Ice and Fire

di Polaris_Nicole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** contrasto ***
Capitolo 2: *** discorsi inutili e passeggiate sulla spiaggia ***
Capitolo 3: *** Lui era accanto a me ***
Capitolo 4: *** profumo di lavanda bruciacchiata ***
Capitolo 6: *** Incubi ***
Capitolo 7: *** Scambi d'abito e reazioni deludenti ***
Capitolo 8: *** Fuoco inestinguibile ***



Capitolo 1
*** contrasto ***


Non riuscivo a sopportarlo, non riuscivo neanche a guardarlo negli occhi. Come potevo? Con tutto quel suo buon umore, la sua ironia e tutto il resto? Mi sarebbe venuto da vomitare ancor prima di scorgere i suoi occhi color nocciola, il suo sorriso rassicurante e i riccioli che gli ricadevano perfettamente scomposti sui contorni del viso dalla carnagione ambrata. Lo trovavo così … innaturale. Come se stesse nascondendo un segreto, una sua debolezza molto probabilmente, ma gli altri sono troppo ciechi per accorgersene, illudendosi che il sorriso impresso sul volto del Ragazzo di Fuoco fosse reale, e non che rappresentasse per lui una maschera. Anche adesso che lo osservo in lontananza, nascosto dalla cupa ombra di un albero, riesco a scorgere la falsità nei suoi occhi. Mi sono dimenticato di presentarmi, mi chiamo Nico di Angelo, figlio di Ade, dio dei morti. Penso sia questo il motivo principale per cui nessuno sopporta di avermi vicino, è il mio aspetto macabro, la mia insofferenza nei confronti della luce del sole, la mia aura mortifera … insomma, la compagnia ideale. Ad ogni modo, me ne stavo rannicchiato contro la corteccia di un albero per combattere il caldo soffocante di quella giornata di luglio. "Leo smettila! … Così mi fai morire!" esclamò Grover tra una risata e l’altra. "non è colpa mia se la maglietta è difettosa!" rispose Leo offeso senza nascondere una risata. Perfetto, quando si parla del diavolo … Non riuscivo a capire da dove venissero le voci, fino a quando non scorsi l’orrendo e sbiadito color arancione delle magliette del Campo Mezzosangue. C’erano Percy, Annabeth, Grover e – poiché l’universo mi odia – Leo incastrato nella sua maglietta del Campo mentre tentava di togliersela. Gettai la testa all’indietro facendola entrare in collisione con il tronco dell’albero: pessima idea. Appena la mia testa toccò l’albero, lo fece con tanta violenza che gemetti di dolore e gli altri notarono la mia presenza. "hey Nico! Che fai lì tutto solo?" chiese Leo avvicinandosi con quel sorriso smielato che mi faceva diventare matto dalla rabbia, notai che era ancora incastrato nella maglietta dalla quale si scorgevano i suoi pettorali, ma lui non sembrava farci caso – oppure non voleva – . Mi alzai di scatto. "Gira a largo, Valdez" dissi lanciandogli un’occhiata minacciosa, Lui mi guardò confuso, in effetti, era la prima volta che mi comportavo in quel modo nei suoi confronti. "ma che hai? Qualcosa non va?" mi chiese sistemandosi di nuovo la maglietta e passandosi una mano trai ricci ribelli. Fu così che per la prima volta nella sua vita, Leo perse il sorriso per far spazio ad uno sguardo serio, sapevo di non poter sopportare la sua allegria, ma mi dava fastidio anche che utilizzasse quello sguardo solo in mia presenza, è un controsenso, ma non sopporto di essere reputato … diverso. Certo, due terzi del Campo Mezzosangue mi reputa “diverso”, ma ciò non significa che mi piaccia. "Nico? Ci sei? Sicuro che non ci sia nessun problema?" chiese ancora. esclamai con un impeto di rabbia dimezzando la distanza tra noi due, quando gli fui abbastanza vicino, lo spinsi con forza, per fargli recepire al meglio il messaggio. Leo era un figlio di Efesto e, sebbene non fosse molto robusto, di certo non era scheletrico come me, quindi, con la mia spinta riuscii semplicemente a farlo barcollare all’indietro, ma non mi importava. "Nico, cosa stai …?" era stata la voce di Percy a parlare, ma era stata messa a tacere da un mio sguardo di fuoco … no, non di fuoco, uno sguardo di ghiaccio. "sta tranquillo Percy, non fa niente" disse Leo con il suo immancabile sorriso, stavo per esplodere, ormai non riuscivo più a contenere la rabbia. Mi avvicinai a Leo, abbastanza da poterlo guardare dritto negli occhi, lui mi sorrise con fare insicuro, gli stavo regalando uno dei miei sguardi più letali, eppure lui sorrideva ancora. "non mi provocare Valdez, non ti conviene" dissi con tono calmo, un tono tanto in contrapposizione con il mio sguardo omicida che non mi stupii nel vederlo irrigidirsi all’improvviso. Rivolsi un ultimo sguardo ai quattro, rimasti ammutoliti dal sottoscritto, e me ne andai verso la cabina numero tredici, determinato a non voltarmi per nessun motivo, neanche se ci fosse stato un incendio improvviso e, se ci fosse veramente stato, di certo non avrei avuto dubbi su di chi fosse la colpa.

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Capitolo 2
*** discorsi inutili e passeggiate sulla spiaggia ***


Angolo dell’autrice: Hola! Prima di tutto mi scuso per non aver aggiunto le “note d’autore” al primo capitolo. Ho cercato di pubblicare il secondo capitolo il prima possibile, poiché, non credo che molti di voi abbiano gradito il rapporto conflittuale tra Leo e Nico – più che altro di Nico nei confronti di Leo – .
Nel secondo capitolo, però, le cose cambieranno un po’, * sorriso beffardo *, ma non anticipo niente.
Mi è dispiaciuto un po’ non trovare nessuna recensione considerando le 50 visite, spero di potermi riscattare con questo nuovo capitolo.
Ricordate!  1° recensione = 1° autrice felice!
 
