Lost love-An untold story of two Champions

di TheHeartIsALonelyHunter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo incontro (di complimenti, imbarazzo e gelosia) ***
Capitolo 3: *** Notti insonni (Di pensieri più o meno indecenti e giornaliste scandalizzate) ***
Capitolo 4: *** Sguardi sfuggenti (di stalking e amiche svenute) ***
Capitolo 5: *** Ossessione (di bambini che non vogliono crescere e scherzi di Plutone) ***
Capitolo 6: *** AVVISO! ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il vecchio aveva ormai la pelle raggrinzita dall’età e gli occhi ricoperti da una strana patina di anzianietà che però lasciava trapelare, sotto l’apparente sonnolenza, il vispo splendore delle iridi verdi e ancora accese di curiosità morbosa verso il mondo.
All’età veneranda di ottantaquattro anni, Harry Potter ne dimostrava ben di meno: non si era mai abbassato a farsi aiutare da Lily o James nella casa in cui, ormai, viveva da solo, dopo che la sua Luna l’aveva lasciato, e non aveva neppure accettato l’idea accorata di Albus di prendere una governante.
Lui aveva alzato le spalle all’idea e aveva borbottato:
“Ho sconfitto il Signore Oscuro, giovanotto, cosa vuoi che sia, per me, una casa da tenere in ordine?”
L’unica sua compagna era la nipote Elizabeth, che era venuta a vivere solo qualche mese prima da lui con la scusa che “Robert l’aveva mollata”. Harry aveva sorriso dolcemente a quell’affermazione e aveva commentato, a mezza voce:
“Sapevo che sarebbe andata a finire così…”
La figlia di Lily e Hugo Weasley aveva preso caratteristiche sia dall’uno che dall’altro genitore: i capelli biondi e corti, tagliati come quelli di un’adolescente, dell’amata figlia e gli occhi azzurri e accesi di curiosità del piccolo e adorato bambino. Nel carattere era “tutta sua madre”, come aveva sempre detto anche Luna, ma Harry credeva che ci fosse anche molto dei Weasley nel sangue della ragazza: forse quel modo di alzare le spalle che gli ricordava un po’ Ron, o il modo di portarsi una ciocca dietro l’orecchio come Hermione…
Doveva ammettere che gli faceva piacere la compagnia di quella ragazza: da quando i suoi migliori amici se ne erano andati, il vecchio si era richiuso in un mutismo doloroso e non aveva più voluto rispondere a domande invadenti di giornalisti altrettanto invadenti.
Quando Beth però era arrivata a bussare alla sua porta, non aveva potuto dire di no: lei non gliene aveva dato l’occasione, ed inoltre era pur sempre la sua nipotina. “Betty-Boopy”, la chiamava quando era una bambina. Al risentire quel soprannome, Elizabeth arrossiva sempre fino alle punte delle orecchie e Harry scoppiava a ridere divertito.
Elizabeth si era dimostrata anche un’ottima difesa contro i giornalisti insistenti e pressanti, in quanto più di una volta si era trovata nella scomoda situazione di dover cacciare dalle porte di casa quei “parassiti”, come li chiamava lei sbuffando infastidita.
“Possibile che non ti lascino in pace neppure quando stai per morire?” esclamava scontrosa e seccata, il tono di chi non scherza affatto.
Harry aveva sorriso, ormai abituato ai modi bruschi e perennemente rabbiosi della ragazza e aveva replicato, alzando un sopracciglio:
“Sai, credo che vorranno intervistarmi anche quando sarò nella tomba…”
Mai aveva chiesto aiuto a lei, e d’altronde, perché farlo? Era abituato a sbrigarsela da solo, ed era ancora un vecchio piuttosto arzillo e attivo per la sua età: trovava sempre il tempo di andare in giardino ad annaffiare le rose che la moglie gli aveva raccomandato prima di morire, andava a far visita ai suoi figli nelle rispettive case, e ogni volta loro esclamavano, ansiosi per la sua salute:
“Non dovresti fare questi sforzi, papà…”
 E lui, ammiccante:
“Oh, sono o non sono il Bambino che è Sopravvissuto?”
In verità, di quel bambino in lui non c’era più molto se non quello sguardo innocente e perso che ogni tanto gli compariva sul viso. Elizabeth aveva imparato a riconoscere quello sguardo e soleva allontanarsi quando lui lo sfoggiava: sapeva che stava ripescando qualche ricordo nella sua mente ancora non del tutto confusa, e preferiva lasciarlo solo. Non tanto per rispetto suo, ma più che altro perché non voleva che il nonno si lanciasse in uno di quei discorsi del genere “Ai miei tempi…”
Ma non sapeva che, se lei avesse avuto voglia e tempo di ascoltarlo e lui non fosse stato tanto timido da non voler rivelare quella parte della sua vita che neanche sua moglie conosceva a chiare linee, il vecchio le avrebbe raccontato una storia tanto bella quanto triste, che davvero la ragazza avrebbe gradito.
Quel giorno, settant’anni dopo la notte che aveva cambiato la sua vita, una donna si presentò alla sua porta, una giornalista più invadente delle altre.
Al notarla dalla finestra mentre Beth, come ogni volta, rispiegava con un tono quasi da pappagallo che “Il signor Potter non poteva ricevere visite” e “Il signor Potter non desidera che gli vengano fatte delle domande”, Harry aveva sorriso: gli ricordava tanto la Skeeter, con quelle sue labbra rosse e carnose, i capelli biondi e ricci e gli occhiali tondi. Nel complesso, la donna dava l’idea di una prostituta, più che di una giornalista, ma questo Harry non glielo disse quando la fece accomodare in casa con un sorriso accogliente.
Beth, naturalmente, non approvò: non appena la donna si sedette in cucina su una sedia che Harry le aveva indicato, lei si affrettò a sussurrargli all’orecchio:
“Nonno, quella è una succhiasangue. Lavora per la Gazzetta del Profeta, è la nipote della Skeeter!!”
Harry sorrise compiaciuto: dunque non aveva visto del tutto male.
“Motivo in più per rispondere alle sue domande: non vogliamo che si trasformi in scarafaggio e si metta a frugare in casa senza che noi sappiamo, no, Betty?”
Lei aveva aperto bocca per replicare e l’aveva immediatamente richiusa.
Aveva solo suggerito, osservando truce la donna che si guardava intorno con fare curioso:
“Modera i termini, nonno”.
Lui aveva annuito complice.
Subito la bionda gli aveva teso la mano amichevole. Il vecchio sorrise al notare le unghie laccate di smalto rosso.
“Salve! Sono Berta Redweld, della Gazzetta del Profeta!” si presentò lei, con un tono tanto acuto che Harry si disse che, se Beth non gli avesse accertato che lei era imparentata con la Skeeter, quella voce sarebbe stata la prova che l’avrebbe convinto.
“Sì, mia nipote mi ha già spiegato chi siete” affermò Harry sorridendo a Beth che guardava, appoggiata al tavolo della cucina, truce la donna.
Berta intrecciò le mani e disse, in un tono tanto sottilmente sarcastico che perfino i muri avrebbero capito il suo scherzo:
“Una ragazza assolutamente adorabile, signor Potter”.
Elizabeth dalla sua postazione la trafisse con lo sguardo, ma Harry sorrise divertito dalla situazione e, in un tono ancora più tagliente, affermò:
“Grazie mille. E anche lei è una donna davvero adorabile”.
Berta sbiancò, ma il vecchio si limitò a sorriderle affabile.
Subito lei prese in mano un taccuino e gli chiese, senza scomporsi:
“Signor Potter…”
“Sua nonna aveva una Penna che scriveva o mi sbaglio?” domandò lui, curioso.
Lei rispose, seccata:
“è andata perduta. Quando è stata intrappolata da quella…” Ricacciò indietro le parole che stava per dire, zittita da uno sguardo crudele del vecchio, e subito riprese il suo sorrisino falso.
“Signor Potter, sa che cosa è accaduto esattamente settant’anni fa, vero?”
Harry rispose, scherzoso:
“Sarò vecchio, signora Berta, ma non sono del tutto rimbambito, come i miei figli e Betty possono confermarle”.
Lei sorrise e poi chiese, maliziosa:
“E cosa ha da dire al riguardo?”
“Ciò che avevo da dire l’ho già detto cento volte ai giornali. Sinceramente non credevo che, dopo settant’anni, ci fosse ancora qualcuno che avesse il dubbio che il Signore Oscuro non fosse tornato…” rispose scherzando. Elizabeth ridacchiò, notando gli occhi di Berta diventare due spicchi.
“Signor Potter, se mi ha fatto convocare qui solo per schernirmi, sappia che con me non attacca” disse velenosa.
“Non avevo nessuna intenzione di provocarla, miss Redweld…” esclamò, aprendo le braccia. “Cosa potrebbe un povero vecchio ormai prossimo alla morte, come la mia cara nipote spera…” aggiunse, rivolgendosi esplicitamente a Beth che abbassò lo sguardo diventando rossa. “…Contro una delle più rinomate giornaliste della Gazzetta del…”
“Io non sono affatto rinomata” sbottò lei, improvvisamente non più sottilmente ironica e senza nascondere il fastidio che le stava arrecando.
“Nessuno conosce il nome di Berta Redweld, lo chieda pure a chi vuole” riprese, abbassando gli occhi come un cucciolo bastonato.
“Effettivamente io non l’avevo mai sentita nominare…” si intromise Beth crudele.
Harry però la zittì, improvvisamente conscio dello scopo della donna.
“Signor Potter, non può trattarmi così” continuò, tutta contrita. “Io sarò pure nipote di mia nonna ma non mi è servito a molto, sa? Molti pensano che sia raccomandata, ma non lo sono per niente! Ho dovuto fare una dura gavetta, non se lo immagina neppure, signor Potter! E ora tutto quello che mi fa scrivere quel bastardo, sa cos’è, SA COS’E’??” esclamò, ormai prossima a una crisi di nervi.
Harry fece per parlare ma lei gridò, squittendo:
“LE PAGINE SPORTIVE!! SI RENDE CONTO, LE PAGINE SPORTIVE!!”
Poi si accasciò sulle sue ginocchia respirando forte.
Il vecchio rimase a guardarla sconcertato ma d’improvviso conscio di ciò che la donna desiderava.
Beth si astenne dal fare altri commenti che potessero ferirla e andò, in silenzio, a preparare un tè per entrambi.
La signora Redweld si passò un fazzoletto sotto agli occhi, tamponandosi lievemente per non far colare il trucco, e poi tirò su col naso molto poco signorilmente. Harry osservò tutta la scena senza commentare.
La donna gli strinse le mani callose in uno slancio di disperazione ed esclamò:
“Signor Potter, se lei mi dà uno scoop, qualcosa su cui io possa ricamare, una notizia, non so, qualsiasi cosa…” poi, alzando gli occhi al cielo, continuò, “io entrerei nell’elitè del giornalismo, e diventerei la più grande giornalista di tutti i tempi, più grande di mia nonna, sì, anche di lei!”
In quell’istante Beth arrivò, due tazzine di tè in mano.
“Grazie Betty” sussurrò Harry, accettando la sua tazza. Berta non la rifiutò e si mise a soffiare sulla superficie del liquido in attesa di una risposta.
Il vecchio socchiuse gli occhi per un istante e si passò una mano sulla fronte.
Beth, incuriosita dalla situazione, rimase ferma al suo posto, mentre, ansiosa, Berta lo osservava.
Alla fine lui alzò gli occhi e disse, con un sorriso stranamente malinconico:
“Miss Redweld, io tutto ciò che sapevo e tutto ciò che ho passato l’ho raccontato già tante di quelle volte che non potrei davvero più trovare un altro aneddoto abbastanza succoso da proporle…”
Berta abbassò il capo, come se l’avessero sconfitta.
“Ma c’è, effettivamente, una storia che non ho mai raccontato a nessuno”.
Il viso della giornalista si illuminò.
“Neanche ai miei figli, miss Redweld, neanche ai più insistenti giornalisti” riprese Harry.
“E deve sapere che ha un valore per me tanto grande quanto grande è il suo desiderio di celebrità. Ho sempre cercato di tenerla segreta temendo che potesse essere stravolta…”
Berta chiese, incuriosita:
“Allora perché la vuole raccontare a me, signor Potter?”
Lui sorrise benigno.
“Io non so quanto utile le possa tornare questa storia, miss Redweld, però le assicuro che vale la pena di essere ascoltata”.
Berta si illuminò in viso e Beth, rendendosi improvvisamente conto di essere fuori posto, sussurrò:
“Vado di là…”
Harry le prese il braccio.
“No”, replicò. “Voglio che ascolti anche tu, Betty…”
Berta prese il suo taccuino con aria allegra e attese che lui iniziasse a parlare.
“Sono passati settant’anni, da allora…” sussurrò Harry, gli occhi bassi come persi in un ricordo.
“Non importa, quel che si ricorda può dirmelo senza problema…” tenne a precisar Berta alzando le spalle.
“Dicevo, sono passati settant’anni da allora…” continuò Harry, il tono più deciso. Subito Berta passò il fermaglio sul taccuino e lasciò che registrasse ogni parola del vecchio.
“…Ma i miei ricordi sono più vividi che mai. E in fondo, come potrei dimenticare? Miss Redweld, questa storia che le sto per raccontare è l’unica avventura che non abbia mai raccontato ai miei figli, l’unica da cui i miei migliori amici siano stati esclusi.”
Poi, avvicinandosi a lei, sussurrò, complice e commosso:
“La prego, prometta che non la snaturerà, la prego…”
A quello sguardo triste, Berta non poté resistere. Sorrise e esclamò, sicura:
“Signor Potter, trascriverò ogni parola come la dirà. Non cambierò una virgola di questa storia”.
Rilassato, Harry le sorrise e lasciò che Beth si sedesse sul bracciolo della poltrona, tutta titubante.
“Allora, stia ben attenta, signora Redweld, e anche tu Betty…” rivolgendosi alla nipote. “Questa è la storia mai raccontata di due Campioni”.

