
mesi. Voglio arrivare preparato.»
Spring levò un sopracciglio con aria falsamente
esasperata e celiò: «Neanche a dirlo. Mister architetto non può avere qualcosa
al di fuori del suo controllo.»
«Prendi, prendi in giro. Intanto, le variazioni che ho
apportato in casa ti sono piaciute, no?» le fece la lingua Max, sghignazzando.
«Ovvio, ma non avevo dubbi in merito. Ma, soprattutto,
adoro tutti i post-it che mi lasci sui mobili della cucina. Sono molto... sexy.»
Ammiccò maliziosa a quell'accenno e Max, sfiorandole
il collo con un bacio, gliene promise altri per la mattina seguente.
I genitori di Max erano rimasti non poco sorpresi
nell’apprendere della futura nascita di un nipote.
Soprattutto, considerando il fatto che il figlio
maggiore non aveva parlato loro di Spring come della sua fidanzata.
Solo BeeBee ne era stata al corrente fin dall’inizio
e, da brava ragazza pestifera quale sapeva essere, aveva mantenuto il segreto
fino all’annuncio in famiglia.
La data del matrimonio era ancora in forse, ma Wendy
si era già sperticata in svariate ipotesi, ipotesi che avevano fatto sorridere
Spring e sbuffare Max.
Di comune accordo, la coppia non aveva ancora detto
tutta la verità, decisi a comprendere bene come affrontare l'argomento.
In più di un'occasione, si erano perciò rivolti ai
coniugi Clark per avere consigli in merito.
Tutto si sarebbe svolto a suo tempo, ma non in quel
momento, quando le acque erano ancora così agitate, e la storia del bambino in
arrivo l’argomento principale.
Ci sarebbe stato tempo per tutto.
Nel veder avvicinarsi la coppia di sposi, Max batté le
nocche contro il pugno levato del fratello e, nel sorridere ad Ann Marie, le
confidò: «Quel vestito ti dona davvero molto. Sei splendida, cognata.»
«Grazie, Max. Il punto è che mi ci sento bene dentro,
il che è tutto dire» ridacchiò Ann, facendo una piroetta su se stessa in un
turbinio di tulle e sottogonne.
«Ed è tutto merito vostro» sentenziò con orgoglio e
affetto Chris, fissandoli con occhi luminosi e sinceramente commossi.
«E' stato un vero piacere e, se non fosse stato per
te, non ci saremmo mai conosciuti» replicò Spring, sorridendo grata a Chris
prima di ammiccare al fidanzato.
«In merito a questo, vorrei dire due cose, fratellino»
intervenne a quel punto Max, fissandolo con rinnovata serietà. «Sono felice che
tu mi abbia coinvolto in questo progetto, perché ho avuto la fortuna di
conoscere Spring ma, soprattutto, perché mi hai reso un onore immenso. Stando
così le cose, Chris, vorrei chiederti se ti andrebbe di essere tu l'organizzatore del nostro
matrimonio.»
«Cosa?!» esalò il fratello, facendo tanto d'occhi.
Ann Marie scoppiò a ridere, battendo le mani
allegramente e Chris, con occhi lucidi e pronti a lasciar tracimare le lacrime,
annuì più volte e disse roco: «Ne sarò... felice... davvero.»
«Perfetto» asserì Max, battendogli una mano sulla
spalla.
«Sarà uno spasso organizzare la loro festa. Ci saranno
fiori ovunque, e ghirlande dai mille colori... oooh, non vedo l'ora di
iniziare!» esclamò eccitata Ann Marie.
Spring sorrise complice al futuro cognato e gli
confidò: «Se le lasci carta bianca, dovrai fare pochissimo.»
«Grazie del consiglio» assentì Chris prima di gettarsi
a sorpresa tra le braccia del fratello e sussurrare: «Ti voglio bene, Max.»
«Anch'io fratellino. Tanto» mormorò commosso l'uomo,
tenendolo stretto a sé con forza.
Spring sorrise nell'osservarli così stretti tra loro
finché, con un sospiro, si volse non appena percepì il tocco di Winter sulla
sua schiena.
Abbigliato con un raffinato tuxedo come tutti gli
invitati, Winter la strinse a sé in un mezzo abbraccio e, nell'osservare i due
fratelli, le sussurrò: «Sei entrata a far parte di una bella famiglia.»
«Grazie. Ma anche la mia non scherza» gli confidò
divertita Spring, baciandolo su una guancia.
Anche Summer si avvicinò, ammaliante nel suo abitino
rosso fuoco stretto attorno al corpo giunonico e, avvolgendo Spring sul lato
libero, chiosò: «Mi piace il mio futuro cognato. Penso mi vanterò con le mie
amiche.»
«Grazie a entrambi voi, ragazzi, per quello che avete
fatto. Non ve l'avevo ancora detto» ci tenne a dire Spry, sorridendo ai
gemelli.
«Questo ed altro, per te. Siamo o non siamo una
famiglia?» sentenziò Summ, salutando con una mano Malcolm, che giunse di corsa
con un piatto ricolmo di paste. «Ehi, campione! Sei andato a fare
rifornimento?»
«Sì, ho pensato che zia Spring potesse avere fame»
sorrise tutto contento il bambino. «La bambina può mangiare i cannoli?»
«Li adora» ridacchiò quest’ultima, prendendone
uno dal piatto di Malcolm.
Il bambino sorrise soddisfatto prima di allungare una
mano verso il ventre di Spring, sfiorarlo delicatamente e infine esalare con
una certa sorpresa: «Sta sorridendo. E' felice.»
«E come potrebbe non esserlo?» replicò con allegria
Max, sollevando a sorpresa Malcolm sopra le sue spalle.
Mal scoppiò in una risata allegra mentre Max cominciava
a correre in giro per il parco con il bambino sulle spalle.
Winter, osservandoli insieme, dichiarò: «Sarà un
ottimo padre.»
«Ne sono certa» assentì Spring.
Non c'erano dubbi, d'altronde. Era il suo Re Cervo.
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N.d.A:
E con questo si chiude la storia di Spring, che ritroveremo presto nel
racconto dedicato a Summer, che comincerò a postare dalla
settimana prossima, con il titolo "Dominatrice del Fuoco". Vorrei
porgervi un grazie sentito e speciale, per avermi seguito fino a qui, e
spero che vorrete proseguire in quest'avventura, che avrà il suo
termine con la storia di Autumn.
Anche
in questo caso, se lo vorrete, aprirò una cartella a parte con
delle OS dedicate ai singoli personaggi. Vedremo... per ora, un passo
alla volta. Occupiamoci di salutare Spring per dare il benvenuto a
Summer.
A presto, e grazie ancora! ^_^
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