Me ne stavo sdraiato sul mio letto nella cabina numero tredici.
Non riuscivo a spiegare il motivo del mio comportamento nei confronti di Leo, dal primo momento che l’ho visto ho sentito che nascondeva qualcosa, ma di certo non ero mai esploso in quel modo!
Fissavo con ostinazione il soffitto della cabina, come se da quello dipendesse la risposta che cercavo a quella domanda che vagava senza meta nella mia testa.
Non mi domandavo soltanto il perché del mio comportamento, ma anche perché mi interessasse così tanto conoscere il segreto che si cela dietro il suo sorrisetto da quattro soldi.
Non mi interessavo mai troppo alla vita degli altri, avevo già abbastanza problemi per la testa, come pretendevo di potermi addossare anche quelli degli altri? Ero già abbastanza distrutto per conto mio.
Avevo perso mia sorella quando avevo solo dieci anni, lei era tutto per me, non era stata solo una sorella per me, ma anche un’amica, un’alleata ed una madre.
Per non parlare del fatto che risulto morto da almeno una settantina d’anni … anche se io lo considero un problema secondario.
Per non parlare del “fantastico” rapporto che ho con mio padre ma, infondo, cosa si può pretendere se tuo padre è il dio dei morti? Cosa si può pretendere se le uniche persone disposte ad ascoltarti sono morte? Ovviamente niente.
Anche se detesto ammetterlo, questo è uno di quei momenti in cui mi sento tremendamente solo, in cui sento che nessuno mi vuole bene e uno dei miei pensieri ricorrenti è che se io decidessi di passare a miglior vita, probabilmente nessuno sentirebbe la mia mancanza.
Anche se forse soffrirebbero per me almeno per cinque minuti, no? Sono comunque lo stesso ragazzino fissato con Mitomagia che non riusciva mai a stare fermo, quello che non riusciva a staccarsi da Percy … Percy, lui si che è un eroe.
È sempre stato un esempio da seguire per me, un modello a cui ispirarsi, almeno fino a quando mia sorella non morì, allora cominciai ad odiarlo.
Non era vero e proprio odio, era più delusione.
Lui era sempre stato il mio eroe, come poteva avermi tradito in quel modo? Non so darmi una spiegazione neanche adesso. Percy è sempre stato bravo a deludermi. Avevo una cotta per lui, anzi, ne ero follemente innamorato.
Ma accanto a lui c’era Annabeth, c’era sempre stata Annabeth.
Come potevo per lui contare qualcosa se appena girava la testa si trovava davanti una bellissima ragazza dai boccoli biondi raccolti in una coda di cavallo e dagli occhi del colore della tempesta?
Un secondo … come ha fatto la mia testa ad arrivare fino a lui? Forse la cotta non mi è ancora passata del tutto, ma almeno l’attrazione fisica e “psicologica” (se così si può definire) nei suoi confronti è sparita del tutto.
Ero così perso nei miei pensieri che non mi accorsi che qualcuno stava bussando alla porta con fare insistente, non sapevo per quanto tempo stessero bussando alla porta, ma non mi importava.
“andate via! Non c’è nessuno” urlai alla porta nera e chiusa a chiave dall’interno.
“Nico apri, sono Percy” appena udii quelle stramaledette parole volsi gli occhi al cielo – in questo caso al soffitto – .
Me lo sarei dovuto aspettare, specialmente da Percy, con la mentalità infantile che si ritrova …
“Percy non sono in vena, ti spiace?> esclamai arrabbiato drizzandomi in piedi guardando con odio la porta, come se potessi guardarvi attraverso e vedere il volto di Percy.
“Nico, ti voglio parlare, fammi entrare!” ribatté nuovamente Percy con tono esasperato prendendo a pugni la porta.
“Percy, non mi rompere! Voglio stare da solo per un po’”
“sei stato da solo tutto il giorno, guarda che chiamo Leo e gli faccio scassinare la porta col cacciavite!” non risposi, mi limitai a sedermi a terra con la schiena contro la porta e appoggiai la testa sulle ginocchia.
“non vuoi proprio aprirmi, eh? Bene, penso che all’intero Campo faccia piacere ascoltare tutto il discorso che avevo intenzione di farti in privato, ma visto che ci tieni tanto …”
“entra” sbuffai con voce sommessa aprendo la porta.
“grazie” sussurrò lui con un sorriso soddisfatto entrando nella stanza, io restai per qualche secondo ad osservare il campo illuminato dalla fioca luce del tramonto, era veramente bello.
Amavo il tramonto e, nonostante detestassi con tutto me stesso ammetterlo, amavo anche il Campo Mezzosangue.
“Nico, ci sei?” chiese Percy notando quanto ero assorto nel guardare il tramonto.
“…”
“Nico!” mi chiamò nuovamente, io mi voltai e lo guardai negli occhi, occhi verdi e profondi come il mare che un tempo non facevo altro che ammirare, adesso per me non erano altro che occhi, dei bellissimi occhi, ma per me non sembravano rappresentare niente di importante, eravamo amici, niente di più.
“adesso mi spieghi cosa vuoi e se ha a che fare con la Torcia umana, puoi anche andartene” dissi tutto d’un fiato.
Lui arrossì leggermente, allora capii che era esattamente quello il motivo della sua visita.
“volevo sapere … ecco … perché ti sei comportato in quel modo? Nei confronti di Leo poi!”
“è che quello non me la racconta giusta, secondo me nasconde qualcosa” dissi con determinazione sostenendo il suo sguardo.
“andiamo, Nico! Leo è la persona più gentile che io abbia mai conosciuto! Come fai a dire di non sopportarlo?” chiese Percy con un sorriso sulle labbra, come se non mi stesse realmente ascoltando, oppure, come se stessi solo ingigantendo una questione del tutto inutile e stupida.   
“Nico, so che non vuoi credermi, ma Leo è davvero un bravo ragazzo, dovresti riconsiderarlo e a parte il tasso relativamente basso di incendi che potrebbe provocare, ti assicuro che non è un tipo pericoloso”
“non è questo il punto, è che mi da fastidio che sia sempre felice! Come si fa?” sbottai all’improvviso.
“secondo me devi solo conoscerlo meglio” mi disse sorridendo, non era il solito sorriso stupido, era un sorriso diverso, un sorriso pieno caratterizzato da una malcelata sicurezza.
Quell’ultimo sguardo mi spiazzò “io vado, è quasi ora di cena, vieni?” “non ho fame, penso che salterò la cena”.
Lui annuì deluso, ma se ne andò senza controbattere, cosa che mi lasciò basito, non era da Percy non insistere per quello che voleva! Ma lasciai perdere quasi subito: se voleva rendermi il gioco più facile, chi ero io per impedirglielo?!
Quel pensiero mi pervase, ma scomparve nel nulla nel momento stesso in cui sentii di nuovo qualcuno bussare alla mia porta.
Mi dissi subito che era Percy, così lo ignorai, ma quello continuò a battere insistente il pugno contro la porta, quasi volesse sfondarla.
Alla fine rinunciai ad ignorarlo e aprii la porta.
“Percy, non credi di avermi dato fastidio abbastanz …” le parole mi morirono in bocca quando al posto di un ragazzo alto, forte e dagli occhi verdi, mi ritrovai davanti un ragazzo della mia altezza dai capelli ricci e incontrollabili e gli occhi color nocciola.
“ciao” disse per interrompere il silenzio imbarazzante che si era creato”
“ciao” dissi a mia volta, non sapevo perché, ma mi sentivo in imbarazzo, perché mi sentivo in imbarazzo?!
“Percy mi ha detto che non avresti cenato, così ho pensato che potevo farti un po’ di compagnia”
“e cosa ti dice che mi va di passare del tempo con te?” chiesi, ero sempre più teso, forse era per questo che lo trattavo in quel modo?
“ecco, io pensavo che ti avrebbe fatto piacere, so che mi detesti, ma perché non provi a conoscermi? Sono un tipo simpatico!” volsi gli occhi al cielo, possibile che quel ragazzo non fosse mai serio?!
“e va bene, passeggiata in spiaggia?” proposi, non sapevo perché, ma era come se non stessi aspettando altro.
Leo, come risposta, mi rivolse un sorriso ancora più grande del precedente e mi sorprese constatare che non mi dava per niente fastidio, anzi, sorrisi a mia volta!
Forse Percy aveva ragione, il ragazzo torcia non doveva essere poi così male …
 
 
 

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Capitolo 3
*** Lui era accanto a me ***