Note d'autrice: 
E così inizia questa long che, sono sicura, amerò.
Mi farà ammattire ma la amerò.
Spero vi sia piaciuto come inizio, so che per essere il 2065 non ci sono molte differenze dal presente, ma cercherò di renderlo un futuro più credibile col progredire della storia. E spero, naturalmente, che la seguiate e che siate in tanti, anche se non ci spero moltissimo. 
Inoltre, spero che Beth e Berta vi siano piaciuti come personaggi!
Al prossimo capitolo!!

 

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Capitolo 2
*** Primo incontro (di complimenti, imbarazzo e gelosia) ***


6 novembre 1993
 
Harry zoppicava deciso verso il cortile, con Hermione al suo fianco che lo tallonava in modo invadente.
“Harry, per piacere, dovresti essere a letto ora! Madama Pomfrey ti ha detto di rimanerci almeno per una settimana, e io sono d’accordo con lei!”
Il ragazzo non le rispose e si limitò ad alzare gli occhi al cielo, indispettito.
A quel punto, la ragazza gli si parò davanti, le braccia aperte, costringendolo a interrompere la sua corsa.
“Che c’è?” esclamò lui, lievemente innervosito.
“Harry, hai fatto un volo di tre metri dalla scopa, cadendo sul campo di Quidditch, e ti è andata anche troppo bene che non ti sia rotta la schiena!” rispose lei, con tono conciliante. “Sei stato fortunato, ma io non tenterei la fortuna ancora, se fossi in te!”
Harry sbuffò contrariato.
“Oh, coraggio, Hermione! Voglio solo andare a parlargli!”
La ragazza incrociò le braccia al petto, lievemente contrariata.
“E che cosa gli dirai? –Oh, Cedric, sei stato sleale a prendere il Boccino sebbene io fossi stato steso da dei Dissennatori, è stato ingiusto!” disse, scimmiottando leggermente il tono dell’amico.
Harry alzò gli occhi al cielo.
“Ma ti prego! Ha fatto benissimo a prendere quel dannatissimo Boccino…” poi, alzando un sopraciglio, aggiunse:
“Figurati che è andato dall’arbitro a chiedere di invalidare i risultati perché io non avevo potuto giocare… Che idiota… In cento anni in cui la gente si fa male in questo sport lui è l’unico che ha mai chiesto una cosa simile”.
Hermione replicò:
“è un Tassorosso, cosa ti aspetti? Lealtà, lealtà, e tanta lealtà!”
Harry aggiunse, sottovoce:
“E anche un po’ di stupidità…”
“Ti ho sentito!”
Lui alzò lo sguardo e disse, seccato:
“Oh, andiamo, Hermione! Sono stato io a fare un errore e lui tenta di annullare una vittoria che avrà fatto guadagnare alla sua Casa non so quanti punti??”
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
“Harry, tentava di essere corretto, tutto qua!”
“Bè, a me sembra sia stato quasi un atto di pietà… E mi offende, sinceramente!”. Detto ciò, riuscì a scostare la ragazza e fare qualche altro metro prima che Hermione gli prendesse il braccio ed esclamasse, in tono quasi supplicante:
“Vacci piano con lui, però!”
Lui annuì lievemente, poi si avvicinò zoppicando all’albero sotto il quale il ragazzo stava leggendo.
Cedric Diggory aveva bei capelli bronzei che teneva in un ciuffo organizzato e ben disposto, tanto diverso dall’ammasso di capelli che aveva lui sulla testa, disordinati e anche leggermente unti. I suoi occhi grigi correvano da un capo all’altro di un libro di Erbologia, con una tale velocità che per un istante Harry rimase immobile, come ipnotizzato, a osservarne il movimento. All’età di sedici anni compiuti da poco, Cedric era uno dei ragazzi più amati dalle ragazze, e quella vittoria era servita solo a renderlo ancora più celebre e più desiderabile ai loro occhi.
Osservandolo mentre, con un sorriso sulle labbra, sfogliava quel libro con quelle mani bianche e lunghe (mani da pianista, le avrebbe definite), Harry si ritrovò a pensare che effettivamente era davvero un bel ragazzo e arrivò a capire quelle che gli andavano dietro come cagnolini.
Poi, scuotendo la testa, tornò al suo obbiettivo.
Gli si avvicinò trascinandosi dietro la gamba e gemendo lievemente, e quando gli fu davanti lo chiamò. Nelle sue intenzioni la sua voce avrebbe dovuto essere alta e perentoria, nella realtà sembrò più un bisbiglio che un ordine o un intimidimento.
Harry si maledì da solo.
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lui e sorrise, lievemente sorpreso e imbarazzato.
“Potter…” constatò, alzandosi lentamente dall’erba.
“Diggory…” rispose lui, alzando, senza volerlo, gli occhi al cielo. Si rese conto solo dopo che l’aveva fatto per evitare di incontrare i suoi occhi grigi.
“Ehm… Come mai da queste parti?” chiese lui, abbassando lo sguardo e guardandosi con noncuranza le scarpe.
Harry era partito con le idee più bellicose e ora, oltre alla voce che se n’era praticamente andata, c’era anche uno strano imbarazzo che l’aveva congelato totalmente. Si limitò a rimanere, per alcuni istanti, fermo e zitto a squadrarlo, tentando di calmare il battito del cuore che stava letteralmente impazzendo.
Aveva un fisico allenato e palestrato, e persino sotto la tunica Harry poteva notare un accenno di addominali ben definiti. Per un istante ebbe quasi l’istinto di chiedergli di togliersela per poterli ammirare. Represse il desiderio dandosi dell’ “idiota”.
Il ragazzo aveva un che di misterioso e irraggiungibile, quasi l’ideale di perfezione che Harry aveva sempre avuto: alto, magro, ben allenato, capelli perfetti, viso perfetto, occhi perfetti.
Cedric aveva semplicemente una figura perfetta. Era il più bel ragazzo che avesse mai visto.
Harry avrebbe quasi voluto schiaffeggiarsi. Ma perché mai si metteva a fantasticare come uno scemo su un ragazzo che conosceva da meno di dieci secondi? E diamine, non gli aveva neppure detto nulla…
Facendosi coraggio disse, in tono calmo e circospetto:
“Volevo solo dirti che non dovevi necessariamente chiedere all’arbitro di invalidare la partita…”
Poi, mettendosi a giocherellare con le mani, proseguì:
“Insomma… Sei un ottimo giocatore e… Avresti vinto comunque, credo…”
Detto ciò, alzò lo sguardo al cielo, fingendo di essere preso da chissà quale uccello o bellezza naturale.
Cedric, da parte sua, annuì e, evitando il suo diretto sguardo, spiegò:
“L’ho fatto perché mi sembrava semplicemente la cosa giusta da fare, tutto qua…”
Harry annuì, distratto. Si ritrovò a pensare che anche la sua voce aveva un che di…
Di adulto, in un certo senso, mentre la sua cominciava solo allora a diventare lievemente più aspra e dura rispetto a quella da bambino.
“Ovvio, Harry, ha sedici anni…” si disse, dandosi per la millesima volta da quando quella “conversazione” era iniziata dello stupido idiota cretino.
“E… Anche tu giochi molto bene!” aggiunse lui, come a voler riparare a un torto, e sorrise lieve.
Harry tentò di ignorare quel sorriso e rispose con una smorfia convincente quanto Dursley che faceva danza classica, e sussurrò, in un tono tra l’imbarazzato e il terrorizzato:
“Ti muovi bene… Come… Cercatore…” aggiunse, come fosse stato necessario.
“Certo…” rispose lui, ridacchiando e passandosi una mano tra i capelli nervoso.
Anche Harry ridacchiò, poi entrambi zittirono, come fossero stati pietrificati.
Il silenzio durò un minuto buono, prima che Cedric dicesse, con un sorriso sulle labbra:
“Credo tu sia il migliore Cercatore che il Grifondoro abbia mai avuto”.
A quel complimento, detto tra l’altro da quel ragazzo in un tono tra il sinceramente ammirevole e il nervoso, Harry arrossì tutto e Cedric non poté fare a meno di ridere, divertito di gusto.
“O almeno lo è da quando io sono qui…” spiegò, facendolo rilassare lievemente.
“Grazie…” bisbigliò Harry, ancora tutto rosso come un pomodoro e fermo con gli occhi spalancati davanti al giovane.
“Devo fargli l’impressione dell’idiota se si sente in dovere di dirmi queste cose…” pensò tra sé e sé, commiserandosi da solo.
In realtà Cedric l’aveva trovato, sin dal primo istante in cui l’aveva visto volare sulla scopa in una partita durante il suo secondo anno, dotato di una sorta di innocente bellezza, una bellezza sopita e nascosta, ma pronta a sbocciare. Sotto a quegli occhiali e quelle lenti spesse, Cedric lo sapeva, c’erano due occhi verdi come laghi di montagna, e sotto l’apparenza di ragazzo goffo e fragile c’era una personalità forte e autoritario.
Mentre per Harry lui era ideale di bellezza, la bellezza irraggiungibile, Harry era per lui la bellezza dell’infanzia, quella che anche lui aveva avuto e che ora era nascosta dietro un ciuffo intriso di gel e una crescita avvenuta forse troppo in fretta.
Nessuna meraviglia, dunque, che anche lui lo scrutasse curioso, rimirando ogni singolo dettaglio del suo fisico, goffo ma snello, un fisico anch’esso da brutto anatroccolo pronto a trasformarsi in cigno.
Tutto in lui dava l’idea di bambino, ma al contrario di altri suoi compagni lui non cercava di nasconderlo. Era naturale, Harry. Un ragazzo acqua e sapone.
“Bè, Diggory…” sussurrò lui, con lo sguardo ancora basso.
“Ti prego” soggiunse il Tassorosso, come in una supplica accorata. “Chiamami Cedric”.
Harry stavolta lo guardò negli occhi. Lui gli sorrise affabile, e il Grifondoro si sentì avvolto da quel sorriso come in un abbraccio caldo e confortevole. Era come essere a casa… Come essere liberi e senza preoccupazioni.
Poi lui scosse la testa e rispose, apprestandosi ad andarsene:
“Allora… Ciao Cedric”. Detto ciò se ne andò, alzando la mano in cenno di saluto e seguendolo con lo sguardo per un certo tratto.
Anche Cedric seguì i suoi occhi verdi, incapaci di staccarli dai suoi: erano occhi che ispiravano tranquillità ma anche tanta irrequietudine e tanto dolore sopito.
Il Tassorosso si chiese quante altre ragazze avessero mai pensato, osservandolo “Che bel ragazzo”. Probabilmente non molte, considerando che di sicuro il Grifondoro non spiccava, al momento, per bellezza. Ma un giorno l’avrebbe fatto, pensò con un sorriso, e tutte le ragazze gli sarebbero corse dietro come cani dietro una pallina.
Chissà perché, sentì una fitta di gelosia attraversargli il corpo come una scarica elettrica.