Angolo dell'autrice: Comincio a pensare che la mancanza di recensioni nonostante le innumerevoli visite - più di 100! - sia dovuta ad una coalizione contro di me ... Ma voglio illudermi pensando che scrivo troppo bene per ricevere delle critiche - scherzo! non sono una montata -.
Comunque, ecco il terzo capitolo, avevo intenzione di pubblicarlo ieri, ma ho dovuto riscriverlo per paura che risultasse troppo OOC.
Prima che cominciate a leggerlo, vorrei prendermi un attimo per ringraziare Dorov, EvyTheStrange e Anonima_14 per aver messo la storia tra le preferite, vi stimo ragazzi!
Polaris_Nicole Il sole era calato quasi completamente, ma la notte tardava ad arrivare, come se la scena si fosse bloccata all’improvviso.
Le onde del mare s’infrangevano silenziose sulla sabbia calda che aveva assunto un colorito aranciato e, nonostante nessuno lo sapesse, rappresentava uno dei miei colori preferiti oltre il verde.
Adoravo fare passeggiate sulla spiaggia, in genere, mentre gli altri ragazzi si allenavano con la spada o col tiro con l’arco, io me ne stavo in riva al mare a osservare l’orizzonte.
A volte prendevo un manichino da allenamento e mi esercitavo con la spada da solo, non mi piaceva stare con gli altri.
Inoltre, era come se io non facessi parte del Campo Mezzosangue: non ero obbligato a seguire gli allenamenti, potevo uscire ed entrare liberamente dal Campo e se non fosse stato per me, Ade non avrebbe neanche una cabina a sé dedicata!
Ma in un certo senso non mi dava fastidio, se fossi stato obbligato a seguire regole, orari, allenamenti, lezioni di combattimento … probabilmente sarei morto dopo una settimana, specialmente se mi avessero costretto ad indossare la maglietta del Campo! Non ci voglio neanche pensare a quella possibilità …
Ad ogni modo, stavo passeggiando sulla spiaggia con le mani sepolte nelle tasche della felpa e tenevo lo sguardo fisso sulle converse nere che ad ogni passo affondavano sempre di più nella sabbia dorata.
Attorno a me vi era solo il silenzio, mi piaceva il silenzio, perché a mio avviso si potevano capire più cose stando in silenzio che parlando in continuazione, ma quel silenzio non mi piaceva per niente, era un silenzio imbarazzato e – decisamente troppo – carico di aspettative.
Il punto era che non ero solo, infatti avevo accanto a me il più folle, iperattivo e inarrestabile falò ambulante di tutto il Campo, meglio conosciuto come Leo.
“e così … sei capace di evocare i morti, non è vero?” chiese all’improvviso la Torcia umana richiamandomi nel mondo reale – che detestavo con tutto me stesso – .
“… cosa?” chiesi con tono brusco rendendomi conto troppo tardi della domanda che mi era stata posta
“ti ho chiesto se sei capace di evocare i morti” ripeté Leo con sicurezza.
“ehm … sì, anche se una volta ho cercato di evocare mia sorella ed è spuntato fuori John Lennon …” ammisi arrossendo lievemente, Leo scoppiò a ridere e si appoggiò con un braccio alla mia spalla per reggersi in piedi, io tentai di scostarla senza successo. “che c’è di così divertente?” chiesi accigliato.
Lui rise con forza prima di riuscire a calmarsi ed a rispondere alla domanda “è che sei divertente” disse con un sorriso sulle labbra che per poco non mi fece venire il diabete.
Di fronte ad una simile affermazione, mi sarei arrabbiato – e parecchio! – ma fu come se il sorriso di Leo mi avesse paralizzato impedendomi una qualsiasi reazione.
Tra noi si creò di nuovo quello strano silenzio, un silenzio imbarazzante … avrei fatto di tutto per uscire da quella situazione!
Il silenzio però fu rotto da Leo che mi avvolse le spalle con un braccio e con il suo solito – smielato – sorriso prese parola. “comunque, non credere di essere il solo a combinare casini in giro. Pensa che io una volta ho addirittura bruciato i capelli del capo cabina della casa di Efesto nel sonno! Avresti dovuto vedere la sua faccia il mattino dopo! Non riesco ancora a decidermi se fosse più rossa la sua faccia oppure la pelata che aveva in testa per colpa delle fiamme!” a quel punto scoppiai a ridere anch’io, dovevo ammetterlo: con Leo non si poteva mai essere tristi.
“sei carino quando sorridi” disse all’improvviso lasciandomi spiazzato, lo guardai negli occhi e sembrava sincero, così decisi di prendere la palla al balzo.
Gli diedi una spintonata, lui si fermò all’improvviso, lo affettai per il colletto della maglietta e lo avvicinai abbastanza da poterlo guardare dritto negli occhi regalandogli uno dei miei sguardi truci.
“ok, punto primo: io non sono carino e punto secondo: vorrei ricordarti che stai parlando con il Re degli spettri”
“oh! Ma che paura! Cosa posso fare per meritare il suo perdono mio Re?” disse con tono sarcastico divincolandosi dalla mia presa e cimentandosi in un goffo inchino.
Il suo comportamento mi fece venir nuovamente voglia di ridere, ma decisi di tenergli il broncio ancora per un po’, giusto per divertirmi.
Restammo così per un breve tratto di strada, fino a quando Leo – sotto l’effetto di non so quale sostanza di dubbia legalità – non mi spinse, non me l’aspettavo per niente, così precipitai a terra e la faccia mi affondò nella sabbia.
Quando risollevai la testa, Leo era seduto accanto a me e rideva come un matto, io incrociai le braccia ancora convinto di mostrarmi offeso nei suoi confronti.
“andiamo! Non esagerare! Era solo uno scherzo innocente …” riuscì a pronunciare tra una risata e l’altra.
“certe volte mi sembri proprio un bambino di quattro anni!” esclamai risentito.
“e tu mi sembri un vecchietto di 85, ma non ti giudico” disse con voce più adulta, quasi volesse farmi rimangiare le parole appena pronunciate.
“vorrei farti notare che tecnicamente io sono un vecchietto di 85 anni” puntualizzai.
Leo scoppiò a ridere per la terza volta tenendosi il busto con un braccio, mentre, l’altro lo allungò verso di me fino ad arrivare a scuotermi energicamente i capelli.
“Smettila!” lo intimai io, ma lui sembrava ormai appartenere ad un altro universo, mi sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e mi guardò negli occhi per qualche secondo.
Non stavamo ridendo, non stavamo litigando, eravamo solo io, lui e il dolce suono delle onde del mare che faceva da colonna sonora a quel magico istante.     
Fui io il primo a interrompere quello scambio di sguardi, mi sentivo un po’ in imbarazzo, e a mio giudizio, neanche Leo doveva essere proprio a suo agio.
Avevo intenzione di inventarmi una scusa, una qualsiasi, pur di andarmene e non rivolgere mai più la parola ad anima viva – notare il doppio senso – specialmente al ragazzo Torcia.
Ma cosa avrei potuto dire? “scusa, sono troppo stanco, meglio che vada a riposare in cabina”? no, avrebbe insistito per farmi compagnia ed io non avrei saputo dirgli di no. “Ho lasciato Mrs. O’leary nella stalla dei Pegasi”? No, li avremmo dovuti trovare tutti stecchiti – cosa che non erano – e poi avevo Mrs. A Jason che l’aveva portata a Nuova Roma.
Ad un certo punto, però, il mio stomaco brontolò facendomi dimenticare tutti quegli assurdi grattacapi in cui mi stavo andando a ficcare.
“fame, eh?” chiese Leo rovistando nella sua cintura portattrezzi dalle mille tasche e, da una di queste, tirò fuori due sandwich.
“hai davvero di tutto in quella cintura?!” dissi con fare piuttosto sorpreso.
“non di tutto, i panini li ho presi oggi a pranzo, pensavo di passare la serata in officina” disse cominciando ad addentare uno dei sandwich e lanciandomi l’altro.
“in officina? Non al falò? Sei sempre lì la sera” mi accorsi troppo tardi dell’errore che avevo commesso nell’istante in cui vidi una scintilla illuminarsi negli occhi di Leo.
“allora non è vero che mi odi! Anzi, tu ci tieni a me!” esclamò dandomi un lieve pugno sulla spalla sorridendo – ovviamente – .
“Ma come ti viene in mente?! Se proprio lo vuoi sapere sei la persona più odiosa che conosca” dissi con un sorriso sul volto, non ero mai stato capace di mentire, ma era come se avessi voluto farglielo sapere.
“Stai mentendo! Ammettilo!” esclamò puntandomi contro l’indice.
“mai” dissi con voce calma, in contrapposizione con il tono utilizzato da Leo.
Vidi un sorriso maligno formarsi sul suo volto, cercai di alzarmi ma lui mi blocco e cominciò a farmi il solletico.
“Leo … smettila! Non ce la faccio!” cominciai ad urlargli mentre le risate mi assalivano, risi così tanto che per poco non mi vennero le lacrime agli occhi.
“prima ammettilo!” disse continuando a solleticarmi i fianchi: il mio punto – decisamente – più debole.
“ok! Lo ammetto! Lo ammetto …” dissi ormai senza fiato, mentre Leo mi lasciava andare lentamente.
Avevo il fiatone, non ce la facevo più, appena Leo mi lasciò andare gli diedi uno pugno sulla spalla.
“Ahi!”
“Te lo sei meritato” dissi seccato “detesto quando mi fanno il solletico”
“ci sono tante cose che detesti, eppure la maggior parte di queste sono le uniche capaci di donarti un sorriso”  disse con tono naturale, un tono che mi confuse in contrapposizione con la frase da lui pronunciata.
“Da quant’è che ti sei messo a fare il poeta, Valdez?” chiesi sarcastico guardandolo negli occhi.
“secondo me non mi conosci abbastanza e basta” rispose sempre con quel tono che non riuscivo a capire.
“ok, questa me la spieghi” sussurrai, lui  si avvicinò al mio orecchio “mai” sussurrò.
Era scesa la notte, si avvertivano appena in lontananza le voci dei ragazzi del Campo che cantavano – stonati come capre col mal di pancia- vecchie canzoni.
Le onde funeste che avevano reso il mare mosso quel pomeriggio, adesso avevano lasciato il posto ad un mare calmo e cristallino, sulla cui superficie si riflettevano le stelle e la luna donando all’oscurità di quella notte una luce fresca e rinvigorente.
La sera, sebbene fossimo in piena estate, faceva sempre un po’ di freddo, ma non importava.
Lui era accanto a me.       

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Capitolo 4
*** profumo di lavanda bruciacchiata ***