Note d'autrice:
LO SO. Stanno andando troppo in fretta. Secondo voi stanno andando troppo in fretta?
Non è ancora amore, sia chiaro. Ancora ce ne vuole...
Questa long diciamo che diventerà un po' a mia "opera" più matura su questa coppia, e raccoglierà anche ispirazioni da miei scritti e scritti di altri autori, dunque ci saranno non poche citazioni, direi. Questo primo incontro, ad esempio, l'ho ripresa dalla mia storia "He is the one" (first slash EVER) ma viene anche dalla storia "Non dimentico" (non mia) che consiglio a tutti gli amanti della Hadric.
Spero vi sia piaciuto come ho impostato la storia.
Ah, la storia è raccontata in terza persona ma ricordatevi che a narrare è Harry. è che non mi andava di raccontare attraverso i suoi sentimenti, i suoi ricordi... Dunque l'ho resa così. Ci saranno cmunque altre capatine nel futuro, giuro! OK, vi saluto e vado a nanna (ma sono l'unica che ama le vancanze di Natale???)
(Ringrazio Giulia Sky perchè è meravigliosa e recensisce TUTTE le mie Hadric, e perchè è anche lei una Hadric shipper. Spero sarete di più alla fine di questa coppia e che possiamo diffonderla nel mondo XD)
Peace, love and Hadric.

 

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Capitolo 3
*** Notti insonni (Di pensieri più o meno indecenti e giornaliste scandalizzate) ***


13 novembre 1993
 
Harry arrivò in Sala Grande con due occhiaie sotto gli occhi così grandi che perfino Tiger, che aveva sempre reputato un idiota, sbuffò un “Cavolo” quando gli passò vicino per raggiungere il tavolo dei Serpeverde.
Il ragazzo strascicava i piedi sul pavimento della sala, tenendo il viso ben basso per controllare di non inciampare in qualcosa o qualcuno e per tentare di nascondere i cerchi neri.
Quando si sedette al suo posto, Hermione trasalì e si portò una mano alla bocca.
Ginny, vincendo la sua timidezza, gli posò una mano sulla spalla come a volerlo confortare per qualcosa, ma con un cenno della mano lui la invitò a lasciarlo andare.
“Harry!” esclamò Hermione, in un tono tanto acuto che il ragazzo divenne completamente rosso, perché l’intero tavolo dei Grifondoro si girò verso di loro.
Ron scosse la testa.
“Te l’avevo detto che era messo male…” le sussurrò Ron all’orecchio per calmarla.
“Ma non certo COSI’ male!” esclamò lei, scandalizzata.
“GRAZIE, Hermione…” replicò Harry, passandosi la mano destra sui capelli sudaticci. Non aveva avuto nemmeno il tempo di lavarseli quando Ron l’aveva svegliato: come sempre, la sveglia aveva suonato in ritardo. O forse il rosso non l’aveva semplicemente sentita.
Come sempre.
“Ma che ti è successo?” chiese Hermione, sempre più shoccata.
“Niente…” balbettò lui, prendendo un bicchiere e portandoselo alla bocca, tentando di mascherare le palpebre che gli stavano letteralmente cadendo.
“Si è rigirato nel letto per tutta la notte” disse Ron in un fiato prima che lui potesse anche solo fermarlo o accorgersi delle sue intenzioni.
Harry quasi sputò il liquido che aveva in bocca, ma si costrinse a ingoiare, rischiando di farselo andare di traverso.
Hermione trasalì per la seconda volta.
“Grazie Ron…” borbottò il ragazzo, evitando lo sguardo del rosso.
Quest’ultimo si limitò a sussurrare qualcosa del tipo “L’avrebbe saputo comunque”, ma Harry nemmeno lo sentì. Appoggiò il viso al mento e fissò lo sguardo in un punto imprecisato nel vuoto. O meglio, ai più sarebbe sembrato “imprecisato”, forse perfino alla sua mente temporaneamente intorpidita. In verità il su sguardo stava vagando verso un preciso e singolo punto, con la stessa automaticità con cui respirava: non si accorse nemmeno del movimento tanto era stato abituale per lui nell’ultima settimana.
Diresse gli occhi verdi verso il tavolo dei Tassorosso dove, vicino ad Hannah Abbot e Ernie McMillan, Cedric Diggory sedeva, il viso contratto in una risata mentre batteva il pugno sulla spalla della vicina compagna, che anche lei rideva.
Harry non ci mise troppo ad accorgersi di qual’era la direzione del suo sguardo, e subito batté le ciglia nervosamente e poi lo spostò prima che qualcuno potesse notarlo. Tutto ciò avvenne in meno di tre secondi.
“Ancora problemi con i Dissennatori?” chiese Hermione, abbassandosi su di lui.
Harry ci mise qualche istante per metabolizzare  e capire la domanda.
Il suo primo impulso fu quello di esclamare, scocciato “Ma quali Dissennatori!”, ma decise di contenersi: il sonno lo rendeva piuttosto nervoso, non per questo poteva certo sbraitare contro Hermione. Non era una motivazione sufficiente per prendersela con lei. E comunque Harry non voleva prendersela con lei.
“Non proprio…” sussurrò. Non era propriamente la verità, ma non era neanche una bugia. Sempre meglio che mentirle totalmente.
“In verità l’ho sentito pronunciare più volte un nome” ammise Ron, ancora una volta con una velocità tale che non riuscì a fermarlo.
Harry diventò bianco come un cencio. Ginny alzò gli occhi dal suo piatto ed esclamò, lievemente speranzosa:
“Davvero??”
Poi parve ricomporsi e richiuse gli occhi per calmarsi lievemente e tentare, malamente, di non far trasparire la sua speranza.
Ron si voltò verso la sorella e anche Hermione. La bambina divenne rossa come i suoi capelli.
“Non era il TUO nome, Gin” tenne a specificare il ragazzo. La bambina abbassò lievemente lo sguardo e tentò di evitare che Harry la guardasse in viso.
Dal canto suo, il diretto interessato di tutto quel putiferio si ritrovò a sorridere lievemente. Povera, piccola Ginny… Tentava di nasconderlo eppure sapeva bene quanto fosse impossibile.
“Chi ha detto nulla…” commentò Ginny, causando una risatina sommessa da parte di Ron. Hermione lo fulminò con lo sguardo e lui si interruppe.
Harry tossicchiò imbarazzato sperando che l’interesse per lui fosse esaurito.
“E che nome era, Ron?” chiese Hermione. Harry avrebbe voluto crollare sul tavolo: no, l’interesse per lui non era esaurito.
Il rosso lo fissò per un istante, come a chiedergli il permesso. Hermione lo stava guardando curiosa e attenta, e Harry dovette trattenersi dal far intendere a Ron, con tutti i cenni e i gesti che poteva fare, che doveva tacere.
Tutto ciò che fece fu sbiancare silenziosamente sotto lo sguardo preoccupato di Hermione e quello stupito di Ron che ci stava capendo poco o nulla.
“Harry, scusa, che succede?” domandò la ragazza con un filo di voce.
Il moro aprì e richiuse la bocca come un pesce rosso, come per dire qualcosa, per poi pentirsi di averci provato.
“Ron”, visto che Harry taceva la ragazza si rivolse subito al rosso voltandosi leggermente verso di lui e permettendo così al diretto interessato di mimare all’amico di non dire nulla, scuotendo la testa e facendo “No, no” con la bocca.
“Non sono riuscito a capirlo” si affrettò a dire l’amico, facendo tirare un sospiro di sollievo al moro. Notando il suo atteggiamento ansioso, Hermione chiese al rosso, invadente e decisa:
“Stai dicendo una bugia, Ronald?”
Ron alzò le mani, come chi si arrende, ed esclamò, tentando di nascondere la verità:
“Certo che no, Hermione! Credi che potrei mai mentirti?”
“Sì, credo di sì” ribatté lei, lievemente scocciata.
A Harry scappò un sorrisetto. Diamine, quei due sembravano una vecchia coppia sposata…
“Bè, stavolta non mento, davvero!” tentò nuovamente il rosso, usando il tono più convincente che poteva esibire.
Hermione stette per alcuni secondi zitta. Poi parve arrendersi, abbassò lo sguardo sulla sua colazione e sospirò, con finto disinteresse.
Ron rivolse un lieve sorriso a Harry, e lui rispose grato: che avrebbe mai fatto senza di loro?
 
La lezione era tanto noiosa che ormai gli occhi di Ron si stavano praticamente chiudendo, complice anche il calore del fuoco e il sonno accumulato nella settimana.
Nonostante ciò, pareva ben deciso a continuare la conversazione, e appena la Cooman smise di declamare una qualche profezia maligna su Harry, si sporse lievemente verso l’orecchio del moro e sussurrò, curioso:
“Cos’è questa storia, allora?”
Harry aggrottò le sopracciglia e a sua volta chiese, sottovoce:
“Di cosa parli?”
Ron alzò gli occhi al cielo, come se avesse appena detto la cosa più stupida del mondo.
“Sai bene di cosa parlo, Harry”, poi, notando che Malfoy li osservava curioso e divertito, si affrettò a chinarsi al suo orecchio e a aggiungere:
“Del fatto che da una settimana a questa part continui a ripetere nel sonno il nome di Cedr…”
“Ssssh!” gli intimò il moro, guardandosi imbarazzato intorno come se avesse paura che qualcuno potesse aver sentito.
“Harry, sei ridotto uno straccio, lo sai?” riprese Ron, cauto e leggero. “Non puoi mica andare avanti così…”
“Grazie Ron, come se non ci avessi già pensato…” commentò lui, sarcastico.
Ma il rosso sembrava serissimo.
“Dico davvero”, e si avvicinò un po’ di più. “Si può sapere che diamine sogni, Harry?”
Il moro si voltò verso di lui lievemente. Non rispose e tornò a fingere di concentrarsi sul libro poggiato sul banco.
“TI PREEEEEEEGOOOOOO!!” tentò Ron piegandosi verso di lui con le mani giunte come a pregarlo, ma lo fece sottovoce per non farsi notare dalla Cooman o dai Serpeverde, e piegandosi tutto verso di lui.
Harry si voltò lievemente verso l’amico che, meglio che poteva, si esibiva in una faccia da “cucciolo” per farsi raccontare cosa mai agitasse le sue notti.
“Va bene…” sussurrò Harry, e Ron batté le mani contento, piegandosi verso di lui per farsi raccontare.
Il ragazzo sospirò e poi iniziò a raccontare.
“È… Sempre lo stesso sogno, più o meno da una settimana e…” alzò lo sguardo per tentare di ricordare i dettagli.
“E inizia tutto in una stanza. Una stanza vuota. Cioè, non vuota nel senso che non c’è niente. C’è una vasca, e una statua… Vuota nel senso che non c’è nessuno tranne me”.
Harry sospirò per recuperare a grandi linee ciò che ricordava.
“E… E sono nella vasca, no? E sto facendo un bagno…”
Ron lo fermò a un tratto.
“Che razza di stanza potrà mai essere?”
Harry accigliò le sopracciglia.
“Che vuoi dire?”
“Bè, il primo passo da fare per decriptare il tuo sogno è capire di che stanza si trattava!”
Il ragazzo ridacchiò.
“Da quando conosci la parole –decriptare-?”
Ron alzò gli occhi al cielo ed esclamò, curioso:
“Dai, non tentare di cambiare discorso, racconta!”
Harry si passò una mano tra i capelli, imbarazzato, e continuò balbettando:
“Ehm… E… E d’un tratto non sono più solo nella vasca…”
Ron spalancò gli occhi.
“C…C’è un’altra persona con me…”
Ron spalancò la bocca.
“E… E… E…”
Harry divenne rosso come un peperone, coprendosi la bocca con la mano come se stesse svelando qualcosa di proibito, qualcosa di proibito che però sapeva tanto di eccitante, perché, Harry stava per scoprirlo, si desiderava sempre ciò che era proibito.
“E mi bacia” disse in un sol fiato.
La mascella di Ron si sganciò definitivamente. La speranza che non l’avesse sentito fu subito vana: l’aveva sentito eccome, e aveva capito benissimo.
“B…Bacia?” domandò Ron, diventando bianco come un cadavere.
“Sì…” sussurrò Harry, tentando di evitare il suo sguardo per non dover subire altre domande.
Ma Ron non aveva intenzione di smettere l’interrogatorio e, anzi, si piegò su di lui di nuovo e gli chiese, apprensivo:
“Ma chi è, scusa?”
“Non lo so”.
“Ma… Una ragazza o…”
“Non lo so”.
“Ma scusa, come fai a…”
“NON LO SO E BASTA,VA BENE???” sbottò lui, nervoso. Riuscì a trattenersi dall’urlargli in faccia perché la Cooman lo stava guardando stranita.
Lui si esibì nel suo sorriso migliore e così pure Ron.
“Ma come fai a non saperlo?” tentò nuovamente il rosso, quando la professoressa distolse lo sguardo da loro.
“Non…. Non lo ricordo” spiegò Harry, tentando di sembrare più convincente possibile.
“Oh” commentò semplicemente Ron, come se avesse capito.
Oh cosa? Urlò la sua mente.
Cosa voleva dire con quell’ “Oh”?
Gli aveva forse letto la verità in faccia ma non aveva intenzione di continuare la discussione?
O forse non aveva davvero capito?
“Bene…” terminò il rosso, girandosi lentamente per fingere di essere ancora interessato alla lezione.
Harry tirò segretamente un sospiro di sollievo.
Una bugia bella e buona, ecco che cos’era quella.
Ma d’altronde non poteva mettersi a raccontare ogni singolo, minimo dettaglio.
Non avrebbe potuto.
Non avrebbe voluto.
Harry ricordava perfettamente il viso di chi l’aveva baciato.
Come avrebbe potuto dimenticare, quando quel viso tormentava i suoi sogni (o incubi a seconda del punto di vista) da più di una settimana?
L’altra persona che si trovava con lui nella vasca era Cedric.
Cedric Diggory.
E non l’aveva certamente solo baciato.
No, certo che no.
L’aveva toccato dove nessuno l’aveva mai toccato, aveva posato le sue labbra su ogni centimetro del suo corpo, aveva sorriso nel buio della stanza, l’aveva avuto.
Al solo pensiero Harry divenne, se possibile, ancora più rosso.
Che diamine di scherzi gli faceva il suo subconscio?
Perché diamine avrebbe dovuto fare un sogno così contorto, così indecente, così proibito?
E perché Cedric, tra l’altro?
Perché non Cho, Cho che era la ragazza di cui era innamorato, Cho che già due volte era venuto a fargli visita nei sogni, Cho che ogni volta che la vedeva gli si mozzava il fiato?
E invece era Cedric a fargli visita nei sogni.
Era il ragazzo con cui una volta sola aveva parlato.
Era il ragazzo che avrebbe dovuto odiare più di tutti, più di Malfoy, più di Ron quando faceva lo gnorri e lo faceva innervosire.
Insomma, era o non era il ragazzo che l’aveva battuto a Quidditch?
Era o non era il ragazzo che, grazie a quella vittoria, ora godeva dell’ammirazione di tutta Hogwarts?
Era o non era il ragazzo con cui, solo una settimana prima, era tanto arrabbiato?
E allora perché, perché diamine lo sognava?
Perché proprio lui?
Perché proprio quello?
 