Quella notte non riuscivo proprio a dormire.
Avevo sempre davanti agli occhi la stessa immagine: l’immagine di quel pomeriggio passato assieme al ragazzo Torcia.
Il modo in cui sorrideva – il modo in cui mi faceva sorridere! – il mare, le onde, … Stavo diventando matto, non vi era alcun dubbio.
Continuavo a girarmi ossessivamente nel letto cercando di tenere lontano dagli occhi il suo sorriso, ma non ci riuscivo!
La cosa peggiore, di cui mi accorsi quando ormai era troppo tardi, era il modo in cui tornando a casa fossi felice dell’appuntamento che c’eravamo dati il giorno dopo.
Non potevo credere di aver insistito a voler dare lezioni di scherma al falò ambulante! Mi sentivo immensamente stupido, ma era tardi per tornare indietro, sarei potuto presentarmi nel medesimo istante alla cabina 9 e urlare a Leo che il giorno dopo sarei stato troppo impegnato per dargli delle lezioni, ma le verità erano due:
1. io non sono mai impegnato – Grazie mille papà!
2. ritengo piuttosto sconveniente presentarsi alle 3:30 di notte nelle cabine altrui.
Continuai a cercare con rabbia una posizione che mi permettesse di prendere sonno, ma niente, eppure ero stanco! Alla fine, scegliendo una via più pacifica nei confronti del letto, mi alzai. Diedi uno sguardo fuori dalla finestra: era tutto buio e immobile.
Soltanto il cielo con le sue stelle riusciva a illuminare il campo, sebbene la loro luce fosse debole e appena percettibile.   Mi sedetti sul davanzale della finestra e mi ficcai le cuffie del cellulare nelle orecchie: un’altra piccola regola che mi era permesso di trasgredire.
Adoravo la musica, mi aiutava a pensare, eppure nel mio cervello quel ritmo, quelle parole, … assunsero un significato.
Possibile che non riuscissi a non pensare a quanto fossi stato stupido? E poi perché mi stava succedendo tutto ciò? In genere mi fermavo a pensare ad una persona per più o meno 10 o 20 secondi, ma con Leo era diverso, non riuscivo a togliermelo dalla testa.
Il peggio è che ho cominciato a pensare che potrebbe avere ragione, “ci sono tante cose che detesti, eppure la maggior parte di queste sono le uniche capaci di donarti un sorriso”, quelle parole continuavano a tormentarmi girovagando alla rinfusa nella mia testa e, la parte peggiore, è che le sentivo come se fosse stato proprio Leo a pronunciarle.
Scossi la testa come per scacciare quei pensieri, ma non servì a molto, anzi, mi fece pensare ad un’altra cosa che mi aveva detto “non sei cattivo, anzi, secondo me sei anche simpatico”.
Se fosse stata una persona qualunque, probabilmente avrei mandato un paio di legioni di scheletri ad ammazzarla durante la notte ma, detto da Leo, non potei fare a meno di sorridere.
Io non sorridevo mai, perché lo facevo proprio con Leo? Una reazione del genere l’avevo soltanto quando parlavo con …
“Percy” concluse una voce alle mie spalle, mi girai di scatto rischiando di cadere dal davanzale proprio mentre due arpie passavano davanti a quest’ultima, forse era una mia impressione, ma sembrava che si stessero leccando le dita dopo un sostanzioso pasto …
Appena mi voltai, mi ritrovai davanti la mia odiosa matrigna Persefone.
“sei impazzita?! Ma sai che ore sono?!” sbottai alzandomi in piedi guardandola negli occhi, indossava un vestito lungo e verde, i capelli corvini le ricadevano morbidi sulle spalle e, sul suo viso, era dipinto lo sguardo serio e di rimprovero che usava sempre nei miei confronti.
“a me sembri piuttosto sveglio, è da un po’ che ti osservo Nico di Angelo, e sembra che tu abbia lasciato gli occhi su quel figlio di Efesto, eh?” disse rivolgendomi uno sguardo complice, non riuscivo proprio a capire cosa ci trovasse Ade in lei.
“chi? Leo? Ma fammi il piacere … e poi da quanto in qua ti interessi della mia vita privata?!” chiesi scettico guardandola truce, non me l’aveva mai raccontata giusta quella donna.
“da quando si è fatta decisamente più interessante! Non ce la facevo più con quella tua stupida cotta per Percy, non facevi altro che lamentarti! Percy di qua, Percy di là … non gli piacerò mai, lui ha occhi solo per Annabeth … che noia!” disse prendendo in giro la mia voce cimentandosi in un finto sbadiglio.
“lieto di saperti dalla mia parte” dissi sarcastico “e comunque Leo non mi piace, è solo un idiota” continuai notando il suo viso dal tono scettico.
“certo, allora perché provi per lui le stesse sensazioni che provavi per Percy? È per questo che sono qui, io riesco a sentire i tuoi pensieri e i tuoi sentimenti Nico, e sento che quel Leo non è poi così tanto idiota per te” disse infine, ma lei scomparve in un battito di ciglia lasciandosi alle spalle uno strano odore di lavanda unito a quello di bruciato.
Maledii mentalmente Persefone appena mi resi conto di aver già sentito quel profumo, era il profumo di Leo.
***
Il sole era alto nel cielo, ed io potei giurare di aver visto Morfeo nella mia stanza poco dopo che Persefone se ne fosse andata e che mi avesse dato un pugno in piena faccia per farmi dormire.
Mi risvegliai sul pavimento, il che non favorì certo al mio desiderio di trovare un motivo più che ragionevole per spiegarmi perché stessi dormendo sul pavimento.
Ormai la chiacchierata con Persefone sembrava, nella mia testa, solo un sogno o un ricordo di tanti anni fa, penso che sarei anche riuscito a convincere me stesso se non fosse stato per l’oddore di lavanda bruciacchiata che ancora infestava la stanza.
Mi vestii velocemente con la prima maglietta nera che trovai nel bel mezzo del caos perenne della cabina tredici e uscii sistemandomi distrattamente sul fianco sinistro la spada di ferro dello Stige.
Non c’era nessuno, il campo sembrava deserto, dovevano essere tutti nell’arena o al pentagono di tiro con l’arco ad allenarsi, una cosa era certa, la colazione potevo solo sognarmela.
Scesi le scale davanti alla mia cabina distrattamente, quando inciampai su un masso particolarmente grosso, la casa di Ares era sicuramente la responsabile di quello stupido scherzo ma, appena mi voltai, mi resi conto che il masso in questione era in realtà Leo Valdez, la causa di tutti i miei guai.
“Hey!” mi salutò con un gesto della mano drizzandosi in piedi, aveva la camicia sporca di terra dopo la caduta, ma non sembrava curarsene particolarmente.
“Valdez” risposi con freddezza senza neanche guardarlo negli occhi ma, senza preavviso, sentii una mano calda posarsi sul mio mento e, senza esercitare alcuna pressione, mi invitò a girarmi verso il suo proprietario che mi rivolse un sorriso.
“non è educato parlare ad una persona senza guardarla negli occhi, specialmente se quest’ultima ti ha aspettato per ore a mensa e fuori dalla tua cabina” non c’era nessuna nota di risentimento nella sua voce, solo sicurezza e divertimento, certe volte mi inquietava …  
“mi sono svegliato tardi, e poi che ci facevi fuori dalla mia cabina?!” chiesi diffidente, lui rise dolcemente – DOLCEMENTE?! – e mi porse un sacchetto di carta bianco.
“ti ho portato la colazione, non preoccuparti, è ancora calda” disse incendiandosi la mano, io mi ritrassi istintivamente, non avevo mai sopportato il fuoco.
Lui la smise subito e mi guardò serio, non riuscivo a capirne il perché, ma quegli occhi bassi sotto i riccioli, quel piccolo broncio appena visibile sulle sue labbra … sembravano dirmi qualcosa, ma cosa?
“v-va tutto bene, Leo? Qualunque cosa sia successo, … mi dispiace” dissi, ma mi resi conto troppo tardi che invece di non è colpa mia avevo detto mi dispiace.
“è tutto ok, siamo semplicemente più simili di quanto pensi” disse con il suo solito sorriso avvolgendo il suo braccio attorno alle mie spalle.
Allora lo sentii forte e chiaro, quel profumo di lavanda bruciata che gli avvolgeva il corpo, tutto sommato, era un buon odore.
 
Note d’autrice: torno alla carica – con un “lieve” ritardo – pubblicando il quarto capitolo!
Comincio a pensare che il Nico della mia storia sia un po’ stupido … ma sorvoliamo! Questo è più che altro un capitolo di passaggio, ma spero di pubblicare al più presto anche il quinto.
Purtroppo in questo periodo sono piuttosto impegnata e non ho molto tempo per scrivere, ma presto pubblicherò anche una one shot Pernico (che preferisco alla Valdangelo) ispirandomi ad un pomeriggio al Comicon passato con il mio migliore amico.
Tanti muffin da Polaris_Nicole, che un giorno capirà perché sta sempre a distribuire muffin!  
 
  

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Capitolo 6
*** Incubi ***


Ero stanco, non ce la facevo più! Non solo perché era da tutta la mattinata che combattevo con la spada, ma anche per tutto il caos che aveva invaso la mia testa in quei pochi giorni.
Il sudore scendeva con regolarità dalla mia fronte appiccicandomi i capelli al viso e la maglietta mi aderiva perfettamente al corpo dandomi un senso di fastidio, a dire il vero, quello era più dovuto alla persona con cui stavo combattendo.
Proprio in quell’istante, Leo Valdez tentò un affondo col suo pugnale, che avrebbe anche potuto anche dargli un certo vantaggio, ma prontamente lo evitai e lo ferii al polso con la punta della spada.
Leo precipitò a terra per la sorpresa e lasciò andare la spada che tintinnò al contatto con il pavimento provocandomi un sussulto improvviso.
“avevi promesso che avresti fatto piano” disse studiandosi la ferita, non era profonda, però doveva fare piuttosto male … Ma a che stavo pensando?! Io combatto con tutti alla stessa maniera, solo perché l’avevo colpito, perché avrei dovuto sentirmi in colpa? Me l’aveva chiesto lui di insegnargli a combattere.
“guarda che ho fatto piano! Pensavo che almeno sapessi tenere in mano la spada!” sbottai arrabbiato, Leo non rispose, si limitò a fissare il pavimento con aria affranta.
“… a quanto pare mi sbagliavo” continuai abbandonando la spada e incrociando le braccia, pensavo che si sarebbe ribellato, che avrebbe preso la spada e che avrebbe provato a pugnalarmi un braccio o una gamba, oppure mi avrebbe bruciato i capelli … non per sembrarvi uno psicopatico (non sono uno psicopatico, sono un sociopatico iperattivo), ma mi sarei arrabbiato più per i capelli che per altro.
Invece, Leo si alzò e se ne andò con le mani nelle tasche e la testa bassa, l’avevo trattato troppo male? Se l’era presa per la mia reazione? Entrambe le cose? So solo che raccolsi la sua spada e che mi ci specchiai.
Non avevo un bell’aspetto, ero spettinato, sudato, forse anche un po’ triste, ma per quale motivo?! Di certo non per Leo … se anche fosse stato così non l’avrei mai ammesso.
Aspettai un po’ prima di uscire dall’arena e andarmi a fare un bagno, ne avevo bisogno, non solo perché facevo leggermente ribrezzo, ma anche perché l’acqua mi aiutava a schiarirmi le idee.
Tutti al campo utilizzavano i bagni in comune, tipo i bagni di scuola, ma più ampi e dotati di docce; io non li usavo mai, mentre costruivo la capanna numero tredici ho avuto il buon senso di costruire anche un bagno personale dotato anche di vasca.
La vasca era piena di schiuma e bolle di sapone, questo mi ricordava quando ero più piccolo ed appartenevo ancora agli anni quaranta.
Dovevo avere cinque o sei anni, ricordo che Bianca si arrabbiava sempre con me perché la schizzavo con l’acqua, ricordo ancora il suo viso imbronciato mentre chiamava mamma o papà per farmi smettere, mi faceva sempre ridere e sapevo che infondo si divertiva anche lei.
Mi mancavano tantissimo quei momenti, non riuscivo neanche a ricordarli tutti, e questo mi faceva soffrire ancora di più. Quei pochi ma preziosi momenti in cui mamma e Bianca erano ancora vive, e quelli in cui papà era solo un papà dall’aspetto un po’ inquietante e non il Dio dei morti.
Ben presto la schiuma sparì, l’acqua divenne fredda e così anche i ricordi abbandonarono la mia testa riportandomi alla realtà con non troppa delicatezza.
Il mio primo pensiero, appena cominciai a rivestirmi, fu Leo.
Mi ero comportato da cretino con lui e la cosa mi faceva sentire in colpa, non erano ancora chiari i miei sentimenti nei confronti di Leo, inutile dire che erano in grado di mandarmi in cortocircuito.
Quando uscii dalla capanna di Ade, avevo intenzione di cercare Leo.
Avevo disegnato un’intera cartina del campo nella mia testa: l’avrei cercato nella capanna di Efesto, nelle officine del campo, all’armeria e in spiaggia.
Tutti i miei piani, però, andarono in fumo nell’istante in cui alle mie orecchie giunse il suono della campana che annunciava l’inizio del pranzo, avevo intenzione di saltarlo, magari avrei fatto un viaggio ombra verso il McDonald’s più vicino, ma Leo era lì.
Appena entrai nel padiglione della mensa, i miei occhi vagarono per i vari tavoli prima di incontrare la figura di Leo circondato dagli altri figli di Efesto ma stranamente silenzioso. Esattamente ciò di cui avevo bisogno per sentirmi meglio pensai.
Come se non bastasse, gli occhi di tutti vennero puntati su di me e il chiacchiericcio tipico dell’ora di pranzo lasciò il posto ad un mormorio sommesso.
Non mi restava molto da fare se non ficcarmi le mani nelle tasche del cappotto da aviatore e avanzare verso il mio tavolo fingendo, nei confronti di quel cambiamento, una totale indifferenza.
Appena mi sedetti, quasi fortunatamente, i ragazzi cominciarono a provare meno interesse nei miei confronti e il chiacchiericcio tornò protagonista, a mio avviso, almeno un problema era stato eliminato.
Non avevo molta fame, i bocconi di cibo arrivavano alla mia bocca automaticamente, ma io non percepivo quei sapori, invece, non facevo altro che girarmi verso di lui e finalmente, alla ventesima occhiata che gli rivolgevo, lui rispose con un piccolo sorriso, quasi divertito.
Non sapevo cosa fare. Non sapevo se alzarmi e andarci a parlare, oppure restare dov’ero e ogni tanto scambiarci uno sguardo, … fortunatamente fu il piromane a prendere l’iniziativa e venire verso di me con il suo vassoio, ancora carico di cibo, tra le mani.
“posso sedermi?” chiese con un’inaspettata sicurezza ripercorrendo con uno sguardo languido l’intero spazio mensa.
“pensavo fosse vietato” dissi semplicemente … bravissimo Nico, sono indeciso, non so se considerarti di più un idiota o di più cretino! Tu non rispetti mai le regole! E adesso, PROPRIO adesso che qualcuno sembra essere intenzionato a passare del tempo con te senza che ci siano di mezzo scommesse o sostanze di dubbia legalità, all’improvviso le regole diventano la cosa più importante del mondo?! Se hai ancora dubbi sappi che sì, sei scemo.
“Bé, magari se fossi tu a invitarmi non penso che a qualcuno possa dare fastidio” disse con aria maliziosa con un sorriso che mi faceva venir voglia di saltargli addos… cioè! Di … ehm … stringergli la mano(?).
“prego allora” dissi indicandogli il posto di fronte al mio, lui si sedette soddisfatto e riprese a mangiare la sua insalata di pasta con gusto.
Anch’io ricominciai a mangiare e mi resi conto di stare mangiando un hamburger con dell’insalata, rimanemmo in silenzio per un po’, forse troppo imbarazzati per parlare, ma poi presi coraggio e presi in mano il filo della conversazione.