Berta era rimasta a bocca aperta, Elizabeth non aveva proferito parola ma sembrava sul punto di svenire, sebbene non fosse affatto tipo da svenire.
Harry sorrise nel vedere le loro espressioni shoccate, e il pensiero andò per un istante a Ron quando gli aveva raccontato tutto, o quasi tutto.
Allora si era tanto vergognato…
La giornalista riuscì a richiudere la bocca e a balbettare, come meglio poteva:
“P… Può ripetere per piacere, signor Potter?”
“Ha capito benissimo” disse Harry, provocante. “Sognavo di fare l’amore con Cedric Diggory”.
La mascella di Berta si sganciò perla seconda volta, e il vecchio sarebbe scoppiato a ridere se non avesse corso il rischio di sembrare inopportuno.
“Dio mio, nonno…” sussurrò Beth, riprendendosi lentamente. “Eri proprio un gran bel pervertito!”
Stavolta Harry si concesse una risata, e così anche Betty. Berta sembrava sempre più sul punto di avere una crisi di nervi.
“Oh, signorina Redweld, non sia così scandalizzata!” esclamò Elizabeth, scherzando appositamente per farla innervosire. “Cosa c’è, non ha mai sentito di omoses…”
“BASTA!” esclamò Berta, alzando le mani e lanciando un urletto acuto.
Poi riprese fiato, come se volesse scacciare indietro qualcosa di particolarmente spiacevole o brutto, mentre Harry la osservava curioso.
“OK…” sussurrò la giornalista, tossendo per riuscire a riprendere fiato.
“Dunque, signor Potter, lei era…” qui dovette fermarsi e contrarre per un istante le labbra. “… Innamorato di Cedric Diggory?”
Harry si prese qualche istante prima di rispondere. L’atteggiamento di Berta era quanto mai bizzarro, come quello di chi tenta di trattenersi dal saltarti alla gola. Ma in quel caso Berta non si tratteneva per quello: si tratteneva per non svelare un segreto, per trattenere una verità scomoda, qualcosa che, probabilmente, aveva cambiato la sua vita così radicalmente e in modo così improvviso che ancora faticava a crederci.
“Bè, credo che chiamare amore quella fase non sia propriamente esatto” spiegò lui, osservando le reazioni di Berta che, però, si era ricomposta piuttosto in fretta. Il vecchio osservava il fermaglio scrivere veloce e sorrise al pensiero di una scena tanto familiare di tanti anni prima.
“Era più… Ossessione” replicò lui, e per un istante la giornalista rimase sconcertata a guardarlo.
“Vede, signorina Redweld… Il nostro primo incontro mi aveva lasciato qualcosa addosso. Mi aveva legato a doppio filo a lui, come chi viene unito a qualcuno da un contratto vincolate. Ecco… Quella stessa cosa successe tra me e Cedric”.
Betty si piegò verso di lui curiosa, cingendogli le spalle con le mani.
“Senza saperlo, ci eravamo regalati, in qualche modo, delle emozioni. Ci eravamo… Diciamo, contagiati a vicenda. C’era subito stato quell’imbarazzo tipico degli innamorati, ma non c’era assolutamente amore… Non so se mi spiego” si fermò Harry per tentare di farlo capire a Berta e alla nipote.
“Penso di capire” sussurrò Berta, sorbendo lievemente il tè.
“Io non riuscivo più a togliermi la sua immagine dalla testa. Avevo tredici anni, e credo che l’idea di un ragazzo del genere mi affascinasse, in un qualche modo che ancora non capivo. Mi affascinava in ogni singolo aspetto: il sorriso, i capelli, gli occhi, il viso… Era proprio tutto l’opposto di me” ridacchiò, ripensando a quel corpo goffo in cui era imprigionato e a quel viso che ricordava, nei tratti, ancora quello di un bambino.
“Non so cosa sia successo, non saprei spiegarlo, davvero, sarebbe impossibile da dire…” sussurrò, affannandosi nel cercare quella risposta che, dopo settant’anni, ancora non aveva afferrato.
Berta sorbì un altro po’ di tè nervosamente, continuando a fissarlo. Harry non poté fare a meno di notare la mano che reggeva la tazzina tremare lievemente, incontrollabile, ma tentò di non farci caso per non imbarazzare ulteriolmente la Redweld.
“Era come quando inizia a interessarti qualcosa, qualcosa che scopri quasi per caso, qualcosa che non avresti mai pensato di poter incontrare nella tua vita, e poi cominci a pensarci la notte, a incuriosirti sempre di più, a chiederti sempre più dettagli. E poi, dopo un po’, cominci a studiare quell’argomento, più per tentare di calmare l’ossessione che ti brucia dentro, ma poi quell’argomento stesso diventa un’ossessione più vai avanti. E ti accorgi di non poterne più fare a meno” terminò lui, quasi senza più fiato.
Sia Berta che Betty erano silenziose, immerse ciascuna nelle proprie considerazioni.
La giornalista riuscì a posare illesa la tazzina sul tavolo nonostante la mano tremolante, e poi chiese, la voce che traballava lievemente:
“E… E cosa è successo poi?”
Harry sorrise.
“Signorina Redweld, accaddero così tante cose da lì in poi…”
Poi, aggrottando le sopracciglia, affermò:
“Sa, mi sono reso conto che forse non ho iniziato molto bene questo racconto… Raccontarglielo in questo modo, giorno per giorno o settimana per settimana sarebbe inefficace. Perché riguarda cambiamenti avvenuti in mesi e mesi, che non potrebbero essere compresi solo dall’apparenza, da ciò che accadeva fuori di me”.
Betty domandò, curiosa più che mai:
“Vuoi dire, ci farai una specie di riassunto?”
Harry ci pensò per un istante poi annuì.
“Riassunto, sì… Evidenziando gli avvenimenti più importanti per farvi capire bene come poi ciò che è successo possa essere successo”.
Berta deglutì e domandò, la voce incerta:
“Signor Potter, dobbiamo aspettarci forse un lieto fine?”
Stavolta fu Betty a diventare di sasso.
Sapevano benissimo tutte e due cosa, solo settant’anni prima, era successo, e sapevano benissimo tutte e due cosa questo significava per Harry e per la sua storia.
Come previsto, infatti, suo nonno si accigliò, abbassò lo sguardo e sussurrò, dolorosamente:
“Cedric è morto, signorina Redweld. Le sembra forse un lieto fine, questo?”

Note d'autrice:
Scusate.
Fa schifo.
è orrendo.
Ma questo non è proprio il mio stile.
Mi destreggierò meglio da ora in poi, lo giuro.
E poi, PERDONOOOOOOO! Questo è un momento proibitivo per pubblicare, me ne rendo conto!! Mi spiace, tantissimo, davvero.
Spero di fare di meglio per il prossimo capitolo, anche perchè questo stile "giorno per giorno" o "settimana per settimana" non mi piace proprio per nulla.
Probabilmente userò lo stile simile a quello di "He is the one", non so.
Ringrazio ColeiCheDanzaConIlFuoco che, scrivendomi in una recensione "Ormai grazie a te shippo ufficialmente Hadric"mi ha fatto fare un salto di gioia.

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Capitolo 4
*** Sguardi sfuggenti (di stalking e amiche svenute) ***


Nei giorni che seguirono, il copione si mantenne più che altro immutato: Harry arrivava la mattina in Sala Comune con le occhiaie agli occhi, Hermione diventava di un bianco marmoreo, tentava di estorcere qualche informazione a Ron e poi, quando le era ben chiaro che non le avrebbe detto una sola parola, gettava le braccia intorno al corpo con uno sbuffo di disapprovazione. Il moro era cos abituato a quelle scenate che, ormai, non ci faceva neanche più caso: rimaneva a fissare i due ragazzi senza ribattere, senza neanche prendersi il disturbo di fare a Ron cenno di stare zitto. Stava perdendo tanto di quel sonno che ormai si addormentava perfino sul banco durante le lezioni. Quando si era permesso di chiudere gli occhi in aula di Pozioni, c’era mancato poco che Piton non lo mandasse da Silente.
Il ragazzo passava tutto il pomeriggio a sentire, la testa appoggiata al mento e pulsante dal mal di testa, Hermione che tentava di attirare la sua attenzione e Ron che le intimava, timidamente, di lasciarlo un po’ in pace.
“È una cosa grave, Ron, non te ne rendi conto?!” sbraitò la ragazza all’ennesima protesta del rosso. “No, dico, già sarà difficile rimanere al passo col programma senza i suoi incubi, figuriamoci con!”
Harry ascoltava tutto questo e annuiva senza vitalità, come un bambolotto di gomma, come se dentro non avesse nulla se non il vuoto.
Non avrebbe mai saputo se definire quei sogni incubi. Di certo non erano il suo terrore più grande (al primo posto spiccavano i Dissennatori), ma si guadagnavano un bel secondo posto: arrivavano quando meno se lo aspettavano, senza pietà, e senza lasciargli il tempo di capire cosa fosse appena accaduto lo facevano svegliare, ancora rintontito e con la sensazione di non ricordare nulla se non un gran calore sulle sue labbra.
Il viso del biondo Tassorosso continuava a tormentarlo, ossessivo e ripetuto, e quasi non se ne accorgeva. Sbucava dal nulla, quando stava pensando a tutt’altro, e poi rimaneva per tutto il giorno nella sua testa come un chiodo fisso. E tentare di scacciarlo era come chiedere a un cieco di vedere: impossibile.
Lì era e lì rimaneva, ostinato, cocciuto, testardo.
Col vero Cedric Harry non aveva avuto più contatti, se non uno scontro in corridoio in cui gli aveva fatto cadere, senza volerlo, i libri.
Il moro si era risolto a uno “Scusa” frettoloso quando si era accorto di chi fosse e si era allontanato a passo di marcia.
Eppure era bastato un singolo istante per riaccendere in lui la fiamma del’imbarazzo, il tumulto di sentimenti, la consapevolezza di quanto quel viso fosse perfetto. Semplicemente perfetto.
Il biondo gli era entrato nell’animo senza far rumore, senza che se ne accorgesse, aveva messo radici profonde e durature. Ed ora non voleva andarsene, continuava ad alloggiare lì, in un posticino nel suo cuore di adolescente smarrito. Harry aveva la sensazione che probabilmente non si sarebbe mai potuto disaffezionare da quel ragazzo. Se la loro unica chiacchierata poteva valere come “affetto”. Eppure lui aveva la sensazione che ci fosse sempre stato, che da qualche parte lui avesse sempre saputo che Cedric doveva essere nella sua vita, e così era stato.
Fino a un mese prima non sapeva neppure della sua esistenza, o meglio, sapeva della sua esistenza sulla carta, ma era bastato un unico incontro per renderlo consapevole del fatto che lui c’era sempre stato per lui.
Era la cosa più strana che avesse ma provato. Era come avere un fratello perduto e poi ritrovarlo un giorno: la sensazione era la stessa. Erano stati collegati, in qualche modo che non capiva o che stentava a capire, ed ora che si erano trovati quel filo fremeva impaziente per essere rinforzato, chiedendo affetto, chiedendo che si avvicinassero ancora di più.
Non bastava un unico incontro per capire che cosa provasse per lui, Harry lo sapeva benissimo. Eppure temeva un secondo confronto con Cedric con la stessa intensità con cui lo bramava. Temeva quella tempesta di emozioni che già una volta l’aveva preso tutto e allo stesso tempo sapeva, con la stessa sicurezza con cui sapeva che doveva respirare per vivere, che gli incubi non avrebbero avuto fine fino a che non si fosse avvicinato al Tassorosso.
“Harry, ma mi stai ascoltando?” esclamò Hermione, riscuotendolo dal suo stato.
“S… Sì… Sì, certo” tentò lui, lasciando però trasparire senza volerlo il fatto che non la stesse proprio a sentire.
La ragazza sbuffò arrabbiata come non mai.
“È ora di farla finita con questa storia, dannazione!” esplose, spaventandolo non poco. “Senti, è da più di un mese che questa storia va avanti…”
“Un mese e tre giorni” sussurrò lui tra sé e sé. Tutto da quel dannatissimo 6 novembre…
“E non puoi andare avanti così, OK?” continuò Hermione, con una tale forza che lo spaventò.
“Se conosci un modo per… Per far smettere questi incubi…”
Ron ridacchiò tra sé e sé, ma Harry lo zittì con un’occhiataccia. Questo scambio non scappò agli occhi implacabili di Hermione.
“… Lui sa che cosa sogni?” balbettò lei, guardandolo stortissimo.
“Può darsi” sussurrò Ron, ridacchiando di nuovo. Dopo il primo momento di imbarazzo, il rosso aveva iniziato a scherzare sui suoi sogni chiamandolo “piccolo pervertito” e chiamando Cedric “pedofilo”. Harry gli diede un pugno sulla spalla deciso. Il sonno perduto gli aveva dato una rabbia inaspettata, che spesso e volentieri si rivoltava contro il malcapitato Weasley.
“E… E si può sapere cosa sogni di così sconvolgente da non poterlo dire alla tua migliore amica?” domandò lei, la voce determinata.
Harry scosse la testa.
“Non lo vorresti sapere…”
“Ma sì, che lo voglio sapere!” ribatté quella. “Sapere cosa sogni può essere il primo passo per capire come agire…”
“Gliel’ho detto pure io” disse Ron, alzando le spalle. “Ma non è servito a molto…”
Hermione si passò le mani tra i capelli, nervosi.
“Insomma, Harry, si può sapere che diamine sogni?”
Il moro divenne rosso come un peperone.
“Lascia stare” sussurrò, iniziando a boccheggiare come un pesce rosso.
“Ma no, perché?” domandò Hermione, visibilmente contrariata. “Spiegami perché, che cosa c’è di così orribile da non potermela dire?”
“Non lo vuoi sapere” intervenne Ron tentando di lenire la sua rabbia.
“SI’ CHE LO VOGLIO SAPERE!!!!” urlò Hermione, ormai prossima ad una crisi di nervi sicura.
“Io glielo dico” sussurrò Ron all’amico.
“No, tu non dici una parola!” tentò Harry.
“RON, PARLA!”
“Ron, sta zitto o ti infilo la bacchetta su per il naso!”
“Amico, tra te e lei ho più paura di lei!”
Detto ciò, si avvicinò all’orecchio di Hermione che ormai fumava dalle orecchie per la rabbia.
Harry non poté intervenire: nella frazione di secondo che servì a Hermione per capire, la ragazza divenne prima bianca, poi rossa, poi verde.
E infine cadde a terra svenuta.
 