“come va il polso?” chiesi, che domanda sciocca, gliel’hai quasi slogato, come dovrebbe stare? ... Ti spiace stare zitto?!
“brucia” rispose evasivo Leo prestando più attenzione al suo piatto che a me e la cosa mi diede un gran fastidio, che aveva una stupida insalata di pasta in più a me?! Ok, sto impazzendo.
“ tu te ne intendi di roba che brucia, no?” dissi con una piccola risata nervosa, ma Leo non sembrò divertito quanto me della battuta … per forza, era una battuta idiota, quasi quanto te.
“ti ho deluso, vero?” chiese poi lui dopo un’interminabile silenzio alzando la testa dal piatto per guardarmi negli occhi.
“solo perché l’allenamento non è andato bene? Era la prima volta, già è tanto che sei riuscito a resistere per tutto quel tempo” ribattei … ok, non era vero che era riuscito a resistere per tutto il tempo, ma almeno così si sarebbe sentito meglio.
“oggi che fai?” chiesi, Leo alzò nuovamente l sguardo e scoppiò a ridere e, tra una risata e l’altra, rispose con un “di certo non mi alleno”.
“magari potremmo provare il tiro con l’arco, anche se ammetto di essere una frana”
“quanto me con la spada?”
“peggio”
Leo ritrovò presto il buon umore e cominciò a sparare battute a raffica durante tutto il pranzo, alcune erano un po’ stupide, ma risi comunque, la sola opportunità di poterlo vedere felice e sorridente poteva far ritrovare anche a me il sorriso.
Stavo per alzarmi, quando notai, dietro le mie spalle, lo sguardo di Percy fisso sudi me, risposi allo sguardo e lui indicò Leo facendomi l’occhiolino … come facevo ad essere innamorato di uno così?!
“io vado, mi spiace, ma penso che passerò tutto il pomeriggio in officina, ho un po’ di cose da fare” disse Leo alzandosi con aria dispiaciuta, ma senza abbandonare il suo abituale sorriso.
“non importa, sopravvivrò” dissi dandogli il cinque, ma lui mi strinse la mano e mi attirò a sé abbracciandomi per qualche secondo, poi se ne andò senza dire niente.
In quel momento non sentivo assolutamente nulla, solo due cose:
1. Gli sguardi stupefatti e irritanti di tutti
2. Le guance innaturalmente calde e arrossate per l’imbarazzo
Se prima avevo qualche dubbio, adesso ne sono sicuro: sto impazzendo.
***
Toc … toc …
Un singhiozzo
Toc …
Due singhiozzi
Toc … toc …
La pioggia in sottofondo e il mio nome appena sussurrato.
Pensavo di essermi immaginato tutto, invece era tutto reale, era appena passata la mezzanotte e avevo spento le luci da più o meno dieci minuti.
Toc … toc …
Qualcuno continuava a bussare alla mia porta, ma chi mai poteva essere? Un dio o una dea è impossibile, quelli non sanno nemmeno cosa sia la privacy, insomma, perché bussare se si può far venire un trauma permanente ad un semidio a caso materializzandosi direttamente in casa mentre dorme? Perché mai dovrebbe pensare che si tratti di un attacco se sono solo le due del mattino?
Feci una gran fatica ad alzarmi dal letto e andare alla porta sperando che si trattasse DAVVERO di un’emergenza ma, appena aprii la porta, venni travolto da qualcuno che mi gettò le braccia al collo abbracciandomi.
Dopo qualche secondo mi resi conto che si trattava di Leo e che stava … piangendo?!
“Leo che … che hai?” chiesi rispondendo all’abbraccio affondando la testa nei suoi capelli ricci e completamente inzuppati per la pioggia.    
Lui si asciugò gli occhi e mi rivolse uno sguardo sconsolato, quasi supplicante, così lo feci entrare e sedere sul mio letto.
“ho fatto un incubo” disse appoggiando la testa sulla mia spalla “non sapevo da chi andare” continuò mentre io gli accarezzavo i capelli scuri e ricci.
“che incubo?” chiesi sperando di non sembrare inopportuno.
“ho sognato mia madre … la notte in cui … è tutta colpa mia” disse poi cercando di evitare il mio sguardo col viso rigato dalle lacrime, ma tenendo comunque la testa sul mio petto.
Percy mi aveva accennato che la madre di Leo era morta in un incendio, ma forse nemmeno il figlio di Poseidone era a conoscenza che l’incendio era stato proprio Leo ad appiccarlo, quella sera lui mi raccontò tutta la storia.
Era quello il segreto, quello che Leo nascondeva al mondo intero, quello che in pochi giorni era diventato per me un’ossessione, mi sentii subito un verme per essere stato così insensibile nei suoi confronti, nonostante lui non sapesse assolutamente nulla.
“prendi questi” dissi dandogli i miei vestiti, i suoi erano zuppi d’acqua “stanotte puoi anche dormire qui se vuoi” dissi senza pensarci troppo indicandogli il bagno.
Cinque minuti dopo, Leo uscì dal bagno vestito completamente di nero, ma sembrava stare meglio; io intanto avevo sistemato ai piedi del letto un sacco a pelo per me.
“tu prendi il letto” dissi con sicurezza stendendomi sulla branda improvvisata sul pavimento, Leo si stese sul mio letto e prese a fissarmi, all’inizio lo ignorai, ma poi cominciò anche a toccarmi i capelli e NESSUNO può toccarmi i capelli.
“cosa c’è adesso?” chiesi voltandomi verso di lui, Leo sorrise e mi afferrò per il braccio trascinandomi tra le coperte accanto a lui, feci per divincolarmi, ma lui mi strinse a sé impedendomi di muovermi.
“Leo, lasciami, non possiamo dormire … ehm … insieme” dissi arrossendo, Leo invece rimase nella stessa identica posizione con un sorriso da ebete impresso sul viso.
Gli diedi una spinta per allontanarlo, ma lui non si arrese, anzi, mi guardò negli occhi e sorrise allungando una mano verso il miei capelli, non sapevo perché, ma quando era lei a toccarmeli non mi dava poi così fastidio.
“guarda che se avessi voluto dormire da solo in un letto freddo e scomodo sarei rimasto nella capanna di Efesto nel mio di letto” disse, poi mi lasciò andare restando comunque raggomitolato tra le mie braccia.
Questa volta fui io ad abbracciarlo e ad accarezzargli i capelli per farlo addormentare.
Nella penombra della capanna di Ade, Leo sembrava ancora più bello, di giorno lo era e molto, ma quella sera, in mezzo all’oscurità, con quel piccolo sorriso che ogni tanto spuntava sulle sue labbra mentre dormiva tra le mie braccia aveva un aspetto ancora più tenero.
Non riuscivo a dormire, ero troppo preso ad osservare l’esile figura rannicchiata accanto a me per preoccuparmi di dormire, lo posizionai meglio in modo da avere la sua testa sul mio petto e poter affondare il viso tra i suoi riccioli facendomi travolgere dal calore che emanava.
Fu allora che mi resi conto di una cosa che mai e poi mai avrei considerato, avrei di gran lunga preferito darmi del pazzo a vita, eppure quando me ne resi conto fu come togliersi un peso dal cuore.
Tutto ciò mi fece sorridere ed assecondai l’impulso di chinarmi sul suo viso e dargli un piccolo bacio sulla fronte.
Ero innamorato di Leo Valdez.
 