“Oggi sono andata a trovare Mione in infermeria”.
“Bene…” sbuffò Harry, stringendosi il libro al petto. “Che cosa ti ha detto?”
“Ehm… Si è guardata intorno allarmata ed ha chiesto se c’eri…” sussurrò quello divenendo rosso come i suoi capelli.
“Fantastico…” commentò il moro senza slancio.
“Madama Sprite ha detto di averla sentire farfugliare un bel po’ di cose senza senso mentre era priva di sensi…”. Harry lo guardò in modo disperatamente investigatore.
“Senza senso per lei…” si affrettò a specificare Ron.
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo. Era diventato così indispensabile mantenere quel suo segreto insostenibile che desiderava sentire tutto ciò che Hermione aveva detto, visto che, di comune accordo con Ron, avevano deciso di non farle vedere Ron fino a che non si fosse “ripresa” del tutto.
“E… E mi ha chiesto come stavi…” continuò il rosso, scavando nella sua mente per ricordare le precise parole della ragazza. “E si è lamentata perché avrebbe perso la verifica di Rune Antiche”.
Harry ridacchiò.
“Solo lei potrebbe lamentarsi di una cosa simile…”
“Secondo la Sprite ha avuto una specie di crollo di nervi” spiegò Ron alzando le spalle. “Però lei si lamenta che è solo svenuta e che perderà due giorni di lezioni…”
“Tutta Mione” rise Harry.
Ron non rispose alla battuta.
“Che c’è?” domandò lui, accorgendosi dell’aria preoccupata e svogliata del rosso.
Lui si mise le mani in tasca e alzò gli occhi al cielo rannuvolato di metà dicembre per dire, sicuro e determinato:
“Credo che Mione abbia ragione…”
Harry non disse nulla.
“Dovresti tentare di risolvere questa situazione”.
Il moro lo fissò lievemente scocciato.
“Credi che non ci abbia provato?”
“A me sembra che tu non abbia fatto proprio nulla per risolvere…”
“E cosa dovrei fare, secondo te?” domandò lui in tono di sfida.
Il rosso non si scompose, ma alzò le spalle e disse, con quanta semplicità poteva.
“Hai idea di come potresti far cessare questi incubi?”
Lui allargò le braccia sbuffando.
“Credi non l’avrei già fatto se l’avessi saputo?”
“Forse sì”, gli fece notare Ron. “Ma forse la soluzione ti fa più paura che la certezza che sognerai tutta la vita Cedric Diggory che ti BACIA in una vasca da bagno!”
“Sssssh!” gli fece Harry, guardandosi intorno circospetto. “Fai piano” sussurrò, imporporandosi lievemente.
“Calmati…” lo rassicurò Ron. “Nessuno sa di te e…” sorrise lievemente. “Il tuo Cedric” sibilò sarcastico.
Harry lo guardò male.
“Lui non è MIO” ribatté. “Né tantomeno lo sarà mai”.
“Ceeeeeerto…” scherzò quello, alzando gli occhi al cielo. Il moro gli diede un pugno sulla spalla.
“Non ho IDEA del perché lo sogno, OK?” si affrettò a dire notando un sorriso scherzoso di Ron. “È la cosa più strana che mi sia mai capitata… Più strano di Allock”.
“Vorresti paragonare Cedric Diggory a Gileroy Allock?” gli fece notare Ron, scherzoso.
Harry alzò l’angolo destro della bocca.
“Effettivamente…”
Quello che i due ragazzi non sapevano, ignari di tutto se non del grande “problema” di Harry, era che, nel gazebo poco lontano da loro, in attenta quanto cauta osservazione, un ragazzo li fissava.
Cedric Diggory, completamente ignaro di essere proprio lui l’oggetto della discussione che stava osservando in quell’istante, guardava, pieno di curiosità e di qualcosa nelle pupille che assomigliava vagamente a desiderio, il moro Grifondoro parlare con il rosso Weasley.
Il guardare il giovane Potter era diventata un’abitudine ormai giornaliera, da tre settimane a quella parte. Era sopravvissuto solo una settimana a quegli incubi che lo massacravano lentamente, ed era stato con triste arrendevolezza che aveva cominciato a osservarlo (o forse avrebbe dovuto dire spiarlo?). Gli incubi avevano vinto su di lui, e la triste consapevolezza che più avrebbe continuato a guardarlo più sarebbe stato difficile staccarsi da quell’abitudine era ogni giorno più forte in lui.
Cedric non era certo contento di quella situazione, di quel suo bisogno quasi viscerale e primitivo che non riusciva a dominare di dover vedere, almeno una volta al giorno, il viso di Potter.
O meglio, il viso di Harry.
Lo seguiva nei suoi passi, ombra silenziosa e strisciante nei corridoi, tremando quando gli pareva che avesse potuto notarlo, più sicuro quando capiva di essere totalmente coperto.
Era così dannatamente frustrante sapere di dipendere da qualcosa di così stupido (così lo definiva la sua mente quando aveva la forza di ragionare) come gli occhi (quegli occhi verdi) di un ragazzo, sapere di anelare al ricordare per sempre tutti quei passi, quei movimenti, l’imperscrutabile movimento delle pupille sotto le ciglia folte, l’imporporarsi di quelle guancie, le risate di quel bambino.
Harry sapeva di infanzia e di freschezza, sapeva di ciò che lui era stato un tempo, di ciò che di infantile o di fanciullesco c’era stato nella sua vita. C’era tutta la sua infanzia, la sua breve e beata infanzia dietro quelle lenti spesse, in quei laghi verdi.
C’era ogni ricordo, ogni rimembranza.
Non sapeva come definire ciò che provava per Harry, e non riusciva a trovare parola che potesse descriverlo. Forse l’unico vocabolo giusto è “dipendenza”. Non poteva staccarsi da quelle iridi, non poteva evitare che i suoi occhi grigi tornassero a posarsi verso di lui, inevitabilmente, senza che potesse fare nulla per controllarli.
A volte aveva l’impressione che anche lui lo osservasse. A volte sentiva il peso degli occhi verdi che lo scrutavano attentamente, e un lieve pizzicorino alla base del collo. Ma quando si voltava, lui aveva già distolto lo sguardo. O forse non l’aveva mai posato su di lui ed era stata tutta una sua fantasia.
E probabilmente era anche vero. Cosa mai sarebe importato a Harry di quell’incontro? Cosa avrebbe potuto mai essere significato per lui quando nemmeno Cedric capiva cosa era significato per sé stesso?
Lo vedeva con le sue occhiaie sotto gli occhi, la stanchezza che gli dipingeva il volto, il viso smunto dalle notti insonni. Eppure, come poteva sospettare che fosse proprio lui la causa di tale insonnia? Come poteva immaginare che, in fondo al cuore, Harry sapeva quanto quell’incontro fosse stato importante per lui?
Cedric si appoggiò a una colonna del giardino sospirando.
Gli appunti di Erbologia lo attendevano in camera sua, pronti per essere sfogliati, risfogliati, letti e riletti. Ma lui non aveva né la voglia né l’intenzione di studiare, come non aveva voglia di allontanarsi.
Ma il giardino si stava riempiendo, e qualcuno avrebbe notato…
Con un ultimo sospiro, si allontanò dal ragazzo, rivolgendogli un ultimo sguardo prima di andarsene.
Fu in quel preciso momento che Harry si girò a fissarlo, incrociando i suoi occhi grigi e mozzandogli il fiato per secondi che parvero un’infinità di tempo.
Il Tassorosso contrasse le labbra, indeciso. Era come essere nudi di fronte a centinaia di ragazzi: si sentiva spogliare dallo sguardo di Harry, si sentiva come denudato da quegli occhi magnetici.
Harry parve fare un passo avanti, incerto, come se avesse voluto dirgli qualcosa, ma Cedric si voltò prima che potesse anche solo salutarlo.
Il Tassorosso richiuse gli occhi come tentando di scacciare un pensiero fastidioso e strinse i pugni decisi: non si sarebbe certo lasciato domare dalle emozioni.
Basta, quella situazione doveva finire lì: non poteva certo mettersi a osservare tutto il giorno Harry Potter, come se fosse stata la cosa più normale del mondo: aveva il Quidditch, lui, e i doveri da Prefetto, e la media dell’E da mantenere.
Non poteva certo assecondare i desideri del suo stupido inconscio.
Non poteva certo assecondare i suoi desideri.
Andò a dormire promettendoselo, serrando i denti e il pugno fino a farsi male, e sperando con tutto sé stesso che non arrivasse a fargli compagnia un altro incubo.
Da domani smetteva.
Già, proprio così.
Dal giorno dopo sarebbe tornato ad essere un ragazzo libero.
 