 
Note d’autrice: ehm … è pretendere troppo chiedervi di non venire sotto casa mia con torce e forconi per aver aggiornato così tardi? Forse sì.
Mi dispiace, ma non ho avuto proprio tempo! Ma adesso che la scuola è finita (e non lo dico per vantarmi, ma sono stata promossa con una sfilza di sette!) avrò molto più tempo per scrivere.
Tornando al capitolo, prima di tutto mi dispiace di aver scritto che Nico trova stupido Percy, sono una grande fan della Pernico, ma la storia è una Valdangelo, quindi, non giudicate.
Andando avanti, Nico ha finalmente capito di essere attratto da Leo (Autrice-1 Nico-0), chiedo scusa alla mia migliore amica T.(manteniamo l’anonimato u.u) per la storia del … ehm … dormire insieme, ma sono così teneri!
Non ho molto altro da dire, ci sentiamo (o scriviamo?) al prossimo capitolo!
Tante torte al cioccolato (i muffin sono finiti) da Polaris_Nicole.  
   
 
 
       

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Capitolo 7
*** Scambi d'abito e reazioni deludenti ***


Scambi d’abito e reazioni deludenti
 
Continuai a rigirarmi nel letto con nervosismo crescente.
Continuavo a vedere la stessa immagine davanti agli occhi, ovunque mi girassi incontravo lo sguardo assente di mia sorella Bianca o di mia madre Maria.
Per non parlare di quando vidi il viso di mio padre, la prima volta che lo vidi, quello sguardo severo che si rifletteva nelle iridi nere di quel ragazzino di soli dieci anni.
Ero spaesato, spaventato e deluso, ero solo un bambino quando persi tutto, ero solo un bambino quando venni colpito dalle velenose parole di Ade che, quasi ogni giorno, mi ripeteva “avrei preferito che fosse Bianca a sopravvivere, dovrò accontentarmi di te”.
Poi all’improvviso tutto finì, mi sentii avvolgere da una sensazione di calore, una sensazione che mai prima di allora avevo provato.
Mi girai nel sonno verso la fonte di quel calore tanto piacevole quanto rassicurante ma, appena mi aggrappai a quella percezione, avvertii il battito frenetico di un cuore impazzito.
Aprii di scatto gli occhi e rivolsi uno sguardo a cosa stessi stringendo e rimasi pietrificato quando incontrai due occhi scuri che mi guardavano e il viso rilassato di Leo Valdez che mi sorrideva.
Eravamo stretti l’uno all’altro in un abbraccio scomposto e disordinato, sebbene più grande dei letti normali del campo, in due si stava decisamente un po’ troppo stretti.
“buongiorno” fu la prima parola che uscì dalle labbra del figlio di Efesto che, nonostante quel breve attimo di imbarazzo, non aveva smesso di abbracciarmi o di sorridermi con una delle più belle facce da ebete che io avessi mai visto.
“ti senti meglio?” chiesi mettendomi a sedere sul duro materasso del letto a baldacchino dalle coperte e i tendaggi scuri, quasi neri.
“sì, decisamente meglio, grazie Nico” disse posandomi un piccolo bacio sulla fronte prima di alzarsi e prendere dei vestiti abbandonati su una poltrona a sacco della capanna numero tredici.
“perché mi hai dato un bacio?” chiesi senza potermi impedire di arrossire e distogliere lo sguardo verso il pavimento, i primi sintomi della cotta si facevano sentire.
“te lo dovevo, sai, quello dell’altra sera” disse con un sorriso malizioso prima di uscire impedendomi di ribattere e, magari, consigliargli di non uscire con ancora i MIEI vestiti addosso.
Rimasi steso a letto ancora per un po’ prima di scoprire residui di cenere tra le lenzuola proprio dal lato della torcia umana (dovrei smetterla di chiamarlo in questo modo).
Quando mi alzai, però, mi resi conto che quel matto di Leo non solo era uscito da “casa” mia coi miei vestiti addosso, ma che anche il cambio che si era portato era costituito dai miei vestiti! Dimenticandosi la maglietta del campo, la camicia, ecc.
Avrei potuto benissimo aprire l’armadio e infilarmi la prima maglietta nera che trovavo, ma un’idea perversa assalì il mio cervello annullandone totalmente la razionalità.
Mi tolsi velocemente il pigiama e mi rivestii altrettanto rapidamente mettendo, invece dei soliti vestiti neri, i vestiti che Leo aveva abbandonato su una delle poltrone verdi sparpagliate per la stanza.
Mi guardai un po’ allo specchio, i vestiti mi andavano leggermente grandi, ma solo perché ero decisamente meno muscoloso di Leo, risultato dovuto sicuramente alle tante ore passate nelle fucine assieme agli altri figli di Efesto.
L’immagine che vidi riflessa mi fece scoppiare a ridere, era come se proprio quei vestiti mettessero allegria, oppure era perché, con i suoi vestiti addosso, l’odore di Leo mi aveva avvolto completamente offuscandomi i sensi.
Cominciai a scuotermi i capelli e ad imitare tutti i tipici comportamenti di Leo tanto che alla fine arrivai a tentare di imitare la sua voce e il suo tono spavaldo.
“i vestiti ti stanno bene, non quanto stanno bene a me, ma non sei male; l’unica cosa che mi lascia un po’ perplesso è l’imitazione” disse un Leo Valdez piuttosto divertito alle mie spalle.
“da quant’è che mi spii?” chiesi sistemandomi la camicia meglio che potevo girandomi verso di lui ma, appena mi voltai, vidi che Leo indossava una maglietta nera col teschio e portava la mia giacca da aviatore, la cosa più inquietante, è che stava benissimo.
“da un po’, fammi spazio” disse con un sorriso affiancandomi davanti allo specchio e circondandomi le spalle con un braccio, gesto che mi fece arrossire istintivamente.
“già, sembro proprio un idiota vestito così, a te invece sta bene un po’ di colore” disse con naturalezza stringendo la presa, ma senza farmi male.
Mi divincolai dalla presa e mi voltai verso l’armadio per cambiarmi, ma Le mi bloccò con uno sguardo interrogativo.
“non penserai mica che io vada in giro vestito in questo modo” dissi prendendo la prima maglietta che mi capitò a tiro, allora, Leo cominciò a fissarmi con un sorriso beffardo sul volto.
“allora cambiati pure”
“non con te davanti, esci”
“e perdermi lo spettacolo? Neanche morto!”
“sai che potrei ucciderti seriamente, vero Valdez?”
“no, sono troppo carino per morire, so che lo pensi anche tu” a quelle parole divenni paonazzo e dovetti voltarmi per non suscitare il sospetto di Leo, lui si avvicinò e mi sussurrò “se tu esci vestito così allora ti seguo”.
Gli rivolsi uno sguardo di sfida ed entrambi uscimmo di “casa” parlando un po’ di tutto e ridendo delle occhiate confuse che ci venivano rivolte da tutti i ragazzi del campo.
A colazione ci sedemmo al tavolo di Ade come al solito.
“che hai intenzione di fare oggi?” chiesi mentre addentavo le mie uova strapazzate.
“penso che starò un po’ nelle fucine, in genere il mercoledì sono quasi vuote, così ne approfitto per lavorare un po’, non ti dispiace?” disse con una velocità tale che capii solo la metà del senso della frase.
“perché dovrebbe dispiacermi? Penso che me ne starò un po’ nel bosco” dissi con falsa convinzione, ormai mi ero abituato alla compagnia di Leo e sarebbe stato difficile farne a meno per un po’, sembra  esagerata come reazione, ma i figli di Efesto sarebbero disposti di passarci settimane nelle fucine!
Leo si limitò ad annuire e restammo in silenzio per un po’, Leo provò a farmi ridere tenendo in bilico il suo bicchiere sulla testa (risultato? I suoi capelli ricci zuppi d’acqua) ma, a parte quello, niente.
Quando Leo mi lasciò per andare nelle fucine, non mi sentii più molto a mio agio, così, andai a fare una passeggiata al confine con il bosco.
Quel posto mi piaceva perché decisamente meno caotico rispetto al campo in sé, inoltre, era anche meno affollato dato che lì era più facile venire a contatto con mostri di qualsiasi tipo.
Ci avevo passato così tanto tempo in quel bosco, la prima volta che lo esplorai fu a dieci anni, prima di trovare l’ingresso per il labirinto costruito da Dedalo.
Quando pensavo a quel labirinto riaffioravano in me solo tremendi ricordi, ero felice che quell’ingresso non esistesse più, almeno così evitavo di pensare a Minosse, Pan, Ethan o Luke.
Una cosa a cui pensavo sempre era che avevo troppi ricordi, ero solo un ragazzino, e avevo sofferto già così tanto.       
In un impeto di rabbia, diedi un pugno al tronco duro di un albero non molto lontano da dove stavo passeggiando.
“Hei! Ma sei impazzito?! Ma … Nico? Sei proprio tu?” chiese una voce da dietro l’albero, solo più tardi mi resi conto che si trattava di Juniper, la fidanzata di Grover.
“scusa Juniper, non volevo” mi affrettai a dire nei confronti della ninfa, ma lei sembrava troppo presa da come ero vestito (come se lei, con la carnagione verde e quel vestito rosa shocking, fosse la persona più normale del mondo!).
“qualcosa mi dice che Leo centra qualcosa” disse lei con tono esperto sedendosi ai piedi dell’albero accanto a me.
“al momento è l’ultimo dei miei problemi” dissi, in effetti era vero ma, considerando che era uno dei pochi problemi anche solo minimamente risolvibili, saltava la fila di u bel po’ di posti.
“dai! A me puoi parlarne, siete così carini insieme!” esclamò entusiasta Juniper facendomi quasi soffocare con la mia stessa saliva.
“c-che hai detto?!” sbottai sgranando gli occhi, non potevo credere a quello che aveva detto.
“andiamo, Nico! Al campo ce ne siamo accorti tutti, sicuro di non aver passato troppo tempo con quello sciroccato di Ade?” chiese lei intrecciandosi i capelli, “Leo è innamorato di te” continuò notando il mio viso sempre più confuso, ma usando comunque il tono di chi sta dando le previsioni del tempo.
Stavo per ribattere alla sua affermazione, ma Juniper mi interruppe “va da lui e non discutere”.
Non risposi, mi limitai a sorriderle e a lanciarmi in una corsa verso le fucine del campo.
Non ci potevo credere, Leo Valdez era innamorato di me, Leo Valdez era innamorato di me! La notizia mi fece sorridere come mai avevo sorriso in vita mia.
Mentre attraversavo il campo correndo come un matto, tutti mi guardavano sospettosi, non capitava mica tutti i giorni di vedere Nico di Angelo che indossava vestiti colorati e che sorrideva!
Quando mi ritrovai all’entrata delle fucine, rallentai la corsa ed entrai facendo attenzione a non fare troppo rumore.
Il luogo era deserto, tranne che per una testa riccioluta china su uno dei tanti piani di lavoro disponibili, non potei non notare che fosse bellissimo quando se ne stava tutto concentrato a risolvere un problema.
Mi avvicinai lentamente e, quando avvertii il suo respiro, gli avvolsi la vita con le mie braccia e appoggiai il viso nell’incavo tra il collo e la spalla.
Leo sussultò e si voltò di scatto abbandonando quello che stava facendo e, quando mi vide, il suo viso si fece più pallido e sgranò gli occhi.
“NICO! STA GIÙ!” disse afferrandomi e gettandomi a terra, non sapevo cosa fare, poi dal suo piano di lavoro partì un’esplosione che mi spinse ad aggrapparmi al petto di Leo più forte che potevo.
L’esplosione finì come era cominciata, non durò molto, ma fu abbastanza potente da spazzare via dalla mia testa il discorso chilometrico che mi ero preparato.
Mi sentivo uno stupido, ero certo che da quel momento in poi Leo non mi avrebbe più neanche rivolto la parola, quando i nostri occhi si incontrarono sentii tutta l’adrenalina abbandonarmi.
I suoi occhi indugiarono un po’ sul mio viso, la sua espressione era indecifrabile ma poi, poco prima che anche l’ultimo barlume di speranza mi abbandonasse, sorrise.
“niente di rotto, spero” esclamò, io risi perdendomi in quegli occhi scuri del colore del cioccolato, quello fondente, il mio preferito.
Passai ai capelli, erano così ricci e morbidi, li accarezzai con una mano senza curarmi troppo della reazione del proprietario.
“Nico, io …” non finì mai quella frase, lo strinsi a me e lo baciai con tutto il fiato che avevo nei polmoni.
Non sapevo da quanto, ma desideravo quel contatto più di qualsiasi altra cosa, non passò molto che anche Leo rispose al bacio.
Era un bacio semplice, casto, senza troppe pretese, solo due ragazzi innamorati.
Avrei volentieri approfondito quel bacio, ma la mia attenzione ricadde su una strana sensazione di calore sul mio fondoschiena, cercai di ignorarlo, ma diventava sempre più forte.
Cominciarono a lacrimarmi gli occhi, sembrava che la mia pelle stesse andando a fuoco … aprii gli occhi giusto in tempo per vedere il fuoco che ci circondava.
Spinsi via Leo con non molta grazia allontanandomi da tutte le fiamme che vi erano sul pavimento.
Leo si alzò prontamente in piedi, rivolgendo uno sguardo all’incendio, poi a me e rimasi distrutto dall’espressione che vidi dipinta sul suo volto.
Fece per aprir bocca, ma lo interruppi.
“scusa …” dissi semplicemente, fu poco più di un sussurro, poi scappai via costringendomi a non voltarmi mai.
Non fu una scena da film, una di quelle dove c’è il ragazzo che scappa e, dietro di lui, c’è un altro tizio che lo chiama a gran voce.
Ma niente, Leo non provò a chiamarmi, probabilmente era tornato al suo lavoro fregandosene di quel che era successo, senza che gliene importasse qualcosa del bacio.
Mi chiusi la porta della capanna di Ade alle spalle e mi tolsi la camicia di dosso: avevo il fondoschiena completamente rosso e ustionato.
Faceva malissimo, ma non più male di quanto me ne avesse fatto lo sguardo di Leo.
 