Lo rivide al tavolo di Grifondoro la mattina dopo. Aveva i capelli spettinati e gli occhi che imploravano un minuto di sonno, ma stavolta non c’era la Granger a fargli compagnia: solo la piccola dei Weasley e Ron.
Cedric si sentì quasi pervadere da una scossa di gelosia quando vide il ragazzo dare una pacca sulla spalla del moro, ma poi si ricompose dicendosi che non c’era ragione di essere gelosi.
No, non c’era assolutamente ragione di esserlo.
A quanto pareva non c’era stato verso di far ragionare il suo inconscio: Cedric non staccò un istante i suoi occhi da quelli del ragazzo.

Note d'autrice:
Non sono proprio brava a descrivere i preamboli di una storia d'amore... Spero vada meglio quando i nostri piccioncini passeranno all'azione, non so se mi spiego (ridacchia sadica). Comunque dal prossimo capitolo si avvicineranno e comincieranno a diventare amici...
E dopo l'amicizia...
BUM!
Chiaro il concetto? XD

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Capitolo 5
*** Ossessione (di bambini che non vogliono crescere e scherzi di Plutone) ***


Harry correva affannato verso l’Aula di Pozioni con dei libri stretti al petto, certo che una bella ramanzina di Piton non gliela risparmiava nessuno.
Nella sua mente una sola parola si ripeteva continua e imperterrita, come un martello che battesse sempre sullo stesso chioso.
Cavolocavolocavolocavolocavolo
Senza Hermione aveva impiegato una mezz’oretta in più per fare i compiti la sera prima, e si era addormentato con la faccia nei libri.
Come se non bastasse a Ron non era passato affatto per la testa di andare a svegliarlo, visto che si era subito fiondato in Infermeria, ansioso di conoscere le condizioni dell’amica.
Il ragazzo l’aveva scontrato ancora prima che lui se ne accorgesse, facendo cadere a terra i volumi che il tredicenne stringeva al petto.
“Accidenti!” esclamò Harry, affannato.
Subito il ragazzo si era chinato, insieme a lui, a raccoglierli, e le loro teste si erano scontrate dolorosamente.
Harry aveva sussultato, il ragazzo si era posato una mano sulla testa dolorante e aveva sussurrato uno stentato “Scusami”, cominciando a raccogliere con l’altra mano i volumi.
Harry aveva scosso la testa come a dire “Figurati”, tentando di ignorare il dolore pulsante alla testa e il pensiero che tra qualche ora gli sarebbe probabilmente spuntato un bel bernoccolo.
Aveva iniziato a raccattare alla bell’e meglio i fogli di appunti che erano scivolati fuori dai libri, tenendo sempre lo sguardo basso concentrato su quell’operazione.
Aveva amaramente sospirato quando si era accorto che non aveva numerato i fogli e che ora non poteva più conoscerne l’ordine e si era preparato mentalmente a una doppia ramanzina.
Forse anche tripla, considerando che generalmente a Piton piaceva tanto bacchettarlo.
“Pozioni, eh?” aveva chiesto il ragazzo che l’aveva scontrato.
Harry aveva annuito lievemente, concentrato nel tentativo di ricordare quale pagina venisse per prima.
Sentiva lo sguardo dello sconosciuto posarsi su di lui, e questo lo aveva fatto arrossire lievemente: non gli era mai piaciuto essere osservato, soprattutto se ad osservarlo era una persona che non aveva neanche visto in viso.
“Se vuoi posso darti una mano a riordinarle…” aveva detto con voce calma e decisa.
Harry aveva raccolto l’ultimo foglio e si apprestava ad alzarsi, sussurrando “Grazie, no” quando anche il ragazzo aveva afferrato il documento.
Harry aveva alzato lo sguardo, leggermente indispettito dall’insistenza dello sconosciuto, e subito le sue pupille si erano dilatate vistosamente.
Avrebbe riconosciuto quegli occhi grigi tra milioni.
Se non era bastata la voce a farglielo capire, bastò un singolo sguardo per farlo rendere conto dell’identità dello “sconosciuto”.
Era Cedric.
Entrambi erano rimasti alcuni istanti a fissarsi nelle pupille, immobili, ognuno con una mano su un libriccino che era rimasto a terra.
“Ehm…” aveva sussurrato il ragazzo, tossendo leggermente.
Harry  rimase fermo e così anche Cedric, per nulla intenzionato a mollare la presa come non lo era lui.
Il sedicenne abbassò lo sguardo lentamente, nel tentativo di spezzare la magia del momento, ma Harry non lo mollò neppure per un istante: il viso era incorniciato perfettamente dai capelli color del rame, che gli ricadevano sulla fronte dolcemente, e le palpebre erano semichiuse in un espressione di concentrazione.
Cedric aggrottò le sopracciglia lievemente, in un movimento che a Harry sembrò pieno di grazia: tutto l’opposto di quello grezzo di Ron, o quello animalesco di Dudley. Il suo portamento, quel suo aggrottare le sopracciglia da solo era principesco, regale, pieno di forza e allo stesso tempo di avvenenza.
Si accorse dopo poco cosa l’aveva portato ad abbassare lo sguardo: il libro che gli era caduto dalla borsa, un libro non rilegato o in pelle, tanto diverso dai tomi di Hogwarts.
Harry si slanciò in avanti per prenderlo, ma Cedric fu più svelto e si piegò all’indietro per non farglielo avere.
“Sarebbe… Sarebbe mio” sussurrò Harry, tentando di calmare il rossore che lo stava imporporando tutto.
“Lo so” sussurrò molto semplicemente Cedric.
Ma non glielo restituì.
Lo tenne stretto tra le mani e guardò il titolo curioso.
Poi riportò lo sguardo su di lui.
Harry abbassò gli occhi tentando di nascondere l’imbarazzo, e anche l’altro distolse i suoi per non farlo sentire ancora peggio.
“ ‘Peter Pan’?” domandò lui, leggendo il titolo, stupito.
Harry annuì lievemente.
“È… Un racconto babbano, non mi stupisco se non lo conosci…” sussurrò, tentando di riprenderlo.
Cedric glielo ridiede, e Harry lo afferrò con uno scatto nervoso.
“Grazie…” sussurrò, tossendo lievemente. Tutto ciò che gli serviva era far sapere a Diggory che leggeva un libro per bambini. Cosa avrebbe pensato di lui? L’aveva visto cadere dalla scopa, l’aveva visto zittire mentre tentava di parlarci e aveva sperimentato la sua imbranataggine.
Poi si chiese cosa diamine gliene importava di quello che pensava Cedric di lui.
“Di cosa parla?” domandò Cedric, sorridendo lievemente per tentare di farlo stare meglio.
Le orecchie di Harry divennero rosse.
“È… La storia di un bambino che… Che non vuole mai crescere” spiegò, senza aggiungere null’altro.
Il sedicenne però a quel punto pareva piuttosto interessato.
“Davvero?”
Harry annuì continuando a tenere gli occhi bassi e raccattando qualche foglio caduto qua e là.
“E… E cosa fa?” domandò Cedric, chinandosi verso di lui.
Harry alzò le spalle, sperando che l’avrebbe liquidato facilmente.
“Scappa su un’isola dove non si cresce mai” spiegò, il tono svelto e frettoloso. “Si chiama ‘Isola che non c’è’”
Cedric aggrottò di nuovo le sopracciglia. Pareva piuttosto confuso.
“Ma… Se non c’è… Come fa il bambino ad arrivarci?”
Harry sospirò spazientito.
“Non lo so” disse perentorio. “Lavora un po’ di fantasia, no?”
Cedric rimase zitto per alcuni istanti, sena guardarlo direttamente in faccia.
Harry sospirò.
“Scusa…” sussurrò, rendendosi conto solo allora di essere stato piuttosto sgarbato.
E avrebbe voluto essere sgarbato con tutti meno che con lui.
“Figurati…” ribatté Cedric, afferrando altri fogli e mettendoli nelle mani di Harry.
Per un istante la destra dell’uno e dell’altra si intrecciarono, con una tale rapidità che quasi Harry non se ne accorse. Ma come se il suo corpo se ne fosse accorto al posto suo, il ragazzino avvampò di nuovo.
“E cosa fa su quest’isola, il bambino?” chiese Cedric, continuando a raccogliere fogli. Lo faceva con una lentezza quasi studiata, tanto che Harry si chiese se lo stesse facendo per farlo arrivare tardi a lezione e far perdere punti ai Grifondoro. Fu un folle istante. Poi si disse che Cedric non avrebbe mai fatto qualcosa di simile.
“Gioca” spiegò lui, tendendo le mani per ricevere dal compagno i fogli. “E… Si diverte… Come avrebbe voluto fare, in fondo…”
Cedric rimase perplesso per altri istanti.
“Tutto qui?” domandò, incerto.
Harry annuì.
“Sì, tutto qui”.
Il sedicenne non demorse, deluso.
“Insomma… Con tutte le cose che poteva fare con l’eterna giovinezza…”
Harry ridacchiò, divertito.
“Tu che avresti fatto?”
Il ragazzo rimase interdetto.
“Non… Non saprei” sussurrò, lievemente stupito. “Non ci avevo mai pensato, effettivamente…”
Harry raccolse l’ultimo foglio.
“Evidentemente neanche Peter ci aveva pensato granché…”
Cedric si concesse un sorriso tirato mentre il ragazzino si rialzava, i libri in mano.
Quando anche lui si alzò, a Harry parve che il mondo si fosse quasi rimpicciolito: Cedric aveva solo tre anni più di lui, eppure era alto più di Dudley.
Oh, che paragoni andava a fare! Non poteva certo paragonare l’altezza di Cedric a quella di suo cugino.
Insomma, non avevano certo lo stesso fisico: Dudley era più grosso che alto, e l’altro era invece slanciato e di corporatura robusta. Non da porcello, come quella di Dudley. Non aveva rotoli di ciccia che gli uscivano da tutte le parti. Non aveva nulla in comune con quel maialino.
E poi, come diamine gli era venuto in mente di paragonare Dudley al sedicenne? Il primo era, sfortunatamente, il suo odiato cugino, e Cedric… Cedric era Cedric.
“Direi che ho un esperienza piuttosto limitata in ragazzi” si ritrovò a pensare, per poi chiedersi stupito cosa diavolo avesse appena formulato la sua mente.
“Me lo presteresti?” domandò Cedric, cogliendolo impreparato.
Harry riemerse dal suo stato catatonico e domandò, stupito:
“Che…?”
“Il libro” ripeté Cedric, calmo. “Me lo presteresti?”
Harry aprì e richiuse la bocca.
Poi sussurrò uno smorzato:
“C… Certo”.
Gli passò il libro con la mano che tremava, ma tentò di non darlo a vedere troppo.
Quando Cedric appoggiò la mano sul libro, inavvertitamente (o forse non troppo) sfiorò la sua, in un contatto che durò appena dieci secondi. Li contò, Harry, quegli istanti: non li avrebbe mai dimenticati.
Poi, senza neppure dire “Ciao”, Harry fece dietrofront, lasciando il libro nella mano di Cedric e camminando quanto più velocemente poteva verso l’Aula di Pozioni.
Richiuse gli occhi con forza,tentando di calmare il battito del suo cuore che galoppava impazzito.
Ma che diamine gli succedeva?