Note d’autrice: Questo capitolo l’avrò finito un paio di settimane fa, ma sono riuscita a caricarlo solo ora.
Allora, tornando alla storia, Nico ha baciato Leo (leggermente OOC come comportamento, ma Leo farebbe perdere la testa a tutti!), ma non sembra che Leo abbia reagito come sperato … Cosa succederà adesso? Nico combinerà qualcosa di stupido? Leo appiccherà altri incendi? E i due riavranno indietro i rispettivi vestiti? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!
Prima di salutarvi, però, volevo avvisarvi che il prossimo sarà il penultimo capitolo! Siamo quasi arrivati alla fine di questa mia prima storia e devo dire di essere molto soddisfatta del mio lavoro.
Presto aggiornerò anche “Son of the Moon”.
Tanti baci, Polaris_Nicole        

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Capitolo 8
*** Fuoco inestinguibile ***



Fuoco inestinguibile
 
Rimasi immobile con ancora le fiamme che mi danzavano sulle dita, ero confuso ma, ancor di più, mi sentivo spaventato.
Chi non lo sarebbe dopo un’esperienza del genere? Dopo che quello che consideravi fosse solo un amico ti bacia all’improvviso, eppure i miei motivi di questa mia paura erano del tutto differenti.
Non avevo mai nutrito una grande simpatia per il figlio di Ade o, ameno, non fino a quando non era tornato al campo qualche mese prima.
Sentivo che qualcosa fosse “cambiato”, ma quando vidi quel groviglio di capelli neri, quegli occhi profondi e lucenti, quel corpo magro e assolutamente perfetto ai miei occhi … ne ebbi la certezza.
Non avevo mai pensato a lui in quel senso, lo trovavo carino, niente di più. Ma, da quando avevamo cominciato a passare del tempo insieme, sempre più spesso mi ero ritrovato a pensare alla morbidezza delle sue labbra, al calore che avvertivo quando lo stringevo a me e ai suoi rari sorrisi.
Quel bacio è stata forse la cosa più bella che mi sia mai capitata nella vita, la più dolce, la più desiderata, la più … insomma, credo di aver chiarito il concetto.
Purtroppo, però, ci aveva pensato il mio “potere speciale” a rovinare tutto bruciandogli il fondoschiena come fosse un wurstel.
Sono sempre stato un tipo solare e spiritoso, uno di quelli che vedono il sole anche nelle più scure giornate di pioggia, eppure in quella situazione non ci vedevo niente di buono.
Avevo paura di averlo spaventato, un po’ difficile da credere considerando che passava quasi tutto il suo tempo libero negli inferi, ma erano molti al campo a considerarmi un po’ … pericoloso.
Rivolsi uno sguardo al ripiano su cui stavo lavorando, più precisamente, all’ultimo progetto che vi era adagiato sopra.
Era uno scudo, l’avevo disegnato senza uno scopo preciso, ma ad ogni tratto la decorazione somigliava sempre di più ad un teschio, come quello che Nico portava sempre al dito, ed ero passato da un normale scudo di bronzo celeste ad uno in ferro dello Stige, lo stesso colore dei suoi occhi.
Gliel’avrei regalato sicuramente una volta realizzato, peccato che il ferro dello Stige fosse difficile da lavorare (da qui la “quasi” esplosione che aveva scatenato tutto), ma per Nico avrei fatto di tutto.
Mi costrinsi ad estinguere le fiamme e a obbligarmi di tornare a lavoro, avevo promesso a Chirone che avrei fabbricato diverse spade, pugnali, coltelli, … presi una matita e cominciai a lavorare.
Una linea dritta, una curva, poi l’occhio, la bocca, i capelli, …  tutto inutile, alla fine l’unica immagine presente sul foglio era il volto di Nico che mi fissava e di certo la cosa non mi aiutava.
Pensai di riprendere il progetto dello scudo, ma probabilmente l’unica occasione in cui Nico avrebbe potuto utilizzarlo, sarebbe stato proteggersi da me medesimo (vita di merda -.-‘).
E pensare che era proprio per la sua protezione che avevo cominciato il progetto, Nico non era esattamente un esperto quando si trattava di “preservare se stessi” in un certo senso … quello scudo lo avrebbe sicuramente aiutato, e avrebbe aiutato anche me a stare più tranquillo durante le sue lunghe assenze.
E se se ne fosse andato di nuovo? Cosa sarebbe successo? Sarebbe mai tornato? Continuai a farmi le stesse domande tentando di controllarmi e di non far esplodere le fucine mandando l’intero campo in stato di emergenza generale.
Tentai di rimuovere dalla mia testa il pensiero di un qualche figlio di Ares che tentava di sgozzarmi con una mazza ferrata e di tornare al problema principale: Nico.
“ciao Leo … Potresti darmi una mano con un progetto? L’avevo cominciato ieri, ma non riesco a finirlo” esordì all’improvviso una voce dal tono timido e pacato. Leo si voltò, e vide un ragazzino biondo con gli occhi azzurri nascosti dietro gli occhiali. Matthew Williams era uno degli ultimi ragazzi ad essere stato riconosciuto come figlio di Efesto, assieme al suo gemello Alfred.
“ma certo, Matt! Il Ragazzo di Fuoco è qui per te! Fammi vedere quel progetto!” esclamai tentando di sembrare naturale il più possibile. Quando il ragazzo mi mostrò il progetto, presi a trafficare con diverse viti ed un bullone … più per il nervoso che per altro.

***

Uscii dalle fucine esausto, il progetto di Matthew era stato più difficile del previsto da realizzare (ma come cavolo si fa a progettare un’arma a forma di mazza da hockey in bronzo celeste?!). Non me ne ero accorto, ma si era fatto davvero tardi, probabilmente avevo anche saltato l’orario della cena.
Gli altri erano sicuramente al falò, così mi diressi alla capanna numero 9, quando all’improvviso un urlo si stagliò in mezzo al silenzio della sera …
Mi guardai in giro, alla ricerca di qualcosa di anomalo e, con orrore, notai una luce innaturale proveniente dalla foresta … sembrava quasi … un incendio.
 
Note d’autrice: Penultimo capitolo … l’inizio della fine.
Ciao a tutti! Ho finalmente ripreso la storia (ringraziate la mia cara T. che ogni giorno mi minaccia di morte perché non aggiorno mai le storie … ho paura di lei).
Non ho molto da dire sul capitolo, solo che ho deciso di renderlo dal punto di vista di Leo (e questo mi è costato due riscritture del capitolo, poi non dite che non tento di fare il possibile).
Un’altra cosa, che sono certa che qualcuno abbia notato, i nomi Matthew Williams e Alfred li ho presi da un manga (per il quale ho una vera e propria fissa), cioè, Axis Powers Hetalia (a mio avviso non ce li vedevo tanto il mio amato Canada e il mio esaltato America come figli di Efesto, ma in scarsità di nomi ho dovuto improvvisare … ne approfitto per dire che i personaggi non mi appartengono e, quindi, evitarmi una qualsiasi accusa di copyright, ecc.).
Il prossimo sarà l’ultimo capitolo e nel prossimo includerò una speciale sorpresa! Non vi anticipo niente … A proposito, ho visto che molti hanno richiesto una fanart di Leo e Nico con i vestiti scambiati, pensavo di farla io e invece … qualche giorno dopo ne trovo una su un gruppo di Pernico shippers! Non so se sia o non sia ispirato alla mia fanfiction ma … L’ho trovata assolutamente perfetta! La allego a questo capitolo (se ci riesco …). Al prossimo capitolo! Da Polaris_Nicole (che non ha ancora cenato e muore di fame). 

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