I mesi che seguirono furono i più tormentati della sua vita.
Sebbene gli incubi, dopo poco, gli avessero dato tregua, Harry continuava a svegliarsi la mattina col fiato corto e il corpo sudaticcio. Ron raccontava di sentirlo rigirarsi nel letto sussurrando parole sconnesse e frasi senza senso.
“Qualcosa come ‘L’isola che non c’è’…” aveva detto il rosso riferendo una sua tipica notte. Frasi senza senso per lui.
Appurato che non sognava più Diggory, sembrava essersi dimenticato della faccenda, anzi, quando Harry ne faceva distrattamente menzione, il rosso lo guardava curioso e chiedeva, sinceramente stupito:
“Di che stai parlando, Harry?”
Hermione non era della stessa opinione.
“Per me torneranno!” continuava a ripetere imperterrita ad ogni ora, guadagnandosi uno sguardo di odio di Harry. “Insomma, non possono essere spariti così, nel nulla. Devi risolvere questa situazione con Diggory prima che la fortuna torni a tentarti”.
Il ragazzo non aveva assolutamente idea di cosa fosse successo, ma non gli interessava affatto: tanto meglio per lui, che quegli incubi non sarebbero tornati a tormentarlo.
Non era dunque un problema di notti in bianco, no, ormai era acqua passata.
Ciò che rese quei mesi un inferno fu la certezza, sempre più sicura ogni giorno che passava, che provasse qualcosa per Cedric Diggory.
O meglio, era certo di provare emozioni molto forti, ma non riusciva a localizzarle o a captarle. Era come avere troppi pensieri nella testa e non riuscire neppure a capire quali fossero, come addormentarsi sentendo tanta confusione in testa e non sapere perché si aveva, come svegliarsi la mattina sentendo di aver dimenticato qualcosa e non sapere neppure cosa.
Appena tentava di avvicinarsi alle emozioni, tentando di captarne l’essenza, esse svanivano nel nulla, lasciandogli solo tanta confusione in testa e l’immagine di Cedric vivida e sicura.
Ormai lo vedeva in ogni angolo della scuola, in ogni viso, in ogni immagine, in ogni parola di un libro, in ogni istante. Tornava prorompente a dargli il tormento, rendendo le lezioni un inferno e le sue giornate un quieto ribollire di distrazione e estraniazione dal mondo.
Non c’erano più incubi, non c’era più sonno nei suoi occhi, ma c’era tanta, troppa distratta indifferenza, c’era un tormento continuo mascherato come meglio poteva, c’era qualcosa che assomigliava vagamente eppure pericolosamente simile a passione.
Harry non aveva mai provato nulla di simile a quello che stava provando ora, nulla che assomigliasse anche minimamente a amore, o ciò che si avvicinava ad amore. C’era Hermione, certo, ma era come sua sorella: con lei c’era stata un’intesa immediata appena aveva capito che poteva essere un’amica, e non aveva mai sentito, sebbene qualcuno avrebbe potuto immaginarlo, la tentazione di gettarle le braccia al collo e di baciarla dolcemente. Come gli era capitato un paio di volte con Cedric.
Quando ciò era successo, si era maledetto mentalmente, chiedendosi cosa diamine andasse a pensare. Aveva visto quel ragazzo solo un paio di volte, eppure era bastato per fargli perdere completamente la ragione.
Più volte Hermione aveva dovuto risvegliarlo dal caldo tepore in cui cadeva, più volte agli allenamenti Baston lo rimproverava: Harry non aveva altro in testa ormai se non il giovane Tassorosso, e la maggior parte del mondo la passava a tentare di scacciare via quel pensiero come fosse stata una mosca fastidiosa.
Non riusciva più a concentrarsi nemmeno nel Quidditch, e quel fatto gli era così sconosciuto e assolutamente estraneo che per molto tempo pensò quasi di ritirarsi dal ruolo di Cercatore.
Quando però aveva presentato le dimissioni a Baston, questo aveva risposto sicuro:
“Non se ne parla, Harry! Sei il miglior Cercatore che abbiamo mai avuto, e io non mando via i miei giocatori migliori… Sei solo un po’ fuori forma…” e aveva cominciato ad elencare una sfilza di motivi per cui potesse essere stressato o per cui non riuscisse a concentrarsi.
Alla fine Harry era riuscito solamente a chiedere, sorprendendo anche sé stesso:
“Ci sarà un’altra partita coi Tassorosso?”
Non aveva più rivisto Cedric, sebbene più volte avesse tentato di raggiungerlo, forse per restituirgli il libro. In biblioteca l’aveva adocchiato, ma Harry se n’era andato subito quando aveva notato i suoi occhi grigi tra gli scaffali lasciando Hermione e Ron soli: avrebbe riconosciuto quelle iridi tra milioni.
Passava ore e ore sui libri, tentando di concentrarsi, tanto che spesso e volentieri andava a dormire anche più tardi di Hermione, ma a fatica imparava le cose più elementari. Quasi tutti i professori, fatta eccezione per Piton che, come sempre, tentava ogni istante di metterlo in imbarazzo (ricevendo però da lui solo indifferenza che pareva renderlo ancora più furioso), tentavano di trovare una spiegazione a quello strano comportamento.
“Sarà lo stress da Quidditch…” prognosticava la McGrannit.
“Sarà la preoccupazione per i Dissennatori…” congetturava Lupin.
“Sarà l’angolazione di Plutone…” decretava la Cooman sotto lo sguardo devoto di Lavanda.
Nessuno di loro sapeva di non essersi avvicinato neppure un po’: non era turbato per il Quidditch, né per i Dissennatori, né tantomeno perché Plutone gli faceva i dispetti.
Harry sapeva chi era la causa di quel malessere.
Ma ammetterlo gli costava una fatica immane e indicibile: era più facile credere a quelle fandonie, convincersi che dovevano avere ragione loro (insomma, lui ossessionato da un ragazzo?), ma il suo subconscio si ribellava fermamente. Come poteva ingannarsi così? Come poteva credere per un istante solo che ciò che provava per Cedric Diggory era semplicemente attrazione?
Era attratto da Cedric Diggory.
Era attratto da un ragazzo.
La spiegazione più insensata ma allo stesso tempo più sensata.
Cos’altro poteva essere?
Certo, c’erano i Dissennatori, e Black che lo perseguitava, ma da troppo tempo non pensava neppure lontanamente a quello che era stato il suo padrino: al suo viso scavato e rabbioso si sovrapponeva quello di Cedric, che vinceva sempre. Era sempre lì, pronto a ricordargli che, doveva essere così, era attratto da lui.

Note d'autrice:
Troppo veloce.
O forse no?
Non lo so.
Non lo so.
Aspetto vostri commenti, davvero!
Il prossimo capitolo dovrebbe essere incentrato su Ced che, come Harry, ci metterà molto per capire che gli piace...
Poi forse "salteremo" al quarto anno subito e tenterò di andare più lentamente, GIURO!!

 

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Capitolo 6
*** AVVISO! ***


Allora...
Da dove iniziamo? (Peter: Dall'inizio, no? Io: Zitto un secondo, per piacere)
Questa storia l'ho molto desiderata.
Molto voluta.
Ma la verità è che...
Devo farle bene le cose.
Perchè se c'è anche solo UN capitolo che non mi soddisfa al cento per cento posso buttare tutto quanto dalla finestra.
E questa storia sinceramente com'è ora non mi soddisfa del tutto.
Quindi, cosa voglio dire con questo?
Voglio dire che per un po' la sospenderò: voglio scriverla ben bene, avercela in testa, organizzarla in maniera decente.
poi devo pure vedere se continuarla perché in questo periodo mi sono iscritta ad un contest con questa coppia, e lo scopo è proprio scrivere la loro storia d'amore.
Se ci volete passare il titolo della storia è "Nothing is as queer (as folk)".
Probabilmente questa la continuerò, anche perché ho mille modi diversi di vedere la love story di Harry e Ced, quindi fatemi riflettere un momento.
Al momento, questa long è sospesa.
Vi terrò aggiornati se dovessi continuarla!

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